Stranger than you dreamt it di Alkimia (/viewuser.php?uid=47113)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Two months ago - part one ***
Capitolo 3: *** Two months ago - part two ***
Capitolo 4: *** Taking chances – part one ***
Capitolo 5: *** Taking chances – part two ***
Capitolo 6: *** Hell-sent ***
Capitolo 7: *** Welcome back - part one ***
Capitolo 8: *** Welcome back - part two ***
Capitolo 9: *** Welcome back - part three ***
Capitolo 10: *** The day after - part one ***
Capitolo 11: *** The day after - part two ***
Capitolo 12: *** Brainstorming ***
Capitolo 13: *** Like a nightmare ***
Capitolo 14: *** Resistance ***
Capitolo 15: *** Sunshine and frost - part one ***
Capitolo 16: *** Sunshine and frost - part two ***
Capitolo 17: *** Just one step - part one ***
Capitolo 18: *** Just one step - part two ***
Capitolo 19: *** Blinded by the light ***
Capitolo 20: *** It'd be good for them ***
Capitolo 21: *** Lese-majesty ***
Capitolo 22: *** Once upon a time ***
Capitolo 23: *** Deus ex machina - part one ***
Capitolo 24: *** Deus ex machina - part two ***
Capitolo 25: *** Endgame - part one ***
Capitolo 26: *** Endgame - part two ***
Capitolo 27: *** Endgame - part three ***
Capitolo 28: *** The last lamp ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
STRANGER THAN YOU DREAMT IT
Prologo
«Tony? Tony, svegliati...»
La voce sembra arrivare da un punto indistinto e lontanissimo. Molto al
di là del sogno in cui l'uomo, al momento, è
beatamente immerso.
«Anthony Howard Stark, apri gli occhi!».
La voce è perentoria. E lui sa che quando qualcuno usa il
suo nome per intero è sempre un brutto segno. Con estrema
riluttanza, si costringe a svegliarsi.
Esegue l'ordine, apre gli occhi e la luce gli ferisce lo sguardo. Con
un mugolio di protesta, alza una mano a proteggersi dal sole che entra
prepotente dalla grande vetrata dell'attico in cima alla Stark Tower.
Strizza più volte le palpebre e tenta di mettere a fuoco il
viso imbronciato chino su di lui.
Pepper.
Pepper che era fuori per un viaggio di affari e che non doveva essere a
casa prima di dopodomani e invece ora è lì, mani
ai fianchi, occhiaie da jet-leg sotto un velo di trucco, sguardo da
cavaliere dell'Apocalisse.
E Tony non sa se se lo merita davvero, il cipiglio imbronciato della
sua donna.
Ok, d'accordo. Era addormentato steso stravaccato sul divano al centro
della sala. Addormentato steso stravaccato sul divano al centro della
sala, con indosso uno smoking e l'odore del suo costoso e sciccoso
dopobarba che aleggia nell'aria. E allora?
È stato a una festa la sera prima, sì. Ma
qualcosa gli dice che non è questo il motivo per cui la sua
donna lo sta guardando male, Pepper non può essere gelosa
del fatto che lui sia andato a una festa senza di lei, tra l'altro a
quella festa lui ci è andato con...
Oh, cazzo! Nadia.
Nadia – ventisei anni spesi onestamente, capelli biondi corti
alla base del collo, pessimo gusto in fatto di ragazzi –
è attualmente ubicata sull'altro divano. Anche lei
addormentata, anche lei in abito da festa. Ma non ha addosso odore di
profumo da centoventi dollari al flacone, ha odore di... alcol.
Ricapitoliamo...
Tony e Nadia sono stati a un party la sera prima. Nadia ha alzato un
po' il gomito. Cioè ha bevuto, come un naufrago che sta
annegando... come l'intera ciurma di una nave da crociera che affonda.
Tony vorrebbe dire che sono cose che capitano, la ragazza non ha mai
dato particolari segni di squilibrio – se si vuole sorvolare
sull'essere stata coraggiosamente folle o follemente coraggiosa, che
dir si voglia, e sul fatto che ha una cotta per un dio malvagio e poco
affidabile – una sana ubriacatura se l'è meritata,
una volta tanto.
Ma Pepper non sembra dello stesso avviso; batte una mano sulla spalla
di Tony e gli fa cenno di seguirla nella stanza attigua. Il ticchettio
dei suoi tacchi sul pavimento è come il suono di una bomba
ad orologeria che sta per scoppiare e quando si chiudono la porta
scorrevole alle spalle arriva la detonazione.
«Come hai fatto a permettere che si riducesse in quello
stato?» esclama Pepper.
Gran bella domanda.
«C'era quel tizio, il tuo adorato stagista appena vomitato da
Harvard, che ci provava» esordisce Tony. «Per un
attimo ho persino pensato che lei ci stesse, poi ha cominciato a
trovare molto più interessante il cameriere che girava con i
bicchieri di Martini sul vassoio».
«E tu non l'hai fermata» lo rimbecca la donna.
Tecnicamente, Nadia è adulta e vaccinata e può
fare quello che vuole e quando lui aveva promesso che se ne sarebbe
preso cura non intendeva propriamente diventare la controfigura della
sua coscienza. Ma la verità è un'altra.
«Non ce l'ho fatta, ok? Lo hai visto anche tu cosa... cosa le
sta succedendo» risponde Tony. «Ho pensato che se
quello era l'unico modo per farla distrarre, almeno per una
sera...»
«Tony, ti prego. Bere fino al coma etilico non è
una soluzione».
No, non lo è, lui lo sa bene e non permetterebbe mai che
Nadia cominciasse a pensarlo. Ma per una volta, per una sola santissima
volta, ha voluto lasciar correre, ha voluto non essere quello che le
diceva cosa fare, che le dava lezioni, che le ricordava cosa fosse
giusto fare, che tentava di fare appello al buon senso.
Sono due mesi che Nadia è lì a New York. Due mesi
che provano a trovare il modo di sistemare la faccenda dei picchi di
energia magica. Due mesi che ogni tentativo fatto non si rivela mai del
tutto risolutivo. Due mesi che, nonostante tutto, la ragazza si impegna
ad essere paziente e collaborativa, sforzandosi di non crollare.
E sono anche due mesi che lei è lontano da casa, con la sua
famiglia dall'altro lato del mondo che crede che lei sia in America a
fare la fotografa e che viene tenuta buona con una storia di copertura.
E Nadia è già crollata da tempo, e nessuno sembra
voglia ammetterlo. Sembra la solita Nadia, allegra e piena di spirito,
ma c'è qualcosa, qualche luce che si è spenta. E
Tony sa esattamente chi ringraziare per questo.
Loki.
Se potesse, lo troverebbe solo per il piacere di infilzarlo sulla
guglia del palazzo.
Quel dannato rifiuto dell'Olimpo – o di come accidenti si
chiama il posto da cui proviene – si era ben guardato da
avvisare che con il trucchetto della resurrezione, Babbo Orbo aveva
lasciato a Nadia dei poteri magici, neanche fosse Sailor Moon! E poi
aveva avuto la faccia tosta di apparirle in sogno, promettendole che
l'avrebbe aiutata. E lei gli aveva creduto perché, per
quanto Tony trovi la cosa del tutto folle e inconcepibile, Nadia ha
davvero una cotta per quel mostro, e lui l'ha abbandonata, l'ha
lasciata sola ad affrontare una cosa che nessuno, nemmeno lui e gli
altri della squadra sanno come gestire. È questo che l'ha
abbattuta, più di ogni altra cosa, anche se lei non lo
ammetterebbe nemmeno sotto tortura; le manca Loki, forse credeva
scioccamente che lei sarebbe stata la sola che lui non avrebbe tradito,
pensava che in qualche assurdo modo il dio dell'inganno ricambiasse i
suoi sentimenti. Ma non è così, lui non ce li ha
i sentimenti, non sa neanche dove stanno di casa e adesso
sarà di sicuro da qualche parte nell'universo a tramare
qualche altra mostruosità.
E Nadia è lì. E Tony aveva promesso che se ne
sarebbe preso cura, che sarebbe andato tutto bene. E nonostante sembri
che il cosmo cospiri contro di loro, manterrà la promessa,
costi quel che costi.
__________________________________________________________________________________
Bentrovati.
Come da introduzione, questo è il seguito di A
series of unfurtunate events e temo sia di difficile
comprensione per chi non abbia letto la fanfiction precedente.
Avevamo lasciato Nadia in partenza per l'America assieme a Tony, con
l'energia proveniente dal bracciale che non riesce gestire, e Loki
appena catturato dai Chitauri per essere portato da Thanos.
Naturalmente cosa sta facendo il caro dio dell'inganno lo sapremo a
breve, come sapremo a breve cosa è successo a Nadia in quei
due primi mesi a New York. Intanto, spero che il breve prologo abbia
attirato la vostra attenzione.
Per chi consce i film precedenti a The Avengers ci saranno anche un
paio di “facce note” che volevo assolutamente
inserire.
Nel frattempo, vi ricordo che la storia è esclusivamente
moveiverse, come la precedente.
Il titolo della fanfiction è una citazione del musical The
Phantom of the Opera.
Critiche, osservazioni e pareri sono sempre ben accetti.
Ci leggiamo venerdì con il primo capitolo vero e proprio.
PS: rubando l'idea ad altri utenti più scaltri di me XD ho
creato un profilo
Fromspring per chi volesse farmi qualche domanda sulla
fanfiction, sulla vita,
l'universo e tutto quanto...
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Capitolo 2 *** Two months ago - part one ***
Ringrazio tutti per la
calorosa accoglienza che ha avuto il prologo, in meno di un paio di ore
dalla pubblicazione c'erano già un sacco di visualizzazioni
e commenti... e grazie per la fiducia a tutti quelli che hanno
subito messo la storia tra i preferiti, i seguiti o le storie da
ricordare, anche solo leggendo la breve introduzione :P
Ne approfitto per
ringraziare anche quelli che hanno letto (e continuano a leggere) la
precedente fanfiction dopo che l'avevo conclusa e che mi hanno fatto
sapere che gli era piaciuta, dandomi ancora più voglia di
scrivere questo seguito.
Grazie di cuore! *___*
*******
Capitolo primo
Two months ago - part one
Panico.
Jane Foster sente l'ansia serrarle la gola, come se qualcuno stesse
cercando di strangolarla. Tra un attacco di tachicardia e l'altro,
riesce persino a farsi prendere dall'euforia, ma il panico rimane la
sensazione predominante.
Fissa per l'ennesima volta le foto stampate su fogli in formato A4
delle immagini rilevate dal telescopio elettronico. Si è
consumata gli occhi a forza di guardarle.
Il dipartimento di astrofisica per il quale lavora – il fighissimo
dipartimento di astrofisica che l'ha assunta all'improvviso, senza una
ragione precisa ma con sua somma gioia – è vuoto a
quell'ora, tutte le luci sono spente, eccetto quelle del suo studio.
La giovane scienziata si spinge sui talloni, facendo scorrere le
rotelline della sedia da ufficio fino alla soglia della porta e lancia
uno sguardo lungo il corridoio: è deserto e silenzioso, con
solo le luci di emergenza verdi accese sopra le porte antipanico. Lo
scenario perfetto per un thriller in cui un pazzo psicopatico spunta
dal nulla e fa a pezzi la giovane sprovveduta.
Il portapenne di alluminio, pericolosamente in bilico nell'angolo della
scrivania, cade sul pavimento con un fracasso impensabile per un
oggetto tanto piccolo. Il rumore improvviso la fa quasi cadere dalla
sedia e Jane si ritrova a boccheggiare, facendosi aria con le mani e
tentando di riprendersi dallo spavento.
Sì, c'è decisamente qualcosa di strano nell'aria
e lei non può essersi sbagliata, sa bene cosa ha visto in
quelle immagini che ora sono sparpagliate sulla sua scrivania come i
pezzi di un puzzle, lo sa perché è qualcosa che
ha già visto in passato e si sente così agitata
perché è certa che le probabilità che
uno scienziato ha di vedere più di una volta nella vita quel
fenomeno sono pressoché nulle.
Un warmhole. Come quella volta in New Mexico, come quando aveva
incontrato Thor per la prima volta – e Darcy lo aveva steso
con il taser, e Eric aveva passato giorni a ripeterle che era una
pessima idea. E lei ci era caduta dentro mani e piedi. E, in mezzo a
tutto ciò, era arrivato lo S.H.I.E.L.D. e le aveva portato
via il lavoro di una vita.
Succederà anche stavolta, Jane lo sa, se lo sente dentro le
ossa. Forse è per questo che è così
agitata, tra l'euforia della scoperta e il panico per tutte le
implicazioni, scientifiche e non, che la cosa potrebbe avere. Anche
perché la domanda fondamentale rimane: se la volta
precedente si è formato un ponte di Einstein-Rosen in
seguito a una tempesta magnetica ed è piovuto giù
Thor in tutto il suo divino e buffo splendore, adesso cosa è
arrivato dallo spazio? Le immagini non danno alcuna risposta in merito.
Dopo attenta e acuta riflessione, la dottoressa Foster prende una
decisione solenne. Più che altro, è l'unica cosa
da fare, dato che non ha alternative.
La ricerca del cellulare si rivela un'impresa ardua, in mezzo al caos
che regna nel suo studio – non lo fa di proposito, ma non ha
mai tempo per sistemare tutta quella roba che si va accumulando in giro
su ogni superficie orizzontale disponibile. Alla fine lo trova dentro
la scatola di biscotti con i quali è solita fare merenda
– come
diavolo ci è finito lì? -
e cerca il numero nella rubrica.
Si mordicchia nervosamente il labbro, ascoltando gli squilli a vuoto
nel telefono. Alla fine, dall'altro lato, le rispondono.
«Eric!» esclama subito.
«Jane, che bello sentirti. Come stai?» dice il
dottor Selvig, sinceramente contento.
A quel punto Jane comincia a parlare a raffica.
«Prossima all'infarto. Io ho trovato delle cose, Eric e non
so cosa fare... insomma, tu lavori per lo S.H.I.E.L.D. adesso, a
qualcosa di molto bello, molto grosso e molto segreto, e wow!
Però io ho bisogno che qualcuno di competente mi aiuti in
questa cosa, senza che saltino fuori tizi in giacca e cravatta a
saccheggiarmi lo studio. Potrei fare una strage se succedesse ancora,
sai?».
La ragazza si scopre ad ansimare agitata nella cornetta, il viso
contratto in un'espressione ansiosa.
«Che vuol dire che hai trovato qualcosa?» chiede lo
scienziato in tono paziente.
«Ricordi la tempesta magnetica in New Mexico e tutto quello
che ne seguì?»
«Come potrei scordarlo?»
«Ecco, è successo di nuovo. Ma stavolta non so
cosa sia piovuto dallo spazio».
Eric Selvig resta muto, tanto che lei per un attimo crede che sia
caduta la linea. È più che certa che
lui abbia deglutito nervosamente dall'altro capo del telefono, ha la
netta sensazione che il suo vecchio mentore stia sudando freddo, anche
se non può vederlo. E ha anche come l'impressione che lui
ora le darà qualche consiglio molto paterno e molto poco
gradevole.
«L'ultima volta che ho visto aprirsi un passaggio
interspaziale è spuntato fuori Loki, il fratello di Thor. E
non era uno che andava molto per il sottile» afferma l'uomo,
in un tono che è diventato improvvisamente freddo e serioso,
forse persino spaventato.
Il fratello di Thor?
Si chiede Jane. Quel
fratello? Cioè, quello che aveva cercato di ucciderlo
inviando sulla Terra un enorme robot automatizzato che sputava fuoco?
Jane a quel punto si domanda anche se il famigerato fratello di Thor
non abbia qualcosa a che fare con quello che è successo a
New York qualche mese prima. Ma non è importante, o forse
sì, visto il tono di Eric, solo che non è
qualcosa di cui lei deve preoccuparsi nel suo futuro prossimo.
«Eric...»
«Quello che sto cercando di dirti, Jane, è che da
questi fenomeni possono venire fuori cose serie, molto serie e che
dovresti venire qui allo S.H.I.E.L.D.» asserisce lo
scienziato, ritrovando il suo tono pacato e paterno.
«Io non voglio che lo S.H.I.E.L.D. si appropri delle mie
ricerche!» protesta lei.
Il sospiro del dottor Selvig fruscia basso nella cornetta.
«No, Jane, ma puoi venire qui e continuare il tuo lavoro
insieme a loro o lasciare che lo S.H.I.E.L.D. ti porti via tutto e
faccia a modo suo».
*
Il viaggio in aereo le è sembrato lungo
un'eternità.
Ci sono cose che Nadia ha preferito non dire, alle quali preferisce non
pensare, ma quando ha guardato dal finestrino e ha visto sotto di
sé solo il nulla delle nuvole sopra l'Oceano ha sentito un
senso doloroso di perdita, c'è qualcosa che si è
spezzato dentro di lei e adesso una parte della sua anima è
ridotta a un moncherino sanguinante, privo di un pezzo. Dopo tanto
tempo passato a sognare di andare via da casa, non credeva che lasciare
la sua città e la sua famiglia le avrebbe fatto
così male.
Non è che così che voleva che andassero le cose.
L'aereo privato atterra sul nastro di asfalto di una pista che sembra
incastrata in una cornice di palazzi le cui sagome svettano immobili
contro il cielo.
L'America è il luogo dove ristagnano i sogni del mondo, dove
l'immaginario di tutte le persone colloca avventure ed eroi, ma Nadia
adesso sente solo la realtà dura e incolore del cemento che
copre l'orizzonte.
La ragazza saluta Steve e Natasha, chiedendosi se e quando
rivedrà gli altri della squadra. Le hanno spiegato che Clint
è via in missione e che Bruce... beh, il traffico cittadino
può essere una cosa molto stressante.
Alla fine, Nadia si ritrova sul sedile posteriore di una Rolls Royce,
in mezzo a Tony e Pepper.
Tony solleva il coperchio di un vano dal quale comincia a uscire subito
il fumo del ghiaccio secco. Dal vano spuntano tre bicchieri di martini,
con tanto di oliva.
«Un brindisi di benvenuto, Colombina».
Quando il primo sorso di liquore le arriva nello stomaco, Nadia lo
sente bruciare e accoglie con piacere la sensazione di leggerezza una
volta finito il drink.
New York scorre oltre i finestrini oscurati della vettura, quel
paesaggio strabiliante ed estraneo sfila davanti ai suoi occhi e lei
è incapace di concentrarsi e coglierne i particolari,
insensibile all'effetto di straniamento che quella mastodontica
città dovrebbe produrre su una ventiseienne che ha trascorso
tutta la vita incastrata tra le calli veneziane.
Nadia cerca di fare un breve riepilogo mentale di quello che le hanno
detto durante il viaggio.
Tony le ha fatto preparare un appartamento al penultimo piano della
Stark Tower. Lei non ha idea di cosa sia, ogni volta che ci pensa le
viene in mente una costruzione simile al campanile di San Marco, con la
scritta STARK a caratteri cubitali in lettere di ottone fissata ai
mattoncini rossi.
Si stabilirà lì mentre lo S.H.I.E.L.D. si
occuperà di fare esami e indagini sulla pietra e sugli
effetti collaterali dell'energia che emette. Sembrano tutti sicuri che
troveranno qualcosa, come se si trattasse di semplici analisi cliniche
per risalire a una malattia curabile con un cucchiaio di sciroppo.
Nadia vorrebbe essere ottimista quanto lo sono loro, ma né
Tony né gli altri hanno sentito quello che ha sentito lei
quando il suo sangue è entrato in contatto con quello di
Thor, quella sera sull'isola di San Michele. Non hanno visto cosa è
quell'energia e il modo in cui si spande attraverso il corpo, come un
veleno, come il calore bruciante di una febbre. Non hanno idea di cosa
significhi, e nemmeno lei lo capisce fino in fondo. Sa solo che
è qualcosa di estraneo, di alieno, qualcosa che le fa venire
voglia di strapparsi la pelle, di scavare con le unghie nella carne per
cercarla e tirarla via.
Si passa una mano tra i capelli, si sente infinitamente piccola e la
sensazione di essere sola con le sua sciagure sta quasi per assalirla
di nuovo quando vede la Stark Tower svettare in fondo alla strada
trafficata e allora quasi le scappa un singulto: il palazzo costruito
da Tony non poteva che essere così, una costruzione
ultramoderna ma che sembra voler avere lo stesso significato delle
antiche piramidi egizie.
«Un bel monumento alla megalomania» dice Nadia,
ridendo per la prima volta da quando è partita dal San Marco.
Tony fa una smorfia fingendo un'aria offesa e inforca un paio di
occhiali da sole.
Qualche minuto dopo sono in un'ascensore con gli interni in radica che
sale silenziosa verso la sommità dell'edificio. Le porte
lucide si aprono su un pianerottolo che ha ancora il sentore di pittura
fresca.
«Abbiamo dovuto far sistemare il soffitto,» spiega
Pepper, «rischiava di crollare in corrispondenza del solco
sul pavimento al piano di sopra, dove Hulk...». Si
interrompe, mordendosi le labbra. Non c'è tempo per il
silenzio imbarazzato perché dal nulla arriva la voce di
Jarvis.
«Signore, signorina Potts, bentornati» dice con
quel suo tono atono da robot. «Signorina Nadia, benvenuta. Ho
regolato il climatizzatore del suo appartamento in modo che ci sia una
temperatura ottimale tale da non creare sbalzi con l'esterno, e ho
messo in funzione il frigorifero e verificato che tutti gli
elettrodomestici siano perfettamente funzionanti, come pure la linea
telefonica e la connessione a internet».
La ragazza ha un attimo di smarrimento, si guarda attorno cercando un
punto in cui fissare lo sguardo per rispondere all'intelligenza
artificiale, ma non ci sono nemmeno degli altoparlanti a vista, Jarvis
sembra essere fatto di aria.
«Ehm... grazie, Jarvis. Sei stato molto gentile»
farfuglia, confusa.
«Dovere, signorina».
Ci credo che Tony
è mezzo pazzo, impazzirei anche io con un maggiordomo
invisibile...
L'appartamento che le hanno preparato è a pianta circolare,
segue il perimetro della parte più alta della torre. Oltre
la porta di ingresso c'è una grande sala con il pavimento di
marmo. A sinistra un'immensa cucina piena di cose che Nadia non
userà mai, in parte perché non le serviranno
– non ha mai ben capito l'effettiva utilità di uno
spremiagrumi elettrico – in parte perché
non saprebbe nemmeno come accenderle. Accanto alla cucina
c'è una sala da pranzo e un bagno. Dall'altro lato
c'è una camera da letto grande come uno stadio, uno studio
con una libreria enorme – e vuota – e un altro
bagno. Dalla sala principale si accede anche a una terrazza a mezzaluna
con la ringhiera di metallo lucido e pannelli di vetro satinato.
Nadia ha appena fatto il giro della sua nuova casa e già non
vede l'ora di darsela a gambe.
«È meravigliosa. Grazie, Tony» dice,
allargando il miglior sorriso che riesce a mettere su. Non sta
mentendo, la casa è davvero stupenda, solo che non fa per
lei ed è talmente grande per una persona sola che amplifica
il molesto senso di vuoto che le stringe il petto, ma tutto questo non
c'è bisogno di condividerlo con i suoi ospiti.
Tony la prende del tutto alla sprovvista, avvicinandosi a lei e
cingendole le spalle con un braccio per poi stamparle un bacio tra i
capelli.
«Tu inizia a prendere confidenza con l'ambiente, noi andiamo
di sopra a preparare la cena... ovvero ad ordinare la pizza»
le dice.
«Se hai bisogno di qualcosa, chiama. C'è un
interfono in ogni stanza» spiega Pepper.
«Fantastico!».
Inquietante...
Ce la può fare.
Lo ripete più volte, per convincersene. Ce la può
fare, può risolvere quella situazione e uscirne viva,
può gestire la nostalgia di casa, può pensare
solo alle cose positive, tipo vedere quel viaggio come una lunga
vacanza da sogno... e può anche capire come miscelare
l'acqua in bagno visto che non c'è il rubinetto.
Ora che è senza vestiti, a fissare come un pesce lesso la
cabina della doccia, comincia anche a sentire freddo. Dove dovrebbe
esserci la manopola di un rubinetto c'è solo una placca di
metallo con due linee, una blu e una rossa, segnate sulla superficie di
acciaio satinato.
«Le occorre aiuto, signorina?». La voce di Jarvis
la fa quasi ribaltare per lo spavento.
In un gesto automatico, Nadia si porta una mano all'inguine e un
braccio a coprire il seno.
«Jarvis!» strilla, irritata.
«Sì, signorina?». La voce del robot
è sempre compita e incolore.
Se trovo la tua parte
hardware la distruggo a martellate!
«Jarvis, sono senza vestiti» borbotta la ragazza.
«Sì, signorina, i miei sensori visivi lo hanno
rilevato»
«E il tuo cervello elettronico non ti suggerisce l'idea che
non è... decoroso?»
«Mi scusi, non riesco a capire cosa intende, signorina. Ad
ogni modo, se si sta chiedendo come far funzionare la doccia deve
sapere che il miscelatore dell'acqua funziona con un comando tattile:
faccia scorrere il dito sulla striscia rossa per il caldo e sulla blu
per il freddo. Spero di esserle stato d'aiuto».
Nadia scuote la testa,
«Immensamente, Jarvis. Ora potresti, tipo, non so,
sparire?» borbotta.
Jarvis non dà alcuna risposta. La ragazza si guarda
istintivamente in giro, cercando sempre un punto di provenienza per la
voce del robot, ma ancora una volta non trova niente.
Si gratta la nuca imbarazzata, chiedendosi se non è stata
scortese con il maggiordomo invisibile e se lui non si sia offeso,
prima di ricordarsi che, dopotutto, si tratta di un robot.
«Perfetto, sto impazzendo anche io!» conclude prima
di infilarsi nella cabina doccia e mettersi ad armeggiare con i comandi
tattili del miscelatore dell'acqua.
*
In quel luogo non esiste il tempo.
Non c'è alcuna luce che scandisce il passare dei giorni, non
esiste il riposo e nemmeno il silenzio, c'è solo il continuo
rumore del vento che sferza ululando le pareti della sua prigione, che
si infila nelle fessure aperte nella pietra soffiando gelo sul suo
corpo nudo.
Loki non sa da quanto tempo è giunto lì, tornato
sul pianeta dei Chitauri.
Ha trascorso quelli che dovevano essere stati i primi due o tre giorni
nella sua nuova prigione, una grotta di pietra situata in cima ad
un'altura, con l'ingresso chiuso da sbarre di metallo gelido e scuro.
Lo hanno lasciato lì, senza dire nulla, senza che nessuno si
faccia mai vedere, con la sola compagnia di quel vento continuo ed
insistente.
Gli sembra alienante, ma ha come la sensazione che dovunque vada per
lui ci sia solo dolore e prigionia, non c'è un solo angolo
dell'universo infinito che non gli sia ostile. Il principe caduto non
ha più un posto dove stare, non ha più un luogo
che gli appartenga o che possa chiamare casa. Gli era parso
un sacrificio accettabile quando tutto era cominciato, e adesso, anche
se nessun rimpianto o nessun sentimentalismo osa sfiorargli la mente,
il dio dell'inganno vede con chiarezza ciò che ha perduto e
questo non fa altro che far montare ancora più la sua
rabbia. La sensazione di perdita e il bruciore del fallimento sono la
spinta che continua a far battere il suo cuore di pietra e
ombra.
Lì, seduto con la schiena contro la parete di roccia, Loki
ha cominciato a porsi delle domande. Si è chiesto come
abbiano fatto i Chitauri a trovarlo e a raggiungerlo mentre era in una
galassia tanto lontana dalla loro; il loro capo aveva parlato di nuovi
alleati e adesso il dio si sta domandando chi siano questi alleati e
quali siano le loro risorse.
Il tempo è trascorso pesante e vuoto, immobile come acqua
stagnante.
Forse la punizione di Thanos consiste nel voler lasciare che lui muoia
di inedia.
Ha trascorso quindi i primi giorni in elucubrazioni e in ragionamenti,
facendo congetture e ipotesi e, di tanto in tanto, abbandonandosi ai
ricordi dei fatti più recenti.
Gli avvenimenti di Venezia brillano nella sua memoria come fuochi che
esplodono all'improvviso in mezzo all'oscurità. Ricorda la
frustrazione dello scoprire di non potersi impossessare della pietra di
Borr, ricorda quella rabbia che non smetteva di ribollire dentro le sue
vene e che aumentava ad ogni ora passata in compagnia di insulsi esseri
umani. Ricorda l'irritazione per le tante cose che aveva visto passare
sotto i suoi occhi – e anche sotto la sua pelle –
senza che lui fosse stato in grado di capirle. E ricorda il furore
quasi folle nel dover ammettere con se stesso, ancora una volta, che
gli umani, che quegli
umani, non sono le creature ottuse e smarrite che credeva, che in fatto
di forza, tenacia e coraggio non hanno niente da invidiare alle
più potenti divinità guerriere. E ricorda Nadia,
e ogni volta che il suo nome gli attraversa la mente, è
sconcerto ciò che il dio prova. Sconcerto per quello che la
ragazza ha fatto per lui. Sconcerto per ciò che adesso lui
sta facendo per lei.
Loki è convinto che una parte di sé non
smetterà mai di essere pentita per non averla uccisa subito,
dopo la prima serata in sua compagnia; pietra o non pietra, avrebbe
dovuto affondarle le dita nel petto e fermarle il cuore. Una parte di
sé davvero rimpiange di non averlo fatto, ma l'altra parte
prova una sorta di sollievo al pensiero che Nadia adesso è
forse l'unica ragione sensata per continuare a rimanere vivo, a parte
la volontà di perseverare con i propri piani.
Nadia lo ha salvato dai demoni – è stato inutile,
Thanos lo ha catturato comunque, ma lei è rimasta fino alla
fine, ha fatto ciò che poteva e anche di più. Ora
lui deve ricambiare il favore, perché è giusto,
perché è un ingannatore e un assassino ma non un
ingrato.
Loki vede un'ombra disegnarsi sul pavimento di pietra della prigione.
Un sorriso arrogante di sfida gli si disegna sulle labbra mentre si
alza in piedi e posa lo sguardo sul capo dei Chitauri che lo sta
fissando oltre le sbarre, a debita distanza, come se lo temesse.
Certo, lo temono e fanno bene. Ha abbastanza energia per ucciderne a
decine, ma non può permettersi di sprecarla, quell'energia
gli serve per tornare su Midgard, anche se non è affatto
facile come pensava. Ora la Terra si trova in una galassia troppo
distante, non sa nemmeno lui quanto e un solo errore di calcolo
rischierebbe di farlo rimanere inchiodato lì per sempre; non
può concedersi il lusso di fare cose azzardate o di
affrettare i tempi, deve attendere di essere sicuro di indirizzare
l'energia nella giusta direzione per collegarsi di nuovo alla pietra e
lasciarsi trasportare via da quell'inferno di gelo e
immobilità.
«Giungo a te con delle notizie, asgardiano» dice
cupo il capo dei Chitauri.
Loki mantiene un'espressione impassibile, non vuole lasciar trasparire
la sua tensione, non darà a quel rifiuto dell'universo la
soddisfazione di vederlo spaventato o turbato.
«Egli è tornato, è qui ed è
impaziente di vederti».
«Molto bene, non attendo altro» replica il dio,
fingendo una calma che in quel momento non gli appartiene.
«La tua ostentata spavalderia non ti salverà, principe».
Loki serra nervosamente le mascelle. Ha molte domande da fare e sa che
deve tentare, dopotutto i suoi carcerieri sono convinti che lui
resterà lì fino a quando non riusciranno a
cavargli la vita dal petto.
«Ancora non mi hai spiegato come avete fatto a rintracciarmi
e a spostarvi a una distanza tale da raggiungermi» dice,
cercando di dissimulare la curiosità e la preoccupazione per
la risposta.
«Nuovi alleati, come ti dissi».
Loki non sa se sia prudente insistere e incalzare il suo orrido
interlocutore con altri quesiti. Scrolla le spalle e fa per voltarsi
con aria indolente.
«Ebbene, asgardiano, voglio farti un dono» aggiunge
il capo dei Chitauri con un sorriso malevolo. «Voglio donarti
la consapevolezza che avrai la tua vendetta e in parte i tuoi desideri
saranno esauditi da altri».
«Spiegati» esclama Loki, tornando a voltarsi di
colpo.
Dannata feccia
putrescente...
La sua vendetta appartiene a lui, come pure i suoi desideri, nessun
altro può portare a compimento i suoi piani
perché non si è mai trattato di cosa fare ma del perché
farlo. Voleva distruggere suo fratello perché lo odia,
voleva conquistare Midgard perché gli spetta un trono...
«Quell'insignificante grumo di vita sciagurata che
è la Terra verrà distrutta» dice piano
il capo dei Chitauri.
Loki sente un battito sordo rimbombargli dal petto in ogni parte del
corpo. La Terra è il suo unico porto sicuro adesso, e in
ogni caso, distruggerla non ha mai fatto parte dei suoi piani
né dei suoi desideri. Non ha mai voluto distruggere nulla,
voleva solo governare, come gli spetta per diritto.
«Non sapevo che Thanos fosse così interessato alla
sorte di quel piccolo, insulso mondo» replica, sperando che
il suo interlocutore aggiunga altri dettagli a quanto ha già
detto.
«Oh, tu credi che sia lui a volere questo? Ti inganni,
asgardiano, al mio signore non importa di quel pianeta»
«E allora chi?».
Il capo dei Chitauri si lascia scappare una risata roca e gutturale che
sembra il suono delle montagne quando franano. Dopo qualche istante di
silenzio poi si china verso le sbarre,
«Non sei l'unico, in tutti i beneamati Nove Regni, che vuole
vendetta contro il figlio di Odino» asserisce quasi
divertito.
Loki fissa attonito il profilo del capo dei Chitauri allontanarsi dalla
sua cella e sparire nella penombra.
Ogni singola parola del dialogo appena avvenuto gli rimbalza nella
testa. Distruggere la Terra per vendicarsi di Thor che ha preso quel
pianeta sotto la sua protezione... la mente stanca di Loki non riesce a
ragionare su chi possa essere colui che vuole realizzare una simile
impresa, né cosa abbia a che fare costui con Thanos e i
Chitauri.
Quello che sa è che il brivido che gli sta passando lungo la
schiena non è da imputare al freddo.
____________________________________________________________________
Note:
Schizofrenia portami via... ehm... no, mi spiego. Non so se
l'alternanza dei diversi punti di vista e delle diverse situazioni sia
“piacevole”, cioè non vorrei che il
passaggio da scene che vorrebbero essere comiche (Nadia in bagno che si
imbarazza per Jarvis) a scene notevolmente più cupe e
drammatiche (Loki prigioniero sul pianeta dei Chitauri), faccia tipo
venire le vertigini a chi legge; nella prima parte di questa storia il
fatto che i diversi personaggi si trovino in posti distanti e in
situazioni che, al momento, non c'entrano molto l'una con l'altra mi
impone di dosare così anche i contenuti delle varie scene.
Jane, sì. Jane-ommiodio che casino-Foster. L'avevo detto che
ci sarebbero state altre facce note. Fatele ciao ciao con la manina :)
Questa storia dovrebbe essere un po' più lunga (???) e
complessa della precedente, oltretutto ho anche cominciato la
specializzazione all'università, per cui aggiornare
più di una volta a settimana è impossibile, ma vi
garantisco l'aggiornamento ogni venerdì (così io
ho una scadenza da rispettare e chi vuole ha tutto il tempo di leggere
con calma senza che si accavallino i capitoli).
Chiedo scusa anche se notate che ci metto un po' a rispondere alle
recensioni, ma don't worry, è la parte più
divertente di questo “lavoro” e non
smetterò mai di farlo :P
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto:
HERE
A venerdì prossimo, quindi ^^
|
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Capitolo 3 *** Two months ago - part two ***
Capitolo secondo
Two months ago
– part two
Nadia è lì da pochi giorni e si sente stranamente
tranquilla. Non ha avuto il tempo di abituarsi a niente in
realtà, ma sta cominciando a provare un senso di rassegnata
accettazione per tutto quello che è accaduto. Nemmeno la
voce di Jarvis che spunta dal nulla le fa più impressione.
Però comincia a sentirsi un po' di peso in casa Stark.
Pepper è partita per una conferenza a Los Angeles, lei e
Tony stanno organizzando qualcosa di grosso che riguarda una
dimostrazione pubblica sull'utilizzo del famigerato reattore Arc come
fonte di energia pulita e poi parlano spesso di un'impresa, la Golden
Hope o qualcosa del genere, con cui le Stark Industries stanno
collaborando a un progetto che a Pepper sta molto a cuore per una
qualche ragione che Nadia ancora non ha compreso.
Tony dovrebbe a essere a Los Angeles, assieme alla sua donna, ad
occuparsi della sua attività e a mostrare al mondo
ciò che il suo instancabile cervello è riuscito a
produrre. E invece è a New York, a recitare la parte del
dirigente industriale assennato – una parte che non gli si
addice nemmeno un po' – per non lasciare Nadia da sola.
In generale, Tony la sta tremendamente viziando, Nadia ha la sensazione
che se lei dicesse, anche solo per scherzo, di volere una stella, lui
comprerebbe un dipartimento della NASA e menderebbe degli astronauti a
tirare Alfa Tauri giù dal cielo. Ma lei sa che tutto quello
che il caro signor Stark vuole fare è tenerle la mente
occupata; ciò che il suo amico non capisce è che
non c'è niente di abbastanza grande da poter tappare il buco
nero che Nadia ancora si porta dentro.
L'autista l'ha accompagnata fino a quella stradina, a un paio di
isolati dalla Stark Tower, dove c'è una tavola calda che fa
lo shawarma – che Nadia ha finalmente capito trattasi di una
piadina farcita di kebab. Tony le ha proposto di andare a prendere lo
shawarma e di raggiungerlo in ufficio per pranzare assieme, le ha anche
promesso un aneddoto assolutamente esclusivo e top-secret su quel
kebab.
Così adesso la ragazza si ritrova a camminare in un vicolo
di New York, mani sprofondate nelle tasche dei jeans e naso
all'insù, a osservare distrattamente il cielo rigato dai
cavi del tram che sembra lontanissimo.
La sua attenzione viene catturata dal chiosco di un'edicola, tra gli
espositori di giornali e fumetti spunta un pannello di plexiglas sul
quale sono in mostra alcune maschere di plastica, il cartellino scritto
a mano dice ''9,50 $''. In mezzo alle facce di personaggi di cartoni
animati e personaggi televisivi spunta una fila di maschere che
riproducono in maniera un po' approssimativa i volti degli Avengers.
Oh, Dio...
Nadia si avvicina, allunga una mano a prendere la maschera con la forma
dell'elmo di Iron Man. Due fori vuoti, lì dove dovrebbero
esserci le fessure luminose, sembrano fissarla.
La ragazza capisce di non essersi mai resa conto davvero del
significato più profondo della parola eroe, del valore
che la gente dà a certe cose.
New York porta ancora addosso i segni della distruzione,
un'infinità di cantieri delimitati da strisce di nastri di
plastica disegna i contorni delle cicatrici lasciate dalla battaglia,
squadre di operai lavorano per rimettere in sesto strade distrutte,
facciate di palazzi sfondate, buche nell'asfalto.
È il male a far nascere gli eroi, e il male che quella
città ha subito ha un volto e un nome, proprio come quelli
delle persone che l'hanno salvata.
Loki...
Nadia non ha più pensato a lui da quando è
arrivata in America. Ha preferito relegare quel ricordo in un angolo
buio e ha fatto in modo che nemmeno la luce più flebile
giungesse mai a sfiorarlo.
Alla vista delle strade di una New York martoriata, il pensiero di Loki
sfoca nella sua mente, come il ricordo di quello che è
accaduto a Venezia. In quei giorni Nadia trovava così
difficile credere che non ci fosse altro che male dentro di lui, come
invece gli Avengers non facevano altro che ricordare e come Thor
cercava così disperatamente di ignorare. Ora la ragazza si
sente come quella città, devastata, ferita per la sola colpa
di aver incrociato per caso il suo cammino con quello del dio
dell'inganno.
Una maledizione le brucia nella gola, una maledizione che quasi con
stupore Nadia non riesce a far arrivare alle labbra.
Che tu sia maledetto,
Loki, dovunque tu sia.
Il pensiero non prende voce, non si concretizza, rimane una sensazione
di furore frustrato in fondo allo stomaco.
Non riesce a volergli male, non ce la fa. Non ce la farà
mai. Spera solo di essere in grado di dimenticarlo, prima o poi.
Ripone la maschera di Iron Man sull'espositore e torna a camminare per
raggiungere la tavola calda dove fanno lo shawarma.
L'autista – ok, non si abituerà mai ad avere un
autista, nemmeno tra un milione di anni – l'accompagna alla
sede delle Stark Industries e Nadia si ritrova a camminare in un dedalo
di corridoi lucidati a specchio, sotto lo sguardo di una miriade di
gente in giacca e cravatta o tailleur, con un sacchetto di carta che
spande attorno un forte odore speziato. Magari sono tutti abituati alle
stravaganze del padrone di casa, ma lei deve sembrare proprio un pesce
fuor d'acqua.
Quando raggiunge l'ufficio di Tony, nel cuore del dannato palazzo,
trova la porta chiusa e un tizio dall'aria nervosa che cammina avanti e
indietro, reggendo tra le mani una cartellina.
Il tizio in realtà è un ragazzo forse di pochi
anni più grande di lei; sembra non voler fare altro che
schizzare fuori dal completo blu scuro e gettarsi sotto una doccia,
stando al modo in cui si tormenta il nodo della cravatta, ma se
continua così tutto ciò che otterrà
sarà di scavare un solco sul pavimento a forza di muoversi
su e giù per quel metro di mattonelle.
«È impegnato al telefono» bisbiglia il
ragazzo quando vede Nadia fissare la porta chiusa dell'ufficio del
grande capo. «Il signor Stark, intendo, è occupato
con una telefonata, sembra molto importante perché per
rispondere mi ha fatto uscire».
Lei annuisce con un mezzo sorriso, mormorando un vago
«Ok» e guardando lo sconosciuto con aria un po'
perplessa.
«Sembra di pessimo umore» squittisce lui, con voce
afflitta.
Certo, Tony diventa sempre un po' nervoso quando Pepper non
c'è, senza contare che in quei giorni ha parecchie gatte da
pelare sia al lavoro che fuori, e lei è una di queste; ma il
ragazzo sembra proprio sul punto di mettersi a dare testate contro il
muro, come se tutti i mali del mondo stiano per ricadere sulle sue
spalle.
«Sono certa che non ti staccherà una mano a
morsi» gli dice lei, nel goffo tentativo di farlo calmare.
«Dici? Ah!... oh, scusa, io sono Mike Glanville»
«Piacere, mi chiamo Nadia».
Si stringono la mano e lui fa un mezzo sorriso, riuscendo ad apparire
per un secondo un po' più rilassato. È carino,
con i capelli castano chiaro tagliati corti, una carnagione di
un'insolita tinta ambrata e gli occhi chiari. A Nadia sono sempre
piaciuti i ragazzi con gli occhi chiari, anche quando si tratta di
occhi profondi e gelidi come quelli di...
Stringe le palpebre per ricacciare indietro quel pensiero del tutto
fuori luogo e tenta di concentrarsi sul ragazzo che aveva davanti.
«Sì, ho sentito parlare di te in questi
giorni» mormora lui, tamburellando le dita sul fondo della
cartellina che ha tra le mani.
«Come il cagnolino del signor Stark, immagino»
borbotta la ragazza.
Mike sgrana gli occhi,
«Tony Stark ha un cagnolino?» dice, fingendosi
sconvolto con un'espressione talmente buffa che Nadia si ritrova a
ridere.
Il ragazzo scuote la testa e si va a sedere su una delle poltrone di
pelle rossa sistemate nell'elegante anticamera. Un sole tiepido entra
attraverso i vetri delle grandi finestre.
«Sembra che tu debba andare a incontrare un plotone
d'esecuzione, comunque» dice la ragazza raggiungendolo.
«Più o meno. Sono uno stagista, mi ha assunto la
signorina Potts. Mi sono da poco laureato in ingegneria ed è
una grande opportunità per me lavorare qui... ma il signor
Stark alle volte è così incomprensibile e
irritante. Oddio, scusa, non avrei dovuto dirlo»
«Rilassati Mike, non lo verrà a sapere da me. E
comunque sì, temo che sia del tutto pazzo»
conclude Nadia, sghignazzando.
I due ragazzi restano a chiacchierare per una decina di minuti, fino a
quando le porte dell'ufficio di Tony non si aprono e Mike sparisce
oltre i battenti, non prima di essersi voltato un'ultima volta verso di
lei e aver mimato il gesto di incrociare le dita.
***
Sono passati otto giorni da quando Nadia è arrivata a New
York.
Quel mattino se ne sta seduta scomposta sul divano, con il naso tra le
pagine di Game of thrones. Il tuttofare, in giacca di Hugo Boss,
è appena arrivato a portare una scatola di ciambelle
glassate proveniente da una determinata pasticceria dall'ubicazione
ignota a cui il signor Stark sembra essere particolarmente devoto.
Nadia ha sviluppato un odio immediato per il caffè
americano, e in generale il cibo di quel posto non la fa proprio
impazzire, ma è certa che le ciambelle glassate che Tony si
fa arrivare ogni mattina potrebbero fermare un'eventuale terza guerra
mondiale.
La ragazza sta giusto addentando la prima ciambella, con la glassa
bianca e gli zuccherini verdi, quando la voce di Jarvis soffia dagli
altoparlanti, facendole avere un sobbalzo e facendo rovesciare la tazza
di caffè di Pepper – rientrata il giorno prima dai
suoi impegni californiani – sul suo librone fantasy.
«L'agente Hill è di fuori, signore» dice
la voce robotica.
«Fammi indovinare: è urgente» borbotta
Tony.
«Così sembrerebbe, signore»
«Se ti lasci di nuovo bypassare, Jarvis, io ti
smagnetizzo!»
«Ma, signore...».
In quello stesso istante la porta dell'ascensore si apre e fa la sua
comparsa una donna che attraversa il grande open space con un passo
quasi marziale. La donna è giovane, indossa stretti jeans
scuri e una giacca di pelle nera con la cerniera abbottonata fino al
mento.
«Stark...» dice con un sospiro spazientito, come
una maestrina che si rivolge a uno scolaro particolarmente negligente.
«Fury vi sta aspettando, te e la ragazza, da una settimana».
Nadia sposta più volte lo sguardo tra Tony e la donna,
confusa. Fury è il direttore dello S.H.I.E.L.D, lo sa, come
sapeva che prima o poi avrebbe dovuto incontrarlo. Ha intuito che Tony
aveva rimandato l'incontro per darle il tempo di ambientarsi e
probabilmente per organizzare qualcosa personalmente, prima che il capo
di una super associazione segreta decidesse cosa fare di lei e
prendesse iniziative poco piacevoli, ma tutti hanno i propri limiti,
anche i geni miliardari supereroi a tempo perso.
«Oh, cielo!» esclama Tony, enfatizzando un'aria
mortificata falsa quanto una banconota da quindici euro. «La
mia segreteria è in ferie e io non so dove tiene l'agenda in
cui segna i miei appuntamenti, per questo forse mi è
sfuggito, ma quando torna Nick può telefonarle e fissare un
incontro così magar...»
«Una macchina ci aspetta di sotto» lo interrompe la
donna, perentoria.
«D'accordo» capitola l'uomo, strizzando l'occhio in
direzione di Nadia, come a dirle di non preoccuparsi. «Una
ciambella, agente Hill?».
L'agente Hill non ha voluto nessuna ciambella, non ha nemmeno voluto
aspettare un minuto di più. Nadia e Tony si sono ritrovati
assieme a lei in ascensore; la ragazza ha letto qualcosa di strano e
poco promettente nel modo severo in cui la donna guarda il suo amico.
L'auto li lascia davanti a una palazzina bassa dalla facciata bianca,
la bandiera a stelle e strisce che sventola sulla cornice di marmo
della porta. Di certo quella non è la base dello
S.H.I.E.L.D, Nadia ne è sicura, si tratta forse solo di un
qualche ufficio che loro prendono in prestito per svolgere
attività particolarmente tranquille. Questo in qualche modo
dovrebbe rassicurarla, ma non le fa piacere essere lì,
sopratutto esserci arrivata in quel modo, con la donna dallo sguardo
adamantino che sembra sul punto di scaricare la pistola addosso a Tony.
Sono appena entrati nel palazzo e stanno percorrendo un'anticamera dal
pavimento di marmo liso, un po' come quello dei vecchi palazzi di
Venezia, quando sentono il portone aprirsi alle loro spalle e dei passi
strascicati avvicinarsi.
La donna inarca un sopracciglio e fa per voltarsi.
«Ma tu guarda, Guglielmo Tell di ritorno dalle Alpi
Svizzere» esclama Tony.
Clint Barton fa un mezzo sorriso e si avvicina con un'andatura
vistosamente zoppicante. Batte una mano sulla spalla di Nadia e le
strizza l'occhio.
«Allora sono rientrato giusto in tempo per il tuo debutto in
società. Nat mi ha mandato un messaggio
stamattina» dice.
«Oh, mi fa piacere che ci sia anche tu. Ehm...
Clint»
«Sì?»
«La gamba, stai sanguinando»
«Lo so».
Nadia non aggiunge altro e non fa domande. Non si aspetta plateali
dimostrazioni d'affetto dal super efficiente agente Barton ma
è intimamente contenta che Clint si sia presentato
lì, di ritorno da chissà quale missione, stanco e
zoppicante, per assistere al suo incontro con le alte cariche dello
S.H.I.E.L.D.
In quei giorni trascorsi a Venezia si è affezionata a ognuno
di loro, ha imparato ad amare tutte le loro strane – e in
alcuni casi inquietanti – peculiarità e, volendo
definire l'amicizia come l'incontro perfetto tra l'affetto e la
fiducia, quelle persone sono di certo i suoi migliori amici.
La contentezza di Nadia sfiora vette da record quando, saliti
all'ultimo piano del palazzo, si ritrovano in un corridoio dove ci sono
altri visi noti che l'aspettano.
Bruce, Steve e Natasha sono in piedi davanti all'unica porta, le
sorridono quando la vedono comparire all'aprirsi dell'ascensore.
L'agente Hill – Maria
Hill, ha appreso Nadia – entra nell'unica stanza del piano e
lascia per qualche minuto la ragazza ai saluti degli Avengers.
«Ehi, Maciste come sei arrivato qui? Il traffico cittadino
non ti fa saltare i nervi?» chiede Tony guardando perplesso
Bruce.
«Mi ci hanno portato in elicottero, in
realtà»
«Ingegnoso. È un peccato che non si possa
telefonare a Boccoli d'oro, immagino sarebbe venuto anche
lui».
Nadia spalanca la bocca in una perfetta O di stupore. Sono davvero
tutti lì per lei, hanno voluto esserci. La ragazza sente un
forte senso di commozione e gratitudine stringerle il cuore e un attimo
dopo comincia la nausea.
Oh, no...
Ha imparato a riconoscere i sintomi, prima un leggero attacco di
nausea, poi il mal di testa, poi la nausea che si fa sempre
più forte, e infine il vomito e lo stordimento. D'accordo,
forse è solo l'emozione, non deve pensarci e non vuole
presentarsi al direttore dello S.H.I.E.L.D. con l'aria sofferente.
Maria Hill apre la porta e fa cenno a Nadia di entrare.
«Solo la ragazza» specifica quando gli altri fanno
per varcare la soglia dietro di lei.
«Non dica sciocchezze» la rimbecca Tony mantenendo
aperto il battente di legno. «Banner è
già abbastanza irritato dai rumori dei clacson».
La Hill si volta verso il suo superiore, guardandolo incerta, lui
scuote il capo in segno di resa ma sbuffa come un toro pronto alla
carica.
Dunque quello è Nick Fury. L'uomo di colore è
vestito di nero, con una benda di cuoio scuro sull'occhio sinistro. Una
ragnatela di segni lividi è visibile oltre il contorno della
benda e Nadia pensa che la storia di come il direttore dello
S.H.I.E.L.D. abbia perso l'occhio deve essere parecchio splatter.
La stanza è vuota, il pavimento di legno è sporco
di fuliggine e in un angolo sono ammucchiati scatoloni coperti di
polvere. L'unico arredo è un sedia laccata di bianco che ha
certamente visto tempi migliori.
«Benvenuta, signorina Berton, si sieda» la invita
Fury, che è in piedi contro una grande vetrata; la luce che
entra mette ancora più in risalto il tetro della sua figura.
Nadia ne ha paura e il cuore smette di batterle all'impazzata solo
quando si accorge che dietro la sedia su cui si è lasciata
cadere ci sono gli Avengers. La squadra di eroi che ha salvato la Terra
è in piedi, alle sue spalle, a braccia conserte come a
intimare a Fury di andarci piano. Essere sotto la protezione di quei
tizi è elettrizzante in un certo senso.
«Come si sente, signorina Berton?». Nick Fury
sbaglia a pronunciare il suo cognome, facendo cadere l'accento sulla O,
la vocale sbagliata.
Nadia sbatte più volte le palpebre,
«Sto bene, signore» risponde in tono compito.
«Mi fa piacere, ma non è quello che risulta dalle
nostre informazioni».
«Oh, lei vuole sapere di questo» borbotta la
ragazza scostando la manica della maglietta e mettendo in mostra il
bracciale, un semplice ninnolo d'argento con delle incisioni simili a
delle rune e una pietra opalescente incastonata nel mezzo.
«So che mi ha tenuto sotto sorveglianza a Venezia, non so
come ma suppongo siate anche entrati in possesso di informazioni
mediche su di me. Ci sono lacune nel rapporto che le è stato
fornito? Perché in questo caso sarei ben lieta di aiutarvi a
colmarle, appena lei mi avrà detto due cose».
Fury incrocia le braccia sul petto e corruga la fronte. C'è
una nota ostile nella voce di Nadia e di sicuro la cosa non
è sfuggita all'uomo in nero. E lui deve essere il tipo da
rispondere all'ostilità con mezzi piuttosto bellicosi.
«Cosa vuole sapere?» le chiede dopo qualche
istante, senza che nessuna emozione gli smuova il tono di voce.
«Come pensate di aiutarmi e perché volete
farlo».
Fury attraversa la stanza con passo rigido, le si avvicina ed estrae un
foglio piegato dalla tasca interna della giacca.
«Voglio sapere se sa qualcosa di questo e se è in
grado di darci una mano, tanto per cominciare» spiega,
porgendo il foglio alla ragazza.
«Cos'è questa novità?»
esclama Tony. «Credevo che ormai fossimo amici Niky, che ci
dicessimo tutto»
«Che dopo l'infelice uscita delle armi nucleari lei avesse
smesso di nasconderci le cose» puntualizza Steve, crucciato.
«Grazie, Capitan Preistoria».
«Che cos'è? Un'ecografia?» borbotta
Nadia senza capire, rigirando più volte il foglio che ha tra
le mani e cercando di decifrare l'immagine confusa che è
stampata sopra, un'insieme di macchie chiare e scure disposte in
circolo.
«È l'immagine ripresa da un telescopio
elettronico» spiega Bruce dopo aver inforcato un paio di
occhiali. «Ma cosa c'entra con Nadia?».
«Quello nell'immagine è un warmhole, il fenomeno
è stato registrato dalla dottoressa Foster» dice
Fury. «L'ultima volta che si è verificato un
simile evento è stato in New Mexico, meno di un anno fa. Fu
quando il nostro amico Thor piovve dal cielo, dopo di lui
arrivò il suo martello, poi i suoi compagni d'armi e infine
un mostro metallico che rase quasi al suolo la città di
Puente Antiguo. Poi c'è stato il varco del Tesseract che ci
vomitò addosso Loki, avete bisogno che vi rammenti quali
sono state le puntate successive?».
Nadia sente la nausea aumentare e l'agitazione crescere. Il solo fatto
che si sia accennato al nome di Loki non migliora molto la sua
situazione psicofisica. Tra l'altro, restando in ambito di
divinità assenti, se non ricorda male, la dottoressa Foster
dovrebbe essere l'astrofisica Jane, la ragazza di Thor.
«Va bene» sbotta all'improvviso, gettando via il
foglio che ha tra le mani. «Non capisco, signor Fury, cosa si
aspetta che io sappia di questa roba»
«Non mi aspetto niente, signorina Berton. Ma so che Loki si
è messo in contatto con lei dopo che se n'era andato da
Venezia, se per caso ha delle notizie o ci sono stati altri episodi dei
quali non ci ha riferito, questo è il momento buono per
farlo».
Nadia muove la bocca a vuoto, senza che le parole le arrivino alle
labbra, sconvolta com'è. Ha raccontato del sogno in cui
aveva incontrato Loki durante il viaggio in aereo, Ha detto a Tony e
agli altri quello che lui le aveva spiegato sulla faccenda
dell'assorbimento dell'energia e probabilmente è stata
Natasha a raccontare i dettagli al direttore, e fin qui può
anche andarle bene, ma perché Fury si aspetta che lei sappia
qualcosa di Loki? Loki è sparito, l'ha abbandonata, a Loki
non importa niente di lei e se anche avesse avuto dei piani, non era
con lei che li avrebbe condivisi.
«Voi pensate che Loki c'entri con quel warmhole?»
riesce a dire, alla fine, cercando di ritrovare un po' di autocontrollo.
«Potrebbe. Non conosciamo nessun altro che si muova in quel
modo attraverso lo spazio»
«Forse non le è chiaro, signor Fury, che io non
vedo Loki da più di un mese». Mi ha lasciata a morire.
A quel punto della conversazione, la nausea si è fatta
intollerabile – come la conversazione stessa, del resto.
«Va bene» concede Fury. «Quello che
voglio evitare, signorina Berton, è che lei faccia qualche
sciocchezza»
«Sciocchezza?»
«Sì, qualche sciocchezza sentimentale. Loki
è pericoloso e se stesse cercando di fare qualcosa,
qualsiasi cosa fosse, andrebbe fermato con ogni mezzo. Lei questo lo
capisce, vero?».
Nadia mette su un sorriso mellifluo,
«Vede, signore» mormora con gelido sarcasmo.
«Se io avessi tra le mani Loki in questo preciso momento, lo
fermerei staccandogli la testa, anche se non stesse architettando
niente».
Fury fa un sospiro colmo di pena e preoccupazione, è la cosa
più umana ed emotiva che Nadia gli ha visto fare da quando
è entrata in quella stanza. Poi le dà le spalle e
si avvicina alla vetrata tenendo le mani incrociate dietro la schiena.
«Era come avevi detto, Stark» mormora in tono
grave. «La ragazza è innamorata».
Nadia si sente avvampare, non tanto per l'imbarazzo e nemmeno per la
voglia di gridare che non è affatto vero, ma
perché ha sentito un'ondata di calore venire da dentro.
È un calore sgradevole, come quello della febbre, che le
serpeggia nelle vene, lasciandosi dietro una scia di dolore.
È come quella notte, sull'isola di San Michele, quando aveva
usato l'energia per esorcizzare i demoni.
Cerca di non pensarci, si volta di scatto a guardare Tony con aria
adirata.
«Io... ehm... non ho detto proprio così...
cioè» farfuglia lui, colto alla sprovvista.
Una sensazione strana attraversa la mente della ragazza, è
qualcosa come un fulmine o come una lama che taglia. Sente lo
scricchiolio del vetro e sente il calore e il malessere evaporare dal
suo corpo per spandersi nell'aria. Negli istanti che seguono, tutto
quello che prova è terrore.
«Direttore Fury» dice, con la voce che le si
spezza. «Si... si sposti da lì...».
Un attimo dopo la vetrata va in frantumi, esplodendo verso l'interno.
Nadia resta immobile a guardare i frammenti di vetro che volano in ogni
direzione, spinti dalla forza dell'esplosione che, senza sapere come,
lei stessa ha provocato. Vede un braccio oscurarle la visuale e si
ritrova serrata nella stretta di qualcuno che cerca di proteggerla dai
vetri, qualche frammento le si impiglia nei capelli e nelle pieghe dei
vestiti.
È questione di pochi secondi, ma la ragazza li sente
dilatarsi nella sua mente, come una scena a rallentatore.
È stato Steve a gettarsi addosso a lei; Nadia si libera
cautamente della sua presa e si guarda attorno.
«Cazzo!» ringhia Fury, staccandosi una grossa
scheggia di vetro dal palmo della mano. Ha diversi tagli sul viso e
sulla testa calva, Maria Hill gli porge un fazzoletto con il quale lui
si tampona il sangue.
Nadia guarda smarrita prima lui, poi gli altri che sono alle sue
spalle.
«Bello, molto coreografico» fa Tony, alzandosi in
piedi.
«Tu stai bene?» chiede Bruce alla ragazza.
Lei annuisce meccanicamente. No, non sta affatto bene, sapere che
l'energia dentro il suo corpo può fare cose del genere non
è per niente rassicurante, senza contare che quell'energia,
stando a quanto aveva detto Loki, prima o poi la ucciderà.
«Vuole mettermi in una cella nascosta e usarmi come cavia da
esperimenti, direttore?» chiede poi Nadia quando Fury si
rimette in piedi.
«Non mi tenti, signorina Berton. Non mi tenti»
borbotta lui, continuando a tamponare un taglio sulla tempia che non
smette di sanguinare e continuando imperterrito a sbagliare l'accento
del suo cognome. «Comunque sia, questo è quello
che faremo: un bel check-up medico completo»
«Con la supervisione del dottor Banner, immagino»
dice Tony. Non è una proposta, suona più come un
ordine ma Fury fa finta di ignorare il tono poco democratico di quelle
parole.
«Con la supervisione del dottor Banner» concede.
«Poi vedremo di capire se incidenti come questo sono
evitabili con qualche attività specifica».
«Attività specifica?» ripete Nadia,
senza capire.
«Addestramento, perché no?» risponde
Natasha con un mezzo sorriso, tirandole un buffetto sulla spalla.
«Possiamo senz'altro organizzare qualcosa di
divertente» le fa eco Clint.
«E per i momenti peggiori puoi usare Capitan Ghiacciolo come
pungiball, tanto lui mica si rompe...» aggiunde Tony.
«Possiamo senz'altro provare» si arrende Steve con
un'alzata di spalle.
«E lei preghi,
signorina Berton, preghi che questo sia sufficiente» conclude
Fury con sguardo duro.
***
Sono trascorsi diversi giorni di snervante nulla, nei quali Loki
è rimasto solo con i suoi pensieri.
Le parole del capo dei Chitauri hanno continuato a rimbalzargli nella
mente senza trovare una collocazione precisa. I punti di domanda di
mille questioni senza risposta sono come uncini che si conficcano nella
sua testa.
Chi vuole distruggere la Terra e perché?
Cosa c'entra tutto ciò con il fatto che i Chitauri hanno
potuto viaggiare fino al luogo isolato in cui lui si era nascosto dopo
essere fuggito da Venezia?
Il tempo è diventato una massa informe di vuoto che Loki non
riesce a quantificare.
Poi, senza preavviso, il suo supplizio è cominciato.
Vengono a prenderlo e lo portano al cospetto di Thanos, gettandolo
bocconi sulla terra ai suoi piedi. Loki sente l'umiliazione cominciare
a bruciargli fin dentro le viscere, ma sa che non è
né saggio né sensato opporre resistenza in quel
momento.
Colui che una volta gli aveva fatto da maestro non proferisce alcuna
parola. Non c'è niente da dire e nemmeno niente che merita
di essere ascoltato, sanno entrambi perché lui è
lì.
Comincia all'improvviso, dal silenzio; si abbatte su di lui con la
violenza di un'esplosione. Loki non sa qual è la fonte di
quel dolore lancinante, non riesce a capire se proviene dalla sua mente
o dal suo corpo. È come un fluido che gli si riversa addosso
sempre più copioso, fino ad annegarlo, è dentro
di lui e sulla sua pelle, anche se nessuno lo ha toccato. Dopo qualche
istante percepisce solo le scintille di rosso che si accendono dietro
le sue palpebre chiuse e lo sforzo immane di tener serrate le labbra il
più a lungo possibile, di non regalare al suo carnefice la
soddisfazione delle sue grida. È un proposito che riesce a
rispettare per una discreta quantità di tempo, ma poi deve
cedere al dolore, una sensazione di bruciore e di strofinio di lame che
parte dall'interno del suo corpo e risale fino alla pelle, lacerandola;
e quando comincia a gridare, il dio non ne è nemmeno
più cosciente, il male fa impazzire il suo corpo, annullando
ogni suo senso. Sente solo due gocce di sudore scendere lentamente
dalla tempia fino alla mascella e l'odore ferruginoso del suo stesso
sangue. E in mezzo a quelle sensazioni orrende, affiorano i suoi
ricordi peggiori, immagini nitide e perfette di tutti gli avvenimenti
che in passato gli hanno provocato sofferenza, tutte le delusioni,
tutte le sconfitte che si gonfiano nella sua mente e la invadono, come
un assedio che non sa respingere.
Perché Thanos conosce i suoi nervi scoperti, quelli del suo
corpo e quelli della sua mente. Lui può creare trame di
incubo e sofferenza in cui le sue vittime non possono fare altro che
dibattersi come pesci trascinati sulla riva cocente di una spiaggia,
senza respiro, senza scampo.
Poi il buio arriva inatteso, come una benedizione.
Si risveglia nella grotta-prigione, di nuovo solo, con il rumore del
vento a martellargli nella testa. È steso di
fianco sulla roccia e impiega qualche secondo a realizzare di essere
completamente nudo e in balia del gelo che soffia su quell'altura
desolata. Ad ogni minimo movimento, un bruciore acuto si spande in ogni
parte del suo corpo, ma Loki si sforza ugualmente di mettersi a sedere.
Quell'orrore è appena cominciato, e ci vorrà
tempo prima che lui riesca a capire come creare un varco di energia da
quella galassia fino alla Terra. La consapevolezza di tutto
ciò potrebbe bastare a gettarlo nella più totale
disperazione, ma Loki si impone di restare lucido, si aggrappa alla sua
rabbia con tutta la forza che ha, come ha già fatto in
passato, e giura a se stesso che sopporterà. Che ancora una
volta sopravvivrà e tornerà più forte
di prima.
____________________________________________
Note:
Fate
ciao ciao anche a Mike, nuovo personaggio originale che è
entrato a
far parte della baracca. Ho grandi progetti per quel ragazzo.
Nel
prossimo capitolo ci sarà un grosso salto temporale, la
storia
ripartirà dai giorni successivi a quello che avete letto nel
prologo, due mesi dopo l'arrivo di Nadia a New York.
Thanos.
Parliamone. So che il personaggio all'interno dei fumetti ha tutta la
sua bella caratterizzazione e il suo perché, lo so
più che altro
perché mi è stato spiegato da chi ne sa
più di me.
Ma
qui siamo nel movieverse. E fino ad ora, nel movieverse, di Thanos
non ci hanno detto niente, per cui (considerando anche che lui non
sarà un personaggio particolarmente rilevante nella trama)
io
improvviso, non per pigrizia nel documentarmi, semplicemente
perché
mi baso sul materiale che ho a disposizione: i film, appunto.
Ho rimesso mano a photoshop... si salvi chi può!
Ci leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento.
Per
curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
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Capitolo 4 *** Taking chances – part one ***
Capitolo terzo
Taking chances
– part one
La sera prima, durante la chiamata via webcam, Sara le ha detto che la
trova in forma, che pensa che quei due mesi in America le abbiano
davvero giovato. Nadia ha ricacciato in gola l'ennesimo sospiro
malinconico e ha sorriso sciolinando qualche battuta sul fatto che
è sempre in giro e fa molto movimento.
Questa non è del tutto una bugia. Non è affatto
una bugia, anzi.
Sono due mesi che quasi ogni giorno si allena con Clint e Natasha e di
certo il suo fisico e il suo aspetto ne hanno giovato, ma a parte
questo non ci sono altri effetti positivi. Non ha più fatto
esplodere niente, è chiaro, ma le crisi non sono cessate.
Dai vari controlli medici a cui l'hanno sottoposta non è
emerso niente di anomalo; sfogarsi con le lunghe sessioni di
allenamento la sta aiutando a far diminuire la frequenza delle crisi,
ma il problema non è risolto e, anche se non lo ha detto a
nessuno, Nadia ha paura che una notte il suo cuore possa fermarsi nel
sonno. Cerca di non pensarci, ma è un'idea che rimane a
galleggiare sul fondo di ogni pensiero, di ogni risata, di ogni cosa
che dice o che fa.
La ragazza fa scorrere il pass elettronico davanti alla lente ottica e
la porta di vetro si apre automaticamente per farla entrare nella base
newyorchese dello S.H.I.E.L.D.
Un ricordo prende forma nella sua mente, gettando ombre cupe sulle
pareti di pannelli bianchi, asettiche come quelle di un ospedale.
È il ricordo di un cielo notturno sospeso sopra la sua
testa, il ricordo di una voce che ora lei preferisce immaginare priva
di volto. La voce le dice che lei è una guerriera e che non
c'è un limite oltre il quale qualcuno deve considerare di
arrendersi.
Nadia si domanda a che serve essere una guerriera quando non si hanno
le armi per salvarsi la vita. Ma sa che non ha nessun diritto di
arrendersi, che se Tony e tutti gli altri si stanno facendo in quattro
per aiutarla, lei non può concedersi il lusso di lasciarsi
andare, anche se sa che quella battaglia è persa in
partenza.
Continua camminare lungo il corridoio. Prova sempre una strana
soggezione ad essere lì, in mezzo a quella gente che
è a conoscenza di segreti che le farebbero drizzare i
capelli se ne scoprisse anche solo la metà.
Non deve parlare con nessuno, non deve fermarsi in nessun posto, non
deve nemmeno provare a guardare oltre le fessure di vetro delle porte o
leggere le targhette; ordini di Fury. Deve solo camminare verso l'unica
stanza a cui il suo pass personalizzato le permette di accedere, dove
di solito l'aspettano Clint e Natasha per portarla con loro in qualche
strana palestra o in qualche laboratorio.
Quella settimana però Natasha non c'è,
è via per una qualche missione e a lei non è
permesso fare domande – e le manca molto: un pizzico di
solidarietà femminile fa un'enorme differenza quando si vive
in mezzo ai supereroi.
E Clint adesso le ha appena annunciato di aver preso – tutto
da solo – la solenne decisione di volerle insegnare a
sparare.
«A che mi serve?» protesta Nadia, mentre il senso
di ribrezzo che ha sempre provato per le armi quasi la prende allo
stomaco.
L'agente Barton si volta a guardarla come se lei gli abbia fatto la
domanda più improbabile e insensata della storia della
comunicazione verbale.
«È utile, per principio» taglia corto,
mettendole in mano un pass elettronico per accedere a una sorta di
armeria.
Mentre Clint sceglie le pistole, tra le molte armi da fuoco appese alla
parete della stanza in cui sono appena entrati, Nadia si ricorda della
sera dello scontro con i demoni sull'isola di San Michele, di come la
rabbia fremeva dentro di lei, insieme alla voglia di fare qualcosa,
tanto che aveva invidiato ai due agenti dello S.H.I.E.L.D. la
dimestichezza che dimostravano di avere con le armi. Ma quella sera di
ormai tre mesi prima era stato tutto diverso, quella sera aveva avuto
paura, voleva lottare e l'avrebbe fatto contro un'intera
città di demoni e mostri assortiti se ci fosse stato
bisogno. Ora non sa cosa vuole fare della sua vita, fintanto che ne
gliene resta una.
Ha sempre creduto che in una situazione del genere si sarebbe tuffata a
capofitto nelle cose, si sarebbe sforzata di vivere ogni giorno fino in
fondo, fare incetta di sensazioni, azioni, emozioni. Ma non
è così, semplicemente sente di non averne la
forza, che non c'è un vero motivo per farlo. Si sente vuota
e sono loro, gli Avengers, senza saperlo, che la stanno trascinando
avanti, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Nadia gli è
profondamente grata per questo, e allo stesso tempo lo trova alienante;
a volte è come dibattersi tra le pareti di una prigione,
sapendo che non giungerà mai il sollievo della
libertà.
Ma forse un giorno, a forza di allenamenti e tentativi, lei
imparerà a gestire le crisi e sopravviverà,
oppure no. Quello che sa è che è stata lei, due
mesi prima, a chiamare Tony per chiedergli aiuto e adesso non
può semplicemente uscirsene con un «no, grazie, ho
cambiato idea».
Imponendosi di accantonare i suoi pensieri angosciati da derelitta,
segue Clint fino al poligono di tiro.
Dopo aver indossato cuffie e occhiali protettivi, l'agente pigia un
tasto e una sagoma con la forma scura di un uomo stilizzato si muove
verso di loro.
Clint tende il braccio e spara, dando fondo al caricatore. Nel silenzio
assordante che segue gli spari, Nadia vede che i fori dei proiettili
hanno disegnato con precisione una faccina triste dove c'era la testa
della sagoma.
«Molto artistico» commenta, stupita. «Io
che dovrei fare?».
Clint le mostra come tenere la pistola e come far partire i colpi, poi
allunga la mano verso il tasto per far avanzare una nuova sagoma,
«Facciamo che per il tuo primo tentativo non ti dico niente,
voglio vedere a istinto come sei messa» conclude prima di
pigiare il bottone. «Cerca di colpire sempre lo stesso
punto».
«Cosa?...»
«Spara!».
Nadia tende il braccio e preme il grilletto. Una volta, due volte...
cinque volte. Sente la vibrazione del rinculo spandersi dal polso fino
al gomito in una maniera quasi dolorosa, tanto che quando abbassa la
guardia il braccio le tremola come se i muscoli fossero stati
sottoposti a un enorme sforzo.
Vede la sagoma di cartone avanzare verso di lei. Ci sono cinque fori
sul disegno dell'uomo, tutti in punti molto distanti l'uno dall'altro,
due nelle braccia, uno sulla pancia, uno sulla gamba e un altro alla
base del collo.
Clint guarda i fori dei proiettili che ancora fumano,
«Beh, quel che è certo è che lo avresti
ucciso» commenta.
«Come diavolo faccio a sparare sempre nello stesso punto se
la vibrazione del rinculo mi fa tremare il braccio?»
«Impari a prevedere. È tutta una questione di
farci l'occhio e l'abitudine»
«Clint, io non voglio fare l'abitudine a questo genere di
cose...» ammette lei con un sospiro.
«Sciocchezze. Non è diverso dal cucire a
uncinetto, è solo un po' più rumoroso».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa, poi lascia che Clint
si prodighi in consigli utili e spiegazioni di ogni sorta tra un
tentativo e l'altro.
Come Nadia si aspettava e come l'agente Barton certamente sapeva, non
ci sono stati miglioramenti sostanziali per quella mattina,
c'è stato solo un enorme spreco di pallottole e un notevole
stress da inquinamento acustico. Ma lui è ancora convinto
che sia importante che lei impari a sparare e, magari se mettesse su un
po' di muscoli in quelle braccine sottili, le insegnerà
anche a tirare con l'arco.
«È stata un'idea di Fury?» domanda Nadia
all'improvviso, mentre tornano verso l'armeria. «Lui ha in
mente qualche occupazione da trovarmi, nel caso io diventi utile in
qualche modo?»
«Nadia, non ti stiamo addestrando. Se lo avessimo fatto, a
quest'ora sapresti già sparare nell'occhio a una
mosca» risponde Clint piccato. «E Fury non ha
nessun progetto per te, a parte quello di non farti esplodere come una
bomba nucleare».
«Confortante. Perché mi sta aiutando?»
Clint sorride in un modo curiosamente enigmatico,
«Gli Avengers. Vuole che loro e lo S.H.I.E.L.D. siano buoni amici,
mettiamola così. E poi, nel frattempo, si assicura che tu
non diventi un pericolo per te stessa o per gli altri»
risponde.
«Oh, io avrei giurato che lo facesse per buon
cuore» borbotta Nadia con bieco sarcasmo.
In quel momento, dalla ricetrasmittente che penzola dalla cintura di
Clint, si leva un roco ronzio; lui afferra l'oggetto e ascolta senza
troppa voglia una voce femminile – che a Nadia sembra
decisamente quella di Maria Hill – che gli ordina di recarsi
in un punto della base, motivando la richiesta con un secco
«Codice 4a» che per la ragazza non ha alcun
significato.
Clint smonta i caricatori dalle pistole e getta tutto tra le braccia di
Nadia,
«Devo andare. Puoi riportarle tu nell'armeria?» le
chiede sbrigativo.
Lei annuisce pensando che questa cosa è meglio che Fury non
la venga a sapere – ma il grande capo è da qualche
parte, in un'altra città a sbraitare contro qualcun altro,
il problema non si pone.
«Senz'altro. A domani, Clint»
«A domani. Nel frattempo prova ad esercitarti lanciando
palline nei bicchieri».
Nadia lo vede sparire nella direzione opposta del corridoio,
chiedendosi se quelle ultime parole siano una battuta o se dicesse sul
serio. Alla fine scrolla le spalle e torna verso l'armeria, sentendo il
freddo del metallo delle pistole penetrare oltre la stoffa dei vestiti.
Quando arriva davanti alla porta dell'armeria il corridoio è
vuoto e silenzioso; la ragazza cerca di prendere il pass dalla tasca
senza far cadere a terra le armi, guardando con aria truce la porta
davanti a sé e le canne dei fucili che si intravedono dal
rettangolo di vetro. Una faccia compare all'improvviso oltre il
rettangolo e Nadia sussulta per lo spavento, fissando attonita la
giovane donna che batte i palmi delle mani contro la porta sbarrata.
«Ehi... aiuto!» la voce della sconosciuta
è bassa, suona lontanissima da dietro il battente blindato.
«Per favore, fammi uscire».
Nadia si affretta a far scorrere il pass nella serratura elettronica e
la porta si apre con un sonoro CLIK. La donna schizza fuori, prendendo
grosse boccate d'aria.
«Oddio, grazie, grazie tante... pensavo che sarei morta
soffocata lì dentro» borbotta, aggiustandosi
dietro l'orecchio una ciocca dei suoi lunghi capelli castani.
La ragazza la fissa, ancora stupita. La sconosciuta ha tutta l'aria di
non essere un agente dello S.H.I.E.L.D. - Nick Fury caccerebbe a calci
nel sedere un agente che rimane bloccato dentro una stanza –
e dietro al suo aspetto scarmigliato sembra molto carina. L'occhio di
Nadia cade sul cartellino di riconoscimento che la sconosciuta tiene
appuntato mezzo storto sul petto. Dottoressa
Foster Jane.
«Oh, tu sei Jane»
esclama la ragazza, sgranando gli occhi, e senza volerlo si ritrova a
ridacchiare scuotendo la testa.
L'astrofisica sghignazza nervosamente, come ad assecondarla, ma poi la
guarda con una punta di smarrimento,
«Perché stai ridendo?» le domanda.
Nadia sorride, un sorriso bello grosso e pieno di una strana, remota
tenerezza.
«Scusa, non ti sto prendendo in giro. Non ci conosciamo, ma
qualcuno mi ha parlato molto di te» le risponde, entrando
nell'armeria per liberarsi dal peso che ha in mano.
«Qualcuno?» fa Jane, oltre la soglia.
«Thor».
Nadia pronuncia quel nome sentendo di nuovo il sorriso allargarsi sul
suo viso. È di spalle e non può vedere
l'espressione dell'altra donna, ma quando si volta per uscire la trova
impalata a fissare davanti a sé con aria sbigottita.
«Sì, è una lunga storia»
aggiunge Nadia con un sospiro. «Magari un giorno ci prendiamo
un caffè assieme». E mi spieghi come fai a gestire
la nostalgia, dottoressa Foster, perché io ne sto morendo.
«Tu sai dov'è? Thor, intendo» dice Jane,
con una voce talmente bassa da essere a malapena udibile. Un velo di
rossore le passa sul viso mentre distoglie lo sguardo puntandolo in
terra, come se di colpo la punta delle sue scarpe sia diventata la cosa
più interessante dell'intero universo.
Nadia non ha risposte per lei e ne è dispiaciuta, ma
immagina che se rimanesse in silenzio probabilmente la dottoressa
Foster avrebbe un collasso.
«Sta cercando suo fratello» mormora con un mezzo
sorriso triste. Non è una risposta molto precisa, ma
è la verità.
«Intendi il fratello pazzo assassino con le manie di
grandezza?».
La ragazza sente qualcosa di pesante appoggiarsi sul cuore. Fa un
profondo sospiro, ma il peso non sembra allentarsi.
«Immagino non abbia altri fratelli» conclude
semplicemente.
Nadia saluta frettolosamente Jane e si allontana lungo il corridoio.
Dopo qualche minuto sente il cicalio del cellulare che la informa di un
nuovo sms ricevuto. Prende l'apparecchio e guarda il display; nel
rettangolo illuminato ci sono solo una serie di lettere alla rinfusa
che non hanno alcun significato.
La ragazza sorride, poi alza gli occhi al cielo.
«Ah, Steve...» mormora.
Rimette il cellulare in tasca e si affretta in direzione dell'uscita.
Nell'attraversare i corridoi nota che alcuni agenti hanno gli occhiali
da sole anche mentre sono dentro e per un attimo le sembra di essere
sul set di Man in Black o in una versione molto moderna del Paese delle
Meraviglie. O in un centro di igiene mentale...
Fuori, nel piazzale della base, c'è Steve Rogers che
l'aspetta appoggiato alla sua motocicletta, in tutto il suo
anacronistico splendore.
«Capitano, cos'era quella roba, un messaggio in
codice?» chiede lei con un sorriso sarcastico.
«Senti, ho provato a scrivere messaggi come mi hai insegnato
tu, ma questo telefonino complotta contro di me e non c'è da
stupirsi visto che è un regalo di Stark» risponde
lui sulla difensiva.
«L'ho già sentito dire. Da mio nonno»
«Passi troppo tempo con Tony, stai diventando peggio di lui,
sai?».
Steve le passa un braccio attorno alle spalle e le batte una mano sulla
schiena.
«Come stai?» aggiunge.
Domanda canonica per la quale Nadia ha una risposta canonica.
«Una favola».
Il Capitano apre la bocca per parlare e lei lo sa cosa sta per dirle,
sta per dirle che non ci crede che lei stia bene, che non si dicono le
bugie perché è una cosa sbagliata e che non deve
preoccuparsi di niente perché loro non permetterebbero mai
che le capiti qualcosa di male. Ma ci sono cose che nemmeno gli eroi
più forti del pianeta possono contrastare, dovrebbero aver
imparato la lezione dopo quella notte a Venezia, quando lei fu
accoltellata alla pancia e fu salvata dall'intervento di un dio, di
Odino che lo aveva fatto per Loki.
Odino... Loki...
salvataggio...
Cazzo!
Steve capisce che certe cose comunque è meglio non dirle. Si
limita a sorriderle e a porgerle un casco.
«Cos'è questa storia che ti sei data alla pazza
gioia a un party?» le domanda a bruciapelo.
«Gesù! Ma Tony gli affari suoi non sa
farseli?» borbotta Nadia sentendosi avvampare. «Mi
stavo solo divertendo... e te non capita mai?»
«Io non mi ubriaco»
«Perché hai un'anima candida, lo so...»
«No, perché ho un metabolismo che brucia troppo in
fretta».
Nadia scuote la testa e monta in sella. Non riesce mai a tenere a mente
tutti i bizzarri particolari della vita di quelle persone,
c'è sempre qualcosa che le sfugge.
Comunque sia, è rilassante poter appoggiare la testa in
mezzo alle scapole di Steve e concedersi il lusso di smettere di
pensare mentre la moto la porta via dalla città.
Da ragazzina aveva sempre desiderato avere dei fratelli maggiori,
adesso ne ha un'intera squadra.
Steve viene a prenderla quasi tutti i giorni e insieme seguono la
strada che porta fuori dal centro di New York, fino a una casa nel
bosco, una di quelle casette da set pubblicitario, con il patio di
legno e il tetto rosso a spiovente. Lì è dove
hanno sistemato Bruce.
L'idea di fondo è che lei passi del tempo in quel posto nel
caso in cui si manifesti qualche altro picco di energia, in modo che
possa provare a farla uscire fuori senza far male a niente e nessuno.
Sperano che se dovesse succedere lei possa fare qualche tentativo per
provare a governarla, ma la ragazza non saprebbe nemmeno da che parte
cominciare, non è nata per avere a che fare con quelle forze
che nemmeno appartengono al suo mondo, il suo istinto non
può aiutarla anche se tutti sperano che sia il tempo a
farlo. All'inizio anche lei ci aveva sperato, adesso non è
capace di ammetterlo con se stessa, ma la speranza comincia a diventare
un'opzione sempre più improbabile.
Per un attimo le sembra di essere tornata a qualche mese fa, prima che
arrivasse Loki, prima che cominciasse quella storia assurda, quando
ogni suo tentativo di opporsi al destino che le era toccato andava a
finire con un inevitabile fallimento.
La ragazza guarda il bracciale, la pietra opalescente sembra un occhio
puntato su di lei, un occhio vuoto e senza espressione, lo sguardo di
un boia che attende di sapere se l'imputato verrà graziato
oppure no. Ha notato che è sempre calda al tatto e ha avuto
come l'impressione che a volte cambi colore, certi giorni sembra
più tendente a un azzurrino sbiadito, altri sembra color
madreperla, quasi bianca e priva di lucentezza.
Allo S.H.I.E.L.D. hanno provato a studiarla.
Lei è rimasta seduta per ore con degli aggeggi simili a
piccoli elettrodi attaccati al bracciale; lo scienziato che se
n'è occupato, il dottor Eric Selvig, era un tipo gentile e
allegro, con una strana luce entusiasta negli occhi mentre armeggiava
con strumenti e cavetti e rilevatori attorno al suo braccio. Alla fine
la luce nello sguardo gli si era spenta quando, dopo una serie infinita
di tentativi, aveva dovuto ammettere che non aveva trovato niente, la
pietra non rispondeva a nessun test, nessuno strumento era in grado di
captare e misurare le emanazioni di energia che venivano da quel
piccolo oggetto. Agli occhi del dottor Selvig, quell'ovale opalescente
non sembrava altro che un pezzo di bigiotteria.
Nadia avrebbe voluto provare a spiegargli la storia del sangue, che
l'energia può essere captata e percepita solo dal sangue di
Asgard, ma poi si sarebbe ritrovata a dover spiegare allo scienziato un
sacco di cose di cui il solo ricordo faceva male più del
potere della pietra
Ma la pietra, l'energia, la paura sono tutte cose a cui non vuole
pensare, non ora che sono arrivati a casa di Bruce, dove lui li aspetta
sulla porta con aria tranquilla e viso sorridente.
Bruce le ha detto che la casa era della mamma di Tony, è
stato lui a lasciare che il dottor Banner si stabilisse lì
prima che prendesse in considerazione l'idea di tornarsene a Calcutta o
in qualche altro posto sperduto a nascondersi dal resto
dell'umanità. Quella soluzione è un efficace
compromesso, e Bruce non è del tutto isolato dal mondo
– così magari in futuro avrebbero evitato che
tentasse di nuovo di spararsi con il solo risultato di irritare
l'Altro. Nadia è contenta per lui, trova impensabile che un
uomo come Bruce Banner, la quintessenza della tenerezza, resti
abbandonato a se stesso... e ai muscoli di Hulk.
Lei e Steve entrano in casa, premurandosi di pulirsi bene le suole
delle scarpe sullo zerbino, perché a Bruce non piace la
polvere in giro ed è meglio non mettere alla prova la sua
pazienza e il suo animo ospitale.
Il padrone di casa ha già messo l'acqua a bollire sul fuoco.
Il rito del tè verde si è protratto per tutti i
due mesi che Nadia è stata lì; lei odia il
tè verde, le appiccica il palato, ma ha imparato ad
apprezzare quel momento della giornata, quando la tensione si allenta,
quando sa che l'aver dato sfogo all'energia accumulata le
lascerà come minimo un'altra settimana di tregua da
malesseri assortiti. E poi Bruce è troppo simpatico
– e pericoloso – per essere ferito con un rifiuto
al suo beneamato tè verde che tra l'altro fa bene alla
diuresi e combatte i radicali liberi e tutto il resto...
Nadia mette tre cucchiaini di zucchero nella tazza e mescola nel vano
tentativo di alleggerire quel saporaccio di erba lasciata a macerare.
«Sei l'eccezione che conferma la regola secondo la quale
tutti gli scienziati sono caotici» mormora Nadia guardandosi
attorno, passando in rassegna con lo sguardo la casa perfettamente in
ordine, con i fogli impilati sul tavolo da lavoro accanto al pc
portatile, gli schedari incolonnati su una mensola con le etichette
scritte in bella calligrafia.
«Hai conosciuto molti scienziati?» borbotta Bruce,
con quel suo sorrisetto sempre un po' nervoso.
«Tu non hai idea del caos che regna sui tavoli di lavoro nei
laboratori dello S.H.I.E.L.D.»
«Ho sentito parlare della dottoressa Foster»
aggiunge Steve, soffiando nella sua tazza. «Si mormora che
abbia fatto rischiare l'infarto persino a Fury».
«A proposito, che novità ci sono riguardo al
warmhole?». Nadia butta lì la domanda in tono del
tutto disinteressato. È disinteressata davvero, ma stando al
modo in cui la stanno fissando ora Bruce e Steve loro non sembrano
crederlo.
«Nessuna, per quanto ne so. Le ricerche si sono rivelate un
buco nell'acqua e penso che Fury presto rimanderà a casa la
dottoressa Foster, prima che lei faccia accidentalmente saltare in aria
qualcosa» dice poi lo scienziato tornando a sorseggiare il
suo tè, fingendo di dimenticarsi dei possibili motivi per i
quali la sua giovane amica ha posto il quesito.
Non stavo pensando a
Loki...
È vero, Nadia vorrebbe gridarlo, ma lascia perdere.
Sarebbero tutti molto contenti se lei si togliesse dalla testa il dio
latitante, ma con quel loro atteggiamento perennemente sul chi vive non
l'aiutano di certo.
«Non potrebbe essere solo un caso, questa tempesta
magnetica?» chiede Steve a bruciapelo.
Bruce scrolla le spalle e scuote la testa. Per conto suo, Nadia sente
che c'è qualcosa che stona in tutta quella faccenda.
«Da quando in qua i supereroi credono al caso?»
mormora con un sorriso.
Steve sta per dire qualcosa ma la suoneria del suo cellulare esplode
come uno sparo.
I'M ON THE HIGWAY TO HELL
I'M ON THE HIGWAY TO HELL
ON THE HIGWAY TO HELL!
Il novantenne con l'aria da ragazzo quasi arrossisce, mentre cerca con
gesti convulsi il suo telefonino nella tasca della giacca, borbottando
che prima o poi obbligherà Stark a cambiargli quella
suoneria a forza di pugni in faccia.
«Pronto?!»
«Rogie! La carrozza si è già
trasformata in zucca?». La voce di Tony è talmente
squillante da essere udibile per tutta la stanza.
Steve strabuzza gli occhi,
«Si può sapere che vuoi?» ringhia.
«Che mi riporti indietro la nostra deliziosa Cenerentola,
stasera c'è il gran ballo».
Bruce inarca un sopracciglio, incuriosito,
«Ballo?» domanda.
«Oh, ma c'è anche la Fata Madrina!»
esclama la voce di Tony nella cornetta. «Sì,
Bigfoot, un ballo, o per meglio dire un party»
«Oh, il party, quel
party» dice Nadia con un sospiro. «Tony, ricordi
l'ultima volta che sono stata a un party come è andata a
finire?»
«E chi se lo scorda, Colombina! Ma questa sera potremmo
avvalerci della supervisione di madama Pepper, che veglierà
sul nostro onore e sul nostro tasso alcolico, facendo ricadere su di
noi una tempesta di fuoco e lapilli nel caso dovessimo eccedere
in...».
Si sente una botta, un fruscio e un lamento. Pepper deve avergli
lanciato contro qualcosa.
Nadia nasconde il viso tra i palmi delle mani. La serata si prospetta
tragica.
Non ha ben chiaro come mai Tony abbia insistito tanto perché
lei partecipasse, assieme a lui e a Pepper, a quella festa indetta da
un'importante associazione che per qualche astruso motivo ha a che fare
con le Stark Industries, ma è certa che ci sia una ragione
ben precisa perché il caro signor Stark si è
premurato di far comparire nel suo armadio un abito da sera da mozzare
il fiato, uno di quei cosi che Nadia non sa neanche da parte si
infilano.
Il tono di Steve si alza di diverse ottave mentre tenta di rispondere
per le rime a una delle battutacce di Tony, Nadia lo guarda scuotendo
la testa, mimando con le labbra un rapido: «è
inutile».
*
Tony non ama le feste, quando non è lui a organizzarle o
quando non ha spazio di manovra per trasformare una serata nella sua serata. E sono
giorni che Pepper si raccomanda caldamente di comportarsi bene
perché quella è un'occasione molto importante. Fa
tutto parte del progetto per dare alle Stark Industries un nuovo
assetto, creare un'immagine positiva per quel colosso produttivo che
è l'impero lasciatogli da suo padre – come se il
mondo potesse dimenticare da un giorno all'altro che per generazioni la
sua famiglia non ha fatto altro che costruire armi.
Ovviamente, l'idea di una collaborazione con la Golden Hope non
è stata sua, ma della cara signorina Potts, alla quale lui
ha regalato una sostanziosa quota azionaria e una serie di deleghe con
la sua firma. Pensandoci, avrebbe fatto meglio a comprarle un collier
di diamanti, sarebbe stato assai meno faticoso e lui adesso non
starebbe lì, intento a fare il nodo al papillon di seta
nera.
«Sta magnificamente, signore» dice la voce di
Jarvis, riempiendo l'aria.
«Grazie, lo so»
«Non lei, signore, mi perdoni. Intendevo la signorina Nadia,
è qui nell'ingresso».
Tony sorride compiaciuto, tastando la busta di carta che ha nella tasca
interna dello smoking. Se non altro, la serata non
trascorrerà invano: farà un favore a Nadia e poi
potrà mostrarsi tristemente annoiato con Pepper per indurle
sensi di colpa che la renderanno assai più malleabile in
camera da letto. E comunque, conoscere finalmente di persona le teste
coronate della Golden Hope è pur sempre una cosa che
desiderava fare da tempo – non che il desiderio fosse
particolarmente ardente, ma sono pur sempre i tizi con i quali un
intero reparto delle sua industrie sta attualmente collaborando.
La Golden Hope è un'associazione di ricerca che si occupa
dell'applicazione dell'alta tecnologia in campo medico; ha avuto
un'ascesa rapida, sembra spuntata dal nulla e nel giro dell'ultimo anno
ha guadagnato una grossa fama e attirato l'attenzione di molti
investitori. Tony ha fatto controllare da Jarvis i loro conti e i loro
registri e sembra tutto spaventosamente in ordine, la G.H. è
più pulita di una garza sterile, per quanto una
così rapida scalata al successo sembri anomala.
Loro hanno i fondi e hanno i cervelli, gli servivano le strutture per
mettere in pratica le loro ricerche ed effettuare dei test, per questo
si sono rivolti alle Stark Industries, e il cuore tenero di Pepper l'ha
portata a prendere in seria considerazione la loro proposta di
collaborazione.
Molto bello, per carità, ma adesso Tony si augura che questo
non lo obblighi a presenziare a ogni dannato party che il direttore
dell'associazione organizza durante l'anno.
Si versa una goccia di profumo sui polsi e alla base del collo, sistema
meglio i polsini della camicia dentro le maniche dello smoking ed esce
dalla sua stanza, mettendo su un sorriso trionfale, che si allarga
ancora di più quando vede Pepper e Nadia che lo aspettano
guardando fuori dalla vetrata.
«E come disse Cornelia: ecco i miei gioielli»
esclama, sghignazzando.
Qualche minuto dopo sono in macchina, diretti verso l'hotel dove Norman
Hope, il grande capo, ha organizzato il party.
Nadia non sembra molto a suo agio in quell'abito da festa,
però sta davvero magnificamente, come ha detto Jarvis e lui
non aveva mai fatto caso a quanto fosse carina. Dannazione, una
così dovrebbe avere un minimo sindacale di cinque o sei
corteggiatori! E invece ne ha uno solo, lo stagista che sembra un
conduttore di trasmissioni per bambini, Mike qualcosa, ancora
non è riuscito a memorizzare il cognome del ragazzo. Sembra
un bravo ragazzo, è in gamba, Pepper dice che lavora sodo e
che ha una mente brillante; a conti fatti potrebbe essere un cavallo
vincente sul quale puntare e Tony ha deciso di fare un tentativo.
L'auto si ferma davanti all'ingresso dell'hotel dove dei faretti raso
terra disegnano un sentiero luminoso fino alla porta girevole di vetro
satinato e ottone. Giornalisti e curiosi si affollano oltre il limite
segnato da paletti e cordoncini rossi, sotto lo sguardo vigile di
quello che deve certamente essere un imponente corpo di sicurezza
composto da uomini in completi blu scuro.
I flash delle macchine fotografiche piovono come pioggia e le voci dei
giornalisti si confondo in una cacofonia di domande riassumibili in un
unico quesito: perché le Stark Industries si sono messe in
affari con la Golden Hope e cosa ci si deve aspettare da questo
sodalizio?
Ci sarà tempo per far contenti gli squali della carta
stampata dopo, quando Tony e Norman Hope, il capo della baracca,
usciranno insieme a braccetto a ripetere le parole scritte nei
comunicati stampa emessi dalle rispettive imprese e a farsi immortalare
dai fotografi come se fossero vecchi amici che si sono visti per farsi
due chiacchiere davanti a una birra. Adesso deve solo mettere un piede
avanti all'altro su quel sentiero tracciato da luci bianche sul
lastricato, tenendo Pepper sottobraccio e assicurandosi che Nadia,
dietro di lui, non si faccia prendere dal panico per tutto quel
trambusto.
Nadia sembra reggere abbastanza bene, continuando a camminare con un
faccino misuratamente tranquillo e sorridente, salvo poi lasciarsi
scappare un sospiro di sollievo appena mettono piede nella hall, dove i
rumori dell'esterno si spengono di colpo, trattenuti fuori da pareti
insonorizzate.
Raggiungono il salone delle feste, uno sfavillio di lusso che pretende
di apparire sobrio.
«Se non altro i nostri nuovi amici sanno come dare una
festa» bofonchia Tony rimediandosi un'occhiataccia da parte
di Pepper e strappando a Nadia una risatina.
Pepper lo pilota verso il fondo della sala dove il padrone di casa sta
stringendo mani ed elargendo sorrisi e frasi di circostanza.
Norman Hope è un uomo di mezza età, i capelli
quasi del tutto bianchi ma il viso ancora giovanile e gli occhi
grigioverdi da ragazzino. Ha un bel portamento da signore e un sorriso
da squalo, come ci si aspetta da uno la cui impresa ha fatto
così tanta strada in poco tempo. La stretta di mano che
scambia con Tony è forte e decisa.
«Sono contento di conoscerla, signor Stark» dice.
«E sono felice di rivederla, signorina Potts. La nostra
giovane amica invece è?».
Norman Hope guarda Nadia e le rivolge un sorriso cortese.
«Nadia Berton» risponde lei, stringendogli la mano.
«Un'amica del signor Stark e della signorina Potts».
«Lei non è di qui, vero Nadia?»
«No, sono italiana. Sono qui per uno stage fotografico e Tony
e Pepper sono stati così gentili da ospitarmi».
Recita la parte alla perfezione. Tony quasi trattiene un sospiro
triste: quanto bene le stanno insegnando allo S.H.I.E.L.D? Forse
dovrebbe passare meno tempo con Barton e la Romanoff...
Norma Hope sembra dimenticarsi del caos di persone che ha attorno, posa
una mano sulla spalla di Tony e si tuffa in un discorso su quanto sia
bello e importante il matrimonio – dice proprio matrimonio, brrr! –
tra le loro industrie. Dopo i primi tre minuti Tony ha già
smesso di ascoltarlo, sta solo annuendo e fissando sgomento con la coda
dell'occhio un dannatissimo quartetto d'archi che sta per prendere
posto su un palchetto al centro della sala.
Un quartetto d'archi? Ma questi della Golden Hope non sanno proprio
divertirsi?!
Nadia si è già eclissata. Tony la vede accanto al
palco a guardare i musicisti – a lei i quartetti d'archi
dovrebbero piacere. Norman Hope interrompe per un secondo la sua
filippica da consuocero, quel tanto che basta a Tony per divincolarsi e
gettarlo tra le braccia di Pepper che sembra assai più
interessata di lui ad ascoltare quei meravigliosi e tediosi discorsi.
«Scusate, devo andare a salutare una persona»
borbotta, cercando di apparire quanto più serafico e cortese
gli riesce, poi si allontana in direzione della persona che ha puntato.
Mike, lo stagista dal cognome ignoto, è in un angolo della
sala a conversare amabilmente con altri colleghi delle Stark Industries
che deve aver conosciuto durante il tirocinio. Tony punta diritto verso
di lui, ma qualcuno gli sbarra la strada.
«Signor Stark!». Il suo nome viene pronunciato con
una pungente nota di sarcasmo, tanto che per poco lui non si mette a
ringhiare.
Ha rimosso il ricordo di più o meno tutte le donne che sono
passate nel suo letto, ma tra sé e sé ogni tanto
ancora immagina di giocare a freccette con una foto a grandezza
naturale della brillante giornalista Christine Everhart per quanto lei
continua a tormentarlo anche solo in forma di riminiscenza.
«Signorina Everhart. Ti credevo in
California» borbotta, rivolgendole un sorriso
tirato.
«Vuoi scherzare? Con tutto quello che è successo a
New York ultimamente!»
«Stai preparando un servizio sulla derattizzazione di Central
Park?».
Christine arriccia il naso, imperturbabile nel suo contegno da gran
campionessa.
«Mi guardo un po' in giro. In questa città ci sono
parecchie cose sulle quali lasciar cadere lo sguardo»
risponde, e poi si lascia andare a una mezza risatina provocatoria.
«Supereroi? Una collaborazione tra le Stark Industries e la
G.H? Una dimostrazione pubblica della tua ultima dievoleria? Stai
invecchiando Stark, riuscirai a reggere il ritmo?»
«Chissà. Tu potresti cominciare a scrivere il mio
coccodrillo, così magari ti metti avanti con il
lavoro» la rimbecca Tony, senza riuscire a evitarle uno
sguardo torvo. «Divertiti a questa festa, ammesso che il
divertimento fosse nei piani di chi l'ha organizzata».
La sorpassa e si avvia verso l'angolo della sala dove Mike ora sta
ridendo alla battuta di uno del gruppetto con cui è intento
a parlare.
«Ehi, Stark» lo chiama Christine, con
un'espressione melliflua. «Dopotutto siamo vecchi amici e una
cosa almeno potresti dirmela. Chi è la ragazza?».
Non sono affari tuoi!
«La fotografa che preparerà il servizio
fotografico per la dimostrazione della diavoleria» risponde
sbrigativo. Nadia ha attirato fin troppo l'attenzione, come ogni cosa
che ruota nell'orbita di un personaggio ricco e famoso, ma nessuno
può farci niente. Forse sarebbe stato saggio non portarla
affatto a quella festa, ma quando mai lui è stato saggio?
Il sorrisetto malizioso di Christine è insinuante, tanto che
riesce quasi a fargli montare la rabbia, ma decide di ignorarla e
proseguire per la sua strada. il servizio
fotografico per la dimostrazione della diavoleria
Il sorrisetto malizioso di Christine è
«Signor Stark!» di nuovo. Stavolta è
Mike ad esclamare il suo nome, mentre lo guarda con quel suo fare un
po' allarmato – santi numi, quel ragazzo sembra sempre aver
paura che lui voglia mangiarlo.
«Buona sera, Mike. Ti stai divertendo?»
«Sì, signore, certo».
Ovviamente. Non ammetterebbe mai il contrario, è stato lui a
invitarlo al party, insieme a molti altri collaboratori delle Stark
Industries. Diamine, quel ragazzo è più snervante
di Steve Rogers in modalità ''soldato perfetto''.
Tony non ha voglia di perdersi in preamboli, né di tenere il
giovanotto sulle spine più del necessario. All'inizio
trovava divertente punzecchiarlo per il timore reverenziale che
riusciva a incutergli, adesso il gioco comincia a essere noioso.
«Ho notato, sai, che ronzi attorno a Nadia» gli
dice.
Il volto di Mike si accende di rosso come un semaforo e il ragazzo
cerca disperatamente di non abbassare lo sguardo, nel tentativo di non
sembrare più stupido di quanto già non sembri.
«Beh, signore, è senz'altro una persona...
ehm...» farfuglia, stringendo goffamente il flûte
di cristallo che ha tra le mani. Se va avanti così si
farà esplodere il bicchiere in mano.
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, il giovane stagista mette
insieme un po' di palle e di lucidità.
«Onestamente, signore, Nadia mi piace molto»
ammette tranquillo, con un tale candore che per poco Tony non gli vede
comparire un'aureola sopra la testa.
«Fantastico! Si dà il caso che Nadia per me
è, come dire...»
«Come una figlia?».
Tony aggrotta le sopracciglia con aria offesa,
«Stavo per dire come una sorella più piccola. Ehi,
pivello, quanti anni mi dai?!» borbotta crucciato.
«Mi scusi signor Stark... non era per l'età, era
più che altro per il tipo di legame che ho notato esserci
tra di voi» tenta di difendersi Mike, imbarazzato fino al
midollo.
«Ok, lasciamo perdere» taglia corto il suo
interlocutore. «Ti piacciono i musical?».
«I musical? Sì, abbastanza...».
Adesso Mike sembra confuso, ma si sforza di tirare fuori un sorriso
diplomatico. Tony infila la mano nello smoking e ne estrae una busta.
«Qui ci sono due biglietti per The Phantom of the Opera, a
Broadway» spiega, ficcando la busta in mano al ragazzo.
«Erano per me e Pepper, ma non possiamo andarci. Ho pensato
che potresti invitare Nadia a uscire, sono certo che le farebbe
piacere».
Mike si rigira la busta tra le mani e sembra di nuovo uno che
è appena venuto al mondo. Quell'espressione innocente e
stupita fa attorcigliare lo stomaco di Tony ma lui si costringe a
mantenere la calma.
«Naturalmente non è un ordine o niente del genere,
la riuscita della serata non influirà sul giudizio che
verrà dato al tuo tirocinio o altre stupidaggini
burocratiche. Solo, sarebbe un peccato sprecare questi
biglietti» conclude Stark con un sorriso, il più
aperto e amichevole che riesce a tirare fuori.
«La ringrazio infinitamente, signore». Mike sembra
davvero contento.
«Non c'è di che. Ora va' a cercare Cenerentola e
fai il bravo principe azzurro. Buona serata»
«Anche a lei, signor Stark».
Tony si volta, passa in rassegna la sala con lo sguardo alla ricerca di
Pepper. Il quartetto d'archi comincia a suonare qualcosa di molto
raffinato e molto soporifero.
Non è nel suo stile mettersi a fare il ruffiano, ma
è contento di quello che ha fatto. Aveva promesso che si
sarebbe preso cura di Nadia, si era detto che se si fosse presentata la
necessità, le avrebbe cavato via dalla testa i brutti
ricordi a suon di trapanate nel cervello. Lei ha salvato la sua donna,
ora lui vuole salvare lei e, perché no, vuole vederla
assieme a un bravo ragazzo, e quel Mike è un bravo ragazzo,
o almeno si spera... di sicuro non può essere peggio del
fottutissimo dio latitante.
_________________________________________
Note:
Nel caso in
cui qualcuno non abbia visto i film su Iron Man DEVE correre a
vederli... ehm, no, dicevo... Christine Everhart è LEI
Spero
che questi primi capitoli non risultino noiosi. Dovevo in qualche
modo ricreare un contesto, gettare le basi, ridare ad ogni
personaggio – vecchio e nuovo – il suo spazio... e
per forza di
cose, questi capitoli sono molto “NadiaCentrici”.
Vi
chiedo di portare pazienza ancora un po'... poi si comincia a far sul
serio.
Tra
l'altro, quando parlavo del fatto che questa fanfiction sarebbe stata
più lunga della precedente mi riferivo più che
altro al fatto che
molti capitoli sono più lunghi della Critica della
Ragion Pura di
Kant. Sul numero di capitoli, al momento io e il sindacato dei
personaggi letterari ancora non abbiamo trovato un accordo.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento ^^
Intanto grazie a tutti quelli che stanno leggendo la storia *__________*
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto:
HERE
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Taking chances – part two ***
Nello scorso capitolo
c'erano dei problemi con l'html che non sono riuscita a correggere,
cioè io correggevo il capitolo nel form apposito ma quando
lo
ripostavo c'era sempre una frase spezzata che ricompariva due volte
in mezzo al paragrafo (quello in cui Tony parla con Christine). Posso
supporre che sia dovuto ai problemi tecnici del sito della scorsa
settimana. Se dovesse ricapitare magari contatto l'amministrazione.
Spero che questo
capitolo non abbia problemi di leggibilità.
Capitolo quarto
Taking chances
– part two
Ogni cosa sembra al suo posto.
Le stelle si riflettono sulle superfici dorate dei palazzi sempre con
la medesima intensità e il silenzio immobile delle notti di
Asgard è lì ad elargire il suo familiare
abbraccio di pacifico oblio. Eppure il cuore di Thor è in
tumulto; mentre il figlio di Odino attraversa il portone della reggia
sente la frustrazione della sconfitta bruciargli nelle vene.
Le cose, per lui, hanno smesso di essere a posto molto tempo prima e
troppe volte si è illuso di essere sul punto di sistemarle,
di avere la capacità di far tornare tutto com'era, di
limitare i danni.
Il Mjolnir stretto nel suo pugno non gli è mai parso tanto
pesante, apre le dita della mano, lo lascia cadere sul pavimento dove
atterra con un sordo tonfo metallico facendo sobbalzare le guardie di
ronda nell'immenso atrio dorato.
Alle sue spalle, i suoi compagni, Lady Sif e i Tre Guerrieri, camminano
mesti nella sua scia. Non condividono l'affanno per quella ricerca, ma
lo hanno seguito anche stavolta, come sempre e Thor non ha voglia di
voltarsi verso di loro e lasciare che il suo viso mostri quello che sta
pensando. Sta pensando che li ha delusi, che ha deluso tutti. Sta
pensando che hanno ragione loro: è uno spreco di tempo,
dovrebbe essere altrove ad occuparsi di altro. Ma il dio del tuono non
riesce a pensare a niente che non sia il setacciare i Nove Regni alla
ricerca di Loki.
«Non è qui, Thor» gli ha detto Sif
quella mattina, prima che partissero. «Altrimenti Heimdall lo
avrebbe trovato».
«Mio fratello ha già trovato in passato dei modi
per sottrarsi alla vista del Guardiano» ha replicato lui.
«Fratello?!». La parola è sfuggita alle
labbra di Fandral con più incredulità e sarcasmo
di quanto il figlio di Odino fosse disposto a tollerare. Ha alzato la
testa di scatto, ha guardato l'amico con aria rabbiosa e poi triste.
Fratello, sì,
dannazione...
Loro non sanno, loro non c'erano lì, in quella
città sull'acqua, non hanno visto. Non hanno visto gli occhi
di Loki quando tutti credevano che la ragazza fosse morta, non hanno
visto il rammarico nel suo sguardo quando ha dovuto farle del male per
farle usare l'energia e uccidere i demoni. Non lo hanno visto
combattere come era stato un tempo... non hanno passato giorni al
chiuso di un piccolo edificio fatiscente ad alimentare speranze che,
tra quelle quattro pareti, sembravano tutt'altro che vane.
Le speranze si sono dissipate dopo quella notte sull'isola, sono
sparite alle prime luci dell'alba come se fossero sogni fatti nel cuore
della notte, eppure per lui hanno contato qualcosa.
E comunque la pensino i suoi compagni, Thor è il futuro re
di Asgard, è suo compito riconsegnare alla giustizia del suo
popolo un traditore. Sa che deve farlo, sa che Loki è in
pericolo lontano dalla sua casa molto più di quanto lo
sarebbe nelle prigioni del palazzo.
Il dio del tuono si ferma a metà della sala.
«Andate a riposare, amici» mormora. «Vi
ho chiesto assai più di quanto fosse lecito».
«Per quello che ne sappiamo, potrebbe essere
morto». È Hogun a parlare, e sono parole dure come
i suoi occhi che non sorridono mai.
Per un istante Thor si ritrova a pensare che sarebbe quasi un sollievo
se fosse così. E un attimo dopo si sente annegare per quel
pensiero, si maledice per averlo anche solo immaginato.
«Andate a riposare» ripete con voce incolore.
I quattro compagni si scambiano un rapido sguardo, Volstagg fa per
parlare ma Sif gli batte una mano sul braccio e gli fa un cenno con la
testa a indicare il corridoio che porta ai loro alloggi. Basta parole
per quella sera.
Thor ascolta distrattamente i passi dei suoi compagni allontanarsi e
scemare verso il silenzio. Alza gli occhi sul grande soffitto a cupola;
le pareti della casa di Odino non gli sono mai sembrate così
strette e soffocanti.
Esce e percorrere a passo nervoso le strade della città
addormentata. Non c'è un alito di vento, ma l'aria della
notte riesce in qualche modo a far sbollire la sua rabbia, per questo
continua a camminare anche se la meta è molto lontana e
sarebbe stato più saggio prendere un cavallo. Ma ha tempo da
perdere, perché di certo, per quel che lo riguarda, quella
notte non è fatta per il sonno.
Sotto la volta notturna il Bifrost, o ciò che ne rimane,
manda cupi bagliori argentati. Thor trascina un piede avanti all'altro
sulla superficie del ponte distrutto e il senso di calma faticosamente
raggiunto qualche attimo prima svanisce di colpo. I suoi ricordi
peggiori hanno inizio da lì, il nero che circonda il ponte
sembra carico di fantasmi e cattivi presagi.
La figura di Heimdall si staglia immobile contro il cielo infinito, una
sbavatura dorata sulla linea diritta dell'orizzonte.
«Non ho alcuna notizia di colui che stai cercando»
dice il Guardiano, senza distogliere lo sguardo dorato dall'infinito
spazio su cui veglia.
«Non è di questo che volevo domandarti»
risponde Thor. Le sue parole sanno di stanchezza. «Dimmi di
Nadia».
Nadia. Thor si sente tremendamente colpevole ogni volta che ci pensa;
è anche per lei che continua ossessivo nella ricerca di
Loki, perché lui è il solo che la possa aiutare e
perché forse la ragazza si sta ponendo le medesime domande
che il figlio di Odino sente rimbombare nella propria testa giorno dopo
giorno e la giovane merita una risposta a quegli enigmi più
di quanto non la meriti lui.
Heimdall se ne sta puntellato sull'elsa dell'enorme spada, volta appena
il capo verso Thor mentre gli risponde,
«La fanciulla umana sopravvive» dice con la sua
voce profonda.
Sopravvive.
A Thor sembra una risposta tutt'altro che confortante. Sospira e si
stropiccia il viso con le mani.
«E Jane?» domanda. Lo chiede come se ci fosse
bisogno di farlo.
«È con la ragazza della città
galleggiante» risponde il Guardiano con il suo tono
monocorde.
Il figlio di Odino sente il cuore contrarsi e poi allargarsi come se
volesse scoppiare, sgrana gli occhi e li punta sulle stelle.
«Cosa?...».
Le labbra di Heimdall restano serrate. Non ci sono risposte per
spiegare i casi assurdi del destino.
*
Flip-flip-flip...
Le suole delle scarpe strusciano ritmicamente contro l'asfalto del
marciapiede. Dai ricordi di Jane si alza prepotente la voce di sua
madre che le gracchia di smetterla e la giovane donna si blocca di
colpo, come se sua madre fosse davvero lì, seduta difronte a
lei, pronta a rimproverarla.
In realtà, davanti a lei c'è solo una sedia vuota
e Jane nemmeno sa se verrà occupata.
Oh, diamine! Perché mai la ragazza non dovrebbe venire?
La ragazza si chiama Nadia. Glielo ha detto Eric, dato che la prima
volta che si sono parlate qualche giorno prima, si è
dimenticata di chiederle il nome e lei si è dimenticata di
dirglielo, o non ha voluto farlo.
Jane ha aspettato di rincontrarla e le ha proposto di vedersi a quella
caffetteria per fare quattro chiacchiere, del resto lei stessa lo aveva
suggerito durante il loro primo incontro.
