Naruto - I Frutti dell'Oblìo

di Kimmy_90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 (Prefazione) ***
Capitolo 2: *** 1 (Calore alla schiena.) ***
Capitolo 3: *** 2 (Freddo. E Blu.) ***
Capitolo 4: *** 3 (Patriae Frates. Fati Frates. Paure) ***
Capitolo 5: *** 4 (Bestie) ***
Capitolo 6: *** 5 (Bambini) ***
Capitolo 7: *** 6 (Azione, Reazione.) ***
Capitolo 8: *** 7 (Identità: si, no? Forse. No.) ***
Capitolo 9: *** 8 (Temprato. Morto, ma Temprato.) ***
Capitolo 10: *** 9 (Fuori dal Nido.) ***
Capitolo 11: *** 10 (Battesimo.) ***
Capitolo 12: *** 11 (Il mondo è grande e terribile) ***
Capitolo 13: *** 12 (Teli bianchi) ***
Capitolo 14: *** 13 (Fuochi, Saette e Sciacalli) ***
Capitolo 15: *** 14 (La Bestia che Parla) ***
Capitolo 16: *** 15 (De Adulescentia) ***
Capitolo 17: *** 16 (Occursusque...) ***
Capitolo 18: *** 17 (concursum!) ***
Capitolo 19: *** 18 (Cantico Muto) ***
Capitolo 20: *** 19 (Ascesa) ***
Capitolo 21: *** 20 (Mors Pueri) ***
Capitolo 22: *** 21 (Tempo.) ***
Capitolo 23: *** 22 (Deficio, defecis, defeci [...]) ***
Capitolo 24: *** 23 (Ei Fu) ***
Capitolo 25: *** 24 (Contratto) ***
Capitolo 26: *** 25 (Mondo) ***
Capitolo 27: *** 26 (Moto) ***
Capitolo 28: *** 27 (Frammenti) ***
Capitolo 29: *** 28 (I sogni d'una foglia bruciata) ***
Capitolo 30: *** 29 (Presa di coscienza) ***
Capitolo 31: *** 30 (Il dono che non concessero) ***
Capitolo 32: *** 31 (Maieutica) ***
Capitolo 33: *** 32 (Esecuzione) ***
Capitolo 34: *** 33 (In quei giorni senza sole) ***
Capitolo 35: *** 34 (Hic sunt daemones) ***
Capitolo 36: *** 35 (Due punti, a capo.) ***
Capitolo 37: *** 36 (Esplosione) ***
Capitolo 38: *** 37 (Fratelli - I: Patriae Frates) ***
Capitolo 39: *** 38 (Cadavere che cammina) ***
Capitolo 40: *** 39 (Peccato Originale) ***
Capitolo 41: *** 40 (Strappo) ***
Capitolo 42: *** 41 (Fratelli - II: Fati Frates) ***
Capitolo 43: *** 42 (Domino) ***
Capitolo 44: *** 43 (Cantico urlato) ***
Capitolo 45: *** 44 (Mors Viri, Mors Mundi) ***
Capitolo 46: *** 45 (All'alba) + Epilogo + Note Finali ***



Capitolo 1
*** 0 (Prefazione) ***



Agli interessati: questa storia sta venendo completamente riscritta e riadattata come originale, dal titolo I bambini di Shi'ran.



[Prima pubblicazione: 13 04 2007]
[Ultima revisione: 26 09 2010]




Prefazione






E' difficile entrare nel Ludus.

Questo Mondo è il Nostro Mondo.
E il Nostro Mondo è diviso in Regiones.
Ogni Regio possiede un proprio governo indipendente dagli altri: quella in cui noi viviamo è la Ignis Regio, la regione del fuoco.
Capitale della Ignis Regio è Folii Pagus, una megalopoli che si estende per centinaia e centinaia di chilometri, al suo centro. Il suo governo è formato dai Philosophi: una ventina di loro costituiscono il Summus Globus, la cui maggiore autorità è l'Ignis Umbra - un Philosophus da loro eletto ab vitam.

A dire il vero, noi cittadini comuni non sappiamo granché del nostro governo, non abbiamo mai avuto la volontà di saperne di più, poiché non ci ha mai guidato verso sciagure o disgrazie.
E ci è stato insegnato a fidarci.
A fidarci di loro: dei Philosophi.

E così noi ci fidiamo.

Eppure ci sono alcuni di noi che sanno, sono su un gradino più in alto: sono i Custodes, le guide dei combattenti, i Bellatores, ovvero la maggior parte di noi, gente comune, gente normale. Gli altri sono mercanti, o contadini: persone di poco conto, che portano avanti la Regio - ed il governo non manca mai di ricordarlo a noi tutti.
I Custodes sono l'anello che collega i normodotati ai Philosophi.

E' molto difficile entrare nel Ludus.

Quando un bambino dell'Ignis Regio nasce, viene sottoposto ad una visita medica, che se lo conferma di costituzione non debole lo iscrive all'esame del Ludus: si terrà sei anni dopo.
Per coloro che sono stati considerati deboli da neonati c'è una seconda visita, a quattro anni, mai che si siano irrobustiti con lo scorrere del tempo.
Per chi non entra al Ludus, quelle saranno le uniche visite a cui si sottoporrà mai.
I bambini vivono i primi sei anni di vita con i genitori, che sono tenuti ad educarli alla disciplina, alla matematica basilare ed allo scrivere; e, soprattutto, sono tenuti a non far parola ai figli del Ludus.
Nel primo mese dell'anno in cui compieranno sei anni, i piccoli vengono letteralmente strappati alla famiglia: è quello il primo trauma che un bambino del Ludus deve saper superare. Se reagisce male viene immediatamente restituito ai genitori, ma se si comporta senza reazioni esagerate o esagitate, senza dimostrare particolare debolezza psicologica, viene portato all'esame di ammissione.
Questo esame consiste in vari test di intelligenza e memoria, prove fisiche e molte visite mediche: il tutto sotto stress psicologico.
Fra i bambini di tutta la Regio, ogni anno, ne vengono scelti mille, che iniziano gli studi nel Ludus: gli altri, assieme a coloro che non sono nemmeno giunti a sostenere l'esame d'ammissione, vengono mandati alle Scholae - istituti minori per la formazione dei Bellatores, degli artigiani e dei contadini.

«Studiate, imparate, capite, date! Fate il massimo che potete, impegnatevi, tenete alto l'onore dell'Ignis Regio, non datevi un momento di tregua se volete continuare gli studi! Potete restare od andare via, in qualsiasi momento: la scelta è vostra.»
Queste sono le parole con cui i bambini del Ludus vengono iniziati alla loro educazione.

Il Ludus è una struttura fuori dal mondo.
Coloro che la frequentano non sanno nulla. Non sanno perché sono stati scelti, come sono stati scelti, e verso dove stanno andando. Vivono tutto il periodo d'apprendimento chiusi là dentro: e sebbene molti si domandino cosa vi sia fuori, la cultura che li ha forgiati fa sì che, anziché fuggire, attendino.

Poichè fuggire è il disonore massimo, per uno studente del Ludus.

V'è un'unica classe per ogni anno: gli insegnanti del Ludus, detti Magistri, mutano di semestre in semestre e sono tenuti a dare minima confidenza agli studenti. I Magistri stessi sono sotto la sorveglianza dell'Ignis Umbra in persona.
Ogni semestre si svolge un esame, unica prova per saggiare le abilità dell'allievo: si tratta di test che spaziano su qualsiasi argomento trattato, dalla matematica alla sopravvivenza estrema, dalle arti marziali alla fisica, compresa educazione alimentare, logica, musica e svariate altre discipline. L'esame può durare dieci minuti come tutto un giorno: gli studenti non lo sanno.
All'inizio di ogni esame viene consegnato loro un campanello: una volta conclusasi la prova, lo devono appoggiare in una piccola conca, ed attendere. Hanno due ore di tempo affinché il campanello cada nel vuoto: se dopo queste due ore il campanello è ancora nella sua conca, significa che sono stati bocciati. Da quel giorno devono presentarsi alle lezioni della loro 'nuova' classe.

La bocciatura è la peggior cosa che possa accadere, ed anche la più frequente: solo nel primo anno i mille bambini scelti vengono dimezzati. Chi viene bocciato deve cucire il campanello al colletto del copriveste, cosicché tutti, al suo passaggio, sappiano che non è stato in grado di superare l'esame.
Massimo è il disdegno per i bocciati: per questo la maggior parte di loro abbandona il Ludus: come viene ribadito ai bambini sin dal loro primo giorno di studio, nessuno, assolutamente nessuno, è obbligato a rimanere.
Alcuni non mollano, restano e persistono, dovendo subire molto. Alcuni soggetti giungono addirittura al suicidio.
Se però i bocciati vengono discriminati in ogni modo, coloro che si distinguono in bravura non hanno modo di saperlo. Chi eccelle non lo sa, dato che il giudizio è solo positivo o negativo.
Inoltre i test sono studiati appositamente per non strafare.
Per superare un esame non è necessario completare almeno metà test correttamente.
Anzitutto bisogna svolgerne più del 65%: è infatti strutturato di modo che non possa essere concluso interamente, sicché il tempo dato agli allievi è sempre minore, e di molto, di quello che necessiterebbe per essere completato. Svolgerne questa porzione ovviamente non implica la promozione: di questo minimo 65%, bisogna aver risposto correttamente ai due terzi delle domande.
Ma c'è un'altra clausola: se si fornisce risposta a più del 90% delle domande, allora per avere successo bisogna averne fatte almeno i sei settimi giuste.
Questo, per insegnare a far solo ciò che serve, poiché è meglio fare poco e bene che molto e molto male.
E se un soggetto riesce a superare questa seconda condizione, ecco: quello è l'unico caso in cui uno studente può essere palesato migliore degli altri, poiché lo è, e di molto.

Queste regole valgono per il primo ciclo di studi, che comprende i primi sei anni di permanenza al Ludus.
Il sesto anno è distaccato dagli altri cinque e in questo periodo gli studenti iniziano a studiare materie e a seguire esercitazioni delle quali sono obbligati a non far parola con nessuno che frequenti un anno inferiore.
Anche questa è parte dell'istruzione del Ludus.

Il secondo ciclo dura orientativamente tre anni, e gli studenti - che alla fine del primo ciclo ammontano sui trecento scarsi - vengono divisi nelle due sezioni principali: studiosi - futuri Philosophi - e combattenti - i Custodes. La divisione è comunque minima, dato che è inaccettabile che uno scenziato non conosca l'arte della guerra, così come un guerriero non sia una persona di cultura. I Custodes vengono rapidamente smistati nell'esercito, mentre i Philosophi vengono trattati a seconda della specializzazione.

Questa è la vita del Ludus.
E in realtà, questo mondo è assai più complesso di quanto non sia dato pensare.

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Capitolo 2
*** 1 (Calore alla schiena.) ***


[Prima pubblicazione: 14 04 2007]

[Ultima revisione: 26 09 2010

- 1 -

Noi che qui viviamo, grazie all'amore, viviamo.

Un amore antico che ci riempie in ogni gesto che compiamo.

Eppure, alcuni di noi dimenticano.

Alcuni di noi non ricordano.

Ma come ricordare ciò che non è mai avvenuto?

- Calore alla schiena. -

Lui se lo ricordava bene, il suo primo giorno al Ludus.

Un nanetto biondo intento a guardarsi attorno, piazzato su di una sedia troppo grande: a dimenarsi ora di qua, ora di là, osservando tutti gli altri bambini - mentre un vecchio, dal palco, parlava.

Si massaggiava ancora il braccio, mezzo intontito per l'iniezione che gli avevano fatto solo qualche ora prima, e lentamente gli sorgeva un mal di pancia che difficilmente avrebbe dimenticato.

Così, per distrarsi, non bastava ascoltare quello che i Magistri chiamavano 'Ignis Umbra' - no: doveva fare qualcos'altro. Oppure, era convinto, sarebbe morto.

E così posava gli occhi azzurri su di ognuno degli altri bambini ivi presenti: la maggior parte di loro era spaesata, ma alcuni ascoltavano interessati; c'era chi aveva già iniziato a darle ad altri, con vile discrezione.

Lui era fra quelli che ascoltavano interessati: ma pareva che i Magistri, posti di sorveglianza, non sapessero che fosse possibile ascoltare anche chi non si fissa negli occhi. E dato che lui guardava i bambini, anziché l'Ignis Umbra - e dato che era un muoversi, fremere ed agitarsi continuo, quello fu l'inizio di una lunga serie di punizioni.

Quando il biondino venne ritrascinato nell'aula, dopo esservene stato strappato a forza per essere rimproverato - alla maniera del Ludus - riguardo il suo comportamento, iniziò subito a notare come qualcuno lo osservava sconcertato. Non doveva avere un bell'aspetto, d'altro canto: ed ora, oltre alla pancia, anche la schiena gli doleva - di bruciore -, e non era necessario guardarsela per realizzare che era tutta arrossata: d'infiammazione e di sangue.

Che male, pensava.

Ed era l'unico pensiero che riusciva a formulare, mentre tornava seduto ad abbracciarsi la vita, piegato in due dal dolore.

Solo allora notò il più curioso di tutti i presenti, tre posti più in là: un bambino moro dagli occhi insolitamente velati, cui iride e pupilla sembravano inesistente: braccia conserte, sguardo fiero sebbene spento da quello sguardo come inesistente, osservava serio serio il palco e colui che vi sostava parlando.

Il biondino si incantò a quella vista, e fece scorrere lo sguardo un po' più in là, dove una bimbetta castana con le lagrime agli occhi si consolava aggrappata al braccio del bambino di prima: e questi le lasciava fare.

Che cosa strana, pensò lui.

Man mano che il discorso dell'Ignis Umbra volgeva al termine, il suo dolore alla pancia aumentava, surclassando di gran lunga quello alla schiena: così il bambino era costretto a mordersi le labbra, con espressioni sofferenti. E la cosa lo infastidiva: dava l'idea di essere a disagio, quando in realtà il Ludus gli piaceva. Quel posto rappresentava un cambiamento curioso, divertente ed interessante ai suoi occhi carichi d'innocenza: avrebbe voluto ascoltare ogni singola sillaba del vecchio senza apparire così dolorante ed immusonito.

Il discorso dell'Ignis Umbra terminò, ma no il suo mal di pancia: se lo trascinò addosso per giorni, con il risultato che i Magistri lo ripresero più e più volte a causa della sua eterna aria sofferente.

Tolto quel primo periodo di crampi e dolore, il primo anno scorse via tranquillo come un fiume di campagna: calmo, lento e senza nessun evento straordinario. Lui si era rivelato un iperattivo, e tutti i Magistri se n'erano accorti: come la schiena del bambino, spesso rossa, ma ad ogni giro punitivo più resistente.

Giunse l'alba del secondo anno, e lui la fece più grossa del previsto: nel giorno in cui i nuovi mille bambini giungevano, si dileguò dalle lezioni ed andò nell'aula del primo anno, dove si stava tenendo il discorso dell'Ignis Umbra.

I divieti che infranse erano infiniti, metà dei quali fortemente gravi: andare nell'aula di un'altra annata era forse la cosa più vietata che ci fosse. E poi ci fu il fatto che saltò le lezioni senza degna giustificazione - altro gesto inammissibile.

Guardava dalla porta, affacciato, quella nuova armata di studenti: e come aveva fatto l'anno prima, li studiava uno per uno.

Anche questa volta il suo sguardo fu catturato da vari personaggi, fra cui spiccava un bambino dai capelli corvini e gli occhi occhi scuri, profondi, che osservava l'Ignis Umbra meditabondo. Dall'altra parte dell'aula notò una piccolina il cui sguardo, impaurito, era chiaro e velato - esattamente come quello del suo compagno d'annata; accanto a lei vide un bambino dal volto solcato da dei segni scarlatti, e, dietro, uno dall'aria fortemente scocciata. Dopo lunga analisi, evidenziò un gruppetto a lui molto interessante.

Stava per infiltrarsi nell'aula per andare ad attaccar bottone con loro che venne placcato inaspettatamente da un gruppetto di Magistri. Senza nemmeno aspettarsi un evento del genere, il bambino lanciò inavvertitamente un urletto: e tutti e mille i nuovi si voltarono, a veder lui, fra le mani di cinque adulti, a scalciare e dimenarsi, finché - a danno oramai fatto -, si mise ad urlare di nuovo: volontariamente, la voce acuta e tremante. Anche l'Ignis Umbra, con sguardo allibito, tacque ad osservare il biondino che veniva tenuto difficilmente a bada dai Magistri. Grazie ad un morso maldestro il piccolo riuscì a liberarsi, e lì iniziò una corsa disperata attraverso tutto il comprensorio, evitando a suon di scarti, salti e cadute coloro che gli si avventavano addosso: corse a rotta di collo per qualche chilometro, sinché non finì in un luogo che non aveva mai esplorato prima, e stupidamente si cacciò in un vicolo cieco. Qui, spalle al muro e fiato grosso, si trovò contro una decina di insegnanti.

In trappola, si fece prendere dalla Paura.

Soffiò come un gatto.

Ringhiò come un lupo.

Ruggì come una una tigre.

Al suono che provenne dalla piccola figurina, la reazione dei Magistri fu un primo, indispettito, indietreggiare: e poi addosso.

Ciò che gli riservarono dopo era la più lunga e temuta delle punizioni del Ludus: per lui fu nulla, in confronto al mal di pancia che aveva patito nel vicolo, mentre veniva catturato – che a tratti superava quello che lo aveva accompagnato nei suoi primi giorni di lezione.

Il resto del secondo anno fu tranquillo, anche se lui si domandava, dopo ciò che aveva combinato, cosa trattenesse i Magistri dal cacciarlo.

Il terzo anno fu difficile, ma ne uscì integro: come al quarto.

Tre passi avanti, ed uno indietro: al quinto anno di permanenza conobbe Sasuke, Sakura e Hinata.

E molti altri.

***

La pioggia scrosciante non dava tregua. Raggomitolato sotto un piumone Naruto si copriva le orecchie, premendovisi il cuscino contro, invano: per la terza volta la sveglia squillò. Squillò con il suo solito rumore ronzante e fastidioso, e con il solito eco nella stanza accanto. Metà dei suoi compagni si erano già avviati verso la costruzione principale, ma lui no, voleva dormire. Come voleva ogni mattina.

Si levò scocciato a sedere, guardandosi attorno ancora mezzo addormentato.

E finalmente, quell'urlo metallico terminò.

Mugugnando fece scivolare i piedi scalzi giù dal letto, poi sbadigliando, poi stiracchiandosi, poi sbadigliando di nuovo: e così faceva mentre si vestiva, mentre guardava allo specchio la propria figura, bionda e dai tratti infantili - lavandosi i denti, lavandosi il muso solcato da tre segni, a baffo, per gota.

Mezzo incantato perse una manciata di minuti a contemplarsi allo specchio.

E la sveglia ronzò in tutto l'alloggio per la quarta volta.

«Aaaah, ancora? Sono sveglio..!» urlò, al nulla.

Si infilò rapido gli stivali neri, cacciandovi dentro alla meno peggio i pantaloni dello stesso colore: tenendo serrata fra i denti una piccola valigetta cromata scattò fuori dalla propria stanza - dove viveva, da solo, da sei anni - chiudendo la porta con un calcio.

Continuò correndo per il corridoio, intento ad infilarsi la seconda manica del copriveste, accompagnato da un tintinnio: e, finalmente a posto, si ritrovò immediatamente fuori dall'edificio.

Accanto a lui, come lui, centinaia, e poi migliaia.

I ragazzini, delle più svariate età, si muovevano in un'ordinata confusione surreale, articolandosi fra i vari corridoi esterni ricoperti da tettoie che, a ragnatela, conducevano all'edificio principale: una mezza sfera schiacciata ricoperta di lastre di vetro, dal raggio chilometrico.

Naruto si fermò un isto ad osservare la scena, sistemandosi i capelli, ed una volta cacciatosi le mani nelle tasche si avviò, con un largo sorriso, immerso in quella marmaglia di suoi simili.

Calzari scuri, neri pantaloni infilativi dentro: per tutti. Sopra, nere e pesanti copriveste, dal largo ed alto collo, lunghe ed ampie maniche, il tutto terminante di poco sotto il ginocchio, lasciando in quel modo vedere solo i calzari, rifiniti di cinghie e suture argentate. Alla manica destra di ognuno vi era ricamata tutta intorno una strisciolina colorata: stava ad indicare l'età, e quella di Naruto era arancione: dodicenne. Alla sinistra, invece, v'era una serie di discrete stelle grigiastre ad indicare l'anno che stava frequentando; cinque, per lui.

Ed infine, alcuni, rari, a lato del grande collo avevano attaccato uno o più campanelli.

Non altro bisognava sapere di uno studente del Ludus: poco contava il Nome, inesistente per tutti era il Cognome. Chi eri e cosa facevi lo diceva il tuo copriveste.

Ad ogni passo una serie di scoordinati dling-dling accompagnavano Naruto, che avanzava tintinnando ormai da un anno: coloro che lo circondavano si scostavano meccanicamente. Il che, dal suo punto di vista, era assai comodo: si sentiva potente. Avanzava sotto le tettoie che lo proteggevano dalla pioggia assieme agli altri, eppure chiaramente emarginato. Soprattutto i bambini più piccoli lo evitavano, guardandolo, immobili, i grandi occhioni incollati sulla sua figura, trattenendo il respiro terrorizzati.

***

Se c'era una cosa che il ragazzino aveva capito, nell'ultimo anno, era che non bisognava mai entrare in aula in anticipo.

La costruzione principale, la Sphaera, si divideva in sei spicchi ed in tre piani. Il centro era cavo, aperto, e dava verticalmente sul cielo: da qui si diramavano sei corridoi che dividevano i sei settori, radiali. Un altro corridoio, anulare, congiungeva per ogni piano le stanze della parte più interna, affacciata sul vuoto della colonna centrale, con quelle esterne, che davano sui pannelli vetrati.

Ogni settore corrispondeva ad un'annata, ed era identico ad ogni altro, se non per il numero di stelle grigette sullo stipite di ogni porta.

Così Naruto attendeva, deambulando su e giù per il corridoio del terzo piano, quinto settore - facendo finta di essere molto impegnato. I ragazzi entravano senza badare troppo a lui, sebbene tintinnasse in continuazione.

Al piano terra v'erano la sala d'allenamento fisico - nella parte che dava sull'esterno - mentre interna era sita la mensa. Al secondo piano, rispettivamente, la sala studio e la sala dedicata ai Magistri; al terzo l'aula, dove si tenevano lezioni ed esami, e la presidenza con segreteria annessa. Ogni anno era indipendente dagli altri, e soprattutto di identico stampo.

Il biondo fece capolino dalla porta della sala: oramai erano arrivati tutti. Con finta aria discreta entrò, ed iniziò a guardarsi in giro, scrutando il luogo immenso pullulante di sedie vuote. Ciondolando si avvicinò ad un gruppetto di ragazzini, tutti un anno meno di lui, tutti ben conosciuti.

Subito questi lo squadrarono con rapide e fugaci occhiatacce, senza volersi palesare: e lo sguardo di Naruto li percorse tutti, finché non trovò più discreto – accanto a cui si sedette.

Questo, dai capelli corvini, fissava con occhi scuri il vuoto senza dimostrare la minima irritazione alla presenza del ripetente. Ma, a dire il vero, era più che seccato.

E Naruto lo sapeva.

«Sasuke, Sasuke! Ascolta, ascolta!»

Prese il collo del copriveste ed iniziò a scuoterlo, scuotendo a sua volta il campanello, che tintinnava rumorosamente.

«Smettila.»

«Va bene, va bene. Era solo per incentivarti a non prenderla anche tu.» Sorrise.

Sasuke non mutò posizione, continuando a fissare il nulla, fronte sé. Il biondo si tolse il copriveste, rivelando la parte nascosta della divisa: un maglioncino nero a V, che faceva uscire una camicia bianca con il collo per lui arancione; e bianca a sua volta era la cinta, con impresse le cinque stelle, ordinate.

Ma ovviamente Naruto doveva essere distinto, poiché bocciato e reietto: a questo ci pensavano i polsini della camicia, aguzzi, ripiegati sopra le maniche del maglione, che, anziché esser bianchi e candidi come quelle degli altri studenti, erano grigio scuro, gricio sporco.

Una stonatura di colore impossibile da non notare.

«In Piedi!»

Le classi di studio contavano un migliaio di posti, sistemati a loggia su gradinate che salivano sempre più, posizionate a guardare verso l'esterno della Sphaera. I vetri erano opachi - per non distrarsi, e soprattutto per fungere da immensa lavagna.

Al centro del tutto un'immensa cattedra, a falce.

Come il Magister pronunciò queste due parole, i ragazzi scattarono immediatamente in piedi. L'uomo, vestito in modo simile ai ragazzini, entrò nella sala invitandoli a sedersi: sotto il braccio una scatola che emetteva sordi, piccoli rumori.

«Portate qui i quaderni.»

A dire il vero, era un termine storico. In processione, i ragazzini si misero in fila, in trecento scarsi quali erano, a porgere la propria valigetta cromata.

Alta era la tecnologia del Ludus: carta e penna erano praticamente scomparsi, da secoli. Un piccolo e discreto computer era tutto ciò di cui avevano bisogno.

Come ogni studente porgeva il proprio 'quaderno' al Magister, questo lo posizionava sul fondale della classe, appoggiato sul pavimento, per poi dare all'allievo un campanello.

Ogni studente un quaderno, ed un campanello indietro.

E quasi un'ora per completare l'operazione.

Non c'era niente di strano, per gli allievi: era una prassi più che regolare. Si trattava dell'unico mondo che conoscevano, dell'unica didattica con cui erano mai venuti a contatto.

Quello era l'Esame.

E quello era il rito.

«Ehi, ehi, non c'è bisogno di darmelo, non verrò certo bocciato una seconda volta... neh, Iruka?»

Naruto prese il suo campanello ridacchiando e facendolo tintinnare ne palmo della mano.

«Naruto! Non puoi chiamarmi per nome!»

Per tutta risposta Iruka cacciò via il ragazzino - che ancora rideva - spingendolo per le spalle, dopo averlo ammonito sottovoce e con sguardo truce.

Entro breve ognuno era nuovamente al suo posto: dalla tavolata ante le sedie si aprirono delle finestrelle a mostrare i monitor del Ludus, già pronti con il test. Le schiene si chinarono sugli schermi, ognuno cercando la concentrazione a modo suo.

«Avete cinque ore.»

Il che significava che per concluderle completamente l'esame ce ne volevano almeno sette.

Naruto sosteneva quell'esame per la seconda volta - l'esame di fine anno. Lo stesso che, un anno prima, fece di lui un reietto. Il ragazzino già malvisto dai Magistri a causa del suo comportamento indomabile, era divenuto così una nullità anche agli occhi degli studenti, che in larga parte non lo sopportavano già da prima.

E mentre scorreva rapido le domande, scegliendo quelle a lui più convenienti, gli risultava impossibile non notare i suoi polsini scuri.

Già.

Bocciato.

Già.

Fallito.

Se l'erano studiata bene - ma lui, di certo, non era capace di formulare simili pensieri.

Era una cosa normale: sapeva a cosa andava incontro. Sapeva cosa significava continuare dopo aver fallito.

Non poteva permettersi di farlo nuovamente.

Altalenava lo sguardo dallo schermo all'orologio, mordendosi il labbro.

Il tempo passava, inesorabile.

Guardò una volta il nuovo campanello, lasciandosi scivolare in testa un pensiero come 'in che modo cucirlo al copriveste'.

Ansia e sicurezza gli si alternavano in corpo, logorandogli i nervi.

Non ha padre,

ne' madre,

ne' fratello,

ne' sorella.

Eppure è colui che più risplende:

il Sole.

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Capitolo 3
*** 2 (Freddo. E Blu.) ***


[Prima pubblicazione: 15 04 2007]

[Ultima revisione: 26 09 2010]

- 2 -

E di ogni cosa in cui crediamo, da sempre, privati siamo.

La nostra vita è andar di inerzia, e conto, noi, non ce ne rendiamo.

Ogni sogno sparisce come l'alba sorge,

ogni sogno muore alla luce del mattino:

nessuna speranza in noi alberga, poiché nessuno mai ci insegnò a sperare.

Ma alcuni lo hanno saputo imparare...

- Freddo. E blu. -

Soffiavano le code del gatto nell'aria.

Suoni acuti, secchi.

«Dai, Iruka, così basterà, no? Mi vuoi mort...»

Un altro sibilo interruppe bruscamente il dire di Naruto: il ragazzino si ritirò fra le spalle - avendo prima girato un pochino la testa a voler vedere il Magister dietro di lui -, e così ritratto attese il colpo.

«Una in più per ogni volta che ti rivolgi a me senza degno riguardo: vuoi?»

La piccola stanzina in cui si trovavano i due era dispersa fra la moltitudine degli edifici rettangolari che circondavano la Sphaera, a creare il campus di alloggi ed uffici di vario genere.

In poco più di tre metri quadrati, Iruka stringeva il gatto nella destra, e Naruto, con le mani giovanissime e salve, si reggeva alle catene.

Al biondo i bracciali segavano i polsi: erano del peggior ferro, e a tratti pure arrugginiti. Avrebbero dovuto tenerlo sollevato ad un metro da terra, ma lui, ormai abitué del posto, preferiva reggersi alle catene che collegavano i bracciali al soffitto - onde evitare di trovarsi nuovamente ad affrontare, com'era avvenuto al secondo anno, quella fastidiosa malattia chiamata Tetano.

Il ragazzino induriva i dorsali ed i tricipiti, per proteggersi il capo e resistere al susseguirsi dei colpi, esibendo così una muscolatura del tutto innaturale per la sua età: non aveva muscoli ingrossati, ma erano fatti di fibra compatta e scattante, a contatto diretto con l'epidermide, tanto che, sotto sforzo, si riusciva a distinguere un fascio muscolare dall'altro.

Non era l'unico nel Ludus ad aver sviluppato precocemente una muscolatura del genere.

«Eddài, Iruka!»

Il gatto sibilò per l'ennesima volta. Naruto bloccò l'aria nei polmoni ed attese nell'istante prima dello schiocco.

«Ne hai per molto, Naruto? Guarda che continuo. Dico sul serio.»

Solo loro due nella stanzina, e nessun altro. Iruka era da anni uno degli addetti alle punizioni: fra Magister ed allievo, a furia di trovarsi ripetutamente nella medesima situazione, si era venuta a creare un'insolita confidenza – che se fosse uscita da lì, sarebbe stata il massimo scandalo ed il motivo delle peggiori conseguenze. Ma questa sottospecie di amicizia fra nemici naturali, quali erano allievo ed insegnante al Ludus, non salvava certo Naruto dalle frustate, che si susseguivano ritmicamente.

Il ragazzino sopportava.

Il gatto si avventò sulla sua schiena ancora una decina di volte, mentre lui, stringendo i denti e trattenendo il respiro, faceva il conto alla rovescia a suon di sbuffi di dolore. Iniziavano a lacrimargli gli occhi, ma lui, di piangere, non ne voleva sapere: come mai non ne aveva voluto. Quelle lacrime erano solo un riflesso del suo corpo: la sua mente resisteva ed attendeva, ogni schiocco uno in meno, ogni sibilo un colpo, ancora tre, ancora due, ancora uno.

«Finito.»

Con un respiro profondo, stanco anche lui di menar la frusta in aria da mezz'ora, Iruka si sedette per terra a massaggiarsi il braccio, per poi andare a cercare le chiavi dei bracciali nella tasca. Il ragazzino prendeva grandi boccate d'aria tremanti, scaricando tutto ciò che poteva, oramai distrutto anche dal tenersi sospeso con le proprie forze. Il Magister gli lanciò le chiavi, che il biondo afferrò reggendosi solo con la destra, e con un ultimo sforzo si issò andando con i piedi, nudi come tutto il corpo, poggiati al soffitto: uno dopo l'altro aprì i bracciali per lasciarsi in fine cadere in terra, e di lì buttarsi disteso, la schiena infiammata a prender aria - distrutto.

«Ogni anno la stessa storia, Naruto. Speravo che almeno questo giro, col campanello, rinunciassi. E invece no.»

Naruto assaporava il gelido pavimento con ogni cellula della pelle, sudato, ed ascoltava mezzo assopito quello che aveva da dire il Magister.

«Mi domando cosa ci fai ancora qui, al Ludus.»

«Me lo domandavo anch'io. Un Magister mi ha risposto che l'espulsione non è contemplata, nello statuto.»

Il ragazzino perseverava nella stessa posizione, rispondendo con voce naturale, mentre tutto il resto del corpo era sulla strada del collasso. D''altro canto, per lui era una situazione abituale.

«Questo lo so anch'io: piuttosto, perché resti?»

Il ragazzino fu come illuminato da quella domanda, che gli diede la forza di mettersi a sedere e guardare finalmente il Magister negli occhi.

Ora, tutti e due a gambe incrociate, potevano parere due vecchi amici che prendevano insieme il te: peccato che uno fosse vestito e tranquillo, mentre l'altro, nudo, era chinato in avanti per via delle ferite alla schiena.

«E perché me ne dovrei andare?» Domandò il ragazzino, con fare quasi retorico.

«Avanti, Naruto! Sei stato bocciato. Già questo basterebbe a quasi tutti per mollare.»

«Bhe, hai detto quasi tutti, no? Qualcuno resta, perché non posso essere fra questi?»

«Fosse solo questo, andrebbe bene - ma questa saletta è diventata la tua seconda casa: ci sono allievi che di frustate sono morti, sai?»

«Ma io non sono fra questi. Almeno, non ancora.»

«La tua schiena è un'unica cicatrice. Rischi di arrivare al secondo ciclo senza reggerti in piedi da solo.»

«Tu la fai troppo tragica.» Naruto si tirò a fatica in piedi, andando mezzo barcollante a prendere i vestiti, e, con calma, mettersi mutande e pantaloni.

«Almeno, potresti evitare questa punizione - come molte altre, ma questa in particolare.»

Probabilmente una discussione del genere nel Ludus non era mai avvenuta. Non tanto per i contenuti, ma per i toni paciosi che avevano torturatore e torturato nello scambio di battute.

Naruto si chiuse la cinta alla vita e guardò perplesso il Magister: quella punizione non era certo quella del secondo anno.

Perché il lupo perde il pelo, ma non il vizio: ogni anno il ragazzino aveva preso l'abitudine di andare a spiare i nuovi arrivati.

Al terzo anno aveva avuto al buona idea di evitare di saltare le lezioni, ed essere più discreto quando fu catturato: così nessuno di quelli che erano nell'aula se ne accorse.

Al quarto e ai suoi due quinti, ormai conoscendo tutti i Magistri di sorveglianza causa le altre idiozie che faceva nel corso dell'anno, si limitava a salutarli quando arrivavano, e domandargli, con il tono di chi sta facendo qualcosa di improcrastinabile, 'ancora un momento'. Dopo aver guardato un'ultima volta i nuovi, seguiva gli adulti di sua spontanea volontà, le mani nelle tasche, camminata tranquilla e schiena che si preparava al gatto: il quale aumentava le code come lui aumentava gli anni.

«Comunque non vorrai che mi tiri indietro ora che ho passato l'esame per il sesto anno, vero? Il bello inizia adesso.»

Si piegò a prendere il resto dei vestiti: camicia, maglione e copriveste andarono a finire sotto il suo braccio. Iruka lo guardò con fare apprensivo: d'altro canto, Naruto non poteva immaginare cosa lo aspettasse al sesto anno, e poi al secondo ciclo. E lui, in quanto Magister, non poteva dirgli nulla.

«Fa un po' come vuoi»

Concluse l'uomo, rassegnato.

«Buona giornata, Magister.» Dopo aver infilato gli stivali slacciati, il ragazzino battè un colpo a pugno stretto sul petto, e così salutato il Magister uscì dallo stanzino - seguito dallo sguardo di Iruka. Vesti in mano, pantaloni e calzari che ciabattava perché messi su alla meno peggio, come varcò la soglia dell'edifico venne investito dal vento invernale, al quale immediatamente porse la schiena, che ben presto divenne insensibile sotto il soffio dell'aria gelata. A torso nudo, sforzandosi di non battere i denti, si avviò per la manciata di chilometri che lo divideva dal proprio alloggio, avvolto in una sofferenza che per lui, quel momento, rappresentava la massima goduria.

Naruto amava quella sensazione.

Il gelo dopo le frustate lo faceva sentire vivo.

Superato l'esame - con sua somma gioia - a Naruto spettarono come agli altri del quinto anno i meritati venti giorni di vacanza: un periodo in cui si interrompevano gli studi e si era impegnati solo la mattina nelle attività fisiche. Il resto del pomeriggio, libero, lo si passava come si voleva: la maggior parte dei ragazzini si trovava in gruppi e giocava.

Erano quelli gli unici giorni dell'anno in cui, in qualche modo, si potesse giocare. La cosa più vicina ad un premio che spettasse agli allievi del Ludus.

Naruto, invece, solingo, andava in esplorazione nel bosco che circondava la piazza del Ludus, oppure tentava in mille modi di accodarsi ad una delle compagnie. Spesso, comunque, si trovava a vagare per luoghi a lui non permessi, e quei venti giorni erano i più intensi di frustate: si aprivano regolarmente con quella punizione – la "punizione della spia", come l'aveva chiamata per gioco Naruto parlandone con Iruka.

La cosa positiva del camminare a torso nudo a gennaio era che la gente ti guarda credendoti pazzo, e non feccia.

Quando poi gli altri vedevano la sua schiena, Naruto poteva persino avvertire un sentimento di comprensione: vestirsi dopo una punizione era da folli, il dolore aumentava e basta, ed era il pensiero comune di tutti gli allievi.

E il campanello, soffocato dalla stoffa raggomitolata sull'avambraccio, non smetteva nessun suono.

Nemmeno i Magistri avevano il coraggio di dirgli niente, dato che il freddo che provava era più che sufficiente: e se era più che sufficiente per i Magistri, voleva dire che Naruto stava veramente patendo le pene dell'inferno.

Mentre diminuiva passo a passo la distanza che lo divideva da una doccia bollente, il suo colorito tendeva lentamente al pallido-violaceo: nuvolette di condensa uscivano dai suoi polmoni, e lui, avanzando, vi si immergeva cercandovi un momentaneo sollievo dal freddo, almeno per il volto.

Perso nei suoi pensieri come non mai, su di una strada inesistente lungo l'enorme piazzale del Ludus, camminava pacatamente.

Tanto pacatamente e tanto perso che andò a sbattere.

Il bambino che era andato addosso a Naruto (o a cui lui era andato addosso, ma questa è una cosa che non si saprà mai) rimbalzò sul corpo del ragazzino, temprato da anni di Ludus e frustate: il piccolo, miseramente, cadde a terra.

Lui lo guardò allibito, dall'alto, come risvegliatosi da un secolare sonno - mentre il nano, con sguardo crucciato, inveiva contro di lui: capelli castani e arruffati, naso infantile, senza un dente. Era piccolo.

Naruto fece scivolare lo sguardo sulle maniche del copriveste, mantenendo un'espressione seria e superiore, mentre il corpo tremava.

Striscia blu, due stelle.

Un microbo.

Otto anni.

«Scansati!»

Il bambino si agitava, tornato in piedi, e pretendeva che Naruto si spostasse. Questi si accigliò, domandandosi come uno del secondo anno osasse rivolgersi a lui, quaranta centimetri in più, con quel tono.

«Ma anche no.»

Naruto era irremovibile: meglio morire congelati che sottostare ad una striscia blu. Fra l'altro, se lui gliel'avesse data vinta e fosse stato presente un Magister, gli sarebbero spettate il doppio delle frustate che sarebbero spettate al nanetto per aver mancato di rispetto ad un superiore.

«Dico, ma sei sordo? Spostati!»

Insistette il bambino, che iniziò a dare delle spallate al petto di Naruto, andando così a scontrarsi con i muscoli del biondo, che lo facevano rimbalzare ogni volta di più.

«Ehi, Striscia Blu, hai finito? Le vuoi?»

Naruto non aveva voglia di alzare le mani, ma se quello continuava gli sarebbe davvero toccato. Altrimenti, questa volta sì, sarebbe morto nello stanzino: un altro giro nello stesso giorno era l'ultima cosa che voleva.

Il piccoletto si fermò, e a mascella serrata dalla rabbia si mise a squadrare il suo superiore.

«Lo sai chi sono io?» domandò tutto impettito

«La cosa mi dovrebbe interessare?» rispose mugugnando il ragazzino, che iniziava ad avere davvero freddo. Se non si muoveva, congelava: forse dargliene un po' non era una cattiva idea.

«Sono Konohamaru, il nipote dell'Ignis Umbra!»

Rapido, mani in tasca, Naruto gli assestò un calcio nello stomaco che fece volare il bambino un metro più in la.

Dopo l'atterraggio, Konohamaru stette qualche momento a riprendere fiato, che gli era stato smorzato dall'inaspettato calcio della striscia arancione. E lentamente si rimise in piedi.

«Ma come osi!» strillò il bambino, furibondo per l'affronto, reggendosi il punto in cui aveva accusato il colpo.

«Striscia Blu, tu vorresti forse far valere il tuo Cognomen? Vuoi vantarti della tua Gens? Ma da quand'è, eh?»

Konohamaru tacque, immusonito.

«Rispondi, agricola, o te le do davvero.»

Agricola - contadino -, era il peggiore insulto al Ludus, poiché implicava che non avresti dovuto mai esser stato, lì, studente: feriva l'orgoglio, gonfiato dall'educazione con cui crescevano i bambini, come un ago ferisce un palloncino.

Il bambino tacque. A quel punto Naruto iniziò a dargliele veramente, e Konohamaru subì, resosi conto di essersele andato a cercare.

Quanto il biondo ebbe finito - cioè molto presto, poichè fra il freddo, le frustate e lo sforzo alle catene, stava per svenire - Konohamaru si inginocchiò a chieder perdono.

Fu in quello che giunse un Magister.

Ed altri allievi.

Naruto aveva il fiato ingrossato oltre ogni dire, ed apriva e chiudeva le spalle per far entrare nei polmoni l'aria gelata, il che gli provocava ancora più male alla schiena, maltrattando la pelle e la carne malconcia a suon di tirarla e arricciarla.

Un gruppetto dell'anno di Naruto camminava da quelle parti, e vista la scena, incuriosito, si avvicinò.

«Naruto! Cosa gli hai fatto?»

Era lo stesso gruppo al quale si era clandestinamente unito durante l'esame, e, alla fin fine, quello dell'anno che meglio conosceva il bocciato. E viceversa. Sasuke osservava impassibile, forse infastidito, Konohamaru chinato ad implorare perdono, piangendo, mentre una ragazzina dai capelli rosati esordiva a voler rimproverare Naruto.

«Mi ha provocato, Sakura.»

A quel punto lei non poté più dire altro. Si mise a sua volta a guardare Konohamaru.

«Ma non è il nipote dell'Ignis Umbra?» Un ragazzino dall'aria scocciata ed i lunghi, neri capelli radunati in una coda osservava, a sua volta, i due: Shikamaru.

«Così dice.» confermò il biondo, che aveva tanta voglia di accasciarsi a terra a dormire. Ma come sapevano di quello? Non bisognava tagliare ogni legame con la propria famiglia? Naruto non capiva.

«Striscia blu, vedi di pulirti quelle lacrime, o te le busco anch'io, e poi il Magister. La stupidata l'hai fatta grossa, eh?»

Non c'era particolare cattiveria nelle parole che diceva un altro ragazzino, distinguibile per i segni rossi che aveva sul volto, come sue zanne tatuate sulle gote e rivolte verso il basso. Iniziò a tirarsi su le maniche, come a voler contribuire alla randellata, ma Konohamaru si rialzò al volo e con una passata di braccio si pulì il volto.

Il ragazzino con i segni rossi, Kiba, sorrise divertito alla sua reazione: sapeva bene che quello era un ottimo modo per farli smettere, ed alla fine le sue parole potevano dirsi in buona fede.

Presto, infatti, giunse il Magister - uno di quelli del secondo anno: riconobbe il suo allievo, e stranamente ne sapeva anche il nome.

«Ehi, voialtri dalle cinque stelle, cosa gli avete fatto?»

«Lo ha provocato.» fece Shikamaru con tono annoiato.

«E' vero, Konohamaru?» chiese - stranamente - il Magister al malmenato.

Da quando si chiedeva conferma ai più piccoli?

Forse era perchè Naruto era un bocciato.

Konohamaru ammise il torto, e il Magister si fece pensoso, stringendosi nelle spalle.

«Che succede, Magister?» domandò Sasuke, che fino allora era rimasto silente.

«Sapete che è il nipote dell'Ignis Umbra?»

«Mi pareva che qui al Ludus Cognomen e Gens non contassero.» ribattè al volo, acido, Sasuke.

Naruto osservava il dialogo fra i due, sempre congelante ed immobile se non per un lieve tremorio.

«Certo. Voi avete solo il Nomen, e così dev'essere. Ma, d'altro canto, sembra che l'Ignis Umbra ci tenga particolarmente, a questo suo nipote.»

«Già, come al solito.» ribattè scocciato Konohamaru, infilandosi nel discorso. La sua uscita fu ripresa al volo da uno scappellotto di Kiba. Il Magister osservò la scena senza sapere bene cosa fare. Normalmente, avrebbe dovuto punire il bambino: invece si strinse nelle spalle. Poi scosse lentamente il capo in senso di diniego.

«Konohamaru, non dovresti stare al Ludus. Dovresti ascoltare tuo nonno, così ci eviteresti un sacco di problemi. Va' a fare l'artigiano.»

«Noooohoo!»

Il No del bambino era il No di chi dice No per la centesima volta.

I ragazzini iniziavano ad intuire, sebbene nolenti, che c'era qualcosa che non andava. Non andava perché Konohamaru veniva trattato in modo strano, e pareva mandare in crisi i Magistri tanto da farli parlare con loro di queste cose.

«Lasciamo stare.» concluse seccamente il Magister «Per questa volta facciamo come se non fosse successo nulla. Comunque, dovete comportarvi con lui come con qualsiasi altro. Questo è il Ludus. Indipendentemente da quello che ha da dire l'Ignis Umbra.»

L'adulto afferrò Konohamaru per il colletto e lo trascinò via, mentre i ragazzini batterono il pugno al petto osservandolo allontanarsi.

Rimasero per qualche istante in silenzio.

«L'ignis Umbra che fa trattare diversamente il nipote? Non ha senso.» esordì Sakura, come qualli furono abbastanza lontani da non sentire.

«Quest'Ignis Umbra sembra essere quasi troppo morbido.» apostrofò Sasuke, riprendendo a camminare.

Loro non sapevano nulla dell'Ignis Umbra: ne' che tipo di persona fosse, ne' cosa facesse di preciso - come nulla sapevano degli altri Philoosophi del Summus Globus, e dei Philosophi in generale.

Però, sapevano che al Ludus il trattamento era uguale per tutti.

Forse l'Ignis Umbra era veramente un mollaccione, e se era tale, il Summus Globus avrebbe fatto in fretta ad eliminarlo ed eleggerne uno nuovo.

Oppure, come veramente era, c'erano moltissime cose che loro non sapevano.

Come che, da qualche anno a quella parte, gli studenti del Ludus, all'entrata nell'istituto, venivano sottoposti ad una visita medica in più, ed, in alcuni casi, anche a qualcos'altro.

Ma per loro, gli esami d'ammissione erano stati talmente tanti che uno in più od uno in meno non avrebbe fatto la differenza.

Naruto sgattaiolò via dalla discussione, correndo come poteva fino al proprio alloggio: buttò tutto per terra, e, spogliatosi, si accasciò seduto sotto la doccia bollente.

Come la ferita venne a contatto con l'acqua fumante, bruciò.

Poi formicolò.

Sentiva che il sangue tornava a scorrere.

Amava la doccia bollente.

Come amava il gelo di gennaio.

Come gradiva le frustate.

Ed uscirne ogni volta vivo era i maggior premio che riceveva dal Ludus.

Sento il sangue,

la fame,

il dolore infinito.

Sento tristezza,

paura,

terrore.

Penso a quando finirà.

Penso a quando ricomincerà.

Penso.

(Cogito, ergo sum.)

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Capitolo 4
*** 3 (Patriae Frates. Fati Frates. Paure) ***


[Prima pubblicazione: 16 04 2007]

[Ultima revisione: 26 09 2010]

- 3 -

Konohamaru batteva i denti.

Batteva i denti e piangeva.

Seduto nel terrazzo della propria camera, le braccia da bambino ad avvolgersi sul corpo.

Piangeva e tremava.

Si lasciava invadere dal freddo.

Konohamaru tremava.

Batteva i denti.

Soffirva.

Pensava.

Pensava a Naruto.

Piangeva.

A suo nonno.

Soffriva e piangeva.

Konohamaru.

Konohamaru.

Lui, Konohamaru.

Lui.

Chi era?




Chi di noi si mimetizza, chi di noi domanda attenzione.

Nessuno ottiene ciò che vuole, se lo vuole.

Guardiamo i piccoli dall'alto, i grandi dal basso.

E siamo sempre diversi.

E siamo ogni giorno più uguali.

E' facile perdersi, nel nulla...

- Patriae Frates. Fati Frates. Paure. -

Naruto vagava per il bosco che circondava il Ludus ormai da qualche giorno. Non era una novità che non tornasse al proprio alloggio per la notte, preferendo accamparsi fra la boscaglia: la sopravvivenza era d'altronde una delle materie base.

Fin dal primo anno ti insegnavano ad andare a dormire sui rami, più sicuri: ecco perché dovevi saperti arrampicare bene.

Naruto passava in rassegna ogni piccolo cespuglio, andando a curiosare di qua e di là, dilettandosi nello scoprire luoghi nuovi. Ogni tanto incideva sugli alberi qualche segno, con una pietra che trovava in terra: il suo obbiettivo era visitare tutto il bosco. Ma, man mano che passavano gli anni, si rendeva sempre più conto che quel bosco era come infinito.

Il busto del ragazzino, sotto strati di magliette da allenamento grigiastre sormontate da un secondo strato di maglioni, era bendato – per far guarire la schiena dall'infiammazione: e a dire il vero, dopo la "punizione della spia", era stato frustato solo altre due volte.

Era migliorato, pensava, mentre faceva la posta ad un coniglio.

E ne era decisamente soddisfatto.

Con un gesto secco si avventò sul mammifero, che gli finì dritto fra le mani, tentando un disperato balzo di fuga. Naruto lo teneva sollevato, osservandone il manto candido.

Lo prese per le orecchie, lasciandolo penzolare a guardarsi attorno sconcertato. Il piccolo cuoricino pompava adrenalina a non finire: Naruto sentiva il rapidissimo battito dalle vene nelle orecchie della bestiola.

Il sole era alto nel cielo, e non una nuvola si frapponeva fra di lui e la terra: picchiava come solo il sole di gennaio sa picchiare, vigliacco.

Il bocciato decise che era ora di rientrare, e così si incamminò in direzione della Sphaera, che nemmeno ad una decina di chilometri di distanza accennava a scomparire. Sembrava quasi più grande di prima.

«Su, su – Op!»

Naruto era abituato a parlare da solo: i suoi interlocutori preferiti erano se stesso e Iruka. Sasuke, invece, ascoltava. O meglio, taceva mentre Naruto parlava a raffica, senza dare nessun segno di vita.

Sakura si defilava alla terza frase pronunciata dal biondo.

Shikamaru e Kiba lo scrutavano qualche istante e poi finivano a far conversazione con qualcun altro; come gli altri del gruppetto e della classe scambiavano qualche parola con lui, ogni tanto, senza spendersi mai troppo: ma per Naruto quelle poche parole erano più che sufficienti.

E poi c'era Hinata.

L'unica ragazzina che considerava quasi apertamente – non fosse per la sua incapacità di formular frasi troppo lunghe – Naruto come lo considerava Iruka: non fallito perché bocciato, ma forte perché insistente.

Metà della strada era stata fatta, e lo stomaco iniziava a dir la sua. Il coniglio era ancora nelle sue mani, paralizzato dalla paura da un'oretta buona. Naruto sapeva che quello era il modo migliore di logorare i nervi a una creatura: bastava farla attendere, come gli avevano bene insegnato. E visto che non aveva un'arma con sé, l'unica era di fargli perdere la vita con un violento colpo.

Ma spesso non funzionava.

Così, di solito, lasciava che l'adrenalina uccidesse la sua preda: ma questa qui pareva più resistente delle altre.

«Quasi quasi ti lascio vivere.»

Fece il ragazzino, ammirando la resistenza della bestiola. Ne scrutò gli occhi attentamente, finché, vinto dal suo stomaco, iniziò a guardarsi attorno alla ricerca di una roccia.

Deambulava di qua e di là, tastando tronchi, osservando sassi, voltandosi e saggiando il terreno.

«Na.. Naruto?»

Il ragazzino venne richiamato da una voce femminile e conosciuta: si girò, sballottolando il coniglio nel rapido gesto, ed andò a incontrare un paio di occhi velati. Una ragazzina dalla striscia rossa lo osservava, seminascosta dietro un albero.

«Hinata! Cosa ci fai qua?»

Sorrise per salutarla, lasciandola sconcertata da quel gesto.

Lui era contento. Contento come ogni volta in qualcuno gli rivolgeva la parola. Attese la risposta tornando alla ricerca di qualcosa di rigido: Hinata, però, ci mise un po' a rispondere, terrorizzata com'era sempre nel parlare a chiunque.

Ma Naruto non lo sapeva.

Era troppo ingenuo per capire una cosa del genere.

«Andavo... in giro... cosa fai?»

Alla fine Hinata riuscì a estrarre le parole dalla gola. Guardava Naruto in ogni suo movimento, sempre un po' ritratta.

«Mangio.»

Lui rispose esattamente quando trovò quello che gli serviva: un vecchio, grande e grosso abete che prometteva enorme resistenza. Incuriosito, torse il busto ed andò a scagliare un pugno sul tronco: sì, era forte.

Le nocche sanguinavano.

«Mangi? Ma c'è la mensa.»

Lei era abbastanza sconcertata dalla cosa.

Lo aveva odiato, il corso di sopravvivenza. A momenti mollava tutto.

Naruto si ricordò vagamente di una cosa del genere. Prese il coniglio per il collo, indice sulla nuca e lo osservò un'ultima volta.

«La mensa penso sia chiusa – e poi non mangio da giorni. Faccio in un attimo, Hinata.»

La ragazzina chiuse gli occhi impaurita. Naruto caricò il braccio e con un violentissimo colpo pose fine alla vita dell'animale.

«Hai.. hai finito?»

«Ancora un secondo.»

La risposta era quasi dolce, mentre il ragazzino scuoiava alla meno peggio la bestia, e ne lasciava defluire il sangue.

«E' morto?»

Hinata insisteva.

«Morto, è morto.»

La ragazzina riaprì lentamente gli occhi, a vedere la macabra scena. Si sforzò di non distogliere lo sguardo: era una questione di principio. Non poteva essere così debole.

«Non guardare, se ti fa impressione.»

Fece lui, mentre spremeva la carcassa come una spugna.

«N.. no.» deglutì «Non mi fa impressione.» Hinata si costrinse a guardare quello che aveva dovuto fare per due anni, e per due anni aveva odiato, e per due anni aveva fatto piangendo e a volte fermandosi, incapace di andare avanti.

Hinata non voleva essere debole.

Lei doveva guardare.

«Come vuoi.»

Naruto prese a pulire la bestia, come gli avevano insegnato, e come ogni bambino del Ludus faceva durante i suoi primi due anni di studio, una volta alla settimana.

A lavoro compiuto, il ragazzino mangiò.

Hinata guardava.

Saggiamente, lui si trattenne dall'offrirgliene un po'. - anche se trovava la carne cruda decisamente buona. Come facesse a non piacere a certe persone, non lo capiva.

«Allora, andiamo?»

Il ragazzino si pulì dal sangue con le maniche.

Lei annuì, avviandosi al fianco del biondo, ed insieme iniziarono a percorrere la srtada del ritorno.

Naruto si sentiva sempre strano quando si trovava solo con qualcuno che non fosse Iruka con una frusta in mano. Hinata poi era nota per essere taciturna, ma di tutt'altro stampo di quello di Shikamaru o Sakura.

«Hinata, tu hai paura per domani?» azzardò lui.

«Eh?»

«Domani!»

«Ah... bhe, sì – un po'.»

E il silenzio.

Naruto odiava il silenzio.

Quindi continuò.

«Ti ho mai detto che al mio vecchio anno c'è un ragazzino con i tuoi stessi occhi?»

«No.»

«Si chiama Neji»

«Ah...»

E ancora il silenzio.

«Io ho paura, per domani.» Tutto, pur di riempire il silenzio.«Molta paura.»

Hinata guardò stupita Naruto.

Naruto era sempre entusiasta di tutto, delle lezioni, della ginnastica, degli esami.

Naruto era il più entusiasta – nonostante fosse stato bocciato.

Forse Naruto sapeva qualcosa in più di lei, riguardo al sesto anno, pensò.

Oppure, ogni mattina in cui Naruto si alzava, Naruto aveva paura.

Molta paura.

***

I ragazzini del sesto anno se ne stavano in riga, ritti in piedi, su di un attenti che veniva loro naturale.

Divisi in una decina di file osservavano, avvolti dal silenzio, una schiera di adulti di fronte a loro: erano più di quanti avessero mai osato immaginare. Abituati com'erano ad essere in qualche centinaio con un Magister solo, ora si trovavano ad avere a che fare con una schiera di persone adulte veramente invidiabile, e sconcertati la osservavano.

Se non ce n'era uno a testa, ce n'era almeno uno ogni dieci.

Naruto era fra Sasuke e Shikamaru, in seconda fila, dietro a Sakura e davanti ad Hinata: come fosse riuscito a giungere in una posizione così favorevole e strategica, non lo sapeva nemmeno lui. Ma fatto stava che ora si trovava là.

Le due parti, insegnanti e studenti, lasciavano decantare il tempo mentre questo passava, fluttuava, migrava, li attraversava nel corpo e nella mente. Si lasciavano annegare nel silenzio, come attendendo gli uni che gli altri facessero qualcosa: ma gli allievi del Ludus non avrebbero certo fatto nulla, perché non sapevano cosa fare, e non avevano nulla da fare ne' nessuno a dirgli di farlo.

Alla fine un uomo dai capelli argentati e il volto relativamente giovane portò il pugno destro al petto, tamburellandolo una volta, e la seconda assestandosi un potente colpo a palmo teso che fece tramare la cassa toracica tanto da esser sentito in tutta l'aula. E con una voce potente, iniziò.

«Ignis Regionibus!»

«Patriae Frates! Fati Frates!»

I ragazzini risposero all'unisono, portando prima il pugno al petto, poi battendo una seconda volta a palmo aperto.

Concluso il saluto, che fece tremare i vetri della Sphaera, ebbero tutti la tentazione di sgonfiarsi, finalmente finita quell'estenuante attesa.

Era iniziato.

Gli studenti rinunciarono immediatamente al desiderio di rilassare i muscoli e rimasero sull'attenti, le mani lungo i fianchi: fra i tanti colletti di camicia rossi, quello di Naruto spiccava, arancione. Per sua sfortuna, non c'era nessuno che facesse gli anni in gennaio: e così, se i polsini grigi potevano esser poco notati in mezzo a tutti quei suoi simili, il colletto rimaneva segno distintivo.

L'uomo che aveva avviato quella cosa – che gli studenti non capivano se fosse una cerimonia, una conferenza od una lezione – , prese a passi lenti ad avvicinarsi a loro, e passandogli vicino li osservò, uno per uno. Ogni tanto si fermava su qualcuno, mettendosi a parlare: Naruto non riusciva a sentire niente, perché il tono di conversazione era basso e, comunque, erano lontani.

Guardava fisso un punto indeterminato fronte sé, mentre tentava invano di tirar le orecchie a catturar la minima sillaba. Ma nulla.

D'altro canto, parlare a voce elevata o addirittura gridare, se non era per il saluto o non era necessario, era fuori discussione.

Lentamente ma inesorabilmente, l'uomo si avvicinava a Naruto, che lo teneva sotto controllo con la coda dell'occhio: e dopo svariate soste giunse anche da lui.

Quello che per il biondino era un Magister si mise ad osservare interessato lui e Sasuke, senza degnarli però di troppa attenzione – osservando ogni tanto anche chi stava loro attorno.

Senza nulla che lo lasciasse presagire, esordì con tono autoritariamente pacato.

«Come ti chiami.»

Domandò, senza specificare con chi dei due stesse parlando ne' far valere il punto interrogativo nella sua frase, quasi atona. Sasuke e Naruto tacquero, presi un po' alla sprovvista. L'uomo li osservava: guardava gli occhi, le mani, il collo – come se sapesse già cosa stava cercando.

Alla fine decise di approfondire.

«Tu – biondino – come ti chiami?»

«Naruto.»

Il ragazzino rispose volgendo lo sguardo all'adulto, ed incontrò un paio di occhi ben diversi l'uno dall'altro: tentò in ogni modo di non farsi notare a contemplare quella assurda eppur magnifica asimmetria.

Un occhio era calmo e quasi sonnacchioso. L'altro, profondo e contemplatore.

Neri. Ma diversi.

«Bene, Naruto. Quanti anni hai?»

«Dodici.»

«Sei stato bocciato?»

«Sì.»

Il del ragazzino suonò all'uomo stranamente naturale ed imponderato. Guardò Sasuke.

«Tu. Come ti chiami?»

«Sasuke.»

«Quanti anni hai?»

«Undici.»

«Cos'hai in più di Naruto, Sasuke?»

Sasuke perse per un momento il posato controllo che lo avvolgeva, e rimase quasi sconcertato dalla domanda dell'uomo. Per un impercettibile istante si sentì cadere, e il suo sguardo pareva perso, come se fosse stato catturato. Nonostante le mille perplessità che lo avvolgevano, Sasuke fece in un attimo a riprendersi: così che solo il suo interlocutore, saggio ed abile osservatore, si rese conto di ciò che era accaduto all'undicenne. Per gli altri, Sasuke era rimasto sempre immobile e serio.

«Niente.»

L'animo di Sasuke aveva traballato: e dopo un isto d'instabilità, aveva riacquistato l'equilibrio.

«Bene.»

L'uomo fece tornare nuovamente lo sguardo su Naruto.

«Chi era tua madre, Naruto?»

«Io non ho madre.»

«Chi è tuo fratello, Sasuke?»

«Loro sono i miei fratelli.»

«Bene.»

Riprese a camminare fra gli allievi, fermandosi ogni tanto a parlare con qualcun altro di loro.

I due ragazzini osservavano il vuoto, mentre ognuno pensava ad una cosa diversa. Ambedue si domandavano come quell'uomo fosse riuscito a domandare cose così ben mirate: quasi li conosce a fondo.

I cuori dei due ragazzini tremavano.

Avevano paura di quell'uomo.

Avevano paura degli uomini.

Avevano paura di loro stessi.

Ed era ciò che lui, Kakashi, voleva.

Dopo un paio d'ore di ispezione, trascorse a visionare quei trecento scarsi che erano sopravvissuti fino al sesto anno, l'uomo tornò di fronte alla schiera di studenti, soffermandosi qualche altro istante ad osservarne l'insieme.

Gli altri adulti tacevano mentre aspettavano che lui, come un direttore d'orchestra, desse qualche segnale. Sembrava il capo – questo in fondo lo avevano intuito tutti – , ma non era realmente contraddistinto da nulla: nessun simbolo o vestiario.

Solo quell'atteggiamento aveva infine fatto loro intendere che fosse lui a dirigere le danze.

«Il mio Nomen è Kakashi.»

Iniziò, la voce che si spandeva ad un volume alto e lontanamente solenne.

La mandria di ragazzini ascoltava.

«Del mio Cognomen e della mia Gens non vi dirò, perché al Ludus Cognomen e Gens non contano. Conta ciò che siamo: io, come molti altri qui, sono un Rector Magister.»

Loro lo guardavano, il fiato in gola, mantenendo l'attenti come stavano facendo da ore. Non avevano mai saputo che esistessero, i Rectores Magistri.

Messi di fronte a più novità di quante non ne avessero mai gestite negli ultimi cinque o sei anni della loro breve esistenza, venivano come sgozzati da quelle parole. In parte ripetitive di concetti antichi, in parte – e soprattutto – scontate. Il tono era importante: sensazioni di caldo e di freddo li avvolgevano: ascoltavano, come ipnotizzati, qualcosa che intuivano li conduceva verso un ignoto mai ante tastato. E, assetati quanto spaventati, attendevano la frase successiva.

«Ci sono molte cose che non sapete.»

Stava succedendo qualcosa.

«E di queste ne imparerete pochissime.»

Sentivano il buio.

«Ma anzitutto, imparerete a mantenere i segreti. A preferire la morte.»

Erano in già in viaggio, e non se ne erano resi conto.

Kakashi fece un vago sorriso.

«Vedrete, verrete su bene.»

Il tono voleva quasi essere confidenziale, e per il Rector lo era. Gradiva quell'annata: i ragazzini gli ispiravano qualcosa – anche se sapeva che sarebbe stata una delle più difficili, perché uguale a nessuna delle precedenti.

Gli studenti erano terrorizzati.

Solo ora si rendevano pienamente conto di quanto oscuro e sconosciuto fosse il mondo: lo capivano dalle sue parole, lo intuivano dai suoi gesti nuovi e che sapevano di vissuto.

Erano abituati alla Routine come nessun altro.

La loro Routine era stata seccamente rotta quel giorno.

E' una scuola di traumi, il Ludus.

Naruto osservava quella nuova figura alquanto sconcertato. Ripensava mille volte alle domande che gli aveva posto. Kakashi sapeva che lui non aveva veramente madre? Sapeva che non aveva mai avuto nessuno?

Naruto credeva a quelle due domande, che erano domande di registro, domande che servivano a forgiare la psiche.

Lui non aveva madre, ne era certo. Non ne ricordava il volto.

Ma non sapeva se era perché l'aveva dimenticata o perché, realmente, non l'aveva mai vista.

Si ricordava d'esser stato solo anche prima del Ludus.

E per quanto fosse difficile, lui ci credeva: ci credeva che i ragazzini del Ludus erano i suoi fratelli.

Anche se era bocciato. Anche se era disprezzato. Anche se era schivato.

Pensieri simili vagavano per la mente di Sasuke.

«Chi siete?»

«Nessuno.»

«Dove andate?»

«Non lo sappiamo.»

«Chi è vostro padre?»

«Non abbiamo padre.»

«Chi è vostra madre?»

«Non abbiamo madre.»

«Per chi combatterete?»

