Eveline - Dolci Sogni Di Morte

di Human Skeleton
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Prologo

La Morte é improvvisa. Non si può prevedere. La Morte é silenziosa. Nascosta. Occultata in cose innocue. La Morte é l'inizio dei sogni. La vita finisce. La vita programmata, difficile, ostacolata. E inizia la Morte. Un periodo di pace infinita. Niente ostacoli, niente programmi, niente difficoltà. Solo i tuoi sogni. Ripetendosi. Alternandosi. 

Mi svegliai. Avevo sentito un rumore provenire da fuori. Sentivo la presenza di qualcuno nella mia stanza. Ma non avevo aperto gli occhi. Avevo paura di quello che avrei potuto vedere. 

Quando aprii gli occhi vidi solo che la luce passava dalla finestra socchiusa dalla quale entrava una fresca brezza che odorava di mare. Niente. Era tutto uguale. Sarà stata solo una sensazione. Forse un incubo. Niente di preoccupante. Ma c'era una vocina nella sua testa che le sussurrava che lì dentro era successo qualcosa che non era per niente dentro i canoni di "normalità". Dipende da cosa si intenda per "Normale" naturalmente. 

Allungai le gambe per stendermi completamente e rilassarmi. Erano le 7:00 ma aveva ancora il tempo di dormire un'altro pò. Quando allungò le gambe, però, sentì che sul fondo del letto, appoggiati sul coprilenzuolo in seta, c'erano degli oggetti. La bambina si alzò. 

Sul fondo del letto c'era un cofanetto ricoperto di seta dal color rosa antico, sottile e tenue. Lo aprì. All'interno c'era un ciondolo. Un gioiello veramente principesco. La catena era  in gesso color bianco latte dalla quale pendeva un ciondolo. Una croce. Una croce anch'essa in gesso bianco con rilievi in argento. Il cofanetto aveva un doppio fondo. Lo aprì. Al suo interno c'erano delle piume. Bianche, candide, morbide... non sembravano piume di uccello. Erano bagnate. Ma non era acqua. La bambina poteva sentirne l'odore di sale. Erano lacrime. Lacrime colorate con il sangue. La bambina notò che sul cofanetto c'era un biglietto. Profumava di caramello. "Buon compleanno, Ange..." 

La bambina si fermò. Smise di leggere. Alzò lo sguardo. Prima lo aveva notato ma aveva distolto subito lo sguardo pensando e sperando di essersi sbagliata. Ma non era vero. Non poteva essere vero. Ma come poteva confutare quello che aveva davanti agli occhi? Appoggiato vicino alla sua casa delle bambole che suo padre le aveva costruito e regalato il giorno di Natale, c'era un'arma. Una falce. La bambina spaventata si limitò solo a fissare l'oggetto. Tagliente. Lucente. Lei ne aveva paura. Ma allo stesso tempo la affascinava e la incuriosiva a tal punto che le si avvicinò.

Scostò le leggere coperte. Scese dal letto. Fece un passo. Felpato. Poi ne fece un'altro. Delicato. E un'altro ancora. Leggero. Allungò la mano piccola. La mano da bambina. La mano completamente sbordacciata da colore nero dell'inchiostro della biro cancellabile che aveva appena imparato ad usare. Era facile. Se sbagliava poteva cancellare con la gomma presente sul tappo. In quel mometo avrebbe voluto aprire l'armadio, prendere lo zaino e recuperare quella biro che aveva perso da tempo cacciata nella confusione tra i libri di scuola. L'avrebbe presa. Si sarebbe avvicinata a quell'oggetto che ai suoi occhi appariva così strano. E l'avrebbe cancellato. Ci avrebbe messo un pò di tempo. Forse sarebbe arrivata tardi in classe. Ma quella visione sarebbe svanita dalla sua mente. La bambina alzò la mano. Si stava avvicinando sempre di più alla lama lucente. 

"Evy! Scendi é pronta la colazione!" Oh Dio. Le urla della madre la presero alla sprovvista e uno spasmo le prese la mano. Si era tagliata con la lama. Il sangue le scendeva sul polso. Paura. Aveva paura che qualcuno sarebbe entrato e le avrebbe morso il polso. Ma era solo una sensazione. 

