Dicevo che sarei tornata
e
così ho fatto <3 Così in presto, in
realtà, non
me l'aspettavo nemmeno io, ma... l'ispirazione ha chiamato, io ho
risposto XD Con una nuova FrostIron per i pochi (ma buoni) fans
italiani della coppia <3 Non aggiungo altro per non rovinare la
sorpresa, questo capitolo per la verità è
piuttosto
breve, ma avrete qualcosa di ben più sostanzioso a partire
dal
prossimo - questo, dopotutto, è solo un prologo. Uhm, una
precisazione: l'icon è opera mia, se rubate vi sfracello,
okay?
<3 Altra precisazione, di natura un po' meno mortale: la
fanfiction
ha una trama, ma ha anche tanto slash
e inizialmente era pensata anche per avere tanto sesso, ma poi le cose si sono evolute diversamente (edit del 08/10/12).
Sicuramente tanto slash, comunque;
quello che voglio dire è che non ci sono solo vaghi accenni,
niente di preoccupante (?), eccetera, perciò, se dovesse
infastidirvi, lasciate perdere la lettura fin da subito <3
Per chi invece rimane, se commentaste mi rendereste molto, molto felice
BD Non è che vi minacci di non pubblicare se non commentate
(-___-), ma i pareri dei lettori sono sempre molto graditi e mi
motivano a continuare :D E prometto che risponderò alle
recensioni \o/
Oh, sono su tumblr
e ci sono probabilità che sbuchi qualche
ff (o lavoro grafico, perché no?) ogni tanto in inglese,
ovviamente FrostIron <3
_____________
#00:
Prelude of the fall Burning here in the room
Feeling that
the walls are moving closer
Silent scene, the dark
takes me
Leads
me to the ending of another day
I’m haunted
-Spellbound,
Lacuna Coil
Tony Stark era solo.
Seduto sul costoso divano in pelle che fronteggiava la parete a
vetrata del suo loft, era immobile e pensieroso, un bicchiere colmo
di scotch in mano, le gambe divaricate e le braccia pigramente
allungate lungo il bordo dello schienale, all’apparenza in
una
posizione rilassata.
Soltanto nel suo sguardo si poteva cogliere una certa tensione, un
rannuvolarsi di cupe riflessioni mascherato dall’illusoria
placidità del suo atteggiamento.
A un tratto ruppe quel contegno da statua di marmo, così
insolito
per un uomo come lui, levò il bicchiere alle labbra e bevve
un lungo
sorso. «Jarvis,» chiamò, la voce
echeggiò nell’angusto cono di
vetro che conteneva il liquore «ci sono state delle
variazioni?»
«No, signore» fu
l’atona risposta del robot. «Nessuna
variazione nelle ultime dodici ore».
«Bene. Grazie, Jarvis».
Neppure Jarvis, per quanto fosse una macchina, aveva avuto bisogno
di specificazioni per capire su che cosa il suo padrone volesse
essere aggiornato. Forse l’aveva creato un po’
troppo
intelligente, pensò Tony, o forse era lui a essere diventato
un po’
troppo paranoico.
Fissò il vetro, sul quale le luci di Manhattan disegnavano
soffusi giochi di colore. Fino a pochi giorni prima al posto di
quella vetrata c’era stata una miriade di frammenti.
Era bastato così poco, quel giorno.
Così poco per scaraventarlo fuori dalla finestra, nel vuoto,
a un
passo dal morire maciullato sul marciapiede che cingeva la Stark
Tower. Lui, Iron Man. Uno degli uomini
più intelligenti al
mondo – se non il più
intelligente, a suo modesto parere.
Quanto poco sarebbe stato sufficiente per uccidere
una persona
comune? Troppo poco.
Erano stati fortunati. Molto fortunati.
I suoi compagni non sembravano rendersene conto; nemmeno Thor, che
avrebbe dovuto conoscere la minaccia meglio di chiunque altro,
capiva, accecato dal compiacimento d’aver salvato la Terra ed
essersi meritato l’eterna gratitudine dei suoi abitanti.
