The only exception

di Nefelibata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Echoes ***
Capitolo 2: *** Bottom of the ocean ***
Capitolo 3: *** Mad world ***
Capitolo 4: *** Demons ***
Capitolo 5: *** Drunk ***
Capitolo 6: *** Runaways ***
Capitolo 7: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Echoes ***


The only exception.
Capitolo 1

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HARRY (Nefelibata)

                                                                                                                                                                                                                                            Sometimes when I close my eyes
I pretend I'm alright
But it's never enough
Cause my echo, echo
Is the only voice coming back

[Jason Walker - Echo]

A volte penso che la vita sia come una scalata in montagna.
C'è chi è avvantaggiato, ha tutta l'attrezzatura di qualità, la più costosa, e c'è chi si arrangia con ciò che può permettersi, una corda abbastanza robusta e qualche gancio.
C'è chi, nella sua strada, incontra pareti frastagliate, piene di insenature e c'è chi trova pareti lisce, e deve metterci il doppio del tempo e della fatica.
C'è chi è fiducioso, crede in quello che fa, sa che, seppur con fatica, raggiungerà la vetta e si godrà il vento fresco e il panorama da cartolina; c'è chi deve fermarsi un attimo a riflettere, a chiedersi se ce la farà, se la vista varrà la fatica, e finisce per abbandonarsi alla paura, finisce per arrendersi e accontentarsi dell'aria fresca che si insinua nella pelle e invade i polmoni.
Ma, soprattutto, c'è chi condivide il proprio cammino, chi ha una persona che sa che ci sarà, sa che verrà aiutato nelle difficoltà, come c'è chi, per quanto urli, per quanto fiato metta in corpo, l'unica voce che sentirà tornare indietro è il proprio eco.
E, in ogni caso, io rientravo nella seconda categoria.
Questo pensavo mentre spingevo sull'acceleratore, controllando al tempo stesso che ci fosse ancora abbastanza benzina, il paesaggio di fianco a me che passava da un fitto bosco ad una vasta prateria.
Se avessi potuto avrei continuato per la mia scalata, passo per passo, roccia per roccia; ma dovevo fermarmi un attimo, controllare che l'attrezzatura fosse a posto, guardare di sotto, magari, pensare a quanta strada avevo fatto e a quanta rimaneva da farne.
Mia madre era malata.
Quella consapevolezza mi si insinuò nel petto e raggiunse l'organo che lo occupava, provocandomi la pelle d'oca.
Avevo sempre visto mia madre triste, piena di rimpianti, stracolma di ricordi e vuota di fede, ma non mi ero accorto della sua profonda depressione.
I sensi di colpa che avevo messo a tacere la notte scorsa si risvegliarono catturandomi nella loro trappola.
Me n'ero andato, l'avevo lasciata sola, quando ero l'unica cosa di cui necessitava, l'unica cosa rimastogli.
Avevo ignorato le sue lacrime dicendomi che sarebbe andata avanti, sarebbe sopravvissuta, avevo evitato di chiamarla per non sentire la sua voce incrinata che, sapevo, mi avrebbe fatto cambiare idea.
Avevo deciso di vivere la mia vita lontano da lei, lontano da quel mare che si era portato via il mio unico punto di riferimento, lontano da quelle stelle che ogni notte illuminavano la mia stanza dalla finestra impedendomi il sonno, lontano da quella casa che aveva conosciuto la mia infanzia e i miei sorrisi e non faceva altro che sbattermi addosso ricordi, lontano da quel posto che avevo deciso di odiare.
Mi ero trasferito a New York, dove i grattacieli mi impedivano di vedere l'oceano, dove la luce artificiale impediva alle stelle di fare capolino, dove non avevo una storia.
Ma, in quel momento come non mai, me ne pentii.
Mia madre, il mio unico punto fermo, la mia unica famiglia, aveva rischiato di morire.
E io dovevo rimediare al suo dolore, dovevo starle vicino, accudirla, asciugarle le lacrime.
Dovevo abbandonare il mio percorso, aiutarla nella sua scalata.
Con questa consapevolezza spinsi più forte il piede sul pedale, macinando chilometri, lasciandomi alle spalle l'abbraccio rassicurante di New York per buttarmi in quello che era stato il mio incubo.
Lanciandomi nel vuoto e abbandonando la mia vetta, il mio obiettivo.
In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.
Provai paura per l'ultima volta, prima di abbassare i finestrini, permettendo all'aria colma di salsedine di penetrarmi nella pelle e abbandonando ogni pensiero.
Quell'aria mi era famigliare.
Quell'aria che mi aveva accompagnato per buona parte dell'adolescenza, quell'aria che avevo abbandonato e dimenticato sostituendola con lo smog, mi stava dicendo “Bentornato, Harry”.
Già, bentornato.

 


 

Era una giornata come tutte le altre, lentamente il sole cominciava a perdere il suo splendore scomparendo dietro innumerevoli nuvole che man mano lo inghiottirono.
Ormai ci ero abituato. Dopo una vita spesa a vivere a Londra mi faceva addirittura piacere avere la sensazione che di li a poco delicate gocce di pioggia sarebbero cadute dal cielo; mi faceva sentire a casa.
Non ho mai particolarmente amato la città; girovagare liberamente a bordo della mia barca era il modo migliore per impiegare le mie giornate.
Aiutato dal lento e silenzioso movimento delle onde che dolcemente mi cullava, riuscii a raggiungere più in fretta il porto. Preso nel guardare il da farsi attorno a me, legai stretta la barca all’unico gancio rimasto libero mente mi avvicinai alla passerella in legno, bagnata in parte dal via vai della gente.
Afferrai i remi bianchi perfettamente in tinta con il sedile posizionato al centro della barca; adoravo la sensazione del legno così liscio sulle mie mani nude. Li abbandonai sul fondo e con un movimento deciso uscii da lì dentro, tornando alla triste realtà della mia vita. 
Mentre la luna iniziava la sua scalata verso il punto più alto del cielo, iniziai a dirigermi verso casa, era abbastanza distante da dove mi trovavo in quel momento, così spesso mi divertivo contando i passi appena compiuti, giusto per impedire alla mia mente di affollarsi di inutili pensieri e preoccupazioni: la vita andava semplicemente vissuta.
Attraversata la città, il traffico sembrava farsi sempre più denso, e non appena ebbi imboccato la strada giusta, rallentai il passo, impegnandoci il doppio del tempo, propenso a tardare quanto più fosse stato possibile.
<< ehy Stan! >> salutai il mio migliore amico mentre camminava dall’latra parte della strada a testa bassa.
<< ciao Boo. >> rispose sfottendomi; alzò la mano in segno di saluto, dopo di ché gli sorrisi prima di svoltare l’angolo della vita. Sapeva che odiavo essere chiamato così. Io e Stan siamo amici da una vita, è come un fratello per me; abbiamo condiviso fin troppi momenti insieme, ma delle volte è come se se ne dimenticasse.
<< sono a casa! >> urlai sbattendo la porta alle mie spalle. 
Nessuna risposta al mio saluto, come al solito. 
Presi dalla dispensa un bicchiere in vetro blu, ci versai quell’acqua e corsi su per le scale diretto nella mia camera. 
Buttai via le mie scarpe, odiavo doverle indossare, di tanto in tanto camminare scalzo per strada non mi dispiaceva affatto. Aprii l’anta del mio armadio tirando fuori la mia coperta in pile preferita, mi sedetti sul letto bevendo l’ultimo sorso d’acqua rimasto, poi stanco della mattinata appena trascorsa mi lasciai andare sul materasso scricchiolante, accendendo la televisione ad uno di quei stupidi programmi che guardi quando non hai voglia di pensare a niente.
Sentivo il rumore della pioggia infrangersi sul vetro della finestra, con lo sguardo seguii per una manciata di minuti le piccole goccioline fare a gara verso il basso, rincorrendosi fra loro.
D’un tratto la porta della mia camera di spalancò di colpo. << dove sei stato? >> sentii una voce espandersi per tutta la stanza.
<< prova ad indovinarlo, mamma. >> dissi con un pizzico di ironia nella mia voce, mentre facevo zapping alla tv.
<< Louis sono seria, è da ieri sera che non ti vedo rientrare, dove sei stato? >> 
Abbassai lo sguardo, scorticando con le unghie i tasti del telecomando. Sapevo che odiava venire a conoscenza della verità, ero certo che questa volta non l’avrebbe accettato.
<< sei stato di nuovo al porto, vero? >> capì lei quasi indignata dal mio gridato silenzio. << rispondimi Louis, perché mi fai questo? >> disse ancora. << quando capirai che, non è ciò di cui hai bisogno, che non è questa la vita adatta a te? >> gridò con la voce rotta dalle lacrime. 
<< e tu cosa ne sai? Come fai ad esserne così sicura dal momento che, non hai neanche mai provato a conoscermi, a capirmi. >> mi alzai dal letto di scatto. << sei sempre troppo presa da te stessa mamma, per qualunque cosa, come fai a dire che non è ciò che voglio fare? >> 
<< non è quello che io e tuo padre abbiamo progettato per te Louis! >> 
<< proprio non capisci che non puoi obbligarmi. >> le mani mi tremavano, non riuscivo più a controllarmi. << mi dispiace, mi dispiace che non sono il figlio che vorresti mamma. Non lo sono e mai lo sarò! Dovrai accettarlo prima o poi. >>
Sentivo le lacrime intrappolate nei miei occhi, al contrario delle sue, che venivano giù incapaci di fermarsi. Una dolorosa fitta al cuore mi colpì nel vederla in quello stato, ma per una volta tanto nella mia vita dovevo decidere a modo mio.
Infilai le scarpe e presi la giacca che avevo abbandonato ad un angolo del letto.
<< ed adesso dove vai? >> domandò sorpresa.
<< il più possibile lontano da qui, scusami. >> aprii la porta ed uscì di casa certo della mia direzione.
Mentre la pioggia mi abbracciava, il luccichio degli occhi venne coperto da un ciuffo di capelli bagnati che mi ricadevano sul volto. Cosa avrei voluto fare della mia vita? Avevo una sola e unica risposta ad una domanda tanto grande. Non potevo fare a meno di pensare alla mia vita come uno di quei stupidi cubi colorati. Le mie giornate sono paragonabili ad ogni singola mossa falsa verso il completamente di quei colori. Per quanto possa sforzarmi, sapevo per certo che mai sarei riuscito a rendere i miei genitori fieri di ciò che volevo essere.
Il mondo colmo di sole scelte, giudizi e rimpianti è troppo pesante da sopportare.
Sono come un bambino che non vuole lasciarsi andare, che preferisce rimanere nella spensieratezza che la gioventù offre, piuttosto che guardare avanti il futuro; riesco persino ad ammettere la paura nel vedermi qualcuno un giorno, nel spingermi verso nuovi orizzonti che non ho intenzione di provare.
Una brezza umida e fredda, spazzava via la sabbia colmando le buche solcate dai miei piedi; aveva appena smesso di piovere, ed in lontananza una figura avvolta in una pesante giaccia, correva verso la sabbia deserta lanciando in mare piccoli sassi. La foschia si addensava sul mare confondendo la linea dell’orizzonte.
Ricordo di tutte le volte che da bambino andavo in barca con mio nonno; mi raccontava storielle ed annedoti degni di un appassionato di storia quale era, aggiungendoci un tocco personale in più, direi oggi riflettendoci. Non nutrivo un particolare interesse per l’argomento, ma la sua voce sembrava cullarmi insieme alle onde del mare.
Quel ricordo mi fece capire ancora una volta quanto fossi portato per quella vita.

*

Okay, allora, ci son molte, troppe cose da dire (?)
Ci abbiamo messo un po' ma alla fine ce l'abbiamo fatta, visto ?
Avevo in mente questa long da molto tempo (chi segue le mie os lo sa) e appena ho letto una os di Sharon (così si chiama) ho capito che era quella che serviva per il punto di vista di Lou.
Io ho scelto Harry perchè da quello che ho capito del suo carattere rispecchia molto il mio, e perciò mi sarei potuta immedesimare meglio nel personaggio.
Sharon ha scelto Louis perchè non aveva altra scelta (LOL)
Questa fan fiction mi è venuta in mente guardando un film del Giffoni (in caso ve lo stiate chiedendo si, quest'estate ho passato i pomeriggi guardando i giffoni), non rivelerò il titolo ma chi l'ha visto capirà sicuramente, soprattutto dalla situazione della madre di Harry.
Abbiamo deciso (in realtà ho deciso io, ma Sharon era d'accordo LOL) di ispirarci, per ogni punto di vista, a delle canzoni che sceglieremo man mano. La prima è echo di Jason Walker. Il titolo invece è preso da The only exception dei Paramore. Ho scelto questo titolo perchè ritrovo molto di questa fan fiction in quella canzone, ve ne accorgerete più in là (?) soprattutto per il punto di vista di Harry.
Se ci lasciate una recensione, anche molto piccola, ve ne siamo grate.
Vorrei postarvi gli account di Twitter, ma siccome non ricordo nemmeno quello di Sharon (sono un caso perso, I know) li posto nel prossimo capitolo.
Grazie a tutti i lettori.
Alla prossima !
Nicole

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Capitolo 2
*** Bottom of the ocean ***


The only exception. 
capitolo 2

 



HARRY (Nefelibata)

How could I be losing you forever, 
After all the time we spent together 
I have to know why I had to lose you 
Now you've just become like everything 
I'll never find again, 
At the bottom of the ocean
[Miley  Cyrus – Bottom of the ocean]

Come ho potuto perderti ?
È questa la domanda che mi posi quando fermai la macchina davanti a quella casa.
Quella casa, la casa dove avevi conosciuto il mio sorriso, la casa dove mi facevi volare in aria e io gridavo di smetterla perché avevo paura.
La casa da cui fuggivo dopo i tuoi litigi di con mamma, per andare a piangere sulla scogliera.
La casa dove una volta viveva una famiglia, caratterizzata da felicità, armonia, pace.
Eppure allora come mai mi sembrava tetra, quasi pericolosa.
Feci per slacciarmi la cintura ma mi accorsi che i miei muscoli non volevano reagire, tutto di me mi stava dicendo di fermarmi, di non farlo, di non scendere, di tornare indietro magari, ma la mia coscienza era una dura rivale, e alla fine ebbe la meglio.
Rimasi a fissarla con occhi lucidi e sguardo perso.
I ricordi riaffiorarono, mi attaccarono come uno sciame d’api e mi investirono, mi travolsero, mi uccisero.
Come ho potuto perderti ?
Presi un bel respiro, consapevole che non me ne sarebbero bastati mille per affrontare tutto quello, per provare a fronteggiare il passato, per provare ad andare avanti.
Costrinsi le mie mani a posarsi sulla mia cintura e a slacciarla, costrinsi le mie dita ad aprire la portiera, costrinsi le mie lacrime a tornare da dove sono venute e il mio cuore a rallentare i battiti.
<< Coraggio Harry, puoi farcela. >>
Pensai ad alta voce.
Con passo lento e la mente traboccante di flashback, mi avvicinai alla porta, quella che troppe volte avevo sentito sbattere da uno dei miei genitori.
Era sempre la stessa, forse un po’ sbiadita, ma sempre graffiata e rovinata.
Avvicinai il dito tremante al campanello e premetti più forte che potei, di scatto, come se non volessi tornare indietro.
Mentre attendevo mi scoprii a desiderare di aver sbagliato casa ma no,dentro di me ero sicuro, era quella.
Certe cose non si dimenticano.
Sentii dei passi veloci, che andavano a ritmo con il mio cuore, e finalmente la porta si spalancò.
Per un attimo rimasimo entrambi a fissarci e studiarci, curiosi di vedere come eravamo cambiati, timorosi della reazione altrui.
Dopo un minuto buono fece un grande sorriso e con gli occhi lucidi esclamò << Harry! >>
<< Cora! >> ci abbracciammo stringendoci forte, mi era mancata, dio se mi era mancata.
Con un gesto della mano mi fece accomodare, come se non fosse casa mia, e mi ritrovai a fissare una casa che non aveva più anima, che non era più quella di una volta.
<< Non è cambiato nulla >> notai quasi sospirando con un mezzo finto sorriso.
<< No, certo, la casa è sempre la stessa >> mi fece notare calcando appositamente su “la casa” .
<< Dov’è lei ? >> Anche se la mente mi diceva di prendere altro tempo, aspettare, magari scappare, il mio cuore esigeva di vederla, mi era mancata anche lei, terribilmente.
<< Lo sai dov’è.. >> disse sospirando.
<< Come.. è successo ? >>
<< Una notte, quando già dormivo, si è alzata ed è scesa in cucina. Pensavo volesse dell’acqua, come altre notti, così non scesi anch’io. Ho sentito bussare alla mia porta. Sapendo fosse lei mi sono messa a sedere e ho detto “Avanti”, è entrata lei e.. >>
Fece una piccola pausa prendendo aria con le lacrime che ormai facevano a gara sul suo viso
<< E ho visto che aveva il polso squarciato, c’era sangue dappertutto, eppure lei era calma, ma i suoi occhi contenevano tutta la tristezza di questo mondo. Non sapendo cosa fare l’ho fasciata e l’ho portata all’ospedale, dio, sono rimasta sconvolta. >>
Continuò prendendosi il viso tra le mani e abbassando il capo, al che l’abbracciai per rassicurarla.
<< Ora non smetto un secondo di tenerla d’occhio, sai ? Ma ora che ci sei tu, andrà tutto bene. Tu sei la sua luce, Harry, sei la cosa più bella e preziosa che ha, sei l’unico che gli rimane. Ti prego, non andare di nuovo via. >>
<< Sono qui, non me ne vado, Cora. >>
<< Harry, so che non vuoi tutto ciò, so che ormai ti sei fatto una vita, abbastanza lontano dai fantasmi del passato, so che vorresti essere dovunque tranne che qui, ma c’è un mito che dice che, nei momenti di sconforto, bisogna parlare con dio, lui ci ascolta, sai ? Devi scrivere la tua preghiera su un foglio, metterlo in una bottiglia di vetro chiusa e lanciarlo in mare. Ma devi crederci davvero. >>
Annuii poco convinto.
Dio ? Io non avevo bisogno di lui, avevo bisogno di mio padre, avevo bisogno che lui tornasse.
<< Va da lei. >> Disse dopo minuti che sembrarono infiniti.
Annuii di nuovo alzandomi e scappando da quel posto.
Sapevo dove trovarla.
Prima di uscire di casa, però, notai una foto sopra il camino, la sua foto.
Mi avvicinai e con mani tremanti la prensi, scansando la polvere.
Conoscevo quella foto, la guardava sempre orgoglioso. Raffigurava lui, sorridente come sempre, davanti alla ARY, come aveva chiamato la sua barca, che aveva costruito lui stesso.
Mi scappò un piccolo sorriso, sotto il peso dei ricordi.
Dio, quanto mi manchi.
Posai la foto e mi avviai verso il cimitero, mentre contavo i miei passi per non pensare a ciò che sta per accadere, mentre provavo a tenere sotto controllo il mio respiro.
Arrivai qualche minuto dopo.
Attraversai la cancellata in ferro battuto e il cuore fece un salto a vederla lì, in ginocchio, il braccio fasciato, davanti ad un’unica lapide.
Mi avvicinai lentamente e una volta raggiunta mi sedetti sul prato vicino a lei, la manica della felpa a scacciare una lacrima, a leggere quel nome, quelle date, quell’agglomerato di lettere che non avrebbe dovuto avere un senso.
Si girò a guardarmi, feci lo stesso e mentre lei apparve impassibile al contatto tra i nostri occhi, io sussultai, al vedere quel viso segnato dal tempo e dal dolore, quegli occhi che non erano più quelli di mia madre.
<< Sei cresciuto così tanto.. sei così bello, assomigli a tuo padre >> Mormorò con l’ombra di un sorriso.
Non resistetti più, la strinsi in me in un abbraccio che racchiudeva tutto il dolore e l’amore del mondo.
Non potei farne a meno, strinsi le braccia con tutta la forza che avevo in corpo, per proteggerla, per allontanarla dalla mortale morsa della malinconia.
La strinsi a me lasciandomi alle spalle ogni paura, tutta la mia voglia di fuggire.
<< Perché l’hai fatto ? >> Mormorai con voce tremante.
<< Non credevo di riuscire a sopravvivere, senza di te, senza di lui. >>
<< Mi dispiace di averti lasciata sola, era.. era troppo per me. >>
Rimasimo in quell’abbraccio soffocante per un’ora, a mormorare scuse, frasi senza senso, cose che sapevamo entrambi che avremmo cancellato dalla mente, già affollata da troppe voci.


