A shot in the dark di Gia August (/viewuser.php?uid=23073)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un po' di sensi di colpa sono una buona cosa ***
Capitolo 2: *** Insultandosi a vicenda ***
Capitolo 3: *** Pianificando le proprie scuse ***
Capitolo 4: *** Dimostrare di avere ragione ***
Capitolo 5: *** Decisioni sfortunate ***
Capitolo 6: *** Rimpianti ***
Capitolo 7: *** Perso e solo ***
Capitolo 8: *** Confessioni ***
Capitolo 9: *** Situazione disperata ***
Capitolo 10: *** Ricerche ***
Capitolo 11: *** Una devastante verità ***
Capitolo 12: *** Un ago in un pagliaio ***
Capitolo 13: *** Trovato ***
Capitolo 14: *** Non c'è bisogno di piangere ***
Capitolo 15: *** In amorevoli braccia ***
Capitolo 16: *** Aspettando ***
Capitolo 17: *** Troppi sensi di colpa ***
Capitolo 18: *** Tenere duro ***
Capitolo 1 *** Un po' di sensi di colpa sono una buona cosa ***
E’ con infinito
orgoglio che mi
appresto a farvi conoscere questa storia: “A shot in the
dark”. La bravissima
autrice risponde al nome di Gia August e mi ha dato l’onore
di poter tradurre
la sua splendida opera.
Anche se questa storia non
è
ancora conclusa, posso anticiparvi già che è
avvincente ed originale ed io mi
fido a tal punto dell’autrice, da sapere che la fine non mi
deluderà affatto.
Spero questa mia
traduzione vi
piaccia e mi auguro che abbiate voglia di commentarla.
Questo il link alla storia
originale: http://www.fanfiction.net/s/3429688/1/
A
Shot in the Dark
(Uno
sparo nel buio)
By
Gia August
Traduzione
di Lella Duke
Capitolo uno: Un po’ di sensi di colpa
sono una buona cosa
Luke
Rimpiango
tutto quello che ho detto;
ero consapevole di ciò che stavo asserendo, tuttavia non mi
sono fermato. Ero
troppo arrabbiato. Sapevo che le mie parole ferivano ed erano false, ma
ho
continuato a vomitargliele addosso. E, ad essere onesto, quella era la
ragione
per cui proseguivo. Il fatto che fossi fuori di me per la
preoccupazione però,
non era una buona giustificazione.
Il
dolore che ho visto negli
occhi di Bo è stato presto rimpiazzato dalla rabbia. E una
volta che abbiamo
iniziato ad insultarci l’un l’altro, niente ci ha
più fermati. Finché zio Jesse
non si è messo tra di noi minacciando di prenderci entrambi
sulle sue ginocchia
e rimproverandoci fintanto che non avessimo smesso. Come solito il suo
intervento era stato sufficiente per porre fine alla nostra
discussione. Molte
volte in passato era ricorso a quell’espediente e non ho mai
dubitato che lo
avrebbe fatto sul serio se lo avessimo irritato abbastanza.
E’ qualcosa che non
sopporterei davvero. Sarebbe troppo umiliante. Almeno però
ha spronato il mio buonsenso
ed ho chiuso la bocca.
Stranamente
Bo ha mostrato lo
stesso mio buonsenso ed ha ascoltato zio Jesse senza controbattere.
Eravamo in
piedi uno di fronte all’altro finché Bo non si
è precipitato fuori, sbattendo
la porta della cucina dietro di sé. Zio Jesse mi ha lanciato
uno dei suoi soliti
sguardi facendomi capire quanto fosse deluso da me. Ho abbassato gli
occhi e mi
sono nascosto le mani nelle tasche dei pantaloni. E’
incredibile che riesca
ancora a farmi sentire come un bambino cattivo. Non
“cattivo” nel vero senso
della parola però; ci ha sempre detto infatti che non
eravamo cattivi se non
quando facevamo cose cattive. E’ tuttavia la parola
più appropriata per
descrivere il modo in cui mi ha fatto sentire quello sguardo: colpevole
e pieno
di vergogna. Ha scosso il capo con disapprovazione e poi è
uscito fuori senza
dire nient’altro. Zio Jesse è uno di quegli uomini
che comunica molto di più
con i suoi silenzi piuttosto che con le parole.
Ero
rimasto da solo in
cucina ed avevo il morale a terra. Bo era
arrabbiato con me. Zio Jesse era deluso da me. L’unica che
non ce l’aveva con me
era Daisy, ma soltanto perché non era in casa. Non le era
mai piaciuto esser
costretta a scegliere da che parte stare nei litigi miei e di Bo e
sapevo che
non sarebbe stata contenta di me quando avrebbe saputo del mio
comportamento.
Inoltre ero arrabbiato e deluso di me stesso. Forse sarebbe stato
meglio andare
a cercare Bo e chiarire subito tutto. Avevo bisogno di chiedergli scusa
per
tutto ciò che gli avevo detto.
Prima
ancora di oltrepassare la
soglia del portico, ho sentito il rombo del motore del Generale Lee. Ho
sceso
di corsa gli scalini giusto in tempo per vedere le luci posteriori del
Generale
ed una nuvola di polvere avvolgerlo completamente a causa di
un’accelerazione.
Quello era Bo: andava sempre via di corsa dopo una discussione. Non era
mai stato
tipo da rimanere e sistemare subito le cose. Aveva bisogno di un
po’ di tempo
da solo per riflettere sull’accaduto. Fosse stato per me
avremmo continuato a
litigare finché non fossimo arrivati ad un punto
d’incontro, ma mio cugino in
questo era sempre stato diverso.
Quando
ho visto zio Jesse nel
campo, gli ho urlato: “prendo il furgone e corro dietro a
Bo!”
Mentre
stavo salendo al posto di
guida però, zio Jesse mi ha afferrato per il braccio. Mi ha
detto: “non vai da
nessuna parte ragazzo. Lascia che Bo si calmi prima. Non voglio sapervi
a
discutere di nuovo senza che io sia presente per intervenire!”
“Non
ho nessuna intenzione di
litigare ancora con lui zio Jesse. Voglio solo scusarmi per quello che
gli ho
detto.”
“E’
una buona cosa!” Mi ha
risposto. “Sono felice di sapere che sei tornato in te, ma
penso comunque sia
meglio dargli un po’ di tempo per calmarsi. Bo è
fatto così. Puoi essere
dispiaciuto, ma questo non cancella ciò che hai detto,
Luke.”
Mi
sono preso la testa tra le
mani per la vergogna rendendomi conto che zio Jesse aveva ragione.
Quando si è
accorto di quanto fossi avvilito, è stato colto dalla
tenerezza. Ha sorriso
lievemente e dolcemente mi ha detto: “questo non significa
che non ti perdonerà
perché lui lo farà. Ti ama e ti amerà
sempre!”
Quando
si è reso conto che ero
rimasto con gli occhi bassi, mi ha stretto forte a sé e di
quel gesto gliene
sono stato riconoscente. Debolmente gli ho restituito
l’abbraccio. Mi ha detto:
“avere un po’ di sensi di colpa è una
buona cosa Lukas, ma non lasciare che ti
divorino. Sistema le cose con Bo e poi buttati tutto dietro le
spalle.”
“Sissignore,
lo farò!” Ho
risposto con sincera determinazione.
“Bravo
ragazzo! Io mi stavo
dirigendo verso il furgone e per poco mi hai battuto sul tempo. Ho
promesso
alla signora Jacobson che sarei andato da lei nel pomeriggio per
sistemarle una
porta. E’ dura per lei stare da sola. Tornerò
presto. Aspettando che Bo torni a
casa, riprendi i tuoi lavori.”
“Sissignore!”
Ho replicato di
nuovo.
Il
vecchio furgone bianco non alzava
tanta polvere quanta il Generale Lee, ma in fin dei conti zio Jesse non
andava
di corsa. Appena scomparso dalla mia vista, mi sono messo a sedere sui
gradini
del portico, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Mi
auguravo che
Bo non sarebbe stato via tanto a lungo. Non mi era mai piaciuto
litigare con
lui. Sono rimasto seduto per molto tempo ripensando a come le cose
erano rapidamente
precipitate.
To
be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Insultandosi a vicenda ***
Capitolo due: Insultandosi
a
vicenda
Luke
Era
la prima settimana di marzo.
Il clima non aveva ancora deciso se porre fine all’inverno o
dare l’avvio alla
primavera. Il tempo continuava a cambiare alternando il caldo al
freddo. Quel
giorno l’inverno aveva vinto. Il cielo era plumbeo e dava
l’impressione che non
avremmo visto il sole in tempi brevi. Era piuttosto rigido per la Georgia,
la colonnina di
mercurio toccava solo i dieci gradi durante il giorno. La notte era
ancora più
fredda.
La
giornata era iniziata
piuttosto bene. Dopo aver terminato i lavori mattutini alla fattoria,
io e Bo
eravamo andati in città a bordo del Generale Lee; mio cugino
come al solito era
alla guida. Da quando aveva preso la patente, aveva sempre voluto stare
lui dietro
al volante e la maggior parte delle volte lo lasciavo fare. Il tragitto
era
stato abbastanza piacevole; nessun segno di Rosco che ci intimasse di
non
correre troppo o che iniziasse ad inseguirci.
All’improvviso
Bo lasciò la
strada principale che passa sopra il fiume per entrare in una
secondaria. Gli
chiesi: “dove vai?”
Mi
sorrise e mi rispose: “ho
pensato sarebbe stato carino vedere un panorama migliore e volare sul
fiume!”
“Non
salteremo il fiume oggi!”
Dissi deciso.
“Andiamo
Luke, lo abbiamo fatto
tante volte e poi guadagneremo quindici minuti!”
“Non
abbiamo fretta, Bo. Gira e
passa sopra il ponte.”
Mi
guardò accigliato: “che fine
ha fatto il tuo senso d’avventura, cugino?”
“Il
mio senso d’avventura è stato
rimpiazzato dall’istinto di sopravvivenza. E’
troppo pericoloso, Bo. Tutta la
pioggia che è caduta ha gonfiato troppo il fiume.
E’ un salto troppo lungo.”
“Posso
farlo!”
“No,
non puoi quindi torna
indietro!” Quando Bo non mi rispose, presi in prestito
l’espressione migliore
di zio Jesse: “dico davvero. Non faremo quel salto oggi. Fine
della
discussione!”
“Non
ti piace il divertimento
Luke Duke!” Disse Bo facendo marcia indietro. “Sei
cauto come una vecchietta:”
“La
cautela fa si che si possa
diventar vecchi!” Risposi.
Bo
sorrise: “su questo hai
ragione!”
Arrivati
in città, Bo mi lasciò
davanti all’officina di Cooter. Avevo promesso che gli avrei
dato una mano.
Aveva molto lavoro ed io e Bo di sicuro gli dovevamo più di
un favore. Per
tutte le volte che ci aveva rimorchiato con il carro attrezzi, per
tutte le
riparazioni effettuate sul Generale e per tutti i pezzi di ricambio che
ci
procurava con la promessa che glieli avremmo pagati la settimana a
venire.
Abbiamo sempre fatto di tutto per onorare le nostre promesse, ma a
volte i
conti erano davvero troppo salati. Il minimo che potevamo fare quindi
era
aiutare Cooter in officina. Glielo dovevamo.
Cooter
aveva bisogno di uno solo
di noi. Poiché tra i due io sono sempre stato il meccanico
migliore, Bo mi
lasciò in officina e andò a fare qualche
commissione per zio Jesse. Disse che
sarebbe tornato a prendermi per le due del pomeriggio così
saremmo potuti
tornare alla fattoria per continuare i nostri lavori ed avere la serata
libera.
Era venerdì ed entrambi avevamo intenzione di trascorrere la
serata al Boar’s
Nest. Al contrario di Bo io avevo un appuntamento, ma per lui non
sarebbe stato
un problema. Aveva deciso che avrebbe visto quali
opportunità si sarebbero
presentate. Non aveva mai dovuto attendere troppo, le occasioni gli si
presentavano sempre anche se non se le andava a cercare.
Bo
era sempre stato molto aperto
e socievole. Non posso dire lo stesso per me. Da piccolo ero molto
timido ed in
un certo senso lo sono ancora. Non so se fosse una reazione alla
perdita dei
miei genitori o se si trattasse semplicemente del mio carattere. Forse
un misto
di entrambe le cose. In tutti i modi, non sono mai stato
così aperto come Bo.
Lui può avvicinarsi a qualunque ragazza ed iniziare a
parlarle come se fosse
sua amica da tutta la vita. Neanche io ho problemi a conoscere ragazze,
ma per
me non è mai stato così facile. Daisy dice sempre
che nessuna fanciulla può
resistere al sorriso di Bo. Deve essere vero perché non gli
sono mai serviti
più di cinque minuti per sedere ad un tavolo con una ragazza
appena conosciuta.
Avevo
un appuntamento con Ellen
McKay al Boar’s Nest. Ci frequentavamo da quattro mesi. Aveva
dei capelli rossi
lunghi fin sopra le spalle che danzavano liberamente sul suo volto e
che
facevano spiccare ancor di più i suoi occhi verdi. Era dolce
e premurosa. Stavo
bene con lei e la nostra relazione cresceva di giorno in giorno. Non
sapevo
dove saremmo arrivati, ma mi sarebbe piaciuto scoprirlo. Era da tanto
che non
provavo qualcosa di così profondo per una ragazza.
Alle
due del pomeriggio, ero
fuori dall’officina di Cooter aspettando l’arrivo
di Bo. Non mi ero preoccupato
quando dopo quindici minuti ancora non lo avevo visto perché
di solito lui era
sempre in ritardo, ma iniziai ad essere infastidito quando alle due e
trenta
non notai alcun segno di Bo. Avevamo ancora tante cose da fare e poco
tempo per
farle. Provai a chiamarlo tramite la radio, ma non ricevetti alcuna
risposta.
Verso
le tre del pomeriggio iniziai
ad arrabbiarmi pensando che si fosse dimenticato di me. Tentai ancora
con la
radio, ma senza successo. Dopo un’altra mezzora di inutile
attesa, la mia
rabbia si tramutò in preoccupazione. Non era da Bo fare
così tardi senza
neanche avvisare. Non volevo preoccupare Daisy o zio Jesse, ma dovevo
chiamarli
per sapere se loro avessero avuto notizie. Provai prima alla fattoria
per
vedere se fosse già rincasato dimenticandosi semplicemente
di passare a
prendermi. Non sarebbe stata la prima volta. Parlai con zio Jesse e mi
disse di
non averlo né visto, né sentito. Quando avvertii
un principio di ansia nella sua
voce, lo rassicurai dicendogli di non agitarsi e che presto si sarebbe
fatto
vedere.
Subito
dopo chiamai Daisy al
lavoro, al Boar’s Nest. Mi disse che Bo si era fermato
intorno all’una del
pomeriggio per pranzare con Lisa Devlin. Poi erano usciti insieme
all’una e
quarantacinque; Bo avrebbe avuto dunque tutto il tempo di
riaccompagnare Lisa a
casa e tornare a riprendermi. Daisy era stata l’ultima ad
averlo visto. Avevo già
iniziato a sospettare che Bo si fosse dimenticato di me per correre
dietro a
qualche ragazza.
Alle
quattro del pomeriggio avevo
aspettato abbastanza. Chiesi a Cooter di accompagnarmi alla fattoria.
Una volta
a casa, mi accorsi di quanto zio Jesse fosse preoccupato
perché non riusciva a
contattare Bo neanche con la radio. Feci del mio meglio per
rassicurarlo, ma
neanche io sapevo cosa pensare; da una parte ero furioso
perché pensavo si
fosse semplicemente dimenticato di me, dall’altra ero
preoccupato che gli fosse
accaduto qualcosa.
Zio
Jesse si diresse verso la
finestra della cucina e scostò le tende per poter guardare
la strada per
l’ennesima volta durante l’ultima mezzora. Non
credevo neanche io a quello che
stavo per dire, tuttavia parlai lo stesso: “lo conosci Bo.
Probabilmente si è
trovato qualcosa da fare ed ha perso la cognizione del tempo. Sono
certo che
sarà di ritorno a breve.”
La
tensione che leggevo sul
volto di mio zio, tradì le sue parole: “lo so.
Tornerà a casa da un momento
all’altro. Non c’è bisogno di
preoccuparsi.”
“Io
non sono preoccupato.” Dissi
con un sorriso che sperava di alleviare la sua ansia.
Ma
in verità io ero angosciato.
Molto angosciato. Iniziai ad immaginarmi Bo intrappolato nel Generale
Lee. Era
sempre stato molto più azzardato di me alla guida della
nostra macchina. Faceva
salti a volte che mi facevano martellare il cuore in petto. Ho sempre
avuto
paura che prima o poi la fortuna ci avrebbe abbandonati ed avremmo
finito per
farci male. Ma soprattutto ho sempre avuto timore che Bo avrebbe potuto
tentare
qualche salto impossibile quando io non ero con lui per dissuaderlo.
Durante la
mattinata avevo dovuto realmente puntare i piedi per terra. Il fiume
era in
piena. Un salto del genere sarebbe stato stupido e dannatamente
rischioso.
Pregai che Bo non fosse tornato al fiume per tentare quel salto. Ha
sempre
amato le sfide. Gli è sempre piaciuto provare che avessi
torto. Il pensiero che
l’avesse fatto davvero mi stava spaventando a morte.
Ben
presto mi convinsi che Bo
aveva avuto un incidente tentando di saltare il fiume. Avevo bisogno di
trovarlo. Avrei cominciato dal fiume e avrei pregato di non trovarlo
davvero lì.
Dissi a mio zio: “vado a cercare Bo. Forse non si
è accorto del trascorrere del
tempo oppure ha avuto guai con il Generale.”
Zio
Jesse annuì: “chiamami appena
lo avrai trovato.”
“Lo
farò!”
Non
feci in tempo a finire la
frase, che udimmo e vedemmo il Generale. Il sorriso sul volto di zio
Jesse si
allargò a dismisura. Mi sentii immensamente sollevato non
appena vidi mio
cugino saltare fuori dalla macchina, ma quando si avvicinò a
noi con un sorriso
sereno sul volto, il mio sollievo si tramutò in rabbia per
tutta l’ansia e l'apprensione che ci aveva provocato. Rimasi in piedi con le braccia conserte
attendendo con impazienza una sua spiegazione.
“Ciao!”
Esclamò Bo con la
noncuranza di chi non ha una preoccupazione al mondo.
“Che
piacere vederti!” rispose
mio zio sollevato.
Ero
ancora in attesa di sentire
la sua giustificazione, ma rimasi deluso perché Bo non disse
altro ed entrò in
casa. Zio Jesse vide quanto ero arrabbiato e tentò di
fermarmi afferrandomi per
un braccio quando tentai di seguire mio cugino. Mi disse:
“Luke, dai a quel
ragazzo la possibilità di spiegare
dov’è stato fino ad ora prima di dirgli
qualcosa che poi potresti rimpiangere:”
Ripensandoci
ora, avrei dovuto
dare ascolto a mio zio, ma l’istinto prevalse. Risposi:
“ci deve una
spiegazione dopo quello che ci ha fatto passare!”
“Lo
so” convenne, “ma dagli modo
di parlare prima di saltargli alla gola!”
Annuii
concedendomi un momento
per calmarmi prima di entrare in cucina con zio Jesse alle calcagna. Bo
si era
versato del latte in un bicchiere ed era seduto al tavolo mangiando dei
biscotti, inconsapevole dell’ansia che ci aveva provocato e
che ancora mi
irritava.
“Dannazione
Bo!” Gridai. “Dove
cavolo sei stato finora?”
Bo
mi guardò con aria
interrogativa. “Lo sai dove sono stato, Luke. Zio Jesse mi
aveva dato da fare
delle commissioni. Toglierò i pacchi dalla macchina in un
minuto se è questo
che ti secca!”
“Non
è questo mi infastidisce,
Bo. Quelle commissioni le avevi per questa mattina. Dove sei stato
tutto il pomeriggio
invece di tornare a prendermi da Cooter?”
Finalmente
mio cugino capì dove
volevo arrivare. “Cavolo Luke! Mi dispiace. Me ne sono
completamente
dimenticato!”
La
mia pazienza ormai era
completamente andata. “Non prendermi in giro. Cosa hai fatto
per tutto il
pomeriggio preoccupando a morte zio Jesse?” Non lo avrei mai
ammesso, ma io ero
stato altrettanto in ansia.
Bo
esitò nel rispondere come se
stesse tentando di capire cosa doverci dire. Alla fine ammise:
“Ho incontrato
Lisa da Rhuebottom e le ho chiesto di pranzare con me al
Boar’s Nest.”
“Avrei
dovuto sapere che c’era
immischiata una ragazza!” Dissi in un tono di rimprovero.
“Bene,
questo spiega tutto!”
Dichiarò zio Jesse tentando di porre fine al mio
interrogatorio, ma senza
successo.
“Questo
ci spiega dove sei stato
a pranzo, ma non il resto del pomeriggio.” Insistetti.
Posso
giurare di aver visto mio
cugino arrossire, probabilmente per la presenza di zio Jesse.
“Mi sono offerto
di accompagnare Lisa a casa. Ha voluto mostrarmi il laghetto poi,
così abbiamo
fatto una passeggiata. Niente di importante.”
Niente
di importante! Disse
proprio queste parole. Aveva passato il pomeriggio al lago con Lisa
Devlin,
mentre io morivo di preoccupazione. Mettere me in quella condizione era
già
abbastanza grave, ma non avrebbe dovuto far spaventare anche zio Jesse.
Ero
furioso più che mai. Quella che stavo per intraprendere
sarebbe stata una
strada senza ritorno.
“Hai
una spiegazione per tutto,
vero? Non hai un minimo di cervello e non ne hai mai avuto. Basta che
una
ragazza ti faccia gli occhi dolci e non pensi più a niente.
Dimentichi tutte le
tue responsabilità. Tutto il tuo buon senso esce
direttamente dalla porta di
servizio per un paio di belle gambe.”
Mi
resi conto che le mie parole
lo avevano ferito, ma non riuscii a fermarmi. Continuai implacabile con
la mia
raffica di insulti. Non ho scuse se non che mi ero mortalmente
spaventato al
pensiero che qualcosa di brutto gli fosse accaduto, ma la mia paura
uscì fuori
come rabbia.
Continuai:
“hai la stessa
intelligenza di una rapa!”
Dopo
il mio ultimo insulto, il
male che avevo riversato su Bo, mi tornò indietro come
collera. Gridò: “Ritira
ciò che hai detto Luke!”
“Bene!”
Dissi. "Lo ritiro. Perfino
una rapa ha più intelligenza di te!”
A
quel punto mi sembrò che Bo fosse
irritato almeno quanto me. Urlò ancora: “sei
semplicemente geloso perché io
posso avere tutte le ragazze che voglio e tu non puoi!”
“Non
sono geloso di te!” Risposi.
“Deve ancora arrivare il giorno in cui ti
invidierò qualcosa!”
“Quel
giorno è arrivato, tu sei
geloso di me.” Ribadì Bo con un sarcasmo che
reggeva il confronto con il mio.
“Dovendo scegliere tra noi due, nessuna ragazza ti
guarderebbe per più di due
volte. Ognuna sceglierebbe me in un secondo. E’ sempre stato
così e sarà sempre
così.” E come se non fosse stato sufficiente,
disse in modo aggressivo: “anche
quando eravamo bambini, sono sempre riuscito a distogliere
l’attenzione di zia
Martha da te ogni volta che ne ho avuta voglia. Ti ho sempre tolto
tutto quello
che volevo. E riesco ancora a farlo.”
A
quel punto erano i miei
sentimenti ad esser stati feriti, ma non avevo alcuna intenzione di
mostrarlo.
