Stranger than you dreamt it

di Alkimia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Two months ago - part one ***
Capitolo 3: *** Two months ago - part two ***
Capitolo 4: *** Taking chances – part one ***
Capitolo 5: *** Taking chances – part two ***
Capitolo 6: *** Hell-sent ***
Capitolo 7: *** Welcome back - part one ***
Capitolo 8: *** Welcome back - part two ***
Capitolo 9: *** Welcome back - part three ***
Capitolo 10: *** The day after - part one ***
Capitolo 11: *** The day after - part two ***
Capitolo 12: *** Brainstorming ***
Capitolo 13: *** Like a nightmare ***
Capitolo 14: *** Resistance ***
Capitolo 15: *** Sunshine and frost - part one ***
Capitolo 16: *** Sunshine and frost - part two ***
Capitolo 17: *** Just one step - part one ***
Capitolo 18: *** Just one step - part two ***
Capitolo 19: *** Blinded by the light ***
Capitolo 20: *** It'd be good for them ***
Capitolo 21: *** Lese-majesty ***
Capitolo 22: *** Once upon a time ***
Capitolo 23: *** Deus ex machina - part one ***
Capitolo 24: *** Deus ex machina - part two ***
Capitolo 25: *** Endgame - part one ***
Capitolo 26: *** Endgame - part two ***
Capitolo 27: *** Endgame - part three ***
Capitolo 28: *** The last lamp ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


STRANGER THAN YOU DREAMT IT

Prologo


«Tony? Tony, svegliati...»
La voce sembra arrivare da un punto indistinto e lontanissimo. Molto al di là del sogno in cui l'uomo, al momento, è beatamente immerso.
«Anthony Howard Stark, apri gli occhi!».
La voce è perentoria. E lui sa che quando qualcuno usa il suo nome per intero è sempre un brutto segno. Con estrema riluttanza, si costringe a svegliarsi.
Esegue l'ordine, apre gli occhi e la luce gli ferisce lo sguardo. Con un mugolio di protesta, alza una mano a proteggersi dal sole che entra prepotente dalla grande vetrata dell'attico in cima alla Stark Tower. Strizza più volte le palpebre e tenta di mettere a fuoco il viso imbronciato chino su di lui.
Pepper.
Pepper che era fuori per un viaggio di affari e che non doveva essere a casa prima di dopodomani e invece ora è lì, mani ai fianchi, occhiaie da jet-leg sotto un velo di trucco, sguardo da cavaliere dell'Apocalisse.
E Tony non sa se se lo merita davvero, il cipiglio imbronciato della sua donna.
Ok, d'accordo. Era addormentato steso stravaccato sul divano al centro della sala. Addormentato steso stravaccato sul divano al centro della sala, con indosso uno smoking e l'odore del suo costoso e sciccoso dopobarba che aleggia nell'aria. E allora?
È stato a una festa la sera prima, sì. Ma qualcosa gli dice che non è questo il motivo per cui la sua donna lo sta guardando male, Pepper non può essere gelosa del fatto che lui sia andato a una festa senza di lei, tra l'altro a quella festa lui ci è andato con...
Oh, cazzo! Nadia.
Nadia – ventisei anni spesi onestamente, capelli biondi corti alla base del collo, pessimo gusto in fatto di ragazzi – è attualmente ubicata sull'altro divano. Anche lei addormentata, anche lei in abito da festa. Ma non ha addosso odore di profumo da centoventi dollari al flacone, ha odore di... alcol.
Ricapitoliamo...
Tony e Nadia sono stati a un party la sera prima. Nadia ha alzato un po' il gomito. Cioè ha bevuto, come un naufrago che sta annegando... come l'intera ciurma di una nave da crociera che affonda.
Tony vorrebbe dire che sono cose che capitano, la ragazza non ha mai dato particolari segni di squilibrio – se si vuole sorvolare sull'essere stata coraggiosamente folle o follemente coraggiosa, che dir si voglia, e sul fatto che ha una cotta per un dio malvagio e poco affidabile – una sana ubriacatura se l'è meritata, una volta tanto.
Ma Pepper non sembra dello stesso avviso; batte una mano sulla spalla di Tony e gli fa cenno di seguirla nella stanza attigua. Il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento è come il suono di una bomba ad orologeria che sta per scoppiare e quando si chiudono la porta scorrevole alle spalle arriva la detonazione.
«Come hai fatto a permettere che si riducesse in quello stato?» esclama Pepper.
Gran bella domanda.
«C'era quel tizio, il tuo adorato stagista appena vomitato da Harvard, che ci provava» esordisce Tony. «Per un attimo ho persino pensato che lei ci stesse, poi ha cominciato a trovare molto più interessante il cameriere che girava con i bicchieri di Martini sul vassoio».
«E tu non l'hai fermata» lo rimbecca la donna.
Tecnicamente, Nadia è adulta e vaccinata e può fare quello che vuole e quando lui aveva promesso che se ne sarebbe preso cura non intendeva propriamente diventare la controfigura della sua coscienza. Ma la verità è un'altra.
«Non ce l'ho fatta, ok? Lo hai visto anche tu cosa... cosa le sta succedendo» risponde Tony. «Ho pensato che se quello era l'unico modo per farla distrarre, almeno per una sera...»
«Tony, ti prego. Bere fino al coma etilico non è una soluzione».
No, non lo è, lui lo sa bene e non permetterebbe mai che Nadia cominciasse a pensarlo. Ma per una volta, per una sola santissima volta, ha voluto lasciar correre, ha voluto non essere quello che le diceva cosa fare, che le dava lezioni, che le ricordava cosa fosse giusto fare, che tentava di fare appello al buon senso.
Sono due mesi che Nadia è lì a New York. Due mesi che provano a trovare il modo di sistemare la faccenda dei picchi di energia magica. Due mesi che ogni tentativo fatto non si rivela mai del tutto risolutivo. Due mesi che, nonostante tutto, la ragazza si impegna ad essere paziente e collaborativa, sforzandosi di non crollare.
E sono anche due mesi che lei è lontano da casa, con la sua famiglia dall'altro lato del mondo che crede che lei sia in America a fare la fotografa e che viene tenuta buona con una storia di copertura.
E Nadia è già crollata da tempo, e nessuno sembra voglia ammetterlo. Sembra la solita Nadia, allegra e piena di spirito, ma c'è qualcosa, qualche luce che si è spenta. E Tony sa esattamente chi ringraziare per questo.
Loki.
Se potesse, lo troverebbe solo per il piacere di infilzarlo sulla guglia del palazzo.  
Quel dannato rifiuto dell'Olimpo – o di come accidenti si chiama il posto da cui proviene – si era ben guardato da avvisare che con il trucchetto della resurrezione, Babbo Orbo aveva lasciato a Nadia dei poteri magici, neanche fosse Sailor Moon! E poi aveva avuto la faccia tosta di apparirle in sogno, promettendole che l'avrebbe aiutata. E lei gli aveva creduto perché, per quanto Tony trovi la cosa del tutto folle e inconcepibile, Nadia ha davvero una cotta per quel mostro, e lui l'ha abbandonata, l'ha lasciata sola ad affrontare una cosa che nessuno, nemmeno lui e gli altri della squadra sanno come gestire. È questo che l'ha abbattuta, più di ogni altra cosa, anche se lei non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura; le manca Loki, forse credeva scioccamente che lei sarebbe stata la sola che lui non avrebbe tradito, pensava che in qualche assurdo modo il dio dell'inganno ricambiasse i suoi sentimenti. Ma non è così, lui non ce li ha i sentimenti, non sa neanche dove stanno di casa e adesso sarà di sicuro da qualche parte nell'universo a tramare qualche altra mostruosità.
E Nadia è lì. E Tony aveva promesso che se ne sarebbe preso cura, che sarebbe andato tutto bene. E nonostante sembri che il cosmo cospiri contro di loro, manterrà la promessa, costi quel che costi.


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Bentrovati.
Come da introduzione, questo è il seguito di A series of unfurtunate events e temo sia di difficile comprensione per chi non abbia letto la fanfiction precedente.
Avevamo lasciato Nadia in partenza per l'America assieme a Tony, con l'energia proveniente dal bracciale che non riesce gestire, e Loki appena catturato dai Chitauri per essere portato da Thanos. Naturalmente cosa sta facendo il caro dio dell'inganno lo sapremo a breve, come sapremo a breve cosa è successo a Nadia in quei due primi mesi a New York. Intanto, spero che il breve prologo abbia attirato la vostra attenzione.
Per chi consce i film precedenti a The Avengers ci saranno anche un paio di “facce note” che volevo assolutamente inserire.
Nel frattempo, vi ricordo che la storia è esclusivamente moveiverse, come la precedente.
Il titolo della fanfiction è una citazione del musical The Phantom of the Opera.
Critiche, osservazioni e pareri sono sempre ben accetti. 

Ci leggiamo venerdì con il primo capitolo vero e proprio.

PS: rubando l'idea ad altri utenti più scaltri di me XD ho creato un profilo Fromspring per chi volesse farmi qualche domanda sulla fanfiction, sulla vita, l'universo e tutto quanto...

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Capitolo 2
*** Two months ago - part one ***


Ringrazio tutti per la calorosa accoglienza che ha avuto il prologo, in meno di un paio di ore dalla pubblicazione c'erano già un sacco di visualizzazioni e commenti... e grazie per la fiducia a tutti quelli che hanno subito messo la storia tra i preferiti, i seguiti o le storie da ricordare, anche solo leggendo la breve introduzione :P
Ne approfitto per ringraziare anche quelli che hanno letto (e continuano a leggere) la precedente fanfiction dopo che l'avevo conclusa e che mi hanno fatto sapere che gli era piaciuta, dandomi ancora più voglia di scrivere questo seguito.
Grazie di cuore! *___*

*******


Capitolo primo
Two months ago - part one


Panico.
Jane Foster sente l'ansia serrarle la gola, come se qualcuno stesse cercando di strangolarla. Tra un attacco di tachicardia e l'altro, riesce persino a farsi prendere dall'euforia, ma il panico rimane la sensazione predominante.
Fissa per l'ennesima volta le foto stampate su fogli in formato A4 delle immagini rilevate dal telescopio elettronico. Si è consumata gli occhi a forza di guardarle.
Il dipartimento di astrofisica per il quale lavora – il fighissimo dipartimento di astrofisica che l'ha assunta all'improvviso, senza una ragione precisa ma con sua somma gioia – è vuoto a quell'ora, tutte le luci sono spente, eccetto quelle del suo studio.
La giovane scienziata si spinge sui talloni, facendo scorrere le rotelline della sedia da ufficio fino alla soglia della porta e lancia uno sguardo lungo il corridoio: è deserto e silenzioso, con solo le luci di emergenza verdi accese sopra le porte antipanico. Lo scenario perfetto per un thriller in cui un pazzo psicopatico spunta dal nulla e fa a pezzi la giovane sprovveduta.
Il portapenne di alluminio, pericolosamente in bilico nell'angolo della scrivania, cade sul pavimento con un fracasso impensabile per un oggetto tanto piccolo. Il rumore improvviso la fa quasi cadere dalla sedia e Jane si ritrova a boccheggiare, facendosi aria con le mani e tentando di riprendersi dallo spavento.
Sì, c'è decisamente qualcosa di strano nell'aria e lei non può essersi sbagliata, sa bene cosa ha visto in quelle immagini che ora sono sparpagliate sulla sua scrivania come i pezzi di un puzzle, lo sa perché è qualcosa che ha già visto in passato e si sente così agitata perché è certa che le probabilità che uno scienziato ha di vedere più di una volta nella vita quel fenomeno sono pressoché nulle.
Un warmhole. Come quella volta in New Mexico, come quando aveva incontrato Thor per la prima volta – e Darcy lo aveva steso con il taser, e Eric aveva passato giorni a ripeterle che era una pessima idea. E lei ci era caduta dentro mani e piedi. E, in mezzo a tutto ciò, era arrivato lo S.H.I.E.L.D. e le aveva portato via il lavoro di una vita.
Succederà anche stavolta, Jane lo sa, se lo sente dentro le ossa. Forse è per questo che è così agitata, tra l'euforia della scoperta e il panico per tutte le implicazioni, scientifiche e non, che la cosa potrebbe avere. Anche perché la domanda fondamentale rimane: se la volta precedente si è formato un ponte di Einstein-Rosen in seguito a una tempesta magnetica ed è piovuto giù Thor in tutto il suo divino e buffo splendore, adesso cosa è arrivato dallo spazio? Le immagini non danno alcuna risposta in merito.
Dopo attenta e acuta riflessione, la dottoressa Foster prende una decisione solenne. Più che altro, è l'unica cosa da fare, dato che non ha alternative. 
La ricerca del cellulare si rivela un'impresa ardua, in mezzo al caos che regna nel suo studio – non lo fa di proposito, ma non ha mai tempo per sistemare tutta quella roba che si va accumulando in giro su ogni superficie orizzontale disponibile. Alla fine lo trova dentro la scatola di biscotti con i quali è solita fare merenda – come diavolo ci è finito lì? -  e cerca il numero nella rubrica.
Si mordicchia nervosamente il labbro, ascoltando gli squilli a vuoto nel telefono. Alla fine, dall'altro lato, le rispondono.
«Eric!» esclama subito.
«Jane, che bello sentirti. Come stai?» dice il dottor Selvig, sinceramente contento.
A quel punto Jane comincia a parlare a raffica.
«Prossima all'infarto. Io ho trovato delle cose, Eric e non so cosa fare... insomma, tu lavori per lo S.H.I.E.L.D. adesso, a qualcosa di molto bello, molto grosso e molto segreto, e wow! Però io ho bisogno che qualcuno di competente mi aiuti in questa cosa, senza che saltino fuori tizi in giacca e cravatta a saccheggiarmi lo studio. Potrei fare una strage se succedesse ancora, sai?».
La ragazza si scopre ad ansimare agitata nella cornetta, il viso contratto in un'espressione ansiosa.
«Che vuol dire che hai trovato qualcosa?» chiede lo scienziato in tono paziente.
«Ricordi la tempesta magnetica in New Mexico e tutto quello che ne seguì?»
«Come potrei scordarlo?»
«Ecco, è successo di nuovo. Ma stavolta non so cosa sia piovuto dallo spazio».
Eric Selvig resta muto, tanto che lei per un attimo crede che sia caduta la linea. È  più che certa che lui abbia deglutito nervosamente dall'altro capo del telefono, ha la netta sensazione che il suo vecchio mentore stia sudando freddo, anche se non può vederlo. E ha anche come l'impressione che lui ora le darà qualche consiglio molto paterno e molto poco gradevole.
«L'ultima volta che ho visto aprirsi un passaggio interspaziale è spuntato fuori Loki, il fratello di Thor. E non era uno che andava molto per il sottile» afferma l'uomo, in un tono che è diventato improvvisamente freddo e serioso, forse persino spaventato.
Il fratello di Thor? Si chiede Jane. Quel fratello? Cioè, quello che aveva cercato di ucciderlo inviando sulla Terra un enorme robot automatizzato che sputava fuoco?
Jane a quel punto si domanda anche se il famigerato fratello di Thor non abbia qualcosa a che fare con quello che è successo a New York qualche mese prima. Ma non è importante, o forse sì, visto il tono di Eric, solo che non è qualcosa di cui lei deve preoccuparsi nel suo futuro prossimo.
«Eric...»
«Quello che sto cercando di dirti, Jane, è che da questi fenomeni possono venire fuori cose serie, molto serie e che dovresti venire qui allo S.H.I.E.L.D.» asserisce lo scienziato, ritrovando il suo tono pacato e paterno.
«Io non voglio che lo S.H.I.E.L.D. si appropri delle mie ricerche!» protesta lei.
Il sospiro del dottor Selvig fruscia basso nella cornetta.
«No, Jane, ma puoi venire qui e continuare il tuo lavoro insieme a loro o lasciare che lo S.H.I.E.L.D. ti porti via tutto e faccia a modo suo».

*

Il viaggio in aereo le è sembrato lungo un'eternità.
Ci sono cose che Nadia ha preferito non dire, alle quali preferisce non pensare, ma quando ha guardato dal finestrino e ha visto sotto di sé solo il nulla delle nuvole sopra l'Oceano ha sentito un senso doloroso di perdita, c'è qualcosa che si è spezzato dentro di lei e adesso una parte della sua anima è ridotta a un moncherino sanguinante, privo di un pezzo. Dopo tanto tempo passato a sognare di andare via da casa, non credeva che lasciare la sua città e la sua famiglia le avrebbe fatto così male.
Non è che così che voleva che andassero le cose.
L'aereo privato atterra sul nastro di asfalto di una pista che sembra incastrata in una cornice di palazzi le cui sagome svettano immobili contro il cielo.
L'America è il luogo dove ristagnano i sogni del mondo, dove l'immaginario di tutte le persone colloca avventure ed eroi, ma Nadia adesso sente solo la realtà dura e incolore del cemento che copre l'orizzonte.
La ragazza saluta Steve e Natasha, chiedendosi se e quando rivedrà gli altri della squadra. Le hanno spiegato che Clint è via in missione e che Bruce... beh, il traffico cittadino può essere una cosa molto stressante.
Alla fine, Nadia si ritrova sul sedile posteriore di una Rolls Royce, in mezzo a Tony e Pepper.
Tony solleva il coperchio di un vano dal quale comincia a uscire subito il fumo del ghiaccio secco. Dal vano spuntano tre bicchieri di martini, con tanto di oliva.
«Un brindisi di benvenuto, Colombina».
Quando il primo sorso di liquore le arriva nello stomaco, Nadia lo sente bruciare e accoglie con piacere la sensazione di leggerezza una volta finito il drink.
New York scorre oltre i finestrini oscurati della vettura, quel paesaggio strabiliante ed estraneo sfila davanti ai suoi occhi e lei è incapace di concentrarsi e coglierne i particolari, insensibile all'effetto di straniamento che quella mastodontica città dovrebbe produrre su una ventiseienne che ha trascorso tutta la vita incastrata tra le calli veneziane.
Nadia cerca di fare un breve riepilogo mentale di quello che le hanno detto durante il viaggio.
Tony le ha fatto preparare un appartamento al penultimo piano della Stark Tower. Lei non ha idea di cosa sia, ogni volta che ci pensa le viene in mente una costruzione simile al campanile di San Marco, con la scritta STARK a caratteri cubitali in lettere di ottone fissata ai mattoncini rossi.
Si stabilirà lì mentre lo S.H.I.E.L.D. si occuperà di fare esami e indagini sulla pietra e sugli effetti collaterali dell'energia che emette. Sembrano tutti sicuri che troveranno qualcosa, come se si trattasse di semplici analisi cliniche per risalire a una malattia curabile con un cucchiaio di sciroppo. Nadia vorrebbe essere ottimista quanto lo sono loro, ma né Tony né gli altri hanno sentito quello che ha sentito lei quando il suo sangue è entrato in contatto con quello di Thor, quella sera sull'isola di San Michele. Non hanno visto cosa è quell'energia e il modo in cui si spande attraverso il corpo, come un veleno, come il calore bruciante di una febbre. Non hanno idea di cosa significhi, e nemmeno lei lo capisce fino in fondo. Sa solo che è qualcosa di estraneo, di alieno, qualcosa che le fa venire voglia di strapparsi la pelle, di scavare con le unghie nella carne per cercarla e tirarla via.
Si passa una mano tra i capelli, si sente infinitamente piccola e la sensazione di essere sola con le sua sciagure sta quasi per assalirla di nuovo quando vede la Stark Tower svettare in fondo alla strada trafficata e allora quasi le scappa un singulto: il palazzo costruito da Tony non poteva che essere così, una costruzione ultramoderna ma che sembra voler avere lo stesso significato delle antiche piramidi egizie. 
«Un bel monumento alla megalomania» dice Nadia, ridendo per la prima volta da quando è partita dal San Marco.
Tony fa una smorfia fingendo un'aria offesa e inforca un paio di occhiali da sole.
Qualche minuto dopo sono in un'ascensore con gli interni in radica che sale silenziosa verso la sommità dell'edificio. Le porte lucide si aprono su un pianerottolo che ha ancora il sentore di pittura fresca.
«Abbiamo dovuto far sistemare il soffitto,» spiega Pepper, «rischiava di crollare in corrispondenza del solco sul pavimento al piano di sopra, dove Hulk...». Si interrompe, mordendosi le labbra. Non c'è tempo per il silenzio imbarazzato perché dal nulla arriva la voce di Jarvis.
«Signore, signorina Potts, bentornati» dice con quel suo tono atono da robot. «Signorina Nadia, benvenuta. Ho regolato il climatizzatore del suo appartamento in modo che ci sia una temperatura ottimale tale da non creare sbalzi con l'esterno, e ho messo in funzione il frigorifero e verificato che tutti gli elettrodomestici siano perfettamente funzionanti, come pure la linea telefonica e la connessione a internet».
La ragazza ha un attimo di smarrimento, si guarda attorno cercando un punto in cui fissare lo sguardo per rispondere all'intelligenza artificiale, ma non ci sono nemmeno degli altoparlanti a vista, Jarvis sembra essere fatto di aria.
«Ehm... grazie, Jarvis. Sei stato molto gentile» farfuglia, confusa.
«Dovere, signorina».
Ci credo che Tony è mezzo pazzo, impazzirei anche io con un maggiordomo invisibile...

L'appartamento che le hanno preparato è a pianta circolare, segue il perimetro della parte più alta della torre. Oltre la porta di ingresso c'è una grande sala con il pavimento di marmo. A sinistra un'immensa cucina piena di cose che Nadia non userà mai, in parte perché non le serviranno – non ha mai ben capito l'effettiva utilità di uno spremiagrumi elettrico –  in parte perché non saprebbe nemmeno come accenderle. Accanto alla cucina c'è una sala da pranzo e un bagno. Dall'altro lato c'è una camera da letto grande come uno stadio, uno studio con una libreria enorme – e vuota – e un altro bagno. Dalla sala principale si accede anche a una terrazza a mezzaluna con la ringhiera di metallo lucido e pannelli di vetro satinato.
Nadia ha appena fatto il giro della sua nuova casa e già non vede l'ora di darsela a gambe.
«È meravigliosa. Grazie, Tony» dice, allargando il miglior sorriso che riesce a mettere su. Non sta mentendo, la casa è davvero stupenda, solo che non fa per lei ed è talmente grande per una persona sola che amplifica il molesto senso di vuoto che le stringe il petto, ma tutto questo non c'è bisogno di condividerlo con i suoi ospiti.
Tony la prende del tutto alla sprovvista, avvicinandosi a lei e cingendole le spalle con un braccio per poi stamparle un bacio tra i capelli.
«Tu inizia a prendere confidenza con l'ambiente, noi andiamo di sopra a preparare la cena... ovvero ad ordinare la pizza» le dice.
«Se hai bisogno di qualcosa, chiama. C'è un interfono in ogni stanza» spiega Pepper.
«Fantastico!». Inquietante...

Ce la può fare.
Lo ripete più volte, per convincersene. Ce la può fare, può risolvere quella situazione e uscirne viva, può gestire la nostalgia di casa, può pensare solo alle cose positive, tipo vedere quel viaggio come una lunga vacanza da sogno... e può anche capire come miscelare l'acqua in bagno visto che non c'è il rubinetto.
Ora che è senza vestiti, a fissare come un pesce lesso la cabina della doccia, comincia anche a sentire freddo. Dove dovrebbe esserci la manopola di un rubinetto c'è solo una placca di metallo con due linee, una blu e una rossa, segnate sulla superficie di acciaio satinato.
«Le occorre aiuto, signorina?». La voce di Jarvis la fa quasi ribaltare per lo spavento.
In un gesto automatico, Nadia si porta una mano all'inguine e un braccio a coprire il seno.
«Jarvis!» strilla, irritata.
«Sì, signorina?». La voce del robot è sempre compita e incolore.
Se trovo la tua parte hardware la distruggo a martellate!
«Jarvis, sono senza vestiti» borbotta la ragazza.
«Sì, signorina, i miei sensori visivi lo hanno rilevato»
«E il tuo cervello elettronico non ti suggerisce l'idea che non è... decoroso?»
«Mi scusi, non riesco a capire cosa intende, signorina. Ad ogni modo, se si sta chiedendo come far funzionare la doccia deve sapere che il miscelatore dell'acqua funziona con un comando tattile: faccia scorrere il dito sulla striscia rossa per il caldo e sulla blu per il freddo. Spero di esserle stato d'aiuto».
Nadia scuote la testa,
«Immensamente, Jarvis. Ora potresti, tipo, non so, sparire?» borbotta.
Jarvis non dà alcuna risposta. La ragazza si guarda istintivamente in giro, cercando sempre un punto di provenienza per la voce del robot, ma ancora una volta non trova niente.
Si gratta la nuca imbarazzata, chiedendosi se non è stata scortese con il maggiordomo invisibile e se lui non si sia offeso, prima di ricordarsi che, dopotutto, si tratta di un robot.
«Perfetto, sto impazzendo anche io!» conclude prima di infilarsi nella cabina doccia e mettersi ad armeggiare con i comandi tattili del miscelatore dell'acqua.

*

In quel luogo non esiste il tempo.
Non c'è alcuna luce che scandisce il passare dei giorni, non esiste il riposo e nemmeno il silenzio, c'è solo il continuo rumore del vento che sferza ululando le pareti della sua prigione, che si infila nelle fessure aperte nella pietra soffiando gelo sul suo corpo nudo.
Loki non sa da quanto tempo è giunto lì, tornato sul pianeta dei Chitauri.
Ha trascorso quelli che dovevano essere stati i primi due o tre giorni nella sua nuova prigione, una grotta di pietra situata in cima ad un'altura, con l'ingresso chiuso da sbarre di metallo gelido e scuro. Lo hanno lasciato lì, senza dire nulla, senza che nessuno si faccia mai vedere, con la sola compagnia di quel vento continuo ed insistente.
Gli sembra alienante, ma ha come la sensazione che dovunque vada per lui ci sia solo dolore e prigionia, non c'è un solo angolo dell'universo infinito che non gli sia ostile. Il principe caduto non ha più un posto dove stare, non ha più un luogo che gli appartenga  o che possa chiamare casa. Gli era parso un sacrificio accettabile quando tutto era cominciato, e adesso, anche se nessun rimpianto o nessun sentimentalismo osa sfiorargli la mente, il dio dell'inganno vede con chiarezza ciò che ha perduto e questo non fa altro che far montare ancora più la sua rabbia. La sensazione di perdita e il bruciore del fallimento sono la spinta che continua a far battere il suo cuore di pietra e ombra. 
Lì, seduto con la schiena contro la parete di roccia, Loki ha cominciato a porsi delle domande. Si è chiesto come abbiano fatto i Chitauri a trovarlo e a raggiungerlo mentre era in una galassia tanto lontana dalla loro; il loro capo aveva parlato di nuovi alleati e adesso il dio si sta domandando chi siano questi alleati e quali siano le loro risorse.
Il tempo è trascorso pesante e vuoto, immobile come acqua stagnante.
Forse la punizione di Thanos consiste nel voler lasciare che lui muoia di inedia.

Ha trascorso quindi i primi giorni in elucubrazioni e in ragionamenti, facendo congetture e ipotesi e, di tanto in tanto, abbandonandosi ai ricordi dei fatti più recenti.
Gli avvenimenti di Venezia brillano nella sua memoria come fuochi che esplodono all'improvviso in mezzo all'oscurità. Ricorda la frustrazione dello scoprire di non potersi impossessare della pietra di Borr, ricorda quella rabbia che non smetteva di ribollire dentro le sue vene e che aumentava ad ogni ora passata in compagnia di insulsi esseri umani. Ricorda l'irritazione per le tante cose che aveva visto passare sotto i suoi occhi – e anche sotto la sua pelle – senza che lui fosse stato in grado di capirle. E ricorda il furore quasi folle nel dover ammettere con se stesso, ancora una volta, che gli umani, che quegli umani, non sono le creature ottuse e smarrite che credeva, che in fatto di forza, tenacia e coraggio non hanno niente da invidiare alle più potenti divinità guerriere. E ricorda Nadia, e ogni volta che il suo nome gli attraversa la mente, è sconcerto ciò che il dio prova. Sconcerto per quello che la ragazza ha fatto per lui. Sconcerto per ciò che adesso lui sta facendo per lei.
Loki è convinto che una parte di sé non smetterà mai di essere pentita per non averla uccisa subito, dopo la prima serata in sua compagnia; pietra o non pietra, avrebbe dovuto affondarle le dita nel petto e fermarle il cuore. Una parte di sé davvero rimpiange di non averlo fatto, ma l'altra parte prova una sorta di sollievo al pensiero che Nadia adesso è forse l'unica ragione sensata per continuare a rimanere vivo, a parte la volontà di perseverare con i propri piani.
Nadia lo ha salvato dai demoni – è stato inutile, Thanos lo ha catturato comunque, ma lei è rimasta fino alla fine, ha fatto ciò che poteva e anche di più. Ora lui deve ricambiare il favore, perché è giusto, perché è un ingannatore e un assassino ma non un ingrato.

Loki vede un'ombra disegnarsi sul pavimento di pietra della prigione. Un sorriso arrogante di sfida gli si disegna sulle labbra mentre si alza in piedi e posa lo sguardo sul capo dei Chitauri che lo sta fissando oltre le sbarre, a debita distanza, come se lo temesse.
Certo, lo temono e fanno bene. Ha abbastanza energia per ucciderne a decine, ma non può permettersi di sprecarla, quell'energia gli serve per tornare su Midgard, anche se non è affatto facile come pensava. Ora la Terra si trova in una galassia troppo distante, non sa nemmeno lui quanto e un solo errore di calcolo rischierebbe di farlo rimanere inchiodato lì per sempre; non può concedersi il lusso di fare cose azzardate o di affrettare i tempi, deve attendere di essere sicuro di indirizzare l'energia nella giusta direzione per collegarsi di nuovo alla pietra e lasciarsi trasportare via da quell'inferno di gelo e immobilità.
«Giungo a te con delle notizie, asgardiano» dice cupo il capo dei Chitauri.
Loki mantiene un'espressione impassibile, non vuole lasciar trasparire la sua tensione, non darà a quel rifiuto dell'universo la soddisfazione di vederlo spaventato o turbato.
«Egli è tornato, è qui ed è impaziente di vederti».
«Molto bene, non attendo altro» replica il dio, fingendo una calma che in quel momento non gli appartiene.
«La tua ostentata spavalderia non ti salverà, principe».
Loki serra nervosamente le mascelle. Ha molte domande da fare e sa che deve tentare, dopotutto i suoi carcerieri sono convinti che lui resterà lì fino a quando non riusciranno a cavargli la vita dal petto.
«Ancora non mi hai spiegato come avete fatto a rintracciarmi e a spostarvi a una distanza tale da raggiungermi» dice, cercando di dissimulare la curiosità e la preoccupazione per la risposta.
«Nuovi alleati, come ti dissi».
Loki non sa se sia prudente insistere e incalzare il suo orrido interlocutore con altri quesiti. Scrolla le spalle e fa per voltarsi con aria indolente.
«Ebbene, asgardiano, voglio farti un dono» aggiunge il capo dei Chitauri con un sorriso malevolo. «Voglio donarti la consapevolezza che avrai la tua vendetta e in parte i tuoi desideri saranno esauditi da altri».
«Spiegati» esclama Loki, tornando a voltarsi di colpo.
Dannata feccia putrescente...
La sua vendetta appartiene a lui, come pure i suoi desideri, nessun altro può portare a compimento i suoi piani perché non si è mai trattato di cosa fare ma del perché farlo. Voleva distruggere suo fratello perché lo odia, voleva conquistare Midgard perché gli spetta un trono...
«Quell'insignificante grumo di vita sciagurata che è la Terra verrà distrutta» dice piano il capo dei Chitauri.
Loki sente un battito sordo rimbombargli dal petto in ogni parte del corpo. La Terra è il suo unico porto sicuro adesso, e in ogni caso, distruggerla non ha mai fatto parte dei suoi piani né dei suoi desideri. Non ha mai voluto distruggere nulla, voleva solo governare, come gli spetta per diritto.
«Non sapevo che Thanos fosse così interessato alla sorte di quel piccolo, insulso mondo» replica, sperando che il suo interlocutore aggiunga altri dettagli a quanto ha già detto.
«Oh, tu credi che sia lui a volere questo? Ti inganni, asgardiano, al mio signore non importa di quel pianeta»
«E allora chi?».
Il capo dei Chitauri si lascia scappare una risata roca e gutturale che sembra il suono delle montagne quando franano. Dopo qualche istante di silenzio poi si china verso le sbarre,
«Non sei l'unico, in tutti i beneamati Nove Regni, che vuole vendetta contro il figlio di Odino» asserisce quasi divertito.
Loki fissa attonito il profilo del capo dei Chitauri allontanarsi dalla sua cella e sparire nella penombra.
Ogni singola parola del dialogo appena avvenuto gli rimbalza nella testa. Distruggere la Terra per vendicarsi di Thor che ha preso quel pianeta sotto la sua protezione... la mente stanca di Loki non riesce a ragionare su chi possa essere colui che vuole realizzare una simile impresa, né cosa abbia a che fare costui con Thanos e i Chitauri.
Quello che sa è che il brivido che gli sta passando lungo la schiena non è da imputare al freddo.
 

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Note:
Schizofrenia portami via... ehm... no, mi spiego. Non so se l'alternanza dei diversi punti di vista e delle diverse situazioni sia “piacevole”, cioè non vorrei che il passaggio da scene che vorrebbero essere comiche (Nadia in bagno che si imbarazza per Jarvis) a scene notevolmente più cupe e drammatiche (Loki prigioniero sul pianeta dei Chitauri), faccia tipo venire le vertigini a chi legge; nella prima parte di questa storia il fatto che i diversi personaggi si trovino in posti distanti e in situazioni che, al momento, non c'entrano molto l'una con l'altra mi impone di dosare così anche i contenuti delle varie scene.
Jane, sì. Jane-ommiodio che casino-Foster. L'avevo detto che ci sarebbero state altre facce note. Fatele ciao ciao con la manina :)

Questa storia dovrebbe essere un po' più lunga (???) e complessa della precedente, oltretutto ho anche cominciato la specializzazione all'università, per cui aggiornare più di una volta a settimana è impossibile, ma vi garantisco l'aggiornamento ogni venerdì (così io ho una scadenza da rispettare e chi vuole ha tutto il tempo di leggere con calma senza che si accavallino i capitoli).
Chiedo scusa anche se notate che ci metto un po' a rispondere alle recensioni, ma don't worry, è la parte più divertente di questo “lavoro” e non smetterò mai di farlo :P

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo, quindi ^^

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Capitolo 3
*** Two months ago - part two ***


Capitolo secondo
Two months ago – part two


Nadia è lì da pochi giorni e si sente stranamente tranquilla. Non ha avuto il tempo di abituarsi a niente in realtà, ma sta cominciando a provare un senso di rassegnata accettazione per tutto quello che è accaduto. Nemmeno la voce di Jarvis che spunta dal nulla le fa più impressione.
Però comincia a sentirsi un po' di peso in casa Stark. Pepper è partita per una conferenza a Los Angeles, lei e Tony stanno organizzando qualcosa di grosso che riguarda una dimostrazione pubblica sull'utilizzo del famigerato reattore Arc come fonte di energia pulita e poi parlano spesso di un'impresa, la Golden Hope o qualcosa del genere, con cui le Stark Industries stanno collaborando a un progetto che a Pepper sta molto a cuore per una qualche ragione che Nadia ancora non ha compreso.
Tony dovrebbe a essere a Los Angeles, assieme alla sua donna, ad occuparsi della sua attività e a mostrare al mondo ciò che il suo instancabile cervello è riuscito a produrre. E invece è a New York, a recitare la parte del dirigente industriale assennato – una parte che non gli si addice nemmeno un po' – per non lasciare Nadia da sola.
In generale, Tony la sta tremendamente viziando, Nadia ha la sensazione che se lei dicesse, anche solo per scherzo, di volere una stella, lui comprerebbe un dipartimento della NASA e menderebbe degli astronauti a tirare Alfa Tauri giù dal cielo. Ma lei sa che tutto quello che il caro signor Stark vuole fare è tenerle la mente occupata; ciò che il suo amico non capisce è che non c'è niente di abbastanza grande da poter tappare il buco nero che Nadia ancora si porta dentro.
L'autista l'ha accompagnata fino a quella stradina, a un paio di isolati dalla Stark Tower, dove c'è una tavola calda che fa lo shawarma – che Nadia ha finalmente capito trattasi di una piadina farcita di kebab. Tony le ha proposto di andare a prendere lo shawarma e di raggiungerlo in ufficio per pranzare assieme, le ha anche promesso un aneddoto assolutamente esclusivo e top-secret su quel kebab.
Così adesso la ragazza si ritrova a camminare in un vicolo di New York, mani sprofondate nelle tasche dei jeans e naso all'insù, a osservare distrattamente il cielo rigato dai cavi del tram che sembra lontanissimo.
La sua attenzione viene catturata dal chiosco di un'edicola, tra gli espositori di giornali e fumetti spunta un pannello di plexiglas sul quale sono in mostra alcune maschere di plastica, il cartellino scritto a mano dice ''9,50 $''. In mezzo alle facce di personaggi di cartoni animati e personaggi televisivi spunta una fila di maschere che riproducono in maniera un po' approssimativa i volti degli Avengers.
Oh, Dio...
Nadia si avvicina, allunga una mano a prendere la maschera con la forma dell'elmo di Iron Man. Due fori vuoti, lì dove dovrebbero esserci le fessure luminose, sembrano fissarla.
La ragazza capisce di non essersi mai resa conto davvero del significato più profondo della parola eroe, del valore che la gente dà a certe cose.
New York porta ancora addosso i segni della distruzione, un'infinità di cantieri delimitati da strisce di nastri di plastica disegna i contorni delle cicatrici lasciate dalla battaglia, squadre di operai lavorano per rimettere in sesto strade distrutte, facciate di palazzi sfondate, buche nell'asfalto.
È il male a far nascere gli eroi, e il male che quella città ha subito ha un volto e un nome, proprio come quelli delle persone che l'hanno salvata.  
Loki...
Nadia non ha più pensato a lui da quando è arrivata in America. Ha preferito relegare quel ricordo in un angolo buio e ha fatto in modo che nemmeno la luce più flebile giungesse mai a sfiorarlo.
Alla vista delle strade di una New York martoriata, il pensiero di Loki sfoca nella sua mente, come il ricordo di quello che è accaduto a Venezia. In quei giorni Nadia trovava così difficile credere che non ci fosse altro che male dentro di lui, come invece gli Avengers non facevano altro che ricordare e come Thor cercava così disperatamente di ignorare. Ora la ragazza si sente come quella città, devastata, ferita per la sola colpa di aver incrociato per caso il suo cammino con quello del dio dell'inganno.
Una maledizione le brucia nella gola, una maledizione che quasi con stupore Nadia non riesce a far arrivare alle labbra.
Che tu sia maledetto, Loki, dovunque tu sia.
Il pensiero non prende voce, non si concretizza, rimane una sensazione di furore frustrato in fondo allo stomaco.
Non riesce a volergli male, non ce la fa. Non ce la farà mai. Spera solo di essere in grado di dimenticarlo, prima o poi.
Ripone la maschera di Iron Man sull'espositore e torna a camminare per raggiungere la tavola calda dove fanno lo shawarma.

L'autista – ok, non si abituerà mai ad avere un autista, nemmeno tra un milione di anni – l'accompagna alla sede delle Stark Industries e Nadia si ritrova a camminare in un dedalo di corridoi lucidati a specchio, sotto lo sguardo di una miriade di gente in giacca e cravatta o tailleur, con un sacchetto di carta che spande attorno un forte odore speziato. Magari sono tutti abituati alle stravaganze del padrone di casa, ma lei deve sembrare proprio un pesce fuor d'acqua.
Quando raggiunge l'ufficio di Tony, nel cuore del dannato palazzo, trova la porta chiusa e un tizio dall'aria nervosa che cammina avanti e indietro, reggendo tra le mani una cartellina.
Il tizio in realtà è un ragazzo forse di pochi anni più grande di lei; sembra non voler fare altro che schizzare fuori dal completo blu scuro e gettarsi sotto una doccia, stando al modo in cui si tormenta il nodo della cravatta, ma se continua così tutto ciò che otterrà sarà di scavare un solco sul pavimento a forza di muoversi su e giù per quel metro di mattonelle.
«È impegnato al telefono» bisbiglia il ragazzo quando vede Nadia fissare la porta chiusa dell'ufficio del grande capo. «Il signor Stark, intendo, è occupato con una telefonata, sembra molto importante perché per rispondere mi ha fatto uscire».
Lei annuisce con un mezzo sorriso, mormorando un vago «Ok» e guardando lo sconosciuto con aria un po' perplessa.
«Sembra di pessimo umore» squittisce lui, con voce afflitta.
Certo, Tony diventa sempre un po' nervoso quando Pepper non c'è, senza contare che in quei giorni ha parecchie gatte da pelare sia al lavoro che fuori, e lei è una di queste; ma il ragazzo sembra proprio sul punto di mettersi a dare testate contro il muro, come se tutti i mali del mondo stiano per ricadere sulle sue spalle.
«Sono certa che non ti staccherà una mano a morsi» gli dice lei, nel goffo tentativo di farlo calmare.
«Dici? Ah!... oh, scusa, io sono Mike Glanville»
«Piacere, mi chiamo Nadia».
Si stringono la mano e lui fa un mezzo sorriso, riuscendo ad apparire per un secondo un po' più rilassato. È carino, con i capelli castano chiaro tagliati corti, una carnagione di un'insolita tinta ambrata e gli occhi chiari. A Nadia sono sempre piaciuti i ragazzi con gli occhi chiari, anche quando si tratta di occhi profondi e gelidi come quelli di...
Stringe le palpebre per ricacciare indietro quel pensiero del tutto fuori luogo e tenta di concentrarsi sul ragazzo che aveva davanti.
«Sì, ho sentito parlare di te in questi giorni» mormora lui, tamburellando le dita sul fondo della cartellina che ha tra le mani.
«Come il cagnolino del signor Stark, immagino» borbotta la ragazza.
Mike sgrana gli occhi,
«Tony Stark ha un cagnolino?» dice, fingendosi sconvolto con un'espressione talmente buffa che Nadia si ritrova a ridere.
Il ragazzo scuote la testa e si va a sedere su una delle poltrone di pelle rossa sistemate nell'elegante anticamera. Un sole tiepido entra attraverso i vetri delle grandi finestre.
«Sembra che tu debba andare a incontrare un plotone d'esecuzione, comunque» dice la ragazza raggiungendolo.
«Più o meno. Sono uno stagista, mi ha assunto la signorina Potts. Mi sono da poco laureato in ingegneria ed è una grande opportunità per me lavorare qui... ma il signor Stark alle volte è così incomprensibile e irritante. Oddio, scusa, non avrei dovuto dirlo»
«Rilassati Mike, non lo verrà a sapere da me. E comunque sì, temo che sia del tutto pazzo» conclude Nadia, sghignazzando.
I due ragazzi restano a chiacchierare per una decina di minuti, fino a quando le porte dell'ufficio di Tony non si aprono e Mike sparisce oltre i battenti, non prima di essersi voltato un'ultima volta verso di lei e aver mimato il gesto di incrociare le dita.

***

Sono passati otto giorni da quando Nadia è arrivata a New York.
Quel mattino se ne sta seduta scomposta sul divano, con il naso tra le pagine di Game of thrones. Il tuttofare, in giacca di Hugo Boss, è appena arrivato a portare una scatola di ciambelle glassate proveniente da una determinata pasticceria dall'ubicazione ignota a cui il signor Stark sembra essere particolarmente devoto.
Nadia ha sviluppato un odio immediato per il caffè americano, e in generale il cibo di quel posto non la fa proprio impazzire, ma è certa che le ciambelle glassate che Tony si fa arrivare ogni mattina potrebbero fermare un'eventuale terza guerra mondiale.
La ragazza sta giusto addentando la prima ciambella, con la glassa bianca e gli zuccherini verdi, quando la voce di Jarvis soffia dagli altoparlanti, facendole avere un sobbalzo e facendo rovesciare la tazza di caffè di Pepper – rientrata il giorno prima dai suoi impegni californiani – sul suo librone fantasy.
«L'agente Hill è di fuori, signore» dice la voce robotica.
«Fammi indovinare: è urgente» borbotta Tony.
«Così sembrerebbe, signore»
«Se ti lasci di nuovo bypassare, Jarvis, io ti smagnetizzo!»
«Ma, signore...».
In quello stesso istante la porta dell'ascensore si apre e fa la sua comparsa una donna che attraversa il grande open space con un passo quasi marziale. La donna è giovane, indossa stretti jeans scuri e una giacca di pelle nera con la cerniera abbottonata fino al mento.
«Stark...» dice con un sospiro spazientito, come una maestrina che si rivolge a uno scolaro particolarmente negligente. «Fury vi sta aspettando, te e la ragazza, da una settimana».
Nadia sposta più volte lo sguardo tra Tony e la donna, confusa. Fury è il direttore dello S.H.I.E.L.D, lo sa, come sapeva che prima o poi avrebbe dovuto incontrarlo. Ha intuito che Tony aveva rimandato l'incontro per darle il tempo di ambientarsi e probabilmente per organizzare qualcosa personalmente, prima che il capo di una super associazione segreta decidesse cosa fare di lei e prendesse iniziative poco piacevoli, ma tutti hanno i propri limiti, anche i geni miliardari supereroi a tempo perso.
«Oh, cielo!» esclama Tony, enfatizzando un'aria mortificata falsa quanto una banconota da quindici euro. «La mia segreteria è in ferie e io non so dove tiene l'agenda in cui segna i miei appuntamenti, per questo forse mi è sfuggito, ma quando torna Nick può telefonarle e fissare un incontro così magar...»
«Una macchina ci aspetta di sotto» lo interrompe la donna, perentoria.
«D'accordo» capitola l'uomo, strizzando l'occhio in direzione di Nadia, come a dirle di non preoccuparsi. «Una ciambella, agente Hill?».

L'agente Hill non ha voluto nessuna ciambella, non ha nemmeno voluto aspettare un minuto di più. Nadia e Tony si sono ritrovati assieme a lei in ascensore; la ragazza ha letto qualcosa di strano e poco promettente nel modo severo in cui la donna guarda il suo amico.
L'auto li lascia davanti a una palazzina bassa dalla facciata bianca, la bandiera a stelle e strisce che sventola sulla cornice di marmo della porta. Di certo quella non è la base dello S.H.I.E.L.D, Nadia ne è sicura, si tratta forse solo di un qualche ufficio che loro prendono in prestito per svolgere attività particolarmente tranquille. Questo in qualche modo dovrebbe rassicurarla, ma non le fa piacere essere lì, sopratutto esserci arrivata in quel modo, con la donna dallo sguardo adamantino che sembra sul punto di scaricare la pistola addosso a Tony.
Sono appena entrati nel palazzo e stanno percorrendo un'anticamera dal pavimento di marmo liso, un po' come quello dei vecchi palazzi di Venezia, quando sentono il portone aprirsi alle loro spalle e dei passi strascicati avvicinarsi.
La donna inarca un sopracciglio e fa per voltarsi.
«Ma tu guarda, Guglielmo Tell di ritorno dalle Alpi Svizzere» esclama Tony.
Clint Barton fa un mezzo sorriso e si avvicina con un'andatura vistosamente zoppicante. Batte una mano sulla spalla di Nadia e le strizza l'occhio.
«Allora sono rientrato giusto in tempo per il tuo debutto in società. Nat mi ha mandato un messaggio stamattina» dice.
«Oh, mi fa piacere che ci sia anche tu. Ehm... Clint»
«Sì?»
«La gamba, stai sanguinando»
«Lo so».
Nadia non aggiunge altro e non fa domande. Non si aspetta plateali dimostrazioni d'affetto dal super efficiente agente Barton ma è intimamente contenta che Clint si sia presentato lì, di ritorno da chissà quale missione, stanco e zoppicante, per assistere al suo incontro con le alte cariche dello S.H.I.E.L.D.
In quei giorni trascorsi a Venezia si è affezionata a ognuno di loro, ha imparato ad amare tutte le loro strane – e in alcuni casi inquietanti – peculiarità e, volendo definire l'amicizia come l'incontro perfetto tra l'affetto e la fiducia, quelle persone sono di certo i suoi migliori amici.
La contentezza di Nadia sfiora vette da record quando, saliti all'ultimo piano del palazzo, si ritrovano in un corridoio dove ci sono altri visi noti che l'aspettano.
Bruce, Steve e Natasha sono in piedi davanti all'unica porta, le sorridono quando la vedono comparire all'aprirsi dell'ascensore.
L'agente Hill – Maria Hill, ha appreso Nadia – entra nell'unica stanza del piano e lascia per qualche minuto la ragazza ai saluti degli Avengers.
«Ehi, Maciste come sei arrivato qui? Il traffico cittadino non ti fa saltare i nervi?» chiede Tony guardando perplesso Bruce.
«Mi ci hanno portato in elicottero, in realtà»
«Ingegnoso. È un peccato che non si possa telefonare a Boccoli d'oro, immagino sarebbe venuto anche lui».
Nadia spalanca la bocca in una perfetta O di stupore. Sono davvero tutti lì per lei, hanno voluto esserci. La ragazza sente un forte senso di commozione e gratitudine stringerle il cuore e un attimo dopo comincia la nausea.
Oh, no...
Ha imparato a riconoscere i sintomi, prima un leggero attacco di nausea, poi il mal di testa, poi la nausea che si fa sempre più forte, e infine il vomito e lo stordimento. D'accordo, forse è solo l'emozione, non deve pensarci e non vuole presentarsi al direttore dello S.H.I.E.L.D. con l'aria sofferente.
Maria Hill apre la porta e fa cenno a Nadia di entrare.
«Solo la ragazza» specifica quando gli altri fanno per varcare la soglia dietro di lei.
«Non dica sciocchezze» la rimbecca Tony mantenendo aperto il battente di legno. «Banner è già abbastanza irritato dai rumori dei clacson».
La Hill si volta verso il suo superiore, guardandolo incerta, lui scuote il capo in segno di resa ma sbuffa come un toro pronto alla carica.
Dunque quello è Nick Fury. L'uomo di colore è vestito di nero, con una benda di cuoio scuro sull'occhio sinistro. Una ragnatela di segni lividi è visibile oltre il contorno della benda e Nadia pensa che la storia di come il direttore dello S.H.I.E.L.D. abbia perso l'occhio deve essere parecchio splatter.
La stanza è vuota, il pavimento di legno è sporco di fuliggine e in un angolo sono ammucchiati scatoloni coperti di polvere. L'unico arredo è un sedia laccata di bianco che ha certamente visto tempi migliori.
«Benvenuta, signorina Berton, si sieda» la invita Fury, che è in piedi contro una grande vetrata; la luce che entra mette ancora più in risalto il tetro della sua figura. Nadia ne ha paura e il cuore smette di batterle all'impazzata solo quando si accorge che dietro la sedia su cui si è lasciata cadere ci sono gli Avengers. La squadra di eroi che ha salvato la Terra è in piedi, alle sue spalle, a braccia conserte come a intimare a Fury di andarci piano. Essere sotto la protezione di quei tizi è elettrizzante in un certo senso.
«Come si sente, signorina Berton?». Nick Fury sbaglia a pronunciare il suo cognome, facendo cadere l'accento sulla O, la vocale sbagliata.
Nadia sbatte più volte le palpebre,
«Sto bene, signore» risponde in tono compito.
«Mi fa piacere, ma non è quello che risulta dalle nostre informazioni».
«Oh, lei vuole sapere di questo» borbotta la ragazza scostando la manica della maglietta e mettendo in mostra il bracciale, un semplice ninnolo d'argento con delle incisioni simili a delle rune e una pietra opalescente incastonata nel mezzo. «So che mi ha tenuto sotto sorveglianza a Venezia, non so come ma suppongo siate anche entrati in possesso di informazioni mediche su di me. Ci sono lacune nel rapporto che le è stato fornito? Perché in questo caso sarei ben lieta di aiutarvi a colmarle, appena lei mi avrà detto due cose».
Fury incrocia le braccia sul petto e corruga la fronte. C'è una nota ostile nella voce di Nadia e di sicuro la cosa non è sfuggita all'uomo in nero. E lui deve essere il tipo da rispondere all'ostilità con mezzi piuttosto bellicosi.
«Cosa vuole sapere?» le chiede dopo qualche istante, senza che nessuna emozione gli smuova il tono di voce.
«Come pensate di aiutarmi e perché volete farlo».
Fury attraversa la stanza con passo rigido, le si avvicina ed estrae un foglio piegato dalla tasca interna della giacca.
«Voglio sapere se sa qualcosa di questo e se è in grado di darci una mano, tanto per cominciare» spiega, porgendo il foglio alla ragazza.
«Cos'è questa novità?» esclama Tony. «Credevo che ormai fossimo amici Niky, che ci dicessimo tutto»
«Che dopo l'infelice uscita delle armi nucleari lei avesse smesso di nasconderci le cose» puntualizza Steve, crucciato.
«Grazie, Capitan Preistoria».
«Che cos'è? Un'ecografia?» borbotta Nadia senza capire, rigirando più volte il foglio che ha tra le mani e cercando di decifrare l'immagine confusa che è stampata sopra, un'insieme di macchie chiare e scure disposte in circolo.
«È l'immagine ripresa da un telescopio elettronico» spiega Bruce dopo aver inforcato un paio di occhiali. «Ma cosa c'entra con Nadia?».
«Quello nell'immagine è un warmhole, il fenomeno è stato registrato dalla dottoressa Foster» dice Fury. «L'ultima volta che si è verificato un simile evento è stato in New Mexico, meno di un anno fa. Fu quando il nostro amico Thor piovve dal cielo, dopo di lui arrivò il suo martello, poi i suoi compagni d'armi e infine un mostro metallico che rase quasi al suolo la città di Puente Antiguo. Poi c'è stato il varco del Tesseract che ci vomitò addosso Loki, avete bisogno che vi rammenti quali sono state le puntate successive?».
Nadia sente la nausea aumentare e l'agitazione crescere. Il solo fatto che si sia accennato al nome di Loki non migliora molto la sua situazione psicofisica. Tra l'altro, restando in ambito di divinità assenti, se non ricorda male, la dottoressa Foster dovrebbe essere l'astrofisica Jane, la ragazza di Thor.
«Va bene» sbotta all'improvviso, gettando via il foglio che ha tra le mani. «Non capisco, signor Fury, cosa si aspetta che io sappia di questa roba»
«Non mi aspetto niente, signorina Berton. Ma so che Loki si è messo in contatto con lei dopo che se n'era andato da Venezia, se per caso ha delle notizie o ci sono stati altri episodi dei quali non ci ha riferito, questo è il momento buono per farlo».
Nadia muove la bocca a vuoto, senza che le parole le arrivino alle labbra, sconvolta com'è. Ha raccontato del sogno in cui aveva incontrato Loki durante il viaggio in aereo, Ha detto a Tony e agli altri quello che lui le aveva spiegato sulla faccenda dell'assorbimento dell'energia e probabilmente è stata Natasha a raccontare i dettagli al direttore, e fin qui può anche andarle bene, ma perché Fury si aspetta che lei sappia qualcosa di Loki? Loki è sparito, l'ha abbandonata, a Loki non importa niente di lei e se anche avesse avuto dei piani, non era con lei che li avrebbe condivisi.
«Voi pensate che Loki c'entri con quel warmhole?» riesce a dire, alla fine, cercando di ritrovare un po' di autocontrollo.
«Potrebbe. Non conosciamo nessun altro che si muova in quel modo attraverso lo spazio»
«Forse non le è chiaro, signor Fury, che io non vedo Loki da più di un mese». Mi ha lasciata a morire.
A quel punto della conversazione, la nausea si è fatta intollerabile – come la conversazione stessa, del resto.
«Va bene» concede Fury. «Quello che voglio evitare, signorina Berton, è che lei faccia qualche sciocchezza»
«Sciocchezza?»
«Sì, qualche sciocchezza sentimentale. Loki è pericoloso e se stesse cercando di fare qualcosa, qualsiasi cosa fosse, andrebbe fermato con ogni mezzo. Lei questo lo capisce, vero?».
Nadia mette su un sorriso mellifluo,
«Vede, signore» mormora con gelido sarcasmo. «Se io avessi tra le mani Loki in questo preciso momento, lo fermerei staccandogli la testa, anche se non stesse architettando niente».
Fury fa un sospiro colmo di pena e preoccupazione, è la cosa più umana ed emotiva che Nadia gli ha visto fare da quando è entrata in quella stanza. Poi le dà le spalle e si avvicina alla vetrata tenendo le mani incrociate dietro la schiena.
«Era come avevi detto, Stark» mormora in tono grave. «La ragazza è innamorata».
Nadia si sente avvampare, non tanto per l'imbarazzo e nemmeno per la voglia di gridare che non è affatto vero, ma perché ha sentito un'ondata di calore venire da dentro. È un calore sgradevole, come quello della febbre, che le serpeggia nelle vene, lasciandosi dietro una scia di dolore. È come quella notte, sull'isola di San Michele, quando aveva usato l'energia per esorcizzare i demoni.
Cerca di non pensarci, si volta di scatto a guardare Tony con aria adirata.
«Io... ehm... non ho detto proprio così... cioè» farfuglia lui, colto alla sprovvista.
Una sensazione strana attraversa la mente della ragazza, è qualcosa come un fulmine o come una lama che taglia. Sente lo scricchiolio del vetro e sente il calore e il malessere evaporare dal suo corpo per spandersi nell'aria. Negli istanti che seguono, tutto quello che prova è terrore.
«Direttore Fury» dice, con la voce che le si spezza. «Si... si sposti da lì...».
Un attimo dopo la vetrata va in frantumi, esplodendo verso l'interno.
Nadia resta immobile a guardare i frammenti di vetro che volano in ogni direzione, spinti dalla forza dell'esplosione che, senza sapere come, lei stessa ha provocato. Vede un braccio oscurarle la visuale e si ritrova serrata nella stretta di qualcuno che cerca di proteggerla dai vetri, qualche frammento le si impiglia nei capelli e nelle pieghe dei vestiti.
È questione di pochi secondi, ma la ragazza li sente dilatarsi nella sua mente, come una scena a rallentatore.
È stato Steve a gettarsi addosso a lei; Nadia si libera cautamente della sua presa e si guarda attorno.
«Cazzo!» ringhia Fury, staccandosi una grossa scheggia di vetro dal palmo della mano. Ha diversi tagli sul viso e sulla testa calva, Maria Hill gli porge un fazzoletto con il quale lui si tampona il sangue.
Nadia guarda smarrita prima lui, poi gli altri che sono alle sue spalle.
«Bello, molto coreografico» fa Tony, alzandosi in piedi.
«Tu stai bene?» chiede Bruce alla ragazza.
Lei annuisce meccanicamente. No, non sta affatto bene, sapere che l'energia dentro il suo corpo può fare cose del genere non è per niente rassicurante, senza contare che quell'energia, stando a quanto aveva detto Loki, prima o poi la ucciderà.
«Vuole mettermi in una cella nascosta e usarmi come cavia da esperimenti, direttore?» chiede poi Nadia quando Fury si rimette in piedi.
«Non mi tenti, signorina Berton. Non mi tenti» borbotta lui, continuando a tamponare un taglio sulla tempia che non smette di sanguinare e continuando imperterrito a sbagliare l'accento del suo cognome. «Comunque sia, questo è quello che faremo: un bel check-up medico completo»
«Con la supervisione del dottor Banner, immagino» dice Tony. Non è una proposta, suona più come un ordine ma Fury fa finta di ignorare il tono poco democratico di quelle parole.
«Con la supervisione del dottor Banner» concede. «Poi vedremo di capire se incidenti come questo sono evitabili con qualche attività specifica».
«Attività specifica?» ripete Nadia, senza capire.
«Addestramento, perché no?» risponde Natasha con un mezzo sorriso, tirandole un buffetto sulla spalla.
«Possiamo senz'altro organizzare qualcosa di divertente» le fa eco Clint.
«E per i momenti peggiori puoi usare Capitan Ghiacciolo come pungiball, tanto lui mica si rompe...» aggiunde Tony.
«Possiamo senz'altro provare» si arrende Steve con un'alzata di spalle.
«E lei preghi, signorina Berton, preghi che questo sia sufficiente» conclude Fury con sguardo duro.

***

Sono trascorsi diversi giorni di snervante nulla, nei quali Loki è rimasto solo con i suoi pensieri.
Le parole del capo dei Chitauri hanno continuato a rimbalzargli nella mente senza trovare una collocazione precisa. I punti di domanda di mille questioni senza risposta sono come uncini che si conficcano nella sua testa.
Chi vuole distruggere la Terra e perché?
Cosa c'entra tutto ciò con il fatto che i Chitauri hanno potuto viaggiare fino al luogo isolato in cui lui si era nascosto dopo essere fuggito da Venezia?
Il tempo è diventato una massa informe di vuoto che Loki non riesce a quantificare.
Poi, senza preavviso, il suo supplizio è cominciato.
Vengono a prenderlo e lo portano al cospetto di Thanos, gettandolo bocconi sulla terra ai suoi piedi. Loki sente l'umiliazione cominciare a bruciargli fin dentro le viscere, ma sa che non è né saggio né sensato opporre resistenza in quel momento.
Colui che una volta gli aveva fatto da maestro non proferisce alcuna parola. Non c'è niente da dire e nemmeno niente che merita di essere ascoltato, sanno entrambi perché lui è lì.
Comincia all'improvviso, dal silenzio; si abbatte su di lui con la violenza di un'esplosione. Loki non sa qual è la fonte di quel dolore lancinante, non riesce a capire se proviene dalla sua mente o dal suo corpo. È come un fluido che gli si riversa addosso sempre più copioso, fino ad annegarlo, è dentro di lui e sulla sua pelle, anche se nessuno lo ha toccato. Dopo qualche istante percepisce solo le scintille di rosso che si accendono dietro le sue palpebre chiuse e lo sforzo immane di tener serrate le labbra il più a lungo possibile, di non regalare al suo carnefice la soddisfazione delle sue grida. È un proposito che riesce a rispettare per una discreta quantità di tempo, ma poi deve cedere al dolore, una sensazione di bruciore e di strofinio di lame che parte dall'interno del suo corpo e risale fino alla pelle, lacerandola; e quando comincia a gridare, il dio non ne è nemmeno più cosciente, il male fa impazzire il suo corpo, annullando ogni suo senso. Sente solo due gocce di sudore scendere lentamente dalla tempia fino alla mascella e l'odore ferruginoso del suo stesso sangue. E in mezzo a quelle sensazioni orrende, affiorano i suoi ricordi peggiori, immagini nitide e perfette di tutti gli avvenimenti che in passato gli hanno provocato sofferenza, tutte le delusioni, tutte le sconfitte che si gonfiano nella sua mente e la invadono, come un assedio che non sa respingere.
Perché Thanos conosce i suoi nervi scoperti, quelli del suo corpo e quelli della sua mente. Lui può creare trame di incubo e sofferenza in cui le sue vittime non possono fare altro che dibattersi come pesci trascinati sulla riva cocente di una spiaggia, senza respiro, senza scampo.
Poi il buio arriva inatteso, come una benedizione.
Si risveglia nella grotta-prigione, di nuovo solo, con il rumore del vento a martellargli nella testa. È  steso di fianco sulla roccia e impiega qualche secondo a realizzare di essere completamente nudo e in balia del gelo che soffia su quell'altura desolata. Ad ogni minimo movimento, un bruciore acuto si spande in ogni parte del suo corpo, ma Loki si sforza ugualmente di mettersi a sedere.
Quell'orrore è appena cominciato, e ci vorrà tempo prima che lui riesca a capire come creare un varco di energia da quella galassia fino alla Terra. La consapevolezza di tutto ciò potrebbe bastare a gettarlo nella più totale disperazione, ma Loki si impone di restare lucido, si aggrappa alla sua rabbia con tutta la forza che ha, come ha già fatto in passato, e giura a se stesso che sopporterà. Che ancora una volta sopravvivrà e tornerà più forte di prima.   




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Note:

Fate ciao ciao anche a Mike, nuovo personaggio originale che è entrato a far parte della baracca. Ho grandi progetti per quel ragazzo.

Nel prossimo capitolo ci sarà un grosso salto temporale, la storia ripartirà dai giorni successivi a quello che avete letto nel prologo, due mesi dopo l'arrivo di Nadia a New York.

Thanos. Parliamone. So che il personaggio all'interno dei fumetti ha tutta la sua bella caratterizzazione e il suo perché, lo so più che altro perché mi è stato spiegato da chi ne sa più di me.
Ma qui siamo nel movieverse. E fino ad ora, nel movieverse, di Thanos non ci hanno detto niente, per cui (considerando anche che lui non sarà un personaggio particolarmente rilevante nella trama) io improvviso, non per pigrizia nel documentarmi, semplicemente perché mi baso sul materiale che ho a disposizione: i film, appunto.




Ho rimesso mano a photoshop... si salvi chi può!

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Ci leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento.

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Capitolo 4
*** Taking chances – part one ***


Capitolo terzo
Taking chances – part one


La sera prima, durante la chiamata via webcam, Sara le ha detto che la trova in forma, che pensa che quei due mesi in America le abbiano davvero giovato. Nadia ha ricacciato in gola l'ennesimo sospiro malinconico e ha sorriso sciolinando qualche battuta sul fatto che è sempre in giro e fa molto movimento.
Questa non è del tutto una bugia. Non è affatto una bugia, anzi.
Sono due mesi che quasi ogni giorno si allena con Clint e Natasha e di certo il suo fisico e il suo aspetto ne hanno giovato, ma a parte questo non ci sono altri effetti positivi. Non ha più fatto esplodere niente, è chiaro, ma le crisi non sono cessate. Dai vari controlli medici a cui l'hanno sottoposta non è emerso niente di anomalo; sfogarsi con le lunghe sessioni di allenamento la sta aiutando a far diminuire la frequenza delle crisi, ma il problema non è risolto e, anche se non lo ha detto a nessuno, Nadia ha paura che una notte il suo cuore possa fermarsi nel sonno. Cerca di non pensarci, ma è un'idea che rimane a galleggiare sul fondo di ogni pensiero, di ogni risata, di ogni cosa che dice o che fa.
La ragazza fa scorrere il pass elettronico davanti alla lente ottica e la porta di vetro si apre automaticamente per farla entrare nella base newyorchese dello S.H.I.E.L.D.
Un ricordo prende forma nella sua mente, gettando ombre cupe sulle pareti di pannelli bianchi, asettiche come quelle di un ospedale. È il ricordo di un cielo notturno sospeso sopra la sua testa, il ricordo di una voce che ora lei preferisce immaginare priva di volto. La voce le dice che lei è una guerriera e che non c'è un limite oltre il quale qualcuno deve considerare di arrendersi.
Nadia si domanda a che serve essere una guerriera quando non si hanno le armi per salvarsi la vita. Ma sa che non ha nessun diritto di arrendersi, che se Tony e tutti gli altri si stanno facendo in quattro per aiutarla, lei non può concedersi il lusso di lasciarsi andare, anche se sa che quella battaglia è persa in partenza.  
Continua camminare lungo il corridoio. Prova sempre una strana soggezione ad essere lì, in mezzo a quella gente che è a conoscenza di segreti che le farebbero drizzare i capelli se ne scoprisse anche solo la metà.
Non deve parlare con nessuno, non deve fermarsi in nessun posto, non deve nemmeno provare a guardare oltre le fessure di vetro delle porte o leggere le targhette; ordini di Fury. Deve solo camminare verso l'unica stanza a cui il suo pass personalizzato le permette di accedere, dove di solito l'aspettano Clint e Natasha per portarla con loro in qualche strana palestra o in qualche laboratorio.
Quella settimana però Natasha non c'è, è via per una qualche missione e a lei non è permesso fare domande – e le manca molto: un pizzico di solidarietà femminile fa un'enorme differenza quando si vive in mezzo ai supereroi.
E Clint adesso le ha appena annunciato di aver preso – tutto da solo – la solenne decisione di volerle insegnare a sparare.
«A che mi serve?» protesta Nadia, mentre il senso di ribrezzo che ha sempre provato per le armi quasi la prende allo stomaco.
L'agente Barton si volta a guardarla come se lei gli abbia fatto la domanda più improbabile e insensata della storia della comunicazione verbale.
«È utile, per principio» taglia corto, mettendole in mano un pass elettronico per accedere a una sorta di armeria.
Mentre Clint sceglie le pistole, tra le molte armi da fuoco appese alla parete della stanza in cui sono appena entrati, Nadia si ricorda della sera dello scontro con i demoni sull'isola di San Michele, di come la rabbia fremeva dentro di lei, insieme alla voglia di fare qualcosa, tanto che aveva invidiato ai due agenti dello S.H.I.E.L.D. la dimestichezza che dimostravano di avere con le armi. Ma quella sera di ormai tre mesi prima era stato tutto diverso, quella sera aveva avuto paura, voleva lottare e l'avrebbe fatto contro un'intera città di demoni e mostri assortiti se ci fosse stato bisogno. Ora non sa cosa vuole fare della sua vita, fintanto che ne gliene resta una.
Ha sempre creduto che in una situazione del genere si sarebbe tuffata a capofitto nelle cose, si sarebbe sforzata di vivere ogni giorno fino in fondo, fare incetta di sensazioni, azioni, emozioni. Ma non è così, semplicemente sente di non averne la forza, che non c'è un vero motivo per farlo. Si sente vuota e sono loro, gli Avengers, senza saperlo, che la stanno trascinando avanti, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Nadia gli è profondamente grata per questo, e allo stesso tempo lo trova alienante; a volte è come dibattersi tra le pareti di una prigione, sapendo che non giungerà mai il sollievo della libertà.
Ma forse un giorno, a forza di allenamenti e tentativi, lei imparerà a gestire le crisi e sopravviverà, oppure no. Quello che sa è che è stata lei, due mesi prima, a chiamare Tony per chiedergli aiuto e adesso non può semplicemente uscirsene con un «no, grazie, ho cambiato idea».
Imponendosi di accantonare i suoi pensieri angosciati da derelitta, segue Clint fino al poligono di tiro.
Dopo aver indossato cuffie e occhiali protettivi, l'agente pigia un tasto e una sagoma con la forma scura di un uomo stilizzato si muove verso di loro.
Clint tende il braccio e spara, dando fondo al caricatore. Nel silenzio assordante che segue gli spari, Nadia vede che i fori dei proiettili hanno disegnato con precisione una faccina triste dove c'era la testa della sagoma.
«Molto artistico» commenta, stupita. «Io che dovrei fare?».
Clint le mostra come tenere la pistola e come far partire i colpi, poi allunga la mano verso il tasto per far avanzare una nuova sagoma,
«Facciamo che per il tuo primo tentativo non ti dico niente, voglio vedere a istinto come sei messa» conclude prima di pigiare il bottone. «Cerca di colpire sempre lo stesso punto».
«Cosa?...»
«Spara!».
Nadia tende il braccio e preme il grilletto. Una volta, due volte... cinque volte. Sente la vibrazione del rinculo spandersi dal polso fino al gomito in una maniera quasi dolorosa, tanto che quando abbassa la guardia il braccio le tremola come se i muscoli fossero stati sottoposti a un enorme sforzo.
Vede la sagoma di cartone avanzare verso di lei. Ci sono cinque fori sul disegno dell'uomo, tutti in punti molto distanti l'uno dall'altro, due nelle braccia, uno sulla pancia, uno sulla gamba e un altro alla base del collo.
Clint guarda i fori dei proiettili che ancora fumano,
«Beh, quel che è certo è che lo avresti ucciso» commenta.
«Come diavolo faccio a sparare sempre nello stesso punto se la vibrazione del rinculo mi fa tremare il braccio?»
«Impari a prevedere. È tutta una questione di farci l'occhio e l'abitudine»
«Clint, io non voglio fare l'abitudine a questo genere di cose...» ammette lei con un sospiro.
«Sciocchezze. Non è diverso dal cucire a uncinetto, è solo un po' più rumoroso».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa, poi lascia che Clint si prodighi in consigli utili e spiegazioni di ogni sorta tra un tentativo e l'altro.
Come Nadia si aspettava e come l'agente Barton certamente sapeva, non ci sono stati miglioramenti sostanziali per quella mattina, c'è stato solo un enorme spreco di pallottole e un notevole stress da inquinamento acustico. Ma lui è ancora convinto che sia importante che lei impari a sparare e, magari se mettesse su un po' di muscoli in quelle braccine sottili, le insegnerà anche a tirare con l'arco.
«È stata un'idea di Fury?» domanda Nadia all'improvviso, mentre tornano verso l'armeria. «Lui ha in mente qualche occupazione da trovarmi, nel caso io diventi utile in qualche modo?»
«Nadia, non ti stiamo addestrando. Se lo avessimo fatto, a quest'ora sapresti già sparare nell'occhio a una mosca» risponde Clint piccato. «E Fury non ha nessun progetto per te, a parte quello di non farti esplodere come una bomba nucleare».
«Confortante. Perché mi sta aiutando?»
Clint sorride in un modo curiosamente enigmatico,
«Gli Avengers. Vuole che loro e lo S.H.I.E.L.D. siano buoni amici, mettiamola così. E poi, nel frattempo, si assicura che tu non diventi un pericolo per te stessa o per gli altri» risponde.
«Oh, io avrei giurato che lo facesse per buon cuore» borbotta Nadia con bieco sarcasmo.
In quel momento, dalla ricetrasmittente che penzola dalla cintura di Clint, si leva un roco ronzio; lui afferra l'oggetto e ascolta senza troppa voglia una voce femminile – che a Nadia sembra decisamente quella di Maria Hill – che gli ordina di recarsi in un punto della base, motivando la richiesta con un secco «Codice 4a» che per la ragazza non ha alcun significato.
Clint smonta i caricatori dalle pistole e getta tutto tra le braccia di Nadia,
«Devo andare. Puoi riportarle tu nell'armeria?» le chiede sbrigativo.
Lei annuisce pensando che questa cosa è meglio che Fury non la venga a sapere – ma il grande capo è da qualche parte, in un'altra città a sbraitare contro qualcun altro, il problema non si pone.
«Senz'altro. A domani, Clint»
«A domani. Nel frattempo prova ad esercitarti lanciando palline nei bicchieri».
Nadia lo vede sparire nella direzione opposta del corridoio, chiedendosi se quelle ultime parole siano una battuta o se dicesse sul serio. Alla fine scrolla le spalle e torna verso l'armeria, sentendo il freddo del metallo delle pistole penetrare oltre la stoffa dei vestiti.
Quando arriva davanti alla porta dell'armeria il corridoio è vuoto e silenzioso; la ragazza cerca di prendere il pass dalla tasca senza far cadere a terra le armi, guardando con aria truce la porta davanti a sé e le canne dei fucili che si intravedono dal rettangolo di vetro. Una faccia compare all'improvviso oltre il rettangolo e Nadia sussulta per lo spavento, fissando attonita la giovane donna che batte i palmi delle mani contro la porta sbarrata.
«Ehi... aiuto!» la voce della sconosciuta è bassa, suona lontanissima da dietro il battente blindato. «Per favore, fammi uscire».
Nadia si affretta a far scorrere il pass nella serratura elettronica e la porta si apre con un sonoro CLIK. La donna schizza fuori, prendendo grosse boccate d'aria.
«Oddio, grazie, grazie tante... pensavo che sarei morta soffocata lì dentro» borbotta, aggiustandosi dietro l'orecchio una ciocca dei suoi lunghi capelli castani.
La ragazza la fissa, ancora stupita. La sconosciuta ha tutta l'aria di non essere un agente dello S.H.I.E.L.D. - Nick Fury caccerebbe a calci nel sedere un agente che rimane bloccato dentro una stanza – e dietro al suo aspetto scarmigliato sembra molto carina. L'occhio di Nadia cade sul cartellino di riconoscimento che la sconosciuta tiene appuntato mezzo storto sul petto. Dottoressa Foster Jane.
«Oh, tu sei Jane» esclama la ragazza, sgranando gli occhi, e senza volerlo si ritrova a ridacchiare scuotendo la testa.
L'astrofisica sghignazza nervosamente, come ad assecondarla, ma poi la guarda con una punta di smarrimento,
«Perché stai ridendo?» le domanda.
Nadia sorride, un sorriso bello grosso e pieno di una strana, remota tenerezza.
«Scusa, non ti sto prendendo in giro. Non ci conosciamo, ma qualcuno mi ha parlato molto di te» le risponde, entrando nell'armeria per liberarsi dal peso che ha in mano.
«Qualcuno?» fa Jane, oltre la soglia.
«Thor».
Nadia pronuncia quel nome sentendo di nuovo il sorriso allargarsi sul suo viso. È di spalle e non può vedere l'espressione dell'altra donna, ma quando si volta per uscire la trova impalata a fissare davanti a sé con aria sbigottita.
«Sì, è una lunga storia» aggiunge Nadia con un sospiro. «Magari un giorno ci prendiamo un caffè assieme». E mi spieghi come fai a gestire la nostalgia, dottoressa Foster, perché io ne sto morendo.
«Tu sai dov'è? Thor, intendo» dice Jane, con una voce talmente bassa da essere a malapena udibile. Un velo di rossore le passa sul viso mentre distoglie lo sguardo puntandolo in terra, come se di colpo la punta delle sue scarpe sia diventata la cosa più interessante dell'intero universo.
Nadia non ha risposte per lei e ne è dispiaciuta, ma immagina che se rimanesse in silenzio probabilmente la dottoressa Foster avrebbe un collasso.
«Sta cercando suo fratello» mormora con un mezzo sorriso triste. Non è una risposta molto precisa, ma è la verità.
«Intendi il fratello pazzo assassino con le manie di grandezza?».
La ragazza sente qualcosa di pesante appoggiarsi sul cuore. Fa un profondo sospiro, ma il peso non sembra allentarsi.
«Immagino non abbia altri fratelli» conclude semplicemente.

Nadia saluta frettolosamente Jane e si allontana lungo il corridoio. Dopo qualche minuto sente il cicalio del cellulare che la informa di un nuovo sms ricevuto. Prende l'apparecchio e guarda il display; nel rettangolo illuminato ci sono solo una serie di lettere alla rinfusa che non hanno alcun significato.
La ragazza sorride, poi alza gli occhi al cielo.
«Ah, Steve...» mormora.
Rimette il cellulare in tasca e si affretta in direzione dell'uscita. Nell'attraversare i corridoi nota che alcuni agenti hanno gli occhiali da sole anche mentre sono dentro e per un attimo le sembra di essere sul set di Man in Black o in una versione molto moderna del Paese delle Meraviglie. O in un centro di igiene mentale...
Fuori, nel piazzale della base, c'è Steve Rogers che l'aspetta appoggiato alla sua motocicletta, in tutto il suo anacronistico splendore.
«Capitano, cos'era quella roba, un messaggio in codice?» chiede lei con un sorriso sarcastico.
«Senti, ho provato a scrivere messaggi come mi hai insegnato tu, ma questo telefonino complotta contro di me e non c'è da stupirsi visto che è un regalo di Stark» risponde lui sulla difensiva.
«L'ho già sentito dire. Da mio nonno»
«Passi troppo tempo con Tony, stai diventando peggio di lui, sai?».
Steve le passa un braccio attorno alle spalle e le batte una mano sulla schiena.
«Come stai?» aggiunge.
Domanda canonica per la quale Nadia ha una risposta canonica.
«Una favola».
Il Capitano apre la bocca per parlare e lei lo sa cosa sta per dirle, sta per dirle che non ci crede che lei stia bene, che non si dicono le bugie perché è una cosa sbagliata e che non deve preoccuparsi di niente perché loro non permetterebbero mai che le capiti qualcosa di male. Ma ci sono cose che nemmeno gli eroi più forti del pianeta possono contrastare, dovrebbero aver imparato la lezione dopo quella notte a Venezia, quando lei fu accoltellata alla pancia e fu salvata dall'intervento di un dio, di Odino che lo aveva fatto per Loki.
Odino... Loki... salvataggio...
Cazzo!
Steve capisce che certe cose comunque è meglio non dirle. Si limita a sorriderle e a porgerle un casco.
«Cos'è questa storia che ti sei data alla pazza gioia a un party?» le domanda a bruciapelo.
«Gesù! Ma Tony gli affari suoi non sa farseli?» borbotta Nadia sentendosi avvampare. «Mi stavo solo divertendo... e te non capita mai?»
«Io non mi ubriaco»
«Perché hai un'anima candida, lo so...»
«No, perché ho un metabolismo che brucia troppo in fretta».
Nadia scuote la testa e monta in sella. Non riesce mai a tenere a mente tutti i bizzarri particolari della vita di quelle persone, c'è sempre qualcosa che le sfugge.
Comunque sia, è rilassante poter appoggiare la testa in mezzo alle scapole di Steve e concedersi il lusso di smettere di pensare mentre la moto la porta via dalla città.
Da ragazzina aveva sempre desiderato avere dei fratelli maggiori, adesso ne ha un'intera squadra.

Steve viene a prenderla quasi tutti i giorni e insieme seguono la strada che porta fuori dal centro di New York, fino a una casa nel bosco, una di quelle casette da set pubblicitario, con il patio di legno e il tetto rosso a spiovente. Lì è dove hanno sistemato Bruce.
L'idea di fondo è che lei passi del tempo in quel posto nel caso in cui si manifesti qualche altro picco di energia, in modo che possa provare a farla uscire fuori senza far male a niente e nessuno. Sperano che se dovesse succedere lei possa fare qualche tentativo per provare a governarla, ma la ragazza non saprebbe nemmeno da che parte cominciare, non è nata per avere a che fare con quelle forze che nemmeno appartengono al suo mondo, il suo istinto non può aiutarla anche se tutti sperano che sia il tempo a farlo. All'inizio anche lei ci aveva sperato, adesso non è capace di ammetterlo con se stessa, ma la speranza comincia a diventare un'opzione sempre più improbabile.
Per un attimo le sembra di essere tornata a qualche mese fa, prima che arrivasse Loki, prima che cominciasse quella storia assurda, quando ogni suo tentativo di opporsi al destino che le era toccato andava a finire con un inevitabile fallimento.
La ragazza guarda il bracciale, la pietra opalescente sembra un occhio puntato su di lei, un occhio vuoto e senza espressione, lo sguardo di un boia che attende di sapere se l'imputato verrà graziato oppure no. Ha notato che è sempre calda al tatto e ha avuto come l'impressione che a volte cambi colore, certi giorni sembra più tendente a un azzurrino sbiadito, altri sembra color madreperla, quasi bianca e priva di lucentezza.
Allo S.H.I.E.L.D. hanno provato a studiarla.
Lei è rimasta seduta per ore con degli aggeggi simili a piccoli elettrodi attaccati al bracciale; lo scienziato che se n'è occupato, il dottor Eric Selvig, era un tipo gentile e allegro, con una strana luce entusiasta negli occhi mentre armeggiava con strumenti e cavetti e rilevatori attorno al suo braccio. Alla fine la luce nello sguardo gli si era spenta quando, dopo una serie infinita di tentativi, aveva dovuto ammettere che non aveva trovato niente, la pietra non rispondeva a nessun test, nessuno strumento era in grado di captare e misurare le emanazioni di energia che venivano da quel piccolo oggetto. Agli occhi del dottor Selvig, quell'ovale opalescente non sembrava altro che un pezzo di bigiotteria.
Nadia avrebbe voluto provare a spiegargli la storia del sangue, che l'energia può essere captata e percepita solo dal sangue di Asgard, ma poi si sarebbe ritrovata a dover spiegare allo scienziato un sacco di cose di cui il solo ricordo faceva male più del potere della pietra
Ma la pietra, l'energia, la paura sono tutte cose a cui non vuole pensare, non ora che sono arrivati a casa di Bruce, dove lui li aspetta sulla porta con aria tranquilla e viso sorridente.
Bruce le ha detto che la casa era della mamma di Tony, è stato lui a lasciare che il dottor Banner si stabilisse lì prima che prendesse in considerazione l'idea di tornarsene a Calcutta o in qualche altro posto sperduto a nascondersi dal resto dell'umanità. Quella soluzione è un efficace compromesso, e Bruce non è del tutto isolato dal mondo – così magari in futuro avrebbero evitato che tentasse di nuovo di spararsi con il solo risultato di irritare l'Altro. Nadia è contenta per lui, trova impensabile che un uomo come Bruce Banner, la quintessenza della tenerezza, resti abbandonato a se stesso... e ai muscoli di Hulk.
Lei e Steve entrano in casa, premurandosi di pulirsi bene le suole delle scarpe sullo zerbino, perché a Bruce non piace la polvere in giro ed è meglio non mettere alla prova la sua pazienza e il suo animo ospitale.
Il padrone di casa ha già messo l'acqua a bollire sul fuoco.
Il rito del tè verde si è protratto per tutti i due mesi che Nadia è stata lì; lei odia il tè verde, le appiccica il palato, ma ha imparato ad apprezzare quel momento della giornata, quando la tensione si allenta, quando sa che l'aver dato sfogo all'energia accumulata le lascerà come minimo un'altra settimana di tregua da malesseri assortiti. E poi Bruce è troppo simpatico – e pericoloso – per essere ferito con un rifiuto al suo beneamato tè verde che tra l'altro fa bene alla diuresi e combatte i radicali liberi e tutto il resto...
Nadia mette tre cucchiaini di zucchero nella tazza e mescola nel vano tentativo di alleggerire quel saporaccio di erba lasciata a macerare.
«Sei l'eccezione che conferma la regola secondo la quale tutti gli scienziati sono caotici» mormora Nadia guardandosi attorno, passando in rassegna con lo sguardo la casa perfettamente in ordine, con i fogli impilati sul tavolo da lavoro accanto al pc portatile, gli schedari incolonnati su una mensola con le etichette scritte in bella calligrafia.
«Hai conosciuto molti scienziati?» borbotta Bruce, con quel suo sorrisetto sempre un po' nervoso.
«Tu non hai idea del caos che regna sui tavoli di lavoro nei laboratori dello S.H.I.E.L.D.»
«Ho sentito parlare della dottoressa Foster» aggiunge Steve, soffiando nella sua tazza. «Si mormora che abbia fatto rischiare l'infarto persino a Fury».
«A proposito, che novità ci sono riguardo al warmhole?». Nadia butta lì la domanda in tono del tutto disinteressato. È disinteressata davvero, ma stando al modo in cui la stanno fissando ora Bruce e Steve loro non sembrano crederlo.
«Nessuna, per quanto ne so. Le ricerche si sono rivelate un buco nell'acqua e penso che Fury presto rimanderà a casa la dottoressa Foster, prima che lei faccia accidentalmente saltare in aria qualcosa» dice poi lo scienziato tornando a sorseggiare il suo tè, fingendo di dimenticarsi dei possibili motivi per i quali la sua giovane amica ha posto il quesito.
Non stavo pensando a Loki...  
È vero, Nadia vorrebbe gridarlo, ma lascia perdere. Sarebbero tutti molto contenti se lei si togliesse dalla testa il dio latitante, ma con quel loro atteggiamento perennemente sul chi vive non l'aiutano di certo.
«Non potrebbe essere solo un caso, questa tempesta magnetica?» chiede Steve a bruciapelo.
Bruce scrolla le spalle e scuote la testa. Per conto suo, Nadia sente che c'è qualcosa che stona in tutta quella faccenda.
«Da quando in qua i supereroi credono al caso?» mormora con un sorriso.
Steve sta per dire qualcosa ma la suoneria del suo cellulare esplode come uno sparo.

I'M ON THE HIGWAY TO HELL
I'M ON THE HIGWAY TO HELL
ON THE HIGWAY TO HELL!

Il novantenne con l'aria da ragazzo quasi arrossisce, mentre cerca con gesti convulsi il suo telefonino nella tasca della giacca, borbottando che prima o poi obbligherà Stark a cambiargli quella suoneria a forza di pugni in faccia.
«Pronto?!»
«Rogie! La carrozza si è già trasformata in zucca?». La voce di Tony è talmente squillante da essere udibile per tutta la stanza.
Steve strabuzza gli occhi,
«Si può sapere che vuoi?» ringhia.
«Che mi riporti indietro la nostra deliziosa Cenerentola, stasera c'è il gran ballo».
Bruce inarca un sopracciglio, incuriosito,
«Ballo?» domanda.
«Oh, ma c'è anche la Fata Madrina!» esclama la voce di Tony nella cornetta. «Sì, Bigfoot, un ballo, o per meglio dire un party»
«Oh, il party, quel party» dice Nadia con un sospiro. «Tony, ricordi l'ultima volta che sono stata a un party come è andata a finire?»
«E chi se lo scorda, Colombina! Ma questa sera potremmo avvalerci della supervisione di madama Pepper, che veglierà sul nostro onore e sul nostro tasso alcolico, facendo ricadere su di noi una tempesta di fuoco e lapilli nel caso dovessimo eccedere in...».
Si sente una botta, un fruscio e un lamento. Pepper deve avergli lanciato contro qualcosa.
Nadia nasconde il viso tra i palmi delle mani. La serata si prospetta tragica.
Non ha ben chiaro come mai Tony abbia insistito tanto perché lei partecipasse, assieme a lui e a Pepper, a quella festa indetta da un'importante associazione che per qualche astruso motivo ha a che fare con le Stark Industries, ma è certa che ci sia una ragione ben precisa perché il caro signor Stark si è premurato di far comparire nel suo armadio un abito da sera da mozzare il fiato, uno di quei cosi che Nadia non sa neanche da parte si infilano.
Il tono di Steve si alza di diverse ottave mentre tenta di rispondere per le rime a una delle battutacce di Tony, Nadia lo guarda scuotendo la testa, mimando con le labbra un rapido: «è inutile».

*

Tony non ama le feste, quando non è lui a organizzarle o quando non ha spazio di manovra per trasformare una serata nella sua serata. E sono giorni che Pepper si raccomanda caldamente di comportarsi bene perché quella è un'occasione molto importante. Fa tutto parte del progetto per dare alle Stark Industries un nuovo assetto, creare un'immagine positiva per quel colosso produttivo che è l'impero lasciatogli da suo padre – come se il mondo potesse dimenticare da un giorno all'altro che per generazioni la sua famiglia non ha fatto altro che costruire armi.
Ovviamente, l'idea di una collaborazione con la Golden Hope non è stata sua, ma della cara signorina Potts, alla quale lui ha regalato una sostanziosa quota azionaria e una serie di deleghe con la sua firma. Pensandoci, avrebbe fatto meglio a comprarle un collier di diamanti, sarebbe stato assai meno faticoso e lui adesso non starebbe lì, intento a fare il nodo al papillon di seta nera.
«Sta magnificamente, signore» dice la voce di Jarvis, riempiendo l'aria.
«Grazie, lo so»
«Non lei, signore, mi perdoni. Intendevo la signorina Nadia, è qui nell'ingresso».
Tony sorride compiaciuto, tastando la busta di carta che ha nella tasca interna dello smoking. Se non altro, la serata non trascorrerà invano: farà un favore a Nadia e poi potrà mostrarsi tristemente annoiato con Pepper per indurle sensi di colpa che la renderanno assai più malleabile in camera da letto. E comunque, conoscere finalmente di persona le teste coronate della Golden Hope è pur sempre una cosa che desiderava fare da tempo – non che il desiderio fosse particolarmente ardente, ma sono pur sempre i tizi con i quali un intero reparto delle sua industrie sta attualmente collaborando.
La Golden Hope è un'associazione di ricerca che si occupa dell'applicazione dell'alta tecnologia in campo medico; ha avuto un'ascesa rapida, sembra spuntata dal nulla e nel giro dell'ultimo anno ha guadagnato una grossa fama e attirato l'attenzione di molti investitori. Tony ha fatto controllare da Jarvis i loro conti e i loro registri e sembra tutto spaventosamente in ordine, la G.H. è più pulita di una garza sterile, per quanto una così rapida scalata al successo sembri anomala.
Loro hanno i fondi e hanno i cervelli, gli servivano le strutture per mettere in pratica le loro ricerche ed effettuare dei test, per questo si sono rivolti alle Stark Industries, e il cuore tenero di Pepper l'ha portata a prendere in seria considerazione la loro proposta di collaborazione.
Molto bello, per carità, ma adesso Tony si augura che questo non lo obblighi a presenziare a ogni dannato party che il direttore dell'associazione organizza durante l'anno.
Si versa una goccia di profumo sui polsi e alla base del collo, sistema meglio i polsini della camicia dentro le maniche dello smoking ed esce dalla sua stanza, mettendo su un sorriso trionfale, che si allarga ancora di più quando vede Pepper e Nadia che lo aspettano guardando fuori dalla vetrata.  
«E come disse Cornelia: ecco i miei gioielli» esclama, sghignazzando.
Qualche minuto dopo sono in macchina, diretti verso l'hotel dove Norman Hope, il grande capo, ha organizzato il party.
Nadia non sembra molto a suo agio in quell'abito da festa, però sta davvero magnificamente, come ha detto Jarvis e lui non aveva mai fatto caso a quanto fosse carina. Dannazione, una così dovrebbe avere un minimo sindacale di cinque o sei corteggiatori! E invece ne ha uno solo, lo stagista che sembra un conduttore di trasmissioni per bambini, Mike qualcosa, ancora non è riuscito a memorizzare il cognome del ragazzo. Sembra un bravo ragazzo, è in gamba, Pepper dice che lavora sodo e che ha una mente brillante; a conti fatti potrebbe essere un cavallo vincente sul quale puntare e Tony ha deciso di fare un tentativo.
L'auto si ferma davanti all'ingresso dell'hotel dove dei faretti raso terra disegnano un sentiero luminoso fino alla porta girevole di vetro satinato e ottone. Giornalisti e curiosi si affollano oltre il limite segnato da paletti e cordoncini rossi, sotto lo sguardo vigile di quello che deve certamente essere un imponente corpo di sicurezza composto da uomini in completi blu scuro.
I flash delle macchine fotografiche piovono come pioggia e le voci dei giornalisti si confondo in una cacofonia di domande riassumibili in un unico quesito: perché le Stark Industries si sono messe in affari con la Golden Hope e cosa ci si deve aspettare da questo sodalizio?
Ci sarà tempo per far contenti gli squali della carta stampata dopo, quando Tony e Norman Hope, il capo della baracca, usciranno insieme a braccetto a ripetere le parole scritte nei comunicati stampa emessi dalle rispettive imprese e a farsi immortalare dai fotografi come se fossero vecchi amici che si sono visti per farsi due chiacchiere davanti a una birra. Adesso deve solo mettere un piede avanti all'altro su quel sentiero tracciato da luci bianche sul lastricato, tenendo Pepper sottobraccio e assicurandosi che Nadia, dietro di lui, non si faccia prendere dal panico per tutto quel trambusto.
Nadia sembra reggere abbastanza bene, continuando a camminare con un faccino misuratamente tranquillo e sorridente, salvo poi lasciarsi scappare un sospiro di sollievo appena mettono piede nella hall, dove i rumori dell'esterno si spengono di colpo, trattenuti fuori da pareti insonorizzate.
Raggiungono il salone delle feste, uno sfavillio di lusso che pretende di apparire sobrio.
«Se non altro i nostri nuovi amici sanno come dare una festa» bofonchia Tony rimediandosi un'occhiataccia da parte di Pepper e strappando a Nadia una risatina.
Pepper lo pilota verso il fondo della sala dove il padrone di casa sta stringendo mani ed elargendo sorrisi e frasi di circostanza.
Norman Hope è un uomo di mezza età, i capelli quasi del tutto bianchi ma il viso ancora giovanile e gli occhi grigioverdi da ragazzino. Ha un bel portamento da signore e un sorriso da squalo, come ci si aspetta da uno la cui impresa ha fatto così tanta strada in poco tempo. La stretta di mano che scambia con Tony è forte e decisa.
«Sono contento di conoscerla, signor Stark» dice. «E sono felice di rivederla, signorina Potts. La nostra giovane amica invece è?».
Norman Hope guarda Nadia e le rivolge un sorriso cortese.
«Nadia Berton» risponde lei, stringendogli la mano. «Un'amica del signor Stark e della signorina Potts».
«Lei non è di qui, vero Nadia?»
«No, sono italiana. Sono qui per uno stage fotografico e Tony e Pepper sono stati così gentili da ospitarmi».
Recita la parte alla perfezione. Tony quasi trattiene un sospiro triste: quanto bene le stanno insegnando allo S.H.I.E.L.D? Forse dovrebbe passare meno tempo con Barton e la Romanoff...
Norma Hope sembra dimenticarsi del caos di persone che ha attorno, posa una mano sulla spalla di Tony e si tuffa in un discorso su quanto sia bello e importante il matrimonio – dice proprio matrimonio, brrr! – tra le loro industrie. Dopo i primi tre minuti Tony ha già smesso di ascoltarlo, sta solo annuendo e fissando sgomento con la coda dell'occhio un dannatissimo quartetto d'archi che sta per prendere posto su un palchetto al centro della sala.
Un quartetto d'archi? Ma questi della Golden Hope non sanno proprio divertirsi?!
Nadia si è già eclissata. Tony la vede accanto al palco a guardare i musicisti – a lei i quartetti d'archi dovrebbero piacere. Norman Hope interrompe per un secondo la sua filippica da consuocero, quel tanto che basta a Tony per divincolarsi e gettarlo tra le braccia di Pepper che sembra assai più interessata di lui ad ascoltare quei meravigliosi e tediosi discorsi.
«Scusate, devo andare a salutare una persona» borbotta, cercando di apparire quanto più serafico e cortese gli riesce, poi si allontana in direzione della persona che ha puntato.
Mike, lo stagista dal cognome ignoto, è in un angolo della sala a conversare amabilmente con altri colleghi delle Stark Industries che deve aver conosciuto durante il tirocinio. Tony punta diritto verso di lui, ma qualcuno gli sbarra la strada.
«Signor Stark!». Il suo nome viene pronunciato con una pungente nota di sarcasmo, tanto che per poco lui non si mette a ringhiare.
Ha rimosso il ricordo di più o meno tutte le donne che sono passate nel suo letto, ma tra sé e sé ogni tanto ancora immagina di giocare a freccette con una foto a grandezza naturale della brillante giornalista Christine Everhart per quanto lei continua a tormentarlo anche solo in forma di riminiscenza.
«Signorina Everhart. Ti credevo in California»  borbotta, rivolgendole un sorriso tirato.
«Vuoi scherzare? Con tutto quello che è successo a New York ultimamente!»
«Stai preparando un servizio sulla derattizzazione di Central Park?».
Christine arriccia il naso, imperturbabile nel suo contegno da gran campionessa.
«Mi guardo un po' in giro. In questa città ci sono parecchie cose sulle quali lasciar cadere lo sguardo» risponde, e poi si lascia andare a una mezza risatina provocatoria. «Supereroi? Una collaborazione tra le Stark Industries e la G.H? Una dimostrazione pubblica della tua ultima dievoleria? Stai invecchiando Stark, riuscirai a reggere il ritmo?» «Chissà. Tu potresti cominciare a scrivere il mio coccodrillo, così magari ti metti avanti con il lavoro» la rimbecca Tony, senza riuscire a evitarle uno sguardo torvo. «Divertiti a questa festa, ammesso che il divertimento fosse nei piani di chi l'ha organizzata».
La sorpassa e si avvia verso l'angolo della sala dove Mike ora sta ridendo alla battuta di uno del gruppetto con cui è intento a parlare.
«Ehi, Stark» lo chiama Christine, con un'espressione melliflua. «Dopotutto siamo vecchi amici e una cosa almeno potresti dirmela. Chi è la ragazza?».
Non sono affari tuoi!
«La fotografa che preparerà il servizio fotografico per la dimostrazione della diavoleria» risponde sbrigativo. Nadia ha attirato fin troppo l'attenzione, come ogni cosa che ruota nell'orbita di un personaggio ricco e famoso, ma nessuno può farci niente. Forse sarebbe stato saggio non portarla affatto a quella festa, ma quando mai lui è stato saggio?
Il sorrisetto malizioso di Christine è insinuante, tanto che riesce quasi a fargli montare la rabbia, ma decide di ignorarla e proseguire per la sua strada.   il servizio fotografico per la dimostrazione della diavoleria
Il sorrisetto malizioso di Christine è
«Signor Stark!» di nuovo. Stavolta è Mike ad esclamare il suo nome, mentre lo guarda con quel suo fare un po' allarmato – santi numi, quel ragazzo sembra sempre aver paura che lui voglia mangiarlo.
«Buona sera, Mike. Ti stai divertendo?»
«Sì, signore, certo».
Ovviamente. Non ammetterebbe mai il contrario, è stato lui a invitarlo al party, insieme a molti altri collaboratori delle Stark Industries. Diamine, quel ragazzo è più snervante di Steve Rogers in modalità ''soldato perfetto''.
Tony non ha voglia di perdersi in preamboli, né di tenere il giovanotto sulle spine più del necessario. All'inizio trovava divertente punzecchiarlo per il timore reverenziale che riusciva a incutergli, adesso il gioco comincia a essere noioso.
«Ho notato, sai, che ronzi attorno a Nadia» gli dice.
Il volto di Mike si accende di rosso come un semaforo e il ragazzo cerca disperatamente di non abbassare lo sguardo, nel tentativo di non sembrare più stupido di quanto già non sembri.
«Beh, signore, è senz'altro una persona... ehm...» farfuglia, stringendo goffamente il flûte di cristallo che ha tra le mani. Se va avanti così si farà esplodere il bicchiere in mano.
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, il giovane stagista mette insieme un po' di palle e di lucidità.
«Onestamente, signore, Nadia mi piace molto» ammette tranquillo, con un tale candore che per poco Tony non gli vede comparire un'aureola sopra la testa.
«Fantastico! Si dà il caso che Nadia per me è, come dire...»
«Come una figlia?».
Tony aggrotta le sopracciglia con aria offesa,
«Stavo per dire come una sorella più piccola. Ehi, pivello, quanti anni mi dai?!» borbotta crucciato.
«Mi scusi signor Stark... non era per l'età, era più che altro per il tipo di legame che ho notato esserci tra di voi» tenta di difendersi Mike, imbarazzato fino al midollo.
«Ok, lasciamo perdere» taglia corto il suo interlocutore. «Ti piacciono i musical?».
«I musical? Sì, abbastanza...».
Adesso Mike sembra confuso, ma si sforza di tirare fuori un sorriso diplomatico. Tony infila la mano nello smoking e ne estrae una busta.
«Qui ci sono due biglietti per The Phantom of the Opera, a Broadway» spiega, ficcando la busta in mano al ragazzo. «Erano per me e Pepper, ma non possiamo andarci. Ho pensato che potresti invitare Nadia a uscire, sono certo che le farebbe piacere».
Mike si rigira la busta tra le mani e sembra di nuovo uno che è appena venuto al mondo. Quell'espressione innocente e stupita fa attorcigliare lo stomaco di Tony ma lui si costringe a mantenere la calma.
«Naturalmente non è un ordine o niente del genere, la riuscita della serata non influirà sul giudizio che verrà dato al tuo tirocinio o altre stupidaggini burocratiche. Solo, sarebbe un peccato sprecare questi biglietti» conclude Stark con un sorriso, il più aperto e amichevole che riesce a tirare fuori.
«La ringrazio infinitamente, signore». Mike sembra davvero contento.
«Non c'è di che. Ora va' a cercare Cenerentola e fai il bravo principe azzurro. Buona serata»
«Anche a lei, signor Stark».
Tony si volta, passa in rassegna la sala con lo sguardo alla ricerca di Pepper. Il quartetto d'archi comincia a suonare qualcosa di molto raffinato e molto soporifero.
Non è nel suo stile mettersi a fare il ruffiano, ma è contento di quello che ha fatto. Aveva promesso che si sarebbe preso cura di Nadia, si era detto che se si fosse presentata la necessità, le avrebbe cavato via dalla testa i brutti ricordi a suon di trapanate nel cervello. Lei ha salvato la sua donna, ora lui vuole salvare lei e, perché no, vuole vederla assieme a un bravo ragazzo, e quel Mike è un bravo ragazzo, o almeno si spera... di sicuro non può essere peggio del fottutissimo dio latitante.







_________________________________________

Note:

Nel caso in cui qualcuno non abbia visto i film su Iron Man DEVE correre a vederli... ehm, no, dicevo... Christine Everhart è LEI

Spero che questi primi capitoli non risultino noiosi. Dovevo in qualche modo ricreare un contesto, gettare le basi, ridare ad ogni personaggio – vecchio e nuovo – il suo spazio... e per forza di cose, questi capitoli sono molto “NadiaCentrici”.
Vi chiedo di portare pazienza ancora un po'... poi si comincia a far sul serio.
Tra l'altro, quando parlavo del fatto che questa fanfiction sarebbe stata più lunga della precedente mi riferivo più che altro al fatto che molti capitoli sono più lunghi della Critica della Ragion Pura di Kant. Sul numero di capitoli, al momento io e il sindacato dei personaggi letterari ancora non abbiamo trovato un accordo.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento ^^
Intanto grazie a tutti quelli che stanno leggendo la storia *__________*


Per curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

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Capitolo 5
*** Taking chances – part two ***


Nello scorso capitolo c'erano dei problemi con l'html che non sono riuscita a correggere, cioè io correggevo il capitolo nel form apposito ma quando lo ripostavo c'era sempre una frase spezzata che ricompariva due volte in mezzo al paragrafo (quello in cui Tony parla con Christine). Posso supporre che sia dovuto ai problemi tecnici del sito della scorsa settimana. Se dovesse ricapitare magari contatto l'amministrazione.
Spero che questo capitolo non abbia problemi di leggibilità.



Capitolo quarto

Taking chances – part two


Ogni cosa sembra al suo posto.
Le stelle si riflettono sulle superfici dorate dei palazzi sempre con la medesima intensità e il silenzio immobile delle notti di Asgard è lì ad elargire il suo familiare abbraccio di pacifico oblio. Eppure il cuore di Thor è in tumulto; mentre il figlio di Odino attraversa il portone della reggia sente la frustrazione della sconfitta bruciargli nelle vene.
Le cose, per lui, hanno smesso di essere a posto molto tempo prima e troppe volte si è illuso di essere sul punto di sistemarle, di avere la capacità di far tornare tutto com'era, di limitare i danni.
Il Mjolnir stretto nel suo pugno non gli è mai parso tanto pesante, apre le dita della mano, lo lascia cadere sul pavimento dove atterra con un sordo tonfo metallico facendo sobbalzare le guardie di ronda nell'immenso atrio dorato.
Alle sue spalle, i suoi compagni, Lady Sif e i Tre Guerrieri, camminano mesti nella sua scia. Non condividono l'affanno per quella ricerca, ma lo hanno seguito anche stavolta, come sempre e Thor non ha voglia di voltarsi verso di loro e lasciare che il suo viso mostri quello che sta pensando. Sta pensando che li ha delusi, che ha deluso tutti. Sta pensando che hanno ragione loro: è uno spreco di tempo, dovrebbe essere altrove ad occuparsi di altro. Ma il dio del tuono non riesce a pensare a niente che non sia il setacciare i Nove Regni alla ricerca di Loki.
«Non è qui, Thor» gli ha detto Sif quella mattina, prima che partissero. «Altrimenti Heimdall lo avrebbe trovato».
«Mio fratello ha già trovato in passato dei modi per sottrarsi alla vista del Guardiano» ha replicato lui.
«Fratello?!». La parola è sfuggita alle labbra di Fandral con più incredulità e sarcasmo di quanto il figlio di Odino fosse disposto a tollerare. Ha alzato la testa di scatto, ha guardato l'amico con aria rabbiosa e poi triste.
Fratello, sì, dannazione...
Loro non sanno, loro non c'erano lì, in quella città sull'acqua, non hanno visto. Non hanno visto gli occhi di Loki quando tutti credevano che la ragazza fosse morta, non hanno visto il rammarico nel suo sguardo quando ha dovuto farle del male per farle usare l'energia e uccidere i demoni. Non lo hanno visto combattere come era stato un tempo... non hanno passato giorni al chiuso di un piccolo edificio fatiscente ad alimentare speranze che, tra quelle quattro pareti, sembravano tutt'altro che vane.
Le speranze si sono dissipate dopo quella notte sull'isola, sono sparite alle prime luci dell'alba come se fossero sogni fatti nel cuore della notte, eppure per lui hanno contato qualcosa.
E comunque la pensino i suoi compagni, Thor è il futuro re di Asgard, è suo compito riconsegnare alla giustizia del suo popolo un traditore. Sa che deve farlo, sa che Loki è in pericolo lontano dalla sua casa molto più di quanto lo sarebbe nelle prigioni del palazzo.
Il dio del tuono si ferma a metà della sala.
«Andate a riposare, amici» mormora. «Vi ho chiesto assai più di quanto fosse lecito».
«Per quello che ne sappiamo, potrebbe essere morto». È Hogun a parlare, e sono parole dure come i suoi occhi che non sorridono mai.
Per un istante Thor si ritrova a pensare che sarebbe quasi un sollievo se fosse così. E un attimo dopo si sente annegare per quel pensiero, si maledice per averlo anche solo immaginato.
«Andate a riposare» ripete con voce incolore.
I quattro compagni si scambiano un rapido sguardo, Volstagg fa per parlare ma Sif gli batte una mano sul braccio e gli fa un cenno con la testa a indicare il corridoio che porta ai loro alloggi. Basta parole per quella sera.
Thor ascolta distrattamente i passi dei suoi compagni allontanarsi e scemare verso il silenzio. Alza gli occhi sul grande soffitto a cupola; le pareti della casa di Odino non gli sono mai sembrate così strette e soffocanti.
Esce e percorrere a passo nervoso le strade della città addormentata. Non c'è un alito di vento, ma l'aria della notte riesce in qualche modo a far sbollire la sua rabbia, per questo continua a camminare anche se la meta è molto lontana e sarebbe stato più saggio prendere un cavallo. Ma ha tempo da perdere, perché di certo, per quel che lo riguarda, quella notte non è fatta per il sonno.
Sotto la volta notturna il Bifrost, o ciò che ne rimane, manda cupi bagliori argentati. Thor trascina un piede avanti all'altro sulla superficie del ponte distrutto e il senso di calma faticosamente raggiunto qualche attimo prima svanisce di colpo. I suoi ricordi peggiori hanno inizio da lì, il nero che circonda il ponte sembra carico di fantasmi e cattivi presagi.
La figura di Heimdall si staglia immobile contro il cielo infinito, una sbavatura dorata sulla linea diritta dell'orizzonte.
«Non ho alcuna notizia di colui che stai cercando» dice il Guardiano, senza distogliere lo sguardo dorato dall'infinito spazio su cui veglia.
«Non è di questo che volevo domandarti» risponde Thor. Le sue parole sanno di stanchezza. «Dimmi di Nadia».
Nadia. Thor si sente tremendamente colpevole ogni volta che ci pensa; è anche per lei che continua ossessivo nella ricerca di Loki, perché lui è il solo che la possa aiutare e perché forse la ragazza si sta ponendo le medesime domande che il figlio di Odino sente rimbombare nella propria testa giorno dopo giorno e la giovane merita una risposta a quegli enigmi più di quanto non la meriti lui.
Heimdall se ne sta puntellato sull'elsa dell'enorme spada, volta appena il capo verso Thor mentre gli risponde,
«La fanciulla umana sopravvive» dice con la sua voce profonda.
Sopravvive. A Thor sembra una risposta tutt'altro che confortante. Sospira e si stropiccia il viso con le mani.
«E Jane?» domanda. Lo chiede come se ci fosse bisogno di farlo.
«È con la ragazza della città galleggiante» risponde il Guardiano con il suo tono monocorde.
Il figlio di Odino sente il cuore contrarsi e poi allargarsi come se volesse scoppiare, sgrana gli occhi e li punta sulle stelle.
«Cosa?...».
Le labbra di Heimdall restano serrate. Non ci sono risposte per spiegare i casi assurdi del destino.

