Il Giglio Blu

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***





Capitolo 1







 
 
Passi. Veloci passi che si camuffavano con il vento.
Rumori di foglie calpestate, di rametti spezzati. Le mura della città erano lontane miglia da loro eppure non sembrava ancora comparire un bagliore di salvezza. I loro movimenti diventavano sempre più bruschi e sempre meno attenti; di quel passo sarebbero stati raggiunti facilmente, ma non potevano permettersi di badare alle tracce che lasciavano dal momento che, lo sapevano, quello sarebbe stato il loro ultimo tentativo; dovevano farcela a tutti i costi. Non stavano facendo un lavoro pulito, ma la pulizia, in quell’istante, era l’ultimo dei loro pensieri.
Il primo dei tre si voltò indietro, scorgendo da lontano un gruppo di guardie armate e corazzate fino al midollo.
“Non so se ce la faremo” ammise, a voce bassa, ma quanto bastava per essere udita dai suoi due compagni; il secondo dei quali, serio, con uno scatto si fermò di colpo ed afferrò il manico della spada.
“Basta! Non ne posso più di scappare. Perché non li facciamo fuori tutti!? Io non ho paura di loro!”
Ed ecco che, finalmente, il terzo rallentò, fino ad arrestarsi posando gli stivaletti di cuoio sopra ad un tronco caduto.
“Puckerman, non possiamo fermarci, lo sai.”
Esitò per un istante, furioso, le narici completamente dilatate.
“E’ tutta colpa tua, idiota di un Evans! Sappi che questa te la farò pagare!”
“Io!? E che c’entro io!?”
“Oh non lo so, forse hai sculettato davanti a delle cortigiane per mezz’ora permettendo alle guardie di trovarci!?”
“Ma che dici, quello era un diversivo per le guardie! Mi camuffavo nella folla! E poi non è colpa mia se sono troppo sexy…”
“Te lo do io un diversivo! Dritto in mezzo a quella folla di CRICETI che tieni in testa al posto del cervello!”
“Va bene, adesso basta!”
I due litiganti, all’unisono, guardarono fulminei il ragazzo che li aveva appena interrotti da un’azzuffata colossale, e che si era fermato molti minuti prima, con un moto di esasperazione. Era sempre così: loro due bisticciavano, e lui evitava la rissa. Lui, con i suoi riccioli che coprivano gran parte della fronte e i suoi occhi incredibilmente ambrati che adesso li stavano fissando con tono accusatorio.
“Anderson –mugolò il più grande- lasciamelo picchiare, almeno per una volta sola!”
“Abbiamo ben altro da fare, ti pare?”
Non appena ebbe finito di pronunciare quella frase, con la sua immancabile voce calda e seria, l’urlo delle guardie giunse dritto alle loro orecchie e si affrettarono a correre più in fretta, cercando di scampare all’inevitabile pericolo.
Eppure, nonostante il rischio, nonostante la probabile galera e, forse, perfino la forca, nessuno dei tre ragazzi si sentì di rinnegare ciò che aveva fatto. Rubare tutto l’oro del marchese De Gaulle era stato un vero affare oltre che ad un’enorme soddisfazione. Quel maledetto doveva smetterla di lasciare il suo popolo in miseria, mentre lui annegava nella prosperità. Era da più di un anno che aveva ereditato il territorio di Lantarster, e da allora non era passato un singolo giorno in cui sbeffeggiasse i contadini, ignorasse le suppliche degli infermi e maltrattasse le signore. Non si meritava tutto quel bene, ma, d’altronde, con i tempi che correvano erano pochi i territori che potevano vantare di una certa felicità. Lantarster, dunque, non era uno di quelli. E Blaine Anderson era certo che, un giorno, la situazione di povertà e miseria a cui erano stati costretti la metà dei popoli del mondo sarebbe stata terminata; aspettava. Non sapeva bene cosa, se una persona, un avvenimento, o, semplicemente, un segnale dal dio del Fato; ad ogni modo, fino a quando non sarebbe arrivato, lui avrebbe continuato a fare ciò che sapeva meglio fare: aiutare le persone. Ed era da più di sei mesi che, assieme a quel duo insolito scorto durante una rappresaglia urbana, continuava a rubare tutto ciò che il marchese otteneva attraverso sotterfugi e macchinazioni illecite; fino ad allora non erano mai stati catturati. Certo, c’era stata quella volta in cui Evans si era soffermato ad ammirare una bella donna, e questa, poi, si era rivelata niente poco di meno che un’aitante guardia in borghese, pronto ad assalirlo. Oppure, c’erano delle volte in cui Puckerman perdeva le staffe e cominciava a combattere ogni essere vivente che marchiasse il suo raggio d’azione, giusto perché era stufo marcio di quei soldatini che sapevano a malapena impugnare la spada, e lui non vedeva l’ora di suonargliele un po’ per far capire loro l’essenza di una vera battaglia.
Anderson, dei tre, era di certo quello che si lasciava più difficilmente distrarre dalla situazione. Era dotato di una concentrazione ed una fermezza che non sembravano quelle di un normale ragazzo un po’ esperto con la truffa e qualche arma, né, tantomeno, di un cittadino di Lantarster qualunque. In effetti, non capitava di rado che, con i suoi modi eleganti, e il suo tono sempre cordiale, alternati al suo incredibile talento nel combattimento, attirasse l’attenzione di gran parte dei presenti. Gli stessi Puckerman ed Evans, la prima volta che lo avevano visto combattere, ne erano rimasti folgorati. Senza che nessuno glie lo avesse chiesto, aveva steso cinque briganti con il solo uso di un bastone, salvando, così, i due ladri da un esito un po’ incerto.
“Che diavolo sei!?” Gli avevano chiesto i due, con occhi sgranati come quelli di un falco e la bocca tesa a mezz’asta.
Lui, semplicemente, aveva fatto una leggera scrollata di spalle, e li aveva guardati con un accenno di un sorriso.
“Sono Blaine Anderson. Siete bravi con le armi. Avete bisogno di un paio di mani in più?”
Ed era così che era nata quella strana alleanza. Non una domanda di più. Nessuno sapeva niente dell’altro a parte quello che avevano potuto osservare con i loro stessi occhi, non che volessero veramente condividere informazioni personali, ovviamente: non erano amici, loro; colleghi, ecco, quello, sicuramente sì.
“Amico, stiamo per fare la fine del topo. Ci prenderanno, ti dico!”
“L’avevo detto io che avevo dei dubbi…” mormorò Anderson, a denti stretti, gettando di tanto in tanto un’occhiata alle guardie dietro di loro.
Dovevano inventarsi un piano. Il bosco intorno a loro era incredibilmente fitto e, a parte qualche piccola strada sterrata, non c’era l’ombra di una via di fuga. Le guardie, nel frattempo, si erano fatte sempre più numerose, tanto da aver raggiunto pressappoco la dozzina.
Forse avrebbero potuto farcela, tre contro dodici. Oppure, forse, era meglio non rischiare.
“Dividiamoci.” Dichiarò Evans, e gli alti due si ritrovarono immediatamente d’accordo: presero tre strade completamente diverse, a Est, Ovest e Sud, e con un tacito cenno della testa si erano augurati buona fortuna. Ormai era diventata una questione di sopravvivenza, la garanzia di poter vedere la luce del sole il giorno successivo. Perché, di quei tempi, non si poteva essere certi di niente, nemmeno della terra coperta di fango che stava sotto di loro. Vivere alla giornata, quello era il motto che regnava nel regno di Athelas, da quando il grano aveva cominciato a marcire e le carrozze ad invecchiare per via dell’umidità. E Blaine, allora, continuava a correre, con il respiro che si faceva via via sempre più affannato. Aveva perso il conto delle ore passate in quel modo, prima a prendere il bottino, poi a nasconderlo in un posto sicuro e, infine, a fuggire dalle guardie che li avevano velocemente intercettati. Eppure, quelle azioni che riempivano le sue giornate da tante lune, ormai, erano diventate per lui una sorta di routine. Era piacevole essere utili per qualcuno, almeno per una volta. Ed era piacevole sapere che, in ogni caso, poteva far affidamento solo e soltanto su se stesso; perché non c’era nessun altro a cui lui fosse legato, nessun amore proibito, nessun parente a lui affezionato. Era bravo con la spada, ed inattaccabile nell’animo; non aveva punti deboli, a parte quelli che gli erano stati dettati dalla condizione di essere umano.
Avrebbe potuto continuare quella vita per anni: senza responsabilità, senza problemi, senza nessuno a cui doversi aggrappare anima e corpo; in quel momento, mentre il pungente odore di campagna gli riempiva i polmoni, e le guardie ormai erano invisibili, lontane metri e metri assieme al bosco dietro di lui, si complimentò per l’ennesima volta con se stesso, e si sentì, perfino, leggermente felice.
 