La mia rabbia aumentò. Dissi con
più disprezzo del dovuto: “sarai
anche più affascinante di me, ma almeno io ho un cervello.
La bellezza non dura
per sempre.”
Quando
Bo mosse un passo verso di
me, zio Jesse si mise tra di noi urlando in modo rude:
“basta così!
Smettetela prima che vi prenda sulle ginocchia e vi sculacci tanto da
non farvi
mettere a sedere per una settimana. Forse due. Sapete che potrei ancora
farlo!”
Io
e Bo rimanemmo in piedi a
fissarci l’un l’altro; entrambi avemmo il buon
senso di fermarci e non
contraddire zio Jesse. Dopo qualche istante di silenzio, Bo prese la
porta
della cucina lasciandomi faccia a faccia con mio zio.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Pianificando le proprie scuse ***
Prima di lasciarvi
immergere
nella lettura di questo terzo capitolo ci tenevo a far sapere sia a
Manzo che a
LadyBlack che Gia August, l’autrice della storia, ha
sinceramente apprezzato
i vostri commenti e mi ha pregato di ringraziarvi per il vostro
interesse.
Un mio personale
ringraziamento
va anche a tutti coloro che, pur non avendo recensito, hanno letto
finora la
mia traduzione e al mio caro Harrow la cui preziosa consulenza
è stata per me
fondamentale.
Capitolo tre: pianificando
le
proprie scuse
Luke
Rimasi
seduto sui gradini del
portico per molto tempo rivivendo nella mia mente gli eventi di quella
giornata.
Avevo avuto tutte le ragioni del mondo per essere preoccupato e per
essere in
collera con Bo, tuttavia non avevo avuto nessun diritto di dire quelle
cose.
Zio Jesse aveva ragione. La mie parole avevano fatto male. Non faceva
alcuna
differenza che non fossero vere e che io per primo non credevo a
ciò che avevo
detto. Non cercavo scuse, avevo semplicemente lasciato che la mia
rabbia prendesse
il sopravvento e coprisse la mia angoscia. Pensavo che qualcosa
di
terribile fosse accaduto a mio cugino ed ero arrabbiato per aver
provato tutta
quell’ansia invano perchè Bo in realtà
aveva trascorso il pomeriggio con una
ragazza. Speravo che zio Jesse avesse ragione anche sul fatto che Bo mi
avrebbe
perdonato.
Non
volevo pensare alle cose che
invece Bo aveva detto a me. Non volevo sapere se c’era del
vero in ciò che mi
aveva urlato contro o se lui pensasse realmente quelle cose. Speravo
che Bo,
come me, avesse parlato soltanto in preda alla rabbia. Avevo bisogno di
distrarmi per un po’, così mi alzai ed andai nel
granaio per riprendere i miei
lavori. Un po’ di movimento fisico era ciò che mi
serviva per schiarirmi le
idee.
Zio
Jesse fece ritorno alla fattoria
per l’ora di cena, Bo invece aveva deciso di mantenere le
distanze un po’ più a
lungo. Aveva chiamato ed aveva avvisato zio Jesse che sarebbe rientrato
solo in
tarda serata. Pensai che avesse imparato la sua lezione non volendo far
preoccupare di nuovo nostro zio. Non credo però gli
interessasse cosa pensavo
io. Avrebbe cenato fuori e poi sarebbe andato al Boar’s Nest
come aveva
pianificato.
Avevo
un appuntamento con Ellen
quindi non potevo rimanere a casa anche se era ciò che
più desideravo dopo la
giornata che avevo avuto. Avrei voluto riappacificarmi con Bo in
privato, ma
stavamo andando entrambi al Boar’s Nest. Non volevo che la
serata si rovinasse
a causa della tensione tra di noi. Avrei potuto portare Ellen da
qualche altra
parte, se Bo avesse dato chiari segnali di non gradire la mia presenza.
Avevo
intenzione di scusarmi con lui non appena lo avessi visto. Per il resto
sarebbe
dipeso tutto da Bo.
Zio
Jesse mi diede un passaggio
fino al Boar’s Nest; un violento acquazzone ci
accompagnò per tutto il tragitto.
Arrivati al parcheggio mi disse: “non è la serata
adatta per stare fuori casa,
ma scommetto che quel locale è pieno zeppo.”
“E’
sempre così il venerdì sera!”
Risposi. “Ho visto sia la macchina di Ellen che il Generale
Lee. Sarà meglio
che entri. Sono in ritardo e non vorrei che anche Ellen si arrabbiasse
con me.”
“Vuoi
che passi a riprenderti più
tardi?” Mi chiese zio Jesse.
Scossi
il capo: “Spero di tornare
a casa con Bo. Ho intenzione di chiedergli scusa non appena lo
vedrò. Spero
vorrà perdonarmi, ma se così non fosse mi
darà un passaggio Ellen.”
Zio
Jesse sorrise: “bravo
ragazzo! Sarò a casa per le dieci. Chiamami se hai bisogno
di me. Spero non ne avrai,
ma nel caso non ci sarebbero problemi!”
“Lo
so zio Jesse. Grazie, se
tutto andrà come spero, non credo avrò bisogno di
niente!”
Salutai
mi zio mentre correvo
verso la porta d’ingresso del Boar’s Nest tentando
di togliermi in fretta dalla
pioggia. Avevo pensato di cercare prima Ellen e poi Bo. Ero un
po’ nervoso
all’idea di parlare con lui, non ero sicuro che volesse
vedermi. Tentai di
convincermi che tutto sarebbe andato bene.
Niente
tuttavia avrebbe mai
potuto prepararmi a ciò che vidi una volta entrato e che
diede il via alla
serie di disastrosi eventi che avrebbero riempito quella notte ed alla
quale io
non sapevo se sarei sopravvissuto.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Dimostrare di avere ragione ***
Capitolo quattro: dimostrare di aver ragione
Bo
Non
sono sicuro di sapere come
tutto accadde. Successe e basta. Non lo avevo programmato, non
realmente. Ero
così dannatamente arrabbiato con Luke. Volevo dimostrargli
che avevo ragione,
ma alla fine riuscii solo a dimostrare che aveva ragione lui. Ha sempre
detto
che io agisco troppo impulsivamente senza pensare alle conseguenze.
Immagino
che ciò che ho fatto lo dimostri ampiamente. Ma non avrei
mai pensato a quali
effetti seri ci sarebbero stati in quell’occasione. Non
credevo gli eventi mi
sarebbero sfuggiti così di mano. Non sono mai stato
così dispiaciuto per
qualcosa in tutta la mia vita. Tutto quello che è successo
mi è quasi costato
Luke.
So
di aver sbagliato trascorrendo
il pomeriggio con Lisa e dimenticando di tornare a prendere Luke da
Cooter, ma
non l’ho fatto di proposito. Me ne sono semplicemente
dimenticato. Quel che è
peggio è che non l’ho realizzato se non quando
sono tornato a casa con più di
tre ore di ritardo. Forse non ci avrei più pensato se Luke
non me lo avesse
detto. Raramente l’ho visto così arrabbiato, ma
questo non gli dava il diritto
di dirmi quelle cose.
Non
era la prima volta che Luke
lo faceva. Fa sempre commenti sarcastici quando è arrabbiato
o infastidito da
qualcosa. E questi commenti riguardano quasi sempre la mia intelligenza
o, più
precisamente, la mia mancanza di cervello. Luke mi dice spesso che non
ne ho
abbastanza così come dice che non ho un minimo di buonsenso facendomi
sentire un idiota.
Pensa di essere furbo, ma se lo fosse realmente avrebbe realizzato che
stava
andando troppo oltre.
Luke
mi aveva fatto arrabbiare
così tanto, che mi sono scagliato su di lui urlando e
sperando di ferirlo così
come lui aveva fatto con me. Gli dissi che lui era geloso di me
perché io
potevo avere qualunque ragazza desideravo e che se ci fosse stato da
scegliere,
ogni fanciulla avrebbe preferito me a lui. E poi sferrai il mio colpo
basso:
aggiunsi che ero sempre riuscito a distogliere l’attenzione
di zia Martha da
lui ogni volta che ne avevo avuto voglia.
Le
cose sarebbero potute andare
anche peggio se zio Jesse non ci avesse fermati. Entrai come una furia
nel
Generale Lee, sperando che una corsa in macchina per la campagna mi
avrebbe
calmato. L’unico problema era che più pensavo a
quel che Luke mi aveva detto,
più la mia collera cresceva. Non doveva dire quelle cose,
né in quel momento,
né mai. Ne avevo abbastanza delle sue osservazioni sul mio
conto.
Non
avevo voglia di vedere mio
cugino, così rimasi fuori per cena. Considerai
l’ipotesi di non recarmi al
Boar’s Nest visto che Luke ci sarebbe andato con Ellen, ma
alla fine decisi che
non avrei cambiato i miei piani a causa sua. Ci sarei andato e mi sarei
divertito con o senza Luke. Se avesse avuto da ridire, se ne sarebbe
andato
lui.
Una
volta al Boar’s Nest, mi
guardai intorno per vedere se Luke fosse già arrivato, ma
non c’era. Vidi
invece Daisy dietro al bar e la raggiunsi. Mi diede un bacio su una
guancia e
mi chiese dolcemente: “dov’è
Luke?”
“Immagino
tu non sia stata a
casa.” Risposi. “Abbiamo avuto una violenta
litigata. Non lo vedo da allora e
questo mi fa sentire meglio.”
“Oh
Bo!” Disse Daisy. “Voi due
sapete quali tasti spingere quando litigate. Qual è il
motivo stavolta?”
“Oh!
Il motivo è che ho
dimenticato di andarlo a riprendere da Cooter questo pomeriggio.
Potresti
pensare che io abbia commesso il peggior crimine del mondo se sapessi
come mi
ha attaccato. Mi ha insultato in modo tale che non credo
dimenticherò e
perdonerò tanto presto.”
“Non
dici sul serio Bo, lo sai
che Luke si scalda un po’ troppo a volte e dice cose che non
pensa realmente.”
“Beh!
Io sono stanco. Non avrebbe
dovuto dire certe cose se non le pensava.” Risposi non
disposto a concedere a
Luke il beneficio del dubbio. Riuscivo a sentire la mia rabbia tornare
prepotentemente al solo ricordare le sue parole. Ha sempre pensato di
aver
ragione su tutto ed era tempo che io gli dimostrassi che si sbagliava.
In
quel momento vidi Ellen Mckay
entrare nel locale da sola. Luke non era con lei. Quando vide me e
Daisy ci
raggiunse.
“Ciao
Daisy, ciao Bo. Dov’è
Luke?” Ci chiese.
“Non
è ancora arrivato.” Rispose
Daisy.
“Oh,
ho visto il Generale Lee di
fuori e ho pensato fosse già qui.” Disse ancora.
Guardò il suo orologio e
aggiunse: “è in ritardo.”
Non
avrei dovuto, ma dissi: “mi
dispiace Ellen. Luke sa essere sconsiderato a volte. E’ pazzo
a lasciar
attendere una ragazza meravigliosa come te. Qualcuno potrebbe portarti
via nel
frattempo.”
Quando
Ellen sorrise al mio
complimento e mi diede una piccola pacca sul braccio, mi venne
l’idea su come
dimostrare a Luke che avevo ragione. Ricambiai il suo sorriso e dissi:
“ti
terrò compagnia finché non arriverà.
Andiamo a cercare un tavolo. Daisy puoi
portarci due birre per favore?”
“Certo
tesoro. Andate avanti. Vi
porto subito da bere.”
Ci
dirigemmo verso un tavolo un
po’ appartato che ci avrebbe garantito un po’ di
privacy in quella stanza
affollata. Una volta seduti con i bicchieri tra le mani, iniziai a
flirtare con
Ellen dicendole spesso quanto fosse bella. Le dissi che Luke non le
dava il
giusto valore e non aveva avuto un minimo di decenza facendola
aspettare così a
lungo. Mi avvicinavo a lei sempre più mentre parlavamo e
feci del mio meglio
per affascinarla. Volevo dimostrare a Luke che potevo avere qualsiasi
ragazza
volessi, perfino la sua. Specialmente la sua. Ero ancora arrabbiato con
lui.
Finimmo il nostro secondo bicchiere di birra e immagino che
l’alcool non ci
aiutò molto da lì in avanti. Mi accostai ancora
di più ad Ellen e lei fece lo
stesso; prima che avessi il tempo di accorgermene finimmo per baciarci.
Non so
chi dei due cominciò, ma immagino non abbia importanza.
Mi
occorse qualche secondo prima
che potessi tornare in me e realizzare cosa stavo facendo. Mi tirai
indietro e
guardai Ellen che aveva il volto contratto per la costernazione.
Immagino
riflettesse il mio stesso stato d’animo. Sussurrò:
“mio Dio, Bo. Cosa stiamo
facendo?”
“Mi
dispiace Ellen. E’ tutta
colpa mia. Sono davvero dispiaciuto.”
“Come
possiamo fare una cosa del
genere a Luke?” Chiese con crescente angoscia.
Tentai
di calmarla. “Ci siamo
fermati, Ellen. Non abbiamo fatto niente. E’ stato solo un
bacio. Non abbiamo
programmato niente. Luke non deve saperlo. Abbiamo bevuto un
po’ troppo e
abbiamo fatto qualcosa che non sarebbe dovuta accadere, ma ci siamo
fermati.
Non significa niente.”
“Non
puoi dirglielo, Bo.”
“Lo
so. Non gli dirò niente.” Il
mio desiderio di ferire mio cugino era improvvisamente svanito.
Ellen
era quasi sul punto di
piangere. Si alzò e disse: “non posso vedere Luke
stasera o capirà tutto. Puoi
dirgli che mi è venuto mal di testa e sono tornata a casa?
Digli che lo
chiamerò domani.”
Annuii
e lei corse via da me. Tutta
la mia rabbia era passata ed era stata sostituita da un crescente senso
di
colpa. Non so a cosa stessi pensando. Chiaramente non stavo pensando.
Volevo
rendere Luke geloso di me flirtando con Ellen, ma non avevo intenzione
di
spingermi tanto oltre. Non avevo programmato di baciarla. Volevo che
Luke mi
vedesse vicino ad Ellen e niente più. Volevo fargli capire
che avrei potuto
portargliela via se avessi voluto.
Decisi
che mi sarei scusato con
Luke non appena lo avessi visto. Le cose si erano spinte troppo oltre.
Volevo
dirgli che ero dispiaciuto.
Ma
non ne ho più avuto
l’occasione.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Decisioni sfortunate ***
Capitolo cinque: decisioni
sfortunate
Luke
Mi
affrettai verso l’entrata del
Boar’s Nest. Ero in ritardo ed avevo paura che Ellen fosse
arrabbiata con me;
era qualcosa che non avrei sopportato dopo la giornata che avevo avuto.
Già Bo
era in collera con me ed era più che sufficiente. Ad Ellen
non piaceva
aspettare ed io, per un motivo o per un altro, arrivavo sempre tardi ai
nostri
appuntamenti.
Il
locale era pieno zeppo come
ogni venerdì sera. Mi guardai attorno, ma non vidi
né Bo, né Ellen. Non
riuscivo a scovare neanche Daisy tanta la gente che c’era.
Scorsi però Cooter
seduto al bar. Mi fece un cenno di saluto con la mano ed io gli chiesi
se
avesse visto Bo o Ellen. Mi disse di averli visti raggiungere la parte
più
interna del locale.
Mi
mossi adagio tra tutta quella
folla cercando di raggiungere i tavoli. Alla fine intravidi la testa di
Bo. Era
seduto in un angolo del locale e stava baciando una ragazza, ma lei non
riuscivo a vederla. Scossi il capo pensando che lo avesse fatto di
nuovo. Se
iniziava una serata da solo, la concludeva in compagnia di una
fanciulla.
Immaginai che non fosse un buon momento per parlare con lui. Non
sembrava
volessero essere disturbati. Stavo per ricominciare a cercare Ellen,
quando Bo
si staccò da quella ragazza. Non potevo crederci. Era Ellen.
Non
sono in grado di descrivere
quel che provai. Il mio respiro si arrestò. Non sapevo cosa
pensare. Non sapevo
cosa provare. Rimasi semplicemente fermo a guardarli; la mia mente non
riusciva
a formulare un pensiero coerente. La stanza iniziò a
sembrarmi sempre più
piccola. Avevo bisogno di andarmene di lì in fretta. Mi feci
largo tra la folla
e non mi fermai se non quando mi ritrovai al di fuori del locale, sotto
la
pioggia. Non riuscivo a pensare lucidamente. Non volevo pensare
lucidamente.
Non volevo pensare e basta.
L’unica
cosa che sapevo per certo
era che non sarei rientrato nel Boar’s Nest. Volevo andarmene
a casa. Avevo
bisogno di andare a casa. Avrei dovuto portare con me le mie chiavi del
General
Lee, non sarebbe stato male lasciare Bo a piedi. Ma le mie chiavi erano
alla
fattoria e quelle di Bo erano nella sua tasca. Non volevo tornare
dentro a
chiamare zio Jesse con il rischio di ritrovarmi ancora davanti agli
occhi la
scena che avevo appena visto. Non lo avrei sopportato. Tuttavia non
potevo
restare sotto la pioggia tutta la notte. Iniziai quindi a camminare
sperando
che qualcuno sarebbe potuto passare e mi avrebbe accompagnato a casa.
Non me ne
preoccupai più di tanto però; avrei potuto
tranquillamente farmela a piedi fino
alla fattoria.
Non
passò molto tempo prima di
sentire il rumore di una macchina dietro di me. Mi voltai e sollevai il
mio
pollice. Una vecchia Ford blu si fermò accanto a me. Il
finestrino si abbassò
rivelando il volto della signora Jacobson.
“Luke
Duke, cosa stai facendo qui
fuori sotto la pioggia?”
“Buonasera
signora Jacobson.”
Risposi. “Sto andando a casa. Fa la mia stessa
strada?”
“Entra
dentro e togliti dalla
pioggia, figliolo!” Una volta seduto vicino a lei, aggiunse:
“sto andando a
passare la notte a casa di mia sorella. Ha di nuovo problemi con la
schiena.
Non avrei voluto esser fuori a guidare ad un’ora
così tarda, ma mi ha chiamato
ed ha bisogno del mio aiuto. Non guido mai di notte a meno che non sia
costretta. Non ci vedo così bene quando è buio,
specialmente se piove.”
“Spero
sua sorella si rimetta
presto.” Dissi. “Non voglio farle perdere tempo,
sono certo che presto passerà
qualcun altro.”
Quando
mi mossi per aprire lo
sportello della macchina, la signora Jacobson mi fermò:
“Rimani dove sei. Ti
beccherai una polmonite là fuori. Per andare da mia sorella
devo passare per la County Road,
proprio dietro la
tua fattoria.”
“Accetto
un passaggio fino alla
fine di Little Creek Road, dopodichè posso camminare fino a
casa. In fondo sono
solo un paio di miglia.”
La
signora Jacobson mi sorrise:
“a quanto pare non posso fare molto, mi dispiace. Non posso
portarti proprio
fino a casa, non sarei in grado di guidare su quella strada sterrata.
E’ troppo
buio e c’è troppo fango ormai.”
“Non
si preoccupi, da lì andrà benissimo.”
La rassicurai.
Durante
il breve tragitto in
macchina, la pioggia aveva cessato di scendere.
“Molte
grazie. Guidi con
cautela!” Le dissi scendendo e richiudendo lo sportello.
“E’
il minimo che io possa fare
per uno dei nipoti di Jesse Duke. E’ stato a casa mia ad
aiutarmi proprio
questa mattina. E poi i buoni vicini si aiutano gli uni gli
altri.”
Guardai
la signora Jacobson
allontanarsi prima di intraprendere la via verso casa. Non era la
strada
principale, ma uno dei tanti viottoli sterrati che tagliavano la nostra
terra.
Dopo l’inverno che avevamo avuto, necessitava di un
po’ di manutenzione. Era
pieno di avvallamenti e di buche di varia misura che somigliavano molto
a
piccoli crateri. I miei jeans erano fradici ed i miei stivali infangati
perché
camminavo ormai in un’unica grande pozzanghera. Tutto quel
fango mi rendeva
difficile procedere. La giacca che indossavo non mi offriva molta
protezione
contro il freddo. E come se la mia giornata non fosse stata abbastanza
brutta,
iniziai a sentire di nuovo la pioggia riprendere il suo incessante
scrosciare.
Mi
sentivo con il morale a terra.
Immaginavo zio Jesse seduto sulla sua sedia preferita di fronte al
camino a
leggere il giornale. Non desideravo altro che sedere accanto a lui per
godere
del calore del fuoco e della sua compagnia. Non importava che non fossi
più un
bambino, avevo bisogno di mio zio ogni volta che ero ferito. La sua
sola
presenza era per me un conforto. Mi aveva dato una casa e una famiglia
quando
ero solo al mondo ed io lo amo molto più di quanto
riuscirò mai a dire.
Volevo
arrivare a casa in fretta
e così presi una decisione della quale presto mi sarei
pentito. Quando mi
avvicinai al torrente che passa nella nostra terra, avrei
dovuto
attraversare il ponte di legno e continuare la strada verso casa. Ma
non lo
feci. Decisi di prendere una scorciatoia che costeggiava il torrente.
Mi sarei
risparmiato dieci minuti di pioggia ed il solo pensiero mi rendeva
felice.
Ero
sempre più bagnato ed
infreddolito. Era una notte molto scura e la pioggia di certo non mi
facilitava la vista. Era difficile riuscire a vedere dove stavo mettendo i piedi,
ma
conoscevo quella scorciatoia da anni anche se io e Bo non la usavamo
più sin da
quando avevamo iniziato ad andare in giro con la macchina. Di solito
correvamo
con il Generale e prendevamo ogni scorciatoia possibile pur di arrivare
in
tempo ogni qual volta eravamo in ritardo.
Il
pensiero di Ellen e Bo insieme
si riaffacciò alla mia mente nonostante tentassi
costantemente di scacciarlo.
Continuavo a vederli mentre si baciavano. Ricordavo bene come Bo avesse
detto
che qualunque ragazza da sempre preferiva lui a me. Aveva avuto ragione
ed io
ne stavo soffrendo. Tenevo molto ad Ellen anche se non le avevo mai
detto di
amarla. Evidentemente la cosa non l’aveva toccata
più di tanto però. Avrei
potuto sopportare di vederla con chiunque altro, ma non con Bo. Come
avrei
potuto perdonare un simile tradimento? Come aveva potuto farmi una cosa
del
genere Bo? Avrei dovuto essere arrabbiato, ma invece non lo ero. Ero
ferito.
Ero ferito così tanto da provare una stretta al cuore e un
dolore alla bocca
dello stomaco.
Ero
distratto quando invece avrei
dovuto fare molta attenzione a dove stavo andando. Inciampai su di una
roccia
causando alla mia caviglia una rotazione innaturale. Tentai di rimanere
in
equilibrio, ma caddi seduto nel fango. La mia situazione era
peggiorata, se
possibile avevo ancora più freddo. Tirai fuori dalla tasca
della giacca un
fazzoletto per pulirmi gli occhi, chiedendomi cos’altro
sarebbe potuto andare
storto in quella giornata. Avrei avuto la risposta a breve.
La
caviglia mi faceva male da
impazzire. Non sapevo se fosse rotta, ma dalle fitte che avevo credevo
lo fosse
veramente. Sapevo che avrei dovuto alzarmi nonostante il dolore. Non
potevo rimanere
lì seduto sotto la pioggia per tutta la notte. Anche se
avessi dovuto
strisciare, dovevo tornare a casa. Tentai di rialzarmi poggiando il
peso del
mio corpo su una gamba sola. Quando provai a mettere a terra la
caviglia
infortunata, provai un dolore così acuto che persi di nuovo
l’equilibrio e
caddi all’indietro. Tentai di aggrapparmi a qualcosa, ma
invece di fermarmi
come speravo, sentii il mio corpo iniziare a scivolare. Cercai qualche
appiglio, ma la velocità con la quale stavo cadendo aumentava sempre più.