Eveline scese di tutta fretta nascondendo la lucente lama bagnata dal suo sangue fresco sotto al letto. 

Oh no. Eveline si era scordata. Non aveva terminato di leggere il biglietto. "...lo della Morte."

Eveline scese in cucina al piano inferiore e fece colazione. Nonostante la strana scena a cui aveva assistito pochi minuti prima sembrava che la cosa non la turbasse più di tanto. Ma era solo un'impressione. 

La bambina cercava di non pensarci, nonostante quella macabra scena continuasse ad apparire ai suoi occhi anche alla semplice parola "piuma" o "croce" o... "lama". Quelle tre parole erano state dette da persone normali, ignare di quello che le era successo ma a lei sembrava quasi come se lo facessero apposta, come se loro ne fossero al corrente, come se volessero spaventarla fino al punto che lei sarebbe morta. 

Le lezioni passarono in fretta e appena suonata la campanella Evy corse a prendere la bici che da qualche mese non aveva più le rotelle per correre a casa dove sua mamma le stava preparando la festa per i suoi 8 anni. 

Evy si sentiva grande. Aveva 8 anni e per scrivere usava la biro. Aveva 8 anni e una bicicletta senza rotelle. Aveva 8 anni e faceva la terza elementare. Aveva 8 anni e si era svegliata quella mattina. Aveva 8 anni e quella mattina si sentiva strana. Aveva 8 anni e quella mattina un'Angelo della Morte era entrato nella sua stanza.

Evy corse in casa ma davanti al cancello c'era suo padre Nathan che la bloccò. "Papà é successo qualcosa? Come mai non posso entrare in casa?" Nathan tirò fouri dal taschino della giacca un foulard color oro e lo legò alla testa della bambina per coprirle gli occhi. "Papà ma io devo prendere una cosa..." "Non ti preoccupare l'ho già presa io. La collana che ho trovato stamattina sul letto. Tu e la mamma vi comprate dei gioielli nuovi ma non regalate mai niente al vostro uomo di casa?" Evy si irrigidì. Oh Dio. Suo padre aveva trovato la collana. Sperava solo che non avesse guardato sotto al letto. "No amore non ti preoccupare non é successo niente. Forza. Vieni con me. Ora ti porto in un posto. Ok. Fai un'altro passo. Alza un pò di più il piedino... brava così. Attenta ora che c'é uno scalino. Oppalé! D'accordo siamo arrivati." 

Nathan slegò il foulard dorato in tempo per poter vedere gli occhi ambrati della sua piccola Evy diventare sempre più luminosi, allegri e spensierati. Evy si girò di scatto e si aggrappò al collo del padre. "Papà é stupendo. Grazie di cuore." Evy si girò verso gli altri che intanto le stavano augurando buon compleanno. Li abbracciò tutti uno a uno. Sua madre, i suoi parenti... avevano invitato anche i suoi compagni di classe! 

Evy era così euforica che la testa cominciò a girarle. Ma a un certo punto insieme al giramento di testa arrivò la voce di un bambino. Un bambino che si dondolava seduto sull'altalena del parco che avevano appena costruito davanti casa sua.

Anche il bambino cominciò a cantarle "Tanti Auguri". Ma continuando ad ascoltarlo si accorse che anche se la melodia era la stessa le parole erano diverse. Evy cercò di distinguerle dalle altre che sapeva a memoria per capire quello che il bambino stava cercando di comunicarle. Si. Ora poteva sentirlo. Forte e Chiaro. La sua voce sembrava quella di un cherubino. "Happy first die to you. Happy first die to you. Happy first die little angel, Happy first die to you." 

Evy sentiva che il cuore le batteva all'impazzata mentre tutto intorno a lei sembrava così lento. Non capì quello che le successe successivamente. Nessuno era mai riuscito a comprenderlo. Evy vide che suo padre aveva in mano un coltello da macellaio per preparare la carne al barbecue. 

