A shot in the dark

di Gia August
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un po' di sensi di colpa sono una buona cosa ***
Capitolo 2: *** Insultandosi a vicenda ***
Capitolo 3: *** Pianificando le proprie scuse ***
Capitolo 4: *** Dimostrare di avere ragione ***
Capitolo 5: *** Decisioni sfortunate ***
Capitolo 6: *** Rimpianti ***
Capitolo 7: *** Perso e solo ***
Capitolo 8: *** Confessioni ***
Capitolo 9: *** Situazione disperata ***
Capitolo 10: *** Ricerche ***
Capitolo 11: *** Una devastante verità ***
Capitolo 12: *** Un ago in un pagliaio ***
Capitolo 13: *** Trovato ***
Capitolo 14: *** Non c'è bisogno di piangere ***
Capitolo 15: *** In amorevoli braccia ***
Capitolo 16: *** Aspettando ***
Capitolo 17: *** Troppi sensi di colpa ***
Capitolo 18: *** Tenere duro ***



Capitolo 1
*** Un po' di sensi di colpa sono una buona cosa ***


E’ con infinito orgoglio che mi appresto a farvi conoscere questa storia: “A shot in the dark”. La bravissima autrice risponde al nome di Gia August e mi ha dato l’onore di poter tradurre la sua splendida opera.

Anche se questa storia non è ancora conclusa, posso anticiparvi già che è avvincente ed originale ed io mi fido a tal punto dell’autrice, da sapere che la fine non mi deluderà affatto.

Spero questa mia traduzione vi piaccia e mi auguro che abbiate voglia di commentarla.

Questo il link alla storia originale: http://www.fanfiction.net/s/3429688/1/

 

 

A Shot in the Dark

(Uno sparo nel buio)

By Gia August

Traduzione di Lella Duke

 

 

Capitolo uno: Un po’ di sensi di colpa sono una buona cosa

 

Luke

 

Rimpiango tutto quello che ho detto; ero consapevole di ciò che stavo asserendo, tuttavia non mi sono fermato. Ero troppo arrabbiato. Sapevo che le mie parole ferivano ed erano false, ma ho continuato a vomitargliele addosso. E, ad essere onesto, quella era la ragione per cui proseguivo. Il fatto che fossi fuori di me per la preoccupazione però, non era una buona giustificazione.

Il dolore che ho visto negli occhi di Bo è stato presto rimpiazzato dalla rabbia. E una volta che abbiamo iniziato ad insultarci l’un l’altro, niente ci ha più fermati. Finché zio Jesse non si è messo tra di noi minacciando di prenderci entrambi sulle sue ginocchia e rimproverandoci fintanto che non avessimo smesso. Come solito il suo intervento era stato sufficiente per porre fine alla nostra discussione. Molte volte in passato era ricorso a quell’espediente e non ho mai dubitato che lo avrebbe fatto sul serio se lo avessimo irritato abbastanza. E’ qualcosa che non sopporterei davvero. Sarebbe troppo umiliante. Almeno però ha spronato il mio buonsenso ed ho chiuso la bocca.

Stranamente Bo ha mostrato lo stesso mio buonsenso ed ha ascoltato zio Jesse senza controbattere. Eravamo in piedi uno di fronte all’altro finché Bo non si è precipitato fuori, sbattendo la porta della cucina dietro di sé. Zio Jesse mi ha lanciato uno dei suoi soliti sguardi facendomi capire quanto fosse deluso da me. Ho abbassato gli occhi e mi sono nascosto le mani nelle tasche dei pantaloni. E’ incredibile che riesca ancora a farmi sentire come un bambino cattivo. Non “cattivo” nel vero senso della parola però; ci ha sempre detto infatti che non eravamo cattivi se non quando facevamo cose cattive. E’ tuttavia la parola più appropriata per descrivere il modo in cui mi ha fatto sentire quello sguardo: colpevole e pieno di vergogna. Ha scosso il capo con disapprovazione e poi è uscito fuori senza dire nient’altro. Zio Jesse è uno di quegli uomini che comunica molto di più con i suoi silenzi piuttosto che con le parole.

Ero rimasto da solo  in cucina ed avevo il morale a terra. Bo era arrabbiato con me. Zio Jesse era deluso da me. L’unica che non ce l’aveva con me era Daisy, ma soltanto perché non era in casa. Non le era mai piaciuto esser costretta a scegliere da che parte stare nei litigi miei e di Bo e sapevo che non sarebbe stata contenta di me quando avrebbe saputo del mio comportamento. Inoltre ero arrabbiato e deluso di me stesso. Forse sarebbe stato meglio andare a cercare Bo e chiarire subito tutto. Avevo bisogno di chiedergli scusa per tutto ciò che gli avevo detto.

Prima ancora di oltrepassare la soglia del portico, ho sentito il rombo del motore del Generale Lee. Ho sceso di corsa gli scalini giusto in tempo per vedere le luci posteriori del Generale ed una nuvola di polvere avvolgerlo completamente a causa di un’accelerazione. Quello era Bo: andava sempre via di corsa dopo una discussione. Non era mai stato tipo da rimanere e sistemare subito le cose. Aveva bisogno di un po’ di tempo da solo per riflettere sull’accaduto. Fosse stato per me avremmo continuato a litigare finché non fossimo arrivati ad un punto d’incontro, ma mio cugino in questo era sempre stato diverso.

Quando ho visto zio Jesse nel campo, gli ho urlato: “prendo il furgone e corro dietro a Bo!”

Mentre stavo salendo al posto di guida però, zio Jesse mi ha afferrato per il braccio. Mi ha detto: “non vai da nessuna parte ragazzo. Lascia che Bo si calmi prima. Non voglio sapervi a discutere di nuovo senza che io sia presente per intervenire!”

“Non ho nessuna intenzione di litigare ancora con lui zio Jesse. Voglio solo scusarmi per quello che gli ho detto.”

“E’ una buona cosa!” Mi ha risposto. “Sono felice di sapere che sei tornato in te, ma penso comunque sia meglio dargli un po’ di tempo per calmarsi. Bo è fatto così. Puoi essere dispiaciuto, ma questo non cancella ciò che hai detto, Luke.”

Mi sono preso la testa tra le mani per la vergogna rendendomi conto che zio Jesse aveva ragione. Quando si è accorto di quanto fossi avvilito, è stato colto dalla tenerezza. Ha sorriso lievemente e dolcemente mi ha detto: “questo non significa che non ti perdonerà perché lui lo farà. Ti ama e ti amerà sempre!”

Quando si è reso conto che ero rimasto con gli occhi bassi, mi ha stretto forte a sé e di quel gesto gliene sono stato riconoscente. Debolmente gli ho restituito l’abbraccio. Mi ha detto: “avere un po’ di sensi di colpa è una buona cosa Lukas, ma non lasciare che ti divorino. Sistema le cose con Bo e poi buttati tutto dietro le spalle.”

“Sissignore, lo farò!” Ho risposto con sincera determinazione.

“Bravo ragazzo! Io mi stavo dirigendo verso il furgone e per poco mi hai battuto sul tempo. Ho promesso alla signora Jacobson che sarei andato da lei nel pomeriggio per sistemarle una porta. E’ dura per lei stare da sola. Tornerò presto. Aspettando che Bo torni a casa, riprendi i tuoi lavori.”

“Sissignore!” Ho replicato di nuovo.

Il vecchio furgone bianco non alzava tanta polvere quanta il Generale Lee, ma in fin dei conti zio Jesse non andava di corsa. Appena scomparso dalla mia vista, mi sono messo a sedere sui gradini del portico, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Mi auguravo che Bo non sarebbe stato via tanto a lungo. Non mi era mai piaciuto litigare con lui. Sono rimasto seduto per molto tempo ripensando a come le cose erano rapidamente precipitate.

 

 

To be continued…

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Capitolo 2
*** Insultandosi a vicenda ***


Capitolo due: Insultandosi a vicenda

 

Luke

 

Era la prima settimana di marzo. Il clima non aveva ancora deciso se porre fine all’inverno o dare l’avvio alla primavera. Il tempo continuava a cambiare alternando il caldo al freddo. Quel giorno l’inverno aveva vinto. Il cielo era plumbeo e dava l’impressione che non avremmo visto il sole in tempi brevi. Era piuttosto rigido per la Georgia, la colonnina di mercurio toccava solo i dieci gradi durante il giorno. La notte era ancora più fredda.

La giornata era iniziata piuttosto bene. Dopo aver terminato i lavori mattutini alla fattoria, io e Bo eravamo andati in città a bordo del Generale Lee; mio cugino come al solito era alla guida. Da quando aveva preso la patente, aveva sempre voluto stare lui dietro al volante e la maggior parte delle volte lo lasciavo fare. Il tragitto era stato abbastanza piacevole; nessun segno di Rosco che ci intimasse di non correre troppo o che iniziasse ad inseguirci.

All’improvviso Bo lasciò la strada principale che passa sopra il fiume per entrare in una secondaria. Gli chiesi: “dove vai?”

Mi sorrise e mi rispose: “ho pensato sarebbe stato carino vedere un panorama migliore e volare sul fiume!”

“Non salteremo il fiume oggi!” Dissi deciso.

“Andiamo Luke, lo abbiamo fatto tante volte e poi guadagneremo quindici minuti!”

“Non abbiamo fretta, Bo. Gira e passa sopra il ponte.”

Mi guardò accigliato: “che fine ha fatto il tuo senso d’avventura, cugino?”

“Il mio senso d’avventura è stato rimpiazzato dall’istinto di sopravvivenza. E’ troppo pericoloso, Bo. Tutta la pioggia che è caduta ha gonfiato troppo il fiume. E’ un salto troppo lungo.”

“Posso farlo!”

“No, non puoi quindi torna indietro!” Quando Bo non mi rispose, presi in prestito l’espressione migliore di zio Jesse: “dico davvero. Non faremo quel salto oggi. Fine della discussione!”

“Non ti piace il divertimento Luke Duke!” Disse Bo facendo marcia indietro. “Sei cauto come una vecchietta:”

“La cautela fa si che si possa diventar vecchi!” Risposi.

Bo sorrise: “su questo hai ragione!”

Arrivati in città, Bo mi lasciò davanti all’officina di Cooter. Avevo promesso che gli avrei dato una mano. Aveva molto lavoro ed io e Bo di sicuro gli dovevamo più di un favore. Per tutte le volte che ci aveva rimorchiato con il carro attrezzi, per tutte le riparazioni effettuate sul Generale e per tutti i pezzi di ricambio che ci procurava con la promessa che glieli avremmo pagati la settimana a venire. Abbiamo sempre fatto di tutto per onorare le nostre promesse, ma a volte i conti erano davvero troppo salati. Il minimo che potevamo fare quindi era aiutare Cooter in officina. Glielo dovevamo.

Cooter aveva bisogno di uno solo di noi. Poiché tra i due io sono sempre stato il meccanico migliore, Bo mi lasciò in officina e andò a fare qualche commissione per zio Jesse. Disse che sarebbe tornato a prendermi per le due del pomeriggio così saremmo potuti tornare alla fattoria per continuare i nostri lavori ed avere la serata libera. Era venerdì ed entrambi avevamo intenzione di trascorrere la serata al Boar’s Nest. Al contrario di Bo io avevo un appuntamento, ma per lui non sarebbe stato un problema. Aveva deciso che avrebbe visto quali opportunità si sarebbero presentate. Non aveva mai dovuto attendere troppo, le occasioni gli si presentavano sempre anche se non se le andava a cercare.

Bo era sempre stato molto aperto e socievole. Non posso dire lo stesso per me. Da piccolo ero molto timido ed in un certo senso lo sono ancora. Non so se fosse una reazione alla perdita dei miei genitori o se si trattasse semplicemente del mio carattere. Forse un misto di entrambe le cose. In tutti i modi, non sono mai stato così aperto come Bo. Lui può avvicinarsi a qualunque ragazza ed iniziare a parlarle come se fosse sua amica da tutta la vita. Neanche io ho problemi a conoscere ragazze, ma per me non è mai stato così facile. Daisy dice sempre che nessuna fanciulla può resistere al sorriso di Bo. Deve essere vero perché non gli sono mai serviti più di cinque minuti per sedere ad un tavolo con una ragazza appena conosciuta.

Avevo un appuntamento con Ellen McKay al Boar’s Nest. Ci frequentavamo da quattro mesi. Aveva dei capelli rossi lunghi fin sopra le spalle che danzavano liberamente sul suo volto e che facevano spiccare ancor di più i suoi occhi verdi. Era dolce e premurosa. Stavo bene con lei e la nostra relazione cresceva di giorno in giorno. Non sapevo dove saremmo arrivati, ma mi sarebbe piaciuto scoprirlo. Era da tanto che non provavo qualcosa di così profondo per una ragazza.

Alle due del pomeriggio, ero fuori dall’officina di Cooter aspettando l’arrivo di Bo. Non mi ero preoccupato quando dopo quindici minuti ancora non lo avevo visto perché di solito lui era sempre in ritardo, ma iniziai ad essere infastidito quando alle due e trenta non notai alcun segno di Bo. Avevamo ancora tante cose da fare e poco tempo per farle. Provai a chiamarlo tramite la radio, ma non ricevetti alcuna risposta.

Verso le tre del pomeriggio iniziai ad arrabbiarmi pensando che si fosse dimenticato di me. Tentai ancora con la radio, ma senza successo. Dopo un’altra mezzora di inutile attesa, la mia rabbia si tramutò in preoccupazione. Non era da Bo fare così tardi senza neanche avvisare. Non volevo preoccupare Daisy o zio Jesse, ma dovevo chiamarli per sapere se loro avessero avuto notizie. Provai prima alla fattoria per vedere se fosse già rincasato dimenticandosi semplicemente di passare a prendermi. Non sarebbe stata la prima volta. Parlai con zio Jesse e mi disse di non averlo né visto, né sentito. Quando avvertii un principio di ansia nella sua voce, lo rassicurai dicendogli di non agitarsi e che presto si sarebbe fatto vedere.

Subito dopo chiamai Daisy al lavoro, al Boar’s Nest. Mi disse che Bo si era fermato intorno all’una del pomeriggio per pranzare con Lisa Devlin. Poi erano usciti insieme all’una e quarantacinque; Bo avrebbe avuto dunque tutto il tempo di riaccompagnare Lisa a casa e tornare a riprendermi. Daisy era stata l’ultima ad averlo visto. Avevo già iniziato a sospettare che Bo si fosse dimenticato di me per correre dietro a qualche ragazza.

Alle quattro del pomeriggio avevo aspettato abbastanza. Chiesi a Cooter di accompagnarmi alla fattoria. Una volta a casa, mi accorsi di quanto zio Jesse fosse preoccupato perché non riusciva a contattare Bo neanche con la radio. Feci del mio meglio per rassicurarlo, ma neanche io sapevo cosa pensare; da una parte ero furioso perché pensavo si fosse semplicemente dimenticato di me, dall’altra ero preoccupato che gli fosse accaduto qualcosa.

Zio Jesse si diresse verso la finestra della cucina e scostò le tende per poter guardare la strada per l’ennesima volta durante l’ultima mezzora. Non credevo neanche io a quello che stavo per dire, tuttavia parlai lo stesso: “lo conosci Bo. Probabilmente si è trovato qualcosa da fare ed ha perso la cognizione del tempo. Sono certo che sarà di ritorno a breve.”

La tensione che leggevo sul volto di mio zio, tradì le sue parole: “lo so. Tornerà a casa da un momento all’altro. Non c’è bisogno di preoccuparsi.”

“Io non sono preoccupato.” Dissi con un sorriso che sperava di alleviare la sua ansia.

Ma in verità io ero angosciato. Molto angosciato. Iniziai ad immaginarmi Bo intrappolato nel Generale Lee. Era sempre stato molto più azzardato di me alla guida della nostra macchina. Faceva salti a volte che mi facevano martellare il cuore in petto. Ho sempre avuto paura che prima o poi la fortuna ci avrebbe abbandonati ed avremmo finito per farci male. Ma soprattutto ho sempre avuto timore che Bo avrebbe potuto tentare qualche salto impossibile quando io non ero con lui per dissuaderlo. Durante la mattinata avevo dovuto realmente puntare i piedi per terra. Il fiume era in piena. Un salto del genere sarebbe stato stupido e dannatamente rischioso. Pregai che Bo non fosse tornato al fiume per tentare quel salto. Ha sempre amato le sfide. Gli è sempre piaciuto provare che avessi torto. Il pensiero che l’avesse fatto davvero mi stava spaventando a morte.

Ben presto mi convinsi che Bo aveva avuto un incidente tentando di saltare il fiume. Avevo bisogno di trovarlo. Avrei cominciato dal fiume e avrei pregato di non trovarlo davvero lì. Dissi a mio zio: “vado a cercare Bo. Forse non si è accorto del trascorrere del tempo oppure ha avuto guai con il Generale.”

Zio Jesse annuì: “chiamami appena lo avrai trovato.”

“Lo farò!”

Non feci in tempo a finire la frase, che udimmo e vedemmo il Generale. Il sorriso sul volto di zio Jesse si allargò a dismisura. Mi sentii immensamente sollevato non appena vidi mio cugino saltare fuori dalla macchina, ma quando si avvicinò a noi con un sorriso sereno sul volto, il mio sollievo si tramutò in rabbia per tutta l’ansia e l'apprensione che ci aveva provocato. Rimasi in piedi con le braccia conserte attendendo con impazienza una sua spiegazione.

“Ciao!” Esclamò Bo con la noncuranza di chi non ha una preoccupazione al mondo.

“Che piacere vederti!” rispose mio zio sollevato.

Ero ancora in attesa di sentire la sua giustificazione, ma rimasi deluso perché Bo non disse altro ed entrò in casa. Zio Jesse vide quanto ero arrabbiato e tentò di fermarmi afferrandomi per un braccio quando tentai di seguire mio cugino. Mi disse: “Luke, dai a quel ragazzo la possibilità di spiegare dov’è stato fino ad ora prima di dirgli qualcosa che poi potresti rimpiangere:”

Ripensandoci ora, avrei dovuto dare ascolto a mio zio, ma l’istinto prevalse. Risposi: “ci deve una spiegazione dopo quello che ci ha fatto passare!”

“Lo so” convenne, “ma dagli modo di parlare prima di saltargli alla gola!”

Annuii concedendomi un momento per calmarmi prima di entrare in cucina con zio Jesse alle calcagna. Bo si era versato del latte in un bicchiere ed era seduto al tavolo mangiando dei biscotti, inconsapevole dell’ansia che ci aveva provocato e che ancora mi irritava.

“Dannazione Bo!” Gridai. “Dove cavolo sei stato finora?”

Bo mi guardò con aria interrogativa. “Lo sai dove sono stato, Luke. Zio Jesse mi aveva dato da fare delle commissioni. Toglierò i pacchi dalla macchina in un minuto se è questo che ti secca!”

“Non è questo mi infastidisce, Bo. Quelle commissioni le avevi per questa mattina. Dove sei stato tutto il pomeriggio invece di tornare a prendermi da Cooter?”

Finalmente mio cugino capì dove volevo arrivare. “Cavolo Luke! Mi dispiace. Me ne sono completamente dimenticato!”

La mia pazienza ormai era completamente andata. “Non prendermi in giro. Cosa hai fatto per tutto il pomeriggio preoccupando a morte zio Jesse?” Non lo avrei mai ammesso, ma io ero stato altrettanto in ansia.

Bo esitò nel rispondere come se stesse tentando di capire cosa doverci dire. Alla fine ammise: “Ho incontrato Lisa da Rhuebottom e le ho chiesto di pranzare con me al Boar’s Nest.”

“Avrei dovuto sapere che c’era immischiata una ragazza!” Dissi in un tono di rimprovero.

“Bene, questo spiega tutto!” Dichiarò zio Jesse tentando di porre fine al mio interrogatorio, ma senza successo.

“Questo ci spiega dove sei stato a pranzo, ma non il resto del pomeriggio.” Insistetti.

Posso giurare di aver visto mio cugino arrossire, probabilmente per la presenza di zio Jesse. “Mi sono offerto di accompagnare Lisa a casa. Ha voluto mostrarmi il laghetto poi, così abbiamo fatto una passeggiata. Niente di importante.”

Niente di importante! Disse proprio queste parole. Aveva passato il pomeriggio al lago con Lisa Devlin, mentre io morivo di preoccupazione. Mettere me in quella condizione era già abbastanza grave, ma non avrebbe dovuto far spaventare anche zio Jesse. Ero furioso più che mai. Quella che stavo per intraprendere sarebbe stata una strada senza ritorno.

“Hai una spiegazione per tutto, vero? Non hai un minimo di cervello e non ne hai mai avuto. Basta che una ragazza ti faccia gli occhi dolci e non pensi più a niente. Dimentichi tutte le tue responsabilità. Tutto il tuo buon senso esce direttamente dalla porta di servizio per un paio di belle gambe.”

Mi resi conto che le mie parole lo avevano ferito, ma non riuscii a fermarmi. Continuai implacabile con la mia raffica di insulti. Non ho scuse se non che mi ero mortalmente spaventato al pensiero che qualcosa di brutto gli fosse accaduto, ma la mia paura uscì fuori come rabbia.

Continuai: “hai la stessa intelligenza di una rapa!”

Dopo il mio ultimo insulto, il male che avevo riversato su Bo, mi tornò indietro come collera. Gridò: “Ritira ciò che hai detto Luke!”

“Bene!” Dissi. "Lo ritiro. Perfino una rapa ha più intelligenza di te!”

A quel punto mi sembrò che Bo fosse irritato almeno quanto me. Urlò ancora: “sei semplicemente geloso perché io posso avere tutte le ragazze che voglio e tu non puoi!”

“Non sono geloso di te!” Risposi. “Deve ancora arrivare il giorno in cui ti invidierò qualcosa!”

“Quel giorno è arrivato, tu sei geloso di me.” Ribadì Bo con un sarcasmo che reggeva il confronto con il mio. “Dovendo scegliere tra noi due, nessuna ragazza ti guarderebbe per più di due volte. Ognuna sceglierebbe me in un secondo. E’ sempre stato così e sarà sempre così.” E come se non fosse stato sufficiente, disse in modo aggressivo: “anche quando eravamo bambini, sono sempre riuscito a distogliere l’attenzione di zia Martha da te ogni volta che ne ho avuta voglia. Ti ho sempre tolto tutto quello che volevo. E riesco ancora a farlo.”