Iniziai a sentire dolore in diverse parti del corpo mentre continuava
la mia
discesa lungo le pendici del torrente. Tutto il fianco destro in
particolare mi
faceva male. Quando la mia spalla andò a sbattere contro un
tronco, mi sentii
come se qualcuno me l’avesse strappata via. La mia caduta si
arrestò quando
colpii una roccia con la testa. Un dolore accecante mi pervase prima
che il
buio mi inghiottisse completamente.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Rimpianti ***
Capitolo sei: rimpianti
Bo
Dopo
che Ellen se ne fu andata,
aspettai nervosamente l’arrivo di Luke, ma la mia fu
un’attesa vana. Forse
era meglio così. Onestamente non avrei saputo cosa dirgli.
Non volevo raccontargli
cosa era accaduto ed avevo paura che in qualche modo sarebbe potuto
uscir fuori
tutto. Mi sentivo molto più che colpevole. Non riuscivo a
credere di aver
baciato veramente Ellen. Non so a cosa stessi pensando in quel momento.
La
risposta naturalmente è che non pensavo e basta. Luke aveva
proprio ragione. Di
solito faccio un sacco di cose impulsivamente senza prendermi il
disturbo di
riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. La maggior parte delle
volte
però non penso che siano cose sbagliate… la
maggior parte delle volte, ma non
quella volta.
Immaginai
che Luke avesse deciso
di rimanere a casa anche se non era da lui visto che aveva un
appuntamento, o
forse si era imbattuto in Ellen ed erano andati insieme da qualche
parte.
Sperai che lei non gli avesse detto niente. Sapevo che era sbagliato
nascondergli una cosa del genere e sapevo che la mia era solo paura, ma
se Luke
avesse saputo cosa era accaduto, ne sarebbe rimasto ferito ed io non lo
avrei
sopportato. Sarebbe stato meglio se non avesse mai saputo niente.
Il
Boar’s Nest era affollato e
rumoroso. Volevo andarmene a casa, ma avevo paura di ritrovarmi faccia
a faccia
con zio Jesse. Non volevo dire a nessuno cosa avevo fatto e mio zio
aveva
sempre avuto il dono di tirarmi fuori tutto. Lo capiva sempre se
c’era
qualcosa che ci tormentava. Se ne rendeva conto ogni volta che non
avevamo
voglia di parlare e sapeva quando mentivamo, non che fossimo
così avventati da
nascondergli la verità, ma a volte è capitato che
mentissimo addirittura a noi
stessi e lui lo ha sempre capito. Zio Jesse è un uomo saggio
e intuitivo. Gli
basta guardarmi per ottenere tutto da me. Decisi di rimanere al
Boar’s Nest fin
tanto fossi stato certo che rientrando in casa lo avrei trovato
addormentato.
Verso
mezzanotte avevo aspettato
abbastanza. Raggiunsi Daisy per augurarle la buonanotte. Mi
guardò tristemente
e mi disse: “immagino che Luke alla fine abbia deciso di non
venire.”
“Già,
lo penso anch’io.” Risposi.
Quando vidi l’espressione inquieta del suo viso aggiunsi:
“non preoccuparti
tesoro. Aggiusteremo tutto domani mattina. Te lo prometto. Magari
già stasera
quando tornerò a casa.”
“Lo spero proprio!” Disse ancora.
“Non sopporto di vedervi litigare e sai cosa pensa zio Jesse
di un Duke che si
mette contro un altro Duke. Sarà meglio che mettiate fine a
questa storia prima
che lo faccia lui.”
“Lo
so, lo farò.” Risposi dandole
un bacio su di una guancia. “Guida con prudenza tornando a
casa, sta piovendo
ancora.”
“Non
ti preoccupare, ho tirato su
la cappotta di Dixie! Starò attenta.”
Raggiunsi
il Generale Lee e
saltai al posto di guida. Guardai il sedile vuoto accanto a me ed in
quel
momento desiderai che Luke mi fosse vicino. Più passavano i
minuti più ero
determinato a far pace con lui. Cominciai di nuovo a ripensare a tutti
gli
avvenimenti di quella giornata. Dovetti ammettere che Luke aveva avuto
ragione
di essere così preoccupato per me proprio come io avevo
avuto ragione di essere
in collera con lui per le sue parole. Ad essere sincero inoltre, non riuscivo
più a
biasimarlo di essersi arrabbiato tanto per avermi aspettato tutto il
pomeriggio
mentre io ero in compagnia di Lisa.
Mi
ero comportato male, ma era
niente se paragonato a quel che avevo appena fatto. Non volevo
più pensare a
ciò che era successo con Ellen, ma non riuscivo a
togliermelo dalla mente. Era
stata una delle cose più stupide che avessi mai fatto in
vita mia. Volevo solo
che Luke vedesse Ellen in intimità con me. Ma non avevo
pianificato quel bacio.
Non so perché accadde, successe e basta. Grazie a Dio Luke
non ci aveva visti.
Ero arrabbiato con lui, ma non lo avrei mai fatto soffrire in quel modo
volontariamente. Flirtare con Ellen era già stato abbastanza
grave, ma averla
baciata era imperdonabile.
Quando
giunsi a casa, mi accorsi
che tutte le luci erano già spente ad eccezione di quella
sotto il portico e di
una piccola lampada in cucina che zio Jesse teneva sempre accesa per
noi. Mi
chiesi se Luke fosse già rientrato e nel caso lo avessi trovato addormentato, lo avrei
svegliato. Entrai adagio nella nostra stanza. Luke non c’era.
Mi convinsi che
doveva aver incontrato Ellen. Non saprei dire se ero contrariato o
sollevato,
probabilmente un po’ di entrambi. Pensai che sarebbe stato
meglio aspettare
fino all’indomani per parlare con lui e scusarmi.
Ero
stanco morto. Mi spogliai e
mi infilai sotto le coperte. Il vento e la pioggia battevano contro la
finestra
ed io mi ritrovai ad esser grato a Dio di ritrovarmi dentro il mio
letto caldo.
Mi girai e rigirai per un po’ rivivendo ancora quella
giornata nella mia testa.
Il litigio ci poteva anche stare; io e Luke discutevamo spesso. Penso
sia
inevitabile quando vivi con qualcuno ed hai un rapporto così
forte e stretto
come quello che abbiamo noi. Ma quello che mi pesava come un macigno
sulla
coscienza era ciò che avevo fatto con Ellen. Non
c’erano scuse. Più ci pensavo,
peggio mi sentivo. Era un tradimento puro e semplice. Avrei fatto
qualunque
cosa per sistemare tutto con Luke. Tentai di aspettarlo, ma ero esausto
e
presto mi addormentai. Quando riaprii gli occhi era mattina.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Perso e solo ***
Carissime Manzo e LadyBlck
è
davvero una gioia immensa sia per me che per Gia August, sapere che
questa
storia vi stia piacendo tanto. Vi ringrazio entrambe per i complimenti
che
avete rivolto a me, ma vi assicuro che se la mia traduzione sta
riuscendo bene
è solo perché l’autrice è
stata impeccabile nella stesura della storia
originale.
Grazie di cuore per il
tempo che
ci dedicate!
Capitolo sette: perso e solo
Luke
Il
sibilo forte e mesto che
sentivo tutto attorno a me, mi costrinse ad uscire
dall’oscurità. Era un suono
triste; sembrava stesse cercando qualcuno che si era perso. Non
riuscivo a
capire cosa fosse né da dove arrivasse. Non volevo aprire
gli occhi, ma quel
rumore non si fermava. Lentamente mi sforzai di aprirli. Non riuscivo a
formulare alcun pensiero logico. Non desideravo altro che tornarmene
nelle
tenebre e nel mio torpore. Tutto ciò di cui avevo coscienza
era il buio, la
pioggia ed il freddo. Tornai lucido in
breve tempo ed immediatamente si
palesò un fastidioso dolore alla testa. Chiusi di nuovo gli
occhi tentando di
fuggire a tutta la sofferenza fisica che mi attanagliava il corpo. Mi
faceva
male tutto. Volevo tornare a quel sonno insensibile dal quale mi ero
appena
svegliato, ma il mio istinto mi diceva che sarebbe stato meglio
spalancare gli
occhi e cercare di realizzare cosa fosse accaduto.
Tentai
di ignorare il dolore alla
testa. Ascoltai quel pianto triste che mi aveva svegliato e mi resi
conto che
si trattava del vento. Non riuscivo a capire niente. Ero sdraiato di
schiena, a
terra. Perché non ero nel mio letto? Riuscivo a vedere il
cielo attraverso il
rami spogli degli alberi. Non ero in casa chiaramente. Nubi scure si
muovevano
rapidamente sopra di me rivelando qualche stella di tanto in tanto.
Tentai
di alzarmi, ma mi accorsi
ben presto che era stata una brutta idea. Un dolore feroce mi invase il
petto.
Non riuscivo a muovere il braccio destro a causa dello spasimo atroce
che
proveniva dalla spalla. Mi faceva male la caviglia se tentavo di
muovere la
gamba. Caddi all’indietro e presi un gran respiro.
Un’altra brutta idea. Il
petto mi fece ancor più male. Iniziai a tossire portando la
soglia del dolore
ad un livello più alto.
Cercai
di rimanere calmo, ma
avevo difficoltà a respirare. Non dovevo farmi prendere dal
panico. Dovevo
pensare razionalmente. Tentai di rallentare la respirazione per
alleviare il
dolore al petto. Ero spaventato. Non sapevo dov’ero e non
sapevo cosa mi era
successo.
Come
prima cosa tentai di fare un
piccolo inventario di tutti i punti doloranti del mio corpo. Non sapevo
come mi
ero procurato tutte quelle ferite, sapevo solo che facevano male. Mi
passai una
mano su tutto il fianco destro. Era terribilmente indolenzito.
Probabilmente
avevo un paio di costole rotte. Sperai non avessero perforato i
polmoni, ma era
piuttosto probabile considerata la fatica che facevo a respirare. A
giudicare
dal dolore che avevo alla spalla, di sicuro era slogata. Non potevo
muovere il
braccio. Non sapevo se la caviglia fosse rotta, ma non faceva
differenza perché
in ogni caso non avrei potuto poggiarci sopra il mio peso. Mi accorsi
di avere
un taglio profondo sulla fronte e quella era la sorgente del dolore
alla testa.
Stava sanguinando. Sentivo male ovunque. Non era una buona cosa.
Era
buio, ero bagnato ed avevo
freddo. Ero sdraiato di schiena e stavo soffrendo. Quelle erano le
uniche cose
di cui ero certo. Non sapevo dov’ero e non sapevo come ci ero
arrivato. Per un
momento pensai addirittura di essere in Vietnam, ma scartai subito
l’idea
perché non faceva così freddo laggiù.
Dovevo essere vicino a casa, ma non
riuscivo a riconoscere il posto.
Decisi
che la cosa migliore da
fare era chiudere gli occhi e riposare. Non potevo fare
nient’altro. All’improvviso
il volto di Bo riempì la mia mente causandomi una nuova
ondata di panico. Ero
stato vittima di un incidente? Bo era con me? Anche lui era rimasto
ferito?
Dischiusi
di nuovo gli occhi e mi
guardai intorno cercando tracce che rivelassero la sua presenza o
quella del
Generale Lee. Non riuscivo a vedere molto con tutto quel buio. Tentai
di
chiamare il suo nome, ma tutto ciò che uscì fuori
fu un sussurro. Mi faceva
male il petto, ma non mi arresi e provai di nuovo. Chiamai ancora
riuscendo a
trovare un tono un po’ più alto di voce:
“Bo, ci sei?”
Rimasi
in ascolto attentamente,
ma tutto quello che riuscii a sentire fu il sibilo del vento che, come
quando
mi aveva svegliato, sembrava stesse ancora cercando qualcuno che si era
perso.
Io mi ero perso. Ero solo. Pregai che qualcuno mi stesse già
cercando. Implorai
che qualunque cosa mi fosse accaduta, fosse accaduta soltanto a me.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Confessioni ***
Capitolo otto: confessioni
Bo
Fui
svegliato il mattino seguente
dall’aroma del caffè. Zio Jesse e Daisy erano
già in cucina a preparare la
colazione. Guardai il letto di Luke e fui sorpreso di trovarlo vuoto e
già
rifatto. Evidentemente si era svegliato molto presto. Ero dispiaciuto
perché
volevo parlare con lui da solo. Mi chiesi se per caso volesse evitarmi.
Saltai
giù dal letto e mi vestii in fretta. Con un po’ di
fortuna avremmo potuto
parlare durante i lavori mattutini.
Entrato
in cucina, vidi Daisy ai
fornelli intenta a far saltare le frittelle mentre zio Jesse sedeva al
tavolo
sorseggiando del caffé. Rimasi nuovamente amareggiato quando
mi accorsi che
Luke non c’era. Forse era già andato nel granaio.
“Buongiorno!”
Dissi dando una
lieve pacca sulla schiena di zio Jesse. Andai poi verso Daisy e le
cinsi la
vita con un braccio.
“Buongiorno
tesoro!” Rispose mia
cugina con un sorriso.
Quando
mi diressi verso la porta,
mio zio mi intimò di fermarmi: “siediti e mangia
qualcosa Bo. E’ quasi pronto.
I lavori possono attendere un po’.”
“Voglio
aiutare Luke!”
“E’
bello che tu dica questo!”
Disse zio Jesse con un sorriso carico di approvazione. “Sono
felice di sapere
che voi ragazzi avete fatto pace ieri sera.”
Non
volevo deludere mio zio, ma
dovevo dirgli la verità: “veramente non abbiamo
ancora fatto pace, zio Jesse.
Non parlo con Luke da ieri pomeriggio. Mi è mancata l'occasione,
ma oggi ho intenzione di scusarmi con lui.”
“Questa
si che è bella!” rispose.
“Anche Luke ieri sera, quando l’ho accompagnato al
Boar’s Nest, voleva scusarsi con te. Non è
che avete litigato di nuovo?”
“Nossignore!
Non abbiamo
litigato. Te l’ho detto, non ci siamo visti ieri
sera.”
“So
che quel locale era pieno
zeppo, ma com’è possibile che non vi siate visti?
Chiese con tono severo.
“Forse
ha incontrato Ellen e sono
andati da qualche altra parte.” Risposi.
“Voi
due avete bisogno di
mettervi seduti qui, adesso e porgervi le scuse l’un
l’altro.” Disse ancora zio
Jesse in modo piuttosto brusco. “Non passeremo
un’altra giornata come quella di
ieri. In un modo o nell’altro chiuderò io questa
storia se non sarete in grado
di farlo voi.”
Sorrisi:
“non ti preoccupare zio
Jesse. Luke non è il solo a doversi scusare, devo farlo
anch’io.”
Zio
Jesse mi sorrise di rimando:
“bene.”
“Vado
da Luke!” Dissi dirigendomi
nuovamente verso la porta.
Daisy
mi fermò: “dove stai
andando tesoro?”
“Da
Luke, nel granaio.”
“Non
lo troverai di fuori. Scusa,
ma non è ancora a letto?”
Negai
con il capo: “in camera non
c’è… adesso che ci penso, sembrerebbe
proprio che stanotte non sia rientrato
affatto.”
“Mi
stai dicendo che non è
tornato a casa questa notte?” Si intromise zio Jesse. Di
sicuro
quell’informazione non era di suo gradimento.
“Così
sembra.” Risposi con voce
bassa.
“Voi
due mi farete venire un infarto
prima o poi!” Farfugliò contrariato.
Per
la seconda volta in due
giorni, sembrava che zio Jesse non sapesse decidere se essere
arrabbiato o
preoccupato. Non importava quanto tardi fosse o chi avremmo svegliato,
ci aveva
sempre detto di chiamare se per un qualsiasi motivo non rientravamo in
casa per
la notte. Non c’erano scuse o attenuanti. Luke lo sapeva bene
quanto me e non
era da lui un comportamento del genere.
“Forse
è semplicemente rimasto
fuori per insegnarmi una lezione considerato che io ieri ho dimenticato
di
andarlo a riprendere da Cooter. Forse vuole solo farmi capire che cosa
significa essere preoccupati.” Dissi in sua discolpa.
Zio
Jesse scosse il capo: “se è
davvero così, sarò io ad insegnargli una lezione
quando tornerà a casa.”
“Zio
Jesse, lo sai che Luke non
farebbe mai una cosa del genere, non di proposito.”
Tentò ancora Daisy in suo
favore.
Iniziai
a provare una brutta
sensazione. Non gradivo molto non sapere dove fosse Luke. Quando
guardai zio
Jesse e Daisy, mi resi conto di quanto fossero preoccupati; nonostante
tutto però
nessuno diede voce alle proprie ansie per paura che, una volta
esternate,
sarebbero divenute reali. Luke avrebbe fatto bene a trovarsi una scusa
valida
tornando alla fattoria. Neanche io sapevo se dovevo essere arrabbiato
o
preoccupato. Volevo propendere per la rabbia, ma quella brutta
sensazione ormai
mi aveva completamente avvolto. Decisi che sarei andato a cercarlo e lo
avrei
riportato a casa.
“Devo
trovarlo.” Dissi
guadagnando la porta d’ingresso.
Zio
Jesse mi afferrò per un
braccio: “calmati ora Bo. Forse è troppo presto
per allarmarsi. E’ possibile
che abbia trascorso la notte da qualche altra parte. E’ un
uomo adulto e
vaccinato. Non mi piace pensare che non abbia avvisato, ma
può darsi che se ne
sia semplicemente dimenticato. Dobbiamo affrontare questa situazione
con
razionalità. Prima di tutto, Daisy, chiama Ellen e chiedile
se Luke è rimasto
con lei stanotte. Per quel che ne sappiamo, è possibile che
siano ancora
insieme.”
Zio
Jesse è sempre stato un uomo
realistico. Aveva ragione. Dovevamo prima di tutto cercare nei luoghi
probabili. Daisy si avvicinò al telefono. Ascoltai
ansiosamente la telefonata.
“Buongiorno
Ellen. Sono Daisy
Duke. Mi dispiace averti svegliata.” Fece una pausa e
ascoltò la risposta di
Ellen.
“Ho
bisogno di chiederti una
cosa…” Vidi Daisy arrossire prima di proseguire:
“Luke è lì con te?”
Rimase
in silenzio un po’ più a
lungo. Non mi piacque affatto l’espressione che vidi
disegnarsi sul suo volto.
Salutò Ellen e poi disse: “non ha visto Luke ieri
sera. Dovevano incontrarsi,
ma lui era in ritardo e lei se n’è andata via
prima perché non si sentiva bene.
In effetti non l’ho visto neanche io al Boar’s
Nest. E' mai possibile che tu non lo abbia mai incrociato, Bo?”
“No.”
Risposi semplicemente.
“E’
impossibile!” Disse zio
Jesse. Il Boar’s Nest è esattamente il luogo dove
l’ho lasciato. L’ho visto
avviarsi verso l’entrata. Dove potrebbe essere andato? Tutto
questo non ha
senso.”
“Il
locale era affollato ieri
sera.” Continuò Daisy. “E’
possibile che sia entrato ed io non l'abbia visto,
ma se ci fosse stato, prima o poi sarebbe venuto da me.”
Zio
Jesse e Daisy erano realmente
angosciati. Se Luke non aveva incontrato Ellen, doveva per forza
essere
entrato per poi uscire prima che io o Daisy avessimo potuto vederlo. Un
terribile sospetto mi investì con la potenza di un TIR. Ad
un tratto sapevo esattamente
cos’era successo. Pregai di avere torto, ma era
l’unica spiegazione possibile.
Luke era entrato ed aveva visto Ellen e me. Ci aveva visti mentre ci
baciavamo
e poi era andato via.
“Oddio!”
Sussurrai.
“Che
c’è?” Chiese Daisy
ansiosamente.
Fissai lo sguardo tra mio zio
e mia cugina incapace di ammettere perfino a me stesso ciò
che avevo fatto.
Zio Jesse mi guardò dritto in faccia e disse:
“parla ragazzo!”
Dovevano
sapere la verità anche se
io me ne vergognavo. Guardai in basso e dissi: “ho fatto una
cosa stupida ieri
sera.”
Zio
Jesse mi fissò con uno dei
suoi soliti sguardi: “che cosa hai fatto Bo?”
“Ero
così arrabbiato con Luke per
le cose che aveva detto, che volevo vendicarmi di lui.”
Quando
mi arrestai perché trovavo
difficile proseguire, zio Jesse incalzò di nuovo:
“che cosa hai fatto Bo?”
Sospirai.
“Luke ha detto delle
cose che mi hanno terribilmente infastidito. Praticamente mi ha
definito un bel
ragazzo senza cervello. Gli ho risposto che parlava così
solo perché invidioso e consapevole
che qualunque ragazza avrebbe preferito me a lui.”
Istintivamente
Daisy realizzò dove
sarei andato a parare. Mi guardò tristemente: “Oh
Bo, dimmi che non l’hai
fatto!”
Mi
presi la testa tra le mani:
“l’ho fatto invece.”
Seccato,
mio zio sbraitò: “hai
fatto cosa?”
Esitai
un attimo, ma poi ammisi:
“ho flirtato con Ellen.”
“CHE
COSA?” Zio Jesse era
scioccato: “come hai potuto fare una cosa del genere a
Luke?”
“Non
lo so.” Mi limitai a
rispondere. “Ma non è tutto,
c’è dell’altro.”
A
quel punto fu Daisy a
guardarmi con aria interrogativa: “che altro hai fatto
Bo?”
“Ci
siamo baciati.” Bisbigliai.
Zio
Jesse e Daisy sembrarono
storditi e di sicuro lo erano.
“Se
questa non le batte tutte…
bene Bo, ti sei vendicato di Luke. Spero che adesso tu ti senta
meglio.” Disse
mio zio con disgusto.
“Zio
Jesse, niente potrebbe farmi
sentire peggio di come mi sento già. Mi sono reso conto
subito che stavo
facendo una cosa sbagliata. E’ stato un errore enorme. Ellen
si è sentita
esattamente come me.”
“E
allora perché l’hai fatto?” mi
chiese ancora intenzionato com’era a non lasciar correre.
“Tutto
quello che so è che ero
arrabbiato con Luke. Ha sempre pensato di essere tanto più
intelligente di me.”
Imbarazzato continuai: “quel che ha detto, mi aveva ferito ed
io volevo ferire
lui.”
“Hai
avuto successo,
complimenti.” Ribadì ancora.
“Se
Luke ci ha visti, non oso
immaginare come possa esserci rimasto. Non ho parole per dirvi quanto
io sia
dispiaciuto.”
“E’
con Luke che ti devi
scusare.”
“Lo
farò non appena lo troverò.”
Risposi con determinazione. “Non mi importa quanto
è arrabbiato con me. Lo
trascinerò a casa di peso se sarà
necessario.”
“Forse
ha bisogno di rimanere da
solo per un po’, ma avrebbe dovuto chiamare
comunque.” Disse zio Jesse. “Non ci
sono scuse, ma credo fosse troppo sconvolto. Voglio sapere
dov’è finito. Daisy
chiama tutti coloro che potevano essere ieri sera al Boar’s
Nest. Inizia da
Cooter. Forse Luke si è fatto ospitare da lui. Rimani vicino
al telefono in
caso Luke o qualcun altro chiami. Io e Bo usciamo, chiederemo notizie
in giro.
