Montgomery's friends

di LaniePaciock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** Promesse e confessioni ***
Capitolo 3: *** Due chiamate, una scelta ***
Capitolo 4: *** 41319 ***
Capitolo 5: *** John Doe ***
Capitolo 6: *** Un amico di Montgomery ***
Capitolo 7: *** Per te... ***
Capitolo 8: *** Il piano C ***
Capitolo 9: *** Chi sei davvero? ***
Capitolo 10: *** Vincit omnia veritas ***
Capitolo 11: *** Seconde possibilità ***
Capitolo 12: *** Dottore e inventore ***
Capitolo 13: *** Il peso della paura ***
Capitolo 14: *** Una festa? ***
Capitolo 15: *** Perché tutto finisca ***
Capitolo 16: *** L'inseguimento ***
Capitolo 17: *** Una favola per bambini ***
Capitolo 18: *** È finita? ***
Capitolo 19: *** Buona fortuna ***



Capitolo 1
*** Il risveglio ***


 

Cap.1 Il risveglio

La luce proveniente dalla finestra lo colpì negli occhi sotto le palpebre chiuse. Li strinse leggermente senza aprirli e mosse appena la testa, ma dopo un attimo si bloccò. Immagini della sera prima iniziavano ad accavallarsi nella sua mente, ma credeva possibili solo poche di queste. Era sicuro di essere andato alla cerimonia per il diploma di sua figlia Alexis. Ricordava ogni parola di quel fantastico discorso che nei giorni precedenti l’aveva fatta tanto penare. Quando era scesa dal palco l’aveva abbracciata forte con le lacrime agli occhi. La sua bambina era cresciuta davvero e stava per iniziare il college. Lui e sua madre l’avevano accompagnata alla sua festa per il diploma, poi Martha aveva preso i bagagli ed era partita per gli Hamptons. Loro l’avrebbero raggiunta dopo qualche giorno, o almeno l’idea era quella.
Ricordava anche ogni singola parola al distretto e a casa di Beckett… Le aveva detto che l’amava, che temeva per la sua vita, ma lei ancora una volta non aveva ascoltato. Come ogni volta che aprivano il caso di Johanna Beckett. Solo che questa volta era stato lui a decidere di chiuderla lì. Non voleva vederla affogare ancora. Non aveva intenzione di vederla morire di nuovo davanti a lui. Non ci sarebbe riuscito. Così se ne era andato.
Le immagini a cui non credeva risalivano alla sera prima. Aveva cestinato tutto il fascicolo sul caso di Johanna Beckett, di questo ne era certo. Ma se aveva chiuso con Kate, com’era possibile che si ricordasse di lei, bagnata fradicia, davanti al suo appartamento? Com’era possibile che ricordasse ogni singolo istante di ciò che non poteva essere davvero accaduto? Eppure sapeva di aver chiesto “Beckett, what do you want?”, pure in malo modo, e la risposta era stata la più scioccante: “You”. Non poteva essere altro che un sogno quello in cui Kate entrava e lo baciava. Non poteva essere che immaginazione la sua detective che gli chiedeva scusa e gli diceva che voleva solo lui. Non poteva essere che una fantasia la notte che aveva passato in sua compagnia. Semplicemente non lo credeva possibile.
Aveva ancora gli occhi chiusi. A quei pensieri aggrottò le sopracciglia e fece un sospiro profondo. Fu allora che Rick lo sentì. Fu in quel momento che capì che non era stata un’illusione, ma la realtà. Fu in quel momento che il suo cuore cominciò a battere veloce e minacciò di sopraffarlo. Odore di ciliegie. Odore di lei. Si accorse solo in quel momento del peso che aveva su una spalla e su parte del petto. Solo iIn quell’attimo percepì il calore del corpo di lei, praticamente attaccato al suo. Deglutì e finalmente si decise ad aprire gli occhi, lentamente. Prima li socchiuse, poi li aprì del tutto. Era vero, era reale. Un sorriso gli si aprì spontaneo sul volto. La dura detective Kate Beckett era tranquillamente addormentata nuda accanto a lui con la testa sulla sua spalla e una mano abbandonata sul suo petto. Era la cosa più bella e dolce che avesse mai visto. Alzò il braccio libero e con la mano le accarezzò lievemente la guancia e i capelli. Non voleva svegliarla, voleva solo sfiorarla. Non importava che fosse incollata al suo fianco. Aveva bisogno di sentirla sulle sue mani. Ripensò a come si era baciati la sera prima, affamati, passionali. Lentamente scostò la mano e aggrottò le sopracciglia. Gli era venuta in mente una frase che aveva detto Kate la sera prima. “I almost died and all I could think about was you”. ‘Sono quasi morta’ mi hai detto… Girò piano la testa per guardarla in viso. Che diavolo hai combinato ancora? Perché devo sempre rischiare di perderti per avvicinarti a me? Ma soprattutto cosa è successo questa volta che ti ha fatto tornare da me? Emise un piccolo sospiro e continuò a guardarla. Le faceva piacere e la irritava allo stesso tempo e lui lo sapeva. Però finché dormiva non avrebbe potuto rimproverarlo e lui non voleva perdersi neanche un secondo della meraviglia accanto a lui. La luce che iniziava a farsi strada sul viso della donna portò Rick a chiedersi che ore fossero. Voltò la testa verso il comodino e allungò leggermente il collo per guardare la sveglia. Trattenne per un momento il respiro. Erano le dieci passate. Kate l’avrebbe ucciso. Doveva svegliarla oppure sarebbe arrivata tardi al distretto e avrebbe dato la colpa a lui. Non dovette però sforzarsi di trovare un modo carino, dolce e indolore per lui per destarla, perché il suo movimento ci aveva già pensato. La sentì prendere un respiro profondo sulla sua spalla e sul suo collo. Represse a stento un brivido di piacere. Alzò di nuovo il braccio libero e ricominciò al accarezzarle piano la guancia finché non la vide aprire e chiudere gli occhi, assonnata, e alzare la testa verso di lui. Appena mise a fuoco chi aveva di fronte, un enorme sorriso si aprì sul viso della donna, contagiando anche lo scrittore.
“Buongiorno…” mormorò dolcemente Kate senza smettere di sorridere.
“Buongiorno” replicò Rick con lo stesso tono. Si alzò leggermente su un braccio per baciarla. Doveva essere un tranquillo e casto bacio, ma ci mise ben poco a diventare altro. Quasi un’eco della sera prima. Rick stava già percorrendo il corpo della donna con le mani e Kate aveva intrecciato le sue dietro il collo dell’uomo, quando lo scrittore si staccò con un sospiro e appoggiò la sua fronte a quella della donna.
“Kate…” In risposta ebbe solo un mugugno scocciato per l’interruzione da parte della sua musa. A quel versetto, Rick non poté fare a meno di ridacchiare. “Kate sono le dieci passate” riprovò lo scrittore.
“E allora?” sussurrò la donna iniziando a dargli dei piccoli baci sul collo. Lo sentì rabbrividire di piacere sopra di sé.
“Sai, anch’io non vorrei più spostarmi da qui, ma devi andare al distretto. Hai un lavoro, ricordi?” domandò l’uomo. Aveva un tono strano, a metà tra il divertito e il triste. Avrebbe voluto metterla sul ridere, ma sapeva a cosa andava incontro la sua donna tornando al distretto. La vide però abbassare lo sguardo e scuotere la testa, quindi si scostò leggermente per guardarla negli occhi.
“Non devo andare da nessuna parte…” sussurrò Kate, sperando che capisse. Lui aggrottò le sopracciglia confuso. La donna sospirò. “Devo raccontarti cosa è successo quando te ne sei andato” continuò. Lui annuì serio. La vide mordersi il labbro inferiore e percepì il suo disagio. Prima che la donna potesse parlare la frenò posando una mano sulla sua guancia e carezzandole le labbra con il pollice.
“Senti non so tu, ma io ho una certa fame” disse sorridendo. “Facciamo così. Io ora vado un momento in bagno a darmi una rinfrescata, poi vado in cucina e preparo la colazione. Tu resta qui quanto vuoi. Se non ti vedo arrivare quando è tutto pronto vorrà dire che ti porterò la colazione a letto.” Non sapeva se avesse fatto bene, ma ancora una volta le stava dando il suo tempo. Kate era rimasta stupita dalle sue parole, aveva la bocca semiaperta. Si riprese, gli sorrise con gratitudine e annuì. Poi, prima che Rick potesse alzarsi, Kate portò una mano sulla sua guancia e lo avvicinò a sé per dargli un altro bacio. Quando si staccarono Rick la guardò un momento negli occhi, poi sorrise e si alzò. Prese il primo paio di boxer che trovò e se li infilò insieme a una vecchia maglia a maniche corte. Diede a malapena un’occhiata alla camera in disordine. I loro vestiti erano sparpagliati su tutto il pavimento, ma li notò appena. Si diresse in bagno e si sciacquò la faccia con acqua fredda. Alzò per un momento gli occhi sullo specchio davanti a lui e vide che i sentimenti contrastanti che sentiva erano ben visibili anche sul suo volto e nei suoi occhi. Era andato a letto con Kate, la sua musa, la donna che amava… Avrebbe potuto dirsi l’uomo più felice del mondo. Ma avevano fatto bene? Soprattutto dopo quello che si erano detti poco tempo prima. Fece un sospiro e uscì dal bagno. Kate era ancora nel letto, in attesa che lui finisse. La vide pensierosa, lo sguardo rivolto alla finestra illuminata.
“Ehi, io ho finito” le disse dolcemente accarezzandole lievemente una gamba per farsi notare. La osservò alzare gli occhi su di lui e sorridergli. Rimase per un momento incantato dalla visione di Kate nel suo letto con solo un leggero lenzuolo addosso e con un sorriso stupendo rivolto solo a lui. Si riscosse dopo qualche secondo scuotendo appena la testa. “Ehm… Beh, io vado… vado di là allora, ok?” balbettò lo scrittore indicando la cucina che si intravedeva dalla porta della camera aperta. “Se ti serve qualunque cosa, chiamami” riuscì a concludere senza incespicare e uscì diretto in cucina. Sapeva cosa preparare: pancakes. Il piatto che secondo Esposito diceva ‘grazie della bella nottata’. E per lui quella era stata davvero una notte fantastica in cui, per una volta, c’erano solo lui e la sua musa, senza alcun problema al mondo. Prese gli ingredienti e li squadrò per un momento, grattandosi il mento. Mm… se i pancakes fossero un’unità di misura della notte passata, non basterebbe un camion… pensò sorridendo internamente. Poi sospirò. Pazienza, dovrò accontentarmi. E iniziò a preparare.
Kate si alzò piano dal letto. Avrebbe voluto stare tutto il giorno là sopra con Rick, anche solo respirando il suo odore. Ma c’erano delle cose da spiegare e questa volta non sarebbe scappata. Ritrovò gli slip e se li infilò. Poi prese la camicia bordeaux che il suo scrittore aveva indosso la sera prima e si mise su anche quella. Amava il suo odore. Si spostò quindi nel bagno per rinfrescarsi anche lei. E anche lei, come il suo uomo poco prima, alzò la testa verso lo specchio. Quasi non riconobbe la figura davanti a sé. Aveva delle leggere occhiaie e i suoi capelli erano completamente in disordine, non solo per la notte, ma anche perché erano bagnati quando era arrivata a casa di Rick. Ma era davvero la dura e chiusa detective Kate Beckett quella donna che sembrava sprizzare felicità da tutti i pori? Non riusciva a smettere di sorridere. Aveva superato le sue paure. Aveva capito cosa era veramente importante. Il pensiero del caso di sua madre e di quello che era successo il giorno prima, e avrebbe dovuto affrontare di lì a poco, le attraversò la mente. Il sorriso si scalfì appena. Per la prima volta era felice. Per la prima volta si sentiva libera. Appena finito, tornò nella camera. Era tentata dal rimettersi nel letto e aspettare Rick con la colazione, ma ripensandoci non le sembrò il luogo più adatto per la conversazione che ne sarebbe seguita. Sospirò e il profumo di pancakes le invase le narici. Sorrise divertita, scuotendo appena la testa. Ricordava anche lei le parole di Esposito sui pancakes. Il pensiero del collega la turbò per un momento, visto che era stato sospeso a causa sua. Doveva assolutamente raccontare tutto a Rick. Non voleva più niente fra di loro. Non l’avrebbe lasciato andare via ancora. Prese un altro respiro e uscì dalla stanza diretta anche lei verso la cucina. Da dietro il piano bar, poteva vedere Rick indaffarato ai fornelli. Rimase per un secondo ad ammirare l’uomo dietro le padelle. Forse aveva un filo di pancetta sotto la maglia e non aveva pettorali scolpiti, ma per lei era fantastico. E il ciuffo di capelli che in quel momento gli cadeva davanti al viso lo rendeva adorabile. Poi vide la sua espressione concentrata mentre girava i pancakes e rise.
In quel momento lui alzò la testa e si trovò davanti la musa, sorridente e praticamente solo vestita con la sua camicia. La bocca gli si aprì, mentre la osservava rapito. Quasi non si accorse della colazione che stava per bruciarsi. Alla sua espressione, Kate sorrise imbarazzata e si avvicinò al piano bar.
“Guarda che stai per bruciare tutto il tuo duro lavoro grande chef!” disse ridacchiando. Lui sembrò riscuotersi solo in quel momento. Riportò gli occhi sulla colazione. I pancake erano pronti, quindi li mise su due piatti. Poi posò la padella, fece il giro del tavolo e si posizionò davanti a Kate. Lei lo guardò confusa, non sapendo cosa avesse in mente lo scrittore. Non dovette attendere molto per saperlo. Rick le sorrise, avvicinò il viso di lei al suo e la baciò. Lo fece solo perché poteva farlo e perché non avrebbe mai voluto smettere di farlo. Kate aveva intrecciato le mani dietro la testa dello scrittore, mentre lui ora era aggrappato ai fianchi della donna.
“E… e questo… per cos’era?” chiese Kate cercando di riprendere un poco di fiato e autocontrollo. Lui sorrise furbo.
“Per aver evitato di far bruciare i pancakes, ovvio!” rispose ridacchiando. Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a trattenersi dal ridere. Si staccarono e mangiarono. Rick utilizzò mezza bottiglietta di sciroppo d’acero sui suoi pancakes, usando come scusa il fatto che aveva fatto un sacco di ‘ginnastica’ quella notte. Parlarono e scherzarono durante tutta la colazione. Se non fosse stato per qualche provocazione più esplicita e qualche bacio rubato, sarebbe potuto sembrare un normale pasto.
Finito di mangiare, Rick sparecchiò obbligando la donna, che voleva aiutarlo, a mettersi comoda in salone. Siccome Kate era testarda però, lo scrittore aveva finito per prenderla in braccio e portarla di peso sul divano, tra proteste miste a risate.
Rick tornò dopo pochi minuti e trovò Kate pensierosa che si mordeva il labbro inferiore, lo sguardo perso nel vuoto. La donna si accorse di lui solo quando le sollevo le gambe dal divano e si sedette, appoggiandole poi sulle sue.
“Tutto bene?” chiese. Lei annuì piano e gli sorrise. La vide mordersi ancora il labbro inferiore.
“Com’è stata la cerimonia del diploma?” domandò alla fine. Voleva parlare del giorno prima, ma prendendolo alla larga. Ovviamente lui l’aveva capito, ma anche questa volta la assecondò.
“Dipende dal momento… Intendi quando ha parlato Alexis o quando i genitori sono impazziti?” rispose sogghignando. Kate alzò un sopracciglio.
“Impazziti?” chiese divertita.
“Sì, sì! Avresti dovuto vederne qualcuno. C’era un papà che a metà del discorso della figlia è salito sul palco e l’ha abbracciata, continuando a dire che la sua era solo una bimba e non era ancora abbastanza grande per il college! Non riuscivano a staccarlo da lei! Una mamma invece ha iniziato a piangere come una fontana non appena sua figlia ha messo piede sul palco e non ha smesso finché non è scesa. Credo non abbia sentito neanche un quarto del discorso della ragazza…” Rick le fece il resoconto della cerimonia, comprendente anche un padre con evidentemente qualche bicchiere di troppo in corpo e problemi tecnici mai mancanti. Kate rise per tutto il racconto, quasi con le lacrime agli occhi. Non pensava che le cerimonie di diploma potessero essere così animate! Quando finalmente la sfilza di momenti comici fu terminata, Kate riuscì a riprendersi e a chiedere un po’ più seriamente e dolcemente.
“Dai davvero, Rick… Com’è stato il discorso di Alexis?” Lo vide fare un mezzo sorriso.
“Emozionante” rispose sinceramente. Kate notò che aveva gli occhi leggermente lucidi. “Alexis ha fatto un discorso fantastico… Dovrò fartelo leggere, purtroppo non era possibile fare video. Era davvero molto… istruttivo”
“Di cosa parlava?” chiese curiosa. Lui la guardò per qualche secondo come se volesse leggerle dentro e allo stesso tempo farle capire un concetto importante. Fece un sospiro.
“Parlava… parlava di finali. Di come siano inevitabili. Di come bisogna andare avanti arrivati a quel punto, nonostante faccia male, perché… perché tanto non importa quello che accadrà. Perché avremo sempre qualcuno vicino. Qualcuno che starà accanto a noi in ogni caso. Che sarà la nostra terraferma, la nostra stella polare, la piccola voce nel nostro cuore… Sempre” concluse. Kate abbassò lo sguardo.
“Avrei voluto esserci… deve essere stato davvero bello” sussurrò tristemente.
“Lo è stato infatti” replicò Rick.
“Ora capisco perché hai detto che è stato istruttivo” mormorò ancora con un mezzo sorriso. Rick annuì.
“Pensavo che ci sarebbe stato un finale anche per me questa volta…” disse atono lo scrittore con lo sguardo fisso al pavimento. Aveva la mascella serrata, Kate lo poteva vedere bene.
“Alexis ha ragione… Ogni cosa ha una fine” disse alla fine la donna con un sospiro. Rick rialzò lo sguardo su di lei, confuso, le sopracciglia aggrottate. “E ha ragione anche a dire che ci sarà sempre qualcuno che starà accanto a noi in ogni caso.” Fissò lo sguardo nei suoi occhi blu. “Tu per me in questi quattro anni sei stato tutto quello che hai detto. Che Alexis ha detto. Sei stato la piccola voce nel mio cuore, perché mi hai soccorso nei momenti in cui ne avevo bisogno. Sei stato la mia stella polare, perché alla fine sapevo che ogni strada mi avrebbe sempre guidato a te. Sei stato la mia terra ferma, perché mi hai sempre sostenuto e aiutato a rimanere a galla quando tutto sprofondava. Quando io sprofondavo. Come è successo ancora una volta in questi giorni. E quando tu te ne sei andato… Tutto è crollato e… sembrava davvero la fine…” Ora Kate aveva gli occhi lucidi e Rick la guardava sbalordito per quelle parole. La donna riaprì la bocca per parlare ancora, ma ne uscì solo un piccolo singhiozzo. Riprovò a parlare, ma questa volta fu lo scrittore a bloccarla posandole di nuovo una mano sulla guancia e un pollice sulla bocca. Lei vi si appoggiò con la testa. Alcune lacrime le scendevano lente sulle guance. Rick le asciugò e avvicinò a sé la donna per baciarla. Kate gli si accoccolò più vicino, nonostante gli fosse già praticamente sopra, e lui passò un braccio dietro la schiena della donna e la strinse a sé. Dopo qualche momento, lo scrittore fece un profondo respiro e la staccò leggermente per poterla guardare negli occhi.
“Sai, avrei tante domande da farti… tanti perché da porti… ma al momento mi interessa una sola risposta a una sola domanda... Cos’è successo ieri, Kate?” Ecco, quel tempo tanto atteso e temuto era giunto. Kate resse il suo sguardo per qualche secondo, poi non riuscì più e abbassò il capo. Deglutì e si morse il labbro inferiore, mentre Rick attendeva ansioso, anche se cercava di non darlo a vedere. Le parole della sera prima lo avevano spaventato. “I almost died…” Aveva solo quello in mente. Dopo quasi un minuto, finalmente Kate parlò. Lentamente gli raccontò quello che lui aveva temuto. Avevano trovato dove stava l’assassino. Lei ed Esposito avevano raggiunto il palazzo, lasciando un inquieto Ryan al distretto, e senza avvertire la Gates. Erano entrati e lei aveva inseguito l’assassino fino al tetto, dove avevano combattuto. Ma lui era più forte e l’aveva battuta. L’aveva lasciata quindi a penzoloni dal palazzo ed era scappato. Lei aveva urlato, ma nessuno veniva. Stava per cedere finché non aveva sentito una voce che le aveva ridato speranza. O almeno aveva creduto di sentire, perché quando la recuperarono, appena in tempo, la voce non era quella che pensava. Era di Ryan e aveva una squadra al completo e il capitano Gates dietro. Esposito, quando l’aveva scoperto, era diventato furioso con il suo partner, accusandolo di averli traditi.
I almost died and all I can think about is you…” sussurrò Kate, come già aveva fatto la sera prima. Rick la guardava con la bocca semiaperta. La donna però non aveva finito. “Quando poi siamo tornati al distretto, la Gates ovviamente ha convocato me e Javier nel suo ufficio e ci ha comunicato che eravamo sospesi. Ma guardando il mio distintivo, mi sono accorta che non mi importava più nulla. Né della polizia, né dell’inseguire quell’assassino. Mi importava di una sola cosa. Di una sola persona. Tu. Così ho dato le dimissioni…” Rick, che era già in parte sconvolto dal racconto, spalancò completamente la bocca all’ultima notizia. A quella faccia Kate fece un mezzo sorriso divertito. “Sì, mi sono dimessa. Ho raccolto la mia roba sulla scrivania e sono uscita. Nonostante il temporale, sono andata nel parco con le altalene…” disse guardandolo e mordendosi il labbro inferiore, sperando che capisse quale luogo intendesse. Il luogo in cui un anno prima avevano ricominciato la loro collaborazione. Lo vide sgranare gli occhi e annuire. Aveva capito. “Beh, mi sono seduta su una di esse e ho iniziato a pensare. Mi ero finalmente resa conto di una cosa. I just want you. Quindi sono venuta qui” mormorò abbassando gli occhi, un po’ rossa in viso. Rick non sapeva cosa pensare. Si passò una mano tra i capelli e non disse niente per parecchi minuti, cercando di assimilare tutte le notizie che gli aveva dato. “I love you Rick” disse alla fine in un sussurro che lo scrittore non avrebbe udito se non fosse stato per quel silenzio teso che si era creato. Si girò a guardarla. Glielo si leggeva in faccia che era ancora parecchio turbato. Dopo qualche secondo però, lo scrittore attirò di nuovo a sé la donna e l’abbracciò stretta.
“Sei stata un’incosciente” mormorò l’uomo con le labbra appoggiate alla testa di lei. “Una pazza incosciente. Tu e il tuo collega.”
“Lo so. Mi dispiace” sussurrò di rimando Kate. “Ma non accadrà più ormai.” Rick rimase in silenzio qualche secondo.
“Kate io ti amo. Ti amo e lo sai. Farei qualunque cosa per vederti felice. Quindi devo chiedertelo… Sei sicura di quello che hai fatto?” La donna si alzò leggermente da lui per guardarlo negli occhi, confusa. “Sto parlando del licenziamento” spiegò l’uomo. “Il distretto, la polizia, sono la tua vita. Non fraintendermi, sono felice come nessun uomo è mai stato che ora tu sia qui, ma… è questo che vuoi veramente? Perché ti conosco Kate, e so che non solo sei testarda e orgogliosa, ma a volte agisci anche d’impulso…” Kate aprì la bocca per rispondere, ma, inaspettatamente, si ritrovò a corto di parole.
“Io… io non lo so…” Rick le sorrise dolcemente e le accarezzò una guancia. “L’unica cosa che volevo era venire da te e non perderti più…” Lo scrittore rise.
“Kate dopo questa notte l’ultimo dei tuoi problemi sarà perdermi, perché io non ho intenzione di staccarmi da te per molto e molto tempo!” A quel punto anche Kate sorrise. “Io ti amo Kate. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Voglio solo che tu sia felice. E se questo implica il tuo rientro nella polizia allora lo accetterò senza fare la minima obiezione. Sarà sempre pericoloso, ma non posso farci niente. L’unica cosa in cui spero e che ora non sbatterai più la testa sul caso di tua madre. Non perché non voglio che tu lo risolva, ma perché ho paura per la tua vita. Ma in ogni caso è appunto la tua vita e se è quello che vuoi, allora permettimi solo di aiutarti, di rimanerti vicino. Forse non al distretto, perché non so se riuscirò a tornare, ma almeno, diciamo, in tutto il resto, in casa, nella vita. Io sarò qui con te e per te. Always.” A quel punto, Kate lo prese le la maglia e lo tirò a sé per baciarlo. Un grazie non sarebbe mai bastato a esprimere ciò che provava in quel momento.
“Non so se voglio tornare al momento…” mormorò Kate a occhi bassi quando si staccarono.
“Ehi, tranquilla. Adesso non devi decidere niente. Pensaci con calma. Quando avrai preso la tua decisione, spero solo di essere il primo a saperlo” disse con un sorriso. Lei annuì riconoscente. Dopo qualche secondo però fece un verso triste.
“Dovrò parlare con Esposito e Ryan…” iniziò angosciata, ma ancora una volta Rick la bloccò.
“Sono come fratelli. Vedrai che non servirà molto per riunirli.” Lo scrittore non sapeva se fosse vero, ma lo sperava ardentemente. Rimasero diversi minuti semplicemente abbracciati lì sul divano, a godere della presenza dell’altro, finché Rick non buttò un’occhiata distratta all’orologio dello stereo. “Ehm… Kate?” un mugugno fu la risposta della donna. “Sono le undici e mezza passate e per ora di pranzo dovrebbe tornare Alexis…” A quelle parole, Kate si alzò di scattò.
“E quando persavi di dirmelo??” domandò con un sopracciglio alzato. Lo scrittore deglutì senza riuscire a replicare. Calmati Richard, in ogni caso non può spararti perché non ha una pistola addosso… credo.

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Xiao! :)
Ehilà sono tornata a rompervi! XD
Allora questa è la mia nuova long... Spero abbia attirato un minimo del vostro interesse! :) Lo so che qui ancora non c'è molto, però il risveglio era assolutamente una cosa che volevo fare... X) (ma quanto ho amato la 4x23????) Spero di aver reso l'idea dei sentimenti contrastanti che secondo me sentiranno... :)
Detto questo, purtroppo ho avuto poco tempo per rivederla, quindi scusate gli eventuali errori... Ah e credo riuscirò a pubblicare una volta a settimana, causa studio esami... -.-
Boh, dovrei aver detto tutto! :)
Una recensione (piccola, media, lunga, positiva, negativa) sarà sempre ben accetta! :)
A presto! :)
Lanie

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Capitolo 2
*** Promesse e confessioni ***


Cap.2 Promesse e confessioni

Come predetto da Rick, Alexis tornò a casa per le 12.30am. Kate era già uscita da mezz’ora. Appena l’uomo le aveva comunicato l’imminente arrivo della figlia, aveva deciso di tornare a casa. Lo scrittore aveva provato a convincerla a restare, ma Kate preferiva non farsi trovare in casa, con i vestiti ancora leggermente umidi dalla sera prima, quando la ragazza sarebbe arrivata. Non voleva che subito tutti sapessero di loro. Voleva un po’ di tempo solo per sé e per il suo uomo. Aveva anche deciso che si sarebbe presa un paio di giorni per scegliere se tornare o meno al distretto. Era venerdì, quindi si sarebbe concessa il weekend per pensarci. Rick era felice per queste decisioni. Avrebbero avuto un paio di giorni solo per loro. Tutto il resto sarebbe venuto dopo, ma per il momento sarebbero stati solo loro due. O almeno solo loro due dopo la partenza di Alexis per gli Hamptons programmata per quel pomeriggio stesso. Si erano già organizzati. Appena la ragazza fosse uscita, Rick sarebbe andato da Kate. Non vedeva l’ora. Due giorni solo con lei. E non ci sarebbero state neanche chiamate dal distretto! Se questo è un sogno non svegliatemi… pensò Rick, con un sorriso enorme sulle labbra, mentre preparava il pranzo. Mise la pasta a bollire mentre pensava a meno di un’ora prima, quando Kate era ancora in casa sua. Aveva cercato di convincerla che fare una doccia prima di andare, sarebbe stata la soluzione migliore. E siccome era contro lo spreco d’acqua si sarebbe anche immolato per la causa, facendo la doccia con lei. Ma Kate era stata inflessibile. Alexis sarebbe potuta rientrare prima e non era certo il caso di farle scoprire in quel modo la loro relazione. Così la donna si era velocemente rivestita e gli aveva ricordato, per far finalmente tacere i suoi borbottii di protesta, che comunque a casa sua c’era una vasca molto grande… Al ricordo di quel sussurro, un brivido passò lungo la schiena di Rick. Fece un sospiro. Quella donna mi farà impazzire prima o poi…
Controllò il fuoco sotto la pentola e si mise a preparare il sugo. Non gli piaceva quello in scatola. Quando poteva lo cucinava lui. Diede un’occhiata all’orologio sul muro per controllare il tempo e si rimise a lavoro sulla salsa. Girandosi per recuperare del prezzemolo, l’occhio gli cadde per un momento sulla porta dell’appartamento e i suoi pensieri iniziarono a correre a briglia sciolta. Partivano dalla sera prima, quando Kate si era presentata sull’uscio. Continuavano con il loro ‘discorso’ e con lui che sbatteva poco galantemente Kate contro la porta per baciarla con passione. Si sentì un pochino in colpa per averla praticamente schiacciata sulla porta, ma quella sensazione svanì subito. Con un mezzo sorriso furbo, gli venne in mente che la donna non aveva fatto alcuna obiezione al riguardo, anzi… L’ultimo ricordo erano le parole di Kate, poco prima che uscisse da quella stessa porta, meno di un’ora prima.
“Mi sento una fuggitiva…” aveva mormorato scocciata e divertita insieme, controllando che oltre l’uscio non ci fosse nessuno che potesse vederla.
“Beh, sei tu che vuoi fare la clandestina” aveva replicato lo scrittore ridacchiando e beccandosi un’occhiataccia dalla donna. Non era riuscito neanche a baciarla, perché lei era sfuggita alla sua presa e si era dileguata ghignando malefica per le scale.
In quel momento fu strappato dai suoi pensieri dal campanello. Era arrivata Alexis. Andò ad aprire e si ritrovò di fronte la figlia con una faccia che sprizzava gioia da tutti i pori.
“Ciao papà!” esclamò allegra saltandogli al collo per abbracciarlo. Rick la strinse a sé ridendo.
“Ciao tesoro! Direi che ti sei divertita” commentò con un sorriso. Alexis annuì e iniziò a raccontargli della festa in un pub organizzata per i diplomandi. Rick ascoltava e ridacchiava, mentre metteva in tavola. Iniziarono a mangiare e la ragazza continuò a raccontare della nottata passata tra film e risate a casa della sua amica. Da quello che le stava dicendo, Rick dedusse che neanche la figlia aveva dormito particolarmente quella notte. Ma era contento che fosse andato tutto bene e si fosse divertita. In fondo era la sua festa. Quando Alexis finì di raccontare, avevano ormai finito di mangiare e stavano sparecchiando.
“E tu papà? Come hai passato la serata alla fine?” chiese cauta la ragazza. Quando l’aveva lasciato la sera prima, suo padre era triste e abbattuto, anche se ora sembrava che il suo umore fosse decisamente migliorato. Lo scrittore si girò con la scusa del lavare i piatti. Alexis lo sentì però schiarirsi la gola, segno che qualcosa era successo e glielo stava nascondendo.
“Io? Tutto bene, non preoccuparti. Ho passato una magnifica serata” rispose sorridendo. Era vero. Ma non gli avrebbe mai confessato né come né con chi. La ragazza lo squadrò per un momento, mentre lo osservava tirare fuori del gelato come dolce e due cucchiai.
“Hai parlato con Beckett per caso?” Il gelato che Rick aveva appena infilato in bocca gli andò di traverso. Iniziò a tossire, diventando paonazzo. Dopo quasi un minuto finalmente riuscì a riprendersi.
“Come… Cosa te lo fa pensare?” chiese stupito. Lei lo guardò alzando un sopracciglio.
“Papà ieri ti ho lasciato che sembravi uno zombie, per quanto cercassi di nasconderlo, perché avevi litigato con Kate. Oggi invece ti ritrovo tutto allegro e felice. I casi sono due: o hai incontrato una donna, ma non sarebbe abbastanza per giustificare tutto questo entusiasmo, oppure hai parlato o visto Kate e sei riuscito a chiarirti con lei… E forse anche a fare qualcosa di più visto il sorriso che continui ad avere stampato in faccia.” Rick sgranò gli occhi e spalancò la bocca per lo stupore. “Ci ho preso?” chiese ridacchiando Alexis. Dopo qualche secondo Rick si riprese e fece uno sbuffo divertito.
“Non solo aiuto medico legale… Ora anche detective!”
“Sai com’è, siamo sempre sotto copertura. Dobbiamo rimanere nell’ombra” replicò la ragazza con finto tono serio. A quel punto padre e figlia si guardarono per qualche secondo e scoppiarono a ridere.
“Dai papà, allora? Ho ragione sul serio? Hai fatto pace con Beckett?” chiese alla fine Alexis più seriamente. Rick fece un sospiro e sorrise.
“Sì, tesoro, ci hai preso” mormorò guardandola negli occhi. Si passò una mano tra i capelli, decidendo quanto dire e quanto omettere degli ultimi giorni. “Come hai detto, io e Kate avevamo litigato un paio di giorni fa…”
“Per il caso di sua madre?” domandò la ragazza curiosa. “Litigate sempre per quello.” Rick annuì rassegnato. Lo conosceva troppo bene.
“Sì… C’è stato un caso, l’omicidio di un uomo che abbiamo scoperto essere entrato in casa di Montgomery. Era un ladro, aveva rubato il portatile che apparteneva al capitano e a quanto pare conteneva anche file di vecchi casi. Diciamo che l’idea che avesse a che fare con il caso di Johanna Beckett ci è passato per la testa…” disse l’uomo. Si fermò un secondo pensando che era a quel punto che erano cominciati i problemi e si erano create come due fazioni. Kate e Javier da una parte, lupi solitari e testardi come al solito, lui e Kevin dall’altra. Fece un sospiro e riprese. “Già da quel momento c’erano… dei contrasti interni. Siamo andati avanti ugualmente, finché non è stato chiaro e sicuro che il furto e la morte del ladro avessero a che fare con il caso Beckett. A quel punto ho cercato di fermare Kate perché…” Si bloccò e guardò la figlia. Alexis non sapeva nulla delle telefonate dell’uomo misterioso. Solo sua madre Martha ne era a conoscenza. La ragazza lo guardò curiosa per l’interruzione, in attesa. Si passò di nuovo una mano nei capelli e continuò. “…perché era pericoloso e avevo paura che rischiasse di nuovo la vita” concluse. Alexis annuì comprensiva. “Due giorni fa le avevo chiesto di smettere, di staccarsi dal caso. Ma non ne aveva voluto sapere” continuò, mentre il suo viso si intristiva leggermente. “Neanche quando le ho confessato… Beh, ormai posso anche dirtelo. Le ho confessato che l’amavo” dichiarò con un leggero luccichio negli occhi e un mezzo sorriso. Pensò che se in quel momento qualcuno gli avesse detto che Kate si sarebbe presentata qualche ora dopo davanti alla sua porta per baciarlo e chiedergli scusa, gli avrebbe riso in faccia. La ragazza trattenne per un attimo il fiato, incredula, la bocca spalancata.
“Le hai detto che la ami?? E lei??” chiese appena si fu ripresa. Rick fece un sospiro e scosse la testa.
“Non è servito. C’eravamo fatti del male a vicenda…” mormorò poi lo scrittore pensando ai segreti che entrambi avevano avuto. “Così alla fine le ho detto che me ne sarei andato. Che era finita. Ero arrabbiato e sono uscito. Sono tornato a casa e… beh, credo fosse quello il momento in cui sono entrato nello stato ‘zombie’ come hai detto tu prima” disse con un mezzo sorriso. “Ero arrabbiato e triste insieme… Non sapevo neanche io come stare sinceramente. Per fortuna il tuo diploma mi ha tirato su. Ieri non te l’ho detto, ma sei stata fantastica, piccola. Hai fatto un bellissimo discorso” affermò con un sorriso dolce. Alexis sorrise e abbassò lo sguardo imbarazzata.
“Ho imparato dal migliore” mormorò rialzando gli occhi e guardandolo. Rick sorrise e la attirò a sé per abbracciarla.
“Sei tu la migliore, tesoro” le sussurrò sulla testa, dove aveva appoggiato le labbra per lasciarle un bacio. Quando si staccarono, un paio di minuti dopo, la ragazza aveva gli occhi leggermente lucidi.
“Ora conosco la parte zombie, ma mi manca la parte felice” esclamò alla fine Alexis con un sorriso. Rick le sorrise a sua volta e annuì.
“Già. Beh, che dire, ero convinto che ieri sera l’avrei passato davanti alla tv con la X-Box o con un film e invece… invece mi sono ritrovato Kate davanti alla porta di casa” disse con occhi sognanti rivolti all’entrata, pensando alla sera prima. Riportò l’attenzione sulla figlia che ascoltava attenta e aveva un sorriso a metà tra il felice e il malizioso. “Mi ha chiesto scusa. Quasi non potevo crederci… E mi ha baciato.” A quella notizia, Alexis spalancò la bocca e sgranò gli occhi incredula. “Non fare quella faccia! È successo davvero! E in seguito… beh, diciamo che dopo aver chiarito un paio di punti, l’ho baciata io” disse con un sorriso enorme che gli si allargava in faccia, ripensando a quel primo vero bacio tra di loro. Senza contare il dopo… Ma questo forse non era il caso di comunicarlo alla figlia. Alexis era talmente sconvolta dalla notizia che si dimenticò di domandare cosa fosse successo ancora di seguito al bacio. E Rick non era certo dell’idea di ricordarglielo. La vide boccheggiare, stupefatta. Poi notò che aveva assunto un’espressione seria. Alexis prese un respiro e guardò il padre.
“Quindi… ora che succederà? Avevi deciso di rinunciare, ma ora? State insieme, no? Quindi cosa farai? Tornerai al distretto con lei?” domandò alla fine preoccupata. Rick aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a dire niente. Quei due occhi blu, così simili ai suoi, esprimevano felicità e dolore insieme. Sapeva che Kate lo rendeva felice, ma sapeva anche che tornare avrebbe voluto dire rischiare ancora la vita.
“Al momento non lo so…” rispose dopo diversi secondi e con sincerità. “Kate si è dimessa e…”
“Dimessa?” chiese ancora incredula la ragazza. Ora c’era una vaga nota di speranza nella voce. Rick non avrebbe voluto che si spegnesse, ma doveva dirle la verità.
“Alexis, aspetta. È vero Kate si è dimessa, ma le ho chiesto di pensarci su. So quanto ama il suo lavoro. Se tornerà, questa volta non sarà per vendetta. Sarà per dare giustizia alle persone, come ha fatto in questi anni nonostante il dolore. E questa volta mi ha promesso di farsi aiutare se dovesse essere riaperto ancora una volta il caso Beckett.” Prese un altro respiro prima di continuare. “Io la amo Alexis. E lei, per quanto strano, pazzo e incredibile possa essere, ama me. Non ho intenzione di lasciarla. Qualunque sia la sua scelta.” Quando finì, la ragazza ci mise diverso tempo ad assimilare le parole del padre. Rick poteva quasi vedere la lotta interiore che Alexis stava vivendo dai suoi occhi. “Quando ho ricominciato ad andare al distretto alla fine dell’estate, mi hai chiesto se era abbastanza continuare a stare al suo fianco senza praticamente pretendere nulla in cambio. Ti avevo risposto che era abbastanza per quel momento. Un po’ di tempo fa mi sono accorto che non era più abbastanza. Volevo di più… Ieri ho scoperto che posso avere questo ‘più’ e non voglio perderlo. Quindi non so cosa farà Kate. So solo che voglio starle vicino.” Alexis continuava a non rispondere. Lo sguardo agitato fisso al pavimento. “Non ti chiedo di accettare senza dire nulla…” disse infine Rick, troppo ansioso e triste per il silenzio della ragazza. “Ti chiedo solo di comprendermi. Tu e Kate siete le persone più importanti della mia vita… Beh, se proprio vogliamo possiamo aggiungere anche tua nonna” scherzò, cercando di stemperare un po’ l’atmosfera tesa con scarso successo. “Alexis, ti prego dì qualcosa” supplicò alla fine lo scrittore. Dopo diversi minuti, quando Rick iniziava ormai a disperare in una risposta, la ragazza parlò.
“Lei ti rende felice papà… come non ti ho mai visto. Se è questo quello che vuoi, allora anche io sono contenta. Kate è davvero in gamba ed è la migliore donna che tu potessi mai trovare. Mi piace e sono davvero felice che ora stiate insieme. Lo sai che per me e la nonna ormai fa praticamente parte della famiglia, nonostante a volte io non sembri molto dell’idea… ma non è perché, non so, la odio o altro, ma solo perché ho paura di perderti. Ho scoperto cosa vuol dire avere paura di perdere una persona che ami, quindi posso solo immaginare cosa hai provato quando hai visto Kate praticamente morire davanti a te… Vuoi proteggerla, come hai protetto me per anni dai pericoli del mondo, ma papà, Kate è una detective, dimissioni o meno. Sa badare a sé stessa. Promettimi che se ritornerà, tu ci penserai prima di andare con lei. Non ti chiedo di lasciarla, non lo farei mai e non voglio neanche che accada. Ti chiedo solo di pensare se tornare al distretto. Ricordati che non sei un poliziotto. Sei uno scrittore. Non hai i superpoteri, né una pistola e il giubbotto con su scritto WRITER non ti protegge da tutte le pallottole. Tu mi chiedi di comprenderti… Io ti chiedo di comprendere me. Ti prego, papà, pensaci, ok?” disse Alexis tutto d’un fiato guardando il padre negli occhi. Rick stava per rispondere, ma si bloccò. Gli occhi di sua figlia erano supplicanti. Fece un sospiro.
“Ti prometto che ci penserò, tesoro” rispose alla fine sincero. Lo avrebbe fatto davvero. Se Kate avesse preso la decisione di rientrare in polizia, per sua figlia ci avrebbe pensato se seguirla ancora o meno. In fondo ora non sarebbe più servita la scusa del consulente al distretto per vederla. Ma era sicuro che gli sarebbe mancato. Alexis lo guardò negli occhi, come se volesse scrutargli l’anima e i pensieri, per qualche istante. Poi annuì e gli sorrise.
“Grazie” mormorò alla fine la ragazza. Rick sorrise a sua volta e la riavvicinò a sé per abbracciarla di nuovo. “E comunque sono davvero felice che ora stiate insieme. Finalmente!” Il sorriso dello scrittore si allargò ulteriormente e le diede un piccolo bacio sulla testa.
“Grazie piccola.” Rimasero in quella posizione per diversi secondi, confortati dalla reciproca presenza, finché Rick non riportò l’attenzione di entrambi sul gelato, ormai squagliato. Senza perdersi d’animo, recuperò due cannucce da un cassetto e le infilò nel barattolo, dichiarando che ormai sarebbe stato un delitto rimettere tutto quel fantastico gelato-frappé nel freezer.
 
Kate rientrò a casa in meno di venti minuti. Si tolse velocemente i vestiti umidi che aveva ancora indosso, li mise in lavatrice e si infilò nella doccia. Per fare un bagno ci sarebbe stato tempo. Magari con la partecipazione di un certo scrittore… Fece un respiro profondo per calmarsi. Non poteva avere dei brividi di piacere solo pensando alla notte scorsa passata con lui. Mentre era in macchina aveva deciso che avrebbe dovuto fare un po’ di chiamate, anche perché molte erano anche le telefonate senza risposta che si era ritrovata nel cellulare quella mattina. Quindi aveva bisogno di un minimo lucidità. Subito dopo essersi messa una tuta da casa, per prima cosa chiamò il cinese e si fece portare un po’ di roba da mangiare. Mentre infilzava un involtino primavera, si segnò mentalmente di fare la spesa. Il suo frigo non era più il tempio di polistirolo che era stato, ma era qualche giorno che non andava al supermercato. Quel caso l’aveva assorbita molto più di quanto lei stessa si fosse aspettata. Pensava di essere in parte guarita, aveva creduto di essere in grado di capire quando iniziava a diventare troppo personale per lei, ma ancora una volta le era sfuggito di mano. Se Rick non avesse preso la decisione di andarsene, probabilmente non se ne sarebbe neppure accorta di quanto stesse affogando di nuovo nel caso di sua madre. Ma non sarebbe più successo. Questa volta aveva il suo scrittore, il suo partner con lei. Si sarebbe fatta aiutare o anche fatta da parte. L’aveva promesso a lui. E non aveva alcuna intenzione di perderlo per una parola non mantenuta.
Finito di mangiare, buttò i residui e le scatole del cinese, recuperò il cellulare e si sedette sul divano. Rimase per qualche secondo a fissare il telefono. Chi chiamo prima? domandò a sé stessa, non riuscendo a decidersi su quale numero selezionare prima. Alla fine fece la sua scelta e schiacciò il pulsante verde di chiamata. Ci furono tre squilli a vuoto prima che qualcuno rispondesse.
“Kate!!” esclamò la voce dall’altra parte del telefono. Aveva un tono preoccupato e sollevato insieme.
“Ciao Lanie” replicò con un sorriso Kate. Aveva trovato almeno cinque chiamate senza risposta della sera prima dalla dottoressa.
“Kate, ma che è successo ieri?? Lasciamo stare il fatto che tu non abbia risposto neanche a una, dico UNA, delle mie chiamate, ma almeno un messaggio del tipo ‘Sto bene’ sarebbe stato gradito!” Lanie era partita in quarta e la stava strigliando per bene. Si era preoccupata. Continuò a rimproverarla per diversi minuti. “Pensa cosa mi è toccato sentire! Che la mia migliore amica, ripeto, la MIA migliore amica, è quasi morta cadendo giù dal cornicione di un palazzo cercando di fare la super poliziotta! Perché non poteva portarsi un supporto, no, lei doveva fare tutto da sola! E ovviamente non me lo ha detto lei, no no, ho dovuto tirarlo fuori a uno della squadra che è venuta a recuperarla!! E poi non bastava sapere, ovviamente sempre non da lei, che è stata sbattuta fuori dal caso, ma anche che si è dimessa!! E io non ho avuto una sola parola dalla MIA migliore amica!!” Era furiosa. Kate la lasciò sfogare, ben sapendo di essere nel torto. Finalmente riuscì a replicare con tono di scuse.
“Lanie mi dispiace, ok? Lo so, hai ragione. Avrei dovuto dirti che seguivamo un caso collegato all’omicidio di mia madre e avrei dovuto dirti qualcosa ieri riguardo quello che è successo. Però c’è un’altra cosa che credo ti farà felice e…” si bloccò. Le era appena venuto in mente un particolare della tirata della dottoressa. “Un momento… tu come fai a sapere che mi sono dimessa? L’ho detto solo alla Gates e... Hai parlato con Esposito per caso?” domandò con un sorriso felice e malizioso che l’altra non poteva vedere, ma era evidente dalla voce.
“Kate Beckett non ci provare, stavamo parlando di te non di me! E poi se anche fosse che ho parlato con Javier…” Kate fece un verso di gioia. “Cosa?” chiese curiosa e scocciata Lanie.
“Non chiamavi più Esposito con il suo nome da quando vi eravate lasciati” le fece notare Kate sorridendo. Il telefono rimase muto per qualche secondo, poi la donna sentì uno sbuffo.
“Ok, forse POTREI aver parlato con Javier… ma ricordati che sono ancora arrabbiata con te e finché non mi dirai cosa può cambiarmi l’umore, io non ti dirò un bel niente!” dichiarò decisa. Kate ridacchiò.
“Beh, diciamo che mi sono chiarita con R… con Castle” si corresse velocemente. Lasciò che la dottoressa assimilasse le sue parole. Non voleva dichiarare al mondo che lei e Rick stavano insieme, ma Lanie aveva fatto tanto per aiutarla con lui, quindi almeno qualcosa le doveva, anche solo per lo spavento del giorno prima.
“Con chiarirti… Intendi che questa notte l’hai passata fuori casa, magari nel suo bel loft? Dimmi che è così, altrimenti vengo lì e rimpiangerai di non aver fatto quello che spero!” Lanie aveva capito fin troppo bene. Kate rimase per un momento stupita dalla rapidità di deduzione della dottoressa.
“Io… ecco… beh, sì!” disse alla fine con un sospiro rassegnato e un sorriso. “Però Lanie, al momento vorrei che non lo sapesse nessuno!” concluse velocemente un secondo prima che l’omopatologa iniziasse a gridarlo al mondo. La sentì fare comunque un urlo di gioia.
“Davvero?? Finalmente!! Voglio i particolari tesoro! Come è successo? È bravo quanto dicono? O meglio è bravo quanto dice?” Era tornata la maliziosa Lanie di sempre. A volte basta così poco per farla felice… pensò Kate ridendo internamente.
“Lanie il tuo umore è cambiato. Quindi, prima di dire altro, voglio sapere cosa è successo con Esposito!” esclamò la donna. Sentì uno sbuffo dall’altra parte del ricevitore.
“Va bene, va bene. Allora ieri Javier è venuto da me in obitorio subito dopo essere uscito dall’ufficio della Gates. Abbiamo parlato e mi ha raccontato del caso, delle mezze litigate, del fatto che eravate stati sospesi, della rabbia contro Ryan…” disse tristemente. “Aveva bisogno di sfogarsi. Siamo rimasti là sotto quasi un’ora, poi gli ho proposto di continuare a parlare a casa mia. Siamo andati e ha continuato a raccontare, finché non ci siamo ritrovati a un palmo di distanza. Come ci siamo baciati, Kate, dio… beh, direi che poi il seguito puoi immaginartelo da sola, anche perché mi sembra sia stato molto simile al tuo” concluse scherzando maliziosamente. Kate poteva quasi sentire il sorriso che si allargava sul volto della sua amica. “Sai credevo che non ci fosse più niente tra di noi, ma forse mi sono accorta che non è così” confessò Lanie. Kate sorrise.
“Non posso che essere più che felice per voi. Siete una coppia stupenda Lanie, davvero.” Sentì la dottoressa ridere.
“Già, beh, io ora voglio sapere di un’altra coppia stupenda! Allora com’è?” chiese impaziente Lanie tornando a riferirsi a Castle. Kate arrossì violentemente e ringraziò che ci fosse il telefono tra lei e la dottoressa.
“Beh è… fantastico. Non so come altro descriverlo. Non mi sono mai sentita così bene con un uomo come con lui ieri sera” ammise la donna. Sentì Lanie ridacchiare.
“Allora è davvero bravo quanto dice” disse maliziosa.
“Sì, gliene devo dare atto. È davvero, davvero bravo” replicò Kate, anche se con le guance ancora rosse. Diavolo se è bravo… Le sue mani, le sue labbra, il suo corpo… Si riprese appena in tempo dai suoi pensieri per sentire la risposta di Lanie.
“Sono davvero contenta, Kate. Dopo quattro anni finalmente c’è l’avete fatta. Ma come è andata, dai parla!” La donna allora le raccontò, dal suo punto di vista, di come stava per morire su quel palazzo il giorno prima. Le disse di come il suo unico pensiero, mentre era lì appesa, fosse Castle. Del perché la decisione di dimettersi, del suo giro sotto la pioggia, del suo arrivo a casa dello scrittore. Le raccontò fino al momento in cui Rick l’aveva sbattuta contro la porta dell’appartamento, cosa che non le era risultata per niente sgradita tra l’altro. Adorava sentire il suo corpo su di sé. “Il resto, come hai detto tu, lo puoi immaginare da sola” concluse alla fine con un sorriso. Sentiva di aver fatto bene a parlarne con qualcuno nonostante le sue remore iniziali. Si sentiva più leggera. E Lanie era euforica. Continuarono a parlare per diversi minuti, finché Kate non sentì la dottoressa farsi seria.
“Quindi… cosa intendi fare? Sei sicura della tua scelta di lasciare la polizia?” chiese cauta. Kate le spiegò che aveva deciso di prendersi un paio di giorni per pensarci e la donna approvò la scelta, come già aveva fatto Castle.Con un sospiro, Kate le disse anche che avrebbe dovuto parlare anche con Esposito e Ryan.
“Javier era arrabbiato, ma in fondo sa che Kevin ha fatto la cosa giusta, altrimenti tu saresti ancora lì a penzolare o più probabilmente non ci saresti più… Devi solo ricordarglielo” le suggerì Lanie dolcemente. “E non preoccuparti. Anche i fratelli litigano a volte” continuò la dottoressa come se le avesse letto nel pensiero le sue preoccupazioni. Kate fece un sospiro.
“Grazie Lanie.” Parlarono ancora per diversi minuti, finché Kate non vide l’ora e decise che era il caso di chiudere lì la chiamata, se voleva finire prima che arrivasse Richard. Fece promettere ancora alla dottoressa di non dire nulla, in cambio della promessa di tenerla aggiornata, e si salutarono. Erano le 2.30pm e aveva ancora almeno due chiamate da fare.

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Xiao! :D
Stranamente sono riuscita a finire abbastanza presto questo capitolo (dovrei studiare e invece...) però purtroppo non aspettatevi che accada spesso... Riuscirò a pubblicare credo uno a settimana... quando nella settimana è un mistero! XD
Vabbé veniamo alla storia! Alexis e Lanie sono apparse! La figlia dello scrittore è sempre in crisi povera... mentre Lanie quatta quatta zitta zitta si è data da fare!! XD  Ok lo ammetto, amo la coppia Lanie/Esposito! X)
Detto questo, continuate a recensire e a dirmi che ne pensate!!! :D:D
A proposito di questo... IO VI ADORO!!! Letteralmente!!! Un sacco di voi mi hanno messo tra le seguite e qualcuno tra le preferite già dal primo capitolo, a scatola chiusa!!! *___*
Grazie grazie!!!!! 
Ok dovrei aver detto tutto... Al prossimo capitolo! ;)
Lanie

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Capitolo 3
*** Due chiamate, una scelta ***


Cap.3 Due chiamate, una scelta

Kate decise di chiamare prima Ryan. Selezionò il numero in rubrica e aspettò. Il detective diede risposta dopo due squilli.
“Ryan”. Aveva un tono triste e svogliato.
“Ehi, Kevin sono…”
“Kate!” esclamò l’uomo, sorpreso e preoccupato. “Come… come stai?” chiese cautamente.
“Sto bene. Davvero. Tu piuttosto? Come va lì al distretto?” Lo sentì sospirare.
“Come vuoi che vada, sono qui da solo se non contiamo Karpowsky… A quanto ho sentito avete deciso tutti di prendervi una vacanza. Tu più lunga del previsto, se non ho capito male da quanto ha sottinteso la Gates e ho dedotto da Lanie…” Non c’era accusa nella voce. Solo un po’ di risentimento e molta tristezza, malcelati da finta scherzosità.
“Sì, ma non preoccuparti. Ho deciso che al momento mi prendo un paio di giorni per pensare bene se allungare le ferie o meno.” Poteva vederlo annuire, con lo sguardo un po’ più speranzoso, anche attraverso il cellulare. Ci fu poi qualche secondo di silenzio.
“Senti Kate, mi dispiace, so che non avrei dovuto chiamare rinforzi, ma dovevo e…”
“Ehi, tranquillo, Kevin. Non sono arrabbiata. Anzi devo ringraziarti. Se non fosse stato per te, per il tuo intervento, io non sarei qui a parlare al telefono adesso” replicò zittendolo. Lo sentì fare un sospiro sollevato.
“Grazie” mormorò rincuorato.
“Tranquillo, so che spesso non è facile fare la cosa giusta” affermò Kate dolcemente.
“Già…” replicò atono. “Ehm, riguardo a questo… hai sentito Javi per caso?” domandò poi ancora con tono cauto.
“Non ancora, ma lo chiamerò presto. Gli dirò che hai fatto bene. Cercherò di far ragionare quel testone, non preoccuparti.” Ryan sbuffò. Uno sbuffo divertito e rassegnato.
“C’è ne vorrà per farlo ragionare! Comunque grazie… Ho provato a chiamarlo, ma non vuole parlare con me. Lo capisco, davvero, solo che…” La voce gli si incrinò.
“Tutti litighiamo. Vedrai che gli passerà” dichiarò Kate con lo stesso tono dolce di prima, cercando di infondergli quanta più fiducia possibile.
“Lo spero davvero…” commentò il detective tristemente. “Ehi, ma tu sei sicura che vada tutto bene?”
“Sì, io sono a posto, tranquillo. Sto bene.” Lo sentì fare un mezzo mugugno dubbioso. Ovviamente non poteva sapere il perché andasse davvero tutto bene per la sua forse-ancora-collega.
“Ok, diciamo che per il momento ti credo. Ora scusami, ma devo tornare a lavoro. Per colpa vostra mi tocca fare gli straordinari!” esclamò scherzando, ma sempre con una nota triste nella voce. Si salutarono, entrambi con il cuore più leggero. Kate mise giù la chiamata e fece un sospiro. Se lei era lì in quel momento lo doveva a Ryan. Il minimo che poteva fare era tentare di essere l’intermediaria tra lui ed Esposito, visto che lei stessa era la fonte della discordia tra i due. Cercò il numero in rubrica e chiamò l’altro detective. Ci mise ben sei squilli prima di prendere la chiamata, tanto che stava quasi per chiudere.
“Esposito” rispose alla fine. Aveva lo stesso tono triste del suo partner.
“Ehi, Javi stavo quasi per mettere giù!” replicò scherzosa la donna, ma con la voce leggermente acuta per l’ansia.
“Kate!” disse stupito l’uomo. Poi si riprese. “Va tutto bene?” chiese. Ma era pura formalità, lo sentiva dalla voce. Il tono era troppo indifferente e questo la colpì come un macigno.
“Sì, sto bene. Tu piuttosto?”
“Bene” rispose solo, scocciato. Kate avrebbe giurato che quella era una balla. Doveva essere una balla. “Cosa vuoi? Mi sembrava di aver capito che te ne andavi dalla polizia.” Kate prese un respiro e si passò la mano libera tra i capelli, capendo in quel momento perché il detective era così freddo. Era arrabbiato. La notizia delle sue dimissioni l’aveva scioccato parecchio e l’aveva presa come un altro tradimento. Lanie l’aveva avvisata, ma non aveva creduto potesse renderlo così ostile.
“Ci sto pensando” rispose con il suo stesso tono. “Mi prendo un paio di giorni per decidere se è quello che voglio davvero.” Esposito sembrò calmarsi un poco a quelle parole.
“Quindi non c’è niente di deciso…”
“Non ancora” replicò Kate, leggermente sollevata al cambiamento dell’amico, ma anche con lo stomaco chiuso. E se sbagliassi a scegliere? si domandò agitata. Ma non era quello il momento di pensarci. “Senti Javi, mi dispiace per come sono andate le cose. Non avrei mai voluto che ci finissi in mezzo anche tu.”
“Tranquilla, lo avrei rifatto cento volte. Non mi pento di nulla. Cercavi solo giustizia, nonostante qualcuno non la pensasse allo stesso modo…” continuò irritato. Kate si morse il labbro inferiore.
“Ecco, era anche per questo che volevo parlarti… Senti Javi, perché non fai pace con Kevin?”
“Pace? Pace Kate? Ci ha voltato le spalle! Ci ha traditi! Avevamo deciso di fare questa cosa insieme e invece lui che ha fatto? È andato a riferire tutto alla Gates!” Esposito diventava ogni secondo più furioso verso il suo ex-partner. Kate sospirò tristemente, lasciandolo sfogare. Si sentiva in colpa. Lei aveva chiesto di non dire nulla, quando sapeva benissimo che era contro il regolamento. Dopo qualche minuto però iniziò a diventare abbastanza e lo bloccò.
“Javier ascoltami!” Il detective si zittì di colpo, stupito dal tono imperioso della donna. “Prima di continuare la tua arringa, vorrei che mi rispondessi ad una domanda.” Ci furono un paio di secondi di silenzio.
“Spara” replicò alla fine, ancora nervoso, ma ora anche curioso. Kate fece un mezzo sorriso.
“Dove sarei io ora se Kevin non avesse avvertito la Gates?” Non ci fu nessuna risposta per quasi due minuti. La donna poteva sentire il respiro pesante di Esposito, provocato dalla rabbia, oltre la cornetta. Deglutì. E se non avesse funzionato? Beh, allora troverò un altro modo per farli riappacificare! giurò Kate a sé stessa. “Credo che per lui sia stato tanto difficile avvertire la Gates, quanto per noi scoprirlo. Ma se non l’avesse fatto, io ora non sarei seduta sul divano di casa mia. Probabilmente sarei in obitorio da Lanie. O meglio, la parte non spappolata sull’asfalto di me sarebbe in obitorio.” Ancora nessuna risposta. “Kevin ha fatto la cosa giusta nel momento giusto, nonostante all’inizio fosse sembrata sbagliata. La sua scelta mi ha salvato la vita. Riconosci almeno il suo coraggio nell’andare contro i suoi amici pur di aiutarli e salvarli. Questo lo devi all’uomo che per anni hai considerato tuo fratello…”
“Non gli devo niente. Ci ha traditi” sputò amaramente e rabbioso. Kate sospirò ancora una volta.
“Fa come vuoi Javi, ma ti consiglio di pensarci in questi giorni… Io gli devo la vita”. Esposito sbuffò. Disse sbrigativamente che ci avrebbe pensato su, poi ancora più velocemente salutò e riattaccò. Kate chiuse la chiamata e appoggiò il cellulare sul tavolino davanti al divano, raggomitolandosi poi su di esso. Avrebbe voluto chiamare anche suo padre, ma l’avrebbe fatto preoccupare inutilmente. Decise che lo avrebbe sentito quando finalmente avesse scelto cosa fare della sua vita. Perché il distretto non era solo un lavoro. Aveva ragione Rick. Il distretto era davvero la sua vita.
Mezz’ora dopo fu svegliata dai suoi pensieri dal campanello della porta. Si alzò e andò ad aprire, immaginando già chi ci fosse al di là di essa. Infatti si trovò davanti il suo scrittore con un sorriso enorme e un mazzo di fiori in mano.
“Di nuovo buongiorno mia musa” esclamò felice Rick, ridacchiando. Kate roteò gli occhi, ma non poté fare a meno di sorridere.
“Ciao Rick. Dai entra” rispose la donna facendogli un cenno verso l’interno della casa. Lo scrittore non se lo fece ripetere due volte. Aspettò che Kate chiudesse la porta poi le porse i fiori. Solo in quel momento la donna li guardò bene. Erano rose. Un mazzo di rose rosse. Li prese dalle mani dell’uomo continuando a sorridere. “Sono bellissime Rick…” Lo scrittore fece un sorriso ancora più grande. Non solo perché il regalo era piaciuto, ma anche perché il sentirsi chiamare per nome da lei lo faceva andare in estasi. Inoltre l’aveva chiamata musa e non gli aveva sparato. Kate si allontanò di qualche passo per andare a mettere le rose in un vaso dall’altra parte del salone. Rick la osservò riempire il vaso d’acqua e tagliare il gambo dei fiori, incantato da quella parte così tranquilla e quasi casalinga della donna. Ovviamente ne approfittò anche per osservare le curve del suo corpo, mentre si spostava dal salone alla cucina e viceversa. Fece un breve sospiro. Era senza speranza. Non poteva trovarla così sexy anche in tuta da casa… Cosa sarebbe successo se avesse indossato un vestito da sera o un completo intimo?? Sarei morto per infarto senza dubbio… E non cambia il fatto che l’abbia vista nuda stanotte! O forse è proprio per questo, perché so cosa… ‘nasconde’…? pensò in quel momento concentrato sul fondoschiena della donna, con la testa leggermente piegata di lato. Quando Kate finalmente ebbe posizionato le rose, si girò verso il suo scrittore e lo sorprese al fissarla non all’altezza della testa, ma diversi centimetri più giù.
“Rick!” lo richiamò. L’uomo scosse la testa per riprendersi e si accorse solo in quel momento che Kate aveva le mani appoggiate ai fianchi e lo guardava con un sopracciglio alzato. Come riflesso condizionato, Rick deglutì preoccupato. Nel vedere la sua faccia da cane bastonato e bambino colto sul fatto però, Kate non riuscì a rimanere arrabbiata, anzi scoppiò a ridere. In fondo le faceva piacere che lui la guardasse. Lo vide fare un sospiro di sollievo. Poi Rick si avvicinò a lei.
“Complimenti detective, mi hai giocato” dichiarò con un sorriso furbo in volto. A quelle parole però la donna si rabbuiò. Rick si diede dello stupido mentalmente. L’aveva chiamata con l’appellativo di sempre, ma che in quel momento era solo motivo di pensieri tristi e agitati. Coprì gli ultimi metri tra loro e la tirò a sé in un abbraccio. “Scusami Kate… Lo sai che la mia testa e la mia bocca non connettono insieme quando mi sei vicina” si scusò cercando di tirarle un po’ su il morale, lasciandole dei leggeri baci sulla testa. Lei si strinse di più all’uomo. Voleva continuare a sentire il suo calore. Ne aveva bisogno.
“Non importa…” mormorò. Rick si staccò leggermente e la guardò negli occhi, serio. Lei gli sorrise debolmente. “Davvero non preoccuparti… Allora come è andata con Alexis?” chiese cercando di cambiare argomento. Lo scrittore continuò a osservarla ancora per qualche secondo, poi annuì.
“Bene, credo... Prima di parlarne però vorrei fare un cosa…” disse tornando al suo sorriso furbo. Avvicinò il viso di lei al suo e la baciò. Era stato troppo lontano da quelle labbra. E non era riuscito nemmeno a salutarla per bene quando era uscita dal suo appartamento. Sentì Kate ricambiare decisa e dolce al suo bacio, mentre passava le braccia attorno al suo collo. Lui fece scendere le mani sulla schiena e sui fianchi di lei, accarezzandola dolcemente. Si staccarono quando ormai erano a corto di ossigeno, anche se Rick continuò a baciarle il naso, le guance, fino a scendere sul suo collo. Kate emise un lieve gemito. Evidentemente la serata non era bastata a placare la passione tra di loro e forse non sarebbe mai bastato. Quattro anni di speranze represse erano troppe per poter essere consumate in una sola notte. Ma ci sarebbero stati altri momenti per tentare di rifarsi del tempo perso.
“Rick…” mormorò la donna. Ci fu un mugugno da parte dell’uomo, intento com’era nel suo lavoro di far impazzire Kate. “Rick!” ripeté, questa volta con più forza. Lo scrittore fece un sospiro sul suo collo che la fece rabbrividire. Poi riportò le labbra su quelle della donna, in un ultimo veloce bacio.
“Ok, ok… dicevamo di Alexis, giusto?” chiese Rick con un sorriso, continuando a tenere la donna ben vicina a sé. Kate annuì. Poi si staccò piano dallo scrittore, che fece una faccia preoccupata, ma solo per prenderlo per mano e condurlo fino al divano. Lo fece sedere e gli si accoccolò come la mattina nel loft dell’uomo, vicini, e lei con le gambe su quelle di lui. Lui sorrise di nuovo, capendo finalmente le sue intenzioni. Era una posizione che permetteva loro di stare a stretto contatto e contemporaneamente guardarsi negli occhi.
A quel punto Rick si schiarì la gola. Ok, ora devo dirle che Alexis ha scoperto di noi due… pensò preoccupato, lanciando un’occhiata alla donna accanto a lui che iniziava a essere sospettosa di quel comportamento schivo. Cercava infatti di non guardarla negli occhi e le accarezzava lievemente le gambe per tenere occupate le mani.
“Rick? C’è qualcosa che devi dirmi?” chiese alla fine con un sopracciglio alzato. Lo scrittore deglutì.
“Ecco io… ehm… vedi è una storia interessante e…” Con una partenza del genere, Kate sospirò, esasperata e divertita insieme. Decise che c’era un unico modo per farlo confessare velocemente. Gli prese un orecchio e tirò. “MELE! MELE! AHI! Ok, ok ti dico tutto!” Kate gli lasciò l’orecchio e, dopo un attimo di esitazione, iniziò a massaggiarglielo lei stessa. Rick rimase per un momento stupito dal gesto della donna, gli occhi spalancati e la bocca semiaperta a fissarla. Poi si riprese e appoggiò appena la testa alla mano di lei, girandosi poi per baciarle il palmo. A quel punto fece un sospiro e confessò.
“Alexis sa di noi” disse tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi e ritirando il collo tra le spalle per paura di ritorsioni. Kate sgranò gli occhi stupita. “Non gliel’ho detto io però!” continuò lo scrittore velocemente.  “L’ha capito da sola. Diciamo che il mio umore quando è tornata era molto diverso da quello che avevo ieri sera…” Le lanciò un’occhiata maliziosa e lei arrossì in risposta. “Purtroppo non sono granché come attore a quanto pare. I geni della recitazione devono aver saltato una generazione” scherzò, anche se era ancora preoccupato che la sua musa gli sparasse.
“Ah” replicò solo Kate. La guardò ansioso. Pensava gli avrebbe urlato dietro o come minimo che gli avrebbe lanciato qualcosa addosso, ma sembrava molto calma. Quasi divertita se la osservava bene.
“Non… non sei arrabbiata?” chiese guardingo. Kate fece finta di pensarci un momento, ma poi scosse la testa con un sorriso.
“No, non preoccuparti. Dovevo aspettarmelo… In fondo Alexis è una ragazza sveglia e tu, come hai giustamente detto, sei un pessimo attore” disse ridacchiando. Rick emise un mugugno offeso. Poi però Kate lo vide diventare più serio. “C’è altro?” chiese un po’ agitata. Lo scrittore la guardò negli occhi e annuì.
“Abbiamo parlato un po’. Le ho spiegato più o meno quello che era successo e le ho detto della scelta che devi fare…” Le rivolse un’occhiata, temendo di aver fatto male, ma la vide annuire, così continuò. “Beh, per prima cosa, come ti ho già detto, voglio che tu sappia che resterò con te in ogni caso, però… Mi ha chiesto di riflettere se tornare o meno al distretto, se mai tu scegliessi di rientrare…” Kate rivolse per qualche secondo lo sguardo al vuoto, pensierosa, poi annuì.
“Una giusta richiesta” replicò la donna. Lo guardò negli occhi e vide apprensione. Alzò una mano e gli carezzò una guancia. “Rick, qualunque sarà la mia scelta, io so che rimarrai con me. Non avrai bisogno di seguirmi sempre al distretto ora, no?” domandò maliziosa. Lui fece un mezzo sorriso. “Qualunque cosa sceglierai, anch’io rimarrò con te. Non scapperò e non me ne andrò. Sarai anzi più al sicuro a casa e io sarei anche più tranquilla. Certo probabilmente ci mancheranno le tue pazze teorie, ma potrai sempre venire qualche volta a trovarci… se proprio non riuscissi a farne a meno…” Kate fece l’ultimo commento a mezza voce, ridacchiando e Rick sbuffò. Poi la donna tornò seria. “Scegli bene Rick, per la tua famiglia, per tua figlia. Io non ti lascerò. Ci sarò per te, come so che tu sei stato e sarai qui per me.” Rick la guardò con la bocca semiaperta per qualche secondo, poi sorrise e la riavvicinò ancora una volta a sé per lasciarle un lungo bacio.
Thanks” le sussurrò sulle labbra, spostandole delicatamente una ciocca di capelli dal viso.
Always” rispose la donna con un sorriso, lasciandogli un ultimo piccolo bacio. Quando si staccarono, Rick fece un sospiro sollevato.
“Beh, questo è quello che è successo a me… Ora Alexis è in viaggio sulla corriera per gli Hamptons. Mi manderà un messaggio appena sarà arrivata.” Kate sorrise. Amava anche quella parte di padre tenero, premuroso e preoccupato che abitava nello scrittore. “Tu hai novità invece? Sei riuscita a sentire gli altri?” domandò alla fine l’uomo. Kate annuì.
“Ho chiamato prima Lanie e, beh, anche lei ora sa di noi…” mormorò diventando rossa. Rick ridacchiò.
“Allora non sono l’unico cattivo attore.” Kate gli diede un colpo sul braccio e lui alzò le mani in segno di resa, ma sempre con un sorriso beffardo sul volto.
“Dicevo… sa di noi, ma le ho fatto promettere di non dire niente a nessuno per il momento. Anche lei poi mi ha chiesto di pensarci bene se dimettermi davvero o no…” Rick annuì, più serio questa volta. “Ah, tra l’altro sembra sia tornata con Esposito” aggiunse la donna, mentre le si apriva un sorriso in volto. Lo scrittore sorrise a sua volta felice.
“Lo sapevo! Sono una coppia troppo bella! E poi il soprannome Esplanie gli sta benissimo, io l’avevo detto” disse ridacchiando l’uomo. Kate lo guardò male, ma dopo qualche secondo scoppiò a ridere. Rick rimase qualche momento a osservarla. Adorava vederla ridere. Poi tornò serio ancora una volta. “E… e con i ragazzi? Hai parlato?” domandò cauto. Il sorriso di Kate svanì piano e annuì. Rick la strinse più vicino a sé e come ricompensa ebbe un mezzo sorriso triste.
“Con Kevin tutto bene… L’ho ringraziato per avermi praticamente salvato. Dice che si sente solo al distretto ed è scocciato di dover fare tutto lui...” mormorò ridacchiando leggermente. “Ma l’ho sentito triste. Inoltre mi ha detto che non è riuscito a parlare con Javier…” Rick strinse il braccio intorno alle sue spalle. “Poi ho provato a chiamare io, Javier. Mi ha risposto, ma è arrabbiato. Sia con Kevin che con me…” Rick la guardò stupito.
“Con te?” Kate annuì.
“Quando ha sentito che mi sono licenziata l’ha preso come un altro tradimento… Rick non so cosa fare per farli tornare amici… E non so cosa fare per tornare ad avere la sua fiducia…” Una lacrima solitaria le scivolò sulla guancia quasi senza che se ne accorgesse. Con una mano, Rick l’asciugò e voltò il viso della donna verso di lui. Kate si perse ancora una volta in quegli occhi blu, così profondi in quel momento.
“Kate è normale che Javier sia arrabbiato. Lo conosci, sai come è fatto. È un po’ una testa calda, ma vedrai che si calmerà e sono sicuro che Lanie darà una mano. Lasciagli un po’ di tempo e capirà che quello che ha fatto Kevin è stato solo salvarti la vita…” Mentre parlava, Rick si appuntò mentalmente di ringraziare di persona l’amico e di organizzargli una cena con sua moglie nel miglior ristorante della città. Non sarebbe mai stato abbastanza per aver salvato Kate. Gli doveva un immenso favore. “Lascia che questo weekend passi, ok? Servirà a tutti staccare per un po’. Lunedì potrai fare la tua scelta, lui farà la sua e io la mia, se necessario.” Kate si morse il labbro inferiore.
“E se facessi la scelta sbagliata?” chiese preoccupata dopo qualche secondo. Rick la strinse ancora di più a sé e le lasciò un altro bacio sulla testa.
“Scegli con il cuore e nessuna scelta sarà sbagliata” rispose semplicemente lo scrittore. Kate lo guardò per un momento, poi sorrise debolmente.
“Sembra una frase da cioccolatino…” commentò sarcastica, ma con gli occhi lucidi. L’uomo si mise a ridere.
“Forse, ma credo che sia anche la più vera” dichiarò guardandola teneramente, ancora con il sorriso sulle labbra. Kate si perse per un momento nei suoi occhi, poi si avvicinò al suo volto per lasciargli un bacio a fior di labbra.
Thanks” mormorò questa volta la donna.
Always” rispose con un sorriso Rick. Solo in quel momento Kate si rese conto di aver bagnato la camicia dello scrittore con lacrime che, non si era accorta, erano uscite silenziose. Si alzò un poco da lui, scusandosi per il ‘danno’. Lui alzò le spalle, segno che non gli importava. Quando però lei ripeté che gli dispiaceva averlo sporcato, sorrise malizioso.
“A proposito Kate… Stamattina mi sembrava avessi detto che c’è una fenomenale vasca da bagno in questa casa. Non è che potresti mostrarmela? Sono proprio curioso di vedere questa meraviglia! E visto che mi consideri ‘sporco’ potresti anche mostrarmi come si usa…”
 
Il weekend passò veloce e lento insieme. Lento, perché Rick e Kate presero tutto il tempo solo per loro. Due giorni di completo rilassamento. Due giorni in cui amore, passione, tenerezza e dolcezza convivevano uno accanto all’altro. Testarono non solo le qualità della vasca, ma anche, ovviamente, la comodità del letto di Kate. Eppure sembrava che non riuscissero a placare il sentimento che scoppiava in loro ogni volta che entravano in contatto. Non importava che fossero gli sguardi, le mani, le bocche o i corpi. Bastava una scintilla e il fuoco era di nuovo acceso. Eppure ci furono anche momenti in cui rimanevano semplicemente vicini, anche senza parlare, solo beandosi della presenza dell’altro. Tuttavia il tempo passò anche veloce, perché c’era una decisione importante da prendere. Parlarono molto dei pro e contro che la scelta di Kate avrebbe portato con sé. Rick non giudicò mai. Semplicemente ascoltò e consigliò, cercando sempre di mostrare entrambi i lati della medaglia. Perché lui stesso sapeva quali erano i lati positivi e negativi e non avrebbe mai potuto scegliere per la sua musa. Voleva che rientrasse, ma allo stesso tempo aveva paura. Non chiamarono nessuno in quei due giorni e nessuno chiamò loro, se non Alexis, arrivata sana e salva negli Hamptons.
Rimasero due giorni nell’appartamento di Kate, mangiando più che altro cibo d’asporto a pranzo e a cena, visto che nessuno aveva fatto la spesa. I pancakes preparati da Rick però non mancarono mai nelle due mattine che li videro svegli insieme. Fu proprio davanti a quella colazione, la mattina del lunedì, che Kate fece la sua scelta definitiva. Ci aveva pensato a lungo. Quei giorni di ‘convivenza’ l’avevano stregata. Era sicura che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi senza il suo scrittore vicino che la stringesse e coccolasse la sera. Inoltre parlare con lui le aveva fatto bene. Tanti argomenti rimasti in sospeso erano tornati a galla e molti erano stati i chiarimenti da entrambe le parti. Dall’entrata di Gina al distretto due anni prima all’inizio dell’estate fino ai segreti mantenuti pochi giorni prima. Erano usciti da quelle conversazioni più sereni e più uniti. Non volevano più niente tra di loro. Ma quella mattina la tensione si poteva tagliare con il coltello. Rick adorava i pancakes, ma sembrava che ogni boccone gli si bloccasse in gola tanto era nervoso. Guardava Kate davanti a lui che con la forchetta tagliava la colazione in pezzetti sempre più piccoli, portandone alla bocca però solo pochi di essi. Rick prese un respiro profondo per calmarsi. Non era una sua scelta. E allora perché sembrava il più agitato dei due? In fondo sarebbero comunque rimasti insieme… Ecco ci risiamo! È questa la mia più grande paura… e se tornasse al distretto, mentre io forse no, e si accorgesse che sta meglio senza di me?? Fece un altro respiro. No, ho promesso che ci sarei stato sempre e lei lo ha promesso a me… Alzò gli occhi sulla donna e la osservò rigirare un pezzetto di pancakes e mordersi il labbro inferiore. Poi la vide posare la forchetta e prendere un respiro. Rick deglutì. Ci siamo.
“Ho preso una decisione” dichiarò dopo qualche secondo di silenzio Kate inchiodando gli occhi in quelli blu dello scrittore. La donna poteva leggerci preoccupazione e fiducia insieme. Rick annuì e attese, la mascella contratta. “Voglio tornare al distretto.” Kate rilasciò il fiato che non si era accorta di aver trattenuto e così fece anche lo scrittore. La donna si morse il labbro inferiore, aspettando che Rick dicesse qualcosa. Dopo un paio di secondi, sul viso dello scrittore si aprì un sorriso splendido.
“Che ti avevo detto io? Lo sapevo che agisci d’impulso mia cara detective!” affermò ridendo e avvicinandola a sé per abbracciarla e baciarla. La tensione si sciolse in un attimo. Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere il sorriso magnifico che le si allargava sul volto. Si era preoccupata fino all’ultimo che l’uomo potesse non condividere la scelta che aveva appena fatto, ma si sbagliava. Lui era il suo scrittore. E le sarebbe rimasto vicino. Sempre.