A quel punto erano i miei sentimenti ad esser stati feriti, ma non avevo alcuna intenzione di mostrarlo. La mia rabbia aumentò. Dissi con più disprezzo del dovuto: “sarai anche più affascinante di me, ma almeno io ho un cervello. La bellezza non dura per sempre.”

Quando Bo mosse un passo verso di me, zio Jesse si mise tra di noi urlando in modo rude: “basta così! Smettetela prima che vi prenda sulle ginocchia e vi sculacci tanto da non farvi mettere a sedere per una settimana. Forse due. Sapete che potrei ancora farlo!”

Io e Bo rimanemmo in piedi a fissarci l’un l’altro; entrambi avemmo il buon senso di fermarci e non contraddire zio Jesse. Dopo qualche istante di silenzio, Bo prese la porta della cucina lasciandomi faccia a faccia con mio zio.

 

To be continued…

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Capitolo 3
*** Pianificando le proprie scuse ***


Prima di lasciarvi immergere nella lettura di questo terzo capitolo ci tenevo a far sapere sia a Manzo che a LadyBlack che Gia August, l’autrice della storia, ha sinceramente apprezzato i vostri commenti e mi ha pregato di ringraziarvi per il vostro interesse.

Un mio personale ringraziamento va anche a tutti coloro che, pur non avendo recensito, hanno letto finora la mia traduzione e al mio caro Harrow la cui preziosa consulenza è stata per me fondamentale.

 

 

Capitolo tre: pianificando le proprie scuse

 

Luke

 

Rimasi seduto sui gradini del portico per molto tempo rivivendo nella mia mente gli eventi di quella giornata. Avevo avuto tutte le ragioni del mondo per essere preoccupato e per essere in collera con Bo, tuttavia non avevo avuto nessun diritto di dire quelle cose. Zio Jesse aveva ragione. La mie parole avevano fatto male. Non faceva alcuna differenza che non fossero vere e che io per primo non credevo a ciò che avevo detto. Non cercavo scuse, avevo semplicemente lasciato che la mia rabbia prendesse il sopravvento e coprisse la mia angoscia. Pensavo che qualcosa di terribile fosse accaduto a mio cugino ed ero arrabbiato per aver provato tutta quell’ansia invano perchè Bo in realtà aveva trascorso il pomeriggio con una ragazza. Speravo che zio Jesse avesse ragione anche sul fatto che Bo mi avrebbe perdonato.

Non volevo pensare alle cose che invece Bo aveva detto a me. Non volevo sapere se c’era del vero in ciò che mi aveva urlato contro o se lui pensasse realmente quelle cose. Speravo che Bo, come me, avesse parlato soltanto in preda alla rabbia. Avevo bisogno di distrarmi per un po’, così mi alzai ed andai nel granaio per riprendere i miei lavori. Un po’ di movimento fisico era ciò che mi serviva per schiarirmi le idee.

Zio Jesse fece ritorno alla fattoria per l’ora di cena, Bo invece aveva deciso di mantenere le distanze un po’ più a lungo. Aveva chiamato ed aveva avvisato zio Jesse che sarebbe rientrato solo in tarda serata. Pensai che avesse imparato la sua lezione non volendo far preoccupare di nuovo nostro zio. Non credo però gli interessasse cosa pensavo io. Avrebbe cenato fuori e poi sarebbe andato al Boar’s Nest come aveva pianificato.

Avevo un appuntamento con Ellen quindi non potevo rimanere a casa anche se era ciò che più desideravo dopo la giornata che avevo avuto. Avrei voluto riappacificarmi con Bo in privato, ma stavamo andando entrambi al Boar’s Nest. Non volevo che la serata si rovinasse a causa della tensione tra di noi. Avrei potuto portare Ellen da qualche altra parte, se Bo avesse dato chiari segnali di non gradire la mia presenza. Avevo intenzione di scusarmi con lui non appena lo avessi visto. Per il resto sarebbe dipeso tutto da Bo.

Zio Jesse mi diede un passaggio fino al Boar’s Nest; un violento acquazzone ci accompagnò per tutto il tragitto. Arrivati al parcheggio mi disse: “non è la serata adatta per stare fuori casa, ma scommetto che quel locale è pieno zeppo.”

“E’ sempre così il venerdì sera!” Risposi. “Ho visto sia la macchina di Ellen che il Generale Lee. Sarà meglio che entri. Sono in ritardo e non vorrei che anche Ellen si arrabbiasse con me.”

“Vuoi che passi a riprenderti più tardi?” Mi chiese zio Jesse.

Scossi il capo: “Spero di tornare a casa con Bo. Ho intenzione di chiedergli scusa non appena lo vedrò. Spero vorrà perdonarmi, ma se così non fosse mi darà un passaggio Ellen.”

Zio Jesse sorrise: “bravo ragazzo! Sarò a casa per le dieci. Chiamami se hai bisogno di me. Spero non ne avrai, ma nel caso non ci sarebbero problemi!”

“Lo so zio Jesse. Grazie, se tutto andrà come spero, non credo avrò bisogno di niente!”

Salutai mi zio mentre correvo verso la porta d’ingresso del Boar’s Nest tentando di togliermi in fretta dalla pioggia. Avevo pensato di cercare prima Ellen e poi Bo. Ero un po’ nervoso all’idea di parlare con lui, non ero sicuro che volesse vedermi. Tentai di convincermi che tutto sarebbe andato bene.

Niente tuttavia avrebbe mai potuto prepararmi a ciò che vidi una volta entrato e che diede il via alla serie di disastrosi eventi che avrebbero riempito quella notte ed alla quale io non sapevo se sarei sopravvissuto.

 

To be continued…

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Capitolo 4
*** Dimostrare di avere ragione ***


Capitolo quattro: dimostrare di aver ragione

 

Bo

 

 

Non sono sicuro di sapere come tutto accadde. Successe e basta. Non lo avevo programmato, non realmente. Ero così dannatamente arrabbiato con Luke. Volevo dimostrargli che avevo ragione, ma alla fine riuscii solo a dimostrare che aveva ragione lui. Ha sempre detto che io agisco troppo impulsivamente senza pensare alle conseguenze. Immagino che ciò che ho fatto lo dimostri ampiamente. Ma non avrei mai pensato a quali effetti seri ci sarebbero stati in quell’occasione. Non credevo gli eventi mi sarebbero sfuggiti così di mano. Non sono mai stato così dispiaciuto per qualcosa in tutta la mia vita. Tutto quello che è successo mi è quasi costato Luke.

So di aver sbagliato trascorrendo il pomeriggio con Lisa e dimenticando di tornare a prendere Luke da Cooter, ma non l’ho fatto di proposito. Me ne sono semplicemente dimenticato. Quel che è peggio è che non l’ho realizzato se non quando sono tornato a casa con più di tre ore di ritardo. Forse non ci avrei più pensato se Luke non me lo avesse detto. Raramente l’ho visto così arrabbiato, ma questo non gli dava il diritto di dirmi quelle cose.

Non era la prima volta che Luke lo faceva. Fa sempre commenti sarcastici quando è arrabbiato o infastidito da qualcosa. E questi commenti riguardano quasi sempre la mia intelligenza o, più precisamente, la mia mancanza di cervello. Luke mi dice spesso che non ne ho abbastanza così come dice che non ho un minimo di buonsenso facendomi sentire un idiota. Pensa di essere furbo, ma se lo fosse realmente avrebbe realizzato che stava andando troppo oltre.

Luke mi aveva fatto arrabbiare così tanto, che mi sono scagliato su di lui urlando e sperando di ferirlo così come lui aveva fatto con me. Gli dissi che lui era geloso di me perché io potevo avere qualunque ragazza desideravo e che se ci fosse stato da scegliere, ogni fanciulla avrebbe preferito me a lui. E poi sferrai il mio colpo basso: aggiunsi che ero sempre riuscito a distogliere l’attenzione di zia Martha da lui ogni volta che ne avevo avuto voglia.

Le cose sarebbero potute andare anche peggio se zio Jesse non ci avesse fermati. Entrai come una furia nel Generale Lee, sperando che una corsa in macchina per la campagna mi avrebbe calmato. L’unico problema era che più pensavo a quel che Luke mi aveva detto, più la mia collera cresceva. Non doveva dire quelle cose, né in quel momento, né mai. Ne avevo abbastanza delle sue osservazioni sul mio conto.

Non avevo voglia di vedere mio cugino, così rimasi fuori per cena. Considerai l’ipotesi di non recarmi al Boar’s Nest visto che Luke ci sarebbe andato con Ellen, ma alla fine decisi che non avrei cambiato i miei piani a causa sua. Ci sarei andato e mi sarei divertito con o senza Luke. Se avesse avuto da ridire, se ne sarebbe andato lui.

Una volta al Boar’s Nest, mi guardai intorno per vedere se Luke fosse già arrivato, ma non c’era. Vidi invece Daisy dietro al bar e la raggiunsi. Mi diede un bacio su una guancia e mi chiese dolcemente: “dov’è Luke?”

“Immagino tu non sia stata a casa.” Risposi. “Abbiamo avuto una violenta litigata. Non lo vedo da allora e questo mi fa sentire meglio.”

“Oh Bo!” Disse Daisy. “Voi due sapete quali tasti spingere quando litigate. Qual è il motivo stavolta?”

“Oh! Il motivo è che ho dimenticato di andarlo a riprendere da Cooter questo pomeriggio. Potresti pensare che io abbia commesso il peggior crimine del mondo se sapessi come mi ha attaccato. Mi ha insultato in modo tale che non credo dimenticherò e perdonerò tanto presto.”

“Non dici sul serio Bo, lo sai che Luke si scalda un po’ troppo a volte e dice cose che non pensa realmente.”

“Beh! Io sono stanco. Non avrebbe dovuto dire certe cose se non le pensava.” Risposi non disposto a concedere a Luke il beneficio del dubbio. Riuscivo a sentire la mia rabbia tornare prepotentemente al solo ricordare le sue parole. Ha sempre pensato di aver ragione su tutto ed era tempo che io gli dimostrassi che si sbagliava.

In quel momento vidi Ellen Mckay entrare nel locale da sola. Luke non era con lei. Quando vide me e Daisy ci raggiunse.

“Ciao Daisy, ciao Bo. Dov’è Luke?” Ci chiese.

“Non è ancora arrivato.” Rispose Daisy.

“Oh, ho visto il Generale Lee di fuori e ho pensato fosse già qui.” Disse ancora. Guardò il suo orologio e aggiunse: “è in ritardo.”

Non avrei dovuto, ma dissi: “mi dispiace Ellen. Luke sa essere sconsiderato a volte. E’ pazzo a lasciar attendere una ragazza meravigliosa come te. Qualcuno potrebbe portarti via nel frattempo.”

Quando Ellen sorrise al mio complimento e mi diede una piccola pacca sul braccio, mi venne l’idea su come dimostrare a Luke che avevo ragione. Ricambiai il suo sorriso e dissi: “ti terrò compagnia finché non arriverà. Andiamo a cercare un tavolo. Daisy puoi portarci due birre per favore?”

“Certo tesoro. Andate avanti. Vi porto subito da bere.”

Ci dirigemmo verso un tavolo un po’ appartato che ci avrebbe garantito un po’ di privacy in quella stanza affollata. Una volta seduti con i bicchieri tra le mani, iniziai a flirtare con Ellen dicendole spesso quanto fosse bella. Le dissi che Luke non le dava il giusto valore e non aveva avuto un minimo di decenza facendola aspettare così a lungo. Mi avvicinavo a lei sempre più mentre parlavamo e feci del mio meglio per affascinarla. Volevo dimostrare a Luke che potevo avere qualsiasi ragazza volessi, perfino la sua. Specialmente la sua. Ero ancora arrabbiato con lui. Finimmo il nostro secondo bicchiere di birra e immagino che l’alcool non ci aiutò molto da lì in avanti. Mi accostai ancora di più ad Ellen e lei fece lo stesso; prima che avessi il tempo di accorgermene finimmo per baciarci. Non so chi dei due cominciò, ma immagino non abbia importanza.

Mi occorse qualche secondo prima che potessi tornare in me e realizzare cosa stavo facendo. Mi tirai indietro e guardai Ellen che aveva il volto contratto per la costernazione. Immagino riflettesse il mio stesso stato d’animo. Sussurrò: “mio Dio, Bo. Cosa stiamo facendo?”

“Mi dispiace Ellen. E’ tutta colpa mia. Sono davvero dispiaciuto.”

“Come possiamo fare una cosa del genere a Luke?” Chiese con crescente angoscia.

Tentai di calmarla. “Ci siamo fermati, Ellen. Non abbiamo fatto niente. E’ stato solo un bacio. Non abbiamo programmato niente. Luke non deve saperlo. Abbiamo bevuto un po’ troppo e abbiamo fatto qualcosa che non sarebbe dovuta accadere, ma ci siamo fermati. Non significa niente.”

“Non puoi dirglielo, Bo.”

“Lo so. Non gli dirò niente.” Il mio desiderio di ferire mio cugino era improvvisamente svanito.

Ellen era quasi sul punto di piangere. Si alzò e disse: “non posso vedere Luke stasera o capirà tutto. Puoi dirgli che mi è venuto mal di testa e sono tornata a casa? Digli che lo chiamerò domani.”

Annuii e lei corse via da me. Tutta la mia rabbia era passata ed era stata sostituita da un crescente senso di colpa. Non so a cosa stessi pensando. Chiaramente non stavo pensando. Volevo rendere Luke geloso di me flirtando con Ellen, ma non avevo intenzione di spingermi tanto oltre. Non avevo programmato di baciarla. Volevo che Luke mi vedesse vicino ad Ellen e niente più. Volevo fargli capire che avrei potuto portargliela via se avessi voluto.

Decisi che mi sarei scusato con Luke non appena lo avessi visto. Le cose si erano spinte troppo oltre. Volevo dirgli che ero dispiaciuto.

Ma non ne ho più avuto l’occasione.

 

To be continued…

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Capitolo 5
*** Decisioni sfortunate ***


Capitolo cinque: decisioni sfortunate

 

Luke

 

Mi affrettai verso l’entrata del Boar’s Nest. Ero in ritardo ed avevo paura che Ellen fosse arrabbiata con me; era qualcosa che non avrei sopportato dopo la giornata che avevo avuto. Già Bo era in collera con me ed era più che sufficiente. Ad Ellen non piaceva aspettare ed io, per un motivo o per un altro, arrivavo sempre tardi ai nostri appuntamenti.

Il locale era pieno zeppo come ogni venerdì sera. Mi guardai attorno, ma non vidi né Bo, né Ellen. Non riuscivo a scovare neanche Daisy tanta la gente che c’era. Scorsi però Cooter seduto al bar. Mi fece un cenno di saluto con la mano ed io gli chiesi se avesse visto Bo o Ellen. Mi disse di averli visti raggiungere la parte più interna del locale.

Mi mossi adagio tra tutta quella folla cercando di raggiungere i tavoli. Alla fine intravidi la testa di Bo. Era seduto in un angolo del locale e stava baciando una ragazza, ma lei non riuscivo a vederla. Scossi il capo pensando che lo avesse fatto di nuovo. Se iniziava una serata da solo, la concludeva in compagnia di una fanciulla. Immaginai che non fosse un buon momento per parlare con lui. Non sembrava volessero essere disturbati. Stavo per ricominciare a cercare Ellen, quando Bo si staccò da quella ragazza. Non potevo crederci. Era Ellen.

Non sono in grado di descrivere quel che provai. Il mio respiro si arrestò. Non sapevo cosa pensare. Non sapevo cosa provare. Rimasi semplicemente fermo a guardarli; la mia mente non riusciva a formulare un pensiero coerente. La stanza iniziò a sembrarmi sempre più piccola. Avevo bisogno di andarmene di lì in fretta. Mi feci largo tra la folla e non mi fermai se non quando mi ritrovai al di fuori del locale, sotto la pioggia. Non riuscivo a pensare lucidamente. Non volevo pensare lucidamente. Non volevo pensare e basta.

L’unica cosa che sapevo per certo era che non sarei rientrato nel Boar’s Nest. Volevo andarmene a casa. Avevo bisogno di andare a casa. Avrei dovuto portare con me le mie chiavi del General Lee, non sarebbe stato male lasciare Bo a piedi. Ma le mie chiavi erano alla fattoria e quelle di Bo erano nella sua tasca. Non volevo tornare dentro a chiamare zio Jesse con il rischio di ritrovarmi ancora davanti agli occhi la scena che avevo appena visto. Non lo avrei sopportato. Tuttavia non potevo restare sotto la pioggia tutta la notte. Iniziai quindi a camminare sperando che qualcuno sarebbe potuto passare e mi avrebbe accompagnato a casa. Non me ne preoccupai più di tanto però; avrei potuto tranquillamente farmela a piedi fino alla fattoria.

Non passò molto tempo prima di sentire il rumore di una macchina dietro di me. Mi voltai e sollevai il mio pollice. Una vecchia Ford blu si fermò accanto a me. Il finestrino si abbassò rivelando il volto della signora Jacobson.

“Luke Duke, cosa stai facendo qui fuori sotto la pioggia?”

“Buonasera signora Jacobson.” Risposi. “Sto andando a casa. Fa la mia stessa strada?”

“Entra dentro e togliti dalla pioggia, figliolo!” Una volta seduto vicino a lei, aggiunse: “sto andando a passare la notte a casa di mia sorella. Ha di nuovo problemi con la schiena. Non avrei voluto esser fuori a guidare ad un’ora così tarda, ma mi ha chiamato ed ha bisogno del mio aiuto. Non guido mai di notte a meno che non sia costretta. Non ci vedo così bene quando è buio, specialmente se piove.”

“Spero sua sorella si rimetta presto.” Dissi. “Non voglio farle perdere tempo, sono certo che presto passerà qualcun altro.”

Quando mi mossi per aprire lo sportello della macchina, la signora Jacobson mi fermò: “Rimani dove sei. Ti beccherai una polmonite là fuori. Per andare da mia sorella devo passare per la County Road, proprio dietro la tua fattoria.”

“Accetto un passaggio fino alla fine di Little Creek Road, dopodichè posso camminare fino a casa. In fondo sono solo un paio di miglia.”

La signora Jacobson mi sorrise: “a quanto pare non posso fare molto, mi dispiace. Non posso portarti proprio fino a casa, non sarei in grado di guidare su quella strada sterrata. E’ troppo buio e c’è troppo fango ormai.”

“Non si preoccupi, da lì andrà benissimo.” La rassicurai.

Durante il breve tragitto in macchina, la pioggia aveva cessato di scendere.

“Molte grazie. Guidi con cautela!” Le dissi scendendo e richiudendo lo sportello.

“E’ il minimo che io possa fare per uno dei nipoti di Jesse Duke. E’ stato a casa mia ad aiutarmi proprio questa mattina. E poi i buoni vicini si aiutano gli uni gli altri.”

Guardai la signora Jacobson allontanarsi prima di intraprendere la via verso casa. Non era la strada principale, ma uno dei tanti viottoli sterrati che tagliavano la nostra terra. Dopo l’inverno che avevamo avuto, necessitava di un po’ di manutenzione. Era pieno di avvallamenti e di buche di varia misura che somigliavano molto a piccoli crateri. I miei jeans erano fradici ed i miei stivali infangati perché camminavo ormai in un’unica grande pozzanghera. Tutto quel fango mi rendeva difficile procedere. La giacca che indossavo non mi offriva molta protezione contro il freddo. E come se la mia giornata non fosse stata abbastanza brutta, iniziai a sentire di nuovo la pioggia riprendere il suo incessante scrosciare.

Mi sentivo con il morale a terra. Immaginavo zio Jesse seduto sulla sua sedia preferita di fronte al camino a leggere il giornale. Non desideravo altro che sedere accanto a lui per godere del calore del fuoco e della sua compagnia. Non importava che non fossi più un bambino, avevo bisogno di mio zio ogni volta che ero ferito. La sua sola presenza era per me un conforto. Mi aveva dato una casa e una famiglia quando ero solo al mondo ed io lo amo molto più di quanto riuscirò mai a dire.

Volevo arrivare a casa in fretta e così presi una decisione della quale presto mi sarei pentito. Quando mi avvicinai al torrente che passa nella nostra terra, avrei dovuto attraversare il ponte di legno e continuare la strada verso casa. Ma non lo feci. Decisi di prendere una scorciatoia che costeggiava il torrente. Mi sarei risparmiato dieci minuti di pioggia ed il solo pensiero mi rendeva felice.

Ero sempre più bagnato ed infreddolito. Era una notte molto scura e la pioggia di certo non mi facilitava la vista. Era difficile riuscire a vedere dove stavo mettendo i piedi, ma conoscevo quella scorciatoia da anni anche se io e Bo non la usavamo più sin da quando avevamo iniziato ad andare in giro con la macchina. Di solito correvamo con il Generale e prendevamo ogni scorciatoia possibile pur di arrivare in tempo ogni qual volta eravamo in ritardo.

Il pensiero di Ellen e Bo insieme si riaffacciò alla mia mente nonostante tentassi costantemente di scacciarlo. Continuavo a vederli mentre si baciavano. Ricordavo bene come Bo avesse detto che qualunque ragazza da sempre preferiva lui a me. Aveva avuto ragione ed io ne stavo soffrendo. Tenevo molto ad Ellen anche se non le avevo mai detto di amarla. Evidentemente la cosa non l’aveva toccata più di tanto però. Avrei potuto sopportare di vederla con chiunque altro, ma non con Bo. Come avrei potuto perdonare un simile tradimento? Come aveva potuto farmi una cosa del genere Bo? Avrei dovuto essere arrabbiato, ma invece non lo ero. Ero ferito. Ero ferito così tanto da provare una stretta al cuore e un dolore alla bocca dello stomaco.

Ero distratto quando invece avrei dovuto fare molta attenzione a dove stavo andando. Inciampai su di una roccia causando alla mia caviglia una rotazione innaturale. Tentai di rimanere in equilibrio, ma caddi seduto nel fango. La mia situazione era peggiorata, se possibile avevo ancora più freddo. Tirai fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto per pulirmi gli occhi, chiedendomi cos’altro sarebbe potuto andare storto in quella giornata. Avrei avuto la risposta a breve.

