All my world

di Koa__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La versione di Nyota ***
Capitolo 3: *** C'è qualcosa che non mi dite? ***
Capitolo 4: *** L'imbarazzo di un vulcaniano ***
Capitolo 5: *** Paradossi distruttivi ***
Capitolo 6: *** A spasso per le gondole ***
Capitolo 7: *** Chiudi gli occhi ***
Capitolo 8: *** This never happened before ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I personaggi di Star Trek non appartengono a me, io li utilizzo senza scopo di lucro

 

 

All my world

 



Prologo

 
«Diario del capitano, data stellare… 47.36.2

Questa notte è sorprendentemente buia, non c’è luna che orbita attorno al pianeta sul quale sono precipitato, non conosco con precisione la mia posizione stellare, ma si tratta di certo di un pianeta di classe Minshara. 


Per mia sfortuna sono capitato in un deserto…

Vi sono precipitato dopo esser stato inseguito, ed abbattuto, da una nave da guerra orioniana appartenente quasi sicuramente al Sindacato di Orione. Il motivo per il quale ho lasciato l’Enterprise e sono finito sulla navetta uno, mi è ignoto. Quando mi sono risvegliato ero su un planetoide disabitato. Ho tentato, con i mezzi a mia disposizione, di localizzare la mia astronave, ma invano. Presumo che per salvarmi la vita il mio primo ufficiale Spock abbia preso la decisione d’allontanarmi dall’Enterprise, un atteggiamento del tutto insensato da parte sua, che va contro la sua lealtà. Se riuscirò a sopravvivere, dovrò indagare maggiormente non solo sull’attacco che ho subito, ma anche sullo strano comportamento del mio secondo in comando.

Per quanto concerne la mia sopravvivenza qui, devo ammettere che è assai ardua. La temperatura durante il giorno supera i cinquanta gradi mentre durante la notte scende fin sotto lo zero. L’ambiente è inospitale ed abitato prettamente da piccoli rettili dalle strane forme e colori, c’è poco cibo e ancor meno acqua. Temo che, se l’Enterprise non mi troverà in tempo, sarà la fine del capitano Kirk.

Computer, pausa…»
 
Mi lascio andare a terra, sfinito, passandomi poi una mano sul volto. L’ultima cosa di cui ho voglia è stendere il mio diario giornaliero. In questo momento ho ben altro a cui pensare: questo vento forte che spira mi ferisce la pelle del viso e mi fa gelare il sangue nelle vene, scavandomi fin dentro le ossa. 
Ho freddo e il fuoco che ho acceso con le pistole a phase a malapena riesce a scaldarmi.

Guardo il mio mezzo di trasporto, che già da giorni funge da riparom, giacere semi distrutto a pochi metri da me e sospiro rassegnato. Se il mio ufficiale scientifico fosse qui, avrebbe già snocciolato numeri su numeri riguardanti le probabilità di sopravvivenza. Non potendo godere della sua saggezza, proverò a fare da solo: ritengo che siano assai scarse. L’unica mia speranza risiede nelle abilità del tenente Uhura, spero infatti che si rivelino ancora una volta strabilianti e che riesca ad intercettare il messaggio di soccorso che ho inviato.

Non ho idea di dove si trovi l’Enterprise e, in questo momento, posso solo pregare. Pregare e sperare. Mi rendo conto che è un atteggiamento del tutto insolito per il capitano James Tiberius Kirk, ma non mi importa di nulla, sono solo in questa spianata desertica e l'orgoglio è l'ultima cosa di cui mi importa.

Sollevo lo sguardo verso il cielo buio, mi sento così strano… Sono ovviamente in ansia per la mia sorte, ma c’è qualcosa d’altro che m’angoscia. Sento freddo e non è solo il vento, è come se venisse da dentro. Percepisco distintamente un vuoto qui: nel petto, all’altezza del cuore, come se ne mancasse una parte.


«Hai freddo?» Una voce profonda mi spaventa; scatto all’impiedi, strabuzzando gli occhi, quando vedo la sagoma del mio primo ufficiale camminare verso di me.
«Spock?» sussurro sbalordito.
 
Il luogo in cui mi trovo è una spianata desertica, non vi sono avvallamenti o montagne a celare la vista, se una navetta fosse atterrata o se Spock si fosse teletrasportato, l’avrei sentito. Nessun suono disturba le mie orecchie e il silenzio è quasi assordante.
«Jim, cosa fai qui?» lo sento chiedermi. 
Da quando Spock usa questo tono colloquiale? Rigoroso com’è, non s’azzarda mai a parlarmi come fosse un mio intimo amico.
«Non dovresti essere in questo posto, ma nudo nel mio letto, mollemente abbandonato a me come tutte le sere.»
«Co-come?» balbetto senza capire, Spock non può essere serio! So che i vulcaniani non scherzano mai, pertanto deve credere a quello che dice, probabilmente è stato drogato oppure qualcosa deve averlo fatto impazzire, è la sola spiegazione che riesco a darmi, per quanto essa possa sembrare assurda.

«Perché fai quella faccia? Abbiamo soddisfacenti rapporti sessuali tutte le notti, non ricordi?» precisa lui poco dopo.

Lo vedo avvicinarsi e, passo dopo passo, togliersi lentamente i vestiti. Non riesco a non guardarlo mentre si toglie la casacca blu della divisa e la lascia cadere malamente a terra e quando si sfila i pantaloni e rimane nudo di fronte a me, rimango estasiato: è bellissimo.

Come ho fatto a non notarlo prima? Il fisico è asciutto, ma i suoi muscoli forti sembrano perfetti per stringermi tra le sue braccia e per dominarmi come solo lui saprebbe fare. Il colorito della pelle verdastro e il profilo del viso nobile, lo rendono semplicemente meraviglioso. 


Ed è come se il freddo e quell’ingombrante sensazione di vuoto, fossero improvvisamente svanite.

Mi sdraio a terra, so di non poter fare altro, quello sguardo penetrante mi entra dentro e sembra voglia sondare ogni più piccola parte della mia anima. Quando Spock si stende sopra di me, un fremito d'eccitazione mi attraversa e quando mi bacia, mi sento morire. Con passione mi stringe le mani attorno alla vita e con vigore spinge il suo inguine contro al mio. Vedo i suoi profondi occhi scuri incendiarsi di passione e sento distintamente un ringhio basso uscire dalla sua bocca.
«Solo tu mi fai sentire completo, Jim».
 

*

 

Il capitano Kirk si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi e respirando affannosamente: era stato solo uno strano, stranissimo sogno a sfondo erotico. 
Certamente ben dettagliato, ma di sicuro non vero. Si guardò attorno accendendo poi la luce nella sua cabina: era vuota! Spock non era lì con lui, non era nudo e non lo stava guardando in quel modo appassionato.
«Non era reale» mormorò lasciandosi andare e ricadendo sul materasso morbido.

Incredibile che avesse sognato una cosa del genere; di certo doveva essere l’astinenza sessuale... 
Sì, era l’unica spiegazione logica. Non che fosse così strano per lui immaginarsi di fare sesso, ovviamente non era la prima volta, ma mai gli era capitato di fantasticare sul suo ufficiale scientifico. Già, perché era il soggetto dei propri penseri a sconvolgerlo ancora di più:
«Spock» sussurrò. I loro rapporti erano strettamente professionali, poteva certamente ritenerlo un valido collaboratore e addirittura un amico, ma era del tutto assurdo sognarlo a quel modo.

Però… A Jim sembrava quasi che ad una parte di lui quel sogno fosse piaciuto, come se un suo lato nascosto ritenesse che fare del sesso con Spock non fosse un’idea del tutto insensata.
 
Sì, era stato davvero uno strano, strano sogno.
 

Continua...



La dicitura "Minshara" è il termine completo della sigla "M" che viene detto per la prima volta in Enterprise da T'Pol, la quale spiega che, la classificazione così come poi la conosciamo nella TOS, è in reltà la classificazione dei pianeti fatta dai vulcaniani. Classificazione usata poi dalla Federazione.
_Koa_

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Capitolo 2
*** La versione di Nyota ***



La versione di Nyota
 
Il tenente Nyota Uhura aveva sempre avuto la passione per le lingue; fin da da bambina quando, a soli otto anni, aveva già imparato la maggior parte dei dialetti e delle lingue africane, con maggior attenzione per lo swahili: la sua lingua madre. Se durante l’infanzia e la prima adolescenza, Nyota aveva sentito con forza il richiamo dell’Africa ed un forte attaccamento alla propria terra, da ragazza aveva compreso di voler esplorare l’ignoto. Imparare a parlare lingue aliene e conoscere differenti culture, divenne la sua maggior aspirazione. Dopo essersi arruolata nella Flotta Stellare ed aver iniziato il suo percorso all’accademia, Nyota si distinse fin da subito, mostrandosi portata per la Xenolinguistica.

Il giorno in cui incontrò il comandante Spock, Uhura era di pessimo umore: aveva trascorso la maggior parte della mattinata a litigare con la grammatica klingoniana, quando il vulcaniano le si era parato davanti all’improvviso. Stupita, Uhura era rimasta ancor più sorpresa quando aveva capito che lo sconosciuto desiderava complimentarsi con lei per l’ottima padronanza del vulcaniano e che desiderava, se mai l'avesse gradito, approfondire la sua conoscenza. Indubbiamente, lei ne era stata affascinata fin da subito, tanto che non era proprio riuscita a trattenersi dall’accettare la sua proposta. D'altronde, perché mai avrebbe dovuto farlo, Spock era affascinante e il suo essere vulcaniano lo rendevano esotico e misterioso.
 
Erano usciti insieme più volte e solo dopo diversi mesi, Spock aveva iniziato a mostrarsi interessato a qualcosa di più che ai dialetti romulani.
 
Da allora era trascorso molto tempo: i giorni dell’accademia erano lontani e il suo rapporto con Spock era mutato radicalmente. Nyota aveva ancora ben impresso quel periodo, quando la sera uscivano insieme e Spock, tanto garbatamente, la riaccompagnava al suo alloggio, lasciandola solo dopo averla baciata dolcemente su una guancia.

E pensare che lei aveva tanto insistito a che s’imbarcassero entrambi sull’Enterprise…

Uhura non voleva che lui la lasciasse! Era sempre stata più che sicura che, se si fossero imbarcati su navi diverse, il vulcaniano l’avrebbe dimenticata. Perciò q
uel giorno dell’attacco a Vulcano aveva così insistito, che Spock non era riuscito a dirle di no. Di certo se non fosse stato per lei, non si sarebbero mai più incontrati.
 
Quando poi lo vide comparire sul ponte di comando e chiedere al capitano il permesso di salire a bordo e di diventare il primo ufficiale, la sorpresa fu enorme.

Era lì per lei! 
Nyota ne era sicura e, d’altronde, quello sguardo tanto eloquente che le aveva lanciato mentre prendeva posto, poco lasciava all’immaginazione. Avrebbero trascorso i successivi anni a stretto contatto, lavorando fianco a fianco e sarebbe stato magnifico. Già s’immaginava mentre passeggiava con lui mano nella mano, sulla superficie di un qualche splendido pianeta verdeggiante... O almeno era quel che sperava. Per tutta la durata dei primi mesi aveva creduto che, ciò che desiderava, potesse un giorno avverarsi. Non aveva mai smesso di sperare che il suo vulcaniano potesse un giorno guardarla con occhi da innamorato, fino a quando non si era resa conto che il comportamento dell’uomo che amava, era assai strano. Erano trascorsi più di sei mesi e in tutto quel tempo non erano mai rimasti soli. Nessuna romantica passeggiata notturna, nessun pic-nic e persino nessuna colazione in sala di ricreazione.
 
E il motivo era semplice: Nyota non lo vedeva mai; a
l di fuori dell’orario di servizio sul ponte di comando, lei e Spock non parlavano nemmeno.
 
Inizialmente si era detta che era dovuto al fatto che il primo ufficiale lavorasse molto, la sua fisiologia vulcaniana gli permetteva d’effettuare lunghi turni senza stancarsi eccessivamente. Durante i momenti liberi però, Spock trascorreva tutto il tempo con il capitano. Li aveva visti più volte giocare a scacchi in sala di ricreazione, pranzare insieme, esplorare pianeti deserti assieme al dottor McCoy e passeggiare per i vari ponti l’uno a fianco all’altro. 
Sempre insieme. E la cosa aveva dell’incredibile, perché più volte Nyota si era domandata di cosa mai discutessero. Se inizialmente credeva che i loro lunghi incontri avessero a che fare con il lavoro, con il tempo aveva compreso che tra di loro c’era ben altro. Era un qualcosa che le sfuggiva e che non riusciva davvero a capire. Perché Spock non stava mai con lei? Perché non chiedeva la sua compagnia come faceva una volta? E, soprattutto, perché se ne stava sempre in compagnia di Kirk?
 

Il tenente Uhura non avrebbe mai immaginato che la risposta a tutte le sue domande, arrivasse proprio durante l’esplorazione di un pianeta sconosciuto, i cui insetti rischiavano di farla impazzire e la cui umidità le entrava fin dentro le ossa.
«Dottor McCoy, è certo che queste bestiacce non siano velenose?» domandò Uhura, tentando di scacciare un moscerino che non ne voleva proprio sapere di dargli tregua.
«Sono sicuro, tenente. Abbiamo analizzato con cura la superficie del pianeta; per una volta non ci sarà nulla di letale, né di estremamente pericoloso a darci la caccia. Questo stupido buco non ha pericoli» borbottò McCoy, prima di accelerare il passo così da superarla.
 
Nyota proseguì il proprio cammino, riflettendo circa il comportamento del dottore. Sapeva quanto poco amasse l’esplorazione, ma era come se si sentisse moralmente obbligato a seguire il capitano e il primo ufficiale. Sembrava non fidarsi di nessuno fuorché di sé stesso e che non volesse mettere la vita dei suoi amici nelle mani di altri medici. 
Stava pensando all’amicizia che li legava quei tre ufficiali, quando la voce di Kirk la riportò alla realtà.
«D’accordo, appronteremo qui l’accampamento» lo sentì ordinare dire, mentre gli uomini della sicurezza iniziavano ad allestire il campo notturno.

Inizialmente, Nyota non era riuscita a capire il motivo per cui avrebbero dovuto dormire all’aperto. Era stato Spock a rispondere alla sua domanda in modo molto esaustivo, giustificando la scelta con il fatto che certi minerali erano studiabili in maniera ottimale soltanto durante la notte.