Mi sedetti sugli scogli scivolosi, voltando lo sguardo verso il mare.
Non sapevo perché ero lì, non sapevo perché reggevo tra le mani una bottiglia e un foglio di carta con una penna.
Non avrei voluto vedere il mare, non avrei voluto ascoltare il verso dei gabbiani mischiato con l’infrangersi delle onde, non avrei voluto sentire ancora quel profumo, ma dovevo tentare.
Quando non si sa cosa fare, ci si aggrappa alle cose più stupide, con la speranza di sentirsi meglio, con la speranza di rimettere le cose a posto.
Distolsi lo sguardo da quella distesa d’acqua per posarlo sul pezzo di carta che avevo in mano.
Senza pensarci un attimo scrissi, scrissi tutto ciò che mi passava per la testa, scrissi come se parlassi con mio padre, invece che con dio, scrissi dei miei desideri, uno solo in realtà, scrissi le mie speranze, i miei sentimenti.
Buttai tutto lì, sul bianco, facendolo diventare me.
Quando finii lo arrotolai per poi infilarlo nella bottiglia e dopo averla chiusa mi alzai e la lanciai il più lontano possibile, rimanendo a guardarla mentre cadeva in acqua sollevando alcuni schizzi.
Tornai a sedermi accorgendomi di non provare emozioni e rimasi a guardare quella bottiglia che, portata via dalle onde, provava a raggiungere dio, o forse mio padre, sul fondo dell’oceano.




LOUIS (_larrysmoments)

Il freddo di quella sera mi fece rabbrividire.
Avevo le mani bianche, ed un po’ arrossate vicino che nocche, ero bagnato fradicio, ma il calore della mia morbida felpa rossa non si smentiva mai. 

Mi avvicinai sempre più alla riva del mare, stringendomi forte in essa, facendo scorrere il mio sguardo perso lungo la scogliera lì vicino. Era quella la mia destinazione, l’unico posto dove poter essere lasciato in pace a combattere contro i pensieri che vagavano senza sosta nella mia mente.
Nuvole grigiastre mi circondavano riflesse fra le onde del mare, tanto da sembrare piombo liquido, dandomi l’impressione di vedere l’intoccabile colore della mia vita.
Sentii i brividi affiorare ancora una volta lungo la schiena, spingendomi ancora una volta ad urlare il mio dolore; era tutto inutile, le sentivo intrappolate nella gola, incapaci di liberarsi.
Mentre mi dirigevo al molo però, notai una barca ormeggiata, dove la vela era accuratamente avvolta nel copriranda, e un carico di pacchi sigillati che mi fece incuriosire, ma che non avevo intenzione di violare, giaceva sul fondo; mi sorprese però il fatto che nei paraggi sembrava non esserci nessuno. 
Per un attimo mi distolse da quella che era la realtà, facendo apparire un abbozzo di sorriso sulle mie labbra: era splendida, maestose a piena di vita, molto diversa da ciò che era solito circondarmi, mi ricordava un po’ i vascelli dei pirati, era forte!
Mentre camminavo su e giù, cercando di osservarla in ogni singola angolazione possibile, sentii un tonfo nell’acqua farmi sussultare di colpo. Come d’istinto mi voltai ed in lontananza scorsi fra il buio del cielo, e il luccichio delle stelle, una piccola figura avvolta in un alone scuro, ferma sulla punta della scogliera. Non si muoveva, ne accennava a farlo. Quella sottospecie di piccolo vascello mi aveva alquanto affascinato, certo, ma vedere qualcuno essere riuscito a salire su quella scogliera che, per quanto potessi esserne geloso, non era frequentata da nessuno, mi incuriosì a tal punto da aumentare il passo e raggiungere quanto prima.
Era difficile da raggiungere: ogni pietra che la componeva era spigolosa e molto, molto alta. Ero il solo che nonostante i graffi sulle mani, e qualche taglio sparso qua e là sulle ginocchia, piaceva salire in cima e respirare affondo quell’aria che, avrei giurato appartenesse ad un altro mondo.
Era di spalle, continuava a non muoversi. Il vento gli penetrava fra i riccissimi capelli color castano, e mentre avanzavo verso di lui, sembrava non essersi affatto accorto della mia presenza.
Ero immobile sulla sua sinistra, fissando il suo profilo spaventosamente perfetto. Perché una stretta al cuore sembrava volermi uccidere?
I suoi erano occhi fissi verso il mare, cercai di capire cosa stesse fissando con così tanta rabbia; volevo parlargli, dirgli qualcosa per ammirare bene il suo volto, composto la carnose labbra socchiuse e ciglia folte, avvolte in uno sguardo pensieroso.
Intravidi qualcosa galleggiare fra le onde nonostante in buio pesto di quella sera. Sgranai gli occhi, non riuscendo a capire bene cosa fosse.. 
<< Non funziona quasi mai, ci ho provato molte, forse troppe volte. >> dissi, riuscendo ad identificare, prima che affondasse del tutto quell’oggetto galleggiante: era una bottiglia. 
A quel punto il ragazzo si accorse della mia presenza, ma non sembrò battere ciglio, era indifferente a tutto.
<< Forse. Cora dice che bisogna crederci davvero, per far si che funzioni. >> 
<< E tu ci credi ? >> mi risultò spontaneo chiedere.
<< No. >>
Per un secondo smise di guardare il vuoto, rivolgendomi un solo guardo freddo. Mentre parlava, riuscii ad intravedere sul suo volto due fossette che spuntavano ai lati della bocca. I suoi occhi gridavano dolore un po’ come i miei, conoscevo bene quell’espressione, nonostante mi diede la sensazione che prevaleva sul mio.
Non accennava ad ampliare la sua risposta, perciò decisi azzardatamente di sedermi accanto a lui.
<< Mi chiamo Louis. >> mi presentai cercando di strappargli qualche parola di bocca. 
<< Okay. >>
<< Non vuoi dirmi come ti chiami ? >> 
<< Che importanza ha? Se mi chiamassi Liam, Niall o Zayn, che differenza farebbe, sono sempre io, no ? >> rispose.
<< Forse. Ma almeno se ti vedrò in giro, potrò salutarti. >> 
<< Tranquillo, non succederà. >>
<< E perché ? >> domandai stordito.
<< Perché stare qui è una fottuta perdita di tempo. Parlare con un dio che non esiste è una fottuta perdita di tempo. >> 
<< Il mare non è mai una perdita di tempo. >> il suo tono stava iniziando ad innervosirmi. Chi era lui per giudicare questo meraviglioso posto?
<< Beh, dammi un solo motivo per cui dovrei tornare in questo posto, per stare davanti a ciò che odio di più, perché è riuscito a portarmi via ciò che amavo di più. >>
Le sue parole suonavano senza senso, probabilmente una valida spiegazione ce l’avevano, ma continuavo a non capire e lui sembrava non volersi sbilanciare troppo.
<< Ci rivedremo, magari. >> 
<< Questo dovrebbe essere un valido motivo ? >> 
<< Okay, mi arrendo. E’ stato bello conoscerti, senza nome. Addio! >> e me ne andai, irritato dalla sua ostilità. 

*

Ed eccovi il secondo capitolo.
Ci sono rimasta male a vedere che la storia la seguono solo 7 persone ma okkei, non mi toglierete dai piedi così facilmente.
Vorrei ringraziare le 6 persone che hanno recensito il primo capitolo. No cioè siete la mia gioia.
Bhe qui assistiamo all'incontro dei nostri amatissimi Larry *esulta interiormente*
Come vi è sembrato Harry? E Louis? 
E secondo voi chi è Cora? 
La canzone è Bottom of the ocean di quella figa della Cyrus. Ascoltatela perchè ne vale la pena.
Se lasciate una piccola recensione io e la la meraviglia di Sharon siamo felici (?)
Ci vediamo con il prossimo capitolo.
Un bacio
Nicole

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Capitolo 3
*** Mad world ***


The only exception. 
capitolo 3


HARRY (Nefelibata)

And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I’m dying are the best I’ve ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It’s a very very mad world
[Gary Jules - Mad world
]

Questo è un mondo pazzo.
È un mondo pazzo quando la gente corre di qua e di là senza una meta, senza uno scopo, per vivere un'altra giornata monotona, uguale alle altre, senza senso, senza vita.
È un mondo pazzo quando ci insegnano l'educazione, la religione, ci dicono in cosa dobbiamo credere, cosa si può fare e cosa no, ma nessuno può insegnarci a vivere.
È un mondo pazzo quando il male si insinua nelle vene, lasciandoti senza fiato, senza emozioni, senza obiettivi, senza sogni, senza speranza, senza anima.
Ed è un mondo pazzo quando ti accorgi di essere seduto su uno scoglio, ad aggiungere qualche lacrima a quella distesa azzurra che sembra così bella, così limpida, eppure ti ha portato via tutto.
È un mondo pazzo quando hai appena scritto una lettera per non si sa chi, forse sarà un angelo, forse una sirena, forse un pescatore.
È un mondo pazzo quando ti rendi conto che questa volta ci stai credendo davvero, perché 24 ore prima, appena sei tornato a casa, ti sei sentito meglio.
È un mondo pazzo quando senti dei passi dietro di te che si avvicinano, e non è un rumore fastidioso, è leggero, ti culla.
È un mondo pazzo quando decidi di non voltarti, perché quel rumore lo conosci già, e la memoria fotografica ti permette di dare un volto e in particolare un paio di occhi verdi a quei passi.

La figura si sedette accanto a me, e quando voltai lo sguardo, quasi rimasi senza fiato al constatare che non era il volto che mi aspettavo.
I capelli erano più castani.
Il sorriso era più luminoso.
Gli occhi più azzurri, quasi fatti d'acqua.
Sospirai frustrato, avevo davvero creduto di rivederlo ?
Avevo davvero pensato che quei passi lenti, così tipici di mio padre, sarebbero venuti a salvarmi ?
Solo dopo che una folata di vento spinse delicatamente via tutti i miei pensieri infrangendosi sul mio viso, mi accorsi che Louis non aveva ancora aperto bocca.
Con la coda dell'occhio vedevo che mi guardava di sottecchi, ma poi si voltava verso l'incontro tra il cielo e il mare, e i suoi occhi diventavano ancora più celesti.
Era la creatura più bella che i miei occhi avessero mai visto, tutto di lui sembrava sprizzare gioia, vitalità, pace.
Ma io vedevo quel luccichio nelle sue iridi, quel luccichio che conoscevo fin troppo bene, dopo averlo visto per anni allo specchio.
Quello era dolore, Louis non era felice.
Il giorno prima gli avevo risposto male, avevo respinto il suo tentativo di entrare in contatto con me, di conoscermi, esplorarmi a fondo, solo per la mia paura.
Paura di sbagliare ancora, di essere una delusione per le persone, di causare sofferenza, ancora.
Avevo formato un involucro trasparente attorno a me, le persone stavano fuori, mio padre dentro al mio cuore lacerato.
<< Non mi chiederai scusa, non è così ? >>
Una voce soave mi riscosse dai miei pensieri, e mi ricordai di non essere solo.
Senza pensarci due volte indossai di nuovo la mia maschera, quella che mi avrebbe permesso di non soffrire più, di non provare sentimenti, di non dimenticare.
<< Non vedo il motivo per cui dovrei farlo. >>
Sbottai acido.
Vidi un lampo di delusione balenare in quei pozzi d'acqua mentre abbassava lo sguardo e si mordeva il labbro.
Quella visione fece scattare qualcosa in me.
<< Voglio dire.. io non ho fatto nulla, sei tu che sei venuto da me e ti sei presentato. >>
Dissi velocemente e con tono decisamente più dolce.
<< Tu non sei felice.. vero ? >>
Disse ignorando la mia precedente affermazione.
<< Bhe non si può dire che sprizzi gioia >>
<< è.. per qualcuno a cui tieni molto ? >>
Tutte quelle sue domande stavano iniziando a innervosirmi.
Nessuno si era mai interessato alla mia vita, al mio stato d'animo, nessuno aveva mai provato a scalfire quel muro che avevo innalzato, nessuno aveva mai superato quel limite.
Utilizzai la sua stessa tattica.
<< Ieri mi hai detto che hai provato tante volte a lanciare bottiglie in acqua, perchè lo facevi ? >>
Questa volta fu lui a sospirare.
<< Perché era l'unico modo che avevo di sentirmi libero, il mare è l'unica cosa che mi fa sentire libero >>
Rispose con ovvietà.
Mi girai a guardarlo, in poche frasi mi aveva fatto capire che amava il mare, lo diceva il suo abbigliamento, lo dicevano i suoi occhi blu, lo diceva il suo sguardo d'ammirazione verso le onde.
<< Ti sei mai sentito come se avessi qualcosa, che è l'unica cosa in cui credi, l'unica cosa che ti fa sentire al tuo posto, giusto ? Qualcosa che è l'unica cosa a cui aggrapparti, l'hai mai avuta ? >>
<< Mio padre, o meglio, il ricordo di mio padre. >>
Dissi istintivamente, rendendomi conto solo dopo di avergli concesso una risposta, avergli concesso una soluzione.
"Non sa nemmeno il tuo nome ed è già riuscito ad abbattere uno dei tuoi mille muri" Pensai frustrato.
<< Lui.. non c'è più ? >>
Chiese con voce dolce e tono pacato.
Si vedeva che cercava di essere il più paziente possibile, come uno psicologo che ha a che fare con un bambino, parlava con lentezza, quasi avesse paura di una mia reazione improvvisa come quella del giorno precedente.
Ero stufo di rispondere a quel ragazzo.
Ero stufo di ammettere a me stesso che no, lui non c'era più, era su da qualche parte, nel cielo, ancora sulla ARY, ancora a raccontare vecchie leggende da lupo di mare agli angeli.
Ero stufo di questo mondo pazzo, e in particolare ero stufo di quel ragazzo che mandava in confusione tutti i miei piani, tutti i miei punti fissi.
Ero stufo della sua bellezza e dei suoi occhi inquisitori, che cercavano di strapparmi una confessione.
Ero stufo di Louis.
<< Si è fatto tardi, devo andare a casa. >>
Biascicai velocemente alzandomi in fretta.
<< Posso venire con te ? >>
Spalancai gli occhi, nessuno mi aveva mai chiesto di stare con me, nessuno aveva mai desiderato avermi vicino.
Mi girai a guardarlo per l'ennesima volta. Nei suoi occhi c'era speranza, quasi mi imploravano di dirgli di si.
Ma..
<< No. >>
Lui, per nulla sorpreso dalla risposta, sospirò nuovamente.
<< Saprò mai il tuo nome ? >>
<< Può darsi.. >>
Non rispose ma sorrise, e mentre le mie scarpe battevano sull'asfalto e i miei occhi si guardavano attorno osservando il paese in cui ero cresciuto, inaspettatamente lo feci a mia volta.
Perché con quella frase gli avevo fatto intendere, involontariamente, che sarei tornato agli scogli il giorno dopo.
L'avevo invitato silenziosamente a tornare, a riprovare a entrarmi nella mente e leggermi, a riprovare a conoscermi, a sapere il mio nome.
Perché, per quanto mi fosse difficile ammetterlo, la voce di Louis era piacevole, mi piaceva ascoltarlo, mi sentivo a casa.
Le sue parole mi rimbombavano in testa, e quasi desiderai di tornare indietro, di sedermi accanto a lui, sfiorare la sua spalla con la mia, e raccontargli di me.
Ma non potevo, ormai ero come un vegetale, non dovevo affezionarmi alle persone e loro non dovevano affezionarsi a me.
Non avrei più contaminato nessuno con il mio essere sbagliato, il mio dolore.
Non avrei più fatto soffrire qualcuno come avevo fatto con mia madre.
Ed era proprio un mondo pazzo, quello in cui la gente piange talmente tanto da riempire infiniti bicchieri.
Era un mondo pazzo quello in cui le persone attorno a me non avevano espressioni, erano vuote, erano niente.
Era un mondo pazzo quello in cui sorridevo e piangevo allo stesso tempo la notte, perché quel volto era il mio sogno e il mio incubo.
Era un mondo pazzo quello in cui conoscevo fin troppe persone, ma nessuno conosceva me.
Ed era un mondo pazzo, quello in cui avevo un appuntamento, un tacito accordo, con Louis.
Era proprio un mondo pazzo quello, perché per la prima volta, in anni di vita, la parola "amico" mi si insinuò nella mente, facendomi sorridere spontaneamente.


 


LOUIS (_larrysmoments)

Il vento iniziava a scagliarsi contro i miei capelli appena dopo aver abbandonato la scogliera ed il ragazzo dai riccissimi capelli che poco prima aveva sfoderato tutta la sua rabbia ed ostilità nei miei confronti.
Ad essere sincero, male c’ero rimasto eccome, ma nonostante non sapessi niente di lui riuscivo quasi a percepire il suo stato d’animo; come si suol dire, gli occhi sono lo specchio dell’anima e, mentre i suoi si sposavano alla perfezione con il colore delle onde del mare, traspariva tutta la sua angoscia. 
Presi ad affondare i piedi scalzi nella sabbia fredda e bagnata delle onde che non mi facevano sentire solo. 
Mi voltai a guardare verso il mare così grande, così splendente, così 
infinito, e come d’istinto avanzai verso di esso respirando affondo tutto ciò che era la mia anima.
Mi voltai a guardare ancora una volta verso la scogliera quando un sussulto mi colpì improvvisamente, a quel punto capii che tutto ciò che avrei voluto vedere era la sua sagoma in lontananza mentre veniva colpita dallo splendere del sole di quel pomeriggio.
Alle mie domande non faceva altro che rispondere con il suo silenzio, non conoscevo niente di lui a partire dal suo nome, mi sentivo di troppo ogni qual volta era seduto su quello scoglio in silenzio a fissare il voto, a stenti saprei riconoscere la sua voce, ma ciò non mi impediva di provare a strappargli di bocca anche solo qualche sospiro, affatto. 
Mentre con lo sguardo ancora rivolto verso la scogliera, cercavo di immaginarlo mentre con quella sciarpa che gli circondava il collo correva nella mia direzione, qualcosa di freddo sfiorò le dita del mio piede.
Istintivamente mi voltai a guardare cosa fosse, mentre quella strana sensazione mi colpì ancora una volta.
Una bottiglia.
Una bottiglia ? 
Mi chinai affascinato ed anche un po’ spaventato, non volevo che nessuno mi scoprisse, soprattutto quando mi accorsi che conteneva una lettera; non era giusto rubare al mare ciò che gli era stato donato, non era giusto sottrargli segreti che avrebbe potuto conservare in eterno. 
Avevo quella bottiglia in mano e tra le mie dita bagnate la giravo e rigiravo non certo di volerla lasciar andare via.
La scrittura era calcata tanto da trasparire dall’altra parte del foglio avvolto su se stesso, la curiosità iniziava ad aggredirmi molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. In fondo sarebbe potuto diventare un segreto che avrei tenuto nascosto insieme a lui, il mio migliore amico, il mare.
Non volli pensarci oltre, asciugai forte quel vetro sulla mia maglietta sgualcita e corsi furtivo verso casa, dove nessuno avrebbe potuto vedermi.