Evy a quel puntò aprì la bocca e la voce che ne uscì non era quella di una bambina di 8 anni. Era quella di una donna. Era la voce di Evy. Ma non di Evy la bambina di 8 anni. Quella di Evy la donna. "Attento. Quel coltello é molto tagliente. Potresti farti male." 

Nathan guardò spiazzato il suo piccolo angelo. Il padre preso da uno spasmo di paura, aveva stretto così tanto la lama del coltello che si era procurato un taglio molto profondo che seguiva la linea della vita del suo palmo destro. 

Evy chiuse gli occhì. Li riaprì. Il bambino era andato via. Tutto sembrava essere tornato al suo posto. Evy vide il volto incredulo e allo stesso tempo spaventato di suo padre. Che cosa era successo? Come mai la sua mano sanguina? 

Nathan sentiva che la morsa che gli stringeva la mano diventava sempre più forte e lancinante. Per un attimo quando vide il sangue sentì che il suo viso era bagnato. Le gocce d'acqua erano arrivate fino alle sue labbra. Erano salate. Erano lacrime. Ma non le sue. 

In mezzo a tutta la confusione che si era creata per un'attimo Nathan vide un'immagine nella sua testa. "Ehi... ascoltami. Ti prego devi risvegliarti. Se ti risvegli rinuncerò a tutto quello che ho. Ma ti prego... non permettermi di rinunciare a te. Ehi mi senti? Qui abbiamo bisogno di te."

Ora ho 18 anni. Tutti si sono dimenticati di quello che é successo quel giorno. Anche io. O meglio. Anche io ho voglia di dimenticarlo.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2

Dove mi trovo? Mi trovo nel mio incubo peggiore. Dove mi trovo? Mi trovo in un posto che odora di Morte. Dove mi trovo? Mi trovo in un giardino dove le camelie sono colorate con il sangue. Si. Ho capito dove mi trovo. Sono in un giardino d'inverno. 
 

La mia vista era sfuocata come se ci fosse una nebbia leggera che mi copriva l'iride. Era un sogno. Ma ero cosciente. Durante i miei sogni ero  consapevole di quello che facevo. Ma non ero responsabile di quello che facevo. Io ero guidata da qualcun'altro. Ero come un burattino. Occhi inanimati. Pelle bianco latte. Anima vuota. 
 

Mi voltai. E la vidi. Quella donna. Era così simile a me. Occhi color ambra. Capelli color caramello. Ma i suoi occhi non erano vuoti come i miei. No. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Lacrime di dolore. Lacrime di terrore. Lacrime che le ricoprivano il viso bianco dalla paura. 
 

Dietro di me sentii dei passi. Avevo paura. Paura di chi avrei potuto vedere se mi fossi girata. Ma in quel momento io non ero io. In quel momento era come se io vedessi questa strana scena da lontano. In un posto sicuro. Sotto le calde coperte di seta del mio letto. Ma io ero lì. E non potevo andarmene. Non volevo.
 

Guardando più attentamente attorno a me notai che la donna era legata con una spessa corda che odorava del sangue ormai rappreso della vittima. La corda legava la donna ad un tavolino in mettalo dipinto di bianco. 
 

I passi dietro di me si fecero sempre più forti. Lui si stava avvicinando. D'istinto mi spostai. Ero terrorizzata. Quando mi voltai per guardarlo soffocai un urlo. Il suo viso era completamente vuoto. Niente occhi. Niente bocca. Niente naso. In nessun modo avrei potuto riconoscere l'anima che era nascosta dietro quel viso vuoto. 
 

L'uomo prese il pugnale che aveva appoggiato sul corpo legato della vittima. Appoggiò la fredda e lucida punta di metallo sul petto della povera ragazza. No. No, ti prego non farlo. Non posso guardare. Ma devo. C'é qualcosa che me lo impedisce. Cercavo di urlare. Ma non ci riuscivo. 
 

L'uomo infilzò il pugnale nel petto della donna trafiggendole il cuore. L'organo non smise di battere. Nemmeno quando l'uomo lo tirò fuori dalla cassa toracica. Le sue mani si ricoprirono interamente di sangue mentre il cuore si spegneva lentamente.
 