Arrendendosi al fatto di dover dormire su di uno scomodo materassino, Nyota raggiunse la propria tenda mentre Kirk, poco lontano, accendeva il fuoco usando le pistole a phase. 
Sobbalzò per lo spavento, quando la voce calda e profonda del capitano interruppe il fruire dei suoi pensieri.
«Tutto bene, tenente Uhura?» si sentì chiedere.
«Sì, capitano, solo che non sono abituata a campeggiare» rispose Nyota, sentendosi un poco in imbarazzo.
«Beh, come direbbe Spock: ritengo quantomeno illogico paragonare la nostra missione esplorativa ad un campeggio; il cui senso mi è, tra l’altro, ignoto» disse Kirk, imitando ironicamente la voce del primo ufficiale. «Il nostro Spock non ha ancora capito più della metà delle cose che noi umani facciamo o diciamo, mi toccherà spiegargliele» concluse Jim, allontanandosi ridendo.

Quella breve frase colpì Nyota profondamente: «Già» pensò fra sé, Spock avrebbe detto quello. Pareva quasi che il capitano lo conoscesse meglio di quanto lei credesse; quante cose ancora Kirk sapeva di lui?

Il tenente Uhura se lo chiese più volte mentre, di fronte a lei, Spock e Kirk discutevano fra di loro. Ed allora, Nyota si accorse che quando parlavano l'uno con l'altro, spesso s’interrompevano: era come se il capitano riuscisse ad interpretare i monosillabi asettici del primo ufficiale, dandogli un’interpretazione del tutto inaspettata. Da quanto quel sopracciglio sollevato stava a significare che Spock era dubbioso? E come aveva fatto a non capire che quello stranissimo ghigno era, in realtà, un sorriso?

A quanto pareva, Spock non era così ritroso e schivo a comunicare, come lei aveva sempre pensato. Ed era incredibile che proprio Jim Kirk, il contadino dell’Iowa che aveva cercato di rimorchiarla quella sera in quel bar, gliel’avesse fatto capire. 
Per un istante Uhura si sentì gelosa. Gelosa e possessiva. Anche se non riusciva a capire che tipo di rapporto li legasse, comprendeva che era qualcosa che lei e Spock non avevano mai avuto. E di questo ne era più che sicura, perché non aveva mai visto gli occhi del vulcaniano brillare a quella maniera.
 
Anche ora, mentre li osservava a pochi passi da lei, si stupiva di come non avesse fatto ad accorgersene prima. Quel loro strano modo di parlare e l’atteggiamento con il quale s’affrontavano, era diverso.

E più li guardava, più li vedeva muoversi di fronte ai suoi occhi, in quella buia notte di quel pianeta deserto, più riusciva a comprendere ciò che da mesi provava disperatamente capire: erano una coppia. 
Era l’unica spiegazione logica e l’unica cosa che avesse realmente un senso. Non sapeva se ne fossero consci o meno, ma Nyota Uhura era più che certa di non sbagliarsi.
«Vuoi del caffè?» La voce ferma del dottor McCoy la spaventò un poco, facendola sobbalzare; sollevò quindi lo sguardo trovandosi faccia a faccia con il volto sorridente di Bones.
«Dove l’ha trovato?» domandò, stupita «Credevo non avessimo di queste comodità durante le missioni», disse mentre il dottore si sedeva al suo fianco, porgendole una delle due tazze fumanti che teneva tra le mani.
«Infatti non ne abbiamo, ma quando ho saputo che avremmo dovuto dormire all’aperto ho fatto uno strappo alla regola» rispose il medico, sorridendole bonario e sorseggiando poi il liquido scuro.
«Sei sicura di star bene, Uhura? Perché è da un po’ che ti osservo e non hai fatto altro che guardare Spock e il capitano… Qualcosa non va?»

Nyota osservò il dottore, incerta sul da farsi. Doveva o non doveva dirgli ciò che stava pensando? Di sicuro McCoy conosceva bene entrambi e, se stavano insieme, lui non poteva non saperlo.

«Non so se ne è a conoscenza, ma prima che ci imbarcassimo sull’Enterprise ‒ ai tempi dell’accademia ‒ io e Spock uscivamo insieme» confessò.
«Lo sapevo, ma credevo che una volta arrivati qui aveste deciso di non frequentarvi più. In fondo, Spock è il primo ufficiale e tu sei solo una sottoposta e, conoscendolo, e sapendo la maniera in cui ragiona, avrà pensato fosse una scelta logica quella di sciogliere il vostro rapporto».
«Sì, ma Kirk è il capitano!» sbottò Nyota senza riflettere.


Uhura sentì lo sguardo del medico su di sé, le sembrava che fosse sorpreso. Sapeva quanto fossero amici e magari poteva essersi risentito od offeso e l’ultima cosa che Uhura voleva, era mancare di rispetto al capitano. Tutti i suoi dubbi si sciolsero, quando la sorpresa del dottore ebbe finalmente una collocazione precisa.
«Vuoi dire che Spock e il capitano…» disse McCoy con voce titubante.
«Non ne sapeva nulla, era per questo che era sorpreso» pensò Nyota fra sé.


Il giovane tenente annuì con fare timido, ormai non aveva più senso negare e poi conosceva abbastanza il dottore, da sapere che non avrebbe desistito. Era in cerca di informazioni e si ritrovava lei stessa a doverne dare.
«Sì e a dire il vero è incredibile che non me ne sia resa conto prima; mi stupisce che lei non ne sappia nulla, è tanto amico di tutti e due, che credevo gliel’avessero rivelato.» Nyota s’interruppe osservando lo sguardo di Bones, ancora stranito e perso nel vuoto.
«Sa qual è la cosa divertente?» continuò. «Che ero convinta di conoscere Spock piuttosto bene; siamo usciti insieme e c’è stato qualche bacio, ma non l’ho mai visto comportarsi in questo modo. Guardi, dottore e li osservi… Ha mai visto Spock con quell’espressione sul viso e con quegli occhi scintillanti? Quando si muovono sembra che lo facciano all’unisono e che si completino perfettamente. Quando parlano di qualcosa inoltre, spesso non terminano nemmeno le frasi, perché già sanno quel che l’altro sta pensando. No… Più li guardo, più mi convinco che Spock non è per me che è tornato sull’Enterprise, ma per il capitano Kirk. È sempre stato per lui.»
 
Uhura spostò lo sguardo sul dottore, a quanto pareva ciò che gli aveva detto l’aveva sconvolto; quel suo guardare nel vuoto era inequivocabile.
«Scusi, dottore, non avrei dovuto… Gr-grazie per il caffè» balbettò prima d’entrare nella propria tenda.
 
Forse aveva parlato troppo.
 

Continua...


L’idea del campeggio notturno è stata presa dall’episodio di Enterprise “Rogue Planet” in cui i protagonisti scendono su di un pianeta vagabondo per esplorarlo e si imbattono in dei cacciatori.

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Capitolo 3
*** C'è qualcosa che non mi dite? ***


C’è qualcosa che non mi dite? 
 

Il capitano James Tiberius Kirk amava esplorare: adorava andare in missione su pianeti sconosciuti e scoprire nuove civiltà aliene, perché gli piacevano l’emozione e il brivido che sentiva ogni qual volta arrivava in un luogo del tutto inesplorato. Era come se si sentisse veramente utile, come se la sua missione avesse uno scopo ancor più profondo.

Stavano esplorando una remota regione di spazio, quando erano entrati nell’orbita di un pianeta disabitato, ricco di vegetazione e di creature non intelligenti. Dopo aver ordinato a Spock d’analizzarne la superficie, il vulcaniano aveva scoperto alcuni minerali interessanti e, dopo attente ricerche, il primo ufficiale era arrivato alla conclusione che per cogliere il massimo da quei cristalli, avrebbero dovuto visitare il pianeta anche durante la notte. Proprio per quel motivo, Kirk aveva formato una squadra di sbarco accampandosi poi nel luogo più adatto.

Alla spedizione si era unito anche Bones; il dottore era spesso presente durante le loro missioni. Non che amasse particolarmente entrare in contatto con esseri potenzialmente virulenti, ma più volte aveva confessato che la sua presenza era essenziale, nel caso avessero dovuto verificarsi emergenze mediche improvvise. Era come se non si fidasse di niente e di nessuno e che sentisse, dentro di sé, la responsabilità della vita della vita di lui e di Spock. Ovviamente a Jim faceva piacere la sua presenza, amava conversare con lui e spesso le sue osservazioni contrastavano tanto con quelle di Spock, da far nascere spassose discussioni.

Assieme a loro, oltre agli uomini della sicurezza, c’era anche il tenente Uhura. Nonostante il loro approccio iniziale fosse stato ben poco cordiale, il loro rapporto era migliorato notevolmente; ora non erano di certo amici, ma Kirk aveva per lei un profondo e sincero rispetto. Si frequentavano di rado al di fuori dell’orario di servizio, perché ‒ per la maggior parte del suo tempo ‒ Kirk era costretto a firmare documenti e richiese d’ogni sorta e quando aveva un po’ di libertà, se ne stava sempre con Spock. Avere il comando di una nave non era cosa da poco e senza il prezioso aiuto del suo primo ufficiale, non se la sarebbe mai cavata. I suoi consigli diventavano, giorno dopo giorno, sempre più preziosi e la sua presenza, insostituibile.
 
 Kirk si sedette accanto al fuoco appena acceso, guardandosi attorno mentre tratteneva a stento uno sbadiglio.
«Capitano, è sicuro di voler venire con me? Mi sembra molto stanco» disse Spock, avvicinandosi a lui senza però accomodarsi al suo fianco. Jim sollevò lo sguardo sul vulcaniano, guardandolo dal basso verso l’alto; gli faceva uno strano effetto guardarlo da quella prospettiva, gli pareva ancor più alto e serioso.
«E che vuol fare, Spock, andare in giro per la giungla inesplorata da solo? Lei faccia quello che deve fare e io…»
«Mi guarderà le spalle?» rispose con un leggero tono ironico che non sfuggì al capitano.

Di rado Spock usava l’umorismo, anzi aveva più volte ammesso di non averne mai compreso il senso. Spesso l’aveva visto sbagliarsi e valutare in maniera errata una battuta di spirito, prendendola per seria. Jim aveva sempre trovato divertente quella sua mancanza, soprattutto perché trovava ironico il fatto che Spock avesse almeno una materia in cui non fosse onnisciente.
«Da dove arriva tutta questa comicità, Spock? Esiste qualcosa di simile nella sua rigorosa logica vulcaniana?» domandò il capitano, con tono divertito.
«Assolutamente no, signore, non vi è nulla di tanto insensato nella mia lingua».
«Eppure...» l’interruppe Kirk. «Si è abbassato al nostro misero livello e ha fatto dell’ironia. Come la mettiamo?» lo stuzzicò, sempre più divertito.
«Non riesco a comprendere il senso delle sue parole, capitano, cosa devo mettere e dove?» Kirk scrollò la testa, abbandonandosi a una sonora risata; Spock era davvero spassoso. Ed era più che sicuro che, se se ne fosse andato, avrebbe sentito terribilmente la sua mancanza.

Quando il capitano intravide la figura del dottor McCoy avvicinarsi a loro, lo richiamò a gran voce. Era certo che la situazione avrebbe divertito molto anche lui.
«Ehi, Bones, vieni qui, non puoi perderti il nostro orecchie a punta che vuole fare il comico!»
 «Ditemi un po’…» esordì il dottore, avvicinandosi ai due con aria minacciosa. «Quando contavate di dirmelo?» domandò, irato.

Leonard non poteva credere che l’avessero taciuto proprio a lui; Jim non si era sempre dichiarato suo amico? Certo che, se il capitano riteneva d’avergli sempre detto il vero, aveva uno strano modo di concepire l’amicizia.

«Dirti cosa?» chiese il capitano in risposta, drizzandosi poi in piedi e ripulendosi i pantaloni della divisa sporchi di terra.
«Che vi siete messi insieme o chiamatelo come vi pare. Non pretendevo d’essere il primo a saperlo, però mi aspettavo più considerazione da parte del mio migliore amico, Jim. Cosa credevi, che vi avrei giudicati male?»
«Bones, di che diavolo parli?» domandò Kirk, sempre più confuso.
«Del fatto che tu e orecchie a punta vi siete fidanzati» rispose il dottore, abbassando il volume della voce di modo da non farsi sentire. 

Per McCoy era ovviamente una bella notizia e, dopo lo stordimento iniziale, aveva compreso quanto i due stessero bene insieme. Non sapeva però se Kirk e Spock volessero tenerlo segreto o meno. Aveva quindi posto la sua domanda con impeto e passione, sentimenti che lo contraddistinguevano in ogni situazione e che a fatica, riusciva a tenersi dentro. Ora però un certo stupore per le strane espressioni dei suoi due amici, aveva preso il sopravvento. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
«Che vi succede? Cosa sono quelle facce?» chiese.
«Chi le ha detto una cosa del genere, dottore?» domandò Spock con voce composta. Leonard guardò il primo ufficiale con fare stranito.
«U-Uhura», balbettò, «dice che siete una coppia. Io non le volevo credere perché pensavo che la sua fantasia fosse diventata eccessivamente fervida. Poi però vi ho osservati: avete una strana maniera di interagire l’uno con l’altro o, quantomeno, strana per due amici o per due colleghi, ma per una coppia di fidanzati è del tutto normale. Per non parlare poi del modo in cui vi guardate o, per usare la giusta espressione, contemplate. Da quanto tempo non vedo tanto amore negli occhi di qualcuno? Quasi quasi vi invidio…» concluse, sospirando.

Un imbarazzante silenzio cadde nel piccolo accampamento, mentre uno stranito dottor McCoy osservava con curiosità mista a stupore i suoi due amici, che evitavano accuratamente di guardarsi l’un l’altro. Bones non riusciva a capire come mai le guance di Spock fossero di un delicato verde smeraldo e, soprattutto, perché Jim Kirk fosse tanto rosso in viso. Da che lo conosceva, Leonard non l’aveva mai visto a disagio; credeva che niente né sulla terra, né altrove fosse capace di farlo vergognare. Non pensava fosse un sentimento che avesse a che fare con lui, eppure ‒ a quanto pareva ‒ c’era sempre una prima volta.
 
Fu la voce seria e composta del vulcaniano Spock a interrompere il rapido corso suoi pensieri:
«Dottore, gradirei se desse al capitano qualcosa che l’aiuti dormire. Ritengo sia molto stanco ed affaticato e sarebbe meglio che questa notte riposasse; vorrei che lei insistesse per farlo restare qui all’accampamento. Io svolgerò il mio lavoro in breve tempo e non necessito di alcun aiuto».
«Va bene» annuì il medico decisamente confuso, poco prima d’allontanarsi. E, mentre s’avviava a passo incerto verso la propria tenda, Leonard non riusciva proprio a capire dove avesse sbagliato.
 