Successe tutto in un attimo: uno strillo. No, forse, non era il termine adatto. Era una voce troppo soave e dolce per aggettivarla con termini tanto brutti.
Blaine si voltò di scatto, guardandosi intorno, i suoi occhi color dell’ambra che vagavano alla ricerca di quella voce, di quel suono; infine, poco lontano da lui, la sentì di nuovo.
“M-mi lasci stare! La prego, mi lasci stare!”
Una donna; no, forse, una ragazza?
Era coperta da un mantello anonimo ed un cappuccio lungo, che non lasciava intravedere nessuna fattezza del suo viso, fatta eccezione per il mento, ed un accenno di labbra.
Due guardie erano dietro di lei, barcollanti, probabilmente ubriache; probabilmente, facevano parte del gruppo che aveva inseguito Sam o Puck e che aveva rinunciato all’impresa molto tempo prima delle altre. Sul loro viso era dipinto un ghigno di malizia misto a crudeltà mentre si apprestavano ad afferrare i polsi e la vita della povera cittadina.
“Coraggio bocconcino, lasciati andare!”
“Non essere timida!” Gracchiarono i due bruti, e Blaine, a quel punto, fu costretto a stringere i pugni e deglutire più e più volte, cercando di riprendere fiato.
Per quante altre volte avrebbe dovuto assistere ad una scena del genere? Per quanto altro tempo quel popolo avrebbe dovuto soffrire in silenzio la tirannia di un governo crudele?
Ma, soprattutto, per quante altre volte si sarebbe ritrovato ad immischiarsi in affari pericolosi e che, probabilmente, lo avrebbero condotto alla rovina? Ma in quel momento, udendo i gemiti di quella povera ragazza indifesa, e le risate orripilanti delle due guardie, non riuscì assolutamente a trattenersi. Come tutte le volte, del resto. Ma era per via di quella voce così singolare e, allo stesso tempo, così impaurita; gli aveva dato lo slancio decisivo per fare un passo avanti ed esclamare: “Ehi, campioni!”
I due si voltarono, dapprima allarmati; poi, notando come il loro sguardo fosse costretto ad abbassarsi di spanne e spanne per poter incrociare quello dello sfidante, emisero un sorrisetto divertito.
“Che vuoi, mosca!? Sei geloso?”
L’altro scoppiò a ridere, strattonando un altro po’ la ragazza, facendola così cadere a terra con un tonfo sordo. Blaine non si era mosso di un millimetro. Continuava a guardarli imperterrito, il volto serio, l’atteggiamento di chi non fosse minimamente preoccupato dalla situazione.
E poi, alla fine, disse la frase che ogni uomo ha sempre sognato di dire, almeno una volta.
“Perché non ve la prendete con uno della vostra taglia!?”
Ma, visto il suo modico metro e settanta, quella non era esattamente la più appropriata.
Fu quando li vide avvicinarsi di più a lui, con i loro due metri di altezza da cavaliere, e le loro spade a due mani belle luccicanti nelle fodere, che roteò appena gli occhi, e trattenne un sospiro esasperato.
Oh, va bene, se l’era cercata.
“Andiamo, facciamo fuori questo moscerino.”
Blaine non poté scorgere lo sguardo luminoso che gli era stato appena rivolto da quella persona che se ne stava seduta a terra, con i polsi segnati, il volto arrossato, e un’espressione di puro stupore. Non poté nemmeno accorgersi di quanto il suo cuore avesse cominciato a battere più velocemente, forse, per l’ansia per il combattimento imminente, o per lo scatto che avrebbe fatto l’attimo dopo, schivando il fendente del primo uomo; oppure, semplicemente, perché si sentiva responsabile per una persona. Perché voleva sentire un’altra volta quella bellissima voce, privata da qualsiasi ombra di paura.
Non fece in tempo a pensare tutte quelle cose: un secondo dopo era balzato via dal posto ed aveva impugnato la sua spada di metallo leggero, con l’elsa arrugginita ma particolare, dotata di una curva concava verso l’esterno in modo da fasciare parte della mano e la lama scintillante, insolitamente più corta e sottile. Oltre a quella, anche l’impugnatura eseguita dal ragazzo e la sua posizione di difesa –eretta, con un braccio erto dietro di lui e le ginocchia piegate- erano completamente differenti. I due uomini si guardarono confusi, ma allo stesso tempo leggermente divertiti.
“Cos’è, quello? Un giocattolo per bambine?”
“E’ un fioretto.” Spiegò Anderson, paziente, mentre, con il corpo, dondolava da un piede all’altro come macchinando qualcosa.
“Un fioretto!? Perfino il nome è da bambina! Andiamo, pulce, se prometterai di non darci fastidio noi potremmo perfino lasciarti in vita.”
Contrariamente a quanto si erano aspettati, il volto del ragazzo fu illuminato da un piccolo sorriso sghembo.
“Oh, signori, temo di dovervi consigliare la stessa cosa. Lasciate stare la ragazza, e io, forse, farò altrettanto.”
Un boato di risate fragorose riempì l’aria, spaventando qualche animale presente nei dintorni.
“Ne hai di fegato, mostriciattolo! Credi davvero di poterci sconfiggere?”
La frase pronunciata un attimo dopo scandì l’inizio del duello.
“Non lo credo: ne sono convinto.”

La persona distante pochi metri dal combattimento guardò il tutto completamente basita: era vicinissimo, poteva vedere la sua spada muoversi in modo sinuoso ed elegante, schivare i colpi, parare fendenti, eppure non sarebbe riuscito a descrivere una singola mossa di quello che riusciva ad osservare. Era come se quel ragazzo fosse sempre un passo avanti, era come se prevedesse le mosse degli avversari, ancora prima di essere state effettuate.
E lui era uno solo; loro, in due, e il doppio più alti, non riuscivano a dargli assolutamente filo da torcere.  Tutto quello non era possibile: dove aveva imparato a combattere così? Che cos’era quella spada, e quella posa così particolare? Come faceva a tener testa a due uomini esperti nel combattimento?
Ma alla fine il ragazzo moro era in piedi di fronte ai due energumeni stesi a terra, inermi, eppure, non in pericolo di vita, soltanto storditi –non li aveva nemmeno uccisi, formulò mentalmente lo spettatore silenzioso-, e lui aveva il fiato corto e il viso arrossato ma, oltre quello, nulla di più. Non un graffio, non un’ammaccatura. Era riuscito a sconfiggere due guardie del marchese senza bisogno di un’armatura, con soltanto quella strana arma ad una mano e la sua agilità.
“Tutto bene?”
Quando si avvicinò a lui, con il suo sorriso incantevole ed i suoi occhi che parevano dorati, non riuscì a proferire nessuna parola.

Il sorriso di Blaine si distese un poco, non poteva vedere con chi stesse parlando, ma poté osservare le sue labbra carnose e dolci balbettare qualche parola di stupore.
“Vieni – sussurrò, porgendogli dolcemente la mano- non sei ferita, vero?”
Esitò un secondo, come stupito da quelle parole; poi, lentamente, scosse la testa, e pronunciò un timido “grazie, Sir”.
Il volto di Blaine si incupì di colpo: “Non sono un cavaliere. Sono Blaine.”
Memorizzò internamente quelle parole, ma non ricambiò la cortesia rivelandogli il suo nome.
“E’ sempre un piacere dare una lezione a qualche ignorante.” Commentò allora il ragazzo, e poté vedere il viso della sconosciuta annuire impercettibilmente.
“Ma non sapevi che è pericoloso aggirarsi per queste zone, specialmente da soli? Hai rischiato davvero brutto.” Si guardò intorno e alla fine gli tese un’altra volta la mano, accompagnato da un leggero cenno della testa.
La persona misteriosa, semplicemente, non riuscì a fare altro che afferrare dolcemente quelle dita calde e confortanti, e lasciarsi trascinare dalla sicurezza di quel ragazzo.
“Lo so. –Intervenne allora, con tono sincero, ed anche un po’ imbarazzato- E’ solo che...dovevo recarmi in paese, ma, temo…temo di essermi perso.”
“E’ comprensibile. Anche io mi perdevo spesso, le prime volt-un momento, cos’hai detto?”
Perso, ripeté mentalmente, con una certa insicurezza, una parte dentro di sé. Perso.
Lo vide alzarsi in piedi, rassettandosi i vestiti con calma mentre la tunica che ora gli scendeva fino alle ginocchia si muoveva seguendo i colpi delle sue dita affusolate. Ora che poteva vederli con calma, illuminati dalla luce del sole, comparvero un paio di occhi chiari, limpidi, così come il sorriso che si dipinse sulle sue labbra.
Senza dire nessun’altra parola, Blaine restò per un tempo indefinito immobile, inerme, di fronte a quello che soltanto adesso riconobbe essere un semplice, bellissimo ragazzo.







***


Angolo di Fra

...Medea is back.
Ho scritto questo capitolo il 2 Febbraio. Già, avete capito bene. Avevo appena finito di vedere la prima stagione di Games of Thrones. Ma avevo scartato questa storia perchè non mi convinceva, perchè il genere medievale è molto difficile da gestire, perchè avevo Headshot tra le mani e perchè anche la moglie non era molto convinta.
Però sono passati sei mesi, e continuo ad avere idee, flash di scene, frasi da aggiungere. E quindi eccomi qui. Non dico che sarà una bella storia, non dico nemmeno che vi piacerà perchè è un genere che non va per la maggiore. Ho voluto pubblicarla oggi, nonostante l'altra long in corso, perchè oggi è l'anniversario della mia iscrizione da EFP. Sono cambiate un po' di cose da quando cercavo fanfiction su Phoenix Wright a ora.
Spero di non deludervi con questa mia nuova "avventura" :)

