A very normal hero

di Alley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Waiting for the autografh ***
Capitolo 2: *** Come on, tell me! ***
Capitolo 3: *** A 'quiet' evening ***
Capitolo 4: *** Now it's perfect ***
Capitolo 5: *** La ballata dell'eroe ***



Capitolo 1
*** Waiting for the autografh ***


Waiting for autografh


"Phil, calmati."

"Sono calmo. Sono perfettamente calmo."

L’agente Coulson raccolse i documenti sparsi sulla scrivania e li dispose l’uno sull’altro, facendone combaciare i lembi con attenzione maniacale; tirò fuori dal primo cassetto una manciata di pennarelli e prese ad analizzarli meticolosamente, tracciando scarabocchi su un foglio per assicurarsi che l’inchiostro non fosse esaurito.

"Eccolo che arriva!"

Phil sobbalzò, lasciandone cadere un paio sul pavimento. "Trattienilo, non ho ancora-"

Si chinò per raccoglierli e quando sollevò lo sguardo e vide l'espressione divertita della collega si diede dell'imbecille milioni di volte - mentalmente, s'intende.

"Voglio solo che abbia un’ottima impressione dello S.H.I.E.L.D., tutto qui" provò a giustificarsi, accartocciando il pezzo di carta su cui aveva pasticciato per verificare l’affidabilità dei pennarelli.

"E in che modo delle penne colorate ben funzionanti dovrebbe rendere più credibile un’organizzazione spionistica?" gli chiese lei, incrociando le braccia sul petto e sollevando un sopracciglio con fare dubbioso.

"I dettagli fanno la perfezione."

Maria inarcò anche l'altro sopracciglio, segno che l'argomentazione non era stata molto convincente. "Non capisco come tu possa essere così agitato. Non è la prima volta che lo vedi."

Poco prima, vedendolo tamburellare nervosamente con le dita sulla scrivania, l’agente Romanoff aveva mosso la stessa, identica obiezione.

"Non è la stessa cosa" protestò, come aveva già fatto con Natasha.

(nemmeno vederlo imprigionato in un blocco di ghiaccio l’aveva lasciato indifferente, va bene, ma parlargli sarebbe stato tutta un’altra cosa)

"Sarà qui a momenti"osservò Maria, lanciando un’occhiata oltre la grande vetrata alle sue spalle.

Phil infilò furtivamente la mano nella tasca della giacca in cui le figurine attendevano impazienti di essere autografate.








Note
Arieccola *fugge dal lancio di pomodori*
Ho provato a resistere con tutte le mie forze, ma non ce l'ho fatta. Un impulso interiore, una mano invisibile o qualcunque cosa fosse, mi ha letteralmente obbligata a scrivere qualcosa su di lui. Phil Coulson è amore allo stato puro, e mi auguro di riuscire a rendergli omaggio con questa modesta raccolta. Non so se questa prima storia sia sufficientemente lunga da poter essere classificata come one shot, ma non riesco ad impormi un determinato numero di parole e pertanto le prossime potrebbero rivelarsi ben più lunghe (o magari no, non sono in grado di prevedere cosa partorirà il mio cervelletto bacato); per tagliare la testa al toro, nell'introduzione ho parlato di one shot. Ringrazio tutti coloro che vorranno dedicare un pizzico del loro tempo al mio piccolo lavoro.

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Capitolo 2
*** Come on, tell me! ***


Come on, tell me!
 

"Avanti Agente, non essere timido, racconta!"

Davanti all’ennesimo tentativo di Tony di estorcergli un resoconto della serata, le guance dell’agente Coulson si tinsero di rosso.

"Suona la chitarra, vero?"

"Il violoncello."

Ripensò alle sue dita affusolate, sottili e delicate come steli di girasole.

La prima volta che l’aveva vista, seduto in prima fila proprio davanti alla sua postazione, la passione con cui suonava l’aveva folgorato; il bel viso poggiato sulla mentoniera, il pugno serrato attorno all’arco di legno ad accarezzare le fini corde di nylon come fossero le guance di un neonato.

A giudicare dall’espressione maliziosa dipinta sul volto di Tony, il suo viso lasciava trapelare il contenuto dei suoi pensieri.

"Bene bene, a quanto pare qualcuno ieri si è divertito parecchio…"

"Tony, smettila."

Pepper lo colpì con un buffetto, prendendo posto accanto a lui.

