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di MariD96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Linz siamo arrivati ***
Capitolo 2: *** She looks strong but she isn't. ***
Capitolo 3: *** Il ragazzo dagli occhi color miele ***
Capitolo 4: *** Avvertimenti ***
Capitolo 5: *** My lifesaver ***
Capitolo 6: *** Una giornata a mare ***
Capitolo 7: *** Il mistero di Justin ***
Capitolo 8: *** Spiegazioni ***
Capitolo 9: *** Una nuova sistemazione ***
Capitolo 10: *** Il bersaglio. ***
Capitolo 11: *** La vera Linz ***
Capitolo 12: *** Il vero amore ***
Capitolo 13: *** Le indagini ***
Capitolo 14: *** The storm ***
Capitolo 15: *** Un brutto ricordo ***
Capitolo 16: *** After the storm ***



Capitolo 1
*** - Linz siamo arrivati ***


-Linz, siamo arrivati. 
 
La voce di mia cugina Ronnie mi fece sussultare, spesso la gente mi deve richiamare più volte all'attenzione perché mi perdo facilmente nei miei pensieri. 
 
-a che pensavi 'sta volta? 
 
Non risposi. 
 
-a niente, come sempre. -continuò lei con un accento di disgusto. 
 
Ero abituata a queste occhiatacce da parte sua e dopo tanti anni avevo imparato a ignorarla, anzi non le rivolgevo più la parola da tanto tempo.
 
Scesi dalla macchina presi la valigia, aspettai che zia Lea trovasse le chiavi del portone ed entrai nella nostra nuova casa. In verità non mi interessava più di tanto dove andassimo a vivere, non mi aspettavo nulla di diverso dalla mia solita vita. Dove andassimo a vivere era esattamente identico per me. 
 
La casa era molto grande, a due piani, le stanze da letto erano di sopra così salii in fretta per allontanarmi dalla mia "famiglia". 
 
In camera mia mi buttai sul letto e cominciai a pensare, ad immaginare veramente. Rimasi in quella posizione per molto tempo probabilmente mezz'ora quando improvvisamente sentii bussare. 
 
-sono Lea, posso entrare? 
 
Non risposi.
Dopo pochi secondi entrò lo stesso. 
 
-ascolta Linz, adesso cominciamo una nuova vita qui. Non ti chiedo tanto vorrei solo che qui non ti cacciassi nei guai. Puoi farlo? 
 
Aveva un tono gentile, decisamente non era da mia zia. 
Non risposi comunque.
Era successo che ero andata al fresco già un paio di volte, forse tre per aver rubato nei negozi o perché mi avevano trovato in compagnia di ragazzi che trafficavano droga o bevevano alcolici. E continuavo a cacciarmi nei guai solo per dare fastidio a Lea, lei non si preoccupava di me e se avesse potuto mi avrebbe abbandonato sulla strada o in qualche orfanotrofio quella dannata domenica di agosto di anni 8 fa. 
 
- Non voglio perdere la mia reputazione perché ho la sfortuna di avere una nipote che finisce sempre in carcere
 
Ecco la cosa peggiore era quella. Non le importava nulla di me ma solo della sua reputazione visto che era una donna con una buona carriera e ricca, questo è anche uno dei motivi per cui mi avevano obbligato a vivere con lei,
 
-Rispondimi e guardami quando parlo! -Urlò e perse tutta la gentilezza che aveva avuto fino a quel momento.  
 
Io annuii perché il trasloco mi aveva preso tutte le energie per affrontare uno dei soliti litigi e lei se ne andò sbattendo la porta.  
Comunque una cosa era sicura, questa volta Lea aveva ragione per la mia salute dovevo smettere con alcune abitudini.
Era sera così mi misi il pigiama e andai a letto, il giorno dopo mi sarei dovuta svegliare presto per andare a scuola, ma sapevo che non mi aspettava una notte tranquilla. 
 
 
 **


Il giorno dopo mi svegliai e come al solito mi toccò affrontare il ricordo del solito incubo che facevo di notte.
 
Mi vestii con una maglietta senza maniche nera e un paio di jeans scuri e attillati, amavo vestirmi di nero per non attirare l'attenzione ma spesso ottenevo lo stesso l'effetto contrario a causa dei miei capelli: erano lisci , lunghi e biondi, troppo biondi li odiavo perché tutti si fermavano spesso a guardarli. Inoltre avevo la pelle chiarissima, gli occhi azzurri e usavo molta matita nera, nel complesso direi che vedendomi la gente pensasse che fossi uscita da un film horror. Ma era quello che volevo così mi evitavano e io non volevo avere nessun contatto con gli altri.
Presi lo zaino misi dei quaderni e il borsellino e uscii di casa senza salutare né Lea né Ronnie, tanto noi non parlavamo molto. Con il mio skateboard sarei potuta arrivare a scuola in pochissimi minuti ma non conoscendo la strada mi fermai a chiedere a tantissime persone e alla fine ci misi un eternità. Quando finalmente entrai nel posto in cui avrei dovuto studiare ancora tanti anni mi accorsi che non avevo idea di come muovermi, pensai di chiedere a uno studente ma eliminai subito l'idea e mi misi a cercare  l'ufficio del preside.
 
-Buongiorno signorina, come la posso aiutare?.– Disse lui gentilmente, non ero abituata a questi toni così beneducati. Chi mi conosceva nella città dove vivevo prima sapeva ciò che facevo e mi parlavano o come se fossi una ritardata, come se dovessi andare in qualche clinica, o mi urlavano contro perché credevano fossi pericolosa o la maggior parte di loro si tenevano lontani da me.
Comunque non sapevo come rispondere a una tal gentilezza, optai sullo stare sulla difensiva e risposi:
 
- Sono nuova, non ho un orario delle lezioni. 
- Scusami ma se sei nuova dovevi farti accompagnare dai tuoi genitori il primo giorno. 
 
Rimasi in silenzio e immobile. Quella frase mi aveva sorpreso e un po’ disorientata, dopo pochi secondi aggiunse con un sospiro:
 
- va bene signorina, dimmi come ti chiami e vedo se sei già registrata. 
- Elisabeth Sten. 
 
Guardò delle cartelle sul computer per circa 7 minuti e io rimasi in piedi ferma ad aspettare, leggendo qualcosa sul modem per un momento sembrò preoccupato ma poi tornò il solito gentile uomo si voltò e disse - sei già stata registrata da una certa Lea Stewart va bene così. Allora non voglio che ci perdiamo in chiacchiere, benvenuta! questa è una piantina della scuola, questa una mappa con gli orari delle tue lezioni ed ecco la combinazione del tuo armadietto.- sorrise e mi porse dei fogli. 
 
- grazie- risposi e feci per andarmene quando lui si sporse dalla scrivania mi prese per un braccio e disse sussurrando -mi raccomando, so chi sei so che sei una ragazza un po' problematica, qui alcuni comportamenti non li accettiamo. – Sembrava serio e forse si aspettava una risposta ma quando capì che sarei rimasta ferma e muta finché non mi avesse lasciato dalla presa sorrise di nuovo e io me ne andai infastidita. 
 
Ero considerata da tutti così: problematica.
 
Mi diressi verso l'armadietto posai lo skateboard e andai verso la classe di chimica, mentre tutti prendevano posto io ne cercai uno in un banco da sola ma mi accorsi che non ce n'era e già quasi tutti avevano un compagno così adocchiai un posto in fondo vicino a un ragazzo con i capelli marroni. Mi avvicinai a lui passando per il corridoio formato tra i banchi e sentii qualcuno più avanti commentare a bassa voce "che schianto"  lo ignorai perché non ero sicura che quel commento fosse indirizzato a me ma mi diede fastidio comunque anche perché non volevo stare più con nessuno dopo quello che era successo all’ultimo ragazzo con cui ero fidanzata. Mi sedetti e dopo poco arrivò il professore.
 
-Buongiorno ragazzi. – tutti si alzarono per rispondere al saluto, da noi non si usava alzarsi quindi non lo feci e lui se ne accorse.
 
- Ehi! Tu ragazza laggiù puoi venire qui?- tutti si girarono a guardarmi  io mi alzai e in silenzio raggiunsi la cattedra, il professore però non sembrava arrabbiato con me per la mancanza di rispetto.
- Tu devi essere la nuova giusto?e quella è tua cugina suppongo. -  indicò Ronnie seduta qualche banco più avanti di me.
 
Anuii.
 
- Benvenute ragazze! Immagino che tu sia Elisabeth- Si rivolse a me.
 
Anuii di nuovo.
 
- So che hai avuto dei problemi, se vuoi qualcuno con cui parlare io sono anche il consulente scolastico. – aggiunse a bassa voce e sorrise.
 
Mi mandò a posto e iniziò a spiegare ma io ovviamente non prestai attenzione. Il ragazzo che avevo accanto mi guardava come se cercasse di capire che tipo fossi, ma non mi interessava più di tanto.
Il resto delle lezioni passò velocemente nessuno mi rivolse la parola e anche a mensa mi sedetti in un tavolo da sola, mentre Ronnie sembrava volermi evitare di proposito e aveva già stretto amicizia con delle ragazze vestite da cheerleader. 
Quando dopo la scuola arrivai a casa mi sedetti sul divano per vedere la tv e passare il tempo, ma non ebbi il tempo di aprirla perché dopo pochissimo tempo arrivò Ronnie sbattendo la porta, sembrava arrabbiata. 
 
-puoi farmi un favore? 
 
La ignorai capitava spesso che dava la colpa a me dei suoi guai e questa volta ero quasi sicura di non averle fatto nessun dispetto. 
Si accorse che non la stavo ascoltando ed ero ancora alla ricerca del telecomando così mi si avvicinò si sedette sul divano vicino a me, mi prese per il mento e mi girò la testa in modo che la potessi vedere negli occhi. 
- non devi parlare mai con Tyler  Chiaro? 
 
Non risposi.
 
- il tipo seduto davanti a te a chimica. Ha fatto un commento su di te mentre raggiungevi il tuo banco ricordi?
 
Certamente lo ricordavo comunque non le risposi, come facevo sempre quando le volevo fare un dispetto, come in questo caso parlare con Tyler. Lei infatti pensò subito che volessi fare amicizia con lui e aumento la stretta al mio mento per farmi paura poi aggiunse:
 
- È un giocatore della squadra di basket e sará il mio ragazzo. Chiaro? 
 
Le allontanai la mano dal mio mento e la scansai con una spinta così urlò - Bene ti farò vedere io. 
 
Andai in camera mia senza dire nulla, lei non mi faceva paura e solo il fatto di infastidirla mi faceva sentire soddisfatta di me stessa.
 
La sera apparecchiai la tavola e cucinai, era mio dovere farlo da quando avevo 11 anni, potevo vivere con Lea e Ronnie finché avessi obbedito ai loro ordini. Nonostante il modo in cui mi trattavano non avevano paura che potessi avvelenarli perché sapevano che non volevo essere abbandonata per strada.
Da piccola mi ripetevano sempre che ero un peso così un giorno mi era venuta la brillante idea di fare qualche faccenda domestica nonostante avessero benissimo potuto assumere una cameriera, credevo che mi avrebbero trattato meglio invece continuarono a darmi faccende da sbrigare.
 
Aspettai che arrivassero e iniziammo a mangiare silenziosamente, all'inizio del secondo piatto Ronnie disse - sai mamma ho incontrato un bel ragazzo a scuola, e farò di tutto per mettermi con lui. - mi rivolse un sorriso e Lea aggiunse 
- e tu Linz? Lo sappiamo tutti che sei tu in genere a piacere ai ragazzi, sai come conquistarli.. - la odiavo quando faceva così, probabilmente Ronnie le aveva raccontato delle cose che non avrebbe dovuto sapere comunque mi alzai e cominciai a sparecchiare si alzò anche Ronnie e andò al computer - Ronnie sai che non puoi stare al computer dopo cena!- disse la madre.
 
Trattava benissimo sua figlia, come se fosse una principessa non le urlava mai contro e Ronnie non aveva idea di cosa significasse essere al secondo posto per questo mi odiava tanto perché io non la trattavo come Lea.
 -Aspetta ora chiudo devo solo preparare una cosa per domani a scuola .- Rispose Ronnie alla madre poi mi rivolse un mezzo sorriso come se avesse in mentre qualcosa e continuò a fare quello che stava facendo. 
 Non sapevo ancora cosa mi sarei dovuta aspettare dal giorno seguente a scuola.

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Capitolo 2
*** She looks strong but she isn't. ***


Il giorno dopo quasi avevo dimenticato l’avvertimento di mia cugina del giorno prima, anche perché i miei incubi mi facevano dimenticare la vita reale e mi portavano in un mondo lontano, diverso e soprattutto inquietante.
 
Ogni mattina mi ci voleva del tempo per capire che ciò che avevo sognato non era accaduto o perlomeno non recentemente, erano solo dei lontani terribili ricordi.
 
Mi preparai e andai a scuola, questa volta ci misi di meno a trovare la strada.
Entrata mi accorsi che c'era qualcosa di diverso rispetto al giorno precedente infatti sembrava che molti mi fissassero e parlassero di me ma non capivo come era possibile visto che neanche mi conoscevano, e anche quando raggiunsi il mio armadietto una ragazza che era lì vicino sbarrò gli occhi e corse via come se avesse visto un mostro, pensai che fosse solo una mia impressione e persa nei miei pensieri entrai nell'aula di chimica, mi sedetti sempre vicino al solito ragazzo che questa volta invece mi guardava con un'area diversa, sembrava che mi volesse semplicemente conoscere. 
 
A fine lezione mi rivolse la parola per la prima volta- Piacere io sono Paul. - fece un sorriso a trentadue denti, i suoi occhi però mi misero subito agitazione, era lo sguardo di un imbroglione, un bugirado, qualcuno che non aveva buone intenzioni. Cercai di ricambiare con il miglior "sorriso" che riuscii a trovare e mi allontanai.
 
Perché mi aveva rivolto la parola? Perché proprio uno che sembrava così poco affidabile? Nella mia vecchia scuola a causa della mia fama da cattiva ragazza parlavano con me solo le persone con il suo stesso sguardo, che avevano un secondo fine, gli approfittatori, ma non capivo perché sarebbe dovuto succedere anche qui visto che nessuno conosceva il mio passato.
 
Partecipai alle altre lezioni e la prima parte della giornata passò abbastanza bene, a parte per delle occhiatacce da parte delle cheerleader, da parte di Ronnie e per il fatto che molti quando passavo si fermavano a guardarmi come se mi stessero giudicando. A mensa mi sedetti da sola come sempre cercando di non attirare l'attenzione ma non funzionò dopo poco arrivò il ragazzo biondo del corso di chimica, Tyler, l’amore di Ronnie.
Si sedette vicino a me e disse:
-ciao 
Non risposi, era lui che aveva fatto il commento su di me.
 
- io sono Tyler, tu sei Linz quella nuova giusto? 
- giusto –dissi senza neanche alzare lo sguardo dal mio vassoio.
- ti va di sederti lì con i miei amici?
- sto bene qui, grazie. 
- va bene ti faccio compagnia.
 
Continuai a ignorarlo così lui aggiunse per fare conversazione:
 
- Allora.. Che attività pensi di scegliere per i punti extra? 
- nessuna 
- perché non fai la cheerleader? Hai il fisico giusto per farla e poi ci vedremmo sempre, io sono il capitano della squadra di basket. 
 
Io che incitavo una folla di spettatori? Ahahahahahahah era il colmo, risposi semplicemente - ora devo andare. 
- ma se non hai neanche finito il frappé! – sembrava deluso.
 
Mi alzai lo stesso e mi allontanai, mentre camminavo sentii una mano di qualcuno che mi toccò il sedere, la mia prima reazione fu quella di girarmi e mollargli un pugno invece mi venne un'idea migliore mi girai lentamente posai sul suo tavolo il mio vassoio presi il frappé e lo versai in testa al ragazzo che mi aveva toccato e che io non avevo mai visto prima di allora e me ne andai, intanto sentivo tutti che ridevano per la figura che gli avevo fatto fare e mi sentii soddisfatta. 
 
perché improvvisamente sembravano tutti interessati a me?
 
Quando finirono le lezioni ripresi il mio skateboard e camminai per i corridoi a testa alta ma non guardando nessuno negli occhi, non volevo sembrare debole ma neanche una persona che voleva conoscere nuova gente. Anche se quel giorno mi aveva scosso.

**

All'uscita vidi Ronnie che aspettava qualcuno  a braccia conserte con altre 3 cheerleader, mi chiesi chi potesse essere. Magari Tyler o forse un insegnante?
Stavo spostando lo sguardo quando mi notò e mi fece cenno di avvicinarmi.
 
-Seguimi-Sussurrò.
 
Io e Ronnie avevamo la stessa età ma lei sembrava molto più grande di me, io ero troppo magra e un po’ bassa per la mia età e lei era troppo alta e aveva un po’ più di muscoli ma comunque un fisico da invidiare. Aveva i capelli neri lunghi e lisci e gli occhi scurissimi era una bella ragazza ma in giro gli altri preferivano me perché credevano facessi la misteriosa io invece volevo semplicemente stare sola.
 
Camminammo fino a un vecchio vicolo dietro la scuola. 
-allora? Hai notato qualcosa di strano oggi? 
Ovviamente si, ma non potevo darle questa soddisfazione. 
Scossi la testa.
 
- davvero? Sai ho pensato e ripensato a come fare ad allontanarti da Tyler e..
- Non ti devi sentire minacciata se ogni volta che ti piace un ragazzo a lui piaccio io. –
 
la interruppi. Veramente lei non sapeva che ero io ad avvicinarmi ai  ragazzi che le piacevano solo per farle un dispetto ma alla fine loro mi accettavano quindi non si notava. 
 
- Piaci ai ragazzi solo perché conoscono la tua cattiva reputazione
 
Non mi piaceva che la mia vita si sapesse in giro. Dopo una cosa del genere non avrei mai ribattuto ma visto che c'erano anche le sue amiche sarei sembrata una debole così aggiunsi
 
- non è vero, credo di piacere a Tyler e lui non lo sa, nessuno lo sa in questa scuola. 
 
Ronnie rimase in silenzio per un po' poi alzò un sopracciglio per darsi un'aria superiore e in quel momento capii cosa aveva fatto, come aveva potuto oltrepassare quel limite?
 
Mi avvicinai a lei e dissi a denti stretti- ecco cosa facevi al computer ieri! Stavi raccontando agli alunni della scuola la mia vita. 
 
La scena sembrava assurda perché io la guardavo dal basso e non sembravo credibile.
Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene.
Feci l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento le tirai un pugno sul naso, lei indietreggiò e mi accorsi che sanguinava. Le amiche indietreggiarono sorprese, poi aggiunsi – Veronica, io posso continuare a vivere la mia solita vita come facevo prima ma renderò la tua un inferno.
Me ne andai infuriata.
 
Ciò che aveva fatto non era un grande problema voglio dire potevo vivere come avevo sempre fatto, cercando di scappare da chi mi offriva aiuti per guarire dalle mie “stranezze" e dai ragazzi che mi credevano facile da conquistare, in questo nuovo posto ricominciando tutto da capo avrei avuto la possibilità di stare sola senza nessuno che mi rivolgesse la parola. Non credevo che Ronnie potesse farmi una cosa del genere.
 
Perché lei non poteva capire cosa significava essere me.
 
In questi ultimi anni oltre alla galera avevo provato delle droghe, anche se leggere, mi ero tagliata sui polsi più volte e avevo delle cicatrici che tenevo nascoste come meglio potevo, avevo fumato ma da poco avevo smesso perché sentivo i polmoni pesanti e  diciamo solo che negli ultimi 2 anni ero stata con circa 9 ragazzi diversi. Questo lo facevano anche altri miei compagni di scuola ma la cosa per la quale mi vergognavo di più e che conoscevano in pochi era che non ero più vergine a causa di un ragazzo che mi aveva fatto ubriacare ad una festa quasi del tutto e mi aveva portata a letto, sfortunatamente il fratello di questo ragazzo stava con Ronnie e le aveva raccontato tutto quindi da quel giorno lei mi minacciava dicendo di volerlo dire a tutti e oggi l'aveva fatto. 
 
Così tutti sapevano come mi comportavo  ma nessuno sapeva il motivo per cui lo facevo, perché ero sempre triste e perché preferivo stare da sola.
 
Nessuno conosceva la mia vera storia, cosa era successo 8 anni prima.
 
Ronnie su questo aveva sempre tenuto la bocca chiusa, perché se lo avesse raccontato in giro probabilmente tutti avrebbero provato compassione per me e avrebbero preferito "aiutarmi", ma la verità era che anche se lei, Lea, la polizia e i medici credevano di sapere cosa era successo quel giorno io non avevo mai raccontato la storia intera a nessuno.

** 


Quel giorno a casa io e Ronnie ci ignorammo completamente, per me non era strano, lo facevo ogni giorno ma in genere lei aveva sempre qualcosa da dirmi contro. Però prima di allora non l’avevo mai picchiata. Stette tutto il pomeriggio sul divano con una borsa di ghiaccio sul naso guardando la televisione e la cosa assurda era che non mi aveva chiesto neanche una volta di cambiarle il ghiaccio; si alzava lei e provvedeva a sé stessa era come una vacanza per me.
Credevo di non averle fatto tanto male invece alcune volte vedevo che le scendevano le lacrime per il dolore, le avevo rotto il naso, aveva un occhi nero e credo che si fosse slogata una caviglia indietreggiando dopo il pugno.
Forse avevo esagerato ma ero stata accecata dalla rabbia e non avevo calcolato quanto male potessi farle, avevo semplicemente colpito con tutta la mia forza e sperato di darle una bella lezione.
Dopo aver apparecchiato e preparato la cena arrivò Lea dal lavoro, quando sentii il rumore delle chiavi girare nella serratura mi si gelò il sangue nelle vene e per la prima volta dopo tanti anni ebbi davvero paura di mia zia.
Non avevo mai picchiato Ronnie e Ronnie e Lea non avevano mai picchiato me, erano solo antipatiche.
Ogni volta che litigavamo però la madre dava sempre ragione alla figlia e non so come avrebbe reagito sapendo cosa era successo. Solo quando la porta si spalancò mi ricordai che Ronnie era andata in bagno e volendo avrei avuto qualche minuto di vantaggio per scappare da Lea ma le gambe erano bloccate dalla paura e rimasi lì ferma vicino al tavolo con dei piatti in mano aspettando che succedesse qualcosa e sperando che la mia fosse solo un’ esagerazione e che Lea capisse.

- Ciao Ronnie, che si mangia stasera?- disse chiudendo la porta alle sue spalle.

Non riuscii né a muovermi né a dire qualcosa, non le sembrò strano all’inizio perché non le rispondevo mai ma quando si girò e vide la mia faccia terrorizzata con gli occhi sgranati,  disse con tono preoccupato:

- Che succede? Non sembri così spaventata da anni! Da quando…

Le mancò il respiro.

“Da quando ho trovato suo marito, zio Lucas,  morto” pensai.

Veramente aveva ragione in quegli anni con lei avevo avuto sempre la stessa espressione, non avevo paura, non piangevo, non ero felice. Sembravo una statua di cera o un robot, sembrava che non provassi più niente.

- Aspetta che hai fatto? Cosa è successo. Parla! 

Adesso sembrava spaventata e urlava ancora di più del solito, aveva le lacrime agli occhi. Forse credeva che sua figlia fosse anche morta, sembrava tanto la scena di quando qualche anno prima aveva scoperto che zio era morto. Mi corse incontrò, mi prese per una spalla e mi scosse.

- Parla Linz parla! – sembrava disperata e io lo ero ancora di più:  sconvolta e senza parole, non riuscivo ad emettere un suono benché volessi tranquillizzarla.

- Dov’è Ronnie? –Urlò -Linz, dove è Veronica?-Urlò ancora più forte guardandosi in giro.
In quel momento entrò zoppicando mia cugina tenendosi con le mani il ghiaccio sul viso.

- Mamma, sono qui. – disse. Lea tirò un sospiro di sollievo e si allontanò da me, dopo pochi istanti assunse di nuovo un’aria preoccupata.

- Tesoro cosa è successo?

“ecco la mia fine” Pensai.

Ronnie mi guardò.

- Chi ti ha picchiata?

Trovai nelle gambe la forza di indietreggiare, sperando che nessuno se ne accorgesse.

- Allora? Chi è stato? Non possono ridurre così la mia bambina!

Ronnie sussurrò– è stata lei

- lei? Lei chi?- disse Lea, poi si girò e confusa e mi prese per una spalla. - tu?

Non avevo il coraggio di rispondere, anche se non sembrava arrabbiata come immaginavo, poi aggiunse.

- Ti abbiamo fatta crescere in questa casa per non lasciarti sola, sei così sfortunata che sei stata la causa della morte di mio marito Lucas, ho sperato che ti riprendessi e invece sei finita alla droga, al fumo, in carcere , sei piena di tatuaggi e ti comporti come una prostituta. E ora che fai? Ci vuoi fare del male addirittura picchiandoci?
Sai che ti dico? Inizierai ad avere delle sedute con lo psicologo della scuola, il tuo insegnante di chimica , spero che funzionino altrimenti non so più che fare. Altrimenti puoi andare dove ti piace, puoi vivere sulla strada con i tuoi amici drogati e alcolizzati, puoi guadagnarti i soldi come sai fare meglio tu comportandoti da sgualdrina e rubando.

Aumentò la stretta sulla spalla e dopo qualche secondo di esitazione mi tirò un pugno dritto in faccia, decisamente più forte di quello che io avevo tirato a sua figlia per il semplice motivo che lei pesava due volte me, persi l’equilibrio e caddi con i piatti per terra.

- scusami tanto, ma devi capire in che situazione terribile viviamo! –iniziò a piangere, prese per la mano Ronnie e si avviarono alla porta d’ingresso poi disse per consolare sua figlia – tesoro non ti preoccupare non è niente, ora andiamo al pronto soccorso e tutto passa.

Mi alzai, presi un fazzoletto per pulirmi il sangue che mi usciva dal naso e un po’ di ghiaccio per l’occhi nero, alzai da terra i piatti ormai in frantumi e andai in camera mia a piangere di nuovo dopo tanto tempo.

**

Man mano che il tempo passava l’effetto dello shock diminuiva e io smettevo di piangere sempre di più.

Non avrei mai pensato che potesse dirmi quelle cose in faccia.

Il pungo non mi aveva fatto male quanto ciò che aveva detto, continuavo a pensare a quelle frasi una ad una, parola per parola.

“sei stata la causa della morte di mio marito Lucas” aveva detto.

Forse aveva ragione, ogni persona che mi stava vicino alla quale volevo bene finiva con il morire. Ecco anche perché preferivo stare sola, avevo già causato la morte a 6 persone e non volevo spezzare altre vite innocenti.

“sei finita alla droga, al fumo, in carcere , sei piena di tatuaggi e ti comporti come una prostituta.”  Aveva continuato.

Beh, qui aveva un po’ esagerato ma era il solito ritratto grossolano che facevano tutti vedendomi.
La droga l’ avevo provata poche volte e in carcere c’ero finita solo tre volte.
Piena di tatuaggi? Non è vero ne avevo giusto tre e nessuno conosceva l’esistenza del terzo. “ Stay Strong” in basso a destra sulla pancia, “love” sul piede sinistro e dietro il collo avevo scritto “Ellie”, questo era nascosto agli occhi di tutti perché nessuno doveva immischiarsi nei miei fatti, l’avevo fatto scrivere solo perché significasse qualcosa per me.
“Ti comporti come una prosituta”
Questa frase mi aveva ferito, dopo quella festa tutti lo pensavano. Mi avevano fatto ubriacare, non era stata colpa mia, avevo i sensi confusi e non ricordo molto. Il giorno dopo, mi ero svegliata senza vestiti tra le braccia di quel ragazzo che conoscevo solo di vista  lui mi raccontò come erano andati i fatti e io cominciai a ricordare qualcosa ma a tratti, dei ricordi confusi.Comunque poi scappai da quella casa sperando che nessuno lo sapesse, invece gli altri compagni del liceo sospettavano qualcosa ma non avevano nessuna certezza, tranne Ronnie.

puoi andare dove ti piace, puoi vivere sulla strada con i tuoi amici drogati e alcolizzati, puoi guadagnarti i soldi come sai fare meglio tu comportandoti da sgualdrina e rubando.” Aveva anche aggiunto.

Vivere sulla strada non mi allettava molto e i miei “amici” non erano senzatetto ma ragazzi con problemi in famiglia come me. Non volevo guadagnare in quel modo, da quando ero bambina il mio piano era quello di arrivare ai 18 anni, abbandonare Lea e Ronnie, con i soldi che finalmente avrei potuto ereditare e partire per un altro paese dove trovare lavoro. Non avrei mai finito gli studi ma sarei stata finalmente libera. 
Fino ai 18 anni però sarei dovuta restare ancora sotto quel tetto , mancava un anno e mezzo, quindi mi conveniva fare come diceva lei e andare dallo “psicologo”.
Persa nei miei pensieri si fecero circa le 3.00 di notte e io ancora non avevo chiuso occhi invece Ronnie e Lea erano già tornate da un pezzo e stavano dormendo.
Non avevo assolutamente nulla da fare e non avevo sonno così aprii il cofanetto sul mio comodino, sapevo cosa conteneva ma l’ultima volta  l’avevo aperto circa 8 anni prima.

All’interno c’erano un ferretto rosa con dei cuori, una catenina spezzata e una pallottola già usata.

Quegli oggetti mi fecero venire una forte nostalgia e mi pentii subito di averlo aperto. Mi avvicinai al davanzale della finestra e vidi una delle lamette che avevo usato qualche mese prima per tagliarmi.
Sapevo che era una cattiva idea e mi ero ripromessa di cercare di stare meglio ma ne presi una lo stesso e mi sedetti sul letto.
La guardai per molto tempo tra le mie mani, cercando il coraggio di usarla. Può sembrare assurdo ma quando stai così male un dolore fisico sembra che ti aiuti a stare meglio, in realtà non è vero. L’ho capito solo più tardi a mie spese.
Verso le 4.00 di notte impugnai la lametta per il manico e lasciai scorrere la lama sui miei polsi, era doloroso ma mi faceva dimenticare i miei ricordi. Dopo due tagli però la posai al suo posto, sul davanzale della finestra e corsi in bagno per bloccare il sangue e pensai sorridendo “però Linz non hai più la resistenza di una volta, forse stai davvero guarendo”

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Capitolo 3
*** Il ragazzo dagli occhi color miele ***


Buongiorno signorina Sten, sono felice che lei abbia deciso di venire da me per farsi aiutare.- Il signor Collins, l’insegnate di chimica e psicologo della scuola, fece un sorriso a trentadue denti.  Avrebbe potuto rassicurare chiunque, ma non me.
Non dopo quello che avevo passato.

Continuavo a pensare che tutto questo sarebbe stato inutile: le visite solo una perdita di tempo e le attenzioni di Collins mi avrebbero portato alla pazzia.
Per stare meglio sarei voluta stare con qualcuno che tenesse veramente a me e non potevo perché chi teneva a me finiva sempre
male, come era successo già in passato.


- ti prego accomodati su quel divano, mettiti a tuo agio.

Mi avvicinai al piccolo divano e mi sedetti, lui era messo con una sedia di fronte a me e credo che aspettasse che dicessi qualcosa

- allora? C’è qualcosa di cui mi vuoi parlare?

Mi guardai in torno ignorandolo.

- Facciamo il punto della situazione, tua zia la signora Stewart dice che non ami parlare, vuoi stare da sola e hai avuto problemi con droga, alcol e fumo, è vero?

Non risposi. Spervao che si stancasse, si arrendesse e così da poter scappare da quell’ufficio invece lui sembrava sereno e tenace, sorrideva anche. Già lo odiavo, capii subito che sarebbe stato difficile dissuaderlo dall’idea di aiutarmi.

