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A GUIDE IN DISTRESS IN
OAHU
PROLOGO
§§§
Con le mani che
scivolavano leggere sul volante della Camaro e l’umore visibilmente allegro e su
di giri, Danny Williams, quella mattina, prese piuttosto alla larga la seconda
curva che precedeva il suo arrivo in vista della strada che conduceva all’HQ
della Five-0, solo un paio di isolati di distanza lo separavano dal suo ufficio
ed era deciso a impiegare quegli ultimi minuti di pace e tranquillità al volante
della sua macchina, fischiettando allegramente un motivetto sentito alla radio
quella mattina: si era imbattuto nella forse unica stazione radio che
trasmetteva musica normale e non canzoni che ricordavano squallidi polizieschi
anni ’60 di cui pullulava la tv satellitare e che sembravano aver preso il posto
dell’inno nazionale da quelle parti.
E tra quelle e un robusto
pezzo dei Doors, la scelta era abbastanza ovvia.
Attorno a lui, le strade
di Honolulu pullulavano di persone e il traffico, malgrado l’ora decisamente
meno tarda del solito, era pur sempre intenso, anche se abbastanza scorrevole.
Fu però costretto a
fermarsi all’ennesimo semaforo, tamburellando il ritmo che non accennava a
volersene andare dalla sua testa sul cruscotto.
La sua mente registrò solo
parzialmente la presenza della figura barcollante che pareva avvicinarsi a passo
particolarmente accelerato alla sua auto, una figura che, pur non spiccando
particolarmente per altezza, risaltava maggiormente tra la folla per il suo
abbigliamento, inusuale per il luogo ma soprattutto per la stagione.
Chi mai indosserebbe un
variopinto gilè di lana andina, colorata in tonalità che andavano dall’arancione
fluo al violetto intenso?
Questa fu la prima domanda
che Danny stesso si pose quando l’indossatore di suddetto gilè, infilatosi
nell’abitacolo, gli ebbe puntato una pistola alla tempia.
Preso di sorpresa, il
detective subito non reagì, i suoi occhi stupefatti andarono a incontrare quelli
azzurrissimi, incastonati in un volto pallido e circondato da foltissimi
ricciolini neri, dell’altro, due occhi che gli diedero l’impressione che il loro
possessore avesse paura, tanta paura, e che stesse facendo tutto quello per
tale, profondo terrore.
Era un sentimento che
Danny non poteva riconoscere, visto che ci conviveva ogni giorno.
Era la paura di perdere
chi si ama.
“S-Scendi subito!” gridò l’altro con voce
rotta e spaventata, agitando la pistola e premendola con forza ulteriore contro
la sua testa: “Scendi ho detto!! Devo andarmene di qui! Devo allontanarli da
lui” sbraitò, forse con un poco più di sicurezza e dandogli uno spintone
abbastanza forte da gettarlo fuori dalla portiera del guidatore, mandandolo a
ruzzolare in mezzo alla strada.
In un momento, Danny passò
dagli interni scuri e freschi della sua Camaro al caldo soffocante delle Hawaii
in pieno Maggio, col sole che lo accecava e il rumore del traffico attorno a sé.
Sentì chiaramente il
vociare confuso e preoccupato delle persone che avevano assistito alla scena,
udì lo stridere di freni di moto e altri mezzi nel tentativo di evitarlo poi
sentì chiaramente l’odore di bruciato e lo sgommare dei pneumatici sull’asfalto
mentre apriva lentamente gli occhi per vedere il volto di Chin chino su di lui e
preoccupato mentre cercava di tirarlo seduto.
Lì, in mezzo alla via
principale di Honolulu, l’unica cosa che però lo attirava era la voce
singhiozzante che si allontanava a bordo della sua quattro ruote, modulata a
sussurrare un nome al vento.
Enquiri.
§§§
“Te l’ho detto, Steve. Massimo 40 anni,
pelle bianca, occhi azzurrissimi, forse in stato confusionale e ricciolini neri,
indossava un gilè simile a uno di quei maglioni che Kamekona ha portato a Gracie
dal Perù l’inverno scorso, per questo l’ho riconosciuto subito. Sotto, aveva una
camicia di flanella verde e pantaloni di velluto marroni. Sicuramente non è di
qui, nessuno sano di mente andrebbe in giro così conciato con 30 gradi
all’ombra.”
