Summer is a world itself

di Daifha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1# - Questa è stata un'estate di merda! ***
Capitolo 2: *** 2# - Il primo sbaglio è stato fidarsi di un pinguino ***
Capitolo 3: *** 3# - Avrei voluto sciogliere l'ipnosi in un altro modo ***
Capitolo 4: *** 4# - Anche i protoni dormono, a volte ***
Capitolo 5: *** 5# - Sei e mezzo in logica del mondo ***



Capitolo 1
*** 1# - Questa è stata un'estate di merda! ***


Summer is a world itself

1# - Questa è stata un’estate di merda!

 

Kidd saltella felice facendo incrociare di tanto in tanto lo sguardo con quello del suo miglior amico, Killer. Si tengono per mano, con quell’innocenza tipica dei bambini, e ridono, indicano le stelle e si creano una loro idea su cosa esattamente rappresentino, inventando costellazioni, unendo i mille puntini del cielo a formare immagini di cavalieri o dinosauri. Kidd è felice perché i genitori di Killer li stanno portando a comprare il gelato, nonostante quel pomeriggio abbiano fatto scoppiare un palloncino pieno d’acqua in casa, sul tappeto prezioso della signora Killer; ma faceva caldo, quindi lei li aveva perdonati subito, e aveva detto che quella sera, dato che Kidd si fermava a dormire da loro, avrebbero comprato un gelato enorme, con ben cinque gusti. Ora erano per strada, i genitori di Killer stavano poco dietro di loro a parlare, mentre loro due ancora fantasticavano sul cielo stellato.

“Ti dico che lì c’è un drago! La coda è là, e la testa di lì, come fai a non vederlo?” Kidd comincia ad innervosirsi, e alza la voce.

“Ma non è vero! Quella è solo una lucertola, i draghi sputano fiamme!”

“Ma sei scemo?” e qui abbassa il tono, perché sa che i genitori di Killer non vogliono che si dicano le parolacce “E’ ovvio che sta dormendo!”

“Kidd, lo sanno tutti che i draghi dormono solo di gior--”

Ma Killer non finisce la frase perché sente un urlo che gli fa morire le parole in gola, e non è l’unico a sentirlo, anche Kidd si gira di scatto, giusto in tempo per ricevere qualche schizzo di sangue in viso. E’ stata la madre di Killer ad urlare, ed ora lei e il marito sono riversi a terra, in un lago di sangue, mentre un uomo vestito di nero, con un passamontagna calato sulla testa, rovista nelle loro tasche, tirandone fuori quelle due monete che si erano portati appresso.

“Mamma! Papà!” Killer urla, correndo verso di loro, gettandosi e scuotendo i corpi dei genitori, e l’uomo gli intima di allontanarsi, brandendo il coltello sporco di sangue verso di lui, con mano tremante e occhi spiritati.

Kidd rimane fermo, atterrito e spaventato tanto da non riuscire a muoversi. Trema e non riesce a capacitarsi di quel che sta succedendo; Killer continua a scuotere i genitori, muovendo la testa alle parole dello sconosciuto, piangendo e allora l’uomo gli si avvicina, lo prende per capelli facendogli alzare il viso e gli avvicina il coltello all’occhio e “Taci, moccioso!” gli sbraita contro, affondando il coltello nella pelle chiara di Killer.

Un attimo di silenzio, Kidd ancora rimane immobile a fissare la scena, le macchie di sangue ancora sul suo viso e il corpo scosso dai tremiti di paura. Vede le lacrime del suo migliore amico, i suoi occhi sconvolti fissi sul volto dell’uomo davanti a lui, le mani che stringono convulsamente la stoffa dei pantaloncini, come a volersi aggrappare a qualcosa.

Ancora un attimo di silenzio.

Poi Killer urla.
 

Kidd si alza a sedere di scatto sul letto, scostando le coperte, madido di sudore, gli occhi spalancati. Ha il respiro corto e le immagini di quel sogno ancora impresse nella mente. Si passa una mano sulla fronte, sospira e si volta verso l’altro letto che occupa quella stanza: Killer dorme ancora tranquillo, abbracciato ad un cuscino grande la metà di lui e con i capelli biondi sparsi un po’ ovunque, e Kidd non può che sentirsi rincuorato a quella visione. Kidd si sente sempre rincuorato a quella visione, quando quel sogno si fa avanti nel suo sonno. Lo odia ma non può farci nulla, ormai è diventata quasi un’ossessione, la sua. Forse perché, nonostante la quantità immane di tempo trascorsa, ancora il ricordo di quella sera è impressa a fuoco nella sua memoria, forse perché, ancora, si sente in colpa per non aver fatto nulla, o, più probabilmente, semplicemente perché quella scena lo ha sconvolto più di quanto non abbia fatto con lo stesso Killer.

Si passa la mano sugli occhi, è ancora stanco ma sa che non riuscirà a dormire di nuovo, come succede sempre dopo aver fatto quel sogno, e allunga l’altra al cellulare per vedere l’ora. Le undici e venti, non è poi così presto come pensava, ma sbuffa lo stesso, giusto per abitudine e, mentre riappoggia il telefonino sul comodino, non si premura certo di farlo con delicatezza, anzi, è contento di esser riuscito a svegliare Killer semplicemente sbattendocelo sopra - il fatto che poi sia caduto e si sia mezzo sfracellato a terra, non è affatto rilevante, no.

Killer sbadiglia, si muove sotto le coperte, mugugna qualcosa di simile ad un ‘Vaffanculo’ e si alza tenendosi con un braccio appoggiato al materasso, gli occhi a malapena aperti. Si guada intorno, poi, quando capisce dove si trova, fissa Kidd e storce il naso “Grazie”

Kidd alza un sopracciglio scettico, sa a cosa si riferisce Killer, dato che ormai è abituato a sentirselo dire, da poco più di un mese, ogni mattina. Perché Killer non ama dormire a casa dei suoi zii, anzi, lo detesta proprio. Sarà un po’ perché quelle persone sono fin troppo asfissianti e iperprotettive nei suoi confronti, un po’ per i rumori strani che la notte provengono dal piano di sopra, e un po’ di più, anzi, al novanta per cento, per il cuginetto gay che ogni notte prova a portarselo a letto, ma Killer davvero non può più sopportare di dormire in quella casa mezza diroccata. Kidd lo sa, e da tipo un mese, ogni sera, dopo aver bevuto abbondantemente e aver fatto il solito giro in moto ubriachi, evita di metter bocca e lo lascia dormire a casa sua, sul letto in più che casualmente si trova in camera sua.

Ma Kidd è, a modo suo, una persona educata, e risponde con un “Di niente”, ogni mattina, nonostante non voglia neanche sentirselo dire, quel ‘Grazie’ carico di tutta la stanchezza e il mal di testa da dopo-sbornia.

Dopo un ennesimo sbadiglio, Killer parla “Ho fatto un sogno schifoso”

Kidd sussulta un attimo, anche lui ha fatto un sogno schifoso, peccato che non possa dirglielo, perché sarebbe come ricordargli per filo e per segno quello che era davvero successo in quella schifosa notte di quella schifosa estate. Perciò si limita ad annuire mentre comincia a vestirsi.

“Cedevo alle avance di Rowan e… Che schifo! Che ci provi soltanto quel moccioso ad avvicinarsi tanto!” Killer affonda il viso nel cuscino, e smette di parlare, mentre Kidd finisce di vestirsi e inizia a raccattare da terra i pezzi sparsi del cellulare.

“Dovreste mandarlo dallo psichiatra, non è normale che cerchi di portarsi a letto suo cugino” dice solenne Kidd, mentre litiga con la batteria del telefonino che non vuole incastrarsi in quel cazzo di buco in cui, invece, dovrebbe ficcarsi e anche alla svelta, perché la pazienza di Kidd è a livelli così minimi che c’è gente che dubita sia mai esistita.

Killer ridacchia nel cuscino e risponde semplicemente “Sarebbero soldi buttati nel cesso” quasi soffocandosi. Poi sembra ripensarci, si tira nuovamente su con un braccio e fissa Kidd con occhi seri “A proposito di cugini, ho un favore da chiederti, Kidd…”

E qui lascia la frase in sospeso perché conosce Kidd, sa il carattere di merda che si ritrova e sa che il suo migliore amico raramente concede favori. E il favore che lui ha da chiedergli, non è qualcosa da nulla, tutt’altro, e Killer ha quasi paura per la sua incolumità a chiederglielo. Se non ne avesse davvero un bisogno disperato, probabilmente non ci proverebbe neanche, anzi, sarebbe ben felice di chiederlo ad altri. Ma, purtroppo, Killer ne ha davvero un bisogno disperato.

Perciò, è con la ferma convinzione che lui e Kidd sono amici e che Kidd non gli farebbe mai del male, che, dopo lo scocciato e minaccioso “Eh?” di Kidd, Killer si decide a parlare.

 

 

Kidd non ha idea di come abbia potuto farsi convincere tanto facilmente da Killer. È una cosa talmente impensabile ed improponibile che sfugge alla sua comprensione; lui, Eustass Kidd, ventenne irascibile, incosciente e convinto che una scuola non serva a nulla se il destino è contro di te per principio - convinto che a lui una scuola non serva a nulla, sapendo che il destino gli è contro per principio -, ragazzo che ormai da tre anni lavora come bagnino in una spiaggia semideserta solo per non dover far lo sforzo di indossare una qualunque uniforme lavorativa, individuo incapace di reprimere le proprie pulsioni, aveva accettato solo poche ore prima di ospitare in casa sua, per l’intero periodo delle vacanze estive, un vivace marmocchio, nipotino amato di Killer, di cui, l’unica cosa certa che sapeva, era che si chiamasse Law. Trafalgar Law.

In un certo senso, Kidd si sente di aver appena firmato la sua condanna a morte. In primo luogo, per il nome del suddetto marmocchio: perché Kidd non è scemo, non completamente, almeno, e sa che Law, in quella lingua odiosa che alle medie è stato costretto a studiare – se di studio si può parlare, passare cinque minuti su un libro di inglese poco prima di un test – significa ‘legge’. E un bambino normale, non si chiama Legge, non si chiama Legge per principio. Perché Kidd non ha un gran rapporto con la legge in generale, non tanto perché non vanno d’accordo, quanto perché neanche ci prova a rispettarla. Lo si può considerare come un rapporto mai approfondito: Kidd non segue la legge, la legge non intralcia Kidd, una specie di patto sancito che gli permette di vivere senza doversi preoccupare troppo delle conseguenze. Però se un bambino di nome Legge gli si infiltra in casa, questo patto viene meno, e Kidd non vuole questo, non lo vuole proprio per niente.

In secondo luogo, Kidd non vuole marmocchi in casa in generale. Insomma, i suoi divani sono in pelle, non sono adatti ad un bambino, capace solo di saltare e macchiare tutto in modo irreversibile. La sua cena è a base di pizza, cinese o, in casi estremi, cibo precotto, e Kidd non crede proprio che ad un moccioso possa far bene una dieta del genere, dove l’unica verdura sono i piselli del riso alla cantonese. Inoltre, ha rinunciato al matrimonio anche per potersi evitare la noia di avere un bimbetto odioso sempre in giro per la casa a fare disastri e vomitare pappina ovunque, e se ora gli viene detto che presto dovrà subirselo ugualmente, nonostante la rinuncia ad una donna fissa, Kidd sa che potrebbe cadergli il mondo addosso.

Per questo, Kidd si sente di aver appena firmato la sua condanna a morte.

Ancora non si spiega bene cosa l’abbia esattamente spinto ad accettare quella quantomeno assurda richiesta di Killer: perché proprio lui, rinomato per essere un ragazzo freddo, crudele e ben poco disposto ad aiutare il suo prossimo, avrebbe mai dovuto rispondere positivamente ad una disperata richiesta di aiuto da parte di qualcuno che non fosse se stesso? Va bene che Killer è suo amico, va bene che, conoscendo il suo passato, non se la senta proprio di essere crudele pure con lui, va bene pure che quella faccia da cucciolo bisognoso lo ha sempre lasciato un po’ titubante, ma perché, Kidd continua a chiederselo, perché avrebbe mai dovuto rispondere di sì ad una simile richiesta? Perché Kidd dovrebbe mai firmare da solo la propria condanna a morte? Solo uno scemo lo farebbe. Uno fortemente scemo.

Kidd sospira… Non si è mai reputato una persona particolarmente intelligente e, nonostante non lo ritenga un valido motivo per dimostrare costantemente la sua idiozia, decide di calmarsi e accettare il fatto di aver compiuta un’altra, nuova, colossalmente grande scemenza.

Certo, doveva ammettere che Killer era stato bravo a giocarsela, stavolta. Aveva posto le cose in modo tale da far sembrare il tutto privo di esiti catastrofici e, al contrario, pieno di privilegi. Sì, se l’era giocata proprio bene. Con una serie di ‘perché sai, la sorella di mio cugino Rowan vorrebbe tanto una vacanza’, un paio di ‘povera, il marito l’ha lasciata’, qualche sparpagliato ‘ha bisogno di affidare il bimbo a qualcuno’, una ventina di ‘io proprio non me la sento, Kidd, non sono bravo come te con i bambini’ e infine un diretto ‘non è che terresti tu mio nipote, per le vacanze estive?’, era più che ovvio che il cervello malformato dalla nascita di Kidd non sarebbe resistito ad una tal mole di informazioni tutte in una volta, con l’unico risultato che si era messo ad annuire a caso, fingendo poco intelligentemente di capire tutto. E rimanendone irrimediabilmente fregato.

Quando, alla fine, aveva compreso il significato di tutte quelle parole messe insieme, Kidd aveva telefonato a Killer senza pensarci due volte - sì, ci aveva messo parecchio tempo a capirle, tanto che Killer aveva fatto in tempo a tornare a casa, farsi una doccia e uscire di nuovo - con la chiara intenzione di dirgli che no, lui non avrebbe fatto nulla del genere e che sì, lui era un uomo morto se riprovava a tirargli un altro di quei suoi giochetti sporchi.

E allora Killer aveva tirato fuori il suo asso nella manica, elencando tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati: Rowan e gli zii sarebbero andati in viaggio con la sorella del primo, lasciando finalmente la casa libera, Killer sarebbe tornato per un paio di mesi a casa sua, Killer avrebbe potuto rilassarsi finalmente solo in casa, Killer avrebbe passato delle vacanze perfette, una volta tanto, Killer, Killer, Killer, Killer, Killer. Killer ne avrebbe tratto tutto i vantaggi possibili ed immaginabili, in conclusione.