Intanto sentii che c'era qualcosa che mi faceva una leggere pressione sulla spalla. Mi voltai. Sulla mia spalla destra c'era una colomba. O era un corvo? No. Ne ero sicura. Era una colomba. Ma non era bianca. Era una colomba nera. Nera come la notte. La luna giocava con le sue piume colorandole con dei riflessi dorati. La colomba sembrò quasi infastida dal fatto che non mi muovevo. Dalla mia immobilità. Spiegò le sue ali. Erano enormi. Sembravano così grandi. Pensavo che il povero uccello sarebbe caduto con tutto quel peso se avesse provato a spiccare il volo. Ma non fu così. L'uccello volò fino alla lama. 
 

La lama? Guardai le mie mani. Tra le mie dita. Le mie dita stringevano il lungo e spesso manico di legno d'ulivo che terminava con la lama. La stessa lama di 10 anni fa. La stessa lama che 10 anni fa mi aveva ferita. La stessa lama che 10 anni fa mi aveva cambiata.
 

Alzai la falce verso il cielo. E la colpii. Avevo colpito un'arteria in modo che avrebbe smesso di urlare e gemere e implorare pietà e chiedere aiuto. Dopo. Solo il silenzio. Il mio viso come le mie mani era ricoperto da sangue arterioso. Rosso. Denso. 
 

Oh mio Dio. Che cosa avevo fatto? Ancora una volta non ero stata io a muovermi. Qualcun'altro l'aveva fatto per me. Ma forse era meglio così. In fondo se non l'avessi uccisa definitivamente quella povera ragazza sarebbe morta in agonia tra pianti e urla. E invece no. Un colpo secco. Diretto. 
 

Che l'ha portata... dove l'avrà portata? L'avrà trasformata in una stella lucente la sua bianca pelle.... in una goccia di rugiada l'ambra che racchiudevano i suoi occhi... In caramello filante le sue ciocche dorate. 
 

Vidi che la colomba aveva appoggiato il fine becco sul petto della giovane donna. Sembrava che avesse appoggiato qualcosa. Quando la colomba volò via Evy lo vide: Un ramo d'ulivo. 

Evy sentì una fitta sul petto che diventava sempre più forte. La sua vista invece di offuscarsi ancora di più di quanto già non lo fosse divenne sempre più chiara e particolareggiata...
 

... Evy aprì gli occhi. Finalmente riusciva ad urlare. Ora non aveva più paura. Era nella sua calda e sicura camera da letto. Sotto le sue calde lenzuola di seta. Ma aveva ancora molto da dire. 
 

Doveva tirare fuori tutto quello che nel suo sogno non riusciva nemmeno a pensare. Ma lì poteva. Lì era lei a dettare le regole. E nessun'altro. Non ebbe più la sensazione di essersi tramutata in un burattino guidato dalle mani di un pazzo.
 

Sì. Un pazzo. Perché quello che il suo burattinaio le aveva appena ordinato di fare era degno solo della mente assurda di un pazzo. O di un serial killer. Evy pensò a quanto una persona potesse spingere la sua mente fino a farla diventare contorta. Fino a farle fare quello che aveva appena fatto. 
 

Le scappò un sorriso. Pensò che fosse un riflesso diretto dovuto dal sogno. Un tic. Ma sapeva benissimo che non era così. Quel sorriso non era un sorriso nervoso dovuto allo shock. Era un sorriso di ammirazione. Ammirazione nei confronti di quel pazzo che aveva avuto la macabra idea di uccidere. Una cosa semplice. 
 

Tutti parlano, pensano ed esprimono la morte come un atto di scatenata rabbia, paura, tristezza. Ma lei si sentiva diversa. Lei non la pensava come tutti. Lei non era tutti. Lei non era come tutti. Lei era diversa. 
 

Fin da piccola era sempre stata affascinata dal rumore, dall'odore e dalla consistenza della Morte. Per questo in molti la consideravano strana. Ma a lei tutto questo sembrava al contrario così normale. Lei non capiva il punto di vista del resto del mondo. Per il semplice fatto che percepiva la Morte come una cosa buona.
 

