I sogni sono per gli egoisti di Yellow Daffodil (/viewuser.php?uid=107694)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Un giorno lo incontrerai
I sogni sono per gli egoisti
-Capitolo 1-
Mi chiamo Rebecca
Carlton e voglio raccontarvi una storia. La mia storia, la mia storia
più bella, la storia di un sogno.
Ok, può sembrare
l'inizio di un Harmony o qualcosa del genere, ma ci sono troppe
parolacce perché lo sia, quindi mettetevi tranquilli e spostate
quel pacchetto di Kleenex da davanti agli occhi, non vi servirà.
Almeno spero.
E' iniziato tutto un giorno di
maggio dell'anno 2011, nella calda Los Angeles, California. Beh, in
realtà non è passato molto, ma abbastanza da poter
iniziare così...
Bussai alla porta controllando l’orologio che avevo al polso. Tre minuti dall’ordine, ero stata troppo lenta.
In due nanosecondi mi sistemai i ciuffi sfuggiti dallo chignon e il
rossetto sbavato per piantarmi in faccia un’espressione
abbastanza credibile. Sì, sembravo una superstite scazzata del
Titanic e non andava per niente bene.
Dovevo sembrare felice di sudare per gli altri, era parte del mio lavoro.
A dire il vero odiavo fare quello che facevo, ma dovevo resistere: non
sarebbe durato che ventiquattr'ore ancora e poi me ne sarei andata.
Doveva essere il giorno meno problematico di tutta la mia carriera,
onde evitare qualsiasi problema o impedimento alla realizzazione del
mio sogno. Facile a dirsi per una come me, che solo per salire due
piani aveva travolto il gatto del governatore di Washington alla stanza
620, rovesciato una brocca di latte davanti alla porta della tennista
brasiliana e perso una scarpa mentre veniva osservata dalla zia di
Orlando Bloom.
Da due anni lavoravo nell’hotel di mio padre a Los Angeles come
cameriera, cosa che odiavo radicalmente, ma che ero costretta a fare.
Lui, amorevole e comprensivo padre con una mentalità per niente
chiusa, sognava per me un futuro non oltre quelle lussuose mura, ma io,
da brava figlia ribelle, volevo girare il mondo, vedere mille posti
diversi e scrivere il mio libro. Tipica storiella americana. Così lo avevo convinto a
scendere a patti: avrei lavorato al Ritz fintanto che non avrei
ottenuto un diploma. Se ce l’avessi fatta, mi avrebbe lasciata
partire e io ero più che determinata a passare
l’ultimo esame, programmato per l’appunto entro sole
ventiquattr'ore all’università di Downtown. Sopravvivenza
sudata, la mia.
Bussai nuovamente non ricevendo risposta e approfittai
dell’attimo disponibile per lisciarmi la gonna e sistemare il
sorriso ancora troppo finto.
Purtroppo, in qualità di figlia del ricco Roger Carlton, ero stata
assegnata alle suite dei piani alti, sempre in contatto con i VIP e le
celebrity di Beverly Hills, di modo che le
mie figuracce potessero essere oggetto di letizia anche per chi passava
la propria vita a sguazzare nei soldi.
Deprimente, lo so. Io, spirito libero, intrappolata dentro una megastruttura a osservare i viaggiatori.
Sbuffai bussando per la
terza volta, abbastanza irritata, ottenendo
finalmente uno scocciato “Chi è?”
dall’interno. Succedeva sempre così, poiché tu,
sguattera plebea, andavi da loro non perché eri stata chiamata,
ma perché ti andava di farlo. Ovvio.
-Servizio in camera.- cantilenai come mi era stato insegnato. Dolce, ma
non troppo, felice di essere lì a fare favori alla gente.
Anni luce dopo la porta si aprì a spiraglio per mostrare una
strisciolina d’uomo:-Non credo proprio.- disse una giovane voce
melodica.
-Prego?- chiesi garbatamente fingendo di non aver capito.
Dall’altra parte arrivava solo una grande sensazione di “mi
stai disturbando per niente”. Certi ospiti erano da prendere a
sprangate.
-Io non ho chiamato nessun servizio in camera.- rispose il tizio, la
cui voce era effettivamente gradevole. Peccato che la usasse per farmi
imbestialire. E avevamo scambiato solo quindici parole.
Controllai l’ordine, corrispondente alla stanza 729, poi guardai
la targhetta per confermare. O il tipo soffriva di personalità
multipla o i telefoni dell’hotel criptavano i messaggi.
-A me risulta di sì, signore.- ribattei fintamente gentile:-Succo d’arancia e un’aspirina.-
-Oh, intendi quell’ordine. Con tutto il tempo che è
passato me ne ero dimenticato.- sbottò aprendo la porta per
farmi entrare. Soave stronzaggine.
Indignata, spinsi il carrello all’interno:-Centottanta secondi
sono un’infinità, in effetti.- commentai sarcastica.
-Per quelli il cui tempo è denaro sì.- ribatté, amabile.
Mi girai per guardarlo male, ma rimasi pietrificata con la mia faccia
da allocco. Solo dopo aver lottato contro la bavetta che intendeva
uscire dalla mia bocca, realizzai che quello era Logan Tatcher. Il
talentuoso, idolatrato, venerato, attraente Logan Tatcher. Alto tanto da farmi
sentire una nana di corte, muscolatura pronunciata ma non troppo,
capelli scuri spettinati a regola d’arte e due occhi così
azzurri da far invidia al cielo. Non dirò che ispirava sesso,
perché passerei per la maniaca di turno.
Tatcher aveva ventiquattro
anni ed era il cantautore più
ascoltato d’America. Per tre mesi era rimasto fermo in cima alle
classifiche dei brani più scaricati e i dischi più
venduti e non solo lo vedevo mezzo nudo nelle pubblicità di
intimo, ma potevo anche andare in qualsiasi store e trovare oggetti con
la sua faccia stampata. Persino il copriwater, che avevo intenzione di
prendere, ma che non presi solo perché conservavo un minimo
d'orgoglio. Peggio di Justin Bieber,
in soli dodici mesi aveva conquistato tutta l’America del Nord
partecipando al famoso programma musicale X-Factor USA e poi si era
divulgato per il mondo. Il fatto che avesse una voce incantevole non
era
l’unica causa della sua popolarità, l’elemento che
affascinava, infatti, erano i testi delle sue canzoni. Personalmente,
non
avevo
mai creduto che fosse lui lo scrittore, perché ero troppo dentro
a quel mondo e mi sembrava impossibile che un macho del genere potesse
avere la mia stessa passione. Sensibile? Poetico? Stavo confermando i
miei sospetti, ovvero ero pienamente convinta che fossero altri a
scrivere per lui. Quegli aggettivi non gli si addicevano per niente.
-Sì, sono un giovane di bell’aspetto, ma ora avrei di
meglio da fare che farmi spogliare con gli occhi da una cameriera.-
Appunto.
Appoggiai (sbattei con grinta) la caraffa di succo sulla scrivania e
riempii un bicchiere d’acqua per farci sciogliere
l’aspirina. Avrei potuto ispirarmi a Lady Gaga e aggiungerci del
veleno, ma non volevo sfuriate da mio padre.
-Non si preoccupi, non ruberei mai il piacere alle ragazzine urlanti
che l’aspettano fuori dall’hotel.- dissi, sorridendo falsa
come Giuda.
-Oh, loro sì che non perdono tempo.- osservò pieno
d’arie, appoggiandosi allo stipite della porta per fissarmi
mentre gli mescolavo l’aspirina. Mi augurai che fosse scaduta.
-Già.- mi asciugai le mani sul canovaccio del carrello:-Temo di dover andarmene ora, signor Tatcher.-
-Signor Tatcher.- ripeté vagamente divertito. Evidentemente
adorava sentirsi importante:-Aspetta…già che ci sei, ci
sarebbe il letto da sistemare.- disse indicando il matrimoniale
disfatto.
Ma che mi credeva? Il suo paggio? La serva?
Feci saltellare lo sguardo da lui al letto, veramente indecisa. Il mio
lato camionista stava per sormontare quello principesco, ma
fortunatamente il suo cellulare prese a squillare.
Mi lanciò una breve occhiata di sfida (grr…) e rispose alla chiamata. Che persona infantile.
-Buongiorno, amore.- lo sentii recitare in modo melenso:-Sì, magnifico…oh, anche tu mi sei mancata…-
Sbuffai roteando gli occhi e mi trascinai verso il letto, cominciando a
rimboccare le coperte. Sembrava un ragazzino mestruato: finemente
bastardo, irritabile e soggetto a sbalzi d’umore, come potevo
ascoltare dalla conversazione.
-Che cosa? Digli che è un pezzo di merda!- gridò
improvvisamente, arrabbiato, facendomi sobbalzare. Si stava rivolgendo
alla sua ragazza? Forse non aveva ben chiara l’idea di
delicatezza. Aguzzai l’orecchio, curiosa.
-Anzi, passamelo…sei un pezzo di merda!...Sono stanco di questa
vita, Thomas. Stanco morto! Smettetela di farmi pressioni quando sapete
da mesi che la risposta è no. Questa volta cambio davvero.-
Ok, a meno che non fosse assieme a un trans, aveva cambiato interlocutore.
-No, mi rifiuto di discutere di nuovo…andatevene tutti al
diavolo, Thomas…e adesso attacco ché ho quella piaga di
Regina in linea.- schiacciò un tasto e ritornò in
modalità cucciolotto teneroso:-Regina! Scusa, una chiamata di
lavoro…sì, quell’ingrato di Thomas…ti amo
anch’io, amore…quando tornerò? Io…oh,
aspetta, c’è la Sony in linea…- premette di nuovo
sullo schermo dell’iPhone e prese un tono più
serio:-Signor White, che piacere sentirla…sì, tutto
tranquillo…già, con Thomas una meraviglia, davvero,
è un ottimo partner, mi dispacerà lasciarlo…certo, la richiamerò io appena
avrò un buco in agenda, grazie mille.-
Attaccò sbuffando sconsolato e si passò una mano sul viso
stanco, poi sembrò ricordarsi della mia presenza e tornò
più composto, schiarendosi la voce.
Lo guardai incuriosita:-E Regina? Ha attaccato senza risponderle.-
I suoi occhi si ridussero a fessure:-Stavi origliando…- constatò indignato.
-Le è capitato di gridare al ricevitore, ero anch’io in questa stanza.- gli ricordai.
Sorprendentemente mi si avvicinò a passo deciso, fino a trovarsi
a un palmo di naso dalla mia figura:-Voi cameriere dovreste imparare a
stare al vostro posto, non giocare alle eroine…Rebecca.-
aggiunse leggendo il mio cartellino.
-Voi superstar dovreste imparare che siamo umani, non bestie ammaestrate…Logan.-
Avevo osato un po’ troppo, forse. Lo capii dal lampo che gli attraversò gli occhi; non se lo aspettava.
-Vedo che sei in cerca di guai.- sussurrò.
-Tutt'altro, signor Tatcher.- mi affrettai a dissentire, voltando le
spalle e facendo per andarmene:-Le auguro una buona permanenza al Ritz.-
Continuò a fissarmi con quelle pozze congelate finché non
ebbi chiuso la porta in fretta e furia. Una volta in corridoio,
appoggiai la schiena alla parete e presi un profondo respiro.
C’ero andata troppo vicino; se avessi detto una sola parola di
più avrei rovinato i due anni di lavoro in questo dannatissimo
hotel e avrei bruciato l’opportunità di andarmene. Mancava
veramente poco…qualsiasi intoppo sarebbe stato determinante per
me.
Certo che quel Tatcher era pessimo. Mi augurai che potesse essere
rapito e fustigato fino a perdere tutto quell’ammasso di
stronzaggine che aveva in corpo.
O forse il corpo sarebbe stato meglio lasciarlo così com'era.
Erano le sei del pomeriggio quando mio padre mi mandò a chiamare.
Stavo finendo di pulire il vomito del pargolo dell’ambasciatore
indiano, per cui fui molto felice di lasciare il compito alla nuova
cameriera del piano. Starete pensando che forse mio padre avrebbe
potuto trovarmi un impiego un pelino più simpatico, essendo il
proprietario, ma, ricordando il suo essere un uomo di larghe vedute,
aveva deciso di far partire la mia carriera dal basso, proprio come
avevano fatto lui e ancora prima mio nonno. Evviva i parenti con
impostazioni educative arcaizzanti!
Scesi in direzione salutando qua e là clienti e dipendenti,
felice che fosse probabilmente l’ultima volta che li avrei visti.
-Padre!- salutai il mio
vecchio irrompendo nel suo ufficio con vista
sul tramonto di Venice Beach. Avevo sempre pensato che quell'uomo fosse
megalomane, ma al contempo avevo sempre adorato quelle vetrate.
-Siediti.- fece lui, lugubre, ammazzando tutta la mia allegria pre-emancipazione.