Seduto sul divanetto
dell’ufficio di Steve, Danny ripetè per l’ennesima volta al partner la sua
versione dei fatti e la descrizione del rapinatore mentre una quantomeno
necessaria borsa del ghiaccio era tenuta ferma sul bernoccolo che Williams
sentiva sulla propria testa.
Era stanco di rivivere
quegli eventi, e sperava di dimenticare presto quello sguardo, almeno la
sensazione di profonda disperazione che vi aveva letto dentro.
Steve gli stava davanti,
con il pacchetto gelido coscienziosamente serrato tra le dita e poggiato
delicatamente sulla nuca del compagno: “E questo è ciò che anche Chin ha messo
nel rapporto. Hai detto di aver sentito una parola, su cui Kono sta facendo
ulteriori ricerche. Qual è?”
Non c’era forzatura nella
sua voce, solo una vaga sfumatura di preoccupazione.
“Enquiri. Ne sono sicuro, e non mi sembra
sia inglese e neppure una parola di qui, almeno io non l’ho mai sentita.” sbuffò
il biondo, massaggiandosi le tempie nel vano tentativo di arrestare il mal di
testa in arrivo.
Le dita dell’altro
andarono a sostituire le sue nel massaggio e non si fermarono neppure quando
Kono, trafelata, fece il suo ingresso nella stanza annunciando di avere notizie.
“Che genere di notizie?” chiese Danny con
ansia, guardandola fisso.
“So da dove esce fuori la tua parola
misteriosa, e so anche chi può essere il tuo rapinatore.” dichiarò lei,
andandosi a sedere sullo sgabello occupato dalla cassetta del pronto soccorso
che Steve aveva prontamente spostato: “Si tratta di una parola originaria di un
dialetto ormai utilizzato unicamente da una piccola tribù indigena nel cuore
della jungla peruviana, i Chopec. Una decina di anni fa, è stata pubblicata una
dissertazione che ha generato una specie di terremoto mediatico in tutto lo
stato di Seattle, soprattutto a Cascade, la città dove sorge l’università presso
la quale il relatore studiava e lavorava. Non aveva neppure trent'anni all’epoca
e doveva prendere il Dottorato in Antropologia.”
“Deve essere un piccolo genio.” notò
Steve.
“E lo è.” aggiunse lei, passando a
entrambi un plico di fogli, su cui campeggiava una bella fotografia di un
giovane uomo decisamente familiare agli occhi di Danny.
Stessi occhi, stessi
capelli, stessa espressione sperduta da bambino cresciuto troppo in fretta,
malgrado il sorriso sfavillante. Era molto più giovane in quella foto ma era
senza dubbio lui.
“In Rete si trovano ampi stralci,
probabilmente anche tutta se si cerca attentamente. Il volume cartaceo non
esiste più, è stato ritirato frettolosamente dall’editore dopo che è stata
dichiarata fasulla dallo stesso relatore.” Con un sospiro, la giovane guardò
nervosamente entrambi prima di proseguire: “E’ quasi sicuro che la persona che
ti ha aggredito e rubato la macchina sia proprio Blair Sandburg-Ellison. Ho
parlato personalmente con il capitano della Major Crimes di Cascade e gli ho
spiegato la situazione, ho anche faxato la descrizione che hai dato del ladro e
ha confermato che si tratta di lui. Da una parte sembrava quasi sollevato della
cosa, a dire il vero…”
“E perché hai faxato a loro?” domandò
Danny nervosamente.
I lunghi secondi di
silenzio vennero rotti da Steve, che si era alzato in piedi con i fogli in mano:
“Pare che sia consulente a tempo pieno del dipartimento da quando la Rainer di
Cascade gli diede il benservito dopo la conferenza stampa per la dichiarazione,
e che abbia lavorato da loro part-time per i quasi quattro anni precedenti. Come
partner del detective James Ellison.”
