Sonata al Chiaro di Luna di ViolanteJarrah (/viewuser.php?uid=23278)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vita da Playmaker ***
Capitolo 2: *** Partenze inaspettate, arrivi non graditi ***
Capitolo 1 *** Vita da Playmaker ***
SONATA AL CHIARO DI
LUNA
Capitolo Primo: Vita da Playmaker
Era passato un anno ormai.
Un anno intero da quella fatidica partita dei Wildcats, che aveva
mutato totalmente la mia scuola, la East High.
Molte cose erano cambiate da allora.
Non c’erano più gerarchie, né classi,
né differenze tra noi studenti.
Ognuno faceva quello che più gli piaceva, interagiva con chi
voleva.
Cheerleaders con secchioni, dark con skeaters.
L’atmosfera era molto più rilassata e tranquilla;
bastava entrare nella mensa scolastica all’ora di pranzo per
accorgersene. I posti non erano più prestabiliti e non era
più così ovvio sapere con chi avresti mangiato.
Le tavolate cambiavano sempre, la gente si sedeva dove capitava.
Eravamo una scuola, come amava dire sempre il nostro preside, molto
più unita.
Entrando, gettai uno sguardo intorno a me, e sorrisi. C’erano
tutti, i protagonisti di ciò che era avvenuto un anno fa.
Sharpay Evans, vestita come al solito in modo impeccabile, che
imboccava il suo ormai eterno fidanzato, Zeke, lanciandogli sguardi
languidi.
Incredibile che Sharpay avesse abbandonato la carriera teatrale, per il
ragazzo. Anzi, per stare più vicino al suo fidanzato, era
perfino diventata una cheerleader. La cosa divertente era che prima,
non sopportandoci, passavamo per costrizione molto tempo insieme,
mentre adesso, a causa dei nostri impegni così diversi, era
difficile, sebbene il nostro rapporto fosse molto migliorato, che
facessimo due chiacchiere.
Quando mi vide mi salutò con un sorriso cordiale, che io
ricambiai.
Al tavolo successivo vi era il fratello, Ryan Evans, che parlava fitto
con il suo nuovo gruppo di amici. Non era difficile immaginare di cosa
discutesse la compagnia di danza della scuola. La loro vita era un
susseguirsi di prove, di passi, di riscaldamenti, e Ryan era il loro
leader. Nessuno, neanche la sorella, aveva mai sospettato che quella
fosse la sua vera passione, oltre alla recitazione, ma il trambusto
dell’anno prima aveva fatto in modo che il cantante rivelasse
a tutti la sua vera attitudine, ed era stato un trionfo.
Anche lui, quando incrociò il mio sguardo, mi sorrise.
Strane le coincidenze; anche se avevamo sempre lavorato a stretto
contatto, non ci eravamo mai parlati granchè.
L’avevo sempre ritenuto un montato come Sharpay. Da quando
ballava, invece, tra noi era nata quella che posso forse chiamare
amicizia.
Cercai con lo sguardo un tavolo in cui ci fosse un posto libero, e
magari una mia qualche conoscenza, ma immediatamente mi pentii di
averlo fatto.
“Ehy, playmaker!”
Chiusi un istante gli occhi. Mi aveva visto, accidenti. Mi dipinsi sul
volto un sorriso amichevole, anche se i sentimenti che provavo erano
diametralmente opposti.
“Ciao Troy! Gabriella.” Rivolsi un cenno di saluto
anche alla ragazza seduta vicino a lui.
Troy Bolton e Gabriella Montez erano le star della scuola. Coppia
perfetta sia sul palco che nella vita, erano invidiati da tutti. Lui
era il ragazzo più bello, più bravo
ecc…. e lei era la stessa cosa, solo al femminile. Stavano
insieme da un anno, erano i favoriti della Darbus, e tutti volevano
essere loro amici.
Dire che per questo si erano montati la testa era estremamente
riduttivo.
La mia ovviamente non era invidia, ma sapevo di cosa parlavo,
trascorrendo con loro, al Drama Club, la maggior parte del mio tempo.
Gabriella era diventata anche peggio di Sharpay ai tempi della
“Regina di Ghiaccio”, mentre Troy, che in
realtà sembrava affabile con tutti, se non veniva
accontentata ogni sua richiesta, diveniva ancora più
temibile della fidanzata.
Erano rimasti gli unici, nella scuola, a soppesare in maniera
così critica le loro amicizie.
Non si accontentavano di mangiare con chi capitava, dovevano
frequentare solo la gente più ‘in’.
Io, ovviamente, ero l’eccezione, sebbene cercassi sempre di
fare in modo di trascorrere, al di fuori del teatro, il minor tempo
possibile in loro compagnia.
Ad un tratto, persa nei miei pensieri, mi resi conto che non erano da
soli al tavolo.