L'ha buttata lì così, non sapeva come l'avrebbe
presa la ragazza, ma sa che deve parlarle perché la inquieta
l'idea di questa tizia che gironzola per le armerie della base dello
S.H.I.E.L.D. e sa un sacco di cose su di lei e... ma non è
solo questo. Forse è stato quando la ragazza ha nominato
Thor – o meglio, ha accennato al fatto che ha parlato con
Thor e Thor le ha parlato di lei... - forse è stato quando
si è improvvisamente incupita per qualcosa che Jane ha
detto, forse è stato perché Eric le ha spiegato
che sa chi è ma non può darle informazioni in
merito... insomma, la dottoressa Foster ha sentito il bisogno di
saperne di più. E così è andata a
finire che l'ha letteralmente pedinata, fino a quando non è
riuscita ad avvicinarla e a chiederle se un certo pomeriggio, a una
certa ora, le andava di prendere un caffè con lei.
La ragazza ha detto che andava bene, ma ora Jane ha il dubbio che non
si presenti all'appuntamento. Insomma, una che non ti dice il suo nome
la prima volta che parla con te, deve certo essere sfuggente per
qualche ragione, e poi...
«Ciao, Jane».
Nadia si infila tra la sedia e il tavolino con un gesto fluido e le
sorride cortese.
Jane si ritrova a fissarla sbattendo le palpebre.
«Oh... ehi... ciao!» farfuglia dopo qualche
secondo.
La ragazza ha un marcato accento straniero, questo la dottoressa Foster
lo aveva colto fin dal loro primo breve dialogo. È di
qualche anno più giovane di lei, senz'altro; è
carina ma ha un'aria assolutamente anonima, e nei suoi occhi castani
non c'è niente che faccia pensare a una persona al di fuori
del comune.
Ma Jane non è mai stata brava a indovinare informazioni
sulle persone. Lei è quella che ha scambiato un dio nordico
per un barbone ubriaco, dopotutto.
Adesso che Nadia è lì, in tutta la sua placida
normalità, adesso che il sole mette in risalto il dorato dei
suoi capelli biondi come i neon della base dello S.H.I.E.L.D. non
avrebbero mai potuto fare, la dottoressa Foster si accorge di non
sapere bene cosa dirle.
«Io prendo un frappè alla fragola, tu cosa
vuoi?» le chiede, ostentando un sorriso tirato.
«Un frappè alla fragola anche per me»
«Abbiamo gli stessi gusti»
«Non proprio, non direi...».
Jane inarca un sopracciglio, ma Nadia agita la mano come a voler
cancellare da una lavagna immaginaria quello che ha appena detto.
Forse è proprio una tipa fuori dal comune.
Passa qualche secondo di silenzio imbarazzato, nel quale la dottoressa
Foster cerca disperatamente di riordinare le idee e di trovare le
parole adatte a chiedere alla ragazza l'unica cosa di cui le interessa
veramente: come mai conosce Thor?
«Jane, so perché mi hai chiesto di
vederci» asserisce Nadia, come se le avesse appena letto nel
pensiero.
Una cameriera con il grembiule di percalle che fa molto anni '40 arriva
a portare i loro frappè.
«E questo è il momento in cui mi dici
perché hai deciso di venire?» domanda la
dottoressa Foster a bruciapelo.
«Come vanno le ricerche sul wormhole?».
È questo che vuole sapere la ragazza? È
interessata al wormhole? Cosa se ne fa una giovane straniera delle
informazioni sul suo ponte di Einstein-Rosen?
«Le ricerche non portano da nessuna parte. Pare che sia stato
un fenomeno a se stante, che non ha avuto alcuna conseguenza»
risponde. È la verità, non c'è proprio
un bel niente da dire su quel benedetto wormhole che all'inizio le
aveva fatto così ben sperare. «E, se tutto va
bene, dopodomani me ne vado via, torno a casa, lo
S.H.I.E.L.D. non ha più bisogno di me».
Se tutto va bene un
corno!
Non vuole tornarsene a casa, non vuole abbandonare quella ricerca. Non
è affatto convinta che sia un fenomeno privo di significato,
ma non ha dati che dimostrino il contrario.
«Capisco...» mormora Nadia con aria pensierosa,
rigirando la cannuccia nel bicchiere.
«Perché ti interessa?» le chiede Jane.
«Immagino per la stessa ragione per cui interessa a te. Una
volta ti avrei detto per la stessa speranza che forse hai anche tu, ma
non è esatto parlare di speranza, specie di questi
tempi...».
La dottoressa Foster non ha capito una parola di quello che ha detto la
ragazza, ma le è sembrata così triste mentre lo
diceva che ora ha quasi soggezione a farle delle domande in merito.
Nadia assaggia svogliatamente un sorso del frappè.
«Tu speri che quel ponte abbia a che fare con Thor»
aggiunge dopo qualche secondo. «Io speravo che avesse a che
fare con qualcun altro, ci speravo due mesi fa, forse tre, ora non lo
so... ad ogni modo, non capisco niente di astrofisica, ma penso che tu
possa tornare a casa. Quel wormhole non può avere a che fare
con Asgard».
Momento. Fermi tutti.
Alt!
Che sta dicendo la ragazza? Perché sa queste cose? Chi
diavolo è?!
«Come... come...». Jane si ritrova a boccheggiare
come un pesce. Se fosse lì sua madre la sgriderebbe di nuovo.
«Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto,
tutto qui» spiega Nadia.
«Chi sei? Tu... tu devi spiegarmi come sai tutte queste cose
o io... comincio a investire gente a casaccio quando sono nervosa,
è una cosa poco carina...».
Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto. Gli
asgardiani hanno ricominciato a viaggiare allegramente per l'universo.
Evviva! E allora perché Thor non è tornato da
lei? Perché?!
Jane vorrebbe davvero investire qualcuno adesso. Investire qualcuno e
passarci su con le ruote della macchina più e più
volte.
«Ehm... Jane? Lascia andare il portatovaglioli»
mormora Nadia.
Non si era nemmeno accorta di tenere il portatovaglioli stretto tra le
dita. Lo lascia andare sul piano del tavolo con un gesto stizzito.
È quasi un anno che prova a risolvere quel dannato rompicapo
per trovare un modo di rimettersi in contatto con l' altra parte. E
adesso scopre che c'è sempre stato un modo... e lei non ne
sapeva niente... e dall 'altra
parte chi di dovere non si è nemmeno degnato di
avvisarla!
«D'accordo, Jane, stai calma. Qual'è il
problema?» domanda Nadia.
«Ho dedicato un anno della mia vita a trovare il modo di
ristabilire un contatto. L'ho fatto per... perché volevo
rivedere Thor. E ora vengo a sapere che questo modo c'è
sempre stato e che lui non si è fatto vivo in tutto questo
tempo...» spiega lei, sentendosi una totale imbecille, sotto
lo sguardo preoccupato della ragazza.
«Sì, ne so qualcosa di divinità
nordiche assenteiste...» borbotta lei, scuotendo la testa,
poi si passa una mano tra i capelli e torna a fissare Jane.
«Un giorno forse potrò raccontarti la mia storia e
di come sono finita qui, per adesso ci sono un paio di cose essenziali
che devi sapere. Lo strumento che permette di aprire varchi attraverso
lo spazio è ritornato in mano agli asgardiani solo alcuni
mesi fa e se in questi mesi Thor non si è fatto vivo
è perché ha avuto i suoi buoni motivi. Come ti
dissi, sta cercando suo fratello... tu nemmeno immagini che lurido
bastardo problematico sia quel tipo...»
«Ah, tu lo hai conosciuto?»
«Sì, ho avuto il dispiacere di condividere un paio
di esperienze quasi letali con lui. E ho conosciuto Thor, e mi ha
parlato di te e fidati, quelle non erano le parole di un uomo che aveva
dimenticato».
Jane sta di nuovo boccheggiando come una trota appena presa all'amo. Si
sente avvampare e sente che c'è qualcosa di strano in quella
ragazza, qualcosa che la mette a disagio. Forse è solo il
fatto che Nadia sa così tanto di lei, mentre Jane ancora non
ha nemmeno capito lei chi sia.
La ragazza lascia il suo frappè a metà.
«Devo andare, sono in ritardo» dice all'improvviso,
scattando in piedi con aria allarmata. «Clint e Natasha mi
uccideranno» aggiunge borbottando tra sé e
sé.
«Nadia, aspetta!»
«Jane, ti ho detto tutto quello che potevo...».
Sì, è vero. Di certo le ha detto più
di quanto abbia fatto chiunque altro alla base dello S.H.I.E.L.D.
La dottoressa Foster mette su un mezzo sorriso,
«Sì» conclude. «Grazie. Credo
che seguirò il tuo consiglio. Tornerò a casa e
penserò positivo».
*
Il giorno prima Nadia era seduta al tavolino di una caffetteria insieme
a Jane Foster. Le ha detto delle cose e più ci pensa
più crede di non averle detto niente.
Le ha detto quello che era giusto dirle, quello che Jane aveva bisogno
di sapere, e di certo non le ha mentito. Non le ha mentito su Thor e su
tutto quello che è riuscita a spiegarle, ma la storia, la
sua storia per intero, gridava dentro di lei a gran voce per farsi
raccontare. Avrebbe potuto parlarne alla dottoressa Foster, ma non ce
l'ha fatta. Non ci riesce, non ne parla mai con nessuno, nemmeno Tony o
gli altri ne parlano mai.
Ci sono storie che non sono fatte per essere raccontate. Ci sono storie
che sono come le schegge di metallo che Tony ha nel petto, restano
lì e non si può far altro che tenerle a distanza,
che cercare un modo di stare al mondo malgrado la loro presenza.
È solo che il fatto di non essere in grado di affrontare la
cosa anche solo per spiegarla a qualcuno, anche solo semplicemente
parlandone, le sembra un'enorme sconfitta.
Ieri era con Jane; quando l'ha lasciata al tavolo di quella
caffetteria, Nadia si è sentita comunque sollevata all'idea
di essere riuscita a dire cose che hanno ristabilito la speranza della
giovane astrofisica. Ora se ne sta appollaiata su uno sgabello nella
cucina di casa Stark e guarda la busta di carta appoggiata sul tavolo
davanti a lei.
Quando Mike le ha messo tra le mani i biglietti per la rappresentazione
di The Phantom of the Opera è stato come...
La ragazza si ritrova a sorridere.
Un ragazzo l'ha invitata ad uscire. La cosa l'ha stupita e le ha acceso
una scintilla di contentezza in mezzo al petto, una scintilla che con
il passare dei giorni è diventata quasi una fiamma.
Mike le piace. Nelle settimane successive al suo arrivo a New York sono
rimasti più volte a chiacchierare alla caffetteria dello
stabilimento delle Stark Industries. Lei deve avergli detto che le
piacciono i musical e lui se n'è ricordato. Lui è
quel tipo di persona che fa domande e ascolta anche le risposte. Le
loro brevi passeggiate nei giardini dello stabilimento grondano di
parole e risate, danno un senso di calore. E la ragazza detesta il
fatto che la sua mente tenda, automaticamente, a metterle a paragone
con quelle sere lontane di quella settimana a Venezia, quando lei
camminava fianco a fianco a un dio silenzioso e scostante credendolo un
ragazzo normale.
Nadia vorrebbe poter dire a Mike quanto tutta quella situazione le stia
facendo bene. Non è una questione di orgoglio civettuolo
dovuto al rendersi conto di piacere ad un ragazzo, è il
fatto che avere un amico che ha un interesse per lei le restituisce un
po' di quella normalità che da troppo tempo sente di aver
perso.
La ragazza sospira, poi il suo sguardo si sposta sulla custodia scura
appoggiata sullo stesso tavolo accanto ai biglietti e di colpo, ogni
scampolo di normalità riguadagnata sparisce nel buco nero
della sua testa angosciata.
«Mi sento in colpa» mormora.
«Perché dovresti?» chiede Pepper,
sedendosi di fronte a lei ed allungandole una tazza di latte e
cioccolato.
«Per Mike, mi sento come se lo stessi usando per sentirmi un
po' meno peggio. E non posso nemmeno dirgli la verità sulla
pietra, su di me, su tutto il resto...».
Nadia circonda con le dita fredde la tazza, cercando di scaldarsele.
«Non devi vederla per forza in questo modo» dice la
donna, con la sua coda di cavallo perfetta che le dondola sulla nuca.
«E del resto, non è quello che facciamo tutti,
quando cominciamo ad avvicinarci a qualcuno?».
Nadia corruga la fronte, perplessa.
«Mi stai dicendo che all'inizio avere a che fare con Tony era
una cosa salutare?» domanda, enfatizzando un'aria seriosa per
poi nascondere la faccia dentro la tazza di cioccolato.
Pepper solleva le sopracciglia e Nadia scoppia a ridere, facendo
schizzare la bevanda calda.
«Si stava parlando di me?» si intromette Tony,
entrando in cucina, giocherellando con un cacciavite che fa saltare sul
palmo della mano.
«Erano discorsi da donne, in realtà» lo
rimbecca Pepper.
«Allora si stava decisamente parlando di me».
Nadia scuote la testa, divertita. Tony nota la scatola scura sul tavolo
e lancia alla ragazza un'occhiata interrogativa.
«Oh, quello me l'hanno consegnato stamattina degli agenti, da
parte di Clint» spiega lei.
L'uomo apre incuriosito la scatola. Dentro c'è un arco fatto
di un qualche materiale supertecnologico, superfigo e superinutile,
dato che Nadia non ha idea di come usarlo né ha troppa
voglia di imparare a farlo.
«Accidenti, Legolas fa sul serio» mormora Tony,
quasi ammirato. «Sai che ti dico? Domani vengo con te e nonno
Steve nel bosco, tu provi il tuo arco e io le nuove modifiche che ho
apportato all'armatura»
«Steve sverrà dalla gioia nel sapere che ci sarai
anche tu domani».
Tony sghignazza e si mette a sedere su uno sgabello, facendo ruotare il
cacciavite tra le dita.
Nadia osserva per qualche secondo la scena e picchietta le unghie
attorno alla tazza che ormai si sta raffreddando.
Alla fine, pensa, la normalità è meno lontana di
quanto le sembra di solito. Si sente un po' stupida per tutti i
pensieri angosciati che le ronzano nella testa e si sente spaventata
perché ha paura di perdere quello che ora ha davanti agli
occhi. Non sa perché, forse è solo colpa della
sensazione imminente di pericolo di vita a cui la pietra la espone, ma
sono giorni che sente aleggiare nell'aria odore di brutto presentimento.
«Ehi, ma domani non possiamo andare a giocare nel
bosco» dice Tony all'improvviso, strappando Nadia ai suoi
pensieri. «Tu domani sera hai un appuntamento,
ricordi?»
«Beh, torneremo in tempo perché io mi renda
presentabile».
La ragazza torna a guardare la busta con dentro i biglietti per il
teatro. Poi si volta verso il suo amico e poi di nuovo verso la busta.
«Tony, tu non hai niente a che fare con questa cosa,
vero?» chiede, folgorata da un'intuizione tanto improvvisa
quanto sgradevole.
«Come ti viene in mente una simile idea,
Colombina?!» esclama lui, arricciando il naso.
«Ne saresti capace»
«Forse sì, ma forse tu sei ancora più
capace a fare strage di cuori».
Nadia boccheggia, nel tentativo di trovare qualcosa per ribattere, ma
sente di stare avvampando e si ritrova a fissare inebetita le spalle di
Tony che si allontana verso il suo laboratorio canticchiando:
«. ..fills his
victims full of dread,/ running
as fast as they can/
Iron Man lives again!»
*
Ogni volta gli sembra di non sentire più niente. Ci sono
giorni in cui si crede morto ed è come se assistesse al suo
supplizio dall'esterno, dall'alto come in un sogno, quando si
è spettatori di fatti che accadono a noi stessi.
È il dolore a tenerlo legato a quel corpo, a dargli
percezione del limite segnato dalla sua pelle, dai muscoli, dalle ossa.
Non è facile uccidere un dio, di questo Thanos dev'essere
consapevole, ma quel che è certo è che prima o
poi gli tirerà via la vita dal petto e Loki non sa se il suo
crudele maestro stia di proposito prolungando quell'agonia o se
è lui ad essere più resistente di quanto si
pensasse.
Di solito le torture si ripetono ogni giorno, e tutte le volte, quando
lo riportano nella cella, Loki sente il suo corpo nudo diventare
insensibile alla morsa dei ceppi o al ruvido della nuda pietra su cui
si accascia privo di forze. Ed è quasi una benedizione.
Ma poi accade che per un tempo lunghissimo che lui non è
capace di calcolare – forse tre giorni, forse quattro
– nessuno si occupi di lui, nessuno viene per condurlo da
Thanos ed è come se il suo corpo si illudesse di essere
libero, cancella il dolore e quando il supplizio ricomincia
è peggio di prima.
Eppure, per quanto angoscianti, quei periodi di tregua gli sono stati
utili, gli sono serviti per rintracciare la pietra. Quando era stato
portato ad Asgard dopo la sconfitta di New York gli era stato facile
scoprire dove si trovava, perché era nella stessa galassia.
Ora Midgard è lontanissima, nemmeno lui sa bene quanto, e la
ricerca si è rivelata difficile, resa ancora più
ardua dallo stordimento per le continue torture.
Più volte, preso dalla disperazione, ha creduto che la sola
ricerca della pietra avrebbe esaurito tutte le sue energie prima ancora
di riuscire a rintracciare il bracciale. Nei momenti peggiori ha
persino pensato che la ragazza potesse essere già morta,
dopotutto nemmeno lui sa cosa le è successo, quanto tempo
sia effettivamente passato da quando si sono separati.
Il pensiero che Nadia sia morta lo riempie di panico, gli fa sentire
più forte l'odore del sangue e quell'odore gli ristagna
nello stomaco facendolo vomitare.
Nadia è la chiave per i suoi piani. Ed è anche...
Cosa?
L'unica persona che non gli è nemica. È un
pensiero che significa tutto e niente, ma Loki non può e non
vuole indugiare oltre in simili riflessioni. Spera solo che sia viva,
perché se così non fosse sarebbe tutto perduto,
lui sarebbe perduto.
Alla fine, dopo tante incertezze dolorose quasi quanto i supplizi di
Thanos, l'ha trovata. La pietra è ancora attiva, la ragazza
non è morta. Ora deve solo usare l'energia per creare una
connessione, aprire un passaggio che gli permetta di arrivare
lì dove si trova il bracciale. Ora deve solo restare lucido
ancora un po' e poi sarà in salvo.
______________________________________________
Note:
Povero Thor, che alla sua prima apparizione nelle mie fanfiction
è sempre angustiato a causa di Loki... il fatto è
che mi piace l'idea di mostrare come siano sempre punto e accapo quei
due.
E la comparsata di Lady Sif e i Tre Guerrieri era d'obbligo.
E sappiate che io adoro mettere insieme Jane e Nadia.
E a proposito di Jane e Thor... credo che il loro innamoramento nel
film non sia stato trattato in maniera particolarmente profonda
(aspetto di vedere in Thor 2 come gestiranno la cosa, per ora...
bah...), per cui alle volte mi chiedo perché questi due
abbiano tutta questa ansia di rincontrarsi visto che più che
un innamoramento nel senso “alto” del termine a me
sembrava una cotta estiva tra scolaretti... ma, al solito, io lavoro su
quello che ho a disposizione e dato che il finale del film sembrava
suggerire che questi due stessero lì a struggersi per la
reciproca assenza, mi regolo di conseguenza.
La canzone messa in bocca a Tony è Iron Man dei Black
Sabbath, come da “vestiario filmico”.
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
Grazie a tutti voi. Proprio tutti.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento :)
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Capitolo 6 *** Hell-sent ***
Capitolo quinto
Hell-sent
«Tony, andiamo, alza la cappotta» borbotta Rogers
dal sedile posteriore mentre il vento gli scompiglia il suo bel ciuffo
d'antiquariato.
«Che c'è, Capitano? Hai paura dei reumatismi?
Posso capirlo, alla tua età...»
«Stark!».
Nadia si allunga verso il cruscotto a premere il comando e la cappotta
dell'Audi si solleva con un leggero
plik.
L'asfalto di New York sfuma verso qualcosa di meno definito, sotto un
cielo tanto terso da sembrare laccato.
«Ecco, adesso ci mancava solo la badante premurosa»
mormora Tony, svoltando verso il sentiero sterrato.
Nadia ride, buon segno.
Sarebbe un azzardo dire che la sua giovane amica è felice,
ma in quei giorni il suo umore sembra nettamente migliorato. E lui non
ha il minimo senso di colpa per essere stato la mano che ha
architettato l'appuntamento tra lei e Mike, e comunque è
quasi del tutto sicuro che prima o poi il caro stagista avrebbe trovato
da solo il fegato di farsi avanti e invitarla a uscire, lui ha solo
dato una mano al destino.
Sta andando tutto bene, a parte le crisi, sta davvero andando tutto
bene, al punto che sono tutti convinti che la situazione si
risolverà. Alle volte sembra una previsione fin troppo
ottimistica, non sanno davvero cosa stia succedendo al corpo di Nadia,
ma sono passati tre mesi e lei è ancora lì,
è diventata più forte, grazie agli allenamenti
con i due killer cazzuti, e il fatto di poter vomitare energia magica
senza che nessuno si faccia male le rende il tutto più
gestibile e gradevole.
Naturalmente non potrà essere sempre così, ma ce
la stanno facendo, se la stanno cavando discretamente senza l'aiuto di
divinità pericolose o altre mostruosità simili.
Alle volte Tony pensa a come sarebbe stato se quel lurido bastardo di
un cervo malriuscito fosse davvero tornato indietro e avesse aiutato
Nadia. Si chiede se a forza di dare una mano a una ragazza –
alla ragazza che ha salvato il suo divino fondoschiena – il
maledetto non avrebbe finito per darsi una calmata e riconsiderare la
sua posizione da aspirante e bellicoso re dell'universo.
No, probabilmente non sarebbe successo in nessun caso. Quel tizio
è marcio, marcio dentro. È una scatola di buio e
lame di ghiaccio con una pietra al posto del cuore.
E per fortuna è in qualche posto molto lontano da
lì. Magari il fratello dalla bionda chioma l'ho anche
riacciuffato e messo sotto chiave da qui all'eternità.
E Nadia forse sta appena appena cominciando a toglierselo dalla testa.
Loro – lui più di tutti – si sono
impegnati veramente tanto affinché succedesse.
Avengers: 2 –
Rocchettaro Bastardo: 0
Bello! Tony sorride mentre dà un colpo all'acceleratore,
sollevando una nuvola di polvere nella scia della macchina e facendo
quando scivolare dal sedile Steve che lo guarda in cagnesco dallo
specchietto retrovisore, borbottando che dovrebbero ritirargli la
patente.
Se lo ripete ancora una volta: sta andando tutto bene. Loro sono i
buoni, sono nati per vincere.
Sta andando tutto
fottutamente bene...
*
Tony resta fuori, davanti alla casa nel bosco, a indossare l'armatura e
a verificare i parametri del software in relazione alle modifiche che
ha apportato al Mark VIII. Steve gli si piazza di fianco, continuando
con fare bellicoso, un discorso iniziato in macchina a proposito
dell'utilità di internet.
Nadia li guarda e non sa se ridere o mettersi a gridare. Alla fine,
decide semplicemente di entrare in casa e andare a salutare Bruce che
sta osservando la scena dalla finestra, con aria a metà tra
il perplesso e il divertito.
«Non possono farcela, non ce la faranno mai!»
commenta la ragazza, avvicinandosi al dottor Banner.
«Dio li fa e poi li accoppia» replica lui,
scrollando le spalle. «Vado a mettere su l'acqua per il
tè».
Ecco, giusto... il tè. Santi numi.
«Per quei due magari una camomilla» scherza Nadia.
«Nel frattempo posso dare un'occhiata alle mie e-mail dal tuo
computer? Mia sorella doveva mandarmi delle foto».
«Fai pure!» risponde Bruce dalla cucina, alzando la
voce per farsi sentire a distanza e oltre lo schiamazzo che Tony e
Steve stanno facendo di fuori.
Nadia si siede alla scrivania e apre il browser alla pagina di Google.
Il messaggio di Sara campeggia in grassetto in cima alla lista, nel suo
account di Gmail. La ragazza apre gli allegati e pixel dopo pixel
appaiono sullo schermo una sfilza di facce sorridenti.
Sono foto della festa di compleanno di un loro amico. C'è il
tavolo con la tovaglia di carta monouso, il festone colorato appeso
alla buona, la torta con la locandina di Star Wars stampata sulla
glassa e la scritta ''Auguri Sergio'' fatta con il cioccolato,
c'è il pezzo di carta da regalo accartocciata e il filo di
spago che si intravedono in un angolo. E ci sono tutte le facce di
quella vita che Nadia si è lasciata alle spalle.
Guarda le foto più volte, sperando che quei sorrisi e quei
particolari le facciano arrivare una ventata di familiarità.
Ma quanto è lontana da tutti loro, adesso?
Nadia lo ha sempre saputo, fin dalla sera in cui disse addio a Tony e
agli altri sul molo, fin da quando vide sparire Thor in un turbinio di
luce azzurra. Non poteva immaginare che li avrebbe rivisti o che si
sarebbe trasferita a New York, ma sapeva che ormai era lontana dal
mondo in cui prevedeva di dover restare.
Il suo supplizio non è l'energia della pietra, la sua
condanna è aver visto, aver conosciuto, aver vissuto quei
giorni. La sua condanna è l'essere stata davvero una
guerriera e non poter fare nulla per dimenticarlo.
Non ha ancora mai pensato a cosa farà, quando quella
situazione sarà risolta, semmai sarà risolta. Non
si è mai data pena di riflettere per decidere se restare
lì o andarsene, ma sa che dovrà scegliere un
giorno e sa che una scelta implica necessariamente una rinuncia.
Chiude la pagina con le foto e prende un grosso respiro.
«Com'è possibile che esistano individui come te?
Ti giuro, io non capisco...»
sente Steve che borbotta stizzito.
«Lo so, Capitan Mammut, è la tua salvezza e il tuo
più grosso problema» replica Tony.
Il sorriso le sale alle labbra, quasi senza che se ne accorga. Li ama,
è più forte di lei. E ama il fatto che ognuno di
loro le voglia bene a suo modo.
Bruce torna nella saletta di ingresso che fa anche da studio.
«Hai mai provato a cercare i Vendicatori su
Google?» domanda Nadia, divertita.
«No, fa parte del mio piano per evitare lo stress»
mormora il dottore.
Lei fa schioccare la lingua e digita la parola Avengers. L'elenco dei
risultati è infinito.
Nadia passa il dito sullo scroller del mouse e dà una rapida
occhiata ai titoli. Parlano di loro in forum di tutti i generi, sui
siti dei giornali, sui blog e...
«Oh, wow! Ci sono anche i fansite» esclama.
«Ma non mi dire» borbotta Bruce, non
particolarmente interessato, appoggiando tazze e zuccheriera su un
vassoio. Lui è quello che meno di tutti ha fatto pace con la
parola ''eroe''.
Nadia entra in un sito amatoriale a caso e comincia a navigare tra le
pagine. Ci sono raccolte di articoli, notizie di dubbia
veridicità, disegni di ammiratori e anche fanfiction.
«No, non ci credo. La gente scrive fanfiction su di
voi!» sbotta, stupita.
«Che cosa?», Bruce inarca un sopracciglio.
«Le fanfiction sono storie scritte da fan di un'opera
originale, che utilizzano i personaggi e il contesto dell'opera in
questione... tipo finali alternativi di un libro o ipotetici continui
di un film. Le leggevo anche io, in Italia, ma non pensavo che le
scrivessero su di voi!»
«Perché tutto ciò mi suona
terrificante?»
«Ma no, è divertente, cioè... o porc...
forse è meglio che questa roba non la vedano Tony e
Steve».
Bruce inforca gli occhiali e trascina uno sgabello accanto alla
scrivania per sedersi vicino alla ragazza. Scorre la pagina che ha
davanti e si gratta nervosamente la radice del naso.
«Nadia, ehm, cosa significa Iron Man-slash-Captain America?»
mormora. «Non quello che sto pensando io adesso,
vero?».
«Nadia!». Steve si sporge oltre la porta, con aria
implorante. «Per favore unisciti a noi, prima che gli faccia
ingoiare l'elmo della sua armatura».
La ragazza e Bruce lanciano un'occhiata obliqua alla pagina internet,
il dottore allunga rapido la mano a spegnere il monitor del pc, poi
entrambi si guardano in faccia e scoppiano a ridere.
«Che succede? Perché state ridendo?»
chiese Steve.
«Fidati Capitano, non
vuoi saperlo sul serio» dice Bruce, alzando le
mani.
Quando esce dalla casa, sente il rumore del vento che fischia tra gli
alberi, è un vento prepotente e gelido. Non le sembrava
facesse così freddo prima.
«Io comunque non so che farmene di questo affare»
dice Nadia, rigirandosi l'arco tra le mani. Cerca di pensare all'arco
perché non si è ancora tolta dalla testa la
faccenda delle fanfiction slash di qualche minuto prima e ha paura di
scoppiare a ridere senza apparente motivo mentre Steve e Tony la
guardano.
Il vento continua a soffiare, facendo addensare le nuvole
all'orizzonte.
«Clint ha detto di cominciare a prendere confidenza, che la
prossima volta che ci vediamo mi spiegherà meglio... ma come
si prende confidenza con un arco?»
«Prova a incoccare la freccia» suggerisce Steve.
«Ehi, non puntarlo verso di me» protesta Tony.
«E nemmeno verso casa» aggiunge Bruce.
«Se entrasse da una finestra sarebbe un macello».
I suoi amici non hanno di che preoccuparsi; mentre Nadia solleva l'arco
e lo punta verso gli alberi si accorge di quanta strenua resistenza
opponga la corda nel venire tesa.
Perché a Clint vengono sempre in mente idee così
sfiancanti?
«Questa corda non si lascerà mai
tendere» borbotta lei, con la voce assottigliata per lo
sforzo. «Non da me, di sicuro».
Steve le si avvicina, aspetta che lei sistemi la freccia contro la
corda e chiude una mano sulla sua per aiutarla a tendere l'arco,
facendole portare il braccio all'indietro. È quello che
fanno gli amici, pensa Nadia sorridendo, sommano le loro forze alle tue
e risolvono un problema – anche se lei potrebbe sopravvivere
benissimo senza tendere il dannato arco che le ha dato Clint.
«Lasciamo andare?» chiede lui.
La ragazza annuisce.
Flup...
La freccia parte con un'angolazione che avrebbe fatto venire a Clint il
mal di stomaco. Vola disegnando una mezza parabola e sparisce tra gli
alberi atterrando a molti metri di distanza, perdendosi nella
boscaglia.
Il colpo le fa tremare la mano con la quale reggeva l'arco e la punta
dell'arma vibra all'indietro colpendola sulla fronte.
«Ahia!» si lamenta lei, toccandosi nel punto in cui
si è colpita da sola e notando che si aperto un piccolo
graffio sanguinante che brucia.
«Bontà divina! Dobbiamo dire a Barton che lasci
perdere con questa storia o finirai per ammazzarti» borbotta
Tony, solo la faccia sorniona spunta dall'armatura, facendolo sembrare
un giocattolo costruito male.
«Non è niente» replica lei, premendosi
un dito sul taglietto per farlo smettere di sanguinare. Non
è niente, però fa un male cane lì
sulla fronte, magari si formerà anche un bernoccolo.
«Vado a vedere se riesco a recuperare la freccia».
Nadia si allontana tra i tronchi degli alberi, respirando l'odore di
resina e tirando giù le maniche della maglia per coprirsi le
mani che sente intirizzite per quelle folate di vento freddo. Tenta di
scorgere la freccia, ma non la vede e si allontana ancora un po' dallo
spiazzo davanti alla casa. Volta dietro un alto cespuglio, fa per
guardarsi attorno sperando di cogliere da qualche parte il luccichio
della punta metallica, ma quello che vede la paralizza e le fa
dimenticare anche solo come si chiama.
Per un attimo sente dolore, un dolore che è quasi fisico,
come se tutto il suo corpo fosse coperto di lividi e qualcuno si stesse
divertendo a premerci su le dita uno ad uno. Dopo qualche secondo il
dolore e lo straniamento diventano paura e poi tutto si congela in un
ovattato senso di fredda incredulità.
No, non può essere. È tutto sbagliato.
Sarà qualche effetto dell'energia della pietra, forse le
allucinazioni sono una conseguenza della malattia... non può
essere, non deve essere...
Dopotutto, c'è qualcosa che non torna. C'è troppo
poco gelo in quegli occhi cerchiati da occhiaie livide, e
c'è troppo pallore sul suo viso più magro e
affilato di quanto lo ricordasse.
Eppure è come la sera in cui lui giunse a Venezia,
accompagnato da quell'improvviso vento gelido e quasi innaturale.
Loki...
No, non è un'allucinazione: è un incubo.
*
Alla fine ha trovato la connessione con la pietra e ha aperto il
portale.
Peccato non essere lì quando i suoi carcerieri scopriranno
che la prigione di pietra è ormai vuota e che lui
è ben al di là della loro portata.
Per un po' è stato come galleggiare a pelo d'acqua, una
sensazione quasi dolce, poi all'improvviso è arrivata una
specie di spinta che lo ha trascinato giù, ed è
sembrato qualcosa di molto più simile all'annegare. La forza
del varco lo ha spinto sempre più lontano, sempre
più veloce fino a quando non ha visto l'aria diventare come
un velo di nebbia, un drappo trasparente che si è squarciato
nell'attimo in cui lo ha toccato ed è diventato fumo sottile
attorno a lui.
Quasi senza rendersene conto, si è ritrovato nuovamente con
il suolo sotto ai piedi. Il suolo di Midgard.
Loki vede macchie di marrone e di verde vorticare attorno a lui. Quel
viaggio disperato ha dissipato le sue forze e fatto aumentare il dolore
in ogni parte del corpo. Sente, quasi con sollievo, il tessuto dei
vestiti avvolgerlo di nuovo e sente il sangue scorrere dalle ferite e
attaccarsi al velluto scuro, ma non importa. È giunto a
destinazione, è salvo.
Impiega qualche secondo a sentirsi abbastanza fermo sulle proprie
gambe. La luce gli ferisce gli occhi e lui apre e chiude più
volte le palpebre prima di riuscire a mettere a fuoco lo scenario che
ha intorno.
Dove si trova? È una foresta quella?
È un bosco. Diamine, un bosco!
Il verso corale di uno stormo di uccelli in volo gli giunge alle
orecchie quasi facendo eco, sembra assordante come anche il rumore del
vento tra gli alberi.
Il dio dell'inganno si sente investire prepotentemente da quel luogo
estraneo e inatteso. Ha bisogno di qualche minuto per ricostruire un
contatto con la realtà, per lasciare che le forme acquistino
senso in mezzo a quella caleidoscopica confusione.
Non riesce a capire, non gli sembrava ci fossero boschi in quella
dannata città sull'acqua.
Sente i passi di qualcuno che si avvicina, il frusciare di rami che
vengono spostati. Serra i pugni in un gesto automatico di difesa, resta
in tensione ad aspettare di conoscere il volto dell'individuo che
avrà la sfortuna di incontrare.
La figura emerge da dietro a un cespuglio. Uno sbuffo di capelli
biondi, un po' più lunghi di come li ricordava, e due occhi
scuri che si fissano su di lui, prima del tutto privi di emozione, poi
spaventati.
Nadia...
Nadia resta impietrita, si tende all'indietro urtando contro il
cespuglio. Sembra quasi che abbia paura di lui, poi la sua espressione
diventa una maschera di sconcerto, con le labbra così
serrate da sembrare appena un solco sul viso da ragazza. Il sangue le
fugge via dal viso e il dio si ritrova a pensare che non la ricordava
così... così donna.
È cresciuta, la giovane piena di rabbiosa confusione;
è cresciuta come le persone che hanno sofferto.
Loki vorrebbe tendere la mano, provare a toccarla e sincerarsi che non
è un'allucinazione indotta dalla sua mente straziata.
Vorrebbe persino avere la forza d'animo di fare un sorriso o qualcosa
del genere, perché il fatto che lei sia lì
significa che lui è in salvo, ma lo sguardo di Nadia lo
tiene inchiodato, fermo sotto il peso di tutto quello che deve aver
significato la sua assenza.
È viva, sta bene, ma probabilmente è salva per un
soffio, per un qualche miracolo che adesso il dio non riesce a
immaginare. È salva per pura concessione del destino, non
certo per merito suo.
Cosa dovrebbe dirle? Che in tutto quel tempo è rimasto
prigioniero su uno sputo di roccia in mezzo all'universo dove
è stato torturato fin quasi alla morte?
Cosa dovrebbe dire? Che fare, quando ha la sensazione che se muovesse
anche solo un muscolo la ragazza si metterebbe a urlare? Probabilmente
a urlargli insulti. Tutti quegli insulti che lui non merita ma che lei
avrebbe il diritto di gridargli.
«Tu...» è tutto quello che invece esce
dalla bocca di Nadia.
È un sussurro flebile, ma riporta Loki alla
realtà, lo rende finalmente del tutto cosciente del fatto
che è libero e che è riuscito a trovarla.
È sollevato di essere lì, è sollevato
perché ora è al sicuro e perché
c'è qualcosa che è scattato dentro la sua mente
nel momento in cui ha rivisto Nadia, qualcosa che spinge un po'
più lontano il freddo del vento e della pietra del pianeta
dei Chitauri, anche se sono ricordi vecchi di una manciata di minuti.
«Tu, come... come...» la ragazza comincia a
farfugliare. Ecco, questo è uno di quei momenti in cui lei
diventa stupida per l'agitazione. Diventa stupida e detestabile, e Loki
si sente sempre più debole ad ogni secondo che passa, e non
vuole svenirle tra le braccia – anche perché ha il
sospetto che lei lo lascerebbe a rovinare sul terreno polveroso.
«Nadia, ascolta...». La sua voce è
ridicolmente bassa e roca, una voce che di recente non è
stata usata per nient'altro se non per gridare.
Istintivamente fa un passo malfermo verso la ragazza e allunga una mano
verso di lei.
Nadia si ritrae con uno scatto, con un fare stizzito che in un altro
momento avrebbe fatto sentire Loki molto offeso e ferito.
«Non provare a toccarmi» sibila la ragazza, come
quella notte, dopo il primo attacco dei demoni. Quando ogni pensiero si
era indurito per la delusione, la rabbia e la paura.
Guerriera fino in fondo, accidenti a lei!
«Devi dirmi dove siamo» insiste Loki, facendo
appello alle poche energie rimaste e all'ultimo scampolo di calma di
cui dispone. «Che posto è questo?».
«New York» dice una terza voce. Una voce che Loki
conosce bene e che gli procura un disgustoso senso di irritazione,
quasi un conato di vomito. «L'ultima volta che sei passato di
qui hai dimenticato di prendere un souvenir?».
Il dio alza lo sguardo furente per trovarsi davanti Tony Stark, bardato
nella sua armatura, che si frappone tra lui e Nadia e solleva il
braccio per mettere in mostra il missile che spunta dal polso di
metallo.
Non è possibile che il fato abbia agito in maniera
così sorprendete. Loki stenta a crederlo.
Fare in modo che la ragazza seguisse gli Avengers oltreoceano faceva
parte dei suoi piani, prima che la sua coscienza – quella di
cui nessuno sospetta l'esistenza – gli imponesse di scegliere
in un altro modo le sue priorità. Eppure Nadia è
lì, con loro.
La mente stanca del dio visualizza possibilità, strade che
al momento sono ancora avvolte nella nebbia ma che sono lì,
ai suoi piedi, pronte ad essere testate.
Riderebbe se non gli facesse così male e se non trovasse
tanto bruciante l'idea che doveva essere lui a salvare Nadia e non quel
branco di umani molesti. Quello era un affare tra lui e la ragazza e
adesso invece è diventata la nuova missione degli eroi più forti del
pianeta.
«Oggi stavo giusto pensando a quanto stesse andando tutto
bene. Stavamo meravigliosamente senza di te, Bambi» aggiunge
l'uomo di metallo con freddezza. «Perché non te ne
torni da dove sei venuto?».
Stavano meravigliosamente, sul serio? Anche lei?
«E dimmi, quanto pensi che Nadia potrà ancora
reggere l'energia senza il mio aiuto?». Lo dice con una
rabbia gelida, senza guardare la ragazza, perfettamente consapevole
dell'occhiata ricolma d'odio che lei adesso gli sta rivolgendo. Ci
sarà tempo per quello...
Loki sente gli abiti fradici di sangue sotto la casacca. Se Stark
vedesse lo stato in cui si trova non farebbe domande tanto stupide. Ma
è bene che quel borioso cervello bacato si renda conto del
fatto che hanno bisogno di lui, di nuovo.
«Cosa succede?». Oh, ecco un altro cervello degno
di nota: il Capitano Rogers fa la sua comparsa da dietro il tronco di
un grosso albero. Appena vede Loki quasi sbianca di collera.
«Tony, abbassa le armi» dice Nadia all'improvviso,
facendosi avanti e appoggiando una mano sul braccio fasciato di metallo
del suo amico preferito.
Forse le è rimasta un po' di compassione per lui.
Stomachevole.
«Fatti da parte, Colombina, non permetterò che tu
finisca di nuovo immischiata in...»
«Stark, abbassa le armi» dice il Capitano, in tono
perentorio, affiancandosi al compagno.
«Cosa? Che cos'è, il ritrovo dei
boy-scout?!» borbotta l'uomo di metallo.
Rogers si limita a indicare con uno sguardo la mano che Loki tiene
appoggiata contro il fianco. Oltre la manica sta colando un copioso
rivolo di sangue che gocciola vischioso dalle dita andando a macchiare
il terreno.
L'ultima cosa di cui il dio dell'inganno è cosciente
è il suo corpo dolorante che impatta contro il suolo.
___________________________________
Note:
He
is back!
Di
nuovo la storia del vento freddo, come nel primo capitolo di "A series
of unfurtunate events". Nella mia testa, se Thor è
annunciato da
tuoni e fulmini, Loki è annunciato dal vento freddo.
È pur sempre
uno jotuhn (anche se è meglio non ricordarlo...)
Tanto
per essere chiari, con la scena demente sulle fanfiction non volevo
prendere in giro chi scrive slash o chi apprezza il genere, ma visto
che nella mia storia Steve e Tony sono felicemente NON innamorati (e
non attratti l'uno dall'altro et similia), volevo solo scherzare un
po' sulle loro spalle e creare un momento di leggerezza prima della
parte finale del capitolo (e ribadire quanto gli Avengers siano parte
integrante della realtà, nel mondo in cui si colloca la
storia).
Chiedo
scusa del ritardo che a volte ci metto a rispondere alle recensioni,
queste sono settimane di fuoco.
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
Ci leggiamo venerdì con il nuovo capitolo.
|
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Capitolo 7 *** Welcome back - part one ***
Capitolo sesto
Welcome back –
part one
E adesso?
Non tutti sono disposti a crederlo forse, ma anche Steve Rogers dice
parolacce. Ne ha qualcuna che gli preme sulle labbra proprio in quel
momento, mentre nel corridoio al di fuori quella porta chiusa sta
scoppiando il caos.
Natasha Romanoff copre l'auricolare con la mano, tentando di sentire
meglio quello che Fury, dall'altro capo del telefono, le sta abbaiando.
Stark segue con lo sguardo gli agenti che vanno avanti e indietro,
concitati e nervosi. Non ha voluto saperne di uscire dall'armatura.
Barton dà ordine di far sgombrare il personale civile da
quella zona dell'edificio e chiede che arrivino degli uomini armati,
per ogni evenienza. Come se temesse che Loki potesse riprendersi di
colpo e radere al suolo la base.
Loki, al momento, è dietro quella porta, ancora privo di
sensi e non ha l'aria di uno che potrebbe svegliarsi da un momento
all'altro. Cioè, non ha l'aria di uno con buone
probabilità di risvegliarsi, in generale, figuriamoci di
fare qualcosa di dannoso per la sicurezza altrui. Ma si tratta pur
sempre di Loki e
nessuno è pronto a fidarsi di lui, nemmeno ora che
è privo di conoscenza. Meno che mai ora, anzi; ora che
è sbucato fuori, Dio solo sa da dove, conciato come se fosse
uscito da un enorme tritacarne.
Bruce se ne sta appoggiato con le spalle al muro, in disparte per non
ostruire il passaggio, e ha l'aria di uno che preferirebbe essere nel
più cencioso vicolo di Calcutta piuttosto che restare in una
base dello S.H.I.E.L.D. in un momento di piena crisi.
«Dottore, portala via da lì» borbotta
Tony a mezza voce, indicando Nadia.
La ragazza se ne sta premuta contro la porta di quella che sembra
essere una specie di infermeria molto attrezzata, a guardare dentro dal
rettangolo di vetro, come se temesse che staccandosi da lì
Loki potesse disintegrarsi per autocombustione.
La ragazza ha le mani sporche di sangue e i vestiti coperti di terreno.
Bruce le poggia le mani sulle spalle e la stacca con cautela dal
battente di metallo.
Steve osserva la scena con la coda dell'occhio e pensa che se non fosse
così tanto impegnato a provare pena per lei, certamente ne
proverebbe un po' per Loki. La pietà verso i nemici gli
è sempre parsa la più alta forma di
umanità ed un sentimento che non riesce ad essergli
estraneo, però deve ammettere che c'è una lunga
lista di cose di cui preoccuparsi ora.
E comunque c'era davvero tanto sangue, troppo. Sangue scuro e vischioso
che diventava subito freddo a contatto con la pelle...
Steve si sente rabbrividire.
«Le divinità non muoiono, vero?» mormora
Nadia con voce spenta, appoggiando la testa contro la spalla di Bruce.
«Stando a quello che ho visto prima nel bosco, dovrebbe
già essere morto. È un buon segno, voglio dire,
che non lo sia» risponde il dottore.
«Che altre buone notizie abbiamo?» esclama Barton
con bieco sarcasmo.
Steve gli lancia una rapida occhiata e scuote piano la testa. Per amor
di Dio, non adesso, non davanti a Nadia, che c'è da temere
che scoppi a piangere con lacrime di sangue per quanto ne ha visto poco
prima nel bosco. Ma Nadia non piange, non si agita, se ne resta calma
in modo innaturale, avvolta in un bozzolo di sconcerto e timore che la
isola in parte da quello che ha attorno.
Steve non riesce a capire se sia un bene o no. Di certo è un
elemento critico in meno da gestire, al momento. O è l'ora
di quiete che precede la tempesta.
«Fury sta arrivando con un jet. Sarà qui tra un
paio di ore» annuncia Natasha Romanoff, mentre gli agenti
armati si schierano lungo il corridoio.
«E nel frattempo, che si fa? Giochiamo tutti insieme
all'allegro chirurgo?» chiede Stark.
«Gli ordini sono di aspettare. Se dovesse svegliarsi vado a
parlarci per tenerlo impegnato» replica sbrigativa l'agente
Romanoff. «Voglio una pattuglia di agenti armati davanti a
questa porta e che nessuno si muova. Voi altri, venite con
me».
Li conduce tutti in una stanza poco distante da lì, dove
c'è una consolle con schermi e tastiere. Si mette ad
armeggiare con dei pulsanti e pochi secondi dopo su uno degli schermi
compare l'inquadratura della stanza dove è chiuso Loki, la
telecamera di sorveglianza è puntata proprio davanti al
letto su cui è steso.
Tony si volta verso Nadia,
«Immagino che suggerirti di andare a casa sia una
cosa...» tenta di dire.
«Una cosa che insulta la tua intelligenza da genio
miliardario» sbuffa la ragazza, lasciandosi cadere su una
sedia davanti allo schermo, dando le spalle all'uomo in armatura che
rimane a fissarla con l'aria mesta di chi non è abituato
alla sconfitta.
Lui fa per aggiungere qualcosa, ma Steve gli lancia un'occhiataccia per
zittirlo.
«Piantala, non è il momento di fare il fratello
maggiore» gli sussurra.
Non è il momento di fare niente perché non
c'è proprio niente da fare.
Dev'esserci una tale devastazione ora dentro la testa di quella
ragazza, e a volte è più facile salvare un
pianeta intero che un'anima che soffre.
*
Il bianco è così intenso da ferirgli lo sguardo,
si era quasi disabituato alla luce.
È steso su un letto in una stanza priva di finestre, dove
l'illuminazione è quella asettica e innaturale di lunghe
lampade al neon che penzolano dal soffitto appese a fili di acciaio.
Un'altra volta è senza vestiti, ma sente addosso la
consistenza morbida e liscia di un lenzuolo che odora di biancheria
pulita e sente lo stretto delle medicazioni, e sotto le medicazioni il
bruciore di ferite ancora non rimarginate, l'appiccicume del sangue
contro le garze. Tutto sommato gli è stato riservato un
trattamento migliore di quello che si aspettava, anche se quella
telecamera che lo fissa dall'angolo di fronte al letto è un
chiaro segno di mancanza di fiducia.
Non si aspettava fiducia, in effetti. Non si aspettava niente.
Non sa di preciso quanto è stato via, lo scorrere del tempo
non è lo stesso per tutti gli angoli dell'universo ma in
quel piccolo mondo abitato da esseri con una vita così
effimera anche poche settimane sono sufficienti a far cambiare
qualsiasi cosa. E devono esserci stati di certo parecchi cambiamenti se
Nadia è finita lì; non conosce bene la geografia
di Midgard ma ha idea che la sua città sull'acqua sia molto
molto distante da New York.
Sente una porta aprirsi, non si dà pena di voltarsi a
guardare chi sia il suo visitatore. Non riesce a girare la testa senza
sentire dolore e comunque non ha molta importanza, perché
chiunque sia entrato si sta avvicinando e sembra avere tutte le
intenzioni di parlare con lui.
«Agente Romanoff» esclama, appena la donna rossa
entra nel suo campo visivo. «Ancora una volta tocca te
l'onere di parlarmi».
Oh, ha molte cose da dire agli agenti dello S.H.I.E.L.D, se saranno
disposti a credergli, ma si sente ancora frastornato e detesta
mostrarsi così vulnerabile. In quei lunghi giorni sul
pianeta dei Chitauri ha già dato abbastanza spettacolo.
«Credimi, dispiace più a me che a te»
mormora la donna in tono inespressivo.
«Stavolta non ci sono segreti da carpire con una gara di
eloquenza. E poi, credevo che ormai
fossimo amici».
«Devi avere la mente molto confusa se fai simili
affermazioni».
Se non gli causasse un dolore indicibile, Loki riderebbe.
«Ho delle domande. Tu rispondi e facciamola finita nel
migliore dei modi» aggiunge la donna, gelida.
Lo considerano ancora una minaccia, in qualche modo lo temono. La loro
paura è una piacevole conquista, quasi una rassicurazione,
se non fosse anche il segno della loro immane stupidità lui
ne trarrebbe certamente soddisfazione.
«Non ho tempo di rispondere alle tue domande, agente
Romanoff» borbotta. «La vostra preziosa Terra
è in pericolo e non sono io il vostro nemico, nemmeno questa
volta. Sorprendente, non trovi? Anzi, aggiungerei che è
colpa di Thor. Chiunque sia il vostro nemico vuole vendicarsi di lui,
per questo ha intenzione di attaccare il vostro pianeta».
Nessuna emozione smuove l'espressione algida della donna, ma Loki sente
il suo nervosismo far vibrare l'aria.
«Menti» sentenzia lei, dopo qualche secondo di
silenzio.
Loki sbuffa, indolente. Non si aspettava niente di diverso, tutto
è talmente scontato e prevedibile da essere noioso e ci sono
altre cose che al momento gli interessano di più del
conquistarsi la fiducia degli Avengers.
Lo scettro di Thanos.
La ragazza...
L'energia della pietra.
Nadia.
I suoi piani, il suo futuro, il suo riscatto. Cose che hanno a che fare
con lui, con lui e con nessun altro!
«Credevo che voi dello S.H.I.E.L.D. non aveste tempo da
perdere, ma se lo trovi dilettevole fammi pure le tue
domande» conclude il dio con un sospiro di malcelata
impazienza.
«Anche tu volevi distruggere la Terra, perché mai
ora dovrebbe importarti?» domanda lei, crucciata.
Loki fa una mezza risata. La pelle martoriata tira sotto le
medicazioni, ma lui non riesce a trattenere quel momentaneo scoppio di
ilarità.
«Distruggere la Terra? Io? Non capisco, agente Romanoff, tu
distruggeresti un giocattolo con il quale hai intenzione di
giocare?».
Senz'altro non è il momento più adatto al
sarcasmo, ma la soddisfazione di vedere la collera alterare i bei
lineamenti della donna è qualcosa di assolutamente
impagabile.
Natasha Romanoff stringe le labbra, illividendo per la rabbia. Muove un
passo verso di lui e un attimo dopo balza a cavalcioni sul letto,
fissandolo dall'alto. Scosta le coperte e stacca una fasciatura che si
trova ad altezza delle costole, rivelando un profondo solco cerchiato
da un alone violaceo.
Con tutta la veemenza dell'esasperazione, la donna infila una dito
nella ferita. Loki ha un sussulto, ma la guarda con irriverenza. Ha
sopportato di peggio, non c'è niente che possano fargli di
tanto terribile da smuoverlo, solo che non sopporta che loro credano di
poterlo avere in pugno, l'unica volta in cui sono riusciti a metterlo
in gabbia è stato quando lui ha voluto che lo facessero,
perché serviva al suo scopo. E anche quando è
stato ricondotto in ceppi alla casa di Odino, non sono riusciti a
trattenerlo tra le quattro pareti delle sue stanze.
Lui è un dio, questo nessun supplizio, nessuna umiliazione
può portarglielo via.
Incurante del bruciore al fianco e del dito della donna premuto nella
carne viva, Loki si alza e le serra una mano attorno alla gola,
puntandole in viso due occhi feroci.
«Stammi bene a sentire» sibila, a un palmo dal suo
naso. «Ho trascorso tutto questo tempo prigioniero sul
pianeta dei Chitauri, sono stati loro a farmi questo, e so per certo
che qualcuno vuole attentare alla sicurezza del vostro pianeta. Decidi
tu cosa farne di questa informazione, ma sappi che ho una faccenda in
sospeso qui e ho tutte le intenzioni di portarla a termine».
*
«Brutto figlio di puttana» esclama Clint con un
tono quasi stridulo e uno stupore rabbioso negli occhi.
L'immagine sullo schermo mostra Loki con una mano stretta alla gola di
Natasha e uno sguardo che farebbe impallidire il diavolo. Nadia stenta
a credere che fino a pochi minuti prima lo aveva creduto in punto di
morte.
Clint afferra la ricetrasmittente, le nocche che sbiancano per la
veemenza della presa,
«Intervenite, subito!» ordina.
Un attimo dopo gli uomini armati piombano nella stanza con i fucili in
pugno.
Loro osservano la scena dallo schermo, con un velo di sudore freddo
sulla fronte.
Nadia si sente sprofondare. Le parole di Loki continuano a farle eco
nella testa, confondendosi in una cacofonia priva di senso. Solo due
affermazioni sono appena distinguibili in mezzo al caos.
La vostra preziosa Terra
è in pericolo... ho trascorso tutto questo tempo prigioniero
sul pianeta dei Chitauri...
Sullo schermo si vede Natasha alzare una mano per fare cenno ai
rinforzi di andare via mentre Loki allenta la presa e si lascia cadere
all'indietro sul materasso. Tutto sembra tornare sotto controllo.
«Quanto tempo è passato da quella notte a
Venezia?» chiede il dio, con lo sguardo che si incupisce.
«Tre mesi».
Loki chiude gli occhi stanchi, sospira e si stropiccia il viso con le
mani.
«E non è cambiato nemmeno un po'...»
borbotta Tony a mezza voce.
«In realtà a me sembra più pazzo di
prima» aggiunge Bruce, torcendosi le mani in quel suo modo
nervoso. «È stato torturato... il dolore acuisce
la follia».
Steve batte impaziente il piede contro il pavimento.
«Sono il solo ad aver prestato attenzione alla parte in cui
diceva che qualcuno vuole distruggere la Terra?» domanda,
palesemente sulle spine.
Nei minuti successivi ascoltano Loki parlare brevemente della sua
cattura, del periodo di prigionia e di quello che ha visto e sentito
mentre era con i Chitauri. Lo racconta con poche rapide frasi, con la
freddezza e il distacco di chi non si aspetta alcuna
solidarietà e di chi ha smesso di considerare la compassione
un sentimento degno di essere provato o suscitato.
Già, certo, lui è un dio, non una vittima.
Nadia sente la testa girare e lo stomaco stringersi in un attacco di
nausea. E stavolta la pietra non c'entra niente.
Quando Natasha chiede a Loki come mai sia rimasto lì tutto
quel tempo prima di fuggire e come mai non abbia combattuto contro i
Chitauri che erano venuti a catturarlo, lui inarca le sopracciglia in
quel suo modo ostile e indisponente, come se ci fosse qualcosa di ovvio
che sfugge alla mente ristretta della sua interlocutrice, come se la
domanda lo stupisse per la sua stupidità.
«Dovevo gestire bene l'energia che mi era rimasta. Il piano
era quello di tornare, è sempre stato quello di
tornare» dice il dio, assumendo un'espressione melliflua.
«Vi sarete accorti che Nadia ha qualche problema con
l'energia della pietra, e vi sarete anche accorti che la cosa non
è, come dire, di
vostra competenza».
Nadia non riesce a staccare gli occhi dallo schermo, ma è
consapevole degli sguardi dei quattro uomini puntati su di lei. Sono
sguardi che pesano, che caricano l'aria di una tensione insostenibile.
La voce di Natasha ora le sembra arrivare da un altrove molto distante,
sovrastata da pensieri confusi che si accavallano tra commozione e
incredulità.
«Tu avresti subito tutto questo solo per poter tornare qui ed
aiutare lei?» domanda con il tono di chi non è
disposto a credere a una risposta affermativa.
Loki stringe appena le palpebre e impiega qualche secondo a rispondere,
come se stesse cercando con cura le parole migliori.
«Mi ha salvato la vita, a Venezia» si limita a
dire.
Cosa?...
E adesso perché l'agente Romanoff ha estratto la pistola
dalla fondina?
Natasha si volta verso la telecamera e lancia uno strano sguardo
all'obbiettivo, poi prende la mira e preme il grilletto. Un attimo dopo
l'immagine sparisce dallo schermo, sostituita da strisce grige e
bianche.
*
«Tu avresti subito tutto questo solo per tornare qui e
aiutare lei?» domanda l'agente Romanoff. È quasi
una domanda retorica, è chiaro che non è disposta
a credere davvero a una sua risposta affermativa.
Eppure «Sì» è l'unica
risposta che abbia senso. E se quella donna si sforzasse di usare un
po' di più il suo cervello da spia ben addestrata capirebbe
anche il perché. Era la migliore opzione che lui avesse,
è una questione di logica. Di logica e di onore. E l'idea di
Nadia morta non ha mai smesso di procurargli un certo disgusto, fin da
quando lei ha cominciato ad essere davvero in pericolo, la sera in cui
i demoni di fumo giunsero nella città sull'acqua.
E adesso, cosa si aspettano che dica? Loki ha la sensazione che tutta
quella faccenda sia davvero al di là della loro
comprensione, perché nessuno è disposto a credere
che lui possa fare qualcosa di buono fine a se stesso. Nemmeno lui ne
era davvero convinto, fino a quando non aveva deciso che avrebbe
aiutato Nadia, senza coinvolgerla ulteriormente nei suoi
progetti.
«Mi ha salvato la vita, a Venezia» dice,
semplicemente. È l'unica cosa che può dire,
l'unica talmente evidente e sensata da suonare vera anche sulle labbra
del dio degli inganni.
Vede l'agente Romanoff estrarre la pistola, voltarsi verso la
telecamera e sparare all'obbiettivo.
Il gesto lo spiazza e il suono dello sparo gli romba ancora nelle
orecchie mentre sul suo viso affiora un ghigno.
«E questa pericolosa voglia di intimità a cosa
è dovuta?» domanda.
«Cosa vuoi da Nadia?»
«Dovresti chiederti piuttosto cosa lei dovrebbe volere da me.
Siete stati bravi, non pensavo sarebbe sopravvissuta così a
lungo senza il mio aiuto, ma bisogna trovare una soluzione definitiva e
questo posso farlo solo io».
La Romanoff scende dal letto, riacquista di colpo la sua maschera di
gelida tranquillità e incrocia le braccia sul petto.
«Ci tieni così tanto?» mormora come se
stesse pensando ad alta voce.
«Cosa speri che ti dica?»
«Qualcosa che mi dia per un istante l'illusione che tu sia
umano».
Loki sorride con aria di sfida, con quel suo sorriso affilato da far
male,
«L'amore è per i bambini, agente Romanoff, sei
stata tu a dirlo» afferma.
«L'amore è per chi ci vuole credere. Io non so
cosa credere, ma quello che so, per quanto mi sembri assurdo e
inconcepibile, è che Nadia prova qualcosa per te».
Il dio dell'inganno serra le palpebre e sente le parole sfuggirgli
dalle labbra, i pensieri offuscarsi come se una coltre di nuvole si
fosse smossa dentro la sua testa.
L'affermazione della donna è tanto ovvia quanto
sconvolgente; è qualcosa che Loki ha sempre saputo, eppure
il sentirlo dire da qualcun altro gli fa l'effetto di una stilettata e
gli impone di fare appello alle sue difese, gli impone di ricordarsi di
quel muro che ha innalzato tra se stesso e il mondo, tra se stesso e la
possibilità di affidarsi a qualcun altro.
«E io cosa dovrei farci?» dice in tono piatto.
Non è lì per la felicità di Nadia
– e nemmeno per la propria. È lì per
salvare la ragazza e mettersi al sicuro. E per riprendersi lo scettro e
assorbire altra energia dalla pietra e, nel frattempo, fare progetti
per l'avvenire. È lì per sistemare un paio di
cose e poi tornare sulla sua strada.
«Niente» risponde l'agente Romanoff, scandendo
lentamente la parola. «Non devi fare assolutamente niente,
è proprio questo il punto. Sai come aiutarla? Bene,
troveremo il modo di organizzare qualcosa di sicuro perché
tu possa guarirla, alle nostre condizioni, se è questo che
sei venuto a fare. Per il resto non devi neanche pensare di fare
qualcosa. Né per quello che riguarda Nadia, né
per nient'altro».
«Il vostro mondo mi è venuto a noia, non
troverò di certo niente di interessante da fare»
risponde lui, con una smorfia provocatoria.
«Molto bene. Quelle ferite si cureranno da sole?»
«Più o meno sì»
«Meglio così, risparmieremo la fatica di cercare
un medico che abbia voglia di prendersi cura di te, del resto non credo
ce ne siano» conclude secca la donna.
«Non ne dubito. Ad ogni modo, riguardo alla faccenda della
futura distruzione del pianeta, avete intenzione di fare qualcosa o
devo cominciare a scegliermi un posto d'onore da cui assistere al
disastro?» aggiunge Loki, enfatizzando un'aria distratta.
«Il direttore Fury sta arrivando. Preparati: credo che
vorrà organizzare una festa di
benvenuto».
*
Ha immaginato spesso quel momento, molte più volte di quante
è disposta ad ammettere, ma non è così
che credeva sarebbe stato.
Nadia credeva che, semmai avesse rivisto Loki, il loro incontro sarebbe
stato un momento sgradevole eppure liberatorio, una situazione nella
quale avrebbe potuto urlargli in faccia a pieni polmoni tutto il suo
rancore. E alla fine, qualsiasi risposta lui le avesse dato, qualsiasi
provocazione lui avesse tentato, lei si sarebbe sentita meglio.
Ma adesso il rancore stempera in una sorda incredulità. Ora
che sa che Loki non ha nessuna colpa di quanto è accaduto
non c'è niente di liberatorio in cui sperare, c'è
solo il rimorso per non aver dubitato nemmeno una volta, in quei tre
mesi, della sua cattiva fede.
Nadia si sente piccola e meschina, mentre osserva lo schermo vuoto. Non
le importa di sapere cosa sta succedendo in quella stanza, cosa si
stiano dicendo Loki e Natasha, anche se l'argomento di conversazione
è fin troppo facile da intuire. Ma si sente come se la cosa
non la riguardasse davvero, adesso non le importa dei piani dello
S.H.I.E.L.D, di cosa pensino gli Avengers, delle conseguenze che
avrà su tutti loro il ritorno del dio fuggitivo. Adesso
Nadia riesce solo a pensare ai dubbi che non ha avuto, al fatto che non
abbia mai pensato che Loki non fosse tornato perché non poteva. Ci ha
sperato, certo; era un'opzione che il suo cuore suggeriva di continuo
ma che la ragione sistematicamente rifiutava di prendere in
considerazione.
Natasha rientra nella saletta con gli schermi per la videosorveglianza.
Clint, bieco, fa una battuta su quanto poco abbiano gradito lo sparo
alla telecamera.
Tony si avvicina a Nadia e le posa una mano sulla spalla.
«Ehm, Colombina...» mormora.
«Se stai per dirmi che devo andare da qualche parte a fare
qualcosa, non farlo» intima lei.
«In realtà volevo ricordarti che tu stasera hai un
appuntamento con un bravo ragazzo che non merita di ricevere un due di
picche» replica Tony, tamburellando le dita sull'elmo
dell'armatura che regge sotto al braccio. «Ad ogni modo, non
c'è niente che tu possa fare qui».
«Vuoi scherzare? Io devo parlare con Loki».
«Non se ne parla! Finché non arriva Fury nessuno
si avvicina al cerbiatto a meno di cento metri e senza avere un pezzo
di artiglieria pesante tra le mani» interviene Clint,
più agitato di quanto lo abbiano mai visto.
«Io devo...» Nadia tenta di protestare, ma Tony le
si para davanti e la scuote piano per le spalle, costringendola a
guardarlo in viso.
«C'è solo una cosa che tu devi fare, Nadia. Devi
pensare a te, a prenderti cura di te stessa e stare bene. E parlare con
un latitante interspaziale non è un buon modo di cominciare.
Perché credi che ci abbia raccontato dei Chitauri e tutto il
resto? Perché voleva fare leva sui tuoi sentimenti, Loki
vuole ancora l'energia della pietra, Loki vuole sempre qualcosa e non
è mai qualcosa di buono».
Man mano che Tony prosegue con il suo monologo, la sua voce si alza e
il suo parlare diventa sempre più concitato.
Nadia lo lascia fare, ha la sensazione che se non lo lasciasse finire
gli verrebbe una crisi di nervi – è da quando Loki
è ricomparso nel bosco che Tony sembra sul punto di dare di
matto. Lo lascia parlare e lo ascolta, ma sa che le sue parole non sono
disinteressate né obbiettive.
Forse è vero, Loki ha qualche secondo fine in mente, ma non
avrebbe mai raccontato della prigionia e delle torture sul pianeta dei
Chitauri solo per muovere lei o chiunque altro a compassione. Nadia
ricorda bene i giorni a Venezia, quando più di una volta, in
maniera più o meno velata, Loki ha cercato di sincerarsi che
lei non fosse impietosita da lui, né per quello che le aveva
raccontato Thor, né per la situazione in cui si erano
ritrovati.
Loki sarebbe disposto a fare molte cose più che discutibili
per ottenere ciò che vuole, ma non userebbe mai la
compassione per portare qualcuno dalla sua parte.
«E qualsiasi cosa lui voglia, io non permetterò
che tu sia coinvolta di nuovo nei suoi piani. E...». Tony si
morde il labbro per il nervosismo.
«Stark, basta così» suggerisce Steve,
tossicchiando discretamente per attirare l'attenzione.
«Dimentichi che c'è un problema di fondo: a Nadia
serve l'aiuto di Loki»
«La cosa disturba tutti noi, l'Altro compreso, ma non
possiamo farci niente» osserva Bruce.
«No, no, fermi tutti» si intromette Clint.
«A Nadia non serve l'aiuto di nessuno. La stiamo aiutando
noi, ed è ancora viva e vegeta, mi pare».
Ecco, l'agente Barton è l'altro denigratore numero uno.
E Nadia li capisce perfettamente, sono loro che non si sforzano di
capire lei. Ai loro occhi Loki è sempre stato solo un
nemico. Ai suoi occhi è qualcosa di diverso, lo è
sempre stato.
«Stiamo tamponando una falla che prima o poi
esploderà» protesta Bruce. «Non sappiamo
quanto lei possa reggere ancora».
«Non sappiamo nemmeno cosa aspettarci da Loki»
osserva Natasha, poi abbassa lo sguardo e sospira.
«Però... io non credo che possa farle del
male»
«Va bene. Va bene, basta! Ok?» sbotta Nadia,
alzando la voce. «Ho sempre accettato le decisioni che avete
preso per me, fin da quando sono arrivata qui e mi fido di voi, vi
voglio bene... e farò quello che volete anche stavolta, se
voi o Fury o chiunque altro deciderà che Loki non deve
aiutarmi con la pietra mi sta bene. Ma non potete vietarmi di parlare
con lui»
«Sì che possiamo» risponde subito Clint.
«Lo stiamo facendo».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa.
«E resta il fatto che tu stasera hai un
appuntamento» insiste Tony.
«Sì, ci andrò, promesso»
esclama la ragazza, senza sapere nemmeno perché.
«Ma adesso vado di là a parlare con Loki. Clint se
vuole può provare a spararmi».
Si avvia verso la porta e fa per uscire dalla saletta, ma sente una
mano afferrarla ad altezza del fianco e trascinarla indietro.
Vede la stanza vorticare e senza nemmeno rendersi conto di cosa stia
davvero succedendo, Nadia si ritrova spinta verso l'alto e una presa
salda le blocca le braccia contro il petto. Un istante dopo
è a terra, stesa di schiena sul pavimento, con Clint piegato
sopra di lei che continua a bloccarle le braccia e che tiene una gamba
piegata sulle sue, immobilizzandola completamente.
«Gli spari sono rumorosi» borbotta lui.
« Touché»
sospira la ragazza.
«E, come ti dico sempre durante gli allenamenti, non devi mai
perdere la concentrazione, non puoi sapere chi ti prenderà
alle spalle. Ti do cinque minuti per parlare con il tuo amico, non un
secondo di più».
Clint aiuta Nadia a rialzarsi e l'accompagna fuori dalla stanza, fino
alla porta dell'infermeria dove è chiuso Loki. L'agente fa
un cenno ai suoi colleghi che aprono il battente blindato,
«Cinque minuti» ripete guardando la ragazza diritto
negli occhi.
Lei annuisce, non si aspetta che chiudano la porta dietro di le sue
spalle e la lascino sola, anzi Clint si ferma sulla soglia con aria
guardinga, facendo avvicinare anche gli altri agenti armati.
No, decisamente quel momento non è come lo aveva immaginato.
Nadia sente di volere che lo spazio da percorrere tra la porta e il
letto sia lungo chilometri. Una lontananza pesante tre mesi le preme
sul cuore e lei non sa con quali parole smaltirne il fardello.
_________________________________________
Note:
Tendo
a immaginare le storie un po' come un film, con tanto di stacchi e
cambi di scena, per questo ho spezzato il paragrafo del POV di Loki
inframmezzandolo con uno scorcio di quello che stava succedendo
nell'altra stanza mentre Nadia e gli altri assistevano
all'interrogatorio (interrogatorio? Tzè, Loki e Natasha
volevano
menare le mani fin dalla loro scena nel film, ne sono certa).
Finale
di capitolo impietosamente sadico, lo so. Se vi può
consolare, il
prossimo aggiornamento sarà molto “pieno e
corposo”.
Cioè,
i capitoli sesto, settimo e ottavo sono una sorta di lunghissimo
capitolo unico spezzato in tre parti (perché messo insieme
sarebbe
stato un mammuth di più di venti di pagine mi sa), per cui
non è
sadismo, in ultima analisi, è esigenza logistica.
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
Ci leggiamo
venerdì con l'aggiornamento. :)
|
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Capitolo 8 *** Welcome back - part two ***
Capitolo settimo
Welcome back –
part two
Credeva ci avrebbero messo molto più tempo a lasciarla
avvicinare a lui. Il dio dell'inganno trattiene a sento un ghigno
divertito mentre immagina un Tony Stark schiumante di rabbia e
piacevolmente prossimo all'infarto.
La ragazza cammina piano verso il suo letto, come se temesse ad
avvicinarsi.
«Sei venuta per gli insulti che il mio increscioso svenimento
ha posticipato?» le chiede, con più freddezza di
quanta vorrebbe. Loki detesta farsi vedere debole, gli è a
malapena sopportabile l'idea che diversi agenti dello S.H.I.E.L.D. lo
abbiano visto in quello stato; gli occhi di Nadia adesso sono una cosa
intollerabile per questo la sua voce suona così gelida, per
la distanza che ha voglia di mettere tra di loro.
«Idiota» borbotta la ragazza. «Posso fare
di meglio in materia di insulti, ma credo che tu sia un maestro:
Natasha mi ha raccontato. Vulvetta
lamentosa, geniale!».
Loki chiude gli occhi. All'improvviso sente di avere una gran sete di
silenzio.
Nadia è cambiata dal loro ultimo incontro, tre mesi prima,
tutte le crepe sulla sua corazza si sono rimarginate e adesso
c'è un'aura scintillante di forza che l'avvolge come
un'armatura appena uscita dalla foggia; niente male per una che rischia
costantemente di morire a causa di un sovraccarico di energia magica.
Niente male per una che dentro agli occhi ha tutta quella tristezza,
una tristezza che lui non ricordava esserci, non così
profonda e inesorabile.
Le armature possono essere molto resistenti, ma possono anche essere
tolte, solo che lui non ha voglia di pensarci adesso.
«Puoi fare di meglio, è vero» le dice.
Coraggio, sfogati,
vediamo se i tuoi occhi riescono a tornare com'erano prima...
«Loki, perdonami».
Come ha detto? Non si aspettava davvero una serie di insulti, ma non si
aspettava nemmeno di sentirsi chiedere scusa. Nessuno chiede mai scusa
ai mostri, nessuno pensa mai che ce ne possa essere bisogno.
Quelle parole lo sorprendono e lui non ama le sorprese, detesta essere
preso alla sprovvista. Guarda la ragazza sentendosi uno stupido per
l'aria incredula che deve certamente avere stampata in faccia.
«In questi tre mesi, io ho pensato che...» aggiunge
lei a mo' di spiegazione
«Sì, so cosa hai pensato».
Loki volta il capo verso il muro, per nascondere qualsiasi cosa gli
stia passando nello sguardo.
«Mi dispiace... mi sono lasciata condizionare, non ho voluto
credere che ti importasse davvero... mi dispiace così
tanto».
Dispiace anche a lui, gli fa male, e vorrebbe dirglielo tanto per non
essere il solo a soffrire di quella cosa, tanto per fargliela pagare e
perché non sopporta che lei gli ricordi quanto davvero gli
importi. Ma Nadia sta già soffrendo e Loki è
convinto che la vendetta sia per i nemici. E lei è tutto
tranne che una nemica, e lei è...
Non lo sa, non riesce a capirlo. Credeva di avere una risposta quando
quella notte, sull'isola dopo la battaglia finale, è
sgusciato via di nascosto, pensando che non aveva fatto alcuna fatica a
lasciarsi anche lei alle spalle. Aveva una risposta quella notte, ma
poi le sue decisioni a venire l'hanno smentita, l'hanno resa una
menzogna.
Che ne sarà della mente del dio dell'inganno se riesce a
mentire così bene anche a se stesso?
«I tuoi amici hanno dimenticato di dirti quanto io ami
cogliere gli altri di sorpresa» conclude in tono vagamente
scherzoso, ma senza riuscire a voltarsi.
Anche se non la sta guardando in faccia, sente il suo sorriso come se
facesse rumore. Sa che Nadia adesso ha gli angoli della bocca sollevati
in un'espressione magari persino un po' intenerita. Dovrebbe dirle che
gli è dispiaciuto lasciarla in quello stato per tutto quel
tempo? Dovrebbe dirle che è stato preoccupato per lei? Che
ne ha sentito la mancanza? E, se glielo dicesse, sarebbe tutto vero
fino in fondo?
Sente la mano della ragazza posarsi sulla sua testa e scivolare piano
in una carezza. Si era quasi dimenticato che le mani potessero servire
anche a cose del genere.
Vorrebbe solo che i neon sul soffitto smettessero di ronzare, vorrebbe
solo un silenzio totale e perfetto e che Nadia continuasse ad
accarezzargli i capelli senza dire niente. Ma lei solleva la mano, gli
aggiusta una ciocca che era ricaduta sulla fronte e sospira.
Sono tornati punto e accapo, come in quella casa fatiscente di Venezia,
dove fidarsi l'uno dell'altra era una necessità, eppure la
fiducia e i suoi effetti venivano gestiti con il contagocce.
Frustrante, in ogni caso...
Ora Loki dovrebbe semplicemente voltarsi, guardarla negli occhi e dirle
che vuole aiutarla, ma qualcosa glielo impedisce e prima che riesca
anche solo a pensare di combattere questo qualcosa di indefinibile, un
colpo secco batte contro la porta della stanza.
«Nadia». L'agente Barton, il caro caro Occhio di
falco, si sporge oltre la soglia e richiama la ragazza.
«Hai degli impegni» osserva il dio tornando a
voltarsi, tirando fuori dal suo corredo infinito di maschere quella
della fredda tranquillità.
Lei arriccia il naso, con quella sua aria un po' infantile e per un
attimo esita prima di staccarsi dal suo capezzale.
«A dire il vero sì. Ho un appuntamento»
dice, spostando lo sguardo sulla telecamera distrutta che penzola dal
soffitto al centro di una macchia di bruciato.
«Un appuntamento?» chiede lui. «Andrai ad
ascoltare, cos'era, musica jazz?»
E così la piccola umana ha trovato un'isola felice in mezzo
a quel mare di difficoltà, ammirevole.
«Vado a teatro, a vedere un musical... è come
un'opera lirica, più moderna» spiega lei.
Non gli interessa cosa diamine è un musical. Sarebbe
più interessante sapere chi sarà il suo
accompagnatore, come lei sia riuscita a concepire l'idea di avvicinarsi
a qualcun altro con tutto quello che le è successo e con
tutto quello che deve ancora affrontare, e quanto speciale dev'essere
questo individuo per aver toccato il suo interesse fino a un tal segno.
Sì, la cosa è decisamente ammirevole e totalmente
disturbante e detestabile.
«Rimettiti in sesto Loki, credo che potremmo avere del lavoro
da fare» conclude Nadia in tono neutro, prima di voltarsi e
uscire.
Mette distanza, la ragazza. Loki vorrebbe convincersi che è
quasi un sollievo, per una volta, non doversi sforzare di innalzare
muri e barriere perché c'è qualcun altro che lo
sta facendo per lui, ma una vampata di rabbia gli sale dallo stomaco al
cervello mentre pensa che Nadia non ha alcun diritto di
provare a stargli lontano, non dopo quello che lui ha subito, non ora.
Ma mostrare quella rabbia sarebbe concederle più di quanto
è disposto a darle, e non è per questo che lui
è lì. Non è questo che gli importa
perché a lui interessa solo ciò che
può cambiare lo stato delle cose e portarlo in alto dove
merita di stare, una possibilità ben al di là
delle capacità della ragazza o di qualsiasi altra persona.
*
Ciao, sono l'aspirina
orosolubile e sono la tua migliore amica!
In effetti, ora Tony ha un mastodontico mal di testa. Non vede l'ora di
uscire dall'armatura; massaggiarsi le tempie con le dita fasciate di
titanio è un po' scomodo. E comunque, l'armatura non gli
serve a un accidente, ormai, ora che si è deciso che Bambi
deve rimanere illeso perché ha detto che la Terra
è in pericolo e perché sostiene che
può aiutare Nadia.
Non è che gli credano, però lo ha detto e devono
quanto meno provare a verificare le sue parole, perché sono
cose belle grosse da digerire. E probabilmente non sono menzogne, ma
Tony non riesce a togliersi dalla testa l'idea che le abbia dette per
un motivo che non è certo quello di voler dare una mano.
Il suo cervello sembra scricchiolare, mentre tenta di mettere in moto
gli ingranaggi del pensiero.
Al bastardello non piace l'idea che il pianeta venga distrutto, deve
fargli comodo stare sulla Terra: in giro per l'universo ha i Chitauri
che gli danno la caccia, e sull'Olimpo, a casa di Babbo Orbo, lo
aspettano tutti per fargli il culo. E ovviamente doveva trovare un modo
per convincerli a tenerlo lì e ancora una volta è
andato a colpirli al cuore. Fare leva sul fatto che Nadia abbia bisogno
di aiuto, del suo aiuto, è un pessimo tiro mancino,
però funziona... cazzo!
Funziona perché le loro convinzioni maturate in quei due
mesi, le ipotesi riguardo al fatto che lei stesse meglio e che il
problema dell'energia potesse essere tenuto a bada con tanta
naturalezza, adesso vacillano come calici di cristallo in bilico sul
taglio di una mensola. Perché se c'è anche solo
una probabilità che Loki abbia detto il vero e che lei non
resisterà ancora a lungo in quella situazione, loro non
possono ignorare la cosa, né pensare di trovare una
soluzione alternativa. E per quanto ne sanno, la probabilità
che lui non abbia mentito c'è, ed è anche bella
grossa, dato che in tutte quelle settimane nessuno ha scoperto niente
di concreto sulla pietra, niente che sia d'aiuto. Loki è il
solo che sa come fare con quell'energia e adesso sono costretti a
fidarsi dell'essere più inaffidabile dell'universo.
Altro che aspirina orosolubile, gli occorrerebbe una bottiglia di gin!
E no, no, per i baffi di Einstein, in un momento del genere Rogers non
può piazzarsi davanti a lui con quell'aria da
strizzacervelli e le braccia incrociate sul petto a sottolineare una
certa incrollabile solidità di cui non c'è alcun
bisogno.
«Senti...» esordisce il Capitano.
«No»
«Cosa?»
«No. Non voglio sentire, qualsiasi cosa tu voglia dire, mi
scoppia la testa e voglio uccidere qualcuno, ma l'unico candidato
disponibile da sacrificare è intoccabile fino all'arrivo di
Fury»
«Ascolta, Stark» insiste il soldatino, puntandogli
contro l'indice, come si farebbe con un bambino.
Tieni quel dito da
maestrina al posto suo...
«Non comportarti come se fossi il solo che tiene a
Nadia» borbotta. «E non trattarla come se fosse una
ragazzina, perché non lo è. Lei
è...»
«Cosa? Perfettamente capace di scegliere ciò che
vuole? Col cavolo! È... dannazione, non è lucida,
non è obbiettiva e qualcuno deve pur esserlo per
lei» sbotta Tony, incurante degli sguardi degli altri puntati
con inquietudine su lui e Steve. «Non stiamo parlando del
cattivo ragazzo che fuma erba, stiamo parlando di Loki, quello che ci
ha scatenato contro un esercito di alieni, quello che ha ammazzato Phil
Coulson, quello che mi ha...»
«Che ti ha buttato giù dalla torre, lo sappiamo.
Perché devi sempre ricondurre tutto a te?».
Tony sente il cerchio alla testa stringersi come una morsa. Per un
attimo è quasi disposto a prendere in considerazione l'idea
che sia impazzito e che Rogers voglia solo ricondurlo alla ragione, ma
un secondo dopo sta già guardando il suo interlocutore come
se fosse appena scappato da un centro di igiene mentale – il
che, a giudicare dal look da mentecatto, sarebbe anche giustificabile.
«Non sto riconducendo tutto a me» dichiara,
prendendo un grande sospiro e cercando di mantenere la calma.
«Se io fossi certo che Loki potrebbe farle del bene, solo del bene,
sarei il primo a fare i salti di gioia, malgrado tutto quello che lui
ha fatto in passato. Ma non è così, ci sono mille
ragioni per cui non è così».
Rogers abbassa lo sguardo, deglutisce, cerca di mettere insieme le
parole,
«Vedi, è questo che non capisci. Il bene che
intendi tu, forse non è quello a cui pensa lei o quello di
cui lei ha bisogno» conclude.
«Bene! Perfetto! Lasciamola pure fare, mandiamola pure in
pasto a Loki e ai suoi loschi piani!» replica Tony, alzando
la voce e sentendo il cervello quasi tremolare dentro la testa, come se
fosse fatto di gelatina.
«Non è questo il punto, Stark»
interviene l'agente Romanoff che ora è una superassassina
con l'aria da presidentessa dell'O.N.U. «Dobbiamo fare un
tentativo, per il bene di Nadia. Non me importa nulla della sua cotta
per quel figlio di puttana, ma mi importa della sua salvezza, e
possiamo senz'altro trovare una soluzione per fare in modo che Loki
l'aiuti senza danneggiarla. Quando avrà finito...»
«Quando avrà finito sarà peggio che
adesso» osserva Bruce Banner, che ha tentato per tutto il
tempo di tenersi disperatamente lontano dall'occhio del ciclone,
mordicchiando pacifico la stecca degli occhiali. «Quando
avrà finito e magari troveremo il modo di rispedire Loki su
Asgard, cosa ne sarà di lei?»
«Sarà una ragazza di ventisei anni con la
possibilità di farsi una vita e andare avanti, per il solo
fatto che ce l'avrà ancora una vita» osserva la
Romanoff.
Tony vorrebbe essere come le sue macchine, avere un interruttore per
spegnersi e starsene in standby per un po'. Se riuscisse a zittire quel
doloroso ronzio che sente ad altezza delle tempie, magari potrebbe
anche riconoscere che in quella discussione non si può
arrivare a un punto, che non c'è un torto o una ragione da
trovare, che si stanno sbagliando tutti o nessuno. Ognuna delle opzioni
possibili è rischiosa e potrebbe danneggiare Nadia. Per non
parlare dell'altra faccenda in ballo: qualcuno vuole distruggere la
Terra... tanto per mantenersi nel solco della tradizione.
«E comunque, dobbiamo aspettare Fury e sentire cosa ne
dice» suggerisce il dottor Banner, come se la cosa servisse a
riportare ordine.
Certo, Fury. Un'altra pietra nel sacco a fare ancora più
casino.
A proposito di casino, adesso Tony sente proprio il rumore di una
tempesta rimbalzargli tra le tempie.
«Ho un temporale nel cervello» borbotta, con un
sospiro stanco.
«Non è nel tuo cervello» dichiara Bruce.
«Sono tuoni...».
Oh, certo. Cosa diceva delle pietre nel sacco che fanno casino? Ecco,
ora sta arrivando un'intera montagna.
*
Mettere il punto e andare a capo. Non voleva fare nient'altro, non
c'era nient'altro da fare.
Nadia si volta e si avvia ad uscire dalla stanza. Il senso di colpa non
si è del tutto appianato e non c'è niente che sia
come deve essere, ma lei si sta allontanando da quel letto con la
consapevolezza di chi ha fatto una scelta molto precisa.
Ancora una volta, è questo il punto. Scegliere e convivere
con il male che fa.
Mette un piede avanti all'altro e passo dopo passo sente di aver
recuperato un po' di pace. Si sente al sicuro ora che le parole che lei
e Loki hanno scambiato sono diventate i mattoni di un muro che segna la
giusta distanza che deve esserci tra loro, una distanza che sa di
lucidità e buon senso, che permetterà ai suoi
amici di dormire sonni sereni, magari, e che le permetterà
di tenere bene a mente i limiti che non devono essere superati.
La credono innamorata di lui. La ragazza non ha mai neppure provato a
dare una nome a ciò che prova per Loki, non ne ha mai
sentito il bisogno, ma in quel passato – che non
sarà mai abbastanza remoto – è stato
tessuto un filo rosso che la lega al dio degli inganni, un filo che
credeva reciso fino a quando non se l'è ritrovato davanti in
mezzo al bosco, come nella peggiore delle favole. E sa che ad ignorare
i fili tessuti dal destino si può rischiare di inciamparci
dentro, di strozzarcisi. Lei preferisce lasciare quel filo sospeso
sopra le loro teste e accettarne le conseguenze senza fare nulla che
possa renderlo più spesso, non è questo
ciò che le spetta. Non è in questo che deve
riporre le sue speranze perché l'anima di Loki è
una lama che pende a mezz'aria pronta a recidere quel filo e a
tramutarlo in una striscia di sangue e lei non vuole che quel sangue
sia il suo, che provenga dal suo cuore. Lei ha bisogno di essere al
sicuro e se davvero è amore quello che prova per Loki,
sarebbe ingiusto sperare che lui sia diverso da ciò che
è, per questo il muro, per questo la distanza:
perché proteggersi da lui è l'unico modo che
Nadia conosce per rispettarlo. E Loki ha bisogno di quel rispetto
più di quanto abbia bisogno della gloria o della vendetta.
Il dio ha accettato la prigione e la tortura per lei. Adesso lei sta
scegliendo un altro tipo di supplizio per rendergli il favore e non
pensava che potesse farlo con così tanta serenità.
Nadia è a un passo da Clint quanto sentono il rombo dei
tuoni quasi scuotere le pareti.
La ragazza e l'agente Barton si scambiano una rapida occhiata, poi lei
si volta verso Loki e lo vede piegare all'indietro la testa.
«Certamente. Me n'ero quasi dimenticato» borbotta
cupo il dio degli inganni, come se stesse pensando ad alta voce.
«E come si fa a dimenticarsi di Thor, non è mica
un ombrello?» replica Clint, lanciando uno sguardo nervoso
verso il corridoio.
Nadia resta sulla porta, a fissare Loki. A guardarlo bene, oltre la
coltre di gelo, le sembra di notare una sorta di sollievo: Thor
è il suo nemico, la sua nemesi, Loki ha bisogno di lui per
continuare a definire i contorni del proprio mondo, ha bisogno di
sapere che suo fratello lo insegue con la stessa costanza con cui lui
lo detesta. Ha bisogno che Thor esista per dare un senso a
ciò che lui ha fatto, che continua a tentare di fare.
Per quel che la riguarda, lei si sente sollevata sul serio. Ed
è felice all'idea di rivedere il dio del tuono. E pensa che
a Fury verrà un colpo apoplettico...
Thor compare in fondo al corridoio, in un tripudio di
maestosità e bellezza, portando in spalla il corpo privo di
conoscenza di un agente di guardia e stringendo il suo martello in una
mano.
«Chiedo scusa» dice mettendo delicatamente a terra
l'uomo svenuto che si stava trascinando dietro. «Era nata una
diatriba riguardo al fatto che potessi accedere o meno al vostro covo,
dato che non ero atteso».
Gli altri fissano basiti il candore della sua espressione, immobili
sulla soglia della porta della sala per la videosorveglianza. Non
è che dal figlio di Odino ci si potesse aspettare un
ingresso più sobrio.
Ah, diamine...
Nadia nemmeno si rende conto di star correndo verso di lui. Lo
abbraccia come si abbraccia qualcuno che non si pensava di rivedere e
il dio la stringe alla stessa identica maniera.
«Ti sono cresciuti i capelli, Raperonzolo. Tra un po' potremo
cominciare a farti le treccine» commenta Tony dopo qualche
secondo, alleggerendo tutti dall'onere dei convenevoli di benvenuto.
La ragazza scioglie un po' a malincuore l'abbraccio. Da un angolo
remoto della sua mente si affaccia l'idea che lei ora dovrebbe essere a
casa, a farsi una doccia e a scegliere cosa mettere per l'uscita che ha
in programma per quella sera, ma può rimandare
quell'ulteriore preoccupazione ancora per qualche minuto.
«Come sempre, è un piacere rivedere tutti
voi» dichiara Thor con un sorriso incerto. «Il
motivo della mia presenza invece mi è assai meno
gradito»
«Non dirlo a noi!» esclama Bruce con una smorfia.
«Dov'è Loki?».
Ecco, questo è il genere di preoccupazione che non
può essere rimandato.
«Io non credo che sarà contento di
vederti» dice Steve. «Cioè, lo
sarà ancora meno del solito»
«Non sai cosa è successo?» domanda
Natasha.
Thor corruga la fronte e scuote la testa,
«In tutto questo tempo l'ho cercato per metà
universo» borbotta con un sospiro.
«Era senza dubbio la metà sbagliata, Boccoli
d'oro» lo rimbecca Tony.
«Il nostro Guardiano è riuscito a vederlo solo
quando è giunto qui su Midgard. Ne deduco che sia stato
molto lontano dalla nostra sfera di influenza».
Gli Avengers si scambiano occhiate nervose, non sanno come dire al dio
del tuono che mentre lui cercava il suo scapestrato fratellino
tra le stelle, questi era prigioniero di un pazzo sadico e vendicativo
più pazzo sadico e vendicativo di quanto sia egli stesso.
Alla fine è Natasha a prendere il coraggio a due mani e a
fargli un rapido riassunto della situazione, nel tono pratico e
distaccato in cui avrebbe redatto un rapporto ufficiale.
Quando l'agente Romanoff conclude il suo resoconto, ci sono nubi cupe e
pesanti ad annebbiare l'azzurro degli occhi di Thor.
«Era chiaro che la via scelta da Loki lo avrebbe condotto
alla sofferenza e alla disfatta» asserisce lui alla fine. A
Nadia si stringe il cuore nel percepire l'angoscia in fondo a quelle
parole.
«Ad ogni modo, posso parlare con lui?». Non
è propriamente una richiesta; sul pavimento c'è
ancora steso l'agente che Thor ha messo KO solo perché non
voleva farlo passare.
La ragazza prende l'iniziativa – iniziativa che le costa
un'occhiataccia collettiva da parte dei suoi amici – e
accompagna il dio del tuono nella stanza dove è sistemato il
tizio che lui continua imperterrito a chiamare fratello. Forse, se
c'è anche lei con la dannata pietra dentro la stanza, Loki
si asterrà dal fra crollare il soffitto o qualcosa del
genere pur di non mettere a rischio il prezioso gioiello da millemila
volt.
Lei e Thor non fanno nemmeno in tempo a varcare la soglia che il dio
dell'inganno è già pronto a ricordare al figlio
di Odino quanto la sua visita gli sia poco gradita.
«L'erede del Padre degli dei non ha niente di meglio da fare
che perdere il suo prezioso tempo con me?» dice,
puntellandosi sui gomiti per tenersi sollevato.
«Pare che rimediare ai danni di un membro del mio popolo sia
un compito che mi spetta per dovere» replica Thor, ostentando
una freddezza che non gli appartiene.
Nadia sa che non è davvero indifferente allo spettacolo che
ha davanti agli occhi, neanche lei è riuscita ad esserlo
poche ore prima in quel bosco.
«Tornatene a casa, maledetto idiota! Questa volta la faccenda
non ti riguarda» esclama Loki.
La ragazza resta in disparte, si limita ad osservare e quello che vede
è tanto straordinario quanto spiacevole. Non aveva mai visto
il dio dell'inganno tanto turbato e tanto propenso a mostrare in modo
così esplicito la sua rabbia; è spaventoso quanto
sia l'odio a renderlo più umano.
Ed è per questo che Loki
ha bisogno di Thor.
«Qualsiasi tua faccenda mi riguarda» replica il dio
del tuono, ora anche nella sua voce freme la collera, per quanto lui si
sforzi di non darlo a vedere. «E mi hanno detto che hai
notizie di un altro attacco al benessere di questo pianeta, per cui
sono ulteriormente coinvolto nella questione»
«Oh, certo, tu qui hai tante cose che ti sono
care...».
In quel momento, una scintilla si accende nella mente di Nadia. Una
scintilla luminosa come un'idea. Come ha fatto a non pensarci fino a
quel momento?
I due fratelli andranno avanti con quella tiritera ancora a lungo, fino
alla mattina successiva probabilmente. Ma ci sono tante altre cose a
cui pensare, e lei adesso vuole pensarci; anche se il suo mondo dovesse
venire distrutto domani, in tutta quella storia ormai ha imparato che
sono le cose che davvero stanno a cuore che contano. E se il mondo
dovesse finire all'alba, se il suo cuore dovesse fermarsi nel sonno
quella notte, c'è una cosa che lei prima vuole fare...
«NATASHA!» grida Nadia, schizzando fuori dalla
stanza. Probabilmente quell'urlo non ha fermato il dialogo velenoso tra
i due asgardiani, ma non le importa.
«Che succede?!» Steve è il primo che si
precipita accanto a lei, la ragazza lo ignora e afferra l'agente
Romanoff per un polso.
«Nadia, che ti prende?» chiede la donna, con la
mano che indugia sul calcio della pistola.
«Vieni con me» le dice, trascinandola.
«Dove hanno spostato il personale civile quando Clint ha
fatto sgombrare quest'area della base?»
«Cosa?»
«Dobbiamo andare lì, io da sola non posso
passare».
Natasha comincia a correre dietro alla ragazza, senza fare domande.
Attraversano il dedalo di corridoi come se fossero inseguite da un
tirannosauro affamato.
L'agente Romanoff la porta fino al livello dei laboratori, apre la
porta con il suo pass e lei e Nadia si ritrovano in un enorme open
space arredato da scrivanie piene di computer e da scaffali ingombri di
macchinari strani.
La gente lì dentro non ha idea di cosa stia succedendo
alcune sezioni più in là, e non deve saperlo, ma
Nadia adesso ha bisogno di trovare qualcuno. Scorge una faccia nota tra
i camici e i volti illuminati dagli schermi dei computer.
«Dottor Selvig!» esclama, precipitandosi accanto
allo scienziato. «Dov'è la dottoressa
Foster?».
Selvig guarda perplesso la giovane donna affannata che gli si
è appesa al braccio.
«Jane? L'ho appena salutata, è andata
via» risponde senza scomporsi più di tanto. In
effetti, stando a quello che le hanno raccontato, deve aver visto cose
peggiori di una ragazza sudata con i vestiti sporchi di sangue secco.
«Via?!»
«Sì, il suo taxi deve essere appena
arrivato».
Porca puttana!
Nadia sgrana gli occhi. Non può essere, almeno una cosa
entro sera deve essere sistemata e lei vuole riuscirci.
Si volta di scatto verso Natasha e lei sembra già aver
capito tutto.
«Andiamo a fermarlo» dice l'agente Romanoff,
ammiccando.
«Ma... ha fatto qualcosa? È nei guai?»
grida alle loro spalle il dottor Selvig, in tono apprensivo, mentre le
due donne sfrecciano via, veloci come sono arrivate.
Salgono le scale, facendo i gradini quattro a quattro, rischiando di
investire persone, carrelli e armadietti. Si gettano di peso sulla
porta che affaccia sul piazzale d'asfalto.
Piove a dirotto – effetto collaterale dell'arrivo di Thor
– e nel tardo pomeriggio buio si vedono solo le luci dei fari
del taxi che si allontana.
«Non ci credo, l'abbiamo mancato per un soffio»
borbotta Nadia, pestando il piede stizzita, lasciando che la pioggia le
coli addosso.
«Mancato?» sussurra ironica Natasha, inarcando un
sopracciglio ed estraendo la pistola.
La ragazza guarda allarmata la canna dell'arma, la pioggia scrosciante
che getta un velo opaco davanti ai loro occhi e le luci dei fari sempre
più distanti.
L'agente Romanoff prende la mira e spara, centrando in pieno la ruota
posteriore destra.
Si sente uno spaventoso stridore di gomme, il taxi fa un mezzo giro su
se stesso e poi si ferma al centro dello spiazzo vuoto.
Agenti S.H.I.E.L.D, Dio
li benedica! Hanno sempre una soluzione per tutto!
«Bello. C'è solo da sperare che autista e
passeggera non siano crepati di infarto» dice Nadia.
Oltre la cortina di pioggia, vedono le porte dell'auto aprirsi. Il
tassista scende, gesticolando nervosamente, anche la donna seduta sul
sedile posteriore smonta, quasi inciampando.
«Io spiego al tassista come chiedere il risarcimento dei
danni. Tu pensa alla dottoressa» conclude Natasha.
Jane Foster armeggia con un ombrello pieghevole, mentre attraversa lo
spiazzo asfaltato e raggiunge Nadia. Si ferma a guardarla interdetta
quando la riconosce.
«E questo cosa significa?» le chiede, nervosa.
«Credo faccia parte di una qualche procedura S.H.I.E.L.D. o
qualcosa del genere...»
«Lo S.H.I.E.L.D. vuole eliminarmi?»
«No, ero io che volevo fermarti. I fuochi d'artificio non era
previsti ma si sono rivelati indispensabili. Vieni con me»
«Dove?»
«Dentro»
«A fare cosa?».
Nadia alza gli occhi al cielo,
«Sei sempre così petulante?».
Jane arriccia le labbra, piccata. Sembra indecisa se seguirla o meno,
ma alla fine si lascia convincere ed entra insieme a lei.
Percorrono al contrario, con passo calmo, la strada che Nadia e Natasha
hanno fatto di corsa e si lasciano dietro una scia di impronte bagnate.
La ragazza ha una gran voglia di ridere e quello che sta facendo la
distrae dal peso degli ultimi eventi.
Non tutto il male vien
per nuocere.
«Scusa, ma... è sangue quello che hai
addosso?» domanda Jane, affondando le mani nelle tasche del
soprabito.
«Sì, ho dato una mano al reparto macelleria, dove
fanno gli hamburger per la mensa»
«Sei una ragazza strana, Nadia. E non so nemmeno davvero chi
tu sia»
«Al momento, sono tipo la tua migliore amica».
Arrivano a destinazione. La dottoressa Foster non sembra a suo agio nel
dover passare in mezzo alla squadra di agenti armati e ha l'aria di una
convinta che da un momento all'altro una pallottola vagante possa
colpirla in mezzo agli occhi.
Anche Nadia sobbalza quando dal fondo del corridoio arriva un tonfo
sordo che fa quasi vibrare il pavimento.
Thor è uscito dalla stanza di Loki sbattendosi la porta alle
spalle. Ora è uno sbuffo di rosso che cammina avanti e
indietro in un metro quadrato di linoleum, con l'aria da leone in
gabbia.
Thor è uscito dalla stanza ed è troppo arrabbiato
per vedere quello che ha attorno.
Thor è...
«Cielo...» sussurra Jane, fermandosi di colpo.
È veramente un sussurro impercettibile, ma chissà
come la sua voce arriva alle orecchie del dio che solleva la testa di
scatto e punta lo sguardo su di lei, stupito, quasi intontito dalla
sorpresa e dalla contentezza.
La donna gli corre incontro, gli getta le braccia al collo con
così tanta irruenza da far vacillare persino l'equilibrio
del possente dio del tuono.
Non tutto il male vien per nuocere, decisamente.
Jane e Thor sembrano diventati improvvisamente inconsapevoli del resto
del mondo, del fatto che si trovano in un corridoio ingombro di gente
armata e a un palmo di naso dalle persone più amate e
ammirate del momento.
Steve e Bruce non sanno dove puntare gli occhi, Tony e Clint si
guardano l'un l'altro dondolando la testa.
Nadia fissa per un secondo la coppia appena ritrovata, contenta e
divertita. Si aspetta che quei due si stacchino e riprendano coscienza
di quello che hanno attorno – magari prima che Tony si
inventi qualcosa per ricordare loro la sua presenza e quella del resto
del mondo, ma loro continuano a starsene in mezzo al corridoio, davanti
alla porta della stanza di Loki, a tubare come tortore.
La ragazza decide che è troppo, strabuzza gli occhi e
sguscia dentro la stanza, per paura di passare troppo vicino alla
coppia felice e rovinare l'idillio, per quanto si sia scelto un momento
e un luogo poco appropriato.
«No, ti prego, uccidimi subito» mugugna Loki, con
gli occhi sbarrati in un'espressione di disgustato sconcerto. Eppure lo
dice quasi senza malizia, per il solo gusto di fare una battuta in un
frangente che sembrerebbe buffo a chiunque.
Nadia lo guarda e fa una smorfia, poi annuisce energicamente e
asseconda la sua espressione,
«Cavami gli occhi...» bisbiglia.
Quando vede Loki fare un mezzo sorriso sghembo e sente se stessa
ridere, le sembra di aver raggiunto la più grande conquista
della giornata.
________________________________________________
Note:
Ecco, la lucidità di Nadia non tanto rispetto a se stessa,
quanto rispetto a ciò che la circonda credo sia una
peculiarità del personaggio. Per questo spero che il suo
atteggiamento, il suo "buon senso" che la porta a decidere di mettere
una certa distanza emotiva tra lei e Loki non suoni
“antipatico”.
E anche se così non fosse, la fanfiction è ben
lungi dal finire. E se anche così non fosse, alla fin fine
è umana anche lei, quindi mi sta bene che qualcuno trovi
soggettivamente opinabile il suo comportamento :P
Battuta infelice di Tony sui capelli di Thor, indotta dalle foto del
set di Thor 2 in cui lui ha davvero la treccina.
“Raperonzolo” mi è stato suggerito in
uno scambio di battute da Kashmir,
le avevo detto che me la sarei rivenduta XD
Angolino della pubblicità, consigli di zia Alki, come
volete...
Scent
of a woman di EvilCassy. Perché al mondo
c'è bisogno di più Clintashamento, specie se
fatto bene!
La storia ha una quantità di seguenti enorme. E
solo ora ho fatto caso al numero di persone che hanno selezionato "mi
piace" sul widget per Facebook. GRAZIE! *_*
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. ^^
|
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Capitolo 9 *** Welcome back - part three ***
Capitolo ottavo
Welcome back –
part three
Forse in quel frangente anche Hulk riuscirebbe a farsi una sana risata
– beh, magari l'Altro ride, Bruce non può saperlo,
dato che dopo le trasformazioni non è in grado di ricordare
molto. Ma la situazione è talmente critica che il dottor
Banner riesce quasi a sentirsi a proprio agio, per essere uno con
problemi di controllo della rabbia.
La parentesi romantica che si sta consumando davanti ai loro occhi
spezza per qualche minuto la tensione, ma stanno tutti rischiando di
soffocare nella propria bile rivoltata.
Brutta immagine, già.
Il ritorno di Loki non lascia sperare in niente di buono, e non
è solo per le notizie catastrofiche che ha riferito,
è il solo fatto che lui sia lì. Per due volte
hanno avuto a che fare con il dio asgardiano, la prima volta
è andata a finire con alieni in assetto da guerra che
piovevano a frotte da un foro in mezzo al cielo, la seconda volta si
sono ritrovati a combattere con gente posseduta da demoni
potenzialmente letali. E la statistica parla chiaro: non c'è
due senza tre.
Ok, non è propriamente statistica, ma essere sopravvissuto
per caso a un esperimento con i raggi gamma ti rende inevitabilmente un
pochino melodrammatico.
Sono tutti talmente agitati che Bruce non si stupirebbe se qualcuno
decidesse di testare, seduta stante, qualche modo di eliminare
fisicamente una divinità spocchiosa e portatrice di guai. Ma
non servirebbe a niente.
Stark è arrabbiato per il solo fatto che Loki sia tornato.
Loro sono arrabbiati perché hanno visto disegnarsi
all'orizzonte l'ombra di una minaccia ancora senza nome e senza forma
ma che già aleggia sulle loro teste con la pesantezza di una
condanna. Thor è arrabbiato perché il fratello lo
ha di nuovo trascinato nei casini. E Nadia è arrabbiata con
se stessa.
Anche Loki è arrabbiato, ma questo è sintomatico
della sua personalità.
A Bruce è tutto molto chiaro, del resto è un
esperto del settore.
E ora sta riflettendo che avrebbe dovuto tornarsene a Calcutta, o
magari proporre allo S.H.I.E.L.D. di tentare di murarlo vivo in un
pilastro di cemento armato. Avrebbe potuto scegliere
un'infinità di strade che lo avrebbero portato in tanti
luoghi parecchio lontani da quello in cui si trova ora, eppure non
riesce a fare a meno di pensare che il suo posto è
lì.
Non sa bene quale sia il suo ruolo, la sua versione XXL si è
rivelata assai più utile di quanto lui riesca ad esserlo
nella sua taglia ordinaria, ma loro sono una squadra e lo sono anche
quando non indossano armature – o calzamaglie, o mantelli, o
tute di latex.
Thor e la dottoressa Foster recuperano un grammo di
lucidità, si staccano, si guardano attorno e lei diventa
rossa quanto il mantello del suo innamorato.
«Temevo che vi sarebbero cresciute le branchie»
borbotta Stark. Non era pensabile che gliela facesse passare liscia.
La giovane astrofisica punta lo sguardo in terra, sistemandosi
nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È
molto carina, sarà senz'altro in gamba e, se non fosse
troppo presa dall'aver ritrovato il suo bel dio smarrito tra le stelle,
forse realizzerebbe che in tutto quel tempo le sue teorie sul worm-hole
sono state esatte. Quel ponte interspaziale deve avere a che fare con
quello che ha detto Loki, c'è qualcosa che è
piovuto dal cielo e non dev'essere qualcosa per cui stendere un tappeto
rosso e far suonare la banda.
La dottoressa Foster si costringe ad alzare gli occhi e a passare in
rassegna le loro facce che adesso cercano di ostentare un'aria di
diplomatica indifferenza.
«Ehi, ma voi siete...» farfuglia, come colta da
un'illuminazione improvvisa.
«... un branco di idioti!» conclude una voce aspra,
dal fondo del corridoio.
Nick Fury avanza come se volesse gettarsi di testa contro il muro. O
come se volesse prendere tutti loro a testate. In effetti, non
è che siano stati molto ortodossi con le normali procedure
di sicurezza; adesso Barton e la Romanoff si beccheranno una bella
lavata di capo e tutti loro dovranno sorbirsi una qualche filippica
sulle norme di comportamento in caso di emergenza – poco
importa se l'emergenza in questione sfugge a qualsiasi possibile caso
normativo.
«E lei cosa ci fa qui? Perché è qui,
chi ce l'ha portata?» borbotta il direttore dello
S.H.I.E.L.D, lanciando un'occhiata torva all'astrofisica. «E
tu, quando diamine sei arrivato? Perché non sono stato
avvisato? Cosa stava facendo l'agente Romanoff mentre un dio alto due
metri veniva a pascolare nel mio dipartimento?», aggiunge
guardando Thor.
La Romanoff stava accompagnando Nadia a prendere Jane Foster. Meglio
non specificarlo.
«Con tutto il rispetto, direttore» interviene
Barton. «Ci sono questioni più urgenti».
«Lo so bene. Ho l'aria di uno che non lo sa? Quello che non
so è che diamine è successo mentre io mi
scapicollavo per venire qui»
«Non ti ingozzare di autorità, Nick, o non ti
resterà appetito per il piatto forte» sbotta
Stark. «Potresti cominciare a vomitare palle di pelo, tra un
ordine e l'altro».
Nadia fa capolino oltre la porta della stanza. Sbianca quando l'unico
occhio buono di Fury si posa su di lei, ma mantiene un'espressione
misurata mentre aspetta la sua razione di sgridate, come un condannato
a morte che aspetta rassegnato che il plotone d'esecuzione faccia fuoco.
«Oh, c'è anche lei. Siamo in modalità
famiglia allargata, a quanto vedo» gracchia il direttore.
«Io la definirei più la fase del figliuol prodigo»
osserva Stark, serafico.
Fury si passa una mano sul capo calvo. Lì dentro, il suo
cervello da super spia sta certamente architettando qualcosa.
«Basta così. Dov'è il
prigioniero?».
Chiamarlo prigioniero suona molto rassicurante, in effetti. Ma
imprigionare davvero Loki è un'impresa che, a quanto pare,
nessuno in tutto l'universo è mai riuscito a realizzare come
si deve.
La Romanoff riferisce al suo superiore quanto hanno saputo fino a quel
momento.
Nel trambusto generale c'è un particolare a cui nessuno ha
ancora fatto caso e di cui, fino a quel momento non si è
ancora fatta menzione: Loki ha detto che i loro misteriosi nemici hanno
preso di mira la Terra per vendicarsi di Thor.
«Di me?» borbotta stupito il dio del tuono,
interrompendo il rapporto di Natasha al direttore dello S.H.I.E.L.D.
«Chi vorrebbe vendicarsi di me?»
«Non lo sai? Cominciamo bene!» sbotta Clint Barton.
«Stai dicendo che Loki è il solo a cui ispiri
manie omicide?» incalza Stark. «Non l'avrei mai
detto...».
Dunque, hanno nemici sconosciuti che vogliono attaccare il pianeta. Non
si sa come, né dove né quando.
Fury cammina per qualche secondo avanti e indietro per un paio di metri
di corridoio, poi afferra la ricetrasmittente e comincia ad elencare
una serie di istruzioni in incomprensibile linguaggio S.H.I.E.L.D.
Livello 6, protocollo
ricerca 360, attivazione procedura Z8.
Se non hanno capitolo male, si tratta di un allarme, di un'indicazione
su cosa cercare e come e su tutte le attività ausiliarie da
svolgere in relazione. Una cosa che tradotta in termini umani dovrebbe
stare per: ''Un bel casino. Cercate ovunque perché non
sappiamo con cosa abbiamo a che fare. Sputate sangue, ma portatemi
qualcosa su cui poter lavorare''.
Però, il dubbio che Loki abbia mentito o che ci sia qualcosa
di strano in questa faccenda non sembra sfiorare il direttore dello
S.H.I.E.L.D, dopotutto Fury è sempre stato un tipo
lungimirante. E il fatto che debbano dar credito alle parole di Loki la
dice lunga su quanto la situazione sia tragica.
E, comunque, a proposito delle parole di Loki, c'è un'altra
questione da affrontare.
Bruce fa un bel respiro e tenta di mettere assieme le parole. Se
c'è un vantaggio dovuto all'essere l'involucro contenitivo
di un gigante rabbioso è quello che nessuno alza mai la voce
con te, hanno tutti paura che il gigante si svegli.
«Dobbiamo ancora decidere come regolarci per la questione di
Nadia. Loki ha detto che può aiutarla» dice il
dottore.
Fury fissa la ragazza per un secondo, ma lei non mostra alcuna
emozione, poi il direttore si volta verso Thor,
«È vero? Può farlo?» gli
domanda.
Una strana espressione brilla negli occhi del dio del tuono,
«È il solo che possa» dichiara, alla
fine.
«Allora dovremo inventarci qualcosa» conclude Fury,
senza troppo entusiasmo. «Potrebbero far comode le
capacità di quel ninnolo che è incollato al suo
braccio».
«No!». L'esclamazione arriva in contemporanea da
diverse bocche. Ora cominciano anche a parlare in coro, wow, tra un po'
finiranno a dormire nei letti a castello come i sette nani.
No. Lo hanno davvero detto tutti quanti assieme.
«Questa squadra è già troppo grande per
il mio egocentrismo narcisistico» borbotta Stark.
«E la ragazza non è pronta, signore» gli
fa eco la Romanoff.
«Nessuno di voi altri rincitrulliti era pronto» li
rimbecca Fury. «E comunque, nessuno ha parlato di inserirla
in squadre di salvataggio planetario, ma se quella pietra
può essere un'utile arma potrebbe far comodo saperlo, lei
non è d'accordo signorina Berton?»
Nadia si guarda attorno, smarrita, poi una strana consapevolezza fa
capolino attraverso il suo sguardo e i suoi occhi si fissano proprio su
di lui, su Bruce. E lui capisce al volo il perché.
Tutti hanno ammirato il coraggio della ragazza a Venezia, ma ai loro
occhi è sempre stata la donzella in difficoltà e
quando è arrivata a New York hanno continuato a vederla come
la persona fragile da proteggere e da aiutare perché ha un
serio problema. Eppure Bruce ora si rende conto di come lei debba
sentirsi, di come la situazione della loro giovane amica non sia poi
tanto diversa dalla sua: quando hai qualcosa di brutto dentro vuoi a
tutti i costi provare a trasformarlo in qualcosa di utile, in qualcosa
che abbia un senso perché smetta di essere una condanna e
diventi un dono.
«Se posso dare una mano...» tenta di dire la
ragazza.
«Piuttosto ti riporto a Venezia, a casa, a nuoto»
sospira Steve.
«Non potete riportarmi a casa senza Loki, ormai è
chiaro che senza il suo aiuto sono spacciata e non credo dormireste
sogni tranquilli con lui oltreoceano, fuori dalla vostra
portata» replica lei tranquilla. «Io
posso...».
«Certo che puoi» interviene Bruce. Gli altri lo
guardano stupiti, ma loro non possono capire, non fino in fondo.
«Che sta succedendo? Sono io quello che ha l'esclusiva sugli
scherzi stupidi, voi altri non potete farne» replica Stark,
assumendo quel suo tono petulante.
«Sto solo suggerendo di provare a capire bene tutti gli
aspetti della questione relativa alla pietra, dato che l'unico che ha
il manuale di istruzioni è il nostro sgradito
ospite» dice Fury. «Non mi era mai
passato neppure per l'anticamera del cervello prima di adesso, ma la
situazione potrebbe richiedere tutte le risorse di cui
disponiamo».