Nessuno di loro aveva visto ciò che lui aveva visto, non
avevano
sentito ciò che lui aveva sentito.
Quegli astuti occhi azzurri non li avevano sondati con un
luccichio divertito e interessato, uno sguardo simile a quello di uno
scienziato che studi una cavia particolarmente utile. Quella risatina
sibilante non li aveva fatti rabbrividire. Non erano state per loro
le parole “Sei un umano estremamente singolare,
Anthony Stark”,
chiuse in una prigione di vetro, all’apparenza distanti,
eppure più
che mai udibili e vicine.
Loro attribuivano la sua eccessiva inquietudine allo stress
generato dal trovarsi sempre al centro dell’attenzione,
dall’essere
sempre sotto pressione a causa delle aspettative di un mondo intero.
Loro non lo conoscevano così a fondo da poter comprendere,
né
tantomeno desideravano mettere la Terra in stato di allerta soltanto
perché Tony Stark aveva un presentimento
– anche se, per
quanto lo riguardava, era una ragione estremamente valida. Loro
volevano la pace al punto da distogliere lo sguardo da una concreta
possibilità di perderla.
Tony però non era mai stato un sognatore, aveva la
mentalità
troppo concreta dello studioso, del calcolatore. Non era disposto a
vivere in una campana di vetro, per quanto bella e confortevole essa
potesse essere.
Per quello che aveva potuto analizzare del suo comportamento, Loki
sceglieva con grande cura le proprie parole a preludio di quanto
avrebbe fatto in futuro.
Fino ad allora era riuscito a coglierli di sorpresa più di
una
volta – una delle quali aveva quasi conquistato il mondo, per
inciso – ma la prossima almeno uno di loro sarebbe stato
pronto,
almeno uno di loro avrebbe saputo resistere, se anche gli altri
avessero scelto di ostinarsi nella loro cecità volontaria.
Almeno uno di loro non si sarebbe lasciato ingannare.
E Tony Stark non aveva mai amato particolarmente essere preso in
giro. Amava, invece, essere il primo in ogni campo possibile, amava
vincere le sfide, amava trovare qualcuno alla sua altezza e
sopraffarlo con il proprio acume – sarebbe stato una menzogna
affermare che la sua era semplice preoccupazione.
Era impazienza, adrenalina, eccitazione.
Bevve un altro sorso, l’aroma dell’alcol gli
riscaldò
piacevolmente la gola. Non vedeva l’ora di restituire a Loki
il
favore di finire fuori dalla finestra.
Quando Tony era nel laboratorio, significava che nessuno aveva il
permesso di disturbarlo. Neppure per comunicargli che la Terra era
sotto attacco, si era premurato di specificare con Pepper.
Di conseguenza, quando la donna fece il suo timido ingresso nella
stanza, brandendo un cellulare, l’uomo sollevò il
capo dal
componente dell’armatura che stava oliando con attenzione e
inarcò
un sopracciglio. «Mi pareva avessimo stabilito delle
regole».
La segretaria si sistemò una ciocca rossa dietro
l’orecchio,
uno dei gesti preferiti da Tony, che soleva compiere quando era
consapevole di essere nel torto e si sentiva in imbarazzo, ma non
voleva lasciarlo a intendere, orgogliosa com’era.
Sfortunatamente
era anche adorabile. «È Fury. Dice che
è molto importante».
L’uomo studiò per un istante
l’apparecchio che gli veniva
porto, scettico, ma alla fine mise da parte armatura e olio e glielo
prese di mano.
«Ehilà, Nicky».
«Stark» fu l’asciutto saluto
all’altro capo del filo. «Non
è un buon momento per il tuo spirito».
«E quando è stato l’ultimo
“buon momento”? Mai?»