 

È così strano qui senza di te, papà. È strano non sentire più la tua risata, forte e piena, che si scagliava sugli scogli neri quando ti chiedevo perché la ARY non affondava. Tu ridevi, accarezzandomi i ricci da dietro e quando alzavo la testa per cercare una risposta in quegli occhi sapienti ti trovavo con lo sguardo rivolto sempre lì, sempre al mare.
Ricordo che ogni volta rispondevi semplicemente “Perché le sirene la sostengono, Harry”. Io, dalla mia fanciullezza pura, non potevo fare altro che annuire affascinato e sentirmi più leggero, credendoci davvero.
Ho smesso di credere ai tuoi racconti sul mare quando vidi la mamma in lacrime. Pensai che se il mare è fatto di lacrime, non è poi così bello.
Ricordo quando volevi farmi provare a fumare la pipa, ma la mamma si era opposta, allora l'avevi fatto di nascosto. Io però, un ragazzino alle prime armi, ero corso per tutta la casa tossendo e lei ci aveva scoperto.
Quante risate, papà, quando stavamo ridipingendo il muro. “Giallo” avevi detto, “Così la luce del sole sarà più lucente” e ci sporcavamo a vicenda e mi facevi il solletico sui vecchi giornali stropicciati.
Mi manchi così tanto, papà. Sono vuoto, non ho emozioni, sono un guscio senza sostanza. Probabilmente non vorresti vedermi così, vorresti vedermi vivere, vivere davvero. Mi hai sempre insegnato a godermi ogni attimo come fosse l'ultimo, ma ogni attimo è come nebbia, senza te. Non ha colore, non ha odore, non ha consistenza. Sono senza colore.
Mi sono chiuso in me stesso e vivo in automatico. Mangio, bevo, dormo, respiro, ma non ho uno scopo per cui farlo.
Il segreto della vita, Harreh, è trovate qualcosa per cui valga davvero la pena di vivere, qualcosa per cui alzarsi presto la mattina e preparare la colazione, un motivo per combattere.” dicevi sempre. Bhe il mio motivo eri tu, il mio sorriso eri tu, tu eri tutto.
Sai, ieri ho incontrato un ragazzo, si chiama Louis. Ha provato a conoscermi, ha chiesto il mio nome, si è presentato, si è seduto accanto a me, mi ha parlato. Ti sarebbe piaciuto, papà. È davvero bello, ha la tua stessa luce negli occhi e le stesse mani ruvide tipiche di chi tiene i remi tutto il giorno. Forse è per questo che l'ho respinto, non gli ho permesso di guardarmi dentro, ho blindato il muro che mi circonda, non gli ho nemmeno detto come mi chiamo. Non voglio più essere la causa della sofferenza di qualcuno. Eppure qualcosa, dentro di me, mi diceva di sorridergli, mi diceva che anche lui era come me, bello fuori e marcio dentro. A me sembrava così puro e genuino.
Forse lo rivedrò oggi, forse tornerà agli scogli, forse mi riparlerà. In fondo al cuore lo spero.
Mamma dice di stare bene, ma io la vedo, quell'ombra nei suoi occhi, un velo di sofferenza immensa, un velo da cui devo distogliere lo sguardo per non sentirmi schiacciare il cuore.
Mi manchi, papà, a me, alla mamma, a Cora.
L'unico pensiero che mi rincuora è che sei ancora lì sotto, nel mare, quel mare che amavi, quel mare che chiamavi il tuo mondo.
Se credessi ancora alle sirene gli sussurrerei di prendersi cura di te, ma ormai non ha alcun senso.
Ti voglio bene, sempre.
                                                                                                                       Harry


 

Le mani mi iniziarono a tremare, mentre sprofondavo sempre di più con i gomiti sul cuscino del mio letto.
Harry, era questo il suo nome? Non credevo l’avrei scoperto in questo modo, non credevo l’avessi scoperto affatto. 
Mi sentivo uno stupido, un vero idiota per aver pensato anche solo per un istante a lui come un vero stronzo, avrei dovuto capire subito che c’era sotto qualcosa di così profondo e doloroso, non avrei dovuto insistere in quel modo, forse. Ma ammetto che non ero riuscito a trattenere un sorriso appena dopo aver visto il mio nome calcato a penna molto più delle parole restanti su quel foglio.
Alcune lettere erano sfocate ed il foglio macchiato d’inchiostro sciolto da qualche gocciolina d’acqua, o lacrime, probabilmente mai l’avrei saputo. 
Mi sarebbe piaciuto andarlo a cercare, seduta stante, abbracciarlo, stingerlo forte tra le mie braccia cercando di fargli capire anche senza parlare che io per lui ci sarei stato nonostante la sua paura di aprirsi ad uno come me, così simile a suo padre; ma la verità era che, non avevo la minima idea di dive potesse trovarsi. La sua misteriosità era rimasta tale anche in quella lettera che probabilmente terrò sempre con me, per sentire la sua presenza sempre vicina, il mare non ne aveva poi così bisogno.
Scivolai giù dal letto, cercando di infilarla nella tasca dei miei pantaloni rossi che usavo arrotolare appena sopra la caviglia. 
<< Louis devo parlarti. >> una voce mi colpì alle spalle.
Quasi spaventato mi voltai verso la porta della mia camera. << Papà, che ci fai qui ? Non si usa più bussare ? >>
<< L’ho fatto, ma tu sembravi troppo preso nel leggere quella lettera che ascoltare il mondo che ti gira attorno. >>
Odiavo quanto faceva così, non aveva il diritto di dirmi quelle cose. Ma da quanto tempo era qui ? Serrai i denti cercando di trattenermi.
<< Cosa vuoi ? >> 
<< Ho saputo che sei stato di nuovo al porto in questi giorni. >> disse consapevole di avere quell’aria che tanto mi irritava. 
<< Tutto vero. Ed ora, cosa vuoi fare, cacciarmi di casa per caso ? >> 
<< Sai che potrei farlo, ma voglio solamente parlarti. >>
<< Sentiamo allora. >> risposi incrociando le braccia. 
Si schiarì la voce, poi prese ad avanzare verso di me non riuscendo a guardarmi negli occhi.
<< Ho chiamato Paul, tuo zio, vive in Irlanda da un po’ ed è disposto ad ospitarti per qualche mese. >>
<< Che cosa ? >> risposi di botto allibito alle sue parole.
<< Sei diventato pazzo, o cosa ? Io non vado da nessuna parte. >> 
<< Louis hai bisogno di stare lontano da qui per un po’, lo dico per il tuo bene. >> 
<< Per il mio bene, il mio ? No papà, è per il tuo bene, ti aspetti che un po’ di verde e qualche danza mi facciano diventare il ragazzo che vorresti ? >> ciò che scorreva nelle mie vene non era più sangue ma rabbia, frustrazione, tutto ciò che non riuscivo ad esternare.
<< Smettila, smettetela di cercare di cambiarmi, sono stanco di nascondere ciò che sono. >>
<< Nessuno sta cercando di cambiarti, Louis. >>
<< Davvero? Allora dimostramelo. Non ho alcun’intenzione di andare in Irlanda, e niente mi farà cambiare idea. >>
Lui mi guardò per soli pochi secondi, riuscì lo stesso a mettermi a disagio, ma non volevo rinunciare a farmi valere per una buona volta. 
Il silenzio agghiacciante sembrava non avesse fine, nessuno dei due accennava a replicare. Credevo che quella conversazione sarebbe finita appena lui avrebbe varcato la porta scoraggiato, ma consapevole delle mie parole.
<< Bene, credo che sia arrivato il momento che tu vada a vivere da qualche altra parte, allora. >> 
Non riuscivo a credere a quelle parole, erano davvero uscite dalla sua bocca ? Come potevo considerare un essere del genere mio padre ? Harry, si, fu proprio lui il primo che mi venne in mente.
In quel momento invidiai le sue parole, invidiai il suo rapporto così stretto e confidente con suo padre, quello che io non avevo mai avuto.
<< Non puoi cacciarmi di casa, perché sono io che me ne vado. >>

 

Correvo, correvo via da quella situazione, correvo via da quella che era la mia vita con in tasca solo quella lettera. Non mi importava di altro, dovevo cavarmela da solo, dovevo stare lontano da ciò che non era il mio mondo.
Il mio indice premette il campanello, e solo dopo pochi secondi una donna venne ad aprirmi.
<< Buonasera signora, Stan è in casa ? >>
<< Oh, ciao tesoro. No, Stan non è qui, lo avvertirei volentieri, ma ha dimenticato il cellulare. >> si fermò, nel vedere la mia espressione delusa. << Vuoi che gli dica che sei passato, Louis ? >>
<< No, no, non importa. Grazie lo stesso. >> e stringendomi forte nella felpa, come sempre facevo quando il vento mi colpiva impetuoso.
<< è successo qualcosa? Ti vedo turbato. >>
<< Avevo solo bisogno un buon amico con cui scambiare due chicchiere, ma non credo riuscirò nella mia impresa. >>
La donna mi guardò sorpresa. Tutti in paese mi conoscevano e tutti sapevano del mio carattere estroverso si, ma solo quando si trattava di ridere e scherzare; mai mi ero permesso di mostrare la mia tristezza, o le mie debolezze, mai. Non era nella mia natura. Forse era per questo che lei continuava a guardarmi stupita.
Mi voltai tornando sui miei passi, pronto ad addentrarmi nella strada sferrata che si presentava a soli pochi metri di distanza. << Può solamente dirgli che.. vado via. >>
<< Via dove ? >>
<< Ancora non lo so. >>
<< Vuoi scappare ? >>
<< Da questa vita, si. >>
<< Ma non puoi. >>
<< Oh si che posso, devo. Per il bene della mia famiglia, ed il mio. >>
La donna mi guardava sempre più sorpresa e senza parole. << Ora vado. A rivederla. >>
<< Ma Louis, Louis aspetta.. >>
Presi ad aumentare il passo, salutandola con un pizzico di malinconia negli occhi. Non mi fermò, non provò neanche a farlo, mi conosceva bene e sapeva che niente mi avrebbe fatto cambiare idea.
Sentivo il bisogno di scappare, correvo per sentire il vento freddo sul mio viso, per provare la sensazione delle lacrime pesanti che mi rigavano il volto.
Correvo per sentirmi libero.
<< Oops! mi scusi. >> in un netto secondo per terra caddero buste e fogli di ogni tipo, questa donna sembrava fosse capitata apposta sul mio cammino.
Mi piegai, aiutandola a raccogliere ciò che le era caduto, facendo il possibile per asciugare gli occhi, prima che lei potesse vedermi.
<< Vuoi davvero scappare ? >>
Mi bloccai. << Come scusi? >>
<< Vuoi davvero andare via di qui, scappare ? >> domandò. << Credi davvero che andandotene via tutto si sistemerà, che non ti importerà più niente di ciò che hai lasciato ? >>
<< Ma lei chi è? E come fa a sapere tutto questo ? >>
<< Sono solo un’ottima ascoltatrice. >>
A quel punto, ebbi il coraggio di alzare lo sguardo ed osservarla in volto. Era lei, la donna che poco prima aveva attraversato il marciapiede vicino casa di Stan.
<< Io non ti conosco, e tu non conosci me, ma credimi, se scappi un giorno te ne pentirai e ti sentirai quasi in dovere di tornare, anche per un ultimo addio a ciò che in realtà ti è mancato vivere. Ci dev’essere pur qualcosa che ti tiene legato a questo posto. >> disse.
Perché, mi ripetevo, perché la prima cosa a cui ho pensato è stata quella lettera?
<< Come fa ad esserne così sicura ? >>
<< Conosco un ragazzo che ha fatto il tuo stesso errore. Non farlo. >>
La guardai con attenzione, cercando di apprendere ciò che volesse comunicarmi, ma soprattutto dove volesse arrivare.
<< E.. che cos’ha fatto questo ragazzo ? >>
<< è andato via, per lunghi anni. Era distante, era solo. C’è voluto un po’, ma poi si è reso conto che la sua casa era qui, ed aveva bisogno di lui. >>
<< è sicura che l’ha fatto perché lo voleva davvero ? >>
<< Ha avuto il coraggio di andarsene. Non credi se non l’avesse davvero desiderato l’avrebbe fatto? >> spiegò la donna. Sembrava essere toccata nel profondo da questa situazione, sembrava ne facesse ormai parte. << Non è semplice come credi. L’impulsività non porta mai niente di buono. Pensaci bene. >> mi sorrise, un sorriso che credo mai riuscirò a dimenticare.
Forse aveva ragione, questo era il mio mondo, la mia passione, qui c’era la mia felicità, io non volevo davvero scappare da qui.

*

Sharon: Okay, allora innanzitutto mi sento un po' in imbarazzo perchè è la prima volta che parlo direttamente con voi (?) 
Volevo semplicemente dirvi che non avete idea di quanto mi faccia piacere leggere i vostri commenti, positivi o negativi che siano, devo anche ringraziare di cuore quella figona di Nicole che sempre mi incoraggia ed elogia, forse anche un po' troppo. lol ti voglio bene. 
Naturalmente io ho il punto di vista di Louis perchè, come ben sapete non ho avuto scelta lol ma in realtà mi piace tantissimo, anche fin troppo il fatto di dovermi identificare in lui.
Detto ció spero che anche questo capitolo vi piaccia e tengo a dirvi che la colpa del ritardo è stata soltanto mia, ho avuto problemi di connessione e quant'altro. Se lasciate una piccola, piccolissima, minuscola, invisibile (?) recenzione ne saremo felicissime.
Un bacio
- Sharon

Nicole: Hola chicas (?)
Finalmente abbiamo aggiornato, visto che brave ? *Applause*
Allora, ad entrambe non soddisfano i propri punti di vista, ma entrambe troviamo fantastiche il punto di vista altrui.
Insomma, direi che siamo sulla stessa lunghezza d'onda lol
Scusate, scusate l'immenso ritardo, dio voi non immaginate quante paranoie mi sono (ci siamo) fatte, della serie "Oddio, non ci seguiranno più, penseranno che siamo qui a girarci i pollici mentre noi andiamo in panico".
Ovviamente le paure erano (spero) infondate, anche perchè ho visto che il numero di persone che seguono la storia è clamorosamente aumentato, persino dopo l'avviso.*esulta*
Ma veniamo al capitolo..
La canzone è "Mad world" di Gary Jules, e, cristo, io la amo.
Qualcuno di voi ha capito chi è la donna che ha incontrato Louis durante la sua fuga ? 
Ah, mi sono dimenticata di farvi, nel capitolo precedente, una domanda:
Perchè secondo voi ho deciso di chiamare la barca del padre di Haz "ARY" ? 
Bho, sono aperte le scommesse lol
Detto questo, ci sentiamo al prossimo capitolo, che spero di pubblicare con meno ritardo.
Non ho voglia di pubblicizzare niente e nessuno, ma lo farò comunque per il bene di Cilyan (passate da lei, gesù cristo).
Vi lascio il mio Twitter. Per motivi che secondo me non hanno senso non posso seguire nessuno finchè non mi aumentano i followers, ma don't worry: Ditemi "Ciao, sono di EFP" e ve lo giuro, unfollowo qualcuno per seguirvi, perchè di si.
Se ci lasciate una recensione ci fate morire, ma in senso buono c:
Bacioni

- Nicole

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Capitolo 4
*** Demons ***


The only exception.
capitolo 4


HARRY (Nefelibata)

When you feel my heat
Look into my eyes
It's where my demons hide
It's where my demons hide
Don't get too close
It's dark inside
It's where my demons hide
It's where my demons hide
[Imagine Dragons - Demons

Ciao papà,
Come si sta lassù? O meglio, come si sta laggiù?
Sai, più volte ho avuto l'impulso di immergermi, tuffarmi in quelle gelide acque e cercarti, solo per vedere ancora il tuo viso, solo per vedere ancora quel sorriso che mi rivolgevi sempre.
Perchè io ero il tuo piccolo, me lo dicevi sempre.
Ho tanti momenti che mi vorticano nella mente.
“Harry, vieni a vedere!” mi chiamasti, i piedi nudi sull'erba bagnata, il cielo in scala di grigi, il rumore delle onde, un sorriso felice, la mia corsa con i ricci al vento.
“Wow” mormorai con occhi ammaliati.
“ Che te ne pare?” Mi guardasti orgoglioso ma timoroso, quasi temessi un mio giudizio negativo.
Ma come avrei potuto giudicarti male? Eri il mio idolo.
“ è bellissima 'pa!”
“E dai un'occhiata al nome” sorridesti, come ogni volta che mi guardavi.
Mamma diceva sempre che io ero il tuo sorriso, e in quel momento me ne resi conto e ne fui felice.
“ARY?” lessi confuso, le sopracciglia aggrottate, una smorfia che ti fece ridere di gusto mentre ti abbassavi per raggiungere la mia altezza.
“Sai, avrei voluto chiamarla HARRY, perchè ho pensato sempre a te quando l'ho costruita, io l'ho costruita per te, per renderti orgoglioso di me, per usarla sempre e solo insieme a te, per regalartela quando sarai più grandicello.
Ma ad una barca non si danno nomi maschili, perciò togliendo due lettere al tuo nome è uscito ARY, un nome femminile!” Di nuovo sorridesti, e io mi persi nei tuoi occhi che avevo sempre invidiato.
Non dissi nulla, ti abbracciai soltanto, e tu mi feci ruotare in aria.
Ho ancora quelle risate nella testa, sai?
Di notte gli incubi mi perseguitano, i demoni tornano per torturarmi ancora, regalandomi un'immagine di te accanto ad un albero, seguita da una di te in mezzo alla tempesta, e poi l'immagine del tuo corpo a testa in giù sulla superficie del mare, l'immagine della tua bara vuota che viene calata nella terra fredda, le lacrime di mamma che si infrangono sul pavimento.
Poi sangue, sangue dappertutto. Cora terrorizzata, io a New York..
Vorrei solo ucciderli papà, uccidere quei demoni, farli a pezzi, perchè mi lascino in pace.
Cora stamattina, dopo aver sospirato alla vista delle mie occhiaie ha detto “Santo cielo, dovresti proprio innamorarti..”, non ho capito cosa volesse dire, ma non ha importanza, visto che non mi sono mai innamorato e mai lo farò.
Non so cosa significhi amare, o meglio faccio finta di non saperlo, perchè la prima ed ultima volta che ho amato ho perso tutto.
Mio padre, mia madre, me stesso.
Ieri ho parlato con Louis, sai?
Sto sorridendo al pensiero, perchè nel mio cuore aleggia la speranza, l'ultima, di aver trovato un amico.
“Papà, cos'è un amico?” “Un amico è colui che nella strada della vita non ti cammina avanti, non ti cammina dietro, ma cammina al tuo fianco, e la sua mano è allacciata alla tua, e rimane per sempre, e non se ne va mai, nemmeno quando tu gli dai 1, 5, 100 motivi per farlo.
Un amico ti difenderà, ti proteggerà, si fiderà di te e ti amerà.”
Lo so 'pa, lo conosco solo da due giorni, non posso dire che sia un vero amico, ma vedo qualcosa in lui, qualcosa che mi fa stare bene, mi fa sentire al mio posto.
Quando sono con lui i demoni si offuscano, e c'è una tiepida luce che riscalda e illumina il mio cuore.
Sai, oggi abbiamo un appuntamento, proprio qui, allo scoglio.
Chissà se ora mi stai guardando.
Se lo stai facendo per favore, non fare che Louis scappi da me, un'ancora mi è stata lanciata ed ora è il mio unico appiglio.
Mamma ha pianto ieri notte, l'ho sentita da sotto le mie fredde coperte, sono andato in camera sua e l'ho abbracciata. Te l'ho promesso papà, non la lascerò sola, mai più.
D'ora in poi sarò io a prendermi cura di lei, perchè lo so che nonostante tutto tu l'amavi e la ami ancora.
Ti ama anche lei, papà.
Cora dice che un tuo vecchio amico vuole vedermi.
Non so cosa voglia da me, non mi va di andarci, ma sono curioso.
Sto rimpiangendo il traffico di New York, qui è tutto così calmo, silenzioso e tranquillo che solo Louis mi sembra vivo e colorato in mezzo a questa nebbia.
Papà, riuscirò ad amare ancora?
Ti lascio con questa domanda, sperando che un giorno il tiepido vento mi sussurri la tua risposta.
Ti voglio bene.
                                                                                                                                                                                          -Harry


 