Fra

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





Capitolo 2






Il paese di Lantarster era esattamente come se lo era immaginato: in rovina, e pieno di macerie.
Non c’era nemmeno l’ombra di felicità in quel posto, e quello non faceva altro che rendere le cose ancora più difficili; aveva sperato di non dover incappare in quel luogo desolato, ma il bisogno di rifornimenti e riposo avevano preso il sopravvento. Non era una cosa che aveva calcolato, ma guardando la mano di Blaine Anderson sfiorare docilmente la sua, per poi indicargli un bancone del mercato poco distante da loro, pensò che, in fondo, quella piccola deviazione non era stata poi così male.
“Le migliori mele del regno - dichiarò Blaine, afferrandone una e dandole un morso con un gesto convinto – Non ne fanno di più buone, te lo assicuro.”
Convinto dalle sue parole concitate, ne addentò una, assaporandone lentamente il sapore, e alla fine scosse la testa con fare orgoglioso.
“Ad Athelas sì.”
Fu in quel momento che si bloccò di colpo, smettendo perfino di masticare. Ma Blaine non si accorse di niente, anzi, si limitò ad una scrollata di spalle e poi lo condusse verso qualche altro bancone.
“Athelas è la capitale del nostro regno, non può nemmeno essere presa in considerazione.”
Oh, allora era così che veniva vista. Una città eccezionale, superiore, forse, superba?  Ma Blaine, dopo un attimo di riflessione, aggiunse e concluse: “Forse è l’unica cosa buona rimasta, qui.”
Non riuscì ad impedire che un sorriso radioso riempisse il suo viso perfettamente celato.
“Allora?”
Adesso Blaine stava guardando nella sua direzione, con un’espressione gentile, ma anche incuriosita.
“Cosa ti porta in questo paese?”
Trasalì. Passarono diversi secondi prima che lo sconosciuto desse una risposta, con un sussurro di voce.
“Io devo…sto cercando una persona.”
“E l’hai trovata?” Nel frattempo, Blaine cercava di captare un’altra volta gli occhi di quell’estraneo o, quanto meno, qualche fattezza del volto; ciò che aveva visto qualche manciata di minuti prima era stato incredibile, ma non abbastanza. Inoltre, non era mai un segno positivo indossare delle palandrane così mascheranti, tuttavia lui non riusciva a preoccuparsene: si sentiva seriamente interessato a quel ragazzo, per quanto misterioso fosse. Come ad accertare ancora di più l’aura di segretezza intorno a sé, quest’ultimo non diede una risposta certa nemmeno a quella domanda, si limitò a scrollare la testa, mordendosi a malapena il labbro inferiore.
Forse aveva capito perché, sotto sotto, si sentisse così legato a quello straniero: era turbato, lo si vedeva da lontano. In più era solo, e giovane: a giudicare dalla voce e dalla statura, non poteva avere più di vent’anni; che cosa l’aveva spinto ad incamminarsi fino a lì? Chi era questa persona che voleva trovare, con così tanta premura e preoccupazione?
Non gli piaceva vedere quel sorriso trasformarsi velocemente in una smorfia. Non gli piaceva quel silenzio che in quel momento era regnato sui due, rendendo tutto più tetro, e anche più difficile da sostenere.
“Coraggio - sussurrò allora, tentando di sfoggiare un sorriso rincuorante - sono certo che troverai questa persona.”
Non poteva sapere quanto quella frase fosse importante per il suo interlocutore, così come quest’ultimo non si era reso conto di quanto avesse bisogno di sentire quelle parole; in effetti, non riuscì a capirlo nemmeno quando, attraverso un flebile sorriso, il suo viso era arrossito un poco e il suo animo si era fatto incredibilmente più leggero.
 

Non era mai stato al mercato; c’erano tante cose che non aveva fatto, e soltanto adesso cominciava a rimpiangerne qualcuna. Ma, soprattutto, non aveva mai potuto godere di una compagnia così piacevole come quella di Blaine. Non passava nemmeno qualche minuto che lui facesse una nuova domanda. Eppure, ciò non sembrava disturbare il viandante, che in risposta si stringeva nelle spalle mormorando sempre qualcosa con tono gentile.
“Da dove vieni?” Domandò Blaine, facendo oscillare le braccia avanti e indietro, con fare spensierato e adorabile.
“Da…lontano. E’ un posto che non conosci di sicuro.”
“Mettimi alla prova. Nemmeno io sono originario di qui.”
Alzò il viso verso di lui, cercando di captare meglio quegli occhi ambrati, così particolari, non aveva mai visto niente del genere: “E da dove vieni, allora?”
Con un piccolo sorriso, sussurrò: “Da Sud.”
“Da Sud?”
Adesso comprendeva anche il perché di quella carnagione leggermente olivastra, assieme a quei tratti così singolari.
“Sì –seguitò lui, assumendo un tono di circostanza- Ci sei mai stato?”
Avrebbe voluto rispondergli di sì. Avrebbe voluto terminare quella farsa e dire le cose come stavano; tuttavia, per l’ennesima volta, si ritrovò a dire: “Non ne ho mai avuto l’occasione.”
A Blaine non sembrò strano, quindi non indugiò.
 

Conversarono per tutto il tempo; Blaine si stava rivelando davvero un ragazzo incantevole, con il suo tono sempre cordiale, le sue parole semplici, quei complimenti sinceri che lo facevano avvampare ogni volta sempre di più. E più volte, nell’arco di quella giornata, si erano sorpresi a pensare le medesime cose su alcuni argomenti, o a scoppiare a ridere per altri più futili; avevano come la netta sensazione che si conoscessero già da prima, perché tutta quella sintonia non era affatto comune, né, tantomeno, il modo con cui l’uno rispondeva ai gesti dell’altro, quasi meccanicamente. Forse, riflettè il ragazzo incappucciato, guardando di sottecchi il suo accompagnatore, non era nemmeno sicuro avere un rapporto simile con uno sconosciuto; ma quello sconosciuto gli aveva salvato la vita.
E si sorprese ad emettere un lungo sospiro, mentre osservava da qualche passo lontano le spalle toniche di Blaine. Come aveva fatto a finire in quello stato, in così poco tempo?
Vattene, diceva a se stesso una voce piccola, ma tenace; vattene da qui, immediatamente. Ma qualcosa – le sue gambe, il suo corpo intero o, magari, qualcosa di più misterioso – prontamente glielo impedivano.
E fu quando si ritrovò ad ammirare per l’ennesima volta quel sorriso raggiante che benedì quel cappuccio che non faceva trapelare alcun sentimento, e quel mantello talmente largo da risultare un camuffamento perfetto.
Poi, all’improvviso, gli sorse un dubbio terrificante.
Si fermò di colpo in mezzo alla folla, le labbra serrate, i pugni tesi e la voce divenuta improvvisamente gelida.
Blaine, dal canto suo, si fermò di rimando, lanciando un’occhiata perplessa. Perché quell’irrigidimento? E perché, tutto ad un tratto, sembrava che avesse assunto un atteggiamento diffidente?
La domanda arrivò rapida, come se fosse stata sputata via dalla bocca.
“Vuoi-vuoi farmi delle avance, non è vero?”
Il fatto che avesse usato un tono di voce rauco rese il tutto ancora più gelido; lo vide strabuzzare gli occhi, diventando ancora più confuso; l’atteggiamento fermo dell’altra figura gli impediva ogni sorta di risata. Doveva immaginarselo. Perché mai un ragazzo qualsiasi si sarebbe comportato in quel modo, se non per un secondo fine? Stupido. Che grande stupido. Allora era proprio vero, era troppo ingenuo per quel mondo.
Ma poi, contro ogni sua aspettativa, il volto di Blaine si distese e rilassò ancora di più.
“Oh, no! Non mi permetterei mai.”
Notando l’assenza di qualsiasi commento, si avvicinò, e con un bisbiglio impercettibile a chiunque altro si apprestò a chiarificare: “Voglio soltanto aiutarti a fare un po’ di rifornimento prima di indicare la strada più sicura per partire. Non ho mai avuto intenzione di-o meglio, non che ci sia niente di male, è solo che io non mi permetterei mai…anche se io in realtà potrei, voglio dire... però non, ecco...”
“Va bene”, si apprestò a dire l’altro ragazzo, balbettando appena, ma visibilmente entusiasta, “Voglio dire, ho capito. Chiedo scusa per... per le insinuazioni.”
Fecero per affiancarsi di nuovo e riprendere il cammino, quando un sussurro catturò completamente l’attenzione di Blaine: “...Anche io, comunque, sono... sono della tua stessa opinione, diciamo.”
Blaine si bloccò nel bel mezzo del discorso, incapace di proseguire: in quel modo un po’ titubante e imbarazzato, aveva spiegato tutto. Era come lui. Erano terribilmente simili, anche sotto quell’aspetto. E lui, dentro di sé, avrebbe dovuto essere quantomeno felice, perché adesso si sentiva un po’ più compreso e sì, anche fortunato.
Ma la parte razionale di sé continuava a fargli notare quanto tutto ciò rendesse le cose ancora più difficili.
 

Non era possibile che esistesse, sulla faccia della terra, un ragazzo con la sua stessa passione per la musica; non riusciva a crederci. Eppure era lì, di fronte a lui, e stava parlando di una melodia che aveva imparato da poco come se si trattasse di un gioiello prezioso. Desiderò immediatamente esternare la sua voce e fonderla insieme alla sua; desiderò cantare, assieme a quel ragazzo che sembrava essere esattamente tutto ciò che non aveva mai sperato di trovare.
E pensare che, fino a qualche ora prima, non avrebbe mai creduto di riuscire ad incontrare qualcuno come Blaine.
“Va tutto bene?”
Rendendosi conto di essersi immerso –per l’ennesima volta- nei suoi pensieri, alzò di scatto la testa e, inaspettatamente, sfoggiò un sorriso talmente radioso che Blaine fu quasi certo di essere appena stato abbagliato, con solo quel piccolo gesto.
“Sì. Va più che bene, in realtà. Grazie, Blaine.”
“Figurati, non c’è problema. Si tratta solo di un po’ di spesa e una bella chiacchierata.”
“No, voglio dire…grazie, per prima. Per, per tutto.”
Non sapeva nemmeno perché lo stava ringraziando; ma sentì il bisogno di farlo e Blaine, semplicemente, si fece un po’ più vicino, pose una mano sulla sua spalla, e gli rivolse di nuovo quello sguardo che avrebbe fatto sciogliere un ammasso di neve.
“Grazie a te.”
 