«Per l'Ignis Regio.»

«Per CHI combatterete?»

«Per i nostri fratelli!»

«Chi sono i vostri fratelli?»

«Loro sono i nostri fratelli!»

Quella, come una poesia, era una sequenza di frasi che ripetevano da anni.

Era l'unico momento in cui si poteva urlare.

Erano parole da ruggire, espellere con tutto il fiato.

Era per scaricare. E formare.

«Ignis Regionibus!»

«Patriae Frates! Fati Frates!»

Era per credere.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Un giorno avrò il tempo di chiedermelo.

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Capitolo 5
*** 4 (Bestie) ***


[Prima pubblicazione: 17 04 2007]

[Ultima revisione: 26 09 2010]

- 4 -

Crediamo di sapere e non sappiamo,

ma sappiamo di credere.

Chi non crede?

Forse chi sa?

- Bestie. -

I Rectores, in processione, portavano dei pacchi avvolti da pellicola trasparente agli studenti: i ragazzini si limitavano ad osservare, fermi, immobili, in riga – mentre una decina abbondante di adulti scendeva e si mescolava a loro.

Ogni tanto qualcuno si avvicinava e gli porgeva l'oggetto.

Gli allievi lo prendevano, osservandone sconcertati il contenuto: quello che stava venendo dato loro era un pacchetto contenente una divisa da campo ed uno strano oggetto. Della divisa, tutti i ragazzini potevano facilmente intuire l'utilità: ma di quell'altro oggetto, nessuno aveva mai sentito parlare.

Kakashi era rimasto in disparte, ad osservare i suoi colleghi mentre distribuivano gli oggetti d'iniziazione al sesto anno.

E alla guerra.

C'era aria di cambiamento: il Rector vedeva bene che a questi ragazzini il cambiamento non piaceva, come non era mai piaciuto a nessuno.

«Questa è un'arma. Una pistola. Una calibro 45.»

Spiegò una Rector dietro a Naruto, con voce tenue e salda: stava parlando con Hinata, ed il biondo non poteva fare a meno che tirare l'orecchio, mentre rimaneva fermo, attendendo.

Kakashi era scomparso, notò il ragazzino.

Ma quando toccava a lui?

Le armi da fuoco, vecchie come il mondo, rimanevano alcune delle armi base dell'esercito dell'Ignis Regio – affiancate da ritrovati più recenti. Erano in fondo fra le armi più sicure, magari meno efficaci per via dei giubbotti antiproiettile, ma, assieme alle lame, erano quel tipo di arma che non ti abbandona mai. Avevano così tanta vita che erano state portate alla perfezione, e da decine di anni non una di quelle si era in qualche modo guastata.

Negli istituti che formavano i Bellatores, le prime pistole con cui i bambini venivano a contatto – a otto anni – erano di calibro basso con rinculo molto ridotto: con queste si esercitavano fino ai quindici anni, quando gli veniva data la calibro 45, che per i Bellatores era il simbolo della maggiore età.

Al Ludus, invece, la prima arma che ti cacciavano in mano che non fosse una lama era la calibro 45: una pistola potente e pesante. Dagli allievi del Ludus ci si aspettava, essendo loro l'elite, che la sapessero usare senza troppi problemi.

E i ragazzini, entro breve, imparavano.

Kakashi comparve qualche istante dopo, con tre pacchi. Si dirigeva verso Naruto, e Naruto fremeva.

Arrivato, il Rector porse i tre pacchi ai ragazzini.

Uno lo diede a Sakura.

Lei lo aprì. Osservava, come incuriosita, ma rimanendo composta. Tastò un po' i materiali delle divise, dribblando l'oggetto metallico.

Uno a Sasuke.

Piccolo sguardo da parte del ragazzino, e nulla più.

E finalmente, uno a Naruto.

Lo aprì al volo, tentando di non farsi veder morire dalla curiosità.

Naruto osservò la calibro 45.

Sembrava un oggetto interessante, ma non aveva vagamente idea di cosa fosse: e la fissava intuendo che nascondeva una potenza formidabile.

Si guardò in giro, a cercare di capire se quelle cose si potessero toccare, ma tutti quanti rimanevano col pacco mezzo aperto in mano, immobili.

Attendevano ordini.

Naruto non ce la faceva più: doveva sapere.

Doveva vedere.

Doveva provare.

Fece scivolare l'indice sul mirino, con fare sospetto, sentendone il rilievo quasi tagliente, e continuò a farlo scivolare sul carrello, freddo. Osservava le sfaccettature del metallo argenteo, che riluceva in taluni punti come uno specchio sotto le luci al neon.

Scavalcò la traccia di mira, scendendo sull'impugnatura, seguendo la curva del fusto che rientrava bruscamente e risaliva con dolcezza.

Ne annusò l'odore, avvicinandosi un poco: odore di nuovo e di polvere da sparo.

Cadde fino al caricatore, risalendo l'impugnatura dall'altro lato, ora passando il pollice sul materiale ruvido che ne rendeva salda la presa. Tastò l'anello del grilletto, osservando la strana levetta, e risalì fino alla canna, finendo a compiere dei giri sul margine.

La prese in mano.

L'impugnatura gli risultò naturale: l'indice destro finì diritto sul grilletto.

Era pesante, pensò, mentre estendeva il braccio e osservava, iniziando a capire il funzionamento del mirino.

Kakashi lo guardava incuriosito: era l'unico che aveva avuto il coraggio di toccare quel nuovo mostro.

«La vuoi provare?»

Il ragazzino osservò sconcertato il Rector, che gli si poneva in maniera innaturalmente, per lui, cortese. Cortese e informale.

Lo squadrò perplesso, mentre nel resto dell'aula un altro centinaio di adulti vagava fra i ragazzini, ancora immobili e rigidi.

«Bhe... sì.»

Rispose dopo averci riflettuto un po', senza capire più cosa si potesse aspettare dall'uomo.

L'ennesima punizione per non essere rimasto al proprio posto e aver osato desiderare di provare quell'oggetto prima del tempo prestabilito?

«Bene.»

O no?

Kakashi andò a prendere dal fodero che portava in vita un'altra pistola, più grossa di quella di Naruto – e sì che la calibro 45 non scherzava.

«Vieni con me.»

Il biondino era ancora impalato, a reggere nella sinistra il pacco con i vestiti e nella destra l'arma. Guardò il Rector, sempre poco convinto, mentre questi avanzava fra i suoi compagni a volergli far strada.

Sasuke osservava Naruto quasi divertito. Al che, il Rector si voltò a cercare lo studente, che pareva aver messo le radici.

«Ehi, vuoi venire anche tu?»

Fece Kakashi in direzione di Sasuke.

Il ragazzino osservò con il suo solito immobile sguardo l'uomo, per poi rispondere blandamente con un «No, grazie.»

Kakashi si strinse nelle spalle, tornando a camminare: Naruto, che in quel momento non capiva nulla in nessun modo, si barcamenò varie volte fra Sasuke ed il Rector, guardando prima il compagno, poi l'uomo. Alla fine, decidendo di lasciar perdere i suoi dubbi, si avviò al seguito di Kakashi, sebbene rimanesse alquanto diffidente.

Avanzarono fra le centinaia di persone fino al margine dell'aula, e nessuno si accorse di nulla.

Naruto si sentiva perso.

Perso come non mai.

«Guarda.»

Kakashi caricò la sua pistola con un rapido gesto, e mirò alla parete, facendo fuoco.

Allora si accorsero di loro.

Di scatto tutti si voltarono, scossi dal suono violento dello sparo. I Rectores osservavano Kakashi impassibili, se non per una vena di curiosità che attraversava loro gli occhi. I ragazzini, invece, erano avvolti dal terrore: sentivano l'adrenalina scorrere nell'aorta, mentre il cuore si trasformava in un tamburo.

Cos'era stato?

Chi era stato?

C'era da aver paura?

Era normale?

Mai avevano sentito un rumore del genere.

Loro vedevano solo Kakashi con quello strano oggetto, così simile ai loro, in mano.

Kakashi stava lavorando.

«A te.»

Naruto si era ritirato nelle spalle, scandalizzato a sua volta dal rumore dello sparo. Era l'unico ad aver visto la scena, e ad aver capito cosa fosse realmente successo, fra gli allievi.

Quella cosa aveva lanciato.

C'era un fuoco, lo sentiva dall'odore di bruciato, di polvere da sparo bruciata.

E c'era un foro nella parete.

Un foro piuttosto profondo.

Nel cemento.

«Su.»

Il lavoro principale di Kakashi, nonché ciò che gli veniva meglio, era quello di capire quale fosse la cosa maggiormente affine ai ragazzini. Per poterli instradare verso una specializzazione nell'esercito, lui li osservava, ed arrivava un momento in cui affidava loro un'arma o un compito nel quale gli studenti si ritrovavano al volo.

Era inevitabile.

Kakashi era bravo, in queste cose.

Kakashi stava lavorando.

E aveva visto il luccichio nello sguardo di Naruto, come altre rare volte aveva visto fare, per quell'arma.

Kakashi stava lavorando.

Ecco perché non aveva perso occasione di far conciliare Custos e Finis.

Il fine che avrebbe avuto il custode.

Naruto rilassò nuovamente le spalle.

Dopo lo spavento iniziale, in lui iniziò a crescere quella curiosità che lo aveva mosso mentre esaminava al tatto quello strano oggetto: impugnò saldamente la calibro 45, e immerso nel silenzio dell'aula levò il braccio verticalmente, mirando.

«Attento alla spalla.»

Naruto allungò la sinistra per poggiarla sul carrello e ritrarlo.

Sto-tock.

Gli pareva di averla svegliata.

Guardò nel mirino, mentre sentiva il peso psicologico dell'avere un'arma carica in mano.

Bastava premere un grilletto.

Si preparò al contraccolpo.

Fuoco.

Naruto sentì l'esplosione dell'arma nella mano, nelle orecchie e lungo tutto il braccio.

Il rumore gli fece un momento male ai timpani, mentre la pallottola partiva, e se ne andava via, lontano.

Sentì tutta la potenza del rinculo sul braccio e sulla spalla, che vennero scaraventati indietro, obbligandolo a opporre resistenza.

Non era una sensazione nuova.

Sentì il braccio partire verso l'alto.

Sentì l'odore di bruciato penetrargli lentamente nelle narici, sentì il calore dell'attrito nella canna.

Ne era inebriato.

Sentì il rimbombo nella cassa toracica, e tutta la potenza di quel mostro.

Capì chiaramente che quel muro, ora, era morto.

E stringeva la pistola, sentendo in mano la potenza, la forza, a completa sua disposizione.

Gli ricordava qualcosa.

Ma non sapeva cosa.

Però, questa sensazione era decisamente migliore del suo ricordo: era inebriato. Era avvolto. Aveva domato la calibro 45.

E aveva capito.

Moto dei proiettili. Pendolo balistico. Traiettorie. Urti. Esplosioni. Polvere da sparo. Posizioni di stabilità. Gambe salde. Schiena. Esercizi per le spalle e per le braccia. Tiro con l'arco. Mira.

Ciò che aveva studiato nei sei anni precedenti prendeva forma in un unico gesto: fare fuoco.

Rimase così fermo, mentre gli altri studenti lo osservavano allibito.

Sembrava così grande. Sembrava così maturo.

E così perfetto.

Un vero Custos.

A Naruto il cuore batteva.

Batteva forte.

A Naruto il fiato mancava.

Mancava molto.

Naruto si era innamorato.

E sorrideva, beato.

***

«Così alla volpe piacciono le pistole.»

«No, non credo che piacciano alla volpe. Sta ancora dormendo, da quello che ho visto.»

«Probabile. Mi suonava strano, infatti. La volpe odia le pistole. E' stata catturata con quelle – dato che era l'unica cosa che funzionava, praticamente.»

«Già. Ma pare che il ragazzino vi abbia un feeling innato. Non possiamo togliergliele. Perderemmo un buon guerriero. E la volpe.»

«Il ragazzino è indisciplinato»

«E frustato.»

«Non vogliamo perdere al volpe, chiaro: ma prima o poi si ribellerà, se lui continuerà ad usare le pistole. Le odia, dico davvero. Potrebbe persino svegliarla prima del tempo, irritandola.»

«Non c'è un tempo.»

«Vero, ma una volpe adirata è da evitare.»

«Prima o poi succederà qualcosa.»

«Già.»

«Lasciamo che succeda. E' meglio così.»

«Sono quasi curioso. Piuttosto, Kakashi, parlami degli altri.»

Avvolgimi, inglobami, mangiami.

Bruciami, prendimi, urtami.

Nutriti.

Nutriti di me.

Sono il tuo schiavo.

Sei il mio schiavo.

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Capitolo 6
*** 5 (Bambini) ***


[Prima pubblicazione: 19 04 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 5 -

E se volessimo essere diversi?

E se non lo volessimo?

Quando capiremo che, nonostante i nostri desideri, decideranno gli altri?

- Bambini. -

Quando facevi attività fisica la facevi in calzoncini e maglietta nera.

Sia d'estate che d'inverno.

Quando facevi attività fisica la facevi a piedi nudi.

Sia d'estate che d'inverno.

E la facevi con i pesi.

Ai polsi e alle caviglie. Bracciali di metallo che si chiudevano intorno ai muscoli, stretti, i quali ogni qual volta li toglievi lasciavano il segno.

Naruto, in fila indiana, stava finendo il sesto giro intorno alla Sphaera, preceduto da molti e seguito da moltissimi come lui. Ma da quella mattina c'era un nuovo peso a fargli compagnia: al fianco destro gli gravava tutta la potenza della calibro 45.

Era parecchio tempo che correvano intorno, ed i tre giri di riscaldamento che venivano abitualmente fatti, per un totale di quasi diciannove chilometri, erano stati più che doppiati. I ragazzini iniziavano a sentirsi veramente stanchi, ora che toccavano distanze da maratoneti, e continuavano a correre senza sapere quando avrebbero smesso: in testa Kakashi, seguito da altri due Rectores.

Quell'uomo aveva un che di sadico, pensava Sasuke, continuando a correre infastidito dal peso della pistola.

Il sole era alla sua massima altezza quando Kakashi virò bruscamente. Naruto poteva vedere la serpentina che prendeva una direzione diversa, mai conosciuta e mai esplorata prima, mentre i ragazzini, lentamente, si inoltravano nel bosco.

Corsero, uscendo dalla zona cementificata, fra alberi ed arbusti, calcando le piante dei piedi su terriccio umido, procurandosi ogni tanto qualche graffio.

Il sole stava iniziando lentamente a calare, oltrepassando il mezzogiorno, quando, con una corsa che era ormai divenuta marcia poiché insostenibile, i ragazzini poterono intravedere uno spiazzo davanti a loro.

E lì, lentamente, vedere quelli che li precedevano fermarsi, e ,dopo qualche istante in dubbio, lasciarsi crollare in terra, esausti.

«Questo è il poligono di tiro.»

Naruto sedeva per terra, immerso nella polvere: tallone contro tallone, avampiede contro avampiede, le mani poggiate sulle caviglie. Ascoltava Kakashi, mentre controllava il luogo facendo scorrere le pupille tutto intorno. L'area era immensa, fatta di terreno secco e polveroso, con bersagli, dune, muri e trincee.

Sentiva i granelli di sabbia attaccarsi al sudore, ad impastargli le gambe, la nuca e i capelli.

«Ogni giorno dovrete presentarvi qui alla prima ora del mattino.»

Lo sguardo del ragazzino tornò immediatamente sul Rector, guardandolo, se non stupefatto, almeno impercettibilmente contrariato.

Chi poteva togliere il sonno a Naruto? Nessuno.

Naruto amava dormire.

Non perché fosse pigro, ma perché ogni volta in cui si stendeva nel proprio letto era stanco, stanco morto, e precipitava in pochi secondi nella dormiveglia che culla, che guarisce, che ripara, che catapulta in un luogo dove ogni impulso esterno diviene sogno, assurdo, e rapidamente dimenticato. Era un nulla, un amabile nulla.

Naruto non dormiva, se non c'era da dormire.

Ma nessuno poteva togliergli il suo sonno.

«Non potete fare, per alcun motivo, parola a nessuno di anno inferiore al vostro di questo luogo. La pena è la morte.»

I ragazzini erano più scandalizzati dal fatto che bisognasse essere lì assai presto che dalla nuova pena annunciata. Naruto stesso, che per principio contravveniva agli ordini, non si curava troppo della 'nuova punizione', quanto piuttosto dell'iniziare ad elaborare un metodo per non doversi perdere quel poco sonno che gli era concesso.

«In piedi!»

Il biondino si alzò. Facendo due conti, erano un cinque-sei chilometri per giungere fin là – impossibile trovare scorciatoie perché avevano fatto un tragitto radiale dalla piazza che circondava la Sphaera.

Quindi quella era la via più breve.

La seconda ora era in genere l'inizio delle lezioni, la prima era l'ora della sveglia, che corrispondeva all'alba estiva. Era dannatamente presto.

«Ricordatevi che anche delle vostre armi nessuno di anno inferiore al vostro può, e deve, venire a conoscenza. Stessa pena.»

Come avrebbe fatto?

Doveva svegliarsi due ore e mezza prima del solito.

«Bene. Iniziamo!»

Kakashi portò il pugno al petto, tamburellò una volta e poi battè con forza.

«Ignis Regionibus!»

Pugni allo sterno, un forte colpo di palmo.

«Patriae Frates! Fati Frates!»

Pistole in mano, l'addestramento iniziò.

No.

Naruto non poteva perdere quelle lezioni, per nulla al mondo.

Ad ogni colpo che sparava si sentiva sempre più estasiato.

Si esaltava.

Si esaltava totalmente.

E in un certo senso godeva del fare ritmicamente fuoco, sentendo il potere più che letale della pistola in mano.

***

C'era un giorno, durante il primo anno, in cui accadeva una cosa.

Quel giorno era il motore portante di tutto il Ludus.

Prima di imparare il saluto, prima di essere veri studenti, c'era quel giorno.

E senza quel giorno, lo sapevano bene, erano pochi i bambini che sarebbero riusciti ad andare avanti.

Era il giorno della sicurezza.

«Naruto!»

Il bimbetto si levò in piedi. Aveva passato il tempo ad osservare i suoi coetanei entrare in uno stanzino, man mano che venivano chiamati, per poi non uscirvi più: cos'era? Un macello? La casa di un mostro? Una stanza con un pozzo infinito?

Dove andavano gli altri bambini? E lui?

Era una prova da affrontare?

Il piccolo si lasciava annegare fra le fantasie, tanto da non sentire il proprio nome.

«NARUTO

Il biondino trasalii. Scattò tremolante ed insicuro in piedi, levando la manina in aria e guardando il Magister con gli occhietti di un gatto cui è stata tirata la coda.

L'uomo si avvicinò al piccolo, gli mise una mano dietro la spalla e spingendolo leggermente lo diresse verso la stanza, esattamente come aveva fatto con gli altri: la porta si avvicinava inesorabilmente al bambino, che moriva dalla curiosità, eppure aveva tanta voglia di tornare indietro.

Il Magister la aprì.

La stanza era piccola, con tre sedie, due da un lato e la terza di fronte: Naruto si incantò a guardare quegli oggetti, mentre il Magister si guardava attorno, quasi sorpreso.

Non c'era nessuno.

Rimasero lì per una ventina di secondi, in silenzio, finché il piccolino, che non ce la faceva più, volse il capo verso l'uomo e lo guardò, incollandogli addosso i suoi due enormi occhioni azzurri colmi di curiosità ed incomprensione.

«Bhe?»

Domandò infine.

«Bhe cosa?»

«Cosa... facciamo?»

Il Magister osservò lo strano soggetto. Senza degnarlo di risposta, andò a scartabellare fra i fogli del registro che teneva in mano, mentre il bambino insisteva nel guardarlo.

«Allora?»

«Naruto non mollava»

«Allora cosa?» rispose quasi seccato il Magister

«Cosa facciamo?»

«Niente.»

«Come niente

«Niente.»

«Ma come niente

L'uomo sbuffò, andando a prenderlo per il colletto, iniziandolo a tirare: ma quello sembrava essersi incollato lì.

«Ehi! Perché mi porti indietro?»

«Perché non c'è niente da fare, qui.»

«Ma come niente?!»

Il Magister, seccato, fece per spingerlo per le spalle a forza, verso la porta dalla quale era entrato.

«Ma! Ma!»

«Non fare storie, o inizi a prenderle.»

«Ma insomma! Ma! Uffa!»

L'uomo fece scivolare la mano sul capo del piccolino e lo accalappiò per la testa, obbligandolo a muoversi.

«Eeehi!»

Naruto venne ricondotto fuori dalla porta. Gli altri bambini lo guardarono stupefatti: nessuno era mai uscito da quella porta. E siccome questo usciva sbraitando e spinto da un adulto, non doveva essere bene.

«Solo una cosa. Vuoi rimanere al Ludus?»

E dove altro avrebbe potuto andare, si domandò il Magister. Sapeva già la risposta di quel bambino. Gliela leggeva negli occhi, e non bisognava essere Kakashi per saperlo fare.

«Perché non dovrei?»

«Limitati a rispondere: vuoi rimanere al Ludus? Sì o No?»

«Sì! Ma perché me lo chiedi?»

«Vai di là.»

Il Magister gli indicò un corridoio, per poi tornare rapido a guardare il registro che teneva in mano. Tirò una linea e fece un altro nome.

Naruto lo guardava imbronciato.

Quando finalmente capì che questo, ormai, non lo degnava più di attenzione, batté scocciato un piede in terra e si avviò, a grandi passi, le braccia incrociate e tutto ingrugnito nella direzione verso cui gli avevano detto di andare.

«Sasuke!»

Lui si levò in piedi: i grandi occhioni neri e profondi, sotto i capelli corvini un po' arruffati, ne facevano l'esemplare perfetto di bambino dolce e timido. Osservava l'uomo quasi smarrito, mentre avanzava lentamente in direzione della porta, intimorito, ma palesando la sua autosufficienza: il Magister si limitò ad aprire la porta della stanza dove tutti entravano e nessuno usciva.

Davanti a lui tre sedie, due da un lato e una dall'altro, inequivocabilmente vuote. Sasuke si fermò, mogio, vari minuti a contemplare gli oggetti, quasi passivamente, incantato mentre assaporava il torpore del luogo.

L'uomo che lo aveva accompagnato si guardò attorno quasi contrariato: eccone un altro.

Detestava quando succedeva così.

Dalla sua esperienza sapeva che una situazione del genere implicava fallimento quasi assicurato. Andò a scartabellare fra i fogli del registro mentre il bambino si avvicinava con moltissima cautela alla sedia solinga: la toccò un attimo, si appoggiò un pochino, e poi voltandosi lentamente verso l'adulto domandò con un filino di voce:

«Scusa... ... posso?»

Il Magister lo guardò un momento, risistemando di colpo i fogli e facendo schioccare la lingua sul palato, lo sguardo ora al pavimento, poi nuovamente su Sasuke.

No, non era una delle solite cose.

C'era una busta nera.

«Sì, certo. Siediti.»

Il bambino si sedette con un saltello, rimanendo con le manine congiunte in grembo a fissare il nulla mentre attendeva. Il Magister tornò un attimo ad estrarre un foglio dal registro, e dopo averlo osservato per bene si avviò verso la porta da cui erano entrati.

«Resta fermo là»

Sasuke rimase fermo.

L'uomo aprì la porta, ed, affacciandosi con grande sorpresa degli altri bambini lì presenti, fece schioccar le dita a voler richiamare l'attenzione di un altro Magister di sorveglianza.

Sasuke si sporse un poco per tentare di capire cosa stessero facendo, ma rinunciò molto presto: parlavano a voce bassa, quasi sussurrata.

Dopo qualche minuto la porta si chiuse, e Sasuke rimase solo.

Non c'era più nessuno a controllarlo.

Si guardò le manine, tornò a fissare la porta. Attendendo che si aprisse. Immobile.

Dopo mezz'ora la porta si aprì.

«Ho capito.»

Fece la voce del Magister di prima, rivolta a qualcun altro. Ora erano in tre: ai due si era aggiunta una donna.

Sasuke continuava a osservare gli adulti senza batter ciglio, lasciando che loro venissero come risucchiati di suoi grandi occhioni scuri.

«Seguiamo gli ordini.»

«Chiaro. Ma parlaci tu, sei più brava con quelli del primo anno. Con questo, poi...»

Il bambino non capiva il vero significato di quelle parole, e forse non voleva nemmeno capirle. Attendeva solo che gli venisse detto di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Al che, la donna si inginocchiò davanti a lui, andando a piantare due iridi chiare sulle sue, nere.

«Ciao.»

Fece la donna, che sembrava nascondere un sorriso lontano sul volto perlaceo.

«Ciao.»

Rispose Sasuke, rimanendo con le mani in grembo e le gambe a ciondoloni, fermo e buono.

«Ti chiami Sasuke, non è vero?»

«Sì. Sasuke.»

«Bene, Sasuke. Dimmi, vuoi rimanere al Ludus?»

Sasuke chinò la testolina.

«... bhe... sì.»

«Lo sai che sarà difficile, vero?»

«Sì.»

«Bene. Senti, Sasuke, c'è una cosa che ti dobbiamo dire, e forse ti dispiacerà. Però ti devi ricordare di tutto quello che ti hanno detto fin'ora.»

«Sì. Me lo ricordo.»

La donna sorrise, prendendo le manine del bambino, che non capiva, e si limitava ad osservare gli occhi della donna attendendo il seguito.

«Vedi, Sasuke, quello che è successo è fuori dal normale. Non succederà mai più. Purtroppo è successo a te.»

Sasuke guardava. Lasciava traspirare una vaga curiosità, ma senza spendersi. I suoi occhi erano profondi. Profondi e Neri.

«Sasuke, oggi sarebbero dovuti venire i tuoi genitori per salutarti. Però non sono venuti.»

Sasuke sbatteva ogni tanto le palpebre senza mutare espressione. Per un momento, la donna si chiese se quel bambino non fosse apatico.

«Questo perché sono morti.»

«Morti?»

Sasuke si stupì. Per un momento volle piangere, ma rapido si ricordò di quello che gli avevano detto.

La morte è un premio. Morite con onore, questo è il fine della vostra vita. Morite per la vostra Regio. Non temete la morte, ne' la vostra, ne' quella degli altri: è solo il momento di massima celebrazione della vita di un uomo.

«Hai un fratello di sangue cattivo, Sasuke. Molto cattivo, che ha ucciso i tuoi genitori – e adesso non sono qui per salutarti.»

Sasuke guardò la donna. Guardò la donna, e poi un Magister. E poi l'altro. Si sentiva oppresso da quelle persone, però sapeva che secondo il Ludus la Morte era buona. Allora andava bene. Anche se il fratello di sangue era cattivo.

Molto cattivo.

Si tranquillizzò. O almeno ci provò: andava tutto bene – continuò a pensare. La morte era bene. Lo aveva detto l'Ignis Umbra.

Doveva essere così.

C'era solo una cosa, che non gli tornava.

Il tono era ingenuo e puro.

«Ma io non ho un fratello di sangue.»

La donna sorrise.

«Tu non ricordi di averlo. E fai bene: dimentica.»

***

Naruto camminava per l'immensa piazza del Ludus, diretto verso il proprio alloggio: dopo l'addestramento mattutino erano tornati alla Sphaera per le lezioni, ed ora, il sole tramontato da qualche ora, sciamavano lenti, tutti insieme con i copriveste neri indosso, quasi a sembrare una macchia d'olio che si estendeva.

Il ragazzino osservava il cemento immerso in pensieri inconsistenti, accompagnato dal suono del suo campanello: ogni tanto riportava l'attenzione al fianco ed all'arma che lo ingombrava occultata dal copriveste.

Campanello o no, ora aveva la sua calibro 45.

E questo bastava.

La sua andatura era surrealmente lenta, tanto da lasciarsi distanziare entro breve dalla maggior parte dei compagni, rimanendo quasi solo, avvolto dalla notte ormai scesa.

Lo sguardo vagava.

Mezzo cotto, annusava il vento, lasciandosi trasportare dalle gambe che avevano automatizzato la camminata.

Ciondolava.

«Avanti! Che uomo, sei, eh? Che uomo sei?»

«Già, dillo, su! Dillo, chi sei! E muoviti!»

«Rispondi, Agricola!»

Le orecchie di Naruto vennero rapite da urla infantili: si voltò in quella direzione, chinando lievemente a destra il capo, incuriosito. C'era un gruppetto di bambini che pareva starsele dando di santa ragione. Quatto quatto, con andatura indifferente ma sguardo incuriosito, si avvicinò a loro.

«Ehi!»

Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Era completamente suo diritto interromperli, se stavano violando qualche regola. Diritto e Dovere.

Ormai a qualche metro da loro, riuscì a distinguere tre bambini intenti a picchiarne un quarto: nulla di nuovo, pensò Naruto.

Loro caricavano potenti pugni colmi dell'odio del Ludus, esibendo la striscia verde, nove anni. L'altro si riparava alla meno peggio, proteggendosi il volto.

«Ehi, strisce verdi! Cosa state facendo?»

Uno di loro, che teneva saldo il malmenato per il colletto, si fermò a guardare Naruto. Per lungo tempo si soffermò sul campanello al lato del collo del ragazzino.

«Si vanta della sua Gens, striscia arancione.»

Rispose infine, interdetto.

Gli altri due si erano fermati, mentre il terzo rispondeva, come in sospeso. Naruto portò lo sguardo perplesso sulla vittima: il bambino, ancora nascosto dietro le maniche del corpiveste, fece lentamente capolino facendo vedere lo scorcio di un volto conosciuto.

«Ah, sì?»

Domandò mezzo retorico Naruto a Konohamaru, che tremolante gioiva di quel momento di stasi senza legnate, sebbene non lo desse a vedere. Guardò il dodicenne dal basso, acquattato com'era, e tacque, speranzoso.

Ma poiché tacque, i tre ripresero.

Naruto si sedette a gambe incrociate per terra, osservando la scena, mentre urla dall'una e dall'altra parte provenivano in continuazione, alle volte smorzate.

Dopo un po', i tre, sentendosi osservati, si fermarono e guardarono il dodicenne, che pareva star assistendo a una commedia.

«Macchevvuoi?»

Domandò uno in tono quasi scortese, continuando a fissare non il ragazzino negli occhi, ma il suo campanello. Naruto fece correre, almeno per ora.

«Nulla, nulla. Andate pure avanti.»

I tre rimasero immobili a guardarlo contrariati. Gli dava abbastanza fastidio, la sua presenza, e non si erano nemmeno resi conto della gaffe commessa e della clemenza di Naruto.

Approfittando di questa seconda pausa, Konohamaru radunò tutte le sue forze e si fece avanti.

«Striscia arancione!»

La vocina era mezza piagnucolante.

«E non chiedere aiuto, Agricola!»

Uno dei tre gli mollò un altro pugno.

«Ma io questa volta non ho fatto niente! Niente, vi dico!»

«Taci, Agricola!»

I tre ripresero.

Naruto rimase ad osservarli qualche momento, per poi tornare a parlare pacato.

«Ehi, ehi, fermi un po'! Voglio sentire che ha da dire.»

Ne' i tre ne' Konohamaru gradivano il comportamento del dodicenne, che, a dire il vero, voleva aiutare la striscia blu.

Anche se non avrebbe potuto farlo.

«Ma a te che te ne importa!?»

Domandò scocciato uno dei tre. Naruto si impettì all'affronto.

«Ehi, striscia verde, vuoi vedere com'è bello cambiar ruolo? Vuoi? E' la seconda volta che potrei averti steso di mazzate, sai?»

Il bambino sbuffò.

Naruto lanciava piccole e taglienti provocazioni, impercettibili, e soprattutto regolamentari, per destreggiarsi fra le gerarchie del Ludus e le sue leggi, con l'intento di trovare un motivo per poter alzare le mani sui bambini. Che non parevano nemmeno cime, in fatto d'intelligenza, ed accoglievano le offerte al volo. Naruto avrebbe già potuto malmenarli due volte.

«Allora? Cos'hai da dire, tu?»

Konohamaru rimaneva mezzo nascosto, indolenzito, il labbro sanguinante.

«Non ho fatto nulla, questa volta! Non parlo della mia Gens da giorni! Non avete motivo per darmele! Lasciatemi in pace!»

Uno dei tre, stizzito, gli assestò un calcio.

Il biondo si rimise in piedi, levandosi lentamente e quasi con indifferenza: ridacchiava mentalmente. Subito dopo si volse all'ultimo che le aveva date a Konohamaru.

«Maddài, tutto qui? Puoi far di meglio, no?»

Konohamaru odiò Naruto.

Alla provocazione, il bambino sorrise, e si apprestò a dare un altro calcio alla striscia blu, più potente di prima. Tornò poi a guardare soddisfatto il superiore, che però pareva perplesso.

«Mah.»

«Machevvuoi, bocciato? Che te le diamo a te?»

Intervenne un altro. Naruto corrugò la fronte spazientito.

«Piuttosto pare che tu le voglia prendere, nano. Io mi offro di aiutarvi a migliorare e così mi trattate, dunque? Ma quanti ne trovate, come me?»

Konohamaru voleva morire. Aveva realizzato in fretta che quella che secondo lui era la salvezza si era trasformata in un'altra minaccia, assai più temibile delle tre strisce verdi.

D'altro canto, ogni tanto capitava che i ragazzi più grandi aiutassero i più piccoli, nella tecnica. Ovviamente salvare qualcuno da un pestaggio era fuori discussione.

E capitava spesso che i più grandi cercassero vari motivi per darle ai più piccoli, arrampicandosi sugli specchi. Un po' come stava facendo Naruto - che era molto avvantaggiato, poiché i bambini si erano rivelati una preda facile. Soprattutto, lui, era armato di buone intenzioni.

Parola nuova.

«Ma sai che me ne importa!»

Naruto ritrasse il capo contrariato.

«Hai detto?»

Colpito e affondato. Sebbene Konohamaru non avesse capito nemmeno lontanamente quello che il biondo stava facendo, questi era più che riuscito nel suo intento. Smontati al volo i bulletti, che questa volta parevano proprio tali, Konohamaru innocente, attendeva solo di poter gonfiare la faccenda, mentre caricava i muscoli, quasi divertito dalla situazione.

Alle buone intenzioni si accantonò la sete di far valere la propria anzianità di cui, finalmente, godeva.

«Ma va' via!»

«Così ti rivolgi a uno del sesto anno? Mi par bene!»

Sete che avanzava e si ingrandiva. E lo riempiva.

Ma prima le buone intenzioni.

Lo sguardo andò su Konohamaru. Doveva essere imparziale, e riuscire nel suo primario intento.

«E tu che fai, tremi e piangi?» domandò, retorico, verso Konohamaru. «Vai, vai, a far l'Agricola!»

Konohamaru si prese, disperato, e corse via.

«Ecco!»

Ora anche gli altri due si erano stizziti, avendo perso il proprio giocattolo.

«Ecco cosa?»

Rispose Naruto autoritario, bello gasato e pronto.

I tre lo guardarono il superiore ingrugniti. Si chiedevano cosa l'avesse trattenuto dal dargliele, in fin dei conti. C'era chi, già alla prima parola scortese che gli rivolgevano, indipendentemente dalla situazione, alzava le mani.

Naruto, però, aveva aspettato ben tre battute colme di irriverenza ed astio.

Aveva sì aspettato, ma ora voleva divertirsi pure.

«Cosa viene un bocciato a dar fastidio, eh?»

Naruto sorrise.

Bocciato? Sì. Ma sempre tre volte loro. E di tre anni superiore.

Il nonnismo la vinceva.

«Agricola!»

Fece uno.

Alla fine commisero l'errore: piccoli, e tutti ben montati.

Naruto aveva fatto bene i conti, e a primissima occhiata aveva realizzato che si sarebbero ritirati presto, dal Ludus. Gente così non andava avanti: persino lui aveva imparato a non mancare di rispetto ai superiori.

Naruto poteva partire.

Agricola, eh.

Mai come quel giorno amò quell'insulto.

Naruto camminava soddisfatto.

***

C'era una grande stanza.

Una grande stanza e molta gente.

Lui si guardava attorno, seduto su un lettino, perso.

Storceva la bocca, attendendo quello che nel suo immaginario era l'ennesimo esame.

Eppure c'era molta gente.

Strano.

Un uomo in camice si avvicinò a lui, invitandolo a distendersi: lui sbuffò ed eseguì.

Trovandosi così a contemplare le fortissime luci di un tavolo operatorio, che lo accecavano.

Lo stesso uomo iniziò ad armeggiare con una siringa: gli iniettò un liquido verdognolo. Lui osservava incuriosito il procedimento, controllando ogni movimento, osservando la sostanza che calava nella siringa, man mano che gli entrava in corpo.

Iniziò a sentirsi strano.

Un altro ago gli venne conficcato in un braccio, collegato ad un tubicino, ed un altro ancora sul collo.

Da allora doveva stare immobile, gli dissero. Ma, ad esser sinceri, non è che lui riuscisse a muoversi granché.

Gli misero qualcosa di freddo e tondo alle tempie. Poi ai fianchi, poi in mezzo agli occhi, poi ai polsi e alle caviglie, e al petto.

Si sentiva strano.

Apri la bocca, gli dissero. E lui la aprì. Perché non avrebbe dovuto?

Si pentì di quel gesto quando sentì un tubicino discendere la trachea: fu tanto sconvolto dalla cosa che fece per urlare, facendosi così ancora più male.

Tenetelo fermo, dissero.

E lo tennero fermo.

Una donna osservava l'orologio, contando i secondi.

Ci siamo quasi, dissero.

Gli attaccarono qualcos'altro. Svariate cose. Ormai aveva perso il conto. E anche al facoltà di contare.

Resta sveglio, gli dissero.

Lui ci provava.

Li guardava, senza più sapere se essere spaventato o meno. Perché sapeva che doveva essere spaventato, ma chissà perché non ci riusciva.

Sentì una puntura alla pancia.

Una puntura profonda.

Un taglio?

Un flusso.

Una scossa.

Poi il dolore fu talmente grande che il suo corpo non resistette, nonostante il siero apposito che gli avevano iniettato.

Non vide nulla per un po'.

«Naruto.»

Poi vide rosso.

«Naruto!»

Due occhi, due occhi grandi e malvagi.

Due occhi, le pupille sottili e lunghe.

Lo guardavano.

Lo osservavano.

Lo studiavano.

Lo odiavano.

«NARUTO

Naruto spalancò di scatto gli occhi e cadde miseramente dal ramo.

Ogni giorno il sole sale.

Ed io sono tranquillo.

Ogni giorno il sole cala.

Ed io sono tranquillo.

Un'eclissi.

E' magnifica.

E' stupenda.

E mi terrorizza.

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Capitolo 7
*** 6 (Azione, Reazione.) ***


[Prima pubblicazione: 24 04 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 6 -

Cesseremo di esistere.

E come castelli di sabbia nella tempesta, di noi sarà più nulla.

Ci sgretoleremo.

Il nostro corpo cesserà di esistere.

La nostra anima cesserà di esistere.

La nostra memoria cesserà di esistere?

Cesseremo di esistere.

- Azione, reazione. -

«Si può sapere cosa diavolo ci fai qui?»

Naruto si massaggiava il sedere, ancora a terra per la caduta, e osservava il Rector sconcertato.

Il sole non era ancora sorto: ma che ora era? Si mise seduto, iniziando a curvare la schiena per sgranchirsi come un gatto.

«Dormivo.»

Kakashi guardò l'allievo a sua volta: accanto all'adulto un'altra figura più bassa osservava Naruto, avvolta nell'ombra.

«Dormivi?»

Fece la figura. Il biondino si issò in piedi, accompagnato da un concerto di ossa che si aggiustavano nelle articolazioni, e fece qualche passo avanti per avvicinarsi ai due.

«Dormivo.»

«E perché dormivi nel bosco? Così, per curiosità, sai.»

Naruto si ritrasse un po', al solito indispettito dalla confidenza del Rector.

«Bhe, perché...»

«Perché?»

«Bhe...»

«Allora?»

«Perché io...»

«Perché tu cosa

Naruto arricciò le labbra, guardando Kakashi. Era la terza volta che non gli lasciava finire la frase. Dove voleva arrivare?

«Perch...»

«Ti muovi?»

Il ragazzino si sgonfiò, espirando, come arresosi: non c'era verso. Tacque, rinunciando a rispondere al Rector: non riusciva mai a capire cosa volesse da lui. Ma dopo qualche momento di silenzio l'uomo tornò alla carica, mandando in crisi il povero dodicenne.

«Allora? Non mi rispondi?»

Lui stava zitto.

«Hai perso la lingua? Non mi sembrava una domanda tanto difficile.»

Kakashi continuava con quella che si potrebbe chiamare 'simpatica insistenza'. Naruto era terrorizzato. Che fare? Rispondere? Ritentare? Cosa voleva? Perché si comportava così?

Prese fiato.

«Perchè non...»

«Perchè non?»

«... volevo che...»

«Cosa?»

«Io..»

«Devi ricominciare la frase dall'inizio ogni volta?»

«Ma...»

«Allora, perché?»

«PERCHE' SI'!»

Esploso.

Naruto aveva serrato i pugni, chiuso in quella morsa di domande ed interruzioni, sentitosi in trappola e senza via d'uscita.

Angosciato.

Che stress.

Già, che stress.

Kakashi lo guardò interessato qualche altro istante, decidendo poi di concludere.

«Va bene. Visto che hai voluto fare tanto il mattutino, prego. Dieci giri. Su, su, andare. Anche tu, Sasuke.»

I due iniziarono a correre, senza nemmeno scambiarsi un'occhiata: chiaramente quella non era una punizione per aver dormito fuori. Anche perché nessuno ti vietava di dormire fuori dal tuo alloggio, a meno che non andassi in qualche zona a te proibita.

Correvano, di buona lena, e lentamente le luci lontane degli alloggi si accendevano: lo sguardo del biondino scorreva attraverso tutto il poligono di tiro, fino a cadere su Sasuke, quasi per sbaglio. Naruto si incantò ad osservare il compagno: aveva qualcosa di strano alle mani, difficile da vedere con la misera e sola luce della luna.

«Cos'è?»

Domandò dopo un attento ed infruttuoso studio. Ormai erano al sesto giro.

Silenzio.

«Nhe, Sas'ke! Che hai alle mani?» insistette.

«Un'arma.» rispose, quasi monosillabico, l'altro.

Naruto rimase ad osservare quell' 'arma', un paio di grossi guanti terminanti in grandi bracciali metallici: pareva sofisticata. Nulla a che vedere con la sua rozza, vecchia e amata calibro 45.

«La farà provare anche a noialtri?»

Sasuke non rispose: accelerò. Si era già concesso troppo al bocciato, ed ora che iniziavano ad arrivare anche gli altri suoi coetanei, aveva deciso che era meglio raggiungerli. Ma Naruto non mollava.

«Ehi! Ohu! Aspetta!»

Accelerò a sua volta, per nulla intenzionato a lasciarsi sfuggire un Sasuke che parlava. Parlava, davvero. Sembrava un fatto più unico che raro.

«Sas'keeee!»

In breve gli fu nuovamente accanto: procedevano veramente spediti.

«Cosa ti costa rispondermi? La faranno usare anche a noi? Eh? Sì o no?»

«Forse più avanti, immagino.»

Il biondo si fece mezzo corrucciato. Ma come? Prima Konohamaru, adesso anche Sasuke era – cosa, un favorito? Ripensandoci, egli stesso era stato il primo a far fuoco con la calibro 45 – quindi anche lui era un favorito. No. O sì? Ma come funzionava, allora? Naruto correva e pensava, accanto a Sasuke.

Favoritismi.

Moh. Erano tutti uguali, in fin dei conti. Almeno, così era per lui. Per quanto bocciato, si reputava uguale a Sasuke. E a Konohamaru. E a Sakura. E a Hinata. E a Neji.

Sasuke accelerò di nuovo: non pareva affatto intenzionato a voler rimanere solo con il reietto. Ma Naruto gli teneva dietro.

«La smetti di seguirmi?»

«Ehi, guarda che stiamo andando tutti nella stessa direzione da un'ora, se non te ne sei accorto.» ghignò Naruto.

Accelerò. Accelerò. Accelerò.

I dieci giri finirono entro breve: i due erano distrutti. Kakashi era rimasto tutto il tempo seduto in terra, tranquillo, ad osservare il gruppetto del sesto anno scaldarsi.

Sguardo quasi divertito.

***

«Ti odio! Vattene!»

«Ma dai, non fare il bambino!» Naruto poggiò la mano sulla testa di Konohamaru, ridacchiando.

«Piantala! Mi perseguiti, ecco! Mi hai fatto pestare a sangue! Se lo sa mio nonno ti caccia!» mentì spudoratamente il bambino.

«Konohamaru, possibile che tu non abbia ancora capito come diavolo funziona? Piantala con questa storia di tuo nonno!»

«Te vattene via così non mi senti più dire nessuna parola di nessun genere – non è più facile così? Eh!?»

Naruto si strinse nelle spalle.

«Uffa.» concluse, rassegnato in modo spudoratamente falso. «Come vuoi.»

Girò sui tacchi e se ne andò, diretto verso il proprio alloggio.

Konohamaru lo scrutò di sottecchi, mentre il caos tornava per l'ennesima volta nella sua mente infantile, decisamente troppo sballottolata per la sua età.

Sfiatò.

Strinse le palpebre.

Aveva ragione, come avevano ragione tutti: doveva piantarla con la storia di essere il nipote dell'Ignis Umbra. Ma coma faceva a staccarsi da qualcuno che lo rincorreva, invitandolo in toni che variavano dalla supplica all'ordine, ad andarsene?

Se avesse potuto veramente essere solo figlio della Regio come tutti gli altri, sarebbe stato mille volte più facile.

«Aspetta!»

***

Il tempo passava. Passava con insolita velocità: ritmicamente scandito, all'alba al poligono, di giorno in aula e alla sera a immergersi nello studio e negli esercizi. Ora che era così vicino al secondo ciclo, un altro campanello era l'ultima cosa che Naruto voleva.

E il tempo passava scandito dalle frustate, che diventavano lentamente sempre meno frequenti: non si faceva più prendere in fallo. Percepiva che migliorava, e la cosa lo riempiva di gioia e gaudio. Talmente tanto da andare a cercare sfide più impegnative: avventurarsi negli alloggi degli altri anni, magari alla ricerca di Konohamaru.

Per fermarsi a parlare con lui.

Così, perché gli andava. E tutto era iniziato dal volersi chiarire riguardo al pestaggio. O forse da prima: non aveva importanza.

Konohamaru mantenne le distanze per qualche decina di giorni, finché, stordito, accettò quella strana relazione d'improbabile amicizia con Naruto.

E il tempo passava.

Ogni tanto i Rectores mostravano ai giovani qualche nuova arma, che dovevano imparare ad usare. A Naruto venne la cattiva abitudine di domandarsi, ogni volta, dove volessero arrivare. E soprattutto controllava Kakashi, che se ne andava in giro a far assurde torture psicologiche agli allievi, come quella che aveva inferto a lui al secondo giorno del sesto anno.

Naruto stava iniziando a pensare un po' troppo, secondo lui.

***

«Naruto, ma se ci beccano, cosa ci fanno?»

«Frustate, no?»

Stavano chiusi in uno sgabuzzino, seduti per terra, mani intrecciate a stringere le ginocchia al petto. Due metri quadri scarsi. Buio.

«Come fai a dirlo con tanta leggerezza?»

«Bhe, uccidere non ci possono, no?» Non per questo, almeno, pensò Naruto.

«C'è gente che di frustate è morta, sai?»

«Sì, un paio, mi pare. E allora?»

«Smettila! Non è così ovvio morire di frustate!»

«Non alzare la voce, accidenti! Se lo rifai ti meno a sangue, giuro.»

«No, no, va bene, scusa.»

«Bravo.»

«Però le frustate mi fanno paura, ecco.»

«Konohamaru, ma tu hai paura di vivere, o cosa?»

***

E poi, via il primo esame.

Di già, pensò Naruto.

E ad ogni alba era sempre più in simbiosi con la sua amata arma.

I giorni scorrevano.

Alzandosi in piena notte per arrivare fino al poligono, e giunto lì riaddormentandosi per un paio d'ore.

Per poterla stringere fra le sue mani, per poterne assaporare per l'ennesima volta la potenza di fuoco.

La volpe iniziava a sentire l'irritazione.

***

Naruto fece capolino da dietro un muro, con un sorriso largo sul volto: Konohamaru sussultò. A quella reazione, il ragazzino iniziò a venire scosso da una risata malcelata. Con un cenno di mano gli fece cenno di avvicinarsi.

Konohamaru si guardò in giro, cercando di capire se qualcun altro si era accorto della presenza di Naruto nello spicchio della Sphaera del terzo anno.

Con passo felpato ma non troppo, raggiunse il biondino.

«Ma che ti salta in testa? Vuoi veramente farti un giro di frusta al giorno, tu?» domandò il bambino, sgomento.

«Se continui a parlare finirà per essere vero.» sussurrò Naruto, ammonitore sul volume sempre troppo elevato della striscia blu. «Vieni.»

Il bambino lo seguì, tremante, mentre si guardava attorno con aria circospetta. «Che ti è venuto in mente di fare, questa volta?»

Naruto ghignò.

«Perché devi sempre pensar male, Konohamaru? Facciamo solo un giro.»

«In altri anni? Ancora?» il bambino inchiodò. «Hai idea di quante ne ho prese negli ultimi tempi?»

Naruto si voltò a scrutarlo.

«Non ti sto mica costringendo io a seguirmi.»

«Ma..!»

Naruto levò gli occhi al soffitto, per poi tornare rapido ad osservare chi o cosa v'era attorno a lui: nessuno. Erano sul confine fra due anni, lì non passava mai anima viva. Almeno finché non facevano confusione.

Il ragazzino portò una mano al fianco, coperto dal copriveste che occultava la pistola. Rimase lì, immobile, per qualche istante.

La tentazione di farla vedere a Konohamaru era veramente troppa: il bambino lo osservava barcamenandosi fra ammirazione e paura.

«Come mai tu conosci addirittura tuo nonno, Konohamaru?» domandò infine, rinunciando a fargli vedere la calibro 45.

«I miei Mater e Pater sono morti e stavo con lui.» concluse, stringendosi nelle spalle. «Si va dal parente più prossimo, no?»

Naruto inclinò la testa.

«Quindi tu sei sempre stato al Ludus?»

«In un paesino qui sotto – non si può vedere il Ludus quando si è piccoli, no? Mio nonno non è mica scemo. Manco sapevo che era Ignis Umbra, prima di salir quissù.»

Naruto si flesse sulle gambe, l'attenzione sempre alta su ciò che li circondava. «Io sono cresciuto con altri bambini, senza Mater e Pater.»

«Non sei mica l'unico.» rispose Konohamaru, storcendo le labbra. «Posso andare, adesso?»

Naruto lo guardò interrogativo. «Che, hai paura che se te ne vai senza il mio permesso ti pesto?»

Konohamaru grugnì «Puoi fare quello che ti gira! Ma le frustate sono molto peggio dei tuoi stupidi calci!»

«Ma dai – per un paio di calci quando fai l'agricola!» ridacchiò sottovoce Naruto.

«Piantala con questa storia!»

«E poi te li devo dare, posso mica sorvolare ogni volta – se mi beccano a fare il cuore d'oro ne prendo il doppio di te!»

«Basta starmi lontano!»

«Tanto ne hai prese talmente tante...»

«Smettila!»

«E poi ti ho dato due calci in tutto!»

«Bugiardo!» strillò infine Konohamaru.

Naruto strinse i denti, sussultando. Fece per afferrare l'altro per il colletto e darsela a gambe – ma il tempo non bastò: una Magister fece tuonare la voce imperiosa mentre iniziava ad enumerare il numero di schiocchi che spettava loro.

***

Kakashi, assieme agli altri Rectores, faceva avanti e indietro per la lunga fila di ragazzini intenti a sparare. Guardava i bersagli, e ogni tanto, come sempre faceva, dava qualche dritta o consigliava di cambiare arma. La sua continua ricerca per il posto di ognuno dei trecento ragazzini continuava senza sosta, e ben presto Naruto si rese conto che i favoritismi non erano tali, ma semplicemente un minimo momento da dedicare ad ogni allievo per instradarlo.

Naruto sparava. Ricaricava. Sparava di nuovo.

Osservava di sfuggita gli altri. Osservava Sasuke che usava ogni armi da fuoco e, raramente, quegli assurdi cosi alle mani, anche Naruto se non aveva mai visto bene cosa facessero. Osservava Sakura, che non pareva essere troppo a suo agio, subiva molto il rinculo: ma si impegnava come aveva sempre fatto. Osservava Shikamaru, che attendeva molto prima di sparare, e poi premeva il grilletto con lontana convinzione.

E Naruto sparava di nuovo, e ricaricava.

Non faceva sempre centro.

Sasuke, invece, sì.

E Naruto non capiva il perché.

Forse perché, da qualche metro più in là, non riusciva a vederne il colore degli occhi.

«Basta così!»

Il biondo si rabbuiò. Calò il braccio, lasciando raffreddare qualche momento la canna, per poi infilare l'arma nella custodia che teneva legata in vita da ormai parecchi mesi. Come ogni volta, se ne andava via sconsolato, assieme agli altri, perdendo due buone ore a camminare per tornare verso il piazzale della Sphaera. Sguardo a terra, pensoso. Si portò la mancina alla pancia, che aveva un insolito tremore. Fame, pensò Naruto. Alzò il capo ad osservare chi gli stava davanti, notando il gruppetto a lui familiare: un piccolo sprazzo d'energia per una breve corsetta, ad avvicinarsi ai ragazzini.

«Ehilà! Kiba!»

L'ormai dodicenne si voltò.

«Naruto. Cosa vuoi?»

Continuavano a camminare, il biondo che osservava felice ora Kiba, ora Sakura che avanzava a fianco a lui, assieme a qualche altro ragazzino fra cui Sasuke e Shikamaru.

«Ho visto Kakashi che ti dava una cosa che non ho mai visto prima.»

Kiba sbuffò, avanzando imperterrito.

«Ci sono miliardi di cose che non hai visto prima, Naruto. Non è nulla che ti riguardi.»

«Uffa.»

«Naruto, sei sempre a dar fastidio.» Commentò Sakura, che raramente mancava di dire qualcosa: una ragazza bionda – Ino – le si affiancò, portando a sua volta lo sguardo su Naruto.

«Già.»

Rincarò Ino. Il ragazzino mise un broncio vago, anche se quella poteva dirsi una conversazione tipo. Anzi, migliore delle altre.

«Io solo chiedevo. Se non me lo vuole dire, fa niente. Ecco.»

«Io ti ho solo detto che non ti riguardava. Il resto lo hanno aggiunto le signorine sapientine Sakura ed Ino.» Sottilinerò Kiba, specialmente visto che con Sakura ed Ino trovava di aver poco o nulla a che spartire.

«Kiba!»

Le due lo apostrofarono all'unisono, infastidite. Quello ridacchiò, diveritito dall'averle stuzzicare.

I ragazzini continuarono a camminare, zitti, esausti. Il biondo si teneva la mano sulla pancia, che si faceva più rumorosa del solito.

«Secondo voi cosa ne faranno di noi il prossimo anno?»

Naruto preferiva parlare, piuttosto che tacere ad ascoltare i borbottii del suo corpo. I ragazzini gli scoccarono un'occhiata scocciata, di quelle ai livelli di Shikamaru – l'eterno annoiato.

«E noi cosa ne sappiamo?»

Tagliò corto Ino.

«Va bene, va bene. Sto zitto.»

E zitto stette.

Lui.

Ma la sua pancia no.

La grande piazza del Ludus era finalmente sotto i loro piedi. Cemento – ah, amato cemento. Sicurezza, un'unica linea orizzontale, non una curva, non una sporgenza. Mattonelle perfettamente allineate, pulite, calpestate da secoli dallo stesso tipo di persone. Ancora uno scarso chilometro e sarebbero arrivati agli alloggi del loro anno: tutti levavano il capo speranzosi, come ogni volta, di poter cacciarsi nelle proprie camere, soli, e cambiarsi, lavarsi, per poi buttarsi in mensa ad accontentare lo stomaco. Lentamente, però, Naruto iniziava a prendere un'altra direzione. Continuava a camminare apparentemente dritto, ma in realtà curvava ad ogni passo un po' di più: finché Sasuke non se lo trovò dietro, e lo vide andar via per gli affari suoi.

Sakura tirò un sospiro di sollievo.

«Finalmente.»

«Sakura, non capisco perché lo maltratti sempre. Non ti ha fatto nulla.»

Kiba teneva le braccia incrociate al petto, avanzando di poco davanti alla ragazzina dai capelli rosati.

«E' la prassi, Kiba. E poi non mi dirai che Naruto ti piace. Come tipo, dico. Passa la vita a farsi malmentare dai Magistri. Va in giro a torso nudo in pieno inverno. Non credo sia molto sano di mente, sai.»

«Certo che si capisce al volo che tu, le punizioni, non le hai viste nemmeno da lontano» mugugnò Shikamaru, ora incrociando le braccia a sue volta, con la sua solita andatura scocciata.

«Io mi limito a seguire le regole.»

«Sarà.» Kiba lasciò scivolare lo sguardo verso Naruto, partito per la tangente. Chiaramente non li sentiva, ne' vedeva più. Ma dove stava andando? In mensa? Forse. «Comunque mi hanno detto che anche al suo anno non era dei meglio visti.»

«Sarà forse per il suo carattere? Fa sempre quello che gli gira.»

«Sei un mattone, Sakura.»

Shikamaru guardò a sua volta, per un momento, in direzione di Naruto. Altro che mensa: stava sgattaiolando negli alloggi del terzo anno. Possibile che fosse così idiota? Che andasse a cercarsele, era vero. «Lascialo vivere in pace.»

«E che lui lasci vivere in pace noi.»

«Ecco.»

«Ma vi par possibile che i nostri discorsi debbano girare attorno ad un reietto come lui?»

«Sei tu che la tiri avanti, e che hai iniziato, sai?»

«Almeno Naruto è un personaggio interessante.» Sasuke parlò. Stasi, per un momento. «Non come te – banale uguale, perfetta. Tristemente monotona.»

Colpita e affondata. Sakura sentì come un coltello a tracciarle una lunga e profonda linea perpendicolare sullo sterno.

«Sasuke, è giusto essere uguali – piuttosto che anormali come Naruto.. Siamo tutti fratelli, no?»

«Sì, è vero. Ma i fratelli possono essere diversi.»

«Ma...»

«Pensala come ti pare – non cambia niente.»

Il ragazzino decise così di troncare bruscamente la conversazione. D'altro canto, lui aveva di meglio da fare che parlare di Naruto. Si strofinò gli occhi un momento: gli pizzicavano ancora un po'.

E così anche Sasuke iniziò a deviare dalla direzione del gruppo, staccandovisi entro breve.

***

L'uomo si alzò dalla sedia, andando ad aprire la porta alla quale avevano bussato. Un ragazzino vi sostava davanti, in copriveste nero.

«Sasuke. Dodici, sesto anno.»

A Sasuke non piaceva nascondere le cose.

Anche perché non riusciva più a sopportare quel fastidio. Nemmeno una congiuntivite: peggio. E poi era chiaro che Kakashi l'aveva scoperto, quindi, che senso aveva tacere al riguardo? L'infermeria era il luogo che più gli si addiceva. Per quando fosse solitario e forse vagamente diverso dagli altri, Sasuke, come tutti, si fidava del governo e del Ludus. Dei Philosophi, e quindi dei Philosophi Medici.

L'uomo fece cenno di attendere, andando ad aprire un cassetto e cercando, nell'ordine alfabetico, il nome del ragazzino. Estrasse una cartelletta e gli fece cenno di entrare: difficilmente Sasuke non riusciva a toccarsi gli occhi, e per evitarlo stringeva le mani l'una all'altra dietro la schiena, quasi conficcandosi le unghie nella carne.

Osservava il Medicus.

A prima vista, il ragazzino pareva normale – pensò l'uomo – se non fosse stato che sbatteva le palpebre in continuazione.

Sasuke aveva il terrore di stare diventando cieco. Dopo l'epatite a nove anni, anche questo? Non avrebbe sopportato di poter perdere gli occhi. Non ora che gli funzionavano così bene.

«Cos'hai.»

Il Medicus parlava meccanicamente.

«Mi prudono gli occhi. E bruciano. Molto. E da molto tempo. Ho paura che sia un'infezione. Mi da più fastidio della congiuntivite.»

L'uomo aprì il fascicolo.

«Sasuke. Non sono infiammati, a vederli. Epatite D, congiuntivite, varie influenze. Varicella a dieci anni... questa era meglio evitarla. Sei stato in isolamento?»

«Certo.»

«Bene.»

Tornò a scartabellare fra i fogli, tenuti fermi da un ferro a molla all'apice, osservando analisi e anamnesi varie. Sasuke continuava a sbattere gli occhi, ogni tanto tenendoli chiusi a lungo, chinando il capo in maniera che l'altro non potesse vedere. Ma l'uomo vedeva.

«Senti, se mi vuoi nascondere i sintomi fa' pure, ma scordati di guarire.»

Sasuke tornò a capo alto, schiudendo a malapena gli occhi.

«Domando scusa.»

Il Medicus pareva incuriosito da quella strana malattia. Sasuke se ne stava fermo, ad un paio di metri di distanza, mentre l'uomo leggeva per filo e per segno la storia della sua congiuntivite batterica. Senza uscirne, finì persino a controllare l'anamnesi familiare, che in genere era l'ultima spiaggia. Niente. Posò l'oggetto sul tavolo, andando per fare ad infilarsi i guanti; quando, come dimenticatosi qualcosa, fece dietrofront, e tornò ad osservare la pila di fogli. Pareva ne stesse cercando uno in particolare.

«Oh». Fece l'uomo, estraendone uno che sostava proprio fra i primi.

Sasuke schiuse gli occhi indispettito.

«So che non dovrei chiederlo, ma c'è il rischio che diventi cieco?»

Il Medicus posò nuovamente il fascicolo sul tavolo ed andò ad infilarsi i guanti di lattice.

«No, tranquillo. Non pare. Probabilmente non sei nemmeno contagioso: avvicinati.»

Con una piccola lampadina in mano, l'uomo andò a controllargli pignolamente gli occhi, spalancandogli le palpebre: Sasuke venne decisamente infastidito dalla luce che lo investiva.

«Dimmi.»

«Sì.»

«Da quanto tempo fanno questo lavoro? Ti bruciano?»

«E prudono. Da un paio di settimane.»

«Perché non sei venuto prima?»

«Perché era sopportabile.»

«Ottimo.»

Lasciò gli occhi del ragazzino ed andò a togliersi i guanti.

«Hai notato qualcosa di diverso nella tua vista? Vedi peggio? Sfuocato? Meno colori?»

Sasuke stette un secondo in silenzio. Perché gli faceva quelle domande? Era così che sarebbe andata a finire?

«Vedo meglio. Se c'è il sole. Cioè, non se c'è il sole, se si vede. Se mi concentro vedo meglio.»

«Vedi meglio?»

«...sì.»

Allora non era come immaginava. Beh, meglio.

«Ottimo.»

Fu quasi un'esclamazione. Sasuke ne rimase mezzo stordito. Ottimo? Aveva la congiuntivite, non ci vedeva molto di buono.

Il Medicus andò ad aprire uno degli infiniti armadietti, e addirittura levandosi in punta di piedi andò a prendere qualcosa che pareva essere molto, molto in fondo. Come dimenticato. Gli porse una piccola boccetta, a mo' di contenitore di collirio.

«Prima di dormire, quando ti alzi e dopo mangiato, ed ogni volta che ti fa male. Nell'occhio. Direttamente.»

«Va bene.»

«Torna fra tre giorni.»

«Va bene.»

Sasuke uscì. Come al solito, la politica del silenzio del Ludus regnava. Non sapeva cosa aveva. Ma non importava: era rassicurato. Anche se non totalmente certo di uscirne vivo o indenne.

***

Naruto stava stirato contro il muro, schiacciando tutta la spina dorsale nel fallimentare tentativo di mimetizzarsi.

«Sono un muro- sono un muro- sono un muro.»

Bisbigliava. Ma, no, non pareva funzionasse. Anzi, quasi quasi attirava solo di più l'attenzione di quelli che giravano da quelle parti. Ogni tanto qualche bambino lo guardava sconcertato, ora dall'età, ora dal campanello: qualcuno si dava apertamente alla fuga, convinto che gli stesse facendo la posta per malmenarlo.

Ma non era così.

Si sedette per terra, scocciato. Non usciva ancora. Così finiva solo che perdevano tempo: lui doveva ancora lavarsi e mangiare. Mangiare, per calmare quella pancia che pareva avesse voglia di dare un'intera opera a suon di borbottii.

Guardava per terra.

«Ehi! Striscia gialla! Cosa ci fai lì?»

Naruto non rispose.

«Striscia Gialla!»

Un Magister si avvicinò a lui abbastanza alterato.

«Son cinque!»

Naruto levò finalmente il capo.

«Cinque? Perché?»

Domandò il biondo senza capire, quasi infastidito. Che per lui le frustate fosse routine, ok, ma così a gratis?

«Ti ho chiamato e non mi hai risposto. Due volte.»

Naruto si illuminò, come ad aver scoperto un nuovo mondo

«Ah! Già.. domando scusa, ho cambiato la fascia tre giorni fa...»

«Sempre cinque sono.»

Naruto corrugò la fronte: doveva essere nuovo per aspettarsi che cercasse di svicolare alla pena.

«Sìsì, cinque.»

«Cosa fai qui, comunque? Non è zona tua.»

«Nulla. Guardo il cielo.»

Il Magister lo squadrò poco convinto.

«E le piastrelle.»

«Non credo sia un valido motivo.»

«Più che altro, non c'è valido motivo perché io non debba stare qui. Sempre nella piazza del Ludus sono, no?»

L'uomo dovette accettare la sconfitta.

«Comunque devi venire per le frustate.»

«Mph. Vero. Non è che mi dai un altro minuto? Si sta così bene, qui.»

L'angolo della bocca del Magister si flesse: con che razza di soggetto stava parlando? Era chiaro che non aveva mai avuto a che fare con Naruto, prima di allora. Il tredicenne pose lo sguardo mezzo supplichevole sull'uomo.

«Dieci»

«Cosa?! E perché?»

«Ne preferisci quindici?»

Naruto si levò in piedi, dichiarando che quindici erano più che sufficienti: d'altro canto, Konohamaru non pareva volerne sapere di uscire fuori dall'alloggio.