Seguii con lo sguardo una barca che si dirigeva al largo, mentre alcuni uomini sbrogliavano delle reti prese da una cassa e nel frattempo chiacchieravano, dandosi pacche sulla schiena e ridendo rozzamente.
Il mio primo pensiero fu che avrei tanto voluto provare di nuovo quella sensazione di leggerezza che si ha quando si galleggia sullo specchio d'acqua.
Avrei tanto voluto ancora camminare facendo scricchiolare le tegole di legno sotto di me, posare le mani sul timone, con le sue sopra le mie a guidarmi perchè ancora inesperto.
Avrei tanto voluto vedere l'arancio dell'alba riflesso in quel mondo che nascondeva chissà quali segreti, chissà quante persone, chissà quante meravigliose creature.
Mentre mettevo il tappo di sughero sulla bottiglia e la scagliavo il più lontano possibile da me, dai miei demoni, ricordai che quando mio padre urlava addosso a mia madre chiamandola “puttana”, correvo a nascondermi sul letto sotto le coperte.
Quel lieve pezzetto di stoffa, leggero ma pesante abbastanza da tenermi caldo, mi dava sicurezza, quasi fosse stato un suo abbraccio, quasi fosse stata una casetta in cui nessuno mi avrebbe potuto fare del male.
Mi tappavo le orecchie cercando di non piangere, mi rannicchiavo su me stesso e sognavo ad occhi aperti i racconti che mi narrava: racconti su Tritone, miti su come si erano formati dei pesci, storie di sirene, di creature magiche, crudeli, che vivevano nelle nere profondità.
Quando poi sentivo le urla scemare, le porte smettere di sbattere, i vetri smettere di infrangersi a terra mi levavo il lenzuolo di dosso, prendendo un profondo respiro di quell'aria di cui avevo brutalmente deciso di fare a meno e lui era lì.
Sguardo amorevole, occhi caldi, sorriso reale e corpo rilassato, era lì, seduto sul mio letto, a guardarmi quasi fossi la sua unica ragione di vita, mi dava la buonanotte si scusava dicendo “Amore, io e la mamma non riusciamo più ad andare d'accordo, ma passerà, sono cose che capitano, io e lei ci amiamo.” ed io sapevo che lo pensava davvero, pensava davvero che tutto si sarebbe risolto, pensava davvero che l'amore sarebbe bastato.
<< Sapevo che ti avrei trovato qui >>
Riscuotendomi da quella massa intricata che erano i miei ricordi mi voltai per scorgere, con un dolce sorriso in volto, quella che era la mia ultima speranza.
Fissai per l'ennesima volta quegli occhi confortanti, quei lineamenti gentili, quelle labbra rosee e pallide che quando sorridevano era come se il suo cuore abbracciasse il mio.
Lo fissai ancora, pensando nuovamente a quanto fosse bello, con quella camicia bianca, quei pantaloni beige, quelle bretelle bianche e rosse.
Pensai nuovamente a quanto quegli stessi occhi sarebbero potuti essere gli stessi che avrebbero supplicato i miei di non piangere, quelle mani sarebbero potute essere le stesse che mi avrebbero sorretto quando quei demoni avrebbero provato a buttarmi giù, sempre più in fondo, sempre più nell'oscurità.
Forse anche io ero destinato a diventare come una di quelle creature, malvagie perchè incapaci di provare emozioni, perchè segregate in fondo, sotto a tutti, senza la possibilità di scorgere la luce.
Pensai che non l'avevo ancora ringraziato per essere ancora lì, pronto a starmi accanto, a chiedere la mia fiducia, senza scappare.
'Un amico non se ne va mai, nonostante tu gli dai 1,5,100 motivi per farlo'
Questa volta, solo per questa volta, mi concessi di sorridergli.
Era un sorriso reale il mio, non costruito.
Non avevo obbligato nessun muscolo a muoversi, era stata una reazione involontaria e spontanea.
Lui ricambiò, e io mi sentii rinascere.
Ero come un fragile fiore, un cenno di vita che lotta per sopravvivere, per sbocciare un giorno.
Louis era la primavera, che lentamente scacciava il gelo che mi circondava, salvandomi.
Era il sole che sorridendo scioglieva la neve, un raggio che con delicatezza mi accarezzava scaldandomi, il canto degli usignoli che mi ridava speranza.
Era la vita che rinasceva.
<< In realtà è l'unica certezza che ho, di te >> continuò lui, come per spronarmi a smettere di vagare con la mente e rispondere.
<< E quante altre vorresti averne? >>
Volevo sentirmi dire quelle parole, volevo sentirmi dire che lui voleva conoscermi nel profondo, esplorarmi, scoprendo ogni giorno cose nuove e beandosi di quelle conoscenze.
Lui si avvicinò piano, il sorriso ancora vivo, le mani in tasca perchè troppo attive per penzolare sui fianchi, troppo pigre per posarsi da qualche parte.
Le Vans che, con dolcezza e agitazione smuovevano la terra, accarezzandola.
Le iridi che si puntavano ovunque tranne nelle mie, che invece cercavano il suo sguardo, ne bramavano l'intensità.
Si sedette alla mia sinistra, come ogni volta.
Ma questa volta, invece di guardare in basso o di fronte a noi si girò verso di me e si avvicinò fino ad avere le sue labbra ad un centimetro dal mio orecchio.
<< Voglio sapere tutto di te, voglio avere tutte le certezze che possiedi, fino a che la mia memoria non sarà troppo stanca per assorbirle. Voglio sapere il tuo nome, e forse non me lo dirai mai ma.. >>
<< Harry >> lo interruppi immediatamente.
La sua risposta mi stava lasciando senza fiato, e per queste richieste non avevo abbastanza cemento da costruire un altro muro, non avevo abbastanza armi per difendermi.
Stava sorvolando sulle mie insicurezze, sul mio essere acido, stava penetrando dentro di me, arrivando persino a spalancare le porte più blindate.
Dirgli il mio nome era un segno di gratitudine, un modo per fargli capire che tutto ciò che avrebbe voluto fare, io gliel'avrei permesso.
Perchè mi era già chiaro, dopo due giorni, che Louis aveva qualcosa di speciale.
Era chiaro che io avevo bisogno di lui, mi piaceva stare insieme a lui e non l'avrei barattato con nulla al mondo.
Mi guardò stupito, pensai che non avesse capito.
<< Harry. Mi chiamo Harry. >> ripetei, più lentamente, un leggero rossore sulle mie guance mentre il vento iniziava a soffiare tra i miei e i suoi capelli.
Lui si aprì in un sorriso e mi sembrò di vedere i suoi occhi brillare.
<< Harry. Mi piace >> mormorò più a se stesso che a me.
<< Questo significa che potrò cercarti? >>
<< Si >> sorrisi.
<< E potrò salutarti se ti incrocio per strada? >>
<< Si >>
<< Potrò venire qui tutti i giorni e stare con te? >>
Si, si, si.
Puoi tutto, Louis.
<< Se non hai di meglio da fare, va bene >> ridacchiai imbarazzato.
<< Posso sapere come è morto tuo padre? >>
A quella domanda mi immobilizzai, mentre perdevo battiti.
Non ero ancora pronto, non a questo.
Mi voltai verso di lui senza più sorridere.
I suoi occhi erano lì, mi fissavano, leggevano dentro i miei, scavavano nelle mie viscere per cercare risposte che probabilmente aveva capito che non avrebbe ricevuto a voce.
Deglutii, quegli occhi mi facevano paura.
Vederlo che provava a capirmi, fissarlo mentre con la mano cercava di raggiungere la mia, rendeva tutto più reale.
Lo vedevo, il suo bisogno di toccarmi, di tastare la mia pelle.
Sapevo che se mi fossi lasciato andare, avrei potuto ricominciare a vivere con quel mio nuovo amico, nuovo compagno di avventure.
Era come gettarsi da un burrone sperando che qualche ramo avrebbe attutito la caduta.
Un rischio che non potevo correre.
Mio padre era ancora colui che popolava la mia anima, la controllava.
Non potevo svelare i miei segreti a quel ragazzo con gli occhi del mare, non potevo permettergli ancora di visitare quella parte di me.
Era stata una domanda troppo diretta, e ora li sentivo, quei demoni.
Li sentivo avanzare nel mio corpo, prendere possesso di quel battito, oscurare i miei occhi.
Sentivo i ricordi sbattermi in faccia, la speranza vacillare, quelle immagini ripopolarmi la mente in pochi istanti.
Sangue.
Sangue dappertutto.
E lui stava guardando, lui mi guardava negli occhi e forse si o forse no, vedeva il vuoto regnare in me.
E, se avevo chiesto a mio padre di non permettere a Louis di scappare, fui io a farlo.
Cercai di non piangere mentre i miei piedi affondavano nella sabbia in riva al mare, prima che un'onda mi bagnò i piedi.
Mi allontanai ancor più spaventato da quell'acqua, non l'avevo più sentita sulla pelle da quel giorno, non avevo più permesso al mare di toccarmi.
Corsi, corsi e corsi.
Non seppi per quanto tempo, il terrore mi guidava.
Le nuvole avanzavano minacciose coprendo quel celeste tanto familiare, quasi fossero i miei stessi sentimenti che si accavallavano, i demoni che sempre avevano la meglio.
Alzai gli occhi al cielo mentre continuavo a correre senza sentire più il mio corpo, le gambe che si muovevano da sole e supplicavo.
Pioggia, porta via questa tristezza, trascinala giù e distruggila sull'asfalto. Colpiscimi in faccia e copri queste lacrime che la bagnano. Scendi, pioggia, e porta con te tutta la durezza di questo mondo. Vento, spazza via il male, rendilo polvere. Porta la primavera, regalala a quella donna che, a casa mia, piange lacrime di dolore. Nubi, portatemi una parola, una melodia, un qualsiasi suono mormorato con quella voce roca e profonda che a malapena ricordo dire “Vai in camera tua”.
Una volta giunto davanti a casa mia mi sdraiai sull'erba fresca e cercai di regolarizzare il respiro, il bussare frequente del cuore contro la gabbia toracica che mi doleva la testa.
Rividi davanti ai miei occhi quel verde acqua pieno di delusione, di sensi di colpa, quasi già si pentisse di aver fatto un passo falso, di essere andato troppo di fretta.
Mi pianse il cuore a pensare a lui triste, lui era sorriso, era gioia, era una porticina in una stanza senza uscita.
Appena mi fui calmato decisi di cercare mia madre, avevo bisogno di parlarle.
Salutai Cora che nel frattempo stava stendendo dei panni sul terrazzo e corsi fuori alla parrocchia, il posto che mia madre frequentava di più da quel giorno.
Eccola lì, bellissima come sempre, bellissima e distrutta.
La raggiunsi malinconico, nutrendo dentro di me la segreta speranza di rivedere quel sorriso illuminargli il volto, un giorno.
<< Mamma! >>
Lei si girò, stupita e gioiosa di vedermi lì.
Da quando ero arrivato avevamo parlato poco, utilizzando solo frasi di circostanza, e sapevo che soffriva per questo.
Perciò mi presi la cura di stringerla a me come fosse la prima volta, solo per farle capire che io ero lì, ero lì con lei, ero lì per lei.
<< Harry, che ci fai qui? >> sapevo che aveva voglia di sorridere, ma non era ancora pronta a farlo.
<< Mamma, devo farti una domanda. >>
<< Dimmi pure >> rispose lei, guidandomi dentro la parocchia vuota fino alla prima panca, sedendosi e fissando i suoi occhi sul crocifisso che riempiva la parete di fronte.
<< Ti è mai capitato di trovare una persona, con la quale ti trovi bene, e non riuscire ad aprirti per colpa delle catene del passato? >>
Lei sembrò capire, perchè dopo un minuto mi guardò e annuì debolmente.
<< Certo che è capitato, sai, tuo padre ha dovuto rincorrermi per due mesi prima di ottenere un mio appuntamento >> sguardo sognante, lieve sorriso, sapevo che stava ricordando e guardarla fece sorridere anche me.
Spalancai gli occhi sorpreso, non mi avevano mai raccontato di come si erano conosciuti, al massimo si gridavano “Maledisco quel giorno che ti ho conosciuto!”.
Lei non aspettò domande e continuò a parlare.
<< Sai, inizialmente non riuscivo a fidarmi. Mi intrigava, vedevo che cercava di aiutarmi ad uscire dal mio guscio ma non ci riuscivo, ogni volta che mi decidevo a dirgli di si avevo la gola secca e le parole non uscivano. Non so come mai, ma avevo la convinzione che sarei rimasta in quel modo per sempre. Poi lui, dopo due mesi che provava a convincermi, mi disse di amarmi, e nei suoi occhi lessi sincerità. Se prima non riuscivo a rispondere, in quel momento non ero riuscita a scappare, e quel “Si” mi era uscito da solo. È stata la cosa più giusta che io abbia mai fatto nella mia vita. >> sorrise, stavolta davvero, e il mio cuore gridò di gioia per un attimo.
Poi mi prese il viso con una mano, mi guardò negli occhi e parlò.
<< Harry, so che il ricordo di papà ti impedisce di ricominciare, ma solo due cose possono aiutarti a vivere: l'amicizia e l'amore. Se trovi una persona che ti rende felice non lasciarla andare mai. Ricorda: se senti che quello nei tuoi confronti è un sentimento sincero, prova a lasciarti andare.
Solo tu puoi spezzare quelle catene, Harry. Solo tu puoi uccidere quei demoni. 
>>
Quel discorso mi spiazzò, e rimasi un'altra mezz'ora seduto su quella panca a riflettere mentre mia madre, con un saluto, era uscita lentamente.
Solo io posso uccidere quei demoni.

 



LOUIS (_larrysmoments)

Il tempo cominciava ad imbrunirsi e sentivo l’odore di pioggia nell’aria, nonostante fossi certo che non avrebbe piovuto. Ero seduto sul marciapiedi proprio sotto il portone di casa di Stan, senza avere il coraggio di bussare.
Mi sarebbe piaciuto parlare un po’ con lui, ultimamente mi respingevano tutti e passavo troppo tempo da solo nell’auto commiserazione più totale; mi facevo schifo da solo, non ero affatto quel tipo di persona autolesionista o piagnucolone; semplicemente cercavo di vivere la vita giorno per giorno reagendo ogni volta d’impulso, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni.
Ma da quando conobbi Harry, sembravo essere cambiato. Reagire d’impulso anche questa volta non aveva portato nulla di buono, soprattutto per me. Continuavo a mangiarmi la testa in preda al panico del mio gesto. Vederlo scappare via in quel modo, mi aveva fatto male, molto più di quanto fosse lecito fare; lo guardai silenzioso attraversare l’acqua visibilmente pensante sui suoi piedi schizzare ovunque. ero stato troppo diretto, okay, questo potevo anche riconoscerlo, ma perché proprio ora che ero sulla buona strada per riuscire ed instaurare un rapporto con lui? E perché continuavo a restarci male nonostante sapevo di essere stato io ad aver sbagliato?
<< Louis! >> sentì alle mie spalle.
Mi voltai di soprassalto, distolto da quella voce famigliare.
<< Che ci fai seduto sotto casa mia? >> domandò ancora.
<< Stan! >> risposi con un mezzo sorriso.
<< Da quanto tempo se qui, e perché non hai suonato prima? >> domandò stranito.
<< Non volevo disturbarti. >>
Mi guardò per qualche secondo, cercando di decifrare la mia espressione; ad essere sincero, non riuscivo a riconosce neanche io stesso che espressione avessi in volto. Probabilmente ero felice che fosse qui, ma una parte di me sarebbe voluta rimanere ancora un po’ a riflettere sul colore che gli occhi di Harry assumevano quand’erano colpiti dai raggi del sole.
Scoppiò a ridere, e mi venne in contro abbracciandomi forte.
<< è da tanto che non ci vediamo, ti va di fare quattro passi? >> mi feci avanti con ancora il viso affondato nell’incavo del suo collo.
Era proprio così. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che lo vidi. Con lui potevo sentirmi me stesso, con lui potevo parlare di ogni cosa mi passasse per la testa e si, piaceva anche a lui venire con me giù al porto ed aiutarmi nel curare la mia piccola barca, mentre si dilettava in imbarazzanti spettacoli canori proprio mentre puliva accuratamente i remi che fungevano da microfono. Erano momenti che condividevamo insieme, solo io e lui, e ad essere sincero ne ero più che geloso.
Erano poche le volte in cui il silenzio iniziava ad averla vinta su di noi; io ero un tipo che parlava sempre, ed anche tanto. Insomma c’era sempre qualcosa da dirci, ma quando ciò non accadeva diventava quasi imbarazzante.
In situazioni come queste però da raccontare c’erano solo pessime novità da parte mie, era per questo che preferivo stare semplicemente zitto ed ascoltare ciò che aveva da dirmi, tendendomi tutto dentro. Il peso del sopportare senza esplodere iniziava a diventare sempre maggiore, quasi impossibile da sopportare. Dovevo precederlo nel fare domande, dovevo rompere il ghiaccio, dovevo farlo e basta.
<< Allora Loueh, come va? >> mi batté sul tempo.
Sentì un vuoto impossessarsi del mio stomaco, avevo quasi paura di parlare, avevo paura che dalla mia bocca potessero proferire parole sbagliate o semplicemente cariche di odio per questa vita che non mi apparteneva.
Iniziai ad inventare qualcosa, parlavo di qualcosa che non esisteva, descrivevo una vita che non era la mia. Forse era la vita che sognavo, forse era semplicemente la vita di un tempo quando tutto appariva più semplice.
Parlavo di come mi sentissi libero, di come il mio tempo speso al porto di stesse triplicando, e di come i miei genitori erano fieri di me. Pareva contento, e nei suoi occhi si riusciva ad avvertire anche un pizzico di stupore, non aveva mai sentito pronunciare quelle parole da me, si vedeva che gli facevano strano. D’altro canto non avevo idea di quanto sarebbe durata questa farsa, Stan mi conosceva fin troppo bene, prima o poi l’avrebbe scoperto.
Mi resi conto che la mia risatina isterica diventava sempre più irritante per le mie stesse orecchie, lui continuava a guardarmi con ancora addosso quell’aria scrutante che quasi mi intimoriva.
Sentivo il dovere, l’obbligo di continuare a mentire, anche solo immaginare quei momenti vivi nella mia mente, accurati in ogni minimo dettaglio, erano come un dolce suono che mi scaldavano il cuore e l’anima. Quelle parole un giorno, si sarebbero mai avverate?
<< Così è tutto perfetto, vedo. >> sputò di colpo lui zittendomi.
<< Già.. >>
Continuavo a torturarmi le mani gelide e pallide, tenute al riparo nelle tasche dei miei pantaloni, lo sguardo basso per paura di incontrare il suo così rassicurante, in cerca di verità. Strascicavo i piedi, la brecciolina rimbalzava ovunque sue mie scarpe, e seguendo il loro percorso, cercavo altro a cui pensare.
Mi passai una mano sul volto, mentre un altro sospiro incontrollato fece scoppiare Stan.
<< Louis. >> ringhiò. << Adesso mi dici cosa ti sta succedendo. >>
<< Niente Stan, te l’ho detto. >> cerai di rassicurarlo.
Ad essere sincero se c’era una cosa che sapevo fare era recitare, ma un falso sorriso mai e poi mai sarei riuscito a fingerlo.
<< No, non è vero. >> continuò alterandosi. << Tu sei quel ragazzo dalla battuta sempre pronta, sei il ragazzo che ha l’ironia nelle vene, ma sei anche il ragazzo che non viene accettato dalla sua famiglia, che farebbe di tutto pur di fare ciò che desidera. >> fece una pausa. << Non puoi venirmi a dire che tutto è cambiato in così poco tempo, Louis. >>
Avevo le lacrime che faticavano a restare ferme, non dovevo piangere, non doveva vedermi in quello stato, debole, emotivamente distrutto, fuori e dentro. No, non dovevo.
<< Per una volta tanto Louis, lascia che sia io ad aiutarti. >> mi posò un braccio sulla spalla mentre, con una mano asciugavo l’unica lacrima che si era permessa di rigarmi il volto.
Mi voltai verso di lui, con una rabbia che non riuscivo a controllare, mi era fottutamente impossibile da gestire.
<< Ho semplicemente voglia di sparire Stan. >> mi lasciai scappare poi. << Hai ragione tu, la mia famiglia non mi accetta, sono solo, e beh, non ho ancora capito se è davvero la gente a respingermi o sono io a respingere tutti. >> continuai con il cuore in mano. << Mio padre mi ha praticamente sbattuto fuori di casa, sentivo mia madre piangere ogni notte chiusa in di bagno. Poi? Usciva come se nulla fosse successo, come se la sua vita fosse perfetta e non si rendesse conto dello schifo che lei stessa ne era consapevole. >> presi una pausa, cercando di dire per la prima volta tutto ciò che realmente pensavo. << E vuoi sapere cosa mi fa più male? Il fatto che la causa di tutto ciò, sono io, io Stan. Vorrebbero vedere in me ciò che in realtà io non voglio diventare. Uno stupido burattino interessato solamente al denaro, che non ha una vita, delle passioni, dei sogni. Tutto ciò non potrà mai cambiare, ma ogni tanto mi piace pensare che la mia vita in realtà non faccia tanto pena. >>
Vidi i suoi occhi cambiare di colpo, divennero più grandi, e fissavano i miei penetrandoli. Un abbozzo di sorriso apparve sul suo volto, chiunque avrebbe pensato a lui come un vero stronzo dopo una confessione del genere ma, la verità era che Stan era contento del fatto che per la prima volta in vita mia ero riuscito a parlare di cosa realmente provassi.
<< Finalmente. >> esclamò ancora compiaciuto.
Mi sentivo più libero, forse era vero, iniziavo a sentirmi meglio per davvero. Mi buttai, istintivamente ad abbracciarlo, lo strinsi forte, sentivo il calore della sua pelle sul mio petto, forse non avrei più avuto paura nel mostrarmi davvero per ciò che ero, forse non era poi così brutto soffrire ogni tanto, sta di fatto che la voglia di sdrammatizzare quel momento mi colpì d’un tratto, ma ad essere sinceri no, non volli per niente accoglierla.
Mi allontanai da lui, continuando a mantenere il contatto fisico tra noi due.
<< Grazie Stan. >> sibilai.
Mi scompigliò i capelli, dandomi una pacca sulla spalla. Stan era un po’ più alto e robusto di me, non era mai stato un tipo molto attraente ad essere sinceri, ma un buon amico lo era sempre stato.
Voltandomi verso l’inizio del vialetto, una figura familiare percorreva la nostra stessa strada, con un passo lento e pesante, fastidioso anche solo da guardare.
Ero stranito, solo in pochi conoscevano quella strada, io e Stan ci andavamo e posso giurare che in tutti i ventun’anni della mia vita, non avevo mai visto nessuno percorrerla se non qualche passante che si era perso lungo il suo cammino. Quel ragazzo al contrario sembrava sicuro di dove andare.
Alzai di scatto lo guardo.
<< Harry! >> esclamai a voce alta.
Mi allontanai da Stan, mentre il ragazzo, colpito da una folata di vento socchiuse gli occhi fermandosi a soli pochi metri di distanza da me.
La mia bocca si aprì in un sorriso, non avrei potuto desiderare di meglio in quel preciso istante che vederlo lì, proprio di fronte i miei occhi.
<< Harry.. >> dissi più dolcemente cercando di avanzare verso di lui.
Aveva le mani in tasca, in quel suo cappotto in feltro marrone che lo rivestiva alla perfezione, la sciarpa bianca avvolta attorno al collo gli sfiorava il labbro inferiore.
Mi aspettavo una reazione da parte sua, un sorriso, un passo in più verso me. Speravo con tutto me stesso che pronunciasse il mio nome, amavo il profondo suono della sua voce.
A frantumare in mille pezzi, tutte le mie speranze nel strappargli qualche parola di bocca, fu il momento in cui scappo via, lontano da me. Riuscì a percepire il vento freddo, privo di ogni cosa provocato dalla sua corsa, sulla mia pelle.
<< Harry >> chiamai. << Harry dove vai? Harry, aspetta. >> e feci una finta corsa sui suoi stessi passi, ma mi fermai senza neanche accorgermene. Con un accenno di affanno, guardai la sua sagoma scomparire sempre di più oltre le siepi. L’aria fredda mi penetrava nei polmoni facendomi sentire un vuoto incolmabile. Le lacrime fermate dalla rima inferiore delle mie ciglia parevano congelarsi ogni secondo di più, sbattei gli occhi cercando di mandare in dietro, e questa volta ci riuscì.
<< Louis, chi era quello? >> domandò Stan raggiungendomi.
<< Non lo so Stan, non lo so. >>
Ero in silenzio, dandogli ancora le spalle. Qualsiasi, calcio, pugno o schiaffo non sarebbero mai stati più dolorosi del peso che portavo dentro.