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Xiao! :D
Sono riuscita a terminare un altro capitolo! Non sono particolarmente convinta, ma ditemi poi voi che ne pensate...
Kate ha chiamato Kevin e l'ha ringraziato, mentre con Javi le cose non sono andate altrettanto bene... Ragionerà? X)
Inoltre ha deciso! Kate tornerà (sempre che la Gates glielo permetta...) al distretto!! :D
Ditemi che ne pensate per favore!!! Un piccolo commentino è sempre ben accetto!!!
Grazie ancora a chi ha già commentato e a chi ha messo la storia tra seguite o preferite!!!! *.*
A presto!! 
Lanie

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Capitolo 4
*** 41319 ***


Cap.4 41319

Finiti i festeggiamenti di Castle e la colazione, si vestirono. Avevano deciso che Rick sarebbe tornato a casa, mentre lei sarebbe andata al distretto. Quando furono pronti, Kate riaccompagnò lo scrittore al suo appartamento.
“Promettimi che appena uscita da quell’ufficio mi manderai un messaggio! Qualunque sia la risposta!” disse Rick per la quinta volta, quando la donna fermò l’auto sotto il suo palazzo.
“Sì, Castle! Ti ho già detto che ti scriverò il responso appena lo conoscerò!” esclamò sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Aveva seri dubbi che la Gates l’avrebbe riaccolta a braccia aperte. Si aspettava di combattere per riavere il suo posto e non era per niente sicura di vincere. Ma non si sarebbe arresa facilmente. Spense il motore, fece un sospiro e appoggiò la testa al sedile, chiudendo per un momento gli occhi. E se non ci riuscissi? Cosa farei a quel punto? pensò un po’ impaurita. Una leggera carezza sulla guancia la fece voltare verso l’uomo seduto accanto a lei. Il sorriso e gli occhi blu esprimevano fiducia e amore.
“Sono certo che fra un’ora potrai di nuovo minacciarmi con la tua pistola” la rassicurò con tono sicuro e divertito, ma anche dolce. “Inoltre la Gates non vorrebbe mai perdere la miglior detective in circolazione.” Kate sorrise e arrossì leggermente. Rick continuò a farle delle leggere carezze sulla guancia con la punta delle dita per qualche minuto, finché non la vide più calma e meno nervosa. “Sei sicura che non vuoi che venga con te?” chiese alla fine. Era un punto su cui avevano già discusso, ma provare di nuovo non costava nulla. Kate fece segno di no con la testa.
“È una cosa che devo fare io” spiegò per l’ennesima volta guardandolo negli occhi. Lui fece un sospiro e annuì rassegnato.
“Ok… Beh, allora io vado. Non vorrei farti arrivare in ritardo il tuo primo giorno di ritorno al lavoro!” esclamò sorridendo Rick. Kate scosse la testa divertita. Era un inguaribile ottimista e non sarebbe mai cambiato. “Ti aspetto stasera a cena, detective. E vedi di non finire tardi perché il tuo caro scrittore avrà preparato una cena con i fiocchi e sono sicuro che il dessert ti farà impazzire…” continuò avvicinandosi alla donna con un sorriso furbo in volto. Kate arrossì, mentre i suoi pensieri si perdevano tra i ricordi di loro due insieme in quei giorni, ma resse il suo sguardo.
“Mm… non è che troppo dessert ti farà male Castle? La pancetta inizia ad avanzare, come anche l’età…” replicò ghignando. Rick si imbronciò e la guardò male, offeso.
“Eppure sembrava che i miei dessert non fossero così sgraditi…” commentò malizioso alzando un sopracciglio e osservando nuovamente la sua donna diventare rossa. “Inoltre ho fatto un sacco di ginnastica in questi ultimi giorni. Sono sicuro che se guardi bene, non c’è più neanche tanta pancetta...” Kate roteò gli occhi.
“Vedremo, Castle, vedremo…” mormorò piano la donna. Ormai i loro volti erano a pochi centimetri di distanza. Sorridevano entrambi, divertiti da quello scambio di battute. Se c’era una cosa che non sarebbe mai cambiata tra di loro, era lo stuzzicarsi. Rick avvicinò il viso della donna a sé e la baciò.
“Buona fortuna Kate… Torna presto” sussurrò lo scrittore sulle labbra di lei quando si staccarono. La donna sorrise e gli lasciò un ultimo piccolo bacio.
“Grazie. A stasera” replicò Kate, senza malizia questa volta. La faceva sentire bene sapere di non dover tornare nel suo freddo e vuoto appartamento, ma in quello caldo e luminoso dello scrittore. La faceva sentire amata. La faceva sentire protetta. Rick sorrise in risposta e le lasciò un altro veloce bacio prima di uscire dall’auto.
“Ah un’ultima cosa” esclamò voltandosi verso l’interno della macchina prima di chiudere la portiera. “Ti amo.” Il sorriso di Kate si aprì splendido sul suo volto. “Falle vedere chi sei, Kate” disse infine facendole l’occhiolino e chiudendo la portiera. La donna guidò fino al distretto con la stessa espressione felice di quando si era allontanata dal palazzo del suo scrittore.
 
Prese un respiro profondo e uscì dall’ascensore. Rimase quasi sorpresa nel constatare che nulla era mutato in quei quasi tre giorni che non era stata al distretto. Sapeva che era troppo poco tempo, però lei era cambiata così tanto in quelle ultime ore che non poteva credere che il resto del mondo fosse esattamente identico a prima. Alcuni agenti in divisa giravano per i corridoi con cartellette di casi in mano, altri prendevano il caffè in sala relax, alcuni rispondevano al telefono. Qualcuno la salutò, mentre si dirigeva verso l’ufficio del capitano. Nulla sembrava cambiato. Finché non passò davanti alla sua scrivania. Un piccolo sorriso nostalgico le si aprì in volto. Si fermò a lato del tavolo e sfiorò leggermente il legno con le dita. Le sembrava terribilmente vuoto senza tutti gli oggetti che era solita avere sopra, dalla targhetta con il suo nome, alla tazza portapenne, alla fila di elefantini. Le mancava persino la pila di scartoffie che regna a lato della scrivania di ogni poliziotto. Girando appena la testa, notò che la sedia di Castle era ancora lì, accanto al tavolo. Nessuno si era preso la briga di spostarla evidentemente. O forse Rick l’aveva piantata al pavimento con dei chiodi nel terrore che la Gates la facesse eliminare. Scosse la testa con un mezzo sorriso, stupita dalle sue stesse idee. Diede un’ultima occhiata alla scrivania e, senza sapere bene perché, emise un piccolo sospiro di sollievo. Forse pensava che il capitano Gates l’avesse già rimpiazzata con un altro detective. Magari con uno di quelli tarchiati, con i baffoni e una ciambella in mano che si vedono spesso in tv. Non sarebbe stato un granché come musa… si ritrovò a pensare ridacchiando. Si schiarì la gola per riprendere un po’ di serietà. Mi sa che la presenza costante di Rick di questi ultimi giorni non mi ha fatto così bene... Dopo qualche secondo riuscì finalmente a staccare gli occhi dalla sua scrivania. Fece un paio di passi in direzione dell’ufficio della Gates, ma si imbatté nei tavoli di Ryan ed Esposito poco distanti dal suo. Entrambe le sedie erano vuote. Non aveva idea di quanto sarebbe durato il fermo di Esposito ed era ancora presto prima che arrivasse Ryan. Quei due bambini le mancavano. Si chiese sconsolata se sarebbe più riuscita a vedere uniti i due colleghi come prima della litigata. Fece un sospiro e si allontanò dalle scrivanie per arrivare a fermarsi finalmente davanti all’ufficio del capitano. Si morse il labbro inferiore, nervosa, prese un respiro profondo e bussò. La voce di Iron Gates la invitò ad entrare. Kate girò la maniglia e avanzò di qualche passo all’interno dell’ufficio, richiudendosi subito dopo la porta alle spalle. Nonostante l’ora mattutina, il capitano era già concentrata a leggere alcuni fogli sulla sua scrivania.
“Signore…” salutò Kate, più agitata di quanto avrebbe voluto essere. La donna alzò gli occhi con un’aria sorpresa, subito cancellata dalla fredda maschera di sempre.
“Beckett” rispose. Si tolse gli occhiali da lettura e le fece segno di avanzare, mettendosi più comoda sulla poltrona. “A cosa devo questa visita?” domandò. Kate non seppe decifrare il suo comportamento. Aveva un’aria strana. Scocciata, eppure compiaciuta.
“Sono… Sono qui per chiederle di riprendere il mio posto” dichiarò. Aveva iniziato con tono incerto, ma si era subito resa più sicura. La Gates socchiuse per un momento gli occhi squadrandola.
“Credevo che non volesse più lavorare al distretto” commentò sarcastica. Kate scelse con cura le parole.
“Ho sbagliato. Pensavo di essere in grado di fare qualcosa che in realtà non era sotto il mio controllo. Credevo di essere nel giusto. Invece ho capito che era tutto un errore. Avevo bisogno di staccare e pensavo che la cosa migliore da fare fosse abbandonare il distretto. In questi giorni però ci ho riflettuto e sono giunta alla conclusione che ho sbagliato. Avevo… altri pensieri in testa. Ma amo questo posto e soprattutto amo il mio lavoro. Dovevo solo ricordarmi per chi lavoro” concluse. Il capitano alzò un sopracciglio.
“E per chi lavora?” domandò. Era una prova. Ma aveva una sola risposta a questa domanda.
“Per le vittime e loro famiglie” rispose sicura. “Per dargli giustizia.” La Gates la osservò per qualche secondo, immobile, studiandola. Aveva capito che non avrebbe più fatto di testa sua? Che si sarebbe fatta aiutare in caso di bisogno? Che avrebbe fatto rapporto da quel momento in poi e non le avrebbe nascosto indizi sui casi? Kate attendeva ansiosa. Si sentì di nuovo la ragazzina sotto esame di qualche anno prima, con davanti il detective istruttore che decideva se era abbastanza motivata e qualificata per entrare in polizia. Finalmente la Gates si mosse. Scrutò pensierosa la pila di carte di lato sulla sua scrivania. Con una mano alzò in blocco i fogli e recuperò quello più in basso. Lo lesse, mentre Kate continuava ad aspettare sempre più preoccupata. Il cuore le batteva velocemente. Strinse i denti e continuò ad attendere. Il capitano posò quindi il foglio sul tavolo e allungò una mano di lato per aprire un cassetto. Un attimo dopo sulla scrivania stavano rotolando un distintivo e una pistola. Rilasciò il fiato, che non si era accorta di trattenere fino a quel momento, solo quando lesse il numero sotto lo stemma della polizia di New York. 41319. Il suo distintivo. Alzò gli occhi sul capitano, aggrottando le sopracciglia, confusa. Quando un detective si dimetteva o veniva licenziato, il suo distintivo veniva spedito alla centrale della polizia di Stato. Allora perché il suo era lì?
“Credo di essermi dimenticata di spedire la sua richiesta di licenziamento. È stata recapitata solo la mia istanza di sospensione per lei e per il suo collega Esposito. Spero che per lei non sia un problema, detective” commentò il capitano Gates. Kate la guardò sbalordita, la bocca semiaperta. “Viste le circostanze, immagino che ora questo non serva più quindi” continuò, strappando il foglio che prima osservava con tanto interesse. “Ma mi raccomando detective Beckett. Non voglio più colpi di testa. Oppure la prossima volta il suo licenziamento sarà il primo foglio che avranno sulla scrivania ai piani alti. Sono stata chiara?” Beckett riuscì solo ad annuire, sconvolta. “Molto bene. Il suo turno riprende in questo momento, ma non si azzardi a mettere piede fuori dal distretto. Per un po’ la voglio inchiodata alla scrivania a compilare i rapporti lasciati indietro.” Kate annuì di nuovo, senza parole. Si alzò, recuperò la pistola con la fondina e se la attaccò alla cintura. Poi prese il distintivo, lo osservò per un momento, passando delicatamente il pollice sui numeri, ancora incredula. Lo riattaccò alla cintura, vicino alla pistola. Finalmente si sentì di nuovo completa. Come se fino a quel momento un pezzetto di lei fosse mancato. Non riuscì a non sorridere. Tornò a guardare la donna davanti a lei, che l’osservava soddisfatta.
“Io… Grazie capitano” disse la detective. Era forse la prima volta che pronunciava il titolo della donna senza sembrare un’accusa. Iron Gates fece un mezzo sorriso e annuì.
“Ora vada detective. I suoi colleghi e i rapporti sulla sua scrivania l’aspettano” affermò congedandola e tornando a inforcare gli occhiali da lettura. Kate si girò e vide che in effetti Ryan ed Esposito stavano osservando dentro l’ufficio tra le persiane cercando di non farsi vedere. Non riuscì a nascondere un sorriso. Tornò a guardare il capitano e annuì.
“Buon lavoro signore” disse e uscì dall’ufficio.
Appena si chiuse la porta alle spalle, Kate fece un lungo sospiro sollevato e sorrise. Gli occhi le brillavano di felicità. Si trattenne dal lanciare un urlo di gioia. Si accorse solo in quel momento quanto le fosse mancato in realtà il distretto e quanto avesse avuto paura di non farci più ritorno. Avrebbe dovuto ringraziare Rick quella sera per averla fatta riflettere. E aveva anche bene in mente come fare a esprimere la propria gratitudine allo scrittore… Scosse la testa. A questo avrebbe pensato più tardi. Alzò gli occhi e vide Ryan ed Esposito che attendevano ansiosi a qualche passo di distanza vicino alle loro scrivanie. Gli sorrise e si avvicinò loro.
“Kate… Beckett… allora? Hai deciso?” domandò incerto Ryan, mentre spostava il peso da un piede all’altro. Evidentemente non aveva notato il rigonfiamento sotto la sua giacca dato dalla pistola. Kate annuì.
“Credo che due giorni di ferie mi siano più che bastati” rispose la detective. Ryan rimase per un secondo perplesso, poi capì e cominciò a ridere, mentre la tensione si scioglieva dal suo volto.
“Dio ti ringrazio!” commentò alla fine il detective con un gran sorriso. “Non avrei sopportato un giorno di più le storielle e le barzellette senza senso di Karpowski!” Kate scoppiò a ridere.
“Quindi ho capito bene. Resti” affermò Esposito conquistando l’attenzione dei due, ma con lo sguardo speranzoso rivolto verso Kate. La donna annuì.
“Già. Ho sbagliato ad andarmene. È stata una decisione affrettata. Per fortuna ho avuto chi mi ha saputo consigliare” replicò con sguardo perso per un momento e un piccolo sorriso. Il detective la guardò curioso.
“E chi sarebbe questo essere sovrannaturale a cui hai dato ascolto e a cui dobbiamo un giro di birra?” domandò divertito. Ryan ridacchiò e Kate scosse la testa.
“Un amico” rispose vaga, ma senza riuscire a nascondere un gran sorriso. I due uomini si scambiarono un’occhiata.
“Un amico... quindi un uomo” continuò Ryan per entrambi.
“Magari uno scrittore…” chiarì Esposito.
“Sicuramente un certo specifico scrittore...” Si guardarono.
“Quindi dobbiamo una birra a Castle, fratello!” commentò alla fine Esposito con un finto sospiro esasperato. Beckett li guardò stupita, ma felice. Forse avevano capito in parte quello che era successo tra lei e lo scrittore, ma se era il prezzo da pagare per riavere indietro i suoi due colleghi-fratelli-bambini, allora che così fosse. Solo in quel momento però Javier si accorse di quello che aveva detto. Kevin era infatti rimasto sbalordito dal ‘fratello’ che era uscito in modo tanto naturale dall’amico. Probabilmente non si aspettava di tornare a quei livelli di amicizia in così breve tempo. Kate e Kevin videro l’uomo combattuto in una lotta interiore, pensieroso, le sopracciglia aggrottate. Poi Javier sospirò e alzò gli occhi sul suo partner. “Io… io volevo…” Prese un altro respiro. “Volevo dirti che mi dispiace. Beckett non è l’unica che ha sbagliato. Quello che hai fatto, lo hai fatto solo per salvarla e io invece di ringraziarti ti ho chiamato traditore e…” Ma Kevin lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla. Esposito era seriamente dispiaciuto. Aveva ragione Rick. Quei due giorni erano serviti a tutti per pensare e anche il detective aveva capito. Kate sospettava comunque che parte del merito fosse da attribuire a Lanie.
“Javi, se avessi un dollaro per tutte le volte che fai qualche cavolata a quest’ora sarei ricco!” commentò Kevin sorridendo e l’amico sbuffò offeso. Era il loro modo per dire che era tutto passato. Kate li invidiò un po’ per la loro facilità nel passare sopra gli errori commessi. Poi Javier sorrise a sua volta, anche se un po’ incerto.
“Grazie fratello” disse solo. Ryan annuì in risposta. Kate si morse il labbro inferiore. Avrebbe voluto abbracciarli, ma si ricordò che erano al distretto. Si schiarì la voce e i due si voltarono a guardarla.
“Mi spiace interrompere il bel quadretto, ma abbiamo del lavoro che ci aspetta. Esposito sei rientrato anche tu oggi?”
“Sì, ma solo scartoffie per un po’ però” spiegò scocciato. La donna annuì.
“Anche io. Ok ragazzi, direi che ora possiamo tornare al lavoro. Ryan, io ed Esposito saremo confinati per un po’ alle scrivanie, quindi dovrai accontentarti ancora della presenza di Karposwki in squadra” dichiarò Beckett con una punta di divertimento nella voce. Ryan gemette e Esposito ridacchiò, ma entrambi tornarono ai loro tavoli. La donna andò a prendere un po’ di scartoffie arretrate e si sedette alla sua scrivania vuota. Si appuntò mentalmente di riportare ogni cosa al suo posto l’indomani. Tanto era ancora tutto nella scatola con cui gli oggetti erano stati trasportati via. Un’occhiata alla sedia di lato le ricordò che doveva scrivere la notizia a Rick. Tirò fuori il telefono e digitò un breve messaggio con il sorriso sulle labbra. Poi con un sospiro si rituffò nel mondo delle scartoffie arretrate, cercando di nascondere il pensiero di quanto anche quei noiosi fogli le fossero mancati.
 
Rick entrò nell’appartamento, poggiò le chiavi vicino alla porta, si tolse la giacca e la appese all’appendiabiti. Poi, senza che riuscisse a fermarlo, un sorriso gli si aprì in volto, il cuore cominciò a battergli forte e lanciò un urlo di gioia. Kate Beckett era la sua ragazza! Quasi certamente sarebbe rientrata al distretto, ma a fine giornata sarebbe tornata da lui! Sempre! Ancora non credeva possibile quello che era successo. Si passò una mano nei capelli per calmarsi, ma iniziò a ridere e a camminare furiosamente su e giù per l’appartamento, troppo eccitato per stare fermo. Tre giorni prima quella notte stupenda. Quel weekend fantastico solo loro due a casa di Kate. Se era un sogno che non lo svegliassero più. Voleva morire con questa visione impressa nella mente. Gli ci volle quasi un quarto d’ora per riuscire a calmarsi. Andò in bagno e si spogliò, entrando poi nella doccia. L’iniziale doccia calda che aveva in mente fu sostituita ben presto da una ad acqua fredda a causa dei pensieri poco casti di quei giorni che continuavano ad affollargli la mente. Si asciugò e si vestì. Era indeciso se farsi la barba o meno. Kate aveva commentato il giorno prima che quel filo di barba gli donava parecchio, anche se pungeva leggermente. Alla fine decise di tagliarla. Non voleva farla crescere troppo e con Kate avrebbe discusso volentieri in un altro momento sulla lunghezza che meritava essere lasciata sul suo affascinante volto. Finito di sistemarsi, recuperò il portatile e si sistemò sul divano con l’intenzione di mettersi a scrivere. Oh, ne aveva avuta di ispirazione negli ultimi giorni… Aveva appena aperto un nuovo file di scrittura, quando sentì il cellulare, appoggiato sul tavolino accanto a lui, suonare. Un messaggio di Kate. Incrociò le dita e lo aprì.
Sono di nuovo operativa! Anche se per il momento solo su una scrivania… Ti dovrò ringraziare per avermi fatto pensare di tornare. Hai in mente qualcosa che posso fare per sdebitarmi? A stasera Rick. Ti amo.
PS: ho parlato con Kevin e Javier e avevi ragione tu. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere.
Un grande sorriso si aprì sul volto di Rick e sospirò sollevato. Era rientrata. Si stava riprendendo la vita che ancora una volta il caso di sua madre aveva cercato di toglierle. Sperò che non avesse dovuto lottare troppo con la Gates per riottenere il suo posto. Era curioso di sapere come avesse fatto in così poco tempo a convincerla, ma decise che avrebbe atteso fino a sera prima di chiedere. Rilesse il messaggio. Alla frase ‘Hai in mente qualcosa che posso fare per sdebitarmi?’ il suo cervello andò in tilt. Fece un respiro profondo per calmarsi. Quando rilesse il post scrittum sorrise felice. Esposito aveva capito che Ryan aveva agito solo secondo il bene di Kate. Si ricordò che voleva offrirgli una cena con la moglie. Rispose velocemente al messaggio di Kate.
Visto che avevo ragione? Tu sottovaluti le mie capacità detective! In quanto allo sdebitarsi… Sono sicuro che ‘qualcosa’ l’abbiamo già in mente entrambi… Torna presto Kate. Ti amo.
Inviò il messaggio e appoggiò di nuovo il cellulare al tavolino. Riprese il portatile, ma si accorse di non avere più voglia di scrivere. Fissò per qualche secondo la pagina bianca prima di chiudere il computer e spostarlo vicino al telefono. Si sdraiò sul divano, le mani dietro la testa, pensieroso. E così anche questa è fatta. Javier si è ricreduto. Ho come l'impressione che Lanie abbia aiutato parecchio in questa decisione… pensò ridacchiando internamente. Poi tornò più serio. Doveva per forza, visto che se non fosse stato per Kevin, io ora non saprei cosa di fare di me stesso… Perché senza Kate io non riuscirei più a vivere. Basta la definizione di Alexis, ‘zombie’, per capire quanto sono stato male anche solo quando me ne sono andato. Se sono sembrato un po’ più attivo era unicamente perché c’era il suo diploma. Altrimenti penso sarei rimasto tutto il giorno a fare niente e a bere probabilmente, arrabbiato con Kate e con il mondo. E con me stesso, perché non ero riuscito a proteggerla. Fece un respiro profondo, cercando di scacciare quei pensieri tristi, ripetendosi che ora Kate, la sua musa, era con lui. Era viva e vegeta. Era tornata al lavoro che amava. E stava con lui. Non se ne sarebbe andata e lui non l’avrebbe più abbandonata. Fissò lo sguardo sul soffitto chiaro. Kate ha scelto ed è rientrata al distretto. Ora devo scegliere io cosa fare. Mi ha già detto che qualunque cosa deciderò le cose tra noi non cambieranno. Lei e Alexis, oltre che mia madre, mi vogliono al sicuro. Le capisco. Ma anch’io voglio che siano al sicuro. Ed è per questo che ho sempre cercato di proteggere la mia piccola dal mondo… Per questo sono sempre andato al distretto e le ho mentito… Ma ora cosa devo fare? Quella domanda continuava a vorticargli in testa. Aveva promesso ad Alexis di pensarci. Tornare al distretto e stare accanto alla sua musa il più possibile, ma lasciando le sue donne sempre con la paura che qualcosa potesse accadergli. Oppure non tornare e farle stare tranquille sulla sua salute lontano da assassini, ma questa volta lui con la paura per Kate e senza poter partecipare alle indagini. Gli sarebbe mancato questo era certo, come gli sarebbero mancati Ryan ed Esposito, ma Kate aveva ragione. Nel caso non è che non li vedrei più. Semplicemente li vedrei fuori dal distretto. Inoltre avrebbe potuto comunque aiutare la detective a risolvere omicidi anche a casa, la sera, magari davanti a una tazza di caffè preparata da lui. Magari sarebbe potuto passare di tanto in tanto a salutare. In ogni caso avrebbero risolto omicidi anche senza la sua presenza. L’avevano fatto prima che arrivasse e avrebbero continuato a farlo anche dopo. Era combattuto. A un certo punto girò la testa e guardò l’ora sullo stereo. Si stupì nel constatare che era ora di pranzo. Era rimasto ore a pensarci e non se ne era nemmeno accorto. Si alzò a sedere e si passò una mano tra i capelli con un sospiro. Girò gli occhi sul tavolino dove aveva poggiato cellulare e portatile e si accorse di un altro oggetto posato sopra di esso. Era una piccola cornice argentata con dentro una foto di qualche anno prima. Lui e Alexis. Lei era aggrappata alle sue spalle e rideva, mentre lui la teneva stretta per le gambe. Prese la foto e passò teneramente un pollice sull’immagine di sua figlia, sorridendo. Quando la rimise giù, qualche minuto dopo, aveva preso la sua decisione.
 
Aveva appena finito di preparare la tavola quando sentì il campanello della porta. Andò velocemente ad aprire. Kate era davanti alla sua porta con un sorriso magnifico. Rick rimase qualche secondo a osservarla imbambolato prima di ricordarsi di farla entrare. Doveva essere passata dal suo appartamento a cambiarsi perché non aveva gli stessi vestiti della mattina. Inoltre aveva anche un borsone in mano.
“Buonasera” mormorò la detective lasciandogli un leggero bacio ed entrando in casa. Ebbe appena il tempo di fare due passi nel loft dello scrittore, che sentì la porta chiudersi e due braccia che le cingevano i fianchi.
“Buonasera mia musa” sussurrò Rick sul suo collo facendola rabbrividire, prima di lasciarle un piccolo bacio. Poi la girò verso di sé e, continuando a stringerla per i fianchi, la baciò. Lentamente e con passione. Quando si staccarono entrambi cercarono di recuperare un po’ di fiato.
“Però… Sai, era una vita che sognavo di ricevere un ‘bentornata’ di questo tipo…” disse Kate mentre tentava di riprendersi. Rick ridacchiò.
“Oh, da ora in poi credo non dovrai più preoccuparti di questo. Io sono a tua completa disposizione per darti un ‘bentornata’ quando vuoi…” replicò sulle sue labbra, la fronte appoggiata a quella di lei. Kate sorrise un po’ rossa. Poi Rick indicò curioso il borsone che era finito con poca grazia a terra qualche minuto prima. Kate spiegò maliziosamente che probabilmente la cena sarebbe finita tardi, quindi aveva pensato di portarsi un cambio nel caso fosse rimasta a dormire lì… A meno che lui non la lasciasse tornare a casa sola soletta a tarda notte. Rispose sicuro che non aveva la minima intenzione di lasciarla uscire da quella casa fino alla mattina dopo. Per la sua sicurezza ovviamente. Ridendo, andarono a mangiare. Durante la cena, Kate raccontò allo scrittore del suo incontro con la Gates e della riappacificazione di Kevin e Javier. Rick era incredulo quanto lei riguardo al capitano. “Allora ha davvero un cuore!” aveva commentato stupito e divertito insieme. Fu felice poi nel sentire che Esposito si era scusato e che Ryan era passato subito sopra l’arrabbiatura dell’amico. Erano anche per lui due fratelli ormai. “Io l’avevo detto che si sarebbero riuniti…” aveva ghignato Rick, mentre Kate aveva alzato gli occhi al cielo, fintamente disperata dall’ego dello scrittore che prendeva il volo. Quando la donna ebbe finito di raccontare la sua giornata domandò a Rick che avesse fatto durante il giorno. Lui si fece più serio e la cosa preoccupò un po’ la detective. Lo vide prendere un respiro.
“Ecco… Ti ricordi che ti avevo detto di aver promesso ad Alexis di pensarci se tornare o meno al distretto?” chiese cauto. Kate annuì. “Beh, ci ho pensato per tutta la mattina e ho deciso.” La guardò negli occhi e vide curiosità, impazienza e agitazione. “Non tornerò al distretto” disse infine tutto d’un fiato. Kate lo guardò stupita per un momento, poi sorrise.
“Ok” dichiarò semplicemente. Sembrava sollevata. Lui la guardò con le sopracciglia aggrottate.
“Non sei arrabbiata o altro?” domandò preoccupato. Kate scosse la testa divertita.
“Rick mi hai promesso di restare con me qualunque cosa accada e qualunque decisione fosse presa e io ho fatto lo stesso con te. Hai intenzione di venir meno alla tua promessa?” Lui scosse furiosamente la testa in cenno negativo, facendo sorridere la donna. “Bene, perché nemmeno io ho intenzione di rompere la mia. Quindi qual è il problema?” Rick la osservò per un momento con la bocca semiaperta, poi un sorriso enorme gli si aprì in volto e attirò a sé la donna per baciarla.
“Ti amo Kate” sussurrò lo scrittore sulle sue labbra, la fronte appoggiata a quella di lei. Kate sorrise.
“Ti amo anch’io scrittore da strapazzo” replicò lasciandogli un piccolo bacio a fior di labbra. Poi lo vide sorridere furbo e si domandò segretamente se dovesse preoccuparsi.
“A proposito, mi sembra ci sia ancora un debito da saldare…”

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Xiao!! :D
Ecco qui un altro capitolo! X) La Gates ha un cuore io ne sono fermamente convinta!! Magari piccolo e un po' nascosto... ma c'è l'ha!! XD
Quindi, Kate è rientrata e Kev e Javi hanno fatto pace! O meglio, Javi finalmente ha messo la testa a posto! Lavoro d'ufficio per un po', ma come si può dar torto alla Gates? ù.ù
Rick ha preso la sua decisione e non tornarà al distretto... vedremo se riuscirà a stare lontano dal 12th! XD
Allora che ne pensate?? Lasciate un mini commento (bello-brutto) e io ne sarò felice come una pasqua!! :D
Ah, direi che dal prossimo capitolo cominceranno le indagini..........
A presto! ;)
Lanie

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Capitolo 5
*** John Doe ***


Cap.5 John Doe

Era passata una settimana dal rientro al distretto di Beckett ed Esposito. Dieci giorni da quando lei si era presentata all’appartamento di Castle, fradicia d’acqua e sicura di quello che provava come mai lo era stata nella sua vita. Dopo i primi giorni di scartoffie al distretto, Kate si era accorta che l’unica cosa che voleva davvero, dopo una giornata del genere, era rivedere il suo scrittore. Ormai ogni sera era da lui. Non era solo una questione di sesso. Strano a dirsi, avevano anche solo dormito in un paio di quelle notti, ma rigorosamente abbracciati. Perché era questo che amava di più. Tornare a casa e sentire il calore di una persona che la faceva ridere, che la ascoltava, che la amava, che la stringeva a sé e che la coccolava senza che lei dovesse chiedere niente. Non perché si sentisse obbligata a farlo dal fatto che stavano insieme. Semplicemente per istinto, voglia e bisogno uno dell’altro. Era tanto che Kate non si sentiva così bene. Aveva visto Lanie e avevano chiacchierato per più di mezza giornata. Rick invece aveva riscosso il suo giro di birra all’Old Haunt dai suoi due fratelli, Kevin e Javier. Avevano sentito Alexis e Martha ed entrambe gli avevano fatto le congratulazioni. La ragazza non era riuscita a nascondere la lieta notizia della loro unione alla nonna, quando Rick si era fatto beccare nel cambiamento d’umore anche dalla madre. Inoltre avevano annunciato a tutti che Castle non sarebbe tornato al distretto. Le reazioni erano state differenti. Ryan ed Esposito si erano intristiti, ma comprendevano la decisione. Lanie aveva commentato con un sospiro che le sarebbero mancate le battute di Writer Boy e i suoi battibecchi con Kate. Il capitano Gates aveva avuto la stessa espressione del giorno in cui Beckett era rientrata come detective: scocciata, ma compiaciuta. Lo voleva fuori dai piedi da quando era entrata, ma aveva capito anche lei che spesso lo scrittore era stato d’aiuto, sebbene non l’avrebbe mai ammesso. Dagli Hamptons, Alexis si era a malapena trattenuta dal lanciare un urlo di gioia, ma aveva ringraziato sinceramente Kate per la sua comprensione. Martha aveva ringraziato il cielo, sollevata.
Kate aveva anche chiamato suo padre. Alla fine gli aveva raccontato cosa le era successo e della sua decisione. Jim Beckett fu contrariato dal fatto che lei non gli avesse detto niente, ma fu anche felice nel sentire che ora la figlia era davvero serena. Gli aveva anche detto che ora stava con Richard Castle. Non credeva che il padre andasse a spifferarlo in giro. L’uomo se lo aspettava. Aveva visto gli occhi della sua bambina quando parlava dello scrittore. Kate era felice. Stava lentamente riprendendo possesso della sua vita. E quella mattina del decimo giorno, al distretto, la donna seppe che tutto stava tornando alla normalità.
Il cellulare di Ryan squillò. Un uomo trovato morto vicino al pilastro di un ponte. Il detective stava per alzarsi e telefonare a Karpowski per andare a controllare, sotto gli sguardi invidiosi di Beckett ed Esposito inchiodati alle scrivanie, quando il capitano Gates lo richiamò.
“Detective Ryan!” L’uomo si girò stupito.
“Signore?”
“Credo sia caso che si porti dietro i detective Beckett ed Esposito questa volta” disse tranquillamente, indicandoli con un piccolo cenno con il capo. I due alle scrivanie si guardarono stupiti ed estasiati. Il loro confino era finito. Potevano riprendere a lavorare sul campo. Ryan annuì con un sorriso e aspettò che i due prendessero le giacche per seguirlo. “Ah, Beckett” chiamò ancora la Gates. La donna si bloccò con la giacca infilata a metà.
“Sì signore?”
“Si ricordi ciò di cui abbiamo parlato” dichiarò solo, lanciandole un’occhiata piena di significato. Kate non abbassò gli occhi e annuì sicura, sotto lo sguardo confuso degli altri due detective. “Molto bene. Ora andate. C’è un cadavere che vi aspetta” continuò la donna facendo un cenno sbrigativo con la mano all’ascensore e tornando nel suo ufficio. Beckett poté giurare di aver visto un sorrisetto sul volto del capitano.
 
I tre arrivarono sul posto dieci minuti dopo, chiacchierando lungo tutto il tragitto eccitati come bambini. O almeno i due uomini, troppo felici di poter lavorare di nuovo insieme. Con un sospiro, Beckett pensò a Castle. Le mancava non avere accanto il suo partner, ma ora era sicuramente più tranquilla sapendolo lontano dal mirino dei proiettili. Per avere qualche teoria azzardata e piena di alieni avrebbe dovuto aspettare fino a sera, quando l’avrebbe rivisto. Scosse la testa, scacciandolo dai suoi pensieri prima che finissero su un territorio pericoloso che il più delle volte comprendeva un letto. Poco lontano davanti a loro videro Lanie rannicchiata a terra contornata dagli uomini della scientifica. Erano tutti sparsi vicino alle fondamenta del ponte. Dando una rapida occhiata da lontano, mentre passavano sotto la linea gialla che teneva lontani gli intrusi, Kate poté già prevedere che non avrebbero trovato molte tracce. Quel punto nascosto era sicuramente spesso un luogo in cui molti senzatetto passavano la notte. Era buio e non facilmente individuabile dalla strada, nonostante fosse a non più di dieci metri di distanza. C’erano rifiuti ovunque e un odore acre e pesante permeava completamente l’aria circostante. Era un misto di bruciato, muffa, spazzatura e cadavere. Gli fecero infilare delle mascherine prima di raggiungere la dottoressa. Disteso a terra c’era un uomo. La testa era contornata da una macchia di sangue non molto estesa che gli creava un curioso effetto alone. Aveva gli occhi azzurro chiaro, quasi grigi, spalancati, la bocca semiaperta e i corti capelli grigio-bianchi disordinati. Le braccia erano aperte, ma uno aveva una posizione anormale, con uno strano angolo. Le gambe invece erano distese. Era vestito elegantemente. Raffinate scarpe marroni, giacca e pantaloni beige, camicia azzurra e cravatta a righe dello stesso colore. Ma il tutto era molto sporco e stropicciato. La camicia era fuori dai pantaloni e la cravatta allentata. Beckett si accovacciò accanto alla dottoressa e spostò la protezione per parlare più liberamente. Trattenne a stento una smorfia di disgusto per l’odore. Non sopportava quella puzza, ma sopportava ancora meno parlare con la mascherina in faccia.
“Ciao Lanie, che mi sai dire?” domandò Kate per farsi notare dalla dottoressa, impegnata a rilevare la temperatura corporea dell’uomo. Lanie si girò e le sorrise, mentre anche lei si sfilava la mascherina.
“Detective Kate Beckett! Chi non muore si rivede, eh?” replicò la donna ridacchiando. Kate scosse la testa divertita. Umorismo da poliziotti e medici legali. “È bello rivederti su una scena del crimine” continuò poi sinceramente.
“Grazie Lanie. Comunque non sono l’unica, anche qualcun altro è rientrato” disse Beckett con un sorrisetto malizioso, facendo un cenno con il pollice alle sue spalle. Esposito era poco lontano da loro insieme a Ryan a parlare con un agente della scientifica. Lanie fece un gesto di noncuranza con la mano blu guantata e un mezzo sbuffo. Poi tornarono più serie. “Allora che mi puoi dire?” chiese di nuovo la detective indicando il morto con un cenno della testa.
“Uomo, bianco, probabilmente sui 60-70 anni. È quasi certo che il colpo mortale sia questo. Un proiettile in testa, presumibilmente calibro 38” disse spostando leggermente la testa e indicando un foro alla tempia. C’erano segni di bruciatura tutt’intorno alla ferita. “Gli hanno sparato a bruciapelo” continuò la donna. Kate inclinò appena la testa per osservare il foro. Sembra quasi un’esecuzione... rifletté. “Dalla temperatura posso dirti che la morte dovrebbe risalire a ieri sera, tra le 6 e le 10, ma al solito saprò dirtelo con certezza solo dopo l’autopsia.” Beckett annuì pensierosa. Quattro ore di arco temporale erano tante. “Ci sono anche dei segni sulle dita” continuò alzando una mano del morto per mostrarla alla detective. C’erano dei graffi e le unghie erano sporche. “E c’è anche un’altra cosa…” Lanie spostò la cravatta, aprì la camicia dell’uomo e ne mostrò il torso nudo. Beckett trattenne per un momento il respiro. Il petto bianco era ricoperto da tracce scure di bruciature, tagli e lividi.
“È stato torturato…” mormorò la detective turbata, le sopracciglia aggrottate. Lanie annuì.
“Non so ancora dirti con cosa purtroppo. Anche per questo dovrai aspettare l’autopsia. Ma sembra siano stati usati diversi oggetti.” Beckett osservò meglio i segni e in effetti sembravano causati da metodi di tortura differenti. Alcune bruciature ad esempio, piccole e tonde, sembrava da sigaretta, mentre altre, lunghe alcuni centimetri e strette, non avrebbe saputo dire a quale diavoleria appartenessero. I lividi erano larghi e coprivano ampie zone del torace. I tagli non si contavano. “Inoltre alcune di queste lesioni sono vecchie di qualche giorno. Non è stata una cosa rapida. Chiunque sia il responsabile l’ha fatto soffrire per diverso tempo.”
“Doveva avere nascosto qualcosa di ben prezioso se l’hanno ridotto in questo modo” commentò Beckett. In quel momento si avvicinarono Ryan ed Esposito. Entrambi fecero una faccia disgustata per l’odore quando tolsero la mascherina. Il primo salutò Lanie come al solito, mentre Esposito le lanciò un sorriso malizioso e uno sguardo d’intesa. La detective si schiarì la gola per riportare detective e dottoressa al presente, mentre Ryan ridacchiava.
“Sapete qualcosa?” domandò ai due.
“Sul morto ancora no. Non aveva documenti né telefono e al momento stiamo cercando di risalire a lui dalle impronte digitali” rispose Ryan. In quel momento l’uomo vide i segni delle torture e rimase per un attimo turbato.
“L’ha trovato stamattina quel senzatetto laggiù” proseguì Esposito per il partner, indicando un uomo ad una decina di metri da loro sorvegliato da sue agenti. Indossava vestiti laceri e usurati sotto un grande giaccone marrone scuro. In testa aveva un berretto a righe blu e bianche. La barba cespugliosa spuntava da una grande sciarpa rossa avvolta sul collo nonostante la giornata mite. Gli occhi erano infossati e scuri. Le mani non smettevano un momento di aprirsi e chiudersi in un tic nervoso e sembrava tremassero. Probabilmente si drogava e stava entrando in astinenza. “Dice di chiamarsi Will Underbridge. Viene qui quando lo cacciano dall’altro lato del ponte. Stamattina l’hanno beccato, così è venuto da questa parte, ma ha trovato il suo posto già occupato.”
“Ha provato a svegliarlo, ma non c’è riuscito. Poi si è accorto del sangue e del foro e si è spaventato. È scappato in strada e ha trovato una cabina telefonica da dove ha chiamato la polizia. Dice di non aver visto nessuno quando è arrivato” continuò Ryan. Beckett annuì in risposta.
“Altro?” chiese.
“No. Inoltre la zona è altamente contaminata. Sarà difficile trovare qualcosa di utile” rispose Esposito dando un’occhiata scettica in giro. Beckett si voltò di nuovo a guardare la vittima.
“Probabilmente non troveranno niente anche perché non è stato ucciso qui” dichiarò la detective.
“Come lo sai?” domandò Ryan. Kate fece un cenno alla testa della vittima.
“Troppo poco sangue intorno alla ferita. L’hanno ucciso da un’altra parte e poi l’hanno scaricato qui.” Beckett si fece pensierosa. “Esposito voglio che mi verifichi tutti gli avvisi di persone scomparse delle ultime tre settimane. Vedi se c’è ne qualcuno che somiglia alla nostra vittima.” Il detective annuì. “Ryan tu invece controlla se qui intorno ci sono delle telecamere che hanno inquadrato qualcosa, da ieri sera fino a stamattina.”
 
Beckett si mise ad aggiornare la sua fidata lavagna bianca con orari e foto della vittima. Aveva appena fatto un rapporto completo alla Gates, cosa che sperava le facesse riguadagnare qualche punto-fiducia nei suoi confronti, ma la vedeva dura. Appese lo scatto con il volto dello sconosciuto vicino a quello integrale del suo corpo a terra e a quelli delle inquadrature ravvicinate di ferite e bruciature fatte da Lanie. Non avendo ancora un nome, Kate scrisse ‘John Doe’ sopra l’immagine della vittima, appellativo con il quale si indicava ogni cadavere sconosciuto. Tracciò la linea temporale e segnò in modo più evidente l’arco tra le 6 e le 10pm datole indicativamente dal medico legale come ora della morte. Annotò quindi alcuni particolari della conversazione della mattinata. Segnò ‘Esecuzione?’ come ipotesi vicino alla foto con il volto della vittima e il calibro dell’arma. Scrisse ‘Causa torture??’ accanto a un’altra immagine e così via. Quando finì, la lavagna non era neanche lontanamente piena, ma le informazioni in loro possesso erano scarne. Sperò che Lanie, Esposito o Ryan, appena rientrato con i filmati di alcune telecamere, le dessero presto qualcosa in più su cui lavorare. Fece un sospiro. Ora le mancavano le teorie di Castle davanti a un buon caffè caldo. Sentì il bisogno di prepararsene uno, così si alzò e si diresse verso la sala relax. Stava cercando una tazza, quando un profumo le invase le narici. Caffè! pensò istantaneamente. Ma non un caffè qualsiasi. Bensì il suo preferito, quello con un pizzico di vaniglia. E solo una persona poteva essere lì in quel momento, dietro di lei, con quella delizia in mano. Sorrise senza girarsi.
“Buongiorno detective” esclamò una voce calda alle sue spalle a pochi passi da lei. Si morse il labbro inferiore e si voltò. Due occhi blu la stavano osservando con una piccola luce negli occhi.
“Buongiorno a te scrittore” mormorò Kate. Rick avanzò e le passò uno dei due caffè. Poi si diede una veloce occhiata intorno e fulmineo le lasciò un piccolo bacio sulla bocca. La donna rimase stupita per un attimo. Poi lo rimproverò sottovoce. “Castle! Siamo al distretto! Qualcuno potrebbe vederci!” L’uomo fece un leggero sbuffo divertito, ma per precauzione fece un paio di passi all’indietro. “Allora cosa fai qui?” domandò poi più teneramente Kate allo scrittore, sorpresa. Pensava fosse a casa a scrivere. Rick alzò le spalle.
“Ho già completato quattro capitoli del nuovo libro in questi giorni. Così mi sono preso una pausa, ma mi annoiavo a casa solo soletto. Perciò ho pensato di venire a fare un saluto e di portarti il caffè” rispose con una faccia da cucciolo. Kate ridacchiò.
“Già mi mancava davvero molto il caffè! Grazie mille per avermelo portato” replicò andando verso la sua scrivania con un sorriso malefico. Castle la guardò scandalizzato.
“Ma come?? Il mio caffè ti manca, ma la mia fantastica e irresistibile persona no??” La donna non riuscì a trattenersi dal ridere nel vedere la faccia sconvolta dello scrittore. Poi lo vide avvicinarsi pericolosamente a lei con un sorrisetto furbo in volto. “Dovrai farti perdonare per questa gigantesca bugia detective…” le sussurrò provocante in un orecchio. Il suo respiro caldo sul collo la face rabbrividire. “Potrei farti rimangiare tutto subito, ma ci sono troppi testimoni e non vorrei essere arrestato per atti osceni in distretto di polizia… Perciò per il momento sei salva. Ma solo per adesso…” Quindi si allontanò di un paio di passi da lei come se nulla fosse. Kate rimase immobile sul posto per qualche secondo stringendo il caffè, le guance in fiamme. Stavano insieme già da diversi giorni. Avevano fatto l’amore ben più di una volta. Ma quando si avvicinava e le sussurrava in quel modo aveva ancora il potere di farle perdere la testa. Prese un respiro profondo e si voltò verso di lui cercando una risposta tagliente, ma lo vide fissare serio la lavagna. Gli si avvicinò e gli si mise accanto. “Hai ricominciato a seguire i casi” constatò Castle, notando che la scrittura alla lavagna era quella della sua musa. Kate annuì. “Chi è? Che gli hanno fatto?” chiese con uno sguardo inorridito alle ferite sul corpo dell’uomo.
“Ancora non si sa. Stiamo verificando. Sembra che lo abbiano torturato in diversi modi, probabilmente per estorcergli qualche informazione, anche se non sappiamo ancora bene cosa abbiano usato” rispose Beckett. Rick annuì piano. Poi socchiuse un poco gli occhi e inclinò appena la testa.
“Sai, credo che queste bruciature lunghe siano state lasciate da un Taser…” disse indicando con un dito uno dei segni sulla foto. Beckett alzò un sopracciglio e lo guardò scettica.
“Come lo sai?” Castle si voltò e le sorrise.
“Nikki Heat” rispose semplicemente. “Per Heat Rise avevo fatto ricerche sulle bruciature causate da armi elettriche e simili. Alla fine ho optato per torture con il TENS, ma solo perché era più adatto all’ambientazione bondage.” Kate si ricordò che in effetti la vittima del libro, un prete, era stata torturata con l’elettrostimolatore TENS dentro una camera per la dominazione e sottomissione. Era un particolare che aveva portato alla risoluzione anche di un altro caso in cui erano stati riscontrati gli stessi segni di bruciatura.
“Ok, chiederò a Lanie di controllare se per caso quel tipo di bruciature corrispondono a quelle lasciate da un Taser” accordò alla fine Beckett con un sospiro. Rick le sorrise, felice di poter essere stato d’aiuto ancora una volta. Si girò di nuovo verso la lavagna e stavolta si fermò su un’altra immagine: il volto della vittima. Aggrottò le sopracciglia.
“Kate… io… io credo di conoscerlo…” mormorò lo scrittore concentrato su quel singolo scatto. Beckett si rizzò subito.
“Cosa? Sai chi è?” domandò stupita. Dopo qualche secondo l’uomo scosse la testa.
“Sono sicuro di averlo già visto, ma non mi ricordo dove…” Kate gli si avvicinò e gli prese delicatamente il viso fra le mani. Lo scrittore legò i suoi occhi blu con quelli verde-marrone della donna.
“Rick prova a concentrarti. Dove ti sembra di averlo visto? Ogni minimo particolare può essere importante” gli disse Beckett pressante. A volte bastava un’inezia per tirare fuori qualcosa di più grande.
“Lo so…” mugolò frustrato Castle. Dove aveva già visto quell’uomo? Pensa Rick! Vanti una memoria fotografica che però fa cilecca proprio quando serve! pensò abbattuto. Ho in mente a malapena il volto... Sono certo di averlo incrociato, ma dove?? Perché diavolo non riesco a ricord… Rick si bloccò nel bel mezzo delle sue riflessioni, colpito, e spalancò gli occhi. Era immobile, il respiro pesante, la bocca semiaperta per lo stupore e le sopracciglia aggrottate. Beckett gli lasciò il viso, turbata dall’improvviso cambiamento dello scrittore. Ricordare! Kate! Ricordare!! “Ricordare!! Kate!!” esclamò l’uomo inchiodando i suoi occhi blu in quelli di lei e prendendola per le spalle. Certo ora tutto aveva un senso. Ma non per la detective che lo guardava quasi fosse impazzito.
“Rick, ma che stai…?”
“So dove l’ho visto!” disse velocemente. “Ricordi quando un anno fa ti ho portato i fiori in ospedale? Quando mi hai detto che non ricordavi?” Beckett non capì dove volesse arrivare e annuì semplicemente, confusa. “Beh, mentre venivo da te, quest’uomo…” Indicò la foto della vittima. “…mi è passato accanto vestito da ospedale! È un medico, Kate!” La donna lo fissò per un secondo, stupita, poi si girò velocemente verso la scrivania di Esposito, dove l’uomo era da un’ora intento a setacciare tutti le segnalazioni di scomparsa delle ultime settimane.
“Esposito!” lo chiamò. “Controlla prima se ci sono medici tra gli scomparsi.” L’uomo annuì e fece la ricerca al computer, mentre Beckett e Castle si avvicinavano alla sua scrivania.
“Ecco qua. Ci sono tre medici scomparsi.” Cliccò sul risultato e i volti dei tre uomini apparvero sullo schermo.
“Eccolo! È lui!” gridò Rick agitato indicando la foto nel mezzo. Era davvero lui, il loro John Doe. Il detective cliccò di nuovo, l’immagine si ingrandì e apparvero le informazioni sull’uomo.
“Jonathan Smith, 63 anni, residente a New York, medico primario al Roosevelt Hospital. Secondo la scheda, la moglie, Margaret Smith, ne ha denunciato la scomparsa 8 giorni fa” lesse Esposito.
“È il nostro uomo” dichiarò la detective. “Esposito cerca tutto quello che puoi su di lui, tabulati telefonici, conti bancari, tutto. Scopri se nascondeva qualcosa. Appena Ryan ha finito con i filmati andate a parlare con la moglie e vedete se riesce a dirvi qualcosa di più.” In quel momento apparve proprio Ryan da una saletta laterale.
“Ehi, ho controllato tutti i nastri, ma nessuna punta sotto il ponte. Passano diverse auto da lì, ma sembra che nessuna si sia fermata. Comunque ho preso i numeri di targa di tutte le macchine circolate da ieri sera a stamattina.”
“Ottimo lavoro Ryan. Nel caso potremo fare un riscontro” replicò Beckett. I due detective quindi si diressero verso l’uscita per andare a parlare con la moglie della vittima.
“Lui ottimo lavoro e io niente? E dire che a quanto pare sono utile anche quando non partecipo alle indagini…” si lamentò a mezza voce lo scrittore da dietro le spalle di Kate, le braccia incrociate e un broncio offeso. Kate sorrise e scosse la testa.
“Anche tu sei stato bravissimo Castle. Ora però vai a casa. Ti ringrazierò più tardi per l’aiuto che ci hai dato” gli mormorò la donna all’orecchio con voce provocante. Vide lo scrittore deglutire a fatica e ridacchiò internamente. Anche lei aveva ancora molto potere su di lui. Oh, sì. Quando Rick fu uscito, Beckett aggiornò la lavagna e il capitano Gates, quindi scese da Lanie per sapere se aveva qualcosa di nuovo.
“Oh, bene, stavo giusto per chiamarti Kate” esclamò Lanie quando la detective entrò. “Ho appena finito l’autopsia.” La dottoressa si tolse i guanti sporchi di sangue e li gettò nel cestino. Quindi recuperò la cartelletta della vittima. Prima di cominciare, Beckett le riferì che avevano trovato il nome della vittima e le chiese di verificare se per caso alcuni dei segni sul corpo di Smith fossero stati lasciati da un Taser. “Beh, in realtà ho già controllato” le comunicò l’omopatologa, lasciando stupita Kate. “Ma andiamo con ordine. Allora posso confermarti che la causa della morte è il colpo alla testa sparato da una calibro 38. L’ora del decesso si può collocare tra le 8 e le 9 di ieri sera. Veniamo ora alle torture” continuò Lanie. Le fece cenno di avvicinarsi al tavolo dove aveva appena effettuato l’autopsia e scoprì parte del cadavere. “Nel sangue non ho riscontrato nulla di anormale, quindi era ben sveglio mentre lo seviziavano. Ho cercato dei riscontri delle ferite prima di iniziare l’autopsia e ora posso dirti cosa gli hanno fatto e come. Allora le bruciature piccole e tonde sono da sigaretta e sono le più vecchie, almeno 7-8 giorni.”
“Quindi dal giorno della sparizione” commentò Beckett. Chiunque fosse stato non aveva perso tempo. Lanie annuì.
“Già. Ha anche un braccio rotto che risale allo stesso periodo. Dopo questi ci sono le botte. I lividi sono di poco più recenti delle bruciature. A quel punto si passa ai tagli. Sono fatti con molta precisione e con un coltello da caccia o militare. Abbastanza profondi, ma mai mortali” disse indicando i vari punti interessati sul petto della vittima. “Quindi i segni del Taser. Avevo già dei dubbi sulla natura di quelle bruciature e mi sono ricordata di averne visti di uguali in un altro caso. Uno che si divertiva a torturare le sue vittime con quell’aggeggio fino a farle morire. L’ultima cosa che hanno provato è stato tentare di affogarlo. Nei polmoni c’era molta acqua” concluse. Lanie quindi ricoprì il cadavere e alzò gli occhi su Kate. “Non so cosa nascondesse, ma era un tipo davvero tenace per aver resistito a tutto questo. Ogni giorno cambiavano supplizio. È una tecnica di tortura anche questa, poiché non sai mai a cosa andrai incontro e a quale tipo di dolore. Se si sono fermati vuol dire che probabilmente hanno scoperto quello che volevano sapere.”
 
Il caso continuava a vorticarle in testa, mentre si dirigeva all’appartamento di Castle. Era quasi sera e non era tardi, ma Beckett aveva staccato prima con l’intenzione di portarsi parte del lavoro a casa. Non era ancora pronta a rinunciare del tutto al supporto del suo partner. Aveva sentito Ryan mezz’ora prima. Lui ed Esposito avevano quasi finito con la moglie di Smith, perché aveva avuto una crisi quando le avevano comunicato del ritrovamento del corpo. Al momento comunque non avevano ancora scoperto nulla, tranne che era dal giorno prima della denuncia di scomparsa che non vedeva il marito e non sapeva se dovesse partire. Così aveva avvertito lo scrittore che sarebbe tornata un po’ prima e si era messa al volante della sua auto. Aveva appena parcheggiato quando le arrivò un messaggio. Rick.
Kate ho dimenticato di comprare la pasta. Non è che potresti passare un momento al negozio vicino casa mia a prenderne un po’? Grazie!! Ti aspetto presto a casa!
Kate scosse la testa divertita. Dimenticava sempre qualcosa. Gli rispose con un Ok e si avviò a piedi al piccolo supermercato una decina di metri più in là. Era a metà strada quando il cellulare squillò.
“Beckett”
“Ehi, detective, ti sei persa? Pensavo tornassi prima” esclamò Castle divertito. La donna sbuffò.
“Spiritoso. Prima mi mandi a prendere le cose che ti sei dimenticato di comprare e poi mi chiedi se sto arrivando?” Ci fu un secondo di silenzio.
“Kate che stai dicendo? Io non ti ho mandato a prendere proprio niente…” replicò Rick con una nota preoccupata e allarmata nella voce.
“Cosa? Ma se mi hai mandato un messaggio poco fa!” ribatté Beckett confusa.
“Kate io non ti ho mandato niente” rispose lo scrittore, agitato. “Ho un brutto presentimento. Torna qui immediatamente!” Ora il cattivo presagio l’aveva anche la donna. Si bloccò in mezzo al marciapiede, il respiro accelerato. Chi le aveva mandato il messaggio? Stava per girarsi e tornare di corsa al palazzo dell’uomo, quando un forte colpo alla schiena la fece cadere in avanti. Lanciò un gemito e perse il telefono a terra. Sentì comunque lo scrittore gridare il suo nome dall’apparecchio. Si tirò su appena in tempo per evitare che un calcio le sfiorasse la faccia. Si girò rabbiosa, pronta a dar battaglia, ma si immobilizzò appena vide il suo assalitore. Seppe di trovarsi di nuovo in un incubo. Cole Maddox, l’uomo che per ben due volte aveva tentato di assassinarla, era in piedi di fronte a lei con un sorrisetto strafottente. L’uomo approfittò della distrazione di Kate, incredula dell’apparizione, e le sferrò un calcio allo stomaco, subito seguito da uno alla faccia. La donna crollò a terra e batté violentemente la testa. Percepì a malapena il sangue colarle sul viso. La vista era annebbiata e si sentiva senza forze. Dolorante, non riuscì ad alzarsi, ma solo a voltarsi verso Maddox tirandosi appena su con le braccia.
“Questa volta non mi sfuggirai Kate. Avevo promesso che ti avrei fatto mettere tre metri sotto terra. E io mantengo sempre le promesse” disse con tono suadente e sarcastico, mentre lentamente tirava fuori una pistola, la caricava e gliela puntava addosso. Kate era gelata dalla paura. Non aveva con sé la pistola, rimasta nel cassetto di casa sua da dove era passata poco prima a cambiarsi. Sentì qualcuno che la chiamava in lontananza e Maddox sorrise beffardo. “Oh, bene, sta arrivando anche il tuo caro scrittore. Ottimo, così vi eliminerò entrambi velocemente… e la cosa romantica è che lui ti guarderà morire di nuovo.” Kate non aveva la forza per gridare. La botta alla testa era stata forte e sentiva che stava per svenire. Tutte le sue forze servivano per mantenerla sveglia. Ma voleva solo che Rick non arrivasse mai.
“No Rick… Vattene…” riuscì a malapena a mormorare. Alzò gli occhi, che sentiva sempre più pesanti, e vide la canna della pistola davanti a sé. La voce di Castle era sempre più vicina.
“KATE” sentì urlare lo scrittore. Ormai doveva essere a non molti metri da loro.
“Rick… No…” sussurrò Kate con le lacrime agli occhi. Guardò Maddox che sorrideva.
“Addio Kate” disse calmo. Poi ci fu lo sparo. La donna però non sentì dolore. Fece appena in tempo a chiedersi se fosse morta sul colpo, quando Maddox crollò a terra in una pozza di sangue. Con le ultime forze che le rimanevano Kate voltò la testa. L’ultima cosa che vide, un momento prima di svenire, fu la pistola dell’uomo che aveva appena sparato al killer che aveva tentato di ucciderla ormai per ben tre volte. E dietro di essa, due profondi occhi blu.

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Xiao!! :D
Come state?? Io non troppo bene, quindi scusatemi se la revisione non è venuta granché...
Allora finalmente si movimentano un po' le cose eh? X) Ah, quanto mi mancavano i finali a effetto... XD
Smith è morto eh, sì... Kate invece è tornata al lavoro sul campo da un giorno e già rischia la vita! Per fortuna c'è il suo salvatore! (volete provare a indovinare chi è?)
Il caro Rick poi è tornato a far visita al distretto e subito è d'aiuto!! :D
Ok guys, detto questo, vi lascio prima che mi lanciate qualcosa contro!!
Grazie a chi continua a recensire!!! Per favore anche un minimo commentino (good or not) è sempre ben accetto!!! :)
Al prossimo capitolo! ;)
Lanie

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Capitolo 6
*** Un amico di Montgomery ***


Cap.6 Un amico di Montgomery

Strabuzzò gli occhi, cercando di vedere qualcosa nell’oscurità che lo circondava. Nulla. Deglutì intimorito. Non gli era mai piaciuto particolarmente il buio. Poi una luce. La sentì sulla pelle prima ancora di vederla. Si girò velocemente e cercò di mettere a fuoco il piccolo chiarore pochi metri davanti a lui. Capì che proveniva da una persona. Una persona stesa a terra che irradiava una calda luce bianca. Fece un paio di passi insicuri in quella direzione, poi la riconobbe. Kate. Il respiro iniziò a farsi veloce e si mise a correre. Ma le sue gambe non volevano collaborare. Le sentiva pesanti come macigni. Fare un passo sembrava la cosa più difficile del mondo.
“KATE!” urlò. Finalmente, dopo quelle che gli parvero ore, raggiunse la donna e si inginocchiò accanto a lei. Era immobile e la sua pelle era fredda nonostante la luce calda. Aveva addosso la divisa della polizia. Gli occhi di Rick si focalizzarono sulla macchia rosso scuro nel centro del suo petto. “Kate…” mormorò terrorizzato. Cercò di premere sulla ferita per far uscire meno sangue, ma era impossibile. C’è ne era troppo. E ne usciva sempre di più. “Kate… ti prego…” sussurrò ancora, le lacrime agli occhi, accarezzandole il viso e le braccia, cercando di svegliarla. “Ti prego Kate non mi lasciare… Ti amo Kate… Resta con me, ti prego…” Il respiro gli si era fatto affannoso. Alcune lacrime gli colavano lungo il viso e gli annebbiavano la vista. Le tolse rabbiosamente e chiamò di nuovo la sua musa. Non poteva essere morta. Non ora che stavano insieme. Non ora che gli aveva confessato che anche lei lo amava. “Kate...” Una risata lo fece voltare di scatto. Cole Maddox era in piedi poco lontano da loro, un sorriso strafottente in volto e un fucile di precisione in mano. Nel buio i suoi occhi brillavano rossi come il sangue ed erano freddi come il ghiaccio.
“Cosa vuoi ancora?” gli urlò contro lo scrittore. “Vuoi anche me? Prendi anche me allora! Uccidimi!” gridò sfidandolo, le lacrime agli occhi. Sarebbe morto lì, vicino alla sua donna. L’avrebbe raggiunta ovunque fosse andata. Ma Maddox si limitò a ridere ancora. Una risata malvagia, senza gioia. Rick si girò di nuovo verso Kate e si accorse che non aveva più la divisa ora. Era vestita normalmente, maglietta chiara e pantaloni neri sotto una giacca di pelle anch’essa nera. Come un qualsiasi giorno. Non c’era più la macchia rossa sul petto. Era stata sostituita da una serie di tagli e lividi sparsi per la faccia, ma sapeva, anche senza vederli, che c’è ne erano altri sul suo corpo. “Kate… Ti prego svegliati amore…” mormorò di nuovo, accarezzandole delicatamente il viso per tentare di destarla. Era più speranzoso ora che non c’era più la macchia, ma quando passò la mano sulle sue labbra si accorse di un’altra cosa che gli fece gelare il sangue. Non la sentiva respirare. “Kate!” la chiamò ancora, disperato. Di nuovo Maddox rise. Di nuovo Rick si voltò verso di lui, rabbioso. Ora l’uomo aveva in mano una pistola. I suoi occhi si fecero ancora più rossi e brillanti mentre alzava l’arma verso la donna a terra. “NO!” urlò lo scrittore mettendosi davanti a Kate. Forse era già morta, ma se era così non voleva che quello sporco bastardo la oltraggiasse. Maddox continuava a ridere. I suoi occhi sempre più brillanti nel buio. Poi uno sparo riecheggiò nell’oscurità e l’assassino cadde a terra. Rick lo guardò confuso, le sopracciglia aggrottate, la bocca semiaperta, il respiro pesante. La luce rossa che emanava svanì velocemente. Lentamente un’altra luce venne a rischiarare il buio. Una luce blu. Girò la testa di lato e vide un altro uomo diversi passi più in là di loro, anch’esso con una pistola puntata, ma verso Maddox. Dietro l’arma, gli occhi emanavano una intensa luce blu, calda quasi quanto quella bianca di Kate dietro di lui. L’uomo abbassò la pistola e lo guardò. Era serio e distinto. Eppure c’era qualcosa di familiare che Rick non riuscì a comprendere.
“Chi sei?” urlò dopo qualche secondo di sbalordimento. Lo vide accennare un piccolo sorriso.
“Un amico di Montgomery” rispose quello con una voce calda e rassicurante. Lo guardò combattuto. Una parte di lui voleva fidarsi, affidarsi a lui. Una voce dentro al sua testa gli diceva che in qualche modo gli avrebbe riportato Kate. Prima di riuscire a prendere una decisione però, sentì la luce bianca sparire lentamente. Tentò di voltarsi verso Kate, ma scoprì di non riuscire a muoversi. Lottò contro quei fili invisibili che lo tenevano legato. Era certo che la donna si stesse allontanando sempre più da lui. Non guardò più l’uomo di fronte a sé. La sua musa era il suo unico pensiero. Voleva stringerla ancora una volta a sé. “Kate!” Finalmente riuscì a liberarsi da quella morsa, ma nello stesso istante in cui si voltò, la luce svanì completamente, portandosi Kate con sé. Iniziò a guardarsi intorno spaventato. Il buio ora lo stava ingoiando di nuovo. Non c’era più neanche l’uomo dagli occhi blu a fargli luce. Si sentiva soffocare. Il buio lo stava schiacciando. Un solo nome gli passò per la testa e lo urlò un’ultima volta prima di venire inghiottito.

“KATE!” Si destò di soprassalto. Sudava freddo e aveva il respiro pesante. Rick si guardò intorno spaesato, non riconoscendo le pareti bianche che lo circondavano. Le sue mani erano ancorate alla scomoda sedia su cui era seduto. Aveva le nocche bianche. Dopo qualche secondo si accorse che accanto a sé c’era un letto. Su di esso riconobbe la figura sdraiata di Kate. Si alzò di scatto e la raggiunse. Non emanava luce, ma la sua pelle era calda. Respirava. Era viva. Rick chiuse gli occhi, abbandonando la testa in avanti, e si appoggiò con le mani alla sponda del letto. Respirò profondamente per calmarsi. Dopo qualche secondo rialzò la testa e si passò una mano nei capelli. Un’occhiata all’orologio gli disse che erano le 5.30 del mattino. Si ricordò che erano in ospedale a causa delle ferite che la donna aveva riportato dallo scontro con Maddox. Le guardò il viso e lo carezzò piano. Esaminò i due tagli visibili; uno era accanto all’attaccatura dei capelli, l’altro invece le attraversava una guancia. Appena sopra questo aveva anche un occhio nero. Sapeva che c’era un altro taglio anche tra i capelli, dove aveva sbattuto la testa. Si ricordò anche che era sotto osservazione per paura di lesioni interne a causa di un calcio di quell’assassino. Era già svenuta quando l’avevano prelevata dal luogo dell’attacco e l’avevano poi sedata in ospedale. Avrebbe dormito fino al giorno dopo e lui si era rifiutato di lasciarla sola. Si sedette di nuovo con un sospiro. Frammenti dell’incubo appena fatto si mescolavano nella sua testa a fatti realmente accaduti. Poggiò i gomiti alle ginocchia e si strofinò gli occhi con le mani, ripensando alla sera prima. Stava preparando la cena per sé e per la sua musa. Era contento che staccasse un po’ prima solo per stare con lui, anche se forse non l’avrebbe mai ammesso. Era pur sempre l’orgogliosa Kate Beckett, anche se ora stavano insieme. Aveva guardato l’ora e aveva deciso di chiamarla per vedere se stava tornando. Poi la notizia del messaggio. E il lamento di Kate. Quel gemito di dolore gli ronzava ancora nelle orecchie. Spaventato, era corso giù a perdifiato per le scale del palazzo. Arrivato al piano terra, aveva ripensato alle parole di Kate. Aveva detto che doveva prendere qualcosa, quindi si era girato ed era corso verso l’unico negozio che conosceva vicino a lui. Mentre correva aveva iniziato a chiamare il nome di Kate, sperando che non fosse troppo tardi. Poi aveva sentito qualcuno parlare diversi metri avanti a lui e puntando lo sguardo l’aveva visto. Sembrava un incubo tornato a tormentarli. Cole Maddox, in piedi, con qualcosa in mano. Ci aveva messo due secondi per capire che era una pistola quella che teneva e che la stava puntando verso la donna accasciata a terra davanti a lui. Kate. Aveva gridato ancora il suo nome, ma era troppo lontano. Non sarebbe mai arrivato in tempo. Poi il colpo. Per un attimo il suo cuore si era fermato. Aveva urlato ancora il nome di Kate e aveva aumentato la velocità, anche se ormai era senza fiato, per coprire gli ultimi esigui metri, quando era successa una cosa inaspettata. Maddox era crollato a terra, colpito, mentre una pozza di sangue si allargava velocemente sotto di lui. Per un secondo si era immobilizzato incredulo. Poi aveva alzato gli occhi e aveva visto la figura di un uomo pochi metri più in là di Kate. La pistola era ancora alzata verso Maddox. L’aveva visto abbassarla lentamente dopo qualche secondo. Poi aveva visto due occhi blu che si inchiodavano su di lui. Un piccolo gemito aveva quindi attirato la sua attenzione e subito si era gettato su Kate per controllare se stesse bene. Per fortuna, la stessa proprietaria del negozio in cui doveva andare la donna aveva visto tutto e aveva già chiamato l’ambulanza e avvisato la polizia. Quando Rick si era assicurato che Kate fosse solo svenuta, anche se non conciata bene, aveva tirato un sospiro di sollievo e aveva alzato di nuovo la testa verso l’uomo misterioso. Non si era ancora mosso dalla sua posizione.
“Chi sei?” gli aveva domandato ad alta voce. Era troppo scosso per essere educato in quel momento e non sapeva ancora se poteva fidarsi o meno di quell’individuo. L’uomo aveva fatto un mezzo sorriso.
“Un amico di Montgomery” aveva risposto semplicemente senza dare altre spiegazioni. Poi erano arrivati Ryan ed Esposito, che avevano sentito il fatto dalla radio della polizia mentre tornavano da casa Smith. Appena dopo di loro era arrivata l’ambulanza. Kate era stata portata in ospedale e Rick era andato con lei. I due detective invece avevano preso in custodia l’uomo, mentre altri agenti appena arrivati iniziavano a recintare la zona per nascondere la vista del corpo ai curiosi e attendere il medico legale.
Fece un sospiro e si passò di nuovo una mano nei capelli. Dopo quasi un’ora un medico gli aveva detto che Kate non era grave. Le avevano messo diversi punti ai tagli, ma l’unico rischio era quello di danni interni. L’avrebbero tenuta sotto osservazione, addormentata, per la notte. Se il giorno dopo non ci fossero stati problemi, e se Kate si fosse sentita in grado, avrebbe già potuto essere dimessa. Nel frattempo aveva avvertito Jim Beckett, il padre di Kate. L’uomo era fuori città e sarebbe arrivato il prima possibile in mattinata.
Guardò la sua musa addormentata. Aveva rischiato ancora una volta di perderla. Ancora una volta era arrivato troppo tardi, come quando Maddox le aveva sparato. È il destino, la fortuna o l’universo quello che non ti permette di andare via da me? Perché qualunque cosa sia, non smetterò mai di ringraziarlo abbastanza… Un anno fa Maddox le aveva mancato il cuore per un soffio. Qualche giorno fa Ryan l’aveva recuperata appena in tempo un attimo prima che cadesse da un palazzo. Ora era arrivato un misterioso salvatore. Ripensò alla figura di quell’uomo. Un amico di Montgomery… Ora che ci penso, anche l’uomo sconosciuto del telefono si era presentato così… Doveva parlare con questo tizio. Ma non voleva lasciare Kate sola. Sospirò e iniziò a cercare una inesistente posizione comoda su quella sedia d’ospedale. Qualche minuto dopo però, quando ormai stava per assopirsi, gli vibrò il cellulare in tasca. Si alzò, lanciando un sguardo tenero alla sua donna, e si allontanò di qualche passo.
“Castle” rispose passandosi una mano sulla faccia per svegliarsi.
“Ehi Castle, sono Ryan” replicò il detective. “Come sta?” chiese subito riferendosi a Beckett, preoccupato.
“Sembrerebbe bene. I medici dicono che ha solo qualche taglio e livido. La tengono sotto osservazione stanotte, ma se non ha problemi potrebbe già uscire domani” ripeté in sintesi il discorso del medico. Sentì l’uomo tirare un sospiro di sollievo. “Avete novità voi?”
“Sì. Sembra che Maddox sia riuscito in qualche modo a clonarti il cellulare e che lo abbia usato per mandare un messaggio a Beckett.” Rick lanciò un’imprecazione sottovoce. “Ah, e hanno anche ritrovato l’auto di Smith vicino a casa tua.”
“Cosa??” domandò incredulo. “Che ci faceva lì?”
“Non lo sappiamo” rispose il detective. “L’hanno mandata subito in centrale per fare i soliti test. C’era del sangue nel bagagliaio e sembra sia dello stesso tipo di quello di Smith”
“Quindi lo avrebbero portato sotto quel ponte con la sua stessa auto” ipotizzò Castle.
“Già, ma non è questa la cosa strana.” La voce di Esposito proruppe dal telefono in vivavoce.
“E quale sarebbe?” chiese curioso.
“Hanno trovato delle impronte all’interno della macchina. Sono di Maddox” rispose Esposito.
“COSA??” esclamò di nuovo lo scrittore incredulo. Si accorse di aver urlato, quindi abbassò il tono. “Che c’entrava Maddox con Smith?” domandò confuso aggrottando le sopracciglia.
“È quello che cercheremo di scoprire” replicò Ryan.
“Maddox è un assassino professionista. Perché torturare e uccidere un medico? Cosa nascondeva di tanto importante?” domandò più a sé stesso che ai due detective. Poi gli venne un’idea. “Non è che potrebbe… insomma, forse potrebbe essere correlato con il caso Beckett” disse sottovoce, quasi per paura che Kate si svegliasse al solo pronunciare quel nome. Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Forse... Ma per il momento non possiamo supporre molto di più del fatto che Smith sia stato torturato e ucciso da Maddox. E anche questo è da provare. Hanno trovato dei residui di olio sulle ruote che speriamo ci portino al luogo in cui era tenuto. Comunque abbiamo già richiesto tabulati e conti bancari della vittima per verificare se nascondeva qualcosa di poco pulito o se c’è qualcosa di insolito” rispose Ryan.
“Se fossero collegati, allora forse potrebbe non essere un caso che lo stesso giorno in cui avete trovato Smith morto, Maddox riprovi a uccidere Kate” suppose ancora Rick, continuando con il suo ragionamento.
“Per il momento possiamo solo aspettare le analisi. Hanno dato la priorità al caso quindi nel giro di qualche ora dovremmo avere qualcosa” dichiarò Esposito. “Ah, Castle, la Gates vuole vederti. Ha detto che vuole iniziare ad avere almeno da te un rapporto di quello che è successo.” Rick sospirò.
“Ok. Non voglio lasciare sola Kate però. Facciamo così, appena arriva il padre vengo al distretto” propose lo scrittore. Quando i due detective gli ebbero dato risposta positiva, gli venne in mente un’altra cosa. “A proposito... sapete niente dell’uomo che ha sparato a Maddox?” domandò curioso.
“Poco” rispose Esposito. “Dai documenti sembra si chiami Max Kastor, 70 anni…”
“Però! Buona mira per un settantenne…” commentò Castle divertito.
“Buona davvero. L’ha preso in pieno al petto quel bastardo” replicò Esposito con una punta di ammirazione. “Comunque a parte questo e che abita a New York non sappiamo altro. In ogni caso stiamo facendo delle ricerche anche su di lui. Non ci ha voluto dire niente, tranne che vuole parlare con Beckett.” Rick girò la testa per guardare la sua musa, pensieroso.
“Questa storia mi piace sempre meno…” mormorò lo scrittore. Sentì due approvazioni laconiche anche dall’altra parte del telefono.
“Senti Castle ancora una cosa” esclamò Ryan dopo qualche secondo. “Come mai ieri sera Beckett stava venendo a casa tua?” domandò sogghignando. Rick rimase per un momento senza parole. Kate non aveva detto a quei due che stavano insieme. E di certo non voleva essere ucciso per averglielo detto lui. Deglutì e iniziò a spostare il peso da un piede all’altro.
“Ehm… Ecco noi… io…” balbettò.
“Wow fratello, il grande scrittore senza parole! Dobbiamo dedurne particolari imbarazzanti e scottanti che non ci avete raccontato?” domandò stavolta Esposito, a metà tra il serio e il divertito. Rick sbuffò.
“Non c’è nulla da raccontare” rispose lo scrittore velocemente. “Voleva solo… voleva solo chiedermi se ricordavo qualche altro particolare su Smith, ecco!” inventò al momento. Che razza di scrittore! pensò scocciato. È tutto qui quello che sai fare?? Ha ragione Kate quando mi chiede come faccio ancora a campare di parole! Questo volta fu il turno dei due detective sbuffare.
“E noi dobbiamo crederci?” chiese Ryan scettico. Non avendo altre notizie, e non riuscendo a ricavare altro da Castle, i tre si salutarono e riagganciarono. Rick tornò a sedersi stancamente sulla sedia accanto al letto di Kate. Le nuove informazioni gli frullavano per la testa. Quindi Maddox avrebbe torturato e ucciso Smith per farsi dire chissà che cosa… Qualcosa di importante senza dubbio. Poi ha scaricato Smith sotto un ponte con la sua stessa auto. A quel punto, clonandomi il telefono, quel bastardo ha trovato un modo per far uscire allo scoperto Kate tendando di ucciderla ancora… Ma perché ora? Perché non prima o fra qualche giorno? Se c’entrasse davvero con il caso Beckett potrebbe aver ricavato informazioni da Smith tali da permettergli di eliminare definitivamente Kate. Ma cosa aveva un dottore di tanto importante?? E questo Kastor cosa c’entra in tutta questa storia? Perché vuole parlare solo con Kate? Se avesse voluto farla fuori, l’avrebbe fatto ieri sera. Quindi che cosa vuole da lei? Si passò una mano tra i capelli con un sospiro. Poi si alzò e si appoggiò di nuovo alla sbarra del letto per osservare Kate. Sfiorò lentamente con la punta delle dite i tagli sul suo viso. Maddox ha aspettato quasi un anno prima di riprovare a eliminarti e ora due volte in pochi giorni? Cosa è cambiato? Un dubbio gli passò per la mente. E se non ci fosse più alcun patto? Se non fosse più al sicuro? Scacciò quel pensiero dalla testa. Se fosse stato così, il suo contatto misterioso l’avrebbe chiamato, glielo avrebbe detto. Tornò a guardare Kate. Svegliati presto mia musa e non preoccuparti. Io resterò con te per sempre.
 