*

Flip-flip-flip...
Le suole delle scarpe strusciano ritmicamente contro l'asfalto del marciapiede. Dai ricordi di Jane si alza prepotente la voce di sua madre che le gracchia di smetterla e la giovane donna si blocca di colpo, come se sua madre fosse davvero lì, seduta difronte a lei, pronta a rimproverarla.
In realtà, davanti a lei c'è solo una sedia vuota e Jane nemmeno sa se verrà occupata.
Oh, diamine! Perché mai la ragazza non dovrebbe venire?
La ragazza si chiama Nadia. Glielo ha detto Eric, dato che la prima volta che si sono parlate qualche giorno prima, si è dimenticata di chiederle il nome e lei si è dimenticata di dirglielo, o non ha voluto farlo.
Jane ha aspettato di rincontrarla e le ha proposto di vedersi a quella caffetteria per fare quattro chiacchiere, del resto lei stessa lo aveva suggerito durante il loro primo incontro.
L'ha buttata lì così, non sapeva come l'avrebbe presa la ragazza, ma sa che deve parlarle perché la inquieta l'idea di questa tizia che gironzola per le armerie della base dello S.H.I.E.L.D. e sa un sacco di cose su di lei e... ma non è solo questo. Forse è stato quando la ragazza ha nominato Thor – o meglio, ha accennato al fatto che ha parlato con Thor e Thor le ha parlato di lei... - forse è stato quando si è improvvisamente incupita per qualcosa che Jane ha detto, forse è stato perché Eric le ha spiegato che sa chi è ma non può darle informazioni in merito... insomma, la dottoressa Foster ha sentito il bisogno di saperne di più. E così è andata a finire che l'ha letteralmente pedinata, fino a quando non è riuscita ad avvicinarla e a chiederle se un certo pomeriggio, a una certa ora, le andava di prendere un caffè con lei.
La ragazza ha detto che andava bene, ma ora Jane ha il dubbio che non si presenti all'appuntamento. Insomma, una che non ti dice il suo nome la prima volta che parla con te, deve certo essere sfuggente per qualche ragione, e poi...
«Ciao, Jane».
Nadia si infila tra la sedia e il tavolino con un gesto fluido e le sorride cortese.
Jane si ritrova a fissarla sbattendo le palpebre.
«Oh... ehi... ciao!» farfuglia dopo qualche secondo.
La ragazza ha un marcato accento straniero, questo la dottoressa Foster lo aveva colto fin dal loro primo breve dialogo. È di qualche anno più giovane di lei, senz'altro; è carina ma ha un'aria assolutamente anonima, e nei suoi occhi castani non c'è niente che faccia pensare a una persona al di fuori del comune.
Ma Jane non è mai stata brava a indovinare informazioni sulle persone. Lei è quella che ha scambiato un dio nordico per un barbone ubriaco, dopotutto.
Adesso che Nadia è lì, in tutta la sua placida normalità, adesso che il sole mette in risalto il dorato dei suoi capelli biondi come i neon della base dello S.H.I.E.L.D. non avrebbero mai potuto fare, la dottoressa Foster si accorge di non sapere bene cosa dirle.
«Io prendo un frappè alla fragola, tu cosa vuoi?» le chiede, ostentando un sorriso tirato.
«Un frappè alla fragola anche per me»
«Abbiamo gli stessi gusti»
«Non proprio, non direi...».
Jane inarca un sopracciglio, ma Nadia agita la mano come a voler cancellare da una lavagna immaginaria quello che ha appena detto.
Forse è proprio una tipa fuori dal comune.
Passa qualche secondo di silenzio imbarazzato, nel quale la dottoressa Foster cerca disperatamente di riordinare le idee e di trovare le parole adatte a chiedere alla ragazza l'unica cosa di cui le interessa veramente: come mai conosce Thor?
«Jane, so perché mi hai chiesto di vederci» asserisce Nadia, come se le avesse appena letto nel pensiero.
Una cameriera con il grembiule di percalle che fa molto anni '40 arriva a portare i loro frappè.
«E questo è il momento in cui mi dici perché hai deciso di venire?» domanda la dottoressa Foster a bruciapelo.
«Come vanno le ricerche sul wormhole?».
È questo che vuole sapere la ragazza? È interessata al wormhole? Cosa se ne fa una giovane straniera delle informazioni sul suo ponte di Einstein-Rosen?
«Le ricerche non portano da nessuna parte. Pare che sia stato un fenomeno a se stante, che non ha avuto alcuna conseguenza» risponde. È la verità, non c'è proprio un bel niente da dire su quel benedetto wormhole che all'inizio le aveva fatto così ben sperare. «E, se tutto va bene, dopodomani  me ne vado via, torno a casa, lo S.H.I.E.L.D. non ha più bisogno di me».
Se tutto va bene un corno!
Non vuole tornarsene a casa, non vuole abbandonare quella ricerca. Non è affatto convinta che sia un fenomeno privo di significato, ma non ha dati che dimostrino il contrario.
«Capisco...» mormora Nadia con aria pensierosa, rigirando la cannuccia nel bicchiere.
«Perché ti interessa?» le chiede Jane.
«Immagino per la stessa ragione per cui interessa a te. Una volta ti avrei detto per la stessa speranza che forse hai anche tu, ma non è esatto parlare di speranza, specie di questi tempi...».
La dottoressa Foster non ha capito una parola di quello che ha detto la ragazza, ma le è sembrata così triste mentre lo diceva che ora ha quasi soggezione a farle delle domande in merito.
Nadia assaggia svogliatamente un sorso del frappè.
«Tu speri che quel ponte abbia a che fare con Thor» aggiunge dopo qualche secondo. «Io speravo che avesse a che fare con qualcun altro, ci speravo due mesi fa, forse tre, ora non lo so... ad ogni modo, non capisco niente di astrofisica, ma penso che tu possa tornare a casa. Quel wormhole non può avere a che fare con Asgard».
Momento. Fermi tutti. Alt!
Che sta dicendo la ragazza? Perché sa queste cose? Chi diavolo è?!
«Come... come...». Jane si ritrova a boccheggiare come un pesce. Se fosse lì sua madre la sgriderebbe di nuovo.
«Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto, tutto qui» spiega Nadia.
«Chi sei? Tu... tu devi spiegarmi come sai tutte queste cose o io... comincio a investire gente a casaccio quando sono nervosa, è una cosa poco carina...».
Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto. Gli asgardiani hanno ricominciato a viaggiare allegramente per l'universo. Evviva! E allora perché Thor non è tornato da lei? Perché?!
Jane vorrebbe davvero investire qualcuno adesso. Investire qualcuno e passarci su con le ruote della macchina più e più volte.
«Ehm... Jane? Lascia andare il portatovaglioli» mormora Nadia.
Non si era nemmeno accorta di tenere il portatovaglioli stretto tra le dita. Lo lascia andare sul piano del tavolo con un gesto stizzito.
È quasi un anno che prova a risolvere quel dannato rompicapo per trovare un modo di rimettersi in contatto con l'altra parte. E adesso scopre che c'è sempre stato un modo... e lei non ne sapeva niente... e dall'altra parte chi di dovere non si è nemmeno degnato di avvisarla!
«D'accordo, Jane, stai calma. Qual'è il problema?» domanda Nadia.
«Ho dedicato un anno della mia vita a trovare il modo di ristabilire un contatto. L'ho fatto per... perché volevo rivedere Thor. E ora vengo a sapere che questo modo c'è sempre stato e che lui non si è fatto vivo in tutto questo tempo...» spiega lei, sentendosi una totale imbecille, sotto lo sguardo preoccupato della ragazza.
«Sì, ne so qualcosa di divinità nordiche assenteiste...» borbotta lei, scuotendo la testa, poi si passa una mano tra i capelli e torna a fissare Jane. «Un giorno forse potrò raccontarti la mia storia e di come sono finita qui, per adesso ci sono un paio di cose essenziali che devi sapere. Lo strumento che permette di aprire varchi attraverso lo spazio è ritornato in mano agli asgardiani solo alcuni mesi fa e se in questi mesi Thor non si è fatto vivo è perché ha avuto i suoi buoni motivi. Come ti dissi, sta cercando suo fratello... tu nemmeno immagini che lurido bastardo problematico sia quel tipo...»
«Ah, tu lo hai conosciuto?»
«Sì, ho avuto il dispiacere di condividere un paio di esperienze quasi letali con lui. E ho conosciuto Thor, e mi ha parlato di te e fidati, quelle non erano le parole di un uomo che aveva dimenticato».
Jane sta di nuovo boccheggiando come una trota appena presa all'amo. Si sente avvampare e sente che c'è qualcosa di strano in quella ragazza, qualcosa che la mette a disagio. Forse è solo il fatto che Nadia sa così tanto di lei, mentre Jane ancora non ha nemmeno capito lei chi sia.
La ragazza lascia il suo frappè a metà.
«Devo andare, sono in ritardo» dice all'improvviso, scattando in piedi con aria allarmata. «Clint e Natasha mi uccideranno» aggiunge borbottando tra sé e sé.
«Nadia, aspetta!»
«Jane, ti ho detto tutto quello che potevo...».
Sì, è vero. Di certo le ha detto più di quanto abbia fatto chiunque altro alla base dello S.H.I.E.L.D.
La dottoressa Foster mette su un mezzo sorriso,
«Sì» conclude. «Grazie. Credo che seguirò il tuo consiglio. Tornerò a casa e penserò positivo».

*

Il giorno prima Nadia era seduta al tavolino di una caffetteria insieme a Jane Foster. Le ha detto delle cose e più ci pensa più crede di non averle detto niente.
Le ha detto quello che era giusto dirle, quello che Jane aveva bisogno di sapere, e di certo non le ha mentito. Non le ha mentito su Thor e su tutto quello che è riuscita a spiegarle, ma la storia, la sua storia per intero, gridava dentro di lei a gran voce per farsi raccontare. Avrebbe potuto parlarne alla dottoressa Foster, ma non ce l'ha fatta. Non ci riesce, non ne parla mai con nessuno, nemmeno Tony o gli altri ne parlano mai.
Ci sono storie che non sono fatte per essere raccontate. Ci sono storie che sono come le schegge di metallo che Tony ha nel petto, restano lì e non si può far altro che tenerle a distanza, che cercare un modo di stare al mondo malgrado la loro presenza. È solo che il fatto di non essere in grado di affrontare la cosa anche solo per spiegarla a qualcuno, anche solo semplicemente parlandone, le sembra un'enorme sconfitta.
Ieri era con Jane; quando l'ha lasciata al tavolo di quella caffetteria, Nadia si è sentita comunque sollevata all'idea di essere riuscita a dire cose che hanno ristabilito la speranza della giovane astrofisica. Ora se ne sta appollaiata su uno sgabello nella cucina di casa Stark e guarda la busta di carta appoggiata sul tavolo davanti a lei.
Quando Mike le ha messo tra le mani i biglietti per la rappresentazione di The Phantom of the Opera è stato come...
La ragazza si ritrova a sorridere.
Un ragazzo l'ha invitata ad uscire. La cosa l'ha stupita e le ha acceso una scintilla di contentezza in mezzo al petto, una scintilla che con il passare dei giorni è diventata quasi una fiamma.
Mike le piace. Nelle settimane successive al suo arrivo a New York sono rimasti più volte a chiacchierare alla caffetteria dello stabilimento delle Stark Industries. Lei deve avergli detto che le piacciono i musical e lui se n'è ricordato. Lui è quel tipo di persona che fa domande e ascolta anche le risposte. Le loro brevi passeggiate nei giardini dello stabilimento grondano di parole e risate, danno un senso di calore. E la ragazza detesta il fatto che la sua mente tenda, automaticamente, a metterle a paragone con quelle sere lontane di quella settimana a Venezia, quando lei camminava fianco a fianco a un dio silenzioso e scostante credendolo un ragazzo normale.
Nadia vorrebbe poter dire a Mike quanto tutta quella situazione le stia facendo bene. Non è una questione di orgoglio civettuolo dovuto al rendersi conto di piacere ad un ragazzo, è il fatto che avere un amico che ha un interesse per lei le restituisce un po' di quella normalità che da troppo tempo sente di aver perso.
La ragazza sospira, poi il suo sguardo si sposta sulla custodia scura appoggiata sullo stesso tavolo accanto ai biglietti e di colpo, ogni scampolo di normalità riguadagnata sparisce nel buco nero della sua testa angosciata.
«Mi sento in colpa» mormora.
«Perché dovresti?» chiede Pepper, sedendosi di fronte a lei ed allungandole una tazza di latte e cioccolato.
«Per Mike, mi sento come se lo stessi usando per sentirmi un po' meno peggio. E non posso nemmeno dirgli la verità sulla pietra, su di me, su tutto il resto...».
Nadia circonda con le dita fredde la tazza, cercando di scaldarsele.
«Non devi vederla per forza in questo modo» dice la donna, con la sua coda di cavallo perfetta che le dondola sulla nuca. «E del resto, non è quello che facciamo tutti, quando cominciamo ad avvicinarci a qualcuno?».
Nadia corruga la fronte, perplessa.
«Mi stai dicendo che all'inizio avere a che fare con Tony era una cosa salutare?» domanda, enfatizzando un'aria seriosa per poi nascondere la faccia dentro la tazza di cioccolato.
Pepper solleva le sopracciglia e Nadia scoppia a ridere, facendo schizzare la bevanda calda.
«Si stava parlando di me?» si intromette Tony, entrando in cucina, giocherellando con un cacciavite che fa saltare sul palmo della mano.
«Erano discorsi da donne, in realtà» lo rimbecca Pepper.
«Allora si stava decisamente parlando di me».
Nadia scuote la testa, divertita. Tony nota la scatola scura sul tavolo e lancia alla ragazza un'occhiata interrogativa.
«Oh, quello me l'hanno consegnato stamattina degli agenti, da parte di Clint» spiega lei.
L'uomo apre incuriosito la scatola. Dentro c'è un arco fatto di un qualche materiale supertecnologico, superfigo e superinutile, dato che Nadia non ha idea di come usarlo né ha troppa voglia di imparare a farlo.
«Accidenti, Legolas fa sul serio» mormora Tony, quasi ammirato. «Sai che ti dico? Domani vengo con te e nonno Steve nel bosco, tu provi il tuo arco e io le nuove modifiche che ho apportato all'armatura»
«Steve sverrà dalla gioia nel sapere che ci sarai anche tu domani».
Tony sghignazza e si mette a sedere su uno sgabello, facendo ruotare il cacciavite tra le dita.
Nadia osserva per qualche secondo la scena e picchietta le unghie attorno alla tazza che ormai si sta raffreddando.
Alla fine, pensa, la normalità è meno lontana di quanto le sembra di solito. Si sente un po' stupida per tutti i pensieri angosciati che le ronzano nella testa e si sente spaventata perché ha paura di perdere quello che ora ha davanti agli occhi. Non sa perché, forse è solo colpa della sensazione imminente di pericolo di vita a cui la pietra la espone, ma sono giorni che sente aleggiare nell'aria odore di brutto presentimento.
«Ehi, ma domani non possiamo andare a giocare nel bosco» dice Tony all'improvviso, strappando Nadia ai suoi pensieri. «Tu domani sera hai un appuntamento, ricordi?»
«Beh, torneremo in tempo perché io mi renda presentabile».
La ragazza torna a guardare la busta con dentro i biglietti per il teatro. Poi si volta verso il suo amico e poi di nuovo verso la busta.
«Tony, tu non hai niente a che fare con questa cosa, vero?» chiede, folgorata da un'intuizione tanto improvvisa quanto sgradevole.
«Come ti viene in mente una simile idea, Colombina?!» esclama lui, arricciando il naso.
«Ne saresti capace»
«Forse sì, ma forse tu sei ancora più capace a fare strage di cuori».
Nadia boccheggia, nel tentativo di trovare qualcosa per ribattere, ma sente di stare avvampando e si ritrova a fissare inebetita le spalle di Tony che si allontana verso il suo laboratorio canticchiando:
«...fills his victims full of dread,/ running as fast as they can/ Iron Man lives again!»  

*

Ogni volta gli sembra di non sentire più niente. Ci sono giorni in cui si crede morto ed è come se assistesse al suo supplizio dall'esterno, dall'alto come in un sogno, quando si è spettatori di fatti che accadono a noi stessi. È il dolore a tenerlo legato a quel corpo, a dargli percezione del limite segnato dalla sua pelle, dai muscoli, dalle ossa.
Non è facile uccidere un dio, di questo Thanos dev'essere consapevole, ma quel che è certo è che prima o poi gli tirerà via la vita dal petto e Loki non sa se il suo crudele maestro stia di proposito prolungando quell'agonia o se è lui ad essere più resistente di quanto si pensasse.
Di solito le torture si ripetono ogni giorno, e tutte le volte, quando lo riportano nella cella, Loki sente il suo corpo nudo diventare insensibile alla morsa dei ceppi o al ruvido della nuda pietra su cui si accascia privo di forze. Ed è quasi una benedizione.
Ma poi accade che per un tempo lunghissimo che lui non è capace di calcolare – forse tre giorni, forse quattro – nessuno si occupi di lui, nessuno viene per condurlo da Thanos ed è come se il suo corpo si illudesse di essere libero, cancella il dolore e quando il supplizio ricomincia è peggio di prima.
Eppure, per quanto angoscianti, quei periodi di tregua gli sono stati utili, gli sono serviti per rintracciare la pietra. Quando era stato portato ad Asgard dopo la sconfitta di New York gli era stato facile scoprire dove si trovava, perché era nella stessa galassia. Ora Midgard è lontanissima, nemmeno lui sa bene quanto, e la ricerca si è rivelata difficile, resa ancora più ardua dallo stordimento per le continue torture.
Più volte, preso dalla disperazione, ha creduto che la sola ricerca della pietra avrebbe esaurito tutte le sue energie prima ancora di riuscire a rintracciare il bracciale. Nei momenti peggiori ha persino pensato che la ragazza potesse essere già morta, dopotutto nemmeno lui sa cosa le è successo, quanto tempo sia effettivamente passato da quando si sono separati.
Il pensiero che Nadia sia morta lo riempie di panico, gli fa sentire più forte l'odore del sangue e quell'odore gli ristagna nello stomaco facendolo vomitare.
Nadia è la chiave per i suoi piani. Ed è anche...
Cosa?
L'unica persona che non gli è nemica. È un pensiero che significa tutto e niente, ma Loki non può e non vuole indugiare oltre in simili riflessioni. Spera solo che sia viva, perché se così non fosse sarebbe tutto perduto, lui sarebbe perduto.
Alla fine, dopo tante incertezze dolorose quasi quanto i supplizi di Thanos, l'ha trovata. La pietra è ancora attiva, la ragazza non è morta. Ora deve solo usare l'energia per creare una connessione, aprire un passaggio che gli permetta di arrivare lì dove si trova il bracciale. Ora deve solo restare lucido ancora un po' e poi sarà in salvo.    
 





______________________________________________

Note:
Povero Thor, che alla sua prima apparizione nelle mie fanfiction è sempre angustiato a causa di Loki... il fatto è che mi piace l'idea di mostrare come siano sempre punto e accapo quei due.
E la comparsata di Lady Sif e i Tre Guerrieri era d'obbligo.
E sappiate che io adoro mettere insieme Jane e Nadia.
E a proposito di Jane e Thor... credo che il loro innamoramento nel film non sia stato trattato in maniera particolarmente profonda (aspetto di vedere in Thor 2 come gestiranno la cosa, per ora... bah...), per cui alle volte mi chiedo perché questi due abbiano tutta questa ansia di rincontrarsi visto che più che un innamoramento nel senso “alto” del termine a me sembrava una cotta estiva tra scolaretti... ma, al solito, io lavoro su quello che ho a disposizione e dato che il finale del film sembrava suggerire che questi due stessero lì a struggersi per la reciproca assenza, mi regolo di conseguenza.

La canzone messa in bocca a Tony è Iron Man dei Black Sabbath, come da “vestiario filmico”.

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

Grazie a tutti voi. Proprio tutti.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento :)

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Capitolo 6
*** Hell-sent ***


Capitolo quinto
Hell-sent


«Tony, andiamo, alza la cappotta» borbotta Rogers dal sedile posteriore mentre il vento gli scompiglia il suo bel ciuffo d'antiquariato.
«Che c'è, Capitano? Hai paura dei reumatismi? Posso capirlo, alla tua età...»
«Stark!».
Nadia si allunga verso il cruscotto a premere il comando e la cappotta dell'Audi si solleva con un leggero plik.
L'asfalto di New York sfuma verso qualcosa di meno definito, sotto un cielo tanto terso da sembrare laccato.
«Ecco, adesso ci mancava solo la badante premurosa» mormora Tony, svoltando verso il sentiero sterrato.
Nadia ride, buon segno.
Sarebbe un azzardo dire che la sua giovane amica è felice, ma in quei giorni il suo umore sembra nettamente migliorato. E lui non ha il minimo senso di colpa per essere stato la mano che ha architettato l'appuntamento tra lei e Mike, e comunque è quasi del tutto sicuro che prima o poi il caro stagista avrebbe trovato da solo il fegato di farsi avanti e invitarla a uscire, lui ha solo dato una mano al destino.
Sta andando tutto bene, a parte le crisi, sta davvero andando tutto bene, al punto che sono tutti convinti che la situazione si risolverà. Alle volte sembra una previsione fin troppo ottimistica, non sanno davvero cosa stia succedendo al corpo di Nadia, ma sono passati tre mesi e lei è ancora lì, è diventata più forte, grazie agli allenamenti con i due killer cazzuti, e il fatto di poter vomitare energia magica senza che nessuno si faccia male le rende il tutto più gestibile e gradevole.
Naturalmente non potrà essere sempre così, ma ce la stanno facendo, se la stanno cavando discretamente senza l'aiuto di divinità pericolose o altre mostruosità simili.
Alle volte Tony pensa a come sarebbe stato se quel lurido bastardo di un cervo malriuscito fosse davvero tornato indietro e avesse aiutato Nadia. Si chiede se a forza di dare una mano a una ragazza – alla ragazza che ha salvato il suo divino fondoschiena – il maledetto non avrebbe finito per darsi una calmata e riconsiderare la sua posizione da aspirante e bellicoso re dell'universo.
No, probabilmente non sarebbe successo in nessun caso. Quel tizio è marcio, marcio dentro. È una scatola di buio e lame di ghiaccio con una pietra al posto del cuore.  
E per fortuna è in qualche posto molto lontano da lì. Magari il fratello dalla bionda chioma l'ho anche riacciuffato e messo sotto chiave da qui all'eternità.
E Nadia forse sta appena appena cominciando a toglierselo dalla testa. Loro – lui più di tutti – si sono impegnati veramente tanto affinché succedesse.
Avengers: 2 – Rocchettaro Bastardo: 0
Bello! Tony sorride mentre dà un colpo all'acceleratore, sollevando una nuvola di polvere nella scia della macchina e facendo quando scivolare dal sedile Steve che lo guarda in cagnesco dallo specchietto retrovisore, borbottando che dovrebbero ritirargli la patente.
Se lo ripete ancora una volta: sta andando tutto bene. Loro sono i buoni, sono nati per vincere.
Sta andando tutto fottutamente bene...

*

Tony resta fuori, davanti alla casa nel bosco, a indossare l'armatura e a verificare i parametri del software in relazione alle modifiche che ha apportato al Mark VIII. Steve gli si piazza di fianco, continuando con fare bellicoso, un discorso iniziato in macchina a proposito dell'utilità di internet.
Nadia li guarda e non sa se ridere o mettersi a gridare. Alla fine, decide semplicemente di entrare in casa e andare a salutare Bruce che sta osservando la scena dalla finestra, con aria a metà tra il perplesso e il divertito.
«Non possono farcela, non ce la faranno mai!» commenta la ragazza, avvicinandosi al dottor Banner.
«Dio li fa e poi li accoppia» replica lui, scrollando le spalle. «Vado a mettere su l'acqua per il tè».
Ecco, giusto... il tè. Santi numi.
«Per quei due magari una camomilla» scherza Nadia. «Nel frattempo posso dare un'occhiata alle mie e-mail dal tuo computer? Mia sorella doveva mandarmi delle foto».
«Fai pure!» risponde Bruce dalla cucina, alzando la voce per farsi sentire a distanza e oltre lo schiamazzo che Tony e Steve stanno facendo di fuori.
Nadia si siede alla scrivania e apre il browser alla pagina di Google. Il messaggio di Sara campeggia in grassetto in cima alla lista, nel suo account di Gmail. La ragazza apre gli allegati e pixel dopo pixel appaiono sullo schermo una sfilza di facce sorridenti.
Sono foto della festa di compleanno di un loro amico. C'è il tavolo con la tovaglia di carta monouso, il festone colorato appeso alla buona, la torta con la locandina di Star Wars stampata sulla glassa e la scritta ''Auguri Sergio'' fatta con il cioccolato, c'è il pezzo di carta da regalo accartocciata e il filo di spago che si intravedono in un angolo. E ci sono tutte le facce di quella vita che Nadia si è lasciata alle spalle.
Guarda le foto più volte, sperando che quei sorrisi e quei particolari le facciano arrivare una ventata di familiarità. Ma quanto è lontana da tutti loro, adesso?
Nadia lo ha sempre saputo, fin dalla sera in cui disse addio a Tony e agli altri sul molo, fin da quando vide sparire Thor in un turbinio di luce azzurra. Non poteva immaginare che li avrebbe rivisti o che si sarebbe trasferita a New York, ma sapeva che ormai era lontana dal mondo in cui prevedeva di dover restare.
Il suo supplizio non è l'energia della pietra, la sua condanna è aver visto, aver conosciuto, aver vissuto quei giorni. La sua condanna è l'essere stata davvero una guerriera e non poter fare nulla per dimenticarlo.
Non ha ancora mai pensato a cosa farà, quando quella situazione sarà risolta, semmai sarà risolta. Non si è mai data pena di riflettere per decidere se restare lì o andarsene, ma sa che dovrà scegliere un giorno e sa che una scelta implica necessariamente una rinuncia.
Chiude la pagina con le foto e prende un grosso respiro.
«Com'è possibile che esistano individui come te? Ti giuro, io non capisco...» sente Steve che borbotta stizzito.
«Lo so, Capitan Mammut, è la tua salvezza e il tuo più grosso problema» replica Tony.
Il sorriso le sale alle labbra, quasi senza che se ne accorga. Li ama, è più forte di lei. E ama il fatto che ognuno di loro le voglia bene a suo modo.
Bruce torna nella saletta di ingresso che fa anche da studio.
«Hai mai provato a cercare i Vendicatori su Google?» domanda Nadia, divertita.
«No, fa parte del mio piano per evitare lo stress» mormora il dottore.
Lei fa schioccare la lingua e digita la parola Avengers. L'elenco dei risultati è infinito.
Nadia passa il dito sullo scroller del mouse e dà una rapida occhiata ai titoli. Parlano di loro in forum di tutti i generi, sui siti dei giornali, sui blog e...
«Oh, wow! Ci sono anche i fansite» esclama.
«Ma non mi dire» borbotta Bruce, non particolarmente interessato, appoggiando tazze e zuccheriera su un vassoio. Lui è quello che meno di tutti ha fatto pace con la parola ''eroe''.
Nadia entra in un sito amatoriale a caso e comincia a navigare tra le pagine. Ci sono raccolte di articoli, notizie di dubbia veridicità, disegni di ammiratori e anche fanfiction.
«No, non ci credo. La gente scrive fanfiction su di voi!» sbotta, stupita.
«Che cosa?», Bruce inarca un sopracciglio.
«Le fanfiction sono storie scritte da fan di un'opera originale, che utilizzano i personaggi e il contesto dell'opera in questione... tipo finali alternativi di un libro o ipotetici continui di un film. Le leggevo anche io, in Italia, ma non pensavo che le scrivessero su di voi
«Perché tutto ciò mi suona terrificante?»
«Ma no, è divertente, cioè... o porc... forse è meglio che questa roba non la vedano Tony e Steve».
Bruce inforca gli occhiali e trascina uno sgabello accanto alla scrivania per sedersi vicino alla ragazza. Scorre la pagina che ha davanti e si gratta nervosamente la radice del naso.
«Nadia, ehm, cosa significa Iron Man-slash-Captain America?» mormora. «Non quello che sto pensando io adesso, vero?».
«Nadia!». Steve si sporge oltre la porta, con aria implorante. «Per favore unisciti a noi, prima che gli faccia ingoiare l'elmo della sua armatura».
La ragazza e Bruce lanciano un'occhiata obliqua alla pagina internet, il dottore allunga rapido la mano a spegnere il monitor del pc, poi entrambi si guardano in faccia e scoppiano a ridere.
«Che succede? Perché state ridendo?» chiese Steve.
«Fidati Capitano, non vuoi saperlo sul serio» dice Bruce, alzando le mani.

Quando esce dalla casa, sente il rumore del vento che fischia tra gli alberi, è un vento prepotente e gelido. Non le sembrava facesse così freddo prima.
«Io comunque non so che farmene di questo affare» dice Nadia, rigirandosi l'arco tra le mani. Cerca di pensare all'arco perché non si è ancora tolta dalla testa la faccenda delle fanfiction slash di qualche minuto prima e ha paura di scoppiare a ridere senza apparente motivo mentre Steve e Tony la guardano.
Il vento continua a soffiare, facendo addensare le nuvole all'orizzonte.
«Clint ha detto di cominciare a prendere confidenza, che la prossima volta che ci vediamo mi spiegherà meglio... ma come si prende confidenza con un arco?»
«Prova a incoccare la freccia» suggerisce Steve.
«Ehi, non puntarlo verso di me» protesta Tony.
«E nemmeno verso casa» aggiunge Bruce. «Se entrasse da una finestra sarebbe un macello».
I suoi amici non hanno di che preoccuparsi; mentre Nadia solleva l'arco e lo punta verso gli alberi si accorge di quanta strenua resistenza opponga la corda nel venire tesa.
Perché a Clint vengono sempre in mente idee così sfiancanti?
«Questa corda non si lascerà mai tendere» borbotta lei, con la voce assottigliata per lo sforzo. «Non da me, di sicuro».
Steve le si avvicina, aspetta che lei sistemi la freccia contro la corda e chiude una mano sulla sua per aiutarla a tendere l'arco, facendole portare il braccio all'indietro. È quello che fanno gli amici, pensa Nadia sorridendo, sommano le loro forze alle tue e risolvono un problema – anche se lei potrebbe sopravvivere benissimo senza tendere il dannato arco che le ha dato Clint.
«Lasciamo andare?» chiede lui.
La ragazza annuisce.
Flup...
La freccia parte con un'angolazione che avrebbe fatto venire a Clint il mal di stomaco. Vola disegnando una mezza parabola e sparisce tra gli alberi atterrando a molti metri di distanza, perdendosi nella boscaglia.
Il colpo le fa tremare la mano con la quale reggeva l'arco e la punta dell'arma vibra all'indietro colpendola sulla fronte.
«Ahia!» si lamenta lei, toccandosi nel punto in cui si è colpita da sola e notando che si aperto un piccolo graffio sanguinante che brucia.
«Bontà divina! Dobbiamo dire a Barton che lasci perdere con questa storia o finirai per ammazzarti» borbotta Tony, solo la faccia sorniona spunta dall'armatura, facendolo sembrare un giocattolo costruito male.
«Non è niente» replica lei, premendosi un dito sul taglietto per farlo smettere di sanguinare. Non è niente, però fa un male cane lì sulla fronte, magari si formerà anche un bernoccolo. «Vado a vedere se riesco a recuperare la freccia».
Nadia si allontana tra i tronchi degli alberi, respirando l'odore di resina e tirando giù le maniche della maglia per coprirsi le mani che sente intirizzite per quelle folate di vento freddo. Tenta di scorgere la freccia, ma non la vede e si allontana ancora un po' dallo spiazzo davanti alla casa. Volta dietro un alto cespuglio, fa per guardarsi attorno sperando di cogliere da qualche parte il luccichio della punta metallica, ma quello che vede la paralizza e le fa dimenticare anche solo come si chiama.
Per un attimo sente dolore, un dolore che è quasi fisico, come se tutto il suo corpo fosse coperto di lividi e qualcuno si stesse divertendo a premerci su le dita uno ad uno. Dopo qualche secondo il dolore e lo straniamento diventano paura e poi tutto si congela in un ovattato senso di fredda incredulità.
No, non può essere. È tutto sbagliato. Sarà qualche effetto dell'energia della pietra, forse le allucinazioni sono una conseguenza della malattia... non può essere, non deve essere...
Dopotutto, c'è qualcosa che non torna. C'è troppo poco gelo in quegli occhi cerchiati da occhiaie livide, e c'è troppo pallore sul suo viso più magro e affilato di quanto lo ricordasse.
Eppure è come la sera in cui lui giunse a Venezia, accompagnato da quell'improvviso vento gelido e quasi innaturale.
Loki...
No, non è un'allucinazione: è un incubo.

*

Alla fine ha trovato la connessione con la pietra e ha aperto il portale.
Peccato non essere lì quando i suoi carcerieri scopriranno che la prigione di pietra è ormai vuota e che lui è ben al di là della loro portata.
Per un po' è stato come galleggiare a pelo d'acqua, una sensazione quasi dolce, poi all'improvviso è arrivata una specie di spinta che lo ha trascinato giù, ed è sembrato qualcosa di molto più simile all'annegare. La forza del varco lo ha spinto sempre più lontano, sempre più veloce fino a quando non ha visto l'aria diventare come un velo di nebbia, un drappo trasparente che si è squarciato nell'attimo in cui lo ha toccato ed è diventato fumo sottile attorno a lui.
Quasi senza rendersene conto, si è ritrovato nuovamente con il suolo sotto ai piedi. Il suolo di Midgard.
Loki vede macchie di marrone e di verde vorticare attorno a lui. Quel viaggio disperato ha dissipato le sue forze e fatto aumentare il dolore in ogni parte del corpo. Sente, quasi con sollievo, il tessuto dei vestiti avvolgerlo di nuovo e sente il sangue scorrere dalle ferite e attaccarsi al velluto scuro, ma non importa. È giunto a destinazione, è salvo.
Impiega qualche secondo a sentirsi abbastanza fermo sulle proprie gambe. La luce gli ferisce gli occhi e lui apre e chiude più volte le palpebre prima di riuscire a mettere a fuoco lo scenario che ha intorno.
Dove si trova? È una foresta quella?
È un bosco. Diamine, un bosco!
Il verso corale di uno stormo di uccelli in volo gli giunge alle orecchie quasi facendo eco, sembra assordante come anche il rumore del vento tra gli alberi.
Il dio dell'inganno si sente investire prepotentemente da quel luogo estraneo e inatteso. Ha bisogno di qualche minuto per ricostruire un contatto con la realtà, per lasciare che le forme acquistino senso in mezzo a quella caleidoscopica confusione.
Non riesce a capire, non gli sembrava ci fossero boschi in quella dannata città sull'acqua.
Sente i passi di qualcuno che si avvicina, il frusciare di rami che vengono spostati. Serra i pugni in un gesto automatico di difesa, resta in tensione ad aspettare di conoscere il volto dell'individuo che avrà la sfortuna di incontrare.
La figura emerge da dietro a un cespuglio. Uno sbuffo di capelli biondi, un po' più lunghi di come li ricordava, e due occhi scuri che si fissano su di lui, prima del tutto privi di emozione, poi spaventati.
Nadia...
Nadia resta impietrita, si tende all'indietro urtando contro il cespuglio. Sembra quasi che abbia paura di lui, poi la sua espressione diventa una maschera di sconcerto, con le labbra così serrate da sembrare appena un solco sul viso da ragazza. Il sangue le fugge via dal viso e il dio si ritrova a pensare che non la ricordava così... così donna.
È cresciuta, la giovane piena di rabbiosa confusione; è cresciuta come le persone che hanno sofferto.
Loki vorrebbe tendere la mano, provare a toccarla e sincerarsi che non è un'allucinazione indotta dalla sua mente straziata. Vorrebbe persino avere la forza d'animo di fare un sorriso o qualcosa del genere, perché il fatto che lei sia lì significa che lui è in salvo, ma lo sguardo di Nadia lo tiene inchiodato, fermo sotto il peso di tutto quello che deve aver significato la sua assenza.
È viva, sta bene, ma probabilmente è salva per un soffio, per un qualche miracolo che adesso il dio non riesce a immaginare. È salva per pura concessione del destino, non certo per merito suo.
Cosa dovrebbe dirle? Che in tutto quel tempo è rimasto prigioniero su uno sputo di roccia in mezzo all'universo dove è stato torturato fin quasi alla morte?
Cosa dovrebbe dire? Che fare, quando ha la sensazione che se muovesse anche solo un muscolo la ragazza si metterebbe a urlare? Probabilmente a urlargli insulti. Tutti quegli insulti che lui non merita ma che lei avrebbe il diritto di gridargli.
«Tu...» è tutto quello che invece esce dalla bocca di Nadia.
È un sussurro flebile, ma riporta Loki alla realtà, lo rende finalmente del tutto cosciente del fatto che è libero e che è riuscito a trovarla. È sollevato di essere lì, è sollevato perché ora è al sicuro e perché c'è qualcosa che è scattato dentro la sua mente nel momento in cui ha rivisto Nadia, qualcosa che spinge un po' più lontano il freddo del vento e della pietra del pianeta dei Chitauri, anche se sono ricordi vecchi di una manciata di minuti.
«Tu, come... come...» la ragazza comincia a farfugliare. Ecco, questo è uno di quei momenti in cui lei diventa stupida per l'agitazione. Diventa stupida e detestabile, e Loki si sente sempre più debole ad ogni secondo che passa, e non vuole svenirle tra le braccia – anche perché ha il sospetto che lei lo lascerebbe a rovinare sul terreno polveroso.
«Nadia, ascolta...». La sua voce è ridicolmente bassa e roca, una voce che di recente non è stata usata per nient'altro se non per gridare.
Istintivamente fa un passo malfermo verso la ragazza e allunga una mano verso di lei.
Nadia si ritrae con uno scatto, con un fare stizzito che in un altro momento avrebbe fatto sentire Loki molto offeso e ferito.
«Non provare a toccarmi» sibila la ragazza, come quella notte, dopo il primo attacco dei demoni. Quando ogni pensiero si era indurito per la delusione, la rabbia e la paura.
Guerriera fino in fondo, accidenti a lei!
«Devi dirmi dove siamo» insiste Loki, facendo appello alle poche energie rimaste e all'ultimo scampolo di calma di cui dispone. «Che posto è questo?».
«New York» dice una terza voce. Una voce che Loki conosce bene e che gli procura un disgustoso senso di irritazione, quasi un conato di vomito. «L'ultima volta che sei passato di qui hai dimenticato di prendere un souvenir?».
Il dio alza lo sguardo furente per trovarsi davanti Tony Stark, bardato nella sua armatura, che si frappone tra lui e Nadia e solleva il braccio per mettere in mostra il missile che spunta dal polso di metallo.
Non è possibile che il fato abbia agito in maniera così sorprendete. Loki stenta a crederlo.
Fare in modo che la ragazza seguisse gli Avengers oltreoceano faceva parte dei suoi piani, prima che la sua coscienza – quella di cui nessuno sospetta l'esistenza – gli imponesse di scegliere in un altro modo le sue priorità. Eppure Nadia è lì, con loro.
La mente stanca del dio visualizza possibilità, strade che al momento sono ancora avvolte nella nebbia ma che sono lì, ai suoi piedi, pronte ad essere testate.  
Riderebbe se non gli facesse così male e se non trovasse tanto bruciante l'idea che doveva essere lui a salvare Nadia e non quel branco di umani molesti. Quello era un affare tra lui e la ragazza e adesso invece è diventata la nuova missione degli eroi più forti del pianeta.
«Oggi stavo giusto pensando a quanto stesse andando tutto bene. Stavamo meravigliosamente senza di te, Bambi» aggiunge l'uomo di metallo con freddezza. «Perché non te ne torni da dove sei venuto?».
Stavano meravigliosamente, sul serio? Anche lei?
«E dimmi, quanto pensi che Nadia potrà ancora reggere l'energia senza il mio aiuto?». Lo dice con una rabbia gelida, senza guardare la ragazza, perfettamente consapevole dell'occhiata ricolma d'odio che lei adesso gli sta rivolgendo. Ci sarà tempo per quello...
Loki sente gli abiti fradici di sangue sotto la casacca. Se Stark vedesse lo stato in cui si trova non farebbe domande tanto stupide. Ma è bene che quel borioso cervello bacato si renda conto del fatto che hanno bisogno di lui, di nuovo.
«Cosa succede?». Oh, ecco un altro cervello degno di nota: il Capitano Rogers fa la sua comparsa da dietro il tronco di un grosso albero. Appena vede Loki quasi sbianca di collera.
«Tony, abbassa le armi» dice Nadia all'improvviso, facendosi avanti e appoggiando una mano sul braccio fasciato di metallo del suo amico preferito.
Forse le è rimasta un po' di compassione per lui. Stomachevole.
«Fatti da parte, Colombina, non permetterò che tu finisca di nuovo immischiata in...»
«Stark, abbassa le armi» dice il Capitano, in tono perentorio, affiancandosi al compagno.
«Cosa? Che cos'è, il ritrovo dei boy-scout?!» borbotta l'uomo di metallo.
Rogers si limita a indicare con uno sguardo la mano che Loki tiene appoggiata contro il fianco. Oltre la manica sta colando un copioso rivolo di sangue che gocciola vischioso dalle dita andando a macchiare il terreno.
L'ultima cosa di cui il dio dell'inganno è cosciente è il suo corpo dolorante che impatta contro il suolo.  





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Note:

He is back!
Di nuovo la storia del vento freddo, come nel primo capitolo di "A series of unfurtunate events". Nella mia testa, se Thor è annunciato da tuoni e fulmini, Loki è annunciato dal vento freddo. È pur sempre uno jotuhn (anche se è meglio non ricordarlo...)

Tanto per essere chiari, con la scena demente sulle fanfiction non volevo prendere in giro chi scrive slash o chi apprezza il genere, ma visto che nella mia storia Steve e Tony sono felicemente NON innamorati (e non attratti l'uno dall'altro et similia), volevo solo scherzare un po' sulle loro spalle e creare un momento di leggerezza prima della parte finale del capitolo (e ribadire quanto gli Avengers siano parte integrante della realtà, nel mondo in cui si colloca la storia).

Chiedo scusa del ritardo che a volte ci metto a rispondere alle recensioni, queste sono settimane di fuoco.

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Ci leggiamo venerdì con il nuovo capitolo.

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Capitolo 7
*** Welcome back - part one ***


Capitolo sesto
Welcome back – part one


E adesso?
Non tutti sono disposti a crederlo forse, ma anche Steve Rogers dice parolacce. Ne ha qualcuna che gli preme sulle labbra proprio in quel momento, mentre nel corridoio al di fuori quella porta chiusa sta scoppiando il caos.
Natasha Romanoff copre l'auricolare con la mano, tentando di sentire meglio quello che Fury, dall'altro capo del telefono, le sta abbaiando.
Stark segue con lo sguardo gli agenti che vanno avanti e indietro, concitati e nervosi. Non ha voluto saperne di uscire dall'armatura.
Barton dà ordine di far sgombrare il personale civile da quella zona dell'edificio e chiede che arrivino degli uomini armati, per ogni evenienza. Come se temesse che Loki potesse riprendersi di colpo e radere al suolo la base.
Loki, al momento, è dietro quella porta, ancora privo di sensi e non ha l'aria di uno che potrebbe svegliarsi da un momento all'altro. Cioè, non ha l'aria di uno con buone probabilità di risvegliarsi, in generale, figuriamoci di fare qualcosa di dannoso per la sicurezza altrui. Ma si tratta pur sempre di Loki e nessuno è pronto a fidarsi di lui, nemmeno ora che è privo di conoscenza. Meno che mai ora, anzi; ora che è sbucato fuori, Dio solo sa da dove, conciato come se fosse uscito da un enorme tritacarne.
Bruce se ne sta appoggiato con le spalle al muro, in disparte per non ostruire il passaggio, e ha l'aria di uno che preferirebbe essere nel più cencioso vicolo di Calcutta piuttosto che restare in una base dello S.H.I.E.L.D. in un momento di piena crisi.  
«Dottore, portala via da lì» borbotta Tony a mezza voce, indicando Nadia.
La ragazza se ne sta premuta contro la porta di quella che sembra essere una specie di infermeria molto attrezzata, a guardare dentro dal rettangolo di vetro, come se temesse che staccandosi da lì Loki potesse disintegrarsi per autocombustione.
La ragazza ha le mani sporche di sangue e i vestiti coperti di terreno.
Bruce le poggia le mani sulle spalle e la stacca con cautela dal battente di metallo.
Steve osserva la scena con la coda dell'occhio e pensa che se non fosse così tanto impegnato a provare pena per lei, certamente ne proverebbe un po' per Loki. La pietà verso i nemici gli è sempre parsa la più alta forma di umanità ed un sentimento che non riesce ad essergli estraneo, però deve ammettere che c'è una lunga lista di cose di cui preoccuparsi ora.
E comunque c'era davvero tanto sangue, troppo. Sangue scuro e vischioso che diventava subito freddo a contatto con la pelle...
Steve si sente rabbrividire.
«Le divinità non muoiono, vero?» mormora Nadia con voce spenta, appoggiando la testa contro la spalla di Bruce.
«Stando a quello che ho visto prima nel bosco, dovrebbe già essere morto. È un buon segno, voglio dire, che non lo sia» risponde il dottore.
«Che altre buone notizie abbiamo?» esclama Barton con bieco sarcasmo.
Steve gli lancia una rapida occhiata e scuote piano la testa. Per amor di Dio, non adesso, non davanti a Nadia, che c'è da temere che scoppi a piangere con lacrime di sangue per quanto ne ha visto poco prima nel bosco. Ma Nadia non piange, non si agita, se ne resta calma in modo innaturale, avvolta in un bozzolo di sconcerto e timore che la isola in parte da quello che ha attorno.
Steve non riesce a capire se sia un bene o no. Di certo è un elemento critico in meno da gestire, al momento. O è l'ora di quiete che precede la tempesta.
«Fury sta arrivando con un jet. Sarà qui tra un paio di ore» annuncia Natasha Romanoff, mentre gli agenti armati si schierano lungo il corridoio.
«E nel frattempo, che si fa? Giochiamo tutti insieme all'allegro chirurgo?» chiede Stark.
«Gli ordini sono di aspettare. Se dovesse svegliarsi vado a parlarci per tenerlo impegnato» replica sbrigativa l'agente Romanoff. «Voglio una pattuglia di agenti armati davanti a questa porta e che nessuno si muova. Voi altri, venite con me».
Li conduce tutti in una stanza poco distante da lì, dove c'è una consolle con schermi e tastiere. Si mette ad armeggiare con dei pulsanti e pochi secondi dopo su uno degli schermi compare l'inquadratura della stanza dove è chiuso Loki, la telecamera di sorveglianza è puntata proprio davanti al letto su cui è steso.
Tony si volta verso Nadia,
«Immagino che suggerirti di andare a casa sia una cosa...» tenta di dire.
«Una cosa che insulta la tua intelligenza da genio miliardario» sbuffa la ragazza, lasciandosi cadere su una sedia davanti allo schermo, dando le spalle all'uomo in armatura che rimane a fissarla con l'aria mesta di chi non è abituato alla sconfitta.
Lui fa per aggiungere qualcosa, ma Steve gli lancia un'occhiataccia per zittirlo.
«Piantala, non è il momento di fare il fratello maggiore» gli sussurra.
Non è il momento di fare niente perché non c'è proprio niente da fare.
Dev'esserci una tale devastazione ora dentro la testa di quella ragazza, e a volte è più facile salvare un pianeta intero che un'anima che soffre.

*

Il bianco è così intenso da ferirgli lo sguardo, si era quasi disabituato alla luce.
È steso su un letto in una stanza priva di finestre, dove l'illuminazione è quella asettica e innaturale di lunghe lampade al neon che penzolano dal soffitto appese a fili di acciaio.
Un'altra volta è senza vestiti, ma sente addosso la consistenza morbida e liscia di un lenzuolo che odora di biancheria pulita e sente lo stretto delle medicazioni, e sotto le medicazioni il bruciore di ferite ancora non rimarginate, l'appiccicume del sangue contro le garze. Tutto sommato gli è stato riservato un trattamento migliore di quello che si aspettava, anche se quella telecamera che lo fissa dall'angolo di fronte al letto è un chiaro segno di mancanza di fiducia.
Non si aspettava fiducia, in effetti. Non si aspettava niente.
Non sa di preciso quanto è stato via, lo scorrere del tempo non è lo stesso per tutti gli angoli dell'universo ma in quel piccolo mondo abitato da esseri con una vita così effimera anche poche settimane sono sufficienti a far cambiare qualsiasi cosa. E devono esserci stati di certo parecchi cambiamenti se Nadia è finita lì; non conosce bene la geografia di Midgard ma ha idea che la sua città sull'acqua sia molto molto distante da New York.
Sente una porta aprirsi, non si dà pena di voltarsi a guardare chi sia il suo visitatore. Non riesce a girare la testa senza sentire dolore e comunque non ha molta importanza, perché chiunque sia entrato si sta avvicinando e sembra avere tutte le intenzioni di parlare con lui.
«Agente Romanoff» esclama, appena la donna rossa entra nel suo campo visivo. «Ancora una volta tocca te l'onere di parlarmi».
Oh, ha molte cose da dire agli agenti dello S.H.I.E.L.D, se saranno disposti a credergli, ma si sente ancora frastornato e detesta mostrarsi così vulnerabile. In quei lunghi giorni sul pianeta dei Chitauri ha già dato abbastanza spettacolo.
«Credimi, dispiace più a me che a te» mormora la donna in tono inespressivo.
«Stavolta non ci sono segreti da carpire con una gara di eloquenza. E poi, credevo che ormai fossimo amici».
«Devi avere la mente molto confusa se fai simili affermazioni».
Se non gli causasse un dolore indicibile, Loki riderebbe.
«Ho delle domande. Tu rispondi e facciamola finita nel migliore dei modi» aggiunge la donna, gelida.  
Lo considerano ancora una minaccia, in qualche modo lo temono. La loro paura è una piacevole conquista, quasi una rassicurazione, se non fosse anche il segno della loro immane stupidità lui ne trarrebbe certamente soddisfazione.
«Non ho tempo di rispondere alle tue domande, agente Romanoff» borbotta. «La vostra preziosa Terra è in pericolo e non sono io il vostro nemico, nemmeno questa volta. Sorprendente, non trovi? Anzi, aggiungerei che è colpa di Thor. Chiunque sia il vostro nemico vuole vendicarsi di lui, per questo ha intenzione di attaccare il vostro pianeta».
Nessuna emozione smuove l'espressione algida della donna, ma Loki sente il suo nervosismo far vibrare l'aria.
«Menti» sentenzia lei, dopo qualche secondo di silenzio.
Loki sbuffa, indolente. Non si aspettava niente di diverso, tutto è talmente scontato e prevedibile da essere noioso e ci sono altre cose che al momento gli interessano di più del conquistarsi la fiducia degli Avengers.
Lo scettro di Thanos.
La ragazza...
L'energia della pietra.
Nadia.
I suoi piani, il suo futuro, il suo riscatto. Cose che hanno a che fare con lui, con lui e con nessun altro!
«Credevo che voi dello S.H.I.E.L.D. non aveste tempo da perdere, ma se lo trovi dilettevole fammi pure le tue domande» conclude il dio con un sospiro di malcelata impazienza.
«Anche tu volevi distruggere la Terra, perché mai ora dovrebbe importarti?» domanda lei, crucciata.
Loki fa una mezza risata. La pelle martoriata tira sotto le medicazioni, ma lui non riesce a trattenere quel momentaneo scoppio di ilarità.
«Distruggere la Terra? Io? Non capisco, agente Romanoff, tu distruggeresti un giocattolo con il quale hai intenzione di giocare?».
Senz'altro non è il momento più adatto al sarcasmo, ma la soddisfazione di vedere la collera alterare i bei lineamenti della donna è qualcosa di assolutamente impagabile.
Natasha Romanoff stringe le labbra, illividendo per la rabbia. Muove un passo verso di lui e un attimo dopo balza a cavalcioni sul letto, fissandolo dall'alto. Scosta le coperte e stacca una fasciatura che si trova ad altezza delle costole, rivelando un profondo solco cerchiato da un alone violaceo.
Con tutta la veemenza dell'esasperazione, la donna infila una dito nella ferita. Loki ha un sussulto, ma la guarda con irriverenza. Ha sopportato di peggio, non c'è niente che possano fargli di tanto terribile da smuoverlo, solo che non sopporta che loro credano di poterlo avere in pugno, l'unica volta in cui sono riusciti a metterlo in gabbia è stato quando lui ha voluto che lo facessero, perché serviva al suo scopo. E anche quando è stato ricondotto in ceppi alla casa di Odino, non sono riusciti a trattenerlo tra le quattro pareti delle sue stanze.
Lui è un dio, questo nessun supplizio, nessuna umiliazione può portarglielo via.
Incurante del bruciore al fianco e del dito della donna premuto nella carne viva, Loki si alza e le serra una mano attorno alla gola, puntandole in viso due occhi feroci.
«Stammi bene a sentire» sibila, a un palmo dal suo naso. «Ho trascorso tutto questo tempo prigioniero sul pianeta dei Chitauri, sono stati loro a farmi questo, e so per certo che qualcuno vuole attentare alla sicurezza del vostro pianeta. Decidi tu cosa farne di questa informazione, ma sappi che ho una faccenda in sospeso qui e ho tutte le intenzioni di portarla a termine».

*

«Brutto figlio di puttana» esclama Clint con un tono quasi stridulo e uno stupore rabbioso negli occhi.
L'immagine sullo schermo mostra Loki con una mano stretta alla gola di Natasha e uno sguardo che farebbe impallidire il diavolo. Nadia stenta a credere che fino a pochi minuti prima lo aveva creduto in punto di morte.
Clint afferra la ricetrasmittente, le nocche che sbiancano per la veemenza della presa,
«Intervenite, subito!» ordina.
Un attimo dopo gli uomini armati piombano nella stanza con i fucili in pugno.
Loro osservano la scena dallo schermo, con un velo di sudore freddo sulla fronte.
Nadia si sente sprofondare. Le parole di Loki continuano a farle eco nella testa, confondendosi in una cacofonia priva di senso. Solo due affermazioni sono appena distinguibili in mezzo al caos.
La vostra preziosa Terra è in pericolo... ho trascorso tutto questo tempo prigioniero sul pianeta dei Chitauri...
Sullo schermo si vede Natasha alzare una mano per fare cenno ai rinforzi di andare via mentre Loki allenta la presa e si lascia cadere all'indietro sul materasso. Tutto sembra tornare sotto controllo.
«Quanto tempo è passato da quella notte a Venezia?» chiede il dio, con lo sguardo che si incupisce.
«Tre mesi».
Loki chiude gli occhi stanchi, sospira e si stropiccia il viso con le mani.
«E non è cambiato nemmeno un po'...» borbotta Tony a mezza voce.
«In realtà a me sembra più pazzo di prima» aggiunge Bruce, torcendosi le mani in quel suo modo nervoso. «È stato torturato... il dolore acuisce la follia».
Steve batte impaziente il piede contro il pavimento.
«Sono il solo ad aver prestato attenzione alla parte in cui diceva che qualcuno vuole distruggere la Terra?» domanda, palesemente sulle spine.
Nei minuti successivi ascoltano Loki parlare brevemente della sua cattura, del periodo di prigionia e di quello che ha visto e sentito mentre era con i Chitauri. Lo racconta con poche rapide frasi, con la freddezza e il distacco di chi non si aspetta alcuna solidarietà e di chi ha smesso di considerare la compassione un sentimento degno di essere provato o suscitato.
Già, certo, lui è un dio, non una vittima.
Nadia sente la testa girare e lo stomaco stringersi in un attacco di nausea. E stavolta la pietra non c'entra niente.
Quando Natasha chiede a Loki come mai sia rimasto lì tutto quel tempo prima di fuggire e come mai non abbia combattuto contro i Chitauri che erano venuti a catturarlo, lui inarca le sopracciglia in quel suo modo ostile e indisponente, come se ci fosse qualcosa di ovvio che sfugge alla mente ristretta della sua interlocutrice, come se la domanda lo stupisse per la sua stupidità.
«Dovevo gestire bene l'energia che mi era rimasta. Il piano era quello di tornare, è sempre stato quello di tornare» dice il dio, assumendo un'espressione melliflua. «Vi sarete accorti che Nadia ha qualche problema con l'energia della pietra, e vi sarete anche accorti che la cosa non è, come dire, di vostra competenza».
Nadia non riesce a staccare gli occhi dallo schermo, ma è consapevole degli sguardi dei quattro uomini puntati su di lei. Sono sguardi che pesano, che caricano l'aria di una tensione insostenibile.
La voce di Natasha ora le sembra arrivare da un altrove molto distante, sovrastata da pensieri confusi che si accavallano tra commozione e incredulità.
«Tu avresti subito tutto questo solo per poter tornare qui ed aiutare lei?» domanda con il tono di chi non è disposto a credere a una risposta affermativa.
Loki stringe appena le palpebre e impiega qualche secondo a rispondere, come se stesse cercando con cura le parole migliori.
«Mi ha salvato la vita, a Venezia» si limita a dire.
Cosa?...
E adesso perché l'agente Romanoff ha estratto la pistola dalla fondina?
Natasha si volta verso la telecamera e lancia uno strano sguardo all'obbiettivo, poi prende la mira e preme il grilletto. Un attimo dopo l'immagine sparisce dallo schermo, sostituita da strisce grige e bianche.

*

«Tu avresti subito tutto questo solo per tornare qui e aiutare lei?» domanda l'agente Romanoff. È quasi una domanda retorica, è chiaro che non è disposta a credere davvero a una sua risposta affermativa.
Eppure «Sì» è l'unica risposta che abbia senso. E se quella donna si sforzasse di usare un po' di più il suo cervello da spia ben addestrata capirebbe anche il perché. Era la migliore opzione che lui avesse, è una questione di logica. Di logica e di onore. E l'idea di Nadia morta non ha mai smesso di procurargli un certo disgusto, fin da quando lei ha cominciato ad essere davvero in pericolo, la sera in cui i demoni di fumo giunsero nella città sull'acqua.
E adesso, cosa si aspettano che dica? Loki ha la sensazione che tutta quella faccenda sia davvero al di là della loro comprensione, perché nessuno è disposto a credere che lui possa fare qualcosa di buono fine a se stesso. Nemmeno lui ne era davvero convinto, fino a quando non aveva deciso che avrebbe aiutato Nadia, senza coinvolgerla ulteriormente nei suoi progetti.   
«Mi ha salvato la vita, a Venezia» dice, semplicemente. È l'unica cosa che può dire, l'unica talmente evidente e sensata da suonare vera anche sulle labbra del dio degli inganni.
Vede l'agente Romanoff estrarre la pistola, voltarsi verso la telecamera e sparare all'obbiettivo.
Il gesto lo spiazza e il suono dello sparo gli romba ancora nelle orecchie mentre sul suo viso affiora un ghigno.
«E questa pericolosa voglia di intimità a cosa è dovuta?» domanda.
«Cosa vuoi da Nadia?»
«Dovresti chiederti piuttosto cosa lei dovrebbe volere da me. Siete stati bravi, non pensavo sarebbe sopravvissuta così a lungo senza il mio aiuto, ma bisogna trovare una soluzione definitiva e questo posso farlo solo io».
La Romanoff scende dal letto, riacquista di colpo la sua maschera di gelida tranquillità e incrocia le braccia sul petto.
«Ci tieni così tanto?» mormora come se stesse pensando ad alta voce.
«Cosa speri che ti dica?»
«Qualcosa che mi dia per un istante l'illusione che tu sia umano».
Loki sorride con aria di sfida, con quel suo sorriso affilato da far male,
«L'amore è per i bambini, agente Romanoff, sei stata tu a dirlo» afferma.
«L'amore è per chi ci vuole credere. Io non so cosa credere, ma quello che so, per quanto mi sembri assurdo e inconcepibile, è che Nadia prova qualcosa per te».
Il dio dell'inganno serra le palpebre e sente le parole sfuggirgli dalle labbra, i pensieri offuscarsi come se una coltre di nuvole si fosse smossa dentro la sua testa.
L'affermazione della donna è tanto ovvia quanto sconvolgente; è qualcosa che Loki ha sempre saputo, eppure il sentirlo dire da qualcun altro gli fa l'effetto di una stilettata e gli impone di fare appello alle sue difese, gli impone di ricordarsi di quel muro che ha innalzato tra se stesso e il mondo, tra se stesso e la possibilità di affidarsi a qualcun altro.
«E io cosa dovrei farci?» dice in tono piatto.
Non è lì per la felicità di Nadia – e nemmeno per la propria. È lì per salvare la ragazza e mettersi al sicuro. E per riprendersi lo scettro e assorbire altra energia dalla pietra e, nel frattempo, fare progetti per l'avvenire. È lì per sistemare un paio di cose e poi tornare sulla sua strada.
«Niente» risponde l'agente Romanoff, scandendo lentamente la parola. «Non devi fare assolutamente niente, è proprio questo il punto. Sai come aiutarla? Bene, troveremo il modo di organizzare qualcosa di sicuro perché tu possa guarirla, alle nostre condizioni, se è questo che sei venuto a fare. Per il resto non devi neanche pensare di fare qualcosa. Né per quello che riguarda Nadia, né per nient'altro».
«Il vostro mondo mi è venuto a noia, non troverò di certo niente di interessante da fare» risponde lui, con una smorfia provocatoria.
«Molto bene. Quelle ferite si cureranno da sole?»
«Più o meno sì»
«Meglio così, risparmieremo la fatica di cercare un medico che abbia voglia di prendersi cura di te, del resto non credo ce ne siano» conclude secca la donna.
«Non ne dubito. Ad ogni modo, riguardo alla faccenda della futura distruzione del pianeta, avete intenzione di fare qualcosa o devo cominciare a scegliermi un posto d'onore da cui assistere al disastro?» aggiunge Loki, enfatizzando un'aria distratta.
«Il direttore Fury sta arrivando. Preparati: credo che vorrà organizzare una festa di benvenuto».   

*

Ha immaginato spesso quel momento, molte più volte di quante è disposta ad ammettere, ma non è così che credeva sarebbe stato.
Nadia credeva che, semmai avesse rivisto Loki, il loro incontro sarebbe stato un momento sgradevole eppure liberatorio, una situazione nella quale avrebbe potuto urlargli in faccia a pieni polmoni tutto il suo rancore. E alla fine, qualsiasi risposta lui le avesse dato, qualsiasi provocazione lui avesse tentato, lei si sarebbe sentita meglio.
Ma adesso il rancore stempera in una sorda incredulità. Ora che sa che Loki non ha nessuna colpa di quanto è accaduto non c'è niente di liberatorio in cui sperare, c'è solo il rimorso per non aver dubitato nemmeno una volta, in quei tre mesi, della sua cattiva fede.
Nadia si sente piccola e meschina, mentre osserva lo schermo vuoto. Non le importa di sapere cosa sta succedendo in quella stanza, cosa si stiano dicendo Loki e Natasha, anche se l'argomento di conversazione è fin troppo facile da intuire. Ma si sente come se la cosa non la riguardasse davvero, adesso non le importa dei piani dello S.H.I.E.L.D, di cosa pensino gli Avengers, delle conseguenze che avrà su tutti loro il ritorno del dio fuggitivo. Adesso Nadia riesce solo a pensare ai dubbi che non ha avuto, al fatto che non abbia mai pensato che Loki non fosse tornato perché non poteva. Ci ha sperato, certo; era un'opzione che il suo cuore suggeriva di continuo ma che la ragione sistematicamente rifiutava di prendere in considerazione.
Natasha rientra nella saletta con gli schermi per la videosorveglianza. Clint, bieco, fa una battuta su quanto poco abbiano gradito lo sparo alla telecamera.
Tony si avvicina a Nadia e le posa una mano sulla spalla.
«Ehm, Colombina...» mormora.
«Se stai per dirmi che devo andare da qualche parte a fare qualcosa, non farlo» intima lei.
«In realtà volevo ricordarti che tu stasera hai un appuntamento con un bravo ragazzo che non merita di ricevere un due di picche» replica Tony, tamburellando le dita sull'elmo dell'armatura che regge sotto al braccio. «Ad ogni modo, non c'è niente che tu possa fare qui».
«Vuoi scherzare? Io devo parlare con Loki».
«Non se ne parla! Finché non arriva Fury nessuno si avvicina al cerbiatto a meno di cento metri e senza avere un pezzo di artiglieria pesante tra le mani» interviene Clint, più agitato di quanto lo abbiano mai visto.  
«Io devo...» Nadia tenta di protestare, ma Tony le si para davanti e la scuote piano per le spalle, costringendola a guardarlo in viso.
«C'è solo una cosa che tu devi fare, Nadia. Devi pensare a te, a prenderti cura di te stessa e stare bene. E parlare con un latitante interspaziale non è un buon modo di cominciare. Perché credi che ci abbia raccontato dei Chitauri e tutto il resto? Perché voleva fare leva sui tuoi sentimenti, Loki vuole ancora l'energia della pietra, Loki vuole sempre qualcosa e non è mai qualcosa di buono».
Man mano che Tony prosegue con il suo monologo, la sua voce si alza e il suo parlare diventa sempre più concitato.
Nadia lo lascia fare, ha la sensazione che se non lo lasciasse finire gli verrebbe una crisi di nervi – è da quando Loki è ricomparso nel bosco che Tony sembra sul punto di dare di matto. Lo lascia parlare e lo ascolta, ma sa che le sue parole non sono disinteressate né obbiettive.
Forse è vero, Loki ha qualche secondo fine in mente, ma non avrebbe mai raccontato della prigionia e delle torture sul pianeta dei Chitauri solo per muovere lei o chiunque altro a compassione. Nadia ricorda bene i giorni a Venezia, quando più di una volta, in maniera più o meno velata, Loki ha cercato di sincerarsi che lei non fosse impietosita da lui, né per quello che le aveva raccontato Thor, né per la situazione in cui si erano ritrovati.
Loki sarebbe disposto a fare molte cose più che discutibili per ottenere ciò che vuole, ma non userebbe mai la compassione per portare qualcuno dalla sua parte.
«E qualsiasi cosa lui voglia, io non permetterò che tu sia coinvolta di nuovo nei suoi piani. E...». Tony si morde il labbro per il nervosismo.
«Stark, basta così» suggerisce Steve, tossicchiando discretamente per attirare l'attenzione. «Dimentichi che c'è un problema di fondo: a Nadia serve l'aiuto di Loki»
«La cosa disturba tutti noi, l'Altro compreso, ma non possiamo farci niente» osserva Bruce.
«No, no, fermi tutti» si intromette Clint. «A Nadia non serve l'aiuto di nessuno. La stiamo aiutando noi, ed è ancora viva e vegeta, mi pare».
Ecco, l'agente Barton è l'altro denigratore numero uno. E Nadia li capisce perfettamente, sono loro che non si sforzano di capire lei. Ai loro occhi Loki è sempre stato solo un nemico. Ai suoi occhi è qualcosa di diverso, lo è sempre stato.
«Stiamo tamponando una falla che prima o poi esploderà» protesta Bruce. «Non sappiamo quanto lei possa reggere ancora».
«Non sappiamo nemmeno cosa aspettarci da Loki» osserva Natasha, poi abbassa lo sguardo e sospira. «Però... io non credo che possa farle del male»
«Va bene. Va bene, basta! Ok?» sbotta Nadia, alzando la voce. «Ho sempre accettato le decisioni che avete preso per me, fin da quando sono arrivata qui e mi fido di voi, vi voglio bene... e farò quello che volete anche stavolta, se voi o Fury o chiunque altro deciderà che Loki non deve aiutarmi con la pietra mi sta bene. Ma non potete vietarmi di parlare con lui»
«Sì che possiamo» risponde subito Clint. «Lo stiamo facendo».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa.
«E resta il fatto che tu stasera hai un appuntamento» insiste Tony.
«Sì, ci andrò, promesso» esclama la ragazza, senza sapere nemmeno perché. «Ma adesso vado di là a parlare con Loki. Clint se vuole può provare a spararmi».
Si avvia verso la porta e fa per uscire dalla saletta, ma sente una mano afferrarla ad altezza del fianco e trascinarla indietro.
Vede la stanza vorticare e senza nemmeno rendersi conto di cosa stia davvero succedendo, Nadia si ritrova spinta verso l'alto e una presa salda le blocca le braccia contro il petto. Un istante dopo è a terra, stesa di schiena sul pavimento, con Clint piegato sopra di lei che continua a bloccarle le braccia e che tiene una gamba piegata sulle sue, immobilizzandola completamente.
«Gli spari sono rumorosi» borbotta lui.
«Touché» sospira la ragazza.
«E, come ti dico sempre durante gli allenamenti, non devi mai perdere la concentrazione, non puoi sapere chi ti prenderà alle spalle. Ti do cinque minuti per parlare con il tuo amico, non un secondo di più».
Clint aiuta Nadia a rialzarsi e l'accompagna fuori dalla stanza, fino alla porta dell'infermeria dove è chiuso Loki. L'agente fa un cenno ai suoi colleghi che aprono il battente blindato,
«Cinque minuti» ripete guardando la ragazza diritto negli occhi.
Lei annuisce, non si aspetta che chiudano la porta dietro di le sue spalle e la lascino sola, anzi Clint si ferma sulla soglia con aria guardinga, facendo avvicinare anche gli altri agenti armati.
No, decisamente quel momento non è come lo aveva immaginato.
Nadia sente di volere che lo spazio da percorrere tra la porta e il letto sia lungo chilometri. Una lontananza pesante tre mesi le preme sul cuore e lei non sa con quali parole smaltirne il fardello.
 





_________________________________________

Note:

Tendo a immaginare le storie un po' come un film, con tanto di stacchi e cambi di scena, per questo ho spezzato il paragrafo del POV di Loki inframmezzandolo con uno scorcio di quello che stava succedendo nell'altra stanza mentre Nadia e gli altri assistevano all'interrogatorio (interrogatorio? Tzè, Loki e Natasha volevano menare le mani fin dalla loro scena nel film, ne sono certa).

Finale di capitolo impietosamente sadico, lo so. Se vi può consolare, il prossimo aggiornamento sarà molto “pieno e corposo”.
Cioè, i capitoli sesto, settimo e ottavo sono una sorta di lunghissimo capitolo unico spezzato in tre parti (perché messo insieme sarebbe stato un mammuth di più di venti di pagine mi sa), per cui non è sadismo, in ultima analisi, è esigenza logistica.

Per curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. :)

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Capitolo 8
*** Welcome back - part two ***


Capitolo settimo
Welcome back – part two


Credeva ci avrebbero messo molto più tempo a lasciarla avvicinare a lui. Il dio dell'inganno trattiene a sento un ghigno divertito mentre immagina un Tony Stark schiumante di rabbia e piacevolmente prossimo all'infarto.
La ragazza cammina piano verso il suo letto, come se temesse ad avvicinarsi.
«Sei venuta per gli insulti che il mio increscioso svenimento ha posticipato?» le chiede, con più freddezza di quanta vorrebbe. Loki detesta farsi vedere debole, gli è a malapena sopportabile l'idea che diversi agenti dello S.H.I.E.L.D. lo abbiano visto in quello stato; gli occhi di Nadia adesso sono una cosa intollerabile per questo la sua voce suona così gelida, per la distanza che ha voglia di mettere tra di loro.
«Idiota» borbotta la ragazza. «Posso fare di meglio in materia di insulti, ma credo che tu sia un maestro: Natasha mi ha raccontato. Vulvetta  lamentosa, geniale!».
Loki chiude gli occhi. All'improvviso sente di avere una gran sete di silenzio.
Nadia è cambiata dal loro ultimo incontro, tre mesi prima, tutte le crepe sulla sua corazza si sono rimarginate e adesso c'è un'aura scintillante di forza che l'avvolge come un'armatura appena uscita dalla foggia; niente male per una che rischia costantemente di morire a causa di un sovraccarico di energia magica. Niente male per una che dentro agli occhi ha tutta quella tristezza, una tristezza che lui non ricordava esserci, non così profonda e inesorabile.
Le armature possono essere molto resistenti, ma possono anche essere tolte, solo che lui non ha voglia di pensarci adesso.
«Puoi fare di meglio, è vero» le dice.
Coraggio, sfogati, vediamo se i tuoi occhi riescono a tornare com'erano prima...
«Loki, perdonami».
Come ha detto? Non si aspettava davvero una serie di insulti, ma non si aspettava nemmeno di sentirsi chiedere scusa. Nessuno chiede mai scusa ai mostri, nessuno pensa mai che ce ne possa essere bisogno.
Quelle parole lo sorprendono e lui non ama le sorprese, detesta essere preso alla sprovvista. Guarda la ragazza sentendosi uno stupido per l'aria incredula che deve certamente avere stampata in faccia.
«In questi tre mesi, io ho pensato che...» aggiunge lei a mo' di spiegazione
«Sì, so cosa hai pensato».
Loki volta il capo verso il muro, per nascondere qualsiasi cosa gli stia passando nello sguardo.
«Mi dispiace... mi sono lasciata condizionare, non ho voluto credere che ti importasse davvero... mi dispiace così tanto».
Dispiace anche a lui, gli fa male, e vorrebbe dirglielo tanto per non essere il solo a soffrire di quella cosa, tanto per fargliela pagare e perché non sopporta che lei gli ricordi quanto davvero gli importi. Ma Nadia sta già soffrendo e Loki è convinto che la vendetta sia per i nemici. E lei è tutto tranne che una nemica, e lei è...
Non lo sa, non riesce a capirlo. Credeva di avere una risposta quando quella notte, sull'isola dopo la battaglia finale, è sgusciato via di nascosto, pensando che non aveva fatto alcuna fatica a lasciarsi anche lei alle spalle. Aveva una risposta quella notte, ma poi le sue decisioni a venire l'hanno smentita, l'hanno resa una menzogna.
Che ne sarà della mente del dio dell'inganno se riesce a mentire così bene anche a se stesso?
«I tuoi amici hanno dimenticato di dirti quanto io ami cogliere gli altri di sorpresa» conclude in tono vagamente scherzoso, ma senza riuscire a voltarsi.
Anche se non la sta guardando in faccia, sente il suo sorriso come se facesse rumore. Sa che Nadia adesso ha gli angoli della bocca sollevati in un'espressione magari persino un po' intenerita. Dovrebbe dirle che gli è dispiaciuto lasciarla in quello stato per tutto quel tempo? Dovrebbe dirle che è stato preoccupato per lei? Che ne ha sentito la mancanza? E, se glielo dicesse, sarebbe tutto vero fino in fondo?
Sente la mano della ragazza posarsi sulla sua testa e scivolare piano in una carezza. Si era quasi dimenticato che le mani potessero servire anche a cose del genere.
Vorrebbe solo che i neon sul soffitto smettessero di ronzare, vorrebbe solo un silenzio totale e perfetto e che Nadia continuasse ad accarezzargli i capelli senza dire niente. Ma lei solleva la mano, gli aggiusta una ciocca che era ricaduta sulla fronte e sospira.
Sono tornati punto e accapo, come in quella casa fatiscente di Venezia, dove fidarsi l'uno dell'altra era una necessità, eppure la fiducia e i suoi effetti venivano gestiti con il contagocce. Frustrante, in ogni caso...
Ora Loki dovrebbe semplicemente voltarsi, guardarla negli occhi e dirle che vuole aiutarla, ma qualcosa glielo impedisce e prima che riesca anche solo a pensare di combattere questo qualcosa di indefinibile, un colpo secco batte contro la porta della stanza.
«Nadia». L'agente Barton, il caro caro Occhio di falco, si sporge oltre la soglia e richiama la ragazza.
«Hai degli impegni» osserva il dio tornando a voltarsi, tirando fuori dal suo corredo infinito di maschere quella della fredda tranquillità.
Lei arriccia il naso, con quella sua aria un po' infantile e per un attimo esita prima di staccarsi dal suo capezzale.
«A dire il vero sì. Ho un appuntamento» dice, spostando lo sguardo sulla telecamera distrutta che penzola dal soffitto al centro di una macchia di bruciato.
«Un appuntamento?» chiede lui. «Andrai ad ascoltare, cos'era, musica jazz?»
E così la piccola umana ha trovato un'isola felice in mezzo a quel mare di difficoltà, ammirevole.
«Vado a teatro, a vedere un musical... è come un'opera lirica, più moderna» spiega lei.
Non gli interessa cosa diamine è un musical. Sarebbe più interessante sapere chi sarà il suo accompagnatore, come lei sia riuscita a concepire l'idea di avvicinarsi a qualcun altro con tutto quello che le è successo e con tutto quello che deve ancora affrontare, e quanto speciale dev'essere questo individuo per aver toccato il suo interesse fino a un tal segno.
Sì, la cosa è decisamente ammirevole e totalmente disturbante e detestabile.
«Rimettiti in sesto Loki, credo che potremmo avere del lavoro da fare» conclude Nadia in tono neutro, prima di voltarsi e uscire.
Mette distanza, la ragazza. Loki vorrebbe convincersi che è quasi un sollievo, per una volta, non doversi sforzare di innalzare muri e barriere perché c'è qualcun altro che lo sta facendo per lui, ma una vampata di rabbia gli sale dallo stomaco al cervello mentre pensa che Nadia non ha alcun diritto  di provare a stargli lontano, non dopo quello che lui ha subito, non ora.
Ma mostrare quella rabbia sarebbe concederle più di quanto è disposto a darle, e non è per questo che lui è lì. Non è questo che gli importa perché a lui interessa solo ciò che può cambiare lo stato delle cose e portarlo in alto dove merita di stare, una possibilità ben al di là delle capacità della ragazza o di qualsiasi altra persona.

*

Ciao, sono l'aspirina orosolubile e sono la tua migliore amica!
In effetti, ora Tony ha un mastodontico mal di testa. Non vede l'ora di uscire dall'armatura; massaggiarsi le tempie con le dita fasciate di titanio è un po' scomodo. E comunque, l'armatura non gli serve a un accidente, ormai, ora che si è deciso che Bambi deve rimanere illeso perché ha detto che la Terra è in pericolo e perché sostiene che può aiutare Nadia.
Non è che gli credano, però lo ha detto e devono quanto meno provare a verificare le sue parole, perché sono cose belle grosse da digerire. E probabilmente non sono menzogne, ma Tony non riesce a togliersi dalla testa l'idea che le abbia dette per un motivo che non è certo quello di voler dare una mano.
Il suo cervello sembra scricchiolare, mentre tenta di mettere in moto gli ingranaggi del pensiero.
Al bastardello non piace l'idea che il pianeta venga distrutto, deve fargli comodo stare sulla Terra: in giro per l'universo ha i Chitauri che gli danno la caccia, e sull'Olimpo, a casa di Babbo Orbo, lo aspettano tutti per fargli il culo. E ovviamente doveva trovare un modo per convincerli a tenerlo lì e ancora una volta è andato a colpirli al cuore. Fare leva sul fatto che Nadia abbia bisogno di aiuto, del suo aiuto, è un pessimo tiro mancino, però funziona... cazzo!
Funziona perché le loro convinzioni maturate in quei due mesi, le ipotesi riguardo al fatto che lei stesse meglio e che il problema dell'energia potesse essere tenuto a bada con tanta naturalezza, adesso vacillano come calici di cristallo in bilico sul taglio di una mensola. Perché se c'è anche solo una probabilità che Loki abbia detto il vero e che lei non resisterà ancora a lungo in quella situazione, loro non possono ignorare la cosa, né pensare di trovare una soluzione alternativa. E per quanto ne sanno, la probabilità che lui non abbia mentito c'è, ed è anche bella grossa, dato che in tutte quelle settimane nessuno ha scoperto niente di concreto sulla pietra, niente che sia d'aiuto. Loki è il solo che sa come fare con quell'energia e adesso sono costretti a fidarsi dell'essere più inaffidabile dell'universo.
Altro che aspirina orosolubile, gli occorrerebbe una bottiglia di gin!
E no, no, per i baffi di Einstein, in un momento del genere Rogers non può piazzarsi davanti a lui con quell'aria da strizzacervelli e le braccia incrociate sul petto a sottolineare una certa incrollabile solidità di cui non c'è alcun bisogno.
«Senti...» esordisce il Capitano.
«No»
«Cosa?»
«No. Non voglio sentire, qualsiasi cosa tu voglia dire, mi scoppia la testa e voglio uccidere qualcuno, ma l'unico candidato disponibile da sacrificare è intoccabile fino all'arrivo di Fury»
«Ascolta, Stark» insiste il soldatino, puntandogli contro l'indice, come si farebbe con un bambino.
Tieni quel dito da maestrina al posto suo...
«Non comportarti come se fossi il solo che tiene a Nadia» borbotta. «E non trattarla come se fosse una ragazzina, perché non lo è. Lei è...»
«Cosa? Perfettamente capace di scegliere ciò che vuole? Col cavolo! È... dannazione, non è lucida, non è obbiettiva e qualcuno deve pur esserlo per lei» sbotta Tony, incurante degli sguardi degli altri puntati con inquietudine su lui e Steve. «Non stiamo parlando del cattivo ragazzo che fuma erba, stiamo parlando di Loki, quello che ci ha scatenato contro un esercito di alieni, quello che ha ammazzato Phil Coulson, quello che mi ha...»
«Che ti ha buttato giù dalla torre, lo sappiamo. Perché devi sempre ricondurre tutto a te?».
Tony sente il cerchio alla testa stringersi come una morsa. Per un attimo è quasi disposto a prendere in considerazione l'idea che sia impazzito e che Rogers voglia solo ricondurlo alla ragione, ma un secondo dopo sta già guardando il suo interlocutore come se fosse appena scappato da un centro di igiene mentale – il che, a giudicare dal look da mentecatto, sarebbe anche giustificabile.
«Non sto riconducendo tutto a me» dichiara, prendendo un grande sospiro e cercando di mantenere la calma. «Se io fossi certo che Loki potrebbe farle del bene, solo del bene, sarei il primo a fare i salti di gioia, malgrado tutto quello che lui ha fatto in passato. Ma non è così, ci sono mille ragioni per cui non è così».
Rogers abbassa lo sguardo, deglutisce, cerca di mettere insieme le parole,
«Vedi, è questo che non capisci. Il bene che intendi tu, forse non è quello a cui pensa lei o quello di cui lei ha bisogno» conclude.
«Bene! Perfetto! Lasciamola pure fare, mandiamola pure in pasto a Loki e ai suoi loschi piani!» replica Tony, alzando la voce e sentendo il cervello quasi tremolare dentro la testa, come se fosse fatto di gelatina.
«Non è questo il punto, Stark» interviene l'agente Romanoff che ora è una superassassina con l'aria da presidentessa dell'O.N.U. «Dobbiamo fare un tentativo, per il bene di Nadia. Non me importa nulla della sua cotta per quel figlio di puttana, ma mi importa della sua salvezza, e possiamo senz'altro trovare una soluzione per fare in modo che Loki l'aiuti senza danneggiarla. Quando avrà finito...»
«Quando avrà finito sarà peggio che adesso» osserva Bruce Banner, che ha tentato per tutto il tempo di tenersi disperatamente lontano dall'occhio del ciclone, mordicchiando pacifico la stecca degli occhiali. «Quando avrà finito e magari troveremo il modo di rispedire Loki su Asgard, cosa ne sarà di lei?»
«Sarà una ragazza di ventisei anni con la possibilità di farsi una vita e andare avanti, per il solo fatto che ce l'avrà ancora una vita» osserva la Romanoff.  
Tony vorrebbe essere come le sue macchine, avere un interruttore per spegnersi e starsene in standby per un po'. Se riuscisse a zittire quel doloroso ronzio che sente ad altezza delle tempie, magari potrebbe anche riconoscere che in quella discussione non si può arrivare a un punto, che non c'è un torto o una ragione da trovare, che si stanno sbagliando tutti o nessuno. Ognuna delle opzioni possibili è rischiosa e potrebbe danneggiare Nadia. Per non parlare dell'altra faccenda in ballo: qualcuno vuole distruggere la Terra... tanto per mantenersi nel solco della tradizione.
«E comunque, dobbiamo aspettare Fury e sentire cosa ne dice» suggerisce il dottor Banner, come se la cosa servisse a riportare ordine.
Certo, Fury. Un'altra pietra nel sacco a fare ancora più casino.
A proposito di casino, adesso Tony sente proprio il rumore di una tempesta rimbalzargli tra le tempie.
«Ho un temporale nel cervello» borbotta, con un sospiro stanco.
«Non è nel tuo cervello» dichiara Bruce. «Sono tuoni...».
Oh, certo. Cosa diceva delle pietre nel sacco che fanno casino? Ecco, ora sta arrivando un'intera montagna.
 
*

Mettere il punto e andare a capo. Non voleva fare nient'altro, non c'era nient'altro da fare.
Nadia si volta e si avvia ad uscire dalla stanza. Il senso di colpa non si è del tutto appianato e non c'è niente che sia come deve essere, ma lei si sta allontanando da quel letto con la consapevolezza di chi ha fatto una scelta molto precisa.
Ancora una volta, è questo il punto. Scegliere e convivere con il male che fa.
Mette un piede avanti all'altro e passo dopo passo sente di aver recuperato un po' di pace. Si sente al sicuro ora che le parole che lei e Loki hanno scambiato sono diventate i mattoni di un muro che segna la giusta distanza che deve esserci tra loro, una distanza che sa di lucidità e buon senso, che permetterà ai suoi amici di dormire sonni sereni, magari, e che le permetterà di tenere bene a mente i limiti che non devono essere superati.
La credono innamorata di lui. La ragazza non ha mai neppure provato a dare una nome a ciò che prova per Loki, non ne ha mai sentito il bisogno, ma in quel passato – che non sarà mai abbastanza remoto – è stato tessuto un filo rosso che la lega al dio degli inganni, un filo che credeva reciso fino a quando non se l'è ritrovato davanti in mezzo al bosco, come nella peggiore delle favole. E sa che ad ignorare i fili tessuti dal destino si può rischiare di inciamparci dentro, di strozzarcisi. Lei preferisce lasciare quel filo sospeso sopra le loro teste e accettarne le conseguenze senza fare nulla che possa renderlo più spesso, non è questo ciò che le spetta. Non è in questo che deve riporre le sue speranze perché l'anima di Loki è una lama che pende a mezz'aria pronta a recidere quel filo e a tramutarlo in una striscia di sangue e lei non vuole che quel sangue sia il suo, che provenga dal suo cuore. Lei ha bisogno di essere al sicuro e se davvero è amore quello che prova per Loki, sarebbe ingiusto sperare che lui sia diverso da ciò che è, per questo il muro, per questo la distanza: perché proteggersi da lui è l'unico modo che Nadia conosce per rispettarlo. E Loki ha bisogno di quel rispetto più di quanto abbia bisogno della gloria o della vendetta.
Il dio ha accettato la prigione e la tortura per lei. Adesso lei sta scegliendo un altro tipo di supplizio per rendergli il favore e non pensava che potesse farlo con così tanta serenità.
Nadia è a un passo da Clint quanto sentono il rombo dei tuoni quasi scuotere le pareti.
La ragazza e l'agente Barton si scambiano una rapida occhiata, poi lei si volta verso Loki e lo vede piegare all'indietro la testa.
«Certamente. Me n'ero quasi dimenticato» borbotta cupo il dio degli inganni, come se stesse pensando ad alta voce.
«E come si fa a dimenticarsi di Thor, non è mica un ombrello?» replica Clint, lanciando uno sguardo nervoso verso il corridoio.
Nadia resta sulla porta, a fissare Loki. A guardarlo bene, oltre la coltre di gelo, le sembra di notare una sorta di sollievo: Thor è il suo nemico, la sua nemesi, Loki ha bisogno di lui per continuare a definire i contorni del proprio mondo, ha bisogno di sapere che suo fratello lo insegue con la stessa costanza con cui lui lo detesta. Ha bisogno che Thor esista per dare un senso a ciò che lui ha fatto, che continua a tentare di fare.
Per quel che la riguarda, lei si sente sollevata sul serio. Ed è felice all'idea di rivedere il dio del tuono. E pensa che a Fury verrà un colpo apoplettico...

Thor compare in fondo al corridoio, in un tripudio di maestosità e bellezza, portando in spalla il corpo privo di conoscenza di un agente di guardia e stringendo il suo martello in una mano.
«Chiedo scusa» dice mettendo delicatamente a terra l'uomo svenuto che si stava trascinando dietro. «Era nata una diatriba riguardo al fatto che potessi accedere o meno al vostro covo, dato che non ero atteso».
Gli altri fissano basiti il candore della sua espressione, immobili sulla soglia della porta della sala per la videosorveglianza. Non è che dal figlio di Odino ci si potesse aspettare un ingresso più sobrio.
Ah, diamine...
Nadia nemmeno si rende conto di star correndo verso di lui. Lo abbraccia come si abbraccia qualcuno che non si pensava di rivedere e il dio la stringe alla stessa identica maniera.
«Ti sono cresciuti i capelli, Raperonzolo. Tra un po' potremo cominciare a farti le treccine» commenta Tony dopo qualche secondo, alleggerendo tutti dall'onere dei convenevoli di benvenuto.
La ragazza scioglie un po' a malincuore l'abbraccio. Da un angolo remoto della sua mente si affaccia l'idea che lei ora dovrebbe essere a casa, a farsi una doccia e a scegliere cosa mettere per l'uscita che ha in programma per quella sera, ma può rimandare quell'ulteriore preoccupazione ancora per qualche minuto.
«Come sempre, è un piacere rivedere tutti voi» dichiara Thor con un sorriso incerto. «Il motivo della mia presenza invece mi è assai meno gradito»
«Non dirlo a noi!» esclama Bruce con una smorfia.
«Dov'è Loki?».
Ecco, questo è il genere di preoccupazione che non può essere rimandato.
«Io non credo che sarà contento di vederti» dice Steve. «Cioè, lo sarà ancora meno del solito»
«Non sai cosa è successo?» domanda Natasha.
Thor corruga la fronte e scuote la testa,
«In tutto questo tempo l'ho cercato per metà universo» borbotta con un sospiro.
«Era senza dubbio la metà sbagliata, Boccoli d'oro» lo rimbecca Tony.
«Il nostro Guardiano è riuscito a vederlo solo quando è giunto qui su Midgard. Ne deduco che sia stato molto lontano dalla nostra sfera di influenza».
Gli Avengers si scambiano occhiate nervose, non sanno come dire al dio del tuono che mentre lui cercava il suo scapestrato fratellino tra le stelle, questi era prigioniero di un pazzo sadico e vendicativo più pazzo sadico e vendicativo di quanto sia egli stesso.  
Alla fine è Natasha a prendere il coraggio a due mani e a fargli un rapido riassunto della situazione, nel tono pratico e distaccato in cui avrebbe redatto un rapporto ufficiale.
Quando l'agente Romanoff conclude il suo resoconto, ci sono nubi cupe e pesanti ad annebbiare l'azzurro degli occhi di Thor.
«Era chiaro che la via scelta da Loki lo avrebbe condotto alla sofferenza e alla disfatta» asserisce lui alla fine. A Nadia si stringe il cuore nel percepire l'angoscia in fondo a quelle parole.
«Ad ogni modo, posso parlare con lui?». Non è propriamente una richiesta; sul pavimento c'è ancora steso l'agente che Thor ha messo KO solo perché non voleva farlo passare.
La ragazza prende l'iniziativa – iniziativa che le costa un'occhiataccia collettiva da parte dei suoi amici – e accompagna il dio del tuono nella stanza dove è sistemato il tizio che lui continua imperterrito a chiamare fratello. Forse, se c'è anche lei con la dannata pietra dentro la stanza, Loki si asterrà dal fra crollare il soffitto o qualcosa del genere pur di non mettere a rischio il prezioso gioiello da millemila volt.  

Lei e Thor non fanno nemmeno in tempo a varcare la soglia che il dio dell'inganno è già pronto a ricordare al figlio di Odino quanto la sua visita gli sia poco gradita.
«L'erede del Padre degli dei non ha niente di meglio da fare che perdere il suo prezioso tempo con me?» dice, puntellandosi sui gomiti per tenersi sollevato.
«Pare che rimediare ai danni di un membro del mio popolo sia un compito che mi spetta per dovere» replica Thor, ostentando una freddezza che non gli appartiene.
Nadia sa che non è davvero indifferente allo spettacolo che ha davanti agli occhi, neanche lei è riuscita ad esserlo poche ore prima in quel bosco.
«Tornatene a casa, maledetto idiota! Questa volta la faccenda non ti riguarda» esclama Loki.
La ragazza resta in disparte, si limita ad osservare e quello che vede è tanto straordinario quanto spiacevole. Non aveva mai visto il dio dell'inganno tanto turbato e tanto propenso a mostrare in modo così esplicito la sua rabbia; è spaventoso quanto sia l'odio a renderlo più umano.
Ed è per questo che Loki ha bisogno di Thor.
«Qualsiasi tua faccenda mi riguarda» replica il dio del tuono, ora anche nella sua voce freme la collera, per quanto lui si sforzi di non darlo a vedere. «E mi hanno detto che hai notizie di un altro attacco al benessere di questo pianeta, per cui sono ulteriormente coinvolto nella questione»
«Oh, certo, tu qui hai tante cose che ti sono care...».
In quel momento, una scintilla si accende nella mente di Nadia. Una scintilla luminosa come un'idea. Come ha fatto a non pensarci fino a quel momento?
I due fratelli andranno avanti con quella tiritera ancora a lungo, fino alla mattina successiva probabilmente. Ma ci sono tante altre cose a cui pensare, e lei adesso vuole pensarci; anche se il suo mondo dovesse venire distrutto domani, in tutta quella storia ormai ha imparato che sono le cose che davvero stanno a cuore che contano. E se il mondo dovesse finire all'alba, se il suo cuore dovesse fermarsi nel sonno quella notte, c'è una cosa che lei prima vuole fare...
«NATASHA!» grida Nadia, schizzando fuori dalla stanza. Probabilmente quell'urlo non ha fermato il dialogo velenoso tra i due asgardiani, ma non le importa.
«Che succede?!» Steve è il primo che si precipita accanto a lei, la ragazza lo ignora e afferra l'agente Romanoff per un polso.
«Nadia, che ti prende?» chiede la donna, con la mano che indugia sul calcio della pistola.
«Vieni con me» le dice, trascinandola. «Dove hanno spostato il personale civile quando Clint ha fatto sgombrare quest'area della base?»
«Cosa?»
«Dobbiamo andare lì, io da sola non posso passare».
Natasha comincia a correre dietro alla ragazza, senza fare domande. Attraversano il dedalo di corridoi come se fossero inseguite da un tirannosauro affamato.
L'agente Romanoff la porta fino al livello dei laboratori, apre la porta con il suo pass e lei e Nadia si ritrovano in un enorme open space arredato da scrivanie piene di computer e da scaffali ingombri di macchinari strani.
La gente lì dentro non ha idea di cosa stia succedendo alcune sezioni più in là, e non deve saperlo, ma Nadia adesso ha bisogno di trovare qualcuno. Scorge una faccia nota tra i camici e i volti illuminati dagli schermi dei computer.
«Dottor Selvig!» esclama, precipitandosi accanto allo scienziato. «Dov'è la dottoressa Foster?».
Selvig guarda perplesso la giovane donna affannata che gli si è appesa al braccio.
«Jane? L'ho appena salutata, è andata via» risponde senza scomporsi più di tanto. In effetti, stando a quello che le hanno raccontato, deve aver visto cose peggiori di una ragazza sudata con i vestiti sporchi di sangue secco.
«Via?!»
«Sì, il suo taxi deve essere appena arrivato».
Porca puttana!
Nadia sgrana gli occhi. Non può essere, almeno una cosa entro sera deve essere sistemata e lei vuole riuscirci.
Si volta di scatto verso Natasha e lei sembra già aver capito tutto.
«Andiamo a fermarlo» dice l'agente Romanoff, ammiccando.
«Ma... ha fatto qualcosa? È nei guai?» grida alle loro spalle il dottor Selvig, in tono apprensivo, mentre le due donne sfrecciano via, veloci come sono arrivate.
Salgono le scale, facendo i gradini quattro a quattro, rischiando di investire persone, carrelli e armadietti. Si gettano di peso sulla porta che affaccia sul piazzale d'asfalto.
Piove a dirotto – effetto collaterale dell'arrivo di Thor – e nel tardo pomeriggio buio si vedono solo le luci dei fari del taxi che si allontana.
«Non ci credo, l'abbiamo mancato per un soffio» borbotta Nadia, pestando il piede stizzita, lasciando che la pioggia le coli addosso.
«Mancato?» sussurra ironica Natasha, inarcando un sopracciglio ed estraendo la pistola.
La ragazza guarda allarmata la canna dell'arma, la pioggia scrosciante che getta un velo opaco davanti ai loro occhi e le luci dei fari sempre più distanti.
L'agente Romanoff prende la mira e spara, centrando in pieno la ruota posteriore destra.
Si sente uno spaventoso stridore di gomme, il taxi fa un mezzo giro su se stesso e poi si ferma al centro dello spiazzo vuoto.
Agenti S.H.I.E.L.D, Dio li benedica! Hanno sempre una soluzione per tutto!
«Bello. C'è solo da sperare che autista e passeggera non siano crepati di infarto» dice Nadia.
Oltre la cortina di pioggia, vedono le porte dell'auto aprirsi. Il tassista scende, gesticolando nervosamente, anche la donna seduta sul sedile posteriore smonta, quasi inciampando.
«Io spiego al tassista come chiedere il risarcimento dei danni. Tu pensa alla dottoressa» conclude Natasha.  
Jane Foster armeggia con un ombrello pieghevole, mentre attraversa lo spiazzo asfaltato e raggiunge Nadia. Si ferma a guardarla interdetta quando la riconosce.
«E questo cosa significa?» le chiede, nervosa.
«Credo faccia parte di una qualche procedura S.H.I.E.L.D. o qualcosa del genere...»
«Lo S.H.I.E.L.D. vuole eliminarmi?»
«No, ero io che volevo fermarti. I fuochi d'artificio non era previsti ma si sono rivelati indispensabili. Vieni con me»
«Dove?»
«Dentro»
«A fare cosa?».
Nadia alza gli occhi al cielo,
«Sei sempre così petulante?».
Jane arriccia le labbra, piccata. Sembra indecisa se seguirla o meno, ma alla fine si lascia convincere ed entra insieme a lei.
Percorrono al contrario, con passo calmo, la strada che Nadia e Natasha hanno fatto di corsa e si lasciano dietro una scia di impronte bagnate. La ragazza ha una gran voglia di ridere e quello che sta facendo la distrae dal peso degli ultimi eventi.
Non tutto il male vien per nuocere.
«Scusa, ma... è sangue quello che hai addosso?» domanda Jane, affondando le mani nelle tasche del soprabito.
«Sì, ho dato una mano al reparto macelleria, dove fanno gli hamburger per la mensa»
«Sei una ragazza strana, Nadia. E non so nemmeno davvero chi tu sia»
«Al momento, sono tipo la tua migliore amica».
Arrivano a destinazione. La dottoressa Foster non sembra a suo agio nel dover passare in mezzo alla squadra di agenti armati e ha l'aria di una convinta che da un momento all'altro una pallottola vagante possa colpirla in mezzo agli occhi.
Anche Nadia sobbalza quando dal fondo del corridoio arriva un tonfo sordo che fa quasi vibrare il pavimento.
Thor è uscito dalla stanza di Loki sbattendosi la porta alle spalle. Ora è uno sbuffo di rosso che cammina avanti e indietro in un metro quadrato di linoleum, con l'aria da leone in gabbia.
Thor è uscito dalla stanza ed è troppo arrabbiato per vedere quello che ha attorno.
Thor è...
«Cielo...» sussurra Jane, fermandosi di colpo. È veramente un sussurro impercettibile, ma chissà come la sua voce arriva alle orecchie del dio che solleva la testa di scatto e punta lo sguardo su di lei, stupito, quasi intontito dalla sorpresa e dalla contentezza.
La donna gli corre incontro, gli getta le braccia al collo con così tanta irruenza da far vacillare persino l'equilibrio del possente dio del tuono.
Non tutto il male vien per nuocere, decisamente.
Jane e Thor sembrano diventati improvvisamente inconsapevoli del resto del mondo, del fatto che si trovano in un corridoio ingombro di gente armata e a un palmo di naso dalle persone più amate e ammirate del momento.
Steve e Bruce non sanno dove puntare gli occhi, Tony e Clint si guardano l'un l'altro dondolando la testa.
Nadia fissa per un secondo la coppia appena ritrovata, contenta e divertita. Si aspetta che quei due si stacchino e riprendano coscienza di quello che hanno attorno – magari prima che Tony si inventi qualcosa per ricordare loro la sua presenza e quella del resto del mondo, ma loro continuano a starsene in mezzo al corridoio, davanti alla porta della stanza di Loki, a tubare come tortore.
La ragazza decide che è troppo, strabuzza gli occhi e sguscia dentro la stanza, per paura di passare troppo vicino alla coppia felice e rovinare l'idillio, per quanto si sia scelto un momento e un luogo poco appropriato.
«No, ti prego, uccidimi subito» mugugna Loki, con gli occhi sbarrati in un'espressione di disgustato sconcerto. Eppure lo dice quasi senza malizia, per il solo gusto di fare una battuta in un frangente che sembrerebbe buffo a chiunque.
Nadia lo guarda e fa una smorfia, poi annuisce energicamente e asseconda la sua espressione,
«Cavami gli occhi...» bisbiglia.
Quando vede Loki fare un mezzo sorriso sghembo e sente se stessa ridere, le sembra di aver raggiunto la più grande conquista della giornata.







________________________________________________

Note:

Ecco, la lucidità di Nadia non tanto rispetto a se stessa, quanto rispetto a ciò che la circonda credo sia una peculiarità del personaggio. Per questo spero che il suo atteggiamento, il suo "buon senso" che la porta a decidere di mettere una certa distanza emotiva tra lei e Loki non suoni “antipatico”.
E anche se così non fosse, la fanfiction è ben lungi dal finire. E se anche così non fosse, alla fin fine è umana anche lei, quindi mi sta bene che qualcuno trovi soggettivamente opinabile il suo comportamento :P

Battuta infelice di Tony sui capelli di Thor, indotta dalle foto del set di Thor 2 in cui lui ha davvero la treccina. “Raperonzolo” mi è stato suggerito in uno scambio di battute da Kashmir, le avevo detto che me la sarei rivenduta XD

Angolino della pubblicità, consigli di zia Alki, come volete...
Scent of a woman di EvilCassy. Perché al mondo c'è bisogno di più Clintashamento, specie se fatto bene!

La storia ha una quantità di seguenti enorme. E solo ora ho fatto caso al numero di persone che hanno selezionato "mi piace" sul widget per Facebook. GRAZIE! *_*
Per curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. ^^

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Capitolo 9
*** Welcome back - part three ***


Capitolo ottavo
Welcome back – part three


Forse in quel frangente anche Hulk riuscirebbe a farsi una sana risata – beh, magari l'Altro ride, Bruce non può saperlo, dato che dopo le trasformazioni non è in grado di ricordare molto. Ma la situazione è talmente critica che il dottor Banner riesce quasi a sentirsi a proprio agio, per essere uno con problemi di controllo della rabbia.
La parentesi romantica che si sta consumando davanti ai loro occhi spezza per qualche minuto la tensione, ma stanno tutti rischiando di soffocare nella propria bile rivoltata.
Brutta immagine, già.
Il ritorno di Loki non lascia sperare in niente di buono, e non è solo per le notizie catastrofiche che ha riferito, è il solo fatto che lui sia lì. Per due volte hanno avuto a che fare con il dio asgardiano, la prima volta è andata a finire con alieni in assetto da guerra che piovevano a frotte da un foro in mezzo al cielo, la seconda volta si sono ritrovati a combattere con gente posseduta da demoni potenzialmente letali. E la statistica parla chiaro: non c'è due senza tre.
Ok, non è propriamente statistica, ma essere sopravvissuto per caso a un esperimento con i raggi gamma ti rende inevitabilmente un pochino melodrammatico.
Sono tutti talmente agitati che Bruce non si stupirebbe se qualcuno decidesse di testare, seduta stante, qualche modo di eliminare fisicamente una divinità spocchiosa e portatrice di guai. Ma non servirebbe a niente.
Stark è arrabbiato per il solo fatto che Loki sia tornato. Loro sono arrabbiati perché hanno visto disegnarsi all'orizzonte l'ombra di una minaccia ancora senza nome e senza forma ma che già aleggia sulle loro teste con la pesantezza di una condanna. Thor è arrabbiato perché il fratello lo ha di nuovo trascinato nei casini. E Nadia è arrabbiata con se stessa.
Anche Loki è arrabbiato, ma questo è sintomatico della sua personalità.
A Bruce è tutto molto chiaro, del resto è un esperto del settore.  
E ora sta riflettendo che avrebbe dovuto tornarsene a Calcutta, o magari proporre allo S.H.I.E.L.D. di tentare di murarlo vivo in un pilastro di cemento armato. Avrebbe potuto scegliere un'infinità di strade che lo avrebbero portato in tanti luoghi parecchio lontani da quello in cui si trova ora, eppure non riesce a fare a meno di pensare che il suo posto è lì.
Non sa bene quale sia il suo ruolo, la sua versione XXL si è rivelata assai più utile di quanto lui riesca ad esserlo nella sua taglia ordinaria, ma loro sono una squadra e lo sono anche quando non indossano armature – o calzamaglie, o mantelli, o tute di latex.
Thor e la dottoressa Foster recuperano un grammo di lucidità, si staccano, si guardano attorno e lei diventa rossa quanto il mantello del suo innamorato.
«Temevo che vi sarebbero cresciute le branchie» borbotta Stark. Non era pensabile che gliela facesse passare liscia.  
La giovane astrofisica punta lo sguardo in terra, sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È molto carina, sarà senz'altro in gamba e, se non fosse troppo presa dall'aver ritrovato il suo bel dio smarrito tra le stelle, forse realizzerebbe che in tutto quel tempo le sue teorie sul worm-hole sono state esatte. Quel ponte interspaziale deve avere a che fare con quello che ha detto Loki, c'è qualcosa che è piovuto dal cielo e non dev'essere qualcosa per cui stendere un tappeto rosso e far suonare la banda.
La dottoressa Foster si costringe ad alzare gli occhi e a passare in rassegna le loro facce che adesso cercano di ostentare un'aria di diplomatica indifferenza.
«Ehi, ma voi siete...» farfuglia, come colta da un'illuminazione improvvisa.
«... un branco di idioti!» conclude una voce aspra, dal fondo del corridoio.
Nick Fury avanza come se volesse gettarsi di testa contro il muro. O come se volesse prendere tutti loro a testate. In effetti, non è che siano stati molto ortodossi con le normali procedure di sicurezza; adesso Barton e la Romanoff si beccheranno una bella lavata di capo e tutti loro dovranno sorbirsi una qualche filippica sulle norme di comportamento in caso di emergenza – poco importa se l'emergenza in questione sfugge a qualsiasi possibile caso normativo.
«E lei cosa ci fa qui? Perché è qui, chi ce l'ha portata?» borbotta il direttore dello S.H.I.E.L.D, lanciando un'occhiata torva all'astrofisica. «E tu, quando diamine sei arrivato? Perché non sono stato avvisato? Cosa stava facendo l'agente Romanoff mentre un dio alto due metri veniva a pascolare nel mio dipartimento?», aggiunge guardando Thor.
La Romanoff stava accompagnando Nadia a prendere Jane Foster. Meglio non specificarlo.
«Con tutto il rispetto, direttore» interviene Barton. «Ci sono questioni più urgenti».
«Lo so bene. Ho l'aria di uno che non lo sa? Quello che non so è che diamine è successo mentre io mi scapicollavo per venire qui»
«Non ti ingozzare di autorità, Nick, o non ti resterà appetito per il piatto forte» sbotta Stark. «Potresti cominciare a vomitare palle di pelo, tra un ordine e l'altro».
Nadia fa capolino oltre la porta della stanza. Sbianca quando l'unico occhio buono di Fury si posa su di lei, ma mantiene un'espressione misurata mentre aspetta la sua razione di sgridate, come un condannato a morte che aspetta rassegnato che il plotone d'esecuzione faccia fuoco.
«Oh, c'è anche lei. Siamo in modalità famiglia allargata, a quanto vedo» gracchia il direttore.
«Io la definirei più la fase del figliuol prodigo» osserva Stark, serafico.
Fury si passa una mano sul capo calvo. Lì dentro, il suo cervello da super spia sta certamente architettando qualcosa.
«Basta così. Dov'è il prigioniero?».
Chiamarlo prigioniero suona molto rassicurante, in effetti. Ma imprigionare davvero Loki è un'impresa che, a quanto pare, nessuno in tutto l'universo è mai riuscito a realizzare come si deve.
La Romanoff riferisce al suo superiore quanto hanno saputo fino a quel momento.
Nel trambusto generale c'è un particolare a cui nessuno ha ancora fatto caso e di cui, fino a quel momento non si è ancora fatta menzione: Loki ha detto che i loro misteriosi nemici hanno preso di mira la Terra per vendicarsi di Thor.
«Di me?» borbotta stupito il dio del tuono, interrompendo il rapporto di Natasha al direttore dello S.H.I.E.L.D. «Chi vorrebbe vendicarsi di me?»
«Non lo sai? Cominciamo bene!» sbotta Clint Barton.
«Stai dicendo che Loki è il solo a cui ispiri manie omicide?» incalza Stark. «Non l'avrei mai detto...».
Dunque, hanno nemici sconosciuti che vogliono attaccare il pianeta. Non si sa come, né dove né quando.
Fury cammina per qualche secondo avanti e indietro per un paio di metri di corridoio, poi afferra la ricetrasmittente e comincia ad elencare una serie di istruzioni in incomprensibile linguaggio S.H.I.E.L.D.
Livello 6, protocollo ricerca 360, attivazione procedura Z8.  
Se non hanno capitolo male, si tratta di un allarme, di un'indicazione su cosa cercare e come e su tutte le attività ausiliarie da svolgere in relazione. Una cosa che tradotta in termini umani dovrebbe stare per: ''Un bel casino. Cercate ovunque perché non sappiamo con cosa abbiamo a che fare. Sputate sangue, ma portatemi qualcosa su cui poter lavorare''.
Però, il dubbio che Loki abbia mentito o che ci sia qualcosa di strano in questa faccenda non sembra sfiorare il direttore dello S.H.I.E.L.D, dopotutto Fury è sempre stato un tipo lungimirante. E il fatto che debbano dar credito alle parole di Loki la dice lunga su quanto la situazione sia tragica.
E, comunque, a proposito delle parole di Loki, c'è un'altra questione da affrontare.
Bruce fa un bel respiro e tenta di mettere assieme le parole. Se c'è un vantaggio dovuto all'essere l'involucro contenitivo di un gigante rabbioso è quello che nessuno alza mai la voce con te, hanno tutti paura che il gigante si svegli.
«Dobbiamo ancora decidere come regolarci per la questione di Nadia. Loki ha detto che può aiutarla» dice il dottore.
Fury fissa la ragazza per un secondo, ma lei non mostra alcuna emozione, poi il direttore si volta verso Thor,
«È vero? Può farlo?» gli domanda.
Una strana espressione brilla negli occhi del dio del tuono,
«È il solo che possa» dichiara, alla fine.
«Allora dovremo inventarci qualcosa» conclude Fury, senza troppo entusiasmo. «Potrebbero far comode le capacità di quel ninnolo che è incollato al suo braccio».
«No!». L'esclamazione arriva in contemporanea da diverse bocche. Ora cominciano anche a parlare in coro, wow, tra un po' finiranno a dormire nei letti a castello come i sette nani.
No. Lo hanno davvero detto tutti quanti assieme.
«Questa squadra è già troppo grande per il mio egocentrismo narcisistico» borbotta Stark.
«E la ragazza non è pronta, signore» gli fa eco la Romanoff.
«Nessuno di voi altri rincitrulliti era pronto» li rimbecca Fury. «E comunque, nessuno ha parlato di inserirla in squadre di salvataggio planetario, ma se quella pietra può essere un'utile arma potrebbe far comodo saperlo, lei non è d'accordo signorina Berton?»
Nadia si guarda attorno, smarrita, poi una strana consapevolezza fa capolino attraverso il suo sguardo e i suoi occhi si fissano proprio su di lui, su Bruce. E lui capisce al volo il perché.
Tutti hanno ammirato il coraggio della ragazza a Venezia, ma ai loro occhi è sempre stata la donzella in difficoltà e quando è arrivata a New York hanno continuato a vederla come la persona fragile da proteggere e da aiutare perché ha un serio problema. Eppure Bruce ora si rende conto di come lei debba sentirsi, di come la situazione della loro giovane amica non sia poi tanto diversa dalla sua: quando hai qualcosa di brutto dentro vuoi a tutti i costi provare a trasformarlo in qualcosa di utile, in qualcosa che abbia un senso perché smetta di essere una condanna e diventi un dono.
«Se posso dare una mano...» tenta di dire la ragazza.
«Piuttosto ti riporto a Venezia, a casa, a nuoto» sospira Steve.
«Non potete riportarmi a casa senza Loki, ormai è chiaro che senza il suo aiuto sono spacciata e non credo dormireste sogni tranquilli con lui oltreoceano, fuori dalla vostra portata» replica lei tranquilla. «Io posso...».
«Certo che puoi» interviene Bruce. Gli altri lo guardano stupiti, ma loro non possono capire, non fino in fondo.
«Che sta succedendo? Sono io quello che ha l'esclusiva sugli scherzi stupidi, voi altri non potete farne» replica Stark, assumendo quel suo tono petulante.
«Sto solo suggerendo di provare a capire bene tutti gli aspetti della questione relativa alla pietra, dato che l'unico che ha il manuale di istruzioni è il nostro sgradito ospite» dice Fury. «Non mi era  mai passato neppure per l'anticamera del cervello prima di adesso, ma la situazione potrebbe richiedere tutte le risorse di cui disponiamo».
Nadia sorride, soddisfatta. Sperano tutti che non si arrivi a situazioni in cui lei debba essere schierata in campo, neanche se l'energia della pietra si rivelasse l'arma più straordinaria del mondo, ma la ragazza sta finalmente cominciando a trovare un senso alla serie di sfortunati eventi che l'ha portata ad essere lì. È un attimo di trionfo che nessuno ha il diritto di rovinarle.  