Ma Kidd non se ne era accorto subito, anzi, aveva subito trovato la sua un’idea geniale, abbandonare il nipotino all’amico scemo e godersi della vacanze da dio! Sembrava perfetto! Così aveva riagganciato forte del fatto che quella sarebbe stata un’estate memorabile.

E quando si era reso conto che il caro amico scemo, altri non era che lui stesso, si era sentito talmente ferito nell’orgoglio, da decidere di prendere quella come la giusta punizione per la propria idiozia.

 

 



 

Un dito, lungo e tatuato, si poggia sul campanello, pigiando pigramente, mentre gli occhi scorrono annoiati sulla scritta della targa malamente inchiodata alla porta dove il nome ‘Eustass’ è inciso a caratteri enormi.

Una mano afferra il cuscino ormai a terra, trascinandolo a schiacciarsi completamente contro l’orecchio dello stesso proprietario della mano sopracitata. ‘Fanculo a Killer, se proprio vuole dormire fuori, che almeno si porti dietro le chiavi - poco importa se non le ha perché Kidd gli ha vietato categoricamente di averne un mazzo suo -, o eviti di rincasare alle nove di mattina.

Il dito tatuato torna nuovamente sul campanello, stavolta suonandolo con più energia e più a lungo.

Kidd digrigna i denti e affonda il volto tra le coperte: non ha davvero alcuna intenzione di andare ad aprire.

Il dito insiste ancora sul campanello, lasciando che il fastidioso suono si prolunghi all’interno della casa.

Kidd lancia il cuscino dall’altra parte della stanza e si fionda a passo di carica verso l’ingresso, pronto a far fuori, una volta per tutte, quell’idiota di Killer.

E’ la prima mattina di giugno, e il sole ha deciso di presentarsi alto nel cielo, quel giorno: gli uccellini cinguettano, il caldo riempie d’afa le case, i fiori sbocciano nei parchi e Kidd spalanca la porta incurante di tutto, un’espressione scazzata in volto e le mani che gli prudono dalla voglia di picchiare a sangue il suo migliore amico. “Cazzo di idiota senza cervello, ma lo sai che ore sono? Dovevi portare quel tuo fottuto culo qui proprio alle nov--” ma Killer non c’è.

Non lui, almeno. O comunque, non sotto le sue sembianze. Perché, che lui ricordi, e si può dire quel che si vuole di lui, ma Kidd ha una buona memoria, Killer non i capelli corti neri, non ha gli occhi del medesimo colore, non ha la barba, e soprattutto, è infinitamente più grosso e muscolo di quel cosino che ora si ritrova davanti.

Kidd alza un sopracciglio scettico, e l’altro sorride mellifluo. Vorrebbe chiedergli ‘Chi cazzo sei?’, ma invece mugugna un ‘Mmh?’ minaccioso e scocciato.

L’altro alza le braccia, si gratta la testa, socchiude gli occhi, se la prende con calma, e poi, solo poi, pronuncia quelle due parole che fanno spalancare gli occhi a Kidd.

Perché tutto, tutto Kidd si sarebbe aspettato, tranne che il caro, piccolo, amorevole nipotino di Killer, avesse diciassette anni passati.

 

 

 

- Fine 1# -

  

 

 

 

 
 

 

Dan dan dan!

Finalmente pubblico sto primo capitolo!

Il fatto che stiate leggendo qui significa che avete letto anche tutto il resto! Woah, ma voi siete matti!

A parte questo, grazie!

Parto col dire che io non ho mai letto One Piece... Però mia cugina mi ha spinto ad adorare Trafalgar (con laccento sulla prima a ^^’’), Eustass, Killer, Penguin e Casquette e quiiindi, tanto valeva sfruttarli per una AU!

Ok… In realtà non ho altro da dire, solo che adoro le note delle autrici simpatiche, e ogni tanto piacerebbe anche a me farne una… Son dilettante.

Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo prima della fine del mondo… Chissà!

Adorerò chiunque metterà questa fic tra preferiti/seguiti e/o recensirà
 

By Ming

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Capitolo 2
*** 2# - Il primo sbaglio è stato fidarsi di un pinguino ***


Summer is a world itself

2# - Il primo sbaglio è stato fidarsi di un pinguino

 

Eustass Kidd ha capito una cosa che, forse, avrebbe dovuto capire prima: porsi, o porre, domande è essenziale. Talmente tanto essenziale che può salvarti la faccia da diverse figure di merda, come in quel caso. Perché ora Kidd si sta domandando per quale dannatissimo motivo non abbia chiesto a Killer quanti fottutissimi anni avesse effettivamente il ‘marmocchio’ che molto ingegnosamente gli ha appioppato giusto una settimana prima. 
“Trafalgar Law” ha detto quello, davanti alla porta di casa sua, dopo averlo fatto alzare dal letto ad un orario che no, non sta né in cielo né in terra.




- Una settimana prima -

 

Killer è stanco. È stanco perché riuscire a convincere Kidd a fargli un piacere è stato non solo difficile, ma anche emotivamente struggente. Non voleva arrivare a tanto, ma lui non aveva alcuna intenzione di passare un’altra estate sotto il sole cocente o a casa di Kidd solo perché casa sua era infestata da zii e cugini. Killer vuole un condizionatore per quell’estate. E a casa sua, il condizionatore c’è.
Nonostante tutto, non voleva mentire a Kidd, quindi in un modo o nell’altro era riuscito a convincerlo usando solo la verità, con qualche frase ad effetto qui e lì o un paio di discorsi davvero niente male che avevano sortito l’effetto desiderato soprattutto grazie ai mille complimenti intrinsechi in quell’ammasso di parole - insomma, Kidd bravo con i bambini? Non si era mai visto.
Killer non aveva mentito a Kidd. Non in maniera diretta. Forse aveva omesso un paio di dettagli, dettagli leggermente importanti, ma era sicuro che Kidd lo avrebbe perdonato. Prima o poi.
Continua a camminare lentamente tra le gabbie degli animali, oltrepassando la vasca delle foche e coprendosi gli occhi davanti a quella delle scimmie. La gente intorno continua a gridare, mentre i bambini, con palloncino alla mano, indicano gli animali e commentano stupidamente “Guarda quant’è grosso, mamma!” Cosa ti aspetti? E’un elefante.
Killer è stanco, e quando Killer è stanco tutto per lui si distorce e rimangono solo poche certezze, come il fatto di chiamarsi, per chissà quale assurdo motivo, ‘assassino’ o che per un po’ sarà meglio restare lontano da Kidd. Non vuole pensare ad altro, né porsi altri problemi, quindi, bambino, lasciagli almeno la sicurezza che gli elefanti siano grandi. 
Quando arriva alla vasca dei pinguini, finalmente si ferma, appoggiandosi con braccia conserte alla ringhiera oltre la quale, più in basso di qualche metro, diversi uccelli starnazzano e si buttano in acqua offrendo spettacolo ai visitatori di quello zoo. Killer ha sempre trovato che i pinguini fossero animali stupidi, probabilmente per il modo da pagliaccio con cui sbattono le ali contro il corpo rimanendo però con i piedi incollati a terra, e, in un certo senso, la sua autostima sale quando li vede.
Per questo, Killer, quando è stanco, o ha bisogno di riprendersi, o semplicemente vuole sentirsi intelligente, va allo zoo a far visita ai suoi amici piumati. 
Ne individua uno che sembra leggermente staccato dal gruppo, e stabilisce che sì, deve essere lui. Killer ne è convinto. È dalla prima volta che si è avventurato in quello zoo che è convito di avere un vero e proprio confidente tra quei pinguini, così, ogni volta che si trova ad osservarli dalla sua posizione elevata, lo individua e comincia a raccontargli mentalmente tutto, certo che quello lo ascolti. Ma Killer sa anche che i suoi sono solo trip mentali, sa che probabilmente non ha mai preso per più di due volte lo stesso pinguino, confondendolo con tutti gli altri e sa che il nome Penguin non è affatto originale. Eppure, continua ogni volta a fissarne uno, a parlargli mentalmente come fossero grandi amici da tempo e a rivolgersi a lui con l’appellativo di Penguin. Non si sente neanche molto originale mentre lo fa, ma in fondo, non gli è mai importato granché esserlo… E’ un confidente che cerca Killer. 
“Ehi…” un confidente migliore di Kidd. Perché Kidd è buono, simpatico, amichevole - Killer non ha mai fatto grandi esperienze di persone realmente buone, simpatiche ed amichevoli -, ma non è capace di dare consigli adeguati, né per situazione semplici, né per situazioni complicate. 
“Signore…” E sì, Killer ha più fiducia in un pinguino dello zoo che in Kidd, in questi casi. Forse perché ha un buon senso di autoconservazione, forse perché non ricevere consigli - andiamo, un pinguino cosa potrà mai consigliarti di costruttivo che vada al di fuor di mangiare pesce crudo vivo? - è meglio che riceverne di pessimi. Killer non lo sa, ma il suo istinto sì. E il suo istinto dice: fidati del pinguino.
“Mi scusi…” 
“Cosa c’è?” chiede Killer scocciato girandosi verso il suo interlocutore.
“E’… E’ vietato sporgersi…” risponde timoroso un ragazzino nascosto sotto un cappello nero ridicolo. 
“Eh?” Killer è rimasto troppo concentrato sul pon-pon rosso che si trova in cima al suo berretto per dar retta alle sue parole, e scendendo con lo sguardo si accorge che, oltre alla scritta ‘Penguin’, c’è di peggio. Un becco. C’è un becco. 
“E’ pericoloso sporgersi…” riprova quello, prima di fare un passo indietro davanti alle sopracciglia sempre più aggrottate dell’altro. “E… Eh, pensi…” tenta di sdrammatizzare “l’altro giorno ad un signore è caduto il cellulare… L’orso stava per mangiarselo! … Stava per mangiare il cellulare, non il signore!”
Killer rilassa il volto e sorride leggermente, più per evitare che il moccioso vada in iperventilazione che per la battuta in sé. In fondo, è solo un ragazzino alle prese con il suo primo lavoretto estivo “Ah, va bene” risponde semplicemente, mentre si sposta leggermente dalla vasca, reggendosi con solo le mani ai bordi. Riprende a fissare il pinguino - spera che sia lo stesso di prima, ma non ne è molto sicuro - e di tanto in tanto butta un occhio al ragazzo travestito che lavora per lo zoo. Indossa una tuta bianca larga dove probabilmente sta annegando dal caldo, mentre quel cappello tanto ridicolo gli copre il viso fin quasi a metà naso, tanto che Killer si chiede come abbia fatto a vederlo se ha gli occhi coperti. Non che gli importi molto ma, se proprio doveva disturbarlo dai suoi tanto profondi ragionamenti mentali, che almeno sia sicuro di quel che dice. Ma chissene frega, aveva ragione, dopotutto.
Per un attimo lo vede strofinarsi le mani guantate, come indeciso sul da farsi, poi finalmente il ragazzino si decide e, con un ultimo passo, lo affianca appoggiandosi al bordo coi palmi delle mani.
Killer lo guarda un attimo storto, ma prima che possa far domande, quello parla “Giornataccia?” chiede, come se si conoscessero da tempo.
Killer sospira, non ha voglia di conversare, ma non riesce neanche ad immaginare la noia che deve essere ritrovarsi in un costume da pinguino gigante a girare per uno zoo in estate, quindi non se la sente di infierire e mugugna un “Mmh, più o meno” 
“Come ti capisco! Io sono qui dalle otto di mattina, ho dovuto distribuire palloncini ad un orda di bambini assatanati e uno mi ha pure morso il braccio perché voleva quello che avevo appena dato ad un altro…” il ragazzo sospira e si volta verso Killer “Che è successo a te invece?”
Per un attimo Killer tace, perché si rende conto che un totale sconosciuto si è appena offerto di fargli da confidente. Non è una cosa normale, ma Killer sa che non è neanche normale che uno abbia come confidente un pinguino. Quindi, per questa volta, decide di fidarsi “Ho tentato di convincere un amico a farmi un piacere” sospira e fissa due pinguini che si litigano un pesce “Ma per farlo, ho dovuto nascondergli la verità” 
“Lo hai convinto alla fine?”
“Beh, sì”
“E allora non ti è andata poi così male” 
“Eh?” Killer non è sicuro di essersi spiegato bene. Nasconder la verità non è una cosa sbagliata?
“Vedi, ti sarebbe andata davvero male se tu fossi stato il tuo amico e ti fossi fatto convincere da lui. Ma finché i ruoli sono invertiti, a te è andata bene! E’ il tuo amico a dover dire che gli è andata male!” il ragazzo sorride, e Killer si sorprende di come possa risultare tanto genuino un viso coperto a metà.
“Ma non gli ho detto delle cose importanti…”
“Allora son problemi di coscienza, i tuoi!”
“Cosa cambia?”
“Cosa cambia? Scherzi? Cambia tutto! Non è la giornata ad essere andata male… Ma tu ad esserti comportato male! Ahahah!” il ragazzino ride sfacciatamente, e Killer si irrita un po’. 
“Che hai da ridere tanto? Avevo davvero bisogno di quel favore!”
“Niente, niente” si calma un po’, riprendendo fiato appoggiandosi completamente alla vasca dei pinguini “Non pensavo che… No, niente, lascia stare. Comunque, se come dici tu, era un favore di cui avevi davvero bisogno, forse il tuo amico potrà perdonarti…”
“Kidd non è il tipo! Cioè, il mio amico… E’, come dire, abbastanza vendicativa, come persona…”
“Hai paura di lui?”
“Assolutamente no!” borbotta Killer, mentre imita il ragazzo e si appoggia coi gomiti alla vasca “E’ solo che non voglio che si arrabbi con me…”
“Chiedigli scusa, allora”
“Forse… Chissà, prima o poi dovrò farlo per forza…”
Il ragazzo rimane per un attimo interdetto, ma poi torna a sorridere “Problema risolto, allora! Beato tu, a me mancano ancora due ore di lavoro!” 
Killer non sente di aver risolto alcun problema, però si sente comunque contagiato dal suo sorriso e, senza volerlo, si trova a fargli compagnia “Beh, almeno avrai una buona paga” 
“Tsè, figuriamoci, mi hanno incastrato…”
“Mmh?” 
Ma il ragazzino non risponde, si limita a fissare i pinguini, storcendo ogni tanto il naso, e Killer non se la sente di indagare più a fondo. Si limita ad aspettare che quello riprenda a parlare.
“Comunque” ricomincia poco dopo “non mi sono ancora presentato” dice, mentre avvicina la mano al cappello.
“Ah, io sono Killer” e vede gli occhi dell’altro spalancarsi leggermente, ora liberi dal cappello.
“Ah, bel nome…” tipico commentino sarcastico.
“Lo so” e anche Killer ha voglia di fare battute “Non dirmi che ti chiami Penguin, tu!”
“Ahah, no, io no”
“Eh?” Io no? 
“Mi chiamo Casquette, piacere”

Il nome sul cappello di Casquette non sta ad indicare la vasca dei pinguini, come invece Killer aveva fin da subito pensato, bensì il proprietario di quella tuta nonché del lavoro stesso. Penguin. Una sorta di essere mistico che si narra lavorasse in quello zoo da più di un anno, di cui però nessuno conosce il volto né tanto meno ha mai avuto l’ardire di averci a che fare. Dicono che una volta che hai visto i suoi occhi, ne rimani intrappolato, e che sarai costretto per sempre a vagare in un limbo tra la realtà e il sogno. 
Killer, la prima volta che ha visto quegli occhi, l’unica cosa a cui è stato capace di pensare è “Io ora me lo scopo”. E lo ha fatto davvero. Più di una volta.