- Io ti posso aiutare. – mi prese una mano – parla con me.

- Lei sorride sempre quando parla?

Si mise a ridere– si, sai sorridere allunga la  vita!

- morirò giovane allora.- rise ancora più forte. Se ero riuscita a fare una battuta significava che o lui era davvero molto bravo o in pochi minuti sarebbe finito il mondo.

- Sei molto simpatica! Scommetto che prima che “cambiassi” eri una chiacchierona e ridevi sempre!

Aveva ragione, ricordavo come era la mia vita prima.
Ero sempre così felice, amavo giocare con mia sorella in giardino, non litigavamo quasi mai e quando lo facevamo papà faceva finta di essere offeso con noi. Passavo il tempo a rincorrere Luna, il nostro cane, veramente non ho idea di dove sia finita non l’ho più vista dopo quella domenica. Era tutto perfetto, anche una semplice chiacchierata di allora era meravigliosa paragonata alla mia vita di ora.
Per molti anni avevo cercato di eliminare quei pensieri dalla testa perché mi facevano stare male e Collins era riuscito a farmi ricordare tutto in troppo poco tempo. Mi chinai sulle mie gambe e nascosi la testa tra le ginocchia per nascondere le lacrime. Improvvisamente sentii la mano leggera del professore sulla spalla ancora dolorante dalla presa di Lea il giorno precedente, poi lui disse:

- Io non credo che tu ti comporti così solo perché è una tua scelta, hai avuto una brutta infanzia e io posso aiutarti, raccontami cosa provi e starai meglio. Sai tua zia ha sbagliato doveva mandarti da qualcuno già molto tempo prima e..

- Lei non si è mai interessata a me! –urlai con tutte le mie forze alzandomi di scatto.

Ero ancora in lacrime.Non avevo intenzione di risedermi. Si alzò anche lui mi prese una mano e disse: 

– lo so, l’ho capito da come parlava di te al telefono. Ti capirò se non vorrai più tonare a queste visite, ma devi tirare avanti perché sei forte e non devi ascoltare cosa dicono di te gli altri compagni, possono credere quello che vogliono: che tu abbia fatto uso di sostanze stupefacenti, che fumi, che hai avuto rapporti con tanti ragazzi. Ma solo tu sai perché lo fai. E deve essere una ragione davvero importante se è riuscita a rovinare una così tanto bella ragazza!

Era la prima volta dopo tanto tempo che qualcuno si interessava così tanto a me, mi aveva addirittura considerata bella, tanti ragazzi me l’avevano detto ma non sembravano più tanto sinceri in confronto al modo in cui l’aveva detto lui. Si perché a loro interessavo solo per l’aspetto fisico mentre il signor Collins credeva che fossi una bella persona, per un momento capii come ci si sentisse ad essere apprezzati.

Dissi – grazie, per quello che ha detto ma preferisco stare da sola.-comunque continuavo a pensare che quelle visite erano solo un’assurdità, anche perché io non ero intenzionata a dire a nessuno la mia vita privata , i miei pensieri e le mie opinioni.

- se vuoi ti lascio da sola qualche minuto per riflettere.

- no, io intendevo sola sola. Affronterò tutto questo ma per ora non voglio il suo aiuto.

- quando mi vorrai sarò qui-  mi fece un sorriso e mi aprì la porta per uscire, io mi asciugai le lacrime e mi allontanai.
In un certo senso speravo che  avrebbe cercato di fermarmi più a lungo invece lui si che mi capiva, gli avevo detto che me ne volevo andare e mi aveva aperto la porta per farmi uscire. Sapeva come aiutare la gente. Non so con quale coraggio mi sarei mai più presentata alle sue lezioni.

**

Quel giorno la mensa sembrava più  affollata del solito così presi un pacchetto di patatine dal distributore automatico e mi fermai a mangiarle in piedi davanti a un cartellone sulle buone abitudini alimentari.
Ero concentrata a leggere cosa diceva quando sentii un braccio prendermi per la vita, sobbalzai e mi cadde il pacchetto di patatine a terra.
Possibile che non l’avevo sentito arrivare?
Era sempre lui biondo, occhi chiari, divisa da basket.
Era Tyler.
Mi aveva preso alla sprovvista e non sapevo cosa fare.

- Ehi Linz, perché non sei a mensa?

Rimasi in silenzio.

- Ho capito, fai la sostenuta. Come sempre. Allora facciamo un gioco.

Mi prese per un braccio e mi porto in un ‘aula deserta e socchiuse la porta.
Avrei forse dovuto avere paura?
Mi erano successe così tante cose  quegli ultimi anni che niente più mi sorprendeva.

Continuò – il gioco è questo. Io parlo tu ascolti. Fai cenno con la testa se vuoi dire si o no se ritieni necessario puoi aggiungere qualcosa, va bene?

Annuii seccata.

- allora cominciamo. Girano voci a scuola su di te, sono vere?

- in parte.-dissi fredda.

- Chi ti ha fatto l’occhio nero?-all’inizio non capii poi realizzai che era stato il pugno di ieri e annuii. Lui aggiunse sospirando

- giusto, tu non parli.-poi continuò

- La settimana prossima sabato sera farò una festa a casa mia, verresti?

Ero indecisa su cosa rispondere ma in genere andavo alle feste perché me lo chiedevano i miei amici anche se alla fine non si concludevano bene. Comunque non ci trovavo nulla di male e avrei dato fastidio ancora di più a Ronnie quindi annuii.

- Sei bellissima.

- Non è una domanda.- puntualizzai.

- Lo so.- sorrise e in quel momento suonò la campanella così altri studenti entrarono in classe.

Per tutta la giornata mi chiesi se quello che stavo facendo fosse giusto, forse stavo solo provocando Ronnie, comunque lei aveva ragione quel ragazzo era davvero bello e perché no? Non sarebbe stata una cattiva idea mettersi con lui.
Alla fine conclusi che sarebbe stato meglio reggergli il gioco.

**

 Non avevo mai passato una mattinata a scuola cercando di scappare tra i professori ma c’era sempre una prima volta per tutto. Quel giorno ci sarebbe stato uno spettacolo di musica classica nell’auditorium della scuola e io non avevo per niente voglia di passare un’ora e mezza ascoltandolo, così quando tutti si stavano recando nel teatro della scuola per assistere alla performance mi nascosi in un’aula e cominciai a leggere un libro che avevo portato la casa: “Le parole che non ti ho detto” di Nicholas Sparks.
Mi misi in piedi di fronte la finestra per avere più luce, non c’era niente di meglio che un buon libro, non leggevo spesso ma in questo ultimo periodo avevo cominciato a leggere Sparks perché i suoi personaggi avevano qualcosa che riuscivo a ritrovare in me.
Ero immersa nella lettura quando improvvisamente mi sentii toccare il sedere. Chiusi il libro e lo tirai in testa al ragazzo che era riuscito ad arrivare vicino a me senza che io me ne accorgessi, pensavo  fosse Tyler invece vidi qualcuno sempre vestito con una divisa da basket ma aveva i capelli neri e gli occhi scuri.

- Prima il frappé adesso un libro.. perché? – sembrava confuso.

Dopo qualche secondo lo riconobbi, era lo stesso che il mio secondo giorno di scuola mi aveva toccato a mensa e io gli avevo versato il frappé addosso così urlai contro

- Perché non stai con le mani apposto, dannazione.

- Sei esagerata lo sai? Le ragazze qui pagherebbero per ricevere da me le attenzioni che io do a te.

- Allora vai da qualcun’altra così diventi anche ricco. – come si permetteva? Odiavo chi si credeva dio in terra.

- Carina, guarda che è inutile che ti comporti così. Con Tyler ha funzionato ma io so chi sei veramente. Conosco la tua cattiva reputazione,aspetti solo che i ragazzi cadino ai tuoi piedi per portarli a letto,  tu vuoi che loro ti trattino così. Guarda me, io posso stare con te facendoti un favore e  non ti sto chiedendo niente in cambio.

- Tu non hai la minima idea di chi sia io. –allontanai la sua mano dal mio lato b e mi diressi verso la porta, lui però mi raggiunse e mi prese da un polso.

- Guarda che non lo penso solo io, lo sanno in molti qui.

Liberai la presa dalla sua mano, uscii dalla classe per cercare un altro posto dove andare, intanto mi accorsi che quasi tutti erano tornati dal teatro, questo significava ce ormai lo spettacolo era finito.
Non avevo abbastanza forza per andare a lezione, so che dovevo lasciare perdere ma quel ragazzo mi aveva trattato davvero male e volevo solo un posto dove piangere, pensai di andare dal signor Collins ma aveva una lezione a quell’ora.
aspetti solo che i ragazzi cadino ai tuoi piedi per portarli a letto” Tutti pensavano queste cose, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirmele in faccia.
Camminando per i corridoi vidi uno stanzino dove ci tenevano le scope e altri prodotti per le pulizie ed entrai lì.

**

Mi accorsi che non ero sola quando toccando i muri per trovare l’interruttore della luce sfiorai il braccio di qualcuno, mi uscii un urlo soffocato e mi allontanai di colpo per lo spavento, sbattendo la testa ad un armadietto dietro di me.
In compenso appoggiandomi al muro per non cadere a terra riuscii a trovare l’interruttore e aprii la luce.

- Scusami se ti ho fatta spaventare.-sussurrò – Ti sei fatta male?

Non risposi, ovviamente.

- Che ci fai qui?-continuò.

Era un ragazzo alto, magro con gli occhi color miele, quegli occhi mi fecero venire una forte malinconia.
Aveva i capelli alti con il gel e indossava una maglia nera a maniche corte e dei pantaloni bianchi a vita bassa, molto bassa. Aveva delle scarpe enormi e un fazzoletto che usciva dalla tasca di dietro.
In quella scuola era l’unico che non mi guardasse come se fossi un dolce da mangiare o del cibo avariato da allontanare.
Dopo un po’ aggiunse – Scusami, ti continua a fare domande e probabilmente sei sordo muta.- si sedette su un baule a testa bassa come se fosse si rassegnato che io non potevo capirlo.

- A che ti serve quel fazzoletto?

Sembrava sorpreso che avessi parlato, poi disse

-piacere, mi chiamo Justin tu chi sei?

- A che ti serve quel fazzoletto? – ignorai la sua domanda.

- Lo uso sempre. Come ti chaimi?

- Linz.

- Che ci fai qui Linz?

Non risposi.

- Perché non rispondi?

- Sono qui perché volevo stare sola.

- scusami, ma io adesso non posso proprio uscire. – sembrava preoccupato.

Non mi interessava la sua vita e non volevo conoscere i suoi problemi così mi sedetti su un altro baule di fronte a lui, chinai la testa in avanti e posai il libro accanto a me.
Dopo qualche minuto disse

- Non sei una di molte parole

Attese che io rispondessi.

- Perché volevi stare sola?

Si accorse che io non mi muovevo da quella posizione e aggiunse rassegnato

- va bene, ci rinuncio. – e si appoggiò al muro, mentre si girava i pollici.

Non lo conoscevo ma sembrava un bravo ragazzo, oltre ai professori e a Ronnie in quella scuola mi avevano rivolto la parola solo ragazzi non educati.
Lui sembrava diverso da loro.
Mi ricordava tanto il mio ultimo ragazzo, Mike.
Mike era buono, simpatico e teneva davvero tanto a me, forse era l’unico che mi aveva amato davvero. Quando mi facevo del male, bevendo o fumando, mi diceva di smettere e mi abbracciava e mi coccolava.
Un giorno  lo trovarono steso su un marciapiede. Dissero che era morto a causa di una rissa, ma lui cercava sempre di evitare questo tipo di problemi e alla fine la colpa ricadde su di me. C’era chi sospettava che io avessi pagato qualcuno per picchiarlo visto che non mi permetteva di tagliarmi, di rubare ecc.. e chi invece credeva che qualche malintenzionato lo avesse ucciso perché voleva stare con me.
Comunque solo quando morì io capii quanto avessi bisogno di lui, non lo avevo mai amato ma mi era indispensabile per sopravvivere.
Mi sentivo terribilmente in colpa per la sua morte.
Justin e lui avevano gli stessi occhi. Alla fine dissi

- Perché sei qui?

- Mi nascondo.

- Da chi?

- Dal preside.

- Perché?

- Affari miei.

Rispose freddo adesso capivo come si sentiva la gente a parlare con me. Probabilmente non avevo detto così tante cose da anni e non avrei voluto smettere di parlare.
Passammo circa un’ora seduti in quello sgabuzzino, in silenzio.
Alla fine lui disse:

- Chi ti ha fatto l’occhio nero?

- Sono sbattuta

- Certo. –si sentiva dal tono che non mi aveva creduto ma di certo non gli avrei raccontato cosa era successo.

- Tra pochi minuti l’orario scolastico finisce. –aggiunse.

Sentimmo il suono della campanella e piano piano il vocio dei ragazzi che diminuiva.

- Ci si vede in giro-mi disse aprendo la porta dello sgabuzzino.

- già-sorrisi e lui ricambiò.

Devo dire che per essere stati più di un’ora chiusi nella stessa stanza non avevamo chiacchierato molto, ma per me era quasi un record. 

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Capitolo 4
*** Avvertimenti ***


I seguenti giorni passarono normalmente, a casa non parlavo mai né con Ronnie né con Lea. Qualche volta zia mi chiedeva come andava con il dottor Collins e io le rispondevo “bene” nonostante non andassi più ai nostri appuntamenti.
Tyler a scuola cercava di passare il più tempo possibile con me e tutte le ragazze della scuola, compresa Ronnie, sembravano odiarmi perché il capitano della squadra di basket aveva occhi solo per me.
Quando vedevo il ragazzo del frappé e del libro in testa che si avvicinava cambiavo corridoio. Dal quel giorno in cui ero finita con il nascondermi in uno sgabbuzino ero stata molto più attenta a guardarmi intorno per non incontrare nessuno di spiacevole.
In classe mi sedevo sempre lontana da tutti, tranne nell’ora di chimica dove ero costretta a stare con quel Paul perché “ognuno deve avere il proprio compagno di laboratorio” diceva il professor Collins, forse era solo un modo per farmi trovare un amico ma ancora dovevo decidere se Paul fosse un bravo ragazzo o no. Comunque da quando si era sparsa la voce che Tyler mi aveva invitato alla sua festa anche lui cercava di stare al suo posto, mi tartassava di domande ma non aveva mai provato ad avvicinarsi a me più di tanto.
Mancavano solo un giornio alla festa di Tyler, a me non importava molto ma tutti erano eccitatissimi. Sentivo dire tra i corridoi “sarà una festa epica”, “la festa dell’anno”,  “chi non è stato invitato non vale nulla” a quel punto mi chiesi se Justin fosse stato invitato, magari sarei riuscita a parlare di nuovo con lui.
Non ero per niente abituata a quella situazione, in genere erano i ragazzi a venire da me invece questa volta ero io che dovevo cercare lui, anche se sapevo che sarebbe stata una pessima idea per entrambi.

**

- ciao, carina.

Sobbalzai, qualcuno mi aveva semplicemente sussurrato nell’orecchio, aveva sussurrato come l’ultima volta che ci eravamo visti.
Riconoscevo quella voce. Era dietro di me.

- Sai la mia proposta è ancora valida.

Speravo solo che se ne andasse, invece sembrava che volesse una risposta.

- Ops, che sbadato! Non mi sono ancora presentato, mi chiamo Jason.- mi fece un sorriso malizioso.

Questa volta non avevo nulla in mano da tirargli in testa, niente frappé, niente libri. Eravamo nella palestra della scuola aspettando che iniziasse la lezione di ginnastica.
Peccato che non mi ero armata di racchetta da tennis e pallone da basket.

-Sai questi pantaloncini ti donano.

Si mise di fronte a me

- Visto? Sto imparando. Questa volta sei disarmata e io ancora non ti ho toccato neanche un braccio, ho le mani a posto.– sorrise di nuovo, poi allungò la mano come per abbracciarmi ma io la afferrai per bloccarla e gli lanciai un’occhiata di sfida.

- Adesso fai la dura eh? Bene. Non scaldarti troppo, volevo solo sapere se domani ci sarai alla festa di Tyler.

Rimasi in silenzio.

- Certo, ovviamente se ti degnerai di rispondere.

Si accorse che non avevo nessuna voglia di parlare con lui, si liberò dalla mia presa e mi mise una mano leggera sulla spalla, poi gentilmente mi fece indietreggiare fino al muro, lontano dagli occhi dei nostri compagni di classe.

- Comunque io andrò, ci sarà da divertirsi.

Sorrise e avvicinò il suo volto al mio, abbassai la testa.

-Ho fatto una promessa a me stesso sai?

Mi prese dai polsi e li strinse nella sua mano, lui era alto e muscoloso, le sue mani non erano da meno. Io bassa e troppo magra quindi diciamo che riusciva a tenerli facilmente nella sua presa. Non cercai di liberarmi, sapevo che non ci sarei riuscita e sarei sembrata una debole così feci l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento per prendere tempo chiesi:

- che promessa?

Proprio in quel momento arrivò la professoressa di educazione fisica per dirci di fare 10 giri di corsa di tutta la palestra.
Lui mi liberò e io mi allontanai con disinvoltura.
Cercai di non sembrare spaventata per colpa di Jason, ma gli stetti lontano il più possibile. Comunque già tante volte mi si erano avvicinati ragazzi come lui e sapevo che assecondandoli dopo un po’ se ne andavano, avrei solo dovuto aspettare.

**

- Ti tingi i capelli?– una ragazza alle mie spalle si stava rivolgendo a me. Era gentile, non risponderle sarebbe stato crudele.
Me lo avevano chiesto circa un milione di volte fino ad allora. Era quasi impossibile averli biondi come li avevo io. Eravamo nello spogliatoio, per cambiarci dopo aver sudato facendo palestra.

- no-risposi distrattamente.

- sai una cosa? Per avere tutti questi ragazzi ai piedi sei davvero antipatica.-era un’altra ragazza, mi sembrò di riconoscerla era una delle cheerleader.
La ignorai e mi abbassai per allacciarmi le converse.

- Ti conviene lasciare in pace Tyler.- continuò lei.

Mi misi lo zaino in spalla per andarmene.

- E Jason.– disse un’altra delle cheerleader.

Mi incamminai con passo veloce verso la porta, ignorando i commenti che stavano facendo su di me, quando improvvisamente mi ritrovai con la faccia a terra. Avevo perso l’equilibrio perché qualcuna mi aveva fatto lo sgambetto.
Mi alzai e la prima cheerleader che aveva parlato mi si piazzò davanti.
Era bionda, con gli occhi azzurri e con un fisico da invidiare. Molto meglio di me questo era poco ma sicuro.

- So che ti ha già invitato alla sua festa. – poi si mise a ridere, non sembrava una risata sincera.

- Ha preferito te a me. Te, una drogata depressa che sarà andata a letto con mille ragazzi diversi.

Altre due cheerleader mi presero dalle braccia.

- almeno io mi so difendere da sola.- dissi con l’espressione  più convincente che riuscii a trovare.

La ragazza bionda fece un cenno e le altre due lasciarono la presa, poi si scansò e io uscii.
E quello si era classificato come il giorno di brutto a scuola nella storia dei giorni brutti. Prima quella specie di maniaco e poi quella psicopatica. Fantastico, direi.
Ero decisa più che mai a mettermi con Tyler per dare fastidio a entrambi.

**

Il parco la mattina presto di Sabato era perfetto. Nessuno veniva a disturbarti e io potevo immergermi nei miei pensieri in santa pace.
Sentivo solo il rumore del vento e il cinguettio degli uccelli.
Perdermi nel mio mondo di fantasie ed immaginare una vera famiglia era la cosa migliore che potessi desiderare.
Per questo ero metà del tempo distratta.

- Tu sei la ragazza dello stanzino.-Quella voce mi riportò alla realtà ma questa volta a differenza delle altre non mi sentivo infastidita.

Era  Mike, solo Mike mi con quel tono gentile. Finalmente avrei potuto dirgli che mi dispiaceva per non averlo mai amato.
Alzai lo sguardo.
Aveva un cappello “NY” rosso, portava dei pantaloni neri a vita bassa e una maglietta a mezze maniche sempre nera.
Mi ci volle qualche secondo per realizzare che quello non era Mike ma Justin.

- si-risposi un po’ delusa.

Si sedette sotto l’albero accanto a me.

- Aspettavi qualcuno?

- nessuno in particolare.

- Posso dirti una cosa? Ti sembrerà strana ma.. beh..- sembrava imbarazzato.

Annuii.

- Mi ricordi tanto mia cugina, avete la stessa fisionomia.

Non sapevo che dire, non mi sembrava tanto strano considerando che lui era identico a Mike.

- Lei si è trasferita qualche anno fa, ci sentiamo per telefono ma mi manca tanto. Eravamo migliori amici.

Posò lo sguardo sopra una siepe in lontananza, stava pensando a qualcosa di profondo. Magari a dei bei momenti passati con lei.
Probabilmente se avessi stretto una buona amicizia con Ronnie non mi sarei fatta del male e starei leggermente meglio.
Si, dovrei continuare a portarmi quel terribile fardello ma avrei avuto meno problemi.

-mi dispiace. –sussurrai.

Justin si girò di colpo verso di me come se lo avessi appena svegliato da un sogno ad occhi aperti

- non importa, allora raccontami un po’ di te.

Fece un sorriso a trentadue denti.
Io che raccontavo a qualcuno la mia vita? Negativo.
Mi alzai e mi incamminai verso un altro posto, lontano da lui.
Mentre camminavo sentii dei passi leggeri dietro di me.
Era Jason sicuramente, mi bloccai e mi voltai di scatto.
Ma vidi i soliti occhi color miele, questa volta confusi più che mai. Tirai un sospiro di sollievo

- non voglio par-lare.– balbettai con un filo di voce.

- stiamo in silenzio.– sorrise di nuovo poi andò a sedersi sotto un altro albero lì vicino.

Lo seguii.

- Perché ti nascondevi dal preside quel giorno?-mi feci coraggio e glielo chiesi, non volevo continuare a stare con lui ma ormai mi ero incuriosita.

- non ero andato a lezione alla prima ora e visto che non era la prima volta avevo paura che mi punisse.

Lo continuavo a guardare senza capire, che gli importava se veniva punito oppure no? Se era già uno che saltava le lezioni, un duro, non gli sarebbe dovuto importare.

- Sono stato in punizione una volta, non è un bel posto. Guarda.-Mi mostrò una cicatrice sopra l’occhio. - Questo è per avere detto a uno di quei bulli che girano a scuola di lasciare in pace un ragazzino.

Non sapevo che dire ero semplicemente dispiaciuta per lui.

- Il tuo occhio nero è guarito invece, un giorno mi dirai mai come te lo sei procurato?

Rimasi in silenzio.

- Ah giusto, tu non vuoi parlare. –imitò la mia voce e rise.

Mi offesi e lui se ne accorse così cambiò discorso

- Ci vediamo stasera alla festa giusto?  Ti hanno invitata?

Annuii.
E in quel momento capii. Sapeva che mi chiamavo Linz ma non aveva collegato che io ero Elisabeth Sten, la ragazza nuova. Se lo avesse saputo non mi avrebbe fatto una domanda simile, a scuola giravano mille voci che riguardavano l’invito alla festa per me. Ecco perché mi trattava bene non conosceva la mia reputazione. Era un bravo ragazzo e se avesse scoperto chi ero veramente sicuramente non avrebbe più voluto passare del tempo con me. Quella “amicizia” era finta e destinata a durare poco.
Lui non mi conosceva davvero.
Mi ero illusa che qualcuno, oltre ai medici, potesse trattarmi bene nonostante conoscesse la mia nomea invece non era vero.
O magari peggio. Sapeva chi ero e faceva finta di no per cercare di conquistarmi. Il suo scopo era lo stesso di Paul, Jason e Tyler.
Poteva essere solo un bugiardo.
Era inutile continuare a stare lì con lui. Mi alzai per andarmene, ma mi sentii tirare per un polso. Mi teneva stretta ma non mi faceva male come invece mi aveva fatto Jason il giorno precedente. Justin era delicato con me, come se fossi fragile e mi potessi rompere da un momento all’altro.

- Ehi che ho fatto adesso? – sorrise, dopo poco il sorriso si tramutò in meraviglia, poi paura e alla fine tristezza. Non capivo cosa stesse facendo.
Alzò il mio polso ancora nella sua mano fino all’altezza dei nostri visi, aprì la stretta e lo guardò.
Ritirai la mano appena compresi cosa gli aveva fatto cambiare umore tanto velocemente, ma non mi allontanai.
Lui rimase anche lì a guardarmi pietrificato. Alla fine sussurrò

- cosa hai fatto? Perché?

E io scappai via. Prendendomi per il polso aveva toccato le cicatrici dei tagli e poi li aveva guardati per capire se era stata opera mia.
Quindi era vero. Non sapeva chi fossi.
Anche Jason mi aveva preso per i polsi, più di una volta ma era stato così superficiale che non aveva notato neanche un minimo graffio.

**

 Non avevo mai fatto nessuna tragedia per la moda, mi vestivo come più preferivo. In genere jeans stressi e una semplice t-shirt, quando dovevo invece andare fuori per delle feste o in discoteca usavo dei vestiti.
Quella sera avevo un top aderente e una minigonna, neri la gente credeva fosse un vestito intero invece erano due pezzi divisi, questo perché stavo molto più comoda ed ero più libera di muovermi. Nessuno riusciva a capire che erano divisi, solo quando alzavo le braccia il top lasciava scoperta una striscia pelle che tradiva la mia trovata geniale.
Capelli sciolti, per nascondere il tatuaggio dietro il collo e tanta matita nera come sempre.

- Linz, sei pronta? –Era Ronnie che mi rivolgeva la parola, di nuovo.

Uscii dalla mia stanza e la raggiunsi al piano di sotto.

- perché?

- Mamma dice che dobbiamo andare insieme, con la stessa auto.

Ronnie guidava di già, io non mi ero mai voluta impegnare per prendere la patente, usavo il mio skateboard per spostarmi da una part all’altra della città e se la distanza era troppo lunga andavo in macchina con il ragazzo del momento, alla fine trovavo sempre un passaggio.

- perché?

- Te la faccio breve. Se ti ubriachi ti devo portare via con me prima che si noti, non vuole che le rovini la reputazione.

Si, questa era una cosa da mia zia.
Salimmo in macchina e non parlammo per il resto del viaggio. Del resto era stata una fortuna quel passaggio, io non avevo idea di dove fosse casa di Tyler.
Arrivati, parcheggiammo e Ronnie disse – mi raccomando, sta lontana da me e da Tyler.

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Capitolo 5
*** My lifesaver ***


– Linz ti stavo aspettando!

Era Tyler che era venuto ad aprire la porta, la casa era enorme e c’era quasi tutta la scuola. La musica era altissima e le luci erano sul blu. In quel caos sarebbe stato impossibile vedere Justin o Jason così tirai un sospiro di sollievo.

- Ti posso offrire qualcosa?

Dopo la festa in cui mi ero completamente ubriacata cercavo sempre di rimanere sobria il più possibile così rifiutai.

- Seguimi-disse sorridendo.

Ronnie era rimasta più indietro e non aveva notato che Tyler era con me.
Mi portò in una stanza più silenziosa dove undici ragazzi erano già seduti a terra formando un cerchio. Riconobbi alcuni di loro; la cheerleader bionda che mi aveva “affrontato” nello spogliatoio femminile seduta vicino a altre tre sue amiche sempre cheerleader e Jason.
Conoscevo solo sei persone contando anche Tyler ma ero sicura che tutti loro conoscevano me.
Tyler si sedette vicino un ragazzo, io lo seguii e mi misi vicino a lui.

- Obbligo o verità. Conosci questo gioco Linz?-chiese la bionda, lanciandomi un’occhiata di sfida.

Annuii. Non avevo nessuna voglia di giocare ma non mi volevo tirare indietro, sarei sembrata una codarda.
Il gioco consisteva nel fare girare per terra una bottiglia chi capitava doveva segliere tra obbligo e verità, se non volevi rispondere o non volevi fare l’obbligo dovevi pagare una penitenza. Era molto semplice.
La bionda girò la bottiglia. Capitò un ragazzo che non conoscevo.

- Allora Max, obbligo o verità?
- verità.
- E’ vero che hai una foto di Melissa in biancheria intima?

Tutti scoppiarono a ridere e io ovviamente non avevo idea di chi fosse questa Melissa.

- Non ve lo dico. – rispose lui ridendo.
- Allora paga la penitenza. -  urlò Jason.

Una cheerleader vicino a questo Max gli passò una bottiglia di vodka e tutti iniziarono a urlare in coro “bevi bevi bevi! “ battendo le mani a tempo.
Fece un lungo sorso e posò la bottiglia mentre gli altri continuavano a ridere.
La bionda girò di nuovo la bottiglia.
Sperai con tutte le mie forze che non capitassi io e chi capitò? Me.
Non volevo rispondere a una domanda sulla verità, non volevo fare uno strano obbligo e soprattutto non volevo bere.

- obbligo o verità?
- ve-verità.- calò il silenzio in quella stanza, la maggior parte di loro era la prima volta che mi sentiva parlare.
- Sei ancora vergine?

Cosa potevo rispondere? Loro conoscevano già la risposta, aspettavano solo la conferma.
- no.-dissi a bassa voce, probabilmente diventai anche rossa ma nessuno se ne accorse. 
Scoppiarono in una fragorosa risata e sentii qualcuno dire tra le risa – c’era bisogno di chiedere?
Mi sentii umiliata come mai in vita mia, li guardavo ridere di me. Poi Tyler richiamò l’ordine, fu molto gentile da parte sua.

- basta basta adesso! Meg gira la bottiglia.

La bionda lo fece, capitò Tyler.

- obbligo o verità?
- obbligo.
- elenca in ordine le ragazze dalla più brutta alla più bella.
- non voglio.
- allora scrivi un messaggio a Leila e dille che la ami follemente.- risero di nuovo.
-Assolutamente no. Oppure?
- bacia Melissa Seal. Oppure bevi.

Tutti risero.

- Allora scelgo la prima. Dalla più brutta alla più bella. Annie, Saylor, London..– ebbe un momento di esitazione e poi disse – Meg e Linz.
Le risa cessarono, tutti si guardavano preoccupati e stupiti. C’erano voci basse che dicevano “Ha scelto Linz”, “Meg sarà arrabbiata”, “povera Meg”.
La bionda mi guardò come se mi volesse distruggere io invece ero arrossita ancora di più.
Girò la bottiglia, capitai di nuovo io.

- obbligo.

A quanto avevo capito si poteva scegliere tra tre obblighi, questo mi rassicurò.

- bacia Jason. – mi incitò Meg.

Assolutamente fuori considerazione.

- o?

- mmm.. fammi pensare.

- togliti il top per un giro intero. – suggerì qualcuno.

Lo fulminai con lo sguardo.

- versati un frappé in testa.-disse Jason.

Avevano scelto degli obblighi assurdi per me.

- bevo.

Non potevo credere di averlo detto davvero.
Non bevevo alcol da moltissimo tempo e immaginavo che anche solo con un sorso di vodka mi sarei sentita male. Mi passarono la bottiglia e bevvi.
La  posai vicino a me tentando di comandare alla stanza di smettere di girarmi attorno.

- stai bene? –disse una ragazza vicino a me con aria preoccupata.

Annuii. Ma non era vero, la testa mi girava ancora e mi faceva male.

- Dai Meg gira la bottiglia.-urlò il ragazzo seduto vicino Tyler.

Stavo con il volto chino e avevo una mano in fronte, non stavo guardando la scena ma capii che era capitata lei stessa perché disse subito

- obbligo.
- Vai dietro quella tenda con Jason e scambiatevi un indumento. – era stato sempre il ragazzo vicino Tyler a parlare.
- accetto.