"La vita privata dell’agente Coulson mi sta molto a cuore" replicò, in tono solenne.

"Se volessi portarla in un bel posticino tranquillo, magari con un letto ampio e confortevole a vostra completa disposizione, io potrei-"

Pepper lo fulminò con lo sguardo, mentre la sfumatura scarlatta sulle guance di Phil diveniva più scura.

"Non avevi da fare in laboratorio?" gli chiese, continuando a fissarlo con sguardo truce.

"Io? Assolutamente-"

La donna sollevò le sopracciglia con fare minaccioso e Tony scattò in piedi, colpendosi la fronte con il palmo della mano, come se un impegno improrogabile gli fosse appena tornato alla mente.

"--assolutamente , ho un mare di lavoro da sbrigare, un oceano di lavoro, tanto lavoro che-"

"Vai" lo interruppe Pepper e Phil pensò che non aveva mai conosciuto una donna così terrificante - a parte Natasha, ovviamente.

Mentre Tony lasciava la stanza con la coda tra le gambe, Pepper si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso radioso.

"Avanti, racconta!"







Note
Ecchime con la seconda storia; spero che anch'essa possa essere di vostro gradimento. Ringrazio calorosamente tutti coloro che hanno dedicato del tempo alla prima, leggendo, recensendo e inserendo la raccolta tra le preferite e le storie seguite. Malgrado l'abbia già fatto singolarmente, colgo l'occasione per ribadire quanto mi abbiate reso felice e quanto siate stato in grado di gratificarmi *ailoviù*. Ringrazio Light per il chiarimento "tecnico" (relativo alla classificazione della storia); la mia amica e collega _Maria_ mi ha pazientemente insegnato ad effettuare il conteggio delle parole, ma naturalmente ho dimenticato come si faccia *ignuranza portami via*. Anche questa storia è molto breve, pertanto suppongo che sarebbe appropriato effettuare una piccola correzione all'introduzione, in quanto la raccolta comprende sia one shot che flash-fic. Terminate le mie pippa mentali di natura tecnica, vi ringrazio ancora, con l'augurio che abbiate tempo e voglia di continuare a seguire me e il mio Phil.

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Capitolo 3
*** A 'quiet' evening ***


A "quiet" evening


"Sta' tranquillo Agente, è tutto sotto controllo."

Il trambusto che faceva da sottofondo alla voce di Tony lasciava intuire esattamente il contrario.

"Beh, è piuttosto rumoroso per essere un modesto ristorantino di periferia" osservò Phil a voce alta, per assicurarsi che la risposta fosse udibile dall’altra parte del telefono malgrado il fracasso.

"In effetti questa sera c’è un più movimento del solito."

Phil roteò gli occhi al cielo, reprimendo uno sbuffo. "Potresti almeno assicurarmi che non rientrera-"

Un coro di stridule grida femminili gli trapassò l’orecchio, tanto acuto e fastidioso da costringerlo ad allontanare il cellulare.

Lanciò mentalmente un’imprecazione, augurandosi di non aver riportato danni permanenti al timpano.

"Non spingete ragazze, ce n’è per tutti!"

Riavvicinò con cautela il cellulare al viso, giusto in tempo per sentire la voce entusiasta di Tony pronunciare quella frase.

"Stark-"

"Certo che posso autografarti la maglietta, tesoro. Però forse è meglio sulla schiena, non vorrei che…"

"Stark!"

"Sì, Agente?"

Phil strinse la mano libera in un pugno e provò l’ardente desiderio di colpire qualcosa - se quel 'qualcosa' fosse stato la faccia di Stark lui sarebbe stata la persona più felice dell'universo.
 
"Il direttore aveva espressamente richiesto di evitare bagni di folla, almeno fino a quando-"

"Non sto facendo un bagno di folla! Volevo solo trascorrere una piacevole serata in compagnia di qualche amico" si giustificò lui, con finta innocenza.

L’agente Coulson soffiò stancamente, sconfortato. Tenere a freno Tony Stark e le sue manie di protagonismo era impresa di gran lunga più ardua di contrastare un attacco alieno.

Se solo avesse avuto un pizzico dell’assennatezza del Capitano…

"Rogers, potresti cortesemente scattare una foto a me e a questa deliziosa fanciulla?"

Phil sgranò gli occhi, incredulo.

Aveva sentito male. Doveva aver sentito male.

"Tienimi anche il cellulare, per favore."