Ogni tanto capitava qualche mendicante per strada, che fosse una zingara, un poveraccio, o un infortunato. Blaine, tutte le volte, si chinava e regalava loro delle monete d’oro, con immensa sorpresa di tutti i presenti, e anche del suo accompagnatore. Quelle monete non potevano essere sue. Presentavano il marchio della casata De Gaulle, e di certo non era cosa che si poteva permettere un cittadino.
Ma, allora, dove le aveva prese?
Chi era veramente quel ragazzo, talmente bello e affascinante? Ma non si trattava solo di quello, non era solo un fatto esteriore: era nato una sorta di legame trai due, così intenso e forte in così poco tempo e senza nemmeno volerlo davvero. Qualcosa di invisibile agli occhi, eppure, loro riuscivano a sentirlo lì, all’altezza dei loro cuori. Lo sapevano, eppure, non avevano il coraggio di dirlo a voce alta, perché sarebbe sembrato da stupidi, e forse era solo una cosa di uno di loro, e non sapevano se l’altro pensasse le stesse cose. E lui non riusciva a capire: c’era qualcosa che non tornava, in lui? Come diavolo era possibile che in così poco tempo si era preso così tante libertà con Blaine, con un estraneo? Non si conoscevano affatto. E avevano entrambi delle domande importanti da fare.

Domande che, destino volle, ottenessero tutte risposta in un breve, intenso, fatale attimo.

“Anderson! Le guardie!”
Blaine si voltò appena in tempo per scorgere gli indici puntati di Sam e Puck, orientati verso la direzione opposta. Erano appena arrivati, lo si poteva capire dalla stanchezza che pervadeva le loro gesta, ma, purtroppo, si erano portati con loro anche un gruppo di guardie del marchese.
La gente intorno a loro aveva già cominciato a disseminarsi non appena aveva visto il marchio presente sulle loro cotte; lui, in risposta, si voltò di scatto e fece per spingere via il ragazzo accanto a lui: “Presto, vattene via!”
“No! -Sentenziò, con tono fermo, deciso - Cosa vogliono da te? Perché non puoi fermarli con le parole?”
Il giovane Anderson esitò un momento, fissando intensamente quelle morbide labbra rosee che in quel momento gli erano parse tanto dolci ed innocenti.
“Le parole non possono più salvare questa terra, ormai.”
Si fece più avanti, dandogli le spalle, ed afferrando un’altra volta il suo singolare fioretto.
“Noi pensiamo a questi qui, tu pensa all’energumeno laggiù!” Avevano urlato Puck e Sam, lanciandosi verso un gruppo di soldati pronti all’attacco.
Lui mormorò, un poco seccato: “Certo, lasciatemi sempre il più facile”, giusto in tempo per vedere le reali dimensioni del suo nemico.
Era enorme.
“V-va bene…” deglutì, più volte, perché si era ritrovato improvvisamente senz’aria e con la gola molto, molto secca. Gli vennero in mente le frasi del ragazzo, e sì, ci provò, giusto per prendere un po’ di tempo, giusto per provare, giusto per, insomma.
“…Che ne dici di risolverla con le parole?”
A quanto pare le sue parole avevano il sapore di una mazza di ferro pesante quaranta chili.
Non seppe nemmeno lui come aveva fatto a schivare il colpo, fatto sta che quel carretto che prima teneva le mele da lui tanto amate era ridotto ad un ammasso di legni, travi e purè di frutta disseminati a terra; e quel purè assomigliava vagamente all’immagine che aveva di se stesso, se quel coso si fosse infranto contro le sue ossa. Velocemente, si lanciò verso le rocce con una capriola, schivando un altro colpo e provocando l’ira sempre più brutale di quel terrificante colosso.
“Smettila di scappare come una gazzella!” Gli aveva gracchiato, furibondo, ma ovviamente non fu minimamente preso in considerazione: Blaine stava continuando a prendere tempo tra un salto e l’altro, cercando con lo sguardo i suoi colleghi e quel ragazzo che aveva salvato qualche ora prima; Non riuscì a crederci, ma aveva perso di vista tutti quanti. Lui e il suo stramaledetto senso dell’orientamento. Ma perchè era così impedito?
Un altro fendente per poco non gli tranciò via la carne, portando con sé, però, numerosi lembi della sua casacca. Stava per partire al contrattacco, non sapendo nemmeno bene come, quando un gruppo di mani lo afferrarono per le spalle e lo spintonarono violentemente a terra.
Sangue. L’odore delle mele, del mercato, della campagna e di tutto ciò che gli piaceva fu pervaso completamente da un intenso aroma amaro.
Si rese conto soltanto un secondo dopo di avere il labbro spaccato, così come un sopracciglio tagliato, e il fianco esremamente dolorante. Si rese anche conto dell’ombra imponente della mazza puntata contro la sua schiena, decisa a colpire.
 
Ci sono dei momenti in cui la mente dell’uomo riepiloga cose che non ammetterebbe mai, se fosse lucida.
E Blaine fissava il vuoto davanti a sé, sentendo le braccia premute contro di lui e il peso del metallo arrivare.
Allora, era già finita lì, la sua storia? Con un semplice colpo netto? Sarebbe morto senza nemmeno aver realizzato il suo sogno, senza… senza nemmeno aver avuto l’onore di innamorarsi di una persona?
 
Fu un attimo.
In mezzo a quell’eco di voci, di urla e di sangue, in mezzo a tutto quel trambusto, udì di nuovo quella voce, quel suono, dolce, forte. Si elevò sopra tutte le altre creando una sorta di protezione.
Era la seconda volta che provava quella sensazione: come se, in un modo incredibilmente soddisfacente e completo, si sentisse bene.
“Basta!”
Il ragazzo misterioso era di fronte a lui, le braccia spalancate, le labbra serrate in una smorfia; incredibilmente, il tono con cui aveva detto quella parola fu così autoritario da immobilizzare perfino le guardie; era strano, era come se fosse una voce abituata al comando, come se sapesse esattamente quali corde premere e quali parole usare per raggiungere il suo intento.
“Adesso smettetela, immediatamente!”
Ci fu un secondo di pausa. Dopodiché, una delle guardie, quello che teneva Blaine a terra, osò dire: “E tu chi diavolo sei, per dirci quello che possiamo, o non possiamo fare!?”
Un’altra lunga pausa. E poi il cappuccio si abbassò, inesorabile, quanto la sentenza del destino che si avvicina.
“Sono Kurt Elizabeth Hummel Hudson, principe di Athelas.”
Blaine si permise di ascoltare di nuovo quella voce: era così bella, così, perfetta. Ma, improvvisamente, fu anche molto distanteda lui. Non riuscì a sentire altro, pronunciato da quello che si era rivelato essere un bellissimo, incantevole, dolce e splendido ragazzo.
Un principe.
Guardò un’ultima volta i suoi occhi cerulei, intensi, per un secondo vacillanti non appena incontrarono i suoi; e poi, contro ogni sua volontà, il sangue e la stanchezza presero il sopravvento, e lui perse i sensi accasciandosi a terra.






***

Angolo di Fra

Probabilmente vi sembrerà strano che ci sia tutto questo feeling in una giornata. Ma dopotutto, nel telefilm Kurt si è innamorato di Blaine a prima vista, no?
Volevo approfittare per ringraziare Ilarina che mi ha fatto il logo di questa storia, che è a dir poco bellissimo - ogni volta che aggiorno mi incanto dieci minuti a fissarlo - e tutte quelle splendide persone che mi hanno commentata, seguita o addirittura aggiunta alle preferite. E' bello avervi "a bordo" ancora una volta, in un'altra storia che, spero, vi piacerà quanto le precedenti :)
Un bacione e a Venerdì prossimo!

Fra

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





Capitolo 3

 

 

Non doveva fidarsi di lui, lo sapeva bene. Non poteva fidarsi di nessuno, era quella la verità.

Ma quella luce che aveva pervaso i suoi occhi, quel sorriso che gli aveva illuminato il cuore,  quelle furono delle cose dalle quali non riuscì ad allontanarsi.
E poi era stato così gentile, al mercato, e così incredibilmente coraggioso e altruista quando aveva sconfitto quelle guardie per lui.
Giusto, all’inizio lo aveva scambiato per una ragazza. Beh, contando il suo singolare tono di voce, poteva succedere; e poi, d’altro canto, lui aveva deciso bene di assecondare quella falsa supposizione per garantire la propria sicurezza; ricordò il suo sguardo sbigottito nel trovarsi di fronte a quella rivelazione, e gli scappò un sorriso: non se l’aspettava davvero; ma poi, lo colse un dubbio: non si aspettava di trovare un ragazzo, ma di trovare un principe?

“E’ magnifico avere il Giglio blu come nostro ospite” proferì il marchese De Gaulle, con un cipiglio tanto odioso quanto inquietante, mentre avanzava con tutto il suo lunghissimo mantello di velluto verso di lui.
“Vostra altezza, stento a riconoscervi.” Squadrò da capo a piedi il giovane Hummel, storcendo appena la bocca: “Così combinato assomigliate a… a un plebeo.”
Kurt non batté ciglio e con un tono alquanto pungente rispose: “Mi dispiace arrecarvi tanto disturbo con il mio abbigliamento. Ad ogni modo, vogliate scusarmi, ma non dovrei davvero essere qui. Ho un affare urgente da sbrigare, e-“

“Ma che fretta avete, mio signore? Lasciate che la ospiti almeno per questa notte in una delle mie stanze, i miei servi saranno felicissimi di onorarla.”
Kurt sembrò esitare, ma sapeva bene che non aveva molte opzioni da prendere in considerazione: se rifiutava, oltre a risultare incredibilmente scortese, dove sarebbe andato? E con quali mezzi? Era meglio sistemare un po’ le idee prima di intraprendere un viaggio che sarebbe stato chissà quanto lungo e faticoso. Ringraziò allora per l’offerta e gentilmente chiese l’occorrente per farsi un bel bagno caldo; il marchese non fece obiezioni, mandando subito due donne pronte a servirlo, e in quello stesso istante sussurrò qualcosa ad una delle guardie che li avevano assaliti giusto qualche ora prima.
“Riguardo a quell’incidente…sono terribilmente, incredibilmente mortificato, mio signore.”
Kurt non si voltò, arrestandosi in mezzo alla sala ed inarcando appena un sopracciglio: sebbene quelle parole fossero sembrate umili, il suo tono viscido e quel ghigno spezzato trapelavano tutto il contrario.
“Non vi preoccupate – si affrettò a dire – non potevate saperlo, come avete detto voi, è stato un incidente.”