Era stato tutto abbastanza improvviso. Il ragazzino che aveva incontrato il giorno prima allo zoo si chiamava Casquette, e, nonostante dall’aspetto non si sarebbe detto, era di un anno più grande. Ricco sfondato, velatamente bello, bravo a scuola. Orgoglio di due genitori sempre occupati col lavoro. In pratica, un ragazzino fortunato a cui basta fare il minimo indispensabile per ottenere tutto ciò che desidera. Dal viso incantevole e innocente, gli occhi grandi color nocciola e capelli mediamente lunghi di un biondo che ricorda il grano maturo. Il corpo esile e la mente aperta. Un essere donato da Dio in persona ad un mondo corrotto. Solo che Casquette ha un problema. Un problema molto grande e complesso, che ha preso forma umana: Penguin. Il suo amico d’infanzia bello da mozzare il fiato e abbastanza stronzo da chiedergli di sostituirlo al lavoro. Insomma, abbastanza stronzo da convincerlo a vestirsi da pinguino gigante sotto il sole cocente in uno zoo straripante di bambini con dubbie capacità intellettive. Abbastanza stronzo da non sentire sensi di colpa ad aver lasciato il proprio migliore amico tra le grinfie di quel bastardo del suo superiore solo per passare un pomeriggio sotto il getto del condizionatore di casa del suddetto migliore amico. Però è bello. Bello da morirci dietro. Bello da impedirti anche solo di respirare quando lo vedi passare per strada. Bello da farti dire “Voglio che mi scopi adesso” non appena i vostri occhi si incrociano. Bello senza fine. 
Ed è il migliore amico di Casquette. Nonché suo segreto amore da tempo. Un amore talmente tanto segreto che pure Casquette non sa della sua esistenza.
Ma Penguin è davvero tanto bello, e anche Killer se ne è accorto, pochi giorni dopo, quando è tornato allo zoo per evitare di parlare con Kidd di chi diavolo sa che cosa riguardante l’amorevole marmocchio suo nipotino amato. Se ne è accorto eccome, anche fin troppo.
Penguin. Per quel giorno sembrava non avesse potuto sfruttare l’amico – l’ingenuo Casquette – per saltarsi la giornata lavorativa, e quindi, dopo tanto tempo che non vi si immergeva, si era ritrovato ad annegare di sudore in quella tuta ridicola che in qualche modo astruso avrebbe dovuto ricordare un pinguino – il suo superiore si era proprio divertito ad appiopparglielo, Penguin ne era certo.
Penguin, Penguin. Killer si era avvicinato tranquillo e sicuro alla vasca dei pinguini, puntando la prima palla bianca ambulante che aveva individuato, certo che ad aspettarlo ci fosse Casquette. Lo aveva salutato con un gioviale “Ehi!”, sentendosi anche un po’ stupido. E quando quello si era girato, con faccia scazzata e sguardo lugubre, si era sentito morire. Quegli occhi. Dannatissimi.
Penguin, Penguin, Penguin. Lo aveva capito subito, era lui. L’essere misterioso che si nascondeva dietro un cappello ridicolo solo per poter celare al mondo la proprio bellezza. Un uomo dal tale splendore da esser stato costretto a celare il proprio viso per non far impazzire il genere umano. L’ottava – forse Casquette ci aveva messo un po’ troppo entusiasmo nel descrivere l’amico…- meraviglia del mondo… Ed era lì, in piedi, con cappello in mano, davanti a lui.
Penguin, Penguin, Penguin, Penguin. La fronte bagnata di sudore, con i capelli scuri e mossi che gli ricadevano in ciocche scomposte sulla fronte. I lineamenti perfetti che risaltavano al meglio la pelle bianca e le labbra non troppo carnose che sembravano emanare scritte al neon fosforescenti: “Mordimi!” sembravano gridarlo. Pure il naso dava l’impressione di rasentare la perfezione più assoluta.
Penguin, Penguin, Penguin, Penguin, Penguin. E gli occhi. Gli occhi. Qualcosa di indescrivibile, di troppo profondo e scuro, troppo meraviglioso, quasi inviolabile. Due calamite.
“Che vuoi?” aveva detto brusco, prima di fissarlo in volto, tra lo scazzato più totale e la poca voglia di trovarsi lì. Poi aveva visto Killer e aveva sospirato. “Ah” sembrava quasi un complimento.
Non si sa bene come, ma neanche cinque minuti dopo si trovavano nello stanzino delle scope, dove l’accesso era vietato ai non addetti, teoricamente.

 


- Presente –

 
Sbatte il pugno chiuso sul portone di legno davanti a lui, mentre con l’altra mano suona il campanello dove la targhetta giallognola lasciata vuota fa il suo bel figurone. Kidd è furioso, e lo è, una volta tanto, per una ragione socialmente accettabile – perché a quanto pare non è socialmente accettabile infuriarsi con il computer lento, no, ti pare, tanto è colpa di Kidd, ovvio, si sa che la tecnologia moderna è sensibile ai sentimenti che noi umani trasmettiamo loro… O quelle erano le piante? Al diavolo. Possibile che anche Killer adesso di metta a fare l’idiota? L’idiota un po’ stronzo. L’idiota un po’ parecchio stronzo. Eh. Gli ha mentito! Killer ha mentito a Kidd! E lo ha fatto in maniera perfetta! Andiamo! Gli ha nascosto la reale età di una persona con cui dovrà condividere casa per un’intera estate! Certo, lui non ho fatto domande a riguardo, ma anche Killer, per l’amor del cielo, non gliel’ha detta! Anzi, ne parlava proprio come se fosse un moccioso di a mala pena tre anni!
E poi? Poi lo evita per una settimana. Perché sì, è una settimana che Killer non lo viene a trovare e non si fa sentire. Kidd impazzisce per trovare la pappina giusta per bambini idioti al supermercato, e Killer non risponde al cellulare. Kidd cerca qualcosa per distrarre un bambino mentre lui si vede i suoi amati film rigorosamente da adulti , e Killer non è mai in casa quando lui va a cercarlo. Kidd si scervella per inventare scuse plausibili per uscire la sera lasciando il marmocchio a qualche amico, e Killer sembra scomparire dalla faccia della terra. In pratica, c’era voluto poco, pochissimo tempo – eh, una settimana passa in fretta – perché Kidd arrivasse alla conclusione che Killer lo stava evitando.
Ma adesso era troppo. Killer gli aveva mentito! Gli avevo mentito e si era nascosto per una settimana! Stronzo e pure fifone. Tsè!
A momenti butta giù il portone a forza di sbatterci contro il pugno. Killer deve rispondere stavolta. Non ci sono dubbi che sia in casa, Kidd ne è sicuro. Pensa di poterlo sentire nelle vene, quando Killer è in casa, dopo un’intera vita di amicizia. Più che altro, la sua è una tenue speranza alimentata dal fatto che la moto del suo amico è ancora parcheggiata poco lontano dal portone. Sì, insomma, c’è una possibilità su dieci che sia in casa, in linea di massima. Kidd si sente fortunato, anche se ogni secondo che passa senza risposta, il suo pugno si stringe di più.
Poi finalmente, una voce attira l’attenzione di Kidd al citofono – l’attimo prima controllava che il ‘moccioso’ fosse ancora dietro di lui.
“S-Sì… Chi è?” la voce che esce dal citofono sembra agitata e un po’ spaesata.
“Sono la fatina dei denti… Fottuto idiota, chi diavolo vuoi che sia? Ho ricevuto il tuo nipotino, e tu ora devi morire”
“Oh, merd… Sì, Sali” risponde distrattamente Killer. L’attimo dopo Kidd immagina che Killer non si sia ricordato di sistemare decentemente il citofono, perché lo sente gridare da lontano “Penguin, apri tu… Io mi devo vesti—” e qualcuno chiude definitivamente la linea.
-re? Kidd si sente un genio per essere riuscito a completare la frase da solo.
E si sente un genio doppio quando intuisce di aver appena interrotto qualcosa tra Killer e un pinguino.
E infine si sente un po’ meno genio quando comincia a fare fantasie erotiche su Killer e un pinguino.
No, non vuole andare oltre.
Sale le scale, e quattro piani più in alto si ferma. Trafalgar lo sta seguendo con una lentezza che Kidd trova incredibilmente idiosa – anche se in realtà gli sta sempre dietro, quindi non va più lento di lui… Non è vero! Trafalgar è lento!
Quando arriva davanti alla porta di Killer, Kidd ha ancora una voglia matta di fare fuori il suo migliore amico, e questo diventa per lui un ulteriore incentivo per far diventare quella fantasia, realtà.
Sta per sbattere il pungo ancora chiuso sulla porta, quando questa scivola indietro senza che lui l’abbia a male pena sfiorata. La porta si apre e una testa sbuca fuori, con i capelli neri scompigliati, gli occhi socchiusi e un sorrisino ambiguo che svetta maligno in mezzo al viso – è il secondo che Kidd vede in una giornata, su due volti diversi.
“Prego” dice la testa, mentre fa scivolare completamente la porta di lato, per lasciarli passare. E’ vestito solo a metà, la metà giusta, secondo Kidd. Perché effettivamente quel ragazzo ha un fisico davvero… Bello. Non ci sono altre parole, è bianco, come ricoperto di candida neve, scolpito e perfetto. Kidd odia ammetterlo, ma Killer se l’è scelto bene – e momentaneamente si dimentica del pinguino con cui si era immaginato Killer.
“Ghnh” mugugna, mentre fa segno a Trafalgar si seguirlo dentro l’appartamento.
“Prego” fa il ragazzo mezzo nudo ironico mentre richiude la porta alle spalle di Law. “Siete amici di Killer?”
“No, lui” e indica il moccioso “è suo nipote. Io sono il suo futuro assassino”
“Fut—?”
“Piuttosto, tu chi sei?” non ha voglia di dare spiegazioni, Kidd. Vuole risposte e vuole ammazzare Killer.
“Lui è… Un amico…” e Killer sbuca fuori da una porta, con la camicia male allacciata e i lunghi capelli disordinati. E mentre pronuncia quell’‘amico’, sembra quasi chiederselo lui stesso se sia davvero un ‘amico’ “Si chiama Penguin”
“E’ il pinguino?”
“Eh?”
“Tu non…?”
“Eh?”
“Si chiama davvero Penguin?” Kidd è sconvolto.
“Sì... Ciao Kidd, da quanto tempo…” e Killer sembra ricordarsi di essersi nascosto per una settimana.
Kidd lo guarda male, malissimo. Non gli risponde, sa che Killer non si merita una risposta. Semplicemente si limita ad indicare il ragazzo mezzo nudo a pochi metri da loro “Stavate per scopare?” chiede, con una finta tranquillità che fa tremare Killer.
“Più o meno…”
“Oh, no, tranquillo, l’abbiam già fatto” si intromette Penguin, sentendosi tirato in causa. Poi sembra ripensarci e aggiunge “… Più volte”
Killer si spalma una mano in faccia, osservando la reazione di Kidd attraverso le dita. No, non vuole sapere a quale atroce metodo di tortura lo sottoporrà ora…
Kidd invece non si sorprende. Ha capito, ha capito tutto, e pure piuttosto in fretta – di solito non è così intuitivo “Quindi tu questa settimana non ti sei fatto sentire… Perché eri con lui. Tutta la settimana”
Killer si morde un labbro. Perché Kidd deve diventare tanto intuitivo proprio ora?
“No, non rispondere - tanto non era una domanda - piuttosto. Ora tu mi spieghi ‘sta cosa” e allunga una mano indietro per afferrare per un braccio Law – e non fa caso a come questo stesso osservando molto intensamente Penguin – portandoselo di fianco, davanti a Killer.
“Ciao, zietto” si limita a dire Law. Sta sorridendo.
Lui è contento, certo.
Lui non rischia la vita.
Ed ha appena adocchiato Penguin.
 