Nadia sorride, soddisfatta. Sperano tutti che non si arrivi a
situazioni in cui lei debba essere schierata in campo, neanche se
l'energia della pietra si rivelasse l'arma più straordinaria
del mondo, ma la ragazza sta finalmente cominciando a trovare un senso
alla serie di sfortunati eventi che l'ha portata ad essere
lì. È un attimo di trionfo che nessuno ha il
diritto di rovinarle.
*
Frastuono.
La parola le appare scritta davanti agli occhi, come un'etichetta
gigante che penzola dal cielo. Non c'è altra definizione
possibile per esprimere lo stato delle cose. Sono tutti, ognuno a modo
loro, frastornati
dagli eventi.
Nadia sa che è del tutto folle, ma riesce a trovare anche
qualche motivo di essere contenta in mezzo a quel caos. Ed è
questo che la fa sentire così scossa, il contrasto tra le
sue piccole soddisfazioni personali e la drammaticità della
situazione.
Accanto a lei, sul sedile di quel macchinone nero che la sta riportando
a casa, c'è Jane Foster. Le luci della città si
riflettono nei suoi occhioni spalancati sul mondo, probabilmente la
scienziata vede costellazioni e galassie nei cerchi di luce dei
lampioni e al momento, forse lei è quella più
frastornata di tutti.
Nadia pensa che Jane non abbia davvero capito quello che è
successo, in effetti ci sono molti particolari di cui non è
a conoscenza e il suo stato mentale in quel frangente non le permette
di fare deduzioni e colmare lacune. Dall'arrivo di Fury, la scienziata
si è fatta da parte, appoggiandosi con le spalle contro il
muro del corridoio ed è rimasta passiva spettatrice dello
spettacolo delirante che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi
– forse ha a malapena recepito la questione dovuta a
potenziali attacchi alla Terra, giusto perché c'è
di mezzo il povero Thor.
Adesso l'hanno caricata sulla macchina e spedita verso un alloggio in
centro che si trova nella stessa zona della Stark Tower. Il piano
doveva essere quello di rispedirla dove era prima, ma con una
potenziale catastrofe globale a penzoloni sulle loro teste, magari Thor
si sarebbe sentito più sereno a saperla a portata di mano
– e Nadia è assolutamente convinta che quella sera
il dio pioverà sul balcone dei nuovi alloggi di Jane, magari
con un mazzo di rose preso su suggerimento di Steve o con un
cannocchiale nuovo rimediatogli da Tony...
Nadia è contenta per lei, per loro due. Ci voleva una nota
di romanticismo e allegria in quella cupa giornata.
La ragazza sospira, sentendo di colpo tutta la stanchezza accumulata
pesarle sulle spalle e tutta la tensione che si allenta e la rende
consapevole del groppo che ha nello stomaco, delle gambe indolenzite,
dei lividi e i graffi sulle ginocchia che si è procurata nel
bosco, quando Loki è svenuto sanguinante e lei gli
è corsa accanto per poi chinarsi su di lui e accertarsi che
fosse vivo.
Fino a quel momento, non aveva mai davvero sentito il cuore spezzarsi
nel petto.
All'improvviso diventa consapevole dello sguardo posato su di lei. Si
volta per scorgere Jane che osserva crucciata le macchie di sangue sui
suoi vestiti. Gli occhi della dottoressa Foster fanno domande a cui la
buona educazione e il senso di discrezione impone di non dar voce.
«Ho fatto sparare al tuo taxi, Jane. Puoi chiedermi quello
che vuoi» dice la ragazza con un sorriso stanco.
«Non so da dove cominciare» ammette la scienziata.
Nadia annuisce,
«Beh, magari ti spiegherà tutto Thor, staser...
ehm, quando avrete occasione di... insomma, quando avrete qualche
momento tranquillo per parlare» risponde, inciampando nelle
parole. Parlare,
sì, come no!
«Ci sono molte cose tra quelle che la donna rossa ha detto a
Fury che non ho capito. Al di là di tutto, mi chiedo come tu
possa essere così tranquilla, cioè capisco che
essere... come dire, la
pupilla degli Avengers è una figata pazzesca e
tecnicamente ti pone in una botte di ferro. Ma che mi dici del dover
avere a che fare con quel Loki?».
Quel Loki,
giusto. Quando Nadia ha lanciato un'ultima occhiata alla stanza in cui
l'avevano messo, l'ha trovato che dormiva alla grossa e probabilmente
si è perso l'arrivo di un Nick Fury particolarmente
esagitato e lo schieramento di truppe in tenuta da guerriglia lungo il
corridoio. E tutta la parte relativa alla sua futura collocazione e la
discussione sul come fare perché lui possa istruire lei
senza che a nessuno saltino i nervi. Dormiva proprio come un sasso,
evidentemente si sente al sicuro e se è così
tranquillo a stare nelle mani dello S.H.I.E.L.D, vuol dire che sul
pianeta dei Chitauri se l'è vista più brutta di
quanto tutti loro pensino. Oppure che ha un piano. Oppure entrambe le
cose.
Rispondere alla domanda di Jane è difficile,
perché la dottoressa Foster non sa niente, ne sa anche meno
degli Avengers, è rimasta alle favole dove Loki è
il mostro cattivo e nient'altro.
«A Loki si impara a sopravvivere. A un concentrato di energia
magica che filtra nel tuo corpo attraverso un bracciale no»
conclude semplicemente la ragazza. Sì, prima o poi
dovrà spiegare per filo e per segno alla sua nuova amica
tutta la faccenda di Venezia, se non lo fa Thor.
Un attimo dopo la macchina accosta davanti a una bella palazzina con i
cancelli di ottone.
L'autista si volta porgendo a Jane una busta con dentro le chiavi di
quello che sarà il suo appartamento per le prossime
settimane.
«È l'ultimo piano, dottoressa Foster. Quello con
la terrazza» dice l'uomo in completo scuro.
Una casa all'ultimo piano con terrazzo. Perfetto come base di
atterraggio per un dio svolazzante.
Nadia ridacchia, salutando Jane.
Mentre l'auto riparte per condurla alla Stark Tower, la ragazza viene
colta da un'illuminazione improvvisa.
L'appuntamento con Mike.
Tra meno di due ore. Cazzo!...
«Oh santo cielo! Oh, Dio, Nadia...» la voce
preoccupata di Pepper la investe come una folata di vento, appena la
ragazza esce dall'ascensore.
La donna bionda è davanti alla porta dell'appartamento che
le hanno dato, ad aspettarla con un'aria quasi materna. Le posa le mani
sulle spalle quando lei le si avvicina.
«Tony mi ha chiamato, mi ha spiegato solo in parte cosa
è successo e ha detto che resterà alla base
S.H.I.E.L.D. ancora per un po'. Tu stai bene?».
Che domanda. Nel ricambiare lo sguardo degli occhi di Pepper, Nadia
capisce di non avere alcuna risposta da darle. Sente un tale groviglio
di emozioni dentro che non riesce a cavarne fuori nulla di definito,
niente di davvero brutto, ma neppure niente che sia bello.
Semplicemente la stanchezza le fa abbassare le difese e le parole che
le arrivano alle labbra danno voce al pensiero che svetta come una
linea diritta in mezzo a quel disordine di idee.
«Loki. È tornato» dice.
Pepper corruga leggermente la fronte, le sopracciglia arcuate come
punti di domanda. Muove le labbra, esitando nel dire ciò che
sta pensando.
«Lo so. Tony mi ha detto di cercare qualcuno che metta vetri
infrangibili alle nostre finestre» conclude, alla fine.
Tony dovrebbe trovare il
modo di farsi passare il trauma...
«No, senti Pepper, qui abbiamo un problema molto
serio» dice la ragazza, entrando in casa. «Tra meno
di due ore io devo vedere Mike».
Ha promesso che sarebbe andata a quell'appuntamento, ha promesso che si
sarebbe presa cura di se stessa. Cascasse il mondo, lei quella sera
uscirà con quel ragazzo, si divertirà,
starà bene... e magari gli darà il bacio della
buonanotte prima di salutarlo. Cascasse
il mondo, già...
Pepper ora ha uno sguardo molto acuto, sembra aver preso tutta l'ansia
di qualche minuto prima, sembra averla impacchettata e messa in un
magazzino cerebrale molto ben organizzato. Invidiabile, ecco cosa vuol
dire essere stata per anni la segretaria di Tony Stark!
«Fila sotto la doccia» ordina in tono pratico.
«Io ti scelgo i vesti, arriverai più puntuale di
un orologio!».
Nadia sorride, annuisce e sfreccia verso il bagno. Si toglie i vestiti,
indugia solo un attimo a guardare le macchie di sangue sulla maglietta
e tanto basta a farle montare una rabbia sorda e a farle accelerare il
respiro. Chiude gli occhi, cerca di concentrarsi sul freddo fastidioso
che le punge la pelle, cerca di pensare al tepore dell'acqua che
laverà via tutto. Fa quello che fa Pepper: compatta,
impacchetta e mette da parte.
Domani mattina ci sarà tempo per tutto quello a cui ancora
non ha dato sfogo. Domani, non ora.
*
Le hanno fatto arrivare la sua roba, perfettamente imballata in
scatoloni che un paio di solerti agenti le hanno depositato in salotto
in due pile ordinate, dopo averle riferito una serie di istruzioni.
Non può lasciare la città. Non può
avere contatti con nessuno senza informare lo S.H.I.E.L.D. È
obbligata a mantenere il più totale riserbo su quello che ha
visto succedere poco prima.
Cos'è che ha visto succedere, con esattezza?
Jane osserva l'appartamento elegante e impersonale nel quale l'hanno
spedita. È assai meglio della camera della pensione dove
è stata alloggiata in quelle ultime settimane, ma la sua
situazione non sembra cambiata poi di molto. Non è che il
suo starsene lì abbia molto senso, ma anche se prima
sembravano piuttosto ansiosi di sbarazzarsi di lei, adesso che sanno
che le sue ricerche possono avere un'utilità ben specifica
non la lasceranno andare.
È sera e lei non ha cenato, ma non ha minimamente fame.
Quel silenzio carico di inquietudine le svuota la testa e la dottoressa
Foster si lascia cadere sul divano di pelle, afferra il telecomando del
televisore e si mette a fare un po' di zapping senza davvero
concentrarsi sulle immagini che le scorrono davanti agli occhi, alla
briciole di voce che dicono spezzoni di frasi senza senso nel passaggio
da un canale all'altro.
E adesso? Cosa accadrà adesso?
Un tuono romba sopra i rumori della città. Jane solleva la
testa di scatto, il telecomando le sfugge di mano mentre la tv si
sintonizza su un talk-show.
Il cielo ha sempre
qualche buona risposta da dare...
Jane si alza in piedi. Non è che non avesse pensato alla
faccenda, è che le sue difese psicologiche devono averle
fatto rifiutare l'idea che potesse venir fuori qualcosa di buono in una
situazione tanto assurda. E invece qualcosa di buono c'è,
è atterrato in piedi sul suo terrazzo, con nemmeno troppa
grazia, a dirla tutta.
La donna apre la porta di vetro e guarda Thor, mantello svolazzante
sulle spalle, martello in una mano, scatola colorata nell'altra.
Forse ora potranno parlare, e lui potrà spiegarle per bene
tutta la questione e chi è la ragazza bionda e
perché si conoscono... forse potranno parlare, forse no.
«Il cielo ha sempre qualche buona risposta da dare»
dice, trattenendo una risatina.
«Come?»
«Lo diceva sempre mio padre, era un astrofisico anche lui...
oh, Eric te l'avrà detto».
Lui segue Jane dentro casa e le porge la scatola. E per un attimo il
dio sembra arrossire.
«Io... ehm... Rogers e Stark hanno provato a istruirmi sulle
vostre usanze in certi frangenti, ma hanno finito per litigare. Alla
fine ho seguito il suggerimento di Banner, però lui ha
vissuto gli ultimi anni in un luogo sperduto quindi non so quanto sia
attendibile il suo consiglio...» borbotta un po' impacciato.
Jane sgrana gli occhi, e comincia a scartare il pacchetto che Thor le
ha dato,
«Stai dicendo che la squadra di supereroi più
famosi del pianeta ha discusso di galateo a mio beneficio? Sono...
onorata».
Una scatola di cioccolatini. Dov'è che è stato il
dottor Banner negli ultimi anni?...
«Immagino che potrai farci l'abitudine, a loro, intendo. Sono
molto... beh, molto» conclude Thor.
«Farci l'abitudine. Come ha fatto Nadia?». Non
è che la ragazza sia il problema fondamentale al momento,
non è neanche un problema in realtà, ma Jane
vuole approfittare degli ultimi scampoli di lucidità che le
sono rimasti prima di... prima di fare qualsiasi cosa...
«Il Guardiano vi ha viste insieme» dice Thor.
«Non conosci la sua storia?»
«No, ma una che non si fa venire gli attacchi di panico
all'idea di aver bisogno di tuo... ehm... fratello stuzzica di molto la
mia curiosità».
Che diamine sta dicendo? Come le è venuto in mente di
nominare quella disgustosa serpe con quel nome assurdo? Oh, Jane perché non
spegni quel cervello, tanto è vuoto!
«Credo che Nadia voglia bene a Loki, ne sono certo anzi. E in
una qualche strana misura, anche lui ha a cuore la sorte della
ragazza».
Dunque Loki ha un cuore. Interessante. Non molto credibile,
però.
«E le dimostrazioni di affetto di Loki hanno tutte a che fare
con piani machiavellici e robot sputafuoco programmati per uccidere e
radere al suolo le città?» borbotta lei, per poi
pentirsene un secondo dopo.
«È molto creativo, bisogna rendergliene
atto» risponde Thor. Anche se sorride però il suo
sguardo si incupisce.
Mangiati la lingua,
dannazione, Jane!
«Scusa... è che io sono finita invischiata in
questa cosa che non capisco e... avrei bisogno di capire.
Però...»
«Però cosa?».
Jane deve resistere all'impulso di farsi aria con le mani. Sta
avvampando, e cos'è che le aveva chiesto Thor? Si
è persa un pezzo, non ricorda...
D'accordo. Basta parlare, basta pensare.
Basta, almeno fino a domani mattina.
*
Mike la sta aspettando sul marciapiede. Ha il naso all'insù,
a guardare la Stark Tower salire verso il cielo.
Nadia si chiude il portone del palazzo alle spalle e sospira. Si era
sentita molto sicura di sé, prima, approvando la sua
immagine allo specchio, e adesso invece sente il disagio salire come
una marea fino a sommergerla.
In effetti, da un po' di tempo non aveva un appuntamento. L'ultima
volta che è successa una cosa vagamente simile a un'uscita
con un ragazzo si è ritrovata sola in un cortile di Venezia
ad aspettare che cominciasse un concerto jazz ed è finita a
scappare da un branco di demoni di fumo che volevano passarla da parte
a parte. È stata la sera in cui ha visto morire un uomo per
la prima volta, in cui ha scoperto l'esistenza di cose che avrebbe
preferito non sapere. È stata la sera in cui la sua vita
è cambiata per sempre, e lei ha oltrepassato il punto di non
ritorno in una manciata di minuti senza nemmeno essere vagamente
consapevole di quanto le sarebbe costato.
Il bracciale è lì, sotto il polsino della
camicetta blu che Pepper le ha fatto indossare. I rumori del traffico
metropolitano di New York si mischiano al ricordo delle urla di terrore
che aveva udito quella sera, poi un colpo di clacson spazza via quel
venefico incanto e la costringe a diventare consapevole del sorriso che
ora Mike le sta rivolgendo.
«Ciao» dice il ragazzo, facendo rigirare sulla
punta dell'indice il cerchio del portachiavi della macchina.
Compattare,
impacchettare e mettere da parte...
«Ciao. I vestiti da comune cittadino ti donano»
risponde lei.
«Non mi dirai che pensavi che fossi solo uno stagista delle
Stark Industries».
In effetti, non sa molto di Mike Glanville. Nel tempo che hanno passato
assieme, è stata quasi sempre lei a parlare, forse
perché tra loro due era quella che ne aveva più
bisogno. Ne avrebbe bisogno anche adesso, avrebbe davvero bisogno di
parlare con qualcuno di estraneo a quella faccenda, ma la situazione
è delle meno adatte e non sarebbe giusto. E poi, se si
facesse uscire anche solo una parola, Fury la chiuderebbe in un
container a tenuta stagna e la spedirebbe al Polo Nord.
Compattare,
impacchettare e mettere da parte...
«A dire il vero, ormai sono propensa a credere che tu sia un
santo. Devo chiederti scusa, Mike, non abbiamo mai parlato molto di te,
sono stata un po' egocentrica in questi mesi...».
Lui scuote la testa e le fa cenno di seguirlo,
«Non dirlo nemmeno. Ho sempre pensato che fossi una persona
che valeva la pena conoscere» risponde con misurata
galanteria, poi fa un mezzo sorriso ironico. «Insomma, quando
ti ho incontrata la prima volta, stavi aspettando fuori l'ufficio di
Tony Stark con un pacchetto di kebab in mano!».
Nadia ride. Se c'è stato un momento, durante quell'assurda
giornata, in cui ha pensato che quell'appuntamento fosse una pessima
idea, adesso è pronta a rimangiarsi tutto. Ora capisce
perché l'è venuto così naturale
decidere di non rinunciare a quell'uscita, lei ha bisogno di ridere, ha
bisogno di occhi come quelli di Mike.
Le luci dei lampioni gettano un riverbero argentato sull'asfalto ancora
umido per la pioggia di qualche ora prima. Nadia guarda verso il
groviglio di strade intasate dalle auto, nella direzione in cui sa che
dovrebbe trovarsi l'appartamento di Jane. Spera proprio che lei e Thor
siano insieme adesso, che il dio del tuono abbia la
possibilità che ha anche lei di dimenticarsi di tutto,
almeno per il tempo di una serata.
«Cos'hai in fronte?» chiede Mike.
Nadia si tasta con il dito il punto in cui si è fatta male
con l'arco, dove ora è rimasta un'escoriazione che il trucco
non riesce a nascondere del tutto, cerchiata da un livido un po' gonfio.
«Oh, un piccolo incidente domestico» risponde
sbrigativa, prima di salire in auto. Si detesta per quella piccola
bugia, per tutte le cose che non può dirgli.
Il ragazzo mette in moto e un attimo dopo scivolano nel flusso del
traffico cittadino.
Compattare,
impacchettare e mettere da parte...
E rimandare tutto a domani. Sì, può farcela.
Il quartiere di Broadway è una bolla di luce, di stelle
incatenate tra i palazzi e insegne pubblicitarie di spettacoli grandi
come una casa. Un dedalo di vetrine talmente lucide da essere
invisibili, se non fosse per i riflessi sbiaditi dei passanti.
Tutto viene attirato come una calamita per andarsi a gettare nello
spazio aperto di Times Square.
Nadia cammina accanto a Mike. In tutte quelle settimane passate
lì, ha visto così poco della città che
la ospita, e adesso i suoi pensieri sono sospesi tra lo stupore per il
luogo estraneo che la invade con il suo caos di vita e la nostalgia per
casa.
Gli occhioni gialli della locandina di Cats sembrano fissarla e lei
sorride, senza sapere bene il perché.
«Il posto è questo» dice Mike,
prendendola sottobraccio e pilotandola verso l'ingresso di un teatro,
dietro ad una nutrita fila di turisti giapponesi che tengono tra le
mani i loro biglietti per lo spettacolo.
D'accordo, forse non è tutto così lontano e
diverso da casa sua.
Entrano e una maschera in un impeccabile completo nero li accompagna ai
loro posti: le due poltrone centrali della seconda fila della platea.
«Wow, sono dei posti ottimi» dice Nadia ammirata,
guardando ipnotizzata il teatro attorno a lei. «Sei stato
magnifico!»
«Oh... ehm... sì, grazie...» farfuglia
Mike, come colto alla sprovvista. «Sai, le prevendite su
internet funzionano molto bene».
La ragazza fissa per qualche istante il suo accompagnatore.
«Mike, dimmi la verità: ma a te i musical
piacciono almeno un po'?» gli chiede.
Lui sfodera un sorriso adorabile,
«Ho intenzione di scoprirlo».
«Sei troppo perfetto per essere vero...» sussurra
Nadia, il commento le viene automatico, le esce direttamente dal cuore,
ma si perde nel silenzio che cala a poco a poco in sala, via via che le
luci si abbassano.
Il sipario si alza, comincia la prima scena con il battitore dell'asta
e poi parte l'overture.
Nadia si ritrova a mimare con le labbra quella musica di cui ricorda
alla perfezione ogni nota, ogni suono, ogni pausa e ogni crescendo.
Così come conosce a menadito ogni parola delle canzoni. Ed
è tutto perfetto, i costumi, le voci degli attori... tutto
come deve essere, tutto come lei aveva sempre sognato e visto decine di
volte in mille filmati su youtube.
E Christine che canta Think of me, e la scenda del camerino e la voce
che tuona nel vuoto fino a quando la figura mascherata non prende forma
oltre lo specchio.
Nadia trattiene il respiro quando la fanciulla appoggia la mano su
quella del Fantasma e lascia che lui la trascini via, verso i
sotterranei, nel buio della sua follia e nel profondo del suo amore
tragico e incurabile.
La ragazza sente salire il magone. Non è solo
perché sa che quella storia non avrà mai un lieto
fine, ma è anche perché pensa che non
è così che dovrebbe essere un amore.
Perché pensa che l'amore è tale solo quando
è fine a se stesso e non quando diventa un'ancora di
salvezza, un lasciapassare per scappare dal buio.
C'è qualcosa che adesso preme sui suoi pensieri, nuvole
cariche di pioggia che minacciano di scatenare una tempesta.
E Christine fa l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare, strappa la
maschera del Fantasma e lui grida per la delusione e per la paura che
lei possa vederlo e diventare automaticamente incapace di amarlo a
causa del suo aspetto. Lui la scaglia a terra, inveendo, poi si volta a
guardarla...
«Stranger than
you dreamt it
can you even dare to
look, or bear to think of me
this loathesome gargoyle
who burns in hell,
but secretly yearns for
heaven
secretly, secretly...
Oh Christine...
Fear can turn to love
you'll learn to see,
to find the man behind
the monster...».
Si era promessa che avrebbe rimandato tutto a domani, e ci mette
qualche secondo a diventare consapevole del fatto che sta piangendo a
calde lacrime, che c'è qualcosa di profondamente sbagliato
nel solo fatto che lei sia lì. Eppure, più le
lacrime scendo a rigarle le guance, più Nadia sente il cuore
alleggerirsi e le nuvole che le avevano assediato la mente dissiparsi,
come per un colpo di vento.
Istintivamente, posa la mano su quella di Mike, che lui aveva lasciato
mollemente appoggiata al bracciolo in un modo non proprio casuale.
Sente le dita del ragazzo chiudersi con dolcezza attorno alle sue.
Il Fantasma, che era crollato a terra, si rialza e dice alla fanciulla
che devono tornare indietro. Loro due spariscono, la scena cambia a
segnare la fine della magia.
Non ci sono bei sogni per i mostri.
_________________________________________________
Note:
Magie della scrittura e dei personaggi che sanno più cose di
quante ne sappia la tizia che tiene in mano la penna: quando avevo
cominciato a scrivere il capitolo, avevo scelto il POV di Bruce un po'
a caso, giusto perché lui era quello che fino a questo
momento aveva avuto meno spazio nella storia, il parallelismo tra lui e
Nadia è venuto fuori da solo e confesso che ne vado molto
fiera.
Sì, soprassediamo sulla scatola di cioccolatini che Thor
porta a Jane su suggerimento di Bruce.
Ok, piccolo tributo alla grande ossess... ehm, al grande amore della
mia vita, The Phantom of the Opera di Andrew Lloyd Webber (nel caso
l'avatar che uso ovunque sul web non sia abbastanza dimostrativo di
questa cosa). E se anche io non avessi un legame particolare con questa
opera, non avrei potuto scegliere un musical diverso,
perché, anche se le storie e i personaggi sono molto
diversi, ci sono davvero dei versi delle canzoni che si prestano
moltissimo al parallelismo con Loki.
Quella citata poi è anche quella che dà il titolo
alla storia (anche se il significato del titolo è da
intendersi in senso molto più ampio e non legato
all'episodio della citazione in sé).
Quanto prima risponderò alle recensioni al precedente
capitolo, promesso. Intanto colgo l'occasione per ringraziarvi, siete
tantissimi a seguire questa storia e siete il miglior stimolo ad andare
avanti che una scribacchina possa desiderare. *________*
A venerdì prossimo! ^^
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Capitolo 10 *** The day after - part one ***
Capitolo nono
The day after –
part one
«Che ore sono, Jarvis?»
«Le nove e quattordici minuti, signorina. La temperatura
esterna è di ventuno gradi, il livello di umidità
è...».
Nadia non presta alcuna attenzione alla tiritera meteorologica del
robot. Il domani a cui ha cercato di non pensare è
lì, a penzolare dalle lancette di un orologio. E lei ha la
sensazione di non aver dormito affatto quella notte, forse ha chiuso
gli occhi un paio di minuti prima di accorgersi che era già
mattina.
Si mette a sedere in mezzo al letto, si stiracchia e calcia via le
coperte. Non ci sono allenamenti nella base S.H.I.E.L.D. ad attenderla,
Nadia non ha idea di cosa debba aspettarsi da quella giornata e da
tutte quelle che verranno. Sa solo che ci sono conti aperti con un
passato recente da saldare.
La sua immagine nello specchio le restituisce un viso stanco che porta
ancora i segni del trucco che non ha lavato via con abbastanza cura, la
notte precedente. Anche la serata del giorno prima fa parte del conto
da onorare.
Nadia si getta sotto la doccia e si veste in fretta, cercando vestiti
comodi. Pronta a correre, è così che deve essere.
Pronta a correre o a
scappare?...
New York si è svegliata sotto un cielo plumbeo quella
mattina, un cielo che riflette il suo umore.
Non ha voglia di pensarci. Si concede il lusso di rimandare ancora un
po', tanto non c'è molto che possa fare.
Esce dall'appartamento e raggiunge il piano di sopra.
È un po' tardi per la colazione in casa Stark, ma il
silenzio che regna nel grande open space è quasi innaturale
e per un attimo la ragazza ne è spaventata. Sta giusto
pensando se sia il caso di telefonare o di chiedere delucidazioni a
Jarvis, quando con la coda dell'occhio scorge Pepper uscire da una
stanza, chiudere con cautela la porta scorrevole e attraversare il
grande atrio con le scarpe in mano per non fare confusione con i
tacchi. La donna si porta un indice alle labbra per dirle di non fare
rumore; Nadia le lancia uno sguardo interrogativo.
«Hanno fatto molto tardi, stanotte» dice Pepper in
un soffio, chinandosi al suo orecchio. «Sono tornati in taxi
e sono saliti per fare delle ricerche, ma non hanno trovato niente. Poi
sono crollati addormentati, non me la sono sentita di spostarlo da
lì».
La donna indica il divano.
«Spostare chi?» chiede Nadia, sempre sussurrando.
«Il capitano Rogers».
La ragazza trattiene a stento una risata.
«Quelli che scrivono fanfiction slash ne sarebbero
deliziati» mormora.
«Che?».
Nadia scuote la testa, come a dire che non è niente di
importante, poi si avvicina a passo felpato al divano e lancia
un'occhiata a Steve rannicchiato in uno spazio troppo piccolo per la
sua gran massa di muscoli. Per quanto in posizione scomoda,
però sembra dormire beatamente il sonno dei giusti, sotto il
plaid a quadri che Pepper deve avergli steso addosso.
Esistono plaid di lana a quadrettoni persino in casa Stark.
Dovresti trovarti una
ragazza, Cap, è un peccato che tutto questo ben di Dio venga
sprecato...
«Io vado in ufficio, qualcuno dovrà pur
andarci» bisbiglia Pepper con un sospiro.
«Io... immagino che dovrò andare allo
S.H.I.E.L.D.». Ad
assicurarmi che Clint non abbia cavato un occhio a Loki, o quanto meno
che Loki non sia morto dissanguato per l'asportazione del bulbo
oculare. Fury non sarebbe ben disposto a prestargli una delle sue bende
da pirata.
«Devi raccontarmi tutto di ieri sera» aggiunge la
donna, con un'occhiata furba.
La ragazza si chiede che bisogno ci sia di parlarne ancora, di sicuro
Tony le avrà spiegato ogni cosa e anche di più.
Poi le viene il dubbio che la sua amica non si stia riferendo a quello
che è successo nella base S.H.I.E.L.D.
«È andata bene. Molto bene...». Nadia
arrossisce. È andata bene, ma non come sperava. Rimpiange
quel bacio della buonanotte che non è riuscita a dare, un
bacio che sarebbe stato assolutamente meritato. Si è detta
che lo ha fatto per una questione di onestà, che Mike non
merita di essere tenuto all'oscuro di tutto quello che le sta
succedendo, non ora che le cose sembrano essersi posizionate su una
rotta che porta un po' più lontano della semplice amicizia,
ma alla fine non è solo questo. Il momento era
così dannatamente perfetto, una mano nell'altra, davanti al
portone... e quando Nadia si è chinata per baciarlo il
cervello ha dirottato e le sue labbra sono andate a posarsi sulla
guancia del ragazzo. Può trovare tutte le motivazioni
logiche che crede, ce ne sono in effetti, ma alla fine si è
trattato di un solo secondo in cui è stato l'istinto a
decidere.
«Tony come sta?»
«Pfff, devo trovargli qualcosa da far saltare in
aria».
Sì, e Nadia ha anche un'idea su cosa, o meglio su chi,
potrebbe essere utile allo scopo.
Pepper le dice che deve scappare, ma prima le posa una mano sulla
spalla e stringe leggermente, in un gesto d'affetto e incoraggiamento.
Se c'è una cosa in cui tutti loro sono dannatamente bravi,
è ricordarle che non è sola.
*
Loki apre gli occhi e di colpo si sente soffocare. Si sente sopraffare
dal bianco della stanza, dal silenzio asettico che regna tra quelle
pareti, si sente infastidito dall'immobilità in cui
è rimasto fino a un secondo prima. Man mano che riemerge
dalle nebbie di quel sonno profondo e popolato di orrori, la sensazione
di soffocamento aumenta e lui sente il cuore pulsargli nelle tempie.
Si alza di scatto, lanciando via le coperte. È ancora molto
indolenzito, le ferite sono in via di guarigione, ma ben lungi
dall'essersi sanate.
Nel sonno si è staccata una medicazione dal braccio e ora
una grossa macchia color porpora è aperta sul lenzuolo
bianco, come un fiore sul marmo di una tomba.
Loki fissa la macchia e secondo dopo secondo diventa consapevole della
sensazione che gli attanaglia il petto. Le immagini che hanno turbato i
suoi sogni lo inseguono anche ora che è sveglio, lo
perseguitano prendendo forma sullo spazio vuoto alle pareti.
È stata una notte fatta di incubi, e quel che è
peggio, fatta di incubi dai quali non riusciva a svegliarsi, brutti
sogni che ha dovuto subire, inerme come per le sevizie di Thanos.
I minuti cominciano a susseguirsi in quel silenzio di piombo. Loki
sente tutta la rabbia e la frustrazione formare un grumo dentro di lui,
una massa che cresce e acquista peso e manda all'aria ciò
che c'è intorno, il suo presupposto di mantenersi sempre
lucido e distaccato, anche da se stesso. Quella zavorra di rabbia e
sentimenti minaccia di farlo esplodere e lui non sa come frenare quella
caduta. Non ha mai saputo come frenare le cadute.
Avverte il grido prendere forma nella gola, reclamare aria.
La porta si apre di colpo e lui sente le mani fremere per la voglia di
stringere qualcosa, afferrare, strappare, ferire...
«Ti prego, mangia qualcosa e prendi un'aspirina... o fuma
dell'erba, o fatti fare un elettroshock».
Nadia. Nadia e il suo mezzo sorriso impertinente. Anche a lei
è dovuta la sua rabbia, è anche colpa sua, della
ragazza che per tre mesi lo ha dimenticato, gli ha attribuito colpe che
non ha.
Perché
è un'umana e gli umani sono gretti e volubili...
Adesso che il dolore gli ha lasciato un po' di tregua, adesso che,
tutto sommato, è al sicuro, il suo cuore comincia a fare i
conti con tutto quello che ha rimandato, le sensazioni gli arrivano
amplificate, come se fossero cresciute all'ombra di quella notte quasi
tranquilla.
Quella ragazza ha la presunzione di sapere cosa sia il male, e Loki
adesso vorrebbe farglielo conoscere, attraverso le sue mani, attraverso
i suoi occhi, attraverso le sue parole.
Eppure non ci riesce. Resta con la sua valanga di rabbia che rotola
dentro di lui e si limita a fissare la ragazza corrugando appena le
sopracciglia, cercando di capire cosa gli stia dicendo.
«D'accordo, ho una proposta migliore: che ne dici di una
doccia?».
*
Nadia scende dal taxi, paga il conducente e spinge le mani nelle tasche
della felpa per cercare di scacciare via quella sensazione di freddo
umido. Inutile, il freddo le entra sottopelle e ci rimane affondato.
Si è fatta lasciare a una ragionevole distanza dalla base
dello S.H.I.E.L.D. e ha da percorrere una lunga strada a piedi.
Le dita tastano il contorno del telefono cellulare sul fondo della
tasca. Pensa che deve mandare un messaggio a Mike, o magari
telefonargli. Forse per un po' non avrà occasione di tornare
alle Stark Industries e deve ammettere che l'idea di non vederlo tanto
spesso non le piace granché.
Sospira e accelera il passo. Vuole arrivare il prima possibile, vuole
sapere se hanno scoperto qualcosa di nuovo e cosa si sono detti mentre
lei non c'era. Ed è preoccupata di Loki, non per Loki: ormai
le è chiaro che lui è perfettamente in grado di
sopravvivere a qualsiasi cosa, anche a se stesso, ma è
preoccupata che si svegli con la luna storta e faccia accadere qualche
casino, nel modo che gli è consono. Nadia non vuole che
qualcuno si faccia male, non vuole mai più vedere ferite
come quelle nelle vie di New York.
Il suo pass le apre la strada verso la sezione in cui è
stata la sera prima. A guardarsi attorno, giurerebbe che non
è successo niente, ma c'è ancora una fila di
uomini armati schierati lungo il corridoio.
La ragazza attraversa lo schieramento di agenti in tenuta da guerriglia
e raggiunge la stanza della videosorveglianza. Qualcuno deve aver
sostituito la telecamera a cui Natasha aveva sparato, perché
ora su uno degli schermi c'è l'immagine del letto su cui
Loki sta ancora dormendo.
Davanti allo schermo è seduto Clint, viso stanco e occhi
arrossati. Natasha è appoggiata con un fianco al taglio di
una scrivania e sta versando bustine di zucchero in due bicchieri di
caffè, con la sua consueta grazia da cigno – o da
pantera, a seconda dei casi.
«Buongiorno» dice la ragazza, entrando.
Clint biascica un saluto con la voce impastata e si stropiccia la
faccia.
«C'è qualche novità per cui devo
strapparmi i capelli?» domanda lei.
Natasha mescola lo zucchero e il caffè con un bastoncino di
plastica.
«Sei tu quella che ieri sera aveva un appuntamento»
le dice, ammiccando.
Lei sorride, scuote la testa e alza gli occhi al cielo,
«Sono ancora single, se Fury vuole chiedere la mia
mano» replica con una smorfia. «Clint, sei rimasto
tutta la notte qui a... a guardare Loki dormire? Molto romantico.
Davvero non avevi niente di meglio da fare?».
Lo sguardo di Nadia si posa automaticamente su Natasha, che alza appena
un attimo un sopracciglio, in un gesto a malapena percettibile. La
ragazza ancora non ha capito quale sia la condizione di quei due, prima
o poi riuscirà a fare una chiacchierata da donna a donna con
la famigerata Vedova Nera.
«E' il mio lavoro» borbotta l'agente Barton.
«Forse avresti preferito farlo tu».
«Molto divertente».
Nadia e Clint si fissano con un'aria scherzosamente astiosa. Natasha
porge il bicchiere di caffè al suo collega e lui quasi se lo
fa scappare di mano quando rileva un movimento sullo schermo. Loki si
è svegliato, si è alzato quasi di scatto e si
è messo a sedere in mezzo al letto.
E non ha una bella cera. Anche se lo spettacolo, nel suo complesso non
è proprio da buttare via. Dovrebbero smettere di dire che
è gracilino.
«La buona notizia, se così vogliamo chiamarla,
è che Fury ha detto che puoi giocare con lui, solo in
ambienti controllati, ovviamente» annuncia Clint,
sbadigliando. «Del resto sta per rimpiazzarci come tuo
personal trainer e tu dovrai averci a che fare più di quanto
ci piaccia»
«Stark però ancora non se n'è fatto una
ragione» aggiunge Natasha.
Nemmeno io ancora me se
sono fatta una ragione...
Nadia fa un lungo sospiro, poi guarda i due agenti S.H.I.E.L.D. e
sorride, come a voler dare a intendere che è tutto a posto.
E non è del tutto una bugia.
Esce dalla sala della videosorveglianza e raggiunge la stanza di Loki.
Forse dovrebbe bussare, ma considerando che ha passato la notte sotto
ad una telecamera e che sono in una base S.H.I.E.L.D. il concetto di
privacy è parecchio labile.
Sente la voce di Clint nelle ricetrasmittenti degli uomini armati.
L'ordine è quello di intervenire alla minima anomalia, al
minimo segno sospetto. Come se lui potesse sgozzarla e ridipingere le
pareti bianche dell'infermeria con il suo sangue.
Tranquilli, ragazzi.
Anche per oggi non tirerò le cuoia.
Apre la porta più bruscamente di quanto vorrebbe. Loki
solleva la testa di scatto e la fissa come se fosse pronto a saltarle
alla gola, per un attimo non sembra nemmeno accorgersi che è
lei.
È arrabbiato. Tanto per cambiare, solo che adesso la
faccenda sembra più profonda, sembra che il colpo sia stato
più forte e che sarà difficile ricucire lo
strappo. Ed è anche colpa sua, Nadia lo sa, vorrebbe dirlo,
ma non servirebbe a nulla se non ad irritarlo ulteriormente.
«Ti prego, mangia qualcosa e prendi un'aspirina... o fuma
dell'erba, o fatti fare un elettroshock» esclama lei. Non che
Loki sia particolarmente sensibile all'ironia, ma da qualche parte
devono pur cominciare... o meglio, ricominciare.
Lui la guarda come se fosse distante anni luce da lì e
facesse fatica a mettere a fuoco.
Nadia si avvicina a passi cauti, come se temesse davvero che lui
potesse alzarsi e scattare contro di lei. Non pensa che lui possa farle
davvero del male, ma Loki non ama l'invadenza, le costrizioni. Se
dovesse mostrarsi anche solo appena contrariato, lei è
pronta a girare sui tacchi e andarsene.
Ma lui assume un'espressione più umana, quasi tranquilla o
forse rassegnata.
«D'accordo, ho una proposta migliore: che ne dici di una
doccia?» incalza lei.
Sarebbe comunque un ottimo punto di partenza quello di restituirgli un
aspetto normale.
«In effetti, è una delle cose più
sensate che ho udito da quando sono tornato sul vostro
pianeta» risponde lui, dopo qualche istante di silenzio.
«Ma rivoglio indietro i miei vestiti».
«Credo che non ci sia problem... che cosa?...».
Loki si alza e sembra del tutto incurante del fatto di non averli, i
vesti, adesso. È un patchwork di cerotti e bendaggi, ma non
ha niente addosso. Certo, loro altre divinità devono essere
del tutto superiori alla cosa, ma Nadia non può fare a meno
di voltarsi dall'altra parte e di lanciare uno sguardo bieco alla
telecamera, immaginando Clint sull'orlo di una crisi di nervi e Natasha
in preda alle risate isteriche.
«Mi prendi in giro? Copriti» borbotta la ragazza.
«Così impressionabile?»
«Così barbaro?».
Alle spalle di Nadia, Loki si avvicina al letto e prende il lenzuolo
che si drappeggia attorno ai fianchi. Lei si sente di nuovo capace di
respirare come un normale essere umano.
«D'accordo, così va meglio. Quello è il
bagno» dice, indicando una porta sul fondo della stanza.
«Se ti stai chiedendo se sono disposta a insaponarti la
schiena la risposta è no, solo quando ti riuscirà
di conquistare il mio pianeta e sarai nella posizione di darmi
ordini».
Loki la guarda, inarcando un sopracciglio con quella sua espressione
enigmatica,
«Non è detto che un giorno non riesca in questa
impresa» le mormora.
«Per allora probabilmente sarò morta»
«Sarebbe meglio forse: ho tanti di quegli affronti da farti
pagare e tante idee su come farlo che la morte sarebbe un'alternativa
assai preferibile»
«Sì, ti voglio bene anche io».
Restano a fissarsi per qualche secondo, poi Loki si volta e trascina la
sua aria altezzosa, i suoi ematomi e i suoi dannati occhi azzurri oltre
la porta del bagno.
«Ho visto quindicenni flirtare con più
trasporto». La voce dell'agente Barton arriva sarcastica
dagli altoparlanti.
«Vaffanculo, pennuto!» borbotta Nadia.
Però le viene da ridere: se sono ancora nello stadio in cui
possono permettersi qualche battuta, allora la situazione non
è così grave o inaccettabile – certo,
ride bene chi ride... con Stark. E Nadia non ha ancora affrontato Tony,
e non ha nessuna voglia di farlo.
Dopo qualche minuto, arriva un agente a portare i vestiti di Loki, che
erano stati provvidenzialmente messi da parte e fatti lavare a secco.
La cosa le sembra fin troppo riguardosa, considerando il modo in cui
tutti hanno cominciato a dare di matto per il suo ritorno, ma Fury ha
in mente qualcosa, altrimenti non le avrebbe permesso di avvicinarsi a
lui, dev'esserci qualcosa che le sfugge, o forse il direttore dello
S.H.I.E.L.D, che per essere orbo ha la vista assai lunga, ha pensato ai
fatti di Venezia, che di sicuro conosce in ogni minimo dettaglio e ha
deciso di dare una possibilità a Loki, o qualcosa di simile.
Su una cosa devono tutti convenire: il dio ha bisogno di restare
lì, e non farà niente che induca i suoi ospiti a mandarlo
via.
Loki esce dal bagno, gocciolando acqua sul pavimento. Ha avuto la buona
grazia di legarsi un asciugamano in vita e ora che Nadia può
guardarlo da vicino, riesce a vedere tutte le sue ferite spiccare sulla
pelle bianca, cerchiate da vasti ematomi giallastri. Le fa male il solo
guardarlo, ma si costringe a non distogliere lo sguardo,
perché è anche per lei che Loki ha subito tutte
quelle atrocità. Gli si avvicina e gli posa una mano sulla
sua. Vorrebbe abbracciarlo, vorrebbe dirgli qualcosa di rilevante, ma
non ci riesce, sa che qualsiasi gesto, qualsiasi parola, lo farebbe
solo infuriare.
Loki resta fermo una manciata di secondi, come se stesse assorbendo il
calore del suo tocco o come se stesse ponderando se spingerla via da
sé. Alla fine si limita a guardarla e a dirle qualcosa in
tono incolore.
«Devi darmi una mano».
Lei annuisce, meccanicamente. Loki si avvicina al carrello per le
medicazioni, cerca tra le scatole di plastica che odorano di
disinfettante, alla fine tira fuori un paio di forbici.
«Tu, il Nemico Pubblico numero uno e un oggetto contundente
in una stanza?» borbotta la voce di Clint negli altoparlanti.
«Neanche se fossi ubriaco, Nadia!».
Loki appoggia le forbici sul piano del carrello con un gesto stizzito,
«Cosa credi che potrei fare con queste lame? Tagliarle la
gola e usare il sangue per ridipingere le pareti?» sbotta.
Lei ci aveva pensato, in effetti.
«Ti ho visto fare di peggio a mani nude» replica
l'agente Barton.
Il dio degli inganni scuote la testa e afferra di nuovo le forbici,
consegnandole a Nadia.
«Deve usarle lei, non io» precisa, spazientito.
«Userò la tua testa come faretra, maledetto
rifiuto dello spazio»
«Prima devi riuscire a staccarmela, canarino».
Nadia strabuzza gli occhi e sospira,
« Ho visto
quindicenni flirtare con più trasporto. Ora
possiamo abbassare il livello di testosterone prima che mi spuntino i
baffi?» esclama e attende qualche secondo che i due abbiano
smesso di provocarsi a vicenda. «Cosa devo fare con queste
forbici?»
«Tagliali».
Nadia guarda i capelli di Loki, che gocciolano ancora bagnati sulle sue
spalle, una massa di lunghe ciocche corvine come l'ala di un corvo,
più lunghi e ammassati di come li ricordava.
«D'accordo, se proprio vuoi...» risponde titubante,
mentre il dio si siede su una sedia.
*
Sente le dita passargli tra i capelli; ha un vago ricordo dell'odore
dell'erba nel giardino del palazzo, della sua testa appoggiata sul
grembo della regina che gli accarezzava piano le ciocche corvine che
gli ricadevano sulla fronte.
Sbatte le palpebre, allontana quel frammento di ricordo quasi con
disgusto. O forse con paura. Serra nervosamente la mascella,
chiedendosi se quel lungo periodo di prigionia non abbia finito per
tramutarlo in un debole. Il solo pensiero basta a rendergli
più precipitoso il respiro, a fargli accelerare il battito.
La valanga di rabbia nel suo petto adesso è una massa di
buio contornata di spine. Loki la contempla con gli occhi della mente,
come se fosse il capolavoro di un artista, la confortante conferma di
qualcosa destinato ad essere eterno, immutabile e senza fine. Sente un
sorriso affiorare sulle sue labbra: finché può
contare su quella rabbia non sarà mai debole. Non importa se
ora si sente così fuori posto, smarrito e privo di una
direzione da seguire. Deve solo aspettare che il suo corpo si riprenda,
deve solo aspettare di essere di nuovo in forze e poi potrà
tornare a tessere le fila della sua ragnatela che il destino gli ha
così brutalmente strappato via per l'ennesima volta.
Potrà tessere ragnatele e attendere che chi di dovere vi
rimanga impigliato.
Sente le ciocche di capelli che Nadia sta tagliando scivolargli sulla
schiena e cadere a terra. Si sente più leggero ad ogni colpo
delle forbici.
Può chiudere gli occhi e concedersi il lusso di non pensare.
Di non pensare al luogo in cui si trova e al perché. Di non
pensare alla necessità bruciante di cambiare lo stato delle
cose.
Può chiudere gli occhi e godersi la sensazione di quelle
dita tra i capelli, come una sorta di piccolo premio, come il silenzio
ristabilito dopo un'esplosione. Farà i conti in seguito con
le macerie di ciò che resta.
«Finito» annuncia la ragazza. «Almeno, mi
sembra che sia... non so, un po' meglio».
Loki resta ad occhi chiusi, inclinando appena la testa all'indietro e
posandola per un secondo contro il petto di Nadia in piedi alle sue
spalle.
«Peggio non può essere» le dice con voce
atona, poi riapre gli occhi, si alza e si volta a guardare la sua
giovane interlocutrice. Gli occhi di Nadia sono pieni di domande: il
suo miglior pregio e il suo peggior difetto.
«Devo prenderlo come un buon segno?» chiede lei con
sarcasmo. «Da queste parti i cambi radicali di taglio di
capelli sono sintomo di cambiamenti interiori o cose del
genere»
«Il cambiamento non è per quelli come me»
«Per i latitanti interspaziali, intendi?»
«Per gli dei»
«Oh, giusto. Il fatto che tu possa sanguinare mi porta a
dimenticare la tua natura divina» replica la ragazza,
pungente.
Il dio sposta lo sguardo sugli abiti che gli hanno reso e poi sul
luccichio rosso accanto all'obiettivo della telecamera. Sorride,
malevolo e si china su Nadia, prendendole il polso e dandole un piccolo
strattone per farla avvicinare a sé. Lei, presa alla
sprovvista, urta contro il suo petto. È più bassa
di lui, le sue labbra le arrivano giusto ad altezza dell'orecchio.
«Prigioniera anche tu, mi par di capire» le
sussurra.
«Non riuscirai a mettermi contro di loro, Loki»
risponde Nadia, con l'espressione della guerriera pronta al
combattimento; alza il braccio mostrando la pietra incastonata in
quello sciocco ninnolo d'argento. «Resta pur sempre tutta
colpa tua»
«Ti conviene essere così scontrosa con me? Sono la
tua unica speranza»
«E io la tua» replica la ragazza, lanciando uno
sguardo eloquente alla pietra. «Per quanto ne so, lo sono
sempre stata»
«Per quanto ne sai, appunto».
Sta facendo ciò che gli riesce meglio: mentire, giocare con
le parole. E forse nemmeno del tutto, non è mai stata lei la sua
speranza, lo è stata la pietra. Ma lo sguardo sicuro di
Nadia vacilla per un attimo e tanto gli basta per sentirsi di nuovo
soddisfatto di se stesso e per sorriderle con cupo sarcasmo, tanto da
farla quasi tremare.
Allenta la presa sul suo polso e lei si stacca da lui, indietreggiando
bruscamente. Quella piccola umana nemmeno sa quanto è
fortunata, quanto forte l'onore gli rombi nel sangue da persuaderlo a
non abbandonarla al suo destino, anche se lui continua a rimpiangere di
non averne avuto la forza quando era il momento, anche se una parte di
sé continua a odiarla per questo. La odia perché
non gli è permesso detestarla davvero, la odia
perché non è una nemica e non si sente libero di
trattarla come tale. Lui odia ogni tipo di costrizione e ciò
che la sua anima gli impone di provare per quella ragazza è
una catena ancora più vincolante delle pareti della prigione
in cui è rimasto tanto a lungo.
«Loki...». Nadia pronuncia il suo nome con voce
allarmata, costringendolo a riemergere dai suoi pensieri e riportandolo
alla realtà, al bianco di quella stanza, a loro due che si
fronteggiano come se fossero incapaci di decidere se essere avversari o
una coppia di danzatori. In uno scampolo di raziocinio, Loki pensa
semplicemente che dovrà imparare a fare i conti anche con
questo, che è solo temporaneo, che non importa...
Pensa, sta per dire qualcosa, ma poi si sente sbalzare per aria.
Così preso dalle sue riflessioni non aveva sentito l'onda di
energia salire.
Urta contro il muro con violenza, attraversando la stanza e urtando
contro il letto che finisce per capovolgersi sul pavimento. L'impatto
fa riaprire alcune ferite e lui si lascia scappare un singulto di
dolore.
Strizza le palpebre per mettere a fuoco con la vista annebbiata e il
suono della botta che ancora gli echeggia nella testa. Stordito, prova
a rialzarsi e scopre che è un'impresa assai più
dolorosa di quanto avrebbe detto.
«Ehi, va tutto bene?». Quando Loki sente la voce
dell'agente Barton porre la domanda in tono tanto dolce e accorato
pensa che la botta deve avergli fatto ancora più male di
quanto credeva, ci impiega qualche secondo per accorgersi che il Falco
non sta parlando con lui, che nemmeno lo vede.
Barton è accanto a Nadia, le tiene le mani sulle spalle, le
solleva il mento con l'indice per costringerla a guardarlo in viso.
Inutile, gli occhi della ragazza sono pieni di lacrime, troppo
sconcertati e ricolmi di vergogna perché la sua mente possa
davvero pensare di guardare il volto di un amico.
Nadia guarda lui, guarda Loki a terra, oltre la spalla dell'agente
dello S.H.I.E.L.D, scuote la testa e poi si volta di scatto, correndo a
grandi passi fuori dalla stanza.
Quanta rabbia repressa doveva esserci nel cuore della piccola umana per
permetterle di fare una cosa del genere! E se è stata la
rabbia a far attivare l'energia della pietra allora vuol dire che sono
l'emozioni a dominarne il potere, allora...
Con estrema fatica, Loki riesce a puntellarsi sulle mani e a mettersi
seduto con la schiena contro il muro.
Ora nella stanza ci sono solo lui e la Romanoff – Barton si
è lanciato all'inseguimento di Nadia.
«Tutto questo è...» farfuglia la donna
rossa, con la voce incrinata per il nervosismo.
«Interessante, agente Romanoff. Estremamente
interessante».
________________________________________
Note:
Volevo
un attimo cominciare a smaltire tutto il delirio dei capitoli
precedenti. E volevo
che Loki si tagliasse i capelli, perché i suoi
capelli in The Avengers mi fanno star male e pensavo a quanto sarebbe
stato meglio se fosse tornato alla
“Thro-version”... ma questo è
un problema mio, diciamo che alla fine volevo un pretesto per un
minimo di intimità tra lui e Nadia.
Quando
comincio a sbroccare troppo (e andare OOC e sembrare sotto l'effetto
di qualche acido) ditemelo. Meglio prima che poi. Così
almeno mi
fermo.
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita,
l'universo e tutto
quanto: HERE
A
venerdì prossimo ^^
|
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Capitolo 11 *** The day after - part two ***
Capitolo decimo
The day after –
part two
È una cosa infantile, ma quando ha aperto gli occhi ed
è riemerso pian piano dalle accoglienti nebbie del sonno,
per un attimo, Tony Stark ha davvero sperato che i fatti del giorno
prima fossero stati solo un incubo.
A lui piacciono così tanto le cose infantili! Quello che non
gli piace è il doversi trovare puntualmente a fare i conti
con una realtà che ti prende per le orecchie e ti trascina
giù dal letto, non importa con quanta abilità
retorica lui possa imbastire scuse e proporre che lo si lasci dormire
altri cinque minuti, la realtà ti prende per il colletto del
pigiama e ti scaraventa fuori dalle coperte e ti rende consapevole di
quanto sia freddo e duro il pavimento.
Per poco non ci è caduto davvero, contro il pavimento,
inciampando nei pantaloni che si era tolto distrattamente la sera prima
e che aveva lasciato ai piedi del comodino.
«Buongiorno, signore. Non le chiederò se ha
dormito bene» dice Jarvis.
«Non dovresti nemmeno definire il giorno buono,
allora» borbotta lui, stropicciandosi il viso. «Chi
abbiamo in squadra stamattina?»
«La signorina Potts è andata in ufficio, signore.
Il capitano Rogers è sul divano»
«Ti prego, dimmi che non si sta masturbando con le riviste
vintage di Pepper...»
«No, signore. Sta dormendo»
«E Nadia? No, non dirmelo: è allo
S.H.I.E.L.D.»
«Molto perspicace, signore».
Tony si getta all'indietro sul materasso e tenta di infilarsi i
pantaloni da sdraiato.
Dunque in casa ci sono solo lui e la controfigura del Grillo Parlante.
No, decisamente quel giorno non sembra avere niente di buono.
Lancia un'occhiata fuori dalle finestre; pioviggina e si sente qualche
tuono in lontananza. Forse anche Boccoli d'oro ha il sonno agitato.
L'uomo si trascina a piedi scalzi verso la cucina, soffermandosi per un
secondo a guardare Steve Rogers ancora beatamente immerso nel mondo dei
sogni – beato lui. Forse è il siero del
supersoldato a farlo dormire quando deve dormire, come se avesse un
timer nel cervello, forse è perché è
un ottantenne e come tutti gli anziani ha l'orologio biologico
parecchio regolare.
Che poi, sono le dieci passate, quanto ancora gli serve per recuperare
le ore di sonno arretrate?
Che poi, a lui cosa importa se Rogers dorme o no? Quando si
sveglierà se ne uscirà con una salmodia su quello
che c'è da fare e su come il mondo sia andato peggiorando
negli ultimi quarant'anni e poi concluderà con qualche frase
molto incoraggiante, da spot pubblicitario di una compagnia
assicurativa.
No, non gli importa che il soldatino si svegli, però se
fosse sveglio lui almeno potrebbe... parlare con qualcuno che non sia
il suo maggiordomo invisibile o che non sia se stesso. Se stesso
è un tipo molto stancante alle volte, specie come
interlocutore, deve riconoscerlo.
Certo che se ha tanta voglia di parlare con Rogers dopo la giornata di
ieri, deve star messo proprio uno schifo. Piuttosto, adesso
prenderà il telefono, chiamerà Fury o Barton e si
farà dire se ci sono novità, di certo il dannato
piccolo cervo ha tentato di far saltare in aria la base S.H.I.E.L.D,
oppure ha provato a concupire la Hill per portarla dalla sua parte,
oppure ha versato dalla candeggina nei tubi del distributore automatico
del caffè...
«Jarvis, da uno a dieci quanto pensi che io sia
paranoico?» domanda, dirigendosi verso il bancone da bar sul
fondo dell'open space.
«Vuole che esprima una valutazione facendo una media
aritmetica dei giudizi che potrebbero esserle attribuiti rispetto alla
variabile che mi ha proposto?» trilla il robot, e sembra
quasi in imbarazzo.
«No, lascia stare. Pensavo ad alta voce».
Tony si alza sulle punte per spiare in direzione del divano. Rogers non
dà segno di volersi svegliare, come se non avesse sentito
né la sua voce né quella di Jarvis. Ma siamo sicuri che è
vivo?
Il padrone di casa sbuffa, e si volta verso le bottiglie sulla mensola.
Ne sceglie una di whisky irlandese invecchiato di dieci anni, fatta
arrivare espressamente dall'Europa.
Si versa quattro dita di liquore in un bicchiere e posa la bottiglia
battendola con poca delicatezza contro il piano di marmo del bancone.
Rogers sembra dare segni di vita. Mormora una mezza frase senza senso e
apre gli occhi, scostandosi di dosso il plaid a quadri – Dio,
c'è un plaid di lana a quadrettoni a casa sua?!
Tony guarda fuori dalla finestra con aria indolente e comincia a
sorseggiare il suo whisky.
«Non dovresti bere di prima mattina» borbotta
Rogers. Giustappunto.
«Non è prima mattina, sono le dieci passate,
Capitan Analcolico».
Steve ha un sussulto, getta via il plaid e scatta mettendosi a sedere
sul divano con occhi sgranati.
«Santo cielo! Cosa è successo?» esclama.
«Si chiama riposo» suggerisce Tony mellifluo.
«Mai fatto prima?».
«Dannazione, Stark! Sii serio. È mattino inoltrato
e noi abbiamo delle cose da fare. E resta il fatto che tu non dovresti
bere a quest'ora, hai almeno mangiato qualcosa?».
Il padrone di casa strabuzza gli occhi, chiedendosi perché
non lo ha lasciato dormire per altre nove o dieci ore.
«Rilassati, nonno. Non è successo niente, il mondo
è ancora qui, come puoi vedere. Fury non ha dato segni di
vita, il che vuol dire o che il cerbiatto bastardo ha fatto un massacro
o che non ci sono novità da comunicare»
«E comunque, tu non dovresti bere a quest'ora»
ripete stolidamente Rogers.
«Vuoi un bicchiere di latte e orzo? Dovrebbe esserci del
decaffeinato da qualche parte»
«Stark...»
«Non dovrei bere, sì l'hai già detto.
Cos'è, Alzheimer?».
Steve lo fissa crucciato, con quell'aria che rimanda alla memoria la
gloriosa giornata sull'Eliveivolo, quando si sarebbero volentieri
spaccati la testa a vicenda. Non è che abbiano poi fatto
molti passi in avanti su quel fronte, in effetti.
«Ti prego, non cominciare con l'elenco di cose che non dovrei
fare. Se non l'hai notato, sono di cattivo umore» aggiunge
Tony sbuffando e mandando giù un generoso sorso di liquore.
«Allora ti dirò una cosa che secondo me dovresti
fare»
«Non sto più nella pelle dalla voglia di
ascoltarti, Gandalf»
«Dovresti lasciare un po' di respiro alla ragazza».
Eccolo che ricomincia. La sera prima, mentre tornavano verso la Stark
Tower, Tony si è malauguratamente lasciato scappare che era
stato lui a organizzare l'appuntamento tra Nadia e Mike. Rogers ha
tirato fuori un discorso che sembrava un estrapolato della Convenzione
di Ginevra.
«Tu c'eri quando è tornato il tristo mietitore, lo
hai visto anche tu Loki-l'undicesima piaga d'Egitto, vero? Ti sembra il
momento di lasciar correre?» esclama Tony
«Ti preoccupa così tanto?» lo rimbecca
Rogers.
«Siamo sicuri che il tuo metabolismo ti impedisca di
ubriacarti? Perché stai parlando come uno fatto di acidi.
Sì, santi numi, mi preoccupa. Mi preoccupa Loki, mi
preoccupa la pietra, mi preoccupa tutto»
«Loki non è una minaccia se non è
nostro nemico, lo hai visto a Venezia»
«A Venezia aveva bisogno che gli salvassimo il
culo!»
«Ne ha bisogno anche adesso».
Tony sente una voglia irrefrenabile di cominciare a dare testate contro
lo spigolo di marmo del bancone.
«E quindi per te va bene sapere che il rocchettaro sfigato
è innocuo solo se gli serve qualcosa?» domanda,
esasperato.
«Sì, mi sta bene. Cerco di essere pratico, Loki
non è una minaccia adesso. Probabilmente, quando tutto
questo sarà finito, lui scomparirà di nuovo e
Nadia ci starà male, ma non possiamo fare niente per
evitarlo» spiega Rogers, in tono paziente. «Ma
rifletti: se continuassimo ad avere questo atteggiamento di ostracismo
non faremmo che farle ancora più male, probabilmente
finiremo per mettercela contro e a quel punto sì che non
potremmo più aiutarla»
«Mettercela contro, non dire sciocchezze lei mi... ci ama, siamo i
suoi fratelloni putativi o qualcosa del genere».
Nello sguardo di Rogers si accende un barlume di furba consapevolezza
che non gli si addice, eppure Tony sa di aver detto qualcosa per la
quale può essere colto in fallo. Colto in fallo da Steve
Rogers, ora sì che la giornata è definitivamente
andata a puttane!
«Dunque è questo il problema? Sei geloso? Pensi che
lei possa tenere più a lui che a te? Sei proprio
incredibile, Tony Stark! Sono stato uno sciocco a credere che il tuo
narcisismo avesse dei limiti, che ci fosse un minimo di buon senso in
quella tua testa boriosa». C'è una freddezza
disturbante nel tono del soldatino, reminiscenza dei quarant'anni in
ibernazione, magari.
Non è questo il punto. Certo, sarebbe veramente mortificante
se qualcuno come Nadia tenesse più a un supercriminale
intergalattico che a lui... a loro, a tutti loro. Ma non è
questo il fottutissimo punto! È che lui ha promesso di
aiutarla, di proteggerla e che tutto sarebbe andato bene. Si sente
responsabile, e soprattutto si sente in debito con lei, e a volte per
proteggere qualcuno lo si deve proteggere anche da se stesso.
Però, mentre Rogers recupera la sua giacca di pelle e si
volta sdegnato dirigendosi verso l'uscita, Tony non può fare
a meno di impiegare una qualche frazione di secondo a rivalutare quanto
gli ha detto. Loki non è una minaccia perché ha
bisogno del loro asilo politico e, per quanto la sua mente si ribelli
al pensiero, c'è un'evidenza illogica ma grande come una
casa che grida a gran voce che no, non farebbe mai del male a Nadia
– se persino Fury è giunto a questa conclusione,
tanto da permettere alla ragazza di avvicinarsi a Bambi. E in fondo,
molto in fondo, Tony sta quasi cominciando a pensare che Steve non
abbia tutti i torti nel sostenere che un atteggiamento così
restrittivo potrebbe creare qualche problema nel loro rapporto e... ah,
al diavolo, non si metterà a gridargli che ha ragione per
provare a trattenerlo e per togliergli dalla faccia quell'espressione
di rimprovero. Dopotutto non
è nel suo stile.
Rogers ha quasi imboccato l'ascensore quando la voce di Jarvis rompe il
silenzio pesante che è calato nella stanza.
«C'è l'agente Barton in linea, signore».
Il soldatino si volta, con gli occhi sgranati e le orecchie ritte ad
ascoltare. Magari ci sono novità, magari sta arrivando la
fine del mondo, magari...
«Stark, Nadia è tornata alla Stark
Tower?!» esclama il Falco, sembra piuttosto provato.
Tony e Steve si scambiano uno sguardo allarmato.
«No. Perché? È successo
qualcosa?» domanda il padrone di casa.
«Sì, ha avuto un altro scoppio di energia mentre
parlava con Loki. Lo ha scaraventato dall'altro lato della stanza e per
un secondo io e Nat avremmo giurato che l'avesse fatto fuori... poi
è scappata e non sono riuscita a fermarla. Non so dove
sia...»
«Stai scherzando?» sbotta Robers. «Che
vuol dire che non sapete dove sia?»
«Mi stai dicendo che due dei migliori agenti di Nick Fury non
sono riusciti a rincorrere una ventiseienne nemmeno troppo in forze?
Dimmi che eri fuori fase perché tu e la Romanoff avete fatto
sesso selvaggio nel locale caldaia tutta la notte, ti
supplico...»
«Vado a cercarla!». Il soldatino parte in
quarta verso l'ascensore, ma Tony lo ferma con un cenno.
«Sempre tutto io devo fare» borbotta.
«Jarvis, rintraccia il segnale del cellulare di Nadia,
subito».
«È alle Stark Industries, signore»
annuncia il robot dopo qualche secondo.
Rogers fa un mezzo sospiro di sollievo e si batte una mano sul viso.
Anche Barton sospira nel telefono.
«Chiama la signorina Potts sull'altra linea» ordina
Tony. Dopo qualche squillo la voce di Pepper suona negli altoparlanti.
«Nadia è lì, l'hai vista?»
domanda subito lui.
«Sì, è arrivata qualche minuto fa in
taxi. Ora è con Mike, ho pensato di trovare una scusa per
dare la mattinata libera al ragazzo» dice Pepper, tranquilla
e ignara dello spavento che tutti loro si sono presi pochi minuti
prima.
«Bene. È per questo che ti amo!»
«Devo farla venire a telefono?»
«No, per amor del cielo. Dagli pure la chiave della mia sala
ristoro personale se serve, quella con il materasso ad acqua, hai
presente?».
Rogers strabuzza gli occhi e guarda Tony con un'aria a metà
tra lo scandalizzato e l'esasperato.
«Tutto è bene quel che finisce bene»
dice il padrone di casa dopo aver interrotto la comunicazione con
Pepper. «E, Barton, non diremo niente a papà Fury
di questo piccolo incidente, ma la prossima volta... sparatele a una
gamba, piuttosto. Capitan Medioevo è troppo vecchio per
poter reggere questo genere di colpi».
*
La vista è offuscata e i contorni delle figure sfocano, si
sdoppiano come se le immagini tremassero.
Quell'enorme anticamera nel palazzo di Asgard gli sembra un riflesso su
uno specchio d'acqua mosso dal vento e Thor sente uno strano senso di
vertigine mentre cerca di prendere confidenza con quello che ha
attorno.
Non è sua abitudine viaggiare in quel modo, attraverso i
sogni, quelle vie sono più consone a Loki e talvolta a suo
padre. Infatti è Odino che lo ha chiamato lì,
prelevandolo dal suo sonno e trasportando la sua mente ad Asgard.
Thor prova a scendere i gradini, ma vacilla, distratto dal suo riflesso
tremulo contro un pannello dorato alla parete.
«Sarebbe molto imbarazzante se tu cadessi» osserva
Fandral, spuntando da dietro a una colonna.
«Di sicuro udiremmo il rimbombo in tutto il
palazzo» gli fa eco Sif, avvicinandosi al dio del tuono per
sorreggerlo.
Thor si accorge di avere indosso la sua armatura e sente il mantello
ondeggiare contro la schiena. Rimpiange il tepore del letto e il calore
del corpo di Jane accanto al suo.
«Cos'è questa fretta? Perché il Padre
degli dei ha reclamato la mia presenza?».
La fanciulla guerriera e i suoi tre compagni si scambiano un'occhiata.
«Non lo sappiamo» ammette lei. «Ma sembra
vogliano discutere con te un'importante questione che riguarda... beh,
puoi facilmente dedurlo da solo».
Loki, naturalmente. Sif e gli altri non riescono nemmeno a pronunciare
il suo nome, ma forse è un bene che lui sia lì,
prima si risolve quella faccenda e prima lui ritroverà la
pace. E forse riuscirà a stare con Jane, in qualche modo, e
forse anche i suoi amici riprenderanno le loro vite.
In ogni caso, ha promesso al comandante Fury che avrebbe trovato una
soluzione definitiva per Loki questa volta – e non ha
ritenuto opportuno specificare che auspicava la meno drammatica delle
soluzioni possibili.
Lo ama come un fratello, ancora. Non ha mai davvero pensato a trovare
un rimedio a questo, non sa se ne esiste uno. E se anche esistesse, non
è sicuro di volerlo sperimentare.
I suoi compagni lo pilotano verso una stanza attigua alla sala del
trono, dove il re di Asgard è solito dare udienza ai suoi
consiglieri.
Adesso nella stanza ci sono solo Odino e sua moglie. Thor sente l'aria
pesare, come se si condensasse nella sua gola e faticasse ad arrivare
ai polmoni, perché non è solo aria, è
un silenzio carico di aspettative e pieno di timori, è un
vento che porta odore di brutte notizie, altrimenti suo padre non lo
avrebbe portato lì così all'improvviso.
A Thor non sfugge la tensione nello sguardo di sua madre e il dio si
ritrova a deglutire.
«Dunque, cosa è accaduto?» chiede il
principe di Asgard.
«Siedi, figlio» mormora Odino, indicando una sedia
vuota attorno al tavolo. Thor ignora l'invito, troppo nervoso per
pensare di sedersi. «Il tuo posto in questo frangente
è su Midgard, con i tuoi compagni e con la donna che ami,
tuttavia c'è una questione sulla quale voglio ascoltare il
tuo parere...»
«Loki non è una minaccia al momento»
interviene precipitosamente il dio del tuono, «E, ti prego,
padre, non chiedermi di ricondurlo qui. La sua presenza è
necessaria alla salvezza della ragazza e con la Terra nuovamente
minacciata potrebbe rivelarsi importante il suo contributo».
Che sta dicendo? Il contributo di Loki o quello di Nadia?
«Thor, l'arte della retorica si addice di più a
quel figlio che ho perduto e pianto, ma non ti ho convocato per
chiederti di portare indietro Loki».
Il dio ammutolisce, abbassando lo sguardo. Non si sente ancora a suo
agio ad essere giunto lì viaggiando attraverso il sogno, ha
quasi la sensazione di non appartenere davvero a quel posto, la sua
mente lavora con esasperante lentezza. E l'ansia per gli argomenti in
discussione non fa che acuire il disagio.
«Lui come sta?» domanda Frigga, appoggiando le mani
sul piano del tavolo, forse per nascondere il fatto che stanno
tremando. «A parte le ferite riportate, cosa hai scorto nei
suoi occhi?».
La risposta più adatta e sincera sarebbe: rabbia e dolore,
come sempre.
«Nulla di nuovo, madre».
La regina ha un fremito. Il ricordo della sera in cui Thor ha riportato
Loki a palazzo è vivido nelle loro menti; l'immagine di un
uomo sconfitto, di un giovane spezzato, con i polsi ammanettati e con
un bavaglio rigido a coprirgli la bocca è una spina
avvelenata piantata nel cuore di tutti loro.
Era stato come un funerale. Mentre Loki percorreva i corridoi,
accerchiato dalle guardie, coloro che un tempo erano stati la sua
famiglia lo avevano seguito con lo sguardo, come si osserva un feretro,
nella più cupa e muta immobilità.
«E della fanciulla che porta la pietra, cosa mi
dici?» domanda Odino, spezzando il silenzio che è
improvvisamente calato sulla sala.
«Nadia». Thor sente l'urgenza di pronunciare il suo
nome, di rammentarlo, come se ci fosse bisogno di ribadire che la sua
giovane amica non è solo un minuscolo puntino lontano,
divenuto casualmente parte di quel tragico disegno. «Lei sta
bene, resiste. Ha resistito tutto questo tempo con la tenacia che le
è propria».
«Ci hai parlato a lungo di lei» interviene Frigga,
l'ombra di un sorriso passa rapida nei suoi occhi, disegnando il
profilo vago di una speranza come un fuoco che cova sotto la cenere.
«Ci avevi detto di quanto affetto fosse riuscita a provare
per Loki, nonostante tutto. Ebbene, le sta ancora a cuore la sua
sorte?».
Il dio del tuono non è bravo con le parole, è
vero, ma capisce quando vengono usate per uno scopo preciso. Sa che
quella domanda vuole significare più di quanto sembra e che
la sua risposta avrà più peso di quanto egli
stesso riesce a comprendere.
«Gli uomini e le donne di Midgard – soprattutto le
donne – non dimenticano tanto facilmente. Nadia ha sofferto a
causa di Loki, eppure non riesco a credere che questo abbia spento
ciò che è stato acceso nel suo cuore»
risponde Thor, solenne.
Non ha alcuna dimostrazione a sostegno di quanto ha detto, non ha avuto
ancora occasione di parlare con Nadia, ha fatto appena in tempo a
scambiare un abbraccio con la ragazza, eppure non riesce a dubitare
delle sue parole, non trova un solo motivo per credere che lei abbia
smesso di tenere a Loki.
«E tu pensi che lei lo vorrebbe accanto a
sé?» chiede ancora la regina.
Thor sgrana gli occhi. La domanda lo coglie del tutto alla sprovvista e
gli sembra assolutamente priva di senso.
«Come?... Cosa mi state chiedendo esattamente?».
Odino sospira stancamente, dà un ordine e un paggio entra
portando una piccola cassa di argento istoriato che depone con cura sul
tavolo, dinnanzi al Padre degli dei, per poi sparire con discrezione
oltre la soglia.
Thor fissa perplesso suo padre estrarre un piccola chiave dalla tasca e
usarla per aprire una minuscola serratura sul coperchio della casa che
scatta verso l'alto, rivelando un interno foderato di velluto color
porpora.
Adagiata tra le pieghe della stoffa c'è un ampolla sferica,
Odino la solleva con due dita e la mostra al figlio. La sostanza che
c'è tra le pareti di vetro del minuscolo contenitore non
sembra del tutto liquida, è come se fosse un pugno di sabbia
sollevato dal vento, formato da piccoli granelli dorati, un lembo di
nuvola luminescente incastrato in un contenitore solido.
Loki saprebbe certamente di cosa si tratta. Thor sa solo che non deve
essere qualcosa per cui entusiasmarsi; come molti asgardiani, la magia
lo ha sempre turbato.
«Fuoco dell'oblio» spiega Odino, fissando il
contenuto dorato della fiala. «Veniva prodotto dagli
alchimisti di Alfheim fino a quando non è stato proibito il
suo uso. I suoi effetti sono molto... drastici e
permanenti».
Finalmente Thor decide di mettersi a sedere. La stanza ha quasi preso a
vorticare attorno a lui e forse non è solo l'effetto del
viaggio interdimensionale.
Suo padre sta davvero suggerendo di usare un veleno su Loki?
«Di che effetti parliamo?» domanda, cercando di non
far trasparire tutto il suo turbamento.
«Oblio, figliolo, perdita della memoria. Ma non si tratta di
una semplice amnesia, il contenuto di questa fiala cancella il male,
cancella il ricordo di tutto ciò che ha provocato sofferenza
pur mantenendo una persona se stessa»
«Se Loki prendesse questa pozione... oh, Thor, so che non
è la soluzione più giusta... se la
prendesse» tenta di spiegare Frigga, «sparirebbero
i suoi poteri e il ricordo della sua vita qui e di quello che ha fatto,
sarebbe un giovane uomo come gli altri, potrebbe restare su Midgard e
stare con la ragazza, avere una vita felice...»
«Tutto questo è assurdo. Loki preferirebbe morire
piuttosto che rinunciare a ciò che è»
replica il dio del tuono. È doloroso, ma è la
verità.
«Solo finché può rammentarlo,
ciò che è»
«Davvero desiderate questo per lui?».
Odino ripone la fiala nella piccola cassa,
«No, Thor» dice con durezza, per poi lasciarsi
sfuggire un sospiro di sconforto. «Quello che desideravo per
Loki era una vita come principe di Asgard, al tuo fianco. Sognavo che
quando io non sarei più stato tra voi, lui ti avrebbe
aiutato a governare, sognavo di vederlo uscire dal cono d'ombra che si
era drappeggiato attorno, sognavo di vederlo con una moglie magari...
sognavo come sognano i padri. E lo sogno ancora e questa fiala
è l'unico modo per avere qualcosa che si avvicini vagamente
a quei sogni, per me e anche per lui»
«Ed è l'unica possibilità di
salvarlo» aggiunge Frigga, la voce le trema ma lei cerca di
mostrarsi calma e posata, con la regalità che la
contraddistingue. «Se tornasse qui, sai bene cosa la legge ha
in serbo per i crimini commessi da tuo fratello. Se non tornasse, non
solo sarebbe ancora un traditore in fuga, ma ormai ha anche troppi
nemici ed è solo contro tutti».
Thor fissa lo sguardo sul pavimento, troppo sconvolto e spossato per
riuscire a mettere ordine tra i pensieri.
È vero, quella soluzione non è la più
giusta ma è l'unica che non causerebbe dolore a suo
fratello, perché quella dannata piccola ampolla ha il potere
di spazzare tutto via e Loki non ricorderebbe nemmeno di aver odiato...
di averlo odiato.
Però c'è ancora Nadia. Nadia che è
sempre stata la sua speranza più grande di riaccendere la
fiamma dell'umanità nel cuore di Loki, senza ricorrere a
trucchi o stratagemmi, lasciando semplicemente che le cose seguissero
il loro corso. Ed è una speranza che è ancora
viva dentro di lui, che le circostanze rendono ancora possibile.
«E io cosa dovrei fare? Costringere Loki a bere quella
pozione?» borbotta Thor. «E, ad ogni modo, non
può perdere la memoria adesso, Nadia ha bisogno del suo
aiuto...».
«Capisco le tue remore, figlio mio» mormora Odino.
«Questa decisione turba anche me e tua madre, tuttavia,
proprio perché non è una decisione che
può essere presa a cuor leggero, è giusto che sia
il tempo a fare chiarezza. Loki aiuterà la tua giovane
amica, rimanderemo qualsiasi scelta a quando lei e la Terra saranno al
sicuro».
Thor si risveglia di colpo, nell'appartamento di Jane. Lei è
seduta a gambe incrociate in un angolo del letto, con addosso una
maglia di almeno quattro taglie più grandi con sopra il
disegno di un sole che sorride e la scritta che sembra il nome di uno
di quei posti in cui vendono dolciumi. Lo sta fissando e sembra
preoccupata.
«Voi altre divinità dormite sempre così
profondamente, come se foste in coma?» chiede lei, mordendosi
il labbro.
«Sembravo in coma?»
«Sì, eri piuttosto raccapricciante».
Thor si solleva, puntellandosi sulle braccia e si mette a sedere in
mezzo al letto, scivolando fino a posizionarsi di fronte a Jane.
«Ero via, mio padre ha portato la mia mente ad Asgard, lui e
mia madre necessitavano di parlarmi» spiega.
«Certo, normale. Come ho fatto a non pensarci?»
borbotta la donna con una mezza risatina nervosa. «E fate
sempre riunioni di famiglia mentre dormi?»
«No, di solito no. Era un'emergenza, sai volevano sapere di
Loki». Thor distoglie lo sguardo, non vuole dire a Jane cosa
si sono detti lui e i suoi genitori, non vuole dirlo a nessuno, non
è necessario che lo sappiano, non adesso.
Si domanda come reagirebbe Nadia se Odino le proponesse di far bere il
Fuoco dell'Oblio a Loki. Probabilmente avrebbe l'ardire di rispondergli
con una di quelle espressioni idiomatiche midgardiane del tipo:
«ma ti sei bevuto il cervello?». O forse...
Thor sospira e si stropiccia il viso con le mani.
«Sembri preoccupato» osserva Jane.
«Beh, lo sono. Giusto un po'... fin tanto che non avremo
visto chiaro in questa faccenda degli aspiranti distruttori della
Terra» risponde il dio.
«Sono sicura che tu e i tuoi super-amici riuscirete
nell'impresa di salvare tutto e tutti anche questa volta!»
esclama la donna con uno dei suoi adorabili sorrisi.
Thor sente il desiderio di allungare un braccio, afferrarla e
stringerla a sé e ricominciare dall'inizio la piacevolissima
trafila della sera precedente. Ma un ricordo, gelido come il marmo e
paralizzante come la paura, gli attraversa la mente, costringendolo a
rimanere impietrito e a serrare un lembo delle coperte nel pugno.
La voce è quella di Loki, tremante di collera e
disperazione. Thor rivede il suo volto trasfigurato dal furore e
arrossato dal pianto che cominciava a prendere consistenza nei suoi
occhi.
«Raccontami
cosa ti è accaduto sulla Terra che ti ha reso
così fragile. Non sarà stata quella
donna?»
Le parole vibravano sotto la doratura della cupola.
«Oh,
è così. Allora, magari quando avremo finito qui,
andrò a farle visita di persona».
Thor freme di nervosismo.
Loki aveva usato Jane per provocarlo e lui aveva creduto
così tanto a quella minaccia che quando era tornato sulla
Terra per combattere con i Vendicatori aveva chiesto alla S.H.I.E.L.D.
di spostarla in un luogo molto lontano, nascosta e al sicuro.
Adesso nemici di cui non conosce l'identità vogliono
attaccare Midgard per vendicarsi di lui e, proprio come ha
già fatto Loki, stanno puntando a ciò che gli sta
a cuore.
Il dio del tuono fissa Jane alzarsi e sparire oltre la porta del bagno,
chiedendosi da chi e da cosa deve proteggerla adesso. Chiedendosi se
anche Loki non sia ancora una minaccia concreta per la sua
incolumità.
*
Natasha è seriamente convinta che se adesso provasse ad
aiutare Loki a rimettersi in piedi, lui la ucciderebbe. E comunque, non
ha nessuna voglia di aiutare Loki a rialzarsi, che si arrangi da solo.
Lei si limita ad alzare il letto che è finito rovesciato sul
pavimento.
D'accordo, deve riconoscere che pur vestito solo di un asciugamano e
conciato come il cosplayer malriuscito della Mummia, il dannato
bastardo non perde un grammo del suo contegno da aspirante re
dell'universo. Persino nel modo in cui barcolla e si lascia cadere sul
materasso sfatto c'è qualcosa di elegante ed altezzoso.
Una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, ecco cos'è il
dio dell'inganno.
Sconfitta dopo sconfitta, dolore dopo dolore, Loki torna più
forte e determinato di prima. Potrebbe essere ammirevole, se non fosse
così spaventoso. Potrebbe essere ammirevole se non fosse un
nemico e se lei non fosse addestrata a non provare alcuna empatia per i
nemici.
Però deve ammettere che Loki sfugge a qualsiasi
categorizzazione. È un nemico, certo, ma non è
solo questo e di certo non è un nemico come tutti gli altri.
Con calma e con infinita pazienza, Loki si sistema le bende sulle
ferite. Qualcuna ha ripreso a sanguinare dopo il brutto colpo subito,
ma i tagli più superficiali sono quasi del tutto guariti
dalla sera prima.
Loki non è un nemico come tutti gli altri. Lui è
come l'erba cattiva che hai voglia di strappare via ma che almeno non
lascia nuda la terra. È l'erba cattiva che, se anche la
strappi via, ricresce perché è nella sua natura.
E Natasha non riesce a smettere di starsene lì a guardarlo.
Crede, forse si illude, che provando a osservarlo riuscirà a
comprenderlo meglio e forse a trovare un po' di luce oltre quella
spessa cortina di gelo e ombra.
In realtà non è di sua competenza nemmeno
sprecare tempo a trovare qualcosa di buono nei nemici e nei criminali.
Ma Loki è innegabilmente un caso a sé stante.
Sente un breve fruscio nell'auricolare e poi la voce di Clint.
«Ci crederesti, Nat? Me la sono persa» borbotta il
suo collega, amareggiato. «Ho perso Nadia, è
uscita e non so dove sia scappata».
Anche Loki sente la conversazione, alza la testa e resta in ascolto.
Non sembra né preoccupato, né interessato, sembra
solo uno che non ha di meglio da fare.
«Eri distrutto Clint, venivi da una notte in bianco e, ancora
prima, da una serata incasinata» dice lei, in tono
comprensivo. «E lei era parecchio sconvolta, sotto l'effetto
dell'adrenalina, avrà avuto le ali ai piedi»
«Il figlio di puttana non ha tirato le cuoia?»
domanda Barton.
Loki inarca appena un sopracciglio,
«Mi dispiace deluderti» replica, alzando la voce
per farsi sentire.
«Clint, chiama Stark, chiedigli se Nadia è tornata
a casa» suggerisce Natasha prima di chiudere la
comunicazione. «Fammi sapere qualcosa appena puoi».
Il dio si mette seduto, appoggiando la schiena contro il cuscino, e
fissa un punto indistinto con aria pensosa.
«Perché ho la sensazione che tu l'abbia fatto di
proposito?» borbotta Natasha.
«Perché è comodo dare la colpa a quelli
come me» risponde lui senza scomporsi.
«Vorresti farmi credere che non hai sentito l'energia della
pietra crescere?»
«Non sono al meglio delle mie facoltà. Non lo hai
notato, per caso?».
Natasha strabuzza gli occhi e si promette che, qualsiasi cosa lui dica
o faccia, non le farà saltare i nervi come la sera prima,
non le farà saltare i nervi mai più o la prossima
volta sarà l'ultima malefatta del dio degli inganni,
accidenti a lui.
«Era terrorizzata, la nostra giovane amica» osserva
Loki, ma senza alcun sarcasmo e senza nessuna apparente intenzione di
essere provocatorio. «Non capisco la paura di fare del male
ad altri, non la capisco».
Natasha aggrotta le sopracciglia,
«Nemmeno io» ammette.
«Forse io e te siamo senz'anima»
«Togli pure il forse...».
Si sta facendo psicoanalizzare da un dio pazzo. La nottataccia non ha
fatto bene nemmeno a lei, è evidente.
Dopo qualche minuto, Clint la chiama di nuovo per dirle che hanno
rintracciato Nadia, si trova nella sede delle Stark Industries ed
è insieme al ragazzo con cui esce.
«Sta bene» dice la donna, rivolta a Loki che
è tornato a fissare il nulla, assorto nei suoi pensieri.
«Certo, non avevo dubbi al riguardo. Cosa pensavate, che si
sarebbe gettata sotto a un'auto in corsa?» replica lui,
acido. «Fossi in lei, mi sentirei umiliato dal modo in cui la
sottovalutate»
«Le vogliamo bene. Compresi noi due agenti
senz'anima». Natasha si rende conto di quanto stupida e
scontata debba apparire quella risposta, ma è la
più ovvia perché è la più
vera.
«E lei ne vuole a voi... come si dice? Nessuno è perfetto».
Bruce Banner aveva ragione, la permanenza di Loki sul pianeta dei
Chitauri non ha fatto che peggiorarlo.
__________________________________________________
Note:
Bene, Natasha mancava all'appello dei POV.
Quando la smetterò di inventare prodotti magici asgardiani
manco venissi da Hogwarts non sarà mai troppo tardi! (che
poi il nome “fuoco dell'oblio” fa molto fantasy di
quarta categoria... ma meglio questo che inventarmi nomi in dialetto
asgardiano XD).
Comunque... non fatevi prendere dal panico, quella di Babbo Orbo era
solo un'idea (per adesso). E, si sa, le idee di Babbo Orbo generalmente
trasudano genialità come resina da una scatola di
plastica... tipo “ma sì, dai, adottiamo il piccolo
Jotunh che non si sa mai che un domani torni utile”.
Però, per quanto mi stia antipatico, a me piace l'idea che
il vecchio bacucco cerchi un escamotage per salvare Loki, non mi piace
immaginare Odino come il giudice che condanna il figlio (o ex-figlio,
che dir si voglia) senza provare a fare niente, anche a costo di
“giocare sporco”.
«Raccontami cosa ti è accaduto sulla Terra che ti
ha reso così fragile. Non sarà stata quella
donna? Oh, è così. Allora. Magari, quando avremo
finito qui andrò a farle visita di persona»
è presa pari pari dal film Thor, dalla scena finale in cui
lui e Loki cominciano ad azzuffarsi sotto la cupola del Bifrost.
Questo capitolo (specie la parte iniziale) mi sento in dovere di
dedicarlo alla mi amica Cristina
lei-capirà-il-perché. XD
Per
curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita,
l'universo e tutto quanto: HERE
A venerdì prossimo ^^
|
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Capitolo 12 *** Brainstorming ***
Capitolo undicesimo
Brainstorming
«Tu sei il campione delle pessime idee, ma devo ammettere che
questa volta hai superato te stesso» sbotta Pepper, guardando
Tony da sopra il coperchio del portatile che tiene appoggiato sulle
ginocchia.
«Senti, è la mia festa e invito chi voglio. Non
vorrai farmi festeggiare il compleanno senza i miei amici?»
borbotta lui arricciando le labbra in un'espressione offesa.
«Hai degli amici?» esclama Nadia, fingendosi
sorpresa.
«Compagni di gioco» puntualizza il signor Stark.
Pepper poggia il computer sul tavolino, nel timore forse che le venga
da scalciarlo via in un moto di nervosismo, o di lanciarlo contro il
suo compagno.
«Puoi dare una festa per il tuo compleanno e invitare chi
vuoi. Ma al party ufficiale, dove verrà anche il signor
Hope, non puoi portarti dietro i tuoi amici, ok?»
«Se lo sapesse il dottor Banner che non lo vuoi alla mia
festa, potrebbe diventare irritabile».
Sul viso della donna passa una sfumatura di rosso agitazione.
«Non è la tua festa, è un party
aziendale in concomitanza con il tuo compleanno»
«Non colgo la differenza».
Nadia mordicchia la cannuccia infilata nel suo brick di succo di
frutta, cercando di assumere un'aria quanto più neutrale e
disinteressata possibile. La verità è che le sta
venendo da ridere e che rischia di spruzzare succo di ananas senza
zucchero per tutta la stanza.
Sono passati quattro giorni dalla ricomparsa di Loki nel bosco.
Le squadre di ricercatori dello S.H.I.E.L.D. sono sempre a caccia di
prove dell'apocalisse, con l'ausilio del dottor Banner e la compagnia
del Capitano Rogers a fare da supporto morale. Thor non si sa se abbia
messo piede fuori dall'appartamento di Jane Foster; sono tutti propensi
a credere che lei non lo abbia fatto nemmeno uscire dalla camera da
letto. Loki si sta ancora riprendendo dalle ferite riportate sul
pianeta dei Chitauri e mantiene inalterato il suo ph 1.5 bisticciando
con Clint e, probabilmente, tentando di irritare Natasha o chiunque gli
capiti a tiro.
E Tony organizza la sua festa di compleanno.
Lei, semplicemente, aspetta. Aspetta di avere il fegato di rivedere
Loki dopo l'incidente durante il loro ultimo incontro. Aspetta notizie.
Aspetta una nuova crisi che forse non tarderà ad arrivare,
visto che in quei giorni ha smesso di allenarsi e di scaricare energie.
«Pensavo che ti piacessero, i ragazzi» borbotta
Tony rivolto alla sua compagna. «A chi non piacciono gli
Avengers?».
«Naturalmente, io li adoro, ma ho paura di quello che
potresti fare tu
ad un party ufficiale con loro al seguito»
«Se ti preoccupi del fatto che potrei far ubriacare Rogers e
convincerlo a fare uno streap... beh, lui non si ubriaca!»
«E neanche Thor si ubriaca» interviene Nadia.
«Me lo ha spiegato una volta, a Venezia... se il problema
è l'alcol, credo dovremmo stare attenti a Natasha
più che altro»
«Non ti ci mettere anche tu, ti prego» mugugna
Pepper massaggiandosi le tempie con quel suo fare un po' nevrotico che
viene fuori ogni volta che una discussione con Tony si protrae oltre i
trenta secondi.
Il signor Stark estrae una bustina di anacardi sottovuoto da un vano di
un mobile. Sta per aprirla quando trilla al nulla la voce di Jarvis.
«Il direttore Fury in linea per lei, signore»
annuncia.
Per un attimo le espressioni dei tre presenti si congelano in un'aria
allarmata. L'illusione che la vita possa scorrere normalmente
è più aleatoria di quanto pensassero, in effetti.
«Passamelo» si limita a rispondere Tony.
«Stark, muovi il culo e vieni qui» la voce di Fury
non è particolarmente alterata, questo è solo il
suo consueto modo di fare. «Abbiamo trovato
qualcosa»
«Qualcosa tipo briciola di Pollicino o qualcosa tipo enorme
mostro assetato di sangue?»
«Le dimensioni non sono quelle di una briciola»
risponde il direttore dello S.H.I.E.L.D.
Tony è già sulla porta, a infilarsi una giacca di
pelle che ha tutta l'aria di essere stata fatta su misura per lui,
anche perché c'è una piccola S allungata in
rilievo sui bottoni.
Nadia scatta in piedi e lo raggiunge,
«Vengo anche io» esclama.
Lui alza il dito indice con fare ammonitore,
«L'unico motivo per cui ti porto con me è
perché so che Nick ne sarebbe irritato» borbotta.
La ragazza sorride e scrolla le spalle. Che facesse come gli pare,
basta che non ricominci con le filippiche sul fatto che lei deve starne
fuori.
«Oh, stai pensando anche tu quello che penso io?»
aggiunge poi Tony, con un sorriso da un orecchio all'altro.
Nadia non capisce e si limita a rivolgergli un'occhiata interrogativa.
«Dobbiamo andare a prendere Thor a casa della sua ragazza!
Gli servirà un passaggio» spiega lui, schizzando
verso l'ascensore e premendo il tasto che porta al garage sotterraneo.
«Thor vola, più o meno»
«Dettaglio del tutto trascurabile, Colombina».
Quando arrivano sul pianerottolo dell'appartamento di Jane, Nadia non
sa se mettersi a ridere o provare a trascinare Tony via da
lì. Ma ormai è tardi, lui ha già
suonato il campanello e sono tutti e due in ascolto dei rumori ovattati
che provengono da dietro il battente della porta.
La dottoressa Foster apre senza sganciare la catenella di sicurezza
– di cosa avrà mai paura una che si tiene in casa
il dio dei fulmini?
Quando li vede dallo spiraglio aperto, trasalisce.
«Oh, Gesù!»
«Non proprio, ma grazie del complimento» ghigna
Tony.
«Ciao Jane» interviene Nadia. «Scusa il
disturbo, Thor è presentab... ehm, è in casa?
Dovremmo andare allo S.H.I.E.L.D e abbiamo una certa fretta».
Sembra una barzelletta raccontata male.
La donna sbatte le palpebre, perplessa, poi sgancia la catenella e apre
la porta. Nadia si chiede se sia sintomatico degli astrofisici apparire
sempre come se fossero caduti dalle nuvole.
La casa ha i pavimenti di moquette e da una piantana dell'ingresso
penzola il mantello di Thor, lasciato lì chissà
da quanto. Le scatole vuote di barrette ai cereali impilate sul
tavolino hanno un che di coreografico.
«Lei... lei è il signor Stark» trilla
Jane, a metà tra l'imbarazzato e l'ammirato. «Io,
dove lavoravo cioè, avevo molti dispositivi prodotti dalle
sue industrie le sue applicazioni e i suoi software per le scienze sono
veramente notevoli e io penso che siano davvero davvero molto
parecchio... wow!»
«Grazie, dottoressa Foster. Me lo sento dire spesso, in
realtà, ma nessuno me lo aveva mai detto dimenticandosi di
respirare».
Per fortuna Thor emerge dai meandri della casa, vestito –
grazie al cielo – con un jeans e una camicia di flanella
rossa.
«Amico mio, sembri patito» dice Tony, osservandolo
con un ghigno malizioso. Nadia è costretta a dargli una
rapida gomitata, per evitare che Jane collassi.
«Ci sono problemi?» domanda il dio del tuono, che
al momento di divino ha ben poco, a parte la sua smagliante bellezza.
«Nick Fury ha suonato la campana dell'adunata, siamo venuti
per darti un passaggio»
«Andiamo, allora»
«Vengo anche io» dice Jane, rimediandosi
un'occhiata perplessa dagli altri presenti. «Insomma, se
c'è Nadia posso esserci anche io... se c'è
un'altra civile, intendo».
La ragazza trattiene a stento una smorfia. In quel frangente non crede
di essere proprio una civile e non pensa nemmeno di essere sullo stesso
piano di Jane Foster. Non che le importi molto, comunque, e di certo
non è il momento di discutere la questione.
Un minuto dopo sono in macchina.
La guida sportiva
di Tony sembra divertire Thor e mettere a dura prova lo stomaco di Jane.
*
Clint fissa lo schermo, massaggiandosi il mento con aria pensosa.
«Fury ha detto di smetterla di rimuginare su Loki»
dice Natasha, alle sue spalle. «E io penso che abbia ragione,
lui non è un problema adesso».
C'è stato qualche istante, in quei quattro giorni, mentre il
dio era avvolto nelle medicazioni, in cui Clint ha pensato la stessa
cosa. È riuscito a convincersi che quel figlio di puttana
poteva non essere una minaccia, poteva non avere in mente qualche piano
diabolico o un qualche losco secondo fine. Ma quei pensieri adesso
evaporano e si trasformano in uno strano timore, il nervosismo della
gazzella che fiuta per caso la presenza di un leone acquattato tra le
sterpaglie.
Certo, lui non è una gazzella, ma Loki è
parecchio bravo a immedesimare la parte del leone. E adesso che Clint
lo vede con addosso i suoi abiti da principe delle stelle, adesso che
vede di nuovo quegli occhi di ghiaccio brillare di quella luce
sinistra, come brillavano nella sua mente mentre era sotto l'effetto
dell'incantesimo dello scettro, l'agente dello S.H.I.E.L.D. non riesce
a zittire i suoi dubbi e nemmeno il suo odio.
Non gli importa se a Venezia è stato d'aiuto a salvare
quelle persone – e comunque lo ha fatto perché non
aveva scelta, non gli importa se aveva tanta energia in corpo da
massacrarli tutti e non ne ha approfittato. Loki è un lembo
di deserto coperto di sabbie mobili, da un momento all'altro
può farti mancare il terreno sotto i piedi, inghiottirti,
soffocarti, annientarti.
Natasha gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla. Nei suoi
occhi verdi si riflette l'immagine dello schermo. La telecamera
inquadra una stanza rettangolare simile a una cella, Loki è
lì da un giorno e non ha detto una parola, né ha
fatto nulla. A Clint sembra sospetta anche la calma con cui il dio ha
accettato quella mezza prigionia.
«Ti fa così paura?» chiede Natasha.
C'è una punta di stupore nella sua voce dal suono vellutato.
Una domanda scomoda per uno nella sua posizione.
«Perché non dovrebbe?» mormora lui.
Una volta ne hanno parlato, lui e Natasha, della paura. Sono giunti
alla conclusione che è la caratteristica principale per chi
svolge il loro mestiere: avere sempre paura aiuta a essere sempre
prudenti. Per molto tempo però Clint si è chiesto
di cosa dovesse avere davvero paura. Di morire? No, quella è
una paura talmente comune da non poter nemmeno essere presa in
considerazione. Del dolore? Ha riportato così tante ferite e
subito così tanti incidenti che ormai il dolore quasi non lo
sente più.
Ha scoperto la paura vera solo quando è stato ipnotizzato da
Loki, quando ha sentito artigli di luce azzurra scavare dentro di lui e
arrivare alla sua mente, e manipolarla, sondarla, giocarci come se
fosse plastilina. Forse è per questo che detesta
così tanto Loki e non riesce a andare oltre quello che lui
gli ha fatto, lo odia per avergli insegnato la dimensione della sua
paura, per avergli messo davanti agli occhi i suoi limiti
più grandi. Perché certe cose, una volta
conosciute, non possono essere dimenticate.
«Ehi, cosa sta succedendo lì dentro?»
esclama Natasha, strappandolo alle sue riflessioni.
Clint alza di scatto la testa e guarda lo schermo.
Qualcuno è entrato nella stanza di Loki. Sono due agenti,
quelli del turno di guardia di quell'ora.
«Di' un po', figlio di puttana, quanti nostri compagni hai
ucciso durante la tua ultima visita?» chiede uno di loro,
aspro.
Loki alza lentamente lo sguardo, indolente.
«Non mi sono dato la pena di contarli» risponde con
aria annoiata di sufficienza.
«Cazzo!» sbotta Clint, alzandosi in piedi.
«Lo avranno capito che ha ancora i suoi poteri e che non
hanno a che fare con il serial killer di bambini da pestare
all'ingresso in prigione?».
«Muoviamoci» esclama Natasha, ed è
già nel corridoio a correre a perdifiato.
Loki meriterebbe una lezione con i fiocchi. E no, dannazione, quello
che ha avuto sul pianeta dei Chitauri non conta. Ma quei due imbecilli
che sono piombati nella sua stanza hanno dimostrato una tale
stupidità che quasi lui vorrebbe suggerire a Natasha di
fermarsi e di lasciare che abbiano ciò che si meritano. Il
problema poi però sarebbe spiegarlo al direttore Fury...
Clint e Natasha aprono di schianto la porta della stanza e fanno appena
in tempo a vedere i due agenti volare a mezz'aria e urtare con un tonfo
secco contro il muro dal lato opposto.
Rumore di ossa rotte...
I due si accasciano sul pavimento, privi di sensi. Per sicurezza,
Natasha gli tasta il collo e tira un mezzo sospiro di sollievo. Poi lei
e Clint guardano Loki.
Non si è nemmeno alzato dalla branda su cui era seduto.
Il dio ora li scruta accigliato,
«So che lo avreste preferito, ma lasciarmi malmenare mi
è diventato ancora più sgradito dopo la mia
ultima vacanza» dice lui, con un sorriso malevolo.
«È stato per legittima difesa ma, se posso
permettermi, l'idea di tenermi in gabbia si è sempre
rivelata pessima sotto diversi punti di vista, in più di
un'occasione».
«Cosa ti aspetti, che ti affittiamo una stanza al
Ritz?» borbotta Clint, reprimendo a stento l'impulso di
gettarsi sul dio per cancellargli dalla faccia quel sorrisetto
diabolico.
«Mi aspetto che non vi disturbiate a chiudere le serrature.
È solo una questione di buon senso».
L'agente Barton prende un grosso respiro, l'aria freme nella gola come
il suono delle spire di un serpente per quanto veleno sente di avere in
corpo al momento,
«Mi devi ancora un bulbo oculare» sibila.
Tutto quello che ottiene è che Loki allarghi ancora un po'
il suo sorriso. Il bagliore di quei dannati occhi azzurri fa sentire
Clint come uno incastrato dentro un'auto che sprofonda in acqua.
In quel momento sentono il fruscio provenire dalle loro
ricetrasmittenti. È Fury, dice che devono raggiungere il
laboratorio 14b della base.
Quando il direttore ordina di portare con loro Loki, Clint sente
l'irrefrenabile impulso di picchiare un pugno contro la parete.
*
Ha voglia di ridere, stenta a crederlo ma la risata scalpita contro le
costole e lui deve fare un grande sforzo per trattenerla. Quello non
è il momento di provocare ulteriormente l'agente Barton con
uno scoppio di ilarità, Loki è troppo curioso di
sapere qual è il motivo della convocazione di Fury per
creare un'occasione di ritardo.
Barton e la Romanoff lo precedono, facendogli strada per i corridoi.
Ovunque è una pioggia di sguardi ostili, come quando fu
portato in manette sulla grande fortezza volante di Fury, ma Loki non
ci bada, ha altro per la testa.
Tanto per cominciare, pensa a quando rivedrà Nadia. Ha
bisogno della ragazza, gli serve ancora attingere energia dalla pietra.
Il trucco di poco prima è stato faticoso, è stato
il primo tentativo fatto da quando si è ristabilito.
Stuzzicare la mente umana solo con l'ausilio della magia che si
possiede nel proprio corpo richiede molto potere. Ma ne è
valsa la pena, ed è stato gratificante punzecchiare la mente
di quei due idioti, andare a scovare il rancore e usarlo a suo
vantaggio, mettendogli in testa l'idea di entrare nella stanza per
fargli del male. Doveva solo accertarsi che Barton e la Romanoff
vedessero e che fossero consapevoli che non era stata colpa sua,
che si convincessero che lui si era solo difeso.
Quella messinscena aveva giusto lo scopo di mettere in chiaro due cose,
senza che gli venisse attribuita alcuna accusa. Doveva far capire ai
suoi solerti ospiti che non era un cagnolino ammaestrato che potevano
tenere in una cuccia e che, soprattutto, era inutile ritenere di
doverlo trattare come se fosse in un carcere, perché lui ha
ancora i suoi poteri e può fare qualsiasi cosa, aprire
qualsiasi porta. Ha dovuto farlo; può forzare qualsiasi
serratura, ma se sono loro a consegnargli la chiave
risulterà meno minaccioso, potrà guadagnarsi una
briciola di fiducia che gli occorre per avere sufficiente spazio di
manovra senza che ad ogni suo passo spuntino supereroi a brandire armi
e a declamare minacce e promesse di vendetta.
Tuttavia, la piccola messinscena è stata una fatica troppo
grande per lui, e adesso si sente stanco. Stanco, ma divertito e,
soprattutto, soddisfatto.
Raggiungono il luogo dove Fury li ha convocati. È un
laboratorio ingombro di macchinari e schermi luminosi.
In piedi accanto al tavolo rettangolare c'è il direttore
dello S.H.I.E.L.D, attorniato dalla squadra dei Vendicatori al
completo, come un re con i gioielli della sua corona, e in
più ci sono due ospiti a sorpresa la cui presenza fa
gonfiare di nuovo la risata nel petto di Loki.
C'è Nadia, ovviamente, attaccata al suo amato Tony Stark. La
ragazza sembra incapace di alzare lo sguardo su di lui, a quanto pare
non ha ancora superato il turbamento per l'incidente avvenuto durante
il loro ultimo incontro. Ma la sua presenza è un bene,
perché questo vuol dire avere la pietra abbastanza vicina da
poter assorbire energia.
E poi c'è quell'insulsa donna per cui Thor ha smarrito quel
po' senno che possedeva, l'umana di cui nemmeno ricorda il nome. La
scienziata ha un piccolo sussulto quando Loki posa lo sguardo su di
lei, e si avvicina un po' di più al fianco di Thor come a
cercare protezione. Oh, quanto ha desiderato incontrarla di persona.
Naturalmente nei suoi desideri, le circostanze dell'incontro erano
notevolmente diverse. Ad ogni modo, cosa pensa di fare lì la
donna di scienza?
«Ho fatto fare dei rilevamenti nella zona in cui è
stato registrato il warmhole» dice Fury, catturando subito su
di sé l'attenzione dei presenti, così che i
Vendicatori smettano di lanciare vaghe occhiate di disagio in direzione
del dio dell'inganno. «Questo è tutto quello che
abbiamo trovato».
Il direttore apre una scatola e mostra una lucida striscia di metallo
grigio scuro.
«Un pezzo di ferro?» dice scettico Stark.
«No, non è ferro» spiega Banner.
«Lo hanno analizzato, confrontandolo con tutti i materiali
esistenti in natura e con tutte le leghe metalliche. Non è
qualcosa che si trova sulla Terra. Sappiamo che è pesante,
molto resistente alla fusione e con i bordi estremamente taglienti, ma
non sappiamo cos'è»
«Il forestiero ha qualche idea?» chiede Fury,
lanciando verso Loki il pezzo di metallo.
Il dio lo afferra la volo, guarda bene l'oggetto e lo soppesa sul palmo
della mano.
«È il materiale di cui sono fatte le armi dei
Chitauri» dice dopo qualche secondo. «Se lo aveste
confrontato con lo scettro, che immagino abbiate in custodia, ve ne
sareste accorti».
«Quello scettro non è qui» risponde
Fury. Loki finge di non prestare attenzione all'affermazione, ma prende
mentalmente nota della notizia.
Dannazione...
«Hanno trasportato armi attraverso il warmhole?»
domanda Rogers. «Dovrebbe essere questa la nostra
ipotesi?»
«Se hanno trasportato delle armi, devono anche avere
l'esercito che le userà» osserva Thor.
«Questo dipende dal tipo di armi» aggiunge Stark.
Loki passa tutti loro in rassegna con lo sguardo. Pensa che quando era
nella città sull'acqua ha sopportato una situazione ben
peggiore, è rimasto giorni chiuso in una casa minuscola con
quegli individui. Il suo odio non è diminuito di un grammo e
se potesse li annienterebbe tutti, in quel preciso momento, tuttavia ci
sono delle priorità. Salvaguardare il suo momentaneo porto
sicuro è una di queste.
Il dio sente su di sé lo sguardo di Nadia e la fissa di
rimando. La ragazza sembra chiedersi a cosa lui stia pensando e
dall'aria crucciata che ha, sembra anche averlo indovinato.
Lascia cadere il pezzo di metallo sul tavolo,
«Quando lasciai Venezia, mi rifugiai in una sorta di isola al
limitare di questo universo» spiega. «È
lì che i Chitauri mi hanno catturato. Quando gli chiesi come
avessero fatto a raggiungere quel luogo mi fu detto che avevano nuovi
alleati che avevano fornito loro dei mezzi. Devo spiegarvi cosa
potrebbe significare?».
«Con che cosa si viaggia nello spazio, di solito?»
domanda la Romanoff, come se stesse pensando ad alta voce.
«Con i nostri mezzi,
di Asgard» risponde Thor, grave.
Lui e Loki si scambiano una breve occhiata e tra i presenti cala il
silenzio.
«Aspettate» borbotta Fury. «State dicendo
che qualcuno ha rubato i vostri giocattoli? Ve ne sareste
accorti»
«Difatti. Non credo che li abbiano rubati, li hanno
riprodotti, o almeno ci hanno provato» asserisce Loki.
«Non possono riprodurre le nostre tecnologie»
protesta Thor. «Non funzionerebbero, è Asgard
stessa che dà energia ai nostri manufatti, niente che non
venga da lì può funzionare a dovere».
«E infatti non funzionano a dovere» interviene
Nadia. «Mi sembra ovvio, se funzionassero avrebbero
già messo in moto qualcosa di enormemente distruttivo come
il potere del Bifrost... me ne hai parlato una volta a Venezia, Thor. E
poi i Chitauri avrebbero viaggiato ben oltre i limiti della nostra
Galassia... c'è qualcosa che non torna, ai loro dispositivi
manca qualcosa».
«Hanno riprodotto l'arsenale di Asgard, usando materie prime
più cazzute prese dal pianeta dei Chitauri, ma gli manca la
giusta quantità di energia per farle funzionare»
conclude Barton.
«Questa cosa dell'energia che serve per far funzionare
diavolerie apocalittiche mi fa tornare in mente un certo
episodio» borbotta Stark. «A te no,
Bambi?».
«Mirano al reattore Arc?» sospira Banner.
«Quando finirà di piovere gente dal cielo per
venire a ficcare il naso tra i miei giocattoli? Odio che si tocchino le
mie cose» esclama l'uomo di metallo, strabuzzando gli occhi.
Certo, tutto quadra, fino a quel momento. Ma è solo una
piccola parte della faccenda. Ammesso che le loro elucubrazioni, fino a
quel punto, siano giuste restano ancora molte domande irrisolte.
«Sono il solo che si sta chiedendo chi c'è
dietro a tutto questo?» osserva Rogers. Domanda intelligente,
con un tale movimento di cervelli c'è da stupirsi che non si
sia ancora verificato un terremoto.
«Thor, illuminaci» incalza Fury.
«Possibilmente senza usare il martello» lo canzona
Stark.
Il possente e valoroso
dio del tuono scuote la testa in segno di resa. Non ha la
più pallida idea di cosa dire, non è riuscito a
formulare nemmeno un'ipotesi vaga su chi possa avercela con lui al
punto da attentare al benessere del pianeta di cui si proclama
paladino.
«Io davvero non so...» mormora con un sospiro
dispiaciuto.
Questo è il colmo. Loki chiude gli occhi cercando di imporsi
la calma ma è impossibile.
«Una gioventù trascorsa a far guerra a chiunque
respirasse deve pur aver urtato la suscettibilità di
qualcuno!» sbotta il dio dell'inganno, sgranando gli occhi.
Thor sembra quasi intimorito dal sentirlo alzare la voce in una simile
circostanza e per fare una simile affermazione.
«È passato tanto tempo, fratello, tu non
crederai...»
«Non usare quella parola». Sembrano tornati
ragazzi, quando lui lo aiutava a fare i compiti che il precettore aveva
loro assegnato. È già abbastanza indisposto senza
che ci si metta anche l'ottuso affetto di Thor.
«Va bene, calmiamoci. Bisticcerete dopo voi due»
interviene Nadia. «Mi sembra ovvio che chiunque sia il nostro
nemico è una vostra vecchia conoscenza e qualcuno che non
è esattamente un indigeno delle nostre parti, proviamo
a...»
«Aspettate». È la donna di Thor a
parlare, facendosi timidamente avanti, riemergendo da dietro le spalle
del dio dove sembrava essersi nascosta per tutta la durata della
conversazione. «Se con il warmhole che ho registrato io sono
arrivate le armi, vuol dire che chi le ha fatte costruire era
già qui. Vuol dire che chiunque sia sta portando avanti
questo piano da molto molto tempo... vuol dire che quasi sicuramente
è qualcuno che nel frattempo è vissuto sulla
Terra, una specie di infiltrato»
«È plausibile» ammette la Romanoff.
Fury si massaggia il mento,
«È plausibile anche che siano un gruppo
relativamente folto di individui. Forse dovremmo fare una ricerca su
spostamenti di grandi gruppi di persone nel corso dell'ultimo anno.
Qualsiasi informazione può essere utile» dice, poi
prende la ricetrasmittente e dà una serie di istruzioni
all'agente Hill. «Intanto, Stark, devi rendere inutilizzabili
i tuoi reattori Arc, smantellali se è necessario. Non vorrei
una replica dello spettacolo che ci ha offerto qualche tempo fa il
nostro ospite», aggiunge indicando Loki con un cenno del
capo.
«A Pepper verrà un infarto» mormora
Nadia all'orecchio di Stark.
«Ma prima ne farà venire uno a me...»
borbotta lui scuotendo la testa.
«Ehm... voi vi rendete conto che tutte queste cose sono solo
supposizioni, vero?» dice Banner, grattandosi la nuca. Loki
si sente fremere al pensiero che dentro il corpo di quell'uomo
così innocuo c'è la creatura che lo malmenato.
«Cioè, abbiamo seguito il filo logico di un
ragionamento che è logico sì, ma potrebbe anche
essere sbagliato».
«Da qualche parte dobbiamo pur cominciare» osserva
Rogers. «Forse ci stiamo sbagliando, ma se cominciamo a fare
delle ricerche, anche partendo dai presupposti sbagliati, troveremo
qualcosa che ci porterà sulla strada giusta»
«Fantastico! Sono aperte le iscrizioni al fan club
dell'ottimismo» esclama Stark.
«Su una cosa penso che non possiamo esserci
sbagliati» osserva l'agente Barton con un mezzo sorriso di
incoraggiamento. «Qualsiasi cosa questi tizi vogliono usare
contro di noi, hanno davvero bisogno delle giuste risorse di energia,
ed è evidente che fino ad ora non le hanno
trovate».
Fury dichiara sciolta l'assemblea e loro escono dal laboratorio.
Loki si ferma accanto a una finestra, a guardare il cielo plumbeo
pesare sulla città. I Vendicatori si fermano accanto a uno
di quei distributori elettrici di bevande e cibarie e si chiudono a
cerchio attorno alla donna di Thor. Evidentemente quello è
il momento delle presentazioni ufficiali.
Il dio dell'inganno osserva la scena da lontano, poggiandosi con le
spalle contro il davanzale. È tutto talmente stucchevole che
non riesce nemmeno a sentirsi davvero disgustato, semplicemente si
sente estraneo e distante, la cosa non lo riguarda e nemmeno l'odio per
quelle persone riesce a smuoverlo in quel momento. Certe volte sanno
essere così noiosi...
Ed ecco che Nadia si stacca dal crocchio e viene verso di lui.
Naturalmente, lo aspettava quel momento. È curioso di
sentire la ragazza cosa avrà da dirgli, se avrà
qualche scusa per averlo lasciato a marcire in una stanza chiusa nel
cuore di una base dello S.H.I.E.L.D.
Perché non
avrebbe dovuto?
Perché forse ora lei è in debito più
di quanto non lo sia lui. Lei non ha idea di quanto gli sia costato
partecipare alla piccola adunata di poco prima.
Perché
dovrebbe importarle?
Perché lui non è disposto ad accettare di non
avere importanza per lei, non è disposto ad essere
dimenticato come un abito smesso. Perché ora avranno da
passare del tempo insieme ed è bene che lei impari come ci
si comporta con un dio...
«Sei di nuovo tutto intero?» domanda Nadia un po'
in imbarazzo, affiancandolo.