Con loro c’erano Chad Danforth e la sua ragazza, Taylor
McKessy. Mi sembrò strano, poiché sapevo che i
rapporti fra le due coppie non erano più così
cordiali come una volta.
In realtà il fatto che Chad fosse diventato capitano dei
Wildcats, sembrava non fosse andato giù a Troy, che dopo il
suo abbandono alla squadra, aveva dedicato anima e corpo ai musical.
Rivolsi un sorriso anche a loro, sicuramente più sincero di
quello che avevo indirizzato alle due star.
Non ci potevamo definire amici, ma erano sempre gentili con me.
In realtà li invidiavo un po’ come coppia.
Da quando si erano messi insieme, erano davvero molto affiatati. Lei
assisteva alle sue partite di basket, e qualche volta anche agli
allenamenti, sebbene quello sport non le piacesse granchè,
mentre lui l’accompagnava sempre alle varie gare di
Decathlon, malgrado la chimica fosse per lui territorio minato.
D’altronde, lui rimaneva sempre un giocatore di basket, e lei
la secchiona della scuola.
Ammiravo il fatto che due persone così diverse potessero
stare così bene insieme, soprattutto in confronto a Troy e
Gabriella, che così simili, qualche volta cercavano di farsi
le scarpe a vicenda.
“Ti siedi con noi?” mi chiese Troy.
Cercai di non mostrare il mio panico, a quella proposta, ma per fortuna
proprio in quel momento arrivò qualcuno in mio soccorso.
“Kelsi! Vieni, ti abbiamo lasciato un posto!”
Mi girai e vidi una testa rossa che agitava una mano nella mia
direzione.
Il mio sospiro di sollievo si camuffò in sorriso.
“Grazie, ma ci sono i miei amici che mi aspettano. Ci vediamo
dopo!”
Mentre mi giravo notai l’aria scocciata di Troy,
all’idea che qualcuno non facesse quello che voleva.
Dopodichè mi diressi verso il tavolo da cui mi
avevano chiamato.
“Grazie infinite” sussurrai, mentre mi sedevo.
Emily, la mia migliore amica, mi sorrise.
“Non c’è di chè! Ho visto che
eri in difficoltà con Bolton-Dio, quanto sono
figo!”
Io risi. Emily era irlandese, e questo si notava moltissimo dal suo
aspetto - una lunga cresta di capelli rossi, grandi occhi
verdi e guance e naso all’insù coperti di
lentiggini - e dal suo buffo accento. Era arrivata ad Alberenque circa
otto mesi prima, e avevamo fatto subito amicizia. Suonava il violino, e
aveva chiesto il mio aiuto per un duetto con il pianoforte per il
saggio di fine anno. Da quel momento eravamo diventate inseparabili.
Facevamo entrambe parte dell’orchestra scolastica, ma laddove
io partecipavo al Drama Club come compositore, lei, prendeva parte ad
un corso di poesia, la sua seconda passione, oltre alla musica.
Mentre aprivo il sacchetto con il mio pranzo – panino con
pomodoro e tonno (la mia matrigna aveva un gusto orrendo nel cibarmi)
– gettai uno sguardo a chi era al tavolo con noi.
Riconobbi Steve e Julie, una coppia di dark con cui avevamo fatto
amicizia alla prima di un mio musical e che qualche volta si sedevano
con noi, e Mary, la truccatrice del Drama Club.
Li salutai, poi cominciai a mangiare un’arancia, scartando il
panino.
Ripensai al cambiamento di Gabriella e Troy in quell’anno.
Ed io? Ero cambiata in quell’arco di tempo? O ero rimasta la
Kelsi Nielsen di sempre?
Sbirciai il mio riflesso nel coltello che stavo adoperando.
Fisicamente mi vedevo uguale a prima. Stessi capelli castani coperti
perennemente da un capello ( la mia passione, ne possedevo circa una
trentina!), stessi occhi azzurri, stessi occhiali. Persino nei vestiti
il mio stile era rimasto identico.
Ma caratterialmente?
Ero ancora la pianista silenziosa e timida le cui composizioni non
venivano quasi mai scelte?
La Kelsi con la costante paura di quelli più forti di lei,
come Sharpay Evans?
No, in quello ero cambiata. Ero sicura di essere diventata una persona
più sicura di sé.
Da quando ‘Twinke Town’ era stato scelto e aveva
riscosso tutto quel successo, mi ero resa conto di quanto la mia musica
fosse gradita al pubblico.
In quell’anno avevo scritto ben
sette produzioni, e tutte molto apprezzate.
La mia vita trascorreva tra
le note del pianoforte, ed ero felice.
A volte ero sottoposta ad un ritmo un po’ frenetico, forse,
ma avevo molti amici, e anche il mio rendimento scolastico non era poi
così disastroso.
Per dirla alla maniera di Bolton, adesso ero davvero io il playmaker!
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