 

- Fine 2# -

 
 

 
Non è venuto fuori come mi aspettavo, ed è pure finito prima, ma ho avuto parecchi problemi e davvero poco tempo per scrivere questo capitolo. Inoltre sono in partenza, quindi per le prossime tre/quattro settimane non potrò pubblicare niente… Contando il rientro, il post-trauma da vacanza finita, e la poca voglia di fare col caldo, non aspettatevi un continuo molto presto ^^’’
Non c’è stato molto Trafalgar… Però c’è Penguin! Il mitico Penguin! Oh, mio idolo, ti ho rappresentato a dovere? Abbastanza bello? Ovvio che no, impossibile! Ma Penguin non è bellissimo? *^*
Ah, poi nel primo capitolo ho dimenticato di scrivere nelle note che negli avvisi ho messo ‘Triangolo’ anche se in realtà è più un ‘Quadratoehmehm… Pentagono’… Ma c’è tempo prima che si creino i veri casini!
Okok, passo ai ringraziamenti e poi vado a dissolvermi nell’aria…
Grazie mille a chi ha messo tra ‘Preferiti’ e ‘Seguiti’ (ohoh, ce ne sono stati *^* *esaltata*) e grazie mille per due a chi ha recensito! KiraShadow, valealice e erol89 (io adoro scrivere in grassetto, quindi il ‘per due’ è per voi che mi avete dato l’opportunità di farlo! :3)… Non ho molto da dire, sono felice che sia piaciuta e che ci sia qualcuno che mi considera un genio (waaaa *////* non lo meritooo! *finta modestia*) In realtà non ho dato molto peso al passato di Killer nello sviluppo della fic, e quindi neanche ad un eventuale cicatrice… Ma comunque verrà tutto fuori più avanti!
Okok, è il momento di svanire… Aggiungo soltanto che spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia divertito…
A presto,
 
By Ming *puff*
 

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Capitolo 3
*** 3# - Avrei voluto sciogliere l'ipnosi in un altro modo ***


Summer is a world itself

 3# - Avrei voluto sciogliere l'ipnosi in un altro modo


 


“E’… Mio nipote” risponde dopo un’infinità di tempo Killer, evitando con gli occhi quelli di Kidd. È una risposta stupida, banale, e sicuramente non esauriente, lo sa, ma al momento è l’unica che gli venga in mente “Quello… Di cui ti ho parlato…”
Le sopracciglia di Kidd sono piegate verso il basso in una maniera davvero spaventosa, quasi irreale, Killer sa anche questo. Per un attimo crede di avere davvero paura, ma il secondo dopo sente nel petto il suo orgoglio da uomo virile rivoltarsi e scalpitare, e decide che no, lui non ha paura. Assolutamente. Forse un po’ intimorito, sì, ma poco, davvero poco.
“Quello di cui mi hai parlato? Oh, no, fottuto idiota, quello di cui tu mi hai parlato è la versione in scala ridotta rispetto a questo”
“Appunto… Riguardo a questo, Kidd… Mio nipote ha diciassette anni…” Killer non sta tremando e non sta sudando. Killer è tranquillo e affronta questa faccenda da vero uomo.
“Non ti sembra un po’ tardi per dirmelo?” Solo che Kidd è davvero spaventoso quand’è arrabbiato…
“Sorpresa” si intromette Trafalgar. Si annoia, e decide che c’è bisogno fare dell’ironia. Poi si gira tranquillo verso Penguin – e questa volta anche Kidd se ne accorge, se ne accorge fin troppo bene ed è pure incazzato – e si accerta che sul suo viso ci sia il suo stesso identico ghigno. E il ghigno c’è.
E sia Kidd che Killer non possono fare a meno di pensare di aver appena dato vita ad una complicità di cui presto si pentiranno.


Kidd non ha ammazzato Killer. Non lo ha fatto, e la cosa non lo stupisce neanche tanto. Però lo fa arrabbiare, e per una ragione più che valida. Killer la passa liscia troppo spesso con Kidd, e Kidd è troppo buono con Killer.
Kidd sa che Killer non è il tipo di persona che sfrutta gli altri né tanto meno che approfitta delle situazioni, o almeno, così credeva. Vorrebbe dire di essere profondamente deluso, ma sa di non essere la persona adatta per fare certe affermazioni… E poi lui non è deluso, è solo profondamente arrabbiato, soprattutto con se stesso. Si è fatto ingannare come un idiota! E per più volte! Prima facendosi convincere con belle parole a prendersi cura di Law, poi semplicemente non preoccupandosi minimamente di informarsi su questo fantomatico nipotino, e infine… “Certo che sei molto permissivo con Killer…” Trafalgar sembra davvero molto bravo ad intromettersi, tanto nei discorsi quanto nei pensieri.
“Che diamine vorresti dire?” e a Kidd non sta bene essere continuamente interrotto.
“Che non pensavo che aveste una relazione tanto aperta”
“A me non frega niente di chi si scopa Killer“

“E da chi si fa scopare?”
“Eh? P…” ok, questo non se lo aspettava “Perché dovrebbe fregarmene?”
“Oh, quindi siete una coppia moderna voi… Concordo, le relazioni aperte sono le migliori”

Kidd si blocca, con la mano che tiene il portone aperto a metà.
“Coppia?” chiede con un tono di voce che farebbe zittire chiunque, Trafalgar compreso, se non fosse tanto stupido.
“Tu e Killer” risponde infatti quello come fosse un’ovvietà. Perché, porca vacca, quella proprio non è un’ovvietà!
“Io e Killer non siamo una coppia” lo dice con una strana calma, gli occhi socchiusi e una venetta in fronte che pulsa pericolosa.
“Ma come? È stato proprio lo zietto a dirmi che state insieme e che non mi sarei dovuto mettere in mezzo tra voi due…” Trafalgar sorride, tranquillo e sicuro di sé.
E poi tutto succede in un attimo, il portone si richiude, Kidd riprende le scale per farsi quei dannati quattro piedi di corsa, di nuovo con i pugni chiusi, stretti e frementi, e in mente lo stesso pensiero di neanche venti minuti prima: Killer deve morire, tra atroci sofferenze e torture inimmaginabili. E stavolta nulla, nulla potrà distoglierlo dal suo obbiettivo, né un terremoto, né sua madre, né un pinguino a torso nudo. O così credeva.
Non si accorge neanche che la porta di casa Killer è aperta, semplicemente fa irruzione dentro e sbatte un pugno sul primo muro che gli capita a tiro. Lo chiama, urla il nome di quel bastardo del suo migliore amico e lo cerca con lo sguardo. È una ricerca breve, la sua.
Perché Killer è lì, spiaccicato contro la parete opposta alla porta, stavolta con la camicia completamente sbottonata e che lascia scoperta una spalla, i jeans con la patta aperta, tra le braccia del pinguino sempre mezzo nudo. Oh, e le mani di quest’ultimo infilate nei pantaloni, a tastargli il sedere come fosse la cosa più normale da fare con la porta ancora aperta. E dall’espressione liquida e le gote arrossate di Killer, Kidd può dedurne che anche quelle fottutissime mani devono essere benedette da Dio.
Ma tutto questo era solo l’attimo in cui lui è entrato, perché nell’arco di un secondo Killer spalanca gli occhi e fa per spingere via Penguin, mentre questo gli lecca il collo come farebbe - Kidd ne è sicuro - Trafalgar con un lecca-lecca.
Kidd invece è shockato, per la terza volta in quella fottuta giornata, si ritrova con la mandibola penzolante e un battito cardiaco in meno. Però stavolta c’è l’aggiunta di una mezza erezione nei pantaloni.
All’inizio, mentre ancora Killer lo fissa ad occhi spalancati e Penguin lascia un ultimo bacio sul suo collo, Kidd non sa che dire. Nella sua menta vaga solitaria l’idea che forse non dovrebbe trovarsi lì in quel momento, mentre il ricordo di una certa uccisione, di una certa persona, in un certo momento della giornata relativamente vicino va definitivamente a puttane.
Per qualche secondo tutto rimane immobile, sospeso, nessuno dei due osa dire niente perché sa che niente di umanamente comprensibile potrà uscire dalle loro bocche in quel momento.
Poi Penguin prende l’iniziativa, anche se sa di non c’entrare un cazzo in tutta quella situazione, lo scoccia il fatto di essere stato per la seconda volta interrotto in un lavoretto che, al contrario, vorrebbe svolgere con una certa urgenza. Gira lentamente il volto, con l’espressione omicida, le sopracciglia aggrottate e gli occhi assassini, mentre socchiude la bocca per dire qualcosa che, Kidd già lo intuisce, non gli farà piacere.
“Eustass…” pronuncia, sibilando la ‘s’ così come farebbe un serpente davanti alla propria preda “… non te l’ha insegnato la mamma che si bussa, prima di entrare?”
E qui Kidd ricorda. È tutto improvviso, tanto che non riesce neanche a realizzare esattamente il processo che collega quell’immagine con i suoi ricordi, eppure ne è sicuro, quello non è affatto un déjà-vu. Quello sguardo, quegli occhi neri e profondi, quella sensazione che emana il corpo di quel ragazzo, lui già la conosce, l’ha già vissuta. Spalanca gli occhi, perché non sono ricordi particolarmente piacevoli e, soprattutto, non si sarebbero mai dovuti ricollegare al suo presente.
“Tu…” sussurra, incredulo, mentre quello sorride in modo cattivo, mantenendo l’espressione incazzata di poco prima.
“Ce ne hai messo a ricordare, Eustass”
E quel ghigno non fa altro che riportare a galla altri ricordi legati a quel viso, a far risentire vivi i sentimenti e l’umiliazione di quei giorni di tre anni prima. E gli sorge spontanea una domanda palesemente inutile “Che ci fai tu qui?”
Oh, stupido Eustass, cosa potrà mai farci un uomo mezzo nudo con le mani ficcate nelle mutande di un altro ragazzo? Queste son le giuste domande da porsi.
“Beh,” risponde infatti Penguin, mentre aggancia maggiormente il sedere di Killer - e Killer lo sente, e, nonostante non ci stia capendo un cazzo, fa capire a lui e a Kidd che sì, gli piace “Ormai hai un’età per capirlo anche da solo”
Kidd grugnisce, stringe i pugni ed è quasi tentato di sacrificare il pinguino maledetto e salvare la pellaccia a quel deficiente del suo migliore amico.
“Di che state parlando?” si intromette poco dopo il biondo, perché cavolo, quella è casa sua e quello è il suo sedere.
“Di sesso, Killer, di sesso” fa Penguin, con lo stesso tono di voce che userebbe per spiegare ad un bambino che Babbo Natale è buono anche se si infila di nascosto nelle case degli altri.
Killer lo fissa male, sbuffa e gli allontana le mani, sfilandogliele con poca grazia dai propri pantaloni e, nonostante lo gote ancora arrossate e i notevoli segni di morsi sparsi sul collo e sulla spalla libera, assume uno sguardo serio “Intendevo, com’è che vi conoscete già?”
Nella sua voce c’è una leggera nota di rimprovero, indubbiamente diretta unicamente a Kidd, ed è naturale, per Kidd, sentirsi in colpa. Quella di Penguin è una storia che ha sempre tenuto nascosta a chiunque, purtroppo, Killer compreso, nonostante si fossero promessi più volte fin da piccoli di non avere mai segreti l’uno nei confronti dell’altro.
Ma la storia di quel maledetto stronzo non è certo qualcosa di cui Kidd vada orgoglioso.
Rimangono zitti per qualche secondo, Kidd senza la minima idea di cosa dire - qualsiasi cosa non comprendesse la verità andava bene -, Penguin, invece, solo per vedere cosa si sarebbe inventato il rosso. Come immaginava, nulla. Aveva sempre sospettato che quell’energumeno avesse troppa massa muscolare per potersi permettere un cervello di diametro maggiore di quello di una nocciolina. E aveva anche sempre sospettato che Eustass non avesse mai avuto il coraggio di dire ad anima viva quanto era successo - e quanto si era ripetuto per i giorni successivi - negli spogliatoi della palestra delle superiori che avevano frequentato insieme.
“Mah, semplicemente” comincia a dire, sotto lo sguardo incandescente di Kidd che, sì, Penguin lo sa, sta pregando mille e uno dei affinchè gli tappino la bocca prima che possa uscirne una qualsiasi cosa di compromettente “ci siamo incontrati in un bar una paio di giorni fa, lui mi ha offerto una birra, ma io ho rifiutato. Voleva portarmi a casa sua, ma io dovevo venire qui da te…” dice, mentendo spudoratamente e nel modo più palese, mentre fa scivolare una mano sotto la camicia di Killer, su per la schiena, fino al collo.
Kidd, mentre fissa con disappunto la scena, si ripromette che se Killer crederà davvero ad una risposta del genere, per quanto stupido e deficiente possa dimostrarsi, non gli farà del male. Gli sembra equo. E’ da quella mattina - dalle nove di quella fottutissima mattina - che vuole uccidere Killer. Ora però ha un dannato bisogno che quello si beva lo stupida pappardella che si è inventato Penguin, giusto per poter deviare il discorso per il momento.
E, incredibilmente, Killer ci crede. Ci crede per convenzione, ovvio. Non è tanto stupido, e conosce troppo bene Kidd per non sapere che lui mai e poi mai andrebbe in un bar ad offrire birre a sconosciuti, e soprattutto non farebbe mai l’idiozia di portarsi a casa il primo uomo sexy - anche se Penguin è fottutamente sexy - che gli capiti a tiro. Però ci crede, perché al momento è la cosa più semplice da fare. Gli eviterà una morte lenta e dolorosa - lo capisce da come lo fissa Kidd, che gli sta dicendo mentalmente che ha ancora una chance fortuita per salvarsi il culo, o altro, dato che quello è già stato adocchiato, e riafferrato, da un vorace Penguin. E poi, non ha abbastanza lucidità mentale per obbiettare oltre. Quella di Penguin era una provocazione, non una balla, non una scusa, una vera e propria provocazione perché lui tornasse a concentrare tutte le attenzioni sulle sue mani che prima salgono, poi scendono, poi vanno ancora più giù e tornano ad agguantargli il sedere. Insomma, un modo come un altro per dirgli ‘Preferisco te a lui’, e ci mancherebbe altro. Kidd certo il culo non se lo fa fare.
Certo, l’idea di farsi prendere lì, davanti al proprio migliore amico, che ti guarda come se fossi matto ad andare con uno del genere, non è che lo renda particolarmente entusiasta, ma fortunatamente la loro connessione mentale sembra avere parecchio campo quel giorno, perché Kidd pare intuire e si volta, mentre si gratta nervosamente la testa, non tanto per l’imbarazzo quanto per la strana sensazione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Finge di dimenticarsi per cosa aveva fatto irruzione all’improvviso e saluta Killer, aggiungendo un “Ti chiamo domani” quasi minaccioso prima di voltarsi e uscire. È quasi tentato di rientrare per ricordargli di chiudere la porta, a chiave magari, ma poi si immagina già i due distesi a terra, un po’ più nudi di prima, e ha la magica intuizione che, forse, non è poi questa grande idea, ed evita.
Mentre scende le scale borbottando qualcosa di incomprensibile, ragiona sul fatto che probabilmente Killer ha una strana predisposizione fisica nel non essere ucciso quando invece dovrebbe. O magari, anziché un unico angelo custode, lui ne ha una schiera, tutta armata di frecce e bombe a mano. Comunque sia, è strano, se non assurdo, che dopo aver rischiato per la terza volta di morire nell’arco di una mezza giornata, lui ancora sia vivo e vegeto, intento ad avere un ulteriore round di sesso selvaggio con l’uomo probabilmente più sexy dell’universo.
Certo, non si sarebbe mai aspettato che Killer, proprio lui, potesse ricoprire un ruolo tanto passivo in una coppia, ma non deve essere malaccio, se sopra di te ci sta uno come Penguin - e Kidd non lo dice perché gli piacerebbe prendere il suo posto, no, ma solo perché è una pura e semplice constatazione. Insomma, lui non scoperebbe mai con un pinguino maniaco e depravato. Killer invece sì.