«Così pare, malgrado tu abbia cercato di far
accadere il contrario». Questo è giocare sporco,
ed è la cosa che gli riesce meglio e che più lo
diverte.
«Sai che non l'ho fatto di proposito»
«Ne sei certa?»
«Non essere odioso!»
«Pare sia la mia natura».
Lei sbuffa, ma gli concede di avere l'ultima parola. E Loki tuttavia
trova irritante che il contenuto di quella testolina boriosa sia
così imperscrutabile in certi momenti.
«Mi sembri molto a tuo agio in mezzo a tutto
questo» dice il dio, allargando le braccia come a indicare
l'intera base. «Era quello che auspicavi per te stessa quando
dicevi di voler lasciare l'albergo della tua famiglia?».
«No» dice lei scuotendo il capo, poi il suo sguardo
si posa sui Vendicatori e si addolcisce. «Non tutto, almeno.
Ma tre mesi fa tutto quello che mi riservava il futuro erano ore dietro
a una reception. Adesso sto dando un minuscolo contributo a salvare il
mondo. E poi ci sono loro».
«Sì, immagino l'entusiasmo»
«Ah-ah. L'umorismo non è mai stato il tuo
forte»
«Come al solito direi, dopotutto non è cambiato
niente».
Lo sguardo di Nadia si incupisce,
«Era una promessa?» chiede, leggermene piccata.
«Credo di sì».
Sì, è una promessa. La promessa che il suo odio
non si è estinto, che non si estinguerà per
nessuna ragione. La promessa, forse, che un giorno le loro strade
potrebbero tornare a incrociarsi e che quel giorno probabilmente
saranno diventati nemici perché quell'odio è
rivolto a persone che Nadia ama più di se stessa, per le
quali deve certamente provare un affetto più grande di
quello che prova per lui.
Eppure adesso la ragazza sta sorridendo, in quel modo un po' furbo e un
po' indisponente, che la prima volta che Loki le vide quell'espressione
in viso pensò di stringerle le mani attorno alla gola fino a
cancellargliela una volta e per sempre. Quel sorriso una volta gli
faceva rabbia, adesso gli fa quasi paura perché è
il sorriso di chi ha capito, di chi sa. E il modo in cui Nadia,
talvolta, riesce a comprenderlo lo spiazza, non riesce ad abituarcisi.
«E che valore devo dare a una promessa fatta dal dio della
menzogna?» mormora lei, prima di voltarsi e allontanarsi
verso le scale.
________________________________________________
Note:
Il discorso sulla paura c'era anche nella storia precedente, in uno dei
paragrafi dal POV di Natasha. Ho voluto dare anche la versione di
Clint, per par-conditio e perché anche lui doveva avere la
sua voce... mai dare ai propri personaggi occasione di essere scontenti
XD
La scorsa settimana ho avuto un momento di grazia scrittoria veramente
notevole, nel senso che ho scritto molto e molto facilmente.
Attualmente sul mio pc ci sono 18 capitoli belli e pronti ed
è solo una parte di tutto quello che c'è da
raccontare in questa storia. Mi sono resa conto, con un po' di
sgomento, dell'enormità di questa STYDI, che a sua volta
è il prosieguo naturale di un'altra fanfiction. Ci sono
tanti passaggi che si sono aggiunti in fase di scrittura, dialoghi e
scene che si sono letteralmente scritti da soli. E io sto amando il
lavorare a questa cosa. In buona parte è anche merito vostro
e del vostro sostegno. GRAZIE!
Per domande e curiosità: HERE
(Grazie a Kashmir, la scorsa settimana ho inaugurato il profilo
formspring **)
A venerdì prossimo :-)
Nota bis: La
buona notizia è che sono riuscita a buttare giù
una scaletta decorosa per la parte di storia che devo ancora scrivere e
penso che la fanfiction sarà di circa 27/28 capitoli (contando
anche il prologo e l'epilogo). La cattiva notizia è che
potrebbe esserci una terza puntata della vicenda.
|
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Capitolo 13 *** Like a nightmare ***
Capitolo dodicesimo
Like a nightmare
La canzone in soffondo è un brano dei Muse che piace molto a
Sara. Il pensiero di sua sorella fa distrarre Nadia, risucchia la sua
mente in un vortice di ricordi e nostalgie, tanto che lei si scorda di
allungare il passo ora che è arrivata alla fine della scala
mobile.
Mike l'afferra per un lembo della giacca prima che lei si spalmi sul
pavimento lucido del centro commerciale.
«Ehi, se ti rompi il naso quando sei con me posso dire addio
alla mia carriera!» esclama il ragazzo, ridacchiando.
«Oh, grazie dell'interessamento» ribatte lei,
fingendosi piccata.
Le vetrine dei negozi riflettono un nugolo di facce sbiadite. La
canzone finisce e lascia spazio alla voce dello speaker che parla di un
qualche fatto di gossip, qualcosa su Tom Cruise o giù di
lì.
In effetti tirare in ballo Tom Cruise suona molto azzeccato, del resto
lei stessa ha definito quella cosa la sua mission impossible.
Deve comprare un regalo di compleanno per Tony. Cosa si può
regalare a un miliardario con l'hobby del salvataggio planetario?
È contenta che Mike l'abbia accompagnata. La settimana
prima, quando è scappata dalla base dello S.H.I.E.L.D. dopo
il piccolo incidente
con Loki e l'onda di energia, lui è stata la prima persona
che l'è venuta in mente, l'unica che aveva voglia di vedere
e con cui voleva stare, l'unica con cui riusciva a tollerare di parlare.
E forse è proprio perché Mike è
l'unico davvero estraneo a tutta la faccenda che Nadia si sente
così bene con lui, è la sua illusione di
normalità che l'aiuta a non perdere la speranza, a ricordare
che possono esserci altre cose che l'aspettano un giorno, quando
avrà risolto i suoi problemi.
E ormai è quasi certa che Tony e Pepper stiano complottando
per far andare in porto il loro rapporto. Pepper sapeva che quella
mattina lei sarebbe andata al centro commerciale e guarda caso ha fatto
in modo che sapesse che proprio quel giorno aveva dato, senza alcun
motivo spiegabile, la mattinata libera al suo stagista.
Va bene così. Va bene perché ormai le
è chiaro che ha bisogno di tempo per riuscire a stare
davvero con qualcuno, ha bisogno di più tempo di quanto ne
servirebbe a una persona normale. E ha intenzione di aspettare, essere
certa che non ci siano interferenze di nessun genere nel suo rapporto
con un'altra persona.
Ne ha parlato con Mike, quella mattina, cercando di scacciare il
pensiero di Loki sbalzato per aria e l'immagine del sangue. Non ha
potuto dirgli il vero motivo ma gli ha detto che ha bisogno di tempo. E
lui ha capito. «Basta che torni a trovarmi. Non sopporterei
di non sentire più le tue lamentele sul caffè
ameircano» aveva concluso il ragazzo.
E adesso eccoli lì, in un centro commerciale a cercare un
regalo che non esiste.
«D'accordo, confesso che sto brancolando nel buio
più totale» ammette dopo aver girato a vuoto per
un'intera ala dell'enorme galleria di negozi. «Hai qualche
idea su un regalo adatto?».
«Come si fa a fare un regalo al signor Stark, non puoi
nemmeno darglielo, lui odia...»
«... odia quando gli si porgono le cose. Sì,
è vero».
Nadia alza gli occhi al cielo. Decide semplicemente di continuare a
camminare e dopo qualche metro la sua attenzione viene catturata da una
vetrina di un negozio di modellismo. Su un piedistallo di acciaio ci
sono – oh, ti
prego! - le statuine degli Avengers, modellini abbastanza
accurati alti trenta centimetri; il cartellino dice ''dipinti a mano''.
La ragazza resta a fissare la vetrina.
«Gli somigliano?» domanda Mike a bruciapelo.
«No, le statuine sono molto più belle degli
originali» scherza lei.
«Sarebbe un bel regalo, non trovi? Per Stark, una statuina di
se stesso».
Mike lo dice con leggerezza, ma per un attimo la ragazza prova un senso
di fastidio. Parlano tutti di quanto Tony sia narcisistico e
presuntuoso e nessuno si ricorda mai di accennare al fatto che
è una delle persone più generose che si possano
incontrare, non tutti riescono a cogliere che la sua ironia molto
spesso è solo un modo per alleggerire gli altri da pesi che
lui stesso è ben lieto di portare.
«Come sono, tutti loro?» domanda Mike dopo qualche
secondo di silenzio, chinandosi per osservare più da vicino
le statuine. Non le aveva mai chiesto direttamente dei Vendicatori
– e del resto lei gliene ha parlato in più di
un'occasione, sa che per le altre persone è scontato pensare
che se ruota attorno all'orbita domestica di Stark deve, per forza di
cose, avere a che fare anche con gli altri Avengers. Non sarebbe
davvero così scontato se non ci fosse il precedente di
Venezia, ma di queste cose non le è permesso parlare fino a
quando la faccenda dell'energia della pietra non verrà
sistemata.
«Loro sono, beh... è un peccato che la gente li
consideri solo dei supereroi e che in molti non avranno occasione di
conoscerli personalmente. Sono i migliori fratelli maggiori che avrei
potuto desiderare» dice con un sorriso. «E poi
c'è anche la parte divertente e psichedelica. Hai idea di
cosa vuol dire avere a che fare con un super soldato della Seconda
Guerra Mondiale? Una di queste sere lo porto al cinema a vedere un film
in 3D per la prima volta... pensa, ai suoi tempi non c'era nemmeno il
colore!»
«Oh. L'altro giorno il Capitano Rogers è venuto a
trovare il signor Stark in ufficio» mormora Mike, ostentando
una certa noncuranza. «Era, come dire, in borghese, le
signore hanno apprezzato»
«Sì, immagino...»
«È molto... bhe, molto bello, se io fossi una
donna suppongo che lo troverei un gran figo...».
Nadia sta per scrollare le spalle. Certo, Steve è un gran
figo, anche Tony lo è, e – riuscendogli a dare una
sistemata – persino Bruce non scherza. E poi naturalmente
c'è Thor, e Clint... insomma, messi insieme sono un luna
park ormonale. E poi c'è Natasha che è tipo la
dea della bellezza scesa in terra.
«... cioè immagino che agli occhi di una donna
nessuno regga il confronto, e...» continua Mike, titubante.
La ragazza rimane impietrita per un secondo, poi sente una vampata di
calore salirle fino al volto. Probabilmente ora ha persino i capelli in
fiamme, come Ade nel cartone della Disney.
Mike le sta davvero chiedendo se le
piace Steve?
«NO!» esclama, troppo forte, tanto da far girare i
presenti nel raggio di dieci metri. Perché il pavimento non
si apre e non la inghiotte? Perché la testa non le si stacca
da sola e rotola via?
Ora Mike ha l'aria di uno che vuole rompere a testate la vetrina.
«Ti prego, scusami...» farfuglia lui.
«Scusa, è che quando mi hai parlato del tuo
momento di dubbio e perplessità e del fatto che ci voleva un
po' di tempo... io ho pensato che non fossi completamente libera. E lo
capirei Nadia, cioè persone come Steve Rogers
sono...».
La sua mente adesso è una casa nel bel mezzo di un
terremoto, tutto romba, scricchiola, trema, le pareti si crepano e la
cose cadono. I pensieri si ammassano, si confondo, si spezzano e poi si
perdono in mezzo alla polvere e diventano irriconoscibili.
La ragazza prende un grosso respiro, afferra la mano di Mike e lo
trascina verso una panchina incastrata tra due vasi di felci di
plastica.
E un minuto dopo gli sta parlando della pietra. Non può
dirgli di Loki, del possibile attentato alla Terra, deve omettere
più cose di quante vorrebbe e alla fine il tutto sembra
suonare come una specie di malattia per la quale si sta cercando una
cura.
Fury mi
ucciderà. Mi farà a pezzi, poi li
rimetterà insieme e mi farà a pezzi di nuovo. E
poi mi metterà in scatole di cibo per cani...
La scusa ufficiale è che quella pietra sia una sorta di
incidente di laboratorio. Del resto è talmente assurdo che
Mike non riuscirebbe nemmeno a farle domande specifiche.
Quando termina il suo racconto si aspetta che il suo intrlocutore si
alzi e scappi via terrorizzato. Ma lui ora la sta guardando ammirato,
con un interesse ancora più acceso, che non è
l'interesse di un ragazzo che ha deciso di fare la corte a una sua
coetanea. È qualcosa di diverso e Nadia si sente quasi a
disagio. E poi non vede più la faccia di Mike o i suoi
occhi, né riesce a pensare alla sua espressione,
perché lui si sporge verso di lei e la bacia.
Dopo Nadia si chiederà cosa significa quel bacio. Se era un
vano ma ammirevole «non ti preoccupare, ci sono qui
io» o se era un folle e immeritato «sei una
grande!». Adesso non lo sa, non riesce a capirlo e adesso nemmeno le
importa.
*
L'istinto è un'arma a doppio taglio, per questo lui ne ha
sempre diffidato. Istinto
è il contrario di astuzia.
Loki vorrebbe trovare una ragione precisa per quel suo continuare a
camminare, perché l'idea di fare qualcosa senza motivo lo
irrita. Eppure continua a mettere un piede avanti all'altro, la strada
che porta al centro cittadino è lunga e quasi del tutto
deserta.
È comunque piacevole essere all'aria aperta, lontano dalla
selva di sguardi ostili degli agenti dello S.H.I.E.L.D e
dall'aria perennemente sospettosa di Clint Barton.
La strada lo conduce in un'area piena di capannoni, edifici bassi e
squadrati che disegnano una scacchiera di vie grige attraversate da
grossi camion. Un enorme cono di cemento svetta sull'intera zona,
proiettando un'ombra lunga come un gigantesco artiglio; dalla
sommità del cono esce una spira di fumo denso, come una
nuvola arpionata alla pietra. Il fumo mangia l'aria, la brucia,
l'avvelena.
Loki passa le dita tra le frange della sciarpa di seta, il suono
ovattato di una sirena interrompe il corso dei suoi pensieri e una
manciata di minuti dopo le piazzole davanti ai capannoni sono affollate
da uomini vestiti con tute sudice, loro non fanno caso a lui, si
raccolgono in gruppi attorno a panchine di metallo e cominciano a
mangiare, parlando rumorosamente.
Ecco l'umanità che si trascina ora dopo ora, giorno dopo
giorno nell'inettitudine, pensa Loki, quegli uomini, che mai vedranno
nulla di straordinario o importante nella loro piatta esistenza sono
troppo impegnati a consumare pane e normalità per accorgersi
che un dio sta passando in mezzo a loro.
Continua a camminare e si lascia alle spalle il grigio dei capannoni
per precipitare in un labirinto di grigio misto a colore –
colore di auto incolonnate davanti a un semaforo; di insegne
pubblicitarie e graffiti sui muri e gente indaffarata che si accalca
sui marciapiedi.
Deve ammettere con se stesso che conosce davvero poco di quel mondo, ma
quel caos che ha ora davanti agli occhi gli fa passare ogni intenzione
di aiutare a difenderlo. Poi si ricorda che non sta aiutando Midgard e
meno che mai i suoi baldanzosi paladini, sta aiutando se stesso e
nient'altro. E di certo si presenterà l'occasione di trarre
profitto da quella inattesa circostanza.
Prosegue senza una meta precisa tra le strade trafficate. Ne attraversa
una senza far caso alle auto, il conducente di uno di quegli
ingombranti mezzi di trasporto frena facendo stridere le ruote
sull'asfalto, gli lancia qualche improperio sporgendosi con la faccia
dal finestrino. Loki volta appena il capo verso di lui, basta
un'occhiata e l'uomo ammutolisce, stringe nervosamente le mani attorno
al voltante e torna dentro, abbassando lo sguardo.
Io sono un dio, ottusa
creatura...
Il cielo comincia a imbrunire, i lampioni si accendono e New York
diventa scintillante come un cristallo di vetro. Ma in quel luogo
cambia solo il colore del cielo, tutto il resto rimane uguale, la vita
di migliaia di individui spalma colori effimeri contro le superfici
grigie per poi sparire dietro un angolo ancora più grigio,
ancora più fumoso, con una sorta di infinito movimento
circolare.
Quel dannato piccolo mondo è così misero...
Una luce brilla sopra le altre, a testimonianza della sbruffonaggine di
chi l'ha accesa. La scritta STARK in cima alla torre sembra galleggiare
nel cielo di New York, incombere sulla mediocrità del resto
dei suoi abitanti come un'illusione di grandezza.
Loki si ferma accanto a un chiosco di giornali e guarda l'enorme
edificio. Ricorda lo squarcio aperto in mezzo al cielo, proprio sopra
la guglia, ricorda e non sa se il pensiero di esserci andato
così vicino debba farlo sorridere o infuriare.
A dirla tutta, ora gli sembra che quel mondo stia ridendo di lui...
La sente la risata, un suono distinto in mezzo al rumore della
città. Riconosce il timbro della voce, ma quella voce lui
non l'ha mai sentita ridere.
Sposta lo sguardo con uno scatto.
Nadia.
La ragazza sta scendendo da un taxi, seguita da un'altra persona. Sta
ridendo, sta ridendo davvero, con il capo reclinato all'indietro e lo
sguardo brillante.
L'altra persona è un ragazzo, e anche lui ride. Oh,
dev'essere quello dell'appuntamento, quello che era lì in
quei due mesi mentre lui non c'era.
Il ragazzo si sporge verso il taxi e fa cenno al conducente di
aspettare, poi si volta verso Nadia, le dice qualcosa che Loki non
riesce a sentire, lei annuisce.
Il dio sa che non dovrebbe importargli di quella scena, che
è solo un altro misero spaccato di umanità, e di
fatto non è la scena in sé che lo tocca, quanto
il sapere che è un caso, un caso molesto e sfortunato, uno
di quei maledetti tiri mancini del destino, se il ragazzo è
lì, se è stato lì al suo posto.
Quale posto?
Loki sorride malevolo, sta per fare un passo fuori dal cono d'ombra
proiettato dal chiosco di giornali e dirigersi verso i due ragazzi.
I due mesi sono passati.
Ora qui ci sono io, è il mio posto...
Il suo posto. Qualsiasi esso sia, qualsiasi cosa significhi.
Allunga il primo passo, lo sguardo fisso sui due. E il ragazzo si
china, poggia le labbra su quelle di Nadia. Loki si ferma mentre li
guarda scambiarsi un bacio rapido a fior di labbra.
Capisce: quello non è il suo posto, non lo è mai
stato davvero.
Non importa. Non importa affatto...
Non importa...
Non è lì né per la felicità
della ragazza né per la propria, rammenta a se stesso.
Si volta e si allontana, lasciandosi inghiottire dai rumori della
città.
*
Sangue...
Ha imparato a
riconoscerne l'odore salato, ferruginoso. Odore di morte, di paura, di
pericolo.
La sua vista impiega
qualche secondo ad abituarsi alla penombra di quel luogo, l'aria fredda
le punge la pelle.
Una sagoma si erge in
mezzo al vuoto, i colori sembrano brillare come se la figura splendesse
di luce propria, un cupo bagliore dorato che mette in risalto il verde
dell'ampio mantello, la doratura delle placche dell'armatura.
«Loki?».
Nadia lo chiama con voce tremula e titubante.
Il dio volta appena la
testa nella sua direzione. L'elmo lo fa apparire ancora più
imponente. E minaccioso.
La ragazza odia vedergli
addosso le insegne del suo potere, le rammentano quanto lui sia...
alieno.
È forse uno
di quei sogni in cui lui si intrufola per parlarle al riparo da
orecchie ed interferenze estranee?
«Loki?».
Vorrebbe toccarlo, posargli una mano sul braccio per richiamare la sua
attenzione, ma è stranamente sicura che se lo toccasse si
scotterebbe.
Il dio si volta verso di
lei, ha un'espressione indecifrabile, i suoi occhi sembrano stranamente
vuoti. Allunga una mano e le prende il mento tra le dita.
Continua a restare muto.
Il tocco di quelle dita
è stranamente caldo, non è così che
Nadia lo ricordava. Del tocco della pelle di Loki le è
rimasta impressa quella sensazione di fresco, un fresco quasi
piacevole. Ricorda con un certo languore quella freschezza che svaniva
per lasciare posto a un calore tiepido, la sera in cui l'aveva bloccata
contro il muro del rudere di Venezia e l'aveva baciata.
Ma quel calore che passa
adesso attraverso le sue dita è diverso, è
appiccicoso, innaturale, viscido. È come...
Nadia si sottrae alla
sua presa e il calore le rimane sulla pelle. Guarda le mani di Loki e
le scopre imbrattate di sangue non ancora rappreso. Si tocca le guance
dove lui ha passato le dita e scopre di esserne imbrattata anche lei.
Lo fissa sgomenta, di
uno sgomento muto che vorrebbe diventare un grido ma che non trova
voce.
«Tu non... non
devi essere per forza così...» balbetta dopo
qualche secondo, poi si guarda attorno e allora vede.
Vede i corpi riversi sul
pavimento. Volti già sbiaditi dal pallore che segue la
morte.
Tony, Steve, Natasha,
Clint, Bruce, Thor, Pepper, Jane... e Mike, proprio ai piedi di Loki.
Il dio sorride, in quel
modo che farebbe tremare la terra, si china su di lei e l'afferra prima
che possa ritrarsi.
«Questa
è il valore di una promessa fatta dal dio della
menzogna» sibila, prima di stringerla e di posare brutalmente
le labbra ghignanti sulle sue. Nadia prova a gridare contro
la sua bocca, ma il grido impiega lunghi secondi a prendere forza...
«Sono le nove del mattino» annuncia Jarvis.
«L'ho svegliata, come mi aveva chiesto, signorina».
Nadia si alza di scatto, la bocca ancora spalancata. Dalla sua gola
esce solo un gemito disarticolato e lei si tasta febbrile le guance
dove sente qualcosa di caldo scivolare sulla pelle.
Non è sangue, sono lacrime. Ha pianto nel sonno.
Si porta le ginocchia al petto e si rannicchia su se stessa. Sente
ancora l'odore del sangue nell'aria e un dolore pulsante alla pancia.
Oh, santi numi...
Scosta le coperte e vede la macchia allargarsi sulla stoffa della
camicia da notte. Alza gli occhi al cielo e sospira.
«Sta bene, signorina?» chiede Jarvis
«Ciclo mestruale. Crea incubi da quando una tizia si
mangiò una mela...» borbotta lei, alzandosi e
correndo in bagno.
«Jarvis» esclama, cercando vestiti puliti.
«Parlami, raccontami qualcosa».
«Cosa preferisce sentire, signorina?».
Qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa purché lei non debba stare sola e in
silenzio. In quel silenzio le immagini dell'incubo tornano a comparirle
davanti agli occhi e lei si sente terrorizzata.
E domani vedrà Loki per cominciare a risolvere la situazione
della pietra, non può permettersi di essere impaurita. Non
ha mai avuto davvero paura di lui nella realtà, non
può averne paura nei sogni!
E comunque... lei, Loki, gli Avengers, tutti a lezione di magia.
Delirante.
Jarvis attacca una tiritera tipo guida turistica di New York. Si
interrompe dopo dieci minuti per annunciare che l'ospite che Nadia
aspettava è alla porta.
*
T-a-x-i.
Taxi. Thor cerca di mandare a memoria la parola mentre cammina verso la
Stark Tower. L'edificio è a pochi isolati dalla palazzina in
cui alloggia Jane ed è visibile da qualsiasi angolo del
quartiere, non c'è pericolo che si perda. E ad ogni modo,
ricorda fin troppo bene quella zona della città.
Non si sente per niente a disagio con quegli abiti così
diversi da ciò che è solito indossare. Non si
è mai sentito a disagio su Midagard, nemmeno durante il suo
esilio.
Entra nel palazzo e prende l'ascensore fino al penultimo piano.
«Benvenuto, signore» dice la voce dello spiritello
che infesta i marchingegni di Stark. «Preferisce forse che mi
rivolga a lei con un altro titolo?».
Thor dovrebbe dire che a casa sua, di solito, viene chiamato principe,
ma non trova la cosa particolarmente rilevante e di sicuro in quei
giorni non si sente molto principesco.
«Va bene anche solo... Thor, o figlio di Odino, oppure, non
so, fai tu mio incorporeo amico» dice, bussando alla
porta.
«Andrebbe bene anche Boccoli d'oro» aggiunge Nadia,
aprendo.
«Ma, signorina, Boccoli d'oro è un soprannome
ilare inventato dal signor Stark, io non oserei tanta
confidenza» protesta la voce.
La ragazza scuote la testa,
«Scherzavo, Jarvis».
Thor è contento di vedere Nadia, di vederla da solo e di
trovarla di buon umore. Un buon umore che sarebbe lieto di condividere
ma che gli eventi gli hanno quasi del tutto portato via.
Si sente così in colpa e così dannatamente
inutile.
La Terra è minacciata a causa sua e lui non sa che fare per
dare una mano – fino a quel momento gli uomini di Fury se la
stanno cavando bene anche senza il suo ausilio – e ad ogni
risveglio sente pesare sul cuore il segreto, i piani di suo padre per
Loki. Loki poi... vorrebbe riuscire a parlargli, vorrebbe poter fare
come a Venezia, prenderlo da parte e riuscire a imporgli almeno per
qualche minuto la sua presenza, ma questa volta non ci riesce. Questa
volta, quando gli capita di pensare a suo fratello, riesce a vedere
davvero il baratro che si è creato tra di loro; quando la
sua mente indugia su Loki la consapevolezza di averlo perso davvero si
innalza come una scogliera, un muro indistruttibile contro il quale si
vanno a infrangere tutte le sue speranze. Lo ha perso perché
sa che qualsiasi cosa lui deciderà di fare, Loki
sarà finito. Non importa se c'è ancora un'ultima
battaglia da combattere assieme, non importa se avranno ancora qualche
occasione di parlarsi, Loki non tornerà... non
tornerà ad essere suo fratello – anche se questo
era ovvio da diverso tempo. Non tornerà a far parte della
sua vita, in un modo o nell'altro, dopo quell'avventura le loro strade
si separeranno per sempre.
Thor si chiede in continuazione se accettare la soluzione proposta da
Odino sia l'ultimo atto di misericordia o se sia il tradimento
definitivo nei confronti di Loki. E ciò che gli fa
più orrore è il rendersi conto che trovare una
risposta a quella domanda non farebbe alcuna differenza.
«Sicuro che a Jane non dispiaccia?» domanda Nadia,
facendogli strada all'interno della casa.
«Oh, no di certo. Stamane era impegnata in una... videochiamata con
la gente del posto in cui lavora» risponde lui. «E
poi, sei mia amica, volevo parlare con te... noi, non lo abbiamo ancora
fatto da quando sono tornato».
Nadia sorride con una punta di irriverenza,
«Tu e Jane avevate bisogno dei vostri spazi»
replica, con un'occhiata complice. «Immagino tu non abbia
parlato granché nemmeno con Loki»
«Immagino che Loki non voglia parlarmi. E stavolta davvero
non so che dirgli».
Thor abbassa gli occhi, sospira prima di aggiungere: «E tu,
hai avuto modo di parlare con lui?».
Nadia si siede sul divano e gli fa cenno di accomodarsi. Si mordicchia
il labbro con un'espressione che sembra quasi colpevole.
«Non troppo. È particolarmente astioso da quando
è tornato, e lo capisco... ho passato mesi interi
a pensare che fosse sparito di proposito. Gli ho chiesto
scusa e il giorno dopo l'ho spalmato contro il muro... già
in condizioni normali, non è particolarmente incline al
perdono».
A Thor scappa un sorriso amaro. No, Loki non è incline al
perdono, non lo è affatto.
«Non è in collera con te, ne sono certo. Temo che
tu lo intimorisca»
«Certo, l'ho mandato gambe all'aria e...»
«No, intendo dire che...». Thor esista. Non
è mai stato bravo con le parole e non ritiene di dover
condividere con Nadia le sue illusioni solo per sentirsi rassicurato o
per convincerla di qualcosa che non è la verità,
ma se lei è davvero l'unica speranza di salvare Loki nel
miglior modo possibile, lui non può perdere quell'occasione.
«Ah, Nadia... per quanto Loki si sforzi di esserlo, non mi
è così estraneo, io lo conosco. In
gioventù era inviso a molte persone alla corte di mio padre,
non è mai stato in grado di conquistarsi il favore degli
altri perché non ha mai fatto nulla per gli altri
e...».
Nadia si alza di scatto e gli dà le spalle. Thor si chiede
se non abbia esagerato o se non abbia parlato a sproposito.
«E invece per me si è fatto catturare e torturare,
rischiando anche di essere ucciso, lo so» dice la ragazza,
amareggiata. «E questo vuol dire tanto per me ma, Thor, non
posso essere l'eccezione che conferma la regola del suo odio verso
tutto e tutti»
«Non sempre le eccezioni confermano le regole, a volte sono
il punto di partenza per cambiarle. Non si tratta solo di quello che
Loki ha fatto per te, si tratta di quello che tu hai fatto per lui. Se
mio fratello avesse incontrato in passato persone disposte a guardare
oltre, adesso forse...».
Thor vede lo sguardo di Nadia incupirsi e fissarsi su un punto lontano,
oltre la vetrata, come se stesse andando a scandagliare le ferite della
città lasciate dal passaggio di Loki.
«Lui aveva bisogno di te, ha ancora bisogno di te»
afferma il dio del tuono. «Ed egoisticamente, io ho assoluto
bisogno di credere in questo. La strada che Loki ha imboccato
è un vicolo cieco e quando ne vedrà la fine
vorrei che vedesse una luce in mezzo al buio che si è creato
intorno. So che tu desideri lo stesso, altrimenti non avrei osato
affrontare un simile discorso».
Nadia torna di nuovo verso il divano, si siede accanto a Thor e gli
posa la testa sulla spalla.
«Hai ragione» gli mormora. «Ma
è giusto che tu ricordi che nessuno può salvare
Loki, nemmeno io. Meno che mai io, anzi».
Nella malinconia con cui la ragazza pronuncia quelle parole ci sono
tutte le risposte che Thor stava cercando. Non sa se Nadia e Loki
troveranno mai una strada che possa andare bene per entrambi,
probabilmente no, ma lei è ancora una volta la conferma a
ciò che lui ha sempre desiderato di poter affermare: Loki
non è un mostro.
___________________________________________________________
Note:
“Sto
scrivendo di un branco di idioti!”. Il mio primo pensiero
dopo aver
finito questo capitolo. Ma del prossimo sono notevolmente
più contenta.
Questo
è uno dei capitoli che mi soddisfa di meno. Spero almeno che
l'exploit di Thor non sia troppo OOC...
Intanto,
colgo di nuovo l'occasione per ringraziarvi tutti perché
siete sempre in tanti e il vostro entusiasmo mi riempie di voglia di
andare avanti con questa storia.
Grazie *_*
Per
curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
A
venerdì prossimo con l'aggiornamento.
|
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Capitolo 14 *** Resistance ***
Capitolo tredicesimo
Resistance
Sapeva che non sarebbe stato facile, che avrebbe potuto essere
pericoloso. Sapeva anche che avrebbe resistito, ed è
esattamente quello che sta facendo.
Sapeva tutto questo, anche molto prima di New York, degli Avengers e di
Loki.
Pepper continua a correre, pesta forte i piedi sulla ghiaia. I piccioni
volano via al passaggio di quella sottile donna in tenuta da jogging,
con la coda di cavallo di quel biondo ramato che dondola dietro la sua
testa come il pendolo di un orologio.
Non c'è rabbia nella foga che la spinge a continuare ad
andare – ha già prolungato la sua sessione di
corsa mattutina di un quarto d'ora – ma non ha molta voglia
di tornare a casa. Stavolta lei non è inclusa nel progetto,
stavolta Tony ha preferito tenerla fuori: prenditi una vacanza,
le ha detto , prova
l'inebriante vita della casalinga, solo per qualche settimana.
Tony è spaventato, lei lo conosce, può leggere
ogni cambio di umore, ogni sfumatura di emozione nel più
impercettibile battito di ciglia di quell'uomo. Stavolta si tratta
della paura che il brillante signor Stark prova sempre quando non ha il
totale controllo della situazione.
Hanno dovuto spegnare i reattori Arc, smontarli e tenere i pezzi
separati in depositi sparsi in ogni angolo del Paese – alcuni
sono finiti anche da qualche parte in Canada. Le ubicazioni dei vari
componenti sono assolutamente top-secret, nemmeno lei ne è a
conoscenza, nemmeno Tony. Solo lo S.H.I.E.L.D. sa dove si trovano. Ora
la Stark Tower funziona con normalissima energia elettrica.
È per evitare che si ripeta quello che è
già accaduto durante l'attacco dei Chitauri a New York.
Ci sono nuove minacce. E Tony ha paura. Dopo essere quasi morto per
deviare un missile nucleare lanciato su Manhattan, dopo che gli ultimi
nemici piovuti dal cielo erano demoni di fumo che avevano preso
possesso del suo corpo... e non era stato lui a salvarla, era stata
Nadia a costo della propria vita. E adesso Tony vuole proteggere
ciò che ama a tutti i costi, vuole proteggere ciò
che gli appartiene, i rettori Arc, e lei, e Nadia, ma ha in mano solo
un pugno di mosche con cui combattere, almeno per il momento.
E come se non bastasse, il congelamento del progetto sui rettori usati
come energia alternativa sta facendo perdere un sacco di soldi e di
tempo alle Stark Industries e ha messo lei, la brillante, efficiente,
energica Pepper Potts in condizione di sperimentare l'inebriante vita
della casalinga. Del resto, ora che non ha più
quel progetto su cui lavorare le resta ben poco di cui occuparsi: il
gemellaggio con la Golden Hope e i preparativi per il party. E Tony,
come sempre.
Non sa quando è successo, quando ha capito di amarlo. Forse
quando si è resa conto di non sentirsi mai stanca, dopo i
mille guai che lui ha combinato e a cui lei ha dovuto trovare una
soluzione – spesso in tempi umanamente impossibili. Forse
quando ha cominciato a sentire un dolore sordo dentro sé,
ogni volta che una donna mezza nuda usciva dalla camera da letto di
Tony, quando lui era già sgattaiolato via per andarsi a
rifugiare nel suo laboratorio per non doversi assumere l'onere di
saluti imbarazzanti o di scenate isteriche. Di sicuro prima, molto
prima di quella volta in cui gli aveva dovuto sostituire il primo
reattore Arc incastrato nel petto e gli aveva sentito dire che lei era
tutto ciò che aveva.
Pepper respira a pieni polmoni l'aria di Central Park che sa di erba e
resina.
Non sa quando è successo, non le importa. Sa che ha fatto
una scelta e ha intenzione di prestarvi fede.
Decide che la sessione di jogging è durata abbastanza, che
non ne può più della maglietta appiccicata di
sudore e fa dietro front.
Torna a casa e sente la voce di Jarvis parlare con qualcuno. Trova
Nadia seduta sul divano dell'open space, china sul tavolino ad
armeggiare con qualcosa.
Nadia che quella mattina ha la sua sessione di allenamenti nuovi.
Tony ha passato la nottata a sistemare la nuova armatura giusto per
l'occasione, perché ha detto che vuole tenere alta la
guardia, che non si fida di Loki. Pepper ha cercato di non pensare al
dio tornato dall'inferno, la sola idea di Nadia impigliata in quel
casino è abbastanza angosciante, ma non vuole essere
pessimista.
«Sorpresa!» esclama la ragazza, voltandosi verso di
lei con un sorriso.
«Ehi, ciao. Cosa stai facendo?»
«Oh, è un lavoretto che ci tenevo a
finire» dice Nadia. «Ci ho lavorato per un po',
ieri».
Per ieri intende certamente quella notte. Nemmeno lei dev'essere
riuscita a dormire e ognuno scarica la tensione come può,
ognuno si prepara al peggio cercando di fare il proprio meglio. Il
meglio di Tony è la tecnologia, il meglio di Nadia sono le
fotografie.
Pepper si sente un po' sciocca ora che si rende conto che non ha mai
visto foto scattate dalla ragazza che le ha salvato la vita. Che
è strano, che spesso quando qualcuno ha una grande
importanza per noi tendiamo a guardare solo i particolari macroscopici
e ci lasciamo sfuggire un sacco di dettagli piccoli ma non per questo
insignificanti.
Pepper si è sempre preoccupata di rendere piacevole il
soggiorno di Nadia a New York, di offrirle una spalla salda, qualche
consiglio amichevole, ma forse non è riuscita a conoscerla
davvero, troppo presa dall'immensa gratitudine che prova per lei,
troppo presa dalle cose grandi – come è sempre
stata – per ricordarsi che l'anima delle persone è
fatta di piccoli pezzi messi assieme come minuscoli tasselli di un
unico mosaico.
Ma quella mattina la ragazza deve cominciare una specie di
addestramento sull'utilizzo di un potere alieno che, suo malgrado, le
scorre in corpo, e ad addestrarla sarà la persona che ha
tentato di conquistare la Terra e uccidere Tony e le persone a cui
Nadia vuole bene. E, stando a quanto dice Tony, lei prova – o
provava – qualcosa di molto forte per Loki...
Ognuno ha la propria montagna da scalare, il proprio precipizio da
saltare. Pepper si sente fortunata, crede sempre di avercela fatta. Ma
Nadia?...
Ora Nadia le sta porgendo una cartellina e sorride. Ha gli occhi di chi
non ha dormito e dentro quegli occhi ha lo sguardo di una che
è pronta a tutto pur di farcela anche lei. Pepper sente un
po' di amarezza nel rendersi conto che non sa cosa in cosa esattamente
lei voglia farcela. Che non saprebbe nemmeno che parole usare per
domandarglielo.
Prende la cartellina che la ragazza le sta porgendo.
«E queste da dove saltano fuori?» domanda, stupita.
Ci sono decine di foto della sezione delle Stark Industries dove si
lavorava al progetto del rettore Arc, prima che Fury desse ordine di
smantellare tutto. Al centro dell'inquadratura c'è sempre un
nugolo di luce azzurrina che si spande sulle cose che ci sono attorno,
le foto non hanno tolto niente a quel particolare colore.
«Le ho fatte durante le prime settimane che ero qui, mi ha
accompagnata Mike. Avevo il permesso di Tony, naturalmente»
spiega Nadia. «Del resto la scusa ufficiale è che
io sia in America per un servizio fotografico sulle diavolerie delle
Stark Industries. Jarvis mi aiutato a ridimensionarle e stamparle al
massimo della qualità, ma ho conservato il cd dove ci sono
tutti gli scatti. Mentre i reattori sono smontati e sparsi per il
mondo, puoi comunque lavorare a qualche presentazione o preparare un
catalogo o qualcosa del genere...».
Pepper guarda le foto, stupita, poi guarda Nadia sorriderle. Per un
attimo le sembra che quelle foto siano una sorta di regalo di addio,
una specie di punto di interruzione al discorso. È una
sensazione priva di senso, eppure, anche se quell'inaspettata sorpresa
le ha fatto piacere, Pepper sente che c'è qualcosa di storto
in quell'episodio. Forse sta solo diventando paranoica – la
paranoia a oltranza è uno degli effetti collaterali dovuti
all'essere in stretto contatto con Tony Stark.
«Grazie, Nadia» replica sorridendo. «Ma
il tuo lavoro qui non è finito...»
«Ok. Ma prendile come un anticipo».
La donna guarda Nadia con un'aria leggermente perplessa e sente un gran
bisogno di abbracciarla, ma non fa in tempo perché Tony
riemerge dal suo laboratorio con l'armatura compattata in una specie di
grosso trolley.
«Buongiorno, miei raggi di sole!» esclama, mettendo
su un sorriso enorme. «Sei pronta Colombina?».
No, non sembra pronta. O forse lo è da sempre.
*
Loki prova un compiacimento quasi infantile nel rendersi conto dello
sguardo accigliato con cui Nick Fury lo fissa uscire quella mattina.
Adora ricordare a se stesso che nessuno ha ancora trovato una prigione
che possa contenerlo e che, a dispetto di ciò che vogliono
quelli dello S.H.I.E.L.D, lui entra ed esce da quel posto a suo
piacimento. Non possono trattenerlo, non possono controllarlo.
Ha ottenuto una piccola vittoria, la cosa lo diverte per un po', ma poi
si rende conto di quanto quella vittoria sia vana e priva di
significato e di come il grumo di rabbia condensato in fondo al suo
petto si agiti e graffi senza tregua. Adesso gli sembra un'arsura dalla
quale non riesce a trovare sollievo.
Sente il direttore Fury parlare con Barton e la Romanoff e
raccomandarsi di tenere gli occhi aperti e di riferire ogni minimo
dettaglio di quello che accadrà quella mattina e di non fare
complimenti: hanno a disposizione tutti i rinforzi che gli servono,
basta uno schiocco di dita e il mostro può essere a tiro di
decine e decine di fucili.
Loki non sa quanto margine di resistenza ha effettivamente contro le
armi di Midgard e di certo non ha voglia di scoprirlo. Di certo
può resistere a tutti loro molto di più di quanto
loro possano resistere a lui. Ma anche questa non è una vera
e propria vittoria, non ha niente tra le mani, i suoi nemici prosperano
e le labbra che dovrebbero profondersi in lodi e ringraziamenti al suo
indirizzo sono impegnate a regalare baci a un altro.
Pensare alla vendetta non gli è di alcun conforto, non in
quel frangente. Non ha armi con cui combattere e non ha appigli con cui
cominciare a tessere piani.
Ora potrebbe semplicemente rifiutarsi di andare ad aiutare la ragazza,
arrivare a destinazione dove lei lo aspetta insieme ai suoi nuovi e meravigliosi amici
e mentire, dire che si è sbagliato, che non può
fare niente per lei. O dire la verità, che si rifiuta di
prestarsi a quel gioco. Ma non lo farà, lo sa, lo sente, e
il grumo di rabbia nel suo petto comincia a pulsare.
Ecco, ecco cos'ha, un buco nero di rabbia e buio al posto del cuore.
Di chi è la colpa? Loki ha sempre pensato di avere una
risposta per questa domanda, ma adesso tutto sembra molto
più confuso, molto più grande, al di
là della sua stessa mente. Ora che alla rabbia comincia a
sommarsi un'indicibile frustrazione, tutto diventa fumoso e sfuggente
come nebbia nei suoi pensieri. La fiamma dell'odio è ancora
un fuoco indistinguibile dentro di lui ma è una luce che
appare sfocata in mezzo al fumo di sentimenti e idee che non riesce a
distinguere.
Continua a camminare verso l'uscita, quasi senza accorgersi dell'agente
Barton e dell'agente Romanoff che lo seguono e lo pilotano verso
un'enorme auto scura. Si siede sul sedile posteriore mentre loro
montano davanti, si lascia cadere contro lo schienale e osserva il
mondo scorrere, velato dall'ombra dei finestrini oscurati. È
solo vagamente consapevole dello sguardo che l'agente Romanoff tiene
puntato su di lui attraverso lo specchietto retrovisore.
Il luogo di destinazione scelto per l'incontro con Nadia è
lo stesso bosco in cui il varco aperto dalla pietra lo ha risputato
quando è scappato dal pianeta dei Chitauri. Loki non si era
accorto del fatto che ci fosse un'abitazione, non ha fatto in tempo.
La casa ha un tetto a spiovente e un patio di legno. Sotto al patio la
squadra dei Vendicatori al completo è schierata accanto a
Nadia, ma hanno un che di ridicolo. Thor indossa abiti da midgardiano
– è quasi oltraggioso, considerando che ha
comunque il Mjolnir a portata di mano – e Bruce Banner
è appoggiato a un parapetto di legno, con la sua aria
innocua e stupida.
Gli Avengers in abiti civili. Loki non sa se deve prenderlo come un
insulto o come una dimostrazione di accettazione. Nessuna delle due
cose gli è gradita.
Pensa che sarebbe appropriato ricordare comunque che sono inutili
quanto le foglie cadute in terra, che sarebbe normale mormorare un
freddo «cominciamo» e lasciare che tutto venga da
sé. Ma non ce la fa, come non ce l'ha fatta ad andarsene e
basta, come non ce l'ha fatta a combattere contro i Chitauri correndo
il rischio di non poter tornare indietro.
La rabbia dentro il suo petto esplode come un incendio e i suoi occhi
devono lanciare fiamme quando si china a guardare Nadia
perché lei sussulta anche se quasi impercettibilmente.
«Dateci cinque minuti» dice, continuando a guardare
lei e non gli altri, non gli Avengers, perché di loro non
gli importa nulla e di certo quella non vuole essere una richiesta.
Sente come un sospiro che suona quasi come sfrigolio elettrico sfuggire
all'unisono alle labbra dei sei eroi, ma nessuno dice niente e Nadia fa
un passo verso di lui e lo segue dal lato opposto dello spiazzo di
erba.
Non sa bene cosa dirle, in realtà. Si sente in dovere di
prepararla, di rassicurarla forse.
«Farà male» le annuncia. Ridicolo: non
è per niente rassicurante.
«Sì, certo. Dopotutto devi pur trovarci qualcosa
di divertente».
Lui la fissa crucciato,
«Se trovassi divertente farti del male, adesso forse non
saresti qui»
«Questo dovrebbe essere rassicurante?»
«No, dovrebbe essere...
lusinghiero».
Nadia sorride e scuote la testa, poi solleva una mano e gliela posa sul
braccio. Loki non riesce a fare a meno di notare quanto quel gesto sia
inconsueto; quando erano a Venezia sembrava stomacata alla sola idea di
lasciarsi guardare, da quando è tornato l'ha sentita
così distante, ad una lontananza indefinita che gli
è parsa irraggiungibile. Ma non è tanto il gesto
a stupirlo, quanto le parole della ragazza.
«Mi fido di te» gli mormora. «So che ce
la farai ad aiutarmi».
Potrebbe sorriderle di rimando e mostrarsi contento, ma la rabbia che
urla dentro di lui gli asciuga il sorriso e glielo porta via dalle
labbra.
«Devo ritenerla pazzia o ingenuità?»
sbuffa.
«Si tratta di logica. Uno non si fa torturare per tornare ad
aiutare qualcuno che non vuole o non può davvero
aiutare» replica lei. Lei che sa, che comprende con quella
sua logica sentimentale affilata come uno stiletto, pericolosa e
detestabile.
È vero, il gusto di farle del male gli è sparito
da tempo ma si sente piuttosto sollevato quando alza una mano verso di
lei e sente l'energia premergli contro il palmo, e sa che
può fare qualsiasi cosa. E quello che sceglie di fare
è trasformare l'energia in qualcosa di molto simile al fuoco.
L'urlo di dolore di Nadia è così acuto e
straziante da far volare via un nugolo di uccelli. Lei cade in
ginocchio davanti a lui, sollevando uno sbuffo di polvere e prima che
Loki se ne renda conto Stark gli è addosso e lo getta a
terra.
«CHE COSA STAI FACENDO?» gli urla. La rabbia fatta
persona, al confronto il mostro verde che si annida sotto la pelle di
Banner è nulla.
«Sto facendo quello che devo» risponde Loki, la
voce gli esce a fatica perché l'uomo di metallo gli tiene la
mano serrata attorno alla gola.
Gli altri Avengers sono raccolti attorno a Nadia e cercano in maniera
confusa di fare qualcosa, Banner sta persino armeggiando con il
contenuto di una borsa da medico.
Loki scorge il viso della ragazza tra le gambe dei suoi maldestri
soccorritori, è rosso per la tensione e trasfigurato dal
dolore.
Combatti. Sei una
guerriera, combatti...
Lo pensa con tutta l'intensità di cui è capace,
riuscendo quasi a non sentire i ringhi di Stark chino su di lui che gli
ripete di smetterla, come se potesse condensare quel pensiero in
qualcosa di concreto e farlo giungere fino a lei.
«Deve... fermarlo da... sola» riesce ad ansimare
Loki, che si sente soffocare sotto il peso dell'armatura dell'uomo che
gli è sopra.
A quel punto il dio dell'inganno cerca lo sguardo di Thor e,
curiosamente, lo trova. Lui è il solo che forse
può capire, è il solo tra tutti loro che
può in parte comprendere la magia, anche se ne diffida come
ogni perfetto
asgardiano.
Loki ha quasi voglia di ridere per quel momento di automatica e rapida
comprensione reciproca tra lui e l'individuo che seguita a chiamarlo
fratello.
Thor allontana gli Avengers da Nadia con un paio di bracciate e dice
qualcosa per calmarli, poi viene a togliergli Stark da dosso.
Nessuno sembra davvero calmo e Stark ancora si dibatte nella presa di
Thor. A Nadia scorre un rivolo di sangue da una narice e Loki comincia
a chiedersi se non sia il caso di fermare quella piccola dimostrazione.
Lo spettacolo attorno a lui è disturbante. Gli Avengers ora
sono a qualche metro da Nadia: Barton e la Romanoff si tengono l'uno
stretto al braccio dell'altra come se si stessero trattenendo a vicenda
dal gettarsi su di lei; Rogers sposta ansioso lo sguardo tra la ragazza
e Banner che sta cominciando a respirare in modo preoccupante; Thor
tiene fermo Stark dalla cui armatura si sente la voce artificiale del
robot che la anima dire qualcosa riguardo i parametri vitali di Nadia.
Loki rinuncia all'idea di interrompere quell'incantesimo. Sa che se lo
facesse, se lei non riuscisse a dimostrare di farcela da sola, tutti
loro non la lasceranno mai più in pace, e sono
già abbastanza asfissianti e invadenti adesso.
Combatti, Nadia,
combatti...
Come se lei avesse sentito i suoi pensieri, solleva un ginocchio e
pianta un piede a terra. Non riesce ad alzarsi, ma almeno ora si sta
sforzando di opporre resistenza. Il sangue stilla dal naso in minuscole
gocce color del rubino e si confonde alle lacrime di dolore.
No, decisamente non c'è niente di soddisfacente o divertente
in quello spettacolo.
Il tempo sembra arrestarsi, scandito solo dal sudore che imperla la
fronte di Nadia, si condensa in gocce salate e le scende lungo le
tempie. Sembra passare un'eternità, ma alla fine Loki sente
l'ondata di energia gonfiarsi e salire, gli altri non possono vederla,
ma lui può percepirla in tutta la sua brutale forza.
Nadia serra le palpebre e china il capo. Quasi con sgomento Loki si
accorge che lei la sta trattenendo perché non sa dove
indirizzarla e forse ha paura di colpire qualcuno e fargli del male.
Fa appena in tempo a realizzare tutto questo che Nadia apre gli occhi
di scatto e lui sente l'energia vibrare nell'aria, colpisce il tronco
di un albero e lo manda in frantumi.
La ragazza cade in avanti, puntellandosi sui palmi e tremando come una
foglia. Loki ha l'impulso di avvicinarsi, ma resta per un attimo a
fissarla titubante ed è Rogers il primo a planare su di lei,
come un rapace affamato di far del bene.
Non svenire, ragazza.
Non svenire, non mostrare loro che sei debole...
Steve Rogers le mette le mani sulle spalle e la scuote leggermente.
Subito dopo di lui ci si mette anche Banner, che le tasta il polso per
provare a calcolare la pressione.
«Sto bene» mormora Nadia con voce sofferta. Alza la
testa per guardare verso Loki, oltre la spalla del soldato. Loro due si
guardano negli occhi, tenendo gli sguardi incollati l'uno all'altro.
Stark si toglie precipitosamente l'elmo dell'armatura e si fionda su
Nadia, strappandola alla vista del dio.
Solo Thor sembra ricordarsi della sua presenza – e potrebbe
anche farne a meno. Gli si avvicina e gli tende una mano per aiutarlo a
rialzarsi. Loki ignora la mano del dio del tuono e si rimette in piedi
da solo, cerca di ignorare anche il suo sguardo, ma è
difficile, in certi frangenti gli occhi di Thor gli fanno davvero
montare la rabbia nel sangue.
«So che è stato difficile anche per te»
mormora il figlio di Odino.
«Perché mai avrebbe dovuto?» borbotta
Loki, tirandosi via la polvere dai pantaloni.
«Puoi ingannarmi su molte cose, ma non riuscirai mai a farmi
credere che ti piace farle del male o che non provi dispiacere per
tutto questo».
E questa baldanzosa sicurezza nel comprendere gli animi altrui adesso
da dove salta fuori? E ad ogni modo, cosa si aspetta che gli dica?
«Come sta la tua umana, Thor? Non me l'hai presentata quel
giorno al covo dello S.H.I.E.L.D, è stato molto sgarbato da
parte tua» dice Loki in tono mellifluo.
«Ho immaginato che non ti interessasse. Sei tu quello che
andava farneticando a proposito dell'inferiorità degli
umani»
«Giusto. Pensavo temessi potessi farle del male. Ma non
importa, avrò senz'altro occasione di incontrarla in un
altro momento».
Loki riesce quasi a sentire il ringhio prendere forma nella gola di
Thor,
«E' una minaccia?» tuona lui.
«Mi offendi ,
fratello. Ti sta così tanto a cuore la mia
redenzione eppure vedi malignità in tutto ciò che
dico. Vuoi forse ammettere che sono senza speranza?».
Loki si lascia scappare una risatina divertita e dà le
spalle al dio del tuono, avvicinandosi all'albero che Nadia ha
distrutto.
Quello era solo un esperimento, aveva bisogno di sapere quanta energia
lei riusciva ad accumulare, quanto potente potesse essere. Ora lo sa, e
sa anche che lei è molto più cosciente di quanto
si crede, l'ha sentita mentre cercava di trattenere l'esplosione per
assicurarsi di non ferire nessuno. Forse non sarà
così complicato insegnarle, forse basterà poco
per salvarla. Forse può insegnarle molto di più.
*
Non oppone resistenza mentre Steve la solleva tra le braccia e la porta
dentro casa.
Il suo primo pensiero vagamente coerente è per Bruce. Nadia
lo cerca con lo sguardo e lo trova accanto a lei, con le dita ancora
chiuse attorno al suo polso in una presa gentile.
«Tutto bene, dottore?» gli chiede con un sorriso
esausto. «Non abbiamo rischiato di vederci verde?»
«Abbiamo rischiato. Ma tutto è bene quel che
finisce bene, no?» risponde Bruce quasi con imbarazzo. Lei
pensa di capire a cosa stia pensando lui adesso, ha paura che se ogni
volta sarà così non riuscirà sempre a
reggere... lei più che altro spera che le lezioni future non
siano sempre così complicate.
Il suo secondo pensiero è per Tony. Dov'è? Sta
tentando di disintegrare Loki con qualche raggio alle particelle di
diamante? Gli è venuto un infarto?
E Loki? Stanno pensando tutti che sia un pazzo sadico? Stanno pensando
che si è divertito a vederla stare male?
Steve l'appoggia con cura sul divano. Nadia si rende conto di sentirsi
assai meglio di quanto avrebbe sperato. Si sente spossata e
indolenzita, urgentemente bisognosa di una doccia, ma sta bene.
Natasha versa del disinfettante su un batuffolo d'ovatta e le pulisce
il rivolo di sangue colato dal naso, con gesti delicati, come se
potesse rompersi. Clint si siede sul bracciolo del divano dove lei
tiene appoggiata la testa e la fissa con un mezzo sorriso,
«Almeno spero che non troverai più così
male le mie lezioni al poligono di tiro» dice in tono
sarcastico, per spezzare la tensione.
Nadia si sforza di ridacchiare e sente l'odore del disinfettante
salirle per il naso e pizzicarle la gola,
«Mi chiedo cosa facevano i celeberrimi Vendicatori prima di
avere me di cui prendersi cura» risponde. Fa un sorriso
tirato, lascia che loro le ronzino attorno come tante api operose, ma
per la prima volta pensa che forse Loki ha ragione, che quel loro
starle addosso è eccessivo e che potrebbe essere
asfissiante. Anche se li capisce e gli è grata per tutto
quello che fanno per lei. Ma vorrebbe poter alzarsi in piedi e
scherzare su quanto il peggio sia passato, solo che sa che se provasse
ad alzarsi la spingerebbero di peso contro il divano e le direbbero di
stare buona e riposare, che gli ha fatto prendere un colpo.
Si limita a sospirare e a chiudere gli occhi, godendosi qualche secondo
di silenzio in cui tutti zittiscono. Sente solo dei passi pesanti
avvicinarsi al divano e indovina trattarsi di Tony.
«Io e Jarvis abbiamo fatto un po' di analisi» dice
lui. «Naturalmente non salta fuori niente, e sembra che tu
stia scoppiando di salute».
«Tony, io sto scoppiando di salute»
«Certo che sì, Colombina» replica lui,
accondiscendente, appoggiando una mano fasciata di metallo sulle sue
che tiene abbandonate in grembo.
«Dov'è Loki?»
«Qui fuori, con Thor. Non sembra che stiano tentando di
ammazzarsi».
Nadia non sa a chi appartiene la mano che ora le sta accarezzando la
testa e le sta scostando dalla fronte i capelli sudati –
forse a Steve – sa solo che prova un tremendo senso di
rilassatezza e fa fatica a riaprire gli occhi.
Scivola verso il sonno quasi senza rendersene conto.
Quando si sveglia, c'è Thor seduto accanto a lei. Almeno,
capisce che è Thor dopo lunghi secondi in cui fa fatica a
mettere a fuoco la figura corpulenta seduta sulla sedia vicino al
divano, con il viso puntato nella sua direzione.
Il dio del tuono le sorride, un sorriso a metà tra il
sollievo e l'incoraggiamento. Non hanno più avuto modo di
parlare da quando lui è passato a trovarla alla Stark Tower
e da allora Nadia ha ancora la sensazione che ogni volta che Thor la
guarda vorrebbe dirle qualcosa che non può o non sa dirle.
È strano, probabilmente la ragazza si sbaglia
perché non è da lui fare il misterioso o tenere
gli altri all'oscuro di qualcosa, quella è un attitudine
dell'altro membro di quella famiglia problematica. A proposito,
dov'è Loki? Nadia lancia uno sguardo intorno a
sé, ma ci sono solo i Vendicatori, ognuno di loro munito di
una tazza fumante di quello che deve certamente essere il tè
verde di Bruce.
Beh, ogni ''famiglia''
ha i suoi problemi...
Nadia si mette a sedere e si accorge di stare bene, non c'è
traccia di dolore o di stordimento o di stanchezza. Come le crisi
passate, ogni volta che scaricava l'energia poi un attimo dopo tornava
tutto a posto.
Certo, il ricordo del dolore di poco prima le stringe lo stomaco e si
sente di nuovo come quando erano tutti chiusi in quella casa diroccata
a Venezia: la piccola umana in mezzo ai giganti. I tizi che sono con
lei nella stanza hanno salvato il mondo e lei ha paura del male fisico
che ha provato – che magari proverà ancora
– a causa della pietra. Di tutte le cose di cui dovrebbe
avere paura, le sembra proprio la più stupida, ma non riesce
a farne a meno.
«Ti senti bene?» Bruce si china su di lei, le tasta
il polso, le preme un palmo sulla fronte e le ficca in mano una tazza
di tè.
Nadia annuisce, sorride e si alza in piedi con cautela. Tutto bene,
quasi certamente non stramazzerà sul pavimento.
Lancia un'occhiata fuori dalla finestra e vede Loki in piedi,
appoggiato con un fianco contro il parapetto di legno del patio,
intento a fissare il bosco. Condividere ancora gli stessi metri quadri
cubi di aria con i Vendicatori deve essere troppo per lui.
Non provano a fermarla quando fa per uscire, ma è certa che
non le toglieranno gli occhi di dosso e che staranno tutti alla
finestra. Non importa, non ha segreti con loro, non ha niente da dire a
Loki che non può essere ascoltato da altri.
Non era sua intenzione prenderlo alle spalle, e nemmeno ci riesce,
perché il dio l'ha sentita arrivare, infatti alza appena la
testa quando lei si avvicina, anche se evita di guardare nella sua
direzione. È il modo che ha lui di dire che non ha ancora
fatto pace con quello che è successo.
«Ti ho portato questo, tieni» dice lei, porgendogli
la tazza. Fare un gesto gentile verso Loki e liberarsi
dell'insopportabile tè verde con una sola mossa, perfetto!
Lui è costretto a voltarsi, avvolge le dita affusolate
attorno al manico di porcellana e guarda distrattamente il liquido
fumante.
«Dovrebbe piacerti il tè, hai un'aria molto.. . inglese».
Non che la battuta sia densa di acume, ma almeno sembra sciogliere un
po' la condensa di brina che si forma tra loro due ogni volta che
succede qualcosa. Loki sembra essere davvero convinto che il suo
temperamento algido sia prova di forza e non si rende conto di quanto
invece sia lo specchio di una tremenda e dolorosa fragilità.
«Ho bisogno di te» dice Loki all'improvviso,
nell'intervallo tra due lunghe sorsate di tè – che
sembra bere con gusto.
Nadia non sa se mettersi a ridere o cominciare a urlare.
«Di passare del tempo con te» precisa lui, senza
scomporsi. «Pensavo che mi sarebbe stato chiaro il
funzionamento dell'energia ma non è così, tu sei
un caso del tutto eccezionale, un'umana che ha accesso un potere che
non è di questo mondo. Mi sfuggono ancora molte cose di
questa situazione».
Certo, è chiaro. E quel supplizio di poco prima cos'era? Un
esperimento?
«Oh. Bene, sono lieta che quello che abbiamo fatto oggi ti
abbia fatto capire che ci sono cose che non capisci» borbotta
Nadia, sospirando.
«Non ne ho alcuna colpa».
Spero che Hulk ti riduca
in poltiglia...
«D'accordo. Ti inviterei a casa mia, così potremmo
starcene sul divano a guardare Real Time e mangiare biscotti
ipocalorici e metterci lo smalto o farci la ceretta a vicenda... ma ai
miei coinquilini non piace la confusione»
«Che cos... oh, capisco. Dormi in un grande letto in mezzo a
Stark e alla sua compagna? Così ti tengono meglio
d'occhio?»
Nadia alza gli occhi al cielo e gli strappa dalle mani la tazza di
tè – che lui non ha ancora finito di bere
– poi si volta per tornare in casa.
«Ci vediamo domani, alla base dello S.H.I.E.L.D.»
conclude secca. «Mi porto qualcosa da leggere».
___________________________________________
Note:
Pepper.
Mi mancava il suo POV ed essendo la compagna di Tony io non posso che
adorarla. Per una volta ho voluto pensare al suo lato più
“fragile”,
a quello di persona in balia degli aventi a causa dell'ingombrante
nome dell'uomo che ama. Spero di non essere andata troppo OOC
Per
la serie “come mandare a monte tutti gli sforzi fatti per
sembrare
una fanwriter con un po' di sale in zucca”:
«Dovrebbe
piacerti il tè,
hai un'aria molto... inglese».
Ci credete che è da quando ho messo mano a A series of
unfurtunate
events che volevo scrivere questa battuta? Ok, ok, mi ritiro
nell'angolino a fare cinque minuti di vergognamento.
Ci
leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento.
Ciauz!
Per
curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e
tutto
quanto: HERE
*****
Oh, per la canottiera di
Odino! Mi accorgo solo ora che questo è l'ultimo
aggiornamento prima di Natale e il penultimo di questo anno - dove otto
mesi su dodici li ho passati scrivendo queste due fanfiction. Otto
mesi! E c'è ancora chi legge, inserisce nei preferiti, segue
e mi scrive. E io non so da dove cominciare a ringraziarvi! *____*
Auguroni di buone feste a
chiunque passi di qui!
|
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Capitolo 15 *** Sunshine and frost - part one ***
Capitolo quattordicesimo
Sunshine and frost
– part one
«Vuoi fare a botte, uomo di metallo?». Loki gli
lancia uno sguardo altezzoso, poi smette di badare a lui e comincia a
guardarsi attorno enfatizzando un'aria annoiata.
Tony deve reprimere l'impulso di assestargli un pugno su quel suo naso
diritto da principino.
«Ho trovato il cervo. È qui, è tutto a
posto» annuncia, parlando nell'auricolare, poi atterra
davanti a Loki e fa scattare verso l'alto la visiera dell'armatura per
poterlo guardare faccia a faccia.
«Eravate in pena per me? Quanta premura!» esclama
il dio, sarcastico.
«Dovrebbe lusingarti tutto questo interesse. La tua discesa
verso la follia non era cominciata con le carenze affettive?»
«Mi sembrava che si fosse giunti alla conclusione che non
occorre tenermi in gabbia. Non siete i miei custodi e io non sono
vostro prigioniero»
«No. Tu sei un latitante interspaziale che in un'altra
circostanza sarebbe stato condannato per crimini contro
l'umanità... o la galassia, quel che è».
Loki si liscia distrattamente il tessuto della casacca e scrolla le
spalle,
«Chissà cosa direbbe l'umanità se
sapesse che i Vendicatori piuttosto che vendicare scendono a patti con
i mostri» mormora con finta leggerezza.
«Chissà cosa direbbe il sindacato dei mostri se
sapesse che un suo egregio esponente è sceso a patti per il
bene di una singola persona. Sarebbe scomodo se in giro si sapesse che
hai un cuore» conclude Tony.
«Questa, signor Stark, è una supposizione affatto
vostra».
La vocina nella testa di Tony è entrata in loop, ripete
solo: non spaccargli la
faccia, non spaccargli la faccia, non spaccargli...
Lui sospira e arriccia le labbra, poi lancia a Loki una lunga occhiata.
Vorrebbe dire che più che una supposizione è una
speranza, e che lui stesso ha fatto molta fatica per arrivare a
partorire una simile idea, ma alla fine – e su questo anche
gli altri sono tutti d'accordo – per quanto possano temere
Loki e la sua attitudine all'intrigo, per quanto la cosa possa nauseare
anche una mente aperta come quella di Tony, non possono sottovalutare
quello che lui sta facendo per Nadia.
E adesso il suo cervello da genio miliardario si sta inceppando nel
formulare pensieri che gli sembrano ancora difficili da contemplare.
Ora Tony sta pensando che provare per un attimo a giocare a carte
scoperte non può fare un soldo di danno, non al punto in cui
sono arrivati, insomma, non con quello che bolle in pentola, non con
quello che Fury gli ha costretto ad architettare.
«Sai, a volte ho pensato che non ce l'avrebbe fatta, Nadia
intendo. L'ho pensato più spesso di quanto mi piaccia
ammettere» dichiara, scuotendo il capo. «E non mi
piace, non piace a nessuno di noi pensare che se uscirà da
questa situazione sarà per merito tuo».
«Stai cercando di ribadire quanto mi disprezzi o è
un modo contorto per dirmi che sei contento della mia
presenza?»
«D'accordo, arrivo al punto. Se in quel tuo cuoricino ombroso
c'è un briciolo di affetto per Nadia...».
Loki non gli lascia finire la frase, alza la testa di scatto e lo fissa
furioso. Quello sguardo riporta alla mente di Tony la sensazione del
vuoto nel quale stava precipitando, il rumore di vetri infranti e
l'aria che gli sferzava impietosa il viso durante la caduta. Si sente
sollevare – armatura inclusa – e senza capire come
si ritrova a terra, Loki chino sopra di lui.
Come nel bosco, il giorno prima, solo che ora le posizioni sono
ribaltate e tutto questo contatto sta diventando disturbante.
«Non provare a strapparmi promesse, meno che mai usando la
ragazza» sibila il dio dell'inganno.
Tony ha un moto d'ira, una reazione di rabbia mista a una paura
istintiva e viscerale che lo porta ad afferrare il bavero della casacca
di Loki e a spingerlo con furia. Il dio vacilla e quasi cade
all'indietro, ma riacquista quasi subito l'equilibrio.
«Non. Farlo. Mai. Più.» gli intima
l'uomo quasi urlando, gli occhi sgranati dall'agitazione.
«Avrò le vostre teste un giorno. Questa
è la sola promessa che riceverai da me, uomo di
metallo» replica Loki sostenendo il suo sguardo.
«Sii consapevole di ciò, oppure abbi il coraggio
di farla finita adesso, condanna me – e la tua adorata
Nadia».
Tony sente l'odio fargli ribollire il sangue. Ed è una
sensazione del tutto nuova, non ha mai odiato davvero nessuno con tanta
intensità, forse perché anche quando si
è scontrato con altri nemici in passato sapeva di poterli
contrastare, sapeva esattamente cosa fare. Loki invece è una
scheggia impazzita, fuori dalla portata di qualsiasi arma o soluzione.
«O magari, figlio di puttana, sarò io ad avere la
tua testa prima di quanto pensi» gli risponde, afferrandolo
per i lembi della lunga casacca di pelle e velluto.
«Ehi! Tony, siete lì?». La voce di Nadia
li chiama da lontano. I due si scambiano un ultimo sguardo astioso, poi
Tony lo lascia andare con quanta più malagrazia gli
è possibile.
Nadia spunta oltre l'angolo di un fabbricato.
«Ho ripescato il maestro Jedi» borbotta lui con un
mezzo sorriso. Non c'è proprio motivo di turbarla.
«Siamo pronti?» chiede Loki. La ragazza annuisce.
Tony fissa con la coda dell'occhio il dio avvicinarsi a lei. Mentre
reprime un moto di fastidio e un inopportuno gesto di protesta, non
può fare a meno di notare quanto gli occhi di Loki perdano
un po' di quella loro mostruosa freddezza quando parla con Nadia. Certe
cose, certi sguardi o espressioni non possono essere finti, nemmeno dal
dio della menzogna. E Tony davvero non riesce a capacitarsene,
così come non riesce a capacitarsi del fatto che ora gli
stia venendo da ricambiare il sorriso quasi contento che la ragazza gli
sta rivolgendo.
*
Nadia si incammina verso l'ingresso della base dello S.H.I.E.L.D. con
Loki che la segue svogliatamente e Tony che vola sopra le loro teste
come un gigantesco piccione.
Non sa cosa aspettarsi da quella giornata, probabilmente che lei e il
dio restino tutto il giorno chiusi in una stanza a fissare il muro
mentre lui fa qualcosa di assolutamente incomprensibile con le sue arti
magiche da alieno.
Appena varca la soglia dell'edificio, capisce che la giornata potrebbe
essere peggiore delle sue più nere previsioni
perché Nick Fury le si piazza davanti e le fa cenno di
seguirla in un ufficio. Tony fa per andarle dietro, ma il direttore si
volta e lo guarda torvo.
«No, a cuccia Stark!» borbotta, per poi chiudere la
porta dell'ufficio alle spalle di Nadia.
La ragazza vede l'ombra di un sorriso alterare per una frazione di
secondo il volto duro di Fury. Probabilmente erano mesi che aspettava
di dire una cosa del genere a Tony. Il pensiero fa ridere anche lei, ma
la risata non fa in tempo ad arrivare alle labbra che l'uomo la prende
per un braccio e le infila qualcosa al polso. Il qualcosa in questione
è una specie di bracciale che sembra fatto di
caucciù, con una placca argentata nel mezzo.
«Mi stia bene a sentire» intima Fury, alzando
l'indice con fare ammonitore. «Questo che ha al braccio
è un rilevatore di posizione che contiene anche una
minuscola ricetrasmittente. In qualsiasi momento noi sapremo dove si
trova e in qualsiasi momento lei potrà mettersi in
comunicazione con noi premendo il piccolo taso sul bordo. Non provi a
toglierselo, potrei risentirmene».
Nadia sbatte le palpebre perplessa, spostando lo sguardo tra Fury e il
bracciale super tecnologico. È diventata vagamente
suscettibile rispetto alle cose che si allacciano sul polso e ha una
mezza idea di stapparsi via quel coso anche solo per protesta.
«Pensavo volesse tipo chiudermi in una cella con Loki o
qualcosa di simile« borbotta. «A che dovrebbe
servirmi questo affare?».
«Signorina Berton, eppure mi dicevano che era una ragazza
intelligente. Non ho intenzione di tenere lei e Loki chiusi qui dentro
oggi».
Nadia vorrebbe ricordare a Fury come è andata a finire
l'ultima volta che lui l'ha messa sotto pressione, ma minacciare il
direttore dello S.H.I.E.L.D. dovrebbe avere come conseguenza qualcosa
di simile a un biglietto di sola andata per una cella di isolamento a
Guantanamo.
«Mi illumini, direttore Fury» conclude spazientita.
«Si prenda il suo amico omicida e lo porti a fare un giro a
New York. Ha la mia benedizione»
«Ma non avrò mai quella di Tony... e comunque, che
sta dicendo? Di solito cercate di tenerlo sotto vetro come un filetto
di sgombro»
«In realtà sono giorni che Loki va e viene come
gli pare. Oggi voglio che vi leviate dai piedi tutti e due, ha il suo
bel rilevatore di posizione, avrà anche una scorta ma non vi
accorgerete di essere seguiti a meno che non accada qualcosa. Ha
organizzato tutto Barton, quando Rogers ha detto che non voleva starvi
appresso tutto il giorno insieme a Thor e all'agente
Romanoff».
Nadia si gratta una tempia come se cercasse di dare una piccola scossa
agli ingranaggi del cervello. Nick Fury ha speso tempo e
risorse dello S.H.I.E.L.D. perché lei e Loki potessero fare
una passeggiata per New York e addirittura gli Avengers si sono
rifiutati di accompagnarli in prima persona!
Che Fury sia ammattito dal giorno alla notte può essere
un'idea vagamente probabile, che tutti gli altri abbiano smarrito la
ragione di punto in bianco non è possibile.
«Cosa c'è sotto?» domanda la ragazza,
accigliandosi. Avrebbe potuto anche chiedere: per che cosa mi state usando?
Ma non riesce a pensare che i suoi amici permettano a Fury di usarla
per qualcosa a sua insaputa. Poi le balena nella mente un'altra domanda
ancora: per che cosa
state usando Loki?
Le labbra serrate del direttore dello S.H.I.E.L.D. sono una risposta
molto eloquente a qualsiasi quesito lei voglia porre. Lui non le
dirà niente.
Fury apre la porta dell'ufficio, mettendo il definitivo punto di
conclusione al discorso.
Sul margine del bracciale con il rilevatore c'è, minuscolo,
il logo delle Stark Industries e quando Nadia esce dalla stanza non
può fare a meno di lanciare un'occhiata in cagnesco a Tony.
«Ne so meno di quanto vorrei, Colombina» le mormora
lui all'orecchio. «E mi piace meno di quanto possa
tollerare».
Il tono davvero mortificato della voce dell'uomo la fa ammorbidire.
«Non so se Fury ha paura che Loki mi possa far del male, o
che io possa farne a lui« dice sarcastica, cercando di
mitigare quell'attimo di tensione.
Ha idea che sarà una lunga giornata.
Nadia raggiunge Loki in quella che si potrebbe definire la sua camera.
Il dio è in piedi in mezzo alla stanza a fissare degli abiti
piegati accuratamente su una sedia.
«Quelli sono... jeans?!» esclama la ragazza,
stupita.
Loki inarca un sopracciglio,
«È così che si chiama quel tessuto?
Sperano che indossi quella roba, a quanto pare»
«Sì, la notizia è che dobbiamo
andarcene a spasso. Scegli tu se considerarla buona o
cattiva».
Il dio sbuffa e distoglie lo sguardo dai vestiti con aria sdegnata.
Incrocia le braccia sul petto e fa qualche passo avanti e indietro
nella stanza.
«Tu come la consideri?» domanda, mellifluo.
Nadia scrolla le spalle,
«Qualcosa dovremo pur fare. E ho dimenticato a casa la
rivista di cruciverba».
Sul volto di Loki passa un fremito di irritazione e lei lo vede serrare
i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, tanto che per un attimo ha
paura. Paura che lui possa voltarsi verso di lei e guardarla in quel
suo modo gelido e urlarle che è tutta colpa sua, che
è a causa della sua fragilità da umana se adesso
si trova lì a fare la marionetta nelle mani dello
S.H.I.E.L.D. Ha paura di sentirgli dire quelle cose, perché
sa che sono vere, anche se non è stata lei a innescare
quella situazione assurda, si sente comunque responsabile, il senso di
colpa nei confronti di Loki le è piombato addosso tutto
insieme il giorno in cui lui è ricomparso nel bosco e da
allora lei non è riuscita a fare niente per liberarsi di
quel fardello. Gli ha chiesto scusa, ma quella richiesta di perdono non
ha ancora ricevuto una vera risposta e più di una volta
Nadia si è ritrovata a domandarsi se quello che Loki sta
facendo lo stia davvero facendo per lei o solo perché deve,
costretto dalle circostanze e dai suoi scopi e interessi personali. E
quell'ulteriore costrizione di passare del tempo con lei secondo regole
imposte dallo S.H.I.E.L.D. dev'essere proprio la goccia che fa
traboccare il vaso.
«Immagino che sia sciocco e infantile star qui a opporsi per
partito preso, no?» dice il dio, strappandola alle sue
riflessioni.
Nadia solleva lo sguardo e si accorge che lui la sta fissando
probabilmente da lunghi secondi, che deve aver registrato il fatto che
la sua aria si è incupita e che lei si è morsa le
labbra a sangue – se ne accorge solo ora, sentendo il sapore
ferruginoso sulla punta della lingua.
Non può fare a meno di guardarlo con una punta di stupore.
Ci sono stati dei momenti in cui il significato dei gesti o delle
parole di Loki le era perfettamente chiaro, in cui lei riusciva a
coglierne ogni sottinteso e ogni tentativo di imbastire una menzogna;
adesso invece non capisce. Non capisce se lui si sia arreso a
quell'ennesima forzatura per alleggerirle il morale o se quel gesto di
pura gentilezza in realtà non serva a nascondere qualche
trama mostruosa che sta architettando.
«Però quei vestiti non li indosso»
conclude Loki, uscendo. Mentre attraversa nervosamente l'uscio della
stanza, Nadia coglie di sfuggita il baluginio dorato che emana quando
la sua tenuta da principe asgardiano lascia il posto a
qualcos'altro.
*
Automobili. Le detesta, sono claustrofobiche ed emettono quel dannato
fumo pestilenziale.
Mentre se ne sta seduto sul sedile posteriore di quel taxi, Loki pensa
che gli piacerebbe molto andare a cavallo, saltare in sella a uno
stallone e correre in una radura a perdita d'occhio. Ma dubita che ci
siano radure a perdita d'occhio in quel posto e non è
nemmeno del tutto sicuro che ci siano i cavalli.
Le sue ambizioni di mesi prima dovevano essere piuttosto mediocri se il
suo scopo era quello di diventare re di quel mondo così
misero.
Oh, certo, lui non ambiva solo a un titolo regale e alla conquista.
Voleva molto di più. Voleva distruggere Thor e lavare via
con il sangue la sua rabbia. E lo vuole ancora, anche se non ci pensa
con la stessa maniacale intensità di prima.
«Comunque, i jeans non ti sarebbero stati male»
dice Nadia con un mezzo sorriso. «E poi vestito in giacca e
cravatta mi fai sfigurare».
Loki sta per rispondere qualcosa, ma il conducente del taxi sorride
dallo specchietto retrovisore.
«Non si preoccupi, signorina. Lei non sfigura
affatto» dice in un tono odiosamente confidenziale.
Quell'individuo insulso sembra avere una gran voglia di parlare. Quando
sono saliti ha scambiato delle battute con Nadia e lei ha persino
ridacchiato.
«Grazie» risponde la ragazza, con un sorriso.
«Non ti facevo così civettuola» le dice
Loki all'orecchio.
Lei gli scocca un'occhiata insofferente,
«Non puoi fingere di essere una persona normale, per una
volta?» gracchia con un sospiro.
«Non saprei proprio da che parte cominciare».
Il traffico cittadino è più irritante, assorbito
dal chiuso di quella scatola di metallo su quattro ruote. Guarda Nadia
con la coda dell'occhio e si domanda come si sia adattata a quel posto,
così diverso dalla sua placida città sull'acqua,
ingombra solo di turisti e piccioni. Sono stati loro, i Vendicatori?
È per merito del loro asfissiante affetto se la ragazza
patisce così poco la nostalgia e non sembra soffrire per il
vivere in un luogo tanto diverso da quello a cui è abituata?
Davvero l'affetto può fare tanto, essere così
taumaturgico?
Domande sciocche! L'affetto è solo una parola... Thor
millanta un affetto sconfinato nei suoi confronti eppure è
inutile, Odino giurava di amarlo come un figlio, ma mentre era in
bilico con il vuoto sotto i suoi piedi tutto ciò che ha
fatto è stato dirgli che no, lui non era abbastanza, che
aveva fallito, che era sempre stato in errore.
«Loki?». La voce di Nadia lo riporta al presente e
lui si accorge di avere le unghie conficcate nella stoffa ruvida del
sedile. «Siamo arrivati, andiamo».
Scende dal taxi per ritrovarsi su un marciapiede affollato, all'ombra
di alti palazzoni. Vede la propria immagine riflessa nella vetrina di
un negozio e si rende conto che forse Nadia ha ragione, fanno uno
strano effetto vestiti in modo così diverso – ma
non è assolutamente necessario esprimere questo pensiero ad
alta voce.
«Dio, avresti proprio dovuto metterteli quei
jeans!» esclama Nadia. Anche lei sta guardando il loro
riflesso, poi all'improvviso si volta e gli tira via la sciarpa di seta
verde e dorata, la indossa arrotolandola attorno al collo e la sistema
nella scollatura del soprabito che chiude fino all'ultimo bottone, si
ravviva i capelli con la mano e spia di nuovo il riflesso. Non sembra
del tutto soddisfatta ma sembra approvare l'immagine più di
prima.
La gente che lo sfiora, gli taglia la strada o gli rallenta il passo lo
irrita e lo fa sentire un po' frastornato, tanto che mentre si mettono
in coda davanti a un attraversamento pedonale, Loki ha quasi l'impulso
di prendere Nadia sottobraccio per paura di perderla in mezzo a quel
caos.
«Qual'è la tua teoria? Perché tu hai
una teoria, suppongo, sul fatto che Fury ci abbia spediti a
spasso» chiede lei.
«Non ho una teoria, ho una supposizione che immagino essere
esatta» le risponde. «E credo che valga lo stesso
per te».
Nadia sorride, con quel fare furbesco e saputo, e per una volta il dio
è contento che non sia per una cosa che ha compreso riguardo
a lui.
«Mi stanno mettendo alla prova» continua Loki.
«È oltraggioso che credano che io non abbia capito
di essere seguito da un crocchio di tirapiedi di Fury. Ad ogni modo,
non capisco il perché di tutte queste moine e questi
sotterfugi».
La ragazza sembra un po' stupita del fatto che lui si sia accorto della
piccola scorta che gli hanno messo alle calcagna, nemmeno lei l'ha
notata.
«Magari Fury vuole... non so, adottarti in qualche
modo» azzarda lei.
Loki sgrana gli occhi,
«Adottarmi. Ci hanno già provato, è
stato un disastro» dice. E poi si mette a ridere, una risata
bassa, composta, che suona quasi come un fruscio. Non è
tanto il ridere che lo sorprende, quanto il fatto che a suscitare la
sua ilarità sia stata una battuta sciocca sulla peggiore tra
le molte spine conficcate nel suo fianco.
La leggerezza non è mai stata una sua caratteristica, non lo
è nemmeno ora. Ma mentre la risata si spegne e il verde del
semaforo lampeggia sopra la sua testa, Loki si rende conto del fatto
che la rabbia pulsante che gli martella nel petto può essere
placata, anche solo per un po', che può farlo ed
è giusto che ci provi, per se stesso, per sopravvivere e non
soccombere al peso del proprio dolore, come quella volta quando scelse
il vuoto e l'oblio lasciandosi cadere giù dal Bifrost.
È sopravvissuto a quella caduta e a molte altre, ma non
può sempre sperare nella sorte che gli sconvolge i piani e
che lo salva dalla distruzione all'ultimo minuto. L'odio e la rabbia
sono la sua ragione per proseguire sulla strada che ha scelto, non ha
rimpianti, ma dopo tutto quello che ha passato, capisce che non possono
essere gli unici fili a trattenerlo dal crollare su se stesso come un
castello di carte.
«Non capisco,» dice Nadia, quando arrivano sul
marciapiede dal lato opposto della strada, «hai detto che
avevi bisogno di passare del tempo con me per capire meglio la
questione dell'energia. Come fai, in mezzo a tutta questa
confusione?».
Oh giusto. Quello è stato un tiro mancino piuttosto basso.
Dannazione, ha mentito meglio e per motivi più importanti in
altre circostanze!
Non gli serve capire più di quanto già sa
sull'energia della pietra. Gli serve semplicemente assorbirla, ora che
non ha ancora pianificato nulla per il suo futuro ha bisogno di fare
appello a tutte le risorse disponibili. Per questo ha voluto passare
del tempo con lei. Non prova alcun rimorso per quel piccolo inganno,
che comunque non infrange la promessa – fatta a
chissà chi, poi – di non farle del male.
«Immagino dovrai scrivere una nota di reclamo a
Fury» si limita a rispondere.
«Quindi noi stiamo solo... passeggiando? Tutto ciò
non ha niente a che vedere con te che studi l'energia?»
«Ti ho detto che risolveremo la cosa. Tu hai detto che ti
fidi di me«.
Lo sguardo di Nadia sembra gridare:
cerca di non farmene pentire!
Loki vorrebbe specificare che lui non l'ha mai delusa. Ma si rende
conto di non sapere se è del tutto vero.
Non importa, non importa. Come ha detto più volte a se
stesso, non è lì per la felicità della
ragazza e nemmeno per la propria.
Nadia sta dicendo qualcosa a proposito di fermarsi per mangiare, ma poi
le squilla il cellulare.
*
Sta per proporre che quel bar all'angolo potrebbe essere un buon posto
per uno spuntino di metà mattina, si è accorta di
avere un po' fame. Poi le squilla il cellulare e, molto candidamente,
immagina che sia Tony che vuole accertarsi che sia viva o che non stia
progettando di fuggire con Loki alla conquista dell'universo, e invece
è Mike.
Nadia resta un attimo a fissare il display del cellulare, poi guarda
Loki, poi di nuovo il display. Alla fine si decide a rispondere.
«Ehi! Come va? Stai bene?» domanda il ragazzo nella
cornetta. Dei del cielo! Aveva detto che lo avrebbe chiamato ieri e non
lo ha fatto.
«Ciao. Sì, sì, sto bene»
«Sei per strada? Ti va se ti raggiungo per un
caffè?».
Cazzo!
Giusto perché il suo senso di colpa non era già
abbastanza martellante. Nadia si sente a disagio a causa di Mike,
perché lo ha lasciato in sospeso, perché gli ha
chiesto di aspettare un domani in cui lei potrà decidere
cosa fare del loro rapporto, ma ci sono troppe cose tra loro e quel
domani, talmente tante cose che più che un domani sembra
essere un mai. E se lei lo sa, allora perché non glielo
dice? Perché è una codarda e non sa rinunciare a
lui, al fatto che qualcuno riesca a farla star bene e a trattarla da
persona normale, senza gratitudine ingombrante di mezzo, senza
sentimento di protezione o complesso da fratello maggiore.
Mike è sempre stato il suo unico punto di contatto con la
normalità. Reciderlo richiede una forza che ora lei sa di
non possedere, ha provato a spiegarglielo e, contro ogni previsione,
lui ha capito, le ha detto di non preoccuparsi, che può
prendersi tutto il tempo che le serve. E ora lei dovrebbe essere onesta
e dirgli che non c'è niente da aspettare, perché
comunque vada... comunque vada, non è giusto, non
può stare con qualcuno come se fosse una medicina. Dovrebbe
dirglielo, dovrebbe smettere di cercare la sua mano quando passeggiano
insieme, dovrebbe fare tante cose...
«No, Mike, mi dispiace, devo rientrare e poi accompagnare
Tony a sbrigare una commissione e... sono un po' incasinata in questi
giorni«. Dovrebbe anche smettere di raccontargli tutte quelle
bugie. «Ma... ma ci vediamo al party, la prossima
sera».
«Posso resistere» dice la voce di lui, scherzosa e
rassicurante, nella cornetta, «ma solo se mi prometti un
ballo».
Nadia sente di star arrossendo. Non le sembra il caso di parlare di
queste cose davanti a... dove
accidenti è andato?!
Cerca Loki con lo sguardo, in mezzo al viavai, e non presta attenzione
a quello che Mike le sta dicendo a proposito di quanto sia noioso stare
alle Stark Industries ora che non ci sono più i reattori Arc
e che il progetto sul quale lavorava come tirocinante assieme a Pepper
è stato messo in standby.
«Oh, sì... immagino sia una vera noia...
sarà tipo un trascinarsi da una pausa caffè
all'altra... non ti invidio nemmeno un po'... Mike! Io devo... devo
chiudere! Sto per prendere la metropolitana e sai, di sotto non
c'è campo»
«Stark ti fa viaggiare con la metropolitana? Pensavo avessi
un autista!».
Nadia sbrodola una lista di tutte le parolacce che conosce, mimandole
solo con le labbra, e si batte una mano sulla fronte. Ecco
perché non si dovrebbero dire le bugie.
«L'autista si è dato malato. Devo proprio
scappare, scusa... scusami. Ci vediamo al party»
«Ok, ci vediamo. Stammi bene».
La ragazza vorrebbe mettersi a gridare, gettare il cellulare per terra
e pestarlo sotto i piedi fino a farlo diventare polvere. Ma non
può, deve ritrovare Loki, che ha avuto la brillante idea di
sparire.
Lo vede all'improvviso, tra le spalle di due passanti e poi scompare di
nuovo, ingoiato dalla confusione delle strade di New York all'ora di
punta.
Maledice Nick Fury e le sue brillanti idee. E maledice se stessa mentre
corre nella direzione in cui lo ha visto sparire l'ultima volta. Poi,
all'improvviso, semplicemente gli va a sbattere contro.
«Ti avevo perso» sbraita.
«Io no» risponde lui. «Sembrava una
telefonata importante, pensavo avessi bisogno di
riservatezza».
A Nadia basta guardarlo un attimo in viso per rendersi conto che si sta
prendendo gioco di lei, che quasi certamente ha fatto uno dei suoi
trucchetti da illusionista.
«D'accordo, Hudini. Adesso andiamo a mangiare qualcosa,
così se ho la bocca occupata evito di prenderti a
parolacce».
_________________________________________________
Note:
A proposito di Loki in questo capitolo e nel prossimo: io ho una mia
“visione”... nel dvd di Thor c'è una
scena tagliata di un
dialogo tra Thor e Loki prima della mancata incoronazione, io odio il
regista per averla tagliata perché quella è forse
l'unica scena che
mostra Loki in un momento di calma (apparente) e normalità.
E Loki
in un momento di calma e normalità è un tipo
anche piuttosto
gradevole e simpatico, è su questo che ho basato certi
momenti di
questo capitolo e del precedente. Spero non vi sia sembrato troppo
OOC perché io ho seguito quella
“visione”.
Chiedo scusa del terribile ritardo nel
rispondere alle recensioni. Sono stata via per le feste e tra viaggio e
preparativi per il suddetto è stato il CAOS! Ma non mi sono
dimenticata di voi, come potrei? **
(e appena digerisco i vari cenoni e pranzoni torno anche a leggere,
recensire e comportarmi da persona più o meno normale,
giuro...).
Ci leggiamo venerdì con
l'aggiornamento.
Per
curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
OMO! (Oh my Odin!) è l'ultimo aggiornamento del 2012. Mi
sembra ieri quando sono uscita dal cinema dopo la visione di The
Avengers... buon anno nuovo a tutti!
(sì, era NECESSARIO l'inserimento di QUESTA cartolina!)
|
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Capitolo 16 *** Sunshine and frost - part two ***
Capitolo quindicesimo
Sunshine and frost
– part two
Si siedono al tavolino di un diner con i divanetti in similpelle rossa.
Nadia ordina le stesse cose per due, frappè alla menta e
donuts senza glassa – e no, ancora non è riuscita
a farsi una cultura sul cibo americano, però i
frappè sono universali e le sono sempre piaciuti. Quando li
servono, si accorge che Loki guarda la ciambella con aria quasi
sospettosa.
La sua mente comincia a proiettare flash di Venezia.
«Pane e miele... a valanga» mormora.
«Cosa?» domanda Loki, girando la cannuccia nel
bicchiere del frappè che non sembra particolarmente
desideroso di bere.
Nadia arriccia le labbra, non si era accorta di averlo detto ad alta
voce,
«Momento romantico di reminiscenze veneziane»
spiega. «Mi stavo ricordando della tua prima mattina nel mio
albergo. Mangiasti una montagna di fette di pane con miele».
Il dio appoggia le spalle allo schienale del divanetto e corruga appena
la fronte, come se si stesse concentrando per ricordare.
«Può essere, non ricordo. Quello che ricordo era
che tu eri indispettita con me per qualcosa che avevo detto o fatto la
sera prima» risponde.
Nadia ride e le va di traverso il frappè, tossicchia e
scuote la testa, cercando di ritrovare l'uso della parola tra un colpo
di tosse e l'altro. La circostanza merita decisamente di essere
rinvangata.
«Ti avevo accompagnato in camera, ti avevo chiesto il tuo
nome e tu, con la spocchia che ti contraddistingue, mi avevi risposto:
perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?».
Ricorda esattamente la scena, ogni particolare. La camera era la numero
7, al secondo piano, lenzuola e copriletto azzurri. Loki era vestito
più o meno alla stessa maniera di adesso, aveva lo stesso
sguardo cupo e freddo di adesso e lei aveva notato il suo viso provato,
la stranezza dei suoi modi curiosamente eleganti e il fatto che non
avesse bagagli ma non sapeva entro quando avrebbe lasciato la stanza. E
il fatto che lo trovasse bello,
anche se non nel senso canonico del termine.
Già quella sera, in quei primi minuti, gli era sembrato una
pennellata sbavata che rovina il quadro, qualcosa di assolutamente
fuori posto, che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Nadia si
stupisce di ritrovarsi a pensare che, nonostante tutto, per nulla al
mondo avrebbe voluto non incontrarlo. Se tornasse indietro rifarebbe
esattamente le stesse cose, questa è una verità
con la quale è scesa a patti già da tempo.
«Ti dissi così?» mormora Loki.
«E tu ti sei sentita offesa?».
«Sì, poi la mattina dopo mi hai chiesto
scusa»
«L'ho fatto davvero? Cosa c'era di offensivo in quello che
avevo detto?»
«Suonava equivoco, o quanto meno era stata una risposta molto
sgarbata».
«Equivoco, niente meno!». Ora Loki sembra
divertito, sembra proprio un gatto che sta giocando con il topo; anche
se il gioco non è letale, lui ha comunque l'aria di qualcuno
che sta provando un certo sadico gusto a mandare avanti il discorso su
quel binario.
«Beh, non che dessi l'impressione di uno che ci stava
provando, ma mi sei sembrato odioso, ecco tutto» taglia corto
lei.
«Provando?»
«No, non ci stavi provando, mi stavi mandando a quel paese.
Assaggia il frappè»
«Quindi, se ci avessi provato,
non ti saresti offesa».
Nadia ora ha idea di rovesciarglielo addosso, il frappè.
«Penso che tu non sia la persona più adatta con
cui discutere di corteggiamenti e cose simili» borbotta,
cercando di non dargli la soddisfazione di mostrarsi imbarazzata o a
disagio.
«Sono pur sempre un principe, l'educazione che mi
è stata impartita mi rende piuttosto adatto a discutere di
corteggiamenti e cose simili»
«L'educazione impartita... e dell'esperienza diretta, cosa mi
dici?»
«Oh, che impudenza. Non ho mai avuto bisogno di corteggiare
le ragazze, erano tutte troppo impegnate a corteggiare Thor, ma ho
avuto le mie, come dire, soddisfazioni»
«Non ne dubito». Nadia regge lo sguardo di Loki e
il suo sorriso un po' mellifluo, si stringe nelle spalle e continua a
bere il suo frappè. A lui non resta che imitarla e dopo le
prime sorsate, sembra persino gustarselo. La ciambella però
non la tocca – non sia mai che ingerisca troppi zuccheri e
rischi di diventare meno acido.
«Delle tue esperienze, piuttosto, cosa mi dici? Mi sembra
sciocco impegnarmi a salvarti la vita e non sapere nulla di come tu la
spenda» dice il dio all'improvviso.
Questa volta è la ciambella ad andarle di traverso. Loki
probabilmente finirà davvero per ucciderla prima o poi, per
soffocamento accidentale.
«Oh, sì, davvero manca solo che ci mettiamo a
farci la ceretta a vicenda!» esclama lei, cercando di
dissimulare la tosse con delle risatine nervose molto poco convincenti.
«Hai sentito la telefonata, non prendermi in giro, avrai
capito da te com'è la situazione».
Assurda. La situazione
è assurda.
Sta parlando di Mike. Con Loki. Sta parlando di Mike con Loki,
mangiando ciambelle in un diner di New York. Forse i Maya avevano
ragione, forse il mondo sta davvero per finire!
Il suo cervello si sente come dopo un giro sulle montagne russe.
«Al telefono avevi l'aria impacciata di una che non ha la
più pallida idea di quello che sta facendo»
commenta il dio, giocherellando con l'orlo di un tovagliolo di carta.
Grazie tante, ero
spaventata perché ti avevo perso nel bel mezzo di New York!
«Mike è un bravo ragazzo, talmente bravo che ha
accettato di aspettare che io risolva questo casin...»
«Sciocchezze! Se ti volesse davvero non avrebbe aspettato
affatto».
Nadia prende un lungo respiro e cerca di resistere all'impulso di
spaccargli la faccia con il porta tovaglioli di alluminio.
Come si permette di parlare di Mike? Cosa ne sa lui?
«Forse è meglio lasciar perdere questa
conversazione» gli dice con freddezza.
«Oh, forse sei tu a non volerlo davvero. Forse tutta questa
situazione è solo una scusa per perdere tempo»
asserisce Loki, con un sorriso ghignante. Un attimo prima sembravano
quasi due persone normali, e adesso com'è successo che
è calato il gelo?
Certo, perché con Loki è così,
è come camminare sulle superficie ghiacciata di un lago, non
sai mai se riuscirai ad attraversarlo tutto o se la crosta
cederà e ti trascinerà a fondo nell'acqua gelida.
Loki è insidioso, può ferirti con la stessa
facilità con cui ti solleva, può abbracciarti
solo per avere l'occasione di piantarti un coltello nella schiena.
Nadia si alza, decisa ad andarsene, ma lui si sporge verso di lei e le
afferra il polso con veemenza, facendole quasi male. La costringe a
tornare seduta.
«Tu non sai niente...» sibila la ragazza, astiosa.
«Davvero? E tu sei cieca. Ricordi la sera del mio ritorno,
Thor e la sua scienziata? Ricordi come si sono fiondati l'uno tra le
braccia dell'altro, incuranti di tutto il resto? Oh, io odio Thor e la
sua felicità mi appare nauseante, ma questo non mi impedisce
di essere obiettivo riguardo al significato di certi eventi. Quello
è esattamente come deve essere, senza attese, senza alcuna
preoccupazione per il mondo esterno. Quando si vuole qualcosa, la si
prende, non si rimanda; se la si lascia ad aspettare allora
è evidente che non è importante»
«È quello che ti piace pensare? È
quello che dici a te stesso?»
«È quello che credo. Ti ho turbato, ragazzina?
Beh, io non sono uno dei tuoi amati Vendicatori, non desidero
vezzeggiarti, farti essere spensierata e tranquilla, al riparo da ogni
male, io desidero...».
Loki si interrompe di colpo. Per tutto il tempo ha parlato a voce
bassissima, chino sul suo viso, tanto che Nadia ne ha sentito il
respiro contro le guance. Ora è a un palmo dal suo naso e la
guarda con una tale intensità che lei deve fare uno sforzo
enorme per non sottrarsi alla sua stretta e scappare fuori.
«... io desidero salvarti».
La mente della ragazza si svuota di colpo.
Quelle parole l'hanno trafitta come mille frecce scoccate all'unisono,
l'hanno lacerata e dai tagli profondi che hanno inflitto ora sta
scivolando via tutto il male. Il senso di colpa che ha provato nei
confronti di Loki si alleggerisce secondo dopo secondo, fino a sparire;
tutti i dubbi che ha avuto si appianano e lasciano solo una superficie
diritta e precisa, pulita come la tela bianca di un pittore.
Io desidero salvarti.
È la sola risposta che ha sempre voluto. Quella che mette a
tacere ogni quesito, ogni dubbio. Quella che la rende libera.
Certo, le parole di Loki implicano che dovrà fare i conti
con altre cose adesso, cose che deve risolvere, con se stessa. Ma
almeno ora sa da dove cominciare e sa che davvero lui è
lì per lei, non perché deve, non
perché non può evitarlo, ma perché lo
desidera.
Loki si ritrae di scatto, come se all'improvviso fosse divenuto
consapevole dell'eccessiva vicinanza dei loro visi, ma Nadia gli prende
la mano, gli stringe le dita tra le sue e mette insieme il sorriso
migliore che riesce a racimolare.
«Grazie...» mormora.
*
Thor ha accompagnato Jane alla base dello S.H.I.E.L.D, sta lavorando
assieme a Banner per delle ricerche, anche se per il momento nulla si
è smosso da quando hanno trovato quel pezzo di metallo.
Il comandante Fury è sul punto di dubitare della parola di
Loki. Quando ha parlato con i suoi compagni, qualche giorno prima,
anche loro hanno cominciato a dare i primi segni di dubbio, a
manifestare velatamente i primi sospetti.
Thor non sa cosa pensare. Non riesce a credere che Loki abbia mentito
riguardo la minaccia alla Terra, non ne aveva alcun motivo. Eppure, di
nuovo, il figlio di Odino si ritrova a chiedersi se non si stia facendo
influenzare dai propri desideri: se Loki avesse mentito su una cosa
così grave, sarebbe l'ennesimo misfatto che si aggiunge a
una lunga serie di crimini e tradimenti e lui non vuole accettarlo,
vuole crede che i suoi intrighi abbiano fine, che la sua scelleratezza
abbia un limite.
È sempre stato avventato, bellicoso, e in passato anche
presuntuoso e avido, ma ha sempre cercato di agire con onore, per
questo si sente in difetto verso i suoi amici ora, mentre cerca di
difendere la credibilità di Loki – Loki il
traditore, il Mentitore, il dio dell'inganno – di cui nemmeno
lui può essere certo. E si sente terribilmente colpevole nei
confronti di suo fratello, conoscendo i piani che Odino ha in serbo per
lui. Per salvarlo,
tenta di ripetere a se stesso.
Thor si stropiccia il viso con le mani e guarda Jane, china su uno
schermo, a osservare qualcosa che Banner le sta mostrando. La sua
tenera e impacciata Jane, che diventa così abile e precisa
quando lavora e ha le mani in pasta nella sua scienza delle stelle.
Thor non sente la porta aprirsi, per questo quasi sobbalza quando sente
la voce di Tony Stark alle sue spalle.
«Oh, sei qua Treccine!» esclama. «Stavo
giusto cercando te».
Quando il dio si volta a guardare il suo strambo e valoroso amico, si
accorge che con lui ci sono anche gli altri. Jane, da dietro al tavolo
di lavoro, gli lancia uno sguardo come a chiedergli se è il
caso o meno che lei si defili – Jane è ancora un
po' in soggezione con i Vendicatori.
«Thor, vuoi dirci cosa sta succedendo?» domanda
Natasha Romanoff nel suo tono più morbido e conciliante.
«Il tono interrogativo della frase è puramente
decorativo. Non è una richiesta» borbotta Stark.
Non sembrano arrabbiati, forse perché hanno motivo di
fidarsi di lui e credono che tutto quello che lui ha potuto fare lo ha
fatto in buona fede – oh, quanto vorrebbe crederci anche egli
stesso!
«Perché? Dovrebbe essere successo
qualcosa?» si intromette Jane, in tono perplesso.
«Thor ha fatto un accordo di qualche tipo con Fury, riguardo
Loki» spiega Clint Barton. «Diciamo che sarebbe
molto gradito esserne messi a parte, visto che ora lui è a
spasso con Nadia».
Il dio del tuono si sente ferito per questa ultima precisazione,
«Non parlare come se non mi importasse di lei»
replica secco.
«No, non è questo il punto, certo che ti
importa...» tenta di dire Rogers, in tono conciliante, ma
Stark lo interrompe.
«Ti importa molto, ne sono sicuro, ma tu non c'eri mentre noi
cercavamo di tenerla in vita» asserisce. «Quindi,
prima di confabulare con Fury...»
«Io non c'ero perché stavo cercando l'unico che
potesse salvarla!»
«Beh, ti andata male»
«Non provocarmi, Stark! Io ho le mie ragioni!»
«Bene! Sono lieto che tu ce le abbia tenute
nascoste!»
«NON FATEMI URLARE!». Banner fa la voce grossa, e
picchia un pugno sul tavolo. Tutti si voltano verso di lui, ammutoliti
e spaventati, Jane inciampa in una sedia, poi il Dottore stringe le
labbra come se fosse sorpreso della sua stessa foga e la sua
espressione diventa quasi mortificata. «Per favore»
aggiunge in tono mite.
Come quella volta a Venezia, era bastata una sua intimazione per
zittirli. Come quella volta a Venezia, stanno di nuovo litigando a
causa di Loki e Thor si sente enormemente dispiaciuto per tutto questo.
Perché vuole bene a Nadia e prova affetto per tutti loro, e
perché Loki, nella sua mente, è ancora suo
fratello.
«Perdonatemi...» mormora, premendosi per un attimo
il viso tra le mani. Quando solleva gli occhi, intercetta lo sguardo di
Jane, che lo fissa preoccupata e dispiaciuta. Prova rimorso per non
essersi confidato con lei e per non essersi aperto con i suoi compagni.
Prova rimorso perché non può dirgli la
verità, non tutta, non adesso.
«Non possiamo... tipo calmarci tutti quanti? Io ho un gran
bisogno di calmarmi» dice Banner. «Ora ci sediamo e
Thor ci spiega con calma che succede, eh?». Lo dice con il
suo solito tono bonario, ma c'è una nota di accondiscendenza
nelle sue parole che sottolinea che nemmeno quella è una
richiesta, che la domanda esige una risposta.
«Va bene. Va bene, ci sediamo e parliamo» borbotta
Barton.
«A terra? Come i boy scout intorno al fuoco di
campo?» chiede Stark, petulante. «Non sono mai
stato in campeggio»
«Era per dire, piantala» lo rimbecca Rogers.
Jane si fa largo tra il crocchio di Vendicatori e si mette accanto a
Thor, come a voler dire che quello è il suo posto, qualsiasi
cosa accada.
Il dio del tuono fa un lungo respiro,
«Fury è lungimirante, lo sapete meglio di
me» esordisce. «Ha voluto parlarmi e chiedermi
quante probabilità ci fossero di riuscire a catturare Loki e
tenerlo relegato. È evidente che non c'è modo di
trattenerlo, nessuno ci è mai riuscito, nemmeno Thanos. Fury
teme che in futuro Loki possa tornare e attentare di nuovo alla
sicurezza della Terra, anche se ora sta collaborando perché
necessita di asilo, Fury ritiene che tornerà ad essere una
minaccia quando questa emergenza sarà risolta»
«Fury non è il solo a pensarlo» dichiara
Barton, incrociando le braccia sul petto. Dallo scambio di occhiate che
segue tra i suoi compagni è evidente che l'opinione sia
condivisa all'unanimità. Come dar loro torto?
«Ebbene, io gli ho promesso di trovare una soluzione
definitiva. Mio padre, anzi, ne ha già trovata una, e io e
Fury abbiamo fatto un patto: gli ho assicurato di fornirgli questa
soluzione, come estrema risorsa, se lui mi avesse concesso la
possibilità di dimostrare che Loki ha una chance, che dentro
di lui non è tutto marcio...»
«E quale sarebbe questa soluzione definitiva?»
chiede Stark, corrugando la fronte. «Perché io ne
vedo solo una: l'eliminazione di Loki, ma non credo sia il genere di
strada che tu sceglieresti»
«Non risponderò a questa domanda, non ancora. Ma
è ovvio che io non attenterei mai alla vita di
Loki»
«No, questa è un'attitudine che appartiene a lui.
Tu sei portato per far piovere e sedurre astrofisiche... con tutto il
rispetto, dottoressa Foster» conclude Stark con un sospiro,
come se davvero fosse dispiaciuto del fatto che Thor non voglia
macchiarsi le mani del sangue di suo fratello.
«E riguardo alla possibilità di dimostrare che
Loki ha... come hai detto tu, una chance e non è tutto
marcio?» chiede Rogers, con cautela.
«Ti supplico, dimmi che non è quello che
penso» gli fa eco Barton. «Che non ha a che fare
con una biondina con una scarsa attitudine alla
sopravvivenza».
«Non sia sciocco, agente Barton!» esclama Jane.
«È una cosa assurda e Thor non spingerebbe mai una
ragazza tra le braccia di Loki, vero?».
Detta così suona davvero pessima. E comunque, non
è quello che lui sta tentando di fare, lui non sta affatto spingendo,
vuole solo lasciare che le cose seguano il loro corso, senza che Stark
e gli altri tentino di tenere Nadia lontana da suo fratello.
«Potete negarlo quando volete, ma sapete meglio di me che lei
ci tiene a lui...» dichiara, adombrandosi in viso.
«Sto per collassare come una donnicciola svenevole. Dottore,
fai qualcosa!» squittisce Stark, poi si passa le mani tra i
capelli e fa un mezzo giro su se stesso, allontanandosi dal gruppo,
attraversando il laboratorio a passi nervosi. «Qualcuno
faccia qualcosa perché sto per avere una crisi di
nervi!».
I volti degli altri sono congelati in una smorfia di sconcerto.
«Sto per averne una anche io... e non è
bene» sussurra Banner, torcendosi le mani. «Thor,
che Nadia tenga a Loki è un conto, che si progetti di vedere
quei due come una coppia felice è un'altra storia».
Perché Bruce Banner gli sta parlando con il tono con cui si
parlerebbe a un bambino? Perché loro sembrano non capire
dove lui voglia arrivare?
«Loki è mio fratello... più o meno. Lo
conosco meglio di tutti voi, e c'è una domanda che mi sono
fatto – e che a quanto pare nessun altro si è
posto: cosa prova lui per Nadia?»
«È irrilevante!» Stark lo dice quasi
sillabando. «È irrilevante se sei un criminale
pluriomicida ricercato in tutto l'universo!»
«Non è irrilevante per me, perché
voglio salvarlo. Vorrò sempre salvarlo... anche se mi
dispiace essere in disaccordo con voi, avete tutto il mio affetto e
tutta la mia stima, ma io e Loki siamo cresciuti insieme»
dice Thor, alzando la voce, preso non dalla rabbia, ma dalla foga di
una disperazione che si è tenuto dentro per troppo tempo.
«Tutto il sangue che ha fatto scorrere non basta a lavare via
le mie speranze, ma vi giuro che non farei mai nulla che possa mettere
a rischio qualcuno, meno che mai Nadia».
Le facce dei presenti sono di nuovo immobili, tutte con la medesima
espressione indecifrabile, che forse è di sgomento, forse
è di irritazione.
Un silenzio pensante cala nella stanza.
«Thor...» dice l'agente Romanoff, con una voce che
sembra quasi timorosa, «tu sai che non potrà mai
essere, vero? Che qualsiasi cosa succeda tra Nadia e Loki, non ci
sarà nessun e
vissero felici e contenti, ne sei consapevole,
giusto?».
Ne è consapevole, lo è sempre stato. Ma loro non
sanno cosa ha in serbo Odino, ed è meglio, per ora, che
continuino a ignorarlo.
*
Hanno passato qualche minuto seduti immobili al tavolino del diner,
fino a quando Loki non ha semplicemente suggerito di andare.
Fanno appena qualche metro che lui si ferma davanti alla vetrina di una
grande libreria. Nadia non può fare a meno di notarlo e di
pensare che i libri forse sono una delle poche cose che può
interessargli – ok, magari non i libri di Midgard, ma del
resto, non ha molte idee su cosa possa suscitare l'attrattiva di Loki,
anche in mezzo alle molte possibilità che offre una
città come New York.
All'interno, la libreria è molto grande, probabilmente
è la filiale di una di quelle catene come ce ne sono anche
in Italia. Solo che lì è New York, è
tutto triplicato. Gli scaffali sono lunghi parallelepipedi di alluminio
con le copertine tutta in bella vista, ognuno ha scritto sulla fiancata
a grandi lettere il genere letterario che espone.
Nadia si distrae per un attimo a guardare un cofanetto con alcuni libri
di Stephen King in cima alla sezione ''horror'' e quando torna a
guardare verso Loki lo trova totalmente galvanizzato dalla copertina di
una raccolta di romanzi di Lovecraft.
«Una volta ne ho ucciso uno, di questi» dice,
mostrandole l'immagine di un mostro pieno di artigli e tentacoli.
«Giusto in tempo prima che sventrasse Hongun. Forse avrei
dovuto lasciarlo fare»
«Ehm... Loki, quello è una divinità
immaginaria, Shub-Niggurath o qualcosa del genere, inventata da questo
scrittore americano»
«Oh. Sembra una delle creature della foresta di
Nidavellir».
Hongun, creature della foresta di Nidavellir... perché
quelli del National Geographic non hanno mai girato documentari su
Asgard?
Loki ripone il libro di Lovecraft sullo scaffale e guarda
distrattamente le immagini di copertina del reparto dei classici.
«Guarda un po' cosa abbiamo qui!». Nadia sorride
divertita, indicando un alto volume a colori con sopra l'immagine di
un'anfora greca. «Miti e leggende d'Europa. Chissà
se c'è anche la tua biografia»
«Quel libro sarà pieno di sciocchezze».
La ragazza non presta ascolto al dio, prende il volume e comincia a
sfogliarlo. È un librone piuttosto ingombrante e pesante,
con le pagine di spessa carta plastificata piene di illustrazioni a
colori. Non ci impiega molto a trovare il capitolo dedicato alla
mitologia norrena.
«Questo sei tu» dice mostrando a Loki l'immagine di
un uomo baffuto in abiti medioevali, con il naso aquilino e un sorriso
malevolo che è quasi somigliante all'originale.
«Davvero notevole» borbotta lui in tono di annoiata
accondiscendenza.
Nadia legge rapidamente il paragrafo descrittivo accanto all'immagine,
«Loki, astuto
dio del caos e dell'inganno, dall'indole malevola e menzognera...
il tuo biografo deve avere degli informatori molto affidabili. Poi
c'è tutta la parte del gossip asgardiano secondo il quale
pare che tu ti sia dato alla pazza gioa e sia diventato mamma di tutta
una serie di adorabili creature».
Loki arriccia il naso e scuote la testa,
«Avrei dovuto mostrarmi agli umani un po' più
più spesso in passato, almeno avrebbero compreso
l'assurdità delle favole che andavano inventando»
borbotta, come se fosse un affare molto serio e importante, come se
l'idea che la sua leggenda sia tanto stravolta lo turbi davvero. Forse
è così, Nadia non riesce a immaginare cosa voglia
dire essere un dio tanto potente e immortale, proveniente da un mondo
così diverso e conosciuto dagli uomini solo attraverso
leggende che si perdono nella notte dei tempi.
Per la prima volta si sofferma a pensare davvero a quanti anni possa
avere Loki, ne dimostra a stento una trentina, eppure era a spasso per
l'universo quando la Terra era praticamente ancora una ragazzina. Si
chiede se il tempo su Asgard trascorra in modo diverso, con giornate
lunghe mesi, o se loro lo sentano scorrere allo stesso modo in cui lo
sentono scorrere gli umani, se Loki si porti dentro il peso di secoli
di esistenza o se, secondo il suo punto di vista, la sua vita non sia
durata che pochi decenni. Non ha voglia di chiederglielo, non vuole
sapere cose che possano renderlo ancora più alieno e
distante.
Pensa solo che lui sarà ancora lì, con il nero
corvino dei capelli intatto, quando lei non ci sarà
più, ed è un pensiero che le provoca un dolore
inaspettato.
Alza lo sguardo sul dio, deglutendo, e quando gli occhi di Loki
incontrano i suoi, le sembra di vederlo fremere.
Non vorrai dirmi che ti
turba vedermi turbata.
«Che altre favole va raccontando il tuo libro?»
domanda lui, come per riscuotere entrambi da quel momento di insensata
e inopportuna malinconia.
«Dunque, vediamo... oh, c'è una lista delle tue
imprese, tipo... ah, questa è veramente stupida: tagliò i capelli alla
bellissima dea Sif, mentre lei dormiva... no, è
troppo idiota perché tu lo abbia fatto davvero».
Loki si lascia scappare una smorfia di scherno che si trasforma in un
sorriso divertito.
«Fai sul serio?». Nadia lo guarda accigliata, lui
si stringe nelle spalle.
«Eravamo ragazzini. Non le sono mai ricresciuti belli come
prima...» dichiara il dio, come se stesse parlando di una
caramella rubata ai tempi dell'asilo, solo con una punta di
compiacimento in più.