Il capitano Kirk non riusciva a credere a quel che Bones aveva appena detto, lui e Spock che si comportavano come fossero una coppia? E che si guardavano con occhi innamorati? La cosa era del tutto insensata! Certo andavano molto d’accordo e Jim amava strare in sua compagnia, ma non avrebbe mai immaginato che alcuni membri dell’equipaggio pensassero che tra di loro ci fosse qualcosa di più che una semplice amicizia.
 
Jim sollevò lo sguardo, indeciso sul da farsi. Sentiva le proprie guance in fiamme e provava un gran caldo. Quando i suoi occhi caddero sul viso del primo ufficiale, lo scoprì serio e compito come al solito, solo le orecchie erano leggermente tinte di verde. Ad una prima impressione, sembrava non importargli nulla di ciò che aveva appena udito.
«Spock, io…» esordì Jim. Forse era il caso di chiarire subito.
«Ritengo opportuno che lei vada a riposare, capitano, penserò io ai minerali. Non si deve in alcun modo preoccupare per la mia sicurezza» disse Spock prima di voltarsi, allontanandosi poi verso il limitare della foresta.
«Spock» urlò Kirk a gran voce raggiungendolo in pochi passi.
«Sì?» domandò il risposta il vulcaniano.
«Dovremo parlarne prima o poi, lo sai, vero?»
«Lo so» annuì Spock.
«Alla fine di questa missione» specificò Kirk.
«Alla fine di questa missione» ripeté il vulcaniano, prima d’inoltrandosi nel fitto della foresta, in compagnia del suo tricorder.
 

Nel buio della piccola tenda che l’ospitava, Jim Kirk se ne stava steso sul proprio materassino, senza riuscire a chiudere occhio. Nonostante il dottore l’avesse imbottito di sonnifero, era ancora perfettamente sveglio. Mille pensieri gli affollavano la mente e una miriade d’immagini differenti non gli davano tregua. Gli bastava chiudere gli occhi per vedere lui e Spock e, cosa peggiore, sentiva nascere dentro di sé un qualcosa. Possibile che le impressioni di Uhura e Bones avessero un fondamento di verità? E che loro avessero notato qualcosa che a lui era sfuggito? Oppure si stava solo lasciando suggestionare?

Il capitano inspirò lentamente provando a calmare il corso dei propri pensieri, lui e Spock… Kirk non riusciva a pensare a nient’altro. Ed ora che il dottore gli aveva detto quelle cose, cercava con tutte le proprie forze di ricordare un evento che lo aiutasse a capire. Ma più pensava, più non riusciva a ricordare nulla di tanto strano o, quantomeno, nulla che facesse pensare a loro come una coppia.

Cosa avevano visto Uhura e McCoy che lui non riusciva a cogliere?

Puntellandosi sui gomiti, Jim si issò leggermente guardandosi attorno, mentre lo strano pensiero di domandarlo ai diretti interessati si faceva strada nei suoi pensieri. Voleva sapere e lo voleva a tal punto, dal non farsi scrupoli nel svegliare due dei suoi ufficiali nel cuore della notte. Afferrò la casacca della divisa, ma un rumore proveniente dall’esterno lo distolse dai propri intenti. Spock stava rientrando! E la cosa peggiore era che avevano programmato che dormissero nella stessa tenda; per uno strano scherzo della sua mente, Jim se n’era ricordato soltanto in quel momento. Era stato infatti talmente rapito dai propri pensieri, che aveva scordato quel macroscopico dettaglio.

Non fece a tempo a pensare a nient’altro che si ritrovò il volto del primo ufficiale a pochi centimetri dal proprio.
«Non volevo svegliarla» disse Spock con voce atona e indifferente; sembrava quasi che per lui non fosse accaduto nulla di straordinario.
«Non si preoccupi, non dormivo» rispose il capitano con voce altrettanto atona o perlomeno provandoci a sembrare indifferente. «Piuttosto, ha trovato quel che cercava?» domandò provando ad alleggerire la tensione, mentre Spock entrava nella tenda e si preparava per la notte.
«Sì, ho tutto» annuì il vulcaniano, appoggiando poi a terra il proprio tricorder.
«Perfetto, allora sarà meglio dormire».
«Concordo», annuì il primo ufficiale levandosi la casacca azzurra della divisa e riponendola ordinatamente ai piedi del proprio materassino.
 
Kirk si distese nuovamente, chiudendo gli occhi e provando a rilassarsi. Stranamente era come se la sua presenza lo rassicurasse; che fosse realmente in ansia per l’uscita notturna di Spock? Forse era meglio chiudere gli occhi e addormentarsi, di certo dovevano parlare perché la tensione che c’era fra di loro era quasi palpabile. Era altrettanto vero però, che aveva bisogno di tempo per riflettere sui suoi sentimenti, sentiva di doversi mettere a nudo e di dover capire quanto realmente fosse importante Spock per lui.

Di certo quando era in sua compagnia, Jim si sentiva bene; era così naturale e semplice stare insieme, che gli pareva di conoscerlo da tutta una vita. Spock era così limpido… Era così facile leggere nei suoi pensieri e interpretare le sue mille espressioni facciali. A volte bastava una semplice smorfia per fargli comprendere quel che voleva dire; e si stupiva di come facesse Bones a non capire e a litigare di continuo con lui. Quel che McCoy diceva sempre, era che gli era impossibile sapere quel che passava per quella brillante mente vulcaniana. Jim non ci aveva mai realmente riflettuto e, ora che ci pensava, si rendeva conto di quanto strana e particolare fosse la loro amicizia.

 E quella notte, in quella piccola tenda buia mentre il respiro di Spock diventava via via sempre più regolare, il capitano Kirk non fece che pensarci.
 

Continua…


Così come per il capitolo precedente, l'idea del campeggio notturno l'ho presa dall'episodio di Enterprise "Rogue Planet".

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Capitolo 4
*** L'imbarazzo di un vulcaniano ***


L’imbarazzo di un vulcaniano


Erano da poco passate le sei del mattino quando il primo ufficiale Spock aprì gli occhi, infastidito da un confuso vociare. Il vulcaniano si guardò attorno, stupito dal fatto che avesse dormito tanto a lungo. In genere gli bastavano poche ore per essere completamente riposato ed invece quella notte aveva dormito per quasi sei ore.  
Si mise subito a sedere, notando che ‒ al suo fianco ‒ il capitano ancora dormiva profondamente.

Spock aveva avuto modo di riflettere durante il tempo trascorso nella foresta, aveva capito che Kirk era impaziente di parlare con lui. In effetti, quell’atteggiamento era tipico del suo carattere: Jim era appassionato ed irruente e desiderava avere le risposte alle proprie domande senza indugiare eccessivamente. Quando gli aveva detto che dovevano parlare, però, proprio non era riuscito a guardarlo negli occhi.

 L’imbarazzo che aveva provato quando aveva sentito le parole di McCoy, era stato qualcosa di potente e d’incontrollabile. Il suo stomaco si era contratto, stretto come in una morsa ed una strana sensazione l’aveva pervaso. 
Davvero troppe emozioni, anche per lui. Spock era abituato a provarne, quando era bambino era più volte capitato che la sua parte umana prendesse il sopravvento. Ma, se fino a quel momento era sempre e solo stata la rabbia ad innescare in lui strani meccanismi, ora era qualcosa di ben diverso. Era come se le parole del dottore l’avessero risvegliato all’improvviso.

Qualcosa univa lui e il capitano e Spock sapeva esattamente di cosa si trattava: era il legame. Lo sapeva, doveva essere così, erano giorni che ci pensava e settimane che percepiva distintamente quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Nei momenti in cui lui e Kirk non erano insieme, un fastidio si faceva strada da dentro di lui, appianandosi solo quando erano di nuovo l'uno a fianco dell'altro. Il legame era un qualcosa di eccezionale, di straordinario e lui non poteva credere che si fosse formato proprio con il suo capitano, con Jim. Si trattava di quell’unione fisica e mentale che si formava tra un vulcaniano e il proprio compagno, quel che c’era tra di loro era un niente, un principio, ma Spock non poteva più ignorarlo.
 
 Scivolò fuori dalla tenda evitando accuratamente di fare rumore, inspirò poi a pieni polmoni l’aria frizzante, rimanendo stupito del fatto che gli occhi di tutti fossero puntati su di lui.
«Signor Spock» esordì McCoy con aria divertita, «ha deciso di dare spettacolo?»
Il primo ufficiale guardò il medico senza capire, cosa aveva di sbagliato? Tastandosi il torace, comprese di non essersi vestito: aveva scordato d’indossare la casacca.
«Che succede?» La voce del capitano Kirk interruppe il discorso, mettendo fine alle risate del dottore e allo stupore del resto squadra. Spock si voltò verso il capitano, scoprendo con suo sommo dispiacere che anche Jim era a torso nudo. Non che lui si vergognasse di qualcosa, ma di certo la situazione sarebbe certamente stata equivocata, se lo erano state delle parole e degli sguardi, lo sarebbe statato di certo anche questo. 
«Ah, ora capisco…» commentò Leonard McCoy, sogghignando malizioso.
«Capisco cos…» Le parole del capitano s’interruppero, quando vide lo stato in cui versava il primo ufficiale.
«N-no ecco, noi…»
«Forse è meglio che vi rivestiate» commentò Uhura prima che il capitano scivolasse nuovamente nella tenda, seguito da Spock.
 «Dannazione, Spock!» imprecò il capitano, afferrando la propria casacca. «Non posso diventare rosso in faccia come un idiota, solo perché qualcuno ha accennato al fatto che eravamo seminudi. Io sono il capitano, accidenti e pretendo rispetto dai miei uomini! C’è qualcosa tra di noi? Comunque sia, non sarebbero affari loro.»
Il vulcaniano non ebbe tempo di ribattere, Kirk si rivestì in fretta e furia indossando casacca e stivali e catapultandosi fuori dalla tenda con un'espressione in viso che gli pareva tanto ira. 
«Ha fatto presto, capitano» sentì commentare uno degli uomini della sicurezza mentre lui lo imitava, rivestendosi.

«Smontante il campo!» lo sentì ordinare, con tono perentorio. «Voglio tutto pronto in cinque minuti; Uhura chiami l’Enterprise e gli dica di mandare la navetta uno alle coordinate d’atterraggio. Spock!» gridò mentre lui usciva e si metteva sull’attenti.

Il vulcaniano osservò l’espressione del suo viso con interesse. Interpretare gli atteggiamenti del capitano Kirk non era così facile come poteva sembrare. Il suo viso e i suoi occhi erano lo specchio delle mille emozioni che provava; soltanto pochi istanti prima, Spock era sicuro che Jim fosse imbarazzato per la situazione, ora invece gli pareva arrabbiato. Lo sguardo duro e deciso e la bocca serrata e le mani strette a pugno, erano chiari sintomi d’ira; Spock però conosceva una cosa di lui, una particolarità del suo carattere che l’aiutò a capire. Kirk rispettava molto i propri collaboratori, ma allo stesso tempo pretendeva altrettanto rispetto da parte loro. Non s’immischiava mai nei fatti privati degli uomini dell’equipaggio e ‒ altrettanta riservatezza ‒ pretendeva per sé stesso.

Ora sembrava più preoccupato della reazione dei suoi uomini a quella falsa notizia, che al fatto in sé.
«Se ha bisogno d’aiuto per stipare i campioni prelevati chiami Scotty e gli dica di teletrasportare ogni cosa a bordo.»
Spock annuì con un leggero cenno del capo:
«Tutto è già pronto e catalogato, signore», rispose.
 «Almeno qualcuno che lavora c’è; avete sentito? Forza!» urlò prima di smontare la propria tenda.

 

*

 

Il primo ufficiale Spock entrò nella propria cabina, posando il tricorder sulla scrivania accanto al letto. Si spogliò degli abiti, riponendoli ordinatamente nell’armadio e indossò la vestaglia di seta. 
La stoffa liscia e fresca dava una piacevole sensazione alla sua pelle verdastra e, in una qualche maniera, lo rilassava. Si stese quindi sul letto, osservando il soffitto della propria stanza prima di chiudere gli occhi.

Stranamente si sentiva stanco. La notte precedente aveva dormito per molte ore e quando si era svegliato, accanto al capitano, aveva provato una strana sensazione di pace e beatitudine. Possibile che le parole del dottore l’avessero sconvolto fino a quel punto? Indubbiamente le affermazioni di McCoy l’avevano imbarazzato, il che non era soltanto illogico, ma del tutto insolito. Ciò che gli aveva dato maggiormente da pensare, però, era quella strana sensazione che lo pervadeva; un insolito pensiero fisso… Come se, finalmente, tutto quadrasse. Era come se quel senso di benessere, che sentiva spesso quando era in compagnia di Kirk, avesse finalmente trovato una collocazione logica. Di sicuro erano pensieri da attribuire alla consapevolezza d'avere un legame.

Ci aveva riflettuto a lungo mentre raccoglieva minerali nella foresta ed esaminava rocce con il tricorder. E, nonostante tentasse con tutte le sue forze di sopprimerla, quella sensazione di completezza continuava a tornargli alla memoria, come se Jim Kirk fosse lì: in un angolo della sua mente.

Anche in quel momento, se chiudeva gli occhi e si concentrava, riusciva a percepire il nervosismo e l’inquietudine del capitano. Non era illogico che provasse anche per emozioni del capitano, perché non c’era nulla di più potente del legame, ma ugualmente si sentiva strano. Percepire i senitmenti di Jim, la sua confusione, la sua insicurezza, il suo affetto per i suoi uomini, per la sua nave, per lui... Erano solo sensazioni, echi lontani di sentimenti forti ed appassionati, tuttavia lui li percepiva ugualmente e ne era sconvolto. 

Non aveva idea di come si fosse formato il legame, evidentemente la vicinanza fisica e mentale che avevano avuto in quei mesi, l’aveva fatto nascere e crescere lentamente. Certo, era ancora più strano il fatto che tutto fosse nato proprio da Uhura. Tra di loro c’era stata una bella amicizia, si erano scambiati qualche bacio, ma nulla di più. Per lei non sentiva niente che non fosse stima e profondo rispetto. Nyota era una valida xenolinguista ed una stimata professionista, l’aveva frequentata perché la reputava interessante e, solo successivamente, la loro amicizia era mutata in un tenero sentimento. Quel bacio che si erano scambiati nella sala del teletrasporto, poco prima che lui e Kirk affrontassero Nero, era stato il loro ultimo bacio.