*

Frastuono.
La parola le appare scritta davanti agli occhi, come un'etichetta gigante che penzola dal cielo. Non c'è altra definizione possibile per esprimere lo stato delle cose. Sono tutti, ognuno a modo loro, frastornati dagli eventi.
Nadia sa che è del tutto folle, ma riesce a trovare anche qualche motivo di essere contenta in mezzo a quel caos. Ed è questo che la fa sentire così scossa, il contrasto tra le sue piccole soddisfazioni personali e la drammaticità della situazione.
Accanto a lei, sul sedile di quel macchinone nero che la sta riportando a casa, c'è Jane Foster. Le luci della città si riflettono nei suoi occhioni spalancati sul mondo, probabilmente la scienziata vede costellazioni e galassie nei cerchi di luce dei lampioni e al momento, forse lei è quella più frastornata di tutti.
Nadia pensa che Jane non abbia davvero capito quello che è successo, in effetti ci sono molti particolari di cui non è a conoscenza e il suo stato mentale in quel frangente non le permette di fare deduzioni e colmare lacune. Dall'arrivo di Fury, la scienziata si è fatta da parte, appoggiandosi con le spalle contro il muro del corridoio ed è rimasta passiva spettatrice dello spettacolo delirante che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi – forse ha a malapena recepito la questione dovuta a potenziali attacchi alla Terra, giusto perché c'è di mezzo il povero Thor.
Adesso l'hanno caricata sulla macchina e spedita verso un alloggio in centro che si trova nella stessa zona della Stark Tower. Il piano doveva essere quello di rispedirla dove era prima, ma con una potenziale catastrofe globale a penzoloni sulle loro teste, magari Thor si sarebbe sentito più sereno a saperla a portata di mano – e Nadia è assolutamente convinta che quella sera il dio pioverà sul balcone dei nuovi alloggi di Jane, magari con un mazzo di rose preso su suggerimento di Steve o con un cannocchiale nuovo rimediatogli da Tony...
Nadia è contenta per lei, per loro due. Ci voleva una nota di romanticismo e allegria in quella cupa giornata.
La ragazza sospira, sentendo di colpo tutta la stanchezza accumulata pesarle sulle spalle e tutta la tensione che si allenta e la rende consapevole del groppo che ha nello stomaco, delle gambe indolenzite, dei lividi e i graffi sulle ginocchia che si è procurata nel bosco, quando Loki è svenuto sanguinante e lei gli è corsa accanto per poi chinarsi su di lui e accertarsi che fosse vivo.
Fino a quel momento, non aveva mai davvero sentito il cuore spezzarsi nel petto.
All'improvviso diventa consapevole dello sguardo posato su di lei. Si volta per scorgere Jane che osserva crucciata le macchie di sangue sui suoi vestiti. Gli occhi della dottoressa Foster fanno domande a cui la buona educazione e il senso di discrezione impone di non dar voce.
«Ho fatto sparare al tuo taxi, Jane. Puoi chiedermi quello che vuoi» dice la ragazza con un sorriso stanco.
«Non so da dove cominciare» ammette la scienziata.
Nadia annuisce,
«Beh, magari ti spiegherà tutto Thor, staser... ehm, quando avrete occasione di... insomma, quando avrete qualche momento tranquillo per parlare» risponde, inciampando nelle parole. Parlare, sì, come no!
«Ci sono molte cose tra quelle che la donna rossa ha detto a Fury che non ho capito. Al di là di tutto, mi chiedo come tu possa essere così tranquilla, cioè capisco che essere... come dire, la pupilla degli Avengers è una figata pazzesca e tecnicamente ti pone in una botte di ferro. Ma che mi dici del dover avere a che fare con quel Loki?».
Quel Loki, giusto. Quando Nadia ha lanciato un'ultima occhiata alla stanza in cui l'avevano messo, l'ha trovato che dormiva alla grossa e probabilmente si è perso l'arrivo di un Nick Fury particolarmente esagitato e lo schieramento di truppe in tenuta da guerriglia lungo il corridoio. E tutta la parte relativa alla sua futura collocazione e la discussione sul come fare perché lui possa istruire lei senza che a nessuno saltino i nervi. Dormiva proprio come un sasso, evidentemente si sente al sicuro e se è così tranquillo a stare nelle mani dello S.H.I.E.L.D, vuol dire che sul pianeta dei Chitauri se l'è vista più brutta di quanto tutti loro pensino. Oppure che ha un piano. Oppure entrambe le cose.
Rispondere alla domanda di Jane è difficile, perché la dottoressa Foster non sa niente, ne sa anche meno degli Avengers, è rimasta alle favole dove Loki è il mostro cattivo e nient'altro.
«A Loki si impara a sopravvivere. A un concentrato di energia magica che filtra nel tuo corpo attraverso un bracciale no» conclude semplicemente la ragazza. Sì, prima o poi dovrà spiegare per filo e per segno alla sua nuova amica tutta la faccenda di Venezia, se non lo fa Thor.
Un attimo dopo la macchina accosta davanti a una bella palazzina con i cancelli di ottone.
L'autista si volta porgendo a Jane una busta con dentro le chiavi di quello che sarà il suo appartamento per le prossime settimane.
«È l'ultimo piano, dottoressa Foster. Quello con la terrazza» dice l'uomo in completo scuro.
Una casa all'ultimo piano con terrazzo. Perfetto come base di atterraggio per un dio svolazzante.
Nadia ridacchia, salutando Jane.
Mentre l'auto riparte per condurla alla Stark Tower, la ragazza viene colta da un'illuminazione improvvisa.
L'appuntamento con Mike. Tra meno di due ore. Cazzo!...

«Oh santo cielo! Oh, Dio, Nadia...» la voce preoccupata di Pepper la investe come una folata di vento, appena la ragazza esce dall'ascensore.
La donna bionda è davanti alla porta dell'appartamento che le hanno dato, ad aspettarla con un'aria quasi materna. Le posa le mani sulle spalle quando lei le si avvicina.
«Tony mi ha chiamato, mi ha spiegato solo in parte cosa è successo e ha detto che resterà alla base S.H.I.E.L.D. ancora per un po'. Tu stai bene?».
Che domanda. Nel ricambiare lo sguardo degli occhi di Pepper, Nadia capisce di non avere alcuna risposta da darle. Sente un tale groviglio di emozioni dentro che non riesce a cavarne fuori nulla di definito, niente di davvero brutto, ma neppure niente che sia bello. Semplicemente la stanchezza le fa abbassare le difese e le parole che le arrivano alle labbra danno voce al pensiero che svetta come una linea diritta in mezzo a quel disordine di idee.
«Loki. È tornato» dice.
Pepper corruga leggermente la fronte, le sopracciglia arcuate come punti di domanda. Muove le labbra, esitando nel dire ciò che sta pensando.
«Lo so. Tony mi ha detto di cercare qualcuno che metta vetri infrangibili alle nostre finestre» conclude, alla fine.
Tony dovrebbe trovare il modo di farsi passare il trauma...
«No, senti Pepper, qui abbiamo un problema molto serio» dice la ragazza, entrando in casa. «Tra meno di due ore io devo vedere Mike».
Ha promesso che sarebbe andata a quell'appuntamento, ha promesso che si sarebbe presa cura di se stessa. Cascasse il mondo, lei quella sera uscirà con quel ragazzo, si divertirà, starà bene... e magari gli darà il bacio della buonanotte prima di salutarlo. Cascasse il mondo, già...
Pepper ora ha uno sguardo molto acuto, sembra aver preso tutta l'ansia di qualche minuto prima, sembra averla impacchettata e messa in un magazzino cerebrale molto ben organizzato. Invidiabile, ecco cosa vuol dire essere stata per anni la segretaria di Tony Stark!
«Fila sotto la doccia» ordina in tono pratico. «Io ti scelgo i vesti, arriverai più puntuale di un orologio!».
Nadia sorride, annuisce e sfreccia verso il bagno. Si toglie i vestiti, indugia solo un attimo a guardare le macchie di sangue sulla maglietta e tanto basta a farle montare una rabbia sorda e a farle accelerare il respiro. Chiude gli occhi, cerca di concentrarsi sul freddo fastidioso che le punge la pelle, cerca di pensare al tepore dell'acqua che laverà via tutto. Fa quello che fa Pepper: compatta, impacchetta e mette da parte.
Domani mattina ci sarà tempo per tutto quello a cui ancora non ha dato sfogo. Domani, non ora.

*

Le hanno fatto arrivare la sua roba, perfettamente imballata in scatoloni che un paio di solerti agenti le hanno depositato in salotto in due pile ordinate, dopo averle riferito una serie di istruzioni.
Non può lasciare la città. Non può avere contatti con nessuno senza informare lo S.H.I.E.L.D. È obbligata a mantenere il più totale riserbo su quello che ha visto succedere poco prima.
Cos'è che ha visto succedere, con esattezza?
Jane osserva l'appartamento elegante e impersonale nel quale l'hanno spedita. È assai meglio della camera della pensione dove è stata alloggiata in quelle ultime settimane, ma la sua situazione non sembra cambiata poi di molto. Non è che il suo starsene lì abbia molto senso, ma anche se prima sembravano piuttosto ansiosi di sbarazzarsi di lei, adesso che sanno che le sue ricerche possono avere un'utilità ben specifica non la lasceranno andare.
È sera e lei non ha cenato, ma non ha minimamente fame.
Quel silenzio carico di inquietudine le svuota la testa e la dottoressa Foster si lascia cadere sul divano di pelle, afferra il telecomando del televisore e si mette a fare un po' di zapping senza davvero concentrarsi sulle immagini che le scorrono davanti agli occhi, alla briciole di voce che dicono spezzoni di frasi senza senso nel passaggio da un canale all'altro.
E adesso? Cosa accadrà adesso?
Un tuono romba sopra i rumori della città. Jane solleva la testa di scatto, il telecomando le sfugge di mano mentre la tv si sintonizza su un talk-show.
Il cielo ha sempre qualche buona risposta da dare...
Jane si alza in piedi. Non è che non avesse pensato alla faccenda, è che le sue difese psicologiche devono averle fatto rifiutare l'idea che potesse venir fuori qualcosa di buono in una situazione tanto assurda. E invece qualcosa di buono c'è, è atterrato in piedi sul suo terrazzo, con nemmeno troppa grazia, a dirla tutta.
La donna apre la porta di vetro e guarda Thor, mantello svolazzante sulle spalle, martello in una mano, scatola colorata nell'altra.
Forse ora potranno parlare, e lui potrà spiegarle per bene tutta la questione e chi è la ragazza bionda e perché si conoscono... forse potranno parlare, forse no.
«Il cielo ha sempre qualche buona risposta da dare» dice, trattenendo una risatina.
«Come?»
«Lo diceva sempre mio padre, era un astrofisico anche lui... oh, Eric te l'avrà detto».
Lui segue Jane dentro casa e le porge la scatola. E per un attimo il dio sembra arrossire.
«Io... ehm... Rogers e Stark hanno provato a istruirmi sulle vostre usanze in certi frangenti, ma hanno finito per litigare. Alla fine ho seguito il suggerimento di Banner, però lui ha vissuto gli ultimi anni in un luogo sperduto quindi non so quanto sia attendibile il suo consiglio...» borbotta un po' impacciato.
Jane sgrana gli occhi, e comincia a scartare il pacchetto che Thor le ha dato,
«Stai dicendo che la squadra di supereroi più famosi del pianeta ha discusso di galateo a mio beneficio? Sono... onorata».
Una scatola di cioccolatini. Dov'è che è stato il dottor Banner negli ultimi anni?...
«Immagino che potrai farci l'abitudine, a loro, intendo. Sono molto... beh, molto» conclude Thor.
«Farci l'abitudine. Come ha fatto Nadia?». Non è che la ragazza sia il problema fondamentale al momento, non è neanche un problema in realtà, ma Jane vuole approfittare degli ultimi scampoli di lucidità che le sono rimasti prima di... prima di fare qualsiasi cosa...
«Il Guardiano vi ha viste insieme» dice Thor. «Non conosci la sua storia?»
«No, ma una che non si fa venire gli attacchi di panico all'idea di aver bisogno di tuo... ehm... fratello stuzzica di molto la mia curiosità».
Che diamine sta dicendo? Come le è venuto in mente di nominare quella disgustosa serpe con quel nome assurdo? Oh, Jane perché non spegni quel cervello, tanto è vuoto!
«Credo che Nadia voglia bene a Loki, ne sono certo anzi. E in una qualche strana misura, anche lui ha a cuore la sorte della ragazza».
Dunque Loki ha un cuore. Interessante. Non molto credibile, però.  
«E le dimostrazioni di affetto di Loki hanno tutte a che fare con piani machiavellici e robot sputafuoco programmati per uccidere e radere al suolo le città?» borbotta lei, per poi pentirsene un secondo dopo.
«È molto creativo, bisogna rendergliene atto» risponde Thor. Anche se sorride però il suo sguardo si incupisce.
Mangiati la lingua, dannazione, Jane!
«Scusa... è che io sono finita invischiata in questa cosa che non capisco e... avrei bisogno di capire. Però...»
«Però cosa?».
Jane deve resistere all'impulso di farsi aria con le mani. Sta avvampando, e cos'è che le aveva chiesto Thor? Si è persa un pezzo, non ricorda...
D'accordo. Basta parlare, basta pensare.
Basta, almeno fino a domani mattina.

*

Mike la sta aspettando sul marciapiede. Ha il naso all'insù, a guardare la Stark Tower salire verso il cielo.
Nadia si chiude il portone del palazzo alle spalle e sospira. Si era sentita molto sicura di sé, prima, approvando la sua immagine allo specchio, e adesso invece sente il disagio salire come una marea fino a sommergerla.
In effetti, da un po' di tempo non aveva un appuntamento. L'ultima volta che è successa una cosa vagamente simile a un'uscita con un ragazzo si è ritrovata sola in un cortile di Venezia ad aspettare che cominciasse un concerto jazz ed è finita a scappare da un branco di demoni di fumo che volevano passarla da parte a parte. È stata la sera in cui ha visto morire un uomo per la prima volta, in cui ha scoperto l'esistenza di cose che avrebbe preferito non sapere. È stata la sera in cui la sua vita è cambiata per sempre, e lei ha oltrepassato il punto di non ritorno in una manciata di minuti senza nemmeno essere vagamente consapevole di quanto le sarebbe costato.
Il bracciale è lì, sotto il polsino della camicetta blu che Pepper le ha fatto indossare. I rumori del traffico metropolitano di New York si mischiano al ricordo delle urla di terrore che aveva udito quella sera, poi un colpo di clacson spazza via quel venefico incanto e la costringe a diventare consapevole del sorriso che ora Mike le sta rivolgendo.
«Ciao» dice il ragazzo, facendo rigirare sulla punta dell'indice il cerchio del portachiavi della macchina.
Compattare, impacchettare e mettere da parte...
«Ciao. I vestiti da comune cittadino ti donano» risponde lei.
«Non mi dirai che pensavi che fossi solo uno stagista delle Stark Industries».
In effetti, non sa molto di Mike Glanville. Nel tempo che hanno passato assieme, è stata quasi sempre lei a parlare, forse perché tra loro due era quella che ne aveva più bisogno. Ne avrebbe bisogno anche adesso, avrebbe davvero bisogno di parlare con qualcuno di estraneo a quella faccenda, ma la situazione è delle meno adatte e non sarebbe giusto. E poi, se si facesse uscire anche solo una parola, Fury la chiuderebbe in un container a tenuta stagna e la spedirebbe al Polo Nord.  
Compattare, impacchettare e mettere da parte...
«A dire il vero, ormai sono propensa a credere che tu sia un santo. Devo chiederti scusa, Mike, non abbiamo mai parlato molto di te, sono stata un po' egocentrica in questi mesi...».
Lui scuote la testa e le fa cenno di seguirlo,
«Non dirlo nemmeno. Ho sempre pensato che fossi una persona che valeva la pena conoscere» risponde con misurata galanteria, poi fa un mezzo sorriso ironico. «Insomma, quando ti ho incontrata la prima volta, stavi aspettando fuori l'ufficio di Tony Stark con un pacchetto di kebab in mano!».
Nadia ride. Se c'è stato un momento, durante quell'assurda giornata, in cui ha pensato che quell'appuntamento fosse una pessima idea, adesso è pronta a rimangiarsi tutto. Ora capisce perché l'è venuto così naturale decidere di non rinunciare a quell'uscita, lei ha bisogno di ridere, ha bisogno di occhi come quelli di Mike.
Le luci dei lampioni gettano un riverbero argentato sull'asfalto ancora umido per la pioggia di qualche ora prima. Nadia guarda verso il groviglio di strade intasate dalle auto, nella direzione in cui sa che dovrebbe trovarsi l'appartamento di Jane. Spera proprio che lei e Thor siano insieme adesso, che il dio del tuono abbia la possibilità che ha anche lei di dimenticarsi di tutto, almeno per il tempo di una serata.
«Cos'hai in fronte?» chiede Mike.
Nadia si tasta con il dito il punto in cui si è fatta male con l'arco, dove ora è rimasta un'escoriazione che il trucco non riesce a nascondere del tutto, cerchiata da un livido un po' gonfio.
«Oh, un piccolo incidente domestico» risponde sbrigativa, prima di salire in auto. Si detesta per quella piccola bugia, per tutte le cose che non può dirgli.
Il ragazzo mette in moto e un attimo dopo scivolano nel flusso del traffico cittadino.
Compattare, impacchettare e mettere da parte...
E rimandare tutto a domani. Sì, può farcela.

Il quartiere di Broadway è una bolla di luce, di stelle incatenate tra i palazzi e insegne pubblicitarie di spettacoli grandi come una casa. Un dedalo di vetrine talmente lucide da essere invisibili, se non fosse per i riflessi sbiaditi dei passanti.
Tutto viene attirato come una calamita per andarsi a gettare nello spazio aperto di Times Square.
Nadia cammina accanto a Mike. In tutte quelle settimane passate lì, ha visto così poco della città che la ospita, e adesso i suoi pensieri sono sospesi tra lo stupore per il luogo estraneo che la invade con il suo caos di vita e la nostalgia per casa.
Gli occhioni gialli della locandina di Cats sembrano fissarla e lei sorride, senza sapere bene il perché.
«Il posto è questo» dice Mike, prendendola sottobraccio e pilotandola verso l'ingresso di un teatro, dietro ad una nutrita fila di turisti giapponesi che tengono tra le mani i loro biglietti per lo spettacolo.
D'accordo, forse non è tutto così lontano e diverso da casa sua.
Entrano e una maschera in un impeccabile completo nero li accompagna ai loro posti: le due poltrone centrali della seconda fila della platea.
«Wow, sono dei posti ottimi» dice Nadia ammirata, guardando ipnotizzata il teatro attorno a lei. «Sei stato magnifico!»
«Oh... ehm... sì, grazie...» farfuglia Mike, come colto alla sprovvista. «Sai, le prevendite su internet funzionano molto bene».
La ragazza fissa per qualche istante il suo accompagnatore.
«Mike, dimmi la verità: ma a te i musical piacciono almeno un po'?» gli chiede.
Lui sfodera un sorriso adorabile,
«Ho intenzione di scoprirlo».
«Sei troppo perfetto per essere vero...» sussurra Nadia, il commento le viene automatico, le esce direttamente dal cuore, ma si perde nel silenzio che cala a poco a poco in sala, via via che le luci si abbassano.
Il sipario si alza, comincia la prima scena con il battitore dell'asta e poi parte l'overture.
Nadia si ritrova a mimare con le labbra quella musica di cui ricorda alla perfezione ogni nota, ogni suono, ogni pausa e ogni crescendo. Così come conosce a menadito ogni parola delle canzoni. Ed è tutto perfetto, i costumi, le voci degli attori... tutto come deve essere, tutto come lei aveva sempre sognato e visto decine di volte in mille filmati su youtube.
E Christine che canta Think of me, e la scenda del camerino e la voce che tuona nel vuoto fino a quando la figura mascherata non prende forma oltre lo specchio.
Nadia trattiene il respiro quando la fanciulla appoggia la mano su quella del Fantasma e lascia che lui la trascini via, verso i sotterranei, nel buio della sua follia e nel profondo del suo amore tragico e incurabile.
La ragazza sente salire il magone. Non è solo perché sa che quella storia non avrà mai un lieto fine, ma è anche perché pensa che non è così che dovrebbe essere un amore. Perché pensa che l'amore è tale solo quando è fine a se stesso e non quando diventa un'ancora di salvezza, un lasciapassare per scappare dal buio.
C'è qualcosa che adesso preme sui suoi pensieri, nuvole cariche di pioggia che minacciano di scatenare una tempesta.
E Christine fa l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare, strappa la maschera del Fantasma e lui grida per la delusione e per la paura che lei possa vederlo e diventare automaticamente incapace di amarlo a causa del suo aspetto. Lui la scaglia a terra, inveendo, poi si volta a guardarla...

«Stranger than you dreamt it
can you even dare to look, or bear to think of me
this loathesome gargoyle
who burns in hell,
but secretly yearns for heaven
secretly, secretly...
Oh Christine...
Fear can turn to love
you'll learn to see,
to find the man behind the monster...».

Si era promessa che avrebbe rimandato tutto a domani, e ci mette qualche secondo a diventare consapevole del fatto che sta piangendo a calde lacrime, che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nel solo fatto che lei sia lì. Eppure, più le lacrime scendo a rigarle le guance, più Nadia sente il cuore alleggerirsi e le nuvole che le avevano assediato la mente dissiparsi, come per un colpo di vento.
Istintivamente, posa la mano su quella di Mike, che lui aveva lasciato mollemente appoggiata al bracciolo in un modo non proprio casuale. Sente le dita del ragazzo chiudersi con dolcezza attorno alle sue.
Il Fantasma, che era crollato a terra, si rialza e dice alla fanciulla che devono tornare indietro. Loro due spariscono, la scena cambia a segnare la fine della magia.
Non ci sono bei sogni per i mostri.









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Note:
Magie della scrittura e dei personaggi che sanno più cose di quante ne sappia la tizia che tiene in mano la penna: quando avevo cominciato a scrivere il capitolo, avevo scelto il POV di Bruce un po' a caso, giusto perché lui era quello che fino a questo momento aveva avuto meno spazio nella storia, il parallelismo tra lui e Nadia è venuto fuori da solo e confesso che ne vado molto fiera.

Sì, soprassediamo sulla scatola di cioccolatini che Thor porta a Jane su suggerimento di Bruce.

Ok, piccolo tributo alla grande ossess... ehm, al grande amore della mia vita, The Phantom of the Opera di Andrew Lloyd Webber (nel caso l'avatar che uso ovunque sul web non sia abbastanza dimostrativo di questa cosa). E se anche io non avessi un legame particolare con questa opera, non avrei potuto scegliere un musical diverso, perché, anche se le storie e i personaggi sono molto diversi, ci sono davvero dei versi delle canzoni che si prestano moltissimo al parallelismo con Loki.
Quella citata poi è anche quella che dà il titolo alla storia (anche se il significato del titolo è da intendersi in senso molto più ampio e non legato all'episodio della citazione in sé).

Quanto prima risponderò alle recensioni al precedente capitolo, promesso. Intanto colgo l'occasione per ringraziarvi, siete tantissimi a seguire questa storia e siete il miglior stimolo ad andare avanti che una scribacchina possa desiderare. *________*

A venerdì prossimo! ^^

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Capitolo 10
*** The day after - part one ***


Capitolo nono
The day after – part one


«Che ore sono, Jarvis?»
«Le nove e quattordici minuti, signorina. La temperatura esterna è di ventuno gradi, il livello di umidità è...».
Nadia non presta alcuna attenzione alla tiritera meteorologica del robot. Il domani a cui ha cercato di non pensare è lì, a penzolare dalle lancette di un orologio. E lei ha la sensazione di non aver dormito affatto quella notte, forse ha chiuso gli occhi un paio di minuti prima di accorgersi che era già mattina.
Si mette a sedere in mezzo al letto, si stiracchia e calcia via le coperte. Non ci sono allenamenti nella base S.H.I.E.L.D. ad attenderla, Nadia non ha idea di cosa debba aspettarsi da quella giornata e da tutte quelle che verranno. Sa solo che ci sono conti aperti con un passato recente da saldare.
La sua immagine nello specchio le restituisce un viso stanco che porta ancora i segni del trucco che non ha lavato via con abbastanza cura, la notte precedente. Anche la serata del giorno prima fa parte del conto da onorare.
Nadia si getta sotto la doccia e si veste in fretta, cercando vestiti comodi. Pronta a correre, è così che deve essere.
Pronta a correre o a scappare?...
New York si è svegliata sotto un cielo plumbeo quella mattina, un cielo che riflette il suo umore.
Non ha voglia di pensarci. Si concede il lusso di rimandare ancora un po', tanto non c'è molto che possa fare.
Esce dall'appartamento e raggiunge il piano di sopra.
È un po' tardi per la colazione in casa Stark, ma il silenzio che regna nel grande open space è quasi innaturale e per un attimo la ragazza ne è spaventata. Sta giusto pensando se sia il caso di telefonare o di chiedere delucidazioni a Jarvis, quando con la coda dell'occhio scorge Pepper uscire da una stanza, chiudere con cautela la porta scorrevole e attraversare il grande atrio con le scarpe in mano per non fare confusione con i tacchi. La donna si porta un indice alle labbra per dirle di non fare rumore; Nadia le lancia uno sguardo interrogativo.
«Hanno fatto molto tardi, stanotte» dice Pepper in un soffio, chinandosi al suo orecchio. «Sono tornati in taxi e sono saliti per fare delle ricerche, ma non hanno trovato niente. Poi sono crollati addormentati, non me la sono sentita di spostarlo da lì».
La donna indica il divano.
«Spostare chi?» chiede Nadia, sempre sussurrando.
«Il capitano Rogers».
La ragazza trattiene a stento una risata.
«Quelli che scrivono fanfiction slash ne sarebbero deliziati» mormora.
«Che?».
Nadia scuote la testa, come a dire che non è niente di importante, poi si avvicina a passo felpato al divano e lancia un'occhiata a Steve rannicchiato in uno spazio troppo piccolo per la sua gran massa di muscoli. Per quanto in posizione scomoda, però sembra dormire beatamente il sonno dei giusti, sotto il plaid a quadri che Pepper deve avergli steso addosso.
Esistono plaid di lana a quadrettoni persino in casa Stark.
Dovresti trovarti una ragazza, Cap, è un peccato che tutto questo ben di Dio venga sprecato...
«Io vado in ufficio, qualcuno dovrà pur andarci» bisbiglia Pepper con un sospiro.
«Io... immagino che dovrò andare allo S.H.I.E.L.D.». Ad assicurarmi che Clint non abbia cavato un occhio a Loki, o quanto meno che Loki non sia morto dissanguato per l'asportazione del bulbo oculare. Fury non sarebbe ben disposto a prestargli una delle sue bende da pirata.
«Devi raccontarmi tutto di ieri sera» aggiunge la donna, con un'occhiata furba.
La ragazza si chiede che bisogno ci sia di parlarne ancora, di sicuro Tony le avrà spiegato ogni cosa e anche di più. Poi le viene il dubbio che la sua amica non si stia riferendo a quello che è successo nella base S.H.I.E.L.D.
«È andata bene. Molto bene...». Nadia arrossisce. È andata bene, ma non come sperava. Rimpiange quel bacio della buonanotte che non è riuscita a dare, un bacio che sarebbe stato assolutamente meritato. Si è detta che lo ha fatto per una questione di onestà, che Mike non merita di essere tenuto all'oscuro di tutto quello che le sta succedendo, non ora che le cose sembrano essersi posizionate su una rotta che porta un po' più lontano della semplice amicizia, ma alla fine non è solo questo. Il momento era così dannatamente perfetto, una mano nell'altra, davanti al portone... e quando Nadia si è chinata per baciarlo il cervello ha dirottato e le sue labbra sono andate a posarsi sulla guancia del ragazzo. Può trovare tutte le motivazioni logiche che crede, ce ne sono in effetti, ma alla fine si è trattato di un solo secondo in cui è stato l'istinto a decidere.
«Tony come sta?»
«Pfff, devo trovargli qualcosa da far saltare in aria».
Sì, e Nadia ha anche un'idea su cosa, o meglio su chi, potrebbe essere utile allo scopo.
Pepper le dice che deve scappare, ma prima le posa una mano sulla spalla e stringe leggermente, in un gesto d'affetto e incoraggiamento.
Se c'è una cosa in cui tutti loro sono dannatamente bravi, è ricordarle che non è sola.

*

Loki apre gli occhi e di colpo si sente soffocare. Si sente sopraffare dal bianco della stanza, dal silenzio asettico che regna tra quelle pareti, si sente infastidito dall'immobilità in cui è rimasto fino a un secondo prima. Man mano che riemerge dalle nebbie di quel sonno profondo e popolato di orrori, la sensazione di soffocamento aumenta e lui sente il cuore pulsargli nelle tempie.
Si alza di scatto, lanciando via le coperte. È ancora molto indolenzito, le ferite sono in via di guarigione, ma ben lungi dall'essersi sanate.
Nel sonno si è staccata una medicazione dal braccio e ora una grossa macchia color porpora è aperta sul lenzuolo bianco, come un fiore sul marmo di una tomba.
Loki fissa la macchia e secondo dopo secondo diventa consapevole della sensazione che gli attanaglia il petto. Le immagini che hanno turbato i suoi sogni lo inseguono anche ora che è sveglio, lo perseguitano prendendo forma sullo spazio vuoto alle pareti. È stata una notte fatta di incubi, e quel che è peggio, fatta di incubi dai quali non riusciva a svegliarsi, brutti sogni che ha dovuto subire, inerme come per le sevizie di Thanos.
I minuti cominciano a susseguirsi in quel silenzio di piombo. Loki sente tutta la rabbia e la frustrazione formare un grumo dentro di lui, una massa che cresce e acquista peso e manda all'aria ciò che c'è intorno, il suo presupposto di mantenersi sempre lucido e distaccato, anche da se stesso. Quella zavorra di rabbia e sentimenti minaccia di farlo esplodere e lui non sa come frenare quella caduta. Non ha mai saputo come frenare le cadute.
Avverte il grido prendere forma nella gola, reclamare aria.
La porta si apre di colpo e lui sente le mani fremere per la voglia di stringere qualcosa, afferrare, strappare, ferire...
«Ti prego, mangia qualcosa e prendi un'aspirina... o fuma dell'erba, o fatti fare un elettroshock».
Nadia. Nadia e il suo mezzo sorriso impertinente. Anche a lei è dovuta la sua rabbia, è anche colpa sua, della ragazza che per tre mesi lo ha dimenticato, gli ha attribuito colpe che non ha.
Perché è un'umana e gli umani sono gretti e volubili...
Adesso che il dolore gli ha lasciato un po' di tregua, adesso che, tutto sommato, è al sicuro, il suo cuore comincia a fare i conti con tutto quello che ha rimandato, le sensazioni gli arrivano amplificate, come se fossero cresciute all'ombra di quella notte quasi tranquilla.
Quella ragazza ha la presunzione di sapere cosa sia il male, e Loki adesso vorrebbe farglielo conoscere, attraverso le sue mani, attraverso i suoi occhi, attraverso le sue parole.
Eppure non ci riesce. Resta con la sua valanga di rabbia che rotola dentro di lui e si limita a fissare la ragazza corrugando appena le sopracciglia, cercando di capire cosa gli stia dicendo.
«D'accordo, ho una proposta migliore: che ne dici di una doccia?».

*

Nadia scende dal taxi, paga il conducente e spinge le mani nelle tasche della felpa per cercare di scacciare via quella sensazione di freddo umido. Inutile, il freddo le entra sottopelle e ci rimane affondato.
Si è fatta lasciare a una ragionevole distanza dalla base dello S.H.I.E.L.D. e ha da percorrere una lunga strada a piedi.
Le dita tastano il contorno del telefono cellulare sul fondo della tasca. Pensa che deve mandare un messaggio a Mike, o magari telefonargli. Forse per un po' non avrà occasione di tornare alle Stark Industries e deve ammettere che l'idea di non vederlo tanto spesso non le piace granché.
Sospira e accelera il passo. Vuole arrivare il prima possibile, vuole sapere se hanno scoperto qualcosa di nuovo e cosa si sono detti mentre lei non c'era. Ed è preoccupata di Loki, non per Loki: ormai le è chiaro che lui è perfettamente in grado di sopravvivere a qualsiasi cosa, anche a se stesso, ma è preoccupata che si svegli con la luna storta e faccia accadere qualche casino, nel modo che gli è consono. Nadia non vuole che qualcuno si faccia male, non vuole mai più vedere ferite come quelle nelle vie di New York.
Il suo pass le apre la strada verso la sezione in cui è stata la sera prima. A guardarsi attorno, giurerebbe che non è successo niente, ma c'è ancora una fila di uomini armati schierati lungo il corridoio.
La ragazza attraversa lo schieramento di agenti in tenuta da guerriglia e raggiunge la stanza della videosorveglianza. Qualcuno deve aver sostituito la telecamera a cui Natasha aveva sparato, perché ora su uno degli schermi c'è l'immagine del letto su cui Loki sta ancora dormendo.
Davanti allo schermo è seduto Clint, viso stanco e occhi arrossati. Natasha è appoggiata con un fianco al taglio di una scrivania e sta versando bustine di zucchero in due bicchieri di caffè, con la sua consueta grazia da cigno – o da pantera, a seconda dei casi.
«Buongiorno» dice la ragazza, entrando.
Clint biascica un saluto con la voce impastata e si stropiccia la faccia.
«C'è qualche novità per cui devo strapparmi i capelli?» domanda lei.
Natasha mescola lo zucchero e il caffè con un bastoncino di plastica.
«Sei tu quella che ieri sera aveva un appuntamento» le dice, ammiccando.
Lei sorride, scuote la testa e alza gli occhi al cielo,
«Sono ancora single, se Fury vuole chiedere la mia mano» replica con una smorfia. «Clint, sei rimasto tutta la notte qui a... a guardare Loki dormire? Molto romantico. Davvero non avevi niente di meglio da fare?».
Lo sguardo di Nadia si posa automaticamente su Natasha, che alza appena un attimo un sopracciglio, in un gesto a malapena percettibile. La ragazza ancora non ha capito quale sia la condizione di quei due, prima o poi riuscirà a fare una chiacchierata da donna a donna con la famigerata Vedova Nera.
«E' il mio lavoro» borbotta l'agente Barton. «Forse avresti preferito farlo tu».
«Molto divertente».
Nadia e Clint si fissano con un'aria scherzosamente astiosa. Natasha porge il bicchiere di caffè al suo collega e lui quasi se lo fa scappare di mano quando rileva un movimento sullo schermo. Loki si è svegliato, si è alzato quasi di scatto e si è messo a sedere in mezzo al letto.
E non ha una bella cera. Anche se lo spettacolo, nel suo complesso non è proprio da buttare via. Dovrebbero smettere di dire che è gracilino.
«La buona notizia, se così vogliamo chiamarla, è che Fury ha detto che puoi giocare con lui, solo in ambienti controllati, ovviamente» annuncia Clint, sbadigliando. «Del resto sta per rimpiazzarci come tuo personal trainer e tu dovrai averci a che fare più di quanto ci piaccia»
«Stark però ancora non se n'è fatto una ragione» aggiunge Natasha.
Nemmeno io ancora me se sono fatta una ragione...
Nadia fa un lungo sospiro, poi guarda i due agenti S.H.I.E.L.D. e sorride, come a voler dare a intendere che è tutto a posto. E non è del tutto una bugia.
Esce dalla sala della videosorveglianza e raggiunge la stanza di Loki. Forse dovrebbe bussare, ma considerando che ha passato la notte sotto ad una telecamera e che sono in una base S.H.I.E.L.D. il concetto di privacy è parecchio labile.
Sente la voce di Clint nelle ricetrasmittenti degli uomini armati. L'ordine è quello di intervenire alla minima anomalia, al minimo segno sospetto. Come se lui potesse sgozzarla e ridipingere le pareti bianche dell'infermeria con il suo sangue.
Tranquilli, ragazzi. Anche per oggi non tirerò le cuoia.
Apre la porta più bruscamente di quanto vorrebbe. Loki solleva la testa di scatto e la fissa come se fosse pronto a saltarle alla gola, per un attimo non sembra nemmeno accorgersi che è lei.
È arrabbiato. Tanto per cambiare, solo che adesso la faccenda sembra più profonda, sembra che il colpo sia stato più forte e che sarà difficile ricucire lo strappo. Ed è anche colpa sua, Nadia lo sa, vorrebbe dirlo, ma non servirebbe a nulla se non ad irritarlo ulteriormente.
«Ti prego, mangia qualcosa e prendi un'aspirina... o fuma dell'erba, o fatti fare un elettroshock» esclama lei. Non che Loki sia particolarmente sensibile all'ironia, ma da qualche parte devono pur cominciare... o meglio, ricominciare.
Lui la guarda come se fosse distante anni luce da lì e facesse fatica a mettere a fuoco.
Nadia si avvicina a passi cauti, come se temesse davvero che lui potesse alzarsi e scattare contro di lei. Non pensa che lui possa farle davvero del male, ma Loki non ama l'invadenza, le costrizioni. Se dovesse mostrarsi anche solo appena contrariato, lei è pronta a girare sui tacchi e andarsene.
Ma lui assume un'espressione più umana, quasi tranquilla o forse rassegnata.
«D'accordo, ho una proposta migliore: che ne dici di una doccia?» incalza lei.
Sarebbe comunque un ottimo punto di partenza quello di restituirgli un aspetto normale.
«In effetti, è una delle cose più sensate che ho udito da quando sono tornato sul vostro pianeta» risponde lui, dopo qualche istante di silenzio. «Ma rivoglio indietro i miei vestiti».
«Credo che non ci sia problem... che cosa?...».
Loki si alza e sembra del tutto incurante del fatto di non averli, i vesti, adesso. È un patchwork di cerotti e bendaggi, ma non ha niente addosso. Certo, loro altre divinità devono essere del tutto superiori alla cosa, ma Nadia non può fare a meno di voltarsi dall'altra parte e di lanciare uno sguardo bieco alla telecamera, immaginando Clint sull'orlo di una crisi di nervi e Natasha in preda alle risate isteriche.
«Mi prendi in giro? Copriti» borbotta la ragazza.
«Così impressionabile?»
«Così barbaro?».
Alle spalle di Nadia, Loki si avvicina al letto e prende il lenzuolo che si drappeggia attorno ai fianchi. Lei si sente di nuovo capace di respirare come un normale essere umano.
«D'accordo, così va meglio. Quello è il bagno» dice, indicando una porta sul fondo della stanza. «Se ti stai chiedendo se sono disposta a insaponarti la schiena la risposta è no, solo quando ti riuscirà di conquistare il mio pianeta e sarai nella posizione di darmi ordini».
Loki la guarda, inarcando un sopracciglio con quella sua espressione enigmatica,
«Non è detto che un giorno non riesca in questa impresa» le mormora.
«Per allora probabilmente sarò morta»
«Sarebbe meglio forse: ho tanti di quegli affronti da farti pagare e tante idee su come farlo che la morte sarebbe un'alternativa assai preferibile»
«Sì, ti voglio bene anche io».
Restano a fissarsi per qualche secondo, poi Loki si volta e trascina la sua aria altezzosa, i suoi ematomi e i suoi dannati occhi azzurri oltre la porta del bagno.
«Ho visto quindicenni flirtare con più trasporto». La voce dell'agente Barton arriva sarcastica dagli altoparlanti.
«Vaffanculo, pennuto!» borbotta Nadia. Però le viene da ridere: se sono ancora nello stadio in cui possono permettersi qualche battuta, allora la situazione non è così grave o inaccettabile – certo, ride bene chi ride... con Stark. E Nadia non ha ancora affrontato Tony, e non ha nessuna voglia di farlo.    
Dopo qualche minuto, arriva un agente a portare i vestiti di Loki, che erano stati provvidenzialmente messi da parte e fatti lavare a secco. La cosa le sembra fin troppo riguardosa, considerando il modo in cui tutti hanno cominciato a dare di matto per il suo ritorno, ma Fury ha in mente qualcosa, altrimenti non le avrebbe permesso di avvicinarsi a lui, dev'esserci qualcosa che le sfugge, o forse il direttore dello S.H.I.E.L.D, che per essere orbo ha la vista assai lunga, ha pensato ai fatti di Venezia, che di sicuro conosce in ogni minimo dettaglio e ha deciso di dare una possibilità a Loki, o qualcosa di simile. Su una cosa devono tutti convenire: il dio ha bisogno di restare lì, e non farà niente che induca i suoi ospiti a mandarlo via.
Loki esce dal bagno, gocciolando acqua sul pavimento. Ha avuto la buona grazia di legarsi un asciugamano in vita e ora che Nadia può guardarlo da vicino, riesce a vedere tutte le sue ferite spiccare sulla pelle bianca, cerchiate da vasti ematomi giallastri. Le fa male il solo guardarlo, ma si costringe a non distogliere lo sguardo, perché è anche per lei che Loki ha subito tutte quelle atrocità. Gli si avvicina e gli posa una mano sulla sua. Vorrebbe abbracciarlo, vorrebbe dirgli qualcosa di rilevante, ma non ci riesce, sa che qualsiasi gesto, qualsiasi parola, lo farebbe solo infuriare.
Loki resta fermo una manciata di secondi, come se stesse assorbendo il calore del suo tocco o come se stesse ponderando se spingerla via da sé. Alla fine si limita a guardarla e a dirle qualcosa in tono incolore.
«Devi darmi una mano».
Lei annuisce, meccanicamente. Loki si avvicina al carrello per le medicazioni, cerca tra le scatole di plastica che odorano di disinfettante, alla fine tira fuori un paio di forbici.
«Tu, il Nemico Pubblico numero uno e un oggetto contundente in una stanza?» borbotta la voce di Clint negli altoparlanti. «Neanche se fossi ubriaco, Nadia!».
Loki appoggia le forbici sul piano del carrello con un gesto stizzito,
«Cosa credi che potrei fare con queste lame? Tagliarle la gola e usare il sangue per ridipingere le pareti?» sbotta. Lei ci aveva pensato, in effetti.
«Ti ho visto fare di peggio a mani nude» replica l'agente Barton.
Il dio degli inganni scuote la testa e afferra di nuovo le forbici, consegnandole a Nadia.
«Deve usarle lei, non io» precisa, spazientito.
«Userò la tua testa come faretra, maledetto rifiuto dello spazio»
«Prima devi riuscire a staccarmela, canarino».
Nadia strabuzza gli occhi e sospira,
«Ho visto quindicenni flirtare con più trasporto. Ora possiamo abbassare il livello di testosterone prima che mi spuntino i baffi?» esclama e attende qualche secondo che i due abbiano smesso di provocarsi a vicenda. «Cosa devo fare con queste forbici?»
«Tagliali».
Nadia guarda i capelli di Loki, che gocciolano ancora bagnati sulle sue spalle, una massa di lunghe ciocche corvine come l'ala di un corvo, più lunghi e ammassati di come li ricordava.
«D'accordo, se proprio vuoi...» risponde titubante, mentre il dio si siede su una sedia.

*

Sente le dita passargli tra i capelli; ha un vago ricordo dell'odore dell'erba nel giardino del palazzo, della sua testa appoggiata sul grembo della regina che gli accarezzava piano le ciocche corvine che gli ricadevano sulla fronte.
Sbatte le palpebre, allontana quel frammento di ricordo quasi con disgusto. O forse con paura. Serra nervosamente la mascella, chiedendosi se quel lungo periodo di prigionia non abbia finito per tramutarlo in un debole. Il solo pensiero basta a rendergli più precipitoso il respiro, a fargli accelerare il battito.
La valanga di rabbia nel suo petto adesso è una massa di buio contornata di spine. Loki la contempla con gli occhi della mente, come se fosse il capolavoro di un artista, la confortante conferma di qualcosa destinato ad essere eterno, immutabile e senza fine. Sente un sorriso affiorare sulle sue labbra: finché può contare su quella rabbia non sarà mai debole. Non importa se ora si sente così fuori posto, smarrito e privo di una direzione da seguire. Deve solo aspettare che il suo corpo si riprenda, deve solo aspettare di essere di nuovo in forze e poi potrà tornare a tessere le fila della sua ragnatela che il destino gli ha così brutalmente strappato via per l'ennesima volta. Potrà tessere ragnatele e attendere che chi di dovere vi rimanga impigliato.
Sente le ciocche di capelli che Nadia sta tagliando scivolargli sulla schiena e cadere a terra. Si sente più leggero ad ogni colpo delle forbici.
Può chiudere gli occhi e concedersi il lusso di non pensare. Di non pensare al luogo in cui si trova e al perché. Di non pensare alla necessità bruciante di cambiare lo stato delle cose.
Può chiudere gli occhi e godersi la sensazione di quelle dita tra i capelli, come una sorta di piccolo premio, come il silenzio ristabilito dopo un'esplosione. Farà i conti in seguito con le macerie di ciò che resta.   
«Finito» annuncia la ragazza. «Almeno, mi sembra che sia... non so, un po' meglio».
Loki resta ad occhi chiusi, inclinando appena la testa all'indietro e posandola per un secondo contro il petto di Nadia in piedi alle sue spalle.
«Peggio non può essere» le dice con voce atona, poi riapre gli occhi, si alza e si volta a guardare la sua giovane interlocutrice. Gli occhi di Nadia sono pieni di domande: il suo miglior pregio e il suo peggior difetto.
«Devo prenderlo come un buon segno?» chiede lei con sarcasmo. «Da queste parti i cambi radicali di taglio di capelli sono sintomo di cambiamenti interiori o cose del genere»
«Il cambiamento non è per quelli come me»
«Per i latitanti interspaziali, intendi?»
«Per gli dei»
«Oh, giusto. Il fatto che tu possa sanguinare mi porta a dimenticare la tua natura divina» replica la ragazza, pungente.
Il dio sposta lo sguardo sugli abiti che gli hanno reso e poi sul luccichio rosso accanto all'obiettivo della telecamera. Sorride, malevolo e si china su Nadia, prendendole il polso e dandole un piccolo strattone per farla avvicinare a sé. Lei, presa alla sprovvista, urta contro il suo petto. È più bassa di lui, le sue labbra le arrivano giusto ad altezza dell'orecchio.
«Prigioniera anche tu, mi par di capire» le sussurra.
«Non riuscirai a mettermi contro di loro, Loki» risponde Nadia, con l'espressione della guerriera pronta al combattimento; alza il braccio mostrando la pietra incastonata in quello sciocco ninnolo d'argento. «Resta pur sempre tutta colpa tua»
«Ti conviene essere così scontrosa con me? Sono la tua unica speranza»
«E io la tua» replica la ragazza, lanciando uno sguardo eloquente alla pietra. «Per quanto ne so, lo sono sempre stata»
«Per quanto ne sai, appunto».
Sta facendo ciò che gli riesce meglio: mentire, giocare con le parole. E forse nemmeno del tutto, non è mai stata lei la sua speranza, lo è stata la pietra. Ma lo sguardo sicuro di Nadia vacilla per un attimo e tanto gli basta per sentirsi di nuovo soddisfatto di se stesso e per sorriderle con cupo sarcasmo, tanto da farla quasi tremare.
Allenta la presa sul suo polso e lei si stacca da lui, indietreggiando bruscamente. Quella piccola umana nemmeno sa quanto è fortunata, quanto forte l'onore gli rombi nel sangue da persuaderlo a non abbandonarla al suo destino, anche se lui continua a rimpiangere di non averne avuto la forza quando era il momento, anche se una parte di sé continua a odiarla per questo. La odia perché non gli è permesso detestarla davvero, la odia perché non è una nemica e non si sente libero di trattarla come tale. Lui odia ogni tipo di costrizione e ciò che la sua anima gli impone di provare per quella ragazza è una catena ancora più vincolante delle pareti della prigione in cui è rimasto tanto a lungo.
«Loki...». Nadia pronuncia il suo nome con voce allarmata, costringendolo a riemergere dai suoi pensieri e riportandolo alla realtà, al bianco di quella stanza, a loro due che si fronteggiano come se fossero incapaci di decidere se essere avversari o una coppia di danzatori. In uno scampolo di raziocinio, Loki pensa semplicemente che dovrà imparare a fare i conti anche con questo, che è solo temporaneo, che non importa...
Pensa, sta per dire qualcosa, ma poi si sente sbalzare per aria. Così preso dalle sue riflessioni non aveva sentito l'onda di energia salire.
Urta contro il muro con violenza, attraversando la stanza e urtando contro il letto che finisce per capovolgersi sul pavimento. L'impatto fa riaprire alcune ferite e lui si lascia scappare un singulto di dolore.
Strizza le palpebre per mettere a fuoco con la vista annebbiata e il suono della botta che ancora gli echeggia nella testa. Stordito, prova a rialzarsi e scopre che è un'impresa assai più dolorosa di quanto avrebbe detto.
«Ehi, va tutto bene?». Quando Loki sente la voce dell'agente Barton porre la domanda in tono tanto dolce e accorato pensa che la botta deve avergli fatto ancora più male di quanto credeva, ci impiega qualche secondo per accorgersi che il Falco non sta parlando con lui, che nemmeno lo vede.
Barton è accanto a Nadia, le tiene le mani sulle spalle, le solleva il mento con l'indice per costringerla a guardarlo in viso. Inutile, gli occhi della ragazza sono pieni di lacrime, troppo sconcertati e ricolmi di vergogna perché la sua mente possa davvero pensare di guardare il volto di un amico.
Nadia guarda lui, guarda Loki a terra, oltre la spalla dell'agente dello S.H.I.E.L.D, scuote la testa e poi si volta di scatto, correndo a grandi passi fuori dalla stanza.
Quanta rabbia repressa doveva esserci nel cuore della piccola umana per permetterle di fare una cosa del genere! E se è stata la rabbia a far attivare l'energia della pietra allora vuol dire che sono l'emozioni a dominarne il potere, allora...
Con estrema fatica, Loki riesce a puntellarsi sulle mani e a mettersi seduto con la schiena contro il muro.
Ora nella stanza ci sono solo lui e la Romanoff – Barton si è lanciato all'inseguimento di Nadia.
«Tutto questo è...» farfuglia la donna rossa, con la voce incrinata per il nervosismo.
«Interessante, agente Romanoff. Estremamente interessante».










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Note:

Volevo un attimo cominciare a smaltire tutto il delirio dei capitoli precedenti. E volevo che Loki si tagliasse i capelli, perché i suoi capelli in The Avengers mi fanno star male e pensavo a quanto sarebbe stato meglio se fosse tornato alla “Thro-version”... ma questo è un problema mio, diciamo che alla fine volevo un pretesto per un minimo di intimità tra lui e Nadia.

Quando comincio a sbroccare troppo (e andare OOC e sembrare sotto l'effetto di qualche acido) ditemelo. Meglio prima che poi. Così almeno mi fermo. 

Per curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo ^^

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Capitolo 11
*** The day after - part two ***


Capitolo decimo
The day after – part two


È una cosa infantile, ma quando ha aperto gli occhi ed è riemerso pian piano dalle accoglienti nebbie del sonno, per un attimo, Tony Stark ha davvero sperato che i fatti del giorno prima fossero stati solo un incubo.
A lui piacciono così tanto le cose infantili! Quello che non gli piace è il doversi trovare puntualmente a fare i conti con una realtà che ti prende per le orecchie e ti trascina giù dal letto, non importa con quanta abilità retorica lui possa imbastire scuse e proporre che lo si lasci dormire altri cinque minuti, la realtà ti prende per il colletto del pigiama e ti scaraventa fuori dalle coperte e ti rende consapevole di quanto sia freddo e duro il pavimento.  
Per poco non ci è caduto davvero, contro il pavimento, inciampando nei pantaloni che si era tolto distrattamente la sera prima e che aveva lasciato ai piedi del comodino.
«Buongiorno, signore. Non le chiederò se ha dormito bene» dice Jarvis.
«Non dovresti nemmeno definire il giorno buono, allora» borbotta lui, stropicciandosi il viso. «Chi abbiamo in squadra stamattina?»
«La signorina Potts è andata in ufficio, signore. Il capitano Rogers è sul divano»
«Ti prego, dimmi che non si sta masturbando con le riviste vintage di Pepper...»
«No, signore. Sta dormendo»
«E Nadia? No, non dirmelo: è allo S.H.I.E.L.D.»
«Molto perspicace, signore».
Tony si getta all'indietro sul materasso e tenta di infilarsi i pantaloni da sdraiato.
Dunque in casa ci sono solo lui e la controfigura del Grillo Parlante. No, decisamente quel giorno non sembra avere niente di buono.
Lancia un'occhiata fuori dalle finestre; pioviggina e si sente qualche tuono in lontananza. Forse anche Boccoli d'oro ha il sonno agitato.
L'uomo si trascina a piedi scalzi verso la cucina, soffermandosi per un secondo a guardare Steve Rogers ancora beatamente immerso nel mondo dei sogni – beato lui. Forse è il siero del supersoldato a farlo dormire quando deve dormire, come se avesse un timer nel cervello, forse è perché è un ottantenne e come tutti gli anziani ha l'orologio biologico parecchio regolare.
Che poi, sono le dieci passate, quanto ancora gli serve per recuperare le ore di sonno arretrate?
Che poi, a lui cosa importa se Rogers dorme o no? Quando si sveglierà se ne uscirà con una salmodia su quello che c'è da fare e su come il mondo sia andato peggiorando negli ultimi quarant'anni e poi concluderà con qualche frase molto incoraggiante, da spot pubblicitario di una compagnia assicurativa.
No, non gli importa che il soldatino si svegli, però se fosse sveglio lui almeno potrebbe... parlare con qualcuno che non sia il suo maggiordomo invisibile o che non sia se stesso. Se stesso è un tipo molto stancante alle volte, specie come interlocutore, deve riconoscerlo.
Certo che se ha tanta voglia di parlare con Rogers dopo la giornata di ieri, deve star messo proprio uno schifo. Piuttosto, adesso prenderà il telefono, chiamerà Fury o Barton e si farà dire se ci sono novità, di certo il dannato piccolo cervo ha tentato di far saltare in aria la base S.H.I.E.L.D, oppure ha provato a concupire la Hill per portarla dalla sua parte, oppure ha versato dalla candeggina nei tubi del distributore automatico del caffè...
«Jarvis, da uno a dieci quanto pensi che io sia paranoico?» domanda, dirigendosi verso il bancone da bar sul fondo dell'open space.
«Vuole che esprima una valutazione facendo una media aritmetica dei giudizi che potrebbero esserle attribuiti rispetto alla variabile che mi ha proposto?» trilla il robot, e sembra quasi in imbarazzo.
«No, lascia stare. Pensavo ad alta voce».
Tony si alza sulle punte per spiare in direzione del divano. Rogers non dà segno di volersi svegliare, come se non avesse sentito né la sua voce né quella di Jarvis. Ma siamo sicuri che è vivo?
Il padrone di casa sbuffa, e si volta verso le bottiglie sulla mensola. Ne sceglie una di whisky irlandese invecchiato di dieci anni, fatta arrivare espressamente dall'Europa.
Si versa quattro dita di liquore in un bicchiere e posa la bottiglia battendola con poca delicatezza contro il piano di marmo del bancone.
Rogers sembra dare segni di vita. Mormora una mezza frase senza senso e apre gli occhi, scostandosi di dosso il plaid a quadri – Dio, c'è un plaid di lana a quadrettoni a casa sua?!
Tony guarda fuori dalla finestra con aria indolente e comincia a sorseggiare il suo whisky.
«Non dovresti bere di prima mattina» borbotta Rogers. Giustappunto.
«Non è prima mattina, sono le dieci passate, Capitan Analcolico».
Steve ha un sussulto, getta via il plaid e scatta mettendosi a sedere sul divano con occhi sgranati.
«Santo cielo! Cosa è successo?» esclama.
«Si chiama riposo» suggerisce Tony mellifluo. «Mai fatto prima?».
«Dannazione, Stark! Sii serio. È mattino inoltrato e noi abbiamo delle cose da fare. E resta il fatto che tu non dovresti bere a quest'ora, hai almeno mangiato qualcosa?».
Il padrone di casa strabuzza gli occhi, chiedendosi perché non lo ha lasciato dormire per altre nove o dieci ore.
«Rilassati, nonno. Non è successo niente, il mondo è ancora qui, come puoi vedere. Fury non ha dato segni di vita, il che vuol dire o che il cerbiatto bastardo ha fatto un massacro o che non ci sono novità da comunicare»
«E comunque, tu non dovresti bere a quest'ora» ripete stolidamente Rogers.
«Vuoi un bicchiere di latte e orzo? Dovrebbe esserci del decaffeinato da qualche parte»
«Stark...»
«Non dovrei bere, sì l'hai già detto. Cos'è, Alzheimer?».
Steve lo fissa crucciato, con quell'aria che rimanda alla memoria la gloriosa giornata sull'Eliveivolo, quando si sarebbero volentieri spaccati la testa a vicenda. Non è che abbiano poi fatto molti passi in avanti su quel fronte, in effetti.    
«Ti prego, non cominciare con l'elenco di cose che non dovrei fare. Se non l'hai notato, sono di cattivo umore» aggiunge Tony sbuffando e mandando giù un generoso sorso di liquore.
«Allora ti dirò una cosa che secondo me dovresti fare»
«Non sto più nella pelle dalla voglia di ascoltarti, Gandalf»
«Dovresti lasciare un po' di respiro alla ragazza».
Eccolo che ricomincia. La sera prima, mentre tornavano verso la Stark Tower, Tony si è malauguratamente lasciato scappare che era stato lui a organizzare l'appuntamento tra Nadia e Mike. Rogers ha tirato fuori un discorso che sembrava un estrapolato della Convenzione di Ginevra.
«Tu c'eri quando è tornato il tristo mietitore, lo hai visto anche tu Loki-l'undicesima piaga d'Egitto, vero? Ti sembra il momento di lasciar correre?» esclama Tony
«Ti preoccupa così tanto?» lo rimbecca Rogers.
«Siamo sicuri che il tuo metabolismo ti impedisca di ubriacarti? Perché stai parlando come uno fatto di acidi. Sì, santi numi, mi preoccupa. Mi preoccupa Loki, mi preoccupa la pietra, mi preoccupa tutto»
«Loki non è una minaccia se non è nostro nemico, lo hai visto a Venezia»
«A Venezia aveva bisogno che gli salvassimo il culo!»
«Ne ha bisogno anche adesso».
Tony sente una voglia irrefrenabile di cominciare a dare testate contro lo spigolo di marmo del bancone.
«E quindi per te va bene sapere che il rocchettaro sfigato è innocuo solo se gli serve qualcosa?» domanda, esasperato.
«Sì, mi sta bene. Cerco di essere pratico, Loki non è una minaccia adesso. Probabilmente, quando tutto questo sarà finito, lui scomparirà di nuovo e Nadia ci starà male, ma non possiamo fare niente per evitarlo» spiega Rogers, in tono paziente. «Ma rifletti: se continuassimo ad avere questo atteggiamento di ostracismo non faremmo che farle ancora più male, probabilmente finiremo per mettercela contro e a quel punto sì che non potremmo più aiutarla»
«Mettercela contro, non dire sciocchezze lei mi... ci ama, siamo i suoi fratelloni putativi o qualcosa del genere».
Nello sguardo di Rogers si accende un barlume di furba consapevolezza che non gli si addice, eppure Tony sa di aver detto qualcosa per la quale può essere colto in fallo. Colto in fallo da Steve Rogers, ora sì che la giornata è definitivamente andata a puttane!
«Dunque è questo il problema? Sei geloso? Pensi che lei possa tenere più a lui che a te? Sei proprio incredibile, Tony Stark! Sono stato uno sciocco a credere che il tuo narcisismo avesse dei limiti, che ci fosse un minimo di buon senso in quella tua testa boriosa». C'è una freddezza disturbante nel tono del soldatino, reminiscenza dei quarant'anni in ibernazione, magari.
Non è questo il punto. Certo, sarebbe veramente mortificante se qualcuno come Nadia tenesse più a un supercriminale intergalattico che a lui... a loro, a tutti loro. Ma non è questo il fottutissimo punto! È che lui ha promesso di aiutarla, di proteggerla e che tutto sarebbe andato bene. Si sente responsabile, e soprattutto si sente in debito con lei, e a volte per proteggere qualcuno lo si deve proteggere anche da se stesso.
Però, mentre Rogers recupera la sua giacca di pelle e si volta sdegnato dirigendosi verso l'uscita, Tony non può fare a meno di impiegare una qualche frazione di secondo a rivalutare quanto gli ha detto. Loki non è una minaccia perché ha bisogno del loro asilo politico e, per quanto la sua mente si ribelli al pensiero, c'è un'evidenza illogica ma grande come una casa che grida a gran voce che no, non farebbe mai del male a Nadia – se persino Fury è giunto a questa conclusione, tanto da permettere alla ragazza di avvicinarsi a Bambi. E in fondo, molto in fondo, Tony sta quasi cominciando a pensare che Steve non abbia tutti i torti nel sostenere che un atteggiamento così restrittivo potrebbe creare qualche problema nel loro rapporto e... ah, al diavolo, non si metterà a gridargli che ha ragione per provare a trattenerlo e per togliergli dalla faccia quell'espressione di rimprovero. Dopotutto non è nel suo stile.
Rogers ha quasi imboccato l'ascensore quando la voce di Jarvis rompe il silenzio pesante che è calato nella stanza.
«C'è l'agente Barton in linea, signore».
Il soldatino si volta, con gli occhi sgranati e le orecchie ritte ad ascoltare. Magari ci sono novità, magari sta arrivando la fine del mondo, magari...
«Stark, Nadia è tornata alla Stark Tower?!» esclama il Falco, sembra piuttosto provato.
Tony e Steve si scambiano uno sguardo allarmato.
«No. Perché? È successo qualcosa?» domanda il padrone di casa.
«Sì, ha avuto un altro scoppio di energia mentre parlava con Loki. Lo ha scaraventato dall'altro lato della stanza e per un secondo io e Nat avremmo giurato che l'avesse fatto fuori... poi è scappata e non sono riuscita a fermarla. Non so dove sia...»
«Stai scherzando?» sbotta Robers. «Che vuol dire che non sapete dove sia?»
«Mi stai dicendo che due dei migliori agenti di Nick Fury non sono riusciti a rincorrere una ventiseienne nemmeno troppo in forze? Dimmi che eri fuori fase perché tu e la Romanoff avete fatto sesso selvaggio nel locale caldaia tutta la notte, ti supplico...»
«Vado  a cercarla!». Il soldatino parte in quarta verso l'ascensore, ma Tony lo ferma con un cenno.
«Sempre tutto io devo fare» borbotta. «Jarvis, rintraccia il segnale del cellulare di Nadia, subito».
«È alle Stark Industries, signore» annuncia il robot dopo qualche secondo.
Rogers fa un mezzo sospiro di sollievo e si batte una mano sul viso. Anche Barton sospira nel telefono.
«Chiama la signorina Potts sull'altra linea» ordina Tony. Dopo qualche squillo la voce di Pepper suona negli altoparlanti.
«Nadia è lì, l'hai vista?» domanda subito lui.
«Sì, è arrivata qualche minuto fa in taxi. Ora è con Mike, ho pensato di trovare una scusa per dare la mattinata libera al ragazzo» dice Pepper, tranquilla e ignara dello spavento che tutti loro si sono presi pochi minuti prima.
«Bene. È per questo che ti amo!»
«Devo farla venire a telefono?»
«No, per amor del cielo. Dagli pure la chiave della mia sala ristoro personale se serve, quella con il materasso ad acqua, hai presente?».
Rogers strabuzza gli occhi e guarda Tony con un'aria a metà tra lo scandalizzato e l'esasperato.
«Tutto è bene quel che finisce bene» dice il padrone di casa dopo aver interrotto la comunicazione con Pepper. «E, Barton, non diremo niente a papà Fury di questo piccolo incidente, ma la prossima volta... sparatele a una gamba, piuttosto. Capitan Medioevo è troppo vecchio per poter reggere questo genere di colpi».  

*

La vista è offuscata e i contorni delle figure sfocano, si sdoppiano come se le immagini tremassero.
Quell'enorme anticamera nel palazzo di Asgard gli sembra un riflesso su uno specchio d'acqua mosso dal vento e Thor sente uno strano senso di vertigine mentre cerca di prendere confidenza con quello che ha attorno.
Non è sua abitudine viaggiare in quel modo, attraverso i sogni, quelle vie sono più consone a Loki e talvolta a suo padre. Infatti è Odino che lo ha chiamato lì, prelevandolo dal suo sonno e trasportando la sua mente ad Asgard.
Thor prova a scendere i gradini, ma vacilla, distratto dal suo riflesso tremulo contro un pannello dorato alla parete.
«Sarebbe molto imbarazzante se tu cadessi» osserva Fandral, spuntando da dietro a una colonna.
«Di sicuro udiremmo il rimbombo in tutto il palazzo» gli fa eco Sif, avvicinandosi al dio del tuono per sorreggerlo.
Thor si accorge di avere indosso la sua armatura e sente il mantello ondeggiare contro la schiena. Rimpiange il tepore del letto e il calore del corpo di Jane accanto al suo.  
«Cos'è questa fretta? Perché il Padre degli dei ha reclamato la mia presenza?».
La fanciulla guerriera e i suoi tre compagni si scambiano un'occhiata.
«Non lo sappiamo» ammette lei. «Ma sembra vogliano discutere con te un'importante questione che riguarda... beh, puoi facilmente dedurlo da solo».
Loki, naturalmente. Sif e gli altri non riescono nemmeno a pronunciare il suo nome, ma forse è un bene che lui sia lì, prima si risolve quella faccenda e prima lui ritroverà la pace. E forse riuscirà a stare con Jane, in qualche modo, e forse anche i suoi amici riprenderanno le loro vite.
In ogni caso, ha promesso al comandante Fury che avrebbe trovato una soluzione definitiva per Loki questa volta – e non ha ritenuto opportuno specificare che auspicava la meno drammatica delle soluzioni possibili.
Lo ama come un fratello, ancora. Non ha mai davvero pensato a trovare un rimedio a questo, non sa se ne esiste uno. E se anche esistesse, non è sicuro di volerlo sperimentare.
I suoi compagni lo pilotano verso una stanza attigua alla sala del trono, dove il re di Asgard è solito dare udienza ai suoi consiglieri.
Adesso nella stanza ci sono solo Odino e sua moglie. Thor sente l'aria pesare, come se si condensasse nella sua gola e faticasse ad arrivare ai polmoni, perché non è solo aria, è un silenzio carico di aspettative e pieno di timori, è un vento che porta odore di brutte notizie, altrimenti suo padre non lo avrebbe portato lì così all'improvviso.
A Thor non sfugge la tensione nello sguardo di sua madre e il dio si ritrova a deglutire.
«Dunque, cosa è accaduto?» chiede il principe di Asgard.
«Siedi, figlio» mormora Odino, indicando una sedia vuota attorno al tavolo. Thor ignora l'invito, troppo nervoso per pensare di sedersi. «Il tuo posto in questo frangente è su Midgard, con i tuoi compagni e con la donna che ami, tuttavia c'è una questione sulla quale voglio ascoltare il tuo parere...»
«Loki non è una minaccia al momento» interviene precipitosamente il dio del tuono, «E, ti prego, padre, non chiedermi di ricondurlo qui. La sua presenza è necessaria alla salvezza della ragazza e con la Terra nuovamente minacciata potrebbe rivelarsi importante il suo contributo».
Che sta dicendo? Il contributo di Loki o quello di Nadia?
«Thor, l'arte della retorica si addice di più a quel figlio che ho perduto e pianto, ma non ti ho convocato per chiederti di portare indietro Loki».
Il dio ammutolisce, abbassando lo sguardo. Non si sente ancora a suo agio ad essere giunto lì viaggiando attraverso il sogno, ha quasi la sensazione di non appartenere davvero a quel posto, la sua mente lavora con esasperante lentezza. E l'ansia per gli argomenti in discussione non fa che acuire il disagio.
«Lui come sta?» domanda Frigga, appoggiando le mani sul piano del tavolo, forse per nascondere il fatto che stanno tremando. «A parte le ferite riportate, cosa hai scorto nei suoi occhi?».
La risposta più adatta e sincera sarebbe: rabbia e dolore, come sempre.
«Nulla di nuovo, madre».
La regina ha un fremito. Il ricordo della sera in cui Thor ha riportato Loki a palazzo è vivido nelle loro menti; l'immagine di un uomo sconfitto, di un giovane spezzato, con i polsi ammanettati e con un bavaglio rigido a coprirgli la bocca è una spina avvelenata piantata nel cuore di tutti loro.
Era stato come un funerale. Mentre Loki percorreva i corridoi, accerchiato dalle guardie, coloro che un tempo erano stati la sua famiglia lo avevano seguito con lo sguardo, come si osserva un feretro, nella più cupa e muta immobilità.
«E della fanciulla che porta la pietra, cosa mi dici?» domanda Odino, spezzando il silenzio che è improvvisamente calato sulla sala.
«Nadia». Thor sente l'urgenza di pronunciare il suo nome, di rammentarlo, come se ci fosse bisogno di ribadire che la sua giovane amica non è solo un minuscolo puntino lontano, divenuto casualmente parte di quel tragico disegno. «Lei sta bene, resiste. Ha resistito tutto questo tempo con la tenacia che le è propria».
«Ci hai parlato a lungo di lei» interviene Frigga, l'ombra di un sorriso passa rapida nei suoi occhi, disegnando il profilo vago di una speranza come un fuoco che cova sotto la cenere. «Ci avevi detto di quanto affetto fosse riuscita a provare per Loki, nonostante tutto. Ebbene, le sta ancora a cuore la sua sorte?».
Il dio del tuono non è bravo con le parole, è vero, ma capisce quando vengono usate per uno scopo preciso. Sa che quella domanda vuole significare più di quanto sembra e che la sua risposta avrà più peso di quanto egli stesso riesce a comprendere.
«Gli uomini e le donne di Midgard – soprattutto le donne – non dimenticano tanto facilmente. Nadia ha sofferto a causa di Loki, eppure non riesco a credere che questo abbia spento ciò che è stato acceso nel suo cuore» risponde Thor, solenne.
Non ha alcuna dimostrazione a sostegno di quanto ha detto, non ha avuto ancora occasione di parlare con Nadia, ha fatto appena in tempo a scambiare un abbraccio con la ragazza, eppure non riesce a dubitare delle sue parole, non trova un solo motivo per credere che lei abbia smesso di tenere a Loki.
«E tu pensi che lei lo vorrebbe accanto a sé?» chiede ancora la regina.
Thor sgrana gli occhi. La domanda lo coglie del tutto alla sprovvista e gli sembra assolutamente priva di senso.
«Come?... Cosa mi state chiedendo esattamente?».
Odino sospira stancamente, dà un ordine e un paggio entra portando una piccola cassa di argento istoriato che depone con cura sul tavolo, dinnanzi al Padre degli dei, per poi sparire con discrezione oltre la soglia.
Thor fissa perplesso suo padre estrarre un piccola chiave dalla tasca e usarla per aprire una minuscola serratura sul coperchio della casa che scatta verso l'alto, rivelando un interno foderato di velluto color porpora.
Adagiata tra le pieghe della stoffa c'è un ampolla sferica, Odino la solleva con due dita e la mostra al figlio. La sostanza che c'è tra le pareti di vetro del minuscolo contenitore non sembra del tutto liquida, è come se fosse un pugno di sabbia sollevato dal vento, formato da piccoli granelli dorati, un lembo di nuvola luminescente incastrato in un contenitore solido.
Loki saprebbe certamente di cosa si tratta. Thor sa solo che non deve essere qualcosa per cui entusiasmarsi; come molti asgardiani, la magia lo ha sempre turbato.
«Fuoco dell'oblio» spiega Odino, fissando il contenuto dorato della fiala. «Veniva prodotto dagli alchimisti di Alfheim fino a quando non è stato proibito il suo uso. I suoi effetti sono molto... drastici e permanenti».
Finalmente Thor decide di mettersi a sedere. La stanza ha quasi preso a vorticare attorno a lui e forse non è solo l'effetto del viaggio interdimensionale.
Suo padre sta davvero suggerendo di usare un veleno su Loki?
«Di che effetti parliamo?» domanda, cercando di non far trasparire tutto il suo turbamento.
«Oblio, figliolo, perdita della memoria. Ma non si tratta di una semplice amnesia, il contenuto di questa fiala cancella il male, cancella il ricordo di tutto ciò che ha provocato sofferenza pur mantenendo una persona se stessa»
«Se Loki prendesse questa pozione... oh, Thor, so che non è la soluzione più giusta... se la prendesse» tenta di spiegare Frigga, «sparirebbero i suoi poteri e il ricordo della sua vita qui e di quello che ha fatto, sarebbe un giovane uomo come gli altri, potrebbe restare su Midgard e stare con la ragazza, avere una vita felice...»
«Tutto questo è assurdo. Loki preferirebbe morire piuttosto che rinunciare a ciò che è» replica il dio del tuono. È doloroso, ma è la verità.
«Solo finché può rammentarlo, ciò che è»
«Davvero desiderate questo per lui?».
Odino ripone la fiala nella piccola cassa,
«No, Thor» dice con durezza, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro di sconforto. «Quello che desideravo per Loki era una vita come principe di Asgard, al tuo fianco. Sognavo che quando io non sarei più stato tra voi, lui ti avrebbe aiutato a governare, sognavo di vederlo uscire dal cono d'ombra che si era drappeggiato attorno, sognavo di vederlo con una moglie magari... sognavo come sognano i padri. E lo sogno ancora e questa fiala è l'unico modo per avere qualcosa che si avvicini vagamente a quei sogni, per me e anche per lui»
«Ed è l'unica possibilità di salvarlo» aggiunge Frigga, la voce le trema ma lei cerca di mostrarsi calma e posata, con la regalità che la contraddistingue. «Se tornasse qui, sai bene cosa la legge ha in serbo per i crimini commessi da tuo fratello. Se non tornasse, non solo sarebbe ancora un traditore in fuga, ma ormai ha anche troppi nemici ed è solo contro tutti».
Thor fissa lo sguardo sul pavimento, troppo sconvolto e spossato per riuscire a mettere ordine tra i pensieri.
È vero, quella soluzione non è la più giusta ma è l'unica che non causerebbe dolore a suo fratello, perché quella dannata piccola ampolla ha il potere di spazzare tutto via e Loki non ricorderebbe nemmeno di aver odiato... di averlo odiato.
Però c'è ancora Nadia. Nadia che è sempre stata la sua speranza più grande di riaccendere la fiamma dell'umanità nel cuore di Loki, senza ricorrere a trucchi o stratagemmi, lasciando semplicemente che le cose seguissero il loro corso. Ed è una speranza che è ancora viva dentro di lui, che le circostanze rendono ancora possibile.
«E io cosa dovrei fare? Costringere Loki a bere quella pozione?» borbotta Thor. «E, ad ogni modo, non può perdere la memoria adesso, Nadia ha bisogno del suo aiuto...».
«Capisco le tue remore, figlio mio» mormora Odino. «Questa decisione turba anche me e tua madre, tuttavia, proprio perché non è una decisione che può essere presa a cuor leggero, è giusto che sia il tempo a fare chiarezza. Loki aiuterà la tua giovane amica, rimanderemo qualsiasi scelta a quando lei e la Terra saranno al sicuro».

Thor si risveglia di colpo, nell'appartamento di Jane. Lei è seduta a gambe incrociate in un angolo del letto, con addosso una maglia di almeno quattro taglie più grandi con sopra il disegno di un sole che sorride e la scritta che sembra il nome di uno di quei posti in cui vendono dolciumi. Lo sta fissando e sembra preoccupata.
«Voi altre divinità dormite sempre così profondamente, come se foste in coma?» chiede lei, mordendosi il labbro.
«Sembravo in coma?»
«Sì, eri piuttosto raccapricciante».
Thor si solleva, puntellandosi sulle braccia e si mette a sedere in mezzo al letto, scivolando fino a posizionarsi di fronte a Jane.
«Ero via, mio padre ha portato la mia mente ad Asgard, lui e mia madre necessitavano di parlarmi» spiega.
«Certo, normale. Come ho fatto a non pensarci?» borbotta la donna con una mezza risatina nervosa. «E fate sempre riunioni di famiglia mentre dormi?»
«No, di solito no. Era un'emergenza, sai volevano sapere di Loki». Thor distoglie lo sguardo, non vuole dire a Jane cosa si sono detti lui e i suoi genitori, non vuole dirlo a nessuno, non è necessario che lo sappiano, non adesso.
Si domanda come reagirebbe Nadia se Odino le proponesse di far bere il Fuoco dell'Oblio a Loki. Probabilmente avrebbe l'ardire di rispondergli con una di quelle espressioni idiomatiche midgardiane del tipo: «ma ti sei bevuto il cervello?». O forse...
Thor sospira e si stropiccia il viso con le mani.
«Sembri preoccupato» osserva Jane.
«Beh, lo sono. Giusto un po'... fin tanto che non avremo visto chiaro in questa faccenda degli aspiranti distruttori della Terra» risponde il dio.  
«Sono sicura che tu e i tuoi super-amici riuscirete nell'impresa di salvare tutto e tutti anche questa volta!» esclama la donna con uno dei suoi adorabili sorrisi.
Thor sente il desiderio di allungare un braccio, afferrarla e stringerla a sé e ricominciare dall'inizio la piacevolissima trafila della sera precedente. Ma un ricordo, gelido come il marmo e paralizzante come la paura, gli attraversa la mente, costringendolo a rimanere impietrito e a serrare un lembo delle coperte nel pugno.
La voce è quella di Loki, tremante di collera e disperazione. Thor rivede il suo volto trasfigurato dal furore e arrossato dal pianto che cominciava a prendere consistenza nei suoi occhi.
«Raccontami cosa ti è accaduto sulla Terra che ti ha reso così fragile. Non sarà stata quella donna?»
Le parole vibravano sotto la doratura della cupola.
«Oh, è così. Allora, magari quando avremo finito qui, andrò a farle visita di persona».
Thor freme di nervosismo.
Loki aveva usato Jane per provocarlo e lui aveva creduto così tanto a quella minaccia che quando era tornato sulla Terra per combattere con i Vendicatori aveva chiesto alla S.H.I.E.L.D. di spostarla in un luogo molto lontano, nascosta e al sicuro.
Adesso nemici di cui non conosce l'identità vogliono attaccare Midgard per vendicarsi di lui e, proprio come ha già fatto Loki, stanno puntando a ciò che gli sta a cuore.
Il dio del tuono fissa Jane alzarsi e sparire oltre la porta del bagno, chiedendosi da chi e da cosa deve proteggerla adesso. Chiedendosi se anche Loki non sia ancora una minaccia concreta per la sua incolumità.

*

Natasha è seriamente convinta che se adesso provasse ad aiutare Loki a rimettersi in piedi, lui la ucciderebbe. E comunque, non ha nessuna voglia di aiutare Loki a rialzarsi, che si arrangi da solo. Lei si limita ad alzare il letto che è finito rovesciato sul pavimento.
D'accordo, deve riconoscere che pur vestito solo di un asciugamano e conciato come il cosplayer malriuscito della Mummia, il dannato bastardo non perde un grammo del suo contegno da aspirante re dell'universo. Persino nel modo in cui barcolla e si lascia cadere sul materasso sfatto c'è qualcosa di elegante ed altezzoso.
Una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, ecco cos'è il dio dell'inganno.
Sconfitta dopo sconfitta, dolore dopo dolore, Loki torna più forte e determinato di prima. Potrebbe essere ammirevole, se non fosse così spaventoso. Potrebbe essere ammirevole se non fosse un nemico e se lei non fosse addestrata a non provare alcuna empatia per i nemici.
Però deve ammettere che Loki sfugge a qualsiasi categorizzazione. È un nemico, certo, ma non è solo questo e di certo non è un nemico come tutti gli altri.
Con calma e con infinita pazienza, Loki si sistema le bende sulle ferite. Qualcuna ha ripreso a sanguinare dopo il brutto colpo subito, ma i tagli più superficiali sono quasi del tutto guariti dalla sera prima.
Loki non è un nemico come tutti gli altri. Lui è come l'erba cattiva che hai voglia di strappare via ma che almeno non lascia nuda la terra. È l'erba cattiva che, se anche la strappi via, ricresce perché è nella sua natura.
E Natasha non riesce a smettere di starsene lì a guardarlo. Crede, forse si illude, che provando a osservarlo riuscirà a comprenderlo meglio e forse a trovare un po' di luce oltre quella spessa cortina di gelo e ombra.
In realtà non è di sua competenza nemmeno sprecare tempo a trovare qualcosa di buono nei nemici e nei criminali. Ma Loki è innegabilmente un caso a sé stante.
Sente un breve fruscio nell'auricolare e poi la voce di Clint.
«Ci crederesti, Nat? Me la sono persa» borbotta il suo collega, amareggiato. «Ho perso Nadia, è uscita e non so dove sia scappata».
Anche Loki sente la conversazione, alza la testa e resta in ascolto. Non sembra né preoccupato, né interessato, sembra solo uno che non ha di meglio da fare.
«Eri distrutto Clint, venivi da una notte in bianco e, ancora prima, da una serata incasinata» dice lei, in tono comprensivo. «E lei era parecchio sconvolta, sotto l'effetto dell'adrenalina, avrà avuto le ali ai piedi»
«Il figlio di puttana non ha tirato le cuoia?» domanda Barton.
Loki inarca appena un sopracciglio,
«Mi dispiace deluderti» replica, alzando la voce per farsi sentire.
«Clint, chiama Stark, chiedigli se Nadia è tornata a casa» suggerisce Natasha prima di chiudere la comunicazione. «Fammi sapere qualcosa appena puoi».
Il dio si mette seduto, appoggiando la schiena contro il cuscino, e fissa un punto indistinto con aria pensosa.
«Perché ho la sensazione che tu l'abbia fatto di proposito?» borbotta Natasha.
«Perché è comodo dare la colpa a quelli come me» risponde lui senza scomporsi.
«Vorresti farmi credere che non hai sentito l'energia della pietra crescere?»
«Non sono al meglio delle mie facoltà. Non lo hai notato, per caso?».
Natasha strabuzza gli occhi e si promette che, qualsiasi cosa lui dica o faccia, non le farà saltare i nervi come la sera prima, non le farà saltare i nervi mai più o la prossima volta sarà l'ultima malefatta del dio degli inganni, accidenti a lui.
«Era terrorizzata, la nostra giovane amica» osserva Loki, ma senza alcun sarcasmo e senza nessuna apparente intenzione di essere provocatorio. «Non capisco la paura di fare del male ad altri, non la capisco».
Natasha aggrotta le sopracciglia,
«Nemmeno io» ammette.
«Forse io e te siamo senz'anima»
«Togli pure il forse...».
Si sta facendo psicoanalizzare da un dio pazzo. La nottataccia non ha fatto bene nemmeno a lei, è evidente.
Dopo qualche minuto, Clint la chiama di nuovo per dirle che hanno rintracciato Nadia, si trova nella sede delle Stark Industries ed è insieme al ragazzo con cui esce.
«Sta bene» dice la donna, rivolta a Loki che è tornato a fissare il nulla, assorto nei suoi pensieri.
«Certo, non avevo dubbi al riguardo. Cosa pensavate, che si sarebbe gettata sotto a un'auto in corsa?» replica lui, acido. «Fossi in lei, mi sentirei umiliato dal modo in cui la sottovalutate»
«Le vogliamo bene. Compresi noi due agenti senz'anima». Natasha si rende conto di quanto stupida e scontata debba apparire quella risposta, ma è la più ovvia perché è la più vera.
«E lei ne vuole a voi... come si dice? Nessuno è perfetto».
Bruce Banner aveva ragione, la permanenza di Loki sul pianeta dei Chitauri non ha fatto che peggiorarlo.











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Note:

Bene, Natasha mancava all'appello dei POV.

Quando la smetterò di inventare prodotti magici asgardiani manco venissi da Hogwarts non sarà mai troppo tardi! (che poi il nome “fuoco dell'oblio” fa molto fantasy di quarta categoria... ma meglio questo che inventarmi nomi in dialetto asgardiano XD).
Comunque... non fatevi prendere dal panico, quella di Babbo Orbo era solo un'idea (per adesso). E, si sa, le idee di Babbo Orbo generalmente trasudano genialità come resina da una scatola di plastica... tipo “ma sì, dai, adottiamo il piccolo Jotunh che non si sa mai che un domani torni utile”.
Però, per quanto mi stia antipatico, a me piace l'idea che il vecchio bacucco cerchi un escamotage per salvare Loki, non mi piace immaginare Odino come il giudice che condanna il figlio (o ex-figlio, che dir si voglia) senza provare a fare niente, anche a costo di “giocare sporco”.

«Raccontami cosa ti è accaduto sulla Terra che ti ha reso così fragile. Non sarà stata quella donna? Oh, è così. Allora. Magari, quando avremo finito qui andrò a farle visita di persona» è presa pari pari dal film Thor, dalla scena finale in cui lui e Loki cominciano ad azzuffarsi sotto la cupola del Bifrost.

Questo capitolo (specie la parte iniziale) mi sento in dovere di dedicarlo alla mi amica Cristina lei-capirà-il-perché. XD

Per curiosità in generale o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo ^^

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Capitolo 12
*** Brainstorming ***


Capitolo undicesimo
Brainstorming


«Tu sei il campione delle pessime idee, ma devo ammettere che questa volta hai superato te stesso» sbotta Pepper, guardando Tony da sopra il coperchio del portatile che tiene appoggiato sulle ginocchia.
«Senti, è la mia festa e invito chi voglio. Non vorrai farmi festeggiare il compleanno senza i miei amici?» borbotta lui arricciando le labbra in un'espressione offesa.
«Hai degli amici?» esclama Nadia, fingendosi sorpresa.
«Compagni di gioco» puntualizza il signor Stark.
Pepper poggia il computer sul tavolino, nel timore forse che le venga da scalciarlo via in un moto di nervosismo, o di lanciarlo contro il suo compagno.
«Puoi dare una festa per il tuo compleanno e invitare chi vuoi. Ma al party ufficiale, dove verrà anche il signor Hope, non puoi portarti dietro i tuoi amici, ok?»
«Se lo sapesse il dottor Banner che non lo vuoi alla mia festa, potrebbe diventare irritabile».
Sul viso della donna passa una sfumatura di rosso agitazione.
«Non è la tua festa, è un party aziendale in concomitanza con il tuo compleanno»
«Non colgo la differenza».
Nadia mordicchia la cannuccia infilata nel suo brick di succo di frutta, cercando di assumere un'aria quanto più neutrale e disinteressata possibile. La verità è che le sta venendo da ridere e che rischia di spruzzare succo di ananas senza zucchero per tutta la stanza.
Sono passati quattro giorni dalla ricomparsa di Loki nel bosco.
Le squadre di ricercatori dello S.H.I.E.L.D. sono sempre a caccia di prove dell'apocalisse, con l'ausilio del dottor Banner e la compagnia del Capitano Rogers a fare da supporto morale. Thor non si sa se abbia messo piede fuori dall'appartamento di Jane Foster; sono tutti propensi a credere che lei non lo abbia fatto nemmeno uscire dalla camera da letto. Loki si sta ancora riprendendo dalle ferite riportate sul pianeta dei Chitauri e mantiene inalterato il suo ph 1.5 bisticciando con Clint e, probabilmente, tentando di irritare Natasha o chiunque gli capiti a tiro.
E Tony organizza la sua festa di compleanno.
Lei, semplicemente, aspetta. Aspetta di avere il fegato di rivedere Loki dopo l'incidente durante il loro ultimo incontro. Aspetta notizie. Aspetta una nuova crisi che forse non tarderà ad arrivare, visto che in quei giorni ha smesso di allenarsi e di scaricare energie.
«Pensavo che ti piacessero, i ragazzi» borbotta Tony rivolto alla sua compagna. «A chi non piacciono gli Avengers?».
«Naturalmente, io li adoro, ma ho paura di quello che potresti fare tu ad un party ufficiale con loro al seguito»
«Se ti preoccupi del fatto che potrei far ubriacare Rogers e convincerlo a fare uno streap... beh, lui non si ubriaca!»
«E neanche Thor si ubriaca» interviene Nadia. «Me lo ha spiegato una volta, a Venezia... se il problema è l'alcol, credo dovremmo stare attenti a Natasha più che altro»
«Non ti ci mettere anche tu, ti prego» mugugna Pepper massaggiandosi le tempie con quel suo fare un po' nevrotico che viene fuori ogni volta che una discussione con Tony si protrae oltre i trenta secondi.
Il signor Stark estrae una bustina di anacardi sottovuoto da un vano di un mobile. Sta per aprirla quando trilla al nulla la voce di Jarvis.
«Il direttore Fury in linea per lei, signore» annuncia.
Per un attimo le espressioni dei tre presenti si congelano in un'aria allarmata. L'illusione che la vita possa scorrere normalmente è più aleatoria di quanto pensassero, in effetti.
«Passamelo» si limita a rispondere Tony.
«Stark, muovi il culo e vieni qui» la voce di Fury non è particolarmente alterata, questo è solo il suo consueto modo di fare. «Abbiamo trovato qualcosa»
«Qualcosa tipo briciola di Pollicino o qualcosa tipo enorme mostro assetato di sangue?»
«Le dimensioni non sono quelle di una briciola» risponde il direttore dello S.H.I.E.L.D.
Tony è già sulla porta, a infilarsi una giacca di pelle che ha tutta l'aria di essere stata fatta su misura per lui, anche perché c'è una piccola S allungata in rilievo sui bottoni.
Nadia scatta in piedi e lo raggiunge,
«Vengo anche io» esclama.
Lui alza il dito indice con fare ammonitore,
«L'unico motivo per cui ti porto con me è perché so che Nick ne sarebbe irritato» borbotta.
La ragazza sorride e scrolla le spalle. Che facesse come gli pare, basta che non ricominci con le filippiche sul fatto che lei deve starne fuori.
«Oh, stai pensando anche tu quello che penso io?» aggiunge poi Tony, con un sorriso da un orecchio all'altro.
Nadia non capisce e si limita a rivolgergli un'occhiata interrogativa.
«Dobbiamo andare a prendere Thor a casa della sua ragazza! Gli servirà un passaggio» spiega lui, schizzando verso l'ascensore e premendo il tasto che porta al garage sotterraneo.
«Thor vola, più o meno»
«Dettaglio del tutto trascurabile, Colombina».

Quando arrivano sul pianerottolo dell'appartamento di Jane, Nadia non sa se mettersi a ridere o provare a trascinare Tony via da lì. Ma ormai è tardi, lui ha già suonato il campanello e sono tutti e due in ascolto dei rumori ovattati che provengono da dietro il battente della porta.
La dottoressa Foster apre senza sganciare la catenella di sicurezza – di cosa avrà mai paura una che si tiene in casa il dio dei fulmini?
Quando li vede dallo spiraglio aperto, trasalisce.
«Oh, Gesù!»
«Non proprio, ma grazie del complimento» ghigna Tony.
«Ciao Jane» interviene Nadia. «Scusa il disturbo, Thor è presentab... ehm, è in casa? Dovremmo andare allo S.H.I.E.L.D e abbiamo una certa fretta».
Sembra una barzelletta raccontata male.
La donna sbatte le palpebre, perplessa, poi sgancia la catenella e apre la porta. Nadia si chiede se sia sintomatico degli astrofisici apparire sempre come se fossero caduti dalle nuvole.
La casa ha i pavimenti di moquette e da una piantana dell'ingresso penzola il mantello di Thor, lasciato lì chissà da quanto. Le scatole vuote di barrette ai cereali impilate sul tavolino hanno un che di coreografico.  
«Lei... lei è il signor Stark» trilla Jane, a metà tra l'imbarazzato e l'ammirato. «Io, dove lavoravo cioè, avevo molti dispositivi prodotti dalle sue industrie le sue applicazioni e i suoi software per le scienze sono veramente notevoli  e io penso che siano davvero davvero molto parecchio... wow!»
«Grazie, dottoressa Foster. Me lo sento dire spesso, in realtà, ma nessuno me lo aveva mai detto dimenticandosi di respirare».
Per fortuna Thor emerge dai meandri della casa, vestito – grazie al cielo – con un jeans e una camicia di flanella rossa.
«Amico mio, sembri patito» dice Tony, osservandolo con un ghigno malizioso. Nadia è costretta a dargli una rapida gomitata, per evitare che Jane collassi.
«Ci sono problemi?» domanda il dio del tuono, che al momento di divino ha ben poco, a parte la sua smagliante bellezza.
«Nick Fury ha suonato la campana dell'adunata, siamo venuti per darti un passaggio»
«Andiamo, allora»
«Vengo anche io» dice Jane, rimediandosi un'occhiata perplessa dagli altri presenti. «Insomma, se c'è Nadia posso esserci anche io... se c'è un'altra civile, intendo».
La ragazza trattiene a stento una smorfia. In quel frangente non crede di essere proprio una civile e non pensa nemmeno di essere sullo stesso piano di Jane Foster. Non che le importi molto, comunque, e di certo non è il momento di discutere la questione.
Un minuto dopo sono in macchina.
La guida sportiva di Tony sembra divertire Thor e mettere a dura prova lo stomaco di Jane.

*

Clint fissa lo schermo, massaggiandosi il mento con aria pensosa.
«Fury ha detto di smetterla di rimuginare su Loki» dice Natasha, alle sue spalle. «E io penso che abbia ragione, lui non è un problema adesso».
C'è stato qualche istante, in quei quattro giorni, mentre il dio era avvolto nelle medicazioni, in cui Clint ha pensato la stessa cosa. È riuscito a convincersi che quel figlio di puttana poteva non essere una minaccia, poteva non avere in mente qualche piano diabolico o un qualche losco secondo fine. Ma quei pensieri adesso evaporano e si trasformano in uno strano timore, il nervosismo della gazzella che fiuta per caso la presenza di un leone acquattato tra le sterpaglie.
Certo, lui non è una gazzella, ma Loki è parecchio bravo a immedesimare la parte del leone. E adesso che Clint lo vede con addosso i suoi abiti da principe delle stelle, adesso che vede di nuovo quegli occhi di ghiaccio brillare di quella luce sinistra, come brillavano nella sua mente mentre era sotto l'effetto dell'incantesimo dello scettro, l'agente dello S.H.I.E.L.D. non riesce a zittire i suoi dubbi e nemmeno il suo odio.
Non gli importa se a Venezia è stato d'aiuto a salvare quelle persone – e comunque lo ha fatto perché non aveva scelta, non gli importa se aveva tanta energia in corpo da massacrarli tutti e non ne ha approfittato. Loki è un lembo di deserto coperto di sabbie mobili, da un momento all'altro può farti mancare il terreno sotto i piedi, inghiottirti, soffocarti, annientarti.
Natasha gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla. Nei suoi occhi verdi si riflette l'immagine dello schermo. La telecamera inquadra una stanza rettangolare simile a una cella, Loki è lì da un giorno e non ha detto una parola, né ha fatto nulla. A Clint sembra sospetta anche la calma con cui il dio ha accettato quella mezza prigionia.
«Ti fa così paura?» chiede Natasha. C'è una punta di stupore nella sua voce dal suono vellutato.
Una domanda scomoda per uno nella sua posizione.
«Perché non dovrebbe?» mormora lui.
Una volta ne hanno parlato, lui e Natasha, della paura. Sono giunti alla conclusione che è la caratteristica principale per chi svolge il loro mestiere: avere sempre paura aiuta a essere sempre prudenti. Per molto tempo però Clint si è chiesto di cosa dovesse avere davvero paura. Di morire? No, quella è una paura talmente comune da non poter nemmeno essere presa in considerazione. Del dolore? Ha riportato così tante ferite e subito così tanti incidenti che ormai il dolore quasi non lo sente più.
Ha scoperto la paura vera solo quando è stato ipnotizzato da Loki, quando ha sentito artigli di luce azzurra scavare dentro di lui e arrivare alla sua mente, e manipolarla, sondarla, giocarci come se fosse plastilina. Forse è per questo che detesta così tanto Loki e non riesce a andare oltre quello che lui gli ha fatto, lo odia per avergli insegnato la dimensione della sua paura, per avergli messo davanti agli occhi i suoi limiti più grandi. Perché certe cose, una volta conosciute, non possono essere dimenticate.
«Ehi, cosa sta succedendo lì dentro?» esclama Natasha, strappandolo alle sue riflessioni.
Clint alza di scatto la testa e guarda lo schermo.
Qualcuno è entrato nella stanza di Loki. Sono due agenti, quelli del turno di guardia di quell'ora.
«Di' un po', figlio di puttana, quanti nostri compagni hai ucciso durante la tua ultima visita?» chiede uno di loro, aspro.
Loki alza lentamente lo sguardo, indolente.
«Non mi sono dato la pena di contarli» risponde con aria annoiata di sufficienza.
«Cazzo!» sbotta Clint, alzandosi in piedi. «Lo avranno capito che ha ancora i suoi poteri e che non hanno a che fare con il serial killer di bambini da pestare all'ingresso in prigione?».
«Muoviamoci» esclama Natasha, ed è già nel corridoio a correre a perdifiato.
Loki meriterebbe una lezione con i fiocchi. E no, dannazione, quello che ha avuto sul pianeta dei Chitauri non conta. Ma quei due imbecilli che sono piombati nella sua stanza hanno dimostrato una tale stupidità che quasi lui vorrebbe suggerire a Natasha di fermarsi e di lasciare che abbiano ciò che si meritano. Il problema poi però sarebbe spiegarlo al direttore Fury...
Clint e Natasha aprono di schianto la porta della stanza e fanno appena in tempo a vedere i due agenti volare a mezz'aria e urtare con un tonfo secco contro il muro dal lato opposto.
Rumore di ossa rotte...
I due si accasciano sul pavimento, privi di sensi. Per sicurezza, Natasha gli tasta il collo e tira un mezzo sospiro di sollievo. Poi lei e Clint guardano Loki.
Non si è nemmeno alzato dalla branda su cui era seduto.
Il dio ora li scruta accigliato,
«So che lo avreste preferito, ma lasciarmi malmenare mi è diventato ancora più sgradito dopo la mia ultima vacanza» dice lui, con un sorriso malevolo. «È stato per legittima difesa ma, se posso permettermi, l'idea di tenermi in gabbia si è sempre rivelata pessima sotto diversi punti di vista, in più di un'occasione».
«Cosa ti aspetti, che ti affittiamo una stanza al Ritz?» borbotta Clint, reprimendo a stento l'impulso di gettarsi sul dio per cancellargli dalla faccia quel sorrisetto diabolico.
«Mi aspetto che non vi disturbiate a chiudere le serrature. È solo una questione di buon senso».
L'agente Barton prende un grosso respiro, l'aria freme nella gola come il suono delle spire di un serpente per quanto veleno sente di avere in corpo al momento,
«Mi devi ancora un bulbo oculare» sibila.
Tutto quello che ottiene è che Loki allarghi ancora un po' il suo sorriso. Il bagliore di quei dannati occhi azzurri fa sentire Clint come uno incastrato dentro un'auto che sprofonda in acqua.
In quel momento sentono il fruscio provenire dalle loro ricetrasmittenti. È Fury, dice che devono raggiungere il laboratorio 14b della base.
Quando il direttore ordina di portare con loro Loki, Clint sente l'irrefrenabile impulso di picchiare un pugno contro la parete.

*

Ha voglia di ridere, stenta a crederlo ma la risata scalpita contro le costole e lui deve fare un grande sforzo per trattenerla. Quello non è il momento di provocare ulteriormente l'agente Barton con uno scoppio di ilarità, Loki è troppo curioso di sapere qual è il motivo della convocazione di Fury per creare un'occasione di ritardo.
Barton e la Romanoff lo precedono, facendogli strada per i corridoi. Ovunque è una pioggia di sguardi ostili, come quando fu portato in manette sulla grande fortezza volante di Fury, ma Loki non ci bada, ha altro per la testa.
Tanto per cominciare, pensa a quando rivedrà Nadia. Ha bisogno della ragazza, gli serve ancora attingere energia dalla pietra.
Il trucco di poco prima è stato faticoso, è stato il primo tentativo fatto da quando si è ristabilito. Stuzzicare la mente umana solo con l'ausilio della magia che si possiede nel proprio corpo richiede molto potere. Ma ne è valsa la pena, ed è stato gratificante punzecchiare la mente di quei due idioti, andare a scovare il rancore e usarlo a suo vantaggio, mettendogli in testa l'idea di entrare nella stanza per fargli del male. Doveva solo accertarsi che Barton e la Romanoff vedessero e che fossero consapevoli che non era stata colpa sua, che si convincessero che lui si era solo difeso.
Quella messinscena aveva giusto lo scopo di mettere in chiaro due cose, senza che gli venisse attribuita alcuna accusa. Doveva far capire ai suoi solerti ospiti che non era un cagnolino ammaestrato che potevano tenere in una cuccia e che, soprattutto, era inutile ritenere di doverlo trattare come se fosse in un carcere, perché lui ha ancora i suoi poteri e può fare qualsiasi cosa, aprire qualsiasi porta. Ha dovuto farlo; può forzare qualsiasi serratura, ma se sono loro a consegnargli la chiave risulterà meno minaccioso, potrà guadagnarsi una briciola di fiducia che gli occorre per avere sufficiente spazio di manovra senza che ad ogni suo passo spuntino supereroi a brandire armi e a declamare minacce e promesse di vendetta.
Tuttavia, la piccola messinscena è stata una fatica troppo grande per lui, e adesso si sente stanco. Stanco, ma divertito e, soprattutto, soddisfatto.
Raggiungono il luogo dove Fury li ha convocati. È un laboratorio ingombro di macchinari e schermi luminosi.
In piedi accanto al tavolo rettangolare c'è il direttore dello S.H.I.E.L.D, attorniato dalla squadra dei Vendicatori al completo, come un re con i gioielli della sua corona, e in più ci sono due ospiti a sorpresa la cui presenza fa gonfiare di nuovo la risata nel petto di Loki.
C'è Nadia, ovviamente, attaccata al suo amato Tony Stark. La ragazza sembra incapace di alzare lo sguardo su di lui, a quanto pare non ha ancora superato il turbamento per l'incidente avvenuto durante il loro ultimo incontro. Ma la sua presenza è un bene, perché questo vuol dire avere la pietra abbastanza vicina da poter assorbire energia.
E poi c'è quell'insulsa donna per cui Thor ha smarrito quel po' senno che possedeva, l'umana di cui nemmeno ricorda il nome. La scienziata ha un piccolo sussulto quando Loki posa lo sguardo su di lei, e si avvicina un po' di più al fianco di Thor come a cercare protezione. Oh, quanto ha desiderato incontrarla di persona. Naturalmente nei suoi desideri, le circostanze dell'incontro erano notevolmente diverse. Ad ogni modo, cosa pensa di fare lì la donna di scienza?
«Ho fatto fare dei rilevamenti nella zona in cui è stato registrato il warmhole» dice Fury, catturando subito su di sé l'attenzione dei presenti, così che i Vendicatori smettano di lanciare vaghe occhiate di disagio in direzione del dio dell'inganno. «Questo è tutto quello che abbiamo trovato».
Il direttore apre una scatola e mostra una lucida striscia di metallo grigio scuro.
«Un pezzo di ferro?» dice scettico Stark.
«No, non è ferro» spiega Banner. «Lo hanno analizzato, confrontandolo con tutti i materiali esistenti in natura e con tutte le leghe metalliche. Non è qualcosa che si trova sulla Terra. Sappiamo che è pesante, molto resistente alla fusione e con i bordi estremamente taglienti, ma non sappiamo cos'è»
«Il forestiero ha qualche idea?» chiede Fury, lanciando verso Loki il pezzo di metallo.
Il dio lo afferra la volo, guarda bene l'oggetto e lo soppesa sul palmo della mano.
«È il materiale di cui sono fatte le armi dei Chitauri» dice dopo qualche secondo. «Se lo aveste confrontato con lo scettro, che immagino abbiate in custodia, ve ne sareste accorti».
«Quello scettro non è qui» risponde Fury. Loki finge di non prestare attenzione all'affermazione, ma prende mentalmente nota della notizia.
Dannazione...
«Hanno trasportato armi attraverso il warmhole?» domanda Rogers. «Dovrebbe essere questa la nostra ipotesi?»
«Se hanno trasportato delle armi, devono anche avere l'esercito che le userà» osserva Thor.
«Questo dipende dal tipo di armi» aggiunge Stark.
Loki passa tutti loro in rassegna con lo sguardo. Pensa che quando era nella città sull'acqua ha sopportato una situazione ben peggiore, è rimasto giorni chiuso in una casa minuscola con quegli individui. Il suo odio non è diminuito di un grammo e se potesse li annienterebbe tutti, in quel preciso momento, tuttavia ci sono delle priorità. Salvaguardare il suo momentaneo porto sicuro è una di queste.
Il dio sente su di sé lo sguardo di Nadia e la fissa di rimando. La ragazza sembra chiedersi a cosa lui stia pensando e dall'aria crucciata che ha, sembra anche averlo indovinato.
Lascia cadere il pezzo di metallo sul tavolo,
«Quando lasciai Venezia, mi rifugiai in una sorta di isola al limitare di questo universo» spiega. «È lì che i Chitauri mi hanno catturato. Quando gli chiesi come avessero fatto a raggiungere quel luogo mi fu detto che avevano nuovi alleati che avevano fornito loro dei mezzi. Devo spiegarvi cosa potrebbe significare?».
«Con che cosa si viaggia nello spazio, di solito?» domanda la Romanoff, come se stesse pensando ad alta voce.
«Con i nostri mezzi, di Asgard» risponde Thor, grave.
Lui e Loki si scambiano una breve occhiata e tra i presenti cala il silenzio.
«Aspettate» borbotta Fury. «State dicendo che qualcuno ha rubato i vostri giocattoli? Ve ne sareste accorti»
«Difatti. Non credo che li abbiano rubati, li hanno riprodotti, o almeno ci hanno provato» asserisce Loki.
«Non possono riprodurre le nostre tecnologie» protesta Thor. «Non funzionerebbero, è Asgard stessa che dà energia ai nostri manufatti, niente che non venga da lì può funzionare a dovere».
«E infatti non funzionano a dovere» interviene Nadia. «Mi sembra ovvio, se funzionassero avrebbero già messo in moto qualcosa di enormemente distruttivo come il potere del Bifrost... me ne hai parlato una volta a Venezia, Thor. E poi i Chitauri avrebbero viaggiato ben oltre i limiti della nostra Galassia... c'è qualcosa che non torna, ai loro dispositivi manca qualcosa».
«Hanno riprodotto l'arsenale di Asgard, usando materie prime più cazzute prese dal pianeta dei Chitauri, ma gli manca la giusta quantità di energia per farle funzionare» conclude Barton.
«Questa cosa dell'energia che serve per far funzionare diavolerie apocalittiche mi fa tornare in mente un certo episodio» borbotta Stark. «A te no, Bambi?».
«Mirano al reattore Arc?» sospira Banner.
«Quando finirà di piovere gente dal cielo per venire a ficcare il naso tra i miei giocattoli? Odio che si tocchino le mie cose» esclama l'uomo di metallo, strabuzzando gli occhi.  
Certo, tutto quadra, fino a quel momento. Ma è solo una piccola parte della faccenda. Ammesso che le loro elucubrazioni, fino a quel punto, siano giuste restano ancora molte domande irrisolte.
«Sono il solo che si sta chiedendo chi c'è dietro a tutto questo?» osserva Rogers. Domanda intelligente, con un tale movimento di cervelli c'è da stupirsi che non si sia ancora verificato un terremoto.
«Thor, illuminaci» incalza Fury.
«Possibilmente senza usare il martello» lo canzona Stark.
Il possente e valoroso dio del tuono scuote la testa in segno di resa. Non ha la più pallida idea di cosa dire, non è riuscito a formulare nemmeno un'ipotesi vaga su chi possa avercela con lui al punto da attentare al benessere del pianeta di cui si proclama paladino.
«Io davvero non so...» mormora con un sospiro dispiaciuto.
Questo è il colmo. Loki chiude gli occhi cercando di imporsi la calma ma è impossibile.
«Una gioventù trascorsa a far guerra a chiunque respirasse deve pur aver urtato la suscettibilità di qualcuno!» sbotta il dio dell'inganno, sgranando gli occhi.  
Thor sembra quasi intimorito dal sentirlo alzare la voce in una simile circostanza e per fare una simile affermazione.
«È passato tanto tempo, fratello, tu non crederai...»
«Non usare quella parola». Sembrano tornati ragazzi, quando lui lo aiutava a fare i compiti che il precettore aveva loro assegnato. È già abbastanza indisposto senza che ci si metta anche l'ottuso affetto di Thor.
«Va bene, calmiamoci. Bisticcerete dopo voi due» interviene Nadia. «Mi sembra ovvio che chiunque sia il nostro nemico è una vostra vecchia conoscenza e qualcuno che non è esattamente un indigeno delle nostre parti, proviamo a...»
«Aspettate». È la donna di Thor a parlare, facendosi timidamente avanti, riemergendo da dietro le spalle del dio dove sembrava essersi nascosta per tutta la durata della conversazione. «Se con il warmhole che ho registrato io sono arrivate le armi, vuol dire che chi le ha fatte costruire era già qui. Vuol dire che chiunque sia sta portando avanti questo piano da molto molto tempo... vuol dire che quasi sicuramente è qualcuno che nel frattempo è vissuto sulla Terra, una specie di infiltrato»
«È plausibile» ammette la Romanoff.
Fury si massaggia il mento,
«È plausibile anche che siano un gruppo relativamente folto di individui. Forse dovremmo fare una ricerca su spostamenti di grandi gruppi di persone nel corso dell'ultimo anno. Qualsiasi informazione può essere utile» dice, poi prende la ricetrasmittente e dà una serie di istruzioni all'agente Hill. «Intanto, Stark, devi rendere inutilizzabili i tuoi reattori Arc, smantellali se è necessario. Non vorrei una replica dello spettacolo che ci ha offerto qualche tempo fa il nostro ospite», aggiunge indicando Loki con un cenno del capo.
«A Pepper verrà un infarto» mormora Nadia all'orecchio di Stark.
«Ma prima ne farà venire uno a me...» borbotta lui scuotendo la testa.
«Ehm... voi vi rendete conto che tutte queste cose sono solo supposizioni, vero?» dice Banner, grattandosi la nuca. Loki si sente fremere al pensiero che dentro il corpo di quell'uomo così innocuo c'è la creatura che lo malmenato. «Cioè, abbiamo seguito il filo logico di un ragionamento che è logico sì, ma potrebbe anche essere sbagliato».
«Da qualche parte dobbiamo pur cominciare» osserva Rogers. «Forse ci stiamo sbagliando, ma se cominciamo a fare delle ricerche, anche partendo dai presupposti sbagliati, troveremo qualcosa che ci porterà sulla strada giusta»
«Fantastico! Sono aperte le iscrizioni al fan club dell'ottimismo» esclama Stark.
«Su una cosa penso che non possiamo esserci sbagliati» osserva l'agente Barton con un mezzo sorriso di incoraggiamento. «Qualsiasi cosa questi tizi vogliono usare contro di noi, hanno davvero bisogno delle giuste risorse di energia, ed è evidente che fino ad ora non le hanno trovate».