La caviglia mi faceva male da impazzire. Non sapevo se fosse rotta, ma dalle fitte che avevo credevo lo fosse veramente. Sapevo che avrei dovuto alzarmi nonostante il dolore. Non potevo rimanere lì seduto sotto la pioggia per tutta la notte. Anche se avessi dovuto strisciare, dovevo tornare a casa. Tentai di rialzarmi poggiando il peso del mio corpo su una gamba sola. Quando provai a mettere a terra la caviglia infortunata, provai un dolore così acuto che persi di nuovo l’equilibrio e caddi all’indietro. Tentai di aggrapparmi a qualcosa, ma invece di fermarmi come speravo, sentii il mio corpo iniziare a scivolare. Cercai qualche appiglio, ma la velocità con la quale stavo cadendo aumentava sempre più. Iniziai a sentire dolore in diverse parti del corpo mentre continuava la mia discesa lungo le pendici del torrente. Tutto il fianco destro in particolare mi faceva male. Quando la mia spalla andò a sbattere contro un tronco, mi sentii come se qualcuno me l’avesse strappata via. La mia caduta si arrestò quando colpii una roccia con la testa. Un dolore accecante mi pervase prima che il buio mi inghiottisse completamente.

 

 

To be continued…

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Capitolo 6
*** Rimpianti ***



Capitolo sei: rimpianti

 

Bo

 

Dopo che Ellen se ne fu andata, aspettai nervosamente l’arrivo di Luke, ma la mia fu un’attesa vana. Forse era meglio così. Onestamente non avrei saputo cosa dirgli. Non volevo raccontargli cosa era accaduto ed avevo paura che in qualche modo sarebbe potuto uscir fuori tutto. Mi sentivo molto più che colpevole. Non riuscivo a credere di aver baciato veramente Ellen. Non so a cosa stessi pensando in quel momento. La risposta naturalmente è che non pensavo e basta. Luke aveva proprio ragione. Di solito faccio un sacco di cose impulsivamente senza prendermi il disturbo di riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. La maggior parte delle volte però non penso che siano cose sbagliate… la maggior parte delle volte, ma non quella volta.

Immaginai che Luke avesse deciso di rimanere a casa anche se non era da lui visto che aveva un appuntamento, o forse si era imbattuto in Ellen ed erano andati insieme da qualche parte. Sperai che lei non gli avesse detto niente. Sapevo che era sbagliato nascondergli una cosa del genere e sapevo che la mia era solo paura, ma se Luke avesse saputo cosa era accaduto, ne sarebbe rimasto ferito ed io non lo avrei sopportato. Sarebbe stato meglio se non avesse mai saputo niente.

Il Boar’s Nest era affollato e rumoroso. Volevo andarmene a casa, ma avevo paura di ritrovarmi faccia a faccia con zio Jesse. Non volevo dire a nessuno cosa avevo fatto e mio zio aveva sempre avuto il dono di tirarmi fuori tutto. Lo capiva sempre se c’era qualcosa che ci tormentava. Se ne rendeva conto ogni volta che non avevamo voglia di parlare e sapeva quando mentivamo, non che fossimo così avventati da nascondergli la verità, ma a volte è capitato che mentissimo addirittura a noi stessi e lui lo ha sempre capito. Zio Jesse è un uomo saggio e intuitivo. Gli basta guardarmi per ottenere tutto da me. Decisi di rimanere al Boar’s Nest fin tanto fossi stato certo che rientrando in casa lo avrei trovato addormentato.

Verso mezzanotte avevo aspettato abbastanza. Raggiunsi Daisy per augurarle la buonanotte. Mi guardò tristemente e mi disse: “immagino che Luke alla fine abbia deciso di non venire.”

“Già, lo penso anch’io.” Risposi. Quando vidi l’espressione inquieta del suo viso aggiunsi: “non preoccuparti tesoro. Aggiusteremo tutto domani mattina. Te lo prometto. Magari già stasera quando tornerò a casa.”

“Lo spero proprio!” Disse ancora. “Non sopporto di vedervi litigare e sai cosa pensa zio Jesse di un Duke che si mette contro un altro Duke. Sarà meglio che mettiate fine a questa storia prima che lo faccia lui.”

“Lo so, lo farò.” Risposi dandole un bacio su di una guancia. “Guida con prudenza tornando a casa, sta piovendo ancora.”

“Non ti preoccupare, ho tirato su la cappotta di Dixie! Starò attenta.”

Raggiunsi il Generale Lee e saltai al posto di guida. Guardai il sedile vuoto accanto a me ed in quel momento desiderai che Luke mi fosse vicino. Più passavano i minuti più ero determinato a far pace con lui. Cominciai di nuovo a ripensare a tutti gli avvenimenti di quella giornata. Dovetti ammettere che Luke aveva avuto ragione di essere così preoccupato per me proprio come io avevo avuto ragione di essere in collera con lui per le sue parole. Ad essere sincero inoltre, non riuscivo più a biasimarlo di essersi arrabbiato tanto per avermi aspettato tutto il pomeriggio mentre io ero in compagnia di Lisa.

Mi ero comportato male, ma era niente se paragonato a quel che avevo appena fatto. Non volevo più pensare a ciò che era successo con Ellen, ma non riuscivo a togliermelo dalla mente. Era stata una delle cose più stupide che avessi mai fatto in vita mia. Volevo solo che Luke vedesse Ellen in intimità con me. Ma non avevo pianificato quel bacio. Non so perché accadde, successe e basta. Grazie a Dio Luke non ci aveva visti. Ero arrabbiato con lui, ma non lo avrei mai fatto soffrire in quel modo volontariamente. Flirtare con Ellen era già stato abbastanza grave, ma averla baciata era imperdonabile.

Quando giunsi a casa, mi accorsi che tutte le luci erano già spente ad eccezione di quella sotto il portico e di una piccola lampada in cucina che zio Jesse teneva sempre accesa per noi. Mi chiesi se Luke fosse già rientrato e nel caso lo avessi trovato addormentato, lo avrei svegliato. Entrai adagio nella nostra stanza. Luke non c’era. Mi convinsi che doveva aver incontrato Ellen. Non saprei dire se ero contrariato o sollevato, probabilmente un po’ di entrambi. Pensai che sarebbe stato meglio aspettare fino all’indomani per parlare con lui e scusarmi.

Ero stanco morto. Mi spogliai e mi infilai sotto le coperte. Il vento e la pioggia battevano contro la finestra ed io mi ritrovai ad esser grato a Dio di ritrovarmi dentro il mio letto caldo. Mi girai e rigirai per un po’ rivivendo ancora quella giornata nella mia testa. Il litigio ci poteva anche stare; io e Luke discutevamo spesso. Penso sia inevitabile quando vivi con qualcuno ed hai un rapporto così forte e stretto come quello che abbiamo noi. Ma quello che mi pesava come un macigno sulla coscienza era ciò che avevo fatto con Ellen. Non c’erano scuse. Più ci pensavo, peggio mi sentivo. Era un tradimento puro e semplice. Avrei fatto qualunque cosa per sistemare tutto con Luke. Tentai di aspettarlo, ma ero esausto e presto mi addormentai. Quando riaprii gli occhi era mattina.

 

To be continued…

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Capitolo 7
*** Perso e solo ***


Carissime Manzo e LadyBlck è davvero una gioia immensa sia per me che per Gia August, sapere che questa storia vi stia piacendo tanto. Vi ringrazio entrambe per i complimenti che avete rivolto a me, ma vi assicuro che se la mia traduzione sta riuscendo bene è solo perché l’autrice è stata impeccabile nella stesura della storia originale.

Grazie di cuore per il tempo che ci dedicate!

 

 

Capitolo sette: perso e solo

 

Luke

 

Il sibilo forte e mesto che sentivo tutto attorno a me, mi costrinse ad uscire dall’oscurità. Era un suono triste; sembrava stesse cercando qualcuno che si era perso. Non riuscivo a capire cosa fosse né da dove arrivasse. Non volevo aprire gli occhi, ma quel rumore non si fermava. Lentamente mi sforzai di aprirli. Non riuscivo a formulare alcun pensiero logico. Non desideravo altro che tornarmene nelle tenebre e nel mio torpore. Tutto ciò di cui avevo coscienza era il buio, la pioggia ed il freddo. Tornai lucido in breve tempo ed immediatamente si palesò un fastidioso dolore alla testa. Chiusi di nuovo gli occhi tentando di fuggire a tutta la sofferenza fisica che mi attanagliava il corpo. Mi faceva male tutto. Volevo tornare a quel sonno insensibile dal quale mi ero appena svegliato, ma il mio istinto mi diceva che sarebbe stato meglio spalancare gli occhi e cercare di realizzare cosa fosse accaduto.

Tentai di ignorare il dolore alla testa. Ascoltai quel pianto triste che mi aveva svegliato e mi resi conto che si trattava del vento. Non riuscivo a capire niente. Ero sdraiato di schiena, a terra. Perché non ero nel mio letto? Riuscivo a vedere il cielo attraverso il rami spogli degli alberi. Non ero in casa chiaramente. Nubi scure si muovevano rapidamente sopra di me rivelando qualche stella di tanto in tanto.

Tentai di alzarmi, ma mi accorsi ben presto che era stata una brutta idea. Un dolore feroce mi invase il petto. Non riuscivo a muovere il braccio destro a causa dello spasimo atroce che proveniva dalla spalla. Mi faceva male la caviglia se tentavo di muovere la gamba. Caddi all’indietro e presi un gran respiro. Un’altra brutta idea. Il petto mi fece ancor più male. Iniziai a tossire portando la soglia del dolore ad un livello più alto.

Cercai di rimanere calmo, ma avevo difficoltà a respirare. Non dovevo farmi prendere dal panico. Dovevo pensare razionalmente. Tentai di rallentare la respirazione per alleviare il dolore al petto. Ero spaventato. Non sapevo dov’ero e non sapevo cosa mi era successo.

Come prima cosa tentai di fare un piccolo inventario di tutti i punti doloranti del mio corpo. Non sapevo come mi ero procurato tutte quelle ferite, sapevo solo che facevano male. Mi passai una mano su tutto il fianco destro. Era terribilmente indolenzito. Probabilmente avevo un paio di costole rotte. Sperai non avessero perforato i polmoni, ma era piuttosto probabile considerata la fatica che facevo a respirare. A giudicare dal dolore che avevo alla spalla, di sicuro era slogata. Non potevo muovere il braccio. Non sapevo se la caviglia fosse rotta, ma non faceva differenza perché in ogni caso non avrei potuto poggiarci sopra il mio peso. Mi accorsi di avere un taglio profondo sulla fronte e quella era la sorgente del dolore alla testa. Stava sanguinando. Sentivo male ovunque. Non era una buona cosa.

Era buio, ero bagnato ed avevo freddo. Ero sdraiato di schiena e stavo soffrendo. Quelle erano le uniche cose di cui ero certo. Non sapevo dov’ero e non sapevo come ci ero arrivato. Per un momento pensai addirittura di essere in Vietnam, ma scartai subito l’idea perché non faceva così freddo laggiù. Dovevo essere vicino a casa, ma non riuscivo a riconoscere il posto.

Decisi che la cosa migliore da fare era chiudere gli occhi e riposare. Non potevo fare nient’altro. All’improvviso il volto di Bo riempì la mia mente causandomi una nuova ondata di panico. Ero stato vittima di un incidente? Bo era con me? Anche lui era rimasto ferito?

Dischiusi di nuovo gli occhi e mi guardai intorno cercando tracce che rivelassero la sua presenza o quella del Generale Lee. Non riuscivo a vedere molto con tutto quel buio. Tentai di chiamare il suo nome, ma tutto ciò che uscì fuori fu un sussurro. Mi faceva male il petto, ma non mi arresi e provai di nuovo. Chiamai ancora riuscendo a trovare un tono un po’ più alto di voce: “Bo, ci sei?”

Rimasi in ascolto attentamente, ma tutto quello che riuscii a sentire fu il sibilo del vento che, come quando mi aveva svegliato, sembrava stesse ancora cercando qualcuno che si era perso. Io mi ero perso. Ero solo. Pregai che qualcuno mi stesse già cercando. Implorai che qualunque cosa mi fosse accaduta, fosse accaduta soltanto a me.

 

To be continued…

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Capitolo 8
*** Confessioni ***


Capitolo otto: confessioni

 

Bo

 

Fui svegliato il mattino seguente dall’aroma del caffè. Zio Jesse e Daisy erano già in cucina a preparare la colazione. Guardai il letto di Luke e fui sorpreso di trovarlo vuoto e già rifatto. Evidentemente si era svegliato molto presto. Ero dispiaciuto perché volevo parlare con lui da solo. Mi chiesi se per caso volesse evitarmi. Saltai giù dal letto e mi vestii in fretta. Con un po’ di fortuna avremmo potuto parlare durante i lavori mattutini.

Entrato in cucina, vidi Daisy ai fornelli intenta a far saltare le frittelle mentre zio Jesse sedeva al tavolo sorseggiando del caffé. Rimasi nuovamente amareggiato quando mi accorsi che Luke non c’era. Forse era già andato nel granaio.

“Buongiorno!” Dissi dando una lieve pacca sulla schiena di zio Jesse. Andai poi verso Daisy e le cinsi la vita con un braccio.

“Buongiorno tesoro!” Rispose mia cugina con un sorriso.

Quando mi diressi verso la porta, mio zio mi intimò di fermarmi: “siediti e mangia qualcosa Bo. E’ quasi pronto. I lavori possono attendere un po’.”

“Voglio aiutare Luke!”

“E’ bello che tu dica questo!” Disse zio Jesse con un sorriso carico di approvazione. “Sono felice di sapere che voi ragazzi avete fatto pace ieri sera.”

Non volevo deludere mio zio, ma dovevo dirgli la verità: “veramente non abbiamo ancora fatto pace, zio Jesse. Non parlo con Luke da ieri pomeriggio. Mi è mancata l'occasione, ma oggi ho intenzione di scusarmi con lui.”

“Questa si che è bella!” rispose. “Anche Luke ieri sera, quando l’ho accompagnato al Boar’s Nest,  voleva scusarsi con te. Non è che avete litigato di nuovo?”

“Nossignore! Non abbiamo litigato. Te l’ho detto, non ci siamo visti ieri sera.”

“So che quel locale era pieno zeppo, ma com’è possibile che non vi siate visti? Chiese con tono severo.

“Forse ha incontrato Ellen e sono andati da qualche altra parte.” Risposi.

“Voi due avete bisogno di mettervi seduti qui, adesso e porgervi le scuse l’un l’altro.” Disse ancora zio Jesse in modo piuttosto brusco. “Non passeremo un’altra giornata come quella di ieri. In un modo o nell’altro chiuderò io questa storia se non sarete in grado di farlo voi.”

Sorrisi: “non ti preoccupare zio Jesse. Luke non è il solo a doversi scusare, devo farlo anch’io.”

Zio Jesse mi sorrise di rimando: “bene.”

“Vado da Luke!” Dissi dirigendomi nuovamente verso la porta.

Daisy mi fermò: “dove stai andando tesoro?”

“Da Luke, nel granaio.”

“Non lo troverai di fuori. Scusa, ma non è ancora a letto?”

Negai con il capo: “in camera non c’è… adesso che ci penso, sembrerebbe proprio che stanotte non sia rientrato affatto.”

“Mi stai dicendo che non è tornato a casa questa notte?” Si intromise zio Jesse. Di sicuro quell’informazione non era di suo gradimento.

“Così sembra.” Risposi con voce bassa.

“Voi due mi farete venire un infarto prima o poi!” Farfugliò contrariato.

Per la seconda volta in due giorni, sembrava che zio Jesse non sapesse decidere se essere arrabbiato o preoccupato. Non importava quanto tardi fosse o chi avremmo svegliato, ci aveva sempre detto di chiamare se per un qualsiasi motivo non rientravamo in casa per la notte. Non c’erano scuse o attenuanti. Luke lo sapeva bene quanto me e non era da lui un comportamento del genere.

“Forse è semplicemente rimasto fuori per insegnarmi una lezione considerato che io ieri ho dimenticato di andarlo a riprendere da Cooter. Forse vuole solo farmi capire che cosa significa essere preoccupati.” Dissi in sua discolpa.

Zio Jesse scosse il capo: “se è davvero così, sarò io ad insegnargli una lezione quando tornerà a casa.”

“Zio Jesse, lo sai che Luke non farebbe mai una cosa del genere, non di proposito.” Tentò ancora Daisy in suo favore.

Iniziai a provare una brutta sensazione. Non gradivo molto non sapere dove fosse Luke. Quando guardai zio Jesse e Daisy, mi resi conto di quanto fossero preoccupati; nonostante tutto però nessuno diede voce alle proprie ansie per paura che, una volta esternate, sarebbero divenute reali. Luke avrebbe fatto bene a trovarsi una scusa valida tornando alla fattoria. Neanche io sapevo se dovevo essere arrabbiato o preoccupato. Volevo propendere per la rabbia, ma quella brutta sensazione ormai mi aveva completamente avvolto. Decisi che sarei andato a cercarlo e lo avrei riportato a casa.

“Devo trovarlo.” Dissi guadagnando la porta d’ingresso.

Zio Jesse mi afferrò per un braccio: “calmati ora Bo. Forse è troppo presto per allarmarsi. E’ possibile che abbia trascorso la notte da qualche altra parte. E’ un uomo adulto e vaccinato. Non mi piace pensare che non abbia avvisato, ma può darsi che se ne sia semplicemente dimenticato. Dobbiamo affrontare questa situazione con razionalità. Prima di tutto, Daisy, chiama Ellen e chiedile se Luke è rimasto con lei stanotte. Per quel che ne sappiamo, è possibile che siano ancora insieme.”

Zio Jesse è sempre stato un uomo realistico. Aveva ragione. Dovevamo prima di tutto cercare nei luoghi probabili. Daisy si avvicinò al telefono. Ascoltai ansiosamente la telefonata.

“Buongiorno Ellen. Sono Daisy Duke. Mi dispiace averti svegliata.” Fece una pausa e ascoltò la risposta di Ellen.

“Ho bisogno di chiederti una cosa…” Vidi Daisy arrossire prima di proseguire: “Luke è lì con te?”

Rimase in silenzio un po’ più a lungo. Non mi piacque affatto l’espressione che vidi disegnarsi sul suo volto. Salutò Ellen e poi disse: “non ha visto Luke ieri sera. Dovevano incontrarsi, ma lui era in ritardo e lei se n’è andata via prima perché non si sentiva bene. In effetti non l’ho visto neanche io al Boar’s Nest. E' mai possibile che tu non lo abbia mai incrociato, Bo?”

“No.” Risposi semplicemente.

“E’ impossibile!” Disse zio Jesse. Il Boar’s Nest è esattamente il luogo dove l’ho lasciato. L’ho visto avviarsi verso l’entrata. Dove potrebbe essere andato? Tutto questo non ha senso.”

“Il locale era affollato ieri sera.” Continuò Daisy. “E’ possibile che sia entrato ed io non l'abbia visto, ma se ci fosse stato, prima o poi sarebbe venuto da me.”

Zio Jesse e Daisy erano realmente angosciati. Se Luke non aveva incontrato Ellen, doveva per forza essere entrato per poi uscire prima che io o Daisy avessimo potuto vederlo. Un terribile sospetto mi investì con la potenza di un TIR. Ad un tratto sapevo esattamente cos’era successo. Pregai di avere torto, ma era l’unica spiegazione possibile. Luke era entrato ed aveva visto Ellen e me. Ci aveva visti mentre ci baciavamo e poi era andato via.

“Oddio!” Sussurrai.

“Che c’è?” Chiese Daisy ansiosamente.

Fissai lo sguardo tra mio zio e mia cugina incapace di ammettere perfino a me stesso ciò che avevo fatto. Zio Jesse mi guardò dritto in faccia e disse: “parla ragazzo!”

Dovevano sapere la verità anche se io me ne vergognavo. Guardai in basso e dissi: “ho fatto una cosa stupida ieri sera.”

Zio Jesse mi fissò con uno dei suoi soliti sguardi: “che cosa hai fatto Bo?”

“Ero così arrabbiato con Luke per le cose che aveva detto, che volevo vendicarmi di lui.”

Quando mi arrestai perché trovavo difficile proseguire, zio Jesse incalzò di nuovo: “che cosa hai fatto Bo?”

Sospirai. “Luke ha detto delle cose che mi hanno terribilmente infastidito. Praticamente mi ha definito un bel ragazzo senza cervello. Gli ho risposto che parlava così solo perché invidioso e consapevole che qualunque ragazza avrebbe preferito me a lui.”

Istintivamente Daisy realizzò dove sarei andato a parare. Mi guardò tristemente: “Oh Bo, dimmi che non l’hai fatto!”

Mi presi la testa tra le mani: “l’ho fatto invece.”

Seccato, mio zio sbraitò: “hai fatto cosa?”

Esitai un attimo, ma poi ammisi: “ho flirtato con Ellen.”

“CHE COSA?” Zio Jesse era scioccato: “come hai potuto fare una cosa del genere a Luke?”

“Non lo so.” Mi limitai a rispondere. “Ma non è tutto, c’è dell’altro.”

A quel punto fu Daisy a guardarmi con aria interrogativa: “che altro hai fatto Bo?”

“Ci siamo baciati.” Bisbigliai.

Zio Jesse e Daisy sembrarono storditi e di sicuro lo erano.

“Se questa non le batte tutte… bene Bo, ti sei vendicato di Luke. Spero che adesso tu ti senta meglio.” Disse mio zio con disgusto.

“Zio Jesse, niente potrebbe farmi sentire peggio di come mi sento già. Mi sono reso conto subito che stavo facendo una cosa sbagliata. E’ stato un errore enorme. Ellen si è sentita esattamente come me.”

“E allora perché l’hai fatto?” mi chiese ancora intenzionato com’era a non lasciar correre.

“Tutto quello che so è che ero arrabbiato con Luke. Ha sempre pensato di essere tanto più intelligente di me.” Imbarazzato continuai: “quel che ha detto, mi aveva ferito ed io volevo ferire lui.”

“Hai avuto successo, complimenti.” Ribadì ancora.

“Se Luke ci ha visti, non oso immaginare come possa esserci rimasto. Non ho parole per dirvi quanto io sia dispiaciuto.”

“E’ con Luke che ti devi scusare.”

“Lo farò non appena lo troverò.” Risposi con determinazione. “Non mi importa quanto è arrabbiato con me. Lo trascinerò a casa di peso se sarà necessario.”

“Forse ha bisogno di rimanere da solo per un po’, ma avrebbe dovuto chiamare comunque.” Disse zio Jesse. “Non ci sono scuse, ma credo fosse troppo sconvolto. Voglio sapere dov’è finito. Daisy chiama tutti coloro che potevano essere ieri sera al Boar’s Nest. Inizia da Cooter. Forse Luke si è fatto ospitare da lui. Rimani vicino al telefono in caso Luke o qualcun altro chiami. Io e Bo usciamo, chiederemo notizie in giro. Rimani con le orecchie aperte e chiama se sai qualche novità.”