Quando arriva al piano terra, Trafalgar è ancora lì che lo aspetta, appoggiato al portone di legno con le braccia conserte e lo sguardo annoiato. Non alza nemmeno la testa quando lo sente arrivare, si limita a sbuffare e Kidd è sicuro di averlo sentito ridere, perché, diamine, quel bastardo lo sapeva! Sapeva che quei due stavano per scoparsi violentemente nell’atrio e non gli ha detto niente! Anche se, certo, non ci vuole di sicuro una laura in sociologia per capire che quando uno come Penguin e uno come Killer sono nella stessa stanza, accaldati e vogliosi, quello che succederà l’attimo dopo riguarderà unicamente loro due e la prima parete che troveranno - o un qualsiasi altro appoggio stabile.
Però Trafalgar è stronzo e colpevole indipendentemente dai ragionamenti mentali di Kidd, e per questo, secondo il suo modesto parere, merita la morte istantanea.
Cazzo, Eustass dovrà pur far fuori qualcuno oggi, si è svegliato alle nove!
Gli si avvicina, già con il pugno carico. “Che cazzo hai da ridere, tu?” gli grida contro, mentre quello si limita ad evitare il colpo spostando la testa di lato e lasciando che la mano si schianti sul legno del portone.
“Pensavo,” risponde poi tranquillo, mentre lo fissa con un sorrisetto ambiguo in volto “che quel Penguin non è niente male”
Kidd grugnisce “E allora?”
“E allora, non credevo di vederti tornare tanto presto”
“Beh, spiacente di averti deluso. Andiamo” dice infine Kidd, prendendo Law per un braccio prima che gli prenda un altro attacco omicida e finisca per farlo davvero fuori.

 

 

“Ah!” Killer geme, sotto i tocchi insistenti di Penguin, nel sentire la propria erezione ancora costretta nei pantaloni. 
Non appena Kidd era uscito, Killer aveva tentato di staccarsi un attimo di dosso Penguin, per controllare dalla finestra che il rosso se ne stesse davvero andando e che non avesse intenzione di fare nuovamente irruzione, interrompendo stavolta qualcosa in più rispetto a semplici palpate di sedere. Penguin aveva ribattuto che, forse, era molto più ragionevole chiudere direttamente la porta a chiave e, cavolo, aveva proprio ragione. Fatto stà che alla fine non avevano fatto né l’uno né l’altro, troppo intenti a trascinarsi nella camera da letto e a baciarsi intensamente.
Si era lasciato buttare sul letto senza troppi complimenti, mentre Penguin, in piedi, finiva di spogliarsi fissandolo negli occhi con intensità e desiderio. Quando poi Killer aveva fatto per togliersi a sua volta i pantaloni, l’altro lo aveva bloccato, sorridendo malizioso, mentre gli prendeva i polsi per bloccarglieli all’altezza delle spalle, tornando a baciargli il collo e allargandogli le gambe, lascivo e deciso.
Penguin era sesso, puro sesso che camminava e parlava e ti faceva sentire tanto eccitato. Sembrava nato solo per dare all’uomo il piacere assoluto, con quel suo corpo perfetto, quelle mani esperte e quegli occhi che ti scandagliavano l’animo e ti rendevano ancora più nudo di quanto non fossi alla nascita. Quando era tra le sue braccia, Killer si sentiva nient’altro che fumo nel vento, non gli importava dove, ma si sarebbe fatto trascinare ovunque, anche all’inferno, se gli avesse permesso di passarci insieme un’altra notte. Riusciva ad annullargli completamente la mente, facendogli dimenticare tutti i problemi, tutti i dubbi, tutte le complicazioni.
Penguin era, semplicemente, la soluzione.

 

 

Trafalgar è una piaga. Kidd non trova altre parole per descriverlo.
Sono in casa sua da soli cinque minuti, e già si è attaccato alla sua pelliccia, dicendo che gli ricorda tanto il pelo del suo gatto. Kidd gli ha subito fatto notare che il suo gatto deve essere parecchio strano se pure una pelliccia rossa, logora e parecchio sporca come quella glielo ricorda, ma Law si è limitato ad un’alzata di spalle.
In realtà Eustass non sa bene per quale assurdo motivo non gli abbia già strappato di mano la sua adorata pelliccia, perché no, lui non concede ad anima viva il permesso anche solo di pensare di toccare quella reliquia che lo fa sentire tanto orgoglioso. Probabilmente, ragiona, il fatto che l’abbia paragonata ad un gatto, lo ha stupito più di quanto sia umanamente possibile, stordendolo a tal punto da non dargli possibilità alcuna di reagire. Appunto, Trafalgar è una piaga.
“Dove l’hai presa?” chiede poco dopo il moro, portandosi una manica alla guancia e strofinandocela contro.
“Viene da un qualche mio bisnonno o bis bisnonno o chissà che altro… Faceva il pirata, Eustachio Captain Kidd, è da lui che ho preso il nome” risponde distrattamente Kidd, mentre si passa una mano tra i capelli e si lascia cadere sulla poltrona in un angolo in ombra della sua camera.
E, in modo indistinto, sente quasi il sorriso vittorioso di Trafalgar sulla pelle, come un’aura maligna e si rende conto che, già, ha appena fatto una grande idiozia, che no, non poteva proprio permettersi.
“Eustachio Kidd, eh? Eustachio… Eustass non è il tuo vero cognome, vero?”
È male. È male che lui lo abbia scoperto. È male che proprio lui lo abbia scoperto in così poco tempo. Killer non c’è riuscito in una vita di amicizia, mentre Trafalgar ce l’ha fatta nell’arco di… Quanto? Sette minuti di puro odio. Contati. È male.
“T… Tu! No- Non provare a dirlo… Fottuto bastardo! Dillo a qualcuno e giuro che ti tappo quella bocca di merda che ti ritrovi con dei chiodi!” grida, cercando di essere il più possibile minaccioso, non riuscendoci in alcun modo.
Infatti Trafalgar sorride di nuovo, continuando ad accarezzare la pelliccia “Com’è che ti fai chiamare Eustass?”
“Tsè,” Kidd sbuffa, calmandosi e appoggiando la testa alla mano aperta, con il gomito sui sostegni laterali della poltrona “Eustachio è da sfigato” e dà esattamente la risposta che Law si aspettava.
Rimangono in silenzio per qualche minuto, Kidd grugnendo ogni tanto, innervosito sia dalla presenza di Law nella sua camera che dal fatto di aver svelato il suo più grande segreto con tanta facilità.
Trafalgar invece si limita a rimirare la pelliccia nella penombra della stanza, guardandosi ogni tanto attorno in cerca di particolari che non trova. La camera di Kidd è davvero di una semplicità disarmante.
Le ante della finestra nell’angolo sono chiuse, e il rosso non sembra intenzionato ad aprirle, mentre i pochi scaffali contengono qualche libro e dischi, fogli sparsi e, nell’angolo, un paio di calzini dimenticati da Dio. Il letto è poco più di una piazza, probabilmente è l’unico lusso che si è permesso rinunciando a qualcosa di più utile come un condizionatore, mentre una brandina chiusa spunta da dietro la porta aperta. A parte il computer sulla scrivania, una cassettiera e la poltrona su cui si trova Eustass al momento, Trafalgar non trova altro su cui focalizzare la propria attenzione, perciò sbuffa e si decide a parlare “Bepo arriverà domani”
Kidd sembra risvegliarsi da uno stato catatonico, sobbalza e fissa Law con sguardo serio “Chi?”
“Bepo, il mio gatto”
“E chi diavolo ti da il permesso di portare a casa mia un gatto?”
“Killer” ovvio, Killer. Sembra la risposta a tutto. Killer.
In realtà, per Kidd, Killer sta davvero diventando un problema unico.
“Fottuto bastardo”

 

- Fine 3# -

 

 

 

 

 

Ah, ci sono! Sono viva e il rientro a scuola non mi ha ucciso, anche se è stato decisamente più duro del previsto! E’ solo colpa sua se sono sparita per otto - qualcosina in più - settimane!
Beh, mi scuso anche per lei!
P
remetto che questo capitolo non lo sento per niente mio… Sarà che l’ho scritto tra mille complicazioni e sotto il bombardamento di notizie più o meno nefaste… Insomma, ho dovuto accettarlo così com’è venuto. Volevo pure farlo più lungo, ma mi sono bloccata più o meno qui, alla fine di questo capitolo, e ho capito che se non lo pubblicavo così, finiva che mi bloccavo e lo tenevo da parte per un altro mese buono.
Però ora è qui e io devo ringraziare voi, che nonostante non mi sia fatta viva per l’intera estate, avete continuato a leggerla e molti a metterla tra seguite e preferite!
Inoltre ci tengo a dire che da questo capitolo risponderò ad eventuali recensioni con la giusta applicazione, e non qui a fondo capitolo… Insomma, avrei dovuto cominciare a farlo subito, ma sono stupida e, ahimè, non l’ho fatto. Le risposte spero di riuscire a darle il prima possibile, ma ho i miei soliti mille dubbi… ^^’’

KiraShadow: Grazie mille per aver recensito, indipendentemente dalla lunghezza della recensione xD Sono felice ti piaccia, e mi scuso per aver fatto attendere tanto il continuo… Certo che Trafalgar è bello, sennò non ci scriverei su una fic, soprattutto una long, ma paragonato a Penguin… Insomma, per me non regge il confronto xD

Harley_s: Sono felice che ti piaccia come scrivo, e che tu abbia fatto caso ai dettagli xD Sarà che io a volte ci do anche fin troppo peso, però è sempre bello sapere di essere apprezzati anche per piccole cose *^* Grazie mille per aver recensito ^^

Non sto a dilungarmi, devo correre o finisce che rimando tutto… Allora, spero di aggiornare al più presto, ma vedo mooolte nubi grigie e cariche di amara pioggia all’orizzonte… Ma terrò duro!
Spero davvero che il capitolo non sia pessimo come pare a me, e vi saluto, ringraziando tutte le buone anime che vorranno lasciarmi il loro parere a riguardo :D
'Eustachio' è solo un modo come un altro per complicare la vita a Kidd u.u

A presto,

By Ming

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Capitolo 4
*** 4# - Anche i protoni dormono, a volte ***


Summer is a world itself 
 
4# - Anche i protoni dormono, a volte

 
Kidd corre, per strade che non conosce, in cerca di un passante o un poliziotto a cui chiedere aiuto. In faccia ha ancora qualche schizzo di sangue, gli occhi gli pizzicano dalla voglia di scoppiare a piangere e le gambe gli tremano costringendolo a diminuire la velocità a tratti. Il tempo sembra scorrere troppo velocemente, mentre la strada continua ad essere troppo vuota. Possibile che non ci sia davvero nessuno? 
E’ stanchissimo, Kidd, e vorrebbe urlare di dolore, di paura e di frustrazione. Si sente un vile verme, per essere scappato via in quel modo penoso, mentre il suo migliore amico rischia la vita. 
Ha visto il sangue mischiarsi alle lacrime sulla guancia di Killer.
Ha paura, Kidd, troppa paura.
Non è riuscito a far altro che girarsi e correre, lontano, il più possibile lontano da quella scena orribile. Deve cercare aiuto, deve allontanarsi il più possibile, deve trovare qualcuno che salvi Killer e deve scappare.
All’improvviso, un rumore. 
Sgrat sgrat.
Il cuore gli balza in gola e spalanca gli occhi, mentre si volta.
 
Sgrat sgrat.
Di nuovo. Kidd si sveglia tra le lenzuola, sudato e col fiatone, come se avesse corso per davvero. Gira la testa e trasale nel notare che di fianco a lui c’è la sua amata pelliccia rossa, spiegazzata e per metà caduta, con uno degli spuntoni di metallo situati all’attaccatura del collo che lo punta minaccioso a pochi centimetri dalla sua testa. Kidd ragiona che forse è più conveniente lasciarla sulla sedia di notte, piuttosto che rischiare di ammazzarsi nel sonno rimanendo infilzati da uno di quegli aculei grandi quando una pallina da golf. Beh, c’è da dire che il suo trisnonno - o giù di lì - aveva uno stile tutto suo nel vestire. 
Sbadiglia fregandosene di mettere una mano davanti alla bocca, tanto è a casa sua, peraltro solo, finalmente solo. Killer ci ha messo un pezzo a sloggiare, ma alla fine si è deciso a restare a casa sua a dormire, senza costringerlo ogni sera ad aprire la brandina di emergenza - “Prossima volta dormi sul pavimento, giuro!” o “Ti uccido mentre dormi, se torni anche domani!” erano minacce a vuoto, contro Killer. 
Deve ammetterlo, Kidd: è strano non doversi più svegliare la mattina imprecando contro i capelli troppo biondi e troppo lunghi di Killer che non si sa bene come riflettono i pochi raggi di sole che entrano dalla sua finestra perennemente sbarrata, ed è strano anche non esser più costretti a scavalcare un secondo letto per poter andare a prendersi una benedettissima tazza di latte e cereali. 
Certo, strano ma gradito, più che gradito. 
Infatti Eustass si alza, fregandosene dell’incubo appena fatto fin troppo ricorrente, e cammina verso la porta di camera sua, fiero di non incontrare più ostacoli in quel tragitto che lo costringessero ad imitare una scimmia mezza zoppa, ed apre l’uscio.
In realtà, Kidd è incazzato, o meglio, ricorda che dovrebbe essere arrabbiato. 
Sgrat sgrat.
E capisce il perché nel momento in cui esce dalla propria stanza e incontra come prima cosa una palla di pelo bianca delle dimensioni di un pallone da calcio con ancora la zampetta che usava per graffiare contro la porta alzata.
 
 
Quando Killer si sveglia, Penguin è al telefono, e sta sorridendo così come sa fare con un’unica persona: Casquette. 
La sveglia sul comodino segna mezzogiorno passato, e si stupisce di scoprire che in tutto quel tempo, Kidd non gli ha fatto neanche una telefonata per lamentarsi di questo e di quello riguardante il suo amato nipotino Trafalgar. Per un attimo ha il dubbio che possa già averlo fatto fuori, non reggendolo in alcun modo - Killer sa com’è fatto Law, e sa che poche sono le persone al mondo capaci di stargli dietro -, ma poi si sente stranamente fiducioso nei confronti di Kidd e si calma, certo che, se davvero lo avesse fatto fuori, almeno una chiamata, giusto per avvisarlo, gliela avrebbe fatta.
Neanche a farlo apposta, il cellulare vibra: è un messaggio.
Mittente: Kidd.
Testo: Ora lo ammazzo!
Doveva aspettarselo.
 