Verso le 7am arrivò in ospedale Jim Beckett e trovò Castle ancora perso a guardare con occhi teneri Kate addormentata sul lettino. Non riuscì a reprimere un sorriso. Quello scrittore era davvero l’uomo giusto per la sua bambina. Trasudava amore per lei da ogni poro. Si schiarì la voce e Rick si accorse in quel momento di lui. Si riscosse e gli andò incontro per salutarlo. Gli spiegò le condizioni di Kate e, in breve, come mai era in quello stato.
“Ehm, io dovrei andare al distretto. Mi hanno chiesto un rapporto di quello che è successo” disse infine Rick incerto. Jim annuì.
“Vai pure ragazzo. Mi prendo per un po’ cura io di Katie.” Rick sorrise riconoscente.
“Grazie mille. Per favore mi può chiamare appena si sveglia?” domandò poi ansioso, mentre recuperava la giacca appesa alla sedia.
“Solo se la smetti di darmi del lei e cominci a darmi del tu. Infondo ormai stai insieme alla mia piccola, no?” rispose Jim ridacchiando. Rick annuì, felice e un po’ imbarazzato. Si era dimenticato che la sua musa aveva raccontato di loro al padre.
“Senz’altro Jim” replicò. Quindi ritornò da Kate e le lasciò un piccolo bacio sulla fronte, attento a non toccare il taglio presente. “Torno presto amore” sussurrò piano sulla sua fronte prima di staccarsi, salutare Jim e avviarsi fuori dall’ospedale. Arrivato all’esterno, fermò un taxi e gli diede l’indirizzo del distretto. Lungo il tragitto gli squillò il telefono. Era Alexis. Era preoccupata perché aveva provato a chiamarlo a casa e non aveva risposto. Con un sospiro, raccontò anche a lei brevemente i fatti della notte prima e assicurò la ragazza sulla salute di Kate e sulla sua. Chiuse la chiamata appena prima di entrare al distretto. Meno di due minuti dopo era davanti alle scrivanie di Ryan ed Esposito. Riuscì appena a salutarli, prima di venire subito chiamato dal capitano Gates nel suo ufficio insieme ai due detective. Per l’ennesima volta, Rick raccontò i fatti della sera prima, questa volta con tutti i particolari che ricordava. Ci mise mezz’ora per fare un resoconto completo. Poi Ryan ed Esposito integrarono il racconto con le poche informazioni che avevano attenuto fino a quel momento e che avevano già condiviso con lo scrittore al telefono.
“Inoltre stiamo ancora verificando l’identità di Kastor. Ha carte di credito e tutto, anche un appartamento a suo nome, ma sembra che in realtà fino a qualche mese fa non sia mai esistito” concluse Esposito. Ci fu qualche secondo di silenzio. La Gates incrociò le mani davanti al volto, pensierosa.
“E avete detto che questo signor Kastor, se davvero questo è il suo nome, non vuole parlare?” domandò la donna. Ryan annuì.
“Vuole parlare solo con Beckett” spiegò il detective. Castle si schiarì la gola e tutti si girarono a guardarlo.
“Se permette capitano, io… io vorrei fare una prova con Kastor. Vorrei provare a parlargli” disse prima incerto poi più sicuro. Il capitano lo guardò per qualche secondo, studiando la sua proposta.
“Cosa pensa di ottenere signor Castle?” domandò. Non era un’accusa. Sembrava più incuriosita che arrabbiata e questo diede nuove energie allo scrittore.
“Forse niente, ma vorrei provare lo stesso a capire cosa vuole da K… da Beckett” si corresse velocemente all’ultimo. La Gates lo squadrò per qualche istante, poi annuì, sotto lo sguardo sbalordito dei tre uomini. Rick non pensava seriamente di riuscire a convincerla.
“Molto bene signor Castle. Veda se riesce a tirargli fuori qualcosa. Immagino che abbia visto abbastanza volte la detective Beckett all’opera per sapere come condurre un interrogatorio.” Rick aveva ancora la bocca spalancata. Scosse la testa per riprendersi e annuì vigorosamente. “Vada allora. Noi guarderemo dallo specchio” concluse la donna, alzandosi. Castle lanciò un’occhiata ai due detective vicino a lui, entrambi con la bocca ancora aperta per lo stupore. Quindi annuì di nuovo e precedette il gruppo fuori dall’ufficio. Il capitano e i due detective entrarono nella stanzetta accanto alla sala interrogatori. Rick si fermò un momento fuori dalla porta. Tutta l’energia che aveva prima sembrava improvvisamente essersene volata via. Non aveva mai condotto un interrogatorio da solo. Sperò di non fare casini. Prese un respiro e girò la maniglia per entrare. La prima cosa che lo colpì dell’uomo seduto dall’altra parte del tavolo fu la calma. Era placidamente seduto con una gamba accavallata all’altra, le mani incrociate sulla pancia, la schiena ben poggiata allo schienale della scomoda sedia degli interrogati. Aveva più l’aria di uno fermo in una sala d’aspetto che in una stanza d’interrogatorio. Indossava lo stesso completo della sera prima. Giacca e pantaloni grigio chiaro, camicia blu con un bottone aperto sul collo e senza cravatta. Nonostante l’età aveva ancora un bel fisico. Le spalle erano larghe come quelle di un nuotatore. I corti capelli erano grigi, ma non lo invecchiavano, anzi gli davano un’aria vissuta. Come anche le sottili rughe che gli contornavano il volto. Da giovane doveva essere stato un uomo davvero affascinate e anche con l’età aveva ancora quell’aura da Don Giovanni che doveva averlo caratterizzato e che sicuramente aveva fatto strage di cuori. Kastor non si girò subito a guardarlo. Sembrava particolarmente interessato alla telecamera all’angolo del soffitto. Quando sentì la porta chiudersi però, si voltò. Rick rimase per un momento immobile, mentre si studiavano a vicenda. Alla luce delle lampade ora poteva vedere bene gli occhi dell’uomo. Erano blu come i suoi, ma con una tonalità più scura, più profonda. Prese un altro respiro e si andò a sedere di fronte a lui. Kastor continuò a seguirlo con gli occhi, senza mai staccare lo sguardo dai suoi movimenti.
“Signor… Kastor, giusto? Mi chiamo Richard Castle e…” cominciò lo scrittore.
“So chi è lei” lo bloccò l’uomo. Era una constatazione, ma il suo tono era strano. Sembrava annoiato e curioso insieme. La sua voce era profonda e rimbombava leggermente nella piccola stanza. Rick rimase per un momento spiazzato, poi si riscosse.
“Beh, ehm, bene. Visto che le presentazioni sono superflue, allora direi di andare subito al sodo. Cosa vuole da Beckett?” Kastor fece un mezzo sorriso.
“Mi sembrava di essere stato chiaro con i suoi amici. Devo parlare con la detective Kate Beckett, non con lo scrittore Richard Castle, per quanto la conversazione sarebbe sicuramente piacevole” rispose ironico. Rick sbuffò.
“E perché deve parlare solo con lei? Cosa deve dirle di così segreto che non possiamo sapere?” domandò nervoso.
“Oh, non è un segreto. È solo una cosa che devo condividere con la detective urgentemente. Potrà anche assistere se vuole, e probabilmente lo farà visti i suoi legami con la detective, ma al momento devo parlare con lei. Me la porti qui o mi porti da lei e vedrà che ogni cosa le sarà chiara” replicò tranquillamente. Rick aggrottò le sopracciglia, irritato.
“Cosa intende dire con ‘i suoi legami con la detective’? Lei non sa niente di me, né della detective Beckett!” disse con veemenza Castle, i pugni stretti sul tavolo, la mascella serrata. L’uomo lo guardò a lungo prima di rispondere, inchiodando i suoi occhi a quelli dello scrittore. Rick si sentì sotto esame, ma tutta la tensione che aveva accumulato si sciolse senza che se ne accorgesse. Alla fine Kastor prese un respiro profondo, poggiò i gomiti sui braccioli della sedia e portò le mani congiunte davanti alla faccia. Sembrava indeciso se dire qualcosa o meno.
“Io so di te e di Kate molto di più di quanto pensi Richard” rispose dopo qualche secondo. Il tono non era più ironico. Era serio.
“Ma che significa? Come…” iniziò lo scrittore, ma fu subito interrotto.
“Non importa come al momento. Devo parlare con la detective Beckett. È una questione di vitale importanza” disse deciso. Rick lo squadrò per un momento, incerto.
“Come facciamo a sapere se possiamo fidarci?” domandò lo scrittore con aria di sfida dopo qualche istante. Tornò il sorriso divertito sul volto di Kastor.
“Signor Castle, se avessi voluto uccidere la detective, l’avrei fatto ieri sera non crede?” Rick continuava a studiarlo, combattuto. Non riusciva ancora a capire se poteva avere fiducia di lui o meno. Come nel suo sogno, una parte di lui lo metteva in guardia, mentre un’altra lo spingeva a fidarsi. In quel momento gli squillò il cellulare.
“Castle” rispose senza smettere di controllare Kastor, che a sua volta lo osservava attento.
“Rick, sono Jim Beckett. Kate si è svegliata.” Lo scrittore fece un balzo sulla sedia.
“Va bene, arrivo subito. Grazie di avermi avvertito Jim” disse velocemente e riagganciò, visibilmente sollevato.
“Si è svegliata?” domandò Kastor. Rick, che si era già alzato, si bloccò. “Non serve che tu risponda. Lo vedo dalla tua faccia” continuò sorridendo. Sembrava sinceramente felice. Lo scrittore sbuffò scocciato, ma non replicò. Ora aveva altro a cui pensare. Voleva rivedere gli occhi della sua donna. Ne aveva bisogno. Voleva accertarsi che stesse realmente bene. Era già alla porta quando Kastor lo fermò. “Signor Castle, ancora una cosa prima che vada dalla sua musa.” Rick si voltò verso di lui, guardandolo male, e incrociò le braccia al petto in attesa. “Non c’è più alcun patto” disse in tono grave dopo qualche secondo. Lo scrittore rimase a bocca aperta, scioccato. Poi cercò di ricomporsi.
“Non so di cosa sta parlando…” mugugnò mentre si girava per uscire.
“Richard” lo fermò di nuovo l’uomo. Rick rimase immobile, la mano sulla maniglia della porta, combattuto, spaventato. Non può essere… L’avrei saputo… Girò lentamente la testa verso Kastor. Gli occhi blu dell’uomo sembravano volerlo trapassare. “Sai benissimo di cosa sto parlando. Non c’è più alcun patto che possa tenere in vita la detective Beckett. Lei non è più al sicuro dal drago.”

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Xiao!! :D
Ecco qui un altro cap! :)
Lo so che molti di voi pensavano fosse Rick il misterioso salvatore e invece no! XD E' entrato in scena il nostro nuovo personaggio! :D Ma sarà realmente chi dice di essere?.... mistero.....
Ok la smetto! X) A parte questi piccoli miei scleri, spero vi sia piaciuto il cap! :)
Grazie a chi mi ha lasciato anche solo un commento e a chi invece mi ha scritto ben di più (anche un po' maledicendomi per l'ultimo finale XDXD)!! Continuate a dirmi che ne pensate!! (sempre in bello o in brutto, non mi arrabbio!! ;D)
Boh, dovrei aver detto tutto! Buona giornata!! E a quelli che hanno finito la scuola buone vacanze!! (beati voi! godetevela!)
Lanie 
ps: non credo di averlo detto l'ultima volta, ma nel cap precedente, quando Rick dice di aver incontrato Smith in ospedale, succede davvero!!! O.O Smith gli passa dietro mentre lui si aggiusta i capelli!! Io non lo sapevo finché non me l'hanno detto... Voi lo sapevate??

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Capitolo 7
*** Per te... ***


Cap.7 Per te…

Nel giro di venti minuti Castle era di nuovo in ospedale. Aveva dovuto schivare la Gates e i due detective, mentre usciva dal distretto. Aveva promesso velocemente che si sarebbe ripresentato con Kate e che avrebbero spiegato ogni cosa. Il capitano l’aveva guardato in cagnesco.
“Sarà meglio signor Castle. Non vorrei doverla arrestare per intralcio alle indagini” aveva minacciato la donna, un secondo prima che entrasse in ascensore. Ryan ed Esposito conoscevano la storia di Montgomery, ma non sapevano nulla dell’uomo che lo aveva contattato per Kate. Non sapevano nulla del patto con il drago. Non sapevano perché Rick avesse chiesto a Kate con tanta insistenza di lasciar stare il caso di sua madre quando era tornata dopo lo sparo e di nuovo pochi giorni prima. Avevano pensato fosse per i sentimenti che lo scrittore nutriva per la donna, palesi a tutti tranne che a loro. Solo dopo quella chiacchierata dello scrittore con Kastor avevano capito che c’era altro dietro le richieste dell’uomo. Loro non avevano aperto bocca, quando era uscito dalla sala interrogatori. Semplicemente lo avevano scrutato con uno sguardo un po’ risentito che chiedeva spiegazioni. Un attimo prima che le porte dell’ascensore si chiudessero davanti allo scrittore, l’uomo aveva fatto un cenno con la mano ai due che intendeva ‘dopo’ e gli aveva lanciato un’occhiata di scuse.
Bussò prima di entrare nella camera d’ospedale. La voce di Jim gli diede il via libera e Rick aprì la porta piano, quasi timoroso. La prima cosa che vide furono gli occhi di Kate. Rimase immobile sulla porta, la mano ancora sulla maniglia, senza riuscire a dire o fare niente se non perdersi negli occhi della sua musa. Non importava che fosse in un lettino d’ospedale. Non importava che avesse i capelli scompigliati. Non importava che avesse il viso pieno di tagli. Lei era sempre la sua straordinaria bellissima detective. E lui aveva rischiato di perderla ancora una volta.
“Kate…” mormorò, mentre un sorriso enorme gli si apriva in viso. La donna sorrise a sua volta nel sentire pronunciare il suo nome in modo così tenero e sollevato dallo scrittore.
“Ciao Rick” disse piano. Finalmente l’uomo si riscosse. Lasciò la maniglia e si avvicinò velocemente a Kate. Poi le prese delicatamente il viso fra le mani, cercando di non sfiorare i tagli, e le andò incontro per baciarla. Un bacio dolce e innocente, ma che esprimeva insieme tutta la paura che aveva avuto di perderla e tutto il sollievo nel vederla di nuovo sveglia. Quando il bacio cominciò a diventare un po’ troppo lungo e profondo però, un basso borbottio lo fece staccare, imbarazzato, dalla donna. Si era completamente dimenticato della presenza di Jim nella stanza. Kate era diventata rossa per l’imbarazzo.
“Figliolo, lo so che state insieme, che vi amate e che le ultime ore non sono state particolarmente piacevoli, ma non è che potreste continuare in un altro momento? O almeno aspettate che esca…” commentò ridacchiando Jim. Rick balbettò qualche scusa. Poi gli strinse la mano per salutarlo, ricordandosi che non l’aveva fatto all’entrata nella stanza, e lo ringraziò per averlo chiamato subito. “Oh, non è stato un problema Rick. Anzi grazie per esserti precipitato così velocemente” replicò l’uomo. “Tra te e mia figlia non so chi volesse di più imparare a teletrasportarsi…”
“Papà!” lo riprese Kate diventando ancora più rossa. Questa volta fu Rick a ridacchiare. La guardò con uno sguardo malizioso, ma insieme tenero. La detective si rivolse quindi allo scrittore cercando di cambiare argomento e dissolvere il rossore sulle sue guance. “L’uomo che ha sparato…” iniziò Beckett. Castle però la fermò con un gesto della mano.
“È in custodia al dodicesimo. Ti ha salvato, ma ha pur sempre ucciso un uomo.” Dal tono, Kate capì che lo scrittore non era particolarmente dispiaciuto per quel fatto. “Comunque quando tornerai al distretto lo vedrai. Al momento non può andare da nessuna parte.” E non lo farebbe in ogni caso visto che vuole parlare con te… pensò lo scrittore inquieto. Viste le reticenze dello scrittore a parlare davanti a Jim, la donna non chiese più nulla al riguardo, riproponendosi di chiedere spiegazioni in un altro momento. Abbandonarono quindi l’argomento e rimasero a chiacchierare di altro per qualche minuto, lasciando semplicemente i problemi fuori dalla porta, finché non venne un infermiere a portare Kate dal medico per farla visitare. Era un ragazzo giovane e forte. Doveva avere al massimo tre o quattro anni in meno di Kate. Aveva con sé una sedia a rotelle. La detective all’inizio non volle saperne di salire, ma uno sguardo di supplica di Rick la fece desistere. Era per precauzione, non le serviva realmente, ma era meglio essere cauti dopo una botta in testa del genere. Kate si tirò su completamente a sedere sul letto già mezzo alzato.
“Vuole che l’aiuti a salire?” domandò celermente l’infermiere, indicando la sedia a rotelle. All’inizio Rick non capì cosa volesse dire visto che Kate era già quasi in piedi da sola. Poi lo vide avvicinarsi alla donna e capì che il suo intento era prendere in braccio la detective. La donna alzò gli occhi sul ragazzo, all’inizio non capendo neanche lei perché le dovesse servire il suo aiuto. Quando lo comprese, si girò a guardare Rick. Stava fulminando con uno sguardo omicida il ragazzo. Non riuscì a trattenersi dal ridere.
“No, grazie. Ce la faccio da sola” rispose Kate divertita, mentre sul viso di Rick si apriva un sorriso trionfante opposto a quello di delusione dell’infermiere. Kate salì sulla sedia a rotelle con una smorfia, non sopportando di sembrare una malata. Lo scrittore rivolse un altro truce sguardo al ragazzo, che non si accorse di nulla, quando lo vide soffermarsi ben più del dovuto sulle gambe scoperte della sua musa.
“Torneremo nel giro di mezz’ora o poco più” annunciò l’infermiere, quindi uscì spingendo Kate fuori dalla stanza. Nella camera rimasero solo lo scrittore e il signor Beckett.
Appena Kate fu uscita, sul viso di Rick tornò la preoccupazione. Si passò una mano nei capelli e fece un sospiro. Jim, che lo stava osservando, vide la maschera serena che aveva mantenuto davanti alla donna cadere miseramente.
“Ora che l’uomo che ha tentato di uccidere mia figlia è morto, Kate sarà al sicuro?” domandò l’uomo dopo qualche minuto, ansioso. Rick non si mosse, gli occhi persi nel vuoto della camera, ripensando alle parole di Kastor. Lei non è più al sicuro…
“Ho paura che ora sia anche più in pericolo di prima” rispose alla fine con tono triste e preoccupato, alzando gli occhi su di lui. Jim annuì, la mascella serrata, lo sguardo rassegnato.
“Ancora il caso di Johanna?” chiese addolorato. Lo scrittore scosse la testa.
“Non lo sappiamo. È quello che stanno cercando di scoprire al distretto.” Jim annuì ancora.
“Non farla affogare di nuovo Rick. Non permetterglielo” disse dopo qualche minuto. Aveva gli occhi leggermente lucidi. La voce era uscita un po’ incrinata. Lo scrittore lo osservò per qualche secondo, comprendendo bene la paura di un padre per l’incolumità della propria figlia. Annuì semplicemente.
Kate tornò dopo tre quarti d’ora. Nessuno dei due si era mosso dalle sedie accanto al lettino su cui si erano sistemati in precedenza. Quando la donna entrò, questa volta era in piedi a fianco dell’infermiere. Non erano riusciti a convincerla a sedersi di nuovo sulla sedia a rotelle, ma d’altronde non ne aveva bisogno.
“Tutto a posto” disse l’infermiere con un sorriso. “La signorina Beckett è in perfetta salute, se vogliamo escludere i tagli e i lividi. Quelli inizieranno a passare tra qualche giorno. Può già andare via se lo desidera.” Kate sorrise felice. Era tutto quello che la detective voleva e i due uomini lo sapevano bene. Non aveva mai amato gli ospedali. L’infermiere aveva con sé anche una busta con i vestiti di Kate. Beckett firmò il foglio per essere dimessa, quindi si cambiò velocemente nel piccolo bagno adiacente alla stanza. Nel giro di dieci minuti erano in strada ad attendere un taxi. I due uomini avevano cercato di far sparire gli sguardi preoccupati, ma Kate conosceva bene entrambi. Non disse niente quando il padre l’abbracciò un po’ più a lungo del solito, prima di salire su un uno dei taxi che avevano fermato. Semplicemente ricambiò la stretta con più forza. Questo sembrò tirare su un poco il morale del padre. La sua bambina non si sarebbe arresa. Avrebbe combattuto come sempre per il caso che più le aveva influenzato la vita. Questa volta però aveva chi avrebbe potuto proteggerla. Jim lanciò a Rick un ultimo sguardo d’intesa prima di salire sul taxi. Qualche minuto dopo Kate e Rick riuscirono a fermare un altro mezzo e l’uomo diede l’indirizzo del suo loft. La borsa con un cambio di Kate era ancora nell’auto davanti al suo palazzo. Sarebbe bastato quindi un passaggio a casa dello scrittore per cambiarsi entrambi, senza dover anche passare dall’appartamento della detective. Parlarono poco durante il tragitto. Rick cercava di essere scherzoso come al solito, ma gli riusciva più difficile. Preoccupazione e ansia non abbandonavano il suo sguardo. Le parole di Kastor continuavano a rimbombargli in testa. Lei non è più al sicuro…
“Voglio tornare al distretto” disse di punto in bianco Kate guardandolo. Rick la osservò sorpreso per un momento. Si era perso nei suoi cupi pensieri. I suoi occhi blu continuavano a esprimere angoscia. Dopo un momento di incertezza però, alla fine sospirò.
“Va bene. Appena ci siamo cambiati, ti accompagno” rispose. La donna lo guardò con un sopracciglio alzato. Non era mai successo che Rick accettasse di portarla al distretto senza fare la minima discussione. Soprattutto con i tagli che avevano praticamente appena smesso di sanguinare. Lo scrittore era sempre premuroso e attento. Aveva detto quella frase per scuoterlo. Non si aspettava una risposta del genere detta con un tono così rassegnato. Cosa è cambiato nelle ultime ore? pensò la detective turbata.
“Va bene?” domandò scettica ripetendo le sue parole. Lui annuì. “Rick c’è per caso qualcosa che non so? Sei sempre quello che al minimo accenno di pericolo” disse intendendo sia quello fisico che quello morale, legato al caso di sua madre “mi terrebbe sempre al sicuro e lontano dal distretto. Perché ora è diverso?” Rick la guardò sconsolato, fece un altro sospiro e le raccontò le ultime poche informazioni che avevano appreso sul caso e il mezzo interrogatorio che aveva fatto all’uomo che l’aveva salvata. Kate ascoltò tutto senza aprire bocca.
“Ora è diverso perché credo che il posto più sicuro che ci sia al momento, sia proprio il distretto” concluse infine atono con lo sguardo basso. Dopo qualche secondo di silenzio e immobilità, la donna aggrottò le sopracciglia.
“Però non sai cosa vuole da me questo Kastor…” disse piano. Lo scrittore scosse la testa.
“So solo che se è vero ciò che dice, allora nessun posto può essere più sicuro come il distretto. Sanno dove abito ovviamente e quasi certamente conoscono anche il tuo indirizzo. Non basterà uccidere un assassino per evitare di farne venire altri. Il drago verrà frenato solo per poco. Giusto il tempo di trovare un altro mercenario al suo soldo. Almeno al distretto ci sono Esposito e Ryan. Non è molto, ma è già qualcosa. Inoltre parlando con la Gates, magari riesci a ottenere una scorta e…” Era partito incerto, ma ora stava decisamente correndo, nervoso, agitato.
“Ehi, Rick piano” lo fermò Kate, posandogli una mano sulla guancia. Lui si bloccò e chiuse gli occhi a quel tocco così delicato. “Per il momento andiamo a cambiarci. Poi passiamo dal distretto, parliamo con gli altri e vediamo cos’hanno. Non sappiamo nemmeno se l’assassinio di Smith è davvero collegato a Maddox e al caso di mia madre… Farò due chiacchiere anche con questo Kastor. A quel punto vedremo cosa fare. Ok?” Rick sospirò, ancora ad occhi chiusi, poi girò appena la testa per lasciarle un piccolo bacio sul palmo della mano.
“Ok…” rispose facendo un mezzo sorriso e aprendo di nuovo gli occhi, più calmo. I loro sguardi rimasero incatenati per qualche secondo, poi Rick avvicinò la donna a sé delicatamente, per evitare che i lividi si facessero sentire. Le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, tenendo la mano tra questi, la baciò piano. Kate ricambiò subito, cercando di far sentire il suo amore, la sua presenza, allo scrittore semplicemente con quello sfioramento di labbra. Quando si staccarono, Kate appoggiò la testa alla spalla dell’uomo e Rick portò un braccio dietro le spalle di lei. “Quando tutto questo sarà finito, io e te ce ne andremo un mese negli Hamptons” sussurrò lo scrittore alla sua musa lasciandole un piccolo bacio sulla testa. “E non voglio sentire storie di alcun genere. Non ci sarà assassino, drago, iguana o lucertola, che mi impedirà di passare un po’ di tempo solo con te.” Kate non poté fare a meno di sorridere. Cinque minuti dopo erano arrivati. Rick pagò e scesero. Recuperarono la borsa della donna dal bagagliaio dell’auto e si diressero all’interno del palazzo.
 
Mezz’ora più tardi, Castle e Beckett fecero la loro entrata al distretto. Appena li vide, la Gates li chiamò nel suo ufficio e chiese alla donna un rapporto completo di quello che era successo la sera prima. L’aveva già sentito dallo scrittore, ma voleva anche la sua versione. Quando la detective ebbe concluso, videro arrivare Ryan ad Esposito e uscirono dall’ufficio per incontrarsi con loro davanti alla lavagna segnata con il caso Smith. Stranamente li seguì anche il capitano. Voleva essere informata su tutte le novità di quel caso in tempo reale. Quando i due detective videro Kate le sorrisero sollevati.
“Bentornata Beckett. Se volevi ancora ferie bastava chiedere! Non credo ci fosse bisogno di farsi fare a pezzetti…” la salutò Ryan.
“Cercherò di seguire il tuo consiglio” rispose la donna ridendo. Poi tornò più seria. “Allora avete qualcosa di nuovo?”
“Dipende da cosa vuoi partire” disse Esposito, mentre attaccava alla lavagna una foto di Max Kastor. “C’è ne per tutti i gusti. Smith o Kastor?” Beckett girò appena la testa per lanciare un’occhiata alla porta della stanza interrogatori dove Rick le aveva detto essere il suo salvatore. Si morse il labbro inferiore incerta. Il caso Smith o il caso Beckett?
“Parti da Smith” dichiarò dopo qualche secondo, appoggiandosi a braccia conserte si schiena alla sua scrivania. Castle le si posizionò subito accanto. La Gates appena più in là di loro, in piedi. Esposito annuì e cominciò.
“Allora, per prima cosa la scientifica ha concluso gli esami balistici sulla pistola ritrovata in mano a Maddox. È la stessa arma che ha ucciso Smith.”
“Quindi l’ha ucciso davvero lui…” commentò Castle con un sospiro.
“Già. E c’è di più” continuò Ryan. “Hanno controllato anche l’olio trovato sulle ruote dell’auto della vittima. Olio per navi, di un tipo particolare, usato solo per pochi yacht per lunghi viaggi. Abbiamo fatto un controllo e siamo risaliti a una rimessa del porto. Il proprietario è alle Hawaii da tre settimane, quindi il magazzino era vuoto negli ultimi tempi. Siamo tornati proprio ora da lì”
“La serratura era scassinata e all’interno abbiamo visto gli oggetti che Lanie aveva elencato come probabili armi della tortura. Per terra era pieno di sigarette. Su un tavolo abbiamo trovato un coltello militare e un taser di medie dimensioni. Oltre a questo c’era pure una tinozza piena d’acqua, abbastanza profonda per infilarci completamente la testa di un uomo” elencò Esposito.
“Inoltre abbiamo trovato anche un piccolo ripostiglio in cui pensiamo abbia rinchiuso Smith. Era pieno di sangue” commentò Ryan nauseato dal lavoro che aveva compiuto Maddox. “La scientifica sta facendo i rilevamenti, ma quasi certamente è il luogo in cui Maddox ha tenuto sequestrato, torturato e ucciso Smith. Da lì, lo ha poi caricato nell’auto della stessa vittima, con cui probabilmente l’aveva rapito, e lo ha portato al ponte sotto cui l’abbiamo ritrovato. Dai filmati delle telecamere ho notato l’auto di Smith passare sul ponte prima in un senso e un quarto d’ora dopo nell’altro”
“Questo punto quindi l’abbiamo chiarito” si inserì il capitano Gates bruscamente. Era in piedi a braccia incrociate di lato alla lavagna. “Cole Maddox era un assassino professionista, ed è stato pagato per avere delle informazioni da Smith e poi ucciderlo. Ma perché? Cosa nascondeva?”
“Avete trovato niente nei conti bancari?” domandò Beckett seguendo il ragionamento del capitano.
“Negativo” rispose Esposito. “Regolare stipendio, qualche spesa per la casa e per la moglie. Niente transazioni particolari o altro. Non aveva neanche precedenti. La sua fedina era immacolata. Inoltre era un ex soldato. Aveva partecipato come medico militare alla prima guerra del Golfo.”
“E nei tabulati telefonici?” chiese poi la donna. I due detective si scambiarono un’occhiata strana. Poi guardarono Castle.
“Che c’è?” domandò lo scrittore, confuso dagli sguardi duri dei due amici. Beckett li guardò sospettosa, le sopracciglia aggrottate.
“Abbiamo controllato” replicò Ryan dopo qualche secondo, non tenendo conto della domanda di Castle e rivolgendosi di nuovo a Beckett. “E ci sono solo due numeri che ci sono saltati all’occhio. Il primo è di un telefono intestato a Max Kastor.” Castle sussultò.
“L’uomo nella sala interrogatori conosceva Smith??” domandò agitato. Il detective lo guardò male. Rick, che si era sporto in avanti nella foga della domanda, si ritirò di nuovo nel suo spazio, con la testa tra le spalle, vedendo lo sguardo truce dell’uomo.
“Evidentemente sì. Si sentivano una volta ogni due giorni, sempre con chiamate sotto i due minuti” rispose Esposito per il partner, con tono freddo rivolto allo scrittore. “Comunque non è l’unico a quanto pare che lo conosceva. L’altro numero che dicevamo è del tuo cellulare Castle.” L’uomo rimase a bocca aperta per quella notizia.
“Cosa??” esclamarono insieme Beckett e Castle dopo qualche secondo. “Ne sei sicuro?” domandò quindi la donna. Esposito annuì. Tutti si voltarono verso lo scrittore, rimasto senza parole.
“Ma… ma non è possibile…” balbettò passando con lo sguardo ognuno dei presenti, perfino la Gates. Poi si soffermò su Beckett. Gli occhi della donna erano dubbiosi. Non sapeva se credere ai fatti oppure allo scrittore. “Io… io non lo conoscevo!” continuò Castle inchiodando i suoi occhi in quelli di lei. “L’unica volta che l’ho incontrato è stato per caso in ospedale, mentre venivo da te! Posso giurarlo!”
“Allora perché c’è il tuo numero tra le sue chiamate? Ti sei sentito con lui per più di cinque minuti” intervenne Esposito duro, recuperando alcuni fogli dalla sua scrivania e mostrandoli ai presenti. Erano i tabulati telefonici di Smith. Le chiamate di Kastor, piuttosto frequenti, erano evidenziate in giallo. Una singola striscia verde invece, segnava il numero di Castle. Lo scrittore guardò il foglio ad occhi sgranati, incredulo.
“Non è poss…” aveva iniziato Rick, ma si bloccò appena vide la data. Avvicinò il foglio alla faccia, come se non ci vedesse bene, andando quasi a sfiorare la carta con il naso. La chiamata era di quasi tredici giorni prima. Il giorno in cui avevano iniziato a indagare sulla morte del ladro del computer di Montgomery. Aveva ricevuto in tutto tre chiamate quel giorno, lo ricordava bene. Una era di Kate, per il caso. Una di Alexis, che gli chiedeva quando sarebbe tornato per cena. E una era dell’uomo misterioso, che ancora una volta gli chiedeva di tenere la detective fuori dall’omicidio. Deglutì e iniziò a sudare freddo. Ripensò di nuovo alle parole di Kastor. ‘Non c’è più alcun patto’… E se fosse questo il motivo? Se Smith era davvero la voce al telefono, allora forse erano i documenti in suo possesso sul drago che Maddox cercava! Se li avesse trovati davvero, allora Kate…
“Castle!” La voce di Beckett lo riportò alla realtà. Sbatte le palpebre, come se si fosse appena svegliato da un sogno, e scosse la testa. Poi alzò gli occhi su Beckett che lo osservava immobile e preoccupata.
“C’è un modo di sentire la voce di Smith? Segreteria, una conferenza, qualsiasi cosa” disse velocemente lo scrittore rivolto ai due detective.
“Aspetta forse ho qualcosa… Anche se non capisco a cosa ti possa servire” rispose Ryan, troppo confuso e preoccupato dalla reazione dell’amico per essere arrabbiato con lui. Si mise al computer ed digitò alcune parole. “Ok, vieni ad ascoltare” chiamò dopo meno di un minuto il detective. Castle, Beckett, Esposito e il capitano si avvicinarono alla scrivania dell’uomo. Lo schermo del computer visualizzava la pagina di un convegno di cardiologia tenuto un mese prima a Los Angeles. “Questa è l’ultima conferenza a cui ha partecipato. Mi sono ricordato che la moglie ne aveva accennato quando le avevamo chiesto se recentemente aveva viaggiato per lavoro” spiegò Ryan. Quindi fece partire il filmato. Videro il relatore, un ometto piccolo e con grossi occhiali, invitare sul palchetto apposito Jonathan Smith, la loro vittima.
Stimati colleghi, è un onore essere qui oggi per parlare di…” Rick si allontanò bruscamente dal computer. Aveva già sentito abbastanza. Iniziò a respirare velocemente, la bocca semiaperta, incredulo. È lui! L’uomo del telefono è Smith!
“Castle che…?”
“La voce del telefono Kate! È lui! È Smith!” esclamò Rick guardandola negli occhi. Beckett rimase immobile.
“La voce del telefono?” domandò la Gates sospettosa. “Che significa detective?” Ma la donna era incapace di rispondere. Era persa negli occhi blu di Rick, addolorati e spaventati. Sapevano entrambi cosa avrebbe voluto dire la morte della voce al telefono. Che Kastor aveva ragione. Lei non era più al sicuro. E forse neanche la famiglia di Montgomery. Finalmente riuscì a riscuotersi. Guardò il capitano e la sua squadra. Poi ancora Rick. Prese un respiro profondo. E prese una decisione che sapeva avrebbe cambiato molte cose. Ma il capitano le aveva tacitamente dato fiducia non spedendo la sua richiesta di dimissioni e rimettendola sul campo dopo appena una settimana dal suo rientro. Sperava di ricambiare in questo modo. Avendo fiducia in lei. Spero solo di aver fatto la scelta giusta… pensò Kate.
“Signore” disse rivolgendosi gravemente al capitano. “Sarà meglio andare nel suo ufficio. C’è una cosa di cui devo parlarle”
 
Kate parlò per tre quarti d’ora. Quarantacinque minuti in cui raccontò al capitano qualcosa che fino a quel momento era stato riservato solo a lei, Castle, Ryan ed Esposito. Le rivelò di Montgomery. Partì dai rapimenti e dalla morte di Bob Armen, l’agente FBI infiltrato nella mafia, ucciso per sbaglio venti anni prima. Di come fu arrestato un innocente. Passò da sua madre e dalle altre vittime a lei collegate, assassinate tutte tredici anni prima per aver cominciato a indagare su quel vecchio caso. Arrivò alla morte di Montgomery, un anno prima e raccontò di come si svolsero realmente i fatti quella notte. Poi fu il turno di Rick, che continuò parlando dell’uomo misterioso al telefono che lo aveva contattato dicendogli di aver fatto un patto con il drago. Un uomo a cui ora sapevano dare un nome. Smith. Quando concluse, i due detective e il capitano capirono finalmente le parole di Kastor.
“Capitano glielo chiedo come favore personale. Questa storia non deve uscire da qui” supplicò Beckett nervosa. Non voleva gettare fango sulla memoria del suo vecchio capitano. Era quella la sua unica preoccupazione. La Gates la guardò risoluta, anche se ancora un po’ frastornata per quello che aveva appreso.
“Non si preoccupi detective. Le assicuro che le gesta, o gli errori, di Montgomery non usciranno da questa stanza” replicò la donna. “Anch’io conoscevo il capitano. E l’ho sempre ammirato e apprezzato per il suo lavoro, nonostante pensassi fosse un po’ troppo permissivo. Ma dopo un anno passato qui, so che lo faceva perché conosceva i suoi uomini. Si fidava di loro e loro si fidavano di lui. Sono ancora convinta che forse lasciasse un po’ troppa carta bianca, ma era consapevole delle sue azioni e sapeva prendersi le sue responsabilità. Ora capisco di più lui e di più anche lei detective. Queste… notizie che mi ha dato potrebbero essere distruttive per la sua memoria. E non ho alcuna intenzione di dire o fare qualcosa che avrebbe la capacità ledere il suo ricordo.” Quando concluse, Beckett non poté non provare un nuovo rispetto per il capitano Iron Gates. Ed era sicura che anche i tre uomini presenti sentissero la stessa cosa.
“Bene signore. Grazie” disse alla fine la detective sinceramente riconoscente. Non percepiva quel senso di tradimento che pensava avrebbe provato raccontando tutto alla Gates. Anzi sentiva di aver fatto la cosa giusta, poiché ora avevano un alleato in più. Montgomery sarebbe stato contento del fatto che finalmente avesse cominciato a dare fiducia al nuovo capitano.
Rick aveva osservato a lungo la sua musa, senza che lei se ne accorgesse, mentre parlava. Era fiero di lei. Forse non se ne era accorta, ma quello era stato un grande passo non solo per il caso, ma anche per lei. Ora era sicuro che stava realmente facendo pace con il caso di sua madre. Si stava facendo aiutare. Non era più un fatto personale. Non era più IL caso. Era un caso. Che andava risolto certo, ora più che mai, ma non con lo stesso tormento di prima. Non era più vendetta. Era giustizia.
“Ora che sa tutto capitano, sta a lei” disse Beckett alla fine ansiosa. Si stava tormentando le mani e si mordicchiava il labbro inferiore. La Gates la guardò confusa. Ryan ed Esposito si scambiarono uno sguardo perplesso girandosi poi verso Castle, ma neanche lui sapeva cosa intendesse la donna.
“Di che parla detective?” domandò secca il capitano. Kate deglutì e continuò.
“Ora conosce i fatti. Vorrei andare avanti nelle indagini, parlare con Max Kastor, scoprire chi sia il mandante di ben più di un omicidio nel corso di quasi vent’anni, compreso quello di mia madre. Vorrei avere la possibilità di prendere il drago e sbatterlo in cella fino alla fine dei suoi giorni…” Fece un sospiro prima di continuare. “Ma non voglio più rischiare la vita dei miei uomini o la mia. Quindi, se lei dovesse ritenere che io sia troppo coinvolta, allora mi farò da parte.” L’ultimo commento, detto con decisione, lasciò stupefatti i presenti. Ryan ed Esposito avevano la bocca spalancata che rasentava il pavimento. Mai si sarebbero aspettati un’affermazione del genere da Beckett su quel caso. Perfino la dura e impeccabile Gates aveva alzato le sopracciglia e si era irrigidita, stupita da quelle parole. Rick guardava anche lui la donna a bocca aperta e con occhi sgranati, ma un sentimento di orgoglio gli stava gonfiando il petto. Dopo qualche secondo da quelle parole, Kate si girò verso lo scrittore, incatenò lo sguardo ai suoi occhi blu e gli fece un mezzo sorriso. L’uomo lesse due semplici parole nei suoi occhi. Per te… Rick avrebbe voluto coprire i pochi passi che lo separavano da lei in un attimo. Avrebbe voluto abbracciarla, dirle che l’amava e baciarla come gli sembrava fino ad ora di non aver mai fatto. Ma rimase al suo posto, consapevole che se solo l’avesse sfiorata al distretto, davanti al capitano e ai due detective, gli avrebbe sparato. Non vedeva l’ora di essere a casa per averla solo per sé.
Davanti agli occhi di lei, lo scrittore non riuscì ad aprire bocca. Ma il suo sguardo leggermente lucido diceva abbastanza per Kate. Come sempre, lui aveva capito senza bisogno di parole. La donna tornò quindi a guardare il capitano, ansiosa. La Gates sbatté le palpebre e scosse appena la testa per riprendersi.
“Detective Beckett, mi ascolti bene. Lei ora andrà in quella stanza e tirerà fuori dal signor Kastor tutto quello che c’è da sapere su Smith, Montgomery e sul drago. Se vuole avere un po’ di riposo, dovrà aspettare la fine di questo caso. Sono stata chiara?” Un sorriso magnifico e riconoscente si aprì sul volto della detective. Annuì vigorosamente.
“Trasparente signore” rispose la donna. Stava per girarsi e uscire dall’ufficio del capitano per andare a fare quello che le era stato ordinato, quando una voce la fece voltare nuovamente.
“Ehm… a proposito di questo…” disse piano Ryan che ancora faticava a riprendersi dal cambiamento della donna. Esposito era ancora a bocca aperta accanto a lui. “Abbiamo controllato anche Max Kastor. Crediamo che sia un’identità falsa. Prima di qualche mese fa, quest’uomo non esisteva.” Finalmente si riprese anche Esposito, scuotendo la testa, e continuò per il partner.
“Già. Documenti, patente, carte di credito… Tutto è apparso improvvisamente senza che nessuna motorizzazione o ufficio avessero realmente mai rilasciato i certificati.” Il capitano si girò di nuovo verso Beckett.
“E scopra anche chi diavolo è realmente quest’uomo” ordinò. La detective annuì e uscì dall’ufficio, seguita dai tre uomini e dalla Gates. “Signor Castle, lei affianchi la detective. Ha bisogno di un partner al momento e inoltre lei ha già parlato con Kastor. Tirategli fuori tutto” disse poi il capitano rivolta a Castle. Lui rimase per un momento stupito. Stava giusto per chiedere se poteva entrare insieme a Beckett anche se non faceva più parte del distretto, ma lei lo aveva anticipato. Annuì riconoscente. Ryan, Esposito e la Gates si infilarono quindi nella stanzetta adiacente alla sala interrogatori. Beckett invece si fermò un momento davanti alla porta, seguita appena dietro da Castle. Kate fece un sospiro e si voltò a guardarlo. Lui le sorrise in risposta e le prese per un momento una mano, fregandosene di chi poteva vederli.
“Distruggilo detective e sbrigati” sussurrò l’uomo serio e divertito insieme, pericolosamente vicino al viso della donna, stringendo la presa sulla mano di lei. “Prima lo interroghi, prima torniamo a casa, prima posso farti capire quello che ho provato in quell’ufficio quando hai detto che ti saresti fatta da parte. E soprattutto prima finisci, prima posso dimostrarti cosa avrei voluto fare quando mi hai parlato con lo sguardo…” Kate era immobilizzata dai suoi occhi blu, maliziosi e insieme luminosi di passione e amore. La donna dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non iniziare a baciarlo seduta stante, fregandosene del caso, del drago e del resto del mondo. Ma non poteva. Non ora. Ci sarebbe stato tempo più tardi. Come aveva detto lo scrittore, prima facevano parlare Kastor, o chiunque fosse, e prima sarebbero tornati a casa. Gli sorrise e annuì, stringendo anche lei appena la mano dell’uomo. Poi lo lasciò.
“Andiamo, c’è un caso da chiudere” disse decisa Beckett, prima di poggiare la mano sulla maniglia della sala interrogatori e girarla.

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Xiao!! :D
Lo so, lo so voi speravate che la facessi entrare subito da Kastor (o come si chiama in realtà) e invece vi faccio tribolare ancora un poco! XD
Kate finalmente sta facendo davvero pace con il caso di sua madre... Ha mantenuto la promessa data a Rick e si sta facendo aiutare! E ora anche la Gates sa tutto!
Rick ha capito che la misteriosa voce al telefono era di Smith e ora crede davvero alle parole di Kastor! Inoltre lui e Smith si conoscevano ed entrambi conoscevano Montgomery... saranno in grado i nostri eroi di far dire tutto a Kastor? X)
Piccolo appunto: non so se riuscirò a pubblicare presto il prox capitolo... alla peggio mi rivedrete a inizio prossima settimana pultroppo, ma spero di farne almeno uno prima... tutto dipende dal mio tempo libero a disposizione (notevolmente ridotto...-.-)! Almeno vi lascio con un cap un po' più lungo del solito...
Detto questo, lasciatemi anche solo un commentino!! (*tenta di fare gli occhi da cucciolo sperando di attirare più recensioni*)
Al prossimo capitolo (se ancora mi sopporterete)!! :D
Lanie

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Capitolo 8
*** Il piano C ***


Cap.8 Il piano C

“Signor Kastor, sono il detective Beckett” disse decisa la donna entrando nella sala interrogatori. “Mi hanno detto che vuole parlare con me” continuò andandosi a sedere di fronte all’uomo e lanciando contemporaneamente uno sguardo a Castle che era entrato appena dietro di lei e stava chiudendo la porta.
“È così infatti” replicò l’uomo tranquillo e con un piccolo sorriso, mentre lo scrittore prendeva posto vicino alla detective. Kastor era rilassato, comodamente seduto a gambe incrociate e mani giunte sulla pancia. Sembrava che non si fosse mai mosso da quando Castle era uscito da quella stanza qualche ora prima. “Per prima cosa però, anche se le sembrerò indiscreto, volevo chiederle come sta.” Kate si prese qualche secondo per rispondere, approfittandone per studiare l’uomo. Quando Kastor aveva sparato a Cole Maddox, l’unica cosa che era riuscita a notare erano gli occhi. Per un momento aveva quasi pensato fosse Rick, ma la ragione l’aveva subito avvertita che lo scrittore stava arrivando esattamente dalla parte opposta a dove era l’uomo. Aveva visto la foto che Esposito aveva appeso alla lavagna, ma nulla equivaleva al confronto faccia a faccia. I suoi occhi… Si soffermò qualche attimo su quelli. Gli occhi di Kastor erano di un blu quasi identico a quello dello scrittore, seppure poco più scuro. Come già aveva notato in precedenza Castle, anche Beckett constatò che l’uomo aveva l’aria del grande affascinatore. Inoltre era lì dalla sera precedente eppure non sembrava per niente stanco. Non aveva occhiaie ed era in perfetto ordine. Non si era neppure tolto la giacca. La donna si morse il labbro inferiore.
“Se posso rispondere bene, direi che è merito suo. Devo ringraziarla” rispose alla fine Beckett riconoscente. “Mi ha salvato la vita.” In quel momento, Kate si sentì a sua volta studiata dall’uomo. Sembrava un bambino particolarmente curioso di vedere come funzionava un giocattolo. Lo vide quindi soffermarsi, con la testa leggermente piegata di lato, sui due tagli visibili che aveva sulla faccia, una alla guancia e uno alla tempia, e sul livido all’occhio. Aggrottò per un momento le sopracciglia.
“Non c’è di che detective. Anche se forse sarebbe stato meglio arrivare con qualche secondo di anticipo. Inizio ad avere una certa età, ma detesto che siano colpa della mia lentezza quegli sfregi che ora deturpano la sua straordinaria bellezza” ribatté l’uomo con aria sinceramente mortificata. La detective sentì Castle accanto a sé fare un mezzo sbuffo ironico. Kastor si girò a guardarlo con un sopracciglio alzato.
“Avrà anche una certa età signor Kastor, se questo è davvero il suo nome…” intervenne lo scrittore sarcastico. A quell’affermazione, l’uomo fece un sorrisetto che non passò inosservato alla detective. “…ma ha ancora una mira niente male. Ha colpito Maddox in pieno petto, da diversi metri di distanza e con scarsa luce. Non è propriamente una cosa da niente.” Kastor si prese un paio di secondi prima di rispondere. Appoggiò i gomiti ai braccioli della sedia e unì le mani davanti al viso. Il sorrisetto non gli era scomparso dal volto.
“Che posso dire, signor Castle, sono un fan dei tiro a segno dei Luna Park” replicò poi allargando per un momento le mani come a dire ‘mi ha scoperto’. Rick sbuffò di nuovo, scocciato per la palese presa in giro.
“Signor Kastor” lo chiamò Beckett per riprendere l’attenzione su di sé. Kastor tornò a guardarla con un sorriso affabile sulle labbra, diverso da quello divertito che aveva mantenuto fino a un secondo prima con lo scrittore. “Doveva parlare con me. Cosa voleva dirmi?” A quel punto l’uomo si fece serio, prese un respiro profondo e annuì piano.
“Giusto. Mi perdoni detective, ma starei volentieri a chiacchierare per ore e a volte perdo la cognizione del tempo. Lei però ovviamente ha altro da fare, quindi vedrò di farla breve…” In quel momento si fermò e alzò gli occhi sullo specchio davanti a lui e dietro di loro. “Immagino ci siano i detective Esposito e Ryan, oltre forse al capitano Gates, dall’altra parte vista l’importanza del caso” disse facendo un cenno alla sua immagine riflessa. Non sembrava arrabbiato. Solo curioso. Beckett scambiò un breve sguardo con lo scrittore. Era sorpresa che sapesse chi li osservava e insieme preoccupata che avesse cambiato idea riguardo al parlare. Ricordava che Kastor avesse chiesto di parlare con lei, ma di solito quando la gente entrava in quella stanza tendeva a dimenticare che poteva essere vista da fuori. Ma non Kastor. È uno abituato ad avere tutto sotto controllo… pensò Kate, appuntandosi quel particolare. Quindi si morse il labbro inferiore.
“Se anche fosse, è un problema per lei?” domandò infine nervosa. Il sorriso tornò sul volto di Kastor.
“Mia cara detective, se non è un problema per lei, allora non è un problema neppure per me! Ma devo avvertirla. I suoi colleghi conoscono la…  diciamo la sua storia recente?” Kate aggrottò le sopracciglia, perplessa, cercando di capire cosa intendesse.
“La mia storia recente?” domandò la donna. Kastor si passò una mano sul mento, cercando le parole migliori per farsi capire.
“Diciamo che a quanto ne so, detective Beckett, lei non ha mai detto a nessuno, se non a poche persone, quello che successe realmente quella notte…” aggiunse cautamente dopo qualche secondo. Kate non riuscì a dare un senso alla frase finché Rick accanto a lei non scattò in piedi all’improvviso.
“Come fa a sapere di quella notte?? Come fa a sapere che Montgomery è morto per salvarla??” domandò ostile e con tono rabbioso, le mani ben poggiate sul tavolo, il busto inclinato in avanti, la mascella serrata, lo sguardo determinato inchiodato negli occhi dell’uomo davanti a loro. “Come fa a sapere di quella notte??” ripeté ancora a voce più alta e sporgendosi ancora di più verso di lui, quasi volesse assalirlo. Kastor lo guardava impassibile. Kate era immobile, la bocca semiaperta, troppo sconcertata per reagire.
“Lo so, come so anche che non ha mai raccontato a nessuno la storia di Montgomery se non a lei e ai suoi due colleghi” rispose atono, ma con un leggero accento di sfida. “Lo so, come so che fino a pochi giorni fa c’erano solo due persone che sapevano dell’uomo che la chiamava al telefono. Lo so, come so che la detective aveva chiesto di dimettersi, anche se la sua domanda di licenziamento non è mai stata mandata. So questo e molto altro.” Lo sguardo dello scrittore ora era stupefatto quanto quello della detective. Gli occhi di Kastor tornarono su Kate.
“Lei come…” iniziò la donna quando riuscì a riprendersi appena, ma non riuscì a continuare. Si sentiva spiata, violata. Come diavolo fa a sapere queste cose? Gli occhi di Kastor si addolcirono.
“Non sei mai sola Kate. Non lo sei mai stata” replicò l’uomo piano, intuendo la sua silenziosa domanda. Kate aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. Rick era ancora in piedi di fianco a lei, teso.
“Ma lei chi diavolo è?” chiese dopo qualche secondo di silenzio Castle. Kastor gli sorrise complice.
“Sono il piano C” rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo. Beckett e Castle si scambiarono uno sguardo confuso. Lo scrittore era ancora in piedi e sembrava indeciso su cosa fare. Si era calmato, ma sarebbe bastato poco per farlo scoppiare di nuovo in quel momento. La detective invece decise di dar corda all’uomo.
“Sanno tutto” disse dopo qualche secondo. Non ebbe bisogno di dire che si riferiva a Ryan, Esposito e alla Gates prima nominati. Kastor infatti la guardò stupito per un momento, ma poi le sorrise e le fece un breve inchino con la testa.
“Mi congratulo con lei allora detective. Montgomery sarebbe stato fiero di lei” ribatté con tono sincero e ammirato. “Ah, e complimenti anche per voi due!” esclamò quindi con tono allegro facendole l’occhiolino, come se nulla fosse successo. Castle continuava a guardare alternativamente la sua musa e l’uomo davanti a loro, combattuto. Chi diavolo era quell’uomo davvero? Come sapeva queste cose su di loro?
“Pensa di dirmi come fa a sapere queste cose sul mio conto e su quello dei miei amici signor Kastor?” chiese Beckett per entrambi, vedendo negli occhi di Rick la stessa domanda che aveva in testa lei. Era ancora stupita e ora anche scocciata per quella invasione della sua vita. Voleva delle risposte. Ma se voleva far parlare Kastor, se voleva avere una minima possibilità di fare un passo avanti nel caso di sua madre, allora doveva rimanere calma e farlo parlare. Kastor fece un sorrisetto ironico.
“Forse” rispose. “Nel frattempo, visto che sembra non ci siano più i problemi che credevo, che ne dice se parliamo un po’ del perché sono qui?”
“Perché è qui??” domandò Castle stupito, ancora in piedi. “Ha sparato a un uomo, per quanto assassino!” Kastor ridacchiò.
“Richard se avessi voluto, tu nemmeno mi avresti visto ieri sera” rispose con tono divertito. Rick lo guardò stranito, la bocca aperta, le sopracciglia aggrottate. Poi Kastor tornò un po’ più serio e si rivolse di nuovo a Kate. I suoi occhi blu si fissarono in quelli di lei. “Detective se sono ancora qui è solo perché ho delle cose da dirle. Altri prima di me l’hanno tenuta all’oscuro credendo di mantenerla al sicuro. Ora sono rimasto solo io. E non posso più permettermi di lasciarla al buio.” La donna rimase a guardarlo per qualche secondo, ancora confusa, studiandolo. Poi annuì. Quando vide quel gesto, Rick fece un respiro per calmarsi e si risedette, le mani strette a pugno sulle gambe. Aveva ancora il viso contratto e gli occhi fissi su Kastor. Non si fidava ancora completamente di lui, soprattutto ora che aveva saputo che li spiava da chissà quanto tempo. Era così concentrato sull’uomo che quasi non si accorse del tocco leggero sulla sua mano serrata. Abbassò lo sguardo e vide una mano della donna sulla sua. Si voltò verso di lei. Kate lo guardava con aria di supplica. Calmati Rick. Sentiamo cosa ha da dire… sembrava dichiarare il suo sguardo. Non resistette. Fece un altro respiro profondo e si calmò del tutto. Strinse appena la mano della donna prima di lasciarla andare. Quando si girarono verso Kastor, l’uomo li stava guardando con un leggero sorriso. Kate si sentì in imbarazzo e arrossì appena.
“Quindi cosa vuole dirmi? L’ascolto” ripeté cercando di coprire l’imbarazzo. Kastor annuì. Poi cominciò.
“Beh, immagino che il signor Castle qui presente le abbia già comunicato qualcosa della nostra ultima conversazione, ma spero non me ne voglia se ne ripeterò una parte…” rispose sporgendosi in avanti sul tavolo verso i due. “Lei non è più al sicuro detective.” Il tono serio e lo sguardo profondo dell’uomo le fecero passare un brivido lungo la schiena.
“Sì, mi è stato comunicato…” replicò dopo qualche secondo con tono di voce incerto, scambiando uno sguardo con Rick. Negli occhi dello scrittore poteva leggere chiaramente la preoccupazione nel sentire di nuovo quella frase. “Quello che non capisco è: lei come fa a saperlo? Deve raccontarmi tutta la storia” chiese un’altra volta, sperando che gli rispondesse, magari in un momento di distrazione. Ma Kastor fece un mezzo sorriso.
“Detective io le racconterò parte della storia. Ma sarà più che sufficiente, non si preoccupi” ribatté l’uomo. Beckett si morse il labbro inferiore, indecisa se concedergli o meno per il momento di darle solo un pezzo del puzzle. Alla fine annuì e fece un gesto con la mano che gli indicava di proseguire. Lo avrebbe spremuto in seguito. Per il momento era meglio lasciarlo parlare e vedere che aveva da dire. Kastor annuì a sua volta e si risistemò comodo sulla sedia, schiena alla spalliera, gambe incrociate e mani sullo stomaco. “Come ho già detto in precedenza al signor Castle, io sono, anzi purtroppo dovrei dire ero, un amico di Montgomery” aprì il discorso l’uomo con un velo di tristezza. “Ora non è importante come l’abbia conosciuto. I fatti che ci riguardano al momento risalgono a circa un anno fa. Subito dopo il funerale di Roy, io e Jonathan abbiamo ricevuto un pacco molto particolare. Nel caso non lo sappiate ancora, conosco Jonathan Smith. Quando sono entrato ho purtroppo notato che non è più fra noi e che non se ne è andato nel migliore dei modi…” dichiarò con tono sconsolato, facendo un piccolo cenno alla porta. Beckett comprese che doveva aver visto le foto delle torture di Smith appese alla lavagna bianca.
“Conosceva bene il signor Smith?” domandò la detective approfittando di un momento di silenzio dell’uomo. “Sappiamo che vi sentivate spesso.” Kastor annuì.
“Più precisamente ogni due giorni. Ma anche questo riguarda la nostra storia, se ha un po’ di pazienza nell’ascoltare il racconto di un vecchio” rispose con un mezzo sorriso. Poi tornò serio. “E sì, conoscevo bene Jonathan Smith. Era un grande uomo oltre che un ottimo medico” continuò. Si perse per qualche secondo nei suoi pensieri, lo sguardo fisso nel vuoto. Poi scosse appena la testa. “Questo però non riguarda direttamente la nostra storia. Torniamo a noi. Io e Jonathan quindi ricevemmo due pacchi uguali, giusto il giorno del funerale di Roy. Jonathan lo aprì subito. Io ero fuori città, quando mi fu recapitato, quindi seppi del plico con qualche giorno di ritardo. All’interno c’erano dei documenti. Molti e importanti documenti che se divulgati avrebbero scatenato un putiferio.” Nonostante l’arrabbiatura precedente, ora Beckett e Castle pendevano letteralmente dalle labbra dell’uomo. La voce dell’uomo, calda e profonda, metteva sicurezza e al contempo soggezione. Sembrava un nonno che spiega ai suoi nipoti la storia dell’uomo nero. Affascinava e faceva paura nello stesso tempo. “Insieme a questo pacco c’era anche un piccolo appunto di Roy. Ci metteva in guardia dal fatto che solo noi eravamo in possesso di quei documenti e ci spiegava che dovevamo nasconderli, tenerli al sicuro. E ci chiedeva anche di fare di tutto per proteggere lei detective. Lei e la sua stessa famiglia per quanto ormai fosse fuori pericolo. La signora Montgomery e i suoi figli non sapevano niente e non avrebbe portato alcun giovamento far loro del male. Era lei il problema detective, poiché Roy sapeva che non si sarebbe fermata facilmente.” Lo sguardo di Kate scivolò per un momento sullo scrittore. Nonostante all’inizio fosse scettico, ora Rick era piegato in avanti sul tavolo verso Kastor, attento alle sue parole. La donna sorrise leggermente. Roy aveva ragione… Sapeva che non mi sarei arresa se fosse spuntato fuori anche solo un piccolo indizio sull’omicidio di mia madre. Eppure non poteva sapere che la stessa causa, la stessa persona, che mi ha dato la forza per andare avanti è la stessa che mi ha definitivamente frenato per la prima volta e che mi ha fatto tornare a vivere… O forse sì? Rick dovette accorgersi dello sguardo della donna su di sé perché si girò a guardarla. Le sorrise appena. Tutto bene? chiedevano i suoi occhi. La detective annuì e tornò a concentrarsi su Kastor. L’uomo la stava fissando. I suoi profondi occhi blu sembravano volerle leggere dentro. Poi Kastor distolse lo sguardo e continuò a parlare. “Senza che io sapessi nulla, perché come vi ho già detto ancora non avevo visto il pacco, Jonathan chiamò il così detto ‘drago’ il giorno stesso del funerale di Roy. Fu una fortuna che Maddox avesse sbagliato mira, seppure di poco. Appena riuscii a contattare il mio amico, mi spiegò ciò che aveva fatto. Io non ero molto d’accordo, ma al momento non potevo fare più nulla e mi fidai di lui. Ci accordammo per sentirci una volta ogni due giorni, in modo da essere sempre sicuri che l’altro stesse bene. Per questo le chiamate frequenti. Inoltre mi disse che avrebbe appurato lui per il momento la sua salute detective.”
“Quindi, quando l’ho incontrato in ospedale, Smith controllava già Kate” constatò Rick senza riuscire a trattenersi. L’uomo gli sorrise.
“Sì. Lui lavorava già in quel luogo. Venne sempre a dare un’occhiata a lei, detective, mentre era ancora incosciente. Smise di passare quando finalmente si riprese. Sarebbe stato poco saggio farsi vedere, ma d’altronde il suo ex-ragazzo era un medico, il patto era già stato stipulato e per almeno i tre mesi di convalescenza sarebbe rimasta lontano dal distretto. Per il momento era al sicuro” disse con un sospiro. Poi un pensiero gli attraversò la mente e ridacchiò. “Comunque Jonathan mi ha detto del breve incontro con lei signor Castle” aggiunse Kastor con tono più leggero e divertito rivolto allo scrittore. “Credo l’abbia vista rimettersi a posto i capelli poco prima di entrare nella stanza della detective con un bel mazzo di fiori. Mi disse che sembrava un ragazzino al primo appuntamento.” Rick tossicchiò imbarazzato, mentre Kate sorrise leggermente. L’uomo riassunse il tono serio dopo quella parentesi giocosa. “Tutto andò bene in quei tre mesi. Poi le cose si complicarono ancora una volta” disse portandosi nuovamente in avanti, appoggiando le mani giunte sul tavolo e alzando gli occhi sulla donna.
“Quando tentai di indagare sul cecchino” commentò Beckett con un sospiro. Kastor annuì gravemente. “Ci vedemmo costretti a correre ai ripari. Jonathan non sapeva come far rispettare il patto. Così gli proposi di chiamare lei, signor Castle” affermò con un gesto della mano per indicare lo scrittore. Rick sgranò gli occhi.
“Gli ha detto lei di chiamarmi?” mormorò a mezza voce, stupito. Kastor annuì e per un momento Kate fu sicura di aver visto un lampo di tenerezza nello sguardo dell’uomo.
“Sapevo che l’unico in grado di trovare un modo per fermare la qui presente detective Beckett dall’indagare sul caso di sua madre eri proprio tu, Richard. E infatti, per nostra fortuna, così è stato.” Rick si voltò verso la donna.
“Era in pericolo” replicò lo scrittore rivolto a Kastor, ma con gli occhi blu legati a quelli della sua musa. “Avrei fatto e farei ancora qualunque cosa per lei. Sempre.” Il viso di Kate si aprì in un sorriso e arrossì appena. Si morse il labbro inferiore, trattenendosi ancora una volta dall’alzarsi e baciarlo, dimenticando il resto del mondo. Quando tornarono a concentrarsi su Kastor, l’uomo aveva un sorriso sincero in volto, anche se gli occhi leggermente tristi.
“Non sapete quanto siete stati fortunati…” mormorò Kastor piano, più a sé stesso che ai due, abbassando gli occhi sul tavolo. Scosse però subito la testa e tornò al racconto, senza lasciare il tempo ai due di chiedere spiegazioni. “Allora, dove eravamo? Ah sì, lei che smette di indagare, detective, grazie all’intervento del signor Castle. Beh, per qualche tempo quindi il patto fu preservato. Questo fino al caso del sindaco Weldon.”
“Ma non c’entrava nulla il sindaco alla fine” replicò Beckett confusa. “Né con l’assassinio né con i soldi scomparsi.” Castle invece non aprì bocca. Rimase immobile. E fu proprio lo scrittore che l’uomo si girò a guardare.
“No, non c’entrava nulla, è vero” rispose continuando a fissare Rick, impassibile. “Però senza volerlo siete andati molto vicini a scoprire altro… Per fortuna Jonathan ebbe la lungimirante idea di proporre al signor Castle, durante un breve incontro, di indagare intorno al sindaco e non sul sindaco. Era vittima di una cospirazione, se vogliamo. Lui infatti era pulito.”
“Troppo pulito” commentò Castle amaramente, ricordando le parole che il sindaco stesso, suo amico, gli aveva detto quando quel caso era stato chiuso. Kastor annuì comprensivo.
“Hai incontrato Smith??” domandò Beckett incredula e con un lieve accenno di rabbia repressa. “Come hai fatto a non riconoscerlo prima??” Castle spostò lo sguardo su di lei e deglutì di fronte ai suoi occhi che iniziavano a lanciare fiamme.
“Ti… ti ricordi quando ti ho descritto l’uomo che mi contattava? Ti avevo detto che era una voce al telefono, un’ombra in un parcheggio. Era quello il caso. Ci incontrammo, ma lui rimase sempre nel buio e non abbiamo scambiato che poche parole. Se non l’avessi visto in ospedale, non l’avrei mai riconosciuto” spiegò velocemente lo scrittore. Kate fece un mezzo sbuffo, ma si calmò. Rick emise un lieve sospiro di sollievo. Kastor li guardava divertito.
“Siete davvero adorabili” commentò ridacchiando. “È un piacere rimanere ad ascoltarvi.” Kate sbuffò di nuovo. “Va bene, va bene, direi che è il caso di andare avanti…” aggiunse dopo qualche secondo l’uomo vedendo lo sguardo truce della detective. Raccolse per un secondo le idee e continuò. “Dopo il sindaco ci fu un altro lungo periodo di calma. Interrottosi circa quattordici giorni fa.” Kastor si rabbuiò appena nel ricordare. “Jonathan mi chiamò agitato, dicendomi che il drago aveva fatto un’altra mossa.”
“Stava tentando di far sparire qualunque riferimento che avrebbe potuto portare a lui attraverso Montgomery” affermò Beckett al suo posto. Kastor annuì gravemente.
“Non credo che rubare il computer fosse stata una mossa così saggia, ma evidentemente il drago stava iniziando a scocciarsi del patto. Jonathan non ne era convinto. Pensava di avere ancora abbastanza carte in mano da poter tenere le redini del gioco…” si fermò e fece un sospiro, voltando lo sguardo verso la porta chiusa. Beckett sapeva che stava pensando alle foto di Smith sulla lavagna. “Non sai quanto ti sbagliavi amico mio…” mormorò dolorosamente, negli occhi uno sguardo spento che fino a quel momento non avevano visto. Fu in quell’attimo che Kate vide l’uomo che si nascondeva sotto la maschera di spavalderia e fascino. Un uomo con le rughe in viso e settant’anni sulle spalle. Un uomo apparentemente solo in quanto a familiari e che nel giro di un anno aveva perso due cari amici. Un uomo che stava portando un fardello che prima portava insieme ad altri. Un fardello diventato forse troppo pesante per lui ora, per un solo uomo. Castle e Beckett rimasero per qualche secondo stupiti da quel cambiamento. Fino a quel momento Kastor aveva sprizzato vita, anche nei momenti più seri. Ora sembrava solamente un uomo che voleva lasciarsi andare. Non dissero nulla, aspettando pazientemente che facesse lui la prima mossa. Passò una decina di secondi prima che Kastor scuotesse la testa. Quando si girò verso di loro aveva gli occhi lucidi, ma stava tornado l’uomo con cui avevano parlato fino a quel momento. Sorrise appena, un po’ imbarazzato forse. “Scusatemi…” mormorò facendo un respiro profondo. Il sorriso tornò più largo sul suo volto, ma l’umido nei suoi occhi non era scomparso del tutto. “Scusate un povero vecchio. A volte l’età gioca brutti scherzi e rischi di emozionarti con niente” sostenne con quello che voleva essere uno sbuffo divertito.
“Non deve scusarsi” rispose Rick d’istinto. L’uomo si girò a guardarlo e le due paia di occhi blu si incontrarono per la prima volta senza scintille. “Non conosco la sua storia” continuò lo scrittore. “Ma ha appena perso un suo amico a poca distanza da un altro. Probabilmente è solo, quindi non ha nessuno con cui sfogarsi quando ne ha bisogno. Forse perché il suo lavoro non glielo permette o perché non vuole. In ogni caso non è una debolezza piangere per la morte dei propri cari.” L’uomo fece un piccolo cenno di ringraziamento con la testa.
“Me ne ricorderò” rispose ironico, ma entrambi sentirono il tono riconoscente mal nascosto che uscì con quelle parole. “Comunque dicevo… Jonathan mi chiamò e cercammo di trovare una soluzione. L’unica che ci venne in mente fu contattarla ancora una volta, signor Castle. Purtroppo credo sia stata proprio quella chiamata a mettere Maddox sulle sue tracce. Forse aveva messo qualche dispositivo di controllo sul suo cellulare, signor Castle, o aveva intercettato la telefonata. Cercavamo sempre di limitare al minimo i minuti di chiamata per evitare spiacevoli inconvenienti come questo, ma lei doveva impedire di nuovo che la detective ricominciasse a indagare.” Sospirò. “Mi rincresce dirlo, ma questa volta il drago fu più furbo di noi. Sapeva che lei, detective, non si sarebbe arresa stavolta. Era troppo vicina all’uomo che aveva tentato di ucciderla per anche solo pensare di fermarsi. Di fatti neanche il signor Castle è riuscito a bloccarla…” Rick e Kate si lanciarono uno sguardo triste. Ricordavano entrambi la litigata che era seguita alla supplica dello scrittore di lasciare il caso. “Maddox le tese una trappola” continuò Kastor in tono grave. “Se non la uccise quel giorno sul tetto, è solo perché ancora non sapeva l’ubicazione dei documenti per il suo padrone.” Lanciò un altro sguardo alla porta. Stavolta era rabbioso. “Deve essere riuscito a far confessare il luogo a Jonathan alla fine. Altrimenti non sarebbe un vostro caso adesso. Sarebbe ancora tra le persone scomparse.” Fece un sospiro profondo per calmarsi e tornò a guardare Beckett. “Quindi torniamo all’inizio della nostra storia, detective. Io sono il piano C, come ci piaceva dire scherzando. Sono l’ultima risorsa che doveva essere utilizzata dopo Roy e Jonathan. Non sentendo il mio amico, dopo due giorni mi precipitai qui e scoprii che era scomparso. Lo cercai a lungo, ma non riuscii a trovarlo purtroppo. Qualche tempo dopo sentii che era stato ritrovato un cadavere sotto un ponte. La sua foto girava in tv, poiché non se ne conosceva l’identità. Ma io la conoscevo. Sapevo quello che ne sarebbe conseguito e quello che avrebbe pensato il drago. Distrutti i documenti di Jonathan, nessuno avrebbe più potuto minacciarlo, quindi non rimaneva che ucciderla, detective. Arrivai alla stessa conclusione, così inizia a seguirla…” La donna sussultò a quelle parole e lo guardò male. “Era per la tua sicurezza Kate” aggiunse subito più dolcemente. “E mi sembra che abbia funzionato. Quando ho visto Maddox che ti attaccava, purtroppo ero un po’ lontano e, come ho già detto all’inizio della nostra chiacchierata, non sono più così giovane. Per fortuna sono arrivato comunque in tempo” concluse Kastor con un sospiro tornando ad appoggiarsi allo schienale della sedia. Sembrava sfinito da quel colloquio.
“Ma lei ha una copia di quei documenti…” disse cauta Beckett dopo qualche secondo. L’uomo annuì. La donna si morse il labbro inferiore. “Può… può mostrarmeli?” Kastor sorrise appena.
“Al momento sono in un luogo sicuro. Non le dirò ancora dove, non è pronta per questo…” Kate lo guardò incredula, la bocca semiaperta, le sopracciglia aggrottate.
“Che significa ‘Non sono pronta’??” domandò scioccata. Kastor fece un sospiro e si riappoggiò al tavolo con i gomiti, giungendo le mani all’altezza del viso.
“Kate, io sono in possesso di documenti di cui nessuno a parte me, nemmeno il drago, conosceva l’esistenza fino all’inizio di questa conversazione. Li ho tenuti al sicuro per un anno, in nome di ben più di una stretta amicizia…” dichiarò misterioso. “Non ho intenzione di vanificare la morte di due miei cari amici e di molte altre persone lungo gli anni solo per poi vederti andare a morire tra le fiamme del drago” continuò duro. “Non è questo il motivo per cui sono qui. Probabilmente ora ci sarà qualche giorno di quiete, prima che il drago riesca ad assoldare un altro assassino professionista. In fondo è il terzo che ha perso a causa tua, diretta o indiretta…” Fece un sospiro e tornò a guardarla in modo meno duro di prima. “Detective Beckett io conosco l’identità del drago. Ma non voglio che lei vada dritto difilato nelle sue fauci appena ne svelerò l’identità. Deve promettere che aspetterà il momento migliore per attaccare. Ora ha qualche alleato in più e ha me, una paio di cose da non sottovalutare e che il nostro comune nemico non si aspetta. Quindi ora sta a lei, detective…” Si fece più vicino e senza accorgersene anche Castle e Beckett si accostarono di più all’uomo. Sembravano dei cospiratori. Quando Kastor parlò, la sua voce era bassa e i suoi profondi occhi blu erano incatenati a quelli della donna. “Io so chi è il drago Kate… ma tu sei pronta a scoprirlo?”

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Xiao!! :D
All'alba di mezzanotte e mezza sono riuscita a finire e pubblicare questo capitolo! X) 
Questa volta era interamente dedicato alla conversazione tra i tre... Sinceramente pensavo sarebbe venuta più corta! XD Secondo l'idea originale del capitolo c'era un pezzo in più che ho dovuto togliere e che sarà nel prox capitolo causa lunghezza del testo! X)
Non scrivo altro perché sto dormendo un po' in piedi... Spero solo di aver fatto una discreta revisione... boh...
Vabbé ditemi che ne pensate!!! :D:D:D
Aspetto vostre recensioni!! :D
Notte! ;)
Lanie
ps: per come ho finito il capitolo, cito a mia difesa una di voi che mi ha recensito tempo fa... "Non ti uccido solo perché voglio sapere come va a finire!" XD

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Capitolo 9
*** Chi sei davvero? ***


Cap.9 Chi sei davvero?

Io so chi è il drago Kate… ma tu sei pronta a scoprirlo?
Quelle parole continuavano a rimbombare nella testa della detective. Dopo quella frase, Kastor si era rimesso di nuovo a suo agio sulla sedia, in attesa. Beckett aveva aperto la bocca per rispondere, ma non ne era uscito suono. Come le era successo solo un’altra volta, si era ritrovata senza saper dare una risposta certa. Come quando Rick le aveva chiesto se lasciare il distretto era davvero quello che voleva. Anche stavolta avrebbe voluto dare una risposta affermativa sicura, ma, come con lo scrittore, non era riuscita a pronunciarla. Voleva chiudere il caso di sua madre e sbattere in cella per il resto dei suoi giorni il drago. Ma Kastor aveva ragione. Sarebbe stata in grado di aspettare se le avesse detto il nome? Ora non era più sola. Aveva Castle, aveva Esposito e Ryan. E ora anche la Gates e lo stesso Kastor. Per quanto ancora non avessero ben appurato chi fosse, sentiva che potevano fidarsi di lui. Non avrebbe più lottato da sola. Temeva  però per la vita di quelli che amava. Non avrebbe neanche più rischiato che morissero a causa della sua impazienza. Non lo avrebbe più permesso. Il drago aveva preso già abbastanza. Si morse il labbro inferiore.
“Posso… posso pensarci?”domandò incerta. Castle sgranò gli occhi e si girò a guardarla, stupito. Kastor invece le sorrise comprensivo.
“Io non ho fretta detective Beckett” rispose l’uomo. “Decida pure con calma. Ma non lasci passare troppo tempo. Abbiamo notato entrambi che ora il drago è diventato molto più impaziente di prima.” Kate annuì con un sospiro. Quindi si alzò e si diresse fuori dalla sala interrogatori senza dire più una parola, seguita dallo sguardo inquieto di Castle. Si diresse alla sua scrivania con passo lento. Girò la sua sedia in modo da avere di fronte a sé la lavagna con le foto e le scritte del caso. Si sedette, stese le gambe in avanti e portò le mani dietro la testa. I suoi occhi erano puntati sulla lavagna, ma non vedeva alcuna immagine, né scritta. I suoi pensieri erano altrove, sulle parole dell’uomo, sul caso di sua madre, sulla possibilità di prendere il drago, sulla paura di perdere i suoi amici e il suo scrittore…
Castle uscì dalla sala interrogatori, mentre Ryan, Esposito e la Gates vennero fuori dalla saletta accanto. Lo scrittore lanciò uno sguardo alla detective, immobile, pensierosa, alla sua scrivania, ma non si avvicinò. Anche questa volta, come già per la sua decisione sul distretto, la scelta era sua. Potevano parlarne, poteva consigliare, ma solo lei poteva sapere se era pronta o meno. Il solo fatto che non avesse risposto subito affermativamente, aveva dato allo scrittore una ulteriore prova che Kate stava facendo realmente pace con il caso di sua madre. La Kate di anche solo tre settimane prima non avrebbe esitato. Avrebbe fatto fuoco e fiamme più del drago per avere quel nome. Ora invece no. E Rick ne fu fiero. Sapeva che non avrebbe rischiato ancora. Sapeva che quel caso non l’avrebbe fatta affogare. Mai più. Aveva trovato il suo scoglio di salvezza. E vi sarebbe rimasta aggrappata fino alla fine.
I quattro rimasero fermi davanti alla sala interrogatori chiusa, immobili, mentre cercavano di assimilare le informazioni apprese. Castle aveva lo sguardo fisso su Beckett. Ryan era pensieroso, gli occhi puntati alla porta della sala interrogatori. Esposito invece guardava il pavimento, aveva le mani strette a pugno e la mascella contratta, chiaramente infastidito per quello che aveva sentito. Dopo qualche minuto il capitano Gates fece un cenno ai tre uomini e si avviò alla lavagna. I due detective la seguirono subito. Castle fece un sospiro e gli andò dietro. Si fermarono intorno alla lavagna e alla scrivania di Beckett, senza però interromperla dalle sue riflessioni. Perfino la Gates sembrava volerle lasciare il tempo che le serviva questa volta.
“Cavolo…” riuscì solo a mormorare Esposito, stupito e nervoso, alla fine di quel lungo silenzio.
“Già…” concordò il suo partner ancora pensoso. Poi Ryan scosse la testa e guardò la detective. “Chissà da quanto la tenevano d’occhio…” mormorò impressionato.
“Questo Kastor ha molte più informazioni di quello che ci aspettavamo. Ma non sembra intenzionato a parlarne” disse dura e scocciata la Gates guardando anche lei come Kate la lavagna, forse nella speranza che spuntasse una nuova informazione all’improvviso.
“Cosa sappiamo quindi?” domandò alla fine Esposito passandosi una mano sui corti capelli. Era un modo per cercare di dare un ordine e un senso a quello che avevano sentito, sperando poi di trovare il modo migliore per agire.
“Montgomery ha fatto due copie dei documenti contro il drago e li ha spediti a due suoi fidati amici, Smith e Kastor” cominciò Ryan. “Gli ha chiesto quindi di conservare i documenti e proteggere in qualsiasi modo la sua famiglia e Beckett. Vista la situazione, Smith ha pensato di barattare la loro vita in cambio della segretezza sui documenti”
“Questo a una condizione però. Beckett non doveva più indagare” specificò Castle. Era rivolto ai tre, ma il suo sguardo non si era mai mosso dalla detective. Kate era ancora immobile, ma Rick era quasi certo che li stesse ascoltando. Ryan annuì.
“Giusto” replicò. “Quindi per un anno si può dire che vada più o meno tutto bene. A questo punto però il drago decide che non vuole più sottostare a questo ‘ricatto’, se vogliamo chiamarlo così”
“Manda allora il suo cane da caccia a recuperare il computer di Montgomery” si inserì il capitano. “A quel punto Maddox sfrutta la situazione per tendere una trappola alla detective Beckett. Non avendo i documenti però non può ancora completare l’opera”
“Maddox però approfitta della chiamata che Smith mi ha fatto per rintracciarlo” continuò Castle con un tono colpevole. Sa che non c’entra nulla, ma non può fare a meno di pensare che se non fosse stato per quella chiamata, forse non l’avrebbe mai trovato. “A questo punto lo rapisce e lo tortura”
“Probabilmente riesce a fargli dire dove sono i documenti, perché lo uccide e tenta ancora di assassinare Beckett” proseguì  Esposito. “Ora la domanda è: se ha trovato i documenti, che ne ha fatto? Li ha già distrutti? Li ha consegnati al drago? O pensava prima di finire il suo lavoro e poi farli sparire e allora sono ancora al loro luogo sicuro?”
“Chiami la moglie di Smith, Esposito. Le chieda se conosceva qualche posto particolare in cui il marito avrebbe potuto nascondere documenti importanti” ordinò la Gates. Quello annuì. Si era già voltato verso la sua scrivania, quando la voce di Beckett lo bloccò.
“Non troverà niente” disse con tono distaccato. Era ancora intenta ad osservare la lavagna. I quattro la guardarono stupiti.
“Prego?” domandò la Gates irritata e curiosa insieme per quell’affermazione. Dopo qualche secondo Kate fece un sospiro, riportò le mani in avanti e si alzò in piedi girandosi finalmente verso di loro. Rick vide che i suoi occhi erano ancora agitati. Non aveva ancora preso una decisione. Aveva ancora bisogno di tempo. L’occhio nero e i tagli sul suo viso sembravano più evidenti sulla sua pelle tirata per l’ansia.
“Questi documenti sono ben più di qualcosa di importante” rispose la detective. “Sono un segreto da custodire a tutti, persino a chi ti è più vicino. Ho dei seri dubbi che la moglie o chiunque altro a parte lo stesso Smith conoscessero il luogo in cui erano nascosti.” La Gates la osservò per qualche secondo, squadrandola. Si rivolse poi di nuovo a Esposito, che attendeva immobile nuovi ordini.
“La chiami comunque. Tentar non nuoce in questo frangente” ordinò. Esposito lanciò un’occhiata alla detective, quindi annuì e si avviò alla sua scrivania.
Passarono un’ora così. Pensarono a quali luoghi avrebbero potuto considerarsi sicuri per Smith cercando altre informazioni sul suo passato (come predetto da Beckett, la moglie non sapeva nulla dei posti in cui il marito teneva i documenti). Tentarono di scoprire qualcosa di più anche del passato di Kastor e tentarono di capire le sue parole. Non ricavarono molto, se non il fatto che l’uomo li seguiva probabilmente da ben più di un anno. La cosa che lasciava più perplesso Castle, è che fosse stato proprio Kastor a dire a Smith di contattarlo per fermare Beckett. Che detective e scrittore fossero in sintonia, quello l’aveva capito chiunque fosse entrato in contatto con loro anche solo per venti minuti negli ultimi quattro anni. Ma arrivare a dire di sapere che lui era l’unico in grado fermarla… beh, c’era una bella differenza! Implicava una conoscenza molto più profonda e approfondita di loro.
Erano ormai quasi le due quando lo stomaco di Rick brontolò sonoramente, facendo scoppiare a ridere Ryan ed Esposito. In fondo quella mattina aveva fatto colazione con un caffè appena prima di correre al distretto e la sera prima ovviamente non aveva mangiato nulla. Non era abituato a certi salti di pasto. Castle mormorò qualche scusa imbarazzata, mentre Kate lo guardava con un sorriso dolce e divertito insieme e la Gates lo osservava con un sopracciglio alzato. Lo scrittore si offrì quindi di andare a prendere il pranzo per tutti.
Tornò venti minuti dopo con diversi pacchetti di cinese che posizionò sul tavolo di una sala riunioni vuota. Ryan ed Esposito lo seguirono subito, tanto che lo scrittore sembrava un novello il pifferaio magico. Stava posizionando le varie scatole con il cibo fuori dai sacchetti quando li raggiunsero anche la Gates e Beckett. Il capitano però, osservando con occhio critico la quantità industriale di cibo che l’uomo aveva comprato, augurò loro buon pranzo e tornò nel suo ufficio. Esposito e Ryan intanto si erano già appropriati di un contenitore e di un paio di bacchette a testa. Rick quindi passò una scatola alla detective, con quella che sapeva essere la sua pietanza preferita. Nella stanchezza per la notte passata e per il peso le informazioni del giorno, Kate gli sorrise e gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia. Le era diventato abituale a casa. Ma li non erano a casa. Rick rimase talmente stupito da quel gesto in mezzo al distretto, che per poco non gli cadde il contenitore che aveva appena preso per sé. Kate si accorse di quel che aveva fatto solo quando sentì dei fischi arrivare dai due detective davanti a loro. Subito arrossì.
“Beh? Ho solo ringraziato…” mormorò la donna come scusa con tono meno acido di quello che avrebbe voluto. I due infatti iniziarono subito a ridacchiare.
“Certo, come no!” esclamò Esposito. “Ecco fratello, vedi! C’era un punto che prima non abbiamo elencato tra le cose che abbiamo scoperto da Kastor” disse poi fintamente serio al suo partner. “Papà e mamma finalmente stanno insieme!”
“Hai ragione Javi, avremmo dovuto metterlo in risalto come uno dei punti fondamentali” commentò Ryan ghignando. “A proposito quando intendevate dircelo? Alle nozze? Uno di noi sarà testimone dello sposo, quindi sarebbe il caso di saperlo un po’ prima…” Kate gli lanciò uno sguardo omicida, mentre il detective continuava a ridacchiare con Esposito, incuranti del pericolo che stavano correndo. Rick invece non disse niente. Il sorriso gigantesco che aveva stampato in faccia parlava per lui. Era felice che non dovessero più nascondersi dai due amici. Avrebbero dovuto sopportare un po’ di battutine, ma in fondo già le ricevevano prima… Non era poi un grande cambiamento. Inoltre ormai solo loro, tra i ‘familiari’, non sapevano nulla della loro relazione. Mentre i due continuavano a sghignazzare con i nasi nei loro contenitori e Kate li guardava in cagnesco, lo scrittore si ricordò che aveva preso qualche scatola in più anche per un’altra persona. Prese due contenitori, un paio di bacchette e si girò verso la porta della stanza.
“Dove vai?” sentì chiedere Kate curiosa. Si voltò di nuovo verso di lei, poi indicò con la testa la sala interrogatori che si intravedeva dalle persiane aperte.
“In fondo è qui da ieri sera…” disse a mo’ di scusa, alzando appena le spalle e facendo il suo sguardo da cucciolo come per paura di essere rimproverato. Kate però gli sorrise dolcemente in risposta e annuì.
“Ok. Torna presto però prima che questi due pozzi finiscano tutto” replicò facendo un cenno a Ryan ed Esposito. Rick annuì e le lasciò un veloce bacio sulla guancia che la face arrossire. Uscì quindi ridacchiando, mentre versi di protesta si levavano dai due detective, ancora immersi nelle loro scatole. Castle si fermò un secondo in sala relax a prendere una bottiglietta d’acqua e si avviò infine alla sala interrogatori. Fece un sospiro e bussò prima di entrare. Lo sguardo sorpreso di Kastor lo accolse all’interno. Subito però gli sorrise.
“Signor Castle, mi fa piacere rivederla” lo salutò cordiale. Rick rimase per un momento sulla porta, imbarazzato neanche lui sapeva per quale motivo. Si schiarì la gola e appoggiò scatole, bacchette e acqua sul tavolo di fronte a lui.
“Le ho portato qualcosa da mangiare. La cucina del distretto sono le macchinette quindi… Spero le piaccia il cinese” disse insicuro.
“Ne vado pazzo” replicò Kastor allegro, sbirciando dentro una delle scatole. Annusò l’aroma e sorrise. “Grazie mille davvero. È da ieri sera che non tocco cibo in effetti. Non mi fraintenda, non ne faccio una colpa del distretto, ma sa com’è, iniziavo a pensare di aver dato l’impressione di nutrirmi di sola aria…” Un angolo della bocca di Rick si alzò per la prima volta davanti all’uomo.
“Deve scusarli, ma hanno orari un po’ anormali. Mangiano quando possono o quando qualcuno li rifornisce di un po’ di cibo…” affermò ridacchiando. Ricordava bene i primi tempi al distretto in cui doveva elemosinare da Kate mezz’ora in un bar per un panino. Poi aveva iniziato a portare lui qualcosa. Era più veloce e non rischiavano di morire di fame a causa del loro stacanovismo. Per fortuna ora era una cosa che succedeva raramente. Alzò gli occhi su Kastor e vide che aveva uno sguardo strano. Felice, orgoglioso e triste insieme. Oltre ad altro. Qualcosa di estremamente familiare. Ma forse lo immaginò solo perché durò meno di un secondo. A quel punto si schiarì la gola, di nuovo imbarazzato. “Io… Io devo andare ora. Buon appetito” disse velocemente e si dileguò dalla stanza.
 