“Per fortuna che non vi siete fatto del male. Quel ladruncolo sciattone avrebbe potuto portarvi via una mano.”

Fu allora che i loro sguardi si incrociarono, e quello di lui, agli occhi soddisfatti del marchese, apparve considerevolmente incrinato.

“…Prego?”

“Il ladruncolo. Quella scimmietta da quattro soldi che non fa altro che saltellare qua e là. Come si chiama?”

“Anderson, signore.” Rispose una guardia, con il suo stesso tono incolore.

“Anderson, giusto… “

Ecco spiegato il perché di tutti quei soldi; ecco spiegato il perché di tutta quella agilità. Blaine era un criminale. Quella rivelazione lo rese ancora più titubante di prima: quando lo avevano trascinato giù nelle segrete in cuor suo aveva anche sperato che ne sarebbe uscito presto, magari, attraverso una manovra di convincimento sul marchese da parte sua. Ora era tutto complicato. Decisamente più complicato.

“Vostra altezza, debbo proprio ringraziarvi: sono mesi che quel saltimbanco rubava i soldi alle mie carovane che passavano per la strada Maggiore, e senza lasciare l’ombra di una traccia. Lui e quegli altri due manigoldi che ne sanno una in più del demonio. Avevo perfino messo una taglia, lo sapevate? Ma alla fine, grazie a voi, è caduto dritto dritto tra le mie braccia.”

“Cosa ne farete di lui?” Si ritrovò a chiedere, con il volto inconsciamente impallidito e i muscoli paralizzati per la tensione.

Ma era una domanda stupida: sapeva benissimo cosa succedeva a chi si macchiava di furto alle alte cariche nobiliari.

“Decapitazione. Non c’è nemmeno bisogno di fare un processo, viste le circostanze; agiremo domani al tramonto.”

“Marchese De Gaulle, mi sento in dovere di informarvi di una cosa: non so quanti affronti possa avervi causato quel ragazzo, ma oggi pomeriggio mi ha salvato la vita. Mi ha difeso dalle vostre guardie, se devo essere sincero.”

Quella notizia, totalmente inaspettata, fece vacillare soltanto per qualche secondo la compostezza del signore, che, subito dopo, scrollò leggermente le spalle e risolse la questione assumendo un tono banale: “Beh, mi dia la descrizione di questi cavalieri, e provvederò immediatamente ad aggiungere due teste alla lista per domani sera.”

Non era quello il modo con cui voleva aggiustare le cose.

“M-ma…se voi…”

“Mio signore – lo interruppe subito, cordiale, eppure, con una vena di malizia- è la legge di vostro padre: il mio compito, è solo quello di farla rispettare”.

Un sentimento amaro e disgustoso cominciò a penetrargli fin dentro l’anima, mentre il marchese, con un ghigno compiaciuto, si accingeva a dare ordini per la sorveglianza del detenuto.

Sarebbe morto l’indomani; sarebbe stata tutta colpa sua.

 

 

 

Kurt preferì ignorare la visione di quella cella fredda e buia, fatta unicamente di mattoni e legno, dentro la quale se ne stava Blaine seduto su una nicchia di paglia – con ribrezzo optò dovesse essere il suo letto – e con la schiena appoggiata al muro, un dito che giocherellava con dei filacci della sua tunica ancora strappata. Sotto di quella, si potevano intravedere alcuni lividi e tagli, che attribuì allo scontro avvenuto al mercato, non sapendo, invece, che era consuetudine per gli uomini di De Gaulle non essere affatto delicati con i prigionieri. C’erano altre celle schierate intorno alle sue, ma nessuna di quelle sembrava essere abitata; l’unica fonte di luce proveniva da una lanterna posata sul bancone molto lontana da loro, davanti al quale, di solito, stava la guardia; mentalmente, memorizzò quel posto di controllo, ma poi si destò dai suoi pensieri ricordandosi di avere una cosa più importante da fare.

“Sei un ladro.”

Blaine si stupì non poco di vedere il volto del principe a pochi passi dal suo, che lo osservava attentamente da oltre quelle sbarre di ferro battuto. Per un momento restò a fissarlo con la bocca semi aperta, in parte perché non comprendeva granché le sue parole, in parte perché si era smarrito nella profondità dei suoi occhi.

“Hai rubato i soldi del marchese.”

“Non ti ho mai detto come li ho ottenuti.”

Kurt lo guardò accigliato: “Ma non mi hai nemmeno detto di averli rubati.”

Lentamente, lo vide alzarsi in piedi, ignorando il dolore e tutto il resto, e avvicinarsi un poco alle sbarre; l’orgoglio e la sincerità mostrati da quel ragazzo non fecero altro che scaturire in lui gli stessi sentimenti.

“Sei un ladro.” Ribadì Kurt.

“E tu sei un bugiardo.”

Preso perfettamente in contropiede, il ragazzo boccheggiò qualche parola senza suono, e alla fine rimase in silenzio, non sapendo bene cosa dire: aveva approfittato del fraintendimento di Blaine per fingersi un plebeo e farsi scortare lungo tutto il mercato; no, forse, non era proprio quella la verità: non aveva potuto rivelare la sua identità ad uno sconosciuto, ma, allo stesso tempo, non era riuscito a separarsi da lui. E se lui lo aveva scambiato per un contadino, un manovale o un anonimo viandante, che differenza c’era? In fondo, era sempre la stessa persona, no?

Blaine, approfittando di quella pausa, sfruttò la vicinanza dei loro volti ed osservò quella pelle che sembrava essere fatta di seta, così come tutti quei lineamenti dolci e delicati, che aveva immaginato spesso durante quelle ore al mercato. Adesso che ne aveva l’occasione, non solo esaudivano ogni sua aspettativa, ma perfino di più: quel ragazzo era bellissimo. Aveva sentito parlare di lui, come qualsiasi cittadino vivente sotto al suo regno, dopotutto; il “Giglio Blu”, così veniva chiamato, nelle storie popolari e nelle dicerie di corte. Eppure, nemmeno i più lieti canti dei bardi più esperti erano riusciti a dare giustizia a ciò che, in quel momento, stava ammirando con i suoi umili occhi: era alto, esile ed affascinante, dalla postura elegante e un sorriso che toglieva il fiato. La sua carnagione, incantevolmente nivea, creava un contrasto strabiliante con i suoi occhi, blu, grigi, e talvolta anche verdi, quando la luce si posizionava in modo particolarmente favorevole. Sembravano come delle stelle: sembravano brillare di luce propria.

Infine, c’era un’altra cosa, che si sapeva del principe Kurt, e che nessuno aveva mai evitato di sottolineare; ma lui dentro di sè sapeva che fosse vero, lo aveva saputo nel momento in cui era stata fatta quell'assurda conversazione, quando ancora non sapeva chi fosse: girava voce che Kurt fosse interessato agli uomini. Non era un pettegolezzo, e nemmeno una discriminazione, quanto, in realtà, un vero e proprio dato di fatto che lui stesso aveva confermato, giusto qualche ora prima. Dopotutto, molti degli dei che loro stessi pregavano in quel piccolo regno erano nati da rapporti omosessuali. Nessuno aveva problemi a riguardo. E quello, in effetti, era uno dei principali motivi che aveva spinto Blaine ad emigrare lì.

Ad un tratto, quando vide il viso del principe arrossire leggermente, e quando si rese conto di essersi soffermato sin troppo in quella silenziosa contemplazione, abbassò velocemente la testa a terra arretrando di un timido passo. Era un segno di riverenza.

“C-chiedo scusa, mio signore. Non volevo mancarvi di rispetto.”

Doveva imprimere quel piccolo dettaglio nella memoria: lui era un principe. Ma il problema era che, per un momento, lo aveva scordato anche Kurt.

“N-non vi preoccupate, non siete stato scortese.”

Invece sì; ma quei due che si erano parlati prima non erano un principe ed un ladro, ma quei ragazzi che, senza saperlo, si erano conosciuti quel pomeriggio nella campagna, poco fuori le mura della città; entrambi ripensarono a quell’incontro, così diverso dalla situazione attuale, ed entrambi giunsero alla stessa conclusione: era stato proprio bello essere loro stessi, almeno per una volta.

Adesso stavano lì, l’uno di fronte all’altro, con lo sguardo perso nel vuoto e un l’imbarazzo che regnava nell’aria. Il primo a riprendersi, per forza di cose, e un po’ per abitudine, fu Kurt.

“Allora? Dove sono i soldi?”

“Quali soldi?”

“Quelli che avete rubato al marchese.”

“Perché…?”

“Perché posso ancora salvarvi, se riconsegnate tutto l’oro che gli avete sottratto.”

A giudicare da un sorriso tirato ed un sospiro sarcastico, Kurt capì che la via più facile non sarebbe stata ovviamente intraprendibile.

“Non li ho io, e credo che ormai siano irrecuperabili.”