Notai che la cheerleader vicino le diede una spinta, era la stessa che mi aveva detto di stare lontana da Jason il giorno prima in palestra, Meg era sua amica come poteva farla soffrire così?
Era davvero una persona cattiva.

- E se io non volessi? – chiese Jason.
- stai giocando, devi farlo  per forza.-rispose qualcuno.

I due si alzarono, Jason con aria rassegnata.
Il dolore stava diminuendo ma avevo la nausea e abbassai di nuovo la testa. Dopo qualche minuto tutti scoppiarono un una fragorosa risata. Alzai lo sguardo e vidi la bionda con la maglietta nera di Tyler e lui a torso nudo con in mano dei braccialetti di Meg.

- Sono troppo piccoli per il mio polso non li posso indossare. –si giustificò e poi andò di nuovo al suo posto.

Era davvero un tipo muscoloso, me ne accorsi solo allora. Per un momento mi si gelò il sangue nelle vene, sembrava forte. Troppo forte.
Se un giorno mi avesse aggredito non sarei mai riuscita ad allontanarmi sana e salva.
Meg girò la bottiglia. Capitò Jason.

- obbligo o verità?
- obbligo. –mi guardò facendomi un mezzo sorriso.
- bacia appassionatamente qualcuno a tua scelta nella stanza.

E se dietro la tenda Jason avesse chiesto proprio a Meg di fare in modo che al giro successivo fosse capitato lui? Probabilmente avevano anche deciso insieme l’obbligo.
Sicuramente era andata così lui avrebbe scelto me e mi avrebbe baciata mentre lei mi avrebbe allontanata da Tyler.
Avevano tutti e due qualcosa da guadagnare.
Jason si alzò e camminò verso di me poi mi porse una mano per aiutarmi ad alzare.

- non voglio.- dissi fredda.
- devi.- sorrise.

Quei suoi sorrisi non erano affatto sinceri, riuscivano solo a farmi agitare.
Non sapevo di cosa fosse capace quel ragazzo.
Ignorai la sua mano e mi alzai senza aiuti, rimasi spaesata per qualche secondo e la stanza ricominciò a girare. Guardai in basso chiusi gli occhi e mi sentii leggermente meglio.
Sentii  le sue mani fredde prendermi per la schiena e abbracciarmi. Aveva tantissimi muscoli, poi si avvicinò con il viso al mio e disse "non ti preoccupare”, posò le mie labbra sulle mie.
Inizialmente era piacevole. Per quanto un bacio ricevuto da una persona che non si ama possa essere piacevole.
Dopo qualche secondo però mi sorprese. Mi morse un labbro durante il bacio e mosse velocemente le sue mani lungo la mia schiena fino ad arrivare al mio sedere, cercai con tutte le mie forze di allontanarmi e spingerlo via ma lui continuava a tenermi stretta. Avrei voluto alzargli le braccia almeno fino all’altezza delle mie scapole ma non riuscivo a muovermi e in quel bacio era solo lui a godere.
Infilò una mano nella mia gonna. Adesso era anche troppo, feci l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento. Gli pestai un piede con tutta la forza che avevo.
Lui mi lasciò e perse l’equilibrio. Mi guardai intorno mentre tutti facevano commenti su quello che avevano visto, mi voltai e mi incamminai verso la porta.

-Ehi dove vai?– urlò qualcuno.
- Non te ne puoi andare così-disse Meg.

Arrivò un ragazzo che mi prese per il braccio

- se te ne vuoi andare devi pagare la penitenza.-mi passò la bottiglia.

Sapevo che non era una cosa buona da fare, ma dovevo bere per uscire da quella stanza.
Bevvi un sorso e restituii la bottiglia.
Che strano, non mi sentivo male come prima. Aprii la porta, la richiusi alle mie spalle e feci un passo. Vidi tutto nero e caddi a terra.

**

Ero persa nel buio più totale e non riuscivo a riemergere, una mano mi accarezzò il viso. Avrei voluto svegliarmi, sentivo delle voci ma non capivo da dove provenissero e non riuscivo a comandare il mio corpo, poi di nuovo niente.
Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma la calma di prima era finita: delle sirene, tante luci confuse e delle urla. Poi di nuovo buio.
Qualcuno afferrò il mio braccio e mi fece alzare in piedi. Ricaddi seduta a terra e aprii gli occhi poi mi rialzai lentamente, mi appoggiai con una mano al muro e guardai in faccia l’uomo in divisa che avevo davanti.
Solo in quel momento mi accorsi che le sirene e le luci lampeggianti c’erano ancora ma non sentivo più urla e c’erano poche persone nella stanza. Ero molto confusa, dove erano andati tutti?
Chi era quel poliziotto? E soprattutto cosa voleva?

-devi seguirmi alla centrale di polizia.

Mi prese dal braccio e mi spinse all’esterno dell’edificio. Poi mi buttò in una macchina della polizia con altri due ragazzi.
Poi partimmo.

- Non vi preoccupate, vi portiamo tutti alla centrale per la procedura. Dobbiamo capire se trafficavate droga o alcolici troppo pesanti. Dopo avete il permesso di fare una telefonata ai vostri genitori per farvi venire a prendere. Se avete più di 18 anni potete andarvene da soli ma solo dopo l’interrogatorio.

Non era la prima volta che mi capitava di trovarmi in questa situazione ma dopo gli ultimi avvenimenti ero sicura che Lea mi avrebbe lasciata a marcire in carcere.
Chissà cosa avrebbe pensato invece della sua principessa Ronnie che stava diventando come me. Era finita in carcere anche lei per essere venuta alla stessa festa. Probabilmente alla fine non sarebbe riuscita a farsene una ragione e avrebbe dato tutta la colpa a me dicendo che l’avevo influenzata negativamente.
Non mi interessava però.
Rispetto alle altre volte ero meno nei guai, almeno per una volta non avevo toccato nessun tipo di droga.
 
**

- signorina, vuole fare una telefonata?
Scossi la testa.
Il poliziotto si allontanò dalle sbarre sospirando e girò l’angolo. La cella era abbastanza grande da contenere dieci persone ma piano piano si era svuotata, la maggior parte delle persone della festa erano ancora sotto interrogatorio mentre un’altra parte era andata via con il permesso dei poliziotti ma accompagnati dai loro genitori. Non vedevo Ronnie e non sapevo se Lea fosse già arrivata o no, credevo davvero che sarei rimasta a marcire lì per molto tempo. Inoltre non vedevo nessuno che conoscessi a parte Paul, il mio compagno di chimica che si trovava nella cella di fronte alla mia.
La cosa positiva era che ormai il mal di testa era passato e io mi sentivo molto meglio.
Mi sedetti per terra rassegnata aspettano qualcosa.

-Elisabeth, sono venuto a salvarti.

Alzai lo sguardo e mi alzai in piedi mentre un poliziotto apriva la cella.
Elisabeth? Mi aveva chiamata Elisabeth. Allora sapeva chi ero.
Potevo aspettarmi di tutto, che sarebbe venuto a prendermi Tyler, Jason, Lea ma non lui.
Non Justin.
Mi porse una mano e mi fece uscire dalla cella. Il poliziotto disse

- Puoi andartene con lui perché è un tuo parente ed è maggiorenne ma lascialo guidare perché se ben ricordo quando siamo arrivati eri stesa per terra svenuta, giusto?

Poi si rivolse a Justin

-Siete fortunati perché non abbiamo trovato tracce di alcool nel tuo sangue altrimenti sareste ancora al fresco.

Ci lanciò un’occhiata di rimprovero e  se ne andò, noi uscimmo fuori dalla centrale e salimmo in fretta in macchina.
Justin partì, rimanemmo in silenzio per molto tempo.
Se aveva scoperto che ero Elisabeth Sten conosceva anche la mia reputazione, allora perché mi trattava così bene? In modo diverso dagli altri? Forse l’aveva sempre saputo e mi stava solo prendendo in giro la sua gentilezza non era vera, lo faceva solo per illudermi.
Mi piaceva la sua compagnia perché era un ragazzo rispettoso e non cercava mai di oltrepassare nessun tipo di limite. Dopo che gli avevo detto che non volevo parlare della mia vita non mi aveva più chiesto niente aveva semplicemente detto “allora restiamo in silenzio”
Avrei voluto che non avesse mai coperto il mio vero nome così mi avrebbe trattata sempre allo stesso modo invece adesso lo conosceva e mi sorprendeva il fatto che mi aveva comunque aiutato ed era disposto a passare del tempo con me.

- Perché stamattina sei scappata?

Non potevo di certo dirgli che dubitavo di lui o che non volevo che sapesse chi ero.

- Tu non conoscevi la mia storia prima vero?
-Ho realizzato che eri la nuova ragazza di cui tutti parlavano solo quando ho toccato letue cicatri…

Non finì la parola.

- Perché allora mi hai tirato fuori dai guai? Sono una cattiva ragazza, ricordi?
- No, non lo sei. Credevo fossi semplicemente una strana ragazza di nome Linz, adesso so che sei una profonda ragazza di nome Elisabeth.
- profonda?
- Se hai fatto tutto ciò significa che ti sarà successo qualcosa di terribile prima, loro dicono che sei una cattiva ragazza io invece dico che sotto c’è qualcosa di più profondo che non vuoi dire a nessuno.

Rimasi a guardarlo in silenzio, aveva ragione.

Molto di ciò cha aveva detto non l’avevo capito neanche io prima di allora.
Mi voleva davvero aiutare, ma non come i soliti medici e psicologi con tranquillanti e farmaci lui voleva semplicemente farmi stare meglio.
Poi rise.

- comunque non è stato difficile ingannare il poliziotto, gli ho detto che eri mia sorella e ci ha creduto subito.

Quando arrivammo nei paraggi di casa mia dissi a Justin di lasciarmi scendere, una parte di me era triste perché non volevo allontanarmi da lui ma dovevo.

- Ci vediamo in giro domani ti va?

Risposi con un filo di voce e balbettando.

- S-se mi dai il t-tuo nume-ro ti c-chiamo.

Abbassi la testa e diventai rossa, non potevo credere di averlo detto davvero, non l’avevo mai fatto prima.
Erano gli altri che mi venivano a cercare di certo non il contrario.
Io preferivo stare sempre sola, almeno prima di aver incontrato Justin.
Mi disse il numero io lo segnai e poi aggiunse

- se hai bisogno di un amico con cui parlare io sono qui. – sorrise e ripartì.

**

Entrai a casa nel modo più silenzioso possibile. Non volevo attirare l’attenzione di Ronnie o Lea. Richiusi piano la  porta alle mie spalle poi mi incamminai verso le scale per arrivare in camera mia, non riuscii ad arrivare a metà stanza che sentii la porta aprirsi alle mie spalle, mi fermai e mi girai.
Lea e Ronnie erano appena tornate dal commissariato.
Non le avevo viste mai così, sembravano offese. Ronnie si allontanò a passo svelto verso camera sua con un ghigno sul volto e sbattè forte la porta.
Ronnie aveva la stessa espressione della figlia, si avvicinò a me e disse

- Come sei arrivata qui?

Ero ancora stupida dal modo in cui Ronnie e Lea sembravano aver litigato che non risposi pensando a cosa potesse essere successo.

- Ah già poi ci sei tu, la muta di casa.

Andò verso camera sua e scomparve dalla mia vista.
Io salii le scale e mi chiusi in camera.
Sul letto cominciai a pensare ai vari avvenimenti della serata,  Il bacio di Jason, il mal di testa, la polizia, Justin e infine il litigio tra Lea e Ronnie.
Addirittura grazie alle parole di Justin avevo quasi completamente dimenticato la paura che avevo provato quando Jason mi aveva stretta forte a se.

Angolo autrice.

Non ho mai fatto un angolo autrice, questa è la prima volta. Vorrei ringraziarvi perché state leggendo la mia storia, se vi piace recensite e seguitela, agiornerò presto. Spero che presto i lettori aumenteranno. Graaaazieeee. c:

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Capitolo 6
*** Una giornata a mare ***


Mi svegliai di soprassalto sentendo il telefono suonare, era un messaggio “Quanto ti piace il mare da 1 a 10?”
Odiavo il mare, faceva troppo caldo, c’era troppo sole e rumore. Senza contare che mi portava alla memoria dei ricordi che avrei preferito dimenticare per sempre.

“non ci vado spesso”

Non andavo a mare quasi mai, alcune volte però ero costretta a trascorrere delle giornate lì da Ronnie e Lea perché affittavano la casa sulla costa per l’estate.
Però avevo ancora un costume, era un po’ vecchio ma mi stava ancora bene, a due pezzi e nero.

“Ti vengo a prendere tra un’ora sotto casa se vuoi venire con me, preparati”

Se fosse stato qualcun altro ad inviarmi il messaggio avrei rifiutato l’invito ma era Justin, come potevo dirgli di no dopo quello che aveva fatto il giorno precedente?

 “va bene”

Andai in bagno per lavarmi la faccia quando mi guardai allo specchio, avevo un labbro con un taglio, all’inizio non capii dove me lo fossi procurato rimasi a fissarlo allo specchio dopo qualche minuto ci arrivai. Era stato Jason a mordermi durante il bacio, ecco perché mi aveva fatto tanto male.
Indossai il costume , dei pantaloncini e una maglietta a maniche corte presi il telo da mare, lo misi in una borsa e uscii di casa.
Era presto le 8.00, ancora Ronnie e Lea erano a letto. Ieri eravamo tornati alle 3 di notte e avevo dormito solo cinque ore.
Non mi preoccupai del fatto che zia si potesse preoccupare della mia “scomparsa” perché era successo circa un milione di volte prima di allora.
Alcune volte ero rimasta a dormire tutta la notte dai miei “amici” altre volte ero uscita presto da casa per stare lontana dalle loro critiche o dai rimproveri quindi ormai ci avevano fatto l’abitudine.
Come promesso Justin era con la sua auto proprio davanti casa mia.
Salii a bordo e partimmo.

- Hai dormito bene?-chiese
-si, tu?

Ovviamente avevo dormito bene se bene significava fare brutti sogni tutta la notte.

-anche-sorrise poi aggiunse- allora, perché non vai spesso a mare?

- non so..-cercai di sviare la domanda. – A te piace il mare?

- Si lo adoro e conosco un posto dove ti devo assolutamente portare, ci andavo sempre con mia cugina.– ecco il suo solito sguardo perso e malinconico, lo stesso che aveva avuto al parco.

Si allontanò dai suoi pensieri e cercò di cambiare discorso

-se lo posso sapere ovviamente, chi ti ha fatto quel taglio sul labbro? Lo avevo notato anche ieri sera ma non era così gonfio.

Non volevo dirgli la verità, non volevo che pensasse che a me piacesse Jason o che ero stata costretta a baciarlo quindi non risposi.

- a vabbé ho capito, sei caduta come con l’occhio nero.-sembrava arrabbiato adesso.
- non ti arrabbiare.

Non rispose, effettivamente aveva tutte le ragioni del mondo per arrabbiarsi.
Lui faceva tanto per me, cercava di farmi sentire bene e a mio agio e io non riuscivo ad avere il coraggio di raccontargli nulla sulla mia vita.

- Posso capire che non ci conosciamo bene e questa è solo la quarta volta che ci vediamo, ma perché sei così chiusa? Io voglio davvero sapere come sei fatta, cosa provi.
Rimasi un po’ in silenzio, lui sembrava rassegnato poi dissi.

-Paura.
-Cosa?- Sembrava confuso
-adesso provo tanta paura.- la voce mi tremava.
-Perché?-Il suo tono duro cambiò, sembrava meravigliato e anche preoccupato.
- Il mare mi fa ricordare delle cose..– deglutii.
-delle cose?
- delle cose.. brutte.- Mi veniva da piangere ma non volevo farglielo vedere così voltai la tesa per vedere fuori dal finestrino e chiusi gli occhi.

Era da anni che non dicevo a nessuno i miei sentimenti, cosa provassi. Justin era riuscito addirittura a farmi confessare questo.

- mi dispiace.– sembrava sincero.

Piano piano mi addormentai.
Sognai sempre i soliti ricordi confusi, il solito incubo.

“Sono piccola, rido con mia sorella seduta in una macchina. Lei di due anni più grande di me, ha i capelli castano chiaro e indossa un vestitino bianco, io sempre bionda come non mai con un vestito blu scuro, sembro sempre più piccola della mia età.
Ci passiamo una palla e scherziamo.
Tutto è perfetto, siamo felici e non ci manca nulla.
Mamma e papà sono davanti e sono compiaciuti nel sentirci ridere così tanto.
Tutto è luminoso e fa caldo, siamo pronti per trascorrere una gioiosa giornata in famiglia.
Improvvisamente si sente un forte impatto e diventa tutto buio e sinistro.
Quando riapro gli occhi è tutto rosso e confuso, una voce, un botto e la piccola Elisabeth che piange”

**

- Linz Linz! Svegliati.

Sentii qualcuno che mi scosse per un braccio.
Aprii gli occhi e vidi Justin.
Ero ancora scossa dal sogno e non riuscivo a parlare mentre mi accorsi che le lacrime mi stavano uscendo da sole e mi stavano rigando il viso.

- Perché stavi urlando? Che hai sognato?-sembrava molto più preoccupato di me, questo sogno era quotidiano per me e quando Ronnie o Lea mi sentivano urlare non ci facevano caso oppure mi svegliavano infastidite.

Dopo questo incubo facevo fatica a tornare velocemente alla realtà avevo bisogno di più tempo per distinguere il mondo reale da quello dei sogni.

-Sto bene.-Mi asciugai il viso e aprii lo sportello, eravamo arrivati.

Scesi dalla macchina e mi incamminai verso la spiaggia.
Justin si avvicinò a me e mi guardò in faccia

-Stai piangendo.

Continuai a camminare sempre più velocemente per non fargli scoprire l’evidenza quando lui mi prese per una spalla e mi costrinse a fermarmi, poi si piazzò davanti a me e mi abbracciò.
Inizialmente mi spaventò ancora di più perché mi tornò alla memoria Jason che mi aveva fatto male per la sua prepotenza, riuscivo ancora a sentire le sue mani addosso a me che non mi facevano allontanare e mi tenevano immobile. Dopo pochi secondi ricambiai l’abbraccio, nessuno mi abbracciava così almeno da 7 anni.
Era un abbraccio di un vero amico, di qualcuno che tenesse a me veramente.
 Le sue braccia erano leggere e mi sentivo al sicuro in quella posizione.
Si comportava con me come se fossi un gioiello fragile, come se avesse paura di rompermi.
Io invece sapevo bene che ci voleva ben altro di un abbraccio per farmi del male.

Si sciolse dall’abbraccio – mia madre dice sempre che un grande abbraccio e quello che serve quando stai male.- sorrise.

Io ricambiai e per la prima volta il mio era un sorriso spontaneo e sincero.
La spiaggia non era molto affollata a quell’ora, c’erano delle coppiette che si baciavano sotto il sole e tante famiglie che trascorrevano la giornata assieme. Vedendoli mi venne tanta malinconia e ricordai perché odiassi così tanto il mare.
 
**

Aiutai Justin a piantare l’ombrellone poi decidemmo di andarci a fare un bagno.
In costume Justin non era molto muscoloso e magro, ma comunque aveva un suo fascino. Se si fosse trovato in una rissa con Jason sarebbe stavo ucciso senza difficoltà  probabilmente. Aveva la pelle pallida quasi quanto la mia e i capelli chiari, non sarebbe stato strano se fosse venuto qualcuno a chiederci se eravamo fratelli.

- Tieni.- mi porse la crema solare.

Lo guardai stupita, non usavo la crema solare da molti anni ormai. Veramente a pensarci bene non stavo mai al sole ecco perché non mi ero mai bruciata.

- se non vuoi diventare un gambero e morire di dolore per tutta la schiena per una settimana ti conviene usarla.-

Stavo ancora decidendo se prenderla o no quando lui aggiunse.

- va bene, la metto prima io. Prendila e mettimela sulla schiena forza.-

Feci come diceva lui.

-sono bianco? Si vede molta crema?-cercava di arrivare con lo sguardo dietro la schiena e girava in tondo come un cane che cerca di mordersi la coda. Era molto buffo.

Cominciai a ridere finché non si fermò.

- che fai? Ridi di me? Eh? Come ti permetti?-

Avevo riso, non provavo quella bella sensazione da tantissimo tempo. Adesso che avevo cominciato non riuscivo più a smettere, come se dovessi recuperare sette anni di risate perdute.
Cominciò  a ridere anche Justin  prendendo la crema solare per metterla sulle mie spalle.
Mi tolsi velocemente la maglietta e i pantaloncini.
Poggiò una mano unta sulla mia schiena, la tolse subito e smise improvvisamente di ridere. Girai il volto per vedere cosa fosse successo. Sembrava dispiaciuto e preoccupato, di nuovo come quando aveva visto le cicatrici dei tagli sui miei polsi.
Poi fece scorrere leggera una mano su alcuni punti della mia schiena, quasi senza toccarmi. Partì dalla scapola destra, scese fino al fianco sinistro, ebbe un momento di esitazione.
Non capii cosa stesse facendo fino a quando non scese ancora più in basso accarezzando anche la parte sinistra del mio sedere.
In quel punto sentii dolore come se qualcuno mi avesse picchiato, sussultai e lui se ne accorse.

- Scusa non volevo,vorrei metterti la crema ma...-sembrava molto triste come se soffrisse per me e gli morirono le parole in bocca.
-Ma?-ero più confusa di lui.
- Ho paura di farti male.
- cosa è successo?-chiesi allarmata.
- Linz, hai dei lividi su quasi tutta la schiena.

Mi girai lentamente con tutto il corpo rivolto verso di lui con gli occhi e la bocca spalancati. Ero meravigliata perché non capivo come me li ero fatti. Girai la testa per cercare di vedermi la schiena. Era la stessa cosa che aveva fatto Justin ma questa volta nessuno rise perché lui sapeva che soffrivo e io stavo pensando a come me li fossi procurati.
Dopo qualche secondo capii. Era stato Jason il giorno precedente con la sua stretta forte. Mi girai verso di Justin sorridendo per tranquillizzarlo.

-non ti preoccupare non è niente.
- Chi è stato? Voglio saperlo!-urlò e mi fece spaventare.
- nessuno di importante, nessuno a cui valga la pena pensare.

Non sembrava più tranquillo, mi prese per un braccio violentemente, probabilmente seccato per la risposta vaga, facendomi girare di schiena poi prese la crema e me la spalmò molto delicatamente sulla schiena.
Fino a quel momento non avevo provato dolore ma da quando Justin aveva dovuto spalmarmi la crema stuzzicando le mie ferite provavo sofferenza ma cercavo di non farglielo capire.
 
**
 
-Vuoi riposarti?

Era già da circa 10 minuti che nuotavamo e avevamo raggiunto una scogliera più avanti.

- No.

Avrei voluto sembrare convincente per non essere un peso e per non fare rattristare Justin ma non ci riuscii.

- Lo so che sei stanca, forza riposiamoci su questi scogli.

Mi aiutò a salire, anzi più che altro mi ci portò lui forse perché aveva paura che mi potessi fare male, ci sedemmo uno acanto all’altro.

- Ti ha accompagnato tua madre a farti fare questi tatuaggi? Non li puoi fare se non sei maggiorenne.
- Li ha fatti un amico.
- capisco.

Non c’erano molti argomenti di cui parlare. Io non volevo parlare della mia vita e lui non aveva niente da dire sulla sua.

- Posso farti una domanda Linz?
-dimmi
- ieri ti ho detto che voglio aiutarti, che credo che tu abbia fatto ciò che hai fato perchéstavi male ma vorrei sapere una cosa.. sono tutte vere le voci su di te?
- In parte io ecco..– non riuscivo a parlare non l’avevo mai fatto su un argomento del genere.
- Justin io ho.. insomma..-era più forte di me.
- se non vuoi dirmi nulla non ti devi preoccupare.-mi mise un braccio attorno al collo per consolarmi.
Chiusi gli occhi e mi feci forza – Ho fumato tanto, ho provato la droga, mi sono spesso ubriacata e non sono vergine. Uau non l’avevo mai detto prima di ora.

A quel punto immaginavo che Justin scappasse o iniziasse a farmi mille altre domande sulla mia vita invece rispose

- Cosa si prova?
- A fare cosa?
- A fare tutto ad esempio cosa si prova quando assumi droga?
- All’inizio è bello, ti senti meglio più potente degli altri. Ma io non ne sono mai stata dipendente lo facevo a distanza di mesi. Invece l’alcol non mi piace per niente e mi fa perdere la capacità di ragionare. Per quanto riguarda beh.. il sesso non ricordo molto di quella notte ero ubriaca.. Adesso vorresti scappare, lo so.
- Invece è interessante. Sono sempre stato un bravo ragazzo, chissà come ci si sente ad essere te.
- è brutto.-abbassai lo sguardo.
- scusami, scusa ho esagerato. Non volevo..
- Sei come tutti gi altri, insensibile. Mi vedi come un fenomeno da baraccone ecco perché vuoi stare in mia compagnia. Non sei un medico e non sei un ragazzo che spera io possa andare a letto con lui, sei molto peggio.

Mi alzai per allontanarmi da lui, feci un salto e mi tuffai in acqua poi nuotai fino a riva con dietro Justin che mi seguiva. Cercavo di andare il più veloce possibile ma i lividi mi facevano sempre più male. Avrebbe potuto raggiungermi e afferrarmi se avesse voluto ma cercò di tenersi a distanza.
Mi ero solo illusa, lui non mi avrebbe mai aiutato davvero. Nessuno poteva capirmi, mi pentii di avergli detto tutto. Mi rivestii e mi incamminai verso la macchina, poi realizzai che non sarei potuta tornare a casa se Justin non mi avesse accompagnato.
Prese la sua roba e arrivò alla macchina, aprì lo sportello e salimmo.

- Perché mi hai seguita?-dissi con tono arrabbiato.
- Ho sbagliato a dire quella cosa, non intendevo ciò che hai capito tu. So che la tua vita è difficile mi stavo solo chiedendo se fossi stato un ragazzo diverso come sarebbe la mia adesso. Se non vuoi passare il tempo con me non ti posso obbligare a rimanere e ti ho seguito perché se desideri tornare a casa dalla tua famiglia qualcuno ti doveva riaccompagnare.
-La mia famiglia? Non hai capito nulla.
- Allora spiegamelo.

Rimasi in silenzio a pensare, aveva ragione solo che in quel momento ero troppo arrabbiata con lui per capirlo. Avevo frainteso le sue parole lui avrebbe davvero dato la vita per me, per vedermi di nuovo felice e il fatto che mi aveva dato una scelta e non mi aveva obbligato a restare lo rendeva un atto ancora più speciale perché mi rispettava.

Angolo autrice.

Lo scorso capitolo ha avuto solo una recensione e dei commenti su Twitter, spero che qui andrà meglio. Questo che ho scritto non è molto appassionante ma è molto importante per lo svolgersi della vicenda. Nel prossimo ci sarà un colpo di scena, continuate a seguirlla :)

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Capitolo 7
*** Il mistero di Justin ***


Entrai in casa e la prima cosa che vidi fu Ronnie seduta sulla poltrona del salone, si guardava i piedi e intanto si girava i pollici, non riuscivo a vederla bene in faccia. Non avrei voluto incontrarla ma ero costretta a passare da lì per raggiungere le scale e salire in camera a farmi una doccia.

Camminai velocemente per fare in modo che non mi fermasse voltai l’angolo e arrivai alla fine di un corridoio quando mi bloccai.
Perché non mi aveva rivolto le sue solite occhiatacce? Posso capire che non si era disturbata a salutarmi, ma mi sembrava strana.
Rimasi qualche secondo a pensare cosa fosse più giusto fare poi tornai con passo più lento indietro.

- stai piangendo.

Non mi rispose così mi sedetti sul divano vicino a lei.

- che ci fai qui?-cercò di sembrare arrabbiata ma non ci riuscì perché stava singhiozzando, alzò la testa, mi guardò e si asciugò le lacrime con le mani.

Non l’avevo mai vista in quello stato, chissà cosa le era successo.

- che ci fa qui?- ripetè ma questa volta sembrava più dolce.
- io non sono mai venuta da te quando stavi male, perché non mi ignori come fai sempre e non te ne vai?

La proposta non era male, non volevo sembrare troppo gentile con lei ma sapevo come ci si sentiva a piangere e non avere nessuno che ti consola così mi feci forza e chiesi

- Ti va di raccontarmi cosa è successo?
-no, non mi fido di te e poi noi ci odiamo.

In un altro giorno mi sarei alzata e avrei lasciato stare ma questa volta pensai a come si sarebbe comportato Justin così rimasi lì seduta in silenzio, funzionò. Dopo pochi minuti Ronnie cominciò

- Ieri io e mamma abbiamo litigato perché lei crede che io possa fare la tua stessa fine. Le ho spiegato che avevano mandato tutti quelli della festa al commissariato ma non mi ha creduto. Lei è arrivata tardi e quindi ha visto già poche ragazzi lì, crede che io abbia bevuto e che mi sia drogata. Perché non mi crede? Non era mai successo prima.
Credo che abbia dei problemi con il lavoro e quindi è nervosa. Da quando è morto papà è tornata più calma ma adesso da quando ci siamo trasferiti mi sembra diversa.
Mi odia.
- Lei non ti odia, è tua mamma ci tiene a te.

Si mise di nuovo a piangere.

- Oggi abbiamo discusso ancora e… mancano tre ore e tornerà per la cena e se siarrabbiasse di nuovo? Mi ha minacciato dicendomi che se mi comporterò di nuovo come te me ne pentirò. Tutto ciò che spera è che diventerò una brava donna di successo, come lei. Se finirò in galera di nuovo la mia reputazione scenderà ancora.

Non ero molto brava in questo campo così rimasi in silenzio perché non sapevo cosa rispondere. Tutto ciò che mi veniva in mente era inopportuno, non trovavo nulla di bello da dire su Lea.

- Perché oggi sei così… buona? In genere non mi dici più di una parola al giorno.

Già perché mi stavo comportando così? Io non avevo mai aiutato le persone e non mi erano mai interessati i loro problemi. E poi odiavo Ronnie, lei mi aveva fatto soffrire tante volte.
La verità era che mi ero accorta che finché soffrivo io riuscivo a sopportarlo ma vedere gli altri stare male era più difficile per me. Forse Justin mi aveva davvero cambiato troppo e adesso ero una persona “debole”. Comunque sentivo il bisogno di aiutarla.

- Sono impazzita. –sorrisi.
- Devo trovare un modo per dimostrargli che non ho fatto nulla di male ieri.
-Alla fine ti crederà, ha fiducia in te.- cercavo di consolarla ma la verità era che univo tante parole dolci per costruire frasi senza senso a cui neanche credevo.
- non è vero.
- ti aiuto io a riappacificarti con lei.

Sapevo che sarebbe stato peggiore per me, in questa situazione Ronnie e Lea erano concentrate sul farsi del male a vicenda e non avevano tempo per me. Avrei potuto migliorare la mia vita lasciando tutto come era ma non potevo essere così egoista e non aiutarle.

**
 
- Buona sera-si spalancò la porta ed entrò Lea.
-ciao mamma.-disse Ronnie sorridendo.
- Linz, cosa hai cucinato?

Ignorò completamente la figlia. Si avvicinò a me che stavo girando in una pentola il sugo per la pasta e disse

- che buon odorino.
- mamma che tipo di pasta preferisci? –esclamò Ronnie dal salone.
- è uguale.-rispose fredda.

Poi andò nel salone per posare nell’armadio la giacca. Le raggiunsi velocemente lì.