Una volta fuori zio Jesse mi disse: “Vai da Rosco. Chiedigli se ha visto Luke ieri sera. Non ho molte speranze, di solito Rosco ha almeno la decenza di avvisare quando vi arresta, ma controlla lo stesso. Io andrò al Tri-County Hospital.”

“Pensi che Luke possa essere in ospedale?” Chiesi in preda all’ansia.

“Calmati Bo!” Mi disse carezzandomi delicatamente la schiena. “Devo controllare anche là. Devo essere sicuro non sia rimasto coinvolto in un incidente o in qualcosa di peggio.”

Non mi piacque molto quel “qualcosa di peggio”, ma non avevo voce per fare altre domande. Sapevo che mio zio avrebbe fatto il necessario. Speravo tuttavia non fosse toccato a lui ritrovare Luke.

Zio Jesse si rese conto di quanto fossi in pena e nonostante lo avessi deluso con il mio comportamento, mi strinse nel suo abbraccio. “Non ti preoccupare, lo troveremo e lo riporteremo a casa. Farete pace e si sistemerà tutto.”

Apprezzai molto l’ottimismo e il perdono di mio zio. Raggiunse il suo pick-up bianco, mentre io saltai nel Generale Lee. Lo guardai immettersi sulla strada principale. Io decisi di prendere quella che passava dietro la fattoria. Avrei fatto prima. Mi guardai attorno attentamente, ma non notai alcun segno di Luke sulla mia strada per Hazzard.

 

To be continued…

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Capitolo 9
*** Situazione disperata ***


A quanto pare sta diventando una piacevolissima abitudine per me quella di iniziare i capitoli ringraziando le mie impagabili commentatrici. Mi riferisco a LadyBlack, a Manzo e a Maria che ha aggiunto la sua voce di recente. Io e Gia August ci auguriamo di cuore che abbiate la voglia e la curiosità di seguirci fino alla fine.

Grazie ancora ragazze per le vostre parole e per i complimenti che ci rivolgete!

 

 

Capitolo nove: situazione disperata

 

Luke

 

Un forte e costante martellio mi svegliò. Ci misi un po’ per realizzare che quel rumore era solo nella mia testa. Quando aprii gli occhi, la luce del sole incrementò il dolore che stavo già provando. Non riuscivo a pensare razionalmente. Provai una fitta alla spalla quando tentai di muovermi. Non che sapessi dove fossi o come ci fossi arrivato, ma il ricordo di cosa mi fosse accaduto tornò improvvisamente.

Il sole era ormai alto ed io avevo finalmente una buona visione di quel che mi circondava. Ero sdraiato al suolo su di un letto di fango e foglie. C’erano lastre di ghiaccio disseminate ovunque e neve residua che non si era ancora sciolta dalla bufera che ci aveva colpiti due settimane prima. Il torrente era alla mia destra. Sopra di me c’era una strada che mi sembrava vagamente familiare. In qualche modo dovevo essere caduto. Era l’unica spiegazione che avesse un minimo di senso logico. Dovevo ritenermi fortunato di non esser precipitato direttamente nel torrente, probabilmente un albero aveva arrestato la mia discesa. Almeno non pioveva più ed un sole caldo riempiva il cielo. Non avrei beneficiato molto dei suoi raggi in fondo a quella scarpata, ma ogni piccola goccia di sole mi avrebbe aiutato ad asciugarmi più in fretta. Non penso di aver mai avuto così freddo in tutta la mia vita.

Considerando non sapessi esattamente dove fossi o come ci fossi arrivato, non pensavo affatto che qualcuno mi avrebbe trovato tanto presto. Ero solo con me stesso. Avevo bisogno di andarmene di là. Per prima cosa guardai verso la strada e calcolai che distava da me circa venti o trenta metri, ma per me equivalevano a un centinaio di miglia. In un giorno qualunque con un salto solo magari avrei potuto ricoprire quella distanza, ma quello non era un giorno qualunque. Non ero in condizione di muovermi, figuriamoci di saltare.

L’altra mia alternativa era quella di raggiungere il torrente. Non sembrava molto profondo, la corrente tuttavia era forte e riuscivo a vedere molte rocce affiorare sul pelo dell’acqua. Sarebbero state ostacoli molto grandi da superare. Non era una condizione ottimale, ma tra le due era la migliore. Era la mia unica possibilità, l’unica speranza che avessi di tornare a casa o almeno lo sarebbe stata se avessi potuto alzarmi ed io non ero sicuro che ne sarei stato in grado. Non ero neanche certo sarei riuscito a mettermi seduto.

Raccolsi tutte le energie che avevo e provai a sollevarmi da terra. Riuscii soltanto a far forza su di un braccio, ma ci misi tutto quello che avevo. Mi arrestai di colpo quando un dolore intenso mi invase il petto. Iniziai a tossire e feci fatica a ritrovare il respiro. Quando finalmente smisi di tossire, mi passai la manica della giacca sulla bocca. Quello che vidi mi spaventò. C’era del sangue. Avevo tossito sangue. Tentai di non farmi cogliere dal panico dicendomi che potevano esserci decine di ragioni che avrebbero spiegato la presenza del sangue. Nessuna ragione era buona, ma alcune erano meglio di altre. Come se non bastasse inoltre, a causa del movimento, iniziai a sentire una nausea crescente.

Avevo un bisogno disperato di un dottore. Provai di nuovo a mettermi seduto ignorando il dolore e la nausea. Quando finalmente fui seduto, mi poggiai con la schiena contro un albero e tentai di calmare il mio respiro affannoso, ma facevo fatica. Il dolore al fianco destro era acuto e persistente. Avevo speso tutto quello che avevo per alzarmi. La caviglia mi faceva male ogni volta che muovevo la gamba. Non sarei stato in grado di camminarci neanche se quella fosse stata l’unica parte infortunata del mio corpo e non potevo andare carponi per via della spalla dislocata.

Le mie condizioni non erano affatto buone. Il mio cuore iniziò a battere più forte causandomi una nuova fitta al petto. Respirare stava diventando sempre più difficile e fu allora che realizzai di essere in una situazione disperata. Cercavo di persuadermi che il panico non mi sarebbe stato di nessun aiuto. Riaffiorò nei miei pensieri l’addestramento a cui ero stato sottoposto nel corpo dei Marines e pian piano riuscii a calmare il respiro. Dovevo cominciare a pensare lucidamente se volevo abbandonare quel posto.

Mi ero rassegnato al fatto non potessi alzarmi, almeno non per il momento. Forse avrei riacquistato un po’ di energie se mi fossi riposato, non che avessi fatto qualcos’altro dopo la caduta se non riposare. Avevo bisogno d’aiuto. Avevo bisogno della mia famiglia. Probabilmente avevano già scoperto che non ero tornato a casa la notte precedente, almeno era quello che speravo. Non ne ero certo però. Forse mi stavano già cercando. L’unico problema era che non sapevano dove fossi. Cavolo non lo sapevo neanche io.

Ero certo però che semmai qualcuno fosse stato in grado di trovarmi, quello sarebbe stato Bo. Abbiamo sempre avuto una sorta di connessione psichica che va aldilà di ogni ragionevole spiegazione. Pregai di non aver danneggiato quella connessione. Avevo paura che Bo fosse ancora arrabbiato con me e che non gli interessasse sapere che fine avessi fatto dopo la litigata che avevamo avuto il giorno prima… almeno credevo fosse accaduto tutto il giorno prima. Se realmente a Bo non interessava più niente di me, era solo colpa mia. Avergli detto che non era un ragazzo intelligente era stato davvero un colpo basso e soprattutto non era vero, semplicemente a volte agisce prima di pensare. E’ un impulsivo puro e semplice.

La litigata mi tornò in mente con tutti i suoi antipatici dettagli. Mi sentii come messo a nudo ricordando di come Bo mi avesse accusato di essere geloso di lui. Chiaramente avevo negato, ma iniziai a chiedermi se ci fosse del vero nelle sue parole. Non avevo molto altro da fare eccetto che pensare. Le cose che mi aveva detto riguardo zia Martha mi riportarono con la mente a quando eravamo piccoli. Bo aveva sempre avuto molte più attenzioni di me. Allora pensavo dipendesse dal fatto che era il più piccolo dei tre. Anche Daisy aveva sempre avuto più considerazione di me, ma forse perché era l’unica femmina. Io ho sempre cercato di essere indipendente. In quanto il maggiore dei tre, ho sempre pensato fosse una mia responsabilità. Mi prendevo cura dei miei cugini più piccoli e di me stesso e riuscivo anche ad aiutare zio Jesse nel mandare avanti la fattoria. Il prezzo da pagare per la mia indipendenza erano state minori attenzioni da parte di mio zio e di mia zia.

Quello che più mi aveva ferito era stato sentir dire a Bo che zia Martha aveva amato lui molto più di me. Sapevo che non aveva detto esattamente quelle parole, ma il senso più o meno era lo stesso. Non sapevo se fosse vero oppure no. Zio Jesse e zia Martha ci avevano presi con loro e ci avevano dato una casa quando eravamo rimasti soli al mondo, ma soprattutto ci avevano dato una famiglia. Nessuno li aveva obbligati, ma lo avevano comunque fatto. Non eravamo loro figli naturali e qualche volta mi sono chiesto se amassero Bo e Daisy più di quanto potessero amare me. La maggior parte delle volte però mi dicevo che erano solo mie ansie e supposizioni. Crescendo ho cominciato a pormi quella domanda soltanto nei momenti in cui le mie insicurezze infantili riaffioravano per un qualsiasi motivo. Le parole di Bo avevano fatto tornare a galla quel dubbio.

Pensare tanto mi stava causando un dolore ancora più acuto alla testa. Dovevo liberare la mente e pensare ad un modo per andarmene da lì. Di solito avevo sempre un piano per tirarmi fuori dai guai, ma in quell’occasione non riuscivo ad essere razionale. Non riuscivo neanche a ricordare cosa fosse accaduto dopo che io e Bo avevamo litigato. Mi sollevai un po’ di più trovando una posizione leggermente più comoda contro l’albero e riuscii a respirare meglio. Stavo combattendo contro me stesso per rimanere sveglio, ma non mi ero mai sentito così stanco in tutta la mia vita. Sapevo che non mi sarei dovuto addormentare e avrei dovuto chiedere aiuto semmai qualcuno si fosse avvicinato… sempre che a qualcuno interessasse trovarmi. Probabilmente avevo una commozione cerebrale e quello era un altro motivo per rimanere sveglio. Ma non potevo più oppormi. Mi arresi e chiusi gli occhi scivolando in un sonno dal quale non sapevo se mi sarei mai risvegliato.

 

To be continued…

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Capitolo 10
*** Ricerche ***


Capitolo dieci: ricerche

 

Bo

 

Non riuscii a trovare nessuno che avesse visto Luke dopo che ebbe lasciato il Boar’s Nest la sera precedente. Cooter lo aveva incrociato di sfuggita al bancone e gli aveva indicato dove trovare sia me che Ellen. I miei sospetti erano confermati. Seppi per certo che Luke ci aveva visti insieme e poi se n’era andato via. Era la sola spiegazione logica. Cooter da allora non lo aveva più visto. Era come se fosse scomparso dalla faccia della terra. Immaginavo che fosse arrabbiato e ferito per quel che io ed Ellen gli avevamo fatto. Quando era un bambino faceva fatica a controllare il suo temperamento aggressivo, era capitato a volte che avesse scambiato la mia testa per una palla e mi avesse colpito con una mazza da baseball. Forse era talmente furioso che aveva bisogno di rimanere da solo per sbollire la rabbia. Era possibile, ma non era da lui. Era in collera con me, ma non avrebbe mai fatto preoccupare in quel modo zio Jesse. Lo avrebbe chiamato di certo per fargli sapere che stava bene. Ero sempre più sicuro che Luke fosse finito in qualche guaio. E aveva bisogno di me.

Cercai in ogni luogo dove pensai Luke sarebbe potuto andare e cercai anche nei posti dove pensavo non lo avrei mai trovato. Non era in prigione. Non era con Cooter. Non era con Ellen. Non era in ospedale e in nessuna delle nostre vecchie distillerie. Né zio Jesse né Daisy avevano trovato tracce di lui. Sembrava fosse stato inghiottito dalla terra. Non aveva una macchina e quindi non poteva essere andato lontano. Doveva trovarsi da qualche parte ad Hazzard. Dovevo solo scoprire dove.

Luke aveva ogni ragione per essere arrabbiato. Non riuscivo ancora a credere di aver fatto ciò che realmente avevo fatto. Volevo soltanto dimostrargli che avevo ragione. Avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per far pace con lui non appena lo avessi trovato. Tuttavia se stava bene, e pregavo in continuazione che stesse bene, lo avrei prima ucciso con le mie mani per avermi fatto passare un’ansia del genere e poi mi sarei scusato con lui.

Era buio quando tornai alla fattoria. Né zio Jesse né Daisy avevano novità. Nessuno aveva visto Luke la sera precedente. Riuscivo a vedere l'angoscia impressa sul volto di mio zio il quale però tentava comunque di rimanere ottimista. Daisy stava facendo del suo meglio tenendo duro sia per lei che per zio Jesse, ma il suo era uno sforzo enorme. Era vicina alle lacrime. Finimmo tutti e tre per abbracciarci e farci forza a vicenda. Zio Jesse suggerì di andare a letto e riposarci, avremmo ripreso le ricerche l’indomani. Magari la notte ci avrebbe portato consiglio e ci sarebbe venuta qualche nuova idea su dove poter cercare Luke. Forse ci saremmo svegliati e lo avremmo trovato a casa.

Dopo che zio Jesse e Daisy si furono ritirati per la notte, afferrai un giacchetto ed uscii all’aria aperta. Camminai su e giù per il portico per un po’ prima di sedermi sul dondolo. Mentre me ne stavo lì seduto al buio, quella brutta sensazione che avevo provato di mattina tornò prepotentemente. Sapevo che Luke era nei guai ed aveva bisogno di me. Sentii che doveva essere da qualche parte vicino alla fattoria e lo immaginai chiedersi perché mai io non fossi con lui.

“Ti troverò Luke. Resisti, sarò presto da te…” Sussurrai.

Per non so quale ragione, non avevo voglia di andare a letto. Per qualche strano motivo mi sentivo vicino a Luke là fuori sotto il portico. Se avessi potuto avrei dato qualsiasi cosa per poter cambiare quel che era accaduto. Ero più che mai determinato a ritrovarlo.

L’indomani.

L’indomani lo avrei ritrovato.

Quella notte mi addormentai sul dondolo del portico.

 

To be continued…

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Capitolo 11
*** Una devastante verità ***


Carissime LadyBlack, Maria e Manzo,

i vostri commenti sono per me un’autentica iniezione di fiducia e di ottimismo. Non ho parole per ringraziarvi del tempo che state dedicando sia a me che a Gia August.

Se potessi aggiornerei questa storia ogni giorno, ma purtroppo non sempre riesco a ritagliarmi uno spazio tra lavoro e famiglia. Vi assicuro però che il capitolo che aspettate con ansia  sta arrivando, è molto più vicino di quanto crediate e la vostra attesa, sono sicura, sarà ampiamente ripagata. Ringraziandovi di nuovo, vi lascio alla lettura dell’undicesimo capitolo.

 

 

Capitolo undici: una devastante verità

 

Luke

 

Era sera quando mi risvegliai. Il sole era ormai un ricordo ed il buio incombeva. Avrei passato un’altra notte da solo. Ero gravemente ferito. Stavo cominciando a perdere sensibilità alle dita e non riuscivo a smettere di tremare. Desiderai che anche il resto del mio corpo diventasse insensibile, ma sapevo che non sarebbe stato un bene se fosse accaduto realmente. La testa mi faceva male e rimanere immobile, non mi aiutava più a lenire alcun dolore. Persino respirare stava diventando sempre più doloroso e quella era la cosa che più mi spaventava. Tentai di smettere di tossire perché ogni volta era come sentire un coltello che mi trafiggeva il petto, ma non ci riuscivo. Avevo bisogno di aiuto. Pregavo continuamente che zio Jesse, Daisy e Bo mi stessero cercando, implorando affinché mi potessero trovare al più presto. Non sapevo quanto ancora avrei resistito.

Cominciai di nuovo a pensare a Bo. Ero certo che lui in qualche modo sarebbe riuscito a trovarmi. Contavo su mio cugino. Avevo bisogno di lui come mai nella mia vita.

I miei pensieri tornarono ancora alla nostra litigata. Sperai ardentemente che mi fosse data la possibilità di scusarmi con lui. Rimpiansi profondamente tutto quel che gli avevo detto ed il dolore che gli avevo causato. Ormai sapevo che non mi aveva fatto preoccupare tanto di proposito. Non ha mai fatto niente di male intenzionalmente. E’ semplicemente un impulsivo. Dice spesso che l’impulsività è una buona qualità e forse ha ragione. Io devo sempre pensare prima di agire e, una volta presa una decisione, mi prendo del tempo e rifletto ancora. Il mio mondo ha diverse sfumature di grigio, mentre quello di Bo è bianco o nero. Molte volte ho desiderato essere come lui ed agire d’istinto. Le uniche volte in cui riesco a farlo davvero, di solito, finisco in qualche guaio per seguirlo. Fa sempre di testa sua ignorando i miei avvertimenti. Mi è sempre piaciuto pensare che in un certo senso ci compensiamo a vicenda. Di tanto in tanto io riesco a fermarlo e a farlo riflettere così come lui una volta ogni tanto, riesce a farmi agire senza pensare.

Non avevo più voglia di pensare, ma non riuscivo a smettere. C’era qualcosa nella mia mente che non riuscivo ad afferrare, qualcosa che scalpitava per uscir fuori, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Vidi poi i volti di Bo e di Ellen e provai una spiacevole sensazione. Era come voler vedere qualcosa attraverso la nebbia e più mi avvicinavo, più la verità si allontanava. Non riuscivo ad afferrarla. Sapevo che la sera precedente dovevo incontrare Ellen, ma non ricordavo affatto di esser stato insieme a lei. Zio Jesse mi aveva accompagnato al Boar’s Nest perché ero senza macchina. Il Generale Lee lo aveva Bo. Scartai l’ipotesi di aver avuto dunque un incidente. Ma ero andato al Boar’s Nest, ne ero ormai convinto. Avevo un vago ricordo di Cooter seduto al bancone, mentre cercavo Bo ed Ellen. Lo sforzo che stavo facendo per tentate di capire cosa fosse accaduto, peggiorò le condizioni della mia testa e la nausea aumentò. Stavo sempre peggio.

Tuttavia continuai, dovevo sapere. Avevo bisogno di ricordare cosa mi era successo. Mi concentrai sul Boar’s Nest e mi focalizzai sul breve scambio di battute che avevo avuto con Cooter. Quello era l’ultimo ricordo chiaro che avevo. Una sgradevole immagine stava prendendo forma nella mia mente, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Vedevo Ellen e Bo seduti vicini. Non c’era niente di male, ma iniziai lo stesso ad agitarmi. Quell’immagine poi divenne improvvisamente nitida. Chiusi gli occhi tentando di scacciarla, ma tornò indietro. Vidi Bo baciare una ragazza. Lo vidi scostarsi da lei rivelando il volto di Ellen. Avevo visto Bo ed Ellen baciarsi… era quella la devastante verità che non riuscivo ad afferrare.

All’improvviso riaffiorò tutto quanto. Ricordai di aver visto mio cugino e la mia ragazza baciarsi. Non avevo saputo cosa pensare o casa fare, ero rimasto a fissarli per un po’ e poi me ne ero andato via senza affrontarli. Non potevo. Volevo solo andare a casa. Avevo cominciato a camminare sotto la pioggia quando la signora Jacobson si era fermata e mi aveva offerto un passaggio. Mi aveva lasciato sulla Little Creek Road. Era quello il mio ultimo ricordo, ma almeno avevo capito dove mi trovavo. Ero nella nostra terra. Sicuramente avevo preso qualche scorciatoia lungo il ponte ed ero caduto. Ero così vicino a casa.

Mi rammaricai di aver ricordato tutto. Iniziai a sentirmi peggio. Il mio cuore ne uscì distrutto come il resto del mio corpo. Tentai di scacciare quelle immagini, ma sembrava non volessero altro che abitare la mia mente. Non potevo più fermarle ormai. Non avevo mai pensato all’eventualità che Ellen volesse Bo. Ero convinto che tenesse a me almeno quanto io tenevo a lei. Bo aveva ragione. Poteva portarmi via qualunque ragazza. E si era preso Ellen.

Avevo paura che la testa mi sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro tante erano le domande che mi affollavano la mente: “e se Bo non mi stesse cercando? E se non gli interessasse più niente di me? E se adesso fosse insieme ad Ellen? E se…”

Il petto continuava a farmi male e la nausea era peggiorata a causa della morsa che mi aveva attanagliato lo stomaco. Facevo fatica a respirare. Tentai di calmarmi, ma senza risultato. Sentii un nodo improvviso serrarmi la gola e rendermi ancora più difficoltosa la respirazione. Spalancai la bocca cercando aria. Fui sollevato che accanto a me non ci fosse nessuno a vedermi in preda al panico come un ragazzino. Mi sentivo come un ragazzino. Tutto quello che volevo era il conforto di mio zio. Volevo che mi tenesse forte e che mi dicesse che tutto si sarebbe sistemato proprio come faceva quando ero piccolo. Avevo un disperato bisogno di lui. Stavo cominciando a perdere la speranza. Riuscire a trovarmi equivaleva a trovare un ago in un pagliaio.

Poi smisi di lottare con me stesso e piansi.

 

To be continued…

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Capitolo 12
*** Un ago in un pagliaio ***


Questo capitolo lo dedico in modo particolare a voi care LadyBlack e Maria… forse non è esattamente quello che attendevate con ansia, ma facciamo progressi!

 

 

Capitolo dodici: un ago in un pagliaio

 

Bo

 

Fui svegliato la mattina seguente da una delicata carezza sul viso. Aprii gli occhi e sorrisi alla vista di mia zio, ma fu un attimo. Mi ricordai immediatamente che Luke era scomparso. Mi alzai di scatto dal dondolo e per poco non caddi a terra.

“Con calma ragazzo.” Disse zio Jesse afferrandomi per un braccio ed evitandomi la caduta.