La ragazza alza gli occhi al cielo e scuote la testa.
«Poi c'è scritto... la dea Sigyn, sua m...»
«Cosa?»
«Hai una moglie, per caso?»
«No, a meno che Odino non mi abbia nascosto anche
questo» conclude lui con un'alzata di spalle.
Sì, sarebbe decisamente interessante vedere un documentario
su Asgard. O scambiare qualche parola con Odino. Ma Nadia è
quasi sollevata al pensiero che non accadrà mai.
________________________________________________________________
Note:
Dal prossimo
capitolo torno in me e smetto di far flirtare quei due (io dovevo
farlo! Dopo otto mesi a scrivere questa fanfiction DOVEVO, voi mi
capite, vero?!)... ehm, volevo dire, dal prossimo capitolo si torna a
fare sul serio. Dolorosamente
sul serio.
Shub-Niggurath
è una divinità mostruosa che fa parte dei Miti di
Cthulhu, di H.P. Lovecraft, appunto.
La scena della libreria voleva solo essere un momento di leggerezza,
dopo le millemila parole pesanti di questo capitolo.
Forse l'ho già detto altre volte, ma nella mia testa la
dicotomia tra il Loki della mitologia e quello della Marvel
è profonda come la fossa delle Marianne per cui ho voluto
giocarci un po', come cosa fine a se stessa che non vuole assolutamente
essere una presa in giro a chi ha inserito elementi dei miti norreni
nelle proprie fanfiction.
E per la serie: "She should be flogged for taking so long...", I
know... non ho ancora risposto alle recensioni delle ultime
settimane, prometto che lo farò entro il prossimo
aggiornamento e che la mia schiena sarà a disposizione delle
vostre fruste.
Ora ho una rivolta da sedare, che Loki e Thor stanno litigando
perché nessuno dei due vuole indossare il costume da
Befana... "Loki! Che significa 'facciamolo mettere a Sif'? Non
è carino da dire!".
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto:
HERE
Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^
|
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Capitolo 17 *** Just one step - part one ***
Capitolo sedicesimo
Just one step –
part one
Per essere uno che viene da un'altra epoca, Steve Rogers non
è propriamente un nostalgico, ogni tanto fa solo un po'
fatica a prendere confidenza con quanto c'è di nuovo a quel
mondo. Certo è che ai suoi tempi le cose erano un po'
più semplici... ad esempio, negli anni Quaranta non si
sarebbe mai assistito alla scena di una divinità malvagia
che insegna a una ragazza a usare dell'energia magica finita per
sbaglio nel suo sangue; ai suoi tempi, malgrado la guerra e tutti gli
orrori che aveva portato con sé, il mondo era comunque al
riparo da certe cose.
Ad ogni modo, nonostante la vaga inquietudine che serpeggia tra loro
dopo la discussione avuta con Thor, quel pomeriggio nel bosco sembra
procedere meglio della volta precedente. Nadia non sta urlando di
dolore, non sta sanguinando e non ha ancora fatto saltare in aria
niente. Sta solo facendo a gara con Loki a chi ha la risposta
più acida.
«Parli in modo incomprensibile, te ne rendi conto?»
«L'unica cosa di cui mi rendo conto, ragazzina, è
la tua ottusaggine»
«Beh, non sono io che vado in giro farneticando di essere un
individuo superiore».
E avanti così, da più o meno mezz'ora.
Cioè, se lui non fosse
lui, e se lei non fosse una specie di bomba a orologeria
con il timer sballato, sarebbe quasi divertente.
«Credi sia il caso di fargli fare una pausa? Metto su l'acqua
per il tè?» domanda Bruce Banner affiancandosi a
lui.
Certo, più si cerca di dare a tutta quella follia una
parvenza di normalità e più sembra folle. E dove
diamine è finito Stark? Oh, sì, appollaiato sul
tetto, come una cornacchia, pronto a fare fuoco su Loki appena ci sia
una scusa buona per farlo.
Steve si massaggia distrattamente la fronte. È sempre stato
un tipo misurato, uno di quelli che pensano che non ci sia nessuna
verità assoluta da portarsi al collo come un gingillo, e
forse per questo è sempre stato, tra tutti loro, quello meno
turbato da tutta la questione sentimentale
– se così si può dire – tra
Nadia e Loki. Non odia il dio con la stessa rabbiosa convinzione di
Stark o di Barton, non è intimamente terrorizzato quanto
Banner e la Romanoff, e nemmeno legato a lui come Thor. Tutto quello
che Steve ha sempre visto è un'idea vaga e imprecisa di un
rapporto creatosi da sé, tanto assurdo da essere affidabile
e profondo nella sua stranezza. Troppo profondo per poter essere
soggetto alle manipolazioni e alle strategie altrui.
«Credo sia meglio non interrompere» dice
semplicemente a Bruce.
In quello stesso momento, dall'interno della casa, squilla il telefono.
Uno squillo acuto che fa quasi eco in mezzo al bosco, uno di quei bei
suoni alla vecchia maniera: DRIIIN DRIIIN DRIIIN.
Panico. Chi può chiamare la casa isolata di Bruce Banner a
quell'ora del pomeriggio?
Tutti si fermano, anche Nadia e Loki, e si scambiano uno sguardo
perplesso o allarmato. Bruce rientra di corsa per rispondere e dopo
nemmeno trenta secondi è di nuovo fuori.
«Era Fury» annuncia. «Ha detto
– testuale – di portare i nostri culi alla base
dello S.H.I.E.L.D. prima di subito».
Alla base dello S.H.I.E.L.D. li accoglie un Nick Fury particolarmente
crucciato.
«Dei nostri agenti a Boston hanno trovato questo in un
deposito fuori città» annuncia, spingendo verso di
loro il monitor orientabile di un computer che mostra l'immagine di un
oggetto sferico pieno di ammaccature. «Il metallo con cui
è fatto è lo stesso del frammento ritrovato
precedentemente. I nostri egregi ospiti stranieri hanno qualche
idea?».
Thor e Loki non hanno nemmeno bisogno di scambiarsi uno sguardo,
annuiscono all'unisono.
«Il Bifrost» dicono, e lo dicono
contemporaneamente. Suona strano sentirli così sulla stessa lunghezza d'onda,
anche se è per una mera questione pragmatica.
«Il meccanismo che azionava il Bifrost, il ponte che metteva
in collegamento tra loro i Nove Regni» aggiunge Loki,
sbrigativo.
«Metteva?» domanda Barton.
«Sì. Ora non esiste più, Thor mi ha
fatto la cortesia di prenderlo a martellate, tempo fa».
I due dei si scambiano un'occhiata torva, ma non c'è tempo
per approfondire le loro vicissitudini famigliari.
«A chi appartiene il magazzino?» chiede Natasha
Romanoff.
«A un tale signor Christopher Donnet, sembra pulito ed
è partito da mesi per un viaggio in Europa»
risponde Fury. «È molto probabile che non ce
l'abbia messo lui quell'affare lì dentro, ma per sicurezza
l'ho fatto rintracciare, è a Praga, dei nostri uomini lo
andranno a interrogare».
«Si va a Boston, quindi?» chiede Steve. Dentro di
sé si sente persino sollevato, quasi contento, all'idea che
ci sia qualcosa da fare, che si stia profilando all'orizzonte la
speranza di fare un passo in avanti per vederci più chiaro
in quella faccenda.
«Sì, ho disposto la vostra partenza immediata. Sul
posto c'è già una squadra, c'è altra
roba da visionare in quel magazzino. Banner resterà qui e
lui e la dottoressa Foster analizzeranno i dati che ci verranno
inviati» conclude il direttore dello S.H.I.E.L.D. nel suo
consueto tono pratico.
«Quando dici la nostra
partenza, Nick, intendi proprio tutti tutti?» aggiunge Stark,
ancora imbottigliato nell'armatura – Dio, ma non gli diventa
scomoda dopo un po'?
«Tutti quelli utili di certo» interviene Loki in
tono spocchioso. «Immagino che se facessimo una gara di
utilità, il vincitore non sarebbe nessuno di voi».
Steve guarda il dio dell'inganno con la coda dell'occhio. È
curioso, profondamente curioso di sapere, nient'altro –
almeno, nient'altro di evidente.
«Sarà meraviglioso avere occasione di buttarti
giù dal finestrino del Quinjet, Bambi».
*
«Ehi, ehi! Tu dove credi di andare?» Clint le si
para davanti e la guarda sollevando le sopracciglia. Un sole caldo
picchia sull'ampia pista di decollo sul tetto dell'edificio. In un
angolo, Thor ha richiamato il martello e sta tornando a indossare le
sue vesti divine, in uno sfavillio di luce bianca e azzurra.
«Vengo con voi. Vi portate dietro il nemico pubblico numero
uno, non vorrete lasciare a terra me!» protesta Nadia.
È perfettamente consapevole di quanto suoni infantile e
petulante il suo tono in quel momento, ma ha visto di peggio che un
magazzino pieno di ferraglia aliena e se davvero ha una qualche
possibilità di essere utile in quella faccenda, meglio
cominciare da subito e meglio far capire ai suoi amici che ora di
smetterla con questa faccenda della campana di vetro.
«E poi, se non tornate in tempo per il party, mi troverei a
doverci andare da sola e sarebbe noiosissimo» aggiunge con
una smorfia.
«No, senti...» Clint sta per dare inizio a uno dei
suoi panegirici sulla prudenza che non è mai troppa, ma
Steve arriva dietro di lui e gli posa una mano sulla spalla.
«La portiamo con noi» dichiara. Probabilmente
approfittando del fatto che Tony è già in aria e
non sta assistendo alla scena, quindi non può ammanettarla
alla grondaia per tenerla a terra.
«Possiamo almeno deciderlo per alzata di mano?»
conclude Clint con il bieco sarcasmo che tira fuori quando è
interdetto.
Nadia lancia uno sguardo di gratitudine all'indirizzo di Steve. Pensa
che a Tony verrà un colpo apoplettico, ma non importa, da
qualche parte si deve pur cominciare, e lei è dentro a
questa cosa a prescindere, che loro lo vogliano o no.
Non è mai stata su un jet, anzi prima di tutta quella storia
non aveva mai nemmeno preso un aereo e quell'affare non sembra nemmeno
un jet come gli altri.
Clint e Natasha si mettono ai comandi, Steve si siede dietro di loro e
guarda il radar sul quale lampeggia un puntino che dovrebbe indicare
Tony. Thor e Loki si siedono sui sedili laterali, l'uno di fronte
all'altro, ma nemmeno si guardano in faccia.
Nadia si va a sedere accanto al dio del tuono e gli batte una mano
sulla sua – che è un po' come far cozzare una
pallina da ping-pong contro un pallone da basket. Thor è
turbato, si sente responsabile per tutto quello che sta succedendo,
perché crede davvero che sia colpa sua se la Terra
è in pericolo. E perché probabilmente sta facendo
la conta delle colpe dal presente andando indietro fino al brodo
primordiale, quando magari aveva tirato i capelli a Loki quando erano
bambini e lui si è risentito e da allora ha cominciato a
covare rancore e tutto il resto.
Nadia sente quasi muovere gli ingranaggi nel cervello di Thor e riesce
perfettamente a immaginare i suoi pensieri: se solo fossi riuscito a non far
fuggire Loki da Asgard la prima volta... se solo lo avessi trovato
prima dei Chitauri... se solo...
C'è dell'altro, la ragazza ne è sicura, ha la
sensazione che il macigno che Thor si porta dentro sia appesantito da
qualcosa che non ha a che fare solo con la conta delle colpe e dei ''se
solo'', ma non ha il coraggio di fare domande e preferisce pensare che,
se lui non le ha detto niente, ha certamente i suoi buoni motivi.
«Gliela faremo vedere» dice lei. Thor stringe un
po' di più le dita attorno alle sue.
«Ma sentitela!» borbotta Clint.
«Lei cosa ci fa qui?!». La voce di Tony arriva
attraverso la ricetrasmittente, come se stesse parlando dalle casse di
uno stereo. Lui sente tutti loro e loro sentono lui.
«Non distrarti, Tony, continua a volare» scherza
Nadia. «Comunque... gliela farete vedere. Va meglio
adesso?»
«Sì, perché tu tutto quello che vedrai
da oggi in poi sarà il muro imbottito di una cella di
sicurezza!».
Se non altro, si alza una risatina generale. Nadia guarda verso Loki
– che ovviamente non sta partecipando al momento di
ilarità collettiva – e si accorge che lui la sta
fissando, forse fin da quando sono saliti a bordo.
Nella sua peculiare abitudine di assorbire informazioni e conoscenze in
maniera così automatica e famelica, non ha mai smesso di
studiarla.
Atterrano sul tetto dell'edificio che ospita il magazzino che devono
visionare. Il portellone del jet si apre, e nel rettangolo di cielo e
asfalto, Nadia vede Tony atterrare con un leggero tonfo metallico.
La guarda, cioè, gli occhi luminosi di Iron Man si puntano
nella sua direzione e lei immagina perfettamente la faccia esasperata e
sconvolta sotto l'elmo dell'armatura. Sorride sarcastica e spera che
là sotto il viso di Tony si sia rilassato in un'espressione
di complicità.
Ci siamo dentro insieme,
è sempre stato così, signor Stark.
Sul tetto c'è una porta di ferro che immette direttamente
sulla tromba di scale. Due uomini in giacca e cravatta compaiono oltre
la soglia e fanno un rapido cenno di saluto, il loro sguardo indugia
appena un attimo su Loki, ma mantengono tutti un'aria di pacato
distacco.
«Sono l'agente Moore» si presenta uno dei tre, un
tizio calvo sulla quarantina. «Venite di sotto a vedere cosa
abbiamo trovato».
Mentre scendono le scale, l'agente Moore spiega che il fabbricato
è vuoto, una volta i piani ospitavano gli uffici
amministrativi di una società che è fallita un
paio di anni prima. Il pian terreno appartiene a Donnet, l'uomo
menzionato da Fury, che a quanto sembra è estraneo a tutta
la vicenda e non sapeva che il suo magazzino, rimasto sfitto da qualche
mese, era stato occupato dalla roba di qualcuno. Nadia ha un fremito di
nervosismo mentre si chiede come abbiano ottenuto quelle informazioni e
come facciano a ritenerle così certe. Lo S.H.I.E.L.D. non
deve andare tanto per il sottile in certi frangenti e il povero Mr.
Donnet si sarà rovinato la vacanza.
Il magazzino è sul retro dell'edificio, è una
sorta di grande garage oltre una saracinesca di alluminio che
scricchiola terribilmente quando Moore la solleva per permettere loro
di entrare.
Dentro è abbastanza spazioso e odora di muffa e ruggine. Al
centro c'è la sfera di metallo che sembra una specie di
scultura futuristica non del tutto ultimata. Il metallo di cui
è fatta è di un grigio opaco, come quello delle
vecchie monete, e in alcuni punti è ammaccata e porta segni
di ossidazione e bruciature.
«È quello che avete detto? Il pezzo del
Bifrost?» chiede Steve a Thor e Loki.
«Ne è un'imitazione, e anche piuttosto scarsa. Non
credo possa funzionare e in ogni caso, non vedo con che energia possano
averlo attivato» commenta il dio del tuono, allungando una
mano verso la superficie di metallo. Quando si avvicina, la sfera
emette delle scintille, come se all'improvviso fosse stata percorsa da
una carica elettrica. Thor fa un balzo all'indietro.
«Che accidenti era?» scatta Clint.
«Lo hai visto, Dottore?» chiede Tony, che deve
essere in collegamento audiovisivo con Bruce, grazie a qualche
microtelecamera impiantata da qualche parte nell'armatura.
«L'ho visto. Non promette bene» risponde la voce di
Bruce, che sembra arrivare da sotto la calotta dell'elmo, come quando
parla Jarvis. «Cos'è che l'ha fatta
agitare?».
Loki si fa avanti, sorpassa Thor e si china sulla sfera. Con la coda
dell'occhio, Nadia si accorge che gli agenti presenti sul posto hanno
poggiato la mano sul calcio delle pistole che tengono sotto le giacche.
Il dio dell'inganno fa cenno al fratello di avvicinarsi di nuovo e di
nuovo la sfera comincia sfrigolare.
«Sono io?» borbotta Thor.
Loki scuote la testa,
«Non tu, il Mjolnir» dichiara, incupendosi e
aggrottando le sopracciglia come se stesse inseguendo un pensiero molto
spiacevole.
Thor alza il martello e lo avvicina alla sfera. Dalla superficie di
metallo si spandono lampi bianchi e scintille, con un ronzio che suona
quasi come unghie sulla
lavagna.
«D'accordo. Tieni il tuo attrezzo da falegname lontano da
quella diavoleria, Boccoli d'oro!» borbotta Stark.
«Io sono vestito di metallo e non voglio finire fritto come
un gambero».
Sul fondo del magazzino c'è un telo di plastica bianca
infilato su un tubo sporgente a mo' di tenda. L'agente Moore lo solleva
e fa loro cenno di guardare.
«Anche questo è interessante» commenta.
Moore non è il tipo d'uomo che trasmette voglia di vivere,
con quelle labbra sottili perennemente crucciate e quel tono di voce
monocorde e freddamente professionale.
Nadia si aspettava molto più entusiasmo e sussiego nei
riguardi degli Avengers, ma forse è vero che non tutti li
considerano un bene per
l'umanità, o quanto meno è quello
che ha appreso quando le capitava per sbaglio di ascoltare dei discorsi
di corridoio durante le settimane in cui andava alla base di New York
per allenarsi con Clint e Natasha, per non parlare dei dibattiti
televisivi che ancora si trascinano nei talk show di seconda serata. Il
mondo non è sempre pronto ad accettare lo straordinario.
A proposito di straordinario, cosa dovrebbe essere quell'affare dietro
il telo?
«No, questo non posso averlo fatto» dice Thor. La
nota allarmata nella sua voce squilla come una tromba e quando il suo
sguardo si posa su Loki è panico puro quello che gli si
legge negli occhi.
«Cos'è? Una lampada?» borbotta Clint
– Clint, Occhio di Falco, che ha passato settimane chiuso in
uno stanzone con un cubo di energia potente come la collera di Dio,
tipo.
Dietro il telo c'è un alto piedistallo di alluminio, sopra
c'è un oggetto rettangolare che sembra un contenitore di
vetro dentro al quale si agita un fumo luminescente denso e bluastro.
Come se ne fosse calamitato, Loki si avvicina al piedistallo e tende
una mano sopra l'oggetto. È come se la luce azzurrognola del
fumo si proiettasse sulla sua pelle chiara, ma guardandolo meglio Nadia
si accorge che non è la luce, che la sua mano sta diventando
blu, un blu cobalto innaturale che sta risalendo anche oltre il
colletto della camicia, lungo la gola e la linea della mascella.
C'è qualcosa di terribile in quella scena, negli occhi
sbarrati di Loki che osservano la reazione della sua pelle alla
vicinanza con l'oggetto. Nadia non riesce a sopportare quella vista,
gli si avvicina e gli spinge via la mano. Nel punto in cui le sue dita
hanno sfiorato il dorso della mano di Loki, la pelle di lui torna ad
essere rosa e pallida, poi la macchia di rosa si allarga fino a far
sparire tutto il blu.
Tutti sono ammutoliti. Gli agenti dello S.H.I.E.L.D hanno impugnato le
pistole. Thor sta borbottando qualcosa riguardo al fatto che non
può essere possibile – cosa? Che quell'affare si
trovi lì o che Loki si tinga di blu? Nadia ha paura che si
tratti della prima opzione e che invece sia normale che Loki si
trasformi in una versione gigante di Grande Puffo.
Da dentro l'armatura di Iron Man arriva la voce di Bruce.
«Che sta succedendo? Non riusciamo a vedere niente se Nadia e
Loki non si spostano da lì».
«Ecco, spostatevi da lì e qualcuno ci spieghi
qualcosa» aggiunge Tony.
«La copia dell'ingranaggio del Bifrost è rotta, ma
questo sembra funzionare» osserva Loki, con la voce ancora
increspata da un'emozione indecifrabile.
«E cosa fa?» chiede Natasha.
Loki solleva l'affare dal piedistallo e lo punta verso il muro,
incurante del blu che sta di nuovo coprendo la sua pelle. Un lampo di
luce fumosa urta contro la parete facendo formare all'istante un'enorme
crosta di ghiaccio che perfora il cartongesso e apre un buco grande
come una macchina .
«Oh, è questo che fa? Granite di mattoni? Molto
utile per distruggere la Terra» osserva Tony.
«Non prenderti gioco di cose che non conosci» lo
ammonisce Thor. «Questa è una copia dell'arma
più potente dei Giganti di Ghiaccio, loro avrebbero spazzato
via questo mondo secoli fa se non fosse intervenuto mio
padre».
Giganti di Ghiaccio? Quelli dal cui pianeta proviene Loki?
Sì, Thor glielo aveva spiegato quella volta a Venezia, ma
non le aveva mai detto che Loki si trasforma in un puffo alto un metro
e ottanta. Con gli occhi rossi, perché adesso gli occhi gli
sono diventati rossi come il sangue.
Nadia scuote la testa e guarda lo scrigno. Oh porca puttana!
«Si sta rompendo» dice, rendendosi conto delle
crepe che hanno cominciato ad attraversare il vetro e che si spandono
sulla superficie trasparente come minuscoli serpenti.
«Non è nemmeno il nostro unico
problema!» esclama Clint indicando una spia rossa che
lampeggia in un angolo. «Fuori di qui!».
«Stark, cosa sta...» la voce di Bruce sembra
arrivare lontanissima, ed è come se stesse sfumando in
dissolvenza verso il silenzio. Perché il silenzio arriva,
anche se dura appena un istante e viene seguito a ruota dal boato
dell'esplosione.
Il buio odora di fumo e ha mani enormi che l'afferrano e la
scaraventano in aria per poi lasciarla precipitare verso qualcosa che,
lo sa, le farà molto male una volta che ci andrà
a sbattere. Ma il fondo di quella caduta sembra non arrivare mai, e
Nadia sente solo tutto tornare a farsi silenzioso e ancora
più buio attorno a lei. Poi semplicemente, smette di sentire.
*
Lo schermo del computer si accende e loro vedono il tetto di un
edificio avvicinarsi, poi sentono la voce di Stark.
«Siamo appena arrivati, mi sentite?»
«Forte e chiaro» risponde il dottor Banner.
Stanno guardando attraverso gli occhi di Iron Man. Jane pensa che sia
proprio una bella sensazione quella di volare sorretto da piccoli
propulsori sotto le piante delle mani e dei piedi, ma non si metterebbe
a testare una delle armature volanti del signor Stark nemmeno se fosse
costretta.
Il portellone del jet si apre e gli altri – quelli che per
volare necessitano di altri mezzi – scendono uno ad uno.
L'inquadratura indugia qualche secondo su Nadia, la ragazza guarda Iron
Man con un sorrisetto che potrebbe suscitare ilarità oppure
uno scoppio di violenza, a seconda dei casi. Ma Jane dubita che Stark
si infuri con lei, le vogliono tutti troppo bene, persino per
infuriarsi, era chiaro dalla discussione di qualche giorno prima in cui
tutti hanno dato addosso a Thor. Thor che ha tenuto nascosto qualcosa a
tutti loro – lei compresa – e che si sarebbe
meritato come minimo una settimana di broncio e di astinenza, ma poi
lei non ce l'ha fatta... per il broncio, non per l'astinenza. Non ce
l'ha fatta perché ha capito che lui si sta portando dentro
un gran peso, e il fatto che abbia deciso di portarlo da solo non
è un capriccio o una mancanza di fiducia, ma un sacrificio
che deve costargli anche piuttosto caro, visto come ogni tanto si
adombra e il suo sguardo si fa cupo e lontano.
Thor attraversa lo schermo, per una frazione di secondo lo riempie
tutto con il rosso del suo mantello, poi sparisce dall'inquadratura.
Arriva un tizio che si presenta come l'agente Moore e la squadra scende
le scale fino al pian terreno.
«Lo avete perdonato? Thor, intendo» domanda Jane.
Le piace il dottor Banner, sembra una brava persona, anzi di
più, sembra una persona buona, le ricorda un po' Erik, solo
decisamente più timido e potenzialmente più
pericoloso.
«Nessuno ce l'ha mai avuta con lui... come si fa ad avercela
con Thor? È un tenero ragazzone che parla come un principe
delle fiabe!».
La scienziata ridacchia. È anche un dio che quando si
arrabbia fa un po' paura, vorrebbe aggiungere, ma non crede che sia
rilevante rispetto a quel discorso. Loro non temono Thor, gli vogliono
bene, sicuramente.
«Anche se» aggiunge Banner, «credo che
l'invito al party di Stark suoni più come un castigo che
come un gesto amichevole».
Oh, giusto, il party del signor Stark. Jane ne è esaltata e
intimorita allo stesso tempo, non è mai stata a quel genere
di feste... il suo genere di feste è tipo quella per il
conseguimento del suo dottorando in astrofisica, di tre anni prima:
lei, il suo ragazzo – ex ragazzo, i suoi amici, un
appartamento libero e un numero considerevole di
superalcolici.
Ok, non deve per forza pensarci in quell'esatto momento.
Nei minuti successivi, riescono a guardare dentro il magazzino.
C'è quella specie di sfera di metallo, Stark fa una
scansione ottica dei materiali e sembra che non ci sia
granché da cavarne. Si tratta dello stesso metallo del
frammento già ritrovato, ma questo si sapeva.
È frustrante. Quello non è un rompicapo in cui
bisogna mettere insieme i pezzi, è un codice, scritto in una
lingua che non conoscono, per il quale non hanno alcuna chiave di
lettura.
L'uomo che si chiama Moore scosta una specie di tenda di plastica e
mostra loro qualche altra cosa. Ma Jane e il dottor Banner non
capiscono cosa sta succedendo, sentono fuori campo la voce di Thor che
suona molto preoccupata, ma non riescono a vedere niente
perché Loki si è piazzato tra la telecamera e
l'oggetto, e dopo ci si mette anche la ragazza.
«Che sta succedendo? Non riusciamo a vedere niente se Nadia e
Loki non si spostano da lì» dice Banner.
Loro non riescono a vedere, ma a quanto pare nessuno riesce comunque a
capirci niente. Stark chiede spiegazioni, l'agente Romanoff domanda a
cosa serva l'oggetto; per tutta risposta, Loki lo solleva e disintegra
il muro. Il muro che va in frantumi a causa del ghiaccio, questo lo
vedono, e si scambiano un'occhiata esterrefatta.
Poi tutto succede in meno di un minuto. Stark fa una battuta, Thor lo
redarguisce e spiega che quella è un'arma dei Giganti di
Ghiaccio, Nadia esclama che si sta rompendo, Barton dice che non
è l'unica cosa di cui debbano preoccuparsi.
Bruce Banner deglutisce e si china sullo schermo, come se avvicinandosi
all'immagine potesse essere più vicino a tutti loro,
aiutarli o fare qualcosa,
«Stark, cosa sta succedendo? Non riusciamo a vedere
niente» dice.
Un'esplosione. Il suono è così forte che fruscia
nelle casse del computer come un'interferenza in una radio. L'immagine
diventa indistinta e poi scompare.
«Dobbiamo far uscire la dottoressa dalla stanza ed evacuare
l'edificio?!». È Fury, è piombato nel
laboratorio di colpo. In un primo momento Jane non capisce
perché lo stia chiedendo, poi si ricorda... Bruce Banner:
Hulk.
Ma il dottore si lascia cadere su una sedia con lo sguardo vitreo e
attonito. Non è arrabbiato,
è troppo sconvolto per esserlo.
In quel magazzino c'erano i suoi unici amici e la cosa più
vicina che avesse a una famiglia.
E il magazzino è appena saltato in aria.
____________________________________________
Note:
Spero
che la reazione di Bruce non appaia troppo fuori luogo, forse
io mi sono lasciata trasportare troppo dalla mia idea degli Avengers
tipo “famiglia felice” (a proposito di questo,
c'è un
discorsetto da parte di un certo personaggio nel prossimo capitolo).
E spero che l'idea di lui che non si trasforma in un mostro verde
rabbioso ma semplicemente si abbatte non sembri troppo delirevole.
Una
vocina sadica nella mia testa (e certamente è Loki che
parla) mi
dice che era ora che qualcuno si facesse male e che non fosse solo
Nadia a far esplodere le cose XD
Sto recuperando le risposte alle recensioni. Ce la posso fare. Intanto
grazie a tutti voi che continuate a seguire questa storia anche ora che
il fandom è meno "mainstream" di com'era quando è
cominciata, grazie di cuore *W*
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^
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Capitolo 18 *** Just one step - part two ***
Capitolo diciassettesimo
Just one step –
part two
Bzzz.
Stark?!
Bbbzzzzz....
Stark, dannazione! Mi
senti?!
No, tutto quello che sente è un tremendo dolore alla testa.
Dove si trova? Cosa è successo?
«Jarvis...» mormora. Davanti ai suoi occhi si
accendono due linee di luce, poi si spengono e per un po' tremolano
come se fossero i neon di un'insegna che si sta rompendo.
Il reattore Arc deve essersi fermato per qualche secondo,
perché sente male anche al petto e si sente fin troppo
stordito.
Ci vuole qualche minuto prima che l'interfaccia interna dell'armatura
torni visibile, ma finalmente si accendono i comandi e le informazioni
che il dispositivo rileva dall'esterno. L'aria è satura di
fumo.
«Stark, se ci sei rispondi». È la voce
di Fury, suona persino un po' preoccupata.
Ora ricorda. È a Boston, in quel magazzino, e c'è
stata un'esplosione.
«Ci sono...» dice.
«Il propulsore posteriore destro è danneggiato,
signore» annuncia Jarvis.
«Com'è la situazione? Abbiamo perso il contatto
visivo» incalza Fury.
Tony non riesce a vedere niente in mezzo al fumo, se non una luce
ovattata che proviene dall'esterno, dalla saracinesca che si
è piegata e ora penzola mezza aperta, e attraversa l'aria
con dita bianche di fantasma.
Ha l'impressione che il suo cervello si muova a rilento, come se i suoi
pensieri comminassero in un pantano di melma.
Com'è la
situazione?
Una stilettata di puro terrore piomba come un colpo di martello al
centro esatto del suo petto.
«Non vedo nessuno muoversi, Nick. E non sento nessuno
parlare» dice, mettendo le parole in fila come un automa.
Silenzio e immobilità; ora il terrore diventa quasi cieco,
ma lui tenta di far lavorare il cervello e di fare un riepilogo logico.
Un'esplosione: l'armatura l'ha protetto, Rogers il supersoldato
dev'essere intero, Thor il semio dio – e fratello bastardo
annesso – pure. Restano i due super-killer e Nadia.
Dannazione! Sapeva che non dovevano permetterle di venire!
«Stark...». Tony vede qualcosa di grosso spostare
lo scaffale sotto il quale è sepolto e scorge, in mezzo al
fumo, un guizzo di rosso e di tessuto scintillante.
Il braccio di Thor spunta dal basso, Tony lo afferra e lo aiuta a
rimettersi in piedi.
«Il biondo è tutto intero» dice, a
beneficio di Fury e probabilmente anche della dottoressa Foster. Uno
è salvo, ora bisogna trovare gli altri.
«Dobbiamo fare un po' di luce, Boccoli d'oro, ce la fai ad
aprire quella saracinesca?».
Thor, viso annerito come quello di uno spazzacamino, capelli sconvolti
e pieni di polvere, annuisce e barcolla verso il portellone di metallo.
Qualche secondo dopo, si sente il suono di una martellata sul ferro e
la saracinesca crolla. La luce invade il magazzino, rivelando uno
scenario caotico dove tutto è crollato addosso a
qualcos'altro. O si è rotto, o è esploso.
Tony guarda nella direzione dove prima c'era il piedistallo con la
diavoleria del ghiaccio, vede un armadio crollato sulla fiancata
laterale e da dietro sente provenire un colpo di tosse. Si precipita a
guardare e trova la Romanoff e Rogers rannicchiati contro l'armadio.
Qualcosa è volato verso di loro, ma lo scudo del Capitano li
ha protetti entrambi, o almeno li ha tenuti al riparo dal peggio,
perché lei ha comunque un brutto taglio sulla tempia.
«Rogers e la Romanoff a posto» annuncia Tony
nell'auricolare, poi si volta e scorge un corpo riverso, che
l'esplosione ha spinto contro un palo di metallo che gli ha trapassato
il busto. «L'agente Moore non ce l'ha fatta».
Rogers è già intento a rimettere in piedi un paio
di altri agenti, ma mancano ancora Barton e Nadia all'appello dei
sopravvissuti nella loro squadra e continua a guardarsi attorno
febbrile cercando di scorgere almeno uno di loro due. Thor ribalta
casse e sposta pannelli di legno o metallo, la Romanoff si regge ancora
un po' malferma sulle gambe, ma ha tirato fuori una ricetrasmittente e
forse cerca di far suonare quella di Barton per riuscire a determinarne
la posizione attraverso il rumore.
«Nadia! Barton! Loki!» la voce di Thor suona come
un tuono scatenato dal suo martello. Giusto, c'è anche
Bambi, ma trovarlo morto non sarebbe una gran perdita.
Qualcosa si muove, qualcosa di bianco e informe come uno spettro. Il
telo di plastica dietro al quale si trovava l'aggeggio che spara
ghiaccio.
Il telo si ripiega di lato e spunta fuori il dorato dell'armatura di
Loki. Vivo e vegeto, solo con un'escoriazione sulla guancia e un
taglietto sanguinante sulla fronte, steso di fianco a terra.
«Sto per vomitare» la voce viene dalla direzione in
cui è steso Loki, ma non è quella del cervo
maledetto. È la voce di Nadia, viva anche lei.
Oh, sia ringraziato il
cielo!
Nadia che nell'esplosione è finita sotto a Loki e che grazie
a questo è quasi del tutto illesa, a parte la maglia
strappata sul fianco destro che mette in risalto una bella fetta di
pelle piena di schegge di vetro e tagli sanguinanti.
È finita sotto a Loki, l'ipotesi che lui le abbia
volontariamente fatto scudo con il suo corpo è da escludere,
per principio, perché la mente di Tony non può e
non vuole crederci. Un conto è non farle del male per
convenienza, altro conto è mettere la salvezza di un'umana
davanti alla propria, il dio bastardo e vigliacco non lo farebbe
nemmeno tra un milione di anni. Giusto?...
«Tony... state bene? Dove sono tutti?» squittisce
Nadia, intontita.
«Nadia e Latitante interspaziale vivi e vegeti»
notifica Tony. «È tutto ok, Colombina, stai
tranquilla...»
«Dei cinque agenti che erano qui, Moore e un altro non ce
l'hanno fatta» aggiunge Steve Rogers. «Uno di loro
è ferito gravemente, gli altri due stanno abbastanza bene.
Stark, di' a Fury di far venire di corsa un'ambulanza»
«Manca Clint» dice Naida, guardandosi attorno con
gli occhi sgranati per il panico.
«Manca Clint» ripete l'agente Romanoff con un filo
di voce incrinata dalla paura.
Perdere Barton non è ammissibile, non è
assolutamente tollerabile. Tony se ne rende conto con un certo
sgomento; se la morte di Coulson lo scosse e gli fece vedere rosso di
rabbia fino a quando non fu carbonizzato anche l'ultimo Chitauro, la
perdita di Clint Barton sarebbe qualcosa di ingestibile, per lui come
per tutti gli altri. E per Natasha Romanoff sarebbe forse l'inizio
della fine.
«L'ho trovato» si sente esclamare Thor.
Ma la sua voce non suona molto entusiasta, tanto che Tony sente
un'altra sferzata di paura picchiargli contro il petto.
Quando si voltano a guardare Thor – e sembrano volerci secoli
per riuscire a intercettarlo con lo sguardo – lo vedono chino
a terra. Inspiegabilmente non ha più il suo mantello rosso.
Certo che non ha più il mantello, lo sta usando per
tamponare una ferita, anzi due, una alla gamba e una al torace. E
c'è una marea di sangue.
La Romanoff si fionda sul suo collega e si inginocchia accanto a lui,
di fronte a Thor. Tasta il collo di Barton e guarda verso di loro,
«È vivo. E l'ambulanza di cui parlava Rogers
dov'è?!» esclama.
Tony vede Nadia coprirsi la bocca con le mani per soffocare un
singhiozzo. Ha il viso arrossato e contratto di chi sta trattenendo uno
scoppio di pianto. Non vuole piangere, dopo tutte le proteste e le
piccole ribellioni ai loro tentativi di tenerla al sicuro, non vuole
mostrarsi debole, non vuole essere la prima a versare lacrime. Quando
proprio non ce la fa più, si aggrappa al braccio di Rogers,
lui le cinge le spalle e lascia che lei gli nasconda il viso nel petto.
*
Gli sta cominciando a venire mal di testa, ed è sempre una
brutta cosa quando succede.
Un agente ha portato un vassoio con delle tazze di tisana calda e lui
ne prende una per darla alla stramaledetta signorina Berton.
Che quella ragazza sarebbe stato un diavolo di problema, a Nick Fury
è stato chiaro dalla prima volta che l'ha sentita nominare,
ancora prima di conoscerla, quando la squadra dei Vendicatori era
tornata da quella specie di missione clandestina a Venezia e lui era
riuscito, facendo la voce grossa, a farsi raccontare cosa diamine fosse
successo e perché tutti loro erano spariti di colpo alla
volta dell'Italia.
Poi l'ha incontrata e ha capito che era molto di più di un
problema, era un casino con i controficchi. Una civile ventiseienne
straniera, pericolosa per se stessa e per gli altri, che gli Avengers
si sarebbero ostinati a proteggere fino allo sfinimento e che, per
giunta, si era presa una sbandata per uno delle più
pericolose minacce che lo S.H.I.E.L.D. avesse mai fronteggiato.
Volendo fare le cose alla vecchia maniera, avrebbe dovuto piantarle una
pallottola in mezzo agli occhi. Estirpare il problema alla radice,
è così che per decenni lo S.H.I.E.L.D. ha
controllato le minacce alla sicurezza.
Ma la ragazza era intoccabile – maledetti gli Avengers e la
loro infatuazione collettiva per lei. E per giunta, era anche
innocente. E indisponente e sveglia e abbastanza pazza da essere
coraggiosa. Eccessivamente buona forse, un po' lagnosetta e petulante
alle volte, cocciuta quasi sempre, con un'odiosa tendenza ad essere
sulla stessa linea d'onda di Tony Stark, ma tutto sommato una brava
persona e un ottimo elemento.
E, in fin dei conti, il direttore Fury deve riconoscere a Nadia Berton
il merito di essere riuscita in tutta naturalezza a rendere gli
Avengers ancora più uniti e compatti di quanto non lo
fossero dopo la battaglia di New York. C'era voluta la morte di Phil
Coulson per renderli una squadra con un obiettivo comune, ma la ragazza
ha fatto molto di più, li ha resi amici, gli ha dato un
pretesto per diventare una famiglia.
«Grazie, direttore» mormora Nadia, prendendo la
tazza di tisana che lui le sta porgendo.
È più scossa di quanto vuol dare a vedere. Sono
appena rientrati da Boston e si sono ripresi dall'imbambolamento
generale solo quando i medici della base hanno annunciato che Barton
è fuori pericolo, anche se resterà KO per qualche
giorno.
Ma la ragazza non vuole dare a vedere quanto è turbata
perché teme che la prossima volta la lascino fuori dalla
pista – il che sarebbe giusto, ma altamente improduttivo. Non
è sempre vero che quando si è troppo coinvolti si
diventa meno lucidi, a volte la volontà di salvare il
proprio compagno di squadra perché si tiene a lui
è un particolare che può fare la differenza,
senza contare che per aiutare un compagno a cui vuoi bene devi
necessariamente preservare in vita anche te stesso, quindi si prendono
due piccioni con una fava.
Alla fine dei conti, Fury prova anche lui la sua bella
quantità di simpatia per la signorina Berton e si auspica
sinceramente che esca viva, sotto tutti i punti di vista, dalle mille
cose che ancora deve evidentemente affrontare – non che la
tentazione di spararle ogni tanto non la provi ancora, comunque.
La dottoressa Foster e il dottor Banner entrano nella sala. Lei si
fionda tra le braccia di Thor – che è quello
più sano e più salvo di tutti, lui passa in
rassegna con lo sguardo i suoi amici e poi va dalla ragazza, le posa le
mani sulle spalle e resta così, ad aspettare che si inizi a
parlare. I due scienziati hanno avuto anche loro una buona dose di
adrenalina per quella giornata e l'adrenalina di Banner è
sufficiente per una vita intera.
Arriva anche la Romanoff, con una medicazione sulla fronte e lo sguardo
che ha smesso di essere allucinato e assente: Barton è salvo
e lei è una professionista. Tra dei, alieni e altre
amenità, Fury è contento che certe cose almeno
non cambino mai.
A Fury non sfugge lo sguardo che la Vedova Nera scambia con la ragazza.
La stramaledetta signorina Berton è la prima che tutti loro
guardano quando succede qualcosa, come se si aspettassero sempre di non
trovarla, o di vederla scappare via a gambe levate. Ma non
succederà mai, quella ragazza ha passato da tempo il punto
di non ritorno oltre il quale non ci si può più
permettere di fuggire e forse un giorno le sarà fatale, ma
non si può dire che la biondina non abbia le idee chiare.
«Come è potuto succedere che ci sia sfuggita una
carica esplosiva in un cazzo di magazzino?» borbotta Fury,
cancellando in un attimo tutte le elucubrazioni su Nadia Berton e
concentrandosi sul problema. Ok, è arrabbiato
perché due agenti sono morti, in modo assolutamente stupido.
Le morti idiote e inutili sono una cosa che lo mandano fuori di testa,
ma andare fuori di testa è un privilegio che ha perso da
quando è diventato direttore dello S.H.I.E.L.D.
«La carica era nascosta, si attivava spostando un oggetto,
quello scrigno del ghiaccio» dice la Romanoff.
«E la bomba non voleva davvero essere letale»
osserva Stark. «La carica esplosiva non era così
forte, altrimenti a quest'ora qualcuno ci starebbe raschiando via dal
pavimento».
«Non volevano uccidere noi, volevano solo far sparire quella
roba nel caso in cui qualcuno avesse trovato il magazzino. Immagino che
le uccisioni siano da preservarsi per la fase due del piano, qualunque
esso sia» deduce Rogers.
«E vogliono che ci arriviamo vivi alla fase due. Che vi
assistiamo...» dice Nadia Berton, come se stesse pensando ad
alta voce. Il pensiero è abbastanza agghiacciante da zittire
tutti per una manciata di secondi. Certo, tutta quella follia
è una vendetta perpetuata da chissà quale testa
di cazzo ai danni di Thor, e ogni vendetta che si rispetti necessita di
essere vissuta e subita.
«Però una cosa ancora non mi quadra»
borbotta Banner. «Se hanno fabbricato armi che necessitano di
una fonte di energia per essere azionate, perché l'aggeggio
dei ghiacci ha funzionato?»
«Non esattamente». È Loki a parlare, dal
fondo della stanza, dove se ne sta appoggiato al muro, distante da
tutti loro come se temesse che potessero contagiarlo con qualcosa...
tipo un po' di umanità, ad esempio.
Ha un cervello notevole, questo gli deve essere riconosciuto. Quelli
con il cervello buono sono sempre i peggiori. Quelli con il cervello
buono gli fanno davvero davvero paura.
«Non esattamente. Ha funzionato una volta, ma poi ha
cominciato a rompersi. Non hanno bisogno dell'energia per attivare le
armi, ne hanno bisogno per far sì che continuino a
funzionare».
«Senza l'energia di Asgard, le copie dei nostri manufatti non
reggono la potenza del loro stesso utilizzo» borbotta Thor,
impensierito.
«Allora è un bene che non abbiano a disposizione
fonti di energia abbastanza potenti» conclude Fury, cupo. Non
è un bene che dopo quel primo passo, loro stiano ancora
brancolando nel buio. Non hanno niente in mano e lui non si sentiva
così impotente da quando quel bastardo di Loki piovve dal
cielo e rubò il Tesseract, o quando gli mandò
quasi a picco l'Eliveivolo.
I momenti peggiori della carriera di Nick Fury hanno tutti a che fare
con Loki. E lui ne ha una paura fottuta, tanto da aver accettato il
patto che gli ha proposto Thor. E anche lì, non si sa come
andrà a finire la cosa...
«Che cosa possiamo fare?» chiede all'improvviso la
dottoressa Foster. Domanda di rara inutilità. «Che
cosa possiamo fare più di quello che stiamo già
facendo?».
«Pregare in aramaico antico?» esclama Stark,
stringendosi nelle spalle. «Non abbiamo niente su cui
lavorare, solo teorie e macerie».
E due agenti morti.
Dannazione!
Due agenti morti e non è ancora cominciata.
«Se non altro le teorie si sono rivelate abbastanza
esatte» osserva l'agente Romanoff. «E loro sono
ancora in svantaggio perché non hanno l'energia. Questo ci
dà tempo».
«Sono riusciti a riprodurre la più avanzata
tecnologia dell'universo» osserva Banner in tono lapidario.
«Quanto tempo credete ci metteranno a trovare anche la giusta
fonte di energia per farla funzionare a dovere?».
*
Sta guidando verso casa, piano perché lo stomaco di Nadia ha
continuato a fare i capricci per un bel po' di tempo mentre erano alla
base dello S.H.I.E.L.D.
Reazione allo shock, hanno detto i medici dell'infermeria che l'hanno
visitata. A parte Barton, lei è quella messa peggio
perché quella di oggi è stata la sua prima
esplosione. Un'iniziazione che le avrebbero volentieri risparmiato.
Per un attimo Tony ripensa alla scena di Loki steso su di lei. Davvero
non vuole pensare che lui l'abbia protetta di proposito, ma con tutto
il vetro che gli è schizzato addosso, forse se non fosse
stato per Bambi ora Nadia avrebbe un occhio in meno magari, o
peggio.
Al diavolo Loki, al diavolo tutto. Vuole solo tornare a casa e dormire.
Aggiungerebbe una seduta di sesso ai suoi desideri, ma nello stato in
cui si trova ha paura di rientrare nelle statistiche negative... performance issues.
«Hai intenzione di rimandarlo?» domanda Nadia.
Cosa, il sesso? Certo.
La ragazza si stropiccia il viso con la mano e impasta la bocca. Sta
lottando per mantenersi sveglia,
«Hai intenzione di rimandarlo, il party?» precisa.
Tony picchietta le dita sul volante. Non ci aveva pensato. Dopo qualche
secondo fa un mezzo sorriso e alza le spalle,
«Nah, perché mai?». Perché Clint Barton
è quasi morto? Perché Nick Fury mandava fumo
dalle orecchie? Perché c'è un nemico invisibile
contro il quel non possiamo fare niente?
Smette di sorridere. «Probabilmente è sciocco, ma
credo sia un modo per non lasciarsi abbattere».
Ha già dato un party di compleanno quando era convinto di
star per morire. Ora non crede necessariamente che morirà,
ma sente comunque il peso di qualcosa di terribile e incombente e non
è che non voglia lasciarsi abbattere, davvero non
può permetterselo. Non può permetterselo lui, non
possono permetterselo gli altri. Hanno continuato a mantenere le loro
vite anche dopo che era suonata la campanella di allarme distruzione
una seconda volta, non devono smettere adesso.
«Sarà una festa grandiosa» dice Nadia.
Mentre l'ascensore li porta in cima alla torre, Nadia si appoggia con
le spalle alla parete a specchio e sembra proprio che si stia reggendo
per non crollare.
Tony l'accompagna fino alla porta del suo appartamento. Pensa che non
sia il caso di lasciarla dormire da sola, ma non dice niente in
proposito perché i messaggi che lei ha inviato a tutti loro
ultimamente sono molto chiari: posso
farcela, datemi fiducia, non preoccupatevi, posso farcela.
E forse – il cervello di Tony un po' sfrigola al pensiero di
doverlo ammettere – Steve Rogers era stato profetico, aveva
ragione, la ragazza sarebbe andata per la sua strada comunque, ad
ostacolarla ci avrebbero solo rimesso tutti quanti.
Nadia entra in casa, si guarda attorno e sospira.
Lui sta per augurarle la buonanotte, quando la ragazza si volta di
scatto e lo guarda in viso,
«Tony, ti voglio bene» mormora.
Le posa una mano sulla guancia e le dà un bacio sulla fronte,
«Immagino sia un effetto collaterale».
La guarda dirigersi con passo strascicato in direzione della camera da
letto, poi chiude la porta dell'appartamento dietro di sé e
va al piano di sopra.
Pepper è seduta sul divano, con il portatile aperto sulle
ginocchia a scrivere mail a chissà chi di importante
– ognuno ha i suoi modi per mantenere il proprio stato di
normalità e lei è dannatamente brava in questo
genere di cose. Appena lo sente entrare, mette via il computer e si
alza di scatto.
Sì, sono vivo
anche stavolta.
La raggiunge e le schiocca un bacio sulle labbra. La cosa buona di
avere un'armatura è che quando rimani coinvolto in
un'esplosione non solo non ti sporchi, ma non ti fai nemmeno troppo
male, così quando torni a casa dalla tua donna lei non
rischia di farsi venire un colpo.
«Quanto devo preoccuparmi?» domanda Pepper,
allacciandogli le braccia dietro al collo e passandogli le dita sulla
nuca in una carezza.
«Di cosa?»
«Della fine del mondo, di te, di Nadia, dei tuoi, anzi nostri, reattori
Arc»
«Nemmeno un po', dolcezza!».
Pepper sospira e sembra voglia dirgli che è il solito
spaccone.
Non sta facendo lo spaccone, come ha detto a Nadia: non devono
lasciarsi abbattere.
Lei alla fine si arrende e fa un mezzo sorriso un po' stanco,
«Comunque, c'è qualcosa per te, in camera da
letto» annuncia con voce morbida.
«Credimi, non avrei mai pensato di dire una cosa del genere
in vita mia, ma stasera
non sono in grado».
Pepper ride sommessamente e scuote la testa, poi gli fa cenno di andare
di là a vedere. Tony sbatte le palpebre, pensando con
rammarico di aver detto una cosa di cui evidentemente non c'era bisogno.
C'è una scatola di cartone appoggiata vicino al suo cuscino.
«Il primo regalo di compleanno, in leggero
anticipo» mormora Pepper.
«Oh, adoro i regali di compleanno!». Non
è esattamente vero, i regali di compleanno sono noiosi,
l'unica cosa che di solito trova divertente è l'attimo di
curiosità in cui cerca di capire cosa ha portato il
leccaculo di turno a concepire l'idea di regalargli robe orrende che
non userà mai.
Sulla scatola c'è un biglietto in una busta da lettere:
«Piccolo
promemoria per un uomo che ha tutto. Proprio proprio tutto.
Nadia.
PS: ho delle copie, un
giorno potrei usarle per ricattarti.»
Tony solleva il coperchio della scatola. Dentro c'è un album
con la copertina in pelle rossa e le rifiniture dorate.
Ha un attimo di esitazione nel sollevare la copertina. Ha idea di
quello che troverà lì dentro e si sente come se
non fosse del tutto pronto ad affrontarlo.
Molte di quelle foto sono state scattate a Venezia, nei giorni che loro
e Nadia avevano passato insieme prima di ripartire per l'America. Non
sono foto in cui sono in posa, lei gliele ha fatte quasi di nascosto,
cogliendoli in una serie di espressioni a volte buffe a volte molto
naturali.
C'è quella in cui lui e Steve Rogers sembrano presi da un
battibecco quasi feroce, quella in cui Barton e la Romanoff sono chini
l'uno sull'altra a consultare la stessa cartina, quella in cui Thor
sorride in quel suo modo allegro e un po' beota e tiene sollevato un
calice di soave come se stesse per gettarlo a terra, Bruce Banner con i
gomiti appoggiati sul parapetto di marmo di un ponte che fissa un
piccione con aria eccessivamente assorta. C'è un'immagine di
Pepper, bellissima contro il riflesso dorato del sole che si riflette
sull'acqua della laguna.
Le uniche foto scattate in posa sono quelle fatte lì a New
York, nella casa dove alloggia Banner. Curioso, Tony a stento ricorda
di averle scattate. Peccato che Thor non ci sia, non era ancora
arrivato in quelle settimane – e ora il signor Stark ripensa
con un po' di rammarico a quello che gli ha detto a proposito del fatto
che lui non c'era mentre loro tentavano di salvare Nadia.
Nell'ultima pagina c'è una foto, un po' più
piccola delle altre. Lui e Nadia, l'ha scattata lei tenendo sollevata
la fotocamera davanti ai loro visi, è un po' mossa ed
è di certo la meno artistica di tutta la collezione.
Tony chiude l'album e sorride.
Ti voglio bene anche io,
Colombina.
*
Sul tetto dell'edificio l'aria della sera è fredda.
Loki guarda la città da lontano, un mosaico di luci. Chiude
gli occhi e ne immagina i rumori, il gran fracasso che fa il genere
umano trascinando la sua esistenza giorno dopo giorno.
È lì da almeno un'ora, a cercare di pensare. Non
gli piace quello che ha visto quel giorno, non gli piacciono le
conclusioni che ne ha tratto.
Se il metallo con cui sono fabbricati quegli arnesi maledetti si
è in qualche modo attivato quando Thor si è
avvicinato con il Mjolnir, allora vuol dire che i cerchi di luce di
Stark non sono l'unica fonte di energia che potrebbe far comodo al
nemico.
Nemico...
Chiunque sia a minacciare la Terra non è un suo nemico.
Sarebbe utile conoscere l'identità di questo misterioso
avversario di Midgard, potrebbe riuscire ad arrivare sino a lui,
stringere un patto e risolvere molti problemi in un sol colpo.
Per che cosa negozierebbe? Per avere un lasciapassare sicuro per un
altro mondo, protezione magari, armi forse. Una nuova fruttuosa
alleanza.
Cosa gli offrirebbe in cambio? Le teste degli Avengers, i soli che
possono sventare i piani di questo misterioso attentatore –
perché potrebbero farcela, Loki ne è sicuro, e se
i nemici non sono degli sprovveduti lo sanno anche loro. Non si viene a
dar battaglia alla Terra senza conoscerne le difese, lui era entrato
nella mente di Barton per sapere quale genere di opposizione avrebbe
trovato. Quando aveva scoperto il piano di Fury di mettere insieme una
squadra di eroi ne aveva riso, li aveva sottovalutati. Ma Loki
è certo che chiunque nell'universo abbia mire sulle Terra
abbia imparato dal suo errore, ed è assolutamente sicuro che
chi minaccia la sicurezza del pianeta conosca i Vendicatori e in
qualche modo se ne stia prendendo cura.
Il dio dell'inganno è curioso di sapere con quali mezzi i
nemici intendano contrastare il circo ambulante messo su da Nick Fury.
Certo, mettersi a cercare questi misteriosi attentatori per conto
proprio e provare a stringere un'alleanza con loro sarebbe comunque un
azzardo e la sua situazione è già abbastanza
precaria.
Non sa se può fidarsi di loro. Se davvero sono nemici che
appartengono al passato di Thor, per quanto la cosa lo faccia fremere
di rabbia, Loki non può dimenticare che in quel passato lui
e il dio del tuono erano fratelli. E se non lo può
dimenticare lui, di certo non lo ha dimenticato nessun altro in tutti i
Nove Regni.
Non sa se può fidarsi di individui che vogliono distruggere
quel piccolo mondo che detesta e che vogliono, evidentemente, veder
cadere Thor quasi quanto lo vuole lui.
E non può fidarsi nemmeno degli Avengers. Loro sono come
Thor e come suo padre, loro lo lascerebbero cadere.
Il dio dell'inganno è di nuovo solo, come sempre. Solo che
questa volta c'è una nota diversa in questa litania di buio
e marciume, questa volta ha anche lui qualcosa da difendere.
È il motivo per cui prima, quando è scivolato non
visto nell'infermeria buia e silenziosa, ha allungato una mano per
fermare il cuore di Barton ma si è fermato all'ultimo
istante.
È il motivo per cui sta preparando un piccolo tiro mancino
il cui solo pensiero basta a metterlo di buon umore. Se proprio deve
scontare quell'assurda condanna e tutti gli effetti di quel tremendo
esilio, deve pur trovare qualcosa di divertente da fare.
____________________________________________
Note:
Il
POV di Fury, è uscito fuori da sé. Mi era
capitato di usarlo
solo una volta nella fanfiction precedente e mi fa sempre paurissima.
Il
prossimo capitolo è piuttosto lungo e
“denso”, potevo
spezzarlo in due ma credo che si perda un po' la climax
perciò l'ho
lasciato com'è. Ho idea che, lunghezza a parte, potreste
trovarlo
interessante.
Prendete nota del fatto
che Nadia ha regalato un album di fotografie a Tony... nella prossima
storia è un particolare che avrà tutto un suo
significato.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento :)
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita,
l'universo e tutto quanto: HERE
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Capitolo 19 *** Blinded by the light ***
Capitolo diciottesimo
Blinded by the light
Si guarda allo specchio, ha addosso solo la biancheria e si accorge di
quanto sia dimagrita negli ultimi mesi, per non parlare dei lividi
sparsi un po' ovunque e sui tagli sparsi sul fianco destro.
Nei film sui supereroi non parlano mai di ematomi e tagli, nei film i
buoni vincono, nessuno si fa male e i cattivi sono cattivi e basta.
Nadia sospira e decide di indossare il vestito. Questo è
nuovo, la leggenda vuole che sia stato scelto da Natasha. Ora, se sei
una donna e se sei Natasha Romanoff, si suppone che tu te ne intenda
per principio, ma la ragazza più guarda il vestito e
più pensa che sarà ridicola con quel coso addosso.
Il taglio è estremamente semplice, è un vestito
blu senza spalline, lungo fino alle caviglie. Quello che è
inquietante è la spaccatura vertiginosa della gonna, sul
lato sinistro.
Ma si usa ancora la spaccatura sulla gonna lunga?
Sì, se sei Natasha-sexy-anche-in-tuta-Romanoff e sei in
grado di portare scarpe con tacco dodici, e poterci correre e poterci
eseguire più o meno tutti i numeri delle discipline
olimpiche – e all'occorrenza poterle usare anche come arma
impropria.
Se sei una comune mortale, non particolarmente alta, le cui curve sono
andate anche un po' sparendo insieme ai troppi chili persi, il cui
limite massimo per i tacchi è di cinque centimetri, il
meglio che tu possa ottenere è di sembrare una caramella
incartata male.
Ma Nadia non ha altri vestiti adatti all'occasione ed è
già in ritardo, non può pensare di spedire uno
dei tuttofare di Tony a rimediarle qualcosa di diverso. E in quegli
ultimi giorni, di certo non ha potuto preoccuparsi del suo abito da
festa.
«Le calze! Dove sono le calze?» esclama, correndo
fuori dal bagno, reggendo tra le mani il vestito per non farne
strisciare a terra l'orlo. Si sente tipo una sposa che sta scappando
dall'altare.
«Sulla spalliera della poltrona, signorina» dice
Jarvis.
Infila le autoreggenti, solleva di nuovo il vestito e torna in bagno a
truccarsi. Almeno, ci prova.
«I miei rilevatori ottici mi dicono che ha messo
più fard sulla guancia sinistra che su quella destra,
signorina»
«Grazie, Jarvis. Sei il miglior robot che una ragazza possa
desiderare».
Qualcuno faccia qualcosa!
Al party ci sono tutti gli altri, gli Avengers al completo, tranne
Clint che l'ha scampata causa ferite non ancora rimarginate. Potrebbe
attaccarsi come una cozza a loro, fregarsene altamente del vestito,
fare un giro di valzer con Bruce – lei non sa ballare il
valzer, quasi sicuramente nemmeno lui, bere martini con Thor, provare a
gettare Steve tra le braccia di qualche fascinosa sconosciuta e
commentare il tutto con Natasha. Potrebbe fregarsene del vestito e di
tutto il resto, ma c'è un particolare che le rende difficile
ignorare certi aspetti, soprattutto quelli estetici: Mike.
Mike sarà alla festa e lei ha intenzione di parlargli. Si
è preparata il discorso, lo ha provato allo specchio, o
almeno ci ha provato...
«Ho capito, mi
sono resa conto che mi piacerebbe moltissimo stare con te,
perché tu sei...»
«Signorina,
sono lusingato, ma non sono programmato per questo genere di
cose»
«Jarvis, santo
cielo, non sto parlando con te»
«Ma non
c'è nessun altro»
«Lo so Jarvis,
sto immaginando»
«Oh, anche lei
immagina ad alta voce?».
Morale della favola: alla fine ha dovuto dare ragione a Loki, certe
cose, se sono importanti non possono essere rimandate. E Mike
è importante. Lo è senz'altro, cioè...
se le ha fatto sentire e provare certe cose è
perché è speciale. Lui la fa stare bene. Lei
vuole dirglielo, deve saperlo, è giusto che lo sappia,
è giusto che le cose importanti vengano messe a posto.
Avrebbe potuto morire in quel magazzino di Boston e non si
può morire senza fare una dichiarazione in piena regola al
ragazzo che ci piace.
D'accordo, non è una dichiarazione. L'amore è il
passo successivo, è quel qualcosa in più che
verrà una volta messo a posto tutto quanto c'è da
mettere a posto adesso, ma lei ha deciso di non rimandare. Quella sera
è la sera giusta, lo sa, lo sente.
Quella è la sua sera giusta e lei si sente ridicola con quel
vestito e quei tacchi troppo alti. Quasi non si sente se stessa.
«Jarvis, dimmi buona fortuna!»
«Per cosa, signorina?»
«Non importa, dimmelo è basta»
«Buona fortuna, signorina».
Nadia sorride al vuoto, prende la sua striminzita borsetta in cui ci
sta a stento l'astuccio della cipria e un pacchetto di fazzolettini ed
esce, incontro al suo destino.
Sotto al palazzo l'aspetta Steve – che probabilmente
chiamerà un esorcista appena la vedrà. Tony e
Pepper sono già sul posto, una sala per feste private
all'interno di un casinò o qualcosa del genere, uno di quei
posti fighi che riesce a scovare Pepper, con camerieri in frac e
baristi che sembrano usciti da un film di James Bond.
Steve è... Dio onnipotente! È in smoking. Captain
America in smoking e cintura di seta! Captain America in smoking,
cintura di seta e sorriso anni Cinquanta.
Nadia spalanca la bocca per lo stupore e rimane per un attimo bloccata
sul marciapiede. Lei ha una stola a coprire le spalle che il vestito
lascia nude e si sente un po' come quando si avvolge nel telo da bagno
dopo essere uscita dalla doccia. Steve Rogers è un raggio di
sole piovuto dal cielo.
«Se non rimorchi stasera, non vedo quando
succederà» dice lei, squadrandoselo un'ultima
volta dalla testa ai piedi prima di salire sul taxi.
Lui arrossisce fino all'attaccatura dei capelli e fa un sorrisetto
imbarazzato,
«Una ragazza tanto bella non dovrebbe essere così
sboccata» l'ammonisce, tossicchiando.
Nadia lo guarda piegando la testa da un lato,
«Se non fossi il fratello maggiore che non ho mai avuto, la
tua virtù sarebbe seriamente a rischio in questo esatto
momento».
Ritardano di qualche minuto a causa di un ingorgo stradale. Quando
arrivano, Nadia ha quasi paura di scendere dalla macchina. Davanti a
lei c'è una lunga scalinata di marmo lucido.
Steve le offre il braccio, con perfetto fare cavalleresco.
«Non mollarmi per nessun motivo al mondo, Capitano, rischio
di rompermi l'osso del collo» borbotta lei a denti stretti.
La sala non delude le aspettative. È un posto luminosissimo,
dai pavimenti di marmo, le rifiniture in legno e con un enorme
lampadario di cristallo a penzolare dal soffitto.
Steve mostra a un tizio in frac di seta bianca il loro invito. Nadia
vorrebbe diventare polvere nel momento in cui varca la soglia della
sala.
Il primo a venire loro incontro è uno spaesatissimo Bruce,
«Woh! Sei più alta di me» commenta,
tormentandosi il nodo della cravatta. «E sei uno
splendore»
La ragazza lascia il braccio di Steve e si aggrappa a quello del
dottore.
«Non provarci, mi sento un'idiota...» gracchia a
voce bassa. «Come fai a non essere nervoso, Bruce? Dimmelo,
che se ci riesci tu ci riesco anche io»
«Me ne sto alla larga da Tony, non mangio niente che non
abbia un colore rassicurante e parlo dell'India con Natasha»
risponde l'uomo con un sorriso serafico.
«Ok, me ne starò nell'angolo e manterrò
un profilo bas... dei
del cielo e della terra!»
«Sì, lo so. Tra un po' la dottoressa Foster
ammazzerà qualcuno, o si darà
all'autolesionismo».
Thor è decisamente il pezzo forte della serata. Bello come
un dio – come il dio che effettivamente è
– in un completo grigio, con i capelli pettinati all'indietro
e raccolti da un elastico, la barba appena spuntata e i suoi occhioni
gentili. Spunta come una montagna in mezzo a un nugolo di persone, per
lo più donne, che sciolinano una serie di domande assurde,
tipo «ma da voi si mangia solo nettare e
ambrosia?». In tutto questo, Jane, in un bell'abito grigio
fumo, è in un angolo a fissare la scena con aria piuttosto
interdetta.
«Non ne verrà mai fuori da solo» osserva
Nadia, sconvolta.
«Io non mi avvicino neanche...» mormora Bruce.
«Anche se l'Altro offrirebbe un contributo molto valido data
la circostanza».
Restano a guardare la scena per qualche altro minuto, fino a quando
Jane non parte alla carica, si fa largo a suon di gomitate in mezzo al
crocchio di galline ingioiellate, borbottando in tono acido
«scusate, permesso, scusate!» e porta via Thor,
dirottandolo verso l'angolo più remoto del tavolo da buffet,
dove c'è una scultura di frutta esotica che nessuno ha
notato – nessuno mangia mai la frutta ai party, Nadia ne ha
preso nota le volte precedenti in cui Tony l'ha trascinata a qualche
festa.
«Cielo, Thor! Stai bene? Ti hanno fatto del male?»
esclama Nadia, sarcastica.
«Un branco di galline urlanti» borbotta Jane.
«Tzè, come se non avessero mai visto uno
smagliante dio norreno alto due metri in vita loro!» le fa
eco Natasha, che si è appena avvicinata. Nadia deve mordersi
l'interno della guancia per non scoppiare a ridere.
«Allora, com'è la festa?» domanda Steve,
ansioso di fare conversazione dal momento che si è accorto
che gli occhi del pollame assortito ora puntano quasi tutti su di lui.
«Così simile a quelle del mio luogo di
origine» dice Thor sorridendo deliziato.
«Anche lì venivi accerchiato dalle
ragazze?» scherza Nadia.
«Beh, talvolta capitava, ma di solito bastava che si
avvicinasse Sif per farle defil...».
Natasha è costretta a tirargli una gomitata nel fianco,
prima che Jane esploda.
Il chiacchiericcio riempie l'aria come fumo. Nadia riesce davvero a non
pensare al vestito, alla serata, mentre è lì con
loro. Si preoccupano tanto di tenerla al sicuro, quando per farla
sentire in salvo basta anche solo la loro presenza.
«State cospirando contro di me?». Tony compare
all'improvviso oltre la spalla di Steve.
«Stiamo solo nascondendo Thor, ma è un po'
difficile da occultare» risponde Bruce.
«Nascondete anche me. Norman Hope ha acciuffato me e Pepper e
sta parlando da tre quarti d'ora di una valanga di cose noiose. A lei
piace ascoltarlo, per me è un'istigazione al suicidio. Ma
guardati, Colombina, sei una favola».
Nadia scuote la testa,
«Mi sentirei più a mio agio se fossi
nuda» borbotta.
«Sei bellissima»
«Mai quanto tutti voi messi assieme».
Forse saranno i tacchi alti, ma la ragazza sente di avere le vertigini.
Afferra un bicchiere di qualcosa di alcolico e cerca di darsi
un contegno nel sorseggiarlo con la calma appropriata.
«Sembri turbata, mia giovane amica» dice Thor,
battendole una mano sulla spalla.
«Beh, le ultime giornate sono state piuttosto... pesanti».
Il commento suona stupido persino a lei che lo ha pronunciato. La
discesa verso la follia si potrebbe dire iniziata mesi fa, da quando ha
scoperto che Loki non era un ragazzo normale, ma un dio in fuga da
mezzo universo, eppure negli ultimi giorni tutto sembra crollato, sceso
ancora più a fondo, ben oltre la follia.
Guarda la squadra dei Vendicatori, raccolti intorno a lei, e l'assenza
di Clint sembra aprire una voragine. È stata a trovarlo
quella mattina, si sta riprendendo, sta bene, ha ripreso a scherzare e
ha parlato tutto il tempo delle mille cose che farà quando
troveranno quelli che hanno messo quella bomba nel magazzino. Sta bene,
ma è per puro caso, poteva esserci lui, uno qualsiasi di
loro, al posto dei due agenti morti. Nadia non ha mai davvero
affrontato una perdita, non saprebbe proprio come fare se a uno di loro
accadesse qualcosa, non saprebbe quale tremendo meccanismo si
innescherebbe dentro di lei e cosa la farebbe diventare.
Ha avuto paura molte volte da quanto è iniziata
quell'avventura, ma era una paura circoscritta a una situazione
precisa, a un pericolo che si poteva affrontare e superare. Adesso la
paura è per un nemico invisibile, che non hanno mai neppure
sfiorato, e che già ha ucciso e fatto danni. Adesso la paura
non è più solo per se stessa e per la propria
sorte.
E quello è il momento meno adatto per quei pensieri. Li ha
già affrontati più volte in quei giorni, ma loro
tornano, ciclicamente, a ricordarle quanto sia piccola e impotente,
quanto non possa fare niente di concreto per aiutare davvero tutti
loro.
È Bruce a stringerle un braccio attorno alle spalle. Non le
dice che andrà tutto bene perché suonerebbe
sciocco e insincero, la stringe e basta. Fa quel che può
perché forse il senso è proprio questo, fare
ognuno ciò che può e non lasciarsi abbattere.
«Perdonate il disturbo». La voce suona un po'
intimidita. Nadia la registra a stento, ma ha un sussulto e si rende
conto che fino a un attimo prima stava per mettersi a piangere.
«Io, ehm... ciao, Nadia. Sono arrivato solo adesso,
e...».
Mike.
Mike si fa piccolo piccolo sotto lo sguardo degli Avengers come se
fosse lui il cattivo che sta per essere preso a calci nel sedere. Fa
tenerezza.
«Ciao!». Nadia non capisce perché ora la
sua voce debba suonare così ridicolmente stridula.
«Loro sono, beh lo saprai già. Ragazzi, lui
è il mio amico Mike».
La scena del povero ragazzo che stringe una a una le mani degli eroi
più forti del pianeta è un po' scioccante. Non
per la cosa in sé, ma per la gamma di espressioni che si
susseguono sui loro visi – perché Steve ha messo
su quella faccia così austera?
«Ok. Ora che abbiamo fatto le presentazioni, ti
salverò» annuncia Nadia. Prende Mike sottobraccio
e si allontana insieme a lui.
Perfetto. Quello è il momento in cui dovrebbe fargli il suo
discorso, dovrebbe dirgli che per le cose veramente importanti non si
deve aspettare, che sono i problemi che devono essere messi da parte
per far spazio a ciò che davvero si vuole e non il
contrario. Sì, proprio come ha detto Loki, che ha messo da
parte persino le sue mire di conquista e distruzione per tornare ad
aiutarla, e che...
Non essere stupida. Non
pensarci nemmeno...
«Mike, innanzitutto devo chiederti scusa»
esordisce. «Lo so, sono pessima e non è nemmeno la
prima volta che mi ritrovo a dovermi scusare con te»
«Non devi farlo. Io, dovresti saperlo, ti ammiro tanto. Sei
qui, ad anni luce da casa, ad affrontare cose enormi e penso che meriti
tutta la comprensione di questo mondo, e anche se così
fosse... oh, Nadia, lo sai, tu mi piaci e io ho tutte le intenzioni di
aspettare quando...».
Sciocchezze! Se ti
volesse davvero non avrebbe aspettato affatto.
Ora ci si mette anche la voce di Loki dentro la sua testa. Non esiste,
non dev'essere così, non deve andare così! E non
ha senso che tutti i dubbi che non ha avuto fino a un minuto prima ora
le cadano sulla testa come una valanga e la sommergano.
«Mike, io devo parlarti. È giusto che tu... oh, santi numi!».
*
Comincia a piovere appena vede l'edificio, in fondo a una larga strada,
oltre una fontana che funge da rotonda.
L'asfalto si fa d'argento sotto il riverbero bagnato. Loki inspira una
boccata di aria umida, il fiato diventa uno sbuffo di fumo contro lo
scuro del cielo senza stelle.
Inspiegabilmente, ripensa all'ultima volta che è stato a
Jotunheim, a stringere un patto con Laufey, a tradirlo. I ricordi sono
la sua più tremenda debolezza, spuntano come fiori velenosi
sul sentiero perché hanno radici che non possono essere
estirpate. I ricordi pesano e possono schiacciare anche un dio, se
questo dio non fosse tanto bravo a nascondere i propri sentimenti.
Essere più forte del proprio cuore, questo è
sempre stato il punto.
Io sono più
forte...
Ha bisogno di ripeterselo, per rammentarlo, per convincersene. Anche se
convincersi di quel pensiero rende forse ancora più
insensato quello che sta facendo.
Ha passato i giorni a riflettere sul perché delle proprie
scelte, su come mai abbia deciso di fare o non fare qualcosa. Ha
trovato valide ragioni per non voltare le spalle ai Vendicatori e
allearsi con i loro nemici: non si fida di chi non conosce, non si fida
del fatto che loro possano effettivamente vincere, non avrebbe alcuna
certezza se scegliesse di stare dalla loro parte...
Racconta menzogne, il dio dell'inganno, è ciò che
lo qualifica. Racconta menzogne così bene che a volte anche
lui smarrisce la verità.
Io sono più
forte...
Forse è vero, ma non si sente affatto forte mentre varca
quella soglia. Si sente divertito, certo, ma è solo
l'insieme di un po' di vecchi trucchi, illusioni di poco conto, per
fingersi un umano.
Non ha avuto bisogno di sapere con precisione il luogo e l'ora. Non ha
bisogno di cercare; l'energia della pietra è una traccia che
può seguire da qualsiasi angolo dell'universo, e da
qualsiasi angolo dell'universo le strade tracciate dal destino sembrano
condurre a quella sala agghindata a festa.
Ne varca la soglia a testa alta. Viene invaso dal rumore sommesso delle
tante voci che parlano assieme e dallo sfavillio delle luci.
Pensa ad Asgard, per un attimo, pensa che nella sua mente è
come una casa distrutta da un cataclisma, ne resta solo l'impronta sul
terreno, ma non ci sono più pareti, non ci sono
più fuochi accesi o tetti. Non c'è più
il senso di appartenenza e di sicurezza.
Pensa ad Asgard e alla sua giovinezza, alla mille e mille feste come
quella che ha visto trascinarsi tra scoppi di risate e l'olezzo degli
incensi ad ardere nei bracieri.
Si può non avere più una casa, per fortuna il
mondo resta comunque pieno di ombre dentro le quali andarsi a
rifugiare.
Ma stavolta non ha scelto l'ombra. Stavolta percorre la scalinata che
porta alla sala, e sente quasi la luce pungergli il viso.
Quasi nessuno fa caso a lui, continuano tutti a ciarlare con il proprio
interlocutore, a bere da lunghi calici di vetro. Solo una manciata di
occhi arriva a notarlo, i loro
occhi, gli occhi dei nemici, che hanno la mente affinata nel percepire
la sua presenza, nel sentire l'odore del pericolo spandersi nell'aria.
I fantomatici Vendicatori, tirati a lucido nei loro abiti da festa,
sono gli unici che lo hanno visto e ora lo stanno fissando attoniti.
In un gesto automatico, Stark spinge la sua compagna dietro
sé, gli altri gli si stringono attorno come a formare un
muro. Eppure lo sanno che lui potrà sempre fare breccia,
perché lui conosce dove si trova il loro cuore.
Loki sorride, si sfila il soprabito con un gesto disinvolto e lo
consegna a un cameriere. Poi si avvicina agli eroi.
Thor fa un passo avanti,
«Cosa fai tu qui?» domanda, brusco. Forse
è deluso dal non essere riuscito a tenerlo alla larga anche
da quel tipo di luce. Forse è solo sorpreso.
«Quello che fate voi altri, suppongo: partecipare a una
festa». Dovrebbe suonare per quello che è, una
sorta di patto di non belligeranza. Partecipare a una festa, se ben
ricorda, non implica scontri o violenze.
«Fury avrebbe dovuto lasciarmi il tempo di escogitare
qualcosa per rinchiuderti» sibila Stark.
«Sarebbe stato senz'altro divertente vederti tentare e
fallire».
«Fa' che non si debba chiedere a Hulk di accompagnarti
all'uscita» aggiunge la Romanoff, crucciata.
«Hu... Hulk?» squittisce una vocina da dietro al
muro di facce dure. Oh, ma certo, la giovane scienziata di Thor;
verrà anche il suo turno, prima o poi.
«È una bella festa, Stark» conclude Loki
in tono annoiato. «Non vedo perché ognuno di noi
non debba godersela per conto proprio».
«Sul mio onore, fratello: fai accadere anche solo una cosa
spiacevole stasera e ti riporterò su Asgard all'istante. Non
importa quali saranno le conseguenze» taglia corto Thor, la
sua voce suona leggermente ringhiante. Imparerà mai a darsi
un po' di contegno?
Naturalmente la sua minaccia è vana e suona anche stupida
– è persino tornato a chiamarlo fratello
– ma Loki finge di interpretarla come un patto e si limita ad
annuire, per poi dar loro le spalle e allontanarsi.
Nadia è dall'altro lato della sala. Anche lei lo ha visto
arrivare e sembra non si sia del tutto riavuta dalla sorpresa. Il
ragazzo che le sta di fronte le tiene la mano, ma qualsiasi discorso
stessero facendo è rimasto in sospeso e lui non glielo
lascerà continuare.
Quando li raggiunge, Nadia lo guarda come se cercasse di sondare le sue
intenzioni poi comincia a spostare lo sguardo tra lui e il ragazzo.
«Loki! Che incredibile sorpresa» dice con un
sorriso forzato.
«Sul serio non ti aspettavi di vedermi?» la
rimbecca lui, calmo, con una punta di sarcasmo nella voce.
«Il tuo intuito sta perdendo colpi»
«Sssì.». Lei continua a sorridere in
quel modo idiota, poi si avvicina e fa per baciargli la guancia, ma in
realtà si è solo sporta per sussurrargli qualcosa
all'orecchio. «Il mio intuito perde colpi, vedrai i colpi che
riceverai tu più tardi se ne combini una delle
tue».
Loki solleva appena un sopracciglio, con aria di sufficienza. Si
aspettava qualcosa di più vivace, una volta creata tutta
quella tensione. Si aspettava qualche reazione più decisa.
Quanto sanno essere ipocriti gli umani a volte, con il loro disperato
bisogno di mantenere le apparenze di una calma che non esiste.
Il ragazzo sconosciuto ha l'espressione di un coniglio appena tirato
fuori dal cappello di un prestigiatore, ma tiene ancora la mano di
Nadia nella sua. Un altro testardo, come se non ce ne fossero
già abbastanza in giro in quella sala.
«Non ci presenti?» chiede Loki, guardando Nadia con
enfatica aria di biasimo.
Lei chiude gli occhi per un attimo e fa un piccolo sospiro.
«Certo, scusate. Low-Key, lui è Mike, lavora per
il signor Stark».
«Oh, non lo invidio».
«No, nemmeno io. Mike, Low-Key è...».
«Straniero, suppongo, per il nome e per l'accento»
esclama il ragazzo, mostrando un sorriso smagliante e cordiale che il
dio ricambia con la stessa misurata cortesia. Peccato che l'ha
interrotta, era curioso di sentire in che modo lo avrebbe presentato.
Per stringergli la mano, Mike deve lasciare quella di Nadia. Loki
prolunga la stretta un secondo più del necessario e guarda
il ragazzo negli occhi. La sensazione che ne riceve non è
positiva, non perché lo veda come un intruso o
perché è uno sciocco e insignificante essere
umano, è proprio una sensazione a sé, qualcosa
che scorge nel fondo dei suoi occhi a sembrargli molesto, fuori posto.
Ma non c'è ragione di fare del chiasso inutile, non gli
importa del ragazzo e non vede l'ora di levarselo dalla vista.
«In realtà» dice Loki guardando Nadia,
«non credo che mi tratterrò a lungo, prima che me
ne vada mi accompagneresti al bar?».
Suona un po' stupido persino a se stesso ma immagina che lei capisca,
con l'abilità che ha sempre avuto nel cogliere
ciò che è implicito, che quella non è
esattamente una domanda. A scanso di equivoci, Loki le posa una mano
sulla spalla scoperta e stringe leggermente.
«Oh... Mike, scusa, ancora, credo che Low-Key abbia bisogno
di un anfitrione, forse ha paura che qualcuno gli spezzi tutte le ossa
stasera» dice lei, incapace di nascondere il suo nervosismo.
«Capisco, certo, fate pure...» mormora Mike.
Nadia si volta sospirando e comincia a camminare, diretta al bar. Loki
le indica la grande porta di vetro che immette sul terrazzo.
«È bloccata, c'è l'aria condizionata
qui dentro» osserva lei, con un sospiro stizzito.
«Devo ricordarti quante volte sono evaso da prigioni ritenute
inespugnabili?».
La maniglia della porta scatta sotto le dita del dio e loro sgusciano
fuori, all'aperto. Richiuso il battente alle spalle, il chiacchiericcio
si spegne di colpo e lascia il posto ai rumori della città,
che lì arrivano lontani e ovattati.
Questo è il momento in cui Loki dovrebbe spiegare a Nadia la
sua presenza lì. Ma crede di aver già detto
tutto, o quanto meno, che lei abbia già dedotto tutto.
Voleva solo essere l'elemento di disturbo, è ciò
che è nato per essere, del resto: il figlio imperfetto del
Padre degli dei, il re che usurpa i troni degli altri, la minaccia che
agita il sonno degli eroi. Voleva solo rammentarle che non
può pensare di dimenticarsi di lui quando le fa comodo, come
quando è stato via, prigioniero dei Chitauri e lei non si
è mai neppure chiesta se gli fosse accaduto qualcosa, se
c'era un motivo valido a impedire il suo ritorno.
Nadia gli dà le spalle e si appoggia con i palmi delle mani
alla balaustra di metallo satinato.
Loki pensa che non ha niente da dirle. Che tutto quello che si era
preposto di fare quella sera lo ha già fatto. Quasi sussulta
quando sente un singhiozzo vibrare come la nota stonata di un'arpa.
«Che cosa vuoi, si può sapere?» domanda
la ragazza. La sua voce è graffiante e distorta.
Sta piangendo? Nadia sta
piangendo?!
Avrebbe potuto ucciderla e lei non gli avrebbe dato la soddisfazione di
una sola lacrima o di un'ultima supplica. E adesso, la guerriera, la
folle coraggiosa, piange senza alcun motivo spiegabile.
«Io? Cosa dovrei mai volere?» dice Loki. Detesta il
pianto delle donne, ma più che infastidito ora si sente come
qualcuno che è stato preso in giro. Non sta davvero
accadendo, non è comprensibile, non può essere
una cosa seria.
Nadia si volta verso di lui, a giudicare dal suo sguardo sembra
furiosa.
«Non lo so, ma voglio che tu me lo dica. Piombi alla festa di
Tony, sconvolgi i miei amici, rovini i miei piani... perché?
Cosa vuoi? Sei qui per la pietra, per cosa?».
La pietra. Non ci aveva nemmeno pensato. Come può venirle in
mente un'idea del genere in quel momento? E perché quelle
dannate lacrime non si fermano? Adesso sono diventate due chiazze sulla
stoffa del vestito, al centro del petto.
La serata si prospettava così divertente. Loki adesso non
saprebbe nemmeno dire cosa è successo.
Che cosa vuoi?
La domanda suona come il ringhio di una fiera nei suoi pensieri. La
rabbia nel suo petto esplode in scintille rosse che gli piovono davanti
agli occhi, gli annebbiano i pensieri.
Scatta verso di lei, le serra le mani attorno agli avambracci e si
china a un palmo dal suo viso bagnato di pianto.
«Voglio ciò che è mio!»
esclama. La rabbia nella voce di Nadia poco prima è niente
in confronto a quella che adesso sta trasfigurando il volto del dio.
«Posso aver fallito come figlio, e come fratello, e come
re... ma ho combattuto, oh se l'ho fatto! E se non mi sono rassegnato
all'idea di non aver conquistato nulla, è perché
sono certo che non sia così, e non posso tollerare che mi
sfugga dalle mani».
La lascia andare con uno strattone, lei riesce a stento a mantenere
l'equilibrio. Non sa se c'è una risposta, non si trattiene
abbastanza per ascoltarla e se anche lei stesse urlando, non la
sentirebbe comunque, sente solo un rombo nella testa, il pulsare del
sangue e il ruggito della rabbia che sfuma verso un silenzio freddo,
verso il vuoto.
Quando rientra dentro, nella sala, torna al suo contegno misurato.
C'è un fuoco che si è spento nel momento in cui
ha detto – urlato, probabilmente – quelle parole a
Nadia. Forse più tardi, l'indomani magari, il fuoco
tornerà a bruciare, ma adesso si sente come se il peggio
fosse passato e, soprattutto, come se fosse passato per sempre.
*
Jane si è barricata nel bagno della donne con l'intenzione
di mettere quante più mura possibili tra lei e il mondo
fuori.
Da quando Thor è tornato, è molto felice. Ha
accanto la persona che ama, sta aiutando a salvare il mondo, vede Erik
tutti i giorni, nell'area ristoro della base dello S.H.I.E.L.D. fanno
le migliori brioche che abbia mai mangiato...
Ma quella serata, per lei, è una prova un po' ardua da
reggere, è tipo la prima uscita con gli amici del tuo nuovo
ragazzo. E non è che si siano visti per una pizza, e gli
amici del suo ragazzo non sono proprio la quintessenza della
normalità, e il suo ragazzo non è nemmeno
propriamente un ragazzo. E in passato non si era mai rivelata troppo in
gamba per quel genere di cose, nemmeno quando ragazzo e amici erano
persone normali che si incontravano in un pub e parlavano di football,
film e gossip tutta la sera.
Evidentemente, è solo una questione di talento. Nadia, ad
esempio, sembra così brava a gestire la cosa, a cogliere il
lato normale della faccenda. Non è che Jane la invidi,
è che per lei rimane strana e sfuggente anche dopo tutto
quello che Thor le ha raccontato.
E poi, ciliegina sulla torta, è arrivato anche Loki.
La cosa che la dottoressa Foster trova detestabile in tutta quella
situazione è che non riesce a smettere di avere paura e si
sente così fuori posto per questo.
Ma è rimasta chiusa in quel bagno fin troppo, ora
probabilmente uscirà e troverà Thor di nuovo
sommerso dalle galline.
Prende un bel respiro e si fa aria con le mani, pi apre la porta e
percorre il corridoio che porta al salottino circolare che fa da
anticamera tra il salone delle feste e la zona dove si trovano le
toilette e i guardaroba. Al centro del salottino c'è un
tavolo tondo con sopra un gran mazzo di fiori, attorno al tavolino ci
sono basse poltrone di pelle dall'aria comoda.
Qualcosa stona in quella composizione perfetta, una delle poltroncine
non è voltata verso il tavolo ma verso la vetrata che guarda
fuori, spezzando l'andamento circolare dell'intero insieme.
«Dottoressa Foster». La voce flautata di Loki
scandisce il suo nome e sembra quasi vibrare dalle pareti.
«Curioso che in tutto questo tempo non ci abbiamo mai
presentati come si conviene, le maniere di Thor lasciano ancora molto a
desiderare, a quanto vedo».
Jane avverte il gelo dietro la finta cortesia e si sente paralizzare
dal panico. Tenta di ragionare, di pensare che non può farle
del male in quel momento, in quella stanza in cui potrebbe entrare
chiunque, con Thor e gli altri nella sala accanto. Ma ha sempre avuto
idea che Loki possa fare qualsiasi cosa, altrimenti uno come Fury non
ne sarebbe così preoccupato.
«Nemmeno le tue maniere sono da elogiare, chiedilo ai
cittadini del New Mexico, tanto per cominciare» gli risponde,
ma il tono duro che cerca di ostentare non convince nemmeno lei.
Loki si alza dalla poltrona e muove un passo verso di lei. È
alto quasi quanto Thor, ma non c'è niente in lui che faccia
pensare che abbiano vissuto assieme la maggior parte della loro lunga
vita. La giovane donna freme, ma non gli dà la soddisfazione
di indietreggiare, di mostrarsi più terrorizzata di quanto
già non sia.
«Se Thor non si fosse andato a rintanare in quel luogo
sperduto in mezzo al deserto...» borbotta lui, come se stesse
pensando ad alta voce. È più folle di quanto Jane
avesse immaginato, ma se non si stesse parlando di uccisioni e
machiavellici piani di distruzione, sarebbe da ammirare la sicurezza
con cui quell'individuo sembra perorare la sua causa, la
maestosità di quella pazzia e il totale asservimento ad
essa.
«Non ti assumi mai le tue responsabilità? Non
provi mai fare un giro di ricognizione in quello che hai in testa?
Forse se lo facessi farebbe ribrezzo anche a te». Sta
decisamente osando troppo, gli basterebbe un cenno per ucciderla, ma
per un attimo, ai suoi occhi, Loki ha assunto il fascino di un tremendo
rompicapo, dà il senso di vertigine di quando si
è sospesi su un precipizio e si ha la tentazione di buttarsi
per vedere fino a quanto si riesce a volare.
Ora Jane capisce perché, quando Thor parla di suo fratello,
per quanto rammarico provi, c'è sempre una sorta di
ammirazione di fondo nelle sue parole, ammirazione per quell'uomo
– dio – che ha passato la vita a odiarlo e
invidiarlo.
Quanto avrebbe potuto essere grande e straordinario Loki, se avesse
scelto la parte giusta con cui stare!
«Conosco piuttosto bene la mia mente, mia cara Jane. Non vi
ho ancora trovato qualcosa che mi dispiaccia» risponde il dio
dell'inganno.
Non c'è niente di più doloroso e spaventoso di
una grandezza sprecata.
«Cosa vuoi?» insiste lei, corrugando la fronte.
Loki inclina leggermente la testa e arriccia le labbra.
«Dovreste smetterla di farmi questa domanda»
borbotta con un mezzo sospiro. «Non voglio niente,
mi faceva piacere omaggiare il signor Stark con la mia presenza e, come
ti ho detto, trovavo troppo sconveniente che non ci fossimo mai
presentati».
D'accordo, è intelligente, fascinoso e pericoloso come un
fiammifero acceso accanto a un distributore di benzina. Ma è
anche così infantile.
«E hai ritenuto che fosse meglio presentarti qui, mentre sono
sola. Dovrebbe farmi piacere, suppongo»
«Sei forse spaventata, Jane?».
Sì, ora che la guarda con quel sorriso da squalo lo
è di certo. La donna deglutisce,
«Devo esserlo?»
«Naturalmente. Sempre». Il dio scandisce quelle
parole con lentezza, lei sente il cuore rimbalzarle in gola. Le
è stato detto che è un ingannatore, che
è incredibilmente abile a mentire, ma quell'affermazione non
può che essere vera, è chiaro dal luccichio degli
occhi, dalla durezza dello sguardo.
«Ma non è il caso di preoccuparsene stasera, e di
certo nemmeno nei giorni a venire», aggiunge il dio facendo
un passo indietro e scrollando le spalle con un fare così
tranquillo, quasi bonario, che nemmeno si direbbe che fino a un attimo
prima l'ha minacciata. «Abbiamo tutti, come vogliamo
definirle? Delle priorità, ecco».
Jane lo guarda stupita, confusa.
«Stai parlando di Nadia?» mormora. Loki non si
dà pena di rispondere.
Allora è vero? Tutto quello che ha supposto e sperato Thor,
alla fine si è avverato sul serio: Loki prova davvero
qualcosa di importante per la ragazza, e questo potrebbe bastare a
salvarlo da se stesso?
No, non è così semplice. Jane non si è
mai ritenuta una persona particolarmente saggia o brillante in altre
cose che non siano il suo lavoro, né può pensare
di conoscere Loki così bene, ma è certa che
qualsiasi sentimento lui provi per Nadia non basterebbe a salvarlo. O a
salvare tutti loro da lui. È per questo che Thor ha
accennato a una soluzione escogitata da Odino, quel mistero che non ha
svelato nemmeno a lei.
«Perché semplicemente non la lasci in
pace?» chiede Jane scuotendo il capo.
Il dio dell'inganno sembra perplesso dalla sua domanda. Sposta lo
sguardo di lato, come se si stesse sforzando di trovare una risposta
adatta, una bugia probabilmente, o il modo meno compromettente per
dichiarare la verità.
«Immagino che potrei farlo, se lei lasciasse in pace
me» conclude dopo qualche secondo.
«Non dire stupidaggini, lei ti lascerebbe in pace
eccome» borbotta Jane. Un attimo dopo non è tanto
certa della sensatezza di quello che ha detto perché Loki la
guarda con l'aria accondiscendente di chi non pensa valga la pena
rispondere.
«Non hai dimestichezza con le metafore, vero?»
risponde lui. «Non parlavo necessariamente di lei in prima
persona».
E di cosa parlava, del suo spirito? È una cosa da
divinità sciroccate?
«Del ricordo, dotteressa Foster, parlavo del ricordo,
dell'idea...». Loki si interrompe di colpo, arriccia il naso
in un'espressione che sembra disgustata e si volta dandole le spalle.
Forse ora si sta mordendo la lingua perché ha detto troppo,
e lo ha detto a lei.
In un'altra situazione, Jane riderebbe; ora invece si sta semplicemente
chiedendo se c'è qualcosa che deve aggiungere. Si sta anche
chiedendo se a Thor piacerebbe sentirsi raccontare di quel dialogo da
teatro dell'assurdo, se non lo troverebbe consolatorio per quelle
ultime battute, ma probabilmente sarebbe troppo impegnato a tentare di
riportare Loki ad Asgard in un impeto di collera, per poter arrivare
fino alla fine del resoconto.
«Godetevi la festa, tutti voi, dottoressa Foster»
conclude il dio. Jane non si era accorta che lui si era avviato verso
la porta, fa appena in tempo a sentirlo pronunciare quelle parole e a
vederlo sparire dietro l'uscio.
L'aria sembra molto più respirabile adesso.
*
Nella foga di liberarsene, ha gettato il vestito per aria e ora quello
penzola dal mobiletto del lavandino. Si è infilata in una
camicia da notte di cotone, larga e fresca, poi è andata in
cucina e si è preparata un tè.
Dal piano di sopra hanno telefonato Tony e Pepper per chiederle se
andava tutto bene, se la festa le era piaciuta. C'erano un mucchio di
domande implicite in quella conversazione, ma lei ha finto di ignorarle
e ha cercato di mostrarsi il più tranquilla possibile, non
voleva che Tony scendesse di sotto a fare il fratello maggiore, non
quella sera.
Nadia giocherella con il telecomando del televisore, rannicchiata su
una poltrona. Pensa alle parole che le ha detto Loki prima di
andarsene, o almeno ci prova, perché il ricordo le crea un
gran vuoto in testa.
Quando sente bussare alla porta, sospira. Proprio adesso che avevo deciso
di andare a letto...
Va ad aprire, a piedi scalzi,
«Tony, sul serio sto bene, non c'è
bisogn...».
No, non è Tony. E Nadia non può fare a meno di
restare immobile davanti alla soglia del suo appartamento, con la mano
ancora appoggiata alla maniglia a guardare i lampi che sembrano
saettare nello sguardo di Loki.
Il dio le fa uno strano sorriso, quella curva che sembra affilata come
una lama.
«Tony» ripete come se stesse masticando qualcosa di
amaro. «Quel nome compare talmente tanto spesso sulle tue
labbra che potrei davvero cominciare ad essere geloso».
Nadia vorrebbe sapere come ha fatto a trovarsi lì. Vorrebbe
anche essere sicura che da un momento all'altro non entrino agenti
dello S.H.I.E.L.D. dalla finestra, armati fino ai denti per acciuffare
Loki e portarlo via, o che Jarvis non suoni qualche particolare tipo di
allarme.
Ma non c'è tempo per le domande, ogni cosa perde di senso
nell'attimo esatto in cui lui fa un passo avanti, varcando la soglia e
spingendo pesantemente la porta a richiudersi alle sue spalle.
Nadia scatta verso di lui, legandogli le braccia dietro la nuca,
baciandolo. Sente le mani di Loki passarle tra i capelli e di tanto in
tanto fermasi a stringere convulsamente, per poi afferrarle i fianchi e
sollevarla da terra, spingendola contro il muro, tenendola bloccata tra
la parete e il suo petto.
Non c'è spazio per nessuna parola. Non c'è tempo
per nessuna tenerezza, non tra le braccia del dio dell'inganno.
E va bene così, perché Nadia ha fatto la sua
scelta già molto tempo prima, anche se se rende conto solo
ora, anche se solo in quel momento capisce davvero: non si aspetta
quando si vuole davvero qualcosa.
Le mani corrono febbrili a scansare la stoffa dei vestiti, quel tanto
che basta.
Le dita di Loki indugiano sui lividi, solcano i tagli sul fianco della
ragazza, facendoli sanguinare di nuovo, anche se c'è
qualcosa di disperatamente dolce nel modo in cui la bacia, in cui
continua a restarsene aggrappato al suo respiro.
Nadia si stringe con le gambe attorno ai suoi fianchi quando lo sente
entrare dentro di lei con prepotenza, prima che sia del tutto pronta,
accogliendo quasi con soddisfazione quella piccola scia di dolore.
È una manciata di minuti che satura come se volesse bloccare
il normale scorrere del mondo. È una manciata di minuti
prima che finisca e che Nadia si ritrovi tremante contro il petto del
dio che adesso la sta stringendo a sé e le sta accarezzando
piano la testa, in attesa che il respiro di entrambi torni ad essere
regolare.
Loki la solleva tra le braccia e la porta in camera da letto, dove la
appoggia sul materasso.
Lascia che lei lo spogli in silenzio e le si stende accanto, cingendole
la vita e attirandola a sé in un abbraccio possessivo.
Fuori comincia già ad albeggiare.
____________________________________________________________________________
Note:
Quando dicevo che avreste potuto trovare questo capitolo interessante,
non mi riferivo al finale, né tanto meno, definendolo
interessante davo per scontato che vi sarebbe piaciuto. Solo che
è uno di quei capitoli in cui i nodi, almeno per quel che
riguarda la parte sentimentale della vicenda, vengono al pettine e che
spalanca il portone della pragmaticissima domanda: e adesso? (Si
accettano scommesse... ).
Mi ha emozionato molto scrivere questo capitolo perché
quando questa storia è iniziata non prevedevo che il viaggio
sarebbe stato così lungo e l'idea di aver portato Loki a
fare una scelta molto precisa, quella di “reclamare Nadia per
sé” in barba a tutto e tutti, mi fa un po' sentire
il peso della responsabilità per il percorso che ho fatto
intraprendere a questo personaggio. Personalmente, sono contenta della
lunga strada che io e Loki abbiamo fatto, spero solo che la direzione
sia sembrata, almeno un po', quella giusta anche a voi.
Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto: HERE
A venerdì prossimo! :)
|
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Capitolo 20 *** It'd be good for them ***
Capitolo diciannovesimo
It'd be good for them
Tony sghignazza davanti allo schermo del computer. È quasi
tentato di iscriversi a quel forum – con uno pseudonimo, per
la buona pace di Nick Fury – e commentare la storia che ha
appena letto: lui e Steve Rogers che si ubriacano e fanno sesso.
Geniale!
Sarebbe ancora più geniale stampare quella fanfiction,
imbustarla e spedirla a Rogers. E naturalmente inserire una qualche
microtelecamera nella graffetta che tiene insieme i fogli, tanto per
vedere la sua espressione, sarebbe epocale.
«Certo che ti diverti con poco» borbotta Pepper
alle sue spalle.
Tony ha un sussulto e allunga la mano verso il mouse con un gesto
rapido.
«Non serve che tu chiuda la pagina. Ho già
letto» dichiara lei, tirandogli un buffetto nemmeno troppo
leggero dietro la nuca. «Fammi capire: hai passato la notte
sveglio a leggere racconti erotici su te e Steve Rogers? Da che parte
devo iniziare a sentirmi sconvolta?».
«No, no, questo sito l'ho scovato solo ora» replica
Tony. «Stavo controllando la cronologia del computer di
Banner, è così che l'ho trovato».
Pepper scuote la testa. Ha l'aria di una che ha bisogno di un
caffè o magari di una sbronza, per dimenticare la serata
appena trascorsa. Il party non è andato poi così
male, comunque, se si esclude l'improvvisata di Loki. Va detto che non
è un bravo guastafeste, il piccolo cervo, non ha nemmeno
tentato di uccidere un cameriere, forse sta perdendo colpi, forse
pensava che la sua sola presenza sarebbe bastata a mandare tutti in
tilt. Forse voleva fare il novello Cenerentolo
e chiedere un ballo a Nadia... ah, dannazione! Deve smetterla di
pensare a Loki e a Nadia, è quasi più scioccante
che pensare a lui e a Steve Rogers che si ubriacano e finiscono a fare
acrobazie da letto in una stanza di un motel... all'autrice della
fanfiction come diamine sarà venuto in mente?!
«Aspetta... perché stavi controllando la
cronologia del computer di Bruce Banner?» domanda Pepper in
tono di protesta. «Non dovresti... ah, ma immagino non serva
a niente fartelo notare!».
«Stavo controllando tutti i computer» precisa lui.
«Speravo di trovare qualcosa».
«Qualcosa? Qualcosa tipo?».
Tony strabuzza gli occhi. Il cervello di Pepper non carbura prima del
primo caffè, a volte se ne dimentica.
«Qualcosa tipo da quale rivenditore on-line Natasha Romanoff
compra i suoi prodotti per il make-up!»
«Non essere scorbutico con me, signor Stark...»
«Sto cominciando a pensare che possa esserci qualcuno che fa
il doppio gioco» conclude lui con un sospiro. Ora Pepper gli
dirà che la paranoia è sempre stata una delle sue
migliori qualità, dopo la mente geniale e le
abilità amatorie, ma lo sguardo della donna si fa cupo. Non
ha dimenticato nemmeno per un momento il pericolo al quale sono
esposti, il fatto che ci sia un nemico che agisce nell'ombra e che
complotta contro di loro, e se non lo ha dimenticato lui è
certo che non lo abbia dimenticato nessun altro.
Odia dover ammettere di aver paura, che le cose sono fuori controllo,
ma è quello che si porta scritto in faccia, negli occhi
arrossati per la notte insonne passata a controllare i computer che ha
hakerato. E non è stata nemmeno la migliore idea che abbia
avuto in termini di azioni deterrenti, lo ha fatto solo
perché era incapace di restare senza far niente e non
riusciva a prendere sonno. E non ha trovato niente, ha solo scoperto
che Natasha Romanoff ordina on-line una crema all'olio di argan
prodotta da qualche parte in Europa...
Non che stesse sospettando dei suoi compagni, comunque, ma di qualcuno
vicino a loro. E, ora che ci pensa, il sospetto è piuttosto
immotivato e privo di fondamenta, gli è semplicemente
balzato in testa perché era agitato, perché il
pensiero di Clint Barton ferito e allettato è poco
rassicurante, perché la comparsa di Loki al party lo ha
comunque scombussolato, perché Nadia è tornata a
casa da sola e non in compagnia di Mike, come lui aveva sperato.
«Jarvis, avvia la macchina del caffè»
borbotta svogliatamente, allungando un braccio a cingere il fianco di
Pepper, attirandola a sé e posando la testa sul suo petto.
«Non c'è caffè nel filtro,
signore» annuncia il robot.
«Come non detto. Jarvis, sai se Nadia è
sveglia?». Magari al piano di sotto la macchina per il
caffè è piena.
«No, signore, la signorina e il suo ospite non si sono ancora
alzati».
Tony spalanca gli occhi e guarda Pepper. Un sorriso sardonico gli
increspa le labbra ma quando incontra lo sguardo della sua compagna si
accorge che lei lo sta fissando come un bambino al quale si deve negare
un dolcetto.
«Cosa c'è? I ragazzi ce l'hanno fatta, dopo mesi!
Potrei mandare giù una bottiglia di champagne se non temessi
di sembrare invadente...»
«Ehm... Tony, io credo che non sia il caso di...»
«Pensandoci, anche se è invadente, chi se ne
frega? Jarvis! Qual'è il miglior champagne che abbiamo in
cantina?».
L'uomo scatta in piedi, diretto fuori dalla stanza alla ricerca di
coppe di champagne. Pepper lo afferra per un lembo della maglia e lo
costringe a guardarla. Oh, andiamo! Perché diamine ha
quell'aria così sconsolata? Dovrebbe essere contenta che
finalmente Nadia e Mike... oh, cazzo!
«Io non sono proprio sicura che tu voglia festeggiare questa
cosa» mormora la donna, guardando con apprensione il suo viso
come a cercare di prevedere di quale morte morirà da
lì a pochi istanti.
No, non può essere successo davvero. Va contro ogni logica,
contro ogni previsione, contro ogni cosa!
«Ma... Mike...» balbetta, rendendosi perfettamente
conto di quanto sembri davvero una donnicciola sull'orlo di una crisi
isterica. Di nuovo.
«Mike è un bravo ragazzo e sono certa che Nadia
gli voglia molto bene. Ma ieri sera... oh, tu e gli altri eravate
troppo allarmati per rendervi conto di cosa stava succedendo»
mormora Pepper battendogli una mano sulla spalla, come se avesse perso
una corsa automobilistica o come se una sua invenzione si fosse
guastata. Che poi l'idea è più o meno quella: che
gli piaccia o no, ha perso una battaglia. «Nadia è
l'unica ragione per cui Loki era lì. E, per quanto assurdo
possa sembrare, penso che dovremmo davvero cominciare a pensare che
è l'unica ragione per cui è tornato e per cui
resta».
«Jarvis... quante probabilità ci sono che mi venga
un infarto anche se il reattore Arc è perfettamente
funzionante?»
«Considerando la sua età e il suo stato di salute,
signore, direi...»
«Era retorica, Jarvis» sbotta Tony, massaggiandosi
nervosamente le tempie. «Cosa si suppone io debba fare,
adesso?».
Pepper gli passa un braccio attorno alle spalle. Ecco, a parte Nadia,
l'idea del dio bastardo a pochi metri da lei lo disturba alquanto.
Hanno appurato che Loki è momentaneamente innocuo,
d'accordo. Ma no, assolutamente no, mille volte no!
Tony
sente qualcosa di sgradevole rimbalzargli in fondo allo stomaco, un
misto da nausea e rabbia. Non la rabbia furiosa che porta a tirare
pugni al muro, quella rabbia pesante e un po' sgomenta, un po' come
quando torni a casa e la trovi svaligiata dai ladri.«Dipende
dal risultato che vuoi ottenere» gli mormora la donna.
«Uccidere Bambi e appendere la sua testa in una riserva di
caccia. Ma immagino che non sia una mossa molto saggia...»
«No, non lo è»
«Pensandoci: quando mai io sono stato saggio?!».
*
Loki apre gli occhi, quasi incredulo. Il sonno è un lusso
che non era più riuscito a concedersi fin da quando era
stato catturato da Thanos; in quelle lunghe settimane di prigionia e
tortura non era mai esistito il riposo e anche quando era scappato, gli
era rimasto dentro un senso di agitazione, come se non si sentisse mai
al sicuro, come se chiudendo gli occhi quell'agonia avrebbe potuto
ricominciare. Di certo, nei pochi momenti di agitato dormiveglia che
aveva avuto negli ultimi giorni, i suoi sogni non erano stati popolati
che dal dolore.
Quella notte non aveva sognato affatto. Dietro le sue palpebre chiuse
era scivolato placido un buio silenzioso, privo di insidie, privo di
ogni paura. Non aveva mai temuto il buio, nemmeno da bambino; il
silenzio aveva imparato ad apprezzarlo per necessità.
Sbatte le palpebre e mette a fuoco lo sbuffo dorato sotto il suo naso.
I capelli della ragazza gli solleticano il mento; lei è
rannicchiata contro il suo petto e lui impiega qualche secondo a
rendersi conto di quanto forte la tenga stretta a sé. Loki
la guarda, guarda la schiena nuda che spunta oltre la piega del
lenzuolo, osserva i lividi e i graffi, ricorda di averli tormentanti
con le sue mani la prima volta, quando l'ha presa sulla porta. E poi
ricorda che dopo si sono succeduti momenti strani, momenti di
tenerezza; ricorda di essersi sentito in dovere di essere... dolce, di esserlo
stato d'istinto; ricorda di aver sentito le labbra di Nadia sorridere
mentre si premevano contro le sue, e gli è sembrato
così strano. Gli sembra ancora tutto dannatamente strano, ma
è lì perché lo ha voluto, è
una sua scelta e troppe cose sono accadute contro la sua
volontà, troppe cose ha dovuto subire passivamente per non
rallegrarsi semplicemente di quella conquista. Perché
è ciò che è: la ragazza è
sua, non è un fatto opinabile, è una certezza che
non poteva fare a meno di realizzarsi. E lui non ha nessuna voglia di
alzarsi, quasi preferirebbe che nemmeno lei si svegliasse, che restasse
così fino a sera, perché sa di non avere nessuna
parola per gli occhi di lei, quando saranno aperti.
Ma Nadia comincia a muoversi piano, rigirandosi lentamente nel suo
abbraccio fino a quando non apre gli occhi e li strizza per
rischiararsi la vista.
«Buongiorno» mormora, in tono neutro. Niente che
dia a Loki un appiglio su cosa dire o cosa fare; resta semplicemente a
fissarla.
«Spero che ti piaccia quello che vedi» dice lei,
divertita.
«Che razza di domanda».
Nadia si stropiccia il viso con le mani e ridacchia. Cosa
avrà mai da ridere?
Si solleva, puntellandosi sul gomito, lo scruta in viso per qualche
secondo e gli stampa un bacio sulle labbra, poi scalcia via le coperte.
«I vostri risvegli sono tutti così
disordinati?» borbotta il dio.
«Perché, su Asgard vi svegliate come in una
pubblicità delle merendine?»
«Dove stai andando?».
Dove va? Cosa diamine ha intenzione di fare? Perché deve per
forza rammentare a lui e a se stessa che c'è dell'altro
fuori da quella stanza? Non è un ricordo che Loki gradisce,
al momento e davvero non sarebbe male rimandarlo per una lunga manciata
di ore.
«Sono sicura che il materasso non ti fagociterà
mentre vado in bagno» gli dice sarcastica. Si alza e recupera
un indumento dal pavimento, poi sparisce oltre una porta.
Loki si stende di schiena e guarda il soffitto. Dopo qualche secondo
gli sovviene che esattamente sopra la sua testa si trova la casa di
Tony Stark, quella che aveva già violato una volta, il luogo
dal quale ha assistito alla distruzione della città. Il
ricordo della sua mancata vittoria sfuma in dissolvenza verso un
passato di cui ora non gli importa; guarda avanti, il dio dell'inganno,
guarda a nuove opportunità, a nuovi progetti da fare. Anche
se non ha nessuna idea precisa, il suo futuro gli sembra un immenso
mondo pieno di tesori nascosti, un luogo dove il suo destino e la sua
rivincita sono lì ad attenderlo in tutta la loro
meravigliosa e legittima violenza.
Sente il materasso smuoversi accanto a sé e la sua mente
torna al presente. Nadia appoggia la testa sulla sua spalla e Loki si
sente come se riuscisse ad assaggiare una fetta di quel trionfo che gli
è stato negato così tanto a lungo.
Lei è mia,
Stark, pensa guardando il soffitto con un'occhiata
penetrante, come se potesse far salire quel pensiero fino al piano di
sopra, come una spira di fumo. Poi tutto si sgretola in una pioggia di
quelle che sembrano schegge di vetro, piccole e taglienti.
Il futuro che desidera e verso il quale ha proiettato ogni suo sforzo,
getta un'ombra cupa su quel presente dove ha tanto penato per giungere
a una conquista tanto inaspettata quanto voluta. È un vicolo
cieco, lo sa, e sa che prima o poi dovrà tornare sui suoi
passi e cercare una strada nuova, abbandonando quel sentiero. Lo sa, e
probabilmente lo sa anche lei, lo hanno sempre saputo entrambi, ma non
c'è alcun bisogno di pensarci in quel momento.
«Dovrei avere del miele nella credenza in cucina»
dice Nadia all'improvviso. «Noi umili mortali la mattina
abbiamo bisogno di cibo per carburare. Ho anche delle merendine
dietetiche che ha lasciato qui Pepper, nel caso tu voglia persistere
nel non assumere zuccheri complessi che potrebbero migliorare il tuo
umore».
«Giusto. Forse faremo in tempo a mangiare qualcosa, prima che
arrivi il tuo Tony Stark armato delle sue peggiori
diavolerie».
Nadia si irrigidisce per un attimo. Si era dimenticata dei suoi amati
Avengers: notevole! Ma adesso sta realizzando di averli in qualche modo
traditi, forse; sta realizzando di aver compiuto una scelta o magari il
primo passo verso un tipo di scelta più decisiva. Forse Loki
non deve per forza escluderla dai suoi progetti per il futuro, forse
c'è ancora speranza che lei decida di seguire lui un domani,
può ancora strapparla alle grinfie di quegli smidollati,
può ancora fare in modo che sia sua e sua soltanto, del
resto ha tutto il tempo che gli occorre.
«Tony ci ucciderà...» mormora Nadia,
dondolando il capo, come se fosse una verità assoluta della
quale è profondamente convinta.
«Ne dubito fortemente» replica Loki alzandosi.
«Ma sarei compiaciuto se ci provasse».
*
«Tony ci ucciderà...» lo dice come se ne
fosse certa, del resto non le sembra un'ipotesi tanto improbabile.
«Ne dubito fortemente ma sarei compiaciuto se ci
provasse» le risponde Loki, mettendosi a sedere in mezzo al
materasso e guardandosi attorno probabilmente alla ricerca dei vestiti.
Nadia si mette a cercare dei pantaloni e una maglietta. Quando Tony
verrà a spaccarle la testa contro il taglio del tavolo,
vuole almeno essere vestita in maniera decorosa.
Quando si volta, Loki è tornato ad essere... Loki, in
perfetta tenuta asgardiana. Chissà se quei vestiti sono a
prova di proiettile, presto potrebbero scoprirlo.
«Devo dedurre che sei rammaricata?» domanda lui,
inarcando un sopracciglio.
«Niente affatto».
Si veste frettolosamente e si dirige in cucina. Mentre il dio la segue,
pensa che sì, l'unica cosa per la quale potrebbe provare
rammarico è il fatto che i suoi amici – alcuni di
loro, almeno – la prenderanno male, ma non le importa
perché non
può farci niente. Nel momento esatto in cui ha
aperto la porta e si è trovata davanti Loki ha capito che
non stava facendo una scelta, che non stava decidendo davvero di
prendere lui e rinunciare ad altro. Non è stata una scelta,
era esattamente così che doveva andare; non sa da quanto
avrebbe dovuto rendersene conto, forse da quando lui era in
quell'infermeria a raccontare a Natasha che era tornato per lei, forse
ancora prima, da Venezia, da quando scoprire la verità sul
ragazzo della numero 7 le aveva quasi spezzato il cuore. Ha resistito
per così tanto tempo, ha mentito così a lungo
fingendo di volere una normalità che era in ogni caso ben
lontana dalla sua portata e dai suoi stessi desideri, fino a quando si
è resa conto che non aveva senso.
Loki le spezzerà il cuore, la salverà come ha
promesso di fare e poi l'abbandonerà, ne è
perfettamente consapevole, oppure sarà lei a far del male a
lui, il giorno in cui diventerà una questione di scegliere
da che parte stare, che direzione prendere. Ma quello che sta facendo
ora, quello che sta provando, non è una scelta, non
c'è un'alternativa che possa risparmiarle le sofferenze che
sicuramente verranno, e dopotutto è anche certa che queste
sofferenze valgano tutto quello che sta provando adesso, tutto quello
che ha provato fino a quel giorno, la freschezza dell'aria dopo una
forzata apnea. Tutto il resto perde di significato e va
meravigliosamente bene così.