Non riusciva proprio a trattenersi, era più forte di lui:
sembrava che Nicholas Fury fosse nato appositamente per essere
oggetto del suo sarcasmo. Tony poteva immaginarlo senza
difficoltà
che roteava gli occhi – pardon, l’occhio
– al cielo e
macerava a fatica tra i denti un insulto ben poco professionale, che
non era il caso ringhiasse al telefono – era molto, troppo
più forte di lui.
Fury decise di ignorarlo deliberatamente. «Siamo in codice
rosso,
Stark. Lo scettro è ancora in casa tua? È
protetto?»
Tony indovinò subito che, ancora una volta, aveva avuto
ragione.
Sotto lo sguardo stupito di Pepper, una smorfia a metà tra
un
sorriso compiaciuto e un ringhio si dipinse sulle sue labbra. La
prima mossa era stata fatta; ora era il suo turno di spostare una
pedina sulla scacchiera.
«Ovvio. Dubiti di me, Nicky?»
«Fa’ in modo che rimanga al sicuro. Loki
è scappato, ma non
riusciamo a stabilire la sua posizione. Abbiamo già chiamato
gli
altri, tra quarantatré minuti esatti l’Elivelivolo
sarà nel cielo
di Manhattan: lo scettro sarà la prima cosa di cui Loki
andrà in
cerca, sii pronto. Tu sei l’unico che sappia resistere al suo
potere di soggiogamento, nel caso in cui dovesse
riappropriarsene».
«Sono Iron Man. Sono sempre pronto, Nicky».
Senza attendere oltre, terminò la chiamata, passò
il cellulare
alla donna al suo fianco, che lo scrutava contenendo a malapena la
propria curiosità, e si sfilò i guanti da lavoro.
«Pepper,» la
chiamò, il sorriso scomparso, sostituito da
un’espressione seria
«disdici immediatamente tutti i miei appuntamenti per la
settimana».
La segretaria non si mosse, preoccupata. «Cosa succede,
Tony?»
«Niente che Iron Man non possa controllare. Adesso
va’».
L’uomo si alzò dalla sedia con un movimento fluido
e,
nell’avvicinarsi a un’altra scrivania a una
manciata di passi di
distanza, le diede le spalle. Cadde il silenzio, rotto solo dal suo
armeggiare con qualcosa che Pepper non poteva scorgere.
La donna osservò la sua ampia schiena, aspettò
parole che sapeva
non sarebbero arrivate, ma non se ne ebbe a male: nel momento in cui
Tony si concentrava su qualcosa, non c’era più
spazio per
nient’altro. Nemmeno per lei. Era quello
l’inconveniente d’essere
innamorata di un supereroe egocentrico e megalomane e ormai era stata
capace di scendere a patti con se stessa e accettarlo.
Buona fortuna, Tony.
Non osò dar voce a quel pensiero, non osò
disturbarlo.
Una volta che la porta del laboratorio si fu chiusa con un sospiro
metallico dietro la segretaria, Tony sollevò i polsi alla
luce delle
lampade e fissò i bracciali di metallo che li cingevano.
Da allora ne aveva perfezionato il funzionamento, potenziato
l’armamentario e migliorato l’aspetto. Adesso
l’accensione dei
propulsori sugli stivali prevedeva un solo secondo e mezzo
d’attesa
e, anche ipotizzando un eventuale impatto, la corazza era abbastanza
resistente da sopportare l’urto e al tempo stesso non
rompergli
qualche osso, grazie all’adesione perfetta del suo corpo con
essa,
come fosse una seconda pelle.
Sarebbe bastato?
Tony serrò le mani a pugno.
“Sei un umano estremamente singolare, Anthony Stark”.
Una luce blu rifulse in quelle tenebre avvolte nel silenzio,
dapprima poco più che un debole luccichio. Presto, il suo
bagliore
sfolgorò accecante, strappò il lenzuolo di
oscurità.
Il silenzio fu squarciato dal martellare dell’allarme.
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