Mi sedetti cautamente di fronte a lui, studiando il suo viso rugoso. Dovevo preoccuparmi?
-Ti ho fatto chiamare perché tra meno di un’ora il tuo lavoro qui sarà concluso.-
Un applauso all’ovvietà dell’affermazione.
-Per sempre.- aggiunse.
-Eeeeh già.-
-Rebecca.- disse, serioso:-Sei sicura della decisione che stai per prendere?-
Lo guardai cercando di capire dove volesse arrivare e risposi con tutta la determinazione possibile:-Sì, sicurissima.-
-Perché lo sai che fare lo scrittore non è un lavoro
né sicuro né lucroso e qui, al contrario, avresti un
futuro certo, già scritto, assicurato per te e la tua
famiglia…in più lo sai che la gestione di questo hotel
appartiene ai Carlton dai tempi della seconda guerra mondiale, sarebbe
come spezzare la catena che tuo nonno ha consolidato con fatica e
sudore della fronte, nei giorni in cui i soldi erano…-
-Papà!- lo interruppi, seccata:-Questo discorso l’ho
già sentito migliaia di volte! Siamo nel 2011, le vecchie
tradizioni familiari non interessano più a nessuno e io voglio
fare quello che sogno da quando ero bambina!-
-Sì, ma a volte i sogni ti rovinano, Rebecca! Non mettere a
rischio il tuo futuro per inseguire un mucchio di fantasie infantili!-
-Non sono fantasie, papà!- mi alzai in piedi sbattendo un palmo
sulla scrivania:-E’ quello per cui sono nata. Io voglio quel
diploma e voglio partire alla volta della mia vita fuori da qui! Erano
questi i patti.-
Mio padre sospirò massaggiandosi le tempie:-D’accordo,
io…ci ho provato a farti cambiare idea, ma a quanto pare sei
più testarda di quanto immaginassi. Da domani non sarai
più una retribuita al Ritz, ma ricordati che se per caso dovessi
fallire quell’esame, allora tornerai qui.-
-Non fallirò.- risposi, decisa e girai le spalle a mio padre per dirigermi verso la porta dell’ufficio.
-Ah, Rebecca, un’altra cosa…-
Voltai la testa per incrociare il suo sguardo, in attesa.
-Credevo che almeno per quest’ultimo giorno ti saresti sottratta
dal combinare casini, invece sembra proprio che tu voglia infastidirmi.-
-Che cosa?-
-Logan Tacher mi ha riferito il tuo rozzo comportamento di questa
mattina.- rispose:-Pensavo di averti insegnato come si trattano i
clienti in questo hotel. Ti ricordo che le cinque stelle ce le siamo
guadagnate anche attraverso la competenza del personale, anche se mi
pare che tu abbia intenzione di glissare su questo punto. Se è
un tentativo di vendicarti della mia decisione riguardo al tuo futuro
qui, non è…-
-Quel Tatcher è un pomposo imbecille pieno di sé.-
sbottai:-Il suo problema è che ha un ego così vasto che
non riesce a guardarsi intorno e rendersi conto che non esiste solo
lui.-
Mio padre mi rivolse uno sguardo di rimprovero:-E’ pur sempre un
cliente e tu non hai il diritto di origliare le sue conversazioni
private, né tantomeno di rivolgergli osservazioni!-
-Non ci credo…è venuto a raccontartelo?-
-Se fossi stata meno infantile, non ce ne sarebbe stato bisogno.-
-Sai cosa, pa’? Qui l’infantile è solo lui e
aggiungerei pure bastardo.- ribattei, arrabbiata:-Ci vediamo domani,
all’università. La mia discussione di tesi è alle
dieci, non dimenticartene.- conclusi uscendo e provvedendo a sbattere
violentemente la porta.
Mi diressi a grandi falcate
verso l’ascensore, intenzionata a
finire al più presto questa tortura. Non avrei mai più
indossato questa stupida divisa, non avrei mai più discusso con
mio padre del mio comportamento e non avrei mai più rivisto
quell’insopportabile ragazzo. Sicuramente avrei gettato tutte le
pubblicità che mi arrivavano con qualche sua foto in bella
vista, avrei evitato come la peste di ascoltare sue canzoni e avrei per
sempre sostenuto la mia tesi riguardo alla non autenticità dei
suoi testi. Mi sarei comprata il copriwater, ma solo per avere la
soddisfazione di usare il suo viso come appoggio per il mio
fondoschiena.
Non avevo tempo da perdere, dovevo correre a casa e finire di ripassare
la mia tesi per l’esame di domani, perciò feci il giro di
controllo in tutta fretta. Mi fermai solo davanti alla porta numero
729, non perché avessi qualche rimorso, ma in quanto avevo
sentito uno strano rumore provenire dall’interno.
Accostai l’orecchio al legno e udii chiaramente un tonfo, seguito dal suono di ceramiche rotte.
Ma perché mi costringevano a farlo?
Bussai rapidamente:-Signor Tatcher?-
Stranamente, il rumore cessò e la stanza divenne
impressionantemente silenziosa. Che diavolo stava combinando lì
dentro?
-Signor Tatcher?- ripetei, alzando il tono di voce e stavolta percepii
un movimento, seguito da una voce che non assomigliava per niente a
quella piacevol...a quella di Tatcher.
Sospirai estremamente scazzata; speravo per lui che non mi stesse
pigliando in giro oppure lo avrei evirato a costo di giocarmi
l’approvazione paterna.
-Signor Tatcher, apra la porta o sarò costretta ad avvisare la
direzione che si accerti personalmente del suo stato di salute all’interno
della stanza.- cercai di risultare autoritaria e altamente irritata.
Parve funzionare, dal momento in cui la porta si socchiuse. Entrai
augurandomi di non trovarmelo in accappatoio (solo perché
così avrei potuto procedere alla castrazione più
facilmente) ed emisi qualche colpetto di tosse di circostanza.
-Andiamo, signor Tatcher, non mi sembra il caso di…- ma le
parole mi si smorzarono in bocca non appena vidi la condizione della
stanza: era tutto sottosopra, il tappeto ammucchiato in un lato, il
vaso di fiori a pezzi sul pavimento, la chitarra a terra.
-Ma che…-
Non feci in tempo a continuare la frase perché sentii qualcuno
giungere da dietro e colpirmi alla testa con qualcosa di pesante. Poi,
tutto nero.
Sentivo la testa scoppiarmi, i muscoli del collo indolenziti e un bruciore insopportabile ai polsi.
Provai a muovermi, ma il mio corpo era in qualche modo bloccato.
Così, a gran fatica, socchiusi le palpebre, percependo una luce
azzurrina molto debole, ma comunque fastidiosa sopra di me. Appena
riuscii a riprendere il controllo della mia vista, realizzai di essere
in un posto abbastanza squallido, a giudicare dalle pareti scrostate,
dal neon a intermittenza e l’improponibile odore di muffa e
umidità. Guardando
meglio, la stanza era abbastanza singolare: sembrava un vecchio garage
nel quale erano state ammassate cianfrusaglie rovinate dal tempo. Il
pavimento polveroso era spoglio, come le pareti, salvo quella di destra
alla quale era stato appoggiata una specchiera distrutta. Oltre alla
desolazione, c’era pure un freddo pungente e un lucernario che,
sopra le nostre teste, proiettava strane ombre. Oddio, la cosa sapeva di
serio. Mossi lievemente la testa, accorgendomi di essere
appoggiata a una superficie morbida. Almeno quello, pensai. Mi voltai
per capire di cosa si trattasse (non che mi aspettassi letti o soffici
cuscini) e incrociai due occhi celesti che mi scrutavano a pochi
centimetri di distanza. Ok, diciamo che non mi aspettavo qualcosa di
vivo.
Dallo spavento, infatti, rizzai la testa, sbattendo contro il naso del poveretto.
-Ahia!- gridammo all’unisono. Feci per massaggiarmi la fronte con
la mano, ma notai che i miei polsi erano legati a quelli della persona
con cui, schiena contro schiena, condividevo quel postaccio. Che cosa carina.
Cercai di fare il punto della situazione: quegli occhi mi erano
familiari, anche se non riuscivo a ricordare nitidamente senza sentire
la testa esplodere.
-Porca miseria, che male…- si lamentò lui, tirando su con il naso.
Non appena sentii la sua voce, però, mi ritornò tutto in
mente. Il litigio con mio padre, gli improperi mentalmente lanciati a
quel musichiere da due soldi e la stanza a soqquadro.
Oh cazzo.
-Tu!- esclamai:-Io…noi…cosa ci facciamo qua?-
-Mi piacerebbe saper rispondere a questa domanda, ma non ne ho idea.-
rispose sinceramente irritato:-E poi, ora sono più preoccupato
per il mio naso…guarda, mi hai fatto sanguinare!-
-Mi dispiace…cioè no, non mi dispiace per niente!- mi corressi sovrappensiero.
-Wow, grazie.-
-Che diavolo hai combinato?-
Tatcher fece una smorfia:-Mi piaceva di più quando mi davi del lei.-
-Oh beh, quello era prima dell’accaduto.-
-Quale accaduto?-
-Siamo legati come salami, in una specie di garage nel bel mezzo del
nulla e con un vuoto di memoria di non so quante ore…vedi tu.-
Tatcher sbuffò, guardandosi intorno e soffermandosi sulle pareti
rovinate e sulla porta sprangata:-Mi sa tanto di rapimento…-
concluse pensoso.
Gemetti abbassando la testa:-No…non può essere…-
-In effetti non trovo il motivo che giustifichi la tua presenza, se si trattasse veramente di rapimento.-
Lo guardai indignata:-Per tua informazione, potrei elencarti una marea di motivi, usignolo.-
-Usignolo?- per un momento mi parve di vederlo sorridere:-Non credo che tu sia tanto desiderata come me…tigre.-
-Tigre?-
-Beh, mi sembri abbastanza feroce per essere solo una cameriera.-
-Non sono solo una cameriera!- sbottai, alzando il tono. Si sentiva solo la mia voce in quel silenzio, sembrava assurdo:-Ma
è per questo che sono qui.- aggiunsi:-Se non avessi sentito quei
rumori nella tua camera, se non avessi fatto il mio dovere e ti avessi
ignorato, se tu non fossi mai venuto al Ritz…-
-Quindi c’era qualcuno nella mia stanza?- mi interruppe, curioso.
-Non l’ho visto con i miei occhi, ma di sicuro non mi sono data una botta in testa da sola. A te cos’hanno fatto?-
-Non lo so…ricordo solo che stavo discutendo con Thomas e
poi…- si fermò guardando il vuoto, sfrorzandosi per
ricordare, ma la conversazione fu interrotta dalla porta che veniva
malamente aperta per far entrare un uomo corpulento, la barba scura e
un completo elegante di satin blu.
-Ti pareva.- commentò Tatcher vedendolo.
-Aspetta, fammi indovinare…Thomas?- sussurrai perché solo lui mi sentisse.
Annuì per poi rivolgersi all’uomo, più vecchio di
noi di circa trent’anni:-Chissà perché non sono
sorpreso, Bendson.-
-Scusa, Tatcher, è stato necessario legarti le mani
perché le togliessi da quel contratto.- rispose quello
ridacchiando:-Tu sai perché sei qui.-
-Per farmi cambiare idea su domani?
Onestamente, mi sembra il modo migliore per convincermi.- disse,
sarcastico:-Non vi hanno mai insegnato, a te e alla tua cricca di
truffatori, che si prendono più mosche col miele che con
l’aceto?-
-Non se vuoi fare le cose
in grande, Tatcher.- ridacchiò,
antipatico:-Visto che hai intenzione di abbandonarmi per firmare il
contratto con la nuova casa discografica, ho pensato di presentarmi io
a quel colloquio, in tua rappresentanza, annunciare a Smith che vuoi
rimanere con noi e che firmeremo insieme il nuovo album, prendermi la
giusta percentuale di denaro e
poi scappare via dagli Stati Uniti e vivere la mia vita nel lusso in un
altro Paese. Prima o poi ti troveranno, ma sarà troppo tardi e
la soddisfazione per quel cd sponzorizzato dal più famoso
discografico della Majestic se ne sarà andata per sempre. Sorpreso? Fare
il manager non è mai
stata la mia
vocazione, puntavo a un’occasione come questa e la Sony mi ha
presentato te, ma poi hai deciso di fare il furbo e io ho solo questa
maniera per ottenere quello che voglio. Carpe diem, mio giovane artista
in erba, un consiglio
che vale tutta la vita!-
-Lo sapevo che eri un pezzo di merda.- fu la sua risposta.
Quel Thomas Bendson fece un cenno col capo al suo collega e questi
balzò prontamente accanto a noi per immobilizzare Logan e
assestargli un considerabile calcio all’altezza dell’anca
sinistra.