I quattro avevano appena finito di mangiare e stavano tornando davanti alla lavagna per decidere le prossime mosse, quando Castle e Beckett si sentirono chiamare.
“Papà! Kate!” Alexis era appena uscita dall’ascensore, seguita a ruota da Martha.
“Ehi, tesoro!” esclamò Rick vedendo la figlia e andandole incontro per abbracciarla. “Che ci fate qui?” chiese poi rivolto a entrambe le donne. “Non dovevate essere negli Hamptons? Perché non mi avete detto che rientravate? Quando siete tornate?” domandò a raffica lo scrittore.
“Ehi, Rick falle respirare!” disse divertita la detective, arrivando dietro l’uomo insieme a Ryan ed Esposito, che salutarono con un sorriso nonna e nipote.
“Kate!” chiamò euforica Martha, andando incontro alla detective. “Mia cara ragazza, fatti abbracciare! Finalmente c’è l’avete fatta, eh? Iniziavamo a disperare ormai.” Kate arrossì, mentre l’attrice la stringeva a sé. Aveva dimenticato che aveva saputo tutto della loro relazione da Alexis. Ringraziò che Ryan ed Esposito l’avessero scoperto prima. Sarebbero svenuti ad una notizia del genere data così improvvisamente. Quando Martha la lasciò andare, subito Alexis ne prese il posto e abbracciò anche lei la detective. Quando si staccarono però la guardò ansiosa.
“Papà ci ha detto che ieri sera hanno tentato di nuovo di ucciderti…” Kate fulminò lo scrittore, che mise su il suo miglior sguardo da cucciolo per farsi perdonare. Si allontanò però di un passo dalla donna. Giusto per sicurezza. Sapeva che Kate non voleva far stare in pensiero nessuno, ma quando Alexis l’aveva chiamato quella mattina non era stato capace di mentire. Era troppo sconvolto. Inoltre ora faceva parte anche lei della famiglia. “Così siamo venute a vedere come stavi” continuò la ragazza. “Abbiamo preso la prima corriera e siamo tornate. In ospedale ci hanno detto che ti avevano già dimessa. Non trovandovi a casa, abbiamo pensato che potevate essere solo qui.” La detective sorrise dolcemente a quella dimostrazione di affetto. Erano preoccupate per lei. Avevano lasciato tutto e semplicemente erano venute a vedere come stava, anche se sapevano che era fuori pericolo.
“Grazie. Sto bene comunque, non preoccupatevi” replicò Kate sinceramente. Vide però nonna e nipote che scrutavano i suoi tagli e il livido sulla sua faccia, poco convinte delle sue parole.
“Cara, sei sicura che ti faccia bene tornare subito al lavoro?” disse dopo qualche secondo Martha lanciando uno sguardo apprensivo alla lavagna poco più in là di loro. Il tono allegro con cui l’aveva accolta, ora era sparito, nascosto dalla preoccupazione. “In fondo quell’uomo è morto. Non era il caso di prendersi almeno un giorno di riposo?” Kate fece un sospiro. Si aspettava un’obiezione del genere. Scelse accuratamente le parole per non farle preoccupare, né domandare, sugli ultimi sviluppi.
“Diciamo che non potevo proprio lasciare questo caso a metà… Non si tratta più di me comunque. Beh, non strettamente parlando...” rispose lanciando un’occhiata alle foto di Smith e Kastor alla lavagna. Non era più lei. Era il drago. “Prometto però che quando anche questo caso sarà concluso mi prenderò almeno una settimana di vacanza. Anzi magari anche un mese visto che qualcuno me l’ha proposto…” aggiunse poi arrossendo leggermente e guardando in direzione dello scrittore. Rick non riuscì a nascondere un sorriso furbo, ma al contempo tenero a quelle parole. Un mese negli Hamptons con la sua musa. Non vedo l’ora Kate… pensò internamente, mentre altri pensieri ben poco casti gli attraversavano la mente. “Quindi non preoccupatevi” continuò Kate. “Presto, spero, ci sarà un lungo periodo di riposo e… Martha tutto bene?” Il tono della detective passò da sereno a preoccupato in un secondo quando vide il cambiamento del volto dell’attrice. Alle sue parole, tutti i presenti si girarono a guardare Martha. La donna era immobile, gli occhi sgranati inchiodati alla lavagna dietro di loro. Aveva la bocca semiaperta e il labbro inferiore le tremava leggermente.
“Mamma??” la chiamò Castle angosciato per quel cambiamento così repentino e inaspettato. Le poggiò una mano sulla spalla, ma sembrò che la donna non avesse neanche idea della loro presenza lì. Kate aggrottò le sopracciglia, perplessa, quindi seguì lo sguardo dell’attrice fino alla lavagna. Come lei, anche Rick, Alexis e i due detective fecero la stessa cosa, cercando la causa di quella trasformazione. Solo in quel momento venne in mente a Beckett che forse non era stata una buona idea lasciare le due donne così vicine alle foto delle torture subite da Smith. Loro erano, si può dire, abituati a certe immagini, ma Martha e Alexis no. Passando lo sguardo dall’attrice alla lavagna però, si accorse che gli occhi della donna non erano concentrati sulle foto di Smith, ma su un’unica immagine in alto a destra. Una foto di Max Kastor.
“…Alex?...” mormorò la donna con un filo di voce. Il tono era confuso e stupito. Se non fosse stato per il silenzio teso che si era venuto a creare, non l’avrebbero mai sentita. Tutti la guardarono sorpresi. Rick continuava a guardare alternativamente la foto di Kastor e sua madre con occhi sgranati. Ryan ed Esposito erano a bocca aperta. Alexis era invece confusa. Non capiva perché tanta agitazione riguardo la conoscenza di sua nonna. Passava lo sguardo da un detective all’altro fino a suo padre, sperando che qualcuno spiegasse qualcosa.
“Martha… lo conosci? Conosci quest’uomo?” chiese cauta Beckett dopo qualche secondo staccando l’immagine e portandola più vicino alla donna. Martha prese la fotografia con mani tremanti. Socchiuse appena gli occhi nello studiarla. Dopo quasi un minuto di silenzio, la donna fece un respiro profondo per calmarsi e scosse la testa.
“Io… Io non lo so… è passato così tanto tempo… era così giovane quando lo conobbi… ma d’altronde lo ero anch’io…” sussurrò l’attrice, quasi dimentica delle persone intorno a lei. Passò una mano sulla foto, come a voler accarezzare l’uomo ritratto nell’immagine. Kate la studiò per qualche secondo, indecisa.
“Ascolta Martha…” disse infine la detective. La donna alzò lentamente la testa verso di lei, ma i suoi occhi rimasero sulla foto fino all’ultimo, quando dovette per forza sollevarli su Kate. Il suo sguardo sembrava quasi vuoto, perso nei pensieri, ben diverso da quello pieno di vita che aveva solitamente. Rick lanciò una veloce occhiata alla sua musa, preoccupato, ma non disse niente. Deglutì solo. Beckett prese un respiro profondo prima di continuare. “Martha, credi che saresti in grado di riconoscere quest’uomo se lo vedessi fisicamente?” Era un tentativo. Forse si sbagliava. Forse non lo conosceva davvero. Ma un tentativo era quello che avevano al momento. Gli occhi di Martha si illuminarono per un attimo quando recepì quelle parole.
“È qui?” domandò con voce tremula. Kate si morse per un secondo il labbro inferiore. Poi le fece un gesto con la mano verso la sala interrogatori. L’attrice annuì e si ricompose un poco. “Beh, andiamo a vedere se la mia memoria funziona ancora allora!” esclamò con falso tono allegro. La più preoccupata per quell’incontro infatti sembrava proprio lei. Beckett scortò Martha e gli altri fino alla saletta adiacente alla sala interrogatori. Non serviva un incontro diretto. Bastava un riconoscimento. Kate non conosceva l’età di Martha, ma calcolò a occhio che in effetti lei e Kastor dovevano avere all’incirca la stessa età. Non bastava ovviamente per dire di conoscere una persona, New York era grande, ma poteva essere un punto in più. Kate entrò e Martha la seguì, facendo qualche passo incerto all’interno della stanzetta. Teneva gli occhi bassi, quasi con paura di alzarli e cadere preda di un’allucinazione. Poi l’attrice fece un sospiro e si girò a guardare al di là del vetro. Rimase immobile per qualche secondo osservando la figura di Kastor. L’uomo era tranquillo e comodamente seduto come al solito, ignaro delle sei persone che ora lo stavano guardando al di là dello specchio. I due cartoni di cinese che prima aveva portato Castle erano appoggiati uno dentro l’altro a un lato del tavolo, vicino alla bottiglietta d’acqua ormai vuota.
“Alex…” ripeté Martha, questa volta più convinta di quello che diceva, ma anche più stupita. Fece un passo in avanti verso il vetro, una mano alzata e allungata verso l’uomo. Dopo un secondo però si fermò e la ritrasse. “Kate devo vederlo. Di persona” aggiunse poi sicura rivolta alla detective. La donna scambiò uno sguardo esitante con Ryan ed Esposito. Di solito non era permesso interagire con le persone all’interno della sala interrogatori, ma Kastor non era un sospettato. Era un amico di Montgomery e in più li stava aiutando. “Kate” chiamò di nuovo l’attrice. Con fatica, riportò gli occhi su Martha. “Per favore” disse, questa volta c’era una nota di supplica nella voce. La detective si prese ancora qualche secondo, poi fece un sospiro e annuì.
“Vieni” disse solo. Uscirono dalla stanza e si posizionarono davanti alla porta della sala interrogatori. Prima di aprirla, Kate lanciò uno sguardo dietro di sé. Esposito e Ryan capirono subito la sua silenziosa richiesta e si defilarono di nuovo all’interno della stanzetta appena lasciata. Non era solo il fatto che non entravano tutti nella stanza. Voleva lasciare Martha il più libera possibile, meno a disagio. Sentiva che ne avrebbe avuto bisogno. I due detective dovevano solo prendere il nome, se davvero l’attrice lo conosceva. Kate quindi girò la maniglia e fece strada all’interno della stanza.
Quando sentì la porta aprirsi e vide la detective, subito l’uomo all’interno sorrise.
“Detective Beckett! Allora ha preso la sua decis…” Non finì mai la frase. Come i suoi occhi blu videro Martha, appena dietro Kate, si immobilizzò. Sgranò gli occhi e la bocca gli si aprì. E la detective seppe che l’attrice aveva fatto centro. Quella famiglia non avrebbe mai smesso di sorprenderla. Prima Rick si ricordava di Smith, ora Martha riconosceva l’amico di Montgomery. Quasi quasi si aspettava che Alexis da un momento all’altro le confidasse chi era il drago…
Lo sbalordimento dell’uomo durò meno di un attimo, ma abbastanza per essere notato. Poi si ricompose. Cercò di far finta di nulla, ma era impossibile. Il suo sguardo inoltre non riusciva ad abbandonare Martha. Era curioso, stupito e allarmato insieme. L’attrice si era immobilizzata anche lei dopo un passo all’interno della stanza e lo guardava con la stessa meraviglia.
“Alex…” mormorò ancora una volta la donna facendo un passo in avanti. L’uomo deglutì. Rick, Alexis e Kate osservavano la scena immobili accanto alla parete. “Alex sei davvero tu?” Non avevano mai sentito nell’attrice un tono così esitante. L’uomo riuscì con evidente fatica ad abbassare lo sguardo sul tavolo. Aveva le mani strette davanti a sé e il respiro gli si era fatto veloce. Aggrottò le sopracciglia, chiaramente indeciso su cosa dire.
“Non so chi crede che io sia, ma…” rispose incerto dopo qualche secondo, gli occhi ancora puntati sul tavolo. Martha però lo bloccò subito.
“Non mentirmi Alex. Non hai mai saputo farlo” replicò con voce appena tremula. Aveva un tono strano. Sembrava stesse reprimendo felicità, orgoglio e tristezza tutto insieme. C’era anche una nota di dolcezza. “La tua voce e i tuoi occhi ti tradiscono mio caro. Non sei cambiato molto, se non per qualche ruga” continuò la donna cercando di spezzare il momento di tensione. Ma sembrava sull’orlo delle lacrime. L’uomo fece un mezzo sorriso al mobile di fronte a sé. Finalmente, dopo quella che parve un’eternità, prese un respiro profondo. Alzò la testa e puntò i suoi occhi blu in quelli dell’attrice.
“Tu non sei cambiata di una virgola Martha. Sei sempre la bellissima donna che ho conosciuto anni fa” rispose. Il tono era quello di una richiesta di scuse. Poi, prima che qualcuno potesse dire altro, l’uomo si alzò in piedi. Contemporaneamente Martha si avvicinò velocemente a lui e lo abbracciò. Rick, Kate e Alexis rimasero a bocca aperta, gli occhi sgranati. L’uomo teneva saldamente l’attrice fra le braccia e aveva affondato la sua faccia nei capelli di lei. Martha invece gli aveva stretto le mani dietro la nuca e piangeva silenziosamente con il viso nascosto nel suo collo. Sentirono appena l’uomo e l’attrice che si chiamavano, mormorando i loro nomi. Alex le sussurrava insieme dei deboli ‘Mi dispiace’ e le lasciava dei piccoli baci sul capo. Rimasero in quella posizione per quasi due minuti, incapaci, sembrava, di staccarsi. La prima a riprendersi dalla sorpresa, tra Rick, Alexis e Kate, fu la detective. Lanciò uno sguardo al suo scrittore, che però aveva ancora gli occhi fissi sulla scena davanti a lui, confuso da quello che vedeva. Si schiarì la voce e finalmente l’amico di Montgomery sembrò riprendere contatto con la realtà e con il luogo in cui erano. Staccò gentilmente da sé Martha e le asciugò le ultime lacrime con i pollici. Si sorrisero. Un sorriso tenero e dolce. Un sorriso di scuse e di felicità. Poi l’uomo passò un braccio intorno alla vita dell’attrice e la mantenne vicino a sé, come se quello fosse sempre stato il suo posto, voltandosi poi verso gli altri tre presenti. Martha gli si accoccolò più vicino e si girò anche lei verso di loro. Era un po’ rossa in viso.
“Mamma…? Che… che significa? Insomma… Chi…?” riuscì solo a dire Rick confuso. Non aveva mai visto quel lato così tenero e affezionato di sua madre. Non era solita a queste effusioni. Era molto più concreta e lo era sempre stata. Ma ora…
Kate all’improvviso socchiuse gli occhi e iniziò a passare lo sguardo tra Martha, il così detto Alex e Rick. Alexis, accanto a lei, iniziò a fare la stessa cosa. Dopo qualche secondo, un dubbio si fece strada nella mente della detective. Trattenne il respiro. Rick, sentendola inspirare velocemente, si voltò preoccupato verso di lei. “Kate…?” Ma la donna non lo sentiva. Stava ripensando alla conversazione che avevano avuto con l’uomo, ai suoi toni, a tratti dolci e protettivi, ai suoi occhi… Beckett rialzò la testa verso quello che pensava chiamarsi Kastor, la bocca spalancata. Non può essere… pensò internamente stupefatta. Ma dallo sguardo dell’uomo capì che aveva ragione. Alexis era immobile accanto a lei, confusa, e squadrava l’uomo di fronte a loro. Lo stesso dubbio della detective stava raggiungendo anche lei. Rick invece continuava a osservare alternativamente l’uomo abbracciato a sua madre e Kate. “Kate? Tutto bene? Che succede?” domandò ancora, agitato per quella mancanza di risposte. Ma la donna sembrava non ascoltarlo. Aveva ancora gli occhi inchiodati in quelli blu scuro dell’uomo di fronte a sé. “Kate?”
“Chi sei davvero?” chiese di punto in bianco la detective. Voleva una conferma definitiva ai suoi dubbi. Per sé, ma soprattutto per il suo scrittore e sua figlia. L’uomo guardò per un momento Rick e Alexis. Poi abbassò ancora una volta gli occhi sull’attrice accanto a sé. Sospirò.
“Ha ragione a chiedermi chi sono detective. Ebbene, il mio vero nome è Alex Tully. Sono un ex-agente della CIA e…” Si fermò un secondo, le parole bloccate in gola. Strinse un po’ di più a sé Martha e alzò lo sguardo su Rick, che lo fissava ancora con la bocca semiaperta. Prese un respiro profondo e chiuse per un momento gli occhi.
“Da quanto tempo vi conoscete?” chiese questa volta Alexis con voce bassa e incerta. L’uomo riaprì gli occhi e li puntò sulla ragazza. Le sorrise appena.
“Da poco più di quarant’anni. Per la precisione quarantadue” rispose. Si girò quindi verso Rick. C’era decisione questa volta nel suo sguardo. Inchiodò i suoi occhi blu scuro in quelli blu brillante dello scrittore. “Io… Io sono tuo padre, Richard.”

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Xiao!! :D
Allora ecco le verità che tutti stavate aspettando!! Il nostro caro Max Kastor non si chiama così, ma Alex Tully ed è un ex agente CIA!! XD
Ok quante di voi, che avevano già letto qualcosa di mio, pensavano l'avrei chiamato Malcolm Reynolds?? nvece ho scelto il nome di un altro personaggio dell'universo Fillion... XD
Ma veniamo alla seconda cosa più importante... probabilmente praticamente tutte avete capito l'identità di Alex Tully raccogliendo le briciole che ho lasciato e che Kate ha colto solo alla fine di fronte ai fatti... ebbene ora posso confermarvelo: Kastor alias Alex Tully è il padre di Castle!! :D:D
Coooomunque, ok al solito questo riconoscimento doveva avvenire almeno un capitolo fa, ma ovviamente scrivendo è venuta fuori un sacco di roba in più... spero vi piaccia lo stesso!! :)
Nel prossimo ci saranno ulteriori sviluppi su Tully... in fondi immagino vogliate sapere che ha fatto tutto sto tempo e perché ha lasciato il povero Rick solo no??
Boh, ho scritto anche troppo (sia come cap, sia ora) quindi vi lascio!
Ah, un'ultima cosa: IO VI ADORO SEMPRE DI PIU'!!! Non solo mi recensite con pazienza, ma addirittura ogni capitolo ha superato le 300 visualizzazioni!! *.* non era mai successo nelle mie altre long... :D
Vado davvero ora... Continuate a lasciarmi un commentino!!!! :D:D:D
Notte!
Lanie

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Capitolo 10
*** Vincit omnia veritas ***


Cap.10 Vincit omnia veritas

Io… Io sono tuo padre, Richard.
Nonostante Kate l’avesse ormai capito e Alexis l’avesse immaginato, entrambe trattennero comunque il respiro a quella frase. Poi insieme si girarono verso lo scrittore e lo guardarono allarmate, non sapendo quale reazione aspettarsi. Rick era immobile. Avrebbe potuto essere confuso per una statua di cera. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi sgranati puntati in quelli di Alex Tully. Sembrava quasi che non respirasse.
“Richard…?” lo chiamò Martha piano, incerta e preoccupata per la sua reazione. Nel sentire il suo nome, l’uomo inspirò forte all’improvviso, come se si fosse appena svegliato da un incubo, facendo spaventare Kate e Alexis accanto a lui. Fece velocemente qualche passo indietro, andando a sbattere pesantemente contro il muro dietro di lui. Iniziò a respirare velocemente, mentre tirava via a forza lo sguardo dall’uomo di fronte a lui e sbatteva gli occhi più volte, incredulo, le sopracciglia aggrottate.
“Rick…” mormorò Kate angosciata avvicinandosi a lui. Gli posò una mano sul viso e glielo carezzò piano, cercando di riportarlo alla realtà, di calmarlo. Notò che l’uomo aveva gli occhi lucidi e respirava a bocca aperta come se gli mancasse aria. Il suo corpo era teso e completamente appoggiato al muro dietro di lui. Non lo aveva mai visto così. Non lo aveva mai visto in quello stato. Kate era spaventata e preoccupata dalla sua reazione e notò con la coda dell’occhio che anche Alexis non lo era da meno. L’uomo continuava a non reagire ai richiami e alle carezze della detective. Sembrava perso in un mondo diverso dal loro, pullulante di incubi e fatti impossibili. Doveva farlo reagire. “RICK!” ripeté per l’ennesima volta la donna stavolta a voce più alta e con tono deciso. Lo scrittore finalmente alzò la testa di scattò verso di lei. La detective poté quasi vedere i suoi occhi blu che cercavano di metterla a fuoco. Lo scrittore aggrottò le sopracciglia e iniziò a respirare con più calma. Dopo qualche secondo deglutì e voltò la testa verso Tully.
“No…” mormorò quasi impercettibilmente. “No” ripeté dopo qualche secondo più forte.
“Rick…” provò a chiamarlo di nuovo Kate, ma lui la interruppe subito, come se non avesse parlato.
“No. No, io non ti credo” affermò rivolto all’uomo abbracciato a sua madre. Aveva un tono ancora stupefatto, ma ora stava lasciando il posto a uno rabbioso. Tully strinse la presa su Martha e sospirò sconfortato.
“Puoi anche non crederci figliolo, ma…”
“NON CHIAMARMI FIGLIOLO!” urlò lo scrittore all’improvviso facendo un passo in avanti e puntandogli un dito contro. Una rabbia che raramente avevano visto in lui lo pervadeva. Tully e Martha fecero insieme istintivamente un passo indietro, scioccati e intimoriti da tale rancore. Perfino Kate, sbigottita da quello scoppio, si era scostata dal fianco dello scrittore. Alexis era indietreggiata di qualche passo, andando a cozzare contro il tavolo al centro della stanza. La bottiglietta d’acqua vuota, prima poggiata sul mobile, era caduta a terra con uno schiocco secco nel silenzio teso creatosi. Gli occhi blu della ragazza, così simili a quelli del padre e, ora si poteva dire, del nonno, erano sgranati, impauriti e puntati sullo scrittore.
“Richard…” tentò di calmarlo Martha, mentre allungava una mano verso di lui come a volergli andare incontro e carezzare una guancia. La sua voce tremula però sembrò solo farlo infuriare di più.
“TU!!” le gridò contro. Questa volta si suo tono era disperato. Aveva le lacrime agli occhi. “TU SAPEVI CHI ERA!!”
“Ora basta Richard!” tuonò Tully all’improvviso a voce alta e con tono duro. Rick si fermò di botto, il respiro ancora pesante. “Martha non sapeva niente di me! Conosceva solo il mio nome. Ecco tutto ciò che sapeva” continuò. “Non darle colpe che non ha.” Il tono e le parole sembrarono sgonfiare tutta la rabbia dello scrittore e prosciugargli le forze. Si riappoggiò alla parete dietro di lui e si lasciò scivolare a terra. Si prese la testa fra le mani. Alcune lacrime gli uscirono silenziose per lo sforzo e la rabbia precedenti. Kate a quel punto gli si avvicinò cautamente e si abbassò alla sua altezza. Passò una mano nei suoi corti capelli, carezzandogli la testa e facendogli sentire la sua presenza. A quel tocco così delicato e familiare, Rick alzò la testa e incrociò lo sguardo della sua musa. L’uomo aveva gli occhi lucidi e leggermente rossi. Fu come se si rendesse conto per la prima volta della sua presenza in quella stanza. Il suo sguardo diceva ‘Mi dispiace’ e sembrava quello di un cane che ha morso il suo padrone ad una mano per sbaglio e ora chiede perdono. Kate gli sorrise a indicargli che ora era tutto a posto, che andava tutto bene. Lasciò scivolare lentamente la mano dai suoi capelli al suo volto, asciugando dolcemente quelle poche lacrime che erano fuoriuscite dai suoi occhi blu, e carezzandolo sulla guancia. Rick sembrava davvero stravolto. Le preoccupazioni della sera prima e il fatto che avesse dormito poco quella notte probabilmente aveva accentuato il suo nervosismo e l’aveva portato a esplodere. Girò appena la testa per baciarle il palmo della mano. Poi chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal tocco delicato della donna. Riaprì gli occhi dopo qualche secondo, colpito da un pensiero improvviso. Girò il capo e il suo sguardo subito si puntò su Alexis. Si era dimenticato anche della presenza della figlia nella sua collera. La ragazza era immobile, ancora appoggiata al tavolo nel centro della stanza. I suoi occhi sgranati non avevano perso di vista un secondo il padre.
“Mi dispiace…” mormorò sinceramente pentito. “Mi dispiace davvero… non so cosa mi sia preso…” sussurrò ancora cercando di ottenere anche il perdono della figlia. A quel punto si avvicinò piano anche Alexis. Rick si sarebbe preso a calci da solo. Sua figlia in quel momento era preoccupata per lui, ma aveva anche paura di lui. Si inginocchiò per terra accanto al padre dalla parte opposta della detective.
“Ti prego papà… Ti capisco, ma… non farlo più, ok?” La sua voce era appena tremula. Rick la attirò a sé e la abbracciò.
“Scusami se ti ho fatto spaventare tesoro… Non volevo. Scusami davvero” mormorò lasciandole qualche piccolo bacio sulla nuca. Alexis non era più un a bambina, lo sapeva, ma non lui non aveva mai avuto tali scatti d’ira. Kate guardò padre e figlia abbracciati. Erano un’immagine molto tenera che la fece sorridere. Sapeva che ora il suo scrittore si sarebbe sentito in colpa per avere urlato quel modo, soprattutto di fronte ad Alexis, ma la rabbia è una delle reazioni più comuni nell’essere umano. E la notizia appena appresa non era delle più facili da digerire. Probabilmente mentiva quando diceva che non gli era mai importato molto sapere di suo padre, che così poteva immaginarlo come voleva, che sua madre bastava per due… pensò la detective con un po’ di tristezza per il suo uomo.
Quando Alexis si spostò dallo scrittore qualche momento dopo, sembrava essere tornato il solito Rick di sempre. Si asciugò completamente il viso con una mano e si alzò lentamente in piedi. Alzò gli occhi e guardò Alex e Martha, ancora abbracciati, di fronte a lui. Era ancora arrabbiato, ma più controllato. L’attrice si era spaventata per la sua reazione ed era impallidita. Tully invece sembrava calmo, seppure allerta. I due uomini si squadrarono attentamente, come in  attesa della prossima mossa dell’altro.
“Credo sia arrivato il momento di darci qualche spiegazione in più, signor Tully” dichiarò Beckett dopo qualche secondo di silenzio teso. L’uomo annuì.
“Sì, credo anch’io sia giunta l’ora” rispose alla detective, mantenendo però lo sguardo su Rick. Tully staccò dolcemente da sé Martha, recuperò una sedia dalla parte opposta del tavolo e la posizionò accanto a quella su cui era stato fino a quel momento. Fece quindi sedere l’attrice e si accomodò anche lui accanto a lei. Le loro mani si intrecciarono subito, quasi fosse impossibile per loro stare così vicini senza un contatto fisico. Rick non aveva mai staccato lo sguardo dai movimenti dell’uomo.
Se volevano rimanere tutti nella stanza però, mancavano ancora due sedie. Kate uscì per recuperarle e le trovò appena fuori la porta, portate evidentemente da Ryan ed Esposito, fermi accanto a queste.
“Abbiamo pensato potessero servire” affermò piano Ryan, lanciando uno sguardo all’interno della sala interrogatori. Beckett era sicura avessero ascoltato tutta la ‘conversazione’ perché sembravano turbati, stupiti e preoccupati insieme. La detective annuì in risposta e sorrise appena per ringraziarli. Stava per portare dentro le sedie quando Esposito la fermò.
“Ehi, Beckett, guarda che ora c’è anche la Gates nella saletta. Ci ha visto entrare ed è venuta a controllare se c’erano novità” affermò un po’ scocciato. Kate lanciò un’occhiata accigliata alla porta della stanza accanto. Ormai però il danno era fatto. Fece un sospiro.
“Non importa” rispose. “Fatemi un favore, dopo, controllate l’identità di Tully” ordinò poi. Credeva a quello che aveva detto l’uomo, ma voleva essere sicura.
“Se è davvero un ex-agente della CIA, difficilmente ci faranno verificare…” replicò Ryan poco convinto.
“Voi provate. Altrimenti dovremo affidarci alla sua sola parola” dichiarò Beckett. I detective quindi annuirono e la lasciarono rientrare. Appena Rick sentì aprire la porta e vide Kate con le sedie, le si avvicinò per prendergliele di mano e portarle lui stesso al tavolo. La donna indugiò un secondo sulla porta. Cosa gli avrebbe rivelato questa volta? Castle, sentendo l’assenza della sua musa dietro di sé, si voltò. Tutto bene? chiese con gli occhi. La detective gli sorrise e annuì. Entrò e chiuse la porta dietro di sé.
“Alexis, tesoro, non sei obbligata a restare…” disse dopo qualche secondo Castle alla figlia. La ragazza però fece un cenno negativo con la testa e si sedette su una delle sedie. Era curiosa. Inoltre l’uomo di cui si parlava era suo nonno. Aveva il diritto di sapere, per quanto suo padre volesse proteggerla. Kate prese posto accanto ad Alexis. Rick invece sembrava ben intenzionato a stare il più possibile lontano da Alex e Martha. Rimase in piedi e si appoggiò a braccia incrociate al muro, giusto accanto allo specchio, dietro alla sua musa e a sua figlia. I suoi occhi non abbandonavano Tully. In apparenza lo scrittore era calmo, ma il suo sguardo non lo era per niente. Era arrabbiato e confuso insieme. Rick avrebbe voluto andarsene e sbattere con forza la porta dietro si sé, lasciando chiuse in quella stanza le ultime affermazioni dell’uomo. Il problema era la sua curiosità. Voleva sapere. Voleva apprendere la storia dietro quell’ex-agente CIA. Si ricordò le parole che aveva detto a Kate in uno dei suoi primi casi insieme. C’è sempre una storia… C’è sempre una serie di eventi che danno senso al tutto… Bisogna solo trovarla. Ecco perché era ancora lì. Voleva conoscere il motivo per cui un padre abbandona il proprio figlio senza il minimo scrupolo, ben sapendo della sua presenza. Perché era quello il reale problema. Quello aveva fatto scattare la sua rabbia. Poteva capire un uomo che non sapesse di essere diventato padre. Aveva sempre pensato fosse per quello che non lo aveva. Si era convinto che se solo il suo vero padre avesse saputo della sua esistenza non l’avrebbe abbandonato. Ma era ovvio che Tully sapesse. Sapeva tutto e a quanto pareva anche di più. Voleva sapere perché non aveva potuto avere un padre come tutti gli altri bambini. Cosa c’era che non andava bene in lui da abbandonare lui e sua madre? Cosa c’era di sbagliato in lui?
Vedendo quello sguardo di fuoco su di sé, Tully sospirò triste.
“Immagino ti starai chiedendo perché me ne sono andato” mormorò l’uomo al figlio. Rick non disse niente. Sbuffò solo. “C’è un’altra storia che vi devo raccontare” continuò atono rivolto a tutti i presenti. Lo sguardo abbassato sul tavolo era abbattuto. Sembrava invecchiato di vent’anni nell’ultima mezz’ora. Le spalle, prima ben dritte, ora erano leggermente incurvate. “Parte da molto più indietro dei fatti della mia ultima narrazione, ma alla fine si lega a essa indissolubilmente…” Fece un respiro profondo e cominciò a raccontare. “Direi che la cosa migliore è partire dall’inizio, quarantadue anni fa… Avevo 28 anni all’epoca. Ero giovane, affascinante, sconsiderato e tremendamente deciso a entrare nella CIA.” Fece un mezzo sbuffo divertito e scosse la testa. “Anche stupido dovrei aggiungere. Comunque, ero appena arrivato a New York da Los Angeles, dove lavoravo come poliziotto. Subito mi ero fatto notare per il mio intuito, la mia mira, il mio spirito intraprendente e soprattutto per la mia assenza di legami.” Si rabbuiò un momento scambiando uno sguardo con Martha. La donna gli strinse le mani, ancora intracciate. “Ora sono meno intransigenti, ma fino ancora a pochi anni fa se volevi entrare nella CIA, uno dei requisiti fondamentali era essere solo. I miei genitori abitavano in Canada e non li vedevo né sentivo praticamente mai. Inoltre ero quello che si diceva ‘uno spirito libero’. Avevo molte relazioni, ma nessuna seria per farla breve”disse non nascondendo un mezzo sorriso al ricordo delle molte scappate. Poi tornò più serio. “Questo comunque finché non arrivai a New York. Come vi dicevo, mi avevano notato ed ero riuscito a ottenere un colloquio per entrare in quella famosa agenzia che sembrava un sogno per me. Senza pensaci due volte, presi l’aereo e giunsi a New York, dove avrei avuto questo incontro. Conobbi il mio esaminatore in pratica il giorno stesso del mio arrivo. Rimasi con lui per ventiquattro ore…”
“Ma da Los Angeles a New York sono diverse ore di aereo” commentò Alexis confusa. Tully le sorrise.
“Era un altro modo per testare la nostra resistenza” rispose. “Feci diverse prove quel giorno… di cui però sarebbe il caso di non chiedermi nulla perché non risponderò” aggiunse ridacchiando, vedendo la nipote già pronta con una nuova domanda. La ragazza annuì un po’ dispiaciuta. Non disse nulla però e si rimise ad ascoltare. “In ogni caso, finito il colloquio, mi dissero che avrei dovuto aspettare una settimana e poi mi avrebbero comunicato se ero pronto o meno per entrare. Dormii per dodici ore filate, quindi mi misi a esplorare New York. Ero già sicuro di rientrare a Los Angeles quella sera stessa e tornare una settimana dopo, quando qualcuno stravolse completamente i miei piani…” disse con aria sognante, girandosi verso Martha. L’attrice arrossì appena e gli sorrise. Kate capì in quel momento da chi Rick avesse preso, seppure inconsapevolmente, quell’aria fanciullesca e tenera di bambino mai cresciuto. Nonostante l’età infatti, la donna si era accorta che ogni volta che Tully guardava Martha sembrava tornare un ragazzino innamorato. “New York è famosa per i teatri e io ero un appassionato, per cui mi diressi a Broadway. Se devo essere sincero però, non ho la più pallida idea di cosa vidi quel giorno… So solo che rimasi incantato tutta la sera a guardare una splendida attrice. Appena lo spettacolo fu concluso, corsi fuori e rimasi ad attendere la sua uscita per più di un’ora sotto la pioggia.” Martha ridacchiò.
“Sei sempre stato uno stupido” commentò scherzosamente. Parlavano di loro come se si conoscessero da una vita. Alex le fece un galante baciamano.
“Il tuo stupido. E hai dimenticato inguaribile romantico” dichiarò con un finto tono offeso. L’attrice scosse la testa divertita. Uno schiarimento di voce li fece tornare alla realtà. Rick era ancora appoggiato al muro, le braccia conserte, rigido. Non aveva voglia di stare a sentire le flirtate dei suoi… No, non riesco neanche a pensare quella parola. Diciamo di mia madre e di questo Tully. Alex annuì.
“Giusto, devo andare avanti. Dicevo, conobbi quindi questa magnifica attrice, Martha Rogers. La settimana di attesa passò in un lampo in sua compagnia. E se all’inizio tra noi c’era stata solo attrazione, in qualche giorno capii di essermene innamorato.” Il sorriso sognante che aveva mantenuto fino a quel momento scomparve lentamente sostituito da uno triste. “Dopo una settimana esatta mi arrivò la risposta. Ero stato preso. Sarei partito il giorno seguente per un corso di formazione in un altro stato.” Tully si girò a guardare l’attrice e aumentò la presa sulle mani di lei. “Martha non mi chiese mai nulla di me. Le avevo accennato che probabilmente sarei dovuto andare via. Le avevo detto anche che non potevo parlare del mio lavoro. Seppe solo il mio nome e nulla più. Ebbe fiducia in me, nonostante l’epilogo scontato che entrambi sapevamo ne sarebbe seguito. Ma eravamo così presi, che il mondo rimaneva in secondo piano…” Si fermò un momento, lo sguardo fisso e spento sulle loro mani unite. Iniziò a fare delle lievi carezze con il pollice sulla mano di lei. “Fu la decisione più dura della mia vita. Avevo trovato l’amore. Questa volta sapevo che non mi sarei dimenticato di lei come le altre donne che avevo avuto in passato. Restare e vivere con lei o proseguire con la CIA, era questa la mia scelta.” Fece un sospiro. “Inutile dire che partii. Tenevo troppo al mio lavoro, per quanto brutto possa suonare dirlo ora. Furono mesi terribili. Pensavo a lei sempre, notte e giorno. Ma avevo fatto la mia scelta. E ne avevamo pagato le conseguenze in due. Ero un egoista probabilmente, ma la CIA era il sogno della mia vita… Non me ne pentivo e sapevo che lei mi avrebbe capito. Ma questo non mi impedì di stare malissimo. Sei mesi dopo tornai a New York e la cercai. Volevo rivederla un’ultima volta. Mi era impossibile stare con lei. Forse non in quel momento, ma nel futuro avrei potuto metterla in pericolo e io non avevo alcuna intenzione che accadesse. Però, come ho già detto, ero un egoista. Volevo rivederla, controllare che stesse bene, che fosse felice. La trovai di nuovo a teatro. E scoprii che era incinta.” Si fermò e abbassò gli occhi sul tavolo, una smorfia di dolore in volto. “Non sapevo se il bambino era anche mio o meno. Se volevo staccarmi definitivamente da lei dovevo lasciarmela alle spalle. Volli però continuare a farmi del male. Una parte di me voleva sapere. Riuscii a trovare la sua cartella clinica. Martha era incinta di sei mesi, quindi da quando me ne ero andato. Ma poteva ancora non essere mio. Sapevo il suo modo di interagire con gli uomini, come lei aveva avuto modo di conoscere il mio con le donne” disse ridacchiando leggermente per alleggerire l’atmosfera. Martha gli diede un buffetto sul braccio, ma non sembrava arrabbiata. Quello che aveva detto infondo era vero. “Attesi tre mesi, sempre nei paraggi di Martha, senza però avvicinarmi mai, finché un giorno non nacqui tu…” disse alzando gli occhi su Rick. Lo scrittore era immobile, lo sguardo duro. “Non riuscii a trattenermi. Andai in ospedale. Seppi che il parto era andato bene e tirai un sospiro di sollievo. Mi sentivo in colpa per non esserle stato accanto in quel momento doloroso… Fui sul punto di andarmene. Avevo deciso che non volevo sapere se eri mio o meno. Lei stava bene, quindi potevo lasciarla andare sereno. Ero ancora in tempo ad abbandonarmi tutto alle spalle. Feci un errore però che mi fu fatale... Mi fermai a guardarti nella culla dell’ospedale “ continuò con occhi leggermente lucidi rivolti allo scrittore. “Vidi il tuo nome. Richard Alexander Rogers.” Fece un mezzo sbuffo sorridendo. “Alexander… Fu in quel momento che seppi che io avevo aiutato questa donna straordinaria a dare alla luce una cosa così bella. Tu non puoi saperlo ovviamente, ma… ti presi in braccio e ti cullai per qualche secondo. Uno dei momenti più belli della mia vita…” Il suo sguardo si perse sulle sue mani intrecciate con quelle di Martha, un dolce sorriso sul suo volto al ricordo e gli occhi ancora lucidi. Tully non era sembrato mai fragile come in quel momento. Sembrava completamente un altro uomo da quello che era entrato diverse ore prima in quella stanza. Ma Beckett sapeva bene quanto può cambiare una persona quando si parla di chi ama. Poi Tully scosse la testa, i suoi occhi si fecero più profondi, decisi, e li rialzò su Rick. “Fu allora che decisi che ti avrei protetto. Per quanto mi sarebbe stato possibile, avrei protetto te e tua madre, rimanendo però sempre nell’ombra. Nessuno doveva sapere che avevamo qualche legame. E non perché mi vergognassi di te, Richard, ma per paura che qualcuno vi usasse contro di me” spiegò l’uomo. Rick era ancora immobile. Sembrava che le sue parole non l’avessero minimamente scalfito. Ma Kate sapeva che non era così. Non vedendo reazione dallo scrittore, il volto di Alex si intristì. “Mi dispiace ragazzo…” mormorò.
“Dispiace anche a me” replicò duro lo scrittore. Non c’era traccia di pietà. Alex abbassò la testa, colpito da quelle parole.
“Richard…” tentò di ammonirlo Martha, ma Rick fu insensibile.
“No, mamma, nessun Richard” dichiarò spietato. Si rivolse a Tully. “Mi hai abbandonato. Dici che mi avresti protetto, ma io non ho mai voluto protezione. Io volevo solo un padre.”
“Io ti sono stato sempre a accanto, anche se tu non mi vedevi” replicò Alex punto sul vivo. “Ho seguito ogni tuo passo da quando sei nato. Non ho potuto tenerti tra le braccia quando eri piccolo, certo. Non ho potuto insegnarti a camminare né a dire ‘papà’. Né ho potuto insegnarti a giocare a baseball. Non ho potuto confortarti quando tornasti a casa in lacrime dopo che quel teppistello ti aveva preso in giro per non avere un padre, forse, ma…”
“Aspetta… Come fai a saperlo?” domandò Rick scioccato. Fece un mezzo passo in avanti e le braccia gli caddero lungo i fianchi. Aggrottò le sopracciglia e la bocca gli si aprì. Era un fatto che non aveva mai raccontato a nessuno, ma era un ricordo vivido nella sua mente. Aveva 10 anni e stava tornando a casa da scuola, quando uno dei suoi compagni aveva pensato bene di seguirlo per tutta la strada ridendo del fatto che non conoscesse suo padre. Era il giorno del papà. Era stato malissimo. Aveva pianto tutto il giorno, appallottolato sul suo letto, approfittando del fatto che sua madre sarebbe rimasta a teatro fino a sera. Martha si portò una mano davanti alla bocca nel sentire ciò, stupita.
“Quando è successo? Perché non me ne hai mai parlato?” chiese la donna sgridandolo. Ma la sua domanda rimase inascoltata. Rick infatti continuava a studiare stupefatto l’uomo di fronte a lui. Tully sorrise appena, dolcemente.
“Te l’ho detto Richard. Non sei mai stato solo. Io sono sempre stato accanto a te, anche se tu non mi hai mai visto. O meglio, quasi mai…” rispose l’uomo voltandosi a guardare la nipote seduta davanti a lui. Alexis indietreggiò appena con la schiena sulla sedia e iniziò a spostare lo sguardo da suo nonno a suo padre, confusa.
“Che c’entra mia figlia?” domandò Rick irritato seguendo lo sguardo dell’uomo. Tully si prese un momento per rispondere.
“Ti ricordi quando nacque Alexis?” domandò. Castle lo guardò confuso, ma annuì, non capendo comunque dove volesse arrivare. “Ti ricordi anche quando l’hai tenuta in braccio la prima volta?” Lo scrittore guardò sua figlia e sorrise dolcemente, dimentico per un momento della rabbia.
“Certo che lo ricordo. Era così piccola… Avevo una paura matta di farle del male in qualsiasi modo e con qualsiasi movimento.” A quelle parole Kate sorrise leggermente. Rick era protettivo nei confronti della figlia anche ora che era una donna. Poteva solo immaginare come lo fosse i primi tempi quando era neonata. Era un lato tenero di lui che amava e che lo faceva essere un padre meraviglioso. “La presi in braccio e iniziai a muovermi per il corridoio davanti alle culle con gli altri neonati” continuò con occhi persi nel ricordo. “Il problema è che non sapevo come tenerla. Per fortuna c’era un uomo che era lì per la nipote e mi aiutò a capire come prenderla per ben…” Si bloccò, le sopracciglia aggrottate. I suoi occhi blu saettavano a destra e sinistra, come cercasse di ricordare un particolare preciso. Poi sgranò gli occhi e li puntò su Tully. “Eri tu…” mormorò. Alex sorrise e annuì.
“Volevo vedere la mia bellissima nipotina” spiegò come se fosse la cosa più normale del mondo. Poi tornò a un tono più serio. “Il fatto comunque è questo Richard. Ti ho sempre tenuto d’occhio. Ti ho visto crescere. Ti ho visto prendere il diploma e laurearti. Ti ho visto sposarti e divorziare due volte con donne che credevi di amare. Ti ho visto crescere una figlia fantastica…” Fece un sospiro triste a quelle parole. Poi continuò. “Ti ho visto iniziare a scrivere e pubblicare. Ho visto la tua fama crescere, insieme, se posso dirlo, alla tua arroganza e al tuo fascino.” Si fermò e ridacchiò appena. “Scusa, credo che questi purtroppo siano aggettivi da attribuire al mio DNA. Io ero uguale a te alla tua età…” Tornò più serio e girò lo sguardo verso Beckett, continuando comunque a rivolgersi allo scrittore. “Ti ho visto però anche maturare accanto a questa donna. Ti ho visto rischiare. Ti ho visto salvare il mondo, gioire e piangere qui al distretto. Ma soprattutto ti ho visto innamorarti.” A quelle parole Kate arrossì appena e si voltò a incrociare lo sguardo dello scrittore. Dopo qualche secondo di silenzio, Tully continuò con un tono di rimpianto per tutto quello che aveva visto solo da fuori e non aveva potuto vivere in prima persona. “Ti ho visto crescere e diventare lo scrittore, il padre e l’uomo che sei ora. E non importa quanto tu mi possa odiare in questo momento per non essermi mai fatto vedere. Io sono fiero di te.” Rick rimase parecchi secondi in silenzio, assimilando quelle parole, lo sguardo ora puntato sul pavimento.
“Hai detto che nessuno sapeva chi eri. Ma almeno una persona lo sapeva” replicò duro alzando gli occhi su di lui. Non era più arrabbiato, non completamente almeno, ma ancora non si fidava. Tully aggrottò le sopracciglia, confuso. Kate invece capì subito a chi si riferiva. C’era anche lei quando era stato nominato. “Sophia Turner” dichiarò Castle. Un lampo di comprensione passò negli occhi dell’uomo e annuì.
“Già… mi ero dimenticato di lei. Beh, devo dirtelo. Ora sono in pensione, ma, senza vantarmi troppo, sono stato uno dei migliori agenti della CIA in circolazione. Ma come Sophia Turner abbia scoperto che tu eri mio figlio, per me è ancora un mistero purtroppo. Devo averle insegnato troppo bene…”
“La Turner era sua allieva?” domandò stupita Beckett senza riuscire a trattenersi. Tully annuì grave.
“Sì, Sophia Turner è stata una mia apprendista” rispose. “Una delle migliori devo dire. Basta vedere come ha ingannato poi tutti all’interno della CIA, come voi avete avuto ben modo di vedere… Comunque io ero un suo superiore, quando passò per la mia scrivania la tua richiesta di seguirla per scrivere un libro. Ero abbastanza influente già all’epoca e misi una buona parola per te. Lo confesso: sapevo che ti avrei esposto a dei pericoli e che non avrei dovuto permettertelo, ma, come ricorderete, io ero un egoista. In questo modo ebbi la possibilità di vederti più spesso e da più vicino di quanto avessi mai potuto fare…” Fece un sospiro e poi continuò. “In ogni caso, non seppi mai come recuperò l’informazione sul nostro legame di sangue. Credo che a un certo punto della vostra collaborazione volesse anche svelartelo, ma non lo fece mai. Forse in realtà lo suppose solo che noi fossimo imparentati…”
“Dimmi che non è successo così anche per il distretto” lo bloccò Castle. Si sentiva in qualche modo manipolato, oltre che spiato. Tully lo guardò e scosse il capo.
“No, la tua amicizia con il sindaco in questo caso fu abbastanza” replicò. Rick sospirò sollevato. “Comunque se proprio vuoi saperlo, anche in quel caso interpellarono me.” Lo scrittore alzò subito il capo verso di lui. “Conoscevo già il capitano Roy Montgomery quattro anni fa. Secondo te perché ha accettato così facilmente che tu ti mescolassi ai suoi uomini?” domandò retorico alzando le sopracciglia. Rick lo guardò confuso. “Chiese informazioni su di te in giro. E siccome io ero, come si dice, ‘un amico che lavorava alla CIA’ quale migliore aggancio a cui chiedere informazioni?” Castle era immobile. Non sapeva se sentirsi più tradito per essere stato all’oscuro per tanto tempo o più confuso. Questa volta però fu Beckett a interrompere il momento di silenzio.
“Lei… lei ha detto che conosceva Montgomery” chiese esitante. Alex annuì. “Perché? Come lo ha conosciuto?” L’uomo sorrise.
“Ed è qui che la storia di stamattina si lega a questa” dichiarò con un mezzo sorriso divertito. Si prese un paio di secondi prima di rispondere. Accarezzò lievemente la mano di Martha, ancora stretta alla sua. “Conobbi l’agente Roy Montgomery venti anni fa. Sì, detective, proprio nel periodo in cui lui, John Raglan e Gary McCallister si divertivano a rapire mafiosi e chiedere riscatti” rispose, visibilmente contrariato tutt’ora da quel fatto. Fece un respiro profondo per calmarsi. “Io ero uno degli agenti incaricati di sorvegliarli e… Che c’è?” domandò osservando lo sguardo sbigottito di Castle e Beckett. “Pensavate non lo sapesse nessuno? No, non è per niente così. Molti sapevano, ma nessuno parlò perché a tutti andava bene quella soluzione. Non che mi piacesse ciò che facevano, ma quei tre stavano togliendo dalla strada un sacco di mafiosi. Facevano un lavoro sporco ben accetto ed erano ben coperti. Come credeva che andassero avanti altrimenti, detective? Crede davvero che la CIA e la stessa FBI non sapessero niente di tre poliziotti che giocavano a fare gli eroi delle strade?” domandò sarcastico. Kate era stupita e imbarazzata. Si sentiva una bambina rimproverata dal padre per non essere stata attenta nell’attraversare la strada. La donna guardò il suo scrittore e vide il suo stesso disagio. Martha e Alexis erano confuse per quelle informazioni per loro completamente nuove e sconosciute, ma non chiesero niente. Lasciarono che Kate e Rick capissero e assimilassero quelle notizie. “Quando Bob Armen, l’agente infiltrato dell’FBI, morì per sbaglio, subito fu nostro compito nascondere le prove…”
“Ma la CIA non può lavorare su territorio nazionale!” esclamò Castle. Tully gli fece un sorriso divertito e alzò un sopracciglio.
“Perché, tu sei mai uscito dagli Stati Uniti, mentre seguivi Sophia?” domandò. Rick aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. Quel particolare non gli era mai passato per la mente. “Appunto. Diciamo che non possiamo ‘operare’ su territorio nazionale, ma da nessuna parte c’è scritto che non possiamo ‘aiutare’ le altre agenzie… È un cavillo a cui ricorrono spesso, non ci pensare” disse scuotendo appena la mano in segno di noncuranza. Poi continuò il racconto. “Comunque dicevo, fummo ingaggiati per nascondere le prove. Non che c’è ne fossero molte, erano attenti i tre, ma eravamo lì anche per evitare che uno di loro facesse qualche stupidaggine. Raglan e McCallister erano due esperti detective, ma avevano tirato dentro Roy che all’epoca era ancora poco più di un novellino in polizia. Lo ascoltai, lo aiutai e lo consolai. Voleva confessare, era un bravo agente, ma riuscii a farlo desistere. Era mio compito convincerlo. Fu in quei giorni che iniziammo a diventare amici” commentò con un mezzo sorriso. “Appena in tempo comunque lo feci tacere. In quegli stessi giorni, infatti, ci fu il problema del recupero del denaro. Roy ovviamente non voleva neanche mezzo dollaro dei riscatti e non si era preso nemmeno la briga di chiedere dove fossero. Da quel momento si profuse anima e corpo nel lavoro, diventando uno dei migliori. Raglan e McCallister invece tentarono di nascondere i soldi, ma furono a loro volta ricattati e il denaro svanì” continuò guardando Beckett.
“Il drago” affermò solo la detective. Tully annuì.
“Prese lui i soldi e divenne quello che è oggi, aiutato dal fatto che nascose nel tempo anche molte… diciamo malefatte altrui. Ma all’epoca non potevamo saperlo. Ed era oscuro per noi dove fossero finiti quei maledetti contanti. Raglan e McCallister infatti non dissero mai chi lo aveva ricattati. Dopo un po’ di tempo però nessuno ci pensò più. Joe Pulgatti era stato arrestato per l’omicidio di Armen ed eravamo riusciti a nascondere l’identità dei tre poliziotti a tutti. Le acque erano tornate tranquille. Al momento il nostro compito era terminato. Al denaro ci avrebbero pensato altri. Tutto andò bene, fino alla comparsa di Johanna Beckett, sette anni dopo.” A quelle parole, Kate sussultò. Alex la guardò teneramente. “Era davvero una donna straordinaria, quanto lo è oggi sua figlia. Si mise contro tutti per aiutare Pulgatti a uscire di galera. Aveva accolto la sua richiesta d’aiuto e aveva capito che era innocente, seppure affiliato alla mafia.”
Vincit omnia veritas…” mormorò la detective in un sussurro ricordando le parole sulla tomba della madre. Tully annuì.
La verità vince tutto” tradusse Alex. “La rispettai e ammirai per il suo coraggio” continuò dopo qualche secondo. “Cercava costantemente giustizia. Senza che noi riuscissimo a fare niente però, purtroppo Johanna Beckett fu uccisa. E come lei anche altre persone legate alla sua associazione” disse con tono dolorante. “Credo che sia stato in quei giorni che Roy decise di raccogliere tutti i documenti su quel caso, quello di Armen e di altre vittime innocenti. All’inizio solo per nasconderli. Aveva notato anche lui che alcuni fascicoli iniziavano a sparire nel nulla...” A quelle parole Kate ricordò un appunto di sua madre in cui diceva di voler visionare un incartamento di cui però poi si era persa ogni traccia. “Racimolò anche tutto quello che poteva su quello che oggi chiamiamo il drago e che sapeva essere il ricattatore dei suoi due compagni di rapimenti. Quando tu entrasti in polizia, Kate, quando ti vide così bisognosa di vendetta, fu quello il momento in cui decise di proteggerti. Era già troppo tardi per fermare il drago e lui era praticamente solo. Decise di nascondere tutti i documenti finché tu non fossi stata pronta per accettare la verità e finalmente dare giustizia. Giustizia, sia ben chiaro, non vendetta. Perché la vendetta uccide. La giustizia rende liberi.” Beckett alzò piano li occhi sull’uomo. La verità vince tutto… La vendetta uccide. La giustizia rende liberi… quelle parole continuava a girarle in testa.
“Chi è il drago?” domandò dopo qualche secondo Beckett. Era sicura. Era pronta. Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e stringerla leggermente. E seppe che Rick era accanto a lei. Alzò gli occhi su di lui e per un momento si fece stregare ancora una volta dai suoi occhi blu. Le fece un piccolo sorriso incoraggiante e fiero, nonostante fosse ancora turbato per le notizie relative a suo padre. Lei sorrise in risposta e tornarono insieme a osservare Tully. L’uomo osservò con attenzione la detective a quella domanda e poi quel silenzioso scambio tra i due. Annuì.
“Permettimi di concludere questa storia allora e quel nome sarà tuo” ribatté. Beckett annuì in risposta. Si morse il labbro inferiore, nervosa. “Molto bene. A questo punto possiamo anche fare un salto di qualche anno. Ormai tu, Kate, sei una giovane detective della polizia e da tre anni il famoso scrittore Richard Castle ti segue come un’ombra. Il drago sembra tranquillo, ma è solo un’impressione. Negli ultimi tempi infatti, come ben sapete, ha fatto in modo di eliminare chi sapeva qualcosa di lui, cioè Raglan e McCallister. Mancavano solo Roy e tu stessa Kate, poiché eri diventata un po’ troppo attiva nella sua ricerca. Roy purtroppo muore e tu rischi di rimanere uccisa da un cecchino. Ma il capitano Montgomery era una vecchia volpe. Sapeva che non sarebbe durato a lungo. Così aveva mandato tutti i documenti che potevano incastrare il drago a due suoi fidati amici, Jonathan Smith e me, per la salvaguardia e la tutela tua e della sua famiglia.” Si fermò per un secondo. Un lampo di dolore passò nei suo occhi blu scuro e strinse appena le mani di Martha. “C’ero anch’io quel giorno al funerale… per questo non vidi subito quei documenti” aggiunse dopo un momento con tono di scuse. Prima che potessero chiedere qualcosa però, Tully continuò. “Roy però non sapeva che in realtà erano già tre anni che ti seguivo Kate. Mi scuso, ma non potei farne a meno, visto che tu e mio figlio sembravate una cosa sola spesso” disse sorridendo dolcemente. Beckett arrossì appena a quella dichiarazione. “Tenendo d’occhio lui, tenni d’occhio automaticamente anche te. Come vi ho già raccontato poi, io e Jonathan trovammo un modo per tenerti al sicuro. Fino a pochi giorni fa. Ora sono rimasto solo io. E adesso tu, Kate, sei pronta per avere giustizia.” Fece un sospiro e puntò i suoi occhi in quelli ansiosi della detective. “Tu mi chiedi chi è il drago Kate… ebbene, immagino tu conosca Franklin Spark Junior” dichiarò Tully. Beckett spalancò la bocca e sgranò gli occhi. Si sentì un lieve tramestio arrivare da dietro lo specchio, ma la detective non lo udì minimamente. Rick la guardava preoccupato e stava per chiederle se lo conosceva, quando la stessa donna parlò.
“Mi sta dicendo che il Capo della Polizia dello Stato di New York è il drago??”

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Xiao!! :D
Ehilà allora come state? X) Fa troppo caldo qui da me... :P
Allora finalmente Tully ha deciso di raccontare la sua storia!! :D Ve lo dico subito, scrivere questo capitolo è stata una fatica immensa... Non tanto per la lunghezza (se mi conoscete, sapete che non mi spaventa), quanto per il contenuto... Nella mia testa avevo in mente la storia, ma ho scoperto che scriverla, cercando di non annoiare, di non ripetermi e di non scrivere cavolate è stato un lavoraccio... Avrei scritto anche di più, ma dovevo ridurre in qualche modo... magari aggiungerò qualche altra cosa negli altri capitoli, boh... Spero solo sia venuto abbastanza bene questo! :)
Comunque, Tully quindi ha sempre tenuto d'occhio il figlio! Insomma il lato protettivo gli sarà venuto fuori da qualche parte allo scrittore, oltre fascino e arroganza! XD 
Povero Rick era scioccato e incavolato a quella rivelazione!!
E finalmente scopriamo chi è il drago... XDXD
Ok mi raccomando ditemi che ne pensate anche con un commentino piccolo piccolo!!! :D:D
Ah, vi avverto, settimana prossima altro esame, quindi non so bene quando pubblicherò... probabilmente nel fine settimana... boh...
Al prossimo capitolo!! :D
Lanie

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Capitolo 11
*** Seconde possibilità ***


Cap.11 Seconde possibilità

Mi sta dicendo che il Capo della Polizia dello Stato di New York è il drago??
A quelle parole le dita dello scrittore si chiusero, senza accorgersene, sulla spalla della detective, quasi a farle male. Beckett però percepì solo in parte quella stretta, causata dallo sbalordimento per la notizia che era appena stata sbattuta loro in faccia. Senza doversi girare a guardare Rick in volto, sapeva inconsciamente che l’espressione dell’uomo doveva essere identica alla sua. Occhi sgranati e bocca aperta. Come… come è possibile…? pensò Kate, stupefatta. In quel momento era incapace di connettere altri concetti se non Capo della Polizia e drago. E in realtà non riusciva a capacitarsi che potessero essere pronunciati nella stessa frase.
Alexis passò lo sguardo su ognuno dei presenti, confusa e allarmata. Capiva che la situazione era grave, ma non fino a che punto. Nessuno le aveva mai spiegato niente su questo ‘drago’, nemmeno suo padre. Da come ne parlavano pochi minuti prima, aveva compreso almeno un paio di cose su questo essere. Aveva avuto a che fare con la morte della madre di Kate, aveva ordinato più di un assassinio, era un ricattatore ed era riuscito a nascondere la sua identità fino a quel momento. Il quadro generale le aveva dato l’idea di un tipo pericoloso e sconosciuto… ma allora perché Alex aveva appena detto che era il capo della polizia? Come poteva essere? Guardò sua nonna, sperando forse di vedere un’altra faccia confusa oltre la sua. Ma anche lei sembrava stupita da quella rivelazione quasi quanto suo padre e Kate. Quindi anche l’attrice sapeva cose che lei ignorava. Spostò lo sguardo su Alex. Tully sembrava la personificazione della calma. Gli occhi dell’uomo erano ancora puntati in quelli della detective, come se volesse leggerle dentro i suoi pensieri.
La ragazza era a disagio. Non sapeva se era il caso di chiedere spiegazioni o meno. Prima che qualcuno potesse aprire bocca però, la porta della sala interrogatori si spalancò all’improvviso e andò a cozzare violentemente contro il muro, facendoli sobbalzare. Il capitano Gates entrò a grandi passi dentro la stanza, puntando direttamente all’ex-agente CIA. Il suo sguardo era furente. Ryan ed Esposito erano appena dietro la donna, ma il loro atteggiamento era completamente differente. Le loro facce erano sconvolte e stupite, e sembravano anche un po’ intimoriti dalla furia di ‘Iron’ Gates. Prima che qualcuno potesse muovere un muscolo, il capitano si ergeva già davanti a Tully e gli puntava un dito in mezzo al petto, quasi a volerglielo forare. Tully era riuscito a malapena a portare un braccio davanti a Martha accanto a lui, nel tentativo di nasconderla dall’impeto della donna. Comunque non sarebbe servito. L’ira di Victoria Gates era esclusivamente rivolta a lui.
“Lei…” sibilò rabbiosa. Si fermò un secondo, accorgendosi dello spettacolo che stava dando, e fece un breve respiro per calmarsi. Non smise comunque di puntagli l’indice addosso con forza. “Spero che lei abbia delle prove ben concrete per verificare quello che ha appena dichiarato.” Ora era più controllata, ma dai suoi gesti bruschi era ben visibile la rabbia nascosta. “Franklin Spark Junior è stato uno dei migliori detective che la polizia abbia mai avuto” dichiarò quindi con forza. Tully fece un sonoro sbuffo.
“Uno dei migliori detective che la polizia abbia mai avuto è seduta esattamente davanti a me!” replicò con lo stesso tono, indicando con gesto della mano Kate dall’altra parte del tavolo. Beckett rimase per un momento spiazzata da quel complimento. Arrossì appena nonostante la situazione. “E per nostra fortuna non assomiglia per niente a quel traditore della divisa” continuò Tully. La Gates lo avrebbe fulminato con lo sguardo in quello stesso istante se avesse potuto. “E comunque ho le prove” aggiunse con un tono che voleva mettere a tacere ogni dubbio. “I documenti che mi ha spedito Roy. Li ho avuti per le mani per un anno e li ho studiati approfonditamente. Non mi sarei mai azzardato a fare un’accusa così grave se non sapessi esattamente chi c’è dietro. Mi dispiace distruggere così un uomo che ammirava e rispettava, capitano Gates, ma non sempre le persone sono quello che crediamo che siano. Forse ai tempi era un uomo migliore. Forse i soldi e l’opportunità lo hanno cambiato. Il gesto che fece anni fa indubbiamente salvò la vita di suo padre, ma…” La Gates si allontanò immediatamente da lui di un passo, ritirando la mano puntata come si fosse scottata, stupita. Tully vide e interpretò la reazione della donna. “Sì, so quello che Franklin Spark Junior ha fatto, capitano. Ormai so tutto di lui. So che salvò suo padre. Ma so anche che all’epoca non era ancora detective capo. Era un ragazzino appena entrato in polizia. Il tempo però, ma soprattutto i soldi come ho detto, cambiano le persone.” Tutti ora fissavano stupiti la Gates. La donna sembrava essersi calmata, ma aveva i pugni chiusi e la mascella serrata. Stava riflettendo. Non sapeva neanche lei se credere o meno alle parole dell’uomo.
“Mi porti quei documenti e non farò più alcuna obiezione” disse infine lapidaria dopo qualche secondo. Tully annuì piano. Poi diede un’occhiata distratta al suo orologio da polso.
“Più che giusto” replicò usando un tono disponibile, ma con lo sguardo attento a ogni mossa della donna. “Vuole verificare di persona. In fondo sto accusando un uomo che conosce e so come può sentirsi. Al momento comunque credo di essere impossibilitato a darglieli…”
“Voglio quei documenti” lo fermò bruscamente il capitano, alzando una mano per interrompere le sue scuse. “Oppure non crederò più ad una sola parola di quello che ci sta raccontando. E in quel caso non si aspetti il mio aiuto né quello dei miei uomini, perché lei sarà sbattuto fuori da questo distretto all’istante. Sono stata chiara?” Tully fece un leggero sospiro e annuì. Poi le sorrise stancamente.
“Avrà quelle carte, glielo posso assicurare. Vedrò di portarli già domattina se le va bene. Al momento però sono realmente impossibilitato a prenderli” ripeté. Il tono sembrava quello di un padre che con pazienza tenta di rispondere ai continui ‘perché?’ della figlia.
“Perché?” domandò sospettosa la donna. Tully ridacchiò.
“Beh, diciamo che non li ho lasciati in giro per casa…” Un’occhiataccia della donna lo fece tornare ad un tono più serio. “Sono in una cassetta di sicurezza di una banca qui a New York. Mi duole dirle però che le banche chiudono alle cinque del pomeriggio in questo Stato e ora sono quasi le sei…”
“In una banca?” domandò lo scrittore. “Ma se tu… se lei fosse, diciamo, scomparso prematuramente… come avremmo fatto a prendere quei documenti?” Tully gli sorrise e scosse la testa divertito.
“Richard, ho anch’io le mie assicurazioni” rispose come se fosse la cosa più normale del mondo. “Se fossi morto, allora una persona fidata avrebbe avuto il compito di recuperare quegli incartamenti e spedirli direttamente a voi, insieme a una lettera in cui spiegavo quello che vi ho detto in questa lunga giornata.”
“Immagino però che non avrei trovato scritto che siamo imparentati” commentò gelido Rick. Il sorriso sul volto di Tully svanì all’istante e abbassò la testa addolorato. Sapevano entrambi che quelle parole erano la verità. La Gates a quel punto sospirò, riportando l’attenzione di tutti su di lei.
“Molto bene signor Tully” cominciò incrociando le braccia al petto. “Aspetterò fino a domani per vedere quelle carte. Dopodiché decideremo cosa fare. Ma finché quei documenti non saranno in questo distretto, questo colloquio è finito.” Poi si girò verso i suoi uomini. “Tornate a casa e riposate. Voi due sembrate averne particolarmente bisogno…” continuò guardando con occhio critico Beckett, ancora piena di tagli e lividi, e Castle, le cui occhiaie stavano diventando particolarmente evidenti. “Domattina saremo sicuramente molto più lucidi. E, spero vivamente, più informati. Buonanotte signori” concluse. Quindi uscì dalla stanza e, senza rivolgere più una parola o uno sguardo a nessuno, si chiuse nel suo ufficio.
“Beh, è andata abbastanza bene direi… pensavo l’avrebbe presa peggio” commentò con un sospiro Tully dopo qualche secondo riferendosi al capitano Gates. Rick si passò una mano nei suoi ormai stravolti capelli. Il capitano aveva ragione. La stanchezza stava iniziando a farsi sentire.
“Io direi di fare come ha detto. È il caso di tornare a casa e dormirci su. Godiamoci la tranquillità finché dura” disse in tono sfiancato lo scrittore guardando Kate. La donna annuì e si alzò.
“Esposito, Ryan, andate a casa” ordinò a sua volta ai due detective. “Per ora non c’è più niente da fare a quanto pare”
“Siamo sicuri che non verranno ancora a cercarti per ucciderti?” domandò Esposito nervoso. Rispose Tully al posto della detective.
“Per questa sera no. Ve l’ho detto, è il terzo assassino che viene messo fuori dai giochi e non è così semplice trovare un sostituto. Credo ci vorranno minimo due o tre giorni al drago per reperirne un altro.” Il detective però non era ancora pienamente convinto. Aveva paura per la sua amica, nonché sua collega.
“Quindi sei sicura di non volere alcun tipo di scorta o qualcosa di simile?” chiese Ryan, inquieto anche lui sulle sorti della donna. “Ci basta aumentare la scorta di caffè e noi siamo pronti a stare allerta tutta la notte se necessario. Possiamo piazzarci senza creare scompiglio davanti al tuo portone… o davanti a quello di Castle, dipende” aggiunse subito dopo con un mezzo sorriso malizioso per allentare la tensione, scambiando uno sguardo con Esposito. Kate scosse la testa e arrossì un poco, ma non riuscì a non sorridere con gratitudine ai due partner.
“Non preoccupatevi ragazzi, starò bene” rispose la donna. “Inoltre stavolta avrò con me la pistola. E avete sentito il signor Tully…”
“Per favore chiamami Alex” la interruppe l’ex-agente CIA con un sorriso. Kate lo guardò per un momento, indecisa, poi annuì.
“Dicevo… inoltre avete sentito Alex. Non so se abbiamo due giorni, ma credo anch’io che per stasera le acque saranno calme…” …o almeno spero! sospirò internamente. Non credeva di avere la forza necessaria per respingere un attacco per quella sera. Sentiva su di sé lo sguardo penetrante di Rick. Sapeva cosa stava pensando. Era certa che questa volta l’uomo non si sarebbe staccato da lei neppure per un momento fino alla chiusura del caso. I due detective annuirono poco convinti, ma alla fine augurarono loro la buonanotte e se ne andarono.
“Alex, hai dove andare stanotte?” domandò Martha qualche secondo dopo, mentre si avviavano fuori dalla sala interrogatori. L’uomo alzò le spalle.
“Non proprio. Ma troverò un posto non preoccuparti” rispose con un sorriso rassicurante.
“Perché non vieni da noi?” chiese Alexis senza riuscire a trattenersi. Aveva così tante domande da fargli. “Casa nostra è grande e...”
“Non se ne parla!” dichiarò convinto Rick con un gesto brusco della mano. Ci fu un secondo di silenzio, poi un coro di proteste da parte di sua madre e sua figlia lo sommerse. Lui però sembrava inamovibile. Tully non disse niente. Se lo aspettava. Dopo quello che gli aveva fatto, non voleva certo costringere il figlio alla sua presenza più del dovuto. Aveva bisogno di tempo per accettare la situazione e di certo non l’avrebbe perdonato facilmente.
“Martha, Alexis, siete molto care, ma davvero non c’è né bisogn…” cercò di ribadire Alex.
“Non dire assurdità!” lo bloccò subito l’attrice. “Il padre di mio figlio non dormirà per strada!”
“Mamma, il padre di tuo figlio ha dormito per strada fino ad oggi, quindi può tranquillamente continuare a farlo!” esclamò irritato Rick. La conversazione stava per sfociare in una litigata, quando Kate la interruppe.
“Rick , posso parlarti un attimo?” L’uomo la guardò confuso per un secondo, poi fece un sospiro per calmarsi e annuì. Kate gli fece un gesto con la testa a indicare la sala relax e ci si chiusero dentro. Rick si appoggiò stancamente al tavolo, di spalle alla macchinetta del caffè che lui stesso aveva regalato al distretto quattro anni prima. Kate gli si avvicinò e gli si mise accanto, le braccia conserte, la sua spalla che sfiorava quella dell’uomo. Entrambi avevano lo sguardo puntato al pavimento.
“Credi che dovrei farlo venire a casa mia?” domandò lo scrittore amaramente dopo qualche secondo. Sapeva che era per quello che la donna voleva parlargli. “Anche dopo quello che mi ha fatto?” Non c’era accusa nella sua voce. Non verso Kate. Voleva solo sentire il punto di vista della sua musa. Kate sospirò.
“Vorrei dirti che dovresti farlo venire perché vorrei tenerlo d’occhio, ma ometterei parte della verità” ammise la donna. Rick alzò finalmente gli occhi su di lei, confuso, le sopracciglia aggrottate. Kate si morse il labbro inferiore e lo guardò negli occhi. Quegli occhi blu che ora sembravano più spaesati che mai. “Non ti sto chiedendo di perdonarlo Rick, solo… cercare di capirlo…”
“Cosa c’è da capire? Mi ha abbandonato! Ha preferito il suo lavoro a suo figlio” sputò con rabbia tornando a guardare il pavimento. Poi, non riuscendo a stare fermo, si alzò e iniziò a camminare nervosamente per la sala relax.
“Rick…” lo chiamò la donna. Lo scrittore si bloccò sorpreso e si voltò a guardarla. Aveva percepito in quel richiamo un tono triste e quasi disperato. Kate lo raggiunse e gli prese delicatamente il viso fra le mani. “Lo so che probabilmente non è stato il migliore dei padri, ma è sempre tuo padre. Inoltre a suo modo ti è stato vicino e ora sta cercando di rimediare un po’ alla sua assenza. Capisco la tua rabbia, Rick, davvero, ma… non allontanarlo.” Castle cercò si spostare il viso dalla sua presa. Non voleva sentire altro. Perché non capisce quello che provo?  pensò frustrato. Lei però non gli permise di spostarsi. “Rick guardami” lo chiamò di nuovo la donna dolcemente e ancora con quella nota malinconica. Con i pollici gli carezzava lievemente le guance. “Ti prego.” Lui sospirò e incatenò i suoi occhi blu a quelli di lei. “Stai avendo la possibilità di ricominciare con tuo padre. Di mettere da parte il passato e andare avanti. Io… io non avrò più la stessa possibilità con mia madre…” mormorò. Gli occhi della donna si fecero appena umidi. Lo scrittore finalmente comprese il motivo del tono e delle parole della sua musa e si diede dello stupido mentalmente. Senza volerlo l’aveva ferita. Erano cresciuti entrambi senza un genitore, ma aveva ragione Kate. Lui poteva ricominciare con suo padre, mentre lei non avrebbe più potuto con sua madre. La attirò a sé e la strinse, nascondendo la faccia tra i suoi morbidi capelli, accarezzandole lievemente la schiena con una mano. Voleva farle capire che comunque lei non sarebbe più stata sola. Sentiva il respiro regolare della detective sul suo collo e pensò che in quel lungo giorno, anche una cosa così semplice gli era mancata terribilmente. Rimasero per qualche momento così, restando semplicemente abbracciati a sentire il calore dell’altro sul proprio corpo. Alla fine Kate si staccò leggermente da lui. Lo tirò piano per il colletto della camicia e lo baciò lentamente. Quando furono entrambi a corto d’ossigeno, Kate si allontanò nuovamente da lui lo stretto necessario per poter parlare e guardarlo negli occhi. “Qualunque decisione prenderai, io ti sosterrò comunque” sussurrò. “Ricordati però quello che ti ho detto, ti prego. Non ti chiedo di perdonarlo. Non subito almeno. Ma pensaci. Io non posso avere seconde possibilità, mentre tu sì. Se non fosse stato un caso l’incontrarlo a questo punto? Non mi dici sempre di dare fiducia all’universo?” domandò alzando un sopracciglio. Rick sorrise appena a quelle parole e annuì. Kate gli sorrise dolcemente in risposta. “Resta qui il tempo che ti serve. Io devo passare un momento dalla Gates. Ti aspettiamo di là.” Rick annuì con un sospiro. Kate gli lasciò un ultimo veloce bacio a fior di labbra e uscì, chiudendosi la porta alle spalle in modo da lasciargli un po’ di tranquillità. Rick a quel punto si voltò e si appoggiò di peso con le mani al tavolo, abbassando la testa in avanti, quasi a toccare la macchinetta del caffè con la fronte, pensieroso. Io non posso avere seconde possibilità, mentre tu sì… quelle parole gli ronzavano in testa. E se avesse ragione la sua musa? Se fosse un segno dell’universo? Forse, ma non aveva intenzione di passare uno straccio e lavare via tutto il passato in un colpo solo. Sospirò. Quindi che devo fare? Permettergli di rientrare nella mia vita e in quella della mia famiglia oppure allontanarlo?
 