Fury dichiara sciolta l'assemblea e loro escono dal laboratorio.
Loki si ferma accanto a una finestra, a guardare il cielo plumbeo pesare sulla città. I Vendicatori si fermano accanto a uno di quei distributori elettrici di bevande e cibarie e si chiudono a cerchio attorno alla donna di Thor. Evidentemente quello è il momento delle presentazioni ufficiali.
Il dio dell'inganno osserva la scena da lontano, poggiandosi con le spalle contro il davanzale. È tutto talmente stucchevole che non riesce nemmeno a sentirsi davvero disgustato, semplicemente si sente estraneo e distante, la cosa non lo riguarda e nemmeno l'odio per quelle persone riesce a smuoverlo in quel momento. Certe volte sanno essere così noiosi...
Ed ecco che Nadia si stacca dal crocchio e viene verso di lui. Naturalmente, lo aspettava quel momento. È curioso di sentire la ragazza cosa avrà da dirgli, se avrà qualche scusa per averlo lasciato a marcire in una stanza chiusa nel cuore di una base dello S.H.I.E.L.D.
Perché non avrebbe dovuto?
Perché forse ora lei è in debito più di quanto non lo sia lui. Lei non ha idea di quanto gli sia costato partecipare alla piccola adunata di poco prima.
Perché dovrebbe importarle?
Perché lui non è disposto ad accettare di non avere importanza per lei, non è disposto ad essere dimenticato come un abito smesso. Perché ora avranno da passare del tempo insieme ed è bene che lei impari come ci si comporta con un dio...
«Sei di nuovo tutto intero?» domanda Nadia un po' in imbarazzo, affiancandolo.
«Così pare, malgrado tu abbia cercato di far accadere il contrario». Questo è giocare sporco, ed è la cosa che gli riesce meglio e che più lo diverte.
«Sai che non l'ho fatto di proposito»
«Ne sei certa?»
«Non essere odioso!»
«Pare sia la mia natura».
Lei sbuffa, ma gli concede di avere l'ultima parola. E Loki tuttavia trova irritante che il contenuto di quella testolina boriosa sia così imperscrutabile in certi momenti.
«Mi sembri molto a tuo agio in mezzo a tutto questo» dice il dio, allargando le braccia come a indicare l'intera base. «Era quello che auspicavi per te stessa quando dicevi di voler lasciare l'albergo della tua famiglia?».
«No» dice lei scuotendo il capo, poi il suo sguardo si posa sui Vendicatori e si addolcisce. «Non tutto, almeno. Ma tre mesi fa tutto quello che mi riservava il futuro erano ore dietro a una reception. Adesso sto dando un minuscolo contributo a salvare il mondo. E poi ci sono loro».
«Sì, immagino l'entusiasmo»
«Ah-ah. L'umorismo non è mai stato il tuo forte»
«Come al solito direi, dopotutto non è cambiato niente».
Lo sguardo di Nadia si incupisce,
«Era una promessa?» chiede, leggermene piccata.
«Credo di sì».
Sì, è una promessa. La promessa che il suo odio non si è estinto, che non si estinguerà per nessuna ragione. La promessa, forse, che un giorno le loro strade potrebbero tornare a incrociarsi e che quel giorno probabilmente saranno diventati nemici perché quell'odio è rivolto a persone che Nadia ama più di se stessa, per le quali deve certamente provare un affetto più grande di quello che prova per lui.
Eppure adesso la ragazza sta sorridendo, in quel modo un po' furbo e un po' indisponente, che la prima volta che Loki le vide quell'espressione in viso pensò di stringerle le mani attorno alla gola fino a cancellargliela una volta e per sempre. Quel sorriso una volta gli faceva rabbia, adesso gli fa quasi paura perché è il sorriso di chi ha capito, di chi sa. E il modo in cui Nadia, talvolta, riesce a comprenderlo lo spiazza, non riesce ad abituarcisi.
«E che valore devo dare a una promessa fatta dal dio della menzogna?» mormora lei, prima di voltarsi e allontanarsi verso le scale.  







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Note:
Il discorso sulla paura c'era anche nella storia precedente, in uno dei paragrafi dal POV di Natasha. Ho voluto dare anche la versione di Clint, per par-conditio e perché anche lui doveva avere la sua voce... mai dare ai propri personaggi occasione di essere scontenti XD

La scorsa settimana ho avuto un momento di grazia scrittoria veramente notevole, nel senso che ho scritto molto e molto facilmente. Attualmente sul mio pc ci sono 18 capitoli belli e pronti ed è solo una parte di tutto quello che c'è da raccontare in questa storia. Mi sono resa conto, con un po' di sgomento, dell'enormità di questa STYDI, che a sua volta è il prosieguo naturale di un'altra fanfiction. Ci sono tanti passaggi che si sono aggiunti in fase di scrittura, dialoghi e scene che si sono letteralmente scritti da soli. E io sto amando il lavorare a questa cosa. In buona parte è anche merito vostro e del vostro sostegno. GRAZIE!


Per domande e curiosità: HERE
(Grazie a Kashmir, la scorsa settimana ho inaugurato il profilo formspring **)

A venerdì prossimo :-)

Nota bis: La buona notizia è che sono riuscita a buttare giù una scaletta decorosa per la parte di storia che devo ancora scrivere e penso che la fanfiction sarà di circa 27/28 capitoli (contando anche il prologo e l'epilogo). La cattiva notizia è che potrebbe esserci una terza puntata della vicenda.
    

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Capitolo 13
*** Like a nightmare ***


Capitolo dodicesimo
Like a nightmare


La canzone in soffondo è un brano dei Muse che piace molto a Sara. Il pensiero di sua sorella fa distrarre Nadia, risucchia la sua mente in un vortice di ricordi e nostalgie, tanto che lei si scorda di allungare il passo ora che è arrivata alla fine della scala mobile.
Mike l'afferra per un lembo della giacca prima che lei si spalmi sul pavimento lucido del centro commerciale.
«Ehi, se ti rompi il naso quando sei con me posso dire addio alla mia carriera!» esclama il ragazzo, ridacchiando.
«Oh, grazie dell'interessamento» ribatte lei, fingendosi piccata.
Le vetrine dei negozi riflettono un nugolo di facce sbiadite. La canzone finisce e lascia spazio alla voce dello speaker che parla di un qualche fatto di gossip, qualcosa su Tom Cruise o giù di lì.
In effetti tirare in ballo Tom Cruise suona molto azzeccato, del resto lei stessa ha definito quella cosa la sua mission impossible.
Deve comprare un regalo di compleanno per Tony. Cosa si può regalare a un miliardario con l'hobby del salvataggio planetario?
È contenta che Mike l'abbia accompagnata. La settimana prima, quando è scappata dalla base dello S.H.I.E.L.D. dopo il piccolo incidente con Loki e l'onda di energia, lui è stata la prima persona che l'è venuta in mente, l'unica che aveva voglia di vedere e con cui voleva stare, l'unica con cui riusciva a tollerare di parlare.
E forse è proprio perché Mike è l'unico davvero estraneo a tutta la faccenda che Nadia si sente così bene con lui, è la sua illusione di normalità che l'aiuta a non perdere la speranza, a ricordare che possono esserci altre cose che l'aspettano un giorno, quando avrà risolto i suoi problemi.
E ormai è quasi certa che Tony e Pepper stiano complottando per far andare in porto il loro rapporto. Pepper sapeva che quella mattina lei sarebbe andata al centro commerciale e guarda caso ha fatto in modo che sapesse che proprio quel giorno aveva dato, senza alcun motivo spiegabile, la mattinata libera al suo stagista.
Va bene così. Va bene perché ormai le è chiaro che ha bisogno di tempo per riuscire a stare davvero con qualcuno, ha bisogno di più tempo di quanto ne servirebbe a una persona normale. E ha intenzione di aspettare, essere certa che non ci siano interferenze di nessun genere nel suo rapporto con un'altra persona.
Ne ha parlato con Mike, quella mattina, cercando di scacciare il pensiero di Loki sbalzato per aria e l'immagine del sangue. Non ha potuto dirgli il vero motivo ma gli ha detto che ha bisogno di tempo. E lui ha capito. «Basta che torni a trovarmi. Non sopporterei di non sentire più le tue lamentele sul caffè ameircano» aveva concluso il ragazzo.
E adesso eccoli lì, in un centro commerciale a cercare un regalo che non esiste.
«D'accordo, confesso che sto brancolando nel buio più totale» ammette dopo aver girato a vuoto per un'intera ala dell'enorme galleria di negozi. «Hai qualche idea su un regalo adatto?».
«Come si fa a fare un regalo al signor Stark, non puoi nemmeno darglielo, lui odia...»
«... odia quando gli si porgono le cose. Sì, è vero».
Nadia alza gli occhi al cielo. Decide semplicemente di continuare a camminare e dopo qualche metro la sua attenzione viene catturata da una vetrina di un negozio di modellismo. Su un piedistallo di acciaio ci sono – oh, ti prego! - le statuine degli Avengers, modellini abbastanza accurati alti trenta centimetri; il cartellino dice ''dipinti a mano''.
La ragazza resta a fissare la vetrina.
«Gli somigliano?» domanda Mike a bruciapelo.
«No, le statuine sono molto più belle degli originali» scherza lei.
«Sarebbe un bel regalo, non trovi? Per Stark, una statuina di se stesso».
Mike lo dice con leggerezza, ma per un attimo la ragazza prova un senso di fastidio. Parlano tutti di quanto Tony sia narcisistico e presuntuoso e nessuno si ricorda mai di accennare al fatto che è una delle persone più generose che si possano incontrare, non tutti riescono a cogliere che la sua ironia molto spesso è solo un modo per alleggerire gli altri da pesi che lui stesso è ben lieto di portare.
«Come sono, tutti loro?» domanda Mike dopo qualche secondo di silenzio, chinandosi per osservare più da vicino le statuine. Non le aveva mai chiesto direttamente dei Vendicatori – e del resto lei gliene ha parlato in più di un'occasione, sa che per le altre persone è scontato pensare che se ruota attorno all'orbita domestica di Stark deve, per forza di cose, avere a che fare anche con gli altri Avengers. Non sarebbe davvero così scontato se non ci fosse il precedente di Venezia, ma di queste cose non le è permesso parlare fino a quando la faccenda dell'energia della pietra non verrà sistemata.
«Loro sono, beh... è un peccato che la gente li consideri solo dei supereroi e che in molti non avranno occasione di conoscerli personalmente. Sono i migliori fratelli maggiori che avrei potuto desiderare» dice con un sorriso. «E poi c'è anche la parte divertente e psichedelica. Hai idea di cosa vuol dire avere a che fare con un super soldato della Seconda Guerra Mondiale? Una di queste sere lo porto al cinema a vedere un film in 3D per la prima volta... pensa, ai suoi tempi non c'era nemmeno il colore!»
«Oh. L'altro giorno il Capitano Rogers è venuto a trovare il signor Stark in ufficio» mormora Mike, ostentando una certa noncuranza. «Era, come dire, in borghese, le signore hanno apprezzato»
«Sì, immagino...»
«È molto... bhe, molto bello, se io fossi una donna suppongo che lo troverei un gran figo...».
Nadia sta per scrollare le spalle. Certo, Steve è un gran figo, anche Tony lo è, e – riuscendogli a dare una sistemata – persino Bruce non scherza. E poi naturalmente c'è Thor, e Clint... insomma, messi insieme sono un luna park ormonale. E poi c'è Natasha che è tipo la dea della bellezza scesa in terra.
«... cioè immagino che agli occhi di una donna nessuno regga il confronto, e...» continua Mike, titubante.
La ragazza rimane impietrita per un secondo, poi sente una vampata di calore salirle fino al volto. Probabilmente ora ha persino i capelli in fiamme, come Ade nel cartone della Disney.
Mike le sta davvero chiedendo se le piace Steve?
«NO!» esclama, troppo forte, tanto da far girare i presenti nel raggio di dieci metri. Perché il pavimento non si apre e non la inghiotte? Perché la testa non le si stacca da sola e rotola via?
Ora Mike ha l'aria di uno che vuole rompere a testate la vetrina.
«Ti prego, scusami...» farfuglia lui. «Scusa, è che quando mi hai parlato del tuo momento di dubbio e perplessità e del fatto che ci voleva un po' di tempo... io ho pensato che non fossi completamente libera. E lo capirei Nadia, cioè persone come Steve Rogers sono...».
La sua mente adesso è una casa nel bel mezzo di un terremoto, tutto romba, scricchiola, trema, le pareti si crepano e la cose cadono. I pensieri si ammassano, si confondo, si spezzano e poi si perdono in mezzo alla polvere e diventano irriconoscibili.
La ragazza prende un grosso respiro, afferra la mano di Mike e lo trascina verso una panchina incastrata tra due vasi di felci di plastica.
E un minuto dopo gli sta parlando della pietra. Non può dirgli di Loki, del possibile attentato alla Terra, deve omettere più cose di quante vorrebbe e alla fine il tutto sembra suonare come una specie di malattia per la quale si sta cercando una cura.
Fury mi ucciderà. Mi farà a pezzi, poi li rimetterà insieme e mi farà a pezzi di nuovo. E poi mi metterà in scatole di cibo per cani...
La scusa ufficiale è che quella pietra sia una sorta di incidente di laboratorio. Del resto è talmente assurdo che Mike non riuscirebbe nemmeno a farle domande specifiche.
Quando termina il suo racconto si aspetta che il suo intrlocutore si alzi e scappi via terrorizzato. Ma lui ora la sta guardando ammirato, con un interesse ancora più acceso, che non è l'interesse di un ragazzo che ha deciso di fare la corte a una sua coetanea. È qualcosa di diverso e Nadia si sente quasi a disagio. E poi non vede più la faccia di Mike o i suoi occhi, né riesce a pensare alla sua espressione, perché lui si sporge verso di lei e la bacia.
Dopo Nadia si chiederà cosa significa quel bacio. Se era un vano ma ammirevole «non ti preoccupare, ci sono qui io» o se era un folle e immeritato «sei una grande!». Adesso non lo sa, non riesce a capirlo e adesso nemmeno le importa.

*

L'istinto è un'arma a doppio taglio, per questo lui ne ha sempre diffidato. Istinto è il contrario di astuzia.
Loki vorrebbe trovare una ragione precisa per quel suo continuare a camminare, perché l'idea di fare qualcosa senza motivo lo irrita. Eppure continua a mettere un piede avanti all'altro, la strada che porta al centro cittadino è lunga e quasi del tutto deserta.
È comunque piacevole essere all'aria aperta, lontano dalla selva di sguardi ostili degli agenti dello S.H.I.E.L.D  e dall'aria perennemente sospettosa di Clint Barton.
La strada lo conduce in un'area piena di capannoni, edifici bassi e squadrati che disegnano una scacchiera di vie grige attraversate da grossi camion. Un enorme cono di cemento svetta sull'intera zona, proiettando un'ombra lunga come un gigantesco artiglio; dalla sommità del cono esce una spira di fumo denso, come una nuvola arpionata alla pietra. Il fumo mangia l'aria, la brucia, l'avvelena.
Loki passa le dita tra le frange della sciarpa di seta, il suono ovattato di una sirena interrompe il corso dei suoi pensieri e una manciata di minuti dopo le piazzole davanti ai capannoni sono affollate da uomini vestiti con tute sudice, loro non fanno caso a lui, si raccolgono in gruppi attorno a panchine di metallo e cominciano a mangiare, parlando rumorosamente.
Ecco l'umanità che si trascina ora dopo ora, giorno dopo giorno nell'inettitudine, pensa Loki, quegli uomini, che mai vedranno nulla di straordinario o importante nella loro piatta esistenza sono troppo impegnati a consumare pane e normalità per accorgersi che un dio sta passando in mezzo a loro.
Continua a camminare e si lascia alle spalle il grigio dei capannoni per precipitare in un labirinto di grigio misto a colore – colore di auto incolonnate davanti a un semaforo; di insegne pubblicitarie e graffiti sui muri e gente indaffarata che si accalca sui marciapiedi.
Deve ammettere con se stesso che conosce davvero poco di quel mondo, ma quel caos che ha ora davanti agli occhi gli fa passare ogni intenzione di aiutare a difenderlo. Poi si ricorda che non sta aiutando Midgard e meno che mai i suoi baldanzosi paladini, sta aiutando se stesso e nient'altro. E di certo si presenterà l'occasione di trarre profitto da quella inattesa circostanza.
Prosegue senza una meta precisa tra le strade trafficate. Ne attraversa una senza far caso alle auto, il conducente di uno di quegli ingombranti mezzi di trasporto frena facendo stridere le ruote sull'asfalto, gli lancia qualche improperio sporgendosi con la faccia dal finestrino. Loki volta appena il capo verso di lui, basta un'occhiata e l'uomo ammutolisce, stringe nervosamente le mani attorno al voltante e torna dentro, abbassando lo sguardo.
Io sono un dio, ottusa creatura...
Il cielo comincia a imbrunire, i lampioni si accendono e New York diventa scintillante come un cristallo di vetro. Ma in quel luogo cambia solo il colore del cielo, tutto il resto rimane uguale, la vita di migliaia di individui spalma colori effimeri contro le superfici grigie per poi sparire dietro un angolo ancora più grigio, ancora più fumoso, con una sorta di infinito movimento circolare.
Quel dannato piccolo mondo è così misero...
Una luce brilla sopra le altre, a testimonianza della sbruffonaggine di chi l'ha accesa. La scritta STARK in cima alla torre sembra galleggiare nel cielo di New York, incombere sulla mediocrità del resto dei suoi abitanti come un'illusione di grandezza.
Loki si ferma accanto a un chiosco di giornali e guarda l'enorme edificio. Ricorda lo squarcio aperto in mezzo al cielo, proprio sopra la guglia, ricorda e non sa se il pensiero di esserci andato così vicino debba farlo sorridere o infuriare.
A dirla tutta, ora gli sembra che quel mondo stia ridendo di lui...
La sente la risata, un suono distinto in mezzo al rumore della città. Riconosce il timbro della voce, ma quella voce lui non l'ha mai sentita ridere.
Sposta lo sguardo con uno scatto.
Nadia.
La ragazza sta scendendo da un taxi, seguita da un'altra persona. Sta ridendo, sta ridendo davvero, con il capo reclinato all'indietro e lo sguardo brillante.
L'altra persona è un ragazzo, e anche lui ride. Oh, dev'essere quello dell'appuntamento, quello che era lì in quei due mesi mentre lui non c'era.
Il ragazzo si sporge verso il taxi e fa cenno al conducente di aspettare, poi si volta verso Nadia, le dice qualcosa che Loki non riesce a sentire, lei annuisce.
Il dio sa che non dovrebbe importargli di quella scena, che è solo un altro misero spaccato di umanità, e di fatto non è la scena in sé che lo tocca, quanto il sapere che è un caso, un caso molesto e sfortunato, uno di quei maledetti tiri mancini del destino, se il ragazzo è lì, se è stato lì al suo posto.
Quale posto?
Loki sorride malevolo, sta per fare un passo fuori dal cono d'ombra proiettato dal chiosco di giornali e dirigersi verso i due ragazzi.
I due mesi sono passati. Ora qui ci sono io, è il mio posto...
Il suo posto. Qualsiasi esso sia, qualsiasi cosa significhi.
Allunga il primo passo, lo sguardo fisso sui due. E il ragazzo si china, poggia le labbra su quelle di Nadia. Loki si ferma mentre li guarda scambiarsi un bacio rapido a fior di labbra.
Capisce: quello non è il suo posto, non lo è mai stato davvero.
Non importa. Non importa affatto...
Non importa...
Non è lì né per la felicità della ragazza né per la propria, rammenta a se stesso.
Si volta e si allontana, lasciandosi inghiottire dai rumori della città.  

*

Sangue...
Ha imparato a riconoscerne l'odore salato, ferruginoso. Odore di morte, di paura, di pericolo.
La sua vista impiega qualche secondo ad abituarsi alla penombra di quel luogo, l'aria fredda le punge la pelle.
Una sagoma si erge in mezzo al vuoto, i colori sembrano brillare come se la figura splendesse di luce propria, un cupo bagliore dorato che mette in risalto il verde dell'ampio mantello, la doratura delle placche dell'armatura.
«Loki?». Nadia lo chiama  con voce tremula e titubante.
Il dio volta appena la testa nella sua direzione. L'elmo lo fa apparire ancora più imponente. E minaccioso.
La ragazza odia vedergli addosso le insegne del suo potere, le rammentano quanto lui sia... alieno.
È forse uno di quei sogni in cui lui si intrufola per parlarle al riparo da orecchie ed interferenze estranee?
«Loki?». Vorrebbe toccarlo, posargli una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione, ma è stranamente sicura che se lo toccasse si scotterebbe.
Il dio si volta verso di lei, ha un'espressione indecifrabile, i suoi occhi sembrano stranamente vuoti.  Allunga una mano e le prende il mento tra le dita. Continua a restare muto.
Il tocco di quelle dita è stranamente caldo, non è così che Nadia lo ricordava. Del tocco della pelle di Loki le è rimasta impressa quella sensazione di fresco, un fresco quasi piacevole. Ricorda con un certo languore quella freschezza che svaniva per lasciare posto a un calore tiepido, la sera in cui l'aveva bloccata contro il muro del rudere di Venezia e l'aveva baciata.
Ma quel calore che passa adesso attraverso le sue dita è diverso, è appiccicoso, innaturale, viscido. È come...
Nadia si sottrae alla sua presa e il calore le rimane sulla pelle. Guarda le mani di Loki e le scopre imbrattate di sangue non ancora rappreso. Si tocca le guance dove lui ha passato le dita e scopre di esserne imbrattata anche lei.
Lo fissa sgomenta, di uno sgomento muto che vorrebbe diventare un grido ma che non trova voce.
«Tu non... non devi essere per forza così...» balbetta dopo qualche secondo, poi si guarda attorno e allora vede.
Vede i corpi riversi sul pavimento. Volti già sbiaditi dal pallore che segue la morte.
Tony, Steve, Natasha, Clint, Bruce, Thor, Pepper, Jane... e Mike, proprio ai piedi di Loki.
Il dio sorride, in quel modo che farebbe tremare la terra, si china su di lei e l'afferra prima che  possa ritrarsi.
«Questa è il valore di una promessa fatta dal dio della menzogna» sibila, prima di stringerla e di posare brutalmente le  labbra ghignanti sulle sue. Nadia prova a gridare contro la sua bocca, ma il grido impiega lunghi secondi a prendere forza...

«Sono le nove del mattino» annuncia Jarvis. «L'ho svegliata, come mi aveva chiesto, signorina».
Nadia si alza di scatto, la bocca ancora spalancata. Dalla sua gola esce solo un gemito disarticolato e lei si tasta febbrile le guance dove sente qualcosa di caldo scivolare sulla pelle.
Non è sangue, sono lacrime. Ha pianto nel sonno.
Si porta le ginocchia al petto e si rannicchia su se stessa. Sente ancora l'odore del sangue nell'aria e un dolore pulsante alla pancia.
Oh, santi numi...
Scosta le coperte e vede la macchia allargarsi sulla stoffa della camicia da notte. Alza gli occhi al cielo e sospira.
«Sta bene, signorina?» chiede Jarvis
«Ciclo mestruale. Crea incubi da quando una tizia si mangiò una mela...» borbotta lei, alzandosi e correndo in bagno.
«Jarvis» esclama, cercando vestiti puliti. «Parlami, raccontami qualcosa».
«Cosa preferisce sentire, signorina?».
Qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa purché lei non debba stare sola e in silenzio. In quel silenzio le immagini dell'incubo tornano a comparirle davanti agli occhi e lei si sente terrorizzata.
E domani vedrà Loki per cominciare a risolvere la situazione della pietra, non può permettersi di essere impaurita. Non ha mai avuto davvero paura di lui nella realtà, non può averne paura nei sogni!
E comunque... lei, Loki, gli Avengers, tutti a lezione di magia. Delirante.
Jarvis attacca una tiritera tipo guida turistica di New York. Si interrompe dopo dieci minuti per annunciare che l'ospite che Nadia aspettava è alla porta.

*

T-a-x-i.
Taxi. Thor cerca di mandare a memoria la parola mentre cammina verso la Stark Tower. L'edificio è a pochi isolati dalla palazzina in cui alloggia Jane ed è visibile da qualsiasi angolo del quartiere, non c'è pericolo che si perda. E ad ogni modo, ricorda fin troppo bene quella zona della città.
Non si sente per niente a disagio con quegli abiti così diversi da ciò che è solito indossare. Non si è mai sentito a disagio su Midagard, nemmeno durante il suo esilio.
Entra nel palazzo e prende l'ascensore fino al penultimo piano.
«Benvenuto, signore» dice la voce dello spiritello che infesta i marchingegni di Stark. «Preferisce forse che mi rivolga a lei con un altro titolo?».
Thor dovrebbe dire che a casa sua, di solito, viene chiamato principe, ma non trova la cosa particolarmente rilevante e di sicuro in quei giorni non si sente molto principesco.
«Va bene anche solo... Thor, o figlio di Odino, oppure, non so, fai tu mio incorporeo amico» dice, bussando alla porta.   
«Andrebbe bene anche Boccoli d'oro» aggiunge Nadia, aprendo.
«Ma, signorina, Boccoli d'oro è un soprannome ilare inventato dal signor Stark, io non oserei tanta confidenza» protesta la voce.
La ragazza scuote la testa,
«Scherzavo, Jarvis».
Thor è contento di vedere Nadia, di vederla da solo e di trovarla di buon umore. Un buon umore che sarebbe lieto di condividere ma che gli eventi gli hanno quasi del tutto portato via.
Si sente così in colpa e così dannatamente inutile.
La Terra è minacciata a causa sua e lui non sa che fare per dare una mano – fino a quel momento gli uomini di Fury se la stanno cavando bene anche senza il suo ausilio – e ad ogni risveglio sente pesare sul cuore il segreto, i piani di suo padre per Loki. Loki poi... vorrebbe riuscire a parlargli, vorrebbe poter fare come a Venezia, prenderlo da parte e riuscire a imporgli almeno per qualche minuto la sua presenza, ma questa volta non ci riesce. Questa volta, quando gli capita di pensare a suo fratello, riesce a vedere davvero il baratro che si è creato tra di loro; quando la sua mente indugia su Loki la consapevolezza di averlo perso davvero si innalza come una scogliera, un muro indistruttibile contro il quale si vanno a infrangere tutte le sue speranze. Lo ha perso perché sa che qualsiasi cosa lui deciderà di fare, Loki sarà finito. Non importa se c'è ancora un'ultima battaglia da combattere assieme, non importa se avranno ancora qualche occasione di parlarsi, Loki non tornerà... non tornerà ad essere suo fratello – anche se questo era ovvio da diverso tempo. Non tornerà a far parte della sua vita, in un modo o nell'altro, dopo quell'avventura le loro strade si separeranno per sempre.
Thor si chiede in continuazione se accettare la soluzione proposta da Odino sia l'ultimo atto di misericordia o se sia il tradimento definitivo nei confronti di Loki. E ciò che gli fa più orrore è il rendersi conto che trovare una risposta a quella domanda non farebbe alcuna differenza.
«Sicuro che a Jane non dispiaccia?» domanda Nadia, facendogli strada all'interno della casa.
«Oh, no di certo. Stamane era impegnata in una... videochiamata con la gente del posto in cui lavora» risponde lui. «E poi, sei mia amica, volevo parlare con te... noi, non lo abbiamo ancora fatto da quando sono tornato».
Nadia sorride con una punta di irriverenza,
«Tu e Jane avevate bisogno dei vostri spazi» replica, con un'occhiata complice. «Immagino tu non abbia parlato granché nemmeno con Loki»
«Immagino che Loki non voglia parlarmi. E stavolta davvero non so che dirgli».
Thor abbassa gli occhi, sospira prima di aggiungere: «E tu, hai avuto modo di parlare con lui?».
Nadia si siede sul divano e gli fa cenno di accomodarsi. Si mordicchia il labbro con un'espressione che sembra quasi colpevole.
«Non troppo. È particolarmente astioso da quando è tornato, e lo capisco... ho passato mesi interi a  pensare che fosse sparito di proposito. Gli ho chiesto scusa e il giorno dopo l'ho spalmato contro il muro... già in condizioni normali, non è particolarmente incline al perdono».
A Thor scappa un sorriso amaro. No, Loki non è incline al perdono, non lo è affatto.
«Non è in collera con te, ne sono certo. Temo che tu lo intimorisca»  
«Certo, l'ho mandato gambe all'aria e...»
«No, intendo dire che...». Thor esista. Non è mai stato bravo con le parole e non ritiene di dover condividere con Nadia le sue illusioni solo per sentirsi rassicurato o per convincerla di qualcosa che non è la verità, ma se lei è davvero l'unica speranza di salvare Loki nel miglior modo possibile, lui non può perdere quell'occasione. «Ah, Nadia... per quanto Loki si sforzi di esserlo, non mi è così estraneo, io lo conosco. In gioventù era inviso a molte persone alla corte di mio padre, non è mai stato in grado di conquistarsi il favore degli altri perché non ha mai fatto nulla per gli altri e...».
Nadia si alza di scatto e gli dà le spalle. Thor si chiede se non abbia esagerato o se non abbia parlato a sproposito.
«E invece per me si è fatto catturare e torturare, rischiando anche di essere ucciso, lo so» dice la ragazza, amareggiata. «E questo vuol dire tanto per me ma, Thor, non posso essere l'eccezione che conferma la regola del suo odio verso tutto e tutti»
«Non sempre le eccezioni confermano le regole, a volte sono il punto di partenza per cambiarle. Non si tratta solo di quello che Loki ha fatto per te, si tratta di quello che tu hai fatto per lui. Se mio fratello avesse incontrato in passato persone disposte a guardare oltre, adesso forse...».
Thor vede lo sguardo di Nadia incupirsi e fissarsi su un punto lontano, oltre la vetrata, come se stesse andando a scandagliare le ferite della città lasciate dal passaggio di Loki.
«Lui aveva bisogno di te, ha ancora bisogno di te» afferma il dio del tuono. «Ed egoisticamente, io ho assoluto bisogno di credere in questo. La strada che Loki ha imboccato è un vicolo cieco e quando ne vedrà la fine vorrei che vedesse una luce in mezzo al buio che si è creato intorno. So che tu desideri lo stesso, altrimenti non avrei osato affrontare un simile discorso».
Nadia torna di nuovo verso il divano, si siede accanto a Thor e gli posa la testa sulla spalla.
«Hai ragione» gli mormora. «Ma è giusto che tu ricordi che nessuno può salvare Loki, nemmeno io. Meno che mai io, anzi».
Nella malinconia con cui la ragazza pronuncia quelle parole ci sono tutte le risposte che Thor stava cercando. Non sa se Nadia e Loki troveranno mai una strada che possa andare bene per entrambi, probabilmente no, ma lei è ancora una volta la conferma a ciò che lui ha sempre desiderato di poter affermare: Loki non è un mostro.








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Note:

“Sto scrivendo di un branco di idioti!”. Il mio primo pensiero dopo aver finito questo capitolo. Ma del prossimo sono notevolmente più contenta.
Questo è uno dei capitoli che mi soddisfa di meno. Spero almeno che l'exploit di Thor non sia troppo OOC... 

Intanto, colgo di nuovo l'occasione per ringraziarvi tutti perché siete sempre in tanti e il vostro entusiasmo mi riempie di voglia di  andare avanti con questa storia. 
Grazie *_*

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo con l'aggiornamento.

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Capitolo 14
*** Resistance ***


Capitolo tredicesimo
Resistance


Sapeva che non sarebbe stato facile, che avrebbe potuto essere pericoloso. Sapeva anche che avrebbe resistito, ed è esattamente quello che sta facendo.
Sapeva tutto questo, anche molto prima di New York, degli Avengers e di Loki.
Pepper continua a correre, pesta forte i piedi sulla ghiaia. I piccioni volano via al passaggio di quella sottile donna in tenuta da jogging, con la coda di cavallo di quel biondo ramato che dondola dietro la sua testa come il pendolo di un orologio.
Non c'è rabbia nella foga che la spinge a continuare ad andare – ha già prolungato la sua sessione di corsa mattutina di un quarto d'ora – ma non ha molta voglia di tornare a casa. Stavolta lei non è inclusa nel progetto, stavolta Tony ha preferito tenerla fuori: prenditi una vacanza, le ha detto, prova l'inebriante vita della casalinga, solo per qualche settimana.
Tony è spaventato, lei lo conosce, può leggere ogni cambio di umore, ogni sfumatura di emozione nel più impercettibile battito di ciglia di quell'uomo. Stavolta si tratta della paura che il brillante signor Stark prova sempre quando non ha il totale controllo della situazione.
Hanno dovuto spegnare i reattori Arc, smontarli e tenere i pezzi separati in depositi sparsi in ogni angolo del Paese – alcuni sono finiti anche da qualche parte in Canada. Le ubicazioni dei vari componenti sono assolutamente top-secret, nemmeno lei ne è a conoscenza, nemmeno Tony. Solo lo S.H.I.E.L.D. sa dove si trovano. Ora la Stark Tower funziona con normalissima energia elettrica.
È per evitare che si ripeta quello che è già accaduto durante l'attacco dei Chitauri a New York.
Ci sono nuove minacce. E Tony ha paura. Dopo essere quasi morto per deviare un missile nucleare lanciato su Manhattan, dopo che gli ultimi nemici piovuti dal cielo erano demoni di fumo che avevano preso possesso del suo corpo... e non era stato lui a salvarla, era stata Nadia a costo della propria vita. E adesso Tony vuole proteggere ciò che ama a tutti i costi, vuole proteggere ciò che gli appartiene, i rettori Arc, e lei, e Nadia, ma ha in mano solo un pugno di mosche con cui combattere, almeno per il momento.
E come se non bastasse, il congelamento del progetto sui rettori usati come energia alternativa sta facendo perdere un sacco di soldi e di tempo alle Stark Industries e ha messo lei, la brillante, efficiente, energica Pepper Potts in condizione di sperimentare l'inebriante vita della casalinga. Del resto, ora che non ha più quel progetto su cui lavorare le resta ben poco di cui occuparsi: il gemellaggio con la Golden Hope e i preparativi per il party. E Tony, come sempre.
Non sa quando è successo, quando ha capito di amarlo. Forse quando si è resa conto di non sentirsi mai stanca, dopo i mille guai che lui ha combinato e a cui lei ha dovuto trovare una soluzione – spesso in tempi umanamente impossibili. Forse quando ha cominciato a sentire un dolore sordo dentro sé, ogni volta che una donna mezza nuda usciva dalla camera da letto di Tony, quando lui era già sgattaiolato via per andarsi a rifugiare nel suo laboratorio per non doversi assumere l'onere di saluti imbarazzanti o di scenate isteriche. Di sicuro prima, molto prima di quella volta in cui gli aveva dovuto sostituire il primo reattore Arc incastrato nel petto e gli aveva sentito dire che lei era tutto ciò che aveva.
Pepper respira a pieni polmoni l'aria di Central Park che sa di erba e resina.
Non sa quando è successo, non le importa. Sa che ha fatto una scelta e ha intenzione di prestarvi fede.
Decide che la sessione di jogging è durata abbastanza, che non ne può più della maglietta appiccicata di sudore e fa dietro front.
Torna a casa e sente la voce di Jarvis parlare con qualcuno. Trova Nadia seduta sul divano dell'open space, china sul tavolino ad armeggiare con qualcosa.
Nadia che quella mattina ha la sua sessione di allenamenti nuovi. Tony ha passato la nottata a sistemare la nuova armatura giusto per l'occasione, perché ha detto che vuole tenere alta la guardia, che non si fida di Loki. Pepper ha cercato di non pensare al dio tornato dall'inferno, la sola idea di Nadia impigliata in quel casino è abbastanza angosciante, ma non vuole essere pessimista.
«Sorpresa!» esclama la ragazza, voltandosi verso di lei con un sorriso.
«Ehi, ciao. Cosa stai facendo?»
«Oh, è un lavoretto che ci tenevo a finire» dice Nadia. «Ci ho lavorato per un po', ieri».
Per ieri intende certamente quella notte. Nemmeno lei dev'essere riuscita a dormire e ognuno scarica la tensione come può, ognuno si prepara al peggio cercando di fare il proprio meglio. Il meglio di Tony è la tecnologia, il meglio di Nadia sono le fotografie.
Pepper si sente un po' sciocca ora che si rende conto che non ha mai visto foto scattate dalla ragazza che le ha salvato la vita. Che è strano, che spesso quando qualcuno ha una grande importanza per noi tendiamo a guardare solo i particolari macroscopici e ci lasciamo sfuggire un sacco di dettagli piccoli ma non per questo insignificanti.
Pepper si è sempre preoccupata di rendere piacevole il soggiorno di Nadia a New York, di offrirle una spalla salda, qualche consiglio amichevole, ma forse non è riuscita a conoscerla davvero, troppo presa dall'immensa gratitudine che prova per lei, troppo presa dalle cose grandi – come è sempre stata – per ricordarsi che l'anima delle persone è fatta di piccoli pezzi messi assieme come minuscoli tasselli di un unico mosaico.
Ma quella mattina la ragazza deve cominciare una specie di addestramento sull'utilizzo di un potere alieno che, suo malgrado, le scorre in corpo, e ad addestrarla sarà la persona che ha tentato di conquistare la Terra e uccidere Tony e le persone a cui Nadia vuole bene. E, stando a quanto dice Tony, lei prova – o provava – qualcosa di molto forte per Loki...
Ognuno ha la propria montagna da scalare, il proprio precipizio da saltare. Pepper si sente fortunata, crede sempre di avercela fatta. Ma Nadia?...
Ora Nadia le sta porgendo una cartellina e sorride. Ha gli occhi di chi non ha dormito e dentro quegli occhi ha lo sguardo di una che è pronta a tutto pur di farcela anche lei. Pepper sente un po' di amarezza nel rendersi conto che non sa cosa in cosa esattamente lei voglia farcela. Che non saprebbe nemmeno che parole usare per domandarglielo.
Prende la cartellina che la ragazza le sta porgendo.
«E queste da dove saltano fuori?» domanda, stupita. Ci sono decine di foto della sezione delle Stark Industries dove si lavorava al progetto del rettore Arc, prima che Fury desse ordine di smantellare tutto. Al centro dell'inquadratura c'è sempre un nugolo di luce azzurrina che si spande sulle cose che ci sono attorno, le foto non hanno tolto niente a quel particolare colore.
«Le ho fatte durante le prime settimane che ero qui, mi ha accompagnata Mike. Avevo il permesso di Tony, naturalmente» spiega Nadia. «Del resto la scusa ufficiale è che io sia in America per un servizio fotografico sulle diavolerie delle Stark Industries. Jarvis mi aiutato a ridimensionarle e stamparle al massimo della qualità, ma ho conservato il cd dove ci sono tutti gli scatti. Mentre i reattori sono smontati e sparsi per il mondo, puoi comunque lavorare a qualche presentazione o preparare un catalogo o qualcosa del genere...».
Pepper guarda le foto, stupita, poi guarda Nadia sorriderle. Per un attimo le sembra che quelle foto siano una sorta di regalo di addio, una specie di punto di interruzione al discorso. È una sensazione priva di senso, eppure, anche se quell'inaspettata sorpresa le ha fatto piacere, Pepper sente che c'è qualcosa di storto in quell'episodio. Forse sta solo diventando paranoica – la paranoia a oltranza è uno degli effetti collaterali dovuti all'essere in stretto contatto con Tony Stark.
«Grazie, Nadia» replica sorridendo. «Ma il tuo lavoro qui non è finito...»
«Ok. Ma prendile come un anticipo».
La donna guarda Nadia con un'aria leggermente perplessa e sente un gran bisogno di abbracciarla, ma non fa in tempo perché Tony riemerge dal suo laboratorio con l'armatura compattata in una specie di grosso trolley.
«Buongiorno, miei raggi di sole!» esclama, mettendo su un sorriso enorme. «Sei pronta Colombina?».
No, non sembra pronta. O forse lo è da sempre.

*

Loki prova un compiacimento quasi infantile nel rendersi conto dello sguardo accigliato con cui Nick Fury lo fissa uscire quella mattina. Adora ricordare a se stesso che nessuno ha ancora trovato una prigione che possa contenerlo e che, a dispetto di ciò che vogliono quelli dello S.H.I.E.L.D, lui entra ed esce da quel posto a suo piacimento. Non possono trattenerlo, non possono controllarlo.
Ha ottenuto una piccola vittoria, la cosa lo diverte per un po', ma poi si rende conto di quanto quella vittoria sia vana e priva di significato e di come il grumo di rabbia condensato in fondo al suo petto si agiti e graffi senza tregua. Adesso gli sembra un'arsura dalla quale non riesce a trovare sollievo.
Sente il direttore Fury parlare con Barton e la Romanoff e raccomandarsi di tenere gli occhi aperti e di riferire ogni minimo dettaglio di quello che accadrà quella mattina e di non fare complimenti: hanno a disposizione tutti i rinforzi che gli servono, basta uno schiocco di dita e il mostro può essere a tiro di decine e decine di fucili.
Loki non sa quanto margine di resistenza ha effettivamente contro le armi di Midgard e di certo non ha voglia di scoprirlo. Di certo può resistere a tutti loro molto di più di quanto loro possano resistere a lui. Ma anche questa non è una vera e propria vittoria, non ha niente tra le mani, i suoi nemici prosperano e le labbra che dovrebbero profondersi in lodi e ringraziamenti al suo indirizzo sono impegnate a regalare baci a un altro.
Pensare alla vendetta non gli è di alcun conforto, non in quel frangente. Non ha armi con cui combattere e non ha appigli con cui cominciare a tessere piani.
Ora potrebbe semplicemente rifiutarsi di andare ad aiutare la ragazza, arrivare a destinazione dove lei lo aspetta insieme ai suoi nuovi e meravigliosi amici e mentire, dire che si è sbagliato, che non può fare niente per lei. O dire la verità, che si rifiuta di prestarsi a quel gioco. Ma non lo farà, lo sa, lo sente, e il grumo di rabbia nel suo petto comincia a pulsare.
Ecco, ecco cos'ha, un buco nero di rabbia e buio al posto del cuore.
Di chi è la colpa? Loki ha sempre pensato di avere una risposta per questa domanda, ma adesso tutto sembra molto più confuso, molto più grande, al di là della sua stessa mente. Ora che alla rabbia comincia a sommarsi un'indicibile frustrazione, tutto diventa fumoso e sfuggente come nebbia nei suoi pensieri. La fiamma dell'odio è ancora un fuoco indistinguibile dentro di lui ma è una luce che appare sfocata in mezzo al fumo di sentimenti e idee che non riesce a distinguere.
Continua a camminare verso l'uscita, quasi senza accorgersi dell'agente Barton e dell'agente Romanoff che lo seguono e lo pilotano verso un'enorme auto scura. Si siede sul sedile posteriore mentre loro montano davanti, si lascia cadere contro lo schienale e osserva il mondo scorrere, velato dall'ombra dei finestrini oscurati. È solo vagamente consapevole dello sguardo che l'agente Romanoff tiene puntato su di lui attraverso lo specchietto retrovisore.

Il luogo di destinazione scelto per l'incontro con Nadia è lo stesso bosco in cui il varco aperto dalla pietra lo ha risputato quando è scappato dal pianeta dei Chitauri. Loki non si era accorto del fatto che ci fosse un'abitazione, non ha fatto in tempo.
La casa ha un tetto a spiovente e un patio di legno. Sotto al patio la squadra dei Vendicatori al completo è schierata accanto a Nadia, ma hanno un che di ridicolo. Thor indossa abiti da midgardiano – è quasi oltraggioso, considerando che ha comunque il Mjolnir a portata di mano – e Bruce Banner è appoggiato a un parapetto di legno, con la sua aria innocua e stupida.
Gli Avengers in abiti civili. Loki non sa se deve prenderlo come un insulto o come una dimostrazione di accettazione. Nessuna delle due cose gli è gradita.
Pensa che sarebbe appropriato ricordare comunque che sono inutili quanto le foglie cadute in terra, che sarebbe normale mormorare un freddo «cominciamo» e lasciare che tutto venga da sé. Ma non ce la fa, come non ce l'ha fatta ad andarsene e basta, come non ce l'ha fatta a combattere contro i Chitauri correndo il rischio di non poter tornare indietro.
La rabbia dentro il suo petto esplode come un incendio e i suoi occhi devono lanciare fiamme quando si china a guardare Nadia perché lei sussulta anche se quasi impercettibilmente.
«Dateci cinque minuti» dice, continuando a guardare lei e non gli altri, non gli Avengers, perché di loro non gli importa nulla e di certo quella non vuole essere una richiesta.
Sente come un sospiro che suona quasi come sfrigolio elettrico sfuggire all'unisono alle labbra dei sei eroi, ma nessuno dice niente e Nadia fa un passo verso di lui e lo segue dal lato opposto dello spiazzo di erba.
Non sa bene cosa dirle, in realtà. Si sente in dovere di prepararla, di rassicurarla forse.
«Farà male» le annuncia. Ridicolo: non è per niente rassicurante.
«Sì, certo. Dopotutto devi pur trovarci qualcosa di divertente».
Lui la fissa crucciato,
«Se trovassi divertente farti del male, adesso forse non saresti qui»
«Questo dovrebbe essere rassicurante?»
«No, dovrebbe essere... lusinghiero».
Nadia sorride e scuote la testa, poi solleva una mano e gliela posa sul braccio. Loki non riesce a fare a meno di notare quanto quel gesto sia inconsueto; quando erano a Venezia sembrava stomacata alla sola idea di lasciarsi guardare, da quando è tornato l'ha sentita così distante, ad una lontananza indefinita che gli è parsa irraggiungibile. Ma non è tanto il gesto a stupirlo, quanto le parole della ragazza.
«Mi fido di te» gli mormora. «So che ce la farai ad aiutarmi».
Potrebbe sorriderle di rimando e mostrarsi contento, ma la rabbia che urla dentro di lui gli asciuga il sorriso e glielo porta via dalle labbra.
«Devo ritenerla pazzia o ingenuità?» sbuffa.
«Si tratta di logica. Uno non si fa torturare per tornare ad aiutare qualcuno che non vuole o non può davvero aiutare» replica lei. Lei che sa, che comprende con quella sua logica sentimentale affilata come uno stiletto, pericolosa e detestabile.
È vero, il gusto di farle del male gli è sparito da tempo ma si sente piuttosto sollevato quando alza una mano verso di lei e sente l'energia premergli contro il palmo, e sa che può fare qualsiasi cosa. E quello che sceglie di fare è trasformare l'energia in qualcosa di molto simile al fuoco.
L'urlo di dolore di Nadia è così acuto e straziante da far volare via un nugolo di uccelli. Lei cade in ginocchio davanti a lui, sollevando uno sbuffo di polvere e prima che Loki se ne renda conto Stark gli è addosso e lo getta a terra.
«CHE COSA STAI FACENDO?» gli urla. La rabbia fatta persona, al confronto il mostro verde che si annida sotto la pelle di Banner è nulla.
«Sto facendo quello che devo» risponde Loki, la voce gli esce a fatica perché l'uomo di metallo gli tiene la mano serrata attorno alla gola.
Gli altri Avengers sono raccolti attorno a Nadia e cercano in maniera confusa di fare qualcosa, Banner sta persino armeggiando con il contenuto di una borsa da medico.
Loki scorge il viso della ragazza tra le gambe dei suoi maldestri soccorritori, è rosso per la tensione e trasfigurato dal dolore.
Combatti. Sei una guerriera, combatti...
Lo pensa con tutta l'intensità di cui è capace, riuscendo quasi a non sentire i ringhi di Stark chino su di lui che gli ripete di smetterla, come se potesse condensare quel pensiero in qualcosa di concreto e farlo giungere fino a lei.
«Deve... fermarlo da... sola» riesce ad ansimare Loki, che si sente soffocare sotto il peso dell'armatura dell'uomo che gli è sopra.
A quel punto il dio dell'inganno cerca lo sguardo di Thor e, curiosamente, lo trova. Lui è il solo che forse può capire, è il solo tra tutti loro che può in parte comprendere la magia, anche se ne diffida come ogni perfetto asgardiano.   
Loki ha quasi voglia di ridere per quel momento di automatica e rapida comprensione reciproca tra lui e l'individuo che seguita a chiamarlo fratello.
Thor allontana gli Avengers da Nadia con un paio di bracciate e dice qualcosa per calmarli, poi viene a togliergli Stark da dosso.
Nessuno sembra davvero calmo e Stark ancora si dibatte nella presa di Thor. A Nadia scorre un rivolo di sangue da una narice e Loki comincia a chiedersi se non sia il caso di fermare quella piccola dimostrazione.
Lo spettacolo attorno a lui è disturbante. Gli Avengers ora sono a qualche metro da Nadia: Barton e la Romanoff si tengono l'uno stretto al braccio dell'altra come se si stessero trattenendo a vicenda dal gettarsi su di lei; Rogers sposta ansioso lo sguardo tra la ragazza e Banner che sta cominciando a respirare in modo preoccupante; Thor tiene fermo Stark dalla cui armatura si sente la voce artificiale del robot che la anima dire qualcosa riguardo i parametri vitali di Nadia.
Loki rinuncia all'idea di interrompere quell'incantesimo. Sa che se lo facesse, se lei non riuscisse a dimostrare di farcela da sola, tutti loro non la lasceranno mai più in pace, e sono già abbastanza asfissianti e invadenti adesso.
Combatti, Nadia, combatti...
Come se lei avesse sentito i suoi pensieri, solleva un ginocchio e pianta un piede a terra. Non riesce ad alzarsi, ma almeno ora si sta sforzando di opporre resistenza. Il sangue stilla dal naso in minuscole gocce color del rubino e si confonde alle lacrime di dolore.
No, decisamente non c'è niente di soddisfacente o divertente in quello spettacolo.
Il tempo sembra arrestarsi, scandito solo dal sudore che imperla la fronte di Nadia, si condensa in gocce salate e le scende lungo le tempie. Sembra passare un'eternità, ma alla fine Loki sente l'ondata di energia gonfiarsi e salire, gli altri non possono vederla, ma lui può percepirla in tutta la sua brutale forza.
Nadia serra le palpebre e china il capo. Quasi con sgomento Loki si accorge che lei la sta trattenendo perché non sa dove indirizzarla e forse ha paura di colpire qualcuno e fargli del male.
Fa appena in tempo a realizzare tutto questo che Nadia apre gli occhi di scatto e lui sente l'energia vibrare nell'aria, colpisce il tronco di un albero e lo manda in frantumi.
La ragazza cade in avanti, puntellandosi sui palmi e tremando come una foglia. Loki ha l'impulso di avvicinarsi, ma resta per un attimo a fissarla titubante ed è Rogers il primo a planare su di lei, come un rapace affamato di far del bene.
Non svenire, ragazza. Non svenire, non mostrare loro che sei debole...
Steve Rogers le mette le mani sulle spalle e la scuote leggermente. Subito dopo di lui ci si mette anche Banner, che le tasta il polso per provare a calcolare la pressione.
«Sto bene» mormora Nadia con voce sofferta. Alza la testa per guardare verso Loki, oltre la spalla del soldato. Loro due si guardano negli occhi, tenendo gli sguardi incollati l'uno all'altro.
Stark si toglie precipitosamente l'elmo dell'armatura e si fionda su Nadia, strappandola alla vista del dio.
Solo Thor sembra ricordarsi della sua presenza – e potrebbe anche farne a meno. Gli si avvicina e gli tende una mano per aiutarlo a rialzarsi. Loki ignora la mano del dio del tuono e si rimette in piedi da solo, cerca di ignorare anche il suo sguardo, ma è difficile, in certi frangenti gli occhi di Thor gli fanno davvero montare la rabbia nel sangue.
«So che è stato difficile anche per te» mormora il figlio di Odino.
«Perché mai avrebbe dovuto?» borbotta Loki, tirandosi via la polvere dai pantaloni.
«Puoi ingannarmi su molte cose, ma non riuscirai mai a farmi credere che ti piace farle del male o che non provi dispiacere per tutto questo».
E questa baldanzosa sicurezza nel comprendere gli animi altrui adesso da dove salta fuori? E ad ogni modo, cosa si aspetta che gli dica?
«Come sta la tua umana, Thor? Non me l'hai presentata quel giorno al covo dello S.H.I.E.L.D, è stato molto sgarbato da parte tua» dice Loki in tono mellifluo.
«Ho immaginato che non ti interessasse. Sei tu quello che andava farneticando a proposito dell'inferiorità degli umani»
«Giusto. Pensavo temessi potessi farle del male. Ma non importa, avrò senz'altro occasione di incontrarla in un altro momento».
Loki riesce quasi a sentire il ringhio prendere forma nella gola di Thor,
«E' una minaccia?» tuona lui.
«Mi offendi, fratello. Ti sta così tanto a cuore la mia redenzione eppure vedi malignità in tutto ciò che dico. Vuoi forse ammettere che sono senza speranza?».
Loki si lascia scappare una risatina divertita e dà le spalle al dio del tuono, avvicinandosi all'albero che Nadia ha distrutto.
Quello era solo un esperimento, aveva bisogno di sapere quanta energia lei riusciva ad accumulare, quanto potente potesse essere. Ora lo sa, e sa anche che lei è molto più cosciente di quanto si crede, l'ha sentita mentre cercava di trattenere l'esplosione per assicurarsi di non ferire nessuno. Forse non sarà così complicato insegnarle, forse basterà poco per salvarla. Forse può insegnarle molto di più.

*

Non oppone resistenza mentre Steve la solleva tra le braccia e la porta dentro casa.
Il suo primo pensiero vagamente coerente è per Bruce. Nadia lo cerca con lo sguardo e lo trova accanto a lei, con le dita ancora chiuse attorno al suo polso in una presa gentile.
«Tutto bene, dottore?» gli chiede con un sorriso esausto. «Non abbiamo rischiato di vederci verde?»
«Abbiamo rischiato. Ma tutto è bene quel che finisce bene, no?» risponde Bruce quasi con imbarazzo. Lei pensa di capire a cosa stia pensando lui adesso, ha paura che se ogni volta sarà così non riuscirà sempre a reggere... lei più che altro spera che le lezioni future non siano sempre così complicate.
Il suo secondo pensiero è per Tony. Dov'è? Sta tentando di disintegrare Loki con qualche raggio alle particelle di diamante? Gli è venuto un infarto?
E Loki? Stanno pensando tutti che sia un pazzo sadico? Stanno pensando che si è divertito a vederla stare male?
Steve l'appoggia con cura sul divano. Nadia si rende conto di sentirsi assai meglio di quanto avrebbe sperato. Si sente spossata e indolenzita, urgentemente bisognosa di una doccia, ma sta bene.
Natasha versa del disinfettante su un batuffolo d'ovatta e le pulisce il rivolo di sangue colato dal naso, con gesti delicati, come se potesse rompersi. Clint si siede sul bracciolo del divano dove lei tiene appoggiata la testa e la fissa con un mezzo sorriso,
«Almeno spero che non troverai più così male le mie lezioni al poligono di tiro» dice in tono sarcastico, per spezzare la tensione.
Nadia si sforza di ridacchiare e sente l'odore del disinfettante salirle per il naso e pizzicarle la gola,
«Mi chiedo cosa facevano i celeberrimi Vendicatori prima di avere me di cui prendersi cura» risponde. Fa un sorriso tirato, lascia che loro le ronzino attorno come tante api operose, ma per la prima volta pensa che forse Loki ha ragione, che quel loro starle addosso è eccessivo e che potrebbe essere asfissiante. Anche se li capisce e gli è grata per tutto quello che fanno per lei. Ma vorrebbe poter alzarsi in piedi e scherzare su quanto il peggio sia passato, solo che sa che se provasse ad alzarsi la spingerebbero di peso contro il divano e le direbbero di stare buona e riposare, che gli ha fatto prendere un colpo.
Si limita a sospirare e a chiudere gli occhi, godendosi qualche secondo di silenzio in cui tutti zittiscono. Sente solo dei passi pesanti avvicinarsi al divano e indovina trattarsi di Tony.
«Io e Jarvis abbiamo fatto un po' di analisi» dice lui. «Naturalmente non salta fuori niente, e sembra che tu stia scoppiando di salute».
«Tony, io sto scoppiando di salute»
«Certo che sì, Colombina» replica lui, accondiscendente, appoggiando una mano fasciata di metallo sulle sue che tiene abbandonate in grembo.
«Dov'è Loki?»
«Qui fuori, con Thor. Non sembra che stiano tentando di ammazzarsi».
Nadia non sa a chi appartiene la mano che ora le sta accarezzando la testa e le sta scostando dalla fronte i capelli sudati – forse a Steve – sa solo che prova un tremendo senso di rilassatezza e fa fatica a riaprire gli occhi.
Scivola verso il sonno quasi senza rendersene conto.

Quando si sveglia, c'è Thor seduto accanto a lei. Almeno, capisce che è Thor dopo lunghi secondi in cui fa fatica a mettere a fuoco la figura corpulenta seduta sulla sedia vicino al divano, con il viso puntato nella sua direzione.
Il dio del tuono le sorride, un sorriso a metà tra il sollievo e l'incoraggiamento. Non hanno più avuto modo di parlare da quando lui è passato a trovarla alla Stark Tower e da allora Nadia ha ancora la sensazione che ogni volta che Thor la guarda vorrebbe dirle qualcosa che non può o non sa dirle.
È strano, probabilmente la ragazza si sbaglia perché non è da lui fare il misterioso o tenere gli altri all'oscuro di qualcosa, quella è un attitudine dell'altro membro di quella famiglia problematica. A proposito, dov'è Loki?  Nadia lancia uno sguardo intorno a sé, ma ci sono solo i Vendicatori, ognuno di loro munito di una tazza fumante di quello che deve certamente essere il tè verde di Bruce.
Beh, ogni ''famiglia'' ha i suoi problemi...
Nadia si mette a sedere e si accorge di stare bene, non c'è traccia di dolore o di stordimento o di stanchezza. Come le crisi passate, ogni volta che scaricava l'energia poi un attimo dopo tornava tutto a posto.
Certo, il ricordo del dolore di poco prima le stringe lo stomaco e si sente di nuovo come quando erano tutti chiusi in quella casa diroccata a Venezia: la piccola umana in mezzo ai giganti. I tizi che sono con lei nella stanza hanno salvato il mondo e lei ha paura del male fisico che ha provato – che magari proverà ancora – a causa della pietra. Di tutte le cose di cui dovrebbe avere paura, le sembra proprio la più stupida, ma non riesce a farne a meno.
«Ti senti bene?» Bruce si china su di lei, le tasta il polso, le preme un palmo sulla fronte e le ficca in mano una tazza di tè.  
Nadia annuisce, sorride e si alza in piedi con cautela. Tutto bene, quasi certamente non stramazzerà sul pavimento.
Lancia un'occhiata fuori dalla finestra e vede Loki in piedi, appoggiato con un fianco contro il parapetto di legno del patio, intento a fissare il bosco. Condividere ancora gli stessi metri quadri cubi di aria con i Vendicatori deve essere troppo per lui.
Non provano a fermarla quando fa per uscire, ma è certa che non le toglieranno gli occhi di dosso e che staranno tutti alla finestra. Non importa, non ha segreti con loro, non ha niente da dire a Loki che non può essere ascoltato da altri.
Non era sua intenzione prenderlo alle spalle, e nemmeno ci riesce, perché il dio l'ha sentita arrivare, infatti alza appena la testa quando lei si avvicina, anche se evita di guardare nella sua direzione. È il modo che ha lui di dire che non ha ancora fatto pace con quello che è successo.
«Ti ho portato questo, tieni» dice lei, porgendogli la tazza. Fare un gesto gentile verso Loki e liberarsi dell'insopportabile tè verde con una sola mossa, perfetto!
Lui è costretto a voltarsi, avvolge le dita affusolate attorno al manico di porcellana e guarda distrattamente il liquido fumante.
«Dovrebbe piacerti il tè, hai un'aria molto... inglese».
Non che la battuta sia densa di acume, ma almeno sembra sciogliere un po' la condensa di brina che si forma tra loro due ogni volta che succede qualcosa. Loki sembra essere davvero convinto che il suo temperamento algido sia prova di forza e non si rende conto di quanto invece sia lo specchio di una tremenda e dolorosa fragilità.
«Ho bisogno di te» dice Loki all'improvviso, nell'intervallo tra due lunghe sorsate di tè – che sembra bere con gusto.
Nadia non sa se mettersi a ridere o cominciare a urlare.  
«Di passare del tempo con te» precisa lui, senza scomporsi. «Pensavo che mi sarebbe stato chiaro il funzionamento dell'energia ma non è così, tu sei un caso del tutto eccezionale, un'umana che ha accesso un potere che non è di questo mondo. Mi sfuggono ancora molte cose di questa situazione».
Certo, è chiaro. E quel supplizio di poco prima cos'era? Un esperimento?
«Oh. Bene, sono lieta che quello che abbiamo fatto oggi ti abbia fatto capire che ci sono cose che non capisci» borbotta Nadia, sospirando.
«Non ne ho alcuna colpa».
Spero che Hulk ti riduca in poltiglia...
«D'accordo. Ti inviterei a casa mia, così potremmo starcene sul divano a guardare Real Time e mangiare biscotti ipocalorici e metterci lo smalto o farci la ceretta a vicenda... ma ai miei coinquilini non piace la confusione»
«Che cos... oh, capisco. Dormi in un grande letto in mezzo a Stark e alla sua compagna? Così ti tengono meglio d'occhio?»
Nadia alza gli occhi al cielo e gli strappa dalle mani la tazza di tè – che lui non ha ancora finito di bere – poi si volta per tornare in casa.
«Ci vediamo domani, alla base dello S.H.I.E.L.D.» conclude secca. «Mi porto qualcosa da leggere».




___________________________________________

Note:

Pepper. Mi mancava il suo POV ed essendo la compagna di Tony io non posso che adorarla. Per una volta ho voluto pensare al suo lato più “fragile”, a quello di persona in balia degli aventi a causa dell'ingombrante nome dell'uomo che ama. Spero di non essere andata troppo OOC

Per la serie “come mandare a monte tutti gli sforzi fatti per sembrare una fanwriter con un po' di sale in zucca”:
«Dovrebbe piacerti il tè, hai un'aria molto... inglese». Ci credete che è da quando ho messo mano a A series of unfurtunate events che volevo scrivere questa battuta? Ok, ok, mi ritiro nell'angolino a fare cinque minuti di vergognamento.

Ci leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento. 

Ciauz!

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE


*****

Oh, per la canottiera di Odino! Mi accorgo solo ora che questo è l'ultimo aggiornamento prima di Natale e il penultimo di questo anno - dove otto mesi su dodici li ho passati scrivendo queste due fanfiction. Otto mesi! E c'è ancora chi legge, inserisce nei preferiti, segue e mi scrive. E io non so da dove cominciare a ringraziarvi! *____*
Auguroni di buone feste a chiunque passi di qui!

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Capitolo 15
*** Sunshine and frost - part one ***


Capitolo quattordicesimo
Sunshine and frost – part one


«Vuoi fare a botte, uomo di metallo?». Loki gli lancia uno sguardo altezzoso, poi smette di badare a lui e comincia a guardarsi attorno enfatizzando un'aria annoiata.
Tony deve reprimere l'impulso di assestargli un pugno su quel suo naso diritto da principino.
«Ho trovato il cervo. È qui, è tutto a posto» annuncia, parlando nell'auricolare, poi atterra davanti a Loki e fa scattare verso l'alto la visiera dell'armatura per poterlo guardare faccia a faccia.
«Eravate in pena per me? Quanta premura!» esclama il dio, sarcastico.
«Dovrebbe lusingarti tutto questo interesse. La tua discesa verso la follia non era cominciata con le carenze affettive?»
«Mi sembrava che si fosse giunti alla conclusione che non occorre tenermi in gabbia. Non siete i miei custodi e io non sono vostro prigioniero»
«No. Tu sei un latitante interspaziale che in un'altra circostanza sarebbe stato condannato per crimini contro l'umanità... o la galassia, quel che è».
Loki si liscia distrattamente il tessuto della casacca e scrolla le spalle,
«Chissà cosa direbbe l'umanità se sapesse che i Vendicatori piuttosto che vendicare scendono a patti con i mostri» mormora con finta leggerezza.
«Chissà cosa direbbe il sindacato dei mostri se sapesse che un suo egregio esponente è sceso a patti per il bene di una singola persona. Sarebbe scomodo se in giro si sapesse che hai un cuore» conclude Tony.
«Questa, signor Stark, è una supposizione affatto vostra».
La vocina nella testa di Tony è entrata in loop, ripete solo: non spaccargli la faccia, non spaccargli la faccia, non spaccargli...
Lui sospira e arriccia le labbra, poi lancia a Loki una lunga occhiata. Vorrebbe dire che più che una supposizione è una speranza, e che lui stesso ha fatto molta fatica per arrivare a partorire una simile idea, ma alla fine – e su questo anche gli altri sono tutti d'accordo – per quanto possano temere Loki e la sua attitudine all'intrigo, per quanto la cosa possa nauseare anche una mente aperta come quella di Tony, non possono sottovalutare quello che lui sta facendo per Nadia.
E adesso il suo cervello da genio miliardario si sta inceppando nel formulare pensieri che gli sembrano ancora difficili da contemplare. Ora Tony sta pensando che provare per un attimo a giocare a carte scoperte non può fare un soldo di danno, non al punto in cui sono arrivati, insomma, non con quello che bolle in pentola, non con quello che Fury gli ha costretto ad architettare.
«Sai, a volte ho pensato che non ce l'avrebbe fatta, Nadia intendo. L'ho pensato più spesso di quanto mi piaccia ammettere» dichiara, scuotendo il capo. «E non mi piace, non piace a nessuno di noi pensare che se uscirà da questa situazione sarà per merito tuo».
«Stai cercando di ribadire quanto mi disprezzi o è un modo contorto per dirmi che sei contento della mia presenza?»
«D'accordo, arrivo al punto. Se in quel tuo cuoricino ombroso c'è un briciolo di affetto per Nadia...».
Loki non gli lascia finire la frase, alza la testa di scatto e lo fissa furioso. Quello sguardo riporta alla mente di Tony la sensazione del vuoto nel quale stava precipitando, il rumore di vetri infranti e l'aria che gli sferzava impietosa il viso durante la caduta. Si sente sollevare – armatura inclusa – e senza capire come si ritrova a terra, Loki chino sopra di lui.
Come nel bosco, il giorno prima, solo che ora le posizioni sono ribaltate e tutto questo contatto sta diventando disturbante.
«Non provare a strapparmi promesse, meno che mai usando la ragazza» sibila il dio dell'inganno.
Tony ha un moto d'ira, una reazione di rabbia mista a una paura istintiva e viscerale che lo porta ad afferrare il bavero della casacca di Loki e a spingerlo con furia. Il dio vacilla e quasi cade all'indietro, ma riacquista quasi subito l'equilibrio.
«Non. Farlo. Mai. Più.» gli intima l'uomo quasi urlando, gli occhi sgranati dall'agitazione.
«Avrò le vostre teste un giorno. Questa è la sola promessa che riceverai da me, uomo di metallo» replica Loki sostenendo il suo sguardo. «Sii consapevole di ciò, oppure abbi il coraggio di farla finita adesso, condanna me – e la tua adorata Nadia».
Tony sente l'odio fargli ribollire il sangue. Ed è una sensazione del tutto nuova, non ha mai odiato davvero nessuno con tanta intensità, forse perché anche quando si è scontrato con altri nemici in passato sapeva di poterli contrastare, sapeva esattamente cosa fare. Loki invece è una scheggia impazzita, fuori dalla portata di qualsiasi arma o soluzione.
«O magari, figlio di puttana, sarò io ad avere la tua testa prima di quanto pensi» gli risponde, afferrandolo per i lembi della lunga casacca di pelle e velluto.
«Ehi! Tony, siete lì?». La voce di Nadia li chiama da lontano. I due si scambiano un ultimo sguardo astioso, poi Tony lo lascia andare con quanta più malagrazia gli è possibile.
Nadia spunta oltre l'angolo di un fabbricato.
«Ho ripescato il maestro Jedi» borbotta lui con un mezzo sorriso. Non c'è proprio motivo di turbarla.
«Siamo pronti?» chiede Loki. La ragazza annuisce.
Tony fissa con la coda dell'occhio il dio avvicinarsi a lei. Mentre reprime un moto di fastidio e un inopportuno gesto di protesta, non può fare a meno di notare quanto gli occhi di Loki perdano un po' di quella loro mostruosa freddezza quando parla con Nadia. Certe cose, certi sguardi o espressioni non possono essere finti, nemmeno dal dio della menzogna. E Tony davvero non riesce a capacitarsene, così come non riesce a capacitarsi del fatto che ora gli stia venendo da ricambiare il sorriso quasi contento che la ragazza gli sta rivolgendo.

*

Nadia si incammina verso l'ingresso della base dello S.H.I.E.L.D. con Loki che la segue svogliatamente e Tony che vola sopra le loro teste come un gigantesco piccione.
Non sa cosa aspettarsi da quella giornata, probabilmente che lei e il dio restino tutto il giorno chiusi in una stanza a fissare il muro mentre lui fa qualcosa di assolutamente incomprensibile con le sue arti magiche da alieno.
Appena varca la soglia dell'edificio, capisce che la giornata potrebbe essere peggiore delle sue più nere previsioni perché Nick Fury le si piazza davanti e le fa cenno di seguirla in un ufficio. Tony fa per andarle dietro, ma il direttore si volta e lo guarda torvo.
«No, a cuccia Stark!» borbotta, per poi chiudere la porta dell'ufficio alle spalle di Nadia.
La ragazza vede l'ombra di un sorriso alterare per una frazione di secondo il volto duro di Fury. Probabilmente erano mesi che aspettava di dire una cosa del genere a Tony. Il pensiero fa ridere anche lei, ma la risata non fa in tempo ad arrivare alle labbra che l'uomo la prende per un braccio e le infila qualcosa al polso. Il qualcosa in questione è una specie di bracciale che sembra fatto di caucciù, con una placca argentata nel mezzo.
«Mi stia bene a sentire» intima Fury, alzando l'indice con fare ammonitore. «Questo che ha al braccio è un rilevatore di posizione che contiene anche una minuscola ricetrasmittente. In qualsiasi momento noi sapremo dove si trova e in qualsiasi momento lei potrà mettersi in comunicazione con noi premendo il piccolo taso sul bordo. Non provi a toglierselo, potrei risentirmene».
Nadia sbatte le palpebre perplessa, spostando lo sguardo tra Fury e il bracciale super tecnologico. È diventata vagamente suscettibile rispetto alle cose che si allacciano sul polso e ha una mezza idea di stapparsi via quel coso anche solo per protesta.
«Pensavo volesse tipo chiudermi in una cella con Loki o qualcosa di simile« borbotta. «A che dovrebbe servirmi questo affare?».
«Signorina Berton, eppure mi dicevano che era una ragazza intelligente. Non ho intenzione di tenere lei e Loki chiusi qui dentro oggi».
Nadia vorrebbe ricordare a Fury come è andata a finire l'ultima volta che lui l'ha messa sotto pressione, ma minacciare il direttore dello S.H.I.E.L.D. dovrebbe avere come conseguenza qualcosa di simile a un biglietto di sola andata per una cella di isolamento a Guantanamo.
«Mi illumini, direttore Fury» conclude spazientita.
«Si prenda il suo amico omicida e lo porti a fare un giro a New York. Ha la mia benedizione»
«Ma non avrò mai quella di Tony... e comunque, che sta dicendo? Di solito cercate di tenerlo sotto vetro come un filetto di sgombro»
«In realtà sono giorni che Loki va e viene come gli pare. Oggi voglio che vi leviate dai piedi tutti e due, ha il suo bel rilevatore di posizione, avrà anche una scorta ma non vi accorgerete di essere seguiti a meno che non accada qualcosa. Ha organizzato tutto Barton, quando Rogers ha detto che non voleva starvi appresso tutto il giorno insieme a Thor e all'agente Romanoff».
Nadia si gratta una tempia come se cercasse di dare una piccola scossa agli ingranaggi del cervello. Nick Fury ha speso tempo e risorse dello S.H.I.E.L.D. perché lei e Loki potessero fare una passeggiata per New York e addirittura gli Avengers si sono rifiutati di accompagnarli in prima persona!
Che Fury sia ammattito dal giorno alla notte può essere un'idea vagamente probabile, che tutti gli altri abbiano smarrito la ragione di punto in bianco non è possibile.
«Cosa c'è sotto?» domanda la ragazza, accigliandosi. Avrebbe potuto anche chiedere: per che cosa mi state usando? Ma non riesce a pensare che i suoi amici permettano a Fury di usarla per qualcosa a sua insaputa. Poi le balena nella mente un'altra domanda ancora: per che cosa state usando Loki?
Le labbra serrate del direttore dello S.H.I.E.L.D. sono una risposta molto eloquente a qualsiasi quesito lei voglia porre. Lui non le dirà niente.
Fury apre la porta dell'ufficio, mettendo il definitivo punto di conclusione al discorso.
Sul margine del bracciale con il rilevatore c'è, minuscolo, il logo delle Stark Industries e quando Nadia esce dalla stanza non può fare a meno di lanciare un'occhiata in cagnesco a Tony.
«Ne so meno di quanto vorrei, Colombina» le mormora lui all'orecchio. «E mi piace meno di quanto possa tollerare».
Il tono davvero mortificato della voce dell'uomo la fa ammorbidire.
«Non so se Fury ha paura che Loki mi possa far del male, o che io possa farne a lui« dice sarcastica, cercando di mitigare quell'attimo di tensione.
Ha idea che sarà una lunga giornata.

Nadia raggiunge Loki in quella che si potrebbe definire la sua camera. Il dio è in piedi in mezzo alla stanza a fissare degli abiti piegati accuratamente su una sedia.
«Quelli sono... jeans?!» esclama la ragazza, stupita.
Loki inarca un sopracciglio,
«È così che si chiama quel tessuto? Sperano che indossi quella roba, a quanto pare»
«Sì, la notizia è che dobbiamo andarcene a spasso. Scegli tu se considerarla buona o cattiva».
Il dio sbuffa e distoglie lo sguardo dai vestiti con aria sdegnata. Incrocia le braccia sul petto e fa qualche passo avanti e indietro nella stanza.
«Tu come la consideri?» domanda, mellifluo.
Nadia scrolla le spalle,
«Qualcosa dovremo pur fare. E ho dimenticato a casa la rivista di cruciverba».
Sul volto di Loki passa un fremito di irritazione e lei lo vede serrare i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, tanto che per un attimo ha paura. Paura che lui possa voltarsi verso di lei e guardarla in quel suo modo gelido e urlarle che è tutta colpa sua, che è a causa della sua fragilità da umana se adesso si trova lì a fare la marionetta nelle mani dello S.H.I.E.L.D. Ha paura di sentirgli dire quelle cose, perché sa che sono vere, anche se non è stata lei a innescare quella situazione assurda, si sente comunque responsabile, il senso di colpa nei confronti di Loki le è piombato addosso tutto insieme il giorno in cui lui è ricomparso nel bosco e da allora lei non è riuscita a fare niente per liberarsi di quel fardello. Gli ha chiesto scusa, ma quella richiesta di perdono non ha ancora ricevuto una vera risposta e più di una volta Nadia si è ritrovata a domandarsi se quello che Loki sta facendo lo stia davvero facendo per lei o solo perché deve, costretto dalle circostanze e dai suoi scopi e interessi personali. E quell'ulteriore costrizione di passare del tempo con lei secondo regole imposte dallo S.H.I.E.L.D. dev'essere proprio la goccia che fa traboccare il vaso.
«Immagino che sia sciocco e infantile star qui a opporsi per partito preso, no?» dice il dio, strappandola alle sue riflessioni.
Nadia solleva lo sguardo e si accorge che lui la sta fissando probabilmente da lunghi secondi, che deve aver registrato il fatto che la sua aria si è incupita e che lei si è morsa le labbra a sangue – se ne accorge solo ora, sentendo il sapore ferruginoso sulla punta della lingua.
Non può fare a meno di guardarlo con una punta di stupore. Ci sono stati dei momenti in cui il significato dei gesti o delle parole di Loki le era perfettamente chiaro, in cui lei riusciva a coglierne ogni sottinteso e ogni tentativo di imbastire una menzogna; adesso invece non capisce. Non capisce se lui si sia arreso a quell'ennesima forzatura per alleggerirle il morale o se quel gesto di pura gentilezza in realtà non serva a nascondere qualche trama mostruosa che sta architettando.
«Però quei vestiti non li indosso» conclude Loki, uscendo. Mentre attraversa nervosamente l'uscio della stanza, Nadia coglie di sfuggita il baluginio dorato che emana quando la sua tenuta da principe asgardiano lascia il posto a qualcos'altro.   

*

Automobili. Le detesta, sono claustrofobiche ed emettono quel dannato fumo pestilenziale.
Mentre se ne sta seduto sul sedile posteriore di quel taxi, Loki pensa che gli piacerebbe molto andare a cavallo, saltare in sella a uno stallone e correre in una radura a perdita d'occhio. Ma dubita che ci siano radure a perdita d'occhio in quel posto e non è nemmeno del tutto sicuro che ci siano i cavalli.
Le sue ambizioni di mesi prima dovevano essere piuttosto mediocri se il suo scopo era quello di diventare re di quel mondo così misero.
Oh, certo, lui non ambiva solo a un titolo regale e alla conquista. Voleva molto di più. Voleva distruggere Thor e lavare via con il sangue la sua rabbia. E lo vuole ancora, anche se non ci pensa con la stessa maniacale intensità di prima.
«Comunque, i jeans non ti sarebbero stati male» dice Nadia con un mezzo sorriso. «E poi vestito in giacca e cravatta mi fai sfigurare».
Loki sta per rispondere qualcosa, ma il conducente del taxi sorride dallo specchietto retrovisore.
«Non si preoccupi, signorina. Lei non sfigura affatto» dice in un tono odiosamente confidenziale. Quell'individuo insulso sembra avere una gran voglia di parlare. Quando sono saliti ha scambiato delle battute con Nadia e lei ha persino ridacchiato.
«Grazie» risponde la ragazza, con un sorriso.
«Non ti facevo così civettuola» le dice Loki all'orecchio.
Lei gli scocca un'occhiata insofferente,
«Non puoi fingere di essere una persona normale, per una volta?» gracchia con un sospiro.
«Non saprei proprio da che parte cominciare».
Il traffico cittadino è più irritante, assorbito dal chiuso di quella scatola di metallo su quattro ruote. Guarda Nadia con la coda dell'occhio e si domanda come si sia adattata a quel posto, così diverso dalla sua placida città sull'acqua, ingombra solo di turisti e piccioni. Sono stati loro, i Vendicatori? È per merito del loro asfissiante affetto se la ragazza patisce così poco la nostalgia e non sembra soffrire per il vivere in un luogo tanto diverso da quello a cui è abituata? Davvero l'affetto può fare tanto, essere così taumaturgico?
Domande sciocche! L'affetto è solo una parola... Thor millanta un affetto sconfinato nei suoi confronti eppure è inutile, Odino giurava di amarlo come un figlio, ma mentre era in bilico con il vuoto sotto i suoi piedi tutto ciò che ha fatto è stato dirgli che no, lui non era abbastanza, che aveva fallito, che era sempre stato in errore.
«Loki?». La voce di Nadia lo riporta al presente e lui si accorge di avere le unghie conficcate nella stoffa ruvida del sedile. «Siamo arrivati, andiamo».
Scende dal taxi per ritrovarsi su un marciapiede affollato, all'ombra di alti palazzoni. Vede la propria immagine riflessa nella vetrina di un negozio e si rende conto che forse Nadia ha ragione, fanno uno strano effetto vestiti in modo così diverso – ma non è assolutamente necessario esprimere questo pensiero ad alta voce.
«Dio, avresti proprio dovuto metterteli quei jeans!» esclama Nadia. Anche lei sta guardando il loro riflesso, poi all'improvviso si volta e gli tira via la sciarpa di seta verde e dorata, la indossa arrotolandola attorno al collo e la sistema nella scollatura del soprabito che chiude fino all'ultimo bottone, si ravviva i capelli con la mano e spia di nuovo il riflesso. Non sembra del tutto soddisfatta ma sembra approvare l'immagine più di prima.
La gente che lo sfiora, gli taglia la strada o gli rallenta il passo lo irrita e lo fa sentire un po' frastornato, tanto che mentre si mettono in coda davanti a un attraversamento pedonale, Loki ha quasi l'impulso di prendere Nadia sottobraccio per paura di perderla in mezzo a quel caos.
«Qual'è la tua teoria? Perché tu hai una teoria, suppongo, sul fatto che Fury ci abbia spediti a spasso» chiede lei.
«Non ho una teoria, ho una supposizione che immagino essere esatta» le risponde. «E credo che valga lo stesso per te».
Nadia sorride, con quel fare furbesco e saputo, e per una volta il dio è contento che non sia per una cosa che ha compreso riguardo a lui.
«Mi stanno mettendo alla prova» continua Loki. «È oltraggioso che credano che io non abbia capito di essere seguito da un crocchio di tirapiedi di Fury. Ad ogni modo, non capisco il perché di tutte queste moine e questi sotterfugi».
La ragazza sembra un po' stupita del fatto che lui si sia accorto della piccola scorta che gli hanno messo alle calcagna, nemmeno lei l'ha notata.
«Magari Fury vuole... non so, adottarti in qualche modo» azzarda lei.
Loki sgrana gli occhi,
«Adottarmi. Ci hanno già provato, è stato un disastro» dice. E poi si mette a ridere, una risata bassa, composta, che suona quasi come un fruscio. Non è tanto il ridere che lo sorprende, quanto il fatto che a suscitare la sua ilarità sia stata una battuta sciocca sulla peggiore tra le molte spine conficcate nel suo fianco.
La leggerezza non è mai stata una sua caratteristica, non lo è nemmeno ora. Ma mentre la risata si spegne e il verde del semaforo lampeggia sopra la sua testa, Loki si rende conto del fatto che la rabbia pulsante che gli martella nel petto può essere placata, anche solo per un po', che può farlo ed è giusto che ci provi, per se stesso, per sopravvivere e non soccombere al peso del proprio dolore, come quella volta quando scelse il vuoto e l'oblio lasciandosi cadere giù dal Bifrost.
È sopravvissuto a quella caduta e a molte altre, ma non può sempre sperare nella sorte che gli sconvolge i piani e che lo salva dalla distruzione all'ultimo minuto. L'odio e la rabbia sono la sua ragione per proseguire sulla strada che ha scelto, non ha rimpianti, ma dopo tutto quello che ha passato, capisce che non possono essere gli unici fili a trattenerlo dal crollare su se stesso come un castello di carte.
«Non capisco,» dice Nadia, quando arrivano sul marciapiede dal lato opposto della strada, «hai detto che avevi bisogno di passare del tempo con me per capire meglio la questione dell'energia. Come fai, in mezzo a tutta questa confusione?».
Oh giusto. Quello è stato un tiro mancino piuttosto basso. Dannazione, ha mentito meglio e per motivi più importanti in altre circostanze!
Non gli serve capire più di quanto già sa sull'energia della pietra. Gli serve semplicemente assorbirla, ora che non ha ancora pianificato nulla per il suo futuro ha bisogno di fare appello a tutte le risorse disponibili. Per questo ha voluto passare del tempo con lei. Non prova alcun rimorso per quel piccolo inganno, che comunque non infrange la promessa – fatta a chissà chi, poi – di non farle del male.
«Immagino dovrai scrivere una nota di reclamo a Fury» si limita a rispondere.
«Quindi noi stiamo solo... passeggiando? Tutto ciò non ha niente a che vedere con te che studi l'energia?»
«Ti ho detto che risolveremo la cosa. Tu hai detto che ti fidi di me«.
Lo sguardo di Nadia sembra gridare: cerca di non farmene pentire!
Loki vorrebbe specificare che lui non l'ha mai delusa. Ma si rende conto di non sapere se è del tutto vero.
Non importa, non importa. Come ha detto più volte a se stesso, non è lì per la felicità della ragazza e nemmeno per la propria.
Nadia sta dicendo qualcosa a proposito di fermarsi per mangiare, ma poi le squilla il cellulare.

*

Sta per proporre che quel bar all'angolo potrebbe essere un buon posto per uno spuntino di metà mattina, si è accorta di avere un po' fame. Poi le squilla il cellulare e, molto candidamente, immagina che sia Tony che vuole accertarsi che sia viva o che non stia progettando di fuggire con Loki alla conquista dell'universo, e invece è Mike.
Nadia resta un attimo a fissare il display del cellulare, poi guarda Loki, poi di nuovo il display. Alla fine si decide a rispondere.
«Ehi! Come va? Stai bene?» domanda il ragazzo nella cornetta. Dei del cielo! Aveva detto che lo avrebbe chiamato ieri e non lo ha fatto.
«Ciao. Sì, sì, sto bene»
«Sei per strada? Ti va se ti raggiungo per un caffè?».
Cazzo!
Giusto perché il suo senso di colpa non era già abbastanza martellante. Nadia si sente a disagio a causa di Mike, perché lo ha lasciato in sospeso, perché gli ha chiesto di aspettare un domani in cui lei potrà decidere cosa fare del loro rapporto, ma ci sono troppe cose tra loro e quel domani, talmente tante cose che più che un domani sembra essere un mai. E se lei lo sa, allora perché non glielo dice? Perché è una codarda e non sa rinunciare a lui, al fatto che qualcuno riesca a farla star bene e a trattarla da persona normale, senza gratitudine ingombrante di mezzo, senza sentimento di protezione o complesso da fratello maggiore.
Mike è sempre stato il suo unico punto di contatto con la normalità. Reciderlo richiede una forza che ora lei sa di non possedere, ha provato a spiegarglielo e, contro ogni previsione, lui ha capito, le ha detto di non preoccuparsi, che può prendersi tutto il tempo che le serve. E ora lei dovrebbe essere onesta e dirgli che non c'è niente da aspettare, perché comunque vada... comunque vada, non è giusto, non può stare con qualcuno come se fosse una medicina. Dovrebbe dirglielo, dovrebbe smettere di cercare la sua mano quando passeggiano insieme, dovrebbe fare tante cose...
«No, Mike, mi dispiace, devo rientrare e poi accompagnare Tony a sbrigare una commissione e... sono un po' incasinata in questi giorni«. Dovrebbe anche smettere di raccontargli tutte quelle bugie. «Ma... ma ci vediamo al party, la prossima sera».
«Posso resistere» dice la voce di lui, scherzosa e rassicurante, nella cornetta, «ma solo se mi prometti un ballo».
Nadia sente di star arrossendo. Non le sembra il caso di parlare di queste cose davanti a... dove accidenti è andato?!
Cerca Loki con lo sguardo, in mezzo al viavai, e non presta attenzione a quello che Mike le sta dicendo a proposito di quanto sia noioso stare alle Stark Industries ora che non ci sono più i reattori Arc e che il progetto sul quale lavorava come tirocinante assieme a Pepper è stato messo in standby.
«Oh, sì... immagino sia una vera noia... sarà tipo un trascinarsi da una pausa caffè all'altra... non ti invidio nemmeno un po'... Mike! Io devo... devo chiudere! Sto per prendere la metropolitana e sai, di sotto non c'è campo»
«Stark ti fa viaggiare con la metropolitana? Pensavo avessi un autista!».
Nadia sbrodola una lista di tutte le parolacce che conosce, mimandole solo con le labbra, e si batte una mano sulla fronte. Ecco perché non si dovrebbero dire le bugie.
«L'autista si è dato malato. Devo proprio scappare, scusa... scusami. Ci vediamo al party»
«Ok, ci vediamo. Stammi bene».
La ragazza vorrebbe mettersi a gridare, gettare il cellulare per terra e pestarlo sotto i piedi fino a farlo diventare polvere. Ma non può, deve ritrovare Loki, che ha avuto la brillante idea di sparire.
Lo vede all'improvviso, tra le spalle di due passanti e poi scompare di nuovo, ingoiato dalla confusione delle strade di New York all'ora di punta.
Maledice Nick Fury e le sue brillanti idee. E maledice se stessa mentre corre nella direzione in cui lo ha visto sparire l'ultima volta. Poi, all'improvviso, semplicemente gli va a sbattere contro.
«Ti avevo perso» sbraita.
«Io no» risponde lui. «Sembrava una telefonata importante, pensavo avessi bisogno di riservatezza».
A Nadia basta guardarlo un attimo in viso per rendersi conto che si sta prendendo gioco di lei, che quasi certamente ha fatto uno dei suoi trucchetti da illusionista.
«D'accordo, Hudini. Adesso andiamo a mangiare qualcosa, così se ho la bocca occupata evito di prenderti a parolacce».  





_________________________________________________

Note:

A proposito di Loki in questo capitolo e nel prossimo: io ho una mia “visione”... nel dvd di Thor c'è una scena tagliata di un dialogo tra Thor e Loki prima della mancata incoronazione, io odio il regista per averla tagliata perché quella è forse l'unica scena che mostra Loki in un momento di calma (apparente) e normalità. E Loki in un momento di calma e normalità è un tipo anche piuttosto gradevole e simpatico, è su questo che ho basato certi momenti di questo capitolo e del precedente. Spero non vi sia sembrato troppo OOC perché io ho seguito quella “visione”.

Chiedo scusa del terribile ritardo nel rispondere alle recensioni. Sono stata via per le feste e tra viaggio e preparativi per il suddetto è stato il CAOS! Ma non mi sono dimenticata di voi, come potrei? **
(e appena digerisco i vari cenoni e pranzoni torno anche a leggere, recensire e comportarmi da persona più o meno normale, giuro...).

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento.

 Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

OMO! (Oh my Odin!) è l'ultimo aggiornamento del 2012. Mi sembra ieri quando sono uscita dal cinema dopo la visione di The Avengers... buon anno nuovo a tutti!

happy holidays from Tony Stark

(sì, era NECESSARIO l'inserimento di QUESTA cartolina!)

 

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Capitolo 16
*** Sunshine and frost - part two ***


Capitolo quindicesimo
Sunshine and frost – part two


Si siedono al tavolino di un diner con i divanetti in similpelle rossa. Nadia ordina le stesse cose per due, frappè alla menta e donuts senza glassa – e no, ancora non è riuscita a farsi una cultura sul cibo americano, però i frappè sono universali e le sono sempre piaciuti. Quando li servono, si accorge che Loki guarda la ciambella con aria quasi sospettosa.
La sua mente comincia a proiettare flash di Venezia.
«Pane e miele... a valanga» mormora.
«Cosa?» domanda Loki, girando la cannuccia nel bicchiere del frappè che non sembra particolarmente desideroso di bere.
Nadia arriccia le labbra, non si era accorta di averlo detto ad alta voce,
«Momento romantico di reminiscenze veneziane» spiega. «Mi stavo ricordando della tua prima mattina nel mio albergo. Mangiasti una montagna di fette di pane con miele».
Il dio appoggia le spalle allo schienale del divanetto e corruga appena la fronte, come se si stesse concentrando per ricordare.
«Può essere, non ricordo. Quello che ricordo era che tu eri indispettita con me per qualcosa che avevo detto o fatto la sera prima» risponde.
Nadia ride e le va di traverso il frappè, tossicchia e scuote la testa, cercando di ritrovare l'uso della parola tra un colpo di tosse e l'altro. La circostanza merita decisamente di essere rinvangata.
«Ti avevo accompagnato in camera, ti avevo chiesto il tuo nome e tu, con la spocchia che ti contraddistingue, mi avevi risposto: perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?». Ricorda esattamente la scena, ogni particolare. La camera era la numero 7, al secondo piano, lenzuola e copriletto azzurri. Loki era vestito più o meno alla stessa maniera di adesso, aveva lo stesso sguardo cupo e freddo di adesso e lei aveva notato il suo viso provato, la stranezza dei suoi modi curiosamente eleganti e il fatto che non avesse bagagli ma non sapeva entro quando avrebbe lasciato la stanza. E il fatto che lo trovasse bello, anche se non nel senso canonico del termine.
Già quella sera, in quei primi minuti, gli era sembrato una pennellata sbavata che rovina il quadro, qualcosa di assolutamente fuori posto, che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Nadia si stupisce di ritrovarsi a pensare che, nonostante tutto, per nulla al mondo avrebbe voluto non incontrarlo. Se tornasse indietro rifarebbe esattamente le stesse cose, questa è una verità con la quale è scesa a patti già da tempo.
«Ti dissi così?» mormora Loki. «E tu ti sei sentita offesa?».
«Sì, poi la mattina dopo mi hai chiesto scusa»
«L'ho fatto davvero? Cosa c'era di offensivo in quello che avevo detto?»
«Suonava equivoco, o quanto meno era stata una risposta molto sgarbata».
«Equivoco, niente meno!». Ora Loki sembra divertito, sembra proprio un gatto che sta giocando con il topo; anche se il gioco non è letale, lui ha comunque l'aria di qualcuno che sta provando un certo sadico gusto a mandare avanti il discorso su quel binario.
«Beh, non che dessi l'impressione di uno che ci stava provando, ma mi sei sembrato odioso, ecco tutto» taglia corto lei.
«Provando?»
«No, non ci stavi provando, mi stavi mandando a quel paese. Assaggia il frappè»
«Quindi, se ci avessi provato, non ti saresti offesa».
Nadia ora ha idea di rovesciarglielo addosso, il frappè.
«Penso che tu non sia la persona più adatta con cui discutere di corteggiamenti e cose simili» borbotta, cercando di non dargli la soddisfazione di mostrarsi imbarazzata o a disagio.
«Sono pur sempre un principe, l'educazione che mi è stata impartita mi rende piuttosto adatto a discutere di corteggiamenti e cose simili»
«L'educazione impartita... e dell'esperienza diretta, cosa mi dici?»
«Oh, che impudenza. Non ho mai avuto bisogno di corteggiare le ragazze, erano tutte troppo impegnate a corteggiare Thor, ma ho avuto le mie, come dire, soddisfazioni»
«Non ne dubito». Nadia regge lo sguardo di Loki e il suo sorriso un po' mellifluo, si stringe nelle spalle e continua a bere il suo frappè. A lui non resta che imitarla e dopo le prime sorsate, sembra persino gustarselo. La ciambella però non la tocca – non sia mai che ingerisca troppi zuccheri e rischi di diventare meno acido.
«Delle tue esperienze, piuttosto, cosa mi dici? Mi sembra sciocco impegnarmi a salvarti la vita e non sapere nulla di come tu la spenda» dice il dio all'improvviso.
Questa volta è la ciambella ad andarle di traverso. Loki probabilmente finirà davvero per ucciderla prima o poi, per soffocamento accidentale.
«Oh, sì, davvero manca solo che ci mettiamo a farci la ceretta a vicenda!» esclama lei, cercando di dissimulare la tosse con delle risatine nervose molto poco convincenti. «Hai sentito la telefonata, non prendermi in giro, avrai capito da te com'è la situazione».
Assurda. La situazione è assurda.
Sta parlando di Mike. Con Loki. Sta parlando di Mike con Loki, mangiando ciambelle in un diner di New York. Forse i Maya avevano ragione, forse il mondo sta davvero per finire!
Il suo cervello si sente come dopo un giro sulle montagne russe.
«Al telefono avevi l'aria impacciata di una che non ha la più pallida idea di quello che sta facendo» commenta il dio, giocherellando con l'orlo di un tovagliolo di carta.
Grazie tante, ero spaventata perché ti avevo perso nel bel mezzo di New York!
«Mike è un bravo ragazzo, talmente bravo che ha accettato di aspettare che io risolva questo casin...»
«Sciocchezze! Se ti volesse davvero non avrebbe aspettato affatto».
Nadia prende un lungo respiro e cerca di resistere all'impulso di spaccargli la faccia con il porta tovaglioli di alluminio.
Come si permette di parlare di Mike? Cosa ne sa lui?
«Forse è meglio lasciar perdere questa conversazione» gli dice con freddezza.
«Oh, forse sei tu a non volerlo davvero. Forse tutta questa situazione è solo una scusa per perdere tempo» asserisce Loki, con un sorriso ghignante. Un attimo prima sembravano quasi due persone normali, e adesso com'è successo che è calato il gelo?
Certo, perché con Loki è così, è come camminare sulle superficie ghiacciata di un lago, non sai mai se riuscirai ad attraversarlo tutto o se la crosta cederà e ti trascinerà a fondo nell'acqua gelida. Loki è insidioso, può ferirti con la stessa facilità con cui ti solleva, può abbracciarti solo per avere l'occasione di piantarti un coltello nella schiena.
Nadia si alza, decisa ad andarsene, ma lui si sporge verso di lei e le afferra il polso con veemenza, facendole quasi male. La costringe a tornare seduta.
«Tu non sai niente...» sibila la ragazza, astiosa.
«Davvero? E tu sei cieca. Ricordi la sera del mio ritorno, Thor e la sua scienziata? Ricordi come si sono fiondati l'uno tra le braccia dell'altro, incuranti di tutto il resto? Oh, io odio Thor e la sua felicità mi appare nauseante, ma questo non mi impedisce di essere obiettivo riguardo al significato di certi eventi. Quello è esattamente come deve essere, senza attese, senza alcuna preoccupazione per il mondo esterno. Quando si vuole qualcosa, la si prende, non si rimanda; se la si lascia ad aspettare allora è evidente che non è importante»
«È quello che ti piace pensare? È quello che dici a te stesso?»
«È quello che credo. Ti ho turbato, ragazzina? Beh, io non sono uno dei tuoi amati Vendicatori, non desidero vezzeggiarti, farti essere spensierata e tranquilla, al riparo da ogni male, io desidero...».
Loki si interrompe di colpo. Per tutto il tempo ha parlato a voce bassissima, chino sul suo viso, tanto che Nadia ne ha sentito il respiro contro le guance. Ora è a un palmo dal suo naso e la guarda con una tale intensità che lei deve fare uno sforzo enorme per non sottrarsi alla sua stretta e scappare fuori.
«... io desidero salvarti».
La mente della ragazza si svuota di colpo.
Quelle parole l'hanno trafitta come mille frecce scoccate all'unisono, l'hanno lacerata e dai tagli profondi che hanno inflitto ora sta scivolando via tutto il male. Il senso di colpa che ha provato nei confronti di Loki si alleggerisce secondo dopo secondo, fino a sparire; tutti i dubbi che ha avuto si appianano e lasciano solo una superficie diritta e precisa, pulita come la tela bianca di un pittore.
Io desidero salvarti.
È la sola risposta che ha sempre voluto. Quella che mette a tacere ogni quesito, ogni dubbio. Quella che la rende libera.
Certo, le parole di Loki implicano che dovrà fare i conti con altre cose adesso, cose che deve risolvere, con se stessa. Ma almeno ora sa da dove cominciare e sa che davvero lui è lì per lei, non perché deve, non perché non può evitarlo, ma perché lo desidera.
Loki si ritrae di scatto, come se all'improvviso fosse divenuto consapevole dell'eccessiva vicinanza dei loro visi, ma Nadia gli prende la mano, gli stringe le dita tra le sue e mette insieme il sorriso migliore che riesce a racimolare.
«Grazie...» mormora.

*

Thor ha accompagnato Jane alla base dello S.H.I.E.L.D, sta lavorando assieme a Banner per delle ricerche, anche se per il momento nulla si è smosso da quando hanno trovato quel pezzo di metallo.
Il comandante Fury è sul punto di dubitare della parola di Loki. Quando ha parlato con i suoi compagni, qualche giorno prima, anche loro hanno cominciato a dare i primi segni di dubbio, a manifestare velatamente i primi sospetti.
Thor non sa cosa pensare. Non riesce a credere che Loki abbia mentito riguardo la minaccia alla Terra, non ne aveva alcun motivo. Eppure, di nuovo, il figlio di Odino si ritrova a chiedersi se non si stia facendo influenzare dai propri desideri: se Loki avesse mentito su una cosa così grave, sarebbe l'ennesimo misfatto che si aggiunge a una lunga serie di crimini e tradimenti e lui non vuole accettarlo, vuole crede che i suoi intrighi abbiano fine, che la sua scelleratezza abbia un limite.
È sempre stato avventato, bellicoso, e in passato anche presuntuoso e avido, ma ha sempre cercato di agire con onore, per questo si sente in difetto verso i suoi amici ora, mentre cerca di difendere la credibilità di Loki – Loki il traditore, il Mentitore, il dio dell'inganno – di cui nemmeno lui può essere certo. E si sente terribilmente colpevole nei confronti di suo fratello, conoscendo i piani che Odino ha in serbo per lui. Per salvarlo, tenta di ripetere a se stesso.
Thor si stropiccia il viso con le mani e guarda Jane, china su uno schermo, a osservare qualcosa che Banner le sta mostrando. La sua tenera e impacciata Jane, che diventa così abile e precisa quando lavora e ha le mani in pasta nella sua scienza delle stelle.
Thor non sente la porta aprirsi, per questo quasi sobbalza quando sente la voce di Tony Stark alle sue spalle.
«Oh, sei qua Treccine!» esclama. «Stavo giusto cercando te».
Quando il dio si volta a guardare il suo strambo e valoroso amico, si accorge che con lui ci sono anche gli altri. Jane, da dietro al tavolo di lavoro, gli lancia uno sguardo come a chiedergli se è il caso o meno che lei si defili – Jane è ancora un po' in soggezione con i Vendicatori.
«Thor, vuoi dirci cosa sta succedendo?» domanda Natasha Romanoff nel suo tono più morbido e conciliante.
«Il tono interrogativo della frase è puramente decorativo. Non è una richiesta» borbotta Stark. Non sembrano arrabbiati, forse perché hanno motivo di fidarsi di lui e credono che tutto quello che lui ha potuto fare lo ha fatto in buona fede – oh, quanto vorrebbe crederci anche egli stesso!
«Perché? Dovrebbe essere successo qualcosa?» si intromette Jane, in tono perplesso.
«Thor ha fatto un accordo di qualche tipo con Fury, riguardo Loki» spiega Clint Barton. «Diciamo che sarebbe molto gradito esserne messi a parte, visto che ora lui è a spasso con Nadia».
Il dio del tuono si sente ferito per questa ultima precisazione,
«Non parlare come se non mi importasse di lei» replica secco.
«No, non è questo il punto, certo che ti importa...» tenta di dire Rogers, in tono conciliante, ma Stark lo interrompe.
«Ti importa molto, ne sono sicuro, ma tu non c'eri mentre noi cercavamo di tenerla in vita» asserisce. «Quindi, prima di confabulare con Fury...»
«Io non c'ero perché stavo cercando l'unico che potesse salvarla!»
«Beh, ti andata male»
«Non provocarmi, Stark! Io ho le mie ragioni!»
«Bene! Sono lieto che tu ce le abbia tenute nascoste!»
«NON FATEMI URLARE!». Banner fa la voce grossa, e picchia un pugno sul tavolo. Tutti si voltano verso di lui, ammutoliti e spaventati, Jane inciampa in una sedia, poi il Dottore stringe le labbra come se fosse sorpreso della sua stessa foga e la sua espressione diventa quasi mortificata. «Per favore» aggiunge in tono mite.
Come quella volta a Venezia, era bastata una sua intimazione per zittirli. Come quella volta a Venezia, stanno di nuovo litigando a causa di Loki e Thor si sente enormemente dispiaciuto per tutto questo. Perché vuole bene a Nadia e prova affetto per tutti loro, e perché Loki, nella sua mente, è ancora suo fratello.
«Perdonatemi...» mormora, premendosi per un attimo il viso tra le mani. Quando solleva gli occhi, intercetta lo sguardo di Jane, che lo fissa preoccupata e dispiaciuta. Prova rimorso per non essersi confidato con lei e per non essersi aperto con i suoi compagni. Prova rimorso perché non può dirgli la verità, non tutta, non adesso.
«Non possiamo... tipo calmarci tutti quanti? Io ho un gran bisogno di calmarmi» dice Banner. «Ora ci sediamo e Thor ci spiega con calma che succede, eh?». Lo dice con il suo solito tono bonario, ma c'è una nota di accondiscendenza nelle sue parole che sottolinea che nemmeno quella è una richiesta, che la domanda esige una risposta.
«Va bene. Va bene, ci sediamo e parliamo» borbotta Barton.
«A terra? Come i boy scout intorno al fuoco di campo?» chiede Stark, petulante. «Non sono mai stato in campeggio»
«Era per dire, piantala» lo rimbecca Rogers.
Jane si fa largo tra il crocchio di Vendicatori e si mette accanto a Thor, come a voler dire che quello è il suo posto, qualsiasi cosa accada.
Il dio del tuono fa un lungo respiro,
«Fury è lungimirante, lo sapete meglio di me» esordisce. «Ha voluto parlarmi e chiedermi quante probabilità ci fossero di riuscire a catturare Loki e tenerlo relegato. È evidente che non c'è modo di trattenerlo, nessuno ci è mai riuscito, nemmeno Thanos. Fury teme che in futuro Loki possa tornare e attentare di nuovo alla sicurezza della Terra, anche se ora sta collaborando perché necessita di asilo, Fury ritiene che tornerà ad essere una minaccia quando questa emergenza sarà risolta»
«Fury non è il solo a pensarlo» dichiara Barton, incrociando le braccia sul petto. Dallo scambio di occhiate che segue tra i suoi compagni è evidente che l'opinione sia condivisa all'unanimità. Come dar loro torto?
«Ebbene, io gli ho promesso di trovare una soluzione definitiva. Mio padre, anzi, ne ha già trovata una, e io e Fury abbiamo fatto un patto: gli ho assicurato di fornirgli questa soluzione, come estrema risorsa, se lui mi avesse concesso la possibilità di dimostrare che Loki ha una chance, che dentro di lui non è tutto marcio...»
«E quale sarebbe questa soluzione definitiva?» chiede Stark, corrugando la fronte. «Perché io ne vedo solo una: l'eliminazione di Loki, ma non credo sia il genere di strada che tu sceglieresti»
«Non risponderò a questa domanda, non ancora. Ma è ovvio che io non attenterei mai alla vita di Loki»
«No, questa è un'attitudine che appartiene a lui. Tu sei portato per far piovere e sedurre astrofisiche... con tutto il rispetto, dottoressa Foster» conclude Stark con un sospiro, come se davvero fosse dispiaciuto del fatto che Thor non voglia macchiarsi le mani del sangue di suo fratello.
«E riguardo alla possibilità di dimostrare che Loki ha... come hai detto tu, una chance e non è tutto marcio?» chiede Rogers, con cautela.
«Ti supplico, dimmi che non è quello che penso» gli fa eco Barton. «Che non ha a che fare con una biondina con una scarsa attitudine alla sopravvivenza».
«Non sia sciocco, agente Barton!» esclama Jane. «È una cosa assurda e Thor non spingerebbe mai una ragazza tra le braccia di Loki, vero?».
Detta così suona davvero pessima. E comunque, non è quello che lui sta tentando di fare, lui non sta affatto spingendo, vuole solo lasciare che le cose seguano il loro corso, senza che Stark e gli altri tentino di tenere Nadia lontana da suo fratello.
«Potete negarlo quando volete, ma sapete meglio di me che lei ci tiene a lui...» dichiara, adombrandosi in viso.
«Sto per collassare come una donnicciola svenevole. Dottore, fai qualcosa!» squittisce Stark, poi si passa le mani tra i capelli e fa un mezzo giro su se stesso, allontanandosi dal gruppo, attraversando il laboratorio a passi nervosi. «Qualcuno faccia qualcosa perché sto per avere una crisi di nervi!».
I volti degli altri sono congelati in una smorfia di sconcerto.
«Sto per averne una anche io... e non è bene» sussurra Banner, torcendosi le mani. «Thor, che Nadia tenga a Loki è un conto, che si progetti di vedere quei due come una coppia felice è un'altra storia».
Perché Bruce Banner gli sta parlando con il tono con cui si parlerebbe a un bambino? Perché loro sembrano non capire dove lui voglia arrivare?
«Loki è mio fratello... più o meno. Lo conosco meglio di tutti voi, e c'è una domanda che mi sono fatto – e che a quanto pare nessun altro si è posto: cosa prova lui per Nadia?»
«È irrilevante!» Stark lo dice quasi sillabando. «È irrilevante se sei un criminale pluriomicida ricercato in tutto l'universo!»
«Non è irrilevante per me, perché voglio salvarlo. Vorrò sempre salvarlo... anche se mi dispiace essere in disaccordo con voi, avete tutto il mio affetto e tutta la mia stima, ma io e Loki siamo cresciuti insieme» dice Thor, alzando la voce, preso non dalla rabbia, ma dalla foga di una disperazione che si è tenuto dentro per troppo tempo. «Tutto il sangue che ha fatto scorrere non basta a lavare via le mie speranze, ma vi giuro che non farei mai nulla che possa mettere a rischio qualcuno, meno che mai Nadia».
Le facce dei presenti sono di nuovo immobili, tutte con la medesima espressione indecifrabile, che forse è di sgomento, forse è di irritazione.
Un silenzio pensante cala nella stanza.
«Thor...» dice l'agente Romanoff, con una voce che sembra quasi timorosa, «tu sai che non potrà mai essere, vero? Che qualsiasi cosa succeda tra Nadia e Loki, non ci sarà nessun e vissero felici e contenti, ne sei consapevole, giusto?».
Ne è consapevole, lo è sempre stato. Ma loro non sanno cosa ha in serbo Odino, ed è meglio, per ora, che continuino a ignorarlo.

*

Hanno passato qualche minuto seduti immobili al tavolino del diner, fino a quando Loki non ha semplicemente suggerito di andare.
Fanno appena qualche metro che lui si ferma davanti alla vetrina di una grande libreria. Nadia non può fare a meno di notarlo e di pensare che i libri forse sono una delle poche cose che può interessargli – ok, magari non i libri di Midgard, ma del resto, non ha molte idee su cosa possa suscitare l'attrattiva di Loki, anche in mezzo alle molte possibilità che offre una città come New York.
All'interno, la libreria è molto grande, probabilmente è la filiale di una di quelle catene come ce ne sono anche in Italia. Solo che lì è New York, è tutto triplicato. Gli scaffali sono lunghi parallelepipedi di alluminio con le copertine tutta in bella vista, ognuno ha scritto sulla fiancata a grandi lettere il genere letterario che espone.
Nadia si distrae per un attimo a guardare un cofanetto con alcuni libri di Stephen King in cima alla sezione ''horror'' e quando torna a guardare verso Loki lo trova totalmente galvanizzato dalla copertina di una raccolta di romanzi di Lovecraft.
«Una volta ne ho ucciso uno, di questi» dice, mostrandole l'immagine di un mostro pieno di artigli e tentacoli. «Giusto in tempo prima che sventrasse Hongun. Forse avrei dovuto lasciarlo fare»
«Ehm... Loki, quello è una divinità immaginaria, Shub-Niggurath o qualcosa del genere, inventata da questo scrittore americano»
«Oh. Sembra una delle creature della foresta di Nidavellir».
Hongun, creature della foresta di Nidavellir... perché quelli del National Geographic non hanno mai girato documentari su Asgard?
Loki ripone il libro di Lovecraft sullo scaffale e guarda distrattamente le immagini di copertina del reparto dei classici.
«Guarda un po' cosa abbiamo qui!». Nadia sorride divertita, indicando un alto volume a colori con sopra l'immagine di un'anfora greca. «Miti e leggende d'Europa. Chissà se c'è anche la tua biografia»
«Quel libro sarà pieno di sciocchezze».
La ragazza non presta ascolto al dio, prende il volume e comincia a sfogliarlo. È un librone piuttosto ingombrante e pesante, con le pagine di spessa carta plastificata piene di illustrazioni a colori. Non ci impiega molto a trovare il capitolo dedicato alla mitologia norrena.
«Questo sei tu» dice mostrando a Loki l'immagine di un uomo baffuto in abiti medioevali, con il naso aquilino e un sorriso malevolo che è quasi somigliante all'originale.
«Davvero notevole» borbotta lui in tono di annoiata accondiscendenza.
Nadia legge rapidamente il paragrafo descrittivo accanto all'immagine,
«Loki, astuto dio del caos e dell'inganno, dall'indole malevola e menzognera... il tuo biografo deve avere degli informatori molto affidabili. Poi c'è tutta la parte del gossip asgardiano secondo il quale pare che tu ti sia dato alla pazza gioa e sia diventato mamma di tutta una serie di adorabili creature».
Loki arriccia il naso e scuote la testa,
«Avrei dovuto mostrarmi agli umani un po' più più spesso in passato, almeno avrebbero compreso l'assurdità delle favole che andavano inventando» borbotta, come se fosse un affare molto serio e importante, come se l'idea che la sua leggenda sia tanto stravolta lo turbi davvero. Forse è così, Nadia non riesce a immaginare cosa voglia dire essere un dio tanto potente e immortale, proveniente da un mondo così diverso e conosciuto dagli uomini solo attraverso leggende che si perdono nella notte dei tempi.
Per la prima volta si sofferma a pensare davvero a quanti anni possa avere Loki, ne dimostra a stento una trentina, eppure era a spasso per l'universo quando la Terra era praticamente ancora una ragazzina. Si chiede se il tempo su Asgard trascorra in modo diverso, con giornate lunghe mesi, o se loro lo sentano scorrere allo stesso modo in cui lo sentono scorrere gli umani, se Loki si porti dentro il peso di secoli di esistenza o se, secondo il suo punto di vista, la sua vita non sia durata che pochi decenni. Non ha voglia di chiederglielo, non vuole sapere cose che possano renderlo ancora più alieno e distante.
Pensa solo che lui sarà ancora lì, con il nero corvino dei capelli intatto, quando lei non ci sarà più, ed è un pensiero che le provoca un dolore inaspettato.
Alza lo sguardo sul dio, deglutendo, e quando gli occhi di Loki incontrano i suoi, le sembra di vederlo fremere.  
Non vorrai dirmi che ti turba vedermi turbata.
«Che altre favole va raccontando il tuo libro?» domanda lui, come per riscuotere entrambi da quel momento di insensata e inopportuna malinconia.
«Dunque, vediamo... oh, c'è una lista delle tue imprese, tipo... ah, questa è veramente stupida: tagliò i capelli alla bellissima dea Sif, mentre lei dormiva... no, è troppo idiota perché tu lo abbia fatto davvero».
Loki si lascia scappare una smorfia di scherno che si trasforma in un sorriso divertito.
«Fai sul serio?». Nadia lo guarda accigliata, lui si stringe nelle spalle.
«Eravamo ragazzini. Non le sono mai ricresciuti belli come prima...» dichiara il dio, come se stesse parlando di una caramella rubata ai tempi dell'asilo, solo con una punta di compiacimento in più.
La ragazza alza gli occhi al cielo e scuote la testa.
«Poi c'è scritto... la dea Sigyn, sua m...»
«Cosa?»
«Hai una moglie, per caso?»
«No, a meno che Odino non mi abbia nascosto anche questo» conclude lui con un'alzata di spalle.
Sì, sarebbe decisamente interessante vedere un documentario su Asgard. O scambiare qualche parola con Odino. Ma Nadia è quasi sollevata al pensiero che non accadrà mai.