Sentii i polsi del ragazzo fremere contro i miei e poi lo vidi
raggomitolarsi su se stesso, per quanto possibile, per gemere dal
dolore.
Per quanto potessi avere a cuore la sofferenza di questo superbo
individuo, devo ammettere che non fu per niente carino da parte di quei
due barbari picchiarlo così, dal momento in cui non poteva
né ripararsi né difendersi, per cui decisi
d’intervenire:-E’ davvero necessario?- domandai, rivolgendomi a loro.
Bendson mi guardò come se si fosse accorto solo in quel momento
della mia presenza e subito dopo stirò la bocca in un
sorrisetto:-Ma guarda chi abbiamo qui…la cameriera eroica del
Ritz…avevo letto il tuo nome sul cartellino che portavi al
petto, ma me lo sono dimenticato.- bofonchiò saccente.
-Rebecca Grace Carlton, molto lieta.- feci sbrigativa:-Ora, dato che
è evidente che la mia presenza qui è parecchio inutile,
potete lasciarmi andare?-
L’uomo e il suo scagnozzo risero sprezzanti. Avrei volentieri usato le loro arcate dentali come xilofono.
-Tu uscirai da qui solamente quando lo farà la popstar legata
assieme a te.- m’informò il gentile barbaro capo:-A meno
che il tuo ricco paparino non paghi il riscatto al posto della Sony, ma
temo non saranno sufficienti i suoi fondi per un bottino del genere.-
-Ti perseguiranno penalmente finché non riusciranno a metterti
dentro!- intervenne Tatcher ripresosi dal colpo e piuttosto agguerrito.
-Non se me ne andrò
in uno Stato in cui non è concessa l'estradizione.- rispose lui
fieramente:-Non preoccuparti per me,
Tatch, ho tutto sotto controllo. Preoccupati invece di te stesso e la
tua amica…finché non avrò la grana fra le mie
mani, rimarrete in gradevole soggiorno in questo alternativo hotel di
Downtown: pensione completa e servizio in camera…non ci
sarà nemmeno bisogno di muoversi!- concluse con una rozza
risata.
Umorismo sottile come un baobab, veramente.
Lasciò la stanza portandosi appresso lo scagnozzo e facendo calare
un’atmosfera che non poteva essere più deprimente. Due
sfigati legati assieme a causa delle manie di grandezza di un avido di
denaro. Bello. Un ex-vincitore di X-Factor, famoso in tutto il mondo,
con una considerazione del prossimo nulla. Magnifico. Come se non
bastasse, sopra di noi c’era un piccolo lucernario dal quale
potevo scorgere la Downtown immersa nella notte e io tra poche ore
avrei dovuto affrontare il mio esame di laurea. Haha, esilarante.
Mi chiedevo sinceramente come.
Disperata? Oh, era solo un eufemismo per descrivere il mio stato d’animo.
-Ti detesto.- espressi in questo modo le mie emozioni, indecisa tra
questa attutita espressione e un più esplicito “stupido
idiota, vorrei mescolarti le ossa e vedere la tua testa appesa alla mia
porta come messaggio di benvenuto ai visitatori”.
Tatcher sospirò:-Ottimo, la cosa non mi cambia la vita.-
-La tua vita non durerà molto, a causa mia.-
Ridacchiò in modo altamente irritante:-Ora sì che ho paura.-
-Senti, stronzo…-
-Sh!- mi zittì, impertinente:-La tua voce mi disturba.-
-La tua esistenza mi disturba.-
-Mi dai ancora del tu? Teoricamente siamo ancora cantante e cameriera.-
-Ma è la pratica che conta.- ribattei:-E in pratica tu sei un
bastardo e io una ragazza il cui futuro è irrimediabilmente
rovinato. Forse non ti detesto, Tatcher, ti odio direttamente.-
Stranamente rimase in silenzio, sentii solamente il suono del suo
respiro finché non si decise:-In realtà, tigre, la colpa
è solo tua.-
-Ah sì?- chiesi, oltraggiata.
-Se ti fossi attenuta al tuo ruolo senza strafare, forse non saresti qui.- spiegò.
-Per tua informazione, usignolo, tentavo di assicurarmi che fossi
vivo!- ribattei, la rabbia che cresceva dentro di me:-Cosa che non ero
nemmeno legittimata a fare, dopo il tuo trattamento nei miei confronti.
Anzi, ora che mi ci fai pensare, è stato un grandissimo errore.
Perché non lasciarti in balia dei tuoi problemi ed essere
egoista come te?-
-Non darmi dell’egoista, Carlton!- si animò.
-Ah no? Scusa, ma mi è vagamente parso che lo fossi!-
-Tu non mi conosci!-
-Eppure sei riuscito a rovinarmi la vita comunque!-
Mi strattonò i polsi, arrabbiato:-Già, immagino che la
tua vita sia davvero emozionante…molto più della mia!- la
quantità di sarcasmo che usò mi fece ribollire.
-Vuoi sapere come la penso a riguardo, Tatcher? La tua è una
vita di merda: finta, costruita sul talento altrui e regolata
dall’intensità degli urli delle tue fan. La mia, al
contrario, ha uno scopo ben preciso, un sogno da seguire, che tu stai
distruggendo!-
-Non ho mai conosciuto
qualcuno che dicesse tante stronzate in così poche parole:
innanzitutto, non sto distruggendo nessun sogno, anzi, ti
ricordo che non sono qui perché l’ho chiesto e avrei una o
due cosucce importanti da sbrigare pure io. E poi, tu non sei nessuno
per giudicare la mia vita, d’accordo?-
-Beh, e tu chi sei per giudicare la mia?-
-Io sono Logan Tatcher.- rispose saccente.
-Ti senti arrivato per essere te stesso? Beh, onnipotente Tatcher,
complimenti. Essere te stesso è bello come essere rapiti e presi
a calci dai tuoi colleghi di lavoro.-
Improvvisamente il ragazzo si zittì. Non so se fui io a zittirlo
o meno, fatto sta che per tre minuti buoni non si sentì altro
all’infuori del rumore degli aerei sopra la California. Persino
il neon si spense disperdendo uno sgradevole odore di bruciato.
C’era freddo, c’era buio e c’era silenzio.
C’era un’atmosfera inquietante e allo stesso tempo
c’era dentro di me un senso di panico sempre più
pressante. Che ora era? Fra quanto sarebbe stato mattino? Quanto
saremmo rimasti lì dentro al freddo? Su chi avrei dovuto
sperare? Sarei mai riuscita a fare il mio esame? Sarei rimasta per
sempre una cameriera?
-Voglio andare a casa.-
dissi a bassa voce, senza nemmeno sapere perché lo facessi dato
che non potevo sicuramente contare sull'appoggio di Tatcher.
-Anch’io.- ribatté lui, inespressivo.
No, lui non poteva nemmeno immaginare quanto io desiderassi liberarmi
da quella situazione. Non poteva capire che io avevo un sogno in
bilico, un futuro da decidere. Lui era superiore, lui se ne sbatteva
altamente perché lui era famoso, era ricco e faceva quello che
aveva sempre sperato. Fama uno, sfiga zero.
-Senti, Tatcher.- sbottai a un certo punto:-Tutto quello che voglio
è andarmene da qui e specialmente da te e credo che la stessa
cosa valga per te, per cui vediamo di liberarci da soli.-
-Idea grandiosa, davvero.- commentò:-Solo un’osservazione: non possiamo.-
Mi guardai attorno soppesando l’affermazione. Davvero non c’era nulla che potessimo fare?
Il mio sguardo percorse il
perimetro della stanza, aguzzandosi di tanto
in tanto per definire le ombre. Ok, ogni centimetro cubo di quel posto
sembrava prettamente inutile, ma quando mi soffermai sulla
specchiera ebbi un’intuizione geniale.
Vabbè, lasciatemi sognare.
Non ero la tipica persona avventurosa, ma si sa: la necessità
aguzza l’ingegno. Indicai al superbo individuo il mobile e
spiegai il mio piano:-Volere è potere, Tatcher. Lo vedi quello
specchio? Se riusciamo a raggiungerlo e prendere uno dei cocci,
possiamo usarlo come lama per tagliare le corde.-
Non vi dirò che ignorai la sua sardonica risatina, gli diedi
invece un pizzicotto sulla schiena e lo sentii imprecare. Che goduria.
-Tu non sei una donna, sei un camionista violento.- mi apostrofò:-Come diavolo pensi che ci arriveremo fino là?-
-Con le gambe.-
-Quelle che servono per camminare, che al momento è un’azione impraticabile?-
-Esatto.-
-Continuo a perdermi un passaggio fondamentale, temo.-
Sbuffai. Credevo che questo figlio della perfezione avesse
un’abilità pratica sviluppata, invece pareva che di
sviluppato avesse solo del gran sarcasmo.
-Tutto quello che devi fare è puntare bene i piedi a terra e spingere contro la mia schiena.- spiegai.
-Tu guardi troppi polizieschi.- mi smontò.
-Io guardo “Le Follie dell’Imperatore”.- lo corressi:-Coraggio, spingi.-
-Di solito è una frase che sento in altri contesti…-
mormorò mentre eseguiva i miei ordini. Stavolta ignorai
veramente e mi concentrai sul lavoro di gambe. Devo ammettere che
vederlo per TV era completamente diverso: i personaggi non sudavano
come cammelli e non avevano una differenza di venti centimetri in
altezza.
Bilanciare i nostri corpi non era affatto facile, in più la
polvere per terra mi faceva costantemente scivolare. Sentivo le gambe
andare a fuoco; avrei ceduto da un momento all’altro ed eravamo
solo a metà.
-Tieni duro.- mi incoraggiò Tatcher, sorprendendomi:-Ci siamo quasi.-
Non so per quale grazia ricevuta, riuscii veramente a non cedere e poco
dopo mi ritrovai in piedi, senza fiato e con l’ormai familiare
voce melodica ridondante nelle mie orecchie. "Tieni duro", era la prima cosa sensata e utile che usciva delle sue rosee labbra.
Anche Tatcher ansimava leggermente, ma a differenza mia riusciva
perlomeno a parlare:-Ok, bella pensata.- ammise:-Comunque, per la
cronaca, la parte del lama la facevi tu.-
Riuscì a farmi scappare un sorriso che non vide, ma tornai
subito seria, iniziando a dirigermi verso la specchiera. Ci arrivammo
molto lentamente pestandoci i piedi a vicenda e afferrare uno dei cocci caduti sul ripiano fu
davvero un’impresa, ma alla fine mi ritrovai con la mia lama in
mano. Rebecca uno, rapitori zero.
Iniziai con immensa cautela a strisciare la parte appuntita contro la corda, sperando che fosse un valido coltello.
-Non provare a tagliarmi.- mi avvisò Tatcher, allungando gli occhi verso il mio parsimonioso lavoro di recisione.
-Fidati.-
Presi un profondo respiro e iniziai a muovere il polso più velocemente.
Era difficile senza nemmeno una luce, infatti fu inevitabile che la lama finisse contro la sua pelle.
Lo sentii trattenere il fiato e irrigidire il polso, mentre qualcosa di caldo scivolò tra le mie dita.
-Scusa!- esclamai fermandomi all’istante e mordendomi il labbro.
-Va’ avanti.- mi ordinò, gelido.
-Ho paura di farti...-
-Vai avanti.-
Continuai
l’operazione, ignorando l’orribile sensazione del
suo sangue che colava sulla mia mano fredda. Non avrei voluto
fargli male, ma fortunatamente non aveva detto nulla. Mentalmente mi
appuntai di complimentarmi per il coraggio una volta usciti integri da
quel posto.
Dopo quelli che
parvero anni riuscii finalmente a spezzare l’ultimo stopposo filo che univa
i nostri polsi e le corde caddero a terra, facendoci staccare.
Udii il suo sospiro di sollievo in concomitanza con il mio e mi
massaggiai la zona ora libera, poi mi avvicinai a lui, afferrando il
suo braccio:-Fammi vedere.-
Tatcher si ritrasse rapidamente, fissandomi con quelle pupille gelide
che ora vedevo dritte a me:-Non c’è tempo da perdere.-
Lo seguii sospirando. Era davvero intrattabile.
Ci avvicinammo alla porta e lui cominciò a colpirla con la
spalla. Fuori dovevano aver calato qualche trave che impediva la sua
apertura, ma sembrava abbastanza determinato a sfondarla. Provai ad
aiutarlo con tutte le mie forze, ma sembrava non accadere nulla. Che diavolo avevano utilizzato quei due imbeccilli?
-Merda!- esclamò, con il fiatone. Sbatté più volte
i palmi delle mani contro il legno, tentò anche con svariati
calci, ma tutto ciò che ottenne fu il rimbombo dei suoi colpi. Forse erano più furbi di quanto credessi.
Ma doveva esserci un modo per buttarla giù. Doveva.