"Mi hai preso per la tua serva?!"

"Capitano?"

"Buonasera, agente Coulson."

Phil non riusciva a credere alle sue orecchie, ma la voce dall’altro capo del telefono era proprio quella di Steve Rogers, al secolo Capitan America. Per tutti un leggendario soldato iper potenziato, per Phil Coulson una sorta di divinità olimpica.

"Capitano, le chiedo cortesemente di-"

"Le assicuro che non è come sembra. Se fosse stato per me non sarei venuto nemmeno sotto tortura, ma Tony ha convinto Thor a seguirlo e io non me la sentivo di…Thor, molla immediatamente quella roba!"

"Capitano?"

Nessuna risposta.

Phil cominciò a chiedersi, non senza preoccupazione, cosa avrebbe scritto nel rapporto da consegnare al direttore.

"Thor, qualunque cosa ti offrano, tu non devi assolutamente accettarla!" gridò Steve con severità.

"Soprattutto se si tratta di pasticche o polverina bianca o-"

Phil interruppe l’inquietante enumerazione che Tony aveva cominciato.

"Stark, dimmi dove diavolo siete."

"Agente, è ancora in linea?"

"Se non lasciate immediatamente quel posto io-"

Un leggero tic, poi il silenzio.

Sicuramente, nel rapporto avrebbe scritto, sottolineandolo, che Stark gli aveva irrispettosamente attaccato il telefono in faccia.

E anche il Capitano era stato costretto a prendere parte alla serata contro la sua volontà.

O forse non avrebbe scritto nulla di tutto questo, chiudendo un occhio come faceva ogni volta che Tony Stark lo esasperava.






Note
Ebbeh, non mi sembrava equo che l'unica a dover sopportare l'esasperante ego di Tony fosse Pepper. Per tanto, ecco anche il nostro povero agente Coulson messo a dura prova da Stark e dalle sue trovate *Phil la insegue munito di spranga*
Ringrazio immensamente coloro che decideranno di dedicare un po'del loro tempo alla lettura. Hasta la vista!

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Capitolo 4
*** Now it's perfect ***


Now it's perfect




"Un po’più a destra."

Tony inclinò leggermente il quadro, muovendosi con cautela per non perdere l’equilibrio.

"No, è troppo."

Tony lo spostò ancora, avanzando di qualche millimetro per avvicinarsi alla parete.

Il legno della scala scricchiolò minacciosamente, mentre il gruppetto alle sue spalle continuava ad analizzare la posizione del quadro.

"Così è troppo a sinistra!"

"Secondo voi non sarebbe stato meglio collocare più in alto il rigido e appuntito pezzo di ferro che lo sostiene?" chiese Thor, perplesso.

"Puoi chiamarlo semplicemente chiodo" sbottò Tony "E prima che lo fissassimo, ho ripetuto circa un milione di volte che andava messo più in alto, ma voi non avete voluto darmi ascolto!"

"Io veramente ero d’accordo" si giustificò Bruce, alzando le mani per professare la propria innocenza.

La scala cigolò di nuovo, in modo più fragoroso, e Tony temette di ritrovarsi stecchito sul pavimento con la spina dorsale rotta, mentre quei quattro alle sue spalle deliberavano di quanti millimetri il quadro andasse spostato.

"Vi ordino di prendere una decisione entro i prossimi cinque secondi" disse, stringendo istintivamente le gambe all’ennesimo, inquietante crepitio.

Thor, Clint, Natasha e Bruce continuarono a discutere animatamente, senza prestare alcuna attenzione alle sue parole.

"Perdonali Agente, sono così indisciplinati" si lamentò, scuotendo il capo con fare desolato.

Gli parve di rivedere l’espressione esasperata ma al contempo indulgente di Coulson, quella che gli riservava ogni volta che ne combinava una grossa.

Come quella sera in cui aveva trascinato Steve e Thor nel locale più malfamato di Malibù, e il dio del tuono, convinto che fosse innocuo nettare divino, aveva tracannato tanta birra che per riportarlo a casa era stato necessario trascinarlo.

Una dolorosa fitta di nostalgia lo attraversò, inumidendogli gli occhi.

In realtà, l’agente Coulson ritratto nella fotografia non mostrava risentimento né condiscendenza; semplicemente, sorrideva, ed era un sorriso pieno e gioviale.