________________________________________________________________

Note:

Dal prossimo capitolo torno in me e smetto di far flirtare quei due (io dovevo farlo! Dopo otto mesi a scrivere questa fanfiction DOVEVO, voi mi capite, vero?!)... ehm, volevo dire, dal prossimo capitolo si torna a fare sul serio. Dolorosamente sul serio.

Shub-Niggurath è una divinità mostruosa che fa parte dei Miti di Cthulhu, di H.P. Lovecraft, appunto.
La scena della libreria voleva solo essere un momento di leggerezza, dopo le millemila parole pesanti di questo capitolo.
Forse l'ho già detto altre volte, ma nella mia testa la dicotomia tra il Loki della mitologia e quello della Marvel è profonda come la fossa delle Marianne per cui ho voluto giocarci un po', come cosa fine a se stessa che non vuole assolutamente essere una presa in giro a chi ha inserito elementi dei miti norreni nelle proprie fanfiction.

E per la serie: "She should be flogged for taking so long...", I know...  non ho ancora risposto alle recensioni delle ultime settimane, prometto che lo farò entro il prossimo aggiornamento e che la mia schiena sarà a disposizione delle vostre fruste.
Ora ho una rivolta da sedare, che Loki e Thor stanno litigando perché nessuno dei due vuole indossare il costume da Befana... "Loki! Che significa 'facciamolo mettere a Sif'? Non è carino da dire!".

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Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 17
*** Just one step - part one ***


Capitolo sedicesimo
Just one step – part one


Per essere uno che viene da un'altra epoca, Steve Rogers non è propriamente un nostalgico, ogni tanto fa solo un po' fatica a prendere confidenza con quanto c'è di nuovo a quel mondo. Certo è che ai suoi tempi le cose erano un po' più semplici... ad esempio, negli anni Quaranta non si sarebbe mai assistito alla scena di una divinità malvagia che insegna a una ragazza a usare dell'energia magica finita per sbaglio nel suo sangue; ai suoi tempi, malgrado la guerra e tutti gli orrori che aveva portato con sé, il mondo era comunque al riparo da certe cose.
Ad ogni modo, nonostante la vaga inquietudine che serpeggia tra loro dopo la discussione avuta con Thor, quel pomeriggio nel bosco sembra procedere meglio della volta precedente. Nadia non sta urlando di dolore, non sta sanguinando e non ha ancora fatto saltare in aria niente. Sta solo facendo a gara con Loki a chi ha la risposta più acida.
«Parli in modo incomprensibile, te ne rendi conto?»
«L'unica cosa di cui mi rendo conto, ragazzina, è la tua ottusaggine»
«Beh, non sono io che vado in giro farneticando di essere un individuo superiore».
E avanti così, da più o meno mezz'ora.
Cioè, se lui non fosse lui, e se lei non fosse una specie di bomba a orologeria con il timer sballato, sarebbe quasi divertente.
«Credi sia il caso di fargli fare una pausa? Metto su l'acqua per il tè?» domanda Bruce Banner affiancandosi a lui.
Certo, più si cerca di dare a tutta quella follia una parvenza di normalità e più sembra folle. E dove diamine è finito Stark? Oh, sì, appollaiato sul tetto, come una cornacchia, pronto a fare fuoco su Loki appena ci sia una scusa buona per farlo.
Steve si massaggia distrattamente la fronte. È sempre stato un tipo misurato, uno di quelli che pensano che non ci sia nessuna verità assoluta da portarsi al collo come un gingillo, e forse per questo è sempre stato, tra tutti loro, quello meno turbato da tutta la questione sentimentale – se così si può dire – tra Nadia e Loki. Non odia il dio con la stessa rabbiosa convinzione di Stark o di Barton, non è intimamente terrorizzato quanto Banner e la Romanoff, e nemmeno legato a lui come Thor. Tutto quello che Steve ha sempre visto è un'idea vaga e imprecisa di un rapporto creatosi da sé, tanto assurdo da essere affidabile e profondo nella sua stranezza. Troppo profondo per poter essere soggetto alle manipolazioni e alle strategie altrui.
«Credo sia meglio non interrompere» dice semplicemente a Bruce.
In quello stesso momento, dall'interno della casa, squilla il telefono. Uno squillo acuto che fa quasi eco in mezzo al bosco, uno di quei bei suoni alla vecchia maniera: DRIIIN DRIIIN DRIIIN.
Panico. Chi può chiamare la casa isolata di Bruce Banner a quell'ora del pomeriggio?
Tutti si fermano, anche Nadia e Loki, e si scambiano uno sguardo perplesso o allarmato. Bruce rientra di corsa per rispondere e dopo nemmeno trenta secondi è di nuovo fuori.
«Era Fury» annuncia. «Ha detto – testuale – di portare i nostri culi alla base dello S.H.I.E.L.D. prima di subito».

Alla base dello S.H.I.E.L.D. li accoglie un Nick Fury particolarmente crucciato.
«Dei nostri agenti a Boston hanno trovato questo in un deposito fuori città» annuncia, spingendo verso di loro il monitor orientabile di un computer che mostra l'immagine di un oggetto sferico pieno di ammaccature. «Il metallo con cui è fatto è lo stesso del frammento ritrovato precedentemente. I nostri egregi ospiti stranieri hanno qualche idea?».
Thor e Loki non hanno nemmeno bisogno di scambiarsi uno sguardo, annuiscono all'unisono.
«Il Bifrost» dicono, e lo dicono contemporaneamente. Suona strano sentirli così sulla stessa lunghezza d'onda, anche se è per una mera questione pragmatica.
«Il meccanismo che azionava il Bifrost, il ponte che metteva in collegamento tra loro i Nove Regni» aggiunge Loki, sbrigativo.
«Metteva?» domanda Barton.
«Sì. Ora non esiste più, Thor mi ha fatto la cortesia di prenderlo a martellate, tempo fa».
I due dei si scambiano un'occhiata torva, ma non c'è tempo per approfondire le loro vicissitudini famigliari.
«A chi appartiene il magazzino?» chiede Natasha Romanoff.
«A un tale signor Christopher Donnet, sembra pulito ed è partito da mesi per un viaggio in Europa» risponde Fury. «È molto probabile che non ce l'abbia messo lui quell'affare lì dentro, ma per sicurezza l'ho fatto rintracciare, è a Praga, dei nostri uomini lo andranno a interrogare».
«Si va a Boston, quindi?» chiede Steve. Dentro di sé si sente persino sollevato, quasi contento, all'idea che ci sia qualcosa da fare, che si stia profilando all'orizzonte la speranza di fare un passo in avanti per vederci più chiaro in quella faccenda.
«Sì, ho disposto la vostra partenza immediata. Sul posto c'è già una squadra, c'è altra roba da visionare in quel magazzino. Banner resterà qui e lui e la dottoressa Foster analizzeranno i dati che ci verranno inviati» conclude il direttore dello S.H.I.E.L.D. nel suo consueto tono pratico.
«Quando dici la nostra partenza, Nick, intendi proprio tutti tutti?» aggiunge Stark, ancora imbottigliato nell'armatura – Dio, ma non gli diventa scomoda dopo un po'?
«Tutti quelli utili di certo» interviene Loki in tono spocchioso. «Immagino che se facessimo una gara di utilità, il vincitore non sarebbe nessuno di voi».
Steve guarda il dio dell'inganno con la coda dell'occhio. È curioso, profondamente curioso di sapere, nient'altro – almeno, nient'altro di evidente.
«Sarà meraviglioso avere occasione di buttarti giù dal finestrino del Quinjet, Bambi».

*

«Ehi, ehi! Tu dove credi di andare?» Clint le si para davanti e la guarda sollevando le sopracciglia. Un sole caldo picchia sull'ampia pista di decollo sul tetto dell'edificio. In un angolo, Thor ha richiamato il martello e sta tornando a indossare le sue vesti divine, in uno sfavillio di luce bianca e azzurra.
«Vengo con voi. Vi portate dietro il nemico pubblico numero uno, non vorrete lasciare a terra me!» protesta Nadia. È perfettamente consapevole di quanto suoni infantile e petulante il suo tono in quel momento, ma ha visto di peggio che un magazzino pieno di ferraglia aliena e se davvero ha una qualche possibilità di essere utile in quella faccenda, meglio cominciare da subito e meglio far capire ai suoi amici che ora di smetterla con questa faccenda della campana di vetro.
«E poi, se non tornate in tempo per il party, mi troverei a doverci andare da sola e sarebbe noiosissimo» aggiunge con una smorfia.
«No, senti...» Clint sta per dare inizio a uno dei suoi panegirici sulla prudenza che non è mai troppa, ma Steve arriva dietro di lui e gli posa una mano sulla spalla.
«La portiamo con noi» dichiara. Probabilmente approfittando del fatto che Tony è già in aria e non sta assistendo alla scena, quindi non può ammanettarla alla grondaia per tenerla a terra.
«Possiamo almeno deciderlo per alzata di mano?» conclude Clint con il bieco sarcasmo che tira fuori quando è interdetto.
Nadia lancia uno sguardo di gratitudine all'indirizzo di Steve. Pensa che a Tony verrà un colpo apoplettico, ma non importa, da qualche parte si deve pur cominciare, e lei è dentro a questa cosa a prescindere, che loro lo vogliano o no.
Non è mai stata su un jet, anzi prima di tutta quella storia non aveva mai nemmeno preso un aereo e quell'affare non sembra nemmeno un jet come gli altri.
Clint e Natasha si mettono ai comandi, Steve si siede dietro di loro e guarda il radar sul quale lampeggia un puntino che dovrebbe indicare Tony. Thor e Loki si siedono sui sedili laterali, l'uno di fronte all'altro, ma nemmeno si guardano in faccia.
Nadia si va a sedere accanto al dio del tuono e gli batte una mano sulla sua – che è un po' come far cozzare una pallina da ping-pong contro un pallone da basket. Thor è turbato, si sente responsabile per tutto quello che sta succedendo, perché crede davvero che sia colpa sua se la Terra è in pericolo. E perché probabilmente sta facendo la conta delle colpe dal presente andando indietro fino al brodo primordiale, quando magari aveva tirato i capelli a Loki quando erano bambini e lui si è risentito e da allora ha cominciato a covare rancore e tutto il resto.
Nadia sente quasi muovere gli ingranaggi nel cervello di Thor e riesce perfettamente a immaginare i suoi pensieri: se solo fossi riuscito a non far fuggire Loki da Asgard la prima volta... se solo lo avessi trovato prima dei Chitauri... se solo...
C'è dell'altro, la ragazza ne è sicura, ha la sensazione che il macigno che Thor si porta dentro sia appesantito da qualcosa che non ha a che fare solo con la conta delle colpe e dei ''se solo'', ma non ha il coraggio di fare domande e preferisce pensare che, se lui non le ha detto niente, ha certamente i suoi buoni motivi.
«Gliela faremo vedere» dice lei. Thor stringe un po' di più le dita attorno alle sue.
«Ma sentitela!» borbotta Clint.
«Lei cosa ci fa qui?!». La voce di Tony arriva attraverso la ricetrasmittente, come se stesse parlando dalle casse di uno stereo. Lui sente tutti loro e loro sentono lui.   
«Non distrarti, Tony, continua a volare» scherza Nadia. «Comunque... gliela farete vedere. Va meglio adesso?»
«Sì, perché tu tutto quello che vedrai da oggi in poi sarà il muro imbottito di una cella di sicurezza!».
Se non altro, si alza una risatina generale. Nadia guarda verso Loki – che ovviamente non sta partecipando al momento di ilarità collettiva – e si accorge che lui la sta fissando, forse fin da quando sono saliti a bordo.
Nella sua peculiare abitudine di assorbire informazioni e conoscenze in maniera così automatica e famelica, non ha mai smesso di studiarla.

Atterrano sul tetto dell'edificio che ospita il magazzino che devono visionare. Il portellone del jet si apre, e nel rettangolo di cielo e asfalto, Nadia vede Tony atterrare con un leggero tonfo metallico.
La guarda, cioè, gli occhi luminosi di Iron Man si puntano nella sua direzione e lei immagina perfettamente la faccia esasperata e sconvolta sotto l'elmo dell'armatura. Sorride sarcastica e spera che là sotto il viso di Tony si sia rilassato in un'espressione di complicità.
Ci siamo dentro insieme, è sempre stato così, signor Stark.
Sul tetto c'è una porta di ferro che immette direttamente sulla tromba di scale. Due uomini in giacca e cravatta compaiono oltre la soglia e fanno un rapido cenno di saluto, il loro sguardo indugia appena un attimo su Loki, ma mantengono tutti un'aria di pacato distacco.
«Sono l'agente Moore» si presenta uno dei tre, un tizio calvo sulla quarantina. «Venite di sotto a vedere cosa abbiamo trovato».
Mentre scendono le scale, l'agente Moore spiega che il fabbricato è vuoto, una volta i piani ospitavano gli uffici amministrativi di una società che è fallita un paio di anni prima. Il pian terreno appartiene a Donnet, l'uomo menzionato da Fury, che a quanto sembra è estraneo a tutta la vicenda e non sapeva che il suo magazzino, rimasto sfitto da qualche mese, era stato occupato dalla roba di qualcuno. Nadia ha un fremito di nervosismo mentre si chiede come abbiano ottenuto quelle informazioni e come facciano a ritenerle così certe. Lo S.H.I.E.L.D. non deve andare tanto per il sottile in certi frangenti e il povero Mr. Donnet si sarà rovinato la vacanza.
Il magazzino è sul retro dell'edificio, è una sorta di grande garage oltre una saracinesca di alluminio che scricchiola terribilmente quando Moore la solleva per permettere loro di entrare.
Dentro è abbastanza spazioso e odora di muffa e ruggine. Al centro c'è la sfera di metallo che sembra una specie di scultura futuristica non del tutto ultimata. Il metallo di cui è fatta è di un grigio opaco, come quello delle vecchie monete, e in alcuni punti è ammaccata e porta segni di ossidazione e bruciature.
«È quello che avete detto? Il pezzo del Bifrost?» chiede Steve a Thor e Loki.
«Ne è un'imitazione, e anche piuttosto scarsa. Non credo possa funzionare e in ogni caso, non vedo con che energia possano averlo attivato» commenta il dio del tuono, allungando una mano verso la superficie di metallo. Quando si avvicina, la sfera emette delle scintille, come se all'improvviso fosse stata percorsa da una carica elettrica. Thor fa un balzo all'indietro.
«Che accidenti era?» scatta Clint.
«Lo hai visto, Dottore?» chiede Tony, che deve essere in collegamento audiovisivo con Bruce, grazie a qualche microtelecamera impiantata da qualche parte nell'armatura.
«L'ho visto. Non promette bene» risponde la voce di Bruce, che sembra arrivare da sotto la calotta dell'elmo, come quando parla Jarvis. «Cos'è che l'ha fatta agitare?».
Loki si fa avanti, sorpassa Thor e si china sulla sfera. Con la coda dell'occhio, Nadia si accorge che gli agenti presenti sul posto hanno poggiato la mano sul calcio delle pistole che tengono sotto le giacche.
Il dio dell'inganno fa cenno al fratello di avvicinarsi di nuovo e di nuovo la sfera comincia sfrigolare.
«Sono io?» borbotta Thor.
Loki scuote la testa,
«Non tu, il Mjolnir» dichiara, incupendosi e aggrottando le sopracciglia come se stesse inseguendo un pensiero molto spiacevole.
Thor alza il martello e lo avvicina alla sfera. Dalla superficie di metallo si spandono lampi bianchi e scintille, con un ronzio che suona quasi come unghie sulla lavagna.      
«D'accordo. Tieni il tuo attrezzo da falegname lontano da quella diavoleria, Boccoli d'oro!» borbotta Stark. «Io sono vestito di metallo e non voglio finire fritto come un gambero».
Sul fondo del magazzino c'è un telo di plastica bianca infilato su un tubo sporgente a mo' di tenda. L'agente Moore lo solleva e fa loro cenno di guardare.
«Anche questo è interessante» commenta.
Moore non è il tipo d'uomo che trasmette voglia di vivere, con quelle labbra sottili perennemente crucciate e quel tono di voce monocorde e freddamente professionale.
Nadia si aspettava molto più entusiasmo e sussiego nei riguardi degli Avengers, ma forse è vero che non tutti li considerano un bene per l'umanità, o quanto meno è quello che ha appreso quando le capitava per sbaglio di ascoltare dei discorsi di corridoio durante le settimane in cui andava alla base di New York per allenarsi con Clint e Natasha, per non parlare dei dibattiti televisivi che ancora si trascinano nei talk show di seconda serata. Il mondo non è sempre pronto ad accettare lo straordinario.
A proposito di straordinario, cosa dovrebbe essere quell'affare dietro il telo?
«No, questo non posso averlo fatto» dice Thor. La nota allarmata nella sua voce squilla come una tromba e quando il suo sguardo si posa su Loki è panico puro quello che gli si legge negli occhi.
«Cos'è? Una lampada?» borbotta Clint – Clint, Occhio di Falco, che ha passato settimane chiuso in uno stanzone con un cubo di energia potente come la collera di Dio, tipo.
Dietro il telo c'è un alto piedistallo di alluminio, sopra c'è un oggetto rettangolare che sembra un contenitore di vetro dentro al quale si agita un fumo luminescente denso e bluastro.
Come se ne fosse calamitato, Loki si avvicina al piedistallo e tende una mano sopra l'oggetto. È come se la luce azzurrognola del fumo si proiettasse sulla sua pelle chiara, ma guardandolo meglio Nadia si accorge che non è la luce, che la sua mano sta diventando blu, un blu cobalto innaturale che sta risalendo anche oltre il colletto della camicia, lungo la gola e la linea della mascella.
C'è qualcosa di terribile in quella scena, negli occhi sbarrati di Loki che osservano la reazione della sua pelle alla vicinanza con l'oggetto. Nadia non riesce a sopportare quella vista, gli si avvicina e gli spinge via la mano. Nel punto in cui le sue dita hanno sfiorato il dorso della mano di Loki, la pelle di lui torna ad essere rosa e pallida, poi la macchia di rosa si allarga fino a far sparire tutto il blu.
Tutti sono ammutoliti. Gli agenti dello S.H.I.E.L.D hanno impugnato le pistole. Thor sta borbottando qualcosa riguardo al fatto che non può essere possibile – cosa? Che quell'affare si trovi lì o che Loki si tinga di blu? Nadia ha paura che si tratti della prima opzione e che invece sia normale che Loki si trasformi in una versione gigante di Grande Puffo.
Da dentro l'armatura di Iron Man arriva la voce di Bruce.
«Che sta succedendo? Non riusciamo a vedere niente se Nadia e Loki non si spostano da lì».
«Ecco, spostatevi da lì e qualcuno ci spieghi qualcosa» aggiunge Tony.
«La copia dell'ingranaggio del Bifrost è rotta, ma questo sembra funzionare» osserva Loki, con la voce ancora increspata da un'emozione indecifrabile.
«E cosa fa?» chiede Natasha.
Loki solleva l'affare dal piedistallo e lo punta verso il muro, incurante del blu che sta di nuovo coprendo la sua pelle. Un lampo di luce fumosa urta contro la parete facendo formare all'istante un'enorme crosta di ghiaccio che perfora il cartongesso e apre un buco grande come una macchina .
«Oh, è questo che fa? Granite di mattoni? Molto utile per distruggere la Terra» osserva Tony.
«Non prenderti gioco di cose che non conosci» lo ammonisce Thor. «Questa è una copia dell'arma più potente dei Giganti di Ghiaccio, loro avrebbero spazzato via questo mondo secoli fa se non fosse intervenuto mio padre».
Giganti di Ghiaccio? Quelli dal cui pianeta proviene Loki? Sì, Thor glielo aveva spiegato quella volta a Venezia, ma non le aveva mai detto che Loki si trasforma in un puffo alto un metro e ottanta. Con gli occhi rossi, perché adesso gli occhi gli sono diventati rossi come il sangue.
Nadia scuote la testa e guarda lo scrigno. Oh porca puttana!
«Si sta rompendo» dice, rendendosi conto delle crepe che hanno cominciato ad attraversare il vetro e che si spandono sulla superficie trasparente come minuscoli serpenti.
«Non è nemmeno il nostro unico problema!» esclama Clint indicando una spia rossa che lampeggia in un angolo. «Fuori di qui!».
«Stark, cosa sta...» la voce di Bruce sembra arrivare lontanissima, ed è come se stesse sfumando in dissolvenza verso il silenzio. Perché il silenzio arriva, anche se dura appena un istante e viene seguito a ruota dal boato dell'esplosione.       
Il buio odora di fumo e ha mani enormi che l'afferrano e la scaraventano in aria per poi lasciarla precipitare verso qualcosa che, lo sa, le farà molto male una volta che ci andrà a sbattere. Ma il fondo di quella caduta sembra non arrivare mai, e Nadia sente solo tutto tornare a farsi silenzioso e ancora più buio attorno a lei. Poi semplicemente, smette di sentire.

*

Lo schermo del computer si accende e loro vedono il tetto di un edificio avvicinarsi, poi sentono la voce di Stark.
«Siamo appena arrivati, mi sentite?»
«Forte e chiaro» risponde il dottor Banner.
Stanno guardando attraverso gli occhi di Iron Man. Jane pensa che sia proprio una bella sensazione quella di volare sorretto da piccoli propulsori sotto le piante delle mani e dei piedi, ma non si metterebbe a testare una delle armature volanti del signor Stark nemmeno se fosse costretta.
Il portellone del jet si apre e gli altri – quelli che per volare necessitano di altri mezzi – scendono uno ad uno.
L'inquadratura indugia qualche secondo su Nadia, la ragazza guarda Iron Man con un sorrisetto che potrebbe suscitare ilarità oppure uno scoppio di violenza, a seconda dei casi. Ma Jane dubita che Stark si infuri con lei, le vogliono tutti troppo bene, persino per infuriarsi, era chiaro dalla discussione di qualche giorno prima in cui tutti hanno dato addosso a Thor. Thor che ha tenuto nascosto qualcosa a tutti loro – lei compresa – e che si sarebbe meritato come minimo una settimana di broncio e di astinenza, ma poi lei non ce l'ha fatta... per il broncio, non per l'astinenza. Non ce l'ha fatta perché ha capito che lui si sta portando dentro un gran peso, e il fatto che abbia deciso di portarlo da solo non è un capriccio o una mancanza di fiducia, ma un sacrificio che deve costargli anche piuttosto caro, visto come ogni tanto si adombra e il suo sguardo si fa cupo e lontano.
Thor attraversa lo schermo, per una frazione di secondo lo riempie tutto con il rosso del suo mantello, poi sparisce dall'inquadratura. Arriva un tizio che si presenta come l'agente Moore e la squadra scende le scale fino al pian terreno.
«Lo avete perdonato? Thor, intendo» domanda Jane. Le piace il dottor Banner, sembra una brava persona, anzi di più, sembra una persona buona, le ricorda un po' Erik, solo decisamente più timido e potenzialmente più pericoloso.
«Nessuno ce l'ha mai avuta con lui... come si fa ad avercela con Thor? È un tenero ragazzone che parla come un principe delle fiabe!».
La scienziata ridacchia. È anche un dio che quando si arrabbia fa un po' paura, vorrebbe aggiungere, ma non crede che sia rilevante rispetto a quel discorso. Loro non temono Thor, gli vogliono bene, sicuramente.
«Anche se» aggiunge Banner, «credo che l'invito al party di Stark suoni più come un castigo che come un gesto amichevole».
Oh, giusto, il party del signor Stark. Jane ne è esaltata e intimorita allo stesso tempo, non è mai stata a quel genere di feste... il suo genere di feste è tipo quella per il conseguimento del suo dottorando in astrofisica, di tre anni prima: lei, il suo ragazzo – ex ragazzo, i suoi amici, un appartamento libero  e un numero considerevole di superalcolici.
Ok, non deve per forza pensarci in quell'esatto momento.
Nei minuti successivi, riescono a guardare dentro il magazzino. C'è quella specie di sfera di metallo, Stark fa una scansione ottica dei materiali e sembra che non ci sia granché da cavarne. Si tratta dello stesso metallo del frammento già ritrovato, ma questo si sapeva.
È frustrante. Quello non è un rompicapo in cui bisogna mettere insieme i pezzi, è un codice, scritto in una lingua che non conoscono, per il quale non hanno alcuna chiave di lettura.
L'uomo che si chiama Moore scosta una specie di tenda di plastica e mostra loro qualche altra cosa. Ma Jane e il dottor Banner non capiscono cosa sta succedendo, sentono fuori campo la voce di Thor che suona molto preoccupata, ma non riescono a vedere niente perché Loki si è piazzato tra la telecamera e l'oggetto, e dopo ci si mette anche la ragazza.
«Che sta succedendo? Non riusciamo a vedere niente se Nadia e Loki non si spostano da lì» dice Banner.
Loro non riescono a vedere, ma a quanto pare nessuno riesce comunque a capirci niente. Stark chiede spiegazioni, l'agente Romanoff domanda a cosa serva l'oggetto; per tutta risposta, Loki lo solleva e disintegra il muro. Il muro che va in frantumi a causa del ghiaccio, questo lo vedono, e si scambiano un'occhiata esterrefatta.
Poi tutto succede in meno di un minuto. Stark fa una battuta, Thor lo redarguisce e spiega che quella è un'arma dei Giganti di Ghiaccio, Nadia esclama che si sta rompendo, Barton dice che non è l'unica cosa di cui debbano preoccuparsi.
Bruce Banner deglutisce e si china sullo schermo, come se avvicinandosi all'immagine potesse essere più vicino a tutti loro, aiutarli o fare qualcosa,
«Stark, cosa sta succedendo? Non riusciamo a vedere niente» dice.
Un'esplosione. Il suono è così forte che fruscia nelle casse del computer come un'interferenza in una radio. L'immagine diventa indistinta e poi scompare.
«Dobbiamo far uscire la dottoressa dalla stanza ed evacuare l'edificio?!». È Fury, è piombato nel laboratorio di colpo. In un primo momento Jane non capisce perché lo stia chiedendo, poi si ricorda... Bruce Banner: Hulk.
Ma il dottore si lascia cadere su una sedia con lo sguardo vitreo e attonito. Non è arrabbiato, è troppo sconvolto per esserlo.
In quel magazzino c'erano i suoi unici amici e la cosa più vicina che avesse a una famiglia.
E il magazzino è appena saltato in aria.   



 


 

____________________________________________

Note:

Spero che la reazione di Bruce non appaia troppo fuori luogo, forse io mi sono lasciata trasportare troppo dalla mia idea degli Avengers tipo “famiglia felice” (a proposito di questo, c'è un discorsetto da parte di un certo personaggio nel prossimo capitolo). E spero che l'idea di lui che non si trasforma in un mostro verde rabbioso ma semplicemente si abbatte non sembri troppo delirevole.

Una vocina sadica nella mia testa (e certamente è Loki che parla) mi dice che era ora che qualcuno si facesse male e che non fosse solo Nadia a far esplodere le cose XD


Sto recuperando le risposte alle recensioni. Ce la posso fare. Intanto grazie a tutti voi che continuate a seguire questa storia anche ora che il fandom è meno "mainstream" di com'era quando è cominciata, grazie di cuore *W*

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 Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 18
*** Just one step - part two ***


Capitolo diciassettesimo
Just one step – part two


Bzzz.
Stark?!
Bbbzzzzz....
Stark, dannazione! Mi senti?!
No, tutto quello che sente è un tremendo dolore alla testa. Dove si trova? Cosa è successo?
«Jarvis...» mormora. Davanti ai suoi occhi si accendono due linee di luce, poi si spengono e per un po' tremolano come se fossero i neon di un'insegna che si sta rompendo.
Il reattore Arc deve essersi fermato per qualche secondo, perché sente male anche al petto e si sente fin troppo stordito.
Ci vuole qualche minuto prima che l'interfaccia interna dell'armatura torni visibile, ma finalmente si accendono i comandi e le informazioni che il dispositivo rileva dall'esterno. L'aria è satura di fumo.
«Stark, se ci sei rispondi». È la voce di Fury, suona persino un po' preoccupata.
Ora ricorda. È a Boston, in quel magazzino, e c'è stata un'esplosione.
«Ci sono...» dice.
«Il propulsore posteriore destro è danneggiato, signore» annuncia Jarvis.
«Com'è la situazione? Abbiamo perso il contatto visivo» incalza Fury.
Tony non riesce a vedere niente in mezzo al fumo, se non una luce ovattata che proviene dall'esterno, dalla saracinesca che si è piegata e ora penzola mezza aperta, e attraversa l'aria con dita bianche di fantasma.
Ha l'impressione che il suo cervello si muova a rilento, come se i suoi pensieri comminassero in un pantano di melma.
Com'è la situazione?
Una stilettata di puro terrore piomba come un colpo di martello al centro esatto del suo petto.
«Non vedo nessuno muoversi, Nick. E non sento nessuno parlare» dice, mettendo le parole in fila come un automa.
Silenzio e immobilità; ora il terrore diventa quasi cieco, ma lui tenta di far lavorare il cervello e di fare un riepilogo logico. Un'esplosione: l'armatura l'ha protetto, Rogers il supersoldato dev'essere intero, Thor il semio dio – e fratello bastardo annesso – pure. Restano i due super-killer e Nadia. Dannazione! Sapeva che non dovevano permetterle di venire!
«Stark...». Tony vede qualcosa di grosso spostare lo scaffale sotto il quale è sepolto e scorge, in mezzo al fumo, un guizzo di rosso e di tessuto scintillante.
Il braccio di Thor spunta dal basso, Tony lo afferra e lo aiuta a rimettersi in piedi.
«Il biondo è tutto intero» dice, a beneficio di Fury e probabilmente anche della dottoressa Foster. Uno è salvo, ora bisogna trovare gli altri.
«Dobbiamo fare un po' di luce, Boccoli d'oro, ce la fai ad aprire quella saracinesca?».
Thor, viso annerito come quello di uno spazzacamino, capelli sconvolti e pieni di polvere, annuisce e barcolla verso il portellone di metallo. Qualche secondo dopo, si sente il suono di una martellata sul ferro e la saracinesca crolla. La luce invade il magazzino, rivelando uno scenario caotico dove tutto è crollato addosso a qualcos'altro. O si è rotto, o è esploso.
Tony guarda nella direzione dove prima c'era il piedistallo con la diavoleria del ghiaccio, vede un armadio crollato sulla fiancata laterale e da dietro sente provenire un colpo di tosse. Si precipita a guardare e trova la Romanoff e Rogers rannicchiati contro l'armadio. Qualcosa è volato verso di loro, ma lo scudo del Capitano li ha protetti entrambi, o almeno li ha tenuti al riparo dal peggio, perché lei ha comunque un brutto taglio sulla tempia.
«Rogers e la Romanoff a posto» annuncia Tony nell'auricolare, poi si volta e scorge un corpo riverso, che l'esplosione ha spinto contro un palo di metallo che gli ha trapassato il busto. «L'agente Moore non ce l'ha fatta».
Rogers è già intento a rimettere in piedi un paio di altri agenti, ma mancano ancora Barton e Nadia all'appello dei sopravvissuti nella loro squadra e continua a guardarsi attorno febbrile cercando di scorgere almeno uno di loro due. Thor ribalta casse e sposta pannelli di legno o metallo, la Romanoff si regge ancora un po' malferma sulle gambe, ma ha tirato fuori una ricetrasmittente e forse cerca di far suonare quella di Barton per riuscire a determinarne la posizione attraverso il rumore.
«Nadia! Barton! Loki!» la voce di Thor suona come un tuono scatenato dal suo martello. Giusto, c'è anche Bambi, ma trovarlo morto non sarebbe una gran perdita.
Qualcosa si muove, qualcosa di bianco e informe come uno spettro. Il telo di plastica dietro al quale si trovava l'aggeggio che spara ghiaccio.
Il telo si ripiega di lato e spunta fuori il dorato dell'armatura di Loki. Vivo e vegeto, solo con un'escoriazione sulla guancia e un taglietto sanguinante sulla fronte, steso di fianco a terra.
«Sto per vomitare» la voce viene dalla direzione in cui è steso Loki, ma non è quella del cervo maledetto. È la voce di Nadia, viva anche lei.
Oh, sia ringraziato il cielo!
Nadia che nell'esplosione è finita sotto a Loki e che grazie a questo è quasi del tutto illesa, a parte la maglia strappata sul fianco destro che mette in risalto una bella fetta di pelle piena di schegge di vetro e tagli sanguinanti.
È finita sotto a Loki, l'ipotesi che lui le abbia volontariamente fatto scudo con il suo corpo è da escludere, per principio, perché la mente di Tony non può e non vuole crederci. Un conto è non farle del male per convenienza, altro conto è mettere la salvezza di un'umana davanti alla propria, il dio bastardo e vigliacco non lo farebbe nemmeno tra un milione di anni. Giusto?...
«Tony... state bene? Dove sono tutti?» squittisce Nadia, intontita.
«Nadia e Latitante interspaziale vivi e vegeti» notifica Tony. «È tutto ok, Colombina, stai tranquilla...»
«Dei cinque agenti che erano qui, Moore e un altro non ce l'hanno fatta» aggiunge Steve Rogers. «Uno di loro è ferito gravemente, gli altri due stanno abbastanza bene. Stark, di' a Fury di far venire di corsa un'ambulanza»
«Manca Clint» dice Naida, guardandosi attorno con gli occhi sgranati per il panico.
«Manca Clint» ripete l'agente Romanoff con un filo di voce incrinata dalla paura.
Perdere Barton non è ammissibile, non è assolutamente tollerabile. Tony se ne rende conto con un certo sgomento; se la morte di Coulson lo scosse e gli fece vedere rosso di rabbia fino a quando non fu carbonizzato anche l'ultimo Chitauro, la perdita di Clint Barton sarebbe qualcosa di ingestibile, per lui come per tutti gli altri. E per Natasha Romanoff sarebbe forse l'inizio della fine.
«L'ho trovato»  si sente esclamare Thor. Ma la sua voce non suona molto entusiasta, tanto che Tony sente un'altra sferzata di paura picchiargli contro il petto.
Quando si voltano a guardare Thor – e sembrano volerci secoli per riuscire a intercettarlo con lo sguardo – lo vedono chino a terra. Inspiegabilmente non ha più il suo mantello rosso.
Certo che non ha più il mantello, lo sta usando per tamponare una ferita, anzi due, una alla gamba e una al torace. E c'è una marea di sangue.
La Romanoff si fionda sul suo collega e si inginocchia accanto a lui, di fronte a Thor. Tasta il collo di Barton e guarda verso di loro,
«È vivo. E l'ambulanza di cui parlava Rogers dov'è?!» esclama.
Tony vede Nadia coprirsi la bocca con le mani per soffocare un singhiozzo. Ha il viso arrossato e contratto di chi sta trattenendo uno scoppio di pianto. Non vuole piangere, dopo tutte le proteste e le piccole ribellioni ai loro tentativi di tenerla al sicuro, non vuole mostrarsi debole, non vuole essere la prima a versare lacrime. Quando proprio non ce la fa più, si aggrappa al braccio di Rogers, lui le cinge le spalle e lascia che lei gli nasconda il viso nel petto.
*

Gli sta cominciando a venire mal di testa, ed è sempre una brutta cosa quando succede.
Un agente ha portato un vassoio con delle tazze di tisana calda e lui ne prende una per darla alla stramaledetta signorina Berton.
Che quella ragazza sarebbe stato un diavolo di problema, a Nick Fury è stato chiaro dalla prima volta che l'ha sentita nominare, ancora prima di conoscerla, quando la squadra dei Vendicatori era tornata da quella specie di missione clandestina a Venezia e lui era riuscito, facendo la voce grossa, a farsi raccontare cosa diamine fosse successo e perché tutti loro erano spariti di colpo alla volta dell'Italia.
Poi l'ha incontrata e ha capito che era molto di più di un problema, era un casino con i controficchi. Una civile ventiseienne straniera, pericolosa per se stessa e per gli altri, che gli Avengers si sarebbero ostinati a proteggere fino allo sfinimento e che, per giunta, si era presa una sbandata per uno delle più pericolose minacce che lo S.H.I.E.L.D. avesse mai fronteggiato.
Volendo fare le cose alla vecchia maniera, avrebbe dovuto piantarle una pallottola in mezzo agli occhi. Estirpare il problema alla radice, è così che per decenni lo S.H.I.E.L.D. ha controllato le minacce alla sicurezza.
Ma la ragazza era intoccabile – maledetti gli Avengers e la loro infatuazione collettiva per lei. E per giunta, era anche innocente. E indisponente e sveglia e abbastanza pazza da essere coraggiosa. Eccessivamente buona forse, un po' lagnosetta e petulante alle volte, cocciuta quasi sempre, con un'odiosa tendenza ad essere sulla stessa linea d'onda di Tony Stark, ma tutto sommato una brava persona e un ottimo elemento.
E, in fin dei conti, il direttore Fury deve riconoscere a Nadia Berton il merito di essere riuscita in tutta naturalezza a rendere gli Avengers ancora più uniti e compatti di quanto non lo fossero dopo la battaglia di New York. C'era voluta la morte di Phil Coulson per renderli una squadra con un obiettivo comune, ma la ragazza ha fatto molto di più, li ha resi amici, gli ha dato un pretesto per diventare una famiglia.
«Grazie, direttore» mormora Nadia, prendendo la tazza di tisana che lui le sta porgendo.
È più scossa di quanto vuol dare a vedere. Sono appena rientrati da Boston e si sono ripresi dall'imbambolamento generale solo quando i medici della base hanno annunciato che Barton è fuori pericolo, anche se resterà KO per qualche giorno.
Ma la ragazza non vuole dare a vedere quanto è turbata perché teme che la prossima volta la lascino fuori dalla pista – il che sarebbe giusto, ma altamente improduttivo. Non è sempre vero che quando si è troppo coinvolti si diventa meno lucidi, a volte la volontà di salvare il proprio compagno di squadra perché si tiene a lui è un particolare che può fare la differenza, senza contare che per aiutare un compagno a cui vuoi bene devi necessariamente preservare in vita anche te stesso, quindi si prendono due piccioni con una fava.
Alla fine dei conti, Fury prova anche lui la sua bella quantità di simpatia per la signorina Berton e si auspica sinceramente che esca viva, sotto tutti i punti di vista, dalle mille cose che ancora deve evidentemente affrontare – non che la tentazione di spararle ogni tanto non la provi ancora, comunque.  
La dottoressa Foster e il dottor Banner entrano nella sala. Lei si fionda tra le braccia di Thor – che è quello più sano e più salvo di tutti, lui passa in rassegna con lo sguardo i suoi amici e poi va dalla ragazza, le posa le mani sulle spalle e resta così, ad aspettare che si inizi a parlare. I due scienziati hanno avuto anche loro una buona dose di adrenalina per quella giornata e l'adrenalina di Banner è sufficiente per una vita intera.
Arriva anche la Romanoff, con una medicazione sulla fronte e lo sguardo che ha smesso di essere allucinato e assente: Barton è salvo e lei è una professionista. Tra dei, alieni e altre amenità, Fury è contento che certe cose almeno non cambino mai.
A Fury non sfugge lo sguardo che la Vedova Nera scambia con la ragazza. La stramaledetta signorina Berton è la prima che tutti loro guardano quando succede qualcosa, come se si aspettassero sempre di non trovarla, o di vederla scappare via a gambe levate. Ma non succederà mai, quella ragazza ha passato da tempo il punto di non ritorno oltre il quale non ci si può più permettere di fuggire e forse un giorno le sarà fatale, ma non si può dire che la biondina non abbia le idee chiare.
«Come è potuto succedere che ci sia sfuggita una carica esplosiva in un cazzo di magazzino?» borbotta Fury, cancellando in un attimo tutte le elucubrazioni su Nadia Berton e concentrandosi sul problema. Ok, è arrabbiato perché due agenti sono morti, in modo assolutamente stupido. Le morti idiote e inutili sono una cosa che lo mandano fuori di testa, ma andare fuori di testa è un privilegio che ha perso da quando è diventato direttore dello S.H.I.E.L.D.
«La carica era nascosta, si attivava spostando un oggetto, quello scrigno del ghiaccio» dice la Romanoff.
«E la bomba non voleva davvero essere letale» osserva Stark. «La carica esplosiva non era così forte, altrimenti a quest'ora qualcuno ci starebbe raschiando via dal pavimento».
«Non volevano uccidere noi, volevano solo far sparire quella roba nel caso in cui qualcuno avesse trovato il magazzino. Immagino che le uccisioni siano da preservarsi per la fase due del piano, qualunque esso sia» deduce Rogers.
«E vogliono che ci arriviamo vivi alla fase due. Che vi assistiamo...» dice Nadia Berton, come se stesse pensando ad alta voce. Il pensiero è abbastanza agghiacciante da zittire tutti per una manciata di secondi. Certo, tutta quella follia è una vendetta perpetuata da chissà quale testa di cazzo ai danni di Thor, e ogni vendetta che si rispetti necessita di essere vissuta e subita.
«Però una cosa ancora non mi quadra» borbotta Banner. «Se hanno fabbricato armi che necessitano di una fonte di energia per essere azionate, perché l'aggeggio dei ghiacci ha funzionato?»
«Non esattamente». È Loki a parlare, dal fondo della stanza, dove se ne sta appoggiato al muro, distante da tutti loro come se temesse che potessero contagiarlo con qualcosa... tipo un po' di umanità, ad esempio.
Ha un cervello notevole, questo gli deve essere riconosciuto. Quelli con il cervello buono sono sempre i peggiori. Quelli con il cervello buono gli fanno davvero davvero paura.  
«Non esattamente. Ha funzionato una volta, ma poi ha cominciato a rompersi. Non hanno bisogno dell'energia per attivare le armi, ne hanno bisogno per far sì che continuino a funzionare».
«Senza l'energia di Asgard, le copie dei nostri manufatti non reggono la potenza del loro stesso utilizzo» borbotta Thor, impensierito.  
«Allora è un bene che non abbiano a disposizione fonti di energia abbastanza potenti» conclude Fury, cupo. Non è un bene che dopo quel primo passo, loro stiano ancora brancolando nel buio. Non hanno niente in mano e lui non si sentiva così impotente da quando quel bastardo di Loki piovve dal cielo e rubò il Tesseract, o quando gli mandò quasi a picco l'Eliveivolo.
I momenti peggiori della carriera di Nick Fury hanno tutti a che fare con Loki. E lui ne ha una paura fottuta, tanto da aver accettato il patto che gli ha proposto Thor. E anche lì, non si sa come andrà a finire la cosa...
«Che cosa possiamo fare?» chiede all'improvviso la dottoressa Foster. Domanda di rara inutilità. «Che cosa possiamo fare più di quello che stiamo già facendo?».
«Pregare in aramaico antico?» esclama Stark, stringendosi nelle spalle. «Non abbiamo niente su cui lavorare, solo teorie e macerie».
E due agenti morti. Dannazione!
Due agenti morti e non è ancora cominciata.
«Se non altro le teorie si sono rivelate abbastanza esatte» osserva l'agente Romanoff. «E loro sono ancora in svantaggio perché non hanno l'energia. Questo ci dà tempo».
«Sono riusciti a riprodurre la più avanzata tecnologia dell'universo» osserva Banner in tono lapidario. «Quanto tempo credete ci metteranno a trovare anche la giusta fonte di energia per farla funzionare a dovere?».

*

Sta guidando verso casa, piano perché lo stomaco di Nadia ha continuato a fare i capricci per un bel po' di tempo mentre erano alla base dello S.H.I.E.L.D.
Reazione allo shock, hanno detto i medici dell'infermeria che l'hanno visitata. A parte Barton, lei è quella messa peggio perché quella di oggi è stata la sua prima esplosione. Un'iniziazione che le avrebbero volentieri risparmiato.
Per un attimo Tony ripensa alla scena di Loki steso su di lei. Davvero non vuole pensare che lui l'abbia protetta di proposito, ma con tutto il vetro che gli è schizzato addosso, forse se non fosse stato per Bambi ora Nadia avrebbe un occhio in meno magari, o peggio.   
Al diavolo Loki, al diavolo tutto. Vuole solo tornare a casa e dormire. Aggiungerebbe una seduta di sesso ai suoi desideri, ma nello stato in cui si trova ha paura di rientrare nelle statistiche negative... performance issues.
«Hai intenzione di rimandarlo?» domanda Nadia.
Cosa, il sesso? Certo.
La ragazza si stropiccia il viso con la mano e impasta la bocca. Sta lottando per mantenersi sveglia,
«Hai intenzione di rimandarlo, il party?» precisa.
Tony picchietta le dita sul volante. Non ci aveva pensato. Dopo qualche secondo fa un mezzo sorriso e alza le spalle,
«Nah, perché mai?». Perché Clint Barton è quasi morto? Perché Nick Fury mandava fumo dalle orecchie? Perché c'è un nemico invisibile contro il quel non possiamo fare niente?
Smette di sorridere. «Probabilmente è sciocco, ma credo sia un modo per non lasciarsi abbattere».
Ha già dato un party di compleanno quando era convinto di star per morire. Ora non crede necessariamente che morirà, ma sente comunque il peso di qualcosa di terribile e incombente e non è che non voglia lasciarsi abbattere, davvero non può permetterselo. Non può permetterselo lui, non possono permetterselo gli altri. Hanno continuato a mantenere le loro vite anche dopo che era suonata la campanella di allarme distruzione una seconda volta, non devono smettere adesso.
«Sarà una festa grandiosa» dice Nadia.

Mentre l'ascensore li porta in cima alla torre, Nadia si appoggia con le spalle alla parete a specchio e sembra proprio che si stia reggendo per non crollare.
Tony l'accompagna fino alla porta del suo appartamento. Pensa che non sia il caso di lasciarla dormire da sola, ma non dice niente in proposito perché i messaggi che lei ha inviato a tutti loro ultimamente sono molto chiari: posso farcela, datemi fiducia, non preoccupatevi, posso farcela. E forse – il cervello di Tony un po' sfrigola al pensiero di doverlo ammettere – Steve Rogers era stato profetico, aveva ragione, la ragazza sarebbe andata per la sua strada comunque, ad ostacolarla ci avrebbero solo rimesso tutti quanti.
Nadia entra in casa, si guarda attorno e sospira.
Lui sta per augurarle la buonanotte, quando la ragazza si volta di scatto e lo guarda in viso,
«Tony, ti voglio bene» mormora.
Le posa una mano sulla guancia e le dà un bacio sulla fronte,
«Immagino sia un effetto collaterale».
La guarda dirigersi con passo strascicato in direzione della camera da letto, poi chiude la porta dell'appartamento dietro di sé e va al piano di sopra.
Pepper è seduta sul divano, con il portatile aperto sulle ginocchia a scrivere mail a chissà chi di importante – ognuno ha i suoi modi per mantenere il proprio stato di normalità e lei è dannatamente brava in questo genere di cose. Appena lo sente entrare, mette via il computer e si alza di scatto.
Sì, sono vivo anche stavolta.
La raggiunge e le schiocca un bacio sulle labbra. La cosa buona di avere un'armatura è che quando rimani coinvolto in un'esplosione non solo non ti sporchi, ma non ti fai nemmeno troppo male, così quando torni a casa dalla tua donna lei non rischia di farsi venire un colpo.
«Quanto devo preoccuparmi?» domanda Pepper, allacciandogli le braccia dietro al collo e passandogli le dita sulla nuca in una carezza.
«Di cosa?»
«Della fine del mondo, di te, di Nadia, dei tuoi, anzi nostri, reattori Arc»
«Nemmeno un po', dolcezza!».
Pepper sospira e sembra voglia dirgli che è il solito spaccone.
Non sta facendo lo spaccone, come ha detto a Nadia: non devono lasciarsi abbattere.
Lei alla fine si arrende e fa un mezzo sorriso un po' stanco,
«Comunque, c'è qualcosa per te, in camera da letto» annuncia con voce morbida.
«Credimi, non avrei mai pensato di dire una cosa del genere in vita mia, ma stasera non sono in grado».
Pepper ride sommessamente e scuote la testa, poi gli fa cenno di andare di là a vedere. Tony sbatte le palpebre, pensando con rammarico di aver detto una cosa di cui evidentemente non c'era bisogno.
C'è una scatola di cartone appoggiata vicino al suo cuscino.
«Il primo regalo di compleanno, in leggero anticipo» mormora Pepper.
«Oh, adoro i regali di compleanno!». Non è esattamente vero, i regali di compleanno sono noiosi, l'unica cosa che di solito trova divertente è l'attimo di curiosità in cui cerca di capire cosa ha portato il leccaculo di turno a concepire l'idea di regalargli robe orrende che non userà mai.
Sulla scatola c'è un biglietto in una busta da lettere:
«Piccolo promemoria per un uomo che ha tutto. Proprio proprio tutto.
Nadia.
PS: ho delle copie, un giorno potrei usarle per ricattarti.»
Tony solleva il coperchio della scatola. Dentro c'è un album con la copertina in pelle rossa e le rifiniture dorate.
Ha un attimo di esitazione nel sollevare la copertina. Ha idea di quello che troverà lì dentro e si sente come se non fosse del tutto pronto ad affrontarlo.
Molte di quelle foto sono state scattate a Venezia, nei giorni che loro e Nadia avevano passato insieme prima di ripartire per l'America. Non sono foto in cui sono in posa, lei gliele ha fatte quasi di nascosto, cogliendoli in una serie di espressioni a volte buffe a volte molto naturali.
C'è quella in cui lui e Steve Rogers sembrano presi da un battibecco quasi feroce, quella in cui Barton e la Romanoff sono chini l'uno sull'altra a consultare la stessa cartina, quella in cui Thor sorride in quel suo modo allegro e un po' beota e tiene sollevato un calice di soave come se stesse per gettarlo a terra, Bruce Banner con i gomiti appoggiati sul parapetto di marmo di un ponte che fissa un piccione con aria eccessivamente assorta. C'è un'immagine di Pepper, bellissima contro il riflesso dorato del sole che si riflette sull'acqua della laguna.
Le uniche foto scattate in posa sono quelle fatte lì a New York, nella casa dove alloggia Banner. Curioso, Tony a stento ricorda di averle scattate. Peccato che Thor non ci sia, non era ancora arrivato in quelle settimane – e ora il signor Stark ripensa con un po' di rammarico a quello che gli ha detto a proposito del fatto che lui non c'era mentre loro tentavano di salvare Nadia.
Nell'ultima pagina c'è una foto, un po' più piccola delle altre. Lui e Nadia, l'ha scattata lei tenendo sollevata la fotocamera davanti ai loro visi, è un po' mossa ed è di certo la meno artistica di tutta la collezione.
Tony chiude l'album e sorride.
Ti voglio bene anche io, Colombina.

*

Sul tetto dell'edificio l'aria della sera è fredda.
Loki guarda la città da lontano, un mosaico di luci. Chiude gli occhi e ne immagina i rumori, il gran fracasso che fa il genere umano trascinando la sua esistenza giorno dopo giorno.
È lì da almeno un'ora, a cercare di pensare. Non gli piace quello che ha visto quel giorno, non gli piacciono le conclusioni che ne ha tratto.
Se il metallo con cui sono fabbricati quegli arnesi maledetti si è in qualche modo attivato quando Thor si è avvicinato con il Mjolnir, allora vuol dire che i cerchi di luce di Stark non sono l'unica fonte di energia che potrebbe far comodo al nemico.
Nemico...
Chiunque sia a minacciare la Terra non è un suo nemico. Sarebbe utile conoscere l'identità di questo misterioso avversario di Midgard, potrebbe riuscire ad arrivare sino a lui, stringere un patto e risolvere molti problemi in un sol colpo.
Per che cosa negozierebbe? Per avere un lasciapassare sicuro per un altro mondo, protezione magari, armi forse. Una nuova fruttuosa alleanza.
Cosa gli offrirebbe in cambio? Le teste degli Avengers, i soli che possono sventare i piani di questo misterioso attentatore – perché potrebbero farcela, Loki ne è sicuro, e se i nemici non sono degli sprovveduti lo sanno anche loro. Non si viene a dar battaglia alla Terra senza conoscerne le difese, lui era entrato nella mente di Barton per sapere quale genere di opposizione avrebbe trovato. Quando aveva scoperto il piano di Fury di mettere insieme una squadra di eroi ne aveva riso, li aveva sottovalutati. Ma Loki è certo che chiunque nell'universo abbia mire sulle Terra abbia imparato dal suo errore, ed è assolutamente sicuro che chi minaccia la sicurezza del pianeta conosca i Vendicatori e in qualche modo se ne stia prendendo cura.
Il dio dell'inganno è curioso di sapere con quali mezzi i nemici intendano contrastare il circo ambulante messo su da Nick Fury.
Certo, mettersi a cercare questi misteriosi attentatori per conto proprio e provare a stringere un'alleanza con loro sarebbe comunque un azzardo e la sua situazione è già abbastanza precaria.
Non sa se può fidarsi di loro. Se davvero sono nemici che appartengono al passato di Thor, per quanto la cosa lo faccia fremere di rabbia, Loki non può dimenticare che in quel passato lui e il dio del tuono erano fratelli. E se non lo può dimenticare lui, di certo non lo ha dimenticato nessun altro in tutti i Nove Regni.
Non sa se può fidarsi di individui che vogliono distruggere quel piccolo mondo che detesta e che vogliono, evidentemente, veder cadere Thor quasi quanto lo vuole lui.
E non può fidarsi nemmeno degli Avengers. Loro sono come Thor e come suo padre, loro lo lascerebbero cadere.
Il dio dell'inganno è di nuovo solo, come sempre. Solo che questa volta c'è una nota diversa in questa litania di buio e marciume, questa volta ha anche lui qualcosa da difendere.
È il motivo per cui prima, quando è scivolato non visto nell'infermeria buia e silenziosa, ha allungato una mano per fermare il cuore di Barton ma si è fermato all'ultimo istante.
È il motivo per cui sta preparando un piccolo tiro mancino il cui solo pensiero basta a metterlo di buon umore. Se proprio deve scontare quell'assurda condanna e tutti gli effetti di quel tremendo esilio, deve pur trovare qualcosa di divertente da fare.







____________________________________________

Note:

Il POV di Fury, è uscito fuori da sé. Mi era capitato di usarlo solo una volta nella fanfiction precedente e mi fa sempre paurissima.

Il prossimo capitolo è piuttosto lungo e “denso”, potevo spezzarlo in due ma credo che si perda un po' la climax perciò l'ho lasciato com'è. Ho idea che, lunghezza a parte, potreste trovarlo interessante.

Prendete nota del fatto che Nadia ha regalato un album di fotografie a Tony... nella prossima storia è un particolare che avrà tutto un suo significato.

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento :)

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

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Capitolo 19
*** Blinded by the light ***


Capitolo diciottesimo
Blinded by the light


Si guarda allo specchio, ha addosso solo la biancheria e si accorge di quanto sia dimagrita negli ultimi mesi, per non parlare dei lividi sparsi un po' ovunque e sui tagli sparsi sul fianco destro.
Nei film sui supereroi non parlano mai di ematomi e tagli, nei film i buoni vincono, nessuno si fa male e i cattivi sono cattivi e basta.
Nadia sospira e decide di indossare il vestito. Questo è nuovo, la leggenda vuole che sia stato scelto da Natasha. Ora, se sei una donna e se sei Natasha Romanoff, si suppone che tu te ne intenda per principio, ma la ragazza più guarda il vestito e più pensa che sarà ridicola con quel coso addosso.
Il taglio è estremamente semplice, è un vestito blu senza spalline, lungo fino alle caviglie. Quello che è inquietante è la spaccatura vertiginosa della gonna, sul lato sinistro.
Ma si usa ancora la spaccatura sulla gonna lunga?
Sì, se sei Natasha-sexy-anche-in-tuta-Romanoff e sei in grado di portare scarpe con tacco dodici, e poterci correre e poterci eseguire più o meno tutti i numeri delle discipline olimpiche – e all'occorrenza poterle usare anche come arma impropria.
Se sei una comune mortale, non particolarmente alta, le cui curve sono andate anche un po' sparendo insieme ai troppi chili persi, il cui limite massimo per i tacchi è di cinque centimetri, il meglio che tu possa ottenere è di sembrare una caramella incartata male.
Ma Nadia non ha altri vestiti adatti all'occasione ed è già in ritardo, non può pensare di spedire uno dei tuttofare di Tony a rimediarle qualcosa di diverso. E in quegli ultimi giorni, di certo non ha potuto preoccuparsi del suo abito da festa.
«Le calze! Dove sono le calze?» esclama, correndo fuori dal bagno, reggendo tra le mani il vestito per non farne strisciare a terra l'orlo. Si sente tipo una sposa che sta scappando dall'altare.
«Sulla spalliera della poltrona, signorina» dice Jarvis.
Infila le autoreggenti, solleva di nuovo il vestito e torna in bagno a truccarsi. Almeno, ci prova.
«I miei rilevatori ottici mi dicono che ha messo più fard sulla guancia sinistra che su quella destra, signorina»
«Grazie, Jarvis. Sei il miglior robot che una ragazza possa desiderare».
Qualcuno faccia qualcosa!
Al party ci sono tutti gli altri, gli Avengers al completo, tranne Clint che l'ha scampata causa ferite non ancora rimarginate. Potrebbe attaccarsi come una cozza a loro, fregarsene altamente del vestito, fare un giro di valzer con Bruce – lei non sa ballare il valzer, quasi sicuramente nemmeno lui, bere martini con Thor, provare a gettare Steve tra le braccia di qualche fascinosa sconosciuta e commentare il tutto con Natasha. Potrebbe fregarsene del vestito e di tutto il resto, ma c'è un particolare che le rende difficile ignorare certi aspetti, soprattutto quelli estetici: Mike.
Mike sarà alla festa e lei ha intenzione di parlargli. Si è preparata il discorso, lo ha provato allo specchio, o almeno ci ha provato...
«Ho capito, mi sono resa conto che mi piacerebbe moltissimo stare con te, perché tu sei...»
«Signorina, sono lusingato, ma non sono programmato per questo genere di cose»
«Jarvis, santo cielo, non sto parlando con te»
«Ma non c'è nessun altro»
«Lo so Jarvis, sto immaginando»
«Oh, anche lei immagina ad alta voce?».
Morale della favola: alla fine ha dovuto dare ragione a Loki, certe cose, se sono importanti non possono essere rimandate. E Mike è importante. Lo è senz'altro, cioè... se le ha fatto sentire e provare certe cose è perché è speciale. Lui la fa stare bene. Lei vuole dirglielo, deve saperlo, è giusto che lo sappia, è giusto che le cose importanti vengano messe a posto. Avrebbe potuto morire in quel magazzino di Boston e non si può morire senza fare una dichiarazione in piena regola al ragazzo che ci piace.
D'accordo, non è una dichiarazione. L'amore è il passo successivo, è quel qualcosa in più che verrà una volta messo a posto tutto quanto c'è da mettere a posto adesso, ma lei ha deciso di non rimandare. Quella sera è la sera giusta, lo sa, lo sente.
Quella è la sua sera giusta e lei si sente ridicola con quel vestito e quei tacchi troppo alti. Quasi non si sente se stessa.
«Jarvis, dimmi buona fortuna!»
«Per cosa, signorina?»
«Non importa, dimmelo è basta»
«Buona fortuna, signorina».
Nadia sorride al vuoto, prende la sua striminzita borsetta in cui ci sta a stento l'astuccio della cipria e un pacchetto di fazzolettini ed esce, incontro al suo destino.
Sotto al palazzo l'aspetta Steve – che probabilmente chiamerà un esorcista appena la vedrà. Tony e Pepper sono già sul posto, una sala per feste private all'interno di un casinò o qualcosa del genere, uno di quei posti fighi che riesce a scovare Pepper, con camerieri in frac e baristi che sembrano usciti da un film di James Bond.
Steve è... Dio onnipotente! È in smoking. Captain America in smoking e cintura di seta! Captain America in smoking, cintura di seta e sorriso anni Cinquanta.
Nadia spalanca la bocca per lo stupore e rimane per un attimo bloccata sul marciapiede. Lei ha una stola a coprire le spalle che il vestito lascia nude e si sente un po' come quando si avvolge nel telo da bagno dopo essere uscita dalla doccia. Steve Rogers è un raggio di sole piovuto dal cielo.
«Se non rimorchi stasera, non vedo quando succederà» dice lei, squadrandoselo un'ultima volta dalla testa ai piedi prima di salire sul taxi.
Lui arrossisce fino all'attaccatura dei capelli e fa un sorrisetto imbarazzato,
«Una ragazza tanto bella non dovrebbe essere così sboccata» l'ammonisce, tossicchiando.
Nadia lo guarda piegando la testa da un lato,
«Se non fossi il fratello maggiore che non ho mai avuto, la tua virtù sarebbe seriamente a rischio in questo esatto momento».
Ritardano di qualche minuto a causa di un ingorgo stradale. Quando arrivano, Nadia ha quasi paura di scendere dalla macchina. Davanti a lei c'è una lunga scalinata di marmo lucido.
Steve le offre il braccio, con perfetto fare cavalleresco.
«Non mollarmi per nessun motivo al mondo, Capitano, rischio di rompermi l'osso del collo» borbotta lei a denti stretti.
La sala non delude le aspettative. È un posto luminosissimo, dai pavimenti di marmo, le rifiniture in legno e con un enorme lampadario di cristallo a penzolare dal soffitto.
Steve mostra a un tizio in frac di seta bianca il loro invito. Nadia vorrebbe diventare polvere nel momento in cui varca la soglia della sala.
Il primo a venire loro incontro è uno spaesatissimo Bruce,
«Woh! Sei più alta di me» commenta, tormentandosi il nodo della cravatta. «E sei uno splendore»
La ragazza lascia il braccio di Steve e si aggrappa a quello del dottore.
«Non provarci, mi sento un'idiota...» gracchia a voce bassa. «Come fai a non essere nervoso, Bruce? Dimmelo, che se ci riesci tu ci riesco anche io»
«Me ne sto alla larga da Tony, non mangio niente che non abbia un colore rassicurante e parlo dell'India con Natasha» risponde l'uomo con un sorriso serafico.
«Ok, me ne starò nell'angolo e manterrò un profilo bas... dei del cielo e della terra!»
«Sì, lo so. Tra un po' la dottoressa Foster ammazzerà qualcuno, o si darà all'autolesionismo».
Thor è decisamente il pezzo forte della serata. Bello come un dio – come il dio che effettivamente è – in un completo grigio, con i capelli pettinati all'indietro e raccolti da un elastico, la barba appena spuntata e i suoi occhioni gentili. Spunta come una montagna in mezzo a un nugolo di persone, per lo più donne, che sciolinano una serie di domande assurde, tipo «ma da voi si mangia solo nettare e ambrosia?». In tutto questo, Jane, in un bell'abito grigio fumo, è in un angolo a fissare la scena con aria piuttosto interdetta.
«Non ne verrà mai fuori da solo» osserva Nadia, sconvolta.
«Io non mi avvicino neanche...» mormora Bruce. «Anche se l'Altro offrirebbe un contributo molto valido data la circostanza».
Restano a guardare la scena per qualche altro minuto, fino a quando Jane non parte alla carica, si fa largo a suon di gomitate in mezzo al crocchio di galline ingioiellate, borbottando in tono acido «scusate, permesso, scusate!» e porta via Thor, dirottandolo verso l'angolo più remoto del tavolo da buffet, dove c'è una scultura di frutta esotica che nessuno ha notato – nessuno mangia mai la frutta ai party, Nadia ne ha preso nota le volte precedenti in cui Tony l'ha trascinata a qualche festa.
«Cielo, Thor! Stai bene? Ti hanno fatto del male?» esclama Nadia, sarcastica.
«Un branco di galline urlanti» borbotta Jane.
«Tzè, come se non avessero mai visto uno smagliante dio norreno alto due metri in vita loro!» le fa eco Natasha, che si è appena avvicinata. Nadia deve mordersi l'interno della guancia per non scoppiare a ridere.
«Allora, com'è la festa?» domanda Steve, ansioso di fare conversazione dal momento che si è accorto che gli occhi del pollame assortito ora puntano quasi tutti su di lui.
«Così simile a quelle del mio luogo di origine» dice Thor sorridendo deliziato.
«Anche lì venivi accerchiato dalle ragazze?» scherza Nadia.
«Beh, talvolta capitava, ma di solito bastava che si avvicinasse Sif per farle defil...».
Natasha è costretta a tirargli una gomitata nel fianco, prima che Jane esploda.
Il chiacchiericcio riempie l'aria come fumo. Nadia riesce davvero a non pensare al vestito, alla serata, mentre è lì con loro. Si preoccupano tanto di tenerla al sicuro, quando per farla sentire in salvo basta anche solo la loro presenza.
«State cospirando contro di me?». Tony compare all'improvviso oltre la spalla di Steve.
«Stiamo solo nascondendo Thor, ma è un po' difficile da occultare» risponde Bruce.
«Nascondete anche me. Norman Hope ha acciuffato me e Pepper e sta parlando da tre quarti d'ora di una valanga di cose noiose. A lei piace ascoltarlo, per me è un'istigazione al suicidio. Ma guardati, Colombina, sei una favola».
Nadia scuote la testa,
«Mi sentirei più a mio agio se fossi nuda» borbotta.
«Sei bellissima»
«Mai quanto tutti voi messi assieme».
Forse saranno i tacchi alti, ma la ragazza sente di avere le vertigini. Afferra un bicchiere di qualcosa  di alcolico e cerca di darsi un contegno nel sorseggiarlo con la calma appropriata.
«Sembri turbata, mia giovane amica» dice Thor, battendole una mano sulla spalla.
«Beh, le ultime giornate sono state piuttosto... pesanti».
Il commento suona stupido persino a lei che lo ha pronunciato. La discesa verso la follia si potrebbe dire iniziata mesi fa, da quando ha scoperto che Loki non era un ragazzo normale, ma un dio in fuga da mezzo universo, eppure negli ultimi giorni tutto sembra crollato, sceso ancora più a fondo, ben oltre la follia.
Guarda la squadra dei Vendicatori, raccolti intorno a lei, e l'assenza di Clint sembra aprire una voragine. È stata a trovarlo quella mattina, si sta riprendendo, sta bene, ha ripreso a scherzare e ha parlato tutto il tempo delle mille cose che farà quando troveranno quelli che hanno messo quella bomba nel magazzino. Sta bene, ma è per puro caso, poteva esserci lui, uno qualsiasi di loro, al posto dei due agenti morti. Nadia non ha mai davvero affrontato una perdita, non saprebbe proprio come fare se a uno di loro accadesse qualcosa, non saprebbe quale tremendo meccanismo si innescherebbe dentro di lei e cosa la farebbe diventare.
Ha avuto paura molte volte da quanto è iniziata quell'avventura, ma era una paura circoscritta a una situazione precisa, a un pericolo che si poteva affrontare e superare. Adesso la paura è per un nemico invisibile, che non hanno mai neppure sfiorato, e che già ha ucciso e fatto danni. Adesso la paura non è più solo per se stessa e per la propria sorte.
E quello è il momento meno adatto per quei pensieri. Li ha già affrontati più volte in quei giorni, ma loro tornano, ciclicamente, a ricordarle quanto sia piccola e impotente, quanto non possa fare niente di concreto per aiutare davvero tutti loro.
È Bruce a stringerle un braccio attorno alle spalle. Non le dice che andrà tutto bene perché suonerebbe sciocco e insincero, la stringe e basta. Fa quel che può perché forse il senso è proprio questo, fare ognuno ciò che può e non lasciarsi abbattere.
«Perdonate il disturbo». La voce suona un po' intimidita. Nadia la registra a stento, ma ha un sussulto e si rende conto che fino a un attimo prima stava per mettersi a piangere.
«Io, ehm... ciao, Nadia. Sono arrivato solo adesso, e...».
Mike.
Mike si fa piccolo piccolo sotto lo sguardo degli Avengers come se fosse lui il cattivo che sta per essere preso a calci nel sedere. Fa tenerezza.
«Ciao!». Nadia non capisce perché ora la sua voce debba suonare così ridicolmente stridula. «Loro sono, beh lo saprai già. Ragazzi, lui è il mio amico Mike».
La scena del povero ragazzo che stringe una a una le mani degli eroi più forti del pianeta è un po' scioccante. Non per la cosa in sé, ma per la gamma di espressioni che si susseguono sui loro visi – perché Steve ha messo su quella faccia così austera?
«Ok. Ora che abbiamo fatto le presentazioni, ti salverò» annuncia Nadia. Prende Mike sottobraccio e si allontana insieme a lui.
Perfetto. Quello è il momento in cui dovrebbe fargli il suo discorso, dovrebbe dirgli che per le cose veramente importanti non si deve aspettare, che sono i problemi che devono essere messi da parte per far spazio a ciò che davvero si vuole e non il contrario. Sì, proprio come ha detto Loki, che ha messo da parte persino le sue mire di conquista e distruzione per tornare ad aiutarla, e che...
Non essere stupida. Non pensarci nemmeno...
«Mike, innanzitutto devo chiederti scusa» esordisce. «Lo so, sono pessima e non è nemmeno la prima volta che mi ritrovo a dovermi scusare con te»
«Non devi farlo. Io, dovresti saperlo, ti ammiro tanto. Sei qui, ad anni luce da casa, ad affrontare cose enormi e penso che meriti tutta la comprensione di questo mondo, e anche se così fosse... oh, Nadia, lo sai, tu mi piaci e io ho tutte le intenzioni di aspettare quando...».
Sciocchezze! Se ti volesse davvero non avrebbe aspettato affatto.
Ora ci si mette anche la voce di Loki dentro la sua testa. Non esiste, non dev'essere così, non deve andare così! E non ha senso che tutti i dubbi che non ha avuto fino a un minuto prima ora le cadano sulla testa come una valanga e la sommergano.
«Mike, io devo parlarti. È giusto che tu... oh, santi numi!».

*

Comincia a piovere appena vede l'edificio, in fondo a una larga strada, oltre una fontana che funge da rotonda.  
L'asfalto si fa d'argento sotto il riverbero bagnato. Loki inspira una boccata di aria umida, il fiato diventa uno sbuffo di fumo contro lo scuro del cielo senza stelle.
Inspiegabilmente, ripensa all'ultima volta che è stato a Jotunheim, a stringere un patto con Laufey, a tradirlo. I ricordi sono la sua più tremenda debolezza, spuntano come fiori velenosi sul sentiero perché hanno radici che non possono essere estirpate. I ricordi pesano e possono schiacciare anche un dio, se questo dio non fosse tanto bravo a nascondere i propri sentimenti. Essere più forte del proprio cuore, questo è sempre stato il punto.
Io sono più forte...
Ha bisogno di ripeterselo, per rammentarlo, per convincersene. Anche se convincersi di quel pensiero rende forse ancora più insensato quello che sta facendo.
Ha passato i giorni a riflettere sul perché delle proprie scelte, su come mai abbia deciso di fare o non fare qualcosa. Ha trovato valide ragioni per non voltare le spalle ai Vendicatori e allearsi con i loro nemici: non si fida di chi non conosce, non si fida del fatto che loro possano effettivamente vincere, non avrebbe alcuna certezza se scegliesse di stare dalla loro parte...
Racconta menzogne, il dio dell'inganno, è ciò che lo qualifica. Racconta menzogne così bene che a volte anche lui smarrisce la verità.
Io sono più forte...
Forse è vero, ma non si sente affatto forte mentre varca quella soglia. Si sente divertito, certo, ma è solo l'insieme di un po' di vecchi trucchi, illusioni di poco conto, per fingersi un umano.
Non ha avuto bisogno di sapere con precisione il luogo e l'ora. Non ha bisogno di cercare; l'energia della pietra è una traccia che può seguire da qualsiasi angolo dell'universo, e da qualsiasi angolo dell'universo le strade tracciate dal destino sembrano condurre a quella sala agghindata a festa.
Ne varca la soglia a testa alta. Viene invaso dal rumore sommesso delle tante voci che parlano assieme e dallo sfavillio delle luci.
Pensa ad Asgard, per un attimo, pensa che nella sua mente è come una casa distrutta da un cataclisma, ne resta solo l'impronta sul terreno, ma non ci sono più pareti, non ci sono più fuochi accesi o tetti. Non c'è più il senso di appartenenza e di sicurezza.
Pensa ad Asgard e alla sua giovinezza, alla mille e mille feste come quella che ha visto trascinarsi tra scoppi di risate e l'olezzo degli incensi ad ardere nei bracieri.
Si può non avere più una casa, per fortuna il mondo resta comunque pieno di ombre dentro le quali andarsi a rifugiare.
Ma stavolta non ha scelto l'ombra. Stavolta percorre la scalinata che porta alla sala, e sente quasi la luce pungergli il viso.
Quasi nessuno fa caso a lui, continuano tutti a ciarlare con il proprio interlocutore, a bere da lunghi calici di vetro. Solo una manciata di occhi arriva a notarlo, i loro occhi, gli occhi dei nemici, che hanno la mente affinata nel percepire la sua presenza, nel sentire l'odore del pericolo spandersi nell'aria.
I fantomatici Vendicatori, tirati a lucido nei loro abiti da festa, sono gli unici che lo hanno visto e ora lo stanno fissando attoniti.
In un gesto automatico, Stark spinge la sua compagna dietro sé, gli altri gli si stringono attorno come a formare un muro. Eppure lo sanno che lui potrà sempre fare breccia, perché lui conosce dove si trova il loro cuore.
Loki sorride, si sfila il soprabito con un gesto disinvolto e lo consegna a un cameriere. Poi si avvicina agli eroi.
Thor fa un passo avanti,
«Cosa fai tu qui?» domanda, brusco. Forse è deluso dal non essere riuscito a tenerlo alla larga anche da quel tipo di luce. Forse è solo sorpreso.
«Quello che fate voi altri, suppongo: partecipare a una festa». Dovrebbe suonare per quello che è, una sorta di patto di non belligeranza. Partecipare a una festa, se ben ricorda, non implica scontri o violenze.
«Fury avrebbe dovuto lasciarmi il tempo di escogitare qualcosa per rinchiuderti» sibila Stark.
«Sarebbe stato senz'altro divertente vederti tentare e fallire».
«Fa' che non si debba chiedere a Hulk di accompagnarti all'uscita» aggiunge la Romanoff, crucciata.
«Hu... Hulk?» squittisce una vocina da dietro al muro di facce dure. Oh, ma certo, la giovane scienziata di Thor; verrà anche il suo turno, prima o poi.
«È una bella festa, Stark» conclude Loki in tono annoiato. «Non vedo perché ognuno di noi non debba godersela per conto proprio».
«Sul mio onore, fratello: fai accadere anche solo una cosa spiacevole stasera e ti riporterò su Asgard all'istante. Non importa quali saranno le conseguenze» taglia corto Thor, la sua voce suona leggermente ringhiante. Imparerà mai a darsi un po' di contegno?  
Naturalmente la sua minaccia è vana e suona anche stupida – è persino tornato a chiamarlo fratello – ma Loki finge di interpretarla come un patto e si limita ad annuire, per poi dar loro le spalle e allontanarsi.
Nadia è dall'altro lato della sala. Anche lei lo ha visto arrivare e sembra non si sia del tutto riavuta dalla sorpresa. Il ragazzo che le sta di fronte le tiene la mano, ma qualsiasi discorso stessero facendo è rimasto in sospeso e lui non glielo lascerà continuare.
Quando li raggiunge, Nadia lo guarda come se cercasse di sondare le sue intenzioni poi comincia a spostare lo sguardo tra lui e il ragazzo.
«Loki! Che incredibile sorpresa» dice con un sorriso forzato.
«Sul serio non ti aspettavi di vedermi?» la rimbecca lui, calmo, con una punta di sarcasmo nella voce. «Il tuo intuito sta perdendo colpi»
«Sssì.». Lei continua a sorridere in quel modo idiota, poi si avvicina e fa per baciargli la guancia, ma in realtà si è solo sporta per sussurrargli qualcosa all'orecchio. «Il mio intuito perde colpi, vedrai i colpi che riceverai tu più tardi se ne combini una delle tue».
Loki solleva appena un sopracciglio, con aria di sufficienza. Si aspettava qualcosa di più vivace, una volta creata tutta quella tensione. Si aspettava qualche reazione più decisa. Quanto sanno essere ipocriti gli umani a volte, con il loro disperato bisogno di mantenere le apparenze di una calma che non esiste.
Il ragazzo sconosciuto ha l'espressione di un coniglio appena tirato fuori dal cappello di un prestigiatore, ma tiene ancora la mano di Nadia nella sua. Un altro testardo, come se non ce ne fossero già abbastanza in giro in quella sala.
«Non ci presenti?» chiede Loki, guardando Nadia con enfatica aria di biasimo.
Lei chiude gli occhi per un attimo e fa un piccolo sospiro.
«Certo, scusate. Low-Key, lui è Mike, lavora per il signor Stark».
«Oh, non lo invidio».
«No, nemmeno io. Mike, Low-Key è...».
«Straniero, suppongo, per il nome e per l'accento» esclama il ragazzo, mostrando un sorriso smagliante e cordiale che il dio ricambia con la stessa misurata cortesia. Peccato che l'ha interrotta, era curioso di sentire in che modo lo avrebbe presentato.
Per stringergli la mano, Mike deve lasciare quella di Nadia. Loki prolunga la stretta un secondo più del necessario e guarda il ragazzo negli occhi. La sensazione che ne riceve non è positiva, non perché lo veda come un intruso o perché è uno sciocco e insignificante essere umano, è proprio una sensazione a sé, qualcosa che scorge nel fondo dei suoi occhi a sembrargli molesto, fuori posto.
Ma non c'è ragione di fare del chiasso inutile, non gli importa del ragazzo e non vede l'ora di levarselo dalla vista.
«In realtà» dice Loki guardando Nadia, «non credo che mi tratterrò a lungo, prima che me ne vada mi accompagneresti al bar?».
Suona un po' stupido persino a se stesso ma immagina che lei capisca, con l'abilità che ha sempre avuto nel cogliere ciò che è implicito, che quella non è esattamente una domanda. A scanso di equivoci, Loki le posa una mano sulla spalla scoperta e stringe leggermente.
«Oh... Mike, scusa, ancora, credo che Low-Key abbia bisogno di un anfitrione, forse ha paura che qualcuno gli spezzi tutte le ossa stasera» dice lei, incapace di nascondere il suo nervosismo.
«Capisco, certo, fate pure...» mormora Mike.
Nadia si volta sospirando e comincia a camminare, diretta al bar. Loki le indica la grande porta di vetro che immette sul terrazzo.
«È bloccata, c'è l'aria condizionata qui dentro» osserva lei, con un sospiro stizzito.
«Devo ricordarti quante volte sono evaso da prigioni ritenute inespugnabili?».
La maniglia della porta scatta sotto le dita del dio e loro sgusciano fuori, all'aperto. Richiuso il battente alle spalle, il chiacchiericcio si spegne di colpo e lascia il posto ai rumori della città, che lì arrivano lontani e ovattati.
Questo è il momento in cui Loki dovrebbe spiegare a Nadia la sua presenza lì. Ma crede di aver già detto tutto, o quanto meno, che lei abbia già dedotto tutto. Voleva solo essere l'elemento di disturbo, è ciò che è nato per essere, del resto: il figlio imperfetto del Padre degli dei, il re che usurpa i troni degli altri, la minaccia che agita il sonno degli eroi. Voleva solo rammentarle che non può pensare di dimenticarsi di lui quando le fa comodo, come quando è stato via, prigioniero dei Chitauri e lei non si è mai neppure chiesta se gli fosse accaduto qualcosa, se c'era un motivo valido a impedire il suo ritorno.
Nadia gli dà le spalle e si appoggia con i palmi delle mani alla balaustra di metallo satinato.  
Loki pensa che non ha niente da dirle. Che tutto quello che si era preposto di fare quella sera lo ha già fatto. Quasi sussulta quando sente un singhiozzo vibrare come la nota stonata di un'arpa.
«Che cosa vuoi, si può sapere?» domanda la ragazza. La sua voce è graffiante e distorta.
Sta piangendo? Nadia sta piangendo?!
Avrebbe potuto ucciderla e lei non gli avrebbe dato la soddisfazione di una sola lacrima o di un'ultima supplica. E adesso, la guerriera, la folle coraggiosa, piange senza alcun motivo spiegabile.
«Io? Cosa dovrei mai volere?» dice Loki. Detesta il pianto delle donne, ma più che infastidito ora si sente come qualcuno che è stato preso in giro. Non sta davvero accadendo, non è comprensibile, non può essere una cosa seria.  
Nadia si volta verso di lui, a giudicare dal suo sguardo sembra furiosa.
«Non lo so, ma voglio che tu me lo dica. Piombi alla festa di Tony, sconvolgi i miei amici, rovini i miei piani... perché? Cosa vuoi? Sei qui per la pietra, per cosa?».
La pietra. Non ci aveva nemmeno pensato. Come può venirle in mente un'idea del genere in quel momento? E perché quelle dannate lacrime non si fermano? Adesso sono diventate due chiazze sulla stoffa del vestito, al centro del petto.
La serata si prospettava così divertente. Loki adesso non saprebbe nemmeno dire cosa è successo.
Che cosa vuoi?
La domanda suona come il ringhio di una fiera nei suoi pensieri. La rabbia nel suo petto esplode in scintille rosse che gli piovono davanti agli occhi, gli annebbiano i pensieri.
Scatta verso di lei, le serra le mani attorno agli avambracci e si china a un palmo dal suo viso bagnato di pianto.
«Voglio ciò che è mio!» esclama. La rabbia nella voce di Nadia poco prima è niente in confronto a quella che adesso sta trasfigurando il volto del dio. «Posso aver fallito come figlio, e come fratello, e come re... ma ho combattuto, oh se l'ho fatto! E se non mi sono rassegnato all'idea di non aver conquistato nulla, è perché sono certo che non sia così, e non posso tollerare che mi sfugga dalle mani».
La lascia andare con uno strattone, lei riesce a stento a mantenere l'equilibrio. Non sa se c'è una risposta, non si trattiene abbastanza per ascoltarla e se anche lei stesse urlando, non la sentirebbe comunque, sente solo un rombo nella testa, il pulsare del sangue e il ruggito della rabbia che sfuma verso un silenzio freddo, verso il vuoto.
Quando rientra dentro, nella sala, torna al suo contegno misurato. C'è un fuoco che si è spento nel momento in cui ha detto – urlato, probabilmente – quelle parole a Nadia. Forse più tardi, l'indomani magari, il fuoco tornerà a bruciare, ma adesso si sente come se il peggio fosse passato e, soprattutto, come se fosse passato per sempre.

*

Jane si è barricata nel bagno della donne con l'intenzione di mettere quante più mura possibili tra lei e il mondo fuori.
Da quando Thor è tornato, è molto felice. Ha accanto la persona che ama, sta aiutando a salvare il mondo, vede Erik tutti i giorni, nell'area ristoro della base dello S.H.I.E.L.D. fanno le migliori brioche che abbia mai mangiato...
Ma quella serata, per lei, è una prova un po' ardua da reggere, è tipo la prima uscita con gli amici del tuo nuovo ragazzo. E non è che si siano visti per una pizza, e gli amici del suo ragazzo non sono proprio la quintessenza della normalità, e il suo ragazzo non è nemmeno propriamente un ragazzo. E in passato non si era mai rivelata troppo in gamba per quel genere di cose, nemmeno quando ragazzo e amici erano persone normali che si incontravano in un pub e parlavano di football, film e gossip tutta la sera.
Evidentemente, è solo una questione di talento. Nadia, ad esempio, sembra così brava a gestire la cosa, a cogliere il lato normale della faccenda. Non è che Jane la invidi, è che per lei rimane strana e sfuggente anche dopo tutto quello che Thor le ha raccontato.
E poi, ciliegina sulla torta, è arrivato anche Loki.
La cosa che la dottoressa Foster trova detestabile in tutta quella situazione è che non riesce a smettere di avere paura e si sente così fuori posto per questo.
Ma è rimasta chiusa in quel bagno fin troppo, ora probabilmente uscirà e troverà Thor di nuovo sommerso dalle galline.
Prende un bel respiro e si fa aria con le mani, pi apre la porta e percorre il corridoio che porta al salottino circolare che fa da anticamera tra il salone delle feste e la zona dove si trovano le toilette e i guardaroba. Al centro del salottino c'è un tavolo tondo con sopra un gran mazzo di fiori, attorno al tavolino ci sono basse poltrone di pelle dall'aria comoda.
Qualcosa stona in quella composizione perfetta, una delle poltroncine non è voltata verso il tavolo ma verso la vetrata che guarda fuori, spezzando l'andamento circolare dell'intero insieme.
«Dottoressa Foster». La voce flautata di Loki scandisce il suo nome e sembra quasi vibrare dalle pareti. «Curioso che in tutto questo tempo non ci abbiamo mai presentati come si conviene, le maniere di Thor lasciano ancora molto a desiderare, a quanto vedo».
Jane avverte il gelo dietro la finta cortesia e si sente paralizzare dal panico. Tenta di ragionare, di pensare che non può farle del male in quel momento, in quella stanza in cui potrebbe entrare chiunque, con Thor e gli altri nella sala accanto. Ma ha sempre avuto idea che Loki possa fare qualsiasi cosa, altrimenti uno come Fury non ne sarebbe così preoccupato.
«Nemmeno le tue maniere sono da elogiare, chiedilo ai cittadini del New Mexico, tanto per cominciare» gli risponde, ma il tono duro che cerca di ostentare non convince nemmeno lei.
Loki si alza dalla poltrona e muove un passo verso di lei. È alto quasi quanto Thor, ma non c'è niente in lui che faccia pensare che abbiano vissuto assieme la maggior parte della loro lunga vita. La giovane donna freme, ma non gli dà la soddisfazione di indietreggiare, di mostrarsi più terrorizzata di quanto già non sia.
«Se Thor non si fosse andato a rintanare in quel luogo sperduto in mezzo al deserto...» borbotta lui, come se stesse pensando ad alta voce. È più folle di quanto Jane avesse immaginato, ma se non si stesse parlando di uccisioni e machiavellici piani di distruzione, sarebbe da ammirare la sicurezza con cui quell'individuo sembra perorare la sua causa, la maestosità di quella pazzia e il totale asservimento ad essa.
«Non ti assumi mai le tue responsabilità? Non provi mai fare un giro di ricognizione in quello che hai in testa? Forse se lo facessi farebbe ribrezzo anche a te». Sta decisamente osando troppo, gli basterebbe un cenno per ucciderla, ma per un attimo, ai suoi occhi, Loki ha assunto il fascino di un tremendo rompicapo, dà il senso di vertigine di quando si è sospesi su un precipizio e si ha la tentazione di buttarsi per vedere fino a quanto si riesce a volare.
Ora Jane capisce perché, quando Thor parla di suo fratello, per quanto rammarico provi, c'è sempre una sorta di ammirazione di fondo nelle sue parole, ammirazione per quell'uomo – dio – che ha passato la vita a odiarlo e invidiarlo.
Quanto avrebbe potuto essere grande e straordinario Loki, se avesse scelto la parte giusta con cui stare!    
«Conosco piuttosto bene la mia mente, mia cara Jane. Non vi ho ancora trovato qualcosa che mi dispiaccia» risponde il dio dell'inganno.
Non c'è niente di più doloroso e spaventoso di una grandezza sprecata.  
«Cosa vuoi?» insiste lei, corrugando la fronte.
Loki inclina leggermente la testa e arriccia le labbra.
«Dovreste smetterla di farmi questa domanda» borbotta con un mezzo sospiro. «Non voglio niente,  mi faceva piacere omaggiare il signor Stark con la mia presenza e, come ti ho detto, trovavo troppo sconveniente che non ci fossimo mai presentati».
D'accordo, è intelligente, fascinoso e pericoloso come un fiammifero acceso accanto a un distributore di benzina. Ma è anche così infantile.
«E hai ritenuto che fosse meglio presentarti qui, mentre sono sola. Dovrebbe farmi piacere, suppongo»
«Sei forse spaventata, Jane?».
Sì, ora che la guarda con quel sorriso da squalo lo è di certo. La donna deglutisce,
«Devo esserlo?»
«Naturalmente. Sempre». Il dio scandisce quelle parole con lentezza, lei sente il cuore rimbalzarle in gola. Le è stato detto che è un ingannatore, che è incredibilmente abile a mentire, ma quell'affermazione non può che essere vera, è chiaro dal luccichio degli occhi, dalla durezza dello sguardo.  
«Ma non è il caso di preoccuparsene stasera, e di certo nemmeno nei giorni a venire», aggiunge il dio facendo un passo indietro e scrollando le spalle con un fare così tranquillo, quasi bonario, che nemmeno si direbbe che fino a un attimo prima l'ha minacciata. «Abbiamo tutti, come vogliamo definirle? Delle priorità, ecco».
Jane lo guarda stupita, confusa.
«Stai parlando di Nadia?» mormora. Loki non si dà pena di rispondere.
Allora è vero? Tutto quello che ha supposto e sperato Thor, alla fine si è avverato sul serio: Loki prova davvero qualcosa di importante per la ragazza, e questo potrebbe bastare a salvarlo da se stesso?
No, non è così semplice. Jane non si è mai ritenuta una persona particolarmente saggia o brillante in altre cose che non siano il suo lavoro, né può pensare di conoscere Loki così bene, ma è certa che qualsiasi sentimento lui provi per Nadia non basterebbe a salvarlo. O a salvare tutti loro da lui. È per questo che Thor ha accennato a una soluzione escogitata da Odino, quel mistero che non ha svelato nemmeno a lei.
«Perché semplicemente non la lasci in pace?» chiede Jane scuotendo il capo.
Il dio dell'inganno sembra perplesso dalla sua domanda. Sposta lo sguardo di lato, come se si stesse sforzando di trovare una risposta adatta, una bugia probabilmente, o il modo meno compromettente per dichiarare la verità.
«Immagino che potrei farlo, se lei lasciasse in pace me» conclude dopo qualche secondo.
«Non dire stupidaggini, lei ti lascerebbe in pace eccome» borbotta Jane. Un attimo dopo non è tanto certa della sensatezza di quello che ha detto perché Loki la guarda con l'aria accondiscendente di chi non pensa valga la pena rispondere.
«Non hai dimestichezza con le metafore, vero?» risponde lui. «Non parlavo necessariamente di lei in prima persona».
E di cosa parlava, del suo spirito? È una cosa da divinità sciroccate?
«Del ricordo, dotteressa Foster, parlavo del ricordo, dell'idea...». Loki si interrompe di colpo, arriccia il naso in un'espressione che sembra disgustata e si volta dandole le spalle. Forse ora si sta mordendo la lingua perché ha detto troppo, e lo ha detto a lei.
In un'altra situazione, Jane riderebbe; ora invece si sta semplicemente chiedendo se c'è qualcosa che deve aggiungere. Si sta anche chiedendo se a Thor piacerebbe sentirsi raccontare di quel dialogo da teatro dell'assurdo, se non lo troverebbe consolatorio per quelle ultime battute, ma probabilmente sarebbe troppo impegnato a tentare di riportare Loki ad Asgard in un impeto di collera, per poter arrivare fino alla fine del resoconto.
«Godetevi la festa, tutti voi, dottoressa Foster» conclude il dio. Jane non si era accorta che lui si era avviato verso la porta, fa appena in tempo a sentirlo pronunciare quelle parole e a vederlo sparire dietro l'uscio.   
L'aria sembra molto più respirabile adesso.

*

Nella foga di liberarsene, ha gettato il vestito per aria e ora quello penzola dal mobiletto del lavandino. Si è infilata in una camicia da notte di cotone, larga e fresca, poi è andata in cucina e si è preparata un tè.
Dal piano di sopra hanno telefonato Tony e Pepper per chiederle se andava tutto bene, se la festa le era piaciuta. C'erano un mucchio di domande implicite in quella conversazione, ma lei ha finto di ignorarle e ha cercato di mostrarsi il più tranquilla possibile, non voleva che Tony scendesse di sotto a fare il fratello maggiore, non quella sera.
Nadia giocherella con il telecomando del televisore, rannicchiata su una poltrona. Pensa alle parole che le ha detto Loki prima di andarsene, o almeno ci prova, perché il ricordo le crea un gran vuoto in testa.
Quando sente bussare alla porta, sospira. Proprio adesso che avevo deciso di andare a letto...
Va ad aprire, a piedi scalzi,
«Tony, sul serio sto bene, non c'è bisogn...».
No, non è Tony. E Nadia non può fare a meno di restare immobile davanti alla soglia del suo appartamento, con la mano ancora appoggiata alla maniglia a guardare i lampi che sembrano saettare nello sguardo di Loki.
Il dio le fa uno strano sorriso, quella curva che sembra affilata come una lama.
«Tony» ripete come se stesse masticando qualcosa di amaro. «Quel nome compare talmente tanto spesso sulle tue labbra che potrei davvero cominciare ad essere geloso».
Nadia vorrebbe sapere come ha fatto a trovarsi lì. Vorrebbe anche essere sicura che da un momento all'altro non entrino agenti dello S.H.I.E.L.D. dalla finestra, armati fino ai denti per acciuffare Loki e portarlo via, o che Jarvis non suoni qualche particolare tipo di allarme.
Ma non c'è tempo per le domande, ogni cosa perde di senso nell'attimo esatto in cui lui fa un passo avanti, varcando la soglia e spingendo pesantemente la porta a richiudersi alle sue spalle.
Nadia scatta verso di lui, legandogli le braccia dietro la nuca, baciandolo. Sente le mani di Loki passarle tra i capelli e di tanto in tanto fermasi a stringere convulsamente, per poi afferrarle i fianchi e sollevarla da terra, spingendola contro il muro, tenendola bloccata tra la parete e il suo petto.
Non c'è spazio per nessuna parola. Non c'è tempo per nessuna tenerezza, non tra le braccia del dio dell'inganno.
E va bene così, perché Nadia ha fatto la sua scelta già molto tempo prima, anche se se rende conto solo ora, anche se solo in quel momento capisce davvero: non si aspetta quando si vuole davvero qualcosa.
Le mani corrono febbrili a scansare la stoffa dei vestiti, quel tanto che basta.
Le dita di Loki indugiano sui lividi, solcano i tagli sul fianco della ragazza, facendoli sanguinare di nuovo, anche se c'è qualcosa di disperatamente dolce nel modo in cui la bacia, in cui continua a restarsene aggrappato al suo respiro.  
Nadia si stringe con le gambe attorno ai suoi fianchi quando lo sente entrare dentro di lei con prepotenza, prima che sia del tutto pronta, accogliendo quasi con soddisfazione quella piccola scia di dolore.
È una manciata di minuti che satura come se volesse bloccare il normale scorrere del mondo. È una manciata di minuti prima che finisca e che Nadia si ritrovi tremante contro il petto del dio che adesso la sta stringendo a sé e le sta accarezzando piano la testa, in attesa che il respiro di entrambi torni ad essere regolare.
Loki la solleva tra le braccia e la porta in camera da letto, dove la appoggia sul materasso.
Lascia che lei lo spogli in silenzio e le si stende accanto, cingendole la vita e attirandola a sé in un abbraccio possessivo.
Fuori comincia già ad albeggiare.






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Note:
Quando dicevo che avreste potuto trovare questo capitolo interessante, non mi riferivo al finale, né tanto meno, definendolo interessante davo per scontato che vi sarebbe piaciuto. Solo che è uno di quei capitoli in cui i nodi, almeno per quel che riguarda la parte sentimentale della vicenda, vengono al pettine e che spalanca il portone della pragmaticissima domanda: e adesso? (Si accettano scommesse... ).

Mi ha emozionato molto scrivere questo capitolo perché quando questa storia è iniziata non prevedevo che il viaggio sarebbe stato così lungo e l'idea di aver portato Loki a fare una scelta molto precisa, quella di “reclamare Nadia per sé” in barba a tutto e tutti, mi fa un po' sentire il peso della responsabilità per il percorso che ho fatto intraprendere a questo personaggio. Personalmente, sono contenta della lunga strada che io e Loki abbiamo fatto, spero solo che la direzione sia sembrata, almeno un po', quella giusta anche a voi.

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo! :)

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Capitolo 20
*** It'd be good for them ***


Capitolo diciannovesimo
It'd be good for them


Tony sghignazza davanti allo schermo del computer. È quasi tentato di iscriversi a quel forum – con uno pseudonimo, per la buona pace di Nick Fury – e commentare la storia che ha appena letto: lui e Steve Rogers che si ubriacano e fanno sesso. Geniale!
Sarebbe ancora più geniale stampare quella fanfiction, imbustarla e spedirla a Rogers. E naturalmente inserire una qualche microtelecamera nella graffetta che tiene insieme i fogli, tanto per vedere la sua espressione, sarebbe epocale.
«Certo che ti diverti con poco» borbotta Pepper alle sue spalle.
Tony ha un sussulto e allunga la mano verso il mouse con un gesto rapido.
«Non serve che tu chiuda la pagina. Ho già letto» dichiara lei, tirandogli un buffetto nemmeno troppo leggero dietro la nuca. «Fammi capire: hai passato la notte sveglio a leggere racconti erotici su te e Steve Rogers? Da che parte devo iniziare a sentirmi sconvolta?».
«No, no, questo sito l'ho scovato solo ora» replica Tony. «Stavo controllando la cronologia del computer di Banner, è così che l'ho trovato».
Pepper scuote la testa. Ha l'aria di una che ha bisogno di un caffè o magari di una sbronza, per dimenticare la serata appena trascorsa. Il party non è andato poi così male, comunque, se si esclude l'improvvisata di Loki. Va detto che non è un bravo guastafeste, il piccolo cervo, non ha nemmeno tentato di uccidere un cameriere, forse sta perdendo colpi, forse pensava che la sua sola presenza sarebbe bastata a mandare tutti in tilt. Forse voleva fare il novello Cenerentolo e chiedere un ballo a Nadia... ah, dannazione! Deve smetterla di pensare a Loki e a Nadia, è quasi più scioccante che pensare a lui e a Steve Rogers che si ubriacano e finiscono a fare acrobazie da letto in una stanza di un motel... all'autrice della fanfiction come diamine sarà venuto in mente?!
«Aspetta... perché stavi controllando la cronologia del computer di Bruce Banner?» domanda Pepper in tono di protesta. «Non dovresti... ah, ma immagino non serva a niente fartelo notare!».
«Stavo controllando tutti i computer» precisa lui. «Speravo di trovare qualcosa».
«Qualcosa? Qualcosa tipo?».
Tony strabuzza gli occhi. Il cervello di Pepper non carbura prima del primo caffè, a volte se ne dimentica.
«Qualcosa tipo da quale rivenditore on-line Natasha Romanoff compra i suoi prodotti per il make-up!»
«Non essere scorbutico con me, signor Stark...»
«Sto cominciando a pensare che possa esserci qualcuno che fa il doppio gioco» conclude lui con un sospiro. Ora Pepper gli dirà che la paranoia è sempre stata una delle sue migliori qualità, dopo la mente geniale e le abilità amatorie, ma lo sguardo della donna si fa cupo. Non ha dimenticato nemmeno per un momento il pericolo al quale sono esposti, il fatto che ci sia un nemico che agisce nell'ombra e che complotta contro di loro, e se non lo ha dimenticato lui è certo che non lo abbia dimenticato nessun altro.
Odia dover ammettere di aver paura, che le cose sono fuori controllo, ma è quello che si porta scritto in faccia, negli occhi arrossati per la notte insonne passata a controllare i computer che ha hakerato. E non è stata nemmeno la migliore idea che abbia avuto in termini di azioni deterrenti, lo ha fatto solo perché era incapace di restare senza far niente e non riusciva a prendere sonno. E non ha trovato niente, ha solo scoperto che Natasha Romanoff ordina on-line una crema all'olio di argan prodotta da qualche parte in Europa...
Non che stesse sospettando dei suoi compagni, comunque, ma di qualcuno vicino a loro. E, ora che ci pensa, il sospetto è piuttosto immotivato e privo di fondamenta, gli è semplicemente balzato in testa perché era agitato, perché il pensiero di Clint Barton ferito e allettato è poco rassicurante, perché la comparsa di Loki al party lo ha comunque scombussolato, perché Nadia è tornata a casa da sola e non in compagnia di Mike, come lui aveva sperato.
«Jarvis, avvia la macchina del caffè» borbotta svogliatamente, allungando un braccio a cingere il fianco di Pepper, attirandola a sé e posando la testa sul suo petto.
«Non c'è caffè nel filtro, signore» annuncia il robot.
«Come non detto. Jarvis, sai se Nadia è sveglia?». Magari al piano di sotto la macchina per il caffè è piena.
«No, signore, la signorina e il suo ospite non si sono ancora alzati».
Tony spalanca gli occhi e guarda Pepper. Un sorriso sardonico gli increspa le labbra ma quando incontra lo sguardo della sua compagna si accorge che lei lo sta fissando come un bambino al quale si deve negare un dolcetto.
«Cosa c'è? I ragazzi ce l'hanno fatta, dopo mesi! Potrei mandare giù una bottiglia di champagne se non temessi di sembrare invadente...»
«Ehm... Tony, io credo che non sia il caso di...»
«Pensandoci, anche se è invadente, chi se ne frega? Jarvis! Qual'è il miglior champagne che abbiamo in cantina?».
L'uomo scatta in piedi, diretto fuori dalla stanza alla ricerca di coppe di champagne. Pepper lo afferra per un lembo della maglia e lo costringe a guardarla. Oh, andiamo! Perché diamine ha quell'aria così sconsolata? Dovrebbe essere contenta che finalmente Nadia e Mike... oh, cazzo!
«Io non sono proprio sicura che tu voglia festeggiare questa cosa» mormora la donna, guardando con apprensione il suo viso come a cercare di prevedere di quale morte morirà da lì a pochi istanti.
No, non può essere successo davvero. Va contro ogni logica, contro ogni previsione, contro ogni cosa!
«Ma... Mike...» balbetta, rendendosi perfettamente conto di quanto sembri davvero una donnicciola sull'orlo di una crisi isterica. Di nuovo.
«Mike è un bravo ragazzo e sono certa che Nadia gli voglia molto bene. Ma ieri sera... oh, tu e gli altri eravate troppo allarmati per rendervi conto di cosa stava succedendo» mormora Pepper battendogli una mano sulla spalla, come se avesse perso una corsa automobilistica o come se una sua invenzione si fosse guastata. Che poi l'idea è più o meno quella: che gli piaccia o no, ha perso una battaglia. «Nadia è l'unica ragione per cui Loki era lì. E, per quanto assurdo possa sembrare, penso che dovremmo davvero cominciare a pensare che è l'unica ragione per cui è tornato e per cui resta».
«Jarvis... quante probabilità ci sono che mi venga un infarto anche se il reattore Arc è perfettamente funzionante?»  
«Considerando la sua età e il suo stato di salute, signore, direi...»
«Era retorica, Jarvis» sbotta Tony, massaggiandosi nervosamente le tempie. «Cosa si suppone io debba fare, adesso?».
Pepper gli passa un braccio attorno alle spalle. Ecco, a parte Nadia, l'idea del dio bastardo a pochi metri da lei lo disturba alquanto. Hanno appurato che Loki è momentaneamente innocuo, d'accordo. Ma no, assolutamente no, mille volte no!
Tony sente qualcosa di sgradevole rimbalzargli in fondo allo stomaco, un misto da nausea e rabbia. Non la rabbia furiosa che porta a tirare pugni al muro, quella rabbia pesante e un po' sgomenta, un po' come quando torni a casa e la trovi svaligiata dai ladri.«Dipende dal risultato che vuoi ottenere» gli mormora la donna.
«Uccidere Bambi e appendere la sua testa in una riserva di caccia. Ma immagino che non sia una mossa molto saggia...»
«No, non lo è»
«Pensandoci: quando mai io sono stato saggio?!».

*

Loki apre gli occhi, quasi incredulo. Il sonno è un lusso che non era più riuscito a concedersi fin da quando era stato catturato da Thanos; in quelle lunghe settimane di prigionia e tortura non era mai esistito il riposo e anche quando era scappato, gli era rimasto dentro un senso di agitazione, come se non si sentisse mai al sicuro, come se chiudendo gli occhi quell'agonia avrebbe potuto ricominciare. Di certo, nei pochi momenti di agitato dormiveglia che aveva avuto negli ultimi giorni, i suoi sogni non erano stati popolati che dal dolore.
Quella notte non aveva sognato affatto. Dietro le sue palpebre chiuse era scivolato placido un buio silenzioso, privo di insidie, privo di ogni paura. Non aveva mai temuto il buio, nemmeno da bambino; il silenzio aveva imparato ad apprezzarlo per necessità.
Sbatte le palpebre e mette a fuoco lo sbuffo dorato sotto il suo naso. I capelli della ragazza gli solleticano il mento; lei è rannicchiata contro il suo petto e lui impiega qualche secondo a rendersi conto di quanto forte la tenga stretta a sé. Loki la guarda, guarda la schiena nuda che spunta oltre la piega del lenzuolo, osserva i lividi e i graffi, ricorda di averli tormentanti con le sue mani la prima volta, quando l'ha presa sulla porta. E poi ricorda che dopo si sono succeduti momenti strani, momenti di tenerezza; ricorda di essersi sentito in dovere di essere... dolce, di esserlo stato d'istinto; ricorda di aver sentito le labbra di Nadia sorridere mentre si premevano contro le sue, e gli è sembrato così strano. Gli sembra ancora tutto dannatamente strano, ma è lì perché lo ha voluto, è una sua scelta e troppe cose sono accadute contro la sua volontà, troppe cose ha dovuto subire passivamente per non rallegrarsi semplicemente di quella conquista. Perché è ciò che è: la ragazza è sua, non è un fatto opinabile, è una certezza che non poteva fare a meno di realizzarsi. E lui non ha nessuna voglia di alzarsi, quasi preferirebbe che nemmeno lei si svegliasse, che restasse così fino a sera, perché sa di non avere nessuna parola per gli occhi di lei, quando saranno aperti.
Ma Nadia comincia a muoversi piano, rigirandosi lentamente nel suo abbraccio fino a quando non apre gli occhi e li strizza per rischiararsi la vista.
«Buongiorno» mormora, in tono neutro. Niente che dia a Loki un appiglio su cosa dire o cosa fare; resta semplicemente a fissarla.
«Spero che ti piaccia quello che vedi» dice lei, divertita.
«Che razza di domanda».
Nadia si stropiccia il viso con le mani e ridacchia. Cosa avrà mai da ridere?
Si solleva, puntellandosi sul gomito, lo scruta in viso per qualche secondo e gli stampa un bacio sulle labbra, poi scalcia via le coperte.
«I vostri risvegli sono tutti così disordinati?» borbotta il dio.
«Perché, su Asgard vi svegliate come in una pubblicità delle merendine?»
«Dove stai andando?».
Dove va? Cosa diamine ha intenzione di fare? Perché deve per forza rammentare a lui e a se stessa che c'è dell'altro fuori da quella stanza? Non è un ricordo che Loki gradisce, al momento e davvero non sarebbe male rimandarlo per una lunga manciata di ore.
«Sono sicura che il materasso non ti fagociterà mentre vado in bagno» gli dice sarcastica. Si alza e recupera un indumento dal pavimento, poi sparisce oltre una porta.
Loki si stende di schiena e guarda il soffitto. Dopo qualche secondo gli sovviene che esattamente sopra la sua testa si trova la casa di Tony Stark, quella che aveva già violato una volta, il luogo dal quale ha assistito alla distruzione della città. Il ricordo della sua mancata vittoria sfuma in dissolvenza verso un passato di cui ora non gli importa; guarda avanti, il dio dell'inganno, guarda a nuove opportunità, a nuovi progetti da fare. Anche se non ha nessuna idea precisa, il suo futuro gli sembra un immenso mondo pieno di tesori nascosti, un luogo dove il suo destino e la sua rivincita sono lì ad attenderlo in tutta la loro meravigliosa e legittima violenza.
Sente il materasso smuoversi accanto a sé e la sua mente torna al presente. Nadia appoggia la testa sulla sua spalla e Loki si sente come se riuscisse ad assaggiare una fetta di quel trionfo che gli è stato negato così tanto a lungo.
Lei è mia, Stark, pensa guardando il soffitto con un'occhiata penetrante, come se potesse far salire quel pensiero fino al piano di sopra, come una spira di fumo. Poi tutto si sgretola in una pioggia di quelle che sembrano schegge di vetro, piccole e taglienti.
Il futuro che desidera e verso il quale ha proiettato ogni suo sforzo, getta un'ombra cupa su quel presente dove ha tanto penato per giungere a una conquista tanto inaspettata quanto voluta. È un vicolo cieco, lo sa, e sa che prima o poi dovrà tornare sui suoi passi e cercare una strada nuova, abbandonando quel sentiero. Lo sa, e probabilmente lo sa anche lei, lo hanno sempre saputo entrambi, ma non c'è alcun bisogno di pensarci in quel momento.
«Dovrei avere del miele nella credenza in cucina» dice Nadia all'improvviso. «Noi umili mortali la mattina abbiamo bisogno di cibo per carburare. Ho anche delle merendine dietetiche che ha lasciato qui Pepper, nel caso tu voglia persistere nel non assumere zuccheri complessi che potrebbero migliorare il tuo umore».
«Giusto. Forse faremo in tempo a mangiare qualcosa, prima che arrivi il tuo Tony Stark armato delle sue peggiori diavolerie».
Nadia si irrigidisce per un attimo. Si era dimenticata dei suoi amati Avengers: notevole! Ma adesso sta realizzando di averli in qualche modo traditi, forse; sta realizzando di aver compiuto una scelta o magari il primo passo verso un tipo di scelta più decisiva. Forse Loki non deve per forza escluderla dai suoi progetti per il futuro, forse c'è ancora speranza che lei decida di seguire lui un domani, può ancora strapparla alle grinfie di quegli smidollati, può ancora fare in modo che sia sua e sua soltanto, del resto ha tutto il tempo che gli occorre.
«Tony ci ucciderà...» mormora Nadia, dondolando il capo, come se fosse una verità assoluta della quale è profondamente convinta.
«Ne dubito fortemente» replica Loki alzandosi. «Ma sarei compiaciuto se ci provasse».

*

«Tony ci ucciderà...» lo dice come se ne fosse certa, del resto non le sembra un'ipotesi tanto improbabile.
«Ne dubito fortemente ma sarei compiaciuto se ci provasse» le risponde Loki, mettendosi a sedere in mezzo al materasso e guardandosi attorno probabilmente alla ricerca dei vestiti.
Nadia si mette a cercare dei pantaloni e una maglietta. Quando Tony verrà a spaccarle la testa contro il taglio del tavolo, vuole almeno essere vestita in maniera decorosa.
Quando si volta, Loki è tornato ad essere... Loki, in perfetta tenuta asgardiana. Chissà se quei vestiti sono a prova di proiettile, presto potrebbero scoprirlo.
«Devo dedurre che sei rammaricata?» domanda lui, inarcando un sopracciglio.
«Niente affatto».
Si veste frettolosamente e si dirige in cucina. Mentre il dio la segue, pensa che sì, l'unica cosa per la quale potrebbe provare rammarico è il fatto che i suoi amici – alcuni di loro, almeno – la prenderanno male, ma non le importa perché non può farci niente. Nel momento esatto in cui ha aperto la porta e si è trovata davanti Loki ha capito che non stava facendo una scelta, che non stava decidendo davvero di prendere lui e rinunciare ad altro. Non è stata una scelta, era esattamente così che doveva andare; non sa da quanto avrebbe dovuto rendersene conto, forse da quando lui era in quell'infermeria a raccontare a Natasha che era tornato per lei, forse ancora prima, da Venezia, da quando scoprire la verità sul ragazzo della numero 7 le aveva quasi spezzato il cuore. Ha resistito per così tanto tempo, ha mentito così a lungo fingendo di volere una normalità che era in ogni caso ben lontana dalla sua portata e dai suoi stessi desideri, fino a quando si è resa conto che non aveva senso.
Loki le spezzerà il cuore, la salverà come ha promesso di fare e poi l'abbandonerà, ne è perfettamente consapevole, oppure sarà lei a far del male a lui, il giorno in cui diventerà una questione di scegliere da che parte stare, che direzione prendere. Ma quello che sta facendo ora, quello che sta provando, non è una scelta, non c'è un'alternativa che possa risparmiarle le sofferenze che sicuramente verranno, e dopotutto è anche certa che queste sofferenze valgano tutto quello che sta provando adesso, tutto quello che ha provato fino a quel giorno, la freschezza dell'aria dopo una forzata apnea. Tutto il resto perde di significato e va meravigliosamente bene così.
Loki si siede su uno sgabello attorno alla penisola di acciaio, con quel suo fare composto, come se cercasse di occupare il minor spazio possibile. La ragazza sente i suoi occhi fissi su di lei mentre fruga nei mobili della cucina alla ricerca del miele che gli aveva promesso e di qualsiasi altra cosa commestibile e adatta alla colazione.
«Decisamente meglio morire a stomaco pieno» conclude, versando dei cereali al cioccolato in una scodella.
«Immagino potrebbe essere una buona morte, se succedesse stamattina» risponde Loki, prendendo il barattolo di miele. A Nadia sembra di aver ricevuto un colpo allo stomaco, ma invece della scia di dolore sente qualcosa di caldo e confortante.