“Hai dormito qui fuori tutta la notte?”

Quando annuii aggiunse: “devi aver avuto freddo. Entra in casa, prendi una tazza di caffé caldo e fai colazione. Dobbiamo riprendere le ricerche di Luke.”

“Zio Jesse, forse si è allontanato di proposito. Lo sai come reagisce quando è arrabbiato.”

Mio zio scosse mestamente il capo: “penso di conoscere Luke meglio di chiunque altro, l’ho cresciuto io. Ha bisogno di stare per conto suo a volte, ma non se ne sarebbe mai andato via senza prima informarmi. Non lo farebbe mai.”

“Lo so zio Jesse, penso la mia fosse solo una piccola speranza.”

“Non è da lui.” Insistette ancora. “Se davvero però avesse fatto una cosa del genere, avrebbe di che pentirsi tornando a casa… eppure vorrei davvero fosse andata così.”

“Si anche io.” Risposi.

Avevo tutti i muscoli indolenziti a causa della notte passata sul dondolo. Zio Jesse aprì per me la porta di casa e disse: “entra dentro. Dobbiamo mangiare qualcosa prima di rimetterci alla ricerca di Luke. Abbiamo bisogno di tutte le nostre energie.”

Ci avviammo verso la cucina dove trovammo Daisy intenta a preparare la colazione. Ci abbracciammo in silenzio; i nostri stati d’animo non necessitavano di parole. Stavamo provando i medesimi sentimenti: eravamo entrambi spaventati a morte per Luke.

Saltammo letteralmente tutti e tre dalle nostre sedie quando udimmo il suono del telefono. Mi mossi per afferrare la cornetta, ma zio Jesse fu più rapido. Fui deluso quando lo sentii dare il buongiorno alla signora Jacobson. Ascoltai distrattamente quella conversazione.

Sentii mio zio dire: “sono spiacente, cara. Non posso venire da te oggi. Abbiamo un problema qui… siamo molto preoccupati per Luke. Non lo vediamo da venerdì sera e non sappiamo dove sia.”

Zio Jesse fece una pausa e poi esclamò: “l’hai visto! Hai visto Luke? Dove? Quando?”

Sia io che Daisy raggiungemmo in fretta nostro zio per poter ascoltare meglio la conversazione. Iniziammo a chiedergli cosa stava dicendo la signora Jacobson, ma zio Jesse ci fece segno di rimanere in silenzio perché non riusciva a sentire bene. Finalmente disse: “Grazie, ci sei stata di grande aiuto… Si, ti terrò informata se avrò notizie… No cara, non è colpa tua. Grazie ancora.”

Quando riattaccò, gli chiesi ansiosamente: “che cosa ti ha detto?”

“Ha incontrato Luke venerdì sera, stava camminando sulla Highway 36 vicino al Boar’s Nest. Erano da poco passate le otto. Lei stava raggiungendo casa di sua sorella. Ha detto che Luke stava tornando a piedi alla fattoria e gli ha offerto un passaggio in macchina. Lo ha lasciato sulla Little Creek Road. Era dispiaciuta di non poterlo accompagnare fino a casa, ma ha difficoltà a guidare di notte, specialmente su strade sterrate non illuminate. Luke le ha detto di non preoccuparsi e che avrebbe proseguito a piedi.”

“Questo significa che lo ha lasciato ad un paio di miglia da qui. Sarebbe dovuto arrivare al massimo entro una mezzora.” Disse Daisy. “Cosa mai potrebbe essergli accaduto?”

“Sono passato da quella parte ieri, ma non ho visto niente.” Deve essergli successo qualcosa tra lì e la fattoria. Stava tornando a casa. Tutto questo non ha senso.” Aggiunsi perplesso.

Zio Jesse prese il comando della situazione: “faremo quel tratto di strada a piedi andata e ritorno e lo faremo di nuovo se non troveremo Luke. Dovremmo tenere gli occhi aperti e cercare ogni minima traccia che potrebbe parlarci di lui. Lo troveremo.”

Sentire mio zio parlare in quel modo mi stava rassicurando. Ero sicuro che lo avremmo trovato, ma pensai che se Luke era stato lì fuori tutto quel tempo, significava che doveva essere ferito o sarebbe di certo tornato a casa. Sentivo che non avevamo molto tempo.

Camminammo lentamente sulla Little Creed Road coprendo le due miglia che ci interessavano, ma non notammo alcuna traccia che ci dicesse che Luke era passato di lì. Speravo così tanto di ritrovarlo, che ne rimasi più che deluso. Daisy stava facendo del suo meglio per non scoppiare in lacrime.

Zio Jesse ci abbracciò: “coraggio, non voglio vedere quelle facce tristi. Questo è il posto nel quale la signora Jacobson ha lasciato Luke. Lui le ha detto che avrebbe proseguito a piedi da qui fino a casa. Dobbiamo solo cercare di capire esattamente dove sia passato e cosa gli sia successo. Con tutta la pioggia che è caduta, non troveremo nessuna impronta, ma potrebbe esserci qualche altra traccia. Ripercorriamo di nuovo questa strada e facciamo più attenzione.”

Facemmo di nuovo il percorso con passo più lento, controllando attentamente i bordi della strada. Continuavamo a non vedere niente. Stavo cominciando a sentirmi nervoso e frustrato. Quando attraversammo il ponte di legno che passa sul torrente, Daisy disse rivolta a zio Jesse: “non serve a niente tutto questo. Venerdì sera è piovuto tanto ed a tratti intensamente. Non troveremo né tracce né indizi. La pioggia avrà lavato via tutto.”

Restammo sul ponte tentando di immaginare dove potesse essere andato Luke. Daisy disse ancora: “forse ha semplicemente deciso di non tornare a casa ed è andato in una delle nostre vecchie distillerie.”

“E’ possibile.” Rispose zio Jesse. “Ma non credo lo abbia fatto. Quel ragazzo non ci avrebbe mai fatto preoccupare così.”

Continuavo a guardare quella strada sperando che Luke sarebbe apparso miracolosamente da un momento all'altro come se niente fosse mai accaduto. Mi voltai poi verso il torrente e, mentre osservavo l’acqua scorrere, mi sembrò di sentire Luke chiamare il mio nome. “Lo avete sentito anche voi?” Chiesi ansiosamente.

“Sentito cosa?” Rispose Daisy. “Io non ho sentito niente.”

“Neanche io.” Disse zio Jesse.

Rimasi in ascolto attentamente, ma non percepii più alcun suono. “Giurerei di aver sentito Luke che mi chiamava. Possibile voi non lo abbiate sentito?”

Sia zio Jesse che Daisy negarono. “Da dove veniva la voce?” mi chiese mio zio.

“Non saprei dirlo… non lo so forse è stata solo la mia immaginazione. Forse era solo nella mia testa.” Risposi dispiaciuto.

“Magari hai davvero sentito qualcosa… dobbiamo riprendere le ricerche. Ripercorriamo ancora questa strada.” Riprese mio zio.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal torrente. “Forse Luke ha preso una scorciatoia.” Dissi con rinnovata speranza.

“Quale scorciatoia?” Chiese zio Jesse.

“Lungo il ponte. La usavamo spesso da ragazzini quando eravamo in ritardo. Più di una volta ci ha salvati da una punizione certa. Forse è passato di lì venerdì perché voleva sbrigarsi a tornare a casa.”

“E’ più un sentiero che una strada, direi che Luke abbia abbastanza buonsenso da evitare di camminare su un terreno del genere soprattutto se è notte e piove… ma a volte voi ragazzi fate la prima cosa che vi passa per la testa.” Disse zio Jesse pensieroso.

“Era arrabbiato e scioccato quella sera. Forse è passato di lì senza pensare con il solo scopo di togliersi dalla pioggia in fretta.”

“Non riesco a trovare una sola buona ragione per passare di là, ma vale la pena controllare.” Fu la concessione di mio zio. “Passa per quella scorciatoia, mentre io e Daisy ripercorriamo di nuovo la strada principale. Fai attenzione. Il terreno è bagnato e scivoloso. Non voglio che tu cada e ti faccia male. Avere uno di voi nei guai è più che sufficiente.”

“Starò attento.” Risposi mentre iniziavo a camminare. Dovetti constatare che zio Jesse aveva ragione riguardo al terreno accidentato. L’idea che forse Luke potesse essere caduto nella scarpata, si affacciò nella mia mente e cominciai a scendere. La discesa era piuttosto ripida e mi resi conto che il torrente era molto più distante di quanto ricordassi.

Ad un tratto vidi qualcosa a terra avanti a me. Mi avvicinai e mi piegai sulle ginocchia. Raccolsi un fazzoletto completamente sporco di fango. Era di Luke.

“DOVE SEI?” Gridai disperato.

Non ricevetti alcuna risposta e quindi continuai a perlustrare la zona. Mi allontanai molto dal ponte, ma non riuscii a trovare altre tracce. Tornai nel luogo dove avevo trovato il fazzoletto. Guardai in basso verso il torrente, ma non vedevo altro che alberi. Decisi che avrei continuato la mia discesa per avere una migliore visuale della zona. Il terreno era talmente scivoloso che dovetti aggrapparmi agli alberi per non cadere.

Ero quasi arrivato in fondo alla scarpata quando finalmente vidi Luke seduto a terra con la schiena poggiata ad un tronco. Aveva la testa reclinata in avanti sul petto. Mi sentii incredibilmente sollevato.

Lo chiamai, ma non mi rispose. Non si mosse. Mi accorsi che era immobile, innaturalmente immobile. Il mio cuore si fermò. Il sangue mi si gelò nelle vene. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia.

 

To be continued…

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Capitolo 13
*** Trovato ***


Proprio ieri ho chiacchierato piacevolmente con Gia August e mi ha confessato di essere molto ansiosa: non vede l’ora di conoscere le vostre opinioni sugli ultimi capitoli.

Cominciamo da questo!

 

Capitolo tredici: trovato

 

Bo

 

Ripresi possesso delle mie facoltà ed iniziai a muovermi. Scivolai praticamente giù per la scarpata pur di arrivare prima da Luke. Mentre mi avvicinavo, continuavo a chiamarlo per nome ansiosamente, ma senza ricevere alcuna risposta. Mi fermai a qualche metro di distanza da lui. Aveva un brutto aspetto. Nonostante fosse ricoperto di fango, riuscii a vedere il pallore mortale della sua pelle. Sulla fronte aveva un taglio profondo ed il sangue che ne era uscito gli si era posato sul volto e sui capelli. Le sue labbra avevano un colorito bluastro. Tutto il suo viso era ricoperto di graffi e tagli.

Il mio cuore batteva in modo forsennato, le mie ginocchia erano divenute deboli. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime: “ti prego Dio, fa che non sia morto… ti prego.” Sussurrai disperatamente.

Mi avvicinai un po’ di più anche se avevo paura di quel che avrei potuto trovare. Non volevo una conferma ai miei timori. Quando gli fui di fianco, caddi in ginocchio. Un brivido di speranza mi pervase quando pensai di aver visto il suo torace alzarsi e abbassarsi, ma non ne ero sicuro. Mi asciugai le lacrime con la manica, tentando di mantenere il controllo delle mie emozioni, almeno avrei potuto fare quel che era necessario. Gli toccai il collo con attenzione per sentire se ci fosse battito. Era freddo. Le mie dita cercarono freneticamente l’angolo giusto finché non si arrestarono percependo una debole palpitazione. Non sono mai stato così sollevato in vita mia.

Grazie Dio.” Sussurrai.

Luke stava respirando, lievemente ma stava respirando. Non riuscivo a dire in quali altre parti del corpo fosse ferito a parte la testa, sapevo tuttavia che versava in gravi condizioni. Era troppo freddo. Dovevo portarlo via di lì in fretta. Aveva bisogno di essere trasportato in ospedale. Passai dolcemente una mano tra i suoi capelli, facendo attenzione a non fargli male. Lo supplicai: “andiamo Luke, svegliati. Per favore, non farmi questo… svegliati.”

Fece una piccola smorfia. Lentamente aprì gli occhi, ma non mi guardò. Gli tolsi una ciocca di capelli insanguinata dalla fronte. I suoi occhi finalmente incrociarono i miei. Sembrava incredulo.

“Ciao Luke.” Dissi sorridendo.

Le sue labbra si mossero a formare il mio nome, ma non ne uscì alcun suono. Continuai ad accarezzargli i capelli: “con calma cugino. Sono qui. Vedrai andrà tutto bene.”

“Bo.” Bisbigliò.

Al contrario di quel che era accaduto pochi istanti prima, stavolta riuscii a sentire la sua voce e ne fui rassicurato: “sono qui Luke… sono qui.”

“Sei venuto a prendermi.” Disse con voce incerta. “Non ero sicuro che ne avessi voglia.”

“Sono due giorni che ti cerco e adesso ti porterò via di qui. Devi andare in ospedale. Pensi di poterti alzare?” Chiesi speranzoso.

Scosse il capo: “ci ho provato, ma non ci riesco. Mi fa male tutto quando mi muovo.” Sussurrò.

“Che tu ci creda o no, sono felice di sentirtelo dire.”

I suoi occhi divennero lucidi: “sei ancora arrabbiato con me vero? Mi dispiace.”

Mi sarei preso a calci da solo per quel che avevo detto. Non avrei mai dovuto permettere che mi fraintendesse. Mi affrettai a spiegare: “non sono arrabbiato con te e non sei tu tra di noi quello che deve scusarsi. Non volevo causarti un’altra sofferenza. Volevo soltanto dire che sono felice che tu sia in grado di muoverti anche se ti fa male tutto. Eri immobile quando ti ho trovato e dopo una caduta del genere avevo paura che…”

Pensai fosse meglio non terminare la frase. Luke non aveva bisogno di sentirla. Stava prestando molta attenzione alle mie parole. Iniziò a tremare. Non mi piaceva affatto che fosse così freddo nonostante ci fossero una ventina di gradi. Mi tolsi il giacchetto maledicendolo perchè non era molto imbottito e lo usai per coprirlo.

Quando lo vidi chiudere di nuovo gli occhi, gli dissi: “stai con me Luke per favore. Sai dirmi dove senti dolore?”

“Ovunque.” Rispose ansimando. Riuscivo a vedere quanta fatica facesse a respirare.

“Puoi essere un po’ più specifico?” Dissi ancora accennando un sorriso.

“La testa… il petto… le costole… la spalla… la caviglia…”

“Ho capito. Ovunque.” Convenni. “Ascolta Luke, non puoi camminare neanche con il mio aiuto. Non posso tirarti fuori di qui da solo. Non conosco la reale natura delle tue ferite. Non voglio peggiorare la situazione cercando di portarti via. Devo andare a chiedere aiuto. Tornerò presto.”

Quando iniziai ad alzarmi, Luke mi afferrò per un braccio con una forza che non credevo avesse. Sussurrò disperatamente: “non mi lasciare di nuovo solo.”

“Devo andare a cercare aiuto Luke, non posso fare niente altrimenti. Non voglio lasciarti, ma non ce la farò mai a portarti via con le mie sole forze. Starò via soltanto per venti minuti, mezzora al massimo. Te lo prometto. Tornerò.”

Luke aumentò la morsa sul mio braccio: “non lasciarmi… ho paura…”

Mi terrificò sentire Luke ammettere di aver paura. Non lo aveva mai fatto. Di solito si mostrava sempre impavido. E’ sempre stato il più forte di noi, io e Daisy siamo sempre dipesi da lui. Per dire una cosa del genere, doveva stare veramente male. Sapevo che non avevo molto tempo. Dovevo essere io quello forte per una volta.

Dissi con rinnovata urgenza: “Luke devo andare a cercare zio Jesse e Daisy così potremmo portarti in ospedale. Sarò di ritorno presto.”

Mi si spezzò il cuore quando mi guardò come se non credesse ad una sola parola di quello che gli stavo dicendo. Mi lasciò il braccio e guardò lontano da me. Vidi i suoi occhi di nuovo lucidi e mi spaventai ancora di più. Non era da lui mostrarsi così vulnerabile. Il pensiero di doverlo lasciare mi stava uccidendo, ma non avevo scelta. Gli poggiai delicatamente una mano alla base del collo e dissi: “guardami Luke, per favore.”

Quando fece quel che gli avevo chiesto, continuai: “non vorrei lasciarti, ma devo andare. Vado a prendere zio Jesse.”

“Ho bisogno di lui.”

“Lo so cugino. Resisti un altro po’ e per favore, non andare da nessuna parte, mi hai capito?”

“Dove vuoi che vada?” bisbigliò.

Sapevo che non poteva muoversi, ma non era quello ciò che intendevo io. Avevo paura che avrebbe smesso di lottare. Lo avevo appena ritrovato e non potevo perderlo. Riluttante mi alzai in piedi.

“Resisti… tornerò presto… te lo prometto… rimani qui… non andare via…”

Guardai sopra di me e mi resi conto che non avevo alcuna speranza di tornare indietro da dove ero arrivato. Era un terreno troppo ripido e scivoloso da poter risalire. La mia unica strada era la sponda del torrente. Impulsivamente mi riabbassai ed afferrai la mano di Luke. Ci scambiammo un lungo e silenzioso sguardo dopodichè mi voltai ed andai via.

Corsi verso casa, vidi zio Jesse e Daisy arrivare dalla Little Creek Road. Erano a pochi passi dalla fattoria. Urlai loro in modo frenetico: “l’ho trovato, ho trovato Luke.”

Arrivai col fiatone di fronte a mio zio: “l’ho trovato zio Jesse… è ferito gravemente… dobbiamo aiutarlo… dobbiamo portarlo in ospedale.”

“Con calma Bo. Dov’è? Che gli è successo?” Mi chiese afferrandomi entrambe le braccia.

“Avevo ragione. Ha preso la scorciatoia lungo il ponte. Deve essere caduto perché l’ho trovato vicino al torrente.”

“Quanto è grave?” Chiese Daisy.

“E’ molto grave tesoro. Ha una brutta ferita sulla fronte ed ha difficoltà a respirare. Ha dolore al petto, alla spalla e alla caviglia. Non è messo bene. Ha freddo, non riesce a smettere di tremare. Non può alzarsi. Ho avuto paura che gli avrei causato altri danni se avessi provato a trasportarlo da solo. Andiamo a prenderlo.”

Mi voltai intenzionato a riprendere la mia corsa per tornare da Luke, ma zio Jesse mi fermò. “Aspetta un attimo Bo, abbiamo bisogno di prendere il pick-up. Riusciremo ad avvicinarci parecchio. Adesso andiamo in casa e portiamoci dietro tutto quello che potrebbe servirci.”

Per fortuna zio Jesse aveva preso il controllo. Pensava molto più razionalmente di me. Tutto quello che desideravo era tornare in fretta da Luke. Non volevo che rimanesse ancora da solo. Sapevo che aveva bisogno del mio supporto per resistere e andare avanti.

Ci precipitammo in casa. Zio Jesse ci diede gli ordini: “Daisy prendi il kit di primo soccorso, forse non ci faremo niente, ma tu prendilo lo stesso. Prendi la bottiglia di whisky che conservo per le emergenze e qualcosa da mangiare. Bo prendi cuscini e coperte. Assicurati che ce ne siano a sufficienza, Luke ci si deve sdraiare sopra e ci si deve scaldare. Io vado a mettere in moto. Sbrigatevi.”

Mettemmo a soqquadro la casa cercando quel che ci serviva. Daisy prese anche la coperta dal suo letto per essere sicura che Luke avrebbe avuto tutto il conforto di cui necessitava. In meno di cinque minuti eravamo con zio Jesse nel pick-up pronti a raggiungere Luke.

 

To be continued…

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Capitolo 14
*** Non c'è bisogno di piangere ***


Ebbene si! Finalmente lo abbiamo trovato questo benedetto ragazzo! Di capitoli ne mancano pochi alla fine, non posso anticiparvi cosa accadrà, ma posso dirvi che il confronto tra Bo e Luke si sta avvicinando sempre più! Vi ringrazio di nuovo per le recensioni che ci avete lasciato, sono graditissime.

Questo è il  quattordicesimo capitolo, buona lettura!

 

Capitolo quattordici: non c’è bisogno di piangere

 

Bo

 

Fummo scagliati addosso al cruscotto quando il vecchio pick-up rimbalzò su di una roccia nel letto del torrente. Sembrava non dovessimo mai arrivare da Luke.

“Dov’è?” Chiese ansiosamente Daisy per la decima volta in pochi minuti.

“Ci siamo quasi, è appena più avanti.” Risposi.

Correvamo molto più di quanto avremmo dovuto. Le condizioni di Luke mi avevano davvero spaventato. Sembrava così scoraggiato quando lo avevo lasciato, temevo avrebbe smesso di lottare. E’ sempre stato il più forte di noi, non lo avevo mai visto in quello stato. Ero terrorizzato dall’idea che non ci avesse aspettati.

“E’ qui zio Jesse!” Gridai.

Aprii la portiera e saltai giù dal pick-up prima ancora che si fosse fermato. Zio Jesse e Daisy mi seguirono immediatamente. Quando raggiunsi Luke, il cuore iniziò a martellarmi nel petto. Era privo di conoscenza.

“Luke!” Lo chiamai inginocchiandomi vicino a lui. Quando non ricevetti alcuna risposta, il panico aumentò. Avevo bisogno di sapere se era ancora tra di noi e così cercai di nuovo con le dita la presenza di un battito sul suo collo.

“Andiamo cugino, svegliati.” Lo supplicai. Guardai mio zio: “è ancora incosciente, non riesco a svegliarlo.”

Zio Jesse si accovacciò accanto a Luke, sul fianco opposto al mio. Daisy rimase vicino a lui cercando di prendere per sé un po’ della sua forza. Era chiaro quanto mio zio fosse preoccupato, ma era altrettanto evidente la sua determinazione. Riuscì a darmi speranza.

Zio Jesse cinse il mento di Luke e dolcemente gli sollevò la testa: “andiamo Luke, è ora di svegliarsi. Zio Jesse è qui. Apri gli occhi.”

Luke non rispose e mio zio provò di nuovo. Con un tono di voce più alto, disse in modo brusco: “Lukas, sono zio Jesse. Voglio che tu apra gli occhi ora. Mi hai sentito? Svegliati!”

Luke fece quel che gli era stato ordinato. Penso fosse perché zio Jesse aveva usato il suo nome completo e gli aveva parlato con tono duro. Quando mio zio parlava in quel modo, lo ascoltavamo sempre ed obbedivamo ai suoi ordini senza controbattere. Il suo tono e la sua espressione si addolcirono non appena incrociò lo sguardo di Luke.