Fare una cosa del genere in pubblico, in quella maniera così umana, era stato inopportuno e Spock aveva faticato a fargli capire quanto era stato inopportuno. Uhura non aveva mai mostrato interesse per la sua metà vulcaniana, per le tradizioni del suo popolo e per la logica. Anzi, ne era infastidita e il più delle volte la infuriava il pensiero di doverci avere a che fare. Era come se Nyota rifiutasse la sua metà vulcaniana, come se accettasse di lui solo il lato umano. Quella sua pericolosa e indomabile metà terrestre che il primo ufficiale a fatica riusciva a domare, era proprio quello che lei aveva voluto.

Di tanto in tanto si soffermava a ricordare quel periodo in cui erano stati compagni, Spock faticava a spiegare il senso del proprio comportamento anche a sé stesso, di certo aveva a che fare con quanto capitato a sua madre e a Vulcano. Lo sconvolgimento emotivo di quel periodo aveva lasciato profondi strascichi, tanto che ancora ne risentiva profondamente.

Successivamente furono le parole del vecchio Spock a convincerlo ad imbarcarsi sull’Enterprise. Nei suoi intenti c’era stata la volontà d’unirsi alla congrega vulcaniana, ma le parole del vecchio ambasciatore l’avevano in qualche modo colpito. Quella frase circa la sua amicizia con Kirk ancora gli ronzava in testa; che si stesse riferendo al legame? E che il vecchio sé stesso già sapesse che la loro unione si sarebbe ugualmente formata, nonostante gli sconvolgimenti causati da Nero e dalla sua armata?
Indubbiamente qualcosa di potente lo legava a Jim, qualcosa che non era minimamente paragonabile alla tenera amicizia che aveva condiviso con Uhura. Le risposte alle sue domande potevano essere svelate e, se il vecchio ambasciatore era al momento irreperibile, Nyota l’avrebbe certamente ascoltato.


Il primo ufficiale accese con attenzione le piccole candele profumate che teneva riposte nel cassetto della scrivania, le posò quindi a terra accanto al grande cuscino color porpora che usava per la meditazione. Vi si sedette sopra, chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente.
 
Aveva bisogno di meditare!

 

*



Il tenente Uhura uscì dalla cabina del capitano dirigendosi verso il ponte di comando. Aveva consegnato un messaggio di priorità uno da parte dell’ammiraglio Pike ed ora s’apprestava a far ritorno alla propria postazione. Ciò che era successo in missione aveva notevolmente cambiato la sua visione d’insieme. Era come se si fosse risvegliata da un lungo sonno, una sorta di stato di grazia che l’aveva fatta sperare a lungo che, un giorno o l’altro, Spock sarebbe tornato da lei. Nonostante si sentisse sollevata di sapere finalmente la verità, il suo cuore ancora stentava a credere a ciò che aveva visto. Quello sguardo scintillante che era passato come un lampo nelle iridi di Spock, le aveva fatto comprendere ogni cosa. Il suo amato vulcaniano guardava il capitano Kirk nello stesso identico modo in cui lei aveva guardato il suo uomo, durante tutta la durata della loro storia.

«Tenente Uhura.» La voce profonda di Spock la fece sussultare, Nyota si voltò verso il proprio superiore stupendosi della strana luce che c’era nei suoi occhi. Ad uno sconosciuto poteva sembrare il solito insipido vulcaniano, ma Uhura lo conosceva abbastanza bene da sapere che qualcosa lo stava turbando, qualcosa che, probabilmente, aveva a che fare con ciò che aveva detto a McCoy la sera precedente.
«Sì, signore» rispose, mettendosi sull’attenti.
«Tenente, vorrei parlare con lei circa quanto affermato ieri sera al dottor McCoy» disse, serio.
«Ieri sera?» domandò in risposta.
«Gradirei sapere dove ha reperito le informazioni circa la mia presunta relazione con il capitano Kirk» spiegò il vulcaniano.
 
A quell’affermazione, il primo ufficiale, vide qualcosa cambiare nell’espressione di Nyota.
«E posso sapere il motivo per cui ora vieni da me a chiedere spiegazioni?»
«Credo di non comprendere» rispose Spock, confuso.
«Non mi parli da mesi, tanto che non ho fatto altro che chiedermi perché mi avessi lasciata senza dirmi una sola parola. E ora tu vieni a chiedermi delucidazioni su qualcosa? Se non conoscessi voi vulcaniani, direi che mi stai prendendo in giro».
«Mi pare ovvio che tu sia arrabbiata per la fine della nostra amicizia.»
«E per quale motivo non dovrei esserlo? Mi hai lasciata senza dirmi nulla e la “nostra amicizia” è finita senza che nemmeno me ne rendessi conto. Semplicemente sei sparito nel nulla! E la cosa ridicola è che solo ieri sera, guardandoti con Kirk, mi sono resa conto dei veri motivi; volevi sapere dove avevo reperito le informazioni? Ti ho guardato negli occhi e mi è bastato vedere come si illumina il tuo sguardo quando lo c’è lui, per capire che ne sei innamorato. Non sei poi tanto bravo a nascondere le tue emozioni, il che è ridicolo considerando il fatto che passi la gran parte del tuo tempo libero a meditare per sopprimerle. E ora, comandante, se permette, devo tornare alla mia postazione.»
 

Girando su sé stessa, Uhura imboccò il corridoio alle sue spalle sparendo poi nel turbo ascensore. Aveva esagerato? Probabilmente sì, ma poco le importava; da tempo voleva sapere e quando se l’era trovato davanti, in tutta la sua algida bellezza, non era proprio riuscita a trattenersi.
 

 

*

 

Spock rimase solo nell’affollato corridoio, poco lontano dalla cabina del capitano. Conosceva piuttosto bene il carattere di Nyota e sapeva che, quando desiderava ardentemente qualcosa, la otteneva. Sapeva anche quanto fosse passionale, ma d’altronde la passione era il sentimento che contraddistingueva la stragrande maggioranza degli esseri umani; la sua rabbia era quindi del tutto comprensibile, anche se illogica.

Certo lui non l’aveva fatto apposta, semplicemente era stato preso da altro. Per tutti quei mesi era vissuto in una sorta di bolla di sapone in cui c’erano solo lui e Kirk; per il vulcaniano era esistito solo lui e ora ne pagava le conseguenze.

Come aveva potuto non accorgersi della nascita legame? 
Ed ora, come poteva provare tutto quell’imbarazzo?
 
«Capitano Kirk a comandante Spock.» La voce del capitano, proveniente dall’interfono, gli fece inverdire maggiormente le guance. 

Doveva risolvere quella situazione al più presto.


Continua…


Il titolo è ovviamente retorico e il capitolo, per quanto io abbia accentuato le reazioni di Spock, si tratta comunque di reazioni e sentimenti emersi in maniera infinitesimale. Almeno per un occhio distratto… essendo lo Spock del film e non quello della TOS, l’ho creato leggermente più incline ai sentimenti e all’esibizione dei sentimenti, proprio come lo vediamo nel film.

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Capitolo 5
*** Paradossi distruttivi ***



Paradossi distruttivi
 

Il capitano Kirk passeggiava nervosamente nella sua piccola cabina, le mani incrociate dietro la schiena e le dita che non smettevano di torturarsi a vicenda. Aveva ricevuto un messaggio di priorità uno da parte dell’ammiraglio Pike, che l’aveva costretto a modificare la rotta. Aveva già dato ordini a Sulu e Checov di dirigersi verso la colonia vulcaniana di Antres quarto, dove avrebbero preso a bordo l’ambasciatore Spock. 
Il vecchio vulcaniano doveva essere condotto sulla Terra, luogo in cui si sarebbe svolto un importante incontro di pace, con la massima urgenza. A giudicare dalle parole dell’ammiraglio Pike, la presenza dell’ambasciatore era fondamentale per la buona riuscita della conferenza.

Jim aveva ordine di precedenza assoluta e, proprio per questo motivo, era estremamente preoccupato. Ancora ricordava il motivo per il quale il vecchio Spock non era intervenuto nella vicenda con Nero: paradossi distruttivi per l’universo. Se i due si fossero incontrati, sarebbe accaduto l’irreparabile e proprio per questo, Kirk non sapeva che fare.

Non poteva certo disubbidire agli ordini di Pike, ma allo stesso tempo non voleva nemmeno fare in modo che i due s’incontrassero. Aveva chiamato Spock con l’interfono e non sapeva nemmeno lui il motivo per cui l’aveva fatto. Semplicemente aveva agito d’istinto, così com’era solito fare.
 
Il cicalino alla porta gli fece capire che il suo primo ufficiale attendeva d’entrare.
«Avanti» disse provando ad apparire il più possibile tranquillo.

Quando vide la figura di Spock avanzare verso di lui, i suoi tentativi di sembrare indifferente vennero vanificati, il suo cuore iniziò ad accelerare pericolosamente, sentì una morsa allo stomaco ed un brivido in tutto il corpo. Indubbiamente provava un’intensa ed incontrollabile emozione nel vederlo, specie dopo quanto accaduto la sera precedente.

«Capitano» esclamò il vulcaniano, mettendosi sull’attenti in attesa di ordini.

Prima di parlare, Kirk tentennò per un istante, indeciso sul da farsi. Da dove iniziare ad affrontare l’argomento? Ma soprattutto qual era la decisione migliore da prendere? Aveva bisogno del suo primo ufficiale, non poteva certo confinarlo nella sua cabina, così come non poteva proibire all’ambasciatore di girare per i corridoi dell’astronave.

Più ci pensava, più non riusciva a trovare una soluzione.

«Se devo essere sincero» esordì. «Non so nemmeno da che parte iniziare» concluse massaggiandosi la testa, confuso. «Le dico subito che ciò che ho da dire non riguarda il nostro privato» s’affrettò poi a spiegare.
«Immagino quindi che abbia a che fare con il messaggio che le ha consegnato Uhura poco fa».
«Come fa a saperlo?» chiese Kirk, spalancando gli occhi per la sorpresa.
«L’ho semplicemente dedotto: ho visto il tenente uscire dalla sua cabina e, dato che lei stesso ha affermato che ciò che ha da dirmi non riguarda la nostra sfera personale, ho capito che aveva a che fare con le mansioni di Uhura. Ritengo che esclusivamente per un messaggio di priorità uno da parte della Flotta, il tenente si muoverebbe dalla propria postazione per recarsi nella sua cabina. Se vuole quindi parlarmi di qualcosa, cercherò di consigliarla del migliore dei modi possibili» concluse il primo ufficiale, con voce calma.
 

Jim si lasciò andare sulla sedia, sconfitto dalla logica di Spock. Il suo ragionamento non faceva una grinza e le sue abilità intellettive lo stupivano ogni volta di più.
«I miei complimenti, Spock, la sua logica è impeccabile.»
«La logica non può che esserlo, capitano» rispose compito.
 

Kirk sollevò lo sguardo sul suo interlocutore: vederlo lì, in piedi, sull’attenti, gli faceva uno strano effetto, aveva come la sensazione che il suo secondo in comando si stesse controllando. Forse, se l’avesse invitato a sedersi, entrambi sarebbero stati più a loro agio e lui sarebbe riuscito a trovare le parole giuste per spiegargli la situazione.
«La prego si sieda, perché ciò che devo dirle è difficile da spiegare.»
 
Spock sollevò un sopracciglio, il capitano pareva combattuto e dal suo sguardo riusciva ad intuire quanto fosse preoccupato ed ansioso. Obbedendo però al suo volere, si sedette sulla sedia di fronte alla sua incrociando le braccia al petto, così com’era solito fare.
«Stiamo facendo rotta verso la colonia vulcaniana di Antres quarto» esordì, sollevando poi lo sguardo su Spock di modo da poter studiare le sue reazioni. Jim non sapeva se era per i sentimenti che s’agitavano dentro di lui o perché lo conosceva bene, ma era come se sapesse quel Spock stava pensando. 
Quell’espressione curiosa e interessata sul suo viso, era inequivocabile e gliel'aveva vista spessa quando era affascinato da qualcosa.
«L’ammiraglio Pike si è raccomandato che io lo facessi arrivare sulla Terra nel più breve tempo possibile. La Federazione ha voluto per lui l’astronave più veloce della Flotta, per questo hanno chiamato noi.»
«Lo?» domandò Spock in rimando, sollevando un sopracciglio.
«Ecco, io non so davvero come spiegarlo, ma la persona che dobbiamo andare a prendere è…»
«L’ambasciatore Spock.»
«Dannazione, c’è qualcosa che non sai? Ma cos’hai una specie di computer al posto del cervello?» sbottò Jim, senza nemmeno essersi accorto d’aver improvvisamente usato un tono colloquiale.
«No, ma dal suo imbarazzo e nervosismo ho intuito che si trattasse di lui. So quel che le ha detto, mi ha raccontato lui stesso di quella bugia.»
«Bugia?» domandò, irritato.
«A dire il vero lui lo ha definì come un “Atto di fede”. Disse anche che era necessario che lei prendesse il comando dell’Enterprise e che io agissi al suo fianco; mi spiegò i motivi del suo gesto, ma allora non li compresi.»
«E sarebbero?»
«Affermò che tra di noi sarebbe nata una… Lui, la definì amicizia. Un’amicizia che avrebbe completato entrambi.»
«Quindi significa che mi ha mentito?» domandò Kirk sorvolando sulla parola amicizia; non era ancora giunto il momento d’affrontare l’argomento sul loro rapporto e ciò che Spock gli aveva appena rivelato, apriva molti scenari differenti.
«Affermativo» lo interruppe il vulcaniano.
«E da quando voi altri dite bugie? Santo cielo, significa che mi sono fatto tanti problemi per nulla?»
«Esattamente» rispose Spock.

Il capitano si lasciò andare sulla sedia, scrollando la testa; incredibilmente non riusciva ad essere arrabbiato, anzi, non vedeva l’ora di incontrare il vecchio Spock per rimproverarlo a dovere.
 
 

*

 

«Capitano, ho il segnale dell’ambasciatore e la base ha dato il via libera al teletrasporto.»

La voce del capo ingegnere Scott, irruppe sul ponte. Kirk premette il bottone posto sul bracciolo della poltrona, rispondendo all’uomo con fare sbrigativo.

«Grazie, Scotty, arrivo subito» disse prima d’alzarsi. «Spock, venga con me, Sulu: il ponte è suo» concluse, prima d’entrare nel turbo ascensore.

Dopo giorni di navigazione erano arrivati su Antres quarto ed ora, l’ambasciatore era pronto per salire a bordo. Incredibilmente, Jim provava una certa emozione nel rivederlo. Quando si erano conosciuti, quel vecchio signor Spock gli era piaciuto subito. L’aveva trovato affascinante, così come lo era il suo signor Spock. 
Per un attimo Kirk l’aveva anche considerato un amico, ma ‒ ora che ci rifletteva bene ‒ comprendeva che non era per quello che era tanto emozionato. In una qualche maniera era convinto che il suo arrivo avrebbe influito sul suo rapporto con Spock. Quell’affermazione sulla loro amicizia che il primo ufficiale gli aveva rivelato, non lasciva spazio a fraintendimenti. Jim aveva pensato a cosa potesse intendere e la sola cosa che aveva capito per davvero, era che il vecchio Spock doveva sapere qualcosa. Forse tra lui e l'altro Jim doveva essere accaduto qualcosa di simile... Lui doveva sapere qualcosa! Altrimenti sarebbe impazzito, ne era sicuro.