*

Jane tira un pugno alla macchinetta del caffè che ha deciso di andare in tilt giusto quella mattina.
Thor sta spostando il divano per recuperare il suo cellulare che lei proprio non sa come sia potuto finire lì sotto, ma che squilla imperterrito da un bel po'.
Se il buon giorno si vede dal mattino, quella giornata potrebbe non essere molto promettente. La macchina per il caffè decide di dare finalmente segni di vita, ma quando la dottoressa Foster riempie il filtro, l'aggeggio esala il suo ultimo respiro e si lascia sprofondare nell'oblio.
No, decisamente quella giornata non è cominciata nel migliore dei modi, ma può ancora migliorare, pensa Jane... ci pensa fino a quando non sente squillare il campanello.
Il campanello che suona è sempre un pessimo segno, lì a New York. Non c'è nessuno che conosce in città e che può passare da lei per una visita di cortesia, quindi se qualcuno bussa alla sua porta è certamente foriero di problemi o altre cose poco gradevoli. O al massimo è qualche rappresentante della parrocchia metodista in fondo alla strada che vuole fare due chiacchiere sulla parola di Dio. Qualche giorno prima hanno bussato due signori della chiesa ed è capitato che fosse stato Thor a rispondere.
«Lei crede in Dio, giovanotto?»
«Ma certo! Di quale dio vogliamo parlare?»
«Mio caro ragazzo, esiste un unico Dio»
«Sei in errore, di sicuro. Io li conosco tutti, personalmente».
È stato divertente. Per un po', almeno...
E adesso il campanello sta suonando di nuovo, e nella migliore delle ipotesi sono quelli della parrocchia che hanno portato con loro un esorcista o un agente di polizia.
«Thor, ci penso io! Tu non... tu resta qui, per favore» esclama Jane, correndo fuori dalla cucina.
Non sa se può farcela a fronteggiare qualche altra situazione problematica, non ha dormito bene quella notte – il ricordo del dialogo avuto con Loki di certo non ha aiutato a conciliare il sonno – ma non può semplicemente fingere di non essere in casa, anche se è molto tentata. Alla fine sospira e apre la porta.
«Buon giorno dottoressa Foster! Ho provato a chiamarla al cellulare ma non ha risposto, volevo essere certo di non interrompere niente venendo a casa sua ma, toh! Eccomi qui. Posso entrare? Grazie».
Tony Stark scivola dentro con un unico movimento fluido, senza aspettare un invito o un cenno di assenso. Non che sia il tipo d'uomo che si possa fermare con un «No», comunque.
«Oh, era lei al telefono, signor Stark? Non riuscivo a trovarlo...» balbetta lei con un sorriso nervoso.
«Sì, posso immaginarlo».
«Amico caro!» esclama Thor giovale, spuntando in fondo al salotto. «Sii il benvenuto, anche se porti brutte notizie. Porti brutte notizie?».
Stark si gratta il mento e fa una strana smorfia,
«Dipende dai punti di vista» borbotta sedendosi sul divano e accavallando le gambe.
«Posso offrirle un caffè... cioè, no, non un caffè, la macchinetta si è rotta. Immagino che lei sia in grado di aggiustarla, perché lei è un genio dell'ingegneria, ma non le chiederei di aggiustarmi la macchina del caffè, eheh...». Jane si accorge di star parlando a raffica e star dicendo una marea di stupidaggini, ma a quanto pare non riesce a fermarsi. «Insomma, posso offrirle qualcosa che non sia caffè? Non so cosa ho in casa a parte il caffè che non posso preparare, ma lei provi a chiedere e vedremo di accontentarla».
Persino Thor la sta guardando un po' perplesso.
«Non ho capito esattamente tutto quello che ha detto, dottoressa, ma la ringrazio, sulla fiducia. Ora perché non si siede? Sono più o meno sul punto di vomitare e non c'è motivo che si agiti anche lei, ok?».
Jane sbatte le palpebre e si siede vicino a Thor. Perché la gente non è semplice come l'astrofisica?
«C'è qualcosa che ti turba, amico Stark?» domanda il dio.
«Perspicace, Boccoli d'Oro. Immagino tu possa riuscire anche a indovinare cosa. Ti do qualche indizio: è sgradevole, pericoloso e lo chiami fratello...».
Sì, in effetti si poteva indovinare anche senza indizi. A Stark non deve essere piaciuta l'improvvisata di Loki la sera prima, non è piaciuta a nessuno.
«Cos'altro ha fatto?» esclama Jane. «Non sapete dove si trova e credete stia architettando qualcosa di preoccupante?»
«So esattamente dov'è Loki in questo momento, è dove è rimasto tutta la notte: alla Stark Tower, nell'appartamento sotto al mio, più precisamente in zona camera da letto e dintorni»
«Oh. E Nadia dov'era?» domanda Thor, innocente. Talmente tanto innocente che sembra che Stark stia per collassare. Jane invece ha un sussulto.
«Nello stesso posto. Ai dettagli preferisco non pensare...»
«E tutto ciò ti sconvolge, Stark? Credevi che non sarebbe successo, prima o poi?»
«Ci speravo. Troppo stupido da parte mia? Sarà... ma io adesso voglio sapere, Thor, devi dirmi cosa hai in mente, cos'è questa storia di te che confabuli con Fury e tutto il resto. Nadia può fare quello che vuole, ma io ho bisogno di sapere che è al sicuro».
Jane si rende conto di avere le unghie affondate nella tappezzeria del divano. Spera solo che quei due non finiscano a menare le mani, perché l'appartamento finirebbe distrutto e non è sua quella casa. Per tutto il resto, le stanno venendo le vertigini e si sente molto solidale con Tony Stark che poco prima ha detto di star per vomitare.
«Se io ti dicessi che è così, non ti basterebbe la mia parola» mormora Thor con un sospiro.
«D'accordo... ragioniamo: dimmi perché ti ostini a non dirci cos'è che bolle in pentola».
«Bella domanda» esclama Jane, facendo un energico cenno di assenso con il capo. Le dispiace vedere Thor in difficoltà e la preoccupa vederlo rischiare di litigare con i suoi super-amici, ma Stark non ha tutti i torti: Thor sta chiedendo a tutti loro di fidarsi di lui, ma non gli sta concedendo altrettanta fiducia tenendoli all'oscuro di tutto.
«La questione è assai delicata, più gente lo sa più c'è il rischio che venga scoperta, ma devi credermi quando ti dico che in nessun modo Nadia ne verrà danneggiata» conclude il dio, sporgendosi in avanti e puntando in viso a Stark i suoi occhi azzurri. Quello sguardo la fa sempre sciogliere, ma lei non è Tony Stark.
«E quando verrà attuato questo piano segretissimo e delicatissimo?»
«Appena Nadia sarà guarita dai suoi problemi con la pietra».
Il signor Stark si getta con la testa all'indietro e fa un pesante sospiro. Se adesso si mettesse ad urlare, Jane lo capirebbe.
«State pensando di privare Loki dei suoi poteri e confinarlo quaggiù sperando che diventi un onesto cittadino per amore di Nadia o qualcosa del genere?» domanda, scettico.
«Vorrei che fosse così semplice...»
«Meno male, per un attimo ho pensato che tu, tuo padre e Fury foste ammattiti».
Thor accenna un sorriso malinconico e scuote la testa. Un silenzio pesante cala nella stanza e Jane si sente piccola e inutile, come al solito. Pensa a Loki e a Nadia, si chiede se in fondo a quel groviglio di cose complicate che entrambi hanno dentro, ora sono almeno un po' felici. Si chiede se lui abbia abbastanza onore da rispettare la sua promessa di aiutarla e che non stia in realtà cospirando per farle del male per vendicarsi degli Avengers. Si chiede se Nadia è più pazza o più coraggiosa, perché se fosse coraggio, sarebbe davvero da ammirare. Ma forse non è coraggio, e Loki è troppo orgoglioso per ricorrere a un mezzo così infimo come sedurre una ragazza solo per ripicca verso qualcun altro... forse è proprio quello che sembra, forse è proprio... Jane ci rinuncia, non saprebbe come chiamarlo.
Stark si guarda intorno, quando torna a guardare Thor c'è un sottinteso piuttosto manifesto nei suoi occhi da furetto: non-finisce-qui. No, decisamente; non arrivi a possedere e mantenere un impero miliardario per due generazioni se non sei eccessivamente caparbio.
«Bene. E io ora cosa devo fare? Tornare a casa e lanciare coriandoli?» dice Stark dopo qualche secondo. Quanto deve costare a uno come lui ammettere che non sa che fare?
«No, probabilmente lanciare coriandoli è quello che farei io» scherza Thor.
«Non c'è niente da fare, signor Stark» interloquisce Jane, scrollando le spalle. «Sono certa che se ci fosse stato un rimedio o una qualche precauzione da prendere, ci avrebbe pensato Nadia, da sola. Sono certa che Nadia sarà già abbastanza confusa, non mettiamola in condizioni di scegliere tra voi e Loki...».
L'uomo sospira,
«D'accordo, Boccoli d'Oro, andiamo a comprare i coriandoli...»
«Eh?».
Stark fa un sorrisetto a metà tra l'infantile e il rassegnato.
«Nah, dicevo: andiamo a comprare delle ciambelle, recuperiamo Rogers e Banner e andiamo a trovare il pennuto».

*

Clint punta con decisione i piedi sul pavimento. Le ferite gli bruciano ancora un po' e dicono che probabilmente gli resteranno le cicatrici.
Buffo, in tanti anni di servizio, dopo tante missioni pericolose la sua collezione di cicatrici era piuttosto esigua, e adesso si ritrova con due bei solchi rosa per un semplice sopralluogo in un dannatissimo magazzino. Chissà se ancora vero che alle donne piacciono le cicatrici...
«Fa' attenzione». Natasha gli si avvicina e gli cinge il petto con un braccio.
Clint la guarda con la coda dell'occhio. Non c'è alcun bisogno di sorreggerlo, ha così tanta voglia di alzarsi da quel letto che sente di avere le ali ai piedi, e poi se cadesse lei riuscirebbe a tenerlo?
Che domande. Ci riuscirebbe di sicuro perché lei è... beh, è una che riesce nelle cose, ecco cos'è.
Rovinare sul pavimento davanti a Natasha comunque gli sembra una pessima idea e questo è un motivo in più per tenere duro e mettere un piede avanti all'altro, fare perno come si deve sulle gambe indebolite dallo stare a letto.  
«Ehi, non sono mica uscito da un decennio di coma» borbotta con un sorriso, che è più una smorfia per nascondere la fitta di dolore proveniente dalla ferita al fianco.
Lei ritira immediatamente il braccio, come se si fosse scottata. Come se si fosse resa conto solo in quel momento del fatto che sono soli nell'infermeria e che i loro visi si trovano in una posizione che lascerebbe pensar male se qualcuno entrasse in quel preciso istante.
Con Natasha le distanze sono sempre una cosa assai relativa. Ed è per questo che lui si sente sempre così dannatamente disorientato.
«Questo è amore, agente Romanoff?»
«No».
Il video di quell'interrogatorio era saltato fuori qualche giorno prima, mentre la Hill stava revisionando il materiale sull'attacco a New York, per archiviarlo definitivamente.
Sapeva che quel dialogo era studiato, le parole di Natasha erano calcolate per cogliere Loki in fallo e fare in modo che rivelasse qualcosa sui suoi piani, ma Clint avrebbe voluto mandare indietro la registrazione per ascoltare di nuovo quel «No» e vedere se riusciva a trovare in quell'unico piccolo suono una traccia di verità o di menzogna.
Non ci aveva più pensato nei giorni a venire. Non ci avrebbe più pensato se non fosse successo quello che è successo a Boston.
Ha sempre incolpato Loki di avergli insegnato a temere la paura. Nell'ultimo istante in cui è stato cosciente prima dell'esplosione nel magazzino, ha capito da dove venisse la sua paura.
«Questo è amore, agente Romanoff?»
«No. L'amore è per i bambini».
Sospira. L'aria satura dell'odore di disinfettante gli punge la gola e lui si stropiccia il viso con una mano.
«Tutto bene, Clint?». Natasha lo guarda inarcando un sopracciglio e lui si sente davvero un bambino perché si chiede come sarebbe stato se le cose in quel magazzino si fossero messe peggio, prova a contare le domande alle quali non ha ancora trovato risposte e gli sembrano una valanga. Decisamente troppa roba per uno che fa il suo mestiere e ha un'aspettativa di vita non proprio altissima.
«Come è andato il party, ieri sera?» le chiede, cercando di scacciare quei pensieri. Forse è solo colpa degli antidolorifici, non ha mai retto bene a certi medicinali.
«Non è stato male. Aveva un po' l'aria di rimpatriata tra amici, solo con vestiti più scomodi» replica lei, scrollando le spalle. «Persino Loki ci ha onorati della sua presenza».
Clint sgrana gli occhi. Dovrebbero sorvegliarlo meglio, se può imbucarsi al party di Stark chissà quante altre cose può fare, chissà in quanti altri posti può andare.
«E cosa ci faceva lì Loki?» domanda, aggrottando le sopracciglia e muovendo qualche passo incerto verso la finestra.
«Immagino volesse solo dare fastidio. E vedere Nadia» conclude Natasha. «Se mai ho sperato che tra loro non succedesse niente, comincio a ricredermi».
«Andiamo, cosa vuoi che succeda? Prima o poi ci libereremo di Loki e poi... l'amore è per i bambini».
Non sa perché lo dice, sputa le parole senza rendersene conto. Lei non dà alcun segno di ricordare da dove venga quella frase, ma si zittisce.
Clint continua a camminare, lasciandosela alle spalle e raggiunge il davanzale. Appoggia i palmi della mani sul vetro e guarda fuori. Non c'è niente di interessante e davvero non vede l'ora di poter lasciare quella stanza.
Chiude gli occhi e per un attimo il boato dell'esplosione gli rimbomba nelle orecchie, tanto che sussulta e si volta di scatto. Natasha è proprio alle sue spalle, si è avvicinata senza che lui riuscisse a sentire i suoi passi e ora è a un palmo dal suo naso.
Certe distanze sono troppo esigue per essere calcolate, anche se dall'altro lato c'è la famigerata Vedova Nera. Clint ci pensa mentre si china su di lei, le sfiora le labbra con le proprie.
Sente ancora dei suoni che si avvicinano, ma non gli importa.
«No, Thor non entr...». La voce di Stark, è un sussurro e sembra venire da una specie di incubo.  
«Buongiorno amici!» Thor compare sulla soglia della porta, con un sorriso smagliante. Clint vorrebbe farglielo sparire a suon di pugni.
Natasha è scattata all'indietro e ha messo su un'espressione tremendamente tranquilla e professionale. Non sembra chiedersi da quanto tempo gli altri fossero lì fuori; è evidente che fossero lì da abbastanza tempo.
Clint si passa una mano sugli occhi, per tentate di cancellare l'immagine di se stesso che massacra gli Avengers a colpi di arma da fuoco e per cercare di riacquistare un'espressione normale. Accidenti a loro!
A parte Thor, che non ha capito un fico secco, Rogers, Stark e Banner sembrano davvero mortificati – sì, persino Stark – e se ne stanno stretti stretti sulla soglia, come bambini che temono di venir messi in castigo. Bruce Banner ha ancora il braccio teso in avanti nel vano tentativo di acciuffare Thor per un lembo della camicia.
«Buongiorno» gracchia Clint, lanciando a tutti loro un'occhiata al vetriolo. «Sì, sto bene. Potrei stare meglio, comunque».
«Noi avevamo... ehm, portato le ciambelle» annuncia Rogers, guardando ora il supporto per la flebo ora il cestino dei rifiuti, spingendo avanti a sé la scatola con il logo di una caffetteria del centro.
«Ehi, ragazzi? Siete lì?». La voce di Nadia arriva dal fondo del corridoio.
Stark fa un'espressione strana, Rogers e Banner si scambiano un'occhiata smarrita. Sembrano tutti una brutta copia degli animaletti parlanti di Alice nel Paese delle Meraviglie e Clint si domanda che diamine sia successo.
La ragazza fa capolino oltre la porta, sorride e fa un cenno di saluto.
«Oh, Clint, che bello vederti alzato!». Entra, gli si avvicina e gli dà un bacio sulla guancia.
«Noi avevamo portato le ciambelle» ripete Rogers.
«Posso fare una domanda?» squittisce Stark, senza motivo.
Che accidenti c'era da fumare a quel party?!
Nadia è ancora accanto a lui, per questo Clint la vede irrigidirsi e voltarsi verso gli altri con aria grave.
«Tony, lo so che lo sai e che sei corso a dirlo agli altri e che ora che gli Avengers sono tutti qui riuniti dobbiamo fare un discorsetto. È per questo che vi ho raggiunto» dice la ragazza.
«Io non sto capendo, e tu?» bisbiglia Clint all'orecchio di Natasha. Lei fa un cenno negativo con la testa, poi guarda gli altri,
«Stiamo parlando di cosa, esattamente?» chiede.
«Di Loki. Cioè, di me... di me e di Loki, quello che vi pare...»
«Thor voleva comprare i coriandoli, per inciso» mugugna Stark a denti stretti.
Ok, ora Clint ha bisogno di sedersi. Ma che cazzo! Finisce a letto un paio di giorni e lì fuori va tutto in malora...
«Quante speranze ci sono che io abbia capito male?» esclama, lasciandosi cadere seduto sul bordo del materasso.
Nadia fa qualche passo indietro, è di spalle alla finestra. Passa in rassegna tutti loro con lo sguardo, e Clint non sa come sia per gli altri, ma a lui sembra che quell'occhiata della ragazza duri un'eternità e che pesi come una montagna.
«Mi sono puntata una pistola carica alla testa, lo so» dice, con una calma che la fa sembrare grande. «E l'unico rimpianto che ho è che quando partirà il colpo, prima o poi, anche voi starete male per me».
Si è puntata una pistola carica alla testa? Clint le vorrebbe scaricare addosso un kalashnikov!
Rogers tiene ancora in mano lo scatolo delle ciambelle. «Dopo invasioni aliene e l'apocalisse dietro l'angolo, ce la caveremo anche con questa cosa» asserisce con un sorriso che è più una smorfia. E sembra più un incoraggiamento verso i suoi compagni che non una risposta per la ragazza, sembra una sorta di rassegnato invito a mantenere la calma.
Sì, come no. Clint vorrebbe avere un po' della sua fede e della sua fiducia nell'universo in generale.
L'agente Barton guarda Nadia, poi lancia un'occhiata agli altri. Ci sarebbero molte altre cose da fare, cose da dirle, ma sembrano tutti perfettamente consapevoli che le parole di Rogers sono le uniche che abbiano senso, al momento.
Avrebbe senso anche spaccarle la testa, così, per principio... ma se poi esplodesse?
Poi si inventeranno qualcosa. Poi verrà il giorno in cui Loki vedrà la sua fine e a Nadia toccherà rimettere insieme il cuore pezzo per pezzo, e in fondo in fondo lui è grato che la cosa non rientra nelle sue competenze e che l'onere non ricadrà su di lui.
Benedetta ragazza, vorrebbe dirle, aiutarti è un conto, salvarti da te stessa è ben altra cosa.
Ma non è quello il momento di dire altro.


 

 __________________________________________

Note:

Sapevo che sarebbe venuto il giorno in cui mi sarei messa a clintashare anche io. E alla fine è successo, l'ho fatto poco e forse male, ma ci sono ancora tanti capitoli e un terzo episodio prima che la storia finisca...

Io e questo capitolo ci odiamo, ci siamo presi proprio male, fin da quando era solo una riga sulla bozza della scaletta. Penso sia quello che è stato fatto, sfatto e rifatto più volte, e tutt'ora non è esattamente tra le cose che mi rendono più soddisfatta.

Dal prossimo capitolo la storia comincia ad avviarsi verso la parte conclusiva, si cambia un po' “registro” e... ci sarà una “sorpresa”. 
E visto che vi voglio bene (grazie a tutti voi  **), vi anticipo che il capitolo 20 si intitola "Lese-majesty".

E vi do anche una notizia che suonerà tipo le trombe dell'Apocalisse... l'ho quasi finitaaah! Mancano un paio di capitoli e poi questa follia... aehm... fanfiction è finita. E ho cominciato a buttare giù la scaletta dei capitoli per il terzo racconto conclusivo. E poi prevedo di aprirmi la testa a martellate per far uscire Loki da lì dentro...

As usually, ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. ^^

Per domande sulla fanfiction o curiosità in generale su la vita, l'universo e tutto quanto: HERE
(e visto che mi è stato chiesto in altra sede: no, non ci si deve registrare al sito per fare domande).

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Capitolo 21
*** Lese-majesty ***


Capitolo ventesimo
Lese-majesty


«Ho promesso a Steve che l'avrei accompagnato al cinema, vuole vedere qualcosa in 3D. Sarebbe troppo indelicato se lo portassi a vedere l'Era Glaciale 4?» domanda Nadia dopo aver dato un'occhiata alla programmazione dei cinema della zona.
Tony scrolla le spalle. È passata una settimana da dopo il party e non c'è stato nessun cambiamento sostanziale...
L'espressione ''dopo il party'' è convenzionale, è quella che lui e gli atri hanno deciso di adottare secondo tacito accordo quando occorre riferirsi a Nadia e Loki e al loro definitivo avvicinamento. O come diamine lo si voglia chiamare – è Rogers quello bravo a trovare termini alternativi carichi di delicatezza.
Nessun cambiamento sostanziale se si esclude il fatto che ora lui deve vivere sapendo che il tizio che lui non avrebbe mai più voluto vedere se non a distanza di diversi anni luce dalla Terra, è vicino, molto vicino, troppo vicino a una ragazza a cui vuole bene. Ma Pepper gli ha detto che non ci deve rimuginare troppo su, altrimenti impazzirà, gli verrà un esaurimento nervoso e ne farà venire uno anche a lei.
Ovviamente il monito di Pepper è più o meno retorico. Nemmeno lei digerisce l'idea del ''dopo il party''. Nessuno la digerisce. Non digeriscono il presente e non digeriscono il futuro verso il quale quella situazione è proiettata. Tony continua a non fidarsi dei piani di Thor, non perché non creda alla totale buona fede del biondone, ma perché ormai dovrebbe essere chiaro che con Loki i piani non funzionano mai. Hanno difeso la Terra dalle sue mire e non sono riusciti a tenerlo adeguatamente a distanza dalla ragazza, perché lui poteva salvarla e loro no.
Tony non sa quale faccia di questo schifosissimo cubo di Rubik debba fargli più rabbia.
Probabilmente la parte in cui è costretto a rendersi conto che quello del ''dopo il party'' non è nemmeno il loro più grande problema. Anzi, che in ultima analisi non è nemmeno un problema vero e proprio ma potrebbe diventarlo.
D'accordo, non deve pensarci, l'esaurimento nervoso sarebbe un problema ben più serio viste le circostanze.
«Fossi in te non uscirei con Capitan Granita» dice Tony. «Credo che ti voglia con sé solo perché se gira con una ragazza le altre lo lasciano in pace. Cosa ci troveranno mai le donne in lui comunque non lo capisco».
«Sei solo invidioso perché è più alto di te».
«Grazie, Colombina, grazie tante».
No, decisamente nessun cambiamento sostanziale. Va bene così, è meraviglioso, se si concentra può persino pensare che non sia successo niente.
«Ehi, aspetta. Non esci con me e Jane?» chiede Pepper. Ha organizzato un'uscita con la dottoressa Foster, da quando l'ha vista così sola e spaesata al party ha tipo deciso di diventare la sua migliore amica. È sempre stata una donna empatica, la sua Pepper, ma se non si risolve questa situazione dei rettori Arc presto partirà per una missione umanitaria in India o deciderà di allestire un rifugio per cani randagi nel garage; l'inoccupazione non le giova per niente.
«Devo proteggere Steve dalle groupies» risponde Nadia. «E poi credo che... insomma, penso che Jane non si senta del tutto a suo agio con me».
Certo, non dev'essere bello uscire con la ragazza del tizio che vuole distruggere il tuo ragazzo. Lo capisce bene lui! Ok, ok, deve smettere di pensarci.
«Però dovreste invitare Nat» aggiunge la ragazza. «Se hai smesso di detestarla, intendo».
«Certo che ho smesso...» borbotta Pepper. Chissà se è vero, chissà se la signorina Potts si è fatta passare il trauma lasciatole da ''Natalie Rushman''.
A parte la stranezza della cosa in sé, Tony spera che Natasha Romanoff non possa partecipare a un'uscita tra ragazze perché impegnata in sedute di sesso, vodka e tenerezza insieme a Clint Barton. Si sente ancora un po' in colpa per non essere riuscito a fermare Thor la settimana scorsa e averli interrotti, quei due devono sfogarla questa benedetta tensione sessuale accumulata, altrimenti potrebbero diventare una fonte di energia per le armi del nemico.
Ok, forse anche questo era un pensiero da evitare.
Tutti pensavano che dopo l'esplosione di Boston, dopo che due agenti dello S.H.I.E.L.D. erano morti, il buon vecchio Nick Fury si facesse il culo per cercare di venirne a capo... che poi, non è colpa sua o del suo reparto. Non è colpa di nessuno. Anche se nessuno vuole ammetterlo, c'è solo una cosa che resta da fare: aspettare che quei figli di puttana facciano la prima mossa, è inquietante e chissà quanto tempo ci vorrà prima che succeda, dato che i reattori Arc sono stati smantellati e...
«Sono un genio!». Tony scatta in piedi e ghigna, guardando un punto indistinto fuori dalla vetrata, contemplando il profilo di un'idea che si delinea pian piano dentro la sua mente.
Pepper e Nadia si scambiano uno sguardo perplesso.
«Sono un genio e dovrei prendermi a schiaffi per non averci pensato prima!» esclama. «Perché non ci ho pensato prima?».
Salta oltre il divano con un balzo, segue il filo del suo stesso ragionamento, camminando a caso per la stanza, fino a quando non diventa perfettamente lineare.
«Certo, certo, si può fare. È così semplice...».
Nadia arriccia il naso e si accosta a Pepper,
«Pensi che ci dirà che succede prima o poi?» domanda a voce bassa, come se temesse di farlo uscire da quello che deve sembrarle uno stato di trance.
«Non si sa. A volte parla da solo per ore».
Tony si volta verso le due donne, con le braccia aperte come un teatrante in attesa dell'applauso. Oh, come possono applaudire se non le ha ancora messe al corrente di quello che ha pensato?
«Riportiamo qui i rettori Arc per il progetto sulle energie sostenibili» spiega. «Apparentemente faremo tornare tutto come prima, ma le macchine saranno in un luogo ben preciso, controllate dallo S.H.I.E.L.D. notte e giorno. Se è quello che i nostri amici che giocano a nascondino vogliono, allora che vengano a prenderli»
«Una trappola?» borbotta Nadia, scettica. «Non ci cascheranno mai»
«Dici, Colombina? Fino ad ora non sono riusciti a far funzionare le loro diavolerie, hanno bisogno di quell'energia, gli serve e immagino che faranno di tutto per venirsela a prendere, ma saremo noi a prendere loro»
«Ci sono dei rischi» fa notare Pepper.
«Certo che sì, ma è più rischioso restare qui ad aspettare che quei bastardi trovino un'altra fonte di energia e ci colgano di sorpresa». È così semplice e perfetto, e Nick Fury sarà d'accordo con lui e quando questa follia sarà finita gli altri Avengers lo ringrazieranno. E poi, quando questa gatta da pelare sarà archiviata, potranno rispedire Loki nell'iperspazio.
… e poi shawarma per tutti!

*

Nadia si chiude la porta dell'attico di Tony alle spalle. Sta ancora rimuginando su quello che ha detto il suo amico.
Hanno chiamato Fury e lui ha detto che si può fare, che è una mossa azzardata ma che nessuno è mai riuscito a fargliela sotto il naso. A parte Loki, con il Tesseract, e la quasi distruzione dell'elivelivolo e un altro paio di cose... ma poi hanno recuperato la partita.
Tony si è anche raccomandato di non dire niente a nessuno, di organizzare la cosa nella massima segretezza perché ha il sospetto che ci possa essere qualche spia, qualcuno dall'interno che fa il doppio gioco. Fury naturalmente ha alzato di qualche ottava il tono di voce specificando che è impossibile, che non ci sono talpe nello S.H.I.E.L.D, sarebbe estremamente paradossale e altamente improbabile. Ad ogni modo, lui e Tony sono rimasti d'accordo sul tenere la cosa segreta, domattina si vedranno con gli altri Avengers alla base dello S.H.I.E.L.D e, in attesa che i reattori Arc tornino al loro posto, organizzeranno un piano per dare un definitivo calcio in culo a quei bastardi.
Sì, può funzionare. Nadia vuole proprio sperarci.
Il suo appartamento è silenzioso e buio.
Tutte le sere va a cenare di sopra, sistematicamente quando riscende nel suo appartamento ci trova Loki; il più delle volte lui se ne sta fuori al balcone, diritto come un fuso a osservare la città. Cioè, Nadia è certa che non osservi propriamente la città, che stia lì a pensare a qualcosa.
I pensieri di Loki le fanno paura, per questo non gli fa mai domande.
Forse se potesse restare lì sarebbe un po' meno indispettito. Ma spostare in pianta stabile la residenza del dio degli inganni all'interno della Stark Tower è una cosa che Nadia sa di non poter fare, non può pretendere che Tony accetti anche quello e che Loki ronzi a pochi metri da Pepper se Nadia non è lì con lui.
Che poi, da una settimana, lui si prenda la libertà di comparire tutte le sere, neanche fosse Edward Cullen, è una faccenda che Nadia non riesce ad arginare. La compagnia di Loki non le è mai dispiaciuta, nemmeno in momenti meno rosei e quando si sveglia con il piede giusto è un ottimo compagno di conversazione e se conversa con lei – o  è dedito ad altre cose più piacevoli – va da sé che non può anche occuparsi dell'assassinio dei padroni di casa.
La ragazza supera il corridoio e arriva nel salotto. Lì c'è un po' di luce, la piantana è accesa e riflette un riverbero giallastro sulla superficie dei mobili. E Loki è sul divano e sembra una specie di gigantesco pipistrello.
Sta leggendo a testa in giù, con le spalle sulla seduta del divano e le gambe lunghe sollevate in alto sopra la spalliera, reggendo il libro sopra il viso, così preso dal testo che ha tra le mani da non accorgersi di lei, e forse nemmeno della posa assurda che ha assunto. Meriterebbe davvero che gli si scattasse una fotografia.  
Lei lo raggiunge e si siede sul lato opposto del divano. Il dio le rivolge uno sguardo rapido, poi ritorna a leggere. Nadia arriccia il naso e si sporge a guardare la copertina del libro.
I miti di Cthulhu. Sul serio?!
Sulla faccia di Loki compare un sorrisetto indecifrabile e lui comincia a leggere a voce alta,
«Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito...[*]»
«Sì, molto divertente» borbotta Nadia strappandogli il libro da mano. «Potresti tornare ad assumere una posa normale? Ci sono delle novità»
«Il modo in cui sto seduto non influisce sulle mie facoltà cognitive. Parla»
«Tony ha avuto un'idea, per trovare gli invasori e...»
«Non dirmelo: vuole tendere loro una trappola usando come esca i suoi reattori Arc».
Nadia inclina la testa di lato e sbatte le palpebre,
«Ehm... sì, proprio così».
Loki scuote la testa e allunga una mano verso il libro.
«Ci avevo già pensato» mormora, sfogliando il volume per ritrovare il punto in cui era arrivato a leggere. Per un attimo la ragazza ha la tentazione di farglielo ingoiare, quel maledetto libro.
«Se ci avevi pensato, perché non hai detto niente?» esclama.
«Perché non funzionerà».
Ok, deve calmarsi altrimenti potrebbe venirle in mente di tentare di mettere in pratica le lezioni su come usare la pietra, creare un bella valanga di energia e farla abbattere su Loki – d'accordo, non sa ancora farlo bene, ma la tentazione di provarci è molto forte al momento.
«Si può sapere di cosa stai parlando?» esclama.
«I tuoi eroi non sono infallibili, Nadia» replica lui, calmo da far venire l'ulcera. «Questo di Stark, in particolare, è un pessimo piano. Ma se vogliono tentare, chi sono io per mettergli i bastoni tra le ruote? E comunque ho idea che il tuo adorato mentore non mi presterà ascolto, è eccessivamente fiero delle sue idee».
La ragazza apre la bocca per ribattere, ma sa che Loki ha ragione: Tony non metterebbe in dubbio un suo piano per una supposizione del dio – anche se sembra più di una supposizione, a giudicare da quel tono disturbante e arrogante. E comunque, Tony e gli altri hanno già messo in discussione un bel po' di cose da quando Loki è tornato fino ad ora, il fatto stesso che ora lui si trovi lì con lei ne è la prova.
«Forse però, se la tua teoria è così ben fondata, Fury ti ascolterebbe» osserva lei.
Loki si da una spinta e si piega su un fianco tornando ad appoggiare i piedi sul pavimento. Si alza dal divano e si avvicina alla vetrata del balcone.
«Fury, dici?» sussurra, pensieroso. «Mi pare che il direttore Fury ultimamente mi stia dando decisamente troppo credito, non trovi?».
Nadia si volta a guardarlo, con le braccia poggiate sulla testata  del divano. Ha ragione, Fury gli sta concedendo fin troppo spazio di manovra, non ha nemmeno fatto sentire la sua vociona autoritaria quando Loki ha smesso di passare le serate alla base dello S.H.I.E.L.D. Considerando quanto sia andato su di giri quando Loki è ricomparso, settimane prima, considerando quanto lo trovi minaccioso e preoccupante, è strano che non stia prendendo nessun tipo di provvedimento per provare a tenerlo al guinzaglio; e poi c'è sempre quella faccenda dell'averli mandati a spasso da soli, in giro per New York, come a voler incoraggiare un loro avvicinamento o qualsiasi cosa fosse.
Loki volta la testa, guardano la ragazza con la coda dell'occhio come se si aspettasse una risposta.
«Sì, è vero» gli dice lei meccanicamente.
«Stanno macchinando qualcosa, lui e Thor, ne sono certo». C'è astio in fondo alle parole di Loki. «Ma non è da Thor architettare piani e non c'è niente che Fury potrebbe pensare di fare da solo. No, qui c'è di mezzo quel vecchio stolto».
Nadia ha un fremito. Da parecchio non sentiva Loki usare quel tono. Anche quando parla di Thor o si rivolge a lui è estremamente freddo e distaccato, ma quello che lei sente ora non è distacco, volesse il cielo fosse distacco. Quello è odio, un odio così puro e furente che non lascia spazio al distacco e di certo nemmeno alla guarigione. Ogni parola che Loki pronuncia con quel tono è corroborata da un fiotto di sangue che Nadia sente fuggirle dal cuore: lei non può fare niente davanti alla grandezza di quella brutalità.
Il dio chiude gli occhi e lascia andare un respiro che evidentemente stava trattenendo. La ragazza lo raggiunge, sente quasi un'aura di gelo spandersi dall'alta figura di Loki in piedi contro le luci della città che ronza di vita e corrente elettrica ai loro piedi. Dovrebbe farle paura, avrebbe sempre dovuto farle paura, ma non è mai stato così. Lo circonda con le braccia e gli posa una guancia tra le spalle. Loki ha un leggero fremito quando lei stringe leggermente l'abbraccio.
«Quando dici vecchio stolto, ti riferisci a Odino? Quello che mi ha riportato indietro dall'aldilà?» domanda la ragazza, calcando con enfasi le ultime parole.
«Mi riferisco a quello che non fa mai niente per niente. Ha salvato anche la mia di vita, molto tempo fa, e anche in quel momento lo ha fatto per uno scopo che nulla aveva a che fare con l'amore che millanta di avere per me. Non fossi stato il figlio di Laufey, mi avrebbe lasciato a morire tra i ghiacci di Jotunheim».
Nadia non ci crede. Sa che Loki non sta mentendo, che lui è davvero convinto di quello che pensa quando parla della sua famiglia, di quelli che l'hanno cresciuto insomma, è sinceramente convinto che le cose stiano così; e lei non conosce Odino o altri rappresentati di Asgard, ma è certa che se da quella stessa famiglia è venuto fuori Thor allora non possono essere così male e che molto di quello che Loki pensa sia ingigantito ed esasperato dal suo risentimento.
«Permettimi di avere qualche dubbio in proposito. Stiamo pur sempre parlando della persona che mi ha salvato la vita» conclude. Non si metterà a discutere con Loki di quella faccenda, non adesso. Forse un giorno ci proverà e se ci riuscisse, se riuscisse a strappargli dalla mente quell'enorme ragnatela di odio forse potrebbe...
Non deve farlo, pensa mentre gli occhi le si inumidiscono di lacrime, non deve sperare perché più avrà sperato più sarà terribile vedere quelle speranze dissolversi in fumo il giorno in cui Loki sparirà per sempre.    
Il dio solleva la mano e fa per poggiarla su quelle della ragazza, intrecciate ad altezza del suo petto, ma il cicalio di un sms ricevuto sembra rombare come un tuono nel silenzio denso dell'appartamento. Nadia sussulta e si stacca da lui, frugandosi nelle tasche per recuperare il cellulare.
Quando apre il messaggio, ha quasi la sensazione di aver ricevuto un pugno nello stomaco. È di Mike. Il testo è piuttosto lungo e il tono di biasimo è decisamente lampante malgrado l'apparente ironia:
«Ciao! Non ti ho telefonato per non disturbare, perché devi avere davvero molte cose importanti da fare se sei sparita per una settimana intera. Mi piacerebbe sapere quale buco nero ti ha risucchiata quella sera al party, perché sei scappata via senza più dirmi niente, sarebbe troppo chiedere di vederci per un caffè una di queste sere?».
Dannazione! Stavolta le scuse non basteranno. Mike è sempre stato buono e comprensivo con lei ma questa proprio non se la meritava. Adesso sì che si sente un vero schifo, e come farà anche solo a guardarlo in faccia?
La sera del party, dopo la comparsa di Loki, dopo che lei era scoppiata a piangere sul balcone, era rimasta rintanata in una saletta e poi si era fatta riaccompagnare a casa da un assistente di Tony. Dopo quello che era successo davvero non se la sentiva di parlare con Mike, proprio non sapeva cosa dirgli. Ma da qui a dimenticarsi dell'esistenza del suo unico amico per un'intera settimana ce ne passa!
Come ho potuto essere così orribile?
È costretta a mordersi l'interno della guancia per non mettersi a gridare parolacce rivolte a se stessa.
«Quale altra disgrazia si sta abbattendo su di te, adesso?» borbotta Loki, fingendo un sospiro di sopportazione.
«Mike. Cioè, me stessa che si è dimenticata di Mike. Sono un mostro» borbotta, gettando il cellulare tra i cuscini del divano.
«Lo hanno detto anche di me, che sono un mostro, ma secondo la vostra scala di valori i miei atti erano assai più gravi del non aver fatto una telefonata».
Cosa sta facendo? Si sta mettendo a fare dell'ironia per consolarla e farla sorridere? Se è questo il suo piano, ci sta più o meno riuscendo, ma è comunque una cosa tra il buffo e lo scioccante.
«Un giorno mi farai impazzire, Loki» borbotta, recuperando il cellulare e pensando a cosa scrivere a Mike.  

*

Ora ha un piano.
Non è il piano che aspettava di architettare, non riguarda i suoi sogni di gloria e le sue future conquiste. Riguarda semplicemente il risolvere quella situazione, scovare i nemici della Terra, riuscire a capire chi sono, di quante forze dispongono e cosa hanno in mente.
Sa già che nessuno lo ringrazierà per questo. Che il suo modo di agire non riceverà l'approvazione degli Avengers e di Fury, ma a lui che importa? Tra l'altro, una volta fatta la conoscenza degli invasori, potrebbe persino decidere di schierarsi con loro e rivedere le sue posizioni al riguardo, anche se aveva già scartato questa idea.
No, decisamente non è degli Avengers che gli importa.
Il suo unico rammarico è che la posta in gioco di questa partita è Nadia. Lascerà che divenga uno strumento, la metterà in pericolo – anche se per poco, anche se è certo di poterla salvare e che non arriveranno a farle del male.
Sa che non è un vero e proprio rischio, può persino sperare che lei non arrivi a capire che lui l'ha usata come mezzo per arrivare ai nemici, che semplicemente ai suoi occhi resterà quello che l'ha salvata; e ad ogni modo, Loki sa di non avere scelta, se condividesse la sua idea con gli Avengers loro gli risponderebbero che mai e poi mai permetterebbero a Nadia di fare da esca, figuriamoci! Il dio dell'inganno sa che non c'è altra scelta eppure nessun tradimento lo ha mai turbato tanto. Ma il turbamento non basta a farlo desistere. Dovrebbe essere contento di constatare che non è cambiato niente, che è il dio dell'inganno e che nulla può cambiare la sua natura, ma non prova alcun compiacimento nel prendere atto di questa cosa.
Solo che, per quello che riguarda la ragazza, gli sarebbe piaciuto avere più tempo prima di correre il rischio di perdere il suo affetto, avere l'occasione di riuscire pian piano a portarla dalla sua parte, a sottrarla all'influenza degli Avengers. Ma ormai non c'è più tempo e lei è in pericolo fin da quando è cominciata quella storia.   
Loki sa che la trappola escogitata da Tony Stark non avrà successo perché ha capito quello che gli Avengers e lo S.H.I.E.L.D. sono troppo ciechi per vedere. Si aspettava che Thor ci arrivasse, per un attimo aveva sottostimato la mancanza di cervello del figlio di Odino, per un attimo aveva pensato che, venendo da Asgard, Thor fosse in grado di cogliere certi segnali, ma nemmeno lui è riuscito a mettere insieme i pezzi.
Loki invece sa, è il solo a sapere. Ancora una volta la conoscenza si è rivelata la miglior carta da giocare, un'arma che lo pone al di sopra della forza e del potere che tutti gli altri credono di avere.
Lui ha sempre saputo. Ha cominciato a nutrire dei sospetti fin da quando hanno capito che i nemici avevano ricostruito gli strumenti di Asgard; durante il sopralluogo in quel magazzino i suoi sospetti sono diventati certezze. La conferma l'ha avuta quella sera, alla festa di Stark, è stato lì che ha capito cosa il nemico è riuscito ad architettare, fin dove è stato in grado di giungere. Il piano però lo ha architettato solo qualche minuto prima, e ora la sua mente lo contempla come un'opera d'arte, alla ricerca di ogni possibile sbavatura, di qualsiasi imperfezione.
L'indomani Loki parteciperà alla riunione con Fury e gli Avengers e starà a sentire le loro vane macchinazioni. E poi lascerà che le cose seguano il loro corso. Tremendamente semplice.
Eppure nessun sorriso gli sale alle labbra, mentre se ne sta seduto immobile nella penombra della camera da letto.
Nadia esce dalla doccia con i capelli bagnati che le gocciolano sulle spalle e si ferma a guardarlo.
In un battito di ciglia, il dio dell'inganno si toglie dalla faccia quell'espressione perplessa. Quando solleva lo sguardo sulla ragazza, sente la tenerezza colpirlo al petto come una stilettata. Può deluderla e tradirla, può riuscire ad accettare l'idea di metterla in pericolo, ma in quel momento si sente soccombere.
L'ha già ingannata, in passato, le ha già raccontato menzogne, non le ha mai nascosto l'odio che prova per persone che lei invece ama; e lei ha visto i segni della distruzione che il suo passaggio ha lasciato in quella città, ha visto il suo vero volto in quel magazzino di Boston e mai, neppure una volta, lei ha provato a rifiutarlo. La famiglia che lo ha allevato, il suo padre naturale, gli individui con i quali è cresciuto, coloro che credeva essere la sua gente, non sono mai stati in grado di fare altrettanto.
Le cinge i fianchi con un braccio e l'attira a sé.
Solo un folle rischierebbe di perdere quello che c'è negli occhi di Nadia in quel momento. E a quanto pare tutti i Nove Regni convengono sulla mancanza di senno. E lui si sente un perfetto idiota perché non riesce ad arginare le emozioni che gli stanno facendo accelerare il battito.
Dunque è questa la paura?
«Loki, tutto bene?» chiede Nadia. Oh, dannazione, perché deve essere sempre così brava a leggergli nella testa?
La bacia perché lei non possa vederlo negli occhi, perché non possa aggiungere altro. La bacia perché averla gli costa quasi più che rischiare di perderla.
Quando si stende sopra di lei, per un attimo, l'unico pensiero che riesce a formulare è che è sempre stato un pessimo perdente.
Perché rischiare? Potrebbe dire la verità per una volta, mostrare a quegli stolti degli Avengers tutti gli indizi che non hanno colto, trovare un'altra soluzione. Scegliere da che parte stare, per una volta, scegliere una parte che non sia solo la parte di Loki.
No, non può. Perché lui è il dio degli inganni, e gli dei sono fatti per resistere al cambiamento, a qualsiasi tipo di cambiamento. Resistono al tempo, guardano le stelle nascere e morire. Loro sono fatti per l'eternità e l'eternità è fatta di soli che si accendono e si spengono fino a scomparire nell'oblio.
Mentre Loki si spinge dentro di lei, pensa che non per forza il buio può far dimenticare le luci, che quella luce di certo brillerà dietro le sue palpebre chiuse per molto, moltissimo tempo.

*

«Dunque è questo il piano? Usiamo i reattori Arc di Stark come esca?» riassume brevemente Bruce, giocherellando con gli occhiali.
Steve ha fatto notare che a lui sembra decisamente troppo semplice, ma viene da un'epoca in cui le cose semplici funzionavano a meraviglia e quindi non ha insistito, magari non gli sembra il caso di minare quel poco di speranza che si è riaccesa ora, davanti alla prospettiva di fare qualcosa di costruttivo.
Nadia guarda Loki. Il dio non dice niente; evidentemente, quali che siano le sue teorie, nemmeno lui vuole demoralizzarli, magari pensa che vale sempre la pena di fare un tentativo o semplicemente non ha voglia di mettersi a discutere con Tony, che comunque non gli presterebbero ascolto, come ha detto la sera prima.
Nell'ultima settimana l'ostilità che i Vendicatori provano per Loki è cresciuta. A lui non importa, lei sa che era inevitabile, eppure cerca di non pensarci troppo, sa di non avere il coraggio di affrontare quel pensiero.
«Esattamente. Possiamo senz'altro mettere in piedi un sistema di sicurezza più che efficace» conferma Fury. Lui sembra convinto, se non della riuscita della cosa, quanto meno del fatto che l'idea di base non sia del tutto da buttare via.  
«Come quello che avevate messo in piedi per il Tesseract?» mormora Loki con un ghigno, aggiudicandosi un'occhiata astiosa da parte di Clint finalmente tornato sano, salvo e operativo.
«Voglio pensarci io» esclama Thor, battendo il pugno sul tavolo con un entusiasmo di cui nessuno sentiva il bisogno. «Voglio esserci io a fare la guardia alla luce magica di Tony Stark».
«Troveremo senz'altro il modo di farti rendere utile» gli concede Fury.
«Basta che non rompi niente, eh Boccoli d'oro».
Thor scuote la testa,
«No, voglio solo esserci quando quei vigliacchi avranno finalmente il fegato di mostrarsi» aggiunge. «Voglio sentire cosa avranno da recriminarmi».
D'accordo, adesso il dio biondo si sta scaldando e quando è su di giri riesce a essere più impressionante di Hulk.
Povero Thor, tutta questa storia lo sta davvero sfibrando. Nadia vorrebbe trovare il modo di parlargli a quattr'occhi, è da quando Loki le ha detto di sospettare che il dio del tuono stia complottando qualcosa con Fury e Odino che non riesce a togliersi il pensiero dalla testa. Non riesce a credere che Thor permetta che qualcuno complotti alle spalle di Loki perché lui ha sempre nutrito altre speranze, ha sempre creduto nel cercare una soluzione per ricondurre il fratello alla ragione.
«Entro quanto i reattori possono essere qui?» domanda Natasha.
«Anche domani» risponde Fury. «Quindi abbiamo ventiquattro ore per organizzarci».
Hanno concordato che i reattori torneranno tutti alle Stark Industries di New York, ogni cosa tornerà come era prima, e lo S.H.I.E.L.D. produrrà una documentazione ufficiale secondo la quale i rettori erano stati mandati in un'altra sede delle Stark Industries per dei collaudi. Deve sembrare tutto al di là di qualsiasi sospetto, una cosa normale che non abbia puzza di bruciato.
Devono riuscire a incastrare quei brutti bastardi che hanno fatto esplodere il magazzino, e ucciso due agenti, e ferito Clint, e fatto rischiare le penne a tutti loro!
Ripetono un'altra volta tutto il piano, esaminano i dettagli, cercano falle che non ci sono.
Alla fine è tardo pomeriggio quando Fury afferra una ricetrasmittente e si mette a gracchiare ordini, lasciando intendere che per ora loro lì hanno finito, la seduta è sciolta.
Tony sta parlando ad alta voce di andare tutti insieme a cena fuori quella sera. L'idea non è malvagia, considerando che da domani avranno tutti molto lavoro da fare.
Nadia si dirige verso un distributore automatico di bibite per prendere una lattina di coca-cola, l'unica fonte di caffeina presente nel Nuovo Mondo che non le sembri acqua sporca. Ha dormito poco quella notte, si sentiva stranamente agitata e anche quando riusciva a prendere sonno ci pensava Loki a svegliarla.
Loki. Se andasse a raccontare agli Avengers che il dio dell'inganno ha un lato goffamente tenero probabilmente non le crederebbero. Probabilmente non ce l'ha davvero, è solo quello che lei vuole vedere...
E la lattina naturalmente si va a incastrare nelle rientranza prima di cadere nel carrello. Ovvio.
Nadia sbuffa e tira un colpetto al distributore, la lattina si inclina leggermente ma resta sulla rientranza. La ragazza sta giusto pensando di rinunciarci quando sente il tonfo sordo di un pugno contro la parete metallica della macchina.
La lattina cade dalle rientranza e dai carrelli saltano giù anche una bottiglia di aranciata e un succo di frutta.
«Grazie, Thor...» mormora lei, ancora un po' scioccata per il colpo.
Il dio del tuono la guarda in viso e sospira.
«Tu non dovresti essere qui, dovresti essere fuori, con Jane e Pepper, a divertirti come una giovane della tua età» le dice, dispiaciuto come le stesse porgendo delle condoglianze.
«Non angustiarti, Thor. Sono certa che Jane e Pepper si stiano divertendo moltissimo, ma a me non dispiace stare qui»
«Come... come sta Loki?».
Oh, era questo che voleva sapere? Ci voleva tanto a chiedere?
Nadia sorride e batte una mano sulla spalla di Thor. La verità è che Loki sta come sempre, ma non c'è bisogno per forza di farlo presente.
«Lui e Tony riescono a vivere a pochi metri di distanza e il palazzo non è ancora crollato» risponde la ragazza, strizzando l'occhio al dio del tuono. Ok, Tony non ha mai avuto occasione di verificare la presenza di Loki al piano di sotto, ma questo è un dettaglio che non occorre menzionare.
«E tu sei felice?».
A Nadia per poco non scappa la lattina di coca-cola da mano, e sarebbe un peccato visto che Thor ha quasi smantellato il distributore automatico per fargliela avere.
«Diciamo che non mi va di essere pessimista» conclude lei, scoccando un'occhiata eloquente al suo interlocutore, come a chiedergli di non insistere.
«Ehi, biondi, voi due venite?» si intromette Tony, spazzando via le nuvole che quella conversazione stava facendo spuntare all'orizzonte.
«Dove?»
«In giro, poi stasera shawarma per tutti, in onore dei vecchi tempi. Immagino che Thor non abbia ancora visitato la nostra città piena di risorse».

E Loki naturalmente è scomparso. È sparito per tutta il pomeriggio e tutta la sera.
Nadia non pensa sia il caso di fargliene una colpa. Chiedergli di andarsene a zonzo con gli Avengers e poi a mangiare lo stesso shawarma che fu consumato in occasione della sua sconfitta è decisamente troppo.
Mentre l'ascensore riporta lei e Tony verso l'attico della Stark Tower, Nadia si chiede se verrà mai il giorno in cui i rapporti tra Loki e i Vendicatori potranno essere quanto meno normali. Poi si rende subito conto che è una domanda sciocca e si stringe al braccio di Tony, posandogli la testa sulla spalla.
Tony che ha mostrato il rispetto e la delicatezza degli uomini grandi, non intromettendosi oltre nella faccenda tra lei e Loki.
Tony che ora le cinge le spalle con un braccio e le posa un bacio in mezzo ai capelli.
«Comunque, è dura sapere che non sono più l'unico uomo della tua vita, Colombina» le mormora lui. È arrabbiato, come tutti, per quella faccenda, magari non arrabbiati con lei, ma di certo non si può chiedere loro di essere sereni rispetto a quello che è successo.
«Sei il solito presuntuoso! Non sei mai stato l'unico uomo della mia vita, signor Stark, ci sono anche Steve, Bruce, Clint e Thor» replica lei con una smorfia divertita.
«Può essere, ma ti ho vista prima io!».
Veramente, se proprio vogliamo essere pignoli, Loki mi aveva vista anche prima.
Ridacchiano e l'ascensore si ferma all'ultimo piano. Nadia segue Tony che entra in casa chiamando Pepper. Nessuno risponde.
«Sarà ancora in giro» osserva la ragazza, stringendosi nelle spalle.
«Da stamattina? Strano, dopo pranzo mi ha mandato un sms in cui mi diceva che lei e Jane stavano per tornare a casa». Tony si versa un bicchiere di spremuta d'arancia e cerca con lo sguardo qualche biglietto o qualche messaggio di Pepper.
«Si saranno fermate a chiacchierare da Jane, immagino che due donne che hanno in comune l'avere un supereroe per fidanzato abbiano un sacco di cose da dirsi» suggerisce Nadia.
«Può essere. Jarvis, la signorina Potts è rientrata e poi uscita di nuovo, per caso?»
«No, signore. Non è rientrata da stamattina, né si è messa in comunicazione con me» risponde il robot.
«D'accordo. Chiamala sul cellulare».
Nel vuoto del grande attico risuonano gli squilli a vuoto del cellulare che l'impianto acustico manda in viva voce. Dopo il decimo squillo Tony comincia ad assumere una faccia preoccupata.
Nadia si sente un po' contagiare dalla sua ansia, ma continua a ripetersi che non può essere successo niente, che c'è senz'altro una buona ragione per cui Pepper non è in casa.
«Jarvis, chiama a casa della dottoressa Foster» esclama la ragazza. Certo Pepper sarà lì.
A casa di Jane il telefono squilla numerose volte prima che arrivi una risposta.
«SI? SI, QUI E' L'ABITAZIONE DI JANE FOSTER!». La voce di Thor tuona dall'altro lato della cornetta.
«Santo cielo, Thor! Non urlare» borbotta Nadia.
«Scusa, è che non so bene come funziona questo vostro mezzo di comunicazione...»
«Ehi, ehm... Boccoli d'oro, per caso Pepper è lì con te e Jane?» domanda Tony.
«No, a dire il vero nemmeno Jane è qui. Pensavo che si trovassero entrambe da te».
La ragazza batte una mano sul braccio del padrone di casa, sta per dirgli qualcosa ma il suo cellulare squilla: è Mike. Se lo era dimenticato, di nuovo. Il ragazzo è giù che l'aspetta, erano d'accordo che si sarebbero visti quella sera, dopo cena.
«Non preoccuparti» dice Tony – ma non sembra molto convinto. «Non... sono certo che non è successo niente di grave, provo a rintracciare il segnale gps del cellulare di Pepper, forse lei e Jane si sono solo fermate da qualche parte e hanno perso la cognizione del tempo».
Nadia si sente raggelare. Se così fosse Pepper avrebbe avvisato, sa bene quanto Tony sia paranoico, specie con un pericolo mondiale dietro l'angolo. D'accordo, forse le si è scaricato il cellulare... ma anche Jane non è rientrata, e avrebbero potuto avvisare con il cellulare di Jane. Ok, è probabile che Jane abbia dimenticato il suo telefonino da qualche parte. Ci sono un sacco di spiegazioni che non sono drammatiche e non c'è nessun bisogno di allarmarsi.
Nadia dà un bacio sulla guancia a Tony, gli raccomanda di farle sapere qualcosa appena riesce e scappa via, verso l'ascensore.
Mike è nella sua macchina, con le mani appoggiate al volante. La ragazza lo guarda da lontano e si sente sprofondare. Avrebbe voluto incontrarlo in un momento più calmo, senza avere per la testa preoccupazioni per Pepper e Jane e Loki e la fine del mondo...
«Ehi, ciao» lui la saluta con il suo solito sorriso smagliante, solo leggermente più freddo, poi si tende ad aprirle la portiera.
Proprio non le va di salire e di allontanarsi dalla Stark Tower. Se dovesse succedere qualcosa... santi numi! C'è Tony da solo preoccupato a morte per la sua donna e l'unico essere vivente e pensante in tutto l'edificio è Loki al piano di sotto.
Ma non può dire di no a Mike, proprio non può.
«Ciao Mike» esclama salendo. «Sono contenta di vederti»
«Anche io» risponde lui, mettendo in moto.
«Come stai?»
«Bene. Ho saputo che tornano i reattori Arc alle Stark Industries, l'ho trovata una notizia interessante»
«Sì, immagino... ehm, dove pensi di andare?»
«In un posto in cui si trovi un bar o un pub che non sia affollato. Perché, hai problemi di orario?».
Nadia vorrebbe dare testate contro il cruscotto ma si accontenta di tormentare con le mani sudate la cintura di sicurezza che le preme contro il petto. Fa un cenno negativo con la testa.
«Mi fa piacere che tu mi abbia chiesto di vederci, mi dispiace se sono sparita e immagino che non ne puoi più di tutte le mie scuse, e...».
Il ragazzo fa una mezza risatina,
«No. Come ti ho già detto, trovo che tu sia da ammirare. Non è da tutti reggere la pressione che devi aver retto tu, sai, Stark, gli Avengers e tutto il resto...».
Così è umiliante però. Se almeno lui si arrabbiasse o si mostrasse un pochino risentito...
«Oh, ti prego. Hai tutto il diritto di essere arrabbiato» borbotta la ragazza.
Mike non sembra sentirla, svolta ad un semaforo e continua a guardare la strada. Ok, forse quello è il suo modo di arrabbiarsi.
Nadia sospira pesantemente e cerca disperatamente qualche argomento di conversazione.
«Come sta il tuo amico straniero, quello che ho incontrato al party?» domanda Mike all'improvviso. Lei si sente avvampare: il ragazzo è sempre stato intelligente e probabilmente ha capito già tutto. La voglia di prendere a testate il cruscotto si fa sempre più forte, ma la voglia di controllare il cellulare per vedere se Tony ha saputo qualcosa resta la tentazione predominante.
«Sta... ehm... sta bene...» si ritrova a farfugliare, come una stupida.
«Non mi hai detto da dove viene».
Nadia ha un attimo di vuoto nella testa e si rende conto che formulare una risposta menzognera su due piedi è più difficile di quanto pensasse.
«Europa... Nord Europa» butta fuori dopo qualche istante di stupido silenzio.
Mike arriccia le labbra. «Davvero? Avrei detto molto più a nord».
«Avresti detto l'Artico? Sì, sembra un po' un ghiacciolo, è proprio il suo stile»
«Avrei detto Asgard».
Cosa?
Il cuore di Nadia ha un battito fortissimo e doloroso. Stringe le dita attorno alla cintura e quasi si conficca le unghie nei palmi.
«Mike?... Come hai detto?» dice, la voce che le esce in un unico sussurro spezzato.
«Loki di Asgard, non si può non riconoscerlo, anche se non lo avevo mai incontrato prima di quel party» risponde il ragazzo con un sorrisetto che non somiglia a nessuna delle espressioni che Nadia è abituata a vedergli in viso. «Da come ne avevo sentito parlare lo credevo molto più temibile. O forse sei tu che sei riuscita a domarlo?».
Mike. No, non può essere...
«Chi sei?» sibila Nadia. L'idea di essere stata ingannata per tutto quel tempo, l'idea di aver aperto il suo cuore a qualcuno che non è chi lei credeva le brucia dentro come se ogni respiro fosse fatto di gas venefico invece che di aria.
«Saprai ogni cosa, appena saremo arrivati» conclude il ragazzo.
Lei si volta a guardare dal finestrino. La macchina corre troppo veloce per pensare di scendere mentre è in corsa, ma può provare a farla fermare.
In un gesto di disperazione, si getta addosso al conducente e tenta di strappargli il volante di mano. L'auto sterza violentemente, ma Mike o chiunque egli sia è forte e veloce, le afferra i polsi con una sola mano e la blocca, poi ferma precipitosamente la macchina che si arresta con un sonoro stridore di gomme sull'asfalto.  
Il ragazzo continua a tenerle i polsi con una sola mano, con l'altra tira fuori qualcosa dalla tasca. Nadia non riesce a vedere bene nella penombra, ma è una questione di attimi: qualcosa le punge il collo e l'ultima cosa che sente sono le vene ai polsi picchiare forte nella stretta del ragazzo. Sente le pulsazioni rallentare pian piano, con lo stesso ritmo con cui tutto diventa confuso e offuscato.
Vi troveranno... vi troveranno e ve la faranno pagare... e Loki ti ucciderà...
Loki... Loki.
Quel nome le rimbalza nella mente in piccoli lampi di luce sempre più fioca. Poi anche quello si spegne e resta solo il buio.
 
   


___________________________________________


Note:
[*] = Non chiedetemi perché Loki legge Lovecraft, non c'è un motivo... immagino che si fosse fissato con il libro da quando lo aveva visto in libreria qualche capitolo fa. Immagino che a uno come lui quel genere di storie dell'orrore piaccia molto e la citazione (l'incipit del racconto Il richiamo di Cthulhu) mi sembrava molto azzeccata, soprattutto in relazione a quello che viene dopo.
Ad ogni modo, questo capitolo ha rischiato di essere la mia morte, ma Loki DOVEVA restare Loki, machiavellico e calcolatore malgrado tutto.
Per quel che riguarda il finale... LOKIII'D! ehehe, immagino che qualcuno abbia sospettato. Del resto il fatto che non ci fossero mai stati paragrafi secondo il POV di Mike era già di per sé una cosa sospetta.

Il titolo del capitolo è un po' improprio, tecnicamente significa “alto tradimento”, inteso proprio come oltraggio grave a un'autorità. L'ho scelto perché mi piaceva come il termine rendesse l'idea del profondo tradimento a Nadia, sia da parte di Loki (forse il suo POV è un po' contorto, ma non potevo spiegare tutto in maniera troppo diretta, e in ogni caso sarà ripreso nei prossimi capitoli) che da parte di Mike.

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. :)

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Capitolo 22
*** Once upon a time ***


Capitolo ventunesimo
Once upon a time


Quando riapre gli occhi, il buio è ancora lì.
Nadia deve sbattere le palpebre più volte per distinguere i rettangoli illuminati di alte finestre dai vetri opachi, il contorno grigio di pareti di lamiera e resti di macchinari mangiati dalla ruggine.
La testa le fa male e ha un violento senso di nausea. È seduta su una sedia e il capo le ciondola all'indietro, oltre la spalliera imbottita, non riesce a tenere il collo diritto; è come se dentro la sua scatola cranica avessero messo una colata di cemento che si sta solidificando.
Prova a parlare ma le esce solo un rantolo, agita gambe e braccia ma anche queste sono pesanti. E comunque, deve avere un polso e una caviglia ammanettati alla sedia.
Plic... plic... il rumore ritmico di una goccia che cade le fa eco nella testa. Plic... plic...
Lo sgocciolio è tutto quello che resta quando il buio torna di nuovo a soffocarla.
Plic... plic... sono scese cento, mille gocce e ora il buio comincia a diradarsi. L'aria odora di polvere e petrolio e le secca la gola.
Ora vede qualcosa muoversi davanti ai suoi occhi offuscati.
Il suo ultimo ricordo riaffiora piano piano dalla nebbia. È il nome di Loki che galleggiava in mezzo al buio. È la faccia di Loki quella china su di lei? Sì, sembra proprio la sua, così affilata e pallida. Ma la voce che la chiama non è quella del dio dell'inganno. La voce si attacca alla faccia e la trasforma, e quando finalmente Nadia riesce a mettere a fuoco è il volto di Mike che vede chino su di lei. Mike che le sta dando dei piccoli colpetti sulle guance per farla rinvenire.
Nadia prende un grande respiro, sente male al torace quando i polmoni si allargano per prendere aria, ma non importa, respirare l'aiuta a mandare via la nebbia.
Plic... plic... lo sgocciolio continua in lontananza.
«Ben svegliata» dice il ragazzo.
Il primo impulso che ha è quello di sputare su quel suo bel visetto da collegiale, ma si trattiene.
«Tu sei con loro, con quelli che vogliono distruggere la Terra» sibila furiosa, strattonando le manette. L'acciaio le taglia il polso.
«Sì. Pensavo sarebbe stato molto più difficile riuscire a nascondertelo» afferma lui con un sorriso. «Ma eri così presa dalle tue miserie che non avresti riconosciuto il diavolo nemmeno se si fosse presentato con le corna e tutto il resto».
È anche mordace. Dannato bastardo...
«Ce l'hai un capo? Sì che ce l'hai, non credo abbiano mandato un pezzo grosso a fare il lavoro sporco di abbindolare la sciocca ragazzina, eh Mike? Voglio parlare con quelli che comandano» sbotta Nadia.
Perché l'hanno rapita? Sperano di usarla come ostaggio per tenere buoni gli Avengers? Non funzionerà mai, Fury non metterebbe a rischio l'intero pianeta per salvare lei – e avrebbe tutta la sua comprensione. Sperano di usarla per ricattarli in qualche modo? Beh, loro hanno salvato il mondo intero, di certo riusciranno a salvare lei! Devono solo trovarla. Solo trovarla. Ma non hanno trovato la banda di bastardi che sta complottando contro la Terra, quante probabilità ci sono che trovino lei?
Nadia deglutisce e cerca di imporsi di mantenere la calma, non è il momento di farsi prendere dalla disperazione, non ancora, almeno...
«Voglio sapere cosa volete da me!» esclama, alzando la voce.
«Voglio, voglio, voglio... accidenti, Stark ti ha viziata per bene».
La ragazza sente l'umiliazione scorrerle fino allo stomaco, trasformarsi in un groppo di bile amara che le risale lungo la gola. Non poteva sospettare di Mike, forse, ma si sente comunque un'idiota.
«Prima o poi dovrete dirmelo. E qualsiasi cosa vogliate non l'avrete» dice.
«Coraggiosa e sciocca. Esattamente come ho sempre pensato» sospira il ragazzo. «Sia chiaro, quello che ti dicevo era vero, vai ammirata per quanto sei folle, ma la cosa più interessante di te non è una delle tue doti caratteriali, ragazza mia».
Nadia sente le lacrime salirle agli occhi. È vero, qualsiasi cosa vogliano da lei non l'avranno, dovranno ucciderla. E lei sa che la sua morte ora sarebbe molto più utile della sua vita, se non ci fosse lei, loro non avrebbero niente in mano per arrivare agli Avengers.
Ma non vuole morire e sa che presto dovrà decidere quale margine di compromesso accettare per salvaguardarsi. È nella sua natura di essere umano. Forse è questo quello che intende Loki quando dice che gli umani sono deboli e gretti?
Strattona di nuovo la manetta, facendosi ancora più male. Non le importa, quel mix di rabbia e paura non la fa ragionare, e comunque ragionare non serve a niente finché non sa cosa vogliono da lei, in che modo pensano di usarla.
Mike si china su di lei, la scruta in viso come a cercare qualcosa in fondo ai suoi occhi.
«Dunque, facciamo così: io adesso ti tolgo queste manette, ma tu non farai niente di stupido, d'accordo?» propone. «Non serve scappare e sono certo che non ti conviene farlo».
«Sei un po' troppo sicuro di te» replica Nadia, ma alla fine china il capo in un gesto di resa. Alzarsi da quella sedia sarebbe comunque utile e poter interagire con chicchessia senza avere mani e piedi legati potrebbe persino sembrare un po' meno umiliante.
Lui fa un sorrisetto sardonico e si china a liberarle la caviglia. La ragazza scatta come una molla e gli sferra un calcio in pieno viso, sente qualcosa spezzarsi nell'impatto. Clint e Natasha sarebbero fieri di lei!
Questo è per avermi presa per il culo per tutto questo tempo!
Si rende conto quasi subito di aver fatto una cosa stupida, ma si sente meglio; prova persino una certa compiaciuta soddisfazione quando il ragazzo si rialza tamponandosi il naso, con un rivolo di sangue che gli scorre tra le dita.
«Maledetta idiota!» ringhia lui, il viso contratto dal dolore.
«Pensavo apprezzassi la mia intraprendenza» lo provoca Nadia. Sta esagerando, ora sicuramente le faranno del male, ma se pensavano che si sarebbe arresa e fatta manovrare come una bambola si sbagliavano.
Mike le si avvicina e con la mano con cui non si sta tamponando il sangue che cola dal naso le afferra il collo.
«Neanche immagini che enorme sbaglio hai fatto, ragazzina» sibila.
«Basta così!».
Una voce imperiosa fa eco nel capannone. Mike ha un sussulto e ritrae immediatamente la mano. Nadia strizza gli occhi per mettere a fuoco la figura che si sta avvicinando dal fondo del grande spazio semivuoto. Conosce quella voce, l'ha già sentita.
E solo in quel momento nota altri uomini, accanto alle pareti.
«Signorina Berton, mi rincresce per il modo un po' rocambolesco con il quale l'abbiamo portata fino qui».
Nadia è troppo stupita per mandare al diavolo l'uomo e il suo tono da gentleman. Norman Hope è in piedi davanti a lei e la guarda con un sorriso cordiale, lo stesso che aveva la prima volta che si erano incontrati.
Mike, Hope... dunque erano accerchiati su tutti i fronti, dunque Tony aveva ragione: c'era una spia, qualcuno che faceva il doppio gioco. Ed è stata proprio lei a fornire alla spia le informazioni che servivano, tutte le volte che aveva parlato con Mike degli Avengers, tutte le volte che gli aveva raccontato qualcosa di suo. È contenta di non avergli detto tutto, ma il ragazzo ne sa comunque abbastanza e lei si sente come affondare in un deserto di sabbie mobili.
Hope si china su di lei e le toglie la manetta che le blocca il polso al bracciolo della sedia. Nadia scatta in piedi e si allontana indietreggiando: la grandezza della tela di inganno che quell'uomo deve aver tessuto la terrorizza.
«Non si agiti, Nadia» mormora Hope con voce pacata. «Nessuno vuole farle del male, anche se le suggerisco di adottare una condotta meno irruenta» aggiunge lanciando un'occhiata al naso di Mike, coperto di sangue.
La ragazza prende qualche lungo respiro. Se Hope è, come ha avuto modo di capire, il capo di quell'operazione e se è così bendisposto nei suoi confronti, tanto vale approfittarne.
«D'accordo» dice con quanta più tranquillità riesce a racimolare. «Immagino che ora lei voglia darmi qualche spiegazione»
«Certo, direi che le spiegazioni sono assolutamente necessarie» conviene Hope con un sorriso lezioso che lo fa sembrare uno di quei politicanti da quattro soldi in piena campagna elettorale.
Dio, quanto vorrebbe farglielo sparire a suon di pugni, quel suo ghigno da finto uomo per bene.
Come se lui le avesse letto nel pensiero, cambia subito espressione e si fa serio. Norman Hope, o quale che sia il suo vero nome, alza l'indice in segno di monito.
«Ma, sia chiaro, Nadia, durante la nostra chiacchierata mi aspetto che lei si comporti come si conviene a una fanciulla beneducata e non mi faccia dispiacere» conclude.
La ragazza lo guarda stranita per un attimo. Le è sempre parso un tipo un po' sciroccato in effetti...
Sta cercando un modo di rispondergli a tono, ma lui fa un cenno con la mano. Nadia sente dei passi provenire dall'alto, dove c'è un soppalco rialzato con un parapetto di alluminio; alza lo sguardo e le si gela il sangue nelle vene.
Quattro uomini spingono due figure verso la ringhiera. Nadia non ha bisogno di vederle in viso per capire, anzi, vorrebbe non vedere affatto.
«Nadia!». Pepper e Jane urlano il suo nome nello stesso istante. La ragazza le guarda smarrita e deglutisce, incapace anche solo di muoversi. Il terrore la paralizza quando due degli uomini puntano le lame di strani pugnali alle gole delle prigioniere.
Nadia fa un passo verso il soppalco, si costringe a sopportare la vista di Jane e Pepper con le mani legate e i pugnali premuti contro il collo: vuole vedere se sono ferite, assicurarsi che stiano bene.
Poi un pensiero la trafigge come uno sparo. Se avevano già Jane e Pepper, allora non hanno preso lei perché vogliono fare pressione sugli Avengers o per usarla come ostaggio; se hanno preso anche lei è perché da lei vogliono qualcosa ed è lei quella che deve essere costretta.
«Nadia, non devi preoccuparti, ok?» esclama Pepper. «Qualsiasi cosa vogliono, non devono ottenerla».
Le due donne vengono trascinate via. Nadia si tende in avanti, allunga una mano in un gesto automatico, come a cercare di afferrarle, trattenerle, ma loro sono già sparite in fondo al soppalco.
«Bene, ora immagino di avere la sua totale attenzione, signorina Berton» conclude Hope, ritrovando il suo sorriso lezioso.

*

È notte fonda, ma potrebbe essere anche mattino inoltrato o qualsiasi altro momento della giornata. Non importa, la casa di Stark è illuminata a giorno e loro sono tutti raccolti nel grande salone.
Steve passa in rassegna le facce dei presenti.
Thor ha lasciato a casa i suoi vestiti da comune mortale e adesso le luci si riflettono sulle placche argentate della sua armatura, il mantello rosso ondeggia sulle sue spalle mentre misura a passi furiosi la stanza. Ha proprio l'aria di uno che raderebbe al suolo la città per scoprire dove sia finita la sua Jane.
Stark è ammutolito, per la prima volta da quando lo conosce, e sinceramente avrebbe preferito non vederlo mai con quella faccia sconvolta e preoccupata.
L'agente Romanoff è china su un piccolo computer che ha portato con sé, gli occhi arrossati dal guardare insistentemente lo schermo luminoso. Lo hanno usato per rintracciare i cellulari, li hanno trovati, ma le loro proprietarie non c'erano e adesso lei sta cercando di avere un tracciato dei loro movimenti per risalire a qualche possibile indizio su dove siano sparite.
Barton si agita, cambiando continuamente posto a sedere.
Bruce Banner è in piedi, appoggiato al bancone del bar domestico e mordicchia la stecca degli occhiali. È un miracolo che sia ancora se stesso e non Hulk.
Loki tiene le spalle voltate a tutti loro, se ne sta in piedi davanti alla vetrata, le braccia incrociate sul petto a guardare la città. Di certo è preoccupato, se non altro per Nadia, ma è bravissimo a non darlo a vedere.
Steve si stropiccia il viso con la mano. «Dunque, ricapitoliamo, cosa possiamo fare?». La domanda è sciocca e suona irritante, se ne rendo conto, ma proprio non sopporta più quel silenzio saturo di angoscia.
«Cercare di capire» risponde Bruce, scuotendo la testa.
«Non c'è niente da capire, dottore. Abbiamo sbagliato tutto» lo rimbecca Stark.
Barton si alza in piedi e sospira pesantemente. «No, ci deve essere sfuggito qualcosa» borbotta. «Nei miei primi anni allo S.H.I.E.L.D. mi occupavo di rapimenti e del recupero di ostaggi, so come funzionano certe cose e qui c'è qualcosa che non quadra».
Ecco, l'ha detto. Ha usato la parola ''ostaggi'', quella che nessuno ha avuto ancora il coraggio di pronunciare. Dovrebbe essere chiaro come il sole che Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster sono state rapite, ma fino a quel momento nessuno era riuscito a dirlo.
Steve è un soldato, sa quanto costano le sconfitte e le perdite. Sa quanto costano certe parole, come pesava la mano del colonnello Phillips quando dove scrivere ''deceduto'' sulle lettere di condoglianze per le famiglie dei suoi uomini. E ora si rende perfettamente conto della gravità della cosa: gli eroi che salvano il mondo non riescono a tenere al sicuro tre persone che stanno loro a cuore. Non avevano mai neppure pensato al pericolo che correvano e l'idea che Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster ora siano in pericolo perché connesse a loro è un chiodo che batte dolorosamente nelle loro teste.
«C'è qualcosa che non quadra» continua Barton. «Perché tutte e tre? È troppo complicato e troppo pericoloso rapire tre persone in due momenti diversi, e comunque è eccessivo. È chiaro che questi bastardi ci hanno spiato, ci conoscono, sanno quali sono i nostri punti deboli. Non ha senso prendere prima Jane e Pepper e poi scomodarsi a prendere anche Nadia»
«Sì, ne sarebbe bastata una. Molto romantico come discorso» borbotta Banner.
«Beh, a rigor di logica è così» interloquisce la Romanoff.
«Dunque è questa la nostra tesi? Che le abbiano prese loro, gli invasori nascosti o come accidenti li vogliamo chiamare?» sospira Stark.
«Non c'è altra spiegazione per come sono andate le cose» osserva Steve. È angosciante lavorare solo sulla base di ipotesi e sospetti.
«Siamo degli idioti!» esclama Banner dal fondo della sala. Si passa le mani sulla testa tormentandosi i capelli e dondola il capo. «Siamo degli idioti!».
«Ripeterlo è molto confortante» sbotta Barton, sbuffando.
«Non avete capito?» il Dottore passa tutti loro in rassegna con lo sguardo. «Nadia è sparita dopo essere uscita a incontrare Mike, il ragazzo che ora è irreperibile. Stark ce ne ha parlato, da quando il ragazzo ronzava attorno a lei? Da sempre... era una spia...»
«Sì, questo lo avevamo già dedotto tutti» replica la Romanoff. «O è una spia, o i rapitori hanno preso anche lui».
Steve intercetta lo sguardo di Tony Stark: è angosciato e si sente tremendamente colpevole, perché è stato lui a incoraggiare il rapporto tra Nadia e Mike, perché lui ha avuto sotto il naso il ragazzo per tutto il tempo e non si è accorto di niente.
«Sì, sì, è una spia, ma non è questo il punto. Mike è stato tanto tempo a contatto con i rettori Arc, che noi presumevamo essere la fonte di energia a cui gli invasori ambivano, giusto?» continua Banner, gesticolando come se stesse tenendo una lezione a una classe di scolaretti. «Potevano fare qualcosa per prenderli molto tempo prima, prima che arrivasse Loki e ci avvertisse del pericolo, ma non l'hanno fatto. E intanto Mike si è avvicinato a Nadia. Non capite?».
«Io in genere capisco molte cose, dottore... ma adesso gradirei un discorso un po' più lineare, se non ti spiace» bercia Stark.
Steve ha un sussulto. Sì, lui capisce, ora è tutto dannatamente chiaro.
«Mio Dio. Siamo stati così ciechi!» esclama, battendosi una mano sulla coscia. «Hanno riprodotto i marchingegni asgardiani che necessitano della giusta fonte di energia per continuare a funzionare. Una fonte di energia che non può essere terrestre...».
Thor smette di camminare avanti e indietro, si blocca e getta uno sguardo spiazzato su tutti loro.
«Come ho potuto non pensarci...» mormora. «Quando nel magazzino di Boston il martello ha fatto reazione avvicinandosi alla copia del Bifrost...».
Già, le armi costruite dal nemico non necessitano di una fonte di energia presente sulla terra. Sono copie dei manufatti asgardiani e necessitano della forza di Asgard. E sulla Terra c'è una sola fonte di energia asgardiana: la pietra del bracciale di Nadia.
«Meglio tardi che mai» mormora Loki. Si volta con un'espressione spazientita in viso e li guarda scuotendo la testa, come se fossero bambini.
È il colmo, la goccia che fa traboccare il vaso.
«TU!». La voce di Thor è un ringhio che quasi fa tremare le pareti. Nessuno prova a trattenerlo mentre si scaglia contro Loki; nessuno riuscirebbe a fermarlo, in ogni caso. «Tu lo sapevi, lo avevi capito e non hai detto niente! Come hai potuto?!».
Il dio dell'inganno sbatte contro il vetro con un rumore secco. Per un attimo sembra stordito dalla botta presa, poi alle sue spalle la grande vetrata comincia a essere percorsa da crepe sempre più profonde, una ragnatela di linee contorte che fa sembrare Loki il tessitore di inganni che è, che è sempre stato. Infine il vetro va in frantumi. Thor getta il fratello sul terrazzamento e gli piomba addosso, bloccandolo contro il pavimento.
La lastra di vetro cade come una cascata di cristallo dietro di loro, producendo un fracasso infernale mentre esplode contro il pavimento in tanti piccoli pezzi taglienti.
«Come hai potuto restare in silenzio e permettere che accadesse questo? Come hai potuto mettere in pericolo Nadia?! Credevo provassi qualcosa per lei!» grida Thor, la sua voce è ben udibile al di sopra del fischio del vento e dei rumori della città.
Tutti loro scattano in piedi e restano a guardare. Nessuno ha voglia di andare ad aiutare il dio dell'inganno. Nessuno si è mai fidato del tutto di lui, ma non lo credevano capace di un tradimento così profondo; su una cosa erano sempre stati tutti d'accordo, erano tutti sicuri che mai e poi mai avrebbe fatto del male a Nadia o l'avrebbe messa in pericolo.
«Non lo sapevo» rantola Loki. «Non vi ho forse aiutato? Ho sempre condiviso con voi tutto quello che sapevo e tutte le deduzioni alle quali giungevo... non puoi incolparmi di non essere giunto in tempo a questa conclusione quando nessun altro di voi l'ha fatto».
Sì, le sue parole sembrano sincere. Se avesse voluto sabotare i loro sforzi avrebbe certamente potuto fare di peggio, eppure Steve scambia un'occhiata con i suoi compagni e si rende conto che nessuno è disposto a credere a Loki in quel momento, non fino in fondo almeno. Se c'era qualcuno che poteva arrivare a comprendere la questione della fonte di energia era lui e suona quanto meno sospetto il fatto che ci sia arrivato troppo tardi, come tutti loro.
Thor solleva Loki per il bavero della casacca di velluto scuro e lo spinge in avanti, tenendolo sospeso nel vuoto, oltre il pavimento del terrazzo privo di ringhiera.
Il dio dell'inganno guarda il marciapiede, diverse decine di metri sotto di lui. Il vento gli scompiglia i capelli corvini.
«Avanti, Thor, fratello, fallo» sibila.
«La donna che amo è in pericolo. Voglio la verità» dice il dio del tuono, con calma gelida.
La verità? Loki sarebbe capace di dirla?
Per un attimo, stagliati contro il cielo e con i loro sguardi illuminati da due diverse sfumature di furia, i due fratelli sembrano davvero ciò che sono: dei, al di sopra di tutto ciò che è umano. Tasselli di un destino contorto che si incastrano solo per produrre scintille.
«Credi che le mie azioni siano così dissennate? Credi che lascerei che accadesse qualcosa a Nadia?» sputa Loki, con la voce che si affievolisce per la mancanza d'aria.
«Sapevi, prima di questo momento, che il suo bracciale era la fonte di energia che il nemico stava cercando?» lo incalza Thor.
Il dio dell'inganno spalanca gli occhi, azzurrissimi e gelidi, e li punta in quelli del suo interlocutore.
«No» dichiara con fermezza.
Thor sospira e lo lancia sul pavimento del terrazzo, lasciando che atterri tra le schegge di vetro sulle quali Loki si taglia i palmi delle mani.
Non possono essere sicuri che abbia detto la verità. E questo è un particolare agghiacciante che aggiunge altro orrore a una situazione già abbastanza spaventosa.

*

«Posso offrirle qualcosa da bere, signorina Berton?». Hope le indica una sedia accanto a una scrivania in un ufficio vuoto.
Nadia fa un cenno negativo e si siede. Sa che deve mantenere la calma, che non può permettersi di farlo indispettire ora che sa che hanno Pepper e Jane.
Ha visto molti uomini mentre Hope la conduceva verso quell'ufficio. Il posto brulica di guardie e di certo non c'è via di uscita.
«Sa dove siamo? Questa capannone era stato acquistato dal signor Stark per un qualche progetto... uhm, immagino per farne un grande garage per le sue auto d'epoca o qualcosa del genere. Ci hanno cercati con grande affanno, ma Stark non sarebbe mai venuto a cercare il nemico in casa sua, è così sicuro di se stesso, quell'uomo»
«Vuole indispettirmi, signor Hope?»
«No, immagino lei sia turbata abbastanza, deve scusarmi. Naturalmente non ho niente contro Tony Stark»
«Ciò non di meno, lo ha fatto spiare e ha rapito delle persone che gli stanno a cuore... pensavo intendesse dirmi il perché».
Hope si siede sul piano della scrivania e tamburella le dita sul bordo di legno.
«Una lunga storia, cominciata prima che lei nascesse, prima che qualsiasi persona che conosce nascesse» esordisce con una certa enfasi.
Bene, c'era una volta, in un paese lontano lontano, uno stronzo ricattatore che voleva distruggere la Terra...
«Naturalmente Norman Hope non è il mio vero nome. La mia famiglia era una famiglia di re, Nadia. I miei antenati avevano ricevuto dal Padre degli Dei il compito di governare uno dei Nove Regni, Nornheim. Immagino che lei abbia confidenza con tutte queste cose».
Nadia annuisce. «Ne ho anche troppa». 
Hope sembra divertito dalla battuta. Non che le importi, ma finché se ne sta buono e calmo a raccontare la sua favola, non starà da un'altra parte a dare ordini che possano nuocere a lei, o a Pepper e Jane.
«Ebbene», prosegue lui, «per secoli generazioni della mia famiglia avevano regnato su Nornehim. Poi accadde qualcosa, il popolo si ribellò contro di noi, denunciò quello che secondo loro era un immeritato malgoverno al Padre degli dei, tentarono di rovesciarci, capisce?».
Nadia si impone di non replicare, ma le viene automatico pensare che se la sua famiglia era solita risolvere i problemi con la stessa meschinità con cui lui si sta comportando ora, non la stupisce il fatto che il popolo gli abbia remato contro. Vorrebbe dirgli che su Midgard sono saltate teste di re per molto meno...
«Odino, infine, ci ordinò di lasciare il governo. La mia famiglia lo aveva servito per generazioni e lui ci stava mandando via come fossimo un branco di sguatteri incapaci! Rifiutammo di obbedire».
La ragazza annuisce e arriccia le labbra. Certo, da quel poco che ne sa, Odino non è tipo al quale conviene disobbedire.
Il volto di Hope si incupisce e lui si lascia sprofondare in un mare di ricordi amari come fiele. Nadia conosce quello sguardo, lo ha visto negli occhi di Loki così tante volte.
«E cosa successe dopo?» domanda cauta. Sa che non ha bisogno di fare domande, che Hope proseguirà comunque con la sua storia, ma vuole trovare qualcosa che la distragga da quello sguardo pieno di odio.
«La guerra, mia cara. Odino si fece convincere da quel figlio baldanzoso e insolente a scagliarci contro il suo esercito, Thor in persona era alla guida delle armate. Furono giorni bui e sanguinosi, io ero solo un ragazzo, ma li ricordo bene. L'esercito di Asgard stava vincendo, ma un drappello di nostri soldati riuscì a isolare Thor e i suoi compagni più fidati in una radura, fuori città: se avessimo preso il primogenito di Odino, avremmo ancora potuto vincere. Loro erano solo in sei contro decine di noi, ma calò una nebbia improvvisa nella pianura e riuscirono a scappare. Thor fece ritorno alla guida del suo esercito e vinse la guerra. Una parte della mia famiglia si salvò e fuggì, lontana dove l'occhio del Guardiano non poteva giungere. Per lunghissimo tempo abbiamo organizzato la nostra vendetta, quando infine, incontrammo degli ambasciatori di un mondo lontano il cui signore si è votato alla distruzione. Egli ci mise a disposizione le risorse del suo pianeta e con quel metallo abbiamo costruito le armi, alcune molto simili a quelle di Asgard. E ora io, in nome della mia famiglia, avrò la mia vendetta»
«Distruggere questo pianeta non rimetterà a posto le cose!» esclama Nadia. I piani di Hope le sembrano ancora più folli di quelli che aveva Loki. «Cosa se ne farà della distruzione della Terra?».
L'uomo la guarda come se fosse perplesso, come se lei gli avesse appena rivolto delle domande del tutto irragionevoli, come se non avesse capito una singola parola del discorso che le ha appena fatto. In effetti, a parte la storia drammatica, non c'è molto da capire: quella è follia allo stato puro.
«Mia giovane ragazza» sospira Hope, ostentando quella che sembra essere una ferrea pazienza, «la Terra è solo un ostaggio. Io voglio Thor, voglio distruggere lui e così facendo suo padre, voglio mandare in pezzi quella famiglia come loro hanno fatto con la mia!».
Nadia si sente raggelare. Fitte di dolore le attraversano la testa come lame.
«Spera che Thor si sacrifichi per salvare questo mondo?» domanda, sconvolta.
«Lo farà, senz'altro».
«Non può minacciarlo. La Terra non è in pericolo: non avete l'energia per far funzionare le vostre armi e questo Thor e gli Avengers lo sanno».
Hope si alza in piedi e si lascia scappare una risata squillante, gettando indietro la testa e chiudendo gli occhi, godendo del divertimento che le affermazioni di Nadia devo evidentemente aver suscitato.
«I tuoi eroi non sanno un bel niente, ragazza!» dice poi, con la voce ancora alterata dallo scoppio di ilarità. «Loro credono che noi siamo interessati alle diavolerie luminose di Stark».
Dunque non è così. E allora che diamine vogliono?
Nadia si sente incatenata, tenuta ferma dalla sua incredulità, da tutte le cose che non sa e non riesce a capire. E più si rende conto degli errori di valutazione che lei, gli Avengers e lo S.H.I.E.L.D. hanno compiuto, più sfuma la speranza che tutta quella situazione si risolva per il meglio e che qualcuno arrivi a salvare lei e le altre due donne.
L'angoscia le spezza il respiro. Quello non è un film dove gli eroi arrivano all'ultimo minuto e salvano la situazione, i suoi eroi sono tremendamente lontani dallo scoprire la verità e quindi tremendamente lontani da lì.
«E allora cos'è che vi serve?» chiede. E nello stesso momento in cui formula la domanda le sovviene anche la risposta.
Il suo sguardo e quello di Hope si spostano nello stesso momento verso il medesimo punto, a fissare la stessa cosa: la pietra opalescente incastonata nel suo bracciale.










___________________________________

Note:

In molti di voi mi avevano già fatto presente i sospetti che nutrivano per Hope... e io ho sempre glissato XD L'ho fatto apparire poco nella fanfiction, il meno possibile, appunto per non attirare troppo l'attenzione su di lui, sperando che passasse per un particolare fine a se stesso utile solo a dare un po' di realisticità alla storia... spero comunque che ora che è venuta a galla la verità, il “più o meno colpo di scena” sia di vostro gradimento. :P
(Tra l'altro, qualcuno mi aveva fatto notare, all'epoca della sua prima apparizione, che il nome Norman non è molto "rassicurante" nell'universo Marvel e io risposi che non lo avevo scelto perché ricordava un altro cattivo dei fumetti. L'ho scelto per la vaga assonanza con Nornheim :P)
Il riferimento a Nornehim viene sempre preso dalla famosa scena tagliata di Thor. QUESTA
Tutta la storiella che c'è dietro è farina (spero non troppo scadente) del mio sacco.
Il fatto che Hope sia vecchio e che Thor invece abbia ancora le sembianze di un giovane, ovviamente è dovuto al fatto che Thor è un dio di Asgard.

Ancora una volta, mi scuso per non aver risposto alle vostre recensioni, ma recupererò. Intanto grazie di cuore a tutti **

*Piccolo spazio pubblicità - perché sì* C'è un gradito ritorno che merita festeggiamenti in tutti i Nove Regni: The Seventh - Winter. Se non avete mai letto The Seventh di Evilcassy fatelo, ora, prima che io e Loki vi troviamo...

Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento. :D

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Capitolo 23
*** Deus ex machina - part one ***


Capitolo ventiduesimo
Deus ex machina – part one


Nick Fury osserva le casse che alcuni agenti stanno caricando sull'elicottero.
C'è un bel po' di confusione sul tetto della base dello S.H.I.E.L.D. e Bruce non riesce  a fare altro che torcersi le mani e pensare che sia una pessima idea quella di tornare su quell'enorme coso volante.
Fury ha deciso che si sposteranno in volo. Se dovessero riuscire a recuperare Nadia senza effettivamente essere in grado di fermare chi c'è dietro a tutta quella schifosa faccenda, è meglio che la tengano in un posto dove il nemico non può raggiungerla tanto facilmente.
Fury non è contento per niente. Tutti hanno fatto finta di non sentire quel suo «... e se le avessi ficcato una pallottola in testa a tempo debito...» mormorato uscendo dalla sala riunioni.
Se lui avesse sparato alla ragazza. Se loro avessero potuto fermare Loki, fermarlo davvero, molto tempo prima...
Bruce guarda l'orologio e realizza che sono passate ventiquattro ore da quando si sono accorti della sparizione della dottoressa Foster e della signorina Potts, e quindi ventiquattro ore da quando anche Nadia è sparita. Stanno supponendo che se trovano le une troveranno anche l'altra e viceversa. Hanno immaginato che le abbiano prese per convincere Nadia a collaborare, perché loro due erano le più facili da prendere.
È meglio che non ci stia troppo a rimuginare, perché è un'idea che gli fa rabbia. Molta rabbia, e quello è il momento peggiore per arrabbiarsi.
La prospettiva di dover tornare sull'Elivelivolo stuzzica già abbastanza l'Altro. Se si sofferma a pensarci per più di una manciata di secondi, si rende conto che dovrebbe rimanere con i piedi ben piantati a terra, al chiuso nella sua casa nel bosco. Se succedesse un incidente come quello dell'altra volta, se l'Altro decidesse di fare una visita di cortesia mentre sono in volo su quell'enorme fortezza fluttuante senza vie di uscita, se mandasse tutto a monte non se lo perdonerebbe mai.
L'ultima volta le circostanze hanno dimostrato che persino lui può rendersi utile, che l'Altro non deve essere per forza solo una maledizione. Ma adesso Bruce non si sente poi tanto sicuro, adesso non è previsto che piovano alieni da un buco in mezzo al cielo, non è nemmeno detto che ci sia da menare le mani e lui davvero non sa che fare di se stesso in quella circostanza.
«Io... io non credo che sia una buona idea che salga su quel coso» squittisce senza parlare con nessuno in particolare, e comunque chi lo sentirebbe con il frastuono delle pale dell'elicottero?
«Stai scherzando vero?» gli fa Barton, alle sue spalle. Ok, qualcuno ha sentito.
Bruce sospira. Ecco, adesso gli diranno che non deve preoccuparsi, che i suoi problemi di gestione della rabbia, come li chiama Stark, non sono davvero un problema.
«Noi siamo una squadra» conclude Occhio di Falco con uno sguardo eloquente. «E tu ci servi. In tutte e due le versioni».
«La mia versione small non serve a un bel niente in questo frangente, lo sapete» replica lui. «E la mia versione extra large potrebbe creare più problemi che altro. Non voglio essere quello che fa andare storto qualcosa, considerando la posta in gioco. Mi sento già abbastanza inutile e in colpa»
«Siamo stati tutti inutili e ci sentiamo tutti in colpa per aver capito le cose troppo tardi. Non farti venire le crisi adolescenziali proprio ora che stiamo partendo per un'altra gita scolastica!».
Bruce sospira. «Voi avete mille altri modi di rendervi utili. Avete tutti fatto qualcosa per Nadia, io ho solo preparato tazze di tè».
«Ma cos'è, una gara? Sono sicuro che se mancasse anche solo uno di noi non sarebbe la stessa cosa. E adesso smettila, mi stai facendo parlare come se fossimo a una riunione di boy-scout».
Bruce continua a torcersi le mani. Guarda Stark dirigere la piccola squadra che sta trasportando sull'elicottero la cassa con la sua armatura, Rogers e la Romanoff controllano un contenitore con le armi, Thor fa saltare sul palmo il manico del suo martello.
Pensa che sono passate ventiquattro ore, che non sanno dove sbattere la testa. Nadia potrebbe essere ovunque, e chissà cosa possono averle fatto nel frattempo. Un'ondata di calore gli sale come un brivido lungo la schiena, conosce quella sensazione e sa che deve tenerla a bada.
«Di cosa stiamo parlando, qui?» si intromette Stark, dando una pacca sulla spalla a lui e a Barton.
«Il dottore sta avendo cinque minuti di crisi esistenziale»
«Io... stavo pensando che non vi servo».
Stark corruga la fronte in un'espressione crucciata e abbassa gli occhiali da sole, facendoli scivolare sul naso.
«Non lo avevamo già fatto questo discorsetto, dottore?» dice con un mezzo sorriso. Va detto che riesce sempre a mantenere alto il morale quell'uomo. «Stammi a sentire, lì fuori ci sono dei figli di puttana che hanno la mia donna, la ragazza di Thor e la nostra bambina. Se io dovessi mettere insieme un team per andarle a recuperare, ti vorrei a bordo»
«Stark...»
«Aspetta! Ma noi siamo il team per andarle a recuperare! Quindi sei a bordo, Shrek, non hai scelta!»
«Stark... la nostra bambina? Nadia? Sul serio?» borbotta Barton.
«Guarda che non è tanto più giovane di me» interloquisce Natasha Romanoff.
«Ma tu sei cresciuta in una serra di piante velenose...»
«Possibile che non abbiate altro da fare che ciarlare!» gracchia Fury. «Muoviamoci, o partirò senza di voi!».
«Che vi dicevo? È come una gita scolastica o come il campeggio dei boy-scout» conclude l'agente Barton alzando gli occhi al cielo.
Fanno per incamminarsi verso il portellone del jet che li attende in un angolo della pista, ma Rogers si blocca e si guarda attorno.
«Aspettate!» esclama. «Dove si è cacciato Loki?».

*

Nadia non sa da quanto è lì.
L'hanno chiusa in una stanza senza finestre, dentro c'è una branda e una sedia, e un piccolo bagno interno. Per una che ha passato la vita in un albergo, deve riconoscere che i suoi rapitori non sono male come ospiti... che il diavolo se li porti!
Hope le ha consigliato di riposare, ma lei non è riuscita a chiudere occhio. Ha passato quelle che devono essere state ore a guardare le ombre dei tizi messi a farle da guardia muoversi oltre l'uscio della porta. Ha chiesto di vedere Jane e Pepper e le è stato risposto che le avrebbe viste a tempo debito e che non doveva preoccuparsi, che stavano bene e che nessuno si sarebbe fatto male se lei fosse stata ragionevole.
La ragazza se ne sta seduta sulla branda, con le ginocchia al petto e osserva la forma circolare di una macchia di umidità sulla parete spoglia.
Non sa che fare. Vogliono l'energia della pietra, ma quell'energia passa attraverso di lei... probabilmente, se così non fosse, le avrebbero già staccato il braccio per prendersi il bracciale.
China la testa in avanti e si tormenta i capelli con le mani. Le viene da piangere, e quando la prima lacrima le ruzzola oltre le ciglia, l'asciuga rapidamente e cerca di farsi aria al viso, ma non serve a niente, ne cadono altre e lei non è in grado di fermarle. Si preme la manica della maglietta contro le labbra per soffocare i singhiozzi.
Un comportamento davvero pessimo per la pupilla degli eroi più forti del pianeta, piangere come ragazzina! Spera davvero che nessuno entri in quel momento, non può permettersi di mostrarsi fragile e vulnerabile, quei dannati bastardi hanno già troppo in mano. Hanno Pepper e Jane e lei non sa che fare. Se si rifiuta di aiutare Hope, verrà fatto loro del male, ma se lo accetta metterà a rischio l'intero pianeta e segnerà la fine di Thor – perché su questo punto, quel dannato vecchio pazzo ci ha preso in pieno: il dio del tuono si sacrificherebbe per salvare la Terra, si sacrificherebbe per salvare anche un singolo essere umano. E di certo Thor non è più il ragazzo bellicoso e prepotente che Hope ha conosciuto quando era giovane, su quel suo pianeta dal nome assurdo!
Il pianto la stordisce fino a farle prendere sonno e Nadia crolla stesa di fianco.
Quando vengono a svegliarla si accorge di essere infreddolita e che le si è addormentata una gamba a causa della posizione scomoda nella quale era stesa. Zoppica fuori dalla stanza, sotto lo sguardo vigile di due guardiani.
La conducono di nuovo nel grande capannone vuoto.
Al centro il pavimento è aperto come una grande botola e, di sotto, lei riesce a vedere una serie di oggetti metallici dalla forma strana: l'arsenale che gli esiliati di Nornehim hanno costruito.
Nota che al livello del pavimento c'è un tavolo coperto da un telo di tessuto grezzo. Dall'altra parte del tavolo, Hope l'aspetta tenendo lo sguardo fisso su di lei.
«Se ti senti riposata e in forze, mia giovane amica, direi che è il momento di cominciare» dice lui.
Nadia vorrebbe gridargli di non chiamarla amica, vorrebbe ribellarsi a quel trattamento e cancellargli dalla faccia quel sorriso falso e accondiscendente. Gli lancia uno sguardo furioso che lui finge di non notare.
Hope solleva il telo, scoprendo quello che si trova sul tavolo.
È una specie di lancia dalla punta preceduta da una lama a forma di rombo. È di metallo scuro e opaco come argento ossidato. Nadia è certa che l'originale debba essere molto più bella, ma quell'arma ha un qualcosa di veramente minaccioso.
«Gungnir, la lancia di Odino» spiega Hope. «Un degno scettro per un re, molto potente, ma non di certo l'arma più micidiale dell'arsenale di Asgard».
La ragazza allunga una mano verso l'oggetto, come calamitata dai bagliori cupi che il metallo sprigiona sotto la luce elettrica.
«I nostri artigiani hanno lavorato anni per riprodurre i manufatti della Patria Eterna. Quando lasciammo Nornheim, portammo con noi i loro libri di appunti... sfortunatamente non avevamo mai trovato nessun materiale adatto prima di incontrare Thanos. Il metallo estratto dalle rocce del suo pianeta è permeato di una forte energia, ma non abbastanza da reggere l'utilizzo prolungato. Tu capisci, mia cara ragazza, che non è pratico avere armi così poco affidabili, ma con la giusta dose di energia unita a quella intrinseca del metallo funzioneranno. Lo stesso Thanos aveva costruito uno scettro molto potente, e aveva aggiunto al metallo la forza del Tesseract».
Nadia sfiora la superficie metallica. È gelida al tatto, gelida e scura come deve essere il pianeta da cui proviene. Le torna in mente l'immagine di Loki, quando ricomparve nel bosco appena scappato dalla prigionia di quel Thanos, le torna in mente il suo corpo martoriato e il rivolo di sangue che disegnava una macchia sempre più larga sul terreno.
Vorrebbe proprio dire a Hope che niente di buono può venire da quel mondo remoto e che uno come Thanos non fornisce il suo aiuto se non può avere qualcosa in cambio, che il prezzo che impone deve essere certamente molto molto alto.
«Cosa si suppone io debba fare?» chiede.
«Suvvia, Nadia, lo avrai capito da te. Quella pietra che hai al braccio è una fonte inesauribile di energia, voglio che tu ne trasferisca un po' in questo metallo».
Deve prendere tempo.
«Non ho idea di come fare» dice. Ed è la verità. «Loki ha tentato di insegnarmi a usare la magia della pietra, ma non sono un'asgardiana, per me non è facile controllarla e tutto quello che riesco a fare è evitare che mi faccia male».
Hope si massaggia il mento con aria assorta. Dopo qualche secondo di silenzio dondola il capo in quello che sembra un cenno di assenso.
«Capisco» mormora. «Immagino che tu debba solo pensarci un po' su»
«Io... io non so come...» ripete Nadia. Quella scintilla che si è accesa negli occhi dell'uomo proprio non le piace.
«Facciamo così: ti darò un incentivo» conclude. Fa un cenno e due uomini entrano nel grande spazio aperto del capannone, spingendo davanti a loro Pepper e Jane con i polsi ammanettati.
Nadia sente le dita gelide della paura tastarle la schiena e conficcarsi nel petto.
No, mio Dio, ti prego, no...
Gli uomini spingono in avanti le prigioniere, facendole cadere in ginocchio. Lei intercetta lo sguardo delle due donne come a chiedere loro cosa deve fare, come possono uscirne intere da quella situazione.  
La voce di Hope si confonde al martellare del cuore che Nadia sente rombarle nelle orecchie.
«Ti fai venire un'idea, ragazza mia? O devo farmene venire una io?».
L'uomo si fa passare un pugnale e si ferma alle spalle di Jane, le afferra i capelli e la costringe a tirare indietro la testa.
«La lasci!» strilla Pepper, d'istinto.
«Oh, deve dirmelo Nadia, se posso lasciarla» sussurra lui mellifluo.
Tutto il suo corpo pulsa da far male, persino la stanza sembra vibrare attorno a lei. Nadia non riesce a staccare gli occhi da Jane, dalla lama che Hope le ha appoggiato su una guancia con la punta a sfiorarle la palpebra dell'occhio sinistro.
Va-tutto-bene. Mima lei con le labbra smunte e gli occhi velati di lacrime. Va-tutto-bene, Nadia.
La ragazza si volta verso il tavolo e afferra la lancia. Il freddo del metallo sembra una scarica elettrica sottopelle e l'arma è molto più pesante di quello che credeva.
Dopo qualche secondo, piccole strisce di luce bianca si spandono dal punto in cui Nadia tiene appoggiate le mani fino alla punta della lama. Il metallo sta reagendo all'energia della pietra, come in quel magazzino di Boston aveva reagito alla vicinanza con il martello di Thor.
«Io... proverò, come meglio posso... lasciatele stare. Lasciatele stare» dice a fatica.
Hope allenta la presa su Jane e lei scuote la testa in direzione di Nadia, come a chiederle di non fare niente. La ragazza chiude gli occhi, è già tutto abbastanza difficile senza che ci si mettano anche le suppliche silenziose di Jane e lo sguardo attonito di Pepper.
La lancia è davvero molto più pesante di quanto si penserebbe e il metallo non sembra scaldarsi nella stretta delle sue mani.
Nadia prende dei profondi respiri e cerca di concentrarsi, di ricordare, tra le tante cose che ha tentato di spiegarle Loki, quale può essere la mossa giusta per trasferire energia al pezzo di ferraglia che ha davanti. Forse è come quando lui le ha detto come convogliare l'energia in un punto; di solito quando ci provava l'energia diventava una massa informe e si andava a scagliare contro una superficie piuttosto estesa, facendo esplodere qualcosa come la prima volta con quell'albero. Non è capace di convogliare l'energia verso un punto preciso, rispettando dei confini fisici, davvero non sa come farlo e ha paura che se facesse un tentativo finirebbe far esplodere qualcosa, o per farsi del male.
Sposta lo sguardo dalla lancia alle due donne. Non importa, deve fare un tentativo, deve dare a Hope qualcosa che gli lasci capire che sta collaborando, che sta facendo del suo meglio.
Si concentra, raccoglie l'energia. Sente un sapore ferruginoso in gola e un velo di sudore coprirle la fronte, ma continua.
Può vederla, la massa di energia fluttuare davanti a sé. È come una macchia d'olio sospesa nel vuoto, una grande macchia dai bordi irregolari che lei non sa come modellare a suo piacimento. Tenta di farla abbattere sulla lancia. La macchia diventa come un enorme scroscio di acqua e cade contro il pavimento.
Nadia si sente sbalzare via dall'esplosione, vede la nuvola di polvere sollevarsi dal cemento perforato e una pioggia di schegge di pietra le cade sul viso. Impatta contro il pavimento spoglio con ancora la lancia tra le mani.
Forse ce l'ha fatta comunque, pensa. Forse ora l'arma funzionerà a dovere.
Ma quando si solleva e si guarda le mani, si accorge di star reggendo solo due tronconi dell'asta di metallo, che le altre parti della lancia sono sparse a terra, tra il piccolo mucchio di macerie.

*

La vanità e la supponenza dei Vendicatori è ancora uno dei loro migliori punti deboli.
Loki ci pensa mentre guarda dalla piccola altura la sagoma di quel capannone industriale stagliarsi alla fine di quel vicolo spoglio fatto di fabbricati squadrati.
Hanno di nuovo smesso di fidarsi di lui, gli idioti. Non che si siano mai fidati davvero, comunque. E per sua fortuna, seguitano ostinatamente a sottovalutarlo e a escluderlo. È un po' la storia della sua vita: lasciato in un angolo, messo da parte. Nessuno pensa mai che si possa diventare grandi e potenti pur stando nell'ombra, ai margini.
Quel branco di idioti sono rimasti ore a discutere su come fare per trovare Nadia e le altre due – chissà se la cara Jane e la donna di Stark sono ancora vive e tutte intere, spera proprio di no. Loki ha sentito crescere il panico nelle loro voci, minuto dopo minuto, mentre realizzavano che in tutte quelle settimane non erano stati in grado di trovare nessuna traccia degna di nota del nemico e che quasi certamente non ci sarebbero riusciti ora, adesso che il tempo stringe e che il nemico ha in mano tre persone che stanno tanto a cuore agli eroi più forti del pianeta. Ore a discutere e scervellarsi e a nessuno di loro è venuto in mente che lui sa esattamente dov'è Nadia, l'ha sempre saputo.
Buon per lui. Gli Avengers non si sono mai interessati del vero funzionamento della pietra, presi a preoccuparsi di curare la ragazza, non hanno mai pensato al fatto che lui è sempre stato in grado di rintracciarla, anche mentre era nell'angolo più remoto dell'universo, lontano un'eternità.
Buon per lui. Ora può andare a riprendersela e giocare le sue carte.
Percorre il sentiero asfaltato che porta alla piccola spianata dove si trova il capannone, pensando al modo migliore per entrare.
L'aria della sera è tiepida e intorno c'è un gran silenzio, come se la città e le sue luci moleste fossero chissà quanto lontane. Eppure il vento ha ancora quell'odore di fumo e polvere.
Per un attimo pensa a Nadia. È certo che stia bene, che non le abbiano fatto del male. Il pensiero di essere stato lui a metterla in quella situazione è irritante e preferisce accantonarlo.
Codardo...
Ha un fremito e agita la mano come se quella voce che ora ha parlato nella sua testa sia un insetto molesto che ha preso a ronzargli attorno. È sempre stato bravo a lottare con i suoi demoni, se li è fatti amici, li ha trasformati in stelle che gli indicassero la strada; è impermeabile a ogni rimorso e quella voce nella sua testa è poco più che il soffio del vento in lontananza.
Codardo. Si difende ciò che si ama...
Tira un calcio a un ciottolo che urta rumorosamente contro la base di un lampione spento. Alza la testa di scatto.
«Ciò che si ama?» mormora. Vorrebbe conoscerlo, l'amore, capire cosa ha di tanto straordinario, ma a dirla tutta, gli è sempre sembrato una favola da raccontare ai bambini per allevarli nell'illusione che un giorno potranno essere felici.
Ma non è questo il punto. Non gli piace ciò che ha fatto a Nadia, non gli piace il rischio che le ha fatto correre, eppure sa che è stato necessario e tanto basta. Deve farselo bastare...
E comunque sia, ormai è finita. La ragazza è lì, dietro a una di quelle pareti di lamiere. Sarà spaventata, sarà furiosa come una belva in gabbia, ma ci penserà lui a rimettere le cose a posto, a portarla in salvo e convincerla che può dimenticare quella brutta avventura, che anzi, grazie a lei hanno rintracciato i nemici. Del resto, non è sempre stato così? Fin da quando ha rimesso piede su Midgard, dopo la battaglia di New York, non ha sempre dovuto pensare a tutto lui, a salvarla, a sistemare le cose?
Si ferma in mezzo al buio, il dio dell'inganno. La costruzione proietta un'ombra lunga e fitta e lui è perfettamente a suo agio dentro quell'oscurità muta.
Deve solo pensare a come fare ad entrare.
Guarda la porta blindata chiusa e certamente sorvegliata, come ogni altro accesso all'edificio.
Magari basta bussare. Entrerà nell'edificio e chiederà di vedere quelli che comandano e ascolterà le ragioni di quel nemico che è stato così scaltro da giungere sulla Terra, restare nascosto, evitare gli Avengers e riuscire persino a rapire le tre donne che loro amano.
Sì, potrebbe davvero passare dalla loro parte. Anzi, quasi certamente è la scelta migliore, la più sensata. Non importa se sanno che è – è stato – il fratello di Thor, è certo che se hanno viaggiato tanto e conoscono gli Avengers, gli invasori sapranno anche che lui e Thor sono nemici, che il figlio di Odino è un nemico che lui non vede l'ora di sconfiggere, forse più di quanto lo vogliono loro.
Non capisce perché ha avuto tante remore la prima volta che ci ha pensato.  
Può certamente dare una possibilità a quegli individui. Può senz'altro darsi questa possibilità, dopo essere rimasto senza altre risorse e senza possibilità di pianificare una sua rivincita.
Codardo!
«Silenzio!».
Loki chiude gli occhi, stringendo forte le palpebre, poi li riapre e si dirige verso l'ingresso principale della struttura. Lo lasceranno entrare, li convincerà...
Si difende ciò che si ama.
Il dio si ferma, un passo prima di uscire dal cono d'ombra. Scuote la testa.
D'accordo. Gli necessita un nuovo piano.