Ero fuggito anch’io, fuggito da altre mille domande alle quali non avrei potuto scampare una seconda volta. Stan mi aveva lasciato andare, sapeva che avevo bisogno dei miei spazi, dei miei momenti solitari, e questo era uno di quelli.
Seduto su una panchina lungo il marciapiedi che portava alla scogliera, controllai quanto denaro mi era rimasto e beh, solo una banconota da dieci pounds regnavano nel mio portafoglio. Non mi sarebbero bastati per pagare un alloggio, nemmeno per un taxi a dirla tutta. Ero solo, intorno a me il silenzio e la solitudine mi avvolgevano, i lampioni emanavano una luce soffusa quasi inesistente, solo il luccichio delle stelle illuminava a senti il mio volto impresso di angoscia che sembrava scorrermi sempre più con irruenza nelle vene, mentre il tempo scorreva, avvicinandosi sempre di più al cuore della notte.
<< Sono un stupido. >> lacrime nervose cominciarono a solcare il mio volto, pallido dal freddo.
Mi sarebbe piaciuto tornare in dietro a quando tutto era perfetto, ma ai miracoli non ci avevo mai creduto.
<< Sono qui, per te. >> udì una voce al mio fianco. Alzai il volto, sentendo il vento asciugarmi le lacrime; mi spaventai, in un silenzio tale davvero non ero riuscito ad accorgermi della presenza di qualcuno accanto a me?
<< Chi sei? >> non c’era nessuno.
<< Non sei solo, sono qui per te. >> ripeté quella voce.
Mi guardai attorno ancora una volta impaurito. Mi passai una mano sul volto, ed iniziai a schiarirmi la vista verso la parte più buia della strada.
Eccolo, di fronte a me. La sua sagoma aggraziata, i suoi capelli ricci più del solito che li finirono sugli occhi, quelle labbra rosee bramanti di baci che desideravo fossero i miei. Vidi le iridi espandersi, lasciando il giusto spazio al verde raggiante che i suoi occhi possedevano, la serietà che lo rappresentava.
Sbattei gli occhi, non potevo crederci, non poteva essere vero.
<< Ho perso tutto ed ora non ho più nient’altro che te. >> proferì di nuovo dalla sua bocca.
Lo guardai ancora, era bellissimo, troppo perfetto per essere vero, troppo perfetto per essersi imbattuto in uno come me.
Allungai la mano, avevo bisogno del suo contatto, avevo bisogno di sentire la sensazione della mia pelle sulla sua, ma non riuscivo a raggiungerlo. Mi sporsi ancora un po’, lo vidi sparire.
Dov’era? Dov’era andato?
<< Harry?! >> chiamai col tono che poco prima avevo assunto. << Harry, dove sei? Ti prego, dimmelo. Ho bisogno di te. >> implorai con un pizzico di pura agonia.
Non c’era, non c’è mai stato, e mai ci sarà. La mia immaginazione aveva giocato un brutto, bruttissimo scherzo questa volta, nonostante ne fossi consapevole, rimasi la notte ad osservare il buio, nell’attesa che quel sogno, potesse divenire realtà, mentre lacrime amare ripresero a sgorgare sul mio volto.

*

Ciao bellissimi :)
Allora, anche questa volta non sono soddisfatta del mio lavoro (come sempre, ormai ci sono abituata lol) mentre leggevo il punto di vista di Harry avevo le lacrime agli occhi, non lo trovate stupendo?
Ugualmente, detto ciò, spero che a voi soddisfi.
Un grazie va come sempre a Nicole perché, boh, perché è lei. lol
Vorrei ringraziare anche tutte le fantaaaastiche ragazze che recensiscono, mi fate sempre tornare il sorriso, siete stupende.
Un bacio
-Sharon

Ok, dopo essermi ripresa dalla cavolata appena detta dalla mia Sharon posso scrivere anch'io.
Allora, davvero non capisco come possa non piacerti il capitolo, are you serious ? 
Ormai ti ripeto da tempo che i tuoi Louis sono perfetti e perfettamente in sincronia con i miei Haz.
Totalmente in discordanza con lei, io amo entrambi i punti di vista.
Ebbene si, per la prima volta mi piace anche il mio Harry, e per la prima volta mi sento all'altezza della sua scrittura.
Avete visto? Dopo l'enorme ritardo dello scorso capitolo siamo riuscite a postare prima di Natale, e da notare la lunghezza del capitolo.
Il prossimo capitolo arriverà sicuramente dopo Natale, anche perchè non so voi ma io sono stramegasuperraffreddata, del tipo che la mia camera è diventata una discarica di fazzoletti e son già due giorni che ho la febbre abbastanza alta (ieri 38°).
Abbiamo calcolato che in tutto saranno 10 capitoli, il decimo sarà l'epilogo e poi aggiungerò un capitolo con tutti i ringraziamenti *feel like a writer*.
Allora, come potete vedere Harry vuole dare una possibilità a Loueh, ma una sua domanda lo fa scattare come una molla (cucciolo..) e il nostro Louis non è così forte e felice come appare, e anche lui ha un crollo emotivo e inizia a delirare (Anche se, diciamocelo, chi non ha mai avuto apparizioni di Haz? lol).
Questione ARY: Ebbene si, ci avete azzeccato (e io che pensavo non ci sarebbe arrivato nessuno lol).
La donna misteriosa, anche se non dovrei dirvelo (insomma, sono cose che vanno ad intuizione) era Cora. Alcune di voi hanno pensato alla madre, che invece appare in questo capitolo.
(Anne, amore della mia vita..).
La canzone stavolta è Demons degli Imagine Dragons. Inutile dire che la amo, che la sento quasi mia, che sta diventando la mia canzone preferita (ovviamente dopo Sweet disposition, sia chiaro) e che mi sembrava perfetta per questo capitolo. (Don't worry, nei ringraziamenti a fine storia metterò i link di tutte le canzoni utilizzate per farvene "usufruire" (?))
Okay smetto di sparare boiate e vi lascio con dei link come sempre.
New os Larry natalizia: The perfect present
Twitter: @alwaysbebrave
Ask.fm: Won'tStopToSurrender (ebbene si, ho deciso che da oggi poteteslashdovete askarmi anche voi di EFP)
Se lasciate una piccola recensione ve ne siamo grate :)
Un bacio
-Nicole

PS: Happy Christmas and a happy new year *-*

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Capitolo 5
*** Drunk ***


The only exception

Harry: WithJustOneLook
Louis: _larrysmoments

 

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HARRY



Mi ritrovai a bussare a quella porta con le mani infilate nel giubbotto, un berretto arancione, regalo di Cora, a racchiudermi i ricci e lo sguardo ansioso.
Controllai per l'ennesima volta il bigliettino stropicciato che tenevo tra le mani con quel nome scritto in corsivo e realizzai che la porta era proprio quella giusta.
Allora perchè nessuno veniva ad aprire?
Sospirai scocciato e stavo per girarmi e ritornare sulla strada dove si stava tenendo un mercato, come ogni mercoledì, in fondo era un sollievo che nessuno aveva aperto, dalla morte di mio padre non avevo mai avuto contatti con i suoi amici.
Certo, tutti mi avevano visto al funerale, con gli occhi come di vetro e i pugni stretti, tutti erano venuti a dirmi che sapevano cosa provavo, quando nessuno poteva saperlo, e che potevo contare su di loro.
Ma io avevo preferito allontanarmi da tutto ciò che lo riguardasse, come se trovarmi nel suo stesso mondo corrispondesse solo a lacrime in più, pugnalate in più, ricordi in più.
E per fuggire al mio dolore, l'avevo addossato sulle spalle della donna che più amavo al mondo.
Proprio mentre con questi pensieri facevo i primi passi per allontanarmi una voce mi richiamò indietro.
<< Harry?! >>
Mi girai vedendo un uomo con i capelli castano scuro, occhi sottili e nemmeno una traccia di barba sul suo volto pallido.
Non c'era nulla fuori posto nell'immagine di quell'uomo, solo le leggere rughe tradivano la sua età, che doveva aggirarsi sui cinquant'anni.
Aveva qualcosa di familiare, ma pensai che era normale avendolo sicuramente già visto.
<< Si e lei è.. ? >> mi ritrovai a chiedere, tornando sui miei passi e fissando lo sguardo su quello dell'uomo non riuscendo a togliermi dalla testa un pensiero: quegli occhi li avevo già visti, quel colore l'avevo già ammirato.
La mia mente tornò immediatamente al giorno prima e feci di tutto per scacciare quel pensiero, non era il momento giusto.
Lui sorrise, parandomi la mano davanti.
<< Ciao Harry, sono Jack Tomlinson, ero amico di tuo padre, sai? >>.
Mi trattenni dallo sbuffare, usavano tutti la stessa frase, come se quello gli consentisse di trattarmi come un figlio, eppure c'era qualcosa di diverso in lui, e non erano solo i suoi occhi, era.. lo sguardo, lo sguardo di un uomo tormentato quasi quanto me.
Annuii lentamente, gli strinsi la mano con sicurezza e solo dopo mi premurai di fare la domanda che mi premeva da tempo.
<< Perchè hai voluto che ci incontrassimo, Jack? >> chiesi con un accenno di esitazione.
Non avevo idea di quanto lui sapesse, di cosa volesse, di cosa avrei dovuto fare.
Sembrava una brava persona anche se c'era quel qualcosa di severo in lui, ma io ero sempre andato oltre le apparenze, avendo capito sulla mia pelle quanto questa contasse poco, e avevo capito che la sua era solo una maschera.
Sembrava sofferente, timoroso e ansioso, come se fosse circondato dal male e avesse costantemente paura che tutto si ripetesse, come se tutto girasse attorno ad un unico incubo.
Mi resi conto che tutte le persone che mi circondavano avevano quel tormento dentro.
Avevo bisogno di personaggi allegri, qualcuno che mi distrasse, qualcuno che mi insegnasse come vivere e non come soffrire, qualcuno che non dicesse “Ti capisco” ma piuttosto “Sorridi, che ti costa?”. Forse l'unica persona che mi spronasse ad andare avanti era Cora, e non lo faceva con le parole ma con i gesti, come se non fosse mai successo nulla, come se la sua intera vita non dipendesse, come per me e mia madre, dal passato.
Senza che lo volessi nella mia mente si formò l'immagine di un sorriso, un sorriso sincero, non costruito, un sorriso che non stava a significare “La mia vita è perfetta”, solo “Il passato è il passato, il domani sarà migliore” e io sapevo dove avevo visto quel sorriso.
<< Te ne parlerò con calma, Harry. Entra, perchè non prendiamo un thè? Avremo molte cose di cui parlare. >> la voce dell'uomo mi riportò alla realtà, eppure il sorriso che trovai davanti a me non era molto diverso da quello dell'immagine, era solo più tirato.
La sua calma nel parlare contrastava con ciò che gli avevo visto dentro.
Mi accorsi di starlo studiando, senza che me ne fossi accorto, di nuovo.
Avevo occhio per i dettagli, capivo tutto da uno sguardo, un sorriso, una situazione, vedevo le emozioni delle persone trasparire da gesti e occhiate.
Piccoli segni, un tremolio, il movimento di una mano, piccole bocche che gridavano cosa passava per la testa di una persona.
Ma c'erano anche quelle persone, quelle persone che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire, a percepire a fondo. Le sentivo distanti, come se non provassero nulla, anche se sapevo che erano stracolme di emozioni, invisibili, impercettibili emozioni.
Per l'ennesima volta il suo nome mi offuscò la mente.
Dovevo smetterla di pensare a quel ragazzo.
Biascicai un << Grazie >> pulendomi le scarpe sullo zerbino senza che ce ne fosse bisogno e mettendo piede in casa.
Non riuscivo a fidarmi completamente delle persone, era più forte di me.
C'era quel blocco che mi impediva di sorridere a quello sconosciuto, anche se sentivo, nel profondo, che era stato davvero importante per mio padre, e sentivo di dovergli qualcosa.
Mi guardai attorno entrando in salotto.
Il camino era posto sul lato sinistro della stanza, riscaldando il piccolo ambiente, sopra cui una foto risaltava più delle altre, una foto che io avevo già visto, una foto che non smettevo mai di guardare, di nascosto, quando mi trovavo in casa da solo.
Un tavolino di legno era posto davanti a due morbide poltrone marroni, su cui contrastavano dei cuscini giallo limone e verdi, non c'era televisione ma solo un enorme tappeto persiano a coprire lo scuro parquet.
Sulle pareti erano posti dei dipinti, principalmente di ballerine e dedussi dovessero appartenere alla moglie, oltre che diplomi e attestati.
Effettivamente l'uomo sembrava molto colto, e mi stupii non poco visto lo spirito libero che era stato mio padre.
Girai con lo sguardo verso il grosso tavolo da pranzo in legno di mogano scuro che si trovava sulla destra, su cui dava colore una tovaglia giallo canarino e una fruttiera con dell'uva.
Sfiorai con le dita il muro fatto di mattoni, come quello di casa mia.
Una lunga scala portava ai piani superiori, la superai e, senza aspettare un'invito mi sedetti su una sedia davanti al tavolo.
<< Jay! >> Chiamò Jack a grande voce, richiamando una donna con i capelli corti e gli occhi nocciola.
Anche lei aveva qualcosa di familiare, ed era qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
<< Lui è Harry, il figlio di Tom! >> mi presentò alla donna quasi orgogliosamente, e dopo aver stretto la mano anche a lei, l'uomo ordinò il thè e aspettando che si dileguasse in cucina si rivolse a me.
Aspettavo che mi parlasse, che mi desse delle spiegazioni, che arrivasse al nocciolo.
<< Ti manca tanto, vero? >> domandò lui e io mi limitai ad annuire.
Non mi andava di parlare di lui, era una ferita che non si sarebbe mai cicatrizzata, era un qualcosa che avevo bisogno di tirare fuori solo quando ero da solo, mi piaceva fingere di essere forte, non volevo crollare davanti a nessuno.
Però sei scappato dai tuoi sentimenti, davanti a Louis.
Strinsi i pugni a quel pensiero.
<< Sai, manca molto anche a me.. >> sospirò, e solo dopo continuò.
<< Io e tuo padre eravamo molto amici, ci siamo conosciuti alle scuole elementari, e siamo sempre stati inseparabili, pur essendo terribilmente diversi.
Sai, ho sempre avuto voti molto alti mentre lui non faceva altro che combinare guai e mettersi nei pasticci. Non studiava e durante le verifiche mi implorava di farlo copiare.
Quando la maestra si arrabbiava lui rispondeva che non gli importava la matematica, non gli importava di nulla perchè lui avrebbe fatto il pescatore. Ha sempre avuto quest'idea e non se l'era mai tolta dalla testa. “Da grande sarò un pescatore” diceva a tutti.
Diceva che da piccolo tuo nonno ogni domenica lo portava al mare con lui e Tom lo aiutava, e da quei momenti aveva avuto le idee chiare su quale sarebbe stata la sua passione.
Qualche volta mi portava con lui in spiaggia, ci sedevamo davanti al mare o in fondo al pontile e parlavamo, parlavamo e parlavamo per ore, finchè le nostre madri non dovevano venire a chiamarci per la cena.
Litigavamo spesso, perchè lui cercava di spronarmi a trasgredire le regole e io cercavo di spronarlo a studiare di più. Non volevo che venisse bocciato, volevo passare ogni singolo anno con lui.
Ma alla fine eravamo inseparabili, se prima mi arrabbiavo con lui perchè aveva fatto infuriare la maestra, poi lo ringraziavo per difendermi dai ragazzi che mi chiamavano “Secchione” e mi prendevano in giro.
Le nostre strade si sono poi divise, io sono andato all'università per laurearmi e lui ha subito cominciato a lavorare qui.
Mi mancava sempre, in ogni momento, mi mancava sentire la sua risata o il suo arrivare in ritardo, sedersi affannosamente sul banco di fianco al mio, sorridermi e dire “Non hai idea di cosa ho fatto oggi..”.
Era uno spirito libero, e senza di lui mi sentivo vuoto.
Tornai qui appena laureato, e mi felicitai nello scoprire che nella nostra amicizia nulla era cambiato.
Lui coltivava la sua più grande passione, con il sorriso sempre sulle labbra e quando mi chiese di progettare per lui una barca non esitai un attimo.
Sai, teneva a quella barca quanto teneva a te, non solo perchè l'avevo progettata io, ma anche perchè diceva che non vedeva l'ora di portartici in giro, come suo padre aveva fatto con lui.

Da quando sei nato ti ho amato quanto lui, solo che poi.. >>
Fece una pausa, quasi fosse indeciso se continuare o no, poi scosse lievemente la testa e << Ci siamo persi di vista.. >> concluse semplicemente.
Mi stupii di scoprire i miei occhi colmi di lacrime, perciò avevo avuto ragione, Jack era stato importante per mio padre, era stato il suo migliore amico e stavolta mi concessi di sorridergli sinceramente.
<< Wow, non sapevo nulla del suo passato.. >> dissi solo, sinceramente sorpreso.
Arrivò Jay con il thè e dopo avermelo posato davanti e aver sorriso gentilmente tornò in cucina.
<< Sai se.. è rimasto nulla della ARY? Dopo il funerale non ho più saputo nulla e.. >>
<< No, non è rimasto nulla. >> risposi semplicemente, volendo sviare l'argomento.
<< O meglio, ciò che era rimasto ora è cenere, a causa di mia madre. >> mi lasciai sfuggire e subito dopo mi morsi le labbra.
Lui sospirò prima di soffiare sul thè bollente e << .. Come sta, adesso? >> chiese poi.
Io distolsi lo sguardo e non risposi, non volevo aprirmi a lui, non l'avevo fatto con Louis e non volevo farlo con lui.
Lui sospirò nuovamente e cercò i miei occhi << Harry.. ti capisco se non vuoi parlarne. É stato un duro colpo per tutti, io stesso ne sono rimasto molto ferito.
In verità ti ho chiamato qui perchè c'è qualcosa che vorrei mostrarti.. >> spiegò poi con l'accenno di un sorriso e io lo guardai negli occhi aggrottando la fronte.
<< .. Cosa? >>
<< Te lo mostrerò appena avrai finito il thè >> disse semplicemente, cambiando poi argomento.
Successivamente quel qualcosa tra noi si sbloccò e riprendemmo a chiacchierare di ogni cosa, facendo anche qualche battutina di tanto in tanto, mentre mi affrettavo a finire la mia tazza, ansioso di cosa avrei scoperto.