Giunto nella sala del teletrasporto, il capitano salutò il capo ingegnere con una sonora pacca sulla spalla.
«Forza, Scotty, si dia da fare» ordinò mentre questi si preparava.
 
Luci bianche brillarono davanti ai loro occhi, mentre la sagoma dell’ambasciatore compariva sempre più nitida.
«Lunga vita e prosperità, capitano Kirk» esordì il nuovo venuto, salutando i presenti come da usanza vulcaniana.
«Paradossi distruttivi?» rispose invece Kirk incrociando le braccia e fingendosi arrabbiato.
 
Un leggero ghigno si dipinse sul volto dell’ambasciatore, i suoi occhi viaggiarono veloci a scrutare le espressioni di Spock e Jim.


Qualcosa era nato fra loro, lo percepiva.

 
Continua…


La colonia vulcaniana di Antres quarto, è un luogo inventato da me; tra il dialogo tra Spock e Kirk e l'arrivo dell'ambasciatore trascorre un periodo di una settimana circa, in questo periodo (poi lo sapremo con certezza proprio dai protagonisti) i due si sono presi una sorta di periodo di riflessione che sarà importante per il proseguo della storia. Prima di salutarvi una nota importante che riguarda i prossimi capitoli:

Da questo capitolo in poi la situazione narrativa sarà per me ancora più difficile da gestire. Ritenevo che, così come nel film, anche qui la presenza del vecchio Spock fosse necessaria. Avendo i due lo stesso nome, per evitare di fare confusione, lo Spock della TOS verrà definito come: vecchio Spock e ambasciatore Spock o vecchio vulcaniano. Mentre quello del film (Quinto) come primo ufficiale, ufficiale scientifico, Spock, oppure, più raro, giovane Spock. Lo so che sono molti termini e molti dei quali nemmeno tanto belli da leggere, ma mi sono impegnata giacché ci sia meno confusione possibile. Spero d’esserci riuscita.

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Capitolo 6
*** A spasso per le gondole ***


A spasso fra le gondole


L’ambasciatore Spock aveva vissuto una lunga vita. Tanti erano gli uomini e le donne di differenti specie aliene che aveva incontrato, numerose erano le situazioni problematiche nelle quali si era ritrovato. Era nato e cresciuto su Vulcano da un padre vulcaniano e da una, meravigliosa, madre terrestre. Fin da bambino aveva trovato difficoltà nel gestire entrambe le razze a cui apparteneva: era un essere unico e, in una qualche maniera, aveva sempre sentito su di sé tutta la difficoltà del suo vivere. Dopo essersi arruolato nella Flotta Stellare, Spock aveva iniziato a convivere assieme agli esseri umani. 
Già, i terrestri… Li aveva sempre ritenuti individui mentalmente inferiori ai vulcaniani, schiavi delle emozioni e del tutto illogici. Col passare del tempo, però, aveva compreso quanto potessero essere sorprendenti.

Il suo Jim Kirk era indubbiamente uno dei più interessanti.

Aveva vissuto assieme a lui per tutta la durata della sua vita terrestre, e non avrebbe mai creduto di poterlo incontrare di nuovo. 
A pensarci era del tutto illogico. Eppure ora l’aveva davanti agli occhi, giovane ed appassionato, proprio come il Jim che aveva conosciuto ed amato. E più lo osservava camminare nervosamente di fronte a lui, con le mani incrociate dietro la schiena e l’espressione combattuta, più riusciva a capire cosa aveva sempre adorato di lui: il suo modo di essere unico e straordinario.

Il vecchio Spock sentì il proprio stomaco contrarsi e il cuore mancare un battito, Kirk ancora suscitava in lui potenti emozioni.
«Qualcosa la turba, capitano?» esordì percependo distintamente il nervosismo del giovane Kirk.
«E me lo chiedi?» sbottò l’altro in risposta mentre la voce del capo ingegnere, proveniente dall’interfono, si intrometteva tra i due.
«Scott a capitano Kirk». Jim sbuffò innervosito, raggiunse l’interfono accanto alla porta per rispondere alla chiamata.
«Qui capitano Kirk, che succede, Scotty?» domandò.
«Abbiamo bisogno di lei in sala macchine» spiegò il capo ingegnere.
«Arrivo subito, Kirk chiudo.» 

Giunto sulla soglia della porta della sala riunioni, Jim si voltò per un istante, guardando l’ambasciatore con aria minacciosa:
«Non è finita, Spock», tuonò sparendo in corridoio.
 

Rimasto solo con il giovane sé stesso, l’ambasciatore distolse lo sguardo dal punto in cui Jim era sparito.
«Sai qual è la cosa che riesce ancora a sorprendermi?» chiese, mentre il primo ufficiale sollevava un sopracciglio senza però proferire parola. «Il fatto che dopo tutto questo tempo riesca ancora a suscitare in me dei sentimenti… Forse sono solo fantasie di un vecchio vulcaniano, ma ‒ guardandovi ‒ rivedo quello che io e Jim eravamo e provo nostalgia.»
«Nostalgia?» domandò il giovane Spock, confuso.
«So che non riesci a comprendere e quanto sia insensato il provarne, ma con il tempo ho imparato a mettere da parte la logica, quando avevo a che fare con Jim serviva a ben poco. Lui era talmente imprevedibile, che andava contro tutto ciò che avevo imparato.»
«Voi due eravate intimi?» indagò.
«Eravamo tutto: lui era mio fratello, il mio confidente, il mio migliore amico, il mio compagno, il mio capitano, il mio amante… era il mio T’hy’la; la persona più importante della mia vita, era tutto il mio mondo. Il legame che si formò tra di noi ci rese una persona sola e non solo per me che sono vulcaniano, anche Jim l’ha sempre sentito, forte, dentro di sé. Così come lo sente il tuo Jim Kirk.»
«Come sai?» chiese il giovane Spock, stupito.
«Il vostro legame è più evidente di quel che credi, Spock» mormorò l’ambasciatore, prima di alzarsi dalla sedia e avvicinarsi all’uscita. «Se Jim vuole rimproverarmi per la mia piccola bugia, mi troverà in infermeria. Se conosco il dottor McCoy avrà da ridire sul fatto che io gli stia “Tra i piedi”» disse, citando il medico di bordo, «Il che, è illogicamente divertente».


 

*



Leonard McCoy era un uomo pragmatico, si era arruolato nella Flotta Stellare perché riteneva che la Terra fosse diventata troppo piccola per lui e la sua ex moglie. Era uscito a malapena da un disastroso matrimonio che l’aveva visto finire a terra più di una volta, sconfitto dalla perfidia di quell’orribile donna. Una donna che aveva amato con tutto sé stesso e che l’aveva ‒ in un qualche modo ‒ costretto a prendere la via delle stelle.

Era finito sull’Enterprise e, fin da subito, aveva dovuto far fronte ad una lunga sequela di problemi che avevano rischiato letteralmente di farlo impazzire. Non solo gli altri medici dell’equipaggio sembravano una banda di inetti allo sbaraglio, ma Leonard non riusciva a credere che volessero farlo ammattire a quel modo.
«Infermiera Chapel, per favore, mi dica che è l’ultimo marinaio quello uscito poco fa dalla porta» sbottò McCoy, lasciandosi andare sulla sedia della propria scrivania, prendendosi la testa tra le mani.

Era esausto! Aveva trascorso gli ultimi due giorni a curare marinai intossicati da uno strano virus alieno. Non era mai uscito dall’infermeria, tanto che oramai non contava più il numero di iniezioni anti-vomito che era stato costretto a somministrare.


«Sì, dottore, non ce ne sono altri» rispose Christine sorridendo dolcemente, «perché non va a riposare? La chiamerò nel caso ci fossero altre emergenze.» Il medico sollevò lo sguardo sulla giovane donna, la sua proposta l’allettava non poco. Non vedeva un letto da almeno quarantotto ore e da altrettanto tempo non si faceva una doccia; prima d’andarsi a riposare però, voleva terminare i propri doveri. Aveva un rapporto medico da stendere e il suo diario personale da aggiornare.
«Prima finirò qui e poi andrò a in cabina, nel frattempo si prenda lei una pausa, ne abbiamo bisogno entrambi.»


Christine osservò il dottore con sguardo torvo; tutte le volte che provava ad aiutarlo o ad alleggerire il suo carico di lavoro, McCoy trovava sempre una scusa. Per lei, quell’uomo era straordinario e il suo attaccamento al dovere e la sua fedeltà verso il capitano, erano davvero ammirevoli. Era certa che, per lui, i suoi pazienti venissero prima di ogni cosa, anche della sua personale salute.
«Come vuole, dottore, ma poi mi promette che mi darà ascolto e andrà a dormire?» chiese.
«Lo prometto, infermiera Chapel ed ora me lo faccia lei un favore, vada a prendersi un caffè o a finire di leggere quel romanzo d’amore di cui non fa altro che parlare. E quando l’avrà terminato, mi faccia sapere quale fine fanno i nostri eroi, così almeno dormirò sonni tranquilli» disse, sarcastico, mentre la giovane Christine usciva dall’infermeria sorridendo tra sé.

«Quant’è burbero» pensò l’infermiera, sparendo nell’ascensore.
 
Rimasto solo, Leonard si lasciò andare chiudendo gli occhi e rilassandosi. Stava per addormentarsi, quando il fruscio delle porte attirò la sua attenzione ed una voce a lui nota, lo richiamò.
«Dottore...»
«Mh, Spock, che vuole? Se è venuto per quella storia di lei e di Jim, beh, sappia che non so altro, Uhura mi ha detto soltanto quello che vi ho riferito. E, per la cronaca, non m’interessa un accidente se ha deciso di negare l’evidenza, io non me la bevo» mormorò affondando maggiormente il capo tra le braccia incrociate.
«Se è per questo nemmeno io, dottore» rispose la voce composta dell’ambasciatore.

Leonard sobbalzò, spaventato, spalancando gli occhi per la sorpresa quando notò che non era il primo ufficiale, lo Spock appena entrato in infermeria.

«Diavolo di un vulcaniano, ha per caso deciso di farmi venire un infarto?» chiese portandosi una mano al petto, mentre il suo respiro ritornava ad essere regolare.
«Direi proprio di no, Leonard.»
«Cosa fa qui? Voglio dire, ha bisogno di qualcosa?»
«In effetti mi chiedevo se avesse un qualche rimedio per il freddo; per il mio vecchio fisico è diventato difficile anche il reggere le artificiali temperature dell’Enterprise.»
«Non credo d’avere nulla del genere, ma forse parlando con Scotty, possiamo rivedere la temperatura della sua cabina.»
«Lei è molto gentile, dottore», rispose l’ambasciatore.
«Faccio soltanto il mio dovere, signor… mh… Spock!» rispose Bones tentennate. Gli faceva uno strano effetto chiamare quel vecchio vulcaniano come il loro primo ufficiale ed, in effetti, quando aveva saputo del suo arrivo, aveva più volte domandato al capitano cosa avesse bevuto. L’aveva anche passato al suo scanner medico, ma non aveva trovato nulla fuori dall’ordinario, nessun danno cerebrale o nessun tipo di droga assunta. Il capitano Kirk gli era sembrato non soffrire d’alcun tipo di allucinazione.
Quando aveva visto Spock entrare in infermeria, McCoy sperò in cuor suo che la sua diagnosi fosse corretta, altrimenti avrebbe certamente sofferto lui stesso del medesimo misterioso male del capitano.
 

Bones socchiuse gli occhi studiando con attenzione i lineamenti del vulcaniano. Certo, assomigliava molto al loro Spock: il profilo del viso, la corporatura snella ma al contempo forte e il portamento erano in tutto e per tutto simili. Soltanto una luce differente brillava negli occhi dell’ambasciatore, qualcosa che pareva molto simile all’emozione umana. Leonard aveva addirittura avuto il presentimento che un leggero ghigno, del tutto paragonabile ad un sorriso, gli si dipingesse in volto. Davvero strano per un vulcaniano e, soprattutto, per uno come Spock.
«E così lei è Spock da vecchio, voglio dire nel futuro» si corresse immediatamente, senza nascondere imbarazzo.
«Dottor McCoy, è incredibile il fatto che più la conosco e più appare illogico ai miei occhi. Aveva il settantacinque virgola tre percento di probabilità di non diventare come il McCoy che ho conosciuto io, eppure lei è Leonard McCoy in tutto e per tutto.»
«Cosa sarebbe, un complimento o un’offesa?» sbottò il dottore. «Beh, se lo lasci dire: è proprio Spock. E ora maledetto sangue verde dei miei stivali, se permette, avrei bisogno di dormire. È da due giorni che son chiuso qui dentro a somministrare medicine anti-vomito e i cavalli da corsa non vincono il Kentucky Derby quando non hanno più benzina delle gambe.»
«Una strana metafora, dottore, specie perché paragona sé stesso ad un cavallo da corsa e non ne ha l'aspetto... Se mi premette, prima che si ritirari, le va d’accompagnarmi alla mia cabina? Sa, sono vecchio e tra tutti questi corridoi potrei perdermi...» mentì.

In realtà, Spock desiderava soltanto trascorrere quanto più tempo possibile con il suo vecchio amico. Per quanto l’avesse sempre trovato un individuo illogico e facilmente emozionabile, Spock dovette ammettere che la sua presenza gli era mancata. Ed ora che aveva l’occasione di rivederlo, non voleva perdere nemmeno un minuto.
«E la ritroveremmo a spasso per le gondole? No, per carità, andiamo! L’accompagno volentieri».
«Dottore, la sua gentilezza è davvero ammirevole».  
 

Leonard uscì in corridoio seguito da Spock, più l’osservava e più stentava a credere chi fosse in realtà. Ciò che lo colpiva maggiormente però era il suo sguardo, ad osservarlo con attenzione si poteva notare quanto gli brillassero gli occhi. Evidentemente doveva provare una certa emozione nell’essere nuovamente sull’Enterprise, il che aveva dell’incredibile, se si considerava che era per metà vulcaniano.
 

«Parlerò a Scott e al capitano della temperatura della sua cabina e, se dovesse avere dei problemi, può rivolgersi benissimo a me» disse Leonard, ormai giunto sulla soglia della sua stanza.
«Grazie, dottore» rispose il vulcaniano prima di sparirvi al suo interno.