Palesemente seccato, incrociò le braccia e scandì: “In quale bordello o tavolo da gioco li avete spesi?”

“In nessuno.” Rispose allora Anderson, un po’ più stizzito e, allo stesso tempo, indeciso. Kurt non capì: a cos’altro gli sarebbero serviti, così tanti soldi?

“Probabilmente i miei colleghi avranno già disperso tutto ciò che era rimasto. Non c’è niente da fare.”

“Ma lo capite che siete in grave pericolo? Lo capite che ne va della vostra vita?”

“Certo – affermò, guardandolo per un momento con i suoi occhi dorati – lo so.”

Nella sua mente continuava a chiedersi il perché di tutto quell’interesse nei suoi confronti; ma prima che potesse esserci qualsiasi altra risposta, la guardia fece cenno al principe di salire su, mentre il suo senso di colpa non faceva che aumentare.

 

 

 

De Gaulle si presentò alla porta della sua camera, dopo aver fatto un profondo inchino, e aver ordinato a delle serve di servirgli da bere. Dopo qualche frase di circostanza circa il tempo e il banchetto di quella sera, alla fine, giunse al nocciolo della questione: “Sono preoccupato, Vostra Altezza. E’ da prima che vi vedo fortemente turbato.”

“Oh, mi dispiace, Lord De Gaulle. Immagino di essere un po’ stanco, tutto qui.”

“Non siete costretto a mentire – fece lui, e detto quello si avvicinò un po’ di più al ragazzo, sussurrandogli con sicurezza – so tutto.”

Deglutendo più volte e cercando di non entrare nel panico, Kurt disse: “Tutto…cosa?”

“So tutto della vostra situazione. Me ne ha parlato il vostro fidato consigliere, Lord Morton.”

Oh. Dunque, sapeva; era ovvio, il consigliere avrà avvisato i subordinati più fedeli al re. E chi altri sapeva, allora, di quella sconveniente situazione? In poco tempo tutti i pensieri che era riuscito ad accantonare tornarono in superficie, facendolo sentire completamente inutile e, allo stesso tempo, soltanto un giovane ed inesperto ragazzino. Spaventato, per di più.

“I-io… -balbettò, titubante, mostrandosi unicamente per quello che era – non so cosa fare… non so come fare e-e mio padre-“

“Non vi preoccupate, mio principe – lo rincuorò il marchese – è un compito molto difficile il vostro, ma ci sono io ad aiutarvi.”

La sua mente rielaborò con velocità le sue parole: era un uomo fidato del consigliere, aveva prestato giuramento al re. Poteva credergli, forse, anche se sembrava un uomo subdolo e sostanzialmente venale, ma dopotutto era il primo a diffidare dalle apparenze; in quel momento, influenzato dalla sua tenera età e da quel tono volutamente gentile, decise che aveva bisogno di essere aiutato da qualcuno. Aveva solo diciannove anni, non poteva fare tutto da solo.

Ringraziò un’altra volta il marchese e questo lo lasciò finalmente riposare nella sua stanza; Kurt, finalmente solo, si accasciò sul letto libero di annegare nei suoi pensieri; molti erano tristi, tetri, e riguardavano cose molto al di là della sua portata.

Ma c’era anche una piccola parte, qualche immagine, un volto, che si collegavano inevitabilmente a quel ragazzo rinchiuso nelle segrete. E fu più forte di lui: decise che doveva aiutarlo in qualsiasi modo, anche se avrebbe rischiato di essere scoperto e discreditato dal marchese. E doveva agire quella stessa notte.

 

 

 

“Ti stai divertendo, pulce!?”

Blaine si rifiutò per l’ennesima volta di rispondere a quelle provocazioni, continuando a fingere di dormire, o meglio, essere svenuto a suon di colpi; i lividi gli bruciavano così come tutte le ossa del corpo, ma era la cosa migliore, fino a quando non avrebbe trovato un modo per farla franca o, almeno, sopravvivere.

Fortunatamente la guardia si bevve la sua farsa e si sedette al tavolo, intagliando senza troppa voglia un angolo del tavolo con un coltellino affilato. Era piuttosto lontano dalla cella di Blaine e decisamente fuori dal suo raggio visivo; non c’era motivo di preoccuparsi della presenza di uno o dell’altro, entrambi si stavano facendo gli affari propri, e Blaine, per la precisione, aveva voglia soltanto di prendere il muro a testate. O a calci, per evitare un eventuale mal di testa.

Perché il principe Kurt era sceso a trovarlo, quel giorno? Perché era sembrato così preoccupato? Non riusciva assolutamente a toglierselo dalla testa, ma doveva smetterla. Kurt era un principe. Non aveva bisogno di lui. Non ora che era di nuovo se stesso; non ora che era al sicuro dentro le mura di un marchese.

O forse, non poi così tanto.

“Ehi, tu” gracchiò un uomo verso la guardia, che Blaine riconobbe essere una delle guardie che in modo alquanto gentile lo aveva trascinato in catene.

“Sage, che diavolo vuoi!?”

“Rilassati, ci sono dei nuovi ordini dal marchese.”

Ci fu un secondo di silenzio, e poi, dei passi silenziosi che si avvicinavano alla sua cella: dopo essersi assicurati che il prigioniero fosse ancora in stato di incoscienza ripresero a parlare, ma sempre sottovoce.

“Allora? E’ proprio lui, è il Giglio Blu?”

“In persona. Al marchese per poco non è venuta la peste quando l’ha visto. Se non fosse stato per il ladruncolo non l’avremmo mai trovato.”

“Già, si sono sputtanati a vicenda. Che idioti!”

Il cuore di Blaine si strinse in una fitta lancinante, mentre cercava con tutto se stesso di non fiatare e ascoltare ogni secondo di quella conversazione.

“Ha detto che dobbiamo agire stanotte; un lavoro pulito, senza sbaffature.”

“Eh eh, si ritroverà di fronte ai suoi dei prima che possa aprire i suoi occhietti azzurri. Sarà facile... proprio come spezzare il gambo di un fiore.”

Delle risate gutturali, e poi quel rumore pesante di passi si fece sempre più lontano, fino a scomparire del tutto.

Fu in quel momento che Blaine si alzò in piedi di scatto, avvicinandosi alle sbarre, cercando di scorgere una delle due guardie, o un qualsiasi straccio di chiavi in grado di aprire la sua cella.

Ma non c’erano.

Non c’era nemmeno il pugnale con cui prima la guardia stava intagliando il bancone, lasciando soltanto una profonda e perfetta spaccatura.


 

 
 

***


Angolo di Fra


Per ringraziarvi, vi rimando a questo post.
E adesso che vi ho addolcito la pillola (lol) vi annuncio che la prossima settimana non posso aggiornare, visto che parto domani e sarò fuori all week. Sorry :(