Mezz'ora dopo mi trovavo nel suo studio, piccolo e buio, disseminato di librerie oltre che progetti, foto e articoli attaccati al muro.
Una lampada da tavolo illuminava la grande scrivania, anch'essa di legno, dove il caos regnava sovrano.
C'erano fogli, lettere, disegni e documenti dappertutto e l'uomo stava da minuti cercando freneticamente qualcosa, imprecando tra se e se e mormorando di tanto in tanto un “Dev'essere qui da qualche parte”, “Sono sicuro di averlo visto qui..”, “L'ho avuto in mano proprio ieri..”.
Aprì e frugò dentro i cassetti, e arrivato al secondo sorrise vincitore e tirò fuori un cumulo di disegni.
<< Avvicinati pure.. >> mi invitò dal momento che ero rimasto fermo sulla porta.
Feci come mi aveva detto mentre si sedeva davanti alla scrivania e puntava la luce sui disegni.
<< Sai.. tuo padre, molto tempo prima della sua morte, mi chiese di progettare un'altra barca.. >>
Spalancai gli occhi. Cosa?!
<< ..Disse che avrebbe voluto regalarti il progetto una volta maggiorenne per permetterti poi di costruirla tu stesso, con il suo aiuto magari.
Non ci misi molto a fare ciò che aveva richiesto, ma con gli avvenimenti futuri non glielo diedi mai.. restò sempre qui, in questo studio a marcire.
Credimi, avrei voluto dartelo prima, ma solo qualche giorno fa ho incontrato Cora in paese che mi ha annunciato il tuo ritorno.
Avrei voluto venire a farti visita io stesso, ma non sapevo se avresti accettato di incontrarmi, così mi sono limitato a dare il tuo indirizzo a Cora. >> continuò lui, ma io mi stavo già asciugando una lacrima salata che scorreva lungo il collo.

<< .. Papà? >> lo chiamai dolcemente dal retro della barca, in cui ero andato ad osservare l'acqua.
<< .. Si? >> rispose lui.
<< Un giorno mi aiuterai a costruire una barca? Non saprei da dove iniziare.. >> domandai.
Lui, addolcito, fece una piccola risata.
<< A che ti serve costruirne una? Questa sarà tua, un giorno >> spiegò.
<< Ma io voglio costruirne una, Pà! Voglio farlo.. >> insistetti facendo i capricci che lo fecero ridere come ogni volta.
Poi tornò a sorridere e << Certo che ti aiuterò. Quando sarai più grandicello, però.. >>
Ma io non ero convinto. Sorrideva sempre e spesso non riuscivo a capire se mi prendeva sul serio o no.
<< Pà, me lo prometti? >>
<< Te lo prometto piccolo >>.

<< Ha mantenuto la promessa. >> mormorai con voce rotta dalle lacrime che premevano furiosamente per uscire.
Jack mi guardò intenerito, per poi sorridere.
<< Vuoi costruirla? >> ma con sua palese sorpresa scossi la testa velocemente.
<< No, credo che terrò solo il progetto, per me è un bellissimo regalo, grazie.. >> mormorai solo.
<< Ma.. tuo padre avrebbe voluto vederla finita, sono sicuro che sarebbe contento di vederti sul suo stesso mare, a fare ciò che amavate fare insieme. >> disse in tono quasi severo.
Mi piaceva il fatto che non provasse pena e compassione per me, come tutti gli altri, sembrava al contrario aver sofferto le mie stesse pene, sembrava portarsi dietro un grosso peso.
Ma << Io odio il mare. >> risposi, come se tutto dipendesse da quello.
<< Io non credo. Io credo solo che tu odi ciò che è successo quella notte.
Ti si legge negli occhi, daresti tutto per rivivere uno di quei momenti con lui, quelli passati insieme a ridere e scherzare sullo specchio d'acqua >> io spalancai gli occhi.
<< Come puoi pretendere di sapere ciò che provo ora? >> ero quasi arrabbiato, chi si credeva di essere?!
Ma un << Perchè sono le stesse cose che provo io >> mi spiazzò e frenò la mia irritazione.
<< Ci penserò.. >> conclusi, la voglia di fuggire da lì che mi invadeva come un gas.
<< Se decidi di attuare il progetto, torna pure. Sei sempre il benvenuto qui, Harry, e io sarò più che felice di darti una mano >> ci scambiammo una stretta di mano mentre annuivo e passai a salutare anche Jay prima di lasciare quella casa soffocante con un pacco di fogli in mano.
Fogli che, sapevo già, avrei archiviato per sempre.
Solo quando l'aria fresca mi penetrò nelle narici e imboccai una stradina deserta mi permisi di ripensare al giorno prima.
Ero scappato, ero scappato come se non riuscissi a reggere quel confronto, come se Louis riuscisse a soppesare tutti i miei pensieri, uno per uno, vedere quelle immagini, studiare quei tormenti.
Ma potevano due semplici occhi fare tutto questo?
No di certo.
Semplicemente gli stessi dubbi del giorno prima mi avevano assalito, non permettendomi di ragionare.
Nella mia testa solo acqua, acqua rossa, acqua che si infrangeva sulla sabbia intrisa di rosso, come il mio incubo ricorrente.
Avevo visto i miei occhi riflessi nei suoi e la paura di inquinarlo con i miei fantasmi aveva di nuovo perforato ogni voglia di mettermi a nudo e aprirmi a lui.
L'avevo incrociato, avevo fatto finta di non conoscerlo, e in effetti lui non conosceva me.
Avevo visto la paura nei suoi occhi, due volte.
Avevo visto la delusione nel suo sorriso mancante, due volte.
Ma non era stata solo paura, la mia.
Ero stato in procinto di andargli incontro, ricambiare il suo saluto, scusarmi, prendergli la mano e rimediare a tutto.
Ma poi i miei occhi avevano visto quella figura di fianco a lui, quel ragazzo a cui il castano sembrava essere molto legato.
E la gelosia aveva preso possesso di me.
Un unico pensiero aveva invaso la mia mente: Ha già un amico, non ha bisogno di te.
Per questo ero semplicemente fuggito, di nuovo, mentre la sua voce urlava il mio nome e io pensavo “Rincorrimi, ti prego, dimostrami che ci tieni” prima di stupirmi da solo per i miei pensieri.
Come poteva tenerci? Ci eravamo solo scambiati qualche parola.
Eppure ero sicuro di aver letto finalmente gioia nei suoi occhi quando gli avevo rivelato il mio nome.
In questo momento avrei solo voluto chiedergli scusa, perchè io volevo che cercasse di conoscermi, volevo che cercasse di abbattere le mie difese.
Mi piaceva il suo essere schietto, come Jack.
Con questi pensieri presi a correre in una direzione precisa.
C'era solo un posto in cui volevo e dovevo andare in quel momento, e casualmente era lo stesso posto che avevo evitato il più possibile.


Con non poca fatica raggiunsi lo scoglio più alto, il mio preferito.
Anche se ero ormai abituato a quella scalata, salire fin lassù non era certo facile.
Mi guardai attorno, lui non c'era.
Non ha motivo di esserci.
Sospirai di delusione, pensando che i suoi occhi mi mancavano terribilmente.
Presi la bottiglia che avevo afferrato dalla scorta presente in camera mia, non prima di aver nascosto con cura i disegni, e la solita penna che portavo in tasca e cominciai a scrivere, come amavo fare da lì a qualche giorno, con il vento profumato che mi accarezzava e la pace che regnava.
Scrissi per svuotarmi ma soprattutto per passare il tempo mentre aspettavo quel ragazzo che mi aveva colpito così tanto.
Perchè non vieni?
Lo aspettai per ore, sicuro che sarebbe venuto, come tutti i giorni, scrivendo più del solito e piangendo di tanto in tanto.
Lo aspettai seduto, con la schiena e le mani doloranti.
Decisi di aspettarlo anche quando il sole cominciò a tramontare dolcemente, regalando al cielo e all'acqua sfumature di rosa e arancio.
Ma quel giorno, per la prima volta, Louis non venne.

 

</a

LOUIS

Voglio tenere il tuo cuore tra le mani
La fine di una lattina di Coca Cola
E non ho piani per il week end
Dovremmo parlare ora? Rimanere amici?
- Ed Sheeran

 

Il vento soffiava più forte del previsto, ma dopo aver passato un’intera notte a spostarmi da una panchina all’altra, non mi pareva potesse reggere il confronto.
Altri quattro passi e mi trovai ancora una volta a fissare quel grosso portone in legno scuro, graffiato e rovinato dagli agenti atmosferici e beh, probabilmente anche da tutte le volte che sono scappato infuriato di casa sbattendolo alle mie spalle.
Dopo la scenata che mi ero ritrovato a fare, presentarmi lì come se niente fosse successo, non mi sembrava una buona idea, ma ero stanco, sentivo le palpebre dannatamente pesanti, il corpo era contratto dal freddo e facevo fatica a sorreggermi.
Strinsi la mano a pugno, intento a bussare. Non ne avevo il coraggio. Perché? Cosa c’era di tanto forte da fermarmi?
Avvicinai la mano pallida, così com’era il mio viso alla bocca, soffiandoci un po’ di alito caldo. Era semplicemente una scusa per riflettere, per perdere tempo. Dovevo capire quali conseguenze avrebbe portato il mio ritorno in scena, anche se ero più che convinto che non potesse essere nulla di buono.
Entrare, o non entrare?
Mentre la mia mente si aggrappava ad ogni singolo pensiero che mi vagava in testa, divorandone ogni singolo particolare, la porta di fronte a me si aprii e venni colpito da un’ombra che pareva addirittura avvolgermi.
Alzai gli occhi impaurito.
<< Louis. >> sibilò.
Uno scambio di sguardi fulminei durò diversi secondi.
<< Non avevi deciso di scappare? >> continuò quella voce.
Deglutii. La saliva pareva bruciarmi la gola.
<< Cos’è, ti sei accorto che probabilmente non hai un posto dove passare la notte? >>
Abbassai lo sguardo, in segno di sconfitta. Lui rise, una risata di rimprovero, una risata che mostrava di averla avuta vinta anche questa volta.
<< Ti diverte così tanto a vedermi in difficoltà, papà? >>
Di colpo tornò serio.
<< Louis, non azzardarti neanche a pensarlo. >> continuò alzando la mano che fermò a pochi centimetri dal mio viso stringendosi in un pugno. << Io voglio solo il meglio per te. Ma tu probabilmente non riesci a capirlo. >>
<< No papà, sei tu che non capisci. >>
<< Io capisco fin troppo. >>
<< No invece. Tu credi di sapere, ma non è così. Non sai niente di me, non sai niente di come sono davvero. E sinceramente non riesco neanche a capire perché tutta questa ostilità verso la mia passione, verso ciò che mi rappresenta. >> strinsi i denti, tentando di trattenere le lacrime.
Lui strizzò gli occhi, come se un brutto ricordo gli fosse tornato alla mente. Anche l’altra mano si strinse in un pugno, si stringeva sempre di più, ogni secondo che passava.
<< Louis, vattene. >>
Il mio sguardo di distolse da quei pugni.
<< Ho detto di andartene. >>
Lo guardai un’ultima volta. Guardai quell’espressione cupa, priva di emozioni, priva di felicità, amore, odio. Priva di ogni cosa. Era vuota, proprio come reputavo il suo cuore.
 

<< Potrebbe darmi della vodka? >>
Ero rimasto lì, vicino a quel cancello a fissare quella porta chiudersi ed io rimanerne fuori ancora una volta; non riuscivo a crederci l’avesse rifatto, mio padre aveva avuto il coraggio di battermi fuori di casa nonostante mi fossi arreso, nonostante non avessi reagito sottomettendomi alle sue critiche. Era inutile rimanere lì a contemplare la situazione, quando ero il primo ad essere convinto che niente sarebbe cambiato.
Avevo imboccato una strada a me sconosciuta, il silenzio e la quiete che si riusciva a respirare mi aveva invogliato ad intraprenderla, fregandomene di dove mi avesse portato.
Sentivo la strada sotto i miei piedi bruciare sempre di più ad ogni passo, ero stanco, le palpebre facevano un immane sforzo a restare aperte, sentivo freddo, il mio corpo era ricoperto da un brivido che non riuscivo a scacciare.
Camminavo, camminavo per quella via buia, desolata, sperduta. Il cielo cominciava ad imbrunirsi e le folate di vendo a diventare sempre più impetuose. Era come se mi sentissi abbandonato in un posto sperduto e privo anche della voglia di conoscere, di scoprire, sapermela cavare.

Delle luci immerse in una musica che rimbombava ovattata, quasi mi incantarono. Sopra la mia testa un’insegna era sorretta, luminosa quando bastava per spiccare nel buio pesto che ormai era la città.
<< Un altro per favore. >> bevvi anche quel bicchiere di vodka tutto d’un fiato.
<< Un altro per favore. >> il mio corpo cominciava a scaldarsi ma probabilmente non nel modo giusto.

Labbra serrate sul bordo del bicchiere, occhi sgranati, gola che pareva bruciare sempre di più ad ogni sorso. Mi sentivo bene, anche se sapevo sarebbe durato poco.
<< Due, per piacere. >> poggiai il bicchierino ormai vuoto sul bancone, accantonandolo vicino agli altri, che andavano a formare un semicerchio alla mia sinistra.
Afferrai il quinto bicchiere con prepotenza portandomelo alle labbra.
<< Vacci piano con quelli, ragazzo. >>
Il liquido ormai era già oltre la gola e come una fiammata di fuoco, mi fece strizzare gli occhi.
<< Faccio quello che mi pare. >> risposi scorbutico, portandomi nuovamente il bicchiere alla bocca, intento a far scendere anche l’ultima goccia rimasta.
Non mi interessava ciò che la gente aveva da dire.

<< Almeno ce l’hai l’età per bere? >>
Sbattei con prepotenza il bicchiere sul legno. << Non le farò fare il culo a strisce dalla polizia, se è qui che voleva arrivare. >> il vetro bianco vibrò tra le mie dita strette.
L’uomo sorrise divertito tra se e se, mentre con una certa sicurezza preparava cocktail dietro il bancone.
Ecco che il sesto era tra le mie mani, lo giravo e rigiravo contemplando la sua immane forza di farti sentire istantaneamente bene, ma allo stesso tempo uno schifo. Tanto potere in appena tre sorsi.
Non volevo finisse subito, volevo gustare il sapore della felicità pian piano, godendomi anche il momento in cui avrebbe graffiato ancora una volta la mia gola, facendomi sentire libero.
Primo sorso, mi sentivo leggero, secondo sorso, ne ero fottutamente dipendente. Non riuscii a resistere a questa pena, lo strinsi ancora più forte mandandolo giù di colpo.
Una lacrima mi scese sul volto, triste e sola, dettata direttamente dal mio cuore.
Il tonfo della porta d’ingresso, superiore alla musica che rimbombava tra quelle mura, mi fece sussultare costringendomi a voltare lo sguardo; un ragazzo alto avanzò di dieci passi, sedendosi all’unico tavolino libero ad un lato della stanza. Tolse il berretto in lana grigio, rivelando ricci e disordinati capelli che lasciò sistemarsi da soli con una scossa di testa.
Ero annebbiato, confuso, immobile; la mia immaginazione stava di nuovo giocando contro di me?
Sbattei più volte le palpebre, incredulo di ciò che avevo fatto: non avevo rivolto neanche una piccola parte dei miei pensieri ad Harry quella sera e già iniziavo a pentirmene amaramente.
Stavo cercando di scappare da quella che era la mia realtà, non da lui. Continuavo a chiedermi cosa avesse fatto per avermi ai suoi piedi proprio come adesso stavo facendo, impaurito del perché non stessi in città a cercarlo, spaventato del perché i miei pensieri non fossero rivolti alla purezza del suo sorriso, alla limpidezza del suo sguardo.
Il cuore prese a battermi forte nel petto, mentre senza accorgermene avevo ancora lo sguardo puntato su quel ragazzo e la sua sagoma che era la sola ad apparire in risalto ai miei occhi in tutto il pub.
Scostai di poco lo sgabello, tornando ad osservare inconscio il bicchiere in vetro vuoto proprio di fronte a me.
<< Mi scusi. >> fermai con una mano il primo barista che occupò quel posto. << Potrebbe darmi della vodka? >> volevo punirmi per come stavo reagendo, punirmi per aver perso la ragione nonostante continuassi a farlo, punirmi per non essere in grado di cambiare la situazione, punirmi semplicemente per essere nato così, sbagliato.


Barcollavo per la strada, vedevo solo un ammasso di ombre passarmi davanti, non capivo niente, ero disorientato.
L’istinto, o molto probabilmente il mio essere, la mia naturale passione mi aveva guidato fin qui, al porto.
Che cosa scontata, come posso credere di poter cambiare un giorno se poi è sempre e solo qui che riesco a sentirmi a casa?

Nonostante la mia insistente voglia di oppormi a ciò che facevo in automatico, dovevo assolutamente restare.
Questa volta oltre al forte risentimento che provavo, c’era qualcos’altro che mi frenava in modo irascibile.

Non avendo il pieno controllo delle mie azioni mi avviai verso la scogliera, dove probabilmente sarei rimasto tutta la notte. Non mi importava del vento, del freddo, del buio; era l’unico posto dove riuscivo ad intravedere la sua ombra riflessa atra le pietre frastagliate anche quando lui non era presente.
Ero sicuro che il profumo del suo dopobarba, pungente ma allo stesso tempo rassicurante mi sarebbe mancato; probabilmente non mi sarei potuto fermarmi a riflettere nella misteriosità del suo sguardo quella notte, ma non mi importava. Dovevo salire su quella scogliera e perdermi nel ricordo di ciò che mi faceva stare bene, mi faceva sentire vivo.

Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, forse, ma sapevo perfettamente che lui aveva portato una ventata di aria fresca nella mia vita; lui era stato in grado di farmi provare ciò che io non ero mai stato in grado di donare a qualcuno.
Cercavo di dimenticare come ero ad un passo dal baratro semplicemente pensando a lui, Harry.

Alzai gli occhi a guardare il cielo stellato sopra la mia testa; era scuro, pareva ricoperto di inchiostro mentre le stelle luccicavano nelle loro diverse forme facendomi sentire piccolo come un frammento in tutta quell’immensità.
Persi per un attimo la stabilità e caddi seduto su quelle rocce taglienti tanto da essermi fatto male senza nemmeno accorgermene.
Se avessi fatto uscire anche solo un sibilo dalla mia bocca avrei spezzato quella quiete che mi avvolgeva, immischiandomi alla rabbia delle onde che sbattevano con prepotenza sugli scogli.

I pensieri presero a fare a botte nella mia mentre, il nervoso pervase ancora per molto, sentivo il mio cuore stringersi ogni secondo di più.
Mi coprii il viso con le mani, rendendomi conto che la colpa era solo mia; incolpavo me stesso per non essere stato in grado di dargli fiducia, incolpavo me stesso perché l’unica cosa che ero riuscito a fare era averlo fatto allontanare da me.
Quella sera mi aveva ignorato fingendo di non conoscere il mio nome, mi aveva evitato come se fossi stato affetto da chissà quale malattia.
Dov’è che continuo a sbagliare, e perché non me ne faccio una ragione?
Se solo lui mi desse la possibilità di stargli accanto capirebbe che non è solo come crede, e verrebbe a conoscenza del fatto che stava aiutando me anche se inconsciamente.
Steso su quelle pungenti rocce i miei occhi si chiusero, immaginando la mia realtà ideale.