La sua espressione serena lo rincuorò parzialmente e Tony sentì l’onda di malinconia che l’aveva travolto poco prima ritirarsi, come un flutto burrascoso che, esaurita la sua forza, arretra mestamente verso il mare.  

Gli sorrise di rimando, sfiorando il vetro che ricopriva la fotografia con il dorso della mano.

"Ecco, così è perfetta!"

La voce di Natasha risuonò alta e squillante, sovrastando tutte le altre.

"Veramente a me sembra-"

 La donna lanciò uno sguardo omicida a Clint, che tacque all’istante.

"Sono d’accordo" asserì Bruce un istante dopo.

A Tony non era chiaro se ne fosse davvero convinto o volesse semplicemente assecondare Natasha, ma fu ben lieto che la disputa fosse terminata.

Mentre si apprestava a scendere da quella traballante scaletta, si levò un’altra voce.

"Manca una cosa."

Steve, arrivato proprio in quel momento, avanzò fino alla parete, posizionandosi ad un passo dalla scala.

"Volevi la cornice a stelle e strisce?" chiese Tony, beffardo e un pizzico irritato; non voleva che Rogers riaprisse il dibattito appena conclusosi.

Steve lo ignorò, si alzò in punta di piedi e allungò il braccio, depositando sul bordo della cornice un rettangolino di carta dal bordo dorato.

In basso a destra, in una calligrafia minuta e sghemba, campeggiava una firma.

Steve Rogers/Capitan America

"Potevi sceglierne una un po’meno ridicola, qui somigli terribilmente ad un-"

Si interruppe e deglutì, cercando di combattere contro il nodo che gli stringeva la gola.

"Non credevo che la mia bellezza ti commuovesse" commentò Steve, con un mezzo sorriso carico di imbarazzo, cercando di allentare la tensione.

"Da quando in qua hai senso dell’umorismo, Rogers?" ribatté Tony, poggiando il primo piede sul pavimento, lieto di poter celare l’emozione dietro il suo proverbiale sarcasmo.

Spostò la scala in un angolo e indietreggiò, avvicinandosi agli altri per osservare il quadro da lontano.

Sì, adesso era davvero perfetto.   








Note
Eccallà. Il momento tanto temuto è giunto. Non immaginate il dilemma amletico che ha rappresentato per me questa storia, terribile.
Il problema è Tony. Mannagg a te Stark, sì semp tu! (traduzione: "accidenti a te Stark, sei sempre tu a creare casini"). Con tutta l'onestà di questo mondo, non so se Tony Stark, in questa circostanza, avrebbe agito in questo modo, non so se questi sarebbero potuti essere i suoi pensieri, se la commozione l'avrebbe travolto in modo così violento. Ma questa storia è venuta fuori così, con lui che provava queste emozioni, e alla fine ho deciso, a torto o a ragione, che valeva la pena raccontarla. Ringrazio con tutto il cuore (pure coi polmoni, il fegato e tutti gli organi di cui sono dotata) coloro che continuano a dedicare il proprio tempo e la propria attenzione alla mia piccola, ma per me preziosissima, raccolta.

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Capitolo 5
*** La ballata dell'eroe ***


Era partito per fare la guerra,
per dare il suo aiuto alla sua terra.
Gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle.
Quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità.
Ora che è morto la patria si gloria
di un altro soldato alla memoria.
Ma lei che lo amava aspettava il ritorno di un soldato vivo,
di un eroe morto che ne farà?






L'applauso del pubblico risuonò fragoroso tra le pareti del teatro.

Tutti i membri dell’orchestra sorrisero davanti a quell’entusiasta manifestazione di consensi.

Tutti, tranne una.

Col capo chino, fissava le assi di legno del pavimento, insensibile alle acclamazioni.

Nessuna traccia di gioia sul volto ancora poggiato sulla mentoniera, nemmeno l’ombra di un riso.

Staccò faticosamente il viso dal violino, sollevando impercettibilmente lo sguardo; la sale era gremita e l’ovazione non accennava a scemare.

Gli occhi color smeraldo percorsero velocemente la prima fila, quasi sperando di trovarlo lì, adagiato su quella poltrona, la quinta a partire da destra. Era lì che sedeva, la prima volta che l’aveva vista suonare.

Ebbe un moto di pietà per se stessa, mentre la speranza si spegneva come la fiamma di una candela.

Quante volte si era trincerata dietro un’illusione, per cercare di alleggerire il peso della realtà?