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***





Capitolo 4
 



Aveva soltanto poche ore per ideare un piano, uscire da quella cella, trovare il principe Kurt e salvarlo da una sorte orribile. Una passeggiata, pensò tra sé e sé, mentre con la coda dell’occhio cercava di individuare armi, feritoie, o sottospecie di vie d’uscita. L’unico punto a suo favore erano, a suo malgrado, le sbarre: con la loro resistenza e robustezza sarebbero state l’unica offensiva disponibile.
Come prima cosa doveva attirare l’attenzione delle guardie. Considerò l’idea di urlare, ma nessuno faceva mai attenzione alle grida di un detenuto, quindi gli avrebbero donato soltanto l’effetto contrario, oltre che una piacevole soddisfazione da parte del marchese. No, ci voleva qualcosa di più bizzarro e, allo stesso tempo, fastidioso.
Dopo qualche minuto di riflessione, decise di fare una delle cose che gli riuscivano meglio: si alzò in piedi, si schiarì appena la voce, e poi cominciò a cantare. Non era un motivo particolare, in realtà, era una di quelle canzoni da osteria che si imparavano nelle notti solitarie, quando il calice di vino era quasi del tutto vuoto e la giornata di lavoro particolarmente fruttuosa. Parlava di donne, amori e bucanieri, di come la vita fosse tutta da scoprire e terminava in crescendo con un ode al vero re ed un augurio di morte al feudatario di Lantaster.
Una cosa era certa: con quelle ultime frasi, aveva attirato l’attenzione di non poche persone.
Fu grato in effetti di vedere soltanto una guardia, nemmeno la stessa che lo aveva sorvegliato qualche ora prima: corse a grandi passi verso di lui, il fisico scolpito da soldato che non aveva mai perso un duello nemmeno in un torneo e l’aria di chi gli era stato appena rovinato un buon quarto d’ora. Osservò Blaine da capo a piedi, e l’ira che poté scorgere nei suoi occhi non poteva che giovare a suo favore; nessuno è veramente lucido, quando perde il controllo. Né, tantomeno, una guardia che di controllo non ne aveva di suo.
“Pezzente! Come osi pronunciare quelle parole!?”
Stava a pochi metri dalle sbarre, la mazza chiodata ben in vista tra le sue mani; no, quella distanza non era abbastanza.
“Quali parole?” La sfacciataggine nel suo tono di voce gli fece guadagnare un altro passo.
“Quelle parole da bastardo, da straccione, da pezzente quale sei. Ti avrei già strappato quelle tue corde vocali da usignolo se non fosse che sono impaziente di vedere la tua testa rotolare sotto ai miei piedi.”
“Ah sì? E chi ti dice che sarà la mia testa, a rotolare?”
“Oh, lo dico io, pezzente. Perché domani… -seguitò, con tono diabolicamente basso, senza volerlo, avvicinandosi un po’ di più per poter osservare la paura che nasceva negli occhi del giovane- io prenderò quella tua adorabile testolina che ti ritrovi, e te la squarterò in due con le mie stesse mani. Afferrerò quell’ascia che vedi laggiù e ti darò un colpettino sul collo, proprio qui, ma non abbastanza forte da spaccarti completamente. Sai, può capitare, che un boia sbagli a infliggere la sentenza: in tal caso, non resta altro che farti agonizzare lentamente soffocando nel tuo stesso sangue.”
Non voleva veramente rappresentarsi quello che gli era stato appena detto, ma ormai le immagini erano lì, nitide davanti a sé, e poteva quasi sentire il dolore e l’agonia della morte che sopraggiungeva pian piano. Era talmente doloroso anche solo pensarla, una morte simile, che Blaine non riuscì a trattenersi dal toccarsi il collo con titubanza, deglutendo due o tre volte di fila.
“Esatto, proprio in quel modo. –Commentò l’uomo, con un ghigno- Non dimenticarti del mio viso, pezzente, perché sarà l’ultimo che vedrai.”
Stava quasi per crederci; stava quasi per illudersi, quando, tutto ad un tratto, la guardia fece l’ultimo passo. Trovandosi esattamente a dieci centimetri da lui.
“Credo proprio che tu ti dimenticherai del mio.”
Un attimo dopo aveva afferrato la testa dell’uomo con forza e l’aveva fatta sbattere contro le grate della cella. Attraverso un tonfo sordo si accasciò a terra, inerme, e Blaine si apprestò subito a cercare le chiavi, o qualsiasi oggetto contundente.
Trovò un pugnale: due piccioni con una fava, pensò.
Non ci volle molto a forzare quella serratura vecchia ed usurata, ma impiegò un po’ di più nel trascinarci dentro l’uomo e privarlo dei suoi vestiti, per poi indossarli cercando di non fare rumore; si sforzò di non vomitare mentre l’odore nauseabondo di sudore e alcool riempiva i suoi polmoni: quella divisa probabilmente non vedeva l’ombra di un lavaggio da anni, e sperò con tutto il suo cuore di non trovarci anche qualche mezza dozzina di zecche.
Adesso, il più era fatto. Doveva solo trovare il principe Kurt, spiegargli la situazione, rubare un paio di cavalli e riuscire a scappare prima dell’alba. Beh, spiegargli la situazione sarebbe stato divertente: perché mai avrebbe dovuto credere ad un ladro, riguardo ad un eventuale complotto di omicidio nei suoi confronti, da parte di un uomo che gli aveva giurato fedeltà?
Ma non importava: era bravo con le parole, gli avrebbe sicuramente dato ascolto.
Quando salì l’ultimo gradino delle scale, trovandosi circondato da ogni tipo di guardia che aveva cominciato a fissarlo circospetto, si assicurò di assumere un’aria quantomeno grottesca e camminare in quel modo che facevano sempre loro. Sembrava più zoppicante, in realtà: non era mai stato bravo nei camuffamenti.
“Tutto bene, Wallerby?”
Wall-cosa!? Per fortuna che era il suo nome e non doveva pronunciarlo, altrimenti si sarebbe ritrovato in una situazione alquanto imbarazzante.
 “Sì. Sono io.”  Borbottò, con una voce che sembrava aver fumato tutto l’oppio della terra. Era nervoso, lo si poteva percepire da miglia di distanza; la guardia, infatti, lo guardò con circospezione, inarcando un sopracciglio: “Lo so che sei tu. Ma ti senti bene? Ho sentito dei rumori strani dalle segrete.”
No, non poteva farsi beccare in quel modo, non ora che mancava così poco. Doveva dare una risposta rapida, ma che allo stesso tempo facesse concludere la questione ed allontanare definitivamente quel tizio. Una frase rozza, da vero duro, che però fosse efficace.
Diavolo, cosa avrebbe detto Puck!?
“Io, beh, lo sai, ho sfracassato un po’ di palle, cose così.”
L’uomo scoppiò a ridere, dandogli qualche leggera pacca sulla spalla.
“Hai fatto bene, amico. Quel demente ne voleva proprio.”
Quel demente te la sta facendo proprio sotto al naso, pensò accigliato, ma fu bene attento a non dirlo ad alta voce.
“Sì. Già. Uhm. Vado. Sai, a sfracassare, e quelle cose lì.”
“Serata libera, eh? Fatti qualche donna anche per me!”
Con un grugnito non molto convincente salutò la guardia, cercando di non mostrare troppo quanto il suo passo stesse accelerando man mano che riusciva ad avvicinarsi alle scale che conducevano alle stanze per la notte. C’era quasi. Qualche minuto e sarebbe arrivato dal principe. Qualche minuto e-
“Wallerby!”
Maledizione.
“Ma dove vai!? L’uscita è da quella parte! Amico, devi smetterla di farti di oppio tutte le sere!”
Si voltò, un sorriso che sembrava spettrale. Era ufficiale: detestava quell’uomo.
E fu così che dovette farsi tutta l’uscita a piedi, e fu così che si ritrovò esattamente dove non doveva essere, fuori dalla dimora, con un’armatura che cominciava seriamente a dargli fastidio e la stanza di Kurt lontana metri e metri da lui.
Oh, esattamente, trenta metri, constatò, non appena vide un servo chiudere la finestra illuminata di una stanza della torre, posta, in linea d’aria, sopra di lui. Il marchese non avrebbe mai avuto una camera così esposta, quindi, l’unica altra opzione disponibile, era che fosse proprio la stanza di Kurt. E poi rifletté con un brivido di agitazione: gli avevano dato quella stanza proprio perché era la più comoda per i sicari.
Senza indugiare ulteriormente cominciò a scalare le mura, sperando soltanto di non essere visto: con sua grande fortuna, nei paraggi non c’era nessuna guardia pronta a chiedergli cosa diavolo stesse facendo. Affrettò la scalata, rischiando di inciampare una volta o due, appesantito anche dall’armatura. Ma non gli importava: in cuor suo, continuava a domandarsi se fosse tardi; non poteva essere troppo tardi. Non poteva assolutamente accettarlo.
E quando saltò sul davanzale, fulmineo, con un profondo stato d’ansia addosso, si rese conto che su una cosa aveva avuto ragione: quella era proprio la stanza di Kurt, e il marchese l’aveva scelta appositamente per essere presa più facilmente di mira dagli assassini.
Ma c’era una cosa che non aveva calcolato, e che non si sarebbe mai aspettato di trovare. O meglio, di non trovare.
Perché Kurt non si trovava lì.
C’erano i due sicari, però, e sembravano sbigottiti quanto lui.
 