Altri lunghissimi istanti
di assordante silenzio, con il cuore di Danny che batteva forsennatamente nel
petto.
Accidenti…
“Diciotto mesi trascorsi in Perù nelle
jungle dopo che l’elicottero militare su cui lui e la sua unità viaggiavano era
precipitato, lasciandolo unico sopravvissuto. Ranger pluridecorato e detective
stimato e conosciuto. Come lui e Sandburg si siano conosciuti questo il capitano
Banks non me lo ha detto ma lo stato civile di entrambi è cambiato l’anno
passato, quando si sono sposati in Canada, a Toronto.” Kono sembrava veramente
dispiaciuta della piega che avevano preso gli eventi.
“Sono riuscita a parlare con Ellison…”
pigolò lei: “Ha detto che raggiungerà Honolulu col primo volo disponibile. A
quanto pare, Sandburg manca da casa da almeno tre giorni…”
“Cosa significa Enquiri?” chiese il
biondo interrompendola.
“S-Si, è vero… Beh, Ellison sembrava
spaventato quando gliela ho riferita, mi ha chiesto se sapevo della
dissertazione e io ho risposto di sì, mi ha detto dove trovarla poi ha chiuso la
comunicazione. E’… E’ incredibile…” balbettò lei ancora stupefatta, mostrando ad
entrambi la riga corrispondente dei fogli fittamente scritti: “Per i Chopec, è
una parola che designa la Sentinella, è il nome proprio dell’attuale Sentinella
della tribù, un guerriero dotato di sensi ipersviluppati. C’è anche un’altra
figura, su cui Sandburg sembra essersi concentrato particolarmente. Quella della
Guida della Sentinella.”
Nella stanza sembrava
essere calato il gelo ma Kono non si diede per vinta.
“La Guida è colei o colui che si occupa
di aiutare la Sentinella a gestire i sensi, a fare in modo che vengano
utilizzati nel modo corretto.”
“Che impressione ti ha dato Ellison?”
domandò Steve bruscamente.
“Sembrava preoccupato, molto preoccupato.
Quando ha risposto al telefono mi ha subito chiesto se Sandburg stesse bene. Io
ho risposto come potevo ma non avevo granchè da dirgli, purtroppo… Se tutto va
bene, dovrebbe arrivare col volo della sera da Seattle.” Kono cominciò a
raccogliere i suoi fogli mentre concludeva il suo rapporto, lasciando che Steve
la aiutasse mentre Danny, con lo sguardo perso nel vuoto, non sapeva esattamente
come sentirsi.
Prima di uscire, però, la
giovane cinese si fermò a guardare entrambi per parecchi secondi, poi si decise
ad aprire bocca: “Io non so voi, ma dalla voce che aveva, sono certa che non
c’entri nulla con ciò che è accaduto.”
Dopodichè, uscì.
Dal momento in cui la loro
giovane collega ebbe varcato la porta, gli altri due ufficiali rimasero in
silenzio a lungo, silenzio rotto unicamente dai loro respiri sottili e
concentrati.
Poi, Steve s'alzò, con
espressione indecifrabile, e imitò Kono, lasciando Danny solo, coi suoi
pensieri, e tormentato da quei due occhi azzurri che, solo in quel momento, si
era accorto che gli stavano chiedendo disperatamente aiuto.
§§§
Nello stesso momento, a
più di 4500 e rotti chilometri di distanza dal caldo sole dell'isola tropicale,
in una città piovosa praticamente tutto l'anno e fredda oltremodo, il cui nome
stesso era foriero di umidità, in un loft semideserto e disordinato
all'inverosimile, un semplice trolley da viaggio era abbandonato nel mezzo del
soppalco, mentre il suo proprietario, che frugava nell'armadio, veniva
sorvegliato a vista da una massiccia figura dai capelli corti in agguato sulle
scale che portavano lassù.
“Jim, calmati.” lo rimbeccò una voce
severa, mentre la sagoma si chinava a raccogliere una vecchia tuta da jogging
decisamente troppo piccola per essere indossata dall'uomo intento a frugare nel
guardaroba: “Vedrai che questa storia si sistemerà per il meglio.”