Continua…


All’interno di questo capitolo ho, involontariamente, inserito una frase circa il fatto che Spock avesse visto morire Kirk. Ora… ho preso per buono tutto, se non erro Jim muore intorno al 2371 nella battaglia contro Soran mentre l’esplosione di Romulus e quindi gli eventi che portano poi al reboot avvengono nel 2387… prendendo per veritiere queste date (sperando che io non mi sia informata male) quella frase dovrebbe quindi essere corretta, ovviamente tenendo conto che Spock e Jim erano insieme. Mi è stato fatto notare che è strano il fatto che Bones esamini con lo scanner medico Jim, in realtà quella scena era volutamente ironica, spesso infatti nella serie si vede Bones tirar fuori il suo scanner ed esaminare gente un po' a destra e un po' a sinistra e spesso senza che questi se ne accorgano, mi viene in mente a questo proposito una scena nella TOS, tra Spock e McCoy. Qui nela scena che non abbiamo visto, ma che viene raccontata tramite i pensieri di McCoy, la situazione non è molto diversa. Ovvero Jim che dice che l'Enterprise andrà a prendere Spock e lui che tira fuori lo scanner medico e lo esamina senza farsi accorgere. ^^ Insomma sapete com'è Bones, no?

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Capitolo 7
*** Chiudi gli occhi ***


Chiudi gli occhi


Il capitano Kirk rientrò nella propria cabina che erano da poco passate le cinque del pomeriggio. L’Enterprise era una grande nave e la presenza dell’ambasciatore faceva sì che fossero continuo bersaglio di astronavi nemiche, erano stati attaccati più volte da romulani e klingoniani perché ‒ a quanto pareva ‒ entrambi gli imperi sembravano non gradire l’incontro di pace che stava per aver luogo sulla Terra. 
Erano scampati soltanto per merito della buona sorte o, a detta di Spock, grazie alle sue abilità di comando; a parere di Kirk però, era stata soltanto fortuna.

Jim si lasciò andare sul letto stiracchiandosi, era davvero esausto! Ma se il suo fisico era decisamente stanco, la sua mente era in subbuglio; ciò che aveva appreso da Bones, riguardo il suo apparente fidanzamento con Spock, l’aveva sconvolto. E dopo quasi una settimana, ancora faticava a capacitarsi del fatto che due dei suoi ufficiali lo ritenessero intimamente legato al suo secondo. La cosa peggiore però, era che lui e il vulcaniano non si erano ancora chiariti.

Nonostante avesse sentito una continua tensione crescere fra loro, Kirk aveva evitato il confronto. Mano a mano che trascorrevano i giorni, però, la situazione diventava sempre più insostenibile.

Quella sera attorno al fuoco, Jim aveva desiderato parlare subito con Spock e chiarire. Successivamente, però, aveva preferito riflettere ed aspettare che lui stesso avesse compreso i propri sentimenti. Per una volta non si era lasciato guidare dall’istinto e, probabilmente, era per quello che ora si sentiva tanto oppresso.


Lui e Spock dovevano parlare!

Preso dall’impeto si diresse verso l’interfono, richiamando il proprio ufficiale scientifico.
«Kirk a primo ufficiale Spock» disse con tono di comando.
«Qui Spock, capitano».
«Cosa sta facendo, comandante?» chiese.
«Sto svolgendo un’interessante ricer…»
«La metta da parte e venga nella mia cabina, immediatamente» l’interruppe Kirk, sbrigativo.
«Agli ordini, Spock chiudo».
 

Non appena ebbe chiuso la comunicazione, Jim si sentì invadere da uno strano senso di nausea: il suo cuore prese ad accelerare, mentre piccole goccioline di sudore iniziarono a bagnargli la fronteEra agitato come mai lo era stato in vita sua. Cosa gli avrebbe detto? Come avrebbe potuto spiegare a Spock la portata dei propri sentimenti e la confusione che aveva provato durante settimana appena trascorsa?
 
Quando Kirk sentì la sua voce profonda fuori dalla porta sobbalzò, indietreggiando appena.
«A-avanti» balbettò in evidente imbarazzo.
 
Spock entrò nella piccola cabina, procedendo con passo sicuro; si mise poi sull’attenti, aspettando ordini dal proprio capitano. Se Kirk l’aveva convocato tanto urgentemente, doveva essere accaduto qualcosa di grave o quantomeno la questione era seria.
«Spock» esordì Jim, «ritengo sia giunto il momento di parlare delle affermazioni di Uhura e McCoy avvenute una settimana fa.»

Il vulcaniano mutò l’espressione del viso in maniera quasi impercettibile; non era proprio riuscito a restare impassibile di fronte a quella rivelazione.
«Andiamo, Spock, non si scomponga tanto. Lo sapeva che primo o poi avremmo dovuto affrontare la questione, non è il caso di sconvolgersi» disse Jim. 
Spock annuì con un cenno del capo, rilassandosi appena. Il capitano non aveva fatto parola per giorni di quanto era accaduto, mentre ora sembrava evidentemente desideroso di chiarire la faccenda. Anche se era più che pronto ad accettare quanto deciso da Kirk, forse sarebbe stato necessario che Jim sapesse del legame, prima di prendere una decisione in merito a quella spinosa questione. Se avesse deciso di rifiutarlo, le conseguenze sarebbero ricadute su entrambi; era quindi logico che ne dovesse essere messo al corrente.
«Capitano, io…» esordì  il primo ufficiale.
«Per favore non interrompermi, Spock», disse Kirk, «perché non è per niente facile ciò che sto per dire.»

Invitato da Jim, Spock si sedette su di una sedia accanto alla scrivania, incrociando le braccia al petto ed assumendo il suo solito cipiglio. Le sue iridi scure vagarono alla ricerca del capitano; lo scoprì ad osservarlo e poi deviare inevitabilmente lo sguardo a terra. 
Quel comportamento era davvero strano, anche per uno come Kirk. Spock faticava non poco a comprendere il senso della maggior parte delle emozioni umane, ma l’imbarazzo era certamente la più difficile da giustificare. Raramente aveva visto il viso del capitano Kirk tanto rosso per la vergogna e, soprattutto, mai aveva evitato il suo sguardo. Sapeva ovviamente che gli esseri umani non avevano una mente controllata come quella dei vulcaniani, ma quel comportamento vergognoso era strano anche per lui.

«Quella sera», lo sentì esordire. «Quando Bones venne da noi a dirci quelle cose, ti confesso che ne rimasi sconvolto. È vero, volevo parlarne subito, ma poi mi sono reso conto che non sapevo cosa dirti. Quando mi sono ritrovato da solo in quella tenda, ho capito che mi era necessario il doverci riflettere; ho quindi lasciato che i giorni passassero e solo oggi ho trovato il coraggio di chiamarti.»
«E questa decisione ha forse a che fare con l’arrivo dell’ambasciatore Spock?»

Quella domanda non stupì il capitano Kirk, molto spesso le abilità deduttive del suo primo ufficiale erano sorprendenti. Non si meravigliò quindi, che avesse intuito le sue motivazioni.

«Hai indovinato» esclamò, sedendosi di fronte a lui.
«Indovinato? No, l’ho semplicemente…»
«Sì, Spock, l’avevo capito; intendevo dire che come al solito la tua logica è impeccabile.»
«Ritengo sia logico che la mia logica sia logica, capitano.»

Nel sentire quelle parole, Jim trattenne a stento una sonora risata. Avere a che fare con quel vulcaniano era stranamente piacevole e lo era nonostante il più delle volte lo facesse innervosire con cifre e percentuali. Di certo loro due erano agli antipodi, e lo si comprendeva per bene quando si mettevano a discutere di logica. In quei casi potevano andare avanti a parlare per delle ore, specie se il dottor McCoy era nei paraggi. Comunque quella non era la situazione più adatta per mettersi a parlare della brillante mente dell’ufficiale scientifico.
«Per rispondere alla tua domanda, Spock, sì la mia decisione ha a che fare con lui e ‒ più precisamente ‒ ha a che fare con una sensazione.»
«Sensazione?» indagò. Il vulcaniano faticava a comprendere anche il famigerato sesto senso che molti umani vantavano d’avere; spesso infatti, le loro sensazioni non avevano alcun fondamento logico o scientifico.

«Quando mi cacciasti dall’Enterprise, dopo che il capitano Pike finì alla mercé di Nero, io finii su Delta Vega. Lì incontrai Spock e, quando mi chiese come avessi fatto a trovarlo e a sapere di lui, io non capii quel che mi stava dicendo. Mi disse che con una fusione mentale avremmo fatto più alla svelta e che, solo in quel modo, lui avrebbe saputo quel che mi era accaduto.»

Kirk si fermò per un istante schiarendosi la voce; ora arrivava la parte difficile.

«Avevo già sentito parlare della fusione mentale. Ero a conoscenza del fatto che fosse una pratica che molti di voi ritengono intima, tanto che fino a qualche centinaio di anni fa era addirittura ritenuta fuori legge. Sapevo a stento in cosa consistesse la procedura, ma quel giorno lo capii bene e, dopo che lui posò la sua mano sulla mia testa, io vidi tutto. Gli eventi che lo portarono al nostro tempo, il suo dolore per la distruzione di Vulcano, i sentimenti d’amicizia che provava per i suoi amici: Sulu, Scotty, Checov… L’affetto che sentiva per i suoi genitori… Più di tutto però vidi me stesso o meglio vidi Jim Kirk, il suo Jim Kirk. Spock non riuscì a nascondermi l’amore che provava per lui e il sentimento che li univa. Sentii anche l’emozione che aveva provato nel rivedermi e il suo stupore nello scoprirmi tanto uguale a lui; quando il tutto finì, io ne rimasi sconvolto. Tutti quei sentimenti fusi insieme: dolore, amore, amore potente e devastante, mi scioccarono. Dovetti sopprimerlo e seppellirlo, cancellarlo dalla mia memoria per riuscire ad andare avanti. In una qualche maniera, tutto quello che avevo visto nella sua mente, finì in un angolo remoto del mio cervello e me ne dimenticai. Oggi, però, quando l’ho rivisto… Non so spiegarti, ma è come se avessi ricordato ogni cosa. E poi quello sguardo… Diavolo, è così simile al tuo. Ed allora ho capito. Ho compreso finalmente quanto mi piaccia essere guardato così. Spock, io provo dei sentimenti per te. Non capisco come sia potuto accadere, ma è come se ti conoscessi da sempre, e non ho idea di come Uhura e McCoy l’abbiano capito prima di me. Eppure loro sono riusciti a vedere quel qualcosa che noi ci ostinavamo a nascondere. Ed allora tutti i sogni che avevo fatto su di te, su di noi e su di loro, tutto l’amore che avevo visto quel giorno nella mente di Spock, ha avuto finalmente un senso.»
 
Kirk fece una pausa, le parole gli erano uscite a come in una valanga. Sollevò lo sguardo sul proprio ufficiale e, scoprendolo attento e serioso, gli venne da ridere. Ridere come non faceva da tempo, adorava i vulcaniani! E avrebbe dato tutto l’oro del mondo per sapere quel che stava rimuginando quella mente eccezionale.
«Vedi, Spock, ho trascorso gli ultimi giorni a guardarti e ad osservarti, cercavo disperatamente di capire cosa stessi pensando. E non ci sono mai riuscito, tu sei sempre così impassibile… Anche quando Bones ci disse quelle cose, pareva che non te ne importasse niente!»
 
Spock sollevò lo sguardo su di lui: Jim era rosso in viso, ma sembrava non provare più imbarazzo, più che altro pareva passione. I suoi occhi brillavano di una luce mai vista e, inoltre, le sue parole e la sua confessione l’avevano toccato nel profondo.
«Il fatto che io non mostri le mie emozioni, non significa che non ne provi» disse, «ciò che ha detto il dottor McCoy ha suscitato qualcosa anche in me e, quella notte, quando mi dicesti che avremmo dovuto parlare, ero certo che stessi agendo d’istinto. Una reazione logica per un essere umano con le tue caratteristiche comportamentali; tuttavia ritenni necessario il dover riflettere. Ho fatto trascorrere i giorni perché ritenevo che tu non fossi ancora pronto, percepivo il tuo imbarazzo quando restavamo soli… Mi hai detto di sentire un qualcosa, ma che fino ad ora non avevi capito con chiarezza di cosa si trattasse. In realtà, Jim, quello cieco sono stato io. In tutti questi mesi non mi sono accorto che tra di noi si stava formando il legame.»
«Legame?» domandò il capitano senza capire, «Ha a che fare con il fatto che sei vulcaniano?»
«Sì» annuì Spock.
«E sarebbe?» indagò Jim accalorato, ora desiderava sapere.
«Il legame è un una sorta di unione che si forma tra un vulcaniano e il proprio compagno. Io non credevo possibile che si formasse con te; oltre ad essere terrestre, sei di sesso maschile e non ho mai sentito parlare di omosessualità sul mio pianeta.»
«Davvero?» domandò Kirk incuriosito, sulla Terra la situazione era invece ben diversa; lui stesso aveva avuto molti partner uomini e non ne aveva mai fatto mistero.
«Ritengo che sia per il fatto che l’unione tra due persone dello stesso sesso, sia considerata illogica. Essa infatti non ha scopi riproduttivi ed, essendo i sentimenti d’amore del tutto illogici, lo stesso legame tra me e te è privo di senso.»
«Capisco» rispose Jim, abbassando lo sguardo. 
D’un tratto era come se sentisse un vuoto scavare dentro di sé ed una profonda tristezza oscurargli il cuore; temeva infatti d’aver avuto la sua riposta.
«Tuttavia ora esiste e mi è impossibile ignorarlo; perciò, se tu lo gradisci, credo che potremmo diventare più intimi.»

Kirk si stupì sinceramente, Spock aveva appena detto che la loro unione era illogica. E se c’era una cosa che sapeva dei vulcaniani, era che non facevano nulla che non avesse un senso; perché dunque unirsi a lui?
«Intendi dire che tu staresti insieme a me nonostante la cosa non abbia alcun senso logico?»
«Sì» annuì Spock.
«E andresti contro tutto quello in cui credi, contro gli insegnamenti dell’Accademia delle Scienze e delle leggi di Surak, solo per me?»
«Esattamente» rispose il vulcaniano.
«E perché lo faresti?» domandò Jim, con un filo di voce. Il cuore gli stava battendo all’impazzata e un fremito lo pervase, provocandogli brividi in tutto il corpo.