Mentre Tatcher continuava a percuotere quella maledetta porta, il mio
sguardo girò ancora per la stanza, prima di ritornare a
soffermarsi sulla specchiera.
-Fermo!- gridai per farmi sentire in tutto quel rumore. Smise
guardandomi con il respiro spezzato. In quel momento mi sembrò
di vedere una richiesta d’aiuto nei suoi occhi che mi fece
desiderare di essere più utile. Doveva esserci un modo per
uscire da lì; dovevo trovarlo o non avrei mai potuto realizzare
il mio sogno.
-Usiamola come ariete.- dissi indicandogli il mobile.
Mi osservò per
qualche secondo, titubante, e pensai di aver fatto la pensata
più idiota del secolo. In più, per Tatcher, qualsiasi mia
idea doveva sembrare stupida. Poi, invece, si decise. Raggiunse a
grandi passi la specchiera e mi guardò:-Ce la fai ad alzarla?-
Annuii sorpresa per la fiducia, afferrandola dalla parte opposta e dividendo il suo peso con
lui. Il numero di schegge che entrò nella mia mano mi fece
gemere di dolore.
-Che c’è?- chiese preoccupato.
Scossi la testa mandando giù il nodo del dolore:-Niente.-
Esitò un istante, ma io non volevo essere debole, sapevo tenere
duro come aveva fatto lui, allora feci un cenno per invitarlo a
continuare.
-Pronta? Tre…due…uno…- partimmo di corsa e facemmo scontrare il mobile contro la porta.
Quello che ottenemmo fu una forza opposta che ci fece quasi perdere
l’equilibrio, mentre la porta rimaneva esattamente come poco
prima. Ok, era solo un primo tentativo, non doveva andare bene per forza.
-Riproviamo.- disse, determinato:-Tre…due…uno…-
Stavolta cercai di metterci ancora più potenza e presi la
rincorsa da più lontano. Ci fu un grande botto e poi mi ritrovai
a terra, la specchiera poco distante da me. Eravamo caduti e, sorpresa
delle sorprese, la porta era ancora più chiusa di prima.
Sospirai esausta e scambiai uno sguardo con Tatcher, seduto dall’altra parte del mobile.
Scosse la testa, inspirando mestamente:-Le abbiamo provate tutte.-
Mi guardai intorno, smarrita. Ero finita.
"Le abbiamo provate tutte" significava che davvero non potevo uscire da lì.
Basta, potevo dire addio al mio sogno, potevo ritenermi una cameriera a
vita, potevo abbandonare l’idea di futuro che mi ero costruita.
Non sarei riuscita a uscire da lì in tempo per fare il mio esame, non sapevo nemmeno se sarei mai uscita da lì.
Il panico mi avvolse completamente nelle sua morsa e tutto quello che
riuscii a fare fu rannicchiarmi sulle ginocchia e piangere.
Salve a tutti!
Siete arrivati fin qui, oh impavidi lettori! :D
Lo so, sono poco normale. Ma
tanto la normalità non esiste (mi rifaccio a un ragionamento
filosofico che ho elaborato un giorno mentre facevano "Il Mondo di
Patty" o qualcosa di simile alla TV).
Questa storia come ben avrete capito è stata scritta per il contest "Un giorno lo incontrerai" di MedusaNoir sul Forum di EFP. L'obiettivo era quello far incontrare una ragazza con un ragazzo dagli occhi azzurri, cantante, bastardo e che cambia carattere a seconda di chi ha davanti. In più mi si chiedeva di far passare ai due una notte insieme per un motivo inaspettato.
Tutto ciò per piazzarmi a un
orgoglioso secondo posto :) Il che mi sembra un miracolo dato che ho
sudato su questa storia senza ottenere risultati per me soddisfacenti :|
Vorrei avere una citazione latina a riguardo, ma sono troppo ignorante u.u
Comunque, si diceva, non l'ho mollata qui (sennò il secondo
posto lo vedevo col binocolo), ma c'è un altro capitolo che
pubblicherò fra una settimana (o prima, se mi balza il grillo).
Volevo precisare un paio di cose, ovvero che Logan Tatcher è un
personaggio completamente inventato e frutto della mia fantasia, ossia
nessun Logan Tatcher ha mai vinto X Factor Usa, nel caso ve lo steste
chiedendo XD
Ho pubblicato la storia lasciando tutti gli errori che mi sono stati
segnalati e non perché me ne frego o sono la classica mosca che
sbatte contro il vetro, ma proprio perché vi voglio lasciare la
storia genuina, così com'è, così come l'ho scritta
:) (ok, non avevo voglia di correggere, ma sono dettagli).
Io sono Yellow Daffodil (ma no?)
e se vi piace lo stile, se volete catapultarvi in Italia, precisamente
a Venezia e avete una passione per la vita tra i banchi di scuola,
allora vi raccomando di dare una sbirciatina a Io e te è grammaticalmente
scorretto,
che è la long che in 20 (programmati 23-24) capitoli è
riuscita a condensare tanti avvenimenti, coppie, figuracce e
quant'altro quanti quelli di Beautiful!
Lui, lei, loro.
Pronomi personali.
Lui: terza persona singolare, idiota
al cento per cento, voglia di studiare zero e un disperato bisogno
d'aiuto.
Lei: per meglio dire "io", prima persona singolare, perfezionista,
incapace di dire no e innamorata dell'idiota sopracitato.
Loro: terza persona
plurale, i restanti diciassette detenuti in una classe che fa piangere
generazioni di professori.
Come ve la cavate in grammatica? E in
matematica? Inglese? Storia?
E' difficile salvare la media di otto materie in
due mesi di tempo, ma forse se si lavora insieme, come dice il proverbio, nulla
è impossibile.
C'è solo una materia che non vi saprò spiegare, si chiama
Amore e credo che quest'anno verrò rimandata.
Nel prossimo capitolo de "I sogni sono per gli egoisti" di Yellow Daffodil:
-Scusa.-
-Scusa?-
-Sì, io...sto parlando di me. Questa è la
mia storia, non la tua. Sono io quello egoista, tu vuoi solo che il tuo
sogno si avveri, io volevo anche la fama. E' questa la differenza tra
me e te. Tu non sei così egoista.-
-Quanto pensi che ci vorrà prima che si accorgano che siamo
scappati?-
-Quanto pensi che ci vorrà prima che la pianti di mettermi pressione?-
-Oh, giusto, Tatcher, tu stai scappando a due rapitori, me ne ero
dimenticata.-
-Aiutami!-
-Logan?-
-Sì?-
-Niente...in bocca al lupo.-
-Certo. Crepi.-
Alla prossima,
Yellow Daffodil
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Un giorno lo incontrerai 2
I sogni sono per gli egoisti
-Capitolo 2-
-Puoi smettere di piangere?-
La domanda di Tatcher giunse attutita al mio orecchio, così
decisi di ignorarlo bellamente e continuare la mia esondazione. Il
problema era che ero nel pieno della crisi, quindi non sarei mai riuscita a
smettere di punto in bianco e allo stesso tempo odiavo che lui mi vedesse in questo stato.
-Morirai di disidratazione.-
Sì, sarei morta di disidratazione...e allora? Tanto che avevo
ormai da perdere? Era andato tutto a farsi fottere grazie a quella
sottospecie di individuo; avrei anche dovuto assecondare la sua
volontà?
-Per favore, Rebecca, te lo chiedo per favore.-
Alzai leggermente lo sguardo per incrociare gli occhioni chiari che mi
fissavano dall'altra parte della stanza, ma non riuscii a sostenerli,
così intensificai i singhiozzi e mi rintanai ancora più
a fondo tra le mie ginocchia.
Per favore. Utilizzo sporadico dell'educazione a scopi personali.
Il ragazzo sbuffò sonoramente e lo sentii camminare per la stanza.
Personalmente avevo sempre odiato mostrarmi debole, piangere non era
mai stata la mia soluzione ai problemi, ma quello appariva così
insolubile che mi era toccato ricorrere al vittimismo. Se ne avessi
avuto la forza, avrei prima ucciso Tatcher e poi mi sarei data una
sberla per svegliarmi fuori e reagire. Purtroppo ero troppo depressa e
prossima al ciclo per passare in modalità "invincibile amazzone
guerriera che non si fa intimorire da nulla".
Presi un leggero spavento quando sentii il corpo di Tatcher sedersi giusto accanto al mio, la schiena appoggiata al muro.
Lo guardai cercando di capire che intenzioni avesse, ma lui teneva gli
occhi distanti dai miei e non dava particolari segni di
intelligenza. Non che ne avesse ancora dati.
-Che devo fare per farti smettere?- sospirò dopo un po'.
-Impiccati.-
-Qualcosa di meno estremo?-
-Fatti impiccare da me.-
Sorrise:-Se è l'unica cosa che ti farebbe stare meglio, non credo che riuscirò a consolarti.-
-Ma che peccato...- dissi strofinandomi gli occhi arrossati contro i polsi:-Sarebbe stato divertente.-
-Che macabra idea di divertimento.-
-Mi piace anche l'alternativa della tortura, ma per tua fortuna non possiedo gli strumenti.-
Lo vidi farsi serio e girarsi di colpo verso di me:-Sei davvero così arrabbiata?-
Annuii senza smettere di frignare. Ormai avevo due rigoni neri sulle
guance e il mio chignon era diventato un gomitolo di lana dopo che i
gatti ci avevano giocato. L'immagine dell'autocontrollo.
Forse fu solo un'impressione, ma mi parve di scorgere un sorriso sul
volto di Tatcher, mentre, la guancia appoggiata al gomito, mi scrutava
da quella ridotta distanza:-Sembri una bambina.-
Per tutta risposta alzai le spalle, consapevole di confermare la sua sfrenata immaginazione:-E allora?-
-Pensavo fossi più forte di così.-
Cosa??
-Io sono forte!- se non fossi stata forte, a quest'ora avrei avuto tra
le mani un contratto a scadenza indefinita come cameriera al Ritz.
-Ma non quanto lo dimostri.-
-Stai dicendo che tu invece saresti molto più forte di me, visto che non hai ancora dato segni di cedimento?-
Annuì:-Esattamente.-
Piccolo omuncolo vanitoso.
Scossi la testa:-E' solo perché tu non hai niente da perdere, Tatcher.-
Al solo pensiero del tempo che scorreva, mi risalirono le lacrime agli
occhi e fu veramente difficile trattenerle, tanto che dovetti voltarmi
dall'altra parte e farne scendere il più possibile senza farmi
vedere. L'avvicinamento dell'esame era direttamente proporzionale
all'allontanamento della mia laurea. Sudata e agognata, sperata e
sognata da ben ventitré anni. Ventitré anni vanificati in
meno di dodici ore.
-D'accordo, adesso basta.- la mano di Tatcher scivolò
repentinamente per afferrare il mio polso e lo strattonò con
forza. Non riuscii a opporre resistenza e mi trovai faccia a faccia con
lui, i nasi che quasi si toccavano. Stavo facendo naso-naso con un
cantante famoso e non mi sentivo affatto contenta. Perché mi
sembrava che i suoi occhi mi volessero completamente risucchiare come
fossero un mare caraibico? Perché le sue iridi riflettevano una
me senza un minimo di autocontrollo? Perché il cuore aveva
iniziato a galoppare dentro al mio petto? Non riuscii più a
sostenere il suo sguardo e distaccai gli occhi trattenendo un nuovo
singhiozzo.
-Mi stai facendo sentire in colpa.- ammise, il tono meno melodico del solito:-E' questo che vuoi?-
Volevo rispondergli di sì, ma come potevo? All'inizio era quello l'intento, ma poi...non ne ero sufficientemente sicura.
-Penso di aver capito.- continuò:-Sei stata abbastanza chiara
sul fatto che mi odi, però adesso ti prego di smetterla di
piangere. Non voglio sentirmi la causa delle tue lacrime, so già che lo sono e me lo stai facendo pesare.-
Da come lo disse, era chiaro che gli costava una fatica immensa ammetterlo.
Tentai di reprimere il pianto e ci riuscii solo dopo cinque minuti
buoni. E' questo che succede quando ingoi sempre il rospo; prima o poi
salta fuori con tutta la sua irruenza ed è pressocché
innarestabile.
Tatcher guardava avanti, ma non si spostava e io, inaspettatamente,
sentivo la necessità di raccontargli il motivo di tutta quella
scenata. Non volevo farlo perché si sentisse in colpa, ma
perché percepivo il suo dispiacere e mi
sembrava quasi autentico. E poi non ritenevo ingiusto piangergli
nell'orecchio senza che ne sapesse il motivo.
Così presi un profondo respiro e iniziai a parlargli di me.