 
“Miauuu” lo saluta Bepo, mentre Kidd lo fissa astioso dall’alto, un’espressione mista di incazzatura e disgusto in volto. 
Ora ricorda perché dovrebbe essere arrabbiato, Kidd, lo ricorda bene: il campanello quella mattina ha suonato alle sette e mezza. Non le nove come il giorno prima, non un orario normale come le dieci, non le dodici come avrebbe dovuto essere, no. Alle sette e mezza qualche fottuto coglione ha avuto la pessima idea di suonare alla porta targata Eustass.
Trafalgar, accoccolato sul divano, a torso nudo, si era alzato, ma con qualche tragico secondo di ritardo, così che Kidd ebbe tempo non solo di svegliarsi, imprecare e controllare l’orario sul cellulare - appena comprato, dato che quello di appena due settimane prima era risultato completamente morto - e infine, uscire dalla sua stanza a passo di carica per uccidere chiunque ci fosse al di là della porta.
E poco importava se questo era biondo, alto, bello e recasse tra la braccia un cesto contenente un tenero micetto tutto bianco. Davvero, non gliene fregava nulla, doveva morire così come lo era Trafalgar - che di fatto, non era morto.
“Che cazzo vuoi?”
“Uuuuhm, cercavo Law, gli ho portato Bepo” aveva risposto il biondino, alzando le sopracciglia e smuovendo leggermente il ciuffo che gli copriva gran parte del volto. 
Kidd non aveva fatto in tempo a rispondere - “E chi cazzo sarebbe Law?” avrebbe detto, giusto perché di mattina presto si sentiva in diritto di non capire e ricordare un emerito cazzo - che Trafalgar lo aveva scostato leggermente, frapponendosi tra lui e il nuovo arrivato. “Ohi, Sanji, come va?” 
Dopo l’occhiata dubbiosa, il biondo aveva scosso la testa per poi parlare di nuovo “Tieniti il tuo gatto, Law. E ricordati che sei in debito con me, ora” e aveva porto lo cesta a Trafalgar.
“Sì” si era limitato a dire Law, sorridendo in modo strano, quasi malinconico.
Poi Sanji aveva detto che Zoro lo stava aspettando in macchina per partire, che doveva muoversi e si era raccomandato con Law di incontrarsi prima della fine dell’estate. E se ne era andato. Il tutto sotto lo sguardo scazzato di Kidd che ci capiva sempre meno di tutta quella situazione.
Trafalgar non si era dilungato in spiegazioni, si era limitato a sbadigliare con calma e a indicare il gatto presentandolo “Questo è Bepo”. Lo aveva preso in braccio, fatte due carezze sulla testa e se ne era tornato sul divano, rimettendosi a dormire abbracciato al gatto.
Questo era tutto. 
E Kidd è incredibilmente incazzato proprio per questo. Non gli era stata data alcuna spiegazione né gli era stato chiesto alcun permesso, nonostante si trovassero a casa sua. Era tornato anche lui a letto arrabbiato e si era svegliato di un umore ancor peggiore, alimentato dall’incubo sul passato di Killer.
Sente in tasca il cellulare vibrare, e non ha bisogno di conferme per sapere che è di Killer il messaggio. Kidd gliene ha appena inviato uno avvertendolo che la vita di Trafalgar è davvero a rischio, in quel momento, vuoi per il fatto che il suo dannatissimo gatto gli si stia strusciando sulla gamba da quando si è svegliato, vuoi per l’odore orribile che viene dal salotto, o, anche peggio, per Law che ancora dorme tranquillo e mezzo nudo sul suo divano. 
Ci aveva messo poco, a rispondere, a discapito di quel che invece pensava Kidd - che ancora lo vedeva arrotolato tra le coperte con il pinguino. “Che sta succedendo” gli ha scritto Killer, senza avere neanche la decenza di metterci un punto di domanda a fine frase… Certo, doveva essere troppo stanco dopo una sessione di sesso con quel maledetto stronzo. 
Risponde velocemente, Kidd, mentre si avvia verso il divano, ignorando il ben poco profumato regalino che Bepo - o almeno, spera sia di Bepo - ha lasciato sul tappeto, vicino al televisore.
 
 
Penguin è tornato all’attacco. 
Non appena aveva chiuso la telefonata con Casquette, era rimasto un attimo fermo a rimuginare su cosa fare: colazione o Killer. Non ci aveva messo molto a decidere.
E ora gli era completamente addosso, completamente nudo e completamente eccitato. 
Si stavano baciando, lo stavano facendo entrambi e insieme. Non era Penguin a baciare Killer, né Killer a baciare Penguin, erano insieme. Un agglomerato di particelle, cellule, molecole, atomi mischiate insieme e unite da reazioni chimiche il cui legame era la passione. La lingua con la saliva, di chi non aveva importanza, le mani con i capelli, chi lunghi, chi scuri, la pelle con il seme dei loro desideri.
Per questo, Killer non sente o finge di non sentire in cellulare che, di nuovo, vibra un paio di volte sul suo comodino. 
Il messaggio di Kidd può aspettare, la chimica dei corpi no.
 
 
“Pulisci quella merda. Subito” sussurra, mentre Trafalgar sbadiglia, seduto sul divano.
Lo ha appena svegliato con un calcio in pieno stomaco, Kidd, e sembra intenzionato a dargliene un altro, più in basso, se Law non si muove ad alzare il culo da quei cuscini e occuparsi di quanto gli sta ora indicando. 
Bepo, tranquillo, salta sul divano e si accoccola vicino al padrone, lasciando la pancia leggermente scoperta così che Trafalgar possa fargli qualche tenero grattino. 
“Non prendertela, Eustachio. Anche tu la faresti a terra se non avessi un cesso dove scaricarti” 
Gli occhi di Kidd si spalancano, sia perchè non gli va proprio giù di essere chiamato in quel modo, sia perché le parole di Trafalgar sono una vera e propria richiesta di esser mandato al creatore al più presto. 
“E tu faglielo, un cazzo di cesso” risponde, il più pacatamente possibile, mentre stringe i pugni per contenere la rabbia “E intanto pulisci” finisce, dirigendosi verso il bagno e chiudendocisi a chiave dentro, dopo aver teatralmente sbattuto la porta. 
Trafalgar si limita a sbuffare, divertito. Fissa Bepo e il suo sguardo è subito ricambiato dai suoi due occhioni verdi che brillano come due piccole macchie smeraldo su una tela immacolata. 
Sarà una convivenza difficile, la loro, e la cosa lo eccita parecchio.
Deve solo trovare il modo di rendere quell’estate il più movimentata possibile.
 
 
L’energia di mille protoni, mille elettroni e mille neutroni che si scontrano ed esplodono l’uno contro l’altro.
Così definirebbe la sensazione provata durante quell’ultimo orgasmo, Killer, mentre si sdraia di fianco a Penguin, sfinito. 
E’ stato Penguin, questa volta, a concedersi a Killer. Senza parole o gesti di troppo, lo aveva portato sopra di sé, aprendo le gambe e sorridendogli. E Killer non si era fatto pregare, si era spinto dentro di lui piano ma sicuro, fino a riempirlo completamente e far sentire la sua presenza il più tangibile possibile.
Non era stato il desiderio di dominare a muoverlo né Penguin aveva legato quel gesto ad un qualche sentimento recondito dentro di lui. Era stata semplicemente la voglia di cambiare, di unirsi in modo diverso e di provare nuove sensazioni. Di dimostrare che in quel letto erano entrambi re.
 
 
“Shachi Casquette” il suo nome sulla bocca di centinaia persone.
“Che figlio modello! Bello e intelligente!” apprezzamenti verso di lui da ogni parte del salone.
“Magari può fare amicizia con mio figlio e metterlo un po’ in riga, no? Ahah, magari!” richieste sussurrate tra vecchie signore e giovani lady.
Sua madre che lo raggiunge da dietro, posandogli a tradimento una mano sulla spalla. Ha le labbra dipinte di un rosso vivace, che Casquette ricorda di aver già visto da qualche parte, mentre il vestito nero succinto le cinge i fianchi secchi senza però risaltarne troppo le curve. I pochi gioielli preziosi che porta - è sua abitudine non esagerare mai con gli ornamenti - sono una collana d’oro impreziosita da brillanti e la fede nuziale. 
Sorride affabile, mentre nella mano libera tiene delicatamente il bicchiere colmo di champagne. “Non ti diverti, tesoro?” chiede con voce leggera e dolce. Mentre il figlio si gira verso di lei, i suoi occhi scorrono sul vestito nero elegante che indossa per l’occasione “Oh, ancora non sai allacciare bene le cravatte? Dovresti imparare, cucciolotto, sei grande ormai!” ride per nulla arrabbiata, mentre gli sistema il nodo al collo.
“M-mamma! Se dici che sono grande perché continui a chiamarmi così?” sussurra Casquette, mentre arrossisce e tiene gli occhi sulle mani della madre, che, ancora, ridacchia divertita.
“Così come?”
“Lo sai!” 
Quando finisce di sistemare la cravatta al figlio, la donna sorride, teneramente, mentre gli porge una mano dove lo smalto rosso risalta senza dar fastidio “Mi accompagna a fare un giro nei giardini, signorino Shachi?” chiede con tono divertito.
Fa sempre così, sua madre, quando vuole parlargli un po’ in privato. Gli chiede di accompagnarla a fare un giretto sui prati di loro proprietà o di prendersi insieme un bel tè caldo. Non si vedono spesso, ma questo non toglie loro i momenti di intimità che qualunque figlio dovrebbe avere con i propri genitori.
Suo padre ogni tanto li raggiunge, o si siede insieme a loro nel salone, ma mai per tutta la durata della conversazione: arrivano sempre ospiti inaspettati o chiamate improvvise di lavoro che lo costringono subito a rialzarsi e sorridere un po’ triste, mentre si scusa e lascia la stanza. Non è colpa sua, ma Casquette non può dire di non rimanerci spesso piuttosto male, specie se la conversazione stava procedendo bene e sa già si respirava quell’aria di famiglia unita e felice da cui avrebbe sempre voluto essere circondato.
Sospira, mentre affianca la donna lungo il sentiero che porta alla parte alberata del giardino.
“Non è che mi annoi, mamma” dice, dopo un silenzio durato un paio di minuti “Solo non credo di trovarmi del tutto a mio agio… Insomma, io non conosco nessuno, ma sembra che tutti invece conoscano me” 
La donna sorrise leggermente “Sei un figlio talmente perfetto che i tuoi genitori non possono fare a meno di vantarsene in giro”
“Non mi sembra di fare molto, per meritarmi tutti questi complimenti…” risponde, a testa bassa, mentre si sfrega le mani un po’ nervoso.
“Ma…” aggiunge subito la donna “Non è per questo che hai quel faccino triste, sbaglio?”
La madre di Casquette è fin troppo brava ad intuire anche ciò che lui non vuole dirle parole, lo sa bene.
“… E’ Penguin” dice infine, alzando la testa verso il cielo azzurro, limpido, dove il sole del pomeriggio svetta glorioso sopra le cime degli alberi “E’ una settimana che non lo vedo. E’ rimasto tutto il tempo da un… Ragazzo che conosce a malapena. Ha pure lasciato il lavoro”
“Ma come, non fa più il pinguino allo zoo? Gli stava così bene quel costume!” ridacchia, strappando una risatina anche a Casquette.
“E’ una cosa seria, mamma. Mi preoccupa, non è da lui”
“Non è da lui cosa, tesoro?” lo guarda mentre parla, e nella voce ha una strana vena di profonda verità “Andare con ragazzi che conosce a malapena? O che faccia cose strane all’improvviso come lasciare il lavoro? O…” lascia la frase in sospeso per un attimo, mentre prende una mano al figlio con delicatezza “O ti da fastidio che stia con qualcun altro?”
Eccola. Sua madre, la solita. 
Casquette non sa bene perché, ma ha come l’impressione che sua madre sia convinta che lui e Penguin stiano insieme.
Così, senza una vera ragione valida, semplicemente è da quando li ha visti sdraiati l’uno sull’altro sul letto di Casquette che diventa insolitamente più dolce e gentile quando vede Penguin. Chissà cosa le era passato per la testa e cosa esattamente si aspettava stessero facendo in quel momento - che ovviamente, non era una versione corretta dei fatti.
Però non nega, Casquette, perché sì, gli da fastidio che Penguin passi tutto quel tempo con qualcuno che non conosce, ma non per i motivi che sua madre crede, bensì perché è il suo migliore amico e da tale vorrebbe un po’ più di considerazione - specie se ha accettato di sostituirlo a lavoro solo un paio di settimane prima.
“Vorrei che stesse più tempo con me, mamma, tutto qui” sussurra, dopo un po’, non del tutto sincero. 
Penguin è il suo miglior amico da troppo tempo per poter diventare pure qualcos’altro. E a Casquette va bene così, perché lui vuole bene a Penguin, lo adora così com’è, in tutto il suo essere. Non accetterebbe mai che cambiasse solo per poter evolvere quella loro amicizia, già perfetta e bella. 
Bella. Sì, sicuramente non esiste modo migliore per descrivere quel loro legame, tanto forte e profondo, radicato nel tempo, da  essere diventato ormai indistruttibile. Tutti continuano a dirgli di quanto sia bello, di che ragazzo perfetto sia, di quanto Dio lo abbia aiutato rispetto agli altri, ma nessuno capisce, nessuno va più in là della mera apparenza: lui è bello grazie a Penguin.
Perché è Penguin ad averlo creato, ad avergli dato un carattere, un ruolo, un posto nel mondo. Pure il suo nome, sulle labbra di Penguin, diventa bello. 
La sua amicizia con Penguin è l’unione della loro bellezza: il genio creato e il modello plasmato a sua immagine e somiglianza. Quanto di più perfetto possa esistere, un rapporto vincolato da solide basi di una fratellanza che va oltre il solo sangue che scorre nelle loro vene. 
Sono due compagni, due vite legate da un’unica avventura, la ricerca continua dell’acqua di due bambini che scavano un fosso. Ogni granello si sabbia spostato è un legame in più, un nuovo vincolo che li lega, anima e corpo, infinitamente piccolo ed incommensurabilmente forte.
“Mmmh… Se è questo il problema…” sua madre si posa un indice sulle labbra, pensierosa. Casquette la guarda, senza capire, prima che il volto di lei si illumini, aprendosi in un sorriso radioso “E se lo invitassi ad una gita in barca?”
E finalmente, anche Casquette ride.
 