Kate uscì dalla sala relax e incrociò lo sguardo di Martha, Alexis e Tully accanto alla sua scrivania. Li vide drizzarsi e iniziare ad avvicinarsi a lei, ma la detective alzò una mano, a indicare che dovevano ancora aspettare. Si diresse quindi nell’ufficio del capitano. Bussò e la voce della donna le diede il permesso di entrare. La Gates era seduta rigidamente sulla sua comoda sedia, i gomiti appoggiati ai braccioli e le mani unite davanti al viso. Non era girata in avanti, ma verso un lato della scrivania dove erano accumulate alcune cornici. Prima di allora Beckett non vi aveva mai fatto caso. Erano ritratte diverse persone nelle immagini. La figura di un uomo spiccava più frequentemente delle altre, alcune volte in divisa, altre in abiti normali.
“Voleva chiedermi qualcosa detective?” domandò bruscamente il capitano voltandosi verso di lei e facendola ritornare alla realtà.
“Sì, signore. Volevo sapere se ora il signor Tully è autorizzato a uscire dall’edificio” rispose. Non credeva ci fosse ancora qualche motivo per trattenerlo, ma preferiva chiedere per non avere guai. In fondo Tully aveva sparato a Maddox e non sapeva se il caso era ancora aperto o meno. “Non so come stia procedendo il caso sul mio ferimento e…”
“È stato archiviato come legittima difesa” la fermò subito la donna. “Il signor Tully quindi ora non è più un sospettato. È libero di entrare e uscire anche dagli Stati Uniti se vuole. Ma sappiamo bene entrambe che non lo farà…” commentò lanciandole un’occhiata d’intesa. Kate annuì. La Gates si girò quindi di nuovo verso le foto, lo sguardo pensieroso. Beckett si azzardò a dare un’altra occhiata alle immagini. “Sa chi è l’uomo ritratto in quasi tutte queste foto, detective?” domandò la donna di punto in bianco qualche secondo dopo. Beckett rimase un attimo spiazzata dalla domanda, poi scosse la testa in segno di diniego. “È mio padre” continuò la donna. Kate sgranò gli occhi sorpresa e li puntò nuovamente sulle foto. Le aveva raccontato in passato del fatto che suo padre e suo nonno erano stati in polizia, ma non si aspettava che ora il capitano Gates ne parlasse così apertamente a lei. “Un giorno stava facendo il solito giro di routine insieme al suo partner, un agente appena entrato in polizia. All’improvviso si ritrovarono nel mezzo di una sparatoria fra due gang rivali. Se non fosse stato per quell’semplice poliziotto, quel giorno l’agente Gates non sarebbe rientrato a casa.” Si fermò per un secondo e prese un respiro profondo. Poi si voltò di nuovo verso Beckett, che immobile e a bocca semiaperta ascoltava il racconto. “Quell’agente semplice era Franklin Spark Junior. Mio padre gli deve la vita. Non voglio dovergli dire che il suo salvatore è un insulso ricattatore e assassino. Non senza prove concrete.” Kate annuì, non sapendo cosa dire. Ora poteva ben capire la reazione della donna nella sala interrogatori. La Gates le annuì in risposta, quindi le fece un cenno con la mano alla porta. “Molto bene. Può andare ora. Buonanotte detective.” Beckett quindi salutò e uscì. Quando si dice mai giudicare un libro dalla copertina… pensò Kate, internamente stupita. Decisamente c’è molto più di quello che pensavamo nella Gates. C’è realmente un cuore sotto quello strato di metallo… Alzò la testa e vide Martha, Alexis e Tully. Rick non era ancora uscito dalla sala relax.  Si avvicinò loro e parlarono qualche minuto, finché lo scrittore finalmente non si fece vedere all’esterno della saletta. Tutti attendevano la sua decisione. In fondo la casa era sua ed era quello maggiormente colpito forse dalla vicenda. Rick andò loro incontro e si fermò a pochi passi di distanza.
“Allora? Può venire?” chiese Alexis impaziente. Tully e Martha erano tesi e silenziosi. Castle scambiò uno sguardo con Kate. Quindi sospirò e annuì. “Sì!! Grazie papà!” esclamò subito la figlia abbracciandolo. L’ex-agente rimase un po’ sorpreso all’inizio, ma sorrise riconoscente.
“Grazie ragazzo” mormorò sinceramente.
“Non ringraziarmi” replicò Rick con freddezza, mentre Alexis si staccava da lui. “Lo faccio per mia madre e mia figlia. E forse anche un po’ per andare incontro all’universo…” aggiunse un po’ più caldamente girandosi a guardare la sua musa negli occhi. Nessuno comprese la sua ultima frase tranne Kate che scosse la testa, ma con un sorriso dolce sulle labbra.
“Beh, andiamo allora!” esclamò Martha felice dopo qualche secondo prendendo a braccetto Tully. Alexis si mise subito dall’altra parte dell’uomo e insieme si avviarono chiacchierando all’ascensore. Sembrava che i problemi di quel giorno non fossero mai esistiti. Kate sospirò e osservò con un piccolo sorriso quella compagnia allegra. Recuperò quindi cellulare e chiavi dalla sua scrivania insieme alla giacca. All’improvviso sentì la presenza di Rick dietro sé e il braccio dell’uomo le circondò la vita.
“Non lo chiamerò papà” mormorò lo scrittore. Il respiro caldo dell’uomo a diretto contatto con il suo orecchio la fece rabbrividire. Si voltò verso di lui.
“Nessuno ti chiede di farlo” sussurrò lei in risposta, alzando una mano e carezzandogli lievemente una guancia.
 
Nonostante Rick cercasse di interagire il meno possibile con Tully, la cena fu comunque piacevole. Lo scrittore si era fatto aiutare da Kate in cucina e insieme avevano creato un menù squisito. Per tutta la sera nessuno parlò del caso. Ci sarebbe stato tempo in seguito. Per il momento si stavano solo godendo la serata, chi più, chi meno. Alex fu completamente sommerso di domande da Martha e dalla nipote. Volevano sapere tutto quello che aveva fatto in quegli anni, i posti che aveva visitato, la cosa più strana che avesse mai mangiato, il suo colore preferito... Insomma ogni cosa passasse per la mente delle due donne. L’uomo cercò sempre di rispondere, costantemente con un sorriso affabile in volto, ma si rivelò più difficile del previsto. La sua vita era stata prevalentemente la CIA. E scoprirono che più di metà delle sue operazioni erano top secret, quindi riuscirono a ricavare solo alcuni dettagli e piccole vicende della vita di Alex. Comunque tutte cose di poco conto e che erano sempre ben lontane dal suo lavoro. Qualche domanda riguardò anche Richard, ma l’umore di entrambi gli uomini sembrava cambiare in quei brevi momenti. Tully si intristiva, mentre lo scrittore si incupiva e iniziava a stringere qualunque cosa avesse in mano. Così nonna e nipote si accordarono tacitamente di non chiedere altro su quel tema. Rick non domandò nulla. Non commentava neppure. Di tanto in tanto sbuffava. Sembrava non ascoltasse, ma Kate era sicura che invece non si perdesse una sola parola. Per quanto non volesse ammetterlo, anche lo scrittore era avido di sapere. Dopo cena si trasferirono in salone per continuare a parlare comodamente. Alex, Martha e Alexis si sedettero su un divano con l’uomo al centro, mentre Rick e Kate occuparono l’altro.
Era quasi mezzanotte quando Rick disse che forse era il caso di andare a dormire. Era davvero stanco. Inoltre era sicuro che anche Kate non vedesse l’ora di riposarsi in un comodo letto. L’aveva sentita lanciare un piccolo gemito di dolore quando si erano seduti e lui l’aveva attirata a sé posandogli un braccio sulle spalle. La giornata era stata pesante e non si era riposata un momento. I colpi ricevuti dovevano dolerle parecchio. I tagli al viso erano rossi e sembravano quasi faticare a cicatrizzarsi. Il livido all’occhio spiccava scuro sulla sua pelle più che mai e Rick sapeva bene che era per nasconderlo un po’ alla vista che la donna aveva appoggiato la guancia alla sua spalla.
Alexis mugugnò triste quando vide l’ora. Sarebbe voluta rimanere alzata ancora per apprendere più cose di quel ramo della sua famiglia che non aveva mai avuto l’opportunità di conoscere. Ma ci sarebbe stato tempo nei giorni a seguire. Così sospirò, salutò tutti i presenti e salì le scale per andare a dormire. Appena Alexis sparì al piano di sopra, Kate si alzò dal divano e rimase un momento ferma lì in piedi, indecisa.
“Forse… forse è il caso che vada…” mormorò imbarazzata. Si sentiva a disagio a rimanere in casa Castle con tutti i componenti della famiglia. Rick si alzò di scatto e le si parò davanti, nel viso uno sguardo da cucciolo bastonato. Prima che l’uomo potesse dire niente però, Tully intervenne.
“Kate, se è per la nostra presenza in casa che non vuoi rimanere allora non preoccuparti. Rimarremo tranquilli nelle nostre camere con le porte ben chiuse…” disse ridacchiando malizioso. Castle lo fulminò con lo sguardo, mentre la detective arrossì. C’era da dire che avevano bevuto un po’ quella sera, soprattutto lui e l’attrice. Un bel po’. Sembravano davvero fatti l’uno per l’altra sotto quel punto di vista. L’ex-agente si beccò un colpetto sul braccio da parte di Martha insieme a un lieve rimprovero.
“Lasciali stare, Alex!” esclamò l’attrice. Prima che scrittore e musa potessero emettere un sospiro di sollievo però, la donna continuò. “Almeno per stasera intendo… E poi guarda come sono conciati, poveri cari. È una buona notte di sonno quello che gli ci vuole! Ad altre attività possono sempre pensarci da domani.” Rick sbuffò. Poi senza preavviso prese Kate per mano e si allontanò con lei di qualche passo da Martha e Tully, in modo da essere fuori dalla loro visuale, ma soprattutto fuori dalla loro portata d’orecchio. Anche da quella posizione sentivano i due sul divano ridacchiare come ragazzini. Lo scrittore si domandò per un momento se fosse il vino o le emozioni della giornata a renderli così.
Kate si lasciò guidare da Rick, le sopracciglia leggermente aggrottate. Arrivati a destinazione, l’uomo controllò che i due ‘anziani’ non potessero vederli. Quindi si girò verso Kate, si avvicinò a lei e le alzò delicatamente il mento perché lo guardasse negli occhi.
“Vorrei che restassi…” sussurrò l’uomo dolcemente, spostando la mano e carezzandole appena con un pollice la guancia. L’altra mano teneva saldamente quella della donna, quasi per paura che scappasse. Prima che Kate potesse ribattere, continuò. “Vorrei che restassi, Kate, ma non vorrei che ti sentissi a disagio perché ci sono mia madre, mia figlia e… e Tully. Vorrei dirti che tanto ormai tutti sanno di noi e che commenteranno comunque, ma so che non basterebbe a toglierti dall’imbarazzo. Quindi se vuoi tornare a casa, allora va bene. Ma…” La donna alzò un sopracciglio. C’era sempre un ‘ma’. Rick ridacchiò vedendo la sua espressione sospettosa. Si avvicinò e sfiorò la punta del naso della donna con il suo. “Ma permettimi di accompagnarti e restare con te. Perché ho bisogno di te.” Kate socchiuse la bocca nel sentire quelle parole e trattenne per un momento il respiro. Nonostante stessero insieme già da diversi giorni, sentire certe frasi da lui aveva sempre il potere di scombussolarla. Rick fece un mezzo sorriso e appoggiò la sua fronte a quella della donna, respirando il profumo di ciliegie. “Vorrei dirti che lo faccio perché voglio controllare che tu stia bene, ma non sarei completamente sincero” sussurrò, copiando quasi le parole che lei gli aveva detto nella sala relax. “Sai, credo di avere una caratteristica che mi eguaglia ad Alex Tully in questo caso…” aggiunse poi come sovrappensiero. Kate aggrottò le sopracciglia. Non l’aveva ancora mai sentito cercare somiglianze con il padre. Lo scrittore sorrise dolcemente. “Sono anch’io un egoista. Ho bisogno di te Kate. Voglio stringerti di nuovo a me questa notte, dormire e svegliarmi con te accanto. Voglio poterti baciare fino a non avere più fiato e la mattina preparati caffè e pancakes…” Kate era completamente rapita dalle parole dell’uomo. Chiuse gli occhi senza accorgersene quando vide il volto di Rick avvicinarsi ulteriormente al suo, come a volerla baciare. Ma lo scrittore deviò dalla sua bocca e le lasciò un leggero bacio sulla guancia e uno sull’orecchio, dove si fermò. “Mi sono dovuto trattenere tutto il giorno dopo quello che è successo, ma stanotte no” mormorò l’uomo. “Stanotte ti voglio solo per me. E il mondo là fuori può anche andare a quel paese. Né un insignificante drago né una pazza famiglia mi impediranno di stare con te ancora, non dopo tutto il tempo che abbiamo aspettato. Tranquilla detective, le mie intenzioni per stanotte sono pure e caste, non preoccuparti” sussurrò ridacchiando malizioso. Kate rabbrividì al soffio del suo respiro caldo sul collo. “Direi che siamo entrambi troppo stanchi per altro… purtroppo…” L’ultima parola la sussurrò a mezza voce e Kate non riuscì a non ridacchiare. “Inoltre tu sei uscita stamattina dall’ospedale. Dovresti stare a riposo. Su una cosa comunque mia madre ha ragione. Da domani potremo fare anche altro, tutto l’altro che ci viene in mente… E non vedo l’ora…” mormorò malizioso lasciandole un altro piccolo bacio sull’orecchio. Un lieve gemito scappò dalla bocca di Kate che si morse il labbro inferiore. “Ma per stanotte… per stanotte, ti prego… permettimi solo di stare con te. Ovunque tu voglia” concluse dolcemente staccandosi da lei quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Kate si morse ancora il labbro inferiore perdendosi per qualche secondo nei suoi occhi blu. Era tentata. Estremamente tentata. La presenza della famiglia Castle sembrava un problema lontano. E la vicinanza dello scrittore di certo non la aiutava a ragionare lucidamente. Alla fine sospirò e annuì.
“Resto” disse solo con un piccolo sorriso e le guance un po’ rosse. Il volto di Rick si aprì in un fantastico sorriso. L’uomo si avvicinò di nuovo a lei e stavolta la baciò sulle labbra. Un bacio lento, carico di gratitudine per qual piccolo favore neanche troppo pesante da sopportare.
“Ti amo” le mormorò sulle labbra quando si staccò. Tornarono quindi nel salone, augurarono la buonanotte a due ancora ghignanti Martha e Alex e si ritirarono velocemente nella camera dello scrittore. Rick forse aveva paura che la donna potesse cambiare idea durante il percorso tra il salone, il suo studio e la sua camera, perché non le lasciò mai la mano. Ma l’idea di andarsene, ovviamente, non la sfiorò nemmeno.

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Xiao!! :D
Allora... finalmente questa luuunga giornata è finita! X) 
Il caso è stato messo un po' da parte stavolta... E si scopre anche un pezzettino della vita di Victoria Gates e, guarda un po', suo padre è stato salvato da niente di meno che il tipo che sarà soprannominato il 'drago'! X)
Rick ha scelto di ascoltare un poco l'universo (o sarebbe meglio dire il suo universo...) e ha deciso di accogliere Tully a casa sua! Va lì che Alex e Martha sono la coppia perfetta anche in fatto di bevute... XD
E la sera... beh, forse non ci saranno "fireworks" (come dice il caro Richard Castle nei suoi commenti twitter del quattro luglio), visto come sono distrutti, ma almeno saranno insieme! XD
Al solito ditemi che ne pensate!!! :D:D:D
Al prossimo capitolo!!! ;)
Lanie
ps: piccolo spoiler per il prossimo capitolo: la giornata è finita... ma chi dice che la notte finirà qui............?? XDXD

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Capitolo 12
*** Dottore e inventore ***


Io... ehm... uhm... no ok lasciamo stare, non dico niente... Vi scrivo sotto che è meglio! Buona lettura!
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Cap.12 Dottore e inventore

Rick si premunì di chiudere entrambe le porte dello studio e della sua camera. Non a chiave. Non sarebbe servito. Ma almeno avrebbero avuto la privacy che speravano. Appena entrati nella stanza, Kate fece appena in tempo a fare due passi all’interno che si sentì afferrare alla vita dallo scrittore. La donna percepì il petto dello scrittore aderire perfettamente alla sua schiena.
“Dove vai?” domandò l’uomo retorico ridacchiando e lasciandole un bacio sul collo.
“Dove vuoi che vada?” replicò Kate alzando un sopracciglio, ma con un sorriso divertito in volto. “Stavo solo cercando di raggiungere la mia borsa. Sai, dovrei cambiarmi. Non mi sembra il caso di dormire con questi vestiti addosso…” La donna si rese conto solo un attimo dopo del doppio senso che poteva nascondere, neanche troppo velatamente, la sua frase. Sentì infatti Rick sogghignare sul suo collo.
“Oh, ma se è per questo non devi preoccuparti! Per me va più che bene dormire nudi! Lo sai che sono contro lo spreco, no? Meno vestiti indossi, meno lavatrice da usare, meno energia e acqua consumate!” dichiarò con tono semiserio. Kate si girò tra le sue braccia e lo guardò con un sopracciglio alzato.
“Che paladino dell’ambiente…” commentò sarcastica. Poi gli puntò un dito al petto. “Mi hai capito benissimo signor scrittore. E poi le tue intenzioni per stasera non erano pure e caste? Faccio ancora in tempo ad andare a casa…” disse in finto tono di minaccia. Sapevano entrambi che non l’avrebbe fatto. Ma giocare un po’ dopo tanto stress era la cosa migliore per rilassarsi. E d’altronde non avrebbero mai smesso di stuzzicarsi. Rick fece una smorfia e mise su il suo miglior sguardo da cucciolo.
“E mi lasceresti così solo soletto?” chiese col tono di un bimbo a cui è negato portare l’orsetto a nanna con lui. Kate fece finta di pensarci per qualche istante.
“Mm… sì!” dichiarò ridendo. Rick si imbronciò come un bambino offeso. Poi sospirò e attirò la donna ancora più vicina a sé, tenendola saldamente per la vita.
“Va bene, mi arrendo. Farò il bravo, promesso” replicò. Kate rimase per un momento stupita da questa sua accondiscendenza. “Ma…” La donna sospirò. Sembrava strano… pensò divertita.
“No, di nuovo??” esclamò alzando gli occhi al cielo fintamente esasperata. Rick ridacchiò.
“Già!” rispose convinto con un sorrisetto furbo in volto. “Dicevo... Ma per fare il bravo ho bisogno di un… uhm… piccolo incentivo. Non credi?” Kate lo guardò per un momento nei suoi occhi blu, poi si morse il labbro inferiore e il suo sguardo si abbassò per un secondo all’altezza delle labbra dello scrittore. Vedendo il percorso degli occhi della donna, Rick sghignazzò. “Vedo che mi ha capito alla perfezione detective. L’ho sempre detto che c’è una connection tra di noi…” Kate scosse appena la testa, divertita. Poi prese l’uomo per il colletto della camicia e si allungò per baciarlo. Doveva essere un bacio piccolo, secondo l’idea di Kate, ma quasi subito la donna dimenticò lo scherzo e il bacio si fece più approfondito. Si staccarono solo quando non ebbero più fiato. Entrambi un po’ ansimanti, rimasero lì in piedi, abbracciati, le fronti unite.
“Tu non sai quante volte oggi ho pensato di prenderti di peso, chiuderti con me in una stanza e baciarti in questo modo…” sussurrò lo scrittore serio. Kate sorrise e sfiorò la punta del naso dell’uomo con il proprio. Rick le accarezzò una guancia con un pollice, poi le lasciò un ultimo piccolo dolce bacio e si staccò dalla detective in modo da potersi entrambi cambiare per la notte. Andò verso il suo lato del letto e aprì un cassetto per tirare fuori un paio di pantaloncini e una maglia a maniche corte con cui dormiva di solito. Poi iniziò a spogliarsi. Levò le scarpe e restò in calze. Tolse la camicia, rimanendo a torso nudo, e la poggiò distrattamente su una sedia della camera. L’avrebbe messa da lavare più tardi. Rimosse quindi la cintura e la appese  nell’armadio davanti a lui. Stava per slacciarsi i pantaloni quando lanciò un’occhiata distratta alla sua musa e si bloccò. Kate aveva tirato fuori dal borsone anche lei un paio di pantaloncini e li aveva poggiati sul letto. Accanto a questi c’era una maglia dello scrittore che la donna aveva iniziato a usare come parte sopra del pigiama per dormire. Kate però era ancora praticamente vestita. Aveva levato solo le scarpe e slacciato la camicia. Ma quello che aveva fatto paralizzare l’uomo era la sua posizione. Era in piedi, tesa e immobile accanto al letto. Le si avvicinò preoccupato. Portandosi davanti a lei vide una smorfia di dolore sul volto della donna.
“Kate!” esclamò agitato. “Kate, che hai?” La donna alzò gli occhi su di lui spaesata, come se si fosse ricordata solo in quell’istante che erano nella stessa camera. Poi abbassò gli occhi e arrossì. Rick la osservò per qualche istante. Si era slacciata la camicia, ma l’aveva a malapena spostata da una spalla.
“Ni.. niente io... Tutto bene” balbettò la donna. La vide iniziare a muovere cautamente il braccio per continuare a togliersi la camicia come se niente fosse successo. Un secondo dopo però si bloccò di nuovo, trattenendo il fiato e mordendosi il labbro inferiore con forza. Questa volta Rick capì il problema.
“Kate?” la chiamò ancora, questa volta in tono d’ammonimento. Incrociò le braccia al petto e rimase in attesa davanti a lei. La donna rimase in silenzio per qualche secondo.
“Credo si sia irrigidita la spalla. Mi fa male e non riesco a togliermi la camicia” confessò infine imbarazzata. Rick sospirò. A volte l’avrebbe strozzata. Perché doveva stare zitta quando stava male? Lui era lì per lei.
“E quando pensavi di dirmelo?” domandò lo scrittore lievemente esasperato con un sopracciglio alzato. La detective abbassò ancora di più la testa, come se volesse sprofondare in quell’istante. Si sentiva una bambina redarguita dal padre. “Kate guardami” disse Rick avvicinandosi e sollevandole lievemente il mento. Finalmente la donna incontrò i suoi occhi blu. “A volte sei davvero testarda, lo sai? Io sono qui per te. Sono qui per aiutarti come ho sempre fatto. Non apparirai debole agli occhi del mondo se ti fai dare una mano. Vuoi un esempio?” domandò vedendo il suo sguardo scettico. “Pensa solo a oggi. Hai fatto un gigantesco passo avanti e sono fiero di te. Hai deciso di farti aiutare dalla Gates prima e da Tully poi e guarda dove siamo arrivati! Sappiamo chi è il drago, presto avremo le prove per incastrarlo e non siamo andati contro alcuna regola.” Tralasciò il fatto che Tully si era presentato a loro spontaneamente e che ormai sarebbe stato quasi impensabile andare avanti senza il supporto del capitano. Si avvicinò ulteriormente a lei e le carezzò una guancia. “Perché ora non vuoi che io ti aiuti in questo momento molto meno pericoloso, ma chiaramente doloroso? Ti hanno picchiato, Kate, non sei stata a fare una passeggiata ieri sera…” Il tono dello scrittore si fece cupo, ma prese un respiro e continuò. “Non devi vergognarti del fatto che stai male. Non con me. Io sono qui per te. Ci sarò sempre, in ogni momento in cui tu avrai bisogno di me. Dalla più piccola stupidata ai problemi più importanti. Always, ricordi?” Kate lo guardò qualche secondo negli occhi, poi annuì.
“Scusami” mormorò la donna.
“Ehi, non c’è niente da scusarsi amore” sussurrò Rick lasciandole un leggero bacio sulle labbra. “Permettimi solo di aiutarti. Ti prego.” Lo sguardo da cucciolo ferito abbatté tutte le difese di Kate. Annuì remissiva.
“Ok…” Gli occhi di Rick si illuminarono e nel volto gli si aprì un sorriso fantastico e tenero insieme. La donna rimase per un momento incantata da quella visione, poi scosse appena la testa per riprendersi. Rick fece un passo indietro e rimase di fronte a lei in attesa. “Ok… ehm… allora sento la spalla destra rigida. Potresti aiutarmi a togliere la manica? Magari aiutami anche a muovere il braccio. Forse non dovevo starci appoggiata sopra così a lungo sul divano…” commentò, più a sé stessa che allo scrittore. Rick annuì e si portò dietro di lei.
“Spalla destra giusto?” chiese. Kate annuì. La aiutò a muovere il braccio verso l’alto, ma la sentì subito trattenere il fiato. “Mm… senti, visto che è rigida, che dici se ti faccio un massaggio? Magari aiuta a scogliere un po’ il muscolo.” Il tono quasi professionale colpì la detective. Non riuscì a non sorridere.
“Mi fido di lei dottor Castle. Sono nelle sue mani. Faccia quello che pensa sia il meglio per il mio caso” rispose ridacchiando. Rick le lanciò un’occhiata divertita e furba insieme dallo specchio di fronte a loro. L’uomo quindi poggiò entrambe le mani sulla sua spalla destra e iniziò a strofinarla lentamente, scaldandole i muscoli da sopra la camicia.
“Se dovessi fare realmente quello che ho in mente, a quest’ora non saremmo qui in piedi, ma là sul letto distesi a fare ben altri massaggi…” le mormorò malizioso all’orecchio dopo qualche secondo. Kate arrossì di colpo pensando alle precedenti notti con lui. Rick ghignò soddisfatto. Adorava farla arrossire. Poi sospirò fintamente abbattuto. “Purtroppo per stasera saranno saggiate solo le mie qualità di formidabile massaggiatore. Vedrai quante cose possono fare queste mani”
“Oh, lo so…” commentò senza pensarci la donna, ormai persa dal suo tocco. Rick la guardò con un sopracciglio alzato e un sorriso divertito dallo specchio.
“Deduco che le passate esperienze siano state di suo gradimento, detective” replicò l’uomo. Kate si morse il labbro inferiore e arrossì nuovamente. Diavolo se sapeva usare quelle mani!
“Potrei risponderti, ma non vorrei che il tuo ego ci schiacciasse. Sai, sono ancora un po’ malconcia, non credo che riuscirei a respingerlo” rispose ridacchiando. Rick sbuffò, ma Kate poteva ben vedere dallo specchio l’ampio sorriso sul volto dello scrittore. Lo osservò frizionare lentamente la sua spalla, lo sguardo concentrato su di essa come se la sua fosse una missione di vitale importanza da compiere. Dopo qualche minuto si fermò.
“Ok, prova a muovere il braccio ora. Lentamente” suggerì Rick, rientrando in modalità dottore. Le sostenne il braccio mentre iniziava a spostarlo. Kate si morse il labbro inferiore. Senza dubbio ora faceva molto meno male di prima, ma non era comunque piacevole. Lo scrittore la aiutò a piegare piano il braccio per togliere la manica. Alla fine dell’operazione la donna sospirò.
“Grazie” mormorò sinceramente. Si tolse completamente la camicia dal braccio sano, rimanendo in reggiseno, e la poggiò sul suo borsone. Lo scrittore stava per rispondere, quando il torso seminudo della donna catturò la sua attenzione. Non l’aveva ancora vista senza vestiti da prima dell’incontro con Maddox. Anche mentre era in ospedale la donna era rimasta sempre coperta nella parte superiore del corpo. Ora però poteva osservarla. E rimase scioccato. La bocca semiaperta, lo sguardo preoccupato e stupito puntato su quelle grandi chiazze violacee che spiccavano sulla sua pelle chiara. Non pensava avesse riportato così tanti lividi. Ne aveva uno sulla spalla appena massaggiata, uno sulla schiena, sulle braccia, sui fianchi, sullo stomaco.
Quando Kate si girò e vide lo sguardo dello scrittore vagare sul suo corpo percosso, istintivamente si coprì con le mani. Abbassò il viso, gli occhi puntati al pavimento. Non sapeva bene neanche lei perché l’avesse fatto. Forse perché con quelle macchie le sembrava di apparire debole ai suoi occhi. Oltre che ripugnante. Dopo nemmeno un secondo però sentì l’uomo muoversi verso di lei. Le prese i polsi e delicatamente le spostò le braccia dal corpo. Kate allora alzò lo sguardo, intimorita da ciò che avrebbe potuto vedere negli occhi di Rick. L’avrebbe rifiutata conciata in quel modo? Quando i loro sguardi si incrociarono però, si ricordò che stava parlando di Richard Castle, del suo scrittore. I suoi occhi blu si erano scuriti ed erano profondi, pieni di rabbia per l’uomo che aveva osato toccarla, preoccupati e terribilmente seri. Ma avevano anche una nota diversa. Una nota che le diceva che ai suoi occhi lei non sarebbe mai potuta apparire orrenda. Una tacita richiesta la pregava di non nascondersi a lui. Kate si morse il labbro inferiore e non oppose resistenza al suo esame. Annuì appena per dargli il permesso di guardarla. Lui non avrebbe mai abbassato lo sguardo se lei non avesse voluto, se si fosse sentita a disagio. Rick allora lasciò la presa sui suoi polsi senza però staccare le mani dalle sua braccia. Lievemente percorse con la punta delle dita il corpo della donna, passando sopra ogni livido senza farle male, facendola rabbrividire. Dalle braccia si diresse sul viso di lei per poi ridiscendere sul petto e sulla pancia. Per ogni livido che accarezzava, i suoi occhi blu si facevano più tristi e scuri. Sfiorò anche le cicatrici che più volte aveva visto sul corpo nudo della donna. Quella tonda e piccola in mezzo al petto, nell’incavo tra i seni, e quella stretta e lunga sul fianco. La conferma della voglia della donna di tornare a vivere, di non arrendersi, per lui.
Kate aveva gli occhi chiusi e si lasciò percorrere da quel tocco lieve, mordendosi a volte il labbro inferiore.
“Ti… ti fanno male?” chiese ad un tratto Rick, quasi timoroso. Ormai le sue mani erano arrivate all’altezza dei pantaloni della donna. Kate riaprì gli occhi e scoprì che fino a quel momento era stata come se il suo corpo non fosse mai stato percosso. Solo pensandoci, ora che si era fermato e l’aveva chiesto, sentì di nuovo delle piccole fitte nei punti dei lividi.
“Un po’… ma meno di prima” replicò sinceramente. Quell’uomo aveva la capacità di farle dimenticare ogni cosa. Prima o poi avrebbe dimenticato anche sé stessa per causa sua. Oh, no aspetta. L’aveva già fatto.
Rick sospirò, lo sguardo ancora concentrato su di lei. Forse stava cercando di capire se gli stava dicendo la verità o meno. Poi la prese per mano e la guidò verso il letto.
“Allora lascia fare al dottor Castle. Ho la cura ideale in mente…” disse con un mezzo sorriso mentre si avvicinavano a esso. Il tono era dolce e scherzoso insieme. Kate non oppose resistenza. Si fidava ciecamente di lui. Si sarebbe fatta fare qualunque cosa e sapeva che lui non le avrebbe mai fatto del male. Rick la fece stendere delicatamente quasi al centro del letto. L’uomo si stese quindi accanto a lei e, tenendosi sulle braccia per non pesarle addosso, iniziò a baciarla sulle labbra, piano, ma approfonditamente. Non aveva fretta. Voleva farle dimenticare il dolore. Voleva farle dimenticare tutto. Quando cominciarono a non avere più fiato, si staccò dalle labbra della donna e iniziò a tracciare un percorso immaginario fatto di piccoli baci sul viso di lei, dall’angolo della bocca, all’occhio, su cui spiccava prepotente il livido viola, alla fronte, dove percorse lentamente il taglio rosso.
“Rick…” mormorò Kate. Il richiamo sembrava però più un sospiro di piacere. Lo scrittore mugugnò in risposta, mentre si faceva strada verso il suo orecchio. “Non…” Rick la baciò appena sotto l’orecchio e non riuscì a trattenere un gemito. “Non… non si era detto niente altro stasera? Che eravamo troppo stanchi e provati?” continuò. Il tono era meno convinto di quello che avrebbe voluto e leggermente sarcastico. Lo disse non perché non lo desiderasse, ma perché con la giornata che avevano avuto, non pensava che avrebbe potuto partecipare attivamente quanto avrebbe voluto. L’uomo mugugnò ancora affermativamente, mentre le sue labbra ora stuzzicavano il collo della donna e iniziavano a scendere lentamente verso la spalla. “E… e allora questo cosa…” cercò di dire la detective, ma fu interrotta dallo scrittore.
“Ssh…” sussurrò tornando sull’orecchio di lei. “Rilassati Kate... Solo perché non abbiamo la forza di fare l’amore stasera, non significa che io non possa dimostrarti in altri modi quanto tu mi sia mancata oggi… e quanto io sia irrimediabilmente e pazzamente innamorato di te, mia bellissima e straordinaria musa…” Kate trattenne il respiro a quelle parole, poi sorrise. Prese il volto dello scrittore tra le mani e lo attirò a sé per baciarlo piano. Come aveva fatto a restare per quattro anni indifferente all’amore di quest’uomo? Quando si staccarono, Rick sfiorò il naso della donna con il suo, sorridendo. “Ora rilassati, amore… e concedimi di aiutarti a dimenticare il dolore.” Le lasciò un altro piccolo bacio sulle labbra e tornò sulla spalla della donna dove era stato interrotto. Percorse tutto il braccio fino alla mano per poi risalire su di esso e spostarsi sull’altra spalla e sull’altro braccio. Era sempre attento a non pesarle addosso neanche per sbaglio. Doveva farla concentrare su di lui, sui suoi baci, sul suo amore, non sul dolore. E a giudicare dai lievi brividi che la scuotevano e i leggeri sospiri che la donna lanciava di tanto in tanto, ci stava riuscendo anche piuttosto bene. Concluso anche l’altro braccio, tornò sul collo di lei e cominciò una lenta discesa lungo il petto coperto solo dal reggiseno. Seguì il contornò di quel semplice indumento, un po’ per stuzzicarla e un po’ per giocare. Arrivato nel mezzo però si fermò per un momento, lo sguardo concentrato e perso nel ricordo. Poi si abbassò e lasciò un lungo bacio sulla piccola e tonda cicatrice che le adornava il petto. Nei giorni precedenti l’aveva baciata più e più volte in quel punto. Per Rick era ormai il simbolo dell’amore della donna per lui. Il simbolo del ritorno alla vita per lui. Kate lanciò un gemito al contatto delle labbra dell’uomo con l’incavo dei suoi seni. Rick quindi sorpassò il reggiseno e continuò il suo percorso appena sotto di esso. Le baciò i lividi sui fianchi con una delicatezza estrema, quasi avesse paura che una pressione appena più lieve potesse romperla. Riservò alla cicatrice sul lato lo stesso trattamento di quella nel petto. Scese quindi sulla pancia e le baciò con attenzione ogni singolo lembo di pelle, chiara o violacea. Kate inarcò appena la schiena e trattenne il respiro quando l’uomo posò le labbra sul suo ombelico. Rick quasi non se ne accorse, tanto era concentrato nella sua missione. Arrivò fino al bordo dei pantaloni della donna. Percorse tutto il contorno dell’orlo, da fianco a fianco, facendo rabbrividire ancora una volta Kate. Quando ebbe completato il suo percorso, si fermò e le lasciò un ultimo bacio sulla parte bassa della pancia, appena sopra il bottone dei jeans. Si appoggiò quindi alle gambe della donna con le braccia, mentre il resto del suo corpo era steso letto. Alzò la testa e osservò la sua musa. La donna aveva gli occhi chiusi e la testa appena reclinata all’indietro, persa inevitabilmente dai suoi baci. L’uomo non riuscì a non sorridere a quella visione meravigliosa.
Kate si accorse che lo scrittore si era fermato solo dopo qualche secondo. Riaprì gli occhi e si rilassò. Quindi girò la testa sul cuscino, cercandolo. Sentì un peso caldo all’altezza delle cosce e abbassò lo sguardo. Lo vide sorridergli teneramente, il viso appena sopra la sua pancia. Sorrise anche lei e tese la mano a indicargli di risalire. Rick tornò accanto a lei, ubbidiente, fino ad arrivare a sfiorare il viso della donna con il suo.
“Come ti senti? La cura del dottor Castle ha funzionato?” domandò premuroso e divertito insieme. In risposta Kate passò le braccia attorno al suo collo e lo attirò a sé per un lungo e dolce bacio.
“Non sono mai stata meglio…” mormorò in risposta quando si staccarono, ormai senza fiato, mentre un sorriso di gratitudine e amore le si apriva in viso.                                                                                                                                        
 
“Dove vai?” mugugnò assonnata Kate, quando sentì il suo scrittore mettersi a sedere sul letto. Dopo le ‘cure’ di Rick, si erano finalmente preparati per andare a dormire. C’era da dire che le labbra di Castle facevano miracoli. La detective era riuscita a finire di cambiarsi senza sentire troppo dolore nei movimenti. Si erano quindi sdraiati a letto, abbracciati, pronti per una buona notte di sonno, entrambi in pantaloncini e maglietta a maniche corte. Dopo pochi minuti però, lo scrittore si era rialzato e la donna aveva percepito subito il movimento, nonostante fosse ormai ben più che nel dormiveglia. L’uomo si piegò appena su di lei e le lasciò un piccolo bacio sulla fronte, attento a evitare il taglio presente.
“Non vado da nessuna parte amore” rispose piano Rick sorridendo. La sua musa mezza addormentata era ancora più bella. “Ho solo sete. Vado a prendere un bicchiere d’acqua e torno. Tu dormi tranquilla.”
“Ok…” mormorò in risposta la donna. D’altronde se anche avesse voluto non sarebbe riuscita ad aspettarlo sveglia. Era davvero stanchissima.
Rick le lasciò un’ultima carezza sulla guancia. Quindi si alzò piano per non disturbarla ulteriormente e si diresse a piedi nudi verso la porta della camera. La aprì cautamente, perché non facesse rumore. Era intenzionato a lasciarla socchiusa. Tanto sarebbe bastato un minuto per prendere l’acqua e tornare. Un secondo prima di lasciare la maniglia però, un suono attutito e continuo lo fece voltare verso la porta dello studio, le sopracciglia aggrottate. Musica. Probabilmente sua madre e Tully avevano dimenticato di spegnere la radio, che avevano acceso durante la cena, prima di andare a dormire. Sbuffò e chiuse la porta della camera. Se avesse aperto anche quella dello studio lasciando questa socchiusa, Kate si sarebbe sicuramente svegliata ed era esattamente l’ultima cosa che voleva. Aveva bisogno di riposo. Sbadigliando, percorse a grandi passi lo studio e arrivò alla porta. Appena la aprì però si bloccò subito. Rimase aperto solo uno spiraglio da cui entrava un raggio di luce. Voci. Voci di sua madre e Tully. Quindi erano ancora svegli. Spostò il peso da un piede all’altro, indeciso su cosa fare. Da una parte voleva solo bere e andare a dormire abbracciando Kate a letto. Dall’altra però non aveva voglia di incontrare i ‘suoi’. Inoltre c’era un altro problema. Era curioso. Curioso come lo era stato per tutta la serata. Con l’orecchio teso a captare ogni parola senza mai dar segno di essere realmente interessato.
Lui e Kate dovevano essere andati a letto quasi un’ora prima comunque. Che ci facevano quei due ancora in piedi? Oddio, era da sua madre stare alzata fino a tardi, ma questo succedeva quando era fuori casa, non in casa. Fece un sospiro e decise che buttare un occhio da quel piccolo spiraglio della porta non avrebbe fatto così male. La luce gli illuminò una sottile striscia di faccia. Dalla sua posizione riusciva a vedere Martha e Alex, senza però farsi vedere a sua volta. I due erano abbracciati in mezzo al salone. Parlavano e contemporaneamente si muovevano lentamente. Stavano ballando. Il pezzo musicale finì, ma ne partì quasi subito un altro dopo un breve stacco con la sigla della stazione radio. Riconobbe dalle prime note la canzone. How Can You Mend A Broken Heart di Michael Bublé. Alexis era una grande fan del canadese e conosceva praticamente a memoria tutte le sue canzoni. Lui le aveva assorbite a furia di sentirle da lei. Ma in fondo non gli dispiaceva quel cantante.
Osservò sua madre e Alex volteggiare per la sala. Erano bravi per la loro età. Si muovevano fluenti. Non sembravano quasi più neanche troppo brilli. Anzi sembrava quasi si fossero esercitati. Esercitati solo per quel momento. Da tutta una vita.
Martha lanciò un risolino quando l’uomo le fece fare una giravolta. Erano entrambi sorridenti. Quando arrivò il ritornello della canzone però, lo scrittore vide Tully farsi più cupo.
 
…And how can you mend a broken heart?(E come puoi aggiustare un cuore spezzato?)
How can you stop the rain from falling down? …(Come puoi far smettere la pioggia di venir giù?)
 
“Pensi che mi perdonerà mai?” domandò d’un tratto l’uomo, mentre continuava a ballare con Martha, una mano sul fianco di lei e l’altra nella sua mano. Rick sentiva ogni parola. Non si preoccupavano di tenere la voce bassa. Alexis era di sopra e teoricamente lui e Kate erano a due porte di distanza da loro. In effetti se non si fosse alzato, non li avrebbe mai sentiti né visti.
“Te l’ho detto, devi dargli tempo” rispose Martha con un sospiro. Doveva essere un argomento di cui avevano già discusso a lungo. Rick ci mise qualche secondo prima di capire che stavano parlando di lui. “Ha sempre detto che non conoscere suo padre gli dava la possibilità di immaginarselo come meglio credeva. Da piccolo mi ha domandato spesso se sapessi qualcosa, ma io, oltre al nome, non conoscevo altro di te. E forse lo immaginò in parte questo fatto, anche se inconsciamente, perché non mi ha mai chiesto il motivo per cui l’ho chiamato Richard Alexander. O meglio mi ha chiesto di Richard, ma mai di Alexander.”
Rick aggrottò le sopracciglia. In effetti non le aveva mai chiesto niente del suo secondo nome. Come è possibile?? trovò a domandarsi sorpreso a sé stesso. Osservò Tully far fare un’altra leggera giravolta alla madre. Lei però aveva lo sguardo pensieroso e si muoveva automaticamente non prestando molta attenzione ai passi. “Sai, Richard diceva che non gli importava sapere chi fosse suo padre, ma in realtà ci stava molto male” continuò l’attrice quando tornò tra le braccia dell’uomo. “Quel fatto che hai raccontato oggi al distretto… di lui che piangeva… non me l’hai mai detto” continuò con tono dispiaciuto e un po’ risentito. “Ma anche senza sapere quel fatto l’avevo capito. E non solo perché sono sua madre. Bastava sentire come descriveva i suoi padri” esclamò divertita, ma con una nota malinconica. Iniziò quindi a elencare le fantasie del piccolo, e meno piccolo, Richard sul padre. “Un astronauta, un cowboy spaziale, un esploratore, l’inventore della panna spray…”
“L’inventore della panna spray?” domandò Alex con un sopracciglio alzato e un sorriso divertito. Rick non riuscì a trattenere un mezzo sorriso dal suo nascondiglio. Aveva passato il suo decimo anno d’età a dire a tutti che suo padre era certamente l’inventore della panna spray.
“Già” rispose ridendo Martha. “E tanti e tanti altri. Ma c’è sempre stata una cosa che ha accomunato tutti questi personaggi” disse, mentre il sorriso svaniva dal volto di lei. “Il perché.”
“Il ‘perché’?” domandò confuso Tully, aggrottando le sopracciglia. “In che senso?” L’attrice raccolse per un secondo le idee, mentre continuavano a muoversi sulle note della canzone.
 
…We could never see tomorrow, no one said a word about the sorrow…(Non potremmo vedere mai domani, nessuno ha detto una parola sul dolore)

“Ogni personaggi aveva la sua storia. Più o meno avventurosa, ovviamente” spiegò Martha. “Ma ognuno di loro aveva una spiegazione, un perché, al fatto che l’avesse lasciato solo.” L’attrice fece un sorriso triste al ricordo. “L’astronauta doveva stare sulla sua navetta, in orbita, per condurre ricerche di vitale importanza per il mondo. Il cowboy spaziale era in realtà un contrabbandiere, quindi non poteva tornare sulla Terra oppure l’avrebbero arrestato. L’esploratore si era perso ad Atlantide o a Eldorado. L’inventore della panna spray doveva nascondersi e non far conoscere la sua identità, altrimenti gli avrebbero rubato il brevetto e le altre sue fantastiche idee…” Si fermò e scosse la testa divertita. “In ogni caso ognuno di loro aveva una giustificazione. Credo che non si sia nemmeno accorto dell’impegno che metteva per cercare per ogni nuovo padre, un nuovo plausibile motivo per il suo allontanamento…”
Rick si spostò dallo spiraglio della porta e abbassò per un momento lo sguardo sul pavimento. Aggrottò le sopracciglia e cercò di riportare alla mente tutti i padri di fantasia inventati negli anni. In quel momento si accorse che sua madre aveva ragione. Per ognuno di essi non solo aveva pensato un lavoro particolare. Aveva anche creato una storia per giustificare il fatto che l’avessero lasciato solo nel momento stesso in cui li eleggeva suoi padri. Non ci aveva mai fatto caso prima. Quante cose aveva dato per scontate fino a quel momento? Era così evidente il dolore che aveva provato nel non avere un padre come tutti gli altri bambini?
In quel momento gli venne in mente una conversazione che aveva avuto con Alexis qualche tempo prima. Lei gli aveva chiesto se non lo infastidisse il fatto di non sapere nulla su suo padre. Lui aveva risposto con un ‘no’ secco. Aveva poi spiegato, in tono più mite, che così poteva immaginarlo come voleva. Ma la verità era un’altra. Si sentiva abbandonato. Si era sempre sentito abbandonato. E non voleva avere in realtà nulla a che fare con un uomo che abbandona il proprio figlio. Non importava che sua madre gli avesse detto che probabilmente non sapeva neanche della sua nascita. Doveva saperlo. Erano entrambi famosi. Era impossibile che a nessuno fosse mai venuto il dubbio. Quel pomeriggio, avere la conferma dei suoi peggiori timori era stato peggio di un pugno nello stomaco. Lui sapeva. E l’aveva abbandonato comunque.
Rialzò la testa e tornò a osservare sua madre e Tully.
“…è sempre stato un ragazzo fantasioso in effetti. Ma sai, credo che questi siano tutti motivi per cui immagino che non mi perdonerà mai” sentì dire tristemente ad Alex, mentre ancora una volta faceva volteggiare sua madre sul finale della canzone. “Lo so che ho fatto la scelta di lasciare te e lui, ma in quel momento pensavo fosse la cosa migliore. Per me, nel mio egoismo, ma anche per voi.” La canzone di Bublè finì. Si fermarono e rimasero in silenzio, finché non sentirono partire la canzone successiva. Era come se la musica li aiutasse a tirare fuori i loro pensieri. Rick riconobbe anche quella melodia. Everything I do (I do it for you) di Bryan Adams. Tully appoggiò di nuovo una mano sulla vita di Martha e ricominciarono a ballare lentamente sulle note della canzone.
 
Look into my eyes, you will see (Guardami negli occhi, vedrai)
What you mean to me… (cosa significhi per me)
 
Rick sbuffò impaziente. Voleva sapere che diavolo intendeva dire con ‘L’ho fatto anche per voi’. Anche lui era un padre. Lui però per Alexis c’era sempre stato. Si era preso le sue responsabilità e aveva cresciuto quella fantastica e, fortunatamente, assennata ragazza che ora dormiva al piano di sopra. Lui cosa aveva fatto, se non spiarlo tutto il tempo?
“Ero convinto che non sarei stato un buon padre. Avevo paura. Inoltre quel lavoro era il mio sogno e io lo inseguii” disse finalmente Alex con voce atona, lo sguardo spento. “Quello fu forse il mio unico errore. Una decisione presa troppo velocemente, dettata dalla stupidità e dall’opportunità. Rimpiango tuttora di non averci pensato più a lungo…”
“Non devi rimpiangere il passato” dichiarò Martha decisa. “Non serve a nulla. Bisogna solo ricordare il meglio e andare avanti, imparando dai propri errori, in modo da non commetterli in futuro.” Tully le sorrise teneramente.
“I miei ricordi più belli sono associati a te” replicò l’uomo con una semplicità disarmante. L’attrice sorrise teneramente e gli carezzò una guancia. Rick fu quasi certo di aver visto un riflesso da uno dei suoi occhi, evidentemente lucidi. A quel punto però, Alex si fece di nuovo più cupo.
“Pensai più volte di tornare. Ma vi vedevo felici insieme e io, con la mia poca dimestichezza e responsabilità in fatto di famiglia, avevo paura di rovinare tutto. Inoltre vi avrei esposto a dei pericoli se qualcun altro avesse saputo che legame c’era tra noi…” Fece un sospiro e si prese un momento prima di continuare. “Quando Richard nacque, giurai a me stesso che sarei diventato il migliore” disse deciso, guardando Martha negli occhi. “Non per me, ma per voi. Perché nonostante io non mi mostrassi, voi foste sempre al sicuro.”
 
…Look into my heart, you will find (Guarda nel mio cuore, troverai)
There’s nothin’ there to hide (che non c’è niente da nascondere)
Take me as I am, take my life (Prendimi come sono, prendi la mia vita)
I would give it all I would sacrifice…(te la darò tutta, mi sacrificherò)
 
“Non c’è una giustificazione per quello che ho fatto” aggiunse dopo qualche secondo, malinconico. Rick si stupì di vedere lo stesso sguardo da cucciolo bastonato che spesso aveva lui e che più volte aveva fatto capitolare Kate. “Sono stato un codardo in questo, lo ammetto, e mi dispiace. Questo incontro però mi aveva sempre terrorizzato perché sapevo che sarebbe finita come infatti temevo. Con Richard che mi odia...” Smisero per un secondo di girare. Alex aveva lo sguardo triste e puntato al pavimento. Non aveva il coraggio di guardare la donna negli occhi e avere una ulteriore conferma di ciò che temeva. Martha non sapeva cosa dire. Sapeva anche lei che il figlio non aveva preso bene la faccenda e quel pomeriggio l’aveva ampliamente dimostrato. “Quello che non sono riuscito a prevedere è un’altra cosa però” continuò perplesso dopo qualche secondo l’uomo riprendendo a girare lentamente con l’attrice. Alzò gli occhi blu e li puntò in quelli di lei. “La tua reazione. Pensavo mi avresti odiato anche tu e invece…”
“Io non potrei mai odiarti, Alex” lo interruppe stupita Martha. Rick vide l’uomo aggrottare le sopracciglia, evidentemente confuso. L’attrice sorrise e continuò.“Come prima mi hai detto tu, anche io ho alcuni dei miei ricordi più belli associati a te. Inoltre, nonostante quello che si possa pensare, mi hai lasciato un dono meraviglioso. Mi hai permesso di avere Richard.” Rick sgranò gli occhi dal suo nascondiglio. Padre e figlio avevano la stessa faccia, anche se inconsapevolmente.
“Ma io…” cercò di dire Tully, sempre più confuso, cercando di capire.
“Non importa quello che è successo” lo bloccò di nuovo Martha posandogli una mano sulla bocca per farlo tacere. “Per me non c’è stato alcun errore tra noi. Non rimpiangerò mai neanche un singolo istante di quella settimana. Ne avevamo parlato. Sapevamo entrambi che non sarebbe potuto durare. Ma questo non mi ha di certo impedito di amarti come non ho mai amato nessuno…” La donna si bloccò, come se avesse detto quelle parole di getto e si fosse accorta solo in quell’istante del loro significato. Quella confessione fece spalancare la bocca all’ex-agente, per poi fargli aprire in volto un grande sorriso.
“Posso farti una domanda?” chiese dopo qualche momento l’uomo, mentre continuavano a girare lentamente. Stavolta Alex aveva attirato Martha più vicino a sé. Praticamente i loro petti si sfioravano. L’attrice annuì. “So che hai avuto diverse storie con altri uomini. Non ho potere di dire nulla su questo perché anch’io non sono stato particolarmente tranquillo… Ma d’altronde sapevamo esattamente come eravamo, no?” dichiarò con un sorrisetto. Martha scosse la testa divertita. Tully riprese più serio. “So però che c’è stato un uomo in particolare che ti stava a cuore. Ti faceva rendeva felice e probabilmente eri anche innamorata di lui, visto che hai fondato una scuola a suo nome…” L’attrice aggrottò le sopracciglia confusa, quando capì a chi si riferiva. Anche Rick lo capì, ma non comprese, come sua madre, dove volesse andare a parare. “Quindi la mia domanda è questa…” Prese un respiro. “Perché… perché non hai sposato Chet?” Il tono era curioso e timoroso insieme. Martha rimase un momento stupita dalla domanda. “Insomma, so che è, beh, morto prematuramente, ma so anche che non lo avresti sposato se avesse continuato a vivere. Perché?”
 
…There’s no love, like your love (Non c’è altro amore, come il tuo amore)
And no other, could give more love…(e nessun altro, può dare più amore)
 
Si fermarono, nonostante la musica continuasse a riempire la stanza. Martha fece un respiro profondo.
“Rinuncio a chiederti come fai a saperlo…” disse ridacchiando, un po’ nervosamente stavolta, per spezzare la tensione. Poi però tornò più seria. “Io amavo Chet, ma… ma il mio cuore non apparteneva completamente a lui” continuò la donna guardando Alex negli occhi. Rick aveva visto solo un’altra volta sua madre sembrare così fragile. Nella sala interrogatori con Tully qualche ora prima. ”Quello… quello che ho detto prima è vero. Ti ho amato come non ho mai amato nessuno…” mormorò. Rick fece fatica a sentire quella frase. E rimase incredulo, perché mai aveva sentito certe parole dette così sinceramente dalla madre. Prima non contava. Le aveva dette di getto. Ora invece erano scelte con cura. Martha fece un sospiro e continuò.
“Non avrei comunque sposato Chet perché... oh, sembra così stupido adesso…” disse, più a sé stessa che ad Alex davanti a lei. Tully le alzò delicatamente il mento perché lo guardasse negli occhi e le sorrise incoraggiante. “Perché mi ero aggrappata a una semplice frase” gettò fuori Martha tutta d’un fiato, arrossendo. “Una frase che avevi pronunciato poco prima che te ne andasti.” Alex aggrottò le sopracciglia, confuso. “Non posso restare con te, ma ci rivedremo un giorno, perché io ti amo” ripeté a memoria l’attrice. Un lampo di comprensione passò nel volto di Tully. “Non so se erano parole dette al vento, ma io ero peggio di una ragazzina innamorata e credo di esserlo tutt’ora” disse sorridendo imbarazzata. Poi abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di quella confessione. “Mi aggrappai a questa semplice speranza. Non avevo altro di te. Solo Richard e una frase di addio.”
 
…Everything I do, I do it for you.(Ogni cosa che faccio, la faccio per te)
 
La canzone finì. Ne stava partendo ancora un’altra, ma ormai non erano più minimamente interessati alla musica. Tully guardava la donna con la bocca semiaperta.
“Per tutto questo tempo?” riuscì a chiedere dopo qualche secondo. Il respiro era mozzato a metà in gola.
“Sempre” rispose Martha guardandolo decisa, come a volerlo sfidare a replicare. Ma il viso di Alex si aprì in un sorriso e attirò la donna a sé, abbracciandola, affondando il viso nei capelli di lei. Le lasciò un piccolo bacio sulla testa. Rick trattenne per un momento il respiro quando sentì quella parola. Sempre. Always.
“Sai, c’è ancora una cosa che non ho avuto l’opportunità di dirti oggi…” disse Alex con un mezzo sorriso. L’attrice si staccò appena da lui e lo guardò negli occhi, confusa. “Ti amo” dichiarò sinceramente. Quindi avvicinò il viso a quello di lei e la baciò.
A quel punto Rick si scostò dalla porta e si appoggiò alla parete di fianco a lui con la schiena, la testa reclinata all’indietro contro il muro. Non voleva vedere oltre. Si sentiva a disagio a guardare le effusioni di sua madre e di Alex nonostante fosse… fosse suo padre. Meno di due minuti dopo li sentì spegnere radio e luci e avviarsi al piano superiore. Rick rimase ancora qualche momento fermo al buio, pensieroso. Poi scosse la testa e in silenzio, ma velocemente, si diresse in cucina, si versò un bicchiere d’acqua e lo bevve tutto d’un fiato. Prima di tornare da Kate si fermò un altro momento a versarsi anche mezzo bicchiere di whiskey dall’armadietto degli alcolici. Fu bevuto anche quello tutto d’un fiato.

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Xiao! :)
Allora.... come vi è sembrato il capitolo? Vi avevo detto che la notte non era finita... X)
Premetto che, se avete letto altro di mio, non ho mai scritto scene del genere tra Rick e Kate, quindi spero sia venuta fuori abbastanza bene... A proposito, io non sono molto pratica, ma non è che devo alzare il rating a giallino vero? No perché il giallino non mi piace molto... XD Scherzo! (mica tanto) No comunque seriamente pensate debba cambiarlo? Ovviamente so che non è rosso, nè arancione, ma non ho mai ben capito bene la soglia con il giallino... 
Al solito pensato sarebbe venuto un capitolo più corto e invece... X)
Per quanto riguarda Martha e Alex, beh volevo mettere un momento solo per loro... lo so c'è Rick che fa lo spione in questo caso, ma è sempre stato spiato, potrà riprendersi un po' di rivincita no? XD
Ok ho parlato abbastanza... ditemi che ne pensate anche con un mini commentino (buono o cattivo)!!!!!!!!
A presto! :)
Lanie
ps:purtroppo ho due esami da fare settimana prossima quindi non so bene quando riuscirò a pubblicare... -.- non odiatemi!

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Capitolo 13
*** Il peso della paura ***


Cap.13 Il peso della paura

Un suono acuto e cadenzato destò e fece sussultare spaventato Rick. La sveglia. Sbuffò scocciato. Spostò di malavoglia il braccio dai fianchi della sua musa, si voltò sulla schiena e con un colpo secco schiacciò quel fastidioso aggeggio sul comodino accanto al letto. Finalmente un po’ di pace… pensò lo scrittore con un sospiro. L’avevano programmata la sera prima per potersi svegliare presto nonostante la stanchezza. Avevano concordato infatti di accompagnare Tully in banca quella mattina.
Rick si rigirò su sé stesso e si riappropriò della vita di Kate. Passò quindi una gamba sopra quelle di lei e la strinse con la schiena contro il suo petto, nascondendo il naso tra i suoi capelli lunghi. La sera prima era rientrato in camera cercando di fare il meno rumore possibile. Si era steso accanto alla detective sperando di non disturbarla, ma la donna al suo arrivo si era mossa. Si era posizionata con un braccio sul suo petto e la testa sulla sua spalla. Per un momento aveva avuto paura di averla svegliata. Poi però si era accorto che Kate continuava a dormire serenamente. Durante la notte invece avevano cambiato posizioni. Kate si era portata su un fianco, mentre Rick aveva premuto il petto alla schiena di lei e con un braccio si era aggrappato possessivo alla sua vita, come se avesse inconsciamente paura che potesse scappare da lui.
L’uomo quindi si accoccolò di nuovo contro il corpo caldo di Kate, quando la detective fece un respiro più profondo degli altri.
“Rick…” mormorò assonnata. Lo scrittore mugugnò in risposta. “Rick era la sveglia quella?” domandò dopo qualche secondo la donna, cominciando a uscire dal sonno e prendendo man mano lucidità.
“No…” biascicò lo scrittore stringendola di più a sé e parlandole praticamente sul collo. “Era un canarino poco intonato. Torna a dormire…” continuò quasi supplicando, nella speranza di non alzarsi mai da quel letto. Kate ci mise qualche secondo a recepire le sue parole.
“Quindi avresti appena schiacciato un canarino sul tuo comodino?” domandò ironica, avendo sentito chiaramente la manata dell’uomo contro la sveglia. Lo scrittore sbuffò contro il suo collo, ma non rispose. “Rick?” lo richiamò ancora voltandosi piano verso di lui. Ora erano faccia a faccia. Il braccio dell’uomo non aveva abbandonato la vita di lei, come la sua gamba intrappolava ancora quelle della sua musa. Rick mugugnò di nuovo. Fino a quel momento aveva tenuto gli occhi chiusi e non sembrava intenzionato a fare il minimo sforzo per aprirli quella mattina. Quando Kate si era girata, il suo volto aveva dovuto abbandonare il nascondiglio caldo tra i suoi capelli e si era rifugiato nel cuscino. Percependo però il viso della donna a pochi centimetri dal suo, non riuscì a fare a meno di aprire un occhio. “Buongiorno dormiglione” lo salutò Kate ridacchiando e lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia libera. D’altronde sarebbe stato impossibile arrivare alla bocca. La faccia dello scrittore in quel momento era mezza affondata e nascosta nel morbido cuscino. Rick richiuse l’occhio e immerse ancora di più la testa nel guanciale, come un bambino che non ha voglia di svegliarsi. Se non avesse avuto il braccio aggrappato alla vita di lei, probabilmente si sarebbe anche tirato le lenzuola sopra la testa. “Dai Rick, credo sia il caso di alzarsi ora…” disse Kate reprimendo uno sbadiglio, divertita. A volte il suo scrittore sapeva essere davvero un bambinone. Ma in fondo amava anche quel lato mai cresciuto di lui. Allungò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. E in un attimo Rick le fu sopra, più sveglio che mai. La donna non poté fare a meno di lanciare un mezzo urlo spaventato, ritirando immediatamente le braccia contro il suo corpo. Lo scrittore si teneva sulle braccia per non pesarle troppo addosso. Un sorriso furbo gli incorniciava in volto.
“Buongiorno amore!” esclamò l’uomo allegro. Kate rimase stupita da questo improvviso cambiamento, la bocca aperta. Di solito per svegliarsi completamente gli ci voleva almeno mezz’ora. Stava per mandarlo al diavolo per averle fatto prendere un colpo, quando Rick si abbassò su di lei e la baciò.
Lo scrittore era sicuro di dover temere ritorsioni per quel piccolo scherzo, ma sapeva come distrarla. E lui amava distrarla. La baciò a lungo e con trasporto finché non ebbero più fiato. Quindi si alzò appena da lei, facendo sempre leva sulle braccia, e la guardò. A quanto pareva il suo piano aveva funzionato. La sua musa aveva uno sguardo parecchio perso tra le nuvole. Ridacchiò soddisfatto e si distese di nuovo accanto alla detective, su un fianco, in modo da poterla ancora una volta stringere a sé. Adorava sentire il corpo caldo di lei contro il suo. Per quanto tempo aveva sognato di averla fra le braccia? Affondò il naso nel collo di lei, inspirando il profumo residuo di ciliegie, mentre Kate ancora si riprendeva dall’effetto combinato di spavento e bacio.
“Mi sembri particolarmente allegro stamattina…” commentò infine la detective voltando la testa verso lo scrittore e alzando un sopracciglio. Non riuscì però a reprimere un sorriso. In risposta l’uomo le lasciò un bacio sulla spalla. Quindi allontanò appena il viso per guardarla negli occhi.
“Sono solo felice di potermi svegliare di nuovo con te accanto” replicò lo scrittore con occhi da cucciolo. “Mi sei mancata troppo l’altra sera…” aggiunse quindi, lasciandole un altro bacio sulla spalla.
“Rick, l’altra sera ero in ospedale e c’eri anche tu con me” gli fece notare la donna.
“Vero. Infatti non ho potuto abbracciarti né baciarti quanto avrei voluto purtroppo…” mormorò con un sorriso furbo in volto e avvicinando contemporaneamente il viso a quello di lei per baciarla ancora una volta sulle labbra. Quindi si riappoggiò al cuscino. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, sorridenti in volto, facendosi cullare semplicemente dalla reciproca presenza. A entrambi era mancato quel contatto, anche se solo per un giorno. Ne avevano bisogno come l’aria. Il sorriso di Rick si spense un po’ però quando i suoi occhi si soffermarono ancora una volta sul livido sul volto di Kate. Si era scurito. Sapeva che era normale, ma non poteva fare a meno di starci male lui stesso. Il taglio invece era meno rosso e sembrava avesse cominciato finalmente a collaborare e cicatrizzarsi. Il ricordo degli altri segni sul corpo della donna, che aveva visto, sfiorato e baciato la sera prima, gli entrò prepotentemente in mente. Alzò il braccio con cui fino a quel momento aveva stretto la vita della sua musa e iniziò a carezzarle il volto con delicatezza. Kate chiuse gli occhi a quel tocco leggero e dolce. La mano di Rick scese quindi lentamente dal volto, al collo, alla spalla, al braccio fino ad arrivare a intrecciare le sue dita con quelle della donna, sopra la pancia di lei. A quel punto Kate riaprì gli occhi e allacciò lo sguardo con quello dell’uomo. Nei suoi occhi blu c’era una vena di tristezza e ansia. La donna non aveva bisogno di parole per capire che lo scrittore era preoccupato per lei. Si sporse appena verso di lui e gli lasciò un piccolo bacio sulla punta del naso.
“Andrà tutto bene, vedrai” sussurrò quindi rassicurante a qualche centimetro dal suo volto. Strinse appena la mano dell’uomo per dare forza alle sue parole. “Questa volta lo incastreremo e a quel punto non dovremo più preoccuparci per il drago. Non sarà più in grado di sputare nemmeno una fiammella quando avremo finito con lui…” continuò scherzosa, cercando di alleggerire il peso che Rick aveva nel cuore. Lo capiva benissimo. Era lo stesso che aveva anche lei. Il peso della paura. Non per il drago. Per la sorte dell’altro.
“Se ti accadesse qualcosa, io… io non saprei…” cercò di dire Rick. Aveva la voce rotta, così diversa dal tono scherzoso di poco prima. Subito però fu bloccato da Kate che portò la mano libera sulla sua bocca per non farlo continuare.
“Ssh…” mormorò. Appoggiò la fronte a quella di lui e strinse di nuovo la sua mano. “Non accadrà niente amore. Non siamo più soli. Stavolta abbiamo degli alleati ricordi? La Gates e Tully. Risolveremo questo caso una volta per tutte. Così finalmente potrai portarmi a vedere la tua bellissima casa negli Hamptons, dove trascorreremo un fantastico mese solo noi due…” A quelle parole Rick fece un mezzo sorriso da sotto la mano della donna. Kate allora allontanò appena il volto da lui per guardarlo negli occhi. Quindi ritrasse piano la mano, spostandola sulla sua guancia e carezzandola appena con il pollice.
“Solo noi due?” chiese l’uomo dopo qualche secondo. Il tono era quasi incredulo e gli occhi erano quelli da cucciolo speranzoso. Ancora non credeva possibile che sarebbe successo davvero. Che sarebbe davvero andato negli Hamptons con la sua musa. Kate annuì sorridendo.
“Solo noi due” ripeté la donna. Il sorriso sul volto dello scrittore si allargò.
“Ti amo” sussurrò Rick. Prima che Kate potesse rispondere, si sporse appena verso di lei e la baciò di nuovo. Un bacio che sapeva di timore e speranza insieme. Quando si staccarono, Rick emise un sospiro.
“Quindi immagino che dovremmo proprio alzarci…” mugolò, facendo una smorfia. Kate ridacchiò.
“Prima ci alziamo, prima risolviamo il caso, prima andiamo negli Hamptons. Semplice Rick” dichiarò la donna sorridendo. Gli lasciò la mano e cercò di alzarsi. Subito però un braccio di Rick comparve intorno alla sua vita e la bloccò. La attirò a sé ancora una volta, facendola sdraiare di nuovo. Sentì il respiro dello scrittore sul suo orecchio .
“Stavo pensando, non sarebbe il caso di fare una doccia prima di andare a fare colazione?” le mormorò malizioso. Il suo respiro caldo sul collo la fece rabbrividire. “Vorrei farti sperimentare un altro tipo di massaggio… e ti posso assicurare che è migliore di quello di ieri sera.”
 
Rick e Kate uscirono dalla camera dello scrittore, lavati, cambiati e con un grosso sorriso in volto, tre quarti d’ora dopo. L’uomo si avvicinò subito ai fornelli per iniziare a preparare la colazione. Kate non aveva bisogno di vedere latte e uova tirate fuori dal frigo per sapere cosa avrebbe cucinato. Pancakes. Rick preparò l’impasto e contemporaneamente mise a scaldare il caffè. La detective invece tirò fuori piatti e posate per entrambi, ma anche per gli altri componenti non ancora presenti della famiglia Castle. Li sistemò quindi sul bancone insieme ai bicchieri e a un cartone di succo di frutta. Ormai si muoveva perfettamente nella grande cucina dello scrittore. In qualche giorno aveva imparato la posizione di ogni oggetto. Anche perché Rick amava cucinare, ma si stufava a preparare la tavola e a risistemare le cose pulite. Quindi era un compito che quasi sempre si accollava lei. Non le dispiaceva in ogni caso. Era comunque qualcosa da fare, mentre l’uomo era intento a preparare chissà quali manicaretti. Non perché lei non sapesse cucinare o non le piacesse, ma perché la metà delle volte il menù era una sorpresa e lei non poteva neanche osservare la preparazione.
Nel giro di pochi minuti la colazione era pronta e servita. Rick stava già addentando il primo pezzo di pancake, quando sentirono dei rumori provenire dal piano di sopra e capirono che qualcun altro si era svegliato.
“Buongiorno tesoro!” salutò Rick vedendo la figura della figlia scendere, ancora mezza assonnata, ma già vestita, le scale. Alexis finì di stropicciarsi un occhio e si voltò verso di loro.
“Buongiorno papà. Buongiorno Kate” salutò a sua volta appena li ebbe visti, cercando di reprimere uno sbadiglio con scarso successo.
“Ciao Alexis” ricambiò la detective con un sorriso.
“Come mai già in piedi?" domandò lo scrittore curioso dando un’occhiata all’orologio della cucina. Erano quasi le otto. Sapeva bene che la ragazza non si svegliava mai troppo tardi la mattina, anche quando non doveva andare a scuola, ma quell’ora, in piena vacanza, era presto anche per lei. Si alzò e recuperò latte e cereali, con cui la figlia faceva abitualmente colazione, insieme a una tazza. Alexis alzò le spalle, mentre si avvicinava loro. Si sedette accanto a Kate e contenne un altro sbadiglio, prima di scuotere la testa per svegliarsi del tutto. Rick e Kate non riuscirono a reprimere un sorriso a quella vista. In quel momento infatti Alexis sembrava una bambina.
“Volevo salutarvi prima che usciste” rispose alla fine la ragazza alzando gli occhi sui due. Entrambi la guardarono stupiti, Rick in particolare. In fondo era uscito altre volte presto la mattina e ovviamente non sempre si erano salutati. Alexis arrossì appena nel vedere quegli sguardi confusi su di lei. Abbassò gli occhi e si concentrò sul versare il latte nella tazza. Poi si morse il labbro inferiore. “So che ora state insieme, e che giustamente volete un po’ di privacy, ma non vi vedo da un po’ e ora c’è anche questo caso…” mormorò quasi in tono di scuse. In un attimo Rick fece il giro del bancone e si portò accanto alla figlia.
“Alexis… tesoro guardami” le disse lo scrittore, posandole una mano sulla spalla. La ragazza si voltò lentamente, senza sollevare lo sguardo, come se prima il bancone e poi il pavimento fossero molto più interessanti del solito. Quindi deglutì e alzò gli occhi blu, incontrando quelli del padre. “Tu e Kate sarete sempre le persone più importanti della mia vita. Non scordarlo mai. Solo perché sto con lei, non significa che mi dimenticherò di te…”
“Questo lo so però…” iniziò a dire la ragazza veloce per paura che interpretassero male le sue parole. Il padre però la interruppe.
“Tesoro, so che non è quello che intendevi dire, tranquilla” continuò Rick sorridendo. Alexis annuì e tornò ad ascoltare. “Voglio solo rassicurarti sul fatto che non ho dimenticato la promessa che ti ho fatto” specificò guardandola negli occhi. “Ho lasciato il distretto perché mi hai fatto capire che non potevo più rischiare e non ho rimpianti per questo. Ma ora c’è altro in ballo…” Si fermò un momento per raccogliere le idee. Fece un sospiro e tornò a guardarla. Le strinse appena la spalla. “Questo caso è estremamente importante. E al punto in cui siamo è impossibile fermarsi stavolta…” disse, lanciando un’occhiata a Kate dietro le spalle della figlia. “Quindi ti prego solo di essere paziente. Sarà solo per questa volta.”
“Ma se ti succedesse qualcosa? Se vi succedesse qualcosa?” domandò spaventata e preoccupata, spostando lo sguardo dal padre alla detective. Alexis non era stupida. Aveva capito che questa volta sarebbe stato un gioco molto più pericoloso del solito. Rick lanciò un’altra occhiata a Kate, non sapendo cosa risponderle. In fondo era lo stesso dubbio che assillava anche lui e che prima aveva esternato alla detective. Lei era riuscita a calmarlo, ma ora cosa avrebbe dovuto rispondere lui per tranquillizzare sua figlia? Riportò lo sguardo su Alexis e vide infatti la sua stessa paura riflessa in quegli occhi blu così simili ai suoi. Aprì la bocca, ma si trovò a corto di parole. Non sapeva davvero cosa dire. Fu Kate a salvarlo. La donna infatti, vedendo l’agitazione prendere il sopravvento, richiamò l’attenzione della ragazza.
“Alexis…” La figlia dello scrittore voltò la testa verso di lei. Aveva gli occhi appena lucidi. Rimase ancora una volta stupita da quanto assomigliassero a quelli del padre. Lo stesso blu brillante. Abbassò per un momento lo sguardo sulla tazza di caffè davanti a lei. Non sapeva quanto poteva intromettersi. In fondo non era sua madre. Però si sentiva in dovere almeno di tentare di rassicurarla. Fece un respiro e rialzò gli occhi su di lei. “Alexis, so che forse non è abbastanza, ma farò tutto quello che è in mio potere per riportare sempre tuo padre a casa da te” disse la detective. Il suo sguardo era deciso. Lei aveva perso un genitore. Non avrebbe permesso che anche la fantastica ragazza davanti a lei subisse la sua stessa sorte. “Te lo prometto.” Alexis la guardò con gli occhi sgranati per un momento. Sapeva che la donna avrebbe fatto qualunque cosa per suo padre, la cosa era reciproca, ma non si aspettava tutto questo impegno verso di lei. Eppure avrebbe dovuto. Non era stata la detective a richiedere suo padre al distretto. Ci si era infilato da solo e sapeva mettersi nei guai tranquillamente di per sé. Ma lei lo aveva sempre tenuto d’occhio. E aveva sempre fatto in modo che tornasse da lei. Come il giorno della rapina in banca. Inoltre spesso l’aveva anche consigliata, come quando aveva optato per lo stage al distretto. Kate era stata la prima a saperlo, perfino prima di sua nonna, e ricordava bene il suo tono al telefono, stupito, ma felice. Annuì appena.
“Non voglio che succeda niente neanche a te però, Kate…” mormorò dopo qualche secondo, quasi imbarazzata. La detective rimase con la bocca semiaperta a quella confessione e gli occhi le si inumidirono appena. Rick sorrise. Sapeva che se anche gli fosse successo qualcosa, Kate si sarebbe presa cura di Alexis. E non perché glielo avesse promesso tempo prima. Ma perché, poteva scommetterci la testa, si era affezionata a lei. E sapeva per certo che il sentimento era reciproco da parte di Alexis.
“Tesoro…” chiamò lo scrittore, alzando delicatamente con una mano il viso della figlia verso di lui. Ora sapeva cosa dire. “Non ci accadrà niente. Questo te lo prometto io” disse con voce ferma. A quel punto rimasero qualche secondo a guardarsi negli occhi, poi l’uomo attirò la ragazza verso di sé e la abbracciò. “Non ci accadrà niente” ripeté con tono rassicurante, lasciandole un piccolo bacio sulla testa e carezzandole la schiena con una mano. “Torneremo qui tutte le sere. Questa situazione non durerà a lungo. Ho paura che dovrai sopportarci ancora per molti e molti anni, perché io non ho intenzione di lasciarti. E nemmeno Kate. Inoltre noi due abbiamo ancora una battaglia laser da finire, no? Non posso mica andarmene ora che sto per vincere!” continuò cercando di tirarle su il morale. Sentì uno sbuffo divertito provenire dalla spalla dove era appoggiata la figlia. Kate guardava quella scena così tenera immobile, quasi con il timore che muovere un solo muscolo significasse la fine della magia. Aveva un sorriso dolce in volto. Sapeva che Rick era un padre fantastico e quei momenti servivano solo a dargliene una ulteriore conferma.
I due rimasero in quella posizione per qualche momento finché la ragazza non si staccò dal padre, il viso decisamente più sereno. Ma Rick ha un naturale effetto calmante sulle persone o funziona solo con me e Alexis? si trovò a domandare internamente la detective. Ripresero la colazione interrotta, chiacchierando su quello che avrebbe fatto quel giorno la ragazza e lasciando che le preoccupazioni scivolassero via da loro.
“Tua nonna e Tully?” domandò alla fine lo scrittore alla figlia. Finì di lavare un piatto e lo passò a Kate che lo avrebbe asciugato e rimesso a posto. Aveva dato un’occhiata all’orologio e si era accorto che se non si sbrigavano sarebbero entrati tardi in banca e avrebbero quindi ritardato al distretto. La Gates non ne sarebbe stata tanto contenta.
Kate si voltò un momento a fissarlo, le sopracciglia aggrottate, il piatto fermo a mezz’aria. L’uomo aveva usato un tono strano nel nominare i due, che non avrebbe saputo definire bene neanche lei. Sapeva solo che la sera prima non c’era. Comunque non disse niente. Asciugò il piatto e lo mise a posto. Alexis scosse la testa, mentre masticava gli ultimi cereali. Sembrava che lei non avesse notato nulla di strano nel tono del padre. Possibile che l’avesse solo immaginato?
“Credo di aver sentito la nonna andare in bagno, mentre mi preparavo” rispose la ragazza subito dopo aver inghiottito. “Per Alex invece non so proprio” aggiunse alzando le spalle. Come se li avesse sentiti parlare, Martha scelse quel momento per fare la sua comparsa sulle scale. Alexis e Kate la salutarono con un sorriso. Rick invece si limitò a un leggero sbuffo.
“Ci stavamo giusto chiedendo che fine aveste fatto” esclamò quasi con tono scocciato. L’attrice però sembrò non farci caso. Aveva uno sguardo assente e preoccupato. Salutò i presenti con un cenno della mano e si diresse verso di loro. Sembrava nervosa.
“Martha tutto bene?” domandò la detective vedendola agitata. “Dov’è Alex?” chiese quindi non vedendolo insieme alla donna. Il giorno prima non si erano staccati un secondo. L’attrice aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse quasi subito e si morse il labbro inferiore.
“Ecco… lui… lui è… insomma…” balbettò. I tre la guardarono stupiti. Da quando Martha Rodgers balbettava?
“Mamma?!” la richiamò con tono impaziente lo scrittore. Lei fece un sospiro e abbassò lo sguardo sul pavimento.
“Beh… insomma sapete che stamattina dovevate andare a prendere quei documenti, no?” Kate aggrottò le sopracciglia e scambiò uno sguardo con Rick. Aveva paura di capire dove volesse andare a parare.
“Certo” rispose lo scrittore per entrambi. “Ci siamo accordati ieri sera. E sarebbe anche il caso che si muovesse a scendere a questo punto. Rischiamo di fare tardi.” Martha prese un respiro profondo prima di continuare. Quindi alzò gli occhi sui due.
“Ecco appunto… ha detto che vi avrebbe incontrato al distretto” rivelò alla fine la donna tutta d’un fiato, mentre si torturava le mani. Scrittore e musa sgranarono gli occhi.
“Martha, stai dicendo che è andato da solo a recuperare quei documenti?” domandò dopo qualche secondo la detective appena ebbe capito il senso di quella frase. L’attrice annuì con un sospiro. “Ma… ma potrebbe essere pericoloso! Avevamo deciso apposta di andare insieme!” si sfogò Kate, incredula. Va bene che era un ex-agente CIA, ma cavolo sapeva meglio di lei che era sempre bene avere rinforzi pronti. Forse il drago ancora non sapeva niente, ma se invece lo avesse ad esempio fatto pedinare?
“Lo so!” sbottò Martha, il tono evidentemente scocciato e preoccupato. “Infatti Alex non voleva mettervi in pericolo” replicò comunque in difesa dell’uomo. “Così stamattina è uscito presto, prima che vi alzaste credo, ed è andato in banca aspettando che aprisse. Non mi ha voluto dire quale fosse. Mi ha detto solo che sapeva come muoversi e che vi avrebbe incontrato direttamente al distretto.” Rick sbuffò contrariato.
“Certo, mi sembra giusto!” esclamò scocciato chiudendo in malo modo l’acqua del rubinetto come fosse colpa sua. “Lui sa fare tutto e noi niente! Quando capirà Mr. Sono-Tuo-Padre che non siamo più dei bambini da abbastanza tempo ormai?” Non era rivolto a nessuno in particolare. Si stava semplicemente sfogando. Si sentiva trattato come un bimbo a cui è meglio nascondere le cose perché potrebbe non sopportarne il peso. E non lo accettava.
“Rick calmati” disse Kate con tono fermo e dolce insieme, accarezzandogli un braccio.
“Se lo ammazzano, sono certo che quei documenti spariranno e a quel punto addio prove! Non voglio che faccia saltare tutto perché è un idiota che pensa di poter fare tutto da solo! Non glielo permetto” affermò quasi ringhiando.
“Richard!” lo richiamò la madre, stupita e ferita da quelle parole. Lo scrittore voltò la testa per replicare, ma Kate si mise in mezzo tra lui e la donna. Aveva i piedi ben piantati a terra di fronte a lui, le braccia in avanti, le mani poggiate sul petto dell’uomo come a volergli impedire di avanzare.
“Ora basta Rick” sussurrò seria, guardandolo negli occhi. “Appena lo incontreremo al distretto gli faremo capire che non è in questo modo che lavora una squadra. Per ora è inutile fare scenate. Tua madre è già abbastanza preoccupata e stai spaventando di nuovo Alexis…” A quelle parole la rabbia dello scrittore si sgonfiò in un attimo. Guardò per un momento sua figlia, ancora seduta al bancone, e si accorse che Kate aveva ragione. C’era di nuovo paura nei suoi occhi. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e si calmò del tutto. Poi tornò a guardare Kate. “Non è colpa di tua madre se Tully è andato” continuò Kate in tono più dolce, accarezzandogli una guancia. “Non avrebbe potuto fermarlo. Ma è pur sempre un ex-agente CIA e a questo punto dobbiamo fidarci. Perciò ora calmati e preparati a concentrarti sul caso. Mi servi lucido, Castle” aggiunse quindi, come se fosse un ordine, facendogli un mezzo sorriso. Rick non riuscì a non sorridere a sua volta. Annuì e fece un altro sospiro.
“Scusatemi…” mormorò dopo qualche secondo a occhi bassi, ma rivolto alle sue donne. “Scusami mamma, io…”
“Non preoccuparti, Richard” replicò la madre senza lasciarlo finire, un sorriso rassicurante in volto. “Ora andate. Le banche hanno aperto già da un po’ e sono sicura che Alex stia già per finire. Prima risolvete questa storia, meglio sarà per tutti.” Rick e Kate annuirono. Lasciarono strofinacci e spugne e si diressero quindi verso l’entrata del loft per recuperare le giacche.
“A proposito…” disse lo scrittore un secondo prima di aprire la porta e uscire. Si girò di nuovo verso la madre, le sopracciglia aggottate. “Come facevi a sapere che era uscito prima? In che camera hai dormito?”
“Nella mia, ovvio” replicò la donna decisa. Un lieve rossore però colorò le guance della donna.
“E Tully?” domandò ancora alzando un sopracciglio. Sembrava un padre che fa il terzo grado alla figlia per sapere cosa ha fatto, dove è stata e con chi ha dormito. L’attrice lo guardò per un momento incredula. Un lieve rossore le colorò le guance.
“Richard Alexander Rodgers, io non vengo certo a chiederti dove ha dormito Kate stanotte!” esclamò indignata. Kate arrossì di colpo e cercò di tirare fuori dal loft lo scrittore prima che la situazione degenerasse. Martha però continuò, punta sul vivo, ferma a braccia incrociate nel mezzo dell’appartamento. “E se anche avessimo dormito insieme, ti ricordo che è tuo padre, quindi non vedo assolutamente cosa ci sia di male!” A quel punto la detective dovette tirare a forza per un braccio l’uomo prima che potesse replicare e dire qualcosa di cui poi si sarebbe sicuramente pentito.
 