Rimani con le orecchie aperte e chiama se sai qualche
novità.”
Una
volta fuori zio Jesse mi disse:
“Vai da Rosco. Chiedigli se ha visto Luke ieri sera. Non ho
molte speranze, di
solito Rosco ha almeno la decenza di avvisare quando vi arresta, ma
controlla
lo stesso. Io andrò al Tri-County Hospital.”
“Pensi
che Luke possa essere in
ospedale?” Chiesi in preda all’ansia.
“Calmati
Bo!” Mi disse
carezzandomi delicatamente la schiena. “Devo controllare
anche là. Devo essere
sicuro non sia rimasto coinvolto in un incidente o in qualcosa di
peggio.”
Non
mi piacque molto quel
“qualcosa di peggio”, ma non avevo voce per fare
altre domande. Sapevo che mio
zio avrebbe fatto il necessario. Speravo tuttavia non fosse toccato a
lui
ritrovare Luke.
Zio
Jesse si
rese conto di quanto fossi in pena e nonostante lo avessi deluso con il
mio
comportamento, mi strinse nel suo abbraccio. “Non ti
preoccupare, lo troveremo
e lo riporteremo a casa. Farete pace e si sistemerà
tutto.”
Apprezzai
molto l’ottimismo e il
perdono di mio zio. Raggiunse il suo pick-up bianco, mentre io saltai
nel
Generale Lee. Lo guardai immettersi sulla strada principale. Io decisi
di
prendere quella che passava dietro la fattoria. Avrei fatto prima. Mi
guardai
attorno attentamente, ma non notai alcun segno di Luke sulla mia strada
per
Hazzard.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Situazione disperata ***
A quanto pare sta diventando una piacevolissima
abitudine per me quella
di iniziare i capitoli ringraziando le mie impagabili commentatrici. Mi
riferisco a LadyBlack, a Manzo e a Maria che ha aggiunto la sua voce di
recente. Io e Gia August ci auguriamo di cuore che abbiate la voglia e
la
curiosità di seguirci fino alla fine.
Grazie ancora ragazze per le vostre parole e per i
complimenti che ci
rivolgete!
Capitolo nove: situazione disperata
Luke
Un
forte e costante martellio mi
svegliò. Ci misi un po’ per realizzare che quel
rumore era solo nella mia
testa. Quando aprii gli occhi, la luce del sole incrementò
il dolore che stavo
già provando. Non riuscivo a pensare razionalmente. Provai
una fitta alla
spalla quando tentai di muovermi. Non che sapessi dove fossi o come ci
fossi
arrivato, ma il ricordo di cosa mi fosse accaduto tornò
improvvisamente.
Il
sole era ormai alto ed io
avevo finalmente una buona visione di quel che mi circondava. Ero
sdraiato al
suolo su di un letto di fango e foglie. C’erano lastre di
ghiaccio disseminate
ovunque e neve residua che non si era ancora sciolta dalla bufera che
ci aveva
colpiti due settimane prima. Il torrente era alla mia destra. Sopra di
me c’era
una strada che mi sembrava vagamente familiare. In qualche modo dovevo
essere caduto.
Era l’unica spiegazione che avesse un minimo di senso logico.
Dovevo ritenermi
fortunato di non esser precipitato direttamente nel torrente,
probabilmente un albero
aveva arrestato la mia discesa. Almeno non pioveva più ed un
sole caldo riempiva
il cielo. Non avrei beneficiato molto dei suoi raggi in fondo a quella
scarpata, ma ogni piccola goccia di sole mi avrebbe aiutato ad
asciugarmi più
in fretta. Non penso di aver mai avuto così freddo in tutta
la mia vita.
Considerando
non sapessi esattamente
dove fossi o come ci fossi arrivato, non pensavo affatto che qualcuno
mi
avrebbe trovato tanto presto. Ero solo con me stesso. Avevo bisogno di
andarmene di là. Per prima cosa guardai verso la strada e calcolai che
distava da me circa venti o trenta metri, ma per me equivalevano a un centinaio di miglia.
In un
giorno qualunque con un salto solo magari avrei potuto ricoprire quella
distanza, ma quello non era un giorno qualunque. Non ero in condizione
di
muovermi, figuriamoci di saltare.
L’altra
mia alternativa era
quella di raggiungere il torrente. Non sembrava molto profondo, la
corrente
tuttavia era forte e riuscivo a vedere molte rocce affiorare sul pelo
dell’acqua. Sarebbero state ostacoli molto grandi da
superare. Non era una
condizione ottimale, ma tra le due era la migliore. Era la mia unica
possibilità, l’unica speranza che avessi di
tornare a casa o almeno lo sarebbe
stata se avessi potuto alzarmi ed io non ero sicuro che ne sarei stato
in
grado. Non ero neanche certo sarei riuscito a mettermi seduto.
Raccolsi
tutte le energie che
avevo e provai a sollevarmi da terra. Riuscii soltanto a far forza su
di un
braccio, ma ci misi tutto quello che avevo. Mi arrestai di colpo quando
un
dolore intenso mi invase il petto. Iniziai a tossire e feci fatica a
ritrovare
il respiro. Quando finalmente smisi di tossire, mi passai la manica
della
giacca sulla bocca. Quello che vidi mi spaventò.
C’era del sangue. Avevo
tossito sangue. Tentai di non farmi cogliere dal panico dicendomi che
potevano
esserci decine di ragioni che avrebbero spiegato la presenza del
sangue.
Nessuna ragione era buona, ma alcune erano meglio di altre. Come se non
bastasse inoltre, a causa del movimento, iniziai a sentire una nausea
crescente.
Avevo
un bisogno disperato di un
dottore. Provai di nuovo a mettermi seduto ignorando il dolore e la
nausea.
Quando finalmente fui seduto, mi poggiai con la schiena contro un
albero e
tentai di calmare il mio respiro affannoso, ma facevo fatica. Il dolore
al
fianco destro era acuto e persistente. Avevo speso tutto quello che
avevo per
alzarmi. La caviglia mi faceva male ogni volta che muovevo la gamba.
Non sarei
stato in grado di camminarci neanche se quella fosse stata
l’unica parte
infortunata del mio corpo e non potevo andare carponi per via della
spalla
dislocata.
Le
mie condizioni non erano
affatto buone. Il mio cuore iniziò a battere più
forte causandomi una nuova
fitta al petto. Respirare stava diventando sempre più
difficile e fu allora che
realizzai di essere in una situazione disperata. Cercavo di persuadermi
che il
panico non mi sarebbe stato di nessun aiuto. Riaffiorò nei
miei pensieri l’addestramento
a cui ero stato sottoposto nel corpo dei Marines e pian piano riuscii a
calmare
il respiro. Dovevo cominciare a pensare lucidamente se volevo
abbandonare
quel posto.
Mi
ero rassegnato al fatto non
potessi alzarmi, almeno non per il momento. Forse avrei riacquistato un
po’ di
energie se mi fossi riposato, non che avessi fatto
qualcos’altro dopo la caduta
se non riposare. Avevo bisogno d’aiuto. Avevo bisogno della
mia famiglia.
Probabilmente avevano già scoperto che non ero tornato a
casa la notte
precedente, almeno era quello che speravo. Non ne ero certo
però. Forse mi
stavano già cercando. L’unico problema era che non
sapevano dove fossi. Cavolo
non lo sapevo neanche io.
Ero
certo però che semmai
qualcuno fosse stato in grado di trovarmi, quello sarebbe stato Bo.
Abbiamo
sempre avuto una sorta di connessione psichica che va aldilà
di ogni
ragionevole spiegazione. Pregai di non aver danneggiato quella
connessione.
Avevo paura che Bo fosse ancora arrabbiato con me e che non gli
interessasse
sapere che fine avessi fatto dopo la litigata che avevamo avuto il
giorno
prima… almeno credevo fosse accaduto tutto il giorno prima.
Se realmente a Bo
non interessava più niente di me, era solo colpa mia.
Avergli detto che non era
un ragazzo intelligente era stato davvero un colpo basso e soprattutto
non era
vero, semplicemente a volte agisce prima di pensare. E’ un
impulsivo puro e
semplice.
La
litigata mi tornò in mente
con tutti i suoi antipatici dettagli. Mi sentii come messo a nudo
ricordando di
come Bo mi avesse accusato di essere geloso di lui. Chiaramente avevo
negato,
ma iniziai a chiedermi se ci fosse del vero nelle sue parole. Non avevo
molto
altro da fare eccetto che pensare. Le cose che mi aveva detto riguardo
zia
Martha mi riportarono con la mente a quando eravamo piccoli. Bo aveva
sempre
avuto molte più attenzioni di me. Allora pensavo dipendesse
dal fatto che era
il più piccolo dei tre. Anche Daisy aveva sempre avuto
più considerazione di
me, ma forse perché era l’unica femmina. Io ho
sempre cercato di essere
indipendente. In quanto il maggiore dei tre, ho sempre pensato fosse
una mia
responsabilità. Mi prendevo cura dei miei cugini
più piccoli e di me stesso e
riuscivo anche ad aiutare zio Jesse nel mandare avanti la fattoria. Il
prezzo
da pagare per la mia indipendenza erano state minori attenzioni da
parte di mio
zio e di mia zia.
Quello
che più mi aveva ferito
era stato sentir dire a Bo che zia Martha aveva amato lui molto
più di me.
Sapevo che non aveva detto esattamente quelle parole, ma il senso
più o meno
era lo stesso. Non sapevo se fosse vero oppure no. Zio Jesse e zia
Martha ci
avevano presi con loro e ci avevano dato una casa quando eravamo
rimasti soli
al mondo, ma soprattutto ci avevano dato una famiglia. Nessuno li aveva
obbligati, ma lo avevano comunque fatto. Non eravamo loro figli
naturali e
qualche volta mi sono chiesto se amassero Bo e Daisy più di
quanto potessero
amare me. La maggior parte delle volte però mi dicevo che
erano solo mie ansie
e supposizioni. Crescendo ho cominciato a pormi quella domanda soltanto
nei momenti
in cui le mie insicurezze infantili riaffioravano per un qualsiasi
motivo. Le
parole di Bo avevano fatto tornare a galla quel dubbio.
Pensare
tanto mi stava causando
un dolore ancora più acuto alla testa. Dovevo liberare la
mente e pensare ad un
modo per andarmene da lì. Di solito avevo sempre un piano
per tirarmi fuori dai
guai, ma in quell’occasione non riuscivo ad essere razionale.
Non riuscivo
neanche a ricordare cosa fosse accaduto dopo che io e Bo avevamo
litigato. Mi
sollevai un po’ di più trovando una posizione
leggermente più comoda contro
l’albero e riuscii a respirare meglio. Stavo combattendo
contro me stesso per
rimanere sveglio, ma non mi ero mai sentito così stanco in
tutta la mia vita. Sapevo
che non mi sarei dovuto addormentare e avrei dovuto chiedere aiuto
semmai
qualcuno si fosse avvicinato… sempre che a qualcuno
interessasse trovarmi.
Probabilmente avevo una commozione cerebrale e quello era un altro
motivo per
rimanere sveglio. Ma non potevo più oppormi. Mi arresi e
chiusi gli occhi
scivolando in un sonno dal quale non sapevo se mi sarei mai risvegliato.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Ricerche ***
Capitolo dieci: ricerche
Bo
Non
riuscii a trovare nessuno che
avesse visto Luke dopo che ebbe lasciato il Boar’s Nest la
sera precedente. Cooter
lo aveva incrociato di sfuggita al bancone e gli aveva indicato dove
trovare
sia me che Ellen. I miei sospetti erano confermati. Seppi per certo che
Luke ci
aveva visti insieme e poi se n’era andato via. Era la sola
spiegazione logica.
Cooter da allora non lo aveva più visto. Era come se fosse
scomparso dalla faccia
della terra. Immaginavo che fosse arrabbiato e ferito per quel che io
ed Ellen
gli avevamo fatto. Quando era un bambino faceva fatica a controllare il
suo
temperamento aggressivo, era capitato a volte che avesse scambiato la
mia testa
per una palla e mi avesse colpito con una mazza da baseball. Forse era
talmente
furioso che aveva bisogno di rimanere da solo per sbollire la rabbia.
Era
possibile, ma non era da lui. Era in collera con me, ma non avrebbe mai
fatto
preoccupare in quel modo zio Jesse. Lo avrebbe chiamato di certo per
fargli
sapere che stava bene. Ero sempre più sicuro che Luke fosse
finito in qualche
guaio. E aveva bisogno di me.
Cercai
in ogni luogo dove pensai
Luke sarebbe potuto andare e cercai anche nei posti dove pensavo non lo
avrei
mai trovato. Non era in prigione. Non era con Cooter. Non era con
Ellen. Non
era in ospedale e in nessuna delle nostre vecchie distillerie.
Né zio Jesse né
Daisy avevano trovato tracce di lui. Sembrava fosse stato inghiottito
dalla
terra. Non aveva una macchina e quindi non poteva essere andato
lontano. Doveva
trovarsi da qualche parte ad Hazzard. Dovevo solo scoprire dove.
Luke
aveva ogni ragione per
essere arrabbiato. Non riuscivo ancora a credere di aver fatto
ciò che
realmente avevo fatto. Volevo soltanto dimostrargli che avevo ragione.
Avrei
fatto tutto ciò che era in mio potere per far pace con lui
non appena lo avessi
trovato. Tuttavia se stava bene, e pregavo in continuazione che stesse
bene, lo
avrei prima ucciso con le mie mani per avermi fatto passare
un’ansia del genere
e poi mi sarei scusato con lui.
Era
buio quando tornai alla
fattoria. Né zio Jesse né Daisy avevano
novità. Nessuno aveva visto Luke la
sera precedente. Riuscivo a vedere l'angoscia impressa sul volto
di mio
zio il quale però tentava comunque di rimanere ottimista.
Daisy stava facendo
del suo meglio tenendo duro sia per lei che per zio Jesse, ma il suo
era uno
sforzo enorme. Era vicina alle lacrime. Finimmo tutti e tre per
abbracciarci e
farci forza a vicenda. Zio Jesse suggerì di andare a letto e
riposarci, avremmo
ripreso le ricerche l’indomani. Magari la notte ci avrebbe
portato consiglio e
ci sarebbe venuta qualche nuova idea su dove poter cercare Luke. Forse
ci
saremmo svegliati e lo avremmo trovato a casa.
Dopo
che zio Jesse e Daisy si furono
ritirati per la notte, afferrai un giacchetto ed uscii
all’aria aperta. Camminai
su e giù per il portico per un po’ prima di
sedermi sul dondolo. Mentre me ne
stavo lì seduto al buio, quella brutta sensazione che avevo
provato di mattina tornò prepotentemente. Sapevo che Luke era nei guai ed
aveva bisogno di
me. Sentii che doveva essere da qualche parte vicino alla fattoria e lo
immaginai chiedersi perché mai io non fossi con lui.
“Ti
troverò Luke. Resisti, sarò
presto da te…” Sussurrai.
Per
non so quale ragione, non
avevo voglia di andare a letto. Per qualche strano motivo mi sentivo
vicino a
Luke là fuori sotto il portico. Se avessi potuto avrei dato
qualsiasi cosa per
poter cambiare quel che era accaduto. Ero più che mai
determinato a ritrovarlo.
L’indomani.
L’indomani
lo avrei ritrovato.
Quella
notte mi addormentai sul
dondolo del portico.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Una devastante verità ***
Carissime LadyBlack, Maria
e
Manzo,
i vostri commenti sono per
me
un’autentica iniezione di fiducia e di ottimismo. Non ho
parole per
ringraziarvi del tempo che state dedicando sia a me che a Gia August.
Se potessi aggiornerei
questa
storia ogni giorno, ma purtroppo non sempre riesco a ritagliarmi uno
spazio tra
lavoro e famiglia. Vi assicuro però che il capitolo che
aspettate con
ansia sta
arrivando, è molto più vicino
di quanto crediate e la vostra attesa, sono sicura, sarà
ampiamente ripagata.
Ringraziandovi di nuovo, vi lascio alla lettura
dell’undicesimo capitolo.
Capitolo undici: una
devastante
verità
Luke
Era
sera quando mi risvegliai. Il
sole era ormai un ricordo ed il buio incombeva. Avrei passato
un’altra notte da
solo. Ero gravemente ferito. Stavo cominciando a perdere
sensibilità alle dita
e non riuscivo a smettere di tremare. Desiderai che anche il resto del
mio
corpo diventasse insensibile, ma sapevo che non sarebbe stato un bene
se fosse
accaduto realmente. La testa mi faceva male e rimanere immobile, non mi
aiutava
più a lenire alcun dolore. Persino respirare stava
diventando sempre più
doloroso e quella era la cosa che più mi spaventava. Tentai
di smettere di
tossire perché ogni volta era come sentire un coltello che
mi trafiggeva il
petto, ma non ci riuscivo. Avevo bisogno di aiuto. Pregavo
continuamente che
zio Jesse, Daisy e Bo mi stessero cercando, implorando
affinché mi potessero
trovare al più presto. Non sapevo quanto ancora avrei
resistito.
Cominciai
di nuovo a pensare a
Bo. Ero certo che lui in qualche modo sarebbe riuscito a trovarmi.
Contavo su
mio cugino. Avevo bisogno di lui come mai nella mia vita.
I
miei pensieri tornarono ancora
alla nostra litigata. Sperai ardentemente che mi fosse data la
possibilità di
scusarmi con lui. Rimpiansi profondamente tutto quel che gli avevo
detto ed il
dolore che gli avevo causato. Ormai sapevo che non mi aveva fatto
preoccupare
tanto di proposito. Non ha mai fatto niente di male intenzionalmente.
E’ semplicemente
un impulsivo. Dice spesso che l’impulsività
è una buona qualità e forse ha
ragione. Io devo sempre pensare prima di agire e, una volta presa una
decisione,
mi prendo del tempo e rifletto ancora. Il mio mondo ha diverse
sfumature di
grigio, mentre quello di Bo è bianco o nero. Molte volte ho
desiderato essere
come lui ed agire d’istinto. Le uniche volte in cui riesco a
farlo davvero, di
solito, finisco in qualche guaio per seguirlo. Fa sempre di testa sua
ignorando
i miei avvertimenti. Mi è sempre piaciuto pensare che in un
certo senso ci compensiamo
a vicenda. Di tanto in tanto io riesco a fermarlo e a farlo riflettere
così
come lui una volta ogni tanto, riesce a farmi agire senza pensare.
Non
avevo più voglia di pensare,
ma non riuscivo a smettere. C’era qualcosa nella mia mente
che non riuscivo ad afferrare,
qualcosa che scalpitava per uscir fuori, ma non riuscivo a capire di
cosa si
trattasse. Vidi poi i volti di Bo e di Ellen e provai una spiacevole
sensazione. Era come voler vedere qualcosa attraverso la nebbia e
più mi
avvicinavo, più la verità si allontanava. Non
riuscivo ad afferrarla. Sapevo
che la sera precedente dovevo incontrare Ellen, ma non ricordavo
affatto di
esser stato insieme a lei. Zio Jesse mi aveva accompagnato al
Boar’s Nest
perché ero senza macchina. Il Generale Lee lo aveva Bo.
Scartai l’ipotesi di
aver avuto dunque un incidente. Ma ero andato al Boar’s Nest,
ne ero ormai
convinto. Avevo un vago ricordo di Cooter seduto al bancone, mentre
cercavo Bo
ed Ellen. Lo sforzo che stavo facendo per tentate di capire cosa fosse
accaduto, peggiorò le condizioni della mia testa e la nausea
aumentò. Stavo
sempre peggio.
Tuttavia
continuai, dovevo
sapere. Avevo bisogno di ricordare cosa mi era successo. Mi concentrai
sul
Boar’s Nest e mi focalizzai sul breve scambio di battute che
avevo avuto con
Cooter. Quello era l’ultimo ricordo chiaro che avevo. Una
sgradevole immagine
stava prendendo forma nella mia mente, ma non riuscivo a capire cosa
fosse.
Vedevo Ellen e Bo seduti vicini. Non c’era niente di male, ma
iniziai lo stesso
ad agitarmi. Quell’immagine poi divenne improvvisamente
nitida. Chiusi gli
occhi tentando di scacciarla, ma tornò indietro. Vidi Bo
baciare una ragazza. Lo
vidi scostarsi da lei rivelando il volto di Ellen. Avevo visto Bo ed
Ellen
baciarsi… era quella la devastante verità che non
riuscivo ad afferrare.
All’improvviso
riaffiorò tutto
quanto. Ricordai di aver visto mio cugino e la mia ragazza baciarsi.
Non avevo
saputo cosa pensare o casa fare, ero rimasto a fissarli per un
po’ e poi me ne
ero andato via senza affrontarli. Non potevo. Volevo solo andare a
casa. Avevo
cominciato a camminare sotto la pioggia quando la signora Jacobson si
era
fermata e mi aveva offerto un passaggio. Mi aveva lasciato sulla Little
Creek
Road. Era quello il mio ultimo ricordo, ma almeno avevo capito dove mi
trovavo.
Ero nella nostra terra. Sicuramente avevo preso qualche scorciatoia
lungo il
ponte ed ero caduto. Ero così vicino a casa.
Mi
rammaricai di aver ricordato
tutto. Iniziai a sentirmi peggio. Il mio cuore ne uscì
distrutto come il resto
del mio corpo. Tentai di scacciare quelle immagini, ma sembrava non
volessero
altro che abitare la mia mente. Non potevo più fermarle
ormai. Non avevo mai
pensato all’eventualità che Ellen volesse Bo. Ero
convinto che tenesse a me
almeno quanto io tenevo a lei. Bo aveva ragione. Poteva portarmi via
qualunque
ragazza. E si era preso Ellen.
Avevo
paura che la testa mi
sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro tante erano
le domande che mi
affollavano la mente: “e se Bo non
mi
stesse cercando? E se non gli interessasse più niente di me?
E se adesso fosse
insieme ad Ellen? E se…”
Il
petto continuava a farmi male
e la nausea era peggiorata a causa della morsa che mi aveva
attanagliato lo
stomaco. Facevo fatica a respirare. Tentai di calmarmi, ma senza
risultato.
Sentii un nodo improvviso serrarmi la gola e rendermi ancora
più difficoltosa
la respirazione. Spalancai la bocca cercando aria. Fui sollevato che
accanto a
me non ci fosse nessuno a vedermi in preda al panico come un ragazzino.
Mi
sentivo come un ragazzino. Tutto quello che volevo era il conforto di
mio zio.
Volevo che mi tenesse forte e che mi dicesse che tutto si sarebbe
sistemato
proprio come faceva quando ero piccolo. Avevo un disperato bisogno di
lui.
Stavo cominciando a perdere la speranza. Riuscire a trovarmi equivaleva
a
trovare un ago in un pagliaio.
Poi smisi
di lottare con me stesso e
piansi.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Un ago in un pagliaio ***
Questo capitolo lo dedico in modo particolare a voi
care LadyBlack e
Maria… forse non è esattamente quello che attendevate con
ansia, ma facciamo progressi!
Capitolo dodici: un ago in un pagliaio
Bo
Fui
svegliato la mattina seguente
da una delicata carezza sul viso. Aprii gli occhi e sorrisi alla vista
di mia
zio, ma fu un attimo. Mi ricordai immediatamente che Luke era
scomparso. Mi
alzai di scatto dal dondolo e per poco non caddi a terra.
“Con
calma ragazzo.” Disse zio
Jesse afferrandomi per un braccio ed evitandomi la caduta.
“Hai
dormito qui fuori tutta la
notte?”
Quando
annuii
aggiunse: “devi aver avuto freddo. Entra in casa, prendi una
tazza di caffé caldo
e fai colazione. Dobbiamo riprendere le ricerche di Luke.”