- Mamma, ti prego calcolami. Giuro che io ieri non fatto nulla c’erano tutti al commissariato! Credimi.- Ronnie arrivò con due lunghi passi vicino alla madre e le toccò un braccio.
- Hai delle prove? So cosa fate voi giovani d’oggi. Dimmi che hai dei problemi e ti faccio aiutare da qualcuno, protrai andare dal signor Collins come fa Linz.
- Mamma il mio unico problema adesso sei tu perché non mi credi.

Non le avevo viste così arrabbiate si urlavano contro così ad alta voce che ci avrebbero sentito anche i vicini se ne avessimo avuti.

- Ronnie basta! Ti ho detto che non ti credo, oggi inoltre sono nervosa se non stai calma e zitta ti faccio male.
- mamma credimi, ti prego.-cominciò a piangere a dirotto.

Lea la afferrò per un braccio con una presa forte, aprì l’altra mano libera e la allontanò da Ronnie come per darle un forte schiaffo. La figlia strizzò gli occhi e alzò le spalle pronta per l’impatto. Mi feci coraggio e dissi:

- zia no, aspetta.

Lea lasciò la figlia e abbassò il braccio, Ronnie invece si rilassò.

- Che vuoi? –Si girò verso di me.

Non potevo davvero credere di stare per farlo, non avevo mai fatto così tanto bene in una giornata in vita mia. Ma io ne avevo già passate tante e ormai nulla mi faceva più del male. Se Lea se la fosse presa con me sarebbe stato normale e Ronnie almeno avrebbe ripreso i rapporti con sua madre. Perché so come ci si sentiva a non avere una mamma e non era giusto che Ronnie perdesse la sua per colpa di una stupida festa.
Se avessi detto la verità cioè che tutti erano stati portati lì non mi avrebbe creduto così decisi di inventarmi una nuova versione.
Presi tutto il coraggio che avevo guardai negli occhi Lea e dissi sicura

- Ronnie sta mentendo, ieri non tutti sono stati portati al commissariato solo i pochi che avevano fatto uso di droghe o di alcol con una eccezione. Ieri mi sono ubriacata e mi hanno portato lì hanno chiesto se conoscessi qualcuno che aveva bevuto e ho fatto il nome di Ronnie, per farle un dispetto ma lei non ha mai fatto niente. E’ solo colpa mia.
-allora perché non l’ha detto a me?
-perché io l’ho minacciata, se l’avesse fatto io la avrei picchiata.

Ronnie e Lea erano entrambe stupite e a bocca aperta poi Ronnie sussurrò un “non dovevi farlo” mentre Lea si avvicinò a me  in cercai di indietreggiare

- Tu? Come hai potuto infangare il nome di mia figlia? Per colpa tua si è rovinata la carriera.

Chiuse un pugno e io automaticamente strizzai gli occhi perché credevo me lo volesse dare in faccia come la scorsa volta invece mi colpì in pancia e mi piegai in avanti per il dolore.

- Ti ho aiutato così tanto e ci ripaghi così? Mi hai proprio seccata, perché non vai a vivere da qualche altra parte? Ti avevo detto di risolvere i tuoi problemi e lasciarci in pace.

Era decisamente più doloroso della scorsa volta poi mi diede un altro pugno in faccia e io caddi a terra.

- Io amo mia figlia e tu non le devi mai più fare del male intesi?

Mimai un “si” con le labbra sperando avesse finito poi sentii un altro calcio arrivare e colpirmi sulle gambe.
Non me ne ero accorta ma per il dolore e la paura stavo piangendo.
Ronnie urlò – basta!
La madre si girò andò ad abbracciarla e disse – tesoro scusami se non ti ho creduto, sei la mia vita non potevo vederti soffrire e adesso quella cattivona ha avuto quello che si merita.
Ronnie allontanò la madre con una spinta si inginocchiò davanti a me e urlò alla madre – mi serve del giaccio e delle bende sta sanguinando.
- Non è possibile non l’ho colpita forte. –sembrava preoccupata, se avessi raccontato qualcosa quella a finire in prigione sarebbe stata lei.
Si sporse per guardarmi e Ronnie disse – veloce.
Lea corse in cucina per prendere del giaccio.
-Non dovevi- sussurrò Ronnie piangendo –le racconterò la verità.
- Ormai l’ho fatto, non rovinare tutto.– riuscii a dire.
Lea tornò con del giaccio e delle bende.
- forse dovremmo andare in ospedale. –disse Ronnie.
- no, sei pazza?Sposati.
Lea era una donna muscolosa e un po’ cicciottell quindi mi prese in braccio e mi stese sul mio letto.
 
**

Rimasi tre giorni a casa perché Lea sosteneva che ero conciata troppo male per uscire e a me non importava così ero sicura di non dovere incontrare Justin,  Jason, Tyler, la cheerleader con le sue amiche servette, Paul o chiunque altro della città.
Per quei tre giorni io rimasi a riposo e solo Lea si occupò delle faccende, probabilmente stava cercando solo un modo per scusarsi e farmi dimenticare che mi aveva picchiata. Con Ronnie invece non ci eravamo più rivolte la parola dopo di allora, forse lei era imbarazzata per quello che avevo fatto e si sentiva in colpa perché non si era mai interessata a me; io non ero il tipo che iniziava una conversazione quindi saremmo benissimo potute rimanere in silenzio per tutta la vita.
Pensandoci adesso fu un bene che Lea mi provocò tutto quel dolore perché quei tre giorni mi servirono per riflettere.
Justin era davvero importante per me, io non conoscevo la sua storia e quando si era chiesto cosa si provasse ad essere me non intendeva dire che ero “strana” o “diversa” avevo fatto una figuraccia a comportarmi così con lui.
Il giorno seguente quando sarei dovuta tornare a scuola ero più che convinta di dovergli parlare per chiedergli scusa del mio comportamento ma temevo seriamente che lui si fosse offeso irreparabilmente infatti non mi aveva mai provato a chiamare o ha mandare un messaggio per sapere che cosa avevo fatto dopo quel giorno e perché non ero più tornata a scuola.  
Per farmi perdonare temevo che avessi dovuto tirare fuori frasi spettacolari e io avevo perso la capacità di esprimere le mie idee già circa 10 anni prima.
 
**
 
Il corridoio era quasi vuoto perché ancora era presto, presi i miei libri dall’armadietto e andai in un angolo vicino l’entrata per vedere se entrava Justin.
“Justin vorrei scusarmi per come mi sono comportata Domenica…  no, così è troppo diretto…  Justin, in questi tre giorni ho capito… no se parto così è un discorso troppo lungo… Justin io…”
 
Mentre mi ripetevo in testa le possibili frasi che avrei potuto dirgli, lo vidi entrare e gli andai incontro preoccupata senza aver ancora deciso cosa dirgli una volta aver ottenuto la sua attenzione.

-Justin, io.. possiamo parlare?

Justin abbassò lo sguardo e mi vide, prima si spaventò e mi guardò con gli occhi stralunati poi sembrò sollevato come se fosse felice di vedermi ancora tutta intera. Mi prese per mano e con passo spedito mi trascinò per i corridoi della scuola. Non capivo dove mi stesse portando ma non muovevo obiezioni perché sapevo che di lui mi potevo fidare.
Aprì la porta di uno stanzino e mi fece segno di entrare poi lui mi seguì e chiuse la porta alle sue spalle.
Aprii la luce e riconobbi lo stesso stanzino in cui ci eravamo incontrati la prima volta.
Ci sedemmo e a quel punto si aspettava che io dicessi qualcosa.

- scusami per come mi sono comportata, ti ho trattato male.– dissi dopo un po’.
- scusami tu, hai creduto che io stessi con te solo per la tua reputazione.
- no è colpa mia.-abbassai lo sguardo mortificata lui mi alzò la testa con una mano e rispose.
- Scommetto che non mi dirai nemmeno come ti sei procurata questo nuovo occhio nero.

Rimasi in silenzio fissandolo, dopo un po’ Justin abbassò la mano appoggiò la schiena al muro e disse con tono rinunciatario.

- come pensavo.

Mi feci coraggio.

- Mi hanno.. picchiata.

Riottenni facilmente l’attenzione di Justin, si tirò su e mi guardò con un’espressione sconvolta.

- chi è stato? Perché? Ho detto che non ti devono toccare.

Rimasi di nuovo muta e lui rispose con tono più allarmato di prima

- Linz, devi smetterla di sopportare tutto! Racconta al mondo chi sei veramente! Denuncia chi ti fa del male!

Si accorse che non gli avrei detto nulla così aggiunse – almeno mi puoi dire se chi ti ha fatto i lividi sulla schiena è lo stesso di che ti ha picchiato adesso?
- No, sono persone diverse.
- Ah fantastico! La gente sta qui a picchiarti e tu non fai niente?

Continuava a tenere alta la voce con me, mi salì la rabbia alle stelle e risposi

- Tu non capisci! E’ meglio così! Se aspetto che loro smettono di farmi del male e li ignoro succederà davvero! Credimi, so quello che faccio!
-No! Non lo sai, non lo devi dire a me!Racconta ai poliziotti!
- No Justin, so che così è meglio! Conosco come sono fatte le persone come Lea e Jason ed è meglio così!

Mi bloccai di colpo e sperai che Justin non avesse sentito ciò che avevo detto ma visto che avevo urlato era impossibile che non avesse capito.
- Lea e Jason? Jason? Quello che gioca a basket? –ora aveva un tono più calmo.
- Gli faccio vedere io come si trattano le persone a quello lì, la pagherà.- Si alzò di scatto lo presi per la mano e lo costrinsi a sedersi.
- Non fare nulla di stupido, ok?
- No, tu non capisci come ci si sente a…-iniziò a piangere e mi prese dalle braccia.
- In questi giorni che non ci sei stata.. credevo fosse colpa mia. Credevo di averti uccisa! Ti avevo spezzato il cuore e credevo che fossi voluta tornare a casa per farti del male ancora ma quando ho visto che sei mancata tutti quei giorni pensavo che…- pianse ancora di più. – che ti fossi suicidata!- scese con la sua presa dalle braccia fino ai polsi toccò di nuovo le mie ferite e mi abbracciò.
Sarei voluta rimanere in quella posizione per sempre ma lui si allontanò e disse- non voglio che tu mi racconti la tua storia ma vai da qualcuno per farti aiutare.
- andrò dal signor Collins, lo prometto.-se dovevo andare da lui per far stare più tranquillo Justin lo avrei fatto con piacere.
- grazie.- si asciugò le lacrime con le mani
- Non hai paura? –chiesi dopo un po’
- di cosa?
- siamo in un ripostiglio, stiamo saltando la prima ora e l’ultima volta tu avevi paura che ti potessero scoprire.
- Ah già..-sembrava preoccupato.
- Se sei un cattivo ragazzo e salti le lezioni perché ti preoccupi di andare in punizione? –chiesi quello a cui pensavo da quando lo avevo conosciuto, quel comportamento era strano.
- Il problema è che quando ti beccano a saltare l’orario chiamano i tuoi genitori o ti mandano in punizione. I miei non devono sapere che salto l’orario e la punizione non mi piace.
- Perché non lo devono sapere?
- E’ una lunga storia. – lasciò cadere il discorso così e io aggiunsi
- Chi ti ha fatto quella cicatrice sull’occhio in punizione?
- Emmhh… non ricordo.. – non sembrava sincero.
Sentimmo la campanella che annunciava l’inizio della seconda ora di lezioni suonare così ci alzammo per uscire e Justin disse mentre apriva la porta – Jason è molto pericoloso,  devi stare attenta.

Annuii e uscimmo.
Non potevamo credere di essere stati così sfortunati. Chi c’era fuori allo stanzino che per caso passava di là? Il preside.

- Ehi voi due che ci facevate là dentro?
- oh, signore! Non pensi a male.-si affrettò a dire Justin.
- Queste cose non sono permesse in questa scuola!  -
-Stavamo solo…-
- La gente qui non si può baciare nei corridoi figuriamoci fare quello che stavate facendo!- Lo interruppe il preside.
- Non facevamo niente stavamo…-
- E poi tu signorina Sten, ti avevo avvertita di non comportarti così anche qui! So cosa hai fatto in passato e so cosa tutt’ora fa con i ragazzi.
- Andiamo ma cos’è stupido? Non crederà davvero a queste storie!-disse tutto d’un tono Justin per evitare di essere di nuovo interrotto, poi si tappò la bocca, era un bell’insulto per il preside.
- Ehi come ti permetti a parlarmi così? Mi manchi di rispetto? Sai cosa farebbero i tuoi genitori se lo sapessero. Questa ragazza ti ha cambiato è meglio che li informi, ti ho dato tante possibilità e lei hai sprecate tutte!
- No, vi prego signor preside. Giuro non l’ho fatto apposta!-aveva un’aria implorante.
- I tuoi genitori Non sopporterebbero di vederti con lei!
- Cosa ha di male? –sbottò di nuovo Justin.
- Mi manchi di nuovo di rispetto? Vedi di smetterla ragazzo!

Guardavo la scena e primo non capivo perché i genitori di justin si sarebbero dovuti arrabbiare così tanto con lui per una punizione, secondo Justin stava per essere quasi espulso perché prendeva le mie difese e terzo non sapevo cosa fare ma lo dovevo aiutare.

-Mi scusi io..-
- Ascoltami, i tuoi genitori sono persone importanti, ricche e famose tu non puoi stare in compagna della signorina Sten. –si volto verso di me – scusami senza offesa, spero che capirai- si girò di nuovo verso Justin e aggiunse a bassa voce – non fa parte della tua società, lei è una sgualdrina.
- Non è vero! Lei è..-
- una sgualdrina. Si, lo sono. Ha ragione.-questa volta fui io a interrompere Justin lui sembrava sorpreso, questo era l’unico modo per salvarlo dai guai.
- Chiamerò la tua famiglia comunque ed entrambi andrete in punizione chiaro?
Ci voltò le spalle e se ne andò.
- Tu non sei una sgualdrina perché gliel’hai lasciato fare? Perché hai detto che lo eri? –era rivolto a me.
- Stavi per essere espulso!
- Chiamerà i miei, sono rovinato! Andremo in punizione, sei rovinata!
- Io? Perché sono rovinata? E perché i tuoi si arrabbieranno con te?Che significa che sono ricchi e famosi?

Justin si sedette a terra con il volto tra le mani.

Spazio autrice. 

Spero che vi stia piancendo, da adesso in poi la situazione sarà molto più movimentata. Lo scorso capitolo non ha avuto neache una recensione spero che presto si spargerà la voce e la leggeranno più persone. Ciaaaaaoooo :)

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Capitolo 8
*** Spiegazioni ***


- Entriamo?

Eravamo davanti l’aula della punizione da circa cinque minuti ma Justin non si decideva ad entrare.

Mi prese per la mano e sussurrò – stai sempre dietro di me, in genere i ragazzi dell’alula delle punizioni non sono molto affidabili.
- Per favore Justin, dimentichi con chi stai parlando! Sarò stata in punizione minimo trenta volte nella scorsa scuola!-dissi sorridendo con tono sicuro per farlo stare più tranquillo, ma non ci riuscii infatti lui aveva ancora la stessa espressione preoccupata.

Invece io davvero non avevo paura chiunque fosse lì dentro non mi spaventava.
Capii che se non fossi stata io a fare il primo passo saremmo restati tutto il pomeriggio là e il preside si sarebbe arrabbiato ancora di più.
Aprii la porta ed entrai, Justin mi seguì subito dopo.
Poteva esserci chiunque quel giorno in quell’aula ma non lui, non Jason.
Perché mi capitava tutto a me?

- ciao splendore.-disse Jason.

Rimasi di sasso prendendo seriamente in considerazione l’idea di fare dietrofront uscire e tornare magari un altro giorno.

- Voi due potete sedervi lì in fondo. – era la voce di un professore ce mi fece tornare alla realtà e mi diede il coraggio di andare avanti.

Io e Justin ci sedemmo in silenzio e aprimmo un libro per studiare.
Ogni volta che Jason si girava dietro per guardare cosa stavano facendo gli altri Justin mi stringeva ancora più forte la mano che ancora non mi aveva lasciato da quando eravamo entrati.

- di cosa ti preoccupi? Finché c’è il professore non ti possono fare del male!-dissi sussurrando in modo che nessuno mi sentisse.

Ma parlai troppo presto, in quel  momento il professore si alzò dalla cattedra e disse:

-scusate devo andare a portare questi in segreteria, torno subito e se scopro che avete fatto chiasso vi aggiusto io!

Se ne andò e ne momento in cui la porta si richiuse alle sue spalle tutti iniziarono a chiacchierare e si alzarono in piedi, lo feci anche io e mi allontanai dal banco; Justin mi seguì tenendo ancora forte la mia mano.

- Allora? Come siete finiti qui? –era Jason alle nostre spalle con il suo solito tono agghiacciante.

Né io né Justin rispondemmo.

- Ah giusto Linz non parla per scelta morale e tu Justin? Qual è la tua scusa?
- Non sono obbligato a dirti niente.-disse Justin con tono secco.

A quel punto mi accorsi che altri due amici di Jason erano arrivati dietro di lui e tutti erano in silenzio a sentire la conversazione incuriositi.

-  Perché mi rispondi così freddo? Io e te siamo amici.
- Non credo proprio, tu sei solo un pallone gonfiato e non sai come si trattano le persone.
- Un pallone gonfiato? Ma per favore senti chi parla! Il signor “ehy mia madre e mio padre si possono permettere l’intero Empire State Building” sei solo un bambino viziato!

Justin fece un passo avanti come per mollargli un pugno poi si fermò di colpo.

- Cos’è? Vuoi fare a botte di nuovo? Non ti è bastato come è finita l’ultima volta? –intimò Jason.
- Cosa? Vi siete già picchiati?– chiesi io guardando Justin, lui abbassò il viso e non mi rispose.
- Ci siamo picchiati? Ma non essere sciocca! Lui non sa picchiare, ha solo subito.– Jason scoppiò in una fragorosa risata.
- vedi quella cicatrice sull’occhio? E’ per fargli ricordare di non mettersi mai contro di me, per farlo pentire di ciò che ha fatto!
- Hai quasi aggredito un bambino! Non mi pentirò mai di averti affrontato quel giorno!- urlò di rimando Justin.
- Allora ti pentirai di avermi affrontato ora.

Justin fece un lungo passo indietro, mi asciò la mano e si mise proprio davanti a me come per farmi da scudo.

- Linz guarda! Ti sei trovato l’angelo custode.-rise.- forse lui non sa come ci siamo divertiti insieme Sabato notte.

Si alzò un mormorio generale.
Justin si girò verso di me.

- cosa…
- no non gli credere!

Justin mi guardava con il volto deluso, forse credeva che io gli avessi mentito e che fossi andata a letto con Jason.
Jason si avvicinò velocemente mi prese per un polso e dopo poco mi ritrovai tra le sue braccia.

-Non dirmi che non ti è piaciuto quel bacio.-Mi strinse a lui con la sua solita stretta forte e io provai di nuovo dolore con l’ultima volta.

Cercai di scansarlo invano.

- Non vedi che la fai soffrire? Lasciala. – Justin era tornato in sé, si avvicinò a Jason e proprio mentre cercava di tirarmi via arrivarono i suoi amici che lo presero per le braccia senza lasciarlo passare.
Jason si avvicinò a me come per baciarmi e mise una mano sul mio sedere a quel punto Justin urlò – lasciala andare! Non provare a toccarla o ti faccio vedere io!

Sembrava disperato e si sentiva impotente cercava di liberarsi dalla presa di quei due ma loro erano giocatori di Basket alti e muscolosi e lui più basso e magrissimo.

-cosa vuoi da lei? Lasciala!
- Vorrei che fosse la mia fidanzata.-poi si voltò verso di me – ti vada essere la mia ragazza?
- Neanche per sogno.- se si aspettava che io dicessi di si dopo come mi aveva trattata era proprio un pazzo.
- Lo sarai, aspetta un po’ e lo sarai, dove hai intenzione di andare? –poggiò le sue labbra sulle mie. Ero completamente nel panico quando improvvisamente sentii la sua presa affievolirsi e cadde a terra. Dietro di lui vidi Paul con un pesante libro in mano e capii che glielo aveva tirato addosso per aiutarmi e lui era svenuto.

In quel momento entrò il professore

- che ci fate lì? Tutti ai propri posti!
- Professore hanno picchiato Jason, è svenuto! – rispose uno degli amici, o meglio lecca-piedi di Jason.

Il professore corse verso di noi a vedere.

- cosa è successo? Chi è stato? Andate a chiamare l’infermiera!

Poi si girò verso di Justin

- sei stato tu? Non è la prima volta che fate a botte qui.
- No, sono stato io.- Era stato Paul a parlare.- Lui non lasciava in pace Linz!
-Dire qualcosa contro una ragazza non è una buona scusa per picchiarlo, mi licenzieranno!
- Professore l’ha aggredita, non c’entrano gli insulti le stava facendo male!
-E’ la verità? – il professore si girò spaventato verso di me.

Non avrei voluto dire di si per tre semplici motivi.
Avevo paura che Jason potesse arrabbiarsi ancora di più.
Non volevo sembrare una vittima, una debole e non volevo che gli altri avessero pietà di me.
Se avessi detto di si sarei dovuta andare dalla polizia o cose del genere e Jason sarebbe finito in prigione, lui aveva 19 anni e io 16, non mi poteva trattare così ero ancora una minorenne.
Al contrario c’era solo una ragione che mi spingeva a dire che era tutto vero ed ero stata aggredita da jason; e quella ragione era Paul.
Dopo quello che aveva fatto non potevo voltargli le spalle.

- Si ,è la verità.-sussurrai.
- Conosco gli alunni come voi, non vi credo mi dispiace.
- può confermare tutta la classe- urlò Justin.

Nessuno prese le nostre parti, nessuno ci rispose e nessuno ci aiutò. O mi odiavano tutti o avevano paura di mettersi contro jason.

 - mi avete seccato. Andate fuori di qui tutti e tre e chiamate un’infermiera.

Uscimmo dalla porta e appena la porta si chiuse alle nostre spalle guasti mi diede un forte abbraccio e si mise a piangere.

- non sono riuscito a salvarti, ero impotente. Se non ci fosse stato questo ragazzo ti avrebbe fatto del male. –
- non ti preoccupare, è tutto passato.-gli diedi una pacca sulla schiena e lui mi rispose con un bacio sulla guancia non me lo aspettavo.
-Ehy scusa – disse Justin rivolgendosi a Paul -ti volevo ancora ringraziare per quello che hai fatto.
- nulla, odio Jason si crede chissà chi volevo dargli una lezione da tanto tempo! –sorrise e ci incamminammo verso l’infermeria.

Paul era davvero gentile, quando stava in classe e mi guardava con quegli occhi indagatori non sembrava così buono.
Come era possibile che Jason si comportasse in quel modo anche con una dozzina di persone davanti a noi?
Non aveva paura proprio di niente.
Non volevo farlo vedere a Justin ma da quando Jason mi aveva baciato per la seconda volta ero davvero spaventata e stare vicino a lui mi tranquillizzava. Sapevo che contro Jason lui non sarebbe mai riuscito a fare nulla ma il solo fatto che aveva cercato di difendermi mi faceva sentire più protetta.

**

 – Io e te dobbiamo parlare. –
Justin si sedette sull’erba vicino a me.

Ero andata al parco per cercare di ragionare su cosa fosse successo quella mattina a scuola e a quanto pare Justin sapeva dove trovarmi.

- Già lo credo anch’io. –risposi, c’erano tante cose che volevo sapere.
- facciamo una domanda l’uno?-propose Justin, annuii.
- Comincio io: cosa intendeva Jason con “lui non sa come ci siamo divertiti insieme Sabato notte” ?

Non risposi perché mi sentivo in colpa a non averglielo detto prima.

- Linz, rispondi. Sei andata a letto con lui? Se sì perché mi hai mentito?
- Perché non hai fiducia in me? Se ti ho detto di non credere a ciò che ha detto non devi credergli.

Justin sembrava meno arrabbiato anzi più che altro mortificato per la poca fiducia in me.

- Scusa, hai ragione. Posso sapere gentilmente cosa è successo?
- è una cosa stupida, no.

Rimanemmo in silenzio per un po’ poi la rabbia che provavo nei confronti di Justin perché voleva sapere i fatti miei diminuì e mi convinsi che voleva semplicemente aiutarmi.

- Stavamo giocando a obbligo o verità e mi hanno obbligato a baciare Jason. Lui mi ha fatto male e per questo il giorno dopo avevo quei lividi sulla schiena e il taglio sul labbro.
- lo immaginavo! Non lo sopporto, io lo…-lo interruppi.
- Basta ormai è successo, dopo ciò che ha fatto Paul non si avvicinerà mai più a me.
- Non è vero Linz! Quante volte già ti ha toccata, minacciata e tu hai detto che avrebbe finito?

Aveva ragione quella era già la quinta volta che mi spaventava e ogni volta credevo che fosse l’ultima ma cosa potevo fare? Non mi credeva nessuno comunque …

- Non avevamo detto una domanda l’uno?
- Si, tocca a te.- Rispose rassegnato Justin.
- Perché tutti dicono che i tuoi genitori sono ricchi e famosi? Chi sono? Che fanno?
- Odio questa cosa. Loro sono i proprietari di un’azienda e si sono ricchi, voglio dire la mia famiglia è ricca. Sono figlio unico e vorrebbero che diventassi professionale, maturo e bravo come loro ma io non voglio. Pretendono che vada a scuola vestito con giacca e cravatta, che ottenga buoni voti in tutte le materie e che frequenti le persone giuste. Credono di farlo per il mio bene ma mi stanno solo facendo soffrire. Ecco perché non volevo che sapessero che salto le lezioni o che sono tuo amico, non mi permetterebbero nulla di tutto ciò, per questo il preside parlava in quel modo di te perché conosce i miei. Odio questa vita, quando in spiaggia volevo sapere che significava essere te non era perché ti considero un fenomeno da baraccone ma perché ti ammiro.

Che buffo io avevo il problema contrario. I suoi genitori erano troppo apprensivi, io vivevo con mia zia. Lui era ricco, mia zia anche ma non mi dava neanche un centesimo. Lui era un bravo ragazzo e io una cattiva ragazza. Tutto ciò era assurdo.

- Hai mai provato a parlare con loro?
- non capirebbero… adesso tocca a me. Chi è Lea?

Temevo questa domanda.

- Mia zia.
- E perché ti picchia?
- Abbiamo detto una domanda l’uno giusto?
- Allora chiedimi qualcosa.
- Non ho nulla da chiederti.
- Così non vale! Non mi risponderai mai!
- ops…- cominciammo a ridere entrambi.
- Ti va di venire a casa mia? Dico per studiare, così e passare del tempo.
- Non credo sia una buona idea.
- Non ti preoccupare! I miei sono fuori città oggi.

Ci pensai un po’, perché no? Sarebbe stato divertente magari.

- Va bene.
 
**
 
Casa sua era enorme una vera e propria villa, faceva impressione. Era a più piani, aveva una piscina nel giardino sul retro e tutte le piante erano perfette come se un giardiniere lavorasse lì 24 ore su 24.
Quando entrammo sentii un odore familiare, l’odore di mobili di legno, un odore che non sentivo da molto perché nella casa di Lea i mobili erano fatti di plastica. Mi ricordava la mia famiglia, soprattutto mia madre, in quel momento mi tornò in mente la mia vecchia casa e il ricordo dei pomeriggi passati lì dentro davanti al camino. Le gridate di mamma quando tornavo a casa bagnata fradicia per essermi rotolata nel fango, papà che cercava di calmarla dicendo che i vestiti si potevano lavare e poi c’era mia sorella che giocava per terra in cucina con delle bambole in mano. Credevo che mi sarebbe venuta la malinconia invece mi sentivo felice come se tutti loro, le persone che mi avevano davvero amato fossero ancora lì vicino a me proprio in quel momento a guardarmi sorridere dopo tanto tempo e passare il pomeriggio con Justin. Non avevo mai provato quella bella sensazione prima di allora e in poco tempo mi scesero delle lacrime di commozione.
La bellissima atmosfera si ruppe quando sentii  la voce di una donna provenire da una stanza lontana.

- Chi è? Justin sei tu amore?
-no.- disse Justin preoccupato rimase in silenzio per un po’ pensieroso afferrò il mio braccio e mi trascinò in una stanza enorme e luminosa piena di tappeti.

Poi vidi la donna che aveva parlato aveva un libro in mano, era bella, giovane, alta, magra, con capelli marroni lisci e raccolti in una coda di cavallo ordinata portava una gonna rosa e una maglietta a maniche corte. Gli occhi erano color miele esattamente come quelli di Justin. Il suo portamento e il suo aspetto la facevano sembrare una donna di grande importanza.
Quando si accorse che Justin non era solo si alzò e mi porse la mano con aria poco fiduciosa.

-Mamma, lei si chiama Linz. Linz lei è mia madre Rose.
- Linz? Che buffo nome, accomodatevi.

Ci sedemmo su un divano di fronte a lei.

-veramente si chiama Elisabeth.– si affrettò a dire Justin.
- Elisabeth come pensavo, Elisabeth Sten.- disse con tono di disgusto, non mi offesi era normale per le persone parlarmi così.
- La conosci?  -chiese Justin, ma ovviamente sapeva già la risposta.
- Me ne ha parlato il tuo preside.
- mamma, non gli credere tutto ciò che ti ha detto non è vero!
-Justin io voglio credere alle tue parole ma.. – la signora sembrava disperata.
-mamma, quando mai hai dubitato di me? Io sono sempre sincero con te..
- Justin io non so più cosa fare con te, vai in giro come un pezzente ti vesti come se fossi un cantante rap e…

Mise le mani sul volto come per nascondere le lacrime, mi ricordava molto Lea quando era arrabbiata con sua figlia perché credeva che si fosse ubriacata.

- Volevo farti questo discorso quando eravamo soli ma ora c’è la tua ragazza e credo che possa sentire anche lei.
- Non sono la sua ragazza, ma se volete me ne vado.-mi affrettai a rispondere e mi alzai.
- Elisabeth siediti.-mi sedetti- ascoltatemi, siete ragazzi e dovete stare attenti a ciò che fate, inoltre noi abbiamo una reputazione da difendere, Linz, se davvero tieni a Justin non portarlo sulla cattiva strada, per favore.
- Sulla cattiva strada? Mamma lei è una brava persona non mi farebbe mai del male.– urlò Justin
-Non voglio sembrare scortese dico solo che alcune volte magari non sai riconoscere le cose giuste da quelle sbagliate, sei ancora giovane..
-Mamma da quando non ti fidi di me?
- Justin da quando ho scoperto cosa fai alle mie spalle!
- Cosa faccio? Non ho mai fatto nulla.
- Justin non mentire, il preside mi ha raccontato tutto anche di quello che avete fatto stamattina. Mi risale il pranzo solo a pensarci!
- Stamattina? –Justin sembrava non capire e io neanche, nessuno sapeva della lite con Jason perché il professore non ci aveva creduto e il resto non era così terribile da far vomitare qualcuno.
- Hai avuto rapporti sessuali con questa ragazza in uno sgabuzzino delle scope! E se l’hai messa incinta? E se avrà un figlio?
- cosa?-dicemmo tutti e due all’unisono. Era assurdo pensare che il preside aveva concluso una cosa così stupida.
- Non è vero! In quello sgabuzzino abbiamo solo parlato e poi non siamo fidanzati! –Justin si alzò di colpo.
- Justin scusa non ti posso credere, sono una persona rispettabile e ho fatto delle ricerche su questa ragazza.-si girò verso di me- scusa cara dimmi se ciò che sto per dire non è vero.- poi si rivolse di nuovo a Justin- lei ha avuto dei problemi con la droga, l’alcol, il fumo, prende bassi voti a scuola non fa parte del nostro modo di vivere.
- Non fa parte del tuo modo di vivere, mamma! Non capisci odio tutto di questa vita! Per colpa tua e di papà non posso avere neanche amici perché non sono all’altezza della vostra “nobiltà” Linz mi ha dato qualcosa per cui vale la pena andare avanti, voglio aiutarla a risolvere tutti i suoi problemi e a farla vivere bene!
- ma non puoi decidere di fare del bene a qualcun altro? Lei è… voglio dire ha un occhio nero chissà chi gliel’ha fatto e guarda quanti tagli e segni sulle braccia! Non accettare una battaglia che non è la tua!
- Queste braccia.- mi prese per un polso.- sono le braccia che amo tanto perché simboleggiano la sua forza, non farti pregiudizi! Impara prima a conoscere le persone e poi a parlare. – si girò versò di me.- scusa la signora madre, non sa quello che dice.