“Ecco qui il mio ragazzo!” Disse con amore.

Osservai il volto di Luke illuminarsi non appena lo vide: “zio Jesse”. Sussurrò.

Allungò un braccio e lo attirò verso di sé. Zio Jesse lo circondò con il suo amorevole abbraccio. Luke si lasciò cadere contro il suo petto. Vidi il suo corpo scosso da un fremito. Realizzare quanto la presenza di mio zio lo avesse confortato, mi riempì nuovamente gli occhi di lacrime. Gli ultimi due giorni dovevano esser stati un vero e proprio inferno per lui. La cosa peggiore era che io ne ero stato l’unico responsabile.

“Sono qui ragazzo mio.” Bisbigliò mio zio mentre continuava ad accarezzargli dolcemente la schiena. “Andrà tutto bene vedrai. Mi hai davvero spaventato stavolta. Pensavo avessi abbastanza buon senso da evitare di camminare lungo queste pendici quando piove a dirotto.”

“Mi dispiace.” Rispose Luke ancora stretto al suo petto.

“Penso avessi altre cose per la testa.” Disse poi guardandomi dritto negli occhi e facendomi sentire ancora più in colpa di quanto non mi sentissi già. Non aveva commentato molto quel che avevo fatto con Ellen, ma sapevo che era molto deluso del mio comportamento.

Anche Daisy abbracciò Luke nel tentativo di dargli il proprio appoggio. Zio Jesse le disse: “prepara il pick-up. Fai un letto confortevole per Luke. Dobbiamo portarlo via di qui in fretta. Dobbiamo riscaldarlo, non mi piace affatto che sia così freddo.”

Daisy annui con vigore, posò un bacio sulla fronte di Luke e si alzò: “farò il meglio che posso.” Rispose allontanandosi in fretta.

Il respiro di Luke diventava sempre più affannoso e irregolare. Zio Jesse se lo scostò delicatamente di dosso. Lo guardò negli occhi e si accorse che erano divenuti lucidi: “ascolta bene Luke. So quanto stai soffrendo, ma mettersi a piangere adesso non ti aiuterà a respirare meglio. Io sono qui e tu presto starai bene. Non c’è bisogno di piangere.”

Luke fece del suo meglio per tenere il suo respiro sotto controllo. Zio Jesse tirò fuori dalla sua tasca un fazzoletto e lo usò per pulirgli il viso. Quel gesto rivelò tagli ed abrasioni che prima non riuscivamo a vedere: “il mio povero ragazzo.” Commentò tristemente.

Quando sembrò che Luke stesse respirando un po’ meglio, mio zio disse: “è ora di portarti sul pick-up, devi andare in ospedale. Sai dirmi dove sei ferito? Almeno non correremo il rischio di farti del male mentre ti trasportiamo.”

“Mi fa male la testa.” Rispose a fatica Luke.

Zio Jesse annui: “Si, lo vedo. Bo mi ha detto che anche il petto ti fa male.”

“Forse ho qualche costola rotta.” Disse ancora.

“Questo spiegherebbe la fatica che fai a respirare.” Poi mi zio mi guardò: “se davvero ha qualche costola rotta, è possibile che una gli abbia perforato i polmoni. Dobbiamo fare molta attenzione mentre lo solleviamo o peggioreremo la sua situazione.”

“Mi ha detto di avere dolore anche alla spalla. Forse ha una distorsione, inoltre non credo riesca a poggiare la caviglia a terra.”

“Non avrà bisogno di camminare, lo porteremo noi. Non riuscirà ad alzare il braccio infortunato e poggiarmelo sulle spalle. Lo dovremmo sollevare contemporaneamente. Luke, pensi di poter alzare il braccio buono e appoggiarti a Bo?”

Annuì e fece quel che gli era stato detto.

“Tieni duro adesso, ti tiriamo su.” Dissi.

Faticai un po’ a sostenere il suo peso, ma trovai presto il mio equilibrio. Cercammo di essere il più delicati possibile, ma Luke urlò per il dolore.

“Con calma, ci siamo quasi.” Disse mio zio.

Luke mi poggiò la testa sulla spalla. Era esausto. Lo trasportammo con attenzione sul pick-up e lo adagiammo sul letto che Daisy gli aveva preparato.

“Copriamolo con le coperte.” Esclamai.

“Non ancora, Bo. Dobbiamo togliergli di dosso questi vestiti bagnati o sarà inutile coprirlo. Tu pensa agli stivali, io gli tolgo il giacchetto. Fai attenzione alla caviglia.”

Sentii Luke urlare quando tolsi lo stivale dalla gamba infortunata. Mi sentii terribilmente male, l’ultima cosa che avrei voluto era causargli altro dolore. Neanche sfilargli giacchetto e camicia fu semplice per via della spalla dislocata. Sussultava ad ogni movimento anche se cercava di stare immobile. Sapevo che gli stavamo causando molto dolore, ma sapevo anche che zio Jesse aveva ragione. La sua pelle era ghiacciata. Tremava senza controllo. I suoi jeans sembrava fossero ancora più bagnati rispetto agli altri indumenti, forse perché era rimasto seduto nel fango. Glieli sfilai delicatamente facendo ancora attenzione a quella caviglia. Stavo per afferrargli anche i boxers, ma mi prese la mano e mi fermò.

Zio Jesse disse con tono dolce: “quei boxers sono bagnati, dobbiamo toglierli e poi ti metteremo sotto le coperte.”

Luke guardò Daisy ed immediatamente capimmo la sua riluttanza nel farsi spogliare completamente. Daisy si voltò di schiena: “non preoccuparti tesoro. Non ti guarderò.”

Quando fu nudo sotto i nostri occhi, potemmo vedere quante abrasioni e lividi avesse. Erano ovunque. Si era fatto davvero molto male cadendo. Aveva un taglio profondo sul lato sinistro del torace. Lo avvolgemmo delicatamente nelle coperte. Quando lo facemmo sdraiare, iniziò ad ansimare: “non riesco a respirare così.” Ci disse.

Lo sollevammo di nuovo: “può rimanere seduto ed appoggiarsi a me.” Dissi.

Mi misi a sedere con la schiena addosso alla cabina del pick-up e lasciai che Luke poggiasse la sua sul mio petto. Lo circondai con le mie braccia e lui rilasciò la testa sulla mia spalla. Dopo tutto quello che avevamo passato negli ultimi due giorni, era confortante per me poterlo tenere e proteggere in quel modo. Di solito quello di proteggere e vegliare era un compito suo. Era una gioia quindi poter fare per lui quel che lui aveva fatto tante volte per me. Daisy si mise a sedere accanto a noi offrendo anche il suo supporto.

“Vuoi bere un po’? Vuoi mangiare qualcosa?” Gli chiese zio Jesse. “Hai lo stomaco vuoto da venerdì sera.”

“Non voglio niente”

“Un sorso di whisky ti aiuterà a riscaldarti.”

“Ho troppa nausea.”

“Come vuoi.” Concluse mio zio carezzandogli il braccio. Poi si voltò verso Daisy: “prova a farlo bere, ma non forzarlo.”

Zio Jesse saltò giù dal pick-up: “guiderò fino al Tri-County Hospital. Luke ha bisogno di cure immediate. Sarà meglio che attendere l’arrivo dell’ambulanza. Daisy, Bo, tenetelo forte. Proverò ad andare piano e ad evitare le buche, ma sarà pressoché impossibile su questo terreno. Cercate di tenerlo immobile. E cercate di tenerlo sveglio.”

“Sissignore!” Rispondemmo in coro.

Zio Jesse si mise al volante e lentamente si diresse verso la strada. Io e Daisy facemmo del nostro meglio, ma ad ogni avvallamento Luke provava dolore. Gemeva e si mordeva le labbra ad ogni colpo che riceveva. Daisy gli parlava dolcemente, mentre io tentavo di tenerlo fermo. Ringraziai di nuovo Dio di averlo trovato prima che fosse troppo tardi. Tentammo di tenerlo sveglio, ma non ci riuscimmo.

E perse di nuovo conoscenza.

 

To be continued…

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Capitolo 15
*** In amorevoli braccia ***


A costo di sembrarvi ripetitiva, vi rinnovo la mia sincera gratitudine per l’interesse e l’attenzione che state dimostrando a questa storia. Il fandom di Hazzard purtroppo non è molto conosciuto ed esplorato, pensate quindi che gioia immensa mi regalate con ogni vostro commento!

 

 

Capitolo quindici: in amorevoli braccia

 

Luke

 

Era come se tutto il mio mondo stesse scomparendo. Stavo cercando di rimanere sveglio, ma era davvero difficile. Avevo paura che se mi fossi addormentato, non mi sarei più risvegliato. Pensavo che la mia sorte fosse oramai segnata e mi stavo arrendendo. Nessuno mi avrebbe mai trovato. Se qualcuno avesse saputo dov’ero, sarebbe arrivato già da tempo. Ero solo. Avevo perso ogni speranza.

Avevo freddo. Avevo perso sensibilità sia alle mani che ai piedi. Il resto del mio corpo urlava di dolore. Ad ogni singolo respiro mi faceva male il petto. Sapevo che avrei dovuto tentare di mettermi in piedi, ma non potevo. Non avevo neanche la forza di provare. Facevo sempre più fatica persino a pensare e a concentrarmi.

Ma poi sentii qualcuno chiamarmi per nome. Sembrava una voce preoccupata. Quando aprii gli occhi, Bo era di fronte a me. Non sapevo se si trattasse di un sogno o della realtà. Lui era lì e sembrava vero, ma non aveva molto senso per me. Mi stava dicendo quanto fosse sollevato che io provassi dolore. Pensai fosse ancora arrabbiato con me.

Mi chiese poi di non andare da nessuna parte. E dove sarei potuto andare? Provai a dirglielo, ma sembrò ugualmente preoccupato di non trovarmi al suo ritorno. Non ero io quello che se ne stava andando, ma lui. Mi stava lasciando di nuovo solo. Lo supplicai di non andare, ma non mi ascoltò.

Pensai si fosse trattato solo di un’allucinazione visto che non riuscivo più a formulare pensieri coerenti. Ormai niente per me aveva più senso. Era come cercare di raggiungere qualcosa senza riuscire ad afferrarla perché sfuggiva continuamente dalle mie mani.

Bo, vero o presunto tale, mi disse che sarebbe tornato presto, ma io non gli avevo creduto. Come potevo credere a qualcosa che ai miei occhi non era reale? Mi sembrò vero quando mi toccò, ma non avevo molta esperienza con persone immaginarie quindi non mi convinsi. Mi disse che sarebbe andato a prendere zio Jesse. Nonostante volessi mio zio più di ogni altra cosa al mondo, allo stesso tempo non volevo più restare da solo. Non volevo che Bo se ne andasse. Mi promise che sarebbe tornato. Bo non avrebbe mai mancato ad una promessa con me, ma non potevo dire lo stesso della figura che avevo di fronte.

Mi sentii devastato quando se ne andò. Volevo con tutto il cuore che fosse reale. Ne avevo bisogno, ma non ne ero sicuro. Anche se si era trattato di un’allucinazione, era stato bello averlo accanto. Penso che a volte la mente ci faccia vedere quel che vogliamo ed io volevo vedere Bo. Nonostante tutto però, la gioia che avevo provato svanì in fretta. Quando fui di nuovo solo, fu ancora più difficile tenere alta la speranza. Cercai di convincermi che il suo tocco era stato reale, ma non credevo che lo avrei più rivisto.

Eppure Bo ritornò perché quando mi svegliai vidi mio zio chino su di me ordinarmi di aprire gli occhi. Ero stanco, ma dovevo fare quel che lui mi chiedeva. Di solito mi chiamava Lukas quando combinavo qualche guaio così immaginai che dovevo aver fatto qualcosa di brutto. Forse era arrabbiato perché non ero tornato a casa. Quel tono di voce indicava sempre una gita sulla sue ginocchia e qualche sculacciata quando ero piccolo. Non lo faceva più da anni chiaramente, ma era ancora una buona ragione per obbedirgli. Con fatica riuscii ad aprire gli occhi e vidi il volto di zio Jesse davanti a me. Non sembrava arrabbiato. Quando mi sorrise, allungai un braccio e lo afferrai per rendermi conto se fosse reale. Prima che potessi accorgermene, mi ritrovai nelle sue braccia. Non mi sono mai sentito così sicuro e protetto in tutta la mia vita. Avevo paura che sarebbe potuto svanire da un momento all’altro, ma invece rimase con me. Era forte e fermo. Mi avvolse col conforto delle sue braccia. Finalmente avevo capito che era reale ed il sollievo mi fece salire un nodo in gola. Non stavo aiutando affatto la mia respirazione in quel modo, ma non potevo evitarlo. E’ un po’ come quando da bambino ti fai male e non piangi finché non vedi i tuoi genitori.

Tra le braccia di zio Jesse, sapevo che tutto sarebbe andato bene. Non avevo più bisogno di farmi forza perché potevo contare sulla sua.

Ho sempre odiato mostrarmi vulnerabile, ma non avevo più nessun controllo delle mie emozioni. Mi feci cullare semplicemente da mio zio come avrebbe fatto un bimbo piccolo. Mi disse che non c’era bisogno di piangere, ma penso che fossi semplicemente sollevato di non dover più stare da solo. Non importava più cosa mi era successo, tutto quello che contava era che la mia famiglia era con me. Non ero più solo.

Bo e zio Jesse mi sollevarono da terra e mi trasportarono sul pick-up; provai dolore ovunque a causa di quello spostamento, ma sapevo che era necessario. Volevo andarmene di là. Non riuscivo ancora a capire dove mi trovassi esattamente. Non riuscivo a ricordare niente della caduta, ma avevo un quadro completo degli eventi che l’avevano causata anche se alcuni erano meno chiari di altri. Ero ancora confuso ad esempio sul perché Bo fosse felice che mi ero fatto male, tuttavia mi sostenne con cura ed attenzione. Mi sentii finalmente in salvo.

Feci del mio meglio per non urlare dal dolore, ma un paio di volte fallii miseramente. Mi adagiarono tra le braccia di Daisy, sul pick-up. Fu strano avere Bo e Daisy prendersi cura di me quando invece sono stato sempre io il protettore della famiglia. Le loro braccia erano forti e sicure.

Togliermi i vestiti non fu facile, ma fu veramente piacevole non averli più indosso e potermi riscaldare con coperte asciutte. Avevo ancora freddo, ma di sicuro stavo meglio.

Non riuscii a respirare quando mi fecero sdraiare. Bo disse che mi avrebbe sorretto così avrei potuto mettermi a sedere. Mi poggiai con la schiena sul suo petto. Mi sostenne con le sue braccia durante il tragitto. La strada era piena di buche e di avvallamenti, ma non mi interessava. Di sicuro era meglio del posto che avevo appena lasciato. Mi sentivo protetto tra le braccia di Bo ed era rassicurante la voce di Daisy; continuava a dirmi che tutto sarebbe andato bene.

Continuai a sentirla parlare, ma non riuscii più ad afferrare quel che mi stava dicendo. Non mi importava, tutto quello che contava era ascoltare la sua dolce voce. Finalmente mi stavo rilassando e sentirmi sorretto dalle braccia di Bo, al caldo con Daisy accanto mi fece di nuovo chiudere gli occhi. Mi urlarono di stare sveglio. Non sapevo perché lo facessero, ma provai ad obbedire. Non volevo deluderli di nuovo.

Non capivano che finalmente stavo bene. Dopo esser stato solo per due giorni interi, ero tornato finalmente dall’amore dei miei cari. Niente poteva più farmi del male. Non avevo intenzione di andare da nessuna parte. Cercai di rimanere sveglio per loro, ma senza successo.

Quando riaprii gli occhi ero in ospedale.

 

To be continued…

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Capitolo 16
*** Aspettando ***


Mie care, pazientate un altro po' e sapremo come si concluderà questa storia. In questo capitolo troverete alcuni termini medici (Gia August si è documentata parecchio) e spero vivamente di averli tradotti bene. Se vi accorgete di qualche colossale sciocchezza avvertitemi per favore che correggo!

Grazie per i vostri splendidi commenti!

 

 

Capitolo sedici: aspettando

 

Bo

 

Provai a far stare Luke sveglio durante il tragitto verso l’ospedale, ma non ci riuscii. Perse conoscenza e non la riacquistò più. Mi spaventò a morte. Sembrava però stesse respirando meglio. Strinsi una mano di Daisy quando vidi le lacrime rigare il suo volto.

“Non ti preoccupare tesoro. Si rimetterà.” Le dissi.

“Come fai a saperlo?” Mi rispose con voce rotta dall’emozione.

“Lo so e basta. Luke non ci lascerà, non ora che lo abbiamo trovato. Ci ha aspettati tanto, vedrai che starà bene.” Dissi con più convinzione di quanta ne avessi in realtà. “Smetti di preoccuparti.”

Zio Jesse si fermò di fronte all’entrata del pronto soccorso e saltò giù dal pick-up. Ci guardò e ci chiese: “come sta?”

“E’ svenuto, mi dispiace. Non sono riuscito a tenerlo sveglio.” Risposi.

“Adesso siamo qui. Vado a chiedere aiuto. Torno subito.” Disse poi.

Fedele alla parola data, zio Jesse tornò da noi in un paio di minuti insieme ad un dottore e ad un’infermiera. Un inserviente li seguiva con una barella. Il dottore salì sul pick-up per esaminare Luke. Zio Jesse gli spiegò che era rimasto per due giorni all’aperto senza cure e gli illustrò a grandi linee tutte le ferite che aveva di cui eravamo a conoscenza. Ci rendemmo utili tutti nel muovere Luke fin sopra la barella e lo seguimmo nel pronto soccorso. L’infermiera ci bloccò prima che potessimo entrare in una delle sale visita. Ci disse: “potete aspettare nella sala d’attesa. Ci vorrà del tempo prima che il dottore sia in grado di darvi qualche notizia. Nel frattempo potete riempire i moduli che vi fornirà la receptionist."

Zio Jesse fece quel che l’infermiera gli aveva detto e Daisy andò con lui. Penso fosse un bene per loro tenersi occupati. Mi misi a sedere, ma mi rialzai quasi subito e cominciai ad andare avanti e indietro per quella sala. Nonostante le rassicurazioni fatte a Daisy, ero molto preoccupato per Luke. Se non lo avessi trovato, probabilmente a quest’ora lo avremmo già perso.

Stava cominciando a diventare un’attesa lunga. Non avevo altro da fare quindi ricominciai a passare in rassegna gli eventi degli ultimi due giorni. Pensai tanto a Luke e a cosa significava per me averlo nella mia vita. Non saremmo potuti essere più uniti neanche se fossimo stati fratelli, il nostro legame era davvero forte. Generalmente andavamo d’accordo, ma ci capitava di discutere di tanto in tanto. Penso fosse inevitabile. Lavoravamo insieme, uscivamo insieme, dividevamo la stessa stanza da tutta la vita. Era logico che ogni tanto ci facessimo saltare i nervi a vicenda e, conoscendoci praticamente a memoria, sapevamo quali tasti spingere durante le nostre litigate. Ed era proprio quel che avevamo fatto venerdì.

Però non c’era mai stata l’ombra del tradimento tra di noi fino ad ora.

Si perchè io avevo tradito Luke baciando Ellen. Non ero ancora riuscito a capire come accadde. Flirtare con lei era già stato abbastanza grave, ma quando l’avevo baciata avevo oltrepassato la linea. Sperai con tutto me stesso che Luke un giorno sarebbe stato in grado di perdonarmi anche se forse io non mi sarei mai perdonato. Non avrei mai voluto arrivare a tanto. Ad essere sincero volevo soltanto vendicarmi di lui perché mi aveva offeso. Feci voto solenne in quel momento di non ripetere mai più un errore del genere. Avrei fatto qualunque cosa per far pace con lui. Quello che ci eravamo detti durante quella litigata era di poco conto se paragonato a quel che avevo fatto io. Non avevo scuse.

Zio Jesse e Daisy tornarono nella sala d’attesa. Si misero a sedere su di un divanetto vicino alla finestra. Daisy poggiò la testa sulla spalla di mio zio e lui la strinse tra le braccia. Mi fece poi segno di avvicinarmi e sedermi accanto a loro. Quando gli fui di fianco abbracciò anche me ed io mi feci avvolgere dal suo conforto. Rimanemmo così tutti e tre a farci forza a vicenda proprio come avevamo sempre fatto.

“Si rimetterà, non è vero?” Chiesi a mio zio.

“Se Dio vuole.” Rispose. “Dobbiamo continuare a pregare e a pensare positivamente. Luke è un ragazzo forte, è un combattente. Supererà tutto questo.”

Sentii le lacrime invadermi gli occhi: “non so che farei se qualcosa dovesse succedergli. Devo far pace con lui… devo scusarmi con lui.”

“Zio Jesse mi strinse un po’ più a sé: “avrai questa possibilità e so che lui è dispiaciuto quanto te per quel che è successo. Ti stava cercando per scusarsi.”

Sapevo che mio zio stava tentando di confortarmi, ma sentire le sue parole mi fece sentire solo peggio. Luke voleva chiedermi perdono mentre io baciavo la sua ragazza. Non sarebbe successo niente se avessimo avuto l’opportunità di chiarirci al Boar’s Nest. Non si sarebbe ferito così gravemente e non sarebbe finito in ospedale. Era solo colpa mia.

Rimanemmo abbracciati per molto tempo, nessuno dei tre voleva rinunciare al supporto degli altri.

Il dottore finalmente arrivò nella sala d’attesa un’ora dopo il nostro arrivo. Saltammo tutti e tre in piedi e corremmo verso di lui. Era cupo in volto.

Zio Jesse gli chiese: “come sta il mio ragazzo?”

“La caduta gli ha procurato parecchi danni.” Rispose il dottore. “Alcuni sono più seri di altri. Nei meno gravi rientrano tagli e lividi, la distorsione alla spalla e la frattura alla caviglia. Potranno essere dolorosi, ma sono niente se paragonati al resto.”

“Che intende dire?” Incalzò mio zio.

“Ha ricevuto un colpo molto duro in testa che gli ha provocato un trauma cranico. Avrà probabilmente perso conoscenza dopo l’impatto. Non ricorda niente della caduta e probabilmente non lo farà mai. Soffrirà di mal di testa e di vertigini per un po’ di tempo. Lo terremo sotto osservazione. Probabilmente il trauma associato al pneumotorace spiega l’insorgere della nausea.”