Il viaggio in macchina fu piuttosto silenzioso e teso. Rick borbottava di tanto in tanto qualcosa contro Tully, che spaziava dal caso a sua madre. Kate invece era intenta a cercare di capire come farlo sbollire prima di arrivare al distretto. A un certo punto si ricordò del tono strano che lo scrittore aveva avuto prima in casa e del nuovo scoppio contro sua madre e Tully.
“Rick senti, ma si può sapere che hai contro Martha e Alex stamattina?” domandò curiosa e irritata insieme. L’uomo non rispose subito. Rimase con lo sguardo fisso fuori dal finestrino per qualche secondo. Poi sospirò e iniziò a raccontarle di quando la sera prima era andato a prendersi l’acqua e aveva sentito sua madre e Tully parlare. Dei suoi padri, di Chet, di loro. Kate ascoltò tutto in silenzio.
“Io… Io sinceramente non so come comportarmi con loro” confessò alla fine Rick, lo sguardo fisso sul tappetino ai suoi piedi. “Ha confessato lui stesso di aver preferito il suo lavoro a me, di avermi abbandonato spontaneamente. Anzi di averci abbandonato. Forse per mia madre è differente, ma io come posso perdonarlo?” chiese con un sospiro, voltandosi a guardarla.
“Nessuno ti chiede di farlo ora, Rick” replicò la donna con tono confortante e dolce, mentre continuava a tenere d’occhio la strada.
“Non mi ero neanche accorto di quanto mi fosse mancato un padre finché mia madre non lo ha fatto notare a Tully ieri sera” continuò lo scrittore, lo sguardo ora perso fuori dal finestrino, la fronte appoggiata al freddo vetro della macchina. “Sai, avevo pensato davvero in tanti modi a come fosse mio padre. L’ho persino immaginato come un alieno una volta.” Kate scosse la testa, ma non riuscì a reprimere un mezzo sorriso. Gli alieni non mancavano mai nelle fantasie di Richard Castle. “Mi aveva lasciato perché non poteva vivere con me sulla terra, ma doveva continuare a volare nello spazio per sopravvivere…” Aveva un sorriso divertito e assente per le sue stesse invenzioni. “Ho immaginato questo e altro. E spesso ho sognato il giorno in cui l’avrei finalmente visto. Inconsciamente pensavo non sapesse della mia esistenza e che quando ne sarebbe venuto a conoscenza, allora sarebbe tornato da me…” In quel momento il sorriso scomparve dal suo volto. Quando parlò di nuovo aveva un tono triste e risentito. “E invece all’improvviso spunta e pretende di dirmi che mi ha seguito per tutto questo tempo, che mi ha sempre tenuto d’occhio, ma che aveva paura di farsi vedere. Che lui non era adatto a una famiglia e che quindi era meglio non farsi riconoscere da me, perché aveva paura di rovinare tutto. Come se questo potesse cancellare 42 anni senza un padre… Come se potesse cancellare il fatto di avermi in realtà lasciato solo…” mormorò malinconico. Kate non sapeva come consolarlo. C’era rimasto davvero male il suo scrittore.
“Te l’ho detto. Lascia passare un po’ di tempo” disse alla fine la donna. “Con questo caso dovremo lavorare insieme, quindi, non so, forse potrai conoscerlo un po’ di più e potrai farti un’idea più precisa di lui…” In quel momento arrivarono al distretto. Kate parcheggiò, slacciò la cintura e si girò verso l’uomo. A quel punto anche Rick si voltò verso di lei. Aveva uno sguardo di un cucciolo sofferente. La donna allungò una mano e gli lasciò una carezza sulla guancia. “Lascia passare questo caso. Prenditi il tempo che ti serve. Alla fine saprai se sarà il caso di perdonarlo o meno.” Rick fece un respiro profondo, poi annuì. Kate gli sorrise e avvicinò appena il viso dello scrittore a sé per baciarlo. “Ora andiamo” disse la detective quando si staccarono qualche momento dopo. “E speriamo che Tully si sbrighi ad arrivare oppure è al volta buona che la Gates ci spedisce tutti a dirigere il traffico.”

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Xiao! :)
Ok prima di tutto mi scuso per il ritardo, ma ho avuto davvero un periodo schifoso... Lasciamolo stare va e andiamo avanti!
Allora qui c'è ancora un po' di tenerezze (e massaggi) varie, mentre vi dico subito che (ovviamente) dal prossimo capitolo si ripartirà con le indagini. In questa parte volevo far capire (spero) le emozioni di alcuni personaggi... in fondo non possono mica prenderla tanto a cuor leggero la situazione, no? :)
Detto questo vi lascio! Grazie a chi continua a commentare!! :D
Ah, un'ultima cosa che spero non attirerà troppe ire... settimana prossima parto e starò via più o meno tre settimane in cui quasi sicuramente non avrò un cavolo di accesso internet... quindi spero di riuscire a scrivere e postare un altro capitolo prima di andare! In caso contrario buon Agosto! X)
A presto!! :)
Lanie
ps:mi faccio un po' di pubblicità da sola... XD non so a chi interessi, ma se mai voleste scambiare 2 parole (o due insulti) questo è il mio account twitter: https://twitter.com/LaniePaciock

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Capitolo 14
*** Una festa? ***


Cap.14 Una festa?

Quando Castle e Beckett uscirono dall’ascensore, notarono subito lo stato di tensione che permeava l’aria attorno alle scrivanie di Esposito e Ryan. Sembravano in un mondo a parte rispetto alla normale routine del distretto intorno a loro. Entrambi i detective infatti erano concentrati a testa china su alcune scartoffie, ma le compilavano automaticamente. Ryan consumava più tempo a mordicchiare la penna che aveva in mano piuttosto che scrivere e il suo sguardo si perdeva spesso a vagare per il tavolo. Esposito invece sembrava preso da una crisi furiosa di cancellatura immediata per ogni parola su tre che scriveva. A un occhio inesperto potevano sembrare assorti nel loro lavoro, ma in realtà avevano la testa completamente altrove. Inoltre erano troppo silenziosi. Beckett sapeva bene che i due detective faticavano a rimanere seri e in silenzio per non più del tempo che ci voleva a compilare un modulo. Ryan ed Esposito si accorsero di detective e scrittore solo quando sentirono Castle sedersi pesantemente sulla sedia accanto alla scrivania della donna.
“Yo, Beckett, Castle, siete arrivati finalmente!” esclamò Esposito lasciando cadere immediatamente sul tavolo la penna che fino a un secondo prima aveva in mano e alzando le mani sopra la testa per stirarsi. “Tutto bene?” chiese poi notando lo sguardo assente dello scrittore e il lieve nervosismo di Kate che si mordicchiava il labbro inferiore. Ryan li salutò a sua volta e posò anche lui la sua biro sulla scrivania. Si accorse solo in quel momento, con sguardo sorpreso, di quando avesse triturato con i denti quella povera penna.
“Ciao ragazzi” salutò di rimando Beckett togliendosi la giacca. Lo scrittore si limitò ad un cenno con il capo verso i due. “Sì, tutto a posto” rispose sbrigativamente alla domanda di Esposito. “Qualche novità?” Ryan scosse il capo.
“Negativo” replicò. Poi si guardò per un momento in giro, quindi si alzò e si avvicinò loro. Esposito fece la stessa cosa. Beckett li guardò con un sopracciglio alzato, incuriosita e divertita da quel comportamento circospetto.“Siamo tutti in attesa di quei documenti” disse Ryan a bassa voce quando li ebbe raggiunti insieme a Esposito. “Perfino la Gates sembra piuttosto tesa stamattina…” continuò facendo un segno con la testa verso l’ufficio del capitano. Castle e Beckett si voltarono verso di esso. Nonostante le persiane mezze abbassate, potevano vedere chiaramente la Gates camminare avanti e indietro per il suo ufficio e lanciare occhiate saltuarie all’ascensore. La detective sospirò. Posso capire perché è così agitata… pensò la donna ricordando la conversazione della sera prima. Stiamo parlando del capo della polizia, ma anche dell’uomo che ha salvato la vita a suo padre…
“A proposito dov’è Tully?” domandò Esposito, non vedendolo con loro.
“È quello che ci stiamo domandando tutti” sbuffò Castle. I due detective si voltarono a guardarlo perplessi.
“È uscito questa mattina presto senza che ce ne accorgessimo” spiegò Beckett amaramente evitando lo sguardo dei due detective. “Non ha detto a nessuno in quale banca sarebbe andato. Ha solo fatto riferire che ci saremmo incontrati al distretto” continuò con una smorfia. I due partner la guardarono a occhi sgranati.
“Ma… è andato da solo quindi?” domandò Ryan cauto. Beckett annuì. Lanciò un’occhiata allo scrittore. L’uomo aveva lo sguardo puntato al pavimento. Se non fosse stato per i pugni chiusi sui braccioli della sedia, lo avrebbe detto calmo.
“Non possiamo fare altro che aspettare che arrivi” dichiarò la detective passandosi una mano tra i capelli. I due annuirono. Stavano per tornare alle loro scrivanie quando una voce che sentivano raramente su al distretto li fece voltare.
“Detective Katherine Beckett!” La detective sobbalzò sulla sedia e si voltò. Castle non riuscì a non ridacchiare per l’effetto che quella voce a volte aveva sulla sua musa. La dottoressa Lanie Parish stava infatti avanzando a grandi passi verso di loro e sembrava tutt’altro che amichevole.
“Hola chica! Che fai qui? Ti mancavo?” esclamò Esposito con un sorriso enorme vedendo spuntare la sua, ormai di nuovo, ragazza. Fece qualche passo per andarle incontro e allargò le braccia per abbracciarla e, possibilmente, baciarla.
“Non ora Javi!” dichiarò la donna passando sotto una delle braccia alzate dell’uomo. Il detective rimase di sasso a quello slalom, la bocca spalancata. Lanie lo superò quasi senza guardarlo e si andò a piazzare davanti alla scrivania di Kate, il busto in avanti, le mani ben poggiate sul tavolo, gli occhi che mandavano fuoco.
“Ehm… Ciao Lanie…” balbettò Beckett deglutendo. Non sapeva bene cosa avesse fatto, ma vedersi arrivare Lanie con quel tono e quello sguardo non era mai una cosa positiva.
“Ora spiegami una cosa, perché io non riesco proprio ad arrivarci” cominciò minacciosa, gli occhi socchiusi. Kate indietreggiò quanto poté sullo schienale della sedia. Nel vedere quella scena Rick pensò che nemmeno i grandi criminali riuscivano a intimorire Kate quanto Lanie in quel momento. “Correggimi se sbaglio: due sere fa hanno tentato nuovamente di toglierti dalla circolazione. Un uomo misterioso ti ha salvato. Hai passato la notte in ospedale e ieri sei stata comunque tutto il giorno al distretto” elencò la donna continuando a fulminare la detective. “Ora ti vedo e hai un livido nero in un occhio, almeno un paio di tagli alla testa e dio solo sa quanti altri segni addosso.” Beckett la guardò stupita e stava per chiederle come facesse a saperlo, quando la dottoressa la interruppe alzando una mano. “Ho letto il rapporto.” Il tono ora però aveva perso un po’ della minaccia e si era addolcito, nonché preoccupato. “Non dico scendere in obitorio a trovarmi, ma ti costava tanto fare una singola telefonata? Eppure mi sembrava avessimo già parlato di questo diversi giorni fa…” aggiunse con tono di rimprovero. La detective non riuscì a sopportare il suo sguardo accusatore e abbassò gli occhi. “Sono tua amica, Kate, anzi la tua migliore amica. Per fortuna Javier mi ha detto cos’era successo altrimenti da te non avrei avuto una parola. Ero preoccupata.”
“Lo so Lanie, mi dispiace. Ieri avevo… diciamo altri pensieri per la testa” si scusò, lanciando un’occhiata ai tre uomini accanto alla sua scrivania. “In ogni caso sarei venuta oggi giù in obitorio o ti avrei chiamato se non fossi riuscita. Mi spiace davvero” continuò sinceramente. Non lo diceva solo per rabbonirla. Aveva pensato sul serio di scendere da lei in giornata, anche perché sapeva che Esposito le avrebbe raccontato buona parte di quello che era successo, come infatti era stato. Lanie socchiuse gli occhi per capire se stesse raccontando balle o meno. Dopo qualche momento di riflessione, sembrò convincersi. Si alzò dal tavolo e fece un mezzo sbuffo, incrociando le braccia al petto.
“Ti perdono ancora per questa volta” dichiarò alla fine. Poi alzò un dito come ammonimento. “Ma… prova a rifarlo e questa volta sarò io a tentare di ucciderti. E credimi, io non sbaglierò mira e non permetterò a nessun ‘occhi blu’ di salvarti da me! Capito?” Kate annuì subito. Detto questo Lanie si ritenne pienamente soddisfatta e sorrise. Solo a quel punto Kate si concesse un piccolo respiro di sollievo. Con la coda dell’occhio vide accanto a lei lo scrittore che tentava di non ridacchiare con scarso successo. Gli lanciò un’occhiataccia e lui alzò le mani in segno di resa, senza smettere però di ghignare.
“Ora che hai sgridato Beckett, posso essere salutato anch’io?” domandò Esposito spudoratamente, comparendo alle spalle della dottoressa. Aveva uno sguardo da cucciolo che quasi sicuramente aveva imparato da Castle. Lanie si voltò verso di lui e scosse la testa sorridendo. Poi lo attirò a sé per lasciargli un piccolo bacio sulle labbra. Un po’ troppo piccolo evidentemente per Esposito che emise un verso di disappunto. Lanie ghignò malefica, ma subito dopo il suo sguardo venne catturato dalla lavagna bianca con il caso Smith, rimasto lì dal giorno prima, appena dietro l’uomo. Tornò più seria e si voltò di nuovo verso Kate.
“A proposito… avete poi scoperto cosa stava cercando l’assassino di Smith?” Ryan, Esposito e Castle si scambiarono un’occhiata e si girarono verso Beckett, aspettando che fosse lei a decidere quanto riferire. La detective si prese un paio di secondi prima di rispondere. Si morse il labbro inferiore.
“Sì… diciamo che ora sappiamo cosa voleva e purtroppo è anche possibile che l’abbia trovato” rispose alla fine la detective, cauta. Non voleva ancora mettere al corrente Lanie delle loro ultime scoperte come aveva fatto con la Gates. Non perché non si fidasse di lei, ma perché era più al sicuro così. La dottoressa capì la sua impossibilità a parlare e non chiese altro. Sospirò e diede un’occhiata alle foto del corpo martoriato di Smith.
“Spero fosse qualcosa di ben importante” mormorò la dottoressa facendosi istintivamente più vicina a Esposito che le passò un braccio intorno alla vita e la strinse a sé. “Nessuno si merita di essere torturato in quel modo. Bruciature, elettricità, percosse, affogamento… Deve essere stato terribile. Ancora non so come abbia fatto a resistere così a lungo…”
“Oh, avrebbe resistito anche di più, ma il torturatore è stato molto fortunato purtroppo.” La voce di Tully apparve improvvisamente dietro di loro insieme alla sua persona. Tutti erano sobbalzati. Non l’avevano visto né sentito arrivare. Tully aveva uno sguardo duro e malinconico puntato verso le foto di Smith. “Conoscendo Jonathan, lui non avrebbe mai detto niente se non fosse stato per l’acqua. Immagino sia stata quella l’ultima tortura subita prima della morte.” Tully rimase qualche secondo in silenzio, pensieroso. Poi scosse la testa, riprese il sorriso affascinante con cui avevano imparato a conoscerlo e si rivolse a Lanie, che lo guardava confusa e stregata. “Dottoressa Lanie Parish giusto? Piacere di conoscerla, sono Alex Tully. Non so se già qualcuno le ha parlato di me…”L’uomo si avvicinò ulteriormente e allungò la mano verso Lanie nel presentarsi. In quel momento i tre detective e lo scrittore si accorsero della ventiquattrore che l’uomo teneva saldamente nell’altra mano. La dottoressa o osservò ancora per un momento confusa, poi sorrise e gliela strinse annuendo.
“Sì sono io. Piacere mio signor Tully. Sì, mi hanno accennato qualcosa di lei… Anche che è il padre di un certo scrittore di nostra conoscenza!” esclamò divertita. Nessuno riuscì a fermarla, ma d’altronde nessuno le aveva spiegato il rapporto tra padre e figlio. A quelle parole Tully divenne per un momento più serio. Kate invece poté vedere la mascella di Castle contrarsi e gli occhi spostarsi rapidamente verso in basso, lontani dalla figura dell’ex-agente CIA. Lanie capì di aver detto qualcosa di sbagliato. “Io… mi dispiace, io non volevo…”
“Non si preoccupi dottoressa” replicò subito Tully vedendola in difficoltà, riprendendo il sorriso. “Non poteva certo conoscere alcune ‘dinamiche interne’ tra me e mio… e il mio ragazzo.” A quelle parole Rick sbuffò. Lanie annuì mortificata. Poi un po’ per cambiare argomento e un po’ per curiosità, fece un cenno alla lavagna.
“Se permette, posso chiederle come faceva a sapere che l’affogamento è stata l’ultima tortura? E cosa vuol dire ‘se non fosse stato per l’acqua’?” domandò. Tully tornò a osservare la lavagna, lo sguardo ancora una volta spento quando si trattava del suo amico.
“Vede, Jonathan era un medico militare. C’è stato un episodio, durante la prima guerra del Golfo, l’unica guerra a cui partecipò, che lo segnò profondamente…” Fece un sospiro e continuò. “Venne rapito e torturato per giorni per sapere la posizione di alcune casse di fucili e granate. Lo torturarono per affogamento, immergendogli la testa in una tinozza d’acqua ghiacciata fino a farlo svenire, più e più volte.” Ryan ed Esposito si guardarono per un momento. Sapevano bene cosa si provava. Ryan, che l’aveva sentito sulla propria pelle un anno e mezzo prima, rabbrividì. “Da quel giorno è sempre stato terrorizzato da quel liquido. All’inizio non riuscivano quasi nemmeno a farlo bere. Dovete capirlo, era solo un ragazzo all’epoca e ne era uscito traumatizzato. Da quanto mi aveva detto era riuscito a superare parte dello shock, ma ancora oggi non osava avvicinarsi di più di tre metri ad una piscina o spiaggia” spiegò Tully, lo sguardo ancora fisso sulle foto alla lavagna. Nessuno disse niente, provando a immaginare quale tormento dovesse essere stata per un periodo la sua vita. A interrompere il momento ci pensò la Gates, che uscì dal suo ufficio in quell’attimo e venne loro incontro. Si era accorta che era arrivato anche l’ex-agente e aveva notato la valigetta.
“Bentornato signor Tully” disse sbrigativa. “Dottoressa Parish, credo ci sia un cadavere in arrivo al suo obitorio per la squadra di Karpowski” aggiunse quindi rivolta a Lanie. Quella sgusciò subito fuori dall’abbraccio di Esposito.
“Oh, sì vado subito” rispose. Salutò con un cenno i detective e lo scrittore, strinse ancora una volta la mano a Tully e si diresse velocemente verso l’ascensore. La Gates aspettò che la dottoressa fosse fuori portata d’orecchio, quindi si rivolse all’ex-agente CIA.
“Presumo che lei abbia qualcosa per noi” affermò facendo un cenno alla valigetta.  L’uomo sorrise affabile e annuì.
“Come le ho promesso, capitano.”  La Gates fece un altro cenno verso una sala riunioni vuota e tutti e sei ci si chiusero dentro, lontani da orecchie e occhi indiscreti. L’uomo appoggiò la ventiquattrore sul tavolo al centro della stanza. Fece per inserire la combinazione nel congegno appena sotto la maniglia quando Kate si ricordò che avevano ancora un discorso da fare.
“Prima di cominciare…” interruppe il procedimento la detective. Tutti si voltarono a guardarla, chi stupito, chi irritato, chi sollevato. “Volevo dirle una cosa signor Tully.”
“Per favore, detective, le ho detto di chiamarmi Alex…” la corresse l’uomo con un finto sospiro esasperato.
“Io chiamo per nome le persone di cui sono certa di potermi fidare, Tully” replicò Beckett, marcando il cognome. L’espressione dell’uomo cambiò in un attimo. Aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Pensavo che ora si fidasse di me” affermò con una nota di risentimento e rimprovero dopo qualche secondo.
“Non quando rischia di far saltare tutto” replicò Kate dura, riprendendo le parole che Rick aveva detto quella mattina. “Lo so che come agente CIA il suo addestramento è stato differente dal nostro e immagino anche che lei sia abituato ad agire da solo da anni, ma stavolta non si tratta solo di lei. Tutte le persone presenti in questa stanza sono coinvolte.”
“Quello che ha detto è vero detective, me ne rendo ben conto. Solo che ancora non capisco qual è il punto…” rispose Tully. Il suo atteggiamento era ancora calmo, ma Kate poteva vedere dalla ruga marcata che si era creata tra i suoi occhi che si stava scocciando.
“Vedrò di chiarirglielo una volta per tutte allora” lo interruppe la donna alzando una mano per fermarlo. “Non le permetterò più di prendere decisioni e muoversi da solo. Ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire fare di testa propria con questo caso…” disse amaramente abbassando per un momento gli occhi al pavimento. Aveva rischiato la sua vita e quella dei suoi colleghi. Ed era una cosa che non avrebbe mai più permesso. Dopo un secondo rialzò gli occhi decisa e incontrò quelli blu scuro di Tully. “E dovrebbe saperlo bene anche lei. Le prove spariscono, le persone muoiono. Oggi oserei dire che è stato fortuna se non hanno tentato nulla contro di lei…”
“In realtà” la interruppe Tully con un sorriso ironico. “Immaginavo mi avrebbero seguito per recuperare la valigetta. E così è stato infatti…” Tutti lo guardarono increduli. Stava parlando di un pedinamento come se fosse la cosa più normale del mondo. “…ed è questo il motivo per cui ho tardato. Volevo essere certo che non riuscissero a seguirmi e così è stato” concluse ridacchiando. Poi tornò più serio e guardò per un momento sia Castle che Beckett con uno sguardo di scuse. “Mi spiace non avervi permesso di venire, ma immaginavo sarebbe successo qualcosa e non volevo vi accadesse niente…”
“Proprio di questo si parla Alex!” disse con tono paziente la detective. “Poteva accadere a noi come poteva accadere a te!” Finalmente Tully comprese la loro preoccupazione. Rimase qualche momento in silenzio quindi fece un sospiro e annuì.
“D’accordo. Ho capito. Prometto che non farò altro da solo” Alex era rivolto a Beckett, ma i suoi occhi erano puntati su Castle. “Ma a una condizione” continuò spostando lo sguardo di nuovo sulla donna. “Lavoreremo come una squadra. Non ho intenzione di essere messo da parte perché non sono più operativo” replicò l’uomo, incrociando le braccia al petto. Beckett guardò per un momento la Gates. In fondo era lei il capitano lì dentro. La vide farle un lieve cenno affermativo con il capo, quindi Kate annuì a Tully. “Siamo d’accordo allora” dichiarò con un ritrovato sorriso l’uomo. A quel punto si voltò di nuovo verso il tavolo per prestare attenzione alla valigetta. Kate osservò per un momento Rick, che emise un lieve sospiro di sollievo. Lo scrittore ora sembrava più rilassato, anche se glielo si leggeva in faccia che era ancora diffidente. Dovette sentire gli occhi della sua musa su di sé perché girò la testa verso di lei e le sorrise rassicurante. Kate sorrise in risposta. Quindi tornarono tutti a prestare attenzione a Tully. L’uomo inserì la combinazione e aprì la valigetta. I presenti non poterono fare a meno di allungare il collo per vedere il contenuto della ventiquattrore. Non dovettero comunque attendere a lungo. C’era una pila di documenti all’interno che Tully tirò fuori con una mano e poggiò sul tavolo. Spostò quindi la valigetta a terra perché non intralciasse. A questo punto si rivolse ai presenti.
“Questi” disse indicando la pila di fogli. “Sono tabulati e conti bancari. Sono i fascicoli scomparsi nel corso degli anni. Sono ciò che serve per incastrare Franklin Spark Junior e sono abbastanza per mandare all’aria mezza città. Purtroppo non sono ancora sufficienti…” mormorò quindi con tono malinconico e un velo di rabbia.
“Come sarebbe che non sono sufficienti?” domandò stupito Esposito. Tully fece un cenno con una mano verso i fogli.
“Leggeteli e capirete” rispose solo.
Si sedettero intorno al tavolo e iniziarono a dividersi la pila di fogli. Trovarono subito i fascicoli del caso di Bob Armen scomparsi, con la realtà distorta dei detective Raglan e McCallister e alcune correzioni a mano di Montgomery. Scoprirono i tabulati telefonici dei tre di quel periodo e poterono vedere subito che più di una chiamata era stata fatta dal telefono dell’allora appena promosso capo dipartimento Franklin Spark Junior. Fu quindi la volta dei conti bancari. Uno di quei fogli diceva che nel conto di Spark apparvero all’improvviso migliaia di dollari e altrettanto velocemente scomparvero, presumibilmente in un conto segreto. Quindi altri fogli con segnate più transazioni strane di Spark che, a controllare la data, si notavano essere in concomitanza con elezioni politiche o di alti ufficiali di polizia. Alcuni pagamenti consistenti risalivano all’omicidio della madre di Kate e capirono che si trattava dell’assassino ingaggiato per quel delitto e per quello delle altre persone collegate all’associazione di Johanna Beckett. La data più recente che trovarono si notava su due fogli ed era di poco più di un anno prima, di poco antecedente alla morte di Montgomery. Il primo era un tabulato telefonico dal cellulare di Spark. Era segnata con evidenziatore giallo un’unica chiamata verso la prigione dove era rinchiuso Lockwood, il giorno in cui uccise McCallister. Il secondo foglio invece riguardava una transazione bancaria, avvenuta lo stesso giorno della morte di McCallister, di Spark per una associazione di beneficienza che però era inesistente.
“Come avete visto voi stessi, c’è ne sarebbe abbastanza, ma sono tutte prove circostanziali purtroppo” sospirò Tully quando ebbero finito di guardare tutti i fogli. La Gates sembrava incapace di parlare. Aveva gli occhi sgranati e la mascella serrata. Era aggrappata ad uno dei fogli e sembrava quasi volesse strapparlo in mille pezzi. “Se queste informazioni uscissero allo scoperto ci sarebbe un gran polverone, ma con un buon avvocato e un sacco di amicizie, Spark sarebbe libero in nulla e noi avremmo perso la nostra occasione. Abbiamo bisogno di un’ultima prova. Qualcosa che lo incastri definitivamente. Possibilmente una confessione…” aggiunse ridacchiando per alleggerire l’atmosfera. Ryan ed Esposito fecero un sorriso tirato. Erano increduli, ma decisi. Aspettavano solo che qualcuno gli dicesse cosa fare e loro avrebbero agito. “Allora, qualche idea?” disse infine Tully passando lo sguardo su tutti i presenti. Beckett e Castle si guardarono sconsolati. Non sapevano che inventarsi stavolta. Erano sicuri che questi fogli sarebbero bastati e invece si erano ritrovati di nuovo con un nulla di fatto. L’unica cosa positiva era che ora almeno conoscevano l’identità del drago.

“Forse avrei un’idea” esclamò la Gates all’improvviso facendo voltare tutti verso di lei. Aveva ancora gli occhi fissi sul foglio che aveva in mano, ma ora il suo sguardo non era più perso. Era deciso. Appoggiò il foglio e tirò fuori da una tasca un volantino piegato in quattro. Lo spiegò e distese ben visibile sul tavolo. Era la pubblicità per una festa che si sarebbe tenuta da lì a una settimana.
“Una festa?” domandò Ryan confuso. Solo in quel momento Beckett vide cosa si festeggiava.
“Non una semplice festa…” mormorò la detective, gli occhi fissi sul volantino. “È la festa della polizia!”
“Non ci avevo pensato!” esclamò Castle. “Partecipano tutti gli alti ufficiali della polizia dello stato e altre cariche politiche importanti.” La Gates fece un mezzo sorriso ironico.
“Credo sia il caso di andare a fare un saluto ad un vecchio amico…”

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Xiao! :D
Sono riuscita a pubblicare al pelo alla fine... è l'una e un quarto di notte e domattina sveglia alle cinque  e mezza... vabbé... -.-
Tully è tornato sano e salvo per chi lo credeva già spacciato, però ha avuto un pedinamento anche se l'ha superato come se nulla fosse... che tipo... X)
Ok, lo so che non ho scritto nulla di troppo importante, ma ci voleva come introduzione... Non ho fatto in tempo a ricontrollarlo, quindi spero di non aver scritto troppe scempiaggini... lasciatemi un commentino per sapere che ne pensate per favore!! (li leggerò quando torno non temete!) :)
Vi lascio che mi sto un po' addormentando in piedi... ci vediamo probabilmente tra un tre settimane! Buon agosto!! :D
Lanie

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Capitolo 15
*** Perché tutto finisca ***


Cap.15 Perché tutto finisca

Fu una settimana di preparativi. La data della festa della polizia si avvicinava sempre più. Ormai mancava meno di un giorno, ma ancora c’erano delle discussioni in corso e il nervosismo aumentava ogni secondo.
“Kate ne sei sicura?” domandò preoccupato Castle per l’ennesima volta, mentre raggiungevano la scrivania della detective. “Non puoi sapere che tipo di reazione avrai una volta che Spark sarà davanti a te! E se lui dovesse provocarti e tu non riuscissi a…” Beckett sbuffò sonoramente. Sbatté sul tavolo le chiavi della macchina e si voltò a fronteggiare lo scrittore, le mani sui fianchi, gli occhi che mandavano fuoco. Rick fece d’istinto un passo indietro e deglutì, ma non abbassò lo sguardo.
“Per la millesima volta, Castle” esclamò esasperata rimarcando il cognome dell’uomo. “Sono più che sicura. Lo voglio fare. Voglio vederlo in faccia e guardare negli occhi l’uomo che ha dato l’ordine di uccidere mia madre.” Si fermò un secondo e prese un respiro profondo prima di continuare. “Ma mi controllerò e non farò niente di stupido come ho promesso. Ora finiscila di chiedermelo oppure sarai tu a testare le mie capacità di controllo!” Ormai lo scrittore le aveva provate tutte, ma la sua musa non demordeva. Aveva deciso che sarebbe andata a quella festa e niente e nessuno le avrebbe più fatto cambiare idea. Castle sospirò rassegnato e si sedette sulla sua solita sedia accanto alla scrivania della detective. “E comunque potrei chiedere la stessa cosa a te” aggiunse Kate con tono più dolce dopo essersi seduta lei stessa ed essersi voltata nuovamente verso Rick. “Sei sicuro di voler venire con me?” chiese. Andare insieme avrebbe significato diventare un bersaglio quanto lei. Voleva dire esporlo di nuovo al pericolo, ancora più di prima. Non si sarebbe mai perdonata se gli fosse accaduto qualcosa, non solo per sé stessa, ma anche per Alexis. Guardandolo negli occhi vide paura per lei, ma nessuna traccia di indecisione. L’uomo incrociò le braccia al petto. Fu Rick a fulminarla con lo sguardo stavolta.
“Ora ascoltami tu, Beckett” disse serio. “Non ho intenzione di andare da nessuna parte senza di te. Questo significa che continuerò a seguirti come ho sempre fatto da quattro anni a questa parte. E se tu sei intenzionata ad andare a quella festa, allora ci sarò anch’io. Che tu lo voglia oppure no!” affermò con tono che non ammetteva repliche. La donna annuì rassegnata. A quel punto entrambi ripensarono al piano che avevano faticosamente costruito con il capitano, Esposito, Ryan e Tully. Era rischioso, ma non riuscivano a trovare alternative. Beckett, Castle e la Gates sarebbero andati alla festa. Il capitano era invitato tutti gli anni, mentre Kate avrebbe fatto da agente di rappresentanza per il 12th Distretto. Lo scrittore ovviamente non ci aveva messo niente a trovare un biglietto per sé. Spark in fondo non era l’unico ad avere amici ai piani alti. Il loro compito, il più facile per così dire, era parlare con il drago, cercare di estorcergli più o meno subdolamente qualche informazione, o confessione, e possibilmente trattenersi dallo sparargli. Mentre loro sarebbero stati impegnati in questo, Esposito e Ryan avrebbero cercato di introdursi nell’ufficio di Spark nel palazzo della Difesa. Metà delle guardie assegnate al luogo sarebbero state di controllo alla festa, il che voleva dire relativa quiete per loro. Contemporaneamente ai due detective, Tully sarebbe entrato in casa Spark. L’abitazione sarebbe stata vuota, poiché la moglie, Marianne, e il figlio, Nicholas, erano soliti presenziare sempre alle feste in cui era invitato l’uomo.
Se qualcosa fosse andato storto sarebbe stata la fine dei giochi per tutti loro. E c’erano un sacco di variabili, troppe forse, che avrebbero potuto far andare tutto storto.
 
Kate diede un’occhiata nervosa all’orologio. Erano le otto meno dieci. Entro qualche minuto sarebbe passato Rick a prenderla. Si guardò un’ultima volta allo specchio. Controllò che il chignon fosse rimasto nella stessa posizione di due minuti prima e che il trucco leggero che aveva messo non avesse sbavato. I lividi erano praticamente spariti, mentre i tagli, per fortuna non troppo profondi, avevano lasciato solo lievi segni. Lisciò ansiosa una piccola piega inesistente sull’abito. Indossava un vestito senza spalle blu notte che si allacciava dietro il collo e cadeva lungo quasi fino ai piedi. L’abito aveva uno scollo ovale sul davanti, lasciava la schiena scoperta e possedeva uno spacco laterale che lasciava intravedere buona parte delle gambe. Era semplice, ma elegante. L’unico ornamento era una sottile striscia di brillantini che girava più volte intorno all’abito. I tacchi erano nello stesso stile del vestito. Aveva comprato il tutto qualche giorno prima con Lanie. All’inizio, nonostante l’indumento le piacesse davvero molto, si era opposta al prenderlo. Lo scollo davanti infatti era abbastanza profondo da lasciare in vista la piccola cicatrice tonda sul suo petto. Non sapeva ancora se era pronta a mostrarla al mondo, ma Lanie le aveva fatto cambiare idea.
 
Kate fece un giro su sé stessa come le aveva appena ordinato la dottoressa.
“Sei perfetta ragazza!” dichiarò Lanie felice. La detective arrossì, ma sorrise. Dopo quattro negozi e dieci abiti differenti sembrava avessero finalmente trovato quello adatto. Per fortuna, perché Kate aveva i piedi doloranti. Avrebbe voluto strozzare Esposito quando il giorno prima aveva nominato ‘Beckett’, ‘festa’ e ‘Castle’ nella stessa frase proprio di fronte alla dottoressa. L’aveva praticamente costretta con la forza a uscire a fare shopping per trovare il vestito ideale. Sapeva che ormai Kate e lo scrittore stavano insieme, ma evidentemente certe abitudini erano dure a morire. “Grazie a te, sai che cena favolosa avrò con Javi!” esclamò allegra, mentre dava un’altra occhiata estasiata al vestito girando intorno alla detective.
“Scusa?” domandò sorpresa la donna alzando un sopracciglio, ma con un sorriso divertito. Lanie ridacchiò.
“Fidati! Quando Writer Boy ti vedrà con questo abito avrà di che ringraziarmi. Quindi chiederà a Javier di portarmi fuori per una fantastica cena a sue spese” rispose come se fosse la cosa più logica del mondo. Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere il grande sorriso sul suo volto.
“Quanto altruismo! Sono contenta di sapere che il conto in banca di Castle aiuti la tua felicità, Lanie!” replicò sarcastica girandosi di nuovo verso lo specchio. Fu in quel momento che vide un particolare che prima le era sfuggito. Il sorriso le morì sulle labbra. Prima che la dottoressa potesse chiedere cosa avesse, Kate era già dentro il camerino. Stava per chiudersi all’interno quando Lanie la bloccò.
“Kate, che succede? Che hai?” domandò preoccupata.
“Non posso comprarlo” rispose subito, gli occhi bassi.
“Non dirmi che è un problema di prezzo, perché…”cominciò Lanie, ma subito fu interrotta.
“Il prezzo non c’entra” replicò Kate triste, gli occhi ancora puntati al pavimento. In quel momento la dottoressa si accorse cha la mano della donna era ferma in mezzo al petto, proprio alla fine della scollatura. E iniziò a capire. Lentamente le abbassò la mano dal seno e, come sospettava, vide la piccola cicatrice tonda nel mezzo dello scollo. Rialzò gli occhi sulla detective.

“Kate” la chiamò. La donna si morse il labbro inferiore, ma alzò lo sguardo e finalmente incontrò gli occhi della dottoressa. “Non nascondere al mondo chi sei” disse dolcemente. “Sono un segno di ciò che è stato, non di debolezza. Dimostra che le tue cicatrici non ti impediscono di andare avanti. Dimostra che il tuo passato può solo renderti più forte.”
 
Passò una mano su quel segno sovrappensiero. Le parole di Lanie in qualche modo l’avevano scossa. Se Rick non l’aveva rifiutata, se i suoi amici non l’avevano abbandonata per quella piccola cicatrice, allora poteva anche fregarsene del mondo. E anzi, quella sera avrebbe fatto vedere al drago quanto il suo tentato omicidio l’avesse resa forte e determinata.
In quel momento suonò il campanello. Si diede un’ultima occhiata e andò ad aprire. Il fantastico sorriso del suo scrittore davanti alla porta fu come un immediato tranquillante per lei.
“Buonasera mia mus…” Rick non riuscì a finire la frase, poiché la bocca gli rimase aperta non appena ebbe dato un’occhiata alla sua donna. Era… Come poteva definirla? Bellissima? Splendida? Straordinaria? Lei era questo e anche più. Lui invece rimaneva il solito scrittore, immancabilmente senza parole davanti a lei. Rimase diversi secondi imbambolato a guardarla, tanto che Kate, arrossita, ma sorridente, dovette richiamarlo due volte prima che tornasse alla realtà.
“Sei… Wow!” riuscì a mormorare alla fine.
“Cavoli Rick, sono sempre più stupita dalla tua capacità di usare le parole” dichiarò sarcastica la donna con un sopracciglio alzato. Rick scosse la testa e sbuffò offeso. Quindi, senza aprire bocca, fece indietreggiare di un passo la donna che lo guardò confusa. Chiuse la porta e attirò a sé la detective.
“Forse non so usare le parole, ma ti posso assicurare che invece me la cavo ancora egregiamente con la lingua…” sussurrò rimarcando il doppio senso con un sorriso furbo a un centimetro dalla sua bocca. Non le diede il tempo di replicare che la baciò. Probabilmente la sua musa aveva ragione e non aveva parole, ma sapeva ancora bene come esprimersi a fatti. Quando il bacio iniziò a farsi troppo approfondito, Kate decise che era meglio staccarsi oppure sapeva benissimo dove sarebbero finiti e di certo non era alla festa della polizia. “Allora? Me la sono cavata piuttosto bene direi” disse ridacchiando e pavoneggiandosi Rick nel vedere la faccia lievemente frastornata della detective. Decisamente non era ancora abituata ai suoi baci. La donna sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“E io che speravo che il tuo ego rimanesse a casa questa sera!” esclamò fintamente esasperata.
“Ma dai, non potevo mica lasciarlo lì” replicò l’uomo con tono giocoso. “Mia madre lo avrebbe distrutto e mia figlia me lo avrebbe ritorto contro in qualche modo! Se poi contiamo come è stato rimpicciolito al poker di ieri sera da tuo padre allora…” Si bloccò. Avrebbe voluto mordersi la lingua e tagliarsela, mentre vedeva Kate rattristarsi. “Io… mi dispiace non avrei dovuto… Non sto mai zitto quando serve” iniziò con tono colpevole.
“Non ti preoccupare” lo interruppe subito Kate con un sorriso un po’ tirato. Era ancora un  po’ frastornata, ma non sopportava, per quanto adorabile, lo sguardo da cucciolo bastonato di Rick. “Va tutto bene, davvero” continuò vedendolo ben poco convinto dalle sue parole. Sapeva che lo scrittore si sentiva in colpa per quello che era successo la sera prima, anche se lui non aveva assolutamente niente da rimproverarsi.
 
Quella sera Rick aveva invitato il padre di Kate, Jim, a mangiare a casa loro. Sentiva la sua musa nervosa e ansiosa per l’indomani. Con un po’ di fortuna in poco tempo avrebbero arrestato l’uomo che aveva dato l’ordine di uccidere Johanna Beckett ed era sicuro che Kate sentisse il bisogno di passare un po’ di tempo con suo padre. Quando Jim entrò dalla porta infatti vide gli occhi della donna illuminarsi e seppe di aver fatto la cosa giusta. Sarebbero stati solo tre e Alexis. Martha e Tully avevano già fatto sapere che sarebbero stati fuori. Non che Jim sapesse dell’esistenza dell’ex-agente CIA. Nonostante i rapporti tra lui e Alex stessero lentamente migliorando, Rick sentiva che sarebbero stati tutti più a loro agio, lui compreso, se l’uomo non fosse stato presente. Non sapeva minimamente quanto avesse avuto ragione, anche se per altri motivi.
Avevano passato una tranquilla serata chiacchierando e scherzando, allontanando la tensione per l’indomani. Dopo cena avevano iniziato a giocare a poker e lo scrittore stava venendo miseramente stracciato dal padre di Kate, quando sua madre e Alex rientrarono. Tutti notarono subito lo sguardo di Jim cambiare. Prima divenne stupore. Poi odio. Ed era indirizzato a Tully. L’ex-agente aveva un’aria mortificata.
“Jim Beckett…” iniziò Alex cercando di simulare un tono leggero. “È un piacere rivederla…”
“Il piacere è completamente suo, agente Tully” replicò l’altro secco. Quindi si alzò e si rivolse alla figlia con tono più dolce. “Mi dispiace Katie, devo proprio andare. Ho passato una bellissima serata. Grazie dell’ospitalità” disse quindi rivolto a Rick e Alexis. Lo scrittore notò bene lo sguardo spento e arrabbiato del padre di Kate dietro le parole gentili. Prima che qualcuno potesse replicare, Jim aveva già recuperato la giacca ed era uscito dalla porta passando accanto a Martha e Tully. Salutò la prima con un lieve cenno del capo e un piccolo sorriso tirato, mentre il secondo non lo degnò di uno sguardo. Kate gli corse subito dietro tentando di ammansirlo e cercando di capire perché conosceva Tully e cosa fosse successo. La detective tornò in casa Castle pochi minuti dopo, senza una risposta e sconvolta, quasi sull’orlo delle lacrime. Rick e Alexis erano ancora al tavolo da poker, mentre Martha e Alex erano rimasti sulla porta. Nessuno si era mosso. Appena lo scrittore vide la sua musa rientrare però, si alzò subito e andò ad abbracciarla.
“Cos’altro non ci hai detto?” domandò con rabbia misurata Rick a Tully appena ebbe tra le braccia Kate. L’uomo si prese un paio di secondi prima di rispondere. Sembrava addolorato.
“Vi avevo già accennato di aver conosciuto Johanna Beckett, anche se per poco tempo” rispose alla fine con tono triste. Prese un respiro profondo. “Ho partecipato in parte alle indagini del suo omicidio” continuò con un certo sforzo. “E… diciamo che potrei essermi scontrato con suo padre un paio di volte… e me ne rincresce. Era ed è tutt’ora un brav’uomo, ma io ci misi un po’ a capirlo purtroppo.”
“Cosa gli ha fatto?” chiese questa volta Kate rabbiosa. Era protesa verso l’ex-agente come se volesse scagliarcisi contro. Sembrava che solo le braccia di Rick intorno alla sua vita la trattenessero. Tully la guardò sofferente.
“Fisicamente niente” replicò. “All’epoca però ho dovuto interrogarlo per capire se avesse dei legami con l’uomo che aveva assassinato tua madre e non credo di esserci andato molto leggero con le parole… e penso di aver fatto anche qualche accusa… pesante” aggiunse misterioso, ma con un chiaro tono colpevole.
“Ha accusato mio padre di essere in combutta con il drago??” domandò adirata. “Mio padre amava mia madre!! Non le avrebbe mai fatto del male!!” gli urlò. Tully parve improvvisamente più vecchio, le spalle curve, sembrava quasi appoggiato a Martha.
“Ora lo so” rispose abbassando lo sguardo al pavimento. “Ma all’epoca no. Non sapevamo ancora chi ci fosse dietro. E… e tu dovevi essere protetta” continuò rialzando lo sguardo su di lei. Kate si bloccò e lo guardò stupita, incapace di capire. “Eri una ragazzina. Dovevo essere certo che la figlia di Johanna vivesse con un brav’uomo, non con un assassino.” Il tono era strano. Continuò però prima che qualcuno potesse chiedere qualunque cosa. “Johanna era una donna straordinaria. Ci conoscemmo quando riaprì il caso Armen in aiuto a Pulgatti. Ero lì per aiutarla e controllarla, nel caso avesse scoperto qualcosa di più sull’uomo che aveva pagato Raglan e McCallister. Oserei dire che fossimo amici quando morì…” Si fermò per un attimo, lo sguardo fisso al pavimento, perso in un ricordo lontano. Quindi scosse la testa e rialzò gli occhi su Kate. “Mi dispiace, ma era il mio lavoro. Come agente e come amico. Dovevo essere certo che suo marito fosse un uomo onesto.”
“Come hai potuto anche solo pensare che non lo fosse?” chiese stavolta Rick con tono d’accusa. Tully lo guardò.
“Quante volte avete indagato sull’omicidio di una donna e avete scoperto che il colpevole era il marito o che questo era coinvolto?” chiese con un sopracciglio alzato. “Sapevamo che era la mano di un assassino pagato quella che aveva ucciso Johanna. Dovevamo capire da chi arrivassero i soldi e chi altri era coinvolto. Mi dispiace ragazzo, ma te l’ho detto. Ho dovuto interrogarlo e non ci sono andato leggero. Ma era il mio lavoro.”
 
Non erano riusciti a farsi dire di più, né da Tully né da Jim. Kate era riuscita a parlare di nuovo con suo padre solo quella mattina. Si era finalmente calmato e si era scusato per il comportamento della sera prima, ma non aveva aggiunto spiegazioni. Ricordi troppo dolorosi per parlarne, Katie… aveva detto. Mi dispiace.
“Ehi” richiamò lo scrittore Kate, ancora con faccia colpevole. “Tranquillo, ok? Ho risolto con mio padre.” Rick annuì facendo un mezzo sorriso. Appoggiò quindi la fronte su quella di lei, respirando il suo profumo di ciliegie. Era contento che lei e suo padre si fossero chiariti, almeno in parte. Lui non poteva dire altrettanto. Perché lui invece non aveva accettato spiegazioni da Tully. Era anche arrivato quasi a litigare con sua madre per quell’uomo.
 
“Mi spieghi una cosa?” Aveva detto esasperato Rick a un certo punto. “Come puoi amarlo dopo quello che ha fatto?”
“Era il suo lavoro!” lo difese Martha.
“Vogliamo parlare allora di quello che ti ha fatto? Che ci ha fatto? Ci ha abbandonato! Come puoi continuare ad amarlo??” chiese lo scrittore infuriato, i pugni serrati, la mascella contratta.
“Proprio tu me lo chiedi Richard?” domandò sbalordita e sconcertata l’attrice dopo qualche secondo. “Tu sei riuscito a smettere di amare Kate dopo aver scoperto che ricordava le tue parole? Hai smesso di amarla quando ti ha cacciato? O quando te ne sei andato?” La donna scosse la testa sconsolata. “Quando ti dicevo che l’amore non è un interruttore che puoi spegnere o accendere, dicevo sul serio, per esperienza personale. E tu stesso te ne sei accorto. O sbaglio?”
 
Rick emise un leggero sospiro e cercò di scacciare dalla mente quelle immagini.
“Sei straordinaria...” le sussurrò ad un tratto lo scrittore. Kate sorrise e arrossì. “E bellissima.”
“Anche tu non sei male scrittore” replicò la detective, sollevata che lui avesse cambiato argomento. Come per le migliori feste di gala, Castle indossava un completo nero, camicia bianca e cravatta anch’essa nera. L’uomo sorrise. Fece scendere il suo sguardo sul corpo della donna e sulla profonda scollatura dell’abito. Solo in quel momento vide la cicatrice. Si bloccò stupito, aggrottando le sopracciglia. Kate non ebbe bisogno di seguire il suo sguardo per sapere cosa l’avesse scosso.
“Una persona mi ha detto che il mio passato può solo rendermi più forte…” mormorò la donna imbarazzata. Rick alzò gli occhi blu e li inchiodò in quelli verde-marrone di lei. “Mi sembrava un buon biglietto da visita da mostrare al drago. Voglio che capisca che non sono una che si arrende facilmente.” Lo scrittore ridacchiò, le lasciò un piccolo bacio sulle labbra e poggiò si nuovo la fronte su quella di lei.
“Credo che questo l’abbia già capito, amore…” replicò divertito, ma con una punta di amarezza. Quante volte avevano cercato di ucciderla ormai? Sospirò e continuò con tono scherzoso. “Comunque se la persona che dicevi è la stessa che ti ha consigliato l’abito, allora la dottoressa è davvero una donna non solo di buon gusto, ma anche molto saggia.” Aveva capito subito a chi si stava riferendo Kate. “Dovrò ricordami di dire a Esposito di offrirle una cena con i fiocchi a mie spese.” Kate sorrise a quelle parole. Che dire, Lanie ha sempre ragione… pensò. Poi tornò seria, meditando sulla serata che si prospettava. “Sei pronta?” chiese Rick premuroso, carezzandole una guancia. La detective annuì.
“Gli altri?” domandò.
“Tully sta andando ora a casa Spark” rispose Castle atono. “Ryan ed Esposito invece li ho sentiti appena prima di venire qui. Sono già davanti al palazzo. Entreranno in azione tra poco, credo. La Gates… boh, vista la sua puntualità starà arrivando in questo momento alla festa” disse dando un’occhiata all’orologio da polso. Beckett annuì e si staccò controvoglia dallo scrittore.
“Sarà il caso di andare allora. Prima finirà questa serata meglio sarà.”
 
L’entrata della Festa della Polizia di New York li accolse sotto forma di un turbinio di flash. Era un evento annuale che richiamava sempre persone famose, comprendenti alti ufficiali della polizia di stato e politici locali. I momenti più felici per i giornalisti di gossip però erano quelli in cui comparivano le celebrità di arte e spettacolo. Sicuramente uno dei flash di quella sera avrebbe occupato Pagina Sei, la pagina del pettegolezzo, del giornale del mattino dopo. Kate era sicura di aver visto un brillio di pura gioia negli occhi di uno dei giornalisti quando lei e Rick scesero insieme dalla Ferrari dello scrittore. Ovviamente guidava lei. Non sarebbe mai riuscito ad averla vinta con la sua musa.
Castle e Beckett superarono le due ali di fotografi, passando sul tappeto rosso, ed entrarono nella grande sala dell’Hotel Tipton affittata per l’occasione. Sul fondo della sala videro il vasto tavolo del buffet che copriva tutta la lunghezza della parete. Sulla destra c’era invece un palco rialzato con i musicisti. Una melodia vivace si era già diffusa per la sala. Il mezzo della salone invece era lasciato libero per i balli. Erano già presenti diversi invitati, divisi in piccoli gruppetti sparsi per la sala. Molti erano quelli che indossavano l’alta uniforme della polizia. Rick riconobbe subito la figura del sindaco, già impegnato a ballare con la moglie. Spark pareva non essere ancora arrivato, ma mancavano ancora buona parte degli ospiti. Kate cominciò a mordersi il labbro inferiore e a stringere nervosamente il braccio del suo accompagnatore.
“Kate, mi stai staccando un braccio” mormorò Castle supplicante. La donna se ne accorse solo in quel momento. Allentò subito la presa al braccio e sentì un sospiro di sollievo provenire da Rick. Una coppia di ballerini si spostò volteggiando nella sala e, appena dietro questi, videro comparire la figura del capitano Gates. Stava chiacchierando dall’altra parte della salone con un uomo che sembrava un tricheco. Era piccolo, tozzo e aveva un paio di baffoni che gli arrivavano al mento. Il capitano li notò un secondo dopo. Si congedò velocemente dal tricheco e si voltò verso di loro per raggiungerli. La Gates indossava un lungo abito grigio scuro a maniche corte. Mentre veniva loro incontro, Castle notò che aveva anche una piccola borsetta grigia abbinata al vestito. Aggrottò le sopracciglia e si avvicinò all’orecchio della sua musa.
“Ma tu non hai borse?” domandò confuso lo scrittore. Kate riuscì a malapena a trattenersi dal ridere.
“Ho il necessario, Castle, non preoccuparti” replicò la donna. “Inoltre dovresti sapere ormai che non mi serve una borsa per portare con me tutto quello che mi occorre…” continuò con tono malizioso. L’uomo sgranò gli occhi e fece salire e scendere lo sguardo dalla figura della detective. Certo che lo sapeva. Il suo cervello lo aveva dimenticato per autodifesa al solo fine di evitargli un pensiero fisso. Aveva già visto Kate tirare fuori distintivo e pistola da abiti del genere. Solo che si era sempre perso da quale luogo.
“Dove??” riuscì solo a chiedere a mezza voce lo scrittore, dopo un momento di apnea. Era solo una sua impressione o iniziava a fare caldo?
“Lo scoprirai stasera a casa, Rick… Se farai il bravo” replicò provocante appena prima che la Gates li raggiungesse.
“Detective Beckett, Castle” salutò velocemente il capitano appena fu loro vicino. Kate rispose subito, mentre Rick rimase zitto, rivolto verso la detective con una faccia da pesce lesso. La Gates squadrò lo scrittore. “Signor Castle, tutto bene?” domandò un secondo dopo con un sopracciglio alzato. Rick scosse la testa e si riprese dalla serie di immagini vietate ai minori che gli erano passate per la testa nell’arco di cinque secondi.
“Capitano” salutò di rimando l’uomo, sbattendo le palpebre come se se fosse accorto solo ora della presenza della donna. “Sì, mai stato meglio grazie” rispose quindi sorridendo. Kate non poté fare a meno di ridacchiare. Il suo scrittore aveva la straordinaria abitudine di farle dimenticare i problemi in qualsiasi occasione. Anche senza volerlo. Persino ora, con la loro carriera, se non le loro vite, in ballo.
“Bene, perché mi servirà ben sveglio stasera” replicò il capitano. Kate si accorse che lo sguardo della donna fu catturato per un secondo dalla sua cicatrice al petto. Era l’ombra di un sorriso orgoglioso quello che aveva appena visto? “Stavo dando un’occhiata in giro” continuò la Gates, come se niente fosse successo, e facendo un cenno alla sala che pian piano si stava riempiendo. “Il nostro uomo non è ancora arrivato.” A quel punto chiese loro di Tully, Esposito e Ryan. Alla fine del resoconto guardò l’ora nel grande orologio attaccato alla parete di fronte all’ingresso. “Bene. Direi che non ci resta altro che aspettare allora.”
“Ehm, capitano?” la chiamò titubante Rick. “Senta io sono abbastanza pratico di queste feste…”
“Davvero, signor Castle? Chi l’avrebbe mai detto” commentò sarcastica. Kate si morse il labbro inferiore per non ridere. Lo scrittore sbuffò appena, facendo una mezza smorfia, ma fece finta di non aver sentito.
“…e volevo solo farle notare che sarebbe un po’ strano se continuassimo a parlare solo tra noi. Non sarebbe meglio, ad esempio, parlare con qualcun altro o ballare?” domandò alla fine. La Gates ci pensò su un momento, poi annuì.
“Credo che stavolta abbia ragione signor Castle” rispose pensierosa. Lo scrittore fece un mezzo sorriso. “Molto bene allora. Ci ritroviamo appena arriva Spark. Sperando che arrivi presto…” mormorò scocciata a mezza voce. Quindi si girò e se ne andò a parlare con un altro degli ospiti. Rick invece si voltò verso Kate.
“Che ne dice, detective? Mentre aspettiamo che il nostro drago arrivi, mi vuole concedere un ballo?”
 
“Sei sicuro che il tuo amico riuscirà a entrare nel sistema?”
“Tranquillo, Javi. Mike è un ottimo hacker. Dovrebbe staccare la corrente tra poco e deviare la chiamata a noi appena si accorgeranno del finto guasto.”
“Speriamo bene, Kevin, perché qui vedo ancora tutte le luci in funzion…” In quel momento le luminarie dell’ottavo piano del palazzo davanti a loro si spensero. Dopo nemmeno tre minuti il cellulare in mano a Ryan, comprato con carta prepagata perché fosse irrintracciabile, iniziò a squillare.
“Che ti avevo detto?” esclamò trionfante il detective mostrando il telefonino al suo partner. Esposito sbuffò.
Il piano era quello di fingersi degli operai della corrente per entrare nel Palazzo della Difesa dove era situato lo studio di Franklin Spark. A quel punto si sarebbero intrufolati nell’ufficio e avrebbero controllato se c’era qualche cosa che avrebbe potuto incastrarlo. L’idea era stata di Castle. Ed era talmente idiota che avrebbe anche potuto funzionare. Ryan aveva contattato un suo amico, Mike, giovane esperto informatico che gli doveva un favore. Il ragazzo avrebbe staccato la corrente simulando un guasto e l’avrebbe riattivata non appena il detective gli avrebbe fatto uno squillo. Esposito aveva invece recuperato delle divise da tecnici della corrente elettrica, un furgoncino e tesserini di riconoscimento falsi.
I due attesero altri cinque minuti, quindi Esposito mise in moto l’autoveicolo e andò a parcheggiare davanti al palazzo.
“Cosa ti ha detto Jenny quando ti ha visto con questa tuta addosso?” domandò curioso il detective all’amico, mentre entravano nel palazzo. Indossavano divise intere bianche, apribili sul davanti, insieme a occhialoni gialli e caschetto di protezione. In realtà non servivano, ma erano utili per nascondere i loro volti dalle telecamere. Esposito in più aveva in mano anche una cassetta con vari attrezzi e torce.
“Che se mai dovessi perdere il lavoro di detective, almeno avrò un posto assicurato nei Village People” rispose Ryan ridacchiando. Appena entrati, videro quattro guardie appostate in giro per l’ingresso. Si avvicinarono subito al bancone della hall, dove una ragazza con il disegno della bandiera americana sul davanti della giacca li squadrò per un momento.
“Salve!” esclamò Esposito con il suo miglior sorriso da macho latino. “Siamo i tecnici dell’elettricità. Ci è stato segnalato un guasto in questo edificio.” La ragazza annuì. Gli domandò la ditta per cui lavoravano e i loro nomi. Se anche avessero controllato, per quella sera la ditta Electro, guidata da Mike Genius, avrebbe concesso loro ogni informazione su Esteban Gaucho e Douglas First. In meno di due ore comunque quella ditta contava di sparire. C’era solo da sperare che non facessero un controllo più approfondito o li avrebbero scoperti subito. Dopo due minuti Ryan stava iniziando a sudare freddo ed il sorriso di Esposito si era fatto più tirato. Alla fine la ragazza sembrò convincersi e gli indicò un metal detector alla loro destra contornato da due agenti.
“Andate da quella parte. Il guasto è all’ottavo piano” I due annuirono, sospirando silenziosamente, e si avviarono in quella direzione. Furono controllati e lasciati passare. Salirono le scale fino all’ottavo piano. Come previsto non c’era nessuno. Si infilarono i guanti in lattice. Esposito tirò fuori due torce e ne porse una al partner. Cercarono velocemente l’ufficio di Spark. Lo trovarono quasi subito per fortuna, grazie alla grande targa con il nome F. Spark J. sulla porta, pochi passi più in là. Quando entrarono si guardarono intorno a bocca aperta. L’ufficio era enorme. La parete di fronte a loro era una grande vetrata che dava sulla città illuminata. Davanti a questa era posizionata l’altrettanto grande scrivania di Spark. Le due pareti laterali invece sparivano sotto vasti schedari metallici.
“Muoviamoci” disse Ryan, chiudendo la porta dietro di loro e iniziando ad aprire uno dei cassetti laterali. “Non ho idea di quanto possa durare una riparazione. E non so quanto ci metteranno a scoprire che non esiste nessuna ditta Elecro, senza contare i due inesistenti operai Esteban e Douglas.” Esposito sbuffò, ma si mise subito al lavoro anche lui iniziando a controllare la scrivania.
“Kev, la prossima volta ricordami di dire a Castle che lui verrà a cercare informazioni di nascosto sudando freddo, mentre noi andremo a fare interrogatori ad una festa!”
 
Tully sbuffò e diede un’altra occhiata alla casa, o per meglio dire villa, davanti a lui. Perché i personaggi famosi vanno sempre tardi alle feste? pensò scocciato. Tamburellò nervosamente le dita sul volante. Non era nuovo a lavoretti del genere. Entrare di nascosto, cercare informazioni e uscire di soppiatto era una delle prime cose che insegnavano alla CIA. Di solito però era un lavoro lasciato a qualcuno di più giovane. Stavolta aveva voluto farlo lui. Nonostante l’età era ancora abbastanza in forma, oltre che esperto, ma non erano questi i motivi principali. Il fatto era che non voleva che nessuno dei suoi compagni venisse arrestato per intrusione in proprietà privata. Loro erano poliziotti in carriera e uno era uno scrittore, mentre lui non era altro che un agente ormai in pensione. Era sacrificabile. Inoltre Richard non glielo avrebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa che poteva evitare ai suoi amici. E aveva già abbastanza da farsi perdonare da suo figlio. Mio figlio… pensò tristemente con un mezzo sospiro. Il suo sguardo ritornò sulla villa, ma si fece assente ripensando alla sera prima. Proprio ora che iniziavamo ad andare d’accordo, mi ritrovo davanti Jim Beckett? Cos’è un complotto?? Sospirò e si passò una mano tra i capelli.Riuscirò mai farmi perdonare completamente da te, Richard?
In quel momento vide le luci della casa spegnersi. Sbatté le palpebre e si fece più attento. Nei giorni precedenti aveva controllato i sistemi d’allarme e se li era studiati a memoria. Sapeva esattamente come e dove entrare e il capitano Gates gli aveva fornito una descrizione abbastanza accurata della pianta della casa. Doveva solo attendere che gli inquilini uscissero e lui sarebbe invece entrato per controllare lo studio al primo piano. Un minuto dopo un’auto nera, su cui erano presenti Franklin Spark Junior, sua moglie e suo figlio, uscì dal cancello, svoltò nel viale e sparì sulla 10th strada. Aspettò venti secondi per sicurezza prima di mettersi all’opera. Sapeva di molte missioni andate a monte perché l’agente era stato troppo impaziente. Per fortuna lui non lo era. Bene pensò Tully.Si comincia.
 
Spark fece il suo ingresso alla festa della Polizia mezz’ora dopo l’arrivo di Castle e Beckett. Era uno degli ospiti più importanti e il suo arrivo fu subito notato grazie all’esplosione di flash e voci concitate all’entrata. I due, che stavano ballando cercando di allontanare l’ansia fino a un momento prima, si fecero subito seri e guardinghi. Si portarono a lato della sala dove la Gates li raggiunse quasi immediatamente. All’inizio fu impossibile vedere il famigerato ‘drago’. Oltre ai giornalisti e ai fotografi infatti si era riunito subito un gruppo di persone proprio all’ingresso della sala. Rick sentì Kate sbuffare impaziente e nervosa accanto a lui. Spark era ancora sommerso quando dal raggruppamento uscirono una donna e un giovane uomo.
“Quelli sono Marianne e Nicholas, moglie e figlio di Franklin Spark…” disse piano la Gates a beneficio di detective e scrittore che non li avevano mai incontrati. Il capitano invece doveva averli ben presente, poiché appena Marianne la vide le fece un grosso sorriso e si avvicinò subito a loro seguita dal figlio. Marianne era una donna in carne, ma non grassa, di mezza età. Le rughe le incorniciavano il viso, ma lei sembrava non preoccuparsene. I suoi capelli erano lunghi, color castano scuro con riflessi ramati ed erano lasciati liberi sulle spalle. La donna inoltre indossava un lungo abito verde e una collana con un grosso smeraldo.
“Victoria!” esclamò Marianne allegra quando fu a pochi passi dal capitano. “Finalmente ci rivediamo! È da quando sei diventata capitano che continui a scappare dalle mie cene!” Le diede un veloce abbraccio di saluto senza smettere di sorridere. Castle lanciò uno sguardo stupefatto alla sua musa quando vide anche la Gates sorridere. In risposta si beccò una gomitata sulle costole da Kate.
“Marianne” salutò di rimando il capitano. “Mi fa piacere vederti. Mi dispiace, ma il lavoro al distretto è sempre tanto”
“Uff, secondo me lavori troppo” esclamò con una mezza smorfia la moglie di Spark. Poi si illuminò. Si voltò verso il figlio e lo fece avanzare di un passo dandogli un piccolo colpetto sulla schiena. “Ti ricordi di Nicky, Victoria, vero?” domandò orgogliosa. La Gates annuì e si rivolse direttamente al ragazzo.
“L’ultima volta che ti ho visto eri poco più alto del tuo triciclo, Nicholas, ma ti trovo bene” disse il capitano con un mezzo sorriso. Solo bene?? pensò Kate, trattenendosi dall’alzare un sopracciglio e guardando il ragazzo. Doveva essere sui trent’anni, era alto più o meno quanto Castle e aveva un fisico da giocatore di rugby che sembrava stare per esplodere nel suo stretto completo scuro. Probabilmente aveva anche giocato seriamente a rugby poiché aveva il naso un po’ storto e con una piccola cicatrice, segno che doveva esserselo rotto in passato. Nicholas la ringraziò ridendo e le strinse la mano per salutarla. Quindi la Gates presentò Kate e Rick al suo fianco.
“Marianne, Nicholas, questi sono il detective della omicidi del 12th distretto Kate Beckett e lo scrittore Richard Castle. Lavora come consulente al distretto. Detective Beckett, signor Castle, loro sono Marianne e Nicholas Spark.” Si strinsero cordialmente la mano, anche se il ragazzo indugiò un po’ troppo con la mano e con lo sguardo sul corpo di Kate per lo scrittore.
“Il famoso scrittore??” esclamò Marianne a bocca aperta. Poi si rivolse al capitano con sguardo offeso. “Victoria! Se mi avessi detto che Richard Castle era al tuo distretto, ti sarei venuta a trovare all’istante!”
“Sì, pure io…” commentò il figlio, continuando però a guardare Beckett avidamente. La detective sentì benissimo il corpo di Rick accanto a lei tendersi a quell’aggiunta.
“Quindi voi siete la moglie e il figlio del capo della polizia Franklin Spark Junior, giusto?” chiese Beckett per cambiare discorso e allentare la tensione.
“Sì, sono proprio loro, detective” rispose una voce profonda dietro di loro. Si voltarono tutti contemporaneamente. Il capo della polizia in persona era davanti a loro. Il drago. Kate strinse il braccio di Rick fin quasi a stritolarlo. Il respiro le si fece accelerato, la mascella si contrasse. Il suo sguardo si fissò sui due occhi neri fermi su di lei. Lo scrittore non emise un lamento alla stretta della donna. Era concentrato solo sull’uomo davanti a loro e sulla reazione della sua musa. Non voleva che Kate facesse sciocchezze e se per calmarla ci avesse rimesso il braccio, allora ne avrebbe pagato ben volentieri il prezzo. Spark era alto e con un fisico asciutto. Una sottile barbetta grigia gli incorniciava la bocca e i suoi capelli erano corti e brizzolati. Come Rick e Nicholas, anche lui indossava un completo nero con camicia bianca. Solo che a differenza loro lui portava un farfallino nero invece della cravatta.
Spark fece un passo in avanti con un sorriso affabile sul volto e salutò la Gates con una stretta di mano. Rick notò che il capitano si era all’improvviso irrigidita, ma lo salutò cordialmente. Osservò anche che, per quanto il drago potesse sembrare tranquillo e rilassato, il suo sguardo era ben attento. Beckett e Castle rimasero immobili e in silenzio a osservare l’uomo che aveva distrutto tante vite, rovinato quella di altrettante persone e che ora chiacchierava sereno con la Gates. Dopo pochi secondi il capitano, su richiesta dello stesso Spark, li presentò.
“Ah, allora avevo visto giusto. Lei è proprio la tanto discussa detective Beckett del 12th!” esclamò l’uomo facendo un mezzo sorriso, più somigliante a un ghigno, e allungando la mano verso di lei. Kate rimase bloccata. Lo sguardo fisso su quegli occhi neri come il carbone e su quel sorrisetto arrogante. Ne era certa: il drago vedeva la sua paura, la sua esitazione. Deglutì. No, non avrebbe potuto farcela. Come le era venuto in mente di venire?? Voleva scappare, voleva andare il più possibile lontano da quell’uomo. Cosa ci faceva ancora lì?? Doveva andarsene! Ora! Subito!
Stava per venirle una crisi di panico, quando un braccio si strinse improvvisamente intorno alla sua vita e una mano calda che conosceva bene le accarezzò piano il fianco per calmarla. Alzò gli occhi sul suo scrittore accanto a lei. I suoi occhi blu la salvarono ancora una volta. Le infondevano calma. Le diedero ancora una volta il coraggio che aveva minacciato di mancarle. Va tutto bene, amore, tranquilla… dicevano. Ricorda perché siamo qui. Kate sbatté le palpebre e si riprese come da un sogno o da un incubo. Sì… So perché siamo qui… pensò. Perché tutto finisca.
Prese un respiro e si voltò di nuovo verso Spark, questa volta con una nuova luce negli occhi. Gli strinse la mano con aria di sfida. Quell’uomo aveva ordinato l’assassinio di sua madre, di Montgomery e di molte altre persone. Non gli avrebbe permesso di scamparla così facilmente. Gli occhi dell’uomo si socchiusero per un attimo, come un animale che soppesa il valore del nemico. Poi scesero sullo scollo della donna e si soffermarono sulla cicatrice tonda sul petto. Il suo volto non mostrava emozioni, ma Kate era sicura che quel sorriso affabile che si era stampato in faccia avesse vacillato, trasformandosi per un momento in una smorfia. Rialzò gli occhi su di lei. Non credere di farmi più paura, stronzo! pensò Kate, mentre ancora si stringevano la mano.
“Sì, sono io” rispose alla fine Beckett lapidaria. Rick si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Il silenzioso scambio era durato meno di cinque secondi, ma a lui erano sembrati un’eternità.
“Mi fa piacere incontrarla dopo aver tanto sentito parlare di lei” continuò Spark, sempre con il suo sorriso/ghigno in faccia.
“Caro, lui è il famoso scrittore Richard Castle!” esclamò la moglie in quel momento senza riuscire a trattenersi. Sembrava euforica come un bambino davanti ai regali di Natale. E pareva non avesse captato niente dell’atmosfera tesa di pochi attimi prima. Il capo della polizia fece un mezzo sospiro e si rivolse a Castle. “Dunque è lei lo scrittore. Mi hanno riferito che ha aiutato spesso nelle indagini della detective qui presente.”
“Aiuto come posso, ma sono solo un consulente. Inoltre smetterò molto presto. Comunque non si preoccupi, la squadra della detective Beckett è la migliore” replicò Rick con un tono che sembrava sfidarlo a dire il contrario.
“Non ne dubito, visto il tasso di casi risolti del 12th” commentò Spark. “Sarà in ogni caso una perdita, immagino, non averla più al distretto” aggiunse quindi con tono rammaricato. Il brillio nei suoi occhi però diceva tutt’altro. In quel momento la moglie vide un’altra sua conoscenza. Salutò tutti allegramente e corse via trascinandosi dietro il figlio. Si portò anche la Gates, che non riuscì a convincerla diversamente. Il capitano si scusò e lanciò un breve sguardo d’intesa a Beckett che annuì appena. Appena i tre si furono allontanati, Spark scosse la testa. “Dovete scusare mia moglie, ma ha un debole per i suoi libri, signor Castle. Anche se devo ammettere che persino a me non dispiacciono. Inoltre” disse lanciando un’occhiata a Kate che sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. “Sono davvero ben scritti. Sa, detective, mi sembra quasi di conoscerla da tutta una vita…” Si fermò lasciando in sospeso la frase per un secondo. Il ghigno sul suo volto si allargò, mentre i pugni di Beckett si serravano. “…attraverso Nikki Heat, ovviamente” concluse. Rick strinse appena a sé Kate per evitare che gli saltasse al collo seduta stante.
“Devo congratularmi con lei, signor Spark” dichiarò invece inaspettatamente Beckett con tono calmo lasciando di stucco lo scrittore. Anche Spark alzò un sopracciglio sorpreso. “Non deve essere stato facile per un semplice figlio di operai arrivare a diventare capo della polizia.” Oh, se aveva ben studiato il suo fascicolo in quei giorni! “E lei è anche uno dei più giovani. Eppure mi dicono che servono molte conoscenze e molti soldi. Come c’è riuscito?” Castle finalmente capì. L’interrogatorio era iniziato. Velocemente, ma senza farsi notare, infilò una mano nella tasca dei pantaloni e trovò la piccola scatoletta rettangolare che cercava. Schiacciò quindi il bottoncino laterale per attivare il microfono che aveva nascosto addosso. Lo teneva lui, poiché per Kate sarebbe stato un po’ difficile da occultare. Tra l’altro aveva già pistola e distintivo, no?
Spark si prese qualche secondo per rispondere, passandosi una mano sulla corta barbetta e studiando nel frattempo Beckett.
“No, non è stato per niente facile” rispose alla fine con un piccolo sorriso storto. “Ma, che dire, sono stato molto fortunato e ho saputo giocare bene le mie carte quando si presentava l’occasione.” La detective non riuscì a trattenere uno sbuffo sarcastico.
“Vuole dirmi che non ha mai trovato ostacoli sulla sua strada?” domandò ancora Beckett sullo stesso tono. Il drago scosse la testa con un ghigno divertito.
“Oh, no, detective, ha capito male” replicò. “Ne ho trovati molti di ostacoli sulla mia strada. Alcuni sono riuscito a eliminarli. Altri mi danno fastidio tutt’ora…” Lasciò la frase a metà, guardandola negli occhi e facendo ben intendere che l’ostacolo era davanti a lui. Kate avrebbe voluto puntargli la pistola addosso in quel preciso istante. “Ma sono certo che non dureranno ancora a lungo” continuò poi con quello che da fuori poteva sembrare un sorriso ironico, mentre per Castle e Beckett significava una minaccia di morte.
“E se non riuscisse a eliminarli?” chiese senza riuscire a fermarsi Beckett, i pugni stretti. “Non tutti gli ostacoli sono facili da rimuovere. Qualcuno potrebbe anche farla inciampare e cadere.”
“Oh, io non mi preoccuperei per me, detective” replicò l’uomo, ritornando al suo falso sorriso affabile. “Io mi preoccuperei più per lei. Da quanto so, hanno già tentato di ucciderla più di una volta…” I suoi occhi si spostarono per un momento di nuovo sulla sua scollatura. “Le consiglio di fare attenzione” aggiunse con finta premura e avvicinando appena la testa verso di lei. “Sarebbe un peccato perdere un elemento così valido della squadra omicidi.” Questa volta fu Rick a stringere i pugni e a impedirsi di scattare in avanti per strangolarlo.
“Non la perderà. Glielo garantisco io” affermò duro lo scrittore. Sembrava voler trapassare Spark con gli occhi. Il drago si tirò indietro e si voltò lentamente verso di lui.
“Non ne dubito” commentò il capo della polizia con un sorriso gelido. “Ma consiglio prudenza anche a lei, signor Castle. Girare con una persona nel mirino di un killer può portare a spiacevoli conseguenze. Dovrà incolpare solo sé stesso se sua madre e sua figlia rimarranno senza di lei…” Rick si slanciò in avanti, il pugno chiuso pronto all’uso, la mascella serrata. Kate però lo fermò appena in tempo, ponendosi praticamente davanti a lui, bloccandogli i polsi ai fianchi con le mani.
“Ti sta provocando!” gli sussurrò rapida la detective, appena prima di lasciarlo andare prima che il gesto venisse visto da altri. “Concentrati!” Lo scrittore fece un paio di respiri profondi per calmarsi e rialzò gli occhi blu, da cui traspariva odio puro, su Spark. L’uomo aveva un sorriso compiaciuto in volto. Gli venne di nuovo voglia di farglielo sparire a suon di pugni, ma si impose di calmarsi come gli stava chiedendo la sua musa.
“Dovrebbe tenere a bada i suoi segugi, detective” dichiarò ironico. Beckett si voltò verso di lui e gli lanciò uno sguardo gelido.
“Non si preoccupi per i miei segugi, signor Spark, quanto piuttosto per i suoi. Non ci sono più molti cani a cui far fiutare la preda e i migliori se ne sono già andati” replicò alludendo ai killer che aveva assoldato e che erano ormai morti. “Tra un po’ rimarrà senza più neanche un bastardino a cui comandare.” A quelle parole Spark fece un breve risata. Quindi scosse la testa con un sorriso divertito, si lisciò la barbetta e si guardò intorno nella grande sala ormai piena.
“Vedete quell’uomo laggiù?” chiese facendo un lieve cenno verso il tavolo del buffet e indicando un individuo alto e pelato che chiacchierava tranquillamente con un ufficiale. “Si chiama Marcus Cornad. È un mio caro amico e un ottimo medico. Ha solo un piccolo problema: sua moglie. La povera Dalia soffre di shopping compulsivo e diverse volte, nonostante il suo stipendio, si è trovato con il conto in rosso. Ma, come ho detto, è un caro amico e gli ho saldato diverse volte il debito chiedendo poco o nulla in cambio. E vedete quell’altro uomo laggiù che parla con il sindaco?” domandò ancora indicando un altro tipo piccolo e mingherlino con un paio di grandi occhiali. “Quello è Semir Arkan. Dovreste conoscerlo per fama visto che è uno degli avvocati più famosi di New York. È un buon diavolo turco, ma spesso alza un po’ troppo il gomito e bisogna saperlo riportare sulla giusta strada senza che lo sappiano tutti i giornali” aggiunse accennando un sorrisetto. Riportò quindi lo sguardo su Castle e Beckett. “Volete che continui? Perché potrei farlo. Potrei continuare praticamente per ogni singola persona di questa sala.”Guardò Kate con una strana luce negli occhi. Fredda e calcolatrice. “Come vede, detective, io non ho bastardini.  Solo levrieri di razza pronti a tutto per ringraziare la mano che li sfama.” Detective e scrittore rimasero immobili, mentre capivano il senso del discorso. Aveva amici ovunque. E aveva fatto in modo di essere sempre in credito con i migliori. Spark gli sorrise. Un ghigno divertito, ma senza gioia. “Se volete scusarmi ora, ho altri ospiti da intrattenere. Detective Beckett, signor Castle, è stato un piacere conoscervi, anche se per poco tempo” affermò. Quindi si girò e se ne andò, senza dare la possibilità ai due di dire altro. Rick pestò un piede a terra, frustrato. Se avesse avuto qualche oggetto a tiro lo avrebbe scagliato contro il muro.
“Rick, chiama subito gli altri!” disse urgente la detective all’improvviso senza guardarlo. Lo scrittore la osservò confuso.
“Cosa?” chiese perplesso.
“Sospetta che lo controlliamo! Chiamali! Subito!” ripeté Kate preoccupata continuando a guardare davanti a sé. Rick aggrottò le sopracciglia e seguì il suo sguardo. Stava fissando Spark. E lui stava osservando loro con il cellulare all’orecchio e un ghigno beffardo. “RICK!” L’uomo finalmente capì. Tirò subito fuori il cellulare e velocemente mandò un messaggio a Esposito, Ryan e Tully.
Uscite subito!!!
 