*

Bruce guarda il foglio che Stark gli ha messo tra le mani.
La prima domanda che gli viene in mente è la meno rilevante, ma non può fare a meno di chiederselo: quando accidenti ha avuto il tempo e la lucidità mentale di partorire quell'idea?
«Niente male!» afferma, sinceramente colpito. «È assolutamente geniale»
«Certo che lo è»
«Come ci sei riuscito?»
«Ho esaminato il campione di metallo che ci ha dato Fury e qualche altro pezzo di chincaglieria tirato fuori dalle macerie del magazzino di Boston» spiega Stark, «e ho misurato il campo magnetico generato da quel materiale. Lo so che lo avevano già fatto nei laboratori dello S.H.I.E.L.D, ma io ho inventato questa!».
Bruce annuisce, sembra quasi che il suo amico voglia che gli si lanci un biscottino per premio. Non ha mai pensato che Tony Stark passasse il suo tempo libero con una rivista di sudoku, ma adesso si chiede come faccia a dormire uno che ha una testa così piena di idee. Ok, non è affatto scontato che Tony Stark dorma.
Bruce sposta lo sguardo tra lo schema disegnato sul foglio e il volto del suo amico, poi si guarda attorno. Si sono chiusi in uno dei laboratori dell'elivelivolo, e il modo in cui Stark continua a tenere la voce bassa e guardare di tanto in tanto la porta sa molto di cospirazione.
Lo strumento che ha disegnato dovrebbe essere semisferico, grande più o meno come una palla da basket tagliata a metà. Lo scopo di quell'invenzione è generare un campo magnetico alternato di intensità decrescente che riesca ad annullare l'energia che quel metallo sembra possedere. Mettere definitivamente KO le armi degli invasori è comunque un buon passo verso la soluzione.
Resta solo da trovarli, loro e le loro armi. Anzi, prima resta da trovare Nadia, la signorina Potts e la dottoressa Foster. Ma avere l'asso nella manica di uno smagnetizzatore che renderà inservibile l'arsenale nemico è un punto a loro favore ed è certamente un ottimo deterrente per ritorsioni future.
Solo, perché Stark ha quell'aria da congiurato? Perché ha detto solo a lui di quell'invenzione? Certo, magari gli altri non capirebbero la questione tecnica del funzionamento di quel marchingegno, ma di certo comprenderebbero il fine del suo utilizzo...
Bruce appoggia il foglio sul piano di una scrivania, lo spiega con il palmo delle mani e rilegge gli appunti scritti con una calligrafia frettolosa al margine della pagina.     
«Ahem, Stark... ci sarebbe una cosina da correggere» dice, infine.
«Lo so, dottore. Ma non c'è tempo, dobbiamo costruire questo affare e averlo pronto per ogni evenienza».
Bruce scuote energicamente la testa. Ora capisce perché Stark gli ha mostrato il progetto lontano da altri occhi e altre orecchie, perché sapeva che lui avrebbe capito che quell'affare ha un difetto bello grosso, almeno per lui, e non vuole che si sappia.
«No, c'è tempo, possiamo rivedere il progetto e sistemare l'intensità del campo magnetico o il raggio d'azione, o...» tenta di protestare. «Tony, tu non puoi accendere questo coso, il campo magnetico che ne verrebbe fuori, se è abbastanza potente da smagnetizzare il metallo delle armi, può far fermare il reattore Arc che hai nel petto»
«Lo so»
«E hai un reattore Arc di riserva, naturalmente»
«No. Da quando ho costruito questo, pensavo di non averne bisogno. Inoltre questo è un tantinello difficile da ricostruire».
Bruce spinge via il foglio. «Non ci sto, è troppo rischioso e capisco che sei preoccupato per Pepper e incazzato come Hulk con quei bastardi, ma non voglio contribuire al tuo suicidio»
«Rilassati, Doc!» esclama l'altro alzando le mani. «Lo sai che se ti agiti poi si strappano tutti i vestiti e qui l'aria condizionata è troppo alta per andarsene in giro in mutande. Ascolta, non devo per forza dare io la corda al giocattolino, può farlo qualcun altro di voi, e io intanto me ne sarò volato via a distanza di sicurezza, così nessuno mi avrà sulla coscienza, ok? Non sono certo un tipo da azioni suicide».
«Disse l'uomo che si è caricato un missile nucleare sulle spalle...».
Tony fa uno strano sbuffo, con quell'aria che farebbe venire voglia a chiunque di prenderlo a schiaffi, a chiunque che non lo conosca almeno, che non sappia di cosa può essere capace quell'uomo.
«Bene» conclude Bruce. «Ci serviranno i materiali per costruirlo, comunque, non credo che ci sia tutto a bordo
«Oh, posso telefonare a un amico e farmeli portare» conclude Stark, strizzando l'occhio. «Ora possiamo condividere con gli altri la mia meravigliosa idea. In quanto ai tuoi dubbi, tu promettimi che li terrai per te e io ti prometto che non farò cazzate».
Non suona molto convincente detto da lui, ma a Bruce non resta altra scelta che stringere la mano che Stark gli sta porgendo.
«Affare fatto. Ma fa' in modo che l'Altro non debba mai più farti rinvenire a suon di urla nelle orecchie, ok?»
«Ah! Visto? E tu che volevi restare a terra perché pensavi di essere inutile!».
E comunque, resta ancora una sfilza di domande alle quali lo scienziato non trova risposte.
La prima è anche la più inquietante: dove sarà finito Loki? Fury lo sta facendo cercare con lo stesso sistema con cui furono in grado di rintracciarlo a Stoccarda, ma per adesso risulta disperso e il fatto che se ne vada in giro in un momento simile, senza che nessuno abbia ben capito cosa ha in mente, è abbastanza inquietante e di certo non aiuta ad allentare la tensione.
La seconda domanda non è particolarmente rilevante, ma Bruce è uno scienziato, porsi quesiti è una deformazione professionale. Stark ha amici, a parte loro? Amici ai quali può telefonare per farsi portare i giocattoli su una base segreta e svolazzante dello S.H.I.E.L.D? Chi diamine è questa gente?!






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Note:

Bruce e le crisi adolescenziali. Perché sì. Capitolo che si apre e si chiude con lui, perché povera stella, io gli voglio bene.
Loki è schizofrenico. Più del solito. Lui non ce la può fare. Io non ce la posso fare. La visione caleidoscopica che io ho di quell'individuo mi ucciderà.

Lo so che essere una nerd non fa di me una scienziata... anzi penso di essere l'unica nerd con una spiccata predilezione per le scienze umanistiche e una totale mancanza di talento nelle discipline scientifiche, tuttavia quella dei fumetti è fantascienza (super-armature in oro e titanio, tizi che si beccano le radiazioni gamma e sviluppano un alter-ego un po' irascibile, mingherlini a cui fai un'iniezione e diventano Chris Evans...), la faccenda dell'aggeggio che si è inventato Tony si colloca in questo scenario, per cui se c'è qualche scienziato tra il pubblico... sia clemente, non mi insulti.
Ho fatto un po' di ricerche per non scrivere una totale idiozia, dal sito della Treccani, alla voce “smagnetizzazione”: Più complicata è la situazione nel caso, assai più importante in pratica, di  sostanze ferromagnetiche e ferrimagnetiche, per le quali, a causa dell’isteresi magnetica, la totale smagnetizzazione si ottiene soltanto sottoponendo la sostanza a un campo magnetico alternato di intensità gradatamente decrescente da valori prossimi alla saturazione sino al valore nullo.
(ps. Bruce+sudoku. *Alki che si mette a fare gli inside joke va portata d'urgenza alla neuro*)

Sono di nuovo in ritardo, ma prometto che in questi giorni risponderò a tutti voi. Colgo l'occasione per ringraziarvi per la costanza con la quale mi seguite. **

Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 24
*** Deus ex machina - part two ***


Capitolo ventitreesimo
Deu ex machina – part two


Non ha mai avuto particolare attitudine al cameratismo.
Loki resta per qualche istante con le spalle premute contro la parete esterna del grande capannone. Deve muoversi con cautela, se lo scoprissero sarebbe la fine ma non si pente affatto di non essere tornato sui suoi passi per condurre lì gli Avengers. A questo può sempre pensarci in un secondo momento, adesso vuole tirare fuori Nadia e vuole farlo da solo.
Perché non sei così impermeabile al rimorso, vero?
Deglutisce e la voce scompare. Non è questione di rimorso, si dice, è sempre stato così. Il tempo in cui seguiva Thor nelle sue imprese, assieme a Sif e ai Tre Guerrieri, gli sembra lontanissimo, quasi non è più nemmeno un ricordo, sembra solo uno di quei sogni confusi che si dimenticano man mano nelle ore successive al risveglio. E anche allora, partecipava a quelle avventure, metteva le sue abilità al servizio del gruppo, ma lo faceva solo perché era l'unico modo di partecipare alla gloria che quelle imprese riservavano, l'unico modo per mostrare a Odino che non era un ragazzo gracile, cresciuto all'ombra degli scaffali della biblioteca di palazzo. Quante volte il suo intervento si era rivelato decisivo per salvare uno di loro? Di sicuro più spesso di quanto gli sia stato riconosciuto, perché alla fine, al ritorno da quelle imprese, quando attraversavano la via principale di Asgard diretti al palazzo, era sempre il nome di Thor quello che veniva acclamato dalla folla.
Per un attimo rivede lo sfavillio del sole esplodere in tanti raggi di luce sulla facciata dorata del palazzo di Odino. Il calore di quei riflessi quasi gli pungeva la pelle pallida.
Sospira, maledicendo i ricordi e la rabbia che gli stanno facendo montare nelle vene. Non è quello il momento di abbandonarsi alle reminiscenze, ora deve essere lucido e attento.
E prima di lasciare quel posto, c'è almeno una cosa che deve fare. La falce di luna che brilla in quel cielo somiglia al sorriso che ora gli increspa le labbra, un sorriso che gli ricorda che niente è davvero cambiato.
Con passo felpato, sale la scala di emergenza su un lato dell'edificio e raggiunge una delle alte finestre. Traccia un cerchio con la punta del dito sul vetro opaco e lattiginoso, il cerchio si stacca come se fosse stato tracciato da una punta di diamante e lui lo afferra al volo e lo posa in terra, poi getta un'occhiata all'interno.
Vede tutta la scena da lì e deve ammettere che gli piace anche meno di quanto aveva pensato.
Vede l'uomo più anziano. Oh, certo, è lui il capo degli invasori, l'uomo che era al party di Stark e che, da quello che ha capito si è finto un suo collaboratore. Sono stati bravi, dopo il party Loki pensava che il ragazzo che corteggiava Nadia fosse l'unica spia e invece sono stati tutti più vicini di quanto pensasse, a tenere sotto controllo la situazione.
Vede la lancia appoggiata sul tavolo e dietro la botola aperta con l'arsenale di freddo metallo scuro. Non riesce a capire quante armi siano e cosa vogliano imitare, si rende solo conto che sono parecchie e pericolose. Se anche non riuscissero a farle funzionare con l'energia della pietra, se potessero venire usate una sola volta, sarebbero comunque abbastanza da mettere in pericolo i Vendicatori, nel caso di uno scontro diretto, o da tenere in ostaggio un intero quartiere di quell'enorme città.   
Vede Nadia avvicinarsi alla lancia. Il metallo scuro reagisce alla vicinanza della pietra come nel magazzino di Boston aveva reagito al Mjolnir.
Non riesce a sentire bene cosa stiano dicendo, ma la conversazione non è difficile da indovinare. E comunque Loki sa che Nadia non può fare quello che si aspettano da lei, non è in grado di governare l'energia della pietra con una tale maestria da far funzionare quelle armi.
Ora l'uomo di mezza età sembra interdetto, fa un cenno e le due donne che tengono come ostaggio vengono trascinate al centro del capannone, sono ammanettate e visibilmente sconvolte e spaventate, ma stanno bene. L'uomo getta in terra Jane le punta contro un pugnale. Nadia resta a guardare impietrita per qualche secondo.
Se quell'uomo fosse furbo però, ucciderebbe la piccola scienziata subito, per far capire che fa sul serio. A quel punto Nadia potrebbe fare ogni cosa per evitare la stessa sorte anche alla donna di Stark.
Ad ogni modo, Nadia urla qualcosa ed afferra la lancia. Vuole davvero provare a far passare l'energia nel metallo? È una follia! Non può farlo, finirebbe solo per farsi del male.
Loki non si accorge di essere premuto contro il vetro e non si rende conto del battito accelerato che martella nelle tempie.  
Si difende ciò che si ama...
La voce nella sua mente ha un tono sarcastico, impietoso. Non c'entra l'amare o meno, ma era davvero convinto che lui, il dio dell'inganno, potesse almeno mantenere la promessa di non danneggiarla e di non metterla in pericolo. Solo adesso si rende conto di quanto sia venuto meno a quella promessa, fino a che segno.
Vorrebbe sfondare quella finestra, fermare quella pazzia, ma non fa in tempo. Anche da lì può vedere l'aura di energia alzarsi e spandersi, può vedere Nadia perdere il controllo e l'energia abbattersi come un fulmine.
Approfitta del boato per aprire la finestra e sgusciare dentro, correndo a nascondersi accovacciato dietro una fila di barili che puzzano di petrolio.
Nadia cade a terra, tra le mani le rimangono solo due tronconi della lancia, ma sembra non essersi procurata alcun danno.
Il dio si chiede se sia quello il momento buono per intervenire. Piombare di sotto, mandare tutti gambe all'aria, afferrare la ragazza e andare via. Ma si rende conto che dovrebbe quanto meno tramortirla per riuscire a farla uscire da lì senza che lei si faccia venire in mente qualche idea scioccamente eroica, come intrattenersi a liberare anche le altre due.
Ancora ricorda quella notte a Venezia: lei si fece uccidere per tentare stupidamente di salvare la compagna di Stark. Solo l'intervento di Odino la salvò, e da allora, a causa del sangue usato nell'incantesimo, sono cominciate tutte le vicissitudini peggiori di quella ragazza.
Dopo qualche minuto, l'uomo dà ordine che Nadia e le due donne vengano portate via, poi Loki lo vede allontanarsi a passi nervosi e andarsi a chiudere dietro ad una porta, sbattendosela alle spalle.
Da dove è nascosto riesce a vedere il pannello di controllo della rete elettrica, incassato in una scaffalatura di alluminio. Ha imparato un sacco di cose sulla corrente elettrica quando era nascosto in quel rifugio sotterraneo a lavorare sul Tesseract.
Con molta cautela, allunga un braccio fino alla leva e l'abbassa. Un attimo dopo il capannone piomba nel buio. Dai vetri opachi non filtra la luce dei pochi lampioni che sono all'esterno, tutto è nero come la pece.
Ha una manciata di minuti, forse anche meno, prima che qualcuno riesca a raggiungere il generatore e rimettere in funzione la rete elettrica.
Di sotto arrivano voci concitate, il rumore di qualcuno che inciampa e cade. Pian piano si crea una gran confusione, poi si accende qualche torcia, qualche bolla di luce che macchia di bianco il nero.
Scatta, cercando a tentoni le scale, orientandosi con quel poco di luce che proviene dalle torce dal basso. Le scende di corsa pensando a un modo opportuno di nascondersi appena l'illuminazione sarà tornata, cambiare aspetto magari. Mentre muove qualche passo cauto, urta contro qualcuno.
«Deve esserci stato un sovraccarico, forse l'esplosione» dice quello che gli è venuto addosso. «Tu chi sei? Non si vede niente».
Loki riconosce la voce, è quella del ragazzo che si fa chiamare Mike. Ghigna nel buio, è proprio quello che voleva incontrare, è proprio la sua cosa da fare prima di lasciare quel posto. Le luci delle torce sono lontane, ma un lembo di illuminazione arriva fino a loro, sfiorandoli appena.
Il dio vede il volto del giovane deformato dal chiaroscuro, un mosaico di ombre nette e allungate, ma riesce a leggere l'espressione di sgomento che gli si dipinge in viso, quando nel breve lampo di luce, Mike fa in tempo a riconoscerlo. Chissà se il ragazzo è mai stato in qualche battaglia, se sa fare qualcosa oltre alla spia.
Il ghigno di Loki si allarga e preme una mano sulla bocca del giovane, per impedirgli di gridare; nel caos generale nessuno fa caso a loro.
Sempre tenendogli la bocca chiusa, Loki lo trascina contro il muro, sotto il soppalco di metallo, dove aveva visto il contorno di una porta in uno dei brevi sprazzi di luce. Si sposta piano, trascinandosi dietro Mike, cercando la porta che aveva intravisto, sperando che sia apra e che dia verso l'esterno.
Trova la porta giusto in tempo, perché proprio quando la apre con una spallata torna la luce all'interno del capannone.
Il dio dell'inganno getta a terra il ragazzo e si china su di lui: è meravigliosamente terrorizzato, basta poco per intuirlo. Oh, se avesse tempo, quanto potrebbero divertirsi!
Sente il respiro affannato di Mike contro il palmo della mano. La paura in quegli occhi chiari è uno scintillio opaco.
«Un po' troppo poco sangue freddo per uno che ha svolto il ruolo da infiltrato» mormora il dio, poi gli toglie con cautela la mano dalla bocca, allontanandola solo di poco. «Sarebbe bello infierire su di te, ma mi sento quasi solidale se penso che per tutto questo tempo hai dovuto lavorare per Stark».
Il respiro del ragazzo si fa un po' più regolare, ma non osa muoversi e nemmeno gridare. Loki non gliene lascerebbe l'occasione comunque.
«N... non uccidermi...» rantola, sbiancando.
«Così meschino da implorare fin dall'inizio? Mi domando cosa ci abbia trovato in te quella ragazza». Certo, certo, caro Mike, o chiunque tu sia, un conto è fare la spia e fingersi un tenero ragazzo gentile e simpatico, tenendo le spalle coperte, tutt'altra cosa è il pericolo. Nessuno ti aveva preparato per quello? Beh, peggio per te.
«Se sparisco si accorgeranno che non ci sono...» aggiunge lui, mentre un rivolo di sudore gli cola sulla fronte. «Sono in tanti e tu sei solo».
Loki sorride mellifluo, «Un motivo in più per toglierti di mezzo e sfoltire le fila» dice posando la mano attorno al collo.
«No! Non... farlo... ti prego. Nadia... sono sicuro che non lo vorrebbe...».
Il dio si ferma, poi annuisce enfatizzando un'aria pensosa. Ci sono molte cose che lei non avrebbe voluto.
«Sì, immagino sia vero» conclude. Sente il ragazzo rilassarsi lievemente. «Ma non c'è alcun bisogno che lei lo venga a sapere».
Basta un istante, una leggera torsione del polso. Il rumore delle ossa del collo che si spezzano è un suono meraviglioso in mezzo al silenzio della sera.

*

Il jet dell'aeronautica atterra sulla pista dell'elivelivolo, il portellone si apre direttamente su uno sportello che permette di accedere all'interno, altrimenti il pilota soffocherebbe a quell'altezza.
La sera sembra più scura vista da lassù e le luci di posizione dell'apparecchio sembrano fiammelle nell'aria nebbiosa.
Tony guarda fuori, dalla grande vetrata che si trova nella plancia di comando.
«Entro quanto tempo può essere pronto il macchinario?» domanda Fury, alle sue spalle.
«Se io e il dottore cominciamo da subito, entro domattina».
«Mi dispiace, Stark»
«Per cosa?»
«Per la signorina Potts, e la ragazza. E la dottoressa Foster».
Tony sente il peso ad altezza del petto farsi più pressante e cerca di nascondere una smorfia di pena che non è proprio il caso di dare a vedere. Ripensa a quello che ha detto a Nadia la sera che lei gli regalò l'album di fotografie: non ci si deve lasciar abbattere e lui è molto bravo in questo, o almeno è molto bravo a fingere di esserlo.
«E perché mai, Nick? Non sono mica morte?» sbuffa. Si volta a guardare Fury, sa cosa sta pensando, che ogni minuto che passa le probabilità di trovarle sane e salve sono sempre meno. Lo sa ed è una consapevolezza di cui avverte tutto il gelido terrore scorrergli sotto pelle.
Tony batte una mano sulla spalla del direttore e fa un mezzo sorriso. Non crede ai suoi stessi pensieri ma deve ammettere che si sentirebbe molto meglio se Bambi non fosse sparito, il dannato piccolo cervo, quando lavora dalla parte giusta, è in gamba. In realtà lui immagina dove sia finito Loki, è andato a cercare Nadia, ma il fatto che abbia deciso di compiere l'impresa tutto da solo non è rassicurante, ed è anche una mezza prova di quello che tutti loro hanno sospettato, e cioè che il bastardello aveva capito che sarebbero venuti a prendere Nadia perché volevano la pietra e non ha detto niente. E una volta preso atto di questo, le opzioni per spiegare come mai sia andato da solo a cercare la ragazza restano due: o Loki vuole trovare il nemico per negoziare qualche alleanza, o si è pentito e vuole salvare Nadia tutto da solo per provare che sa rimediare ai propri disastri e sperare che Thor non lo riduca in poltiglia con quel suo martello. Che Loki sia capace di provare una qualche forma di rimorso gli riesce difficile pensarlo, ma dato che lui è il primo che dice che non ci si deve far abbattere, tanto vale concedersi l'illusione per un attimo. Tanto vale sperare. E poi, se non può fidarsi del dio dell'inganno può certamente fidarsi di Nadia: lei non lascerebbe indietro Pepper o la dottoressa Foster, se Loki arrivasse a salvarla.
Quanto sta messo male se l'unica cosa in cui può sperare è la pseudo-coscienza del dio dell'inganno?
La porta si apre e compare Natasha Romanoff con al seguito l'ospite appena sceso dal jet che si trascina dietro due casse di rotelle.
«Benvenuto a bordo colonnello Rhodes» saluta Fury.
A Tony fa piacere rivedere il suo vecchio amico. Rhodey era partito per una missione un paio di mesi prima, tecnicamente ora dovrebbe trovarsi in una base militare a Washington, scomodarlo non è stato il massimo, ma Fury non si sarebbe fidato di nessun altro che non fosse un alto graduato dell'esercito americano, notoriamente affidabile, amico di uno degli Avengers. Nessuno si sarebbe fidato di nessun altro, viste le circostanze.
«Rhodey, grazie di essere venuto!» esclama, andandogli incontro. «Ti accompagno a posare questa roba».
Lo trascina via. Fury non vuole estranei tra i piedi, nemmeno se sono i suddetti militari affidabili e amici.
Lui si  volta a lanciare un'occhiata alla Romanoff alle loro spalle.
«Ma lei non era quella tua assistente che assumesti prima di partire per Montecarlo?» bisbiglia, perplesso.
«Vedo che te la ricordi» sghignazza Tony. «Se hai capito dove siamo, non fare domande. Se non hai capito, meglio ancora, ma non fare domande lo stesso».
«Sei serio? Mio Dio, sei proprio serio. Da quanto tempo non eri serio?».
Una domanda interessante, peccato non ci sia tempo per i convenevoli e per una sana chiacchierata. Tony fa entrare il suo amico in uno dei laboratori e lo aiuta a posare il carico sul piano di un tavolo, poi apre le due casse e controlla che ci sia tutto.
«Mi dispiace di averti fatto venire fin qui» dice, passando in rassegna il materiale.
«Sei serio e ti scusi, persino. Mi stai spaventando, amico, quanto è brutta la situazione?», il tono canzonatorio di Rhodey non nasconde del tutto la preoccupazione.
«Abbastanza brutta»
«E dov'è Pepper?»
«Ok, è più che abbastanza brutta in effetti».
Rhodey deglutisce, gli occhi spalancati per la sorpresa e lo sgomento.
Ma ce la caveremo, vorrebbe dirgli Tony. Solo che proprio non gli esce di bocca.

*

L'hanno riportata nella sua stanzetta.
Nadia tira un calcio contro il muro. Un pezzo di intonaco si scrosta e cade e lei sente male al piede ora.
Per un attimo ha preso in considerazione l'idea di usare l'energia per far saltare la porta, ma poi dovrebbe far saltare in aria anche tutti quelli che si metteranno tra lei e l'uscita e sa già di non poterlo fare. Non ha mai voluto quel dono e non si metterà a usarla adesso per uccidere. Non ci riesce, anche se se ogni minuto che passa il rischio che Jane e Pepper stanno correndo cresce sempre di più.
La sensazione di impotenza diventa un malessere fisico, sente la nausea salire e sente dolore, come se l'avessero picchiata. Non le è stato fatto ancora niente, ma quanto ci vorrà prima che Hope decida seriamente di passare alle maniere forti? Per quanto si fiderà del fatto che lei non sa far funzionare l'energia della pietra come lui vorrebbe e comincerà a credere che è un trucco che lei sta usando per prendere tempo?
Si sente come un pesce dentro ad un acquario; da fuori qualcuno la sposta, agita il contenitore e prima o poi questo qualcuno potrebbe decidere di rovesciare tutta l'acqua.
Aveva dannatamente ragione quando si sentiva così piccola e inadatta, un filo d'erba cresciuto per caso all'ombra della protezione dei Vendicatori. Ha ripetuto mille volte a loro e a se stessa di essere in grado di farcela, li ha pregati di non starle addosso, e adesso che è sola e che deve fronteggiare un pericolo che coinvolge lei e altre due persone non sa che fare. Loki era in errore, non è affatto una guerriera, Loki si è sempre sbagliato.
Si lascia cadere sul letto con un sospiro gonfio di pena. Dopo qualche minuto sente delle voci provenire da dietro la porta e scatta seduta, mettendo su un'aria dura che deve suonare estremamente ridicola, ma non riesce semplicemente ad arrendersi al destino di quello che le sta capitando. Mesi insieme agli Avengers, a persone che nel bene e nel male devo convivere con il loro essere straordinarie, le hanno insegnato ad  essere fiera, ed è tutto quello che riesce a fare, l'ultimo scampolo di orgoglio che sente di doversi concedere.
La porta della stanza si apre ed entra Mike.
A quel punto Nadia non ha nemmeno bisogno di fingere, la rabbia che la vista di quel ragazzo le procura è sufficiente a farla sembrare di granito, ostile come una montagna in mezzo a un deserto.
Lui la guarda con un'espressione strana, crucciata, quasi esaminandola, come se volesse accertarsi che è tutta intera, e sembra ignorare lo sguardo astioso che lei gli sta rivolgendo.
«Ce l'hai un nome vero o è troppo ridicolo pronunciarlo?» gli chiede. Sarebbe bene conoscere i loro nomi, se mai riuscisse a uscire di lì, potrebbe spiegare a Thor tutta la faccenda e scoprire chi sono.
Il ragazzo inarca un sopracciglio e la guarda negli occhi,
«Il mio nome? Perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?» dice, inclinando appena la testa di lato e fissandola con un mezzo ghigno.
Quelle parole le si infrangono contro come un'onda su uno scoglio, lasciano una scia brillante di speranza. Ha davvero capito bene o è solo un caso che Mike abbia pronunciato quella frase esatta?
Lo guarda disorientata. Ha troppa paura di essersi sbagliata.
Il mio nome? Perché, hai intenzione di chiamarmi spesso?
È folle, ma solo Loki potrebbe dare una risposta del genere. Il fatto che abbia le sembianze di una persona la cui vista le risulta così insopportabile è l'unico motivo per cui lei riesce a trattenersi dall'abbracciarlo.
«Come... come diavolo hai fatto?» farfuglia, incredula.
«Magia, inganni: questo è il mio preferito» risponde lui con una cera fierezza.
«È inquietante. E comunque non è questo che volevo sapere: come mi hai trovata?».
Loki indica con un'occhiata il suo bracciale. Nadia si porta una mano ad accarezzare il profilo liscio della pietra.
Ma certo. Lui può sempre trovarla, lui è sempre riuscito a trovarla. Quella pietra ha unito le loro strade molto tempo prima e in nessun modo è possibile che si perdano. Se lo avesse ricordato a tempo debito, si sarebbe risparmiata un bel po' di disperazione.
«Dove sono gli altri?» bisbiglia lei.
«Quali altri?»
«Tony, Steve, Thor... gli altri».
La faccia di Mike si incupisce con un'espressione che appartiene decisamente a Loki.
«Perché mai dovrebbero esserci?» borbotta.
«Perché mai avresti dovuto venire da solo?». Nadia lo fissa corrugando la fronte. Capisce subito che c'è qualcosa che non va, in un primo momento pensa che Loki lo abbia fatto per dimostrare a lei che poteva farcela da solo e agli altri che potevano fidarsi, ma si rende subito conto che è un'ipotesi che non regge: persino Loki non sarebbe così ottuso e infantile nel suo voler dimostrare qualcosa a qualcuno. Venire lì da solo e cercare di portarla via è una cosa troppo rischiosa, per entrambi, e non c'è ragione per correre un simile rischio. A meno che il progetto iniziale non prevedesse qualche altra idea e quel colpo di testa non sia solo un ripiego, un ripensamento dell'ultimo momento.
«Oh mio Dio, tu non vuoi salvarmi... tu vuoi trattare con questa gente» mormora Nadia, allibita.
«Sì, il piano originale era scambiare la mia collaborazione con la tua incolumità, poi ho cambiato idea, contenta ora? Possiamo pensare a come uscire di qui?».
Cosa? La sua incolumità?
Avrebbe collaborato con Hope e i suoi sottoposti? Li avrebbe aiutati a distruggere la Terra o a uccidere Thor?
Non si aspettava che i sentimenti di Loki per Thor e gli Avengers fossero cambiati, ma di certo non pensava che li avrebbe traditi, non in quel modo e in quella situazione. Pensava che rispetto a quella questione almeno stessero dalla stessa parte.
Lo guarda con un misto di sgomento e rabbia. Li ha traditi, ha tradito lei e tutti loro... le salgono le lacrime agli occhi ma si sforza di trattenerle.
Si era sempre sentita in bilico con lui, si era sempre sentita come una viandante sperduta in mezzo al buio, con il solo ausilio di una flebile fiamma che sperava di trasformare in fuoco. Ora la fiammella tremola nel vento e minaccia di spegnersi.
«Va' a chiamare Tony e gli altri e portali qui, maledizione!» gli dice. Non si rende conto di star alzando la voce e Loki è costretto a piombare su di lei e a premerle una mano sulla bocca per farla smettere.
«Se li vedessero arrivare potrebbero decidere di mandare loro un tuo occhio come monito» risponde lui, gelido. «E mi pare che stiamo perdendo già troppo tempo. Troviamo un modo di andarcene».
L'afferra per il polso e sbuffa spazientito. Lei tenta di ritrarsi, ma le dita di Loki si stringono a morsa.
«Aspetta, ci sono Jane e Pepper...» protesta la ragazza.
«Di loro non mi importa».
Nadia ha l'impulso di colpirlo, sente la rabbia dentro di lei crescere sempre più bruciante, una marea che sale fin quasi ad accecarla. Per un attimo compaiono solo scintille di luce cupa davanti ai suoi occhi, poi tenta di darsi una calmata. Hanno perso un mucchio di tempo in convenevoli inutili e lei si sente già abbastanza stupida e se rischiasse di farsi scappare un picco di energia come ai primi tempi sarebbe tutto perduto.
«Hai appena perso il diritto di discutere di quello che ti importa o non ti porta, nel caso non ti sia chiaro» sibila astiosa. «Ora mi fai uscire da questa stanza, mi porti da loro e dirai che Hope, il capo di questi stronzi, mi ha concesso qualche minuto con loro all'aria aperta... qualcosa del genere. Sei tu quello bravo con le bugie».
«Non c'è proprio bisogno che tu morda» replica lui, con quella calma gelida del falco che sta per piombare sulla preda.
No, mordere sarebbe troppo poco. La rabbia dentro di lei muta in disperazione, si immagina come in un incubo a tentare di urlare senza che dalla bocca le esca alcun suono e si detesta per non riuscire ad essere lucida quanto dovrebbe, perché per un attimo il rendersi conto di quello che è successo fa passare tutto in secondo piano.
Chiude gli occhi. I volti dei suoi amici si accendono in flash rapidi dietro le sue palpebre chiuse. Vorrebbe essere come loro, capace di combattere malgrado tutto.
Spinge Loki per aria e apre la porta della stanza. Uno dei tizi messi di guardia la blocca, premendole una mano sul petto per gettarla dentro,
«Dove credi di andare?» sbotta.
«Hope ha detto che potevo vedere le mie amiche. Lui deve accompagnarmi». Può quasi sentire il ringhio trattenuto nella gola di Loki. Il guardiano getta un'occhiata sospettosa al ragazzo alle sue spalle, la faccia di Mike annuisce senza alcuna espressione, ma le si avvicina e le afferra il braccio stringendo nervosamente.
«Se falliamo, le perderai comunque, sciocca ragazzina avventata» sussurra lui al suo orecchio. E non è la voce di Mike, è proprio quella di Loki, pungente e fredda come il vento del nord.
Lei lascia andare un sospiro trattenuto, insieme all'aria vola via tutto il furore e resta solo un avvilente senso di angoscia e sconfitta.
«Ho già perso. Voglio solo uscire di qui» replica. Non è certa che Loki abbia compreso il senso di quella frase, ma sente la sua stretta al braccio allentarsi.
Ripetono la menzogna di Nadia ai tizi che sono di guardia a Jane e Pepper. Lei sa che Loki ha ragione, che è un piano troppo semplice e che è solo fortuna che Hope non sia ancora uscito dal suo ufficio e si sia accorto che lei sta andando a spasso senza che lui abbia dato alcun ordine. Lo sa, ma non vede altra soluzione, e restare lì è sicuramente molto più rischioso che tentare quella sorta di fuga disperata.
Pepper e Jane sono ancora ammanettate, segno forse che Hope vuole tenerle pronte per ogni eventualità. Pepper è la prima a scattare, guarda Mike come il toro che sta per lanciarsi a tessa bassa contro il torero.
«Tu! Come hai potuto? Io, Tony, ci fidavamo di te!» ringhia. Il destinatario è sbagliato ma le parole vanno bene comunque. «Non la passerete liscia, tu e i tuoi amici... e verrà il momento in cui il tuo fondoschiena sarà alla portata dei miei calci!»
«Sempre che rimanga qualcosa di te e del tuo sedere» si accoda Jane. È ancora tremendamente pallida, ma scatta in piedi con un balzo da tigre.
Per essere terrorizzate, non hanno perso grinta. In un'altra circostanza Nadia riderebbe di cuore.
«Hope ha detto che possiamo uscire» mormora la ragazza, cercando di non lasciar trasparire niente che i guardiani possano interpretare come un segnale anomalo. «Non fate sciocchezze, ragazze, io non so quanto posso tenere duro... non voglio indispettire nessuno».
Allarga gli occhi per un attimo in un'espressione eloquente che spera le due donne capiscano. La guardano assottigliando lo sguardo per un secondo, poi lei si volta e lascia che Loki le accompagni fuori.
Attraversano il capannone in silenzio, una dietro l'altra a testa bassa, Jane e Pepper in testa. La mano di Mike è ancora stretta attorno al braccio di Nadia. Lei conta i passi che la separano dalla porta; ad ogni passo il cuore sembra riacquistare un ritmo meno serrato, più naturale.  
Sono a soli due metri dalla porta.
Ogni pensiero, ogni energia della ragazza è completamente assorbito dallo sforzo di mettere un piede davanti all'altro.  
«Cosa sta succedendo? Che ci fanno quelle tre in giro?».
La voce di Hope sembra calare come un fulmine. Per un attimo tutto resta sospeso nel battito di cuore che Nadia sente mancarle, la voce dell'uomo è come uno sparo e lei si sente colpita al centro esatto della testa da un proiettile che le spande una sensazione di gelo tremendo e paralizzante in tutto il corpo.
Ma è solo un istante.
Nei secondi immediatamente successivi, Nadia spinge Jane e Pepper fino alla porta. L'effetto sorpresa rallenta la reazione dei tre uomini che piantonavano l'uscita. La porta si apre verso l'esterno e l'aria della sera è fresca e inodore, così diversa dal tanfo di petrolio e umidità che si respira del capannone.
La ragazza sente la porta venire chiusa pesantemente alle sue spalle e inciampa su una macchia d'olio sul piazzale di cemento, cade e si taglia un ginocchio urtando contro un sassolino appuntito.
Loki ha avuto la prontezza di sprangare l'uscio, ma quella non è l'unica uscita e lei sa che presto gli saranno addosso, e invece di farla muovere, quella certezza la tiene schiacciata a terra, senza fiato.
Sente una mano afferrarla per il colletto della maglietta e tirarla in piedi.
Con la coda dell'occhio vede le facce scioccate di Jane e Pepper, in parte per la paura, in parte perché Loki ha ripreso le sue sembianze e in un modo o nell'altro non dev'essere molto rassicurante averlo vicino.
Spari. I fori di proiettile bucano il metallo della porta. Dal retro del capannone arriva il suono concitato dello scalpiccio di tante persone che corrono.
Usano armi normali, comuni armi da fuoco.
Loki spinge Nadia in avanti, per costringerla a correre, lei afferra la mano di Pepper, che a sua volta acciuffa Jane per un lembo della camicia. Se non fossero tutte e tre mezze intontite dalla paura forse riuscirebbero persino a sentirsi ridicole.
Gli spari continuano. Nadia vede qualche goccia di sangue stillare dalla spalla di Loki.
Fanno giusto in tempo a nascondersi dietro a un altro fabbricato, prima che gli uomini di Hope li raggiungano.
«Cabina... telefonica...» squittisce Pepper, premuta contro il muro, tra Nadia e Jane.
Jane per conto suo non riesce a fare altro che indicare Loki e boccheggiare con aria stravolta.
«Cabina...» ripete Pepper. Le voci degli inseguitori coprono la parola che è poco più di un sospiro.
Seguendo il suo sguardo, Nadia intercetta una cabina telefonica che spunta in una piazzola spoglia, un solido di plexiglas e acciaio che sembra spuntare dal terreno come una pianta selvatica.
Sì, Pepper è vissuta accanto al genio di Tony Stark per molti anni e quella è l'unica idea vagamente geniale della serata. In che altro modo potrebbero chiamare aiuto se non con quel telefono?
Un quartetto di uomini armati passa a pochi metri da loro senza vederli. Hanno davvero in mano comunissime armi: evidentemente non voglio sprecare l'armamentario alieno che si sono portati dietro dal dannato buco di inferno da cui provengono.
Nel campo visivo di Nadia entra per caso la mano che Loki si è premuto sulla spalla e ha ritirato sporca di sangue.
«Stai bene?» gli chiede.
Lui le lancia quella che sembra essere un'occhiata di sufficienza a metà tra il serio e il sarcastico. «Io sono un dio, e ho ancora un paio di carte da giocare» replica.
Agita le dita e compare una sua proiezione a un metro da loro. Il finto Loki corre via a perdifiato, diversi secondi dopo si infila in un viottolo tra due fabbricati e getta per aria un bidone, attirando con il rumore gli inseguitori.
«Intelligente...» squittisce Jane.
«Sì, immagino tu non ci sia granché abituata, all'intelligenza» borbotta lui. Poi gioca la seconda carta, quella della nebbia, come a Venezia, come a Nornehim.
Nornehim. Il pensiero scricchiola nella testa di Nadia. Se tutto va bene, presto riuscirà a spiegare tutto a chi di dovere.
La nebbia cala pesantemente, è come essere annegati in un bicchiere di orzata. Le ombre delle costruzioni galleggiano attorno a loro come enormi cubi di nero.
«Muoviamoci» dice Loki, alzandosi.
Nadia confida che Pepper ricordi la direzione in cui si trova la cabina telefonica. E soprattutto confida che il telefono funzioni. C'è una buona probabilità che sia così, che in quelle zone fuori città non ci sia molta copertura con i cellulari e che quindi mantengano attivi i telefoni pubblici.
Le tre donne camminano strette l'una accanto all'altra per non perdersi, cercando di fare quanto meno rumore è possibile. Le voci degli inseguitori suonano lontane e Loki è poco più di un'ombra incolore accanto a loro.
Ci vanno a sbattere contro, alla cabina. Lo sportello esterno penzola fuori dal binario di scorrimento e non è affatto un buon segno.
Pepper entra, Jane le va dietro e restano premute contro le pareti trasparenti. C'è un brutto odore lì dentro.       
«Funziona» dice Pepper trionfante, dopo essersi portata la cornetta all'orecchio. «Almeno, la linea c'è».
«Serve qualche quarto di dollaro» le fa eco Jane.
Dal nulla, Loki allunga un paio di monete verso Pepper.
«Come direbbe Harry Potter: adoro la magia» mormora lei cantilenando, infilando le monete nella fessura.
I secondi che seguono sembrano pesare come macigni.
«Tony! Sì, sto bene, stiamo bene io, Jane e Nadia... Loki... non lo so... dovete fare presto... il loro covo è in quell'orribile capannone che avevi comprato per usare come magazzino, siamo lì fuori».

La nebbia non si dirada. Nadia resta seduta a terra, con le spalle appoggiate alla parete della cabina. Si sente esausta e la voglia di piangere si è condensata in un peso di piombo ad altezza del petto, ogni tanto sale verso la gola, come se volesse soffocarla e lei deve deglutire più vole per mandarlo giù, e deve stringersi le mani gelate per trattenere le lacrime.
Jane e Pepper sono sedute dall'altro lato della cabina, rabbrividiscono e quasi certamente anche loro hanno i vestiti del tutto inumiditi e appiccicati addosso.
Nadia non riesce a voltarsi a guardare Loki seduto accanto a lei. Non sa affrontare l'idea di quello che lui ha fatto ed è perfettamente consapevole di quanto sia assurdo: lui ha ucciso, manipolato, ricattato, ingannato. Lo ha sempre fatto, ha sempre fatto cose anche peggiori di quella, e lei non può comportarsi come se la cosa fosse diventata importante solo ora, perché riguarda lei e persone vicine a lei. È ipocrita e sciocco pensarlo, come sono state sciocche le sue speranze, tutte le sue speranze.
Eppure brucia, fa male, come una stalattite di ghiaccio che gli si è conficcata dentro e ora ustiona, scava, lascia il vuoto.
Nadia ha la tentazione di chiedergli se la ferita alla spalla è già guarita o se è comunque in via di guarigione, ha bisogno di poter dire qualcosa di normale e magari concedersi l'illusione di essere tornati indietro nel tempo, a Venezia, quando erano nascosti in quel rudere e l'unica cosa che provava per lui era un sentimento di umanissima simpatia, una sorta di strana solidarietà.
Sta per aprire bocca, ma sopra di loro le luci del quinjet compaiono oltre la coltre di nebbia. Nello stesso istante, si sente uno strano boato provenire dal capannone in cui Hope e il suo seguito erano nascosti.





_____________________________________________________

Note:

Bene, ora che si è citato pure Harry Potter penso di essere a posto.
Approfitto di nuovo della citazione, io adoro la magia! E finalmente ho potuto far divertire un po' Loki. Nei fumetti il fatto che cambi aspetto (nella sua prima apparizione si trasforma in piccione per scappare da Thor... son cose che ti segnano) succede abbastanza spesso, anzi credo che sia proprio il suo genere di inganno preferito.

E naturalmente, Mike doveva morire. È una fine un po' ingrata per un personaggio che, tutto sommato, ci ha fatto compagnia per svariati capitoli, ma Loki aveva da fare.

La frase che Loki dice a Nadia quando entra nella sua stanza è una citazione della prima fanfiction, praticamente sono le prime parole in assoluto che Loki le abbia mai detto, e qualche capitolo fa i due avevano ricordato l'episodio e il fatto che lui avesse detto proprio quelle parole.

Guest star: James Rhodes aka Rhodey ** lo adoro per il solo fatto che sopporta e sUpporta Tony e mi sarebbe piaciuto inserirlo prima, ma non c'è mai stata occasione.


Tra oggi e domani rispondo a tutti voi. Intanto grazie, come sempre ^_^

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE


Ci leggiamo venerdì prossimo!

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Capitolo 25
*** Endgame - part one ***


Capitolo ventiquattresimo
Endgame – part one


«Agente Romanoff, apri il portellone». Tony si cala la visiera dell'armatura sul viso. L'interfaccia robotica si accende gettandogli davanti agli occhi una serie di informazioni a cui nemmeno fa caso.
«Apri il portellone» ripete Thor. Anche lui sta scalpitando, per poco l'elettricità non gli increspa i capelli.
Non hanno capito molto della telefonata di Pepper. E al momento neppure sembrava importante, tutto quello che contava era sapere che stavano bene, sapere dov'erano e poterle andare a prendere.
«Non posso aprire il portellone» replica Natasha, con la sua flemma da agente super efficiente. «Non si vede niente qui di sotto».
Sotto di loro sembra esserci una distesa di ovatta. Tony riesce quasi a immaginare se stesso volare fuori dal jet e atterrare sul morbido del cotone.  
Il piccolo cervo e il suo trucchetto della nebbia.  
«Apri il portellone» ripete, stolidamente.
Loki alla fine ce l'ha fatta, le ha tirate fuori, tutte e tre. E ha fatto tutto da solo. È quel genere di pensiero, si dice Tony, che potrebbe avere ripercussioni sul suo apparato gastrico o sull'emicrania che certamente gli verrà da lì a poco se non esce da quel jet.
Il boato arriva all'improvviso, il suono è ovattato ma smuove l'aria e il quinjet sbanda leggermente.
«Cosa è stato?» scatta Rogers, afferrando istintivamente lo scudo.
«Non lo so. La nebbia si sta diradando ma la visibilità è ancora scarsa» risponde Barton, armeggiando con qualche comando.
Sul radar non c'è niente e ora si riesce a vedere il profilo degli edifici. Potrebbero persino atterrare su un tetto di quelli che stanno sorvolando. E lui ha la tentazione di abbatterlo, quel portellone se la Romanoff non si decide a darsi una mossa.
Quel suono non è per niente rassicurante e Pepper e le altre sono ancora lì fuori.
«Atterriamo. Lì». Barton indica la cima piatta di un edificio di cemento, abbastanza solido da reggere il peso del velivolo. Vira e comincia a scendere.
La manovra di atterraggio è di una lentezza esasperante. Alla fine il jet ha un leggero sussulto e il suono dei motori si fa più fioco.
Ci sono tutti, tranne Bruce Banner che è rimasto a bordo dell'Elivelivolo a continuare a lavorare sullo smagnetizzatore.
Guarda Barton e la Romanoff che si tolgono le cinture, ma Rogers li ferma con un cenno.
«No, restate qui e tenete acceso questo affare» si raccomanda. «Non sappiamo quanto in fretta dovremo andare via».
La risposta dei due agenti si perde nel nulla, nel rumore che Tony sente quando Thor parte a razzo volando via, verso l'esterno e lui lo segue a ruota. Forse da lontano Steve sta urlando di aspettarlo, di non disperdersi.
Atterrano sull'asfalto producendo due diverse sfumature di suono metallico. Qualche fulmine, sottile come la coda di una lucertola, si agita sulla superficie del martello di Thor e poi si spegne.
Si guardano attorno; sul polso dell'armatura le placche metalliche si sollevano e scoprono una corona di piccoli missili allineati l'uno accanto all'altro.
Chissà se quei dannati bastardelli sono ancora in giro. Tony spera proprio di sì, i nuovi missili ad alta precisione hanno giusto bisogno di essere testati su qualcosa che si muove. Meglio se questo qualcosa si muove correndo via e urlando, è più divertente e lo aiuterebbe senz'altro a scaricare la tensione accumulata nelle ultime trentasei ore.
La nebbia attorno a loro è quasi scomparsa. Non sembra esserci anima viva in quel posto. Pensandoci, dovrà chiedere a Pepper di ricordargli perché ha comprato un capannone in quel posto  fuori città dimenticato da Dio – probabilmente è successo quando lei non c'era, lui era un po' alticcio e aveva voglia di fare shopping. E comunque aveva ragione, fin dall'inizio: va sempre a finire che il cattivo di turno mette le mani nelle sue cose!
Sentono dei passi correre verso di loro, alle spalle. Lui e Thor si voltano nel medesimo istante, il dio solleva il martello, Tony si figura già i missili partire e lasciare una sottile scia di fumo argentato nell'aria. Ma è solo Rogers che li ha raggiunti correndo, lo scudo di vibranio saldamente stretto nel pugno.
Negli auricolari sente le voci dei due agenti commentare che non sembra esserci proprio nessuno lì intorno.
«Legolas, cosa vedono i tuoi occhi di elfo?» esclama.
«Il deserto» borbotta Barton nel microfono. «Che facciamo, accendiamo la luce dei fanali?»
«E luce fu»
«Aspetta, così rischiamo di tirarceli addosso» osserva Rogers.
«Sarebbe di grande diletto» commenta Thor con un mezzo sorriso, che non è il suo solito sorriso, è molto più ferale e cupo. «Ma non è il caso di cercare lo scontro fino a quando le nostre tre fanciulle non saranno al sicuro nel vostro macchinario volante».
«Pepper ti ringrazierebbe per averla chiamata fanciulla» sghignazza Tony. Tutti ringrazieranno tutti quando tutti saranno del tutto al sicuro.
«Aspettate, le ho viste!». La voce della Romanoff suona lontana, come se fosse uscita dal jet – probabilmente per controllare la zona con un binocolo. «Sono a due isolati da voi, verso sinistra. Sono vicine a una cabina telefonica e non c'è nessun altro attorno a parte Loki».
Loki sarebbe comunque un buon soggetto sul quale testare i missili. Tony non sa fino a che punto deve essergli grato per il servizio reso con la liberazione delle ragazze, e ad ogni modo è da quando lo ha visto spuntare nel bosco che vuole spaccargli la faccia, così, per principio. Tanto, se non è per qualcosa che ha fatto – e ha fatto decisamente abbastanza – è per qualche altra cosa che sicuramente farà.
Non è molto da eroe salvatore del pianeta avere pregiudizi, ma il dio psicopatico se lo va proprio a cercare. E comunque, si tratta di Loki, qualsiasi pensiero negativo su quel rifiuto dell'Olimpo non può essere un pregiudizio, è una certezza bella e buona...
Ma intanto, ha tirato Pepper fuori di lì...
«Serve un passaggio, ragazze?» dice, appena le vede dietro quella cabina telefonica che sembra reggersi in piedi per miracolo.
Sussultano tutti, Bambi compreso. Pepper afferra un pietra e gliela lancia contro: il sasso rimbalza sull'armatura con un sonoro tintinnio.
«Mi hai fatto venire un infarto!» esclama. Cielo, nemmeno quando lavorava come sua segretaria era mai stata così vicina all'esaurimento nervoso.
«Senti chi parla di provocare infarti al prossimo» risponde lui, scoprendosi il viso.
Pepper gli si fionda tra le braccia, è scomodo abbracciare con l'armatura, ma è sempre meglio di niente. Ritrovarla sana e salva è tutto.
Anche la dottoressa Foster vola come un uccellino al nido tra le braccia di Thor che sembra quasi fagocitarla tra i muscoli e le pieghe del mantello.
«Avete trovato traffico?» scherza Nadia. Ma il sorrisetto è forzato, meno sollevato di quanto ci si aspetta. Tony le scompiglia i capelli con una mano e le strizza l'occhio, ma è Rogers ad abbracciarla, sollevandola da terra e mormorando un accorato «Grazie a Dio».
Il dio da ringraziare – sempre ammesso che davvero lo meriti – resta qualche passo più indietro, torvo e inquietante come solo lui sa essere.
«Va bene, finiamo di fare gli orsetti del cuore» gracchia Barton in viva voce dalle uscite audio dell'armatura. «Portate a bordo le signore e vediamo se riusciamo a capire cosa è successo qui».
«Non c'è niente da capire, se ne sono andati» replica Loki. «Era questo il boato che si è sentito, devono aver usato qualche mezzo di teletrasporto, di certo avranno spostato tutto l'arsenale».
«Tutto l'arsenale?» gli fa eco Rogers, sgranando gli occhi dentro i fori del cappuccio della dannata calzamaglia.
«Chi è questa gente?» chiede Thor.
«Nornehim. Così hanno detto» spiega Nadia. «Ma mi piaceva quell'idea di Clint riguardo lo spostarci da qui. Vi racconterò tutto dopo».
Thor e Loki si scambiano uno sguardo eloquente. Bello vedere che hanno ancora qualche remoto momento di gloria da condividere. Che diamine vuol dire ''Nornehim''?!
Riportano Pepper, Nadia e Jane al jet, poi vanno a visionare il capannone. Come aveva detto Loki, non c'è niente, quei bastardi sono di nuovo spariti nel nulla e si sono portati dietro le loro dannatissime armi.
Nick Fury farà dei salti di gioia così alti da picchiare la testa contro il tetto dell'Elivelivolo fino a procurarsi una commozione cerebrale.

Durante il volo si mettono in comunicazione con la base volante. Come da previsione, Fury sembra sprizzare gioia da tutti i pori.
«Che cosa vuol dire spariti?» abbaia, così forte che la Romanoff si toglie le cuffie e le appoggia sulla consolle dei comandi.
«Nella mia lingua vuol dire scomparsi, volatilizzati, evaporati, che prima c'erano e adesso non ci sono più» borbotta Tony.
«Mai una buona notizia, voi altri!». Il sospiro stizzito del direttore fruscia negli auricolari.
Tony passa in rassegna le facce dei suoi compagni di viaggio. Pepper se ne sta seduta composta nel suo sedile, cinture allacciate sul petto e sguardo stanco, come se fosse uscita da una giornata in ufficio particolarmente pesante. Altro che Avengers! Questo sì che è eroismo.
La dottoressa Foster se ne sta rannicchiata sotto il braccio di Thor, semiaddormentata. Lui l'ha coperta con il mantello, e la giovane scienziata gli dà di nuovo quell'impressione di essere un uccellino accoccolato sotto l'ala protettrice di un esemplare più grande dello stormo. Da quel poco che Thor gli ha raccontato, la piccola Jane non è particolarmente abituata a quelle situazioni da cardiopalma, a parte l'attacco di un gigantesco robot sputafuoco, non ne ha viste ancora abbastanza; Naida e Pepper già sembrano un pochino più allenate, visti i trascorsi. Ma Nadia sembra essere uscita distrutta da quella situazione, deve essere morta di paura sapendo che le vite delle altre due erano nelle sue mani. E adesso se ne sta con una guancia appoggiata sulla spalla di Steve, che è fermo e immobile come una statua, come se avesse paura di muoverla e vederla andare in pezzi.
Loki invece è seduto sull'ultimo sedile; mani alle ginocchia e testa diritta, sguardo perso nel vuoto... praticamente un gargoyle. Nadia nemmeno osa voltarsi nella sua direzione.
Oh, ma tu guarda, piove in paradiso...  
«Signorina Berton» esclama Fury. Nadia scatta come sull'attenti, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. «Sta bene?».
«Sì... credo di sì, direttore...» farfuglia.
«Bene. Ora mi racconti che diamine è successo in quel capannone».
Non potevi proprio aspettare, eh Nick?

*

«Americani!» bofonchia Nadia, guardando fuori dal finestrino la sagoma di quell'enorme fortezza fluttuante sospesa in mezzo al cielo, come un palazzo tra le nuvole nelle illustrazione di un libro di fiabe. «Sempre le cose esageratamente in grande dovete fare».
In realtà, la voglia di piangere le è rimasta attaccata alla gola e quasi si meraviglia che non le escano singhiozzi al posto delle parole.
Qualche lacrima dev'esserle scappata, e devono essere state lacrime grandi come chicchi di grandine, scivolate oltre le ciglia e andate perdute nella trama del tessuto della divisa di Steve, dove teneva appoggiata la guancia. Lui non se n'è accorto o ha finto di non accorgersene.
Atterrano con una manovra un po' turbolenta a causa del vento forte. Il portellone del jet si apre su una botola che immette direttamente all'interno della portaerei volante, il giocattolo preferito di Nick Fury.
La ragazza è contenta di essere finalmente in uno spazio più grande. Ha l'impressione di poter mettere distanze tra se stessa e ciò che non vuole affrontare. E chi non vuole affrontare.
Ora che sono fuori pericolo, non sa che fare con Loki. Più ci pensa e più si rende conto che non c'è niente da fare. Più ci pensa e più si rende conto che non è nemmeno arrabbiata con lui, che esserlo sarebbe da vera ingrata in fin dei conti, è solo che quello che è successo la disorienta.
Loki era arrivato lì con l'intento di allearsi con Hope e i suoi uomini. E poi ha cambiato idea. Questo dovrebbe bastarle, eppure non è così.
Credeva di essere in grado di capirlo, non sempre, non su tutto, ma almeno riguardo a ciò che poteva aspettarsi o non aspettarsi da lui.
Risalgono una scala di acciaio e Bruce compare in cima ai gradini, a dare a lei e a tutti loro il bentornato. Le posa una mano sulla spalla, stringe leggermente e le sorride con quel suo modo sempre un po' imbarazzato, che sembra chiederle scusa per non essere andato a prenderla insieme agli altri. Nadia immagina che abbia avuto i suoi motivi e di certo non ha intenzione di fargliene una colpa. Farlo viaggiare nell'angusto spazio del quinjet in una situazione potenzialmente molto problematica non sarebbe stata l'idea dell'anno.
«Immagino che voi tre dobbiate filare in infermeria» dice dopo qualche secondo.
«Stiamo bene, dottor Banner» dice Jane. Sembra letteralmente rifiorita ora che è al sicuro.
«Io starò meglio dopo una doccia e con dei vestiti puliti» replica Nadia.
«Io starò meglio dopo una dormita. Però la doccia credo sia prioritaria» aggiunge Pepper.
Quando la ragazza vede la figura in nero di Nick Fury comparire in fondo al corridoio si sente un po' avvilita. Le hanno salvate, loro stanno bene, ma i nemici sono ancora armati e a piede libero e nessuno ha idea di dove siano spariti. Non è cambiato poi molto.
«Vorrei sentire anche la versione del nostro ospite» dice Fury quando gli passano vicino. «Per quel che ne so, a quest'ora potrebbe essere dalla parte degli invasori».
Loki fa un sorriso beffardo che trasuda acidità, tanto che potrebbe rodere le pareti di metallo.
«Non è una squadra sulla quale ho ritenuto fosse il caso di puntare» risponde in tono piatto.
Nadia si volta a guardarlo e si sente una vigliacca nel rendersi conto che lo sta osservando seminascosta dietro alle spalle di Steve, come se potesse fingere che la cosa non la riguardi tanto da vicino.
«Non so se è esattamente un complimento a voi altri, ad ogni modo, è vero mi sarebbe piaciuto conoscerli più da vicino e ho fatto in modo che succedesse quello che è successo. Ma ora, ditemi, quale danno è stato arrecato?».
«Qualcuno gli risponda, perché se rispondo io gli faccio male» esclama Tony.
«Non possiamo fidarci di te» sbotta Steve.
«Lo so. Ma d'altronde, non lo avete mai fatto e io non ve l'ho chiesto» taglia corto Loki, nella più totale e indifferente calma, quella che nasconde una rabbia rovente come lava. «Io ho fatto ciò che andava fatto. È vero, ora li abbiamo persi di nuovo, ma sappiamo chi sono, di quante forze dispongono e qual'è il loro piano. Questo era l'unico modo, ma se vi avessi proposto di attuarlo, ragionevolmente, a carte scoperte, lo avreste forse fatto? No, perché vi sareste preoccupati di Nadia, di quello che sarebbe potuto accaderle senza nemmeno pensare che avrei potuto tirarla fuori in tempo, come infatti è successo. E ora non avreste in mano niente»
«Jane e Pepper sono state prese come ostaggio!» tuona Thor, muovendo un passo verso Loki. Chiunque altro al suo posto sarebbe indietreggiato, ma il dio dell'inganno è troppo furioso per provare paura. E odia troppo suo fratello perché la sua rabbia possa smuoverlo in qualsiasi modo o perché la sua collera possa impressionarlo.
«Questo nessuno poteva prevederlo, dannato idiota! Ora, se volete, rinchiudetemi di nuovo in quella vostra gabbia di vetro, ma non osate mai più dubitare dell'assennatezza di ciò ce faccio».
Thor adesso gli è quasi addosso, il viso a un palmo dal suo.
«Assennate o meno, le tue macchinazioni sono sempre rischiose, come le azioni di chiunque pensi solo al fine da perseguire» ringhia il dio del tuono. «Ed è un pericolo al quale intendo porre fine perché nessun altro vi sia mai più esposto. Non scapperai questa volta, Loki. Verrai con me, ad Asgard, e si compirà il tuo destino».
Nadia sente il gelo nella voce di Thor, una freddezza diversa da quella che c'è nel tono che a volte usa Loki, una freddezza che mette ancora più paura. Sembrano tutti dello stesso avviso, perché adesso tutti sono ammutoliti e anche Jane guarda l'uomo che ama come se stentasse a riconoscerlo.
Il dio dell'inganno fa un vago cenno di assenso, poi sorpassa tutti loro e si allontana in fondo al corridoio. Il mantello che ondeggia sulle spalle fa apparire la sua ombra una macchia informe di nero sulle pareti lucide.
Nadia non sa cosa pensare. Quella faccenda è come un rompicapo, un indovinello e lei è coinvolta in ogni riga dell'enigma in modo diverso.
Sente i passi di Loki farsi sempre più distanti. È certa che Thor non intendesse davvero dire quelle cose in quel modo, che è stato solo uno sfogo dovuto alla tensione, eppure ha aperto scenari inquietanti. Per quanto ancora si può fingere che il futuro di Loki non riservi cose tremende o per lui o per qualcun altro? Per quanto ancora si può pensare che non ci sia qualcosa da sacrificare: la libertà di Loki o la sicurezza di altre persone?
Nadia sente un braccio circondarle le spalle e spingerla delicatamente verso un'altra rampa di scale.
«Vieni, andiamo, ti faccio vedere dove sono le docce» è Natasha. «Pepper, Jane, seguitemi».
«Devono fare i loro discorsi da grandi e i bambini devono stare fuori dai piedi?» mormora Nadia, senza irritazione ma anche senza ironia.
«Non c'entri e non devi entrarci più niente con questa storia. È una libertà che credo tu ti sia pienamente meritata» risponde la donna con un mezzo sorriso. «Sappi solo che li prenderemo prima che facciano qualche altro danno».
Mentre fa strada verso le docce, Natasha ha comunque la gentilezza di metterla a parte degli ultimi sviluppi, del marchingegno ideato da Tony per rendere inutilizzabili le armi degli invasori, lo chiamano lo ''smagnetizzatore''. Parla della faccenda con evidente ottimismo, ma forse è solo deformazione professionale di chi è sempre andato fino in fondo nei compiti che aveva da svolgere, di chi risolve i problemi costi quel che costi. Il problema di quella situazione però è che il fondo sembra lontano e irraggiungibile come l'orizzonte.

*

Loki scende le scale. C'è freddo in quell'area della fortezza fluttuante di Fury ora che è stata svuotata.
Non ci sono più le apparecchiature e tutto quello che è rimasto delle vicende che si sono consumate in quello strano luogo è una macchia su un pannello alla parete, in basso, dove probabilmente è stato usato qualche detergente forte per lavare via la macchia di sangue lasciata dall'agente che aveva ucciso.  
Ricorda quando è stato lì la prima volta. Per quanta calma algida ostentasse e per quanto volesse apparire beffardo e sicuro di sé, quella di essere in gabbia era stata una sensazione veramente orribile, al di là dell'umiliazione e del senso di impotenza. Era qualcosa che cozzava in maniera dolorosa con la sua natura, con la sua stessa anima.
Non si può tenere in gabbia un dio, è inconcepibile. Loki si era sentito implodere lì dentro e ora che guarda lo spazio vuoto lasciato da quella orribile scatola di vetro, pensa che non è stata nemmeno l'umiliazione peggiore che gli sia mai capitata. Perché poi c'è stata la sconfitta di New York, c'è stata l'immagine di se stesso in ceppi che si rifletteva su tutte le superfici dorate del palazzo di Asgard, come in un incubo in cui la sua ennesima caduta riecheggiava all'infinito nell'universo. E poi c'è stata la prigione di pietra di Thanos. C'è stato il dolore, quello che piega anche l'anima di un dio, e lui si ritiene fin troppo fortunato ad essere fuggito da quell'inferno prima che quel dolore lo spezzasse del tutto.
Loki sente un brivido risalirgli lungo la schiena e si detesta, anche se nessuno può vederlo rabbrividire al pensiero di quello che ha subito durante quelle settimane di prigionia. Detesta le cicatrici che gli sono rimaste, a riprova del fatto che nemmeno gli dei sono davvero indistruttibili. Davvero c'è mancato poco, molto poco, che si spezzasse per sempre...
Scuote la testa, come a cercare di allontanare quel pensiero. Guarda lo spazio vuoto oltre la ringhiera circolare, dove un tempo c'era la grande gabbia di vetro.
«No, Thor, tu non mi porterai ad Asgard...» mormora alla penombra fredda e vuota. «Non darò al Padre degli dei la soddisfazione di condannarmi o di graziarmi. Mai».
Il freddo è come un velo che copre tutto, adesso copre anche lui.
Loki sente una stanchezza mai provata prima serpeggiargli nei muscoli. Tenta di concentrare i propri pensieri su qualcosa, ma non ci riesce, gli ingranaggi della sua mente sembrano incastrarsi ora.
Eppure sa che il suo tempo sta scadendo perché non hanno più bisogno di lui. La ragazza può sopravvivere con quello che ha appreso senza che l'energia sia più un problema in futuro e la battaglia contro gli invasori di Nornehim non lo riguarda più.
Tutto è come prima, ci sono gli eroi e c'è il mostro. Ci sono le luci e c'è l'ombra che esse stesse delimitano.
«Loki...». La voce di Nadia vibra in mezzo alla penombra.
Sapeva che sarebbe venuta a cercarlo, quello che non sa è cosa aspettarsi. Ma non ha paura di affrontarla, per quanto sia intimamente dispiaciuto di averla messa in pericolo, non è pronto a considerare ciò che ha fatto come qualcosa di completamente sbagliato. Non è disposto a dare ragione a Thor e ai suoi amici, a quel branco di individui stolti che si credono migliori di lui ma che lo hanno usato solo per i propri scopi eppure senza mai smettere, nemmeno per un attimo, di mostrargli il loro disprezzo.
Il dio si volta a guardare la ragazza. La guarda con una circospezione che sembra quasi fastidio, ma a lui non è mai mancato il coraggio delle sue azioni e può sostenere e argomentare qualsiasi discorso che lei ora ha certamente in mente di fargli.
«Stai bene?» chiede lei, in tono neutro.
La fissa senza rispondere, perché non ha una risposta e di certo non era la domanda che il dio si aspettava.
Nadia si ferma accanto a lui e getta un'occhiata al portellone circolare preposto all'espulsione della gabbia di vetro. Si è lavata e ha indossato vestiti puliti, si è tolta di dosso l'odore di sudore e paura.
«Perché non mi hai detto niente?» gli chiede, tranquilla ma estremamente seria. «Perché non mi hai detto del tuo piano di usarmi come esca per arrivare a loro? Credevi che non avrei accettato?».
Credeva molte cose, in realtà. Soprattutto credeva che se lei non fosse stata all'oscuro del fatto che lui aveva organizzato tutto essendo sicuro di poterla salvare dopo le prime ventiquattro ore, non sarebbe stata convincente, sarebbe stata troppo poco spaventata oppure avrebbe fatto qualche sciocchezza sapendo di avere le spalle coperte.
Deve comunque convenire con gli altri sul fatto che il suo piano è stato abbastanza rocambolesco e avventato. Ma non ci sono stati danni, e quindi perché diamine dovrebbe essere biasimato?
«Credevo ci fossero meno possibilità che funzionasse» si limita a dire. «Se qualcosa in te avesse fatto sospettare che eri rintracciabile saresti stata in serio pericolo».
«Io sono stata in serio pericolo. E lo sono state anche Jane e Pepper, molto più di me... ah, già a te di loro non importa... ad ogni modo, ho avuto paura, da impazzirne, è stata una delle cose più orribili che mi sia mai capitata: non il rapimento, la paura».
«Sì, la paura è orribile. E non credere che mi abbia fatto piacere, né che io abbia trovato divertente far indispettire i tuoi amici, non in questa occasione, almeno».
Nadia fa un lungo respiro,
«Non... io non sono arrabbiata, non riesco ad esserlo... non so come mi sento in questo momento» dice, buttando fuori le parole tutte di un fiato, inciampando sillaba dopo sillaba.
Sconvolta, ragazza, sei sconvolta e turbata... non è una diagnosi tanto difficile da formulare. Però Loki pensa che in qualche modo dovrebbe esserle grato per aver precisato che non è arrabbiata; è lieto di vedere che sono al di là di certi ingorghi emotivi. E comunque, lei ne sa così poco della rabbia...
E comunque, perché ancora una volta nessuno gli ha detto grazie, nemmeno lei?
«Cosa vuoi che ti dica? Sei sempre stata brava a destreggiarti con il contento della tua testa, senza bisogno dell'aiuto di terzi. Se così non fosse, mi odieresti, come i tuoi amici hanno tentato così disperatamente di insegnarti a fare».
La ragazza fa una strana smorfia,
«Cosa ti fa supporre che non ti odi? Hai ucciso il mio gatto, amavo quel gatto...»
«Può darsi, ma ami di più me». Già, deve amarlo in una qualche misura. Persino lui che non sa nulla dell'amore capisce che l'accettazione incondizionata ne è la base principale, e Nadia, per gli inferi, lo ha sempre accettato. È tutto quello che ha fatto ed è più di quanto abbia fatto chiunque altro.
Sarebbe affascinante provare a risalire alla scintilla di tutto ciò, alla vera ragione. Ma non sarebbe comunque di nessuna utilità. Loki preferisce pensare al fatto che ora sono pari, che lei lo ha aiutato a Venezia e lui l'ha aiutata con la pietra; tutto quello che è oltre questa linea di reciprocità è stato solo un altro dei tanti tiri mancini che il fato gli ha riservato. Fortunatamente, è ancora in tempo per tornare indietro, anzi, ha già fatto un bel po' di strada sulla via del ritorno. Ora capisce che quello che ha fatto, se non altro, ha avuto il vantaggio di porre nuove distanze tra lui e la ragazza, ed è un bene.
«Ora non metterti a fare il presuntuoso» borbotta lei.
«Pensi di provare a ritrovarlo, il filo dei tuoi pensieri intendo?» domanda il dio dopo aver fatto vagare per qualche momento lo sguardo nello spazio grigio e vuoto.
«Ho idea che non mi piacerà... ad ogni modo, se vuoi fare qualcosa per me, dimmi adesso che intenzioni hai»
«Sai chi sono. Sai anche che non sono cambiato. Perché mi fai una domanda del genere?»
«Perché quello che ha detto Thor mi spaventa».
Nadia allunga una mano come a voler toccare la sua, ma poi la ritrae. Forse anche lei ora sente la distanza, forse anche lei sta pensando che, tutto sommato, non solo è meglio così, ma è anche giusto. E Loki pensa che tutto quello che ora deve fare è mentirle. Ha mentito per molti motivi, e gli sono sempre sembrati motivi validi, a prescindere da se fosse giusto o meno, non si è mai soffermato a pensare al fatto che per i più il concetto di menzogna fosse un concetto negativo e criticabile, ma mai come in quel momento pensa che sia la cosa davvero giusta da fare.
Mente guardandola negli occhi, perché lui è il dio dell'inganno e può farlo. Perché lui è un dio, e gli dei sono fatti per resistere al cambiamento.
«Non hai niente di che preoccuparti» le dice, con un sospiro quasi annoiato. «Andrò ad Asgard, molto probabilmente, e sono certo che Odino darà fondo alla sua riserva di magnanimità perché è quello che vuole, dimostrarmi che è migliore di me, ribadire che mi ama e altre amenità... l'unica cosa che trovo spaventosa è la noia che tutto ciò sicuramente comporterà».
«Stai dicendo sul serio?». Nadia lo guarda, sospettosa e per niente rassicurata.
«Cosa c'è? Adesso cominci anche tu?» borbotta lui.
«Sorvolando sul fatto che mi hai appesa all'amo e mi hai gettato in mezzo agli squali, puoi dire di non avere mai mentito con me?».
Loki si lascia scappare un sorriso,
«Io non dico mai la verità» soffia serafico.
Nadia aggrotta le sopracciglia e lo fissa basita,
«Ehi, questa è... filosofia greca, roba di qualche secolo avanti Cristo» borbotta.
«Lo so. È stata tua l'idea di portarmi in una libreria».
La ragazza sospira esasperata e gli lancia un colpetto sul braccio.
«Ti prego, non avere mai più dubbi riguardo al fatto che potrei odiarti, perché è così, ti odio davvero» conclude.
Loki annuisce, con un mezzo ghigno.
Sarebbe molto più facile, se riuscisse a farsi odiare da lei. Sarebbe molto più facile se riuscisse a volerlo sul serio.
Restano in silenzio per qualche minuto, poi Nadia gli appoggia una mano sulla spalla, sospira e si volta per lasciare la stanza.
Loki pensa che è il punto di conclusione meno doloroso che la sua giovane midgardiana poteva aspettarsi per quella loro strana e insensata storia.

*

Nadia posa la mano sulla spalla di Loki, poi si volta e lo lascia solo ai suoi nebbiosi pensieri.
È stato uno strano addio, quello che si sono appena scambiati. E senz'altro è un addio un po' in anticipo, visto che fino a quando non si risolverà quella situazione con gli esiliati di Nornheim né lui né Thor potranno fare ritorno ad Asgard, ma era quel genere di addio che non poteva essere rimandato e che comunque, non aveva del tutto a che fare con la separazione fisica.
Per un attimo pensa al giorno in cui Loki era ricomparso, a quando era steso in quel letto nell'infermeria della base di New York e lei era andata a parlargli. Aveva camminato verso di lui sentendo il peso di ogni singolo passo caricarle il petto di piombo fuso, pesante e incandescente. Sta provando quella stessa identica sensazione adesso, ora che i suoi passi invece di andare verso di lui se ne allontanano.
Pesa come quella volta, ma come quella volta sa che è giusto così, che è così che sarebbe dovuta andare.
Sarebbe più facile se riuscisse a odiare Loki, ma non ci riesce e nemmeno lo vuole. Lo ama, lo ama da troppo tempo, malgrado troppe cose.
Si sente un suono acuto e vibrante provenire da altoparlanti sistemati da qualche parte. Il suono sembra uno squarcio. Nadia sussulta quasi inciampa nelle scale che sta salendo.
I nervi non le sono tornati del tutto a posto e gli ultimi minuti con Loki non hanno certo contribuito in maniera positiva.
Dopo qualche secondo si rende conto che il suono in realtà è quello di una ricetrasmittente che fruscia nel sistema di comunicazione interno. La ragazza si volta e lei e Loki fanno giusto in tempo a scambiarsi un'occhiata, che la voce di Fury risuona come un tuono a preannunciare la tempesta.
«Dove vi siete cacciati tutti?» esclama il direttore dello S.H.I.E.L.D. «Stark, Rogers, Banner, Thor! Vi voglio nella plancia di comando ORA! Quei bastardi stanno tentando di mettersi in comunicazione con noi!».
Nadia deglutisce. Natasha le ha detto che è fuori da questa storia, che se l'è meritato e lei sa che era una sorta di incoraggiamento e allo stesso tempo un monito, così come sa che non può fare niente per dare una mano, ma questa non vuole perdersela. Lei e Loki non hanno nemmeno bisogno di guardarsi in viso, un istante dopo stanno già dirigendosi a grandi passi verso la plancia.
Nadia va quasi a sbattere contro Steve quando raggiungono l'ingresso della sala comandi. E scopre che anche Pepper e Jane sono arrivate di corsa dai loro alloggi. L'abbaiare di Fury deve essersi sentito in tutta la base.
«Woh-woh-woh! Cos'è questa folla?» esclama Tony. «Voi tre andate a riposare! Tu, Bambi, sparisci».
«Oh, sta' zitto» squittisce Pepper allontanandolo con una leggera spinta. «Non siamo cronisti del Times, quel tizio ci ha rapite, abbiamo il diritto di sapere che succede!»
«Non mi interessa. Portate Loki a comprare un gelato all'area ristoro, ne riparliamo dopo, vi faccio fare un diagramma riassuntivo da Banner».
Loki ha uno scatto di irritazione,
«Stark...»
«Abbiamo finito lì fuori?» esclama Fury da dentro la stanza, interrompendolo. Il direttore è molto più pragmatico: non gliene importa un accidente che loro ci siano o meno.
Tony si lascia andare ad un sospiro esasperato, poi si volta e entra nella sala, lasciando che loro lo seguano.  
Il volto di Hope campeggia in primo piano sugli schermi sospesi attorno al tavolo. Nadia ha un moto di rabbia e disgusto quando l'uomo sorride con quel suo fare effettato e mellifluo.
La ragazza sente lo stomaco contorcersi.
«Deve essere un messaggio registrato» osserva l'agente Hill. «Abbiamo individuato la fonte, sembra essere una casa vuota in un qualche sobborgo di Manhattan, abbiamo mandato una squadra a controllare ma dubito che troveranno qualcosa».
«Devo chiedere scusa a voi tutti» esordisce Hope, pacato. «Confesso che la situazione è sfuggita di mano e mi rendo conto di aver esagerato».
«Ci avevi informato a proposito del fatto che fosse pazzo?» chiede Clint a Nadia, in un filo di voce.
Un tizio che si presenta sulla Terra con copie di armi aliene costruite con un metallo di un'altra galassia è pazzo per forza, non c'è bisogno di precisarlo...
«Pensandoci, sono davvero dispiaciuto di aver fatto ricorso a un mezzo tanto infimo come rapire tre giovani donne» continua Hope.
«Vedesse quanto è dispiaciuto a noi...» borbotta Jane a mezza voce, accigliata più che sorpresa.
«Sono dispiaciuto anche perché ora mi rendo conto che non era affatto necessario. Sarebbe stato interessante far funzionare il nostro arsenale, tuttavia, come dite voi midgardiani: chi troppo vuole nulla stringe, quindi mi vedo costretto a fare una lista delle mie priorità».
«Ho mal di testa, qualcun altro ha mal di testa?» sbotta Tony, con un sospiro.
«Non abbiamo mai davvero voluto attentare alla sicurezza di questo pianeta, tuttavia, le armi di cui disponiamo sono più che sufficienti a danneggiare in modo irrimediabilmente grave un quartiere della vostra bella città. Diciamo, uno di quei quartieri in cui vivono svariate centinaia di persone e in cui magari si trova anche una scuola e un ospedale»
«Di che sta parlando?» sbotta Steve, piegandosi in avanti, più vicino allo schermo, con aria allarmata.
«Sta minacciando, Capitano» sibila Fury, chiudendo per un attimo l'occhio sano. «Ma immagino che la domanda fosse retorica».
Nel video, Hope solleva una cartina di New York e mostra una zona della città cerchiata di rosso.
«Diamo ordine di far evacuare quel quartiere, signore?» chiede precipitosamente la Hill.
È come se Hope avesse previsto la domanda, perché il suo sorriso si allarga. È un sorriso da squalo, ora.
«Naturalmente, se provata ad attuare un qualche piano di evacuazione, il quartiere salterà in aria ancora prima che la gente arrivi in strada» dice. «Vi stavo parlando delle mie priorità, comunque. Ebbene, come la cara Nadia certamente vi avrà detto, la mia priorità è Thor».
Nessuno ha il coraggio di sollevare lo sguardo verso il dio del tuono, nessuno a parte Loki che certamente si starà anche divertendo al pensiero della possibilità di scambiare il figlio di Odino con l'incolumità di un intero quartiere di New York.
«Do appuntamento al beneamato principe di Asgard tra tre ore, sul tetto di questo edificio. Se non viene da solo, il quartiere salta. Se tarda anche solo di un minuto, il quartiere salta. Se solo qualcosa si dispone in un modo che mi dispiace, il quartiere salta. A voi e a lui la scelta».
Hope inclina leggermente la testa in avanti, in una specie di espressione ammiccante, poi la sua faccia sparisce e gli schermi neri restano a riflettere i loro visi dall'espressione turbata e attonita.






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Note:

Nel film, quando tornano da Stoccarda con Loki ammanettato c'è questa scena brevissima in cui si vede atterrare il quinjet sull'elivelivolo mentre è in aria. Credo sia impossibile che loro siano scesi dal quinjet e abbiamo percorso a piedi la superficie dell'elivelivolo fino all'interno, dato che erano in quota e, Natasha dixit, sarebbe stato difficile respirare lassù.
Non so se sia una svista di chi ha fatto il film, io ho ovviato alla cosa supponendo che ci sia uno sportello che permette di passare dal jet all'interno della struttura. (Non è di vitale importanza, me ne rendo conto, ma non ho potuto fare a meno di "porre rimedio" alla "svista"). 

Il paradosso del mentitore... ehehe. La liceale amante della filosofia che c'è in me ama il paradosso del mentitore, che è appunto un giochino di logica basato sull'impossibilità di dimostrare la veridicità dell'affermazione “Io non dico mai la verità”.
Se l'affermazione fosse vera, starei dicendo la verità e quindi l'affermazione è falsa, se l'affermazione fosse falsa starei mentendo e quindi l'affermazione è vera. Quindi l'affermazione non ha senso.
(abbiate pazienza, il capitolo è stato scritto mentre ero sotto esame).
Penso che la frase messa in bocca a Loki descriva un po' tutto il senso del personaggio, almeno nella sua veste di dio degli inganni :P


Ok, siamo decisamente in dirittura d'arrivo. Mancano tre, forse quattro (a seconda della lunghezza di una certa scena), capitoli alla conclusione. Ancora una volta vorrei essere in grado di dirvi quanto vi sono grata per aver seguito questa storia... che è stata lunga e che ha avuto anche i suoi momenti non sempre avvincenti... ma al solito, non saprei come dirlo, se non che vorrei abbracciarvi tutti, uno a uno!

A venerdì prossimo ^^

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Capitolo 26
*** Endgame - part two ***


Capitolo venticinquesimo
Endgame – part two


E così, è tutto assai semplice, persino più semplice di come gli era parso quando ha sentito Nadia raccontare ciò che le era stato detto durante la sua breve prigionia. Vogliono lui, lui e la sua disfatta poiché la sua fine è la fine del regno di suo padre.
Thor sente il peso degli sguardi dei suoi compagni fissi su di lui, sente la tensione di Jane come il calore che emana da una fiamma.
Non cerca gli occhi di nessuno se non quelli di Loki. Suo fratello è in piedi dall'altro lato del grande tavolo e lo guarda con un'espressione imperscrutabile, le braccia incrociate sul petto.
Thor vorrebbe chiedergli perché, com'è possibile che sia destinatario di un tale odio e nessuno meglio di Loki potrebbe spiegargli cosa c'è di odioso e sbagliato in lui. Ma è una domanda sciocca e infantile, per la quale adesso non c'è tempo.
«Ci ha dato tre ore, tre ore sono un sacco di tempo» esclama Tony Stark, guardandolo con quella che vorrebbe essere un'espressione rassicurante. Ma Thor non ha alcun bisogno di essere rassicurato.
«Perché naturalmente voi avete un piano, giusto?» esclama Jane, la speranza accesa nei suoi occhi è come le stelle di cui è tanto appassionata.
È un tale fardello essere definito un eroe se il prezzo è sopportare il peso di uno sguardo come quello. Vale per lui e in quel momento di certo vale anche per i suoi compagni che Jane scruta uno ad uno aspettando una risposta che le permetta di sapere che non accadrà niente di male, che lui è fuori pericolo. Non fosse per lei, a Thor non importerebbe nulla del pericolo.
«Ce l'abbiamo?» incalza Fury.
«Piano o no, io devo andare» dice il dio.
«Hai fretta?» sbotta Barton. «Sta' buono e non mettere ansia. Stark stava dicendo qualcosa a proposito delle tre ore».
L'uomo di metallo lancia un'occhiata a Bruce Banner, l'uomo di scienza annuisce.
«Beh, possiamo allargare il raggio d'azione dello smagnetizzatore» dice. «Le armi devono essere per forza nel quartiere, se intendono usarle per farlo saltare. Possiamo allargare il raggio perché copra più o meno tutta l'estensione della zona. Andranno in malora anche elettrodomestici e cellulari dei residenti, ma non credo sia importante»
«Mentre Thor va da Hope, qualcuno può posizionare lo smagnetizzatore e accenderlo» aggiunge la Romanoff. «Una volte andate le armi, loro non avranno più niente in mano e noi potremo catturarli».
«E tutto ciò è, come dire, sicuro?» conclude Jane, ed è chiaro che non può tollerare altro che una risposta affermativa.
«Di certo è più sicuro che lasciare Thor al suo destino» replica Barton.
«Che comunque non ce lo saremmo mai sognato» dice Nadia. La ragazza è pallida, sembra provata e sembra anche triste. Il dio del tuono pensa per un attimo ai progetti di Odino per la salvezza di Loki, progetti che Loki stesso ha già mandato in fumo, ancora prima che si potessero attuare: dopo quello che è successo, non c'è molta ragione di sperare che la sua giovane amica pensi ancora di restare al fianco di suo fratello. È per questo che era così sconvolto e arrabbiato prima, oltre alla preoccupazione per Jane. Era sconvolto e amareggiato non per quello che aveva fatto Loki – del resto non era niente di diverso da quello che Thor si aspettava – ma perché pensava all'ultimo scampolo di speranza ormai definitivamente perduto. Perché lui ancora nutriva speranze, ancora credeva che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna coercizione e di alcun filtro dell'oblio per il dio dell'inganno, ancora pensava che lui potesse semplicemente trovar pace. Ma è evidente che Loki non la vuole, questa pace, poiché Loki è uno che combatte per ciò che desidera e non ha mai combattuto per essa, e ha anche smesso di combattere per Nadia, semmai lo ha fatto davvero in un qualche momento passato.
Ma non è il genere di cose sulle quali si deve concentrare adesso.
«Sapranno che siete arrivati» obietta, dopo qualche secondo. «Se si accorgessero della vostra presenza farebbero saltare in aria il quartiere comunque. Io sarei perduto, voi sareste perduti e così pure tutte le persone che vivono in quel luogo»
«Non dobbiamo per forza presentarci con la banda al seguito» osserva Barton.
«No, Thor ha ragione». È Fury a prendere la parola. «Se vi scoprissero sarebbe una carneficina».
«E allora faremo in modo che non se ne accorgano» dice il soldato Rogers con un sorriso incoraggiante. «Ma non lasceremo che Thor vada lì da solo. Se le cose si mettessero male, dovrà esserci qualcuno pronto a intervenire e, con tutto il dovuto rispetto, direttore, credo che abbiamo ampiamente dimostrato di essere più validi di qualsiasi altra sua squadra»
«Ma sentitelo, il Capitano, si è montato la testa! Però sono sorprendentemente d'accordo con lui» gli fa eco Stark. «Noi andremo...».
«Noi?!» la voce di Banner si alza di qualche ottava, e tanto basta perché un moto di nervosismo passi sulle loro facce. «Stark, tu non vai proprio da nessuna parte».
«Che cos'è questa storia?» borbotta Fury.
Sì, che altro c'è? Thor si rende conto che il tempo sta passando e ancora non si sono organizzati a dovere. Trattiene a stento uno sbuffo di impazienza.
Stark alza le mani in una specie di gesto di resa.
«Ok, ok. Abbiamo un piccolo problema» dichiara. «Io non posso essere esposto al raggio d'azione dello smagnetizzatore, altrimenti il reattore Arc si guasta e sarebbe un vero peccato perché ancora non ho visto finiti i lavori di ristrutturazione della mia casa di Malibù»
«Cosa?!» esclama Pepper, stupita.
«Non ti avevo detto dei lavori di ristrutturazione, tesoro?»
«Non mi avevi detto che il reattore Arc...».
«Va bene, basta!» esclama Thor. Un attimo dopo si sente quasi in colpa per aver alzato la voce e si rende conto di aver picchiato il pugno sul tavolo.
È da quando è tornato, da quando ha saputo che  la Terra è stata presa di mira ancora una volta a causa sua che sente il peso di tutta quella spinosa faccenda sulle spalle, quel peso e il peso dei piani di Odino che non ha potuto condividere con i suoi compagni, e la preoccupazione per Loki, e ogni genere di timore e insicurezza, come se in una sola volta tutti i suoi peggiori incubi si fossero tramutati in realtà, come se ci fosse un prezzo da pagare per tutto quello che ama e che ha amato nella sua vita.   
E adesso l'idea che i suoi compagni si mettano a rischio per salvarlo è davvero l'ultima goccia in un vaso già stracolmo.
«Devo andare solo. Non potete rischiare le vostre vite per me, né rischiare di mettere in gioco la sicurezza della vostra città» conclude cupo.
«Thor...» la voce di Jane è un soffio, ma lo scuote come il boato di una valanga.
La sua espressione sembra averlo zittiti tutti e lui è pronto a voltarsi e ad andare incontro al suo destino. Perché è giusto così, perché è così che deve andare. Perché è una sua scelta e una sua responsabilità.
«Ma che cosa vai farneticando?». La voce che interrompe il silenzio ha lo stesso suono del ghiaccio che si spezza, la voce di Loki.
«Tu non morirai oggi, figlio di Odino, e di certo non per mano di quei cani randagi» dice il dio dell'inganno. Thor può leggere il furore nei suoi occhi e può leggere quell'odio che lo ferisce più di ogni paura e di ogni tradimento. «Non ho subito l'umiliazione, la sconfitta e l'esilio per vederti perire per mano di qualcun altro. Né potrei sopportare l'idea di avere come avversario un individuo così arrendevole e disposto alla rassegnazione».
Guarda Loki e sente qualcosa di molto simile al pianto accecargli la vista. Possibile che dopo tutta quella strada percorsa, è l'odio di suo fratello la leva per convincerlo a salvarsi e a lottare? Possibile che è davvero tutto ciò che resta? Più della forza del suo sangue di re, più dell'amore che ha per Jane e per suo padre, più della devozione ai suoi compagni?
Thor china il capo: si arrende alla fiducia che gli stanno imponendo di avere. Quello con Loki è un discorso che certamente verrà ripreso in seguito... un discorso aperto, come una ferita.
«Molto bene, dopo questo toccante sfoggio di amore fraterno, direi che siamo tutti d'accordo con il fatto che Thor non possa suicidarsi» interloquisce Stark dopo qualche istante di silenzio. «Vediamo  di organizzare questa festicciola come si deve!».

*

«No, non se ne parla». Esclama Bruce Banner, scuotendo energicamente la testa.
Steve quasi si stupisce nel vederlo sbiancare e gli viene automatico dargli una pacca sulla spalla. Leggera, che non si sa mai, che il dottore è in uno stato d'agitazione poco promettente.
Nel piccolo laboratorio l'aria è satura di tensione.
«Non c'è niente di cui parlare, se non posso farlo io devi farlo tu» gli dice Stark. «Hai costruito quell'affare insieme a me, sei l'unico che può regolarlo e farlo funzionare».
Hanno organizzato tutto. Il jet li porterà fuori città, da lì andranno in centro in auto e raggiungeranno il quartiere dove li aspetta Hope. Ci andranno in abiti civili, nessuno li potrà intercettare tra i passanti; posizioneranno lo smagnetizzatore e... beh, qualcuno deve poterlo far funzionare quell'affare e deve essere per forza Banner, non c'è tempo di istruire qualcun altro sul funzionamento del marchingegno, anche perché se ci fosse un qualche aggiusto da fare all'ultimo minuto nessun altro sarebbe in grado di provvedere. E se non riescono a smagnetizzare le armi di Hope, Thor è spacciato.
 Non c'è scelta, non c'è altro modo.
«Ok, Bruce, rilassati, il tuo colorito non mi piace» dice Stark con tutta la pazienza che riesce a racimolare. Mancano meno di due ore allo scadere dell'ultimatum, se vogliono arrivare in tempo devono partire prima di subito.
«Ti piacerà ancora meno se non troviamo una soluzione a tutto questo...» replica lo scienziato.
«La soluzione sei tu»
«Io non sono una soluzione, io sono un pericolo! Per Thor, per la riuscita dell'operazione e anche per la gente di quel quartiere! Se dovesse presentarsi l'Altro mentre siamo a New York».
Non è irragionevole, devono dargliene atto. Ma è anche vero che non hanno scelta.
Si guardano tutti in viso, l'un l'altro cercando qualcosa da dire e contemporaneamente forse pensando a un altro modo di sistemare la questione, ma parlare e pensare sarebbe solo fiato e tempo sprecato.
«Io mi fido di lei, dottor Banner». Jane Foster, sicura e seriosa come non l'avevano mai vista prima. «Tutti noi ci fidiamo di lei. Non è la nostra ultima chance, è la nostra migliore chance».
La giovane scienziata sembra esserne convinta, lo dice con così tanta decisione che sembra contagiare tutti. Se lei si fida, se lei accetta di lasciare la vita dell'uomo che ama nelle mani di Bruce Banner, allora lui deve per forza fidarsi di se stesso.
«Dobbiamo partire adesso» annuncia Barton. Lui e la Romanoff hanno messo da parte la loro divisa da agenti dello S.H.I.E.L.D. e hanno appena finito di controllare le apparecchiature per la comunicazione con l'elivelivolo.
A Steve hanno dato una specie di cartella con dentro lo scudo. Barton ha il suo fedele arco in uno zaino, dice che non si sa mai. C'è una squadra S.H.I.E.L.D. sul posto pronta a intervenire appena avranno messo fuori uso le armi di Hope.
«Portatemi con voi. L'energia della pietra potrebbe tornare utile e poi potrei aiutare Bruce a... ehm, a   mantenere la calma» dice Nadia, all'improvviso. Quelle parole dovevano frullarle nella testa da quando hanno ricevuto il video di Hope, ora le ha buttate fuori tutte d'un fiato come se le avesse trattenute per troppo tempo e con un enorme sforzo.
«Faccio finta di non aver sentito» le risponde Steve, tentando di liquidare la questione con un gesto della mano. Gli altri fingono davvero di non averla sentita.
«Posso davvero fare qualcosa. Quelli sono i bastardi che mi hanno rapita, voglio esserci quando li farete a pezzi!»
«Nessuno farà a pezzi nessuno... si spera» replica lui.
«E comunque, proprio perché quelli sono i bastardi che ti hanno rapita e che vogliono usarti per far funzionare le loro armi è bene che tu ne stia il più lontano possibile» Natasha Romanoff viene in suo soccorso. «Senza contare che se proprio vuoi aiutare qualcuno a mantenere la calma, c'è Stark qui che avrà bisogno di supporto psicologico»
«Esatto, tu non vai da nessuna parte Colombina. Tu, dottore, datti una mossa... dov'è il biondo?».
Stark davvero sembra aver bisogno di aiuto. L'idea di restare in panchina deve essergli immensamente difficile da sopportare, soprattutto considerando che c'è in gioco la vita di Thor e l'incolumità di un intero quartiere di New York e la salute mentale di Bruce...
Nadia ha smesso anche solo di provare a protestare, si è appoggiata con le spalle al muro e ha messo su un'espressione tesa e preoccupata.
Loki è sulla soglia della porta del laboratorio. Non ha detto niente, ha solo ascoltato e non ha palesato nessuna intenzione precisa riguardo a cosa vuole fare in quella situazione. Non che abbiano intenzione di portarlo con loro, comunque, non hanno bisogno del suo aiuto e lui sarebbe solo un'ulteriore preoccupazione, una scheggia impazzita in uno scenario già abbastanza incerto.
Però ha se non altro il merito di aver dato a Thor la giusta scossa. Se lo abbia fatto perché davvero  non vuole vedere il suo acerrimo nemico soccombere in un modo tanto insoddisfacente o se spera che le cose si mettano male e Thor – magari insieme a tutti loro – rimanga ucciso, non lo sanno e non lo sapranno mai, ma non è una questione fondamentale.
«Si parte?» conclude Steve, gettandosi in spalla lo zaino con lo scudo.
Si avviano per raggiungere il jet. Bruce Banner al centro della fila stringe le mani attorno allo smagnetizzatore e si mordicchia il labbro. Nadia gli corre incontro e gli si mette sottobraccio,
«Ce la puoi fare, Bruce» gli dice.
«Un volo in jet fino a New York, traffico, caos... la vita di Thor che dipende da me... sono il genere di cose che l'Altro prende come un invito a nozze» le risponde lo scienziato con un sospiro.
«Ce la puoi fare» ripete la ragazza. «Ne siamo sicuri, tutti noi, non devi far altro che esserne sicuro anche tu».
Lui tenta di mettere insieme un sorriso. Nadia si stacca dal suo braccio quando raggiungono il portellone del jet e resta a guardarli salire a bordo. Steve le fa l'occhiolino e si volta per raggiungere gli altri. Thor è sulla pista, pronto a partire da solo per raggiungere New York. La Romanoff e Barton hanno già preso posto davanti ai comandi.
«Ehi, Capitano» Stark gli si avvicina, quasi gli parla all'orecchio. «Mi raccomando... prenditi cura di questa cosa...».
Steve solleva le sopracciglia in un'espressione perplessa.
«Cosa?»
«Oh, andiamo Steve, sii prudente, sta' vicino al dottore, riporta a casa Boccoli d'Oro e tieni d'occhio gli altri. Lo farei io, ma questa partita devo giocarla in panchina».
Lo ha chiamato per nome. È un evento che si verifica solo in circostanze straordinarie e solo quando Stark è molto preoccupato.
«Me ne occuperò, Tony» gli risponde. «Puoi stare tranquillo».
«Sì posso, del resto sei tu il migliore, no?».
«Devo mettermi a piangere?»Me ne occuperTony»
«
«
«No, devi muovere il culo e salire a bordo, prima che il Falco ti arpioni con gli artigli!».
Steve si concede una mezza risata ed entra nel jet. Mentre il portellone si chiude, vede la dottoressa Foster baciare disperatamente Thor.
Lo riporteremo a casa sano e salvo, promette a se stesso.

*

«Dunque, sono partiti?» dice Loki in tono annoiato, tamburellando distrattamente le dita su un mobile di alluminio in un angolo del laboratorio.
Nadia inclina la testa come a cercare di guardarlo in viso dalla miglior prospettiva possibile. Sarebbe davvero rassicurante cercare di scoprire cosa gli passa per la mente.
«Dicevi sul serio prima? Vuoi davvero che Thor ne esca vivo?» gli chiede. Si pente quasi subito di aver domandato, qualsiasi risposta verrebbe fuori sarebbe poco attendibile.
Lui mente, mente sempre. Anche con lei non ha fatto altro, fin dal primo momento in cui le loro strade si sono incrociate, e lei è stata davvero sciocca a pensare di mettere in secondo piano questo dettaglio.
Lei è stata davvero sciocca. Punto.
«Non dovresti essere a placare la smania di Stark?» borbotta il dio, ignorando la domanda.
No, per quello c'è Pepper. Ma c'è qualcun altro che potrebbe aver bisogno di lei in quel momento; non è potuta andare con gli Avengers, ma c'è un posto in cui la sua presenza potrebbe essere molto più utile piuttosto che starsene lì a rimuginare su Loki e su cosa lui si auspichi davvero per la riuscita di quell'impresa. E poi la tensione è troppo alta perché riesca ad avere a che fare anche con lui, con i mille dubbi che le instilla e con la lama di dolore che sente crescere man mano, se si sofferma a pensarci per più di un secondo.
Lascia il laboratorio senza aggiungere altro.

Nella sala comandi il silenzio è solido come un muro, impenetrabile. Agenti seduti davanti a schermi e consolle stanno concentrati a osservare videate o a premere pulsanti.
Al centro, Fury sembra un grosso corvo appollaiato sulla ringhiera vicino alla quale è appoggiato a osservare con aria imperscrutabile Tony che armeggia con degli schermi a comandi tattili sui quali è riprodotto un modello tridimensionale dello smagnetizzatore; evidentemente sta cercando di stabilire i parametri per la regolazione dello strumento in un'area vasta come il quartiere in cui deve essere posizionato.
Alle spalle di Tony c'è Pepper, solida come una roccia. Nadia le invidia proprio quella solidità: senza di lei, quasi certamente, il mondo di Tony Stark sarebbe crollato su se stesso come un castello di carte molto tempo prima. Pepper è riuscita a fare ciò che Nadia non ha potuto: salvare l'uomo che ama anche da se stesso.
Ma non deve e non può pensarci. Semplicemente, non può permetterselo. Magari un giorno arriveranno le lacrime e la rabbia, quella vera e accecante, adesso è un'altra la forza che minaccia di mandare in pezzi il mondo che la ragazza ha imparato ad amare in quei mesi trascorsi in America. Un mondo di cui lei non fa del tutto parte, ora lo sa, ma che sarebbe stata davvero pronta a difendere, a qualsiasi costo, se l'avessero lasciata andare con loro.   
Jane è davanti all'immensa vetrata, il naso per aria ad aspettare segnali dal cielo. Probabilmente è quello che è abituata a fare, ma stavolta si tratta di segnali che non hanno niente a che vedere con l'astrofisica, e di certo è parecchio prematuro aspettarli ora. Ci vorranno ore prima che Thor e gli altri facciano ritorno, perché Thor e gli altri faranno ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
Thor e gli altri faranno ritorno, tutti insieme, sani e salvi.
«Sa una cosa, signorina Berton?» le dice Fury, avvicinandosi a lei. «Io avrei lasciato che lei andasse con loro».
«È un complimento direttore? O una prova di fiducia? Non mi è mai parso che si fidasse di me» replica lei con un mezzo sospiro.
«Di lei posso anche fidarmi. È di quell'affare che ha incollato al braccio che non mi fido, è per questo che vorrei vederla in azione, prima o poi».
Nadia impiega qualche secondo a trovare un senso all'affermazione dell'uomo.
«Mi sta invitando a entrare nel suo circolo privato?» domanda con amaro sarcasmo.
«No, tra le altre cose lei ha una famiglia che l'aspetta e, considerando il suo carattere, sarebbe un pessimo candidato... eppure non sarebbe peggio di Stark, tanto per fare un esempio» conclude Fury con un mezzo sospiro trattenuto.
«Mi dispiace di essere la sua occasione sprecata».
Nadia si volta e scende le scale che portano al piano inferiore della sala, si dirige verso Jane e continua a sentire su di sé lo sguardo di Fury. Ha idea che il direttore dello S.H.I.E.L.D. non abbia ancora finito con lei ed è un'idea parecchio brutta e decisamente poco promettente, ma per adesso ha cose più preoccupanti a cui pensare.
Jane sussulta quando la ragazza le posa una mano sulla spalla.
«Andiamo, smettila di fissare le nuvole» le dice con un mezzo sorriso, il più amichevole che riesce a sfoggiare.
Per qualche motivo tra lei e Jane non è mai ingranata, forse è stata colpa sua, perché la prima volta che l'ha vista l'ha tenuta sulle spine con una storia raccontata solo a metà. Forse, semplicemente, a volte è destino che tra due persone non si crei il giusto feeling. Eppure adesso Nadia si sente in dovere di fare qualcosa per lei, perché se riuscisse a regalare alla giovane scienziata un po' di speranza si sentirebbe meno inutile e meno vuota.
No, decisamente io non sono un eroe, pensa la ragazza. Non sono nemmeno capace di tirare su il morale a una persona per scopi esclusivamente altruistici...  
Ma non importa, nell'arco delle ultime quarantotto ore Jane è quella che ha passato il peggio, compreso l'essere rapita da tizi che vogliono uccidere il suo uomo per poi venire salvata – quasi per sbaglio – dal nemico giurato del suddetto.
«Andiamo dove?» chiede Jane, scuotendo la testa.
Nadia ci pensa per qualche secondo. «A vedere se nell'aria ristoro riusciamo a rimediare un frappè».
La scienziata non si muove. «Il signor Stark ha detto che mi avrebbe tenuta aggiornata sulle notizie da New York».
«Tony si è laureato in ingegneria all'MIT a sedici anni, sono certa che saprà far funzionare il sistema di comunicazione interno».
Nadia prende Jane per un braccio e la porta fuori dalla sala comandi. Prima di uscire scambia una rapida occhiata con Tony e lui le lancia un sorrisetto teso.
Quando raggiungono l'area ristoro è vuota, ma c'è un vassoio con dei muffin sotto una campana di plastica trasparente. La ragazza pensa che sia meglio di niente, ma quando poggia il vassoio su un tavolino e si siede di fronte a Jane si rende conto che non ha voglia di mangiare, che il suo stomaco non potrebbe sopportare nemmeno una briciola.
«Comunque, penso tu abbia fatto bene a portarmi via da lì, avrei potuto cominciare a prendere a testate il vetro» dice la dottoressa Foster dopo qualche minuto.
«Fury ti avrebbe fatto sparare un sedativo, suppongo»
«Neanche tu vuoi stare sola, eh?»
«Mi hai scoperta».
Nadia tira su le gambe e si mette rannicchiata su una sedia, reggendosi le ginocchia tra le braccia. Pensa che deve trovare qualcosa da dire, non è molto utile a Jane se resta lì in silenzio. E non fa bene nemmeno a se stessa.
«Cosa pensi di fare, quando tutto questo sarà finito?» domanda la giovane astrofisica, all'improvviso.
La ragazza si sente schiacciare dal peso di quella domanda: ha vissuto esperienze straordinarie, nel bene e nel male, ha vissuto in una casa con un maggiordomo invisibile e si è innamorata di un dio infido e traditore, e l'unica risposta che ha da dare è quella più ovvia e insignificante.
«Tornerò a casa, dai miei...» dice. Ama la sua famiglia e non c'è stato giorno da quando ha lasciato Venezia in cui non abbia pensato a loro, le mancano, ma non le manca la sua vecchia vita, non può mancarle il restare confinata lì, non dopo tutto quello che ha passato. Una volta pensava di potersi rassegnare a quel mondo, adesso sa che non può più farlo.
Adesso si sente solo una sciocca, egoista, vanesia ragazzina che non sopporta di dover tornare a scuola dopo una bellissima vacanza. E non è stato nemmeno tutto facile e bellissimo come una vacanza!
«E tu, tu e Thor avete qualche idea su come sistemare le cose?». Dovrebbe farle bene parlare di Thor al futuro, presuppone che non gli accada niente quel giorno ed è una cosa che dovrebbe essere di estremo conforto per Jane, almeno Nadia spera che lo sia...
«Ci sono cose a monte che vanno sistemate, prima di noi due» risponde lei, arricciando il naso. «Thor non sarà mai libero finché Loki... oh, ti prego, scusami».
«No, non ti preoccupare. Lo so». Nadia sa. Sa che la sola esistenza di Loki basta a minare qualsiasi speranza di pace per il cuore di Thor, e sa anche che a questo punto di vista, il dio del tuono è condannato: qualunque sia la sorte di Loki, lui non sarà mai libero dalla sua ombra, dal veleno che il dio dell'inganno ha fatto scorrere tra loro due, dal rimpianto e dalla sensazione di fallimento. Dopotutto, la sua stessa sorte non le appare poi così diversa.  
«Raccontami...» dice Jane, deglutendo. «Raccontami di Venezia».
Nadia guarda la sua interlocutrice con aria interrogativa, accenna un sorriso incerto.
«Pensavo che Thor ti avesse già raccontato tutto...»
«Sono certa che la tua versione è molto meglio». Anche Jane accenna un sorriso. Decisamente meglio di niente.
Era una sera buia e tempestosa. E fredda, soprattutto fredda...

Alla fine del racconto, Jane ha l'aria di un bambino catturato dal colpo di scena della favola.
«Wow! Nella mia storia c'è solo un enorme robot sputafuoco e una stagista svampita, mi sento così inutile» scherza la scienziata.
Nadia ridacchia. «Scambio il tuo robot sputafuoco con il mio bracciale...».
Jane sta per rispondere alla battuta, ma arriva la voce di Tony dalla sala comandi: sono arrivati a destinazione. Thor si è separato dal gruppo per andare a incontrare Hope e da questo momento in poi non hanno più contatti con lui, non potevano rischiare di mettergli microfoni o altri marchingegni addosso, se li avessero scoperti avrebbero potuto decidere di dar fuoco alla fottuta miccia.
L'espressione di Jane diventa di pietra. Le due ragazze si alzano e tornano nella sala comandi.
Dai dispositivi di comunicazione arriva la voce di Natasha che parla con Fury.
«Thor ci segnalerà la sua posizione con un fulmine, appena avvisterà Hope e i suoi, signore» spiega l'agente.
«Sarebbe ottimistico aspettarci che loro restino nello stesso posto per un tempo sufficiente da poterli catturare, una volta smagnetizzate le armi» risponde Fury.
«Le armi sono la priorità». La voce di Clint. «Appena lo smagnetizzatore avrà fatto il suo lavoro, spareremo un razzo segnaletico, così da far sapere a Thor che il quartiere è fuori pericolo. Se poi decidesse di fare a pezzi i nostri ospiti a suon di martello... potremmo sempre dire che è stata legittima difesa» .
Nadia sente Jane trattenere il respiro. Ma del resto, anche lei è in apnea e sente lo stomaco come un masso in fondo alla pancia.
«E il dottor Banner come sta?» domanda Tony.
«Come uno che si chiede perché mai ha lasciato Calcutta!» risponde la voce di Bruce, alterata e lontana.
«Se la sta cavando egregiamente. Il colorito verdognolo che ha preso durante il volo era dovuto solo alla nausea» interloquisce Steve.
Stanno bene. Sta andando tutto bene. Loro sono i suoi eroi e gli eroi vincono sempre...
«Dunque, dottore, fammi sapere se ti serve una mano con la mia piccola creatura» aggiunge Tony, tranquillo. Non è davvero calmo, vorrebbe essere lì, vorrebbe esserci lui a mettere in moto la sua macchina, ma se la sta cavando meglio di quanto tutti loro si aspettino. O almeno, così sembrerebbe.
«Penso di farcela, Stark...» la voce di Bruce viene sopraffatta da un fruscio rumoroso, un suono simile al rumore di unghie sulla lavagna. Nadia arriccia il naso e si copre le orecchie.
«Che diamine è stato?» si affretta a chiede Fury. Dagli apparecchi di comunicazione arriva un basso sibilo e solo dopo qualche secondo riescono a sentire di nuovo Natasha parlare.
«Niente, va tutto bene» li rassicura. «È solo... vento, è arrivata una raffica di vento molto forte».
Jane sussulta. «Vento?!» esclama, guardando Nadia con aria terrorizzata.
La ragazza stringe i pugni e sente il cuore mancarle un battito.
Non può essere. Non può farlo...
Nessuno sembra aver fatto caso all'esclamazione di Jane. Tony sta parlando con Bruce a proposito delle impostazioni dello smagnetizzatore.
«Pensavo sarebbe stato più semplice» dice il dottore. E non sembra calmo.
Nadia sente le vertigini, sente i muscoli farle male per la tensione.
«Vento freddo?!» esclama Jane, urlando e gettandosi in avanti, spostando bruscamente Tony di lato e afferrando il microfono che lui stava usando per comunicare con le trasmittenti degli altri Vendicatori a New York.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si prenderà il raffreddore...» prova a scherzare Tony, facendo per posarle una mano sulla spalla.
«Jane, che succede?» domanda Pepper.
La giovane scienziata ha già capito, perché ha appena ascoltato la sua storia, sa com'è cominciata lì a Venezia, sa cosa potrebbe significare...
«Loki». Tocca a Nadia rispondere. Sente quel nome come tagliarle la lingua mentre lo pronuncia.