Andò via dalla stanza a passo svelto, non l’avevo mai visto così arrabbiato come allora.

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Capitolo 9
*** Una nuova sistemazione ***


A quel punto ero rimasta sola con sua madre mi alzai e dissi:

- scusate per il disturbo, io vado via non volevo essere la causa di tutto questo.
-no no prego siediti, vado a prenderti qualcosa da bere! Che sbadata non ti ho offerto nulla.-sembrava molto gentile ed educata, una donna rispettabile come dicevano tutti.
- no davvero vado via, io..
- siediti, preferisci del tè o magari una limonata non so… c’è anche una torta fatta in casa dalla nostra domestica vado a prendertene un pezzo.- sorrise e uscì dalla camera prima che potessi risponderle.

Mi sedetti e aspettai.
Dopo qualche minuto tornò con la fetta di torta su un piatto e lo poggiò davanti a me. Dopo tutto quello che era successo non avevo per niente voglia di mangiare ma per non sembrare scortese ne assaggiai almeno un boccone.
Lei si dette a gambe accavallate sulla poltrona davanti a me e a bassa voce disse:

- Posso farti una domanda un po’ personale? Se chiedo a mio figlio non mi risponderebbe mai ovviamente. Devi essere sincera però.-
sorrise.

Ero un po’ preoccupata per ciò che mi voleva chiedere ma annuii lo stesso, non mi ero mai trovata in una situazione tanto scomoda come quella.

- Quante volte l’avete fatto? Voglio dire del sesso?

Ci mancava poco che mi affogassi con il boccone di torta, riuscii ad ingoiare e risposi allarmata.

-mai, non l’abbiamo mai fatto insieme.
- Mai insieme? Vuoi dire che insieme no ma con altri si? Justin è andato a letto con qualcuno?– si mise a piangere silenziosamente, riuscivo a capirlo perché parlava con un nodo in gola.
- no, è un bravo ragazzo non lo farebbe mai perché io e lui non stiamo insieme.

A quel punto entrò correndo Justin con un borsone in mano mi prese per un braccio e mi costrinse ad alzarmi poi senza dire nulla alla madre mi portò fuori di casa e chiuse la porta sbattendola.

Lei ci raggiunse e urlò – aspetta Justin ti prego dimmi dove vai!
- In qualunque posto che non sia questa maledetta casa.
– mi aprì la portiera della sua auto e mi fece salire.
- Justin, non te ne andare ti prego, scusami per quello che ho detto!

Justin entrò in macchina e partì ignorando le preghiere della madre.

**

- Non dovevi trattarla così.

Non potevo sopportare come si era rivolto alla madre, io avrei pagato per averne una e lui gli rispondeva male, avrebbe dovuto semplicemente cercare di farla ragionare ma scappare di casa mi sembrava troppo.

- E’ l’unico modo per farle capire chi sono.
- Bravo e adesso cosa ci hai concluso? Lei non ha ancora capito perché la odi e non hai un posto dove andare.
- Beh.. io…-sembrava imbarazzato- pensavo che magari tu avresti potuto… ecco… ospitarmi per un po’… magari…

Justin a casa mia con Lea e Ronnie? Pessima idea.

- Justin non voglio che..

Inoltre avrebbe scoperto la verità sulla mia famiglia e non volevo assolutamente, perché magari avrebbe cominciare a trattarmi in modo diverso. Ma come potevo lasciarlo per la strada senza un posto dove andare? Lui aveva fatto tanto per me.

-…non hai un posto dove andare quindi… puoi venire ma non ti devi far vedere da…

da mia zia? Cosa avrebbe pensato di me se avesse scoperto che vivevo con lei e soprattutto cosa avrebbe detto lei?

- da chi? Da tua madre?
Mi interruppe lui.
- si da lei.
-Credi che non approverebbe? Va bene mi nasconderò.

Gli avevo appena detto una bugia che sapevo non poteva reggere era assurdo che venisse a vivere da me credendo che mia madre fosse lì.
Sapevo che sarebbe funzionato davvero per poco.
 
**
 
Entrammo in casa di soppiatto avevo paura che Ronnie ci avrebbe visto invece fortunatamente non era in casa. In realtà da quando la avevo aiutata con sua madre era molto più buona nei miei confronti quindi diciamo che avevo più paura che Justin vedesse lei e iniziasse a fare domande.
Arrivati a metà stanza sentii una voce proveniente da dietro le mie spalle – Linz, ricordati che oggi devi pulire i tappeti, è passato tanto dall’ultima volta e poi apparecchia la tavola e cucina il pesce che ho portato oggi a pranzo.

Era la voce di Lea, mi si ghiacciò il sangue nelle vene e mi girai di scatto, ma non vidi nessuno dietro di me, poi capii che era stato solo la segreteria telefonica del cordless e mi tranquillizzai. Dopo tutto quello che era successo quel giorno avevo dimenticato di dover pulire i tappeti.

- Justin sali per le scale  e la prima porta a destra è la mia stanza resta lì, io devo occuparmi di alcune faccende.
- Tua madre ti fa pulire i tappeti? Noi abbiamo un tappezziere di fiducia. –sembrava meravigliato.- ti posso aiutare? Non ho mai pulito un tappeto.

Non era una buona idea e se fosse entrata Ronnie o Lea da un momento all’altro? Poi mi ricordai che quel giorno Ronnie aveva detto a pranzo che sarebbe andata a fare shopping con la madre fino a tardi quindi mi tranquillizzai.

- si vado a prendere i prodotti per le pulizie tu vai a posare il borsone.

Dopo pochi minuti ci ritrovammo nel salone, gli spiegai come si faceva e poi cominciammo. Dopo un po’ Justin chiese:

- dov’è tua madre? A lavoro?
- no a fare shopping credo.

- non ti ha portata con lei?- sembrava meravigliato.

Non risposi. Chissà come era andare a fare shopping con la propria madre, io non avevo avuto abbastanza tempo per farlo.

- Linz, perché cucini tu qui a casa? Lei non ti aiuta?
- Smettila.-dissi con tono secco.
- di fare cosa?
- Di farmi domande.

Rimanemmo in silenzio per una ventina di minuti poi mi chiamò allarmato.

- Linz! Linz! Vieni a vedere!

Mi avvicinai preoccupata e mi accorsi che Justin stava cercando di togliere una larga macchia rossa da un tappeto bianco.

- è sangue? –chiese.

Come potevo aver dimenticato un particolare tanto importante e significante? Ricordai che quello era il punto dove Lea mi aveva picchiata e cercai una scusa

- no, deve essere pomodoro…

Avvicinò la faccia al tappeto

- odora di sangue.-non sapevo che rispondere. – Linz, questo sangue è tuo? E’ dove Lea ti ha picchiata?

Rimasi in silenzio a testa bassa.

- Tua zia ti picchia a casa tua e i tuoi genitori non si preoccupano di niente?
- E’ un po’ più complicato da spiegare.
-Siamo tornate.-era Lea che era entrata in casa.

Quel loro arrivo fu provvidenziale, non sapevo più cosa raccontare a Justin.

- Justin corri vai in camera mia e chiudi la porta.

Fece come gli avevo detto e proprio in quel momento Lea entrò nel salone.

- Ti sei messa all’opera brava!

**

Dopo mangiato sparecchiai e portai una porzione di cena anche a Justin in camera mia.

- Sei un’ottica cuoca sai?-disse lui posando il piatto ormai pieno solo di lische di pesce e spine sulla scrivania.
- grazie.-sorrisi imbarazzata, avevo iniziato a cucinare per loro praticamente verso i 10 anni era impossibile che non avessi ancora imparato.- cosa ci fanno i tuoi vestiti per terra?
- c’è un solo letto così ho pensato di dormire lì.
- Ma stai scherzando? Tu dormirai sul letto, io mi arrangerò.
- Non puoi stare scomoda.
- perché no?-sorrisi.

Rimanemmo seduti uno accanto all’altro per qualche secondo guardandoci negli occhi, i suoi occhi erano bellissimi, color miele, avrei potuto guardarli per sempre.

Lui fu il primo a distogliere lo sguardo – dovremmo andare a dormire, domani c’è scuola.
- giusto, vado a mettermi il pigiama.

Andai in bagno, mi lavai la faccia, mi struccai, mi preparai per andare a dormire.
Tornai in camera e trovai Justin in pigiama con dei pantaloni grigi di una tuta e una t-shirt rossa con scritto “Swag”, si girò verso di me e si mise a ridere.

- che c’è? –dissi con tono arrabbiato.
- non ci posso credere, tu la notte ti strucchi? Io credevo che a scuola venissi truccata come un procione perché la notte il trucco si sbavava ahahahahah
- davvero molto divertente. –presi un cuscino e glielo lanciai addosso.

Lui lo allontanò mi guardò rimase in silenzio per un po’ e aggiunse

- però sei bellissima anche così, senza trucco, con questi pantaloncini e questa canottiera neri. Sei semplice, mi piace.- sorrise.

Probabilmente io invece arrossii ma cercai di nasconderlo.
Poi alzò le lenzuola del letto e mi fece cenno di andare a dormire.

-  madame, questo è il vostro luogo di riposo.

Imitò un accento buffo all’inglese e poi fece un inchino.

-no Justin tu dormi lì, tu sei l’ospite.
- ma mi sono praticamente auto invitato.
- Ti caccio via se non fai come ti dico io.- cercai di sembrare più seria possibile.

Lui entrò nel letto di controvoglia e disse:

- guarda che se vedo che stanotte a terra sei scomoda di dò il letto.

Mi misi a terra su un tappeto con un cuscino e feci finta di addormentarmi, Justin chiuse la luce e iniziò a dormire realmente.
Io stavo scomoda e dopo circa due ore a cercare di prendere sonno mi alzai e mi sedetti sul letto cercando di non svegliare Justin.

- vieni qui. –i miei sforzi furono inutili perche Justin si svegliò e mi fece cenno di raggiungerlo nel letto.

Avrei voluto dirgli di no ma la schiena mi faceva malissimo quindi non me lo feci ripetere due volte e andai sotto le coperte.
Inizialmente cercavamo di tenerci a distanza ma il letto era troppo stretto e dopo circa 10 volte che lui sbattè la testa al muro e io rischiai di cadere dall’altra parte ci avvicinammo.
Mi teneva abbracciata e io avevo la mia testa sul suo petto, era piacevolissimo.
Non so cosa provasse lui ma io mi sentivo al sicuro tra le sue braccia e non volevo allontanarmi per nessuna ragione al mondo.
Faceva caldo e sudavo ma lo continuavo a tenere stretto come se da un momento all’altro avesse potuto lasciarmi, come se fosse potuto morire come tutti quelli che avevo già ucciso.

Quella notte fu la prima della mia vita dopo l'incidente in cui non feci incubi. 

**

- Linz, ci dovremmo alzare.-
disse con un filo di voce quasi ancora addormentato.

Era tutto perfetto perché avremmo dovuto alzarci?

- Linz, oggi c’è scuola, l’hai dimenticato?

Aspettò che io aprissi gli occhi e mi alzassi invece non mi mossi.

- Linz, se non scendi prima tu dal letto io non mi posso alzare e poi mi fa caldo, potresti smetterla di abbracciarmi?

Tolsi le braccia in fretta e mi alzai. Che figuraccia, non pensavo che gli desse fastidio il mio abbraccio ero completamente imbarazzata, corsi a prendere dei vestiti puliti e andai a farmi una doccia in bagno, Justin aveva ragione sotto le coperte e attaccati tutta la notte avevamo sudato tantissimo. 
Mi vestii, mi truccai e tornai in camera.

- ecco che bel procione che abbiamo stamattina.-rise.
- a me piace il trucco così? Va bene? –cercai di sembrare offesa.
- va bene amica prociona.-continuò a ridere poi andò in bagno a prepararsi.

Riuscimmo ad uscire per andare a scuola senza che nessuno ci vedesse anzi senza che Justin vedesse nessuno e a piedi ci incamminammo verso scuola, lui a piedi e io con il mio fidato skateboard.
 
**
 
-Signorina Sten, vedo che hai deciso di tornare da me.- il signor collins sorrise.

Se andare da uno strizza cervelli era l’unico modo per far stare in pace Justin l’avrei fatto per lui.

- Cosa ti ha spinto a tornare da me? Vuoi essere aiutata? Siediti.

Feci spallucce e mi andai a sedere su un divanetto di fronte a lui.

- So cosa di è successo in questi ultimi giorni sai? Sei finita di nuovo in prigione, poi in punizione e hai avuto una lite con il preside. Mi vuoi raccontare qualcosa? Stenditi.-aveva sempre un tono così gentile che mi faceva sentire protetta quasi quanto gli abbracci di Justin.

Mi stesi come diceva lui ma rimasi in silenzio.

- Beh, se non mi dici niente tutto questo sarà inutile.-sorrise.

Non volevo parlare ma se fossi rimasta in silenzio ad un certo punto il signor Collins si sarebbe innervosito e non volevo.

- cosa faccio se ho paura di perdere una persona a me cara?
- in che senso hai paura di perderla?
- tutte le persone a cui tengo finiscono… male e io non voglio …-mi salì un nodo in gola e non riuscivo a continuare.- succeda qualcosa anche a lui.
- Non perché è successo in passato è detto che deve succedere anche ora, se ami davvero questo ragazzo e lui ama te non vi allontanerete mai.
- Come fa a sapere che è un ragazzo?
- Beh, hai detto “lui” e alla tua età si parla quasi sempre di ragazzi. – sorrise.
- comunque no, io non amo nessuno.
- è impossibile, c’è sempre qualcuno da amare, se non si ama vuol dire che è si ha una vita persa e oscurata nell’ombra.
- non ricordo più cos’è l’amore, mi dispiace. –mi alzai per andarmene.
- Elisabeth, aspetta! Mi dispiace.. so che hai perso i genitori da piccola e…-il sorriso sulle sue labbra svanì, si mise a piangere poi uscì dalla stanza e mi lasciò lì sconvolta.

Come faceva a sapere che loro non c’erano più? Magari aveva chiesto al preside e lui aveva tutti i documenti della mia vita, ma c’era bisogno di piangere?
Mi sedetti di nuovo aspettando che tornasse, in altre condizioni sarei scappata da quell’ufficio ma avevo bisogno di chiedergli la verità.
Tornò dopo circa mezz’ora.

-scusami.. non sono molto forte ultimamente.-sorrise, era tornato il solito dottor Collins quello che riusciva quasi a farmi sorridere.
Si sedette.
- Come fa a conoscere la mia storia?
- Me l’ha raccontata il preside e mi commuove ogni volta che ci penso, ora dimmi vogliamo continuare la visita? – cercò di sviare il discorso.

Capii che era meglio lasciare stare per quel giorno, lui non sembrava stare bene.

-No, mi scusi mancano 20 minuti alla prossima ora e vado a ripassare un po’ di matematica. –mi alzai e me ne andai.

La cosa strana fu che lui non disse niente e fino all’ultimo mi guardò con uno sguardo spento lontano anni luce da lì, come se stesse pensando a qualcosa che era successo molto tempo prima. Magari era orfano anche lui. 

Angolo autrice. 

Mi scuso perché ho postato tardi il capitlo ma si era rotto il computer çwwwç 
Grazie perché la state seguendo, nel prossimo capitolo succederanno degli avvenimenti molto importanti spero vi piacerà jgdsbhfgvs

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Capitolo 10
*** Il bersaglio. ***


Ero davanti il mio armadietto nel corridoio deserto leggendo Nicholas Sparks quando una voce mi fece sobbalzare, credevo fosse Jason invece fortunatamente mi girai ed era sono Tyler che mi aveva salutata.

- come stai? Non parliamo da quando c’è stata la festa, mi dispiace per come è finita.

Lo ignorai e abbassai lo sguardo sul libro.

- posso chiederti una cosa?

Rialzai il volto dalla lettura e posai il libro dell’armadietto con aria seccata, avevo capito che non sarei riuscita a leggere neanche una parola con lui lì.
Annuii e lui chiese:

- adesso stai con quel Justin?
- Non siamo fidanzati.

E poi a lui che importava? Erano affari miei personali.

- Non siete fidanzati e vi comportate in quel modo?
- Che modo?- ci comportavamo come semplicemente due amici, non era uno scandalo.
- Girano cattive voce su di voi e su quello che fate insieme.

Lo guardai con gli occhi stralunati, ero confusa. Che voci? Chi le aveva messe in giro?

- Come non lo sai? Ne parlano tutti qui a scuola: “la ragazza nuova adesso ha adocchiato il ragazzo più ricco della città, state attenti”

Imitò una buffa voce di scherno.
Ma perché mi odiavano tutti? Dovevo andare a parlare con Justin immediatamente.
Mi allontanai da Tyler, lui mi seguì, mi prese per una spalla e inaspettatamente mi baciò.
Successe tutto troppo velocemente che neanche me ne accorsi a momenti, realizzai solo dopo quando ormai le sue labbra toccavano le mie da qualche secondo. Il suo bacio però non era come quello di Jason, era molto più delicato e piacevole, poi mi ricordai che lui era Tyler e a me non piaceva così lo scansai e la cosa assurda era che pur avendo la stessa corporatura di Jason si allontanò.

- Scusa, ho dovuto farlo. Probabilmente alla fine non sarai la mia ragazza e non potevo continuare a vivere con il rimpianto di non averti mai baciata. E poi non è un reato tu e quel ragazzo non state insieme giusto? –sorrise.

Eravamo soli, in un corridoio deserto avrebbe avuto circa 10 minuti per aggredirmi indisturbato e fui grata del fatto che non mi trattò come invece avrebbe fatto Jason.
Comunque mi aveva baciata e non lo sopportavo.
Mi liberai dalla sua stretta e camminai a passo svelto nella direzione opposta.
Sempre correndo svoltai l’angolo e vidi ferma davanti a me una ragazza bionda, alta magra bellissima, vestita da Cheerleader e dietro a lei c’erano altre 3 ragazze.
Era Meg.
La ignorai e continuai a camminare la lei mi costrinse a fermarmi e disse: 

- Come stai Linz?

Non risposi.

- Non siamo molto socievoli oggi eh?

Mi accarezzò la guancia e si mise a ridere io le allontanai la mano spingendo via il suo braccio e lei continuò.

- Ti è piaciuto quel bacio con Jason? L’ho pianificato bene per te, vero?

Sapevo che era stata lei a far capitare Jason girando la bottiglia e a dire quello stupido obbligo ma la mia prima era solo un’ipotesi, invece l’aveva fatto veramente.
Rimasi in silenzio.

- Speravo che baciando Jason ti saresti messa con lui e avresti lasciato in pace il mio Tyler.. invece è andata molto meglio di quanto sperassi. –rise.

Non capivo, non mi ero messa con Jason e un attimo fa Tyler mi aveva baciata, come poteva essere così felice?

-ho fatto girare delle voci su di te e su Justin. Vedi se ti piace questa nuova storia su di te:  adesso tutti credono che sei la ragazza facile che ci prova con tutti qui a scuola. Stai con Justin solo perché è ricco e ne approfitti di lui e dei suoi soldi, ma lo tradisci infatti tutti ti hanno visto baciare Jason due volte, Paul è venuto in tuo soccorso mettendosi contro una persona pericolosa e adesso vedranno il tuo bacio con Tyler.

Mi mostrò lo schermo del suo cellulare sul quale c’era una foto che aveva scattato mentre Tyler mi baciava.
Cosa avrebbe pensato Justin se l’avesse vista? Si sarebbe arrabbiato? E se gli avessi detto la verità mi avrebbe creduta? 
Non mi interessava di ciò che pensavano gli altri ma non potevo volevo che parlassero male anche di Justin e soprattutto lui non ce l’avrebbe fatta a sopportare tutto quello.

Io per imparare a ignorare i commenti altrui avevo impiegato anni.

Come poteva concentrarsi tanta cattiveria in una singola persona?
Non si può dire che Meg non fosse furba però, era riuscita a crear una storia di fronte la quale nessuno avrebbe dubitato.
Poi continuò:

- E’ vero mi da fastidio che tu abbia baciato Tyler ma tanto so che tra poco sarà tutto finito.- fece un mezzo sorriso. – andiamo ragazze, tra poco suona la campanella!
- in che senso tutto finito?-sussurrai.
- Non ci vuole molto intuito: Jason ti vuole per sé e tu stai con Justin, chi non fa quello che dice Jason finisce male in un modo o nell’altro quindi.. so che voi due piccioncini avrete ancora poco tempo per essere felici e contenti.

Si incamminò verso la direzione dalla quale ero venuta e  passando mi diede una spinta di lato facendomi sbattere alla fila di armadietti alla mia sinistra e sbattei la testa poi rimasi lì fino a quando la campanella suonò pensando a ciò che aveva detto.
Io potevo anche farcela, ma come potevo aver portato Justin, una persona innocente che voleva semplicemente aiutarmi a tutto questo? Mi sentivo terribilmente in colpa.
Mi veniva da piangere e dovevo urgentemente parlare con Justin di ciò che era successo.
 
**
 
- Linz, perché hai voluto che ci incontrassimo qui? Se ci scoprono siamo rovinati, andremo in punizione un’altra volta!-eravamo nel nostro sgabuzzino, era rischioso ma dovevo parlare con lui di tutto ciò che era successo.

Se fossi rimasta nell’ufficio di Collins in quel momento non mi sarei sentita così male.
Gli raccontai tutto tralasciando il dettaglio che Jason ci avrebbe potuto fare fuori da un momento all’altro.

- Bene, inizieranno a parlare male di me. Non mi importa, parlavano già male di me dicendo che ero un bambino viziato quindi.
- Justin, non credo che sia una buona idea farci vedere insieme.

Pensavo a cosa gli avrebbe potuto fare Jason e rabbrividivo ma non volevo dirglielo quindi lui non poteva capire la mia preoccupazione.

- E’ inutile, io ti lascio ad affrontare tutto questo da sola e poi ormai è troppo tardi, Meg avrà già detto tutto ai compagni, sono io che ti devo proteggere da loro, da Jason e a quanto pare anche da Tyler.

Chiuse i pugni come per trattenere la rabbia, ignorai la sua reazione.

- e cosa dirà tua madre?
- niente, non mi interessa.

Capii in fretta che cercare di convincerlo di allontanarsi da me era inutile così lasciai stare e dissi solo:

- stai attento.

**

Le settimane successive furono abbastanza difficili per me, anzi per noi. Justin si doveva subire ogni giorno insulti e occhiatacce a scuola, mentre io dovevo fare in modo che Lea e Ronnie non lo vedessero e che lui non vedesse loro.
L’unico momento davvero magico e piacevole era quando la sera ci coricavamo insieme, abbracciati. Una sera mi sorprese entrai in camera dopo essermi messa la mia solita canottiera e i miei pantaloncini neri e lo vidi seduto sul letto a petto nudo con addosso solo i boxer, tornai velocemente in bagno dicendo:

-scusa non volevo, sono entrata troppo presto, preparati io aspetto qui.

 lui rispose:

- Linz, vieni qui e non fare la stupida.

Rientrai nella stanza probabilmente tutta rossa in viso e lui disse:

- spero non ti dispiaccia, la notte fa troppo caldo e ho pensato di dormire così, tanto siamo amici no?

Non mi era mai successo con nessun ragazzo ma diventai ancora più rossa e balbettai:

- si, certo. Non.. non mi dis-spiace tu… io.. si … puoi fare quello che vuoi ecco.. cosa preferisci… si.

Distratta inciampai al suo borsone e caddi a terra, lui mi venne a soccorrere.

-Sei sicura di stare bene? Mi sembri imbarazzata e stai sudando.
- sto bene, benone.– sorrisi e mi andai a coricare nel letto prima di fare qualche altra figuaraccia.

Quella notte cercai di stare il più lontana possibile da lui e dal suo corpo semi-nudo, non capivo neanche io perché mi comportassi così. Sembravo un’imbranata.
Ronnie e Lea non sospettavano di nulla e non sentivano le chiacchierate tra me e Justin la sera e la notte, inoltre riuscivamo sempre a entrare e uscire senza che loro se ne accorgessero.
La mattina a scuola passavo la seconda ora nell’ufficio del signor Collins, lui era sempre sorridente non aveva mai più pianto e da quando aveva capito che raccontare le cose della mia vita non era una buona idea si limitava a darmi consigli e a raccontarmi aneddoti che lui trovava divertenti sulla sua vita, a me non facevano ridere ma era un buon modo per passare il tempo e rendere felice Justin.
Il problema era tra i corridoi della scuola, tutti ci guardavano male, con disprezzo. Io c’ero abituata e li ignoravo ma vedevo Justin soffrire o altre volte rispondeva male per la troppa rabbia repressa.
Potrei giurare di aver sentito dire a diversi ragazzi in quei giorni cose del tipo “Guarda ci sono quei due”, “lei sta con lui solo per la fama”, “Hai sentito cosa hanno fatto nello sgabuzzino delle scope?” “dicono che il preside li abbia sorpresi proprio mentre lo stavano facendo” alcuni smettevano di parlare mentre passavamo accanto a loro, altri parlavano ancora più forte per farci sentire i loro commenti cattivi.
Nella vecchia scuola tutti mi conoscevano ma stavano comunque in silenzio, mi guardavano passare e mi ignoravano.

Adesso invece le persone sembravano odiarmi profondamente, come se provassero del gusto a mettermi in situazioni scomode o tristi.

Ad esempio un giorno un ragazzo si avvicinò a me ridendo e mi porse un pacchetto.

- Tieni ne avrai bisogno.- vidi i suoi amici alle sue spalle ridere ancora più forte.

Lo aprii e dentro c’erano dei preservativi, non mi era mai successa una cosa più imbarazzante. Vidi tutte le persone che passavano per quel corridoio fermarsi e ridere di me, io invece non sapevo cosa fare.
Fortunatamente in quel momento arrivò Justin che mi prese il pacchetto dalle mani e lo tirò addosso al ragazzo che me li aveva dati, poi gli diede una spinta e gli disse:

- sparisci e se vuoi usali tu.

Lui scappò via e mi accorsi che alcuni ragazzi stavano riprendendo la scena con i cellulari altri invece impauriti erano corsi via.
Un’altra situazione imbarazzante si verificò nell’ora di educazione fisica, la professoressa ci ordinò di andare a metterci la nostra divisa da pallavolo perché quel giorno ci saremmo allenati. Aprii il mio armadietto e vidi che la mia maglia aveva scritto davanti “I am a” e dietro “Bitch” era scritto a caratteri cubitali, impossibile non notarlo.
Sentii delle ragazze ridere dietro di me e poi la professoressa urlare “Allora? Siete lumache? Sbrigatevi!”
Fui costretta ad indossarla e mi misi sopra una felpa. Uscii dallo spogliatoio e la professoressa urlò:

- Ehi Sten, ti vai ad allentare per l’hockey sul ghiaccio o per la pallavolo? Togliti quella corazza o morirai di caldo.

Mi tolsi la felpa e la portai rassegnata nel camerino.
Anche le mie compagne di squadra iniziarono a ridere di me, io cercavo di ignorarle ma non era facile farlo sapendo di avere una maglietta con quella scritta.
A fine ora addirittura una mi si avvicinò e lesse adalta voce “I am a Bitch meno male che l’hai ammesso!” poi un’altra aggiunse “ Come sta il tuo ragazzo?” e un’altra la corresse “i tuoi ragazzi”. Poi si misero a ridere e se ne andarono. La cosa peggiore fu che la professoressa mi fermò prima che me ne riuscissi ad andare via dicendo:

- Ehi, ho letto cosa c’è scritto su quella maglietta, vedi di comprarne una nuova non tollero quel linguaggio in questa palestra!

Lo disse come se fosse stata colpa mia, neanche i professori mi credevano. Nessuno. Solo Justin. Ma preferii non raccontargli anche questo episodio per evitare che stesse male.
Il giorno peggiore di scuola fu un venerdì quando appena entrata a scuola mi accorsi che tutti ridevano ancora più forte deol normale, poi mi passò un ragazzo vicino e mi toccò il sedere, non era Jason. Era un perfetto sconosciuto.
Lo ignorai.
Poi ne arrivò un altro che mi sussurrò nell’ orecchio “con piacere” , mi diede anche lui una manata sul sedere e scappò via.
Ignorai anche lui.
Mi fermai davanti al mio armadietto e a quel punto arrivò un terzo ragazzo disse: 

-Sei libera stasera? Possiamo incontrarci, sai i miei non ci sono questo week-end a casa

Mi toccò il sedere e non aveva intenzione di staccarsi da me se prima non gli avessi dato una risposta.
Arrivò Justin gli diede un pugno in faccia e mi abbracciò. Era ancora tra le mie braccia quando sempre lo stesso ragazzo disse:

-non capisco perché la proteggi ogni volta. Sai come è fatta, lei vuole che noi la trattiamo così! Tu continui a starle addosso e lei ti tradisce con mille altri ragazzi.

Tutti nel corridoio erano in silenzio a guardare la scena. Sentii i muscoli di Justin contrarsi per la rabbia.
Gli sussurrai nell’orecchio:

-non lo ascoltare.

Lui si rilassò di nuovo, mi diede un bacio sulla guancia e mi portò via da lì.
Poi quando finalmente eravamo al sicuro da occhi indiscreti mi mostrò un foglio con su scritto "Touch my ass please" 

- C'era questo attaccato alla tua schiena Linz. 


Probabilmente qualcuno lo aveva messo lì per ridicolizzarmi, erano scherzi davvero di cattivo gusto non mi avevano mai preso di mira come in quei giorni, meno male che c'era lui a proteggermi.
Il mio angelo custode.
In quel momento mi resi conto che senza di lui al mio fianco a quell’ora mi sarei già tagliata mille volte o sarei già stata morta, invece ero lì sana e salva.
La cosa assurda era che pur vivendo un brutto periodo della mia vita alcune volte con lui riuscivo a sorridere e a stare veramente bene.
In quel periodo un fatto buono fu che non vidi per niente Jason e se lo vedevo nei corridoi si teneva a distanza.
Secondo me ormai aveva smesso di desiderarmi, secondo justin stava architettando un piano.
Comunque cercavamo di non pensarci.
 
**
 
-Linz, sveglia è pronta la colazione oggi ho… che cosa? – Ronnie rimase a bocca aperta con ancora i guanti da cucina in mano, caddi a terra dal letto per la paura poi mi alzai velocemente e dissi:

-Shh, ti prego silenzio ti spiego tutto ma non urlare!

Speravo che Justin non si fosse svegliato invece era già accanto a me con un’aria confusa.
Ciò che temevo di più si era avverato, Justin aveva visto Ronnie e Ronnie aveva vista Justin. Era la fine per me e se lo avesse scoperto anche Lea credo che mi avrebbe ucciso senza pietà.

- Io arrivo per portarti la colazione e ringraziarti visto che oggi è esattamente una settimana che mi hai difeso da mia madre e ti trovo a letto con un ragazzo in boxer, che devo pensare?

Justin si accorse di essere mezzo nudo corse a prendere dei vestiti nel borsone e se li mise correndo alla meno peggio.