Varie volte, durante il racconto, mi chiesi perché lo stessi
facendo. Non era lui quel superbo spocchioso cantante che pensava di
avere la verità in tasca? Non ero io quella che non lo
considerava né umano né onesto? Non era lui
quell'insopportabile persona mascherata che si atteggiava a suo
piacimento secondo chi aveva davanti? Forse non stava facendo altro che
recitare un'ennesima parte, per farmi stare zitta. E io ci stavo
cadendo con entrambe le scarpe, eppure, nei suoi occhi che mi
scrutavano silenziosi c'era un qualcosa che mi faceva vacillare.
Probabilmente stavo sviluppando una specie di sindrome di Stoccolma,
era l'unica soluzione.
Finii il racconto con un sonoro sospiro e realizzai di sentirmi meglio.
Perché non l'avevo mai fatto? Perché non mi ero mai
sfogata così a cuore aperto?
-Mi dispiace.- sussurò lui, dopo un po':-Non volevo rovinarti il futuro.-
-Ah, lascia stare...so che è una frase di circostanza. Anzi,
probabilmente non te ne importerà nulla della vita di una
cameriera di Los Angeles.-
-In effetti pensavo che non mi importasse.- disse, piano:-Ma stai
piangendo e...non so, forse sto sentendo di aver in qualche modo sbagliato. Mannaggia.-
-Oppure sono così irritante che stai fingendo di provare compassione per me pur di farmi tacere. Mannaggia.-
Il sorriso di Tatcher era così amaro che mi sorpresi alzando le sopracciglia.
-Sono davvero pessimo.- disse scuotendo la testa.
-Un pessimo attore?- chiesi, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione.
-No, una pessima persona.-
Ok, in quel momento ero decisamente confusa.
-Davvero? Cioè...sì, che lo sei.- beh, ero ancora
arrabbiata con lui:-Però...perché te lo dici da solo?-
-Non me lo dico da solo, Carlton.- rispose, sbuffando:-Me l'hai fatto capire tu.-
-Ci hai messo tanto, eh!- scherzai dandogli una leggera spallata, ma la sua espressione non cambiò minimamente.
-Davvero esilarante.- mi prese in giro:-Hai un tatto eccezionale, il classico elefante dentro una cristalleria.-
-Eddai, scherzavo!- mi trovai a contraddire la mia tesi. Io ero pessima.
-Dimmi la verità.- ribatté determinato ad arrivare fino
in fondo alla questione:-Ti sembro uno che fingerebbe per ottenere
qualcosa?-
-Sì. No. Un po'...assolutamente sì.- decisi finalmente.
-Così tanto? Anche...per esempio...ora?-
Annuii basandomi sulla mia teoria del farmi tacere. Lo so, non avevo il minimo tatto, ma in fondo...lui ne aveva?
Ora era lui a non parlare, perso in chissà quale elucubrazione.
Insomma, era davvero un tipo lunatico e io non potevo fare altro che
adattarmi a tutte quelle variazioni improvvise del suo stato d'animo.
Sembrava la prima volta che intratteneva una conversazione
pseudo-civile con un'altra persona.
Beh, ok, forse era anche la mia prima volta, dato che mi stavo
lasciando aprire e sfogliare come un libro di favole. Accidenti alla
crisi premestuale in concomitanza con i rapimenti!
Non ricevendo segni d'intelligenza da parte dell'individuo al mio
fianco, decisi di essere io a riprendere il filo del discorso e
sostenere la mia tesi con un paio di motivazioni:-Ti ho sentito mentre
parlavi al telefono questa mattina. Ecco, il fatto è che mi
sembrava ci fossero tre diversi Logan Tatcher in quel momento nella
stanza. Ti rivolgevi alla tua ragazza con tono insopportabilmente
smielato, a quel deficiente del tuo collega con tanta rabbia quanto
quella di un supersayian con le emorroidi e al tizio della Sony con un'opera colossale di
lecchinaggio. Poi il fatto della cameriera serva della gleba, che, tra
parentesi, mi legherò al dito per l'eternità, e poi,
esattamente come i bambini di cinque anni, le lamentele a mio padre
stile "lo dico alla maestra". Quindi sdolcinato, incazzato,
leccapiedi, stronzo e stronzo. Con una buona base di bastardaggine
riesci a cambiare camaleonticamente te stesso in funzione di ciò
che ti serve, quindi sì, ti ritengo capace di fingere per ottenere qualcosa. Anche, per esempio, ora.-
Tatcher gonfiò le guance per poi buttare fuori l'aria
lentamente, come se stesse fumando. Sembrava imbarazzato o forse
sorpreso. Oppure confuso. Si passò una mano tra i capelli scuri
e se la lasciò cadere in grembo, svogliato.
-Io...- iniziò, scrutando il vuoto:-Credo di non rendermene
conto. Voglio dire, credo di aver sviluppato così tanti
atteggiamenti che adattarli a situazioni diverse mi viene naturale. E'
una pratica che diventa necessaria quando tutte le tv nazionali
trasmettono l'immagine della tua faccia assieme ai più insensati
o crudeli commenti. E' quello che la gente si aspetta da te che devi
dare. Se vogliono che tu sia stronzo, devi recitare la parte dello
stronzo. Non hai molta scelta, credimi, e poi finisce che ti abitui a
non essere più te stesso.-
-Che cosa orribile.-
-Sì, fa davvero schifo.-
-Eppure non sembra guardandoti. Insomma, sembri sempre a tuo agio.-
-Questo è perché sono allenato.- spiegò:- Ho
cominciato con la faccenda dell'aggraziarsi i produttori sembrando
chissà quale figo che ha un bagaglio infinito di esperienza
musicale.- sorrise pensando a qualche ricordo:-Poi sono arrivati i
giudici e i critici, poi la stampa e le interviste, poi le case
discografiche e i fan, poi gli haters e i nemici e via via peggiorando
con gente che ostacola il tuo lavoro, che ti ruba diritti d'autore, che
ti pugnala alle spalle e che ti rapisce.- forse era solo
un'impressione, ma la sua voce si era incrinata leggermante:-Se non impari a fare il
camaleonte, come dici tu, ti può capitare questo e anche di
peggio. Una volta hanno cercato di avvelenare il mio panino da
McDonald's.-
Alzai le sopracciglia, incredula. Va bene che era l'antipatia fatta
persona, ma tentare di ammazzarlo mentre pranzava tranquillamente da
McDonald's mi sembrava davvero esagerato. E finemente bastardo.
-Un'altra, invece, un hater mi ha rotto il naso con un pugno appena dopo un concerto.-
-Rotto?-
Annuì passandoci un dito sopra:-Hanno dovuto operarmi.-
-Eppure sembra così perfetto.-
Ops. Commento fuori luogo. Arrossii, cercando di ristabilire la connessione tra lingua e cervello. Cretina come sempre.
Tatcher sorrise:-E' merito dei chirurghi. E in ogni caso era perfetto anche prima, perché sono bellissimo.-
Anch'io risi per il modo in cui lo disse. Piccolo Re Modestia cresce.
Poi però ritornammo seri e Tatcher proseguì:-Ora ci rido
su, ma non mi passerà mai la paura. Non temo per me, ma per la
mia famiglia. La gente è instabile e pazza, non si sa mai cosa
sia capace di fare quando sei famoso. Ti invidiano, sono gelosi, ti
odiano e sanno tutto di te. E' già capitato che mandassero delle
lettere alla mia famiglia, minacciandola. E' vero, sono protetti, ma ho
il terrore che capiti di nuovo. Ho il terrore che qualche demente
mantenga le minacce, che faccia loro del male, che...- si fermò
un attimo, realmente preso dal panico:-Che compia gesti estremi.-
-Non succederà.- non volevo credere che ci fossero persone capaci di ciò, anche se era inevitabile pensarci.
-Lo dicevo anch'io quando successe per la prima volta.- ammise:-Ma
quando lessi quella lettera, io...- si mise di nuovo una mano tra i
capelli, respirando a fondo:-Mia sorella aspettava un bambino e
l'avevano minacciata di ucciderlo, non appena l'avesse dato alla luce.
Passai mesi interi a cercare il pazzo mittente della lettera, passai
dei giorni in ospedale accanto a mio nipote, nell'angosciante attesa
che si facesse vivo, ma niente. Ancora oggi non so chi sia e ancora
oggi mi odio per aver rovinato la gravidanza di mia sorella.-
-Ma non è stata colpa tua!-
-E invece sì!- ribatté:-Ed è successo di nuovo; a
mia madre, a mio padre,...tutto perché volevo inseguire un
sogno. Visto? I sogni sono per gli egoisti.-
-Non è vero...- ribattei poco convinta.
-Oh sì, Carlton. Io amo cantare, ma per farlo devo rischiare.-
-Chi vive senza rischiare rischia di non vivere.-
-Rischieresti di perdere chi ami? Devi volerlo davvero tanto.-
Mi sembrava di avere davanti mio padre. Il senso di colpa che non si
era mai fatto sentire stava comparendo adesso, prepotente di fronte a
due magnetici occhi azzurri.
Non sapevo cosa ribattere, perché in fondo aveva ragione.
Improvvisamente, però, fu lui a dire qualcosa:-Scusa.-
-Scusa?-
-Sì, io...sto parlando di me.- spiegò:-Questa è la
mia storia, non la tua. Sono io quello egoista, tu vuoi solo che il tuo
sogno si avveri, io volevo anche la fama. E' questa la differenza tra
me e te. Tu non sei così egoista.-
-Perché desideravi la fama, allora?-
-Perché sono una pessima persona, Carlton, te l'ho detto.
All'inizio mi bastava avere un microfono davanti, cantare e dire quello
che volevo dire al mondo, ma poi la prospettiva di diventare qualcuno
di veramente importante mi ha fatto perdere la testa. Ho fatto tante
cazzate fino a oggi e ancora continuo a farle. Vedi cameriera serva
della gleba.- specificò guardandomi in segno di scusa:-E ogni
giorno ne pago le conseguenze. Anche essere qui con te è una
sofferenza perché mi sto sentendo maledettamente in colpa. Tu mi
ricordi mia sorella, mi ricordi l'ennesima persona che finisce nella
merda a causa mia, mi ricordi che non sono quello che ho sempre sognato
di essere, ma un bastardo con discrete doti recitative. E non
posso fare altro che essere bravo, ricordarmi sempre chi ho
davanti, perché altrimenti sono ancora di più nei guai.
E' una cosa orribile, è una cosa che ti cambia, che ti trasforma
in quello che non sei e fa sì che gli altri ti
giudichino...io...- ancora una volta la sua voce si spezzò e
rimasi incantata a guardare il suo viso per la prima volta sincero, gli
occhi umidi che lottavano contro le lacrime. Avrei voluto abbracciarlo,
ma ero troppo imbecille per farlo, così lasciai che continuasse,
senza muovere nemmeno un muscolo.
-Odio essere me stesso. Non l'ho mai detto, perché sono troppo
orgoglioso e perché devo mantenere una certa immagine standard,
ma in questo momento ti invidio. Vorrei essere te, vorrei essere
normale...vorrei...che la mia faccia non comparisse ovunque nei
cartelloni pubblicitari e vorrei che i mei dischi fossero comprati
perché la gente ama la mia musica e non i miei addominali.
D'altronde è colpa mia...sono io che ho creato tutto
questo...sono io che mi sono intrappolato con le mie stesse
mani...-incapace di continuare per l'emozione, si coprì il volto
con le mani e rimase in silenzio.
Assurdo come desiderassi sentire la sua voce di nuovo, come se il fatto
che avesse smesso di parlare mi avesse creato un senso di smarrimento.
-Mi dispiace.- commentai. Riuscii a dire quelle due misere paroline
soltanto, perché non mi veniva nulla. Ero rimasta senza
parole...non mi sarei mai aspettata che uno come Tatcher potesse
soffrire così tanto. Ero stata così superficiale?
Perché stavo diventando io quella insensibile?
Lui non rispose. Tentai di ascoltare, non c'era altro rumore oltre a
quello del suo respiro leggero, ma ero certa che stesse piangendo,
perché una goccia scivolò dal suo mento e gli
bagnò la maglietta. Mi sentivo così stupida...
L'avevo pregiudicato. Non potevo saperlo, è vero, ma ora che conoscevo la verità, tutto cambiava.
-Tatcher...- provai a chiamarlo inutilmente.
-Tatcher.- ma non mi rispondeva, era immobile in una posizione che lo
faceva apparire così vulnerabile da non ricordare affatto quel
cantante esuberante e vanesio che incitava la folla da sopra il palco.
Presi un profondo respiro e poggiai una mano sopra la sua
spalla:-Senti, hai ragione, mi sono sbagliata quando ho detto che non
avevi niente da perdere. Forse...forse tu hai molte più cose da
perdere rispetto a me.-
Vidi la sua schiena sussultare per un singhiozzo e la sua testa scuotersi. Non era d'accordo su quello che stavo dicendo.