“Zio
Jesse, forse si è
allontanato di proposito. Lo sai come reagisce quando è
arrabbiato.”
Mio
zio scosse mestamente il
capo: “penso di conoscere Luke meglio di chiunque altro,
l’ho cresciuto io. Ha
bisogno di stare per conto suo a volte, ma non se ne sarebbe mai andato
via
senza prima informarmi. Non lo farebbe mai.”
“Lo
so zio Jesse, penso la mia
fosse solo una piccola speranza.”
“Non
è da lui.” Insistette
ancora. “Se davvero però avesse fatto una cosa del
genere, avrebbe di che
pentirsi tornando a casa… eppure vorrei davvero fosse andata
così.”
“Si
anche io.” Risposi.
Avevo
tutti i muscoli indolenziti
a causa della notte passata sul dondolo. Zio Jesse aprì per
me la porta di casa
e disse: “entra dentro. Dobbiamo mangiare qualcosa prima di
rimetterci alla
ricerca di Luke. Abbiamo bisogno di tutte le nostre energie.”
Ci
avviammo verso la cucina dove
trovammo Daisy intenta a preparare la colazione. Ci abbracciammo in
silenzio; i
nostri stati d’animo non necessitavano di parole. Stavamo
provando i medesimi
sentimenti: eravamo entrambi spaventati a morte per Luke.
Saltammo
letteralmente tutti e tre
dalle nostre sedie quando udimmo il suono del telefono. Mi mossi per
afferrare
la cornetta, ma zio Jesse fu più rapido. Fui deluso quando
lo sentii dare il
buongiorno alla signora Jacobson. Ascoltai distrattamente quella
conversazione.
Sentii
mio zio dire: “sono
spiacente, cara. Non posso venire da te oggi. Abbiamo un problema
qui… siamo
molto preoccupati per Luke. Non lo vediamo da venerdì sera e
non sappiamo dove
sia.”
Zio
Jesse fece una pausa e poi
esclamò: “l’hai visto! Hai visto Luke?
Dove? Quando?”
Sia
io che Daisy raggiungemmo in
fretta nostro zio per poter ascoltare meglio la conversazione.
Iniziammo a
chiedergli cosa stava dicendo la signora Jacobson, ma zio Jesse ci fece
segno
di rimanere in silenzio perché non riusciva a sentire bene.
Finalmente disse: “Grazie,
ci sei stata di grande aiuto… Si, ti terrò
informata se avrò notizie… No cara,
non è colpa tua. Grazie ancora.”
Quando
riattaccò, gli chiesi ansiosamente:
“che cosa ti ha detto?”
“Ha
incontrato Luke venerdì sera,
stava camminando sulla Highway 36 vicino al Boar’s Nest.
Erano da poco passate
le otto. Lei stava raggiungendo casa di sua sorella. Ha detto che Luke
stava
tornando a piedi alla fattoria e gli ha offerto un passaggio in
macchina. Lo ha
lasciato sulla Little Creek Road. Era dispiaciuta di non poterlo
accompagnare
fino a casa, ma ha difficoltà a guidare di notte,
specialmente su strade sterrate
non illuminate. Luke le ha detto di non preoccuparsi e che avrebbe
proseguito a
piedi.”
“Questo
significa che lo ha
lasciato ad un paio di miglia da qui. Sarebbe dovuto arrivare al
massimo entro
una mezzora.” Disse Daisy. “Cosa mai potrebbe
essergli accaduto?”
“Sono
passato da quella parte
ieri, ma non ho visto niente.” Deve essergli successo
qualcosa tra lì e la
fattoria. Stava tornando a casa. Tutto questo non ha senso.”
Aggiunsi perplesso.
Zio
Jesse prese il comando della
situazione: “faremo quel tratto di strada a piedi andata e
ritorno e lo faremo
di nuovo se non troveremo Luke. Dovremmo tenere gli occhi aperti e
cercare ogni
minima traccia che potrebbe parlarci di lui. Lo troveremo.”
Sentire
mio zio parlare in quel
modo mi stava rassicurando. Ero sicuro che lo avremmo trovato, ma
pensai che se
Luke era stato lì fuori tutto quel tempo, significava che
doveva essere ferito
o sarebbe di certo tornato a casa. Sentivo che non avevamo molto tempo.
Camminammo
lentamente sulla
Little Creed Road coprendo le due miglia che ci interessavano, ma non
notammo
alcuna traccia che ci dicesse che Luke era passato di lì.
Speravo così tanto di
ritrovarlo, che ne rimasi più che deluso. Daisy stava
facendo del suo meglio
per non scoppiare in lacrime.
Zio
Jesse ci abbracciò: “coraggio,
non voglio vedere quelle facce tristi. Questo è il posto nel
quale la signora
Jacobson ha lasciato Luke. Lui le ha detto che avrebbe proseguito a
piedi da
qui fino a casa. Dobbiamo solo cercare di capire esattamente dove sia
passato e
cosa gli sia successo. Con tutta la pioggia che è caduta,
non troveremo nessuna
impronta, ma potrebbe esserci qualche altra traccia. Ripercorriamo di
nuovo
questa strada e facciamo più attenzione.”
Facemmo
di nuovo il percorso con
passo più lento, controllando attentamente i bordi della
strada. Continuavamo a
non vedere niente. Stavo cominciando a sentirmi nervoso e frustrato.
Quando
attraversammo il ponte di legno che passa sul torrente, Daisy disse
rivolta a
zio Jesse: “non serve a niente tutto questo.
Venerdì sera è piovuto tanto ed a
tratti intensamente. Non troveremo né tracce né
indizi. La pioggia avrà lavato
via tutto.”
Restammo
sul ponte tentando di
immaginare dove potesse essere andato Luke. Daisy disse ancora:
“forse ha
semplicemente deciso di non tornare a casa ed è andato in
una delle nostre
vecchie distillerie.”
“E’
possibile.” Rispose zio
Jesse. “Ma non credo lo abbia fatto. Quel ragazzo non ci
avrebbe mai fatto
preoccupare così.”
Continuavo
a guardare quella
strada sperando che Luke sarebbe apparso miracolosamente da un momento all'altro come se niente
fosse
mai accaduto. Mi voltai poi verso il torrente e, mentre osservavo
l’acqua
scorrere, mi sembrò di sentire Luke chiamare il mio nome.
“Lo avete sentito
anche voi?” Chiesi ansiosamente.
“Sentito
cosa?” Rispose Daisy. “Io
non ho sentito niente.”
“Neanche
io.” Disse zio Jesse.
Rimasi
in ascolto attentamente,
ma non percepii più alcun suono. “Giurerei di aver
sentito Luke che mi
chiamava. Possibile voi non lo abbiate sentito?”
Sia
zio Jesse che Daisy negarono.
“Da dove veniva la voce?” mi chiese mio zio.
“Non
saprei dirlo… non lo so
forse è stata solo la mia immaginazione. Forse era solo
nella mia testa.”
Risposi dispiaciuto.
“Magari
hai davvero sentito
qualcosa… dobbiamo riprendere le ricerche. Ripercorriamo
ancora questa strada.”
Riprese mio zio.
Non
riuscivo a distogliere lo
sguardo dal torrente. “Forse Luke ha preso una
scorciatoia.” Dissi con
rinnovata speranza.
“Quale
scorciatoia?” Chiese zio
Jesse.
“Lungo
il ponte. La usavamo
spesso da ragazzini quando eravamo in ritardo. Più di una
volta ci ha salvati
da una punizione certa. Forse è passato di lì
venerdì perché voleva sbrigarsi a
tornare a casa.”
“E’
più un sentiero che una
strada, direi che Luke abbia abbastanza buonsenso da evitare di
camminare su un
terreno del genere soprattutto se è notte e
piove… ma a volte voi ragazzi fate
la prima cosa che vi passa per la testa.” Disse zio Jesse
pensieroso.
“Era
arrabbiato e scioccato
quella sera. Forse è passato di lì senza pensare
con il solo scopo di togliersi
dalla pioggia in fretta.”
“Non
riesco a trovare una sola
buona ragione per passare di là, ma vale la pena
controllare.” Fu la
concessione di mio zio. “Passa per quella scorciatoia, mentre
io e Daisy
ripercorriamo di nuovo la strada principale. Fai attenzione. Il terreno
è
bagnato e scivoloso. Non voglio che tu cada e ti faccia male. Avere uno di voi nei guai è più che sufficiente.”
“Starò
attento.” Risposi mentre
iniziavo a camminare. Dovetti constatare che zio Jesse aveva ragione
riguardo
al terreno accidentato. L’idea che forse Luke potesse essere
caduto nella
scarpata, si affacciò nella mia mente e cominciai a
scendere. La discesa era
piuttosto ripida e mi resi conto che il torrente era molto
più distante di
quanto ricordassi.
Ad
un tratto vidi qualcosa a
terra avanti a me. Mi avvicinai e mi piegai sulle ginocchia. Raccolsi
un
fazzoletto completamente sporco di fango. Era di Luke.
“DOVE SEI?” Gridai disperato.
Non
ricevetti alcuna risposta e
quindi continuai a perlustrare la zona. Mi allontanai molto dal ponte,
ma non riuscii
a trovare altre tracce. Tornai nel luogo dove avevo trovato il
fazzoletto.
Guardai in basso verso il torrente, ma non vedevo altro che alberi.
Decisi che
avrei continuato la mia discesa per avere una migliore visuale della
zona. Il
terreno era talmente scivoloso che dovetti aggrapparmi agli alberi per
non
cadere.
Ero
quasi arrivato in fondo alla
scarpata quando finalmente vidi Luke seduto a terra con la schiena
poggiata ad
un tronco. Aveva la testa reclinata in avanti sul petto. Mi sentii
incredibilmente sollevato.
Lo
chiamai, ma non mi rispose. Non
si mosse. Mi accorsi che era immobile, innaturalmente immobile. Il mio
cuore si
fermò. Il sangue mi si gelò nelle vene. Non ho
mai avuto tanta paura in vita
mia.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Trovato ***
Proprio ieri ho chiacchierato piacevolmente con Gia
August e mi ha
confessato di essere molto ansiosa: non vede l’ora di
conoscere le vostre opinioni
sugli ultimi capitoli.
Cominciamo da questo!
Capitolo tredici: trovato
Bo
Ripresi
possesso delle mie
facoltà ed iniziai a muovermi. Scivolai praticamente
giù per la scarpata pur di
arrivare prima da Luke. Mentre mi avvicinavo, continuavo a chiamarlo per nome
ansiosamente,
ma senza ricevere alcuna risposta. Mi fermai a qualche metro di
distanza da
lui. Aveva un brutto aspetto. Nonostante fosse ricoperto di fango,
riuscii a
vedere il pallore mortale della sua pelle. Sulla fronte
aveva un taglio
profondo ed il sangue che ne era uscito gli si era posato sul volto e
sui capelli. Le sue labbra avevano un colorito bluastro. Tutto il suo viso
era
ricoperto di graffi e tagli.
Il
mio cuore batteva in modo
forsennato, le mie ginocchia erano divenute deboli. Sentii gli occhi
riempirsi di lacrime: “ti prego Dio,
fa che
non sia morto… ti prego.” Sussurrai
disperatamente.
Mi
avvicinai un po’ di più anche
se avevo paura di quel che avrei potuto trovare. Non volevo una
conferma ai
miei timori. Quando gli fui di fianco, caddi in ginocchio. Un
brivido di
speranza mi pervase quando pensai di aver visto il suo torace alzarsi e
abbassarsi, ma non ne ero sicuro. Mi asciugai le lacrime con la manica,
tentando di mantenere il controllo delle mie emozioni, almeno avrei
potuto fare
quel che era necessario. Gli toccai il collo con attenzione per sentire
se ci
fosse battito. Era freddo. Le mie dita cercarono freneticamente
l’angolo giusto
finché non si arrestarono percependo una debole
palpitazione. Non sono mai
stato così sollevato in vita mia.
“Grazie Dio.” Sussurrai.
Luke
stava respirando, lievemente
ma stava respirando. Non riuscivo a dire in quali altre parti del corpo
fosse
ferito a parte la testa, sapevo tuttavia che versava in gravi
condizioni. Era
troppo freddo. Dovevo portarlo via di lì in fretta. Aveva
bisogno di essere
trasportato in ospedale. Passai dolcemente una mano tra i suoi capelli,
facendo
attenzione a non fargli male. Lo supplicai: “andiamo Luke,
svegliati. Per
favore, non farmi questo… svegliati.”
Fece
una piccola smorfia.
Lentamente aprì gli occhi, ma non mi guardò. Gli
tolsi una ciocca di capelli
insanguinata dalla fronte. I suoi occhi finalmente incrociarono i miei.
Sembrava
incredulo.
“Ciao
Luke.” Dissi sorridendo.
Le
sue labbra si mossero a
formare il mio nome, ma non ne uscì alcun suono. Continuai
ad accarezzargli i
capelli: “con calma cugino. Sono qui. Vedrai andrà
tutto bene.”
“Bo.”
Bisbigliò.
Al
contrario di quel che era
accaduto pochi istanti prima, stavolta riuscii a sentire la sua voce e ne fui
rassicurato: “sono qui Luke… sono qui.”
“Sei
venuto a prendermi.” Disse
con voce incerta. “Non ero sicuro che ne avessi
voglia.”
“Sono
due giorni che ti cerco e
adesso ti porterò via di qui. Devi andare in ospedale. Pensi
di poterti alzare?”
Chiesi speranzoso.
Scosse il capo: “ci ho provato,
ma non ci riesco. Mi fa male tutto quando mi muovo.”
Sussurrò.
“Che
tu ci creda o no, sono
felice di sentirtelo dire.”
I
suoi occhi divennero lucidi: “sei
ancora arrabbiato con me vero? Mi dispiace.”
Mi
sarei preso a calci da solo
per quel che avevo detto. Non avrei mai dovuto permettere che mi fraintendesse. Mi
affrettai a spiegare: “non sono arrabbiato con te e non sei
tu tra di noi
quello che deve scusarsi. Non volevo causarti un’altra
sofferenza. Volevo
soltanto dire che sono felice che tu sia in grado di muoverti anche se
ti fa
male tutto. Eri immobile quando ti ho trovato e dopo una caduta del
genere
avevo paura che…”
Pensai
fosse meglio non terminare
la frase. Luke non aveva bisogno di sentirla. Stava prestando molta
attenzione
alle mie parole. Iniziò a tremare. Non mi piaceva affatto
che fosse così freddo
nonostante ci fossero una ventina di gradi. Mi tolsi il giacchetto
maledicendolo
perchè non era molto imbottito e lo usai per coprirlo.
Quando
lo vidi chiudere di nuovo
gli occhi, gli dissi: “stai con me Luke per favore. Sai dirmi
dove senti
dolore?”
“Ovunque.”
Rispose ansimando.
Riuscivo a vedere quanta fatica facesse a respirare.
“Puoi
essere un po’ più
specifico?” Dissi ancora accennando un sorriso.
“La
testa… il petto… le costole…
la spalla… la caviglia…”
“Ho
capito. Ovunque.” Convenni. “Ascolta
Luke, non puoi camminare neanche con il mio aiuto. Non posso tirarti
fuori di
qui da solo. Non conosco la reale natura delle tue ferite. Non voglio
peggiorare
la situazione cercando di portarti via. Devo andare a chiedere aiuto.
Tornerò
presto.”
Quando
iniziai ad alzarmi, Luke
mi afferrò per un braccio con una forza che non credevo
avesse. Sussurrò
disperatamente: “non mi lasciare di nuovo solo.”
“Devo
andare a cercare aiuto Luke,
non posso fare niente altrimenti. Non voglio lasciarti, ma non ce la
farò mai a
portarti via con le mie sole forze. Starò via soltanto per
venti minuti,
mezzora al massimo. Te lo prometto. Tornerò.”
Luke
aumentò la morsa sul mio
braccio: “non lasciarmi… ho
paura…”
Mi
terrificò sentire Luke
ammettere di aver paura. Non lo aveva mai fatto. Di solito si mostrava
sempre
impavido. E’ sempre stato il più forte di noi, io
e Daisy siamo sempre dipesi
da lui. Per dire una cosa del genere, doveva stare veramente male.
Sapevo che
non avevo molto tempo. Dovevo essere io quello forte per una volta.
Dissi
con rinnovata urgenza: “Luke
devo andare a cercare zio Jesse e Daisy così potremmo
portarti in ospedale. Sarò
di ritorno presto.”
Mi
si spezzò il cuore quando mi
guardò come se non credesse ad una sola parola di quello che
gli stavo dicendo.
Mi lasciò il braccio e guardò lontano da me. Vidi
i suoi occhi di nuovo lucidi
e mi spaventai ancora di più. Non era da lui mostrarsi
così vulnerabile. Il
pensiero di doverlo lasciare mi stava uccidendo, ma non avevo scelta.
Gli poggiai
delicatamente una mano alla base del collo e dissi: “guardami
Luke, per favore.”
Quando
fece quel che gli avevo
chiesto, continuai: “non vorrei lasciarti, ma devo andare.
Vado a prendere zio
Jesse.”
“Ho
bisogno di lui.”
“Lo
so cugino. Resisti un altro
po’ e per favore, non andare da nessuna parte, mi hai
capito?”
“Dove
vuoi che vada?” bisbigliò.
Sapevo
che non poteva muoversi,
ma non era quello ciò che intendevo io. Avevo paura che
avrebbe smesso di
lottare. Lo avevo appena ritrovato e non potevo perderlo. Riluttante mi
alzai
in piedi.
“Resisti…
tornerò presto… te lo
prometto… rimani qui… non andare
via…”
Guardai
sopra di me e mi resi
conto che non avevo alcuna speranza di tornare indietro da dove ero
arrivato. Era
un terreno troppo ripido e scivoloso da poter risalire. La mia unica
strada era
la sponda del torrente. Impulsivamente mi riabbassai ed afferrai la
mano di
Luke. Ci scambiammo un lungo e silenzioso sguardo dopodichè
mi voltai ed andai
via.
Corsi
verso casa, vidi zio Jesse
e Daisy arrivare dalla Little Creek Road. Erano a pochi passi dalla
fattoria.
Urlai loro in modo frenetico: “l’ho trovato, ho
trovato Luke.”
Arrivai
col fiatone di fronte a
mio zio: “l’ho trovato zio Jesse…
è ferito gravemente… dobbiamo
aiutarlo…
dobbiamo portarlo in ospedale.”
“Con
calma Bo. Dov’è? Che gli è
successo?” Mi chiese afferrandomi entrambe le braccia.
“Avevo
ragione. Ha preso la
scorciatoia lungo il ponte. Deve essere caduto perché
l’ho trovato vicino al
torrente.”
“Quanto
è grave?” Chiese Daisy.
“E’
molto grave tesoro. Ha una
brutta ferita sulla fronte ed ha difficoltà a respirare. Ha
dolore al petto,
alla spalla e alla caviglia. Non è messo bene. Ha freddo,
non riesce a smettere
di tremare. Non può alzarsi. Ho avuto paura che gli avrei
causato altri danni
se avessi provato a trasportarlo da solo. Andiamo a
prenderlo.”
Mi
voltai intenzionato a
riprendere la mia corsa per tornare da Luke, ma zio Jesse mi
fermò. “Aspetta un
attimo Bo, abbiamo bisogno di prendere il pick-up. Riusciremo ad
avvicinarci
parecchio. Adesso andiamo in casa e portiamoci dietro tutto quello che
potrebbe
servirci.”
Per
fortuna zio Jesse aveva preso
il controllo. Pensava molto più razionalmente di me. Tutto
quello che
desideravo era tornare in fretta da Luke. Non volevo che rimanesse
ancora da
solo. Sapevo che aveva bisogno del mio supporto per resistere e andare
avanti.
Ci
precipitammo in casa. Zio
Jesse ci diede gli ordini: “Daisy prendi il kit di primo
soccorso, forse non ci
faremo niente, ma tu prendilo lo stesso. Prendi la bottiglia di whisky
che
conservo per le emergenze e qualcosa da mangiare. Bo prendi cuscini e coperte. Assicurati che ce ne siano a sufficienza,
Luke ci si deve sdraiare sopra e ci si deve scaldare. Io vado a
mettere in
moto. Sbrigatevi.”
Mettemmo
a soqquadro la casa
cercando quel che ci serviva. Daisy prese anche la coperta dal suo
letto per
essere sicura che Luke avrebbe avuto tutto il conforto di cui
necessitava. In
meno di cinque minuti eravamo con zio Jesse nel pick-up pronti a
raggiungere
Luke.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Non c'è bisogno di piangere ***
Ebbene si! Finalmente lo abbiamo trovato questo
benedetto ragazzo! Di
capitoli ne mancano pochi alla fine, non posso anticiparvi cosa
accadrà, ma
posso dirvi che il confronto tra Bo e Luke si sta avvicinando sempre
più! Vi
ringrazio di nuovo per le recensioni che ci avete lasciato, sono
graditissime.
Questo è il quattordicesimo
capitolo, buona lettura!
Capitolo quattordici: non c’è
bisogno di piangere
Bo
Fummo
scagliati addosso al
cruscotto quando il vecchio pick-up rimbalzò su di una
roccia nel letto del
torrente. Sembrava non dovessimo mai arrivare da Luke.
“Dov’è?”
Chiese ansiosamente Daisy
per la decima volta in pochi minuti.
“Ci
siamo quasi, è appena più
avanti.” Risposi.
Correvamo
molto più di quanto
avremmo dovuto. Le condizioni di Luke mi avevano davvero spaventato.
Sembrava
così scoraggiato quando lo avevo lasciato, temevo avrebbe
smesso di lottare. E’
sempre stato il più forte di noi, non lo avevo mai visto in
quello stato. Ero
terrorizzato dall’idea che non ci avesse aspettati.
“E’
qui zio Jesse!” Gridai.
Aprii
la portiera e saltai giù
dal pick-up prima ancora che si fosse fermato. Zio Jesse e Daisy mi
seguirono
immediatamente. Quando raggiunsi Luke, il cuore iniziò a
martellarmi nel petto.
Era privo di conoscenza.
“Luke!”
Lo chiamai
inginocchiandomi vicino a lui. Quando non ricevetti alcuna risposta, il
panico aumentò. Avevo bisogno di sapere se era ancora tra di
noi e così cercai
di nuovo con le dita la presenza di un battito sul suo collo.
“Andiamo
cugino, svegliati.” Lo
supplicai. Guardai mio zio: “è ancora incosciente,
non riesco a svegliarlo.”
Zio
Jesse si accovacciò accanto a
Luke, sul fianco opposto al mio. Daisy rimase vicino a lui cercando di
prendere
per sé un po’ della sua forza. Era chiaro quanto
mio zio fosse preoccupato, ma
era altrettanto evidente la sua determinazione. Riuscì a
darmi speranza.
Zio
Jesse cinse il mento di Luke
e dolcemente gli sollevò la testa: “andiamo Luke,
è ora di svegliarsi. Zio
Jesse è qui. Apri gli occhi.”
Luke
non rispose e mio zio provò
di nuovo. Con un tono di voce più alto, disse in modo
brusco: “Lukas, sono zio
Jesse. Voglio che tu apra gli occhi ora. Mi hai sentito?
Svegliati!”
Luke
fece quel che gli era stato
ordinato. Penso fosse perché zio Jesse aveva usato il suo
nome completo e gli
aveva parlato con tono duro. Quando mio zio parlava in quel modo, lo
ascoltavamo sempre ed obbedivamo ai suoi ordini senza controbattere. Il
suo tono
e la sua espressione si addolcirono non appena incrociò lo
sguardo di Luke.
“Ecco
qui il mio ragazzo!” Disse
con amore.