Nella semioscurità di
quella che senza dubbio era una camera da letto, malgrado il letto stesso fosse
sommerso di vestiti, carte, vecchi indumenti inutilizzati e chissà cos'altro,
gli occhi del responsabile di quella confusione dardeggiarono furenti e
preoccupati allo stesso tempo sull'altro: “No, Simon. Blair sparisce senza dare
la minima notizia di sé per tre giorni e ruba una macchina a un poliziotto ad
Honolulu, che ha tra parentesi aggredito con una pistola; non credo che – stare
calmo – rientri tra le mie priorità al momento.” sbottò irritato.
“Potrebbe non essere Sandburg, ci hai
pensato?”
“Simon! Quella donna lo ha descritto, ci
sono poche persone al mondo che oserebbero farsi vedere in pubblico con dei gilè
di lana andina, a Maggio e alle Hawaii. L'hai sentita, no? E hai sentito
quella parola, no?” concluse in un sussurro.
Certo che l'aveva sentita,
si ritrovò a pensare il capitano, aiutando il detective a chiudere il trolley:
diamine, era difficile scordarsi certe parole, e soprattutto certi fatti come un
manipolo di guerrieri indigeni a piede libero per Cascade e uno sciamano
cadavere al piano di sotto.
“E' senza dubbio Blair...” borbottò Jim
Ellison, afferrando la propria giacca abbandonata sulla sedia accanto alla scala
e seguendo il proprio capitano giù per le scale e osservando di sfuggita, pur se
teneramente, l'anello che esibiva sull'anulare sinistro.
“Capisci perchè devo andare laggiù,
Simon?” concluse, mentre chiudeva le porte a vetri sul fondo dell'appartamento:
“Devo capire in che razza di guaio si sia cacciato e cercare a tutti i costi di
tirarlo fuori.” E sperare che non sia troppo tardi.
Sospirando, Simon Banks
precedette il detective nel corridoio del palazzo, aspettando pazientemente che
egli chiudesse la porta a doppia mandata prima di strappargli di mano il
bagaglio e scendere a passo spedito giù per le scale: “Non ti sto impedendo di
partire. Diamine, Jim. Conosco il ragazzino da almeno dieci anni, sono stato il
suo testimone di matrimonio, il vostro testimone, ti ricordo. Se potessi,
verrei con te, e questo lo sai. Solo ti chiedo di ragionare e di valutare le
cose. Lo abbiamo cercato, Dio solo sa quanto lo abbiamo cercato, abbiamo frugato
praticamente tutto lo Stato di Washington nel giro di due giorni! E ora, salta
fuori che si trova alle Hawaii! Cerca di essere obiettivo e soprattutto di fare
attenzione.”
Ellison respirò a fondo
mentre entrambi uscivano dal portone: “Cosa dovrei fare? Eh, Simon? Lasciare
Blair laggiù, invischiato in chissà quali guai perchè chiunque abbia chiamato è
sospetto?” borbottò con tono non poco irritato, “Non ti sto chiedendo questo.”
sospirò Banks, caricando la valigia nel portabagagli, “Non te lo chiederei mai,
lo sai. Voglio solo essere certo che non stiano usando Blair come scusa per
attirarti laggiù. Continueremo a fare ricerche su questa fantomatica Five-0 ma
tu prometti che ti renderai rintracciabile e reperibile in ogni momento. Dico
sul serio, Ellison.” lo rimbeccò con tono autoritario.
Seduto al posto del
passeggero, Jim annuì: “Per quanto sarà possibile, manderò rapporti regolari.”
concluse, chiudendosi in una sorta di mutismo mentre l'automobile, immettendosi
cautamente nel traffico, imboccava la strada che conduceva verso l'aeroporto.
Passò più di un'ora prima
che il detective, che la Sentinella, decidesse di rompere il silenzio. E lo fece
solo quando venne annunciato il suo volo e l'imminente imbarco.
“Riporterò Blair a
casa, Simon. Fosse l'ultima cosa che faccio.”
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“Il
volo della
Hawaiian
Airlines proveniente da Seattle è in arrivo sulla pista. Lo sbarco dei
passeggeri è previsto tra undici minuti.”