Il cellulare di entrambi vibrò nello stesso istante facendoli sobbalzare. Avevano già i nervi a fior di pelle senza che ci si mettessero anche i telefoni. Erano lì da quasi mezz’ora, avevano controllato metà degli schedari e non avevano ancora trovato niente.
“Ma che…” mormorò Ryan aprendo il messaggio. Un secondo dopo sbiancò. Alzò lo sguardo su Esposito e vide da sotto gli occhialoni da lavoro che aveva preso il suo stesso colorito.
“Fuori! Andiamocene! Manda il messaggio al tuo amico e dirgli di far ripartire tutto!” esclamò Javier richiudendo velocemente il portadocumenti che stava esaminando. Non avevano finito, ma non potevano assolutamente rischiare. Controllò che fosse tutto come era stato lasciato, mentre Kevin chiamava Mike per fargli riallacciare la corrente. Un minuto dopo erano davanti all’ascensore e la corrente dell’ottavo piano era ripartita. Esposito pigiava convulsamente sul pulsante della chiamata al piano come se potesse far muovere più velocemente l’abitacolo. Finalmente arrivò l’ascensore. Si tolsero i guanti e li gettarono in tasca. Scesero al pianterreno, presero due respiri profondi e tentarono di far finta di nulla. Con passo tranquillo salutarono i due al metal detector, dissero alla ragazza del bancone che era stato solo un guasto di poco conto ormai risolto e uscirono dal palazzo. Entrambi sudavano freddo. Con una calma che non avevano, attraversarono la strada e risalirono sul furgone. Si tolsero velocemente caschetti e occhiali e li gettarono nel retro del camioncino. Erano appena ripartiti, quando videro dagli specchietti retrovisori uscire dall’angolo un furgone nero a sirene spiegate. Appena vide gli agenti entrare nell’edificio, Esposito accelerò e portò loro e il camioncino lontano da lì. Ripresero a respirare solo quando furono a dieci isolati dal palazzo.
 
Tully stava frugando in ogni cassetto e anfratto dello studio, ma non riusciva a trovare niente. All’improvviso il suo cellulare emise un suono facendolo sussultare. Tirò fuori il telefonino e lo aprì, con qualche impaccio a causa dei guanti. Quando lesse il messaggio imprecò tra i denti. Richiuse l’ultimo cassetto, controllò che niente fosse stato spostato e si diresse alla finestra della cucina al piano terra dalla quale era entrato. Balzò fuori e fece il percorso inverso verso la cancellata. Evitò di nuovo le due telecamere presenti in quella parte di casa e i sistemi d’allarme passando solo in alcuni punti ciechi. I cani che aveva addormentato all’entrata avrebbero dormito ancora per una mezz’ora. Sentì le prime sirene appena arrivò al cancelletto secondario a lato della casa dal quale si era infilato nella proprietà. Sgusciò velocemente fuori e si nascose dietro alcuni cassonetti a due metri da lui. Due auto e un furgone sfrecciarono davanti alla sua postazione a sirene spiegate per girare poi l’angolo e fermarsi davanti al cancello principale. Ci avrebbero messo poco a circondare la casa, quindi doveva muoversi velocemente. Venne fuori dal suo nascondiglio e raggiunse l’auto che aveva prudentemente spostato vicino al suo punto d’entrata e d’uscita, ma lontano dalla casa. Salì e mise in moto giusto pochi secondi prima che gli agenti iniziassero a sparpagliarsi intorno alla casa.
 
“Allora?” domandò Kate in fibrillazione. Lei, Castle e la Gates, a cui avevano subito raccontato sconsolati e arrabbiati lo scambio di battute con Spark, erano usciti dalla festa. Non avrebbero sopportato un altro secondo nella stessa stanza del drago senza aver voglia di sparargli. Avevano appena ricevuto un messaggio da Esposito che diceva che erano salvi per un pelo, ma che purtroppo non avevano trovato niente. Tully però ancora non aveva detto nulla. Finalmente arrivò anche un suo messaggio con un contenuto simile a quello di Esposito. Beckett sbuffò scocciata e sull’orlo delle lacrime. Avevano rischiato grosso e non era servito a nulla. Anzi peggio. Aveva fatto mettere anche Rick nel centro del mirino insieme a lei.
“Andate a casa. Domani ne parleremo al distretto” ordinò la Gates con tono scoraggiato e furioso insieme. Rick annuì per entrambi. Si ricordò del microfono ancora acceso. Infilò una mano in tasca e lo spense. Quindi si passò una mano tra i capelli e sospirò. Si sentiva stanco. Voleva solo andare a casa con Kate, baciarla, abbracciarla e consolarla, perché sapeva come si sentiva. Lui aveva bisogno di sentire il corpo della donna vivo accanto sé. Lei di aggrapparsi a qualcuno che la rassicurasse.
Si fece portare la sua Ferrari dal parcheggiatore. Stavolta guidò Rick. Capì che la sua musa era davvero sconfortata quando si sedette semplicemente sul sedile del passeggero senza dire una parola, lo sguardo fisso sulle sue mani intrecciate in grembo. Guidò fino all’appartamento di Kate. Immaginava non volesse vedere nessuno e al suo loft avrebbero trovato Martha, Alexis e Tully. Troppa gente per il suo stato d’animo. Fecero tutto il viaggio in silenzio. Fermò l’auto sotto casa sua pochi minuti dopo.
Kate non si era mossa di un millimetro. Sembrava una statua. Si fece condurre come una automa da Rick fino al suo appartamento. Arrivati dentro, lo scrittore chiuse la porta dietro di sé. Si tolse la giacca e la buttò di lato. Quindi prese per mano Kate e la fece sedere sul divano. La donna però non sembrava prestargli minimamente attenzione. Aveva lo sguardo fisso e assente al tappeto. Rick iniziò a chiamarla piano, preoccupato, e a fare dei piccoli giri con il pollice sulle sue mani.
“Kate, io…” mormorò piano, come per destare un sonnambulo. “Mi dispiace che sia andato tutto storto, ma vedrai che troveremo un modo per incastrare quel bastardo… Kate, amore, ti prego guardami. Non è ancora finita. Risolveremo anche questa faccenda, te lo prometto, e…”
“Avevano ragione” sussurrò all’improvviso la donna, gli occhi ancora puntati al pavimento. Rick aspettò che continuasse, senza smettere di carezzarle le mani. Sapeva che doveva sfogarsi. Kate aveva gli occhi lucidi e sembrava sul punto di piangere, ma la sua voce era ferma. “Avevano ragione quando mi dicevano che non sapevo cosa stavo risvegliando. Avevi ragione tu quando dicevi che mi sarei fatta ammazzare. Avevi ragione… e ora ho messo nel mirino anche te…” Rick stava per parlare. Voleva rassicurarla, ma lei continuò prima che lui riuscisse ad aprire bocca. “Aveva ragione anche Pulgatti. Aveva ragione e io l’ho sottovalutato…” aggiunse in un sospiro. “There’s nothing more dangerous out there that a killer with a badge.” 

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XIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :D:D
Sono tornata finalmente!!! Non ne potevo più... odio le vacanze estive... -.-  Comunque vi adoro!! Torno e trovo due e passa paginate di storie da leggere!! *__* Gioia e gaudio!!!
Ok dopo il piccolo sfogo andiamo avanti! Come avete notato se siete arrivate/i fino qui sotto (che pazienza!) il capitolo è più lungo del solito, ma, primo, dovevo farmi perdonare 3 settimane di nulla. Secondo, volevo fare tutta la serata in una volta sola! X)
Ah, comunicazione di servizio: ora ho la trama completa! (grazie al mio fratellino che mi ha ascoltato e sopportato con pazienza...) :D Devo solo metterla giù... Comunque devo informarvi che non durerà ancora a lungo! (i 'purtroppo!' o 'meno male!' li lascio a voi)
Veniamo alla storia: un sacco di arrabbiature, un po' di sudore freddo, ma alla fine non si è scoperto niente ancora purtroppo! Abbiate fede... ù.ù
Beh ditemi che ne pensate!!!! :D E grazie mille a chi mi ha recensito nell'ultimo capitolo!!! :D (Katy ho fatto presto così ora potrai recensire anche gli altri, mica che ti credano dispersa!! ;D)
Al prossimo capitolo!! :D
Lanie

ps: come mi ricordato 1rebeccam (grazie!! :D) mi sa che non vi ho scritto da dove ho preso il nome Alex Tully... Non è campato per aria. E' il nome del protagonista del telefilm DRIVE (finito troppo presto purtroppo! sigh!! :( ) e indovinate chi è l'attore? ;) Il nostro caro Nathan Fillion!! :D

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Capitolo 16
*** L'inseguimento ***


Cap.16 L’inseguimento

Alzarsi per andare al distretto quella mattina fu una delle azioni più faticose che Kate ricordasse. Lo scrittore era rimasto tutta la notte al suo appartamento. Rick l’aveva consolata, rassicurata, carezzata, abbracciata, baciata. Il corpo caldo dell’uomo contro il suo era stata probabilmente una delle sensazioni più belle e confortanti che avesse mai provato. Non avevano dormito. Non avevano fatto l’amore. Erano semplicemente rimasti buona parte della notte stretti l’uno all’altro, prima sul divano, poi nel grande letto della detective. Kate si era addormentata solo all’alba, le sue guance ancora in parte rigate da lacrime di rabbia e di dolore che non era riuscita a trattenere. Rick invece aveva continuato imperterrito ad accarezzarle dolcemente la schiena, finché anche lui aveva ceduto al sonno un’ora prima della sveglia.
Quando si alzarono, erano ancora entrambi vestiti per la festa della sera prima: lei con il lungo abito blu notte; lui con la camicia bianca, ormai completamente stropicciata, e i pantaloni neri. Giacca e cravatta erano stati eliminati per comodità già da tempo. Erano doloranti per essere stati tanto tempo in posizioni scomode, né seduti né sdraiati, ma che già gli mancavano.
Kate riuscì a convincere lo scrittore ad andare al loft a cambiarsi e a salutare Alexis senza di lei. Sapeva che lo scrittore sentiva il bisogno di riabbracciarla dopo la chiacchierata con il drago della sera prima. Inoltre separati sarebbero stati pronti più velocemente. Rick non voleva lasciarla sola, ma alla fine aveva ceduto. In fondo ora la sua musa era molto più tranquilla, anche se il suo morale sembrava rasentare il suolo. Non che il suo stesse molto meglio. In ogni caso sarebbe andato a casa con la Ferrari e più tardi la detective sarebbe passata a prenderlo con la sua auto per andare al distretto.
Kate non glielo disse, ma c’era un motivo per cui non voleva andare all’appartamento dello scrittore. E il motivo era proprio Alexis. Come avrebbe potuto guardarla ancora in faccia? Come avrebbe fatto a dirle ‘Mi dispiace, ma ho messo di nuovo tuo padre in un pericolo mortale’? Le aveva promesso che lo avrebbe sempre riportato a casa da lei, che sarebbe stato al sicuro. E ora invece anche lui aveva un mirino puntato addosso.
Appena Rick uscì, Kate si infilò sotto la doccia. Avrebbe preferito un lungo bagno caldo, ma non ne aveva il tempo. Stancamente si asciugò e si infilò un paio di jeans e una maglia, insieme ad un paio dei suoi tacchi più comodi. Applicò giusto un filo di trucco per coprire, almeno in parte, le occhiaie scure. Recuperò quindi pistola e distintivo dal cassetto in cui li aveva gettati la sera prima e li attaccò alla cintura. Un sorrise le sorse spontaneo mentre agganciava la fondina alla cinta. Le era venuto in mente che neanche questa volta Rick era riuscito a vedere dove aveva nascosto arma e distintivo sotto al vestito da sera. Lo scrittore infatti stava chiamando a casa per dire che sarebbe rimasto da lei, quando li aveva automaticamente tolti e messi nel cassetto appena entrata in camera.
Kate recuperò cellulare, chiavi di casa e dell’auto e uscì. Dieci minuti dopo era ferma davanti al portone del palazzo dello scrittore. Il portiere, George, la salutò dal vetro della portineria con sorriso e un cenno del capo. La donna sorrise appena di rimando. George era un brav’uomo sulla cinquantina, simpatico, cordiale, e con una moglie che cucinava fantastici sformati. Solo che era un gran chiacchierone. E lei non aveva proprio voglia di parlare al momento. Tirò fuori il cellulare e mandò un messaggio allo scrittore, avvertendolo che era arrivata e lo stava aspettando. Rick rispose qualche secondo dopo dicendo che sarebbe sceso in due minuti. La detective sbuffò mentre metteva via il telefono. Due minuti per Castle equivalevano ad almeno dieci-quindici minuti per una persona normale. L’uomo difatti scese dodici minuti dopo. E dire che avevano ancora concordato l’ora. Appena lo scrittore la vide, le si avvicinò e si infilò subito in auto.
“Finalmente…” borbottò la detective mentre l’uomo entrava. Un odore forte e aromatico, mischiato a qualcosa di dolce, invase all’istante l’abitacolo. Solo in quel momento Kate si accorse che Rick aveva le mani occupate. In una teneva in bilico un cartone con due caffè, nell’altra un sacchettino di carta.
“Immagino che tu non abbia fatto colazione prima di venire da me, giusto?” domandò con un sorriso alzando un sopracciglio e ignorando il suo mugugno. La donna si morse il labbro inferiore e scosse appena la testa in segno di diniego. Non ci aveva nemmeno pensato in effetti. Sentì Rick sospirare e borbottare un “Ti pareva. Lo sapevo io!” mentre alzava gli occhi al cielo come tante volte aveva fatto lei. “Tieni. Se non ci penso io a te…” disse quindi con finto tono esasperato passandogli uno dei contenitori. A Kate bastò avvicinarlo a sé per sentire il profumo di vaniglia nel caffè che tanto adorava. “Sapevo che non avresti mangiato ed ero altrettanto sicuro che mi avresti detto che non avevamo tempo per fermarci” continuò l’uomo con tono più tenero. “Quindi sono passato dalla caffetteria prima di andare a casa. Ormai il caffè sarà un po’ freddo, ma meglio questo che niente.” Kate gli sorrise grata. Rick la conosceva meglio di chiunque altro e si preoccupava sempre per lei. Che si trattasse del drago o se aveva mangiato al mattino. Ancora una volta si chiese come avesse fatto a lasciarselo scappare per tanto tempo. La donna si perse per un momento nei suoi pensieri, gli occhi fissi sul contenitore del caffè senza in realtà vederlo. “Kate?” domandò con una vena di preoccupazione lo scrittore. La sua musa non aveva ancora aperto bocca da quando era entrato in auto, se non per il borbottio iniziale. La detective si riscosse al suono della sua voce e si voltò verso di lui. Notò che i suoi fantastico occhi blu erano provati quanto i suoi per la notte insonne. Come lei infatti, anche lui aveva due evidenti occhiaie scure. Per un momento si sentì colpevole. In fondo era a causa sua se era rimasto sveglio tutta la notte.
D’un tratto appoggiò il contenitore sul cruscotto. Si sporse verso di lui, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Un bacio piccolo, ma carico di un affetto che sapeva che a parole non sarebbe mai riuscita a esprimere. Ma che lui avrebbe capito. Sul suo viso sentì una leggera ruvidezza: evidentemente non si era fatto la barba quella mattina. Non che le dispiacesse. Lo trovava ancora più affascinante con un po’ di barbetta.
“Grazie” mormorò quindi Kate con un lieve sorriso ad un soffio dalle labbra dello scrittore, quando si staccarono. L’uomo rimase per un istante imbambolato a guardarla. Decisamente non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a questi baci improvvisi che rivelavano più delle parole. E che lo facevano impazzire. Era anche per questo che non avrebbe mai smesso di amarla. Finalmente Rick sbatté le palpebre e si risvegliò come da una trance.
“Sempre, amore” rispose sorridendo dolcemente.
 
Fecero quindi colazione con caffè e briosce (“Castle attento! Stai sbriciolando ovunque!”) durante il tragitto verso il distretto nel traffico di New York. Ci misero più tempo del previsto, ma tre quarti d’ora dopo erano finalmente arrivati. Usciti dall’ascensore, notarono che gli altri erano già tutti riuniti nella saletta laterale che ormai era diventata il loro quartier generale. Dai loro atteggiamenti era probabile che la Gates li avesse già informati a grandi linee sugli ‘sviluppi’ della sera prima. Esposito era seduto, chinato in avanti, i gomiti sul tavolo, la testa fra le mani. La felpa che indossava lo faceva sembrare più simile a uno dei molti disperati che portavano al distretto per essere interrogati o incarcerati piuttosto che a un detective. Ryan era in piedi in un angolo, le braccia conserte, lo sguardo fisso e assente sul pavimento. Era molto pallido e i suoi capelli erano decisamente scompigliati. Doveva averci passato più volte la mano dentro. Anche Tully era in piedi, ma vicino al tavolo. Aveva la schiena curva e si sorreggeva con le mani al poggia spalle di una sedia. Sembrava stanco e debole, ma le sue mani dicevano tutt’altro. Le nocche infatti erano diventate bianche per lo sforzo con cui stringeva la sedia. La Gates sembrava una statua tanto era immobile. Era in piedi davanti alla finestra e dava le spalle alla porta, lo sguardo rivolto verso l’esterno. Quando Beckett e Castle entrarono, tutti si voltarono a guardarli.
“Siete arrivati finalmente” esclamò la Gates irritata.
“Scusate… il traffico…” mormorò la detective andando a prendere posto su una sedia dalla parte opposta di Esposito. Rick si sedette subito accanto a lei.
“Possiamo cominciare allora” continuò il capitano. “Ognuno dirà cosa è successo o cosa è stato trovato ieri sera. Mi raccomando, non devo ricordarvi io che ogni dettaglio può essere essenziale.” Tutti annuirono. E cominciarono.
Ryan ed Esposito furono i primi a raccontare la loro storia. Riferirono di come erano entrati nel palazzo della Difesa senza problemi, avevano cercato nell’ufficio di Spark, ma non avevano trovato nulla. Purtroppo erano riuscititi a visionare solo la scrivania e metà degli schedari presenti, ma sarebbe stato comunque impossibile trovare qualcosa.
“Quello è un maniaco!” esclamò frustrato Ryan all’improvviso. “Uno stronzo maniaco! Ha tutto catalogato con un ordine maniacale!”
“Già” aveva aggiunto Esposito con un sospiro, demoralizzato. “Perfino i cassetti con le graffette erano ordinati. Uno così non sarebbe stato di certo così stupido da lasciare prove in armadietti che chiunque poteva aprire.” Raccontarono poi del furgone e delle auto a sirene spiegate che avevano evitato d’un soffio all’uscita. “Meno male che ci avete detto di uscire, altrimenti ancora un minuto e dubito che ora saremmo qui a parlarvi di cosa è successo…” commentò ancora il detective.
Quando ebbero concluso, fu la volta di Tully. Spiegò come si era introdotto in casa Spark e aveva cercato in ogni maledetto cassetto e anfratto di quello studio.
“I due detective qui hanno ragione” commentò Alex con uno sbuffo scocciato, incrociando le braccia al petto. “Anche nello studio di casa sua regna l’ordine più totale. Non un foglio fuori posto o una penna fuori dal portapenne o una matita poco temperata. Quasi avevo paura di spostare qualcosa per cercare!” Anche lui alla fine riferì di aver visto agenti tutt’intorno alla casa giusto un secondo dopo che ne era uscito grazie al loro messaggio.
Ora era il turno di Gates, Beckett e Castle. Il capitano poté esporre ben poco visto che quasi subito era stata trascinata via dalla moglie di Spark. Aiutandosi a vicenda, scrittore e musa descrissero la loro chiacchierata insieme al drago e le ben poco velate minacce alla loro vita. Come immaginavano, la Gates doveva aver già spiegato il succo del discorso agli altri mentre li aspettavano perché non parvero troppo sorpresi. Stavano giungendo alla fine quando Castle si ricordò di aver portato con sé la registrazione che aveva fatto la sera prima con il microfono nascosto. Ryan recuperò un portatile, inserì la piccola chiavetta, che lo scrittore gli porse, nella porta USB e fece partire la riproduzione. Quando la voce profonda di Spark riempì la stanza, Kate non poté fare a meno di rabbrividire, mentre Rick serrò i pugni. Risentirono di nuovo il drago che li minacciava e si faceva beffe di loro. Vissero di nuovo quegli attimi di rabbia e paura che, a turno, avevano preso il sopravvento su di loro. Quando la registrazione finì, nessuno parlò né si mosse per parecchi minuti. Sulle facce degli altri poterono leggere diverse emozioni. Ryan era attonito, sconvolto e rabbioso. Esposito al contrario sembrava ancora più demoralizzato di prima. Scrittore e musa li guardarono stupiti. Non li avevano mai visti così. Non era nel loro carattere. Javier solitamente era quello più combattivo, mentre ora sembrava quasi si stesse arrendendo. Kevin invece aveva l’aria di uno che avrebbe spaccato tutto ciò che gli stava intorno. Un’aria molto differente da quella di tranquillo e pacato detective che aveva abitualmente.
Tully e il capitano invece erano immobili e nessuna emozione traspariva.
“Troveremo un’altra soluzione” dichiarò Alex alla fine spezzando quel silenzio teso che si era creato. I suoi occhi blu scuro erano decisi e si spostavano da un membro all’altro della squadra. “Dobbiamo solo farci venire qualche nuova idea e…” Il sonoro sbuffo sarcastico di Esposito lo bloccò.
“E cosa dovremmo fare? Magari sarebbe il caso di usare lo stesso metodo del drago: rapirlo e torturarlo, magari!” esclamò spazientito Ryan per dare man forte alla sbuffata del partner. “L’idea migliore che ci è venuta, oltre che l’unica, era quella che abbiamo messo in atto ieri sera!”
“Non abbiamo tempo di inventarci qualcos’altro” aggiunse Esposito passandosi una mano sui corti capelli. “Castle e Beckett sono sotto il mirino di chissà quale killer al momento. Mi stupisco che non abbiano già tentato di farli fuori in questa settimana!”
“Direi che è proprio per questo che ora più che mai dobbiamo spremerci le meningi, non credete?” domandò la Gates con tono fermo inserendosi nel discorso. I due emisero un ulteriore sbuffo, ma si zittirono. Erano preoccupati, dannatamente preoccupati, per i loro amici e di nuovo non avevano nulla per fermare l’uomo che voleva ucciderli. “Molto bene. Consiglio a tutti di prendere altro caffè perché quando usciremo da qui voglio uno straccio di piano che mi permetta di non perdere la mia miglior detective e il nostro romanziere” continuò il capitano. Quindi seguì lei stessa il suo consiglio, uscendo e dirigendosi in sala relax. A quel punto Rick si girò verso la sua musa con un lieve sorriso.
“’Nostro’?” ripeté con tono allegro nonostante la situazione. “Ma allora mi vuole bene!”
 
Erano quasi le 9pm quando finalmente uscirono dalla saletta. Purtroppo non erano arrivati a niente se non ad avere tutti un gran bel mal di testa. I piani per incastrare il drago con il passare delle ore erano diventati sempre più inverosimili. Molto fantasiosi, ma poco o nulla fattibili. Avevano per di più riascoltato la registrazione di Spark per non si sa quante volte, tanto che ormai la sapevano a memoria. Non per uno scopo preciso in realtà. Solo per imprimersi nella testa quelle parole per giurare poi a sé stessi di fargliele rimangiare una ad una.
Esposito e Ryan salutarono Castle e Beckett con un cenno della mano e si avviarono verso l’ascensore. Dalle spalle curve dei due detective si poteva notare tutta la stanchezza e il morale basso per la giornata inutile. Kate allungò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi e soffocò uno sbadiglio. Il suo corpo non vedeva l’ora di andarsi a stendere a letto con il suo uomo. La sua testa invece continuava imperterrita a cercare una soluzione al loro problema. Si girò e vide Rick accanto a lei stropicciarsi gli occhi come un bimbo stanco. Sorrise alla tenerezza di quella immagine.
“Allora andiamo a casa?” domandò lo scrittore speranzoso. Le occhiaie della mattina si erano fatte più profonde e scure e sembrava gli rendessero gli occhi blu più spenti. Kate annuì. Quindi si girò all’indietro verso l’ufficio del capitano dove Tully e la Gates sulla porta stavano scambiando le ultime battute.
“Alex, vuoi un passaggio?” domandò la detective all’uomo. L’odio della donna al momento era tutto per Spark ed era anche troppo stanca per avercela pure con l’ex-agente CIA per la storia di suo padre. Tully rimase per un momento sorpreso, poi annuì con un sorriso grato.
“Dobbiamo portarci anche lui?” chiese sottovoce Rick con una mezza smorfia, stupito quanto il genitore. Non aveva litigato con lui per tutto il giorno, perché troppo presi dalle varie ipotesi contro il drago, e di certo non voleva cominciare ora.
“Beh, andiamo dalla stessa parte, no?” rispose la detective alzando le spalle. “Inoltre ci sta aiutando e molto anche. Dai, Rick, si trattano solo di dieci minuti in auto. Non saranno così terribili” continuò la donna accarezzandogli una guancia. Poteva sentirla appena più ruvida di quella mattina sotto la pelle a causa della piccola barbetta che si era allungata durante il giorno. Lo scrittore la guardò poco convinto, ma alla fine annuì rassegnato e si lasciò andare a quel tocco dolce, posandole poi un piccolo bacio sul palmo della mano. Anche lui era troppo stanco per ribattere o litigare.
 
Come previsto da Beckett, i dieci minuti di viaggio furono tranquilli. Chiacchierarono poco, ma fortunatamente i momenti di silenzio non furono mai troppo tesi o imbarazzanti. Kate accostò al primo parcheggio libero qualche metro più indietro del palazzo dello scrittore. Solo quando scesero, la detective si ricordò che in casa c’era sicuramente Alexis e che lei non aveva il coraggio di incontrarla. Iniziò a temporeggiare davanti all’auto, prendendo tempo, cercando un modo per non salire o almeno ritardare la salita all’appartamento. Recuperò il mazzo di chiavi che le era inavvertitamente caduto sotto la macchina, vide un graffio invisibile sul paraurti, notò pure che era arrivato il momento di far cambiare le gomme. Quando si voltò verso Castle e Tully, si accorse che due paia di occhi blu la guardavano poco convinti. Osservò che entrambi avevano la stessa espressione dubbiosa con un sopracciglio alzato e una sottile ruga sulla fronte, più marcata nel caso di Alex.
“Tutto… uhm… tutto bene, Kate?” domandò alla fine lo scrittore, quando la vide abbassarsi per l’ennesima volta, stavolta per sistemarsi i risvolti dei pantaloni già perfetti. La donna annuì con un sorriso tirato e una convinzione che non aveva.
“Sì, sì, certo, andiamo!” rispose velocemente Beckett nervosa. Finalmente seguì i due verso il portone del palazzo. Stava già emettendo un respiro rassegnato quando un uomo si parò davanti a loro qualche metro più avanti. Senza che avessero il tempo di realizzare il ghigno sul volto dello sconosciuto, questo tirò fuori una pistola, la puntò verso di loro e sparò.
“KATE!” L’urlo spaventato dello scrittore, mentre si fiondava su di lei, la raggiunse nello stesso istante del suono dello sparo. Entrambi avevano già visto questa scena. E nessuno dei due era intenzionato a ripeterla. Caddero a terra insieme sul freddo asfalto, ma quasi subito Kate si accorse che per fortuna nessuno dei due era stato colpito. Niente sangue. Un secondo dopo sentirono un altro colpo e un’imprecazione. Alex.
“Rick sto bene! Spostati!” esclamò la detective un attimo dopo. Si era ripresa dalla sorpresa. Aveva già tirato fuori la pistola e si stava rialzando. Un terzo colpo la fece spostare subito di lato dietro una cabina telefonica, tirandosi appresso lo scrittore per il colletto. Sperò che George, il bravo portiere chiacchierone, li avesse sentiti e avesse già pensato a chiamare la polizia. Si mise in posizione laterale, la pistola alta e pronta all’uso. Un altro colpo la fece accucciare di più dietro la cabina. Rick le tenne la testa bassa. Quando rialzò lo sguardo, Beckett scorse davanti a lei Tully. Era in piedi, nascosto dietro una rientranza del palazzo dello scrittore e si teneva un braccio, appena più in alto del gomito. Era stato colpito, ma fortunatamente sembrava non uscisse molto sangue. Un quinto proiettile colpì il vetro della cabina telefonica che andò in frantumi sulle loro teste. Subito sentì il corpo di Rick sopra il suo per proteggerla dalle schegge. Appena terminarono di cadere pezzi di vetro, Kate fece un respiro profondo e uscì a metà dal suo nascondiglio per controllare il killer. Perché solo di quello poteva trattarsi. Non era un pazzo. Era un altro assassino pagato di Spark. Anche se per fortuna sembrava che la sua mira lasciasse molto a desiderare.
In un attimo valutò la distanza, la posizione del sicario e se avesse qualche ostacolo o persona dietro cui nascondersi. Solo un cassonetto e nessuna persona. Puntò la pistola e sparò due colpi ravvicinati diretti all’uomo, ma lo mancò. Appena l’aveva vista uscire infatti, l’assassino si era subito nascosto dietro l’unico riparo disponibile e questo le aveva impedito una buona visuale. La donna tornò subito ad accucciarsi dietro la cabina telefonica. Un altro colpo colpì la cabina e le fece nascondere la testa tra le spalle. Guardò Rick accanto a lei. Era pallido e spaventato, gli occhi sgranati. Kate si morse il labbro inferiore, prese un altro respiro e uscì di nuovo dal suo nascondiglio. Come aveva previsto, il killer si era subito rifugiato di nuovo dietro al cassonetto. Questa volta però lei non sarebbe rimasta solo con mezzo busto fuori.
“KATE!” la richiamò lo scrittore, terrorizzato che potesse succederle qualcosa. La detective infatti si era alzata in piedi e si era portata velocemente in mezzo al marciapiede. Il killer rimase per un momento stupito dalla sua mossa e la sua immobilità fece guadagnare attimi preziosi a Beckett. Ora la visuale era libera. Approfittò dell’attimo, prese la mira e sparò proprio nel momento in cui l’uomo si riprendeva dalla sorpresa. Una imprecazione e uno sparo furono quello che ricevette in risposta mentre si gettava di nuovo accanto a Rick. Poi sentirono dei passi allontanarsi velocemente. Kate contò mentalmente due secondi, poi uscì, la pistola puntata. Vide subito il sangue per terra accanto al cassonetto. L’aveva ferito. Ma a quanto pareva il sicario era ancora in grado di camminare e guidare, perché, guardando più avanti, lo vide salire su un’auto e partire sgommando.
“Quel bastardo sta scappando!” urlò Beckett a Castle e Tully. Quindi si girò e si mise a correre verso la sua macchina.
“Dove stai andando??” la richiamò lo scrittore. Un secondo più tardi capì le sue intenzioni, ma Kate era già nell’auto e stava avviando il motore. Corse verso di lei e si posizionò davanti alla macchina. La donna aprì lo sportello furiosa.
“Togliti di mezzo Rick!” esclamò la donna impaziente uscendo a metà dall’auto.
“Se vai tu vengo anch’io! E non hai tempo di discutere!” replicò lo scrittore con lo stesso tono, poggiando le mani sul cofano. Stavano perdendo secondi preziosi e lui lo sapeva. Ma non l’avrebbe mai lasciata andare da sola. Prima che Beckett potesse rispondergli, Tully si avvicinò velocemente a loro e aprì lo sportello posteriore della macchina.
“Andiamo tutti! Muoviti a salire ragazzo!” ordinò loro prima di infilarsi dentro l’abitacolo. I due rimasero per un momento sbigottiti. Non lo avevano ancora mai sentito usare un tono così autoritario. Poi si guardarono. Stringendo i denti, Kate annuì rassegnata. Rientrò in auto e accese il motore, mentre Rick si fiondava accanto a lei. Partì anche lei sgommando come poco prima aveva fatto il sicario. Non volevo salire da Alexis e ora eccomi qui… beh, desiderio esaudito! pensò sarcastica la donna, mentre girava nello stesso angolo in cui aveva svoltato l’altro.
“Eccolo laggiù!” Urlò Castle schiacciando il dito sul parabrezza. Era vero. L’auto nera che stavano inseguendo era dritto davanti a loro anche se molti metri più avanti. Kate pigiò sull’acceleratore.
“Alex, tutto bene?” domandò la donna, avendolo visto dallo specchietto retrovisore annodarsi un fazzoletto bianco al braccio. L’uomo finì di legarselo, aiutandosi con i denti, e annuì.
“È solo un graffio, mi ha preso di striscio. Comunque devo dire che se questo è il futuro degli assassini professionisti allora noi possiamo stare tranquilli. La mira di quell’uomo è davvero pessim…” Kate girò bruscamente a seguire l’altra auto. Avevano recuperato buona parte della distanza anche se ancora non era abbastanza per tentare di fermarlo.
“Scusate” borbottò la detective concentrata sulla guida. “Vi conviene allacciarvi le cinture.” Sterzò bruscamente. Quel tipo la stava mettendo alla prova. Se prima aveva fatto tutto un tratto in rettilineo, ora aveva iniziato a girare quasi a ogni curva e nel mezzo del traffico di New York. Certo di notte non era intenso quanto di giorno, ma le strade erano comunque decisamente affollate.
Il sicario svoltò all’improvviso a novanta gradi, tanto che le ruote posteriori gli slittarono sull’asfalto. Doveva essere davvero un bravo pilota, visto che riprese subito il controllo della macchina.
“Ma che sta facendo??” esclamò Rick sbalordito quando lo vide fare quella manovra azzardata per entrare nel mezzo del viale pieno di auto in cui si era immesso. Lo videro iniziare a fare lo slalom tra le auto, sia tra quelle che venivano in un senso sia che nell’altro. “Si sta allenando per la prossima corsa NASCAR??” Kate tentò di seguirlo, ma dovette frenare all’improvviso quando un grosso camion tentò di passare. Lo stridore di freni li accompagnò fino ad un palmo dal tir. Kate gli suonò con il clacson impaziente e quello rispose con altrettanta forza.
“Dannazione” sentì mormorare dietro di sé un irritato Tully. Finalmente riuscirono ad aggirare l’ostacolo. Pensavano di aver già perso l’auto nera, quando la videro alla fine della lunga strada davanti a loro. “Se non fosse che sta scappando, quasi quasi direi che ci sta aspettando…” ghignò Alex quando ripartirono all’inseguimento.
Continuarono così per quasi un quarto d’ora. Il sicario faceva lunghi tratti rettilinei in cui riuscivano a recuperare diversi metri, fino a portarsi dietro di lui. Poi invece iniziava a svoltare in ogni strada che gli capitava. All’improvviso il killer tirò fuori la pistola dal finestrino e con un colpo fece scoppiare la ruota davanti di un’auto che stava superando. Aggirarono la macchina per un pelo passandole di lato, mentre questa si fermava malamente e lateralmente davanti a loro. Finalmente entrarono in una zona meno frequentata, ma ad un angolo lo persero di vista.
“E ora dov’è finito?” esclamò nervosa la donna.
“Frena!” ordinò Tully all’improvviso. Kate inchiodò. Nella stradina che avevano appena superato aveva visto l’auto nera ferma. La detective ingranò la retro e il più silenziosamente possibile andò a parcheggiare poco distante dall’altra macchina. Si guardarono in giro per qualche secondo. Solo in quel momento si accorsero che non era una stradina quella in cui avevano girato, ma uno spiazzo tra due container. Erano al porto, nella zona dei magazzini. Probabilmente non lontano da lì c’era anche la rimessa in cui era stato torturato Smith. Avendo controllato che la zona fosse libera, Kate tirò velocemente fuori la pistola e recuperò un altro caricatore dal portaoggetti. Quindi prese il cellulare e lo allungò a Tully.
“Chiama il distretto. Digli che siamo al porto all’inseguimento di un assassino professionista e aspettiamo rinforzi il più velocemente possibile” disse Beckett. “Io e Castle intanto diamo un’occhiata in giro. Magari riusciamo a incastrarlo in qualche angolo…”
“Io e Castle?” ripeté Alex come se avesse capito male, le sopracciglia aggrottate. Kate guardò lo scrittore e sorrise.
“So già che se gli chiedessi di non seguirmi non mi ascolterebbe, perciò è meglio se lo porto con me” rispose la detective divertita. Rick annuì convinto. “Tu invece non puoi venire” continuò la donna rivolta di nuovo a Tully. “Non posso badare anche a te e ho una sola pistola. Inoltre sei ferito.”
“È solo un graffio…” cercò di protestare l’uomo, ma fu tutto vano. Beckett fu irremovibile. E la macchia rossa che si era formata sul fazzoletto attorno al suo braccio le era da supporto.
“Ti prego, Alex” supplicò alla fine. “Almeno tu, resta in auto. Chiama i rinforzi e digli divenirci ad aiutare. Torniamo fra poco, se va bene” concluse. Quindi scese dalla macchina seguita a ruota dallo scrittore, senza dar tempo a Tully di replicare ulteriormente. L’odore di salsedine li colpì subito. Stringendo i denti, iniziarono a muoversi lentamente tra i container e i magazzini chiusi. Di giorno quel posto brulicava di vita, ma la notte sembrava un posto spettrale. C’erano poche luci, ma per fortuna la luna era quasi del tutto piena e mandava un tenue bagliore che illuminava diversi anfratti altrimenti oscuri. Nel silenzio potevano quasi sentire lo sciabordio delle onde. Non dovevano essere troppo lontani dall’acqua.
Beckett camminava davanti, facendo attenzione a fare meno rumore possibile, le orecchie tese, la pistola alzata pronta all’uso. Castle era subito dietro di lei e le controllava le spalle. Il cuore di entrambi batteva a mille.
“Dove diavolo sarà andato a finire?” sussurrò la donna, quando pochi minuti dopo si fermarono di lato a un container e dietro alcune casse. “Non può essere sparito nel nulla.” Rick si guardò in giro a disagio. Quel posto non gli piaceva, ma non era solo quello. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
“Perché è venuto qui?” domandò lo scrittore a mezza voce, più a sé stesso che alla sua musa.
“Cosa?” chiese confusa Kate. L’uomo si morse l’interno della guancia.
“Perché è venuto qui?” ripeté piano.
“Magari ha un nascondiglio o qualcosa di simile” rispose la donna, voltandosi di scatto in avanti per un rumore, ma scoprendo poi solo un gatto. Rick scosse la testa.
“Non credo” replicò. Poi aggrottò le sopracciglia. “Ricordi le parole di Tully?” chiese. “‘Se non fosse che sta scappando, quasi quasi direi che ci sta aspettando’. E se avesse avuto ragione? Se quell’uomo avesse voluto portarci fino a qui? Insomma ammettiamolo” continuò inquieto senza smettere di guardarsi in giro. “Avrebbe potuto seminarci un sacco di volte prima. Allora perché non l’ha fatto? A che scopo farci arrivare qui?” Sentendo le sue ipotesi, Kate strinse con più forza la pistola. Poi, mentre Rick la guardava la donna serrare la presa sull’arma, un pensiero improvviso lo colpì e capì cosa c’era di sbagliato. “Kate” la chiamò in un sussurro. “Secondo te come è possibile che un uomo che ha colpito con un solo proiettile la ruota di un’auto in corsa, prima non sia riuscito a colpire noi che per di più eravamo fermi davanti a lui?” Si guardarono negli occhi e lo stesso presentimento passò nelle menti di entrambi.
“È una trappola!” esclamarono insieme agitati. Kate riprese a guardarsi in giro più agitata di prima. Rick invece tirò velocemente fuori il cellulare e iniziò a digitare non si sa cosa.
“Rick che fai??” sibilò la donna. “Dobbiamo andarcene su…” Un suono secco e metallico dietro di loro le fece bloccare le parole in gola. Deglutì e chiuse gli occhi. Conosceva bene quel suono. Un suono fin troppo familiare nel suo lavoro. Il rumore di una pistola che veniva caricata.

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Xiao! :)
Scusate, ma ho poco tempo, quindi vi lascio velocemente stavolta.
Inizio tranquillo, ma finale 'adrenalinico' (spero)! X)
Spero di aver reso bene l'inseguimento... Nella mia testa era abbastanza spettacolare, ma ovviamente no potevo mettere gli effetti speciali purtroppo... i problemi dei film mentali! XD
Boh spero vi sia piaciuto! :) Fatemi sapere che ne pensate (al solito in bene o male non mi offendo!)! :D
A presto!! :D
Lanie
ps: un momento... storia seguita da 33 persone???? MA IO VI AMO!!!

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Capitolo 17
*** Una favola per bambini ***


Cap.17 Una favola per bambini

“È una trappola!” esclamarono insieme agitati. Kate riprese a guardarsi in giro più agitata di prima. Rick invece tirò velocemente fuori il cellulare e iniziò a digitare non si sa cosa.
“Rick che fai??” sibilò la donna. “Dobbiamo andarcene su…” Un suono secco e metallico dietro di loro le fece bloccare le parole in gola. Deglutì e chiuse gli occhi. Conosceva bene quel suono. Un suono fin troppo familiare nel suo lavoro. Il rumore di una pistola che veniva caricata.
“Buonasera” esclamò una voce bassa e divertita alle loro spalle. “Potreste gentilmente voltarvi con le mani alzate?” continuò. Kate riaprì gli occhi e si morse il labbro inferiore. Alzò appena le mani per mostrare che non gli stava puntando la pistola e lentamente si girò verso lo sconosciuto. Nel farlo lanciò un’occhiata a Rick, di lato a lei. Lo scrittore aveva la mascella contratta e lo sguardo rivolto al cielo. Probabilmente stava maledicendo silenziosamente qualcuno. Lo vide però poi abbassare, per una frazione di secondo, lo sguardo sul cellulare che aveva ancora in mano. Schiacciò un tasto e, senza farsi vedere dallo sconosciuto dietro di loro, mise l’apparecchio in tasca. Quindi alzò anche lui le mani e, nel girarsi, notò che lei lo stava fissando. Kate aggrottò appena le sopracciglia confusa. Che stai facendo? sembrava voler chiedere. Lo sguardo blu che le rispose era preoccupato, ma determinato. Fidati di me.
Il silenzioso scambio durò meno di un attimo, prima che entrambi si voltassero completamente. Il sicario era a pochi passi da loro e ghignava felice, mentre gli puntava la pistola addosso. Aveva i capelli corti e neri e folte sopracciglia. Era piuttosto basso, ma il suo fisico era asciutto e palestrato. I muscoli erano ben delineati dalla maglia e dai pantaloni scuri aderenti. Doveva essere uno a cui piaceva mettersi in mostra.
Nonostante la scarsa illuminazione, Kate notò una macchia rossastra che risaltava sulla sua spalla sinistra. Doveva essere il punto in cui l’aveva colpito davanti al palazzo dello scrittore. “Detective Beckett, signor Castle, è un piacere conoscervi” dichiarò compiaciuto. Poi fece un cenno con la mano libera, la sinistra, a Kate. Neanche una smorfia solcò il suo volto. O sopportava bene il dolore o non lo sentiva proprio. “La pistola se non le dispiace.” La donna serrò la mascella e lo guardò con odio, ma non poté fare altro. Con riluttanza si abbassò e fece strisciare la sua arma fino ai piedi dell’uomo. Quello recuperò la pistola subito, chinandosi senza spostare lo sguardo da loro, e se la infilò nella cinta sul retro dei pantaloni. “Bene” dichiarò alla fine soddisfatto. “Direi che possiamo andare.” Fece loro un cenno con la pistola a indicargli di muoversi e uscire da quell’angolo in cui si erano rifugiati e che era stata la loro rovina. I due si mossero lentamente, uno accanto all’altro. Era umiliante per la detective dover procedere con le mani in alto e con un bastardo alle spalle che puntava loro una pistola addosso. Inoltre era troppo lontano perché potesse disarmarlo in qualche maniera.
Camminarono per qualche minuto seguendo le indicazioni che il sicario gli forniva man mano, infilandosi sempre più in un dedalo di viuzze. Quando arrivarono ad un largo spiazzo illuminato, li fece fermare. Si trovavano tra un magazzino e una serie di container. Non dovevano essere troppo distanti dalla banchina, poiché sentivano distintamente il rumore delle onde contro il molo e l’odore di salsedine era più forte. Probabilmente erano a non più di venti metri dall’acqua.
“Perché ci hai portato qui?” chiese all’improvviso Rick. L’uomo ghignò più di prima se possibile.
“Aspetta e vedrai” replicò. “Non credo dovrai attendere ancora molto comunque… Ah, ecco, parli del diavolo!” continuò indicando davanti a loro. Dall’ombra del magazzino videro uscire sei uomini. Erano tutti piuttosto grossi e con una faccia poco amichevole. Ed erano tutti armati. Due di loro si avvicinarono a Beckett e Castle con due corde e si portarono alle loro spalle, prendendogli i polsi. Kate tentò di fare resistenza, ma la fredda canna di una pistola sulla sua tempia la fece subito desistere. Gli legarono quindi mani dietro la schiena e si spostarono di lato a loro e di un passo più indietro per sorvegliarli. Poi il sicario si avvicinò e, con due calci ben piazzati dietro le gambe, li fece cadere a terra dolorosamente sulle ginocchia. Solo un flebile lamento si levò da entrambi, dato più dalla sorpresa che dal male. Senza dare nell’occhio, Kate tentò subito di forzare le corde, ma queste erano ben strette sui suoi polsi e le davano troppa poca libertà di movimento. Imprecò silenziosamente.
“Buonasera detective Beckett, signor Castle. Spero abbiate fatto un buon viaggio per arrivare qui.” Kate si immobilizzò. Il cuore cominciò a batterle ancora più velocemente di prima. Conosceva bene il padrone di quella voce profonda e ironica. Quel giorno l’aveva sentita per ore dentro una registrazione. Franklin Spark Junior. Il drago.
L’uomo uscì dall’ombra del magazzino, come i suoi scagnozzi, con passo calmo e rilassato. Indossava un completo smoking da sera che lo faceva sembrare fuori posto rispetto al luogo in cui era e agli altri presenti, vestiti con comuni abiti. Probabilmente doveva recarsi a una festa o se ne era appena andato. Si fermò pochi passi davanti a detective e scrittore e li guardò dall’alto in basso. Il suo finto sorriso affabile sembrava non essersene mai andato dalla festa del giorno prima.
“Il nostro viaggio non sarà mai migliore di quello che farai tu quando ti sbatterò in galera” sibilò Kate a denti stretti. Spark ridacchiò. Il suo sorriso, se così potevano chiamarlo, si allargò.
“Sa, detective, devo dargliene atto” dichiarò l’uomo passandosi una mano sulla corta barba. “Lei è arrivata dove nessuno finora era mai giunto. Mi congratulo!” esclamò ironico. “Nessuno mi aveva mai dato tanti grattacapi come lei.” Quindi si fece più serio e più minaccioso. Il suo sguardo era puntato sulla donna e brillava di una luce sinistra. “Non so se sia in gamba come dicono o solo estremamente fortunata, detective, ma stava diventato davvero fastidioso il fatto che lei vanificasse ogni volta i miei tentativi di porre fine alla sua vita.” Kate rimase impassibile, nonostante il cuore che le martellava a mille. Poté quasi sentire i muscoli dello scrittore accanto a lei tendersi per la rabbia. Spark riprese il suo ghigno. “Così ho organizzato questa… come vogliamo chiamarla? Festa?” domandò divertito ai suoi scagnozzi voltandosi verso di loro e allargando le braccia. Qualcuno di loro ridacchiò brevemente. Il drago riportò nuovamente l’attenzione su Beckett. “Tutto ciò solo per lei, detective. Dovrebbe ringraziarmi per il trattamento di favore. Sa, non ho mai permesso a uno dei miei ‘ostacoli’ di incontrarmi di persona, né tantomeno di intralciarmi tanto a lungo. Ma vede, sono stato costretto a riservarle un trattamento particolare…” affermò quindi in un tono più soave che le fece venire la pelle d’oca. Si abbassò sui talloni per essere più o meno alla sua altezza. “…e non solo perché è la figlia di Johanna Beckett.” Kate si irrigidì e strinse la mascella fino a sentire male, quando sentì il nome di sua madre pronunciato dall’uomo che aveva ordinato di assassinarla. Spark dovette notare questo particolare, perché ghignò malignamente. “Qualcosa la turba, detective? E dire che siamo stati… ‘legati’ proprio da sua madre. Ci conosciamo da tanto ormai, detective, che mi sembra quasi opportuno passare a chiamarla per nome, non crede?” domandò beffardo abbassando il tono di voce e avvicinando il suo viso a quello della donna, quasi le stesse confidando un segreto. Beckett lo guardò con quanto più odio potesse provare, ma non si mosse. Avrebbe potuto tirargli una testata, e anche forte, da quella posizione, ma sapeva bene che lei non sarebbe stata l’unica a pagarne le conseguenze. Rick avrebbe sofferto quanto, e forse più, di lei. E lei non poteva permetterlo. In quel momento stava solo sperando con tutta sé stessa che Alex avesse chiamato i rinforzi e che stessero arrivando. Il drago continuò a parlare tranquillo, la sua faccia a non più di venti centimetri dal viso della donna. “Ma non perdiamoci in chiacchiere, anche se immagino sarebbero molto piacevoli.” Si avvicinò ulteriormente, un sorriso falso in volto. “Tu hai alcuni fogli che voglio, Kate, e che sarebbe molto sgradito per me se vagassero in giro per la città come più gli aggrada. Perciò dimmi, cara Katie, dove sono i docum…”
“Non chiamarla così” sibilò Castle all’improvviso con furia repressa. Kate e il drago si girarono a guardarlo contemporaneamente. Lo scrittore respirava pesantemente, il volto deformato da una smorfia di rabbia e gli occhi puntati sull’asfalto davanti a lui.
“Come?” domandò Spark tentando di mantenere il suo tono distaccato e divertito, ma fallendo miseramente. L’intrusione nel suo discorso l’aveva parecchio seccato. Rick si girò lentamente verso di lui. I suoi occhi l’avrebbero ucciso all’istante se solo avessero potuto.
“Non chiamarla ‘Katie’” ripeté calcando ogni parola con disprezzo. “Non ti azzardare.” Gli occhi di Spark si ridussero per un momento a due fessure, mentre Kate deglutiva preoccupata. Ma che diavolo veniva in mente a Castle?? Voleva farsi ammazzare?? Tentò di non dare ascolto alla vocina nella sua testa che le diceva che comunque, alla fine di quella conversazione, difficilmente ne sarebbero usciti vivi. Soprattutto ora che il drago li aveva in pugno. Ma Kate non poteva smettere di sperare in Alex. C’è la farà! Continuava a pensare nella sua testa. Arriverà con i rinforzi!
Dopo pochi secondi, che a Kate sembrarono interminabili, Spark inaspettatamente sorrise di nuovo con il suo caratteristico ghigno.
“Che dire, mi avevano detto che lei era come un cavaliere senza macchia e senza paura, signor Castle, sempre pronto a difendere la sua bella dal drago che l’ha rinchiusa nella torre!” esclamò sarcastico. Kate sussultò a quelle parole. Inconsapevolmente Spark aveva raccontato la sua storia. Quella era la sua vita. Racchiusa in una favola per bambini. Kate non credeva nelle fiabe, ma per una volta si trovò a sperare di essere in una di quelle in cui alla fine il bene trionfa sul male e i buoni ‘vissero per sempre felici e contenti’. Ma il freddo e umido asfalto contro le sue ginocchia e il profumo troppo forte e troppo vicino di Spark, la fece tornare con i piedi per terra. Quella era la realtà. E lei più di chiunque altro sapeva cosa volesse dire.
Alzò lo sguardo su Rick, sperando che la guardasse e capisse che doveva pazientare, che non doveva fare mosse azzardate come quella, che non doveva lasciarsi provocare. Ma lo scrittore non la vedeva. Continuava a scrutare Spark come se volesse pugnalarlo con lo sguardo. Il drago continuò senza che avesse notato nulla di diverso in Beckett. Aveva occhi solo per lo scrittore al momento. “Beh, mi correggo. Cavaliere non propriamente ‘senza macchia’, visti i suoi trascorsi…”
“Signor Spark!” lo chiamò all’improvviso in lontananza uno dei suoi scagnozzi. La voce veniva da dietro uno dei container e sembrava affaticata. Il drago si fece serio. Si alzò lentamente e si voltò nella direzione della voce. Anche Rick e Kate si girarono, preoccupati e incuriositi insieme. Dopo qualche secondo nello spiazzo illuminato spuntarono due tirapiedi del drago che trascinavano per le braccia una terza persona. Anch’essa aveva le mani legate dietro la schiena, ma la testa era a ciondoloni e i suoi piedi strascicavano rumorosamente per terra. Non servì che la luce delle luminarie rischiarasse il suo volto. Non servì che i due vedessero il fazzoletto bianco annodato al braccio. La fisionomia fece subito riconoscere a detective e scrittore la figura del terzo uomo. E Kate sentì il lieto fine della favola farsi sempre più lontano. Tra i due individui infatti c’era un tramortito Alex Tully.
“Guardi che abbiamo trovato!” esclamò gongolante uno dei due tirapiedi. Si avvicinarono ancora di qualche passo fino a trovarsi a pochi metri da loro, quindi scaricarono a terra il povero ex-agente, che lanciò un lamento soffocato. Rick si accorse di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Per un attimo aveva temuto che l’avessero già ucciso. Tully si tirò su in ginocchio faticosamente e scosse la testa per recuperare lucidità. Quando finalmente alzò il capo verso di loro, la sua faccia fu illuminata e Kate e Rick si accorsero che aveva una lunga striscia di sangue che gli partiva dalla testa, scendeva accanto all’orecchio e andava poi a sparire dentro il colletto della camicia. Dovevano averlo colpito, e anche piuttosto forte, al capo.
Spark si avvicinò a lui socchiudendo gli occhi, come quando ci si trova di fronte ad una persona conosciuta non si sa più dove né quando. Poi alzò le sopracciglia e di colpo si mise a ridere. Castle e Beckett si guardarono sconcertati per un secondo.
“Mi venisse un colpo se questo non è l’agente CIA Alex Tully!” esclamò scuotendo la testa. Alex serrò la mascella.
“Signor Spark. Vorrei dire che è un piacere rivederla, ma mentirei” replicò Tully freddo.
“Allora sei tu la persona che si è presentata con i documenti, ma che i miei uomini non sono riusciti a identificare” continuò Spark con un lampo di comprensione. “Beh, direi che posso anche capirli a questo punto! Ma mi dica, agente, ha più trovato l’uomo che si vociferava avesse recuperato i soldi dei rapimenti di venti anni fa?” domandò poi con tono ironico. Tully lo fulminò con lo sguardo.
“Come se non lo sapesse già” replicò secco. Rick aggrottò le sopracciglia, confuso e arrabbiato. Ecco un’altra cosa che aveva tenuto loro nascosta. Tully aveva già incontrato il drago, era ovvio da come si parlavano. Probabilmente aveva interrogato anche lui all’epoca della morte di Bob Armen per sapere se c’entrava qualcosa con i tre poliziotti implicati. Kate dovette leggergli nel pensiero perché, senza farsi vedere, si avvicinò appena a lui. Per fortuna erano tutti concentrati sulla conversazione tra Spark e Tully. Diede un leggero colpo con la spalla al braccio di Rick perché la guardasse.
“Non è il momento di pensare al perché c’è l’ha tenuto nascosto” sussurrò velocemente la donna. Neanche lei aveva gradito intendere che Alex gli aveva nascosto una chiacchierata, seppur datata, con il drago, ma non aveva tempo per rifletterci al momento. “Concentriamoci sul capire come uscire da questa situazione. Ti prego, Rick, mi servi lucido!” Gli occhi blu dell’uomo erano sconfortati. Dopo qualche secondo però lo scrittore scosse la testa, come a risvegliarsi da un sogno, e annuì con un brillio nuovo negli occhi. Doveva portarla fuori da lì. Doveva portarla negli Hamptons e farle vedere la sua casa. Doveva sposarla e farla impazzire con il suo comportamento infantile. Non poteva permettere che le accadesse qualcosa. Lui era il suo cavaliere. Doveva salvarla ancora una volta dal drago. Doveva ragionare. E per ragionare serviva lucidità. Si voltarono di nuovo entrambi verso Spark e Tully che stavano ancora parlando.
“Caro Alex, un giorno mi spiegherai come sei finito dentro a tutto questo dopo anni di distanza!” esclamò divertito Spark scuotendo la testa e infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. Sembrava completamente a suo agio, come se stessero facendo una chiacchierata tra vecchi amici. Tully invece era rigido come un palo e lo guardava con astio. Sbuffò.
“Ma certo che lo farò, Franklin” replicò calcando sul nome con disprezzo. “Quando tu ammetterai di aver fatto assassinare Roy Montgomery, Jonathan Smith, Johanna Beckett e tutte le altre persone che ti avevano intralciato.” Kate si ricordò in quell’istante che lei non era l’unica ad aver perso qualcuno. Grazie al drago, Alex aveva perso alcuni dei suoi più cari amici. Si sentì in colpa per averlo dimenticato. “Quando confesserai di essere il mandante del plurimo tentato omicidio della detective Kate Beckett.” Rick strinse i pugni a quella frase. Alex portò il busto più in avanti verso Spark e abbassò la voce, sputandogli in faccia le ultime parole. “Quando ti vedrò marcire dietro le sbarre, fottuto bastardo, allora sì, ti racconterò come mai ci sono dentro ancora oggi.” Spark lo guardava dall’alto in basso con un mezzo sorriso. Uno di quelli che di solito si riserva ai bambini quando dicono di credere in Babbo Natale e non vuoi rovinare la loro fantasia con la tua realtà. Alex continuava a guardarlo in cagnesco.
“Dove l’avete trovato?” domandò dopo diversi secondi Spark a uno dei due uomini che affiancavano Tully.
“Stava gironzolando poco lontano dalle auto” rispose il tipo alzando appena le spalle. A quelle parole Kate lanciò un’occhiataccia all’ex-agente. Alex dovette percepire quell’occhiata di fuoco su di sé perché si voltò verso la donna con uno sguardo da cucciolo bastonato. Ecco da dove l’ha preso Rick… non poté fare a meno di pensare con un sospiro la detective.
“Lo so, mi avevi detto di restare in macchina…” disse Tully con tono di scuse. “Ma poteva servirvi una mano! E poi mi annoiavo…” A quelle parole, Kate girò la testa verso lo scrittore e lo guardò male. Nonostante la situazione, l’uomo stava tentando di non sorridere sotto i baffi con scarso successo. La guardò con la coda dell’occhio e notò che lo stava squadrando.
“Che c’è?” domandò con l’aria più innocente del mondo. “Che ho fatto stavolta?” Kate socchiuse gli occhi e sbuffò scuotendo la testa.
“Niente. Solo che ora so da chi hai preso” replicò la donna rassegnata. Decisamente ora so da chi ha preso!
“‘Da chi hai preso’?” ripeté Spark stupito. Beckett gelò sul posto, così come anche Castle e Tully. Avrebbe voluto mangiarsi la lingua. Per un attimo si erano completamente dimenticati del drago. L’uomo passava incredulo lo sguardo dallo scrittore all’ex-agente, ridacchiando come se fosse la cosa più comica del mondo. “Aspetta, mi state dicendo… No, non ci credo… Tu sei suo figlio?” chiese alla fine a Rick. Lui non rispose, ma il suo silenzio fu più chiaro di mille parole. “Sapete, non pensavo che questa fosse una riunione familiare!” continuò scuotendo la testa, ancora incredulo. “In effetti ora che me lo fate notare un po’ vi somigliate” aggiunse abbassandosi all’altezza dello scrittore, grattandosi la barbetta con fare pensieroso, continuando a passare gli occhi da padre a figlio. Lo sguardo di Castle era omicida. Erano così vicini che lo scrittore provò l’irrefrenabile impulso di sputare in faccia al drago, ma si trattenne, come gli aveva chiesto Kate. Dopo un minuto buono finalmente Spark smise di analizzarli e fece un paio di passi indietro, in modo che tutti e tre i prigionieri avessero una buona visione di lui. “Allora, signori e detective” disse con un ghigno. “Siccome siamo in famiglia, permettetemi di essere franco e di andare subito al sodo. Voi avete dei documenti che io voglio. Quindi facciamo così: il primo che mi dice dove sono, resta in vita” annunciò. Non c’era tono più falso di quello. Alla fine sarebbero comunque morti tutti. Nessuno dei tre aprì bocca. Rimasero semplicemente a guardarlo con odio. Dopo un minuto di silenzio Spark si avvicinò a Tully, gli poggiò una mano sul braccio ferito e strinse. Alex trattenne a stento un urlo di dolore, ma non riuscì a soffocare un gemito.
“Alex!” gridarono insieme musa e scrittore.
“Non ditegli niente…” riuscì a mormorare con voce roca l’uomo, una smorfia di dolore in volto. “Ci ucciderà comunque…” Spark li lasciò il braccio e fece un cenno al tirapiedi dietro di lui, che annuì e colpì forte Alex al braccio ferito con il calcio della pistola. Questa volta un lamento si levò dall’uomo, chiaro e amplificato cupamente dalla notte silenziosa. Fu solo per pura forza di volontà se non cadde a terra. Strinse i denti e alzò di nuovo gli occhi sul drago, che si era riportato al centro dell’attenzione.
“Mi sembra che da lui si possa ricavare ben poco, ma voi due mi sembrate più svegli. Allora, qualcuno di voi ha cambiato idea per caso?” domandò a Castle e Beckett. “Mi dispiacerebbe deturpare quel bel faccino che si ritrova, detective, oppure rovinare quelle mani da milioni di dollari, signor Castle.” Quando vide che nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare sospirò sonoramente e si passò una mano tra i corti capelli. Quindi diede un’occhiata al suo orologio da polso. “Signori, mi intratterrei davvero delle ore con voi, ma non ne ho proprio il tempo stasera. Perciò vi consiglio di dirmi subito dove sono quei fogli. Oppure voi tre entro mezz’ora sarete morti e io da domani inizierò a… diciamo ‘conoscere’ le vostre famiglie. Sarei ben lieto di incontrare di persona Martha Rogers, Alexis Castle e Jim Beckett.” A Kate e Rick si seccò il palato a quelle parole. Erano state pronunciate con una calma sconcertante e con un sorriso sinistro che rendeva ancora più inquietante la minaccia. “Quindi a voi la scelta. Avete un minuto” concluse incrociando le braccia al petto in attesa. Beckett si girò verso il suo partner, spaventata, il respiro accelerato. Lo scrittore la guardò impotente. I suoi occhi blu mostravano la sua stessa paura. Non sapevano più cosa fare. Non potevano digli dov’erano i documenti, ma non potevano neppure lasciare che Spark se la prendesse con uno dei loro cari. Dopo quello che a loro sembrò un attimo, Spark affermò “Tempo scaduto.” Fece quindi un cenno a uno degli scagnozzi dietro di loro. Il tipo annuì, armò la pistola e la puntò dietro la nuca di Kate. La donna trattenne il respiro e chiuse gli occhi.
“Fermo! Aspetta!” urlò all’improvviso disperato Castle. Kate riaprì gli occhi e ricominciò a respirare. Poi lo guardò sgomenta. Non si permise di emettere un sospiro di sollievo, nonostante la canna della pistola fosse stata spostata dalla sua testa. Rick deglutì. Sperò di poter ricavare qualcosa da quell’idea. “C’è… c’è una cosa che non sai su quei documenti” continuò. “Lascia stare mia madre, mia figlia e il padre di Kate. Loro non sanno nulla di questa storia. Lascia andare Kate e Alex e io ti dirò anche dove puoi trovarli.”
“NO!” gridò Kate. Se fosse rimasto lo avrebbero ucciso. E lo sapevano bene entrambi. Rick rimase impassibile all’urlo di lei, lo sguardo totalmente concentrato su Spark. L’uomo sembrò ponderare per un momento la sua richiesta. Poi scosse la testa e allargò le braccia.
“Spiacente, signor Castle” replicò il drago fintamente addolorato. “Lei mi dica dei documenti. Mi dica dove trovarli e forse potrò accogliere la sua ultima volontà su Martha, Alexis e Jim. Purtroppo sono desolato, ma riguardo alla cara detective Beckett e a suo padre non credo di poter proprio considerare la sua richiesta.” Rick si voltò verso la sua musa, lo sguardo senza speranza. Kate sospirò, scosse la testa e gli fece un piccolo sorriso rassicurante. Non è colpa tua. Lo scrittore non riuscì a ricambiare. Si sentì morire dentro. Aveva promesso di proteggerla. E ancora una volta aveva fallito. L’unica speranza ora, era che Spark lasciasse in pace Alexis, Martha e Jim, ma non potevano contare seriamente sulla parola di un doppiogiochista assassino. Il problema era che non potevano fare altro. “Allora, Richard” lo richiamò il drago. “Vuoi dirmi cosa non so?” domandò. Era infastidito, ma allo stesso tempo curioso. Rick lanciò uno sguardo ad Alex, come a cercare una rassicurazione, prima di parlare. Come Kate, anche lui gli fece un mezzo sorriso. A quel punto lo scrittore chinò la testa e chiuse gli occhi.
“I documenti non servono a nulla senza una confessione” ammise amareggiato. “Possono incriminare e collegare tutti i fatti. Ma non possono incastrare nessuno.” Quella rivelazione fece sorridere Spark come un bambino.
“Ora capisco perché, fogli alla mano, non li avete mai resi pubblici” affermò piano il drago annuendo. Rimase per un momento in silenzio, immobile, assimilando quella dichiarazione. Poi si passò una mano sulla barba e ghignò. “Beh, a questo punto direi che possiamo anche salutarci. O meglio dirci addio. Mi dispiacerà dover dire a mia moglie che il suo scrittore preferito non è più tra noi, ma se ne farà una ragione” dichiarò beffardo. Si stava già voltando per tornare verso l’ombra del magazzino quando Castle lo fermò ancora una volta.
“Un momento aspetti!” lo richiamò. “Ma come? Non si usa fare come nei libri e nei film?” Kate e Alex si voltarono a guardarlo confusi e sbalorditi. Ma che stava dicendo? Spark dovette pensarla allo stesso modo perché si girò incuriosito verso di lui. “Il cattivo non confessa più i suoi atti criminali alle sue vittime?” domandò ancora Rick alzando le sopracciglia. “Andiamo, che cosa le costa? Tanto stiamo per morire, no?” Il drago fece qualche passo nuovamente verso di loro, un mezzo sorriso in volto.
“È lei lo scrittore” replicò Spark divertito, incrociando le braccia al petto. “Mi dica lei cosa dovrebbe succedere.” Rick deglutì.
“Beh, tanto per cominciare, prima di farci uccidere dovrebbe farci dire le nostre ultime parole o almeno esprimere un ultimo desiderio” rispose Castle con tutta la calma che riuscì a racimolare. “Ma questo dipende un po’ da cattivo a cattivo, non sempre lo fanno… In ogni caso però ogni buon criminale alla fine confessa i suoi misfatti all’eroe di turno. Sa, il solito discorso pieno di frasi contro il mondo che è stato malvagio con lui ed è quindi solo colpa sua se è crudele e ora merita di pagare.” Si fermò un secondo, lo sguardo puntato sul drago. “Ma lei non è così. Lei non c’è l’ha con il mondo. Anzi forse lo ringrazia anche a volte, perché è a causa dei suoi vizi e delle sue debolezze che è arrivato dove è oggi.” Tutti lo ascoltavano rapiti e Kate non poté fare a meno di ripensare a quando, notando pochi particolari, lo scrittore aveva ricostruito la sua vita e il suo dramma in uno dei loro primi casi insieme. C’è sempre una storia… Le parole di quel giorno di Rick le vennero subito alla mente. C’è sempre una serie di eventi che da senso al tutto… “I suoi genitori erano operai. Gente povera che viveva con il minimo indispensabile. Voleva essere diverso da loro, era ambizioso già allora forse, ma comunque voleva quello che loro non avevano mai avuto.” Spark era impassibile, ma un lampo di disprezzo passò dai suoi occhi. “Entrare in polizia sembrava il trampolino di lancio migliore. Per uno intelligente e che vuole fare carriera, la scalata è facile. Ma a lei non bastava. I tempi erano troppo lunghi per uno che vuole ricominciare con tutto e subito. Perfino salvare agenti di polizia sembrava non essere sufficiente ad avanzare velocemente. Quand’ecco l’occasione della vita. Tre poliziotti che giocano a fare gli eroi. Farsi dare i soldi deve essere stato un gioco da ragazzi…” Spark accennò un mezzo sorriso. “Nasconderli forse fu più complicato, ma neanche tanto. Ora poteva davvero ricominciare. Con quel denaro si costruì la sua scala per il successo, le sue amicizie, i suoi crediti. Ma erano tanti gli ostacoli. In primo luogo fece sparire quante più prove possibili. Non poteva però evitare che qualcuno indagasse e ficcasse il naso nei suoi affari. Quindi decise che la cosa migliore era togliere quel qualcuno per sempre dalla circolazione.” Kate strinse i pugni a quelle parole, quasi da tagliarsi la carne con le unghie. Rick continuò imperterrito. “Il club di avvocati di Johanna Beckett stava diventando un po’ troppo fastidioso per i suoi gusti. Così assoldò Dick Coonan per eliminarne ogni traccia. Quello che non avrebbe mai potuto immaginare però fu la voglia di giustizia della figlia di Johanna. Rischiava di arrivare troppo vicina alla verità, soprattutto quando Coonan, stupido com’era, rischiò di farla scoprire.” Spark socchiuse appena gli occhi a quella dichiarazione. “Coonan però, per sua fortuna, muore. Sembra tutto tranquillo ora, ma ecco che spunta fuori uno dei tre poliziotti che ha deciso di lavarsi la coscienza. Non lo può permettere e assolda Hal Lookwood. Gli fa fare una pulizia completa, facendolo anche imprigionare per permettergli di eliminare ogni traccia all’interno del carcere e aiutandolo subito dopo scappare. Alla fine lo spedisce contro Montgomery. Lo uccide, ma, sottovalutandolo, si fa ammazzare. Ora resta solo una persona. Assolda un altro sicario, Cole Maddox, ma fallisce in ogni occasione. E ora ha attirato noi in una trappola, servendosi di un altro killer, perché stavolta vuole chiudere ogni conto di persona, assicurandosi così di avere il campo finalmente sgombro da ostacoli.” Rick si fermò per un momento. Il drago era impassibile. “Ho fatto una buona ricostruzione?” domandò alla fine con aria di sfida. Dopo qualche secondo Spark rise e lo applaudì un paio di volte.
“Complimenti, signor Castle” disse ironico. “Devo ammettere che mi ha stupito! Lei ha davvero la rara facoltà di lasciarmi a bocca aperta. E mi dica, visto che sa tutte queste cose, sa anche che l’ultimo sicario che ho assoldato è il fratello di Cole Maddox?” domandò indicando l’uomo che li aveva catturati, appena dietro di loro. Rick e Kate si voltarono stupiti a guardarlo. Il killer ghignò.
“Ah, quindi era un’azienda di famiglia la vostra?” domandò Rick ironico, senza più freni. Tanto ormai erano morti. “O magari siete diventati assassini perché vostra madre si faceva mezza New York e vostro padre non aveva le palle per dire qualc…” Il sicario si rabbuiò, fece un passo verso di lui e lo colpì violentemente con il calcio della pistola al viso. Kate urlò. Rick cadde a terra con un lamento soffocato. Sentiva male in tutta la faccia. Quando riuscì faticosamente a rialzarsi, vide del sangue, il suo sangue, sull’asfalto esattamente dove un momento prima c’era la sua faccia. Scosse la testa per riprendersi dalla botta. Kate lo guardò preoccupata. Lo scrittore aveva un labbro spaccato e un lungo taglio che gli partiva da sopra il sopracciglio e scendeva fin quasi al mento. Aveva mancato l’occhio di un soffio.
“Ah, e sa un’altra sorprendente notizia su Dylan Maddox?” aggiunse Spark ghignando. “Ha una particolare malattia che non gli permette di sentire dolore. Lui non sente niente e questo lo rende quasi più pericoloso del fratello.” Kate si accorse solo in quel momento che il sicario aveva usato la mano con il braccio ferito per colpirlo come se fosse completamente sano. Spark guardò di nuovo l’orologio. “Mi rincresce, ma è tempo che vada” disse voltandosi. Poi però si fermò e tornò a girarsi verso di loro con un sorriso ironico. “Ora che ci penso, non vorrei andare contro i suoi preziosi libri e film, signor Castle. E visto che la sua ricostruzione è stata così accurata, mi sento in dovere di concedervi almeno questo: ultime parole?” Kate e Rick si guardarono rassegnati. Ormai era finita.
“Mi dispiace…” mormorò la donna, mentre gli occhi le diventavano umidi. “Avevo promesso ad Alexis che ti avrei sempre riportato a casa…”
“Beh” replicò lo scrittore cercando di farle un mezzo sorriso. “Io avevo giurato a tuo padre di proteggerti, perciò… direi che siamo pari.” Kate sbuffò tra le lacrime che cominciavano a scenderle sul viso. “Comunque sono io che dovrei scusarmi…” continuò Rick più serio, senza guardarla negli occhi. “Io ti ho spinta a riaprire il caso di tua madre. Se non fosse stato per me, tu ora non saresti qui. Nessuno di noi sarebbe qui…”
“Rick guardami” lo supplicò la donna. Con uno sforzo immane incontrò gli occhi della sua musa. Nonostante le lacrime, erano determinati. “Se non mi avessi aiutata, noi forse ora non saremmo qui, ma io avrei ancora un muro che mi divide dal resto del mondo e anzi molto probabilmente sarei morta. Perché mi conosci bene, Rick, e sai che non mi sarei mai fermata. Non avrei dato ascolto a nessuno e mi sarei fatta ammazzare già tempo fa… se tu non mi avessi sostenuto e aiutato.” Rick sorrise appena.
“Sono il tuo partner, ricordi?” replicò l’uomo dolcemente.
“No” rispose Kate. “Tu sei più di un partner. E mi dispiace averlo capito così tardi…” sussurrò in colpa, mentre le lacrime le offuscavano di nuovo la vista. Quanto tempo aveva perso? Giorni? Mesi? Anni? Tutto a causa del suo stupido orgoglio e di quel suo muro che si era costruita intorno.
“Ehi, guardami” la richiamò Rick, come poco prima aveva fatto lei, scuotendo appena la testa per togliere il sangue che dal sopracciglio gli stava colando nell’occhio. Kate sbatté le palpebre per scacciare un po’ di lacrime e per riuscire a incontrare i suoi occhi blu. “Avrei aspettato altri quattro anni se avesse voluto dire provare sulla mia pelle alla fine quello che io ho provato per te, e con te, nelle ultime settimane. Sapere che senti la stessa cosa, sapere di essere ricambiato di un sentimento così forte in uguale misura…” Abbassò la voce e si avvicinò a lei, sfiorandole la fronte con la sua. “Sentirti dire che mi ami… Kate, non dubitarne. Avrei aspettato anche tutta la vita per sentirmi dire ‘Ti amo’, anche solo una volta, da te.” Avrebbe voluto baciarla, stringerla a sé e dirle che sarebbe andato tutto bene per cancellare quella disperazione e quella tristezza dai suoi occhi. Ma era lontano, aveva le mani legate dietro la schiena e difficilmente sarebbero stati vivi da lì a dieci minuti.
Kate gli sorrise appena, poi puntò lo sguardo oltre la sua spalla. Si girò anche lui e vide Tully che li guardava.
“Grazie di tutto, Alex” mormorò la donna. L’ex-agente annuì, sorridendole triste.
“Sono onorato di aver incontrato una donna come te, Kate Beckett. Avrei solo voluto fare di più” replicò l’uomo. Poi rivolse lo sguardo a Rick. Rimasero semplicemente a guardarsi. Lo scrittore sembrava incapace di dire qualsiasi cosa, gli occhi umidi. “Mi dispiace per il male che ti ho causato con la mia assenza, Richard” disse infine Alex con tono infinitamente triste. “Sappi solo che ti ho sempre voluto bene e che non ti ho mai abbandonato.” Rick aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì suono. La richiuse e annuì solo. “Addio, ragazzo” concluse suo padre.
“Che scena commuovente” dichiarò divertito Spark. Tutti e tre si voltarono a guardarlo con odio. “Ma ora devo proprio andare. Allora, chi volete che muoia per primo?” domandò, come se chiedesse chi voleva per primo una caramella. Rick e Kate si guardarono terrorizzati. Nessuno dei due voleva vedere l’altro che veniva ammazzato come un cane. Non importava che l’altro l’avrebbe seguito subito dopo. Semplicemente non potevano. Come se si fossero letti nel pensiero, si sorrisero appena e annuirono insieme.
“Un solo proiettile” mormorò Rick.
“Per entrambi” concluse Kate. Le loro voci erano uscite calme, ma erano tutto fuorché quello. Non avrebbero mostrato però la loro paura al drago. Non in punto di morte.
“Molto bene” replicò Spark. “Posso accettarlo come ultimo desiderio.” Fece quindi un cenno a Dylan Maddox, che si posizionò di lato a Rick. Tully chiuse gli occhi e girò la testa. Non voleva vedere suo figlio e la detective che venivano ammazzati. Lo scrittore si avvicinò il più possibile a Kate e appoggiò la sua fronte su quella di lei. La fronte della sua musa era ghiacciata, mentre la sua era calda, ma imbrattata di sangue.
“Ti amo, Rick…” mormorò la donna con voce rotta, guardandolo in quegli occhi blu che tanto amava e che non avrebbe più rivisto. Rick le sorrise appena.
“Ti amo anch’io, Kate” replicò piano. Le lasciò un dolce e piccolo bacio sulle labbra. “Always.” Quindi chiusero gli occhi, le fronti unite. Un brivido passò lungo la schiena di Rick, quando sentì la fredda canna della pistola contro la sua nuca. I battiti di entrambi partirono a mille.
“Addio piccioncini” ghignò Dylan Maddox.
Quindi lo sparo.

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Xiao! :)
Ehm... io inizio a preparare il mio viaggio per l'Alaska, eh? X)
Spero vi sia piaciuto il capitolo! :) è un po' più tristanzuolo e condito con un po' di... suspance? XD
Ditemi che ne pensate!!!! :D
A presto (spero)!! :D
Lanie
ps:38 persone che seguono la storia????? *___________________*  <3

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Capitolo 18
*** È finita? ***


Cap.18 È finita?