“Pneumo che?” Chiese ancora zio Jesse.

“Pneumotorace.” Rispose il dottore. “Luke ha due costole rotte e una gli ha perforato un polmone che è parzialmente collassato; lo avremmo perso del tutto se non lo aveste trovato. Abbiamo dovuto inserirgli un tubo nel torace, adesso riesce a respirare senza difficoltà. Dovremmo tenerlo per almeno un paio di giorni.”

“Poi tornerà tutto normale?” Chiesi ansiosamente.

“Si, tutto normale.” Si prese una pausa prima di continuare. “Ci sono altre complicazioni però.”

“Quali?” Chiese mio zio vistosamente preoccupato.

“L’ipotermia e la disidratazione.”

“Ipotermia?” Domandai stupito. “Luke era freddo e tremava, ma pensavo fossero necessarie temperature ben più rigide per arrivare all’ipotermia.”

“Non è detto. Può accadere in condizioni particolari. Da quello che mi avete detto, Luke era ancora bagnato fino alle ossa perché non ha avuto modo di asciugarsi per due giorni. L’acqua ha ghiacciato la sua pelle ed ha abbassato la sua temperatura interna. Inoltre il vento degli ultimi giorni ha peggiorato di molto la sua situazione. E’ per questo che non riusciva a smettere di tremare. E’ stato un bene che l’ipotermia non sia arrivata al punto di farlo smettere di tremare per sempre.”

“Quanto è grave dottore?” Chiese di nuovo zio Jesse.

“La gravità dell’ipotermia dipende da come il suo corpo riuscirà a ritrovare la giusta temperatura. Lo avete trovato prima che si abbassasse troppo per fortuna. In casi gravi ci possono essere complicazioni cardiache e respiratorie che conducono ad una morte certa. Ma non è il nostro caso.”

Daisy rabbrividì e si strinse a me: “grazie a Dio lo hai trovato Bo. A sentir parlare il dottore sembra che non avrebbe superato un’altra notte nelle sue condizioni.”

“E’ così.” Intervenne il dottore. “Lo avete trovato proprio nel momento in cui tutto stava cominciando a peggiorare: l’ipotermia, la disidratazione, il polmone collassato, il trauma cranico e la polmonite derivata dalla permanenza prolungata in un luogo freddo e bagnato.”

“La polmonite può essere una grave complicazione.” Disse mio zio preoccupato. “Specialmente se associata agli altri danni.”

“Si.” Concordò il dottore. “Ma abbiamo già iniziato una terapia intravenosa a base di antibiotici e il suo corpo dovrebbe rispondere bene. Non voglio mentirle signor Duke, suo nipote versa in gravissime condizioni.”

“Che cosa farete per Luke?” Chiese ancora zio Jesse.

“Come vi ho già detto, cureremo la polmonite con gli antibiotici. Riscalderemo il suo corpo dall’interno iniettandogli fluidi in vena. Dovrebbe essere sufficiente. Con altri fluidi combatteremo la disidratazione. Terremo il trauma cranico sotto controllo. Gli abbiamo già immobilizzato la spalla, dovrà portare il braccio al collo per un po’. E gli ingesseremo la caviglia. Rimuoveremo il tubo dal suo torace in un paio di giorni, con un po’ di fortuna non sarà necessario operare.”

“Dovrà essere ricoverato a lungo?” Chiese infine mio zio dopo aver ascoltato quell’interminabile lista.

“Purtroppo si. Salvo complicazioni dovrà rimanere qui dentro almeno un mese.”

Zio Jesse strinse la mano del dottore: “grazie. Quando pensa che potremmo vederlo?”

“Ci vorranno almeno un paio d’ore prima che venga portato in una stanza. Dobbiamo ancora sottoporlo a diverse analisi. Perché nel frattempo non andate a mangiare qualcosa?”

Offrii anche io la mia mano al dottore: “Grazie.” Dissi.

Quando se ne fu andato, zio Jesse ci abbracciò. Avevamo tutti e tre gli occhi colmi di lacrime. Eravamo grati a Dio che nonostante tutto per Luke ci fosse speranza. Avremmo fatto di tutto per aiutarlo.

Io avrei fatto qualunque cosa per aiutarlo.

Glielo dovevo… gli dovevo questo e molto altro.

 

To be continued…

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Capitolo 17
*** Troppi sensi di colpa ***


E siamo arrivati a quello che probabilmente è il capitolo che aspettate da quando ho iniziato a tradurre questa storia. E’ piuttosto lungo e spero come sempre di aver fatto un buon lavoro.

Grazie per i commenti, splendidi e graditissimi come al solito!

 

Capitolo diciassette: troppi sensi di colpa

 

Bo

 

Furono necessarie tre ore prima che Luke fosse portato in una camera. Cercai di essere paziente, ma avevo bisogno di vederlo per essere certo che stesse bene.

Quando ci dissero che finalmente potevamo vederlo, divenni improvvisamente nervoso. Iniziai a sentire una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco mentre raggiungevamo la stanza di Luke. Stavo per affrontarlo a viso aperto. Dopo tutto quello che aveva passato, non ero sicuro avrebbe accettato le mie scuse né che avrebbe voluto vedermi. Non lo avrei di certo biasimato.

Cercavo di essere forte, ma il pensiero che Luke avrebbe potuto sbattermi fuori dalla camera, rallentò di molto la mia andatura. Arrivai per primo davanti alla porta, ma mi arrestai di colpo prima di entrare. Vederlo steso su di un letto d’ospedale mi colpì duramente. I suoi occhi erano chiusi. Sperai non fosse incosciente, ma stesse semplicemente dormendo. La sua pelle era ancora innaturalmente pallida fatta eccezione per i lividi che gli ricoprivano il volto. Il taglio sulla fronte era stato coperto con una benda. La sua caviglia era stata ingessata ed era adagiata su di un cuscino. Un paio di tubicini erano stati attaccati alle sue braccia e c’era un altro tubo che andava dal suo torace fin dentro una macchina. Era terribile vederlo in quello stato.

Tutti quei monitor e quelle macchine mi rendevano nervoso. Fui colto da un giramento di testa e le mie gambe divennero improvvisamente deboli. La stanza iniziò a ruotarmi intorno. Rimasi fermo sulla porta mentre mio zio e Daisy mi superarono ed entrarono. Zio Jesse raggiunse Luke e gli strinse una mano, poi mi guardò e mi fece segno di avvicinarmi. Di sicuro ero diventato pallido anche io.

“Siediti Bo o cadrai per terra.” Mi disse. “Luke starà bene vedrai.”

Mi vide guardare con timore tutte quelle macchine e aggiunse: “non preoccuparti di quel vedi, serviranno solo a farlo rimettere in fretta.”

Non dubitavo delle parole di mio zio, ma quelle macchine continuavano a spaventarmi. Luke è sempre stato tanto forte. Era davvero difficile saperlo in quelle condizioni. Rimanemmo nella stanza aspettando con impazienza che si svegliasse. Daisy voleva provare a ridestarlo dal suo sonno, ma zio Jesse le disse che dovevamo attendere. Volevo che aprisse gli occhi, ma allo stesso tempo ero nervoso perché non sapevo cosa gli avrei detto.

Sapevo che era successo tutto per colpa mia. Se non mi avesse visto baciare Ellen, sarebbe rimasto al Boar’s Nest e sarebbe tornato a casa con me, in macchina. Non sarebbe finito in ospedale. Il mio senso di colpa mi stava uccidendo. Non sapevo se mi avrebbe mai perdonato.

Rimasi in silenzio e ascoltai zio Jesse e Daisy parlare, ma non prestai attenzione a quel che si stavano dicendo. Dopo circa mezzora dal nostro arrivo nella camera, Luke finalmente iniziò a svegliarsi. Zio Jesse mi diede una leggera pacca per catturare la mia attenzione.

Dolcemente mi disse: “Bo non dirgli più cose di quante ne potrebbe sopportare ora. So come ti senti e so che vuoi sistemare tutto con Luke, ma vacci piano. Sii sicuro che voglia ascoltarti. Voglio che rimanga tranquillo. Ha bisogno di ritrovare le sue energie in fretta per stare meglio, non per preoccuparsi di nuovo.”

“Lo so.” Risposi. “Non preoccuparti. Non voglio dargli altri pensieri. E’ l’ultima cosa che farei adesso.”

“A tuo cugino non piace mostrare le sue emozioni.” Aggiunse poi con un filo di voce per evitare che Luke potesse sentire. “Non farlo agitare.”

Sorrisi. “Non lo farò.”

Zio Jesse ricambiò il mio sorriso: “bravo ragazzo.”

Luke sospirò debolmente e aprì gli occhi. Zio Jesse si chinò verso di lui e gli poggiò una mano sulla fronte: “ecco il mio ragazzo.”

Luke sollevò un braccio e sfiorò il suo volto. Si mosse come per mettersi seduto, ma zio Jesse gentilmente lo costrinse a rimanere immobile.

“Con calma. Devi rimanere fermo. Sono qui adesso e tu starai bene.”

Luke fece quel che gli era stato detto. Guardò mio zio con un debole e impercettibile sorriso.

Daisy gli si avvicinò e gli diede un bacio su di una guancia: “è così bello vederti sveglio tesoro. Come ti senti?”

“Non ne sono sicuro.” Rispose Luke con voce roca. “Mi sento confuso. Ho mal di testa. Tu sei veramente qui? Sembri un angelo.”

Daisy sorrise: “certo che sono io. E dove altro potrei essere? Sono vera, non sono un angelo.”

“Però gli somigli.” Disse debolmente provando a sorridere. Non appena si guardò attorno, la sua espressione cambiò. Il tono della sua voce divenne ansioso: “dov’è Bo?”

“Sono qui cugino.” Dissi emergendo da dietro mio zio. “Dove volevi che fossi?”

Luke sussurrò: “Avevo paura che…”

Quando la sua voce venne meno, gli chiesi: “avevi paura di cosa Luke?”

Scrollò le spalle e girò lo sguardo. Vide le flebo e le macchine a cui era attaccato. Penso lo resero nervoso almeno quanto me. Iniziò a respirare con affanno.

Zio Jesse gli strinse la mano: “ascoltami figlio mio. Starai bene. Presto ti sentirai meglio. Queste macchine ti aiuteranno a rimetterti prima. Non preoccupartene, pensa solo a guarire.”

Luke si calmò non appena ascoltò quelle parole. Zio Jesse aveva sempre avuto questo potere su di noi. La sua sola presenza ci faceva sentire al sicuro. Fece scorrere le sue dita tra i capelli di Luke e grazie a quel gesto lui si rilassò.

Zio Jesse poi gli chiese: “senti dolore da qualche parte? Il dottore ha detto che può darti qualche sedativo.”

“Sono solo stanco. Mi fa male un po’ la testa. Cosa mi è successo?”

“Ti sei procurato diversi danni cadendo in quella scarpata.”

Luke sembrò sorpreso: “sono caduto? Non mi ricordo.”

Zio Jesse continuò ad accarezzargli i capelli tentando di tranquillizzarlo: “il dottore dice che è normale che tu non ricordi la caduta e dice anche che probabilmente non lo farai mai, quindi non sforzarti. E’ una sorta di amnesia dovuta al trauma cranico. Pensiamo che tu abbia preso una scorciatoia dopo che la signora Jacobson ti ha lasciato sulla Little Creek Road venerdì sera. In qualche modo devi essere caduto. Bo ha immaginato dove potevi essere. Probabilmente sei passato di là perché volevi arrivare prima a casa. Il terreno era bagnato e scivoloso e tu devi essere caduto.”

“Ricordo che ero solo e spaventato.”

“Posso immaginarlo.” Rispose zio Jesse. “Ma adesso sei al sicuro.”

“Non potevo muovermi.”

“Lo so.”

“Sono in ospedale?” Domandò poi Luke guardando ancora la stanza.

“Si sei in ospedale.”

“Che cos’ho?” Chise poi agitandosi nuovamente.

“Hai un trauma cranico, il che spiega il tuo mal di testa. Il dottore dice che ne soffrirai per un po’. Hai una spalla slogata e una caviglia rotta.”

“Che altro?” Incalzò quando zio Jesse fece una pausa.

“Ti sei rotto un paio di costole e una ti ha perforato un polmone. Ecco perché hai quel tubo nel torace.”

Luke immagazzinò quelle informazioni: “mi fa male un po’ il petto.”

“Non ne dubito. Ti sei preso anche la polmonite per esser stato due giorni e due notti al freddo. Le basse temperature ti hanno causato un principio di ipotermia, ma ti stanno già curando anche per questo.”

“Ricordo che avevo freddo. Ero bagnato e non potevo asciugarmi. Mi rimetterò?”

“Starai benissimo figlio mio. Uscirai di qui prima di quanto pensi.”

Mentre osservava di nuovo tutte le macchine che aveva intorno, gli occhi di Luke divennero incredibilmente tristi.

“Che ti succede?” Gli chiese zio Jesse visibilmente preoccupato. “Senti dolore da qualche parte?”

“Mi dispiace.” Mugugnò.

“Non hai niente di cui dispiacerti.”

“Dovevo rimanere sulla strada, è solo colpa mia.”

Zio Jesse gli strinse di nuovo la mano: “forse è vero, ma ci sarà un motivo se una cosa del genere si chiama incidente. Non lo hai programmato e di certo non lo hai fatto di proposito.” Sorrise aggiungendo: “non sarà stata la cosa più intelligente che tu abbia fatto, ma si tratta pur sempre di un incidente.”

Luke abbassò lo sguardo: “l’ospedale è costoso… non possiamo permettercelo.”

“In qualche modo faremo. Ci ingegneremo qualcosa come abbiamo sempre fatto. Non voglio che tu ti preoccupi di queste cose ora.”

“Dovevo essere più prudente.” Bisbigliò ancora faticando a tenere gli occhi aperti.

“Ti servirà di lezione. Andrà tutto bene. Voglio che ora tu chiuda gli occhi e riposi. Sei esausto. Noi saremo qui quando ti sveglierai.”

Non furono necessarie altre parole per convincerlo. I suoi occhi si chiusero. Nel giro di pochi secondi si addormentò di nuovo.

Zio Jesse sembrava stanco. Dissi: “perché tu e Daisy non ve ne andate a casa a riposare? Luke dormirà per un bel po’. Rimarrò io con lui nel caso si svegliasse prima del vostro ritorno.”

Zio Jesse mi guardò con simpatia. E’ sempre stato un uomo saggio e intuitivo. Penso avesse capito che volevo rimanere da solo con Luke. Avevo bisogno di parlarci. Avevamo troppe cose in sospeso.

Annuì: “va bene Bo. Sembra tu ci stia spedendo a casa di proposito, ma lo faremo lo stesso. Chiamaci subito se Luke avesse bisogno di qualcosa. E ricorda cosa ti ho detto, vacci piano e non farlo agitare. Sta già abbastanza male per quel che è successo. Si sente in colpa ed è preoccupato per il conto dell’ospedale. Non dargli più preoccupazioni di quante ne possa sopportare ora. Forse parlargli di quello che tu ed Ellen avete fatto farà sentire meglio te, ma assicurati che non faccia stare peggio lui.”

“Si lo so zio Jesse. Credimi, non farò niente che possa ferirlo. Gli ho già fatto abbastanza male. Voglio solo sistemare le cose tra di noi. Se non dovesse essere pronto per farlo ora, non lo forzerò.”

Mio zio mi strinse nel suo abbraccio: “non preoccuparti. Ti perdonerà.”

Daisy baciò Luke e poi mi buttò le braccia al collo: “andrà tutto bene, lui ti ama lo sai.”

“Lo so Daisy… lo so.” Risposi con riconoscenza.

Zio Jesse si piegò un’ultima volta su Luke per salutarlo e poi lasciò la stanza accompagnato da Daisy. Mi misi a sedere su di una sedia vicino al letto di Luke e rimasi a guardarlo aspettando che si svegliasse. Nel frattempo ricominciai a riflettere su di noi. Non riuscivo a pensare a nient’altro. Abbiamo sempre avuto un rapporto forte e solido. Per me Luke è un fratello maggiore, è il mio migliore amico. Si è sempre preoccupato per me. E' sempre stato presente. Sono sempre dipeso da lui e mi fido di lui come di nessun altro. Lo amo sinceramente. Pregai di non aver danneggiato irreparabilmente il nostro legame. Non riuscivo ad immaginare la mia vita senza averlo accanto.

Dopo un paio d’ore di riposo, Luke iniziò ad agitarsi. Non era una buona idea muoversi con tutte quelle macchine attaccate, così gli afferrai un braccio nel tentativo di calmarlo.

Sussurrai: “piano Luke. Devi rimanere fermo o farai saltare qualche tubo. Non sarebbe un bene.”

Non avevo lo stesso tono di mio zio, ma Luke mi ascoltò lo stesso. I suoi occhi, dopo diversi tentativi andati a vuoto, finalmente si aprirono. Quando mi guardò dissi: “ciao cugino. Bentornato nella terra dei vivi. Come ti senti?”

Fece una piccola smorfia e rispose: “mi fa male tutto.”

“E’ piuttosto normale dopo quello che ti è successo.”

“Dov’è zio Jesse?”

“So che vuoi vederlo. Sarà di ritorno presto.”

Non riuscivo a decifrare l’espressione di Luke, non riuscivo a capire cosa stesse pensando. Stavo diventando sempre più nervoso. Non riuscivo a trovare le parole giuste per dire quel che volevo dire. Pensai a cosa mi aveva detto mio zio, ma non potevo più aspettare.

“Ascolta Luke. Non so dirti quanto io sia dispiaciuto per tutto. Non avrei mai voluto ferirti.” Dissi improvvisamente.

Luke mi guardò negli occhi. Con grande sorpresa non vidi rabbia. Vidi solo tristezza.

La sua voce era ferma quando mi rispose: “neanche io avrei mai voluto ferirti. Non sono certo di ricordare esattamente tutto, ma ricordo bene la nostra litigata. Mi dispiace averti detto quelle cose, ti assicuro che non le penso.”

“Luke, io…”

“Per favore fammi finire. Ho bisogno di spiegarti.” Mi interruppe. “Penso di averti attaccato in quel modo perché ero molto preoccupato per te. Avevo paura che avessi tentato di saltare il fiume proprio come volevi fare quella mattina. Quando non ti ho visto arrivare da Cooter, ho cominciato a pensare che potessi aver avuto un incidente. Tornato a casa, ho avuto molto tempo per convincermi da solo della mia teoria. Ma tutta la mia preoccupazione è uscita fuori come rabbia quando sei tornato alla fattoria come se niente fosse accaduto. Sono davvero desolato, non ho scuse per le cattiverie che ti ho detto, ma questo è il motivo.”

“Non immaginavo fossi preoccupato perché credevi che avessi avuto un incidente.” Risposi comprendendo pienamente il suo stato d’animo. “Forse prima non lo sapevo, ma adesso so esattamente che cosa significa avere paura.”

“Non avrei mai voluto che niente di tutto questo accadesse. Mi dispiace.”

“Luke non c’è niente di cui tu debba dispiacerti. Sono io quello che deve chiedere scusa… spero che mi perdonerai per ciò che ti ho detto. Non hai davvero nessun motivo per essere geloso di me.”

“Non lo so Bo. Se devo essere sincero, a volte mi capita di essere un po’ geloso. Hai sempre avuto un modo speciale di attirare le ragazze. Io non sono mai riuscito ad affascinarle come fai tu.”

“Luke mi regalò un debole sorriso e aggiunse: “e non sono attraente come te.”

“Vai benissimo così Luke.”

Sapevo che Luke voleva alleggerire la tensione tra di noi, provai a restituirgli un sorriso, ma non ci riuscii. Non potevo più aspettare. Sembrava stesse reagendo bene alla nostra conversazione. Sperai sarebbe stato così anche per il seguito.

“Mi dispiace per quello che ho fatto con… Ellen.”

Il debole sorriso di Luke scomparve. Mi guardò come se fosse stato raggiunto dal riacutizzarsi di un dolore e mi domandai se non avessi fatto un enorme sbaglio. Riuscivo a vedere il dolore contrargli il volto. Forse zio Jesse aveva ragione. Forse non era pronto per questo. Rimase in silenzio per un lungo lasso di tempo durante il quale non credo di aver mai respirato.

Finalmente mi domandò con un filo di voce: “che cosa avete fatto tu ed Ellen, Bo?”

“Non ci hai visti?” Risposi.

“Vi ho visti mentre vi baciavate, ma poi me ne sono andato.”

I suoi occhi erano ancora colmi di tristezza. Mi sarebbe piaciuto poter sparire, ma gli dovevo un’onesta spiegazione.

“Ci siamo solo baciati Luke. Te lo giuro. Niente più di questo. Questo è quanto e nessuno dei due potrebbe essere più dispiaciuto. Non so a cosa stessi pensando. Di certo non stavo pensando. Ero così arrabbiato con te per le cose che mi avevi detto. Volevo dimostrarti che avevo ragione dicendo che potevo avere qualunque ragazza io volessi. Perfino Ellen. Ma non avevo programmato di baciarla. Onestamente. Volevo solo flirtare con lei e renderti geloso di me. So che era una cosa sbagliata. Non so come siamo arrivati a quel bacio, è successo e basta. Ellen stava talmente male che è andata via. Non aveva il coraggio di incontrarti. Neanche io ce l’avevo, ma dovevo. Ti ho aspettato perché volevo chiederti scusa, ma non ne ho più avuta occasione. Mi dispiace così tanto Luke. Perdonami se puoi. Non farò mai più una cosa del genere.”

Avevo parlato ininterrottamente senza prendermi il tempo di respirare e senza permettere a Luke di interrompermi. Dovevo tirare fuori tutto in una volta o non ne avrei più avuto il coraggio.

“Non è successo nient’altro?” Mi domandò.

“Te lo giuro, nient’altro. Sono così dispiaciuto.” Risposi ancora. Sembrava non riuscissi più a smettere di dire quanto fossi amareggiato. “Se me ne darai la possibilità, farò tutto quello che sarà necessario per riparare a questo errore.”

Luke rimase in silenzio per quello che è stato il momento più lungo della mia vita. Avevo paura che quello che gli avevo fatto fosse imperdonabile. Alla fine invece mi guardò e mi disse: “va tutto bene Bo, ti perdono. Ho anche io tanto da farmi perdonare. Non avrei avuto nessun incidente se fossi rimasto invece di scappare via.”

Non doveva accollarsi la responsabilità di qualcosa che era dipeso solo da me. “Non saresti scappato se io non avessi baciato Ellen. Non avresti avuto nessun motivo per lasciare il Boar’s Nest.”