«Voglio proprio vedere cosa ne farà Iruka di te.»

Iruka.

Iruka guardava Naruto mentre si spogliava, porta chiusa, nessun altro a sentire. Il biondo borbottava finti insulti senza senso, parole che ogni tanto vagavano per il luogo, discorsi senza capo ne' coda. Tentava di inveire contro il Magister, quello che aveva incontrato sotto l'alloggio del terzo anno, ma non gli venivano su le parole. A dire il vero nemmeno le conosceva.

«Quasi quasi mi mancavi, sai?»

Fece Iruka mentre afferrava la frusta semplice: una coda sola sarebbe bastata per una cosa così sciocca.

«Ma si può essere più... più... infimi? L'ha fatto per il puro gusto di fare qualcosa! E' venuto a cercarmi solo per trovarsi uno svago.»

Il ragazzino salì sullo sgabello e con un balzo andò ad afferrare le catene. Da qualche tempo Iruka aveva definitivamente rinunciato a serrargli le 'manette' ai polsi: di sicuro Naruto non scappava.

Caricò.

«Fanno sempre così, i nuovi!» continuò a lamentarsi il ragazzino. «Come arrivano si divertono a far la conta! Giocano a chi ne becca di più: e chi paga? Noi!»

Frustata.

«Quattordici. Non tutti, comunque.» rispose Iruka «Solo che alcuni hanno odiato in particolar modo il Ludus.»

Frustata. Naruto tacque un po' per riprendersi prima di dire il numero.

«Tredici. Se lo odiavano tanto potevano mollare.»

«Dodici. E dopo perdersi il gusto di vendicarsi?»

«Undici. Che schifo di persone. Tutti fratelli, dicono. Io ci credo. Uh – Dieci. Ma questi no. Cioè, sono degli Agricolae.»

«Nove. Evita di dirlo un'altra volta... il mezzo migliore è stargli lontano, dovresti saperlo. Otto. E comunque cosa ci facevi sotto l'alloggio del terzo anno?»

«... Sette. Aspettavo un bambino. Konohamaru, si chiama.»

«Sei. Konohamaru? Come sarebbe a dire che lo aspettavi?»

«... Cin...que... ... In questi ultimi tempi andavo spesso da lui. E' un mio amico...»

«Quattro. Amico? Uno così piccolo? L'avevi preso in simpatia?»

«... ... Tre. Sì. Credevo fosse il più perso di tutti, qua dentro. E invece è uno tosto. E'.. oppresso da suo nonno, solo quello.»

«Due. Il nipote dell'Ignis Umbra, allora. Proprio lui. L'ho incontrato negli ultimi tempi, doveva essere senza dubbio un bambino con un certo carattere...»

«... Ul... tima. ... come.. come sarebbe... a dire... Doveva?»

Frustata. Iruka guardò la schiena di Naruto, ancora integra, e tutta rossa. Era come se avesse avuto un immenso callo. Probabilmente ce l'aveva. Ripose la frusta.

«E' morto ieri.»

«Ah.»

***

L'acqua incandescente batteva sull'arrossamento con insistenza. Naruto si cingeva le ginocchia, serrate al petto, guardando perso il pavimento marmoreo della doccia. Ormai era lì da più di mezz'ora.

Avrebbe fatto tardi a lezione, pensò.

Guardava.

Aveva saltato il pranzo, pensò.

No, Naruto non guardava: lasciava che gli occhi si impuntassero verso le piastrelle, ma lui non guardava. Non osservava. Ascoltava solo l'acqua caldissima sulla schiena.

Konohamaru era morto.

No.

Strinse ancora le ginocchia al petto, il mal di pancia a dargli sempre più fastidio.

Konohamaru era morto.

Sì.

Morto.

La pancia gli si ribellava: s'infuriava, protestava, voleva dire la sua. Crampi, crampi infiniti e dolorosi. Pensa alla schiena, Naruto.

Ma Konohamaru... Konohamaru era morto.

«Era venuto qui una decina di volte, negli ultimi tempi: sembrava che fosse una sua prova personale. Guardava ogni volta la frusta come se fosse una tigre da domare. E la domava. A momenti mi sembrava di vedere te, sai? Solo che lui non sembrava un masochista... non che tu lo sia, ma di certo non provava l'ebbrezza della vita che leggo nei tuoi occhi ogni volta che te ne vai di qui. Era solo un bambino che ha bisogno di crescere, e ne trova un modo nelle punizioni.»

Si portò le mani nei capelli, continuando a ripetere quelle parole in maniera morbosa, come arrovellato in un circolo di frustrazione, di psicopatia dalla quale non riusciva ad uscire.

«L'hanno trovato ieri sera, nel terrazzo. I suoi compagni hanno detto che stava spesso fuori a prendere freddo. I suoi Magistri hanno detto che gli pareva che fosse malato già da un po'. Però in infermeria non l'avevano mai visto.»

No, Konohamaru non era mai andato in infermeria.

L'acqua gli entrava nella bocca ad ogni sillaba. Continuava.

«Quando gli hanno fatto l'autopsia hanno detto che era malato. Però era una malattia sciocca, solo un po' di mononucleosi. Hanno detto che gira da anni, al Ludus. E basta andare in infermeria per prendere gli antibiotici. E anche se non lo si fa, generalmente guarisce da sola... era un genere debole, sai. Però lui dormiva nudo in terrazza. Non so, Naruto. Pareva proprio che se le andasse a cercare. Quasi fosse una prova di forza.»

Se le andava a cercare, Naruto.

«SE LE ANDAVA A CERCARE!»

Strinse i ciuffi di capelli, distrutto dal dolore che provava in tutto il corpo. Non capiva. Era un dolore fisico o psicologico? Dannazione – quanto gli faceva male la pancia. Non credeva che avrebbe resistito ancora.

Si levò in piedi.

Sì, se le andava a cercare.

«La mia pistola.»

Aprì la porta della doccia mentre il rubinetto continuava a vomitare acqua: grondante si incamminò verso il letto, verso il comodino, accanto. Fece per prenderla.

Il suo amore.

Una fitta imprevista lo bloccò. Rimase davanti al comodino, fradicio, ad osservare l'oggetto mentre compiva lenti respiri per allentare il dolore. Niente. Non serviva.

Naruto, è inutile.

Farà sempre più male.

Farà male come faceva male cinque anni fa, Naruto.

Un'altra fitta. Un'altra: questa continua. Si piegò in due, flettendo le ginocchia, e lentamente si trovò a terra.

Non aveva nemmeno avuto il tempo di parlare ad Iruka del suo mal di pancia.

Konohamaru era morto.

E lui era nella stessa situazione di cinque anni fa. Mese più, mese meno.

Male.

Buio.

E non capire più nulla.

Confondersi. Perdersi.

«Uccidere.»

«Uccidere.»

«Uccidere è un verbo.»

«Sì.»

«Tu hai ucciso.»

«Io ho ucciso.»

Naruto si guardò le mani: erano introgolate di sangue. Sangue che arrivava fino all'avambraccio, scendeva al gomito, gocciolava si di un pavimento inesistente. Molle. Vuoto. Nero.

«Tu non volevi uccidere.»

«No, non volevo.»

«E a me? Credi che mi abbiano ucciso?»

Che domanda era?

Il ragazzino iniziò a sentirsi sprofondare nel fango. No, non era fango. Una rossa sostanza densa e calda. Un fortissimo odore. Gli veniva da vomitare.

Stava annegando nel sangue.

«No...»

Stava nuotando nel sangue.

Nel sangue di Konohamaru.

«Hai paura, Naruto?»

«Di cosa? No, non ho paura.»

«Sì che hai paura. Hai paura di uccidere?»

«No. Io ho già ucciso.»

«Hai paura, lo sento. Lo sento dall'odore della tua carne»"

E il sangue di Konohamaru diventava il sangue di Naruto.

Si sentiva vivo e morto allo stesso tempo. Era questo? Era morto? Non poteva essere morto. Sentiva la carne viva rigettare linfa vitale nella pozza in cui era immerso. Sentiva l'odore, la consistenza, sentiva che veniva svuotato di ogni sua energia.

«Non ti piace questa sensazione, vero?»

«No. Non mi piace, questa sensazione.»

«Cosa ti hanno fatto, Naruto? Ti hanno fatto uccidere?»

«No. Ho fatto tutto da solo. Ho fatto tutto da solo. L'ho ucciso io. Con le mie azioni, con le mie mani. Gli ho fatto fare cose che non doveva fare. Che non sapeva fare. Che non poteva fare. Ho ucciso Konohamaru.»

«Cosa ti hanno fatto, Naruto? Chi sei? Cosa vogliono da te?»

«Non lo so. Io non lo so.»

«E io, Naruto?»

«Tu.»

«Cosa vogliono da me, Naruto?»

«Non lo so.»

«Cosa vogliono da noi, Naruto?»

«Da noi?»

«Vogliono sangue, Naruto. Perché sono uomini. E gli uomini vogliono il sangue.»

Naruto abbassò lo sguardo, sul mare denso e caldo che spandeva quell'odore metallico e pressante, nauseabondo.

«Chi sono io, Naruto?»

«.... chi sei, tu?»

«Kyuubi è il mio nome.»

«Kyuubi.»

«Io sono come te.»

«Sei come me.»

«Io sono te

«Me?»

«Ti conosco. Meglio di chiunque altro.»

«Meglio di me?»

«Perché sono dentro di te.»

«Dentro... di me?»

«Ti piacciono le prigioni, Naruto?»

«No...»

«Nemmeno a me. Chi sono?»

«Kyuubi.»

«Kyuubi è il mio nome. Ricordatelo, Naruto.»

Una pozza di sangue sul pavimento. Un rivolo, dalla bocca, che lentamente scendeva. La pancia.

«Era solo un bambino...»

Non sentiva più nulla.

«... solo un bambino...»

Nulla, da nessuna parte. In nessun posto. Nemmeno un cuore che batteva.

Nemmeno il vento fuori dalla palazzina.

Nemmeno il freddo dell'aria sul corpo bagnato, l'odore del sangue.

«... che ha bisogno di crescere.»

E sbarre, e sbarre, e sbarre.

E a destra e a sinistra, e ovunque sbarre.

Di qui non si esce.

Qui si muore e si nasce.

E invano, si forzan le sbarre.

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Capitolo 8
*** 7 (Identità: si, no? Forse. No.) ***


[Prima pubblicazione: 30 04 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 7 -

E non siam più nulla

ne' noi stessi

ne' ciò ch'essi volevano

diventassimo

solo ombre che s'aggirano

in un impero di falsa luce

solo ombre che non muoiono

solo riflessi del passato

solo soli

nel deserto abbandonato.

- Identità: si, no? Forse. No. -

Non andava via. Non voleva proprio saperne: dannata, dannatissima macchia. Il ragazzino stringeva fra le mani uno straccio imbevuto di acqua e di un miscuglio senza capo ne' coda di saponi e detersivi che aveva trovato in bagno: ma niente da fare.

La macchia di sangue lì era e lì rimaneva.

Arresosi, Naruto si sedette sui calcagni e rimase per vari minuti ad osservarla: lì, una chiazza scura, sul cemento grigio che pavimentava la sua stanza.

La guardava.

La contemplava.

Era tutto pulito, era tutto a posto, ma lì?

Sarebbe mai andata via?

Si levò in piedi e si sedette sul letto: era tardi. Il pomeriggio era inoltrato, aveva perso le lezioni. Aveva perso le lezioni e guardava la sua macchia di sangue in terra, fra il muro ed il letto, vomitata fra deliri e scosse convulse.

«Mi verranno a cercare.»

Nessuno rispose.

«Forse è meglio che vada in infermeria.»

Nuovamente, nessuno rispose.

«E gli dovrò dire che avevo mal di pancia, e gli dovrò dire di quanto sangue ho perso, e perché l'ho perso.»

Silenzio.

«Dovrò digli di quanto mi sono sentito male. Di quella voce.»

Silenzio.

«Quello che facevo.»

Silenzio.

«Di perché mi sento in colpa per la morte di una striscia blu. Di tutte le volte in cui ho disubbidito, in cui ho infranto i regolamenti, in cui sono andato in zone dove non dovevo andare.»

Silenzio, e null'altro.

«Così morirò anch'io. Di frustate, ma morirò anch'io. Non sarebbe mostruosamente comodo, Konohamaru?»

«Peccato che la vita non sia fatta per essere comoda, Naruto.»

Naruto non andò mai in infermeria.

Quegli ultimi mesi passarono con una lentezza mai sperimentata prima. Naruto si alzava, andava fino al poligono di tiro, sparava, tornava indietro, mangiava, faceva lezione, mangiava, studiava, dormiva.

Ogni giorno.

All'infinito.

Ritmicamente, lasciava che la sua mente si dividesse in due: una, apatica, morta, seguiva le attività del Ludus; mentre l'altra pareva essere partita alla disperata ricerca di Konohamaru e di quella cosa che si faceva chiamare Kyuubi.

Chi era, Kyuubi?

Anzi, cosa era? Era collegata al suo corpo o alla sua mente? Kyuubi esisteva o era solo frutto di un cervello stressato dallo shock e privo d'ossigeno per il dissanguamento?

Kyuubi parlava? Pensava? Mordeva e graffiava?

Kyuubi era o diveniva?

Non lo sapeva.

Naruto non lo sapeva, mentre ritmicamente sparava, ed ogni giorno mirava un po' meglio, ed ogni giorno usava il triplo dei proiettili dei suoi compagni. Caricava e sparava. Caricava e sparava. Perso nella spirale dell'abitudine, del gesto ripetitivo, perso nei suoi pensieri, bramando ogni giorno qualcosa, qualsiasi cosa: ma non sapeva cosa.

Si lasciava inebriare dalla sua passione, dalla sua essenza, dalla calibro 45, mentre metà di lui era morta, e l'altra metà ricercava disperatamente qualcosa di sconosciuto.

Era una strana sensazione.

Era perso.

Non gli era mai successo prima.

Era perso mentre Sakura e Shikamaru completavano l'ultimo esame rispondendo a tutte le domande, nonostante il tempo limitato.

Era perso mentre Sasuke riusciva a fare un nico foro nel bersaglio, cambiando sei caricatori.

Era perso mentre Kiba e Shino venivano condotti nel bosco, alla mattina, anziché esercitarsi con gli altri al poligono.

Era perso mentre Hinata diveniva campionessa nei tiri a lunghissima distanza.

Era perso mentre sparava ripetutamente, e ripetutamente qualcosa si muoveva in lui, come insoddisfatto.

Insoddisfatto?

Oppure scocciato?

Naruto si era perso.

Iruka non lo vide più.

«Nessun segno?»

«Apparentemente nessuno.»

Kakashi cercava in svariati modi una posizione comoda sulla sedia, sebbene avesse dovuto sapere da anni di esperienza che una posizione del genere non esisteva.

Non per quella sedia.

«Non va bene. A quest'ora avrebbe già dovuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa»

Loro non avevano il diritto di stare comodi.

«Garantisco non ha fatto nulla, non apertamente. Nessuna esibizione di niente. Ma il ragazzino è cambiato.»

«A me il ragazzino non interessa, Kakashi.»

«Oh, e invece dovrebbe.»

«Vuoi dirlo tu a un Philosophus cosa deve pensare? Vuoi dirlo tu?»

Il tono dell'interlocutrice suonava incredibilmente acido, colmo di minacce ben che avverabili.

«No, Tsunade.»

«Bravo. Parlami degli altri, piuttosto. Sasuke, ad esempio.»

«Lui è stato il primo, quest'anno.»

«D'altronde Neji era l'unico della sua annata – ma questo lo sapevo. Se ne è reso conto? Neji ci aveva messo un po'. E anche» inspirò « lui...»

«Di certo ha notato che è cambiato qualcosa. Non so se si è mai guardato allo specchio mirando, e probabilmente nemmeno i suoi compagni hanno notato qualche stranezza – o ci hanno prestato caso seriamente. Sai, loro, in genere, non hanno un grande spirito di iniziativa.»

«Non devono averlo.»

«Lo so. Tutto è dato e niente è dovuto.»

«E quell'altra? La ragazza, Hinata. Dovrebbe essere come Neji, lei.»

«Hinata. Anche lei ci si sta abituando, ma va abbastanza bene. E' abbastanza mansueta – più di Sasuke. Cercheremo di svegliarla al secondo ciclo, mettendola sotto l'ala di Neji, che è più solido. A parte questo, Tsunade, torno a dirti che il ragazzino mi preoccupa.»

«Lo so, uno con un potere così va tenuto sotto controllo. Ma sappiamo benissimo come tenercelo buono, il piccolo orfano.»

«... di chi sta parlando?»

«Di Sasuke.»

«Io intendevo Naruto.»

«Ancora?» sbottò la donna, battendo i palmi delle mani sul tavolo che divideva i due. Ciocche biondaste rimbalzarono al sussulto: fissava Kakashi adirata, le pupille verdi strette fra le palpebre esprimenti furore.

Momenti di umanità.

«Io faccio solo il mio lavoro, Tsunade. E ti dico che il ragazzo mi preoccupa. Se tu mi ascoltassi, per una volta, senza accantonare il problema...»

«Io non sto accantonando il problema! Il problema ce l'ho sempre sotto il naso, e, per una volta, dico, una volta, vorrei poterne non parlare. Sono stufa!»

«Tsunade...»

«Cosa vuoi?»

«Non starati scappando?»

Rarissimi momenti di umanità.

Il Rector si alzò in piedi, facendo per andare via.

«Kakashi, non ti ho congedato»

«Se è per quello non mi hai nemmeno mai richiamato. Ufficialmente.»

La donna osservò l'altro seccata.

«Mettilo in prima linea.»

«In prima linea? Per cosa, scusa? Non ha nemmeno iniziato il secondo ciclo. E secondo me non è pronto.»

«Va bene. Allora, appena sarà pronto, mettilo in prima linea, al fronte a nord, quello lasco – metticeli tutti appena puoi; anzi, parla con Jiraiya – che tu al secondo ciclo devi anche starne fuori.»

«Dritta al punto, come sempre. Parlaci tu, con Jiraiya.»

«Ti pare che ho il tempo per farlo? Gli passi le consegne ogni anno – bene, quest'anno le consegne sono un po' diverse! Non mi sembra complicato, Kakashi.»

«Va bene. Come vuoi tu, o sommo Philosophus!»

Quasi inesistenti, momenti d'umanità.

***

Il biondo camminava lento per i corridoi dell'alloggio, il capo insolitamente chino, avvolto nel copriveste, sprofondante nel largo colletto.

Vado.

Non vado.

Passi quasi molleggiati, passi da passeggiata, mentre in vero la sua meta l'aveva ben fissa in testa: il problema era se sarebbe riuscito o meno ad arrivarci.

Bhe, manca poco, in fondo.

Uscì. L'aria era fredda e pungente, squisitamente pungente: una piccola sveglia per il volto del giovane, a richiamare l'attività delle sue cellule, e forse in parte della mente.

Vado.

Vai a fare cosa?

No, non vado.

Il terreno continuava a muoversi sotto di lui.

Ok, vado.

Tanto ci sarebbe andato lo stesso. O le sue gambe ce lo avrebbero portato.

La Sphaera era lì: vicina. Molto vicina, sempre più grande. Sempre più grande e incombente. Ecco una delle sei entrate: Naruto si immise nel corridoio esterno, vuoto, che andava dritto dritto alla porta, e varcò la soglia.

Ok, ci siamo. Ho detto che vado. Vado.

A fare cosa?

Espirò e si sedette per terra, schiena al muro: già. Cosa andava a fare?

Una sfida. Una sfida come al solito, no?

Come ogni sacrosanto anno.

Come ogni volta.

Un altro respiro profondo.

Sempre uguale.

Sempre uguale.

No.

Naruto se ne stava spalle al muro, petto in fuori e colonna vertebrale perfettamente verticale. Respirava lentamente, facendo meno movimento possibile, mentre guardava ora a destra, ora a sinistra: via uno. Si piegò e fece un piccolo e potente balzo, a scatto, per andare a scomparire dietro l'angolo.

Nessuno l'aveva visto.

Una cosa vagamente simile ad un sorriso gli si dipinse in faccia: la sfida si faceva interessante. Lasciava scorrere pupille ed iridi sul corridoio, cercandone i punti strategici: ogni tanto passava qualche Magister.

Naruto.

Che nome idiota.

Naru to.

Na. Ru. To.

Cosa farai, adesso?

Ti crogiolerai nel dolore, Naruto?

Ti crogiolerai nell'assassinio, Naruto?

Chi sei, Naruto?

Il ragazzino era sempre più vicino alla meta: sentiva una voce grave che si avvicinava ad ogni suo spostamento. Eccolo. Era lì.

Si acquattò dietro lo stipite della porta, in stallo.

La senti?

No.

Dov'è finita? Quella cosa che ti muoveva.

Naruto, cosa cerchi?

Oh, lui cercava, sì. Cercava l'adrenalina.

L'adrenalina che lo aveva sempre spinto.

La sfida.

L'eccesso.

Ciò che aveva ucciso Konohamaru, in sua vece.

Naruto si sporse sulla porta dell'aula: i ciuffi biondi spuntavano dallo stipite assieme ai suoi occhi azzurrissimi, e qualche scorcio dei segni che recava sul volto.

L'Ignis Umbra parlava: la voce rimbalzava lenta sulle pareti, tornava indietro, si disperdeva; due Magistri sostavano ai margini della porta, guardando verso il palco.

Naruto guardava il bambini e l'Ignis Umbra – il nonno di Konohamaru; quel vecchio, sempre lo stesso vecchio che parlava con fare convinto ogni anno ad ogni inizio anno ad ogni schiera di mille bambini scelti.

Nessuno l'aveva visto.

Cercava l'adrenalina, Naruto?

No.

Naruto cercava qualcos'altro.

Cercava Konohamaru.

Cosa era, Konohamaru?

Cosa era stato?

Un bambino?

I piccolini erano tutti uguali. Possibile? No, c'era sempre qualcuno che si differenziava: eppure, quel giorno, agli occhi del biondo erano tutti uguali.

Konohamaru era stato tra quelli, e non l'aveva mai notato. Come ora non riusciva a notare nessuno in particolare, allora non aveva notato Konohamaru.

Eppure Konohamaru era diverso.

Era stato protetto, protetto troppo.

Era stato spinto, spinto troppo.

Era stato maltrattato, maltrattato troppo.

Cosa cerchi, Naruto?

La diversità.

Naruto aveva sempre cercato la diversità.

Konohamaru era già diverso.

Diverso non è bene, al Ludus. Nemmeno per il nipote dell'Ignis Umbra. Soprattutto per il nipote dell'Ignis Umbra.

La diversità aveva ucciso Konohamaru.

Ciò che muoveva e faceva vivere Naruto, aveva invece calato il colpo di grazia su quel bambino.

Una mano gli si appoggiò sulla spalla: Naruto ebbe un tuffo al cuore, quasi a sentirsi morire, mille volte peggio del solito. Troppa carica.

Si voltò: non un sussulto esterno da parte sua, non un mutamento nel volto che si rifletteva ora negli occhi di un Magister che aveva già visto, in una situazione simile.

Il Magister rimase a tener salda la mano sulla spalla del tredicenne, fissandolo. Ad un certo punto, espirando, Naruto calò lo sguardo a terra, con fare rassegnato.

Era come era stato gli altri anni?

O era diverso?

Era, come era che fosse?

Konohamaru, lui, cosa voleva?

Cercava un'altra diversità – perchè anche Konohamaru cercava.

Cercava la diversità per definizione.

E alla fine era sempre la stessa cosa, lo stesso problema.

L'identità.

Ma chi aveva insegnato l'identità a quei ragazzini?

Nessuno.

Loro dovevano essere come gli altri, tutti uguali, nessuno diverso. Solo un nome a distinguerli, nella massa.

Ma quando la diversità ti è intrinseca - allora già la conosci, sotto ogni suo aspetto, sfaccettatura ed essenza.

E a volte la sfuggi.

E a volte la brami.

Non sai se sei ciò che sei perché sei diverso, non sai se sei diverso per ciò che sei: se sei chi sei o se non sei chi sei perché non sei uguale – ma anomalo.

Anomalia.

E identità.

E a volte la sfuggi.

E a volte la brami.

E così accadde che le nocche del biondo incontrarono, in una minima frazione di secondo, prima la pelle, poi un sottile strato di carne, ed infine lo zigomo, che urtarono violentemente facendo smuovere l'aria fra atlante ed epistrofeo del Magister.

Un suono secco.

Il poderoso gancio fu accompagnato immediatamente da una ginocchiata allo stomaco, profonda e tagliente, che con una rapida oscillazione dell'arto fece sì che Naruto andasse ad incastrare il tallone dietro quello dell'uomo, e facendo infine leva assieme ad una potente spinta del busto, scaraventò definitivamente il Magister a terra.

Era accaduto tutto in un istante. Un misero e scarso secondo. Tutto in silenzio, un silenzio inumano, assieme a qualche soffice, inesistente rumore.

Naruto osservava con gli occhi sgranati la figura che aveva neutralizzato in un battito di ciglia.

Sì.

Oh, sì.

«E' dunque questo quello che vuoi?»

«... forse.»

Sorrise.

La colluttazione. La battaglia.

Ora voleva quello. Ora, ed ora soltanto, o forse sempre: ma con foga estrema, la desiderava. La mente si era riunita: doveva rimettersi in gioco.

No.

Doveva crescere.

Migliorare.

Naruto correva come correva sei anni prima.

No.

Cresci.

Non era un ordine.

Era un impulso.

Un impulso che lo muoveva mentre solcava i corridoi in cemento, usciva, all'aria pungente di gennaio, ed al posto del cuore una pompa che si apriva e si chiudeva ad ogni battito con più foga.

Oh, sì.

Non l'aveva ucciso, il Magister.

La sua calibro 45 stava lì, al suo fianco.

Non l'aveva ucciso. Ma l'aveva atterrato.

E si era sentito potente.

Non sapeva cosa sarebbe successo dopo.

Ma non gli importava.

Cresci, Naruto.

Non gli interessava il futuro.

Non gli interessava quanto male gli facesse ogni colpo che riceveva da ogni Magister, perché lui gliene tornava il doppio, mosso da qualcosa che non capiva ma che amava.

Cambia, Naruto.

Voleva una cosa, la voleva ora.

Estrasse la sua arma.

Divieni, Naruto.

Era solo lui. Era solo. Era sempre stato solo, ma ora era diverso.

Era solo contro tutti.

E in questo modo poteva identificarsi.

«E' questo che vuoi?»

«Oggi, sì.»

«E domani?»

«Probabilmente domani sarò morto.»

Apri la strada, piccolo fiume.

Scava, lento, lento e pacifico.

E quando poi giungerà l'innondazione,

allora

distruggi

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Capitolo 9
*** 8 (Temprato. Morto, ma Temprato.) ***


[Prima pubblicazione: 03 05 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 8 -

Vivo di follia

e di folle amore.

Dammi la follia, Dio.

Salvami dalla ragione, per una volta sola.

- Temprato: morto, ma temprato. -

«Hinata. mh. Fra i guerrieri, nelle ultime schiere.»

Kakashi era chino su di un fascicolo, con una colonna di fogli alla sua destra e tre alla sua sinistra. Fogli – sì, fogli di carta, difficili da copiare, facili da bruciare per conservare nel modo più sicuro le informazioni riservate. Era uno stanzino sobrio, avvolto dal buio totale se non per una piccola luce giallastra puntata sul tavolino. Il Rector tirò una linea con una matita, scorse il foglio, e apparentemente convinto del suo gesto pose il fascicolo sulla pila minore di sinistra.

Ne prese così un altro.

Un lavoro noioso, quello di gennaio, ed in quel momento quasi nostalgico: Kakashi si preparava a pulire la mente, a dimenticarsi completamente di questi ragazzini, come ogni, sacrosanto, anno.

Mise via anche quel fascicolo. E ne prese un altro.

Che lavoro ignobile.

«Oh, questo fila fra gli uomini di cultura, e al volo.»

Si era ridotto a parlare da solo, ritrovandosi ogni anno a dover far il rendiconto di tutto quello che aveva visto ed imparato su quelle piccole persone.

Alla fine erano tutti uguali.

Anche se da qualche anno qualcosa era cambiato, rimanevano tutti uguali: soldatini pronti per il fronte, o ricercatori da chiudere in stanze affollate finché non se ne uscivano con qualcosa di innovativo che avrebbe potuto portare all'Ignis Regio un qualche vantaggio sulle altre regioni.

«Anche questo.»

Un po' come era successo a Tsunade.

«Kiba, eh? Guerriero, sì, ma marginale, ha altro da fare.»

La punta della matita scorreva rapida, segnava nomi, faceva cerchietti, disegnava x sulle caselle: rapida e sicura, una firma e via. Il prossimo, avanti, e vediamo di finirla.

«Guerriero, guerriero, guerriero.»

Kakashi avanzava, le idee ben chiare in testa, a tracciare i futuri del prodi soldati.

«Ancora quattro.»

Sì, ancora quattro. Prese il fascicolo, sgranò un pochino gli occhi.

«Sakura. Intelligenza incredibile e rara, sono anni che non fanno un test con quasi tutte le risposte.. e praticamente tutte giuste. Vai a studiare, vai, ragazzina.»

Firmò e depose.

E ne prese un altro.

«... non è possibile.»

Osservò il foglio.

«Un altro?»

Portò i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita delle mani.

«Shikamaru...»

Si bloccò un'istante.

«Un genio. Ma anche un gran condottiero, se si decide ad impegnarsi ancor di più. E così è indubbio che lo farà: con Sakura.»

Mise a posto il fascicolo: ne mancavano solo due, e sapeva bene quali erano. Li prese insieme, guardandoli, studiandoli, rileggendoli.

Due storie.

Due ragazzini.

Due promessi portenti.

Uno taciturno e pericoloso, con i suoi occhi, con i suoi geni ed il suo passato; ma Tsunade sapeva come tenerlo buono, e anche Kakashi sapeva come lo avrebbero tenuto buono.

L'altro fuori dagli schemi, bocciato, andato avanti con insistenza e uno spirito indomabile. Con qualcosa di molto pericoloso a sua volta, ma inutilizzato. E se Sasuke sapevano come tenerlo a bada, oltre che – soprattutto – cosa poteva e cosa non poteva fare, per quanto riguardava Naruto non sapevano niente. Nemmeno se sarebbe stato ucciso dalla stessa potenza di quella cosa. Perché Tsunade non se ne preoccupava?

Scosse il capo.

Sapeva esattamente cosa fare di loro, lo sapeva dal primo giorno in cui li aveva visti.

Ma... voleva veramente che quei due ragazzini divenissero quello che avrebbero dovuto diventare?

«Kakashi!»

La porta si aprì senza preavviso: il Rector si grattò il capo senza nemmeno voltarsi, nonostante il suo nome fosse stato mezzo urlato.

Non sarebbero stati pericolosi?

No, Sasuke no – si sperava. Conosceva Sasuke. Conosceva la mutazione di Sasuke – fin troppo da vicino. Se la sarebbero cavata, anche se faceva a tutti impressione vedere quel ragazzino così simile a lui custodire lo stesso potere.

Ma Naruto?

«Ehi, Kakashi!»

Fece per prendere la matita in mano, a scrivere.

«E' molto urgente.»

«Va bene.»

Rinunciò, lasciando cadere l'oggetto, e si levò in piedi voltando le spalle alla scrivania. I due fascicoli rimasero lì, come abbandonati – ad attendere che si facesse il futuro dei due ragazzini.

***

Schizzi, a spandersi da un'unica massa tutt'attorno al capo: saldamente cinto alla gola e trattenuto per i capelli.

Aria.

No.

Naruto venne rituffato immediatamente nell'acqua.

I polmoni bruciavano e imprecavano, ma il ragazzino continuava a trattenere il fiato, sebbene anche la testa iniziasse a girargli: respingeva i riflessi con foga, i riflessi che snervati gli dicevano, gli ordinavano, gli imponevano di respirare – ma come respirare l'acqua? Sarebbe morto, se i suoi torturatori gli avessero lasciato riempire di nuovo i polmoni d'aria. Inarcava la schiena, induriva i muscoli, opponeva resistenza: ma erano in tre. E così non faceva altro che sprecare prezioso, preziosissimo ossigeno.

Lasciatemi respirare.

Lasciatemi respirare!

I riflessi ebbero la meglio: il diaframma si abbassò violentemente, e lui tentò di bloccare il riflusso alla gola – troppo tardi, però.

Bruciava. E com'ebbe un sussulto i tre Magistri, realizzando che stava per annegare, lo ritirarono su, rapidamente e con violenza: Naruto ne uscì tossendo acqua come un disperato, lasciandosi cadere al suolo fra piccole convulsioni e gli addominali che si stringevano, a spremere via il liquido dai bronchioli – fra spasmi e momenti in cui andava per soffocarsi. I tre uomini lo tenevano saldo, mai che non volesse prendersi ed andar via: anche se la porta era chiusa e il tredicenne non ne avrebbe mai avuto le forze.

Per Naruto, quella era un'esperienza nuova.

E per la prima volta realizzava veramente cosa significasse essere ad uno starnuto dalla morte.

«Com'è? Mica me l'avete ammazzato?»

«No.», fece uno

«Non ancora.», aggiunse un altro.

Naruto tentava in qualsiasi modo di uscire da quella situazione. Prendeva grandissime boccate d'aria, per poi scoppiare a tossire, e ritornare a respirare affannosamente.

Ma chi aveva osato temere le frustate? Quello era peggio. Non sapeva se esserne felice o meno. Era un masochista. No, ricercava la sfida. E questa era una signora sfida.

L'uomo che aveva ante domandato della sua situazione era seduto su di una sedia, all'incontrario, gomito sullo schienale e mano sul volto pensoso. Osservava il biondo, corrucciato, qualche ruga fra le sopracciglia che tendevano ad avvicinarsi: la bocca un'unica, retta, linea immutabile.

Il ragazzino riusciva a stento a vederne la figura, riuscendo a distinguerla dal fatto che portava una bandana sul capo, e probabilmente era calvo.

L'uomo, possente, si levò lentamente in piedi, con fare meccanico.

«Non molli, eh?»

Naruto aveva gli occhi socchiusi e arrossati, e ne vedeva solo la sagoma, vicina, del volto. Più morto che vivo, parlò.

«Non... non mollo... cosa?»

L'uomo storse la bocca, mise la mano in tasca e scomparve dal suo campo visivo.

Dopo qualche istante, i tre Magistri lo caricarono nuovamente e gli sbatterono il muso nell'acqua.

Naruto non vedeva. Non sentiva. Percepiva solo il liquido tutt'attorno al suo volto, gli occhi serrati, strizzati, gli addominali compressi, e una grandissima boccata d'aria conservata nei polmoni, che, rapidamente, la esaurivano.

Un minuto.

Il cuore pompava il sangue, i tessuti si nutrivano avidi.

Un minuto e mezzo.

Iniziava a sentire fastidio, ma sopportava.

Le frustate. Quelle sì che erano semplici.

Due minuti.

Iniziava a sentirsi mancare, ed ogni angolo della sua volontà era intento a tenere la trachea sigillata con l'epiglottide.

Due minuti e mezzo.

Voglio aria.

Voglio aria.

Iniziò a dimenarsi furente, ma i tre lo bloccavano: l'uomo lo osservava in piedi, a braccia incrociate.

Quasi tre minuti.

Lui non resistette più. Respirò quell'acqua tentando di trattenersi, di stringerne il flusso – bollicine d'aria, un fischio, un sussulto, le fibre muscolari compresse, bloccate, e poi.

Fuoco.

Si rese conto che non era acqua.

***

«Ah.»

Kakashi solcava i corridoi guidato dal Magister, il capo leggermente chinato sulla destra, intento ad ascoltare ciò che la guida aveva da dire – e che aveva osato togliere lui, Kakashi, dal suo sacro et santo lavoro di ogni anno.

«Siamo quasi arrivati.»

L'altro avanzava, e Kakashi si portava la mancina al mento, osservando le piastrelle che si alternavano rapide sotto la loro falcata.

«E adesso? Cosa gli avete fatto?»

Il Magister era abbastanza giovane: non fece un minimo movimento diverso dall'incedere, mentre pronunciava un nome, quasi sacro, conosciuto e temuto.

«Morino.»

***

Un unico, prolungato, tagliente urlo squarciò l'aere per centinaia di metri, a dispetto dei muri.

Con una forza inumana Naruto si alzò di scatto, estraendo la testa dal liquido, scaraventando i tre Magister per terra e finendovi a sua volta, di nuovo, urlante. Serrò i denti per riprendere fiato: ma solo allora giunse il peggio.

L'uomo lo osservava per nulla stupito di quel gesto, di tanta forza e potenza: sapeva bene che il corpo non sfugge alla morte, ma piuttosto al dolore. E quello era un immenso dolore. Come il ragazzino tentava di respirare, avvertiva un bruciore insopportabile. Tossiva, sputava, ritentava: e doleva. Attendeva, ma aveva bisogno di ossigeno. E così si mise le mani nei capelli fradici, raccogliendo le ginocchia, in terra, bloccato in quella spirale di sofferenza dalla quale non riusciva ad uscire. I tre Magistri lo guardavano, tremanti per la reazione che aveva avuto, domandandosi cosa esistesse di tanto devastante da muovere un tredicenne a sollevare e lanciare in aria tre adulti possenti. Si misero in piedi, lontani dal ragazzino, ch'era l'immagine dello strazio più puro.

«Tranquilli. E' normale.»

L'uomo con la bandana si era accorto della reazione dei tre, che di certo non avevano mai visto il trattamento alla Morino di persona. D'altro canto, mai era successo qualcosa del genere nell'Ignis Regio – e mai un corregionale era stato sottoposto a quella tortura. La polverina che l'uomo aveva disciolto poco prima nell'acqua era riservata ai prigionieri di guerra: ma, con un caso del genere, era ciò che trovava più appropriato.

Anzi, era indubbiamente l'unica.

«Morino.»

La porta si aprì: Kakashi, seguito dal Magister che lo era andato a prelevare, osservava l'uomo, per andare infine a guardare Naruto, ancora a terra, ancora nella medesima situazione.

«Gli hai dato il Laniatus.»

Naruto serrava gli occhi e la mandibola, urlava, rantolava, urlava di nuovo, lacrimava, ma sentiva. E sentì la voce del Rector ad affermazione pacata. Il Magister dietro a Kakashi si sporse un po', curioso e sorpreso, infine sconvolto.

«Quello è il Laniatus?»

«Entra, Kakashi. Voi quattro, fuori.»

Morino fu rapido e categorico, e i quattro non esitarono ad andarsene, sia per le regole sia per la propria volontà: i rumori emessi dal tredicenne li laceravano da dentro.

La porta si chiuse.

«Morino, così lo uccidi."

«Sono passati da secoli i tempi del Morto ma Temprato, Kakashi. So bene come funziona il Laniatus.»

Kakashi storse la bocca, flettendosi sulle ginocchia per avvicinarsi a Naruto.

«Ehi, mi senti?»

Naruto non rispose, limitandosi a continuare a emettere gorgoglii, grida e a tirare sincopati colpi di tosse.

«Lo prendo per un sì.»

«Certo che ti sente, Kakashi.» apostrofò Morino, seguendo con uno schiocco della lingua sul palato e andandosi stancamente a sedere, stessa posizione di prima al contrario sulla sedia.

«Naruto, possiamo farlo finire quando vuoi.»

I due guardavano il ragazzino continuare nella sua infinita serie di movimenti insensati, ora a rotolarsi, ora a contrarre i muscoli.

«Per ora lasciamo perdere e parliamo, ti va?»

Naruto ascoltava, e la voce di Kakashi gli sembrò per un momento paterna, quasi dolce.

Lui non sapeva che quella era la prassi.

«Batti un colpo se vuoi che finisca.»

Il tredicenne tirò un pugno di piatto secco, potente e furioso: così Morino lanciò al Rector una fialetta. Kakashi ebbe qualche difficoltà a spalancare le fauci del giovane – di solito li tenevano legati – ma alla fine riuscì a spruzzargli grandi quantità di una specie di vapore diritto in gola.

Naruto si immobilizzò.

Respirò.

Rimase sconvolto da come tutto finì di colpo, come in un incubo: il cuore si stabilizzò rapidamente, iniziò a riuscire ad aprire gli occhi, e la nebbia che gli circondava la mente se ne andò. Di colpo, iniziò a capire cosa gli stava accadendo attorno.

Lasciarono decantare qualche minuto, affinché lui, con gli occhi stralunati, pupille minuscole e fiato avido, rientrasse in sé.

Rimase disteso, a contatto con la terra, sollevò un po' il capo a guardare i due: poi rilassò i muscoli e ripiombò steso.

Cosa era stato?

L'aveva vissuto davvero?

«Ci sei, Naruto?»

Lui respirò ancora, come un beduino si abbevera ad un'oasi trovata per miracolo. «Sì.»

«Bene.»

Il freddo. Il sangue. No, quella cosa non li contemplava. Non toccava la carne, non provocava croste, non passava lentamente: lasciata a se stessa, probabilmente sarebbe stata infinita. Cos'era?

«Parliamo un pochino.»

«Va bene.»

Morino si sporse leggermente in avanti, curioso di vedere nuovamente Kakashi all'opera. Kakashi trattava. Era un ambasciatore – meglio mercante, secondo lui. Morino produceva, Kakashi vendeva.

Era molto tempo che non si incontravano in veste di torturatori.

«Non vuoi riprovare il Laniatus, vero?»

Naruto continuava a non riuscire a credere di essere lucido. Lucido e sano. Un po' tremante per la tempesta d'adrenalina che aveva disperatamente tentato di salvarlo dal dolore – ma sano, lucido e fresco.

«Laniatus, eh? No. Non voglio.»

Così, aperta la strada, il Rector si mise placidamente a sedere per terra, le gambe incrociate.

«Allora, vuoi dirmi cosa hai fatto?»

Naruto attese qualche istante. Guardava le luci al neon. Non sapeva cosa rispondere.

«Va bene, ricominciamo.» propose Kakashi. «Sei andato a fare la tua visitina ai nuovi venuti, come mi hanno detto fai da anni.»

«Sì, lo faccio da anni.»

Aveva ancora qualche problema a spiccicar parola.

«Allora fin qui tutto normale, dici?»

«Sì – tutto normale.»

«E cosa è successo dopo?»

Naruto tacque. Non sapeva cosa rispondere. Morino riusciva bene a riconoscere gli occhi di chi contempla il significato della vita dopo un giro di Laniatus: anche se questo era stato relativamente breve.

«Allora ti aiuto anche qui, va bene? Dopo essere stato catturato – come sembra accada ogni anno – hai opposto resistenza.»

Naruto continuò a fissarlo per qualche istante, prima di rispondere.

«Ho opposto resistenza anche al secondo anno... e non mi avete fatto... questo.» rispose, con il respiro ancora lontanamente pesante.

Aveva realizzato che il Laniatus non gli piaceva per niente. Il suo corpo lo ripudiava. La sua mente lo ripudiava. Lui lo ripudiava. Non voleva averci nulla a che fare: lo odiava.

E dunque il Laniatus funzionava, pensò Kakashi, che degli studenti del sesto anno tutto sapeva, almeno fino alla mattina successiva.

«No, non ti hanno fatto questo. E lo sai perché?»

«Ho solo opposto resistenza.»

«Hai combattuto. Hai usato anche la pistola. Hai ferito i Magistri, e l'hai fatto di tua volontà. Ne hai feriti tanti - e ringrazia che nessun bambino ti ha visto con la pistola in mano, se no a quest'ora saresti morto.»

Naruto tacque, e alla parola 'morto' di Kakashi iniziò a domandarsi come faceva a non esserlo ancora.

Morto.

Gli leggeva negli occhi che stava esaminando quella possibilità, carezzandola con un certo interesse.

«Naruto, rispondimi. E' così?»

«Ho combattuto. Veniamo addestrati per combattere.»

Seguiva una logica tutta sua, e in quel momento ineccepibile. Morino si alzò, domandandosi se non avesse a che fare con un pazzo.

«Non per combattere la tua gente, Naruto!»

Kakashi aveva un tono talmente saldo che lo come svegliò: il ragazzino si mise a sedere, realizzando che non stava parlando con Iruka, ma con un Rector – che per quanto informale fosse sempre stato, mai e poi mai avrebbe toccato lo stesso rapporto che c'era fra lui ed il frustatore.

Naruto incollò le iridi azzurre sugli occhi asimmetrici di Kakashi: era ancora vivo? Possibile?

«Io combatto i miei nemici.»

«Morino, cos'hai messo oltre al Laniatus, lì dentro?»

L'uomo levò le mani a discolparsi: «Nulla.»

Kakashi tornò su Naruto, quasi pietrificato. Il biondo lo guardava con una determinazione inumana, con fredda convinzione, con assurda naturalezza.

Osservò a lungo quel volto.

Temette di riconoscerlo.

Temette che poteva essere peggio.

«Naruto, chi sono i tuoi fratelli?»

«Loro sono i miei fratelli!» rispose il ragazzino, meccanico.

Sì. Ci credeva.

«Kiba è tuo fratello? Sakura è tua sorella?» rincarò.

«Certo.»

«E li aggredisci?»

«No.»

«E i Magistri?»

Naruto tacque, mantenendo il contatto visivo con l'uomo.

Non aveva le idee confuse.

Le aveva troppo chiare.

Di colpo l'uomo dai capelli argentati si sentì sprofondare, come a realizzare che quella tortura, la peggiore, quella che sempre funziona, anziché rendere il terreno malleabile, non aveva fatto altro che consolidare le certezze, più o meno corrette, del giovane.

Esistevano dei nemici all'interno del Ludus, nemici che poteva attaccare. Come aveva fatto a far nascere una convinzione del genere?

Cosa aveva davanti? Era quello, Kyuubi? A quello, portava?

O era Naruto in sé che reagiva così?

Non lo sapeva.

Non lo avrebbero mai saputo.

***

La donna, corrucciata, teneva le braccia serrate sul petto prosperoso, fissando intensamente gli occhi d'un uomo dalla lunga ed irta chioma albina: apparentemente coetanei, avanti con gli anni. Lunghi attimi di silenzio avvolgevano i due, che lasciavano passare il tempo, come intenti ad assaporarlo.

«Se va male posso sempre ucciderlo.»

La donna, al dire dell'altro, storse la bocca.

«Prima tentiamo di recuperarlo. Non è facile trovare un corpo che contenga bene la volpe, sai?»

«Lo so bene, Tsunade – ma devi capire...»

«Io capisco. E capisco anche che al momento non abbiamo un altro posto dove mettere il demone.»

«Non ce n'era un altro?»

«Non più.»

Jiraiya si ammutolì, osservando il soffitto.

Non più. Possibile? Sì, possibile. Sembrava che i corpi adatti a contenere la volpe non fossero adatti a reggere il Ludus. Magari il ragazzino chiamato Naruto aveva sì resistito – ma a quale prezzo? Doveva avere un corpo forte, una mente forte, almeno a detta di Tsunade. E invece... alla faccia del mens sana in corpore sano.

Mens indemoniata in corpore indemoniato. Ecco la verità.

«Tu tienilo d'occhio.» insistette la donna. «Anche se ha fatto una cosa così stpida, Morino e Kakashi assieme dovrebbero averlo sistemato. La psiche è una cosa molto malleabile. Quindi, appena esce dal loro trattamento, fai in modo che non abbia più dubbi su chi è il suo vero nemico. Non mi importa cosa dice Kakashi: deve combattere.»

«Lo vuoi mandare immediatamente al fronte?»

«Deve capire bene chi è e cosa è, e soprattutto che ha bisogno di noi.»

«Tsunade, se la cosa sfugge di mano è pericolosa.»

«So come tenerlo buono.»

«Dammi almeno il permesso formale. Sai che non si sa mai.»

La donna chinò il capo verso il pavimento, una mano a massaggiare la fronte dolente e disperata. Si sentiva intrappolata, e la cosa più fastidiosa era che aveva fatto tutto da sola. Nessuno poteva aiutarla.

Eppure quelli della Venti Regio sapevano tenerlo a bada, un demone. Dove aveva sbagliato?

Riportò lo sguardo sull'altro, alto e possente, che attendeva una risposta.

«Va bene, Jiraiya. Se serve, hai il permesso di ucciderlo.»

***

«Rientra nelle tue schiere, Naruto!»

Kakashi parlava sputando immense quantità d'aria, che facevano la sua voce possente ed altisonante – a far tremare il pavimento e le mura, a superare le urla di dolore del giovane.

«Chi sei? Lo sai chi sei? Non sei nessuno, sei solo uno degli infiniti ragazzini che solcano l'Ignis Regio!»

Naruto tremava e soffriva.

«Dove vai, eh? Dove vuoi andare? Non hai posto dove andare, questo lo sai, Naruto?»

Eccome se lo sapeva.

«Rimani fra i tuoi fratelli, segui le guide come hai sempre fatto!»

Il Rector rituffò il biondo nell'acqua corrotta. Il Laniatus, ecco cos'era: una polverina che si discioglieva nell'acqua rendendola acqua dannata, che brucia come il fuoco, che dura in eterno se i torturatori non decidono di farlo smettere.

Uccidetemi, pensava Naruto.

Morino sedeva osservando il lavoro del compare, che plasmava la mente del piccolo ribelle.

Oh, no, nulla del genere era mai successo. Generazioni e generazioni di Custodes avevano condotto la loro vita senza pensare neanche vagamente alla ribellione. Per quanto questa uscita, totalmente fuori dagli schemi, non fosse contemplata nelle regole e nelle leggi della regione, loro ci avevano pensato: e quello, per esperienza sul nemico, era il metodo migliore.

Il Laniatus grattava con una ferocia mai contemplata prima, pareva acido a bruciargli le mucose, impedendogli di fare qualsiasi cosa se non urlare e respirare dolorosamente. Kakashi lo cacciava nel liquido, attendeva che a furia di spasmi e riflessi il giovane ne facesse entrare un altro po', e lo ritirava fuori sbattendolo contro i muro.

Naruto voleva morire.

Kakashi lo guardava e gli parlava freddo come non mai.

«Riesci a cancellare tutto, Naruto?»

Lui non poteva rispondere.

«Ti basta eliminare e adeguarti, non ti ci vuole niente, la tua mente può farlo - e noi lo sappiamo.»

Gli occhi del giovane erano serrati e rossi come il fuoco.

«Cancella e ricomincia, Naruto. So che lo puoi fare. Avanti.»

Il biondo si domandava perché quando serviva non c'era mai un coltello sotto mano.

Poco male, c'era sempre il muro.

E dopo mezz'ora di dolore atroce quella gli sembrava la soluzione migliore: Kakashi lo teneva per il colletto, e lui iniziò a dare testate alla parete.

No, troppo facile.

Il Rector lo scostò prontamente, riconoscendo un comportamento già visto e rivisto infinite volte.

«Lo facevo più resistente.»

Morino era quasi divertito dalla scena. Kakashi porse la mano a chiedere la fialetta con l'antidoto, che l'uomo gli lanciò quasi nolente.

«Allora? Siamo noi i Nemici? Siamo noi quelli da combattere? O gli altri?»

Basta. Vi prego, basta.

«Noi ti abbiamo cresciuto, istruito, l'Ignis Regio è la tua casa, lo vuoi capire o no? Chi sono i tuoi fratelli, eh? E i tuoi genitori? Chi sono? Noi, siamo, Naruto!»

Il cuore saltò un battito.

Così l'uomo dai capelli argentati iniziò a cospargere il ragazzo di quella sostanza benefica, lasciandolo cadere a terra. Kakashi incombeva sul tredicenne.

«Chi sono i tuoi fratelli?»

Un rantolo.

«Allora?»

Tono rigido. Naruto si era fatto ingannare dalla cordialità di Kakashi, ecco cosa aveva fatto. Ed ora subire una cosa del genere da un uomo apparentemente pacifico lo faceva sentire ancora più piccolo, inutile e sopraffatto.

«Tutti.»

Aveva riacquistato per la quarta volta la facoltà di parlare.

«Chi sono i tuoi fratelli?»

«Voi siete i miei fratelli»

«Torna nel gregge.»

Aprì gli occhi, che lentamente si sbarrarono verso il Rector.

Lo temeva.

«Sì.»

«Sei figlio dell'Ignis Regio, Combatti per l'Ignis Regio.»

Tutto, pur di non tornare ad essere come prima. La mente iniziava a cancellare. Ridotta ad una poltiglia, cancellava. Tutto, pur di non riprovare per l'ennesima volta quella cosa.

Via le visite ai nuovi all'inizio dell'anno.

«L'Ignis Regio ti ha dato la vita, come ha dato la vita a tutti – e per tutti, le appartiene. Questo lo capisci?»

Via la frusta.

«Noi siamo le uniche persone di cui ti puoi fidare. Perché non ti fidi dei Philosophi? Dei Recoters? Dei Magistri? Perché aggredisci i Magistri? Perché ti ribelli al tuo stesso ed unico mondo? Sono qui per te, siamo tutti qui per te, nostro fratello Per tutte le nostre sorelle e per tutti i nostri fratelli.»

Via Iruka.

«Sei con noi, Naruto, vero?»

Via Konohamaru.

«Resterai con noi, vero?»

E via la voce di Kyuubi.

«Sì.»

***

Naruto si risvegliò una settimana dopo.

La prima cosa che vide fu un soffitto bianco e freddo.

La seconda cosa che vide, voltandosi, fu la calibro 45.

Poggiata sul comodino chiaro, sopra una specie di centrino bianco, quasi messa lì, apposta per lui.

La osservò, tentando di ricordare dove l'aveva già vista.

Amnesia.

Sì. All'inizio del sesto anno anno. Sì. Lo sparo. Sì, il fuoco.

Tentò di sporgersi a prenderla, ma fu invaso da un enorme senso di stanchezza.

Cos'era successo?

No, non aveva importanza.

La sua mente gli diceva che il passato non aveva importanza alcuna.

Radunò le forze per arrivare all'oggetto del suo desiderio, afferrando l'arma metallica e ricadendo sul materasso, stranamente morbido.

Dove era?

Perché era lì?

La sua mente gli diceva che non aveva importanza alcuna.

Osservò la pistola, sentiva in mano il caricatore presumibilmente vuoto: fece pressione per toglierlo.

Un proiettile.

Uno solo.

Fatemi morire.

Perché l'aveva pensato?

La sua mente gli diceva che non aveva importanza alcuna.

No, non voleva morire.

Perché avevano messo un proiettile, lì dentro?

La sua mente gli diceva che non aveva importanza alcuna.

Infilò nuovamente il caricatore al suo posto, facendo poi scivolare la mano sulla canna.

Era freddo.

Dove aveva già sentito il freddo, quello pungente, quello fatto di spilli?

La sua mente gli diceva che non aveva importanza alcuna.

Guardava l'arma.

Non voleva vedere null'altro.

Non voleva pensare a null'altro.

La sua mente gli disse che era meglio così.

Tirò il carrello, che slittò infilando il proiettile nella canna.

Che bella sensazione.

Chiuse un occhio, mirò.

Perché un proiettile? Perché lasciarla a portata di mano? Perché il freddo? Perché la morte?

La sua mente gli diceva che non aveva importanza alcuna.

E a Naruto andava bene così.

Non sparò.

La rimise a posto.

Carica.

Perché no?

Nessuno poteva fargli niente.

Lui non avrebbe fatto niente a nessuno.

Carica ed incustodita.

Perché Naruto si fidava.

***

«Ha funzionato, allora.»

«Sì, Tsunade. Sai che funziona.»

«Non mi sembri molto convinto, Kakashi.»

«Ti ho raccontato come sono andate le cose. Per un momento mi è sembrato un pazzo.»

Tsunade lo scrutò immobile, inchiodandogli negli occhi le sue due pupille affilate.

«Pazzo, Kakashi?»

«Oppure un illuminato, a scelta.»

Lei abbassò lo sguardo, posando gli occhi sul tavolo. Si chiuse per interminabili secondi in un silenzio eloquente.

«Si è solo perso, succede.» concluse infine la donna, con un filo di voce.

«Stagli dietro, Tsunade.»

«Gli sto dietro.» sillabò, adirata. «Ma ho anche altri ragazzini a cui stare dietro, questo mi sta logorando.»

«Ti rendi conto che è la prima volta che diamo il Laniatus ad uno della nostra regione, vero?»

«HA! Come se non avessimo fatto di peggio.»

«Non abbiamo mai fatto di peggio.» sottolineò Kakashi. «E' Laniatus. E' peggio della morte. Peggio di qualsiasi altra punizione: per me siamo oltre al limite.»

«Kakashi, so quello che faccio. Jiraiya lo terrà d'occhio.»

«Jiraiya? Ne sei certa?»

«Ci ho parlato personalmente – vuoi che non mi preoccupo dell'unico ribelle della regio che per pura coincidenza ha nel suo corpo quella cosa? Non sono un'idiota, Kakashi.»

«Oh, questo lo so. Mi domando piuttosto se sia lui ribelle o se sia la volpe, ribelle.»

«E anche se fosse?»

I due si guardarono apatici.

«Non ha importanza. Jiraiya guiderà un gruppo del secondo ciclo al confine con la Venti Regio – come avremmo dovuto fare sin dall'inizio –, e in questo gruppo ci sarà anche Naruto, oltre ad altri ragazzini che dobbiamo sperimentare sul campo.»

«Sicura di quello che fai?»

«Sono solo le solite scaramucce di frontiera, Kakashi. Gli farà bene. A tutti.»

I bambini camminano per una retta via.

I bambini proseguono, seguendosi l'un l'altro.

Chi li guida non lo sapranno mai.

Ma i bambini di fidano, l'un l'altro.

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Capitolo 10
*** 9 (Fuori dal Nido.) ***


[Prima pubblicazione: 09 05 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 9 -

Sono, non sono.

Sono.

Ops.

Non sono più.

- Fuori dal nido. -

L'uomo era alto e possente. Molto alto e molto possente. Naruto lo guardava dalla sua misera statura, contro i quasi due metri del colosso dalla folta e lunga chioma albina.

Il colosso guardava Naruto.

Oh, Naruto odiava quando la gente lo guardava, lo studiava, e lui sapeva benissimo che tutti tendevano a solcare rapidamente i suoi sei baffi vigliacchi.

Naruto fissava il colosso.

E il colosso fissava Naruto.

Il contatto visivo durò qualche frazione di secondo, poi Jiraiya si scostò, passando all'allievo successivo. Così il biondo si sgonfiò, andando a urtare sul nuovo giubbotto antiproiettile, le misure prese decisamente male. Si scrollò un secondo, ancora poco avezzo alle nuove divise.

E dunque, era finita.

Sasuke lo guardava da lontano, sporgendosi un po', con una strana curiosità che Narutonon riusciva a capire: Sasuke non aveva mai badato a lui. Sasuke rispondeva monosillabico quando lo importunava, ma basta. Naruto fece scivolare le pupille verso il ragazzino, rimanendo col capo che pareva guardare altrove: alla fine si voltò definitivamente verso il compagno, lontano.

Si osservarono un secondo.

E in contemporanea tornarono sull'attenti, slegando quel momentaneo discorso di iridi e pupille.

Era finito il momento dell'apprendimento.

Naruto aveva tredici anni, molti dodici, ed un bel manipolo era già stato preparato per l'addestramento sul campo.

Quello vero.

Quello dove devi badare ad ogni passo che compi, per non divenire polvere dopo nemmeno un secondo di permanenza.

Erano passati molti giorni da quando era stato dimesso dalla sala grande dell'infermeria, quella dove curavano i ragazzini o bambini che se l'erano vista veramente brutta. Naruto non ricordava come ci fosse entrato, ed ogni qual volta in cui tentava di scavare nella memoria un muro si frapponeva fra lui e i ricordi: ricordi che percepiva, che sapeva di avere, ma che dolcemente abbandonava e decideva di lasciar stare. D'altro canto, non poteva avere così importanza. E il Medicus gli aveva detto che era caduto dritto dritto di testa dall'albero dove dormiva. Lui dormiva talmente spesso sugli alberi, che ci credette ciecamente.

Perché non crederci?

Una piccola commozione cerebrale, forse un po' ingarbugliato con i ricordi, sì, ma nulla di tragico, no. Ecco perché non aveva nessuna ferita, ne' nulla di rilevante sul corpo. Ecco perché si sentiva semplicemente stanco e intontito.

E perché non credere a quella versione, di grazie?

Era o non era, ciò in cui Naruto più credeva, che quella fosse la sua famiglia? Che i ragazzini fossero i suoi fratelli? Oh, sì. Lui ci credeva.

La menzogna non era contemplata nella sua mente sciupata.

Naruto scosse con un secco gesto il capo, a voler scacciare una ciuffo dalla fronte, fastidioso.

Laggiù era buio.

Luci azzurrognole al neon illuminavano il soffitto a intervalli regolari, vaghi, e la luce non riusciva a propagarsi perfettamente nell'immenso salone circolare.

Naruto non aveva mai visto un salone così immenso.

Vi passava i giorni da un mese, quasi, eppure ogni giorno in cui ci entrava rimaneva allibito dalla grandezza di quella sala.

C'era il trucco, allora.

Le luci al neon erano talmente alte da sembrare stelle nel cielo notturno.

Sì, c'era il trucco.

Altro che mezza sfera schiacciata.

La Sphaera era una sezione di sfera. Un terzo di sezione di sfera. Forse meno.

Il resto era interrato, ed era lì, tutto per loro, dove loro vivevano, dove loro lavoravano. Custodes: questo erano, ormai. Circa due anni di apprendistato ancora, in cui farsi la pelle e affinare le armi. Ma Custodes. E insieme a tutti i Custodes, si rintanavano nella SubSphaera.

Naruto iniziò a scorrere la lunghissima riga di ragazzi, cercando di capire con quale logica quel manipolo fosse stato creato. Non erano tanti: un centinaio, forse. Tentò di aguzzare lo sguardo: alcuni erano illuminati, altri in mezza penombra, e le sagome erano abbastanza lontane da essere vagamente riconoscibili.

Neji.

Non lo vedeva da un bel pezzo. Tentò di lanciargli un sorriso, ma il giovine permaneva sull'attenti, come tutti. Ma cosa stava facendo? Che idiota. Naruto si rimise a sua volta sull'attenti, mentre Jiraiya continuava a camminare lungo la schiera di Custodes.

Ci volle molto tempo prima che l'uomo finisse, ma una volta compiuta quella specie di ispezione, la sua voce potentissima risuono per tutto il salone.

«Seduti.»

I ragazzini si sedettero.

Sasuke osava, raramente, domandarsi cosa avessero fatto a Naruto, che dopo una permanenza piuttosto lunga nella sala di degenza, era tornato – sì, ma stranamente placido.

Che l'esperienza vicina alla morte gli avesse ridimensionato lo spirito?

Sasuke si limitava a stringersi nelle spalle, ogni volta in cui pensava a questa cosa, eliminando il problema con un gesto che stava iniziando a ripetere un po' troppo spesso, quasi facile da scambiare per un tic. D'altro canto, a lui la cosa non interessava e non doveva interessare. Osservò quell'enorme e possente Custos che li pareva esaminare: eppure riusciva a non scorgere lo stesso interesse che, circa un anno prima in una situazione del tutto simile, aveva notato in Kakashi.

Seduti: erano lì, in un punto quasi imprecisato del larghissimo, unico piano, il cui pavimento corrispondeva alla maggiore superficie della sfera del Ludus.

Passavano il tempo a sentirsi piccoli e inutili, e a quello serviva quello spazio sterminato, vuoto e artificiale sotto ogni aspetto.

Passavano il tempo senza sapere cosa stava succedendo. Come al solito, d'altro canto.

Per questo non erano troppo scandalizzati.

Jiraiya scomparve dalla loro vista.

«L'elenco.»

Kakashi passò all'altro un foglio, che Jiraiya gli strappò rozzamente di mano e si mise a leggere con rapidità.

«Ci sono tutti quelli di cui avete fatto nome.» Ci tenne il Rector a precisare. L'altro fece come se non avesse sentito nulla e continuò a leggere. Una sfilza di nomi, una sfilza di note, ragazzi di età diverse: macinava i dati come una macchina.

«Hm.»

«Ho finito?»

Kakashi voleva andarsene. Quello non era il suo posto, ci metteva piede sì e no due volte all'anno, e come l'aveva odiato e sorpassato al volo da ragazzino, lo evitava anche ora.

«Sì, vai.»

Kakashi aveva passato i suoi primi anni da Custos offrirsi volontario per uscire di lì: così, entro breve diventò, un esperto del fronte.

E diventando un esperto del fronte, divenne un esperto di persone.

«Kakashi, aspetta un secondo.»

Il Rector interruppe il suo incedere con un gesto lontanamente stizzito, ben nascosto, e si voltò nuovamente verso l'alta figura.

«Sì.»

«Neji e Hinata?»

«Sì.»

«Hai fatto tutto tu?»

«Così mi ha detto di fare Tsunade. Mettili assieme e vedrai che funzionerà.»

«Dici che sono uguali?»

«Identici. Sbattili in fondo e dagli l'arma appropriata. Spero che Neji si prenda cura di Hinata, altrimenti la ragazza non ne esce. Troppo timida.»

«Non mi interessa di ragazzine timide. Mi interessa la loro vista.»

«Cecchini, l'ho scritto. Fucile da cecchino e armi da corta distanza. Molto vicino o molto lontano. Per ora meglio molto lontano.»

«Va bene, va bene – non mi interessa. Molto lontano. Fine.»

Jiraiya tornò a fare segno di andarsene.

Kakashi si voltò quasi felice. Senza darlo a vedere, ovviamente.

Il Rector era un signor genio. C'era poco da fare, forse era uno dei pochi che fu sbattuto fra i guerrieri anziché fra gli uomini di studio, nonostante i test quasi completi e mostruosamente corretti. Uno dei pochi assieme ad alcuni leggendari, ed uno un po' meno.

Andò sul campo, e poiché odiava il buio della SupSphaera di andò estremamente spesso: e un giorno perse un occhio.

Cose che succedono.

«Kakashi!»

Ancora? Pensò lui girando sui tacchi.

«Sasuke?»

«Mi deve tenere a bada l'altro.»

Jiraiya non scorse nemmeno il foglio per controllare chi fosse l'altro, nonostante lì fosse tutto ben spiegato. Effettivamente, se quei fogli fossero finiti fra le mani di un allievo, avrebbero distrutto un'intera annata di lavoro, rompendo il metodo d'istruzione ed avviamento alla guerra che da sempre, da che si ricordassero, aveva funzionato perfettamente.

«Mi pareva d'aver capito che anche Sasuke dovesse essere tenuto d'occhio, o sbaglio?»