 

*

Voi ci odiate. So che lo state pensando.
Cioè, tutto questo tempo senza aggiornare, lasciandovi la suspance..
Mi odio anche io, sapete?
Le persone che mi aggiungono agli autori preferiti stanno crescendo sempre di più, non so se grazie a questa long o alle mie os, e mi dispiaceva lasciarle a bocca asciutta, perciò ho provato a riscattarmi postando Get us.
Al contrario di ciò che tutti starete pensando, non è una Larry, nè una Zarry, nè una Niam o Nouis o niente di tutto ciò.
Per una volta ho voluto cambiare. Inizialmente avevo pensato ai FUN. perchè, per chi non l'avesse capito, li amo. Ma siccome manca la categoria ho deciso di buttarmi su una FemSlash e quale fandom potevo scegliere se non quello delle t.A.T.u? Cioè anche se non stanno insieme le shippo quanto i Larry, perciò mi sono detta "Facciamolo".
Ovviamente, non essendo sui 1D, ho ricevuto pochissime visite e 0 recensioni, ma chisseneimporta.
Tornando al nostro ritardo..
Mi piacerebbe dire che ce la siamo presa comoda perchè tanto abbiamo pochissimi che seguono e recensiscono la storia, ma non lo faccio.
Perchè io sono la prima a non recensire mai nessuno per mancanza di tempo/voglia per cui posso lamentarmi? No di certo.
Secondo punto, non sentirete mai dalle mie labbra (o dalla mia tastiera?) un "Se le recensioni non crescono cancello la storia". NOSSIGNORE. 
Questa fanfiction è una sfida per me, è la mia prima long, un'idea che mi balena in testa da mesi, se passerò un momento difficile la sospenderò.
E poi sapete che vi dico? Non mi importa se altre fanfiction dopo 3 capitoli hanno 54 persone a seguirle e io dopo 5 solo 25, perchè i miei pochi lettori sono i migliori del mondo.
Cioè davvero, voi siete dolcissime e non avete nemmeno idea di quanto noi siamo felici.
Alcune di voi mi hanno detto cose tipo "Mi sono affezionata alla tua long" o "Non vedo l'ora di leggere il nuovo capitolo" e queste cose per noi sono come la manna dal cielo.
Anyway.. Il punto è che io ci ho messo poco a scrivere il capitolo, ma inizialmente Sharon non ha ricevuto il mio messaggio, e poi le è venuta la febbre alta.
E vi assicuro che non ci odierete più dopo che saprete che ha scritto il capitolo solo per voi CON LA FEBBRE ALTA, e per DUE VOLTE, visto che aveva capito male una mia richiesta.
Insomma, se pensate che ce ne freghiamo, sbagliate.
Non avrei mandato un messaggio ad ognuna di voi con una richiesta di perdono, e ho notato che molte hanno apprezzato.
Il punto è che odio quando nelle seguite c'è un nuovo titolo e sclero perchè aspettavo da tanto il nuovo capitolo e poi leggo "Avviso" al posto del titolo del capitolo.
E poi il regolamento di EFP dice chiaramente che se è possibile è meglio evitare gli avvisi, altrimenti la storia finisce in cima alla lista senza una giusta ragione, e siccome avevo pochi lettori da contattare, era più che possibile per me.
Vi piace questo capitolo? A me e Sharon non soddisfa come gli altri, forse perchè non ci sono contatti Larry? Umh.. possibile.
Probabilmente dopo questo la vostra opinione sul padre di Louis cambierà, prestate soprattutto attenzione alla breve conversazione che ha con Louis.
Stavolta è Harry a cedere, arrivando addirittura a cercare un contatto con Louis, eppure rimane deluso.
La canzone è Drunk di Ed Sheeran, per ovvi motivi.
A proposito, come qualcuno avrà notato, sono finalmente riuscita a cambiare tutta la grafica del mio profilo, cancellando alcune storie, cambiando la biografia e l'avatar, oltre che la grafica in ogni singola os.
Per questa storia mi sono limitata a mettere la grafica uguale alle os.
Il più grande cambiamento è probabilmente quello che cliccando sui pezzi di canzoni che metto all'inizio dei punti di vista vi si aprirà la finestra di youtube con la relativa canzone (attenzione, dovete cliccare con il tasto destro e fare "Apri link in un'altra scheda" altrimenti vi cambia direttamente la pagina).
Se volete dare un'occhiata alle mie altre os o alle modifiche trovate tutta la "collana" in questa os: Porca vacca.
Credo di aver finito le cose da dire (per fortuna).
Mi ero accordata con Sharon per iniziare a scrivere SUBITO il nuovo capitolo e postare entro pochissimo per "farci perdonare", ma dato la sua febbre alta non mi sembra proprio il caso di assillarla ulteriormente, per cui la contatterò di nuovo tra una settimana sperando stia meglio.
Ieri le scoppiava la testa e non me la sono proprio sentita di chiederle di scrivere una nota autrice per voi.
Perciò la sentirete di nuovo nel prossimo capitolo (e nel frattempo dovrete sorbire me).
A proposito, vorrei ringraziarla un sacco perchè si vede che tiene a questa fanfiction quanto me, e fa di tutto per essere puntuale, arrivando persino a scrivere con la febbre.
Sistah, are you mad?
Sei fantastica, la migliore collaboratrice di sempre.
Detto questo vi lascio, vi amo davvero tanto.
Grazie di tutto.
Se volete contattarmi ecco il mio Twitter e se avete domande, qui c'è il mio Ask.fm.
- Nicole


 

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Capitolo 6
*** Runaways ***


The only exception

Harry: WithJustOneLook
Louis: _larrysmoments



HARRY

“Ciao papà.
Come si sta lassù?
Sai, ogni volta che provo a immaginarmi il paradiso, nella mia mente si forma l'immagine di una barca, una barca di legno che a prima vista può sembrare sciatta. Alcune parti sono dipinte di rosso.
Era il tuo colore preferito, giusto papà?
Una barca nell'immensità dell'oceano, ma non è mosso, no, l'acqua si muove lenta, creando leggere increspature di schiuma, e lì sotto c'è vita, c'è magia.
È il mondo perfetto.
Ma non è forse questo il paradiso papà? Un vecchio ricordo, momenti felici, gioia nel cuore, immaginazione?
Alla mamma piaceva raccontarmi di te che cavalcavi grosse creature marine ed esploravi mondi meravigliosi e sconosciuti.
Vorrei essere là anch'io, papà, in un mondo meraviglioso e sconosciuto.
Solo noi due, Harry e Tom.
Non sai quanta voglia ho di fuggire.
Già, fuggire, lo faccio spesso ultimamente.
Sto fuggendo dai demoni, dai ricordi, fuggendo dal dolore, sono fuggito da questo posto e successivamente fuggito da New York, sto fuggendo dalle colpe, dalle immagini che impresse negli occhi con mille spillatrici mi impediscono di vedere il mondo con occhi diversi.
Sto fuggendo anche da Louis.
L'ho rifatto, papà.
Ora lo sto aspettando. Ho capito papà, ho capito tutto. Le parole di mamma continuano a risuonarmi nella mente, sai?
Non sono sicuro di nulla, aspetto ancora delle risposte ma aspetto anche lui.
Mi aveva sorriso, papà.
Ricordi quanto era bello il tuo sorriso?
Io si.
L'ho lasciato andare via come se fosse uno di quegli stupidi strizzacervelli, uno di quelli per bene, che non fanno altro che giudicare.
Lui mi aveva solo sorriso.
Ma ora lo sto aspettando, e lui non arriva.
Questa è la sesta lettera che ti scrivo, sono dovuto tornare a casa a prendere altre bottiglie.
Sta fuggendo anche lui, papà?
Ma, in fondo, non siamo tutti dei fuggitivi?
Il sole sta tramontando, e con lui anche tutte le mie speranze di specchiarmi ancora in quegli occhi.
Se li avessi visti, papà, li avresti trovati i più belli del mondo.
Non sono di un colore definito. Sono azzurri, si, ma anche grigi e gialli, anche verdi e rossi.
I suoi occhi sono l'universo. Si può fuggire dall'universo?
Mi manca.
Mi manchi.

                                                                                                                                    Harry”

Camminavo con passo lento e veloce allo stesso tempo, stringendomi sempre di più nel cappotto nero e cercando invano di proteggermi dal forte vento mentre i miei piedi affondavano nella sabbia, i gabbiani erano già svegli e alcuni pescatori già al lavoro.
Soffocai l'impulso di chiedere a qualcuno se non avesse bisogno di una mano, solo per rivivere quelle sensazioni.
Lui era lì, me lo sentivo.
Mi ero alzato presto e, presa una bottiglia, non avevo fatto altro che seguire il mio istinto.
Ma non avevo fretta, mi godevo quella passeggiata nella pace, pensando e ripensando ad ogni nostro incontro, ogni volta che i nostri occhi si erano incrociati, ogni volta che le sua labbra si erano curvate in un sorriso magnifico, privo di convenevoli.
Non me n'ero reso conto prima, ma io avevo bisogno di un amico.
Non un amico qualunque, di quelli descritti nei romanzi, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse fuggire dalla sporca realtà in cui vivevo, farmi vivere qualcosa di speciale, o semplicemente farmi vivere.
E Louis era questo, un modo per scappare dalla realtà, anzi no, lui la realtà la modificava, rendeva il mondo qualcosa di magnifico, i suoi occhi erano magici e quasi vivere era meraviglioso solo per osservarlo, sfiorarlo, stare con lui, in un prezioso silenzio.
Se avevo perso lui, il mio primo amico, non me lo sarei perdonato.
Mentre camminavo inciampai su una bottiglia di Vodka vuota, e senza pensarci presi su anche quella, una bottiglia in più mi sarebbe servita.
Ad un certo punto, in lontananza, scorsi un corpo, un corpo che io conoscevo bene.
Louis era sdraiato in una posizione innaturale sulla riva, l'acqua gelata gli sfiorava dolcemente i piedi nudi prima di ritrarsi, era vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, i capelli erano scompigliati e immersi nella sabbia.
Quella visione.
Spalancai gli occhi mentre sentivo il panico impossessarsi di ogni centimetro del mio corpo.
Attorno a me silenzio, solo un battito che andava veloce, troppo veloce, ed era quello del mio cuore.
Solo pelle d'oca, solo mani che tremavano, solo muscoli che si muovevano da soli.
E non c'era nulla che potessi fare, se non correre più veloce che potevo, senza sentire davvero il mio corpo, e fiondarmi su quella figura.
Nella mia testa immagini diverse che si susseguivano senza sosta e istintivamente portai una mano alla tempia in cui avvertivo continue fitte.
Sangue.
Acqua.
Pezzi di legno.
Urla.
Lacrime.
"Non può essere" pensai.
Mi buttai di fianco a lui scuotendolo violentemente, mentre continuavo a tremare.
Contro ogni mia aspettativa, lui mugugnò qualcosa e dopo qualche secondo aprì gli occhi, sorridendomi dolcemente subito dopo.
Ma cosa.. ?
Non ebbi tempo di formulare nemmeno un pensiero, che il castano sbiancò e scattando a sedere iniziò a vomitare, stringendosi la pancia con le mani fredde e cercando si sottrarsi alla mia vista.
Abbassai lo sguardo ancora tremante sulla bottiglia di Vodka e capii.
Louis si era ubriacato, era arrivato fino a qui e si era addormentato a riva.
Iniziai a piangere e singhiozzare, chiudendomi come a guscio e affondando i ricci tra le ginocchia strette, sentendomi stupido e spaventato.
Si, ero più di tutto spaventato.
Era stato come rivivere tutto al rallentatore, una seconda volta.
Se mi concentravo riuscivo quasi a sentire il rumore delle sirene, vedere le luci che vagavano senza sosta sul nero mare, cercando qualcosa.
Louis, dopo aver vomitato, si girò verso di me e nel vedermi in lacrime il suo lieve sorriso si spense.
Mi venne vicino e mi abbracciò stringendomi possessivamente.
Era la prima volta che avevamo un contatto del genere, e non mi dispiaceva.
Era come se nelle sue braccia mi sentissi protetto, come se i demoni non potessero raggiungermi lì.
<< Hey, non piangere. Shht. Perchè piangi, Harry? >>.
<< Tu.. i-io credevo che.. >> presi un respiro profondo cercando di controllarmi ma lui non fece altro che stringermi a se e << Shht. Non importa >> mormorare.
Ma io non ero contento, volevo che lui sapesse.
Volevo che sapesse che io lo volevo, lo volevo con tutto il cuore, volevo essere suo amico.
Per questo alzai la testa, asciugai le copiose lacrime con la manica del cappotto, trovai il coraggio di guardarlo e << Mi dispiace. Mi dispiace per l'altro giorno. Mi dispiace di essere fuggito. Mi dispiace >> mormorare.
<< Non voglio scappare da te, Louis. Tu mi sei simpatico, mi fai sentire bene. Io, tu.. voglio essere tuo amico, Louis. >>
<< E allora non farlo Harry, non scappare più da me.. >>.
Annuii guardandolo negli occhi e quando lo vidi sorridere dolcemente sentii qualcosa muoversi nel mio stomaco.
Era forse serenità, quella?
<< Troppo dramma per oggi, non credi anche tu? >> sentenziò poi alzandosi e pulendosi i vestiti dai granelli di sabbia e io rimasi sconcertato da quel suo improvviso cambio di umore.
<< Che ne dici se ti porto in un posto e proviamo a ricominciare? >> non riuscivo a smettere di guardare il suo sorriso e, per la prima volta, accettai.
Non solo accettai la sua mano che mi tirava su, non solo accettai l'invito e la sua richiesta.
Accettai di farmi aiutare, di lasciarmi amare, di lasciarmi andare.
Solo tu puoi spezzare quelle catene.

Ci trovavamo sulla sua barca, io seduto di fronte a lui, e il silenzio ci guidava mentre alternavamo scambi di sguardi e sorrisi imbarazzati.
Lui stava remando e io mi sentivo come quando ero con lui.
Sentivo la potenza dell'acqua muoverci, sentivo la sua energia, sentivo il rumore dei remi che scalfivano l'acqua.
Ero in mare, senza di lui.
Ma ero con Louis.
Lui riusciva ad infondermi lo stesso senso di protezione, lo stesso affetto nello sguardo.
Dopo poco tempo sentii la terra sotto di noi, mi guardai intorno e rimasi incantato.
Ero su un'isola.
Era davvero piccola, per lo più coperta da alberi, davanti ad essi si ergeva una capanna fatta alla bell' e meglio con dei pali di legno, delle assi poste sopra a fare da tetto e degli stracci qua e la.
All'interno c'erano un vecchio tappeto e delle sedie, oltre che un piccolo tavolo rovinato.
Louis saltò giù dalla barca e, ridacchiando per la mia faccia meravigliata, << Ti piace? >> chiese.
<< Wow >> riuscii a mormorare piano e quell'esclamazione la ricordavo bene.
<< Ho scoperto questo posto quando una sera ho litigato con i miei genitori e girando con la barca mi sono ritrovato qui. Ho deciso che sarebbe stato il mio posto segreto, non ne ho mai sentito parlare perciò non credo che qualcun'altro ne sia a conoscenza.. >> spiegò. Poi, vedendo che fissavo la “capanna” aggiunse << Ora sono stato cacciato di casa, perciò emh.. ho dovuto arrangiarmi in qualche modo. Però stare qui mi piace, mi sento tutt'uno con la natura, è davvero una bella sensazione. >> sorrise.
Non capivo come facesse a sorridere sempre, soprattutto dopo aver detto di essere stato cacciato di casa.
Quale genitore sarebbe capace di una cosa simile? Certo, Louis era maggiorenne e aveva l'età per vivere da solo, ma non mi sembrava affatto viziato e non riuscivo a capire il perchè di questa decisione.
Ma non mi azzardai a fare domande, sapendo l'effetto che poteva avere un semplice punto interrogativo posto ad alta voce.
Entrai nella cappa e continuai a guardarmi attorno, studiando ogni piccolo dettaglio meravigliato.
Tom avrebbe potuto viverci per il resto dei suoi giorni.
Sorrisi.
Poi cercai un qualunque argomento di conversazione per rompere il silenzio, sedendomi sul tappeto.
<< Non.. non lavori? >> chiesi mentre si sedeva di fianco a me.
<< Faccio il pescatore nelle barche che vedi al porto, ma è più un modo per passare il tempo e non sempre ne ho voglia.. >> e io sussultai perchè rivedevo sempre un po' di mio padre in quel ragazzo.
Rimanemmo un po' a parlare, senza però toccare argomenti personali, mentre sentivo l'insicurezza abbandonarmi.
Mi raccontò del suo lavoro, di come amasse questo paese, del suo amico Stan e di come aveva abbandonato gli studi.
Io gli raccontai della mia vita a New York, del mio lavoro nel bar in cui venivo pagato bene, del traffico quotidiano.
Ero a conoscenza del fascino che le grandi città potevano avere su persone provenienti da un paese come quello, io stesso ne ero rimasto incantato appena ci avevo messo piede.
Ma lui si era limitato ad un << Ugh, odio le città. Voglio dire, in quei posti dove lo trovi un posto come questo? O una calma del genere? Dove la trovi una spiaggia pulita e intatta? >> e dovetti riconoscere che aveva ragione, anche se a me New York piaceva.
Quando il buio iniziò a calare << è meglio se ti riporto in paese >> disse e io annuii sorridendogli, contento della giornata passata.
Nel tragitto di ritorno parlammo di più, mentre gli confidavo il mio odio-amore verso il mare e lui della sua repulsione nei confronti del potere, dei soldi, della società.
Arrivati alla riva, salto giù per primo, con i piedi nudi e i pantaloni rossi arrotolati fino al ginocchio e portò la barca sulla sabbia, dandomi poi la mano e aiutandomi a scendere.
<< Bhe, è stato un piacere conoscerti Harry, buonanotte >> sorrise mentre spingeva la barca un po' più indietro preparandosi a tornare sull'isola.
Ma io non ero stanco, non ero stanco di lui e non avevo intenzione di tornare a casa, perciò in un impeto di coraggio << Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia? >> chiesi a bruciapelo.
Con un sorriso lui << Con piacere >> acconsentì affiancandomi e cominciando a camminare.
Arrivati alla “nostra” scogliera di sdraiammo l'uno di fianco all'altro ammirando le stelle.
<< Sai.. a volte guardo le stelle e mi sembra di vedere il viso di mio padre.
Quel giorno non c'erano stelle, sai? Era tutto nuvoloso, il cielo era nero.
Mia madre gli aveva detto di non andare, gli aveva detto di non rischiare, ma lui era voluto uscire comunque. “Se non lavoro io chi porta a casa i soldi? Eh?!” aveva urlato e io mi ero rifugiato in camera come sempre perchè in quei momenti mi faceva paura. Era cambiato già da un po', continuava a uscire di casa e si irritava per ogni cosa, solo quando era con me tornava ad essere quello di prima, come se rappresentassi per lui la calma più totale, e il resto del mondo lo portava ad una crisi di nervi.

Sai qual'è stata l'ultima cosa che ha detto a mia madre prima di uscire quella sera? >>.
<< Cosa? >> chiese lui continuando ad ammirare il cielo mentre io avevo girato la testa ad osservare il suo profilo.
<< Sono stufo dei tuoi capricci, esco >> mormorai con un filo di voce, mentre mi lasciavo andare totalmente e aprivo il mio cuore al mio nuovo amico.
<< Non mi aveva nemmeno salutato, era solamente uscito di fretta.. >> continuai, con mia sorpresa, senza piangere.
Lui girò lentamente la testa verso a mia fissandomi negli occhi ed << E.. poi? >> chiese e stavolta deglutì prima di farlo, e io capii come quella domanda facesse paura a lui quanto la facesse a me.
<< E poi è successo tutto in un attimo, mi sono ritrovato mia madre che correva qui insieme a me, le sirene dell'ambulanza a fracassarmi i timpani e troppa gente che cercava di spiegarmi nel modo più delicato possibile che mio padre non c'era più, che il mare in tempesta l'aveva ucciso e aveva ridotto a brandelli la sua barca >> spiegai senza esitazione.
<< Mi dispiace.. >> mormorò.
<< è quello che dicono tutti.. >> risposi io.
<< Com'è tuo padre? >> chiesi poi.
<< Lui è .. non lo so. Da tempo le cose sono degenerate tra di noi, non accetta il mio amore per questo luogo, vuole che vada a studiare in qualche città e torni con una laurea. Mi sono ribellato e ha deciso di cacciarmi di casa. >> e mentre pronunciava queste parole tornò a guardare il cielo, togliendomi la possibilità di perdermi nei suoi occhi.
<< Non ti manca? >> chiesi stranito.
<< No, lui non tanto. Mi manca quello che era prima, mi manca mia madre, anche se non ha mai alzato un braccio per difendermi e mi manca un posto confortevole in cui abitare. >>
Ormai avevo smesso di ascoltarlo, passavo gli occhi su tutto il suo profilo che risplendeva alla luce della luna, potevo vedere i suoi occhi muoversi sul firmamento e le sue ciglia sbattere più volte, le sue labbra muoversi, sospirando durante le pause e le sue mani tastare la sabbia sottostante, accarezzandola.
Senza rispondergli mi alzai a sedere, continuando a guardarlo.
Lui se ne accorse e dopo aver voltato il viso verso di me, si tirò su anche lui e fissò il suo sguardo nel mio.
<< Non guardarmi negli occhi, ho paura che te ne accorga.. >> sussurrò dopo un po' distogliendo lo sguardo dai miei occhi che invece ne bramavano l'intensità.
<< Di cosa ? >> chiesi sinceramente incuriosito continuando a scrutarlo.
<< Del fatto che mi sto innamorando di te >> spiegò a voce bassa riposando lo sguardo sul mio e venni investito dalle sue parole, dalle sue iridi.
La testa mi girava, le mani tremavano e la mente non ragionava mentre mi avvicinavo con lentezza estenuante a lui.
Non riuscivo a fissarlo negli occhi, perciò spostai lo sguardo sulle sue labbra così sottili e invitanti.
Cercavo di annullare i pensieri, di offuscare i ricordi anche solo per qualche secondo, di lasciarmi andare e fare ciò che avevo sempre desiderato nel mio subconscio.
Solo tu puoi spezzare quelle catene.
E stavo per farlo, almeno fin quando il mio sguardo non cadde sulla sua tasca sinistra, da cui spuntava un foglio spiegazzato e rovinato.
Parole e parole erano scritte con un largo corsivo, parole che avevo già letto, corsivo che conoscevo bene.
La verità mi investì in pieno, facendomi alzare di scatto e il mio dito si alzò in automatico, posandosi su quel foglio.
<< Quel foglio.. >> mormorai mentre la rabbia prendeva possesso di tutto il mio essere.
Lui si alzò spaventato e lo tirò velocemente fuori guardandomi in faccia e porgendomelo.
<< Harry, m-mi dispiace tanto, io... volevo solo.. >> ma non lo lasciai finire.
Gli strappai il foglio dalle mani con uno scatto e << Ma chi ti credi di essere, eh?! >> urlai con rabbia guardandolo negli occhi << Arrivi nella mia vita e all'improvviso credi di sapere tutto? Credi di poter capire? Chi ti credi di essere? Solo perchè hai degli occhi meravigliosi credi di potermi scombussolare la vita? Che diritto avevi di leggere quel foglio?! Sei solo un ipocrita che non sa farsi i cazzi suoi e cerca di rendere la sua monotona vita interessante frugando nei pensieri altrui! Ho sbagliato a fidarmi di te, ho sbagliato a considerarti un amico, avrei dovuto seguire il mio istinto. Non cercarmi più, non voglio rivederti mai più! >> lo aggredii e dopo aver ripreso fiato presi a correre mentre << No, aspetta! >> gridava lui ma io non sentivo più nulla, solo l'umiliazione dei miei segreti sparsi al vento, i miei ricordi profanati e le mie parole sottratte.
Stavo fuggendo, di nuovo.
Non farlo Harry, non scappare più da me.