 
Era passato da poco il tramonto quando aveva deciso di scendere da quel letto e darsi da fare. 
Quel ragazzo poteva essere un criminale, poteva perfino essere un assassino, ma gli aveva salvato la vita: non poteva starsene con le mani in mano mentre il senso di colpa lo opprimeva; e sapeva benissimo che tutto ciò non era saggio. Suo padre gli avrebbe sicuramente detto: “Non è così che si comporta un re!” Beh, per fortuna che non era re, allora. Perché non aveva alcuna intenzione di lasciar morire Blaine Anderson, e se quello implicava l’infrangere la sua stessa legge, così sarebbe stato.
Indossò dei vestiti puliti –una casacca grigia e dei pantaloni scuri, niente di troppo complicato- e appallottolò il mantello usato quella mattina dentro ad una sacca, assieme a soldi, qualche scorta di cibo e anche un piccolo pugnale. Si apprestò a scendere le scale con cautela, ma notò, con disappunto, che il posto brulicava di guardie; con un cenno del capo fece loro segno di lasciarli passare, e queste obbedirono senza battere ciglio. Di tanto in tanto gli faceva davvero comodo, il suo nome.
Ora, tutto ciò che doveva fare era chiamare la guardia di turno, ordinarle di consegnargli le chiavi e lasciarla andare; oppure, stordirla con il manico del pugnale. Sperò soltanto di essere abbastanza capace per farlo.
Quando si ritrovò nelle segrete, però, rimase un po’ confuso dall’assenza di persone, per non parlare della luce della lanterna quasi completamente affievolita e quel silenzio inaspettatamente surreale. C’era qualcosa che non andava, lo aveva capito benissimo, e aveva quasi paura a verificarlo. Eppure, con un piccolo moto di sollievo, quando arrivò alla cella di Blaine lo vide lì: disteso sul giaciglio, proprio come quel pomeriggio. Non riuscì a trattenere un sospiro ammaliato mentre, gentilmente, si soffermò ad osservare il suo corpo scolpito ad arte: le gambe lunghe e toniche – gli sembravano perfino più lunghe, ridicolo cosa potesse fare la suggestione - i muscoli dell’avambraccio che si intravedevano dalla tunica –anche se, in effetti, non se lo ricordava così muscoloso-, le vene sul collo che sembravano pulsare dritto in mezzo al suo cuore –un collo un po’ troppo robusto?-, fino ad arrivare a quel bellissimo viso che… che non era il suo.
“Ma che-!?”
Per poco non fu colto da un infarto. Chi diavolo era quell’uomo con addosso i vestiti di Blaine!?
E si sentì anche molto, molto stupido, perché tutto ad un tratto i pensieri appena fatti erano diventati assurdi, e le sue guance divennero istantaneamente rosso porpora acceso mentre, cercando in tutti i modi di evitare sobbalzi o commenti su se stesso e la sua imbecillità, si voltò di scatto e corse via da quella zona, da quell’uomo inquietante, dai suoi pensieri maledetti e sì, per un momento, desiderò anche scavarsi una fossa e sotterrarsi da solo. Giusto per rimarcare ancora di più il suo totale imbarazzo.
Non si era nemmeno reso conto che, con la sua corsa da forsennato, aveva attirato l’attenzione di metà delle guardie del palazzo.
“Ch-chi è quel tipo che corre laggiù!?”
“Ecco io sono-“
“Dev’essere Anderson! E’ scappato!”
“N-no!”
“E’ riuscito a fuggire dalle segrete!”
“No! O meglio, direi di sì, ma-“
“Prendetelo!”
“Chi?!”
“Fatelo fuori!”
“IO!?”
“Voglio vedere le sue gambe da gazzella ridotte in poltiglia!”
Quando ci sono una dozzina di uomini incavolati e privi di senno che ti vengono incontro armati fino al collo, c’è soltanto una cosa che si può fare: correre. E il più veloce possibile. Così fece Kurt, tra un’imprecazione contro se stesso e l’altra, mentre saliva le scale facendo i gradini a tre a tre e cercando di rifugiarsi in qualche ala seminascosta del palazzo. Le urla delle guardie erano ancora nette, vicine, e a lui stava cominciando seriamente a mancare il fiato, per lo shock, per la corsa, e un po’ per tutto il resto; tuttavia, non accennava a fermarsi. Continuava a fuggire senza meta sperando prima o poi di intaccare la porta giusta.
E fu allora che per poco non gli venne il secondo infarto: quando, da un lato, un paio di braccia lo afferrarono per la bocca e per i fianchi, spingendolo con uno slancio verso qualcosa, anzi: verso qualcuno.
“Calmatevi!”
Oh, no, assolutamente no! Quella guardia era praticamente avvinghiata a lui e aveva un pugnale in mano e stava per ucciderlo e lui non voleva morire e-
“Lord Hummel, calmatevi, vi prego! Sono io!”
Io chi!? Stava per strillare, se non fosse stato per quei guanti di cuoio orripilanti che gli tappavano le labbra; ma poi, tutto gli fu un po’ più chiaro: era la sua voce.
“Sono Blaine - sussurrò, poco distante dal suo orecchio – adesso vi lascio andare, va bene? Ma promettetevi di non fare rumore.”
Il principe, silenziosamente, annuì. E dopo qualche secondo fu libero, con gli occhi un po’ più limpidi e il respiro più regolare. Erano in una rientranza delle mura, dietro ad una di quelle statue fatte di armature di un’altra epoca e arrugginite per via del tempo, talmente grandi da coprire in modo abbastanza efficiente i loro corpi vicini, grazie anche all’aiuto del buio.
Kurt si concesse per un secondo di apprezzare mentalmente il luogo scelto come nascondiglio; e poi, finalmente, scoppiò.
“Si può sapere che diavolo ti è saltato in mente!? Potevo morire! Io mi sono quasi ammazzato per venire a salvarti e poi scopro che non eri nemmeno lì! Ma che diavolo hai al posto della testa, segatura per conigli!?”
“Ch-che cosa!? – Sbottò Blaine, allibito, e altamente seccato - IO mi sono quasi ammazzato per salvare VOI, Vostra Grazia, mi sono messo addosso questo ammasso di pulci e questo sarebbe il ringraziamento!? Scusatemi tanto se volevo evitarvi una fine dolorosa!”
“Ma stai scherzando spero! Se sono finito in questo casino è solo ed unicamente colpa tua, e se tu non avessi deciso di giocare al piccolo fuggitivo a quest’ora sarebbe tutto già risolto!”
“Ma di che diavolo state parlando!? Quello in pericolo di vita siete voi!”
“Certo! Perché mi hanno scambiato per TE, mister Robin Hood! Oh che stupido, stupido stupido che non sono altro! Dovevo lasciarti marcire in quella cella!”
“Oh, grazie per avermi salvato allora, senza di voi non ce l’avrei mai fatta!”
“Davvero divertente. Beh sappi che con questa divisa sembri un perfetto idio-“
Fu bruscamente interrotto dalla mano di Blaine che si poggiò nuovamente sulla sua bocca, e l’altra sul suo bacino. Lo tirò velocemente a sé mentre ascoltava con attenzione un gruppo di guardie distante qualche paio di metri che stava arrivando nella loro direzione. Entrambi trattennero il respiro, ansiosi, fino a quando il rumore di passi e di spade che ondeggiavano assieme a loro non fu sparito del tutto.
Ci fu un lungo silenzio, nel quale Kurt si accorse di quanto buono fosse l’odore di Blaine, sebbene camuffato da quello dei vestiti, e Blaine si rese conto di aver appena tappato la bocca ad un principe –per la seconda volta- e di averlo stretto a sé; ed uno poté sentire il respiro dell’altro, così come i battiti dei loro cuori che sembravano impazziti, il rossore delle loro guance che parevano infiammate e, di nuovo, quella strana sensazione di benessere, che sembrava l’unica cosa in grado di calmarli davvero.
“Dobbiamo andare” bisbigliò Blaine, quasi come se lo dicesse controvoglia. Kurt non fece resistenza e si limitò a guardarlo, esitando solo qualche secondo per riordinare le idee.
“Tu... tu vai, io resterò qui a distrarre le guardie. Devo parlare con il marchese, e, e poi...”
L’occhiata che gli rivolse Blaine lo destabilizzò per un momento, facendogli perdere il respiro e, anche, il filo del discorso. Lo stava fissando intensamente, come se non sapesse bene quali parole usare.
“Ku- Lord Hummel” si corresse dopo un attimo, “Io... quando ero in cella ho sentito le guardie parlare di... di voi.”
“Di me? E che cosa avrebbero detto?”
Ci fu una lunga pausa. Blaine sembrava sconvolto e, tuttavia, arrabbiato.
“Non dovete fidarvi del marchese. Lui... aveva organizzato una trappola. Prima sono stato nella vostra stanza e-“
“Sei stato nella mia stanza!? Ma che diavolo-“
“C’erano dei sicari, milord. Erano due, e volevano voi.”
Quella frase lo privò del tutto di fiato. Cominciò a sentirsi strano, disorientato, il mondo attorno a lui girava e il volto di Blaine era tutto ciò che appariva nitido di fronte a sè.
“Ma-ma come...non è possibile, io...”
“Li ho sistemati – intervenne lui - ma non so quanto tempo ci metterà De Gaulle prima di accorgersene e chiamare altre guardie. Non siete al sicuro, qui: dovete andarvene.”
Il marchese aveva detto di sapere. Aveva detto che lo avrebbe aiutato. Per un momento tentò anche di dubitare delle parole di Blaine. E tentò davvero, con tutto il suo cuore: avrebbe voluto guardarlo dritto negli occhi e allontanarsi da lui, dandogli del bugiardo e chiamare le guardie per farlo giustiziare. Eppure, quando osservava le sue iridi ambrate, riusciva a intravedere solo rammarico, forza di spirito. E come faceva a discretidarlo dopo quelle vicende passate? Blaine non avrebbe avuto motivo per mentire. Si era sempre dimostrato gentile, sin da quando lo aveva scambiato per una ragazza; nonostante tutto, fidarsi di lui era semplice ed immediato.
“Mi dispiace, milord. Ma vi giuro che è la verità. Mi dispiace, mi dispiace.”
Il tono del ragazzo arrivò dolce, soffuso. Gli sembrò una carezza, e questo bastò per farlo trasalire con gli occhi che cominciarono a pungere terribilmente.
La verità.
La sola verità era che lui era un semplice ragazzino con una promessa troppo grande da mantenere. Perchè non poteva far affidamento su suo padre, e nemmeno su altri nobili intorno a lui.
Ed era solo. Completamente, terribilmente solo.
Non poteva piangere; non poteva assolutamente piangere. Un principe non piange, soprattutto se ha un compito. Ma poi, Blaine abbassò il volto per incrociare i suoi occhi, ed erano vivi, bellissimi. Gli riscaldarono il petto come un focolare che accendeva la sua balìa durante una bufera.
“Non abbiate paura.”
Paura? Oh, sì, forse, un poco ne aveva. Forse era evidente, visto il suo volto pallido e le sue mani tremanti. Continuavano a stringere un lembo della tunica come speranzose di fermarsi; aveva paura, perchè solo adesso cominciava a sentire l’incoscienza delle sue azioni gravare su di lui, e renderlo un ragazzino stolto e ingenuo.
“Ho sbagliato tutto”, sussurrò. La voce era incrinata e flebile. “Ma cosa pensavo di fare? Sono partito senza scorta, ho smarrito la via, non ho una direzione da prendere... sono soltanto uno stupido. Un grandissimo stupido.”
Ormai era difficile contenere le lacrime, che tentavano con forza di fuoriuscire dai suoi occhi arrossati. Ma tutto ciò che riusciva a pensare era il volto di De Gaulle, le parole che gli aveva detto, a come si fosse sentito aiutato, quando gli era stato offerto un aiuto.
“Milord...”
La mano di Blaine si posò delicatamente sulla sua spalla, facendolo sussultare, rabbrividire. E quando si guardarono di nuovo, non dissero niente: restarono per poco tempo incatenati a quelle emozioni, entrambi immersi nei loro pensieri.
Alla fine, Blaine fece un leggero cenno del capo, rafforzando la presa su di lui.
“Vi porterò fuori di qui. Ve lo prometto.”
“...Perchè.”
Non fu una domanda. Era un’intenzione: era il tacito ordine di dargli una motivazione, qualcosa che fosse più valido di un inutile giuramento da feudatario, qualcosa a cui aggrapparsi.
Ma tutto ciò di cui aveva bisogno arrivò nel momento in cui sentì pronunciare quelle parole.
“Perchè voi avete rischiato la vita per salvare la mia, ed è un debito che ho intenzione di ripagare.”








Angolo di Fra:

Per sapere quando aggiornerò, credo venerdì ma non sono sicura. Sentite liberi di mandarmi un messaggio nella pagina :) e grazie a chi sta leggendo questa storia, davvero.

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