«Sì, ma Tsunade dice che, in pratica, il problema non sussiste.»

«Per lei i problemi non sussistono per principio.»

Jiraiya espirò rumorosamente.

«Va bene. Vai, ma sappi che qui sotto ci torni presto. Quest'annata è un incubo, accidenti a Tsunade e ai suoi dannati esperimenti. Ho bisogno che controlli Sasuke, anche solo da qui, ma che lo tieni d'occhio – io devo già badare al demone.»

«Come vuoi.»

Kakashi se ne andò senza attendere il cenno di Jiraiya, venendo inghiottito dall'ombra della SubShpaera.

Per un mese Naruto e tutto il suo anno aveva fatto la vita tipica del secondo ciclo, il quale durava di media un anno e mezzo. Poi dipendeva, c'era chi se ne andava prima, e chi rimaneva lì per più tempo. In un modo, o nell'altro.

Se ne stavano al buio, a lavorare più di prima: ogni misero istante della loro vita era programmata.

Finché non accadeva quello.

Quello che stava accadendo ora.

Ma perché il buio?

La luce la vedevano una volta alla settimana, per andare nel bosco a farsi la notte fuori, quella di sopravvivenza – mai che si abituassero bene.

Dovevano affinare la vista.

Imparare a non contare su di lei.

O svilupparla oltre il limite che avevano già passato. Ma questo, valeva solo per alcuni, e solo da qualche anno.

Il buio aveva sempre funzionato, per migliorare i sensi. Tutti.

Il buio avrebbe continuato a funzionare.

Jiraiya riapparse alla schiera del secondo anno, ragazzini dai dodici ai quattordici anni che attendevano da un paio d'ore, così, fermi, immobili.

L'uomo li guardò un secondo. Scorrendoli tutti. Tutto sommato era abbastanza buono, come manipolo.

«In piedi!»

Scattarono sull'attenti. L'uomo camminò sino ad uno degli apici della fila, di fronte al ragazzino più estremo, e tuonò nuovamente:

«Nomen!»

La fila iniziò a scorrere.

Naruto stava in riga assieme agli altri, osservando mezzo assopito la schiena di quello davanti, avanzando di un passo ogni tanto.

Naruto aspettava come gli altri.

Naruto faceva ciondolare il capo, mezzo incassato nelle spalle.

Quella cosa che gli avevano fatto indossare da quasi un mese era decisamente scomoda.

Una tuta nera, pantaloni e maglia a maniche lunghe, dal collo medio-alto che avvolgeva il collo; una specie di giubbotto antiproiettile, stivali – per fortuna immutati – e due bracciali lungo metà degli avambracci, argentei e rifiniti in varie sezioni rettangolari: nascosto fra il metallo rilucente soggiornava uno schermo tattico.

Tattico, perché, come ormai gli avevano ripetuto un centinaio di volte, tutti i segni vitali erano lì segnalati.

Che farsene?

Oh, molto. Soprattutto imparare a controllare le pulsazioni durante l'allentamento: rallentarle, moderarle, dominarle – una cosa piuttosto difficile.

Così Naruto era immerso nei suoi innocui pensieri, quando, senza sapere bene come fosse potuto accadere, si ritrovò capo fila, fronte all'uomo dalla bianca chioma. Alzò lentamente il capo per andare a finire con lo sguardo sugli occhi del Custos: solo ora si rendeva conto di quanto fosse in età. D'altro canto, non aveva mai visto nessuno che avesse più di trentacinque anni.

Sapeva che la vita poteva essere assai più lunga.

Ma era una cosa teorica. Trovarsene davanti un esempio pratico che non fosse il vecchio Ignis Umbra, ma un guerriero possente e prestante, lo lasciò un po' atterrito.

Jiraiya, dal canto suo, osservava quel ragazzinomezzo dormiente, che solo ora sembrava ripresosi: la bestia. L'opera più sofferta di Tsunade, quella più attesa e bramata: prima ancora di funzionare iniziava già a dare problemi. Ne scrutò gli occhi azzurri, pensoso.

Kakashi aveva detto che era stato temprato.

Jiraiya ci credeva: decise di dare fiducia al Rector e a Tsunade. E, di conseguenza, al biondino.

«Naruto.»

Fece il giovine con un certo ritardo, annunciando il suo Nomen. Jiraiya storse la bocca, osservando il foglio annotato che reggeva in mano: un continuo andare di frecce, note, parole sparse qua e là che rendevano chiarissima la situazione forse troppo conosciuta del ragazzino che aveva davanti a sé.

«Tu usi la calibro 45 che ti è stata data come prima arma da fuoco, vero?»

Naruto fece cenno di sì.

«Pare che ti ci trovi bene. Prendi e vattene.»

Si fece passare una scatola di medie dimensioni che diede al ragazzino, un cassone nero cromato sigillato, chiaramente preparato con anticipo.

Narutointuì che erano parecchio organizzati, e come ogni volta di tutta quell'organizzazione si meravigliava.

Prese l'oggetto, e come ricevette il cenno di andare, fece per accostarsi agli altri.

Ma Jiraiya lo richiamò.

«Ehi!»

Al biondo si congelò il sangue nelle vene.

E adesso cosa aveva fatto?

Si voltò, immobile dov'era, pietrificato.

L'uomo lo osservò un momento, e senza compiere alcun gesto si limitò a sibilare : «Ignis Regionibus.»

A Naruto si illuminò il volto: portò il pugno al petto, un colpetto, e poi un forte colpo di palmo.

«PATRIE FRATES! FATI FRATES!»

La voce ancora infantile del tredicenne riuscì a risuonare con la stessa potenza di quella dell'uomo, disperdendosi per la sterminata sala.

Jiraiya si portò una mano al mento, osservando la reazione del giovane.

Troppe attenzioni per quel bambino senza Gens, pensò.

Scostò un secondo lo sguardo a guardare da un'altra parte, e tornò su Naruto.

«Vai.»

***

Il gruppo era finito a camminare lungo il perimetro della sala – cosa che portava via decisamente molto tempo –, verso una meta come al solito sconosciuta. Tutti stringevano la scatola che a tutti avevano dato, e meccanici avanzavano.

Hinata era rimasta ad osservare per tutto il tempo un ragazzo che procedeva tre persone più avanti.

C'era molta gente che Naruto conosceva, pensò il biondo.

Sasuke.

Kiba.

Neji e Hinata.

Chissà se si erano incontrati, pensò.

Si fermarono di colpo.

«Su cinque righe!»

E cinque righe furono, compattate, più o meno precise, eppure ordinate: occhi a fissare l'uomo.

Sempre la stessa storia.

Sempre gli stessi gesti.

No, aspetta.

Jiraiya andò a toccare la superficie della parete, come se avanzasse a tatto: gli sguardi di taluni ragazzi seguivano il movimento della sua grande mano.

«Oggi, per voi, è giorno di battesimo.»

Naruto si sporse un po' in avanti, incuriosito da quel nuovo vocabolo.

Battesimo?

«Avremo tempo di parlare, ma dopo.»

Alcuni erano intimoriti, ma per molti l'idea di andare incontro a qualcosa di completamente nuovo e mai visto suonò quasi naturale.

Il Ludus funzionava.

«Ora ascoltate. E basta.»

Lenta, nella penombra, qualcosa si sollevava.

«Vi chiamerò a gruppi. Iniziamo.»

Il biondo si sporgeva curioso, assieme ad altri: uno sporgersi che rimaneva abilmente celato dall'attenti.

C'era un'apertura, dunque.

Cosa c'era dietro l'apertura?

«... .. Sasuke....»

Lentamente iniziò a vedere anche oltre, aiutato da qualche luce che, lenta e pigra, si accendeva anche oltre la parete.

«... e Naruto.»

Guardarono in molti, tutti videro.

Ignoranza.

Quella la prima parola che sfiorò i loro cervelli.

Conoscenza.

Fu la seconda.

Compattamente scrutarono dentro una nuova stanza che si rivelava a loro, avidi di sapere.

Jiraya li guardò, come guardava spesso i ragazzini al battesimo. La mano al mento, osò fare qualche previsione.

Erano ottantaquattro in tutto.

Tre.

No, di meno. Due.

Due morti entro il primo trimestre. Non di più.

Guardò il biondo ribelle.

Perfettamente integrato.

Volate, gabbiani

verso il mare

vostro amico

verso il largo

vostra mai vista casa

e subito capirete

che per quello

siete nati.

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Capitolo 11
*** 10 (Battesimo.) ***


[Prima pubblicazione: 14 05 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 10 -

Chi sa ruggire esplode.

Ringhia al mondo con grande foga.

Chi non lo osa fare soccombe:

Soccombe con grande pena.

- Battesimo. -

Un'armata.

Ecco cosa nascondeva il muro che si era levato, in alto, a lasciar vedere la nuova, altrettanto enorme, stanza. Un'armata.

Un'armata e un fiume.

Naruto respirava sempre più profondamente, quasi andasse in iperventilazione.

Un'armata.

Sasuke stringeva i pugni delle mani inguantate.

Ecco cos'era che ancora non avevano visto nella loro vita: un'armata. Non una massa di bambini: una vera armata. La fanteria. L'esercito.

Neji sorrise, osservando quegli altri come lui solo, era convinto, poteva fare.

Un'armata.

Kiba ascoltava il circondario, convincendosi già di sentire l'odore del sangue.

Un'armata e un fiume.

Hinata guardò un momento Neji, e poi guardò gli altri. Nel modo in cui anche Neji poteva guardarli.

Come se fossero vicini.

Come se la distanza non esistesse.

Come se la vista non avesse limite.

Capivano. Ora, capivano.

La loro mente era un fluire di pensieri che, lenti ma inesorabili, iniziano a prendere forma: un a forma a senso compiuto, un nesso – e l'intelletto accelera.

Attratti da quella che è una calamita, capiscono.

Realizzano.

Larghi sorrisi sui volti dei ragazzini.

Loro, che erano stati catalogati, si sporgevano.

La magia del senso compiuto s'insinuava nel loro spirito.

Sorridevano.

La perfezione della chiarezza li cullava.

Ora, tutto aveva perfettamente senso.

E gli piaceva.

Un'illusione che loro percepivano ingigantita come non mai.

Nessun Custos andava infelice al fronte. Mai.

***

Rosso.

La sabbia, e il Rosso.

Il Rosso guardava in terra, avvolto da una tunica bianca e sgualcita. Le maniche assenti lasciavano vedere un paio di braccia secche e malnutrite.

Il Rosso guardava la sabbia, in terra.

Aprì la mano.

Guardò attraverso le ossa rivestite di quel poco di pelle.

Chiuse la mano.

Lui era il Rosso.

No, lui non era il Rosso.

Perché lui non poteva essere.

Quale immensa libertà.

***

Una lunga schiera di ragazzi osservava le cinque righe di Custodes.

Cinque righe di Custodes osservavano una lunga schiera di ragazzi.

I Custodes avevano uno sguardo che gli altri non conoscevano.

I ragazzi avevano uno sguardo perplesso e incuriosito.

C'erano due mondi che si incontravano.

Nulla più.

Dietro quelle sagome, più mature, le luci artificiali lasciavano vedere qualcosa che per i giovani non era stata altro che teoria. Una leggenda, quasi. Un tubo di tre metri di diametro interno, questo lo sapevano. Formato da resistente materiale trasparente, a reticolato che mimava le trabecole ossee. Cinquanta centimetri dove viaggiava quella rete: e dove non c'era rete, una sostanza molle e compressa riempiva le pareti del tubo, trattenuta dai due rivestimenti – quello interno e quello esterno.

Era l'Effluxum.

Sì, i Custodes sapevano perfettamente come quell'affare funzionava. Ma non l'avevano mai visto in vita loro.

Il tubo era pieno d'un liquido simile all'acqua: lungo le pareti interne correvano varie guide, come piccoli solchi incisi. All'interno, immerso nel liquido e a minima distanza dalle pareti, sostava una specie di lungo vagone snodato perfettamente cilindrico. La punta era affusolata, a siluro, mentre il fondo era leggermente concavo.

Gli altri ragazzi, invece, lo utilizzavano da moltissimo tempo, e non avevano idea di come funzionasse. Ma poco importava, per loro.

Mentre per i giovanissimi Custodes era una teoria che si faceva pragmatica realtà. Ogni tanto, lungo il tubo, v'era un'apertura: si trattava di un'immensa metropolitana che scorreva nel liquido, trattenuta a distanza sfavorevole agli attriti grazie a campi magnetici spezzati da rivestimenti al piombo. Non era armata di motore proprio.: una pompa, molto più a monte, faceva scorrere il fluido lungo tutta la tubazione: tutto ciò che si trovava lì dentro scorreva in contemporanea.

Ecco perché i trasporti dell'Ignis regio erano precisi in maniera esasperante.

I ritardi non erano ammessi, o meglio, nemmeno contemplati.

Libertà di movimento: un concetto assente.

Ma gli abitanti dell'Ignis Regio non la bramavano.

Le guide servivano a stabilizzare il siluro, che correva sempre, più o meno, diritto, senza rumore alcuno, senza vibrazione alcuna. Tranquillo.

Non si sprecavano energie, nell'Ignis Regio.

Servivano per fare altre cose.

Naruto aveva, come gli altri, intuito. Ebbro di quella sensazione, che gli dava la maggior realizzazione mai provata, dimentico del suo masochismo e della sua improvvisata sfida alla vita stessa osservava uno dei pochi mezzi di trasporto del suo luogo natio.

Nessun riguardo per quelli che, come tutti gli altri, aveva saputo catalogare immediatamente come suoi sottoposti.

«Sono dei bambini...»

Il sussurro veramente malcelato di uno dei ragazzi diede il via ad un parlottio lieve e sommesso che allibì i piccoli Custodes.

Perché parlavano? E la disciplina dell'Ignis Regio che fine aveva fatto?

Un uomo, alto e robusto, fece tonare la voce, zittendolii: Jiraiya lo guardò sottecchi.

«Dovresti tenerli più a bada.»

«Domando scusa, JiraiyaCho.»

Lo sguardo di Jiraiya fu carico di qualcosa che Naruto non seppe individuare, mentre osservava, da lontano, la scena. Perpetuamente sul'attenti.

«SILENZIO!»

Il sangue dei ragazzi si gelò, cristallizzato dalla voce possente dell'altissimo Custos che digrignò infastidito i denti: i ragazzini rimasero impassibili, ormai avezzi a quei toni – sebbene dovevano ammettere che non avevano mai incontrato una voce più potente di quella di Jiraiya, che scuoteva ancora un poco le loro membra.

I due gruppi si studiavano.

Si annusavano.

Come due branchi di lupi.

Kiba allargava le narici, sorridendo.

«Non un'altra parola. Il primo che fiata e la sua vita avrà il disonore di non finire per mano di un nemico. Intesi?» Il tono del Custos era tornato normale, eppure continuava a risuonare, alto: i ragazzi furono presi alla sprovvista da quella potente minaccia.

I ragazzini erano degli abitué delle minacce di morte, dette con parafrasi più o meno poetiche.

L'aria era strana: la sentiva Naruto, la sentiva Sasuke. Per un momento, gli sguardi dei due scivolarono l'uno sull'altro, ricordando che prima Jiraiya aveva fatto assieme i loro nomi. Già, prima aveva elencato una serie di gruppi. I due ragazzini tornarono a guardare verso quell'altra, immensa, schiera.

«GaiBes.» Jiraya si scostò. L'altro uomo – apparentemente il capo dei ragazzi più grandi, si fece avanti: aveva capelli neri e lucenti, corti come il velluto.

I giovani del secondo ciclo lo osservavano: un essere possente, più possente di qualsiasi altro mai visto prima. Le pupille scorrevano sulla cute, riconoscendo che anche gli altri ragazzi erano similmente quasi rasati a zero, e similmente carri armati umani.

Gli sguardi di quelli scorrevano a loro volta i ragazzini, con una quasi aria di superiorità. Gli occhi erano colmi di qualcosa di sconosciuto: i nervi fremevano.

Congelati. Tutti.

I ragazzini assottigliavano gli occhi, a voler imporre la loro autorità, che gli pareva dovuta.

Non una parola volava nell'aria: la larga stanza era illuminata, e l'unica cosa che tendeva in lontananza era il tubo dell'Effluxum. In quei momenti di statismo correnti che trascendevano la fisica percorrevano lo spazio fra le due fazioni.

Era un momento sacro.

I nuovi Custodes dovevano imporre la loro autorità.

E sembrava che per i loro 'sottoposti', non fosse affatto cosa scontata.

Possibile?

Da una parte v'erano ragazzini dai dodici ai quattordici anni. Piccoli e scattanti, istruiti, e tutti educati a suon di schiocchi nell'aria: c'erano i più recidivi, e quelli che sapevano adeguarsi al volo. Avevano fibre muscolari compatte ed esplosive, occhi vispi ed attenti, mire rapide e precise. Sapevano calcolare le traiettorie su due piedi, montare strategie, prevedere situazioni: sapevano, e quello li faceva elevare. Erano intelligenti. Loro erano l'elite.

Dall'altra parte v'erano ragazzi dai sedici ai diciannove anni, grossi e temprati, vissuti con pesi indosso, capaci di resistere a far fuoco per ore ed ore. Muscoli pesanti, linguaggio scurrile, alfabetizzati il minimo indispensabile.

Occhiate saettavano da un branco all'altro. I lupi si agitavano.

I bambini sapevano di essere superiori.

I ragazzi ne erano convinti.

Naruto fece scroccare il pollice, serrato nel pugno destro.

Naruto era superiore.

Naruto non aveva mai provato nulla del genere.

Jiraiya lo guardava, distinguendolo difficilmente dalla massa.

Bene, pensò Jiraiya.

Naruto assottigliò gli occhi, alzando lievemente il labbro superiore.

Naruto aveva capito cosa c'era nella scatola che gli aveva dato l'altissimo uomo.

Bene, pensava Jiraiya.

«Noi siamo i Bellatores.»

L'uomo, per ora identificato come Gaibes, si fece avanti.

«Salutate!»

I Bellatores fecero un lieve inchino, spezzando il tronco, portando il pugno sinistro al petto.

«Ignis Regionibus.» disse l'uomo.

«Patrie Frates.» risposero in coro. Le voci erano ovattate e leggermente alte: tenui, come domate.

Naruto storse il labbro.

I Bellatores erano già sottomessi prima ancora di saperlo.

«Noi siamo i Custodes.» Jiraiya fece la sua entrata, e con il tono esplosivo di prima, fece le presentazioni.

Quelle vere.

«Ignis Regionibus!»

I ragazzini, accumulata tutta la voglia di dimostrare chi fossero, batterono con foga sul petto i due segni del saluto ufficiale. Pugno. Palmata.

Hinata sentiva la cassa toracica vibrare. Aveva ancora qualche dubbio, ma sapeva di dover chiarire chi era lei e chi erano loro.

«Patrie Frates! Fati Frates!»

Le voci giovanili risuonarono potenti.

Ottantaquattro contro quattrocento.

Ottantaquattro cuccioli contro quattrocento adulti.

I Bellatores furono investiti da quelle voci colme di orgoglio e di sicurezza.

I cuccioli guidavano. Gli adulti seguivano.

Così qualcuno dei ragazzi osò indietreggiare.

I cuccioli avevano vinto.

Non importava che fossero piccoli: loro erano potenti. Loro guidavano. Loro vincevano.

Quel giorno, quattrocento Bellatores realizzarono cosa erano: soldati. Un'armata di soldati.

Si guardavano attorno sconcertati: dei bambinetti venivano mandati in guerra a guidarli. I bambinetti li sottomettevano.

Così girava il mondo, dunque. I Bellatores accettavano. Perché i Bellatores combattevano per la Regio.

Quel giorno, ottantaquattro Custodes realizzarono cosa erano. Guide. Elite. Loro erano i migliori, ed ora che lo avevano realizzato appieno, godevano di questo privilegio come non mai: i Custodes guidavano, i Custodes comandavano, i Custodes ordinavano – e gli altri eseguivano. Dai Custodes dipendeva la vittoria o il decadimento in guerra di una Regio.

Chiarite le posizioni, le due fazioni si riappacificarono.

***

La sabbia reagiva, ma il Rosso non sapeva se reagiva a lui o a quell'altra cosa.

Si fermò. Osando pensare: essendo che lui, il Rosso non era – poiché non poteva essere –, allora il Rosso non esisteva, ed esisteva solo quella cosa. Dunque la sabbia reagiva a quella cosa.

Il Rosso accettava. Era facile non essere.

Attendevi.

Facevi.

Ascoltavi, eseguivi.

Al Rosso la sabbia piaceva.

Però lui non era sicuro se qualcosa gli potesse piacere: poiché lui non era.

Alla cosa la sabbia piaceva, allora.

Il Rosso lasciò cadere i granelli che stava giostrando con la mano.

Se esisteva solo quella cosa, allora doveva fare quello che faceva quella cosa?

No. Lui era un vincolo. Serviva a governare quella cosa. Allora, lui, governando qualcosa che era, era a sua volta.

No.

Il Rosso sapeva di non poter essere.

Col volto apatico, si lasciò cadere sul muro che delimitava quella stanza. Il pensare troppo gli aveva fatto male. Il Rosso non era, quindi non pensava.

Guardò fuori: una finestrella alta e sbarrata faceva entrare il sole rovente. La stanza era interrata.

Gli occhi, dai bordi neri, si posarono sulla finestrella.

Il Rosso voleva essere libero?

No, poiché la maggior libertà che il Rosso aveva, era quella di poter non essere.

***

«Salite sull'Effluxum.»

I giovani Custodes presero rapidamente la via delle porte, seguendo le direttive di Jiraiya, che li osservava a braccia incrociate. All'interno, infinite schiere di sedili si susseguivano, e i ragazzini andavano a sedervisi rapidamente, serrando la propria scatola fra le mani. Naruto lasciava scivolare ogni tanto l'occhio sull'oggetto cromato, bramando di poter brandire quello che, era certo, contenesse.

Si disposero secondo i gruppi dettati da Jiraya: il biondo si ritrovò di fronte a Sasuke, accanto a due sconosciuti leggermente più grandi. Sasuke e Naruto, in quella situazione, ebbero l'impulso di non familiarizzare troppo con i due quattordicenni, limitandosi a osservarli, a guardare per terra, ed infine a cercare con lo sguardo i Bellatores.

Che, però, non giungevano al loro seguito.

«... Sasuke?»

«Cosa vuoi?»

«Dico, l'hai notato il loro saluto, eh?»

Il ragazzino posò lo sguardo torvo sul biondo. L'ex ribelle manteneva quel suo carattere per nulla distaccato, eppure percepiva quel che di diverso. Chissà quali idiozie sarebbe stato pronto a fare. Oppure, era tutto finito?

Improbabile. Si mise più comodo, la propria scatola sulle ginocchia. Le nere divise li rendevano uguali. Come sempre.

«Sì.»

Sasuke era avezzo ad essere monosillabico.

Naruto sbuffò, voltandosi ora verso destra, ora verso sinistra. Levò la mano a voler richiamare l'attenzione di Neji: il ragazzino dagli occhi candidi si voltò un secondo verso Naruto, quasi scocciato di essere in missione assieme ad un bocciato del suo anno.

«Neji!»

«Sta' un po' zitto!»

«L'hai incontrata Hinata? Eh?»

Neji sbuffò. Scocciato fece schioccare la lingua contro il palato, tornano a guardare fronte sé', deciso ad ignorare Naruto. Il biondo, che pareva dar fastidio a chiunque, tornò come soddisfatto a sprofondare nel suo sedile.

L'aria era carica. Carica di qualcosa. Non sapevano ancora dove andavano, ma sapevano cosa stavano facendo.

Che cosa fantastica, l'intuizione.

***

No, il Rosso non era felice.

Perché il Rosso non poteva essere.

Le verdi iridi vennero lentamente nascoste dalle palpebre nere del ragazzino.

E muore

sulle ali di un pensiero.

E quel che credo, crede

che poi essere non sia:

e dunque

credere

non posso.

Apatia.

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Capitolo 12
*** 11 (Il mondo è grande e terribile) ***




11. Il mondo è grande e terribile.



Mi pareva di navigare solo
solo in un mare nero
come solo io
nero
lo vedevo:
e dentro il nero mare
sprofondavo.



"Hoey, Hoey, urene taroo"

"Taroo, de tote urene taroo"

"Hoey, Hoey, Hoey!"
"Hoey! Hoey! Hoey!"

L'Effluxum scorreva raipido lungo la lieve discesa interrata, lasciando notare ai ragazzini del Ludus solamente la roccia attorno a loro che saettava, fra cui erano intermposte le pareti del siluro e del tubo, tutte rigorosamente trasparenti.
Il biondo teneva ancora quella scatola cromata fra le mani, incassato nel sedile, immobile, lo sguardo perso nel vuoto. Avanti e indietro i sedili ospitavano tutti i giovani Custodes: alle spalle di Naruto, una delle snodature era stata chiusa, bloccata, da una specie di parete opaca che lasciava spazio ad una porta per il cambio di scompartimento. Il biondo era seduto controcorrente, quindi quella parte a loro occultata era la parte più prossima alla punta del siluro.
Chissà cosa stavano facendo, di la'.
Questo pensava il giovane ex ribelle mentre tentava dispetatamente di non fissare Sasuke diritto negli occhi. Con la messa a fuoco nel nulla. Sasuke, dal canto suo, serrava le braccia al petto e fissava chiaramente la parete opaca, bypassando il tredicenne.

"Hoey, Hoey, Hoey!"
"Hoey! Hoey! Hoey!"

Le voci ovattate giungevano ai ragazzini: un'unico coro che pareva intento a cantare quella strana cantilena, assieme a una specie di fracasso dell'origine sconosciuta.
Pareva si divertisserso molto.
Incerto sul da farsi, Naruto iniziò a portare lentamente la schiena in avanti, staccandosi dallo schienale, caricando sulle gambe... si guadava attorno: tutti gli altri erano ben piazzati e non muovevano muscolo.
Eppure il viaggio durava da parecchio.
Fece per issarsi in piedi, quando il suo gesto fu seccamente interrotto dal vedere un'altra figura levarsi. Interrotto il movimento, sicadde sul sedile, a guardare allibito Neji, intento a scavalcare, le braccia incociate, Tenten, seduta accando a lui, per andare a percorrere il corridoio del convoglio.
"Nhe, Neji, cosa fai?"
Domandò lui perplesso, sicuro che il ragazzo dagli occhi opachi non potesse essere mosso dai suoi stessi intenti.
"Gli vado a dire di tacere."
E infatti.
Neji si stupì per un momento d'aver risposto alla nullità Naruto, che si era liberato del campanello solo perchè era passato al secondo ciclo (come, poi?): ma la cosa rinsaldò le sue convinzioni. I piccoli ragazzini avevano chiarito la loro rupremazia sui Bellatores, ma rimanevano ragazzini tentennanti. Così liberarsi delll'idea, covata da qualche ora, di andare dai grandi a dirgli si smetterla, lo fece quasi stare bene.
Sasuke osservava Neji dalla sua posizione, intento a non voler muovere un muscolo, immobile ad attendere i gesti dell'altro.
"Ma perchè?"
Alla domanda del tredicenne Neji non rispose: andò allo snodo, da cui continuava a provenire la cantilena ritmata, tribale, catturante: a Naruto piaceva. E Neji non si domandava nemmneo il motivo: per lui, il biondo avrebbe dovuto essere fra quelle schiere, non suo parigrado.
Senza bussare, il giovane Custos si limitò ad aprire la porta e, tacendo, fissare i diciassettenni intenti a battere, sorrisi sul volto, mani sui sedili e piedi per terra, il rigido materiale degli stivali a far vibrare il pavimento.
I Bellatores, lentamente, smisero di cantare quella che pareva una marcia: prima si fermava uno, poi il più vicino, e progressivamente tutti gli altri.
Silenzio.
Neji osservava la scena con una certa soddisfazione. Portò lo sguardo sull'uomo, Gaibes, e lo fissò con fare pretenzioso.
Gaibes si issò in piedi.

Non era un granchè certo che quello facesse parte dei suoi diritti, ma si impose di mantenere lo sguardo serio e con la medesima espressione.
No, Neji era un Custos: tutto gli era dovuto, dai Bellatores.

"Disturbavamo?"
Domandò Gaibes, apertamente sottomesso.
"Sì."
"No, no!"
Neji si voltò di scatto a guardare dietro di se', dove la testa gialla si apprestava, sorridente, a scuotere la mano e fare cenno di no.
Neji lo fulminò con lo sguardo.
"Non siete nemmeno d'accordo fra voi, cosa volete pretendere di guidare, nani?"
Fece una voce dal fondo.
Pareva che non avessero ancora ben capito come funzionavano le cose, allora. Furente contro Naruto, che aveva minato la sua autorità in pieno territorio nemico, il ragazzo dagli occhi opachi posò la mano sul petto del biondo, e con un'unica spinta lo scaraventò lontano: al biondò il fiato mancò di colpo.
Ai Bellatores questo bastò: Neji pareva aver slanciato lontano l'altro Custos con un semplice tocco di mano.
Anche Naruto, quando si ritrovò nel bel mezzo del corridoio a rotolare, rimase.. perplesso.
Intento a mettersi in piedi, sentì un forte dolore nel punto in cui era stato colpito.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, pensò Sasuke, ancora immobile nel suo sedile.

"Disturbavate."
Neji tornò a voltarsi verso i ragazzi. Quelli, immobili, lo fissavano allibiti: posizione ripresa.
"Allora smetteremo."
Vittoria.
Neji sbuffò e si incamminò per tornare al suo posto.
"Hoey, Hoey! Perchè li hai fatti smettere, scusa?"
Ma Naruto era ancora in mezzo al corridoio. In piedi, ma in mezzo al corridoio. Leggermente dolorante.
"Mi davano fastidio, io comando, loro sottostanno. Se non hai ancora imparato la compostezza, Agricola, tornatene da dove sei venuto."
Sasuke osservava interessato la vignetta. Che uomo apssivo, Sasuke.
"Eh, calmo, Neji! Lo sai com'era, no? Patrie Frates, Fati Frates.. nhe?"
Neji non rispose. Lì, fronte al biondo, aspettava solo che si scostasse.
".. Neji?"
"Scansati."
"Hey, guarda che non sei più mio superiore!"
"Non mi interessa: scansati."
"Perchè ti dovrei ubbedire, di grazia?"
Immobili.
Occhi contro occhi.
Due furie.
"SCANSATEVI."
I due trasalirono alla voce tonante: Jiraya, dietro a Naruto, chiedeva strada. I due ragazzini si scostarono rapitamente, cedendo il passaggio all'uomo possente, che rimase lì dove stava.
"Neji. Da quando si insulta un parigrado?"
Il ragazzino fece per rispondere, ma come aprì bocca Jiraya lo stroncò, rivolgendosi all'altro.
"Naruto. Da quando si ostacola un parigrado?"
Stessa storia. Fece per rispondere, ma Jirata accennò un passo e continuò a camminare lungo il corridoio, lasciando i giocani Custodes a bocca asciutta. E con l'amaro.
Dentro.
Jiraya spalancò la porta che divideva le due piccole comunità, piazzandovisi in messo.
Una sorta di religioso silenzio, anche se prima non erano meno taciturni, dilagò. Parlava? Non parlava?
"E dunque."
Come facesse a mantenere quel tono che non urlava, eppure tutto scuoteva, i ragazzini non lo capivano.
Aveva un che di sovraumano.
Neji e Naruto tornarono silentemente al posto.
"Si va a fronte."
Ooh. Quello che tutti avevano sempre intuito era stato dichairato. Lenti i sorrisi su i volti dei Custos si almpliavano, ma nemmeno Bellatores erano da meno.
Era la prima volta per tutti.
"Chiariamo le cose."
Oh, sì, chiariamole.
I ragazzi erano tutt'orecchi.
"I Custos guideranno i Bellatores. Ma fino a qui, credo che non avevate dubbi."
Fuori la prima.
"I Bellatores si rivolgono ai Custos con il suffisso Cho. I Custos si rivolgono ai Bellatores col suffisso Bes."
Naruto si illuminò: allora il loro capo si chiamava Gai! Non Gaibes!
Sasuke lo guardava allibito, domandandosi come avesse fatto a non intuire una cosa del genere.
"Gruppi di quattro Custodes guidano gruppi di una decina di bellatores." E poi, scanddendo bene: "E' affar vostro andare d'accordo. Ricordate che la morte è ben che contemplata."
I Bellatores non sembravano entusiasti dalla cosa, mentre i Custodes affrontavano la cosa con dolce apatia.
"Arriveremo fra qualche ora, dopodichè procederemo a piedi."
Naruto levò ingenuamente la mano.
Jiraya non gli badò un istante, continuando per le sue.
"Raggiungeremo una zona di confine con la Venti Regio, è una zona semidesertica."
Il biondo sventolava allegramente il braccio.
Sasuke fece per prenderglielo, ma vedendosi costretto a palesarsi troppo, rinunciò, lasciando pure che l'altro si cuocesse nel propio brodo.
"Le divise sono termoregolanti, ma non eterne."
Ampi cerchi.
"Chi ne esce vivo, torna al Ludus o alla propia accademia fra un mese."
"Jiraya! Jiraya!"
Sasuke voleva mordersi le mani per essere finito in gruppo con un essere così idiota. Jiraya si voltò lentamente, e con sguardo freddo, da becchino, guardò il ragazzino.
"Cosa vuoi?"
"Le scatole."
Jiraya era apertamente scocciato. Tornò a parlare, ignorando la richiesta del bocciato.
"I Bellatores hanno i loro superiori, i Custodes hanno i loro superiori. I Bellatores, di qualunque età o rango, devono sempre e comunque obbedire a un Custos di qualunque età o rango. I Custodes devono sempre e comunque obbedire a un loro superiore, e MAI a un Bellator. Spero che questo vi sia chiaro."
Più che chiaro, limpido. Posate queste basi, fece per continuare.
Ma l'improvvisa apparizione della luce del sole lo bloccò.

Altro momento. Mezzo sacro.
Il vagone, che per quel momento era stato illuminato solo dalla luce artificale, venne investito dalla luce del mezzogiorno. Lo sguardo dei giovani, cusotodi o guerrieri che fossero, venne immediatamente rapito dall'immensa quanità di verde.
Lasciasono scigolare lo sguardo all'esterno, ma rimanevano a metà, senza sapere cosa quel silenzio di Jiraya significasse.
Naruto fu il primo a cedere.
Voltò di scatto la testa, trovandosi a guardare il paesaggio verdeggiante, separato dalle pareti trasparenti del tupo e del vagone, nonchè dal compagno quattordicenne del suo gruppo di Custodes, e lì immobile ammirò.
Non fece altro. Ammirò.
Si spostò leggermente in avanti, per voler guardare verso la coda, invadendo tutto lo spazio dell'altro ragazzo: ma questo non se ne curò troppo, intento ad osservare a sua volta.
Il tubo dell'Effluxum, scorreva nel bel mezzo della campagna: una distesa infinita di campi, qualche casetta qua e la'. Paesaggi mai visti prima.
Il vagone avanzava con grande velocità, e solo ora se ne accorgevano: facilmente toccava i trecento chilometri all'ora. Forse anche trecentocinquanta. Le coltivazioni saettavano, ogni tanto si notava qualche persona, che si allontanava a gran velocità, ferma sul terreno, in piedi, verso di loro, il pugno destro al petto.
Naruto, il primo che riuscì a notare, pensò fosse in quella posizione per caso.
Al secondo credeva di aver visto male.
Al terzo iniziò ad avere dei dubbi.
Al quarto, e poi al quinto e al sesto, taluni radunati in gruppi, realizzò che era un saluto.
Salutavano loro?
No, si prostavano.
Per il passaggio di una mandria di ragazzini, gli Agricolae smettevano di fare qualsiasi cosa stessero facendo, e si inchinavano, pugno al petto.
Sinistro per i Bellatores, Destro per gli Agricolae.
Il saluto per i Custos.

Doveva esserci un nesso, ma non riusciva a coglierlo.

E non riusciva a coglierlo nemmeno Sasuke, che osservava mezzo distratto, interessato, quella sfilata di luoghi, e lasciava rapidamente fluire il pensiero verso altre mete.
Cose per lui più importanti.
Ma per Naruto no.
Naruto era immobilizzato, la testa che continuava ad andare da sinistra verso destra, da dove arrivavano a dove fuggivano, intento a coglioere ogni particolare dei volti, logori.
Gli ricordava qualcosa.
Un muro nella sua mente gli impediva di risalire alle scorrerie nei primi anni, ogni anno, fino al sesto, eppure Naruto rimaneva un ragazzino che si soffermava sempre sui volti delle persone, che queste stessero ferme o sfrecciassero da oltre le pareti dell'Effluxum, non importava.
Custodes, Bellatores, Aglicolae.
Aveva un quadro generale della situazione.
In lontananza, ogni tanto si notavano i margini di città mercantili, sempre circondate da infinite piantagioni e piccole ma potenti zone industriali. Lì vivevano i veterani, gli infortunati gravi, alcuni Phiolosophi.
Famiglie con i bambini.
I bambini.
Lui stesso, figlio di nessuno, e riconfermato tale dal Ludus, assieme a tutti gli altri.
In fondo, erano tutti pure entità seprate.
Il biondo ricadde nel sedile, pensoso.
La scatoletta cromata era ancora la', appoggiata sul manico.
Di scatto tornò verso la parete trasparente, spostandosi, in modo da poter vedere più possibile nella direzione dalla quale proveniva il vagone.
Gli era sorto un dubbio, un dubbio che in quel momento pareva non centrare nulla.
Se l'Effluxum traeva energia maggiormanete dalla spinta gravitazionale, e loro erano partiti dalla SubSphaera, come facevano ora ad essere in piena pianura? Una pianura mai vista, se non vagamente ricordata, ma pur sempre pianura?
La risposta giunse rapida.
Dietro all'Effluxum, quella che pareva un'altissima montagna tranciata orizzontalmente si ergeva, nel bel mezzo della pianura, solitaria e sovrana.
Torreggiava sulla pianura dei mercanti, degli agricoltori e dei guerrieri. Un'unica isola, distaccata dal mondo reale, effige del mondo perfetto.
Solo ora sapeva e realizzava che il Ludus si trovava in una posizione del genere.
Sprofondò per l'ultima volta nel sedile.
Davanti a lui Sasuke.
Naruto guardava per terra, mordendosi l'interno della guancia, appena sconvolto per le nuove scoperte.
Per un momento si sentì perso.
Non conosceva bene il suo paese, e già stava andando a combattere in un altro.
Al fronte, sul confine.
Non conosceva la sua gente, e andava ad ucciderne di altre Regio.
Sempre che non fosse ucciso prima, ovviamente.
Altri, come lui, erano altrettanto scombussolati.
Però a lui pareva di essere peggio.
Portò la mano al fianco, alla ricerca della amata calibro 45.
Levò lo sguardo, verso il ragazzino dai capelli corvini, intento a guardare distrattamente fuori.
Aleggiava il silenzio per tutto l'Effluxum.
"... Sasuke."
L'altro scostò leggermente le nere iridi, andando ad incontrare quelle cerulee del biondo.
Il biondo vi si immerse, trovandovi una strana tranquillità.
"Cosa vuoi?"
Naruto rimase incantato un momento, a fissare gli occhi ante evitati dell'altro.
"No, niente. Scusa."


Bramo il futuro -
non conosco il presente -
ripudio il passato.
La storia è polvere nelle mie mani.
La storia non serve
a chi non la teme.





[Note dell'autrice]
Eccomi qui! Per somma gioia di Momizzia, barcollo ma non mollo! Tentenno fra le interrogazioni di fine anno, che non vanno mai come devono andare, e per consolarmi mi do' a Naruto. Oh, yeah. Mi pare di aver chiarito abbastanza le cose con questo capitolo, più o meno, circa. Devo ancora decidere cosa farne di Rock e Gai, ma da qualche parte li ficco.
Questo chappy mi piachie abbastanza, anche se non pare rilevante è un interludio che serve e che avevo ponderato.
Col prossimo si va al fronte.
Yaaaa-ho!
Piccole precisazioni: La "canzoncina" sarebbe una specie di marcia tribale rappeggiante a suon di percussioni, e le parole non hanno ne' un senso ne' una lingua.. nella realtà. Nella storia sarebbe una specie di lingua antica.

Ora tocca alle risposte alle recensioni, sìsì, sìsì =^^=
Momizzia: per quanto riguarda Sakura, avrà il suo ruolo, più o meno ampliato ma di certo rilevante. E, se riesco a fare quello che voglio fare, cioè, una specie di trilogia, si prenderà un momento tutto per lei. Ma, essendo che fin'ora non sono mai riuscita a concludere una fic, anche se questa galoppa, tocco e vado avanti: I frutti dell'oblìo è autoconclusivo, ad ogni modo. Spero di riuscirlo a finire (toccotoccotocco)
KuroiHikaru: son pacifista anchio, ma la loro politica si basa sulla guerra ^_^''' Gaara farà, da bravo, il Gaara, e il Naruto il Naruto.
X tutti e tutti gli altri: GRAZIE!! ^_______________^



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Capitolo 13
*** 12 (Teli bianchi) ***


[Corretti gli errori di battitura!! XD]

12. Teli bianchi


Credo che oggi cambierò
il mio modo di pensare.
O forse, lo inzierò a fare.




La sabbia era qualcosa di nuovo.
Naruto camminava per ultimo, dietro ad un quattordicenne, che a sua volta era dietro a Sasuke, e a sua volta era dietro all'altro quattordicenne. Il gruppo dei due ragazzini era stato formato alla discesa dall'Effluxum, e una decina di Bellatores seguivano il biondo.
Le due 'caste' erano riconoscibili per le vesti: i Custos completamente neri con i bracciali argentati, i Bellatores completamente grigi con un solo bracciale, nero, sulla destra.
I grigi, possenti, camminavano ancora slittando sulla sabbia, armati di pistole come quella di Naruto, alcuni con calibri più alti, sebbene rari.
I neri avevano aggeggi strani, a partire dal guanto di Sasuke, che Naruto conosceva bene ma non aveva ancora ben capito a cosa servisse. Accanto a loro, altri gruppi dalla conformazione simile. Più in la', Neji avanzava con un affare lungo e forse pesante, che il biondo aveva visto utilizzare da Hinata qualche tempo prima. Hinata, dal canto suo, era dall'altro lato del bocciato e portava a sua volta un fucile simile. Assieme a Hinata, Shino, che avanzava con le braccia incrociate, e Kiba, dal sorriso inumano sul volto, quasi eccitato.
Ad ogni passo, la sabbia faceva slittare Naruto, cosa che lo infastidiva non poco. Ogni tanto c'erano ciuffi d'erba, piante grasse, e alberi tipici della savana che, rantolando, tentavano di sopravvivere in quel luogo non molto favorevole.
Il sole batteva, mentre le vesti dei ragazzi iniziavano a regolare la temperatura toppo alta.
Gai seguiva Jiraya, capo chino, mentre il Custos avanzava concentrato, nella medesima divisa dei ragazzini.
Se non per un paio di guanti bianchi.
Ogni tanto Naruto, avanzando, lanciava occhiate in avanti, continuando a serrare fra le mani la scatola cromata, come tutti gli altri Custodes.
"JirayaCho, ci stiamo avvicinando."
"Sì."
Gai continuò a camminare, iniziando a riconoscere i luoghi che aveva spesso solcato negli ultimi anni.

"Fermi."
Dopo tanto avanzare, Jiraya si fermò di scatto.
Così Gai e gli altri.
"Preparate le armi"
I ragazzini quasi saltarono. Naruto estrasse rapido la pistola, tentendola ben salda nella destra, nella sinistra la scatola.
Ancora con quella scatola.
"Ah, potete aprire le scatole."
Si illuminarono.
Naruto cacciò nuovamente la pistola nella fodera, andando tutto eccitato ad aprire al scatola. Uno, due, tre.
Sì!
Rimase mezzo imbambolato a fissare quello che aveva immaginato da quando aveva preso l'oggetto in mano.
"Ricordatevi che i guanti delinano il rango. Più sono chiari, più è alto. Chi ha i guanti più scuri obbedisce, chiari, comanda."
Naruto ascoltava per metà, mentre osservava il contenuto della scatola. Un paio di guanti neri, che lasciavano libere le utime falangi di pollice, indice e medio, erano stesi: sopra, in un angolino, una piastrina di identificazione rotonda e metallica. E, ad occupare il resto della scatola, una calibro 45 identica a quella che già possedeva.
Rapido prese la piastrina, mettendosela al collo e ficcandola dentro i vestiti, in maniera che non intralciasse. Poi sfilò i guanti da sotto l'arma, per andare a metterseli: arrivavano fino ai bracciali, ben stretti e comodi. Finalmente, raccolse la fodera dell'altra arma, per andare ad agganciarsela in vita, sul fianco sinistro. Rimase con la scatola vuota in mano. Che fare?
Si guardò attorno.
Era troppo frettoloso per rimare ad attendere ordini. E Jiraya non pareva nemmeno intenzionato a darne. Sbuffando, andò a guardare cosa faceva Sasuke: non l'aveva in mano. Sia la destra che la sinistra del dodicenne erano inguantate dal vello nero, e sopra di quelli indossava gli strani guanti, avendone evidentemente ricevuto un altro.
"Ps... Sasuke... ... Sasuke?.... HOEY, SASUKE!"
Sasuke si voltò scocciato verso il biondo.
"Cosa vuoi?"
Naruto gli porse la scatola per tutta risposta.
".. eh?"
Fece il dodicenne agrottando le sopracciglia.
"Dove l'hai messa?"
Lui non ci poteva credere. Si strinse nelle spalle, rassegnato di tanta incompetenza.
"C'è un gancio.."
"Un gancio?"
Naruto si mise a guardare l'oggetto quasi come una bertuccia osserva qualcosa di nuovo, cercando il fantomatico 'gancio'
"Sasuke..."
Sasuke stava osservando interessato l'arma che indossava alle mani.
"Sasuke!"
"Ancora?"
"Non lo trovo!"
Pet tutta risposta gli strappo' la scatola di mano, andando a tirare qualcosa sul fondo della scatola, che fece magicamente comparire un gancetto, a mo' di fibbia, che faceva intendere che la scatola dovesse essere appesa alla cinta.
"Oooh!"
Felice, il biondo andò a piazzarsi sulla propia cinta la scatola, realizzando che doveva funzionare da porta oggetti.
"Grazie"
Sasuke non gli badò.
Finalmente Naruto poteva cacciarsi le mani nelle fodere ed estrarre le due armi.
Mise i due indici appoggiati sui grilletti.
Appoggio i carrelli della pistola sui fianchi, premendo, e poi con un violento movimento verso il basso li fece scorrere.
Cariche.
Il biondo sorrise.

***


"Ragazzini"
"Immaginavo."
I due si guardavano, dai due margini di un tavolo, in piedi, dentro una tenda beige, ben mimetizzata fra la sabbia: si sentivano, raramente, i suoini più elevati del campo di battaglia.
Ma loro erano fuori.
"Però alla loro guida c'è Jiraya."
Jiraya.
"Di solito Jiraya non guida i loro guanti neri, non è vero?"
"Onestamente, ho motivo di credere che ci sia qualcosa sotto. Anche se rimangono ragazzini, una situazione del genere non è da sottovalutare."
I due avevano volti scuri, segnati dal sole del deserto.
"Va bene. Ma nemmeno loro devono sottovalutare noi." fece l'uomo dal volto segnato da due triangoli viola sulle guance.
L'altro fece cenno di sì, pronto per andarsene.
"Aspetta. Dì alle spie di controllare se c'è qualcos'altro di anomalo. Controlla la situazione al fronte, anche se dovrebbe essere stabile."
"Sì, signore."
"Io andrò a parlare col Venti Umbra."
"Bene."
Uscì.
L'altro rimase in piedi per qualche momento, fermo a pensare, e poi si prese per andare a sua volta sotto il sole cocente.


***


Naruto serrava le mani attorno all'impugnatura, e avanzava lento assieme al suo gruppo.
La fila si era sciolta: l'abbondante dozzina stava vicina e con sguardo vigile, ognuno pronto. Jiraya con Gai ed un gruppo di Bellatores più grandi guidava: ma ormai nell'aria si sentiva l'odore della battaglia.
C'era chi fremeva come Kiba e chi tentennava come Hinata.
E chi, come Naruto, era avvolto da sentimenti contrastanti.
Il sole stava scendendo, prossimo alla sera, dietro di loro. Il biondo serrava le due pistole gemelle, avanzando con lenti respiri, tentando di regolare il batitto del cuore: ma il monitor sul bracciale lo riportava alla realtà, esibendo un cuore a mille.
Ciò che lo turbava era sapere di essere vicini, molto vicini, eppure non riuscire ancora a vedere nessuno dell'altra fazione. Che si nascondessero? D'altro canto, quello era territorio migliore per quelli della Venti Regio. Lasciava andare lo sguardo di qua e di la', domandandosi se fosse possibile che qualcuno li stesse spiando.
Ma probabilmente sì.
Jiraya non avrebbe potuto guidarli per tutto il tempo.
Temeva il momento in cui sarebbero stati loro a dover prendere le decisioni.
"Sasuke.."
"Shhst."
Naruto si ritrasse un po', sorpreso dalla prima vera zittitura da parte dell'altro. Sasuke si guardava attorno, con fare circospetto.
Finchè, ad un certo punto, si fermò.
Gli altri guppi iniziavano ad essere sempre più lontani, ricoprendo un'area di qualche centinaio di metri: così il loro gruppo si fermò senza essere notato dagli altri.
Sasuke chiuse gli occhi.
"Ma che fai? Guarda che ci perdiamo."
"Sta' zitto, Naruto!"
E poi li riaprì. Il biondo si scostò lentamente, notando qualcosa di anomalo. Sasuke si guardò pignolamente attorno, senza badare al biondo, ne' ai quattordicenni che, a loro volta, non parevano molto convinti.
Destra. Sinistra.
"Andiamo."
A Naruto era parso di vedere il colore, nero e profondo degli occhi del dodicenne, mutare in un rosso acceso mai ante contemplato. Ma, senza poterlo guardare direttamente negli occhi, poco aveva capito. Ed ora erano tornati al colore della notte.
Al dire di Sasuke, il gruppo si avviò di nuovo, compiendo un altro centinaio di metri. Finchè, nuovamente, Sasuke non prese e fece l'anticonformista.
Eh, no. Quello era il ruolo di Naruto! Cosa passata per la testa del dodicenne?
"Scusate, vado un secondo da Jiraya. Voi andate pure avanti."
"Va bene"
Fecero i due quattordicenni.
Naruto tacque, osservando perplesso l'incedere dell'altro che si allontanava.
Ladro, pensava Naruto.
E quasi ridacchiando strinse più forte le due armi.

"Jiraya."
L'altissimo uomo continuò a camminare come se nulla fosse, riconoscendo la voce del guanto nero.
"Credo che ci siano delle spie"
Continuò Sasuke.
"Credi?"
Domandò, quasi ridicolizzandolo, Jiraya.
I due continuavano a camminare, senza guardarsi un istante negli occhi, seguiti da Gai.
"Sono fermamente convinto che ci siano delle spie."
Jiraya ascoltò interessato il dire mutato di Sasuke, passo dopo passo.
"Me lo puoi dimostrare?"
Non si possono fare supposizioni sbagliate, in guerra.
"Li ho visti."
Ne' giurare.
Solamente Agire.
"Fai come credi. Adesso siete liberi, al vita è vostra, a voi scegliere."
Sasuke guardò perplesso Jiraya, per poi tornare convinto, sempre a seguire il lungo passo dell'uomo dalla bianca chioma.
"Ti consiglio di parlarne con Neji."
Aggiunse poi il guanto bianco.
Il ragazzino dai capelli corvini continuava a camminare, ascoltando quello che il vecchio, sempre se si potesse veramente definire tale, aveva da dire.
"Scegliti bene le tue alleanze, ragazzino."
Sasuke fece cenno di sì.

Dall'esterno, la cosa non era ben chiara. E Naruto, all'esterno, era proprio perso, al riguardo. Ciò che vide era Sasuke che andava da Jiraya, compiendo un bel pezzo di strada assieme a lui: eppure pareva che non si scambiassero parola, sempre intenti a guardare avanti.
Poi, a un certo punto, Sasuke si fermò con un cenno di assenso. Di lì, girò sui tacchi e andò verso il grippo di Neji e TenTen, affiancandosi al primo. Naruto osservava gli spostamenti del dodicenne, senza capire dove volesse andare a parare.
Dopo un po', Neji si voltò verso TenTen, che andò altrove per raggiungere Hinata. Le due parlarono, Hinata confabulò con Shino, Kiba e il quarto elemento a Naruto sconosciuto, e i cinque Custodes, seguiti dai Bellatores, andarono verso il gruppo di Neji. Come le due comitive si incontrarono, si fermarono.
Naruto e i suoi continuavano ad avanzare, i quattordicenni in testa.
Sasuke parlò con i due ragazzini dagli occhi opachi.
Dopodichè, si allontanò, per tornare da loro.

Nejì, fermandosi di botto, levò la mano in aria.
"Noi ci fermiamo qui"
Jiraya si voltò verso il gruppo, cercando l'assenso degli altri componenti.
"Anche noi..."
Fece d'eco Hinata, mezza titubante.
Così i gruppi si fermarono, a osservare quello che accadeva.
Il meccanismo si stava attivando. Stavano iniziando a prendere le posizioni. Hinata stringeva il lungo fucile, usandolo come solido appiglio per la sua insicurezza, alla cinta erano legate la scatolina cromata ed una pistola di calibro più basso, canna allungata dal silenziatore.
Così questa volta toccò a Kiba, esuberante, levare la mano.
"Se è possibile, vorremmo creare un gruppo da questi due per poter procedere ancora di un poco."
"Io mi aggregherei" continuò TenTen.
Jiraya si strinse nelle spalle, continuando a camminare.
"Fate come volete" il tono era al solito alto e pacato "siete padroni delle vostre vite, questo lo sapete. Solo, accendete la radio e identificatevi. TUTTI."
In coro, la massa di ragazzi annuì.
Ad ogni squadra era data una lettera, impegnandole praticamente tutte. Dai bracciali di Custodes e Bellatores bastava aprire una piccola portellina per ricavarne l'auricolare, attaccare il minuscolo microfono al petto, e dopodichè bastava collegarsi nell'etere identificandosi con nome, rango e squadra.
Naruto scorse fino alla G.
Hinata e Neji si unirono nella N, mentre Kiba, con Shino e TenTen, formavano la F.
Un trasponder segnalava la loro presenza nell'etere, su basi cifrate e frequenze nascoste, che cambiavano periodicamente sulla base di un algoritmo complesso, cosìcchè, anche se venissero rilevati, un secondo dopo erano nascosti di nuovo.
La voce viaggiava in maniera simile, usando un algoritmo diverso strutturato in modo da non cadere mai nelle stesse frequenze dei dati.
L'avevano pensata bene.
Così succedeva che i nemici, piuttosto che impegnarsi inutilmente a spiare i dati, preferivano ingannarli con le interferenze, il vero problema delle trasmissioni radio.
Poco male, rimanevano gli infrarossi o il bluethooth.
Raramente ci si trovava scollegati. Ma non era nemmeno impossibile.
"Siamo pronti"
"Bene."
Jiraya continuò a camminare, volendo dimostrare che, ormai, erano abbandonati a se' stessi.
Soli. Come dire. Come al solito.

Neji portò il fucile sulla spalla, impugnandolo, e sistemando l'appoggio che gli conferiva una maggiore stabilità. Chiuse gli occhi, mentre Hinata lo guardava e mimava i gesti già sperimentati infinite volte durante gli ultimi anni.
Il ragazzo riaprì gli occhi.
"Io quelli a sinistra, tu quelli a destra"
Hinata annuì, respirando profondamente, chiudendo gli occhi, riaprendoli.
Le vene delle tempie e degli zigomi si erano ingrossate. TenTen conosceva bene questo comportamento, e si scostò.
I due si portatono con l'occhio destro al mirino, eppure non chiusero l'altro.
A dire il vero, a loro il mirino non serviva. Neji alzò leggermente lo sguardo, bypassando la lente. Non gli serviva. Anzi, lo infastidiva. A lui bastava il mirino tradizionale.
Nel frattempo gli altri gruppi si erano allontanati di un centinaio di metri.
Si voltò, mettendosi inginocchiato: prima doveva fare quelli già passati. Quelli che gli aveva indicato Sasuke.
Poi quelli vicini, più difficili, perchè c'erano gli altri gruppi, fra lui e il bersaglio, che rischiava di colpire. Doveva essere veloce.
Hinata percepiva la tensione dell'altro, che si sommava alla sua, assai più elevata.
"Pronta?"
".. sì."
Le cartuccie erano tante. Ce l'avrebbero fatta, si disse.
Allungò la vista come solo lui e lei potevano fare.
Uno. Due. Tre. Quattro.
Quelli in lontananza li lasciava ai Bellatores.
Cinque, sei. Sette, no, sì, sette.
"A quanto sei?"
"Cinque. Sei. Sei, sì."
Silenziosi, i due cecchini sparavano, mentre gli altri gruppi avanzavano, noncuranti. Qualcuno osservava, ma continuava. Il fronte, ormai, era lì. Prossimo. Non c'era dove nascondersi, era battaglia aperta.
"Fatto."
"Sì"
Rapidi, i due si voltarono facendo perno sul ginocchio a terra, e ricominciarono. A Hinata tremavano le mani, vedendo così tanta gente muoversi fra lei e il suo obbiettivo. Ma doveva farcela.
Uno, due, tre.
Quattro?
Quello era molto vicino.
Troppo vicino.
Si sistemò, per sparare.

Che fossero troppo vicini?
Avrebbero dovuto fermarsi prima, pensava Neji, mentre realizzava che erano nel bel mezzo di un'imboscata.
Ormai li avevano già notati.

"Sasuke!"
Hinata scattò in piedi quando vide quello che nessun altro poteva vedere: fu fermata dalla mano di Neji, che rapida dal grilletto scattò ad afferrarla, impedendole di correre verso il vigile Sasuke.
Naruto, scombussolato dal grido della dodicenne, per nulla contemplato nel suo repertorio, si voltò di scatto verso l'altro.
Sasuke strabuzzò due iridi rosse come il fuoco, andando a compiere un rapido gesto con la mano.
Naruto riuscì a vedere la figura, ricoperta da un manto bianco, il volto celato, che correndo estraeva un'arma mai vista. Fece per puntarla, e poi, di colpo, qualcosa di luminoso lo raggiunse, facendolo tremare e stramazzare al suolo.
Non ebbe il tempo di realizzare che era successo qualcosa di anomalo, quando la spalla iniziò a bruciragli alla follia.


Ehi, bambino,
cresci?
O resti tale?
Poi muori,
nella tua prigione di fiabe.

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Capitolo 14
*** 13 (Fuochi, Saette e Sciacalli) ***






13. Fuochi, Saette e Sciacalli


Scorre nelle vene
il sangue senza nome.
A fiotti sgorga.
A fiotti muore.




La stoffa nera era come bruciata. La parte anteriore della spalla presentava un minuscolo cratere: Dall'esterno, stoffa, il materiale grigetto dell'interno della tuta, altra stoffa più morbida, pelle, epidermide, e per concludere carne viva che lasciava scorrere il sangue come una spugna compressa.
Cominciamo bene, fu il primo pensiero, ironico, che attraversò la mente di Naurto. Fu un'istante, prima di riportarsi alla realtà: e in tutto non era passato un decimo di secondo.
Prima il dolore, poi lo scorrere della rossa linfa. Poi, di nuovo, calmo.
Bruciava solo ai margini, constatò il biondo, due decimi di secondi dopo.
Era proprio carne viva.
Di scatto, senza pensarci due volte, si acquattò. Guardò a destra, a sinistra: davanti a lui, l'uomo ammantato di bianco era a terra, morto, l'arma in mano.
Aveva sparato, allora? Lui non aveva visto niente.
Ma alla fine, quella cosa, qualsiasi cose fosse, aveva colpito lui.
Si guardò attorno: Neji e Hinata, assieme ai Bellatores con fucili simili, parevano impegnati in un tiro a segno. Nessuno di quelli che parevano dell'altra fazione si faceva vedere: Naruto intuiva che cadevano come foglie sotto i precisi colpi dei due dagli occhi opachi.
Sinistra, destra. Scorrevano le iridi cerulee: Jiraya era scomparso, assieme a Gai, probabilmente avanzati.
Il sole emanava una luce dorata, prossimo al tramonto, ma non esattamente: tardo pomeriggio, molto tardo.
Sasuke, davanti al biondo, faceva saettare gli occhi rossi di qua e di là.
Kiba reggeva, con ambo le mani, una mitraglia dalle pallottole esplosive. Letale. Un rinculo potentissimo.
TenTen faceva dolcemente roteare una schiera di coltelli fra le mani, le gambe flesse, una calibro 49 pronta, un pugnale fra i denti.

Pronti.

Via.

Una mano si posò sulla bocca del biondo, strattonandolo violentemente all'indietro.
Naruto voleva pensare qualcosa di inerente alla situazione, del tipo: "Ma cos..?"
E invece Naruto non pensò.
Salì un impulso, una scossa, dallo stomaco verso il capo, che gli fece sganare gli occhi e serrare la mandibola.
Era tutto normale.
Turbinìo.
Poi paura, poi agitazione. Le pupille due puntini persi nell'azzurro.
Il fiato non aveva più importanza.
Gomitata profonda diretta verso quello o quella cosa che lo aveva colto di sorpresa. Potente. Rimbalzò violentemente sullo stomaco dell'altro, protetto da qualcosa di sconosciuto. Cambiò angolazione, verso il probabile volto. Più potente: si appoggìo con tutto il peso. Incontrò prima una stoffa, poi, finalmente, la carne e le ossa.
Crock.
La vibrazione gli si espanse per tutto il braccio, e a produrla non era stato lui. La presa al volto si allentò: facendo perno, andò a voltarsi per vedere, finalmente, quella cosa in faccia.
Prima di tutto vide rosso. Sangue introgolava la stoffa bianca che portava attorno al volto e attorno al capo, lasciando vedere solo gli occhi. Lunghe maniche candide, un giubbotto simile al suo, più gonfio, pantaloni beige, larghi, colmi di pieghe per la soffa in eccesso. Più alto di lui. E di parecchio.
Solo questo passò rapidamente per la sua retina, prima che con la sinistra, sebbene la spalla fosse, come dire, bucata, cacciasse il limitare della canna sotto il mento, violentemente, e premesse rapido il grilletto.

Sasuke si voltò di scatto nel sentire il colpo non silenziato di Naruto.
Poi lo vide, sanguinante, mentre il corpo oramai privo di vita del nemico scivolava lentamente a terra, a ricadere fra la sabbia, il capo scarlatto. Naruto pareva tremante.
Gli occhi rossi del dodicenne si fermarono un isto sulla figura che solo qualche mese prima aveva messo in subbuglio mezzo Ludus. Che idiota, aveva pensato allora.
Che idiota, pensava ora.
Eppure percepiva la forza del giovine condensarsi attorno a lui: nulla di surreale, semplicemente la fredda volontà di cui era sempre stato portatore, che, ora, si materializzava in que gesti rapidi e precisi.
Naruto era stato bocciato, ora comnbatteva al fianco di Sasuke, liberandosi rapido da una presa alle spalle da parte di un colosso.
Naruto vinceva, osservando la figura morta a terra.
Ma lui non sarebbe stato da meno.
Così il ragazo dai capelli corvni e gli occhi color fuoco andò ad unire i palmi delle mani, facendoli slittare lentamente. Il guanti che indossava, sopra quelli neri, erano di un argento rilucente, come impailettati, lanciavano riflessi di luce un po' ovunque: erano le cere che radunavano elettricità statica.
Sasuke ci giocava.
Da quando aveva indossato l'oggetto per la prima volta, si sentiva finalmente nel suo elemento: le due strane stoffe facevano uno strano attrito l'una sull'altra, sfrigolavano, e come le staccò qualcosa di luminoso comparve. Allargò le mani, tutti gesti rapidi e sciolti, per nulla scattosi.
Fra i due palmi una fitta rete di impalpabili campi elettrici, scosse che saettavano rapide da una parte all'altra, lanciando luce azzurrina.
Sasuke era come un ragno che tesseva la sua tela: qualche gesto delle dita bastava a regolare il flusso e la potenza.
Ora i due palmi erano a mezzo metro l'uno dall'altro.
Destra, sinistra.

Pronti.

Via.

Finalmente il plotone avversario si palesò: quelli che non erano stati già freddati dai cecchini saltarono fuori da non si sa ben dove.
D'altro canto, quello era il loro territorio.
E loro, uomini del deserto, viventi nel silenzio, nel silenzio uscirono e iniziarono a far fuoco con armi sconosciute.
Armi che non producevano alcun suono.
Le stesse armi che avevano creato il piccolo cratere nella spalla di Naruto. Ma Naruto non doveva pensarci.
Come Sasuke li vide, con un secco gesto fendette l'aria, i pami verso l'esterno, quasi a voler nuotare: una mezzaluna luminosa si scagliò verso di loro, prendendone in piena buona parte, che, dopo una rapida serie di convulsioni, stramazzarono a terra.
Sasuke volle sorridere.
Ma come fece per farlo, qualcosa di bollente gli sfiorò il volto.
Poi, un rivolo di sangue.
Possibile?

Fu facile rimanere sconvolti da quelle armi mai viste.
Armi silenti dai proiettili invisibili.
Lunghe canne a uncino, con tanto di lama.
Come se nei corti coltelli fosse stata incorporato un tubicino che sparava qualcosa. Ma cosa, non si sapeva.
Fu così che i giovani Custos giunsero alla conclusione che quelli dovevano essere come proiettili d'aria compressa.

Sasuke scartò rapido. Un gatto che scatta sulle ginocchia e con un solo gesto riesce a riequilibrasi due metri più in là, ecco cosa era. Ma il sangue, lento, e poco, scorreva dalla piccola ferita alla guancia. Non che bruciasse. Non che facesse male. Ed anche se lo avesse fatto, non aveva importanza. Aveva importanza che era stato colpito, e con i suoi rossi occhi, Sasuke era abituato a non essere mai colpito: doveva essere più veloce. Mentre a fiumi quelli dell'altra fazione giungevano, lui caricava le mani di energia, saltellando da un lato all'altro a schivare i proiettili invisibili, ed avvicinancosi sempre più a loro.
Tre metri.
Due metri.
Sangue alla gamba. Poco: i pantaloni con un minuscolo strappo laterale.
Un metro.
A Sasuke il suo elemento piaceva. Amava la corta distanza. Amava quelle mani: era un dio della morte: bastava un solo tocco.
E l'uomo stramazzò in terra.
Giro, braccia allargate, altri due.
Uno più lontano: carica, a sfegarsi i palmi, e lancia la falce.
Una danza di sudore che lo faceva slittare, scattare, saltare, atterrare, toccare, ripartire.
Naruto, da lontano, osservava allibito.