In fondo che cosa c'é di più bello del fatto di non essere più legate ad una vita terrena, priva di qualsiasi piacere che invece puoi trovare solo dopo la Morte? 
 

In tutti questi anni però, Evy aveva deciso che la cosa da fare era solo una: fingere. Fingere di odiare la Morte. Fingere di amare la vita. Fingere di amare le piccole e piccole cose della vita. Sì. Lei lo sapeva. Sapeva che l'unica cosa grande che sarebbe stata capace di regalargli la felicità sarebbe stato un eternità di tranquillità. niente responsabilità. Niente problemi. Niente complicazioni. 
 

Ma crescendo ormai anche lei si era accorta che tutto questo non poteva essere normale. E così continuò a fingere. Fino al punto che la finzione sostituì la realtà. Lei aveva paura di se stessa. 
 

Evy si alzò di corsa e guardò sotto il letto. Prese il cofanetto e lo aprì. Tolse il doppio fondo. Oh no. Era accaduto di nuovo. 
 

Evy vide che tra le piume ce n'era una diversa. La piuma si era colorata di nero come le piume della colomba del suo sogno. Ma c'era qualcos'atro. La piuma odorava di sangue. Lo stesso odore di sangue rappreso che aveva sentito nel suo sogno. Le gocce si unirono in una vorticosa danza confusionaria che per poco non fece svenire Evy. Si fermarono. Evy rilassò gli occhi strizzati dalla paura. Le gocce si erano unite a formare un nome: Claire Mills.

Evy non aveva mai sentito quel nome in vita sua. Ma sapeva benissimo chi era. Era la sua vittima. 
 

Dopo essersi preparata Evy scese al piano inferiore e corse in cucina per fare colazione. Era già in ritardo doveva fare maledettamente in fretta. "Ciao, tesoro." "Ciao mamma, ciao papà." 

Papà mi fece un leggero sorriso e un cenno con la mano mentre anche lui come me si stava strafogando per non arrivare tardi al lavoro. "Tale padre, tale figlia." 
 

Io e mio papà ci guardammo ridendo sotto i baffi di capuccino caldo, appena fatto. "Tesoro, quante volte ti ho detto che devi svegliarti prima altrimenti ti devi strafogare per arrivare in classe in tempo evitando di essere richiamata?"
 

Papà mi guardò e soffocò un risolino. O forse si stava realmente soffocando con la brioche. "Guarda, che questo vale anche per te, non pensare di essere immune a queste ramanzine solo perché sei mio marito, Nathan!" Io ricambiai la risata guardandolo con aria buffa di disapprovazione per prendere in giro la mamma.
 

Purtroppo lei non aveva ancora capito che io ero ormai maggiorenne e che non ero più una bambina, un pulcino sotto la sua ala protettrice. A volte si scordava addirittura che papà fosse suo marito e lo trattava come un figlio. 
 

Mio padre prese il giornale. "Ma non eri già in ritardo?" "Non si é mai abbastanza in ritardo per non leggere delle atroci notizie di cronaca la mattina che ti attacano il buon umore, no?" Mio padre che cerca di fare il sarcastico. Come al solito. E' inutile tanto non ci riesci, gli dico io con gli occhi. Ma lui continua a tentarci. E continua a caderci. 
 

Tutto d'un tratto vidi che il viso di Nathan divenne cupo e preoccupato. "Pà, stai bene?" Rispose in modo evasivo. "Eh? Ah si, si sto bene..." Io gli rubai il giornale dalle mani che con tutta la forza che ci avevo messo avrebbe potuto strapparsi. "Stai attenta!" 
 

Lessi. Oh no. No, ti prego. E' successo ancora. Era inevitabile. Succedeva tutte le volte. Come poteva sperare che questa volta sarebbe stato diverso? No, nel suo vocabolario la parola speranza non poteva esserci nemmeno nei suoi sogni. per non parlare dell'ombra dell'incubo che la seguiva nel risveglio. Nella consapevolezza che era successo. Che non era solo un sogno. 
 