-Hai fatto degli errori, ma tutti sbagliano. Anch'io ho sbagliato e sai perché?-
Ma continuava a ignorarmi e si asciugava le guance per non far vedere
che stava piangendo. Non era altro che un bambino cresciuto troppo in
fretta, ecco cos'era.
-Puoi smettere di piangere?- domandai allora.
Non ottenendo risposta, sospirai e continuai:-Ho sbagliato perché pensavo
che non avessi un cuore, perché non sono andata oltre i
pregiudizi, perché non mi sono resa conto che in realtà
sei...sei...- ora aveva smesso di piangere, ma non si era ancora
mosso:-Ah, per favore, Logan, te lo chiedo per favore.-
Finalmente alzò gli occhi su di me e di nuovo mi ritrovai a trattenere il fiato per quanto fossero belli.
-Sono?- chise debolmente.
-Sei...- non ce la feci e terminai con il mio solito scadente sarcasmo:-...una femminuccia. I maschi non possono piangere.-
Inaspettatamente scoppiò a ridere, un'incantevole fragorosa
risata si liberò dal suo petto e produsse un suono ipnotizzante.
Ok, avete capito che la sua voce mi faceva un certo effetto, ma rimaneva
comunque una persona instabile.
-Ora ti metti a ridere? Sicuro di stare bene? Intendo a livello
cerebrale, conosco un ottimo psicologo che potrebbe darti una mano.-
-Ci andiamo insieme, così magari riesce a tapparti un po' la
bocca e regalare un magnifico periodo di pace al mondo intero.-
Sospirai di sollievo:-Ti è passata...-
-Già.- confermò tirando su con il naso e prendendo un
profondo respiro:-In ogni caso mi dispiace davvero per il trattamento
di stamattina. Avevo così tante cose per la testa...non è
stato bello che ascoltassi quella telefonata a personalità
multiple...almeno sono un tipo misterioso, probabilmente non conoscerai
mai il vero me.- fece l'occhiolino, ironico.
Piegai la testa di lato lasciando che un sorriso si allargasse sulle
mie labbra:-Probabilmente, invece, sto iniziando a conoscerlo.-
Cos'era questa cosa??
Oddio. Che frase sentimentale.
Tatcher alzò le sopracciglia, sorpreso, guardandomi negli occhi:-Il vero me sarebbe un frignone?-
Gli diedi una leggera spinta con la spalla:-Il vero te non sarebbe male.-
-Lo dici perché speri che finito tutto ciò ti regali biglietti per il backstage del mio prossimo concerto, dillo.-
-Ti sembro una che fingerebbe per ottenere qualcosa?-
Anche lui sorrise, ma poi ritornò di colpo serio, come se un
triste pensiero gli avesse attraversato la mente:-Senti,
Carlton...non...non ci provare con me. Non ne vale la pena.-
-Cosa vuoi dire?- domandai, confusa.
Lui abbassò lo sguardo:-Che...io sono il tipo di ragazzo adatto
ai tipi di ragazze come Regina. Non sprecare il tuo tempo con me.-
Per un momento il silenzio regnò sovrano. Era come se avessi
ricevuto una stoccata ancora prima di aver cominciato il duello. Logan
mi aveva bloccata sul nascere, come una fiammella che potrebbe
scatenare un catastrofico incendio. Mi stava dicendo di non fare
la tenera, in poche parole. Stava vanificando tutti i passi avanti
fatti finora. Mi stava avvertendo che avevo esagerato, che avevo
intrepretato male il suo sfogo. Forse semplicemente non voleva che
venissero coinvolti i sentimenti. Forse nemmeno voleva sfogarsi con
me...
Forse anche lui sapeva della sindrome di Stoccolma e voleva evitare di essere contagiato.
Mi misi ad ascoltare
i rumori della notte di Los Angeles, confusa, felice, triste, spaventata...non
sapevo nemmeno più cosa provare. Qualcuno più in alto
di me aveva fatto in modo che ciò accadesse per mandarmi un
segnale, per avvertirmi che forse quella laurea non era il mio destino.
E che nemmeno trovare la persona giusta era il mio destino,
dopotutto. Sospirai tristemente cercando di diradare la nube di
pensieri che affollava la mia mente. A che serviva ormai rimuginare?
Evidentemente era ora che mi arrendessi.
-Hai freddo?- chiese Tatcher, vedendomi rabbrividire.
Scossi la testa anche se in realtà non stavo poi così al calduccio.
-Io sì, invece.- commentò tirando su con il naso. Probabilmente si sarebbe ammalato:-Come va la mano?-
-Brucia un po'.- risposi dando un'occhiata al danno, che per ora non sembrava poi così grave:-Il braccio?-
-Brucia un po'.- ripeté, sistemandosi meglio contro la parete.
-Hai sonno?- chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Questa volta annuii e chiusi gli occhi appoggiando la testa al muro dietro di me.
Non li riaprii quando la voce melodiosa di Logan si fece strada, lieve,
fino alle mie orecchie, ma ascoltai completamente ipnotizzata. Le note,
le parole, la dolcezza che riecheggiava per la stanza...era una ninna
nanna, perfettamente intonata, quasi sussurrata. Non l'avevo mai
sentita prima, non era mai comparsa in uno dei suoi album, quindi
doveva essere sua. Sua, scritta di suo pugno e da nessun'altro. Ed era
bellissima, così tanto che la mia mente si diradò
completamente per bearsene. Ringraziai silenziosamente quel ragazzo e
mi scusai per essermi completamente sbagliata sul suo conto, poi, poco
a poco, lasciai che la mia testa si appoggiasse sulla sua spalla,
calda, accogliente. Così il mio orecchio poteva stare più
vicino alla sua bocca e venire completamente sommerso dalla sua voce,
di cui...sì, mi ero innamorata. Lo so che stavo sbagliando.
Non smise di cantare, anche se ormai ero rannicchiata su di lui, e io
mi sentivo sempre di più trascinare da quelle note. Sentivo il
suo corpo che vibrava al vibrare delle corde vocali e il suo cuore che
batteva come se dovesse tenere il tempo.
Per un momento pensai di aver veramente
incontrato una persona speciale, poi mi addormentai.
-Rebecca? Rebecca?- qualcuno mi scuoteva dolcemente, ma io non volevo
aprire gli occhi, volevo rimanere a godermi quel sogno in cui una
melodia mi faceva dimenticare i problemi. In cui di problemi non ne avevo.
-Carlton, svegliati!-
Il tono poco ortodosso, decisamente diverso dal primo, ruppe quello
schermo magico nella mia testa e fui costretta a eseguire l'ordine:-Che
c'è?- biascicai mettendo a fuoco un Logan Tatcher in piedi di
fronte a me, che invece ero adagiata sul pavimento sopra a una felpa
arrotolata che mi faceva da cuscino.
-Alzati e ridammi la felpa.-
-Cosa?- mi guardai intorno per realizzare che eravamo ancora in quel
garage polveroso, lievemente illuminato. Non doveva essere passato
molto, visto che la luce che filtrava era fioca, più debole di
quella che accompagna l'alba:-Perché?-
-Ce ne andiamo.-
-Dove?-
-A mangiarci una pizza.- mi prese in giro usando il solito tono
sarcastico, poi mi porse una mano per aiutarmi a rimettermi in
piedi:-Scappiamo.-
Lo guardai alzando un sopracciglio:-Ti è preso uno sprizzo di invincibilità?-
Roteò gli occhi indicandomi la specchiera posta al centro della stanza.
-Logan, guarda che non si passa attraverso gli specchi.-
-Lo sai che sei così saccente che ti preferivo mentre dormivi?-
ribatté, seccato, poi montò sul mobile con un balzo e mi tese la
mano:-Sali.-
-Tu sei fuori.-
-Sì, tra poco.-
-Devi essere pazzo, Tatcher. Soffri di claustrofobia?-
-Carlton, fidati di me. E chiudi quella cazzo di bocca, per Dio!-
Offesa, allontanai la sua mano tesa con una sberletta e salii da sola,
rischiando di uccidermi. Ero troppo orgogliosa per accettare il suo
aiuto.
Una volta sulla superficie di legno guardai Logan con la stessa fiducia di un
carceriere che accompagna un detenuto a fare un giro in città. Sì, ero decisamente demotivata.
Lui, senza badare troppo al mio viso, si affrettò ad allacciarmi
la sua felpa in vita e coprirmi la testa con il suo cappuccio. Mentre
lo guardavo attonita, mi passò un arnese che doveva aver
staccato dalla parete. Sembrava un vecchio portalampade di metallo
pesante.
Per completare il tutto, si abbassò e si indicò le spalle:-Sali.-
-Cosa?-
-Ho detto sali.-
-Sulle tue spalle?-
-Non oso pensare cos'avresti combinato giocando a Lara Croft.-
commentò scuotendo la testa:-Vedi altri luoghi su cui salire,
qui? Andiamo, ti serve una carta bollata o ti dai una mossa?-
Smarrita, eseguii gli ordini e, esattamente come avrebbe fatto Ollio su
uno scarno alberello, montai sulle spalle di Logan, le mie gambe
strette dalle sue mani all'altezza del ginocchio e penzoloni sul suo
petto. L'immagine dell'atleticità.
-Adesso prendi il portalampade...- mi ordinò, il fiato corto:-E sbattilo contro il lucernario. Forte.-
Alzai la testa e finalmente capii. Logan voleva che passassimo attraverso il lucernario! Era un genio!
Peccato che il lucernario fosse largo come il tubicolo di una cannuccia.
-Non ce la faremo mai.- dovevo fare la gufata, ero di umore troppo nero.
-Ricordami che se mai usciremo da qui, ti massacrerò di insulti.- ringhiò dandomi un pizzicotto sul polpaccio.
-Ahi! E questo cos'era?-
-Un assaggio di quello che succede, se non rompi quel maledetto vetro!-
Sibilando improperi, mi prestai a eseguire di nuovo, usando la sola ed
esigua forza delle mie braccia mollacciose per infrangere il
lucernario. Ci vollero ben sei tentativi, ma alla fine, con un
inquietante e sinistro scricchiolio, il vetro cedette e bastò un
piccolo colpetto per far cadere a terra mille cristalli, come una
cascata tagliente e scintillante. Mi coprii con la felpa di Logan e
ancora dovetti ammettere a me stessa che era stato davvero scaltro...e
premuroso. Aveva anche steso un polveroso telo sotto di noi, di modo
che il rumore dei frammenti a terra risultasse molto più
attutito.
Con una mano mi diede un buffetto dove prima c'era il pizzicotto:-Vedi che bastava uno stimolo fisico?-
-Fottiti.-
-Adesso issati con le braccia finché non sarai fuori, io ti spingerò da sotto.-
-Tatcher io non credo che...-
-Rebecca.- il mio nome risultò deciso e altisonante in
quell'ampia stanza:-Arriveranno a momenti, dato il chiasso che stiamo
facendo. Preferisci farti trapassare da un proiettile o passare da un
lucernario?-
Senza pensarci due volte, raccolsi tutta la forza che avevo e mi spinsi
fuori dall'edificio, sul tetto appiattito e circondato da alberi. Non
senza rischiare la morte un paio di volte, naturalmente. Mi riproposi di mettermi
seriamente a dieta, se fossi riuscita a tornare a casa.
-Aiutami!-
Afferrai la mano di Logan e la tirai per quanto la mia forza potesse
essere utile. Lui riuscì ad arpionarsi al tetto e in quattro e quattr'otto fu in piedi, accanto a me. Molto vicino a me.
-Grazie.- disse, e con quell'impercettibile luce mi sembrò che i
suoi occhi fossero due pozze scure, misteriose. Cose da psicopatica che
si fa i romanzi in testa, insomma, ma ormai avrete capito che tipo ero.
-Prego.- dissi, scrollando le spalle e i pensieri.
Scendemmo dal tetto utilizzando la provvidenziale scala a pioli che era
appoggiata alla parete e una volta con i piedi a terra, il nostro
sguardo saettò sulla decapottabile grigia che stava parcheggiata
poco distante da noi.
Sembrava come se d'un tratto fossimo entrati in un film d'azione. Persino l'aria era intrisa di suspance.
Ma chi me lo faceva fare?
-La mia macchina...- biascicò Logan, confuso.
-Sinceramente, quel colore è triste. Nera sarebbe stata molto più...-
-Carlton.- mi zittì, scocciato:-Se lì c'è la mia
macchina, da qualche parte devono esserci anche le mie chiavi.-
-Perché non provi a frugare in tasca? Dopo che ci hanno tolto i
telefoni e qualsiasi altro oggetto, ci avranno sicuramente lasciato
quelle.-
Mi guardò in cagnesco e si diresse verso l'auto. Io lo seguii,
per inorridirmi allo scoprire che, sdraiati sui sedili, dormivano
Thomas e il suo amico. Non avevano sentito nulla, fortunatamente, ma le mie
gambe tremavano comunque. Se avessero solo per sbaglio aperto un
occhio, ci avrebbero visti. Presa da un moto di panico, mi aggrappai a
Logan.