"Shino."
Il ragazzino dai rossi segni sul volto fece scattare il caricatore della possente mitraglia. L'altro, che permaneva a braccia incociate, fece scivolare lentamente la destra, portandola verso avanti, come a compiere un gesto accondiscendente. Ma un gesto accondiscendente non era.
L'armata di giovani sudava sotto il basso sole, patendo il caldo del deserto, al quale i nemici parevano immuni. D'altro canto, quello era territorio loro.
Shino si tolse il guanto nero, sulla destra, con una lentezza quasi religiosa. Attorno a loro, da qualche minuto, la battaglia già infuriava.
Spari, scoppi, sibilii, e le silenziose pallottole degli altri che attraversavano l'ere stesso di cui erano composti.
"Shino!"
Al richiamo della voce femminile, il ragazzo si scostò rapido, mentre un coltello da lancio volava ed andava a conficcarsi nella fronte di una bianco vestito.
"Grazie"
Sibilò lui, voltandosi leggermente verso TenTen, a qualche metro da Neji. La ragazza sorrise, flettendosi sulle ginocchia e scattando in avanti: a lei stava proteggere i Cecchini. Assieme a Kiba e Shino. E TenTen partiva immediatamente alla carica, tenendo particolarmente all'incolumità di Neji.
Ma Shino non era certo da meno.
Con un gesto potente tirò una palmata a vuoto, con la mano nuda, in avanti: sotto l'avambraccio, qualcosa di tubolare sporgeva. Con l'altra mano andò a battere sull'avambraccio, attivando il congegno.
E poi mosse la mancina dall'avambraccio destro verso l'alto, lentamente, con quella ponderata lentezza che solo lui sapeva mantenere.
"Kiba."
E quella voce leggera e al contempo profonda. Kiba annuì al richiamo, dopo aver già utilizzato una dozzina di pallottole.
I due si intendevano, avendo passato gli ultimi anni assieme. A sfruttare se' stessi. A imparare a conoscersi. Come motli altri. Anche se molto pochi.
Il ragazzino dai segni rossi si acquattò a sua volta, serrando le mandibole.

Pronti.

Via.

E mentre di colpo Kiba lanciava ululati che facevano gelare il sangue nelle vene, trapassati da tanta umanità quanta bestialità, Shino muoveva il braccio inguantato come il direttore di un'orchestra, impegnato come non mai.

Naruto serrava fra le mani le pistole gemelle, roventi, scivolose dal sudore, che colava dalla fronte e dalle mani. Inarrestabile, le aveva ricaricate già due volte: il sole scendeva, e un uluato squacriava l'aere.
Il biondo si immobilizzò un istante, salvo dopo doversi scostare per evitare un pugnale volante dell'altra fazione: ma i bianco vestiti parevano congelati.
Paura?
Mentre continuava a rimanere sull'attenti, lanciando occhiate di qua e di la', andò a realizzare che era Kiba ad emettere quel suono.
Accanto a lui, Shino smuoveva lento l'aere con la mancina.
Cosa stava succedendo?
No, non chiedertelo, Naruto. Aprofittane. D'altro canto, quella era la tattica dei due.
E Naruto sparava. Sparava ruzzolava, si rialzava. I bianco vestiti tentennavano. Cadevano.
Neji sparava, immobile, difeso da TenTen. Hinata a sue volta.
Ogni tanto qualche Bellator cadeva.
Ma loro, no. Loro erano i Custodes.
Loro guidavano.
Loro sapevano intendersi anche se non sapevano nulla. Perchè era così che erano stati formati.

E se da un lato TenTen lanciava coltelli e brandiva pistole dal calibro alto, dall'altro Naruto sfogava ogni sua energia donandola alle amate gemelle, sua unica essenza.

E se da un lato Neji e Hinata osservavano in lontananza i nemici, silenzi, facendoli stramazzare al suolo senza alcun rumore e senza lasciar intendere dove fossero, dall'altro Sasuke faceva saettare rapide scintille che freddavano di colpo chiunque sfiorasse: e lui difficilmente li mancava.
Perchè i loro occhi non li tradivano.
Perchè le tempie dei cecchini erano colme di vene rigonfie.
Perchè gli occhi di Sasuke erano rossi come il fuoco, solcati da virgole.

E se da un lato a Shino giungevano vicino infiniti sciami di insetti, che con un solo gesto di mano governava, lanciava, con un gesto dell'altra incendiava, a bruciare vivi i bianco vestiti, dall'altra Kiba richiamava a se' un branco di sciacalli che lenti facevano la posta ai signori del deserto.
Perchè loro avevano passato gli ultimi anni nei boschi del Ludus.

E se da un lato i Bellatores cadevano, dall'altro i Custodes vincevano.

Così era la legge.

E i giovanissimi sapevano arginare due centinaia di colossi del deserto.

Lottando, ringhiando, sparando, lanciando. Gridando, colmi di adrenalina, lasciandosi guidare dai perfettamente forgiati istinti.

E se da un lato i bianco vestiti morivano a fiotti, dall'altra i ragazzini vivevano.

Pronti.

Via.

Tsunade ne sarebbe stata indubbiamente entusiasta.








Chi tu sia
non ha interesse,
ne' tu cosa faccia nella vita.
Pochè io combatto te
e per questo vivo

la tua diventa nulla.
Sabbia che scivola.

Non un nome.
Non un pensiero.

Patrie frates, fati frates:
ed ora sono perfetterrimo.




Al solito un immenso ringraziamento generale a tutti quelli che seguono e recensiscono, uno scusa per il ritardo.
Forse il cap non è dei più lunghi, ma non mi piace dilungarmi.
D'altro canto, è un po' difficile descrivere un'azione di guerra collettiva.. XD me ne sono resa conto scrivendo. Questo mi è parso il migliore compromesso. D'altro canto, non credo che vi sia nessun interesse nel sapere minuto per minuto cosa fanno... io ho sempre odiato quelle scene XD.
Sono felice perchè sto facendo riaffiorare la coralità marginale tipica di Naruto... alla fine, anche qui, ognuno avrà la sua fettina di storia.. e speriamo che vada tutto bene XDXD

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Capitolo 15
*** 14 (La Bestia che Parla) ***


Nota dell'Autrice:
Finita scuola, dopo il solito rush finale, posso tornare a dedicarmi alla fanfic. Mi spiace tantissimodi avervi fatto attendere così tanto, ma alla fine eccomi qui, come sempre ^_^
In questo capitolo spero si noti come io sto tentando in tutti modi di Non andare OOC [ok, forse Jiraya va tolto, però, se prendete solo il suo lato serio, credo che ci siamo]: ho prego i pg, con tutto quello che avevano, e li ho semplicemente scaraventati in un'altro mondo :P Spero che la mia concezione di AU vada bene anche per voi XD






14. La bestia che parla


Saremo noi a governare
quei noi stessi
che sempre
ci siamo fatti scappare.




“Sasuke!”

Sul campo di battaglia impari a preferire la tua vita a quella degli altri.
Così diventa facile lanciare fiotti di proiettili contro persone delle quali ignori tutto, persino i lineamenti del volto. Ma a te non importa: tu vai avanti. Nella notte che oramai è profonda. Vivi percependo suoni ad esplosione, sfrigolii, ululati: null'altro. E solo quello, e solo grazie a quello sai chi sei, dove sei, cosa sei e perchè sei lì.
Null'altro serve.

“Sasuke!”

Perchè alla fine, pronunciare un nome che non ti è solito, pare quasi inebriante.
Vola.


Sasuke si voltava a scatti rapidi e dosati con precisione inumana: insfiorabile, una volta compreso il funzionamento delle armi nemiche, il suo sangue non toccava più la sabbia della Venti Regio.
Impastata invece da quello di Naruto, che si muoveva rumorosamente nella notte, ma, oh, distruggendo ogni cosa che incontrava.
“Naruto, sulla destra!”
E il biondo scartava, saltava, scivolando si fermava, affannato.
Silenzio.
Affannati respiri, più vicini, più lontani.
Occhi che osservano attraverso la notte buia dell'oramai deserto.
E la meta?
“..Sasuke..”
“Taci, Naruto!.”
E lui, quasi appiattendo le orecchie che non possedeva, nonostante i baffi, taceva.
Ancora silenzio.
“Neji!”
Sasuke si portò la mano dietro la nuca, per sentire bene i rumori proveniente dal bracciale: un frigolìo di sottofondo, silenzio.
Sparo.
“Non risponde?”
Domandò Naruto, con la calibro 45 in mano ancora fumante: il bracico teso e potente, il corpo carico di acido lattico. Qualche metro più in la' un uomo di bianco vestito crollava a terra.
“Mph. Sei solo fortunato, Agricola.”
E nonostante il pesantissimo insulto, Sasuke pareva quasi sorridere.
Non c'è legante migliore della battaglia, dopotutto. Del sangue. Versato o fatto versare.
Tuo o dei tuoi compagni.
“Lo so, lo so.”
Rispose Naruto, tirando l'orecchio verso il proprio bracciale.
“Il segnale è disturbato...”
“Infatti.”
Sasuke fece ricadere il braccio lungo il fianco e con un cenno di capo radunò il proprio gruppo.
“Sarà meglio andare avanti”
Kiba e TenTen annuirono col capo, da qualche decina di metri: nonostante il buio e la distanza riuscivano tutti a vedersi. I Bellatores si riavvicinarono ai gruppi di Custos, tornando tutti a creare un nucleo compatto: l'imboscata sembrava sventata.
Ma, per precauzione, gli sciacalli andavano avanti.
E nessuno osava far domanda riguardo ciò che accadeva: non ce n'era bisogno. Non che sapessero: non volevano sapere.

“Neji!”
“Naruto, rinuncia.”
Il biondino camminava con passo sostenuto, le ginocchia flesse per aver sempre pronta la guardia: la mandritta dietro al capo, con la sua amata che puntava il cielo colmo di stelle, l'orecchio tirato verso il bracciale medesimo. E da questo, solamente confusi suono metallici, tipici dell'elettricità.
Il gruppo percorreva la poca distanza che lo divideva dalla meta sotto lo sguardo attento e vigile della luna, ad irradiare l'aere di luce argentea. Il vento tenue, il caldo incessante: Naruto stava diventando un'unica crosta, dopo aver fatto scolare grandi quantità del proprio sangue, la coagulazione aveva già fatto i primi tappi: la pelle tirava, a volte inafastidendolo. Il tutto peggiorato dalla costante presenza della sabbia.
Oh, la odiava, la sabbia.
E a volte slittava nel suo incedere, nonostante tutti gli altri Custos si fossero rapidamente abituati.
“Neji!”
TenTen, con in mano i pugnali introgolati di sangue nemico, tirava l'orecchio, incuriosita dal continuo richiamo di Naruto verso il compagno cecchino: era inutile continuare a chiamare, se la linea disturbata, pensava.
Il biondo insisteva.
“Hoeey! Neji! Hinata!”
E mentre solo i suoi richiami si estendevano nel buio e nell'oramai freddo deserto, in lontananza si vedeva qualcosa.


***




C'era un uomo che lo osservava.
Questo lui vedeva.
E da dietro quello che nessuno mai capì che fu, che intoccabile si faceva, che chiuso lo teneva, puntava gli occhi suoi sul suo corpo a tratti inesistente.
E se dietro di lui altri due, più giovani, lo osservavano a loro volta, non cambiava.
Tutto ciò che a quei poco graditi spettatori concedeva era una schiena lunga, attraversata da una verticale linea di potenti bozzi e solchi, e qualche tratto orizzontale.
“Rosso, sta giungendo il tuo tempo.”
La voce era giovane, doveva essere del ragazzino robusto dietro all'uomo, accanto alla femmina.
Ma il rosso non voleva. Si strinse nelle spalle incassando ulteriormente il capo, per quanto la cosa gli fosse possibile.
“Ehi, sta parlando con te.”
Voce della ragazzina.
Al che, per sola cortesia verso il gentil sesso, lui voltò lentamente il capo verso quelli.
E lì, immobile, si congelò a guardarli.
Due grandi occhi verde acqua circondati dal più oscuro nero mai notato.
E gli zigomi pronunciati dalla sola pelle che tira, tira sopra la carne, che non c'è.


***



Sasuke e Naruto si misero sull'attenti, al riparo, al sicuro, teoricamente parlando.
Le flebili lucine del campo base, al fronte, si erano lasciate notare solo qualche chilometro prima: e grande era stato lo stupore nel realizzare che non infuriava nessuna battaglia, che i Bellatores già presenti montavano un'annoiata guardia, e che le tende erano montate da anni, probabilmente, dentro fosse a trincea che probabilmente non sarebbero mai serviti.
E tutto era dannatamente calmo, nonostante, per giungere in quel luogo, avessero dovuto dare più di quanto immaginavano: e solo ora ch'eran pronti al peggio, il peggio non si palesava.
Nulla.
Più calma che al Ludus.
Jiraya sedeva su una sedia dietro a un tavolo, largo e baso, invaso da mappe e tomi: lo sguardo, al solito, li studiava uno per uno, sebbene con molto meno interesse di quanto non avesse fatto Kakashi.
Dietro a Jiraya, una figura assai più minuta, dagli occhi affilati ed i lunghi capelli neri.
“Shikamaru!”
E Naruto che, nonostante tutto, non riesce a domare la sua indole.
Shikamaru volse lo sguardo verso il biondo, allineato agli altri Custos: fuori, i Bellatores ad aspettare. La tenda era grande, sì, ma non abbastanza da ospitare duecento di loro.
“Prima che vi intratteniate con i qui presenti, vorrei il resoconto”
Jiraya incrociò le braccia, guardando Naruto scocciato, e dunque Sasuke, come se la domanda fosse stata volta a lui.
“Abbiamo perso di sicuro otto Bellatores.”
E il ragazzo dai capelli Corvini rispose con la sua tipica prontezza.
“Custodes?”
“Nessuno, anche se abbiamo perso i contatti con il gruppo dei cecchini – ma credo sia solo questione d'interferenza.”
“Ok. Avete impiegato sei ore per compiere una strada che noi abbiamo fatto in una.”
“C'è stata un'imboscata.”
“Sono comunque troppe.”
“Troppe?!”
La voce del biondo s'intromise nel discorso spezzando i toni formali, nel suo impeto ingovernato.
“Insomma, eravamo trecento e ne abbiamo persi otto contro.. quanti saranno stati? Tantissimi! Io stesso ne avrò finiti almeno sei!”
“Erano in duecento, circa.”
E alla risposta di Sasuke, il biondino Ammutolì.
“Il solo fatto che tu, in quanto Custos, ne abbia stesi sei, implica che in molti sono stati inattivi.”
“Ma.. non è vero!”
“Vuoi negare i numeri?”
Ammutolito anche da Jiraya, voltò le iridi cerulee verso Shikamaru, domandando aiuto. Sorvolando sul fatto che non avesse idea del motivo per il quale di trovasse lì.
D'altro canto, Shikamaru tacque.
“A questi livelli è più importante arrivare prima che perdere Bellatores.”
Così dicendo, l'altissimo uomo dalla chioma albina si elevò in piedi, mantenendo le braccia incrociate.
“E' ovvio che un'imboscata così squilibrata non è studiata ne' per decimare ne' per debellare, ma semplicemente per rallentare.”
E Naruto chinò il capo vero il basso.
“I Custos sono da proteggere, e questo è compito dei Bellatores. I Bellatores, di per se', non hanno grande importanza, se non nelle grandi armate a fare numero: ma capirai che questo non è il vostro caso, vero?”
E fece come per nascondersi nelle spalle.
L'unica cosa che era cambiata era che Jiraya s'era preso la briga di spiegare la faccenda: per il resto, Naruto rimaneva il solito sciocco che faceva le domande ovvie, e Sasuke quello che, assieme agli altri Custos, lo guardava allibito e scocciato.
“Conclusa questa parentesi, che spero vi sia servita, vi informo che Sasuke prenderà il vostro comando.”

***




Temari si scostò un po' indietro alla vista del suo volto, che, freddo, li abbracciava tutti e tre. Muto, le labbra due sottilissime sporgenze sigillate.
Quello che il rosso vedeva era un uomo con le gote solcate da coppie di triangoli viola; un ragazzino robusto, castano, gli occhi piccoli e il muso dipinto dello stesso colore dell'adulto, sebbene dai tratti assai più complessi; ed infine una ragazzina bionda, che, sconcertata, forse era quella che con più terrore lo guardava.
Nonostante l'appunto ante fattogli.

Il rosso schiuse lievemente le labbra.

***



Sotto i guanti che creavano le sue fila di potere, il Nero pece, scuro e opaco, era mutato in un Grigetto scuro.
E lui, che in teoria doveva dormire, steso al suolo come appena stramazzato manteneva gli occhi vero l'altro, a fessura, mezzo all'erta.
Forse perchè lui non si fidava.
E, d'altro canto, non aveva gran motivo per farlo.
Ne del biondo, ne' di nessun altro. A meno che non fosse un superiore.
Perchè di loro ci si doveva fidare per principio.

Naruto sedeva sulla sedia, all'esterno della tenda, quasi stravaccato. Nella destra l'arma, la sinistra vuota, penzolante verso il vuoto.
Sotto gli stivali sabbia, solo sabbia.
Sopra il capo aria fredda, nero, e lontane masse gassose che brillavano, per quanto fosse loro possibile, a migliaia di chilometri di distanza.
Svacco e Noia.
Ecco.
Il massimo dell'eccitazione era sfumato come era giunto in quel luogo, all'apparenza desolato, controllato da meno di mille soldati: lo sguardo si puntava verso l'orizzonte ondulato, che non mostrava nulla.
Nessuna persona, nessun accampamento.
Jiraya aveva detto loro che la base nemica era giusto giusto oltre quelle dune, e come loro non potevano vedere quelli, quelli non li potevano vedere. E soprattutto, qui non c'era nulla da fare.
Solo stare qui a controllare, ed ogni tanto combattere contro qualche ardita compagnia che si avventurava verso la loro postazione: ma erano sempre piccoli gruppi, e quindi, nulla.
Forse era vero.
Erano solo scaramucce di frontiera.
E la sua prima notte di ronda, fuori dalla tenda, era quanto di più noioso esistesse.

“Ehi, c'è nessuno?”
...
“Pronto?”
...
E da lontano:
“Neji, non sarà..?”
“Sento solo silenzio...”
“.. oh...”
“EHI!”
Naruto si ritirò su di scatto, portando il capo, che prima penzolava dallo schienale, violentemente n avanti: eprdendo un isto l'equilibrio, e, nel trambusto, ritrovandolo, un po' sconcertato.
“Checc'è? Chi è?”
Sguardo a destra, a sinistra.
“Hoei!”
E Silenzio.
E poi di nuovo la voce.
“C'è nessuno?”
Il biondo sollevò ampliamente le sopracciglia nel realizzare che a parlare era il bracciale.
“.. Neji?”
Chinandosi in avanti, tirò l'orecchio
“Sì, sono Neji! Naruto?”
“Naruto?”
Un'altra voce, femminile.
“Hinata! Neji! State bene?”
“Sì, dove siete?”
Felice, felice per svariati motivi, incollò il piccolo altoparlante all'orecchio, portando il braccio verso l'alto, la mano dietro la nuca. Sorridendo.
Sorridendo perchè c'erano.
Completamente noncurante dell'ombra che, mentre lui guardava come sognante l'orizzonte, gli si avvicinava alle spalle.

***


“Abbiamo deciso.”
Il rosso rimaneva in quella posizione, a mostrare metà schiena, girato verso di loro solo col capo, che, torto, mostrava i tendini e la trachea.
Temari e Kankuro, questi i nomi die due giovini, osservavano l'essere senza più sapere che pensare.
Il Rosso mosse quasi impercettibilmente le labbra, in un alito sottile, un sussurro impercettibile.
L'uomo chinò lievemente il capo, come a volergli chiedere di ripetere.
E il Rosso mosse nuovamente le labbra.
“E io cos'ho deciso?”
Domandò, in un sibilo che tagliò l'aria come una lama di diamante.
Temari e Kankuro si tirarono indietro.
Parlava?

La Bestia parlava.

***



“Hwah!”
Intento ad ascoltare le voci dei due ragazzi dagli occhi opachi, Naruto non s'accorse di ciò che gli giungeva da dietro. E al sol contatto, saltò, tendendo i muscoli.
Neji, al sentire il grido, allontanò il braccio dall'orecchio, assieme a Hinata.
“Cos'è stato?”
Domandò la ragazzina al suo simile, mentre, accanto a loro, un manipolo di Bellatores, con qualche altro Custos, attendeva.
“Non lo so.”
Disse Neji, riavvicinandosi all'apparecchio.
“Naruto!”
....
E dunque lei:
“Naruto!”

Solo, sano, silenzio.

***



L'uomo, al dire del Rosso, fece l'opposto dei ragazzini, compiendo un passo avanti, e sporgendosi. Oltre qualcosa di intastabile ed impercettibile, se ne stava il ragazzino smunto, ranicchiato, gli occhioni che domandavano con un'aria quasi di pretesa.
“Tu forse decidi, Rosso?”
Il rosso riuscì a mantenere il contatto visivo solo qualche istante, ricadendo subito dopo a terra.
“No.”
La sua voce era infantile, e sfrecciava nell'aria come un ago invisibile e tagliente, muto ed opprimente, che nel suo stesso silenzio di quale era fatta, il silenzio rompere poteva.
E batto il tono, e inesistente il volume, grave quasi, chi nulla sente per molto tempo solo nel nulla si sa far sentire.
Ma si sente.
Ed i due tendevano i muscoli, per non voler cadere, per non voler cedere a quello che sembrava un canto senza note che portava dritto alla distruzione.
“Tu non decidi, vero?”
“No. Non ne sono capace.”
“Vero?”
“Vero.”
“È giunto il tuo tempo, Arenae Gaara.”

Come la bestia canta.
Come solo un'altra, la stessa melodia, intonare sa.


Mi diedero una lama:
di uccidere mi dissero.
Di me furono catene:
di attendere, mi dissero.
Di me non so che fu
e che ora è, se mai io sono.

Mi diedero una lama:
di uccidermi mi dissero.
Ed io uccisi, ed io attesi,
ed io per loro al mio stesso io mi arresi.


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Capitolo 16
*** 15 (De Adulescentia) ***






15. De adulescentia.



Non un'
altra volta.
Ridillo infinite,
uniche e più:
te ne prego.
O non me ne farò ragione.

Che qui sono.
E che qui per voi, io sono.




“Naruto!”
Questa volta il biondino era definitivamente crollato a terra. E da lì, dolorante, in una scena da DejaVu, osservava Sasuke che gli si piegava sopra furioso, gli occhi due rosse fiamme nel nero della calma notte.
“Cosa? Cosa? Cosa?”
Il cuore a mille, e lui che non sapeva, non aveva saputo, sul momento, se esser preoccupato perchè stava per morire o se essere felice perchè ricominciava l'azione. Ma il dubbio fu slegato al volo dalla vista dell'altro, che chiaramente era unico, solo e incontrastato motivo della sua reazione spropositata.
Era bastato un tocco alla spalla per far saltare il biondo.
D'atro canto, Sasuke incuteva timore già di suo. Figurarsi in una silenziosa notte del deserto, da cui non ci si aspetta nulla, mentre si è in contatto con compagni che a tratti si ritenevano dispersi.
“Cosa stai facendo?”
Ormai Sasuke era un suo superiore: doveva rispondere.
“Ah! Sasuke, Sasuke! C'è Neji in linea! Neji!”
E così tornando verso il bracciale
“Neji!”
Dall'altra parte, Hinata e Neji furono quasi per rallegrarsi, se non per realizzare subito dopo in che maniera idiota il bocciato li aveva tenuti in sospeso.
E in un unico boato, il nome del ragazzino dai capelli biondi, gli occhi cerulei, e sei segni sulle gote, a baffo, risuonò nell'aere con una eco lunga e lontana.

Dopo quell'escalation Naruto rimase a terra, immobilizzato: le colpe a lui. Tutte quante. Per direttissima.
Perchè non aveva svegliato il suo superiore al richiamo degli altri.
Naruto.
Perchè aveva taciuto di colpo alla radio.
Naruto.
Perchè si era addormentato, e lo sapevano solo Neji e Hinata. Forse.
Naruto.
E Naruto lasciava che il volto gli venisse invaso da un largo sorriso, che scostava i suoi segni a solco, che deviava delle strane lacrime, poggiandosi con le mani a terra e guardando, dall'infimo della sua posizione, l'ora alta figura del ragazzino suo compagno.
“Sasuke... Stanno arrivando qui”
Fece lui in quello strano stato. L'altro sbattè le palpebre una volta, nascondendo gli occhi rossi, che al rilevarsi delle ciglia erano nuovamente neri.
“E allora?”
E il biondo, rimanendo lì com'era:
“Non è bellissimo?”

***


Non c'erano specchi.
E forse quello era un bene,
La tunica era bianca, e scendeva leggera lungo i tratti del corpo del ragazzino, marcando ogni suo singolo spigolo, scivolando sulla pelle disidratata. D'una seta che si muove con il più minimo alito di vento, e bastava. Non serviva null'altro al Rosso dai sott'occhi profondi e neri.
Gaara inclinava lievemente la testa verso l'indietro, andando a calcare sulla cervicale: il tessuto gli dava una strana sensazione di freschezza che non aveva mai provato. Gli sfiorava l'epidermide lasciandogli quell'idea del tocco fugace.
O meglio, del tocco solo, a cui lui non era affatto avezzo.
I piedi nudi e callosi poggiavano sulla roccia ruvida della stanza, nuova, mai vista prima: tutt'attorno muri di argilla, sabbia compatta, si ergevano e si chiudevano a cupola; il sole, violento, precipitava sul pavimento ad ampie chiazze quali erano le finestre, sotto le quali il caldo era pungente.
Il Rosso vi immergeva le mani, come fossero sotto un getto d'acqua: le strofinava, le lasciava lì, immobili, per lungo tempo. Le girava.
Le mani del Rosso non mutavano colore, nemmeno dopo ore. Rimanevano bianche, candide.
Arenae Gaara era avvolto dal silenzio, il silenzio del deserto.
Nonostante si trovassero in pieno centro della capitale, Arenae Pagus.

Arenae.

A quanto pareva, la sabbia era l'unico vero amore di questa gente.
La sabbia li circondava. Nella sabbia vivevano e morivano. La sabbia era la loro Regio, quell'unica solcata dai più forti venti del mondo, quelli che tagliano, muovono, levano, squartano.
Quelli che lui aveva sempre percepito sulla carne.
Gli unici soffi che gli davano la vaga speranza di essere vivo, come quelli che silenziosi camminavano per la strada. Senza sapere di lui.
Senza voler sapere del Rosso.
Queste persone amavano la sabbia.
E lui era Arenae Gaara. Quanto di più vicino ci fosse alla sabbia. Anzi, no. Lui era sabbia.
Era un'esile corpo pronto a sciogliersi in infiniti granelli.
Granelli pronti a riunirsi nel deserto.

Ma no.
Lui non era.

Perchè lui non poteva essere.
Ne' Gaara.
Ne' il Rosso.
Ne' Sabbia.

Era sono una funzione.
Un vettore.
Un metodo.
Un mezzo.

L'inutile e trascurabile intermediario.


Di sabbia.


Andava benissimo così.

***


Le giornate passavano con una lentezza imponderabile. Mai, lui, mai avrebbe pensato che quella potesse essere la vita al fronte: con la sabbia che entra da tutte le parti, che da' fastidio, da' molto fastidio; e nonostante la tuta ermetica, riparata dopo l'imboscata da mani esperte, la sabbia insisteva, rilevandosi l'unico e vero nemico.
No, Mai avrebbe pensato che potesse essere così.
Mai avrebbe pensato di starsene seduto ad osservare un orizzonte immutabile: una serie di dune, un profilo ondulato che si confonde con il cielo troppo azzurro; sotto il sole che batte, e batte, e batte.
E non dà pace.
Così, da giorni, Naruto sedeva ai margini dell'accampamento, un insieme di tende beige, in una fossa, che regalava un lievissimo frescore, un po' d'ombra, anche se rara. Su di un sediolina pieghevole, nulla di che, con le due calibro gemelle nelle fodere nere, che, diamine, solo a toccarle ci si ustionava. Ma, era sicuro, non sarebbero servite.
No, non sarebbero servite, aveva detto Jiraya.
Ed era stata una pura coincidenza che, proprio nel giorno del loro arrivo, fossero stati sorpresi dai nemici: lì non succedeva mai niente.
Ecco cosa intendevano loro per "scaramuccie di frontiera".
Osservarsi da chilometri e chilometri di distanza, da dietro le lenti di potenti canocchiali, da dietro gli schermi di visori a infrarossi, notte e giorno, giorno e notte, fino all'esasperazione.
Che noia, pensava Naruto.
"Nulla."
"Ma va?"
Fece Naruto, scostando lo sguardo verso l'alto.
Kiba scese dalla piccola torre di legno, alta sì e no tre metri, a sporgere dalla fossa dell'accampamento. Un piccolo balzo per toccar terra, e dunque qualche passo per giungere sulla sedia accanto a quella di Naruto, e lì lasciarsi cadere seduto, le braccia penzolanti, i ciuffi castani piegati sotto il peso del sudore.
"Mi annoio, Kiba."
"Cos'è, preferiresti essere morto?"
E, alla fin fine, tutta quella noia portava le sue positività. Del tipo, trattenere lunghe e insensate chiacchierate con il ragazzino che comandava gli sciacalli.
"Mi annoio"
"Anch'io."
"Mi annoio."
"Io di più."
"No, di più io."
"No, io."
"Uffa."
Per lasciarsi andare alle infantilità più assurde, mentre nessuno controlla, mentre nulla accade.
Tanto.
"Allora?"
"Nulla"
Risposero i due in coro alla voce che, da dietro, si avvicinava.
"Dovrei rinunciare a farvi questa domanda."
Fece la voce, maschile e giovanissima, la mano sulla nuca.
"Non sarebbe una cattiva idea, sai?"
Naruto si volse leggermente, andando ad incontrare la sagoma di Shikamaru, che, fermatosi dietro Kiba, osservava l'orizzonte a sua volta. Il ragazzino, che indossava come loro una di quelle tute termoregolatrici, era avvolto in secondo strato da dei teli neri e rossi, che si sistemavano a toga. Il drappi neri scendevano verticali, avvogendo le spalle, ricadendo sui fianchi, prossimi a toccar terra; i tessuti rossi, color ruggine, scuri e lucidi, avvolgevano il collo ricoprendo le braccia: il tutto a delinare la divisa di un Custos che andava per Philosophus, e non era nemmeno alle prime armi.
Due mesi bastavano per fare carriera.
Il primo, mentre Naruto e gli altri continuavano gli allenamenti alla SubSphaera, era bastato per farsi notare come personaggio d'intelligenza finissima. Il secondo, mandato al fronte come apprendista, era sufficente per far denotare l'astuzia pronta e reattiva. Passando le giornate a discorrere con Jiraya, Shikamaru si formava rapidamente per andare ad essere, entro breve, uno dei migliori strateghi della Regio.
Fine.
Null'altro sapevano i Custos guerrieri, Naruto e Kiba, o anche Sasuke e Shino, del compagno.
Nella solita politica del non sapere, Shikamaru non poteva dire null'altro. Dov'era stato? Cosa gli avevano fatto fare, di preciso? Chi c'era, con lui?
Queste domande corrodevano la mente del biondino, senza riuscire a trovare una risposta adeguata.
Dopo aver osservato a lungo Shikamaru, tornò a guardare l'orizzonte, completando il quadretto.
"Shikamaru?"
"Sì."
"Posso una domanda?"
Nemmeno tre secondi, ed era tornato sullo stratega, che lo osservava con il volto di chi sa che qualcosa dovrà omettere, gli occhi affilati che scrutavano quelli creulei del Custos.
Era così...
Così..
Dannatamente normale, pensava Shikamaru.
Uguale agli altri. Non come mesi fa, come al Ludus.
Così doveva stringere le palpebre per riuscire a carpire l'essenza del Naruto che creava sempre caos alla Sphaera, che dava fastidio, che parlava sempre nel momento sbagliato, nel modo sbagliato, alla persona sbagliata.
Possibile che gli mancasse quel Naruto?
Che mancasse o meno, l'assenza si era notata. Tutti quelli dell'anno la vevano notata. E, se non tutti, gran parte. Sasuke, Hinata. Kiba? Possibile.
Ma era veramente assente?
Il bocciato era cambiato.
L'unico che aveva contiuato, del suo anno, l'unico con una forza di volontà assurda, apparentemente infinita, e usata per fare le cose più idiote. Pareva gli avessero messo la museruola.
No, non era diventato totalmente normale. Era semplicemente... svampito.
Molto svampito.
Null'altro.
"Prima.. di venire qui, al fronte, dico. Eri con Sakura?"
".. Sì."
Perchè si interessava dell'unica persona che lo odiava veramente?
Dato che gli altri lo evitavano per tacite regole, ma non gli negavano la parola, Sakura era quella che, per principio, per puro sentimento proprio, rigetto interiore, non lo reggeva. E se avesse avuto l'opportunità di premere un bottone e di cancellare l'esistenza di Naruto, presente, passata e futura, per sempre, Shikamaru era convinto che l'avrebbe fatto. Senza pensarci due volte.
"Ok."
Tornò a fissare l'orizzonte.
Tanto sapeva che di più, dal futuro Philosophus, non si poteva ottenere.

"Sasuke!"
"..."
"Hoey, Sasuke! Sasuke! Sas'ke!"
"Non sto dormendo."
"Ah."
La voce del superiore, gelida, fendeva laria notturna e fredda con un solo, semplice, sibilo.
No, non stava dormendo, nonostante fossero le tre di notte.
Naruto tornò con gli occhi dietro al visore, ingrandendo e rimpicciolendo l'immagine per puro divertimento: non succedeva nulla, ovviamente.
"Neji, com'è da voi?"
Fece il ragazzino dai capelli corvini verso il bracciale.
"Nulla."
"Cosa ti aspettavi?"
Fece un'altra voce dall'apparecchio: Kiba.
I turni ruotavano, ma alla fine poco cambiava. Nulla è sempre uguale a nulla.
"Sasuke, mi annoio."
"..."
Almeno con Kiba era più divertente.
"Sasuke?"
Muto, quello si portò agli occhi il visore, per far notare a Naruto che non lo stava minimamente ascoltando.
"Uffa."
E' così che il tempo passa.
"Naruto, cos'è quello?"
"Quello quale?"
"Tredici, ventisei, meno ottanta."
Il biondo si sporse, a voler vedere a sua volta, dietro il visore.
Succedeva qualcosa?
Succedeva qualcosa?
Eh? Eh? Eh?
"... è un cane."
Fece poi, sconsolato, verso Sasuke.
"KIBA!"
"Agli ordini!"
"Manda via quella cosa al tredici ventisei meno ottanta, che intralcia!"
"Intralcia.. cosa, scusa?"
"Kiba..."
"Sìppadrone."
Un profondo, lontano ululato si erse.
Kiba allungava il collo, dall'altra parte del campo, levando la testa verso le stelle.
Perchè potesse farlo, e perchè solamente lui, non interessava a nessuno.
Il cane, appiattite le orecchie, se ne andò.

***



"Gaara!"

Il ragazzino spostò lentamente il peso sulla sinistra, per potersi voltare verso la voce. Rinchiuso da tempo in quella nuova stanza, qualche visita, ogni tanto. Temari e Kankuro, trascinati dall'uomo dai tiangoli viola, Baki, per parlare.
Lui spiccicava, ogni tanto, qualchì, sì. Qualche va bene. Qualch ho capito. Farò così, diceva il rosso. Dava lievissimi cenni d'assenso col capo.
"Gaara."
"... sì."
Ora completamente rivolto verso la voce, nient'altro che di Baki stesso, ad osservarlo dall'alto.
"Sei pronto?"
"... sì."
Al Rosso non piaceva espandere la propria favella: d'altro canto, non aveva null'altro da dire. Sì. E basta.
"Bene."
Baki si voltò, uscendo dalla stanza, la porta lasciata aperta. Il Rosso rimase un minuto immobile, ad osservare l'apertura, da cui si sviluppava una nuova corrente: la tunica di seta, semplice larga e lunga maglia, si smuoveva come furiosa sotto il muoversi dell'aere.
Ma il Rosso rimaneva immobile.
Poi, caricando lentamente il peso, si voltò nuovamente, verso una delle finestre.
Un passo.
Due passi.
Portò in avanti la mano destra, lentamente, sotto il getto del sole, che filtrava con a stessa insistenza di sempre.
Poi la sinistra.
Attese.
E compì un passo in avanti, immergendosi completamente sotto il fascio di luce: come sotto una doccia, il volto levato, gli occhi chiusi, due macchie nere. Sotto il sole del deserto, i rossi capelli, cortissimi, che risplendevano, lanciavano getti di luce a oro volta, come rimbalzasse, come fosse acqua, e la tunica allo stesso modo.
Immobile, schiudendo leggermente le labbra, quasi a voler assaggiare il sole. Schiudendo poi le palpebre, con la medesima lentessa, a volerlo vedere, il sole. Un puntino bianco e acciecante, che lo costrinse a chinare il capo, mentre inspirava pronfamente.
E poi espirare, facendo fuoriuscire tutto il flusso dalla bocca, minuta.
Doccia, una doccia di sole.
Quello era il sole.
Era un getto continuo.
Un punto bianco.
Un punto bianco da cui si diparte luce, che va ovunque, e ovunque, e ovunque.
Il Rosso si voltò, osservando, da sotto il sole, la porta aperta.
Ecco la strada.
Ecco la via.

Sei pronto, Rosso?
Eh?
Sei pronta, Bestia che Parla?

Sotto il getto di luce, Arenae Gaara Annuì.
E lento, nelle sue misere vesti, si incamminò.

Cercare una forza che non ci appartiene,
oh, luna, dammi la luce.
Cercare una forza che non conosciamo,
oh, sole, dammi la luce.

Cercare noi stessi, e non ci troviamo.
Oh, stelle, dateci luce.









Nota dell'autrice

Signori, sono ufficialmente DALTONICA! Ero fermamente convinta che i trinangoli di Baki fossero viola. Giuro! Ma, a dire il vero, sono di un rosso-scarlatto-vagamente violaceo che.. boh, nella ff resteranno viola. E chissene! XD
Detto questo, mi scuso per il ritardo, ma, alla fine, c'è. E mi par ben. Non è che è stato faticoso, ma... somma, è estate.. XD

Sto amando 'sta cosa ogni capitolo di più: è divertonte, tanto i personaggi fanno tutti da soli. Veramente una cosa assurda. Non so proprio come dirvelo, ma... si sta scrivendo da sola! La prte divertente di leggere queste cose è, in pracita, che più che scriverle mi pare di leggerle direttamente, come se non le avessi scritte io.

Mah, sarà che ho preso troppo sole.. XD

Poi..
Gaara *__*
Boh, a parte quello XD
Fra parendesi, Arena=Sabbia

X MoMozzia: oddio, ma tu sei folle! °_° L'idea di base base è di Platone (povero Socrate, lui a un'utopia non ci pensava nemmeno da lontano.. la cosa non gli fregava granchè), ma Platone pensava ad un Utopia positiva, e infatti la sua repubblica, in teoria, funziona. Cioè, in pratica è solo l'idea del gruppo di filosofi che guida e i custodi ben allevati che combattono... ok, spiego meglio: per Platone c'erano
-Custodi (che potevano diventare filosofi)
-Mercanti e agricoltori (che potevano diventare custodi e dunque filosofi)
Anche se questo cambio di rango era raro, era contemplato. I custodi combattevano ed erano gli unici educati alle armi, e assieme alle armi erano educati anche a molte altre cose: se erano speciali iniziavano l'addestramento per diventare filosofi e (come diceva lui, quasi letterale, “se erano ancora vivi”) a 60 anni governavano... XD
Nella mia storiella invece è diverso: nasci, a 6 anni prendi la tua strada teorica, e puoi diventare o custode o filosofo. Da queste due cariche puoi soltanto scendere, mentre la risalita è inconcepibile. In genere, come hai visto, la “discesa” c'è solamente al Ludus e nelle fasi d'apprendimento... una volta che hai finito il percorso scolastico, li sei e li resti.
Platone non aveva pensato ai bellatores da usare come scudi umani...
Quindi la mia visione è bella che sadica! XD XD XD Cioè, BRUTTO!

X Hinata-chan:
Tutto mio-mio-mio [come leggi sopra, lo spunto da Platone e dagli spartani è proprio minimo...], poesie comprese: forse più avanti ne inserirò di famose, o comunque non mie, ma metto sempre i credits... figurarsi :P Comunque, per la tua NaruHina... ... hum... mh-mh... Credo proprio di no. Onestamente non penso nemmeno mi soffermerò troppo a lungo su amori vari (salvo gli ultimi capitoli, ma vabè), e comunque no di certo naruhina. Sorry ^^'
















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Capitolo 17
*** 16 (Occursusque...) ***






16. Occursusque...



Per vedere gli occhi
perchè con i tuoi occhi veda
e perché allora
alla realtà non creda.



Neji aveva la bocca impastata. Saliva e sabbia creavano un amalgama formidabile che gli serrava le labbra e gli dava un fastidio indescrivibile.
Con il passare dei mesi aveva rinunciato a liberarsene, facendola diventare sua unica nemica: nel frattempo i suoi occhi opachi spaziavano sulla solita, eternamente desolata landa. Tre metri più in là Hinata era, più o meno, nella stessa situazione.

***


“Seguimi.”
“Sì.”
Baki svettava in mezzo ai tre ragazzini, tutti e quattro in testa ad una massa di guerrieri pronti e scalpitanti, ricoperti dalle stoffe bianche tipiche della Regio.
Troppe persone.
Troppa gente, per il Rosso, che ogni tanto si voltava ad osservare la grande chiazza bianca che lo seguiva.
Davvero esistevano così tante persone al mondo?
“Andiamo.”
“Sì.”
Lui solcava la sabbia bollente con i piedi ignudi e lo sguardo alto.
Gaara non era fiero. Ammirava solo l'orizzonte, che non aveva mai visto in vita sua: e quindi guardava avanti fisso, apparendo come l'essere più sicuro del mondo. Nei momenti in cui volgeva lo sguardo verso i soldati, questi, sotto i cappucci bianchi, venivano colti da una sensazione di disagio che li quasi bloccava.
Rimanevano impietriti nell'osservare il volto scarno e le nere fosse che aveva attorno agli occhi. Convinti che il Rosso, il Mostro, la Bestia, li stesse giudicando.

Ma Gaara non giudicava. Non sapeva giudicare.
Aveva solamente una profonda paura. Paura di loro.

Una paura che nessuno, pareva, potesse capire o solamente sospettare.

“Quando arriveremo al campo, voglio che tu dia il meglio.”
“..sì”
“Questo è un ordine.”
Sì. Era la parola che pronunciava più spesso.
Probabilmente l'unica.
Dare il meglio. Il Rosso doveva dare il meglio.
Tacque.
“Hai capito?”
Baki insisteva: l'operazione era di vitale importanza. Non potevano fallire, non potevano commettere nessun errore. Ma soprattutto il Rosso doveva agire. Funzionare. Era l'arma della ribalta, quella che avrebbe fatto guadagnar loro terreno... il Rosso, per quanto inumano che fosse, doveva capire.
“Gaara.”
Il Rosso si voltò lentamente, mentre continuavano ad avanzare. Il proprio nome gli faceva congelare il sangue nelle vene. Suonava così male, così alterato, in quell'espirare a pieni polmoni le A, che li svuotano.
Lascia senza fiato gli altri. E carpisce l'animo del suo possessore, stringendolo, stritolandolo, ricordandogli la sua essenza.
Per quanto inumano il Rosso potesse essere.
Una mano, adulta, si posò sulla spalla appuntita del ragazzino dai profondi sott'occhi. Per quanto la Bestia intimorisse chiunque, Baki si sforzò, avvicinandosi lentamente all'orecchio pallido dell'altro.
“Ascolta.”
In un sussurro. Gaara ascoltava. Gaara voleva ascoltare.
In quel momento solo la voce di Baki esisteva, che a lui si rivolgeva come fosse un'entità concreta, come a un essere umano, senza scostarsi indietro. Avvicinando più di quanto avesse mai fatto nessuno le sue labbra ai suoi rossi capelli. Toccando e percependo la pelle sotto la bianca stoffa, la carne, poca, le ossa.
“E' facile. Devi solamente ucciderli.”
L'adulto si scostò, andando a cercare lo sguardo del giovine. Come questi se ne accorse, diresse le iridi verde acqua sull'uomo, fissandolo.
Studiandolo.
Incollando le pupille su quelle dell'altro.
Baki si sentì strappare via l'anima.
“Sì.”
I margini delle labbra del Rosso, sottili, si allargarono impercettibilmente.

***

Kiba, erto in piedi, annusava l'aria.
L'annusava in continuazione. Riempiva i polmoni lentamente e con fluidità, esaminando con minuzia ogni singola particella dell'aere.
“Sei un cane.”
“Naah.”
Il ragazzo continuava, negando l'evidenza.
Naruto lo guardava mentre compieva questi atti animaleschi, la mano sotto il mento, quasi perplesso.
“Sì, sei un cane.”
“Naah..”
Inutile dire che Kiba risultava la migliore persona al mondo con la quale dedicarsi al chiacchiericcio inconclusivo.
Ogni tanto si alzava una lieve brezza che creava qualche mulinello di sabbia: ma nulla, alla fine, mutava. Il paesaggio era sempre quello. La situazione anche.
“Ma cos'hai tutto questo fiutare, KibaKiba?”
“Mah, niente.”
Con un grugno il biondino tornò a semi composto sulla sedia, le braccia incrociate.
“Direi solo che... c'è qualcosa di nuovo. Ecco. Odori mai sentiti...”
“Sei un cane.”
Sbuffando anche il moro tornò a sedersi, le braccia incrociate, lo sguardo immancabilmente rivolto all'orizzonte deserto.


***



Era la sabbia, così libera, che lo incantava prima di tutto.
Una minima folata di vento e i granelli si libravano in aria, fieri e felici.
Dimentico del suo animo vuoto, vacuo, del suo non-animo, il Rosso continuava l'avanzata meravigliandosi del mondo come un bambino. Il cielo azzurro, il sole che picchiava, innondandolo di luce, bagnandolo dei propri raggi: i capelli scarlatti rilucevano. I suoi occhi brillavano.
“Ci siamo.”


**********************
Quello, fu l'inizio.
**********************


- ACT 1.
Carpire

Avanzavano.
Avanzavano.
Inevitabile non accorgersene.
Ci sono molti modi per percepire ciò che è lontano.
E ve ne erano ancora di più in quel gruppo di ragazzini baciati dai più inumani talenti.
Chi col naso, chi con gli occhi.
Chi con la mente ci arrivava, osservando da dietro un visore l'orizzonte ne vedeva il mutare lento e innaturale.
Chi invece si agitava.
“Hoey, Hoey, urene taroo...”
In un sussurro, come stesse parlando con se' stesso, la voce un po' troppo alta. Le mani inguantate che battevano sul bordo della sedia, ritmiche.
“Taroo, de tote urene taroo”
Il capo dorato che compieva piccoli e secchi movimenti.
“Hoey! Hoey! Hoey! ”
La gamba destra, puntellata sulla punta, che vibrava, in una sorta di tic.
“Hoey! Hoey! Hoey! ”
Si erse in piedi.
“Naruto, stai buono! Mi deceonentri.”
Kiba era tornato ad annusare l'aria già da un po'.
“L'hai sentito anche tu, eh? Cos'è?”
“E'... acido.”
“Acido?”
“Si avvicina. E' tanto.”
Il biondo incollò gli occhi cerulei sull'altro, quasi persi, immobile, a vagare nel nulla. Catturato dalla rivelazione.
Avanzavano.
Avanzavano.
Shikamaru tolse il visore dagli occhi, oramai convinto che la sua tesi fosse sostenibile. Si spostò un po'.
Qualcosa si avvicinava.
“Sasuke?”
“Sì.”
“Cos'è?”
“... di certo è vivo. E sono molti.”
“Vado da Jiraya.”
“Ok.”
Il futuro stratega si allontanò con passi rapidi, diretto verso la tenda. Sasuke tornò ad osservare con gli occhi color fuoco l'orizzonte, riconoscendo, lontano, una macchia azzurrognola che si allargava con ponderata lentezza.
Posò la mano sul bracciale, a cercare il contatto radio.
“Neji?”
“...”
“Neji!”
“Sì.”
“Cos'è?”
Dall'altra parte, tacque.
“Neji?”
“Sono tanti. Si avvicinano...”
Altra pausa.
Sasuke guardò fisso il bracciale, attendendo che ne uscisse altro suono. Come convinto che Neji dovesse aggiungere qualcosa.
“Sasuke..”
Questa volta era Hinata.
“... dimmi.”
“... s.. scusami, ma... Sasuke, ce n'è uno grosso... Cioè, non è grosso. Ti prego, guarda anche tu, Neji. Forse lo vedi meglio..”
“E' esile.”
“Cosa è esile?” domandò Sasuke, nel bel mezzo del discorso fra simili.
“Un.. ragazzino, credo.”
“Hinata, cosa intendevi dicendo che è grosso?”
Sasuke doveva capire. Erano ancora troppo lontani perchè lui potesse vedere.
“... non so spiegarti... è come se fosse grosso. E'... è una Bestia.”
“... ah.”



- ACT 2.
Macchia Bianca

In poco tempo erano tutti lì, rivolti verso quella cosa che avanzava. A fissare con gli occhi quello che in moltissimi non erano ancora in grado di vedere.
Ad attendere.
“State ai vostri posti!”
Sasuke prendeva le redini assieme a Neji, che, qualche metro dietro di lui, andava per sdraiarsi a terra e puntare il fucile verso la massa azzurrognola che si ampliava.
E si almpliava.
A Naruto il cuore batteva.
A Sasuke pure.
E poi fu visibile a tutti.
Una macchia bianca che avanzava lentamente.
Si ampliava...
Come fosse infinita.
Un attacco frontale? Pensava Shikamaru mordendosi le unghie, perplesso da quella tattica, che esulava da qualsiasi standard ragionevole.
Possibile?
“Controllate le spalle e i margini!”
Lui, che in quella vignetta centrava poco o niente, nel bel mezzo del tirocinio, scattò con il suo istinto, forte delle lezioni che faceva da mesi con Jiraya.
Sasuke lo guardò perplesso.
Neji pure.
Non doveva parlare?
...
No, non era quello.
Come avevano fatto a non pensarci? Loro, che erano stati scelti per guidare il gruppo?
“Non avete sentito, razza di Agricolae? Non state lì impalati!”
Così Sasuke rafforzò l'ordine dello stratega, lanciando un vago sorriso di ringraziamento a Shikamaru, che rispose con un'espressione quasi divertita.
Jiraya osservava il muoversi dei piccoli guerrieri, intenti a dare ordini ai diciasettenni Bellatores, che obbedivano senza alcun rigetto.
Shikamaru era certamente una mente brillante, precisa e intuitiva. L'unica cosa che avrebbe potuto desiderare, per quanto ne avesse già, era il potente carisma di cui Sasuke era portatore.
Nonostante avesse passato la sua vita taciturno e freddo.
Se Sasuke parlava, lo si ascoltava. Indubbiamente.
Così pensava il Custos attempato.



- ACT 3.
Siamo sulla stessa Barca

La mano destra di Naruto era già da tempo scivolata sulla custodia della calibro 45 che aveva in vita. Senza nemmeno accorgersene aveva iniziato a sollevarne la toppa per andare ad afferrare il freddo metallo. La mancina, un po' meno allenata, stava intraprendendo lo stesso percorso, mentre il biondo fissava con la bocca lievemente aperta l'avanzata.
I nervi piacevolmente tesi.
“Vedi di non fare cose idiote.”
“Seh.”
Sasuke sorrise vagamente, andando ad appoggiare le due mani guantate palmo contro palmo, quasi le stesse carezzando.
“Tu li avevi già visti prima, vero?”
“... sì.”
“Quei tuoi occhi sono certamente utili. Inizio a capire molte cose, sai?”
“... se lo credi tu.”
Sasuke gli dava solo un po' di corda, ma Naruto insisteva, ed i due continuavano il discorso senza nemmeno avere l'altro, nonostante fosse accanto, nel campo visivo. Unico interesse degli occhi era la chiazza bianca che andava definendosi.
“Io...”
“.. tu?”
Il biondo girò solo un istante le pupille verso il ragazzo dai capelli corvini, indispettito dal suo invito a continuare: rapido tornò verso la macchia.
“Niente, scusa.”
Sasuke scosse leggermente il capo.
La tensione saliva, saliva. Erano la lava di un vulcano, erano lì, a ribollire, ad aspettare l'ordine del capo per esplodere.
Erano corde di un violino.
I polmoni pretendevano vagonate d'aria.
Respiravano profondamente per placare il fremere dell'attesa.
Sasuke manteneva il volto freddo, eppure nell'animo era turbato: un turbamento che il biondo percepiva, seppure solo come una eco lontana.
Fatemi andare. Fatemi vedere quanto valgo, quanto vi posso dare. Quanto sono pronto a difendere la mia Regio, a combattere per la mia Regio, a digrignare i miei denti accanto ai miei fratelli: il cuore del biondo pregava.
Sasuke era lì lì per tentennare, anch'egli a boccheggiare nel caldo asfissiante del deserto, mentre, concentrato oltre ogni dire, cercava il momento giusto per dare il via.
Brezze.
Tramutati in energia pura, pronta a far saltare in aria il mondo, se necessario.



- ACT 4.
I tuoi Occhi, Il mio Respiro

Il profilo ondulato dell'orizzonte era mutato, presentando ora le rotondità delle bianche teste dei nemici, in continuo avanzamento. Gli stessi teli bianchi che avevano combattuto all'arrivo, la stessa camminata precisa: loro.
Erano loro. Era il nemico che finalmente veniva a fargli visita.
Mentre Sasuke attendeva, il cuore come in gola, Naruto aveva estratto le due gemelle dalle fodere: la destra più alta, pronta.
Avanzavano.
Avanzavano.
Gli occhi cerulei del biondo erano incollati sull'ammasso bianco. Sul centro, dove svettava una sagoma diversa. Socchiudeva le palpebre per captare quella cosa, quel vertice che si avvicinava inesorabile.
Lentamente il collo spingeva la testa più avanti, andando a sporgersi, per avvicinarsi il più possibile.
“Neji, lo vedi?”
I due cecchini osservavano sconcertati l'avvento di Quello. Accanto al ragazzo Hinata, agitata, non perdeva per un minimo istante di vista il ciuffo rosso.
I talentuosi la sentivano.
Sentivano incombere quella presenza: un'ammasso nero nella folla azzurra. Un enorme vortice che pareva scaldarsi sotto i loro occhi, nell'attesa frustrante ed immatura di poter prendere tutto ciò che si possiede per trasformarlo in distruzione, sangue, dolore e morte.
Un incubo, a rispecchiare un terrore che lento saliva anche nel cuore dei più preparati, dei migliori apatici, degli infrangibili.
Un incubo lontano dai veri sentimenti del Rosso, che avanzava a capo alto, i sott'occhi neri pronti a fagocitare chiunque incontrasse quello sguardo.
Le palpebre del biondo si aprirono.
“Sta fermo, Naruto.”
Sasuke non aveva alcuna intenzione di permettere all'altro di fare qualcosa di idiota, sebbene negli ultimi tempi fosse decisamente cambiato.
Naruto fece scivolare nella sua mente quelle parole con la fluidità dell'acqua, lasciando che lo attraversassero, lo oltrepassassero, e non lasciassero nessun segno su di lui.
Era interessato a qualcos'altro.
Molti metri più in là c'era qualcosa che riusciva a farlo esplodere dentro. Non sapeva cos'era, non capiva quella sensazione, mentre il ciuffo rosso avanzava staccandosi dall'immenso gruppo, come se avesse preso la rincorsa, eppure immancabilmente pacato.
Il biondino respirava lento e profondo. Fremeva più di quanto fosse mai successo, più di quanto avesse mai provato – o ricordasse d'aver provato.
Un filo.
Come un filo fra i due che li tirava l'uno verso l'altro.
La spalla fece un gesto inconsulto, mentre tutto il corpo sembrava pronto al collasso, sopraffatto dalla tensione, incapace di rimanere immobile.
Il peso continuava a portarsi in avanti, e, a furia di sporgersi, fu costretto a compiere un passo.
“Cosa diamine fai!?”
La destra stringeva la sua amante.
Le labbra si schiusero lentamente, mentre lui era in preda alla più potente euforia, repressa con ogni mezzo, invano. Il volto assente, perso, le pupille che miravano ad un unico soggetto, molto, molto più avanti.
Chi era?
Cos'era?
Levò lentamente l'arma fronte sé.
Quel bisogno come inumano di avvicinarsi lo aveva stretto nella sua morsa. Il desiderio di compiere quel gesto, il desiderio di vedere l'altro, di capire, di parlare, in un miscuglio di sentimenti contrastanti. Aspetta.
Respira.
Osserva.
L'essere avanzava.
Una figurina minuta, come un bambino maltrattato, dai corti capelli rossi che irradiavano ovunque i riflessi del sole. I piedi scalzi sulla sabbia bollente camminavano tranquilli, avanzando. E sopra il corpo un'unica tunica di seta, leggera, strappata ai bordi: al minimo alito di vento si muoveva, andando a carezzare il corpo del ragazzino, rivelandone ogni minimo dettaglio. Le costole che sporgevano. Il bacino ben delineato, sotto la carne dura e vaga. Il tendine del collo risaltava nella luce, che precipitava dall'alto: sotto quel fortissimo sole, le ombre sul suo corpo erano nere e profonde, parevano infiniti baratri che si aprivano sulle rientranze dello scheletro.
Ma il volto smunto catalizzò oltre ogni dire l'interesse delle pupille di Naruto. La mascella debole, gli zigomi che si sporgevano quasi fieri sopra le gote incavate e pallide. Bianche.
Per poi trovare il contrasto estremo negli occhi Neri.
I contorni delineati, nella loro sciupatura, incorniciavano lo sclero, Neri. Profondi.
L'iride verde acqua che riluceva di luce propria, dentro quell'incavo, sporgendosi lievemente, curiosa. La pupilla piccola e appuntita come la punta di un ago.
Quegli occhi lo stavano risucchiando. Lo mangiavano, lo prendevano e lo avvicinavano.
Colto da quegli occhi, da quella forza che lo aspirava, lui reagì nel modo più naturale che gli fosse possibile: la calibro 45 serrata nella destra era pronta.
Puntata addosso all'altro.
Che era il nemico.
Era Il Suo Nemico.
Puramente istintivo. Puramente animale, puramente bestiale, quel bisogno era diventato in un secondo la sua unica ragione di vita.
Il Rosso se ne accorse. Della pistola.
Del respiro di Naruto.
Si fermò, così, fissandolo a sua volta negli occhi.
L'uno contro l'altro.
Senza un motivo preciso.
Solamente il cuore che di scuote, l'animo che pretende che tu agisca, e il sangue che ti corrode da dentro finchè non lo fai.
Credi davvero di poterlo fare?, sembrava chiedere quel Fantasma, giunto da non si sa dove.
“Naruto, non ti azzardare...”
Ma quando la tua natura prima inizia a prenderti per il collo e a manipolarti...
Non un uomo, non un pensiero ti fermano.
Sei Tu e Lui.
Gli altri, solamente parte del paesaggio.
E facendo appello alla tua amata, carico di tutta la tua energia ed anche qualcos'altro,
Spari.

Per poi vedere compiaciuto un buco nero che si apre sulla fronte Del Nemico, a far sgorgare il sangue, che scivola lento e denso lungo il volto scarno, gli occhi vacui.






NOTE DELL'AUTRICE.

Oddio! Oddio!
Sono così emozionata! Ho dato tutta la mia anima e ancora un po', mentre scrivevo l'ultimo pezzo non riuscivo a fermarmi... non potevo, non ci riuscivo, era completamente presa. Finalmente sono riuscita a farli incontrare, e... oh, adesso, adesso godrò veramente. Spero sia piaciuto leggerlo a voi come è piaciuto scriverlo a me, nonostante sia arrivato con mostruoso ritardo.
Spero abbiate gradito la sotto-divisione in ACT, m'ispirava molto, cos'è ho detto: e perchè no?
A proposito: Traduzione!
Questo cap e quello che segue si intitolano, leggendoli insieme OCCURSUSQE CONCURSUM, che dovrebbe voler dire incontro e scontro (il QUE equivale alla congiunzione..) sta di fatto che nel dizionario questi due termini risultano molto simili, con le stesse traduzioni, praticamente sinonimi. Inoltre, da quello che ho capito, per i latini INCONTRARSI e SCONTRARSI era la stessa parola... sono pazzi, questi romani O_O se ne sapete qualcosa ditemi perchè non ci capisco granchè di latino ^_^ (mi arrangio come posso, anche a scuola.. <___>)











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Capitolo 18
*** 17 (concursum!) ***





17. concursum!

Negli istanti in cui muore un pensiero,
al sorgere del tuo chiaro destino:
illumina il fato.
Non sole,
ma luna tu sii
all'infinito.


Fu silenzio.
Come prima era e come era sempre stato: profondo silenzio che discende nel più profondo dell'animo di qualsiasi persona, di tutti i presenti, uomini o bestie, che tacciono. Fu solamente il più perfetto dei silenzi.
Gaara rimase immobile, in piedi, lasciando che fra le sottili labbra si aprisse un minimo spiraglio. Le iridi vuote osservavano, con le palpebre acoccolate in posizione quasi comprensiva, il ragazzino che aveva osato.
Quella chioma dorata che ora era vicino al tremare come non mai.
Lentamente, il sangue denso colava sil volto del Rosso, scendendo lungo il setto nasale, biforcandosi, spandendo l'odore nell'aria. Gaara inclinò lievemente la testa indietro, poi verso sinistra, quasi fosse pronto per crollare a terra inerme e privo di qualsiasi linfa vitale.
Naruto osservava con il cuore in gola la scena: gli pareva che il tutto stesse durando secoli, sebbene in vero forse un secondo era passato.
Accanto a lui Sasuke rimaneva immobile e paralizzato dal gesto del Custos. Come avesse fatto a compiere una cosa così stupida, non lo sapeva. Come avesse anche solo potuto concepire un gesto simile, non lo capiva.
Però... però sembrava che avesse ucciso, con un colpo, secco e preciso, quella cosa che aveva sollevato un enorme timore in tutti loro.
Gaara rimaneva lì. L'espressione in bilico fra la dolcezza, inumana su quel volto moribondo, e l'assenza.
Sbattè le palpebre, lentamente.
Il buco, nero, era là.



- ACT 5.
Assolo del Demone

Con un movimento secco si portò con il peso in avanti, suscitando la preoccupazione nelle menti di Kankuro, Temari e Baki. Che fosse già morto? Con un semplice colpo, per quanto preciso, di pistola? Quella era l'arma più potente della Ventii Regio? Baki si preoccupava, avvolto dalla sensazione della caduta nel vuoto, terrorizzato all'idea del fallimento.
Arenae Gaara, però, respirava ancora. Un unico respiro, quasi rantolato, mentre la schiena si incurvava avanti, lasciando penzolare leggermente il capo: gli occhi sempre intenti a fissare Naruto.
Uno sbuffo. Gli addominali che rientrano, sotto la veste di seta, e si nascondono lasciando il vuoto, incavato nelle ultime coste.
Un respiro con le corde vocali tese, una sottile voce lamentevole.
Sotto lo sguardo terrorizzato dei cecchini che vedono l'inconcepibile: il nero che si schiarisce lentamente, iniziando a rilucere. Il metallo che fuoriesce dal cranio, spinto dalla carne nuova che avanza, e cade nella sabbia. Le meningi. Il bianco dell'osso frontale, che si rigenera, per cedere il passo alla carne scarlatta, irrorata di linfa e globuli rossi, il rosa della pelle, per raggiungere infine la tonalità pallida della carnagione.
Dove prima v'era un foro mortale, in qualche misero secondo era tornato, tutto, sano. Come se nulla fosse accaduto. Il proiettile giaceva per terra, la sabbia che vi si appiccicava sopra a causa del sangue che lo avvolgeva. Espulso, un intruso: sbattuto fuori senza nessun diritto di replica.
Il Rosso manteneva lo stesso sguardo, docile, altrove.
"Neji..."
Hinata era diventata paonazza alla vista di quel prodigio, ch'altro non faceva che confermare la natura inumana di quell'essere dai corti e rilucenti capelli rossi.
"Non ha senso.."
E dietro ai due dagli occhi opachi v'era una schiera di Bellatores frustrati e tremanti, intenti ad osservare la scena da dietro i loro mirini.
Ma gli occhi apparentemente assenti del Rosso osservavano uno ed un unico essere: chi aveva con tanta semplicità sperato che lui se ne andasse.
L'essere legato a lui dall'istinto profondo di chi in lui albergava, che ora scalpitava, si dimenava all'interno del suo animo e corpo.

Poi, di colpo, Nero.

Nero come i contorni dei suoi occhi, un baratro si aprì di colpo sotto i suoi piedi, mentre lui, con un urlo infantile e per nulla fiero, ma semmai furioso, faceva risuonare la sua voce con possenza.
Gli occhi sbarrati.
Il suono lacerante si spargeva rapido, di pari passo alla sabbia che scompariva sotto di lui, per poi elevarsi ai margini come in preda ad una furia cieca, animata di vita propria: in un'onda enorme che fagocitava il sole, portando l'ombra su tutta la porzione del deserto che divideva le due fazioni.
I ragazzi della Ignis Regio rimasero paralizzati, immobili, facendosi assorbire da quell'urlo che pareva camuffare un gemito: gli sguardi puntati sul cataclisma; sguardi di chi assiste all'apocalisse, arreso.

Due di loro non rimasero impietriti.
Uno era già pronto per lanciarsi, avido di qualcosa, qualcosa di intastabile ma che percepiva chiaro fronte a se', pronto per essere preso.
L'altro spalancava le fauci pronto a dare il suo comando.
Ambo si lanciarono in avanti, per primi ed in contemporanea, ognuno con il proprio grido, furente ed impetuoso, di battaglia.