- chi è lei? La cameriera? – mi chiese.
- cameriera? – rispose Ronnie offesa.
- ascoltami non devi dire niente a tua madre ti spiegherò tutto dopo.
- Troppo tardi.- arrivò Lea e aprì la porta, probabilmente aveva sentito tutto.

D’istinto mi misi davanti Justin come per proteggerlo ma io ero molto più bassa e meno forte di lui, non ci avrei concluso niente.

-Linz, non posso crederci. Fai queste cose anche in camera tua.. in casa mia? Mi fai venire il volta stomaco.
- Ascolti signora, non abbiamo fatto nulla ve lo posso giurare.- si affrettò a dire Justin spaventato.

Lea lo ignorò e si avvicinò a me a quel punto Ronnie disse:

- no mamma! Non la picchiare!
- Che fai Ronnie adesso sei dalla sua parte? – disse con tono di disgusto.
-Mamma, perché prima non ascolti cosa ha da dire?- si mise a piangere, era impossibile non capire che anche lei aveva paura di sua stessa madre.
- Ascoltare cosa ha da dire? Vediamo un po’: viene a vivere da noi si deprime verso l’età dei 9 anni, cambiamo città, a 10 anni decide di rompere tutti i pomeriggi perché vuole giocare con le bambole, a 14 anni è la causa della morte di tuo padre, ricomincia a deprimersi a drogari e a farsi del male, adesso che ci siamo ritrasferiti prima ti picchia, poi ti manda in galera e adesso ti vuole portare dalla sua parte. Mi sembra che la conosco abbastanza no?

Si avvicinò verso di me e mi prese forte per un polso poi a denti stretti disse:

-ringrazia che c’è il tua “amico” o a quest’ora l’avresti pagata. Poi mi spinse verso la porta facendomi cadere a terra, io mi rialzai con il terrore che Justin avrebbe potuto fargli del male, invece era pietrificato cercando di realizzare cosa stava succedendo.

Lea si voltò verso Ronnie e disse:

- E tu Ronnie, non provare a fare qualcosa per lei mai più. Neanche la colazione. La cucina è il posto di Linz.

Mi riprese per un polso e disse:

- veloce, scendi io ancora non ho fatto colazione vedi un po' che puoi cucinare.

Mi diede una leggera spinta ma io che cercavo di correre in cucina il più velocemente possibile per evitare di farla arrabbiare ancora di più caddi dalle scale, rotolai fino all’ultimo gradino e poi mi rialzai subito per fare vedere che stavo bene anche se mi facevano male le ossa.

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Capitolo 11
*** La vera Linz ***


– Linz, come stai? – Era Justin che aveva sceso velocemente le scale ed vicino a me.
- Si benissimo, vado a fare la colazione.- dissi sorridendo.
- o hai battuto forte la testa o sei pazza dalla nascita. Ti sei appena accorta di cosa è successo? Tua madre ti ha accusato di aver ucciso un uomo ti ha buttata a terra, tu sei caduta dalle scale e tua sorella non si è mossa per aiutarti! E perché ti tratta come una serva?

Rimasi in silenzio ma capii che ormai era arrivato il momento di raccontargli tutto.

- Linz, basta adesso vado dalla polizia. – uscì dalla cucina e corse al telefono.
- no no no Justin che fai? Non puoi chiamare la polizia – lo rincorsi e riattaccai il telefono.
- perché no? Questo è maltrattamento minorile! Ecco perché sei sempre così triste, tua madre sfoga la sua rabbia contro di te, senza offesa ma non sembra una brava donna.
- non lo è. – dissi sussurrando.
- certo che non è brava guarda come ti tratta!
- no justin, non hai capito. Lei non è mia madre.-
abbassai lo sguardo sperando che lui non se ne andasse via per tutte le bugie che gli avevo detto.
- ci sono molte cose che mi devi spiegare. Andiamo nella casa della mia famiglia sulla costa, torniamo domani pomeriggio ti va?
- No, domani c’è scuola. –
non era una scusa sincera, l’avremmo potuta saltare benissimo e nessuno se ne sarebbe accorto ma non avevo voglia di raccontare la mia vita a lui, non in quel momento.
- La possiamo saltare.
Va bene, era arrivato il giorno decisivo.
- d’accordo, andiamo a prepararci.. porterò un ricambio e devo…- deglutii.
- devi?- chiese Justin.
- devo dirlo a Lea..
-Lei è Lea? –
sgranò gli occhi.
- Lo dico io a lei, è il minimo che possa fare dopo tutto questo. – era Ronnie che dalle scale si era offerta per intraprendere quella missione pericolosa.

Avrei voluto dire che lo facevo io ma la verità era che non avevo coraggio così mi limitai a un:

-sei sicura?

Lei annuì fiera ed entrò nella camera della madre. Io e Justin salimmo in fretta ci preparammo e dopo 10 minuti uscimmo da casa.

- E se l’ha uccisa? – chiese Justin sull’uscio.
- No, Lea ama troppo sua figlia per farlo.- sorrisi.
Probabilmente non avevamo sentito Ronnie uscire dalla stanza della madre perché eravamo intenti a fare velocemente.
 
**
 
- Eccoci arrivati, hai qualcosa da dirmi o vuoi aspettare domani mattina?

La casa era enorme, una villa bianca e probabilmente anche luminosa di giorno proprio sulla spiaggia. Odiavo il mare ma quella casa mi sembrava speciale. Arrivammo lì di sera tardi.

- Quella laggiù è la tua camera io dormo qui. Vai a posare la roba.

Quelle frasi mi spezzarono il cuore, avremmo dormito separati. Lontani l’uno dall’altro. Lui in una stanza e io in un’altra. Non ero più abituata a dormire sola, mi sentivo preoccupata, insicura e non protetta. Era orribile. Inoltre come se non bastasse sarebbero ricominciati i soliti incubi.
Posai velocemente il mio borsone, mi misi in pigiama e corsi nella camera di Justin, con la scusa di volergli raccontare almeno una parte della mia vita sarei stata vicina a lui e avrei ritardato il momento in cui ci saremmo dovuti dividere per la notte.
Aprii a porta e lo trovai seduto su un letto matrimoniale con le spalle appoggiate al muro.

-credevo non ti andasse di parlare.

In silenzio mi sedetti vicino a lui, lui mi mise un braccio intorno al collo e mi fece appoggiare sul suo petto nudo.
Rimanemmo in silenzio in quella posizione per diversi minuti poi cominciai.

- Avevo 9 anni quando li ho persi. Odio il mare, mi mette tristezza ecco perché on ci voglio mai andare. – per non piangere feci un respiro profondo e ricominciai a parlare dopo circa 3 minuti.

- Quando sono morti stavamo andando a passare una domenica a mare. Sarei dovuta morire con loro invece… Sono rimasta viva per tormentarmi per sempre e per farmi del male. – mi salirono le lacrime agli occhi.
- basta, non mi dire nient’altro, stai soffrendo.- Justin mi diede un bacio sulla guancia ma io non lo ascoltai e continuai.
- Amavo giocare con mia sorella, ridevamo e scherzavamo. Ricordo poche cose di mia madre, soprattutto  ricordo che mi diceva sempre di stare ferma o seria per un momento ma era più forte di me io sentivo di dovermi muovere e fare baccano.- sorrisi mi scese una lacrima sulla guancia.

- Papà era un uomo d’affari, allora non lo capivo ma adesso apprezzo ciò che faceva per noi. Lavorava e trovava il tempo anche per la famiglia. La mia era una vita troppo bella per poter continuare ad essere in quel modo.- Rimasi in silenzio ripensando a quei pochi momenti che riuscivo a ricordare, dopo un po’ continuai.

- Ogni notte da quella domenica sogno quel maledetto giorno in cui la mia vita cambiò per sempre. Ogni volta che chiudo gli occhi vedo i loro volti insanguinati e mia madre che mi dice di rimanere in silenzio. Non ricordo bene cosa accadde, solo dei momenti confusi che non riesco a mettere a fuoco.

A quel punto ormai ero scoppiata in lacrime, non riuscivo quasi più a parlare a causa del nodo in gola.

- Ci siamo io e mia sorella in macchina sedute dietro, felici di andare a fare il primo bagno della stagione, davanti mamma e papà. Ricordo papà che urla che c’è qualcosa che non va con i freni, un forte botto dopo ricordo tutto nero. Riapro gli occhi e vedo confusamente mia madre che dice di stare ferma, per la prima volta nella mia vita le do ascolto. Non avrei mai dovuto farlo.- mi fermai per riuscire a trovare le forze di continuare, a quel punto avevo il cuore a pezzi come se lo stessi rivivendo, con la stessa paura, la stessa tristezza.

- Sento papà che dice “Ti prego non fargli del male” dopo due colpi e silenzio. Ricado nel buoio più profondo e l’ultimo ricordo di quel giorno sono io che riapro gli occhi con davanti un’ambulanza chiedo dove sono i miei genitori e nessuno mi risponde,prendo tutta la forza che ho e riesco ad alzarmi dal lettino e guardarmi intorno. Vedo tanto sangue in giro e in lontananza riesco a mettere a fuoco una donna, un uomo e una bambina su tre lettini, con diverse ferite alla testa e tanto sangue, dopo ricado a peso morto sul lettino e vedo tutto nero.-

- basta così, non ti fare del male. –
Justin stava singhiozzando quanto me.

- Quella è l’ultima immagine che ho dei miei genitori e di mia sorella, non riesco quasi più a ricordare i loro volti sorridenti e puliti, ricordo solo quelli mutilati e sporchi di sangue.
Alcune volte mi fermo e penso, come sarebbe la mia vita se loro fossero qui? Cosa si prova ad avere un abbraccio dalla propria madre? E’ divertente fare shopping con una sorella? Mio padre sarebbe stato permissivo con i ragazzi che mi sarebbero piaciuti? Non lo saprò mai.

- basta Linz, mi racconterai il resto domani se vorrai, adesso basta.

- Non sono mai più tornata in quel posto, mi hanno affidato a vivere con Lea mia zia a patto che facessi delle faccende domestiche.  Non è stato facile cercare di vivere tutto questo da soli, alcune volte provavo a cercare di stare meglio per i miei cari ma sia lei che Ronnie mi buttavano giù. Non riuscivano a capire il mio dolore fin quando non è morto mio zio. Da allora sto anche peggio con loro perché scaricano il loro dolore su di me, inoltre sono sicure sia colpa mia se lui è morto. Io ho ucciso sei persone sai? E ho paura che tu possa essere il prossimo.


Sentii Justin lasciarmi e mi risollevai dal suo petto poi lo guardai in faccia, stava piangendo.

- no, io non morirò per causa tua tu.. tu non faresti del male a una mosca, solo a te stessa.

Lo abbracciai e continuammo a piangere tutti e due in silenzio.
Io avevo davvero paura che sarebbe potuto morire e non volevo lasciarlo solo neanche un secondo.
Inoltre ormai avevo per la prima volta raccontato quasi tutta la verità a qualcuno e da una parte mi sentivo più sollevata, dall’altra ancora peggio perché avevo permesso a quei ricordi di riaffiorare.
 
**

Tanto sangue, troppo sangue.
Mi svegliai di soprassalto ci volle qualche minuto per riprendermi dal mio solito incubo. Come era possibile?
Justin era con me ma io avevo lo stesso fatto un brutto sogno, non poteva essere.
Tra le sue braccia mi sentivo sempre protetta perché quella notte non poteva essere come le altre? Sapevo che parlare del mio passato non sarebbe stata una buona idea.
Mi sentivo distrutta, quasi quanto la notte dell'incidente, come se avessi perso i miei cari da poco.
Ero ancora abbracciata a Justin e per la prima volta in vita mia sentii di abbracciare un estraneo, qualcuno che non poteva capirmi davvero e che non avrebbe potuto aiutarmi.
Mi liberai dalla sua presa e senza fare rumore evitando di svegliarlo mi alzai e mi diressi in cucina pensando che mangiando qualcosa forse mi sarei sentita meglio ma avevo lo stomaco chiuso nonostante avessi mangiato solo un panino in autostrada a pranzo e niente a cena.
Aprii uno stipo e trovai una scatola di mais, non sapevo dove cercare delle posate per mangiarlo e iniziai a vedere in tutti i cassetti del mobile alla fine le trovai. Presi il cucchiaio e aprii la scatola di mais poi diedi uno sguardo alle altre posate.
C'erano forchette di tutte le grandezze di metallo e di argento ma la cosa che mi attirò di più furono i coltelli.
Ce n'erano di tutti i tipi: affilati, meno affilati, per i formaggi, per il pesce, per il pane, per la carne.
Non resistetti e ne presi uno, iniziai a girarlo tra le dita e a guardarlo attentamente poi lo misi su un palmo e strinsi forte il pungo.
Riuscivo a sentire la lama toccarmi la pelle, poi sentii un forte dolore e bruciore e strinsi più forte, iniziai a vedere delle gocce di sangue scendere dal mio pugno ancora chiuso.
Quando il dolore arrivò ad essere insopportabile aprii velocemente la mano, ripresi il coltello e lo appoggiai sul polso poi feci pressione e piano piano vidi il sangue sgorgare anche da lì.
Non era come l'ultima volta che mi ero fermata perché non sopportavo il dolore, questa volta mi sentivo come se avessi potuto continuare fino allo sfinimento, tanto la notte era giovane e a che serviva mangiare se avevo lo stomaco chiuso?
Avevo intenzione di farmi un lungo taglio che partiva dal polso fino al gomito più allontanavo la lama dalla mano provavo soddisfazione misto al bruciore. Arrivai fino a metà braccio quando qualcuno alle mie spalle delicatamente mi allontanò la mano con il coltello dall'altro braccio vittima. Sobbalzai.
Sempre lentamente prese il coltello dalla mia mano e lo posò nel lavandino, andò in un'altra stanza e io rimasi lì immobile a ragionare su quello che stava succedendo.

Justin mi aveva salvato la vita, di nuovo.

Ma io non lo capivo e in quel momento mi sentivo come se stessi ancora lontana dal mondo.
Neanche mi ero quasi accorta di quello che era successo, come se no fossi consapevole delle mie scelte e dei miei movimenti.
Dopo pochi secondi tornò con delle bende mi prese le mani e il braccio e iniziò prima ad asciugarmi il sangue gentilmente e poi mi fasciò con delle garze, tutto questo in silenzio.
Mi prese in braccio era facile visto che ero leggera e mi portò in camera sua, mi stese sul letto e si mise accanto a me poi mi abbracciò, mi diede un bacio sulla fronte e chiuse gli occhi, in pochi minuti ci addormentammo entrambi.
 
**
 
Il giorno dopo ero confusa e credevo che ciò che fosse successo era stato solo un sogno, invece mi guardai le braccia ed ero fasciata dalla mano fino gomito con delle garze che ormai in alcuni punti erano diventate rosse.
 
-ti fa male?- mi chiese justin.

Credevo che stesse ancora dormendo invece era sveglio probabilmente dalla mattina presto aspettando che mi alzassi.
Mossi la testa per dire di no.
Mi faceva molto più male la schiena per la caduta dalle scale del giorno precedente.
Mi girai per alzarmi ma una volta in piedi ricaddi sul letto e involontariamente mi uscì un grido di dolore.
Justin si alzò e mi raggiunse velocemente dicendo -una cosa per volta.
Se ne andò poi tornò dopo qualche minuto con del disinfettante e delle nuove bende.
Iniziò a togliermi le vecchie e alla vista di tutto quel sangue mi percorse un brivido per la schiena. Può sembrare strano: mi tagliavo e poi mi faceva schifo il sangue, il punto era che dipendeva dai giorni alcune volte sentivo di potermi fare del male e altre volte no.
Mi passò il disinfettante sul braccio e dal bruciore mi uscirono delle lacrime.

-tra poco non farà più male, resisti.

Lo presi per una spalla e la tenni stretta come se quella posizione mi sollevasse dal dolore.
Mi rimise delle garze nuove attorno al braccio e alla mano poi si sedette vicino a me in silenzio.
Rimanemmo in quel modo per diversi minuti, forse lui aspettava che dicessi qualcosa ma non avevo voglia di parlare di quello che era successo la notte scorsa, avrei dovuto ringraziarlo lo so ma neanche Justin sembrava voler sapere nulla di quello altrimenti mi avrebbe fatto delle domande.

-perché mi fa male la schiena e non riesco a muovermi? Ieri stavo bene anche dopo la caduta.-chiesi.
-alcune volte può succedere, anche ieri eri indolenzita ma non te ne si accorta e dopo aver dormito riesci a sentirlo.
- ci prepariamo?
- chiesi.

Mi alzai e ricaddi sul letto.

-no, non riesco a muovermi mi fa male tutto. - non volevo farlo preoccupare ma davvero avevo bisogno di aiuto quella volta.
- ok, ti prendo i vestiti posso? Così non devi camminare fino alla tua stanza.

Si alzò e si allontanò, tornò dopo qualche minuto.
Mi vergognavo del fatto che mi avrebbe dovuto aiutare lui a vestirmi come se fossi ancora una bambina, lui si peeoccupava di me e mi aiutava come se fosse mio padre del resto.

-nella tua valigia ci sono solo cose nere, è possibile?- si mise a ridere e io risi con lui. Come poteva riuscire sempre a trovare qualcosa di divertente da dire? E a farmi stare così bene?
Mi porse una mano e mi alzai, per restare in piedi mi aggrappai a lui ma una volta alzata stare ferma non era difficile.
Con delicatezza mi abbassò i pantaloncini del pigiama, mi girò attorno per vedere le mie gambe e disse:

- sei piena di lividi per la caduta, aspetta.

Uscii dalla stanza e tornò con una pomata.

- tieni metti questa sulle cosce e sul sedere.

Non mi piacevano le pomate ma se per farmi passare il dolore dovevo usarla l'avrei fatto.
La aprii e me ne misi una goccia sulla mano poi cercai spalmarla alla meno peggio dove aveva detto lui.

-sei bianca Linz, di più.

L'unico problema era che non riuscivo ad arrivarci perché mi facevano male anche le braccia.
Dopo un po' lui chiese:

-scusa posso?

Si inginocchiò dietro di me e passò le sue mani sulle mie cosce e sul mio sedere. Mi uscì un "aia" per il dolore.

-scusami tanto.

Si rialzò e mi mise dei jeans che avevo portato, provavo imbarazzo quanto la prima volta che l'avevo visto in boxer e forse anche lui perché diventò tutto rosso.
Poi mi fece alzare le braccia e mi sfilò la maglia a quel punto sia io ero diventata quasi un pomodoro mentre lui sembrava più sicuro di sé.
Mi accarezzò delicatamente un fianco poi prese la crema e ne mise un po' sul braccio non fasciato, sulla pancia, sulla schiena e vicino al seno. La spalmò delicatamente, mi fece girare e me la spalmò sulle spalle spostando i capelli.
Prese la mia maglietta e me la infilò.

-ecco, apposto. Vuoi che ti trucchi anche io? -rise di nuovo.

Questa volta non ricambiai la risata e chiesi

-perché non restiamo qui a mare per oggi? Dico a dormire?

Non avevo assolutamente voglia di rincontrare i compagni o di rivedere Lea, quello era il paradiso solo con justin.

-tutto quello che vuoi. -sorrise.

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Capitolo 12
*** Il vero amore ***


- Chi è Ellie?- eravamo seduti sul divano in silenzio.
-come fai a conoscere Ellie? -non gliene avevo mai parlato.
- Mentre ti spalmavo la crema ho visto che dietro il collo hai un tatuaggio con scritto "Ellie"
- Ellie è mia sorella, era mia sorella.

Abbassai la testa, il suo nome era Leila ma da quando ero piccola non riuscendo a pronunciarlo la chiamavo "Ellie" per abbreviare.

- ah, scusa.- sembrava mortificato per la domanda che mi aveva fatto.

Adesso oltre a me e al tizio che me lo aveva fatto anche justin sapeva dell'esistenza di quel tatuaggio segreto, ma non mi dava fastidio.
Dopo un po' di tempo in silenzio mi feci coraggio e dissi:

- grazie.
- per cosa? Ieri notte? L'avresti fatto anche tu con una persona in difficoltà.
- sorrise.
-no, grazie per tutto.
- tutto cosa?-
ora era confuso, non si rendeva conto del bene che faceva.
- mi fai sorridere e questo è già tanto, mi ascolti, ti interessi davvero a me e sei l'unico. Non smetterò mai di ringraziarti, mi fai sentire sempre protetta e non ho paura di niente quando sono con te. Ti voglio davvero tanto bene Justin.

Non l'avevo mai detto a nessuno perché non avevo mai provato quella sensazione.

- al contrario tuo, quando sono con te ho paura che ti possa succedere qualcosa, per questo ti voglio aiutare e ti assicuro che ci riuscirò perché ci tengo a te. Ti voglio bene anche io Linz.
-nessuno me lo aveva mai detto dopo... quel giorno... grazie.


Mi abbracciò forte e dopo essersi sciolto dall'abbraccio mi chiese preoccupato

- che significa che hai già ucciso 6 persone?

Feci un grande sospiro.

- Justin, quando mi affeziono ad una persona quella muore..

Mi salirono le lacrime agli occhi.

-no non voglio sapere più niente.

Si alzò per andarsene.

-è già successo con..
-basta Linz, così ti farai ancora del male! Stai piangendo, non me lo dire ok? -
mi interruppe.
- siediti.

Lo fece con aria rassegnata.

- sono morti mia madre, mio padree mia sorella per primi, dopo qualche anno un giorno sono tornata a casa e ho trovato mio zio Lucas morto su una poltrona, lo chiamavo e lo scuotevo come se stesse dormendo poi capii cosa era successo. Lea crede che sia colpa mia perché ho portato sfortuna nella sua casa e lo credeva anche Ronnie, per questo mi hanno reso la vita impossibile. Poi è morta una mia amica, ci tenevo a lei è stata vittima di overdose da droga, mi manca era l'unica che mi potesse capire almeno un po'. Infine è morto il mio ragazzo per una rissa, lui mi amava davvero e per certi aspetti tu e lui vi assomigliate tanto. Vi prendete cura di me mi volete aiutare...- rimasi un momento in silenzio poi aggiunsi - ho passato tanti lutti, dono stanca di vedere la vita spezzata delle persone attorno a me e ho paura che tu possa essere il prossimo.
-peccato che io non credo alla sfortuna e alla superstizione e tu non hai mai fatto del male a loro.

E se Jason lo avesse picchiato? Mi venne in mente quello che mi aveva detto Meg qualche giorno prima "Jason ti vuole per sé e tu stai con Justin, chi non fa quello che dice Jason finisce male in un modo o nell’altro quindi.. so che voi due piccioncini avrete ancora poco tempo per essere felici e contenti." e mi vennero i brividi, ero davvero preoccupata per lui. In quel momento mi pentii di avergli chiesto di dormire un'altra notte in quella casa. Capii cosa era l'unica scelta giustamente da fare pensavo di farlo già da tanto tempo ma non avevo abbastanza coraggio.

- guardati justin, tua madre e tuo padre sono persone importanti e rispettabili, un giorno potresti diventare come loro e fare una vita felice, come puoi se tutti credono che tu sia un ragazzo come me? Tua madre ha ragione, non dovremmo più essere amici.

Questo era l'unico modo per allontanarlo da me.

-no Linz, io non voglio essere come loro. Cosa vuoi per cena?
-Justin non cambiare discorso, è importante. Meglio che non ci facciamo più vedere in giro insieme.


Mi alzai velocemente per andarmene ebbi un momento di esitazione perché mi faceva male ancora la schiena, corsi in camera di Justin in lacrime perché la parte egoista di me avrebbe voluto restare con lui, presi il borsone abbassandomi piano piano quando mi girai per raggiungere la porta vidi Justin in piedi lì davanti che bloccava il passaggio.

-no, questa volta non ti lascio andare via come ho fatto in spiaggia perché so che non torneresti, quel giorno avevo sbagliato io ma oggi è solo una tua fissazione, tu non mi farai del male stando con me.

Mi avvicinai a lui per passare ma mi bloccò dalle spalle inclinò la testa e posò le sue labbra sulle mie. Ebbi un momento di confusione poi realizzai cosa era successo lasciai cadere il borsone a terra strinsi le mie braccia attorno al suo corpo e risposi al bacio, quello era mille volte meglio di dormire accanto a lui ma era terribilmente sbagliato.
Mi liberai non so con quale forza di volontà.

- no, justin non mi puoi fare questo.

Corsi via dalla stanza piangendo e mi chiusi nella prima stanza che trovai, un bagno.
 Come potevo piacergli? Lui mi serviva per sorridere, questa relazione ci avrebbe rovinato, era già tutto perfetto prima.
Ma un'altra parte di me sapeva che non avrei mai amato qualcuno quanto amavo Justin e quando ero con lui mi sentivo una ragazza davvero fortunata.
Forse dovevo comportarmi da egoista e diventare la sua ragazza ma non volevo esporlo al pericolo dopo tutto quello in cui mi aveva aiutato.
 
Sentii bussare.

-Linz? Mi apri?

Andai ad aprire.
Lui entrò, si chiuse la porta alle spalle e si sedette vicino a me sul bordo della vasca.

-perché non mi dici la verità per cui non vuoi più stare con me? Non può essere per mia madre, perché sarebbe una ragione davvero poco valida. Ti annoi e non mi vuoi più bene vero?
- Justin io..
-tu..?


Non volevo dirgli della faccenda di Jason quindi rimasi un po' in silenzio per elaborare la mia scusa.

-come pensavo.

Si alzò deluso e si avvicinò alla porta.

-justin aspetta.
-non importa non dobbiamo per forza passare del tempo insieme, possiamo anche fare come quando non ci conoscevamo ancora.


In quel momento capii cosa fosse giusto fare. Lo raggiunsi, lo costrinsi a girarsi verso di me tirandogli un braccio e lo baciai.
Lui sorrise poi aprì la porta ed uscimmo insieme.
 
**
 
- Linz, tra poco ti devo cambiare le garze e mettere la pomata, non stai un po' meglio rispetto a stamattina?
-noooo
-come no?
-si, sto meglio ma non voglio cambiarmi le garze, mi fai male quando mi passi quell'acido sul braccio.
- quello è solo disinfettante. -
si mise a ridere, poi tornò serio.
- ti posso chiedere una cosa? sei felice di essere la mia ragazza? Preferivi prima?
- preferisco adesso, ma mi devi promettere che se ci sarà una ragazza migliore di me e meno problematica non mi abbandonerai e resteremo almeno amici.
- ma io voglio solo te.
- potresti cambiare idea, promettilo.


mi prese una mano e se la mise sul cuore.

-lo prometto.-poi sorrise. -farei qualunque cosa per farti stare meglio.
- qualunque cosa? Allora perdona tua madre e torna da lei.
- non posso farlo.-
il sorriso sparì dalle sue labbra si alzò dal letto sul quale eravamo coricati e uscì dalla stanza.
 
Io avevo perso mia madre e lui non aveva ancora capito l'importanza della sua, non capiva come era terribile perdere un genitore. Avevo intenzione di ricongiungerli prima che fosse troppo tardi e magari mi sarei sentita meno in colpa per la morte della mia amica. Lei aveva cominciato a drogarsi dopo aver litigato irreparabilmente con sua madre.
 
**

Mi avvicinai alla porta, per entrare in macchina e tornare a casa.

-prima di partire ti voglio far sentire una cosa. - sorrise, mi prese per un braccio e mi trascinò in un salone poi si sedette su uno sgabello di fronte a un antico pianoforte e iniziò a suonare una melodia stupenda. Dopo un po' iniziò anche a cantare.

"across the ocean, across the sea strartin to forget the way you look at me now.
Over the mountains and across the sky need to see your face and need to look in your eyes.
Through the storm and through the clouds
Bumps on the road and upside down now.
I know it's hard baby to sleep at night but don't worry 'cause everything is gonna be alright"


Continuò con la strofa successiva, mi fece venire i brividi era la canzone perfetta per me, chiusi gli occhi e mi lasciai trascinare dalle note e dalla sua fantastica voce, volevo che quella canzone non finisse mai mi dava tanta forza perché sapevo che tutto sarebbe andato bene.
Dopo qualche minuto la canzone finì e tornai alla realtà.

- ti piace? -mi chiese.
-Justin è meravigliosa. La adoro. Non sapevo sapessi suonare il piano e cantare.
- ho imparato perché mia madre crede che io abbia bisogno di una formazione classica, mi voleva far imparare anche il violino ma non lo sopporto, preferirei una chitarra.- disse sconsolato.
- e lei non vuole?
- no, nella mia famiglia suonano tutti il piano e il violino quindi io devo essere come loro.
- abbassò il volto e si rattristò. Gli accarezzai la schiena lui alzò la testa con le lacrime agli occhi gli sorrisi, ricambiò. Poi mi fece alzare e andammo in macchina. Gli doveva mancare tanto la madre.
 
**

Arrivammo la sera tardi ed entrammo in casa. Nel salone trovammo Ronnie e Lea che guardavano un programma in televisione.
Ero molto preoccupata e sapevo che ci sarebbe servito un miracolo per convincerla a far rimanere justin.

- Elisabeth, sei tornata.

Chiuse la tv e si alzò di scatto. Era abituata a vedermi andare a casa dei miei amici la notte quindi non si era preoccupata.

- e vedo che sei ancora con lui..
- può dormire qui? - dissi con un filo di voce chiudendo gli occhi pensando che mi volesse picchiare.
invece rispose calma -va bene ma vedete di non fare chiasso e se tu Linz mancherai anche a solo uno dei tuoi doveri lui se ne andrà, chiaro?

Annuii meravigliata. Chi era lei e che cosa ne aveva fatto di mia zia? Si era comportata troppo bene per le mie aspettative.
Decisi di salire in camera prima che potesse ritornare in sé e cambiare idea.
Ci chiudemmo dentro e dopo poco sentimmo bussare.

- sono io Ronnie, avevi detto che mi avresti spiegato.

Aprii senza esitazione e lei si sedette sul letto.

-volete che me ne vada? Volete parlare da sole? - disse justin.

Ronnie scosse la testa.

-allora Linz? Eravate insieme perché stavate facendo sesso o cosa?

Le spiegai tutto quello che era successo. Del litigio tra justin e la madre e della mia decisione di ospitarlo.

- ti devo credere? - chiese con aria diffidente.

Annuii.

-perché a scuola non si dicono belle cose su voi due.
-lo sappiamo- disse seccato Justin. Ancora non aveva imparato a sorvolare sui commenti negativi.
-perché Lea è così.. Strana?
- quel giorno quando ve ne siete andati le ho parlato e ora sembra più buona nei tuoi confronti.

Aveva fatto addirittura questo per me? Avrei dovuto ringraziarla ma rimasi in silenzio a ragionare, non mi aveva mai aiutata così tanto in tutta la mia vita.
Si alzò pensando che non le volessi piu parlare e si avviò verso la porta mentre stava uscendo justin disse al mio posto

- grazie. 

**


Il giorno dopo a scuola dovemmo riaffrontare la solita vecchia vita, in quei due giorni che eravamo mancati erano iniziate a girare voci assurde su di noi ad esempio alcuni pensavano che ci eravamo ritirati perché io ero incinta e mi vergognavo a farmi vedere, addirittura camminando per il corridoio la gente mi faceva le congratulazioni e io li ignoravo. Altri erano convinti che, stanchi delle loro critiche, avevamo deciso di cambiare scuola e trasferirci in un altro paese, un ragazzo ci venne incontro e chiese "cosa vi ha spinto a tornare negli USA?".
Adesso anche io non li sopportavo più ed ero davvero stanca delle loro critiche, avrei davvero voluto parlare al preside e chiederglieli di convincerli a farli smettere ma lui come ogni insegnante non mi avrebbe creduto. Ad eccezione del signor Collins che essendo a conoscenza delle cattive dicerie a scuola su di me mi parlava sempre come un padre e cercava di darmi buoni consigli. Quel giorno non aspettavo altro che rifugiarmi nel suo ufficio e avere la mia ora di pace.
Mentre ero immersa nei miei pensieri una voce mi portò alla realtà e fece fermare sia me che Justin.