Naturalmente, non c’era. Al suo posto, un’elegante signora di mezza età batteva le mani soddisfatta.

Una fitta di dolore la trafisse, e calò nuovamente il capo.

Poggiò la guancia bagnata di lacrime contro la mentoniera, come se il violoncello potesse diventare uno scudo, una maschera in grado di celare al pubblico la disperazione che la squassava.

Alle sue spalle, il rullo della grancasse si mescolò allo squillo dei clarinetti, e tutti i musicisti si accodarono alla melodia, riprendendo a suonare.

Inspirò profondamente e prese ad accarezzare le corde con l’archetto di legno, trovando parziale sollievo in quel gesto tanto caro.

La musica era sempre stata un rifugio e, mai come in quel momento, sentiva di averne un bisogno feroce. Impellente.

La gaiezza dell’aria contrastava nettamente con il suo stato d’animo, ma si impose di non badarvi.

Concentrò cuore e mente sulle note, immergendosi nella musica come in acque chete e cristalline.

Il dolore continuava ad opprimerle il petto, come un pugnale infilzato nel cuore, e la melodia fungeva da lenitivo.

Prese a suonare con maggior impeto, maneggiando l’arco come fosse un arma, sollecitando le corde con violenza. Il suono divenne più acuto e incalzante e una scossa di adrenalina le attraversò la schiena, inducendola ad un abbandono ancora più intenso e incontrollato.

Annullò se stessa e le proprie sofferenze, affidando la propria anima alla musica.

Poi il brano cessò e l’incantesimo svanì.

Il dolore le crollò di nuovo addosso, travolgendola come una valanga.

Affondò il viso nel legno, lottando per trattenere i singhiozzi.

Il concerto era finito e tutti i membri dell’orchestra guadagnarono il centro della scena, godendosi gli applausi scroscianti che provenivano dagli spalti.

Avrebbe voluto allontanarsi di soppiatto, ma non le fu possibile; si ritrovò intrappolata nella fiumana di orchestranti che confluiva verso il centro del palcoscenico, dovette rassegnarsi a stringere le mani ai musicisti che la circondavano e inchinarsi più volte per salutare il pubblico, come di consueto.

Le lacrime le offuscavano la vista, rendendo i volti degli spettatori sfocati e indistinti.

Eppure, una persona posizionate in fondo alla sala attirò la sua attenzione.

Era un uomo alto e robusto, poggiato contro la parete.

Non riusciva a vederne distintamente il volto, ma aveva qualcosa di incredibilmente familiare. Non lo conosceva, ma era certa di averlo già visto da qualche parte, forse su un giornale.

Sbattè le palpebre più volte per metterlo a fuoco e, quando i contorni del suo visi divennero più nitidi, un moto di profondo e agitato stupore la scosse.

I bei lineamenti marcati, le iridi celesti e i capelli biondi, con quel taglio retrò ormai abbondantemente superato.

E non era su un giornale che l’aveva visto, né in foto, ma su una figurina.

Su una marea di figurine, quelle che Phil le aveva mostrato, entusiasta e orgoglioso, solo pochi giorni prima.

Capitan America – quant'era strano vederlo con i propri occhi, in carne ed ossa – era circondato da un gruppetto di persone, quattro uomini e una donna dal caschetto scarlatto, anch’essi in piedi, poco più lontani. Nel loro sguardo, poteva percepire un misto di amarezza e rimpianto.

Finalmente, l’ovazione terminò e il pubblico cominciò lentamente a defluire.






Note
THE END.
Non sapete quanto abbia amato questa raccolta e quanto abbia amato tutti coloro che, con passione e pazienza, l'hanno seguita: ringrazio dal più profondo del mio cuore i lettori silenziosi e quelli che, invece, hanno generosamente lasciato recensioni ad ogni aggiornamento. Grazie a tutti, infinitamente. Mi rendo conto di essermi parecchio dilungata nelle risposte alle recensioni, spero di non avervi tediato, ma adoro interloquire con voi che tanta attenzione e complimenti avete dedicato alla mia penna.
Il testo con il quale ho introdotto il capitolo (e da cui è tratta la citazione dell'intro) è quello de "La ballata dell'eroe" di De Andrè. Questi versi mi hanno parlato di Phil, dandomi la possibilità di realizzare questo piccolo ma sentitissimo omaggio.
I love you, agente.
Alla prossima!

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