“Ti amo, Rick…” mormorò la donna con voce rotta, guardandolo in quegli occhi blu che tanto amava e che non avrebbe più rivisto. Rick le sorrise appena.
“Ti amo anch’io, Kate” replicò piano. Le lasciò un dolce e piccolo bacio sulle labbra. “Always.” Quindi chiusero gli occhi, le fronti unite. Un brivido passò lungo la schiena di Rick, quando sentì la fredda canna della pistola contro la sua nuca. I battiti di entrambi partirono a mille.
“Addio piccioncini” ghignò Dylan Maddox.
Quindi lo sparo.
E un tonfo.
Un tonfo?? Rick aprì gli occhi di scatto e vide davanti a sé Kate con la stessa espressione confusa che era sicuro fosse sulla sua faccia. Girò la testa dietro si sé alla ricerca della fonte del rumore. Kate si sporse appena oltre la sua spalla. Ed entrambi rimasero a bocca aperta. Non potevano essere stati così fortunati. Dovevano essere già morti. Forse stavano delirando in un coma profondo che avrebbe preceduto di qualche secondo la fine. Ma per quanto attendessero, il freddo sulle ginocchia, il dolore alle gambe e ai polsi non diminuiva e la scena non cambiava, rivelando la sua realtà.
Sdraiato scomposto a terra su un fianco, appena dietro Castle, c’era Dylan Maddox. La pistola che fino un momento prima era sulla nuca dello scrittore, ora era abbandonata poco lontano dalla mano del sicario. Solo in un secondo momento si accorsero della pozza di sangue che si stava lentamente formando sotto il corpo dell’uomo all’altezza del torace. Doveva aver anche sbattuto la testa, perché un’altra macchia rossastra stava prendendo forma vicino alla sua tempia.
Nessuno dei presenti mosse un muscolo. Erano tutti troppo sbalorditi da quello che era appena accaduto. Perfino Spark era rimasto pietrificato. Calò un silenzio spettrale, di morte e sbigottimento. Sentivano le onde del fiume Hudson cozzare sulla banchina come se si trovassero ad un metro dall’acqua. Poi qualcosa occupò il silenzio. Passi veloci. Molti passi veloci, amplificati dal luogo e dal assenza di rumori. Sembravano venire verso di loro da ogni parte. Gli scagnozzi del drago si ripresero con un secondo di ritardo. Iniziarono a raggrupparsi vicino a Spark e al magazzino da cui erano venuti. Si guardavano attorno confusi, le pistole cariche, ma puntate a caso e nervosamente intorno a loro. I due tirapiedi accanto a Tully presero l’ex-agente di peso dalle braccia e lo trascinarono velocemente con loro, sperando forse di usarlo come scudo. Quelli che invece dovevano occuparsi di Castle e Beckett li avevano dimenticati. Quando Maddox era caduto, se ne erano distanziati d’istinto per paura di un colpo anche contro di loro. Poi si erano allontanati verso il magazzino pensando solo a mettersi al riparo. I passi diventavano ogni secondo più forti e chiari. Finché, dopo quella che sembrò loro un’eternità, diverse urla annunciarono l’arrivo dei proprietari dei passi, che si materializzarono da punti differenti intorno a loro.
“NYPD!! Non muovetevi!! Fermi!!” Le grida dei poliziotti sommersero gli scagnozzi che iniziarono a voltarsi furiosamente in ogni direzione, confusi e spauriti. Castle e Beckett riconobbero subito una voce che gridava più forte e più rabbiosa delle altre. Ryan. Rick non poté fare a meno di lanciare un mezzo urlo di sollievo e vittoria, mentre Kate appoggiò la testa alla sua spalla sospirando sollevata. Decine di agenti armati con mitragliette ed equipaggiati con giubbotti antiproiettile e caschi li accerchiarono immediatamente, le armi puntate su Spark e su ogni membro del suo gruppo di tirapiedi. La maggior parte degli scagnozzi mantenne la pistola contro i nuovi venuti, quelli intorno a Tully invece la puntarono sull’unico ostaggio loro rimasto.  Erano confusi, ma decisamente poco intenzionati a farsi prendere. Musa e scrittore videro Alex trattenne il respiro sentendo il metallo della canna contro la sua tempia, ma ora c’era una nuova speranza nei suoi occhi. Era però ancora presto per dire che era tutto finito. Si creò infatti una situazione di stallo e appena tutti se ne accorsero calò il silenzio.
Nello spiazzo c’erano Spark e Tully accerchiati dai tirapiedi del primo. Intorno a loro invece un ventaglio di poliziotti, Castle e Beckett ancora legati e il corpo di Maddox. Ci fu un altro rumore di passi ed Esposito spuntò da dietro uno dei container, anche lui pistola in pungo. Aveva un lungo fucile di precisione attaccato alla schiena. Appena vide detective e scrittore, esattamente davanti a lui, si avvicinò loro con cautela, cercando di capire nel frattempo la situazione, ed evitando mosse frettolose che avrebbero potuto farlo diventare un bersaglio. Ma nessuno sembrava accorgersi di lui. Poliziotti e scagnozzi parevano troppo impegnati a guardarsi in cagnesco per notarlo. Nell’avvicinarsi ai due legati, passò accanto al corpo di Maddox. Diede un calcio alla pistola accanto alla sua mano abbandonata per precauzione. Quindi si fermò accanto a Castle e Beckett, infilò l’arma nella fondina e tirò fuori dallo stivale un coltello militare.
“Siamo arrivati appena in tempo a quanto pare” sussurrò sollevato il detective. “Per fortuna che Tully è riuscito ad avvertirci e a dirci dove eravate prima che cadesse la linea…” Quindi Alex stava chiamando i rinforzi quando lo avevano aggredito e catturato. “State bene?” domandò poi preoccupato, mentre, abbassandosi, con due tagli netti li liberava dalle corde. Beckett riuscì solo ad annuire. Aveva un groppo in gola ed era sicura che al momento non sarebbe riuscita a dire nemmeno mezza parola senza scoppiare a piangere. Non notò nemmeno Esposito che parlava alla ricetrasmittente sulla sua spalla e informava gli altri agenti delle loro condizioni. Aveva occhi solo per Rick al momento. Quei due incredibili occhi azzurri, che pensava non avrebbe più rivisto, la stavano fissando con un misto di emozioni che era sicura fossero riflessi nei suoi stessi occhi: sollievo, paura, amore, preoccupazione. Non ebbero il tempo di dire o fare niente però che un’altra voce ben conosciuta parlò, riportandoli al presente e facendoli voltare di nuovo verso lo spiazzo illuminato.
“È finita signor Spark” dichiarò il capitano Gates con voce chiara e ferma. “Non faccia in modo che finisca male stasera. Dica ai suoi uomini di gettare le armi, liberi il signor Tully e si consegni alla polizia.” La donna era di un passo più avanti agli altri poliziotti. Anche lei aveva un giubbotto antiproiettile e la pistola alla mano. Solo che lei non puntava a caso uno dei tirapiedi. Beckett era certa che il suo mirino fosse completamente concentrato sulla testa di Spark. Sembrava calma e decisa nonostante la situazione. Spark non parlò. Continuò semplicemente a fissarla minaccioso. Il ghigno era scomparso dalla sua faccia.
“Arrenditi Spark!” esclamò Ryan spazientito accanto al capitano, anche lui bardato e armato. Il suo sguardo era rabbioso. Il drago rimase in silenzio ancora per qualche secondo. Poi il suo ghignò tornò a galla.
“Arrendermi? Perché mai?” dichiarò l’uomo divertito, incrociando le braccia al petto. “Sono accusato di qualcosa?” La frase lasciò Rick e Kate a bocca aperta. Ma con che coraggio…?? pensò la donna furiosa e sbalordita. Era nel mezzo di una cerchia di scagnozzi che puntavano le pistole contro dei poliziotti, aveva un ostaggio con sé, aveva cercato di ammazzarli e osava chiedere di cosa era accusato??
“Franklin Spark Junior” cominciò la Gates con uno sguardo che avrebbe potuto fulminarlo. “Sei accusato di essere il mandante dell’omicidio di Johanna Beckett, Roy Montgomery, Jonathan Smith e di altre persone i cui nomi saranno accertati in aula di tribunale. Sei accusato del plurimo tentato omicidio della detective Kate Beckett e del tentato omicidio del signor Richard Castle, nonché del sequestro degli stessi e del signor Alex Tully. Inoltre sei accusato di sottrazione indebita, frode e corruzione. Hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirai potrebbe essere usato contro di te. Hai diritto ad un avvocato e se non ti sarà possibile procurartelo allora te ne sarà fornito uno dal dipartimento…” Mentre il capitano parlava, Spark scuoteva la testa. Il ghigno non gli si era ancora cancellato dal suo volto.
“E come pensa di provalo, capitano?” domandò ironico. “Come pensa di provare che sia io il mandante di questi omicidi? O dei tentati omicidi? O della corruzione, frode o sottrazione indebita? Potrei essere passato di qui per caso stasera ed essermi imbattuto in un tentato sequestro” dichiarò senza pudore e nel tono più candido che riuscì a ottenere. Kate sbuffò incredula. Non poteva davvero pensare di essere credibile! “Con un buon avvocato potrei anche dimostrarglielo. Inoltre io sono qui senza armi” disse alzando le mani. “E posso assicurarle che non ho mai ucciso nessuno…”
“Oh, che tu non abbia ucciso nessuno non c’è dubbio, visto che sei troppo codardo per farlo da te!” affermò all’improvviso Castle sarcastico. Lui e Beckett si erano rialzati faticosamente in piedi aiutati da Esposito. Rick aveva passato un braccio intorno alle spalle di Kate per sorreggersi e lei era praticamente appoggiata al suo fianco. La lunga posizione inginocchiata aveva irrigidito loro le gambe e gliele aveva lasciate doloranti. E poi era una scusa per sentire sulla pelle che non era un sogno, che erano vivi. Anche se l’incubo sembrava ancora non essere finito. “Tu di certo non hai mai voluto sporcarti le mani” continuò lo scrittore trattenendo a stento la rabbia che provava. “È sempre meglio assoldare professionisti per queste cose, vero?” domandò ancora, i pugni serrati intorno alla sua musa. Spark lo studiò per un momento, socchiudendo gli occhi, guardandolo con astio. Poi il ghignò tornò.
“Lei è uno scrittore di gialli, signor Castle” affermò Spark. “Inoltre segue una detective della omicidi. Sa bene che senza prove non può dimostrare nessuna delle sue teorie assurd…”
“E se io le avessi?” lo interruppe Rick con odio e determinazione. “Se avessi le prove che ti sbatterebbero in galera per il resto dei tuoi giorni?” Il ghigno del drago si incrinò un poco.
“Quei documenti non valgono niente” dichiarò deciso l’uomo passandosi nervosamente una mano sulla barbetta. Questa volta fu Rick a fare un mezzo sorriso.
“No, in effetti quei documenti soli non valgono niente…” replicò lo scrittore, mentre infilava una mano in tasca. Tirò fuori il cellulare e girò lo schermo verso Spark, la Gates e gli altri. Kate notò che c’era il disegno di un’applicazione aperta. Ci mise un secondo per capire che la raffigurazione sulla schermata era quella di un microfono. “…ma se li accompagni con una bella confessione registrata, sono sicuro che se ne ricaverà qualcosa di utile” concluse ironico, scuotendo appena il cellulare perché fosse al centro dell’attenzione. Poi si girò verso la sua musa. “Prima non ha affermato che la mia ricostruzione era stata molto accurata? Com’è che si chiama questa, Kate? ‘Ammissione auto-accusatoria’ se non ricordo male… Ma io sono ancora convito che sia solo un modo fantasioso per dire ‘confessione’.” Beckett lo guardò stupefatta, la bocca semiaperta. Poi un sorriso enorme le si aprì in viso. Avrebbe voluto baciarlo in quell’esatto istante. C’è l’aveva fatta. C’è l’aveva fatta davvero. Aveva trovato il modo per incastrare il drago con le sue stesse parole.
Dal sorriso della sua detective, Rick capì che la sua idea aveva funzionato. Appena avevano compreso che era una trappola, lo scrittore aveva immaginato che li avrebbero portati da Spark, visto che erano ancora vivi. L’unica cosa che aveva temuto era stato un colpo di pistola alla testa prima di una sua, almeno parziale, confessione.
Spark sgranò gli occhi. Quando capì il suo errore, quando capì di essere stato giocato, quando capì di essere in trappola, la sua espressione perse per la prima volta il controllo che aveva sempre mantenuto. Una smorfia di rabbia gli passò sulla faccia. Rick quasi si aspettò di veder uscire davvero delle fiamme dalle sua narici. Ma ormai era fatta. Il drago era stato sconfitto.
Un brivido passò però lungo la schiena di Kate quando vide che, dopo qualche secondo, un nuovo sorrisetto stava spuntando dalla folta barbetta di Spark. Un sorrisetto pazzo e crudele che non avevano mai visto. Non era un buon segno. Non lo era per niente. Ma quando un cane si ritrova stretto in un angolo, difficilmente continua a ragionare lucidamente. Spark alzò le mani con un finto sospiro rassegnato.
“Lo ammetto. Mi ha battuto, signor Castle” affermò. Poi puntò i suoi occhi su di lui. Scintillavano minacciosi. “Ma non creda che sia finita così…” Rick strinse di più a sé Kate e guardò Spark con un misto di odio e preoccupazione. Un attimo dopo la detective notò lo sguardo del drago spostarsi per un secondo verso i loro piedi. O meglio, verso dietro i loro piedi. Quindi sentì appena uno strusciare metallico sull’asfalto dietro di sé.
“RICK!!” fece appena in tempo a urlare, mentre con una spinta gettava lo scrittore di lato con lei, che un colpo partì da dietro le loro spalle. Kate sentì lo spostamento d’aria sui capelli. Li aveva mancati di un soffio. Crollarono sull’asfalto, ma si voltarono subito e videro Dylan Maddox ancora mezzo sdraiato a terra, sanguinante e con una pistola in mano. Perdeva sangue dalla ferita al fianco dove l’aveva colpito Esposito, dalla spalla dove l’aveva preso in precedenza Beckett e dalla testa nel punto in cui aveva colpito l’asfalto cadendo. Ma sembrava non accorgersene. Sembrava solo appena più lento e rigido. A una seconda occhiata, Beckett riconobbe la pistola che l’uomo stringeva in mano. Era la sua arma. Quella che le aveva preso quando li aveva catturati e che aveva nascosto sulla schiena nella cinta dei pantaloni. Maddox fece per puntare di nuovo la pistola verso di loro, ma ancora prima che raggiungesse la giusta traiettoria, un proiettile lo colpì dritto alla testa. Cadde scomposto all’indietro. Questa volta non si sarebbe più rialzato. Fu un attimo prima che Kate e Rick si rendessero conto che Esposito era dietro di loro, in piedi, con la pistola ancora fumante e lo sguardo furente. Fu un attimo. E tutti persero la calma e cominciarono a sparare. Quei due colpi erano stati la scossa che aveva fatto precipitare la situazione di stallo. Tutti, scagnozzi e poliziotti, cercarono subito un rifugio dietro casse, container e magazzini intorno allo spiazzo. Beckett fece appena in tempo a recuperare la sua arma dalla mano di Maddox che Esposito e Castle la trascinarono di peso dietro un mucchio di casse accanto a loro. I proiettili volavano in ogni direzione. Fin da subito si sentirono diversi lamenti, imprecazioni e rumori di cadute che si mescolavano a quelli di vetri in frantumi, metallo colpito e, ovviamente, spari.
“Ryan!!” urlò all’improvviso Esposito preoccupato. Castle e Beckett si girarono subito nella direzione in cui guardava il detective. Videro l’amico a terra che si teneva un braccio sanguinante. Era scoperto ed era un bersaglio facile. Accanto a lui, dietro al container dove era prima nascosto, la Gates sembrava una macchina da guerra. Continuava a uscire allo scoperto e a sparare senza un attimo di esitazione. Tirò il detective ferito al sicuro dal giubbotto antiproiettile senza tante cerimonie. Una volta al riparo, Ryan gli fece un cenno con la testa per rassicurarli che andava tutto bene. Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo e tornarono a prestare attenzione alla sparatoria in corso.
Kate si alzò appena da dietro le casse e cercò freneticamente Spark e Tully con lo sguardo. Sparò nel frattempo un paio di colpi ai tirapiedi che però andarono a vuoto. Dopo qualche secondo individuò la figura di Alex accanto al muro del magazzino davanti a loro. Sembrava stesse combattendo con uno dei suoi sequestratori per disarmarlo. Con la coda dell’occhio poi vide una figura, che subito riconobbe come quella di Spark, defilarsi nell’ombra del davanti del magazzino da cui era arrivato.
“Sta scappando!” urlò Beckett a Castle ed Esposito indicandogli la direzione del fuggiasco. Stava per chiedere fuoco di copertura, quando all’improvviso un proiettile fischiò sopra le loro teste e rimbalzò sul metallo del container dietro di loro. Lo scrittore lanciò un gemito di dolore e cadde a terra tenendosi il fianco.
“Rick!” gridò spaventata la detective. Si precipitò subito su di lui per controllare il danno.
“Sto bene, Kate…” cercò di dire prima di lanciare un altro gemito. Faceva un male cane, ma per fortuna sembrava non aver leso organi vitali. Il sangue però continuava a uscire e la pallottola era rimasta dentro il suo corpo.
“Non ti muovere e tieni premuto!” gli disse velocemente la donna premendo a sua volta sulla ferita.
“Hanno già chiamato delle ambulanze per i feriti” urlò loro Esposito per sovrastare il rumore degli spari. “Arriveranno tra poco.” Beckett annuì nervosa e tornò a prestare attenzione allo scrittore.
“Ehi, tranquilla, amore… va tutto bene. Non morirò oggi…” dichiarò Castle con fatica, ma facendole un mezzo sorriso e accarezzandole con una mano la guancia. Era sporco di sangue e imbrattò anche lei ancora più di prima, ma non le importava. L’uomo era impallidito e il taglio alla faccia sembrava più rosso e scuro di quanto Kate ricordasse. “Dovrai sopportare il bambinone di cui ti sei follemente innamorata per ancora molti e molti anni perché io non ho nessuna intenzione di andare da nessuna parte senza di te…” Kate gli sorrise dolcemente e scosse la testa. Diversi proiettili volavano sopra e intorno a loro, ma sembravano non accorgersene. Poi lo scrittore si fece più serio.
“Kate, mio… Alex? E Spark?” domandò agitato. La donna gli sorrise appena e si abbassò per lasciargli un piccolo bacio sulla fronte.
“Vado a prenderli” mormorò sicura. Quindi si staccò da lui piano, spostando le mani dalla ferita e aiutandolo a coprirla di nuovo. Prima che riuscisse ad allontanarsi però, una mano dell’uomo le raggiunse il polso e la bloccò.
“Non è meglio aspettare i rinforzi per Spark?” riuscì a domandare Rick. La preoccupazione era chiaramente visibile sul suo volto. Kate si riavvicinò.
“Se non vado ora non lo prenderemo più e tutto questo non finirà mai” mormorò carezzandogli la guancia non ferita con la mano libera, cercando così di rassicurarlo. Si guardarono negli occhi ancora per un secondo.
“Kate, ti prego, stai attenta” le supplicò. La donna annuì e lui le lasciò il polso. Recuperò la pistola che aveva buttato a terra quando Rick era stato colpito e si allontanò di un passo per cercare di avere una visuale migliore sullo spiazzo rimanendo comunque coperta. Vide una rientranza nella parete del magazzino, molto vicino all’angolo in cui era sparito Spark. Decise che sarebbe stata la sua destinazione, ma era esattamente dalla parte opposta dello spiazzo. Questo voleva dire attraversare una pioggia di proiettili. Si morse il labbro inferiore.
“Esposito, fuoco di copertura” ordinò la donna. Il detective la guardò per un momento indeciso e inquieto. Poi annuì e alzò tre dita della mano.
“Al mio tre” replicò. Quindi si posizionarono. Un attimo prima che iniziasse a contare però, Kate si girò di nuovo verso lo scrittore a terra. Lo sguardo dell’uomo era dolorante e preoccupato.
“Preparati a sopportarmi anche tu per i prossimi anni perché neanche io morirò stanotte” dichiarò determinata. Quindi si voltò di nuovo verso lo spiazzo senza dar tempo a Rick di replicare. Al tre di Esposito, Beckett schizzò fuori dal nascondiglio. Corse più velocemente che poteva nel mezzo dello spiazzo, mentre il detective sparava contro gli scagnozzi rimasti per coprirla. Arrivò alla rientranza del magazzino dall’altra parte del piazzale che sudava freddo. Si fermò per un secondo, ansante, la schiena contro il muro e la pistola alta davanti al viso, cercando inutilmente di rallentare i battiti del suo cuore. Deglutì e girò la testa verso lo spiazzo, sporgendola appena dal suo nascondiglio. C’erano almeno quattro tirapiedi ancora in piedi dietro alcune casse disposte accanto al muro. Gli altri erano già a terra, morti o agonizzanti. Poi notò poco lontano da sé, in mezzo a una piccola fortezza creata da alcune casse, Tully inginocchiato a terra. Accanto a lui c’era un uomo steso a pancia in su, immobile. Doveva essere quello con cui l’aveva visto lottare all’inizio della sparatoria. Alex era riuscito a portare i pugni ancora legati in avanti e ora stava raschiando la corda che gli bloccava i polsi con un pezzo di vetro frantumatosi da una finestra del magazzino. Il fazzoletto al suo braccio era completamente rosso ormai. Riuscì a liberarsi, ma quando tentò di alzarsi le gambe non lo ressero e cadde nuovamente lanciando un’imprecazione. Alzando gli occhi, si sorprese nel vedere la detective a pochi metri da lui.
“Resta qui. Stanno arrivando” riuscì a fargli intendere Kate nel mezzo del frastuono, indicando con un cenno della testa la parte opposta dello spiazzo dove si erano rifugiati i poliziotti. Sentì un gemito soffocato venire da uno dei quattro uomini ancora in piedi. La battaglia su quel fronte si stava lentamente concludendo. Ma per vincere quella guerra dovevano catturare il drago.
“No, Kate! Aspetta! È armat…” cercò di fermarla Alex, appena capì la sua intenzione di seguire Spark. Beckett però era già oltre l’angolo, la pistola puntata davanti a sé. Quella parte di molo era molto più buia della precedente. Le uniche luci provenivano dal riverbero delle lampade nello spiazzo da cui si era allontanata e dalla luna alta nel cielo. Le sembrò di essersi all’improvviso allontanata di kilometri dalla sparatoria perché i colpi le arrivavano attutiti. Avanzando nell’ombra, rasente alla parete del magazzino, il rumore di spari diminuiva sempre più. Passo dopo passo, sentiva solo il suono delle onde che si rifrangevano sulla banchina a pochi metri da lei, quello dei suoi tacchi sull’asfalto e il battito irregolare e veloce del suo cuore. Quella calma era più terrificante dell’agitazione della sparatoria.
Un brivido le passò lungo la schiena. Deglutì, strinse i denti e continuò lentamente la sua avanzata nel buio. Aveva passato ormai la metà del magazzino, quando sentì uno scricchiolio e vide un’ombra muoversi diversi metri avanti a lei. Istintivamente si gettò a terra. Si era appena abbassata che una pallottola finì contro il muro dietro di lei dove un momento prima c’era la sua testa. Il bianco della parete del magazzino la faceva diventare un bersaglio facile nonostante il buio, quindi si spostò velocemente da esso. Riuscì a distinguere un mucchio di casse abbandonate poco lontano e vi si andò a rifugiare dietro. Un altro sparo squarciò il silenzio appena dietro di lei. Voleva muoversi ancora in un altro nascondiglio, ma si accorse di essere a poco più di un metro dal bordo della banchina. Un colpo contro il legno delle casse le fece ritirare la testa tra le spalle. Si rannicchiò di più dietro queste. Strinse nervosamente la pistola tra le mani. Chiuse gli occhi per un secondo e prese un respiro profondo. Quindi li riaprì e si alzò velocemente in piedi. Con la coda dell’occhio vide di nuovo l’ombra, ma stavolta non aspettò il colpo e sparò due volte contro di essa. Sentì un rumore sordo e prolungato. Uno dei proiettili doveva aver colpito qualche contenitore metallico. Si riabbassò velocemente mentre altri due proiettili finivano contro le casse dietro cui era nascosta. Quindi il silenzio. Kate si mise in attesa della mossa dell’altro, attenta al più piccolo rumore. Finalmente sentì dei passi. L’uomo stava cambiano nascondiglio. Beckett si alzò di scatto in piedi, puntò la pistola verso dove pensava provenisse il rumore e fece fuoco. Sbagliò però di diversi metri, distratta dall’impazienza e dal rumore sordo del suo sangue pompato nelle orecchie. Spark uscì all’improvviso dal suo nascondiglio dietro una rientranza del magazzino e sparò. Kate sentì una fitta lancinante alla gamba sinistra appena sopra il ginocchio. Lanciò un gemito e cadde pesantemente a terra. La pistola le scivolò di mano e finì poco lontano da lei. Stava per allungarsi e raggiungerla, quando sentì Spark avvicinarsi e fermarla.
“No, no, no, cara Katie” esclamò divertito puntandole la pistola contro e scuotendo la testa. Ora erano uno davanti all’altro, lei a terra e lui in piedi a diversi metri di distanza. Sarebbe stato impossibile però sbagliare quel colpo. Il cuore della donna cominciò a battere furiosamente, il respiro accelerò. “Finalmente siamo solo tu ed io, Katie. Ma neanche questa volta riuscirai a fermarmi. Nessuno ti verrà a salvare stavolta. Tu e il tuo fidanzato scrittore avete smesso di mettermi i bastoni fra le ruote.”
“Sei finito Spark!” gli sputò contro Kate con tutto il coraggio che riuscì a racimolare. “Arrenditi!” Le rise in faccia. Le sembrò di sentire qualcuno che la chiamava in lontananza, ma forse era solo la sua immaginazione. E cos’era quel silenzio improvviso intorno a loro che rendeva la sua risata ancora più forte e diabolica?
“Sì, Katie, io sono finito…” replicò l’uomo con un ghigno. I suoi occhi luccicavano di una luce sinistra. Sembrava completamente pazzo. Mirò alla testa della detective. “Ma tu verrai con me.” E sparò.
Un secondo prima che premesse il grilletto però un’ombra passò davanti a Kate. Si sentì un gemito di dolore.
“NO!” urlò il drago furioso. Beckett approfittò di quell’attimo di distrazione. Si allungò a terra, recuperò la pistola, la puntò oltre l’ombra e sparò tre colpi. Spark cadde a terra di schiena a peso morto. È… è finita? fu il suo primo pensiero. Il drago sembrava immobile. Solo in quel momento Kate si concesse il lusso di guardare l’ombra davanti a sé. Non riuscì a capirne la figura. Notò però una scia di goccioline di sangue sotto questa. E quella che sembrava una fasciatura al braccio. L’ombra si spostò di alcuni passi, lentamente, incespicando, e finalmente la detective poté vederlo in faccia. Rimase pietrificata. Alex. Ancora una volta l’aveva salvata. L’uomo si teneva le mani all’altezza dello stomaco. Beckett sentì delle voci sempre più vicine che la chiamavano.
“KATE!!” L’urlò preoccupato dello scrittore le arrivò come una pugnalata.
“Rick, siamo qui! Ha bisogno di aiuto! Alex è ferito e ha bisogno di aiuto!” gridò la detective per farsi sentire. Quando si girò di nuovo verso Tully sbarrò gli occhi. “Fermo Alex!!” urlò spaventata all’ex-agente. L’uomo stava facendo dei piccoli passi all’indietro ed era sempre più vicino, troppo vicino, alla fine della banchina. Kate provò ad alzarsi, ma la gamba ferita non ne volle sapere di reggerla. I richiami di Rick sembravano troppo lontani. “No Alex fermati!!” gridò ancora disperata, le lacrime agli occhi. Finalmente sentì dei passi arrivare verso di loro. Tully respirava pesantemente e continuava a indietreggiare pericolosamente. Quando i poliziotti entrarono nella loro visuale, sembrava già troppo tardi.
“ALEX!!” urlarono contemporaneamente Kate e Rick. Lo scrittore stava arrivando verso di loro tenendosi il fianco e appoggiandosi a Ryan. Capì subito cosa sarebbe successo se l’ex-agente avesse fatto un altro passo. Alex alzò appena la testa nel sentire la voce del figlio. Gli sorrise. Quindi un piede gli finì fuori dalla banchina e l’uomo cadde all’indietro nelle fredde e sporche acque del fiume Hudson.
“NO!!” gridò Rick. Cercò di staccarsi da Ryan per raggiungerlo, ma impallidì e cadde rovinosamente a terra tenendosi il fianco ferito. “No…” mormorò disperato, gli occhi fissi nel punto in cui l’uomo era scomparso. Esposito e un paio di poliziotti si avvicinarono velocemente alla banchina. Si sporsero per vedere se riuscivano a individuarlo, ma quel punto era particolarmente buio e il salto fino all’acqua era di diversi metri.
“Delle torce presto!” ordinò il detective nervoso. “E qualcuno chiami i sommozzatori!” Se l’acqua fosse stata ben visibile si sarebbe buttato senza esitazione, ma in quelle condizioni era impossibile.
Castle era ancora sdraiato a terra, ma aveva gli occhi puntati su Esposito, come se sperasse che da un momento all’altro il detective allungasse appena la mano oltre la banchina e recuperasse Alex. Finalmente arrivarono le torce. Esposito trovò, a qualche passo di distanza, dei pioli per calarsi in acqua. Ordinò ad alcuni agenti di fargli luce mentre scendeva. Rick lo vide sparire dalla sua visuale nel momento in cui Ryan si portò davanti a lui. Il detective aveva un pezzo di stoffa legato malamente al braccio per bloccare la fuoriuscita di sangue e lo guardava comprensivo.
“Vedrai che lo riprendiamo” gli disse solo Ryan cercando di utilizzare il tono più rassicurante che poté. Ma sapeva bene che le acque dell’Hudson erano spesso traditrici. Se non avessero ritrovato Tully in poco tempo, sarebbe stato molto difficile recuperarlo in seguito, soprattutto se ferito. Rick chiuse gli occhi e appoggiò al testa sull’asfalto. Finse di credergli, ma anche lui conosceva il fiume, le cui acque erano sporche e sempre in movimento verso l’oceano. Un lamento soffocato gli fece rialzare la testa di scatto. Kate! La donna era circondata da due poliziotti che stavano cercando di fermarle il sangue in uscita dalla gamba. La schiena era appoggiata ad una cassa e la testa era reclinata all’indietro in una smorfia di dolore.
“Kate…” la richiamò a bassa voce, affannato. Lei lo sentì comunque. Rialzò la testa. Lo guardò per un secondo negli occhi, ma poi abbassò lo sguardo, come vergognandosi. Rick aggrottò le sopracciglia. Perché era uno sguardo colpevole quello che lei gli aveva rivolto? Cercò di alzarsi faticosamente, ma con scarsi risultati. Per fortuna Ryan venne in suo aiuto. Colmò gli ultimi passi fino alla detective praticamente appoggiato all’amico prima di lasciarsi crollare a terra accanto a lei, spalla contro spalla. Ryan lo aiutò quindi a premere sulla ferita. Rick chiuse per un momento gli occhi cercando di non pensare al dolore che gli stava bucando un fianco. Sentì qualcuno dire che nel giro di due minuti sarebbero arrivate le ambulanze, mentre davano ancora sei minuti per i sommozzatori. “Kate…” mormorò alla fine di nuovo lo scrittore. “Come… come stai? Che è successo?” domandò girando la testa per guardarla. Una goccia di sudore mista a sangue gli cadde sull’occhio, ma lui la scacciò scuotendo la testa.
“Lo dica anche a me, detective” ordinò il capitano Gates spuntando all’improvviso in piedi davanti a loro. Beckett guardò la donna, quindi annuì e cominciò a raccontare dal momento in cui aveva attraversato lo spiazzo per arrivare al magazzino. Gli disse di aver visto Tully liberarsi. Riferì loro come lei e Spark avevano ‘giocato’ al gatto e al topo e di come aveva deciso di sporsi all’improvviso tentando di colpirlo. Quando dovette spiegare come Alex era stato ferito, abbassò lo sguardo sentendosi colpevole.
“Si è portato davanti a me senza che né io né Spark lo vedessimo” disse piano. “Ha perso la pallottola che era destinata a me. All’inizio pensavo non l’avesse colpito perché non si era mosso. Io ne ho approfittato per recuperare la pistola e sparare a quel bastardo… Ma poi si è spostato e ho notato il sangue e… e lui è andato all’indietro senza che io riuscissi a fermarlo…” La voce di Kate si era incrinata. Delle lacrime avevano iniziato a uscire silenziosamente dai suoi occhi. “Mi dispiace” affermò poi all’improvviso rivolta a Rick. Lui la guardò sorpreso e confuso.
“Per cosa?” domandò.
“Perché è stato ferito a causa mia” replicò la donna, sperando nel suo perdono. “Rick, mi dispiace… Non doveva finire così, non doveva succedere! E ora sarà colpa mia se Alex dovesse…” Non riuscì a finire la frase che Rick riuscì faticosamente a raggiungere con una mano il suo viso e le appoggio il pollice sulle labbra.
“Non è colpa tua, chiaro?” dichiarò convito guardandola negli occhi. “Non pensarlo assolutamente. Non sei tu che hai progettato la trappola. Non sei tu che hai programmato di ucciderci…” Una fitta al fianco lo fece interrompere per un momento. Quindi prese un respiro e continuò. “Non sei tu che gli hai sparato, Kate, ok?”
“Ma quel proiettile era destinato a me…” sussurrò la donna, abbassando gli occhi. Rick la bloccò ancora una volta e le alzò delicatamente il mento.
“Kate, guardami” la supplicò lo scrittore. Finalmente alzò lo sguardo e si immerse nei suoi rassicuranti, seppure addolorati, occhi blu. “Non è colpa tua. Non gli hai sparato tu. Se vuoi dare la colpa a qualcuno, dalla all’uomo che impugnava la pistola e che ha minacciato noi e le nostre famiglie di morte.” La donna lo guardò per qualche secondo, poi annuì e gli sorrise appena per ringraziarlo.
In quel momento sentirono sopraggiungere le autoambulanze. Un agente avvertì la Gates che stava arrivando anche il medico legale per trasportare via i morti rimasti nello spiazzo.
Tre ambulanze si fermarono a pochi metri da loro. Due medici scesero da una di queste e si diressero subito verso Castle e Beckett. Un altro assistette Ryan. Un quarto stava iniziando a controllare gli altri feriti.
“Perché portano via un cadavere?” domandò Rick all’improvviso confuso. Kate e la Gates, ancora accanto a loro, seguirono il suo sguardo. Due medici stavano mettendo Spark su una barella e lo stavano portando velocemente in ambulanza.
“Perché non è un cadavere, signor Castle” replicò il capitano, mantenendo gli occhi sulla scena, impassibile. I due invece la guardarono sbalorditi.
“Cosa?? Ma allora…” cercò di dire Kate stravolta.
“Spark non è morto” spiegò la Gates con calma fugando ogni dubbio. “Almeno per ora.” In quel momento arrivarono i sommozzatori che raggiunsero subito Esposito ancora in acqua. Ne videro tre calarsi giù dalla banchina velocemente con torce subacquee, maschere e pinne. “Signor Castle” lo richiamò il capitano. L’uomo era rimasto come ipnotizzato dalla scena. La Gates allungò una mano. “In suo cellulare se non le spiace. Ora è un elemento di prova.” Rick sbatté le palpebre e annuì. Con qualche difficoltà data dalla ferita al fianco, che il medico stava cercando di coprire bene prima di spostarlo sull’ambulanza, tirò fuori il telefonino miracolosamente illeso dalla tasca e glielo passò. Il capitano annuì e gli sorrise appena. Stava per voltarsi e andarsene quando si fermò e tornò a osservarli. C’era una punta di orgoglio nello sguardo che gli rivolse. “Forse Spark non è morto ancora…  Ma se sopravvivrà, posso assicurarvi che il drago non sarà più in grado di sputare nemmeno la fiammella necessaria per accendere un fiammifero.”
 
Tre settimane dopo non c’era ancora traccia del corpo di Alex. I sommozzatori l’avevano cercato per tutto il porto, ma a quanto pareva quello era un punto un cui le correnti erano piuttosto forti. Inoltre nei giorni successivi c’era stato del maltempo che aveva in parte rallentato, se non proprio fermato, le ricerche. I sub avevano comunicato alla famiglia Castle che dopo tre settimane il corpo di Tully avrebbe potuto benissimo essere in mezzo all’Atlantico o nella bocca di qualche pescecane. E che se anche si fosse incastrato sul fondo del fiume sarebbe stato comunque quasi impossibile ritrovarlo, visto che lo sporco dell’Hudson non permetteva di vedere a un metro dalla propria faccia. Dopo tre settimane i sommozzatori smisero le ricerche. Decisero che era il momento di organizzare il funerale.
Di quelle tre settimane, Castle e Beckett ne avevano passata una, la prima dopo la sparatoria, in ospedale. Lo scrittore era riuscito a ottenere che la donna avesse un lettino accanto al suo. In quel momento lui aveva bisogno di lei e lei di lui.
Spark era riuscito a sopravvivere, ma non sarebbe mai tornato normale. Oltre al fatto che la detective gli avesse bucato lo stomaco, uno dei proiettili gli si era infilato tra due vertebre e l’aveva lasciato quasi del tutto paralizzato dalla vita in giù. Inoltre avrebbe sofferto di dolore alle ossa per sempre, attenuato solo in parte da un mix di antidolorifici. Spark venne ricoverato al carcere di massima sicurezza di New York da dove non sarebbe mai più uscito. Il processo contro di lui concluse proprio dopo tre settimane con la sentenza di colpevolezza per Franklin Spark Junior per ogni capo d’accusa che gli era stato imputato. La condanna era stata fissata di cinque ergastoli. Con lui, grazie ai documenti di Montgomery, furono catturati anche altri alti esponenti politici e di polizia. Giustizia era stata finalmente fatta.
Quelle tre settimane in ogni caso erano state dure per tutti. Quando le avevano detto di Tully, Martha era come entrata in uno stato catatonico. Certo, era presente con il corpo in ospedale dal figlio e da Kate e a casa con Alexis. Ma la vitalità che aveva sempre caratterizzato l’attrice pareva essersi spenta. Sembrò risvegliarsi da quel lungo sonno solo quando le dissero che non avrebbero continuato le ricerche dell’uomo. Solo allora Martha si permise di perdere la speranza e piangere, nascosta nella sua camera pensando di non essere sentita. Alexis invece, al contrario della nonna, aveva pianto la prima settimana. Poi col tempo si era rassegnata.
Kate e Rick invece sembravano ancora non sapere come stavano. Il drago era stato sconfitto. Ora la donna poteva riprendersi la sua vita, ma ancora una volta aveva paura. Paura che una volta tornata al distretto non avrebbe più avuto la stessa forza di prima. Paura di perdere presto o tardi quella voglia di giustizia per i parenti delle vittime che l’aveva resa la migliore. Se così fosse stato, non sarebbe più stata in grado di fare la detective. Lo scrittore invece non sapeva cosa provare per Alex. Lo odiava per averlo abbandonato di nuovo. Lo odiava non essersi fatto vedere per anni. Lo odiava per essere spuntato e poi scomparso. Lo odiava. Ma odiava anche sé stesso, perché gli mancava.
Detective e scrittore in quelle tre settimane si sostennero e si sfogarono l’uno con l’altro. Ma il dubbio restava. E mentre Kate, grazie all’aiuto dell’uomo, sembrava lentamente uscire dalle sue incertezze, Rick pareva invece non riuscire a trovare pace con sé stesso al suo dilemma. 

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Xiao a tutti! Questa è la segreteria telefonica di Lanie Paciock. Al momento non sono raggiungibile. Sto partendo per un viaggio intergalattico con la Serenity. Questo non perché voglia scappare da metà fandom che vuole uccidermi, no, che andate mai a pensare?? E ovviamente neppure perché una certa draghetta (*cough*Katy*cough*) mi ha sguinzagliato dietro un cecchino se non due... Ovviamente no! In ogni caso ritengo più opportuno partire (non si sa mai)... Comunque non potete ancora farmi fuori perché c'è un ultimo capitolo in serbo per voi...
Detto questo, lasciate pure un messaggio dopo il bip e (se non mi manacciate di morte) sarete richiamati.
BEEP

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Capitolo 19
*** Buona fortuna ***


Ok, ehm... prima di predere fucili, pistole, pugnali, forconi, lance e quant'altro, leggete fino in fondo! ;) (ci tengo alla mia vita ù.ù)
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Cap.19 Buona fortuna

Rick finì automaticamente di legarsi la cravatta al collo. Quando si guardò allo specchio si stupì di trovarsi già pronto nel suo completo nero. Si era alzato, lavato e vestito senza nemmeno accorgersene. Non aveva neanche percepito il consueto dolore al fianco che da un mese lo perseguitava in ogni movimento.
È davvero già passato un mese? si ritrovò a pensare sorpreso. Scosse la testa e si guardò di nuovo allo specchio, ricordando ancora una volta quella notte d’inferno. La ferita che Maddox gli aveva inferto al volto si era cicatrizzata e ora rimaneva solo una lunga, ma sottile, striscia rossiccia che partiva da sopra il sopracciglio e gli finiva al mento. I medici gli avevano detto che presto sarebbe sbiadita e che col tempo forse non si sarebbe neanche notata troppo. Quella al fianco invece avrebbe lasciato un segno evidente e indelebile. Kate però gli aveva assicurato che le cicatrici lo rendevano ancora più affascinante e misterioso. Sorrise appena pensando alla sua musa. Quella notte lei aveva conquistato una cicatrice in più alla gamba. E si era riconquistata la sua vita. Questo l’aveva spaventata a morte, lui aveva capito subito dal suo sguardo. Ma era riuscito a farle comprendere e a convincerla che il suo modo di interagire con le vittime e con i parenti non sarebbe cambiato. Anzi avrebbe agito anche meglio sapendo come ci si sente ad avere finalmente giustizia. Aiutando anche gli altri a guardare avanti nonostante il dolore.
“Papà, sei pronto?” La voce di Alexis che lo chiamava lo risvegliò dai suoi pensieri.
“Sì, tesoro, arrivo” rispose. Si diede un’ultima occhiata distratta dallo specchio e uscì dalla camera. La ragazza era seduta al piano bar della cucina. Indossava un vestito nero a maniche lunghe. Notò che quell’oscurità la rendeva più pallida. O forse era proprio la sua bambina a essere più pallida quel giorno. La ragazza aveva davanti a sé una tazza da colazione e un cartone di latte, ma sembrava non volersi decidere a versarlo. “Tutto bene?” domandò lo scrittore avvicinandosi a lei e lasciandole un piccolo bacio sulla testa. Alexis si voltò verso il padre e annuì facendogli un mezzo sorriso. Il suo sguardo però era triste. Rick avrebbe voluto far qualcosa per risollevarle il morale, ma non credeva ne sarebbe stato capace quel giorno. “Non fai colazione?” chiese ancora l’uomo facendo un cenno con la testa alla tazza vuota di fronte a lei. La ragazza scosse la testa.
“Non ho molta fame…” mormorò osservando lei stessa con sguardo perso la ciotola. L’uomo sospirò e la tirò a sé per abbracciarla, poggiando il mento sulla sua testa. La figlia si strinse subito a lui.
“La nonna?” domandò dopo qualche secondo lo scrittore.
“Era quasi pronta. Dovrebbe scendere tra poco” rispose piano. Rimasero in quella posizione per un tempo che avrebbero detto infinito, ma che durò solo pochi minuti. “Mi sarebbe piaciuto conoscerlo di più…” sussurrò quindi Alexis sul suo petto. La sua voce era appena incrinata. Rick non ebbe bisogno di chiederle di chi stava parlando. L’uomo non poté fare altro che accarezzarle la schiena dolcemente e lasciarle un altro bacio sulla testa. “So che non andate d’accordo, che ti ha lasciato, ma non era cattivo…” continuò la ragazza, mentre la voce minacciava di spezzarsi. “E lo so che l’ho conosciuto per poco, ma sono… sono certa che ti volesse bene, papà. Davvero bene. Tanto quanto tu ne vuoi a me.” Allo scrittore si formò un groppo in gola. Strinse di più a sé la figlia.
“Questo è impossibile” replicò piano Rick dopo qualche secondo staccandola appena da sé per guardarla negli occhi. “Nessuno ama un figlio tanto quanto io amo te, piccola” spiegò con un lieve sorriso. Alexis gli sorrise di rimando, gli occhi umidi.
“Mi mancherà…” mormorò quindi la ragazza aggrappandosi di nuovo al padre e nascondendo la testa sul suo petto. Rick rivide in lei la bambina che era stata e che credeva di aver perso con il diploma. Ma non era vero. Lei era sempre lì. E lui ci sarebbe stato sempre per lei.
Non seppe cosa replicare, quindi semplicemente continuò a tenerla contro di sé e ad carezzarle la schiena. In quel momento sentirono dei passi in cima alle scale e videro Martha scendere. Indossava un tailleur nero e sulla faccia aveva già posizionato un paio di grandi occhiali da sole. Rick sospettava li avesse già messi per nascondere loro le profonde occhiaie. Non aveva dormito molto nell’ultima settimana, anzi quasi nulla, e sempre più spesso l’avevano sorpresa con un bicchiere pieno di chissà quale alcool in mano.
“Andiamo?” domandò l’attrice. Il tono era spento e rassegnato. La vitalità che l’aveva sempre caratterizzata sembrava essersi spenta del tutto. Perfino alla morte di Chet, dopo qualche tempo, si era ripresa e aveva fondato la scuola a suo nome. Ma ora sembrava ben lontana dal volersi rimettere.
Rick sospirò e annuì. Quindi rilasciò Alexis e tutti e tre si diressero silenziosamente alla porta di casa.
 
Passarono a prendere Kate al suo appartamento. Quando la donna uscì dal portone, notarono che zoppicava appena dalla gamba ferita. Faceva ancora un po’ fatica a camminare, ma non aveva voluto saperne di tenere delle stampelle. Videro anche che indossava la divisa della polizia come al funerale di Montgomery.
Arrivarono al cimitero un quarto d’ora dopo. La tomba era stata posizionata quasi al centro di esso, sotto un grande albero che gli faceva ombra. Con un certo umorismo nero, Rick pensò che così com’era stata la sua vita, ora sarebbe stata anche la sua morte: nell’ombra. Solo in un secondo momento si ricordò che in realtà quella cassa da morto era vuota. Trovarono il prete già lì accanto che scambiava qualche parola con due uomini. Dalle vanghe in mano, capì che dovevano essere quelli che avevano scavato la fossa e che l’avrebbero poi riempita più tardi. Rick, Kate, Martha e Alexis furono i primi ad arrivare. In pochi minuti però furono raggiunti anche da Esposito e Ryan, anche loro in divisa, da Lanie e dal capitano Gates. Con grande sorpresa dello scrittore, arrivò anche il padre di Kate, Jim.
Tre sedie erano posizionate a lato della fossa. Erano lì per i familiari, ma solo Martha e Alexis si sedettero. Rick rimase in piedi, davanti a quel buco con sopra una tomba vuota pronta per essere sotterrata. Ad un tratto sentì una mano che si intrecciava con la sua. Conosceva quel calore. Conosceva quel profumo di ciliegie che si portava dietro. Voltò appena la testa e incontrò lo sguardo comprensivo di Kate. Le fece un mezzo sorriso triste e grato e lei gli strinse appena la mano in risposta, a indicargli che sarebbe stata lì con lui. Nonostante ancora Rick non sapesse che sentimenti provare verso quella tomba vuota, la sua musa l’aveva aiutato molto a cercare di comprenderli durante il mese trascorso. E non lo aveva soccorso solo in quel caso. Kate aveva cercato di infondergli speranza, quando la sua vacillava. Lo aveva tirato su, quando il suo morale era caduto a terra. Lo aveva calmato, quando aveva avuto qualche scoppio d’ira. Lo aveva risvegliato dal suo personale dormiveglia, quando aveva iniziato a trascurare sua figlia e sua madre aveva cominciato a bere in modo preoccupante. Lo aveva cullato, stretto e amato, quando si era sentito solo e abbandonato. Se non fosse stato per la presenza della sua musa, lui sarebbe rimasto per un mese chiuso in camera, diviso internamente, sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto con una bottiglia di whiskey in mano.
Entrambi si girarono a osservare la tomba. La lapide su di essa era molto semplice, in marmo bianco e ad arco. Non c’erano foto. Solo poche parole. Il nome Alex Tully era impresso nel mezzo della pietra a grandi lettere dorate. Poco più in basso le date di nascita e di morte. Non avevano voluto scrivere altro.
Kate rimase accanto a lui per tutta la durata della breve cerimonia funebre. Rick non si mosse per tutto il tempo. Sembrava una statua, gli occhi puntati su quella bara color legno scuro davanti a lui. Non sentì praticamente nulla delle parole del pastore. Nessuno fece discorsi quel giorno. Nessuno anzi aprì bocca. Gli unici altri rumori, oltre alla voce bassa del prete e al lieve frusciare del vento, erano i lievi singhiozzi provenienti da Martha a cui si aggiungevano di tanto in tanto quelli di Alexis.
La predica finì, il sacerdote fece loro le condoglianze e se ne andò. Lentamente, anche i partecipanti si allontanarono. Lanie si portò accanto a Martha, sorreggendola con una mano sulle sue spalle e cercando di confortarla. Esposito e Ryan invece si occuparono della piccola Castle come due fratelli maggiori.
“Kate…” mormorò ad un tratto Rick. “Kate io… io vorrei…” non sapeva come chiederglielo. Voleva stare un momento solo, ma non voleva che lei pensasse che volesse allontanarla. Non dovette continuare però perché la sua musa capì lo stesso. Gli sorrise appena. Un sorriso di comprensione. Gli si avvicinò e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.
“Ti lascio solo” disse la donna dolcemente guardandolo negli occhi. Sapeva bene che a volte si voleva solo restare soli con il proprio dolore e con le proprie emozioni. Lei meglio di chiunque altro lo sapeva. “Quando vuoi, io ti aspetto all’entrata. Prenditi tutto il tempo che ti serve, ok?” L’uomo annuì sollevato e mormorò un ‘Grazie’. Quindi la donna gli carezzò la guancia, gli lasciò la mano e se ne andò. Una volta solo, lo sguardo di Rick fu inevitabilmente attratto di nuovo da quel pezzo di legno davanti a lui. Perché non era altro. Un pezzo di legno vuoto.
Un paio di minuti dopo si sorprese nel sentirsi le guance bagnate. Per tutto il mese non aveva versato una singola lacrima. Non era una questione di forza. Si piange quando si perde qualcuno che si ama. Ma lui non aveva mai amato suo padre. Come avrebbe potuto amare qualcuno che non aveva mai avuto? O meglio l’aveva avuto, ma per troppo poco per poterlo apprezzare. Quindi non avrebbe saputo spiegarsi in quel momento come avesse fatto a ritrovarsi a piangere silenziosamente sulla tomba vuota di un uomo che gli era quasi del tutto sconosciuto.
Ad un tratto sentì dei passi dietro di lui. Si asciugò velocemente le lacrime e nel voltarsi vide Jim Beckett. Si era dimenticato della presenza del padre di Kate. Jim si fermò accanto a lui, gli occhi fissi sulla tomba.
“Avanti, Rick, chiedimelo” disse dopo qualche secondo con un sospiro. Il tono era divertito e triste insieme. Lo scrittore tirò su con il naso e pulì gli occhi dalle ultime lacrime, mentre lo guardava sottecchi. Quindi si decise a parlare.
“Perché sei qui?” domandò appena fu sicuro che la sua voce non l’avrebbe tradito. Non c’era rabbia nel tono. Solo confusione e curiosità. “Tu l’hai sempre odiato. Ti ha detto dio solo sa quali cose quando è morta la madre di Kate e… Non ti sto dicendo che non dovevi venire” aggiunse velocemente lo scrittore per paura di offenderlo. “Solo non capisco. Non avevi motivo di venire al suo funerale.”
“Eppure sono qui” replicò con lo stesso tono di prima Jim, lanciandogli un’occhiata. Poi invece si fece più serio. Tornò a fissare la lapide bianca e prese un respiro profondo prima di parlare. “Però hai ragione” replicò a sorpresa. “Io l’ho odiato. L’ho odiato con tutto me stesso per anni...” Il suo sguardo si perse tra i ricordi e Rick lo vide stringere i pugni. Dopo qualche secondo però Jim scosse appena la testa per riprendersi e si rilassò nuovamente. Quindi guardò lo scrittore negli occhi. “L’ho odiato per quello che mi ha fatto. Per le accuse che mi ha mosso, per avermi tenuto lontano da Kate in quelle prime terribili ore dopo la morte di Johanna... Ma solo ora capisco perché lo ha fatto. Solo ora comprendo che l’ha fatto non solo perché era il suo lavoro, ma anche per Jo e per Katie. Perché potessero avere giustizia.” Si fermò e prese un breve respiro. I suoi occhi erano diventati lucidi. “Alex Tully ha sottratto alla morte mia figlia al costo della sua vita, Rick…” disse con voce appena incrinata. “E io dovrò aspettare di morire per poterlo ringraziare personalmente di aver salvato la mia bambina…” Quindi Jim tornò a fissare la lapide, incapace di andare avanti. Rimasero entrambi in silenzio per qualche momento. “Io non piangerò per lui” dichiarò all’improvviso con voce ferma. Rick si voltò a guardarlo confuso, le sopracciglia aggrottate. “Mi ha fatto troppo male. Ma non lo odio più. È arrivato il momento di chiudere una volta per tutte questa faccenda. Bisogna di lasciarsi il passato alle spalle e andare avanti, ricordando solo i momenti più belli che si sono passati. Bisognerebbe ricordare sempre così i propri morti” aggiunse con tono sognante, come se quel pensiero gli fosse venuto in mente solo in quell’istante. “Nel loro massimo splendore. Perché sono quelli gli unici momenti che rendono la vita degna di essere vissuta.” Detto questo, Jim si voltò verso lo scrittore e gli poggiò una mano sulla spalla. “Tully ha fatto molte cose discutibili, ma ne ha fatte molte altre buone…” Rick emise in leggero sbuffo.
“Già” replicò scoraggiato. “Ma le cose buone bastano a tralasciare quelle cattive?” Jim gli sorrise appena e gli strinse la spalla.
“A questo puoi rispondere solo tu, Rick.” Quindi gli fece un ultimo mezzo sorriso e se ne andò, senza lasciargli il tempo di replicare. Lo scrittore guardò Jim allontanarsi senza dire una parola, la bocca semiaperta per il discorso appena sostenuto dal padre della sua musa. Quindi tornò a guardare la lapide bianca. Sentì che i due uomini con le vanghe stavano tornando, ma non se ne curò. Forse è per questo che non so cosa provare… pensò con un sospiro. Perché non riesco a decidermi se ciò che hai fatto ora è abbastanza per cancellare, o almeno far sbiadire, ciò che hai fatto in passato. Ma la domanda resta: il bene che hai compiuto basta per passare oltre il male?
 
Una settimana dopo il funerale di Tully, Rick stava camminando immerso nei suoi pensieri nel mezzo di Central Park. La giornata era soleggiata e la temperatura perfetta per stare all’aperto. Ma non era solo per questo che lo scrittore era lì.
Kate era al suo appartamento in fase ‘preparazione valigie’. L’indomani infatti sarebbero partiti per gli Hamptons. Non era solo il fatto che voleva mostrarle la casa o perché le aveva promesso di andare un mese lì. Il motivo era un altro. Voleva cambiare aria. Aveva bisogno di un periodo di riposo solo con la sua musa, lontano da New York, lontano da tutto e da tutti. Tranne che da lei. E Kate l’aveva capito subito. Aveva acconsentito senza dire nulla. Era semplicemente andata al distretto, dove aveva ripreso a lavorare senza problemi, e aveva richiesto delle ferie arretrate alla Gates. Non sarebbe stata una vacanza particolarmente allegra, ma capiva che Rick volesse staccare la spina per un po’. Anzi era rimasta stupita quando le aveva proposto di accompagnarlo.
Quel giorno c’erano sia sua madre che sua figlia in casa. Martha sembrava stesse finalmente cominciando a dormire la notte e gli alcolici erano leggermente diminuiti. Alexis invece o usciva con Paige o leggeva. Quando era a casa ormai si buttava a capofitto nei libri e ci si perdeva dentro per ore, non avendo ancora da studiare. Rick sapeva bene perché lo faceva. Voleva estraniarsi da loro e dal mondo. E come biasimarla, quando sua nonna girava ubriaca o catatonica per casa e suo padre sembrava cambiare umore ogni mezz’ora, sempre con la testa altrove, ritornando quasi simile a sé stesso solo in presenza di Kate? Rick era uscito per distrarsi, ma anche per non dare ulteriore peso a sua figlia.
Sospirò e sperò che quella maledetta situazione finisse presto. Non sopportava più nemmeno lui quello che era diventato. Un paio di bambini gli sfrecciarono davanti rincorrendosi e lui sorrise. Era da tanto che non veniva a Central Park. Quando era piccolo, Martha lo portava spesso poiché abitavano in un appartamento poco lontano. E lui ci aveva portato Alexis da bambina. Ma poi lei era cresciuta e quando lui aveva iniziato a lavorare al distretto non aveva più avuto molto tempo per passeggiare.
Vide una panchina libera all’ombra e vi si andò a sedere stancamente. Si accorse solo in quel momento di riconoscere il luogo. Era uno dei suoi posti preferiti. Di lato alla panchina c’era un piccolo spazio quadrato di erba verde. Era un po’ nascosto a causa degli alberi che lo circondavano su tre lati, ma lo ricordava bene. Quando era bambino ci giocava lì spesso a pallone o a baseball con i suoi amici. Questo finché un giorno, il giorno del suo undicesimo compleanno, non venne un gruppetto di ragazzi più grandi e grossi. Dissero che il terreno era loro e che i bambinetti non erano ammessi. Lui aveva tentato di scacciarli, dicendogli che erano arrivati prima loro e che se anche erano grandi non avevano il diritto di prendersela con i più piccoli. Avevo una certa linguetta anche all’epoca pensò lo scrittore sorridendo internamente. A quel punto però quei ragazzoni l’avevano circondato e gli altri bambini erano scappati. Se non fosse passato per caso di lì un uomo e non lo avesse visto in difficoltà, probabilmente sarebbe finita male per lui. In ogni caso, a parte quell’atto di bullismo, avrebbe ricordato quel giorno come uno dei più belli della sua vita…
Fece un sospiro vedendo quello spiazzo ora vuoto e si passò una mano nei capelli. Quindi si sporse in avanti sulla panca, le braccia appoggiate alle gambe, le mani unite, e rivolse lo sguardo al parco che si espandeva davanti a lui. Vide una bimba poco lontano che tentava di fare i primi passi sull’erba fresca seguita a ruota da quello che doveva essere il padre. Sorrise appena. Quell’immagine gli ricordava sé stesso e la sua piccola Alexis quando le aveva insegnato a camminare proprio come stava facendo in quel momento quell’uomo. Con le mani intorno al corpicino della piccola senza però toccarla, in modo da prenderla al minimo cedimento, ma lasciandola comunque libera. Con lo sguardo preoccupato, ma allo stesso tempo felice per i progressi della sua bambina.
Fece un altro sospiro e spostò gli occhi da quel quadretto felice. Poco lontano vide i due ragazzini che prima gli erano sfrecciati davanti che ora stavano giocando a tirarsi un pallone rosso fuoco.
Perso nei suoi pensieri, percepì a malapena qualcuno sedersi vicino a lui, dalla parte opposta della panchina.
“Gran bella giornata per stare all’aperto, vero?” Appena sentì quella voce, Rick chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Quindi abbandonò in avanti la testa e sorrise appena. Come d’incanto un peso, che doveva aver avuto nel cuore, ma di cui non si era reso conto, svanì. Riaprì gli occhi, rialzò la testa e si voltò. Alex Tully era comodamente seduto accanto a lui, rilassato, la schiena ben poggiata alla panchina e un braccio posato distrattamente sulla parte più alta di questa. Indossava un completo chiaro e una camicia blu con un bottone aperto sul collo, come il giorno in cui l’aveva incontrato al distretto. Aveva un lieve sorriso in volto. Non lo stava guardando. Aveva gli occhi puntati anche lui verso i due ragazzini che stava osservando prima. Quando sentì lo sguardo dello scrittore su di sé però si voltò. E finalmente Rick rivide quegli occhi blu scuro che pensava non avrebbe più avuto l’opportunità di confrontare con i suoi.
Lo fissò senza sapere cosa dire, mentre diverse emozioni lo agitavano internamente. Alex era sparito per più di un mese facendo credere a tutti di essere morto. Aveva causato più dolore che altro. Rick avrebbe dovuto essere arrabbiato come mai. Ma l’unico sentimento che riusciva a provare in quel momento era sollievo.
“Già, davvero bella” rispose lo scrittore annuendo appena. Alex gli sorrise. Rick notò che sembrava più magro e invecchiato rispetto all’ultima volta in cui l’aveva visto. Il viso era un po’ più scavato e ricordava meno rughe d’espressione.
“Ho sentito che hanno fatto un bel po’ di pulizia in queste ultime settimane” dichiarò divertito l’ex-agente. “Peccato non aver potuto assistere direttamente al processo di Spark. Mi sarebbe davvero piaciuto vedere la faccia di quel verme quando l’hanno condannato a cinque ergastol…”
“Dove sei stato?” domandò tutto d’un fiato Rick non riuscendo a trattenersi. C’era dolore in quella domanda. Più dolore e meno rabbia di quanto si aspettasse. Tully non gli rispose subito. Emise un respiro profondo, si fece serio e tornò a rivolgere lo sguardo al parco.
“Quando Spark ha sparato” replicò dopo qualche secondo. “Io sono caduto in acqua, diciamo… non proprio accidentalmente…” ammise. Rick lo guardò con la bocca spalancata.
“TU COSA??” domandò lo scrittore con voce strozzata, mentre si rizzava sulla panchina. “Mi stai dicendo che ti ci sei buttato da solo nel fiume??” Lo sguardo colpevole di Alex diceva abbastanza.
“Quando ero più giovane alla CIA si facevano molte prove fisiche perché avessimo sempre un corpo allenato” replicò per spiegarsi, gli occhi bassi. “Tra queste c’erano anche i tuffi da grandi altezze e io, lasciando da parte la modestia, ero uno dei migliori. Approfittai del colpo di Spark e sparii tra le acque, anche se forse non fu propriamente la mossa più intelligente...” Un sonoro sbuffo da parte di Rick lo fece sorridere. ”Immaginavo che la tua registrazione sarebbe stata abbastanza per inchiodare quel bastardo, ma nel caso non avesse funzionato avrebbe avuto per lo meno un’accusa di omicidio sicura” Rialzò gli occhi sul figlio. “Inoltre dovevo sparire. Non potevo permettere che il mio nome o la mia faccia venisse fuori accidentalmente in qualche giornale o altro.”
“Ma perché?” chiese Rick esasperato e confuso.
“Perché quando ci siamo incontrati, io non ti ho detto completamente la verità” rispose in tono di scuse Alex. L’espressione dello scrittore si indurì. Ancora segreti? Ancora bugie? “Non sono un ex-agente in pensione” continuò l’uomo passandosi una mano tra i non più tanto corti capelli grigi. “Sono ancora un agente operativo. Solo che mi sono preso una lunga… vacanza, se vogliamo chiamarla così. Avevo diversi giorni di ferie arretrate e vi ho dato praticamente fondo.” Guardò Rick come sperando di avere la sua comprensione, ma lo scrittore sembrava indossare una maschera tanto la sua espressione era indecifrabile. “Mi dispiace avervi causato ancora dolore, Richard, ma non potevo farmi vedere coinvolto sulla scena di un arresto senza che nessuno dei miei superiori sapesse nulla. Mi sarei giocato la carriera.”
“Quindi è solo questo che conta, giusto?” domandò Rick, questa volta con la rabbia che saliva, i pugni serrati sulle gambe, lo sguardo deluso. “La carriera.”
“No, non è per niente così” replicò subito l’uomo con tono fermo e un po’ offeso. “Se fosse contata solo la mia carriera, non mi sarei mai fatto coinvolgere da Roy e Jonathan in questo caso. Invece mi sono staccato dalla CIA per non avere freno, per essere libero di aiutarvi a catturare l’uomo che da anni continuava a distruggere o rovinare vite. Compresa quella della tua detective Kate Beckett.” Al nome della sua musa, la rabbia dello scrittore sembrò sgonfiarsi. Si passò una mano tra i capelli e fece un respiro profondo.
“A proposito di questo…” mormorò Rick voltando la testa per guardarlo negli occhi. “Grazie.” Non servì dire altro perché il tono in cui lo pronunciò era profondamente grato. E Alex dovette capirlo perché gli sorrise dolcemente.
“Tieniti stretta quella donna, ragazzo” disse piano. “Non si incontra spesso una come lei. È davvero straordinaria.” Rick fece un mezzo sorriso a quell’affermazione.
“Lo so” replicò. “Per questo la amo.”
“Ah, tra l’altro c’è una cosa che volevo chiederti da un po’ riguardo a questo…” esclamò Alex all’improvviso facendogli un sorrisetto furbo. “Dì un po’, ma sbaglio o quando hai scritto di Nikki Heat e Jameson Rook ancora tu e la tua detective non eravate insieme?” Rick sorrise imbarazzato e si passò una mano sul collo, nervoso.
“Ehm… no, direi… direi proprio di no…” rispose balbettando. Si sentiva come un ragazzino sorpreso dal padre a baciarsi con la fidanzatina sul divano di casa.
“Però devi averci fantasticato parecchio da quanto ho letto nei tuoi libri…” aggiunse l’uomo ghignando.
“Alex!” esclamò lo scrittore tra l’indignato e il divertito. Dio, quanto aveva desiderato un padre anche per quelle piccole conversazioni imbarazzanti! Ora che ci era dentro però, non è che le volesse più molto…
Tully alzò le mani in segno di resa continuando però a ridacchiare. Quindi calò il silenzio per qualche momento, mentre entrambi tornavano a osservare il parco. Non era un silenzio imbarazzato o teso come lo era sempre stato tra loro da quando si erano conosciuti. Per la prima volta Rick si sentì a sua agio in presenza di Alex. In presenza di suo padre.
“Dove sei stato per tutto questo tempo?” domandò dopo qualche minuto lo scrittore. C’era più curiosità questa volta che altro. Alex sorrise appena.
“Quando sono ‘caduto’ in acqua” rispose l’uomo. “Perdevo abbastanza sangue, ma ero cosciente e riuscivo a muovermi, seppure con dolore…” Si fermò un momento, le sopraciglia aggrottate, probabilmente ricordando quegli attimi bui. Rick lo vide passarsi inconsciamente una mano sulla pancia, nel punto in cui lo scrittore dedusse doveva essere stato colpito. Rimase in silenzio a osservarlo, aspettando che continuasse. Dopo qualche secondo Alex scosse la testa per riprendersi. “Conosco il fiume e le sue correnti. Così, un po’ facendomi portare e un po’ nuotando, mi sono spostato senza che voi mi vedeste aiutato dalle zone d’ombra della banchina. Stavo galleggiando già da un po’ quando ho notato una scaletta in un molo poco lontano da me e ci sono salito. Per fortuna c’era una cabina telefonica a dieci metri di distanza. Mi ci avvicinai con fatica e chiamai un mio amico chirurgo, pregandogli di venirmi a prendere subito senza dire nulla a nessuno. Arrivò nel giro di dieci minuti e mi portò a casa sua. Sono rimasto lì per un mese” disse atono con sguardo perso verso il parco. “Il proiettile di Spark era entrato e uscito e fortunatamente non aveva leso nessun organo vitale. Ma avevo perso molto sangue e l’acqua in cui mi ero immerso non era certo calda e pulita. Quando arrivai da lui avevo un principio di ipotermia e rischiai un’infezione…” Si girò a guardare Rick negli occhi. Lo scrittore era attento e non aveva perso una parola. Aveva la bocca leggermente aperta e uno sguardo preoccupato. “Per tutto il mese mi curò in segreto a casa sua. Solo una settimana fa sono riuscito a rimettermi in piedi senza aiuto. Non è la prima volta che mi sparano, ma in fondo non sono più così giovane…” aggiunse ridacchiando piano.
“Aspetta… una settimana fa?” ripeté Rick confuso aggrottando le sopracciglia. “E perché ti sei fatto vedere solo adesso?”
“Beh, chi non vorrebbe assistere al proprio funerale?” domandò divertito. A Rick cadde la mascella.
“Eri presente?” chiese incredulo. Alex si fece più serio e annuì. Rick scosse la testa cercando di dare un senso a quelle parole. “Perché non ti sei fatto vedere?”
“In realtà non sapevo se mostrarmi o meno” spiegò l’uomo con un sospiro. “Non credevo avreste sofferto la mia mancanza e…”
“E allora sei uno stupido”dichiarò lo scrittore serio, interrompendolo e guardandolo negli occhi. Alex rimase sorpreso dal tono duro delle sue parole. “Sai cosa provava, e prova tutt’ora, mia madre per te. È stata malissimo quando sei scomparso. Senza contare mia figlia, che si era affezionata a te e…”
“E tu?” domandò Alex all’improvviso, spiazzandolo. Nei suoi occhi Rick poté leggere l’ansia nascosta in quella domanda. Rimase in silenzio, non sapendo bene cosa rispondere, ma guardandolo male per aver provocato tanto dolore alla sua famiglia.
“Perché mostrarsi ora? Perché a me?” chiese piano senza staccare gli occhi da quelli blu scuro che gli stavano davanti. Alex non riuscì a sopportare il suo sguardo e abbassò la testa.
“Perché ti ho sentito… ti ho sentito al funerale” rivelò, quasi vergognoso. Rick aggrottò le sopracciglia confuso e l’uomo si spiegò. “Mentre parlavi con Jim Beckett.” Un lampo di comprensione allora passò sul volto dello scrittore. “Speravo… speravo che dopo un settimana tu avessi trovato una risposta alla tua domanda…” continuò nervoso, lanciandogli uno sguardo furtivo. “Le cose buone che ho fatto bastano a cancellare quelle cattive?” Rick annuì piano, capendo finalmente perché Alex avesse aspettato tanto. Lui stesso aveva rimuginato su quella domanda per tutta la settimana, senza scovare però una soluzione. Solo nell’ultima mezz’ora aveva trovato la risposta.
“No” replicò dopo qualche secondo. “Non basta a cancellare il male fatto.” Alex trattene il respiro e abbassò lo sguardo a quella risposta, il dolore dipinto in faccia. “Ma…” L’agente drizzò subito la testa, speranzoso. Rick fece un respiro profondo prima di continuare. “Ma credo che al momento possa bastare a passarci sopra” continuò con un mezzo sorriso. Una nuova luce sprizzò improvvisamente dagli occhi blu dell’uomo di fronte a lui. Lo vide aprire la bocca per parlare, ma non ne uscì suono. Così la richiuse. Semplicemente annuì e gli sorrise riconoscente. Rick sorrise più ampiamente a sua volta. Non aveva più voglia di odiare. Ora voleva solo andare avanti.
“Immagino che salvare Kate mi abbia fatto guadagnare molti punti” esclamò dopo qualche momento Alex smorzando l’atmosfera creatasi. Rick rise.
“Già” replicò. “E guadagnerai ancora più punti quando verrai a casa e farai tornare il sorriso alla tua famiglia.” A quell’affermazione Alex tornò serio e si guardò le mani, imbarazzato.
“Richard, io… io non verrò a casa con te” mormorò. Rick lo guardò triste e incerto.
“Ma... ma io credevo…”
“Che sarei tornato per restare?” completò l’uomo la frase per lui, atono. Lo scrittore annuì. “Mi dispiace, ragazzo, ma ho finito le ferie. Devo tornare al mio lavoro” rispose addolorato e ansioso. Non avrebbe voluto lasciarli, ma doveva. Rick sospirò e annuì, pensieroso.
“Quando parti?” domandò quindi con tono rassegnato.
“Domattina presto” replicò Alex. C’era una nota di scuse nella voce.
“Promettimi almeno che tornerai a trovarci qualche volta, ora che sappiamo di te” disse all’improvviso Rick guardando l’uomo negli occhi con un mezzo sorriso triste. “O per lo meno prometti che telefonerai.” Si sentiva un bambino, ma non gli importava. Aveva già preso la sua decisione. Non voleva perderlo di nuovo. Alex gli sorrise dolcemente.
“Te lo prometto, ragazzo” rispose. Rick annuì senza aggiungere altro. Gli bastava. Non sapeva se l’avrebbe fatto davvero, ma voleva crederci. Voleva fidarsi. A quel punto Alex diede un’occhiata distratta al suo orologio da polso. “Ora devo andare, Richard…” affermò l’agente con fatica, non volendo realmente avviarsi.
“Ok” mormorò solo Rick, sconsolato. Alex si alzò in piedi, ma non si mosse. Poggiò una mano sulla spalla dello scrittore che alzò la testa per guardarlo.
“Abbi cura di te e della tua… beh, dovrei dire della nostra famiglia, giusto?” Il figlio sorrise appena e annuì. “Ma soprattutto prenditi cura di Kate, ragazzo. E poi, sai com’è, vorrei tornare presto per insegnarti di nuovo come si tiene in braccio un neonato…” dichiarò ridacchiando. Rick scosse la testa, divertito e imbarazzato insieme. Quindi tornò a guardarlo. Alex gli sorrise dolcemente e gli strinse appena la spalla. “Non voglio dirti addio, perché ormai ho promesso di tornare… Perciò a presto, Richard” concluse l’agente.
“Arrivederci, Alex” replicò lo scrittore. Negli occhi blu di entrambi c’era la speranza di rivedersi davvero un giorno, possibilmente non tanto lontano. Alex gli strinse ancora appena la spalla e si voltò per andarsene. Fatto un passo però si fermò e si girò ancora una volta verso il figlio. “Ah, un’altra cosa…” disse guardandolo negli occhi e sorridendogli misteriosamente. “Lancio lungo, ragazzo.” A quelle parole il cuore di Rick perse un battito. Il respiro accelerò, la bocca gli si aprì dalla sorpresa e aggrottò le sopracciglia. Ma non… non è possibile!! Si girò di scatto verso il quadrato di erba verde di lato alla panchina. Per un momento rivide sé stesso ragazzino, gli occhi pieni di lacrime dopo aver ricevuto il primo pugno in faccia della sua vita. E rivide il suo salvatore da quel branco di bulli. Come aveva fatto a non vedere la somiglianza? Come aveva fatto a dimenticare il suo volto?
 
“Ehi, piccolo, non piangere più” disse l’uomo avvicinandosi piano per non spaventarlo ulteriormente, ma anche per controllare i danni di quei piccoli bastardi. Aiutò il bambino a tirarsi su da terra e vide che uno zigomo era rosso, ma stava diventando rapidamente violaceo. “Tranquillo, se ne sono andati quei bulli.” Rick tirò sul con il naso, cercando di fare l’ometto e di non piangere, con non troppo successo. “Stai bene?” domandò l’uomo. Il piccolo annuì. Non faceva troppo male. Era più l’orgoglio ferito quello che pulsava dolorosamente. “Dovresti scegliere con più attenzione gli amici, visto come se la sono data a gambe levate invece di aiutarti…” borbottò l’uomo più a sé stesso che al bambino di fronte a lui. Gli pulì con qualche manata il terriccio e l’erba da maglia e pantaloni. “Non c’è la tua mamma?” domandò ancora. Rick scosse la testa.
“Doveva fare una commissione e mi ha lasciato qui a giocare, così non mi annoiavo” rispose finalmente il piccolo tirando di nuovo su con il naso. Si guardò intorno sconsolato. “Però ora sono andati via tutti…” mormorò triste. Sospirò. “Beh… Grazie signore” disse quindi e fece per andarsene.
“Senti, piccolo” sentì l’uomo richiamarlo. “Se non vuoi stare da solo posso farti compagnia finché non arriva la tua mamma. Ti piace il baseball?” domandò poi, andando verso una panchina lì vicino doveva aveva appoggiato un sacchetto che aveva con sé. Rick annuì e l’uomo sorrise. Quindi tirò fuori dal sacchetto un guantone e una pallina da baseball. Gli occhi del bambino si spalancarono. “Li ho comprati per mio figlio, ma sono sicuro che non si arrabbierà se ci giochiamo un po’ noi” continuò l’uomo con un sorriso.
“Da… davvero vuole giocare con me?” chiese timoroso il piccolo Rick. “Non vuole giocare con suo figlio?” Sapeva che di solito i grandi difficilmente hanno voglia di giocare con i bambini, soprattutto se non sono loro figli. Quindi non riusciva a capire perché volesse giocare proprio con lui. L’uomo scosse la testa e osservò con sguardo assente guanto e palla.
“Gli prendo un regalo ogni anno per il suo compleanno, ma è… diciamo troppo lontano perché io possa darglielo” disse senza scendere nei particolari.
“È anche il mio compleanno!” esclamò entusiasta il bambino, indicandosi il petto con l’indice. “Compio undici anni oggi!” L’uomo quindi si rivolse di nuovo lui e sorrise.
“Beh, auguri allora!” replicò allegro. “Dunque che ne dici, festeggiato? Vuoi fare due tiri?” Rick si morse il labbro inferiore. Era tentato. Sua madre gli aveva sempre detto di non parlare né giocare con gli sconosciuti, ma quest’uomo gli aveva salvato la vita, almeno nella sua idea, e non sembrava cattivo. Inoltre era gentile e aveva quegli occhi blu simili ai suoi così rassicuranti… Annuì sorridente. L’uomo gli diede il guantone, così che nel prendere la palla non si facesse male. “A proposito, io mi chiamo Alex” disse allungandogli la mano. Il piccolo la strinse con un sorriso.
“Il mio secondo nome è Alex!” rispose allegro. “Però io mi chiamo Richard” continuò. “Ma tutti mi chiamano Rick. Tranne la mia mamma” disse storcendo un po’ naso. Alex rise per quella faccina infastidita.
“Beh, a me Richard piace come nome” replicò l’uomo, aiutandolo a infilarsi il guantone.
“E a me piace Alex” affermò Rick. “Anche se il mio nome preferito è Max!”
“Davvero?” chiese divertito l’uomo, mentre gli passava anche la palla. Il piccolo annuì e si allontanò di qualche passo. “E invece come squadre di baseball  come sei messo? Ne hai qualcuna preferita? La mia è quella dei New York Yankees.”
“La mia i New York Kastor!” rispose subito Rick. “E i Boston Red Sox” aggiunse dopo averci pensato su un momento.
“Kastor?” domandò Alex curioso alzando un sopracciglio. “Non ne ho mai sentito parlare…”
“Beh, è la mia squadra di baseball a scuola” disse il piccolo sorridendo. Quindi gli lanciò la palla. L’uomo la prese al volo.

“Capito!” esclamò. “E dalla pallonata che mi hai tirato devono essere davvero forti questi NY Kastor se hanno te in squadra” aggiunse massaggiandosi la mano che aveva recuperato la palla. Rick ridacchiò. “Ehi, occhio ora” disse subito dopo l’uomo, preparandosi a tirare. “Lancio lungo, ragazzo!”
 
Avevano giocato per quasi due ore e si erano divertiti un sacco, scherzando e tirandosi la palla. L’uomo poi se ne era andato via poco prima che arrivasse sua madre, dicendo che purtroppo si era dimenticato di un impegno importante. Prima di lasciarlo però, gli aveva regalato guantone e palla da baseball. Rick li aveva ancora a casa, in una scatola di ricordi dentro il suo armadio. Non li aveva mai voluti buttare. Neppure quando quel giorno Martha gli fece una strigliata sul non giocare con gli sconosciuti né accettare da loro regali. Era stato uno dei pomeriggi più belli di sempre. Per due ore e per la prima volta nella sua vita, aveva provato cosa volesse dire avere un padre come gli altri bambini. Per due ore si era sentito normale. Per due ore si era sentito fortunato. Come aveva fatto a dimenticare il suo volto? Come aveva fatto a non farsi venire nemmeno un dubbio il giorno in cui gli avevano presentato Max Kastor?
Rick si girò di scatto verso Alex. L’uomo aveva fatto pochi passi da quando lui si era perso nei ricordi.
“Ehi!” lo richiamò lo scrittore. L’agente si voltò di nuovo verso di lui. “Buona… buona fortuna, papà!” disse tutto d’un fiato. Il viso del padre si colorò di emozioni a quelle parole, ma una di questa spiccava più delle altre. Felicità. Felicità pura e semplice. Quella talmente potente da farti venire le lacrime agli occhi. Rick lo vide deglutire e alzare gli occhi al cielo con un sorriso. Quindi tornò a guardarlo. Aveva gli occhi lucidi.
“Buona fortuna, ragazzo” rispose con voce incrinata senza riuscire a dire altro. Quindi si voltò di nuovo e se ne andò.
Rick lo osservò sparire lungo una curva del vialetto del parco. Quindi riprese a respirare. Non si era accorto di aver smesso. Si appoggiò alla panchina con la schiena. Prima gli si aprì un sorriso piccolo sul volto, poi si ampliò. E infine si mise a ridere da solo passandosi una mano tra i capelli. Non gli importava che la gente di passaggio lo credesse pazzo. Forse lo era. Ma soprattutto era felice. Qualche secondo dopo si alzò di scatto. Doveva dirlo agli altri. Doveva dirlo a sua madre, a sua figlia e a Kate. Iniziò a correre più veloce che poté verso l’uscita di Central Park. Il fianco ferito gli gridava pietà, ma lui non se ne curò minimamente. Mentre filava verso l’uscita, tirò fuori il cellulare e pigiò un tasto con chiamata rapida. Dopo due squilli rispose.
“Ciao, Rick. Perché mi hai chiam…” La bellissima e splendida voce della sua musa aveva un tono preoccupato.
“Kate! Amore, devi venire immediatamente a casa mia!” esclamò subito senza lasciarle il tempo di finire. Era troppo su di giri.
“Io… Sì, ok…” rispose evidentemente confusa. Comprensibile. L’ultima volta che aveva parlato con lui, un paio di ore prima, sembrava uno zombie, mentre ora tutto di lui sembrava felice. “Ma, Rick, tutto bene? Stai correndo per caso?” domandò sentendolo ansimare.
“Sì, ma non ho tempo di parlare!” replicò, mentre faceva lo slalom tra alcuni ciclisti che venivano in senso opposto rispetto a lui. “Ti dirò tutto appena arrivi!”
“Mm… ok…” disse ancora poco convinta. “Dieci minuti e sono da te.”
“Ok!” rispose lo scrittore mentre iniziava quasi a non avere voce dallo sforzo. Uscì dal parco e iniziò a sbracciarsi per un taxi. “Io arriverò tra un quarto d’ora! Avverti mia madre e  Alexis! Ci vediamo lì! Ah, Kate…” disse con il sorriso sulle labbra appena prima che mettesse giù. Come aveva fatto a sopportarlo per un mese musone com’era?? Doveva, e voleva, stringerla a sé, ringraziarla e baciarla. “Ti amo! Non so se te l’ho detto oggi, mia bellissima e straordinaria musa, e se non te l’ho detto scusami, ma io ti amo!”

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XIAO!!!!! :D:D:D
Allora... vi è piaciuto o no questo capitolo?? Mi sono fatta perdonare?? XD
Tra l'altro avevo l'idea di far "morire" Alex da quando l'ho inventato... (Sì è sadismo nei vostri confronti ù.ù) XD E poi sono troppo da happy endings per farlo morire davvero! ;)
(Ah, una cosa prima che mi dimentichi: ho letto altre ff e mi dispiace se qualche parte che ho scritto possa sembrare copiata, ma giuro che non era mia intenzione. Scrivo perché mi piace e voglio rompervi le scatole con i miei film mentali, non per rubare idee!)
Beh, che dire, mi dispiace un sacco far finire questa storia, ma a questo punto, chissà... XD
Il divertente di questa storia è che, secondo le mie idee, doveva durare per un mesetto (del tipo: non arriverà neppure a luglio) e invece mi sono ritrovata a scrivere da una stagione di Castle all'altra se posso dirlo! XD Tra l'altro senza questo sclero non avrei resistito tutta l'estate senza la mia dose di episodi... X) Se poi contiamo come mi hanno fatto andare in pappa il cervello le foto recenti e il promo.... XD
Boh, ok ora la smetto di scrivere, ma c'è ancora un'ultima cosa: grazie!! *.* Grazie a tutte quelle che mi hanno recensito (sia con commentini, sia con pagine e pagine)!! *.* Grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite, ricordate o addirittura preferite!! *.* Grazie a chi con questa storia mi ha inserito tra gli autori preferiti!! *.* E grazie anche a chi ha solo letto silenziosamente, senza dire nulla... in fondo se siete arrivati fino a qui, qualcosa avrà pur attirato la vostra attenzione, no? ;)
Ok ora smetto davvero... Beh, che dire? Ho gà in mente altre storie, anche se non so bene quando le scriverò... (è una minaccia, statevi accorti XD)
Ok smetto sul serio stavolta!! 
A presto a tutti!! :D:D E davvero mi farebbe piacere ricevere anche un mini commentino... *fa gli occhioni da cucciolo*
Lanie

ps: draghetta Katy e compare Sofy, potete ora dire ai vostri cecchini di puntare le armi altrove?? Grazie!! XDXD

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