“Forse non ha importanza di chi è veramente la colpa. Le cose non cambiano a questo punto. Ho avuto molto tempo per pensare mentre ero là fuori. Ero spaventato perché pensavo di averti fatto arrabbiare così tanto da toglierti la voglia di venirmi a cercare. Semmai qualcuno fosse stato in grado di immaginare dove potessi esser finito, sapevo che quel qualcuno eri tu. Avevo paura che non volessi più saperne di me. Avevo paura di averti perso.”

La mia voce fuoriuscì rotta per l’emozione: “ti ho cercato tanto Luke. Ho cominciato non appena ho realizzato che non eri rientrato in casa. E non mi sarei fermato finché non ti avessi trovato. Mi dispiace solo di non essere arrivato prima. Non dovrai mai preoccuparti di un’eventualità del genere. Non mi perderai mai.”

Rimasi scioccato quando vidi le lacrime solcare le sue gote. Guardò in basso e tentò di asciugarsi il volto con il palmo della mano per nasconderle a me.

“Non piangere, per favore.” Lo implorai.

“Non sto piangendo.” Si affrettò a rispondermi ancora impegnato a cancellare ogni evidenza.

Non avevo proprio voglia di discutere ancora: “okay, non stai piangendo. Ascoltami bene Luke Duke. Per quanto tu ci possa provare, non ti libererai mai di me.”

Stava cercando di riprendere il controllo e continuava a non guardarmi. Non gli è mai piaciuto mostrarsi vulnerabile. Realizzai infatti che l’ultima volta lo avevo visto in lacrime perché zio Jesse gli aveva tirato uno schiaffo ed era successo tanti anni addietro. Vederlo continuare a piangere nonostante cercasse in tutti i modi di smettere, ruppe completamente ogni mia difesa e lo imitai. Non avevo più niente da dire, ma avevo una necessità disperata: mi chinai su di lui e lo abbracciai facendo attenzione a non fargli male. Luke rispose al mio gesto. Sentii le sue braccia afferrarmi e stringermi forte.

“Ti voglio bene.” Sussurrai.

Non era certo qualcosa che ci dicevamo spesso. Sapevamo che ognuno di noi teneva molto all’altro, ma non avevamo mai dato voce ai nostri sentimenti. Luke non si mise a ridere di me e non fece finta di non avermi sentito. Gliene fui davvero riconoscente.

Fui sorpreso e felice quando mi rispose: “ti voglio bene anche io.”

“E’ tutta colpa mia.” Continuò poi.

“No, è colpa mia.” Lo contraddissi.

“Hai intenzione di litigare ancora per chi si dovrà prendere la responsabilità?”

“Non c’è bisogno di litigare perché sono io l’unico colpevole in tutta questa vicenda.”

“Sono troppo stanco per continuare a discutere con te. Penso ci siano in giro abbastanza sensi di colpa da accontentare entrambi.”

“Forse hai ragione. Allora è tutto risolto tra di noi?”

“Si è tutto risolto, ma prima che entri qualcuno e ci veda, sarà meglio smettere di abbracciarci come due femminucce. Sarebbe la fine della nostra reputazione di ragazzi forti e virili.”

Non potei far altro che ridere del commento di Luke. Riluttante mi staccai da lui. Rimasi a sedere sul letto accanto a lui facendo attenzione a non disturbare tubi o flebo. Levai via le lacrime dal mio viso e Luke fece lo stesso. Entrambi cercavamo di agire come se nessuno dei due avesse pianto.

Mi sorrise. Era bello vederlo sorridere.

“Pensano questo di noi? Che siamo ragazzi forti e virili? Hai fatto bene a ricordarmelo, se Daisy ci avesse visti, non ci avrebbe più fatti vivere in pace.”

“Hai ragione. Avremmo avuto fama di ragazzi dolci e sensibili.”

“Non succederà mai.” Risi ancora. “Anche se alle ragazze piacciono i tipi sensibili. Scommetto che se ci provi riuscirai a tirar fuori quel lato del tuo carattere.”

Il mio gioco fu premiato dalla risata di mio cugino, ma finì in fretta quando si passò una mano sul torace: “accidenti se fa male. Non farmi ridere Bo, per favore.”

“Mi dispiace.”

Luke mi guardò con un’espressione che non riuscii a decifrare. “Che c’è?” Gli chiesi.

“Niente.” Mi rispose. Esitò un attimo, ma poi riprese: “ho perso molto nella mia vita, non posso perdere anche te.”

“Per me è lo stesso. Non permetterò mai più che qualcosa del genere capiti di nuovo.”

Annuì. I suoi occhi sembrarono di nuovo esser diventati pesanti. “Perché non ti riposi un po’ adesso. Chiamerò zio Jesse e Daisy e farò sapere loro che stai bene.”

“Dove sono?” Domandò un po’ preoccupato.

Penso di essere arrossito mentre rispondevo: “li ho mandati a casa. Avevo bisogno di rimanere un po’ di tempo da solo con te. Zio Jesse mi ha capito.”

“Zio Jesse ci capisce sempre, non è vero?”

“Hai ragione.” Risposi. “Torneranno presto, vedrai.”

“Va bene.” Disse poi chiudendo gli occhi. “Sono stanco, riposerò un po’ finché non arriveranno.”

“Dormi, Luke. Sarò qui quando ti risveglierai.”

“Lo so Bo.”

Mi misi di nuovo a sedere sulla sedia vicino al letto senza mai staccargli gli occhi di dosso. In breve si addormentò. Non avrei mai più permesso a niente e a nessuno di minare quello che c’era tra di noi. Ero stato davvero troppo vicino dal perderlo per sempre.

 

To be continued…

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Capitolo 18
*** Tenere duro ***


Con grande tristezza vi annuncio che siamo arrivati all’ultimo atto di questa storia. Ve lo lascio leggere in santa pace, per i ringraziamenti vi rimando alla fine del capitolo.

 

 

Capitolo diciotto: Tenere duro

 

Luke

 

Stavo provando disperatamente a tener duro, ma era difficile. Stavo perdendo ogni speranza.

Bo mi trovò proprio quando stavo per mollare. Da qualche parte nel profondo dentro me, sapevo che sarebbe arrivato. Condusse da me anche zio Jesse e Daisy. Sono stati la ragione per la quale non mi sono arreso. Mi hanno dato un valido motivo al quale aggrapparmi. Tenni duro con tutto quello che avevo.

Durante il tragitto in ospedale, sono sempre stato incosciente. Ho pochi ricordi del pronto soccorso e sembrano più che altro frammenti di un sogno o più precisamente di un incubo. C’erano luci accese e diverse persone chinate su di me. Sentivo delle voci, ma non capivo cosa stessero dicendo. Sembrava comunque qualcosa di serio. Sentivo dolore ogni volta che mi muovevano e che mi toccavano. Mi hanno messo un paio di aghi nelle braccia. Hanno fatto qualcosa alla mia spalla che mi ha fatto davvero male. Quando hanno inserito un tubo nel mio torace mi sono spaventato. Ho tentato di dire loro di lasciarmi in pace, ma loro capivano me quanto io capivo loro.

Mi ritrovai di colpo in un mondo dove tutto era distorto e dove ogni cosa si muoveva come al rallentatore. Era tutto strano. Penso mi avessero dato qualche droga a giudicare da come tutto era diventato irreale. Anche ora non so dire cosa fosse vero e cosa derivasse dalla mia immaginazione. Dopo un po’ però, divenne tutto nero. Scomparve ogni cosa.

Non so per quanto tempo io sia stato incosciente, ma la cosa successiva che ricordo è un altro insieme di voci. Stavolta famigliari. Non riuscivo a capire cosa dicessero, ma erano rassicuranti. Non ero più spaventato. Non sapevo dov’ero, ma ero asciutto e al caldo. Non volevo altro che rimanere là. Stavo bene. Se stavo sognando, cosa che ritenevo piuttosto probabile, non avrei voluto svegliarmi mai più. Avevo paura che se mi fossi ridestato, mi sarei ritrovato di nuovo all’aperto, al freddo, sotto la pioggia. Quello nel quale mi trovavo invece era un bel posto ed ero più che mai determinato a rimanerci. Non sapevo però che posto fosse, ma in fondo non me ne importava.

Ascoltai le voci finché non divennero chiare. La prima che riconobbi fu quella di zio Jesse. Era dolce e forte allo stesso tempo. Stava parlando con Daisy la cui voce invece era melodiosa come musica. Non capivo di cosa stessero parlando, ma ascoltai lo stesso. Era confortante. Non mi stavano chiamando e non facevano il mio nome, non ero certo sapessero che li sentivo. Non ero neanche sicuro sapessero che io ero lì con loro. Non mi importava, mi bastava sapere che loro c’erano.

Riluttante lasciai il posto confortevole nel quale mi trovavo. Volevo vedere zio Jesse e Daisy. Lottai per uscire dalla nebbia che mi circondava, pregando tuttavia non stessi commettendo un errore. Quando alla fine aprii gli occhi, vidi zio Jesse accanto a me. Non sapevo se fosse reale così allungai un braccio e gli sfiorai il volto. Mi sentii finalmente al sicuro. Continuavo a non capire in che posto mi trovassi, ma sapevo che andava tutto bene perché zio Jesse era con me. Avevo abbastanza coscienza di me, ma ero stanco. Non mi sono mai sentito tanto stanco in vita mia.

Vidi Daisy in piedi  vicino a me dall’altra parte del letto. Quando si chinò su di me, vidi i suoi capelli ondeggiare sul suo bel viso. Mi chiesi se stessi guardando un angelo, ma lei sorridendo mi assicurò che era reale.

Non vidi Bo. Il mio cuore iniziò a battere forte quando mi guardai attorno. Non riuscivo a ricordarne il motivo, ma sapevo che era arrabbiato con me. Rammentavo di esser stato in pensiero per lui. Sapevo che avevamo delle cose in sospeso. I miei battiti accelerarono ancora. Forse non gli interessava più niente di me. Forse non aveva voglia di vedermi. Forse stavolta lo avevo allontanato tanto da non farlo più tornare indietro. Avevo paura di chiedere dove fosse, ma dovevo sapere.

“Dov’è Bo?” Domandai.

Bo sbucò da dietro mio zio e mi sorrise. Non mi sono mai sentito più sollevato. Avevo bisogno di lui in quel momento e lui c’era e mi stava sorridendo. Doveva essere un buon segno. Il nostro litigio iniziò a riaffacciarsi nella mia mente, ma non riuscivo ancora a metterlo bene a fuoco.

Sapevo di esser steso su di un letto che non era il mio. Quando realizzai di essere attaccato a delle macchine e quando vidi gli aghi infilati nelle mie braccia, iniziai a sentirmi confuso e spaventato. Sentii di nuovo il panico impadronirsi di me. Zio Jesse mi strinse la mano. Ricambiai la sua stretta. Mi disse che ero in ospedale, ma che presto sarei stato meglio. Gli credetti. Non mi ha mai mentito. Mi calmai mentre mi passava la sua mano forte e gentile tra i capelli. E’ divertente pensare quanto il suo tocco mi abbia tranquillizzato nonostante non fossi più un bambino.

Zio Jesse riempì un po’ dei vuoti che avevo. Mi disse che ero caduto nella scarpata che dal ponte arriva al torrente. Ricordavo di aver accettato un passaggio dalla signora Jacobson. Sapevo che mi aveva lasciato alla fine della Little Creek Road, ma non riuscivo a ricordare di esser caduto. Mio zio mi disse che probabilmente non lo avrei mai ricordato a causa del trauma cranico che ne era derivato. Almeno mi era stato spiegato il perché del mio mal di testa.

Non so davvero a cosa stessi pensando quando ho preso quella scorciatoia sotto la pioggia. Avrei dovuto essere più responsabile. Non sarebbe successo niente se fossi rimasto sulla strada. Anche zio Jesse mi disse che avrei dovuto avere maggiore buonsenso. Giacere su di un letto d’ospedale, era la prova della mia stupidità. Sembrava che stessi lì già da un po’ di tempo. Ero preoccupato che non mi sarei ripreso tanto presto, ma ancora di più mi preoccupava la spesa che avremmo affrontato quando ci avrebbero presentato il conto. Zio Jesse tentò di rassicurarmi, ma non potei far altro che sentirmi dispiaciuto.

Gli chiesi poi di dirmi quali altri danni mi ero provocato. Mi disse che avevo un paio di costole rotte e che una aveva perforato un polmone il che spiegava perché provassi tanto dolore quando respiravo. Spiegava anche la presenza del tubo nel mio torace. Continuò dicendomi che avevo la polmonite e un principio di ipotermia causata dall’esposizione prolungata al freddo e all’acqua. Non ne fui sorpreso. Non ricordo di aver mai avuto tanto freddo in vita mia. Come se non fosse stato abbastanza inoltre, avevo una spalla slogata e una caviglia fratturata. Tagli e abrasioni varie completavano la mia opera. Ero davvero messo male ed era stata tutta colpa mia.

Mi sentii improvvisamente esausto e saturo di informazioni. Erano davvero troppe. Penso che zio Jesse se ne accorse subito perché mi consigliò di riposare per un po’. Non dovette faticare molto per convincermi. Mi impegnai per rimanere sveglio, ma era una battaglia persa. In breve mi addormentai.

Il mio sonno fu pieno di immagini spiacevoli: vedevo me stesso solo e al buio. Riuscivo a sentire il freddo. Ero fradicio fino alle ossa. Volevo risvegliarmi, ma non ci riuscivo, quell’incubo non voleva lasciarmi. Avevo paura che forse l’ospedale era stato un sogno ed io ero ancora fuori aspettando che qualcuno mi trovasse. Sentii poi un tocco gentile sul mio braccio e udii la voce rassicurante di Bo. Non capivo cosa mi stesse dicendo, ma era confortante averlo vicino a me. Dovevo tornare da lui. Lottai per uscire dal mio incubo e tentai di aprire gli occhi. Bo mi stava sorridendo. Era reale, non era un sogno.

Mentre lo guardavo, mi tornarono alla mente gli ultimi giorni. Rammentai bene il nostro litigio e ricordai di aver visto Bo ed Ellen baciarsi al Boar’s Nest. In un certo senso non mi importava più sapere cos’era successo tra di loro. Tutto quello che volevo era che mio cugino rimanesse con me. Ho perso molto in vita mia e non potevo perdere anche lui. La convinzione che lui mi avrebbe trovato, mi aveva tenuto in vita.

Bo ha sempre avuto la tendenza a scappare via quando qualcosa non va bene. Quando litighiamo o quando è nervoso, si allontana sempre. Avevo paura che quella volta non sarebbe più tornato. Io invece non l’ho mai fatto. Se dipendesse da me, io risolverei le tensioni che si creano tra di noi nel momento stesso in cui si presentano. Ma non spetta solo a me. Non posso obbligarlo a restare se non vuole. Bo era lì con me in quel momento ed io avrei lottato pur di farcelo rimanere. Non lo avrei fatto allontanare di nuovo.

Comunque sia, non era necessario io facessi niente. Bo non aveva intenzione di andare da nessuna parte. Non trascorse molto tempo prima che iniziasse a chiedermi di perdonarlo. Io dovevo scusarmi con lui da quel famoso venerdì, così feci lo stesso. Quando poi mi disse che era dispiaciuto per quel che aveva fatto con Ellen, rimasi in silenzio perché non ero sicuro di voler sapere esattamente cosa avessero fatto. Li avevo visti baciarsi, ma poi avevo lasciato subito il locale. Non sapevo cosa ci fosse stato, né se qualcos’altro ci fosse stato. Ma non era un bene lasciare la risposta alla mia immaginazione.

Realizzai che avevo bisogno di sapere, così glielo domandai. Mi giurò che si era trattato solo di un bacio. Quel che io avevo visto era tutto quel che era successo. Voleva solo flirtare con lei per rendermi geloso e in qualche modo erano finiti per baciarsi. Gli credetti quando mi disse che non c’era stato altro. Non mi ha mai mentito.

Ad essere sincero, non so dire come mi sentissi veramente, ma dopo la terribile esperienza che avevo avuto, sapevo per certo che non potevo perdere Bo. Non avrei mai permesso che accadesse. Siamo cresciuti insieme e ci lega un affetto fraterno. Zio Jesse ci ha sempre detto che la famiglia è tutto e lui stesso ce l’ha dimostrato prendendoci nella sua casa quando i nostri genitori sono morti. Ha sempre detto che noi Duke non abbiamo molto in termini materiali, ma possiamo contare l’uno sugli altri ed è qualcosa che non ha valore. Gli ho sempre creduto senza fare domande. Zio Jesse, Daisy e Bo e sono tutta la mia ricchezza.

Di certo avremmo avuto molta strada da fare, ma perdonai Bo. Insieme avremmo sistemato ogni cosa. Non sapevo ancora cosa ne sarebbe stato di me ed Ellen, ma ci avrei pensato poi. Non avevo voglia di vederla. Avevo bisogno di riflettere. E poi lei non era in ospedale il che significava che anche lei aveva bisogno di un po’ di tempo.

La verità è che io amo la mia famiglia più di ogni altra cosa. Forse non c’è niente che Bo possa fare e che io non gli possa perdonare. Comunque non fu solo colpa sua. Dovevo accettare la mia parte di responsabilità in tutta quella vicenda. Avevo dato io il via a tutto urlando parole odiose a mio cugino e avevo peggiorato la situazione perseverando nelle mie accuse. Invece di parlare come una persona adulta e responsabile, ero stato sarcastico ed offensivo. Lo avevo ferito con le mie parole ed era stata soltanto colpa mia se ero caduto dentro quella scarpata. Avrei dovuto essere più attento. Non avevo nessun buon motivo per prendere quella scorciatoia con un tempo del genere.

Perdonare Bo fu facile per me quando lo guardai negli occhi e riuscii a cogliere la profondità dei suoi sentimenti. E’ sempre stato come un libro aperto. Vidi rimorso, tristezza, amore. Gli dissi che lo perdonavo e che speravo lui avrebbe perdonato me. Gli confessai che avevo paura di perdere quello che c’era tra di noi e lui mi rassicurò dicendomi che non sarebbe mai successo. Avevo così bisogno di sentire quelle parole. Sentii le lacrime riempirmi gli occhi e prima che potessi accorgermene, già rigavano il mio volto. Provai a levarle via prima che Bo se ne accorgesse, ma non ebbi successo. Quando mi vide, provai a negare l’evidenza. Tutto quello che ottenni fu che anche Bo si mise a piangere.

Volevo abbracciarlo, ma non potevo far molto dalla mia posizione in quel letto. Penso anche lui avesse quella necessità. Non aveva le mie restrizioni fisiche e per lui fu facile avvicinarsi e circondarmi con le sue braccia facendo attenzione a non disturbare i tubi che avevo attaccati. Provai qualche dolore qua e là, ma non mi interessava. Ricambiai il suo abbraccio.

E poi Bo mi disse di volermi bene. E’ sempre stato molto più aperto di me nel mostrare i suoi sentimenti. Al contrario io ho sempre trovato difficoltà nel dare voce alle mie emozioni ed ho sempre sperato che le mie azioni e i miei gesti parlassero per me. Penso che il trauma cranico mi avesse reso più emotivo del solito perché gli risposi. Gli dissi che anche io gli volevo bene. Ci ritrovammo così abbracciati ed in lacrime. Penso di aver pianto più in quei due giorni che negli ultimi dieci anni della mia vita. Non era proprio da me, ma dopo tutto quello che avevo passato forse era solo una valvola di sfogo.

Siamo sempre stati piuttosto competitivi e lo eravamo anche in quel momento. Cercavamo entrambi di accollarci la responsabilità esclusiva di quel che era successo, ma alla fine ci rendemmo conto che c’erano abbastanza sensi di colpi in quella stanza da accontentare tutti e due.

Alla fine gli dissi che sarebbe stato meglio staccarsi prima che fosse entrato qualcuno e ci avesse visti piagnucolare come due femminucce. Non ne saremmo usciti vivi se fosse toccato a Daisy sorprenderci. Non è mai stato facile per lei essere l’unica donna della famiglia e ha sempre faticato parecchio con noi due. Doveva imporci dei limiti perché in effetti a volte ne avevamo proprio bisogno. Se ci avesse visti in quella situazione, avrebbe avuto in mano qualcosa con cui ricattarci per tutta la vita.

Cercai di giocare un po’ sul fatto che gli uomini veri non piangono, mentre riprendevo il controllo di me. Bo mi rispose a tono e mi fece ridere di gusto, cosa che mi procurò un forte dolore al fianco. Ma non me ne preoccupai. Ormai sapevo che tutto si sarebbe risolto tra di noi.

Anche se Bo si era staccato fisicamente da me, io stavo continuando ad aggrapparmi a lui perché ne avevo bisogno. E stringevo forte perché non lo avrei fatto mai più andare via.

 

The End

 

 

Come promesso eccomi di nuovo. Dunque prima di tutto, lasciatemi ringraziare Gia August ancora una volta per avermi permesso di tradurre questi diciotto capitoli da dipendenza pura. Quando mesi fa li lessi, me ne innamorai follemente. Finalmente qualcuno cantava fuori dal coro ed “inventava” una situazione inedita nella quale inserire Bo e Luke. Penso che questa storia mi sia piaciuta tanto proprio perché quello di insinuare il tradimento tra questi due personaggi è sempre stato un mio desiderio e Gia August, a mio dire, ha fatto un ottimo lavoro. Se devo andare a cercare il pelo nell’uovo, da brava sadica quale sono, prima di fargli avere il perdono di Luke avrei fatto stare sulle spine il povero Bo almeno per un paio di capitoli (se non tre!) Tuttavia ho apprezzato molto anche il punto di vista dell’autrice la quale ha intrapreso un percorso introspettivo in linea con i caratteri originali di “The Dukes of Hazzard”.

E’ con piacere immenso che ringrazio la mia cara LadyBlack per tutti i commenti che mi ha lasciato e per l’onore che mi ha fatto mettendo questa storia tra le sue preferite.

Con lo stesso piacere ringrazio anche Maria che mi ha seguito con costanza e mi ha strappato più di un sorriso con le sue recensioni sempre deliziose e puntuali.

Grazie a Manzo che, anche se si è persa per strada, mi ha accompagnato per buona parte di questa traduzione.

Grazie a tutti coloro che, pur rimanendo muti, hanno letto “A shot in the dark” e grazie a tutti coloro che la leggeranno in futuro.

Baci Lella Duke

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