Loki si siede su uno sgabello attorno alla penisola di acciaio, con
quel suo fare composto, come se cercasse di occupare il minor spazio
possibile. La ragazza sente i suoi occhi fissi su di lei mentre fruga
nei mobili della cucina alla ricerca del miele che gli aveva promesso e
di qualsiasi altra cosa commestibile e adatta alla colazione.
«Decisamente meglio morire a stomaco pieno»
conclude, versando dei cereali al cioccolato in una scodella.
«Immagino potrebbe essere una buona morte, se succedesse
stamattina» risponde Loki, prendendo il barattolo di miele. A
Nadia sembra di aver ricevuto un colpo allo stomaco, ma invece della
scia di dolore sente qualcosa di caldo e confortante.
*
Jane tira un pugno alla macchinetta del caffè che ha deciso
di andare in tilt giusto quella mattina.
Thor sta spostando il divano per recuperare il suo cellulare che lei
proprio non sa come sia potuto finire lì sotto, ma che
squilla imperterrito da un bel po'.
Se il buon giorno si vede dal mattino, quella giornata potrebbe non
essere molto promettente. La macchina per il caffè decide di
dare finalmente segni di vita, ma quando la dottoressa Foster riempie
il filtro, l'aggeggio esala il suo ultimo respiro e si lascia
sprofondare nell'oblio.
No, decisamente quella giornata non è cominciata nel
migliore dei modi, ma può ancora migliorare, pensa Jane...
ci pensa fino a quando non sente squillare il campanello.
Il campanello che suona è sempre un pessimo segno,
lì a New York. Non c'è nessuno che conosce in
città e che può passare da lei per una visita di
cortesia, quindi se qualcuno bussa alla sua porta è
certamente foriero di problemi o altre cose poco gradevoli. O al
massimo è qualche rappresentante della parrocchia metodista
in fondo alla strada che vuole fare due chiacchiere sulla parola di
Dio. Qualche giorno prima hanno bussato due signori della chiesa ed
è capitato che fosse stato Thor a rispondere.
«Lei crede in
Dio, giovanotto?»
«Ma certo! Di
quale dio vogliamo parlare?»
«Mio caro
ragazzo, esiste un unico Dio»
«Sei in
errore, di sicuro. Io li conosco tutti, personalmente».
È stato divertente. Per un po', almeno...
E adesso il campanello sta suonando di nuovo, e nella migliore delle
ipotesi sono quelli della parrocchia che hanno portato con loro un
esorcista o un agente di polizia.
«Thor, ci penso io! Tu non... tu resta qui, per
favore» esclama Jane, correndo fuori dalla cucina.
Non sa se può farcela a fronteggiare qualche altra
situazione problematica, non ha dormito bene quella notte –
il ricordo del dialogo avuto con Loki di certo non ha aiutato a
conciliare il sonno – ma non può semplicemente
fingere di non essere in casa, anche se è molto tentata.
Alla fine sospira e apre la porta.
«Buon giorno dottoressa Foster! Ho provato a chiamarla al
cellulare ma non ha risposto, volevo essere certo di non interrompere
niente venendo a casa sua ma, toh! Eccomi qui. Posso entrare?
Grazie».
Tony Stark scivola dentro con un unico movimento fluido, senza
aspettare un invito o un cenno di assenso. Non che sia il tipo d'uomo
che si possa fermare con un «No», comunque.
«Oh, era lei al telefono, signor Stark? Non riuscivo a
trovarlo...» balbetta lei con un sorriso nervoso.
«Sì, posso immaginarlo».
«Amico caro!» esclama Thor giovale, spuntando in
fondo al salotto. «Sii il benvenuto, anche se porti brutte
notizie. Porti brutte notizie?».
Stark si gratta il mento e fa una strana smorfia,
«Dipende dai punti di vista» borbotta sedendosi sul
divano e accavallando le gambe.
«Posso offrirle un caffè... cioè, no,
non un caffè, la macchinetta si è rotta. Immagino
che lei sia in grado di aggiustarla, perché lei è
un genio dell'ingegneria, ma non le chiederei di aggiustarmi la
macchina del caffè, eheh...». Jane si accorge di
star parlando a raffica e star dicendo una marea di stupidaggini, ma a
quanto pare non riesce a fermarsi. «Insomma, posso offrirle
qualcosa che non sia caffè? Non so cosa ho in casa a parte
il caffè che non posso preparare, ma lei provi a chiedere e
vedremo di accontentarla».
Persino Thor la sta guardando un po' perplesso.
«Non ho capito esattamente tutto quello che ha detto,
dottoressa, ma la ringrazio, sulla fiducia. Ora perché non
si siede? Sono più o meno sul punto di vomitare e non
c'è motivo che si agiti anche lei, ok?».
Jane sbatte le palpebre e si siede vicino a Thor. Perché la
gente non è semplice come l'astrofisica?
«C'è qualcosa che ti turba, amico
Stark?» domanda il dio.
«Perspicace, Boccoli d'Oro. Immagino tu possa riuscire anche
a indovinare cosa. Ti do qualche indizio: è sgradevole,
pericoloso e lo chiami fratello...».
Sì, in effetti si poteva indovinare anche senza indizi. A
Stark non deve essere piaciuta l'improvvisata di Loki la sera prima,
non è piaciuta a nessuno.
«Cos'altro ha fatto?» esclama Jane. «Non
sapete dove si trova e credete stia architettando qualcosa di
preoccupante?»
«So esattamente dov'è Loki in questo momento,
è dove è rimasto tutta la notte: alla Stark
Tower, nell'appartamento sotto al mio, più precisamente in
zona camera da letto e dintorni»
«Oh. E Nadia dov'era?» domanda Thor, innocente.
Talmente tanto innocente che sembra che Stark stia per collassare. Jane
invece ha un sussulto.
«Nello stesso posto. Ai dettagli preferisco non
pensare...»
«E tutto ciò ti sconvolge, Stark? Credevi che non
sarebbe successo, prima o poi?»
«Ci speravo. Troppo stupido da parte mia? Sarà...
ma io adesso voglio sapere, Thor, devi dirmi cosa hai in mente,
cos'è questa storia di te che confabuli con Fury e tutto il
resto. Nadia può fare quello che vuole, ma io ho bisogno di
sapere che è al sicuro».
Jane si rende conto di avere le unghie affondate nella tappezzeria del
divano. Spera solo che quei due non finiscano a menare le mani,
perché l'appartamento finirebbe distrutto e non è
sua quella casa. Per tutto il resto, le stanno venendo le vertigini e
si sente molto solidale con Tony Stark che poco prima ha detto di star
per vomitare.
«Se io ti dicessi che è così, non ti
basterebbe la mia parola» mormora Thor con un sospiro.
«D'accordo... ragioniamo: dimmi perché ti ostini a
non dirci cos'è che bolle in pentola».
«Bella domanda» esclama Jane, facendo un energico
cenno di assenso con il capo. Le dispiace vedere Thor in
difficoltà e la preoccupa vederlo rischiare di litigare con
i suoi super-amici, ma Stark non ha tutti i torti: Thor sta chiedendo a
tutti loro di fidarsi di lui, ma non gli sta concedendo altrettanta
fiducia tenendoli all'oscuro di tutto.
«La questione è assai delicata, più
gente lo sa più c'è il rischio che venga
scoperta, ma devi credermi quando ti dico che in nessun modo Nadia ne
verrà danneggiata» conclude il dio, sporgendosi in
avanti e puntando in viso a Stark i suoi occhi azzurri. Quello sguardo
la fa sempre sciogliere, ma lei non è Tony Stark.
«E quando verrà attuato questo piano segretissimo
e delicatissimo?»
«Appena Nadia sarà guarita dai suoi problemi con
la pietra».
Il signor Stark si getta con la testa all'indietro e fa un pesante
sospiro. Se adesso si mettesse ad urlare, Jane lo capirebbe.
«State pensando di privare Loki dei suoi poteri e confinarlo
quaggiù sperando che diventi un onesto cittadino per amore di Nadia o
qualcosa del genere?» domanda, scettico.
«Vorrei che fosse così semplice...»
«Meno male, per un attimo ho pensato che tu, tuo padre e Fury
foste ammattiti».
Thor accenna un sorriso malinconico e scuote la testa. Un silenzio
pesante cala nella stanza e Jane si sente piccola e inutile, come al
solito. Pensa a Loki e a Nadia, si chiede se in fondo a quel groviglio
di cose complicate che entrambi hanno dentro, ora sono almeno un po'
felici. Si chiede se lui abbia abbastanza onore da rispettare la sua
promessa di aiutarla e che non stia in realtà cospirando per
farle del male per vendicarsi degli Avengers. Si chiede se Nadia
è più pazza o più coraggiosa,
perché se fosse coraggio, sarebbe davvero da ammirare. Ma
forse non è coraggio, e Loki è troppo orgoglioso
per ricorrere a un mezzo così infimo come sedurre una
ragazza solo per ripicca verso qualcun altro... forse è
proprio quello che sembra, forse è proprio... Jane ci
rinuncia, non saprebbe come chiamarlo.
Stark si guarda intorno, quando torna a guardare Thor c'è un
sottinteso piuttosto manifesto nei suoi occhi da furetto:
non-finisce-qui. No, decisamente; non arrivi a possedere e mantenere un
impero miliardario per due generazioni se non sei eccessivamente
caparbio.
«Bene. E io ora cosa devo fare? Tornare a casa e lanciare
coriandoli?» dice Stark dopo qualche secondo. Quanto deve
costare a uno come lui ammettere che non sa che fare?
«No, probabilmente lanciare coriandoli è quello
che farei io» scherza Thor.
«Non c'è niente da fare, signor Stark»
interloquisce Jane, scrollando le spalle. «Sono certa che se
ci fosse stato un rimedio o una qualche precauzione da prendere, ci
avrebbe pensato Nadia, da sola. Sono certa che Nadia sarà
già abbastanza confusa, non mettiamola in condizioni di
scegliere tra voi e Loki...».
L'uomo sospira,
«D'accordo, Boccoli d'Oro, andiamo a comprare i
coriandoli...»
«Eh?».
Stark fa un sorrisetto a metà tra l'infantile e il
rassegnato.
«Nah, dicevo: andiamo a comprare delle ciambelle, recuperiamo
Rogers e Banner e andiamo a trovare il pennuto».
*
Clint punta con decisione i piedi sul pavimento. Le ferite gli bruciano
ancora un po' e dicono che probabilmente gli resteranno le cicatrici.
Buffo, in tanti anni di servizio, dopo tante missioni pericolose la sua
collezione di cicatrici era piuttosto esigua, e adesso si ritrova con
due bei solchi rosa per un semplice sopralluogo in un dannatissimo
magazzino. Chissà se ancora vero che alle donne piacciono le
cicatrici...
«Fa' attenzione». Natasha gli si avvicina e gli
cinge il petto con un braccio.
Clint la guarda con la coda dell'occhio. Non c'è alcun
bisogno di sorreggerlo, ha così tanta voglia di alzarsi da
quel letto che sente di avere le ali ai piedi, e poi se cadesse lei
riuscirebbe a tenerlo?
Che domande. Ci riuscirebbe di sicuro perché lei
è... beh, è una che riesce nelle cose, ecco
cos'è.
Rovinare sul pavimento davanti a Natasha comunque gli sembra una
pessima idea e questo è un motivo in più per
tenere duro e mettere un piede avanti all'altro, fare perno come si
deve sulle gambe indebolite dallo stare a letto.
«Ehi, non sono mica uscito da un decennio di coma»
borbotta con un sorriso, che è più una smorfia
per nascondere la fitta di dolore proveniente dalla ferita al fianco.
Lei ritira immediatamente il braccio, come se si fosse scottata. Come
se si fosse resa conto solo in quel momento del fatto che sono soli
nell'infermeria e che i loro visi si trovano in una posizione che
lascerebbe pensar male se qualcuno entrasse in quel preciso istante.
Con Natasha le distanze sono sempre una cosa assai relativa. Ed
è per questo che lui si sente sempre così
dannatamente disorientato.
«Questo
è amore, agente Romanoff?»
«No».
Il video di quell'interrogatorio era saltato fuori qualche giorno
prima, mentre la Hill stava revisionando il materiale sull'attacco a
New York, per archiviarlo definitivamente.
Sapeva che quel dialogo era studiato, le parole di Natasha erano
calcolate per cogliere Loki in fallo e fare in modo che rivelasse
qualcosa sui suoi piani, ma Clint avrebbe voluto mandare indietro la
registrazione per ascoltare di nuovo quel «No» e
vedere se riusciva a trovare in quell'unico piccolo suono una traccia
di verità o di menzogna.
Non ci aveva più pensato nei giorni a venire. Non ci avrebbe
più pensato se non fosse successo quello che è
successo a Boston.
Ha sempre incolpato Loki di avergli insegnato a temere la paura.
Nell'ultimo istante in cui è stato cosciente prima
dell'esplosione nel magazzino, ha capito da dove venisse la sua paura.
«Questo
è amore, agente Romanoff?»
«No. L'amore
è per i bambini».
Sospira. L'aria satura dell'odore di disinfettante gli punge la gola e
lui si stropiccia il viso con una mano.
«Tutto bene, Clint?». Natasha lo guarda inarcando
un sopracciglio e lui si sente davvero un bambino perché si
chiede come sarebbe stato se le cose in quel magazzino si fossero messe
peggio, prova a contare le domande alle quali non ha ancora trovato
risposte e gli sembrano una valanga. Decisamente troppa roba per uno
che fa il suo mestiere e ha un'aspettativa di vita non proprio
altissima.
«Come è andato il party, ieri sera?» le
chiede, cercando di scacciare quei pensieri. Forse è solo
colpa degli antidolorifici, non ha mai retto bene a certi medicinali.
«Non è stato male. Aveva un po' l'aria di
rimpatriata tra amici, solo con vestiti più
scomodi» replica lei, scrollando le spalle.
«Persino Loki ci ha onorati della sua presenza».
Clint sgrana gli occhi. Dovrebbero sorvegliarlo meglio, se
può imbucarsi al party di Stark chissà quante
altre cose può fare, chissà in quanti altri posti
può andare.
«E cosa ci faceva lì Loki?» domanda,
aggrottando le sopracciglia e muovendo qualche passo incerto verso la
finestra.
«Immagino volesse solo dare fastidio. E vedere
Nadia» conclude Natasha. «Se mai ho sperato che tra
loro non succedesse niente, comincio a ricredermi».
«Andiamo, cosa vuoi che succeda? Prima o poi ci libereremo di
Loki e poi... l'amore è per i bambini».
Non sa perché lo dice, sputa le parole senza rendersene
conto. Lei non dà alcun segno di ricordare da dove venga
quella frase, ma si zittisce.
Clint continua a camminare, lasciandosela alle spalle e raggiunge il
davanzale. Appoggia i palmi della mani sul vetro e guarda fuori. Non
c'è niente di interessante e davvero non vede l'ora di poter
lasciare quella stanza.
Chiude gli occhi e per un attimo il boato dell'esplosione gli rimbomba
nelle orecchie, tanto che sussulta e si volta di scatto. Natasha
è proprio alle sue spalle, si è avvicinata senza
che lui riuscisse a sentire i suoi passi e ora è a un palmo
dal suo naso.
Certe distanze sono troppo esigue per essere calcolate, anche se
dall'altro lato c'è la famigerata Vedova Nera. Clint ci
pensa mentre si china su di lei, le sfiora le labbra con le proprie.
Sente ancora dei suoni che si avvicinano, ma non gli importa.
«No, Thor non entr...». La voce di Stark,
è un sussurro e sembra venire da una specie di incubo.
«Buongiorno amici!» Thor compare sulla soglia della
porta, con un sorriso smagliante. Clint vorrebbe farglielo sparire a
suon di pugni.
Natasha è scattata all'indietro e ha messo su un'espressione
tremendamente tranquilla e professionale. Non sembra chiedersi da
quanto tempo gli altri fossero lì fuori; è
evidente che fossero lì da abbastanza tempo.
Clint si passa una mano sugli occhi, per tentate di cancellare
l'immagine di se stesso che massacra gli Avengers a colpi di arma da
fuoco e per cercare di riacquistare un'espressione normale. Accidenti a
loro!
A parte Thor, che non ha capito un fico secco, Rogers, Stark e Banner
sembrano davvero mortificati – sì, persino Stark
– e se ne stanno stretti stretti sulla soglia, come bambini
che temono di venir messi in castigo. Bruce Banner ha ancora il braccio
teso in avanti nel vano tentativo di acciuffare Thor per un lembo della
camicia.
«Buongiorno» gracchia Clint, lanciando a tutti loro
un'occhiata al vetriolo. «Sì, sto bene. Potrei
stare meglio, comunque».
«Noi avevamo... ehm, portato le ciambelle» annuncia
Rogers, guardando ora il supporto per la flebo ora il cestino dei
rifiuti, spingendo avanti a sé la scatola con il logo di una
caffetteria del centro.
«Ehi, ragazzi? Siete lì?». La voce di
Nadia arriva dal fondo del corridoio.
Stark fa un'espressione strana, Rogers e Banner si scambiano
un'occhiata smarrita. Sembrano tutti una brutta copia degli animaletti
parlanti di Alice nel Paese delle Meraviglie e Clint si domanda che
diamine sia successo.
La ragazza fa capolino oltre la porta, sorride e fa un cenno di saluto.
«Oh, Clint, che bello vederti alzato!». Entra, gli
si avvicina e gli dà un bacio sulla guancia.
«Noi avevamo portato le ciambelle» ripete Rogers.
«Posso fare una domanda?» squittisce Stark, senza
motivo.
Che accidenti c'era da fumare a quel party?!
Nadia è ancora accanto a lui, per questo Clint la vede
irrigidirsi e voltarsi verso gli altri con aria grave.
«Tony, lo so che lo sai e che sei corso a dirlo agli altri e
che ora che gli Avengers sono tutti qui riuniti dobbiamo fare un
discorsetto. È per questo che vi ho raggiunto»
dice la ragazza.
«Io non sto capendo, e tu?» bisbiglia Clint
all'orecchio di Natasha. Lei fa un cenno negativo con la testa, poi
guarda gli altri,
«Stiamo parlando di cosa, esattamente?» chiede.
«Di Loki. Cioè, di me... di me e di Loki, quello
che vi pare...»
«Thor voleva comprare i coriandoli, per inciso»
mugugna Stark a denti stretti.
Ok, ora Clint ha bisogno di sedersi. Ma che cazzo! Finisce a letto un
paio di giorni e lì fuori va tutto in malora...
«Quante speranze ci sono che io abbia capito male?»
esclama, lasciandosi cadere seduto sul bordo del materasso.
Nadia fa qualche passo indietro, è di spalle alla finestra.
Passa in rassegna tutti loro con lo sguardo, e Clint non sa come sia
per gli altri, ma a lui sembra che quell'occhiata della ragazza duri
un'eternità e che pesi come una montagna.
«Mi sono puntata una pistola carica alla testa, lo
so» dice, con una calma che la fa sembrare grande.
«E l'unico rimpianto che ho è che quando
partirà il colpo, prima o poi, anche voi starete male per
me».
Si è puntata una pistola carica alla testa? Clint le
vorrebbe scaricare addosso un kalashnikov!
Rogers
tiene ancora in mano lo scatolo delle ciambelle. «Dopo
invasioni
aliene e l'apocalisse dietro l'angolo, ce la caveremo anche con
questa cosa» asserisce con un sorriso che è
più una smorfia. E
sembra più un incoraggiamento verso i suoi compagni che non
una
risposta per la ragazza, sembra una sorta di rassegnato invito a
mantenere la calma.
Sì, come no. Clint vorrebbe avere un po' della sua fede e
della sua fiducia nell'universo in generale.
L'agente Barton guarda Nadia, poi lancia un'occhiata agli altri. Ci
sarebbero molte altre cose da fare, cose da dirle, ma sembrano tutti
perfettamente consapevoli che le parole di Rogers sono le uniche che
abbiano senso, al momento.
Avrebbe senso anche spaccarle la testa, così, per
principio... ma se poi esplodesse?
Poi si inventeranno qualcosa. Poi verrà il giorno in cui
Loki vedrà la sua fine e a Nadia toccherà
rimettere insieme il cuore pezzo per pezzo, e in fondo in fondo lui
è grato che la cosa non rientra nelle sue competenze e che
l'onere non ricadrà su di lui.
Benedetta ragazza,
vorrebbe dirle, aiutarti
è un conto, salvarti da te stessa è ben altra
cosa.
Ma non è quello il momento di dire altro.
__________________________________________
Note:
Sapevo che sarebbe venuto il giorno in cui mi sarei messa
a clintashare anche io. E alla fine è successo, l'ho fatto
poco e forse male, ma ci sono ancora tanti capitoli e un terzo episodio
prima che la storia finisca...
Io
e questo capitolo ci odiamo, ci siamo presi proprio male, fin da
quando era solo una riga sulla bozza della scaletta. Penso sia quello
che è stato fatto, sfatto e rifatto più volte, e
tutt'ora non è
esattamente tra le cose che mi rendono più soddisfatta.
Dal
prossimo capitolo la storia comincia ad avviarsi verso la parte
conclusiva, si cambia un po' “registro” e... ci
sarà una
“sorpresa”.
E visto che vi voglio bene (grazie a tutti voi **), vi
anticipo che il capitolo 20 si intitola "Lese-majesty".
E vi do anche una
notizia che suonerà tipo le trombe dell'Apocalisse... l'ho
quasi finitaaah! Mancano un paio di capitoli e poi questa follia...
aehm... fanfiction è finita. E ho cominciato a buttare
giù la scaletta dei capitoli per il terzo racconto
conclusivo. E poi prevedo di aprirmi la testa a martellate per far
uscire Loki da lì dentro...
As usually, ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. ^^
Per domande sulla fanfiction o curiosità in generale su la
vita, l'universo e tutto quanto: HERE
(e visto che mi è stato chiesto in altra sede: no, non ci si
deve registrare al sito per fare domande).
|
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Capitolo 21 *** Lese-majesty ***
Capitolo ventesimo
Lese-majesty
«Ho promesso a Steve che l'avrei accompagnato al cinema,
vuole vedere qualcosa in 3D. Sarebbe troppo indelicato se lo portassi a
vedere l'Era Glaciale 4?» domanda Nadia dopo aver dato
un'occhiata alla programmazione dei cinema della zona.
Tony scrolla le spalle. È passata una settimana da dopo il
party e non c'è stato nessun cambiamento sostanziale...
L'espressione ''dopo il party'' è convenzionale,
è quella che lui e gli atri hanno deciso di adottare secondo
tacito accordo quando occorre riferirsi a Nadia e Loki e al loro
definitivo avvicinamento. O come diamine lo si voglia chiamare
– è Rogers quello bravo a trovare termini
alternativi carichi di delicatezza.
Nessun cambiamento sostanziale se si esclude il fatto che ora lui deve
vivere sapendo che il tizio che lui non avrebbe mai più
voluto vedere se non a distanza di diversi anni luce dalla Terra,
è vicino, molto vicino, troppo vicino a una ragazza a cui
vuole bene. Ma Pepper gli ha detto che non ci deve rimuginare troppo
su, altrimenti impazzirà, gli verrà un
esaurimento nervoso e ne farà venire uno anche a lei.
Ovviamente il monito di Pepper è più o meno
retorico. Nemmeno lei digerisce l'idea del ''dopo il party''. Nessuno
la digerisce. Non digeriscono il presente e non digeriscono il futuro
verso il quale quella situazione è proiettata. Tony continua
a non fidarsi dei piani di Thor, non perché non creda alla
totale buona fede del biondone, ma perché ormai dovrebbe
essere chiaro che con Loki i piani non funzionano mai. Hanno difeso la
Terra dalle sue mire e non sono riusciti a tenerlo adeguatamente a
distanza dalla ragazza, perché lui poteva salvarla e loro
no.
Tony non sa quale faccia di questo schifosissimo cubo di Rubik debba
fargli più rabbia.
Probabilmente la parte in cui è costretto a rendersi conto
che quello del ''dopo il party'' non è nemmeno il loro
più grande problema. Anzi, che in ultima analisi non
è nemmeno un problema vero e proprio ma potrebbe diventarlo.
D'accordo, non deve pensarci, l'esaurimento nervoso sarebbe un problema
ben più serio viste le circostanze.
«Fossi in te non uscirei con Capitan Granita» dice
Tony. «Credo che ti voglia con sé solo
perché se gira con una ragazza le altre lo lasciano in pace.
Cosa ci troveranno mai le donne in lui comunque non lo
capisco».
«Sei solo invidioso perché è
più alto di te».
«Grazie, Colombina, grazie tante».
No, decisamente nessun cambiamento sostanziale. Va bene
così, è meraviglioso, se si concentra
può persino pensare che non sia successo niente.
«Ehi, aspetta. Non esci con me e Jane?» chiede
Pepper. Ha organizzato un'uscita con la dottoressa Foster, da quando
l'ha vista così sola e spaesata al party ha tipo deciso di
diventare la sua migliore amica. È sempre stata una donna
empatica, la sua Pepper, ma se non si risolve questa situazione dei
rettori Arc presto partirà per una missione umanitaria in
India o deciderà di allestire un rifugio per cani randagi
nel garage; l'inoccupazione non le giova per niente.
«Devo proteggere Steve dalle groupies» risponde
Nadia. «E poi credo che... insomma, penso che Jane non si
senta del tutto a suo agio con me».
Certo, non dev'essere bello uscire con la ragazza del tizio che vuole
distruggere il tuo ragazzo. Lo capisce bene lui! Ok, ok, deve smettere
di pensarci.
«Però dovreste invitare Nat» aggiunge la
ragazza. «Se hai smesso di detestarla, intendo».
«Certo che ho smesso...» borbotta Pepper.
Chissà se è vero, chissà se la
signorina Potts si è fatta passare il trauma lasciatole da
''Natalie Rushman''.
A parte la stranezza della cosa in sé, Tony spera che
Natasha Romanoff non possa partecipare a un'uscita tra ragazze
perché impegnata in sedute di sesso, vodka e tenerezza
insieme a Clint Barton. Si sente ancora un po' in colpa per non essere
riuscito a fermare Thor la settimana scorsa e averli interrotti, quei
due devono sfogarla questa benedetta tensione sessuale accumulata,
altrimenti potrebbero diventare una fonte di energia per le armi del
nemico.
Ok, forse anche questo era un pensiero da evitare.
Tutti pensavano che dopo l'esplosione di Boston, dopo che due agenti
dello S.H.I.E.L.D. erano morti, il buon vecchio Nick Fury si facesse il
culo per cercare di venirne a capo... che poi, non è colpa
sua o del suo reparto. Non è colpa di nessuno. Anche se
nessuno vuole ammetterlo, c'è solo una cosa che resta da
fare: aspettare che quei figli di puttana facciano la prima mossa,
è inquietante e chissà quanto tempo ci
vorrà prima che succeda, dato che i reattori Arc sono stati
smantellati e...
«Sono un genio!». Tony scatta in piedi e ghigna,
guardando un punto indistinto fuori dalla vetrata, contemplando il
profilo di un'idea che si delinea pian piano dentro la sua mente.
Pepper e Nadia si scambiano uno sguardo perplesso.
«Sono un genio e dovrei prendermi a schiaffi per non averci
pensato prima!» esclama. «Perché non ci
ho pensato prima?».
Salta oltre il divano con un balzo, segue il filo del suo stesso
ragionamento, camminando a caso per la stanza, fino a quando non
diventa perfettamente lineare.
«Certo, certo, si può fare. È
così semplice...».
Nadia arriccia il naso e si accosta a Pepper,
«Pensi che ci dirà che succede prima o
poi?» domanda a voce bassa, come se temesse di farlo uscire
da quello che deve sembrarle uno stato di trance.
«Non si sa. A volte parla da solo per ore».
Tony si volta verso le due donne, con le braccia aperte come un
teatrante in attesa dell'applauso. Oh, come possono applaudire se non
le ha ancora messe al corrente di quello che ha pensato?
«Riportiamo qui i rettori Arc per il progetto sulle energie
sostenibili» spiega. «Apparentemente faremo tornare
tutto come prima, ma le macchine saranno in un luogo ben preciso,
controllate dallo S.H.I.E.L.D. notte e giorno. Se è quello
che i nostri amici che giocano a nascondino vogliono, allora che
vengano a prenderli»
«Una trappola?» borbotta Nadia, scettica.
«Non ci cascheranno mai»
«Dici, Colombina? Fino ad ora non sono riusciti a far
funzionare le loro diavolerie, hanno bisogno di quell'energia, gli
serve e immagino che faranno di tutto per venirsela a prendere, ma
saremo noi a prendere loro»
«Ci sono dei rischi» fa notare Pepper.
«Certo che sì, ma è più
rischioso restare qui ad aspettare che quei bastardi trovino un'altra
fonte di energia e ci colgano di sorpresa». È
così semplice e perfetto, e Nick Fury sarà
d'accordo con lui e quando questa follia sarà finita gli
altri Avengers lo ringrazieranno. E poi, quando questa gatta da pelare
sarà archiviata, potranno rispedire Loki nell'iperspazio.
… e poi shawarma per tutti!
*
Nadia si chiude la porta dell'attico di Tony alle spalle. Sta ancora
rimuginando su quello che ha detto il suo amico.
Hanno chiamato Fury e lui ha detto che si può fare, che
è una mossa azzardata ma che nessuno è mai
riuscito a fargliela sotto il naso. A parte Loki, con il Tesseract, e
la quasi distruzione dell'elivelivolo e un altro paio di cose... ma poi
hanno recuperato la partita.
Tony si è anche raccomandato di non dire niente a nessuno,
di organizzare la cosa nella massima segretezza perché ha il
sospetto che ci possa essere qualche spia, qualcuno dall'interno che fa
il doppio gioco. Fury naturalmente ha alzato di qualche ottava il tono
di voce specificando che è impossibile, che non ci sono
talpe nello S.H.I.E.L.D, sarebbe estremamente paradossale e altamente
improbabile. Ad ogni modo, lui e Tony sono rimasti d'accordo sul tenere
la cosa segreta, domattina si vedranno con gli altri Avengers alla base
dello S.H.I.E.L.D e, in attesa che i reattori Arc tornino al loro
posto, organizzeranno un piano per dare un definitivo calcio in culo a
quei bastardi.
Sì, può funzionare. Nadia vuole proprio sperarci.
Il suo appartamento è silenzioso e buio.
Tutte le sere va a cenare di sopra, sistematicamente quando riscende
nel suo appartamento ci trova Loki; il più delle volte lui
se ne sta fuori al balcone, diritto come un fuso a osservare la
città. Cioè, Nadia è certa che non
osservi propriamente la città, che stia lì a
pensare a qualcosa.
I pensieri di Loki le fanno paura, per questo non gli fa mai domande.
Forse se potesse restare lì sarebbe un po' meno
indispettito. Ma spostare in pianta stabile la residenza del dio degli
inganni all'interno della Stark Tower è una cosa che Nadia
sa di non poter fare, non può pretendere che Tony accetti
anche quello e che Loki ronzi a pochi metri da Pepper se Nadia non
è lì con lui.
Che poi, da una settimana, lui si prenda la libertà di
comparire tutte le sere, neanche fosse Edward Cullen, è una
faccenda che Nadia non riesce ad arginare. La compagnia di Loki non le
è mai dispiaciuta, nemmeno in momenti meno rosei e quando si
sveglia con il piede giusto è un ottimo compagno di
conversazione e se conversa con lei – o
è dedito ad altre cose più piacevoli –
va da sé che non può anche occuparsi
dell'assassinio dei padroni di casa.
La ragazza supera il corridoio e arriva nel salotto. Lì
c'è un po' di luce, la piantana è accesa e
riflette un riverbero giallastro sulla superficie dei mobili. E Loki
è sul divano e sembra una specie di gigantesco pipistrello.
Sta leggendo a testa in giù, con le spalle sulla seduta del
divano e le gambe lunghe sollevate in alto sopra la spalliera, reggendo
il libro sopra il viso, così preso dal testo che ha tra le
mani da non accorgersi di lei, e forse nemmeno della posa assurda che
ha assunto. Meriterebbe davvero che gli si scattasse una fotografia.
Lei lo raggiunge e si siede sul lato opposto del divano. Il dio le
rivolge uno sguardo rapido, poi ritorna a leggere. Nadia arriccia il
naso e si sporge a guardare la copertina del libro.
I miti di Cthulhu. Sul
serio?!
Sulla faccia di Loki compare un sorrisetto indecifrabile e lui comincia
a leggere a voce alta,
«Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo
sia l'incapacità della mente umana a mettere in correlazione
tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel
mezzo del nero mare dell'infinito...[*]»
«Sì, molto divertente» borbotta Nadia
strappandogli il libro da mano. «Potresti tornare ad assumere
una posa normale? Ci sono delle novità»
«Il modo in cui sto seduto non influisce sulle mie
facoltà cognitive. Parla»
«Tony ha avuto un'idea, per trovare gli invasori
e...»
«Non dirmelo: vuole tendere loro una trappola usando come
esca i suoi reattori Arc».
Nadia inclina la testa di lato e sbatte le palpebre,
«Ehm... sì, proprio così».
Loki scuote la testa e allunga una mano verso il libro.
«Ci avevo già pensato» mormora,
sfogliando il volume per ritrovare il punto in cui era arrivato a
leggere. Per un attimo la ragazza ha la tentazione di farglielo
ingoiare, quel maledetto libro.
«Se ci avevi pensato, perché non hai detto
niente?» esclama.
«Perché non funzionerà».
Ok, deve calmarsi altrimenti potrebbe venirle in mente di tentare di
mettere in pratica le lezioni su come usare la pietra, creare un bella
valanga di energia e farla abbattere su Loki – d'accordo, non
sa ancora farlo bene, ma la tentazione di provarci è molto
forte al momento.
«Si può sapere di cosa stai parlando?»
esclama.
«I tuoi eroi non sono infallibili, Nadia» replica
lui, calmo da far venire l'ulcera. «Questo di Stark, in
particolare, è un pessimo piano. Ma se vogliono tentare, chi
sono io per mettergli i bastoni tra le ruote? E comunque ho idea che il
tuo adorato mentore non mi presterà ascolto, è
eccessivamente fiero delle sue idee».
La ragazza apre la bocca per ribattere, ma sa che Loki ha ragione: Tony
non metterebbe in dubbio un suo piano per una supposizione del dio
– anche se sembra più di una supposizione, a
giudicare da quel tono disturbante e arrogante. E comunque, Tony e gli
altri hanno già messo in discussione un bel po' di cose da
quando Loki è tornato fino ad ora, il fatto stesso che ora
lui si trovi lì con lei ne è la prova.
«Forse però, se la tua teoria è
così ben fondata, Fury ti ascolterebbe» osserva
lei.
Loki si da una spinta e si piega su un fianco tornando ad appoggiare i
piedi sul pavimento. Si alza dal divano e si avvicina alla vetrata del
balcone.
«Fury, dici?» sussurra, pensieroso. «Mi
pare che il direttore Fury ultimamente mi stia dando decisamente troppo
credito, non trovi?».
Nadia si volta a guardarlo, con le braccia poggiate sulla
testata del divano. Ha ragione, Fury gli sta concedendo fin
troppo spazio di manovra, non ha nemmeno fatto sentire la sua vociona
autoritaria quando Loki ha smesso
di passare le serate alla base dello S.H.I.E.L.D.
Considerando quanto sia andato su di giri quando Loki è
ricomparso, settimane prima, considerando quanto lo trovi minaccioso e
preoccupante, è strano che non stia prendendo nessun tipo di
provvedimento per provare a tenerlo al guinzaglio; e poi c'è
sempre quella faccenda dell'averli mandati a spasso da soli, in giro
per New York, come a voler incoraggiare un loro avvicinamento o
qualsiasi cosa fosse.
Loki volta la testa, guardano la ragazza con la coda dell'occhio come
se si aspettasse una risposta.
«Sì, è vero» gli dice lei
meccanicamente.
«Stanno macchinando qualcosa, lui e Thor, ne sono
certo». C'è astio in fondo alle parole di Loki.
«Ma non è da Thor architettare piani e non
c'è niente che Fury potrebbe pensare di fare da solo. No,
qui c'è di mezzo quel vecchio stolto».
Nadia ha un fremito. Da parecchio non sentiva Loki usare quel tono.
Anche quando parla di Thor o si rivolge a lui è estremamente
freddo e distaccato, ma quello che lei sente ora non è
distacco, volesse il cielo fosse distacco. Quello è odio, un
odio così puro e furente che non lascia spazio al distacco e
di certo nemmeno alla guarigione. Ogni parola che Loki pronuncia con
quel tono è corroborata da un fiotto di sangue che Nadia
sente fuggirle dal cuore: lei non può fare niente davanti
alla grandezza di quella brutalità.
Il dio chiude gli occhi e lascia andare un respiro che evidentemente
stava trattenendo. La ragazza lo raggiunge, sente quasi un'aura di gelo
spandersi dall'alta figura di Loki in piedi contro le luci della
città che ronza di vita e corrente elettrica ai loro piedi.
Dovrebbe farle paura, avrebbe sempre dovuto farle paura, ma non
è mai stato così. Lo circonda con le braccia e
gli posa una guancia tra le spalle. Loki ha un leggero fremito quando
lei stringe leggermente l'abbraccio.
«Quando dici vecchio stolto, ti riferisci a Odino? Quello che
mi ha riportato indietro dall'aldilà?» domanda la
ragazza, calcando con enfasi le ultime parole.
«Mi riferisco a quello che non fa mai niente per niente. Ha
salvato anche la mia di vita, molto tempo fa, e anche in quel momento
lo ha fatto per uno scopo che nulla aveva a che fare con l'amore che
millanta di avere per me. Non fossi stato il figlio di Laufey, mi
avrebbe lasciato a morire tra i ghiacci di Jotunheim».
Nadia non ci crede. Sa che Loki non sta mentendo, che lui è
davvero convinto di quello che pensa quando parla della sua famiglia,
di quelli che l'hanno cresciuto insomma, è sinceramente
convinto che le cose stiano così; e lei non conosce Odino o
altri rappresentati di Asgard, ma è certa che se da quella
stessa famiglia è venuto fuori Thor allora non possono
essere così male e che molto di quello che Loki pensa sia
ingigantito ed esasperato dal suo risentimento.
«Permettimi di avere qualche dubbio in proposito. Stiamo pur
sempre parlando della persona che mi ha salvato la vita»
conclude. Non si metterà a discutere con Loki di quella
faccenda, non adesso. Forse un giorno ci proverà e se ci
riuscisse, se riuscisse a strappargli dalla mente quell'enorme
ragnatela di odio forse potrebbe...
Non deve farlo, pensa mentre gli occhi le si inumidiscono di lacrime,
non deve sperare perché
più avrà sperato più sarà
terribile vedere quelle speranze dissolversi in fumo il giorno in cui
Loki sparirà per sempre.
Il dio solleva la mano e fa per poggiarla su quelle della ragazza,
intrecciate ad altezza del suo petto, ma il cicalio di un sms ricevuto
sembra rombare come un tuono nel silenzio denso dell'appartamento.
Nadia sussulta e si stacca da lui, frugandosi nelle tasche per
recuperare il cellulare.
Quando apre il messaggio, ha quasi la sensazione di aver ricevuto un
pugno nello stomaco. È di Mike. Il testo è
piuttosto lungo e il tono di biasimo è decisamente lampante
malgrado l'apparente ironia:
«Ciao! Non ti ho telefonato per non disturbare,
perché devi avere davvero molte cose importanti da fare se
sei sparita per una settimana intera. Mi piacerebbe sapere quale buco
nero ti ha risucchiata quella sera al party, perché sei
scappata via senza più dirmi niente, sarebbe troppo chiedere
di vederci per un caffè una di queste sere?».
Dannazione! Stavolta le scuse non basteranno. Mike è sempre
stato buono e comprensivo con lei ma questa proprio non se la meritava.
Adesso sì che si sente un vero schifo, e come
farà anche solo a guardarlo in faccia?
La sera del party, dopo la comparsa di Loki, dopo che lei era scoppiata
a piangere sul balcone, era rimasta rintanata in una saletta e poi si
era fatta riaccompagnare a casa da un assistente di Tony. Dopo quello
che era successo davvero non se la sentiva di parlare con Mike, proprio
non sapeva cosa dirgli. Ma da qui a dimenticarsi dell'esistenza del suo
unico amico per un'intera settimana ce ne passa!
Come ho potuto essere
così orribile?
È costretta a mordersi l'interno della guancia per non
mettersi a gridare parolacce rivolte a se stessa.
«Quale altra disgrazia si sta abbattendo su di te,
adesso?» borbotta Loki, fingendo un sospiro di sopportazione.
«Mike. Cioè, me stessa che si è
dimenticata di Mike. Sono un mostro» borbotta, gettando il
cellulare tra i cuscini del divano.
«Lo hanno detto anche di me, che sono un mostro, ma secondo
la vostra scala di valori i miei atti erano assai più gravi
del non aver fatto una telefonata».
Cosa sta facendo? Si sta mettendo a fare dell'ironia per consolarla e
farla sorridere? Se è questo il suo piano, ci sta
più o meno riuscendo, ma è comunque una cosa tra
il buffo e lo scioccante.
«Un giorno mi farai impazzire, Loki» borbotta,
recuperando il cellulare e pensando a cosa scrivere a Mike.
*
Ora ha un piano.
Non è il piano che aspettava di architettare, non riguarda i
suoi sogni di gloria e le sue future conquiste. Riguarda semplicemente
il risolvere quella situazione, scovare i nemici della Terra, riuscire
a capire chi sono, di quante forze dispongono e cosa hanno in mente.
Sa già che nessuno lo ringrazierà per questo. Che
il suo modo di agire non riceverà l'approvazione degli
Avengers e di Fury, ma a lui che importa? Tra l'altro, una volta fatta
la conoscenza degli invasori, potrebbe persino decidere di schierarsi
con loro e rivedere le sue posizioni al riguardo, anche se aveva
già scartato questa idea.
No, decisamente non è degli Avengers che gli importa.
Il suo unico rammarico è che la posta in gioco di questa
partita è Nadia. Lascerà che divenga uno
strumento, la metterà in pericolo – anche se per
poco, anche se è certo di poterla salvare e che non
arriveranno a farle del male.
Sa che non è un vero e proprio rischio, può
persino sperare che lei non arrivi a capire che lui l'ha usata come
mezzo per arrivare ai nemici, che semplicemente ai suoi occhi
resterà quello che l'ha salvata; e ad ogni modo, Loki sa di
non avere scelta, se condividesse la sua idea con gli Avengers loro gli
risponderebbero che mai e poi mai permetterebbero a Nadia di fare da
esca, figuriamoci! Il dio dell'inganno sa che non c'è altra
scelta eppure nessun tradimento lo ha mai turbato tanto. Ma il
turbamento non basta a farlo desistere. Dovrebbe essere contento di
constatare che non è cambiato niente, che è il
dio dell'inganno e che nulla può cambiare la sua natura, ma
non prova alcun compiacimento nel prendere atto di questa cosa.
Solo che, per quello che riguarda la ragazza, gli sarebbe piaciuto
avere più tempo prima di correre il rischio di perdere il
suo affetto, avere l'occasione di riuscire pian piano a portarla dalla
sua parte, a sottrarla all'influenza degli Avengers. Ma ormai non
c'è più tempo e lei è in pericolo fin
da quando è cominciata quella storia.
Loki sa che la trappola escogitata da Tony Stark non avrà
successo perché ha capito quello che gli Avengers e lo
S.H.I.E.L.D. sono troppo ciechi per vedere. Si aspettava che Thor ci
arrivasse, per un attimo aveva sottostimato la mancanza di cervello del
figlio di Odino, per un attimo aveva pensato che, venendo da Asgard,
Thor fosse in grado di cogliere certi segnali, ma nemmeno lui
è riuscito a mettere insieme i pezzi.
Loki invece sa, è il solo a sapere. Ancora una volta la
conoscenza si è rivelata la miglior carta da giocare,
un'arma che lo pone al di sopra della forza e del potere che tutti gli
altri credono di avere.
Lui ha sempre saputo. Ha cominciato a nutrire dei sospetti fin da
quando hanno capito che i nemici avevano ricostruito gli strumenti di
Asgard; durante il sopralluogo in quel magazzino i suoi sospetti sono
diventati certezze. La conferma l'ha avuta quella sera, alla festa di
Stark, è stato lì che ha capito cosa il nemico
è riuscito ad architettare, fin dove è stato in
grado di giungere. Il piano però lo ha architettato solo
qualche minuto prima, e ora la sua mente lo contempla come un'opera
d'arte, alla ricerca di ogni possibile sbavatura, di qualsiasi
imperfezione.
L'indomani Loki parteciperà alla riunione con Fury e gli
Avengers e starà a sentire le loro vane macchinazioni. E poi
lascerà che le cose seguano il loro corso. Tremendamente
semplice.
Eppure nessun sorriso gli sale alle labbra, mentre se ne sta seduto
immobile nella penombra della camera da letto.
Nadia esce dalla doccia con i capelli bagnati che le gocciolano sulle
spalle e si ferma a guardarlo.
In un battito di ciglia, il dio dell'inganno si toglie dalla faccia
quell'espressione perplessa. Quando solleva lo sguardo sulla ragazza,
sente la tenerezza colpirlo al petto come una stilettata.
Può deluderla e tradirla, può riuscire ad
accettare l'idea di metterla in pericolo, ma in quel momento si sente
soccombere.
L'ha già ingannata, in passato, le ha già
raccontato menzogne, non le ha mai nascosto l'odio che prova per
persone che lei invece ama; e lei ha visto i segni della distruzione
che il suo passaggio ha lasciato in quella città, ha visto
il suo vero volto in quel magazzino di Boston e mai, neppure una volta,
lei ha provato a rifiutarlo. La famiglia che lo ha allevato, il suo
padre naturale, gli individui con i quali è cresciuto,
coloro che credeva essere la sua gente, non sono mai stati in grado di
fare altrettanto.
Le cinge i fianchi con un braccio e l'attira a sé.
Solo un folle rischierebbe di perdere quello che c'è negli
occhi di Nadia in quel momento. E a quanto pare tutti i Nove Regni
convengono sulla mancanza di senno. E lui si sente un perfetto idiota
perché non riesce ad arginare le emozioni che gli stanno
facendo accelerare il battito.
Dunque è
questa la paura?
«Loki, tutto bene?» chiede Nadia. Oh, dannazione,
perché deve essere sempre così brava a leggergli
nella testa?
La bacia perché lei non possa vederlo negli occhi,
perché non possa aggiungere altro. La bacia
perché averla gli costa quasi più che rischiare
di perderla.
Quando si stende sopra di lei, per un attimo, l'unico pensiero che
riesce a formulare è che è sempre stato un
pessimo perdente.
Perché rischiare? Potrebbe dire la verità per una
volta, mostrare a quegli stolti degli Avengers tutti gli indizi che non
hanno colto, trovare un'altra soluzione. Scegliere da che parte stare,
per una volta, scegliere una parte che non sia solo la parte di Loki.
No, non può. Perché lui è il dio degli
inganni, e gli dei sono fatti per resistere al cambiamento, a qualsiasi
tipo di cambiamento. Resistono al tempo, guardano le stelle nascere e
morire. Loro sono fatti per l'eternità e
l'eternità è fatta di soli che si accendono e si
spengono fino a scomparire nell'oblio.
Mentre Loki si spinge dentro di lei, pensa che non per forza il buio
può far dimenticare le luci, che quella luce di
certo brillerà dietro le sue palpebre chiuse per molto,
moltissimo tempo.
*
«Dunque è questo il piano? Usiamo i reattori Arc
di Stark come esca?» riassume brevemente Bruce,
giocherellando con gli occhiali.
Steve ha fatto notare che a lui sembra decisamente troppo semplice, ma
viene da un'epoca in cui le cose semplici funzionavano a meraviglia e
quindi non ha insistito, magari non gli sembra il caso di minare quel
poco di speranza che si è riaccesa ora, davanti alla
prospettiva di fare qualcosa di costruttivo.
Nadia guarda Loki. Il dio non dice niente; evidentemente, quali che
siano le sue teorie, nemmeno lui vuole demoralizzarli, magari pensa che
vale sempre la pena di fare un tentativo o semplicemente non ha voglia
di mettersi a discutere con Tony, che comunque non gli presterebbero
ascolto, come ha detto la sera prima.
Nell'ultima settimana l'ostilità che i Vendicatori provano
per Loki è cresciuta. A lui non importa, lei sa che era
inevitabile, eppure cerca di non pensarci troppo, sa di non avere il
coraggio di affrontare quel pensiero.
«Esattamente. Possiamo senz'altro mettere in piedi un sistema
di sicurezza più che efficace» conferma Fury. Lui
sembra convinto, se non della riuscita della cosa, quanto meno del
fatto che l'idea di base non sia del tutto da buttare via.
«Come quello che avevate messo in piedi per il
Tesseract?» mormora Loki con un ghigno, aggiudicandosi
un'occhiata astiosa da parte di Clint finalmente tornato sano, salvo e
operativo.
«Voglio pensarci io» esclama Thor, battendo il
pugno sul tavolo con un entusiasmo di cui nessuno sentiva il bisogno.
«Voglio esserci io a fare la guardia alla luce magica di Tony
Stark».
«Troveremo senz'altro il modo di farti rendere
utile» gli concede Fury.
«Basta che non rompi niente, eh Boccoli d'oro».
Thor scuote la testa,
«No, voglio solo esserci quando quei vigliacchi avranno
finalmente il fegato di mostrarsi» aggiunge.
«Voglio sentire cosa avranno da recriminarmi».
D'accordo, adesso il dio biondo si sta scaldando e quando è
su di giri riesce a essere più impressionante di Hulk.
Povero Thor, tutta questa storia lo sta davvero sfibrando. Nadia
vorrebbe trovare il modo di parlargli a quattr'occhi, è da
quando Loki le ha detto di sospettare che il dio del tuono stia
complottando qualcosa con Fury e Odino che non riesce a togliersi il
pensiero dalla testa. Non riesce a credere che Thor permetta che
qualcuno complotti alle spalle di Loki perché lui ha sempre
nutrito altre speranze, ha sempre creduto nel cercare una soluzione per
ricondurre il fratello alla ragione.
«Entro quanto i reattori possono essere qui?»
domanda Natasha.
«Anche domani» risponde Fury. «Quindi
abbiamo ventiquattro ore per organizzarci».
Hanno concordato che i reattori torneranno tutti alle Stark Industries
di New York, ogni cosa tornerà come era prima, e lo
S.H.I.E.L.D. produrrà una documentazione ufficiale secondo
la quale i rettori erano stati mandati in un'altra sede delle Stark
Industries per dei collaudi. Deve sembrare tutto al di là di
qualsiasi sospetto, una cosa normale che non abbia puzza di bruciato.
Devono riuscire a incastrare quei brutti bastardi che hanno fatto
esplodere il magazzino, e ucciso due agenti, e ferito Clint, e fatto
rischiare le penne a tutti loro!
Ripetono un'altra volta tutto il piano, esaminano i dettagli, cercano
falle che non ci sono.
Alla fine è tardo pomeriggio quando Fury afferra una
ricetrasmittente e si mette a gracchiare ordini, lasciando intendere
che per ora loro lì hanno finito, la seduta è
sciolta.
Tony sta parlando ad alta voce di andare tutti insieme a cena fuori
quella sera. L'idea non è malvagia, considerando che da
domani avranno tutti molto lavoro da fare.
Nadia si dirige verso un distributore automatico di bibite per prendere
una lattina di coca-cola, l'unica fonte di caffeina presente nel Nuovo
Mondo che non le sembri acqua sporca. Ha dormito poco quella notte, si
sentiva stranamente agitata e anche quando riusciva a prendere sonno ci
pensava Loki a svegliarla.
Loki. Se andasse a raccontare agli Avengers che il dio dell'inganno ha
un lato goffamente tenero probabilmente non le crederebbero.
Probabilmente non ce l'ha davvero, è solo quello che lei
vuole vedere...
E la lattina naturalmente si va a incastrare nelle rientranza prima di
cadere nel carrello. Ovvio.
Nadia sbuffa e tira un colpetto al distributore, la lattina si inclina
leggermente ma resta sulla rientranza. La ragazza sta giusto pensando
di rinunciarci quando sente il tonfo sordo di un pugno contro la parete
metallica della macchina.
La lattina cade dalle rientranza e dai carrelli saltano giù
anche una bottiglia di aranciata e un succo di frutta.
«Grazie, Thor...» mormora lei, ancora un po'
scioccata per il colpo.
Il dio del tuono la guarda in viso e sospira.
«Tu non dovresti essere qui, dovresti essere fuori, con Jane
e Pepper, a divertirti come una giovane della tua
età» le dice, dispiaciuto come le stesse porgendo
delle condoglianze.
«Non angustiarti, Thor. Sono certa che Jane e Pepper si
stiano divertendo moltissimo, ma a me non dispiace stare qui»
«Come... come sta Loki?».
Oh, era questo che voleva sapere? Ci voleva tanto a chiedere?
Nadia sorride e batte una mano sulla spalla di Thor. La
verità è che Loki sta come sempre, ma non
c'è bisogno per forza di farlo presente.
«Lui e Tony riescono a vivere a pochi metri di distanza e il
palazzo non è ancora crollato» risponde la
ragazza, strizzando l'occhio al dio del tuono. Ok, Tony non ha mai
avuto occasione di verificare la presenza di Loki al piano di sotto, ma
questo è un dettaglio che non occorre menzionare.
«E tu sei felice?».
A Nadia per poco non scappa la lattina di coca-cola da mano, e sarebbe
un peccato visto che Thor ha quasi smantellato il distributore
automatico per fargliela avere.
«Diciamo che non mi va di essere pessimista»
conclude lei, scoccando un'occhiata eloquente al suo interlocutore,
come a chiedergli di non insistere.
«Ehi, biondi, voi due venite?» si intromette Tony,
spazzando via le nuvole che quella conversazione stava facendo spuntare
all'orizzonte.
«Dove?»
«In giro, poi stasera shawarma per tutti, in onore dei vecchi
tempi. Immagino che Thor non abbia ancora visitato la nostra
città piena di risorse».
E Loki naturalmente è scomparso. È sparito per
tutta il pomeriggio e tutta la sera.
Nadia non pensa sia il caso di fargliene una colpa. Chiedergli di
andarsene a zonzo con gli Avengers e poi a mangiare lo stesso shawarma
che fu consumato in occasione della sua sconfitta è
decisamente troppo.
Mentre l'ascensore riporta lei e Tony verso l'attico della Stark Tower,
Nadia si chiede se verrà mai il giorno in cui i rapporti tra
Loki e i Vendicatori potranno essere quanto meno normali. Poi si rende
subito conto che è una domanda sciocca e si stringe al
braccio di Tony, posandogli la testa sulla spalla.
Tony che ha mostrato il rispetto e la delicatezza degli uomini grandi,
non intromettendosi oltre nella faccenda tra lei e Loki.
Tony che ora le cinge le spalle con un braccio e le posa un bacio in
mezzo ai capelli.
«Comunque, è dura sapere che non sono
più l'unico uomo della tua vita, Colombina» le
mormora lui. È arrabbiato, come tutti, per quella faccenda,
magari non arrabbiati con lei, ma di certo non si può
chiedere loro di essere sereni rispetto a quello che è
successo.
«Sei il solito presuntuoso! Non sei mai stato l'unico uomo
della mia vita, signor Stark, ci sono anche Steve, Bruce, Clint e
Thor» replica lei con una smorfia divertita.
«Può essere, ma ti ho vista prima io!».
Veramente, se proprio
vogliamo essere pignoli, Loki mi aveva vista anche prima.
Ridacchiano e l'ascensore si ferma all'ultimo piano. Nadia segue Tony
che entra in casa chiamando Pepper. Nessuno risponde.
«Sarà ancora in giro» osserva la
ragazza, stringendosi nelle spalle.
«Da stamattina? Strano, dopo pranzo mi ha mandato un sms in
cui mi diceva che lei e Jane stavano per tornare a casa».
Tony si versa un bicchiere di spremuta d'arancia e cerca con lo sguardo
qualche biglietto o qualche messaggio di Pepper.
«Si saranno fermate a chiacchierare da Jane, immagino che due
donne che hanno in comune l'avere un supereroe per fidanzato abbiano un
sacco di cose da dirsi» suggerisce Nadia.
«Può essere. Jarvis, la signorina Potts
è rientrata e poi uscita di nuovo, per caso?»
«No, signore. Non è rientrata da stamattina,
né si è messa in comunicazione con me»
risponde il robot.
«D'accordo. Chiamala sul cellulare».
Nel vuoto del grande attico risuonano gli squilli a vuoto del cellulare
che l'impianto acustico manda in viva voce. Dopo il decimo squillo Tony
comincia ad assumere una faccia preoccupata.
Nadia si sente un po' contagiare dalla sua ansia, ma continua a
ripetersi che non può essere successo niente, che
c'è senz'altro una buona ragione per cui Pepper non
è in casa.
«Jarvis, chiama a casa della dottoressa Foster»
esclama la ragazza. Certo Pepper sarà lì.
A casa di Jane il telefono squilla numerose volte prima che arrivi una
risposta.
«SI? SI, QUI E' L'ABITAZIONE DI JANE FOSTER!». La
voce di Thor tuona dall'altro lato della cornetta.
«Santo cielo, Thor! Non urlare» borbotta Nadia.
«Scusa, è che non so bene come funziona questo
vostro mezzo di comunicazione...»
«Ehi, ehm... Boccoli d'oro, per caso Pepper è
lì con te e Jane?» domanda Tony.
«No, a dire il vero nemmeno Jane è qui. Pensavo
che si trovassero entrambe da te».
La ragazza batte una mano sul braccio del padrone di casa, sta per
dirgli qualcosa ma il suo cellulare squilla: è Mike. Se lo
era dimenticato, di nuovo. Il ragazzo è giù che
l'aspetta, erano d'accordo che si sarebbero visti quella sera, dopo
cena.
«Non preoccuparti» dice Tony – ma non
sembra molto convinto. «Non... sono certo che non
è successo niente di grave, provo a rintracciare il segnale
gps del cellulare di Pepper, forse lei e Jane si sono solo fermate da
qualche parte e hanno perso la cognizione del tempo».
Nadia si sente raggelare. Se così fosse Pepper avrebbe
avvisato, sa bene quanto Tony sia paranoico, specie con un pericolo
mondiale dietro l'angolo. D'accordo, forse le si è scaricato
il cellulare... ma anche Jane non è rientrata, e avrebbero
potuto avvisare con il cellulare di Jane. Ok, è probabile
che Jane abbia dimenticato il suo telefonino da qualche parte. Ci sono
un sacco di spiegazioni che non sono drammatiche e non c'è
nessun bisogno di allarmarsi.
Nadia dà un bacio sulla guancia a Tony, gli raccomanda di
farle sapere qualcosa appena riesce e scappa via, verso l'ascensore.
Mike è nella sua macchina, con le mani appoggiate al
volante. La ragazza lo guarda da lontano e si sente sprofondare.
Avrebbe voluto incontrarlo in un momento più calmo, senza
avere per la testa preoccupazioni per Pepper e Jane e Loki e la fine
del mondo...
«Ehi, ciao» lui la saluta con il suo solito sorriso
smagliante, solo leggermente più freddo, poi si tende ad
aprirle la portiera.
Proprio non le va di salire e di allontanarsi dalla Stark Tower. Se
dovesse succedere qualcosa... santi numi! C'è Tony da solo
preoccupato a morte per la sua donna e l'unico essere vivente e
pensante in tutto l'edificio è Loki al piano di sotto.
Ma non può dire di no a Mike, proprio non può.
«Ciao Mike» esclama salendo. «Sono
contenta di vederti»
«Anche io» risponde lui, mettendo in moto.
«Come stai?»
«Bene. Ho saputo che tornano i reattori Arc alle Stark
Industries, l'ho trovata una notizia interessante»
«Sì, immagino... ehm, dove pensi di
andare?»
«In un posto in cui si trovi un bar o un pub che non sia
affollato. Perché, hai problemi di orario?».
Nadia vorrebbe dare testate contro il cruscotto ma si accontenta di
tormentare con le mani sudate la cintura di sicurezza che le preme
contro il petto. Fa un cenno negativo con la testa.
«Mi fa piacere che tu mi abbia chiesto di vederci, mi
dispiace se sono sparita e immagino che non ne puoi più di
tutte le mie scuse, e...».
Il ragazzo fa una mezza risatina,
«No. Come ti ho già detto, trovo che tu sia da
ammirare. Non è da tutti reggere la pressione che devi aver
retto tu, sai, Stark, gli Avengers e tutto il resto...».
Così è umiliante però. Se almeno lui
si arrabbiasse o si mostrasse un pochino risentito...
«Oh, ti prego. Hai tutto il diritto di essere
arrabbiato» borbotta la ragazza.
Mike non sembra sentirla, svolta ad un semaforo e continua a guardare
la strada. Ok, forse quello è il suo modo di arrabbiarsi.
Nadia sospira pesantemente e cerca disperatamente qualche argomento di
conversazione.
«Come sta il tuo amico straniero, quello che ho incontrato al
party?» domanda Mike all'improvviso. Lei si sente avvampare:
il ragazzo è sempre stato intelligente e probabilmente ha
capito già tutto. La voglia di prendere a testate il
cruscotto si fa sempre più forte, ma la voglia di
controllare il cellulare per vedere se Tony ha saputo qualcosa resta la
tentazione predominante.
«Sta... ehm... sta bene...» si ritrova a
farfugliare, come una stupida.
«Non mi hai detto da dove viene».
Nadia ha un attimo di vuoto nella testa e si rende conto che formulare
una risposta menzognera su due piedi è più
difficile di quanto pensasse.
«Europa... Nord Europa» butta fuori dopo qualche
istante di stupido silenzio.
Mike arriccia le labbra. «Davvero? Avrei detto molto
più a nord».
«Avresti detto l'Artico? Sì, sembra un po' un
ghiacciolo, è proprio il suo stile»
«Avrei detto Asgard».
Cosa?
Il cuore di Nadia ha un battito fortissimo e doloroso. Stringe le dita
attorno alla cintura e quasi si conficca le unghie nei palmi.
«Mike?... Come hai detto?» dice, la voce che le
esce in un unico sussurro spezzato.
«Loki di Asgard, non si può non riconoscerlo,
anche se non lo avevo mai incontrato prima di quel party»
risponde il ragazzo con un sorrisetto che non somiglia a nessuna delle
espressioni che Nadia è abituata a vedergli in viso.
«Da come ne avevo sentito parlare lo credevo molto
più temibile. O forse sei tu che sei riuscita a
domarlo?».
Mike. No, non
può essere...
«Chi sei?» sibila Nadia. L'idea di essere stata
ingannata per tutto quel tempo, l'idea di aver aperto il suo cuore a
qualcuno che non è chi lei credeva le brucia dentro come se
ogni respiro fosse fatto di gas venefico invece che di aria.
«Saprai ogni cosa, appena saremo arrivati» conclude
il ragazzo.
Lei si volta a guardare dal finestrino. La macchina corre troppo veloce
per pensare di scendere mentre è in corsa, ma può
provare a farla fermare.
In un gesto di disperazione, si getta addosso al conducente e tenta di
strappargli il volante di mano. L'auto sterza violentemente, ma Mike o
chiunque egli sia è forte e veloce, le afferra i polsi con
una sola mano e la blocca, poi ferma precipitosamente la macchina che
si arresta con un sonoro stridore di gomme sull'asfalto.
Il ragazzo continua a tenerle i polsi con una sola mano, con l'altra
tira fuori qualcosa dalla tasca. Nadia non riesce a vedere bene nella
penombra, ma è una questione di attimi: qualcosa le punge il
collo e l'ultima cosa che sente sono le vene ai polsi picchiare forte
nella stretta del ragazzo. Sente le pulsazioni rallentare pian piano,
con lo stesso ritmo con cui tutto diventa confuso e offuscato.
Vi troveranno... vi
troveranno e ve la faranno pagare... e Loki ti ucciderà...
Loki... Loki.
Quel nome le rimbalza nella mente in piccoli lampi di luce sempre
più fioca. Poi anche quello si spegne e resta solo il buio.
___________________________________________
Note:
[*] = Non chiedetemi perché Loki legge Lovecraft, non
c'è un motivo... immagino che si fosse fissato con il libro
da quando lo aveva visto in libreria qualche capitolo fa. Immagino che
a uno come lui quel genere di storie dell'orrore piaccia molto e la
citazione (l'incipit del racconto Il richiamo di Cthulhu) mi sembrava
molto azzeccata, soprattutto in relazione a quello che viene dopo.
Ad ogni modo, questo capitolo ha rischiato di essere la mia morte, ma
Loki DOVEVA restare Loki, machiavellico e calcolatore malgrado tutto.
Per quel che riguarda il finale... LOKIII'D! ehehe, immagino che
qualcuno abbia sospettato. Del resto il fatto che non ci fossero mai
stati paragrafi secondo il POV di Mike era già di per
sé una cosa sospetta.
Il titolo del capitolo è un po' improprio, tecnicamente
significa “alto tradimento”, inteso proprio come
oltraggio grave a un'autorità. L'ho scelto perché
mi piaceva come il termine rendesse l'idea del profondo tradimento a
Nadia, sia da parte di Loki (forse il suo POV è un po'
contorto, ma non potevo spiegare tutto in maniera troppo diretta, e in
ogni caso sarà ripreso nei prossimi capitoli) che da parte
di Mike.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. :)
Per domande sulla fanfiction o curiosità in
generale su la vita,
l'universo e tutto quanto: HERE
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Capitolo 22 *** Once upon a time ***
Capitolo ventunesimo
Once upon a time
Quando riapre gli occhi, il buio è ancora lì.
Nadia deve sbattere le palpebre più volte per distinguere i
rettangoli illuminati di alte finestre dai vetri opachi, il contorno
grigio di pareti di lamiera e resti di macchinari mangiati dalla
ruggine.
La testa le fa male e ha un violento senso di nausea. È
seduta su una sedia e il capo le ciondola all'indietro, oltre la
spalliera imbottita, non riesce a tenere il collo diritto; è
come se dentro la sua scatola cranica avessero messo una colata di
cemento che si sta solidificando.
Prova a parlare ma le esce solo un rantolo, agita gambe e braccia ma
anche queste sono pesanti. E comunque, deve avere un polso e una
caviglia ammanettati alla sedia.
Plic... plic... il
rumore ritmico di una goccia che cade le fa eco nella testa. Plic... plic...
Lo sgocciolio è tutto quello che resta quando il buio torna
di nuovo a soffocarla.
Plic... plic...
sono scese cento, mille gocce e ora il buio comincia a diradarsi.
L'aria odora di polvere e petrolio e le secca la gola.
Ora vede qualcosa muoversi davanti ai suoi occhi offuscati.
Il suo ultimo ricordo riaffiora piano piano dalla nebbia. È
il nome di Loki che galleggiava in mezzo al buio. È la
faccia di Loki quella china su di lei? Sì, sembra proprio la
sua, così affilata e pallida. Ma la voce che la chiama non
è quella del dio dell'inganno. La voce si attacca alla
faccia e la trasforma, e quando finalmente Nadia riesce a mettere a
fuoco è il volto di Mike che vede chino su di lei. Mike che
le sta dando dei piccoli colpetti sulle guance per farla rinvenire.
Nadia prende un grande respiro, sente male al torace quando i polmoni
si allargano per prendere aria, ma non importa, respirare l'aiuta a
mandare via la nebbia.
Plic... plic...
lo sgocciolio continua in lontananza.
«Ben svegliata» dice il ragazzo.
Il primo impulso che ha è quello di sputare su quel suo bel
visetto da collegiale, ma si trattiene.
«Tu sei con loro, con quelli che vogliono distruggere la
Terra» sibila furiosa, strattonando le manette. L'acciaio le
taglia il polso.
«Sì. Pensavo sarebbe stato molto più
difficile riuscire a nascondertelo» afferma lui con un
sorriso. «Ma eri così presa dalle tue miserie che
non avresti riconosciuto il diavolo nemmeno se si fosse presentato con
le corna e tutto il resto».
È anche mordace. Dannato
bastardo...
«Ce l'hai un capo? Sì che ce l'hai, non credo
abbiano mandato un pezzo grosso a fare il lavoro sporco di abbindolare
la sciocca ragazzina, eh Mike?
Voglio parlare con quelli che comandano» sbotta Nadia.
Perché l'hanno rapita? Sperano di usarla come ostaggio per
tenere buoni gli Avengers? Non funzionerà mai, Fury non
metterebbe a rischio l'intero pianeta per salvare lei – e
avrebbe tutta la sua comprensione. Sperano di usarla per ricattarli in
qualche modo? Beh, loro hanno salvato il mondo intero, di certo
riusciranno a salvare lei! Devono solo trovarla. Solo trovarla. Ma
non hanno trovato la banda di bastardi che sta complottando contro la
Terra, quante probabilità ci sono che trovino lei?
Nadia deglutisce e cerca di imporsi di mantenere la calma, non
è il momento di farsi prendere dalla disperazione, non
ancora, almeno...
«Voglio sapere cosa volete da me!» esclama, alzando
la voce.
«Voglio, voglio, voglio... accidenti, Stark ti ha viziata per
bene».
La ragazza sente l'umiliazione scorrerle fino allo stomaco,
trasformarsi in un groppo di bile amara che le risale lungo la gola.
Non poteva sospettare di Mike, forse, ma si sente comunque un'idiota.
«Prima o poi dovrete dirmelo. E qualsiasi cosa vogliate non
l'avrete» dice.
«Coraggiosa e sciocca. Esattamente come ho sempre
pensato» sospira il ragazzo. «Sia chiaro, quello
che ti dicevo era vero, vai ammirata per quanto sei folle, ma la cosa
più interessante di te non è una delle tue doti
caratteriali, ragazza mia».
Nadia sente le lacrime salirle agli occhi. È vero, qualsiasi
cosa vogliano da lei non l'avranno, dovranno ucciderla. E lei sa che la
sua morte ora sarebbe molto più utile della sua vita, se non
ci fosse lei, loro non avrebbero niente in mano per arrivare agli
Avengers.
Ma non vuole morire e sa che presto dovrà decidere quale
margine di compromesso accettare per salvaguardarsi. È nella
sua natura di essere umano. Forse è questo quello che
intende Loki quando dice che gli umani sono deboli e gretti?
Strattona di nuovo la manetta, facendosi ancora più male.
Non le importa, quel mix di rabbia e paura non la fa ragionare, e
comunque ragionare non serve a niente finché non sa cosa
vogliono da lei, in che modo pensano di usarla.
Mike si china su di lei, la scruta in viso come a cercare qualcosa in
fondo ai suoi occhi.
«Dunque, facciamo così: io adesso ti tolgo queste
manette, ma tu non farai niente di stupido, d'accordo?»
propone. «Non serve scappare e sono certo che non ti conviene
farlo».
«Sei un po' troppo sicuro di te» replica Nadia, ma
alla fine china il capo in un gesto di resa. Alzarsi da quella sedia
sarebbe comunque utile e poter interagire con chicchessia senza avere
mani e piedi legati potrebbe persino sembrare un po' meno umiliante.
Lui fa un sorrisetto sardonico e si china a liberarle la caviglia. La
ragazza scatta come una molla e gli sferra un calcio in pieno viso,
sente qualcosa spezzarsi nell'impatto. Clint e Natasha sarebbero fieri
di lei!
Questo è per
avermi presa per il culo per tutto questo tempo!
Si rende conto quasi subito di aver fatto una cosa stupida, ma si sente
meglio; prova persino una certa compiaciuta soddisfazione quando il
ragazzo si rialza tamponandosi il naso, con un rivolo di sangue che gli
scorre tra le dita.
«Maledetta idiota!» ringhia lui, il viso contratto
dal dolore.
«Pensavo apprezzassi la mia intraprendenza» lo
provoca Nadia. Sta esagerando, ora sicuramente le faranno del male, ma
se pensavano che si sarebbe arresa e fatta manovrare come una bambola
si sbagliavano.
Mike le si avvicina e con la mano con cui non si sta tamponando il
sangue che cola dal naso le afferra il collo.
«Neanche immagini che enorme sbaglio hai fatto,
ragazzina» sibila.
«Basta così!».
Una voce imperiosa fa eco nel capannone. Mike ha un sussulto e ritrae
immediatamente la mano. Nadia strizza gli occhi per mettere a fuoco la
figura che si sta avvicinando dal fondo del grande spazio semivuoto.
Conosce quella voce, l'ha già sentita.
E solo in quel momento nota altri uomini, accanto alle pareti.
«Signorina Berton, mi rincresce per il modo un po'
rocambolesco con il quale l'abbiamo portata fino qui».
Nadia è troppo stupita per mandare al diavolo l'uomo e il
suo tono da gentleman. Norman Hope è in piedi davanti a lei
e la guarda con un sorriso cordiale, lo stesso che aveva la prima volta
che si erano incontrati.
Mike, Hope... dunque erano accerchiati su tutti i fronti, dunque Tony
aveva ragione: c'era una spia, qualcuno che faceva il doppio gioco. Ed
è stata proprio lei a fornire alla spia le informazioni che
servivano, tutte le volte che aveva parlato con Mike degli Avengers,
tutte le volte che gli aveva raccontato qualcosa di suo. È
contenta di non avergli detto tutto, ma il ragazzo ne sa comunque
abbastanza e lei si sente come affondare in un deserto di sabbie mobili.
Hope si china su di lei e le toglie la manetta che le blocca il polso
al bracciolo della sedia. Nadia scatta in piedi e si allontana
indietreggiando: la grandezza della tela di inganno che quell'uomo deve
aver tessuto la terrorizza.
«Non si agiti, Nadia» mormora Hope con voce pacata.
«Nessuno vuole farle del male, anche se le suggerisco di
adottare una condotta meno irruenta» aggiunge lanciando
un'occhiata al naso di Mike, coperto di sangue.
La ragazza prende qualche lungo respiro. Se Hope è, come ha
avuto modo di capire, il capo di quell'operazione e se è
così bendisposto nei suoi confronti, tanto vale
approfittarne.
«D'accordo» dice con quanta più
tranquillità riesce a racimolare. «Immagino che
ora lei voglia darmi qualche spiegazione»
«Certo, direi che le spiegazioni sono assolutamente
necessarie» conviene Hope con un sorriso lezioso che lo fa
sembrare uno di quei politicanti da quattro soldi in piena campagna
elettorale.
Dio, quanto vorrebbe farglielo sparire a suon di pugni, quel suo ghigno
da finto uomo per bene.
Come se lui le avesse letto nel pensiero, cambia subito espressione e
si fa serio. Norman Hope, o quale che sia il suo vero nome, alza
l'indice in segno di monito.
«Ma, sia chiaro, Nadia, durante la nostra chiacchierata mi
aspetto che lei si comporti come si conviene a una fanciulla beneducata
e non mi faccia dispiacere» conclude.
La ragazza lo guarda stranita per un attimo. Le è sempre
parso un tipo un po' sciroccato in effetti...
Sta cercando un modo di rispondergli a tono, ma lui fa un cenno con la
mano. Nadia sente dei passi provenire dall'alto, dove c'è un
soppalco rialzato con un parapetto di alluminio; alza lo sguardo e le
si gela il sangue nelle vene.
Quattro uomini spingono due figure verso la ringhiera. Nadia non ha
bisogno di vederle in viso per capire, anzi, vorrebbe non vedere
affatto.
«Nadia!». Pepper e Jane urlano il suo nome nello
stesso istante. La ragazza le guarda smarrita e deglutisce, incapace
anche solo di muoversi. Il terrore la paralizza quando due degli uomini
puntano le lame di strani pugnali alle gole delle prigioniere.
Nadia fa un passo verso il soppalco, si costringe a sopportare la vista
di Jane e Pepper con le mani legate e i pugnali premuti contro il
collo: vuole vedere se sono ferite, assicurarsi che stiano bene.
Poi un pensiero la trafigge come uno sparo. Se avevano già
Jane e Pepper, allora non hanno preso lei perché vogliono
fare pressione sugli Avengers o per usarla come ostaggio; se hanno
preso anche lei è perché da lei vogliono qualcosa
ed è lei quella che deve essere costretta.
«Nadia, non devi preoccuparti, ok?» esclama Pepper.
«Qualsiasi cosa vogliono, non devono ottenerla».
Le due donne vengono trascinate via. Nadia si tende in avanti, allunga
una mano in un gesto automatico, come a cercare di afferrarle,
trattenerle, ma loro sono già sparite in fondo al soppalco.
«Bene, ora immagino di avere la sua totale attenzione,
signorina Berton» conclude Hope, ritrovando il suo sorriso
lezioso.
*
È notte fonda, ma potrebbe essere anche mattino inoltrato o
qualsiasi altro momento della giornata. Non importa, la casa di Stark
è illuminata a giorno e loro sono tutti raccolti nel grande
salone.
Steve passa in rassegna le facce dei presenti.
Thor ha lasciato a casa i suoi vestiti da comune mortale e adesso le
luci si riflettono sulle placche argentate della sua armatura, il
mantello rosso ondeggia sulle sue spalle mentre misura a passi furiosi
la stanza. Ha proprio l'aria di uno che raderebbe al suolo la
città per scoprire dove sia finita la sua Jane.
Stark è ammutolito, per la prima volta da quando lo conosce,
e sinceramente avrebbe preferito non vederlo mai con quella faccia
sconvolta e preoccupata.
L'agente Romanoff è china su un piccolo computer che ha
portato con sé, gli occhi arrossati dal guardare
insistentemente lo schermo luminoso. Lo hanno usato per rintracciare i
cellulari, li hanno trovati, ma le loro proprietarie non c'erano e
adesso lei sta cercando di avere un tracciato dei loro movimenti per
risalire a qualche possibile indizio su dove siano sparite.
Barton si agita, cambiando continuamente posto a sedere.
Bruce Banner è in piedi, appoggiato al bancone del bar
domestico e mordicchia la stecca degli occhiali. È un
miracolo che sia ancora se stesso e non Hulk.
Loki tiene le spalle voltate a tutti loro, se ne sta in piedi davanti
alla vetrata, le braccia incrociate sul petto a guardare la
città. Di certo è preoccupato, se non altro per
Nadia, ma è bravissimo a non darlo a vedere.
Steve si stropiccia il viso con la mano. «Dunque,
ricapitoliamo, cosa possiamo fare?». La domanda è
sciocca e suona irritante, se ne rendo conto, ma proprio non sopporta
più quel silenzio saturo di angoscia.
«Cercare di capire» risponde Bruce, scuotendo la
testa.
«Non c'è niente da capire, dottore. Abbiamo
sbagliato tutto» lo rimbecca Stark.
Barton si alza in piedi e sospira pesantemente. «No, ci deve
essere sfuggito qualcosa» borbotta. «Nei miei primi
anni allo S.H.I.E.L.D. mi occupavo di rapimenti e del recupero di
ostaggi, so come funzionano certe cose e qui c'è qualcosa
che non quadra».
Ecco, l'ha detto. Ha usato la parola ''ostaggi'', quella che nessuno ha
avuto ancora il coraggio di pronunciare. Dovrebbe essere chiaro come il
sole che Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster sono state
rapite, ma fino a quel momento nessuno era riuscito a dirlo.
Steve è un soldato, sa quanto costano le sconfitte e le
perdite. Sa quanto costano certe parole, come pesava la mano del
colonnello Phillips quando dove scrivere ''deceduto'' sulle lettere di
condoglianze per le famiglie dei suoi uomini. E ora si rende
perfettamente conto della gravità della cosa: gli eroi che
salvano il mondo non riescono a tenere al sicuro tre persone che stanno
loro a cuore. Non avevano mai neppure pensato al pericolo che correvano
e l'idea che Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster ora siano
in pericolo perché connesse a loro è un chiodo
che batte dolorosamente nelle loro teste.
«C'è qualcosa che non quadra» continua
Barton. «Perché tutte e tre? È troppo
complicato e troppo pericoloso rapire tre persone in due momenti
diversi, e comunque è eccessivo. È chiaro che
questi bastardi ci hanno spiato, ci conoscono, sanno quali sono i
nostri punti deboli. Non ha senso prendere prima Jane e Pepper e poi
scomodarsi a prendere anche Nadia»
«Sì, ne sarebbe bastata una. Molto romantico come
discorso» borbotta Banner.
«Beh, a rigor di logica è
così» interloquisce la Romanoff.
«Dunque è questa la nostra tesi? Che le abbiano
prese loro, gli invasori nascosti o come accidenti li vogliamo
chiamare?» sospira Stark.
«Non c'è altra spiegazione per come sono andate le
cose» osserva Steve. È angosciante lavorare solo
sulla base di ipotesi e sospetti.
«Siamo degli idioti!» esclama Banner dal fondo
della sala. Si passa le mani sulla testa tormentandosi i capelli e
dondola il capo. «Siamo degli idioti!».
«Ripeterlo è molto confortante» sbotta
Barton, sbuffando.
«Non avete capito?» il Dottore passa tutti loro in
rassegna con lo sguardo. «Nadia è sparita dopo
essere uscita a incontrare Mike, il ragazzo che ora è
irreperibile. Stark ce ne ha parlato, da quando il ragazzo ronzava
attorno a lei? Da sempre... era una spia...»
«Sì, questo lo avevamo già dedotto
tutti» replica la Romanoff. «O è una
spia, o i rapitori hanno preso anche lui».
Steve intercetta lo sguardo di Tony Stark: è angosciato e si
sente tremendamente colpevole, perché è stato lui
a incoraggiare il rapporto tra Nadia e Mike, perché lui ha
avuto sotto il naso il ragazzo per tutto il tempo e non si è
accorto di niente.
«Sì, sì, è una spia, ma non
è questo il punto. Mike è stato tanto tempo a
contatto con i rettori Arc, che noi presumevamo essere la fonte di
energia a cui gli invasori ambivano, giusto?» continua
Banner, gesticolando come se stesse tenendo una lezione a una classe di
scolaretti. «Potevano fare qualcosa per prenderli molto tempo
prima, prima che
arrivasse Loki e ci avvertisse del pericolo, ma non l'hanno fatto. E
intanto Mike si è avvicinato a Nadia. Non
capite?».
«Io in genere capisco molte cose, dottore... ma adesso
gradirei un discorso un po' più lineare, se non ti
spiace» bercia Stark.
Steve ha un sussulto. Sì, lui capisce, ora è
tutto dannatamente chiaro.
«Mio Dio. Siamo stati così ciechi!»
esclama, battendosi una mano sulla coscia. «Hanno riprodotto
i marchingegni asgardiani che necessitano della giusta fonte di energia
per continuare a funzionare. Una fonte di energia che non
può essere terrestre...».
Thor smette di camminare avanti e indietro, si blocca e getta uno
sguardo spiazzato su tutti loro.
«Come ho potuto non pensarci...» mormora.
«Quando nel magazzino di Boston il martello ha fatto reazione
avvicinandosi alla copia del Bifrost...».
Già, le armi costruite dal nemico non necessitano di una
fonte di energia presente sulla terra. Sono copie dei manufatti
asgardiani e necessitano della forza di Asgard. E sulla Terra
c'è una sola fonte di energia asgardiana: la pietra del
bracciale di Nadia.
«Meglio tardi che mai» mormora Loki. Si volta con
un'espressione spazientita in viso e li guarda scuotendo la testa, come
se fossero bambini.
È il colmo, la goccia che fa traboccare il vaso.
«TU!». La voce di Thor è un ringhio che
quasi fa tremare le pareti. Nessuno prova a trattenerlo mentre si
scaglia contro Loki; nessuno riuscirebbe a fermarlo, in ogni caso.
«Tu lo sapevi, lo avevi capito e non hai detto niente! Come
hai potuto?!».
Il dio dell'inganno sbatte contro il vetro con un rumore secco. Per un
attimo sembra stordito dalla botta presa, poi alle sue spalle la grande
vetrata comincia a essere percorsa da crepe sempre più
profonde, una ragnatela di linee contorte che fa sembrare Loki il
tessitore di inganni che è, che è sempre stato.
Infine il vetro va in frantumi. Thor getta il fratello sul
terrazzamento e gli piomba addosso, bloccandolo contro il pavimento.
La lastra di vetro cade come una cascata di cristallo dietro di loro,
producendo un fracasso infernale mentre esplode contro il pavimento in
tanti piccoli pezzi taglienti.
«Come hai potuto restare in silenzio e permettere che
accadesse questo? Come hai potuto mettere in pericolo Nadia?! Credevo
provassi qualcosa per lei!» grida Thor, la sua voce
è ben udibile al di sopra del fischio del vento e dei rumori
della città.
Tutti loro scattano in piedi e restano a guardare. Nessuno ha voglia di
andare ad aiutare il dio dell'inganno. Nessuno si è mai
fidato del tutto di lui, ma non lo credevano capace di un tradimento
così profondo; su una cosa erano sempre stati tutti
d'accordo, erano tutti sicuri che mai e poi mai avrebbe fatto del male
a Nadia o l'avrebbe messa in pericolo.
«Non lo sapevo» rantola Loki. «Non vi ho
forse aiutato? Ho sempre condiviso con voi tutto quello che sapevo e
tutte le deduzioni alle quali giungevo... non puoi incolparmi di non
essere giunto in tempo a questa conclusione quando nessun altro di voi
l'ha fatto».
Sì, le sue parole sembrano sincere. Se avesse voluto
sabotare i loro sforzi avrebbe certamente potuto fare di peggio, eppure
Steve scambia un'occhiata con i suoi compagni e si rende conto che
nessuno è disposto a credere a Loki in quel momento, non
fino in fondo almeno. Se c'era qualcuno che poteva arrivare a
comprendere la questione della fonte di energia era lui e suona quanto
meno sospetto il fatto che ci sia arrivato troppo tardi, come tutti
loro.
Thor solleva Loki per il bavero della casacca di velluto scuro e lo
spinge in avanti, tenendolo sospeso nel vuoto, oltre il pavimento del
terrazzo privo di ringhiera.
Il dio dell'inganno guarda il marciapiede, diverse decine di metri
sotto di lui. Il vento gli scompiglia i capelli corvini.
«Avanti, Thor,
fratello, fallo» sibila.
«La donna che amo è in pericolo. Voglio la
verità» dice il dio del tuono, con calma gelida.
La verità? Loki sarebbe capace di dirla?
Per un attimo, stagliati contro il cielo e con i loro sguardi
illuminati da due diverse sfumature di furia, i due fratelli sembrano
davvero ciò che sono: dei, al di sopra di tutto
ciò che è umano. Tasselli di un destino contorto
che si incastrano solo per produrre scintille.
«Credi che le mie azioni siano così dissennate?
Credi che lascerei che accadesse qualcosa a Nadia?» sputa
Loki, con la voce che si affievolisce per la mancanza d'aria.
«Sapevi, prima di questo momento, che il suo bracciale era la
fonte di energia che il nemico stava cercando?» lo incalza
Thor.
Il dio dell'inganno spalanca gli occhi, azzurrissimi e gelidi, e li
punta in quelli del suo interlocutore.
«No» dichiara con fermezza.
Thor sospira e lo lancia sul pavimento del terrazzo, lasciando che
atterri tra le schegge di vetro sulle quali Loki si taglia i palmi
delle mani.
Non possono essere sicuri che abbia detto la verità. E
questo è un particolare agghiacciante che aggiunge altro
orrore a una situazione già abbastanza spaventosa.
*
«Posso offrirle qualcosa da bere, signorina
Berton?». Hope le indica una sedia accanto a una scrivania in
un ufficio vuoto.
Nadia fa un cenno negativo e si siede. Sa che deve mantenere la calma,
che non può permettersi di farlo indispettire ora che sa che
hanno Pepper e Jane.
Ha visto molti uomini mentre Hope la conduceva verso quell'ufficio. Il
posto brulica di guardie e di certo non c'è via di uscita.
«Sa dove siamo? Questa capannone era stato acquistato dal
signor Stark per un qualche progetto... uhm, immagino per farne un
grande garage per le sue auto d'epoca o qualcosa del genere. Ci hanno
cercati con grande affanno, ma Stark non sarebbe mai venuto a cercare
il nemico in casa sua, è così sicuro di se
stesso, quell'uomo»
«Vuole indispettirmi, signor Hope?»
«No, immagino lei sia turbata abbastanza, deve scusarmi.
Naturalmente non ho niente contro Tony Stark»
«Ciò non di meno, lo ha fatto spiare e ha rapito
delle persone che gli stanno a cuore... pensavo intendesse dirmi il
perché».
Hope si siede sul piano della scrivania e tamburella le dita sul bordo
di legno.
«Una lunga storia, cominciata prima che lei nascesse, prima
che qualsiasi persona che conosce nascesse» esordisce con una
certa enfasi.
Bene, c'era una volta,
in un paese lontano lontano, uno stronzo ricattatore che voleva
distruggere la Terra...
«Naturalmente Norman Hope non è il mio vero nome.
La mia famiglia era una famiglia di re, Nadia. I miei antenati avevano
ricevuto dal Padre degli Dei il compito di governare uno dei Nove
Regni, Nornheim. Immagino che lei abbia confidenza con tutte queste
cose».
Nadia annuisce. «Ne ho anche troppa».
Hope sembra divertito dalla battuta. Non che le importi, ma
finché se ne sta buono e calmo a raccontare la sua favola,
non starà da un'altra parte a dare ordini che possano
nuocere a lei, o a Pepper e Jane.
«Ebbene», prosegue lui, «per secoli
generazioni della mia famiglia avevano regnato su Nornehim. Poi accadde
qualcosa, il popolo si ribellò contro di noi,
denunciò quello che secondo loro era un immeritato
malgoverno al Padre degli dei, tentarono di rovesciarci,
capisce?».
Nadia si impone di non replicare, ma le viene automatico pensare che se
la sua famiglia era solita risolvere i problemi con la stessa
meschinità con cui lui si sta comportando ora, non la
stupisce il fatto che il popolo gli abbia remato contro. Vorrebbe
dirgli che su Midgard sono saltate teste di re per molto meno...
«Odino, infine, ci ordinò di lasciare il governo.
La mia famiglia lo aveva servito per generazioni e lui ci stava
mandando via come fossimo un branco di sguatteri incapaci! Rifiutammo
di obbedire».
La ragazza annuisce e arriccia le labbra. Certo, da quel poco che ne
sa, Odino non è tipo al quale conviene disobbedire.
Il volto di Hope si incupisce e lui si lascia sprofondare in un mare di
ricordi amari come fiele. Nadia conosce quello sguardo, lo ha visto
negli occhi di Loki così tante volte.
«E cosa successe dopo?» domanda cauta. Sa che non
ha bisogno di fare domande, che Hope proseguirà comunque con
la sua storia, ma vuole trovare qualcosa che la distragga da quello
sguardo pieno di odio.
«La guerra, mia cara. Odino si fece convincere da quel figlio
baldanzoso e insolente a scagliarci contro il suo esercito, Thor in
persona era alla guida delle armate. Furono giorni bui e sanguinosi, io
ero solo un ragazzo, ma li ricordo bene. L'esercito di Asgard stava
vincendo, ma un drappello di nostri soldati riuscì a isolare
Thor e i suoi compagni più fidati in una radura, fuori
città: se avessimo preso il primogenito di Odino, avremmo
ancora potuto vincere. Loro erano solo in sei contro decine di noi, ma
calò una nebbia improvvisa nella pianura e riuscirono a
scappare. Thor fece ritorno alla guida del suo esercito e vinse la
guerra. Una parte della mia famiglia si salvò e
fuggì, lontana dove l'occhio del Guardiano non poteva
giungere. Per lunghissimo tempo abbiamo organizzato la nostra vendetta,
quando infine, incontrammo degli ambasciatori di un mondo lontano il
cui signore si è votato alla distruzione. Egli ci mise a
disposizione le risorse del suo pianeta e con quel metallo abbiamo
costruito le armi, alcune molto simili a quelle di Asgard. E ora io, in
nome della mia famiglia, avrò la mia vendetta»
«Distruggere questo pianeta non rimetterà a posto
le cose!» esclama Nadia. I piani di Hope le sembrano ancora
più folli di quelli che aveva Loki. «Cosa se ne
farà della distruzione della Terra?».
L'uomo la guarda come se fosse perplesso, come se lei gli avesse appena
rivolto delle domande del tutto irragionevoli, come se non avesse
capito una singola parola del discorso che le ha appena fatto. In
effetti, a parte la storia drammatica, non c'è molto da
capire: quella è follia allo stato puro.
«Mia giovane ragazza» sospira Hope, ostentando
quella che sembra essere una ferrea pazienza, «la Terra
è solo un ostaggio. Io voglio Thor, voglio distruggere lui e
così facendo suo padre, voglio mandare in pezzi quella
famiglia come loro hanno fatto con la mia!».
Nadia si sente raggelare. Fitte di dolore le attraversano la testa come
lame.
«Spera che Thor si sacrifichi per salvare questo
mondo?» domanda, sconvolta.
«Lo farà, senz'altro».
«Non può minacciarlo. La Terra non è in
pericolo: non avete l'energia per far funzionare le vostre armi e
questo Thor e gli Avengers lo sanno».
Hope si alza in piedi e si lascia scappare una risata squillante,
gettando indietro la testa e chiudendo gli occhi, godendo del
divertimento che le affermazioni di Nadia devo evidentemente aver
suscitato.
«I tuoi eroi non sanno un bel niente, ragazza!»
dice poi, con la voce ancora alterata dallo scoppio di
ilarità. «Loro credono che noi siamo interessati
alle diavolerie luminose di Stark».
Dunque non è così. E allora che diamine vogliono?
Nadia si sente incatenata, tenuta ferma dalla sua
incredulità, da tutte le cose che non sa e non riesce a
capire. E più si rende conto degli errori di valutazione che
lei, gli Avengers e lo S.H.I.E.L.D. hanno compiuto, più
sfuma la speranza che tutta quella situazione si risolva per il meglio
e che qualcuno arrivi a salvare lei e le altre due donne.
L'angoscia le spezza il respiro. Quello non è un film dove
gli eroi arrivano all'ultimo minuto e salvano la situazione, i suoi
eroi sono tremendamente lontani dallo scoprire la verità e
quindi tremendamente lontani da lì.
«E allora cos'è che vi serve?» chiede. E
nello stesso momento in cui formula la domanda le sovviene anche la
risposta.
Il suo sguardo e quello di Hope si spostano nello stesso momento verso
il medesimo punto, a fissare la stessa cosa: la pietra opalescente
incastonata nel suo bracciale.
___________________________________
Note:
In molti di voi mi avevano già fatto presente i sospetti che
nutrivano per Hope... e io ho sempre glissato XD L'ho fatto apparire
poco nella fanfiction, il meno possibile, appunto per non attirare
troppo l'attenzione su di lui, sperando che passasse per un particolare
fine a se stesso utile solo a dare un po' di realisticità
alla storia... spero comunque che ora che è venuta a galla
la verità, il “più o meno colpo di
scena” sia di vostro gradimento. :P
(Tra l'altro, qualcuno mi aveva fatto notare, all'epoca della sua prima
apparizione, che il nome Norman non è molto "rassicurante"
nell'universo Marvel e io risposi che non lo avevo scelto
perché ricordava un altro cattivo dei fumetti. L'ho scelto
per la vaga assonanza con Nornheim :P)
Il riferimento a Nornehim viene sempre preso dalla famosa scena
tagliata di Thor.
QUESTA
Tutta la storiella che c'è dietro è farina (spero
non troppo
scadente) del mio sacco.
Il fatto che Hope sia vecchio e che Thor invece abbia ancora le
sembianze di un giovane, ovviamente è dovuto al fatto che
Thor è un
dio di Asgard.
Ancora una volta, mi scuso per non aver risposto alle vostre
recensioni, ma recupererò. Intanto grazie di cuore a tutti **
* Piccolo spazio
pubblicità - perché sì*
C'è un gradito ritorno che merita festeggiamenti in tutti i
Nove Regni:
The Seventh - Winter. Se non avete mai letto The Seventh di
Evilcassy fatelo, ora, prima che io e Loki vi troviamo...
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. :D
|
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Capitolo 23 *** Deus ex machina - part one ***
Capitolo ventiduesimo
Deus ex machina
– part one
Nick Fury osserva le casse che alcuni agenti stanno caricando
sull'elicottero.
C'è un bel po' di confusione sul tetto della base dello
S.H.I.E.L.D. e Bruce non riesce a fare altro che torcersi le
mani e pensare che sia una pessima idea quella di tornare su
quell'enorme coso volante.
Fury ha deciso che si sposteranno in volo. Se dovessero riuscire a
recuperare Nadia senza effettivamente essere in grado di fermare chi
c'è dietro a tutta quella schifosa faccenda, è
meglio che la tengano in un posto dove il nemico non può
raggiungerla tanto facilmente.
Fury non è contento per niente. Tutti hanno fatto finta di
non sentire quel suo «... e se le avessi ficcato una
pallottola in testa a tempo debito...» mormorato uscendo
dalla sala riunioni.
Se lui avesse sparato alla ragazza. Se loro avessero potuto fermare
Loki, fermarlo davvero, molto tempo prima...
Bruce guarda l'orologio e realizza che sono passate ventiquattro ore da
quando si sono accorti della sparizione della dottoressa Foster e della
signorina Potts, e quindi ventiquattro ore da quando anche Nadia
è sparita. Stanno supponendo che se trovano le une
troveranno anche l'altra e viceversa. Hanno immaginato che le abbiano
prese per convincere Nadia a collaborare, perché loro due
erano le più facili da prendere.
È meglio che non ci stia troppo a rimuginare,
perché è un'idea che gli fa rabbia. Molta rabbia,
e quello è il momento peggiore per arrabbiarsi.
La prospettiva di dover tornare sull'Elivelivolo stuzzica
già abbastanza l'Altro. Se si sofferma a pensarci per
più di una manciata di secondi, si rende conto che dovrebbe
rimanere con i piedi ben piantati a terra, al chiuso nella sua casa nel
bosco. Se succedesse un incidente come quello dell'altra volta, se
l'Altro decidesse di fare una visita di cortesia mentre sono in volo su
quell'enorme fortezza fluttuante senza vie di uscita, se mandasse tutto
a monte non se lo perdonerebbe mai.
L'ultima volta le circostanze hanno dimostrato che persino lui
può rendersi utile, che l'Altro non deve essere per forza
solo una maledizione. Ma adesso Bruce non si sente poi tanto sicuro,
adesso non è previsto che piovano alieni da un buco in mezzo
al cielo, non è nemmeno detto che ci sia da menare le mani e
lui davvero non sa che fare di se stesso in quella circostanza.
«Io... io non credo che sia una buona idea che salga su quel
coso» squittisce senza parlare con nessuno in particolare, e
comunque chi lo sentirebbe con il frastuono delle pale dell'elicottero?
«Stai scherzando vero?» gli fa Barton, alle sue
spalle. Ok, qualcuno ha sentito.
Bruce sospira. Ecco, adesso gli diranno che non deve preoccuparsi, che
i suoi problemi di gestione della rabbia, come li chiama Stark, non
sono davvero un problema.
«Noi siamo una squadra» conclude Occhio di Falco
con uno sguardo eloquente. «E tu ci servi. In tutte e due le
versioni».
«La mia versione small non serve a un bel niente in questo
frangente, lo sapete» replica lui. «E la mia
versione extra large potrebbe creare più problemi che altro.
Non voglio essere quello che fa andare storto qualcosa, considerando la
posta in gioco. Mi sento già abbastanza inutile e in
colpa»
«Siamo stati tutti inutili e ci sentiamo tutti in colpa per
aver capito le cose troppo tardi. Non farti venire le crisi
adolescenziali proprio ora che stiamo partendo per un'altra gita
scolastica!».
Bruce sospira. «Voi avete mille altri modi di rendervi utili.
Avete tutti fatto qualcosa per Nadia, io ho solo preparato tazze di
tè».
«Ma cos'è, una gara? Sono sicuro che se mancasse
anche solo uno di noi non sarebbe la stessa cosa. E adesso smettila, mi
stai facendo parlare come se fossimo a una riunione di
boy-scout».
Bruce continua a torcersi le mani. Guarda Stark dirigere la piccola
squadra che sta trasportando sull'elicottero la cassa con la sua
armatura, Rogers e la Romanoff controllano un contenitore con le armi,
Thor fa saltare sul palmo il manico del suo martello.
Pensa che sono passate ventiquattro ore, che non sanno dove sbattere la
testa. Nadia potrebbe essere ovunque, e chissà cosa possono
averle fatto nel frattempo. Un'ondata di calore gli sale come un
brivido lungo la schiena, conosce quella sensazione e sa che deve
tenerla a bada.
«Di cosa stiamo parlando, qui?» si intromette
Stark, dando una pacca sulla spalla a lui e a Barton.
«Il dottore sta avendo cinque minuti di crisi
esistenziale»
«Io... stavo pensando che non vi servo».
Stark corruga la fronte in un'espressione crucciata e abbassa gli
occhiali da sole, facendoli scivolare sul naso.
«Non lo avevamo già fatto questo discorsetto,
dottore?» dice con un mezzo sorriso. Va detto che riesce
sempre a mantenere alto il morale quell'uomo. «Stammi a
sentire, lì fuori ci sono dei figli di puttana che hanno la
mia donna, la ragazza di Thor e la nostra bambina. Se io dovessi
mettere insieme un team per andarle a recuperare, ti vorrei a
bordo»
«Stark...»
«Aspetta! Ma noi siamo il team per andarle a recuperare!
Quindi sei a bordo, Shrek, non hai scelta!»
«Stark... la nostra bambina? Nadia? Sul serio?»
borbotta Barton.
«Guarda che non è tanto più giovane di
me» interloquisce Natasha Romanoff.
«Ma tu sei cresciuta in una serra di piante
velenose...»
«Possibile che non abbiate altro da fare che
ciarlare!» gracchia Fury. «Muoviamoci, o
partirò senza di voi!».
«Che vi dicevo? È come una gita scolastica o come
il campeggio dei boy-scout» conclude l'agente Barton alzando
gli occhi al cielo.
Fanno per incamminarsi verso il portellone del jet che li attende in un
angolo della pista, ma Rogers si blocca e si guarda attorno.
«Aspettate!» esclama. «Dove si
è cacciato Loki?».
*
Nadia non sa da quanto è lì.
L'hanno chiusa in una stanza senza finestre, dentro c'è una
branda e una sedia, e un piccolo bagno interno. Per una che ha passato
la vita in un albergo, deve riconoscere che i suoi rapitori non sono
male come ospiti... che il diavolo se li porti!
Hope le ha consigliato di riposare, ma lei non è riuscita a
chiudere occhio. Ha passato quelle che devono essere state ore a
guardare le ombre dei tizi messi a farle da guardia muoversi oltre
l'uscio della porta. Ha chiesto di vedere Jane e Pepper e le
è stato risposto che le avrebbe viste a tempo debito e che
non doveva preoccuparsi, che stavano bene e che nessuno si sarebbe
fatto male se lei fosse stata ragionevole.
La ragazza se ne sta seduta sulla branda, con le ginocchia al petto e
osserva la forma circolare di una macchia di umidità sulla
parete spoglia.
Non sa che fare. Vogliono l'energia della pietra, ma quell'energia
passa attraverso di lei... probabilmente, se così non fosse,
le avrebbero già staccato il braccio per prendersi il
bracciale.
China la testa in avanti e si tormenta i capelli con le mani. Le viene
da piangere, e quando la prima lacrima le ruzzola oltre le ciglia,
l'asciuga rapidamente e cerca di farsi aria al viso, ma non serve a
niente, ne cadono altre e lei non è in grado di fermarle. Si
preme la manica della maglietta contro le labbra per soffocare i
singhiozzi.
Un comportamento davvero pessimo per la pupilla degli eroi
più forti del pianeta, piangere come ragazzina!
Spera davvero che nessuno entri in quel momento, non può
permettersi di mostrarsi fragile e vulnerabile, quei dannati bastardi
hanno già troppo in mano. Hanno Pepper e Jane e lei non sa
che fare. Se si rifiuta di aiutare Hope, verrà fatto loro
del male, ma se lo accetta metterà a rischio l'intero
pianeta e segnerà la fine di Thor –
perché su questo punto, quel dannato vecchio pazzo ci ha
preso in pieno: il dio del tuono si sacrificherebbe per salvare la
Terra, si sacrificherebbe per salvare anche un singolo essere umano. E
di certo Thor non è più il ragazzo bellicoso e
prepotente che Hope ha conosciuto quando era giovane, su quel suo
pianeta dal nome assurdo!
Il pianto la stordisce fino a farle prendere sonno e Nadia crolla stesa
di fianco.
Quando vengono a svegliarla si accorge di essere infreddolita e che le
si è addormentata una gamba a causa della posizione scomoda
nella quale era stesa. Zoppica fuori dalla stanza, sotto lo sguardo
vigile di due guardiani.
La conducono di nuovo nel grande capannone vuoto.
Al centro il pavimento è aperto come una grande botola e, di
sotto, lei riesce a vedere una serie di oggetti metallici dalla forma
strana: l'arsenale che gli esiliati di Nornehim hanno costruito.
Nota che al livello del pavimento c'è un tavolo coperto da
un telo di tessuto grezzo. Dall'altra parte del tavolo, Hope l'aspetta
tenendo lo sguardo fisso su di lei.
«Se ti senti riposata e in forze, mia giovane amica, direi
che è il momento di cominciare» dice lui.
Nadia vorrebbe gridargli di non chiamarla amica, vorrebbe ribellarsi a
quel trattamento e cancellargli dalla faccia quel sorriso falso e
accondiscendente. Gli lancia uno sguardo furioso che lui finge di non
notare.
Hope solleva il telo, scoprendo quello che si trova sul tavolo.
È una specie di lancia dalla punta preceduta da una lama a
forma di rombo. È di metallo scuro e opaco come argento
ossidato. Nadia è certa che l'originale debba essere molto
più bella, ma quell'arma ha un qualcosa di veramente
minaccioso.
«Gungnir, la lancia di Odino» spiega Hope.
«Un degno scettro per un re, molto potente, ma non di certo
l'arma più micidiale dell'arsenale di Asgard».
La ragazza allunga una mano verso l'oggetto, come calamitata dai
bagliori cupi che il metallo sprigiona sotto la luce elettrica.
«I nostri artigiani hanno lavorato anni per riprodurre i
manufatti della Patria Eterna. Quando lasciammo Nornheim, portammo con
noi i loro libri di appunti... sfortunatamente non avevamo mai trovato
nessun materiale adatto prima di incontrare Thanos. Il metallo estratto
dalle rocce del suo pianeta è permeato di una forte energia,
ma non abbastanza da reggere l'utilizzo prolungato. Tu capisci, mia
cara ragazza, che non è pratico avere armi così
poco affidabili, ma con la giusta dose di energia unita a quella
intrinseca del metallo funzioneranno. Lo stesso Thanos aveva costruito
uno scettro molto potente, e aveva aggiunto al metallo la forza del
Tesseract».
Nadia sfiora la superficie metallica. È gelida al tatto,
gelida e scura come deve essere il pianeta da cui proviene. Le torna in
mente l'immagine di Loki, quando ricomparve nel bosco appena scappato
dalla prigionia di quel Thanos, le torna in mente il suo corpo
martoriato e il rivolo di sangue che disegnava una macchia sempre
più larga sul terreno.
Vorrebbe proprio dire a Hope che niente di buono può venire
da quel mondo remoto e che uno come Thanos non fornisce il suo aiuto se
non può avere qualcosa in cambio, che il prezzo che impone
deve essere certamente molto molto alto.
«Cosa si suppone io debba fare?» chiede.
«Suvvia, Nadia, lo avrai capito da te. Quella pietra che hai
al braccio è una fonte inesauribile di energia, voglio che
tu ne trasferisca un po' in questo metallo».
Deve prendere tempo.
«Non ho idea di come fare» dice. Ed è la
verità. «Loki ha tentato di insegnarmi a usare la
magia della pietra, ma non sono un'asgardiana, per me non è
facile controllarla e tutto quello che riesco a fare è
evitare che mi faccia male».
Hope si massaggia il mento con aria assorta. Dopo qualche secondo di
silenzio dondola il capo in quello che sembra un cenno di assenso.
«Capisco» mormora. «Immagino che tu debba
solo pensarci un po' su»
«Io... io non so come...» ripete Nadia. Quella
scintilla che si è accesa negli occhi dell'uomo proprio non
le piace.
«Facciamo così: ti darò un
incentivo» conclude. Fa un cenno e due uomini entrano nel
grande spazio aperto del capannone, spingendo davanti a loro Pepper e
Jane con i polsi ammanettati.
Nadia sente le dita gelide della paura tastarle la schiena e
conficcarsi nel petto.
No, mio Dio, ti prego,
no...
Gli uomini spingono in avanti le prigioniere, facendole cadere in
ginocchio. Lei intercetta lo sguardo delle due donne come a chiedere
loro cosa deve fare, come possono uscirne intere da quella situazione.
La voce di Hope si confonde al martellare del cuore che Nadia sente
rombarle nelle orecchie.
«Ti fai venire un'idea, ragazza mia? O devo farmene venire
una io?».
L'uomo si fa passare un pugnale e si ferma alle spalle di Jane, le
afferra i capelli e la costringe a tirare indietro la testa.
«La lasci!» strilla Pepper, d'istinto.
«Oh, deve dirmelo Nadia, se posso lasciarla»
sussurra lui mellifluo.
Tutto il suo corpo pulsa da far male, persino la stanza sembra vibrare
attorno a lei. Nadia non riesce a staccare gli occhi da Jane, dalla
lama che Hope le ha appoggiato su una guancia con la punta a sfiorarle
la palpebra dell'occhio sinistro.
Va-tutto-bene.
Mima lei con le labbra smunte e gli occhi velati di lacrime. Va-tutto-bene, Nadia.
La ragazza si volta verso il tavolo e afferra la lancia. Il freddo del
metallo sembra una scarica elettrica sottopelle e l'arma è
molto più pesante di quello che credeva.
Dopo qualche secondo, piccole strisce di luce bianca si spandono dal
punto in cui Nadia tiene appoggiate le mani fino alla punta della lama.
Il metallo sta reagendo all'energia della pietra, come in quel
magazzino di Boston aveva reagito alla vicinanza con il martello di
Thor.
«Io... proverò, come meglio posso... lasciatele
stare. Lasciatele stare» dice a fatica.
Hope allenta la presa su Jane e lei scuote la testa in direzione di
Nadia, come a chiederle di non fare niente. La ragazza chiude gli
occhi, è già tutto abbastanza difficile senza che
ci si mettano anche le suppliche silenziose di Jane e lo sguardo
attonito di Pepper.
La lancia è davvero molto più pesante di quanto
si penserebbe e il metallo non sembra scaldarsi nella stretta delle sue
mani.
Nadia prende dei profondi respiri e cerca di concentrarsi, di
ricordare, tra le tante cose che ha tentato di spiegarle Loki, quale
può essere la mossa giusta per trasferire energia al pezzo
di ferraglia che ha davanti. Forse è come quando lui le ha
detto come convogliare l'energia in un punto; di solito quando ci
provava l'energia diventava una massa informe e si andava a scagliare
contro una superficie piuttosto estesa, facendo esplodere qualcosa come
la prima volta con quell'albero. Non è capace di convogliare
l'energia verso un punto preciso, rispettando dei confini fisici,
davvero non sa come farlo e ha paura che se facesse un tentativo
finirebbe far esplodere qualcosa, o per farsi del male.
Sposta lo sguardo dalla lancia alle due donne. Non importa, deve fare
un tentativo, deve dare a Hope qualcosa che gli lasci capire che sta
collaborando, che sta facendo del suo meglio.
Si concentra, raccoglie l'energia. Sente un sapore ferruginoso in gola
e un velo di sudore coprirle la fronte, ma continua.
Può vederla, la massa di energia fluttuare davanti a
sé. È come una macchia d'olio sospesa nel vuoto,
una grande macchia dai bordi irregolari che lei non sa come modellare a
suo piacimento. Tenta di farla abbattere sulla lancia. La macchia
diventa come un enorme scroscio di acqua e cade contro il pavimento.
Nadia si sente sbalzare via dall'esplosione, vede la nuvola di polvere
sollevarsi dal cemento perforato e una pioggia di schegge di pietra le
cade sul viso. Impatta contro il pavimento spoglio con ancora la lancia
tra le mani.
Forse ce l'ha fatta comunque, pensa. Forse ora l'arma
funzionerà a dovere.
Ma quando si solleva e si guarda le mani, si accorge di star reggendo
solo due tronconi dell'asta di metallo, che le altre parti della lancia
sono sparse a terra, tra il piccolo mucchio di macerie.
*
La vanità e la supponenza dei Vendicatori è
ancora uno dei loro migliori punti deboli.
Loki ci pensa mentre guarda dalla piccola altura la sagoma di quel
capannone industriale stagliarsi alla fine di quel vicolo spoglio fatto
di fabbricati squadrati.
Hanno di nuovo smesso di fidarsi di lui, gli idioti. Non che si siano
mai fidati davvero, comunque. E per sua fortuna, seguitano
ostinatamente a sottovalutarlo e a escluderlo. È un po' la
storia della sua vita: lasciato in un angolo, messo da parte. Nessuno
pensa mai che si possa diventare grandi e potenti pur stando
nell'ombra, ai margini.
Quel branco di idioti sono rimasti ore a discutere su come fare per
trovare Nadia e le altre due – chissà se la cara
Jane e la donna di Stark sono ancora vive e tutte intere, spera proprio
di no. Loki ha sentito crescere il panico nelle loro voci, minuto dopo
minuto, mentre realizzavano che in tutte quelle settimane non erano
stati in grado di trovare nessuna traccia degna di nota del nemico e
che quasi certamente non ci sarebbero riusciti ora, adesso che il tempo
stringe e che il nemico ha in mano tre persone che stanno tanto a cuore
agli eroi più forti del pianeta. Ore a discutere e
scervellarsi e a nessuno di loro è venuto in mente che lui
sa esattamente dov'è Nadia, l'ha sempre saputo.
Buon per lui. Gli Avengers non si sono mai interessati del vero
funzionamento della pietra, presi a preoccuparsi di curare la ragazza,
non hanno mai pensato al fatto che lui è sempre stato in
grado di rintracciarla, anche mentre era nell'angolo più
remoto dell'universo, lontano un'eternità.
Buon per lui. Ora può andare a riprendersela e giocare le
sue carte.
Percorre il sentiero asfaltato che porta alla piccola spianata dove si
trova il capannone, pensando al modo migliore per entrare.
L'aria della sera è tiepida e intorno c'è un gran
silenzio, come se la città e le sue luci moleste fossero
chissà quanto lontane. Eppure il vento ha ancora quell'odore
di fumo e polvere.
Per un attimo pensa a Nadia. È certo che stia bene, che non
le abbiano fatto del male. Il pensiero di essere stato lui a metterla
in quella situazione è irritante e preferisce accantonarlo.
Codardo...
Ha un fremito e agita la mano come se quella voce che ora ha parlato
nella sua testa sia un insetto molesto che ha preso a ronzargli
attorno. È sempre stato bravo a lottare con i suoi demoni,
se li è fatti amici, li ha trasformati in stelle che gli
indicassero la strada; è impermeabile a ogni rimorso e
quella voce nella sua testa è poco più che il
soffio del vento in lontananza.
Codardo. Si difende
ciò che si ama...
Tira un calcio a un ciottolo che urta rumorosamente contro la base di
un lampione spento. Alza la testa di scatto.
«Ciò che si ama?» mormora. Vorrebbe
conoscerlo, l'amore, capire cosa ha di tanto straordinario, ma a dirla
tutta, gli è sempre sembrato una favola da raccontare ai
bambini per allevarli nell'illusione che un giorno potranno essere
felici.
Ma non è questo il punto. Non gli piace ciò che
ha fatto a Nadia, non gli piace il rischio che le ha fatto correre,
eppure sa che è stato necessario e tanto basta. Deve farselo
bastare...
E comunque sia, ormai è finita. La ragazza è
lì, dietro a una di quelle pareti di lamiere.
Sarà spaventata, sarà furiosa come una belva in
gabbia, ma ci penserà lui a rimettere le cose a posto, a
portarla in salvo e convincerla che può dimenticare quella
brutta avventura, che anzi, grazie a lei hanno rintracciato i nemici.
Del resto, non è sempre stato così? Fin da quando
ha rimesso piede su Midgard, dopo la battaglia di New York, non ha
sempre dovuto pensare a tutto lui, a salvarla, a sistemare le cose?
Si ferma in mezzo al buio, il dio dell'inganno. La costruzione proietta
un'ombra lunga e fitta e lui è perfettamente a suo agio
dentro quell'oscurità muta.
Deve solo pensare a come fare ad entrare.
Guarda la porta blindata chiusa e certamente sorvegliata, come ogni
altro accesso all'edificio.