"E' successo ancora. Evy ho molta paura per te, Tesoro. Ormai la polizia ha deciso che questo assassino doveva rientrare nella lista dei serial killer. Incredibile... lo sai come l'hanno soprannominato? L'Aiutante di Satana. Assurdo." 
 

All'unisono, io e Nathan, Guardammo il riflesso del mio viso nella lucida conca del cucchiaio d'acciaio in mezzo alla tavola. 
 

"Le sue vittime hanno più o meno la tua età. Hanno gli occhi color ambra e i capelli color caramello. Evy lo so che per te é importante uscire e divertirti con i tuoi amici ma voglio che tu stia attenta perché ho molta paura per te, usignolo. Tu corrispondi all'identikit delle vittime di questo assassino e io... Io ho paura. Non voglio perderti." Mi accorsi che negli occhi di mio padre si stava facendo strada una strana lucentezza. Erano lacrime. Lacrime miste a paura. "Papà non ti preoccupare... andrà tutto bene." 
 

Io ero tranquilla. Sapevo che almeno sarei morta sognando un'altra me che mi finiva. Se devi fare bene una cosa allora é meglio che la fai da te.
 

Nathan si calmò. Si fidava di Evy. Ed era anche stranamente fiducioso sul fatto che non le sarebbe accaduto niente di male. Nathan cadde nei suoi pensieri.

Capelli caramello... Occhi ambrati... I suoi capelli lisci come la seta e color cioccolato... i suoi occhi ambrati e le sue labbra sottili e perfette... tutto in quella donna mi ricordava la mia dea: Eveline. 

Quando arrivai a scuola corsi ad abbracciare Kyle. Kyle é il mio migliore amico. E' la persona di cui mi fido di più al mondo che non sarebbe mai capace di tradirmi. Per questo motivo gli ho raccontato il mio segreto. Lui non mi giudica. Bhé... lui nemmeno ci crede, veramente. In realtà fa finta di crederci ed essere interessato ma lo so che lo fa solo perché mi vuole bene. Anche se ogni volta che tirò fuori questo discorso lui é molto evasivo... sembra quasi che abbia paura. Ma di cosa?
 

Oh no. No. Lui ha paura di me. Lui ha paura di me di quello che gli raccontò, di... "Come posso aver paura di te, Evy?" 
 

Mi voltai. Lo vidi. Kyle. Kyle e i suoi occhi color mare calmo. Kyle e i suoi capelli color cioccolato. Kyle e il suo fisico scolpito. Kyle e il suo sorriso perfetto. Kyle e...
 

"Evy? Evy? Ci sei?" "Eh? Ah, si, si ci sono. Ascolta io..." "Si, si lo so. L'ho letto oggi sul giornale. Ma tu come stai? stai bene?" Che dolce. Si preoccupa. Almeno non ha paura. Almeno credo. "Chiariamo subito una cosa. Io non ho paura di te. L'unica cosa che posso fare é ascoltarti e se questo ti fa stare bene allora son disposto anche a crederci..." 
 

Mi buttai. Lo abbracciai. Piangendo. Ero stanca. L'unica persona che ha paura. Che non vuole che i suoi sogni si tramutino in realtà. 
 

Kyle mi strinse a sé. "Forza. Oggi ci prendiamo un giorno libero."
 

Tornai a casa. Io e Evy avevamo passato tutta la mattinata a fare avanti e indietro dalla panchina del parco a Starbucks. Non so quanti caffé avevamo bevuto. Ma almeno evitavamo di parlare troppo. Le parole rovinano sempre tutto.
 

Abbiamo parlato poco. Abbiamo parlato poco perché sapevamo che il discorso che ne sarebbe scaturito non sarebbe stato affatto piacevole. I suo sogni. 
 

Kyle si avvicinò al tavolo in legno di ciliegio situato in mezzo alla buia e fredda stanza dello scantinato. 
 

Prese uno straccio bagnato e pulì il sangue rappreso che si era depositato sul pugnale.

Cazzo. Era pregiato. E ora era completamente sporco e l'odore di sangue rappreso non sarebbe andato via facilmente. "Oh Evy... non bisogna mai avere paura di ciò che si é."

 

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