- allora? Ancora vivi voi due? Strano.

Era Meg, ferma nel corridoio proprio davanti a noi con il suo solito corteo di ragazze che la seguivano come leccapiedi.
Non volevo che justin scoprisse in quel modo che Jason era intenzionato a farlo fuori.

- chi ci dovrebbe uccidere scusa?- chiese Justin.
-come non lo sai? Beh non spetta a me dirtelo.

Mi lanciò un'occhiata e Justin mi guardò con aria interrogativa poi aggiunse:

- te l'ha fatto lui quella ferita al braccio?

Lo faceva per provocarmi.

-lui chi? - chiese ancora più confuso Justin.
- Come siete i due piccioncini della scuola e non vi confidate queste cose? Linz, allora non sei davvero una brava ragazza.

Disse lei con una finta aria di disapprovazione, io abbassai la testa Justin mi guardò e disse a Meg a denti stretti:

-vedi di andartene se non vuoi finire male, è una cosa che generalmente non dico alle ragazze ma tu non sei una ragazza, sei una vipera.
- vipera io? Non conosci la persona che ti sta accanto, sa che sei in pericolo e non fa nulla per aiutarti. -
poi si girò verso di me -vero Linz?

Rimasi in silenzio perché era vero, lui era in pericolo a causa di Jason, anzi noi eravamo in pericolo a causa di Jason, lo sapevo da tanto tempo e non gliel'avevo mai detto. Se gli fosse successo qualcosa era colpa mia e mi sarei sentita ancora peggio di quando erano morti i miei genitori, mia sorella, mio zio, la mia amica e Mike.
Lui si avvicinò a me mi mise un braccio intorno al fianco con aria protettiva e gli disse:

-non dire sciocchezze e sparisci.
- non ho paura di te, ho già chi mi protegge.


Si incamminò nel corridoio e andando via disse con un sorriso:

-congratulazioni per il bambino.

Ci mancava poco che Justin le saltasse addosso ma io lo presi per un braccio e lui si trattenne.

-di chi stava parlando? Chi mi vuole fare del male? Cosa non mi hai detto Linz? - mi chiese con aria accusatoria appena Meg ci ebbe distanziati.
Forse era arrivato il momento di parlargli e dare una risposta alle sue domande, ma non in quel momento a scuola.

-non ne ho idea. - risposi mentendo così bene che lui ci credette subito e aggiunse:
- quella ragazza è pazza, deve andare a farsi curare, seriamente.

Poi mi mise un braccio attorno al collo e mi accompagnò fino a davanti la porta dell'ufficio di Collins, mi lasciò entrare e si incamminò verso la sua classe.

- Ah, Linz perché non ti sei fatta vedere in questi giorni? Che fine hai fatto?

Si sedette alla sua solita poltrona e io mi stesi sul mio solito divanetto.

- non sono stata in città.
- ti sei divertita?
-si.-
mi scappò un sorriso pensando alla premura di Justin, al bacio e alla canzone che aveva scritto per me.
- mmm, ti vedo felice a cosa devo questo? Al ragazzo con cui ti vedo sempre insieme?

Arrossii e annuii.

-aaah che bello, sono felice. Credo che ti stia aiutando lui più di quanto lo faccia io. - incurvò le labbra in uno dei suoi soliti sorrisi sinceri. -allora? Mi vuoi raccontare qualcosa o chiedere qualcosa?

Scossi la testa, non che diffidassi di lui ma non mi andava di parlare, preferivo sentire la sua voce ma mi fece un'altra domanda.

- come reagisci alle critiche dei compagni?

"Sono stanca" pensai ma gli chiesi:

- perché mi odiano?
- Non ti odiano, sei la ragazza più desiderata della scuola. I maschi ti trattano così perché credono di poter conquistarti e le femmine vorrebbero essere come te, fai cadere tutti ai tuoi piedi, sei misteriosa, bella, nessuno conosce la tua storia e per questo inventano tutte quelle bugie su di te. Ti invidiano.
- no loro non mi invidiano, mi odiano.
- ti sbagli, anche Meg ti posso assicurare che pagherebbe per essere al tuo posto.


Meg che voleva essere al mio posto? Assurdo lei era bellissima, perfetta, il capo delle cheerleader.

- voglio che smettano.
- devi parlare con loro o con i professori, fare in modo che ti credano e farti valere. Non puoi subire tutto ciò che ti capita.


Non la avrebbero mai smessa, non ero mai riuscita con un discorso a convincere qualcuno di qualcosa, loro ci provavano gusto a farmi soffrire non avrebbero di certo smesso per pietà.
Dopo un po' che rimasi in silenzio lui chiese:

-cosa hai fatto al braccio se posso sapere?
- ho.. Mi sono..

Chiusi gli occhi e mi feci coraggio. - mi sono tagliata, con un coltello da cucina.
- perché?
-ero triste e mi ha fatto stare meglio.


Non gli avevo mai confidato nulla ma sapevo che di lui mi potevo fidare inoltre non l'avrebbe potuto dire a nessuno a causa della privacy dottore-paziente.

- e chi ti ha medicato? Tu?
-no, Justin. Lui mi ha fermato, avrei fatto di peggio altrimenti.
- lui ti vuole molto bene, non lo lasciare mai.


Gli uscì una lacrima si alzò e se ne andò dicendo -torno subito.
Ma perché piangeva sempre? Gli facevo tanta pena? Ero una paziente come le altre, perché mi trattava in modo diverso?
Dopo qualche minuto tornò.

- allora? che dicevamo?- sorrise, questa volta non sembrava sincero.
- ma lei piange con tutti i pazienti?
- no, solo quelli a cui sono davvero affezionato. La tua storia mi fa commuovere.


Non sembrava sincero, c'era qualcos'altro sotto, magari Lea lo pagava per piangere così che capissi che io ero nata per far state male le persone.

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Capitolo 13
*** Le indagini ***


Dopo qualche giorno io e Justin ci riabituammo alla nostra solita vita. Cercavamo di non pensare ai commenti dei compagni di scuola e ogni momento in cui potevamo stare insieme in santa pace era d'oro. Lui però sembrava sempre pensieroso come se avesse qualcosa per la testa che non voleva dirmi e ogni volta che gli chiedevo perché sembrava così lontano mi diceva che non era vero.

- Linz, quando è il tuo compleanno?
- perché questa strana domanda?
- Quando stiamo insieme o stiamo in silenzio o parliamo della tua famiglia e della mia vita ma da quando ci siamo incontrati non abbiamo mai fatto un discorso vero, vorrei conoscere molte cose di te. Quando è il tuo compleanno?


Non ci avevo mai pensato ma ripercorrendo tutte le nostre conversazioni non ne avevamo mai fatta una davvero "normale" come tutte le altre persone.

- Il 27 Maggio, il tuo?
- Il 1 marzo.
- vuol dire che tra poco farai 19 anni.
- già e tu 18.


Si perse di nuovo con lo sguardo, eravamo seduti sotto un albero al parco ci tenevamo per mano ed era già la sesta volta che dovevo richiamarlo all'attenzione.
Poggiai la testa sulla sua spalla e chiesi:

- quale è il tuo colore preferito.

Lui si girò di colpo verso di me come se lo avessi svegliato da un sonno profondo e disse:

- cosa?
- qual è il tuo colore preferito? -
ripetei la domanda seccata.
- perché questo tono?
- Justin non mi stai ascoltando.
- si ti ho ascoltato, mi hai chiesto il mio colore preferito.
- non adesso, in questi giorni sei sempre perso nei tuoi pensieri.
- non è vero.
- Si lo è.
- forse un po' scusa. Ho tante cose per la testa.
- ad esempio?-
dissi con tono offeso

Rimase in silenzio di nuovo con lo sguardo perso io rinunciai ad avere una normale conversazione con lui.
Dopo circa 2 minuti rispose:

- il viola, il mio colore preferito è il viola il tuo?
- il nero.
- non avevo dubbi.-
sorrise, il mio piano di fare l'offesa con lui non funzionò perché ricambiai.
- e i tuoi fiori preferiti quali sono?- chiese ancora Justin.

Non mi ero mai posta quella domanda perché non avevo mai pensato a guardare la natura così mi guardai in torno per vedere che fiori c'erano nel parco.
Tulipani, rose, margherite. Sorrisi guardando la natura e il bel paesaggio sul quali non mi ero mai soffermata.
Ma dopo poco il mio sorriso si spense e mi pietrificai, sgranai gli occhi.
Era lui, Jason.
La mia prima reazione fu quella di chiedere aiuto a Justin poi capii che sarebbe stata una pessima idea e visto che Jason era lontano con un po' di fortuna non ci avrebbe visti.

- Qual è il tuo fiore preferito? Chi è che è perso nei suoi pensieri adesso?

Posò gli occhi in lontananza cercando di capire cosa guardassi e io distolsi subito lo sguardo per non farglielo capire ma fu troppo tardi. Justin si irrigidì e mi mise un braccio attorno al fianco.
Jason ci vide e urlò:

- ciao carina.

Poi si incamminò verso di noi. Stavo morendo dalla paura e anche se non voleva farlo vedere anche Justin era molto preoccupato.
Fortunatamente in quel momento si piazzò davanti a noi Tyler e disse:

- ciao bellissima, come va?

E si sedette accanto a me.

- bene. - dissi con un filo di voce poi vidi Jason fare dietrofront e andò via a passo veloce, sia io che justin posammo gli occhi su Tyler sollevati.

- che fate di bello qui?
- ci riposiamo dalle cattiverie del mondo.
- rispose Justin.
- deve essere brutto, avere dietro tutte quelle voci a scuola.

Nessuno di noi rispose poi lui aggiunse a bassa voce:

- mi dispiace tanto, sto cercando di aiutarvi. Ho saputo della lite con Jason e sono venuto qui per allontanarlo. Ha funzionato?

Guardai in lontananza e non vidi più Jason così annuii.

-sono felice, voglio essere tuo amico Linz ti voglio aiutare con i problemi a scuola. - sorrise.
- grazie. - rispondemmo io e Justin all'unisono. Era il minimo che potessimo fare.
- questo e altro per una bellissima ragazza come te.

Io arrossii e abbassai la testa invece Justin disse:

- non esagerare ok?
- sei geloso? Io credo che lei non ti lascerebbe mai per me, non ti devi preoccupare.


Strizzò l'occhio. Poi si alzò e aggiunse:

-state attenti a Jason, sa essere pericoloso.

Si allontanò, Justin mi strinse ancora più forte e disse a bassa voce:

- ti vuole ingannare con i suoi giochetti.
- non fare così è stato gentile.
- non tiene davvero a te, l'ha fatto solo per sembrare gentile e conquistarti. Sai cosa vuole da te, ciò che vogliono tutti.


Mi sentivo sfruttata al massimo, perché gli altri si comportavano bene con me solo per il secondo fine, nessuno teneva davvero a me.

- Tutti credono che io sia una ragazza facile, odio questa cosa.
- anche io. -
disse sconsolato Justin.

Poi mi prese con una mano il viso e posò le sue labbra sulle mie mentre con l'altra mano mi accarezzava la schiena, fu un bacio lungo ed intenso. Ogni volta che lo faceva dimenticavo tutto. Esistevamo solo io e Justin.
 
**
 
- mi descrivi sempre Ronnie come una persona che ti ha fatto soffrire ma perché adesso vuole aiutarti?
- ho ingannato Lea per salvare il suo rapporto con Ronnie ecco perché mia zia mi ha picchiata e avevo un nuovo occhio nero.
- se lei ti trattava così male perché l'hai aiutata? -
sembrava confuso.
- non lo so neanche io, sentivo che era la cosa giusta da fare.
- io non capisco una cosa, perché non mi hai raccontato prima la tua storia? Io continuavo a credere che Lea fosse tua madre. Ti facevo soffrire e non lo sapevo.
- non lo so, avevo paura che dicendoti la verità mi avresti vista con occhi diversi.


Rimase in silenzio per circa una mezz'oretta, stare vicino a lui senza dire niente non mi disturbava affatto anzi, avrei passato tutta la mia vita così se avessi potuto, bastava la sua presenza a rendermi felice. Poi lui disse:

-deve essere terribile.
- cosa?
- a 9 anni vedere i propri genitori e una sorella morire. Deve essere già brutto perderli, figuriamo vedere proprio il momento in cui mu
oiono.

Rimasi in silenzio a testa bassa, Justin comtinuò:

- la polizia cosa ha detto?
-niente, l'hanno archiviato come un semplice incidente stradale.
-ma non lo è stato..
-come fai a saperlo?-
solo io conoscevo la verità, tutti credevano che la macchina fosse andata a sbattere contro un albero a causa di un guasto ai freni.
-continui a dire che dopo l'impatto con l'albero tua madre ti ha chiesto di stare ferma e che hai sentito tuo padre parlare con qualcuno. Questo vuol dire che erano ancora vivi anche dopo l'incidente. Li hanno uccisi dopo.

Mi scesero delle lacrime sulle guance.

- scusa, non volevo farti soffrire mi dispiace. Sono un idiota.

Mi asciugai le lacrime con le mani, lui mi strinse ancora di più e mi diede un bacio leggero sulla guancia.
Io mi allontanai dalla sua stretta e mi alzai velocemente dal letto.

-Dove vai? È ora di dormire. -disse lui.
- un secondo in bagno.

Mi chiusi dentro a piangere perché non volevo che lui mi vedesse.
Ero scossa ancora dall'incontro con Jason e da come Tyler si approfittava di me, inoltre ripensare ai miei genitori mi aveva sfinito. Ma questa volta non avevo intenzione di tagliarmi o di farmi male perché sentivo che Justin aveva bisogno di me e io di lui. Stetti seduta per terra in bagno per almeno 10 minuti con le mani incrociate per evitare di cadere in tentazione e farmi del male. Ogni volta che pensavo a come sarebbe stato soddisfacente prendere una forbicina per le unghie e tagliarmi mi mordevo un labbro e facevo respiri profondi.
Alla fine mi alzai mi sciacquai la faccia e facendomi tanto coraggio aprii la porta.
Vidi Justin seduto sul bordo del letto con un cofanetto aperto in mano e nell'altra teneva stretto qualcosa di metallo che luccicava a causa della lampadina sul comò, lo osservava e lo girava sulla mano. Quando capii cosa fosse corsi davanti a lui presi entrambi e misi il proiettile nel cofanetto poi urlai arrabbiata con lui più che mai:

- Justin come ti permetti? Sono cose mie e nessuno ti ha detto di ficcare il naso dove non devi.

Andai a posarli entrambi in un cassetto e lui mi seguì e rispose:

- scusa, mi dispiace non volevo. Cosa.. Cosa sono?
- affari miei.


Risposi seccata poi mi sedetti sul letto. Nessuno li aveva mai visti oltre a me e Justin si era permesso di frugare tra le mie cose.

- ehi, ragiona. Quello è un proiettile vero? Se hai il proiettile la polizia risale alla pistola e al proprietario. È perfetto. Potrai scoprire chi ha ucciso i tuoi e magari starai un po' meglio non ti va? - sembrava molto eccitato e io invece non avevo intenzione di riaprite questo caso perché sapevo che non ci avrebbe portato a niente o forse mi faceva soffrire troppo e sapevo di non avere abbastanza forze per sopportarlo.

- no.
- perché no? Ma lo dici perché sei arrabbiata?


Non risposi.

- Dai Linz, sei arrabbiata? Mi dispiace.- sorrise questa volta non ricambiai per l'aveva fatta grossa.
- Perdonami per favore.

Si accorse che non volevo rispondere così si mise davanti a me e mi iniziò a baciare ma io non risposi al bacio e mi stesi sul letto in silenzio. Lui si mise accanto a me e mi sussurrò all'orecchio:

- scusa non volevo frugare tra le tue cose.

Poi mi accarezzò tutta la schiena e mi diede un bacio sul collo ma io rimasi impassibile.
Alla fine mi abbracciò sconsolato, spense la luce e sussurrò:

- buonanotte prociona mia.

Mi diede un bacio sulla guancia e chiuse gli occhi per dormire.
 
**
 
- Quindi lei non ha visto il volto del presunto assassino?

Scossi la testa mentre il commissario teneva in mano con dei guanti il proiettile e lo esaminava con attenzione.
La notte precedente non ero riuscita a dormire e avevo ragionato quasi tutto il tempo sulle parole di justin;" ragiona. Quello è un proiettile vero? Se hai il proiettile la polizia risale alla pistola e al proprietario. È perfetto. Potrai scoprire chi ha ucciso i tuoi e magari starai un po' meglio non ti va? " a pensarci scoprire l'assassino sarebbe stata una cosa buona per rendere loro giustizia ma per affrontare tutto questo avevo bisogno di trovare tanta forza e Justin mi avrebbe dovuto aiutare.
La mattina seguente avevo deciso di chiedere scusa a Justin per essermi arrabbiata così tanto e andare il prima possibile con lui dalla polizia.

- mi può dire come è venuta in possesso di questo proiettile?
- ricordo di averlo raccolto da terra vicino la macchina.
- ma potrebbe anche non essere del suo delitto.
- si lo è, perché era in una pozza di sangue fresco, i medici l'avevano appena estratto da un corpo per cercare di salvarlo.


Mi salirono i brividi a pensarci, chissà di chi era quel sangue, mio padre, mia madre, mia sorella?

- perché ha deciso adesso di riaprire il caso è passato troppo tempo non garantisco niente.

Effettivamente non lo sapevo neanche io poi ci arrivai e risposi:

- perché ho trovato qualcuno al mio fianco che mi da abbastanza forza per sopportare tutto questo.

Presi la mano di Justin e lui sussurrò:

- questo e altro.

Finalmente sembrava il solito vecchio Justin quello che si mostrava sempre sorridente e disponibile e non quello che era lontano chilometri e chilometri da me con i pensieri.

- aspettate un momento, vado a fare una telefonata.

Il commissario si alzò e uscì dalla stanza.

- sono molto fiero di te. - Disse Justin.

Sorrisi, per una volta ero sicura di fare la cosa giusta e non avevo paura di sbagliare anzi mi sentivo soddisfatta. Certo raccontare la mia storia a un perfetto estraneo era stato complicato e doloroso ma dopo mi ero sentita subito meglio sperando che si potesse fare giustizia.
Il commissario tornò e si sedette davanti a noi poi ci comunicò le notizie.

- visto che il delitto non è avvenuto in questa città ma in periferia dovrò inviare tutti i dati lì e poi aspetterò una risposta, il luogo è a due ore da
qui quindi ci vorrà circa una settimana. Abbiamo trovato una squadra che si occuperà del caso, riusciremo a trovare facilmente il possessore della pistola ma potrebbe anche non essere il colpevole. Non vi prometto niente inoltre ho i vostri numeri e se ci saranno novità chiamerò va bene?

- si, grazie. - rispose justin.
- spero bene. - disse il commissario e incrociò le dita.
 
**
 
- Linz, mi aiuti?
- a fare cosa? - eravamo in macchina mentre tornavamo a casa dal commissariato quando Justin imboccò una strada che non avevo mai fatto o meglio non avevo ancora riconosciuto.
Lui ignorò la domanda e chiese a sua volta:

- credi che io sia un cretino senza cuore?
- senza cuore no, un cretino qualche volta.
- risposi ironicamente e mi misi a ridere ma lui sembrava serio infatti aggiunse:
- tu pagheresti per rivedere tua madre e io tratto la mia così male. Ho decido di parlarle, mi hai fatto riflettere le devo dare un'occasione. Non sai quanto mi stai aiutando a capire in cosa sbaglio ogni volta.
- sono felice di averti fatto cambiare idea, pensavo di essere inutile invece magari servo davvero a qualcosa.


Sorrisi perché credevo di causare solo problemi invece a quanto pare riuscivo anche a dare una mano e se io avevo bisogno di Justin perché mi aiutava lui ne aveva altrettanto di me, per la prima volta mi sentivo davvero utile per qualcosa.
Arrivammo a casa sua dopo un po' di minuti. Appena entrammo riconobbi gli odori che mi avevano colpito la prima volta e ne rimasi di nuovo affascinata poi si sentì la solita voce di una donna.

- chi è alla porta?

Arrivò correndo all'ingresso e appena vide Justin si buttò tra le sue braccia e iniziò a piangere a singhiozzi.

- un grande abbraccio è quello che serve se stai male, Ha-ai idea di quanto tu.. Tu mi sia manca- cato? - riuscì a balbettare.

Anche a Justin uscirono delle lacrime e io mi commossi vedendo la scena perché anche io avrei voluto riabbracciare mia madre almeno una sola volta in vita mia per dirle addio ed ero felice del fatto che dopo tanta sofferenza anche justin e sua madre erano riusciti a ritrovarsi e non si sarebbero mai più dovuti dire addio.

- mamma, ti posso parlare?

Lei si asciugò le lacrime con le mani e disse:

- Justin ti perdono per tutto, ti amo sei il mio dolce figlio e ciò che farai che a me andrà bene o no sarà giusto perché sei una persona razionale e matura e sai quello che fai. Mi è arrivata la noti zia che la tua ragazza aspetta un bambino e io non ci ho creduto, perché non saresti tanto stupido da metterla incinta. Se dici che lei è la ragazza giusta per te per me va bene perché ho capito di non dovere fidarmi delle dicerie. - poi si voltò verso di me- scusami per come ti ho trattata.

Scoppiò di nuovo in lacrime Justin la abbracciò e disse:

- grazie per aver capito, cercherò di fare sempre le scelte giuste. Mamma non puoi sapere quanto mi sei mancata. In questi giorni ero sempre lontano perché pensavo alle parole che avrei potuto dirti per farmi perdonare. Linz può confermare.

Finalmente mi fu tutto chiaro, ecco perché non mi ascoltava aveva qualcosa di più importante a cui pensare.
In quel momento si sentì una voce possente di un uomo urlare dal salone

- chi è cara?

Justin si sciolse dall'abbraccio e chiese:

- c'è anche papà come sta?
- lui è arrabbiato con te amore, forse ti conviene andartene.
- disse spaventata.
- ormai sono deciso ad affrontarlo.

Justin si incamminò verso il salone.

- davvero non mi sembra il caso...- cercò di avvertirlo la madre.

Lui la ignorò e noi lo seguimmo.
Il padre di Justin era un uomo alto, muscoloso e abbastanza giovane da giovane doveva essere stato un ragazzo molto affascinante adesso sembrava un uomo da rispettare e del quale potere avere paura. Quando si girò e vide Justin si catapultò verso di lui e urlò:

- allora ti sei fatto vivo, vediamo quale è la tua scusa ora.

Tutta la sicurezza di Justin era svanita riuscì a dire:

- sono tornato per farmi perdonare e per dirvi alcune cose. Vorrei che voi ascoltasse di più i miei sogni e i miei desideri. Non voglio continuare l'attività di famiglia, da grande vorrei fare il cantante o il cuoco, stare con la persona che mi piace veramente.- mi prese la mano.- Anche io ho dei sentimenti e vorrei ce voi li rispettasse, invece di trattarmi come se fossi una statua o un figlio perfetto.
- Justin non dire sciocchezze, io e tua madre facciamo ciò che è giusto per te e per il tuo futuro.
- no, fate quello che è giusto per voi. Se solo mi ascoltassi un momento papà.
- ho già sentito abbastanza, non uscirai di casa mai più, solo per andare a scuola e non vedrai mai più nessuna ragazza che potrebbe avere influenza su di te. Sono stato chiaro?
- no, allora scapperò perché io non voglio vivere questa stupida vita come la vostra e non lascerò Elisabeth, chiaro?


Il padre si avvicinò velocemente a Justin, il quale era ormai in lacrime, e dopo un momento di esitazione gli tirò un pugno in faccia. Justin cadde a terra sanguinante, cercò di rimettersi in piedi tenendosi la faccia con le mani intanto Rose si precipitò tra i due e urlò:

- basta! Possiamo trovare un compromesso senza usare la violenza.

Justin si portò in piedi e scansò la madre delicatamente poi urlò con tutta la forza che aveva contro il padre come per sfidarlo

- beh? È questo il massimo che riesci a fare per "domare" tuo figlio?

Il padre lo prese per le spalle e chiuse la mano a pugno per tiragliene un altro. Come era già successo quando mi ero presa la colpa per aiutare Ronnie sentivo di non poter rimanere ferma a guardare la scena senza fare nulla così feci un passo avanti e mi misi tra lui e il padre con le mani sulla faccia sperando che non colpisse anche me, sapevo che sarebbe stato pericoloso.

- Ragazza vattene.

Abbassai le mani e lo guardai perché avevo capito che non aveva intenzione di picchiarmi e dissi con tono fermo e deciso:

- no.
- Linz, vattene è una cosa che non ti riguarda.

Disse Justin io raccolsi il coraggio che avevo e risposi:

- si, mi riguarda. Le famiglie non si dovrebbero mai dividere perché parlando in modo razionale tutto si aggiusta. Le cose rovinate non si devono buttare si possono riparare. Voi avete deciso questa vita lussuosa perché vi rende felici ma a Justin non importa perché lui starebbe bene anche con una casa più piccola e meno soldi, se lo amare davvero ascoltate anche anche il suo cuore.

Il padre di Justin abbassò le mani, rilassò i muscoli e disse:

- credo che un compromesso possa andare bene.. Rose vai a prendere dei tovaglioli di carta in cucina per nostro figlio, sta sanguinando.

Angolo autrice.

Grazie perché state seguendo la mia storia, volevo dire che ne sto scrivendoun'altra abbastanza originale, quando la finisco la posto. Spero che la leggerete grazie :)

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Capitolo 14
*** The storm ***


Durante i giorni seguenti riuscimmo a vivere in pace ma non sapevo ancora che quella sarebbe stata solo la preparazione al mio inferno.

I compagni ci trattavano sempre come se avessimo la lebbra ma non successe nulla di particolare con loro, riuscimmo a non incontrare Jason neanche una volta mentre Tyler si mostrava sempre più gentile ma io credevo che, come aveva detto Justin, non lo faceva perché ci teneva davvero a me ma solo per convincermi ad andare a letto con lui così cercavo di allontanarlo ogni volta finché un giorno mi disse:

- so che credi che io non ci tenga a te ma non è vero, vorrei aiutarti davvero, ti sei chiesta perché non vedi Jason da quasi una settimana? Gli ho parlato e credo che non tornerà più.
- grazie Tyler- risposi. -
se c'è qualcosa che posso fare per te dimmelo.

Mi sentivo davvero sollevata del fatto di non dovere più preoccuparmi di lui e una seccatura non c'era più.

- una cosa ci sarebbe, non è che potresti mettere una buona parola su di me con tua cugina? Credo che sia molto sexy. - tossì e arrossì- molto bella, volevo dire bella.
- certo credo che ne sarà felice. -
mi misi a ridere, ma ero contenta per lei perché sapevo che gli piaceva già da tempo. Quando glielo raccontai a casa iniziò a saltellare per la casa canticchiando, non l'avevo mai vista così.

Justin intanto aveva deciso con i suoi genitori che si sarebbe potuto vestire come voleva e che da grande avrebbe scelto il lavoro dei suoi sogni ma in cambio avrebbe comunque dovuto studiare tanto e dopo aver scelto un lavoro sarebbe dovuto diventare un uomo di successo in quel campo. Tutto era tornato perfetto in quella famiglia, l'unica cosa sulla quale ancora sia la madre sia il padre avevano da ridire erano i pantaloni di Justin a vita troppo bassa che mostravano tutte le mutande, veramente quelli non riuscivo a sopportarli neanche io e ogni volta mi avvicinavo dietro a lui e glieli alzavo, lui rideva e dopo qualche passo gli tornavano come prima ed eravamo di nuovo punto e daccapo.
Inoltre era tornato a dormire a casa e mi mancava terribilmente così passavamo spesso le notte a inviarci messaggi o a chiamarci, io avevo paura di poter ricominciare con i soliti incubi ma sapevo che ormai la mia vita era cambiata e nei pochi sogni che facevo c'eravamo solo io e Justin.

Da quando avevo detto al signor Collins che avevo riaperto il caso della morte dei miei genitori e di mia sorella era diventato ancora più strano e irrequieto e spesso si metteva le mani sulla faccia come se fosse disperato quando ne parlavamo.
E l'altra cosa che rovinò la settimana era l'agognata attesa della risposta da parte della polizia riguardo al caso dei miei genitori.
 
**
 
- Quanto è?
- 500 dollari.


Gli diedi i soldi, il commesso mi porse la custodia e uscii dal negozio.

- per chi è quella?

Un ragazzo mi toccò la spalla, riconobbi subito la sua presa forte e la sua voce. Sbiancai e mi mancò il respiro decisi di ignorarlo e mi incamminai verso casa, ma come immaginavo, lui mi seguì.

- allora? È tua?

Continuai a camminare e non risposi, speravo che Jason se ne andasse ma non sembrava voler ricevere un altro due di picche.

- ti posso parlare privato?
-no, devo posare questa a casa.-
indicai il mio ultimo acquisto.
- dai un secondo, seguimi.

Mi prese per un braccio e mi tirò fortemente avrei voluto protestare ma come al solito non riuscivo ad allontanarmi da lui.
In quel momento l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che Justin mi avrebbe potuto salvare e io avevo paura.
Camminammo a passo svelto per circa 10 minuti poi si fermò davanti un vicolo piccolo, nascosto e buio e disse:

- prego madame, prima lei. - sorrise con il suo solito ghigno sulle labbra.

Credevo che contestando si sarebbe potuto arrabbiare di più così entrai senza protestare ma prima di farlo lasciai cadere dal mio polso un braccialetto nero che portavo sempre con me così per lasciare una traccia se magari fosse arrivato Justin in mio soccorso.

- che c'è? Mi sembri preoccupata.

Disse Jason mettendosi proprio davanti a me io posai la custodia su un muro del vicolo e mi allontanai poi lui continuò:

- Mi dispiace per come ti ho trattato l'ultima volta, quel ragazzo Paul ha fatto bene a tirarmi il libro in testa.

Non sembrava affatto sincero.

- sai è brutto amare una ragazza e non potere averla.

Mi mise un braccio attorno alla vita, avrei voluto spostarmi ma avevo paura di farlo innervosire così rimasi li pietrificata.

- io non capisco, piaccio a tutte le ragazze della scuola. Perché preferisci quello stecchino ambulante a me?

L'aspetto fisico nella vita non è tutto. Justin aveva un cuore d'oro questo bastava per me.

-Linz, dimmi perché non ti piaccio, guardami. Come fai a dire di no a questo?

Si tolse la maglia e rimase a petto nudo. Qualsiasi ragazza avrebbe pensato che fosse sexy, perché oggettivamente lo era ma a me i suoi muscoli facevano soltanto tanta paura.
Mi prese un braccio e poggiò la mia mano sul suo petto, un brivido mi percorse la schiena avevo ancora più paura di prima sentendo la sua forza.

- e non hai ancora visto tutto.
- Non ti toglierai i pantaloni spero.


Dissi ritraendo la mano cercando di trovare un po' di coraggio per parlare.

- ti piacerebbe vero?

Con uno strattone mi avvicinò a lui e mi ritrovai per la seconda volta attaccata sl suo petto nudo.

- ti ricordi? Ho detto che avevo fatto una promessa a me stesso e oggi è il giorno in cui la vorrei mantenere, ma ci tengo a te e non ti farò del male. Ti dò giusto un'ultima occasione.

Che promessa? Che occasione? Mi veniva da piangere e non sapevo come salvarmi.

- Ti va di diventare la mia ragazza?