*

Lo schienale del sedile laterale del jet è duro e scomodo. Bruce cerca di non pensarci, chiude gli occhi, stringe le mani attorno alla semisfera dello smagnetizzatore.
Fa respiri lunghi e regolari, inspira rumorosamente per cercare di coprire il pulsare sordo delle tempie. Inutile: sente il cuore come sbattergli dolorosamente contro le costole. Riconosce quella sensazione e ne ha paura.
«Si tratta di una decina di minuti di volo, anche meno». È la voce della Romanoff. Bruce non ha bisogno di aprire gli occhi per indovinare la sua espressione vagamente preoccupata. Nemmeno l'algida Vedova Nera è riuscita a mascherare del tutto quel tremito nella voce.
Fa un altro respiro, profondo, lentissimo. Il cuore ha un battito più forte e un lampo verde brilla per un attimo dietro le sua palpebre chiuse.
Natasha fa bene a avere paura. Lui è terrorizzato.
«No, così non va bene. Guardami» dice lei. Il tremito dalla voce è sparito, ora il suo tono è deciso, sicuro e riesce a suonare persino amichevole.
Bruce esita ad aprire gli occhi, ma alla fine obbedisce. Natasha Romanoff ha girato il sedile da pilota nella sua direzione e lo sta guardando con aria quasi crucciata, con quel sopracciglio inarcato e le la labbra strette a cuore.
«Non ho paura di Hulk» dice lei. «All'inizio ne avevo, moltissima, poi l'Altro ha cominciato a comportarsi un po' meglio e mentirei se non dicessi che lo considero un'arma molto importante, forse la più efficace del nostro arsenale. L'Altro è questo, Bruce, un'arma, un gran pezzo di artiglieria pesante. Ma ora è inutile, non è spaventoso o problematico, è semplicemente inutile. Non ci serve un'arma, ci serve il tuo cervello»
«Oh, certo. Lo so bene, ma...»
«Non ci serve un'arma» ripete l'agente Romanoff. «Non c'è nessun bisogno di tirarla fuori dalla fondina»
«Vorrei che fosse così facile» mormora lui. Si sente pulsare come se sotto la pelle non avesse più le ossa, ma solo pezzi di carne attraversati da vene e nervi.
«E io vorrei che non dovessimo volare a New York per salvare la pelle a Thor. Vorrei essere in una missione individuale in Europa alle calcagna di qualche terrorista da poter strangolare nel sonno con i collant, è assai meglio della sigaretta dopo il sesso. Ma ora io sono utile qui. Vale lo stesso per te».
La giovane donna non aggiunge altro, si dà una spinta e il sedile si volta nuovamente verso la consolle dei comandi.
Quando Barton e Steve Rogers salgono a bordo lo trovano con gli occhi sbarrati fissi nel vuoto, la bocca schiusa a cercare di prendere aria. Ha ancora bisogno di respirare per far rallentare il battito cardiaco e rilassarsi, ma gli sembra che vada un po' meglio...
Quella faccenda dello strangolare uomini con i collant comunque offre spunti di riflessione sufficienti per tutti i dieci minuti di volo, sia all'andata che al ritorno.

Il jet atterra in una zona fuori città. Come previsto, c'è un'aiede davanti.
La macchina deve avere vetri antiproiettile o comunque molto spessi, perché l'abitacolo è quasi del tutto insonorizzato e il rumore continuo del traffico arriva ovattato. Questo è un gran bene, pensa Bruce stringendo la valigetta dove ha chiuso lo smagnetizzatore.
Mentre l'auto prosegue in un intreccio di ampie strade incorniciate tra palazzi e vetrine, lui cerca di non guardare troppo all'esterno, alle vie e alle file di lampioni che si rincorrono nel riquadro del finestrino; se ne sta proteso leggermente in avanti, guarda il cielo e le nuvole disegnare forme inarticolate contro l'azzurro terso.
«Però non è la stessa cosa senza Stark, vero?» dice Clint Barton, decelerando per fermarsi ad un semaforo.
«Vuoi dire senza il suo ego elefantesco e la sua linguaccia lunga?» chiede Steve Rogers, dal sedile posteriore. «Sì, non è lo stesso. Ma non glielo diremo mai».
Bruce riesce persino a concedersi una risatina.
È quando la macchina accosta in un parcheggio del quartiere designato per il macello che l'umore torna nero e lui vede di nuovo quella nuvola verde appannargli la vista.
Steve gli apre lo sportello e lo guarda con aria fiduciosa. Bruce cerca disperatamente di ricordarsi che si fidano di lui, che la dottoressa Foster crede che lui riuscirà a fare ciò che deve in tempo per salvare Thor e senza alcuna complicazione. Cerca di ricordarsi quello che gli ha detto la Romanoff, che non hanno bisogno di un'arma ma di un cervello, il suo cervello... si aggrappa a quel pensiero con quanta più forza che può. La nuvola verde si dirada almeno un po' e lui cerca di concentrarsi sul semplice compito i mettere un piede avanti all'altro.
All'interno della valigetta, lo smagnetizzatore tintinna appena, urtando piano le pareti rigide del contenitore.
L'agente Romanoff tira fuori un palmare con il gps, alla ricerca di un buon posto dove sistemarsi. Indica una piazzetta al centro del quartiere accanto alla quale c'è un vicolo con una palazzina che il dispositivo segnala come disabitata.
Un crocchio di bambini urlati taglia loro la strada, correndo verso uno scuolabus giallo. Fanno un casino infernale... Bruce ha un sussulto.
Coraggio... non è peggio di Calcutta...
La palazzina disabitata in realtà è chiusa dai sigilli dei vigili del fuoco, porta i segni di un incendio recente, con grosse sbavature nere che fanno da cornice alle finestre prive di vetri. Probabilmente è inagibile e almeno sono sicuri che nessuno verrà a ficcare il naso lì dentro.
Steve tira una spallata a una porta secondaria, questa geme sui cardini e si spalanca. Entrano rapidamente. Rogers e Barton risistemano la porta al proprio posto.
Dentro l'aria odore di cenere e marciume, infissi bruciati penzolano dalla tromba delle scale.
Bruce starnutisce, poi apre la valigetta e appoggia lo smagnetizzatore su un muretto con l'intonaco annerito. Quella semisfera di metallo sembra un grande occhio che lo fissa.
No, decisamente non è la stessa cosa senza Tony Stark. Lui lo avrebbe fatto funzionare meglio, più velocemente e non si sarebbe lasciato suggestionare da un pezzo di ferraglia.
Bruce si stropiccia il viso, poi tira fuori un scatola di cacciavite dalle punte sottilissime.
«È una buona posizione» dice, come per rispondere alle domande mute della Romanoff ferma di fronte a lui. «È centrale e una volta stabilita la giusta regolazione possiamo essere certi che funzionerà».
Barton guarda verso l'alto, osservando la tromba delle scale salire e perdersi nella penombra. «La palazzina è bella alta, posso stare di vedetta sul tetto e scoprire se riesco a vedere arrivare Thor».
Gli altri annuiscono. Bruce accende i suoi giocattoli.
Dopo qualche minuto si mettono in comunicazione con la base volante, aggiornano Fury e Stark sulla loro situazione. Tony non vede l'ora di dare una mano, Bruce fa un mezzo sorriso e scambia un'occhiata con Steve.
«Penso di farcela Stark» sta per dire. E vorrebbe aggiungere che ha comunque bisogno che lui lo guidi da lì... non ne ha davvero bisogno, ha ripassato gli schemi di funzionamento dello smagnetizzatore fino allo sfinimento, ma Stark potrebbe morire per la smania e l'inattività, quindi tanto vale dargli qualche soddisfazione.
All'improvviso, mentre stanno parlando, una raffica di vento produce un ululato acuto che sembra far vibrare l'intera di città. Una folata d'aria gelida entra da tutte le aperture prive di infissi e l'aria diventa fredda all'improvviso, in modo innaturale.
Il vento fa cadere verso l'interno la cornice di una finestra già mezza staccata dal davanzale, il legno cade e va a infrangersi ai piedi della Romanoff. Natasha si lascia scappare di mano la trasmittente.  
Fury chiede che sta succedendo, gli dicono che è stata solo una raffica di vento e sentono la voce della dottoressa Foster urlare qualcosa.
Bruce sta per dire qualcosa a Stark, ma ora la voce di Jane Foster è più chiara e sta decisamente chiedendo in tono disperato se si è trattato di vento freddo.
«Dottoressa Foster, sono certo che Thor non si prenderà il raffreddore...» dice Tony con la sua consueta ironia.
«Jane, che succede?» domanda invece la signorina Potts.
A Bruce cade di mano il cacciavite. Non ha bisogno di aspettare alcuna risposta perché ora ricorda... ha già sentito quel vento e quel freddo improvviso e innaturale il giorno in cui Loki si materializzò all'improvviso nel bosco mentre Stark e Steve stavano provando ad allenare Nadia.
Ed è proprio Nadia a rispondere.
Il gelo non si è ancora dissolto del tutto e ora anche le loro espressioni si sono congelate.
«Mi state dicendo che nessuno lo ha tenuto d'occhio?» tuona Fury.
Come se servisse tenerlo d'occhio! Nemmeno la gabbia di vetro è riuscito a fermarlo, e quella gabbia era stata progettata per Hulk.
Ad ogni modo, dio dell'inganno è una variabile che ancora una volta hanno fatto l'errore di non considerare.
«Pensate che stia venendo ad uccidere Thor o a sabotare il nostro piano?» domanda Steve, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«No. Lui non... non lo farebbe, non dopo averlo spronato a combattere» dice Nadia con la voce alterata dall'agitazione. «Loki non lascerebbe che tra lui e Thor finisse così, per l'intervento esterno di un criminale spaziale qualunque...»
«E allora dov'è? Non mi dirai che è venuto qui per salvarlo» sbotta l'agente Barton.
Bruce chiude gli occhi, serrando violentemente le palpebre. Sa che quella conversazione non può distrarlo, che deve regolare lo smagnetizzatore, che...
Fury sta dando ordine di cercarlo con lo stesso sistema con cui lo rintracciarono a Stoccarda. Pensano che sia ancora nei paraggi per le solite ragioni: se lascia la Terra, Asgard lo catturerebbe, se cercasse di sfuggire ad Asgard fuggendo più lontano, sarebbe invece Thanos ad acciuffarlo. Non restano altre opzioni possibili: Loki non ha altri affari né altri posti dove andare, Loki sta andando lì.
«D'accordo. Tieni spento lo smagnetizzatore per qualche altro minuto, Bruce, sto arrivando...». È Stark.
«No!» esclama Steve. «Resta dove sei Stark, qui ci saresti di intralcio, inoltre se ti vedessero tutto il piano andrebbe in malora»
«Non sono così idiota da farmi scoprire, Capitano».
«Tony...». È la voce della signorina Potts.
«Possiamo occuparcene noi» insiste la Romanoff.
Nella sua testa Bruce sente solo un accavallarsi di voci e di immagini poco serene. La cortina di verde davanti ai suoi occhi si fa più spessa, che li tenga chiusi o aperti non fa alcuna differenza, non importa quanto lunghi siano i suoi respiri...
Ora sente anche il sudore coprirgli la schiena, appiccicargli la stoffa della camicia alla pelle.
Ora sente svanire tutte le parole e le rassicurazioni e i moniti ricevuti fino a quel momento.
«Fermi tutti». La voce di Fury. «Lo hanno trovato, Loki. Lo hanno cercato con lo stesso sistema con cui lo localizzammo a Stoccarda, solo che questa volta sapevamo dove cercare ed è bastato un clik. È lì. Thor non è ancora arrivato da Hope, Stark potrebbe arrivare in tempo per fermarlo, e ripartire prima che voi attiviate lo smagnetizzatore»
«No, non può» ribatte Steve.
«Sì, posso!» replica Tony.
«Loki non sta andando a uccidere Thor!» strilla Nadia.
«Come diamine fai a dirlo? Ci ha già provato e lo ha già tradito una volta, come ha tradito te» sbotta Stark. La sua voce suona come non l'avevano mai sentita prima, con una freddezza da gelare le orecchie.
«Non dico che Loki non voglia distruggere Thor, dico solo che non lo farà, non adesso, non in questo modo...»
«Nadia, basta». Ancora Stark; stavolta la sua voce è proprio di metallo, come la sua armatura, dura e fredda come il ferro. «Non ascolterò una parola di più da te che perseveri in questa follia del trovare sempre una ragione per fidarti di Loki o per giustificarlo o per fare finta che non sia il mostro che è! Ho sopportato questo delirio a tutto quello che ne è seguito anche troppo, ho cercato di proteggerti da questa pazzia e non me lo hai lasciato fare perché per qualche assurda ragione lui era così fottutamente importante e non so che altro... bene, adesso non posso più fingere che mi importi. Adesso ci sono delle priorità e non riguardano né te né l'improbabile e inutile redenzione di Loki».
Il monologo di Stark apre una voragine di silenzio attonito.
Bruce vorrebbe avere uno scampolo di lucidità in più per capire bene quello che è appena successo, analizzare quel fiume di parole denso di frustrazione che il loro amico ha riversato addosso alla ragazza. Parole che tutti loro, in qualche misura condividono, ma che forse nella testa di Tony erano pensieri gonfi come mongolfiere, enormi palloni di rabbia, delusione, incredulità e Dio solo sa cos'altro, e che ora sono esplosi. Ma tutta la lucidità che gli resta è appena sufficiente a cercare un appiglio per non lasciarsi affogare da quella nebbia verde sempre più fitta, per non lasciarsi sopraffare dal buio che porta con sé.
Si appoggia al muretto, completamente sfiancato dallo sforzo di resistere all'Altro che chiede a gran voce di uscire, che tenta di forzare le pareti della prigione nella quale Bruce riesce a stento a contenerlo.
«Tutto bene?». Steve gli posa una mano sulla spalla, lui annuisce con un sospiro penoso.
«Immagino che devo lasciar stare quell'affare» dice dopo qualche secondo. «Stark sarà già in volo...».
«Quindi... se Loki è qui e Stark si è fiondato al suo inseguimento, noi non potremo attivare lo smagnetizzatore, Hope ha ancora le armi» Clint Barton segue il filo del ragionamento, gesticolando con la punta dell'indice a mezz'aria. «O muore Thor, o moriamo noi e tutta la gente del quartiere. Figo, era proprio quello di cui avevo voglia oggi, un bel decesso drammatico».
«Però c'è una cosa a cui nessuno ha pensato» interviene Natasha. «Se il quartiere salta in aria, salta in aria anche Loki».
Segue un minuto di silenzio scioccato.
«Voi pensate davvero che Loki non sia venuto qui per far danni stavolta, ma per aiutare?» domanda Steve.
Nessuno prova nemmeno ad azzardare un'ipotesi.







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Note:
Capitolo oscenamente lungo, ma come per il famigerato capitolo 18, non aveva molto senso spezzarlo.
In questo capitolo ho tentato di ridare voce a personaggi che per forza di cose ho dovuto mettere da parte negli ultimi capitoli. Soprattutto a Thor, che è quello che per molto tempo è rimasto più in ombra degli altri.
In quanto a Bruce... mi piaceva l'idea che per una volta dovesse fare qualcosa di “eroico” non trasformandosi in Hulk, ma come persona normale e quindi dovendo più che mai combattere contro l'Altro.
Il finale, Tony che dice quello che dice a Nadia, mi ha uccisa... scriverlo mi ha fatto scappare il cuore dal petto – Odino sa se la fanciulla non se le meritava quelle parole, ma io sto per entrare in analisi, praticamente. No mi riprenderò mai più...

Segnalazioncina spammosa personale: dopo svariati mesi ho aggiornato Una goccia di splendore, nella sezione su Thor, perché i miei sproloqui su Loki non possono fermarsi a una singola fanfiction. Così, tanto per farvelo sapere :P 

As usually, per domande sulla fanfiction, curiosità in generale and so on... HERE

Intanto, genteh! Voi che continuate ad aggiungere questa storia e il suo prequel nei preferiti/seguiti/ricordati anche dopo una così lunga "stagionatura". Amovi tutti. **

A venerdì ^^

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Capitolo 27
*** Endgame - part three ***


Capitolo ventiseiesimo
Endgame – part three


Luci, nient'altro che luci.
L'interfaccia robotica gli getta davanti agli occhi una sequela di informazioni, immagini schematiche, coordinate che cambiano e vengono ricalcolate rapidamente, ma Tony non riesce a leggerle.
Il grigio della città sfila in un'unica massa informe sotto di lui. La voce di Jarvis dice qualcosa, fa una domanda, ma lui non sente, non sente niente, lascia scorrere le luci davanti agli occhi e l'aria tutt'attorno.
Ha detto a Pepper che sarebbe andato tutto bene, ha cercato di riportare la calma nel suo sguardo annebbiato dall'ansia con un sorriso che deve esserle sembrato troppo retorico per suonare sincero. Eppure non stava mentendo, non è lui ad essere in pericolo... o no?
Sembra un brutto elettrocardiogramma visto da qui, pensa mentre il ponte di Brooklyn compare in lontananza a rigare il cielo. Elettrocardiogramma... già.
Tony vira, eseguendo un mezzo giro attorno a uno degli imponenti pilastri. Forse di sotto si è fermato il traffico e la gente si è sporta dai finestrini delle auto per guardarlo volare via, verso la città, chiedendosi quale altro brutto guaio i loro eroi risolveranno quel giorno.
Vorrebbe che fosse tutto così semplice e lineare.
Ora le luci all'interno della maschera disegnano i profili dei palazzi in mezzo ai quali sta sfrecciando. Si sforza di prestare attenzione: sarebbe imperdonabile finire contro un edificio del centro come un moscerino sul muso di un camion. E a Pepper verrebbe un colpo...
Chissà se anche lei adesso se ne sta attaccata al vetro della sala comandi del macchinone volante di Fury a guardare il cielo in attesa del suo ritorno.
Devono assolutamente prendersi una vacanza, appena finisce questa storia. La loro ultima vacanza, quella a Venezia, non è stata molto riposante.
Ripensa a Venezia e nella sua mente si apre uno squarcio, il viso di Nadia fa capolino attraverso due lembi sbrindellati di ricordi differenti. Nadia che si fa accoltellare per salvare Pepper, sangue scuro che scivola tra le dita esangui appoggiate sulla ferita; Nadia che si fionda tra le braccia di Loki appena lui ricompare in mezzo al bosco, come se nei due mesi in cui loro hanno tentato di salvarla, lei non avesse fatto altro che aspettare il suo ritorno.
La ragazza non si meritava quella sfuriata, o forse sì... sicuramente non in quel momento, non in quel modo e non con quelle parole. Sicuramente nessuno può fargliene una colpa se è innamorata del dio bastardo – e questo Tony lo ha sempre saputo, da quando l'ha portata a casa sua, da Venezia, da sempre. Lo ha saputo anche prima che lei stessa se ne rendesse conto. E forse Steve Rogers ha sempre avuto ragione, dopotutto, forse in parte c'entra anche la gelosia, perché tra sé e sé a Tony è sempre sembrato inconciliabile il fatto che lei potesse amare Loki e allo stesso tempo amare tutti loro. O forse, semplicemente, aveva paura di cosa avrebbe scelto Nadia.
«Siamo vicini alla destinazione, signore» annuncia Jarvis.
Tony vira e vola basso dietro un grande edificio, forse una scuola. Atterra su un tetto lì vicino.
Alla fine poi la ragazza ha scelto. Ha scelto bene. Per questo non si meritava quella sfuriata, per questo sarebbe stato molto più giusto gridarle contro al momento opportuno, invece che pensare sempre e solo a proteggerla. Al momento opportuno, Nadia avrebbe potuto capirlo, avrebbe potuto non esserne ferita. E adesso, cosa ha ottenuto? La soddisfazione di sfogarsi per tutta la frustrazione accumulata. Un risultato misero, inutile e anche un po' meschino.
Tony salta giù dal tetto, atterrando in un cortile dove affacciano le porte delle cucine di alcuni ristoranti; un gatto randagio annusa speranzoso una scatola di latta rotolata giù da un bidone e non presta la minima attenzione al tizio fasciato di oro e titanio che scintilla in mezzo al cortile.
Ci sarà tempo per parlare con Nadia, quando sarà tornato da quella missione. Ci sarà tempo per rimettere le cose a posto. Tutte le cose a posto.
«Jarvis, avvia la comunicazione con l'agente Romanoff»
«Sì, signore».
Dalla base volante dello S.H.I.E.L.D. gli stanno mandando le coordinate per trovare Loki. Tony sa che deve fare tutto molto in fretta.  
E una volta che lo avrà trovato?
Gli sembra di sentirle la voce del dio, vede quel suo sorriso affilato e indisponente in una macchia sul muro, come se lo stesse osservando da ogni angolo della città.
Una volta che mi avrai trovato, cosa farai, uomo di metallo? La voce di Loki sembra vibrare nel vento freddo che si è lasciato nella sua scia. Quanto a fondo pensi di spingerti? Mi odi più di quanto io odio voi tutti?
Certo che lo odia! Lo ha scaraventato giù da una torre per farlo fuori, ha ucciso Phil, ha ucciso decine di innocenti, ha messo a ferro e fuoco la sua città...
«Stark?»Stark?
«Agente Romanoff. Dillo che ti stavi struggendo al pensiero di avermi lontano!».
Il sospiro teso di Natasha è un fruscio negli auricolari.
«Stark! Lo so che ti è difficile crederlo, ma ti assicuro che non abbiamo bisogno di te». È Rogers, sta letteralmente ringhiando.
«Ci eri più comodo sul bestione volante ad aiutare Banner a programmare quell'aggeggio» si aggiunge Barton.
«Il dottore se la caverà egregiamente senza di me. Ma serve qualcuno che pari il divin deretano di Raperonzolo, e nessuno di voi può farlo abbastanza in fretta quanto me».
«Non so se un infarto riuscirebbe a uccidermi, Tony» interloquisce Bruce, sembra provato. «Ma se sopravvivo, te la vedrai con l'Altro».
«Benissimo. Ora che abbiamo detto una battuta ciascuno come alla recita delle elementari, posso andare a cercare Bambi o deve venire una maestra a prendermi a bacchettate sulle nocche?»
«L'obiettivo è a due isolati di distanza, signore» annuncia Jarvis.
Dall'altra parte si fa silenzio, forse i suoi compagni di sfighe assortite hanno deciso che hanno di meglio da fare che sgridarlo perché si è imbucato alla festa.
Dopo qualche secondo però sente un rumore ovattato dal canale aperto di comunicazione. E sente la voce di Rogers, bassa, come se si fosse allontanato e si sia messo a parlare con lui in modo che gli altri non possano sentirlo.
«Lo odi così tanto?» gli chiede.
«Magari oggi lo scopriremo, Capitano» risponde, fingendo un tono leggero. «Passo e chiudo».  
Tony sospira, tentare di quantificare il suo odio per Loki è inutile e riportare alla mente tutte le nefandezze che quel mostro ha compiuto non basta a dare una risposta alle sue domande. Quanto a fondo può spingersi? Non lo sa, ma sa che più di una volta si è immaginato torreggiare su Loki mentre i suoi occhi di ghiaccio si spegnevano, e ogni volta si è ritrovato a chiedersi se questo non fa anche di lui un mostro alla stessa stregua del dio degli inganni.
Parte di nuovo in volo.

Loki è nascosto nel cono d'ombra di un edificio di mattoni rossi, in un piazzale di asfalto chiuso da una fitta cancellata.
Tony riconosce la costruzione, è la sede di una banca. E per fortuna a quell'ora è chiusa.
Sul tetto dell'edificio si scorge il profilo di una costruzione bianca, forse una specie di serra.
Se è lì che Hope e i suoi hanno organizzato l'incontro, è probabile che anche le armi siano lì. Non le avrebbero lasciate incustodite e, per quanto Thor possa essere arrendevole, di certo i suoi nemici sanno che ci vuole un bel po' di lavoro per un uccidere un super dio, super eroe, super principe, super tutto il resto.
È assai probabile quindi che nemici e armi siano tutti concentrati lì. Non cambia molto, in termini di pericolosità o di prospettive di vittoria, ma è già qualcosa.   
Tony ha dovuto usare tutta la cautela possibile per avvicinarsi, volando basso, tra un tetto, un cortile e piccole stradine chiuse e deserte.
Quando atterra di fronte a Loki, lui lo guarda con aria annoiata.
Tony fa scattare verso l'alto la visiera dell'armatura: vuole guardarlo faccia a faccia, da essere umano a dio e imprimergli nella mente una volta per tutte l'idea che gli esseri umani non hanno proprio niente da invidiare a individui come lui.
C'è senz'altro qualcosa di attraente in quel tizio, persino qualcosa di bello in quel suo viso dai tratti sottili e regolari, nella sua figura elegante, alta e slanciata; ma se anche Tony non lo conoscesse per il terribile pericolo che Loki è, anche senza tutti gli avventurosi trascorsi, lo troverebbe comunque sgradevole, quel tipo di individuo che ti fa sentire minacciato, quel tipo di persona che se la incontri per caso in strada finisci a guardarla di sottecchi chiedendoti se gli batta un cuore in petto o se non sia viva per qualche strano scherzo della natura.  
Quel tipo di persona assolutamente impossibile da amare.
«Cosa diavolo hai fatto a quella ragazza?» chiede, sinceramente curioso. Domanda assolutamente poco pertinente, ma gli è scappata di bocca senza che riuscisse a trattenersi.
Per un attimo passano nubi cupe nello sguardo del dio, riflessi di chissà quali contorti e malsani sentimenti, ma il mezzo sorriso con il quale tenta di nasconderli cancella ogni speranza di trovare anche solo un briciolo di umanità in lui.
«Te lo direi, ma detesto essere triviale» ghigna.
Tony ha l'impulso di lanciarsi contro di lui, come è già successo, ma servirebbe a poco.
Con un gesto lentissimo, apre le dita della mano; l'energia converge nel propulsore anteriore.
«Il tuo grugno da guerriero solitario si ammorbidirebbe se ti dicessi che nessuno morirà oggi?» sospira Loki, ostentando un'aria di paziente sopportazione, come se lui fosse un bambino molesto che chiede con insistenza un altro giro di giostra.
«Quindi tu sei venuto a salvare il tuo amato fratello? E io dovrei berla?»
«Non è mio fratello» si affretta a precisare il dio. «Ma devo essere io a sconfiggerlo, non quei pezzenti»
«Molto romantico... è un'usanza del tuo popolo dagli strani vestiti?».
Loki annuisce, sembra persino un po' sorpreso che lui abbia centrato il punto. Tony vorrebbe dirgli che deve smetterla di sottovalutare la sua intelligenza, che se facessero la conta dei risultati ottenuti quelli di Loki avrebbero a che fare con qualche calcinaccio di grattacielo e una serie di cadute da un angolo di galassia all'altro, lui invece è... un genio, miliardario, playboy, filantropo.
«Se vuoi una corona, devi far saltare la testa che è destinata a indossarla» dice Bambi, a mo' di spiegazione. «Ma come ho già detto, devo essere io e non sarà oggi».
«E perché? Potresti approfittare del fatto che il figlio venuto bene è tenuto sotto tiro da Hope e compagni, intervenire e farlo fuori...»
«E dopo chi mi aiuterà a distruggere i profughi di Nornheim?».
Tony ammutolisce. Loki ha il potere di confonderlo malgrado la sua brillante intelligenza, di questo bisogna dargliene atto, e lui ha bisogno di tirare un istante le somme.
Bambi non vuole uccidere Thor perché vuole fargliela pagare ai tizi di Nornocoso e il fratellone la sa lunga in fatto di pestaggi? E perché? Non ha senso, Loki stesso era pronto a stringere un accordo con Hope e offrirsi di aiutarlo a far fuori Thor e magari anche tutti gli altri Avengers.
È forse preoccupato che quei loschi figuri possano essere ancora un pericolo per Nadia?
«Nessuno morirà oggi» ripete Loki, semplicemente, come se fosse la soluzione ovvia di un problema lungamente sviscerato ed analizzato.
Tony sente l'energia come un pulsare caldo tra il metallo dell'armatura e il palmo della sua mano.
«Non. Ti. Credo.» dice.
Alza il braccio contro Loki, con uno scatto fulmineo. La visiera si chiude davanti a lui. È solo un istante.
Il dio finisce sbalzato per aria e ricade violentemente contro l'asfalto, strisciando per almeno due metri in una nuvola di polvere.
Tony guarda truce la polvere dissolversi attorno alla sagoma ammantata di verde. Sa che ci vuole ben altro per farlo fuori... anzi, non sa cosa ci vuole per farlo fuori.
Mentre guarda Loki rannicchiato a terra, capisce che c'è un limite oltre il quale non può spingersi, per Nadia e per Thor. E per se stesso.
Qualsiasi pensiero violento Loki gli abbia indotto, qualsiasi idea di vendetta gli abbia mai fatto venire, qualsiasi paura gli abbia instillato, Tony si rende conto che la differenza tra quelli come lui e quelli come il dio degli inganni sta semplicemente nel fare una scelta: premere o meno il grilletto; affondare o no la lama. Ed è una scelta che Tony Stark, ex fabbricante di armi, ha fatto già molto tempo fa.
Loki punta i palmi delle mani a terra. Volta la testa come un animale in gabbia e realizza con un certo evidente sgomento di essere lui praticamente in ginocchio ai piedi del nemico.
Per Tony è una bella sensazione, in effetti. Lo guarda e...
Ehi, un momento. Nel trambusto generale che è seguito la sua sparizione dall'Elivelivolo, nessuno si è chiesto come diamine il cerbiatto sia riuscito a lasciare indisturbato una base volante e spuntare nel bel mezzo di New York.
Sulla fronte di Loki si è aperto un taglio profondo che sta cominciando a sanguinare. Su quella pelle bianchissima il sangue sembra essere nero come l'inchiostro, pece e veleno che cola sul ghiaccio.
La furia negli occhi del dio è spaventosa. La stessa furia di quando gli chiuse le dita attorno al collo e lo spinse giù nel vuoto, la stessa furia che grida morte.
«Lunghe settimane qui. Così tanto tempo speso con Nadia...» sibila Loki. Il sorriso ferino che gli affiora sulle labbra si mischia con una smorfia di  dolore ed è quasi grottesco. «Quanta energia credi che io abbia raccolto dalla pietra? Abbastanza per ridurti in polvere?».
Tony pensa mille cose, tutte concentrate in un unico istante. Pensa alle difese da attuare. I missili sibilano sollevandosi dalla placca dell'avambraccio, ma non fanno in tempo a partire.
Loki si alza, muove la mano come se stesse mimando lo sbocciare di un fiore.
E Tony non sa se è un'illusione ottica, se è il panico o se sta succedendo davvero, ma gli sembra che l'aria tra la mano di Loki e i suoi occhi si accartocci e deformi ogni cosa. È solo un battito di ciglia, non può dirlo con certezza.
Sente qualcosa di caldo che lo invade e lo solleva. Sente il calore far diventare incandescente il metallo fino a quando i pezzi dell'armatura non si sfaldano e schizzano via, staccandosi dal suo corpo.
Lo sente, ma non vede niente. Vede solo la massa di colori indistinti, quell'aria venefica che fa sciogliere l'immagine come un fuoco che brucia una tela.
Poi non vede e non sente più niente.

*

Thor arriva a destinazione. Si guarda in giro, stringe le dita attorno all'impugnatura del martello e dà un colpo secco.
Il tuono quasi scuote la città. Spera che i suoi compagni lo abbiano udito.
Sul tetto dell'edificio c'è una costruzione di una strana tela lattiginosa. Il dio del tuono vede figure indistinte muoversi al di là dei pannelli opachi, poi le porte si aprono e compare un uomo, lo stesso che ha sentito parlare nel filmato.
C'è odio nei suoi occhi. Thor non sa perché, ma ne ha quasi pietà.
«Il principe di Asgard» dice l'uomo, avvicinandosi. I suoi compagni e Nadia lo chiamano Hope.
Dentro la costruzione bianca, Thor vede decine di altre persone. Se tutto va come sperato, entro sera saranno tutte a marcire nelle prigioni di Asgard, o in quelle che il comandante Fury riterrà di dover assegnare loro.
Se le cose non dovessero andare come sperato... i suoi compagni avranno un'altra occasione di usare il marchingegno ideato da Stark per mettere fuori uso le armi.
Se le cose non dovessero andare come sperato...
Thor non ha mai pensato alla sua morte, anche durante le mille e mille battaglie combattute, non ha mai creduto di poter essere sconfitto, non ha mai pensato che la sua vita potesse aver fine in modo violento, per mano di un nemico. Per molto tempo non ha mai nemmeno davvero pensato di avere dei nemici, gli sembrava che quelli affrontati sul campo di battaglia fossero più simili a cuccioli da divertirsi a domare.
Stolto e arrogante che non era altro. Forse non può biasimare il vecchio principe di Nornheim per il suo odio e la sua voglia di vendetta. Ma quella guerra era una guerra per porre fine al dispotismo di un re tiranno e inadeguato, non ha mai davvero voluto far del male al ragazzo che quel principe era...
Il dio del tuono lascia cadere il martello, alza le mani in un gesto di resa.
«Ti chiedo perdono per il dolore che ti ho arrecato. Ero un giovane che capiva troppo poco» dice, umile e sincero.
Hope e i suoi seguaci vanno fermati ad ogni costo e meritano di pagare per il pericolo a cui hanno esposto la Terra, e per il rapimento di Jane e di Nadia e di lady Pepper. Ma ciò non toglie che lui sia profondamente rammaricato per essere stato la miccia che ha acceso la fiamma che ha portato a quell'orribile situazione.
«Il tuo pentimento non ti salverà, figlio di Odino» dice l'uomo.
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ma mentre raggiungeva la città ha chiuso gli occhi per difendersi dal vento e le ha viste, tre volti in mezzo al nero: le Norne, coloro che conoscono il destino che nemmeno gli dei possono cambiare. Coloro che sanno e che a volte lanciano avvertimenti, mettono in guardia, sussurrano brevi aliti di futuro alle orecchie dei mortali.
Qualcuno morirà, oggi. Thor lo sa, lo sente dentro, nel suo cuore temprato dall'immenso scorrere del tempo che ha vissuto.
«Non cerco la tua clemenza» asserisce, con calma. «Ma voglio che tu sappia...»
«Silenzio!».
Il dio del tuono serra le labbra. L'uomo che si fa chiamare Hope lo guarda con una rabbia gelida.
Thor guarda il cielo con la coda dell'occhio. I suoi compagni gli avevano detto di aspettare il loro segnale per dirgli che la macchina di Stark aveva compiuto il suo lavoro e fargli sapere che era fuori pericolo e che la gente del quartiere era salva.
Non arriva nessun segnale e Thor si accorge di non provare alcuna paura. Come quando camminò deciso incontro al Distruttore che Loki aveva mandato per ucciderlo. Solo che pensa che se proprio la sua morte deve servire a placare un cuore, avrebbe preferito che fosse quello di suo fratello.
«Non ci sono discorsi da fare, figlio di Odino» aggiunge l'uomo. Pronuncia le parole a fatica, con un certo disgusto. «Non starò qui a fare elucubrazioni e perdere tempo in discorsi di addio. Non è una favola a cui trovare una morale, questo è solo il giorno della tua fine e della tua stirpe sul trono di Asgard».
Thor non ha mai pensato alla sua morte. Ora però si rende conto che avrebbe preferito morire combattendo. Pensa alle molte vite che sta salvando, alle centinaia di persone che abitano in quella zona della grande città.
Dai suoi compagni non arriva nessun segnale. E ora il dio del tuono sente montare una rabbia sorda, non verso i Vendicatori, verso il destino.
Pensa a Jane. La ama, la amerà in qualsiasi luogo ci sia ad attenderlo dopo la fine, ma non sopporta l'idea del dolore che lei dovrà sostenere. Né quello di chiunque provi affetto per lui.
Pensa che vorrebbe almeno provare a difendersi, anche se è solo e loro sono in molti, ma non può rischiare che un suo gesto li metta in allarme e li costringa ad attivare le armi.
Hope allunga una mano, uno dei suoi sottoposti gli passa qualcosa di affusolato. La parte anteriore di un oggetto che ha la stessa identica forma della lancia di Odino.
Dev'essere quello di cui gli ha parlato Nadia, quello che lei ha spezzato quando l'hanno obbligata a provare ad usare l'energia sul metallo alieno.
L'uomo solleva la lancia spezzata contro il suo petto. Il dio vede sottili strisce di luce bianca cominciare ad agitarsi sulla superficie scura di quello strano materiale ferroso.
Le strisce diventano sempre più spesse, sfrigolano con un sommesso respiro elettrico.
Dai suoi compagni nessun segnale. Non ce l'hanno fatta. Se potesse parlargli, gli direbbe di non sentirsi in colpa.
Thor non ha mai pensato alla sua morte e ora che la morte sta per arrivare i suoi pensieri sono un unico groviglio confuso che ha la dimensione del nulla.

*

Stark è a terra, seduto appoggiato al muro; apre gli occhi a fatica e solleva il capo ciondolante per lanciare verso Loki uno sguardo traboccante di odio.
Solo odio, nemmeno la più piccola traccia di paura. Sarebbe bello sentirlo implorare per avere salva la vita, ma è una soddisfazione che il dio dell'inganno ora sa di non poter ottenere. Non gli resta che finirlo, e poi andare a fermare la follia che lo aspetta lì di sopra all'arrivo di Thor. E poi lasciare una volta per tutte quel dannato piccolo mondo e cercarsi un posto sicuro dove prepararsi per un'altra battaglia.
Si piega sulle gambe e resta lì per qualche istante, con le braccia a penzoloni dalle ginocchia a scrutare la faccia tumefatta di Stark.
Ucciderlo è così facile che quasi non gli dà soddisfazione, eppure dovrebbe essere contento, la morte di quell'uomo lo porterebbe di un passo più vicino alla vendetta. Malgrado ciò, Loki esita.
«Su, Bambi, che aspetti» lo sfida Stark con voce strascicata.
Se è vero quello che hanno detto sulla sua diavoleria per mettere fuori uso le armi di Nornheim, allora morirà comunque, non c'è bisogno che lui si sporchi le mani.
Da quando in qua sporcarsi le mani è divenuta una preoccupazione?
La voce. Loki strizza gli occhi, agita la testa. Non si tratta di Stark, dannazione...
Il dio dell'inganno prende un profondo respiro. Ha già vinto, e questo lo sa, ha dimostrato al grande Tony Stark che non è invincibile, che non conta quanti trucchi nasconda, lui è comunque più forte. Ucciderlo o meno non farebbe alcuna differenza.
Da quando in qua perdi così tanto tempo a pensare a cose del genere?
Non sta pensando di risparmiarlo per puro cuore: lui non ha un cuore, se lo è strappato via quella sera, nei sotterranei del palazzo di Asgard, quando Odino è stato costretto a dirgli la verità sulle sue origini, quando in un unico doloroso istante tutti i tasselli di quel tremendo mosaico sono andati al loro posto e lui ha capito che era già condannato. Che era nato con il peso della condanna nel sangue, scritto sulla pelle.
Non sta pensando di risparmiarlo per bontà, ma per umiliarlo. E anche per un'altra ragione. Quella a cui si rifiuta di dare un nome, quella che gli ha fatto pesare l'assenza del suo stesso cuore.
Afferra Stark per un lembo della maglia che indossa sotto quel che resta dell'armatura, lo solleva di peso e lo rimette in piedi, gettandolo con malagrazia contro il muro.
L'uomo di metallo lo guarda stupito.
«Su di te ho già vinto, Stark» gli dice Loki con un sorriso crudele. «Ora sai che non sarai mai più al sicuro, che un giorno tornerò e non sarò nuovamente tanto generoso. Ma come ti ho detto, nessuno morirà oggi»
«Un giorno tornerai e io non mi farò cogliere di sorpresa con tanta leggerezza, lurido verme». Per quanto voglia darsi un'aria battagliera, il caro piccolo umano è più prossimo a perdere i sensi di quanto creda e Loki sa che deve sbrigarsi. Deve sistemare quella questione perché Thor potrebbe arrivare da un momento all'altro.
«Saltiamo la parte degli insulti e veniamo al dunque» dice. «La ragazza, Stark»
«Cosa? Che c'entra lei? Pensavo che fosse fuori pericolo adesso...»
«Lo è. Ne sa abbastanza da poter convivere con la pietra senza che l'energia la uccida. Ma se tieni al suo bene, appena tutto questo sarà finito, mettila su un aereo e rimandala a casa. Tienila lontana da voi, e tieni Fury e lo S.H.I.E.L.D. lontani da lei».
Stark aggrotta le sopracciglia e deve costargli uno sforzo immane a giudicare da come è ridotta la sua faccia. Impiega qualche secondo, poi sembra afferrare. Annuisce e impasta la bocca come per dire qualcosa, ma Loki gli ha già voltato le spalle e ha cominciato ad allontanarsi.

*

«Lo sapevo che sarebbe andato tutto a puttane» mormora Clint.
Cioè, non è che lo sapeva, e nemmeno voleva pensarlo, ma adesso sono nella merda.
Stark ha interrotto la comunicazione con loro e non riescono a rintracciarlo, e se non rintracciano Stark non possono assicurarsi che lui sarà fuori portata quando accenderanno lo smagnetizzatore. Se non accendono lo smagnetizzatore rischiano di far accoppare Thor, nella migliore delle ipotesi, nella peggiore rischiano di far saltare in aria un intero quartiere, con scuola, centro commerciale, macchine e tutto quanto.
La scelta è: o Stark, o Thor, o qualche centinaio di persone innocenti.
Le persone innocenti è l'opzione più in assoluto fuori discussione, non rientra nel canone di ''limitare i danni''. Thor viene da un altro pianeta e sarebbe uno scandalo diplomatico intergalattico che a confronto l'affondamento del Lusitania nella Grande Guerra era uno scherzo di cattivo gusto. Andando per esclusione resterebbe il rischiare di far fuori Tony Stark, ed è ridicolo il solo pensarlo.
Che poi, a lui può sembrare ridicolo finché gli pare, ma più passa il tempo e più la necessità di prendere una decisione si fa impellente.
E in tutto questo: dov'è Loki?
Clint si massaggia le tempie e sospira stizzito.        
Bruce Banner è impegnato con cacciaviti e fili all'interno dell'aggeggio. Rogers gira rotelle e pigia tasti a casaccio sulla trasmittente, nella speranza di recuperare la comunicazione con Stark.
Nat è di sopra, ad aspettare il segnale di Thor.
«E se quando Thor dà il segnale noi ancora non sappiamo che fine ha fatto Stark?» domanda Bruce Banner, sfilandosi gli occhiali e pinzandosi la radice del naso.
«Lo troveremo in tempo» risponde Clint. Non ci crede nemmeno lui, e infatti Banner gli lancia un'occhiata di preoccupato scetticismo.
Rogers picchia contro il muro una delle trasmittenti.
«Quel... dannato... imbecille... con la... sindrome... del Messia!». Un colpo per ogni parola.
Se Clint volesse restare fedele al suo addestramento e ai principi che gli hanno inculcato da quando è entrato nello S.H.I.E.L.D, dovrebbe semplicemente concludere che Stark se l'è cercata: ha messo  repentaglio l'intera operazione, non si è attenuto al piano e se dovesse tirare le cuoia la colpa sarebbe soltanto sua. Clint si è già lasciato alle spalle colleghi e compagni che hanno compiuto errori simili e lo ha fatto senza battere ciglio.
Ma non è così semplice adesso. C'è un motivo se le regole prevedono che gli agenti non debbano occuparsi di casi e situazioni nelle quali sono coinvolti a livello personale, e in quella situazione sono coinvolti tutti, maggiormente Stark, e Clint lo capisce, perché più degli altri comprende il suo risentimento per Loki.
Il coinvolgimento personale ha già funzionato una volta, con la morte di Coulson. Ma ora le carte in tavola sono completamente diverse e forse Fury ha sbagliato qualche calcolo e di certo, per quanto Stark sia testardo e prevaricatore, il buon vecchio Nick avrebbe potuto spendere qualche energia in più per fermarlo e impedirgli di lasciare la base volante.
Clint si alza e decide di raggiungere Natasha. Con lei il discorso è rimasto odiosamente in sospeso da quando li hanno interrotti quella mattina in ospedale e lui si sente un idiota: agente super addestrato che contribuisce a salvare il pianeta, distruggere demoni alieni, salvare ragazzine con l'attrazione per i guai, non sa risolvere le cose con la propria donna.
Ok, Nat non è la sua donna. Ma lo è... cioè, non potrebbe essere altrimenti.
Vaffanculo, Clint...prendersi a parolacce da solo è un bruttissimo sintomo.
Apre la porta di metallo che immette sul terrazzo. Lei è seduta sul cornicione e guarda tutto attorno con un binocolo. Non ce n'è molto bisogno, il segnale di Thor si udirà più che essere visto, ma è bene stare all'erta.
«Ho parlato con Fury. Proprio ora. Conversazione riservata.» dice Natasha. Sa che è lui senza bisogno di voltarsi a guardarlo.
Clint si siede accanto a lei, voltato in modo da poterla guardare. Sa cosa significa quello che gli ha detto: Fury li ha sollevati dall'onere di fare una scelta, ha deciso da solo e ha comunicato l'ordine. E a loro non resta che obbedire.
«Capisco» dice Clint. «Immagino che l'ordine sia di accendere lo smagnetizzatore, che Stark sia nei paraggi o meno».
Natasha risponde con il silenzio. Un silenzio che vuol dire ''sì''.
È la scelta più ovvia, lui stesso ci aveva già pensato. Solo che non sa se stavolta ha voglia di obbedire.
«Lo farò io» dice lei.
Clint cerca qualcosa in quelle tre parole e nel suo viso impenetrabile. Cerca il rammarico o qualcosa del genere, ma la maschera di indifferenza di Natasha è sempre stata una delle sue migliori armi e a volte a lui fa male non riuscire sempre ad essere in grado di tirargliela via.
«Rogers impazzirà, e anche Banner, e se lui impazzisce... e la signorina Potts, e Nadia...» mormora Clint. E io non so se te lo lascerei fare, non so se avrei il coraggio di lasciare che tu prenda sulle spalle il peso di un simile rimorso. Perché nel cuore della Vedova Nera c'è spazio per il rimorso, c'è spazio per tante cose, almeno lui ha sempre voluto crederlo.  
«Nat...»
«No, ascolta, c'è una cosa che tu non sai riguardo a Stark, a quando Fury mi mandò a tenerlo d'occhio».
E invece lui sa tutto, perché glielo disse Coulson. Al secolo, Clint si chiese come mai gli stesse raccontando dell'intera operazione nei minimi dettagli, dato che lui era in Sud America e poi fu spedito in New Mexico a fare la guardia al martello di Thor piovuto dal cielo. C'è voluto un bel po' di tempo perché si rendesse conto del fatto che Phil la sapeva lunga, ah se la sapeva lunga! Nemmeno lui credeva fosse così evidente, e forse non lo era, ma Phil Coulson aveva occhio per certe cose. Phil Coulson forse sarebbe uscito a cercare Stark, invece di starsene lì a discutere su chi dovesse o non dovesse premere un pulsante. Anche se uscissero a cercare Stark, non lo troverebbero in tempo... ma uno come Coulson ci avrebbe provato comunque.
«Cosa c'è che non so?» domanda.
Natasha comincia a parlare ma il rumore di un tuono copre le sue parole.
Thor è arrivato. È ufficialmente in mano a una forza ostile. Devono fare qualcosa.
Clint e Natasha si guardano per un istante, poi corrono di sotto. Al pianterreno Bruce Banner si è allontanato dal macchinario e lo fissa come se mordesse; Steve Rogers ha la fronte imperlata di sudore.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere ad aspettare che loro mandino un segnale in risposta, per dirgli che le armi sono fuori uso, che quei dannati bastardi non hanno più niente in mano e se vuole può pestarli come l'uva con quel suo martello.
Thor è da qualche parte dall'altro lato del quartiere e conta su di loro.
«Abbiamo sentito il tuono. Lo smagnetizzatore è pronto» mormora Banner, torcendosi le mani.
«Dobbiamo...» tenta di dire Clint.
«No». Rogers scuote energicamente la testa. «Ancora qualche minuto».
«E tu pensi che entro qualche minuto avremo notizie da Tony Stark?» domanda Natasha con fermezza.
«Ogni minuto che passa è un rischio per Thor o peggio, per la gente del quartiere e per noi stessi» osserva Clint. «E per quanto ne sappiamo, Stark potrebbe già essere abbastanza lontano».
Anche questa è un'ipotesi, dopotutto. Più che un'ipotesi è una speranza e anche molto remota. L'altra ipotesi è che Stark abbia trovato Loki e che sia già successo qualcosa di orribile.
«Ora ci allontaniamo tutti da quell'affare per un paio di minuti, ok?» dice Banner, con una voce che non promette niente di buono. Non sta minacciando, è un semplice dato di fatto: si sta agitando. Si sta agitando molto.
Non resta che fare come dice. Clint e Natasha si scambiano uno sguardo: tu lo distrai, io premo il bottone, sembra dirgli lei. L'uomo annuisce con un movimento quasi impercettibile.
«Bruce...». Rogers ha sfogato la sua agitazione prendendosela con la ricetrasmittente, adesso sembra essersi ripreso un po' e batte amichevolmente la mano sulla spalla di Banner.
Natasha guarda nervosamente l'orologio, mima il numero sei con le mani. Sono passati sei minuti da quando Thor ha dato il segnale.
Clint sente il tempo scorrere. Lo sente quasi come se fosse una cosa fisica, una forza schiacciante.
«Otto minuti» dice Natasha. «Dobbiamo accendere lo smagnetizzatore».
Si voltano verso il macchinario.
Clint non crede a quello che ha davanti agli occhi.
Stark, pezzi anneriti dell'armatura stanno appesi come per miracolo al tessuto della tuta, sembra un albero di Natale malriuscito; il viso è coperto di lividi e piccoli tagli. Negli occhi arrossati brilla per un attimo una scintilla della sua consueta irriverenza.
«Sapevo che senza di me non sapevate accenderlo!» esclama. La voce è esausta, ma il tono è quello solito, quello che ti fa venire voglia di prenderlo a pugni.
Alza una mano escoriata verso il comando di accensione dello smagnetizzatore. Loro quattro si tendono in avanti, istintivamente, come per tentare di fermarlo.
Rogers aveva ragione, quell'uomo ha davvero la sindrome del Messia. E risparmiare a tutti loro il peso della scelta di premere quel tasto è un gesto di una generosità tale che sconfina nella follia.
«Stark... non...» balbetta Rogers.
«Nove minuti, Capitano» risponde Tony, allargando il suo sorriso sornione che è una virgola bianca sulla faccia pesta e annerita.
Poi accende lo smagnetizzatore.

*

Loki ha lasciato Stark ed è salito, non visto, sulla cima dell'edificio.
Ha atteso nascosto, immobile e silenzioso, con la pazienza dei predatori e degli assassini. E alla fine il figlio di Odino è arrivato.
Ha sentito il tuono scuotere l'aria e rimescolare le nuvole nel cielo della città.
Con enorme cautela, si è spostato attorno alla serra sul grande terrazzamento e ha assistito alla scena. Una scena dannatamente patetica.
Thor che lascia cadere Mjolnir. Thor che si arrende e chiede perdono. Thor che prova a parlare.
Come se le parole potessero domare l'odio. Ma del resto, cosa ne sa lui, l'erede del Padre degli dei, dell'odio? Lui che è cresciuto nella gloria e nella luce più fulgida!
Hope, il principe caduto di Nornheim, è un personaggio assai più interessante. Non perde tempo in ciarle, decide subito di arrivare al dunque.
Loki, nascosto dietro a un grosso serbatoio di metallo, lo vede prendere la lancia spezzata che uno dei suoi uomini gli sta porgendo, lo vede puntare l'arma al petto di Thor e vede l'energia cominciare a spandersi dal ferro scuro.
E i Vendicatori? Gli eroi che avevano giurato e spergiurato di salvare il loro nobile compagno mettendo fuori uso le armi dei nemici? Che fine hanno fatto?
Il fallimento riguarda anche gli eroi, dopotutto. Loki assapora quel pensiero con un compiacimento che è quasi gioioso.
Il dio dell'inganno infila una mano tra le pieghe della casacca e ne estrae una piccola lama dalla forma allungata, con il manico scuro di argento e ossidiana. Odino gli aveva fatto dono di quei pugnali molto tempo prima, quando lui era molto giovane e la sua corporatura esile così  diversa da quella del fratello – per non parlare del tempo speso nella biblioteca di palazzo a discapito di quello passato ad allenarsi –  lo rendeva inadatto a impugnare armi troppo pesanti. L'ansia di eccellere in una qualche abilità guerriera aveva convinto Loki a esercitarsi con quelle piccole lame fino a sfiorare la perfezione. Possedeva la mano ferma e la calma necessaria ad essere un ottimo tiratore, la sua mira era eccellente e quei pugnali non lo avevano mai tradito in battaglia.
Non lo tradiranno nemmeno ora, pensa.
Stringe saldamente l'estremità del piccolo pugnale, la lama è lucida, perfettamente affilata e a forma di rombo. Si concede qualche secondo per concentrarsi. Fa un respiro lungo e rilassa i muscoli del braccio.
Tira.
Il coltello fende l'aria, vola come un minuscolo lampo nero, quasi invisibile. Sfiora il braccio di Thor e va a conficcarsi al centro esatto del petto dell'uomo.
Hope ha un singulto e sobbalza all'indietro. Per qualche istante nessuno sembra accorgersi di quello che è accaduto, almeno non fino a quando la vittima si china in avanti per poi cadere di schiena perdendo la presa sulla lancia che sbatte sul pavimento nudo con un tremendo clangore metallico.
Un mormorio esterrefatto scuote tutti i presenti. Thor si volta nella direzione in cui ha visto arrivare la lama e sgrana gli occhi, nella sua espressione si mischiano il panico e la sorpresa.
Loki scambia un lungo sguardo con il figlio di Odino, prima che tre degli uomini di Hope gli siano addosso. Sente le loro mani afferrarlo e spingerlo in avanti, vede il pavimento venire contro di lui e cade.
Succede tutto con una rapidità sconvolgente.
Sente il mulinare del Mjolnir sopra la sua testa e con un unico movimento del braccio, Thor gli ha già tolto di dosso i primi assalitori.
«Sei folle!» grida il dio del tuono.
Anche stavolta, nemmeno l'ombra di un ringraziamento.
«Ora distruggeranno ogni cosa, tutto questo quartiere e persino te!»
«Se saltiamo in aria, saltano in aria anche loro! Sei tu il folle se credi che ora che il loro capo è morto questi sciocchi si lasceranno uccidere per la vecchia vendetta di un uomo morto...».
Sono circondati, realizza Loki un attimo dopo.
Gli uomini di Hope potranno anche non avere alcuna voglia di morire facendo saltare tutto in aria, ma sono armati con lame costruite con quel dannato poderoso metallo scuro e il dio è abbastanza certo che quel metallo possa uccidere anche un asgardiano.
Loki fa un passo all'indietro e urta contro la schiena di Thor.
«Proprio come un tempo, fratello» esclama il dio del tuono.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?».
Thor si china, battendo il martello con quanta più forza può contro il pavimento. Fulmini scintillanti di luce azzurrina piovono sui loro nemici, metà di quelli che hanno un'arma metallica in mano vengono sopraffatti dalla potenza dei lampi. Ora ci sono meno nemici, ma il pavimento sotto di loro si sta spaccando.
«Di certo non abbiamo vinto le nostre battaglie passate grazie alla tua intelligenza» dice Loki, mentre il pavimento trema sotto i loro piedi e i loro assalitori si guardano attorno preoccupati.
«Non puoi risparmiarmela stavolta?». Thor gli fa il verso. Un attimo dopo stanno precipitando di sotto.
Atterrano su un piano ingombro di armi. L'arsenale di Nornheim, basterebbe davvero poco a liberare l'energia di tutto quel metallo e distruggere mezza città.
Loki sente il peso di Thor sopra di sé e gli si spezza il respiro. «Alzati, per gli inferi!».
Sono tutti frastornati per la caduta, ma i nemici non impiegano molto a imbracciare quante più armi possono, almeno tutte quelle che possono essere tenute in mano.
Se Thor usasse i fulmini, questi potrebbero rimbalzare su tutto quel metallo, spandersi e ferire anche loro, se non addirittura ucciderli. Oppure potrebbero incrementare l'energia delle armi e renderle ancora più letali, farle esplodere come previsto.
Non hanno altra scelta che combattere. Ma sono in tremendo svantaggio, e se anche Loki potesse metterne fuori gioco un bel po' con la magia, resterebbero comunque in troppi, armati con strumenti sufficienti a provocare la morte di un dio.
«Rammentami, fratello, perché sei venuto a salvarmi?» chiede Thor, respingendo un assalto di quattro uomini, sbaragliandoli con un colpo del Mjolnir in pieno viso.
«Non è un salvataggio. E non sono tuo fratello». Loki spinge un pugnale su per la gola di uno dei nemici. «Si tratta di riservarmi l'occasione di fare le cose a modo mio».
Gli assalitori si gettano su di loro in un'unica carica, urlando e spingendo avanti le lame.
Loki sente qualcosa trapassargli una gamba e sente il bruciore di un taglio ad altezza del fianco. Anche Thor lancia un ruggito di dolore.
Il dio degli inganni sta per lanciare un incantesimo, un'onda di energia che gli tolga di dosso almeno parte dei suoi aguzzini prima che lo concino come un puntaspilli. Poi, da lontano, arriva un suono fortissimo, perfettamente udibile anche in mezzo alla cacofonia di quella tremenda mischia.
«Cos...»
«Il segnale!». Thor lo grida a fatica, ma con enorme entusiasmo.
E così, alla fine, i Vendicatori hanno smagnetizzato le armi? Ottima notizia, se solo loro riuscissero a tirarsi fuori da quell'inferno di pugnalate e pugni e colpi e urla...
Thor si volta verso di lui, ora non sono più schiena contro schiena. Prima che Loki abbia il tempo di rendersene conto, il dio del tuono lo afferra per l'attaccatura del mantello, lo solleva sopra la massa di lame e mani impegnate a colpire, poi lo scaraventa lontano, facendolo finire bocconi sulle scale del pianerottolo.
Loki è stordito per la caduta e i colpi subiti e sente in bocca il sapore ferruginoso del sangue. La vista gli si appanna e l'ultima cosa che vede è un fulmine che sembra un polipo dai mille tentacoli calare nella stanza attraverso il soffitto sfondato.

*

Un attimo prima, Nadia era stretta nell'abbraccio di Pepper.
La sua amica le aveva fatto un lungo discorso sul fatto che non dovesse prestare troppa attenzione alle parole di Tony, che si era trattato di uno sfogo dovuto alla tensione accumulata, alla frustrazione del momento.
Le ha creduto; sa che Tony non avrebbe mai voluto farle del male, ma non per questo le cose che le ha detto e i loro sottintesi sono meno veri.
La ragazza ha cercato di calmarsi, che Pepper e Jane non avessero da preoccuparsi anche di una sua crisi di pianto o di qualcosa del genere. Là fuori ci sono persone che tutte e tre amano.
Un attimo prima, Nadia ha trattenuto una lacrima annidata nella coda dell'occhio come una pozzanghera in una buca.
Poi tutto è sembrato precipitare e che le lacrime cadessero o meno ha smesso di fare la differenza.
Fury ha tolto il viva voce e loro non potevano più sentire quali notizie giungessero dall'altro lato. Hanno provato ad ascoltare almeno cosa stesse dicendo il direttore dello S.H.I.E.L.D, ma hanno ottenuto solo quattro agenti che le hanno gentilmente accompagnate fuori dalla sala comandi.
Qualcosa stava andando storto a New York.
Pepper e Jane hanno capito subito che era inutile protestare o fare domande. Si sono sedute davanti a un grande oblò a scrutare il cielo. Se sono le donne di due degli eroi più forti del mondo ci sarà un motivo...
E adesso Nadia si sente quasi un'intrusa. Darebbe l'anima per ognuno di loro, ma quel momento non è il suo momento. Perché l'ultimo suo contributo a quella faccenda sono state parole in difesa di Loki. Perché non ha mai saputo scegliere tra lui e loro, e credeva che in fondo neanche fosse giusto farlo.
Passa un'eternità, in silenzio. Le gambe incrociate perdono sensibilità, ma la ragazza non ha il coraggio di muoversi, è quasi certa di non star nemmeno respirando.
Anche standosene alle spalle di Jane e Pepper, vede l'apertura dell'oblò. Nel ritaglio di cielo che incornicia vede passare il lampo nero del jet che si avvicina per atterrare.
Le due donne si voltano di scatto, scatta anche lei. Corrono di sotto, dove si apre la botola che permette ai passeggeri del jet di scendere e accedere alla base volante.
Fury è già lì, nella sua posa rigida, le mani strette dietro la schiena. Accanto a lui ci sono alcuni infermieri e tre barelle.
Tre...
Tre, come lei, Jane e Pepper, che ora lanciano occhiate spaesate al portellone del jet che si apre lentamente. Troppo lentamente.
La prima cosa che vedono è il viso di Steve, incupito come Nadia non lo aveva mai visto prima, comparire centimetro dopo centimetro. Appoggiato alla spalla di Steve c'è Tony.
È il primo tuffo al cuore. Non ha più l'armatura, e anche la tuta che porta sotto le placche di metallo non è in buono stato, ma soprattutto, il suo viso non è in buono stato. È coperto di lividi e piccoli tagli incrostati di sangue rappreso, e sotto quello scempio si intravede un pallore malsano che non promette nulla di buono.
Ma almeno è vivo.
Dietro Steve e Tony, arrivano Bruce e Clint. Sembrano molto provati ma stanno bene... Nadia non capisce il motivo delle loro facce da funerale, dato che nella loro scia camminano anche Natasha – tutta intera anche lei – e Thor e Loki, che visti così sono persino un po' buffi. Sono entrambi feriti e camminano con passo strascicato l'uno accanto all'altro. Loki, in particolare, zoppica e ha un brutto taglio sulla fronte. E sembra che qualcuno abbia tentato di ricavare coriandoli dai loro mantelli. Procedono lentamente fuori dal jet, sembra che si stiano trattenendo a stento dall'appoggiarsi l'uno all'altro per una sorta di pudore da nemici giurati. Quando Loki inciampa, Thor si tende verso di lui, ma il dio dell'inganno allontana la mano dell'altro con un gesto secco.
Intanto Steve sta aiutando Tony a stendersi sulla barella. Thor si lascia cadere seduto su quella destinata a lui e Jane gli corre incontro. Loki nemmeno prova ad avvicinarsi alla sua, cerca di restare stoicamente in piedi e di trattenere una smorfia di dolore quando tenta di raddrizzare la schiena e recuperare il suo portamento da principino.
Nadia gli lancia una lunga occhiata che lui ricambia. Non sa cosa sia successo a New York, ma in quel momento capisce di aver avuto ragione: Loki non era andato in città per fare altri danni, voleva davvero salvare Thor e probabilmente lo ha fatto. Il pensiero le riempie il cuore di un sollievo che si avvicina vertiginosamente alla felicità. Forse non ha poi sbagliato così tanto su di lui. Forse tutto quello che ha provato per lui non è stato vano.
Felicità e sollievo. Ma allora perché quelle facce da funerale? I suoi eroi ce l'hanno fatta, ancora una volta, è andato tutto bene, sono salvi e...
«No!». La voce di Pepper.
Nadia si volta di scatto, verso di lei che è in piedi accanto alla barella di Tony. Oltre la spalla della donna riesce a vedere che gli hanno aperto la maglia, sul petto costellato di ematomi e piccoli segni rossastri di bruciature c'è un anello metallico, l'alloggio del reattore Arc. Non lo aveva mai visto prima, quel piccolo cerchio di luce azzurrina che...
Oh, Dio, ti prego, ti supplico, no!
La luce va a intermittenza, come una lampada che si sta fulminando.
«Non faccia l'isterica, signorina Potts» dice Tony, cercando di mettere assieme tutta l'ironia e la leggerezza che può.
Un attimo dopo la luce azzurrina si spegne.
Nadia sente il cielo precipitarle sulle spalle, ed è certa che è la stessa identica sensazione che stiano provando tutti lì dentro.
Gli infermieri si affrettano a portare via la barella di Tony e l'unica cosa che impedisce a Pepper di cadere a terra sono le braccia di Steve che si affretta a sorreggerla.












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Note:
Nella scena di Thor in cui Thor e compagnia combattono su Jotunheim, ognuno di loro mostra di “essere specializzato” nell'uso di una certa arma: Loki usa piccoli pugnali che lancia con straordinaria precisione. Credo che uno di quei pugnali a forma di rombo sia lo stesso con cui accoltella Thor al fianco nella scena sul terrazzo della Stark Tower, in The Avengers. Unendo queste cose, nella mia testa si è creata la convinzione che Loki sia bravissimo con i pugnali, quando non usa la magia... tra l'altro avevo già parlato di questa cosa che Odino aveva regalato a Loki quei pugnali e tutto il resto nell'altra fanfcition pubblicata nella sezione su Thor.

Naturalmente il mio cuore ormai somiglia a una scatoletta di cibo per cani e non era previsto che le cose prendessero una piega tanto tragica. Arrivati a questo punto persino Loki ha pietà di me, oggi si è offerto di prepararmi il brodino di pollo...
 
Torno a piangere sulle copertine di Iron Man e a vedere di recuperare qualche pezzetto di cuore dalla pattumiera prima che il cane dei vicini lo inghiotta.

Venerdì prossimo pubblicherò la puntata conclusiva di questa fanfiction, l'ultimo capitolo. E poi ci sarà il canonico breve epilogo.
L'ho finita, giusto ieri ho messo il punto di conclusione all'epilogo. Sono sotto shock. Cercherò di riprendermi. 

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Capitolo 28
*** The last lamp ***


Negli ultimi capitoli che ho postato, l'html del sito ha ripreso a darmi problemi, mangiandosi frasi o ripetendo righe di testo. Non riesco a evitarlo e non capisco perché succede, visto che per postare uso lo stesso metodo dal 2008 e con questa storia è la prima volta che succede -.-
Se notate qualcosa, fatemelo sapere, così lo sistemo :)
Thanks.

****


Capitolo ventisettesimo

The last lamp


Loki chiude la porta della stanza e si gode il silenzio come se ne fosse assetato.
Vorrebbe ricordare a se stesso che ha subito cose ben peggiori, eppure il dolore dei tagli e i muscoli rigidi per la stanchezza sono sensazioni molto molto sgradevoli, come tutto ciò che gli ricorda la sua vulnerabilità. E quelle armi, quelle lame, erano davvero notevoli.
Si trascina fino al letto e comincia a togliersi i vestiti. Ogni movimento rinnova la sofferenza e riapre qualche taglio.
Ora i suoi abiti sono un mucchio di stoffa sul pavimento.
Loki cerca alla rinfusa nella cassettiera di plastica lucida accanto al letto, tira fuori una scatola di ovatta e del disinfettante. Ha imparato abbastanza su Midgard da sapere a cosa serve quel liquido verde dall'odore insopportabile; non che tema di morire per infezione, ma ripulire i tagli dal sangue rappreso con qualcosa che non aumenti il bruciore sarebbe già un gran sollievo.
Sollievo. Gli inferi lo sanno se ne ha bisogno in quel momento!
Il silenzio però sembra aver amplificato la portata del suo tremendo cerchio alla testa. È come se una morsa gli stringesse le tempie.
Loki fa lunghi respiri, cerca di rilassarsi. I muscoli contratti non vogliono saperne di collaborare.
Quella sostanza disinfettante lascia una scia fresca sulla pelle tumefatta, ma piegarsi per riuscire a raggiungere tutti i tagli è comunque una tortura.
Per un attimo, il dio dell'inganno si chiede se anche Thor sia messo così male.
Lo ha salvato, alla fine. Quando Hope gli teneva puntata quella lancia contro il petto e lui ha preso in mano il pugnale per lanciarlo, per un breve istante si è chiesto cosa sarebbe successo se avesse mancato il bersaglio. Si è chiesto se essere lì a fare ciò che stava per fare avesse davvero un senso.
Quando ha lanciato la lama e ha visto il nemico cadere, ha capito: avrebbe salvato Thor altre cento, mille volte, perché la vita di Thor è la ragione del suo odio, e il suo odio è la ragione che lo spinge ad andare avanti sulla strada che ha scelto – quella direzione dalla quale è ormai impossibile tornare indietro. E Loki non ha dubbi sul fatto che un giorno lui e il figlio di Odino si scontreranno in un'ultima letale battaglia, ma sarà alle loro condizioni e per le loro ragioni. È tutto quello che chiede al destino che gli ha giocato così tanti orribili scherzi, è l'ultima cosa che chiede ed è tutto ciò per cui è disposto a lottare.
Il dolore e la stanchezza hanno la meglio e Loki si lascia cadere all'indietro. Resta steso immobile a guardare il basso soffitto di pannelli di metallo, fino a quando non sente la porta della stanza aprirsi.
Volta il capo verso l'uscio, con uno sguardo infastidito che è quasi rabbioso. Poi vede Nadia.
La ragazza ha il viso gonfio di pianto, gli occhi arrossati, le guance ancora bagnate dalle lacrime. Loki si chiede da quanto tempo aspettava di poter piangere.
Dunque, alla fine Stark è morto?
Il dio dell'inganno si solleva puntellandosi su un gomito e si volta su un fianco in direzione della ragazza. Il suo adorato Tony Stark è morto e lui è il primo che viene a cercare... in qualche modo sente di esserne contento. Per entrambe le cose.
Nadia non dice niente, nel silenzio si sente solo il suo respiro reso pesante dal tentativo di trattenere altri singhiozzi. Loki non riesce a capire davvero a fondo il rapporto che gli umani hanno con la morte perché non condivide la loro fragilità, la natura effimera delle loro esistenze, ma le lacrime di Nadia gli fanno sentire un fastidioso senso di freddo.
La ragazza gli si avvicina, vede i batuffoli di ovatta imbevuti di disinfettante e sangue. Prende un batuffolo pulito, ci versa sopra altro liquido verde e lo passa con delicatezza sui tagli che Loki non era riuscito a raggiungere.
Lui le tiene gli occhi puntati in viso, lei non riesce a guardarlo per lunghi minuti.
«Devi aiutarmi» dice poi, le parole escono roche e flebili dalle labbra. Loki sente la mano che regge l'ovatta tremare contro la sua pelle.
«Sul serio?». Lo dice con più distacco di quanto vorrebbe.
Nadia serra il pugno attorno al batuffolo, gocce di disinfettante misto a sangue scorrono tra le pieghe della sua mano.
«Gli dovevo delle scuse... a Tony» mormora.
«No, non è vero. E se anche lo fosse, quando c'è un tale affetto immagino che le scuse non servano in nessun caso».
Nadia fa una specie di sorriso, una smorfia che è quasi di scherno. «Non sai niente di questo genere di cose. L'affetto presuppone rispetto, e le scuse sono un segno di rispetto... Dio!» si volta di scatto,  getta all'aria la cassettiera facendo cadere sul pavimento bustine con tubi di plastica, bisturi, fiale di medicina. «Dio! Perché parlo di queste cose con te?»
«Perché vuoi chiedermi aiuto, e credi ci sia bisogno di convincermi» risponde lui, perfettamente calmo davanti a tanta furiosa disperazione.
Nadia ansima, si passa una mano sul viso, lascia cadere altre lacrime.
«Stai dicendo che non ho bisogno di convincerti?...»
«Sto dicendo che speri inutilmente che io possa fare qualcosa. Mi lusinga che tu mi creda tanto potente, ma io non posso resuscitare i morti».
La ragazza ha un sussulto.
«Tony non è morto» dice, lapidaria. «Non... non ancora... il reattore Arc non funziona più e per adesso stanno facendo funzionare il suo cuore con un qualche macchinario... lui non è cosciente, ma è vivo».
Loki annuisce. Ancora non capisce però cosa lei si aspetta che faccia.
«Tu devi aiutarmi» ripete Nadia.
«Non posso fare nien...»
«È colpa tua. Se tu non fossi scappato da qui, lui non sarebbe corso a cercarti e non sarebbe stato lì quando lo smagnetizzatore si è acceso. Devi aiutarmi!».
Il dio dell'inganno si scosta una ciocca di capelli dalla fronte e corruga le sopracciglia, impensierito. Evidentemente, nonostante tutto il suo sapere, quel tipo di logica gli resterà per sempre impenetrabile; Stark sapeva che andando in città avrebbe rischiato di finire nel raggio d'azione della sua stessa macchina, ma ha deciso ugualmente di andare perché nessuno si fida di Loki l'ingannatore, il mostro, il traditore... e a lui sfugge come questo possa essere anche solo minimamente colpa sua. Tanto più che quando lui e l'uomo di metallo si erano incontrati, Loki lo aveva avvisato che non sarebbe accaduto niente, che poteva andarsene, ma è stato Stark ad attaccare per primo e se Loki non lo avesse messo fuori gioco non sarebbe arrivato in tempo per fermare Hope. È stata una scelta di Stark inseguirlo e restare e aggredirlo...
«Io ho salvato Thor!». Il dio non riesce a fare a meno di dirlo urlando. «L'ho salvato perché persino per me che lo detesto e non faccio altro che sognare la sua disfatta quella era una morte idiota e poco onorevole! Se il tuo amato Tony Stark ha voluto mettersi in mezzo io non so che farci»
«Se tu gli avessi dato modo di fidarsi di te... non si sarebbe preoccupato di cosa potessi fare e non sarebbe venuto a cercarti». Sì questo lo ha già detto, ma i problemi di fiducia di Stark e dei Vendicatori sono, appunto, problemi di Stark e dei Vendicatori. E tutti loro sono troppo stupidi e accecati dal risentimento per capire davvero che non avrebbe fatto del male a Thor, non in quella situazione.
Ma tentare di far ragionare Nadia in quel momento è inutile, è troppo sconvolta.
e a te che importa? Lei ha già scelto e non ha scelto te. Alla fine si è rivelata uguale a tutti gli altri.
Nadia si copre il viso con le mani e ricomincia a piangere.
«È colpa mia...» dice tra i singhiozzi. «Ho cercato di fermarlo e non ci sono riuscita, l'ho solo fatto arrabbiare... gli ho detto che tu non eri lì per far del male a Thor, che lo stavi aiutando, ma lui è andato su tutte le furie e non ho potuto fermarlo».
Lo ha detto? Lo ha davvero pensato? Lo ha davvero capito?
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto!». Nadia urla contro i propri palmi, e il grido le esce smorzato, quasi un suono indistinto di amarezza e disperazione frustrata.
Si fionda tra le braccia di Loki, nasconde il viso nel su petto. Lui può sentire le lacrime della ragazza bagnargli la pelle.
Può non capire molte cose della natura umana, può non essere del tutto in grado di provare pietà per quelle lacrime, eppure adesso sente che se avesse potuto fare qualcosa per evitare che venissero versate lo avrebbe fatto. Non è per Stark, e in fondo neppure per Nadia, è per se stesso, per illudersi che, alla fine dei giochi, la sua promessa di non nuocerle è stata in qualche modo mantenuta, che anche lui non è privo di onore.
Impiega un po' a sollevare le braccia e chiuderle attorno alle spalle della ragazza, scosse dai singhiozzi.
Non importa  ciò che dice la voce venefica nella sua testa, non importa il destino che si è scelto.
«Ti prego...» sussurra Nadia. «Devi dirmi come fare, con l'energia della pietra forse posso riparare il reattore Arc».
No, non può. Ma tutto quello che Loki può fare per lei è lasciarle la speranza di poter almeno tentare.
Le scosta i capelli che le lacrime le hanno appiccicato al viso,
«Non devo dirti niente» le dice, «sai già tutto quello che ti serve. Ma, questo devi capirlo, non è certo che funzioni».

*

«Non è certo che funzioni».
Nadia si stacca di Loki, frastornata. Sarebbe stato molto più semplice e confortante dare a lui la colpa di tutto, ma sarebbe stato anche meschino, e dal fondo della sua disperazione lei sa che non può fargli questo. Anche se al dio probabilmente non importerebbe, non del tutto almeno, ma lei gli deve almeno l'onestà di non riconoscergli più male di quanto abbia fatto.
Non è certo che funzioni, ha detto Loki, ma lei lo farà funzionare. Ad ogni costo. Se poteva valere per le armi di Nornheim, può certamente valere anche per il reattore Arc.
Le armi di Norheim erano progettate per quel tipo di energia. Il reattore Arc no.
La ragazza scuote la testa per allontanare quei pensieri sconfortanti.
Loki si alza dal letto di infermeria e si rimette addosso i vestiti. Le posa una mano sulla schiena e la pilota fuori dalla stanza.
Gli stretti corridoi dalle pareti di alluminio sembrano stringersi attorno, ondeggiare, e Nadia si sente come se stesse venendo inghiottita dallo stomaco di un enorme mostro.
È tutta colpa sua, fin dall'inizio. È una consapevolezza che la schiaccia e nella sua mente c'è solo l'immagine dell'enorme base volante che si accartoccia su se stessa e la ingoia in un morso di lamiere e cavi per poi esplodere in mezzo al cielo.
Fuori dalla stanza di Tony ci sono tutti. Steve, Clint, Natasha, Fury, Thor con qualche medicazione che lo fa sembrare una specie di mongolfiera rattoppata, e Jane al suo fianco. Nessuno si dà pena di riservare a Loki sguardi ostili; nella confusione generale, Thor non ha fatto altro che ripetere che è merito suo se è ancora vivo. E stavolta tutti sanno che non possono semplicemente dubitare del dio degli inganni, né accusarlo di niente, nemmeno di quello che è successo a Tony. O almeno non possono dire che sia davvero colpa sua.
Bruce è dentro la camera, con Pepper, a regolare l'affare che ancora permette al cuore di Tony di non cedere. Una soluzione che presto smetterà di essere valida, niente può eguagliare il reattore Arc.
Nadia guarda la porta chiusa, la tenda di plastica abbassata sul vetro.
«Se fossi rimasta a Venezia...». Le parole le escono di bocca in un sussurro che è più che altro un pensiero, troppo violento per restarle confinato nella testa.
Steve le prende la mano, le dice di levarsi quell'idea dalla mente. Ma quell'idea è tutto ciò a cui può aggrapparsi per sperare di far funzionare l'energia della pietra e rimettere in sesto il reattore Arc.
Nadia si avvicina a Fury. Ora che deve dire ad alta voce a tutti loro cosa ha in mente, non si sente poi così sicura, ma deve farlo.
«Dov'è il reattore di Tony? Io... pensavo che forse posso provare a...» balbetta.
Fury la guarda imperscrutabile, assottigliando l'occhio sano.
«Banner lo ha portato nel laboratorio» dice Clint. «Voleva provare a ripararlo, ma non può lasciare la stanza e...»
«E solo Stark sa mettere le mani su quell'affare» aggiunge Fury, lapidario. «Agente Romanoff, accompagna la ragazza dove Banner ha conservato il reattore Arc».
A Nadia sembra intercettare una strana occhiata da parte di Clint, un'espressione che dura un battito di ciglia.
«Non devi farlo per forza» interloquisce Steve. «Anzi, io credo che tu non debba farlo per niente».
«Come? Io glielo devo, io...»
«Nadia, stai accusando te stessa di troppe cose, come se quello che è accaduto fosse solo e soltanto colpa tua. Beh, non lo è, non lo è per niente. È colpa degli invasori di Nornheim e di nessun altro. Se Tony potesse parlare, sono certo che non vorrebbe metterti sulle spalle la responsabilità che ti stai prendendo dicendo di provare a rimettere in moto il reattore. Nessuno vorrebbe che tu passassi il resto della tua vita colpevolizzandoti per non esserci riuscita»
«Quindi la tua idea sarebbe non tentare affatto? Questo sarebbe un rimorso ben peggiore da portarmi dietro, Steve!» replica la ragazza.
«Vorrei solo dirti che non devi addossarti colpe che non hai, né ora né in futuro» conclude lui, scuotendo la testa.
Nadia prende un lungo respiro, sente l'aria vibrarle in gola. Non riesce a credere che anche in quella situazione loro si stiano preoccupando di proteggerla, e non riuscirà mai a dire quanta gratitudine provi per questo, ma il tempo delle preoccupazioni e delle speranze e dei vorrei è finito.
Batte una mano sul braccio di Steve, gli sorride con tristezza, poi segue Natasha verso il laboratorio.
Alle sue spalle, Loki cammina in silenzio, come un'ombra.

Il reattore Arc è poggiato su un tavolo dal piano di acciaio lucido, come un pezzo di cadavere dopo un'autopsia.
Nadia si passa una mano sul viso; non aveva idea di come fosse fatto quell'oggetto, non ne sapeva niente, a parte aver imparato a non trovare poi tanto strano il cerchio di luce azzurrina che si intravedeva a volte sotto il tessuto delle magliette di Tony.
La luce azzurrina ora è sparita. Il reattore Arc non è che un basso cilindro di metallo con una specie di piccola serie di lampadine sul davanti, e a guardarlo sembra quasi sciocco che la vita di un uomo possa dipendere da quell'aggeggio tanto piccolo e apparentemente insignificante.
«Può davvero farlo?» domanda Natasha a Loki.
Lui inclina la testa e incrocia le braccia sul petto. «Non lo so. Forse».
La risposta non sembra soddisfare l'agente Romanoff che si riserva comunque di lanciare al dio dell'inganno un'occhiata in tralice.
Nadia cerca di non pensare a quel rapido scambio di battute, cerca di dimenticarsi persino della presenza di altre due persone nella stanza. Cerca di concentrarsi, di sentire l'energia fluire come le ha insegnato Loki, cerca di nutrire quella forza che avverte agitarsi dentro di lei con le immagini dei suoi ricordi migliori e con tutta la paura e la disperazione delle ultime ore.
Alla fine può vederla, come una colonna di fumo che solo i suoi occhi riescono a contemplare.
Anche Loki la vede. Per sguardi come il suo l'energia non è solo una forza da sentire, ha anche un corpo, una forma da vedere, è qualcosa di perfettamente palpabile, è creta nelle mani di un artigiano.
Il dio dell'inganno solleva gli occhi e li spalanca a guardare quel fuso perfetto sospeso nell'aria, come se fosse stupito del fatto che lei sia riuscita ad ottenere un tale risultato.
Natasha sposta lo sguardo crucciato tra la ragazza e Loki, cercando di intercettare il punto in cui entrambi stanno guardando, sembra persino un po' turbata dall'idea di non riuscire a vedere nulla, forse vorrebbe chiedere se sta funzionando ma non ha il coraggio di aprire bocca. Semplicemente si appoggia con le spalle al muro, con una delle sue movenze fluide, e resta in attesa.
Nadia sente il cuore battere all'impazzata per lo sforzo e anche per l'emozione di essere a un passo così dal riuscirci. Sposta l'energia e le sembra di spostare qualcosa di pesantissimo, per un attimo ha la sensazione che il suo petto si stia per squarciare nello sforzo, fa male, ma continua.
L'energia sfiora la superficie del reattore Arc, e poi scivola dentro il cono di metallo.
Nadia si rilassa, quasi cade bocconi sul tavolo. Si accorge che sta grondando di sudore.
«Tutto bene?». Natasha si precipita accanto a lei, le batte una mano sulla spalla e lei si sente quasi bruciare lì dove la donna l'ha toccata. Ma non importa, Nadia tiene gli occhi fissi sul reattore.
Un istante. La luce azzurrina si accende.
Loki muove un passo verso il tavolo, con un moto stupito. Natasha sorride. Anche Nadia sorride, e il sorriso è già pronto a tramutarsi in un grido di gioia ma la luce trema un secondo e poi si spegne. Il reattore Arc è di nuovo solo un pezzo di metallo.
«No! No! No!». Nadia urla, afferra l'oggetto e lo guarda. L'energia ha reso il metallo quasi incandescente e lei si brucia le mani, eppure continua a stringere le dita attorno al dispositivo, quasi certa che se guardasse meglio vedrebbe la luce ancora accesa.
Natasha glielo strappa via con quanta più gentilezza può, anche lei si scotta e lo lascia cadere sul tavolo con una smorfia di dolore.
La ragazza si volta verso Loki.
«Perché?! Perché non ha funzionato?!» grida. Le mani aperte e tese, rigate di rosso, ad aspettare di poter afferrare una risposta.
Il dio scuote la testa. «Non so questo tipo di magia come interagisca con i manufatti di Midgard» asserisce. «Ti avevo detto che avrebbe potuto non...».
Nadia ha già smesso di ascoltarlo. «D'accordo. Riproviamo, c'ero andata così vicino» borbotta.
Riprova.
Riprova tre volte di seguito, la luce si accende per un attimo e poi sparisce.
E lei si sente sempre più debole, ogni volta si sente sempre più prossima a spaccarsi in due.
La quarta volta la luce non si accende neppure per un istante e quando tocca il reattore lo trova freddo.
Nadia non si accorge di avere un sottile rivolo di sangue che le cola dal naso, né che il suo stomaco le si sta ribellando, che tutto il suo corpo si sta ribellando a quello sforzo che non è fatto per essere compiuto da una semplice essere umana. Le labbra secche e screpolate cominciano a coprirsi di piccoli tagli, lei ci passa su la lingua arida e sente il salato del sangue.
Si passa la manica della maglietta sul labbro superiore, ripulendosi e preparandosi a riprovare.
Le luci... le luci si sono accese le volte prima, vuol dire che l'energia può arrivare al rettore, deve solo capire come fare...
«Nadia...» Natasha la chiama con voce titubante.
«Fermala o si ucciderà». Le parole di Loki sembrano arrivare da un punto lontanissimo. Ogni suono si conficca nel suo cranio come una lama.
Natasha si getta su di lei, la circonda con le braccia e l'allontana dal tavolo.
«No, io devo... devo...» tenta di dire lei. Gli occhi sbarrati, fissi sul rettore Arc irrimediabilmente spento.
Da quanto tempo sono lì dentro? Il cuore di Tony forse è vicino ad arrendersi, perché Natasha non capisce? Lei deve tentare, fin che può, deve tentare.
«Nadia, basta, ora calmati». La donna le passa una mano tra i capelli umidi di sudore.
«Pepper... cosa dirò a Pepper?» sussurra lei prima che le gambe le cedano e la facciano ritrovare seduta a terra, piegata su se stessa, troppo distrutta anche per piangere.
Natasha le si siede di fronte, sul pavimento freddo, con un fazzoletto le asciuga il sangue colato dal naso, ma Nadia quasi non riesce a sentire il tocco dell'amica; per quanto ne sa potrebbe anche star tagliando la sua faccia con un bisturi.
Lancia un'occhiata a Loki, in piedi dall'altro lato della stanza. Lui non ha parole da dirle.
Con la coda dell'occhio vede una figura in nero stagliarsi contro l'uscio della porta.
«Allora?» chiede Fury con voce monocorde.
Nadia lo guarda con gli occhi appannati. Natasha scuote la testa in un cenno negativo.
«Molto bene» replica lui, si volta e si allontana a grandi passi lungo il corridoio.
Loki arriccia il naso con aria pensosa, poi guarda nella direzione in cui il direttore dello S.H.I.E.L.D. è sparito e torna a voltarsi verso Natasha, come colto da un'improvvisa illuminazione.
«Mi sembra abbia accolto con eccessiva calma la notizia che uno dei suoi più valenti uomini è definitivamente spacciato» osserva con una punta di bieco sarcasmo.
In un attimo di nebbiosa ilarità involontaria, Nadia pensa che Tony rabbrividirebbe al pensiero di essere definito ''un uomo di Fury'' e probabilmente commenterebbe la cosa con una delle sue uscite.
Natasha guarda Loki con la sua solita aria imperturbabile, ma c'è un velo di agitazione nel suo sguardo, persino per la ragazza così stravolta e poco lucida appare chiaro. Solo che non capisce cosa sta succedendo, cosa Loki abbia voluto insinuare e cosa Natasha debba saperne in merito...
«Nadia, mi dispiace per tutto questo» dice l'agente dello S.H.I.E.L.D.
La ragazza corruga la fronte e sbatte più volte le palpebre. Il dispiacere le sembra assolutamente riduttivo come sentimento. O forse lei non stava parlando della... di quello che è successo a Tony.
«Fury voleva sapere se eri in grado di usare la pietra e in che modo, lui voleva esserne sicuro e...» tenta di spiegare Natasha.
«E così ha pensato bene di fare in modo che Nadia arrivasse a sostenere una tale prova» conclude Loki. «Ma il vostro prezioso Tony Stark... ah! Lui non è mai stato davvero in pericolo, Fury sapeva già come salvarlo, per questo neppure ha provato a fermarlo quando è partito per raggiungere me».
«Che... di... di cosa stiamo parlando?». Nadia non capisce, non riesce a seguire il filo. Persino le parole ''Tony Stark non è mai stato davvero in pericolo'' le sembrano nuvole che galleggiano incorporee nella sua testa, senza che lei riesca a dar loro un senso.
«Oh, agente Romanoff» ghigna Loki con la sua voce flautata e quel suo tono mellifluo e crudele. «Se non fosse che gli dei non sono fatti per piegarsi dinnanzi a voi mortali, ora il signore degli inganni si inchinerebbe alla sadica maestosità del vostro piano».
Nadia continua a spostare lo sguardo inebetito tra la donna e il dio.
«Nat, di che sta parlando?».
Natasha lancia uno sguardo in cagnesco alla volta di Loki, poi mette su l'espressione più conciliante e mortificata che riesce a trovare. Prende la ragazza per mano, la fa alzare e l'accompagna a sedersi su una sedia.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo, Nadia» le dice, sedendosi sul piano del tavolo di acciaio. «Mentre eravamo a New York e non sapevamo che fare con lo smagnetizzatore dato che Tony sarebbe stato nel raggio di azione, se lo avessimo acceso, Fury mi ha chiamata».
Nadia si massaggia le tempie. Ha idea che detesterà sentire il resto di quella spiegazione.
«Quando fui mandata da Stark sotto copertura, lui aveva dei problemi con il reattore Arc e doveva progettare un nuovo modello altrimenti l'usura della batteria del dispositivo lo avrebbe ucciso. Lo S.H.I.E.L.D. lo aiutò a trovare il modo, era un procedimento difficile, quasi impossibile da replicare, per questo lui non aveva un reattore di riserva...».
La ragazza deglutisce. Sta combattendo contro la nausea, sta impiegando ogni energia rimasta a rimanere lucida e tentare di capire, ma ora è tutto così semplice.
«Voi lo avete, un reattore di riserva, avete replicato il processo per costruirlo» esclama.
Natasha annuisce. «Quando Fury avviò il Progetto Avengers e si rese conto che, malgrado tutto, prima o poi non avrebbe potuto fare a meno di Tony Stark, fece costruire un rettore di riserva e lo tenne segreto. Non glielo ha mai detto perché sperava che Stark fosse stato meno imprudente sapendo di non avere le spalle troppo coperte... evidentemente si sbagliava».
Alle spalle di Natasha, Loki non riesce a trattenere uno sbuffo.
«E perché tutto questo?» dice la ragazza, indicando il reattore abbandonato sul tavolo che lei non è riuscita a far funzionare.
«Te l'ho detto, Fury aveva bisogno di sapere quanto sviluppate fossero le tue abilità» dichiara Natasha. «Non avremmo mai voluto sottoporti a una simile prova, ma lui non si fida di te, lui...».
Nadia sente la rabbia montarle dentro e sopraffare ogni cosa, ogni sensazione fisica e ogni altra emozione, quasi ha la meglio anche sul sollievo di sapere che Tony è comunque in salvo.
«Le mie abilità?! Fury aveva bisogno?!» esclama scattando in piedi con così tanta veemenza da mandare gambe all'aria la sedia dietro di sé.
«Non era in programma, te lo assicuro, non doveva succedere così...» tenta di dire Natasha, ma Nadia non l'ascolta. La rabbia cieca le dà quelle ultime forze necessarie a correre fuori dalla stanza, gettando per aria altre due sedie contro le quali va a sbattere e spingendo via anche Loki che cerca di fermarla e di farle notare che non deve agitarsi in quelle condizioni.
La ragazza corre, fino alla porta della stanza di Tony.
Gli altri sono ancora lì fuori e Clint si tende verso di lei, afferrandola prima che crolli a terra.
«Che diavolo è successo?» domanda. «Fury ha detto che era tutto risolto».
«Non per merito mio» risponde Nadia debolmente. «Fury è...»
«Uno stronzo? Un bastardo?» la voce del direttore dello S.H.I.E.L.D. sembra risuonare dalle pareti, ma lui è qualche metro più in là, e regge tra le mani una scatola con un etichetta adesiva arancione sulla quale sono segnati codici e sigle incomprensibili.
«Sì, lo sono, signorina Berton. Questo non mi impedisce di essere dispiaciuto per lei  adesso – che ci creda o no, ma appena si sarà calmata capirà che talvolta ciò che conta sono i risultati, e che è ai risultati che quelli nella mia posizione devono badare» conclude, agitando cautamente la scatola davanti agli occhi della ragazza, come un genitore che vuole farsi perdonare con un regalo il fatto di non essere stato a vedere la tua recita scolastica.
«Cosa è accaduto?» interviene Thor, perplesso.
«Il reattore Arc?» chiede Steve.
Natasha arriva trafelata. Clint le lancia uno sguardo e sembra capire, tutti gli altri continuano a guardare spaesati ora Nadia ora la scatola che Fury ha in mano.
«Immagino che adesso l'agente Romanoff non possa esimersi dal fornire i dettagli» borbotta Fury. «Intanto, signorina Berton, a lei l'onore».
Le porge la scatola e Nadia gliela strappa di mano, la apre e ne estrae un reattore Arc perfettamente identico a quello che aveva visto prima nel laboratorio.
«E quello da dove salta fuori?» chiede Steve.
Nadia si volta a guardare Natasha per un secondo. Forse a mente lucida sarà in grado di pensare che lei non ha colpe, che stava solo eseguendo gli ordini, che davvero non era previsto che lei passasse quello che ha passato nelle ultime ore e, soprattutto, che quello che conta è riuscire a rimettere in sesto Tony. Forse le cose si sistemeranno e dopo una sana dormita capirà che non deve avercela con Nat, che lei è stata una buona amica, come tutti gli altri e che il disappunto del resto della squadra che ora dovrà affrontare è una punizione sufficiente. Adesso però non le importa...
Apre la porta. La stanza è vuota, asettica, e Tony è una sagoma immobile tra lenzuola bianche. Bruce è in piedi, in una posa rigida a fissare lo schermo di un macchinario dal quale partono fili di elettrodi attaccati al petto di Tony. Pepper è seduta su una sedia, la mano appoggiata su quella del suo uomo, in una posa composta che sembra più che altro in un tranquillo stato di attesa.
Non può essere altrimenti, nessuno penserebbe mai che Tony Stark possa essere abbattuto da un'onda elettromagnetica ad alta densità. Non lo hanno ucciso le armi, è sopravvissuto persino a Loki...
Quando Pepper sente la porta aprirsi e si volta nella sua direzione però, Nadia vede il suo sguardo spento e pieno di muta disperazione. Lei ha fallito nel tentare di riparare il vecchio rettore Arc, ma l'espressione sollevata che ora la donna le sta rivolgendo un po' la fa sentire vittoriosa. Forse Fury pensava che sarebbe stata una piccola ricompensa per lei essere quella che dava a Pepper la buona notizia.
«Oh, mio Dio...» sussurra la donna.
Nadia riesce a trovare la forza di sorridere.
Anche Bruce si volta a guardarla, non capisce.
«Come hai fatto?» chiede Pepper scattando in piedi.
«L'energia della pietra?» suggerisce Bruce.
Nadia scuote la testa. «Non è importante, adesso». Si avvicina al letto e dà il reattore nuovo a Pepper che lo afferra con dita tremanti.
«È solo una dannata lampadina, ma non so come accenderlo» borbotta. La ragazza e la donna si concedono qualche secondo di risate isteriche, gli occhi di Pepper si riempiono di lacrime.
«Tieni, fallo tu, sono certa che nei tuoi lunghi anni di servizio ti sia capitato anche di dover fare manutenzione» conclude Nadia allontanando da sé il reattore e spingendo leggermente Pepper verso il letto.
«Solo una volta... tanto tempo fa, e feci promettere a Tony che non l'avrei fatto mai più». Altre risate, sempre all'insegna dell'isteria ma un po' meno tese.
Nadia si affianca a Bruce e insieme osservano Pepper chinarsi e inserire il rettore con gesti precisi e delicati. Il silenzio sembra pesare ed è interrotto solo da leggeri scatti quando il dispositivo fa presa.
«E a te cosa è successo?» domanda il dottore. Forse è troppo sopraffatto dagli eventi e ha bisogno di  distrarsi prima di cominciare a dare i numeri. In effetti a Nadia sembra che le sue tempie stiano pulsando in maniera visibile.
«Non vuoi saperlo, ti farebbe arrabbiare» gli mormora stancamente.
«Prima o poi qualcuno dovrà dirmelo»
«Non adesso»
«Ok».
Clik. La luce azzurrina si accende, lancia un riflesso circolare fino al soffitto. Bruce si volta a guardare i dati sullo schermo del macchinario e sorride.
Anche Nadia sorride. Poi perde i sensi.

*

Bruce Banner esce dalla stanza con Nadia tra le braccia.
Thor guarda il viso esangue della fanciulla e sbuffa di rabbia. Quello che ha fatto il comandante Fury è un gesto ai limiti della crudeltà, ma il dio del tuono ha vissuto la sua vita al fianco di un grande sovrano e sa quanto sia difficile il comandare, il dover reggere il peso di decisioni che riguardano il bene di tutti e che non possono focalizzarsi sulle preoccupazioni per i singoli.
«Sta bene» dice l'amico Bruce. «Anche Tony sta bene, deve solo riposare... Nadia cioè, deve riposare. E anche Tony... oh, insomma, avrete capito!».
Jane si fa avanti e si accosta all'uomo di scienza. «Le do una mano a metterla a letto, dottor Banner».
Il soldato Rogers è andato a cercare di portare via lady Pepper dalla stanza di Stark per convincerla a riposare, magari mangiare qualcosa e fare due passi ora che si sono lasciati il peggio alle spalle e l'uomo di metallo è fuori pericolo. Clint Barton è con la sua compagna, a cercare di rimettere insieme i cocci dopo la tempesta che è seguita alle sue spiegazioni in merito alla provenienza del nuovo cuore di luce per Tony. O forse l'arciere vuole solo mettere insieme loro due, sé stesso e la guerriera dell'est, questo Thor ancora non lo ha ben capito.
E lui è solo con i suoi pensieri. Pensieri che, messi da parte gli eventi tragici ora risolti, ha paura a ritenere belli. Perché è stato bello combattere insieme a Loki, schiena contro schiena, è stato bello voltarsi e scoprire che era stato proprio lui a lanciare la lama che aveva fermato il suo aguzzino.
È stato bello. Anche se è solo un momento passato, ma nel cuore di Thor si fa strada la speranza che, riflettendoci su, anche Loki ritrovi qualcosa di gradevole in quei momenti che già sembrano lontani.
Thor non vuole riempire le sue speranze di aria e gonfiarle solo per illudersi che siano più grandi della realtà, però più ci pensa e più non riesce a fare a meno di trovare segnali positivi disseminati lungo il cammino percorso negli ultimi mesi.
Loki compare in fondo al corridoio, segue con lo sguardo Bruce e Jane allontanarsi insieme a Nadia.
Il dio del tuono esita per un istante, ma poi decide di avvicinarsi al fratello.
«Bruce dice che sta bene» gli mormora, notando che il suo sguardo è fisso a guardare la porta della stanza dove hanno sistemato la ragazza svenuta.
«Lo so» risponde Loki, senza scomporsi. «Non le avrei permesso di uccidersi per tentare inutilmente di salvare Stark».
Thor sente una morsa stringergli il petto, il peso di una decisione che deve prendere in quel preciso istante, una decisione che potrebbe forse cambiare molte cose. O forse non cambiare assolutamente nulla.  
«Allora è così? Tieni davvero a lei?» domanda.
«Se anche ti dessi la risposta che vuoi sentire, che differenza farebbe?»
«La differenza tra la speranza e la rassegnazione».
Loki distoglie lo sguardo, ora è di nuovo freddo, più gelido che mai.
«Non ti ho ancora detto grazie per avermi salvato» aggiunge Thor. Non riceve alcuna risposta.
Trascorre qualche secondo di silenzio duro come la pietra, poi il dio dell'inganno torna a guardare verso il suo interlocutore.
«Ho le mie ragioni per averlo fatto» asserisce, senza alcuna espressione particolare. «Tuttavia, se mi sei così grato, c'è una cosa che potresti fare per me, una cosa da poco, solo togliermi una piccola curiosità, dopotutto direi che me lo sono meritato»
«Chiedi, Loki»
«Quale altro ignobile sotterfugio ha ordito Padre alle mie spalle, stavolta?».
Thor cerca di non apparire turbato, ma non è mai stato bravo a nascondere le emozioni come suo fratello, né possiede una sola briciola della sua capacità di mentire.
Decide semplicemente di non rispondergli, ma Loki ha già capito, ed è una consapevolezza che riapre vecchie ferite, getta sale su tagli ancora sanguinanti. Il dio del tuono ora vorrebbe dirgli che non importa, che non è mai stato d'accordo con quel particolare piano, anche se la paura e la disperazione lo hanno portato ad operarsi per cercare di attuarlo.
«Ascolta, fratello...» dice, schiarendosi la voce.
«Non chiamarmi in quel modo!».
«Ascoltami. Mi hai salvato la vita e io non ti condurrò su Asgard, per quel che mi riguarda, sei libero di andare».
Alla fine l'ha presa, quella decisione. Sa che è un enorme azzardo, ma è l'unico modo che gli sovviene per ricordare a Loki che lui non gli è nemico, che non vuole la sua disfatta né la sua sofferenza. Se Loki se ne convincesse, forse molte cose si metterebbero a posto da sole...
Adesso il dio degli inganni sembra persino un po' stupito. «Credevo che non potessi più fare niente per cogliermi di sorpresa, figlio di Odino» borbotta in tono piatto.
«Promettimi solo una cosa»
«Ecco, sapevo che c'era un inganno!»
«Smettila! Non voglio niente per me, vorrei solo che questa volta non ti limitassi a sparire nel nulla, che avessi la decenza di salutare la ragazza come si conviene».
Loki alza lo sguardo al cielo.
«Sei uno sciocco sentimentale, fratello».  







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Note:

Su questo capitolo avrei talmente tante cose da dire che rischierei di scrivere note più lunghe del capitolo stesso, quindi mi zittisco e lascio la parola a chi vorrà commentare...

Piccola precisazione sul titolo, “l'ultima lampadina”: lamp forse non è il termine più preciso per intendere “lampadina” in inglese, ma era quello che mi suonava meglio rispetto a varianti come lightbulb.

Ci leggiamo mercoledì con l'epilogo, che è un trafiletto talmente breve che non mi sembra il caso di farvi aspettare un'intera settimana.

Intanto, auguri a tutti di Buona Pasqua ^^

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


Epilogo


«Potresti essere un po' più delicato!» esclama Tony, sbuffando.
«Potrei. Poteri anche rifilarti un pugno sul naso» replica Steve, lasciando andare i cuscini che l'altro gli aveva chiesto di sistemargli.
Barton ha minacciato di legarlo al letto se non si fosse deciso a restarci per tutto il tempo che i medici della base ritenevano opportuno. Tony ci crede alle minacce di Occhio di Falco, per questo si è rassegnato alla sua degenza in posizione orizzontale.
Quando ha riaperto gli occhi, erano tutti là.
È stato sollevato di vedere Thor sano e salvo, anche se un po' scorticato. Mancava solo Nadia e per le prime ore Pepper non gli ha voluto dire cosa fosse successo per non farlo agitare. Poi glielo hanno raccontato e non è stato lui ad agitarsi: la squadra riparazioni sta ancora tappando l'enorme foro lasciato da Hulk – per fortuna in un'area non troppo trafficata della base volante. Era anche ora che Bruce Banner si sfogasse un po', ha retto bene a tutto lo stress che ha dovuto sopportare, ma era ovvio che bastasse una goccia a far traboccare il vaso già ampiamente stracolmo. Ad ogni modo, sembra che Barton sia andato a ripescarlo con il jet, da qualche parte nei pressi di Ellis Island e ora Bruce si sta riprendendo nella stanza accanto, sorseggiando succo di frutta multivitaminico o qualcosa del genere.
Oh, e poi c'è il fottuto piccolo cervo. Il tizio torvo che non lo ha ucciso quando poteva finalmente farlo senza neanche rischiare di venirne incolpato, dato che lui sarebbe morto comunque restando in città. Tony sa che non deve illudersi, che Loki non lo ha graziato per un impeto di bontà, lo ha solo risparmiato per sfregio, solo perché lui vivesse con la consapevolezza di poter essere sconfitto – grazie tante Bambi, lo so già! – che quel gesto è l'eccezione che conferma la regola. Ma se il cugino di Sauron avesse fatto schioccare di nuovo le dita, a quest'ora lui sarebbe un cadavere riverso in una strada di periferia e Tony odia la prospettiva di essere vivo solo perché a Loki già girava per il verso giusto quel giorno... e immagina che questo sia esattamente il risultato che lui voleva ottenere. Bastardo...
Accantona il pensiero. Del resto non fanno altro che ripetergli di non agitarsi, che è rimasto senza reattore Arc per diverse ore e ha rischiato grosso e il suo cuore ha subito uno stress non indifferente.
La banda di profughi bellicosi è stata catturata, opportunamente impacchettata e spedita su Asgard, dove Thor ha assicurato che Babbo Orbo darà a tutti loro una lezione con i controfiocchi.
La Terra è di nuovo al sicuro e lui desidera ardentemente del caffè, ma nessuno vuole lasciarglielo bere. 
«Ammettilo, nonnetto, sei contento che io non abbia tirato le cuoia» esclama Tony, guardando Steve dal basso.
«Non esserne troppo sicuro, Stark».
Tony scoppia a ridere. Il Capitano lo guarda perplesso, chiedendogli cosa ci sia di divertente.
«Nulla... è solo che io in un letto di ospedale e tu che mi sistemi i cuscini è una situazione troppo da fanfiction slash». Le parole gli inciampano tra una risata e l'altra.
«Cosa sono le fanfiction slash?» domanda Rogers con perfetto candore.
«Qualcosa dalla quale faremo tutto il possibile per proteggerti, Cap» dichiara una terza voce, dall'uscio della porta.
Nadia è in piedi, appoggiata allo stipite di metallo. Sembra tornata in forma, quasi del tutto almeno.
Steve Rogers scuote la testa e alza gli occhi al cielo. Lancia un'ultima occhiata a Tony, poi si dirige verso l'uscita. È la prima volta che lui e la ragazza si vedono da quando lui è partito per New York dopo averle gridato contro come un cane rabbioso, e hanno decisamente bisogno di un po' di privacy.
Steve esce e si chiude la porta alle spalle. Sta diventando più intelligente.
Nadia corre verso il letto, salta sul materasso e getta le braccia al collo di Tony. Lui ricambia la stretta.
«Colombina...»
«Come ti senti?»
«Bene. È il resto del mondo a essere preoccupato, ma io sto benissimo» esclama lui. «Senti, io volevo... per quelle cose che ho detto»
«Avevi ragione»
«No. Ero arrabbiato per la situazione... tu avevi ragione, Loki era davvero lì per aiutare, secondo le sue strane e discutibili attitudini e per i suoi loschi scopi, ma pur sempre per aiutare. E, detesto dirlo, ma Thor è vivo grazie a lui, non grazie a noi»
«Sì, ma io ho sbagliato, per tutto questo tempo, ho pensato solo a me stessa e...».
Tony scuote la testa. Per tutto quel tempo la ragazza è stata invischiata in una situazione più grande di lei, sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista emotivo, e lui ha sempre pensato che essere innamorata di uno come Loki fosse un sintomo di un qualche grave disturbo mentale, ma alla fine si è dovuto rendere conto di quanto coraggio le ci sia voluto per amarlo e anche per lasciarlo andare. E dopo tutto quello che è successo, Tony non può escludere che anche il dio bastardo provi davvero qualcosa di importante per lei. Questo non cambia niente, ma è un dato di fatto che va quanto meno riconosciuto.
«Più ci penso e più mi rendo conto che trovare il giusto e lo sbagliato in tutta questa faccenda è impossibile» conclude Tony. «Ad ogni modo, Loki avrebbe potuto uccidermi e non l'ha fatto». Ora lui non vuole stare a ripeterle il ragionamento che ha elaborato al riguardo, è anche abbastanza sicuro che Nadia giungerà da sola alle stesse conclusioni a tempo debito, ma davvero non è quello il momento dei cavilli e delle accuse. «E se mi avesse fatto fuori, quella brutta cornacchia di Nick non avrebbe avuto modo di fare la sua buona azione annuale».
Nadia si irrigidisce. Tony non riesce a immaginare quanto dev'essere stato terribile per lei tentare di riparare il reattore Arc, scoprire di non esserne in grado e poi venire a sapere che tutti i suoi sforzi e tutta la disperazione che l'ha spinta a farli erano inutili. Ma non riesce ad avercela davvero con lo S.H.I.E.L.D, ha capito le regole del gioco da tempo, e anche se è un gioco che non sempre gli piace, almeno sa cosa aspettarsi. È vaccinato alle sorprese del vecchio monocolo, diciamo...
Ma non può fare a meno di pensare a quello che gli ha detto Loki a proposito di Nadia, prima di lasciarlo in strada mezzo tramortito: se tieni al suo bene, appena tutto questo sarà finito, mettila su un aereo e rimandala a casa. Tienila lontana da voi, e tieni Fury e lo S.H.I.E.L.D. lontani da lei.
Già, Nadia non è fatta per quella vita e lo S.H.I.E.L.D. deve dimenticarsi della pietra, della fonte di energia, della ragazza che potrebbe o non potrebbe tornare utile se imparasse a usarla.
Che poi, il fatto che lei impari a usare meglio la pietra ormai è fuori questione, dato che il suo inquietante maestro se n'è andato.
Thor ha lasciato libero Loki e magari al suo ritorno su Asgard si beccherà pure una buona dose di sculacciate da Odino. Fury ha dato di matto, ma erano ancora tutti troppo turbati dallo scherzetto della lampadina di ricambio tenuta nascosta per empatizzare con lui. Ciò non toglie che sapere di Bambi libero e sgambettante per la galassia non aiuta nessuno a mettere bene la testa sul cuscino la notte. Ma Thor è uno di loro e doveva certamente avere le sue ragioni, e poi, come lui stesso ha detto al diretto interessato, il giorno in cui tornerà saranno pronti.
«Loki ti ha... ehm, salutata prima di lasciarci?» domanda Tony alla ragazza.
«Sì. È stato molto... beh, ha i suoi modi di essere carino, talvolta».
A conti fatti, non ne ha mai dubitato. Tony Stark li conosce quelli come Loki, quelli che sanno sempre apparire peggiori di quello che sono, per molto tempo anche lui è stato uno di loro. Per certi versi lo è ancora.
Sì, a quanto pare quello è proprio il punto di conclusione alla fine della storia. E anche l'avventura di Nadia si può considerare conclusa.    
Gli unici che sanno della pietra sono loro e i profughi di Nornheim, che lo hanno scoperto solo perché avevano una spia tra le loro file, che sono arrivati alla ragazza tramite loro; se lei fosse rimasta a Venezia, probabilmente gli esiliati del pianeta alieno starebbero ancora girovagando a vuoto alla ricerca di una fonte di energia che quasi certamente non avrebbero mai trovato.
Nadia deve tornare a casa, dalla sua famiglia, solo così sarà al sicuro. E lei stessa lo sa bene, Tony se ne rende conto ora, guardandola, che nei suoi occhi già si sta formando quel velo di tristezza che precede gli addii.
«La tua famiglia sarà contenta di riaverti tra i piedi» le dice.
«Sai cos'è che mi mancherà più di ogni altra cosa?»
«Il mio brillante umorismo?»
«No»
«Il tè verde di Banner? L'odore di sapone e brillantina che ha il Capitano?».
Nadia ride e scuote la testa.
«Jarvis che mi dice quando ho messo più trucco su una guancia rispetto all'altra».




_____________________________




Come vi avevo detto, non finisce qui. C'è in cantiere un terzo e ultimo episodio della vicenda, un po' più breve (almeno su carta) dei due che lo hanno preceduto e molto più... “fantasy”. Penso che posterò il prologo lunedì 22 aprile, per poi cominciare a pubblicare i capitoli settimanalmente ogni venerdì, as always.

Ma questo secondo capitolo della trilogia è stato un vero parto, molto più difficile della prima fanfiction, molto più complesso e, quindi, sicuramente molto più pregno di difetti e di passaggi che non sono riuscita nemmeno io a farmi piacere (ci sono capitoli che ho scritto e cancellato almeno cinque volte). Eppure non c'è stato un solo momento in cui io non mi sia divertita a scrivere questa storia, ma se il divertimento era il motore principale che mi spingeva ad andare avanti a raccontare avventure e disavventure di Loki, Nadia e Avengers, l'impegno e l'entusiasmo che ho tentato di mettere in queste pagine lo devo a voi, a chi mi ha seguito, a chi non ha mai mancato di farmi sapere che la storia gli piaceva, a chi ha evidenziato difetti che mi hanno aiutato a correggere il tiro, a chi ha avuto la pazienza di scrivermi che la storia invece proprio non gli andava. A quelli di voi con i quali si chiacchiera su Facebook. A quelli che mi scrivono lunghi mp. E a tutti quelli che semplicemente leggono, che settimana dopo settimana sono sempre stati lì.
E... uff... è dura ringraziare come si deve senza sembrare ruffiana, ma il miracolo che trasforma quella che è solo una storia in qualcosa di più merita tutta la gratitudine del mondo.

Grazie di cuore.
Alla prossima.
Luciana        

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