Magari basta bussare. Entrerà nell'edificio e
chiederà di vedere quelli che comandano e
ascolterà le ragioni di quel nemico che è stato
così scaltro da giungere sulla Terra, restare nascosto,
evitare gli Avengers e riuscire persino a rapire le tre donne che loro
amano.
Sì, potrebbe davvero passare dalla loro parte. Anzi, quasi
certamente è la scelta migliore, la più sensata.
Non importa se sanno che è – è stato
– il fratello di Thor, è certo che se hanno
viaggiato tanto e conoscono gli Avengers, gli invasori sapranno anche
che lui e Thor sono nemici, che il figlio di Odino è un
nemico che lui non vede l'ora di sconfiggere, forse più di
quanto lo vogliono loro.
Non capisce perché ha avuto tante remore la prima volta che
ci ha pensato.
Può certamente dare una possibilità a quegli
individui. Può senz'altro darsi questa
possibilità, dopo essere rimasto senza altre risorse e senza
possibilità di pianificare una sua rivincita.
Codardo!
«Silenzio!».
Loki chiude gli occhi, stringendo forte le palpebre, poi li riapre e si
dirige verso l'ingresso principale della struttura. Lo lasceranno
entrare, li convincerà...
Si difende
ciò che si ama.
Il dio si ferma, un passo prima di uscire dal cono d'ombra. Scuote la
testa.
D'accordo.
Gli necessita un nuovo piano.
*
Bruce guarda il foglio che Stark gli ha messo tra le mani.
La prima domanda che gli viene in mente è la meno rilevante,
ma non può fare a meno di chiederselo: quando accidenti ha
avuto il tempo e la lucidità mentale di partorire quell'idea?
«Niente male!» afferma, sinceramente colpito.
«È assolutamente geniale»
«Certo che lo è»
«Come ci sei riuscito?»
«Ho esaminato il campione di metallo che ci ha dato Fury e
qualche altro pezzo di chincaglieria tirato fuori dalle macerie del
magazzino di Boston» spiega Stark, «e ho misurato
il campo magnetico generato da quel materiale. Lo so che lo avevano
già fatto nei laboratori dello S.H.I.E.L.D, ma io ho
inventato questa!».
Bruce annuisce, sembra quasi che il suo amico voglia che gli si lanci
un biscottino per premio. Non ha mai pensato che Tony Stark passasse il
suo tempo libero con una rivista di sudoku, ma adesso si chiede come
faccia a dormire uno che ha una testa così piena di idee.
Ok, non è affatto scontato che Tony Stark dorma.
Bruce sposta lo sguardo tra lo schema disegnato sul foglio e il volto
del suo amico, poi si guarda attorno. Si sono chiusi in uno dei
laboratori dell'elivelivolo, e il modo in cui Stark continua a tenere
la voce bassa e guardare di tanto in tanto la porta sa molto di
cospirazione.
Lo strumento che ha disegnato dovrebbe essere semisferico, grande
più o meno come una palla da basket tagliata a
metà. Lo scopo di quell'invenzione è generare un
campo magnetico alternato di intensità decrescente che
riesca ad annullare l'energia che quel metallo sembra possedere.
Mettere definitivamente KO le armi degli invasori è comunque
un buon passo verso la soluzione.
Resta solo da trovarli, loro e le loro armi. Anzi, prima resta da
trovare Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster. Ma avere
l'asso nella manica di uno smagnetizzatore che renderà
inservibile l'arsenale nemico è un punto a loro favore ed
è certamente un ottimo deterrente per ritorsioni future.
Solo, perché Stark ha quell'aria da congiurato?
Perché ha detto solo a lui di quell'invenzione? Certo,
magari gli altri non capirebbero la questione tecnica del funzionamento
di quel marchingegno, ma di certo comprenderebbero il fine del suo
utilizzo...
Bruce appoggia il foglio sul piano di una scrivania, lo spiega con il
palmo delle mani e rilegge gli appunti scritti con una calligrafia
frettolosa al margine della pagina.
«Ahem, Stark... ci sarebbe una cosina da
correggere» dice, infine.
«Lo so, dottore. Ma non c'è tempo, dobbiamo
costruire questo affare e averlo pronto per ogni evenienza».
Bruce scuote energicamente la testa. Ora capisce perché
Stark gli ha mostrato il progetto lontano da altri occhi e altre
orecchie, perché sapeva che lui avrebbe capito che
quell'affare ha un difetto bello grosso, almeno per lui, e non vuole
che si sappia.
«No, c'è tempo, possiamo rivedere il progetto e
sistemare l'intensità del campo magnetico o il raggio
d'azione, o...» tenta di protestare. «Tony, tu non
puoi accendere questo coso, il campo magnetico che ne verrebbe fuori,
se è abbastanza potente da smagnetizzare il metallo delle
armi, può far fermare il reattore Arc che hai nel
petto»
«Lo so»
«E hai un reattore Arc di riserva, naturalmente»
«No. Da quando ho costruito questo, pensavo di non averne
bisogno. Inoltre questo è un tantinello difficile da
ricostruire».
Bruce spinge via il foglio. «Non ci sto, è troppo
rischioso e capisco che sei preoccupato per Pepper e incazzato come
Hulk con quei bastardi, ma non voglio contribuire al tuo
suicidio»
«Rilassati, Doc!» esclama l'altro alzando le mani.
«Lo sai che se ti agiti poi si strappano tutti i vestiti e
qui l'aria condizionata è troppo alta per andarsene in giro
in mutande. Ascolta, non devo per forza dare io la corda al
giocattolino, può farlo qualcun altro di voi, e io intanto
me ne sarò volato via a distanza di sicurezza,
così nessuno mi avrà sulla coscienza, ok? Non
sono certo un tipo da azioni suicide».
«Disse l'uomo che si è caricato un missile
nucleare sulle spalle...».
Tony fa uno strano sbuffo, con quell'aria che farebbe venire voglia a
chiunque di prenderlo a schiaffi, a chiunque che non lo conosca almeno,
che non sappia di cosa può essere capace quell'uomo.
«Bene» conclude Bruce. «Ci serviranno i
materiali per costruirlo, comunque, non credo che ci sia tutto a bordo
«Oh, posso telefonare a un amico e farmeli portare»
conclude Stark, strizzando l'occhio. «Ora possiamo
condividere con gli altri la mia meravigliosa idea. In quanto ai tuoi
dubbi, tu promettimi che li terrai per te e io ti prometto che non
farò cazzate».
Non suona molto convincente detto da lui, ma a Bruce non resta altra
scelta che stringere la mano che Stark gli sta porgendo.
«Affare fatto. Ma fa' in modo che l'Altro non debba mai
più farti rinvenire a suon di urla nelle orecchie,
ok?»
«Ah! Visto? E tu che volevi restare a terra perché
pensavi di essere inutile!».
E comunque, resta ancora una sfilza di domande alle quali lo scienziato
non trova risposte.
La prima è anche la più inquietante: dove
sarà finito Loki? Fury lo sta facendo cercare con lo stesso
sistema con cui furono in grado di rintracciarlo a Stoccarda, ma per
adesso risulta disperso e il fatto che se ne vada in giro in un momento
simile, senza che nessuno abbia ben capito cosa ha in mente,
è abbastanza inquietante e di certo non aiuta ad allentare
la tensione.
La seconda domanda non è particolarmente rilevante, ma Bruce
è uno scienziato, porsi quesiti è una
deformazione professionale. Stark ha amici, a parte loro? Amici ai
quali può telefonare per farsi portare i giocattoli su una
base segreta e svolazzante dello S.H.I.E.L.D? Chi diamine è
questa gente?!
____________________________________________________________
Note:
Bruce e le
crisi adolescenziali. Perché sì. Capitolo che si
apre e si chiude con lui, perché povera stella, io gli
voglio bene.
Loki è schizofrenico. Più del solito. Lui non ce
la può fare. Io non ce la posso fare. La visione
caleidoscopica che io ho di quell'individuo mi ucciderà.
Lo so che essere una nerd non fa di me una scienziata... anzi penso di
essere l'unica nerd con una spiccata predilezione per le scienze
umanistiche e una totale mancanza di talento nelle discipline
scientifiche, tuttavia quella dei fumetti è fantascienza
(super-armature in oro e titanio, tizi che si beccano le radiazioni
gamma e sviluppano un alter-ego un po' irascibile, mingherlini a cui
fai un'iniezione e diventano Chris Evans...), la faccenda dell'aggeggio
che si è inventato Tony si colloca in questo scenario, per
cui se c'è qualche scienziato tra il pubblico... sia
clemente, non mi insulti.
Ho fatto un po' di ricerche per non scrivere una totale idiozia, dal
sito della Treccani, alla voce “smagnetizzazione”:
Più complicata è la situazione nel caso, assai
più importante in pratica, di sostanze
ferromagnetiche e ferrimagnetiche, per le quali, a causa
dell’isteresi magnetica, la totale smagnetizzazione si
ottiene soltanto sottoponendo la sostanza a un campo magnetico
alternato di intensità gradatamente decrescente da valori
prossimi alla saturazione sino al valore nullo.
(ps. Bruce+sudoku. *Alki che si mette a fare gli inside joke va portata
d'urgenza alla neuro*)
Sono di nuovo in ritardo, ma prometto che in questi giorni
risponderò a tutti voi. Colgo l'occasione per ringraziarvi
per la costanza con la quale mi seguite. **
Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^
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Capitolo 24 *** Deus ex machina - part two ***
Capitolo ventitreesimo
Deu ex machina
– part two
Non ha mai avuto particolare attitudine al cameratismo.
Loki resta per qualche istante con le spalle premute contro la parete
esterna del grande capannone. Deve muoversi con cautela, se lo
scoprissero sarebbe la fine ma non si pente affatto di non essere
tornato sui suoi passi per condurre lì gli Avengers. A
questo può sempre pensarci in un secondo momento, adesso
vuole tirare fuori Nadia e vuole farlo da solo.
Perché non
sei così impermeabile al rimorso, vero?
Deglutisce e la voce scompare. Non è questione di rimorso,
si dice, è sempre stato così. Il tempo in cui
seguiva Thor nelle sue imprese, assieme a Sif e ai Tre Guerrieri, gli
sembra lontanissimo, quasi non è più nemmeno un
ricordo, sembra solo uno di quei sogni confusi che si dimenticano man
mano nelle ore successive al risveglio. E anche allora, partecipava a
quelle avventure, metteva le sue abilità al servizio del
gruppo, ma lo faceva solo perché era l'unico modo di
partecipare alla gloria che quelle imprese riservavano, l'unico modo
per mostrare a Odino che non era un ragazzo gracile, cresciuto
all'ombra degli scaffali della biblioteca di palazzo. Quante volte il
suo intervento si era rivelato decisivo per salvare uno di loro? Di
sicuro più spesso di quanto gli sia stato riconosciuto,
perché alla fine, al ritorno da quelle imprese, quando
attraversavano la via principale di Asgard diretti al palazzo, era
sempre il nome di Thor quello che veniva acclamato dalla folla.
Per un attimo rivede lo sfavillio del sole esplodere in tanti raggi di
luce sulla facciata dorata del palazzo di Odino. Il calore di quei
riflessi quasi gli pungeva la pelle pallida.
Sospira, maledicendo i ricordi e la rabbia che gli stanno facendo
montare nelle vene. Non è quello il momento di abbandonarsi
alle reminiscenze, ora deve essere lucido e attento.
E prima di lasciare quel posto, c'è almeno una cosa che deve
fare. La falce di luna che brilla in quel cielo somiglia al sorriso che
ora gli increspa le labbra, un sorriso che gli ricorda che niente
è davvero cambiato.
Con passo felpato, sale la scala di emergenza su un lato dell'edificio
e raggiunge una delle alte finestre. Traccia un cerchio con la punta
del dito sul vetro opaco e lattiginoso, il cerchio si stacca come se
fosse stato tracciato da una punta di diamante e lui lo afferra al volo
e lo posa in terra, poi getta un'occhiata all'interno.
Vede tutta la scena da lì e deve ammettere che gli piace
anche meno di quanto aveva pensato.
Vede l'uomo più anziano. Oh, certo, è lui il capo
degli invasori, l'uomo che era al party di Stark e che, da quello che
ha capito si è finto un suo collaboratore. Sono stati bravi,
dopo il party Loki pensava che il ragazzo che corteggiava Nadia fosse
l'unica spia e invece sono stati tutti più vicini di quanto
pensasse, a tenere sotto controllo la situazione.
Vede la lancia appoggiata sul tavolo e dietro la botola aperta con
l'arsenale di freddo metallo scuro. Non riesce a capire quante armi
siano e cosa vogliano imitare, si rende solo conto che sono parecchie e
pericolose. Se anche non riuscissero a farle funzionare con l'energia
della pietra, se potessero venire usate una sola volta, sarebbero
comunque abbastanza da mettere in pericolo i Vendicatori, nel caso di
uno scontro diretto, o da tenere in ostaggio un intero quartiere di
quell'enorme città.
Vede Nadia avvicinarsi alla lancia. Il metallo scuro reagisce alla
vicinanza della pietra come nel magazzino di Boston aveva reagito al
Mjolnir.
Non riesce a sentire bene cosa stiano dicendo, ma la conversazione non
è difficile da indovinare. E comunque Loki sa che Nadia non
può fare quello che si aspettano da lei, non è in
grado di governare l'energia della pietra con una tale maestria da far
funzionare quelle armi.
Ora l'uomo di mezza età sembra interdetto, fa un cenno e le
due donne che tengono come ostaggio vengono trascinate al centro del
capannone, sono ammanettate e visibilmente sconvolte e spaventate, ma
stanno bene. L'uomo getta in terra Jane le punta contro un pugnale.
Nadia resta a guardare impietrita per qualche secondo.
Se quell'uomo fosse furbo però, ucciderebbe la piccola
scienziata subito, per far capire che fa sul serio. A quel punto Nadia
potrebbe fare ogni cosa per evitare la stessa sorte anche alla donna di
Stark.
Ad ogni modo, Nadia urla qualcosa ed afferra la lancia. Vuole davvero
provare a far passare l'energia nel metallo? È una follia!
Non può farlo, finirebbe solo per farsi del male.
Loki non si accorge di essere premuto contro il vetro e non si rende
conto del battito accelerato che martella nelle tempie.
Si difende
ciò che si ama...
La voce nella sua mente ha un tono sarcastico, impietoso. Non c'entra
l'amare o meno, ma era davvero convinto che lui, il dio dell'inganno,
potesse almeno mantenere la promessa di non danneggiarla e di non
metterla in pericolo. Solo adesso si rende conto di quanto sia venuto
meno a quella promessa, fino a che segno.
Vorrebbe sfondare quella finestra, fermare quella pazzia, ma non fa in
tempo. Anche da lì può vedere l'aura di energia
alzarsi e spandersi, può vedere Nadia perdere il controllo e
l'energia abbattersi come un fulmine.
Approfitta del boato per aprire la finestra e sgusciare dentro,
correndo a nascondersi accovacciato dietro una fila di barili che
puzzano di petrolio.
Nadia cade a terra, tra le mani le rimangono solo due tronconi della
lancia, ma sembra non essersi procurata alcun danno.
Il dio si chiede se sia quello il momento buono per intervenire.
Piombare di sotto, mandare tutti gambe all'aria, afferrare la ragazza e
andare via. Ma si rende conto che dovrebbe quanto meno tramortirla per
riuscire a farla uscire da lì senza che lei si faccia venire
in mente qualche idea scioccamente eroica, come intrattenersi a
liberare anche le altre due.
Ancora ricorda quella notte a Venezia: lei si fece uccidere per tentare
stupidamente di salvare la compagna di Stark. Solo l'intervento di
Odino la salvò, e da allora, a causa del sangue usato
nell'incantesimo, sono cominciate tutte le vicissitudini peggiori di
quella ragazza.
Dopo qualche minuto, l'uomo dà ordine che Nadia e le due
donne vengano portate via, poi Loki lo vede allontanarsi a passi
nervosi e andarsi a chiudere dietro ad una porta, sbattendosela alle
spalle.
Da dove è nascosto riesce a vedere il pannello di controllo
della rete elettrica, incassato in una scaffalatura di alluminio. Ha
imparato un sacco di cose sulla corrente elettrica quando era nascosto
in quel rifugio sotterraneo a lavorare sul Tesseract.
Con molta cautela, allunga un braccio fino alla leva e l'abbassa. Un
attimo dopo il capannone piomba nel buio. Dai vetri opachi non filtra
la luce dei pochi lampioni che sono all'esterno, tutto è
nero come la pece.
Ha una manciata di minuti, forse anche meno, prima che qualcuno riesca
a raggiungere il generatore e rimettere in funzione la rete elettrica.
Di sotto arrivano voci concitate, il rumore di qualcuno che inciampa e
cade. Pian piano si crea una gran confusione, poi si accende qualche
torcia, qualche bolla di luce che macchia di bianco il nero.
Scatta, cercando a tentoni le scale, orientandosi con quel poco di luce
che proviene dalle torce dal basso. Le scende di corsa pensando a un
modo opportuno di nascondersi appena l'illuminazione sarà
tornata, cambiare aspetto magari. Mentre muove qualche passo cauto,
urta contro qualcuno.
«Deve esserci stato un sovraccarico, forse
l'esplosione» dice quello che gli è venuto
addosso. «Tu chi sei? Non si vede niente».
Loki riconosce la voce, è quella del ragazzo che si fa
chiamare Mike. Ghigna nel buio, è proprio quello che voleva
incontrare, è proprio la sua cosa da fare prima di lasciare
quel posto. Le luci delle torce sono lontane, ma un lembo di
illuminazione arriva fino a loro, sfiorandoli appena.
Il dio vede il volto del giovane deformato dal chiaroscuro, un mosaico
di ombre nette e allungate, ma riesce a leggere l'espressione di
sgomento che gli si dipinge in viso, quando nel breve lampo di luce,
Mike fa in tempo a riconoscerlo. Chissà se il ragazzo
è mai stato in qualche battaglia, se sa fare qualcosa oltre
alla spia.
Il ghigno di Loki si allarga e preme una mano sulla bocca del giovane,
per impedirgli di gridare; nel caos generale nessuno fa caso a loro.
Sempre tenendogli la bocca chiusa, Loki lo trascina contro il muro,
sotto il soppalco di metallo, dove aveva visto il contorno di una porta
in uno dei brevi sprazzi di luce. Si sposta piano, trascinandosi dietro
Mike, cercando la porta che aveva intravisto, sperando che sia apra e
che dia verso l'esterno.
Trova la porta giusto in tempo, perché proprio quando la
apre con una spallata torna la luce all'interno del capannone.
Il dio dell'inganno getta a terra il ragazzo e si china su di lui:
è meravigliosamente terrorizzato, basta poco per intuirlo.
Oh, se avesse tempo, quanto potrebbero divertirsi!
Sente il respiro affannato di Mike contro il palmo della mano. La paura
in quegli occhi chiari è uno scintillio opaco.
«Un po' troppo poco sangue freddo per uno che ha svolto il
ruolo da infiltrato» mormora il dio, poi gli toglie con
cautela la mano dalla bocca, allontanandola solo di poco.
«Sarebbe bello infierire su di te, ma mi sento quasi solidale
se penso che per tutto questo tempo hai dovuto lavorare per
Stark».
Il respiro del ragazzo si fa un po' più regolare, ma non osa
muoversi e nemmeno gridare. Loki non gliene lascerebbe l'occasione
comunque.
«N... non uccidermi...» rantola, sbiancando.
«Così meschino da implorare fin dall'inizio? Mi
domando cosa ci abbia trovato in te quella ragazza». Certo, certo, caro Mike, o
chiunque tu sia, un conto è fare la spia e fingersi un
tenero ragazzo gentile e simpatico, tenendo le spalle coperte,
tutt'altra cosa è il pericolo. Nessuno ti aveva preparato
per quello? Beh, peggio per te.
«Se sparisco si accorgeranno che non ci sono...»
aggiunge lui, mentre un rivolo di sudore gli cola sulla fronte.
«Sono in tanti e tu sei solo».
Loki sorride mellifluo, «Un motivo in più per
toglierti di mezzo e sfoltire le fila» dice posando la mano
attorno al collo.
«No! Non... farlo... ti prego. Nadia... sono sicuro che non
lo vorrebbe...».
Il dio si ferma, poi annuisce enfatizzando un'aria pensosa. Ci sono
molte cose che lei non avrebbe voluto.
«Sì, immagino sia vero» conclude. Sente
il ragazzo rilassarsi lievemente. «Ma non c'è
alcun bisogno che lei lo venga a sapere».
Basta un istante, una leggera torsione del polso. Il rumore delle ossa
del collo che si spezzano è un suono meraviglioso in mezzo
al silenzio della sera.
*
Il jet dell'aeronautica atterra sulla pista dell'elivelivolo, il
portellone si apre direttamente su uno sportello che permette di
accedere all'interno, altrimenti il pilota soffocherebbe a
quell'altezza.
La sera sembra più scura vista da lassù e le luci
di posizione dell'apparecchio sembrano fiammelle nell'aria nebbiosa.
Tony guarda fuori, dalla grande vetrata che si trova nella plancia di
comando.
«Entro quanto tempo può essere pronto il
macchinario?» domanda Fury, alle sue spalle.
«Se io e il dottore cominciamo da subito, entro
domattina».
«Mi dispiace, Stark»
«Per cosa?»
«Per la signorina Potts, e la ragazza. E la dottoressa
Foster».
Tony sente il peso ad altezza del petto farsi più pressante
e cerca di nascondere una smorfia di pena che non è proprio
il caso di dare a vedere. Ripensa a quello che ha detto a Nadia la sera
che lei gli regalò l'album di fotografie: non ci si deve
lasciar abbattere e lui è molto bravo in questo, o almeno
è molto bravo a fingere di esserlo.
«E perché mai, Nick? Non sono mica
morte?» sbuffa. Si volta a guardare Fury, sa cosa sta
pensando, che ogni minuto che passa le probabilità di
trovarle sane e salve sono sempre meno. Lo sa ed è una
consapevolezza di cui avverte tutto il gelido terrore scorrergli sotto
pelle.
Tony batte una mano sulla spalla del direttore e fa un mezzo sorriso.
Non crede ai suoi stessi pensieri ma deve ammettere che si sentirebbe
molto meglio se Bambi non fosse sparito, il dannato piccolo cervo,
quando lavora dalla parte giusta, è in gamba. In
realtà lui immagina dove sia finito Loki, è
andato a cercare Nadia, ma il fatto che abbia deciso di compiere
l'impresa tutto da solo non è rassicurante, ed è
anche una mezza prova di quello che tutti loro hanno sospettato, e
cioè che il bastardello aveva capito che sarebbero venuti a
prendere Nadia perché volevano la pietra e non ha detto
niente. E una volta preso atto di questo, le opzioni per spiegare come
mai sia andato da solo a cercare la ragazza restano due: o Loki vuole
trovare il nemico per negoziare qualche alleanza, o si è
pentito e vuole salvare Nadia tutto da solo per provare che sa
rimediare ai propri disastri e sperare che Thor non lo riduca in
poltiglia con quel suo martello. Che Loki sia capace di provare una
qualche forma di rimorso gli riesce difficile pensarlo, ma dato che lui
è il primo che dice che non ci si deve far abbattere, tanto
vale concedersi l'illusione per un attimo. Tanto vale sperare. E poi,
se non può fidarsi del dio dell'inganno può
certamente fidarsi di Nadia: lei non lascerebbe indietro Pepper o la
dottoressa Foster, se Loki arrivasse a salvarla.
Quanto sta messo male se l'unica cosa in cui può sperare
è la pseudo-coscienza del dio dell'inganno?
La porta si apre e compare Natasha Romanoff con al seguito l'ospite
appena sceso dal jet che si trascina dietro due casse di rotelle.
«Benvenuto a bordo colonnello Rhodes» saluta Fury.
A Tony fa piacere rivedere il suo vecchio amico. Rhodey era partito per
una missione un paio di mesi prima, tecnicamente ora dovrebbe trovarsi
in una base militare a Washington, scomodarlo non è stato il
massimo, ma Fury non si sarebbe fidato di nessun altro che non fosse un
alto graduato dell'esercito americano, notoriamente affidabile, amico
di uno degli Avengers. Nessuno si sarebbe fidato di nessun altro, viste
le circostanze.
«Rhodey, grazie di essere venuto!» esclama,
andandogli incontro. «Ti accompagno a posare questa
roba».
Lo trascina via. Fury non vuole estranei tra i piedi, nemmeno se sono i
suddetti militari affidabili e amici.
Lui si volta a lanciare un'occhiata alla Romanoff alle loro
spalle.
«Ma lei non era quella tua assistente che assumesti prima di
partire per Montecarlo?» bisbiglia, perplesso.
«Vedo che te la ricordi» sghignazza Tony.
«Se hai capito dove siamo, non fare domande. Se non hai
capito, meglio ancora, ma non fare domande lo stesso».
«Sei serio? Mio Dio, sei proprio serio. Da quanto tempo non
eri serio?».
Una domanda interessante, peccato non ci sia tempo per i convenevoli e
per una sana chiacchierata. Tony fa entrare il suo amico in uno dei
laboratori e lo aiuta a posare il carico sul piano di un tavolo, poi
apre le due casse e controlla che ci sia tutto.
«Mi dispiace di averti fatto venire fin qui» dice,
passando in rassegna il materiale.
«Sei serio e ti scusi, persino. Mi stai spaventando, amico,
quanto è brutta la situazione?», il tono
canzonatorio di Rhodey non nasconde del tutto la preoccupazione.
«Abbastanza brutta»
«E dov'è Pepper?»
«Ok, è più che abbastanza brutta in
effetti».
Rhodey deglutisce, gli occhi spalancati per la sorpresa e lo sgomento.
Ma ce la caveremo,
vorrebbe dirgli Tony. Solo che proprio non gli esce di bocca.
*
L'hanno riportata nella sua stanzetta.
Nadia tira un calcio contro il muro. Un pezzo di intonaco si scrosta e
cade e lei sente male al piede ora.
Per un attimo ha preso in considerazione l'idea di usare l'energia per
far saltare la porta, ma poi dovrebbe far saltare in aria anche tutti
quelli che si metteranno tra lei e l'uscita e sa già di non
poterlo fare. Non ha mai voluto quel dono e non si
metterà a usarla adesso per uccidere. Non ci
riesce, anche se se ogni minuto che passa il rischio che Jane e Pepper
stanno correndo cresce sempre di più.
La sensazione di impotenza diventa un malessere fisico, sente la nausea
salire e sente dolore, come se l'avessero picchiata. Non le
è stato fatto ancora niente, ma quanto ci vorrà
prima che Hope decida seriamente di passare alle maniere forti? Per
quanto si fiderà del fatto che lei non sa far funzionare
l'energia della pietra come lui vorrebbe e comincerà a
credere che è un trucco che lei sta usando per prendere
tempo?
Si sente come un pesce dentro ad un acquario; da fuori qualcuno la
sposta, agita il contenitore e prima o poi questo qualcuno potrebbe
decidere di rovesciare tutta l'acqua.
Aveva dannatamente ragione quando si sentiva così piccola e
inadatta, un filo d'erba cresciuto per caso all'ombra della protezione
dei Vendicatori. Ha ripetuto mille volte a loro e a se stessa di essere
in grado di farcela, li ha pregati di non starle addosso, e adesso che
è sola e che deve fronteggiare un pericolo che coinvolge lei
e altre due persone non sa che fare. Loki era in errore, non
è affatto una guerriera, Loki si è sempre
sbagliato.
Si lascia cadere sul letto con un sospiro gonfio di pena. Dopo qualche
minuto sente delle voci provenire da dietro la porta e scatta seduta,
mettendo su un'aria dura che deve suonare estremamente ridicola, ma non
riesce semplicemente ad arrendersi al destino di quello che le sta
capitando. Mesi insieme agli Avengers, a persone che nel bene e nel
male devo convivere con il loro essere straordinarie, le hanno
insegnato ad essere fiera, ed è tutto quello che
riesce a fare, l'ultimo scampolo di orgoglio che sente di doversi
concedere.
La porta della stanza si apre ed entra Mike.
A quel punto Nadia non ha nemmeno bisogno di fingere, la rabbia che la
vista di quel ragazzo le procura è sufficiente a farla
sembrare di granito, ostile come una montagna in mezzo a un deserto.
Lui la guarda con un'espressione strana, crucciata, quasi esaminandola,
come se volesse accertarsi che è tutta intera, e sembra
ignorare lo sguardo astioso che lei gli sta rivolgendo.
«Ce l'hai un nome vero o è troppo ridicolo
pronunciarlo?» gli chiede. Sarebbe bene conoscere i loro
nomi, se mai riuscisse a uscire di lì, potrebbe spiegare a
Thor tutta la faccenda e scoprire chi sono.
Il ragazzo inarca un sopracciglio e la guarda negli occhi,
«Il mio nome?
Perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?»
dice, inclinando appena la testa di lato e fissandola con un mezzo
ghigno.
Quelle parole le si infrangono contro come un'onda su uno scoglio,
lasciano una scia brillante di speranza. Ha davvero capito bene o
è solo un caso che Mike abbia pronunciato quella frase
esatta?
Lo guarda disorientata. Ha troppa paura di essersi sbagliata.
Il mio nome?
Perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?
È folle, ma solo Loki potrebbe dare una risposta del genere.
Il fatto che abbia le sembianze di una persona la cui vista le risulta
così insopportabile è l'unico motivo per cui lei
riesce a trattenersi dall'abbracciarlo.
«Come... come diavolo hai fatto?» farfuglia,
incredula.
«Magia, inganni: questo è il mio
preferito» risponde lui con una cera fierezza.
«È inquietante. E comunque non è questo
che volevo sapere: come mi hai trovata?».
Loki indica con un'occhiata il suo bracciale. Nadia si porta una mano
ad accarezzare il profilo liscio della pietra.
Ma certo. Lui può sempre trovarla, lui è sempre
riuscito a trovarla. Quella pietra ha unito le loro strade molto tempo
prima e in nessun modo è possibile che si perdano. Se lo
avesse ricordato a tempo debito, si sarebbe risparmiata un bel po' di
disperazione.
«Dove sono gli altri?» bisbiglia lei.
«Quali altri?»
«Tony, Steve, Thor... gli altri».
La faccia di Mike si incupisce con un'espressione che appartiene
decisamente a Loki.
«Perché mai dovrebbero esserci?»
borbotta.
«Perché mai avresti dovuto venire da
solo?». Nadia lo fissa corrugando la fronte. Capisce subito
che c'è qualcosa che non va, in un primo momento pensa che
Loki lo abbia fatto per dimostrare a lei che poteva farcela da solo e
agli altri che potevano fidarsi, ma si rende subito conto che
è un'ipotesi che non regge: persino Loki non sarebbe
così ottuso e infantile nel suo voler dimostrare qualcosa a
qualcuno. Venire lì da solo e cercare di portarla via
è una cosa troppo rischiosa, per entrambi, e non
c'è ragione per correre un simile rischio. A meno che il
progetto iniziale non prevedesse qualche altra idea e quel colpo di
testa non sia solo un ripiego, un ripensamento dell'ultimo momento.
«Oh mio Dio, tu non vuoi salvarmi... tu vuoi trattare con
questa gente» mormora Nadia, allibita.
«Sì, il piano originale era scambiare la mia
collaborazione con la tua incolumità, poi ho cambiato idea,
contenta ora? Possiamo pensare a come uscire di qui?».
Cosa? La sua
incolumità?
Avrebbe collaborato con Hope e i suoi sottoposti? Li avrebbe aiutati a
distruggere la Terra o a uccidere Thor?
Non si aspettava che i sentimenti di Loki per Thor e gli Avengers
fossero cambiati, ma di certo non pensava che li avrebbe traditi, non
in quel modo e in quella situazione. Pensava che rispetto a quella
questione almeno stessero dalla stessa parte.
Lo guarda con un misto di sgomento e rabbia. Li ha traditi, ha tradito
lei e tutti loro... le salgono le lacrime agli occhi ma si sforza di
trattenerle.
Si era sempre sentita in bilico con lui, si era sempre sentita come una
viandante sperduta in mezzo al buio, con il solo ausilio di una flebile
fiamma che sperava di trasformare in fuoco. Ora la fiammella tremola
nel vento e minaccia di spegnersi.
«Va' a chiamare Tony e gli altri e portali qui,
maledizione!» gli dice. Non si rende conto di star alzando la
voce e Loki è costretto a piombare su di lei e a premerle
una mano sulla bocca per farla smettere.
«Se li vedessero arrivare potrebbero decidere di mandare loro
un tuo occhio come monito» risponde lui, gelido. «E
mi pare che stiamo perdendo già troppo tempo. Troviamo un
modo di andarcene».
L'afferra per il polso e sbuffa spazientito. Lei tenta di ritrarsi, ma
le dita di Loki si stringono a morsa.
«Aspetta, ci sono Jane e Pepper...» protesta la
ragazza.
«Di loro non mi importa».
Nadia ha l'impulso di colpirlo, sente la rabbia dentro di lei crescere
sempre più bruciante, una marea che sale fin quasi ad
accecarla. Per un attimo compaiono solo scintille di luce cupa davanti
ai suoi occhi, poi tenta di darsi una calmata. Hanno perso un mucchio
di tempo in convenevoli inutili e lei si sente già
abbastanza stupida e se rischiasse di farsi scappare un picco di
energia come ai primi tempi sarebbe tutto perduto.
«Hai appena perso il diritto di discutere di quello che ti
importa o non ti porta, nel caso non ti sia chiaro» sibila
astiosa. «Ora mi fai uscire da questa stanza, mi porti da
loro e dirai che Hope, il capo di questi stronzi, mi ha concesso
qualche minuto con loro all'aria aperta... qualcosa del genere. Sei tu
quello bravo con le bugie».
«Non c'è proprio bisogno che tu morda»
replica lui, con quella calma gelida del falco che sta per piombare
sulla preda.
No, mordere sarebbe troppo poco. La rabbia dentro di lei muta in
disperazione, si immagina come in un incubo a tentare di urlare senza
che dalla bocca le esca alcun suono e si detesta per non riuscire ad
essere lucida quanto dovrebbe, perché per un attimo il
rendersi conto di quello che è successo fa passare tutto in
secondo piano.
Chiude gli occhi. I volti dei suoi amici si accendono in flash rapidi
dietro le sue palpebre chiuse. Vorrebbe essere come loro, capace di
combattere malgrado tutto.
Spinge Loki per aria e apre la porta della stanza. Uno dei tizi messi
di guardia la blocca, premendole una mano sul petto per gettarla dentro,
«Dove credi di andare?» sbotta.
«Hope ha detto che potevo vedere le mie amiche. Lui deve
accompagnarmi». Può quasi sentire il ringhio
trattenuto nella gola di Loki. Il guardiano getta un'occhiata
sospettosa al ragazzo alle sue spalle, la faccia di Mike annuisce senza
alcuna espressione, ma le si avvicina e le afferra il braccio
stringendo nervosamente.
«Se falliamo, le perderai comunque, sciocca ragazzina
avventata» sussurra lui al suo orecchio. E non è
la voce di Mike, è proprio quella di Loki, pungente e fredda
come il vento del nord.
Lei lascia andare un sospiro trattenuto, insieme all'aria vola via
tutto il furore e resta solo un avvilente senso di angoscia e sconfitta.
«Ho già perso. Voglio solo uscire di
qui» replica. Non è certa che Loki abbia compreso
il senso di quella frase, ma sente la sua stretta al braccio
allentarsi.
Ripetono la menzogna di Nadia ai tizi che sono di guardia a Jane e
Pepper. Lei sa che Loki ha ragione, che è un piano troppo
semplice e che è solo fortuna che Hope non sia ancora uscito
dal suo ufficio e si sia accorto che lei sta andando a spasso senza che
lui abbia dato alcun ordine. Lo sa, ma non vede altra soluzione, e
restare lì è sicuramente molto più
rischioso che tentare quella sorta di fuga disperata.
Pepper e Jane sono ancora ammanettate, segno forse che Hope vuole
tenerle pronte per ogni eventualità. Pepper è la
prima a scattare, guarda Mike come il toro che sta per lanciarsi a
tessa bassa contro il torero.
«Tu! Come hai potuto? Io, Tony, ci fidavamo di te!»
ringhia. Il destinatario è sbagliato ma le parole vanno bene
comunque. «Non la passerete liscia, tu e i tuoi amici... e
verrà il momento in cui il tuo fondoschiena sarà
alla portata dei miei calci!»
«Sempre che rimanga qualcosa di te e del tuo
sedere» si accoda Jane. È ancora tremendamente
pallida, ma scatta in piedi con un balzo da tigre.
Per essere terrorizzate, non hanno perso grinta. In un'altra
circostanza Nadia riderebbe di cuore.
«Hope ha detto che possiamo uscire» mormora la
ragazza, cercando di non lasciar trasparire niente che i guardiani
possano interpretare come un segnale anomalo. «Non fate
sciocchezze, ragazze, io non so quanto posso tenere duro... non voglio
indispettire nessuno».
Allarga gli occhi per un attimo in un'espressione eloquente che spera
le due donne capiscano. La guardano assottigliando lo sguardo per un
secondo, poi lei si volta e lascia che Loki le accompagni fuori.
Attraversano il capannone in silenzio, una dietro l'altra a testa
bassa, Jane e Pepper in testa. La mano di Mike è ancora
stretta attorno al braccio di Nadia. Lei conta i passi che la separano
dalla porta; ad ogni passo il cuore sembra riacquistare un ritmo meno
serrato, più naturale.
Sono a soli due metri dalla porta.
Ogni pensiero, ogni energia della ragazza è completamente
assorbito dallo sforzo di mettere un piede davanti all'altro.
«Cosa sta succedendo? Che ci fanno quelle tre in
giro?».
La voce di Hope sembra calare come un fulmine. Per un attimo tutto
resta sospeso nel battito di cuore che Nadia sente mancarle, la voce
dell'uomo è come uno sparo e lei si sente colpita al centro
esatto della testa da un proiettile che le spande una sensazione di
gelo tremendo e paralizzante in tutto il corpo.
Ma è solo un istante.
Nei secondi immediatamente successivi, Nadia spinge Jane e Pepper fino
alla porta. L'effetto sorpresa rallenta la reazione dei tre uomini che
piantonavano l'uscita. La porta si apre verso l'esterno e l'aria della
sera è fresca e inodore, così diversa dal tanfo
di petrolio e umidità che si respira del capannone.
La ragazza sente la porta venire chiusa pesantemente alle sue spalle e
inciampa su una macchia d'olio sul piazzale di cemento, cade e si
taglia un ginocchio urtando contro un sassolino appuntito.
Loki ha avuto la prontezza di sprangare l'uscio, ma quella non
è l'unica uscita e lei sa che presto gli saranno addosso, e
invece di farla muovere, quella certezza la tiene schiacciata a terra,
senza fiato.
Sente una mano afferrarla per il colletto della maglietta e tirarla in
piedi.
Con la coda dell'occhio vede le facce scioccate di Jane e Pepper, in
parte per la paura, in parte perché Loki ha ripreso le sue
sembianze e in un modo o nell'altro non dev'essere molto rassicurante
averlo vicino.
Spari. I fori di proiettile bucano il metallo della porta. Dal retro
del capannone arriva il suono concitato dello scalpiccio di tante
persone che corrono.
Usano armi normali, comuni armi da fuoco.
Loki spinge Nadia in avanti, per costringerla a correre, lei afferra la
mano di Pepper, che a sua volta acciuffa Jane per un lembo della
camicia. Se non fossero tutte e tre mezze intontite dalla paura forse
riuscirebbero persino a sentirsi ridicole.
Gli spari continuano. Nadia vede qualche goccia di sangue stillare
dalla spalla di Loki.
Fanno giusto in tempo a nascondersi dietro a un altro fabbricato, prima
che gli uomini di Hope li raggiungano.
«Cabina... telefonica...» squittisce Pepper,
premuta contro il muro, tra Nadia e Jane.
Jane per conto suo non riesce a fare altro che indicare Loki e
boccheggiare con aria stravolta.
«Cabina...» ripete Pepper. Le voci degli
inseguitori coprono la parola che è poco più di
un sospiro.
Seguendo il suo sguardo, Nadia intercetta una cabina telefonica che
spunta in una piazzola spoglia, un solido di plexiglas e acciaio che
sembra spuntare dal terreno come una pianta selvatica.
Sì, Pepper è vissuta accanto al genio di Tony
Stark per molti anni e quella è l'unica idea vagamente
geniale della serata. In che altro modo potrebbero chiamare aiuto se
non con quel telefono?
Un quartetto di uomini armati passa a pochi metri da loro senza
vederli. Hanno davvero in mano comunissime armi: evidentemente non
voglio sprecare l'armamentario alieno che si sono portati dietro dal
dannato buco di inferno da cui provengono.
Nel campo visivo di Nadia entra per caso la mano che Loki si
è premuto sulla spalla e ha ritirato sporca di sangue.
«Stai bene?» gli chiede.
Lui le lancia quella che sembra essere un'occhiata di sufficienza a
metà tra il serio e il sarcastico. «Io sono un
dio, e ho ancora un paio di carte da giocare» replica.
Agita le dita e compare una sua proiezione a un metro da loro. Il finto
Loki corre via a perdifiato, diversi secondi dopo si infila in un
viottolo tra due fabbricati e getta per aria un bidone, attirando con
il rumore gli inseguitori.
«Intelligente...» squittisce Jane.
«Sì, immagino tu non ci sia granché
abituata, all'intelligenza» borbotta lui. Poi gioca la
seconda carta, quella della nebbia, come a Venezia, come a Nornehim.
Nornehim.
Il pensiero scricchiola nella testa di Nadia. Se tutto va bene, presto
riuscirà a spiegare tutto a chi di dovere.
La nebbia cala pesantemente, è come essere annegati in un
bicchiere di orzata. Le ombre delle costruzioni galleggiano attorno a
loro come enormi cubi di nero.
«Muoviamoci» dice Loki, alzandosi.
Nadia confida che Pepper ricordi la direzione in cui si trova la cabina
telefonica. E soprattutto confida che il telefono funzioni.
C'è una buona probabilità che sia
così, che in quelle zone fuori città non ci sia
molta copertura con i cellulari e che quindi mantengano attivi i
telefoni pubblici.
Le tre donne camminano strette l'una accanto all'altra per non
perdersi, cercando di fare quanto meno rumore è possibile.
Le voci degli inseguitori suonano lontane e Loki è poco
più di un'ombra incolore accanto a loro.
Ci vanno a sbattere contro, alla cabina. Lo sportello esterno penzola
fuori dal binario di scorrimento e non è affatto un buon
segno.
Pepper entra, Jane le va dietro e restano premute contro le pareti
trasparenti. C'è un brutto odore lì
dentro.
«Funziona» dice Pepper trionfante, dopo essersi
portata la cornetta all'orecchio. «Almeno, la linea
c'è».
«Serve qualche quarto di dollaro» le fa eco Jane.
Dal nulla, Loki allunga un paio di monete verso Pepper.
«Come direbbe Harry Potter: adoro la magia» mormora
lei cantilenando, infilando le monete nella fessura.
I secondi che seguono sembrano pesare come macigni.
«Tony! Sì, sto bene, stiamo bene io, Jane e
Nadia... Loki... non lo so... dovete fare presto... il loro covo
è in quell'orribile capannone che avevi comprato per usare
come magazzino, siamo lì fuori».
La nebbia non si dirada. Nadia resta seduta a terra, con le spalle
appoggiate alla parete della cabina. Si sente esausta e la voglia di
piangere si è condensata in un peso di piombo ad altezza del
petto, ogni tanto sale verso la gola, come se volesse soffocarla e lei
deve deglutire più vole per mandarlo giù, e deve
stringersi le mani gelate per trattenere le lacrime.
Jane e Pepper sono sedute dall'altro lato della cabina, rabbrividiscono
e quasi certamente anche loro hanno i vestiti del tutto inumiditi e
appiccicati addosso.
Nadia non riesce a voltarsi a guardare Loki seduto accanto a lei. Non
sa affrontare l'idea di quello che lui ha fatto ed è
perfettamente consapevole di quanto sia assurdo: lui ha ucciso,
manipolato, ricattato, ingannato. Lo ha sempre fatto, ha sempre fatto
cose anche peggiori di quella, e lei non può comportarsi
come se la cosa fosse diventata importante solo ora, perché
riguarda lei e persone vicine a lei. È ipocrita e sciocco
pensarlo, come sono state sciocche le sue speranze, tutte le sue
speranze.
Eppure brucia, fa male, come una stalattite di ghiaccio che gli si
è conficcata dentro e ora ustiona, scava, lascia il vuoto.
Nadia ha la tentazione di chiedergli se la ferita alla spalla
è già guarita o se è comunque in via
di guarigione, ha bisogno di poter dire qualcosa di normale e magari
concedersi l'illusione di essere tornati indietro nel tempo, a Venezia,
quando erano nascosti in quel rudere e l'unica cosa che provava per lui
era un sentimento di umanissima simpatia, una sorta di strana
solidarietà.
Sta per aprire bocca, ma sopra di loro le luci del quinjet compaiono
oltre la coltre di nebbia. Nello stesso istante, si sente uno strano
boato provenire dal capannone in cui Hope e il suo seguito erano
nascosti.
_____________________________________________________
Note:
Bene, ora che si è citato pure Harry Potter penso di essere
a posto.
Approfitto di nuovo della citazione, io adoro la magia! E finalmente
ho potuto far divertire un po' Loki. Nei fumetti il fatto che cambi
aspetto (nella sua prima apparizione si trasforma in piccione per
scappare da Thor... son cose che ti segnano) succede abbastanza
spesso, anzi credo che sia proprio il suo genere di inganno
preferito.
E naturalmente, Mike doveva morire. È una fine un po'
ingrata per un
personaggio che, tutto sommato, ci ha fatto compagnia per svariati
capitoli, ma Loki aveva da fare.
La frase che Loki dice a Nadia quando entra nella sua stanza
è una
citazione della prima fanfiction, praticamente sono le prime parole
in assoluto che Loki le abbia mai detto, e qualche capitolo fa i due
avevano ricordato l'episodio e il fatto che lui avesse detto proprio
quelle parole.
Guest star: James Rhodes aka Rhodey ** lo adoro per il solo fatto che
sopporta e sUpporta Tony e mi sarebbe piaciuto inserirlo prima, ma
non c'è mai stata occasione.
Tra oggi e domani rispondo a tutti voi. Intanto grazie, come sempre ^_^
Per
curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto
quanto:
HERE
Ci leggiamo venerdì prossimo!
|
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Capitolo 25 *** Endgame - part one ***
Capitolo ventiquattresimo
Endgame – part
one
«Agente Romanoff, apri il portellone». Tony si cala
la visiera dell'armatura sul viso. L'interfaccia robotica si accende
gettandogli davanti agli occhi una serie di informazioni a cui nemmeno
fa caso.
«Apri il portellone» ripete Thor. Anche lui sta
scalpitando, per poco l'elettricità non gli increspa i
capelli.
Non hanno capito molto della telefonata di Pepper. E al momento neppure
sembrava importante, tutto quello che contava era sapere che stavano
bene, sapere dov'erano e poterle andare a prendere.
«Non posso aprire il portellone» replica Natasha,
con la sua flemma da agente super efficiente. «Non si vede
niente qui di sotto».
Sotto di loro sembra esserci una distesa di ovatta. Tony riesce quasi a
immaginare se stesso volare fuori dal jet e atterrare sul morbido del
cotone.
Il piccolo cervo e il suo trucchetto della nebbia.
«Apri il portellone» ripete, stolidamente.
Loki alla fine ce l'ha fatta, le ha tirate fuori, tutte e tre. E ha
fatto tutto da solo. È quel genere di pensiero, si dice
Tony, che potrebbe avere ripercussioni sul suo apparato gastrico o
sull'emicrania che certamente gli verrà da lì a
poco se non esce da quel jet.
Il boato arriva all'improvviso, il suono è ovattato ma
smuove l'aria e il quinjet sbanda leggermente.
«Cosa è stato?» scatta Rogers,
afferrando istintivamente lo scudo.
«Non lo so. La nebbia si sta diradando ma la
visibilità è ancora scarsa» risponde
Barton, armeggiando con qualche comando.
Sul radar non c'è niente e ora si riesce a vedere il profilo
degli edifici. Potrebbero persino atterrare su un tetto di quelli che
stanno sorvolando. E lui ha la tentazione di abbatterlo, quel
portellone se la Romanoff non si decide a darsi una mossa.
Quel suono non è per niente rassicurante e Pepper e le altre
sono ancora lì fuori.
«Atterriamo. Lì». Barton indica la cima
piatta di un edificio di cemento, abbastanza solido da reggere il peso
del velivolo. Vira e comincia a scendere.
La manovra di atterraggio è di una lentezza esasperante.
Alla fine il jet ha un leggero sussulto e il suono dei motori si fa
più fioco.
Ci sono tutti, tranne Bruce Banner che è rimasto a bordo
dell'Elivelivolo a continuare a lavorare sullo smagnetizzatore.
Guarda Barton e la Romanoff che si tolgono le cinture, ma Rogers li
ferma con un cenno.
«No, restate qui e tenete acceso questo affare» si
raccomanda. «Non sappiamo quanto in fretta dovremo andare
via».
La risposta dei due agenti si perde nel nulla, nel rumore che Tony
sente quando Thor parte a razzo volando via, verso l'esterno e lui lo
segue a ruota. Forse da lontano Steve sta urlando di aspettarlo, di non
disperdersi.
Atterrano sull'asfalto producendo due diverse sfumature di suono
metallico. Qualche fulmine, sottile come la coda di una lucertola, si
agita sulla superficie del martello di Thor e poi si spegne.
Si guardano attorno; sul polso dell'armatura le placche metalliche si
sollevano e scoprono una corona di piccoli missili allineati l'uno
accanto all'altro.
Chissà se quei dannati bastardelli sono ancora in giro. Tony
spera proprio di sì, i nuovi missili ad alta precisione
hanno giusto bisogno di essere testati su qualcosa che si muove. Meglio
se questo qualcosa si muove correndo via e urlando, è
più divertente e lo aiuterebbe senz'altro a scaricare la
tensione accumulata nelle ultime trentasei ore.
La nebbia attorno a loro è quasi scomparsa. Non sembra
esserci anima viva in quel posto. Pensandoci, dovrà chiedere
a Pepper di ricordargli perché ha comprato un capannone in
quel posto fuori città dimenticato da Dio
– probabilmente è successo quando lei non c'era,
lui era un po' alticcio e aveva voglia di fare shopping. E comunque
aveva ragione, fin dall'inizio: va sempre a finire che il cattivo di
turno mette le mani nelle sue cose!
Sentono dei passi correre verso di loro, alle spalle. Lui e Thor si
voltano nel medesimo istante, il dio solleva il martello, Tony si
figura già i missili partire e lasciare una sottile scia di
fumo argentato nell'aria. Ma è solo Rogers che li ha
raggiunti correndo, lo scudo di vibranio saldamente stretto nel pugno.
Negli auricolari sente le voci dei due agenti commentare che non sembra
esserci proprio nessuno lì intorno.
«Legolas, cosa vedono i tuoi occhi di elfo?»
esclama.
«Il deserto» borbotta Barton nel microfono.
«Che facciamo, accendiamo la luce dei fanali?»
«E luce fu»
«Aspetta, così rischiamo di tirarceli
addosso» osserva Rogers.
«Sarebbe di grande diletto» commenta Thor con un
mezzo sorriso, che non è il suo solito sorriso, è
molto più ferale e cupo. «Ma non è il
caso di cercare lo scontro fino a quando le nostre tre fanciulle non
saranno al sicuro nel vostro macchinario volante».
«Pepper ti ringrazierebbe per averla chiamata
fanciulla» sghignazza Tony. Tutti ringrazieranno tutti
quando tutti saranno del tutto al sicuro.
«Aspettate, le ho viste!». La voce della Romanoff
suona lontana, come se fosse uscita dal jet – probabilmente
per controllare la zona con un binocolo. «Sono a due isolati
da voi, verso sinistra. Sono vicine a una cabina telefonica e non
c'è nessun altro attorno a parte Loki».
Loki sarebbe comunque un buon soggetto sul quale testare i missili.
Tony non sa fino a che punto deve essergli grato per il servizio reso
con la liberazione delle ragazze, e ad ogni modo è da quando
lo ha visto spuntare nel bosco che vuole spaccargli la faccia,
così, per principio. Tanto, se non è per qualcosa
che ha fatto – e ha fatto decisamente abbastanza –
è per qualche altra cosa che sicuramente farà.
Non è molto da eroe salvatore del pianeta avere pregiudizi,
ma il dio psicopatico se lo va proprio a cercare. E comunque, si tratta
di Loki, qualsiasi pensiero negativo su quel rifiuto dell'Olimpo non
può essere un pregiudizio, è una certezza bella e
buona...
Ma intanto, ha tirato
Pepper fuori di lì...
«Serve un passaggio, ragazze?» dice, appena le vede
dietro quella cabina telefonica che sembra reggersi in piedi per
miracolo.
Sussultano tutti, Bambi compreso. Pepper afferra un pietra e gliela
lancia contro: il sasso rimbalza sull'armatura con un sonoro tintinnio.
«Mi hai fatto venire un infarto!» esclama. Cielo,
nemmeno quando lavorava come sua segretaria era mai stata
così vicina all'esaurimento nervoso.
«Senti chi parla di provocare infarti al prossimo»
risponde lui, scoprendosi il viso.
Pepper gli si fionda tra le braccia, è scomodo abbracciare
con l'armatura, ma è sempre meglio di niente. Ritrovarla
sana e salva è tutto.
Anche la dottoressa Foster vola come un uccellino al nido tra le
braccia di Thor che sembra quasi fagocitarla tra i muscoli e le pieghe
del mantello.
«Avete trovato traffico?» scherza Nadia. Ma il
sorrisetto è forzato, meno sollevato di quanto ci si
aspetta. Tony le scompiglia i capelli con una mano e le strizza
l'occhio, ma è Rogers ad abbracciarla, sollevandola da terra
e mormorando un accorato «Grazie a Dio».
Il dio da ringraziare – sempre ammesso che davvero lo meriti
– resta qualche passo più indietro, torvo e
inquietante come solo lui sa essere.
«Va bene, finiamo di fare gli orsetti del cuore»
gracchia Barton in viva voce dalle uscite audio dell'armatura.
«Portate a bordo le signore e vediamo se riusciamo a capire
cosa è successo qui».
«Non c'è niente da capire, se ne sono
andati» replica Loki. «Era questo il boato che si
è sentito, devono aver usato qualche mezzo di teletrasporto,
di certo avranno spostato tutto l'arsenale».
« Tutto
l'arsenale?» gli fa eco Rogers, sgranando gli occhi dentro i
fori del cappuccio della dannata calzamaglia.
«Chi è questa gente?» chiede Thor.
«Nornehim. Così hanno detto» spiega
Nadia. «Ma mi piaceva quell'idea di Clint riguardo lo
spostarci da qui. Vi racconterò tutto dopo».
Thor e Loki si scambiano uno sguardo eloquente. Bello vedere che hanno
ancora qualche remoto momento di gloria da condividere. Che diamine
vuol dire ''Nornehim''?!
Riportano Pepper, Nadia e Jane al jet, poi vanno a visionare il
capannone. Come aveva detto Loki, non c'è niente, quei
bastardi sono di nuovo spariti nel nulla e si sono portati dietro le
loro dannatissime armi.
Nick Fury farà dei salti di gioia così alti da
picchiare la testa contro il tetto dell'Elivelivolo fino a procurarsi
una commozione cerebrale.
Durante il volo si mettono in comunicazione con la base volante. Come
da previsione, Fury sembra sprizzare gioia da tutti i pori.
«Che cosa vuol dire spariti?» abbaia,
così forte che la Romanoff si toglie le cuffie e le appoggia
sulla consolle dei comandi.
«Nella mia lingua vuol dire scomparsi, volatilizzati,
evaporati, che prima c'erano e adesso non ci sono
più» borbotta Tony.
«Mai una buona notizia, voi altri!». Il sospiro
stizzito del direttore fruscia negli auricolari.
Tony passa in rassegna le facce dei suoi compagni di viaggio. Pepper se
ne sta seduta composta nel suo sedile, cinture allacciate sul petto e
sguardo stanco, come se fosse uscita da una giornata in ufficio
particolarmente pesante. Altro che Avengers! Questo sì che
è eroismo.
La dottoressa Foster se ne sta rannicchiata sotto il braccio di Thor,
semiaddormentata. Lui l'ha coperta con il mantello, e la giovane
scienziata gli dà di nuovo quell'impressione di essere un
uccellino accoccolato sotto l'ala protettrice di un esemplare
più grande dello stormo. Da quel poco che Thor gli ha
raccontato, la piccola Jane non è particolarmente abituata a
quelle situazioni da cardiopalma, a parte l'attacco di un gigantesco
robot sputafuoco, non ne ha viste ancora abbastanza; Naida e Pepper
già sembrano un pochino più allenate, visti i
trascorsi. Ma Nadia sembra essere uscita distrutta da quella
situazione, deve essere morta di paura sapendo che le vite delle altre
due erano nelle sue mani. E adesso se ne sta con una guancia appoggiata
sulla spalla di Steve, che è fermo e immobile come una
statua, come se avesse paura di muoverla e vederla andare in pezzi.
Loki invece è seduto sull'ultimo sedile; mani alle ginocchia
e testa diritta, sguardo perso nel vuoto... praticamente un gargoyle.
Nadia nemmeno osa voltarsi nella sua direzione.
Oh, ma tu guarda, piove
in paradiso...
«Signorina Berton» esclama Fury. Nadia scatta come
sull'attenti, come se avesse ricevuto una scossa elettrica.
«Sta bene?».
«Sì... credo di sì,
direttore...» farfuglia.
«Bene. Ora mi racconti che diamine è successo in
quel capannone».
Non potevi proprio
aspettare, eh Nick?
*
«Americani!» bofonchia Nadia, guardando fuori dal
finestrino la sagoma di quell'enorme fortezza fluttuante sospesa in
mezzo al cielo, come un palazzo tra le nuvole nelle illustrazione di un
libro di fiabe. «Sempre le cose esageratamente in grande
dovete fare».
In realtà, la voglia di piangere le è rimasta
attaccata alla gola e quasi si meraviglia che non le escano singhiozzi
al posto delle parole.
Qualche lacrima dev'esserle scappata, e devono essere state lacrime
grandi come chicchi di grandine, scivolate oltre le ciglia e andate
perdute nella trama del tessuto della divisa di Steve, dove teneva
appoggiata la guancia. Lui non se n'è accorto o ha finto di
non accorgersene.
Atterrano con una manovra un po' turbolenta a causa del vento forte. Il
portellone del jet si apre su una botola che immette direttamente
all'interno della portaerei volante, il giocattolo preferito di Nick
Fury.
La ragazza è contenta di essere finalmente in uno spazio
più grande. Ha l'impressione di poter mettere distanze tra
se stessa e ciò che non vuole affrontare. E chi non vuole
affrontare.
Ora che sono fuori pericolo, non sa che fare con Loki. Più
ci pensa e più si rende conto che non c'è niente
da fare. Più ci pensa e più si rende conto che
non è nemmeno arrabbiata con lui, che esserlo sarebbe da
vera ingrata in fin dei conti, è solo che quello che
è successo la disorienta.
Loki era arrivato lì con l'intento di allearsi con Hope e i
suoi uomini. E poi ha cambiato idea. Questo dovrebbe bastarle, eppure
non è così.
Credeva di essere in grado di capirlo, non sempre, non su tutto, ma
almeno riguardo a ciò che poteva aspettarsi o non aspettarsi
da lui.
Risalgono una scala di acciaio e Bruce compare in cima ai gradini, a
dare a lei e a tutti loro il bentornato. Le posa una mano sulla spalla,
stringe leggermente e le sorride con quel suo modo sempre un po'
imbarazzato, che sembra chiederle scusa per non essere andato a
prenderla insieme agli altri. Nadia immagina che abbia avuto i suoi
motivi e di certo non ha intenzione di fargliene una colpa. Farlo
viaggiare nell'angusto spazio del quinjet in una situazione
potenzialmente molto problematica non sarebbe stata l'idea dell'anno.
«Immagino che voi tre dobbiate filare in
infermeria» dice dopo qualche secondo.
«Stiamo bene, dottor Banner» dice Jane. Sembra
letteralmente rifiorita ora che è al sicuro.
«Io starò meglio dopo una doccia e con dei vestiti
puliti» replica Nadia.
«Io starò meglio dopo una dormita. Però
la doccia credo sia prioritaria» aggiunge Pepper.
Quando la ragazza vede la figura in nero di Nick Fury comparire in
fondo al corridoio si sente un po' avvilita. Le hanno salvate, loro
stanno bene, ma i nemici sono ancora armati e a piede libero e nessuno
ha idea di dove siano spariti. Non è cambiato poi molto.
«Vorrei sentire anche la versione del nostro
ospite» dice Fury quando gli passano vicino. «Per
quel che ne so, a quest'ora potrebbe essere dalla parte degli
invasori».
Loki fa un sorriso beffardo che trasuda acidità, tanto che
potrebbe rodere le pareti di metallo.
«Non è una squadra sulla quale ho ritenuto fosse
il caso di puntare» risponde in tono piatto.
Nadia si volta a guardarlo e si sente una vigliacca nel rendersi conto
che lo sta osservando seminascosta dietro alle spalle di Steve, come se
potesse fingere che la cosa non la riguardi tanto da vicino.
«Non so se è esattamente un complimento a voi
altri, ad ogni modo, è vero mi sarebbe piaciuto conoscerli
più da vicino e ho fatto in modo che succedesse quello che
è successo. Ma ora, ditemi, quale danno è stato
arrecato?».
«Qualcuno gli risponda, perché se rispondo io gli
faccio male» esclama Tony.
«Non possiamo fidarci di te» sbotta Steve.
«Lo so. Ma d'altronde, non lo avete mai fatto e io non ve
l'ho chiesto» taglia corto Loki, nella più totale
e indifferente calma, quella che nasconde una rabbia rovente come lava.
«Io ho fatto ciò che andava fatto. È
vero, ora li abbiamo persi di nuovo, ma sappiamo chi sono, di quante
forze dispongono e qual'è il loro piano. Questo era l'unico
modo, ma se vi avessi proposto di attuarlo, ragionevolmente, a carte
scoperte, lo avreste forse fatto? No, perché vi sareste
preoccupati di Nadia, di quello che sarebbe potuto accaderle senza
nemmeno pensare che avrei potuto tirarla fuori in tempo, come infatti
è successo. E ora non avreste in mano niente»
«Jane e Pepper sono state prese come ostaggio!»
tuona Thor, muovendo un passo verso Loki. Chiunque altro al suo posto
sarebbe indietreggiato, ma il dio dell'inganno è troppo
furioso per provare paura. E odia troppo suo fratello perché
la sua rabbia possa smuoverlo in qualsiasi modo o perché la
sua collera possa impressionarlo.
«Questo nessuno poteva prevederlo, dannato idiota! Ora, se
volete, rinchiudetemi di nuovo in quella vostra gabbia di vetro, ma non
osate mai più dubitare dell'assennatezza di ciò
ce faccio».
Thor adesso gli è quasi addosso, il viso a un palmo dal suo.
«Assennate o meno, le tue macchinazioni sono sempre
rischiose, come le azioni di chiunque pensi solo al fine da
perseguire» ringhia il dio del tuono. «Ed
è un pericolo al quale intendo porre fine perché
nessun altro vi sia mai più esposto. Non scapperai questa
volta, Loki. Verrai con me, ad Asgard, e si compirà il tuo
destino».
Nadia sente il gelo nella voce di Thor, una freddezza diversa da quella
che c'è nel tono che a volte usa Loki, una freddezza che
mette ancora più paura. Sembrano tutti dello stesso avviso,
perché adesso tutti sono ammutoliti e anche Jane guarda
l'uomo che ama come se stentasse a riconoscerlo.
Il dio dell'inganno fa un vago cenno di assenso, poi sorpassa tutti
loro e si allontana in fondo al corridoio. Il mantello che ondeggia
sulle spalle fa apparire la sua ombra una macchia informe di nero sulle
pareti lucide.
Nadia non sa cosa pensare. Quella faccenda è come un
rompicapo, un indovinello e lei è coinvolta in ogni riga
dell'enigma in modo diverso.
Sente i passi di Loki farsi sempre più distanti.
È certa che Thor non intendesse davvero dire quelle cose in
quel modo, che è stato solo uno sfogo dovuto alla tensione,
eppure ha aperto scenari inquietanti. Per quanto ancora si
può fingere che il futuro di Loki non riservi cose tremende
o per lui o per qualcun altro? Per quanto ancora si può
pensare che non ci sia qualcosa da sacrificare: la libertà
di Loki o la sicurezza di altre persone?
Nadia sente un braccio circondarle le spalle e spingerla delicatamente
verso un'altra rampa di scale.
«Vieni, andiamo, ti faccio vedere dove sono le
docce» è Natasha. «Pepper, Jane,
seguitemi».
«Devono fare i loro discorsi da grandi e i bambini devono
stare fuori dai piedi?» mormora Nadia, senza irritazione ma
anche senza ironia.
«Non c'entri e non devi entrarci più niente con
questa storia. È una libertà che credo tu ti sia
pienamente meritata» risponde la donna con un mezzo sorriso.
«Sappi solo che li prenderemo prima che facciano qualche
altro danno».
Mentre fa strada verso le docce, Natasha ha comunque la gentilezza di
metterla a parte degli ultimi sviluppi, del marchingegno ideato da Tony
per rendere inutilizzabili le armi degli invasori, lo chiamano lo
''smagnetizzatore''. Parla della faccenda con evidente ottimismo, ma
forse è solo deformazione professionale di chi è
sempre andato fino in fondo nei compiti che aveva da svolgere, di chi
risolve i problemi costi quel che costi. Il problema di quella
situazione però è che il fondo sembra lontano e
irraggiungibile come l'orizzonte.
*
Loki scende le scale. C'è freddo in quell'area della
fortezza fluttuante di Fury ora che è stata svuotata.
Non ci sono più le apparecchiature e tutto quello che
è rimasto delle vicende che si sono consumate in quello
strano luogo è una macchia su un pannello alla parete, in
basso, dove probabilmente è stato usato qualche detergente
forte per lavare via la macchia di sangue lasciata dall'agente che
aveva ucciso.
Ricorda quando è stato lì la prima volta. Per
quanta calma algida ostentasse e per quanto volesse apparire beffardo e
sicuro di sé, quella di essere in gabbia era stata una
sensazione veramente orribile, al di là dell'umiliazione e
del senso di impotenza. Era qualcosa che cozzava in maniera dolorosa
con la sua natura, con la sua stessa anima.
Non si può tenere in gabbia un dio, è
inconcepibile. Loki si era sentito implodere lì dentro e ora
che guarda lo spazio vuoto lasciato da quella orribile scatola di
vetro, pensa che non è stata nemmeno l'umiliazione peggiore
che gli sia mai capitata. Perché poi c'è stata la
sconfitta di New York, c'è stata l'immagine di se stesso in
ceppi che si rifletteva su tutte le superfici dorate del palazzo di
Asgard, come in un incubo in cui la sua ennesima caduta riecheggiava
all'infinito nell'universo. E poi c'è stata la prigione di
pietra di Thanos. C'è stato il dolore, quello che piega
anche l'anima di un dio, e lui si ritiene fin troppo fortunato ad
essere fuggito da quell'inferno prima che quel dolore lo spezzasse del
tutto.
Loki sente un brivido risalirgli lungo la schiena e si detesta, anche
se nessuno può vederlo rabbrividire al pensiero di quello
che ha subito durante quelle settimane di prigionia. Detesta le
cicatrici che gli sono rimaste, a riprova del fatto che nemmeno gli dei
sono davvero indistruttibili. Davvero c'è mancato poco,
molto poco, che si spezzasse per sempre...
Scuote la testa, come a cercare di allontanare quel pensiero. Guarda lo
spazio vuoto oltre la ringhiera circolare, dove un tempo c'era la
grande gabbia di vetro.
«No, Thor, tu non mi porterai ad Asgard...» mormora
alla penombra fredda e vuota. «Non darò al Padre
degli dei la soddisfazione di condannarmi o di graziarmi.
Mai».
Il freddo è come un velo che copre tutto, adesso copre anche
lui.
Loki sente una stanchezza mai provata prima serpeggiargli nei muscoli.
Tenta di concentrare i propri pensieri su qualcosa, ma non ci riesce,
gli ingranaggi della sua mente sembrano incastrarsi ora.
Eppure sa che il suo tempo sta scadendo perché non hanno
più bisogno di lui. La ragazza può sopravvivere
con quello che ha appreso senza che l'energia sia più un
problema in futuro e la battaglia contro gli invasori di Nornehim non
lo riguarda più.
Tutto è come prima, ci sono gli eroi e c'è il
mostro. Ci sono le luci e c'è l'ombra che esse stesse
delimitano.
«Loki...». La voce di Nadia vibra in mezzo alla
penombra.
Sapeva che sarebbe venuta a cercarlo, quello che non sa è
cosa aspettarsi. Ma non ha paura di affrontarla, per quanto sia
intimamente dispiaciuto di averla messa in pericolo, non è
pronto a considerare ciò che ha fatto come qualcosa di
completamente sbagliato. Non è disposto a dare ragione a
Thor e ai suoi amici, a quel branco di individui stolti che si credono
migliori di lui ma che lo hanno usato solo per i propri scopi eppure
senza mai smettere, nemmeno per un attimo, di mostrargli il loro
disprezzo.
Il dio si volta a guardare la ragazza. La guarda con una circospezione
che sembra quasi fastidio, ma a lui non è mai mancato il
coraggio delle sue azioni e può sostenere e argomentare
qualsiasi discorso che lei ora ha certamente in mente di fargli.
«Stai bene?» chiede lei, in tono neutro.
La fissa senza rispondere, perché non ha una risposta e di
certo non era la domanda che il dio si aspettava.
Nadia si ferma accanto a lui e getta un'occhiata al portellone
circolare preposto all'espulsione della gabbia di vetro. Si
è lavata e ha indossato vestiti puliti, si è
tolta di dosso l'odore di sudore e paura.
«Perché non mi hai detto niente?» gli
chiede, tranquilla ma estremamente seria. «Perché
non mi hai detto del tuo piano di usarmi come esca per arrivare a loro?
Credevi che non avrei accettato?».
Credeva molte cose, in realtà. Soprattutto credeva che se
lei non fosse stata all'oscuro del fatto che lui aveva organizzato
tutto essendo sicuro di poterla salvare dopo le prime ventiquattro ore,
non sarebbe stata convincente, sarebbe stata troppo poco spaventata
oppure avrebbe fatto qualche sciocchezza sapendo di avere le spalle
coperte.
Deve comunque convenire con gli altri sul fatto che il suo piano
è stato abbastanza rocambolesco e avventato. Ma non ci sono
stati danni, e quindi perché diamine dovrebbe essere
biasimato?
«Credevo ci fossero meno possibilità che
funzionasse» si limita a dire. «Se qualcosa in te
avesse fatto sospettare che eri rintracciabile saresti stata in serio
pericolo».
«Io sono stata
in serio pericolo. E lo sono state anche Jane e Pepper, molto
più di me... ah, già a te di loro non importa...
ad ogni modo, ho avuto paura, da impazzirne, è stata una
delle cose più orribili che mi sia mai capitata: non il
rapimento, la paura».
«Sì, la paura è orribile. E non credere
che mi abbia fatto piacere, né che io abbia trovato
divertente far indispettire i tuoi amici, non in questa occasione,
almeno».
Nadia fa un lungo respiro,
«Non... io non sono arrabbiata, non riesco ad esserlo... non
so come mi sento in questo momento» dice, buttando fuori le
parole tutte di un fiato, inciampando sillaba dopo sillaba.
Sconvolta, ragazza, sei
sconvolta e turbata... non è una diagnosi tanto
difficile da formulare. Però Loki pensa che in qualche modo
dovrebbe esserle grato per aver precisato che non è
arrabbiata; è lieto di vedere che sono al di là
di certi ingorghi emotivi. E comunque, lei ne sa così poco
della rabbia...
E comunque, perché ancora una volta nessuno gli ha detto
grazie, nemmeno lei?
«Cosa vuoi che ti dica? Sei sempre stata brava a
destreggiarti con il contento della tua testa, senza bisogno dell'aiuto
di terzi. Se così non fosse, mi odieresti, come i tuoi amici
hanno tentato così disperatamente di insegnarti a
fare».
La ragazza fa una strana smorfia,
«Cosa ti fa supporre che non ti odi? Hai ucciso il mio gatto,
amavo quel gatto...»
«Può darsi, ma ami di più
me». Già, deve amarlo in una qualche misura.
Persino lui che non sa nulla dell'amore capisce che l'accettazione
incondizionata ne è la base principale, e Nadia, per gli
inferi, lo ha sempre accettato. È tutto quello che ha fatto
ed è più di quanto abbia fatto chiunque altro.
Sarebbe affascinante provare a risalire alla scintilla di tutto
ciò, alla vera ragione. Ma non sarebbe comunque di nessuna
utilità. Loki preferisce pensare al fatto che ora sono pari,
che lei lo ha aiutato a Venezia e lui l'ha aiutata con la pietra; tutto
quello che è oltre questa linea di reciprocità
è stato solo un altro dei tanti tiri mancini che il fato gli
ha riservato. Fortunatamente, è ancora in tempo per tornare
indietro, anzi, ha già fatto un bel po' di strada sulla via
del ritorno. Ora capisce che quello che ha fatto, se non altro, ha
avuto il vantaggio di porre nuove distanze tra lui e la ragazza, ed
è un bene.
«Ora non metterti a fare il presuntuoso» borbotta
lei.
«Pensi di provare a ritrovarlo, il filo dei tuoi pensieri
intendo?» domanda il dio dopo aver fatto vagare per qualche
momento lo sguardo nello spazio grigio e vuoto.
«Ho idea che non mi piacerà... ad ogni modo, se
vuoi fare qualcosa per me, dimmi adesso che intenzioni hai»
«Sai chi sono. Sai anche che non sono cambiato.
Perché mi fai una domanda del genere?»
«Perché quello che ha detto Thor mi
spaventa».
Nadia allunga una mano come a voler toccare la sua, ma poi la ritrae.
Forse anche lei ora sente la distanza, forse anche lei sta pensando
che, tutto sommato, non solo è meglio così, ma
è anche giusto. E Loki pensa che tutto quello che ora deve
fare è mentirle. Ha mentito per molti motivi, e gli sono
sempre sembrati motivi validi, a prescindere da se fosse giusto o meno,
non si è mai soffermato a pensare al fatto che per i
più il concetto di menzogna fosse un concetto negativo e
criticabile, ma mai come in quel momento pensa che sia la cosa davvero
giusta da fare.
Mente guardandola negli occhi, perché lui è il
dio dell'inganno e può farlo. Perché lui
è un dio, e gli dei sono fatti per resistere al cambiamento.
«Non
hai niente di che preoccuparti» le dice, con un sospiro quasi
annoiato. «Andrò ad Asgard, molto probabilmente, e
sono certo che Odino darà fondo alla sua riserva di
magnanimità perché è quello che vuole,
dimostrarmi che è migliore di me, ribadire che mi ama e
altre amenità... l'unica cosa che trovo spaventosa
è la noia che tutto ciò sicuramente
comporterà».
«Stai dicendo sul serio?». Nadia lo guarda,
sospettosa e per niente rassicurata.
«Cosa c'è? Adesso cominci anche tu?»
borbotta lui.
«Sorvolando sul fatto che mi hai appesa all'amo e mi hai
gettato in mezzo agli squali, puoi dire di non avere mai mentito con
me?».
Loki si lascia scappare un sorriso,
«Io non dico mai la verità» soffia
serafico.
Nadia aggrotta le sopracciglia e lo fissa basita,
«Ehi, questa è... filosofia greca, roba di qualche
secolo avanti Cristo» borbotta.
«Lo so. È stata tua l'idea di portarmi in una
libreria».
La ragazza sospira esasperata e gli lancia un colpetto sul braccio.
«Ti prego, non avere mai più dubbi riguardo al
fatto che potrei odiarti, perché è
così, ti odio davvero» conclude.
Loki annuisce, con un mezzo ghigno.
Sarebbe molto più facile, se riuscisse a farsi odiare da
lei. Sarebbe molto più facile se riuscisse a volerlo sul
serio.
Restano in silenzio per qualche minuto, poi Nadia gli appoggia una mano
sulla spalla, sospira e si volta per lasciare la stanza.
Loki pensa che è il punto di conclusione meno doloroso che
la sua giovane midgardiana poteva aspettarsi per quella loro strana e
insensata storia.
*
Nadia posa la mano sulla spalla di Loki, poi si volta e lo lascia solo
ai suoi nebbiosi pensieri.
È stato uno strano addio, quello che si sono appena
scambiati. E senz'altro è un addio un po' in anticipo, visto
che fino a quando non si risolverà quella situazione con gli
esiliati di Nornheim né lui né Thor potranno fare
ritorno ad Asgard, ma era quel genere di addio che non poteva essere
rimandato e che comunque, non aveva del tutto a che fare con la
separazione fisica.
Per un attimo pensa al giorno in cui Loki era ricomparso, a quando era
steso in quel letto nell'infermeria della base di New York e lei era
andata a parlargli. Aveva camminato verso di lui sentendo il peso di
ogni singolo passo caricarle il petto di piombo fuso, pesante e
incandescente. Sta provando quella stessa identica sensazione adesso,
ora che i suoi passi invece di andare verso di lui se ne allontanano.
Pesa come quella volta, ma come quella volta sa che è giusto
così, che è così che sarebbe dovuta
andare.
Sarebbe più facile se riuscisse a odiare Loki, ma non ci
riesce e nemmeno lo vuole. Lo ama, lo ama da troppo tempo, malgrado
troppe cose.
Si sente un suono acuto e vibrante provenire da altoparlanti sistemati
da qualche parte. Il suono sembra uno squarcio. Nadia sussulta quasi
inciampa nelle scale che sta salendo.
I nervi non le sono tornati del tutto a posto e gli ultimi minuti con
Loki non hanno certo contribuito in maniera positiva.
Dopo qualche secondo si rende conto che il suono in realtà
è quello di una ricetrasmittente che fruscia nel sistema di
comunicazione interno. La ragazza si volta e lei e Loki fanno giusto in
tempo a scambiarsi un'occhiata, che la voce di Fury risuona come un
tuono a preannunciare la tempesta.
«Dove vi siete cacciati tutti?» esclama il
direttore dello S.H.I.E.L.D. «Stark, Rogers, Banner, Thor! Vi
voglio nella plancia di comando ORA! Quei bastardi stanno tentando di
mettersi in comunicazione con noi!».
Nadia deglutisce. Natasha le ha detto che è fuori da questa
storia, che se l'è meritato e lei sa che era una sorta di
incoraggiamento e allo stesso tempo un monito, così come sa
che non può fare niente per dare una mano, ma questa non
vuole perdersela. Lei e Loki non hanno nemmeno bisogno di guardarsi in
viso, un istante dopo stanno già dirigendosi a grandi passi
verso la plancia.
Nadia va quasi a sbattere contro Steve quando raggiungono l'ingresso
della sala comandi. E scopre che anche Pepper e Jane sono arrivate di
corsa dai loro alloggi. L'abbaiare di Fury deve essersi sentito in
tutta la base.
«Woh-woh-woh! Cos'è questa folla?»
esclama Tony. «Voi tre andate a riposare! Tu, Bambi,
sparisci».
«Oh, sta' zitto» squittisce Pepper allontanandolo
con una leggera spinta. «Non siamo cronisti del Times, quel
tizio ci ha rapite, abbiamo il diritto di sapere che succede!»
«Non mi interessa. Portate Loki a comprare un gelato all'area
ristoro, ne riparliamo dopo, vi faccio fare un diagramma riassuntivo da
Banner».
Loki ha uno scatto di irritazione,
«Stark...»
«Abbiamo finito lì fuori?» esclama Fury
da dentro la stanza, interrompendolo. Il direttore è molto
più pragmatico: non gliene importa un accidente che loro ci
siano o meno.
Tony si lascia andare ad un sospiro esasperato, poi si volta e entra
nella sala, lasciando che loro lo seguano.
Il volto di Hope campeggia in primo piano sugli schermi sospesi attorno
al tavolo. Nadia ha un moto di rabbia e disgusto quando l'uomo sorride
con quel suo fare effettato e mellifluo.
La ragazza sente lo stomaco contorcersi.
«Deve essere un messaggio registrato» osserva
l'agente Hill. «Abbiamo individuato la fonte, sembra essere
una casa vuota in un qualche sobborgo di Manhattan, abbiamo mandato una
squadra a controllare ma dubito che troveranno qualcosa».
«Devo chiedere scusa a voi tutti» esordisce Hope,
pacato. «Confesso che la situazione è sfuggita di
mano e mi rendo conto di aver esagerato».
«Ci avevi informato a proposito del fatto che fosse
pazzo?» chiede Clint a Nadia, in un filo di voce.
Un tizio che si presenta sulla Terra con copie di armi aliene costruite
con un metallo di un'altra galassia è pazzo per forza, non
c'è bisogno di precisarlo...
«Pensandoci, sono davvero dispiaciuto di aver fatto ricorso a
un mezzo tanto infimo come rapire tre giovani donne» continua
Hope.
«Vedesse quanto è dispiaciuto a noi...»
borbotta Jane a mezza voce, accigliata più che sorpresa.
«Sono dispiaciuto anche perché ora mi rendo conto
che non era affatto necessario. Sarebbe stato interessante far
funzionare il nostro arsenale, tuttavia, come dite voi midgardiani: chi
troppo vuole nulla stringe, quindi mi vedo costretto a fare una lista
delle mie priorità».
«Ho mal di testa, qualcun altro ha mal di testa?»
sbotta Tony, con un sospiro.
«Non abbiamo mai davvero voluto attentare alla sicurezza di
questo pianeta, tuttavia, le armi di cui disponiamo sono più
che sufficienti a danneggiare
in modo irrimediabilmente grave un quartiere della vostra
bella città. Diciamo, uno di quei quartieri in cui vivono
svariate centinaia di persone e in cui magari si trova anche una scuola
e un ospedale»
«Di che sta parlando?» sbotta Steve, piegandosi in
avanti, più vicino allo schermo, con aria allarmata.
«Sta minacciando, Capitano» sibila Fury, chiudendo
per un attimo l'occhio sano. «Ma immagino che la domanda
fosse retorica».
Nel video, Hope solleva una cartina di New York e mostra una zona della
città cerchiata di rosso.
«Diamo ordine di far evacuare quel quartiere,
signore?» chiede precipitosamente la Hill.
È come se Hope avesse previsto la domanda, perché
il suo sorriso si allarga. È un sorriso da squalo, ora.
«Naturalmente, se provata ad attuare un qualche piano di
evacuazione, il quartiere salterà in aria ancora prima che
la gente arrivi in strada» dice. «Vi stavo parlando
delle mie priorità, comunque. Ebbene, come la cara Nadia
certamente vi avrà detto, la mia priorità
è Thor».
Nessuno ha il coraggio di sollevare lo sguardo verso il dio del tuono,
nessuno a parte Loki che certamente si starà anche
divertendo al pensiero della possibilità di scambiare il
figlio di Odino con l'incolumità di un intero quartiere di
New York.
«Do appuntamento al beneamato principe di Asgard tra tre ore,
sul tetto di questo edificio. Se non viene da solo, il quartiere salta.
Se tarda anche solo di un minuto, il quartiere salta. Se solo qualcosa
si dispone in un modo che mi dispiace, il quartiere salta. A voi e a
lui la scelta».
Hope inclina leggermente la testa in avanti, in una specie di
espressione ammiccante, poi la sua faccia sparisce e gli schermi neri
restano a riflettere i loro visi dall'espressione turbata e attonita.
___________________________________________________________________
Note:
Nel
film, quando tornano da Stoccarda con Loki ammanettato c'è
questa scena brevissima in cui si vede atterrare il quinjet
sull'elivelivolo mentre è in aria. Credo sia impossibile che
loro
siano scesi dal quinjet e abbiamo percorso a piedi la superficie
dell'elivelivolo fino all'interno, dato che erano in quota e, Natasha
dixit, sarebbe stato difficile respirare lassù.
Non so se sia una svista di chi ha fatto il film, io ho ovviato alla
cosa supponendo che ci sia uno sportello che permette di passare dal
jet all'interno della struttura. (Non è di vitale
importanza, me ne rendo conto, ma non ho potuto fare a meno di "porre
rimedio" alla "svista").
Il
paradosso del mentitore... ehehe. La liceale amante della
filosofia che c'è in me ama il paradosso del mentitore, che
è
appunto un giochino di logica basato sull'impossibilità di
dimostrare la veridicità dell'affermazione “Io non
dico mai la
verità”.
Se l'affermazione fosse vera, starei dicendo la verità e
quindi
l'affermazione è falsa, se l'affermazione fosse falsa starei
mentendo e quindi l'affermazione è vera. Quindi
l'affermazione non
ha senso.
(abbiate pazienza, il capitolo è stato scritto mentre ero
sotto
esame).
Penso che la frase messa in bocca a Loki descriva un po' tutto il
senso del personaggio, almeno nella sua veste di dio degli inganni :P
Ok, siamo decisamente in dirittura d'arrivo. Mancano tre, forse quattro
(a seconda della lunghezza di una certa scena), capitoli alla
conclusione. Ancora una volta vorrei essere in grado di dirvi quanto vi
sono grata per aver seguito questa storia... che è stata
lunga e che ha avuto anche i suoi momenti non sempre avvincenti... ma
al solito, non saprei come dirlo, se non che vorrei abbracciarvi tutti,
uno a uno!
A venerdì prossimo ^^
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Capitolo 26 *** Endgame - part two ***
Capitolo venticinquesimo
Endgame – part
two
E così, è tutto assai semplice, persino
più semplice di come gli era parso quando ha sentito Nadia
raccontare ciò che le era stato detto durante la sua breve
prigionia. Vogliono lui, lui e la sua disfatta poiché la sua
fine è la fine del regno di suo padre.
Thor sente il peso degli sguardi dei suoi compagni fissi su di lui,
sente la tensione di Jane come il calore che emana da una fiamma.
Non cerca gli occhi di nessuno se non quelli di Loki. Suo fratello
è in piedi dall'altro lato del grande tavolo e lo guarda con
un'espressione imperscrutabile, le braccia incrociate sul petto.
Thor vorrebbe chiedergli perché, com'è possibile
che sia destinatario di un tale odio e nessuno meglio di Loki potrebbe
spiegargli cosa c'è di odioso e sbagliato in lui. Ma
è una domanda sciocca e infantile, per la quale adesso non
c'è tempo.
«Ci ha dato tre ore, tre ore sono un sacco di
tempo» esclama Tony Stark, guardandolo con quella che
vorrebbe essere un'espressione rassicurante. Ma Thor non ha alcun
bisogno di essere rassicurato.
«Perché naturalmente voi avete un piano,
giusto?» esclama Jane, la speranza accesa nei suoi occhi
è come le stelle di cui è tanto appassionata.
È un tale fardello essere definito un eroe se il prezzo
è sopportare il peso di uno sguardo come quello. Vale per
lui e in quel momento di certo vale anche per i suoi compagni che Jane
scruta uno ad uno aspettando una risposta che le permetta di sapere che
non accadrà niente di male, che lui è fuori
pericolo. Non fosse per lei, a Thor non importerebbe nulla del
pericolo.
«Ce l'abbiamo?» incalza Fury.
«Piano o no, io devo andare» dice il dio.
«Hai fretta?» sbotta Barton. «Sta' buono
e non mettere ansia. Stark stava dicendo qualcosa a proposito delle tre
ore».
L'uomo di metallo lancia un'occhiata a Bruce Banner, l'uomo di scienza
annuisce.
«Beh, possiamo allargare il raggio d'azione dello
smagnetizzatore» dice. «Le armi devono essere per
forza nel quartiere, se intendono usarle per farlo saltare. Possiamo
allargare il raggio perché copra più o meno tutta
l'estensione della zona. Andranno in malora anche elettrodomestici e
cellulari dei residenti, ma non credo sia importante»
«Mentre Thor va da Hope, qualcuno può posizionare
lo smagnetizzatore e accenderlo» aggiunge la Romanoff.
«Una volte andate le armi, loro non avranno più
niente in mano e noi potremo catturarli».
«E tutto ciò è, come dire, sicuro?»
conclude Jane, ed è chiaro che non può tollerare
altro che una risposta affermativa.
«Di certo è più sicuro che lasciare
Thor al suo destino» replica Barton.
«Che comunque non ce lo saremmo mai sognato» dice
Nadia. La ragazza è pallida, sembra provata e sembra anche
triste. Il dio del tuono pensa per un attimo ai progetti di Odino per
la salvezza di Loki, progetti che Loki stesso ha già mandato
in fumo, ancora prima che si potessero attuare: dopo quello che
è successo, non c'è molta ragione di sperare che
la sua giovane amica pensi ancora di restare al fianco di suo fratello.
È per questo che era così sconvolto e arrabbiato
prima, oltre alla preoccupazione per Jane. Era sconvolto e amareggiato
non per quello che aveva fatto Loki – del resto non era
niente di diverso da quello che Thor si aspettava – ma
perché pensava all'ultimo scampolo di speranza ormai
definitivamente perduto. Perché lui ancora nutriva speranze,
ancora credeva che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna coercizione e
di alcun filtro dell'oblio per il dio dell'inganno, ancora pensava che
lui potesse semplicemente trovar pace. Ma è evidente che
Loki non la vuole, questa pace, poiché Loki è uno
che combatte per ciò che desidera e non ha mai combattuto
per essa, e ha anche smesso di combattere per Nadia, semmai lo ha fatto
davvero in un qualche momento passato.
Ma non è il genere di cose sulle quali si deve concentrare
adesso.
«Sapranno che siete arrivati» obietta, dopo qualche
secondo. «Se si accorgessero della vostra presenza farebbero
saltare in aria il quartiere comunque. Io sarei perduto, voi sareste
perduti e così pure tutte le persone che vivono in quel
luogo»
«Non dobbiamo per forza presentarci con la banda al
seguito» osserva Barton.
«No, Thor ha ragione». È Fury a prendere
la parola. «Se vi scoprissero sarebbe una
carneficina».
«E allora faremo in modo che non se ne accorgano»
dice il soldato Rogers con un sorriso incoraggiante. «Ma non
lasceremo che Thor vada lì da solo. Se le cose si mettessero
male, dovrà esserci qualcuno pronto a intervenire e, con
tutto il dovuto rispetto, direttore, credo che abbiamo ampiamente
dimostrato di essere più validi di qualsiasi altra sua
squadra»
«Ma sentitelo, il Capitano, si è montato la testa!
Però sono sorprendentemente d'accordo con lui» gli
fa eco Stark. «Noi andremo...».
«Noi?!» la voce di Banner si alza di qualche
ottava, e tanto basta perché un moto di nervosismo passi
sulle loro facce. «Stark, tu non vai proprio da nessuna
parte».
«Che cos'è questa storia?» borbotta
Fury.
Sì, che altro c'è? Thor si rende conto che il
tempo sta passando e ancora non si sono organizzati a dovere. Trattiene
a stento uno sbuffo di impazienza.
Stark alza le mani in una specie di gesto di resa.
«Ok, ok. Abbiamo un piccolo problema» dichiara.
«Io non posso essere esposto al raggio d'azione dello
smagnetizzatore, altrimenti il reattore Arc si guasta e sarebbe un vero
peccato perché ancora non ho visto finiti i lavori di
ristrutturazione della mia casa di Malibù»
«Cosa?!» esclama Pepper, stupita.
«Non ti avevo detto dei lavori di ristrutturazione,
tesoro?»
«Non mi avevi detto che il reattore Arc...».
«Va bene, basta!» esclama Thor. Un attimo dopo si
sente quasi in colpa per aver alzato la voce e si rende conto di aver
picchiato il pugno sul tavolo.
È da quando è tornato, da quando ha saputo
che la Terra è stata presa di mira ancora una
volta a causa sua che sente il peso di tutta quella spinosa faccenda
sulle spalle, quel peso e il peso dei piani di Odino che non ha potuto
condividere con i suoi compagni, e la preoccupazione per Loki, e ogni
genere di timore e insicurezza, come se in una sola volta tutti i suoi
peggiori incubi si fossero tramutati in realtà, come se ci
fosse un prezzo da pagare per tutto quello che ama e che ha amato nella
sua vita.
E adesso l'idea che i suoi compagni si mettano a rischio per salvarlo
è davvero l'ultima goccia in un vaso già
stracolmo.
«Devo andare solo. Non potete rischiare le vostre vite per
me, né rischiare di mettere in gioco la sicurezza della
vostra città» conclude cupo.
«Thor...» la voce di Jane è un soffio,
ma lo scuote come il boato di una valanga.
La sua espressione sembra averlo zittiti tutti e lui è
pronto a voltarsi e ad andare incontro al suo destino.
Perché è giusto così,
perché è così che deve andare.
Perché è una sua scelta e una sua
responsabilità.
«Ma che cosa vai farneticando?». La voce che
interrompe il silenzio ha lo stesso suono del ghiaccio che si spezza,
la voce di Loki.
«Tu non morirai oggi, figlio di Odino, e di certo non per
mano di quei cani randagi» dice il dio dell'inganno. Thor
può leggere il furore nei suoi occhi e può
leggere quell'odio che lo ferisce più di ogni paura e di
ogni tradimento. «Non ho subito l'umiliazione, la sconfitta e
l'esilio per vederti perire per mano di qualcun altro. Né
potrei sopportare l'idea di avere come avversario un individuo
così arrendevole e disposto alla rassegnazione».
Guarda Loki e sente qualcosa di molto simile al pianto accecargli la
vista. Possibile che dopo tutta quella strada percorsa, è
l'odio di suo fratello la leva per convincerlo a salvarsi e a lottare?
Possibile che è davvero tutto ciò che resta?
Più della forza del suo sangue di re, più
dell'amore che ha per Jane e per suo padre, più della
devozione ai suoi compagni?
Thor china il capo: si arrende alla fiducia che gli stanno imponendo di
avere. Quello con Loki è un discorso che certamente
verrà ripreso in seguito... un discorso aperto, come una
ferita.
«Molto bene, dopo questo toccante sfoggio di amore fraterno,
direi che siamo tutti d'accordo con il fatto che Thor non possa
suicidarsi» interloquisce Stark dopo qualche istante di
silenzio. «Vediamo di organizzare questa
festicciola come si deve!».
*
«No, non se ne parla». Esclama Bruce Banner,
scuotendo energicamente la testa.
Steve quasi si stupisce nel vederlo sbiancare e gli viene automatico
dargli una pacca sulla spalla. Leggera, che non si sa mai, che il
dottore è in uno stato d'agitazione poco promettente.
Nel piccolo laboratorio l'aria è satura di tensione.
«Non c'è niente di cui parlare, se non posso farlo
io devi farlo tu» gli dice Stark. «Hai costruito
quell'affare insieme a me, sei l'unico che può regolarlo e
farlo funzionare».
Hanno organizzato tutto. Il jet li porterà fuori
città, da lì andranno in centro in auto e
raggiungeranno il quartiere dove li aspetta Hope. Ci andranno in abiti
civili, nessuno li potrà intercettare tra i passanti;
posizioneranno lo smagnetizzatore e... beh, qualcuno deve poterlo far
funzionare quell'affare e deve essere per forza Banner, non
c'è tempo di istruire qualcun altro sul funzionamento del
marchingegno, anche perché se ci fosse un qualche aggiusto
da fare all'ultimo minuto nessun altro sarebbe in grado di provvedere.
E se non riescono a smagnetizzare le armi di Hope, Thor è
spacciato.
Non c'è scelta, non c'è altro modo.
«Ok, Bruce, rilassati, il tuo colorito non mi
piace» dice Stark con tutta la pazienza che riesce a
racimolare. Mancano meno di due ore allo scadere dell'ultimatum, se
vogliono arrivare in tempo devono partire prima di subito.
«Ti piacerà ancora meno se non troviamo una
soluzione a tutto questo...» replica lo scienziato.
«La soluzione sei tu»
«Io non sono una soluzione, io sono un pericolo! Per Thor,
per la riuscita dell'operazione e anche per la gente di quel quartiere!
Se dovesse presentarsi l'Altro mentre siamo a New York».
Non è irragionevole, devono dargliene atto. Ma è
anche vero che non hanno scelta.
Si guardano tutti in viso, l'un l'altro cercando qualcosa da dire e
contemporaneamente forse pensando a un altro modo di sistemare la
questione, ma parlare e pensare sarebbe solo fiato e tempo sprecato.
«Io mi fido di lei, dottor Banner». Jane Foster,
sicura e seriosa come non l'avevano mai vista prima. «Tutti
noi ci fidiamo di lei. Non è la nostra ultima chance,
è la nostra migliore
chance».
La giovane scienziata sembra esserne convinta, lo dice con
così tanta decisione che sembra contagiare tutti. Se lei si
fida, se lei accetta di lasciare la vita dell'uomo che ama nelle mani
di Bruce Banner, allora lui deve per forza fidarsi di se stesso.
«Dobbiamo partire adesso» annuncia Barton. Lui e la
Romanoff hanno messo da parte la loro divisa da agenti dello
S.H.I.E.L.D. e hanno appena finito di controllare le apparecchiature
per la comunicazione con l'elivelivolo.
A Steve hanno dato una specie di cartella con dentro lo scudo. Barton
ha il suo fedele arco in uno zaino, dice che non si sa mai.
C'è una squadra S.H.I.E.L.D. sul posto pronta a intervenire
appena avranno messo fuori uso le armi di Hope.
«Portatemi con voi. L'energia della pietra potrebbe tornare
utile e poi potrei aiutare Bruce a... ehm, a
mantenere la calma» dice Nadia, all'improvviso. Quelle parole
dovevano frullarle nella testa da quando hanno ricevuto il video di
Hope, ora le ha buttate fuori tutte d'un fiato come se le avesse
trattenute per troppo tempo e con un enorme sforzo.
«Faccio finta di non aver sentito» le risponde
Steve, tentando di liquidare la questione con un gesto della mano. Gli
altri fingono davvero di non averla sentita.
«Posso davvero fare qualcosa. Quelli sono i bastardi che mi
hanno rapita, voglio esserci quando li farete a pezzi!»
«Nessuno farà a pezzi nessuno... si
spera» replica lui.
«E comunque, proprio perché quelli sono i bastardi
che ti hanno rapita e che vogliono usarti per far funzionare le loro
armi è bene che tu ne stia il più lontano
possibile» Natasha Romanoff viene in suo soccorso.
«Senza contare che se proprio vuoi aiutare qualcuno a
mantenere la calma, c'è Stark qui che avrà
bisogno di supporto psicologico»
«Esatto, tu non vai da nessuna parte Colombina. Tu, dottore,
datti una mossa... dov'è il biondo?».
Stark davvero sembra aver bisogno di aiuto. L'idea di restare in
panchina deve essergli immensamente difficile da sopportare,
soprattutto considerando che c'è in gioco la vita di Thor e
l'incolumità di un intero quartiere di New York e la salute
mentale di Bruce...
Nadia ha smesso anche solo di provare a protestare, si è
appoggiata con le spalle al muro e ha messo su un'espressione tesa e
preoccupata.
Loki è sulla soglia della porta del laboratorio. Non ha
detto niente, ha solo ascoltato e non ha palesato nessuna intenzione
precisa riguardo a cosa vuole fare in quella situazione. Non che
abbiano intenzione di portarlo con loro, comunque, non hanno bisogno
del suo aiuto e lui sarebbe solo un'ulteriore preoccupazione, una
scheggia impazzita in uno scenario già abbastanza incerto.
Però ha se non altro il merito di aver dato a Thor la giusta
scossa. Se lo abbia fatto perché davvero non vuole
vedere il suo acerrimo nemico soccombere in un modo tanto
insoddisfacente o se spera che le cose si mettano male e Thor
– magari insieme a tutti loro – rimanga ucciso, non
lo sanno e non lo sapranno mai, ma non è una questione
fondamentale.
«Si parte?» conclude Steve, gettandosi in spalla lo
zaino con lo scudo.
Si avviano per raggiungere il jet. Bruce Banner al centro della fila
stringe le mani attorno allo smagnetizzatore e si mordicchia il labbro.
Nadia gli corre incontro e gli si mette sottobraccio,
«Ce la puoi fare, Bruce» gli dice.
«Un volo in jet fino a New York, traffico, caos... la vita di
Thor che dipende da me... sono il genere di cose che l'Altro prende
come un invito a nozze» le risponde lo scienziato con un
sospiro.
«Ce la puoi fare» ripete la ragazza. «Ne
siamo sicuri, tutti noi, non devi far altro che esserne sicuro anche
tu».
Lui tenta di mettere insieme un sorriso. Nadia si stacca dal suo
braccio quando raggiungono il portellone del jet e resta a guardarli
salire a bordo. Steve le fa l'occhiolino e si volta per raggiungere gli
altri. Thor è sulla pista, pronto a partire da solo per
raggiungere New York. La Romanoff e Barton hanno già preso
posto davanti ai comandi.
«Ehi, Capitano» Stark gli si avvicina, quasi gli
parla all'orecchio. «Mi raccomando... prenditi cura di questa
cosa...».
Steve solleva le sopracciglia in un'espressione perplessa.
«Cosa?»
«Oh, andiamo Steve, sii prudente, sta' vicino al dottore,
riporta a casa Boccoli d'Oro e tieni d'occhio gli altri. Lo farei io,
ma questa partita devo giocarla in panchina».
Lo ha chiamato per nome. È un evento che si verifica solo in
circostanze straordinarie e solo quando Stark è molto
preoccupato.
«Me ne occuperò, Tony» gli
risponde. «Puoi stare tranquillo».
«Sì posso, del resto sei tu il migliore,
no?».
«Devo mettermi a piangere?»Me ne occuper Tony»
«
«
«No, devi muovere il culo e salire a bordo, prima che il
Falco ti arpioni con gli artigli!».
Steve si concede una mezza risata ed entra nel jet. Mentre il
portellone si chiude, vede la dottoressa Foster baciare disperatamente
Thor.
Lo riporteremo a casa
sano e salvo, promette a se stesso.
*
«Dunque, sono partiti?» dice Loki in tono annoiato,
tamburellando distrattamente le dita su un mobile di alluminio in un
angolo del laboratorio.
Nadia inclina la testa come a cercare di guardarlo in viso dalla
miglior prospettiva possibile. Sarebbe davvero rassicurante cercare di
scoprire cosa gli passa per la mente.
«Dicevi sul serio prima? Vuoi davvero che Thor ne esca
vivo?» gli chiede. Si pente quasi subito di aver domandato,
qualsiasi risposta verrebbe fuori sarebbe poco attendibile.
Lui mente, mente sempre. Anche con lei non ha fatto altro, fin dal
primo momento in cui le loro strade si sono incrociate, e lei
è stata davvero sciocca a pensare di mettere in secondo
piano questo dettaglio.
Lei è stata davvero sciocca. Punto.
«Non dovresti essere a placare la smania di Stark?»
borbotta il dio, ignorando la domanda.
No, per quello c'è Pepper. Ma c'è qualcun altro
che potrebbe aver bisogno di lei in quel momento; non è
potuta andare con gli Avengers, ma c'è un posto in cui la
sua presenza potrebbe essere molto più utile piuttosto che
starsene lì a rimuginare su Loki e su cosa lui si auspichi
davvero per la riuscita di quell'impresa. E poi la tensione
è troppo alta perché riesca ad avere a che fare
anche con lui, con i mille dubbi che le instilla e con la lama di
dolore che sente crescere man mano, se si sofferma a pensarci per
più di un secondo.
Lascia il laboratorio senza aggiungere altro.
Nella sala comandi il silenzio è solido come un muro,
impenetrabile. Agenti seduti davanti a schermi e consolle stanno
concentrati a osservare videate o a premere pulsanti.
Al centro, Fury sembra un grosso corvo appollaiato sulla ringhiera
vicino alla quale è appoggiato a osservare con aria
imperscrutabile Tony che armeggia con degli schermi a comandi tattili
sui quali è riprodotto un modello tridimensionale dello
smagnetizzatore; evidentemente sta cercando di stabilire i parametri
per la regolazione dello strumento in un'area vasta come il quartiere
in cui deve essere posizionato.
Alle spalle di Tony c'è Pepper, solida come una roccia.
Nadia le invidia proprio quella solidità: senza di lei,
quasi certamente, il mondo di Tony Stark sarebbe crollato su se stesso
come un castello di carte molto tempo prima. Pepper è
riuscita a fare ciò che Nadia non ha potuto: salvare l'uomo
che ama anche da se stesso.
Ma non deve e non può pensarci. Semplicemente, non
può permetterselo. Magari un giorno arriveranno le lacrime e
la rabbia, quella vera e accecante, adesso è un'altra la
forza che minaccia di mandare in pezzi il mondo che la ragazza ha
imparato ad amare in quei mesi trascorsi in America. Un mondo di cui
lei non fa del tutto parte, ora lo sa, ma che sarebbe stata davvero
pronta a difendere, a qualsiasi costo, se l'avessero lasciata andare
con loro.
Jane è davanti all'immensa vetrata, il naso per aria ad
aspettare segnali dal cielo. Probabilmente è quello che
è abituata a fare, ma stavolta si tratta di segnali che non
hanno niente a che vedere con l'astrofisica, e di certo è
parecchio prematuro aspettarli ora. Ci vorranno ore prima che Thor e
gli altri facciano ritorno, perché Thor e gli altri faranno
ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
Thor e gli altri faranno
ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
«Sa una cosa, signorina Berton?» le dice Fury,
avvicinandosi a lei. «Io avrei lasciato che lei andasse con
loro».
«È un complimento direttore? O una prova di
fiducia? Non mi è mai parso che si fidasse di me»
replica lei con un mezzo sospiro.
«Di lei posso anche fidarmi. È di quell'affare che
ha incollato al braccio che non mi fido, è per questo che
vorrei vederla in azione, prima o poi».
Nadia impiega qualche secondo a trovare un senso all'affermazione
dell'uomo.
«Mi sta invitando a entrare nel suo circolo
privato?» domanda con amaro sarcasmo.
«No, tra le altre cose lei ha una famiglia che l'aspetta e,
considerando il suo carattere, sarebbe un pessimo candidato... eppure
non sarebbe peggio di Stark, tanto per fare un esempio»
conclude Fury con un mezzo sospiro trattenuto.
«Mi dispiace di essere la sua occasione sprecata».
Nadia si volta e scende le scale che portano al piano inferiore della
sala, si dirige verso Jane e continua a sentire su di sé lo
sguardo di Fury. Ha idea che il direttore dello S.H.I.E.L.D. non abbia
ancora finito con lei ed è un'idea parecchio brutta e
decisamente poco promettente, ma per adesso ha cose più
preoccupanti a cui pensare.
Jane sussulta quando la ragazza le posa una mano sulla spalla.
«Andiamo, smettila di fissare le nuvole» le dice
con un mezzo sorriso, il più amichevole che riesce a
sfoggiare.
Per qualche motivo tra lei e Jane non è mai ingranata, forse
è stata colpa sua, perché la prima volta che l'ha
vista l'ha tenuta sulle spine con una storia raccontata solo a
metà. Forse, semplicemente, a volte è destino che
tra due persone non si crei il giusto feeling. Eppure adesso Nadia si
sente in dovere di fare qualcosa per lei, perché se
riuscisse a regalare alla giovane scienziata un po' di speranza si
sentirebbe meno inutile e meno vuota.
No, decisamente io non
sono un eroe, pensa la ragazza. Non sono nemmeno capace di
tirare su il morale a una persona per scopi esclusivamente
altruistici...
Ma non importa, nell'arco delle ultime quarantotto ore Jane
è quella che ha passato il peggio, compreso l'essere rapita
da tizi che vogliono uccidere il suo uomo per poi venire salvata
– quasi per sbaglio – dal nemico giurato del
suddetto.
«Andiamo dove?» chiede Jane, scuotendo la testa.
Nadia ci pensa per qualche secondo. «A vedere se nell'aria
ristoro riusciamo a rimediare un frappè».
La scienziata non si muove. «Il signor Stark ha detto che mi
avrebbe tenuta aggiornata sulle notizie da New York».
«Tony si è laureato in ingegneria all'MIT a sedici
anni, sono certa che saprà far funzionare il sistema di
comunicazione interno».
Nadia prende Jane per un braccio e la porta fuori dalla sala comandi.
Prima di uscire scambia una rapida occhiata con Tony e lui le lancia un
sorrisetto teso.
Quando raggiungono l'area ristoro è vuota, ma c'è
un vassoio con dei muffin sotto una campana di plastica trasparente. La
ragazza pensa che sia meglio di niente, ma quando poggia il vassoio su
un tavolino e si siede di fronte a Jane si rende conto che non ha
voglia di mangiare, che il suo stomaco non potrebbe sopportare nemmeno
una briciola.
«Comunque, penso tu abbia fatto bene a portarmi via da
lì, avrei potuto cominciare a prendere a testate il
vetro» dice la dottoressa Foster dopo qualche minuto.
«Fury ti avrebbe fatto sparare un sedativo,
suppongo»
«Neanche tu vuoi stare sola, eh?»
«Mi hai scoperta».
Nadia tira su le gambe e si mette rannicchiata su una sedia, reggendosi
le ginocchia tra le braccia. Pensa che deve trovare qualcosa da dire,
non è molto utile a Jane se resta lì in silenzio.
E non fa bene nemmeno a se stessa.
«Cosa pensi di fare, quando tutto questo sarà
finito?» domanda la giovane astrofisica, all'improvviso.
La ragazza si sente schiacciare dal peso di quella domanda: ha vissuto
esperienze straordinarie, nel bene e nel male, ha vissuto in una casa
con un maggiordomo invisibile e si è innamorata di un dio
infido e traditore, e l'unica risposta che ha da dare è
quella più ovvia e insignificante.
«Tornerò a casa, dai miei...» dice. Ama
la sua famiglia e non c'è stato giorno da quando ha lasciato
Venezia in cui non abbia pensato a loro, le mancano, ma non le manca la
sua vecchia vita, non può mancarle il restare confinata
lì, non dopo tutto quello che ha passato. Una volta pensava
di potersi rassegnare a quel mondo, adesso sa che non può
più farlo.
Adesso si sente solo una sciocca, egoista, vanesia ragazzina che non
sopporta di dover tornare a scuola dopo una bellissima vacanza. E non
è stato nemmeno tutto facile e bellissimo come una vacanza!
«E tu, tu e Thor avete qualche idea su come sistemare le
cose?». Dovrebbe farle bene parlare di Thor al futuro,
presuppone che non gli accada niente quel giorno ed è una
cosa che dovrebbe essere di estremo conforto per Jane, almeno Nadia
spera che lo sia...
«Ci sono cose a monte che vanno sistemate, prima di noi
due» risponde lei, arricciando il naso. «Thor non
sarà mai libero finché Loki... oh, ti prego,
scusami».
«No, non ti preoccupare. Lo so». Nadia sa. Sa che
la sola esistenza di Loki basta a minare qualsiasi speranza di pace per
il cuore di Thor, e sa anche che a questo punto di vista, il dio del
tuono è condannato: qualunque sia la sorte di Loki, lui non
sarà mai libero dalla sua ombra, dal veleno che il dio
dell'inganno ha fatto scorrere tra loro due, dal rimpianto e dalla
sensazione di fallimento. Dopotutto, la sua stessa sorte non le appare
poi così diversa.
«Raccontami...» dice Jane, deglutendo.
«Raccontami di Venezia».
Nadia guarda la sua interlocutrice con aria interrogativa, accenna un
sorriso incerto.
«Pensavo che Thor ti avesse già raccontato
tutto...»
«Sono certa che la tua versione è molto
meglio». Anche Jane accenna un sorriso. Decisamente meglio di
niente.
Era una sera buia e tempestosa. E fredda, soprattutto fredda...
Alla fine del racconto, Jane ha l'aria di un bambino catturato dal
colpo di scena della favola.
«Wow! Nella mia storia c'è solo un enorme robot
sputafuoco e una stagista svampita, mi sento così
inutile» scherza la scienziata.
Nadia ridacchia. «Scambio il tuo robot sputafuoco con il mio
bracciale...».
Jane sta per rispondere alla battuta, ma arriva la voce di Tony dalla
sala comandi: sono arrivati a destinazione. Thor si è
separato dal gruppo per andare a incontrare Hope e da questo momento in
poi non hanno più contatti con lui, non potevano rischiare
di mettergli microfoni o altri marchingegni addosso, se li avessero
scoperti avrebbero potuto decidere di dar fuoco alla fottuta miccia.
L'espressione di Jane diventa di pietra. Le due ragazze si alzano e
tornano nella sala comandi.
Dai dispositivi di comunicazione arriva la voce di Natasha che parla
con Fury.
«Thor ci segnalerà la sua posizione con un
fulmine, appena avvisterà Hope e i suoi, signore»
spiega l'agente.
«Sarebbe ottimistico aspettarci che loro restino nello stesso
posto per un tempo sufficiente da poterli catturare, una volta
smagnetizzate le armi» risponde Fury.
«Le armi sono la priorità». La voce di
Clint. «Appena lo smagnetizzatore avrà fatto il
suo lavoro, spareremo un razzo segnaletico, così da far
sapere a Thor che il quartiere è fuori pericolo. Se poi
decidesse di fare a pezzi i nostri ospiti a suon di martello...
potremmo sempre dire che è stata legittima difesa»
.
Nadia sente Jane trattenere il respiro. Ma del resto, anche lei
è in apnea e sente lo stomaco come un masso in fondo alla
pancia.
«E il dottor Banner come sta?» domanda Tony.
«Come uno che si chiede perché mai ha lasciato
Calcutta!» risponde la voce di Bruce, alterata e lontana.
«Se la sta cavando egregiamente. Il colorito verdognolo che
ha preso durante il volo era dovuto solo alla nausea»
interloquisce Steve.
Stanno bene. Sta andando tutto bene. Loro sono i suoi eroi e gli eroi
vincono sempre...
«Dunque, dottore, fammi sapere se ti serve una mano con la
mia piccola creatura» aggiunge Tony, tranquillo. Non
è davvero calmo, vorrebbe essere lì, vorrebbe
esserci lui a mettere in moto la sua macchina, ma se la sta cavando
meglio di quanto tutti loro si aspettino. O almeno, così
sembrerebbe.
«Penso di farcela, Stark...» la voce di Bruce viene
sopraffatta da un fruscio rumoroso, un suono simile al rumore di unghie
sulla lavagna. Nadia arriccia il naso e si copre le orecchie.
«Che diamine è stato?» si affretta a
chiede Fury. Dagli apparecchi di comunicazione arriva un basso sibilo e
solo dopo qualche secondo riescono a sentire di nuovo Natasha parlare.
«Niente, va tutto bene» li rassicura.
«È solo... vento, è arrivata una
raffica di vento molto forte».
Jane sussulta. «Vento?!» esclama, guardando Nadia
con aria terrorizzata.
La ragazza stringe i pugni e sente il cuore mancarle un battito.
Non può
essere. Non può farlo...
Nessuno sembra aver fatto caso all'esclamazione di Jane. Tony sta
parlando con Bruce a proposito delle impostazioni dello
smagnetizzatore.
«Pensavo sarebbe stato più semplice»
dice il dottore. E non sembra calmo.
Nadia sente le vertigini, sente i muscoli farle male per la tensione.
«Vento freddo?!» esclama Jane, urlando e gettandosi
in avanti, spostando bruscamente Tony di lato e afferrando il microfono
che lui stava usando per comunicare con le trasmittenti degli altri
Vendicatori a New York.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si
prenderà il raffreddore...» prova a scherzare
Tony, facendo per posarle una mano sulla spalla.
«Jane, che succede?» domanda Pepper.
La giovane scienziata ha già capito, perché ha
appena ascoltato la sua storia, sa com'è cominciata
lì a Venezia, sa cosa potrebbe significare...
«Loki». Tocca a Nadia rispondere. Sente quel nome
come tagliarle la lingua mentre lo pronuncia.
*
Lo schienale del sedile laterale del jet è duro e scomodo.
Bruce cerca di non pensarci, chiude gli occhi, stringe le mani attorno
alla semisfera dello smagnetizzatore.
Fa respiri lunghi e regolari, inspira rumorosamente per cercare di
coprire il pulsare sordo delle tempie. Inutile: sente il cuore come
sbattergli dolorosamente contro le costole. Riconosce quella sensazione
e ne ha paura.
«Si tratta di una decina di minuti di volo, anche
meno». È la voce della Romanoff. Bruce non ha
bisogno di aprire gli occhi per indovinare la sua espressione vagamente
preoccupata. Nemmeno l'algida Vedova Nera è riuscita a
mascherare del tutto quel tremito nella voce.