- ACT 6.
Assolo dell'Altro Demone

"Adesso!"
La voce giovanile ed elevata di Sasuke fu in grado di mobilitare migliaia di persone, che si mossero all’unisono: ragazzini e ragazzi dalle uniformi nere e i giubbotti rilucenti, dietro di lui; guerrieri nascosti dai manti bianchi, di fronte a lui. Nel medesimo istante Naruto era schizzato in avanti con le due gemelle serrate nelle mani, gli occhi puntati su quell'essere, quella bestia che lo catturava più di tutti: urlando.
Vomitando tutto il fiato che aveva nei polmoni, i muscoli tesi, la mascella serrata. L'intento uno ed uno solo, arrivare a Lui. Qualunque cosa fosse, doveva arrivarci.
Mentre al suo fianco Sasuke avanzava con gli occhi infuocati e le mani che tendevano trame di elettricità azzurra, Naruto percorreva rapido la distanza che lo separava dal suo obbiettivo, con grandi e bramose falcate.
Le due masse si avvicinavano sotto quell'ombra innaturale, due macchie che si spostavano, l'una nera, l'altra bianca: pronte allo scontro, ed ad inglobarsi l'un l'altra; dietro rimanevano coloro che erano armati per le lunghe distanze. E, di tutte e due le fazioni, precisi oltre ogni immaginario.
Succedeva così che molti cadevano a terra prima ancora che le due masse si mescolassero.
Sasuke faceva moltissima attenzione, scivolando ora di qua ed ora di là, con movenze fluide e precise, onde evitare di essere atterrato prima di poter entrare nella mischia.
Neji sudava, mentre ricaricava rapidamente il fucile; accanto a lui Hinata si concentrava in un battito talmente rapido da parle unico tonfo nel petto, mentre scoccava occhiate preoccupate al suo simile.

Ma il biondino doveva arrivare a Quello.
L’arma vibrò nella sua mano, aprendo uno squarcio nel collo di un soldato nemico, che crollò a terra: continuò a correre indifferente, con la stessa foga che lo avvolgeva. Dritto, spedito, andando incontro a quegli stranieri di cui si vedevano solamente gli occhi. Digrignando i denti scansava e sparava, si voltava, scalciava i futuri cadaveri che gli si avvinghiavano addosso, infierendo loro il colpo di grazia. Il volto rosso per la fatica, il sangue che scorreva rapido a rifornire d’ossigeno i muscoli utilizzati in ogni loro fibra più recondita.
Schiva, e con un colpo di reni avanza. Colpendoli con il calcio delle tue amate e facendo fuoco, ricaricandole contro i tuo corpo, il caricatore che scorre sul resto dell’oggetto bloccato dall’attrito.
Il tempo solamente un’unità di misura da usare in classe, poiché l’unico metro è la fatica: che aumenta e avanza man mano che ti avvicini a Lui.
E quella sensazione sale.
Il fuoco che ti muove e ti rapisce la mente s’innalza nell’animo e lo lambisce sempre più.

Non dargli ascolto, Naruto, poiché quello è il male.

Non pensarci, bambino, avanza e basta.

Hai solo un obbiettivo, vero?
Hai solo quello in testa.

Vai, bambino.

Distruggendo tutto e tutti, qualunque cosa o persona che si frapponga fra te e quell’essere inumano, immortale.

Andando a cercare, tentoni, quella sensazione che ti tange sempre più ma non è mai tua.
Sai cos’è?
Sai cosa vuol dire?

Vai, bambino, vai alla morte, ma felice.



- ACT 7.
Pensieri di Sabbia

Eccola.
Era la sua materia prima, la sabbia. Mentre faceva elevare sopra le teste di tutti l’immensa onda, sotto di lui veniva a crearsi il vuoto: una voragine infinita su cui galleggiava.
E con un semplice movimento, faceva ricadere l’ammasso sugli altri. Sui Nemici.
I Cattivi.
La sabbia si univa a formare lingue appuntite che scagliava contro quegli esseri di nero vestiti. Gli occhi verde acqua spalancati, compieva minuscoli gesti con i quali le tonnellate di granelli si lanciavano a velocità elevatissime sugli Altri. Ecco, morite.
Era facile, aveva detto Baki. Sì, facilissimo: dopotutto bastava ucciderli, esattamente come aveva detto lui.
Lievemente, i margini delle labbra si allargavano per elevarsi, in un minuscolo, sottile, sorriso: come un taglio profondo sul volto.
Se bastava quello.
Se veramente bastava quello per poter ambire all’essenza, nonostante lui non fosse, ma di lui esistesse solamente il Demone… allora bastava.
Il Rosso andava lentamente a convincersi che quella sarebbe stata la sua prova d’esistenza, di presenza del mondo. E, lento, il Demone saliva in lui.

Da lontano, il bambino felice, che stava facendo unicamente i compiti, appariva come un Mostro assetati di sangue, un immortale bestia forsennata che galleggiava nel vuoto, al quale la sabbia sottostava.

Sia per l’una che per l’altra fazione.



Note dell'autrice
Eccomi qui, in direttissima dal mio ritiro "spirituale" in montagna! Armata di portatile del papone e di cellulare per la connessione gprs... sono tre giorni che smanetto, e sono finita in soffitta perchè altrove non c'è campo.. U__u''''' beh, succede. Comunque ci stiamo avvicinando :3 Non alla fine, eh, XD. Quella è assai lontana, ohsìsì.
Sono sempre più convinta che riuscirò a scrivere la parola fine su questa fic *_*
PS: scusate se ci sono errori di battitura... ma fra la tastiera di un fisso e di un portatile cambia un bel po'!
PPS: aaaahhh!! C'è un nido di vespe sotto la finestra della sofittaaaa!! Checchifooo!!! ç//ç
Alla prossima!! ^__^

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Capitolo 19
*** 18 (Cantico Muto) ***



Pre-Nota dell'Autrice
So che sono una piaga, ma com'è che le mie recensioni hanno fatto 6,3,2,1? °-° Se c'è qualcosa che non va, ditemelo! ^__^ [viva le critiche costruttive] [sooono una piaaaagaa, sooono una piaaagaa XD]


18. Cantico Muto

Dipinti negli animi di qualsiasi creatura
sogni e ambizoni avanzino,

Colti nel totale silenzio a premura
del loro destino domandino.



-ACT 8
Primo Interludio

"Sakura."
La bambinetta stava osservando interessata il terreno mentre faceva oscillare le gambette a ciondoloni. Come sentì il proprio nome levò il capo e, spingendosi, scese dalla sedia.
Gli altri bambini restavano seduti sulle seggiole poste sotto il muro del corridoio, alcuni indispettiti, altri completamente altrove con la testa. Mosse qualche passo per avvicinarsi all'uomo che l'aveva chiamata, al quale porse un sorriso.
Questi accennò ad un'espressione simle, facedole cenno di seguirla: come lei si avvicinò, l'uomo le mise una mano sulla nuca per guidarla.
Era un Magister.
Si mossero di qualche metro per aprire una porta: l'uomo la fece cortesemente entrare cedendole il passo.
Era alquanto emozionata.
Non aveva idea di cosa potesse stare per accadere, ma forte del suo esame apparentemente ben riuscito camminava a testa rosa ed alta.
"Siediti qui"
Nella stanza c'erano tre sedie: una sulla quale le era stato indicato di sedersi, altre due di fronte. L'uomo le mandò un sorriso
"E' la prassi, nulla di cui preoccuparsi."
"Va bene", rispose lei.
"Prego!" L'uomo aveva levato il capo e si era rivolto a qualcun'altro, che ora compariva come dal nulla: e dire che lei non se n'era nemmeno accorta... possibile? Era stata distratta.
"Mamma!"
Sakura fece per levarsi in piedi, ma la madre la fermò con un gesto dolce, per lasciar entrare anche un'altra figura.
"Papà!"
La bambina squittì allegra e con gli occhioni colmi di gioia. I due andarono a sedersi, posandole lo sguardo addosso, ambo armoniosi.
"Allora, bambina, come è andata?" Iniziò il padre
"Bene!"
"Ti sei divertita?"
"Hu... Sì!"
"Bene"
Intervenne ora la madre
"Piccola, dobbiamo fare un discorso molto serio, va bene?" Sakura osservò la donna perplessa, andando a ricomporsi, il musino serio.
"Va bene." Rispose con aria concentrata.
Da dietro, l'uomo osservava la rimpatriata con sguardo apatico, quasi assente: ma ascoltava molto attentamente.
"Hai fatto degli esami molto importanti, cucciola. Adesso, entrerai nel Ludus."
Sakura annuì con aria semi interrogativa.
"Al Ludus imparerai molte cose." Sua madre sapeva mantenere un volto dolcissimo e sereno "E' la scuola per i più bravi della Regio, quindi dovresti essere felice di entrarvi. Tu cosa dici?"
"Beh... beh, sì!" concluse con il volto illuminato. Era bello essere fra i migliori, senza dubbio.
Continuò il padre, che iniziò a parlare con voce calma e melodica, profonda: Sakura adorava la voce del suo papà.
"Vedi, ora tu Puoi entrare. Ma non Devi. E' una cosa molto impegnativa, potresti non farcela. Sei piccola, ma ti conosco, so che puoi capire: è una grossa responsabilità. Potresti essere molto infelice."
"La Regio ha solamente domandato se tu volessi mettere le tue abilità al suo servigio"
"Come abbiamo fatto noi."

La genialità è spesso complice della genetica.

Sakura ascoltava interessata, curiosa di sapere dove tutto ciò la potesse portare. Ricordava bene il giorno in cui l'avevano presa e portata via, così, dal nulla.
L'avevano afferrata senza che lei potesse capire da che parte fossero entrati in casa. Aveva lanciato un urlo, convinta di stare per morire, pronta a gettarsi a terra, implorare, pregare. Con le manine protese verso i suoi genitori che guardavano.
Guardavano e basta.
E allora a lei si sentì distruggere dentro, morire, sprofondare nel nulla. Abbandonata. Abbandonata ad un destino triste e orribile.
Poi, però, a sua madre scappò un gemito.
La piccola, ghermita da quegli estranei che sembravano volerla prendere e scaraventare nel più buio degli abissi, aveva già iniziato a piagnucolare ed era pronta a scoppiare in acuti singhiozzi.
Suo padre pose una mano sulla spalla della consorte e lanciò un piccolo sorriso complice alla sua piccola bambina.
Allora capì.

Noi che qui viviamo, grazie all'amore, viviamo.
Un'amore antico che ci riempie in ogni gesto che compiamo.

"Al Ludus è facile essere maltrattati, è difficile andare avanti: le regole sono rigide. Rigidissime. Ma puoi scegliere. Se andare, o non andare."
Sakura era ora sconvolta. Lei, così piccola, così fragile, scaraventata in un mondo così lontano, adulto, fin troppo vero.
Aveva paura. Era terrorizzata all'idea. Convinta fermamente che sarebbe stata soppressa entro breve.
Lentamente, iniziò a lasciarsi avvolgere dal pianto. Frustrata, indecisa. Sakura manifestava palesemente la sua natura debole ed insicura, tremando.
Da una parte il bisogno di andare in quel luogo, perchè ci erano andati anche i suoi genitori e, lei, bimba, solo quelli e quel mondo conosceva.
Dall'altra terrore.
"Sakura... Sakura, non piangere, piccola."
Ma lei annegava fra le lacrime.
"Bambina, ascolta." Suo padre aveva veramente una voce suadente. Sua madre collaborava al discorso rimanendo con un sincero sorriso in volto.
"Non ci interessa cosa farai, la scelta è tua. Devi essere tu a decidere, noi non possiamo obbligarti. Ma sappi che da qualunque parte tu voglia andare, noi saremo con te. Al Ludus o altrove, non ci interessa. Ehi... mi ascolti?"
Sollevò leggermente la testa.
Annuì.
"Noi ti vogliamo bene. Sempre e comunque."
Annuì.
"Ti amiamo con ogni fibra di noi stessi, e lo faremo sempre e comunque. Va bene?"
Annuì.
"Allora, piccola. Crediamo in te ed i qualunque cosa tu faccia. Con calma. Sorridendo. Vuoi entrare nel Ludus?"
Sakura rimase paralizzata un istante, mentre, lento, dentro di lei un piacevole calore saliva. Erano quelle parole. Quelle dolci parole dei suoi maestri e genitori, delle sui guide nel mondo, che le donavano una forza enorme. Il cuore rallentò. Iniziò a sorridere: era al sicuro. Loro c'erano.
"Sì!"

La nostra carne è impregnata di quella spinta prima,
Di quell'immensa forza che Loro ci donarono.

La bimba saltò giù dalla sedia, abbracciando i genitori con foga, per quella che aveva capito era l'ultima volta per un bel po' di tempo. Eppure, sicura, contenta, continuava a sorridere a quel futuro difficere ed impervio, pronto a deluderla. Ma i bambini, quando hanno la forza innata dell'amore dei genitori, vanno, Vanno avanti, proseguono.
Soprattutto i bambini del Ludus.
Il Magister la prese per mano per portarla via, pronta per entrare nel suo nuovo mondo. A quelle parole piene di sentimento lui non s'era piegato, quand'anche i genitori erano lìlì per sciogliersi come la bambina. Si guardavano sorridenti e complici, circondati da un'aura paciosa.
Nonostante li legasse pura e semplice amicizia.
L'uomo vedeva quella scena in continuazione, e senza un singolo movimento del voltto si chiuse la porta dietro le spalle, lasciandovi dentro dei genitori che avevano fatto il loro dovere. Felici e soddisfatti della loro piccola creatura.

L'Ignis Regio sapeva perfettamente che non c'è nulla di più potente dell'amore per andare avanti. Per combattere. I bambini ne erano riempiti fino all'orlo prima di entrare in quella scuola altamente selettiva.
Non sarebbe esistito il Ludus senza quel rito di partenza. Senza quelle dolci parole che invitano alla scelta. I bambini dovevano dire da soli se desideravano andare avanti o meno. Nulla era d'obbligo.
Eppure loro andavano.

No, senza quel rito un bambino del Ludus non sarebbe mai stato abbastanza forte per dare tutto se' stesso.

"C'era un giorno, durante il primo anno, in cui accadeva una cosa.
Quel giorno era il motore portante di tutto il Ludus.
Prima di imparare il saluto, prima di essere veri studenti, c'era quel giorno.
E senza quel giorno, lo sapevano bene, quasi nessun bambino sarebbe riuscito ad andare avanti.
Era il giorno della sicurezza."

Eppure, alcuni di noi dimenticano.
Alcuni di noi non ricordano.

Ma come ricordare ciò che non è mai avvenuto?




-ACT 9
Mentre quei due Avanzano

"Levati!"
E uno sparo. Tanto sapeva che quelle parole non servivano a nulla quanto continuava a pronunciarle ringhiando, mentre tutti attorno a lui crollavano a terra: chi per una pallottola, chi per un cazzotto perfettamente assestato. Accanto a lui, silente, con il medesimo impegno un'altra figura avanzava, mentre i capelli corvini s'impregnavano di sangue. La sabbia si incollava, le urla si spandevano, i nervi erano pronti a spezzarsi per la troppa tensione. E in molti, moltissimi, cadevano.
"Sei un COGLIONE!"
"Un cosa?"
Sparo, scossa.
"Coglione!"
Scossa, sparo, calcio.
Naruto fu un istante distratto dal Rosso, richiamato dalle parole di Sasuke.
Gli scappò un sorriso, ben camuffato dalla fatica che stava facendo: lo sguardo altalenava fra i due ragazzini.
"Da quand'è che usi certi linguaggi da Agricola, capo?"
Schiva, lancio, colpo col calcio della calibro 45. Sabbia rossa, umida ed appicicaticcia. E densa, molto densa.
"Come hai solo potuto pensare di sparare prima del mio ordine? Eh? Coglione!"
"E smettila di chiamarmi così!"
"Ripondi!"
Grandissima scossa, in un fragore azzurro che ne vide tre con le convulsioni, e rapidi a terra.
Odore di carne bruciata.
"Non ho pensato."
E d'altro canto era vero. Sasuke storse la bocca mentre continuava, gli occhi rossi, a danzare in mezzo ai nemici.
Silenzio. Silenzio fra i due, perchè nel resto del deserto si udivano i peggiori fragori della battaglia. Naruto tornò con lo suardo verso il Rosso, che oramai anche lui era finito ad identificare così. Mentre sorgevano in lui le più diverse domande, quell'essere rimaneva il suo obbiettovo.
Sgambetto.
Sasuke crollò a terra, di schiena, i gomiti indietro: il biondino l'aveva fatto cadere. Lo sguardo verso il cielo, per poi vedere un serpente di sabbia schizzare a velocità elevatissima nell'esatto punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la sua testa se fosse rimasto il piedi. Beffardo, Naruto espose i denti candidi.
"Non dovevi vedere tutto con quegli occhi, SasukeCho?"
Strattone.
Crollò a terra ache l'altro, a cui il dodicenne si era appigliato di peso: la sabbia tornò indietro con un copo di frusta: avrebbe beccato anche lui. Sasuke lo guardò con gli occhi rossi e gelidi, due virgole in mezzo all'iride, la mano ancora serrata alla manica dell'altro.
"Coglione."
E prima che si potessero dir altro, i due si scostarono rapidamente rotolando sulla sabbia: rapido, un cratere venne a formarsi nel luogo in cui sostavano. Scattarono in piedi, pronti a ripartire. Le sopracciglia bionde di Naruto tendevano al centro, assottigliando gli occhi: eppure, in quel momento tutta quell'energia che pareva prenderlo e farlo suo era scomparso.
Levò rapido le due gemelle all'altezza degli occhi, facendo fuoco.
"Lo ammazzo. Lo giuro che lo ammazzo. Con queste mani."
Sasuke, ora anch'egli intento a continuare la battaglia, si voltò solo leggermente verso il biondino.
"Non andare al Suicidio."
"Ma che dici?"
Il discorso altalenava fra un ansimo e l'altro: quelle poche ferite che avevano bruciavano a causa dei granelli che vi si inediavano, assieme al sudore che colava inarrestabile.
"Non è umano, non puoi andare lì e pensare di ammazzarlo, così..." ne sbattè a terra uno con una violenta gomitata, interrompendo un attimo il discoroso per concentrare il fiato in quei gesti. "... dal nulla"
"Vuoi vedere?"
Accanto a loro i Bellatores iniziavano a cedere, rendendo la difesa più fragile. Pareva veramente che la Ventii Regio stesse facendo del suo meglio: Sasuke aveva i terrore di non farcela - e questo non lo poteva sopportare. Doveva continuare, andare avanti. Non poteva permettere che quello sciocco andasse a suicidarsi quando c'era bisogno di lui.
Ma Naruto aveva ben altri piani nella sua mente: fermamente convinto di poter fare qualcosa, anche se non sapeva cosa, di preciso, tendeva inequivocabilmente a Quello. Man mano che i due venivano allontanati dai continui spostamenti compiuti nello scontro, saliva in lui nuovo il desiderio di avvicinarsi al Rosso, che manipolava la Sabbia come fosse sua Figlia.
Scattò in avanti.
"Ferm..!""



-ACT 10
Secondo Interludio

"Kakashi! Sasuke?"
"Mi deve tenere a bada l'altro."
Jiraya non scorse nemmeno il foglio per controllare chi fosse l'altro, nonostante lì fosse tutto ben spiegato. Effettivamente, se quel foglio fosse finito fra le mani di un allievo, avrebbe distrutto un'intera annata di lavoro, rompendo il metodo d'istruzione e avviazione alla guerra che da sempre, da che si ricordassero, aveva funzionato perfettamente.
"Mi pareva d'aver capito che anche lui dovesse essere tenuto d'occhio, o sbaglio?"

"Ha funzionato, allora."
"Sì, Tsunade. Sai che funziona."
"Non mi sembri molto convinto, Kakashi."
"Ti ho raccontato come sono andate le cose. Per un momento mi è sembrato un pazzo. Oppure un illuminato, a scelta."
"Si è solo perso, succede."
"Stagli dietro, Tsunade."
"Gli sto dietro. Ma ho anche altri ragazzini a cui stare dietro: questo mi sta logorando."
"Ti rendi conto che è la prima volta che diamo il Laniatus ad uno della nostra regione, vero?"
"Kakashi, so quello che faccio. Jiraya lo terrà d'occhio."
"... Jiraya?"
"Sì. Qualcosa in contrario? Perchè anche se hai qualcosa in contrario, non mi interessa, sappilo."
"No, nulla in contrario. Jiraya... allora la stai prendendo sul serio?"
"Vuoi che non prendo sul serio l'unico ribelle della regio che per pura coincidenza ha nel suo corpo quella cosa? Non sono un'idiota, Kakashi."
"Oh, questo lo so. Mi domando piuttosto se sia lui ribelle o se sia la volpe, ribelle."
"E anche se fosse?"
I due si guardarono apatici: a Tsunade non piaceva non sapere cosa fare. Lei sapeva sempre, perfettamente, cosa fare. E a Kakashi non piaceva usare il Laniatus.
"Jiraya guiderà un gruppo del secondo ciclo al confine con la Venti Regio, e in questo gruppo ci sarà anche Naruto, oltre ad altri ragazzini che dobbiamo sperimentare sul campo."
"Sicura di quello che fai?"
"Sono solo le solite scaramuccie di frontiera, Kakashi."
Kakashi scosse il capo espirando, ben memore di cosa significasse il termine "scaramuccie di frontiera".
Stare là. Starsene là e domare qualche piccola incursione ogni tanto. Perdere qualche Bellator, continuare ad allenarsi. Avere i nervi a fior di pelle per i primi due giorni, passando il tempo a fare la sentinella, e poi... basta.
La Noia.
Avrebbero sopportato tutto questo, loro?
I due stettero zitti per qualche istante, contemplando il tavolo che li divideva. Respiri lenti, mentre nella mente scorrevano le più svariate idee e pensieri, concetti, tutto. Un Brain-Storming avvolto dal silenzio.
"Tsunade, ascolta..."
Tsunade scosse la testa, alzandola e facendo per parlare.
"No, aspetta." disse la donna "Avevi detto che Sasuke era stato il primo a sperimantare il suo talento. Vero?"
"Sì." Kakashi guardava l'altra con il suoi due occhi asimmetrici. Lei si ricordava tutto. Tutto e tutti. E lui non se ne riusciva mai a rendere definitivamente conto. Non c'erano appunti da fare a Tsunade, lei Sapeva per Principio.
"Ascolta. Sasuke e Naruto sono tutti e due problematici. E' indubbio che abbiamo avuto parecchia sfortuna"
"Parecchia? " al quell'espressione Kakashi saltò in piedi, i pugni contro il piano del tavolo. "SAPEVI com'era andata a finire, con quello!"
Ma lei rimaneva apatica.
Davano in escandescenze a turno.
"Sbaglio o avevamo ben visto che la cosa era controllabile? Una volta modificata la mutazione eravamo sicuri che non succedesse più. E tu lo Sai. E lo Sai che Sasuke ci Serviva. Dài, torna a sedere."
Ma Kakashi non voleva saperne. Rimase in piedi, poggiato, la schiena ricurva. "Il fatto che CON ME abbia funzionato non implica che avrebbe funzionato con LUI!"
"Siediti..."
"E poi erano forumle diverse, e lo Sai, dato che la mia era LOCALE!"
"Siediti...."
Tentennò un po'. Sbuffando tornò a sedersi, per riacquistare la sua proverbiale calma.
"Con Sasuke ha funzionato. Non commetto lo stesso errore due volte."
"Lo so."
"Quello che ha fatto Itachi non centra."
"Lo so."
"E lo ha fatto Dopo. Dopo l'operazione di Sasuke. Quindi, calmati."
"Sono calmo."
"Siamo stati sfortunati."
"... Sì, con Sasuke siamo stati sfortunati. Ad ogni modo è forte, è bravo. E' solamente un po' freddo. E' la prima volta che due bambini continuano e riuescono nel Ludus anche senza il Giorno della Sicurezza. E' questo che mi intimorisce."
"L'hai detto tu, no? Si capiscono, quindi sfruttiamo questa cosa."
"Non si parlano nemmeno, dài!"
"Non fare lo scemo, Kakashi!"
Il Rector sbuffò. Per l'ennesima volta. Odiava quelle discussioni. Quelle senza fine. Dove andava del destino di tutti quei ragazzini... Ma soprattutto di loro due.
Sasuke era rimasto solo, così. Senza un motivo, almeno non per il ragazzino. Pareva che l'unico motore che lo spingesse avanti era capire chi o cosa fosse questo suo misterioso fratello, che non ricordava a causa della differenza d'età.
Se Sasuke avesse saputo tutto, sarebbe stato un disastro.
Itachi era impazzito, di colpo. Ed era chiaro che la causa era stata l'operazione di Tsunade. Per quanto duro fosse stato, Kakashi era riuscito a farle ammettere la colpa.
Ma quando scoprì che aveva un fratellino, fu impossibile fermarla dal migliorare quel siero per poter dare quel talento anche a Sasuke.
Dopotutto, Kakashi doveva ammettere che buona parte della sua vita era stata data per quel bambino dagli occhioni neri e profondi.
"Sasuke sa che Naruto è solo come lui: me lo hai detto tu, Kakashi."
E' che stava iniziando ad affezzionarsi. A Sasuke e a Naruto.
Al ragazzino per cui aveva fatto da cavia pur di non metterlo in pericolo e al ragazzino che aveva visto distrutto dal Laniatus.
"Sì. Naruto ricerca l'attenzione di Sasuke perchè lo sente, Sasuke si limita a fare il freddo. Comunque, alla fine si compensano. Credo che la cosa sia più profonda di così, ma non saprei spiegare. Quindi... "
"Voglio proprio sentirelo dire, Rector. Avanti. Dài dillo."
"... E' meglio che Sasuke e Naruto stiano sempre vicini. Si controllano l'un l'altro."
Tsunade sorrise alla rivelazione che aveva fatto Kakashi, anche se l'aveva già dedotto un po' di tempo prima.
Ambedue avevano poteri potenti, e, vuoi per sfortuna, vuoi per sfacciataggine, non erano delle persone facili. Ma Tsunade era convinta che in questa loro anomalìa risiedesse la più grande forza che un essere umano può dare.
E questo era stato largamente confermato dal fatto che il corpo di Naruto era l'unico adatto ad ospitare la Volpe.
Sì, sarebbe andato tutto bene. Al confine con la Ventii Regio non succedeva mai nulla di rilevante, e comunque sarebbe stato sufficente che stessero vicini.
Sorrise.
Anche Kakashi si lasciò scappare un'espressione simile, pensando a quelli che in fondo erano i suoi ragazzini.
Sarebbe andato tutto bene, pensavano all'unisono.


Con le mie mani afferrerò la terra
Con i miei occhi brandirò il Cielo.

Convinto che
in questo mondo
La più ardua fatica
Sia non morte e dolore
ma vita.


Nota dell'Autrice
Allùr! Sono fermamente convinta che questo capitolo non ve lo aspettavate. Succede sempre così, la fic va avanti per le sue. Nella mia testolina si è chiarito il ruolo di Itachi e ne sono ben che felice, visto che mi serviva! Come dice Aya di KareKano: "C'è un momento in cui tutto, trama, personaggi, lettere, nella mia testa, coincide!" Beh, siori, quel momento è arrivato anche per me! =^__^= *o* Shono feliiice!
Se avete notato ho riportato qualche pezzo dei capitoli precedenti. La poesia era calcolata, fatta apposta. Filnalmente sono riuscita a metterla, e prende un senso! Gli altri pezzi servivano perchè.. sapete, a un certo punto sono andata per vedere cosa avevo scritto perchè me l'ero dimenticata... '.' che pena che faccio, nhè? Così ho ripreso da lì, visto che se me la sono dimetnicata io, la storia, figurarsi voi.. <<'''. I capitoli a cui potete fare riferimento (partendo dallo 0 della prefazione) sono 5(Bambini), 8(Temprato. Morto, ma Temprato) e 9(Fuori dal Nido)
Comunque, ora le idee mi si sono chiarite. Questo capitolo l'ho usato un po' per spiegare le posizioni della "Triade", visto che è molto difficile. Sasuke e Naruto hanno sempre avuto un rapporto strano, sia nel manga che nella mia fic (che comunque pretende di essere IC, quindi devo un po' studiarmeli, come personaggi.). Rimane Sakura che fa un po' la personcina marginale. Per chi mi ha chiesto perchè Naruto chieda di lei.. Bèh, è una cosa difficile da spiegare e non vorrei rovinare tutto in una noticina a piè di pagina. I legami saranno ben chiariti alla fine, anche se vorrei spiegare questa grande ammirazione di Naruto per Sakura un po' prima... non voglio far passare il mio biondino preferito per scemo. Ha un senso. Almeno per me ha un senso.
Tornando a Itachi. Ho seriamente paura di andare OOC con questo essere per il semplice fatto che nel manga non si capisce assolutamente niente di lui @.@ . Quindi non piccchiatemi per questo... ho avuto le mie "deduzioni" che probabilmente saranno sbagliate, ma mi baserò su quelle. Dovrebbe venirne fuori un Itachi interessante - e forse troppo buonista per molti di voi. Ops, forse ho detto un po' troppo XD Fa niente... *prrrr* <- pernacchia
Alla fine questa Fic, per quanto il protagonista sia inequivocabilmente Naruto, sta diventando un po' Corale. Kakashi, Tsunadre, Jiraya, Sakura, Sasuke, Kiba, Hinata, Neji, Shikamaru... hanno il loro momento di storiella un po' tutti.
Ah. Sè, se avete notato manca Chouji. Ma, onestamente, non ce lo vedo nel Ludus. Farà il mercante in qualche cittadella dispersa...
Non posso dedicarmi a tutti con la profondità con la quale tento di darmi a Gaara e Naruto, e Sasuke e Sakura poi (la menzione non centra con le coppie!), quindi siate clementi...
Mi piace il verso in cui tende la storia ^_^
Ah, notate che ho messo la mia prima parolaccia :P Io di mio sono uno scaricatore di porto, sappiatelo, ma ci tenevo a farla una storia pulita... Alla fine l'ho usata solo nel caso estremo. :P
-Mini-spoiler che non capirete.
La storiella segue spesso la trama del manga. Ad ogni modo..
TRADIMENTO!
Bye Bye!

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Capitolo 20
*** 19 (Ascesa) ***


19. Ascesa.

Via,
precipitando,
rincorrendo un desiderio
racchiuso in un bocciolo
nel tetro del tuo animo.

Ascolteremo insieme la tua voce.
Ascolteremo uniti il tuo lamento.
E solo ti vedremo perderti
nell'ombra del sole ,
che fagocita il tuo spirito.




- Act 11
Candide Reazioni


Chi era quello?
Baki tolse il visore da davanti agli occhi, perplesso. In quel marasma grigiastro, creato dall'amalgama di guerrieri bianchi e neri, spiccava un esserino dalla capa dorata come il sole. Mentre il resto degli avversari si curava della propria zona, rimanendo più o meno nello stesso posto, intento a preoccuparsi di chi lo circondava, quello sembrava tendere a qualcosa.
Avanzava.
Avanzava, indomito.
Ritornò a guardare nell'aggeggio, cercando di focalizzare su quel ragazzino.
“Temari!”
Lei, che rimaneva accanto all'uomo assieme a Kankuro, fuori dalla mischia e ben riparati, gli volse rapida lo sguardo.
“Sì.”
L'altro non andò avanti. Dal visore la figurina era molto più vicina: il muso infantile, arrossato, bloccato in una morsa di fatica. Sporco di sudore, sabbia e sangue. Di cui solo una misera parte era suo. Si muoveva con una certa fluidità, non v'era dubbio, eppure non spiccava per quello. Da quella prospettiva, sembrava un nero vestito come gli altri. Uno di quei guerrieri scelti fin dalla più tenera età, allevati per essere il meglio dell'Ignis Regio: ed il meglio erano.
Tipica leva da 'quelli', pensò, andando finalmente a guardare Temari con i propri occhi.
“Guarda”
La ragazzina eseguì, finendo a sua volta sul ragazzino dell'altra fazione.
“Che avanti che è, vero?”
Domandò notando anch'ella il biondino.
“Già. Troppo, per i miei gusti.”
“E allora?”
“Gaara deve concentrarsi sulla massa. Come vedi sta facendo un ottimo lavoro.”
“Non v'è dubbio. Stiamo prendendo terreno con una facilità impressionante...”
“Sì... Non era mai successo prima. Non voglio che venga distratto da quel ragazzino, beninteso. Quindi prendi una decina di uomini e bloccalo.”
“... una decina di uomini?”
“Facciamo venti.”
“Venti?! Non può avere così paura di un ragazzino! Sarà più piccolo di me, a momenti!”
“Eppure vedo te su questo campo di battaglia, o sbaglio?”
“... ”
“Meglio sopravvalutare che sottovalutare. Non ci vorrà niente, morirà con un sol colpo ben assestato: l'importante è che Gaara continui a fare il suo lavoro senza distrazioni.”
“Va bene. Vado.”
Restituì il visore al superiore, mettendosi sull'attenti.
Un cenno al fratello, che sorrise vagamente.
“Veloce!”
Temari sparì rapida, alla ricerca di quei venti da portare nel bel mezzo della mischia. Baki la osservò qualche istante, tornando poi dietro all'oggetto che serrava in mano, lo sguardo fisso.
“Bravo, Gaara.”
“Baki..?”
Kankuro non era un ragazzo di molte parole. Guardava la sorella allontanarsi, chiedendo la parola all'uomo.
“Dimmi”
“Vinceremo?”

***

Come Naruto avanzava, quella saliva.
Saliva lenta ed inesorabile, pronta. E lui non se ne curava, preoccupato ad andare avanti. Senza nemmeno accorgersi delle ferite e del sangue che schizzava continuamente in aria. Continuava, continuava, e la alimentava. Lei si nutriva, fagocitando e crescendo grazie al puro sentimento che albergava nel giovine.
E che lei guidava.

Lei lo sapeva.

Naruto.

Un bambino, che alla fine non era nulla.
Che non era, sotto la sua influenza.

Era sono una funzione.
Un vettore.
Un metodo.
Un mezzo.

Lei lo sapeva.

E lui avanzava furioso distruggendo tutto quello che incontrava, strappando le sue vesti nere, slittando sulla sabbia in un bagno color rosso tenue. Per lunghi, lunghissimi minuti. Quasi ore.

Scatenato ed inarrestabile come solo un fiume in piena sa essere.

Scansa, volta, spara, afferra; calcia, scaraventa altrove. Iniziò tardi a realizzare che le persone stavano aumentando. Non quelle in tutto, ma quelle che gli si paravano davanti: sebbene la loro esistenza si chiudesse di lì a poco.
La cosa non lo preoccupò particolarmente.
Doveva vederlo.
Vederlo da vicino.
Capirlo.
Parlargli.
“Hu?”
Non c'era nulla di poetico in tutto ciò. Non sarebbe mai andata come desiderava: lunghi momenti per poter discutere. Attimi per rilassarsi e pensare in pace.
Era tutto un continuo, rozzo movimento di guerrieri, un susseguirsi di morti e piccole vittorie.
Si bloccò, ansimante, nel vedere una bianco vestita fronte se'. Temari: intenta ad osservarlo con due occhi affilati e femminei, da un'altezza tutt'altro che adulta.
Allora, anche loro iniziavano da piccoli, vero?
Il pensiero gli attraversò rapido la mente: lui non ebbe nemmeno il tempo di compiere mezzo respiro che questa scattò in avanti, fendendo l'aria con l'aria.
Brandendo due lunghe ed affilate lame che l'occhio non percepiva, che sibilavano nel rapido movimento.
“Andate!”
Allora parlavano la stessa lingua, non è vero?
No, non esistevano momenti catartici.
Lui si chinò.
Non avrebbe mai saputo il suo nome, e non si sarebbe mai potuto fermare a chiedersi quale sarà stata l'infanzia di quella ragazzina.
Come lui, come gli altri, come tutti gli esseri viventi che calcavano quel giorno quella terra, era solo di passaggio: abbracciata dalla battaglia, vi nuotava dentro; andava uccisa.
All'ordine si mossero un paio di decine di teli bianchi.
Tutti.
Addosso a lui.
Ma perchè?
“WAH!”
Iniziò a scansare. A scostarsi, a molleggiare, come sempre aveva fatto prima. Un fischio vicino all'orecchio. Dolore. Al braccio.
Scattò in avanti mentre quella strana lama gli traversava mezzo tricipite, lanciando la linfa rossa verso l'alto. Lui rispose con un pugno diretto nello stomaco dell'altra.
E come la sentì indietreggiare sotto al suo peso, che tutto si era scagliato su di ella, si voltò a sparare con una delle gemelle verso un paio di loro, che caddero.
Temari rimase sconcertata da quella forza. Da quell'impeto che pareva quello di chi è fresco, riposato.
Su quel biondino la fatica sembrava non sortire alcun effetto.
Era questo, allora, che temeva Baki?
Sputò un po' di sangue.
Ma Temari non si arrendeva così.
E contrattaccò.

Naruto si ritrovò un solco profondo quanto quello al braccio sul fianco.

Da lontano, Baki osservava.
Kankuro anche.

Il biondino voltò il capo, furioso.
“Và Via!”
Gomitata.
Temari rimase allibita.
Cadde a terra con un tonfo, sconcertata dalle parole dell'altro.
Va' via?
Semplicemente, va' via?
Lottavano per vita o morte, e lui la cacciava come un'intrusa?
Baki aveva ragione. Aveva un obbiettivo, stava andando verso qualcosa, senza ammettere intromissioni da nessuno.
Se quel qualcosa era Gaara, lei non avrebbe potuto permetterlo.

Da lontano, Jiraya guardava.
Shikamaru anche.

Gemito.
Naruto cadde a terra sotto il colpo al capo di un colosso bianco.
Il petto a contatto con la sabbia, che gli si insinuò in bocca e nelle ferite, bruciando. L'altra aveva uno sguardo assatanato, e si rialzò rapida per andare a sferrargli un calcio al volto, che vide due serpenti scarlatti discendere dalle narici del biondo.
Prontissima ad inferirgli il colpo di grazia, caricò le due spade di aere, incrociandole, cosìcchè le due fortissime correnti che fungevano da lama si ampliassero, a designare quasi uno spicchio di cerchio. E fece per calare rapida, intenta a tranciarlo a metà, lungo la colonna assiale.
A lui bruciava tutto. In quei gesti rapidissimi compiuti dai due, mentre gli altri gli andavano addosso, percepiva ogni fibra del suo corpo esser pronta al collasso.

Da lontano, Sasuke vedeva.
Sapeva che non poteva nulla, man mano che combatteva, mentre la sabbia roteava attorno a loro: guidata da quel Rosso immune alle pallottole, da quel Demone immortale che portava con se l'apocalisse.
Stavano perdendo.
E lui vedeva Naruto sempre più prossimo alla morte.

Scansò.
Con un ultimo disperato colpo di reni riuscì a rotolare per evitare la lama d'aria.
Fece per mettersi in piedi.
Difficile da fare.
Un colpo alle scapole vanificò il suo intento, rigettandolo nella sabbia. Temari calò nuovamente con la lama: lui portò un braccio avanti. Il vento compresso infranse il trasmettitore radio, arrivando però a conficcarsi per qualche millimetro nella carne.
Ecco.
Aveva parato la spada di vento.
Aveva aggiunto qualche secondo alla sua esistenza.
Tutto attorno, i teli bianchi gli si addossavano.
Ognuno tentava di ammazzarlo a modo suo.
Ma perchè lui?
Aveva altro da fare. Voleva andare dal rosso.
E loro lo bloccavano.
Dannazione.
Di colpo tutta quella gente gli andava contro, senza un senso apparente. Perchè loro non potevano sapere le sue intenzioni: lui stesso stentava a comprendere il proprio agire.
Percepiva le energie andarsene.
L'impeto scomparire. Svanire, precipitare.
Eccola.
La Morte.

Eppure continuava a sfuggirle.

Riuscì a rialzarsi, per quanto tutti gli fossero addosso.
Come un ubriaco, si muoveva apparentemente a caso. Pronto a crollare esausto, tentava disperato di compiere quei movimenti che ogni isto, ogni momento successivo, e quello dopo, e quello dopo ancora, lo salvavano. Si spostava. Si abbassava.
Tremando.
Ogni tanto qualcosa lo sfiorava.
Qualche corpo lo colpiva, ora un calcio, ora un cazzotto.
Eppure i colpi mortali li continuava a scansare, per quanto ansimasse, tossisse. Per quanto tutto bruciasse, in lui, i polmoni che imprecavano la mancanza di ossigeno.
Lo sentiva.
Il collasso che arrivava.

Eppure continuava.

Temari non capiva come facesse.
Sembrava un morto animato dal vento.





- Act 12
Abbandonato al Nulla.

Ancora un po'.
Ancora un po'.
Ancora un po'.
Sì.

Perdendo lentamente la percezione di ciò che ti circonda.

Ancora un po'.
Ancora un po'.
Ancora un po'.
Non ce la faccio.

L'ombra che cala sugli occhi, si stringe, e giunge il buio.

Sono qui.
Sei qui...
Sono qui.
Sì.

Vomitando l'anima di denso sangue.

Mi senti?

Crollando a terra.

Mi ascolti?

Navigando nel nulla.

Solo io posso.

Perdendosi.

Lo sai.

Tentando di afferrare l'ultimo lembo di vita che vedi, supplice.

Pregami.


***

Uno diede un violento colpo al volto: il ragazzino era un cadavere ancora tiepido da tartassare. Tutti intenti a martoriare quel nemico che pareva non poter spirare.
Temari osservava con il cuore in gola, mentre calava lenta e potente la sua lama, per l'ennessima volta.
Quella s'infilò.
Scavò.
Ruppe le vertebre, dividendo la carne, facendo evaporare il sangue.
Lungo tutta la colonna.

***

La tua rabbia sale.
Sì.
Sei morto, bambino.
Credo di sì.

***

Mentre tutto attorno infuriava sabbia e fuoco, la mano ancora salda all'else, con grandi e stanchi respiri, si chinò a controllare.
A vedere se quegli occhi erano finalmente vuoti.
Sul volto del ragazzino la più tetra delle espressioni.
Quella di chi non se lo sarebbe mai aspettato, e trema all'idea di lasciarsi dietro il nulla.

***

Vieni da me, piccolo.
... perchè?
Perchè sei morto.
No.
Sì.

Era il buio.
Era il ribollire una rabbia sepolta.
Era sentirsi diversi. Era cambiare.
Qualcosa che sale.
E sale.
E ti rimette in piedi quando non ne poi più.
Ti abbraccia, ti avvinghia. Ti prende, ti stringe.
Ti ingloba.
Ti sostituisce.
Nuotando nel nulla, due occhi lunghi, due occhi che ti guardano.

Pregami, bambino.

Si espandono.

Sono la tua vita.
La mia vita.

Era rendersi conto di averne bisogno. Di averne immediato bisogno.
Tendere la mano verso quegli occhi infuocati.
E pregarla. Pregarla. Pregarla.
Perchè lei comanda, ha sempre comandato. Guida e fagocita le emozioni che riempiono un animo distrutto, perso, incapace di tirar le somme della sua inutile vita.
Un animo che muore e si perde nell'immensità della Kyuubi.

***

Gli occhi erano cerulei e vuoti.
Fissavano un punto imprecisato, avanti. Spenti.
“E' andato.”
“Finalmente.”
Temari continuava a guardare, inginocchiata.
Fatto. Problema risolto.
“Andiamo, veloci.”
Fece per rialzarsi, ma giunta a metà strada cambiò idea: tornò ad osservare gli occhi azzurri, spalancando ulteriormente i suoi, affilati.
Erano mutati.
Lucidi.
Erano lucidi. Si avvicinò.
Lento, un rivolo di lacrime iniziò a sgorgare, lambendo le guance solcate dai sei segni, a baffo.
Piangeva?
I suoi soldati scalpitavano. Ormai era chiaro che fosse morto, avendo tutta la colonna vertebrale fracassata ed il midollo lacerato: era impossibile che fosse vivo.
Fu forse per questo che lei avvicinò la mano, a sfiorare quelle lacrime che scendevano lente e fluide, ritrovandosi il dorso dell'indice umido.
Piangeva.
E tremando il biondo alzò un braccio, lasciando la sua arma a terra.

L'arma da cui non si era mai staccato.
Perchè a Lei non piaceva.

Il braccio avanzò. Temari guardava, mentre il suo respiro accelerava. Si ritrasse un po', lentamente, mentre quello, morto vivente, avanzava la mano come se stesse andando a cercare qualcosa.
Sotto i teli bianchi che la ricoprivano percepiva l'aere anomalo. Gli occhi incollati su quelli del nero, sgranati.
No.
Non era possibile.
Gli altri chinavano le teste di lato, perplessi dello strano evento.
Lei rimase immobile, bloccata.

Poi, di colpo, il braccio saettò in avanti, brandendola alla gola.

La mano gelida stringeva. Le gravava sul collo appesa e tremante. Vibrava con gran foga.
Sussultarono.
Temari continuava a guardare il volto del ragazzino che lento andava mutando.
Vide le pupille allungarsi.
L'azzurro divenire rosso.
I solchi sulle gote bruciavano rapidi la pelle, e si inabissavano nella carne, lasciandola, nuda, al vento del deserto.
E l'espressione di un Pazzo.
Dopo qualche istante l'altro braccio si mosse con la stessa rapidità, afferrando la stoffa che le copriva il capo. Gli altri uomini, sconvolti, si cercavano disperati senza avere idea di cosa fare. Terrorizzati da quell'essere immortale. Un paio di loro, per nulla intenti a stare senza far nulla, gli si lanciarono addosso.
E vennero sbalzati indietro da una potente corrente che si elevò, innaturale, attorno al ragazzino. Il quale taceva e osservava l'altra con la bocca semiaperta, a veder le zanne.
Strinse la presa, e Temari gemette.
Con un gesto secco e deciso, strappò via la stoffa bianca, lasciando il volto a vista. La scrutò attentamente, avvicinandosi, mentre l'altra compieva grandi respiri, espellendo l'aria quasi fosse un rifiuto.
No. No, no, non poteva essere umano. No. Quell'espressione folle. Indemoniata. Non era un ragazzino, era un Demone. Era un Mostro.
Una Bestia irrazionale e violenta.
Priva di qualsiasi sentimento terreno.
Che provava gioia e soddisfazione in un solo modo.

Le labbra del biondo si avvicinarono all'orecchio della bianca.
“Finalmente ti vedo in volto.”
Un sussurro.
Lei guardava sempre fronte sé, congelata dalla paura che le impediva qualsiasi reazione, riempendola.
Poi la mano artigliata si strinse.

E vi fu solo un forte e secco rumore ad anticipare il suo passaggio da vivente a cadavere.



- Act 13
Il Diavolo in Terra

Naruto sentiva in sé salire Kyuubi, sentiva il suo corpo muoversi sotto le direttive della volpe, e veniva riempito dei sentimenti: forti e prepotenti, invadenti, di quella, che andavano a mescolarsi con i suoi.
Rabbia, sopraffazione, desiderio, facevano di lui furioso e pronto alla distruzione. Odio puro, ripudio, disgusto, andavano a colmare quel vuoto per raggiungere il culmine, facendolo esplodere.
Conscio di ciò che faceva solo in parte, completamente catturato, assente ed allo stesso presente come non era mai stato.
Kyuubi godeva nel percepire il suo ospite in quella fase di catalessi vigile, passività attiva che faceva di lui un perfetto burattino. Era talmente umano, talmente fragile in questa sua umanità, che prendere il sopravvento diveniva facilissimo, giocando su tutto ciò di corrosivo che possedeva. E con quell'infanzia, con quella vita assurda, quel bisogno costante di ribellarsi, non poteva chiedere di meglio.

Lasciò andare la ragazzina, inerme, gettandola violentemente nella sabbia ed usandola come appoggio per rialzarsi in piedi.
Spalancò le fauci, lanciando un grido furente che si spanse, si spanse, si allontanò, prolungato: mentre la sabbia gli vorticava attorno, succube dell'energia portentosa della volpe.

Bravissimo, bambino.
Lasciati guidare.
Lasciati sopraffare dalla furia.

Gridava. Gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, reclamando la propria esistenza, dimostrando la sua vita: il petto aperto, largo, l'energia che fluiva in tutto il corpo, scaldandolo, bruciandolo.

Era suo.

E lui.
Lui che per primo l'aveva desiderato, e cercato di ottenere, in ogni modo, perse ciò che più gli era caro al mondo.
Ciò che aveva difeso, preteso, ciò che aveva strappato con difficoltà, con le unghie e con i denti, sempre e comunque, a qualsiasi costo.
Pur di venir frustato, pur di venir esiliato, pur di venir sottoposto al Laniatus.
Perse sé stesso.

Scattò in avanti con le mani larghe, gli artigli estratti, gli occhi rossi sgranati che osservavano tutti e tutto: e gettandosi sul nemici ad una velocità folle, faceva di loro ciò che faceva una bestia.
Con le zampe lacerava il petto. Con le zanne rompeva il collo. Ricomprendosi il corpo di sangue e saettando rapido da un altro, mentre l'energia sola che lo avvolgeva si faceva sempre più forte e sempre più intensa, a tratti che da sola bastava per far perdere l'equilibrio a quelli, disarcionandoli.

I bianchi, allibiti, venivano uccisi uno ad uno, senza avere quasi il tempo di rendersi conto di ciò che accadeva.
Naruto uccideva, Kyuubi uccideva. Inebriata, inebriato. Lui carico solo di quella potentissima voglia di vivere. Ma lei carica di ben altro.

Fu strage.

E Sasuke guardava, socnertato e frustrato dall'assurdo evento.
E Shikamaru guardava, vedendo ciò che era ora la forza della Regio.
E Jiraya guardava, colmo di preoccupazione.
E Baki guardava, terrorizzato.
E Kankuro guardava, tremando.

E Gaara percepiva, sentiva, capiva, pur essendo a sua volta sottomesso oltre ogni modo al Demone.


Fra due animi diversi
regna una tensione eterna,

che lenta li rapisce
li unisce
e fa di lor

la stessa cosa.















Edit dell'ultimo minuto:
Risposta "reader".
O______________O sul serio, non riesco a capire se tu sia sacastico, scazzoso, ridente o cosa, però.. O.o' no, dài, non sono COSÌ banale... cioè, si, non sarò il dante dell'epoca, ma.. ma.. O____O O___O''' dio, ti prego, no O__O tutto ciò mi ha lasciata alquanto allibita O_O'

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Capitolo 21
*** 20 (Mors Pueri) ***





20. Mors Pueri
(La morte del bimbo)


Il giorno in cui imparai la parola solitudine
non ebbi nessuno con cui condividere la mia scoperta.



-ACT 14
Lux in Auge

Un minuto. Due, tre. Le stoffe bianche che si innalzano sotto il potere incontrollabile, vento scarlatto ed indomabile che circonda il ragazzino.
Lui osserva immobile, paralizzato. Lo sguardo perso, incredulo, ed i muscoli che non rispondono. Galleggia inerme nel ventre caldo della volpe. Poi sprofonda, e dolcemente annega.

Da fuori, il turbine che circondava il giovane Custos era paragonabile solo ad il movimento della sabbia provocata dal rosso. L'indice guantato di Jiraya era stretto fra i suoi denti, mentre contemplava il potere che conosceva solo di nome, e mai aveva percepito di fatto. Ma quello... no, quello andava oltre ogni suo potere d'immaginazione. Tangeva l'inconcepibile. E ciò che lo preoccupava di più era il pensiero che il ragazzo fosse cosciente. E stesse, effettivamente, facendo tutto da solo, avvalendosi della forza che gli era stata donata. Terrorizzato all'idea che potesse abusarne.
Ma in vero, accadeva il contrario.
Mentre le due energie andavano avvicinandosi a causa del moto continuo ed incontrastabile di Naruto, appariva sempre più come queste sole, in quel momento, erano veramente importanti, immerse e visibili nel caos della battaglia. Gli sforzi degli altri soldati passavano rapidamente in secondo piano alla sola idea che la sabbia del rosso ed il turbine scarlatto del biondo potessero incontrarsi e scontrarsi.
Erano anni di ricerche delle due fazioni, tecnologia e scienza che avevano sviluppato lungo i secoli, che si combattevano. Una creatura stupenda, ma per la quale importava il funzionamento: non la vita.
Non v'era ne' ragazzino ne' demone. V'era solo un'idea, una teoria, testata, migliorata ed infine applicata su due giovani corpi di due terre diverse. La prova unica che l'arma dell'uno era migliore dell'arma dell'altro.
No. L'ultima cosa a cui pensava Jiraya, in quel momento, era che Custos e Demone contassero veramente. Quella era solamente scienza. Elevatissima scienza.
Che sotto i suoi occhi pareva potergli sfuggire di mano da un momento all'altro, a causa di uno stupido bambino ribelle.
Per questo doveva fermarlo.

***




La sabbia non era più sabbia, ma semplicemente un ammasso di corpi, stoffa e sangue. Intorno, il ragazzino si muoveva quasi ogni attacco subito lo facesse divenire più forte. E lo avvicinasse. Lo avvicinasse all'altro, che perseverava a sua volta nel massacrare i neri. Due piccoli, innocenti, esseri umani.
Gaara ormai non agiva più. Come d'altro canto non agiva Naruto. C'era solo la disperata voglia di due entità ben superiori a loro di incontrarsi.
O forse no.
E allora Sasuke si prese un cazzotto nel mento.
Il ragazzino si voltò verso il nemico che l'aveva assestato, in quel momento di pausa, in quell'isto in cui lui s'era fatto distrarre dall'assurdo evento. Glielo tornò con foga, carico d'elettricità: e lo stese. Lui, con gli occhi rossi come non mai, respirava grandissime boccate d'aria e si sentiva morire. Quella cosa durava da troppo tempo. Non ce la faceva più. Si stava esaurendo, lentamente, e non c'era un modo per riprendersi. Dannazione.
In quel momento gli venne in mente un'idea balzana. Una di quelle cose che forse hanno pensato tutti, ma che nessuno deve mai ammettere di aver pensato.
"Basta."
Scosse la testa, in un momento di pausa: no, no, fuori discussione. Lui li comandava, doveva restare. Sarebbe dovuto restare comunque.
Ed ora che tutto andava male, che andava sempre peggio, qualcosa si era rotto. Sasuke non sapeva. Non poteva sapere. Non solo non aveva idea del motivo per cui i suoi occhi divenivano rossi ed i suoi riflessi tendevano alla perfezione, ma non sapeva nemmeno perchè anche altri avessero abilità simili. Ed ora, il Biondo, il Bocciato, alzava un'enorme fumera attorno a lui, facendo strage con pochissimi colpi inumani.
Fagocitava letteralmente terreno, lasciando attorno a lui desolazione, lievissime urla, e nulla, se non cadaveri.
Cos'era? Sasuke non doveva chiederselo. Perchè lui, perchè quello? Non ne aveva il diritto. Era normale, anormale, lo si doveva fermare o lasciar fare? Non ne aveva il permesso. Cos'era?
Domande, solo domande che rallentano la mente, secondo la dottrina del Ludus. Alle quali, per lui, soldato dalle immense capacità ma pur sempre soldato, non era prevista risposta. Finchè la trasmittente non decise di dire la sua, nonostante lui, come tutti gli altri, passasse ogni secondo a posticipare la data della sua morte, e ben poco tempo avesse per rispondere alla radio.
“Sasuke, mi ascolti?”
Difficile esalare un sì mentre tentano in trenta di ucciderti, e mentre tu tenti di uccidere quei trenta. Eppure lui riuscì ad emettere un vago suono di assenso mentre si scostava dall'ennesimo assalto.
Jiraya, dall'altra parte della trasmissione, pregava che quanto avessero detto Kakashi e Tsunade fosse corretto, sensato e funzionante. Non v'era altro modo. Non poteva lasciar fare così, senza dir niente, al bambino che ora si ritrovava con la forza più grande di tutta la regio fra le mani.
“Prendi Naruto. Fallo tornare indietro. E appena lo hai, ritirata. Siete troppo piccoli, per questo.”
Il che significava dover fermare ciò che nessun telo bianco riusciva a tenere a bada per nemmeno un istante. Sasuke iniziò ad incamminarsi verso il biondino furioso, lungi da lui centinaia di metri, dovendo affrontare nuovamente quanto l'altro aveva affrontato prima per potersi avvicinare al Rosso.
Giocavano a rincorrersi.
E il ragazzino, padrone dell'elettricità che serrava fra le mani, si convinceva sempre più di essere appena stato mandato al suicidio.


***



Gaara possedeva ancora una minima percezione di ciò che lo circondava, riuscendo a mantenere un vago controllo sull'entità che gli donava l'immensa forza con cui stava distruggendo le schiere di neri. Ma non mancava mai di assecondare questo suo immenso potere. Dentro al ragazzino dai profondi sott'occhi ed il volto pallido, andava ingrandendosi una sensazione che non aveva mai provato prima. Una sensazione attesa, bramata, di cui era assetato fin da sempre.
Felicità.
Felicità che saliva sempre più prepotente ed orgogliosa, mentre lui, finalmente, poteva compiere il suo lavoro, poteva fare ciò che gli era sempre stato detto di fare, andava compiendo l'unico scopo della sua vita: eseguire gli ordini, sentirsi utile, sentirsi vivo.
Vivo, colmo di gioia. Il sangue che pulsa, la fatica che avanza, la sabbia unica amica e schiava che si controlla con il pensiero, il desiderio, e null'altro. Vivo, e quasi esistente, per quanto la cosa pareva assai difficile da accettare.
Ma mentre andava assaporando, centellinando, quella sensazione umana sopra ogni cosa che avesse mai avuto a che fare con lui, il Demone che in lui albergava si mescolava, sempre più intrinseco nel suo essere, al suo animo ed alla sua mente. Così, man mano che giungeva, tentennante, la gioia dei bambino realizzato, estasiato, esultante, contemporaneamente s'intersecava in quella un sentimento ben superiore a quello del mortale. Il Demone bramava. Gaara bramava.
Avviluppate in quell'unico essere che sulla sabbia spandeva sangue altrui a litri, le due entità non riuscivano a non mescolarsi. Gaara, debole, era incapace di esercitare un qualsiasi genere di controllo sulla Bestia. Talmente labile da non riuscire a distinguersi dall'altro, per quanto intuisse la sua doppia, anormale natura, Gaara abbandonava presto quella gioia infantile, innocente, per farsi sopraffarre senza potersene accorgere dalla smaniosa brama del demone che spadronava in lui.
Il bambino non capiva. Non poteva capire, perchè vi aveva rinunciato anni or sono.
Eppure, più sentiva incombente la forza di quel suo avversario, piccolo, nero, la capa dorata, più pulsava in lui lo stesso desiderio che provava Naruto.
Avvicinarsi.
Scontrarsi.
Combattere.
Perchè ora, tutti e due, volevano solamente combattere.
Affondare le zanne nella carne dell'altro, lacerare con le unghie quella pelle. Far fuoriuscire energia, rimettendola in gioco, assalirsi, ruggire, uccidersi, ricominciare.
Era un'antica lite che perseverava dalla notte dei tempi.
E ne' la debolezza di Gaara, la sua fragilità, il suo desiderio di realizzarsi tramite gli ordini, la ricerca continua del suo posto nel mondo, ne' la frenesia di Naruto che lo aveva lanciato, all'inizio di tutto, a rincorrere quel suo simile senza poter realizzare cosa avesse davvero davanti, centravano.
I bambini erano usciti dalla scena, prestando i loro corpi, incapaci di domandarli indietro. Su quel deserto, dove un'armata di ragazzini si contrapponeva ad un formidabilie esercito di veterani, nessun essere umano aveva alcuna rilevanza. Non c'erno ne' bianchi ne' neri. Ne' fuoco, ne' vento, ne' Regio, ne' Umbra: il tutto soggiaceva unicamente ai due Mostri, che riesumavano una guerra antica come il mondo.
E i piccoli, miseri soldati, gli strateghi ed i comandanti, i Custodes ed i Bellatores, i navigati e le matricole, rimanevano a condurre le loro piccole battaglie con sempre meno foga, spazzati via dall'energia, esosa, che si spandeva dai due bambini, oramai indemoniati.
Più si avvicinavano l'un l'altro, più i guerrieri andavano domandandosi che fine avesse fatto quella oramai vittoria schiacciante dei teli bianchi, quella disperata incapacità dei tirocinanti neri: ma tutti quei concetti, troppo inferiori alle due poderose creature, perdevano qualsiasi significato di fronte all'incombente devastazione che le due creature preannunciavano.

Il dubbio, la paura, il ripensamento del troppo ardore iniziarono ad invadere coloro che avevano rivangato forze troppo antiche, troppo alte, troppo inumane da essere veramente controllabili.
Ma da ambo le fazioni scossero il capo, sicuri di sapere cosa stesse accadendo. Fermamente convinti di avere la situazione in pugno: per quanto gli unici controllori degli avvenimenti, ora, galleggiassero immobili, inerti, spenti.

***



Galleggiava.
I capelli color del sole che ondeggiano lievemente, il corpo che non subisce più la gravità.
Navigava. Insensibile, immobile, nella mente un ronzio costante e sommesso come suo unico compagno.

Fuori, la sabbia di Gaara, del Demone di Gaara, del Gaara del Demone, iniziava a dirigersi minacciosa contro Naruto, e andava creandosi, sempre più potente e netta, una specie d'onda d'urto fra le due immense auree.

Dentro, silenzio, e solo un lieve Ronzio.

Mancava poco, Fuori. Mancava Veramente Poco. Anche il Rosso aveva rinunciato a perseguire il suo scopo primario, e la disfatta dei neri venne abbandonata, ora che comandava il Mostro. il Rosso subiva.

Solo loro.

Molto, troppo vicini.

Al ronzio che continuava ad assillare il Custos si aggiunse una lontana eco che non riusciva a definire. Immerso nel nulla, gli occhi chiusi. Perennemente, costantemente il ronzio, e un lontano suono secco ed anomalo.

Da fuori, il volto del ragazzino era impiastricciato di sudore e sangue. Le zanne rilucevano al sole del deserto, gli occhi brillavano di luce propria, una luce innaturale e fino ad ora imponderata. Gli artigli, neri, solcavano aria e carne. E pareva veramente non ci fosse verso di fermarlo.

Infastidito, il Naruto galleggiante aprì lievemente gli occhi. Davanti a lui si parava un se' stesso identico, gli occhi sbarrati, vuoti, il corpo più inerme del suo. Ancora con le palpebre socchiuse, fece per avvicinarsi, invano: rimaneva immobile sul posto. Quell'altro galleggiava a sua volta, morto. Il ronzio permaneva, e da lontano, nuovamente, l'eco. Ronzio. Eco. Ronzio. Eco. E quegli occhi allucinati che non riuscivano a vedere, ma che lo guardavano. Stessa iride, stessa pupilla, stessi, identici, solchi sul volto. Tremò. La mente sgombra, tentando sempre più di nuotare verso il fragile involucro fronte se'.
Poi aprì ulteriormente gli occhi, e iniziò a domandarsi, lento, nel liquido che lo circondava, chi fosse cosa, e cosa fosse chi. Quale dei due. Cosa, dei due.
E più lasciava scorrere i pensieri nella mente, più l'eco insisteva, il ronzio aumentava, si allentava, divenendo a sua volta scostante, aritmico, sempre più simile ad una serie di rumori distinti.

Lui stesso stentava a credere di essere riuscito in tale gesto.
Eppure, la mano dal guanto grigio era serrata con forza sul braccio di Naruto.

In quell'istante, gelido, immobile, riuscì a connettere i pochi fili che gli albergavano in testa.
Cos'era, quello?
Nulla.
Se' stesso.
Solo se' stesso.
E nel vedere se' stesso in quello stato, ribollente di quella voglia di vivere che era sempre stata sua, di quella voglia di essere che lo aveva sempre colmato, si slanciò su quel corpo, a carpirlo, catturarlo, stringerlo, come abbracciarlo: per poi ricadere, carponi, sulla fastidiosissima sabbia, il volto bollente, che bruciava a strisce, l'aria calda e intensa che fuoriusciva dai polmoni, ed un'assurda, imponderabile sensazione di puro, frenetico disagio.




-ACT 15
Peractio

Gli occhi del biondino erano incollati sul volto dell'altro. Con la stessa precisione con cui quelli erano sgranati, Naruto rimaneva immobile: le poche parti che vedeva del proprio corpo erano ricoperte di uno strano miscuglio di sabbia e sangue. Inginocchiato su Sasuke, la destra, munita di lunghe e potenti unghie color pece, era serrata attorno al collo del compagno, che già iniziava a spurgar sangue nei punti in cui gli artigli affilati lo avevano ghermito. Percepiva la sinistra arretrata, carica in un pugno aperto, come fosse pronto a scuoiare il ragazzino: i muscoli, fino a qualche microsecondo prima tesi come corde di violino, iniziarono a rilassarsi man mano che il biondino prendeva coscienza del suo corpo e della situazione in cui si trovava.
Sasuke, dal fiato più grosso di quanto gliel'avesse mai sentito, gli poneva due occhi neri come la pece. La forza di cui era sempre stato portatore, il rosso con cui lo aveva guardato negli ultimi giorni, era sparito. La magia, andata. Doveva essere sfinito. Eppure, Naruto riusciva ancora ad intravedere un'ombra scarlatta, in quegli occhi. Dal respiro rotto, prossimo all'iperventilazione, si avvicinò a quei pozzi neri in cui riluceva il sole del pomeriggio: tanto intenso da permettergli di riuscire a distinguere la sua sua figura.
Erano i suoi occhi, ad essere rossi. Ma di un rosso diverso: un rosso abbagliante, interrotto solo dalla pupilla sottile che si ergeva, prepotente, sulle iridi che irradiavano quel colore. Il resto del volto era lercio quanto i suoi arti, dello stesso, identico impasto. Sulle guance, arrossate dello sfinimento incombente, i sui sei segni simili a baffi felini si erano affossati nella carne, e sanguinavano, emanando a momenti vapore. Le labbra erano tirate dalla dentatura molto più potente di quella di un normale essere umano: due zanne sporgevano, fiere e arroganti, rilucenti. In bocca un sapore metallico che conosceva come quello del sangue: intenso, fastidioso, a tratti vomitevole.
Gemette.
Tremante, terrorizzato dal suo stesso riflesso.
Chi era?
Cos'era?
Ma soprattuto, perchè?
Perchè? Perchè? Perchè?
Perchè?

Perchè?

Perchè?