«Perché nulla mi è mai sembrato tanto sensato in vita mia. Ciò che è illogico per Vulcano ‒ o di ciò che ne rimane ‒ e per l’Alto Consiglio, non lo è per me. Starti accanto mi rende sereno e in pace con me stesso, il sentimento che hai scatenato dentro di me è potente e il legame che ora ci unisce mi rende parte di te, come tu ora lo sei di me. Se dovessi rifiutarlo io mi sentirei incompleto; quindi sì, Jim, io gradirei molto unirmi a te a tempo indeterminato.»

Quando Jim sollevò lo sguardo sul primo ufficiale, seduto di fronte a lui, si perse nella profondità di quelle meravigliose iridi scure. L’avevano davvero fatto? Si erano realmente messi insieme? Il capitano Kirk stentava a crederlo, specialmente perché, apparentemente, le parole di Spock avevano tutto tranne che del romantico. Lentamente, il capitano si alzò dalla propria sedia, superando la scrivania con passo lento, ma deciso. Raggiunse Spock tendendogli una mano e sorridendogli dolcemente, quando notò le sue gote inverdire nel vederlo proteso verso di lui.
«Prendi la mia mano» sussurrò Jim.
«Ecco Jim, noi su…»
«Prendila» ripeté Kirk con tono perentorio.

Spock lo guardò intensamente, i suoi occhi erano decisi e seri. Quante volte l’aveva visto con quell’espressione determinata in viso? Quello però che il capitano non sapeva, era che un gesto per lui tanto semplice, come prendersi per mano, era in realtà un qualcosa di estremamente intimo, al pari di un bacio. 
Spock avrebbe voluto spiegarlo, al suo capitano, ma i suoi occhi e la luce che vi vedeva brillare, lo fecero desistere. In fondo erano appena diventati intimi; che c’era di male?

Lentamente il giovane vulcaniano, s’alzò dalla sedia allungando una mano fino a sfiorare quella di Kirk. Sussultò quando percepì le sue dita calde sfiorare le proprie in un tocco lieve e delicato, che lo fece fremere.
«Chiudi gli occhi» sussurrò Jim con voce dolce. Seppur tentennante, Spock obbedì, lasciandosi andare a quel tocco piacevole. In tutta la sua vita non aveva mai provato nulla di simile e, il bacio vulcaniano che lui e Kirk si stavano scambiando, era di certo la cosa più bella che avesse mai fatto.

Quando però le labbra di Jim toccarono le sue, Spock si dovette ricredere: la sua neonata relazione con il capitano era una continua sorpresa.
 
 

*



Il capo ingegnere Montgomery Scott amava molte cose: il buon cibo, l’ingegneria, i “suoi” splendidi motori a curvatura e le belle donne. Ma la sua passione per la meccanica non era nulla se paragonata ad un bicchiere di ottimo whisky scozzese; era un vero peccato che simili bevande fossero irreperibili nello spazio profondo. L’unica bibita alcolica che aveva provato da che era imbarcato, era uno strano intruglio azzurrino di origine andoriana, che quegli antenne blu avevano impropriamente definito birra. In ogni caso, nulla era paragonabile alla dolcezza del malto d’orzo e al bel colore ambrato del suo Scotch preferito. Se chiudeva gli occhi, riusciva ad immaginarsi mentre ne sorseggiava un bel bicchiere mentre si godeva il tepore di un camino acceso, seduto comodamente sulla sua poltrona preferita. Se si concentrava, Scott riusciva a sentire l’ottimo profumo di malto e…

«Signor Scott». La voce del suo secondo, Frank Melinor, interruppe la sua fantasia, risvegliandolo bruscamente. 

Il capo ingegnere sobbalzò, guardandosi attorno spaesato.
«Cosa, come?»
«Signore, le facevo presente che l’ambasciatore Spock ha fatto richiesta di poter aumentare la temperatura della sua cabina, vuole che me ne occupi io?»
«Mh, temperatura?» chiese senza capire.
«Esattamente, il dottor McCoy dice che con l’età avanzata i vulcaniani soffrono il freddo. Sostiene che la lunga permanenza qui a bordo potrebbe farlo ammalare» spiegò il guardiamarina.
«No, ci penso io» annuì il capo ingegnere. «Tu controlla quei relè e se è necessario fatti aiutare da Chow. Alla velocità alla quale stiamo viaggiando non deve sfuggirci nulla, questa bellezza non reggerà curvatura sette, se non diamo il cento per cento. Io vedrò di sbrigarmela in fretta.»
«Sì, signore» annuì l’aiutante mettendosi subito al lavoro.
 
Mentre suonava il cicalino accanto alla porta della cabina di Spock, Scott sperò che non fosse in meditazione. Non sapeva molto sui vulcaniani, ma abbastanza da sapere che quando eseguivano pratiche del genere, raramente si mostravano ad estranei. E lui non aveva tempo da perdere, perché il capitano Kirk aveva bisogno di tutta la velocità disponibile e, la sua presenza in sala macchine, era strettamente necessaria.
«Sono il capo ingegnere Scott, ambasciatore, sono venuto per regolare la temperatura della sua cabina.»
«Avanti» disse una voce profonda.

Montgomery entrò a passo incerto, la stanza ‒ immersa nella penombra ‒ era illuminata soltanto dalla luce fioca di alcune candele, poste ordinatamente sulla scrivania accanto al letto.
«Mi scusi» disse l’ingegnere a voce bassa, «non volevo disturbarla.»
«Non l’ha fatto, Scott, attendevo il suo arrivo: il dottore mi aveva avvisato che sarebbe passato.»
«Provvedo immediatamente a regolare la temperatura, ma dovrò informare il capitano prima di procedere.»
«Oh, lo informeremo più tardi, non mi pare il caso di disturbare lui e Spock in un momento simile» disse il vecchio vulcaniano, invitando il capo ingegnere a procedere.
 

Perplesso, Scott iniziò a lavorare.


Continua…



Sì, lo so… ho interrotto la scena tra Kirk e Spock un po’ bruscamente, ma dopo il bacio (doppio bacio a dire il vero se si conta anche l'altro) ritenevo d’avervi saziato a sufficienza. Inoltre, chi ha visto Enterprise, avrà di certo colto il riferimento riguardo la fusione mentale, in quella serie, molto antecedente a questo film, la fusione mentale non era ben vista all’interno dell’Alto Comando, mi sono quindi basata sui fatti narrati lì per il riferimento. Un’ultima cosa… nel film le origini di Scott sono ben poco approfondite, ma come si può vedere dalla TOS, lui ha un forte legame con la Scozia ed un marcato accento scozzese nella versione originale. Come si nota in più di una puntata, inoltre ha una particolare passione per il whisky e gli alcolici in generale e dato che la birra andoriana ha un colore tutto tranne che invitante… insomma ho fatto due più due!

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Capitolo 8
*** This never happened before ***


This never happened before
 

Una lenta scia di piccoli baci, risalì lungo il corpo magro del primo ufficiale Spock, il quale ‒ disteso sul letto di Kirk ‒ si lasciava andare come mai aveva fatto prima d’allora. 
Dopo quel primo bacio tutto era avvenuto rapidamente: aveva visto i propri abiti cadere a terra uno ad uno mentre lui stesso si premurava di spogliare il capitano; si erano poi distesi entrambi sul letto della piccola cabina, lasciandosi trasportare dalle emozioni.

«Jim» disse Spock in un soffio, mentre i baci del capitano non si fermavano e risalivano lungo il collo, soffermandosi sulle orecchie appuntite.
«Le tue orecchie sono eccitanti, Spock» mormorò Kirk, sorridendo, tra un bacio e l’altro mentre le sue mani gli accarezzavano il torace ed i loro inguini si sfioravano, provocando brividi in entrambi. Spock sollevò lo sguardo, sorpreso dalle parole del capitano: non capiva davvero cosa avessero di così speciale i suoi lobi.

Aveva già notato in precedenza che spesso gli umani citavano il fatto che le avessero appuntite, aveva anche pensato che ne fossero invidiosi, anche se era del tutto insensato.
«Gradirei sapere come mai le mie orecchie ti attirano tanto» sussurrò, cercando in tutti i modi di trattenersi dal gemere apertamente; ciò che Kirk gli stava facendo era indubbiamente la cosa più piacevole che avesse mai provato in tutta la sua vita.
«Mh, magari ne parliamo dopo» rispose Jim, tornando ad occuparsi del suo primo ufficiale con doverosa perizia.


Spock chiuse gli occhi abbandonandosi alle emozioni che Jim gli stava facendo provare: sentiva le sue mani ruvide accarezzargli il torace e l’addome, percepiva le sue labbra delicate sfiorargli il collo e i capezzoli, avvertiva distintamente le sue gambe forti strusciarsi contro le sue ed intrecciarsi le une con le altre.
«Perché abbiamo aspettato tanto?» si sentì domandare da Jim.

Strano, il suo tono pareva quasi disperato.

Afferrò la sua mano, intrecciando le sue dita con le proprie, mentre con l’altra mano gli accarezzava il viso. 
I suoi occhi erano meravigliosi, di un blu intenso e particolare, le guance erano arrossate, i capelli deliziosamente arruffati e le labbra gonfie.
«Jim» sussurrò prima di posare un bacio sulla sua bocca.
«Spock, tu lo vuoi fare davvero? In fondo sta succedendo tutto così in fretta che…»
«Sarebbe insensato fermarsi» rispose Spock.
«V-va bene» balbettò, «tu vuoi stare, voglio dire…»
 
Il vulcaniano sollevò un sopracciglio; non credeva che il capitano fosse tanto pudico o, quantomeno, non pensava che in certe situazioni fosse così ritroso. Da quel poco che sapeva, Jim aveva sempre avuto fama d’essere un gran amatore. Quel suo atteggiamento era strano.

«Jim, stiamo per avere un rapporto sessuale consenziente, non hai motivo d’essere nervoso. Se lo gradisci puoi stenderti e far svolgere a me il ruolo attivo; per quel che mi riguarda non ti fare scrupoli, la mia costituzione fisica è differente dalla tua. Proprio per questo la resistenza al dolore è senza dubbio maggiore rispetto a quella di un essere umano. Propongo quindi che, essendo questa la nostra prima esperienza, sia io a ricevere. Questo ovviamente, se va bene anche a te.»
«Ovviamente…» ripeté Jim, con tono sarcastico.
 
Il capitano scrollò la testa; Spock lo sorprendeva ogni volta. Così come le sue deduzioni logiche lo lasciavano senza parole, ora la sua freddezza nel trattare quegli argomenti era quasi fastidiosa.
 
Kirk lo spinse sul materasso, afferrando con forza i suoi polsi e bloccandoli contro il lenzuolo leggero. Si chinò poi sul suo volto verdastro, baciandolo avidamente. 
Con passione sempre più crescente, s’impossessò del suo corpo, lambendolo e divorandolo. Quando entrò dentro di lui, Kirk chiuse gli occhi, provando a resistere alla tentazione di farlo suo con forza. Ruggì quando sentì un leggero sospiro uscire dalle labbra sottili di Spock ed allora, invogliato dalla sua espressione serena, iniziò a spingere.

Essere in lui, stare dentro il suo corpo caldo, gli pareva la cosa più naturale che avesse mai fatto. Come poteva essere quella la loro prima volta? Com’era possibile che non avesse mai baciato prima quella pelle chiara? Che non avesse sfiorato prima i muscoli forti del suo torace, e che non avesse mai affondato le mani tra i suoi capelli morbidi?

Una miriade di pensieri si affollarono nella mente di Kirk, svanendo poi come neve al sole, quando percepì l’orgasmo farsi sempre più vicino. 
E quando i loro piaceri si fusero in uno solo, Jim s’abbandonò, venendo con un grido potente che riecheggiò nella piccola cabina.
 
 
Steso sul morbido materasso del letto di Jim, Spock si lasciò andare ad un sospiro. Percepiva il peso del proprio compagno che, sdraiato sopra di lui, non accennava a volersi spostare.
«Ora mi sposto» mormorò Kirk, parlando contro la pelle verdastra della sua spalla.
«Mh» rispose Spock sovrappensiero. La mano che accarezzava la schiena muscolosa del compagno si muoveva con fare ipnotico, mentre lo sguardo era perso nel vuoto.
«Tutto bene?» chiese Jim, sollevandosi su un gomito.
Il capitano osservò l’espressione stranita del vulcaniano e sistemandosi meglio al suo fianco, cercò d’attirare la sua attenzione.
«Sicuro di star bene, Spock?» domandò nuovamente, passandogli una mano davanti al viso.
«Jim, non mi era mai successa una cosa del genere prima d’ora. Il nostro legame ora è ben saldo, è cresciuto e lo farà ancora, se prima il pensiero d’allontanarmi da te era fastidioso, ora è lancinante.»
«Perché te ne preoccupi? Non ne hai motivo, non ho alcuna intenzione di separarmi da te.»


Il capitano si avvicinò poi a Spock cingendolo tra le braccia mentre l’altro faceva altrettanto. Poggiò la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi e beandosi del suo odore. Era bellissimo stare così con lui, dolcemente abbracciati l’uno accanto all’altro, dopo aver finito di fare l’amore per la prima volta.
 
E sì, Spock aveva ragione, il loro legame ora era più forte. Lui stesso riusciva a percepirlo e quel vuoto che aveva sentito distintamente, quella sensazione di malessere che percepiva quando vedeva Spock insieme ad Uhura, ora era svanito. Jim non voleva credere che quella fosse solo mera gelosia, non voleva svilire a quel modo il sentimento che li univa. Se ci pensava ora, si rendeva conto che  inconsapevolmente ne aveva provata, ma non voleva sminuire a quel modo il loro legame. No, non era stata solo gelosia, era ben altro, era quella sensazione di vuoto, quel terribile presentimento che gli mancasse una parte di sé stesso. Era il legame. Jim non seppe se era per quegli strani pensieri, ma una domanda gli tornò alla mente. Un dubbio che gli ronzava in testa da mesi, qualcosa che non aveva mai osato domandare al suo primo ufficiale.
«Posso farti una domanda?» domandò sollevando lo sguardo sul vulcaniano.
«Sì» annuì Spock.
«Quando eravamo nell’astronave dell’ambasciatore mi hai detto: “Dì a Uhura che…” cosa volevi dire, che l’amavi?»
«No» negò Spock con il capo, «non ho mai sentito per lei alcun sentimento d’amore ed ora che sono con te è ben chiaro nella mia mente. Ho provato interesse per lei ed affetto, ma se si parla di unione e di legame, beh, tra di noi non c’era nulla di tutto questo.»
«Quindi quella volta volevi dirle che…»
«Che la ritenevo libera di cercarsi un altro compagno.»
 
Jim sorrise sollevato, per un istante aveva creduto chissà cosa e, anche se sapeva che il suo compagno non l’avrebbe potuto capire, si ritrovò a pensare che, forse, Spock avrebbe dovuto far l’abitudine a tutte quelle umane emozioni.
 