Osservai
il volto di Luke illuminarsi
non appena lo vide: “zio Jesse”.
Sussurrò.
Allungò
un braccio e lo attirò
verso di sé. Zio Jesse lo circondò con il suo
amorevole abbraccio. Luke si
lasciò cadere contro il suo petto. Vidi il suo corpo scosso
da un fremito. Realizzare
quanto la presenza di mio zio lo avesse confortato, mi
riempì nuovamente gli
occhi di lacrime. Gli ultimi due giorni dovevano esser stati un vero e
proprio
inferno per lui. La cosa peggiore era che io ne ero stato
l’unico responsabile.
“Sono
qui ragazzo mio.” Bisbigliò
mio zio mentre continuava ad accarezzargli dolcemente la schiena.
“Andrà tutto
bene vedrai. Mi hai davvero spaventato stavolta. Pensavo avessi
abbastanza buon
senso da evitare di camminare lungo queste pendici quando piove a
dirotto.”
“Mi
dispiace.” Rispose Luke
ancora stretto al suo petto.
“Penso
avessi altre cose per la
testa.” Disse poi guardandomi dritto negli occhi e facendomi
sentire ancora più
in colpa di quanto non mi sentissi già. Non aveva commentato
molto quel che
avevo fatto con Ellen, ma sapevo che era molto deluso del mio
comportamento.
Anche
Daisy abbracciò Luke nel
tentativo di dargli il proprio appoggio. Zio Jesse le disse:
“prepara il
pick-up. Fai un letto confortevole per Luke. Dobbiamo portarlo via di
qui in
fretta. Dobbiamo riscaldarlo, non mi piace affatto che sia
così freddo.”
Daisy
annui con vigore, posò un
bacio sulla fronte di Luke e si alzò:
“farò il meglio che posso.” Rispose
allontanandosi in fretta.
Il
respiro di Luke diventava sempre
più affannoso e irregolare. Zio Jesse se lo
scostò delicatamente di dosso. Lo
guardò negli occhi e si accorse che erano divenuti lucidi:
“ascolta bene Luke. So
quanto stai soffrendo, ma mettersi a piangere adesso non ti
aiuterà a respirare
meglio. Io sono qui e tu presto starai bene. Non
c’è bisogno di piangere.”
Luke
fece del suo meglio per
tenere il suo respiro sotto controllo. Zio Jesse tirò fuori
dalla sua tasca un
fazzoletto e lo usò per pulirgli il viso. Quel gesto
rivelò tagli ed abrasioni
che prima non riuscivamo a vedere: “il mio povero
ragazzo.” Commentò
tristemente.
Quando
sembrò che Luke stesse
respirando un po’ meglio, mio zio disse:
“è ora di portarti sul pick-up, devi
andare in ospedale. Sai dirmi dove sei ferito? Almeno non correremo il
rischio
di farti del male mentre ti trasportiamo.”
“Mi
fa male la testa.” Rispose a
fatica Luke.
Zio
Jesse annui: “Si, lo vedo. Bo
mi ha detto che anche il petto ti fa male.”
“Forse
ho qualche costola rotta.”
Disse ancora.
“Questo
spiegherebbe la fatica
che fai a respirare.” Poi mi zio mi guardò:
“se davvero ha qualche costola
rotta, è possibile che una gli abbia perforato i polmoni.
Dobbiamo fare molta
attenzione mentre lo solleviamo o peggioreremo la sua
situazione.”
“Mi
ha detto di avere dolore
anche alla spalla. Forse ha una distorsione, inoltre non credo riesca a
poggiare la caviglia a terra.”
“Non
avrà bisogno di camminare,
lo porteremo noi. Non riuscirà ad alzare il braccio infortunato e
poggiarmelo sulle spalle.
Lo dovremmo sollevare contemporaneamente. Luke, pensi di poter alzare
il
braccio buono e appoggiarti a Bo?”
Annuì
e fece quel che gli era
stato detto.
“Tieni
duro adesso, ti tiriamo
su.” Dissi.
Faticai
un po’ a sostenere il suo
peso, ma trovai presto il mio equilibrio. Cercammo di essere il
più delicati
possibile, ma Luke urlò per il dolore.
“Con
calma, ci siamo quasi.”
Disse mio zio.
Luke
mi poggiò la testa sulla
spalla. Era esausto. Lo trasportammo con attenzione sul pick-up e lo
adagiammo
sul letto che Daisy gli aveva preparato.
“Copriamolo
con le coperte.”
Esclamai.
“Non
ancora, Bo. Dobbiamo
togliergli di dosso questi vestiti bagnati o sarà inutile
coprirlo. Tu pensa
agli stivali, io gli tolgo il giacchetto. Fai attenzione alla
caviglia.”
Sentii
Luke urlare quando tolsi
lo stivale dalla gamba infortunata. Mi sentii terribilmente male,
l’ultima cosa
che avrei voluto era causargli altro dolore. Neanche sfilargli
giacchetto e
camicia fu semplice per via della spalla dislocata. Sussultava ad ogni
movimento anche se cercava di stare immobile. Sapevo che gli stavamo
causando
molto dolore, ma sapevo anche che zio Jesse aveva ragione. La sua pelle
era
ghiacciata. Tremava senza controllo. I suoi jeans sembrava fossero
ancora più
bagnati rispetto agli altri indumenti, forse perché era
rimasto seduto nel
fango. Glieli sfilai delicatamente facendo ancora attenzione a quella
caviglia.
Stavo per afferrargli anche i boxers, ma mi prese la mano e mi
fermò.
Zio
Jesse disse con tono dolce: “quei
boxers sono bagnati, dobbiamo toglierli e poi ti metteremo sotto le
coperte.”
Luke
guardò Daisy ed
immediatamente capimmo la sua riluttanza nel farsi spogliare
completamente. Daisy
si voltò di schiena: “non preoccuparti tesoro. Non
ti guarderò.”
Quando
fu nudo sotto i nostri
occhi, potemmo vedere quante abrasioni e lividi avesse. Erano ovunque.
Si era
fatto davvero molto male cadendo. Aveva un taglio profondo sul lato
sinistro
del torace. Lo avvolgemmo delicatamente nelle coperte. Quando lo
facemmo
sdraiare, iniziò ad ansimare: “non riesco a
respirare così.” Ci disse.
Lo
sollevammo di nuovo: “può
rimanere seduto ed appoggiarsi a me.” Dissi.
Mi
misi a sedere con la schiena
addosso alla cabina del pick-up e lasciai che Luke poggiasse la sua sul
mio
petto. Lo circondai con le mie braccia e lui rilasciò la
testa sulla mia
spalla. Dopo tutto quello che avevamo passato negli ultimi due giorni,
era
confortante per me poterlo tenere e proteggere in quel modo. Di solito
quello di
proteggere e vegliare era un compito suo. Era una gioia quindi poter
fare per
lui quel che lui aveva fatto tante volte per me. Daisy si mise a sedere
accanto
a noi offrendo anche il suo supporto.
“Vuoi
bere un po’? Vuoi mangiare
qualcosa?” Gli chiese zio Jesse. “Hai lo stomaco vuoto da venerdì sera.”
“Non
voglio niente”
“Un
sorso di whisky ti aiuterà a
riscaldarti.”
“Ho
troppa nausea.”
“Come
vuoi.” Concluse mio zio
carezzandogli il braccio. Poi si voltò verso Daisy:
“prova a farlo bere, ma non
forzarlo.”
Zio
Jesse saltò giù dal pick-up:
“guiderò
fino al Tri-County Hospital. Luke ha bisogno di cure immediate.
Sarà meglio che
attendere l’arrivo dell’ambulanza. Daisy, Bo,
tenetelo forte. Proverò ad andare
piano e ad evitare le buche, ma sarà pressoché
impossibile su questo terreno. Cercate
di tenerlo immobile. E cercate di tenerlo sveglio.”
“Sissignore!”
Rispondemmo in
coro.
Zio
Jesse si mise al volante e
lentamente si diresse verso la strada. Io e Daisy facemmo del nostro
meglio, ma
ad ogni avvallamento Luke provava dolore. Gemeva e si mordeva le labbra
ad ogni
colpo che riceveva. Daisy gli parlava dolcemente, mentre io tentavo di
tenerlo
fermo. Ringraziai di nuovo Dio di averlo trovato prima che fosse troppo
tardi. Tentammo
di tenerlo sveglio, ma non ci riuscimmo.
E
perse di nuovo conoscenza.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** In amorevoli braccia ***
A costo di sembrarvi ripetitiva, vi rinnovo la mia
sincera gratitudine
per l’interesse e l’attenzione che state
dimostrando a questa storia. Il fandom
di Hazzard purtroppo non è molto conosciuto ed esplorato,
pensate quindi che
gioia immensa mi regalate con ogni vostro commento!
Capitolo quindici: in amorevoli braccia
Luke
Era
come se tutto il mio mondo
stesse scomparendo. Stavo cercando di rimanere sveglio, ma era davvero
difficile. Avevo paura che se mi fossi addormentato, non mi sarei
più
risvegliato. Pensavo che la mia sorte fosse oramai segnata e mi stavo
arrendendo. Nessuno mi avrebbe mai trovato. Se qualcuno avesse saputo
dov’ero,
sarebbe arrivato già da tempo. Ero solo. Avevo perso ogni
speranza.
Avevo
freddo. Avevo perso sensibilità
sia alle mani che ai piedi. Il resto del mio corpo urlava di dolore. Ad
ogni singolo
respiro mi faceva male il petto. Sapevo che avrei dovuto tentare di
mettermi in
piedi, ma non potevo. Non avevo neanche la forza di provare. Facevo
sempre più
fatica persino a pensare e a concentrarmi.
Ma
poi sentii qualcuno chiamarmi
per nome. Sembrava una voce preoccupata. Quando aprii gli occhi, Bo era
di
fronte a me. Non sapevo se si trattasse di un sogno o della
realtà. Lui era lì
e sembrava vero, ma non aveva molto senso per me. Mi stava dicendo
quanto fosse
sollevato che io provassi dolore. Pensai fosse ancora arrabbiato con me.
Mi
chiese poi di non andare da
nessuna parte. E dove sarei potuto andare? Provai a dirglielo, ma
sembrò ugualmente
preoccupato di non trovarmi al suo ritorno. Non ero io quello che se ne
stava
andando, ma lui. Mi stava lasciando di nuovo solo. Lo supplicai di non
andare,
ma non mi ascoltò.
Pensai
si fosse trattato solo di
un’allucinazione visto che non riuscivo più a
formulare pensieri coerenti. Ormai
niente per me aveva più senso. Era come cercare di
raggiungere qualcosa senza
riuscire ad afferrarla perché sfuggiva continuamente dalle
mie mani.
Bo,
vero o presunto tale, mi
disse che sarebbe tornato presto, ma io non gli avevo creduto. Come
potevo
credere a qualcosa che ai miei occhi non era reale? Mi
sembrò vero quando mi
toccò, ma non avevo molta esperienza con persone immaginarie
quindi non mi
convinsi. Mi disse che sarebbe andato a prendere zio Jesse. Nonostante
volessi
mio zio più di ogni altra cosa al mondo, allo stesso tempo
non volevo più
restare da solo. Non volevo che Bo se ne andasse. Mi promise che
sarebbe
tornato. Bo non avrebbe mai mancato ad una promessa con me, ma non
potevo dire
lo stesso della figura che avevo di fronte.
Mi
sentii devastato quando se ne
andò. Volevo con tutto il cuore che fosse reale. Ne avevo
bisogno, ma non ne
ero sicuro. Anche se si era trattato di un’allucinazione, era
stato bello
averlo accanto. Penso che a volte la mente ci faccia vedere quel che
vogliamo
ed io volevo vedere Bo. Nonostante tutto però, la gioia che
avevo provato svanì
in fretta. Quando fui di nuovo solo, fu ancora più difficile
tenere alta la
speranza. Cercai di convincermi che il suo tocco era stato reale, ma
non
credevo che lo avrei più rivisto.
Eppure
Bo ritornò perché quando
mi svegliai vidi mio zio chino su di me ordinarmi di aprire gli occhi.
Ero
stanco, ma dovevo fare quel che lui mi chiedeva. Di solito mi chiamava
Lukas
quando combinavo qualche guaio così immaginai che dovevo
aver fatto qualcosa di
brutto. Forse era arrabbiato perché non ero tornato a casa.
Quel tono di voce
indicava sempre una gita sulla sue ginocchia e qualche sculacciata
quando ero
piccolo. Non lo faceva più da anni chiaramente, ma era
ancora una buona ragione
per obbedirgli. Con fatica riuscii ad aprire gli occhi e vidi il volto
di zio
Jesse davanti a me. Non sembrava arrabbiato. Quando mi sorrise,
allungai un
braccio e lo afferrai per rendermi conto se fosse reale. Prima che
potessi
accorgermene, mi ritrovai nelle sue braccia. Non mi sono mai sentito
così
sicuro e protetto in tutta la mia vita. Avevo paura che sarebbe potuto
svanire
da un momento all’altro, ma invece rimase con me. Era forte e
fermo. Mi avvolse
col conforto delle sue braccia. Finalmente avevo capito che era reale
ed il
sollievo mi fece salire un nodo in gola. Non stavo aiutando affatto la
mia
respirazione in quel modo, ma non potevo evitarlo. E’ un
po’ come quando da
bambino ti fai male e non piangi finché non vedi i tuoi
genitori.
Tra
le braccia di zio Jesse,
sapevo che tutto sarebbe andato bene. Non avevo più bisogno
di farmi forza perché
potevo contare sulla sua.
Ho
sempre odiato mostrarmi
vulnerabile, ma non avevo più nessun controllo delle mie
emozioni. Mi feci
cullare semplicemente da mio zio come avrebbe fatto un bimbo piccolo.
Mi disse
che non c’era bisogno di piangere, ma penso che fossi
semplicemente sollevato
di non dover più stare da solo. Non importava più
cosa mi era successo, tutto
quello che contava era che la mia famiglia era con me. Non ero
più solo.
Bo
e zio Jesse mi sollevarono da
terra e mi trasportarono sul pick-up; provai dolore ovunque a causa di
quello
spostamento, ma sapevo che era necessario. Volevo andarmene di
là. Non riuscivo
ancora a capire dove mi trovassi esattamente. Non riuscivo a ricordare
niente
della caduta, ma avevo un quadro completo degli eventi che
l’avevano causata
anche se alcuni erano meno chiari di altri. Ero ancora confuso ad
esempio sul perché
Bo fosse felice che mi ero fatto male, tuttavia mi sostenne con cura ed
attenzione. Mi sentii finalmente in salvo.
Feci
del mio meglio per non
urlare dal dolore, ma un paio di volte fallii miseramente. Mi
adagiarono tra le
braccia di Daisy, sul pick-up. Fu strano avere Bo e Daisy prendersi
cura di
me quando invece sono stato sempre io il protettore della famiglia. Le
loro
braccia erano forti e sicure.
Togliermi
i vestiti non fu
facile, ma fu veramente piacevole non averli più indosso e
potermi riscaldare
con coperte asciutte. Avevo ancora freddo, ma di sicuro stavo meglio.
Non
riuscii a respirare quando mi
fecero sdraiare. Bo disse che mi avrebbe sorretto così avrei
potuto mettermi a
sedere. Mi poggiai con la schiena sul suo petto. Mi sostenne con le sue
braccia
durante il tragitto. La strada era piena di buche e di avvallamenti, ma
non mi
interessava. Di sicuro era meglio del posto che avevo appena lasciato.
Mi
sentivo protetto tra le braccia di Bo ed era rassicurante la voce di
Daisy;
continuava a dirmi che tutto sarebbe andato bene.
Continuai
a sentirla parlare, ma
non riuscii più ad afferrare quel che mi stava dicendo. Non
mi importava, tutto
quello che contava era ascoltare la sua dolce voce. Finalmente mi stavo
rilassando e sentirmi sorretto dalle braccia di Bo, al caldo con Daisy
accanto
mi fece di nuovo chiudere gli occhi. Mi urlarono di stare sveglio. Non
sapevo perché
lo facessero, ma provai ad obbedire. Non volevo deluderli di nuovo.
Non
capivano che finalmente stavo
bene. Dopo esser stato solo per due giorni interi, ero tornato
finalmente dall’amore
dei miei cari. Niente poteva più farmi del male. Non avevo
intenzione di andare
da nessuna parte. Cercai di rimanere sveglio per loro, ma senza
successo.
Quando
riaprii gli occhi ero in
ospedale.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Aspettando ***
Mie care, pazientate un altro po' e sapremo come si concluderà questa storia. In
questo capitolo troverete
alcuni termini medici (Gia August si è documentata parecchio)
e spero vivamente
di averli tradotti bene. Se vi accorgete di qualche colossale
sciocchezza
avvertitemi per favore che correggo!
Grazie per i vostri
splendidi
commenti!
Capitolo sedici: aspettando
Bo
Provai
a far stare Luke sveglio
durante il tragitto verso l’ospedale, ma non ci riuscii.
Perse conoscenza e non
la riacquistò più. Mi spaventò a
morte. Sembrava però stesse respirando meglio.
Strinsi una mano di Daisy quando vidi le lacrime rigare il suo volto.
“Non
ti preoccupare tesoro. Si
rimetterà.” Le dissi.
“Come
fai a saperlo?” Mi rispose
con voce rotta dall’emozione.
“Lo
so e basta. Luke non ci
lascerà, non ora che lo abbiamo trovato. Ci ha aspettati
tanto, vedrai che
starà bene.” Dissi con più convinzione
di quanta ne avessi in realtà. “Smetti
di preoccuparti.”
Zio
Jesse si fermò di fronte all’entrata
del pronto soccorso e saltò giù dal pick-up. Ci
guardò e ci chiese: “come sta?”
“E’
svenuto, mi dispiace. Non
sono riuscito a tenerlo sveglio.” Risposi.
“Adesso
siamo qui. Vado a
chiedere aiuto. Torno subito.” Disse poi.
Fedele
alla parola data, zio
Jesse tornò da noi in un paio di minuti insieme ad un
dottore e ad un’infermiera.
Un inserviente li seguiva con una barella. Il dottore salì
sul pick-up per
esaminare Luke. Zio Jesse gli spiegò che era rimasto per due
giorni all’aperto
senza cure e gli illustrò a grandi linee tutte le ferite che
aveva di cui
eravamo a conoscenza. Ci rendemmo utili tutti nel muovere Luke fin
sopra la
barella e lo seguimmo nel pronto soccorso. L’infermiera ci
bloccò prima che
potessimo entrare in una delle sale visita. Ci disse: “potete
aspettare nella
sala d’attesa. Ci vorrà del tempo prima che il
dottore sia in grado di darvi
qualche notizia. Nel frattempo potete riempire i moduli che vi
fornirà la
receptionist."
Zio
Jesse fece quel che l’infermiera
gli aveva detto e Daisy andò con lui. Penso fosse un bene
per loro tenersi
occupati. Mi misi a sedere, ma mi rialzai quasi subito e cominciai ad
andare
avanti e indietro per quella sala. Nonostante le rassicurazioni fatte a
Daisy,
ero molto preoccupato per Luke. Se non lo avessi trovato, probabilmente
a quest’ora
lo avremmo già perso.
Stava
cominciando a diventare un’attesa
lunga. Non avevo altro da fare quindi ricominciai a passare in rassegna
gli eventi
degli ultimi due giorni. Pensai tanto a Luke e a cosa significava per
me averlo
nella mia vita. Non saremmo potuti essere più uniti neanche
se fossimo stati
fratelli, il nostro legame era davvero forte. Generalmente andavamo
d’accordo,
ma ci capitava di discutere di tanto in tanto. Penso fosse inevitabile.
Lavoravamo insieme, uscivamo insieme, dividevamo la stessa stanza da
tutta la
vita. Era logico che ogni tanto ci facessimo saltare i nervi a vicenda
e,
conoscendoci praticamente a memoria, sapevamo quali tasti spingere
durante le
nostre litigate. Ed era proprio quel che avevamo fatto
venerdì.
Però non c’era
mai stata l’ombra del tradimento tra di noi fino ad ora.
Si perchè io
avevo tradito Luke baciando
Ellen. Non ero ancora riuscito a capire come accadde. Flirtare con lei
era già
stato abbastanza grave, ma quando l’avevo baciata avevo
oltrepassato la linea. Sperai
con tutto me stesso che Luke un giorno sarebbe stato in grado di
perdonarmi
anche se forse io non mi sarei mai perdonato. Non avrei mai voluto
arrivare a
tanto. Ad essere sincero volevo soltanto vendicarmi di lui
perché mi aveva
offeso. Feci voto solenne in quel momento di non ripetere mai
più un errore del
genere. Avrei fatto qualunque cosa per far pace con lui. Quello che ci
eravamo
detti durante quella litigata era di poco conto se paragonato a quel
che avevo fatto io.
Non avevo scuse.
Zio
Jesse e Daisy tornarono nella
sala d’attesa. Si misero a sedere su di un divanetto vicino
alla finestra. Daisy
poggiò la testa sulla spalla di mio zio e lui la strinse tra
le braccia. Mi
fece poi segno di avvicinarmi e sedermi accanto a loro. Quando gli fui
di
fianco abbracciò anche me ed io mi feci avvolgere dal suo
conforto. Rimanemmo
così tutti e tre a farci forza a vicenda proprio
come avevamo sempre fatto.
“Si
rimetterà, non è vero?”
Chiesi a mio zio.
“Se
Dio vuole.” Rispose. “Dobbiamo
continuare a pregare e a pensare positivamente. Luke è un
ragazzo forte, è un
combattente. Supererà tutto questo.”
Sentii
le lacrime invadermi gli
occhi: “non so che farei se qualcosa dovesse succedergli.
Devo far pace con lui…
devo scusarmi con lui.”
“Zio
Jesse mi strinse un po’ più
a sé: “avrai questa possibilità e so
che lui è dispiaciuto quanto te per quel
che è successo. Ti stava cercando per scusarsi.”
Sapevo
che mio zio stava tentando
di confortarmi, ma sentire le sue parole mi fece sentire solo peggio.
Luke
voleva chiedermi perdono mentre io baciavo la sua ragazza. Non sarebbe
successo
niente se avessimo avuto l’opportunità di
chiarirci al Boar’s Nest. Non si
sarebbe ferito così gravemente e non sarebbe finito in
ospedale. Era solo colpa
mia.
Rimanemmo
abbracciati per molto
tempo, nessuno dei tre voleva rinunciare al supporto degli altri.
Il
dottore finalmente arrivò
nella sala d’attesa un’ora dopo il nostro arrivo.
Saltammo tutti e tre in piedi
e corremmo verso di lui. Era cupo in volto.
Zio
Jesse gli chiese: “come sta
il mio ragazzo?”
“La
caduta gli ha procurato
parecchi danni.” Rispose il dottore. “Alcuni sono
più seri di altri. Nei meno
gravi rientrano tagli e lividi, la distorsione alla spalla e la
frattura alla
caviglia. Potranno essere dolorosi, ma sono niente se paragonati al
resto.”
“Che
intende dire?” Incalzò mio
zio.
“Ha
ricevuto un colpo molto duro
in testa che gli ha provocato un trauma cranico. Avrà
probabilmente perso
conoscenza dopo l’impatto. Non ricorda niente della caduta e
probabilmente non
lo farà mai. Soffrirà di mal di testa e di
vertigini per un po’ di tempo. Lo
terremo sotto osservazione. Probabilmente il trauma associato al
pneumotorace
spiega l’insorgere della nausea.”
“Pneumo
che?” Chiese ancora zio
Jesse.
“Pneumotorace.”