Si avvicinò al mio volto come per baciarmi e cercai di prendere tempo.

- che promessa?

Mi bloccò con le braccia tra il suo corpo e il muro e disse:

- dai, fa la brava non voglio farti male.

Iniziò a baciarmi ma io non risposi al bacio e come la prima volta mi sentivo soffocare solo che adesso non c'era nessuno che mi poteva salvare perché eravamo solo io e lui.
Mi infilò le mani nella maglietta cercai di allontanarle ma ovviamente non ci riuscii e lui mi sfilò la maglietta e con i piedi riuscì a togliermi anche le ballerine nere.
Io feci l'unica cosa che mi venne in mente in quel momento gli conficcai le unghie nella schiena lui si scansò di colpo poi disse:

- che fai? Ti piace fare la dura eh?

Si riavvicinò a me e ricominciò a baciarmi, mi mise una mano nei pantaloni e me li calò senza alcuno sforzo mentre io cercavo con tutta me stessa di allontanarlo, volevo urlare ma non ci riuscivo, era un incubo. Improvvisamente fece qualche passo indietro lasciandomi e disse:

- sei davvero molto bella in biancheria intima lo sai?

Cercai di riafferrare i miei vestiti ma lui mi bloccò di nuovo le mani.

- che vuoi fare? Quindi dopo tutto questo ancora non ti ho convinto?

Ero bloccata dalla paura e non riuscivo a parlare.

- la mia promessa era quella di andare a letto con te ma a quanto pare sarà più complicato del previsto.

Ricominciò a baciarmi appassionatamente mi mise una mano sul sedere e l'altra sul seno, mi faceva tanto male così raccolsi tanta saliva nella bocca e gli sputai in faccia, si allontanò schifato.

- ma che schifo! Non hai ancora capito chi hai di fronte.

Si riavvicinò a me mi strinse un braccio e con l'altra mano mi tirò uno schiaffo forte dopo poco mi accorsi che il mio naso sanguivanava. 

- beh? Non hai nulla da dire?
- ti prego lasciami andare via.-
lo supplicai singhiozzando.
- io non ti volevo fare male ma sai non ti sopporto proprio.

Mi tirò un pugno nello stomaco e mi piegai in due per il dolore tossendo.

- questo è per il frappé in testa.

Poi mi diede una gomitata sulla schiena e caddi a terra scorticandomi la faccia e le mani con l'asfalto.

- questo per il libro.

Infine mi diede una serie di calci alle gambe.

- questo perché Paul mi ha fatto svenire.

Speravo che avesse finito perché facevo fatica a resistere a tutto ciò mi raggomitolai per "proteggermi" ma lui continuò a tirami pugni e calci quando alla fine persi conoscenza.
 
Com tutte le mie forze riuscii ad aprire gli occhi e vidi steso accanto a me Justin in una pozza di sangue, avrei voluto chiamarlo per chiederglieli se stava bene ma prima di riuscire ad aprire bocca richiusi gli occhi.

**

Mi risvegliai completamente nuda in un letto freddo sotto un lenzuolo ogni singola parte del corpo mi faceva male. Mi guardai in torno e vidi Justin seduto sul suo letto accanto a me che sorrideva con i genitori che gli parlavano, poi guardai di fronte il mio letto ovviamente non c'era nessuno mi misi a piangere, mi sentivo sola e avrei solo voluto avere un abbraccio da parte di mia madre. Chiusi gli occhi per richiamare alla memoria almeno il suo volto ma invece rividi Jason che mi picchiava li riaprii spaventata.

- Linz, sei sveglia. Come stai?

Ero ancora scossa e non riuscii a rispondere a Justin.
Lui si alzò dal letto era in pigiama e si avvicinò a me aveva dei tagli e delle bende in testa, un occhio nero e un labbro tagliato ma per me era bellissimo lo stesso. Mentre si chinò su di me per baciarmi probabilmente ricordai il modo in cui lo aveva fatto Jason e mi girai dall'altra parte tenendomi la testa.

- Justin lasciala stare, è ancora traumatizzata. - disse Rose.

Justin si tirò su e iniziò ad accarezzarmi un braccio io lo allontanai violentemente perché qualunque cosa facesse mi ricordava Jason e avevo paura.
Così tornò nel suo letto deluso.

- se hai bisogno di qualcosa chiedi pure a me.

Disse gentilmente la madre e mi sorrise.
In quel momento si spalancò la porta e correndo entrarono Ronnie e Lea tutte allarmate.

- siamo arrivate appena abbiamo saputo.

Allora ci tenevano almeno un po' a me.

- grazie.

Sussurrai.

- Linz, davvero scusa se ti ho trattato male tutto questo tempo ma quando mi hanno detto cosa ti era successo ho capito che senza di te la nostra vita sarebbe diversa, tu sei tutto ciò che ci rimane di tuo padre, mio fratello. Ho sempre creduto che abbiano avuto l'incidente per colpa tua, perché tu e tua sorella lo avete distratto ma eravate solo delle bambine e..

Lea stava quasi per mettersi a piangere ma io le sorrisi, non mi aveva mai detto una cosa così dolce e finalmente capivo perché mi trattava così finché non avrei trovato il colpevole non mi andava di dirle come erano andati i fatti così dissi:

- voi due siete tutto ciò che mi rimane di una famiglia e ho sempre provato a volervi bene.
- lo sappiamo.


Disse Ronnie e mi prese per una mano ma io la ritrassi subito.

- c'è qualcosa che posso fare per te?
- dimmi dove siamo. in ospedale?


Ronnie annuì.

- è sera?
- si e tra poco l'orario di ricevimento finisce.
- Domani mi potresti portare dei vestiti?
- certamente. -
sorrise.

In quel momento entrò un'infermiera dicendo:

- dovete uscire, potete tornare domani mattina a fare visita ai vostri cari.

Justin abbracciò prima la madre e poi il padre e i due se ne andarono Lea si avvicinò per abbracciarmi ma io la allontanai e rassegnata uscì dalla stanza con Ronnie l'infermiera si chiuse la porta alle spalle dicendo:

- vado a dire al medico che ti sei svegliata.

Rimanemmo soli io e Justin mi feci coraggio e chiesi:

- perché sono nuda? Avevo la biancheria intima quando ho perso i sensi.
- Linz, quando sono arrivato io ero per terra già nuda e non ho visto i tuoi vestiti da nessuna parte, forse non ci ho fatto caso.


Rabbrividì al pensiero.

- quanto tempo sono stata con Jason incosciente?
- i medici credono circa 1 ora.
- come ci hanno trovato?
- sono andata a cercarti a casa per darti una cosa ma non ti ho trovata, mi sono spaventato perché non rispondevi al telefono e ho pensato subito a Jason. Sapevo che ti avrebbe portato in quel posto perché non è la prima volta che ci porta qualcuno e... quando ho visto quel braccialetto io... 
- chi ha già portato?-
lo interruppi.
- tante ragazze credo, e anche mia cugina.. Per questo poi si è trasferita e non è più tornata, aveva paura.

Rimasi in silenzio magari anche io sarei dovuta scappare. Continuò:

- mi ha chiamato perché ha saputo che ero in ospedale e le ho raccontato tutto ha detto che verrà in estate qui in vacanza, così la potrai conoscere. Sono così felice.
- perché torna? Non ha paura di Jason?
- prima di affrontarlo ho chiamato la polizia e l'ambulanza, l'hanno portato in centrale e ora è in arresto per violenza su molte ragazza minorenni e stalking.


Mi sentii più sollevata, ma vivere quell'esperienza era stato orribile e avevo paura di non riuscire a riprendermi.

- ti ha fatto male Jason?
- con i pugni? No mi ha fatto più male vederti nuda mentre ti violentava e io non riuscivo ad aiutarti perché non avevo quasi più forze, poi è arrivata la polizia e ci ha salvati.


In quel momento entrò un medico:

- Ti sei svegliata, come stai ragazza bellissima?

Non risposi, si avvicinò a me e disse:

- devo controllare come stai mi devi dire esattamente dove ti fa male e vediamo se riesci a muoverti con facilità o se ti sei rotta qualcosa. Se ti vergogni perché sei nuda il giovanotto può uscire. - indicò Justin.

Ci pensai un po' su poi risposi:

- no, è il mio ragazzo.
- allora mi può aiutare. -
sorrise poi mi scoprì e per la prima volta vidi tutto il mio corpo pieno di graffi e lividi, mi aiutò a sedermi sul letto e io lo allontanai ma lui si riavvicinò e mi fece scendere con delicatezza a terra. Mi lasciò per vedere se riuscivo a camminare ma dopo qualche passo mi inginocchiai a terra.

- mi fa male anche la pianta dei piedi.

Il dottore mi tirò su e mi aiutò a sedermi sul letto poi mi prese le braccia e le mosse delicatamente mi fecero male anche quelle e lui se ne accorse.

- scusami tanto allora la buona notizia è che non c'è nulla di rotto e le ferite sono solo superficiali la cattiva è che dovrai restare qui per qualche giorno e che non sappiamo quanto sono profondi e irreversibili i danni psicologici.

Da quando mi ero svegliata avevo paura che altra gente al di fuori del medico mi toccasse quindi a mio parere i danni psicologici erano tanti.

- ti dò una crema giusto per i lividi, ti chiamo un'infermiera per metterla.

Infilò una mano in tasca e me la porse.

- non si preoccupi dell'infermiera, la aiuto io. - disse Justin.

Il medico sorrise e uscì dalla stanza.
Justin prese un po' di crema sulle mani e iniziò a spalmarla sulle braccia, sulle gambe, sulla pancia e su quasi tutto il corpo con delicatezza come se avesse paura di spaventarmi.

- non sei imbarazzato come la scorsa volta. - osservai.
- quella volta non stavamo ancora insieme.

Nonostante i suoi sforzi le sue mani addosso mi facevano ricordare quelle di Jason così dopo qualche minuto mi venne da piangere.

- Linz, che hai? Ti sto facendo male? Ho finito.

Scossi la testa e sussurrai:

- ti prego Justin non lasciarmi ho paura.

Allungai le braccia per abbracciarlo poi lui si tolse la maglietta e i pantaloni del pigiama e si stese sul mio letto sotto le lenzuola come avevamo sempre fatto con la differenza che io non avevo il pigiama. Avrei voluto baciarlo ma quando ci provavo mi veniva in mente Jason e mi bloccavo. Alla fine chiusi gli occhi ripetendomi nella testa "è justin è Justin" e lo baciai all'inizio sembrò sorpreso poi con delicatezza rispose al bacio come se avesse paura di farmi male. Misi le mie mani vicino alla sua vita e gli abbassai i boxer dopo un po' lui si allontanò e se li rialzò dicendo:

- per oggi basta, stai male e sei tutta dolorante.
-già. -dissi imbarazzata perché mi aveva rifiutata poi lui continuò:
-ma mi devi promettere che un giorno continueremo da dove abbiamo lasciato.

Mi abbracciò stretta a sé e nonostante io fossi nuda contro il suo corpo per la prima volta non tentai di allontanarmi perché non provavo disagio così chiusi gli occhi e mi addormentai. 

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Capitolo 15
*** Un brutto ricordo ***


 Il giorno dopo aprii gli occhi e vidi che Justin mi stava ancora abbracciando nonostante fosse sveglio probabilmente già da un bel pezzo e avrebbe avuto altro di meglio da fare.

Gli chiesi:

- mi accompagni in bagno?
- emmh.. Certo.


Mi prese in braccio invece di farmi camminare e mi mise giù proprio davanti alla porta io entrai appoggiandomi al lavandino e mi fermai davanti a uno specchio, all'inizio non mi ero neanche riconosciuta. Non avevo mai visto una creatura più brutta: un occhio nero, la fronte e una guancia scorticate, tagli sulle labbra. Tutto era in risalto a causa della pelle pallidissima. Non immaginavo di avere quell'aspetto, chissà cosa pensava Justin vedendomi, io al suo posto sarei scappato.

- sono orribile.
- sei bellissima.
- lo dici perché mi vuoi bene.
- tu vedi dei lividi e dei graffi, io vedo degli occhi azzurri stupendi e un sorriso fantastico.


Era così gentile per sentirmi meno in debito avrei dovuto almeno fargli un regalo, in quel momento mi venne in mente il pacco del regalo per lui che gli avevo comprato così mi precipitai fuori dal bagno e feci quasi cadere Justin, dopo pochi passi caddi per terra perché ancora le mie gambe non riuscivano a reggermi.

- che succede?

Chiese allarmato, avvicinandosi a me.

-Dove tengono i miei bracciali la collana e tutte le cose mie che hanno trovato?
- forse in quell'armadio.


Indicò un mobile vicino la porta, cercai di alzarmi per raggiungerlo ma lui mi prese in braccio e mi adagiò nel letto stesa poi si allontanò e andò ad aprirlo.

-che devo prende..

Si bloccò di colpo e tirò fuori il mio regalo per lui. Una chitarra.

-Linz, cosa è?
- quando ho incontrato Jason ero appena uscita dal negozio di musica, spero ti piaccia credo che tu abbia del potenziale per diventare famoso e poi hai detto che ne volevi una giusto?
- Linz... grazie io... -
poi si bloccò di colpo.- aspetta, quindi è colpa mia se Jason ti ha...

Si mise a piangere prima di riuscire a finire la frase mi corse incontro e si stese sul letto vicino a me singhiozzando così lo abbracciai e lui ricambiò ma ancora non aveva smesso di piangere.
 
**

Passammo una settimana tranquilla, Ronnie e Lea venivano a trovarmi quasi ogni giorno e i genitori di Justin erano sempre gentili con me, intanto Justin stava imparando con delle lezioni su internet a suonare la chitarra e si esaltava per ogni minima cosa che riusciva a fare anche se era sbagliata, mi faceva tanto ridere.
Ronnie mi aveva raccontato che anche i compagni di scuola avevano smesso di insultarci dopo aver scoperto cosa era successo con Jason anzi le chiedevano come stavo e molti che neanche riconoscevo mi erano venuti a trovare. A fine settimana mi sentivo già meglio i segni della lotta con Jason non mi facevano quasi più male ed erano quasi scomparsi, l'unico problema era che spesso avevo paura, mi tornavano in mente i suoi occhi e le sue mani e mi bloccavo con gli occhi spalancati terrorizzata Justin se ne accorgeva e mi teneva strette le mani perché se mi avesse abbracciato sarei morta dalla paura ancora di più pensando fosse Jason, dopo un po' questa sensazione terribile passava.
Ciò che comunque quella settimana ci fece penare di più fu aspettare la risposta da parte della polizia riguardo al caso della morte dei miei cari.
Quando il lunedì dell'altra settimana ci dimisero mi arrivò anche la chiamata da parte della polizia lo dissi a Justin e dall'ospedale ci precipitammo lì direttamente.

- l'uomo che state cercando è Matthew Russo, vi dice qualcosa?

Ecco di nuovo punto e accapo, le indagini non avevano portato a nulla perché io non conoscevo questo Matthew, sia Justin che il poliziotto lessero la mia espressione delusa sul volto.

- avete una sua foto? magari potrebbe riconoscerlo, sono passati tanti anni ma se fosse un amico di famiglia lo riconoscerebbe ugualmente.

Suggerì Justin.
Il commissario stampò una foto e dopo qualche minuto mi avvertì:

- se lo riconosci potrebbe essere uno shock per te devi stare calma e se ti senti male fai dei profondi respiri va bene?

Annuii, con cautela mi passò la foto e la guardai attentamente. Non riconobbi la figura subito, era molto giovane, un ragazzo di circa 30 anni con i capelli neri e gli occhi profondi e scuri, degli occhi conosciuti e difficili da dimenticare bastava immaginarlo invecchiato di qualche anno e si riconosceva benissimo. Mi venne un nodo allo stomaco, come poteva avermi fatto una cosa del genere? Adesso si spiegavano molte più cose. Mi venne da piangere perché lui era una persona di cui mi fidavo e non potevo credere che mi nascondesse un segreto così grande.
Presi velocemente le chiavi dell'auto di Justin dal tavolo e corsi via dalla stanza poi uscii dal commissariato e mi misi velocemente in macchina con una sola idea in testa: la vendetta.
Guidare non fu un problema perché avevo già preso lezioni di guida nella vecchia città anche se ancora ufficialmente non avevo la patente.
Parcheggiai di fronte scuola, entrai nell'edificio e corsi per le scale fino a chiudermi nell'ufficio del signor Collins.

- buongiorno Linz, ce ci fai qui? Non è il tuo orario di ricevimento. - sorrise era seduto sulla sua solita sedia mentre leggeva delle carte che aveva in mano, il suo sorriso svanì e disse:
- sembri arrabbiata che succede? Ne vuoi parlare? È per la storia con Jason?

Mi avvicinai lentamente alla sua scrivania e mi fermai lì davanti poi risposi: 

- io mi fidavo di lei, quanto mi fido di Justin ma adesso capisco perché piangeva ogni volta che parlavo della mia famiglia e perché era diventato strano quando le ho detto che avevo riaperto il caso della loro morte.
- Linz, calma. Posso spiegare.
- non voglio più sentirla signor Collins o forse dovrei dire signor Russo.


Presi un coltellino che c'era sulla scrivania probabilmente per tagliare le carte o per il suo pranzo ma in quel momento non mi fermai ad esaminarlo avevo altro per la testa a cui pensare. Mi avvicinai velocemente a lui e lo buttai a terra dalla sedia con uno spintone poi mi misi sopra di lui per non farlo muovere e tenendolo fermo per i polsi.

- Matthew hai la minima idea di quanto mi hai fatto soffrire? Sai cosa provavo io?
- Mi dispiace Linz, quando ho saputo che ti eri trasferita lì vicino ho deciso di fingermi il signor Collins per aiutarti, non passa giorno che io non pensi a quel giorno orribile.
- voglio che tu adesso capisca cosa mi hai fatto passare in tutti questi anni.


Impugnai bene il coltellino e lo feci scorrere sui suoi polsi cercando di fargli provare tanto dolore e bruciore.

- Linz, mi fai male basta.

Cercò di liberarsi dalla mia presa ma non ci riusciva e per la prima volta mi sentivo potente, non ero io la vittima ero il cacciatore.

- Guarda. - gli mostrai tutte le mie cicatrici. - queste sono a causa tua, credo che tu debba pagare.
- ti prego non mi uccidere.


Stava quasi per piangere.

- non ti voglio uccidere, voglio solo farti pagare.

Appoggiai il coltellino su una sua guancia pronta a fargli male anche lì quando la porta si spalancò e qualcuno mi tirò su per le braccia, iniziai a divincolarmi ma non riuscii a liberarmi.

Vidi Justin in lontananza sbiancato con le lacrime agli occhi,cercai con lo sguardò il suo perdono ma lui cercava di evitarmi.

Un agente di polizia invece aiutò Matthew ad alzarsi poi si avvicinò a me con delle pillole e me le infilò in bocca io cercai di protestare ma non riuscivo ad aprire la bocca, dopo poco caddi in un sonno profondo.
 
**
 
Mi risvegliai su un lettino con accanto Justin seduto su una sedia. Mi sentii per un attimo confusa, dopo in pace guardando i suoi occhi color miele che mi fissavano, infine mi ricordai cosa era successo e mi alzai velocemente dal lettino.

- Linz, ti sei svegliata come stai?

Sembrava spaventato da me.
Mi guardai le mani erano rosse, sporche del sangue dell'assassino dei miei genitori.

- non l'avrei ucciso, mi credi vero?
- devo ammettere che all'inizio avevo paura ma ho convinto la polizia che stavi male, solo che non sanno quando ti riprenderai completamente quindi per adesso ogni giorno dovrai prendere tre di queste.

Mi indicò un pacchetto di tranquillizzanti.

- come mi avete trovata?
- è bastato poco che ho riconosciuto anche io il dottor Collins e ti siamo venuti a cercare, avevo paura che cercassi vendetta.
- infatti la cercavo.
- credo che tu debba ascoltare cosa ha da dire perché si è pentito e aspetta il tuo perdono.
- no che ha fatto è imperdonabile lui non riuscirà mai a ridarmi la mia famiglia.
- sai non è detto.


Strinse forte un pugno e notai che fuori da esso spuntava un bigliettino avrei voluto chiedere spiegazioni ma capii che Justin non mi avrebbe detto nulla così lasciai perdere e mi sedetti sulle sue gambe poi lo abbracciai e posai la testa sulla sua spalla, speravo che mi avesse perdonato. 

- Tutto questo periodo quando sarai nonna sarà solo un brutto ricordo. -disse dandomi un bacio sulla fronte e abbracciandomi, mi fece stare immediatamente meglio. 


Angolo Autrice comunicazione importantissimissima (?) 

C'è una notizia buona e una cattiva. Mi disppiace dirvelo, so che alcuni di voi erano affezionati ai personaggi di Justin e Linz ma questo è il penultimo capitolo *piange* spero che la storia vi sia piaciuta e che leggerete quando lo posterò l'ultimo capitolo che è uno dei più belli. 
La notizia buona è che sto lavorando su un'altra ff e presto la posterò, se vi è piaciuta questa e volete leggere la nuova (che a mio parere è molto più bella e ricca di colpi di scena) scrivete una recensione con il vostro nick o di EPF o di Twitter così quando la posterò vi avverto. 
Grazie a chi lo fa, vi amo jhsghayh

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Capitolo 16
*** After the storm ***


- sei felice? Finalmente hai risolto il caso. - Ronnie sorrise ingoiando un boccone di carne cucinata da zia Lea.
- in questi ultimi tempi la mia vita è cambiata in meglio e non sarebbe successo senza Justin. 

Lui abbassò la testa arrossato poi continuai - Tu e Lea siete diventate così gentili, ho accanto delle persone che davvero mi vogliono bene, tutta questa storia e iniziata con la sofferenza perché i miei sono morti,  gli atti di Jason e del signor Collins mi hannop segnato a vita ma ormai è tutto finito. Li ho persi non li rivedrò mai più ma sto meglio perché so chi li ha uccisi e come sono andate veramente le cose- sorrisi.
- sapevo che prima o poi la tua sofferenza sarebbe finita. - disse Justin alzandosi da tavola e portando i piatti via.
- Ora possiamo finalmente dire e vissero felici e contenti. - dissi ridendo.
- no, non ancora. - rispose Justin serio.

**
 
- dove stiamo andando? - chiesi la mattina seguente salendo in macchina di Justin.
- non lo so neanche io ma ti ci devo portare.

La risposta era strana ma mi fidavo di lui. Passarono circa due ore quando si fermò davanti a una villa, scese e io feci lo stesso.

- dove siamo?
- non lo so. - prese lo stesso bigliettino che gli avevo visto lo stesso giorno che avevano condannato Matthew e lo guardò attentamente.
-cos'è?- chiesi sperando che mi rispondesse.
- è un indirizzo che mi ha dato il signor Collins per farsi perdonare.
- ah si? Una casa di cura? -
dissi con tono freddo.
- no, l'indirizzo è di questa villa, vieni entriamo.- mi prese per un polso e mi tirò verso la porta ma io mi piantai con i piedi per terra.
- no io non vengo da nessuna parte.
- perché?
- è l'indirizzo che ti ha dato un assassino.
- una persona che si è pentita.-
corresse lui.
- io non lo perdono lo stesso andiamocene. 

Mi incamminai verso la macchina Justin mi seguì e mi sussurrò all'orecchio:

- fallo per me, non ti costa nulla.

Poi mi baciò il collo e io mi girai, salì fino alle labbra e mi baciò appassionatamente dopo un po' chiese:

- allora?
- dopo che entriamo che diciamo?
- improvvisiamo.
- va bene. -
dissi svogliata.

Arrivammo alla porta e bussammo venne ad aprirci una donna dall'aria simpatica più o meno dell'età di Lea.

- cosa posso fare per voi giovanotti?
- possiamo parlarle?
- disse Justin.
- certo accomodatevi.

Entrammo e ci portò in un salone. La casa era enorme e bellissima assomigliava molto alla mia di quando ero piccola, c'era lo stesso odore di mobili antichi ed era anche questa piena di tappeti.
Ci sedemmo e osservai:

- che bella casa.
- grazie ma è un po' disordinata per colpa dei miei figli.


In quel momento entrarono due bambini uno di circa 10 anni e l'altro di 6 con degli aeroplani giocattoli in mano, ci ignorarono e cominciarono a saltare su un divano, sembravano felicissimi. Stavano vivendo l'infanzia che io non avevo mai potuto godermi. Un po' di tempo fa mi sarei solo rattristata invece adesso sorrisi perché mi mettevano allegria.

- Mike! Mark! Non fate i maleducati e venite a salutare.

Urlò la madre loro si girarono e dissero in coro:

- ciaaao.

Poi corsero giù dal divano e si precipitarono in un'altra stanza dicendo cose del tipo:

- abbiamo un guasto al motore dobbiamo correre al riparo
- forza! Andiamo alla pista di atterraggio.
- che bei bambini. -
disse Justin sorridendo.
- grazie ho anche una figlia femmina più o meno della vostra età ma deve ancora tornare a casa, allora di cosa mi volevate parlare?
- ecco le sembrerà strano ma un uomo...

Justin si fermò perché proprio in quel momento entrò una ragazza dai capelli marrone chiaro a boccoli, era molto bella mi ricordava qualcuno ma non riuscivo a capire chi, appena la vidi balzai in piedi come se la mia mente mi comandasse di farlo lei si avvicinò alla signora e la abbracciò poi disse con tono gentile e sorridendo:

- mamma oggi non ti ho visto per niente, chi sono i nostri ospiti?
- Lei è mia figlia Leila, loro sono appena arrivati perché mi devono parlare.


Lei ci porse la mano dicendo:

- piacere di conoscervi

Quando mi strinse la mano e mi guardò negli occhi la riconobbi. Non poteva essere lei. Le guardai la fronte per essere sicura e aveva una cicatrice in testa, proprio come la ricordavo io.
Ci vollero pochi secondi per realizzare poi sentii il cuore battere forte per l'emozione, mi misi una mano sul petto come per comandargli di stare fermo e non uscire dalla gabbia toracica. Mi inginocchiai per terra e iniziai a piangere a singhiozzi coprendomi il volto la madre allarmata mi chiese:

- stai bene? Vuoi un bicchiere d'acqua, qualcosa?

Justin di buttò affianco a me e mi abbracciò dicendo:

- no Linz non è niente, non piangere.

Non sapeva perché stessi così, forse credeva che fosse solo un ricordo di Jason o un momento di debolezza.
A quel punto la ragazza si inginocchiò vicino a me e iniziò ad accarezzarmi la schiena dicendo:

-Vuoi qualcosa? Dei fazzoletti per le lacrime?

Era come la ricordavo io, sempre premurosa e gentile. Feci un grande respiro e mi girai verso Justin dicendo tra un singhiozzo e l'altro: 

- Justin lei...

Poi ricominciai a piangere.
La ragazza si preoccupò ancora di più e disse: 

- stai bene?

Io presi tanto fiato e mi girai verso di lei. 

- E- Ellie.

Lei mi guardò con gli occhi stralunati, da stupore passò a incomprensione, mi guardò negli occhi furono pochi secondi che sembrarono durare un'eternità avevo paura che avessi sbagliato tutto e non fosse lei, mi sentii il cuore spezzare quando la sua incomprensione divenne emozionee e dopo un po' urlò:

- Ellie? Così mi chiamava solo... o mio dio, Linz.

Poi iniziò a piangere con me e ci abbracciammo, avevo sempre voluto riprovare la sensazione di un abbraccio di una sorella.

- Ellie, non sai quanto ti voglio bene credevo fossi morta con l'incidente.
- anche io lo credevo di te.


Disse asciugandosi le lacrime, ma ancora singhiozzando.
Dopo qualche minuto ci alzammo e sua "madre" disse: 

- vi conoscete?

Ellie si girò verso di lei e disse:

- questa ragazza è mia sorella.

Ora che l'avevo ritrovata ero certa che non l'avrei mai più lasciata andare. Quello era il giorno più bello della mia vita.

- ci dobbiamo raccontare tante cose.

le dissi asciugandomi le lacrime.

- restate a mangiare a cena qui?
- certo.


Disse Justin sorridendo, sicuramente anche lui era felice per me.
Ci sedemmo sul divano e spiegammo tutto a lei e alla madre riguardo al biglietto del signor Collins.

- il signor Collins? Qualche anno fa ha aiutato anche me a stare meglio, non posso credere che abbia fatto una cosa del genere.

Disse di nuovo con le lacrime agli occhi.

- ma si è pentito e mi ha fatto arrivare a te, lo perdono.

Era tutto merito del signor Collins se ero di nuovo così felice perché avevo trovato una parte della mia famiglia.

- come hai vissuto in questi anni?

Le raccontai dei ragazzi, della droga, del fumo e le mostrai i tatuaggi e i tagli sulle braccia.

- O Linz, mi dispiace tanto.

Ricominciò a piangere.

- con chi sei andata a vivere?
- con zia Lea e nostra cugina Ronnie, loro non mi trattavano bene ma da un po' di tempo si sono fatte perdonare.
- zia? E'' da tantissimo che non la vedo! Perché si sono fatte perdonare?


Le raccontai dell'episodio con Jason che mi aveva fatto finire all'ospedale.

- Linz, hai passato tantissime disgrazie mi dispiace tanto è colpa mia, eri la mia sorellina la più piccola della famiglia era compito mio proteggerti invece ti ho persa e hai dovuto subire tutto questo da sola, non me lo perdonerò mai. 

La abbracciai. 

- Non è colpa tua ormai è tutto finito. Tu come hai vissuto?
- mi ha adottato Mary credeva di non potere avere figli invece poi ha avuto Mike e Mark ma non mi ha mai fatto mancare nulla e io le voglio bene come se fosse mia madre senza di lei non ce l'avrei mai fatta.

La abbracciò poi mi prese le braccia e osservò le cicatrici:

- Linz, promettimi che da oggi in poi vivremo una nuova vita felice e insieme. Dobbiamo recuperare gli anni persi.
- te lo prometto.


Sorrisi e aggiunsi guardando Justin:

- adesso possiamo dire davvero e vissero felici e contenti.
 
**

Negli anni passati almeno una volta alla settimana andai a trovare mia sorella. Eravamo a circa due ore di distanza ma era meglio così piuttosto che pensare di averla persa. Passammo dei pomeriggi indimenticabili che sostituirono piano piano tutti i brutti ricordi dei momenti passati piangendo.
Spesso sento la presenza dei miei genitori accanto a me e qualcosa mi dice che sono felici di vedermi sempre sorridente e contenta circondata da persone che mi amano come se avessero aspettato tutti questi anni che io ed Ellie stessimo bene.
Justin è riuscito a rendere la mia vita fantastica non riuscirò mai a ringraziarlo abbastanza per ciò che ha fatto e ciò che fa ogni giorno per me.
Sono passati 8 anni da quando ci siamo incontrati nello sgabuzzino delle scope e io lo amo sempre di più, adesso aspetto una bambina e ho deciso che non gli farò mai mancare nulla perché voglio che il suo unico problema nella vita sia quello di perdere il suo peluche preferito o non piacere a un ragazzo che desidera.. insomma un problema semplice da risolvere che non la segnerà a vita. Un problema di cui io non mi sono mai potuta preoccupare perché avevo troppe cose per la testa e Justin mi aiuterà a rendere la sua vita fantastica, la nostra vita fantastica.

Angolo autrice. 

Spero che la ff vi sia piaciuta, grazie di averla letta fino alla fine, grazie delle belle recensioni. Da quando ho finito questa ff mi sento vuota e mi mancano terribilmente i personaggi di Justin ed Ellie. Come avevo già detto ne sto scrivendo un'altra che posterò a breve spero che seguirete anche quella. Grazie di tutto e spero che questa storia vi abbia trasmesso le emozioni che volevo farvi provare. 
Vi voglio bene <3 c:

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