Ma in fondo non siamo nati per questo? Non stava forse fuggendo, Louis, dalla società? Dalle regole di suo padre? Non stavano forse fuggendo i suoi occhi dal mio sguardo furente? Non stavano forse calpestando il duro asfalto i miei piedi doloranti?
Mi sto innamorando di te.

Non siamo forse tutti dei fuggitivi?

 

 

 

 

 



LOUIS

Ero un idiota, un perfetto idiota. Come avevo potuto credere che tutto potesse iniziare a prendere la giusta piega? Questa volta non avevo bisogno di riflettere se scaricare la colpa su me stesso o far finta che fosse tutto dettato dal destino. No. Questa volta era solamente mia la colpa se le cose erano andate in quel modo.
Portavo quel foglio ovunque con me per tenerlo vicino, per provare a non sentirmi solo quando in realtà lo ero. Avevo ripensato a quelle parole tutte le volte che avrei voluto urlargli di uscire dalla mia testa, dai miei pensieri, ogni volta che avrei voluto essere scrutato da quegli occhi, solo per poter dare anche ai miei la possibilità di fare lo stesso con lui. Come avevo potuto crede che forse qualcosa stava davvero cambiando?
La consapevolezza che le cose mai sarebbero potute andare diversamente, fece calmare per pochi attimi il battito accelerato del mio cuore.
Mai e poi mai avrei avuto la forza di separarmi da quella lettera, mi aveva dato la forza di resistere a quel suo comportamento ostile, la forza di saper aspettare il momento in cui sarebbe venuto lui a cercarmi, e così era stato.
Potevo averlo perso davvero questa volta, ma non potevo negare che, anche in un’altra occasione, le cose sarebbero andate nello stesso identico modo. Quella lettera mi apparteneva e la custodivo e difendevo come fosse più preziosa di un tesoro.

I granelli di sabbia ripresero a pungermi il viso, tutta colpa delle folate di vento che mi colpivano impetuose la pelle già ricoperta da un brivido di disprezzo.
Mi alzai pulendomi i pantaloni e girandoli fino alle caviglie perché bagnati dalle lente e penetranti onde del mare; solitamente mi piaceva portarli arrotolati fino alle caviglie, mi faceva sentire più in tema con il luogo, più.. me stesso, ma in quel momento non mi importava, nell’essere me stesso avevo rovinato tutto, un’altra volta.
Pensavo che, magari, facendo le cose inversamente da come le progettavo, e comportandomi in maniera più ostile, forse sarei riuscito a riconquistare il suo mondo, forse avrei smesso di soffrire per qualcuno che probabilmente preferiva cancellarmi dalla sua vita piuttosto che farmene fare parte.

C’era una cosa però che non avrei potuto cambiare di me, che nessuno avrebbe potuto cambiare di me, ed in questo momento, nonostante fossi certo che Harry mai avrebbe risolto le cose nel modo in cui io stavo per fare, diedi ascolto al mio ormai istinto avvicinandomi di nuovo alla mia barca.
Il legno bianco, liscio, lo percepivo quasi vellutato sotto la mia mano, un sogno.
Chiudendo gli occhi, respirai affondo l’aria umida che mi invadeva le narici, lasciando anche sulle mie labbra un sapore salato e terribilmente familiare.
Iniziavo già a sentirmi meglio.

Presi a spingerla verso le onde del mare che parevano volermi inghiottire ogni passo di più, immersi le mani nell’acqua buttandomene un po’ sul viso.
Un’ultima occhiata alla terra ferma poi salii, tenendo ben salde le mani sul bordo della barca.

Iniziai a remare incapace di rendermi conto di cosa stessi per fare.
Remavo, remavo, remavo senza accorgermi di quale direzione stessi prendendo. Remavo aspettando il momento in cui, stremato i remi sarebbero caduti dalle mie mani senza il mio consenso, remavo perché mi faceva sentire bene, remavo perché mi impediva di pensare.

L’acqua limpida ondeggiava sotto i miei occhi, riuscivo quasi a vedere il mio riflesso; mi sporsi, intento a delinearne la sagoma ma quello che i miei occhi scrutarono mi incusse paura..
Non riuscivo a distinguere il mio volto dal resto del mare, pareva mi stessi dissolvendo in esso, mentre solo la sagoma dei miei occhi risaltava in quell’immensità d’azzurro.
Stavo per caso scomparendo? Perché era così che iniziavo a sentirmi.
Stavo diventando parte di esso, e per quanto avessi voluto odiarlo per rendermi la vita così dannatamente difficile, non potevo far altro che acconsentire, sporgendomi verso la superficie marina dove un’incontrollabile voglia di tuffarmi e non riemergere più mi travolse completamente.

Più mi avvicinavo, più il contorno del mio viso iniziava a prendere forma, riuscivo ad intravedere le mie sottili labbra, i capelli disfatti che mi scendevano sulla fronte, le guance pallide e scarnite, quasi irriconoscibili.
Chi era quel ragazzo di fronte ai miei occhi?
Chiusi la mano sinistra a pugno, battendola in acqua, proprio al centro del mio riflesso.
Piccoli schizzi mi colpirono la maglietta, facendomi avvertire freddo sul petto appena scolpito.
La mia mano era ancora in acqua, non avevo voglia di tirarla su; mi sentivo attratto, proprio come una calamita da quell’azzurro così misteriosamente perfetto.
Cercai di toccare la mia impossibile ed inafferrabile felicità, poi portai la mano alla bocca, bagnandomi le labbra.
Se solo Harry non si fosse accorto di quella lettera, probabilmente in quel momento avrei scoperto il sapore delle sue labbra, così dannatamente carnose e bramanti di baci che purtroppo non erano i miei.
Magari avrei avvertito il sapore salato del mare e probabilmente sarebbe stato solo grazie al luogo dove avevamo impiegato tutto il nostro tempo, ma avrei volentieri finto che quel sapore gli apparteneva, così come il mare appartiene al mio cuore.
Mi sedetti guardando il posto vuoto davanti a me. Quanto avrei voluto non sentirlo lontano nonostante avessi ancora con me la sua lettera.
Aveva ragione, chi ero io per piombare nella sua vita in un momento come questo? Chi ero io per cercare di compatirlo quando in realtà era lui il primo a voler stare solo?
Una fortissima folata di vento mi invase i polmoni distogliendomi dai pensieri mentre facevano a botte fra loro.
La barca prese ad ondeggiare sempre più violenta, la sentivo sballottarmi impetuosa a destra e a sinistra.
Alzai gli occhi al cielo; aveva iniziato ad imbrunirsi sopra la mia testa facendo riflettere la mia ombra tra la schiuma delle onde.
Afferrai i remi, sotto le mie mani gelide; il momento di tornare a riva era arrivato.
Mi voltai alle mie spalle quando, l’unica cosa che riuscivo a decifrare era il mare. Avevo perso del tutto l’orientamento; quello che per me era vita, stava d’un tratto diventando il mio terrore.
Avevo perso il controllo di me stesso, della barca e di tutti i pensieri affollati nella mente, mi ripetevo che avrei dovuto calmarmi e prendere la situazione i mano così come avevo sempre fatto, ma questa volta non mi risultò così semplice.
Ondeggiavo spaesato cercando di tenere i piedi ancora scalzi ben piantati sul fondo della barca, afferrai i remi, cercando di dirigerla in verso opposto.
Il vento iniziava ad aumentare, troppo forte anche solo per starmene lì a guardare cosa il destino aveva in serbo per me; ero solo, solo con la mia barca.
<< Aiuto! >> urlai quando delle finissime goccioline di pioggia presero a cadermi fra i capelli. Alzai lo sguardo al cielo ricoperto da nubi grigiastre che parevano volermi inghiottire.
<< Aiuto! >> continuai a gridare in preda al panico.
La barca continuò a beccheggiare, mentre la vedevo avventurarsi sempre più verso l’infinito che era il mare. Manovrare diventava costantemente faticoso. Ogni volta che riuscivo a stabilizzare le ondate, sprecavo ogni singola forza per cercare di non perdere il controllo.
Le mani mi bruciavano terribilmente, quasi scottavano quando quel legno mi scorreva fra le dita.
Non era la prima volta che mi trovavo in mezzo a violente burrasche, ma questa volta era diverso; due volte a causa di raffiche improvvise rischiai di perdere l’equilibrio salvandomi solo perché la ventata si interruppe rapidamente, così com’era nata.
Una sola mossa avventata e quelle acqua ormai torbide mi avrebbero inghiottito.
Un lampo spaccò a metà il cielo, udendone il tuono pochi secondi dopo.
Solo pochi minuti, mi ripetevo, solo pochi minuti.
Rivolsi lo sguardo in un punto impreciso del mare, mentre aspettavo che quest’incubo ad occhi aperti finisse.
Mi venne in mente Harry, la sua storia, la sua paura. Dovevo resistere pensando a lui, dovevo resistere perché se così non fosse stato, avrebbe ricominciato ad accusare il mare di prepotenza verso la vita di chi ha ancora tanto da scoprire.
Come una luce soffusa davanti ai miei occhi, un peschereccio avanzava nella mia direzione. Per un attimo credetti fosse solo frutto della mia immaginazione ma man mano che si avvicinava riuscivo perfino a distinguere il nero pesto dello scafo spiccare sul bianco accecante che era il resto.
Lasciai la presa dei remi, agitando le mani sulla mia testa, non curante del fatto che, una manovra così azzardata avrebbe potuto costarmi la vita. Così fu.
Un’onda colpì il lato della barca con una tale violenza che mi spinse a piegarmi in avanti, sbattendo la testa sul bordo in legno della barca e, in estasi dal forte dolore, caddi in acqua privo di sensi.
Aprì gli occhi di soprassalto, mentre rumori ovattati mi rimbombavano nelle orecchie. Immagini ombrate si muovevano presuntuose vicino il mio volto, impiegai un po’ a decifrare il volto di James, il vecchio marinaio del porto che agitava le mani narrati la difficoltà del lavoro di una vita a soli pochi centimetri dal mio naso.
Sbattei ripetutamente le palpebre ancora incapace di ricordare cosa fosse successo. Ero circondato da volti sconosciuti di passanti che si fermavano curiosi di sapere la mia storia; cercavo di capire chi fossero, riconoscere qualcuno di loro magari, ma James mi distolse ancora una volta.
<< Louis, sei impazzito per caso? >> disse serio, guardandomi negli occhi.
Feci per rispondere, ma l’acqua che avevo ingerito iniziava a risalire. Mi sporsi in avanti tossendo e sputandone un po’ per terra, sentivo un insopportabile bruciore alla gola che quasi mi impediva di respirare se non affannosamente.
<< Dov’è la mia barca? >> sussurrai.
Lui rise abbassando lo sguardo. << è questa l’unica cosa che conta per te? >> rispose ironico. Dandomi un leggero schiaffo sul volto si alzò allontanandosi con ancora quel sorriso indecifrabile sul volto.
Che cos’era successo?
Mi guardai le mani e rosse e piene di graffi, i vestiti completamente zuppi, la manica della maglietta strappata. Non avevo la forza di alzarmi, di reagire.
D’un tratto, vidi la cerchia di persone alla mia sinistra allontanarsi, mentre una signora dal volto familiare fece capolino tra tutta quella folla.
Mi rivolse un veloce sguardo, durato due secondi appena, quando iniziò a scagliarsi contro i passanti che man mano accrescevano attorno a me.
<< Allontanatevi. Non c’è nulla da vedere qui. >>
Ero ancora steso per terra con le gambe raccolte e la testa poggiata su un ammasso di robe che non erano le mie. Non avevo idea di cosa volesse da me, ne tantomeno mi interessava saperlo; speravo solo di non dovermi trovare ad affrontare una di quelle conversazioni moraliste vista la sua età.
Si avvicinò con fare distratto verso di me, poi si piegò sulle ginocchia e puntò gli occhi sulla mia tempia destra. Iniziò a lisciarmi la fronte, io ero incapace di oppormi.
<< Che ti è saltato in mente, ragazzo? Sei troppo giovane per mettere a repentaglio la tua vita in questo modo >>
Avrei voluto risponderle, ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una debole tosse.
<< Ti sanguina la tempia. >> disse poi, rovistando nella sua borsa in cerca di qualcosa.
<< Dov’è.. dov’è la mia barca? >> domandai ancora una volta in cerca di risposta.
La vidi alzare lo sguardo oltre la mia testa, serrò gli occhi, socchiuse le labbra.
<< Il lato destro è sfasciato, ma il resto sembra integro. Pare sia andata a sbattere contro uno scoglio, per quanto possa intendermene.. >>
Mi sollevai un po’ per sputare altra acqua interrompendo la medicazione che stava impedendo al sangue di scorrere ancora.
<< Qualunque sia il motivo per cui l’hai fatto, sappi che non ne vale la pena. >>
<< Cosa ne sa lei? >> riuscì finalmente a ribattere << Comunque non avevo intenzione di farla finita. E’ capitato e basta. >>
Mi lanciò un’occhiataccia, poi riprese a tamponare il fazzoletto sulla mia tempia con una delicatezza tale che quasi non riuscivo a sentire.
Per quanto cercassi di nasconderlo, iniziai a battere i denti dal freddo, i miei vestiti bagnati a contatto con la pelle di sicuro non mi aiutavano.
<< Hai dei vestiti con te? >> chiese.
<< No. Ma ho una coperta nella stiva della barca. >>
Si alzò senza fiatare allontanandosi.
Avrei voluto tanto sapere il motivo del perché lo faceva; tutti mi abbandonano prima o poi, perché una sconosciuta mi stava tendendo la mano se io non portavo nulla di buono? Ero solo un peso per gli altri.
<< Eccoti la coperta. >> sentii da dietro le mia spalle la sua voce. Me l’avvolse attorno al corpo, incrociandone le due estremità davanti al petto.
Riprese il fazzolettino tra le dita sottili delle mani e, strappandone un po’ l’aderii di nuovo alla ferita.
<< Ha presente quando si è certi di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma consapevoli che se pur tornando in dietro le cose sarebbero andate nello stesso identico modo? >> uscì come un sibilo dalla mia bocca.
<< Ne sei pentito? >> domandò.
Annuii abbassando lo sguardo.
<< Beh, se sei consapevole che niente sarebbe cambiato, non dovresti esserlo. >>
<< E, secondo lei, chiunque può essere perdonato? >>
Un abbozzo di sorriso comparve sul suo volto. << Può succedere di sbagliare alla tua età. Tutti abbiamo fatto e continuiamo a fare errori. Non serve arrivare a gesti estremi solo perché chi ti sta attorno è momentaneamente accecato dalla rabbia. >> dichiarò con un sorriso rassicurante.
Sapevo dove voleva arrivare, ma non era quella la strada giusta.
<< Non è ai miei genitori che mi riferisco, se proprio vuole sapere. >>
<< Ah no? Ed allora chi? >> parve sorpresa.
<< Qualcuno di più importante.. forse. >> ed un sorriso incontrollato apparve sul mio volto. 

*

Ta daaaaaaaaaaa!
Eccoci qui con un nuovo capitolo! E stavolta siamo in orario!
Mi è appena arrivato e l'ho postato subito! Che ve ne pare?
Sarò sincera, ultimamente non sono affatto soddisfatta di come sta venendo il tutto.
Non è per Sharon, lei è perfetta e davvero sta facendo un ottimo lavoro.
é il corso della storia, non me l'aspettavo così.. angst.
Non l'ho messo nemmeno tra i generi, perchè non volevo che lo fosse.
Insomma forse sto esagerando con i sentimenti? Sono troppo giovani per soffrire così?
Non so.. ditemelo voi, ditemi cosa ne pensate.
Bhe, finalmente Lou sputa il rospo, non era forse ora?
Vi avviso che nei prossimi due capitoli saranno presenti dei flashback, per capire meglio il passato dei ragazzi.
La canzone dei Killers è splendida, perciò o la ascoltate o la ascoltate.
Probabilmente nel prossimo capitolo ci saranno i Linkin park perchè si.
Ho scritto un'altra piccola os het (blasfemia! Il mondo het non fa per te! nessuno la leggerà!) che tra l'altro è originale.
è tardi, ho sonno e tutto quanto, perciò se volete contattarmi su Twitter, askarmi o cose varie andate al capitolo precedente o mandatemi un messaggio privato qui.
Grazie a quelle due o tre povere anime che trovano il tempo di recensire i capitoli, siete la mia salvezza.
Grazie alle lettrici, vi amo.
- Nicole

 

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Capitolo 7
*** Avviso ***


AVVISO

Allora, inizio con il dirvi che come ho sempre detto questa storia per me era una sorta di sfida personale.
Ero convinta di non essere in grado di scrivere qualcosa di diverso da una one shot e quest'idea mi frullava in testa da molto tempo e avevo promesso a delle amiche che ce l'avrei fatta, perchè volevo farcela.
A questo punto mancherebbero quattro capitoli, e io non credo di farcela.
La storia non è come la volevo e Sharon è stata perfetta e non la ringrazierò mai abbastanza e mi dispiace di averla fatta scrivere così tanto apparentemente per nulla.
Sta venendo troppo angst, troppo fluff e io non la volevo così.
27 persone che seguono la storia in 6 capitoli sono davvero poche, e fa male vedere storie con 10 recensioni per capitolo quando io a malapena arrivo a 2.
Pensavo di poterla lasciare qui così finchè non avessi preso una decisione ma mi accorgo che non è giusto nei vostri confronti visto che mi sono arrivate anche richieste nella casella.
Ora ho due possibilità: cancellare la storia o tenerla in caso deciderò di finirla anche se verrà uno schifo.
Da una parte vorrei cancellarla perchè una volta finita non mi piacerebbe in ogni caso e ho sempre pensato che le storie che scrivo devono piacere a me prima di tutto, sennò non ha senso.
Da una parte mi dispiace perchè ci avevo davvero messo l'anima e mi dispiacerebbe.
Vi avevo promesso che l'avrei finita, giusto? Non mantenere le promesse è una delle cose che maggiormente non sopporto.
Quindi la situazione è questa, io non so cosa fare e devo prendere una decisione.
Mi piacerebbe sentire anche i vostri pareri ma perfavore non dev'essere una massa di "No ti prego mi piace tanto non cancellarla" perchè mi confonderebbe ancora di più. Scrivete se sinceramente ci tenete alla storia, e datemi suggerimenti sul genere, se vi sta bene angst o la preferireste più serena, perchè a 4 capitoli dalla fine volendo potrei ancora cercare di migliorarla.
Ditemi cosa vi piace e cosa non vi convince della storia.
Io cercerò di prendere una decisione il prima possibile.

Colgo l'occasione per consigliarvi questa one shot che, non esagero, è la più bella del fandom.
Passateci assolutamente, tante lacrime assicurate:
And all but the bitter residue slipped away.

Grazie se avete letto fino a qui.
Un bacio
- Nicole


 

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