Fa un altro respiro, profondo, lentissimo. Il cuore ha un battito
più forte e un lampo verde brilla per un attimo dietro le
sua palpebre chiuse.
Natasha fa bene a avere paura. Lui è terrorizzato.
«No, così non va bene. Guardami» dice
lei. Il tremito dalla voce è sparito, ora il suo tono
è deciso, sicuro e riesce a suonare persino amichevole.
Bruce esita ad aprire gli occhi, ma alla fine obbedisce. Natasha
Romanoff ha girato il sedile da pilota nella sua direzione e lo sta
guardando con aria quasi crucciata, con quel sopracciglio inarcato e le
la labbra strette a cuore.
«Non ho paura di Hulk» dice lei.
«All'inizio ne avevo, moltissima, poi l'Altro ha cominciato a
comportarsi un po' meglio e mentirei se non dicessi che lo considero
un'arma molto importante, forse la più efficace del nostro
arsenale. L'Altro è questo, Bruce, un'arma, un gran pezzo di
artiglieria pesante. Ma ora è inutile, non è
spaventoso o problematico, è semplicemente inutile. Non ci
serve un'arma, ci serve il tuo cervello»
«Oh, certo. Lo so bene, ma...»
«Non ci serve un'arma» ripete l'agente Romanoff.
«Non c'è nessun bisogno di tirarla fuori dalla
fondina»
«Vorrei che fosse così facile» mormora
lui. Si sente pulsare come se sotto la pelle non avesse più
le ossa, ma solo pezzi di carne attraversati da vene e nervi.
«E io vorrei che non dovessimo volare a New York per salvare
la pelle a Thor. Vorrei essere in una missione individuale in Europa
alle calcagna di qualche terrorista da poter strangolare nel sonno con
i collant, è assai meglio della sigaretta dopo il sesso. Ma
ora io sono utile qui.
Vale lo stesso per te».
La giovane donna non aggiunge altro, si dà una spinta e il
sedile si volta nuovamente verso la consolle dei comandi.
Quando Barton e Steve Rogers salgono a bordo lo trovano con gli occhi
sbarrati fissi nel vuoto, la bocca schiusa a cercare di prendere aria.
Ha ancora bisogno di respirare per far rallentare il battito cardiaco e
rilassarsi, ma gli sembra che vada un po' meglio...
Quella faccenda dello strangolare uomini con i collant comunque offre
spunti di riflessione sufficienti per tutti i dieci minuti di volo, sia
all'andata che al ritorno.
Il jet atterra in una zona fuori città. Come previsto,
c'è un'aiede davanti.
La macchina deve avere vetri antiproiettile o comunque molto spessi,
perché l'abitacolo è quasi del tutto
insonorizzato e il rumore continuo del traffico arriva ovattato. Questo
è un gran bene, pensa Bruce stringendo la valigetta dove ha
chiuso lo smagnetizzatore.
Mentre l'auto prosegue in un intreccio di ampie strade incorniciate tra
palazzi e vetrine, lui cerca di non guardare troppo all'esterno, alle
vie e alle file di lampioni che si rincorrono nel riquadro del
finestrino; se ne sta proteso leggermente in avanti, guarda il cielo e
le nuvole disegnare forme inarticolate contro l'azzurro terso.
«Però non è la stessa cosa senza Stark,
vero?» dice Clint Barton, decelerando per fermarsi ad un
semaforo.
«Vuoi dire senza il suo ego elefantesco e la sua linguaccia
lunga?» chiede Steve Rogers, dal sedile posteriore.
«Sì, non è lo stesso. Ma non glielo
diremo mai».
Bruce riesce persino a concedersi una risatina.
È quando la macchina accosta in un parcheggio del quartiere
designato per il macello che l'umore torna nero e lui vede di nuovo
quella nuvola verde appannargli la vista.
Steve gli apre lo sportello e lo guarda con aria fiduciosa. Bruce cerca
disperatamente di ricordarsi che si fidano di lui, che la dottoressa
Foster crede che lui riuscirà a fare ciò che deve
in tempo per salvare Thor e senza alcuna complicazione. Cerca di
ricordarsi quello che gli ha detto la Romanoff, che non hanno bisogno
di un'arma ma di un cervello, il suo cervello... si aggrappa a quel
pensiero con quanta più forza che può. La nuvola
verde si dirada almeno un po' e lui cerca di concentrarsi sul semplice
compito i mettere un piede avanti all'altro.
All'interno della valigetta, lo smagnetizzatore tintinna appena,
urtando piano le pareti rigide del contenitore.
L'agente Romanoff tira fuori un palmare con il gps, alla ricerca di un
buon posto dove sistemarsi. Indica una piazzetta al centro del
quartiere accanto alla quale c'è un vicolo con una palazzina
che il dispositivo segnala come disabitata.
Un crocchio di bambini urlati taglia loro la strada, correndo verso uno
scuolabus giallo. Fanno un casino infernale... Bruce ha un sussulto.
Coraggio... non
è peggio di Calcutta...
La palazzina disabitata in realtà è chiusa dai
sigilli dei vigili del fuoco, porta i segni di un incendio recente, con
grosse sbavature nere che fanno da cornice alle finestre prive di
vetri. Probabilmente è inagibile e almeno sono sicuri che
nessuno verrà a ficcare il naso lì dentro.
Steve tira una spallata a una porta secondaria, questa geme sui cardini
e si spalanca. Entrano rapidamente. Rogers e Barton risistemano la
porta al proprio posto.
Dentro l'aria odore di cenere e marciume, infissi bruciati penzolano
dalla tromba delle scale.
Bruce starnutisce, poi apre la valigetta e appoggia lo smagnetizzatore
su un muretto con l'intonaco annerito. Quella semisfera di metallo
sembra un grande occhio che lo fissa.
No, decisamente non è la stessa cosa senza Tony Stark. Lui
lo avrebbe fatto funzionare meglio, più velocemente e non si
sarebbe lasciato suggestionare da un pezzo di ferraglia.
Bruce si stropiccia il viso, poi tira fuori un scatola di cacciavite
dalle punte sottilissime.
«È una buona posizione» dice, come per
rispondere alle domande mute della Romanoff ferma di fronte a lui.
«È centrale e una volta stabilita la giusta
regolazione possiamo essere certi che funzionerà».
Barton guarda verso l'alto, osservando la tromba delle scale salire e
perdersi nella penombra. «La palazzina è bella
alta, posso stare di vedetta sul tetto e scoprire se riesco a vedere
arrivare Thor».
Gli altri annuiscono. Bruce accende i suoi giocattoli.
Dopo qualche minuto si mettono in comunicazione con la base volante,
aggiornano Fury e Stark sulla loro situazione. Tony non vede l'ora di
dare una mano, Bruce fa un mezzo sorriso e scambia un'occhiata con
Steve.
«Penso di farcela Stark» sta per dire. E vorrebbe
aggiungere che ha comunque bisogno che lui lo guidi da lì...
non ne ha davvero bisogno, ha ripassato gli schemi di funzionamento
dello smagnetizzatore fino allo sfinimento, ma Stark potrebbe morire
per la smania e l'inattività, quindi tanto vale dargli
qualche soddisfazione.
All'improvviso, mentre stanno parlando, una raffica di vento produce un
ululato acuto che sembra far vibrare l'intera di città. Una
folata d'aria gelida entra da tutte le aperture prive di infissi e
l'aria diventa fredda all'improvviso, in modo innaturale.
Il vento fa cadere verso l'interno la cornice di una finestra
già mezza staccata dal davanzale, il legno cade e va a
infrangersi ai piedi della Romanoff. Natasha si lascia scappare di mano
la trasmittente.
Fury chiede che sta succedendo, gli dicono che è stata solo
una raffica di vento e sentono la voce della dottoressa Foster urlare
qualcosa.
Bruce sta per dire qualcosa a Stark, ma ora la voce di Jane Foster
è più chiara e sta decisamente chiedendo in tono
disperato se si è trattato di vento freddo.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si
prenderà il raffreddore...» dice Tony con la sua
consueta ironia.
«Jane, che succede?» domanda invece la signorina
Potts.
A Bruce cade di mano il cacciavite. Non ha bisogno di aspettare alcuna
risposta perché ora ricorda... ha già sentito
quel vento e quel freddo improvviso e innaturale il giorno in cui Loki
si materializzò all'improvviso nel bosco mentre Stark e
Steve stavano provando ad allenare Nadia.
Ed è proprio Nadia a rispondere.
Il gelo non si è ancora dissolto del tutto e ora anche le
loro espressioni si sono congelate.
«Mi state dicendo che nessuno lo ha tenuto
d'occhio?» tuona Fury.
Come se servisse tenerlo d'occhio! Nemmeno la gabbia di vetro
è riuscito a fermarlo, e quella gabbia era stata progettata
per Hulk.
Ad ogni modo, dio dell'inganno è una variabile che ancora
una volta hanno fatto l'errore di non considerare.
«Pensate che stia venendo ad uccidere Thor o a sabotare il
nostro piano?» domanda Steve, passandosi nervosamente una
mano tra i capelli.
«No. Lui non... non lo farebbe, non dopo averlo spronato a
combattere» dice Nadia con la voce alterata dall'agitazione.
«Loki non lascerebbe che tra lui e Thor finisse
così, per l'intervento esterno di un criminale spaziale
qualunque...»
«E allora dov'è? Non mi dirai che è
venuto qui per salvarlo» sbotta l'agente Barton.
Bruce chiude gli occhi, serrando violentemente le palpebre. Sa che
quella conversazione non può distrarlo, che deve regolare lo
smagnetizzatore, che...
Fury sta dando ordine di cercarlo con lo stesso sistema con cui lo
rintracciarono a Stoccarda. Pensano che sia ancora nei paraggi per le
solite ragioni: se lascia la Terra, Asgard lo catturerebbe, se cercasse
di sfuggire ad Asgard fuggendo più lontano, sarebbe invece
Thanos ad acciuffarlo. Non restano altre opzioni possibili: Loki non ha
altri affari né altri posti dove andare, Loki sta andando
lì.
«D'accordo. Tieni spento lo smagnetizzatore per qualche altro
minuto, Bruce, sto arrivando...». È Stark.
«No!» esclama Steve. «Resta dove sei
Stark, qui ci saresti di intralcio, inoltre se ti vedessero tutto il
piano andrebbe in malora»
«Non sono così idiota da farmi scoprire,
Capitano».
«Tony...». È la voce della signorina
Potts.
«Possiamo occuparcene noi» insiste la Romanoff.
Nella sua testa Bruce sente solo un accavallarsi di voci e di immagini
poco serene. La cortina di verde davanti ai suoi occhi si fa
più spessa, che li tenga chiusi o aperti non fa alcuna
differenza, non importa quanto lunghi siano i suoi respiri...
Ora sente anche il sudore coprirgli la schiena, appiccicargli la stoffa
della camicia alla pelle.
Ora sente svanire tutte le parole e le rassicurazioni e i moniti
ricevuti fino a quel momento.
«Fermi tutti». La voce di Fury. «Lo hanno
trovato, Loki. Lo hanno cercato con lo stesso sistema con cui lo
localizzammo a Stoccarda, solo che questa volta sapevamo dove cercare
ed è bastato un clik. È lì. Thor non
è ancora arrivato da Hope, Stark potrebbe arrivare in tempo
per fermarlo, e ripartire prima che voi attiviate lo
smagnetizzatore»
«No, non può» ribatte Steve.
«Sì, posso!» replica Tony.
«Loki non sta andando a uccidere Thor!» strilla
Nadia.
«Come diamine fai a dirlo? Ci ha già provato e lo
ha già tradito una volta, come ha tradito te»
sbotta Stark. La sua voce suona come non l'avevano mai sentita prima,
con una freddezza da gelare le orecchie.
«Non dico che Loki non voglia distruggere Thor, dico solo che
non lo farà, non adesso, non in questo modo...»
«Nadia, basta». Ancora Stark; stavolta la sua voce
è proprio di metallo, come la sua armatura, dura e fredda
come il ferro. «Non ascolterò una parola di
più da te che perseveri in questa follia del trovare sempre
una ragione per fidarti di Loki o per giustificarlo o per fare finta
che non sia il mostro che è! Ho sopportato questo delirio a
tutto quello che ne è seguito anche troppo, ho cercato di
proteggerti da questa pazzia e non me lo hai lasciato fare
perché per qualche assurda ragione lui era così
fottutamente importante e non so che altro... bene, adesso non posso
più fingere che mi importi. Adesso ci sono delle
priorità e non riguardano né te né
l'improbabile e inutile redenzione di Loki».
Il monologo di Stark apre una voragine di silenzio attonito.
Bruce vorrebbe avere uno scampolo di lucidità in
più per capire bene quello che è appena successo,
analizzare quel fiume di parole denso di frustrazione che il loro amico
ha riversato addosso alla ragazza. Parole che tutti loro, in qualche
misura condividono, ma che forse nella testa di Tony erano pensieri
gonfi come mongolfiere, enormi palloni di rabbia, delusione,
incredulità e Dio solo sa cos'altro, e che ora sono esplosi.
Ma tutta la lucidità che gli resta è appena
sufficiente a cercare un appiglio per non lasciarsi affogare da quella
nebbia verde sempre più fitta, per non lasciarsi sopraffare
dal buio che porta con sé.
Si appoggia al muretto, completamente sfiancato dallo sforzo di
resistere all'Altro che chiede a gran voce di uscire, che tenta di
forzare le pareti della prigione nella quale Bruce riesce a stento a
contenerlo.
«Tutto bene?». Steve gli posa una mano sulla
spalla, lui annuisce con un sospiro penoso.
«Immagino che devo lasciar stare quell'affare» dice
dopo qualche secondo. «Stark sarà già
in volo...».
«Quindi... se Loki è qui e Stark si è
fiondato al suo inseguimento, noi non potremo attivare lo
smagnetizzatore, Hope ha ancora le armi» Clint Barton segue
il filo del ragionamento, gesticolando con la punta dell'indice a
mezz'aria. «O muore Thor, o moriamo noi e tutta la gente del
quartiere. Figo, era proprio quello di cui avevo voglia oggi, un bel
decesso drammatico».
«Però c'è una cosa a cui nessuno ha
pensato» interviene Natasha. «Se il quartiere salta
in aria, salta in aria anche Loki».
Segue un minuto di silenzio scioccato.
«Voi pensate davvero che Loki non sia venuto qui per far
danni stavolta, ma per aiutare?» domanda Steve.
Nessuno prova nemmeno ad azzardare un'ipotesi.
______________________________________________________________________________
Note:
Capitolo oscenamente lungo, ma come per il famigerato capitolo 18, non
aveva molto senso spezzarlo.
In questo capitolo ho tentato di ridare voce a personaggi che per forza
di cose ho dovuto mettere da parte negli ultimi capitoli. Soprattutto a
Thor, che è quello che per molto tempo è rimasto
più in ombra degli altri.
In quanto a Bruce... mi piaceva l'idea che per una volta dovesse fare
qualcosa di “eroico” non trasformandosi in Hulk, ma
come persona normale e quindi dovendo più che mai combattere
contro l'Altro.
Il finale, Tony che dice quello che dice a Nadia, mi ha uccisa...
scriverlo mi ha fatto scappare il cuore dal petto – Odino sa
se la fanciulla non se le meritava quelle parole, ma io sto per entrare
in analisi, praticamente. No mi riprenderò mai
più...
Segnalazioncina
spammosa personale: dopo svariati mesi ho aggiornato Una
goccia di splendore, nella sezione su Thor, perché
i miei sproloqui su Loki non possono fermarsi a una singola fanfiction.
Così, tanto per farvelo sapere :P
As usually, per domande sulla fanfiction, curiosità in
generale and so on...
HERE
Intanto, genteh! Voi che continuate ad aggiungere questa storia e il
suo prequel nei preferiti/seguiti/ricordati anche dopo una
così lunga "stagionatura". Amovi tutti. **
A venerdì ^^
|
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Capitolo 27 *** Endgame - part three ***
Capitolo ventiseiesimo
Endgame – part
three
Luci, nient'altro che luci.
L'interfaccia robotica gli getta davanti agli occhi una sequela di
informazioni, immagini schematiche, coordinate che cambiano e vengono
ricalcolate rapidamente, ma Tony non riesce a leggerle.
Il grigio della città sfila in un'unica massa informe sotto
di lui. La voce di Jarvis dice qualcosa, fa una domanda, ma lui non
sente, non sente niente, lascia scorrere le luci davanti agli occhi e
l'aria tutt'attorno.
Ha detto a Pepper che sarebbe andato tutto bene, ha cercato di
riportare la calma nel suo sguardo annebbiato dall'ansia con un sorriso
che deve esserle sembrato troppo retorico per suonare sincero. Eppure
non stava mentendo, non è lui ad essere in pericolo... o no?
Sembra un brutto
elettrocardiogramma visto da qui, pensa mentre il ponte di
Brooklyn compare in lontananza a rigare il cielo. Elettrocardiogramma...
già.
Tony vira, eseguendo un mezzo giro attorno a uno degli imponenti
pilastri. Forse di sotto si è fermato il traffico e la gente
si è sporta dai finestrini delle auto per guardarlo volare
via, verso la città, chiedendosi quale altro brutto guaio i
loro eroi risolveranno quel giorno.
Vorrebbe che fosse tutto così semplice e lineare.
Ora le luci all'interno della maschera disegnano i profili dei palazzi
in mezzo ai quali sta sfrecciando. Si sforza di prestare attenzione:
sarebbe imperdonabile finire contro un edificio del centro come un
moscerino sul muso di un camion. E a Pepper verrebbe un colpo...
Chissà se anche lei adesso se ne sta attaccata al vetro
della sala comandi del macchinone volante di Fury a guardare il cielo
in attesa del suo ritorno.
Devono assolutamente prendersi una vacanza, appena finisce questa
storia. La loro ultima vacanza, quella a Venezia, non è
stata molto riposante.
Ripensa a Venezia e nella sua mente si apre uno squarcio, il viso di
Nadia fa capolino attraverso due lembi sbrindellati di ricordi
differenti. Nadia che si fa accoltellare per salvare Pepper, sangue
scuro che scivola tra le dita esangui appoggiate sulla ferita; Nadia
che si fionda tra le braccia di Loki appena lui ricompare in mezzo al
bosco, come se nei due mesi in cui loro hanno tentato di salvarla, lei
non avesse fatto altro che aspettare il suo ritorno.
La ragazza non si meritava quella sfuriata, o forse sì...
sicuramente non in quel momento, non in quel modo e non con quelle
parole. Sicuramente nessuno può fargliene una colpa se
è innamorata del dio bastardo – e questo Tony lo
ha sempre saputo, da quando l'ha portata a casa sua, da Venezia, da
sempre. Lo ha saputo anche prima che lei stessa se ne rendesse conto. E
forse Steve Rogers ha sempre avuto ragione, dopotutto, forse in parte
c'entra anche la gelosia, perché tra sé e
sé a Tony è sempre sembrato inconciliabile il
fatto che lei potesse amare Loki e allo stesso tempo amare tutti loro.
O forse, semplicemente, aveva paura di cosa avrebbe scelto Nadia.
«Siamo vicini alla destinazione, signore» annuncia
Jarvis.
Tony vira e vola basso dietro un grande edificio, forse una scuola.
Atterra su un tetto lì vicino.
Alla fine poi la ragazza ha scelto. Ha scelto bene. Per questo non si
meritava quella sfuriata, per questo sarebbe stato molto più
giusto gridarle contro al momento opportuno, invece che pensare sempre
e solo a proteggerla. Al momento opportuno, Nadia avrebbe potuto
capirlo, avrebbe potuto non esserne ferita. E adesso, cosa ha ottenuto?
La soddisfazione di sfogarsi per tutta la frustrazione accumulata. Un
risultato misero, inutile e anche un po' meschino.
Tony salta giù dal tetto, atterrando in un cortile dove
affacciano le porte delle cucine di alcuni ristoranti; un gatto
randagio annusa speranzoso una scatola di latta rotolata giù
da un bidone e non presta la minima attenzione al tizio fasciato di oro
e titanio che scintilla in mezzo al cortile.
Ci sarà tempo per parlare con Nadia, quando sarà
tornato da quella missione. Ci sarà tempo per rimettere le
cose a posto. Tutte le
cose a posto.
«Jarvis, avvia la comunicazione con l'agente
Romanoff»
«Sì, signore».
Dalla base volante dello S.H.I.E.L.D. gli stanno mandando le coordinate
per trovare Loki. Tony sa che deve fare tutto molto in fretta.
E una volta che lo avrà trovato?
Gli sembra di sentirle la voce del dio, vede quel suo sorriso affilato
e indisponente in una macchia sul muro, come se lo stesse osservando da
ogni angolo della città.
Una volta che mi avrai
trovato, cosa farai, uomo di metallo? La voce di Loki
sembra vibrare nel vento freddo che si è lasciato nella sua
scia. Quanto a fondo
pensi di spingerti? Mi odi più di quanto io odio voi tutti?
Certo che lo odia! Lo ha scaraventato giù da una torre per
farlo fuori, ha ucciso Phil, ha ucciso decine di innocenti, ha messo a
ferro e fuoco la sua città...
«Stark?»Stark?
«Agente Romanoff. Dillo che ti stavi struggendo al pensiero
di avermi lontano!».
Il sospiro teso di Natasha è un fruscio negli auricolari.
«Stark! Lo so che ti è difficile crederlo, ma ti
assicuro che non abbiamo bisogno di te». È Rogers,
sta letteralmente ringhiando.
«Ci eri più comodo sul bestione volante ad aiutare
Banner a programmare quell'aggeggio» si aggiunge Barton.
«Il dottore se la caverà egregiamente senza di me.
Ma serve qualcuno che pari il divin deretano di Raperonzolo, e nessuno
di voi può farlo abbastanza in fretta quanto me».
«Non so se un infarto riuscirebbe a uccidermi,
Tony» interloquisce Bruce, sembra provato. «Ma se
sopravvivo, te la vedrai con l'Altro».
«Benissimo. Ora che abbiamo detto una battuta ciascuno come
alla recita delle elementari, posso andare a cercare Bambi o deve
venire una maestra a prendermi a bacchettate sulle nocche?»
«L'obiettivo è a due isolati di distanza,
signore» annuncia Jarvis.
Dall'altra parte si fa silenzio, forse i suoi compagni di sfighe
assortite hanno deciso che hanno di meglio da fare che sgridarlo
perché si è imbucato alla festa.
Dopo qualche secondo però sente un rumore ovattato dal
canale aperto di comunicazione. E sente la voce di Rogers, bassa, come
se si fosse allontanato e si sia messo a parlare con lui in modo che
gli altri non possano sentirlo.
«Lo odi così tanto?» gli chiede.
«Magari oggi lo scopriremo, Capitano» risponde,
fingendo un tono leggero. «Passo e chiudo».
Tony sospira, tentare di quantificare il suo odio per Loki è
inutile e riportare alla mente tutte le nefandezze che quel mostro ha
compiuto non basta a dare una risposta alle sue domande. Quanto a fondo
può spingersi? Non lo sa, ma sa che più di una
volta si è immaginato torreggiare su Loki mentre i suoi
occhi di ghiaccio si spegnevano, e ogni volta si è ritrovato
a chiedersi se questo non fa anche di lui un mostro alla stessa stregua
del dio degli inganni.
Parte di nuovo in volo.
Loki è nascosto nel cono d'ombra di un edificio di mattoni
rossi, in un piazzale di asfalto chiuso da una fitta cancellata.
Tony riconosce la costruzione, è la sede di una banca. E per
fortuna a quell'ora è chiusa.
Sul tetto dell'edificio si scorge il profilo di una costruzione bianca,
forse una specie di serra.
Se è lì che Hope e i suoi hanno organizzato
l'incontro, è probabile che anche le armi siano
lì. Non le avrebbero lasciate incustodite e, per quanto Thor
possa essere arrendevole, di certo i suoi nemici sanno che ci vuole un
bel po' di lavoro per un uccidere un super dio, super eroe, super
principe, super tutto il resto.
È assai probabile quindi che nemici e armi siano tutti
concentrati lì. Non cambia molto, in termini di
pericolosità o di prospettive di vittoria, ma è
già qualcosa.
Tony ha dovuto usare tutta la cautela possibile per avvicinarsi,
volando basso, tra un tetto, un cortile e piccole stradine chiuse e
deserte.
Quando atterra di fronte a Loki, lui lo guarda con aria annoiata.
Tony fa scattare verso l'alto la visiera dell'armatura: vuole guardarlo
faccia a faccia, da essere umano a dio e imprimergli nella mente una
volta per tutte l'idea che gli esseri umani non hanno proprio niente da
invidiare a individui come lui.
C'è senz'altro qualcosa di attraente in quel tizio, persino
qualcosa di bello in quel suo viso dai tratti sottili e regolari, nella
sua figura elegante, alta e slanciata; ma se anche Tony non lo
conoscesse per il terribile pericolo che Loki è, anche senza
tutti gli avventurosi trascorsi, lo troverebbe comunque sgradevole,
quel tipo di individuo che ti fa sentire minacciato, quel tipo di
persona che se la incontri per caso in strada finisci a guardarla di
sottecchi chiedendoti se gli batta un cuore in petto o se non sia viva
per qualche strano scherzo della natura.
Quel tipo di persona assolutamente impossibile da amare.
«Cosa diavolo hai fatto a quella ragazza?» chiede,
sinceramente curioso. Domanda assolutamente poco pertinente, ma gli
è scappata di bocca senza che riuscisse a trattenersi.
Per un attimo passano nubi cupe nello sguardo del dio, riflessi di
chissà quali contorti e malsani sentimenti, ma il mezzo
sorriso con il quale tenta di nasconderli cancella ogni speranza di
trovare anche solo un briciolo di umanità in lui.
«Te lo direi, ma detesto essere triviale» ghigna.
Tony ha l'impulso di lanciarsi contro di lui, come è
già successo, ma servirebbe a poco.
Con un gesto lentissimo, apre le dita della mano; l'energia converge
nel propulsore anteriore.
«Il tuo grugno da guerriero solitario si ammorbidirebbe se ti
dicessi che nessuno morirà oggi?» sospira Loki,
ostentando un'aria di paziente sopportazione, come se lui fosse un
bambino molesto che chiede con insistenza un altro giro di giostra.
«Quindi tu sei venuto a salvare il tuo amato fratello? E io
dovrei berla?»
«Non è mio fratello» si affretta a
precisare il dio. «Ma devo essere io a sconfiggerlo, non quei
pezzenti»
«Molto romantico... è un'usanza del tuo popolo
dagli strani vestiti?».
Loki annuisce, sembra persino un po' sorpreso che lui abbia centrato il
punto. Tony vorrebbe dirgli che deve smetterla di sottovalutare la sua
intelligenza, che se facessero la conta dei risultati ottenuti quelli
di Loki avrebbero a che fare con qualche calcinaccio di grattacielo e
una serie di cadute da un angolo di galassia all'altro, lui invece
è... un
genio, miliardario, playboy, filantropo.
«Se vuoi una corona, devi far saltare la testa che
è destinata a indossarla» dice Bambi, a mo' di
spiegazione. «Ma come ho già detto, devo essere io
e non sarà oggi».
«E perché? Potresti approfittare del fatto che il
figlio venuto bene è tenuto sotto tiro da Hope e compagni,
intervenire e farlo fuori...»
«E dopo chi mi aiuterà a distruggere i profughi di
Nornheim?».
Tony ammutolisce. Loki ha il potere di confonderlo malgrado la sua
brillante intelligenza, di questo bisogna dargliene atto, e lui ha
bisogno di tirare un istante le somme.
Bambi non vuole uccidere Thor perché vuole fargliela pagare
ai tizi di Nornocoso
e il fratellone la sa lunga in fatto di pestaggi? E perché?
Non ha senso, Loki stesso era pronto a stringere un accordo con Hope e
offrirsi di aiutarlo a far fuori Thor e magari anche tutti gli altri
Avengers.
È forse preoccupato che quei loschi figuri possano essere
ancora un pericolo per Nadia?
«Nessuno morirà oggi» ripete Loki,
semplicemente, come se fosse la soluzione ovvia di un problema
lungamente sviscerato ed analizzato.
Tony sente l'energia come un pulsare caldo tra il metallo dell'armatura
e il palmo della sua mano.
«Non. Ti. Credo.» dice.
Alza il braccio contro Loki, con uno scatto fulmineo. La visiera si
chiude davanti a lui. È solo un istante.
Il dio finisce sbalzato per aria e ricade violentemente contro
l'asfalto, strisciando per almeno due metri in una nuvola di polvere.
Tony guarda truce la polvere dissolversi attorno alla sagoma ammantata
di verde. Sa che ci vuole ben altro per farlo fuori... anzi, non sa
cosa ci vuole per farlo fuori.
Mentre guarda Loki rannicchiato a terra, capisce che c'è un
limite oltre il quale non può spingersi, per Nadia e per
Thor. E per se stesso.
Qualsiasi pensiero violento Loki gli abbia indotto, qualsiasi idea di
vendetta gli abbia mai fatto venire, qualsiasi paura gli abbia
instillato, Tony si rende conto che la differenza tra quelli come lui e
quelli come il dio degli inganni sta semplicemente nel fare una scelta:
premere o meno il grilletto; affondare o no la lama. Ed è
una scelta che Tony Stark, ex fabbricante di armi, ha fatto
già molto tempo fa.
Loki punta i palmi delle mani a terra. Volta la testa come un animale
in gabbia e realizza con un certo evidente sgomento di essere lui
praticamente in ginocchio ai piedi del nemico.
Per Tony è una bella sensazione, in effetti. Lo guarda e...
Ehi, un momento.
Nel trambusto generale che è seguito la sua sparizione
dall'Elivelivolo, nessuno si è chiesto come diamine il
cerbiatto sia riuscito a lasciare indisturbato una base volante e
spuntare nel bel mezzo di New York.
Sulla fronte di Loki si è aperto un taglio profondo che sta
cominciando a sanguinare. Su quella pelle bianchissima il sangue sembra
essere nero come l'inchiostro, pece e veleno che cola sul ghiaccio.
La furia negli occhi del dio è spaventosa. La stessa furia
di quando gli chiuse le dita attorno al collo e lo spinse
giù nel vuoto, la stessa furia che grida morte.
«Lunghe settimane qui. Così tanto tempo speso con
Nadia...» sibila Loki. Il sorriso ferino che gli affiora
sulle labbra si mischia con una smorfia di dolore ed
è quasi grottesco. «Quanta energia credi che io
abbia raccolto dalla pietra? Abbastanza per ridurti in
polvere?».
Tony pensa mille cose, tutte concentrate in un unico istante. Pensa
alle difese da attuare. I missili sibilano sollevandosi dalla placca
dell'avambraccio, ma non fanno in tempo a partire.
Loki si alza, muove la mano come se stesse mimando lo sbocciare di un
fiore.
E Tony non sa se è un'illusione ottica, se è il
panico o se sta succedendo davvero, ma gli sembra che l'aria tra la
mano di Loki e i suoi occhi si accartocci e deformi ogni cosa.
È solo un battito di ciglia, non può dirlo con
certezza.
Sente qualcosa di caldo che lo invade e lo solleva. Sente il calore far
diventare incandescente il metallo fino a quando i pezzi dell'armatura
non si sfaldano e schizzano via, staccandosi dal suo corpo.
Lo sente, ma non vede niente. Vede solo la massa di colori indistinti,
quell'aria venefica che fa sciogliere l'immagine come un fuoco che
brucia una tela.
Poi non vede e non sente più niente.
*
Thor arriva a destinazione. Si guarda in giro, stringe le dita attorno
all'impugnatura del martello e dà un colpo secco.
Il tuono quasi scuote la città. Spera che i suoi compagni lo
abbiano udito.
Sul tetto dell'edificio c'è una costruzione di una strana
tela lattiginosa. Il dio del tuono vede figure indistinte muoversi al
di là dei pannelli opachi, poi le porte si aprono e compare
un uomo, lo stesso che ha sentito parlare nel filmato.
C'è odio nei suoi occhi. Thor non sa perché, ma
ne ha quasi pietà.
«Il principe di Asgard» dice l'uomo, avvicinandosi.
I suoi compagni e Nadia lo chiamano Hope.
Dentro la costruzione bianca, Thor vede decine di altre persone. Se
tutto va come sperato, entro sera saranno tutte a marcire nelle
prigioni di Asgard, o in quelle che il comandante Fury
riterrà di dover assegnare loro.
Se le cose non dovessero andare come sperato... i suoi compagni avranno
un'altra occasione di usare il marchingegno ideato da Stark per mettere
fuori uso le armi.
Se le cose non dovessero andare come sperato...
Thor non ha mai pensato alla sua morte, anche durante le mille e mille
battaglie combattute, non ha mai creduto di poter essere sconfitto, non
ha mai pensato che la sua vita potesse aver fine in modo violento, per
mano di un nemico. Per molto tempo non ha mai nemmeno davvero pensato
di avere dei nemici, gli sembrava che quelli affrontati sul campo di
battaglia fossero più simili a cuccioli da divertirsi a
domare.
Stolto e arrogante che non era altro. Forse non può
biasimare il vecchio principe di Nornheim per il suo odio e la sua
voglia di vendetta. Ma quella guerra era una guerra per porre fine al
dispotismo di un re tiranno e inadeguato, non ha mai davvero voluto far
del male al ragazzo che quel principe era...
Il dio del tuono lascia cadere il martello, alza le mani in un gesto di
resa.
«Ti chiedo perdono per il dolore che ti ho arrecato. Ero un
giovane che capiva troppo poco» dice, umile e sincero.
Hope e i suoi seguaci vanno fermati ad ogni costo e meritano di pagare
per il pericolo a cui hanno esposto la Terra, e per il rapimento di
Jane e di Nadia e di lady Pepper. Ma ciò non toglie che lui
sia profondamente rammaricato per essere stato la miccia che ha acceso
la fiamma che ha portato a quell'orribile situazione.
«Il tuo pentimento non ti salverà, figlio di
Odino» dice l'uomo.
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ma mentre raggiungeva la
città ha chiuso gli occhi per difendersi dal vento e le ha
viste, tre volti in mezzo al nero: le Norne, coloro che conoscono il
destino che nemmeno gli dei possono cambiare. Coloro che sanno e che a
volte lanciano avvertimenti, mettono in guardia, sussurrano brevi aliti
di futuro alle orecchie dei mortali.
Qualcuno
morirà, oggi. Thor lo sa, lo sente dentro, nel
suo cuore temprato dall'immenso scorrere del tempo che ha vissuto.
«Non cerco la tua clemenza» asserisce, con calma.
«Ma voglio che tu sappia...»
«Silenzio!».
Il dio del tuono serra le labbra. L'uomo che si fa chiamare Hope lo
guarda con una rabbia gelida.
Thor guarda il cielo con la coda dell'occhio. I suoi compagni gli
avevano detto di aspettare il loro segnale per dirgli che la macchina
di Stark aveva compiuto il suo lavoro e fargli sapere che era fuori
pericolo e che la gente del quartiere era salva.
Non arriva nessun segnale e Thor si accorge di non provare alcuna
paura. Come quando camminò deciso incontro al Distruttore
che Loki aveva mandato per ucciderlo. Solo che pensa che se proprio la
sua morte deve servire a placare un cuore, avrebbe preferito che fosse
quello di suo fratello.
«Non ci sono discorsi da fare, figlio di Odino»
aggiunge l'uomo. Pronuncia le parole a fatica, con un certo disgusto.
«Non starò qui a fare elucubrazioni e perdere
tempo in discorsi di addio. Non è una favola a cui trovare
una morale, questo è solo il giorno della tua fine e della
tua stirpe sul trono di Asgard».
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ora però si rende
conto che avrebbe preferito morire combattendo. Pensa alle molte vite
che sta salvando, alle centinaia di persone che abitano in quella zona
della grande città.
Dai suoi compagni non arriva nessun segnale. E ora il dio del tuono
sente montare una rabbia sorda, non verso i Vendicatori, verso il
destino.
Pensa a Jane. La ama, la amerà in qualsiasi luogo ci sia ad
attenderlo dopo la fine, ma non sopporta l'idea del dolore che lei
dovrà sostenere. Né quello di chiunque provi
affetto per lui.
Pensa che vorrebbe almeno provare a difendersi, anche se è
solo e loro sono in molti, ma non può rischiare che un suo
gesto li metta in allarme e li costringa ad attivare le armi.
Hope allunga una mano, uno dei suoi sottoposti gli passa qualcosa di
affusolato. La parte anteriore di un oggetto che ha la stessa identica
forma della lancia di Odino.
Dev'essere quello di cui gli ha parlato Nadia, quello che lei ha
spezzato quando l'hanno obbligata a provare ad usare l'energia sul
metallo alieno.
L'uomo solleva la lancia spezzata contro il suo petto. Il dio vede
sottili strisce di luce bianca cominciare ad agitarsi sulla superficie
scura di quello strano materiale ferroso.
Le strisce diventano sempre più spesse, sfrigolano con un
sommesso respiro elettrico.
Dai suoi compagni nessun segnale. Non ce l'hanno fatta. Se potesse
parlargli, gli direbbe di non sentirsi in colpa.
Thor non ha mai pensato alla sua morte e ora che la morte sta per
arrivare i suoi pensieri sono un unico groviglio confuso che ha la
dimensione del nulla.
*
Stark è a terra, seduto appoggiato al muro; apre gli occhi a
fatica e solleva il capo ciondolante per lanciare verso Loki uno
sguardo traboccante di odio.
Solo odio, nemmeno la più piccola traccia di paura. Sarebbe
bello sentirlo implorare per avere salva la vita, ma è una
soddisfazione che il dio dell'inganno ora sa di non poter ottenere. Non
gli resta che finirlo, e poi andare a fermare la follia che lo aspetta
lì di sopra all'arrivo di Thor. E poi lasciare una volta per
tutte quel dannato piccolo mondo e cercarsi un posto sicuro dove
prepararsi per un'altra battaglia.
Si piega sulle gambe e resta lì per qualche istante, con le
braccia a penzoloni dalle ginocchia a scrutare la faccia tumefatta di
Stark.
Ucciderlo è così facile che quasi non gli
dà soddisfazione, eppure dovrebbe essere contento, la morte
di quell'uomo lo porterebbe di un passo più vicino alla
vendetta. Malgrado ciò, Loki esita.
«Su, Bambi, che aspetti» lo sfida Stark con voce
strascicata.
Se è vero quello che hanno detto sulla sua diavoleria per
mettere fuori uso le armi di Nornheim, allora morirà
comunque, non c'è bisogno che lui si sporchi le mani.
Da quando in qua
sporcarsi le mani è divenuta una preoccupazione?
La voce. Loki strizza gli occhi, agita la testa. Non si tratta di
Stark, dannazione...
Il dio dell'inganno prende un profondo respiro. Ha già
vinto, e questo lo sa, ha dimostrato al grande Tony Stark che non
è invincibile, che non conta quanti trucchi nasconda, lui
è comunque più forte. Ucciderlo o meno non
farebbe alcuna differenza.
Da quando in qua perdi
così tanto tempo a pensare a cose del genere?
Non sta pensando di risparmiarlo per puro cuore: lui non ha un cuore,
se lo è strappato via quella sera, nei sotterranei del
palazzo di Asgard, quando Odino è stato costretto a dirgli
la verità sulle sue origini, quando in un unico doloroso
istante tutti i tasselli di quel tremendo mosaico sono andati al loro
posto e lui ha capito che era già condannato. Che era nato
con il peso della condanna nel sangue, scritto sulla pelle.
Non sta pensando di risparmiarlo per bontà, ma per
umiliarlo. E anche per un'altra ragione. Quella a cui si rifiuta di
dare un nome, quella che gli ha fatto pesare l'assenza del suo stesso
cuore.
Afferra Stark per un lembo della maglia che indossa sotto quel che
resta dell'armatura, lo solleva di peso e lo rimette in piedi,
gettandolo con malagrazia contro il muro.
L'uomo di metallo lo guarda stupito.
«Su di te ho già vinto, Stark» gli dice
Loki con un sorriso crudele. «Ora sai che non sarai mai
più al sicuro, che un giorno tornerò e non
sarò nuovamente tanto generoso. Ma come ti ho detto, nessuno
morirà oggi»
«Un giorno tornerai e io non mi farò cogliere di
sorpresa con tanta leggerezza, lurido verme». Per quanto
voglia darsi un'aria battagliera, il caro piccolo umano è
più prossimo a perdere i sensi di quanto creda e Loki sa che
deve sbrigarsi. Deve sistemare quella questione perché Thor
potrebbe arrivare da un momento all'altro.
«Saltiamo la parte degli insulti e veniamo al
dunque» dice. «La ragazza, Stark»
«Cosa? Che c'entra lei? Pensavo che fosse fuori pericolo
adesso...»
«Lo è. Ne sa abbastanza da poter convivere con la
pietra senza che l'energia la uccida. Ma se tieni al suo bene, appena
tutto questo sarà finito, mettila su un aereo e rimandala a
casa. Tienila lontana da voi, e tieni Fury e lo S.H.I.E.L.D. lontani da
lei».
Stark aggrotta le sopracciglia e deve costargli uno sforzo immane a
giudicare da come è ridotta la sua faccia. Impiega qualche
secondo, poi sembra afferrare. Annuisce e impasta la bocca come per
dire qualcosa, ma Loki gli ha già voltato le spalle e ha
cominciato ad allontanarsi.
*
«Lo sapevo che sarebbe andato tutto a puttane»
mormora Clint.
Cioè, non è che lo sapeva, e nemmeno voleva
pensarlo, ma adesso sono nella merda.
Stark ha interrotto la comunicazione con loro e non riescono a
rintracciarlo, e se non rintracciano Stark non possono assicurarsi che
lui sarà fuori portata quando accenderanno lo
smagnetizzatore. Se non accendono lo smagnetizzatore rischiano di far
accoppare Thor, nella migliore delle ipotesi, nella peggiore rischiano
di far saltare in aria un intero quartiere, con scuola, centro
commerciale, macchine e tutto quanto.
La scelta è: o Stark, o Thor, o qualche centinaio di persone
innocenti.
Le persone innocenti è l'opzione più in assoluto
fuori discussione, non rientra nel canone di ''limitare i danni''. Thor
viene da un altro pianeta e sarebbe uno scandalo diplomatico
intergalattico che a confronto l'affondamento del Lusitania nella
Grande Guerra era uno scherzo di cattivo gusto. Andando per esclusione
resterebbe il rischiare di far fuori Tony Stark, ed è
ridicolo il solo pensarlo.
Che poi, a lui può sembrare ridicolo finché gli
pare, ma più passa il tempo e più la
necessità di prendere una decisione si fa impellente.
E in tutto questo: dov'è Loki?
Clint si massaggia le tempie e sospira
stizzito.
Bruce Banner è impegnato con cacciaviti e fili all'interno
dell'aggeggio. Rogers gira rotelle e pigia tasti a casaccio sulla
trasmittente, nella speranza di recuperare la comunicazione con Stark.
Nat è di sopra, ad aspettare il segnale di Thor.
«E se quando Thor dà il segnale noi ancora non
sappiamo che fine ha fatto Stark?» domanda Bruce Banner,
sfilandosi gli occhiali e pinzandosi la radice del naso.
«Lo troveremo in tempo» risponde Clint. Non ci
crede nemmeno lui, e infatti Banner gli lancia un'occhiata di
preoccupato scetticismo.
Rogers picchia contro il muro una delle trasmittenti.
«Quel... dannato... imbecille... con la... sindrome... del
Messia!». Un colpo per ogni parola.
Se Clint volesse restare fedele al suo addestramento e ai principi che
gli hanno inculcato da quando è entrato nello S.H.I.E.L.D,
dovrebbe semplicemente concludere che Stark se l'è cercata:
ha messo repentaglio l'intera operazione, non si è
attenuto al piano e se dovesse tirare le cuoia la colpa sarebbe
soltanto sua. Clint si è già lasciato alle spalle
colleghi e compagni che hanno compiuto errori simili e lo ha fatto
senza battere ciglio.
Ma non è così semplice adesso. C'è un
motivo se le regole prevedono che gli agenti non debbano occuparsi di
casi e situazioni nelle quali sono coinvolti a livello personale, e in
quella situazione sono coinvolti tutti, maggiormente Stark, e Clint lo
capisce, perché più degli altri comprende il suo
risentimento per Loki.
Il coinvolgimento personale ha già funzionato una volta, con
la morte di Coulson. Ma ora le carte in tavola sono completamente
diverse e forse Fury ha sbagliato qualche calcolo e di certo, per
quanto Stark sia testardo e prevaricatore, il buon vecchio Nick avrebbe
potuto spendere qualche energia in più per fermarlo e
impedirgli di lasciare la base volante.
Clint si alza e decide di raggiungere Natasha. Con lei il discorso
è rimasto odiosamente in sospeso da quando li hanno
interrotti quella mattina in ospedale e lui si sente un idiota: agente
super addestrato che contribuisce a salvare il pianeta, distruggere
demoni alieni, salvare ragazzine con l'attrazione per i guai, non sa
risolvere le cose con la propria donna.
Ok, Nat non è la sua donna. Ma lo è...
cioè, non potrebbe essere altrimenti.
Vaffanculo, Clint...prendersi
a parolacce da solo è un bruttissimo sintomo.
Apre la porta di metallo che immette sul terrazzo. Lei è
seduta sul cornicione e guarda tutto attorno con un binocolo. Non ce
n'è molto bisogno, il segnale di Thor si udirà
più che essere visto, ma è bene stare all'erta.
«Ho parlato con Fury. Proprio ora. Conversazione
riservata.» dice Natasha. Sa che è lui senza
bisogno di voltarsi a guardarlo.
Clint si siede accanto a lei, voltato in modo da poterla guardare. Sa
cosa significa quello che gli ha detto: Fury li ha sollevati dall'onere
di fare una scelta, ha deciso da solo e ha comunicato l'ordine. E a
loro non resta che obbedire.
«Capisco» dice Clint. «Immagino che
l'ordine sia di accendere lo smagnetizzatore, che Stark sia nei paraggi
o meno».
Natasha risponde con il silenzio. Un silenzio che vuol dire
''sì''.
È la scelta più ovvia, lui stesso ci aveva
già pensato. Solo che non sa se stavolta ha voglia di
obbedire.
«Lo farò io» dice lei.
Clint cerca qualcosa in quelle tre parole e nel suo viso impenetrabile.
Cerca il rammarico o qualcosa del genere, ma la maschera di
indifferenza di Natasha è sempre stata una delle sue
migliori armi e a volte a lui fa male non riuscire sempre ad essere in
grado di tirargliela via.
«Rogers impazzirà, e anche Banner, e se lui
impazzisce... e la signorina Potts, e Nadia...» mormora
Clint. E io non so se
te lo lascerei fare, non so se avrei il coraggio di lasciare che tu
prenda sulle spalle il peso di un simile rimorso.
Perché nel cuore della Vedova Nera c'è spazio per
il rimorso, c'è spazio per tante cose, almeno lui ha sempre
voluto crederlo.
«Nat...»
«No, ascolta, c'è una cosa che tu non sai riguardo
a Stark, a quando Fury mi mandò a tenerlo
d'occhio».
E invece lui sa tutto, perché glielo disse Coulson. Al
secolo, Clint si chiese come mai gli stesse raccontando dell'intera
operazione nei minimi dettagli, dato che lui era in Sud America e poi
fu spedito in New Mexico a fare la guardia al martello di Thor piovuto
dal cielo. C'è voluto un bel po' di tempo perché
si rendesse conto del fatto che Phil la sapeva lunga, ah se la sapeva
lunga! Nemmeno lui credeva fosse così evidente, e forse non
lo era, ma Phil Coulson aveva occhio per certe cose. Phil Coulson forse
sarebbe uscito a cercare Stark, invece di starsene lì a
discutere su chi dovesse o non dovesse premere un pulsante. Anche se
uscissero a cercare Stark, non lo troverebbero in tempo... ma uno come
Coulson ci avrebbe provato comunque.
«Cosa c'è che non so?» domanda.
Natasha comincia a parlare ma il rumore di un tuono copre le sue
parole.
Thor è arrivato. È ufficialmente in mano a una forza ostile.
Devono fare qualcosa.
Clint e Natasha si guardano per un istante, poi corrono di sotto. Al
pianterreno Bruce Banner si è allontanato dal macchinario e
lo fissa come se mordesse; Steve Rogers ha la fronte imperlata di
sudore.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere ad
aspettare che loro mandino un segnale in risposta, per dirgli che le
armi sono fuori uso, che quei dannati bastardi non hanno più
niente in mano e se vuole può pestarli come l'uva con quel
suo martello.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere e
conta su di loro.
«Abbiamo sentito il tuono. Lo smagnetizzatore è
pronto» mormora Banner, torcendosi le mani.
«Dobbiamo...» tenta di dire Clint.
«No». Rogers scuote energicamente la testa.
«Ancora qualche minuto».
«E tu pensi che entro qualche minuto avremo notizie da Tony
Stark?» domanda Natasha con fermezza.
«Ogni minuto che passa è un rischio per Thor o
peggio, per la gente del quartiere e per noi stessi» osserva
Clint. «E per quanto ne sappiamo, Stark potrebbe
già essere abbastanza lontano».
Anche questa è un'ipotesi, dopotutto. Più che
un'ipotesi è una speranza e anche molto remota. L'altra
ipotesi è che Stark abbia trovato Loki e che sia
già successo qualcosa di orribile.
«Ora ci allontaniamo tutti da quell'affare per un paio di
minuti, ok?» dice Banner, con una voce che non promette
niente di buono. Non sta minacciando, è un semplice dato di
fatto: si sta agitando. Si sta agitando molto.
Non resta che fare come dice. Clint e Natasha si scambiano uno sguardo: tu lo distrai, io premo il
bottone, sembra dirgli lei. L'uomo annuisce con un
movimento quasi impercettibile.
«Bruce...». Rogers ha sfogato la sua agitazione
prendendosela con la ricetrasmittente, adesso sembra essersi ripreso un
po' e batte amichevolmente la mano sulla spalla di Banner.
Natasha guarda nervosamente l'orologio, mima il numero sei con le mani.
Sono passati sei minuti da quando Thor ha dato il segnale.
Clint sente il tempo scorrere. Lo sente quasi come se fosse una cosa
fisica, una forza schiacciante.
«Otto minuti» dice Natasha. «Dobbiamo
accendere lo smagnetizzatore».
Si voltano verso il macchinario.
Clint non crede a quello che ha davanti agli occhi.
Stark, pezzi anneriti dell'armatura stanno appesi come per miracolo al
tessuto della tuta, sembra un albero di Natale malriuscito; il viso
è coperto di lividi e piccoli tagli. Negli occhi arrossati
brilla per un attimo una scintilla della sua consueta irriverenza.
«Sapevo che senza di me non sapevate accenderlo!»
esclama. La voce è esausta, ma il tono è quello
solito, quello che ti fa venire voglia di prenderlo a pugni.
Alza una mano escoriata verso il comando di accensione dello
smagnetizzatore. Loro quattro si tendono in avanti, istintivamente,
come per tentare di fermarlo.
Rogers aveva ragione, quell'uomo ha davvero la sindrome del Messia. E
risparmiare a tutti loro il peso della scelta di premere quel tasto
è un gesto di una generosità tale che sconfina
nella follia.
«Stark... non...» balbetta Rogers.
«Nove minuti, Capitano» risponde Tony, allargando
il suo sorriso sornione che è una virgola bianca sulla
faccia pesta e annerita.
Poi accende lo smagnetizzatore.
*
Loki ha lasciato Stark ed è salito, non visto, sulla cima
dell'edificio.
Ha atteso nascosto, immobile e silenzioso, con la pazienza dei
predatori e degli assassini. E alla fine il figlio di Odino
è arrivato.
Ha sentito il tuono scuotere l'aria e rimescolare le nuvole nel cielo
della città.
Con enorme cautela, si è spostato attorno alla serra sul
grande terrazzamento e ha assistito alla scena. Una scena dannatamente
patetica.
Thor che lascia cadere Mjolnir. Thor che si arrende e chiede perdono.
Thor che prova a parlare.
Come se le parole potessero domare l'odio. Ma del resto, cosa ne sa
lui, l'erede del Padre degli dei, dell'odio? Lui che è
cresciuto nella gloria e nella luce più fulgida!
Hope, il principe caduto di Nornheim, è un personaggio assai
più interessante. Non perde tempo in ciarle, decide subito
di arrivare al dunque.
Loki, nascosto dietro a un grosso serbatoio di metallo, lo vede
prendere la lancia spezzata che uno dei suoi uomini gli sta porgendo,
lo vede puntare l'arma al petto di Thor e vede l'energia cominciare a
spandersi dal ferro scuro.
E i Vendicatori? Gli eroi che avevano giurato e spergiurato di salvare
il loro nobile compagno mettendo fuori uso le armi dei nemici? Che fine
hanno fatto?
Il fallimento riguarda anche gli eroi, dopotutto. Loki assapora quel
pensiero con un compiacimento che è quasi gioioso.
Il dio dell'inganno infila una mano tra le pieghe della casacca e ne
estrae una piccola lama dalla forma allungata, con il manico scuro di
argento e ossidiana. Odino gli aveva fatto dono di quei pugnali molto
tempo prima, quando lui era molto giovane e la sua corporatura esile
così diversa da quella del fratello –
per non parlare del tempo speso nella biblioteca di palazzo a discapito
di quello passato ad allenarsi – lo rendeva
inadatto a impugnare armi troppo pesanti. L'ansia di eccellere in una
qualche abilità guerriera aveva convinto Loki a esercitarsi
con quelle piccole lame fino a sfiorare la perfezione. Possedeva la
mano ferma e la calma necessaria ad essere un ottimo tiratore, la sua
mira era eccellente e quei pugnali non lo avevano mai tradito in
battaglia.
Non lo tradiranno nemmeno ora, pensa.
Stringe saldamente l'estremità del piccolo pugnale, la lama
è lucida, perfettamente affilata e a forma di rombo. Si
concede qualche secondo per concentrarsi. Fa un respiro lungo e rilassa
i muscoli del braccio.
Tira.
Il coltello fende l'aria, vola come un minuscolo lampo nero, quasi
invisibile. Sfiora il braccio di Thor e va a conficcarsi al centro
esatto del petto dell'uomo.
Hope ha un singulto e sobbalza all'indietro. Per qualche istante
nessuno sembra accorgersi di quello che è accaduto, almeno
non fino a quando la vittima si china in avanti per poi cadere di
schiena perdendo la presa sulla lancia che sbatte sul pavimento nudo
con un tremendo clangore metallico.
Un mormorio esterrefatto scuote tutti i presenti. Thor si volta nella
direzione in cui ha visto arrivare la lama e sgrana gli occhi, nella
sua espressione si mischiano il panico e la sorpresa.
Loki scambia un lungo sguardo con il figlio di Odino, prima che tre
degli uomini di Hope gli siano addosso. Sente le loro mani afferrarlo e
spingerlo in avanti, vede il pavimento venire contro di lui e cade.
Succede tutto con una rapidità sconvolgente.
Sente il mulinare del Mjolnir sopra la sua testa e con un unico
movimento del braccio, Thor gli ha già tolto di dosso i
primi assalitori.
«Sei folle!» grida il dio del tuono.
Anche stavolta, nemmeno l'ombra di un ringraziamento.
«Ora distruggeranno ogni cosa, tutto questo quartiere e
persino te!»
«Se saltiamo in aria, saltano in aria anche loro! Sei tu il
folle se credi che ora che il loro capo è morto questi
sciocchi si lasceranno uccidere per la vecchia vendetta di un uomo
morto...».
Sono circondati, realizza Loki un attimo dopo.
Gli uomini di Hope potranno anche non avere alcuna voglia di morire
facendo saltare tutto in aria, ma sono armati con lame costruite con
quel dannato poderoso metallo scuro e il dio è abbastanza
certo che quel metallo possa uccidere anche un asgardiano.
Loki fa un passo all'indietro e urta contro la schiena di Thor.
«Proprio come un tempo, fratello» esclama il dio
del tuono.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?».
Thor si china, battendo il martello con quanta più forza
può contro il pavimento. Fulmini scintillanti di luce
azzurrina piovono sui loro nemici, metà di quelli che hanno
un'arma metallica in mano vengono sopraffatti dalla potenza dei lampi.
Ora ci sono meno nemici, ma il pavimento sotto di loro si sta spaccando.
«Di certo non abbiamo vinto le nostre battaglie passate
grazie alla tua intelligenza» dice Loki, mentre il pavimento
trema sotto i loro piedi e i loro assalitori si guardano attorno
preoccupati.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?». Thor gli fa il
verso. Un attimo dopo stanno precipitando di sotto.
Atterrano su un piano ingombro di armi. L'arsenale di Nornheim,
basterebbe davvero poco a liberare l'energia di tutto quel metallo e
distruggere mezza città.
Loki sente il peso di Thor sopra di sé e gli si spezza il
respiro. «Alzati, per gli inferi!».
Sono tutti frastornati per la caduta, ma i nemici non impiegano molto a
imbracciare quante più armi possono, almeno tutte quelle che
possono essere tenute in mano.
Se Thor usasse i fulmini, questi potrebbero rimbalzare su tutto quel
metallo, spandersi e ferire anche loro, se non addirittura ucciderli.
Oppure potrebbero incrementare l'energia delle armi e renderle ancora
più letali, farle esplodere come previsto.
Non hanno altra scelta che combattere. Ma sono in tremendo svantaggio,
e se anche Loki potesse metterne fuori gioco un bel po' con la magia,
resterebbero comunque in troppi, armati con strumenti sufficienti a
provocare la morte di un dio.
«Rammentami, fratello, perché sei venuto a
salvarmi?» chiede Thor, respingendo un assalto di quattro
uomini, sbaragliandoli con un colpo del Mjolnir in pieno viso.
«Non è un salvataggio. E non sono tuo
fratello». Loki spinge un pugnale su per la gola di uno dei
nemici. «Si tratta di riservarmi l'occasione di fare le cose
a modo mio».
Gli assalitori si gettano su di loro in un'unica carica, urlando e
spingendo avanti le lame.
Loki sente qualcosa trapassargli una gamba e sente il bruciore di un
taglio ad altezza del fianco. Anche Thor lancia un ruggito di dolore.
Il dio degli inganni sta per lanciare un incantesimo, un'onda di
energia che gli tolga di dosso almeno parte dei suoi aguzzini prima che
lo concino come un puntaspilli. Poi, da lontano, arriva un suono
fortissimo, perfettamente udibile anche in mezzo alla cacofonia di
quella tremenda mischia.
«Cos...»
«Il segnale!». Thor lo grida a fatica, ma con
enorme entusiasmo.
E così, alla fine, i Vendicatori hanno smagnetizzato le
armi? Ottima notizia, se solo loro riuscissero a tirarsi fuori da
quell'inferno di pugnalate e pugni e colpi e urla...
Thor si volta verso di lui, ora non sono più schiena contro
schiena. Prima che Loki abbia il tempo di rendersene conto, il dio del
tuono lo afferra per l'attaccatura del mantello, lo solleva sopra la
massa di lame e mani impegnate a colpire, poi lo scaraventa lontano,
facendolo finire bocconi sulle scale del pianerottolo.
Loki è stordito per la caduta e i colpi subiti e sente in
bocca il sapore ferruginoso del sangue. La vista gli si appanna e
l'ultima cosa che vede è un fulmine che sembra un polipo dai
mille tentacoli calare nella stanza attraverso il soffitto sfondato.
*
Un attimo prima, Nadia era stretta nell'abbraccio di Pepper.
La sua amica le aveva fatto un lungo discorso sul fatto che non dovesse
prestare troppa attenzione alle parole di Tony, che si era trattato di
uno sfogo dovuto alla tensione accumulata, alla frustrazione del
momento.
Le ha creduto; sa che Tony non avrebbe mai voluto farle del male, ma
non per questo le cose che le ha detto e i loro sottintesi sono meno
veri.
La ragazza ha cercato di calmarsi, che Pepper e Jane non avessero da
preoccuparsi anche di una sua crisi di pianto o di qualcosa del genere.
Là fuori ci sono persone che tutte e tre amano.
Un attimo prima, Nadia ha trattenuto una lacrima annidata nella coda
dell'occhio come una pozzanghera in una buca.
Poi tutto è sembrato precipitare e che le lacrime cadessero
o meno ha smesso di fare la differenza.
Fury ha tolto il viva voce e loro non potevano più sentire
quali notizie giungessero dall'altro lato. Hanno provato ad ascoltare
almeno cosa stesse dicendo il direttore dello S.H.I.E.L.D, ma hanno
ottenuto solo quattro agenti che le hanno gentilmente accompagnate
fuori dalla sala comandi.
Qualcosa stava andando storto a New York.
Pepper e Jane hanno capito subito che era inutile protestare o fare
domande. Si sono sedute davanti a un grande oblò a scrutare
il cielo. Se sono le donne di due degli eroi più forti del
mondo ci sarà un motivo...
E adesso Nadia si sente quasi un'intrusa. Darebbe l'anima per ognuno di
loro, ma quel momento non è il suo momento.
Perché l'ultimo suo contributo a quella faccenda sono state
parole in difesa di Loki. Perché non ha mai saputo scegliere
tra lui e loro, e credeva che in fondo neanche fosse giusto farlo.
Passa un'eternità, in silenzio. Le gambe incrociate perdono
sensibilità, ma la ragazza non ha il coraggio di muoversi,
è quasi certa di non star nemmeno respirando.
Anche standosene alle spalle di Jane e Pepper, vede l'apertura
dell'oblò. Nel ritaglio di cielo che incornicia vede passare
il lampo nero del jet che si avvicina per atterrare.
Le due donne si voltano di scatto, scatta anche lei. Corrono di sotto,
dove si apre la botola che permette ai passeggeri del jet di scendere e
accedere alla base volante.
Fury è già lì, nella sua posa rigida,
le mani strette dietro la schiena. Accanto a lui ci sono alcuni
infermieri e tre barelle.
Tre...
Tre, come lei, Jane e Pepper, che ora lanciano occhiate spaesate al
portellone del jet che si apre lentamente. Troppo lentamente.
La prima cosa che vedono è il viso di Steve, incupito come
Nadia non lo aveva mai visto prima, comparire centimetro dopo
centimetro. Appoggiato alla spalla di Steve c'è Tony.
È il primo tuffo al cuore. Non ha più l'armatura,
e anche la tuta che porta sotto le placche di metallo non è
in buono stato, ma soprattutto, il suo viso non è in buono
stato. È coperto di lividi e piccoli tagli incrostati di
sangue rappreso, e sotto quello scempio si intravede un pallore malsano
che non promette nulla di buono.
Ma almeno è vivo.
Dietro Steve e Tony, arrivano Bruce e Clint. Sembrano molto provati ma
stanno bene... Nadia non capisce il motivo delle loro facce da
funerale, dato che nella loro scia camminano anche Natasha –
tutta intera anche lei – e Thor e Loki, che visti
così sono persino un po' buffi. Sono entrambi feriti e
camminano con passo strascicato l'uno accanto all'altro. Loki, in
particolare, zoppica e ha un brutto taglio sulla fronte. E sembra che
qualcuno abbia tentato di ricavare coriandoli dai loro mantelli.
Procedono lentamente fuori dal jet, sembra che si stiano trattenendo a
stento dall'appoggiarsi l'uno all'altro per una sorta di pudore da
nemici giurati. Quando Loki inciampa, Thor si tende verso di lui, ma il
dio dell'inganno allontana la mano dell'altro con un gesto secco.
Intanto Steve sta aiutando Tony a stendersi sulla barella. Thor si
lascia cadere seduto su quella destinata a lui e Jane gli corre
incontro. Loki nemmeno prova ad avvicinarsi alla sua, cerca di restare
stoicamente in piedi e di trattenere una smorfia di dolore quando tenta
di raddrizzare la schiena e recuperare il suo portamento da principino.
Nadia gli lancia una lunga occhiata che lui ricambia. Non sa cosa sia
successo a New York, ma in quel momento capisce di aver avuto ragione:
Loki non era andato in città per fare altri danni, voleva
davvero salvare Thor e probabilmente lo ha fatto. Il pensiero le
riempie il cuore di un sollievo che si avvicina vertiginosamente alla
felicità. Forse non ha poi sbagliato così tanto
su di lui. Forse tutto quello che ha provato per lui non è
stato vano.
Felicità e sollievo. Ma allora perché quelle
facce da funerale? I suoi eroi ce l'hanno fatta, ancora una volta,
è andato tutto bene, sono salvi e...
«No!». La voce di Pepper.
Nadia si volta di scatto, verso di lei che è in piedi
accanto alla barella di Tony. Oltre la spalla della donna riesce a
vedere che gli hanno aperto la maglia, sul petto costellato di ematomi
e piccoli segni rossastri di bruciature c'è un anello
metallico, l'alloggio del reattore Arc. Non lo aveva mai visto prima,
quel piccolo cerchio di luce azzurrina che...
Oh, Dio, ti prego, ti
supplico, no!
La luce va a intermittenza, come una lampada che si sta fulminando.
«Non faccia l'isterica, signorina Potts» dice Tony,
cercando di mettere assieme tutta l'ironia e la leggerezza che
può.
Un attimo dopo la luce azzurrina si spegne.
Nadia sente il cielo precipitarle sulle spalle, ed è certa
che è la stessa identica sensazione che stiano provando
tutti lì dentro.
Gli infermieri si affrettano a portare via la barella di Tony e l'unica
cosa che impedisce a Pepper di cadere a terra sono le braccia di Steve
che si affretta a sorreggerla.
___________________________________________________________________________________
Note:
Nella scena di Thor in cui Thor e compagnia combattono su Jotunheim,
ognuno di loro mostra di “essere specializzato”
nell'uso di una certa arma: Loki usa piccoli pugnali che lancia con
straordinaria precisione. Credo che uno di quei pugnali a forma di
rombo sia lo stesso con cui accoltella Thor al fianco nella scena sul
terrazzo della Stark Tower, in The Avengers. Unendo queste cose, nella
mia testa si è creata la convinzione che Loki sia bravissimo
con i pugnali, quando non usa la magia... tra l'altro avevo
già parlato di questa cosa che Odino aveva regalato a Loki
quei pugnali e tutto il resto nell'altra fanfcition pubblicata nella
sezione su Thor.
Naturalmente il mio cuore ormai somiglia a una scatoletta di cibo per
cani e non era previsto che le cose prendessero una piega tanto
tragica. Arrivati a questo punto persino Loki ha pietà di
me, oggi si è offerto di prepararmi il brodino di pollo...
Torno a piangere sulle copertine di Iron Man e a vedere di recuperare
qualche pezzetto di cuore dalla pattumiera prima che il cane dei vicini
lo inghiotta.
Venerdì prossimo pubblicherò la puntata
conclusiva di questa fanfiction, l'ultimo capitolo. E poi ci
sarà il canonico breve epilogo.
L'ho finita, giusto ieri ho messo il punto di conclusione all'epilogo.
Sono sotto shock. Cercherò di riprendermi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** The last lamp ***
Negli ultimi capitoli che ho
postato, l'html del sito ha ripreso a darmi problemi, mangiandosi frasi
o ripetendo righe di testo. Non riesco a evitarlo e non capisco
perché succede, visto che per postare uso lo stesso metodo
dal 2008 e con questa storia è la prima volta che succede
-.-
Se notate qualcosa,
fatemelo sapere, così lo sistemo :)
Thanks.
****
Capitolo ventisettesimo
The last lamp
Loki chiude la porta della stanza e si gode il silenzio come se ne
fosse assetato.
Vorrebbe ricordare a se stesso che ha subito cose ben peggiori, eppure
il dolore dei tagli e i muscoli rigidi per la stanchezza sono
sensazioni molto molto sgradevoli, come tutto ciò che gli
ricorda la sua vulnerabilità. E quelle armi, quelle lame,
erano davvero notevoli.
Si trascina fino al letto e comincia a togliersi i vestiti. Ogni
movimento rinnova la sofferenza e riapre qualche taglio.
Ora i suoi abiti sono un mucchio di stoffa sul pavimento.
Loki cerca alla rinfusa nella cassettiera di plastica lucida accanto al
letto, tira fuori una scatola di ovatta e del disinfettante. Ha
imparato abbastanza su Midgard da sapere a cosa serve quel liquido
verde dall'odore insopportabile; non che tema di morire per infezione,
ma ripulire i tagli dal sangue rappreso con qualcosa che non aumenti il
bruciore sarebbe già un gran sollievo.
Sollievo. Gli inferi lo sanno se ne ha bisogno in quel momento!
Il silenzio però sembra aver amplificato la portata del suo
tremendo cerchio alla testa. È come se una morsa gli
stringesse le tempie.
Loki fa lunghi respiri, cerca di rilassarsi. I muscoli contratti non
vogliono saperne di collaborare.
Quella sostanza disinfettante lascia una scia fresca sulla pelle
tumefatta, ma piegarsi per riuscire a raggiungere tutti i tagli
è comunque una tortura.
Per un attimo, il dio dell'inganno si chiede se anche Thor sia messo
così male.
Lo ha salvato, alla fine. Quando Hope gli teneva puntata quella lancia
contro il petto e lui ha preso in mano il pugnale per lanciarlo, per un
breve istante si è chiesto cosa sarebbe successo se avesse
mancato il bersaglio. Si è chiesto se essere lì a
fare ciò che stava per fare avesse davvero un senso.
Quando ha lanciato la lama e ha visto il nemico cadere, ha capito:
avrebbe salvato Thor altre cento, mille volte, perché la
vita di Thor è la ragione del suo odio, e il suo odio
è la ragione che lo spinge ad andare avanti sulla strada che
ha scelto – quella direzione dalla quale è ormai
impossibile tornare indietro. E Loki non ha dubbi sul fatto che un
giorno lui e il figlio di Odino si scontreranno in un'ultima letale
battaglia, ma sarà alle loro condizioni e per le loro
ragioni. È tutto quello che chiede al destino che gli ha
giocato così tanti orribili scherzi, è l'ultima
cosa che chiede ed è tutto ciò per cui
è disposto a lottare.
Il dolore e la stanchezza hanno la meglio e Loki si lascia cadere
all'indietro. Resta steso immobile a guardare il basso soffitto di
pannelli di metallo, fino a quando non sente la porta della stanza
aprirsi.
Volta il capo verso l'uscio, con uno sguardo infastidito che
è quasi rabbioso. Poi vede Nadia.
La ragazza ha il viso gonfio di pianto, gli occhi arrossati, le guance
ancora bagnate dalle lacrime. Loki si chiede da quanto tempo aspettava
di poter piangere.
Dunque, alla fine Stark è morto?
Il dio dell'inganno si solleva puntellandosi su un gomito e si volta su
un fianco in direzione della ragazza. Il suo adorato Tony Stark
è morto e lui è il primo che viene a cercare...
in qualche modo sente di esserne contento. Per entrambe le cose.
Nadia non dice niente, nel silenzio si sente solo il suo respiro reso
pesante dal tentativo di trattenere altri singhiozzi. Loki non riesce a
capire davvero a fondo il rapporto che gli umani hanno con la morte
perché non condivide la loro fragilità, la natura
effimera delle loro esistenze, ma le lacrime di Nadia gli fanno sentire
un fastidioso senso di freddo.
La ragazza gli si avvicina, vede i batuffoli di ovatta imbevuti di
disinfettante e sangue. Prende un batuffolo pulito, ci versa sopra
altro liquido verde e lo passa con delicatezza sui tagli che Loki non
era riuscito a raggiungere.
Lui le tiene gli occhi puntati in viso, lei non riesce a guardarlo per
lunghi minuti.
«Devi aiutarmi» dice poi, le parole escono roche e
flebili dalle labbra. Loki sente la mano che regge l'ovatta tremare
contro la sua pelle.
«Sul serio?». Lo dice con più distacco
di quanto vorrebbe.
Nadia serra il pugno attorno al batuffolo, gocce di disinfettante misto
a sangue scorrono tra le pieghe della sua mano.
«Gli dovevo delle scuse... a Tony» mormora.
«No, non è vero. E se anche lo fosse, quando
c'è un tale affetto immagino che le scuse non servano in
nessun caso».
Nadia fa una specie di sorriso, una smorfia che è quasi di
scherno. «Non sai niente di questo genere di cose. L'affetto
presuppone rispetto, e le scuse sono un segno di rispetto...
Dio!» si volta di scatto, getta all'aria la
cassettiera facendo cadere sul pavimento bustine con tubi di plastica,
bisturi, fiale di medicina. «Dio! Perché parlo di
queste cose con te?»
«Perché vuoi chiedermi aiuto, e credi ci sia
bisogno di convincermi» risponde lui, perfettamente calmo
davanti a tanta furiosa disperazione.
Nadia ansima, si passa una mano sul viso, lascia cadere altre lacrime.
«Stai dicendo che non ho bisogno di convincerti?...»
«Sto dicendo che speri inutilmente che io possa fare
qualcosa. Mi lusinga che tu mi creda tanto potente, ma io non posso
resuscitare i morti».
La ragazza ha un sussulto.
«Tony non è morto» dice, lapidaria.
«Non... non ancora... il reattore Arc non funziona
più e per adesso stanno facendo funzionare il suo cuore con
un qualche macchinario... lui non è cosciente, ma
è vivo».
Loki annuisce. Ancora non capisce però cosa lei si aspetta
che faccia.
«Tu devi aiutarmi» ripete Nadia.
«Non posso fare nien...»
«È colpa tua. Se tu non fossi scappato da qui, lui
non sarebbe corso a cercarti e non sarebbe stato lì quando
lo smagnetizzatore si è acceso. Devi aiutarmi!».
Il dio dell'inganno si scosta una ciocca di capelli dalla fronte e
corruga le sopracciglia, impensierito. Evidentemente, nonostante tutto
il suo sapere, quel tipo di logica gli resterà per sempre
impenetrabile; Stark sapeva che andando in città avrebbe
rischiato di finire nel raggio d'azione della sua stessa macchina, ma
ha deciso ugualmente di andare perché nessuno si fida di Loki
l'ingannatore, il mostro, il traditore... e a lui sfugge
come questo possa essere anche solo minimamente colpa sua. Tanto
più che quando lui e l'uomo di metallo si erano incontrati,
Loki lo aveva avvisato che non sarebbe accaduto niente, che poteva
andarsene, ma è stato Stark ad attaccare per primo e se Loki
non lo avesse messo fuori gioco non sarebbe arrivato in tempo per
fermare Hope. È stata una scelta di Stark inseguirlo e
restare e aggredirlo...
«Io ho salvato Thor!». Il dio non riesce a fare a
meno di dirlo urlando. «L'ho salvato perché
persino per me che lo detesto e non faccio altro che sognare la sua
disfatta quella era una morte idiota e poco onorevole! Se il tuo amato
Tony Stark ha voluto mettersi in mezzo io non so che farci»
«Se tu gli avessi dato modo di fidarsi di te... non si
sarebbe preoccupato di cosa potessi fare e non sarebbe venuto a
cercarti». Sì questo lo ha già detto,
ma i problemi di fiducia di Stark e dei Vendicatori sono, appunto,
problemi di Stark e dei Vendicatori. E tutti loro sono troppo stupidi e
accecati dal risentimento per capire davvero che non avrebbe fatto del
male a Thor, non in quella situazione.
Ma tentare di far ragionare Nadia in quel momento è inutile,
è troppo sconvolta.
… e a te che
importa? Lei ha già scelto e non ha scelto te. Alla fine si
è rivelata uguale a tutti gli altri.
Nadia si copre il viso con le mani e ricomincia a piangere.
«È colpa mia...» dice tra i singhiozzi.
«Ho cercato di fermarlo e non ci sono riuscita, l'ho solo
fatto arrabbiare... gli ho detto che tu non eri lì per far
del male a Thor, che lo stavi aiutando, ma lui è andato su
tutte le furie e non ho potuto fermarlo».
Lo ha detto? Lo ha davvero pensato? Lo ha davvero capito?
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto!».
Nadia urla contro i propri palmi, e il grido le esce smorzato, quasi un
suono indistinto di amarezza e disperazione frustrata.
Si fionda tra le braccia di Loki, nasconde il viso nel su petto. Lui
può sentire le lacrime della ragazza bagnargli la pelle.
Può non capire molte cose della natura umana, può
non essere del tutto in grado di provare pietà per quelle
lacrime, eppure adesso sente che se avesse potuto fare qualcosa per
evitare che venissero versate lo avrebbe fatto. Non è per
Stark, e in fondo neppure per Nadia, è per se stesso, per
illudersi che, alla fine dei giochi, la sua promessa di non nuocerle
è stata in qualche modo mantenuta, che anche lui non
è privo di onore.
Impiega un po' a sollevare le braccia e chiuderle attorno alle spalle
della ragazza, scosse dai singhiozzi.
Non importa ciò che dice la voce venefica nella
sua testa, non importa il destino che si è scelto.
«Ti prego...» sussurra Nadia. «Devi dirmi
come fare, con l'energia della pietra forse posso riparare il reattore
Arc».
No, non può. Ma tutto quello che Loki può fare
per lei è lasciarle la speranza di poter almeno tentare.
Le scosta i capelli che le lacrime le hanno appiccicato al viso,
«Non devo dirti niente» le dice, «sai
già tutto quello che ti serve. Ma, questo devi capirlo, non
è certo che funzioni».
*
«Non è certo che funzioni».
Nadia si stacca di Loki, frastornata. Sarebbe stato molto
più semplice e confortante dare a lui la colpa di tutto, ma
sarebbe stato anche meschino, e dal fondo della sua disperazione lei sa
che non può fargli questo. Anche se al dio probabilmente non
importerebbe, non del tutto almeno, ma lei gli deve almeno
l'onestà di non riconoscergli più male di quanto
abbia fatto.
Non è certo che funzioni, ha detto Loki, ma lei lo
farà funzionare. Ad ogni costo. Se poteva valere per le armi
di Nornheim, può certamente valere anche per il reattore
Arc.
Le armi di Norheim erano
progettate per quel tipo di energia. Il reattore Arc no.
La ragazza scuote la testa per allontanare quei pensieri sconfortanti.
Loki si alza dal letto di infermeria e si rimette addosso i vestiti. Le
posa una mano sulla schiena e la pilota fuori dalla stanza.
Gli stretti corridoi dalle pareti di alluminio sembrano stringersi
attorno, ondeggiare, e Nadia si sente come se stesse venendo
inghiottita dallo stomaco di un enorme mostro.
È tutta
colpa sua, fin dall'inizio. È una consapevolezza che la
schiaccia e nella sua mente c'è solo l'immagine dell'enorme
base volante che si accartoccia su se stessa e la ingoia in un morso di
lamiere e cavi per poi esplodere in mezzo al cielo.
Fuori dalla stanza di Tony ci sono tutti. Steve, Clint, Natasha, Fury,
Thor con qualche medicazione che lo fa sembrare una specie di
mongolfiera rattoppata, e Jane al suo fianco. Nessuno si dà
pena di riservare a Loki sguardi ostili; nella confusione generale,
Thor non ha fatto altro che ripetere che è merito suo se
è ancora vivo. E stavolta tutti sanno che non possono
semplicemente dubitare del dio degli inganni, né accusarlo
di niente, nemmeno di quello che è successo a Tony. O almeno
non possono dire che sia davvero
colpa sua.
Bruce è dentro la camera, con Pepper, a regolare l'affare
che ancora permette al cuore di Tony di non cedere. Una soluzione che
presto smetterà di essere valida, niente può
eguagliare il reattore Arc.
Nadia guarda la porta chiusa, la tenda di plastica abbassata sul vetro.
«Se fossi rimasta a Venezia...». Le parole le
escono di bocca in un sussurro che è più che
altro un pensiero, troppo violento per restarle confinato nella testa.
Steve le prende la mano, le dice di levarsi quell'idea dalla mente. Ma
quell'idea è tutto ciò a cui può
aggrapparsi per sperare di far funzionare l'energia della pietra e
rimettere in sesto il reattore Arc.
Nadia si avvicina a Fury. Ora che deve dire ad alta voce a tutti loro
cosa ha in mente, non si sente poi così sicura, ma deve
farlo.
«Dov'è il reattore di Tony? Io... pensavo che
forse posso provare a...» balbetta.
Fury la guarda imperscrutabile, assottigliando l'occhio sano.
«Banner lo ha portato nel laboratorio» dice Clint.
«Voleva provare a ripararlo, ma non può lasciare
la stanza e...»
«E solo Stark sa mettere le mani su quell'affare»
aggiunge Fury, lapidario. «Agente Romanoff, accompagna la
ragazza dove Banner ha conservato il reattore Arc».
A Nadia sembra intercettare una strana occhiata da parte di Clint,
un'espressione che dura un battito di ciglia.
«Non devi farlo per forza» interloquisce Steve.
«Anzi, io credo che tu non debba farlo per niente».
«Come? Io glielo devo, io...»
«Nadia, stai accusando te stessa di troppe cose, come se
quello che è accaduto fosse solo e soltanto colpa tua. Beh,
non lo è, non lo è per niente. È colpa
degli invasori di Nornheim e di nessun altro. Se Tony potesse parlare,
sono certo che non vorrebbe metterti sulle spalle la
responsabilità che ti stai prendendo dicendo di provare a
rimettere in moto il reattore. Nessuno vorrebbe che tu passassi il
resto della tua vita colpevolizzandoti per non esserci
riuscita»
«Quindi la tua idea sarebbe non tentare affatto? Questo
sarebbe un rimorso ben peggiore da portarmi dietro, Steve!»
replica la ragazza.
«Vorrei solo dirti che non devi addossarti colpe che non hai,
né ora né in futuro» conclude lui,
scuotendo la testa.
Nadia prende un lungo respiro, sente l'aria vibrarle in gola. Non
riesce a credere che anche in quella situazione loro si stiano
preoccupando di proteggerla, e non riuscirà mai a dire
quanta gratitudine provi per questo, ma il tempo delle preoccupazioni e
delle speranze e dei vorrei è finito.
Batte una mano sul braccio di Steve, gli sorride con tristezza, poi
segue Natasha verso il laboratorio.
Alle sue spalle, Loki cammina in silenzio, come un'ombra.
Il reattore Arc è poggiato su un tavolo dal piano di acciaio
lucido, come un pezzo di cadavere dopo un'autopsia.
Nadia si passa una mano sul viso; non aveva idea di come fosse fatto
quell'oggetto, non ne sapeva niente, a parte aver imparato a non
trovare poi tanto strano il cerchio di luce azzurrina che si
intravedeva a volte sotto il tessuto delle magliette di Tony.
La luce azzurrina ora è sparita. Il reattore Arc non
è che un basso cilindro di metallo con una specie di piccola
serie di lampadine sul davanti, e a guardarlo sembra quasi sciocco che
la vita di un uomo possa dipendere da quell'aggeggio tanto piccolo e
apparentemente insignificante.
«Può davvero farlo?» domanda Natasha a
Loki.
Lui inclina la testa e incrocia le braccia sul petto. «Non lo
so. Forse».
La risposta non sembra soddisfare l'agente Romanoff che si riserva
comunque di lanciare al dio dell'inganno un'occhiata in tralice.
Nadia cerca di non pensare a quel rapido scambio di battute, cerca di
dimenticarsi persino della presenza di altre due persone nella stanza.
Cerca di concentrarsi, di sentire l'energia fluire come le ha insegnato
Loki, cerca di nutrire quella forza che avverte agitarsi dentro di lei
con le immagini dei suoi ricordi migliori e con tutta la paura e la
disperazione delle ultime ore.
Alla fine può vederla, come una colonna di fumo che solo i
suoi occhi riescono a contemplare.
Anche Loki la vede. Per sguardi come il suo l'energia non è
solo una forza da sentire, ha anche un corpo, una forma da vedere,
è qualcosa di perfettamente palpabile, è creta
nelle mani di un artigiano.
Il dio dell'inganno solleva gli occhi e li spalanca a guardare quel
fuso perfetto sospeso nell'aria, come se fosse stupito del fatto che
lei sia riuscita ad ottenere un tale risultato.
Natasha sposta lo sguardo crucciato tra la ragazza e Loki, cercando di
intercettare il punto in cui entrambi stanno guardando, sembra persino
un po' turbata dall'idea di non riuscire a vedere nulla, forse vorrebbe
chiedere se sta funzionando ma non ha il coraggio di aprire bocca.
Semplicemente si appoggia con le spalle al muro, con una delle sue
movenze fluide, e resta in attesa.
Nadia sente il cuore battere all'impazzata per lo sforzo e anche per
l'emozione di essere a un passo così dal riuscirci. Sposta
l'energia e le sembra di spostare qualcosa di pesantissimo, per un
attimo ha la sensazione che il suo petto si stia per squarciare nello
sforzo, fa male, ma continua.
L'energia sfiora la superficie del reattore Arc, e poi scivola dentro
il cono di metallo.
Nadia si rilassa, quasi cade bocconi sul tavolo. Si accorge che sta
grondando di sudore.
«Tutto bene?». Natasha si precipita accanto a lei,
le batte una mano sulla spalla e lei si sente quasi bruciare
lì dove la donna l'ha toccata. Ma non importa, Nadia tiene
gli occhi fissi sul reattore.
Un istante. La luce azzurrina si accende.
Loki muove un passo verso il tavolo, con un moto stupito. Natasha
sorride. Anche Nadia sorride, e il sorriso è già
pronto a tramutarsi in un grido di gioia ma la luce trema un secondo e
poi si spegne. Il reattore Arc è di nuovo solo un pezzo di
metallo.
«No! No! No!». Nadia urla, afferra l'oggetto e lo
guarda. L'energia ha reso il metallo quasi incandescente e lei si
brucia le mani, eppure continua a stringere le dita attorno al
dispositivo, quasi certa che se guardasse meglio vedrebbe la luce
ancora accesa.
Natasha glielo strappa via con quanta più gentilezza
può, anche lei si scotta e lo lascia cadere sul tavolo con
una smorfia di dolore.
La ragazza si volta verso Loki.
«Perché?! Perché non ha
funzionato?!» grida. Le mani aperte e tese, rigate di rosso,
ad aspettare di poter afferrare una risposta.
Il dio scuote la testa. «Non so questo tipo di magia come
interagisca con i manufatti di Midgard» asserisce.
«Ti avevo detto che avrebbe potuto non...».
Nadia ha già smesso di ascoltarlo. «D'accordo.
Riproviamo, c'ero andata così vicino» borbotta.
Riprova.
Riprova tre volte di seguito, la luce si accende per un attimo e poi
sparisce.
E lei si sente sempre più debole, ogni volta si sente sempre
più prossima a spaccarsi in due.
La quarta volta la luce non si accende neppure per un istante e quando
tocca il reattore lo trova freddo.
Nadia non si accorge di avere un sottile rivolo di sangue che le cola
dal naso, né che il suo stomaco le si sta ribellando, che
tutto il suo corpo si sta ribellando a quello sforzo che non
è fatto per essere compiuto da una semplice essere umana. Le
labbra secche e screpolate cominciano a coprirsi di piccoli tagli, lei
ci passa su la lingua arida e sente il salato del sangue.
Si passa la manica della maglietta sul labbro superiore, ripulendosi e
preparandosi a riprovare.
Le luci... le luci si sono accese le volte prima, vuol dire che
l'energia può arrivare al rettore, deve solo capire come
fare...
«Nadia...» Natasha la chiama con voce titubante.
«Fermala o si ucciderà». Le parole di
Loki sembrano arrivare da un punto lontanissimo. Ogni suono si conficca
nel suo cranio come una lama.
Natasha si getta su di lei, la circonda con le braccia e l'allontana
dal tavolo.
«No, io devo... devo...» tenta di dire lei. Gli
occhi sbarrati, fissi sul rettore Arc irrimediabilmente spento.
Da quanto tempo sono lì dentro? Il cuore di Tony forse
è vicino ad arrendersi, perché Natasha non
capisce? Lei deve tentare, fin che può, deve tentare.
«Nadia, basta, ora calmati». La donna le passa una
mano tra i capelli umidi di sudore.
«Pepper... cosa dirò a Pepper?» sussurra
lei prima che le gambe le cedano e la facciano ritrovare seduta a
terra, piegata su se stessa, troppo distrutta anche per piangere.
Natasha le si siede di fronte, sul pavimento freddo, con un fazzoletto
le asciuga il sangue colato dal naso, ma Nadia quasi non riesce a
sentire il tocco dell'amica; per quanto ne sa potrebbe anche star
tagliando la sua faccia con un bisturi.
Lancia un'occhiata a Loki, in piedi dall'altro lato della stanza. Lui
non ha parole da dirle.
Con la coda dell'occhio vede una figura in nero stagliarsi contro
l'uscio della porta.
«Allora?» chiede Fury con voce monocorde.
Nadia lo guarda con gli occhi appannati. Natasha scuote la testa in un
cenno negativo.
«Molto bene» replica lui, si volta e si allontana a
grandi passi lungo il corridoio.
Loki arriccia il naso con aria pensosa, poi guarda nella direzione in
cui il direttore dello S.H.I.E.L.D. è sparito e torna a
voltarsi verso Natasha, come colto da un'improvvisa illuminazione.
«Mi sembra abbia accolto con eccessiva calma la notizia che
uno dei suoi più valenti uomini è definitivamente
spacciato» osserva con una punta di bieco sarcasmo.
In un attimo di nebbiosa ilarità involontaria, Nadia pensa
che Tony rabbrividirebbe al pensiero di essere definito ''un uomo di
Fury'' e probabilmente commenterebbe la cosa con una delle sue uscite.
Natasha guarda Loki con la sua solita aria imperturbabile, ma
c'è un velo di agitazione nel suo sguardo, persino per la
ragazza così stravolta e poco lucida appare chiaro. Solo che
non capisce cosa sta succedendo, cosa Loki abbia voluto insinuare e
cosa Natasha debba saperne in merito...
«Nadia, mi dispiace per tutto questo» dice l'agente
dello S.H.I.E.L.D.
La ragazza corruga la fronte e sbatte più volte le palpebre.
Il dispiacere le sembra assolutamente riduttivo come sentimento. O
forse lei non stava parlando della... di quello che è
successo a Tony.
«Fury voleva sapere se eri in grado di usare la pietra e in
che modo, lui voleva esserne sicuro e...» tenta di spiegare
Natasha.
«E così ha pensato bene di fare in modo che Nadia
arrivasse a sostenere una tale prova» conclude Loki.
«Ma il vostro prezioso Tony Stark... ah! Lui non è
mai stato davvero in pericolo, Fury sapeva già come
salvarlo, per questo neppure ha provato a fermarlo quando è
partito per raggiungere me».
«Che... di... di cosa stiamo parlando?». Nadia non
capisce, non riesce a seguire il filo. Persino le parole ''Tony Stark
non è mai stato davvero in pericolo'' le sembrano nuvole che
galleggiano incorporee nella sua testa, senza che lei riesca a dar loro
un senso.
«Oh, agente Romanoff» ghigna Loki con la sua voce
flautata e quel suo tono mellifluo e crudele. «Se non fosse
che gli dei non sono fatti per piegarsi dinnanzi a voi mortali, ora il
signore degli inganni si inchinerebbe alla sadica maestosità
del vostro piano».
Nadia continua a spostare lo sguardo inebetito tra la donna e il dio.
«Nat, di che sta parlando?».
Natasha lancia uno sguardo in cagnesco alla volta di Loki, poi mette su
l'espressione più conciliante e mortificata che riesce a
trovare. Prende la ragazza per mano, la fa alzare e l'accompagna a
sedersi su una sedia.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo,
Nadia» le dice, sedendosi sul piano del tavolo di acciaio.
«Mentre eravamo a New York e non sapevamo che fare con lo
smagnetizzatore dato che Tony sarebbe stato nel raggio di azione, se lo
avessimo acceso, Fury mi ha chiamata».
Nadia si massaggia le tempie. Ha idea che detesterà sentire
il resto di quella spiegazione.
«Quando fui mandata da Stark sotto copertura, lui aveva dei
problemi con il reattore Arc e doveva progettare un nuovo modello
altrimenti l'usura della batteria del dispositivo lo avrebbe ucciso. Lo
S.H.I.E.L.D. lo aiutò a trovare il modo, era un procedimento
difficile, quasi impossibile da replicare, per questo lui non aveva un
reattore di riserva...».
La ragazza deglutisce. Sta combattendo contro la nausea, sta impiegando
ogni energia rimasta a rimanere lucida e tentare di capire, ma ora
è tutto così semplice.
«Voi lo avete, un reattore di riserva, avete replicato il
processo per costruirlo» esclama.
Natasha annuisce. «Quando Fury avviò il Progetto
Avengers e si rese conto che, malgrado tutto, prima o poi non avrebbe
potuto fare a meno di Tony Stark, fece costruire un rettore di riserva
e lo tenne segreto. Non glielo ha mai detto perché sperava
che Stark fosse stato meno imprudente sapendo di non avere le spalle
troppo coperte... evidentemente si sbagliava».
Alle spalle di Natasha, Loki non riesce a trattenere uno sbuffo.
«E perché tutto questo?» dice la
ragazza, indicando il reattore abbandonato sul tavolo che lei non
è riuscita a far funzionare.
«Te l'ho detto, Fury aveva bisogno di sapere quanto
sviluppate fossero le tue abilità» dichiara
Natasha. «Non avremmo mai voluto sottoporti a una simile
prova, ma lui non si fida di te, lui...».
Nadia sente la rabbia montarle dentro e sopraffare ogni cosa, ogni
sensazione fisica e ogni altra emozione, quasi ha la meglio anche sul
sollievo di sapere che Tony è comunque in salvo.
«Le mie
abilità?! Fury aveva bisogno?!»
esclama scattando in piedi con così tanta veemenza da
mandare gambe all'aria la sedia dietro di sé.
«Non era in programma, te lo assicuro, non doveva succedere
così...» tenta di dire Natasha, ma Nadia non
l'ascolta. La rabbia cieca le dà quelle ultime forze
necessarie a correre fuori dalla stanza, gettando per aria altre due
sedie contro le quali va a sbattere e spingendo via anche Loki che
cerca di fermarla e di farle notare che non deve agitarsi in quelle
condizioni.
La ragazza corre, fino alla porta della stanza di Tony.
Gli altri sono ancora lì fuori e Clint si tende verso di
lei, afferrandola prima che crolli a terra.
«Che diavolo è successo?» domanda.
«Fury ha detto che era tutto risolto».
«Non per merito mio» risponde Nadia debolmente.
«Fury è...»
«Uno stronzo? Un bastardo?» la voce del direttore
dello S.H.I.E.L.D. sembra risuonare dalle pareti, ma lui è
qualche metro più in là, e regge tra le mani una
scatola con un etichetta adesiva arancione sulla quale sono segnati
codici e sigle incomprensibili.
«Sì, lo sono, signorina Berton. Questo non mi
impedisce di essere dispiaciuto per lei adesso –
che ci creda o no, ma appena si sarà calmata
capirà che talvolta ciò che conta sono i
risultati, e che è ai risultati che quelli nella mia
posizione devono badare» conclude, agitando cautamente la
scatola davanti agli occhi della ragazza, come un genitore che vuole
farsi perdonare con un regalo il fatto di non essere stato a vedere la
tua recita scolastica.
«Cosa è accaduto?» interviene Thor,
perplesso.
«Il reattore Arc?» chiede Steve.
Natasha arriva trafelata. Clint le lancia uno sguardo e sembra capire,
tutti gli altri continuano a guardare spaesati ora Nadia ora la scatola
che Fury ha in mano.
«Immagino che adesso l'agente Romanoff non possa esimersi dal
fornire i dettagli» borbotta Fury. «Intanto,
signorina Berton, a lei l'onore».
Le porge la scatola e Nadia gliela strappa di mano, la apre e ne estrae
un reattore Arc perfettamente identico a quello che aveva visto prima
nel laboratorio.
«E quello da dove salta fuori?» chiede Steve.
Nadia si volta a guardare Natasha per un secondo. Forse a mente lucida
sarà in grado di pensare che lei non ha colpe, che stava
solo eseguendo gli ordini, che davvero non era previsto che lei
passasse quello che ha passato nelle ultime ore e, soprattutto, che
quello che conta è riuscire a rimettere in sesto Tony. Forse
le cose si sistemeranno e dopo una sana dormita capirà che
non deve avercela con Nat, che lei è stata una buona amica,
come tutti gli altri e che il disappunto del resto della squadra che
ora dovrà affrontare è una punizione sufficiente.
Adesso però non le importa...
Apre la porta. La stanza è vuota, asettica, e Tony
è una sagoma immobile tra lenzuola bianche. Bruce
è in piedi, in una posa rigida a fissare lo schermo di un
macchinario dal quale partono fili di elettrodi attaccati al petto di
Tony. Pepper è seduta su una sedia, la mano appoggiata su
quella del suo uomo, in una posa composta che sembra più che
altro in un tranquillo stato di attesa.
Non può essere altrimenti, nessuno penserebbe mai che Tony
Stark possa essere abbattuto da un'onda elettromagnetica ad alta
densità. Non lo hanno ucciso le armi, è
sopravvissuto persino a Loki...
Quando Pepper sente la porta aprirsi e si volta nella sua direzione
però, Nadia vede il suo sguardo spento e pieno di muta
disperazione. Lei ha fallito nel tentare di riparare il vecchio rettore
Arc, ma l'espressione sollevata che ora la donna le sta rivolgendo un
po' la fa sentire vittoriosa. Forse Fury pensava che sarebbe stata una
piccola ricompensa per lei essere quella che dava a Pepper la buona
notizia.
«Oh, mio Dio...» sussurra la donna.
Nadia riesce a trovare la forza di sorridere.
Anche Bruce si volta a guardarla, non capisce.
«Come hai fatto?» chiede Pepper scattando in piedi.
«L'energia della pietra?» suggerisce Bruce.
Nadia scuote la testa. «Non è importante,
adesso». Si avvicina al letto e dà il reattore
nuovo a Pepper che lo afferra con dita tremanti.
«È solo una dannata lampadina, ma non so come
accenderlo» borbotta. La ragazza e la donna si concedono
qualche secondo di risate isteriche, gli occhi di Pepper si riempiono
di lacrime.
«Tieni, fallo tu, sono certa che nei tuoi lunghi anni di
servizio ti sia capitato anche di dover fare manutenzione»
conclude Nadia allontanando da sé il reattore e spingendo
leggermente Pepper verso il letto.
«Solo una volta... tanto tempo fa, e feci promettere a Tony
che non l'avrei fatto mai più». Altre risate,
sempre all'insegna dell'isteria ma un po' meno tese.
Nadia si affianca a Bruce e insieme osservano Pepper chinarsi e
inserire il rettore con gesti precisi e delicati. Il silenzio sembra
pesare ed è interrotto solo da leggeri scatti quando il
dispositivo fa presa.
«E a te cosa è successo?» domanda il
dottore. Forse è troppo sopraffatto dagli eventi e ha
bisogno di distrarsi prima di cominciare a dare i numeri. In
effetti a Nadia sembra che le sue tempie stiano pulsando in maniera
visibile.
«Non vuoi saperlo, ti farebbe arrabbiare» gli
mormora stancamente.
«Prima o poi qualcuno dovrà dirmelo»
«Non adesso»
«Ok».
Clik. La
luce azzurrina si accende, lancia un riflesso circolare fino al
soffitto. Bruce si volta a guardare i dati sullo schermo del
macchinario e sorride.
Anche Nadia sorride. Poi perde i sensi.
*
Bruce Banner esce dalla stanza con Nadia tra le braccia.
Thor guarda il viso esangue della fanciulla e sbuffa di rabbia. Quello
che ha fatto il comandante Fury è un gesto ai limiti della
crudeltà, ma il dio del tuono ha vissuto la sua vita al
fianco di un grande sovrano e sa quanto sia difficile il comandare, il
dover reggere il peso di decisioni che riguardano il bene di tutti e
che non possono focalizzarsi sulle preoccupazioni per i singoli.
«Sta bene» dice l'amico Bruce. «Anche
Tony sta bene, deve solo riposare... Nadia cioè, deve
riposare. E anche Tony... oh, insomma, avrete capito!».
Jane si fa avanti e si accosta all'uomo di scienza. «Le do
una mano a metterla a letto, dottor Banner».
Il soldato Rogers è andato a cercare di portare via lady
Pepper dalla stanza di Stark per convincerla a riposare, magari
mangiare qualcosa e fare due passi ora che si sono lasciati il peggio
alle spalle e l'uomo di metallo è fuori pericolo. Clint
Barton è con la sua compagna, a cercare di rimettere insieme
i cocci dopo la tempesta che è seguita alle sue spiegazioni
in merito alla provenienza del nuovo cuore di luce per Tony. O forse
l'arciere vuole solo mettere insieme loro due, sé stesso e
la guerriera dell'est, questo Thor ancora non lo ha ben capito.
E lui è solo con i suoi pensieri. Pensieri che, messi da
parte gli eventi tragici ora risolti, ha paura a ritenere belli.
Perché è stato bello combattere insieme a Loki,
schiena contro schiena, è stato bello voltarsi e scoprire
che era stato proprio lui a lanciare la lama che aveva fermato il suo
aguzzino.
È stato bello. Anche se è solo un momento
passato, ma nel cuore di Thor si fa strada la speranza che,
riflettendoci su, anche Loki ritrovi qualcosa di gradevole in quei
momenti che già sembrano lontani.
Thor non vuole riempire le sue speranze di aria e gonfiarle solo per
illudersi che siano più grandi della realtà,
però più ci pensa e più non riesce a
fare a meno di trovare segnali positivi disseminati lungo il cammino
percorso negli ultimi mesi.
Loki compare in fondo al corridoio, segue con lo sguardo Bruce e Jane
allontanarsi insieme a Nadia.
Il dio del tuono esita per un istante, ma poi decide di avvicinarsi al
fratello.
«Bruce dice che sta bene» gli mormora, notando che
il suo sguardo è fisso a guardare la porta della stanza dove
hanno sistemato la ragazza svenuta.
«Lo so» risponde Loki, senza scomporsi.
«Non le avrei permesso di uccidersi per tentare inutilmente
di salvare Stark».
Thor sente una morsa stringergli il petto, il peso di una decisione che
deve prendere in quel preciso istante, una decisione che potrebbe forse
cambiare molte cose. O forse non cambiare assolutamente nulla.
«Allora è così? Tieni davvero a
lei?» domanda.
«Se anche ti dessi la risposta che vuoi sentire, che
differenza farebbe?»
«La differenza tra la speranza e la rassegnazione».
Loki distoglie lo sguardo, ora è di nuovo freddo,
più gelido che mai.
«Non ti ho ancora detto grazie per avermi salvato»
aggiunge Thor. Non riceve alcuna risposta.
Trascorre qualche secondo di silenzio duro come la pietra, poi il dio
dell'inganno torna a guardare verso il suo interlocutore.
«Ho le mie ragioni per averlo fatto» asserisce,
senza alcuna espressione particolare. «Tuttavia, se mi sei
così grato, c'è una cosa che potresti fare per
me, una cosa da poco, solo togliermi una piccola curiosità,
dopotutto direi che me lo sono meritato»
«Chiedi, Loki»
«Quale altro ignobile sotterfugio ha ordito Padre alle mie
spalle, stavolta?».
Thor cerca di non apparire turbato, ma non è mai stato bravo
a nascondere le emozioni come suo fratello, né possiede una
sola briciola della sua capacità di mentire.
Decide semplicemente di non rispondergli, ma Loki ha già
capito, ed è una consapevolezza che riapre vecchie ferite,
getta sale su tagli ancora sanguinanti. Il dio del tuono ora vorrebbe
dirgli che non importa, che non è mai stato d'accordo con
quel particolare piano, anche se la paura e la disperazione lo hanno
portato ad operarsi per cercare di attuarlo.
«Ascolta, fratello...» dice, schiarendosi la voce.
«Non chiamarmi in quel modo!».
«Ascoltami. Mi hai salvato la vita e io non ti
condurrò su Asgard, per quel che mi riguarda, sei libero di
andare».
Alla fine l'ha presa, quella decisione. Sa che è un enorme
azzardo, ma è l'unico modo che gli sovviene per ricordare a
Loki che lui non gli è nemico, che non vuole la sua disfatta
né la sua sofferenza. Se Loki se ne convincesse, forse molte
cose si metterebbero a posto da sole...
Adesso il dio degli inganni sembra persino un po' stupito.
«Credevo che non potessi più fare niente per
cogliermi di sorpresa, figlio di Odino» borbotta in tono
piatto.
«Promettimi solo una cosa»
«Ecco, sapevo che c'era un inganno!»
«Smettila! Non voglio niente per me, vorrei solo che questa
volta non ti limitassi a sparire nel nulla, che avessi la decenza di
salutare la ragazza come si conviene».
Loki alza lo sguardo al cielo.
«Sei uno sciocco sentimentale, fratello».
________________________________________________
Note:
Su
questo capitolo avrei talmente tante cose da dire che rischierei
di scrivere note più lunghe del capitolo stesso, quindi mi
zittisco
e lascio la parola a chi vorrà commentare...
Piccola
precisazione sul titolo, “l'ultima lampadina”: lamp
forse
non è il termine più preciso per intendere
“lampadina” in
inglese, ma era quello che mi suonava meglio rispetto a varianti come
lightbulb.
Ci
leggiamo mercoledì con l'epilogo, che è un
trafiletto talmente
breve che non mi sembra il caso di farvi aspettare un'intera
settimana.
Intanto,
auguri a tutti di Buona Pasqua ^^
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Capitolo 29 *** Epilogo ***
Epilogo
«Potresti essere un po' più delicato!»
esclama Tony, sbuffando.
«Potrei. Poteri anche rifilarti un pugno sul naso»
replica Steve, lasciando andare i cuscini che l'altro gli aveva chiesto
di sistemargli.
Barton ha minacciato di legarlo al letto se non si fosse deciso a
restarci per tutto il tempo che i medici della base ritenevano
opportuno. Tony ci crede alle minacce di Occhio di Falco, per questo si
è rassegnato alla sua degenza in posizione orizzontale.
Quando ha riaperto gli occhi, erano tutti là.
È stato sollevato di vedere Thor sano e salvo, anche se un
po' scorticato. Mancava solo Nadia e per le prime ore Pepper non gli ha
voluto dire cosa fosse successo per non farlo agitare. Poi glielo hanno
raccontato e non è stato lui ad agitarsi: la squadra
riparazioni sta ancora tappando l'enorme foro lasciato da Hulk
– per fortuna in un'area non troppo trafficata della base
volante. Era anche ora che Bruce Banner si sfogasse un po', ha retto
bene a tutto lo stress che ha dovuto sopportare, ma era ovvio che
bastasse una goccia a far traboccare il vaso già ampiamente
stracolmo. Ad ogni modo, sembra che Barton sia andato a ripescarlo con
il jet, da qualche parte nei pressi di Ellis Island e ora Bruce si sta
riprendendo nella stanza accanto, sorseggiando succo di frutta
multivitaminico o qualcosa del genere.
Oh, e poi c'è il fottuto piccolo cervo. Il tizio torvo che
non lo ha ucciso quando poteva finalmente farlo senza neanche rischiare
di venirne incolpato, dato che lui sarebbe morto comunque restando in
città. Tony sa che non deve illudersi, che Loki non lo ha
graziato per un impeto di bontà, lo ha solo risparmiato per
sfregio, solo perché lui vivesse con la consapevolezza di
poter essere sconfitto –
grazie tante Bambi, lo so già! – che
quel gesto è l'eccezione che conferma la regola. Ma se il
cugino di Sauron avesse fatto schioccare di nuovo le dita, a quest'ora
lui sarebbe un cadavere riverso in una strada di periferia e Tony odia
la prospettiva di essere vivo solo perché a Loki
già girava per il verso giusto quel giorno... e immagina che
questo sia esattamente il risultato che lui voleva ottenere. Bastardo...
Accantona il pensiero. Del resto non fanno altro che ripetergli di non
agitarsi, che è rimasto senza reattore Arc per diverse ore e
ha rischiato grosso e il suo cuore ha subito uno stress non
indifferente.
La banda di profughi bellicosi è stata catturata,
opportunamente impacchettata e spedita su Asgard, dove Thor ha
assicurato che Babbo Orbo darà a tutti loro una lezione con
i controfiocchi.
La Terra è di nuovo al sicuro e lui desidera ardentemente
del caffè, ma nessuno vuole lasciarglielo bere.
«Ammettilo, nonnetto, sei contento che io non abbia tirato le
cuoia» esclama Tony, guardando Steve dal basso.
«Non esserne troppo sicuro, Stark».
Tony scoppia a ridere. Il Capitano lo guarda perplesso, chiedendogli
cosa ci sia di divertente.
«Nulla... è solo che io in un letto di ospedale e
tu che mi sistemi i cuscini è una situazione troppo da
fanfiction slash». Le parole gli inciampano tra una risata e
l'altra.
«Cosa sono le fanfiction slash?» domanda Rogers con
perfetto candore.
«Qualcosa dalla quale faremo tutto il possibile per
proteggerti, Cap» dichiara una terza voce, dall'uscio della
porta.
Nadia è in piedi, appoggiata allo stipite di metallo. Sembra
tornata in forma, quasi del tutto almeno.
Steve Rogers scuote la testa e alza gli occhi al cielo. Lancia
un'ultima occhiata a Tony, poi si dirige verso l'uscita. È
la prima volta che lui e la ragazza si vedono da quando lui
è partito per New York dopo averle gridato contro come un
cane rabbioso, e hanno decisamente bisogno di un po' di privacy.
Steve esce e si chiude la porta alle spalle. Sta diventando
più intelligente.
Nadia corre verso il letto, salta sul materasso e getta le braccia al
collo di Tony. Lui ricambia la stretta.
«Colombina...»
«Come ti senti?»
«Bene. È il resto del mondo a essere preoccupato,
ma io sto benissimo» esclama lui. «Senti, io
volevo... per quelle cose che ho detto»
«Avevi ragione»
«No. Ero arrabbiato per la situazione... tu avevi ragione,
Loki era davvero lì per aiutare, secondo le sue strane e
discutibili attitudini e per i suoi loschi scopi, ma pur sempre per
aiutare. E, detesto dirlo, ma Thor è vivo grazie a lui, non
grazie a noi»
«Sì, ma io ho sbagliato, per tutto questo tempo,
ho pensato solo a me stessa e...».
Tony scuote la testa. Per tutto quel tempo la ragazza è
stata invischiata in una situazione più grande di lei, sia
dal punto di vista pratico che dal punto di vista emotivo, e lui ha
sempre pensato che essere innamorata di uno come Loki fosse un sintomo
di un qualche grave disturbo mentale, ma alla fine si è
dovuto rendere conto di quanto coraggio le ci sia voluto per amarlo e
anche per lasciarlo andare. E dopo tutto quello che è
successo, Tony non può escludere che anche il dio bastardo
provi davvero qualcosa di importante per lei. Questo non cambia niente,
ma è un dato di fatto che va quanto meno riconosciuto.
«Più ci penso e più mi rendo conto che
trovare il giusto e lo sbagliato in tutta questa faccenda è
impossibile» conclude Tony. «Ad ogni modo, Loki
avrebbe potuto uccidermi e non l'ha fatto». Ora lui non vuole
stare a ripeterle il ragionamento che ha elaborato al riguardo,
è anche abbastanza sicuro che Nadia giungerà da
sola alle stesse conclusioni a tempo debito, ma davvero non
è quello il momento dei cavilli e delle accuse. «E
se mi avesse fatto fuori, quella brutta cornacchia di Nick non avrebbe
avuto modo di fare la sua buona azione annuale».
Nadia si irrigidisce. Tony non riesce a immaginare quanto dev'essere
stato terribile per lei tentare di riparare il reattore Arc, scoprire
di non esserne in grado e poi venire a sapere che tutti i suoi sforzi e
tutta la disperazione che l'ha spinta a farli erano inutili. Ma non
riesce ad avercela davvero con lo S.H.I.E.L.D, ha capito le regole del
gioco da tempo, e anche se è un gioco che non sempre gli
piace, almeno sa cosa aspettarsi. È vaccinato alle sorprese
del vecchio monocolo, diciamo...
Ma non può fare a meno di pensare a quello che gli ha detto
Loki a proposito di Nadia, prima di lasciarlo in strada mezzo
tramortito: se tieni al
suo bene, appena tutto questo sarà finito, mettila su un
aereo e rimandala a casa. Tienila lontana da voi, e tieni Fury e lo
S.H.I.E.L.D. lontani da lei.
Già, Nadia non è fatta per quella vita e lo
S.H.I.E.L.D. deve dimenticarsi della pietra, della fonte di energia,
della ragazza che potrebbe o non potrebbe tornare utile se imparasse a
usarla.
Che poi, il fatto che lei impari a usare meglio la pietra ormai
è fuori questione, dato che il suo inquietante maestro se
n'è andato.
Thor ha lasciato libero Loki e magari al suo ritorno su Asgard si
beccherà pure una buona dose di sculacciate da Odino. Fury
ha dato di matto, ma erano ancora tutti troppo turbati dallo scherzetto
della lampadina di ricambio tenuta nascosta per empatizzare con lui.
Ciò non toglie che sapere di Bambi libero e sgambettante per
la galassia non aiuta nessuno a mettere bene la testa sul cuscino la
notte. Ma Thor è uno di loro e doveva certamente avere le
sue ragioni, e poi, come lui stesso ha detto al diretto interessato, il
giorno in cui tornerà saranno pronti.
«Loki ti ha... ehm, salutata prima di lasciarci?»
domanda Tony alla ragazza.
«Sì. È stato molto... beh, ha i suoi
modi di essere carino, talvolta».
A conti fatti, non ne ha mai dubitato. Tony Stark li conosce quelli
come Loki, quelli che sanno sempre apparire peggiori di quello che
sono, per molto tempo anche lui è stato uno di loro. Per
certi versi lo è ancora.
Sì, a quanto pare quello è proprio il punto di
conclusione alla fine della storia. E anche l'avventura di Nadia si
può considerare
conclusa.
Gli unici che sanno della pietra sono loro e i profughi di Nornheim,
che lo hanno scoperto solo perché avevano una spia tra le
loro file, che sono arrivati alla ragazza tramite loro; se lei fosse
rimasta a Venezia, probabilmente gli esiliati del pianeta alieno
starebbero ancora girovagando a vuoto alla ricerca di una fonte di
energia che quasi certamente non avrebbero mai trovato.
Nadia deve tornare a casa, dalla sua famiglia, solo così
sarà al sicuro. E lei stessa lo sa bene, Tony se ne rende
conto ora, guardandola, che nei suoi occhi già si sta
formando quel velo di tristezza che precede gli addii.
«La tua famiglia sarà contenta di riaverti tra i
piedi» le dice.
«Sai cos'è che mi mancherà
più di ogni altra cosa?»
«Il mio brillante umorismo?»
«No»
«Il tè verde di Banner? L'odore di sapone e
brillantina che ha il Capitano?».
Nadia ride e scuote la testa.
«Jarvis che mi dice quando ho messo più trucco su
una guancia rispetto all'altra».
_____________________________
Come vi avevo detto, non
finisce qui. C'è in cantiere un terzo e ultimo episodio
della vicenda, un po' più breve (almeno su carta) dei due
che lo hanno preceduto e molto più...
“fantasy”. Penso che posterò il prologo
lunedì 22 aprile, per poi cominciare a pubblicare i capitoli
settimanalmente ogni venerdì, as always.
Ma questo secondo
capitolo della trilogia è stato un vero parto, molto
più difficile della prima fanfiction, molto più
complesso e, quindi, sicuramente molto più pregno di difetti
e di passaggi che non sono riuscita nemmeno io a farmi piacere (ci sono
capitoli che ho scritto e cancellato almeno cinque volte). Eppure non
c'è stato un solo momento in cui io non mi sia divertita a
scrivere questa storia, ma se il divertimento era il motore principale
che mi spingeva ad andare avanti a raccontare avventure e disavventure
di Loki, Nadia e Avengers, l'impegno e l'entusiasmo che ho tentato di
mettere in queste pagine lo devo a voi, a chi mi ha seguito, a chi non
ha mai mancato di farmi sapere che la storia gli piaceva, a chi ha
evidenziato difetti che mi hanno aiutato a correggere il tiro, a chi ha
avuto la pazienza di scrivermi che la storia invece proprio non gli
andava. A quelli di voi con i quali si chiacchiera su Facebook. A
quelli che mi scrivono lunghi mp. E a tutti quelli che semplicemente
leggono, che settimana dopo settimana sono sempre stati lì.
E... uff... è
dura ringraziare come si deve senza sembrare ruffiana, ma il miracolo
che trasforma quella che è solo una storia in qualcosa di
più merita tutta la gratitudine del mondo.
Grazie di cuore.
Alla prossima.
Luciana
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