Davanti a se Sasuke aveva un Mostro. Un diavolo biondo, che scrutava la sua stessa immagine riflessa, sgomento di ciò che vedeva, come ridestatosi da un sonno millenario.
Tremiti, tremiti rapidi e sempre più vasti che pervadevano il corpo del ragazzino.
Il capitano non riusciva a capire cosa accadesse. Prossimo ad essere spellato vivo, aveva visto il gesto di quello troncarsi a metà, e l'atteggiamento mutare di colpo.

Quanto Naruto accettò quel suo volto deformato, bestiale, inumano, e vide per la seconda volta l'espressione del compagno, colma di ribrezzo, paura e sgomento, fu come morire.
Di nuovo.
Fu peggio.
Mai come in quel momento era riuscito a leggere le sensazioni che albergavano in Sasuke. Ora, invece, il ragazzino era per il piccolo demone una tabula rasa: riusciva a percepire ogni singola sfumatura dei suoi sentimenti, ogni accento, come colori che si propagavano nelle sue pupilla.
E lesse, a caratteri cubitali, quella ferocia, quel terrore, quel disprezzo infinito che aveva sempre intuito in tutti ma mai afferrato con tanta, brutale precisione. Amplificati miliardi di volte, schietti e affilati come lame, quei sentimenti affondarono nell'animo del piccolo guerriero, distruggendolo come nulla prima aveva potuto fare.

Enormi lacrime iniziarono a riempirgli gli occhi posseduti. Scivolavano sul volto, evaporavano sui solchi, e quelle poche che sopravvivevano al rogo discendevano sul mento, per lambire le vesti strappate, il collo largo, e la divisa di Sasuke, che lo guardava più sgomento di prima.

La Bestia piangeva.

Piangeva come un bambino che ha persona madre e padre. Come chi è solo al mondo e non ha una casa. Latrando come un cane abbandonato, preso a sassate dai ragazzini che passano di lì, per caso.

Si accasciò per terra vomitando l'anima in lacrime bollenti, il volto ancora più congestionato di quanto possibile, la disperazione che lo lambiva da ogni lato e, ne era certo, non lo avrebbe lasciato mai più.
Piangeva ranicchiato a terra mentre gli altri guerrieri ordinavano la ritirata, mentre, passando, lo guardavano terrorizzati: ma lui non vedeva. Non pensava a loro. Pensava al muso animale che era il suo volto e a ciò che aveva letto nel cuore del compagno. Osservava da lontano la sua anima, distrutta, ridotta in schegge, che giaceva immobile, inerte: e la compiangeva, disperato, richiedendola indietro. Pensava a Sasuke, a Shikamaru, a Kiba e a Shino, a Hinata e Sakura.
Pensava a tutto quell'odio di cui si sentiva investito provenire da ognuno di loro, sentendo come il coltello, già affondato, si rigirasse cinico nelle sue membra, intenzionato a dargli più dolore possibile.

E noncurante di Sasuke che, per quanto impaurito oltre ogni dire da lui, tentava di rimetterlo in piedi, si lasciava cadere nel'oppressione del suo cuore e della sua mente, che si raggomitolavano su se' stessi, domandando pietà, senza voler più avere nulla a che fare col mondo esterno.

Non riusciva a realizzare cosa fosse successo.
A steso ricordava di combattere contro qualcuno.
Da lontano provenivano gli echi di quella sua specie di morte, di quegli occhi lunghi e rossi, che ora erano suoi: ma non capiva. Non riusciva a vedere i suoi stessi pensieri, offuscati, e dunque incapace di farsi una ragione degli eventi, di ricostruire il motivo per cui tutto ciò era accaduto, di come era accaduto, di quale fosse il motivo per cui si ritrovasse ad essere più animale che uomo, rinunciava.
E poi riprovava.
E rinunciava.
Per infine lasciare una sola domanda che gli aleggiasse nella mente ostruita dal dolore:perchè.
Perchè?
Perchè?
Perchè?

Perché?


Perché?


Sasuke lo stava trascinando sulla sabbia, mentre attorno a loro gli altri ragazzi fuggivano, sollevati dal poter abbandonare quella posizione, di non dover aver nulla a che fare con il Rosso ne' con quell'altra cosa che gli si stava lanciando contro.
Il ragazzino dai capelli corvini, esanime, radunava ogni sua forza rimasta per riportare indietro il compagno, quel mostro che continuava a singhiozzare, e che a tratti pareva essere in procinto di morire per quel pianto disumano.
Si sforzava di non guardarlo mentre lo ghermiva per le spalle, sicuro di non dover aver nulla a che fare con Quello.
Nonostante fra curiosità, compassione ed una lenta, antica comprensione, ogni secondo che passava avrebbe voluto voltarsi.
Per capire.
Dato che ora nulla, per lui, aveva un senso.



***



Naruto respirava ora più lento, il peggio passato. Teneva gli occhi socchiusi, disteso, lasciandosi cullare dal vuoto della sua mente, il sole a sfregiargli le pupille deformi. Attendeva, anche se non sapeva cosa. Sentiva di essere lontano dal campo di battaglia, oltre l'accampamento: ogni tanto intravedeva uno spicchio di Sasuke, dondolante, ansimante a sua volta.
Cosa sarebbe successo, ora?
Non ne avevano idea. Non erano stati addestrati per questo.
E, ad ogni modo, intuivano che non era loro diritto sapere.
Al biondino saliva la voglia di tornare a galleggiare in quel nulla che lo aveva cullato e protetto fino a qualche istante prima. Nonostante la testa fosse sgombra, non riusciva ad alienare quella sensazione di esilio che avvertiva pervaderlo in ogni sua più recondita fibra.

Alzati.”

La voce del compagno gli suonò più gelata di sempre. Schiuse gli occhi, per guardare meglio: quello gli dava le spalle, le braccia incrociate. Tornò a guardare il vuoto, zitto.
Non sapeva cosa sarebbe successo, se avesse provato a dire qualcosa. E non riusciva a percepire nessuno dei suoi muscoli.
I teli bianchi si avvicinavano, fagocitando il confine. Sarebbero dovuti andare via di lì immediatamente, pensava Sasuke. Ciò nonostante, non osò invitare l'altro ad alzarsi di nuovo. Ne temeva seriamente la reazione.
Era già tanto che fosse riuscito a riprenderlo senza farsi ammazzare da quello: ora non voleva assolutamente sprecare quest'occasione che gli offriva il fato.
Fra i due tornò ad aleggiare il silenzio, smosso solo dai rumori dell'armata nemica che avanzava, mentre i giovani Custodes e Bellatores fuggivano, lontani da loro.
Al biondo non riusciva a venire in mente cosa potesse, di preciso, stare avvenendo, e perchè loro due fossero lì, fermi, mentre gli altri andavano a cercare rifugio.
Era forse perchè lui non si schiodava?
Che Sasuke andasse, allora. Non doveva di certo scarrozzarsi dietro un essere del genere.
Uno come lui.
Anzi, Lui, punto e basta.


Ma niente.


Immobili e zitti.
Come rocce, nessuno dei due osava fare nulla per lo stesso motivo: non avevano idea di cosa avrebbe fatto il piccolo demone. Di quale sarebbe stato il seguito.
A Naruto venne su il desiderio di aggrapparsi. Per quanto si sentisse solo, in quel momento desiderava che Sasuke non gli voltasse le spalle più di quanto non avesse già fatto.

'Ho paura'.

La pura verità. Ma non osava far vibrare le proprie corde vocali, congelato in quell'inferno che gli si era presentato davanti.
'Ho paura'.
Sarebbe bastato così poco, dopotutto.
'Ho paura'.
Lo avrebbe reso nuovamente umano agli occhi dell'altro. Lo avrebbe reso umano anche a se' stesso, perchè non ci credeva più.

Raccogliendo l'aria attorno a se', fu in procinto di rivelare il suo segreto più grande, il suo ultimo frammento d'anima, quello che serrava stretto fra le sue mani, a proteggerlo, ritrovato per caso. Ma un suono metallico lo anticipò, ed uno strattone gli fece perdere il fiato.
Si ritrovò i polsi legati da catene di metallo, tre uomini che lo avevano preso alla sprovvista, tutti e tre dell'Ignis Regio. Come lui tentò di reagire, gli furono immediatamente a cingere le gambe ed incatenarle a loro volta. Uno di quelli gli fece leva sulla spalla, obbligandolo ad alzarsi, e un secondo non mancò, come fu, tentennante, in piedi, di immobilizzarlo ulteriormente.
Si sentì circondato.
Il cuore che tornava a battere, furibondo, lanciando l'adrenalina in corpo.

C'era bisogno di legarlo?
Evidentemente sì.

Cos'era diventato, da dover essere legato e trattenuto da tre di loro?

Il terrore del suo essere tornò in una vampata. Quelli iniziarono a scuoterlo, spingerlo, con violenza e a strappi, quasi fossero infastiditi, per costringerlo ad avanzare, ed anche con una certa velocità. Intravedeva, per quanto il capo gli dondolasse a guardare la sabbia, Sasuke a qualche metro da lui.

No”

Esalò, ampliando le palpebre, un tremito che lo pervase.

NO!”

E prese a scuotersi, per divincolarsi. La paura aumentò, aumentò a dismisura: ma il motivo era un altro.
Non era più il ribrezzo per il suo volto.
Gli occhi ora sgranati, le pupille due minuscole fessure.

NO! LASCIATEMI ANDARE!
NO!
NO!
DI NUOVO NO!
NO, VI PREGO!
L'ACQUA NO!
NON VOGLIO, NON VOGLIO!”

I tre non capivano cosa andasse dicendo. Parve essere preso da un attacco di panico, o, peggio, di rabbia.
Divenne una bestia ammalata alla quale strinsero ulteriormente lacci e prese. Sasuke lo guardava atterrito, ma Naruto si impuntava, e tornava ad urlare con quanto fiato avesse in gola, con tutti i mezzi che possedeva, dimenandosi, scalmanato: pareva si stesse uccidendo a suon di grida.

“NOH!
LASCIATEMI ANDARE!
NON VOGLIO!
NON VOGLIO PIU' QUELL'ACQUA!
BASTA!
LASCIATEMI!
LASCIATEMHI!
ANDATE VIAA!
VIAAAH!”


Pazzo.

In lui era il ricordo del Laniatus che tornava, e, come un animale, tentava disperatamente di sottrarsi a quella che per lui, ormai, era la punizione: non la sopportava, lo odiava, lo temeva più di qualunque altra cosa al mondo, se' stesso compreso.

L'istinto risaliva in tutta la sua possenza, facendolo uscire di senno, collegando gli eventi a quell'orribile giorno in cui fu sottoposto a quella tortura, a quel lavaggio assurdo che lui stesso aveva praticamente rimosso dalla sua memoria.

NON VOGLIO!
NON VOGLIO!
NON VOGLIO!!!



Un colpo alla nuca, secco.


Cadde a terra,
combattuto fra il desiderio di morire e il desiderio di non soffrire,
fra la paura di se' stesso e la paura del Laniatus,
lacerato
fra il terrore per la volpe
ed il terrore per la sua stessa gente.




Il bimbo scese
nell'oblìo.

Attraversando gli Inferi,
fra angeli e demoni,
diavoli e dèi
santi e dannati.

Tese la mano,
invano

domandò aiuto,
perduto,
e solo fu lasciato

con sé
e il suo non essere,
unico, eterno compagno.





Nota dell'Autrice


Sì *.*
Scusate, scusate per la lunga assenza, ma ho una quantità di casini a scuola assurdi e non trovavo il tempo. In più, mi sono decisamente incartata: è un po' un trauma, questo capitolo. Credo avrete notato che anche lo stile varia spesso, perchè l'ho scritto con buchi di mesi in mezzo.
Era il momento che sognavo fin dall'inizio della fic, quindi volevo che fosse perfetto.
Non credo che lo sia, ma ora come ora più di così non riesco a fare. E' probabile che io lo riveda, anche se la storia è quella. E' il turbinìo di sentimenti di Naruto che mi risultano decisamente ingestibili.
Con questo, posso dire che la prima parte è conclusa, e la storia ha finalmente preso la sua piega. Nessuna delle scene che avevo immaginato, alla fine, è uscita come l'avevo pensata. E, onestamente, preferisco di gran lunga quello che ne è venuto fuori, perchè mi è parso decisamente armonioso.
Ho provato a costruire il tutto in modo da non creare storie tipicamente demenziali con i lunghi dialoghi e tempi, con i soliti clichè, con il tipico andazzo in cui ci si dimentica del mondo esterno e si fanno trascorrere ore focalizzandosi su dialoghi che, di fatto, non sarebbero mai potuti esistire, perchè improponibili in certe situazioni.
Quindi non è un discorso, una chiacchierata, non voglio che comunichino a parole, perchè sarebbe veramente assurdo: volevo che si intendessero a sguardi, espressioni, letture interiori, come ci si intende sempre.

La morale della favola è: non riesco a non fare l'introspettiva '.'

Vabè, a voi sommi il giudizio del tutto, e spero di arrivare al cap 21 senza farvi attendere altre eree glaciali.
Cmq, 20 capitoli sono proprio tanti!!!

Ah, li ACTS sono finiti. PERACTIO significa fine, conclusione. :)

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Capitolo 22
*** 21 (Tempo.) ***


[Nota dell'Autrice in Apertura.]
Perchè, dico io, per quale strano meccanismo della mia mente bacata io riesco sempre a diluire in maniera assurda i capitoli?!
Non lo so.
Argh!
La cosa più tragica è che nel 21, in pratica, non succede nulla. E' solo l'ennesimo preambolo per il 22, che giuro, 'sta volta NON SOLO arriva entro questa o la prossima serata, ma vi piacerà.
Vi dovrà piacere >__<**
Aw.
Domando scusa per il capitolo 'passaggio', di cui almeno credo di aver azzeccato il titolo.

21. Tempo.


Tanta fatica
per tanta polvere.
Spreco.



C'erano degli errori che non si potevano ripetere.
Ora che la strada era stata presa, bisognava procedere con massima cautela e metodo. Sapevano che si poteva fare. Il fallimento non era previsto.
I bianchi si erano mangiati una buona fetta di territorio, e tutto ciò era stato solo grazie al rosso.
Ma ora, anche loro avevano un rosso.


Dalla finestra socchiusa fluiva un leggero fascio di luce che andava a rigettarsi sul pavimento, lambendo parte del comodino ed un angolo del letto. Gli sfiorava il volto, riscaldandogli la mano che poggiava sul lenzuolo bianco. Una strana, insolita sensazione di morbidezza lo avvolgeva. Schiuse leggermente gli occhi: il sole gli tagliò le pupille, costringendolo a richiudere le palpebre inclinando leggermente il capo dall'altro lato. Il collo era rigido, e quella minima torsione riuscì a fargli male. Esalò un po' d'aria in un leggero mugugno infastidito. Poi tornò a guardare verso la finestra: una tenda bianca e leggera veniva smossa ogni tanto da un alito di brezza.
Eccola.
La sentiva sul volto, leggera come una carezza.
In quell'istante, l'unica parola che riusciva a focalizzare in testa era 'pace'.

Tsunade sapeva che gli serviva la luce. La luce del sole, quella vera, la luce pura. Come sapeva che gli servivano l'aria e le lenzuola morbide. Aveva bisogno di una stanza candida e pulita, isolata dal resto del mondo.
Ma non perchè lui potesse isolarsi.

Ogni singolo muscolo era indolenzito. Compiendo un solo movimento riusciva a percepire il dolore, torbido, sfuocato, che serpeggiava in zone di cui fino a un istante prima si era dimenticato l'esistenza. Alzò un braccio, con lentezza, per portarlo sulla fronte.
Gli si propose una mano infantile dalle unghie leggermente appuntite.

Era giunto il momento di prendere in mano la situazione. Non aveva più modo di sfuggire: ormai la potenza del ragazzino era chiara a tutti. Nessuno avrebbe più potuto essere ingannato. Nemmeno lui stesso.

In quell'istante la mente gli si riempì di pensieri. Fu come un abbaglio, un fiume straripato: venne invaso da ricordi, sensazioni, idee e concetti che gli si ammassarono addosso.
Colto dalla paura, aggrottò le sopracciglia bionde nell'intento di scacciare tutto quello, sperando di poter essere libero. Cercò disperatamente la fuga per qualche secondo, finchè non si trovò spalle al muro, incapace di cancellare.
Gettò gli occhi cerulei verso il soffitto bianco.
Era una strana sensazione. Era qualcosa che non aveva mai provato prima, a cui non era assolutamente abituato, che non aveva mai, lontanamente, previsto. Si sentiva come immobilizzato in un'enorme sfera di nulla. Incapace di muoversi, non poteva uscirne.
Guardò davanti a se': gli apparve una parete bianca, nascosta in parte da una cassettiera in legno particolarmente chiaro.
Rimase fermo così, galleggiando nei ricordi che non fermavano ne' frenavano il loro incedere, lasciandosi travolgere senza reagire in alcun modo.

La donna si alzò lentamente in piedi, pronta per uscire dallo stanzino in cui si era sigillata da giorni. Abbandonò una scrivania su cui giacevano quantità industriali di fogli e foglietti scritti in ogni loro angolo. Afferrò un plico, ordinandolo, osservandolo con cura, per poi unificarlo con due graffette, e lo ripose in un anglo. Ne prese un altro, compiendo la stessa procedura. Dunque un terzo, e li impilò, afferrandoli in massa e chiudendoli dietro una cartellina argentata. Con l'oggetto sottobraccio, aprì la porta ed iniziò a camminare lungo i corridoi.

Il fiume non si fermava, e lui lo lasciava fare. Analizzava anzi ogni singolo evento quasi con morbosa pignoleria. Non lasciava da parte nessun dettaglio: la paura persisteva, ma era stata soppressa da un freddo bisogno di conoscenza, che ora lo muoveva in ogni sua riflessione.
Andava indietro, indietro, ripassando ogni secondo della sua esistenza.
Indietro.
La battaglia.
Più indietro.
Il viaggio.
Più indietro.
La subsphaera.
Più indietro.
...
più indietro.
...
niente.
Chiuse gli occhi, le labbra serrate.
Più indietro.
Niente.
Il corpo gli tremava.
Più indietro.
E la testa gli girava.
Riaprì gli occhi: sempre lo stesso soffitto, sempre la stessa stanza.

La costruzione in cui si trovavano era ai margini estremi del Ludus. Camminando, Tsunade vedeva qualche albero sfilare ogni tanto. Era veramente uno dei posti più belli che avevano a disposizione: forse il più bello di tutta la regio, togliendo il palazzo dei Philosophi.
Si fermò davanti a una porta lignea, brandendo con convinzione la maniglia dorata. Attese qualche istante, raccogliendo le sue forze.
Era molto tempo che non vedeva quel ragazzino.
Attese.
Era veramente la volta di fare i conti con le proprie azioni. Non poteva tornare sui suoi passi. Avrebbe dovuto guidare lei quello che poteva essere l'arma migliore di tutto l'esercito.
No, non sempre lei.
Quanto sarebbe riuscita a stargli dietro?
Avrebbe dovuto fare affidamento su qualcuno perchè facesse parte del lavoro al posto suo.
Attese.
Aprì la porta.

“Buongiorno, Naruto.”
Il biondino era sul punto di ritornare nella sua introspezione quando il silenzio che lo avvolgeva venne rotto da una voce sconosciuta, femminile, lievemente grave. Abbassò gli occhi puntati al soffitto, scendendo su di una figura bionda un po' avanti negli anni, anche se sfoderati con una certa bellezza. Portamento fiero, petto abbondante e in fuori, dall'andatura marziale se non per il leggero muoversi dei fianchi. Qualche misera ruga le segnava il volto latteo.
Non aveva mai visto una donna così vecchia. Impossibile per lui stimarne l'età. Quaranta? Ottanta?
Sarebbe stato uguale. Per il custos l'invecchiamento era qualcosa di difficile comprensione, non avendolo mai visto di persona.
Certo, conosceva Jiraya, l'unico uomo che conoscesse oltre i trent'anni scarsi, che erano l'età massima di Magistri e Rectores.
Ma non contava.
La donna si avvicinò a lui con un'aria stranamente dolce. Portò il pugno al petto, facendosi seria in volto.
“Ignis Regionibus!”
Il ragazzino continuò il saluto con lentezza, ma convinzione. Battè il pugno sul petto, poi il palmo aperto.
“Patriae Frates. Fati Frates.”
La donna sorrise leggermente, compiaciuta nel vedere il custos rispondere.
“Il mio nome è Tsunade.”
Naruto la fissava immobile, lo sguardo serio che lasciava trapelare solo in parte il suo essere spaesato.
Non disse nulla. Non sapeva cosa dovesse dire, quindi preferì tacere.
Fu la scelta giusta, evidentemente, perchè quella continuò.
“Sono un Philosophus. Avrai parecchio a che fare con noi, negli anni a venire.”
Naruto continuava a fissarla con la medesima espressione.
“Come ti senti?”
“Rigido.”
“Passerà. La testa?”
“A posto.”
“Stomaco?”
“A posto.”
“Bene. Pensi di poterti alzare? Più ti muovi, meglio è.”
Naruto si alzò con una certa goffaggine, girandosi, i piedi scalzi che andavano a toccare il marmo.
Marmo.
Freddo, ma piacevole. Non aveva mai avuto marmo sotto ai piedi. Si osservò le dita: anche agli arti inferiori, le unghie erano leggermente appuntite.
“Cammina scalzo. Ti farà bene.”
Annuì, avendo ormai preso la donna per un medico. Si issò in piedi, dovendosi reggere un istante per il giramento di testa. Poi mosse un paio di passi, andando ad affiancare l'altra, sguardo interrogativo, sebbene prevalesse la serietà di prima.
“Seguimi.”
Tsunade lo fece uscire dalla stanza: camminarono per i corridoi, in silenzio.

Lei gli lanciava qualche fugace occhiata.
Naruto guardava ad una manciata di metri davanti a se', barcollando ogni tanto. Sul volto i sei segni a baffo che aveva avuto fin dalla nascita si erano affossati nella carne, creando tre triangoli appuntiti per gota. Gli occhi erano del loro colore naturale, la pupilla leggermente allungata. Ancora qualche giorno, e sarebbe tornato alla normalità.
Ma non era questo il suo obbiettivo.
Avanzavano lentamente: Tsunade non aveva alcuna intenzione di dire altro. Doveva tastare la situazione. Doveva capire lo stato d'animo del piccolo guerriero, perchè era la cosa che più importava. Quanto contava la volpe, in lui? E quanto contava lui, per la volpe? Per ora era stato solo un corpo preso in prestito, un manichino per il demone sigillato in un corpo troppo stretto per i suoi gusti.
Quanto erano controllabili, l'un l'altro?
Le analisi sarebbero state ancora lunghe.
Uscirono dal palazzo, su di un sentierino di cemento: la donna si fermò, facendo cenno al custos di andare sul'erba. Quello eseguì tranquillo.
“Bene. Guardami in faccia, adesso.”
Il visino tondo che aveva visto sette anni prima era sul punto di cedere il posto ad un volto dai tratti marcati e fortemente maschili. Ma i tempi non erano ancora maturi.
“Accovacciati. Ora appoggiati sulle mani, come se tu fossi un animale.”
Il biondo fu sul punto di tentennare a quella richiesta, ma eseguì comunque. Non bisognava essere dei geni per capire che la cosa aveva a che fare con Kyuubi.
“Ruggisci.”
Sgranò gli occhi. Non sapeva come si ruggiva. Non ruggiva da... lui non aveva mai ruggito, nemmeno per gioco.
Anzi, lui non aveva mai ruggito per gioco. Per vero, sì. Anche se era stata una cosa molto al di sopra del suo essere.
Digrignò i denti, mugolando.
“Più convinto, ragazzino.”
Fece vibrare le corde vocali con più forza.
“Avanti, che è 'sto schifo? Mi deludi, con tutto quello che mi hai ringhiato contro all'epoca.”
All'epoca?
Provò a intensificare, ma non faceva altro che sentirsi patetico. Che senso aveva tutto ciò? Non lo sapeva. Ma un senso doveva averlo. Continuò, rigettando indietro quella sensazione di fastidio.
“Forza, Volpe!”
Iniziò a sentirsi male, ma era solo dovuto alla sua incapacità. Conosceva benissimo quella sensazione: strinse la terra fra le dita, aggrottando le sopracciglia, iniziando a modulare la voce in tutti i modi che la gola gli permetteva.
Alla fine venne fuori qualcosa di veramente simile ad un ruggito.
Ma Tsunade scuoteva la testa, destra, sinistra, destra, sinistra, lentamente e minimamente.
Rinunciò. Appoggiò le ginocchia a terra, fissando il vuoto colmo di delusione. Ora non sapeva più da che parte voltarsi. Se non le andava bene quello, cosa voleva?
La volpe.
Ma lui non aveva idea di cosa potesse muovere quella presenza che albergava in lui. L'aveva sempre sentita come un fastidioso parassita. Quelle poche volte che l'aveva sentita.
Si alzò in piedi, scuotendo il capo a sua volta.
“Non ne sono capace.”
Tsunade inclinò il capo perplessa.
“Vieni, torniamo in camera.”
Lui la seguì mogio, le spalle basse.

Si risistemò sul letto, guardando il soffitto. Tsunade si piazzò su di una sedia accanto a lui, poggiando sul comodino la cartellina argentata che aveva sottobraccio da prima.
“Sto un po' qui. Tu riposa pure.”
Naruto roteò gli occhi verso quella, mimando una sottospecie di cenno d'assenso; tornò dunque a guardare in alto.
Il silenzio li avvolse, rotto solamente dal respiro di ambo.
Finalmente il biondino poteva dedicarsi a ciò che aveva voluto fare fin dal principio:
pensare.

***



Nessuno, sano di mente o meno che fosse, avrebbe mai osato immaginare che quel posto fosse una prigione.
Dall'esterno la costruzione sembrava normale: un parallelepipedo bianco con finestre dagli infissi color legno, qualche terrazzo, un portone sontuoso circondato dall'edera. Si trattava solo di una palazzina fra quelle più periferiche del Ludus, una delle più vicine al bosco, che si armonizzava con la natura. Gli interni erano prevalentemente bianchi, con rifiniture color pastello, i mobili unicamente in legno di frassino, uno dei più luminosi in assoluto.
Sakura sedeva su di una piccola panca piazzata in un corridoio.
Metà della costruzione era adibita ad ospedale: l'altra metà era fatta prevalentemente di celle. I prigionieri, rigorosamente di guerra, sedevano a gambe incrociate in camere imbottite, bloccati da camice di forza. Per ogni cella c'era una finestra che faceva fluire sempre un po' di sole e d'aria.
Non era uno di quei posti che isolano dal resto del mondo, no: era fatto per far venire la voglia di andarsene di là. E i prigionieri ce l'avevano, l'opportunità di ritornare in libertà: collaborare.
La maggior parte moriva lì, ucciso dalle torture, dal Laniatus o dalla sua stessa follia, che non frenava mai la maturazione, in nessun soggetto.
Ormai la ragazzina stava lì da qualche mese: conosceva quel posto. Conosceva i sotterranei, luogo di tortura, e, sebbene solo tramite voci e racconti, conosceva la potenza del Laniatus.
Lei era al servizio dell'ospedale, se non per le volte in cui studiava: curava bambini, magistri e prigionieri.
Sakura cresceva bene, apprendendo l'arte, assorbendo nozioni su nozioni come una spugna: aveva modo di sperare di poter ambire alle posizioni più alte di tutta la regio, il che era fantastico. Se avesse saputo come arrivarci.
Si limitava così a dare il meglio di se' e di seguire alla lettera qualsiasi ordine le venisse impartito, senza mai azzardarsi a prendere l'iniziativa.
Sedeva, in attesa. Attesa un po' troppo lunga per i suoi gusti, e che iniziava a diventare insolitamente prolissa.
Levò il capo all'udire dei passi. Si mise rispettosamente in piedi e alzò la mano per chiedere parola all'uomo che la stava incrociando. Quello annuì, fermandosi.
“Dove posso trovare Tsunade?”
“Perchè?”
“Per.. l'addestramento solito, avevamo appuntamento fisso.”
Sakura arrossì lentamente al sentirsi pronunciare quella frase che suonava quasi come se lei e Tsunade fossero due pari. Mph. Pari.
Improbabile.
“Sarà il caso che tu approfitti di quest'occasione per studiare, Tsunade ha da fare.”
Il volto le si velò di delusione, ma fece cenno d'assenso per poi dare le spalle all'uomo, che proseguì così il suo cammino.
Addestramento saltato.
Cosa succedeva?
Fa nulla, avrebbe studiato, pensò incamminandosi.

***


Lui era immobile, ma la sua testa fremeva. Dissimulava il dolore al capo con una certa maestria, concentrato sui suoi pensieri.
Scavava imperterrito nella sua mente alla disperata ricerca di risposte, che non arrivavano mai: anzi, le domande aumentavano a dismisura. Ciò nonostante, non avrebbe mai e poi mai posto quelle domande alla donna che sedeva accanto a lui, intenta a leggere delle carte di cui non gli interessava nulla.
Continuando a cercare, a riesumare, ad analizzare, si scopriva di colpo freddo e diverso. Pensava che tempo addietro non avrebbe mai e poi mai avuto una reazione del genere.
Ora le azioni che compieva andavano da se'. Con naturalezza evitava di rivolgere parola a Tsunade, cosa che fino a qualche giorno prima avrebbe fatto.
Giorno?
Anche mese, volendo. Non sapeva quanto avesse dormito, da quando era stato risvegliato da Sasuke e dunque tramortito dai tre uomini.
Quell'evento gli rimaneva fisso in testa, come un caposaldo a cui far riferimento ogni volta che qualcosa non tornava: la cosa non gli era particolarmente utile, eppure come appiglio gli pareva buono.
Le ore passavano, nel silenzio.
In lui un desiderio andava crescendo: la volpe.
La volpe.
La volpe era la risposta, per lui. Avrebbe voluto richiamare quella presenza, non da posseduto, ma da entità distaccata da lei.
Voleva parlare con la volpe. Era questo il suo desiderio, e questo desiderio era affiancato da un altro: riuscire ad andare più indietro coi ricordi.
Ad un certo punto gli compariva un muro che non riusciva a sorpassare. Ricordava pezzi del passato, ricordava abitudini, ma c'era sempre qualche buco che non riusciva a colmare.
E lui era testardo.
Continuava a sbattere la testa contro quel muro, nel tentativo di abbatterlo.
C'era una cosa che lo turbava ulteriormente, ovvero il ricordare di non essersi mai scontrato con questo blocco. Non perchè non ci fosse stato, ma perchè non l'aveva mai percepito.
Era come un ostacolo che non aveva mai nemmeno avvicinato.
Come un posto in cui non fosse mai stato, nonostante si trovasse costantemente sotto il suo naso.
Da una parte la volpe, dall'altra i tre uomini.
Voleva pensare.
Voleva pensare.
Doveva capire.

E sentiva tutto ciò difficile.
Difficile.
Dannatamente difficile.

Ad un certo punto Tsunade levò il capo, come un'illuminazione a coglierla.
Diamine.
Si alzò in piedi facendo cenno a Naruto di muoversi. Il ragazzino venne richiamato alla realtà, e le rivolse uno sguardo apatico e smarrito. Vincolato altrove.
La donna lo guardò mentre scendeva dal letto e posava i piedi scalzi sul marmo. Scosse il capo, adirata con se' stessa.
No.
Non poteva essersi lasciata scappare in maniera così idiota un dettaglio così importante.
S'incamminò lasciando che il ragazzino la seguisse, uscendo nuovamente dalla stanza.
Percorsero i corridoi, lui che guardava per terra, lei che scrutava avanti stringendo a se' i tre plichi di fogli con cui girava da tutto il giorno.
Tsunade continuava a dannarsi, ripensando al tempo trascorso in silenzio nella stanza. Ora riconosceva lo sguardo perso di un ragazzino che non si sa trovare.
Lo conosceva, quello sguardo. Anche se quello di Naruto era lievemente diverso. Più smarrito, più sconvolto.
Doveva cancellarglielo.
Doveva farlo sentire al sicuro.
Era questo l'obbiettivo principale, no?
Il percorso era già tracciato, erano sulla buona strada: avrebbero dovuto fare tutto secondo i piani.
Sbuffò.
Da un angolo comparve un uomo, che si fermò a salutare la donna con riguardo. Naruto si fermò come percepì l'altra fermarsi: ma lei lo mandò avanti. Il ragazzino continuò a camminare con lentezza, senza sapere dove dovesse andare, limitandosi a farsi trasportare dall'impulso che le aveva dato Tsunade: avanti, dritto, lungo il corridoio. E quando finisce?
Non so.
Gliel'avrebbe detto lei.
“Sakura ti cercava”
Tsunade annuì stancamente, sbuffando.
“Per cortesia, dille che per qualche giorno saltiamo. Ho cose da fare.”
Quello fece cenno d'assenso a sua volta.
“Tsunade, un'altra cosa.”
“Sì.”
“Il Difetto.”
Lei lo guardò negli occhi, la messa a fuoco puntata sul nulla, intenta a pensare. Fu un lungo istante in cui dovette prendere una decisione non indifferente.
“Dallo a Sakura.”
Quello indietreggiò col capo.
“Sa fare tutto quel che c'è da fare.” aggiunse lei. “Non avrà problemi. E' brava.”
Non disse altro, tornando ad incamminarsi dietro a Naruto, che la precedeva di qualche manciata di metri.
Socchiuse gli occhi, travolta dagli eventi. Li riaprì, convinta delle sue decisioni.
Sakura non avrebbe avuto nessun problema.
Davanti a lei il biondo dondolava, trascinandosi stancamente sul pavimento. Accelerò il passo, per raggiungerlo.
Ah, no.
Questa volta non avrebbe commesso nessun errore.
Anche se la situazione era diversa, c'era molto in comune, fra i due.
Troppo in comune.
Strinse i pugni con convinzione.

No, questa volta non gli avrebbe permesso di pensare.
Era troppo rischioso.

Volse gli occhi al soffitto, pregando che quelle due ore di silenzio nella stanza non gli fossero state sufficienti per giungere a qualsiasi tipo di conclusione.

***


I guanti in lattice non le erano mai piaciuti. Davano una stranissima sensazione: nonostante fossero di plastica, le pareva di avere le mani immerse nella polvere.
Poggiava i gomiti sulla brandina, seduta sulla sedia dell'ambulatorio: scrutava la porta in attesa del paziente, anche se nessuno sapeva dirle di preciso quando sarebbe arrivato. A pomeriggio inoltrato l'attività dell'ospedale-prigione era molto aumentata, riempiendo la costruzione di persone.
Avrebbe potuto studiare, come le aveva consigliato l'uomo qualche ora prima. E invece no, doveva starsene lì ad attendere una persona che non si faceva vedere.
Sbuffò, infastidita. Quel giorno sembrava che tutto andasse per le sue, senza motivazione apparente. L'ordine che aveva condizionato l'ultimo periodo della sua vita sfumava nel nulla.
Fece per alzarsi, quando la porta si aprì. Allungò il capo curiosa per non ritrovarsi nient'altri che lo stesso medico con cui sembrava avere a che fare da tutto il pomeriggio.
“Buongiorno.”
“Buongiorno.”
Quello posò sulla brandina un fascicoletto, per poi scrutarla negli occhi.
“Ragazzina”
“Sì.”
“Ricordati che è pazzo.”
Lei portò le verdi iridi sulla copertina, leggendo un nome che aveva già sentito, ogni tanto, da un suo superiore.
“Sì, signore. Sicuro.”
“Adesso te lo portiamo.”
L'uomo uscì.
La ragazzina si sedette prendendo il plico in mano, iniziando a sfogliarlo.


Diverso,
diverso,
da chi?
da me stesso.

Diverso,
diverso,
dagli altri,
dal resto
del mondo.

Diverso,
io voglio?
Io voglio.

Io.

non gli altri.

Diverso,
ma da quel diverso.



[Nota dell'Autrice in chiusura.]

Intanto voglio ringraziare tantissimo i due autori del blog di punteggiatura.iobloggo.com, che qui si loggano come Sanhame, e devo dire che mi sono rotolata dal ridere nel leggere i loro commenti a certe fanfic. Cosa che mi ha lasciato un sapore agrodolce in bocca, se penso a quanto mi avrebbero potuta distruggere... BRR. mi vien male solo a pensarci. Comunque consiglio una visita al sito per farsi quattro risate ^_^

Poi un sentito ringraziamento va sempre e coumque ai miei sei-sette lettori/recensori fissi, ai quali vogghio tanto bene ç_ç e con i quali mi scuso nuovamente per l'inconsistenza del capitolo.

E vorrei concludere dicendo che la mia fic è stata 'iniziata' da 2000 persone (bhe, non male..) e che il capitolo con meno visite ne conta 103, il che significa che ho un centinaio di lettori che se la sono fatta tutta. Bhe, non male! Certamente altre fic avranno statistiche migliori, ma chissenefrega. Io sono esaltata dalla cosa *_* quindi, x favore, non smontatemi, se no poi mi deprimo e non scrivo più.
Chiudo e volo ad iniziae il 22, che spero di potervi donare entro 24 ore.
Saluti! ^^

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Capitolo 23
*** 22 (Deficio, defecis, defeci [...]) ***



[Nota dell'Autrice in Apertura]

Ok, ok, 24 ore di ritardo.. c'è da rompere?
Per me è record! Dopo i lunghi tempi a cui vi avevo abituati ^^''''

Inauguro in questo mio capitolo il mio primo OOC.
Questo accade perchè
A - quando ho iniziato questa storia, Kishimoto non aveva ancora chiarito la vera natura di questo personaggio.
B - la vera natura di questo personaggio, ora che Kishimoto l'ha rivelata... mi fa decisamente schifo.

E il sensei mi ha deluso della brutta, devo dire...

PS: NO, quella all'inizio NON E' UNA POESIA. Tranquillii.
Fin lì, ci arrivo anchio. U_U''



22. Deficio, defecis, defeci, defectum, deficere.

Imparare a capire che le intelligenze sono diverse
significa ammettere che, per certe cose, siamo decisamente stupidi.




Il ragazzo era accompagnato da due uomini in camice verde, che lo cingevano per i gomiti vincolati dalla camicia bianca. Avanzavano lungo il corridoio, avvolti solamente dai suoni dei loro passi che rimbombavano sulle pareti quasi del tutto spoglie se non per qualche bacheca o panca ogni tanto.
Lui riconosceva la strada solamente da quei suoni, che dalla modulazione data dal riflettersi sui muri ed il timbro del pavimento gli apparivano come chiari segnali del posto verso il quale si stavano dirigendo.
Pareva si lasciasse trasportare dai due, quando invece, a tratti, era lui stesso a guidare.

Prima, bussarono.
La ragazzina balzò in piedi, colta quasi di sorpresa mentre si ritrovava assorta nello studiare il fascicolo del futuro paziente.
“Avanti”
disse lei, tremante.
La porta si aprì con lentezza, facendo apparire tre figure adulte. Due possenti custodes in abito da medicus fecero entrare un ragazzo chiuso in una candida camicia di forza. Uno dei due gli piazzò una mano sul capo, dirigendolo verso la brandina e facendolo sedere. L'altro, una volta che il paziente fu seduto, si chinò a stringere delle catene ad avvolgergli gran parte delle gambe.
“Non ha mai dato problemi, comunque è ben fermo. Immagino che tu ti sappia difendere da uno così sigillato.”
Sakura annuì, deglutendo. L'idea di dover scappare da un pazzo non l'allettava particolarmente.
“Lasciamo la porta aperta, comunque. Arrivederci.”
Se ne andarono con un cenno di mano, che venne contraccambiato da un segno che lei fece col capo. Si volse verso il ragazzo, che rimaneva fermo, immobile, rilassato.
Lunghi capelli corvini gli scendevano fino alle spalle. Il volto, quasi femminile, pallido, era smunto, due segni a incavo che scendevano dagli occhi percorrendo tutta l'arcata oculare inferiore.
Era alto, alto e magro. Dal viso, la piccola futura Philosophus non riusciva a ricavare alcuna emozione, alcun pensiero. Il giovane era statico sia nel corpo che nell'animo. Rimaneva lì, il capo alto, in attesa.
“Buongiorno.”
Solo allora si voltò verso Sakura.
“E Tsunade dov'è?”
Già. Una benda nera, pesante e grossa gli copriva gli occhi. Non poteva vedere. Si immaginava dunque di essere 'trattato' sempre dalla stessa persona, era una cosa abbastanza ovvia.
La domanda vene posta con un'intonazione minimale, giusto a lasciar intendere il punto interrogativo.
“Ha da fare. Per questa volta ti faccio io il controllo.”
La ragazzina assunse un tono distaccato, sebbene prevalesse un certo riguardo nelle sue parole. Non era avezza a rivolgersi ai più vecchi di lei con disprezzo.
A meno che non si trattasse di un bocciato, ovviamente: ma anche quella cosa aveva un nesso.
Aveva sempre visto quel comportamento come logico: i bocciati venivano stressati in continuazione perchè fossero sempre e comunque sicuri di voler proseguire. Aveva un che di educativo, come ogni cosa nel Ludus. Lei era solita trovare un senso alle regole che seguiva con somma precisione: non certo perchè si ponesse dubbi al riguardo, semplicemente le comprendeva.
Avevano un senso.
Molte cose per lei avevano un senso, e da tempo ormai aveva capito che comprendere era una cosa che in pochi potevano permettersi. La sua forza stava nel saper dare un senso alle cose e nel saper fidarsi di quelle che non parevano averne. Proprio perchè trovava nessi logici così spesso, era portata ad aver fiducia in tutto ciò che la circondava. Lei era così. Logica, e logicamente ubbidiente.
Per questo sapeva di potersi definire una dei migliori alunni di tutto il Ludus.
Ma ora era diverso.
Ora avrebbe dovuto trattare come inferiore un ragazzo molto più grande di lei, ma pazzo, come recitava il fascicolo: 'uno dei pochissimi prigionieri della nostra Regio, ma pur sempre un prigioniero, con problemi neurali'.
Quello che, se non fosse stato per un problema strettamente medico, ora sarebbe sicuramente un suo superiore.
“Capisco.”
Disse il giovane, voltando il capo dall'altra parte.
Sakura iniziava a sentirsi a disagio, ma tentava di sopprimere quella sensazione con quel poco di professionalità che aveva. Si avvicinò a quello, poggiando le mani sugli zigomi del detenuto, il quale percepì immediatamente, sotto al lattice asciutto, la leggerezza e la sottigliezza delle mani della ragazzina.
Quella scese fino ai margini della mascella, iniziando a tastare con precisione tonsille e ghiandole varie.
“Quanti anni hai?”
Domandò quello, voce totalmente atona. Lei trattenne il respiro, ancora succube all'idea che quello la potesse aggredire.
“Dodici. Abbondanti.” Rispose con un filo di voce, scendendo sul collo, per poi cingergli lievemente il mento con un una mano per fargli voltare il capo.
“Per ora faccio il solito” aggiunse, poco convinta. Con un gesto secco fece emettere un sonoro crock alla colonna vertebrale del prigioniero. Destra, sinistra, in obliquo, alto, basso. Fisioterapia lampo: la facevano una volta al mese, i carcerati, giusto per aggiustare i muscoli. Finiva lì.
Ecco, quella era una delle poche cose che non comprendeva a fondo. Però un motivo doveva esserci.
“Sei brava. Tsunade è più violenta.”
La ragazzina si allontanò, pretendendo di non volerlo ascoltare. Era intimorita da ogni sillaba che pronunciava l'altro, domandandosi come si esprimesse questa sua pazzia: una risposta l'aveva già, e stava nella sua parlata che non esprimeva assolutamente nulla. Fredda, distaccata, quasi elevata da resto del mondo.
Gli puntò il termometro in fronte, mentre con l'altra mano andò a sfogliare il fascicolo.
“Ma lei mi odia, posso capirlo.”
La voleva solo mettere a disagio, ne era convinta. Perchè non taceva? Fu costretta a guadare nuovamente nella sua direzione: questo, nonostante non potesse vedere, era posizionato in modo da darle l'idea di starla fissando da sempre.
Il termometro suonò.
“A posto.”
“Non serve che me lo dici, sai? Cosa me ne potrà mai importare..?”
Lei scosse il capo per l'ennesima volta, decisa a non fare più parola con quel soggetto. Andrò ad afferrare una delle siringhe che poggiavano sul mobiletto, infilandola nel piccolo forellino che la camicia di forza aveva sulla spalla, per poi far sprofondare l'ago nella carne.
“Ahi.”
Fece il giovane, sempre con tono apatico. Sakura digrignò lievemente i denti, colta dal desiderio di piantagli un'altra siringa alla giugulare, con un gesto secco e stizzito.
Ma non mosse nemmeno un muscolo.
Estrasse il sangue con lentezza, sfilò con dolcezza l'ago, si allontanò dal ragazzo ed andò a colmare di linfa vitale una manciata di piccole provette.
“E come ti chiami?”
Non rispose. Gli si mise di fronte, andando per sciogliere la benda che gli copriva gli occhi.

Pazzo.
Gli davano del pazzo.
Ed ogni mese Tsunade gli cingeva il capo fra le mani, strattonandolo con gesti secchi a destra e a sinistra, in obliquo, in alto, in basso. Lui riusciva a percepire un profondo odio in ogni singolo gesto della donna, e si manteneva con un espressione sostenuta e di superiorità.
A volte si azzardava ad insultarla, ricavandone una buona manciata di lividi.
Avrebbe potuto ucciderlo, dopo tutto.
Molte erano le facce del mondo: lui era quello che più di tutti poteva saperlo.

Quando levò la stoffa dal volto del ragazzo, Sakura indietreggiò istintivamente col capo e chiuse gli occhi, trattenendo il fiato. Quando li riaprì, lo sguardo mirava a terra, e cercava il coraggio di rialzarlo.
Il prigioniero rimaneva immobile, tastando nell'aria quel suo tentennamento. Tacque.
Contò fino a cinque, obbligandosi a risollevare il volto.
Chiuse istintivamente gli occhi una seconda volta, riaprendoli pochi istanti dopo.
Bene. Riusciva a guardarlo.
Ce l'aveva fatta.
Ora, ferma sul posto, le iridi verdi fissare su quel viso da folle, osservava quello che aveva solo letto su carta, e solo qualche minuto prima.
Agli occhi del giovane si sostituivano due crateri neri, circondati di cicatrici. L'oscurità imperversava in quello sguardo cieco, privo di bulbi oculari, morto in ogni suo muscolo.
Ancora in difficoltà nel sostenere la vista di quella cosa, fu sollevata nel ricordarsi di dover inumidire i guanti. Si voltò, facendo correre l'acqua del rubinetto.
“Ti fa impressione, vero?”

Lui era sempre stato un essere logico.
Ed era sempre stato il migliore, il più bravo, il più forte, talmente superiore agli altri da poter esser uno dei pochi la quale grandezza veniva palesata.
Non aveva mai goduto particolarmente di questa sua posizione, limitandosi a studiare e a seguire il suo percorso di studi.
Entrò nel sesto anno di scuola, tirato e lustrato, ammirato e lodato: seguiva ben più lezioni di quelle che spettavano ad uno studente normale.
Poi accadde.
Accadde.
E lui, sì, lui era sempre stato un essere logico.
E per lui, no, non esisteva logica senza pensiero.
Furono lunghi gli anni in cui pensò che fu quel pensare a renderlo pazzo.
Ma poi tornò a pensare. A pensare da se'.
E si rese conto che molte erano le facce del mondo.
E che pazzo era solamente una parola.

Chiuse il rubinetto, tornando ad avanzare verso il detenuto. Con cautela, aiutata una piccola torcia, andò ad ispezionare con cura le due cavità vuote. Passò i polpastrelli guantati e leggermente umidi sulla superficie rugosa di cicatrici, alla ricerca di infezioni.
Silente, solo il respiro a testimoniare la sua tensione.
“Quanto ti fidi di quello che ti dice la gente?”

Seminare terrore gli piaceva. Erano rare le volte in cui non era visitato da Tsunade stessa. Perchè Tsunade voleva che lui avesse a che fare con meno persone possibili.
Tsunade.
Lei, la donna che, quando era stato ghermito da decine di custodes ed immobilizzato a terra a suon di lividi, tagli e spari, aveva urlato “Così come ti ho fatto, ti disfo”.
E lui aveva udito una strana, debole incrinatura nella sua voce adirata, un'incrinatura che non aveva mai percepito prima in nessuno: un che di disperazione che avanzava.
Ma non era disperazione.
Era qualcosa di più.
Fallimento?
Peggio.
Ma non sapeva cosa.
Ah, ma ora far traballare le persone gli piaceva. Era l'unica, misera cosa che poteva fare, l'ultimo atto di una battaglia che non poteva vincere e a stento aveva potuto iniziare.
Era stato più riservato, in passato.
Era stato diverso. Freddo e ubbidiente, succube e ordinato, integrato.
Era stato freddo. E riservato.
Ora era Gelido.
Ed era cinico.

Sakura non rispose, preferendo continuare nella visita.
“Ti fidi molto, come tutti gli altri. Lo so.”
Taci, Sakura. Taci.
Lui annusava e udiva ogni singola vibrazione nell'animo della giovane. Era cieco, ma sapeva vedere con tutto il corpo, nonostante, quando li aveva, gli occhi erano stati indubbiamente il suo senso migliore.
La ragazzina aveva paura, eppure rimaneva ben salda.
“Non c'è da fidarsi.”
Taci.
“Questo mondo fa schifo, e quando lo capirai, sarà troppo tardi.”
Lei continuava.
Lui non sapeva se definirla debole, perchè fin troppo salda a quelle tradizioni e a quelle regole, o forte, perchè talmente salda da non tentennare ad ogni minimo tentativo di squilibrarla.
Di solito tentennavano, loro.
Lei no.
Però aveva paura.
“Tu che puoi vedere, dovresti guardare meglio.”
“Smettila.”
Ah, allora un limite di sopportazione ce l'aveva anche lei.
“Già. Sono un pazzo, posso dire solo cose senza senso, giusto?”
“Non mi interessa se sei pazzo o meno. Taci, o non riesco a capire se hai un'infezione o no. Se continui a muovere il mento la pelle si sposta, e io non capisco.”
Era chiaramente una barriera.
Ben riuscita, ad ogni modo. Il detenuto tacque per qualche istante.
“Hai paura.”
“No.”
“Hai paura.”
“La cosa non ti riguarda.”
“Il che è ben diverso da 'no'.”
Lei si allontanò dal ragazzo.
“Non ci sono infezioni.”
“Se sono pazzo, credi che io possa intendere ciò che dici?”
“Non lo so. Io faccio solo il mio lavoro.”
Si avvicinò alle provette, per controllare i test batteriologici.
“Secondo te perchè mi danno del pazzo?”
“Perchè lo sei, evidentemente.”
Taci, Sakura! Diamine.
Le provette erano a posto. Era sano. Sanissimo.
Quasi troppo.
“E chi lo dice?”
Lei si mise a scrivere il rapporto, ignorandolo. Il ragazzo attese un po' una risposta, poi incalzò.
“Va bene. Allora io dico che tu sei pazza. Ecco, adesso sei pazza.”
“Non lo sono.”
“Dimostramelo.”
Lei sbuffò, continuando a scrivere, iniziando a credere veramente di avere a che fare con un folle. Ferma su questo punto, si sentì più libera di ignorarlo, nonostante dicesse cose che parevano molto di confine fra ragione e follia.
Lui sentì il fastidio imperversare.
“Perfetto.”
Concluse il giovane, mantenendosi sempre sul monotòno ed apatico. Fino ad allora, ogni sua frase era stata pronunciata senza alcuna intonazione particolare. Era questa una delle cose che più mandava in crisi le persone. Lui lo sapeva, ed ora lo sapeva anche Sakura, che lo provava sulla sua pelle: una parlata così piatta, metallica, non lasciava intendere affatto il pensiero di quello.
E lui lo sapeva.

Lo sapeva, perchè negli ultimi anni era stata la sua arma.
Parlava a Tsunade con inumana tranquillità riguardo ciò che aveva fatto e ciò che avrebbe voluto fare. Lei, che digrignava i denti e continuava nella sua visita, soffriva ad ogni sua sillaba, e lui lo sentiva.
Sentiva una sofferenza mai percepita prima giungere dalla donna. Ma lui, quanto aveva sofferto? Lei non se lo chiedeva?
“E' facile dare la colpa agli altri.”
Sosteneva lui, e lei tremava: lo avvertiva nell'aria.
“Stai facendo lo stesso a mio fratello, vero?”
Lei serrava la mascella, e lui percepiva i suoi muscoli che s'irrigidivano in una poderosa prova di forza.
“Se lo incontrassi, cambierebbe tutto.”
Lei lo sapeva. E per questo, più stava lontano dal fratellino, meglio era.
“Tu sei solo un errore”
si difendeva ogni volta Tsunade.
“Tu hai sbagliato.”
Sottolineava lui, marcando il 'tu'.
Tsunade entrava ogni volta con fermezza e determinazione, ma lui sapeva distruggerla in pochi minuti, con poche parole. Tsunade lo odiava, ma lui odiava più lei.
La odiava a tal punto da non farglielo mai notare, rivolgendosi alla donna sempre con distacco e superiorità, ma mai con rabbia.
Lei, al contrario, spesso si sfogava prendendolo a cazzotti.
“Soffro, Tsunade.”
E lei soffriva.
“Il mondo è falso, Tsunade.”
E lei lo temeva.
La donna usciva dall'ambulatorio, ogni mese, colma di dubbi e domande.
Lui lo sapeva.
E lei non glielo nascondeva.
Erano passati i tempi in cui la donna credeva che il giovane fosse pazzo.
Anche lei sapeva che pazzo era solo una parola.

Sakura chiuse il fascicoletto, alzandosi dalla sedia. Gettò via il contenuto delle provette, mise a posto ciò che aveva usato.
Il ragazzo la fissava, in continuazione. Nonostante non avesse modo di vedere, puntava i due baratri vuoti su di lei, intuendone la posizione solo dai rumori che produceva.
La ragazzina abbassò lo sguardo quando di accorse della cosa. Tornò sul fascicoletto, guardandone intensamente la copertina.
Lui captò la sua immobilità, domandandosi se stesse iniziando a porsi a sue volta dei dubbi.
“Come ti chiami?”
Domandò nuovamente il ragazzo.
Itachi, recitava la prima parola del fascicoletto.
“Sakura.”
Lei rispose, fissando intensamente quel nome, e quel poco di testo che seguiva.
Itachi, che a causa di una malformazione neurale era affetto da una forte forma di pazzia, aveva quasi completato il Ludus, prima di uccidere i suoi genitori.
Come aveva fatto a trovali? E soprattutto, perchè?
“Sakura, i più intelligenti sono i più deboli.”
E' pazzo, Sakura. Non ascoltarlo.
Gli erano stati tolti gli occhi per punizione. Rimaneva in vita solamente perchè la pena di morte non era contemplata.
Fine del testo. Fine delle informazioni su Itachi.
“E lo sai perchè?”
Chiuse il plico.
Non avrebbe mai saputo altro. Ne' che gli occhi gli erano stati levati perchè possedevano un potere particolare, ne' che quelli ai ranghi più alti lo chiamavano 'il Difetto'.
“Perchè sanno pensare. E pensare fa male, Sakura.”
Non avrebbe mai saputo che quei genitori che aveva ucciso erano gli stessi di Sasuke, ne' che Sasuke possedeva lo stesso potere.
Non avrebbe saputo, come tutti gli altri in quel luogo, fatta eccezione per Tsunade, che Itachi era stato il primo di una lunga serie di esperimenti, di cui Sasuke stesso faceva parte.
Non avrebbe mai potuto nemmeno pensare che Itachi aveva agito con una logica ferrea, mai solcata da un'ombra di pazzia.
Allo stesso modo di tutti, per Sakura Itachi era pazzo, e andava allontanato da chiunque potesse credere alle sue parole.
Il rapporto che vigeva fra lui e Tsunade, il gesto di Kakashi e il futuro di Sasuke, sarebbero sempre rimasti, per la giovane Philosophus, dettagli dei quali non avrebbe mai e poi mai dovuto curarsi.
“Ma non riesci a non farlo.”
Era un pazzo. Era solo un pazzo.
E per lei 'pazzo' era ben più di una parola.
Era pura verità.
“Sei uno di quelli, Sakura?”

***


Tsunade fece fare a Naruto di tutto. Non lo mollava un attimo, tenendolo continuamente impegnato.
Non gli dava modo di star fermo, ne' con la mente, ne' con il corpo. Correva, saltava, faceva test scritti, prove di coordinazione motoria.
Per diversi giorni non venne mai richiamata la volpe, nonostante quella prima volta Tsunade si fosse rivolta a lui come se lui fosse stato Kyuubi.
Veniva fatto addormentare solo a tarda sera, e veniva risvegliato all'alba. Strapazzato, due profonde occhiaie che andavano a delinearsi, il ragazzino era troppo esausto per potersi fermare su contemplazioni interiori.

Perfetto.

***



Itachi sedeva nel suo angolino preferito: di lì, dallo spiraglio della finestra, si poteva vedere il sorgere del sole all'alba, aurora compresa. Si appoggiava alla parete imbottita, levando il capo verso l'apertura da cui fluiva l'aria esterna, ed attendeva che il primo raggio di sole gli investisse il volto, riscaldandolo progressivamente.
Sentiva l'umidità della notte scomparire, mentre l'aere si risaldava, con lentezza.
Ma quel raggio, quasi orizzontale, che lo colpiva alle gote ed al mento, era il vero segnale dell'inizio del giorno.
L'alba di Itachi era sicuramente diversa da quella di chiunque altro. Ed ogni mattina si piazzava in quell'angolino, attendendola, per sentirla sulla sua pelle.

Quella ragazzina era stata una delle più stabili che avesse mai incontrato.
Aveva percepito in lei una gran paura, e questa stessa paura la faceva stare con i piedi per terra.
Ne era certo, le aveva instaurato il seme del dubbio: ma credeva che lei non lo avrebbe fatto mai e poi mai crescere, a meno che di non poterne essere convinta.
Un tipetto particolare, senza dubbio. Un perfetto Philosophus.

Esalò un po' d'aria.

La sua battaglia non sarebbe mai continuata.
Ciò che più gli rodeva era l'idea di aver sopravvalutato suo fratello. Che ne era di lui, poi? Aveva solo vaghi ricordi del cucciolo che i suoi genitori stringevano fra le braccia solo qualche mese prima che lui venisse chiamato agli esami d'ammissione del Ludus.
All'epoca, quando li aveva uccisi, aveva creduto che se lui sapeva pensare, lo avrebbe dovuto saper fare anche suo fratello. Crescendo, in quella stanzina dai muri ovattati, aveva realizzato di aver sbagliato.

Si sistemò contro la parete, facendo ondeggiare il capo.

Era mogio. Calmo.
Ormai aveva perso, questo lo sapeva.
Sperare di recuperare all'ultimo suonava come utopia.
Speranza, ambizione.
Ambizione, speranza, rivoluzione.
Rivoluzione, sconvolgimento, cambiamento ed infine vittoria.
Concetti che si ammassavano nella sua mente, ma non ne uscivano mai. Non potevano farlo.
Pazzo.
Gli davano del pazzo.
Ma Tsunade sapeva perfettamente che non era vero.
Speranza.
E, forse, avrebbe potuto trovare in suo fratello un degno successore.
Ambizione.
Per continuare la sua guerra.
Rivoluzione.
E poterla condurre molto più a lungo di quanto non avesse potuto fare.
Sconvolgimento.
Per mutare quello che a lui, sei anni prima, non era piaciuto.
Cambiamento.
Vittoria.

Itachi tramava in silenzio da quando i suoi occhi s'erano incendiati di rosso.
Itachi aveva sofferto a lungo, ed aveva ucciso i suoi genitori nel momento in cui aveva scoperto che altri avrebbero dovuto patire quello che lui aveva patito.
Itachi era un essere logico.
Itachi era il difetto.
Ma prima di tutto, Itachi era di Tsunade.
E lei, come lo aveva fatto, lo poteva disfare.

Perchè, dunque, essere ancora in vita?

***





“Naruto.”
Era sera inoltrata. Il ragazzino si piazzava sul letto, esausto, gli occhi a fessura che gli si chiudevano in continuazione. Il biondino mugugnò qualcosa, per poi spalmarsi sul materasso. La donna, da lontano, lo fissava.

Perchè?
Perchè ad ogni singolo istante che passava le veniva sempre più forte il sentimento di aver sbagliato?
Ma al Summus Globus andava bene.
Anzi, no.
Era il Summus Globus ad averlo vouto.
“Facile scaricare le colpe sugli altri”, avrebbe detto Itachi, con quella sua voce fredda e meccanica.

Mosse qualche passo verso il letto del custos.
“Ascoltami.”
La settimana era passata.

Sì, la settimana era passata – sette giorni, concetto strano per gli abitanti dell'Ignis Regio, ma molto usato in medicina. Una, due, tre Settimane, questi erano i ritmi del corpo. Quattro settimane, un ciclo mestruale regolare. Una settimana, una slogatura che andava a posto. Otto settimane, un osso che si ricomponeva.
La settimana era passata.
Ora sarebbe dovuta andare avanti.
Il cuore le batteva troppo velocemente.
Tsunade, sei sempre tu a sbagliare.
Ed era uno sbaglio tanto umano quanto inammissibile.

“Ascolto.”
Disse il biondino, intontito.
Lei gli si sedette accanto.



Squilibrio,
tentennamento,

essere sempre in procinto di cadere.

Il funamboliere con gli occhi bendati
non teme il vuoto

solo perchè non lo vede.








[Nota dell'Autrice in Chiusura]
Rieccomi qui, a parlare dei cazzi miei! *.*''
Spero che questo chap vi sia piaciuto, visto che ci ho messo mesi e mesi a chiarire la posizione di Itachi... ora tutto ha molto, molto senso. Devo dire che se prima aveva dubbi al riguardo, ora lo scheletro del plot è perfetto e perfettamente stabile. Ogni personaggino sta al suo posto, contribuendo all'evolversi di questa assurda società ed al proseguire della storia.
Sono molto fiera dei legami che ho creato, e mi piace molto come va a finire che, partendo da un inizio molto simile al manga, ormai ci siamo allontanati.
Come potete vedere, situazioni simili possono essere generate da premesse diverse, ed avere conclusioni alquanto sconcertanti ^^'.

Ora, passiamo a cose più importanti.
Ho sentito per radio che la “messa in onda”, se così si può dire, di scene di tortura al cinema, è più o meno vietata. Non esattamente vietata, ma molto, troppo pesante, ed un film che presentava appunto una scena di tortura è stato pesantemente criticato.
Guardacaso, questa tortura era la tortura con l'acqua.
Che è inoltre vietata dal codice internazionale, ma credo che questo valga per qualsiasi genere di tortura... più o meno.
Insomma, sta di fatto che io ho descritto una scena molto poco ortodossa, ovvero quella del Laniatus (e, magari, anche le frustate non è che fossero poi così soft), in una storia Gialla.
La mia domanda è: che faccio, cambio il Rating?
La storia è pesante, alla fine.
Però non ha scene compromettenti, ed ho usato parole volgari UNA ed UNA sola volta.
D'altro canto, se una scena di tortura nell'acqua viene bandita al cinema, chi sono io per dare del GIALLO a un laniatus?
Sono alquanto confusa al riguardo.
Urgono suggerimenti... se avete consigli da darmi al riguardo, vi ringrazio...

Baciabbracci e alla prossima, che spero sia alquanto presto. ^^






















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Capitolo 24
*** 23 (Ei Fu) ***


[Nota dell'autrice: Mi scuso col mondo per l'assenza quasi annuale con gli aggiornamenti. Nemmeno me n'ero resa conto, che era passato quasi un anno. Il tempo mi è letteralmente scivolato fra le mani e, per quanto ogni giorno pensassi a come sbrogliare il nodo in cui ero inciampata scrivendo questa storia, non ne sono mai uscita prima di ora. Il capitolo è corto e molto intricato, mi scuso e spero di riuscire a scrivere i prossimi con meno delay, così forse qualcuno può sperare di capirci qualcosa. Speriamo bene, però sembra che un po di inerzia l'abbia riacquistata. Domando nuovamente scusa a quei pochi lettori fissi che avevo per la lunga attesa. >__>''' sono imperdonabile...]

 

 

 

23. Ei Fu.

Non avresti mai pensato che la libertà potesse fare così paura.


“Naruto.”
Era sera inoltrata. Il ragazzino si piazzava sul letto, esausto, gli occhi a fessura che gli si chiudevano in continuazione. Mugugnò qualcosa, per poi spalmarsi sul materasso. La donna, da lontano, lo fissava.

C'era qualcosa, nello sguardo di quella donna.

Mosse qualche passo verso il letto del custos.
“Ascoltami.”

Era qualcosa che sentiva di conoscere. Erano due pupille scure cerchiate d'ambra.
No, era di più.
Un modo d'essere. Un modo di parlare.
Un gesto.
Un sussurro.
Un lievissimo gemito d'insicurezza.

“Ascolto.”
Disse il biondino, intontito.
Lei gli si sedette accanto.




***




L'aria aveva un sapore diverso.
Un colore diverso.
Un odore diverso.
L'aria lo investiva, gli scivolava sul volto, s'insinuava fra i capelli.
Era tutto ciò che riusciva a percepire sul suo corpo.
L'aria.

Va' Via.

Non avrebbe ascoltato mai più un suo ordine.

Va' Via.

Non avrebbe mai più parlato con lei.

Va' Via.

Non sarebbe mai più stato Suo.





"La conosci. So che la conosci."
Naruto avevo lo sguardo basso. Seduto sul letto. La mente, un blocco. Un unico blocco.
Impossibile scavarvi dentro.
"Stai tranquillo. Siamo qui per te."
Naruto era immobile, congelato.
C'era qualche che non funzionava.
E lui lo sentiva.
E lei lo sentiva.
E Tsunade pregava con ogni fibra del suo essere che fosse solo una sensazione sbagliata.
"Non sei diverso da ciò che sei stato fin'ora."
Nulla.
"E' ciò che sei sempre stato e hai sempre avuto."
Calma.
"Non hai nulla di cui preoccuparti. Adesso che sappiamo come agisce, episodi del genere non succederanno più."
Freddo.
"Fidati di noi, Naruto. Hai visto che non è successo nulla. Hai visto che non è cambiato nulla."
Il tono di Tsunade era rassicurante.
Era quanto di più rassicurante avesse mai sentito in tutta la sua vita. Era soffice.
Era dolce.
Era un'antica sensazione che non aveva mai provato.
Naruto chiuse gli occhi.