 
- Fine 4# -
 
 
 
 
Ho… Partorito. Credo.
E che bel bambino! Cinque pagine di troppe parole troppo inutili… Serve che lo dica? Non mi convince questo capitolo. E’ dall’inizio della fic che lo dico - me ne rendo conto, sì - ma questo capitolo sta a parte: teoricamente nel cestino. L’ho lasciato così solo perché dopo averlo riscritto tre volte, e dopo essermi resa conto che era da un mese e passa che non aggiornavo, mi son sentita troppo un verme e mi son detta che per questo avrei passato. Lo avrò sul gobbo per tutta la mia esistenza temo, anche perché ho deluso già un paio di persone ^^’’
Passando a notizie meno brutte… Anzi, proprio belle! Solo stata felicissima delle ultime recensioni ricevute, davvero, grazie di cuore! E come se non bastasse, continuano ad aumentare i Preferiti/Seguiti, che restano sempre una gran soddisfazione per un’autrice come me! Davvero, grazie a tutti!
Ultimamente mi sto fissando con Casquette, per questo gran parte del capitolo è dedicata a lui… Ma non era prevista quella parte in realtà xD Amo perder tempo, si vede? 
Uh, la roba dei protoni e neutroni e elettroni e altra roba varia tra Killer e Penguin è dovuta solo alla chimica e al fatto che, sebbene non ci capisca una mazza, mi piace *^* Probabilmente ho scritto delle gran boiate, ma mi pareva suonassero bene e le ho lasciate… Chiedo scusa a chiunque ne sa più di me ^^’’
Mentre per Killer seme… Parliamone. Insomma, non sono mai stata molto sicura, ma diamine, Killer è il doppio di Penguin, quindi, età tralasciando, lo trovo più che fattibile. Mentre la storia dei re che ho accennato alla fine di quella parte ritornerà più avanti, anche se forse, sarebbe meglio che evitassi xD
Poi beh, con questo capitolo si son visti anche Bepo e Sanji, che non avrà un gran ruolo, ma tornerà più avanti (inutile dirlo, sono una fan della ZoroSanji *^*)
Infine boh, che altro dire… Trafalgar e Kidd ancora non hanno approfondito alcun rapporto, ma non tarderà ad arrivare anche quello, ovviamente, mentre per la frase finale della madre di Casquette… Come dire, non è certo messa lì a caso ;D
Ho finito. Devo dire solo che ho una gran paura a pubblicare questo capitolo, ma lo faccio lo stesso, con la promessa che per il prossimo mi impegnerò molto, ma molto di più. 
Spero sempre nelle vostre meravigliose recensioni.
Detto questo,
See ya,
 
By Ming

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Capitolo 5
*** 5# - Sei e mezzo in logica del mondo ***


Summer is a world itself 

5# - Sei e mezzo in logica del mondo


 
Luci psichedeliche che illuminano a tratti la pista, ballando in mezzo ai corpi di mille persone, giocando con le sue ombre e riflettendosi negli occhi dei più appassionati.
Musica che batte a un ritmo insostenibile, pareti che non riescono a contenerla, corpi che tentano di seguirla spingendosi sempre più l’uno addosso all’altro, facendo coincidere petti nudi e bacini.
E voci che si accavallano, senza mai prevalere le une sulle altre. Solo mille suoni indistinti sommati ad un’emozione troppo forte scandita da quel ritmo martellante. Le Terra gira su se stessa, e tu rimani fermo, aggrappato al primo petto in bella vista che trovi - una nuova preda, lo sai.
“Peeen, tra quant’è che andiamo a casa?” si lamenta Casquette, dopo essere caduto addosso all’amico per colpa di uno spintone da parte di qualcuno che ormai è già stato risucchiato dalla massa informe.
“Ma se siamo appena arrivati. Stai più attento” lo ammonisce invece Penguin, aiutandolo a rimettersi dritto.
Sono entrambi appoggiati al bancone del bar di quella discoteca, due birre in mano, a fissare la gente che passa loro davanti, ogni tanto commentando, forse parlando delle loro ultime giornate, a tratti ridendo perché quella canzone fa venire a galla bei ricordi, e magari con Penguin che tenta di convincere Casquette a provarci con quel tipo lì che sì, sembra proprio starci.
“Ma se siamo qui da due ore! Mi fa male la testa!” 
“Non è vero!”
“Sì che lo è!”
“Quella non la finisci?” chiede facendo segno con la testa alla bottiglia piena che Casquette tiene ancora in mano. 
Casquette sbuffa, gliela porge, tanto sa di non aver voglia di bere, e “Sei uno stronzo…” sussurra.
Un ragazzo passa loro davanti e fa un cenno a Penguin, mentre con gli occhi lo squadra e sembra desiderare spogliarlo lì, seduta stante. Poi anche lui viene inghiottito dalla folla.
“Uno stronzo dannatamente sexy, però” risponde a Casquette, con un sorrisetto sulle labbra che lo fa quasi sembrare una persona pericolosa - che poi, nessuno ha mai detto che non lo sia per davvero.
Casquette ride, in fondo, ha sempre voluto bene a Penguin per quella sua innata capacità di fare ironia su qualsiasi cosa. E poi non gli dispiace così tanto stare lì, non quando Penguin è lì con lui, solo e soltanto per lui. Di fatto è come se fossero soli. Loro due circondati da tante persone fatte di nulla, piene di aria e di vuoto, insignificanti. Perché è con lui che Penguin parla, beve, sorride e sembra tanto felice, con lui e con nessun altro.
“Comunque, lo sai che non possiamo andare da soli” Casquette riprende il discorso interrotto quando il ragazzo di prima lo aveva spintonato “La scorsa volta c’erano Heat e Wire con noi in barca, ma ora che si sono trasferiti in Inghilterra non saprei a chi chiedere”
“E’ davvero così impossibile andare da soli?”
“Assolutamente! I miei starebbero troppo in ansia se fossimo solo in due, e anche io non penso riuscirei a stare tranquillo”
Penguin non risponde, troppo concentrato a fissare la folla. La musica sembra sempre più alta mentre le luci impazziscono rendendo i pensieri e i movimenti ancora più confusi. È quasi divertente perdersi nei dettagli della pista, notare quante magliette vengano abbandonate a terra con noncuranza e come la gente si strusci l’una addosso all’altra senza il minimo pudore.
“Ci penseremo dopo,” dice, mentre appoggia la bottiglia vuota sul bancone dietro di loro e afferra Casquette per il polso “Ora balliamo”
E subito la pista li accoglie, vengono integrati nella massa e nel movimento, che li rendono partecipi di quel suono, di quell’unico battito pulsante che dirige tutto, come una grande orchestra. Le mani che si sfiorano sono quelle di tutti e di nessuno, i sospiri e il sudore si confondono e i corpi sono un unico elemento che si scompone e ricompone secondo le regole di un alchimista sadico e cieco. Il desiderio di qualcosa in più scorre nelle vene, l’adrenalina si inietta direttamente attraverso ogni minimo contatto di pelle nuda, rovente.
E’ tutto un singolo, ogni voce e ogni mossa, ogni pensiero offuscato dall’alcool, tutto si riconduce all’unità.
Solo una cosa non condividono, Penguin e Casquette, col resto dalla folla. E’ quel loro legame, sottile e forte allo stesso tempo, quel qualcosa di invisibile ed intoccabile, quello sguardo che sempre si scambiano quando si sfiorano le mani o i petti. Gli occhi di uno sono gli occhi dell’altro, sempre fissi, a puntarsi, ad aspettarsi, a vivere l’uno dell’altro. 
Poi qualcuno si intromette, rompe quel contatto visivo, sembra quasi voler violare il loro legame. Si mette in mezzo tra i loro corpi e balla, sfacciatamente, puntando lo sguardo sul volto di Penguin.
Ed è proprio quando anche Penguin abbassa lo sguardo sullo sconosciuto, che Casquette si rende conto che quella persona è lì per rovinargli la serata.

 
“Va bene, Kidd, lo ammetto. Ti devo delle scuse” Killer appoggia nervoso il bicchiere mezzo vuoto sul bancone, senza preoccuparsi del rumore che fa questo quando sbatte sulla superficie di legno.
Kidd si limita a lanciargli un’occhiata furente, mentre osserva davanti a sé la scaffalatura piena di bottiglie di quel vecchio bar di cui ormai sono entrambi clienti abituali.
“E quindi?” 
“E quindi ti chiedo scusa!” un altro sorso e di nuovo il bicchiere sbattuto sul bancone “Però adesso ascoltami!”
“Parla” si limita a rispondere freddo Kidd, continuando imperterrito ad evitare lo sguardo di Killer.
“Law non ti darà alcun fastidio, fidati. Tu lascialo fare, quello è matto, se torna a casa ubriaco sono fatti suoi. Basta che tu non stia a discutere con lui e sarà come se non esistesse”
“Mi ha portato a casa un gatto” 
“Fregatene, ci penserà lui al cibo e ai bisogni…”
“Ieri notte,” e qui Kidd sospira, voltandosi leggermente verso l’amico “Si è messo parlargli. E sghignazzava!”
“Te l’ho detto che è pazzo!”
“E allora tientelo a casa tua!”
Ancora, Killer prende il bicchiere, svuotandolo completamente in un unico sorso. Quando lo riabbassa, lo fa scivolare sul bancone, facendo segno al barista di riempirlo nuovamente. Nonostante sappia che Kidd ha tutte le ragioni del mondo per lamentarsi, quella situazione comincia a dargli seriamente sui nervi, perciò decide di essere sincero una volta per tutte “Kidd, sono stufo di abitare sotto lo stesso tetto di cugini o nipoti che potrebbero mettermi le mani addosso in ogni momento… Ora che Rowan non c’è, vorrei stare un po’ tranquillo, e con Law tra i piedi, sarebbe impossibile”
Killer finisce di parlare sotto lo sguardo attonito di Kidd. 
“Kidd?”
“Law… E’ gay?” chiede, come se avesse un bruciore in gola che gli spezza la voce.
E allora Killer sospira, convinto ormai di aver perso la guerra. “Sì” sbuffa, per niente convinto che dire la verità sia sempre la cosa migliore da fare.
Non che Kidd abbia qualche strana fobia verso i gay o altro, in fondo, lui stesso ha sempre detto di non avere preferenze, che maschio o femmina che sia si tratta sempre di una scopata, ma Killer sa cosa significa condividere casa con qualcuno di cui non ti fidi e con cui corri sempre il rischio di risvegliarti una mattina, con il mal di testa da dopo-sbornia e le mani e i piedi inspiegabilmente ammanettati al letto. Nessuno lo vorrebbe, men che meno Eustass Kidd.
“E sia” Killer sgrana gli occhi, incredulo, davanti ad un Kidd ghignante e incazzato allo stesso tempo. Il barista poggia con un ottimo tempismo il bicchiere nuovamente colmo vicino ai due ragazzi, e Kidd lo afferra portandoselo alle labbra. Lo sbatte poi sul ripiano con ancora meno gentilezza di Killer poco prima, facendo fuoriuscire qualche goccia del contenuto “Ospiterò a casa mia Trafalgar. Ma se quel verme osa anche solo sfiorarmi, io giuro che lo ammazzo!”