Continua…



Il Titolo di questo capitolo è in inglese. La traduzione sarebbe “non mi è mai accaduto prima” lo trovavo azzeccato per la situazione. Come avrete notato è l’unico (e sarà l’unico) in questa lingua! Il motivo è semplice: è stato rubato ad una canzone: “This never happened before” di Paul McCartney. La canzone l’ho sentita per la prima volta nel film: “La casa sul lago del tempo” con Sandra Bullock e Keanu Reeves. Ecco il link al video, vi consiglio d’ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=0VmUqGIBk6c

Lo so, non sono un gran che a scrivere lemon, non volevo che fosse eccessivamente dettagliata, volevo mantere il tutto sul soft e cercare di dare spazio, anche in scene come questa, ai sentimenti dei due personaggi. Il dialogo finale era uno sfizio che volevo levarmi, perché “quella frase” detta da Spock a Jim, proprio mi era rimasta sullo stomaco!

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo
 
La baia di San Francisco si stagliava davanti ai suoi grandi occhi scuri, occhi profondi, occhi umani… 
Un vento fresco gli scompigliò i capelli; l’aria che spirava dal mare e che sapeva di salsedine, gli lambiva il viso stuzzicandogli le narici. L’odore dell’acqua salata era strano, acre, ma affascinante al tempo stesso. Il suo sguardo vagò rapido sulla superficie dell’acqua, per nulla infastidito da riflessi e giochi di luce che il sole creava.

A lui era sempre piaciuto quel posto. L’oceano era qualcosa che gli suscitava più di un interesse; le numerose forme di vita che lo popolavano lo rendevano affascinante, così come la quantità di umani che frequentava quel piccolo porto. Strane imbarcazioni lussuose erano attraccate al molo, bellissime barche abitate da ricchi uomini, le cui compagnie femminili erano a dir poco sorprendenti. Bellissime donne, formose e decisamente spigliate ne ornavano i ponti, quasi fossero trofei od oggetti decorativi.

Il primo ufficiale Spock ne era affascinato, gli piaceva guardarli e studiarne i comportamenti, cercando di comprendere la natura di quegli strani terrestri.
«Che fai qui? La baia non è troppo umida per te?» 
La voce di Jim, il suo T’hy’la, lo riscosse dalla sua opera di contemplazione. Spock spostò lo sguardo scoprendo il proprio compagno sorridente, gli agitava davanti al viso una bottiglia contenente uno strano liquido color ambra.
«Che c’è di tanto bello?» mormorò Kirk fra sé guardandosi attorno incuriosito. «È un porto per yacht!» sbottò infine.

Il capitano non riusciva a comprendere l’interesse del suo compagno per quel piccolo porticciolo e, quando gli aveva ventilato la volontà di volerci andare, Kirk non era riuscito a coglierne il motivo.
«Vivo tra gli esseri umani da molti anni, sono per metà terrestre e il mio compagno è l’essere umano più distante dal mio modo di vivere che io conosca eppure, nonostante la mia esperienza, ancora fatico a comprendere certi vostri atteggiamenti.»
«Del tipo?» domandò Jim sollevando un sopracciglio, assumendo in quel modo un’espressione che ricordava in tutto e per tutto quelle che, tanto spesso, dipingevano il volto suo T’hy’la.
«L’ultima volta che sono venuto qui è stato due anni, tre mesi e quarantotto giorni fa…»
«Hai scordato di dire le ore» ironizzo Kirk, appoggiandosi al parapetto ed inspirando l’aria del mare, mentre il suo compagno continuava la spiegazione, ignorando l’ironia con il quale Jim l’aveva interrotto.
«Dovevo accompagnare un ufficiale vulcaniano che era venuto a trattare con un rigeliano, che aveva preso sede qui, su una di queste barche.»
«E allora?»
«Rimasi affascinato dalla tipologia di essere umano che popola questo luogo, che è interessante, al pari di quell’individuo.»
Spock indicò un grande yacht di colore nero, ormeggiato a pochi metri da loro. Sul ponte di quella grande barca, vi stava un uomo di mezza età, dal fisico molle e grassoccio e dall’aspetto trasandato. Al suo fianco, due bellissime donne gli facevano compagnia, sorseggiando di tanto in tanto un liquido chiaro, contenuto in un elegante bicchiere di cristallo.
«Sì non è un gran che… Le ragazze sono bellissime, invece» annuì Jim con convinzione; non vi vedeva nulla di strano.

«Ebbene» esordì Spock. «Lui sembra piuttosto anziano e il suo aspetto fisico è molto trasandato: l’adipe che s’intravede attraverso la camicia è più che evidente e lo rende ben poco attraente. I capelli sono molto diradati, anche se dalle informazioni in mio possesso, la calvizie è una caratteristica della vostra specie. Ho notato infatti, che alcuni individui perdono i capelli anche in età molto giovane. Nonostante il sessantotto virgola cinque per cento degli uomini restino degnamente attraenti, il soggetto in questione non è da classificarsi come: di bell’aspetto.»
«E da quando voi altri notate la bellezza esteriore?» chiese Kirk senza riuscire a trattenersi. Non sapeva che i vulcaniani facessero caso a certe cose, soprattutto non credeva che il suo vulcaniano lo facesse. Era sicuro del fatto che usassero la logica in ogni loro ragionamento, gli faceva quindi uno strano effetto quindi, che guardasse la bellezza negli altri individui.
«Non giudico una persona dal suo aspetto fisico, tuttavia il fatto che io ragioni secondo logica, non significa che non sappia apprezzare la bellezza in quanto tale. Quell’uomo è ovviamente non attraente e, altrettanto logicamente, tu sei decisamente di bell’aspetto.»

Jim sorrise tra sé e, mentre il suo compagno riprendeva il proprio racconto, lui non riusciva a non godere di quello stranissimo complimento che Spock gli aveva appena fatto.

«Per tornare a quel terrestre, ritengo che essendo lui in avanti con gli anni, desumo che anche le sue funzioni sessuali siano molto debilitate. Non riesco quindi a comprendere appieno il motivo per il quale quelle giovani donne restino in sua compagnia e in atteggiamenti tanto intimi, per giunta. La logica e l’attenta osservazione che ho effettuato, mi invitano a pensare che tra le due femmine ci sia in atto una sorta di competizione che può essere di due nature differenti. La prima è che ognuna di loro provi dei sentimenti d’amore; quando una femmina terrestre si innamora diventa, infatti, estremamente territoriale e possessiva. La seconda possibilità è che essendo l’uomo anziano e, contro ogni ragionevole dubbio, ricco, le due donne aspirino a sposare l’uomo per entrare in possesso dei suoi beni materiali. Data la mole fisica e l’età avanzata, direi che non gli restano molti anni di vita. Vi è tuttavia un’ultima ipotesi che è invece più venale: può essere che siano delle prostitute e che lui le abbia pagate per avere la loro compagnia. Questo spiegherebbe il comportamento delle ragazze e, soprattutto, la loro spigliatezza.»
 «Spock, tu hai qualche problema» rispose Jim scrollando la testa; era davvero quello che il suo compagno pensava quando non stava al lavoro? Perché una parte di lui, aveva quasi paura.

Il primo ufficiale sollevò un sopracciglio, era tanto strano quel che aveva detto? Forse però il suo T’hy’la non amava quel tipo di discussione, il che era molto probabile data la sua mente inferiore. 
Era quindi più saggio deviare la conversazione su un qualcosa di meno impegnativo e, il nuovo acquisto di Jim, sembrava fare al suo caso.
«Hai trovato ciò che cercavi?» domandò.
«Mh? Ah il regalo per Scotty, sì, l’ho trovato» annuì Jim, sovrappensiero. Il capitano non riusciva a levarsi dalla mente le parole di Spock; con lo sguardo infatti ancora fissava il gruppetto sulla barca.
«Io ancora non capisco il senso di questo regalo.»
«Spock, te ne ho già parlato mi sembra: è solo una gratifica» spiegò Jim.
«Il capo ingegnere è un valido ufficiale della Flotta Stellare, svolge i suoi compiti con solerzia e maestria e dimostra una mente logica e brillante, del tutto inusuale per un essere umano. Non comprendo il motivo per il quale debba essere gratificato per il normale svolgimento del proprio lavoro.»
«Oh, andiamo, lo sai il perché…» ripose Jim, voltandosi ed appoggiandosi alla balaustra incrociando poi le braccia.

Spock sollevò un sopracciglio senza però proferire parola: era solito esprimere i suoi dubbi e la sua poca convinzione su un qualcosa, con quel semplice gesto. Non erano necessarie parole, perché Jim lo capiva sempre al volo.

Il vulcaniano vide il suo compagno sollevare gli occhi al cielo e sbuffare, pareva che i suoi dubbi in proposito, lo irritassero o forse divertissero. Certi dettagli di lui, ancora non gli erano del tutto chiari.
«Durante questi ultimi giorni di navigazione, ci siamo assentati un po’ troppo spesso e per motivi puramente personali» esordì. «E sai quanto Scotty detesti stare sul ponte di comando e quanto ami piuttosto il rimanere tra i “suoi motori”. Chiamalo: un regalo di ringraziamento. Ed ora, primo ufficiale Spock, se ha terminato il suo studio sul comportamento illogico delle donne umane, farei ritorno al trasporto.»
«Come desidera, capitano» annuì il vulcaniano incrociando le braccia dietro la schiena e seguendo il suo Jim Kirk.

Prima d’allontanarsi però, Jim si soffermò ad osservare la figura del proprio compagno; lo richiamò a voce tendendogli poi la propria mano e mostrandogli le sue dita protese.
«Credi sia eccessivamente ardita la mia richiesta, Spock?» domandò Kirk indicando con lo sguardo il bacio vulcaniano che desiderava.

Spock si avvicinò a lui dubbioso; in effetti non era usanza il baciarsi davanti ad estranei o, quantomeno, in luoghi pubblici. Il suo T’hy’la sembrava però desiderarlo ardentemente e d’altronde, quel sorriso dolce e gentile che gli si era dipinto in viso, lasciava poco spazio all’immaginazione. Sapeva quel che stava pensando… 
Spock annuì leggermente e allungò le dita toccando quelle di Jim.

Quando s’allontanarono dal porticciolo, pochi istanti più tardi, camminavano l’uno a fianco dell’altro e le loro mani erano intrecciate.
 
 

*

 

«Ehi, hai sentito?»
«Sentito, cosa?»
«Kirk, il capitano dell’Enterprise: quello giovane e carino, sembra che se la intenda con il suo primo ufficiale. Quel vulcaniano… Spock.»
«Cosa?»
«Te lo giuro, Beth, un’amica mi ha detto d’averli visti. Erano sul molo e guardavano l’oceano e, quando si sono allontanati, si sono presi per mano.»
«Oh, ma che carini… E poi hai perfettamente ragione, Kirk è un vero schianto e non è il solo, anche Spock è bellssimo. Quanto mi piacciono i vulcaniani con quelle orecchie a punta... Ma, aspetta che ti offro da bere, così mi racconti tutto nei dettagli.»
 
L’ambasciatore Spock sorrise tra sé, divertito dal breve dialogo che aveva appena udito. Anni fa non avrebbe potuto apprezzare appieno quelle parole, ma ‒ per sua fortuna ‒ ora poteva farlo nel migliore dei modi. 
Non aveva la certezza piena che Kirk e Spock si fossero uniti soltanto per merito suo, ma in ogni caso era un qualcosa che doveva accadere.

Così come lui e il suo Jim Kirk si erano amati, anche il Kirk e il Spock di questa dimensione non sarebbero potuti sfuggire al loro destino.
 
L’ambasciatore s’incamminò verso la sala delle conferenze, il primo incontro avrebbe avuto luogo a minuti e lui non poteva lasciarsi andare alla malinconia.


Già, perché tornare sull’Enterprise era stato devastante. Camminare nuovamente per i ponti, rivedere i suoi vecchi compagni: Uhura, McCoy, Scotty, Checov… Tenere a bada le proprie emozioni era stato più difficile di quanto avrebbe mai creduto. E a stento la sua meditazione l’aveva placato. Ciò che l’aveva sconvolto maggiormente, però, era stato Jim Kirk. Quel giovane capitano era così simile al suo T’hy’la... La maniera di parlare, di muoversi e le espressioni del viso e poi il corpo, gli occhi e la muscolatura perfetta; indubbiamente gli piaceva ancora.

Giunto nel grande salone che avrebbe ospitato la conferenza, Spock si sedette su di una sedia, chiudendo gli occhi.

Era combattuto: n
on riusciva a decidersi se il ritornare nel passato era stato, per lui, una benedizione od uno strano scherzo del destino. Rivedere lui, ma soprattutto osservare con i suoi occhi il loro rapporto nascere, crescere ed evolversi era stato come rivedere la sua vita con occhi diversi. Allo stesso tempo però la nostalgia non riusciva ad abbandonarlo e la sua parte umana piangeva di malinconia.
 
Annuendo leggermente con il capo, Spock aprì gli occhi: così come in passato il suo Jim era valso ogni cosa, anche ora il solo rivederlo valeva un po’ di quei tristi sentimenti.
 
D’altronde lui l’avrebbe amato per sempre.
 

Fine

 
Prima dei saluti finali ho un paio di note: la prima riguarda la frase sulla bellezza esteriore che il giovane Spock dice. È un riferimento ad un dialogo tra T’Pol e Trip in Enterprise. In cui la vulcaniana dice che il fatto che lei sia vulcaniana non significa che non sappia vedere e notare la bellezza esteriore. La seconda riguarda il finale con il vecchio Spock. Lo so che dopo questa storia interamente romantica, questo finale malinconico è un po’ triste, ma non potevo, non potevo proprio concludere con un bacio dei protagonisti e che fosse tutto felice e tranquillo. E questo perché il vecchio Spock e la sua illogica malinconia è proprio ciò che ha scaldato il mio cuore vulcaniano nello scrivere questa storia. Quindi spero abbiate apprezzato.

In ultimo, vorrei ringraziare chi ha inserito questa storia tra le seguite e le preferite e chi lo farà in futuro (se mai questo avverrà). Mando inoltre un bacio a TrueJewel, Eian e Cowgirlsara che mi hanno regalato dei bellissimi commenti.

Che altro dire? È stata una storia piuttosto travagliata, difficile da scrivere, complessa per me da mettere giù. Ma sono felice di averla scritta, rileggendola ora (settembre 2013) mi rendo conto che ci sono alcune pecche, altri punti che potevano essere approfonditi maggiormente od ampliati, ma non tocco nulla, solo ho corretto un po' di punteggiatura, e il motivo è che ritengo giusto che rimanga così.

Un bacio a tutti!
_Koa_

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