Rispose il
dottore. “Luke ha due costole rotte e una gli ha perforato un
polmone che è
parzialmente collassato; lo avremmo perso del tutto se non lo aveste
trovato. Abbiamo
dovuto inserirgli un tubo nel torace, adesso riesce a respirare senza
difficoltà. Dovremmo tenerlo per almeno un paio di
giorni.”
“Poi
tornerà tutto normale?” Chiesi
ansiosamente.
“Si,
tutto normale.” Si prese una
pausa prima di continuare. “Ci sono altre complicazioni
però.”
“Quali?”
Chiese mio zio
vistosamente preoccupato.
“L’ipotermia
e la disidratazione.”
“Ipotermia?”
Domandai stupito. “Luke
era freddo e tremava, ma pensavo fossero necessarie temperature ben
più rigide per
arrivare all’ipotermia.”
“Non
è detto. Può accadere in
condizioni particolari. Da quello che mi avete detto, Luke era ancora
bagnato
fino alle ossa perché non ha avuto modo di asciugarsi per
due giorni. L’acqua
ha ghiacciato la sua pelle ed ha abbassato la sua temperatura interna.
Inoltre
il vento degli ultimi giorni ha peggiorato di molto la sua situazione.
E’ per
questo che non riusciva a smettere di tremare. E’ stato un
bene che l’ipotermia
non sia arrivata al punto di farlo smettere di tremare per
sempre.”
“Quanto
è grave dottore?” Chiese
di nuovo zio Jesse.
“La
gravità dell’ipotermia
dipende da come il suo corpo riuscirà a ritrovare la giusta
temperatura. Lo
avete trovato prima che si abbassasse troppo per fortuna. In casi gravi
ci
possono essere complicazioni cardiache e respiratorie che conducono ad
una
morte certa. Ma non è il nostro caso.”
Daisy
rabbrividì e si strinse a
me: “grazie a Dio lo hai trovato Bo. A sentir parlare il
dottore sembra che non
avrebbe superato un’altra notte nelle sue
condizioni.”
“E’
così.” Intervenne il dottore.
“Lo avete trovato proprio nel momento in cui tutto stava
cominciando a
peggiorare: l’ipotermia, la disidratazione, il polmone
collassato, il trauma
cranico e la polmonite derivata dalla permanenza prolungata in un luogo
freddo
e bagnato.”
“La
polmonite può essere una
grave complicazione.” Disse mio zio preoccupato.
“Specialmente se associata
agli altri danni.”
“Si.”
Concordò il dottore. “Ma
abbiamo già iniziato una terapia intravenosa a base di
antibiotici e il suo
corpo dovrebbe rispondere bene. Non voglio mentirle signor Duke, suo
nipote
versa in gravissime condizioni.”
“Che
cosa farete per Luke?”
Chiese ancora zio Jesse.
“Come
vi ho già detto, cureremo
la polmonite con gli antibiotici. Riscalderemo il suo corpo
dall’interno
iniettandogli fluidi in vena. Dovrebbe essere sufficiente. Con altri
fluidi
combatteremo la disidratazione. Terremo il trauma cranico sotto
controllo. Gli
abbiamo già immobilizzato la spalla, dovrà
portare il braccio al collo per un
po’. E gli ingesseremo la caviglia. Rimuoveremo il tubo dal
suo torace in un
paio di giorni, con un po’ di fortuna non sarà
necessario operare.”
“Dovrà
essere ricoverato a lungo?”
Chiese infine mio zio dopo aver ascoltato quell’interminabile
lista.
“Purtroppo
si. Salvo
complicazioni dovrà rimanere qui dentro almeno un
mese.”
Zio
Jesse strinse la mano del
dottore: “grazie. Quando pensa che potremmo
vederlo?”
“Ci
vorranno almeno un paio d’ore
prima che venga portato in una stanza. Dobbiamo ancora sottoporlo a
diverse
analisi. Perché nel frattempo non andate a mangiare
qualcosa?”
Offrii
anche io la mia mano al
dottore: “Grazie.” Dissi.
Quando
se ne fu andato, zio Jesse
ci abbracciò. Avevamo tutti e tre gli occhi colmi di
lacrime. Eravamo grati a
Dio che nonostante tutto per Luke ci fosse speranza. Avremmo fatto di
tutto per
aiutarlo.
Io
avrei fatto qualunque cosa per
aiutarlo.
Glielo
dovevo… gli dovevo questo
e molto altro.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Troppi sensi di colpa ***
E siamo arrivati a quello
che
probabilmente è il capitolo che aspettate da quando ho
iniziato a tradurre
questa storia. E’ piuttosto lungo e spero come sempre di aver
fatto un buon
lavoro.
Grazie per i commenti,
splendidi
e graditissimi come al solito!
Capitolo diciassette:
troppi
sensi di colpa
Bo
Furono
necessarie tre ore prima
che Luke fosse portato in una camera. Cercai di essere paziente, ma
avevo
bisogno di vederlo per essere certo che stesse bene.
Quando
ci dissero che finalmente
potevamo vederlo, divenni improvvisamente nervoso. Iniziai a sentire
una
fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco mentre raggiungevamo la
stanza
di Luke. Stavo per affrontarlo a viso aperto. Dopo tutto quello che
aveva
passato, non ero sicuro avrebbe accettato le mie scuse né
che avrebbe voluto
vedermi. Non lo avrei di certo biasimato.
Cercavo
di essere forte, ma il
pensiero che Luke avrebbe potuto sbattermi fuori dalla camera,
rallentò di
molto la mia andatura. Arrivai per primo davanti alla porta, ma mi
arrestai di
colpo prima di entrare. Vederlo steso su di un letto
d’ospedale mi colpì
duramente. I suoi occhi erano chiusi. Sperai non fosse incosciente, ma
stesse
semplicemente dormendo. La sua pelle era ancora innaturalmente pallida
fatta
eccezione per i lividi che gli ricoprivano il volto. Il taglio sulla
fronte era
stato coperto con una benda. La sua caviglia era stata ingessata ed era
adagiata su di un cuscino. Un paio di tubicini erano stati attaccati
alle sue
braccia e c’era un altro tubo che andava dal suo torace fin
dentro una macchina.
Era terribile vederlo in quello stato.
Tutti
quei monitor e quelle
macchine mi rendevano nervoso. Fui colto da un giramento di testa e le
mie
gambe divennero improvvisamente deboli. La stanza iniziò a
ruotarmi intorno.
Rimasi fermo sulla porta mentre mio zio e Daisy mi superarono ed
entrarono. Zio
Jesse raggiunse Luke e gli strinse una mano, poi mi guardò e
mi fece segno di
avvicinarmi. Di sicuro ero diventato pallido anche io.
“Siediti
Bo o cadrai per terra.”
Mi disse. “Luke starà bene vedrai.”
Mi
vide guardare con timore tutte
quelle macchine e aggiunse: “non preoccuparti di quel vedi,
serviranno solo a
farlo rimettere in fretta.”
Non
dubitavo delle parole di mio
zio, ma quelle macchine continuavano a spaventarmi. Luke è
sempre stato tanto
forte. Era davvero difficile saperlo in quelle condizioni. Rimanemmo
nella
stanza aspettando con impazienza che si svegliasse. Daisy voleva
provare a
ridestarlo dal suo sonno, ma zio Jesse le disse che dovevamo attendere.
Volevo
che aprisse gli occhi, ma allo stesso tempo ero nervoso
perché non sapevo cosa
gli avrei detto.
Sapevo
che era successo tutto per
colpa mia. Se non mi avesse visto baciare Ellen, sarebbe rimasto al
Boar’s Nest
e sarebbe tornato a casa con me, in macchina. Non sarebbe finito in
ospedale.
Il mio senso di colpa mi stava uccidendo. Non sapevo se mi avrebbe mai
perdonato.
Rimasi
in silenzio e ascoltai zio
Jesse e Daisy parlare, ma non prestai attenzione a quel che si stavano
dicendo.
Dopo circa mezzora dal nostro arrivo nella camera, Luke finalmente
iniziò a
svegliarsi. Zio Jesse mi diede una leggera pacca per catturare la mia
attenzione.
Dolcemente
mi disse: “Bo non
dirgli più cose di quante ne potrebbe sopportare ora. So
come ti senti e so che
vuoi sistemare tutto con Luke, ma vacci piano. Sii sicuro che voglia
ascoltarti. Voglio che rimanga tranquillo. Ha bisogno di ritrovare le
sue
energie in fretta per stare meglio, non per preoccuparsi di
nuovo.”
“Lo
so.” Risposi. “Non
preoccuparti. Non voglio dargli altri pensieri. E’
l’ultima cosa che farei
adesso.”
“A
tuo cugino non piace mostrare
le sue emozioni.” Aggiunse poi con un filo di voce per
evitare che Luke potesse
sentire. “Non farlo agitare.”
Sorrisi.
“Non lo farò.”
Zio
Jesse ricambiò il mio
sorriso: “bravo ragazzo.”
Luke
sospirò debolmente e aprì
gli occhi. Zio Jesse si chinò verso di lui e gli
poggiò una mano sulla fronte:
“ecco il mio ragazzo.”
Luke
sollevò un braccio e sfiorò
il suo volto. Si mosse come per mettersi seduto, ma zio Jesse
gentilmente lo
costrinse a rimanere immobile.
“Con
calma. Devi rimanere fermo.
Sono qui adesso e tu starai bene.”
Luke
fece quel che gli era stato
detto. Guardò mio zio con un debole e impercettibile sorriso.
Daisy
gli si avvicinò e gli diede
un bacio su di una guancia: “è così
bello vederti sveglio tesoro. Come ti
senti?”
“Non
ne sono sicuro.” Rispose
Luke con voce roca. “Mi sento confuso. Ho mal di testa. Tu
sei veramente qui?
Sembri un angelo.”
Daisy
sorrise: “certo che sono
io. E dove altro potrei essere? Sono vera, non sono un
angelo.”
“Però
gli somigli.” Disse
debolmente provando a sorridere. Non appena si guardò
attorno, la sua
espressione cambiò. Il tono della sua voce divenne ansioso:
“dov’è Bo?”
“Sono
qui cugino.” Dissi
emergendo da dietro mio zio. “Dove volevi che
fossi?”
Luke
sussurrò: “Avevo paura che…”
Quando
la sua voce venne meno,
gli chiesi: “avevi paura di cosa Luke?”
Scrollò
le spalle e girò lo
sguardo. Vide le flebo e le macchine a cui era attaccato. Penso lo
resero
nervoso almeno quanto me. Iniziò a respirare con affanno.
Zio
Jesse gli strinse la mano:
“ascoltami figlio mio. Starai bene. Presto ti sentirai
meglio. Queste macchine
ti aiuteranno a rimetterti prima. Non preoccupartene, pensa solo a
guarire.”
Luke
si calmò non appena ascoltò
quelle parole. Zio Jesse aveva sempre avuto questo potere su di noi. La
sua
sola presenza ci faceva sentire al sicuro. Fece scorrere le sue dita
tra i
capelli di Luke e grazie a quel gesto lui si rilassò.
Zio
Jesse poi gli chiese: “senti
dolore da qualche parte? Il dottore ha detto che può darti
qualche sedativo.”
“Sono
solo stanco. Mi fa male un
po’ la testa. Cosa mi è successo?”
“Ti
sei procurato diversi danni
cadendo in quella scarpata.”
Luke
sembrò sorpreso: “sono
caduto? Non mi ricordo.”
Zio
Jesse continuò ad
accarezzargli i capelli tentando di tranquillizzarlo: “il
dottore dice che è
normale che tu non ricordi la caduta e dice anche che probabilmente non
lo
farai mai, quindi non sforzarti. E’ una sorta di amnesia
dovuta al trauma
cranico. Pensiamo che tu abbia preso una scorciatoia dopo che la
signora
Jacobson ti ha lasciato sulla Little Creek Road venerdì
sera. In qualche modo
devi essere caduto. Bo ha immaginato dove potevi essere. Probabilmente
sei
passato di là perché volevi arrivare prima a
casa. Il terreno era bagnato e
scivoloso e tu devi essere caduto.”
“Ricordo
che ero solo e
spaventato.”
“Posso
immaginarlo.” Rispose zio
Jesse. “Ma adesso sei al sicuro.”
“Non
potevo muovermi.”
“Lo
so.”
“Sono
in ospedale?” Domandò poi
Luke guardando ancora la stanza.
“Si
sei in ospedale.”
“Che
cos’ho?” Chise poi
agitandosi nuovamente.
“Hai
un trauma cranico, il che
spiega il tuo mal di testa. Il dottore dice che ne soffrirai per un
po’. Hai
una spalla slogata e una caviglia rotta.”
“Che
altro?” Incalzò quando zio
Jesse fece una pausa.
“Ti
sei rotto un paio di costole
e una ti ha perforato un polmone. Ecco perché hai quel tubo
nel torace.”
Luke
immagazzinò quelle
informazioni: “mi fa male un po’ il
petto.”
“Non
ne dubito. Ti sei preso
anche la polmonite per esser stato due giorni e due notti al freddo. Le
basse
temperature ti hanno causato un principio di ipotermia, ma ti stanno
già
curando anche per questo.”
“Ricordo
che avevo freddo. Ero
bagnato e non potevo asciugarmi. Mi rimetterò?”
“Starai
benissimo figlio mio.
Uscirai di qui prima di quanto pensi.”
Mentre
osservava di nuovo tutte
le macchine che aveva intorno, gli occhi di Luke divennero
incredibilmente
tristi.
“Che
ti succede?” Gli chiese zio
Jesse visibilmente preoccupato. “Senti dolore da qualche
parte?”
“Mi
dispiace.” Mugugnò.
“Non
hai niente di cui
dispiacerti.”
“Dovevo
rimanere sulla strada, è
solo colpa mia.”
Zio
Jesse gli strinse di nuovo la
mano: “forse è vero, ma ci sarà un
motivo se una cosa del genere si chiama
incidente. Non lo hai programmato e di certo non lo hai fatto di
proposito.”
Sorrise aggiungendo: “non sarà stata la cosa
più intelligente che tu abbia
fatto, ma si tratta pur sempre di un incidente.”
Luke
abbassò lo sguardo:
“l’ospedale è costoso… non
possiamo permettercelo.”
“In
qualche modo faremo. Ci
ingegneremo qualcosa come abbiamo sempre fatto. Non voglio che tu ti
preoccupi
di queste cose ora.”
“Dovevo
essere più prudente.”
Bisbigliò ancora faticando a tenere gli occhi aperti.
“Ti
servirà di lezione. Andrà
tutto bene. Voglio che ora tu chiuda gli occhi e riposi. Sei esausto.
Noi saremo
qui quando ti sveglierai.”
Non
furono necessarie altre
parole per convincerlo. I suoi occhi si chiusero. Nel giro di pochi
secondi si
addormentò di nuovo.
Zio
Jesse sembrava stanco. Dissi:
“perché tu e Daisy non ve ne andate a casa a
riposare? Luke dormirà per un bel
po’. Rimarrò io con lui nel caso si svegliasse
prima del vostro ritorno.”
Zio
Jesse mi guardò con simpatia.
E’ sempre stato un uomo saggio e intuitivo. Penso avesse
capito che volevo
rimanere da solo con Luke. Avevo bisogno di parlarci. Avevamo troppe
cose in
sospeso.
Annuì:
“va bene Bo. Sembra tu ci
stia spedendo a casa di proposito, ma lo faremo lo stesso. Chiamaci
subito se
Luke avesse bisogno di qualcosa. E ricorda cosa ti ho detto, vacci
piano e non
farlo agitare. Sta già abbastanza male per quel che
è successo. Si sente in
colpa ed è preoccupato per il conto dell’ospedale.
Non dargli più
preoccupazioni di quante ne possa sopportare ora. Forse parlargli di
quello che
tu ed Ellen avete fatto farà sentire meglio te, ma
assicurati che non faccia
stare peggio lui.”
“Si
lo so zio Jesse. Credimi, non
farò niente che possa ferirlo. Gli ho già fatto
abbastanza male. Voglio solo
sistemare le cose tra di noi. Se non dovesse essere pronto per farlo
ora, non
lo forzerò.”
Mio
zio mi strinse nel suo abbraccio:
“non preoccuparti. Ti perdonerà.”
Daisy
baciò Luke e poi mi buttò
le braccia al collo: “andrà tutto bene, lui ti ama
lo sai.”
“Lo
so Daisy… lo so.” Risposi con
riconoscenza.
Zio
Jesse si piegò un’ultima
volta su Luke per salutarlo e poi lasciò la stanza
accompagnato da Daisy. Mi
misi a sedere su di una sedia vicino al letto di Luke e rimasi a
guardarlo
aspettando che si svegliasse. Nel frattempo ricominciai a riflettere su
di noi.
Non riuscivo a pensare a nient’altro. Abbiamo sempre avuto un
rapporto forte e
solido. Per me Luke è un fratello maggiore, è il
mio migliore amico. Si è
sempre preoccupato per me. E' sempre stato presente. Sono
sempre dipeso da lui e
mi fido di lui come di nessun altro. Lo amo sinceramente. Pregai di non
aver
danneggiato irreparabilmente il nostro legame. Non riuscivo ad
immaginare la
mia vita senza averlo accanto.
Dopo
un paio d’ore di riposo,
Luke iniziò ad agitarsi. Non era una buona idea muoversi con
tutte quelle
macchine attaccate, così gli afferrai un braccio nel
tentativo di calmarlo.
Sussurrai:
“piano Luke. Devi
rimanere fermo o farai saltare qualche tubo. Non sarebbe un
bene.”
Non
avevo lo stesso tono di mio
zio, ma Luke mi ascoltò lo stesso. I suoi occhi, dopo
diversi tentativi andati
a vuoto, finalmente si aprirono. Quando mi guardò dissi:
“ciao cugino.
Bentornato nella terra dei vivi. Come ti senti?”
Fece
una piccola smorfia e
rispose: “mi fa male tutto.”
“E’
piuttosto normale dopo quello
che ti è successo.”
“Dov’è
zio Jesse?”
“So
che vuoi vederlo. Sarà di ritorno
presto.”
Non
riuscivo a decifrare
l’espressione di Luke, non riuscivo a capire cosa stesse
pensando. Stavo
diventando sempre più nervoso. Non riuscivo a trovare le
parole giuste per dire
quel che volevo dire. Pensai a cosa mi aveva detto mio zio, ma non
potevo più
aspettare.
“Ascolta
Luke. Non so dirti
quanto io sia dispiaciuto per tutto. Non avrei mai voluto
ferirti.” Dissi
improvvisamente.
Luke
mi guardò negli occhi. Con
grande sorpresa non vidi rabbia. Vidi solo tristezza.
La
sua voce era ferma quando mi
rispose: “neanche io avrei mai voluto ferirti. Non sono certo
di ricordare
esattamente tutto, ma ricordo bene la nostra litigata. Mi dispiace
averti detto
quelle cose, ti assicuro che non le penso.”
“Luke,
io…”
“Per
favore fammi finire. Ho
bisogno di spiegarti.” Mi interruppe. “Penso di
averti attaccato in quel modo
perché ero molto preoccupato per te. Avevo paura che avessi
tentato di saltare
il fiume proprio come volevi fare quella mattina. Quando non ti ho
visto
arrivare da Cooter, ho cominciato a pensare che potessi aver avuto un
incidente. Tornato a casa, ho avuto molto tempo per convincermi da solo
della
mia teoria. Ma tutta la mia preoccupazione è uscita fuori
come rabbia quando
sei tornato alla fattoria come se niente fosse accaduto. Sono davvero
desolato,
non ho scuse per le cattiverie che ti ho detto, ma questo è
il motivo.”
“Non
immaginavo fossi preoccupato
perché credevi che avessi avuto un incidente.”
Risposi comprendendo pienamente
il suo stato d’animo. “Forse prima non lo sapevo,
ma adesso so esattamente che
cosa significa avere paura.”
“Non
avrei mai voluto che niente
di tutto questo accadesse. Mi dispiace.”
“Luke
non c’è niente di cui tu
debba dispiacerti. Sono io quello che deve chiedere scusa…
spero che mi
perdonerai per ciò che ti ho detto. Non hai davvero nessun
motivo per essere
geloso di me.”
“Non
lo so Bo. Se devo essere
sincero, a volte mi capita di essere un po’ geloso. Hai
sempre avuto un modo
speciale di attirare le ragazze. Io non sono mai riuscito ad
affascinarle come
fai tu.”
“Luke
mi regalò un debole sorriso
e aggiunse: “e non sono attraente come te.”
“Vai
benissimo così Luke.”
Sapevo
che Luke voleva
alleggerire la tensione tra di noi, provai a restituirgli un sorriso,
ma non ci
riuscii. Non potevo più aspettare. Sembrava stesse reagendo
bene alla nostra
conversazione. Sperai sarebbe stato così anche per il
seguito.
“Mi
dispiace per quello che ho
fatto con… Ellen.”
Il
debole sorriso di Luke
scomparve. Mi guardò come se fosse stato raggiunto dal
riacutizzarsi di un
dolore e mi domandai se non avessi fatto un enorme sbaglio. Riuscivo a
vedere
il dolore contrargli il volto. Forse zio Jesse aveva ragione. Forse non
era
pronto per questo. Rimase in silenzio per un lungo lasso di tempo
durante il
quale non credo di aver mai respirato.
Finalmente
mi domandò con un filo
di voce: “che cosa avete fatto tu ed Ellen, Bo?”
“Non
ci hai visti?” Risposi.
“Vi
ho visti mentre vi baciavate,
ma poi me ne sono andato.”
I
suoi occhi erano ancora colmi
di tristezza. Mi sarebbe piaciuto poter sparire, ma gli dovevo
un’onesta
spiegazione.
“Ci
siamo solo baciati Luke. Te
lo giuro. Niente più di questo. Questo è quanto e
nessuno dei due potrebbe
essere più dispiaciuto. Non so a cosa stessi pensando. Di
certo non stavo
pensando. Ero così arrabbiato con te per le cose che mi
avevi detto. Volevo
dimostrarti che avevo ragione dicendo che potevo avere qualunque
ragazza io
volessi. Perfino Ellen. Ma non avevo programmato di baciarla.
Onestamente.
Volevo solo flirtare con lei e renderti geloso di me. So che era una
cosa
sbagliata. Non so come siamo arrivati a quel bacio, è
successo e basta. Ellen
stava talmente male che è andata via. Non aveva il coraggio
di incontrarti.
Neanche io ce l’avevo, ma dovevo. Ti ho aspettato
perché volevo chiederti
scusa, ma non ne ho più avuta occasione. Mi dispiace
così tanto Luke. Perdonami
se puoi. Non farò mai più una cosa del
genere.”
Avevo
parlato ininterrottamente
senza prendermi il tempo di respirare e senza permettere a Luke di
interrompermi. Dovevo tirare fuori tutto in una volta o non ne avrei
più avuto
il coraggio.
“Non
è successo nient’altro?” Mi
domandò.
“Te
lo giuro, nient’altro. Sono
così dispiaciuto.” Risposi ancora. Sembrava non
riuscissi più a smettere di
dire quanto fossi amareggiato. “Se me ne darai la
possibilità, farò tutto
quello che sarà necessario per riparare a questo
errore.”
Luke
rimase in silenzio per
quello che è stato il momento più lungo della mia
vita. Avevo paura che quello
che gli avevo fatto fosse imperdonabile. Alla fine invece mi
guardò e mi disse:
“va tutto bene Bo, ti perdono. Ho anche io tanto da farmi
perdonare. Non avrei
avuto nessun incidente se fossi rimasto invece di scappare
via.”
Non
doveva accollarsi la
responsabilità di qualcosa che era dipeso solo da me.
“Non saresti scappato se io
non avessi baciato Ellen. Non avresti avuto nessun motivo per lasciare
il
Boar’s Nest.”