-Camminiamo.- sussurrò guardando la strada semibuia e deserta di fronte a noi.
Cercai di seguire la direzione. In lontananza si vedevano i palazzi e i
grattacieli di Los Angeles che lentamente venivano illuminati su una
sola facciata, ma la strada era tutta sconnessa, non sapevo calcolare
quanta distanza c'era dalla città, né tantomeno se portasse alla città.
-E' assurdo...non sappiamo dove andare.-
-Idee migliori?-
Scossi lentamente la testa.
-Senti, fidati di me, ok?- mi prese la mano in una stretta salda e mi trascinò dietro di lui.
Avevo paura, tanta.
Dopo quelli che mi parvero anni, la luce era molto più vivace,
il sole visibile in cielo e i miei piedi imploravano di fermarsi.
-Sai dove stai andando?- chiesi a Logan.
Lui si voltò indietro -lo faceva ogni dieci secondi- per
controllare che nessuno ci seguisse e continuò a camminare lungo
il boschetto che costeggiava la strada.
-Secondo te frequento boschetti smarriti?- incalzò, come per darmi dell'idiota.
Il mio sguardo parlò per me.
-Prima o poi ci saranno indicazioni, vedrai.- affermò, spigliato e proseguì senza aggiungere altro. All'avventura!
Volevo la mia casetta...il mio hotel a cinque stelle...il mio papà retrogrado...
La mia laurea.
E avevo paura di aver tirato troppo la corda con quei due pazzoidi.
-Quanto pensi che ci vorrà prima che si accorgano che siamo
scappati?- diedi voce ai miei pensieri, colta da una nuova ondata di
panico.
-Quanto pensi che ci vorrà prima che la pianti di mettermi pressione?-
-Oh, giusto, Tatcher, tu stai scappando a due rapitori, me ne ero
dimenticata.- ribattei sarcasticamente, tenendogli dietro a fatica.
Era come se tutto quello che era successo prima fra di noi si fosse
annullato. Non che avesse avuto motivo di sopravvivere, dopo la mazzata del
qui presente individuo, eppure ogni volta che il ricordo riaffiorava,
mi rendevo conto che avrei voluto che succedesse di nuovo. Insomma, per
un momento, nonostante il contesto, mi ero sentita felice. Senza la mia
laurea o la certezza che il mio sogno si sarebbe avverato. Felice e
basta, con una canzone e un paio di occhi azzurri.
Basta, ero completamente andata. Io detestavo Tatcher, per la miseria!
-Oh no, una macchina...- sfiatò Logan, tirandomi la maglia affinché mi abbassassi tra gli arbusti.
-Oddio, sono loro!- mi feci prendere dal panico.
-Vedi? Non hai fatto altro che portare sfiga!-
-Lo sapevo, ci ucciderano.-
-Ma parla per te!-
-Beh, teoricamente tu saresti il primo a essere ammazzato, in ordine di priorità...-
-Non lo so, potresti dare il via alle danze tu, adesso. Nei miei sogni perversi ho sempre ucciso ragazze in un bosco.-
-Mi fai impressione.-
-Taci!-
-No, aspetta...- aguzzai lo sguardo per mettere meglio a fuoco il
veicolo, che scoprii essere un furgoncino rosso, abbastanza scassato. Un furgoncino rosso?
Con uno scatto felino, raggiunsi la strada e mi ci piantai in mezzo, sprezzante del pericolo.
-Che diavolo fai?- sentii gridare Logan, ma non gli diedi retta. Appena
questo frenò bruscamente, mi avvicinai al furgoncino che si era
fermato poco più avanti di
noi e, con il cuore in gola, bussai al finestrino del conducente.
Questi, un signore sulla settantina, mi guardò stranito, per poi aprire la portiera:-Prego?-
-Ci serve...un passaggio.-
Lui si guardò intorno, gli occhi grigi che scrutavano dubbiosi
la strada deserta. Probabilmente si chiedeva da dove fossimo sbucati e,
soprattutto, perché eravamo lì.
-Per dove?- domandò un po' guardingo.
Mi voltai verso Logan, che camminava nella nostra direzione, lentamente.
-Downtown, tra lo studio della Majestic e l'università.- disse al
signore, suonando educato, ma determinato a ottenere quel passaggio.
Poi mi rimproverò con lo sguardo. Ok, avrebbe potuto essere uno
dei cattivi della situazione ed ero stata poco prudente, ma che potevo
farci se per una volta il mio istinto di sopravvivenza mi aveva preso
d'assalto?
Il tizio lo squadrò da capo a piedi:-Mia nipote ha comprato un copriwater con una tua foto, è possibile?-
Tatcher fece l'occhiolino:-Logan Tatcher.-
Il vecchio continuò a fissarlo.
-Il cantante.- precisò allora.
-Liscio?-
-Ehm...veramente, pop.-
-Allora non ti conosco. Però ti vedo ogni volta che devo andare a pisciare.-
Logan sbiancò, accompagnato da una smorfia esilarante. Adoravo
quell'uomo, avrei dovuto farmi lasciare l'autografo. E parlo del
vecchio.
-Beh,- sorrise, prestandomi finalmente attenzione, tutto pimpante:-Solo
perché una volta anch'io ero un giovane in cerca di fortuna, si
parte!- sorrise, invitandoci a salire accanto a lui nel
furgoncino:-Sapete che anch'io cantavo alla fiera di paese? C'era
quella canzone...-
Guardai Logan, di nuovo, raggiante.
Lui mi sorrise di rimando.
Aveva un bel sorriso, Logan.
-Ed eccoci arrivati!- annuciò Brian il conducente parcheggiando il furgoncino
alla bell'e meglio, davanti allo Starbucks affollato di Downtown.
Ero quasi commossa di rivedere quella caotica città. Meno di sentire la puzza dello smog.
-Grazie, ci è stato infinitamente d'aiuto.- dissi, scendendo e stringendo la mano al nostro salvatore.
-Davvero.- mi fece eco Logan, smontando a sua volta.
Lui si portò una mano alla fronte a mo' di saluto militare e se
ne andò alzando lo stereo su una compilation di liscio.
-Bene.- sospirò Logan guardando il veicolo allontanarsi.
-Bene.-
Era finita, non potevo crederci.
-Ce l'abbiamo fatta.- disse lui, quasi imbambolato.
-Già.-
-Senti, io...avrei un contratto da firmare ed è ora o mai più, perciò...-
-Sì, certo, giusto. Anch'io dovrei darmi una mossa.-
-Buona fortuna con la laurea.-
Guardai l'orologio fuori dalla caffeteria. Erano le 9.52.
-Grazie. Buona fortuna con il contratto.-
-Grazie...ciao.-
Nessuno dei due però si mosse definitivamente.
Non ce la facevo ad accettare che fosse finita lì, era un'idea
che mi creava un senso di vuoto. Di qualcosa di lasciato in sospeso e
io odiavo rimanere così, immersa in mille domande per ipotizzare
"cosa sarebbe succeso se...".
-Logan?- lo chiamai.
-Sì?-
Non lo sapevo cosa dire, non sapevo nemmeno perché invece di
stare qui a
fissarlo negli occhi come un'allocca non mi davo una mossa per
raggiungere l'università, dato che ero già in un
potenziale ritardo di dieci minuti. Speravo almeno non ci fosse traffico.
-Niente...in bocca al lupo.- fu tutto quello che riuscii a condesare dei miei pensieri.
-Certo. Crepi.-
-Come non è possibile?-
-Lo sa, Carlton, il ritardo è tollerato finché si tratta
di un paio di minuti, ma ne sono passati venti dall'orario d'inizio
della sua discussione di tesi.-
-Lo so, lo so...è che...- avrei dovuto raccontargli che ero
stata rapita assieme a un cantante famoso? No, decisamente no.
-La prego, professor Durray, questa laurea è tutto per me.- mi
buttai sul lato sentimentale, ma quell'uomo sembrava avere le stesse
emozioni di un Polaretto.
-Ne dubito.- appunto.
Fece per entrare nell'aula in cui una laureanda piuttosto nervosa lo
stava aspettando, ma lo bloccai piantandomi davanti a lui. Mi stavo
rovinando cinque anni di reputazione da brava ragazza.
Mi guardò così male che per poco non temetti che stesse
per fare un colpo. Probabilmente non aveva mai ricevuto un affronto
simile.
-Senta, professor Durray, ho bisogno di quella laurea. La prego, chiuda un occhio.-
Lui alzò il sopracciglio:-Lei è molto insistente e impertinente.-
-Ne sono consapevole.- dissi, frettolosa, cercando di ponderare al meglio
le parole:-Ma...è solo perché laurearmi è il mio
sogno più grande!-
-Avrebbe dovuto realizzarlo prima di ritardare alla sua laurea.- rispose, tipicamente strafottente.
Perché lui doveva fare il professorone e romperti le palle come da copione.
-Prof!- lo fermai di nuovo.
Prof? Ero fottuta.
-Mi ascolti, la prego: io...so che può sembrare assurdo, ma ha
presente Logan Tatcher? Il cantante pop? Ecco, lui è stato
rapito ieri sera e io...beh, a dire il vero, anch'io sono stata rapita
ed ero insieme a lui, così siamo scappati e...-
Alzò una mano davanti al mio viso:-Basta così, Carlton.-
Mi zittii guardandolo e sentendo che le guance si infiammavano.
-Lei è evidentemente inadeguata per sostenere un esame di
laurea. Ci vedremo l'anno prossimo, con l'augurio che nel frattempo sia
maturata.-
-Ma...ma...- avevo gli occhi che pizzicavano e dovevo sembrare proprio
alla deriva:-Le sto chiedendo un'oppoortunità...ho studiato
tantissimo...io...-
Il professor Durray mi zittì nuovamente:-Arrivederci, Carlton.-
poi si avvicinò a una studentessa che aveva assistito alla scena
e le chiese di accompagnarmi gentilmente fuori.
Lo guardai entrare e comiciare a discutere con la laureanda e il resto
della commissione riguardo alla tesi che quest'ultima era intenta a
spiegare. Io dovevo essere lei. Io dovevo stare in quell'aula, con
quella dannatissima commissione a parlare per mezz'ora sugli argomenti
che mi avevano affascinato, che avevo preparato con cura.
Percepii una lacrima scendere e bagnare la guancia già solcata durante la notte. Non era giusto.
-Ehi, tutto bene? Ti faccio portare un bicchiere d'acqua?- mi chiese la ragazza bionda che Durray aveva incaricato.
Le rivolsi uno sguardo smarrito e scossi la testa, abbandonandomi su un pouf rosso vicino alla bacheca degli annunci.
-Ti..ehm...accompagno fuori?- domandò di nuovo, premurosa, poggiandomi una mano sul braccio.
Scossi ancora la testa, chiudendo gli occhi e stringendo forte le
palpebre, per non piangere di nuovo. Non sapevo da dove il mio corpo traesse
tutta quell'acqua.
-Tieni.- mi porse un fazzolettino di carta e io lo usai ringraziandola.
-Credo che prima fosse venuto tuo padre.- mi disse.
-Oh, fantastico.- commentai, pensando alla sua gioia nel non vedermi.
Per lui significava che sarei rimasta a lavorare per il suo hotel e
avrei portato avanti il nome della sua famiglia, assicurandogli sempre
la fama. Meglio di così non poteva andare, no?
-Ha provato a chiamarti e assicurare a Durray che saresti arrivata a
breve, ma poi se n'è andato per cercarti e tu sei arrivata poco
dopo.-
La fissai, sorpresa, la vista offuscata dalle lacrime:-Davvero?-
Lei annuì:-Sì, certo. Ma, scusa, allora è vera la
storia di...?- ma si bloccò, guardando oltre la mia spalla, la
bocca leggermente spalancata.
-Che c'è?- mi voltai per seguire il suo sguardo e ne incrociai un altro.
Azzurro.
-Tatcher!- esclamai, più confusa che sorpresa.
Sia Durray che la laureanda, si bloccarono per sporgersi a guardare.
Lui con cipiglio altamente seccato e nervoso, lei visibilemnte
esasperata, ma curiosa.
Logan mi corse incontro, un'espressione indecifrabile, ma, con mio
crescente stupore, una volta raggiuntami si rivolse al professor Durray:-La pego, signore,
lei deve accettare questa ragazza.-
Lui alzò così tanto le sopracciglia che parvero scomparire trai capelli:-Come, prego?-
-Lei...qualsiasi cosa lei possa pensare, è vero e io lo posso
confermare. Rebecca è stata rapita insieme a me, questa notte,
da un paio di manager della Sony. E potrà anche sembrarle
ridicolo, ma siamo scappati con le nostre forze da un vecchio garage,
rischiando di essere uccisi, facendoci dare un passaggio fino a
Downtown pur di arrivare in tempo per questa laurea! Perciò
adesso le chiedo solo di essere umano e di...darle una chance.-
esclamò tutto d'un fiato, il respiro affannato come se avesse
corso.