 
Sospira, mentre svolta l’angolo della stradina poco illuminata che conduce poi alla via principale. Se non ricorda male, dovrebbe essere lì che ha parcheggiato l’auto, qualche ora prima. Tiene lo sguardo basso, le mani in tasca, ogni tanto calcia qualche ciottolo che incontra sul suo cammino, sbuffa ogni volta che il ricordo di quel sorrisino beffardo gli torna in mente.
Come immaginava, gli ha portato via Penguin. 
Lo sguardo che si erano rivolti, in quella discoteca, esprimeva una complicità strana, nuova ma già salda, a Casquette non era sfuggito. Perché raramente vedeva sul volto del suo amico un sorriso del genere, che metteva a nudo la parte più contorta e sadica del suo essere, quella che da un certo punto di vista, Casquette non poteva proprio sopportare e che spesso pure Penguin stesso tendeva a nascondere. Ma quel tizio, quello che si era presentato come Law, con la voce sensuale e moderata, accattivante, la aveva riesumata con una semplicità sconvolgente, con un semplice sorriso, di quelli di chi sa di avere in mano un potere non trascurabile, la cui influenza si sente a distanza, forte ed inebriante.
Avevano parlato un po’, in mezzo alla pista, Casquette aveva intuito che quei due dovevano già essersi incontrati da qualche parte, poi Law aveva detto di essere il nipote di Killer e allora aveva più o meno intuito come si erano svolti i fatti. Penguin infine aveva fatto il nome di un altro, uno che Casquette non conosce, e ci aveva scherzato sopra mentre lo sconosciuto diceva che era a casa di questo Kidd che avrebbe abitato per l’estate. 
Shachi si era limitato a sorridere e ascoltare, fingendo di capire e di non essere indispettito dalla presenza di Law. Poi, proprio come si era immaginato, Penguin aveva circondato la vita dell’altro e lo aveva invitato a casa sua, puntando gli occhi maliziosi nei suoi. Si era scusato con Casquette, aveva detto che si sarebbero sentiti il pomeriggio dopo e se ne era andato con Law, lasciandolo solo fuori dalla discoteca.
No, non era una novità, ma non per questo Casquette riesce a farci l’abitudine.
Non sopporta l’idea che Penguin sia quel tipo di persona, che prima ti invita con un sorriso e poi ti abbandona a metà serata per andarsene con un altro, magari appena conosciuto, solo perché il suo culo ne ha attirato lo sguardo. Gli da incredibilmente fastidio ma sa che non può farci nulla, perché Penguin è fatto così, e lui gli vuole troppo bene per potergli rinfacciare quel comportamento. 
Ancora, sbuffa, non convinto di star andando dalla parte giusta. Quella stradina non se la ricordava. Ma non fa in tempo a guardarsi attorno che sente dei passi venire nella sua direzione, delle risate grasse di un gruppo di ragazzi probabilmente un po’ brilli riempiono l’aria e la luce tremolante dell’unico lampione presente mostra presto i profili di tre uomini, probabilmente sulla trentina.
Non ci da troppo peso, Casquette, si limita a procedere dritto, calandosi di più il berretto rosa e azzurro - un regalo di Penguin - in testa, fino a coprirsi gli occhi. Li ignora pure quando li sente fare qualche commentino stupido ben poco apprezzato, nonostante le risa degli altri gli urtino particolarmente i nervi. E’ gente ubriaca, ne è sicuro, non merita certo la sua attenzione.
Ma il suo cuore perde un battito quando si sente afferrare per un braccio con ben poca grazia, mentre quello che sembra essere la colonna portante del gruppo lo fa voltare di scatto, facendogli sbattere le spalle al muro. 
“Ragazzino, stavo parlando con te, sai?” dice subito l’uomo, ridendogli in faccia e sputandogli addosso l’odore acre di tutto lo schifo che doveva aver bevuto quella sera “Non è educato far finta di nulla”
Casquette non risponde, stretto tra il muro e il corpo dell’uomo: rimane semplicemente fermo, a testa bassa, i muscoli tesi e il cuore che comincia di secondo in secondo a battere più velocemente, terrorizzato dalle mani dello sconosciuto che dopo poco cominciano a frugare impazienti nelle tasche dei suoi jeans e della felpa, tirandone fuori quel che trovavano. Il sorriso sul volto dell’uomo si allarga ancora di più, strafottente, quando si accorge che il portafoglio di Casquette non è affatto vuoto, e subito commenta, continuando a tenere l’altro fermo contro il muro “E’ messo bene, il ragazzino…” 
Non gliene frega niente del portafoglio, o del cellulare - che già lo sconosciuto sta passando ai compagni dietro di lui perché possano giudicare da sé il bottino appena guadagnato - vuole solo essere lasciato andare, Casquette, vuole che quel tizio si allontani da lui e smetta di toccargli i fianchi in quel modo insistente e quasi febbricitante. E’ terrorizzato da quello sguardo e da quel sorriso deformati dall’alcool, dall’espressione quasi maliziosa che l’altro assume poco dopo, quando gli afferra un polso e lo tiene premuto contro il muro, mentre con l’altra mano gli toglie il cappello, buttandolo a terra con non curanza e gli afferra i capelli, costringendolo e guardarlo in viso. 
“Allora, che ne dici se ti insegnassi io l’educazione?”
E il suo viso è terribilmente vicino, nauseante e schifoso più di prima, quando lo fissa negli occhi con un’espressione terrorizzata e le lacrime a bagnargli le ciglia. “Lasciam--”
“Che sta succedendo qui?”
Alla risata sguaiata dell’uomo si sovrappone una voce, forte, e tutti si girano.
Casquette spera quasi possa trattarsi di Penguin, nonostante quella, lo sa, non sia assolutamente la sua voce; ma quando si gira, la figura del nuovo arrivato è in ombra, controluce all’unico lampione presente in quella stradina. Riesce a distinguere solo il colore intenso dei capelli, di un rosso simile alle fiamme dell’inferno.
“Allora?”
“Fatti gli affari tuoi!” grida l’altro allarmato, stringendo la presa sul polso di Casquette.
Shachi scuote leggermente la testa, gemendo piano, chiedendo con gli occhi aiuto. Continua ad avere troppa paura per parlare.
“Lascialo andare” tuona di nuovo, Eustass Kidd, avvicinandosi ai due ed afferrando a sua volta il polso dell’uomo, stringendo e costringendolo a lasciare la presa su quello di Casquette. 
“Ch-Che fai, stronzo? L-Lasciami andare o--” grida lo sconosciuto e subito il pugno che riceve in pieno volto lo butta a terra, sotto gli sguardi terrorizzati dei compagni. 
Kidd intima loro di andarsene, con ancora il pugno a mezz’aria, e questi non si fanno alcun problema a scappare, seguiti subito dall’altro uomo a terra, imprecando e lasciando cadere nella fretta quello che avevano appena rubato a Casquette. Qualcuno, mentre svolta l’angolo, grida che gliel’avrebbero fatta pagare, che poteva starne certo, ma è una minaccia a vuoto, perché Kidd già non lo ascolta più, girandosi verso Casquette, seduto a terra con la schiena contro il muro freddo e ancora l’espressione terrorizzata in volto. Vorrebbe ringraziare, ma non trova la forza necessaria per far uscire la voce.
“Tutto bene?” chiede Kidd, senza neanche porgere una mano per aiutarlo a rialzarsi - gli pare di aver fatto già fin troppo per quel cosino tremante. Si limita a guardarlo dall’alto in basso, con i capelli che in parte gli ricadono sul viso, in scomposte lingue di fuoco che fan risaltare gli occhi ambrati, con le mani in tasca e la giacca di pelle nera aperta. In realtà, non si aspetta davvero una risposta. Lo capisce da come il ragazzino abbasso lo sguardo, ancora confuso, con le spalle scosse da lievi tremiti, e prende il cappello da terra, stringendolo tra le mani senza sapere bene cosa dire. A Kidd basterebbe un ‘Sì’, anche poco convinto, per levar le tende e lasciare che quella sottospecie di pulcino bagnato se la cavi da solo per quanto riguarda l’alzarsi e, magari, raccogliere le proprie cose.
Ma Casquette non fa nulla di quello, si infila il cappello con una lentezza e dei gesti ancora tremolanti e poi alza lo sguardo, fissando i suoi grandi occhi color nocciola in quelli del rosso. “S-Scusa” sussurra, con un misto di timore e devozione nella voce, come lo stesse ringraziando senza trovare le parole adatte.
Ed Eustass è quasi tentato di andarsene, ora che è sicuro che il ragazzino stia bene, ma qualcosa lo trattiene: lo guarda in volto, con le sopracciglia aggrottate, e sbuffa quando lo vede provare a mettersi in piedi nonostante le gambe tremanti, mentre scivola all’indietro e sbatte il sedere per terra. La sua espressione sembra quasi concentrata, come se stesse tentando di contenersi ed evitare di scoppiare a piangere all’improvviso.
Al secondo tentativo fallito, Kidd gli si avvicina, afferrandolo sotto le ascelle e sollevandolo senza il minimo sforzo. Gli pare quasi di alzare un gatto con le orecchie abbassate e la coda spumosa ciondoloni tra le gambe, ma subito si riscuote quando vede le prime lacrime bagnare le guancie dal ragazzo davanti a lui, mentre lo aiuta a restare in piedi. Prova a chiedergli se va tutto bene, se per caso quegli uomini gli avessero fatto qualcosa, con un tono quasi apprensivo che lo disgusta ma che non può fare a meno di usare, per evitare di spaventarlo ulteriormente. L’altro però si limita a scuotere la testa mentre singhiozza, e quasi abbraccia Kidd, nonostante non lo conosca, per cercare un po’ di conforto e un solido appoggio per evitare di cadere di nuovo.
Ha solo bisogno di sfogarsi un po’.  

 
La casa di Penguin non è particolarmente spaziosa, è disordinata e non ha affatto l’aspetto di un rifugio sicuro, di una calda abitazione dove trovare ristoro dopo una dura giornata di lavoro. Sembra più la camera di un adolescente con ancora troppe poche certezze per fermarsi su un’unica cosa alla volta, sempre pronto a lasciare il nido per rivolgersi ad orizzonti più lontani. Pare destinata a non dover durare, ad essere dimenticata, sepolta sotto un ammasso di ricordi ben più importati di due poster appesi ad una parete - come la prima notte d’amore, la vigilia di Natale in discoteca, o il giorno del diploma. E’ tutto fermo, immobile, senza un rumore, quasi fosse inabitato da tempo.
E’ questo che fa capire a Law che quella casa, Penguin, non l’ha mai vissuta veramente. Che probabilmente è un alloggio temporaneo, ma che la maggior parte del tempo lui la passi fuori, altrove, il più lontano possibile da quelle quattro mura asfissianti. 
Il letto, una semplice brandina aperta in un angolo, è sfatto e sopra una felpa nera aperta sembra star solo aspettando il momento di essere indossata. Penguin ci si siede sopra, senza stare a spostare niente, facendo segno a Law di avvicinarsi, lasciando che si sedesse sulle sue gambe, così da poter riprendere il bacio poco prima interrotto, quando passando per la cucina, erano stati costretti a causa dello spazio ridotto a staccarsi l’uno dalle braccia dell’altro.
“Scusa il disordine” dice Penguin, tra uno schiocco di labbra e l’altro, sorridendo e fissando l’altro negli occhi scuri. Law sospira sulla sua bocca, come a dire che non importa, che non ci ha fatto caso, che sono davvero preoccupazioni inutili quelle, in quel momento, e Penguin non può che dargli ragione.
Gli toglie la felpa e la maglia in una sola volta, facendo poi scivolare gli indumenti di lato, così che non dessero più fastidio. Si avventa sul suo petto senza chiedere alcun permesso.
“Fai sempre così, con gli ospiti?” chiede ironico Law, mentre inarca leggermente la schiena per lasciar modo all’altro di avere completa via libera sul suo torace. 
Penguin non risponde perché sa non essercene alcun bisogno, mentre gli succhia avido un capezzolo e lascia scivolare una mano lungo tutta la spina dorsale di Law, fino all’orlo dei pantaloni. 
Lo ha capito fin dal primo sguardo che si erano lanciati, nell’appartamento di Killer, che presto o tardi sarebbe successo, che avrebbero condiviso qualcosa che entrambi volevano e sapevano di poter ricevere dall’altro. E non si trattava solo del puro piacere carnale, di quelle mani che stuzzicano l’erezione di uno e di quella lingua che gioca con i capezzoli dell’altro, ma di qualcosa in più, qualcosa di incredibilmente profondo che può essere trasmesso solo attraverso uno sguardo più significativo di un altro. Una comprensione, un’inquietudine perennemente condivisa, un tremore dell’anima e un desiderio folle che suscita impazienza e instabilità. Era come far resuscitare un lato del proprio essere ormai dato per disperso, a cui si aveva rinunciato da tempo, e per il quale, eppure, basta una scintilla, anche minima, perché dia vita ad un folgore e accenda un fuoco che infiamma l’anima e la brucia, pezzo dopo pezzo, finchè l’incendio non verrà domato da qualcuno che lo conosce veramente. Un rapporto deleterio, forse, ma necessario per non cadere nella monotonia e nel terrore di ogni giorno, nello sguardo fisso e devastante di un destino ormai inevitabile che tende famelico le proprie mani verso la sua nuova preda. Un rapporto che serviva semplicemente a rendere più docile l’implacabile mietitrice.

 
Casquette si asciuga le ultime lacrime rimaste a brillare agli angoli degli occhi con il dorso della manica della felpa bianca, scusandosi nuovamente con Kidd, che, per quanto poco pazientemente, era rimasto al suo fianco per tutto quel tempo, a volte sbuffando, altre inveendogli contro che era tardi e voleva andare a dormire. Gli ha raccontato cosa era successo, tra le lacrime il tremore di gambe che continuava a fargli sentire l’impellente bisogno di un appoggio stabile, presentandosi e costringendo a sua volta, con i suoi modi gentili ed affabili, Eustass Kidd e presentarsi. Ogni tanto tirava su con il naso, ma poi, parola dopo parola, il sorriso gli era tornato spontaneo e genuino sulle labbra, sempre più accentuato grazie alla tranquillità che Kidd gli aveva permesso di riacquistare.
E ora, come se non avesse già fatto abbastanza, Eustass sta accompagnando Shachi Casquette verso la sua auto, così da evitare altri spiacevoli incontri per quella serata e potersene tornare finalmente nel suo agognato appartamento. 
“Vedi di stare più attento, la prossima volta” gli dice, quando finalmente si stanno separando, davanti all’auto nera e decisamente costosa di Casquette. L’altro sorride ancora, sinceramente felice di quell’incontro inaspettato, e annuisce, mentre sale in macchina e mette in moto.
Saluta scuotendo la mano all’indirizzo di Kidd, che ricambia con uno scocciato cenno del capo, prima di partire. E’ davvero contento che al mondo esista ancora gente del genere, Casquette, e quasi si rammarica di non aver scambiato gli indirizzi. Ma poi pensa che sicuramente si sarebbero rivisti, perché vivevano nella stessa città e frequentavano gli stessi posti, quindi era quasi inevitabile un nuovo, piacevole incontro.
Inoltre, il nome Eustass Kidd gli suona incredibilmente familiare.

 
- La mattina dopo -

 
E’ strano, per Law, svegliarsi e ritrovarsi con la testa appoggiata al petto di un altro uomo. Non gli capitava da tempo, ormai, ed è quasi un senso di nostalgia, quello che, per un misero attimo, lo tranquillizza e gli fa sentire un tiepido calore dentro al petto.
Però è strano lo stesso.
Osserva attentamente il volto dell’uomo addormentato sotto di lui, che storce leggermente il naso nel sonno.
E’ strano davvero.
Perché Law si ricorda di essere andato a letto con qualcuno ieri sera, ricorda bene e nei dettagli il suo viso mentre gli entrava dentro e mentre veniva, quegli occhi mentre lo baciava e quelle mani mentre lo tastavano. Ricorda bene, quel Penguin e quel suo sguardo di pura malizia e dolce voluttuosità.
Per questo, gli sembra incredibilmente strano l’essersi risvegliato sul petto bianco e perfetto di Eustass Kidd, nudo e felicemente appagato.
 
 
- Fine 5# -
 
 

 
Ohi, ci sono!
Ok, mi devo assolutamente scusare con tutti voi per il ritardo nell’aggiornamento… Già pubblico poco, se poi vado a ritardare, finisce che non vado più avanti ^^’’
Comunque ora il capitolo è qui e io sono felicissima di averlo finito, perché era da un pezzo che non riuscivo a scrivere la parte finale, ed oggi invece ci sono riuscita :D
Inoltre devo ringraziare tantissimo voi che continuate a recensire nonostante le mie depressioni momentanee e che aggiungete la fic a preferiti/seguiti/ricordati! Cioè, qualcuno mi ha pure aggiunto tra le autrici preferite e io *coff coff* salto davvero di gioia! Ok, sono in un periodo di incredibile ed insensata felicità, e questo è dovuto anche a voi che mi sostenete!
Ad alcune recensioni devo ancora rispondere, scusate, ma io sono una ritardataria di prim’ordine… Lo farò al più presto ^^’’
E sul capitolo non ho molto da dire, spero non ci siano molti errori, ma ho dovuto rileggerlo un po alla svelta quindi di sicuro qualcuno mi è scappato… La parte che meno mi convince è quella con Casquette e i tizi cattivi (ò__ò) ma beh, più di così non riuscivo a fare… E il resto non so, il finale è crudele e fatto apposta :3 
Beh, spero che il capitolo sia piaciuto,
See ya,
 
By Ming

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