“Forse
non ha importanza di chi è
veramente la colpa. Le cose non cambiano a questo punto. Ho avuto molto
tempo
per pensare mentre ero là fuori. Ero spaventato
perché pensavo di averti fatto
arrabbiare così tanto da toglierti la voglia di venirmi a
cercare. Semmai
qualcuno fosse stato in grado di immaginare dove potessi esser finito,
sapevo
che quel qualcuno eri tu. Avevo paura che non volessi più
saperne di me. Avevo
paura di averti perso.”
La
mia voce fuoriuscì rotta per
l’emozione: “ti ho cercato tanto Luke. Ho
cominciato non appena ho realizzato
che non eri rientrato in casa. E non mi sarei fermato finché
non ti avessi
trovato. Mi dispiace solo di non essere arrivato prima. Non dovrai mai
preoccuparti di un’eventualità del genere. Non mi
perderai mai.”
Rimasi
scioccato quando vidi le
lacrime solcare le sue gote. Guardò in basso e
tentò di asciugarsi il volto con
il palmo della mano per nasconderle a me.
“Non
piangere, per favore.” Lo
implorai.
“Non
sto piangendo.” Si affrettò
a rispondermi ancora impegnato a cancellare ogni evidenza.
Non
avevo proprio voglia di
discutere ancora: “okay, non stai piangendo. Ascoltami bene
Luke Duke. Per
quanto tu ci possa provare, non ti libererai mai di me.”
Stava
cercando di riprendere il
controllo e continuava a non guardarmi. Non gli è mai
piaciuto mostrarsi
vulnerabile. Realizzai infatti che l’ultima volta lo avevo
visto in lacrime
perché zio Jesse gli aveva tirato uno schiaffo ed era
successo tanti anni
addietro. Vederlo continuare a piangere nonostante cercasse in tutti i
modi di
smettere, ruppe completamente ogni mia difesa e lo imitai. Non avevo
più niente
da dire, ma avevo una necessità disperata: mi chinai su di
lui e lo abbracciai
facendo attenzione a non fargli male. Luke rispose al mio gesto. Sentii
le sue
braccia afferrarmi e stringermi forte.
“Ti
voglio bene.” Sussurrai.
Non
era certo qualcosa che ci
dicevamo spesso. Sapevamo che ognuno di noi teneva molto
all’altro, ma non
avevamo mai dato voce ai nostri sentimenti. Luke non si mise a ridere
di me e
non fece finta di non avermi sentito. Gliene fui davvero riconoscente.
Fui
sorpreso e felice quando mi
rispose: “ti voglio bene anche io.”
“E’
tutta colpa mia.” Continuò
poi.
“No,
è colpa mia.” Lo
contraddissi.
“Hai
intenzione di litigare
ancora per chi si dovrà prendere la
responsabilità?”
“Non
c’è bisogno di litigare
perché sono io l’unico colpevole in tutta questa
vicenda.”
“Sono
troppo stanco per
continuare a discutere con te. Penso ci siano in giro abbastanza sensi
di colpa
da accontentare entrambi.”
“Forse
hai ragione. Allora è
tutto risolto tra di noi?”
“Si
è tutto risolto, ma prima che
entri qualcuno e ci veda, sarà meglio smettere di
abbracciarci come due
femminucce. Sarebbe la fine della nostra reputazione di ragazzi forti e
virili.”
Non
potei far altro che ridere
del commento di Luke. Riluttante mi staccai da lui. Rimasi a sedere sul
letto
accanto a lui facendo attenzione a non disturbare tubi o flebo. Levai
via le
lacrime dal mio viso e Luke fece lo stesso. Entrambi cercavamo di agire
come se
nessuno dei due avesse pianto.
Mi
sorrise. Era bello vederlo
sorridere.
“Pensano
questo di noi? Che siamo
ragazzi forti e virili? Hai fatto bene a ricordarmelo, se Daisy ci
avesse
visti, non ci avrebbe più fatti vivere in pace.”
“Hai
ragione. Avremmo avuto fama
di ragazzi dolci e sensibili.”
“Non
succederà mai.” Risi ancora.
“Anche se alle ragazze piacciono i tipi sensibili. Scommetto
che se ci provi
riuscirai a tirar fuori quel lato del tuo carattere.”
Il
mio gioco fu premiato dalla
risata di mio cugino, ma finì in fretta quando si
passò una mano sul torace:
“accidenti se fa male. Non farmi ridere Bo, per
favore.”
“Mi
dispiace.”
Luke
mi guardò con un’espressione
che non riuscii a decifrare. “Che
c’è?” Gli chiesi.
“Niente.”
Mi rispose. Esitò un
attimo, ma poi riprese: “ho perso molto nella mia vita, non
posso perdere anche
te.”
“Per
me è lo stesso. Non
permetterò mai più che qualcosa del genere capiti
di nuovo.”
Annuì.
I suoi occhi sembrarono di
nuovo esser diventati pesanti. “Perché non ti
riposi un po’ adesso. Chiamerò
zio Jesse e Daisy e farò sapere loro che stai
bene.”
“Dove
sono?” Domandò un po’
preoccupato.
Penso
di essere arrossito mentre
rispondevo: “li ho mandati a casa. Avevo bisogno di rimanere
un po’ di tempo da
solo con te. Zio Jesse mi ha capito.”
“Zio
Jesse ci capisce sempre, non
è vero?”
“Hai
ragione.” Risposi.
“Torneranno presto, vedrai.”
“Va
bene.” Disse poi chiudendo
gli occhi. “Sono stanco, riposerò un po’
finché non arriveranno.”
“Dormi,
Luke. Sarò qui quando ti
risveglierai.”
“Lo
so Bo.”
Mi
misi di nuovo a sedere sulla
sedia vicino al letto senza mai staccargli gli occhi di dosso. In breve
si
addormentò. Non avrei mai più permesso a niente e
a nessuno di minare quello
che c’era tra di noi. Ero stato davvero troppo vicino dal
perderlo per sempre.
To be continued…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Tenere duro ***
Con grande tristezza vi
annuncio
che siamo arrivati all’ultimo atto di questa storia. Ve lo
lascio leggere in
santa pace, per i ringraziamenti vi rimando alla fine del capitolo.
Capitolo diciotto: Tenere
duro
Luke
Stavo
provando disperatamente a
tener duro, ma era difficile. Stavo perdendo ogni speranza.
Bo
mi trovò proprio quando stavo
per mollare. Da qualche parte nel profondo dentro me, sapevo che
sarebbe
arrivato. Condusse da me anche zio Jesse e Daisy. Sono stati la ragione
per la
quale non mi sono arreso. Mi hanno dato un valido motivo al quale
aggrapparmi.
Tenni duro con tutto quello che avevo.
Durante
il tragitto in ospedale,
sono sempre stato incosciente. Ho pochi ricordi del pronto soccorso e
sembrano
più che altro frammenti di un sogno o più
precisamente di un incubo. C’erano
luci accese e diverse persone chinate su di me. Sentivo delle voci, ma
non
capivo cosa stessero dicendo. Sembrava comunque qualcosa di serio.
Sentivo
dolore ogni volta che mi muovevano e che mi toccavano. Mi hanno messo
un paio
di aghi nelle braccia. Hanno fatto qualcosa alla mia spalla che mi ha
fatto
davvero male. Quando hanno inserito un tubo nel mio torace mi sono
spaventato.
Ho tentato di dire loro di lasciarmi in pace, ma loro capivano me
quanto io
capivo loro.
Mi
ritrovai di colpo in un mondo
dove tutto era distorto e dove ogni cosa si muoveva come al
rallentatore. Era
tutto strano. Penso mi avessero dato qualche droga a giudicare da come
tutto
era diventato irreale. Anche ora non so dire cosa fosse vero e cosa
derivasse
dalla mia immaginazione. Dopo un po’ però, divenne
tutto nero. Scomparve ogni
cosa.
Non
so per quanto tempo io sia
stato incosciente, ma la cosa successiva che ricordo è un
altro insieme di voci.
Stavolta famigliari. Non riuscivo a capire cosa dicessero, ma erano
rassicuranti. Non ero più spaventato. Non sapevo
dov’ero, ma ero asciutto e al
caldo. Non volevo altro che rimanere là. Stavo bene. Se
stavo sognando, cosa
che ritenevo piuttosto probabile, non avrei voluto svegliarmi mai
più. Avevo
paura che se mi fossi ridestato, mi sarei ritrovato di nuovo
all’aperto, al
freddo, sotto la pioggia. Quello nel quale mi trovavo invece era un bel
posto
ed ero più che mai determinato a rimanerci. Non sapevo
però che posto fosse, ma
in fondo non me ne importava.
Ascoltai
le voci finché non
divennero chiare. La prima che riconobbi fu quella di zio Jesse. Era
dolce e
forte allo stesso tempo. Stava parlando con Daisy la cui voce invece
era
melodiosa come musica. Non capivo di cosa stessero parlando, ma
ascoltai lo
stesso. Era confortante. Non mi stavano chiamando e non facevano il mio
nome,
non ero certo sapessero che li sentivo. Non ero neanche sicuro
sapessero che io
ero lì con loro. Non mi importava, mi bastava sapere che
loro c’erano.
Riluttante
lasciai il posto confortevole
nel quale mi trovavo. Volevo vedere zio Jesse e Daisy. Lottai per
uscire dalla
nebbia che mi circondava, pregando tuttavia non stessi commettendo un
errore. Quando
alla fine aprii gli occhi, vidi zio Jesse accanto a me. Non sapevo se
fosse reale
così allungai un braccio e gli sfiorai il volto. Mi sentii
finalmente al
sicuro. Continuavo a non capire in che posto mi trovassi, ma sapevo che
andava
tutto bene perché zio Jesse era con me. Avevo abbastanza
coscienza di me, ma
ero stanco. Non mi sono mai sentito tanto stanco in vita mia.
Vidi
Daisy in piedi vicino
a me dall’altra parte del letto.
Quando si chinò su di me, vidi i suoi capelli ondeggiare sul
suo bel viso. Mi
chiesi se stessi guardando un angelo, ma lei sorridendo mi
assicurò che era
reale.
Non
vidi Bo. Il mio cuore iniziò
a battere forte quando mi guardai attorno. Non riuscivo a ricordarne il
motivo,
ma sapevo che era arrabbiato con me. Rammentavo di esser stato in
pensiero per
lui. Sapevo che avevamo delle cose in sospeso. I miei battiti
accelerarono
ancora. Forse non gli interessava più niente di me. Forse
non aveva voglia di
vedermi. Forse stavolta lo avevo allontanato tanto da non farlo
più tornare
indietro. Avevo paura di chiedere dove fosse, ma dovevo sapere.
“Dov’è
Bo?” Domandai.
Bo
sbucò da dietro mio zio e mi
sorrise. Non mi sono mai sentito più sollevato. Avevo
bisogno di lui in quel
momento e lui c’era e mi stava sorridendo. Doveva essere un
buon segno. Il
nostro litigio iniziò a riaffacciarsi nella mia mente, ma
non riuscivo ancora a
metterlo bene a fuoco.
Sapevo
di esser steso su di un
letto che non era il mio. Quando realizzai di essere attaccato a delle
macchine
e quando vidi gli aghi infilati nelle mie braccia, iniziai a sentirmi
confuso e
spaventato. Sentii di nuovo il panico impadronirsi di me. Zio Jesse mi
strinse
la mano. Ricambiai la sua stretta. Mi disse che ero in ospedale, ma che
presto
sarei stato meglio. Gli credetti. Non mi ha mai mentito. Mi calmai
mentre mi
passava la sua mano forte e gentile tra i capelli. E’
divertente pensare quanto
il suo tocco mi abbia tranquillizzato nonostante non fossi
più un bambino.
Zio
Jesse riempì un po’ dei vuoti
che avevo. Mi disse che ero caduto nella scarpata che dal ponte arriva
al
torrente. Ricordavo di aver accettato un passaggio dalla signora
Jacobson.
Sapevo che mi aveva lasciato alla fine della Little Creek Road, ma non
riuscivo
a ricordare di esser caduto. Mio zio mi disse che probabilmente non lo
avrei
mai ricordato a causa del trauma cranico che ne era derivato. Almeno mi
era stato
spiegato il perché del mio mal di testa.
Non
so davvero a cosa stessi
pensando quando ho preso quella scorciatoia sotto la pioggia. Avrei
dovuto
essere più responsabile. Non sarebbe successo niente se
fossi rimasto sulla
strada. Anche zio Jesse mi disse che avrei dovuto avere maggiore
buonsenso.
Giacere su di un letto d’ospedale, era la prova della mia
stupidità. Sembrava
che stessi lì già da un po’ di tempo.
Ero preoccupato che non mi sarei ripreso
tanto presto, ma ancora di più mi preoccupava la spesa che
avremmo affrontato
quando ci avrebbero presentato il conto. Zio Jesse tentò di
rassicurarmi, ma
non potei far altro che sentirmi dispiaciuto.
Gli
chiesi poi di dirmi quali
altri danni mi ero provocato. Mi disse che avevo un paio di costole
rotte e che
una aveva perforato un polmone il che spiegava perché
provassi tanto dolore
quando respiravo. Spiegava anche la presenza del tubo nel mio torace.
Continuò
dicendomi che avevo la polmonite e un principio di ipotermia causata
dall’esposizione prolungata al freddo e all’acqua.
Non ne fui sorpreso. Non
ricordo di aver mai avuto tanto freddo in vita mia. Come se non fosse
stato
abbastanza inoltre, avevo una spalla slogata e una caviglia fratturata.
Tagli e
abrasioni varie completavano la mia opera. Ero davvero messo male ed
era stata
tutta colpa mia.
Mi
sentii improvvisamente esausto
e saturo di informazioni. Erano davvero troppe. Penso che zio Jesse se
ne
accorse subito perché mi consigliò di riposare
per un po’. Non dovette faticare
molto per convincermi. Mi impegnai per rimanere sveglio, ma era una
battaglia
persa. In breve mi addormentai.
Il
mio sonno fu pieno di immagini
spiacevoli: vedevo me stesso solo e al buio. Riuscivo a sentire il
freddo. Ero
fradicio fino alle ossa. Volevo risvegliarmi, ma non ci riuscivo,
quell’incubo
non voleva lasciarmi. Avevo paura che forse l’ospedale era
stato un sogno ed io
ero ancora fuori aspettando che qualcuno mi trovasse. Sentii poi un
tocco
gentile sul mio braccio e udii la voce rassicurante di Bo. Non capivo
cosa mi
stesse dicendo, ma era confortante averlo vicino a me. Dovevo tornare
da lui.
Lottai per uscire dal mio incubo e tentai di aprire gli occhi. Bo mi
stava
sorridendo. Era reale, non era un sogno.
Mentre
lo guardavo, mi tornarono
alla mente gli ultimi giorni. Rammentai bene il nostro litigio e
ricordai di
aver visto Bo ed Ellen baciarsi al Boar’s Nest. In un certo
senso non mi
importava più sapere cos’era successo tra di loro.
Tutto quello che volevo era
che mio cugino rimanesse con me. Ho perso molto in vita mia e non
potevo
perdere anche lui. La convinzione che lui mi avrebbe trovato, mi aveva
tenuto
in vita.
Bo
ha sempre avuto la tendenza a
scappare via quando qualcosa non va bene. Quando litighiamo o quando
è nervoso,
si allontana sempre. Avevo paura che quella volta non sarebbe
più tornato. Io
invece non l’ho mai fatto. Se dipendesse da me, io risolverei
le tensioni che
si creano tra di noi nel momento stesso in cui si presentano. Ma non
spetta
solo a me. Non posso obbligarlo a restare se non vuole. Bo era
lì con me in
quel momento ed io avrei lottato pur di farcelo rimanere. Non lo avrei
fatto
allontanare di nuovo.
Comunque
sia, non era necessario
io facessi niente. Bo non aveva intenzione di andare da nessuna parte.
Non
trascorse molto tempo prima che iniziasse a chiedermi di perdonarlo. Io
dovevo
scusarmi con lui da quel famoso venerdì, così
feci lo stesso. Quando poi mi
disse che era dispiaciuto per quel che aveva fatto con Ellen, rimasi in
silenzio perché non ero sicuro di voler sapere esattamente
cosa avessero fatto.
Li avevo visti baciarsi, ma poi avevo lasciato subito il locale. Non
sapevo cosa ci fosse stato,
né se
qualcos’altro ci fosse stato. Ma non
era un bene lasciare la risposta alla mia immaginazione.
Realizzai
che avevo bisogno di
sapere, così glielo domandai. Mi giurò che si era
trattato solo di un bacio.
Quel che io avevo visto era tutto quel che era successo. Voleva solo
flirtare
con lei per rendermi geloso e in qualche modo erano finiti per
baciarsi. Gli
credetti quando mi disse che non c’era stato altro. Non mi ha
mai mentito.
Ad
essere sincero, non so dire
come mi sentissi veramente, ma dopo la terribile esperienza che avevo
avuto,
sapevo per certo che non potevo perdere Bo. Non avrei mai permesso che
accadesse. Siamo cresciuti insieme e ci lega un affetto fraterno. Zio
Jesse ci
ha sempre detto che la famiglia è tutto e lui stesso ce
l’ha dimostrato
prendendoci nella sua casa quando i nostri genitori sono morti. Ha
sempre detto
che noi Duke non abbiamo molto in termini materiali, ma possiamo
contare l’uno
sugli altri ed è qualcosa che non ha valore. Gli ho sempre
creduto senza fare
domande. Zio Jesse, Daisy e Bo e sono tutta la mia ricchezza.
Di
certo avremmo avuto molta
strada da fare, ma perdonai Bo. Insieme avremmo sistemato ogni cosa.
Non sapevo
ancora cosa ne sarebbe stato di me ed Ellen, ma ci avrei pensato poi.
Non avevo
voglia di vederla. Avevo bisogno di riflettere. E poi lei non era in
ospedale
il che significava che anche lei aveva bisogno di un po’ di
tempo.
La
verità è che io amo la mia
famiglia più di ogni altra cosa. Forse non
c’è niente che Bo possa fare e che
io non gli possa perdonare. Comunque non fu solo colpa sua. Dovevo
accettare la
mia parte di responsabilità in tutta quella vicenda. Avevo
dato io il via a
tutto urlando parole odiose a mio cugino e avevo peggiorato la
situazione
perseverando nelle mie accuse. Invece di parlare come una persona
adulta e
responsabile, ero stato sarcastico ed offensivo. Lo avevo ferito con le
mie
parole ed era stata soltanto colpa mia se ero caduto dentro quella
scarpata.
Avrei dovuto essere più attento. Non avevo nessun buon
motivo per prendere
quella scorciatoia con un tempo del genere.
Perdonare
Bo fu facile per me
quando lo guardai negli occhi e riuscii a cogliere la
profondità dei suoi
sentimenti. E’ sempre stato come un libro aperto. Vidi
rimorso, tristezza,
amore. Gli dissi che lo perdonavo e che speravo lui avrebbe perdonato
me. Gli
confessai che avevo paura di perdere quello che c’era tra di
noi e lui mi
rassicurò dicendomi che non sarebbe mai successo. Avevo
così bisogno di sentire
quelle parole. Sentii le lacrime riempirmi gli occhi e prima che
potessi
accorgermene, già rigavano il mio volto. Provai a levarle
via prima che Bo se
ne accorgesse, ma non ebbi successo. Quando mi vide, provai a negare
l’evidenza.
Tutto quello che ottenni fu che anche Bo si mise a piangere.
Volevo
abbracciarlo, ma non
potevo far molto dalla mia posizione in quel letto. Penso anche lui
avesse
quella necessità. Non aveva le mie restrizioni fisiche e per
lui fu facile
avvicinarsi e circondarmi con le sue braccia facendo attenzione a non
disturbare i tubi che avevo attaccati. Provai qualche dolore qua e
là, ma non
mi interessava. Ricambiai il suo abbraccio.
E
poi Bo mi disse di volermi
bene. E’ sempre stato molto più aperto di me nel
mostrare i suoi sentimenti. Al
contrario io ho sempre trovato difficoltà nel dare voce alle
mie emozioni ed ho
sempre sperato che le mie azioni e i miei gesti parlassero per me.
Penso che il
trauma cranico mi avesse reso più emotivo del solito
perché gli risposi. Gli
dissi che anche io gli volevo bene. Ci ritrovammo così
abbracciati ed in
lacrime. Penso di aver pianto più in quei due giorni che
negli ultimi dieci
anni della mia vita. Non era proprio da me, ma dopo tutto quello che
avevo passato
forse era solo una valvola di sfogo.
Siamo
sempre stati piuttosto
competitivi e lo eravamo anche in quel momento. Cercavamo entrambi di
accollarci la responsabilità esclusiva di quel che era
successo, ma alla fine
ci rendemmo conto che c’erano abbastanza sensi di colpi in
quella stanza da
accontentare tutti e due.
Alla
fine gli dissi che sarebbe
stato meglio staccarsi prima che fosse entrato qualcuno e ci avesse
visti
piagnucolare come due femminucce. Non ne saremmo usciti vivi se fosse
toccato a
Daisy sorprenderci. Non è mai stato facile per lei essere
l’unica donna della
famiglia e ha sempre faticato parecchio con noi due. Doveva imporci dei
limiti
perché in effetti a volte ne avevamo proprio bisogno. Se ci
avesse visti in
quella situazione, avrebbe avuto in mano qualcosa con cui ricattarci
per tutta
la vita.
Cercai
di giocare un po’ sul
fatto che gli uomini veri non piangono, mentre riprendevo il controllo
di me.
Bo mi rispose a tono e mi fece ridere di gusto, cosa che mi
procurò un forte
dolore al fianco. Ma non me ne preoccupai. Ormai sapevo che tutto si
sarebbe
risolto tra di noi.
Anche
se Bo si era staccato
fisicamente da me, io stavo continuando ad aggrapparmi a lui
perché ne avevo
bisogno. E stringevo forte perché non lo avrei fatto mai
più andare via.
The
End
Come promesso eccomi di
nuovo.
Dunque prima di tutto, lasciatemi ringraziare Gia August ancora una
volta per
avermi permesso di tradurre questi diciotto capitoli da dipendenza
pura. Quando
mesi fa li lessi, me ne innamorai follemente. Finalmente qualcuno
cantava fuori
dal coro ed “inventava” una situazione inedita
nella quale inserire Bo e Luke.
Penso che questa storia mi sia piaciuta tanto proprio perché
quello di
insinuare il tradimento tra questi due personaggi è sempre
stato un mio desiderio
e Gia August, a mio dire, ha fatto un ottimo lavoro. Se devo andare a
cercare
il pelo nell’uovo, da brava sadica quale sono, prima di
fargli avere il perdono
di Luke avrei fatto stare sulle spine il povero Bo almeno per un paio
di
capitoli (se non tre!) Tuttavia ho apprezzato molto anche il punto di
vista
dell’autrice la quale ha intrapreso un percorso introspettivo
in linea con i
caratteri originali di “The Dukes of Hazzard”.
E’ con piacere
immenso che
ringrazio la mia cara LadyBlack per tutti i commenti che mi ha lasciato
e per
l’onore che mi ha fatto mettendo questa storia tra le sue
preferite.
Con lo stesso piacere
ringrazio
anche Maria che mi ha seguito con costanza e mi ha strappato
più di un sorriso
con le sue recensioni sempre deliziose e puntuali.
Grazie a Manzo che, anche
se si è
persa per strada, mi ha accompagnato per buona parte di questa
traduzione.
Grazie a tutti coloro che, pur rimanendo muti,
hanno
letto “A shot in the dark” e
grazie a tutti coloro che la
leggeranno in futuro.
Baci Lella Duke
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=127748
|