Ero sconvolta.
Il professore pareva sconvolto:-Questo è troppo.-
Ma il resto della commissione, sconvolta, si avvicinò e una professoressa
intervenne:-Lei è Logan Tatcher? Curioso che sia qui.-
-E' perché so quanto Rebecca ci tenga.- mi guardò per un momento e io gli sorrisi.
I professori si scambiarono occhiate ponderanti, indecise, ma Logan
diede loro l'ultima spinta:-Domani sarà tutto sul Times.
Perché dovrei arrivare fin qui e dirvi una bugia per una laurea?
Quello che è successo è vero, ma non può
compromettere il futuro di questa ragazza. Vi prego di aiutarla...sono sicuro che ne vale la pena.-
Ci furono trenta secondi di intenso, inquietante silenzio da cardiopalma.
Poi la professoressa parlò:-Credo che siamo tutti d'accordo che si possa fare, per questa volta.-
La laureanda e la studentessa del fazzoletto annuirono e allo stesso modo, poco dopo, fece anche la commissione.
-Anche il professor Durray...- lo incitò la donna.
Questi mi rivolse un'occhiata intimidatoria:-Non è mia consuetudine accettare questo tipo di sceneggiate.-
-Grazie, signor Durray.- ribatté Logan, il respiro affannato che gradualmente si calmava.
Signor Durray.
-Temo di dover andarmene ora, signor Tatcher.-
-Signor Tatcher.-
-Grazie.- ripetei guardando prima l'uomo, poi Logan.
-Adesso entri e chiudiamo questa porta finché non avrete finito!
Fuori chiunque non sia parente delle laureande.- tuonò
rientrando.
Prima di seguire i professori verso l'aula dove si sarebbe finalmente
tenuta la mia discussione, rivolsi un sorriso a Logan. Un sorriso
raggiante, radioso, felice. Un sorriso che diceva molto più di
un semplice "grazie".
La laureanda sospirò affranta, chiudendosi la porta dietro di me.
-Dai, abbraciami.-
-Oooh.-
Riposi la camicia piegata sul letto e corsi ad abbracciare mio padre,
tutta euforica. Forse il fatto che, nonostante tutto, lui fosse
contento di me mi dava più soddisfazione. Insomma, ok, avevo una
laurea, che era praticamente tutto quello che volevo fin dall'inizio, però in
fin dai conti non sarebbe stato lo stesso, se mio padre avesse fatto il
musone. E invece eccolo qua, alla porta della mia ormai ex-stanza nella
quale stavo facendo piazza pulita per ficcare tutto in una valigia che
mi sarei portata in viaggio. Orgoglio paterno e, escludendo una piccola
vena di risentimento, molti complimenti per l'eccellenza ottenuta con
la discussione di tesi. Ero davvero felice.
-Grazie, padre.- dissi, dandogli affettuose pacche sulla schiena.
-Sai, quando mi hai raccontato del rapimento, mi sono sentito un pessimo uomo.-
-Papino! Non è vero!- smentii, staccandomi sufficientemente per
guardarlo negli occhi:-Vecchio stile, ma non così pessimo.-
Mi sorrise spettinandomi i capelli in un ritorno al passato e io gli
diedi un bacio sulla guancia:-Tornerò spesso al Ritz.-
-Se non lo farai, sarò io a venirti a prendere.-
-Ricevuto.-
-E comportati bene, per carità...se combini gli stessi guai che
combini qui, la fine del mondo sarà di sicuro anticipata.-
Ma che burlone!
Lo salutai finendo di impacchettare tutte le mie cianfrusaglie, poi,
una volta pronta per partire, dissi addio alla nuova cameriera del
piano, lasciandole qualche perla acquisita negli anni e scrissi una
lettera per i membri dello staff che da sempre non sopportavo augurando
loro un "buon proseguimento".
Ero soddisfatta, sì. Soddisfatta di me, della vita, della porta che si stava aprendo davanti ai miei occhi.
Mi sentivo come la Gabbianella, che per un sacco di tempo aveva vissuto
una vita da gatto e che ora aveva la sua occasione per volare via,
libera. Prima di uscire definitivamente dal Ritz,
però, salii fino al settimo piano e mi avvicinai lentamente alla
stanza 729. Era strano farlo senza divisa.
-Ehi.- dissi, il tono basso.
Il ragazzo all'interno, anche lui intento a chiudere la sua valigia, si voltò nella mia direzione e mi sorrise:-Ehi.-
-Servizio in camera.- scherzai entrando e avvicinandomi, il cuore a
mille solo per il fatto di essere in sua presenza. Com'erano cambiate
le cose da un giorno all'altro.
Ora Thomas Bendson e il suo stupido scagnozzo erano stati fermati e
condotti agli arresti con millemila accuse, dopo che un tale Brian
Dodgeley aveva testimoniato a favore di due ragazzi rapiti. Il sogno di
Bendson, aimè, non si sarebbe mai avverato.
-Non credo proprio.- ribatté come previsto, usando il suo tono stronzo. Solo...molto meno stronzo del giorno prima.
-Finito il soggiorno, eh?- gli chiesi dando un buffetto alla valigia
semichiusa e notando che si era fatto bendare l'avambraccio.
-Già.- disse ripulendosi le mani e guardandomi nella mia completa interezza:-Vedo che anche tu sei in vena di partenze.-
Alzai le spalle con fare misterioso:-Può essere.-
Nel momento di silenzio che seguì, osservai i suoi occhi colpiti
dalla luce del tramonto su Venice Beach che filtrava dalle tende
bianche. Dovevo dirgli che adoravo i suoi occhi. E la sua voce. E il
suo sorriso.
Ma più di tutti adoravo quello che aveva fatto per me.
-Logan, io...non ti ringrazierò mai abbastanza per ciò che hai fatto stamattina.-
-Non devi ringraziarmi...l'ho fatto perché era la cosa più giusta. Perché...mi sentivo in debito con te.-
Lo guardai inclinando la testa di lato:-Ah sì?-
Annuì, prendendo in mano la valigia:-Mi hai permesso di mettere
in discussione quello che sono. Mi hai fatto riscoprire il vero Logan
Tatcher.-
In genere a queste frasi non dovrebbe seguire un bacio?
-Già.- sorrisi:-E' stato, per quanto sgradevole come contesto,
molto bello, Tatcher. Beh, voglio dire, ha fatto piacere anche a me
scoprire chi sei veramente. Strano, ma piacevole.-
-E' stato strano, è vero.- confermò prendendo la sua
valigia e appoggiandola a terra:-Ma ora è giusto che...beh, che
ci salutiamo.-
E ora arrivava il momento in cui mi avrebbe bacia...
Cosa?
-Che ci salutiamo?- chiesi, confusa.
-Certo, insomma...che ritorniamo alle nostre vite.- spiegò:-Tu
sulla cresta dell'onda per vivere il tuo sogno e io...beh, devo
concentrarmi sul nuovo album, ritentare con la Majestic e tornare da
Regina.-
No, no, no...momento, perché tutto stava andando al contrario di come mi ero immaginata?
-Ma tu...tu hai rinunciato al tuo contratto con Sean Smith per venire a salvarmi! Hai rinunciato a qualcosa di tuo per me!-
-Te l'ho detto, Carlton: mi sentivo in debito con te.-
-Sì, ma...-
-E' meglio così.- mi disse, facendomi rimanere muta e immobile e fissarlo.
Mi sorrise e si chinò per lasciarmi un bacio a stampo sulle
labbra:-Io sono il tipo per quelle come Regina, anche se forse quello
è solo uno dei vari Logan Tatcher e quello vero,
beh...forse quello vero sarebbe il tuo tipo.-
Si allontanò verso l'uscita della stanza, ma prima di andarsene
si voltò a guardarmi:-Diventa scrittrice, Carlton, me lo devi. E
forse chissà...un giorno rapiranno te e io sarò lì
per caso.-
E detto questo se ne andò.
Già, un finale triste, classica esclamazione "eh no, ma dai!" da
film scadente per cinema locali, ma purtroppo così finì
quell'avventura e non sarei onesta se non vi dicessi che passai
l'inizio della mia "nouva eccitante vita" a chiedermi se non sarebbe
stato meglio non aver mai incontrato Tatcher.
Perché alla fin fine quel ragazzo mi ha lasciato un segno, un
segno profondo. Mi ha fatto riflettere sull'importanza di un sogno, su
cosa voglia dire "rinunciare a qualcosa" per inseguirlo. E
fondamentalmente era quello che aveva fatto lui. Lui voleva essere un
cantante ed era determinato a portare avanti il suo progetto, anche a
costo di lasciarsi alle spalle occasioni, legami,...persone.
Se mi sento lasciata alle spalle?
Sinceramente no, perché lui ha
detto che ero quella giusta per il vero Logan Tatcher, ma non posso
negare di averci sofferto tanto, di soffrirci ogni volta che quella
ninna nanna, ora successo nazionale, viene trasmessa alla radio, ogni
volta che lo vedo suonare la chitarra e noto la cicatrice
sull'avambraccio, quella che gli ho fatto io.
Doveva andare così, si vede. Doveva andare così, per me,
quando la gente mi diceva "Un giorno lo incontrerai!" e io non sapevo
che sarebbe durato una notte. Non una notte di passione, ma una notte
rinchiusa tra quattro mura, costretti a stare insieme. Quando la gente
mi dice "Un giorno lo incontrerai!" e io già l'ho incontrato e
posso affermare di poterlo vedere ogni qualvolta desideri, di ascoltare
la sua voce sempre.
Sembra triste, ma se ci ragionate non lo è.
Io ora sono una scrittrice conosciuta e seguita, viaggio e incontro
sempre un sacco di persone interessanti e ho scritto un libro
intitolato "Trapped".
Logan è un cantante strepitoso, lavora per la Majestic e ha
scritto una canzone intitolata "Trapped", che parla di due ragazzi,
liberi solo quando sono intrappolati, in catene nella loro
quotidianità.
Un po' come il mio libro, insomma.
Se ci pensate, basterebbe solo che mi rapissero e lui fosse lì per caso.
E poi non mi posso lamentare...io ora ho il suo copriwater.
Eeeeeeh, una consolazione importante, eh XD
Com'è andata, allora? Piaciuta? Potete mentire per farmi contenta.
Questa storia, lo voglio ribadire, è stata scritta per il contest "Un giorno lo incontrerai" di MedusaNoir sul Forum di EFP. L'obiettivo era quello far incontrare una ragazza con un ragazzo dagli occhi azzurri, cantante, bastardo e che cambia carattere a seconda di chi ha davanti. In più mi si chiedeva di far passare ai due una notte insieme per un motivo inaspettato.
E'
finita qui (scudo antisassate) e...beh, io sono quella dei finali di
merda, non posso farci niente, è più forte di me U.U
Volevo precisare un paio di cose, ovvero che Logan Tatcher è un
personaggio completamente inventato e frutto della mia fantasia, ossia
nessun Logan Tatcher ha mai vinto X Factor Usa, nel caso ve lo steste
chiedendo XD
Ho pubblicato la storia lasciando tutti gli errori che mi sono stati
segnalati e non perché me ne frego o sono la classica mosca che
sbatte contro il vetro, ma proprio perché vi voglio lasciare la
storia genuina, così com'è, così come l'ho scritta
:) (ok, non avevo voglia di correggere, ma sono dettagli).
Io sono Yellow Daffodil (ma no?)
e se vi piace lo stile, se volete catapultarvi in Italia, precisamente
a Venezia e avete una passione per la vita tra i banchi di scuola,
allora vi raccomando di dare una sbirciatina a Io e te è grammaticalmente
scorretto,
che è la long che in 20 (programmati 23-24) capitoli è
riuscita a condensare tanti avvenimenti, coppie, figuracce e
quant'altro quanti quelli di Beautiful!
Lui, lei, loro.
Pronomi personali.
Lui: terza persona singolare, idiota
al cento per cento, voglia di studiare zero e un disperato bisogno
d'aiuto.
Lei: per meglio dire "io", prima persona singolare, perfezionista,
incapace di dire no e innamorata dell'idiota sopracitato.
Loro: terza persona
plurale, i restanti diciassette detenuti in una classe che fa piangere
generazioni di professori.
Come ve la cavate in grammatica? E in
matematica? Inglese? Storia?
E' difficile salvare la media di otto materie in
due mesi di tempo, ma forse se si lavora insieme, come dice il proverbio, nulla
è impossibile.
C'è solo una materia che non vi saprò spiegare, si chiama
Amore e credo che quest'anno verrò rimandata.
Grazie per essere arrivati fino alla fine, spero di avervi entusiasmati e invogliati a comprarvi un copriwater XD
Alla prossima,
Yellow Daffodil
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