La fredda voce metallica
dell'altoparlante fece sobbalzare Steve, che si affrettò ad alzarsi dalla
scomoda poltroncina della sala d'attesa e a unirsi alla fiumana di persone che
si avviavano verso il Gate 54, quello riservato ai voli inter-isolani che
provenivano dalla sponda del Pacifico del continente.
C'era parecchia gente, non
certo uno spettacolo insolito per la stagione quanto piuttosto per l'orario.
Erano le 21 e si sarebbe
aspettato più tranquillità, doveva ammetterlo.
Scrollando le spalle, si
fece strada in mezzo alla folla, tenendo ben stretto tra le dita il cellulare
nel caso la persona che stava aspettando lo chiamasse per darsi appuntamento,
nella malaugurata ipotesi non si trovassero o non riuscissero a riconoscersi e
incrociarsi.
Attese più o meno
pazientemente gli otto minuti annunciati poco prima e, finalmente, cominciarono
a sbucare dalla porta a vetri bombata i primi passeggeri, che si gettarono tra
le braccia spalancate di amici, parenti, famiglie riunite.
E lui attendeva.
Fu l'ultimo ad arrivare, e
il primo a risaltare vividamente tra centinaia di persone tutte uguali, tutte
sorridenti.
Lui non sorrideva, più che
altro stava sull'attenti, rigido e all'erta, quasi sospettoso di ciò che lo
circondava.
Dimostrava a malapena i
cinquant'anni che le informazioni gli avevano comunicato avesse, i capelli
tagliati corti e leggermente ingrigiti, il corpo robusto e pronto a scattare.
Era senza dubbio un
Ranger, anche se il servizio attivo lo aveva abbandonato da anni.
Certe cose non si perdono
neppure col passare del tempo.
Steve si fece notare con
un semplice gesto della mano, accorgendosi solo nell'averlo di fronte di altri
piccoli particolari, la camicia stropicciata che gli copriva il busto, i
pantaloni conciati allo stesso modo e l'anello all'anulare.
Si morse un labbro ma
cercò di mostrarsi accomodante e ospitale.
“Benvenuto alle
Hawaii.” lo salutò, tendendogli la mano: “Io sono il comandante Steve McGarrett,
capo della Five-0.”si presentò.
“Detective James
Ellison.” replicò l'altro con tono monocorde, stringendogliela con inusitata
forza.
“In condizioni
normali, dopo un viaggio pur se non lungo, sicuramente snervante, le chiederei
se vuole essere accompagnato in albergo. Ma sono sicuro che le sue priorità sono
altre.” azzardò Steve, esultando dentro di sé nel vederlo rilassarsi un poco
alle sue parole, sapeva cosa voleva dire l'ansia dell'attesa.
“Grazie.”
rispose Ellison, tirandosi dietro il trolley: “Una volta arrivati all'HQ la
ragguaglieremo in merito a ciò che sappiamo. Da lì, partiranno le indagini.”
aggiunse Steve, precedendolo all'esterno del complesso aeroportuale e
conducendolo con sicurezza verso il parcheggio.
Mezz'ora e tanto
silenzio dopo, l'automobile scaricò ambedue davanti all'edificio che ospitava la
base operativa della Five-0.
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NOTE AL PROLOGO:
E' un crossover un po'
azzardato, ne convengo, e spero di renderlo bene come desidero e come è nelle
mie intenzioni. Per chi è pratico di ambedue le serie, premetto che infilerò
indistintamente, con ruoli più o meno importanti, sia i membri della squadra di
Simon sia personaggi minori comparsi in H50. Per chi non è pratico dei
personaggi, soprattutto di The Sentinel, invito a mandarmi PM vari con tutte le
domande che vi passano per la mente, sarò ben lieta di rispondere. Ah, i pairing
sono ovviamente quelli classici (Danny/Steve, Jim/Blair), con l'aggravante, come
si evince da questo capitolo, del matrimonio tra la Sentinella e la Guida e una
relazione più o meno stabile tra Danny e Steve. Con questo, credo di aver detto
tutto.
Grazie per l'attenzione.
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