"VA' VIA!"
Sfiatò, urlò, si fermò di colpo, traballando, inciampando, tentennando.
Lo sguardo perso nel nulla, il fiato grosso.
Alberi.
Infiniti Alberi.
Ogni tanto, voci lontane.
Naruto non avrebbe mai pensato di poter correre così velocemente.

Ma non c'era alcun posto dove potesse andare per poter sottrarsi a ciò cui stava realmente sfuggendo.






"Che cos'è?"
La donna abbozzò una sottospecie di sorriso. Il ragazzino aveva finalmente parlato.
Aveva sollevato leggermente il mento.
Naruto era perso.
"E' un'entità superiore a noi esseri umani."
"Come fa ad essere dentro me se è superiore a me?"
"Perchè la scienza dell'uomo le è ulteriormente superiore."
Il biondino rimase in silenzio. Tsunade lo studiava, cercava di carpirne ogni singola espressione. Per quano il volto del custos potesse parere statico, minuscoli movimenti lasciavano intuire il suo stato d'animo cangiante.
Era confuso.






Non puoi sottrarti a Me.
"CERTO CHE POSSO!"
Piccolo mio, non scappare.
"SCAPPO QUANTO VOGLIO!"
Non esiste rifugio, per te.
"LASCIAMI IN PACE! VATTENE!"
Il dialogo, che all'esterno poteva parere il monologo di un folle, venne interrotto dal sibiliò di un proiettile. Giustamente, avevano continuato a braccarlo. Il ragazzino riprese a correre, sconvolto, analizzando i luoghi che aveva un tempo esplorato.
Più avanzava, più gli divenivano vaghi.
Piu' fuggiva, meno sapeva dove stava andando.
La Sphaera, era oramai a decine di chilometri da lui. Il Ludus, per quanto lo riguardava, poteva essere finito da un momento all'altro.
A dire il vero, era ciò che voleva.
Era l'unica cosa che voleva raggiungere.
Al momento, pareva l'unica ragionevole soluzione.





Lui sentiva come se stesse assimilando la cosa.
La Volpe. La Volpe, era stata quella la causa che l'aveva tramutato in quel mostro, sul campo di battaglia.
Sapeva, della Volpe.
L'aveva sempre saputo.
Eppure l'aveva capito solo ora.
O forse no?

La sua mente era totalmente congelata. La memoria andava e veniva. Il volto, ancora parzialmente infantile, iniziava a far intravedere una sorta di disagio.
Non capiva.
Quello che aveva capito la settimana prima, non lo capiva.
Quello che aveva realizzato e quello che voleva raggiungere solo qualche giorno fa, ora gli era oscuro.
Ora che Tsunade aveva detto la verità.
Solo la verità. Solo ciò che lui già conosceva.
Come Tsunade l'aveva dichiarato, come fosse antimateria per la sua stessa mente - tutto svanito.
Nella sua mente, l'Oblìo.

La donna deglutì.

"Posso... ... posso pensarci su un momento?"






Procedeva, scappava, si dileguava. Scartando fra un ramo e l'altro, il volto colmo di graffi, comeil resto del corpo. Protetto unicamente dalla camicia che aveva indosso a letto.
Una falcata dopo l'altra, inesorabilmente.
Sembrava non avere fine.
Ma una fine l'aveva.
Doveva avercela.






Tsunade rimase lì. Si allontanò, con gesti piccoli, lenti, misurati, senza mai staccare un istante lo sguardo dal ragazzino.
Lui si sentì meno oppresso: iniziò a scostare lo sguardo, a osservarsi attorno. Sotto l'occhio vigile e concentrato della Philosophus, il piccolo involucro, la scatola, il bambino che ospitava nel suo profondo la Volpe, scese, lentamente, nei meandri della sua mente.
Socchiuse gli occhi.
Iniziò a cercare.

La mano della donna era immobile. Immobile, troppo immobile.
Lo sguardo, anche.
Osservò Naruto.
Lo osservò a lungo.
Lo contemplò, mentre lui contemplava se' stesso.

E.
Per la seconda volta.

Naruto si morse le labbra, in preda allo sconforto.
Tsunade si morse le labbra, in preda allo sconforto.

Per la seconda volta, Tsunade Sbagliò.





La pianura si aprì sotto i suoi occhi come le fauci di un drago riluttanti fiamme. Giallo verde, splendente, irraggiante tutto il sole che in quel momento splendeva sulla Regio. D'istinto il biondino si fermò, con un sussulto secco, rischiando, un istante, di scivolare giù. Una stretta al cuore, l'adrenalina che, con uno spruzzo, gli si diffondeva in corpo.
Qualche sassolino rotolò giù dal precipizio.
Sotto di lui, centinaia di metri. Forse un chilometro. Non esattamente perpendicolare, ma quasi.
Il pendio di una montagna, e, poi, la Regio. Neanche all'orizzonte si riusciva a vedere un principio di deserto. No, quella era la regione del Fuoco. Era terra coltivata, qualche fiume, qualche città.
Era quello che quasi mai aveva visto.
Che non aveva mai nemmeno intuito.
Perchè il suo mondo era sempre stato lì sopra.
Perchè lì sopra lui era cresciuto.
Lì sopra lui era Stato.
O, per lo meno, era ciò che fino ad allora credeva. Ciò che percepiva.

Ricordare, capire.
Non sembrava in grado di fare più nulla del genere.






"Io... sono la Volpe."
Tsunade non comprese cosa portò Naruto a formulare quella frase. Il biondino la disse con la voce rotta, incredula, lo sguardo vacuo, nel nulla.
Lei mosse qualche passo.
Naruto non si spostò. Rimase così, con la sua conclusione.
"Naruto..."

E mentre per il piccolo Custos nulla sembrava più poter avere un senso, nulla sembrava essere concetro, nulla sembrava Essere, Tsunade levava le sopracciglia, l'errore nel corpo, lo sbaglio nelle vene, l'irrimediabile a serpeggiarle sulla pelle.
La mente di Naruto era sconvolta, questa l'unica conclusione a cui era giunta.
Cosa era successo?

"Non sei la Volpe."
"E allora cosa sono?"






Memoria, ricordo.
Persi. Agglomerati. Nulla.
La confusione totale.
L'istinto che prepotente ritornava a galla, in tutta la sua grandiosità.
L'aveva riavvicinato quando la volpe s'era impossessata completamente di lui.
L'aveva riacquistato con lentezza mentre tutto sfumava. Mentre la sua vita finiva, cambiava. Quando lui non era più un custos, non era più umano: era solo demone.

Naruto era un bambino impaurito.
Un uomo terrorizzato.

Nient'altro.
Non il laniatus, non Konhoamaru, non Sasuke, ne' Kiba ne' Jiraya. Ne' Kakashi.
Nessuno, nulla.
Tutto era fuso in un unico insieme di percezioni.
Fasitidiose percezioni.
Incapace di dividere le cose le une dalle altre, fissava la regio che si stendeva sotto i suoi piedi.

Lui.
La volpe.






"Sei un guerriero importante per la Regio."






Forse, una volta, questo sarebbe bastato.
Ma non dopo aver percepito l'odio misto terrore di Sasuke.
Non riusciva a pensare di essere utile alla Regio, in quel modo.

Un po' di vento gli fece perdere per un istante l'equilibrio.

Lui.
La Volpe.

Lui voleva essere.
Ora pi che mai.
Era tutto ciò che riusciva a districare, in quel marasma di concetti e idee che gli affollavano lo spirito. Perchè la sua voglia di essere ora sbraitava ed eruttava con brutale insistenza. L'unica sua realizzazione, zittita, al tempo, dalla tortura.
Causatagli dalla volpe stessa.
O no?

Lui era la Volpe?

Lei guidava i suoi gesti?

Non essere così ingenuo.
"VAI VIA!"
Non posso. Lo sai, bambino mio.





La regio.
La regio lo odiava. Lo detestava. La regio erano i tre uomini che lo avevano tramortito, erano lo sguardo sconvolto dei suoi compagni.
Quale regio poteva avere bisogno di lui?
No.
Lui non poteva fare nulla per la Regio, in quelle condizioni.
LUI non interessava alla Regio.
La Regio voleva la volpe.

Ma lui Non era la Volpe.

Voleva servire la Regio, dunque?

Fissò Tsunade.
La donna aveva lo sguardo permeato di quel qualcosa che al ragazzino provocava una sensazione assurda, in totale contrasto con il disagio in cui era avviluppato.
Una lacrima, poi un'altra.

Poi l'unica cosa che gli parve fattibile in quel momento.





"Patriae Frates!"
Non sperare che sia così Facile.

Ma Naruto non desistette.
Urlò.
Urlò ancora.

"FATI FRATES!"

La Volpe.
La volpe aveva quasi scuoiato Sasuke.
La volpe aveva voluto combattere contro il Rosso.
La volpe era la causa di tutto.

Che lui fosse la volpe o no, che la volpe fosse lui o meno, che lui non fosse, la soluzione poteva essere una sola.





Tsunade rimase immobile quando vide il ragazzino dileguarsi con uno scatto felino, disperato, direttamente fuori dalla finestra che ruppe con il suo stesso peso e impeto.
Immobile, sgomenta.
Rimaneva a contemplare lo sguardo avvilito e perso che fino ad un istante fa albergava sul volto del custos.

Quello sguardo.

Quello sguardo era diverso, ma era uguale.
Quello sguardo l'aveva già visto.

Quello sguardo l'aveva capito solamente adesso.


La verità era che, qualsiasi cosa gli altri facessero, Naruto era solo.
La verità era che la Volpe poteva risiedere in Naruto e in lui solo per un unico motivo: perchè quel bambino, oggi ragazzino, possedeva una coscienza di se', ed una volontà di se', capace di tenere a bada la Volpe.
Anche dopo il Laniatus.





Corse, rapido, deciso, la mascella serrata.
Corse.
La pianura che gli si allargava sotto lo sguardo.
Corse.
La Regio che lo chiamava, in tutta la sua grandezza.

Corse.
Perchè altro non poteva fare.

E poi fu solo
come Volare.




Perchè in realtà
nemmeno sai se libero volevi essere.

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Capitolo 25
*** 24 (Contratto) ***





24. Contratto



La più forte delle anime cadde.
Il più forte degli dei la raccolse.

O magari il contrario.




E.
E.
E no.
E no, no. No.
E.
E.
Non doveva esserci una E.
Non doveva esserci una congiunzione.
Non doveva esserci nulla da congiungere.
E.
E.
Doveva esserci un punto.
E.
Doveva esserci un Taglio.
E.
Doveva essere infinitamente finito.
Doveva poter scrivere la parola fine con il suo stesso sangue.

E.

Era quella E.
Era tutta colpa di quella dannatissima E.




Piccolo mio.
Piccolo mio.
Due parole inutili, che non ho mai sentito prima d'ora.
Vai via, domandavo.
Piccolo mio. Mio cucciolo, mia creatura.
No.
Taci.
Taci.
Non è semplice vivere, piccolo mio.
Non sono il tuo piccolo.
Tu credi?

Non sono il piccolo di nessuno - e invece lo sei
Non ho legami - e invece ne hai
Lasciami andare - no
Voglio solo andare - no
Ti odio - sì
Ti prego - no
Non posso più decidere nemmeno della mia vi - non ti appartiene, piccolo mio.
Sì - no
Sì - no
Era l'unica cosa che avevo capito - no
Lasciami andare - no
Esci e lasciami - no
Cosa vuoi da me?



E.
E il dolore che riaffiora lento e inesorabile.
E.
E l'aria che brucia i polmoni.
E basta un respiro e un altro ancora.

E.

E il sangue che circola e sgorga e lambisce e le ossa che lacerano la carne e i nervi che urlano e imprecano e tutto e dolore e solo male fondamentalmente male e rotto e distrutto ed era alto alto alto ed era lontano e voleva essere basta e basta e non poteva e non reggeva e non sapeva e non capiva chi era e.
E.
E.
E aveva passato la vita a voler essere e.
E aveva sempre agito solo come Naruto e.
E aveva miseramente fallito e.
E quella cosa che aveva in corpo e.
E contava solo quella e non lui e.
E non funzionava e.
Ed essere non era bastato e.
E ogni volta che provava a ricordare qualcosa un muro e.
E.
E.

Lentamente.
Fra un gemito e l'altro.
L'acqua. Una goccia. Un'altra.

Basta l'inizio.
La diga cede alla prima crepa.

E.
Un attimo.
E.

La volpe si accoccola affianco al bambino.
Il demone carezza il volto dell'uomo.

Lui beve da quel fiume che irrompe.
L'acqua lo investe.
Ricordi.

Danni.

Conseguenze.


La volpe prende il bambino per la collottola. Lo sposta. Lo posa con dolcezza per terra.
L'uomo osserva il demone, colmo d'odio.
Il demone ringhia.
L'uomo ringhia.
La volpe pulisce il volto del bambino, con la lingua rugosa e calda.

Naruto ricorda.

L'uomo indietreggia.
Il bambino si sveglia.
Guarda l'uomo. Abbraccia la volpe.

Il senso manca.

Naruto non comprende.
Naruto percepisce.

Il demone si siede accanto alla volpe.
L'uomo si siede accanto al bambino.

Naruto percepisce.
Naruto percepisce definitivamente se' stesso.

Socchiude gli occhi.
Li richiude.

Naruto ascolta.



***



Due menti fuse ma sfuse.
La storia non doveva nemmeno essere raccontata, perchè già insita nella sua mente, nella sua carne, nelle pupille affilate sulle scarlatte iridi.
Due entità distinte.

Questo era l'importante.

Due entità distinte, e al contempo infinitamente legate.

 



***

 



La volpe non avrebbe mai compreso com'era stato possibile che l'uomo - essere misero, infimo, al pari delle formiche - fosse riuscito a catturarla. L'unica cosa che il demone aveva colto era stato l'infinito sconforto che la prigionia le aveva procurato.
Kyuubi era stata rinchiusa.
Kyuubi, che era il maggiore dei nove demoni che calcavano quelle terre.
Kyuubi, volpe a nove code, creatura al di sopra di tutte le creature.
Kyuubi, che nei tempi passati era stata il Kami per quegli stessi uomini che ora la rinchiudevano, grazie a non si sa quale portentoso stratagemma.
Ma la volpe scalciava, si dimenava, minacciava di liberarsi istante dopo istante: e, sebbene fosse stata, nelle ultime centinaia di anni, totalmente noncurante degli uomini, ora - lo sapeva lei come lo sapevano loro - sarebbe stata disposta a distruggere l'universo stesso per rendere il torto subito.



Dunque tu odi gli uomini.
Questo è vero.

Il demone sovrastò la volpe, fissando l'uomo negli occhi.



Kyuubi ricordava gli occhi ambrati d'una donna. Lo sguardo indeciso, la determinazione del volto spesso smorzata da una lieve paura.
Lo sguardo di chi gioca col fuoco, e non lo fa per sua volontà.
Lo sguardo di chi si è scottato con un fiammifero, ed ora è intento a lavorare con un lanciafiamme.



Tsunade.
Sì.
La philosophus.
Tsunade è una donna triste, bambino mio.
Smettila di chiamarmi così.



Fra ira ed agitazione, sommersa e soffocata dal suo stesso potere, ella cercava la fuga in ogni modo, ad ogni prezzo, per qualsiasi sacrificio.
Tsunade vedeva ciò.
E Tsunade non voleva giocare col fuoco.



Questi uomini, questi esseri, sono creature che non imparano.
Anch'io sono un uomo.
No, tu sei il mio bambino.

L'uomo si erse di scatto, sovrastando il bambino, pronto ad affrontare il demone per poter proteggere il suo simile.
Ma il piccolo pareva in armonia con la volpe.



Lei ricordava le urla di quella minuscola creatura in cui fu pressata.
L'oppressione che aveva provato sino a quel momento era nulla in confronto a quella nuova. Le catene che la legavano a quel corpo, così piccolo, fragile, infintamente mortale, erano mille volte più robuste di quelle che l'avevano trattenuta sin'ora.
Kyuubi ringhiava adirata mentre il piccolo gridava tutto il suo dolore al mondo.
E mentre le due anime compresse in un sol punto domandavano l'una pietà, l'altra vendetta, gli uomini, impassibili, continuavano il loro lavoro, perseguivano il proprio scopo.
Non solo noncuranti, ma nemmeno consci di cosa stessero facendo.
E del perchè.



Forte è il tuo cuore, bambino mio.
Non sono il tuo bambino.
Mi ci volle infinito tempo per poter allentare anche di poco la tua stretta.
Io non ho mai fatto niente.
Per alcuni tu eri Il Demone, sebbene tu non lo sapessi. Per altri tu non eri nulla. Per altri ancora, tu eri Naruto.
Konohamaru.
Sei stato la peggior prigione che un Kami potesse concepire.
Konohamaru.
Solo gli attimi di sconforto mi concedevano di respirare.
Konohamaru.
E' morto.
A causa mia.
Poichè Essere è quanto di più complesso ci sia al mondo.

L'uomo iniziò a respirare lentamente, ma con affanno. Camminò un po' indietro, barcollando, il demone che continuava a fissarlo negli occhi.

Io odio gli uomini, bambino mio.
Io sono un uomo.
Non ancora. Probabilmente mai.
Taci.
E' questo che desideravi, bambino mio. Poter parlare con me. Da infinito tempo. O erro?
No. E' vero.
Sei la mia trappola, ma al contempo io sono la tua.
Io ti odio.
Solo in parte.
... non cambia.
Io sono costretta all'esistenza entro di te, e così io ti costringo al vivere. Sinchè io intendo vivere, non saranno sufficiente ne' uno, ne' mille chilometri di caduta. Potrai soffrire, e soffrirai. Tanto quanto colui che l'isto seguente è morto. Ma non basteranno mai.
Così tu mi costringi ad una vita che non posso controllare e non intendo proseguire.
Non è nel mio volere.
Allora liberati e lasciami andare.
Questo va al di fuori delle mie e delle tue capacità. Te lo dissi prima: le tue catene sono infinitamente forti.
Io volevo morire.
Ma non smettere d'essere, solo smettere di vivere. Poichè tu vuoi decidere. Ah, grande è stato l'errore degli uomini a rinchiudermi in te.
Non cederò. Non più. Non ti lascerò il controllo.
Ne sono consapevole, bambino mio. Rare saranno le volte, semmai accadrà.
Cosa vuoi da me?
Nulla, bambino mio. Ormai più nulla.
Impossibile.
Oramai io ti amo.



Odiare gli uomini non le aveva permesso di non realizzare quanto il torto da lei subito ed il torto subito dalla creatura che la ospitava si equiparassero, nonostante questa creatura fosse un uomo a sua volta.
Continuava ad essere adirata, a voler scappare, e, più infuriava, più comprendeva che non avrebbe mai e poi mai abbandonato quella prigione.
Intanto, l'esserino che aveva consciuto urlante, agitato e colmo di dolore, cresceva.
E lei lo vedeva.
Colmo di volontà.
Bisognoso di riconoscimenti. Dovessero essere anche solo frustate.
Nonostante ogni tanto lei tentasse una fuga, lui la reprimeva sempre, senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse sopraffacendo con quella sua infinita coscienza di se'.
Naruto Era.
Naruto era Sempre stato.
E l'unico momento in cui lei era riuscita a prevalere, era quando lui s'era perso nella battaglia, nella follia umana, nella sete di sangue, nella paura e infine nella morte. Solo allora aveva potuto provare a controllare quel corpo-prigione.
Solo allora aveva potuto sfogare una sola, minima parte della sua collera.
Attirata, in parte, da un demone suo simile; dall'altro lato, desiderosa unicamente di distruggere il mondo umano.

Ma era stato un attimo breve.
Naruto aveva stretto nuovamente, rapidamente e con infinita forza le catene.



Le due armi che portavi con te mi hanno sempre irritata.
Io le adoravo. Tu me le hai tolte. Mi hai tolto il mio legame con gli altri esseri umani.
Esatto.
Le voglio indietro.
Ora non puoi.
Le Pretendo.
Naruto. Tu non comprendi.
Io comprendo, setu ad essere in collera con un intero genere quando sono stati in pochi a farti del male. E sebbene tu abbia il coraggio di 'amarmi', ti ostini a crede che tutto il mondo sia tale a quelli che ti hanno rinchiusa.
Il fatto che un'altra Regio abbia fatto con Shukaku la stessa cosa.
Shukaku?
Il rosso. L'altro.
Devo vedere il Rosso.
Naruto.
Voglio le mie armi.
Non puoi tornare indietro. Ma sarò sincera, bambino mio. Io non posso nulla. Ne' scomparire, ne' fuggire, ne' prevalere su di te. E oramai ho perso interesse: nuocere a te non avrebbe senso. Tu comandi, nonostante sia stato il terrore di non farlo, la paura di non essere tu l'autore del tuo stesso comportamento, a farti fuggire da colore che io più odiavo.
Io comando.
Ebbene sì.
Tu sei il demone, l'ombra e il fantasma delle mie notti, la voce dei miei incubi, delle mie crisi, colei che mi ha portata alla tortura.
In parte, ma non del tutto. Col tempo impareremo a distinguerci meglio, anche se distinti già siamo.
Col tempo. Non ha senso.
Ne ha.
Voglio le mie armi.
Se intendi tornare indietro, torna.
.... .... Ma non posso.
Così è.
Cosa farò, adesso? Nulla.
Detestali quanto li detesto io.
No.
Lo sai cosa ti hanno fatto. Questo. Questo, ti hanno fatto.
... No.
Sì.
Non li posso detestare. Devo solo proteggerli. Da te.
Naruto, non hai ancora compreso cos'è successo?
... Sì, l'ho compreso. Ma ne' Sasuke, ne' Kiba, ne' Neji... nessuno di loro ha colpa.
E gli altri?

La volpe si era allontanata leggermente dal bambino, cercando la protezione del demone. Il bambino, a sua volta, s'era avvicinato all'uomo. Ma il piccolo non pareva intimorito dall'altra coppia, a cui invece volgeva le spalle: intento ad abbracciare la gamba dell'uomo, lo osservava dal basso.
La volpe si avvicinò lentamente, mentre il demone si metteva a sedere.

Io voglio Essere.
Sì.
Proteggimi. Lasciami in pace. Lascia che io trovi il modo di vendicarti, e ti vendicherò.
Hai i miei servigi, bambino mio.
Ma un giorno riprenderò in mano le mie armi.







***




Aprì lentamente gli occhi, colto dalla luce di un'alba che non aveva mai visto. Sull'orizzonte, pallido, giallastro, d'una terra di coltivazioni sconfinate, si levava il sole.
Un vortice di dolore. Una serie di infinite e lancinanti fitte, pulsanti, l'una dopo l'altra, ritmiche.
Semidisteso nella pozza del suo stesso sangue.
Non morto.
Quasi.

Ma ogni ricordo ed ogni idea era ora chiara in lui.

Provò a muoversi, senza risultato alcuno.
Socchiuse gli occhi, li riaprì.
Davanti a lui, un mondo sconosciuto.

La sua terra.

Il suo esilio.
Il suo rifugio.





Convergenza:
[...]6 TS biol., analogia di struttura o di disposizioni organiche che presentano organismi non discendenti da progenitori comuni: c. adattativa, evolutiva;
7 TS antrop., insieme di rassomiglianze e parallelismi esistenti tra elementi culturali elaborati da popolazioni diverse e lontane dovuti alla sostanziale unità del pensiero umano [...]

 


[noticina]
Joyce ritorna nei miei pensieri.
Altro capitolo che bramavo oramai da anni di poter scrivere.
Satification.
(so che siamo in parte OOC - so anche che è un caos, ma vabbè. Fa niente. Immagino abbiate compreso quanto sia contorta la situazione psicologica di questo mio disgraziatissimo personaggio. Anzi. Temo forse che in alcuni tratti io l'abbia affrontata in maniera troppo semplicistica. Onestamente non riuscivo a fare di più... questo capitolo è stato una vera grande sudata.)

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Capitolo 26
*** 25 (Mondo) ***


25. Mondo

Nati
dalle memorie del mondo
s'adagiano quieti i respiri dei tempi
attendono
ascoltano i venti
sino al giorno più prossimo
                  al mutar degli eventi.


 
Sedeva osservando il soffitto.
Pensava.
"Tsunade."
Dalla porta, un anziano la chiamò. Lei, lentamente, calò il volto e andò a fissare apatica l'uomo attempato.
"Entri."
Un brivido. Il Lei. La forma del Lei.
Odiava il Summus Globus.

***

"Ahilo, Ahilo"
"L'è svegghio?"
"Tacistici, ti, dabbravo"
Riconobbe il gorgoglìo dell sua stessa gola. Provò a schiudere gli occhi.
Qualcosa di non esattamente morbido sotto di se'.
"Matre! Matre grandissima lo si è svegliato lo coso!"
"Inari, TACISCITI che lo coppi col tuo solo urlare!"
Provò a muoversi, ad articolare - a muover le labbra, a fare qualsiasi cosa.
"Matre l'ha gli occhi azzurri il coso!"
"Inari!" una voce anziana si sovrappose alle due "Ti prego, parla la Lingua, quando ci sono sconosciuti in casa. E' forma di cortesia."
"Vabbuone"
"Inari."
"Va bene, nonno."
"Bravo. Non è difficile."
"No, nonno"
Provò ad alzarsi, e con sua grande sorpresa ci riuscì. Provò anche a mettere a fuoco, e anche quello, con sua grande sorpresa, gli riuscì.
"Allora, signorino. Come stai?"
Un anziano lo guardava bonario. Dietro, una donna abbastana giovane, e, sotto, un ragazzino di forse sette anni.
"... bene."
"Sembrava stessi per morire da un isto all'altro, e guardati adesso. Non ho mai visto un cadavere parlare, ma pare proprio che tu lo stia facendo."


***

"Lei dunque sostiene questa tesì."
"Sì, Sommo."
Era una stanza enorme, che pareva generasse luce da se' stessa. Lei sedeva da un lato, il Summus Globus dall'altro. In mezzo, il baratro. Spazio vuoto. Apocalitticamente vuoto.
E, sì, Luce: luce, luce da ogni parte.
"E' evidente che Lei non è stata capace di gestire il ragazzino."
"E' possibile."
L'uomo, una ragnatela di rughe in volto e i capelli talmente bianchi da sembrare a tratti eterei, la fissò senza mutare espressione.
Eppure era evidente il suo massimo fastidio.
"Abbiamo un processo a cui andare incontro, Tsunade."
"Ne sono consapevole, Sommo."
"Non si tratta di cosa sia possibile o meno. Si tratta di cosa sia effettivamente successo."
"Il ragazzino non è stato capace di accettare i fatti. Ho fatto tutto quello che era necessario fare. Sono sette anni che lo controllo."
"Si ricordi che aveva un precedente, Tsunade."
"Itachi è un'altra cosa."
"Non si rivolga a me con quel tono."
La donna abbassò il capo, stringendosi le labbra fra i denti. Era appesa a un filo.
Maledizione.
"Ora cerchiamo di capire cosa ne è stato del ragazzino."
"Immagino che nessuno sopravviva ad una caduta del genere."
"Ma lui aveva dentro di se' la volpe. Anche se Naruto fosse morto, la volpe deve essere sopravvissuta. E se è libera, significa che siamo in pericolo. Ella sarà sicuramente furibonda con il genere umano... e con l'Ignis Regio, senza dubbio. E il nostro dovere è difendere la nostra regio. Inoltre, immagino che un demone liberatosi alle pendici dell'altopiano del Ludus si sarebbe notato, e ciò non è stato. Dunque, o il ragazzino è vivo, oppure il demone è intrappolato in un cadavere."
"Il cadavere non è stato trovato, però"
"Dunque Naruto è vivo."
"Com'è possibile che un bambino sopravviva ad una cosa del genere?"
"Se non lo sa lei, che lo ha curato per sette anni, e con lui ha curato la volpe stessa..."
Tsunade socchiuse gli occhi, espirando.
Aveva sperato per un istante che il Summus Globus avrebbe creduto che Naruto potesse essere effettivamente morto.
Ma quello era il Summus Globus. Le menti più eccelse di tutta la regio. Era stata senza dubbio una speranza stupida.
"Dunque andrete a cercare Naruto?"
"Ci serve il suo aiuto per dirigere le squadre. E' evidente che non possiamo contare sul supporto della popolazione, quindi manderemo dei Custos a cercarlo. Questo potrà richiedere tempo, e nel mentre dovremo essere pronti ad un attacco della volpe."
"La volpe non si può estrarre. Anche se si riuscisse a farlo, non riesco ad immaginare un contenitore capace di contenerla."
"Immagino che il tempo che trascorrerà nelle carceri le sarà utile per poterlo trovare."
Lei lo immaginava.
"Tsunade, il danno è stato suo, e Lei pagherà. Ad Itachi era stato semplice cavare gli occhi. Ma un demone è altra cosa."


***


"Dunque sei un mercante?"
Naruto arricciò le labbra, ondeggiò col capo rimescolò un po' gli spaghetti.
Doveva stare attento. Diavolo, se doveva stare attento.
Lui non aveva assolutamente idea di come fosse la vita lì fuori. Per qualche istante si era sentito agorafobico. Il campo di battagli gli era sembrato di gran lunga meno pericoloso di quella innocente casetta diroccata e quei tre contadini dall'animo infinitamente gentile.
In quanto Custos sapeva combattere, sapeva tendere agguati, spiare persone, vedersela con animali feroci... avrebbe potuto sopravvivere in una foresta per il resto della sua vita: ma non era assolutamente capace di farlo in campagna, fra gli agricolae. I pochi ricordi che aveva della vita fuori dal Ludus erano offuscati a causa della tenerà età in cui li registrò. A stento si era ricordato che esistevano altri linguaggi all'infuori di quello comune, e che erano usati nel resto della regio. Cosa fosse un mercante, cosa un contadino, cosa, addirittura, un bellatores... non ne aveva idea. Nessuno gli aveva insegnato come funzionava la vita degli altri.
D'altronde non gli serviva.
Il fatto che un Custos fuggisse dal Ludus non era una cosa che era stata prevista.
Naruto, l'eccezzione. Naruto, il fuggitivo.
Credevano che fosse morto? Probabile.
Fingere di aver perso la memoria sarebbe stato folle, perchè subito i suoi ospiti avrebbero fatto in modo di capire chi fosse, e la notizia di un ragazzino con l'amnesia si sarebbe spanta con la velocità d'un fulmine.
Doveva. Stare. Attento.
E quindi soppesava con massima attenzione ogni parola detta ed ogni gesto compiuto. Doveva sembrare una persona normale, in una situazione normale.
Per la prima volta nella vita, Naruto si impose di non dare nell'occhio.
Ed era cosa che gli riusciva estremamente difficile.
"Figlio d'un mercante.", precisò, dopo aver inghiottito un altro po' di pasta.
"Sì, così giovane... strano che ti sia messo in viaggio da solo: hai visto che insidie ci sono, no?"
"Non mi aspettavo i lupi, onestamente. Mio padre mi aveva avvertito..."
"L'importante è che tu adesso stia bene. Dove sei diretto?"
"A ovest" rispose, in rapidità. Al confine, pensò. Verso la ventii regio.
"Hai affari di tuo padre da gestire laggiù?"
"Così pare."
"Bene, bene."
Ma comunque sembrava riuscirgli bene.

Tre giorni dopo partì. Rifocillato e guarito. Inari e la sua famiglia lo accudirono come un passerotto caduto dal nido, quale, in effetti, Naruto era.
Lentamente, un sorriso compariva sul suo volto. Inari gli girava attorno come aveva fatto tempo addietro Konohamaru.
Rigettava indietro quei ricordi con forza, fino a poi rendersi conto che non sarebbe servito a niente. Non avrebbe potuto fare niente di male a Inari, di questo ne era sicuro. Per il bambino, lui era solo un ragazzino che s'era imbattuto in un branco di lupi ed ora doveva riprendere il viaggio. Con parecchio ritardo.
Naruto sembrava normale.
Nonostante la difficoltà che gli comportava far finta d'essere qualcosa che non sapeva, esattamente, cosa poi fosse.
"Naruto!"
Il biondino era sulla soglia, con qualche vecchio vestito del nonno di Inari addosso e qualche spiccio in tasca per sopravvivere sino alla città più vicina. Dove, aveva detto lui, aveva un contatto che sicuramente lo avrebbe aiutato.
"Sì?"
"Puoi venire un momento sul retro, per favore?" domandò il bambino, eccitato
"Inari, per cortesia, lascialo in pace!" la madre era sempre pronta a riprenderlo.
Naruto non ricordava esattamente quel tono di voce. Il tono materno, il tono del rimprovero a fin di bene. Nei suoi ricordi mancava una presenza di quel tipo.
"Non ti preoccupare... Arrivo, Inari!"
Tsunade era stata la prima a rivolgersi a lui con quel tono.
E poi c'era stata Kyuubi, ma Kyuubi era un'altra cosa.
Madre e matrigna, padrona e schiava. Kyuubi non aveva il tono di Tsunade, aveva il tono di Kyuubi.

***

"Allora è veramente morto?"
"Insomma, Hinata. Se dicono che è morto, è morto. Succede, lo sappiamo benissimo. Inutile farci storie sopra."
Kiba finì di lucidarsi gli stivali, più o meno soddisfatto.
"Ma... Naruto... sei un mostro, Kiba."
"Morirò anch'io, prima o poi. Anche tu, sai. Siamo Custodes. Non te ne stupire."
La ragazzina si morse il labbro, guardando fisso per terra. Non aveva lacrime per Naruto, ma la cosa le parve egualmente, incredibilmente, ingiusta.
"Sicuramente sarà morto soddisfatto, avendo fatto tutto quel caos." concluse il ragazzo, levandosi in piedi a stiracchiarsi.  "Era proprio una cosa nel suo stile."

***

"Dimmi", disse Naruto al bambino, una volta raggiuntolo sul retro della casetta.
"Shht" fece quello, portandosi l'indice alle labbra "parla sottovoce"
"... dimmi" rispose, dunque, sottovoce.
"Senti, senti, siamo amici, no?"
"Ahm.. sì, certo."
"Allora mi puoi dire il tuo nomen?"
"... Naruto?"
"Nha, Nha, quello è il come ti chiami, dai!"
".. eh?"
"Il... coso... il... coso... il cometichiami! Ah, MAMMA, COME LO SI DICE IL COMETICHIAMI?"
"Inari!" urlò, la madre, dall'altro capo della casa. "La Lingua! Usa la Lingua! E spero per te che tu non stia chiedendo il nomen a Naruto!"
"No, mamma, ma come lo si dice..."
"Si dice Cognomen"
"Ecco!"
Naruto fissò basito Inari. Il cognomen?
"Allora, qual'è il tuo nomen?"
Possibile che fuori dal ludus ci si chiamasse per cognomen?
Questa era una gaffe assurda. Diamine.
Il volto del biondino era stranito, pareva caduto dal cielo. Era il muso di chi ha appena visto ogni sua certezza crollare.
No, non era possibile. Il cognomen non importava. L'importante era chi eri, non da dove venivi.
Fuori era forse il contrario?
Mugugnò qualcosa, mentre la madre di Inari compariva sulla soglia, adirata.
"Gli hai chiesto il nomen, Lo Sapevo!" Nelle mani un piatto, abbastanza malconcio, che tentava di asciugare con un panno. "Inari, sei un disastro. Naruto, ti prego, lo devi scusare... è piccolo, cioè, non molto, ma, insomma... temo che queste cose ancora non le capisca bene."
Naruto osservò la donna perplesso.
Che fare? Avrebbe dovuto semplicemente inventarsi un nomen, non ci voelva uno studio.
Poteva prendere in prestito uno di quelli del Ludus. Sasuke, ad esempio.
Ma l'idea non gli piaceva per niente. Inari, dal basso, lo fissava a metà fra chi spera nella concessione e chi teme la punizione per aver osato troppo.
No. Non voleva mentire a Inari. C'era un limite a tutto.
"Io... mi scuserete, davvero, per questo... ma Naruto è il mio nomen."
Inari levò le sopracciglia, meravigliato come solo un bambino può esserlo. E sua madre, da qualche metro di distanza, crollò improvvisamente a terra.
Piangente.

Naruto ebbe la pessima sensazione di essersi appena bruciato la copertura.


Se il mondo si voltasse al contrario...
morrei per il troppo sangue alla testa?



 
[Nota del'autrice]
Ci sono! Ci sono!
SONO VIVA!
Agh. Domani ho la terza prova, ma vabbè u.u''' la matura è una cosa a parte. L'avevo detto che la finirò, 'sta fanfic: costi quel che costi. Quindi, magari con calma, ma i capitoli arrivano :) Spero abbiate aprezzato un po' di riferimenti al mondo esterno. Il 'dialetto' che parlano Inari e famiglia non è uno in particolare, è un mixmass. Mi piaceva così :)

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Capitolo 27
*** 26 (Moto) ***



26. Moto

 

 

Scivola un fiume sul letto di cocci

muore il sole dietro le vette

di un mondo in frantumi

legato solo dal tempo.

 

 

 

 

Sasuke era ormai lontano dalla guerra.

Si appoggiava blandamente al muro della sala d'attesa. Le braccia conserte e lo sguardo basso, stretto nelle vesti nuove, e che sembravano voler continuare a cambiare a causa dei suoi continui avanzamenti di carriera. Assieme a lui, qualche altro ragazzo, più maturo, riempiva l'aria con il suo respiro.

 

Dopo un tempo che solo quella stanza sapeva rendere indeterminato, gli venne fatto cenno di entrare.

 

 

***

 

 

“Sei stato veramente gentile … Naruto”

Lui stava solo tentando di non rasentare il ridicolo per il rossore che il suo volto raggiungeva. La donna, calmatasi dalla crisi di pianto, era ora intenta a risistemare la situazione. 

In un modo o nell'altro, Naruto aveva finito con il distinguersi.

Era ufficialmente un istinto innato.

Il nonno di Inari, che tratteneva il nipote euforico, osservava il biondino con uno sguardo bonario e colmo di gratitudine.

Naruto tentava di districarsi dalla situazione.

“Dopo avermi salvato la vita, non pensavo nemmeno di presentarmi con il mio cognomen”, azzardò

“Se ci fossero più persone come te, Naruto...”

“Sul serio, avete fatto tanto, mi sembrava quasi scortese...”

“Grazie per la tua fiducia, Naruto”

Aveva la sensazione che avrebbero potuto andare avanti a ringraziarlo per giorni.

Ecco qui, una nuova lezione sul mondo esterno. Il nomen era una cosa talmente riservata da creare situazioni simili a queste quando ci si presentava con quello.

Ora Naruto avrebbe dovuto imparare a presentarsi con il proprio cognomen.

Fra un ringraziamento e l'altro, indietreggiava alla ricerca dell'uscita. Iniziava a rendersi conto che non sarebbe stato furbo continuare a mescolarsi agli agricolae o ai mercanti. Non solo perchè non sarebbe stato capace di non farsi notare, ma anche perchè, ripensandoci, farsi vedere in giro sarebbe stato poco furbo.

Già dire a Inari e gli altri nomen e la propria direzione poteva ritorcerglisi contro.

Però non riusciva a non amare quel mondo che gli appariva incomprensibile, l'esatto opposto del mondo in cui era cresciuto. La spontaneità di Inari, la tranquillità di suo nonno, e quel legame che avevano, di generazione in generazione. Madre e figlio, pater e figlia, concetti che per lui erano solo biologici stavano prendendo la forma di relazioni umane, profonde e fondanti nella vita di quelle persone.

Arrivato sulla soglia, fece una sottospecie di sorriso: da dentro, l'automatismo del saluto del Ludus gli compressava le costole, ma lui si ostinò a soffocare quello che ormai era un istinto.

Come salutavano i mercanti?

Non lo sapeva. Forse non salutavano.

Meglio lasciar perdere.

Era pronto a fuggire, ma, per quanto dietro di lui, oltre la porticina aperta, il mondo fosse pronto ad accoglierlo, il desiderio di rimanere lì prevaleva. I volti tranquilli e paciosi di quella gente sembravano una calamita. Sapeva che non vivevano negli agi, sapeva che c'erano dei giorni in cui gli agricolae non mangiavano, non per riti, non per credenza, non per leggi: per pura necessità.

Eppure voleva rimanere lì. Voleva sentire ancora quei legami fra parenti. Voleva ancora percepire la compattezza di quella Gens.

"Mi auguro che una casualità più felice ci porti ad incrociare nuovamente le nostre vite, Naruto" fece il nonno di Inari.

Naruto annuì.

La volpe, silenziosa nel suo ventre, respirava lenta e desiderava che il suo ospite lasciasse quella casa di contadini. Troppi uomini aveva avuto attorno a se', sino ad allora. Per quanto la riguardava, non voleva più avere niente a che fare con loro.

 

Naruto mosse due passi indietro, fece un cenno col capo e si voltò, dando definitivamente le spalle agli agricolae.

Kyuubi esultò.

 

A Naruto piaceva il Ludus. A Naruto piaceva essere un Custos. Era ciò che sentiva di essere.

Ma metà della sua umanità rimase per sempre vincolata a quella piccola baracca sotto l'enorme altipiano del Ludus.

 

Mi devi ancora le mie armi, pensò Naruto.

Non ne avrai bisogno.

Non ho detto di averne bisogno. Ma le voglio.

 

 

 

***

 

 

Sasuke annuiva con lentezza alle direttive che arrivavano dal Philosophus di fronte a lui.

Non era nulla di complicato, pensò. Era solo lungo. Lungo e forse non matematicamente certo nella sua riuscita.

E lo avrebbe tenuto lontano dai campi di battaglia.

Non sapeva se era un bene o un male.

Accanto al Philosophus, Jiraya sedeva più o meno scomposto, le braccia incrociate al petto, lo sguardo fisso sul giovane. L'uomo si domandava se sarebbe stata una cosa furba, a conti fatti.

Nella sua mente, da lontano, un'eco gli rimbalzava addosso: è colpa tua, è colpa tua, è colpa tua.

Ma diavolo, era solo un ragazzino. Era sicuro che fosse morto, anche se i Philosophus non la pensavano così.

"Kakashi ti seguirà, all'inizio."

Sasuke annuì.

"Non fargli perdere troppo tempo, è un Rector importante. Appena vi sarete ambientati, tornerà indietro. Quindi fate in fretta."

Sasuke annuì.

"Ogni sessanta giorni tornerete a fare rapporto, salvo forze maggiori."

Sasuke annuì.

"Ed in tal caso, provvedete a comunicare tutto. Domande?"

Dopo quanto tempo considereremo la missione fallita?, voleva domandare Sasuke. Ma sapeva che non era una domanda intelligente da fare. Glielo avrebbero detto.

Sasuke continuava ad andare alla cieca, come tutti. Fidandosi dei superiori, fidandosi dei Rectores e dei Magistri.

Prese un paio di respiri, cercando di formulare una domanda coerente alla situazione. Jiraya si alzò in piedi, facendo scivolare la sedia sul pavimento, e s'incamminò per uscire dalla stanza.

"Scegliti i compagni." fece l'uomo, prima di varcare la soglia, con il tono a metà fra il suggerimento e l'ammonizione.

Sasuke annuì impercettibilmente.

"Kiba, Hinata e Shino."

Jiraya chiuse la porta dietro di se'. Il Philosophus annuì, lentamente.

"Hai bisogno di Bellatores? Puoi scegliere fra quelli che hai visto qui fuori."

Sasuke sapeva. L'aveva ben che intuito. I Bellatores si riconoscevano ovunque, massicci e stupidi. Sì, era questa la sensazione che aveva. Stupidi.

"No. Intralciano."

Il Philosophus tornò ad annuire, lentamente.

"Lo immaginavo." Jiraya e Kakashi li conoscevano bene, i loro piccoli Custos. Il ragazzino dodicenne lo fissava con la serietà di un uomo fatto e maturo. Era senza ombra di dubbio ciò che serviva per andare a caccia di demoni.

 

 

***

 

Naruto muoveva passi lenti lungo la stradina immersa nei campi.

Kyuubi premeva per allontanarsi dalla civiltà. Il suo regno era quello dei boschi, della natura. Più selvaggia di quanto Naruto avesse mai visto.

Ora che il ragazzino riusciva a dare un significato alla marea di sensazioni che lo riempivano, passo dopo passo cercava di sciogliere il groviglio.

Doveva chiarire cos'era lui e cos'era lei. Anche se lo sapeva, i loro desideri erano arrotolati.

Lui lasciava vagare la mente verso il Ludus, verso gli agricolae, e lei lo spingeva in direzione degli alberi più fitti, fuori dalla strada. Ma era lui che comandava. Per quanti riconoscesse nella volpe un sentimento di maternità che provava innaturalmente nei confronti di un giovane umano, rimaneva in contrasto con lei.

Avrebbe dovuto abituarsi.

E avrebbe dovuto mediare.

 

Andremo dal Rosso, pensava Naruto.

Kyuubi gioiva di quella decisione.

Ci andremo perchè devo parlare con lui.

Kyuubi fremeva all'idea di incontrare di nuovo l'altro demone. Naruto sapeva che lo voleva combattere. Non sapeva perchè. Forse era solo un gioco. Forse era solo il modo dei demoni di salutarsi.

Devi starne fuori.

 

Camminò. Camminò con lentezza, ma di moto inesorabile. Il tempo passava senza che riuscisse a percepire la fatica addosso. Il sole si spostava con quanta più rapidità non avesse mai fatto.

Era abituato alle marce forzate. Era stato addestrato per quelle.

Ma la strada era molto più lunga di quanto pensava.

 

Tu terrai buono l'altro demone. E io potrò parlare con il Rosso.

 

Pensava. Pensava al passato. Pensava con calma, e con pignoleria setacciava i pensieri. Analizzava.

Sarebbe giunto ad una conclusione, prima o poi.

 

Se mi prometti che faremo così, passerò per la foresta.

Kyuubi esultò.

 

Naruto si morse le labbra, il capo dorato intento a fissare per terra.

La foresta era in realtà l'unico posto in cui avrebbe realmente potuto sopravvivere, avanzare e contemporaneamente nascondersi. Doveva pensare al fatto che poteva stare girando la voce di un certo Naruto comparso dal nulla. 

Lo avevano dato per morto?

Non lo sapeva.

Ma la foresta era, in realtà, l'unico posto in cui potesse trovare rifugio. La sua mente vagava fra i le usanze umane, cercando di associare ciò che aveva appreso negli ultimi due giorni ad uno schema complessivo. Era un lavoro che gli costava tempo e fatica.

Amava quel mondo, ora.

Ma non ne faceva più parte.

Ne' il Ludus, ne' men che meno le città e la campagna di agricolae e mercanti.

Quindi, sì. Naruto sarebbe andato nella foresta. E Kyuubi sarebbe semplicemente stata rallegrata da quella decisione.

Ma era la decisione di Naruto.

 

La volpe sentiva le sue catene slascarsi e stringersi con irregolarità.

Naruto era in cerca di un equilibrio. Ogni singola variazione di stretta infastidiva la volpe, e spesso le faceva male. Ma sopportava.

Sia perchè Naruto era il suo bambino, sia perchè, in fin dei conti, non poteva fare altro.

 

 

***

 

 

"Il processo inizierà fra nove giorni."

Tsunade fissava il vuoto. Assorta nei suoi pensieri, Jiraya si domandava se avesse anche solo percepito l'informazione che le aveva appena dato.

Aspettò.

"Tsunade."

La donna non rispose. Guardava avanti, ben oltre il muro, ben oltre i margini del Ludus.

Erano chiusi in una stanza abbastanza piccola, nell'edificio in cui Tsunade lavorava da anni.

L'uno di fronte all'altra. Ma Tsunade non pareva percepire. Fissava il nulla, senza alcun interesse.

"Stai pensando alla sentenza, Tsunade?" azzardò il Custos, cercando di riportarla a se'.

Lei tacque, un minuto, due, tre.

"No." Concluse, senza spostare lo sguardo.

"Sto pensando a cosa gli faranno quando lo troveranno."

 

Piccolo, grave errore.

Affezionarsi alle proprie cavie.

 

"Ho bisogno di parlare con lui, Jiraya."

"Sembrerà una richiesta assurda. E' un folle, in via ufficiale. Sakura se ne prenderà cura, da adesso in poi. Non c'è motivo per cui ti permettano di incontrarlo."

Tsunade sollevò lo sguardo.

Gli occhi ambrati della donna penetrarono Jiraya come la punta d'una freccia fatta di ghiaccio.

In quegli occhi, il concetto di futuro sembrava aver preso una piega diversa da quella abituale. 

Un no non era ammesso. Non era concepita l'impossibilità. Non c'era paura ne' apprensione. Non c'era niente, solo una piccola volontà he andava formandosi, ma ferrea.

Tsunade sembrava stare prendendo coscienza di qualcosa. 

Forse stava prendendo coscienza di tutto.

Jiraya si sentì perforato come quegli occhi apparentemente vacui si fissarono su di lui, pungenti, perfettamente focalizzati.

"Fammi parlare con lui, Jiraya. E in fretta."

Lui la guardò, serio, cercando di comprendere che cosa si fosse messo in moto dentro di lei.

Sapeva che di lì a qualche manciata di giorni, non avrebbe potuto più agire.

Un Philosophus non viene retrocesso. Un Philosophus vive per essere Philosophus.

Gli errori che Tsunade aveva commesso lungo il suo cammino, sebbene Jiraya riconoscesse fosse il più impervio mai conosciuto, le avrebbero impedito di essere ancora un Philosophus.

Era raro.

Ma succedeva.

Tutti sbagliano.

Soprattutto i migliori.

Lui storse la bocca, rendendosi conto che non c'era disperazione nelle ultime azioni che la donna si prefiggeva di compiere.

"Devo riparare quello che ho rotto, Jiraya."

Sì.

Ma non era il modo in cui il Summus Globus pensava si facesse.

 

 

 

Nell'ombra troveremo

le risposte che il sole ci aveva negato

ciechi di tanta luce

ciechi di troppi pensieri.


All'ombra

affido il futuro

che buio ed oscuro finalmente

vedo.

 

 

 

 

 

[Nota dell'autrice]

E, ancora, NO! Non sono morta :D

Sono felice di comunicarvi che siamo giunti alla metà. Circa. Forse leggermente oltre. 

Non so se strutturalmente il confronto reggerà, ma per la mia testolina è la metà.

Ancora, scusate i ritardi. ringrazio quelle anime pie che, dopo tanto tempo e dopo capitoli tanto pesanti, si ostinano a seguirmi. Più complimenti a voi che a me :3 gh.

Nei prossimi capitoli ci sarà un po' di caos, nel senso che li costruirò a frammenti. Spero che non perdano senso, ma è l'unico modo che ho per far funzionare le cose :)

Ciau :)

 

 

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Capitolo 28
*** 27 (Frammenti) ***


27. Frammenti 

 


Taci

e ascolta.

le parole del silenzio

urlano più d'ogni altra cosa.

 

Soffri,

e non vedi il tuo boia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scivola lenta una foglia.

Un alito di vento.

Sasuke osserva la natura che muore.

 

 

***

 

Gli occhi di Tsunade sono così spenti, pensa Jiraya.

Ma non li ho mai visti così vivi.

Il volto di Tsunade è così anziano, pensa Jiraya.

Ma non me n'ero mai accorto.

 

La donna osserva il muro, non calcola l'uomo. Suo antico compagno, suo vecchio amico.

 

"Devi rimetterti in forze, Tsunade. Posso riuscire ad avvicinarti a lui, ma non se sei in queste condizioni. Devo avere buone motivazioni. La tua salute è una di quelle."

 

Tiene le pupille fisse sul muro, candido.

 

Jiraya si sporge, le avvicina il piatto con il pasto. E' freddo, ormai.

 

"Non ha molto senso nutrire un corpo che non ha futuro" asserisce la donna.

"Se vuoi parlare con Itachi, quello è il tuo futuro. E' quello il tuo obbiettivo, no?"

 

Tsunade lascia che il tempo le passi addosso. Lo sente, sulla pelle, come una brezza eterna che soffia, lenta, dolce, leggera.

 

"Dunque mi nutrirò fino ad allora. Ma fai che sia presto, Jiraya. Non mi piace sprecare risorse. Lo sai."

 

Jiraya annuisce. Lo sa. Lo sa perfettamente.

 

 

***

 

Scivola lenta una foglia.

Un alito di vento.

 

Il tempo passa, pensa Naruto. E non riesco ad avvicinarmi più di così alla Ventii Regio.

Ma troverò un modo, sì. Devo trovarlo.

Kyuubi lo ascolta, distesa. 

 

La sabbia inizia a levarsi, la vegetazione si sta diradando. Il biondino si sta abbronzando.

Dietro di se', l'inverno marcia con forza e violenza. Il freddo si mangia i raccolti, la brina gela nei mattini più impervi.

 

Non posso fare finta d'essere uno di loro, pensa Naruto. Non sapevo nemmeno far finta d'essere uno di noi.

Quanti mi conoscono, da quella battaglia?

Quanto posso osare?

 

Ma davanti a lui si espande il deserto. Lui si acquatta sotto quel che rimane della vegetazione, scivola di arbusto in arbusto. Ogni tanto passa un telo bianco. Ogni tanto dei carri varcano il confine immaginario.

 

C'è una comunicazione, fra le regio. Sì, lo sapeva. Non lo aveva mai visto dal vero.

Non era stato vero, finchè non lo aveva visto.

 

Torna indietro, bambino mio.

Sì, lo farò. Ma non perchè me lo hai detto tu.

 

 

***

 

 

Itachi siede leggero. Itachi è leggero. Si sente leggero, sa di essere leggero, è leggero.

Itachi aspetta.

Aspetta Sakura. E' da qualche tempo che aspetta Sakura.

Prima o poi tornerà.

 

Lui lo sa.

 

Perchè sono tre giorni in ritardo, e il tempo, Itachi, lo conosce benissimo. Il tempo è il suo migliore amico. Il tempo è tutto ciò che gli è rimasto.

 

 

***

 

 

"Sta andando verso la Ventii Regio."

Kiba annusa l'aria. Sasuke lo guarda, gli occhi neri fissi sul volto dell'altro.

Anche Shino è d'accordo. Naruto è vivo. Naruto sta andando verso i teli bianchi.

Sasuke fissa il nulla. C'è una domanda che vorrebbe porsi, ma non lo farà. Non è il suo lavoro. Non deve porsi quel tipo di domande.

Dove. Quando. Come. In che modo. Seguendo quale logica. Seguendo quale schema. Chi. In quale tempo. In quanto tempo. Quanto lontano.

Queste sono le domande che può porsi un Custos.

"Non possiamo entrare in territorio nemico. Torniamo a fare rapporto. Se Naruto si trova nella Ventii Regio, la situazione diventa molto più delicata. Non credo che bastiamo. Anche se, ovviamente, gli serviamo."

Una generazione di ragazzini molto talentuosi. Sì.

Una generazione che vede, che sente, che odora. Una generazione invidiata. Ma una generazione immatura.

 

Perchè.

Perchè, perchè: Perchè?, è una domanda che un Custos non ha alcun diritto di porsi.

 

 

***

 

"Hai paura, Sakura?"

"Di cosa?"

"Non lo so, ma di solito la gente come voi ha paura. Anche se non vedo, sento, sento meglio di voi tutti messi assieme."

La giovane Philosophus imbeve le garze di disinfettante. I guanti di sottilissimo lattice le stringono ai polsi.

 

 

***

 

 

"Tsunade, si alzi in piedi."

La donna si leva dalla sedia di plastica. 

La stanza è bianca. Tutte le stanze sono bianche, tutte quelle stanze. Più è importante la stanza, più è bianca.

E' larga, è lunga, è alta.

Tsunade è un punto minuscolo in mezzo al bianco.

"Dagli ultimi rapporti risulta che Kyuubi si stia dirigendo verso la Ventii Regio, e che probabilmente si trova già là. Ha a che fare con il sospetto demone dei teli bianchi, si suppone."

Tsunade tace, ascolta. Non parlerà finchè non viene interpellata. Non può parlare.

Pensa ai suoi ragazzini, alla generazione che è stata messa a sua disposizione. In qualche settimana avevano fornito il migliore dei risultati possibili.

Potrebbe sorridere per il suo successo, ma non lo fa.

"Risponda: è possibile un nesso del genere?"

"Sì, sommo."

"Risponda: il soggetto è ancora responsabile delle proprie azioni?"

"Non c'è modo di saperlo, sommo. Non fintanto che non lo si veda di persona, sommo."

"Si sieda, Tsunade."

 

Va avanti da giorni.

Andrà avanti a lungo.

Lento, inesorabile.

Non è un processo, Tsunade è colpevole.

E' una collaborazione forzata.

 

 

 

***

 

 

"Sei di nuovo tu, Sakura?"

"Non parlare con quel tono. Non dovremmo parlare. Io ti visito e basta."

 

"E Tsunade?"

 

 

 

***

 

 

E' avvolto dalle stoffe.

Il carro cammina lento. Per attraversare il confine immaginario, c'è solo il carro: non altro mezzo. Il carro.

Non ha le sue armi, si sente scoperto. Ha un'infinità di modi di uccidere, ma senza le sue armi non è la stessa cosa.

Respira lento, si fa un unico ammasso nel mucchio di mercanzia.

 

Il carro si ferma.

 

Chiude gli occhi, s'impone d'annichilire le tracce della propria presenza.

Non sa se funziona.

Non ha motivo di funzionare, a dire il vero. L'unica cosa che può funzionare è tenere ogni singolo muscolo immobile.

 

Il carro non si muove.

 

L'unica cosa che può funzionare è essere statici.

Non fare accelerare il cuore.

Non avere l'adrenalina in corpo.

Ma rallentare tutto, facendolo scomparire, ritirandosi come il mare prima d'uno tsunami.

E poi esplodere, se, e solo se, serve.

 

Il carro non si muove.

 

E' stato addestrato per farlo.

Sa farlo.

Ha mille motivi per farlo.

 

Il carro avanza.

 

Riapre lentamente gli occhi, ascoltando il moto delle ruote e dei cavalli che avanzano lenti.

 

 

 

***

 

 

"Merda."

"Kiba, risparmiaci le tue parole da Agricola."

Il moro sbuffa dalle narici, stringe i denti. 

"Non lo trovo più. Il suo odore si è indebolito e mescolato. Si è allontanato troppo anche per me"

"Shino?" domanda Sasuke, verso il compagno.

"Sembra che stia tornando alla carica, ma decisamente con più giudizio. E' oltre il confine, lo perderò presto. Sta andando verso la loro città centrale, almeno per ora. Potrebbe deviare."

"Non possiamo avvicinarci più di così. Torniamo indietro. Non ho intenzione di lasciare il Ludus senza il permesso di varcare il confine, questa volta. Si stanno gingillando troppo, per i miei gusti."

"Anche tu non scherzi a termini, eh,  Sasuke."

"Non dico male parole come le tue"

"Ma parlare così dei Philosophi non è certo da meno."

 

Sasuke schiocca la lingua sul palato.

Quella domanda gli brucia dentro. Ma continuerà a non porsela.

 

 

***

 

"Ti racconterò una storia, intanto."

"L'ultima volta ti avevo detto di non parlare."

"Era un mese fa, piccola Sakura."

"Non parlare."

"E' solo una piccola fiaba."

"Non la voglio sentire."

 

 

***

 

 

Tsunade fissa il suo pasto con aria assorta.

Siede, siede e siede. Siede da interminabili giorni. Siede da mesi. Non fa altro. Siede.

Sa che deve mangiare, perchè la sua vita non è ancora terminata.

 

L'inutilità.

Peggio della morte.

 

Ma farà ancora qualcosa.

Deve farlo.

 

Vede il sentiero con chiarezza. Non sa dove porta. Ma lo vede.

Questa volta non inciamperà.

Farà quello che deve fare.

 

E poi smetterà di vivere, com'è giusto che sia.

Perchè non c'è nulla che detesti di più dello sprecare risorse per un'esistenza inutile.

 

 

 

***

 

 

"E' stata Tsunade, sai. A darmeli e a togliermeli."

Si impone di non ascoltare.

E' un pazzo, Sakura.

Te l'hanno detto, credici. 

"Se non mi zittisci, sembrerà che tu voglia ascoltare avanti."

La rabbia le ribolle in corpo. Non riesce a farlo fare zitto. Lunghi dibattiti per farlo tacere.

E ogni volta qualche piccola informazione in più.

Non cedere, Sakura.

"Erano occhi potenti. Un po' imperfetti, magari."

"Taci."

"Vedevo molto più di quello che vedi tu o chiunque altro."

"Taci, ho detto."

"Ma cosa te ne fai di uno strumento così potente, quando non serve a nulla?"

E' un pazzo, e allora perchè lo ascolti, Sakura?

Tsunade non lo ha mai ascoltato. E tu in pochi mesi hai ceduto ai suoi racconti.

No.

Non credergli, Sakura.

"Questo mondo è così insensato. Questa vita così vuota. A cosa servivano i miei occhi? A nulla."

E' retorica, Sakura. E' pura retorica. Non farti ingannare.

"Nasciamo, cresciamo, combattiamo. Siamo tutti così. Non ci fermiamo a chiederci perchè."

"Perchè cosa?"

No.

Non dovevi chiederlo, diamine.

Non è una cosa che si chiede.

"Perchè combattiamo."

"Per la regio"

 No, Sakura.

Non farti ingannare.

"Perchè la regio combatte?"

"Per... perchè sì. Taci. Questa è la nostra regio. La serviamo e la onoriamo."

"E lei serve voi?"

 

 

***

 

 

Sole, sole, sole.

Naruto è un gatto che striscia.

Ormai la sua pelle è ben che cotta. Osserva la gente, si tiene lontano dalla città.

Un telo bianco lo copre, ma non è sicuramente un buon rifugio. Non farsi notare, quello è importante.

 

In città la gente va in giro praticamente nuda.

Quando si avvicina un po' di più, vede i bambini oleosi e ricoperti di unguenti che scorrazzano in libertà. Non ha mai visto niente del genere. Non ha mai pensato a come potesse essere vivere nelle altre regio.

Non era un'ipotesi contemplabile.

 

Quando è notte scende il freddo.

Ha visto un luogo strano, ultimamente.

Ci va la gente. Non di notte, però.

Così lui può andarci, di notte.

 

E' buio e freddo.

Il vento è sempre tanto.

Cammina sulla sabbia.

Rocce spuntano dal terreno. Grosse, imponenti e lavorate.

 

Ci torna qualche giorno dopo, al crepuscolo. In un momento d'avventatezza.

C'è una donna.

In età, coperta con un mantello scarlatto. 

E' ferma davanti a una pietra. La fissa, per lungo tempo.

 

Naruto non capisce.

 

La donna se ne va', con il capo basso, il passo lento.

Sembra non voler lasciare quel luogo.

 

***

 

"Se vuoi essere libero, questo è lo scotto."

"Ognuno è libero di agire. Di fare il mercante o di continuare il Ludus. Non c'è scotto. La nostra vita è libera."

"No, ognuno è libero di scendere, nessuno di salire."

"Non ha importanza. Non si può salire."

"Perchè pensi di essere migliore degli Agricolae, Sakura?"

Lei lo fissa. Lo fissa negli occhi, che il ragazzo non possiede.

"Lo sono. Ho finito il Ludus, adesso diverrò philosophus. Mi hanno scelta. Ho passato i test. Ho fatto meglio."

Perchè ti ostini a rispondergli, Sakura?

Stai difendendo strenuamente  il tuo castello, ma lui non combatte con la tua logica. Stai attenta, Sakura.

"Che fine ha fatto Tsunade?" domanda Itachi, cambiando completamente discorso.

"Non lo so."

Lei si volta.

"Non ti interessa saperlo?"

"No."

"E' da quando mi ha levato gli occhi che si occupa lei di me. Anche da prima, a dire il vero. Io vorrei saperlo. Mi manca."

"No, nemmeno a te interessa saperlo, in realtà. Non ingannarmi"

"Non pensi si senta sola?"

Sakura si volta verso quello. Lo guarda nuovamente negli occhi: Sakura scivola. "Che intendi dire?"

"Io mi sento solo, quando sto chiuso in cella."

"Siamo tutti soli, Itachi."

"No, quando era con me non era sola. Anche tu non sei sola, adesso. Probabilmente quando parlavi con i tuoi compagni eri sola, ma alcuni di loro non lo erano. No, a molte persone non piace essere sole. A te piace?"

"Non mi piace parlare con te, quindi credo che sia meglio se sto sola."

"Potrebbe avere un senso, piccola Sakura."

Lei si sposta leggermente, continuando nel suo lavoro.

E' un pazzo, Sakura.

E' solo un pazzo.

"Vedi, Sakura."  Itachi si volta verso di lei, come se la fissasse. E' cieco, eppure sa perfettamente dov'è. La scruta, con ogni suo singolo senso. Anche con quelli che ha perso. "Il fatto è che anche io, una volta, sono stato scelto da loro. E io ero bravo. Io ero veramente migliore. Io ero Il Migliore. Ero molto meglio di te, secondo loro."

I due si guardano.

Nella mente di Sakura il contrasto fra fatti e concetti si fa sempre maggiore.

Perchè Itachi è ufficialmente un pazzo, e sono cose che succedono, anche se era un genio. Perchè Itachi parla con lucidità, con eccessiva lucidità. Perchè lei è convinta di essere meglio di Itachi, ma Itachi era meglio di lei.

No, Sakura, No.

No, Sakura, No.

E' un pazzo.

E' la follia a parlare.

Non farti trasportare dalla follia.

E' lei il nemico.

 

 

***

 

"Questo è l'ultimo pasto, Tsunade"

Lei non guarda Jiraya negli occhi da mesi, ormai.

Jiraya inizia a sentire che quel contatto visivo gli manca. Ma sa che è meglio così, perchè mancherà sempre più.

Non ha importanza.

Osserva l'antica amica.

"Domani farai tu la visita a Itachi."

Gioia.

Gioia fredda che serpeggia nelle vene di una donna immobile.

"Grazie."

 

E' l'ultimo atto, Tsunade.

Usalo bene.

 

 

 



E se poi saremo o meno,

sarà decisione di chi in mano avrà avuto il futuro.

 

 

 

 

 

 


[Nota dell'autrice]

eh, mi è ripresa l'ispirazione ^^

meglio.

e, SI', lo so che scrivevo la storia al passato xD questo capitolo l'ho voluto mettere al presente perchè l'idea era quella di tanti flash. Spero aprezziate òo

fra l'altro, spero poi che si sia capito (ma dubito), ho voluto scandire il tempo con gli incontri fra Itachi e Sakura, che si svolgevano ogni mese... ma m sa che era un artifizio parecchio tirato. :P quindi immagino non si noti facilmente, anzi, non si capisca proprio.. xD

grazie ancora a quei folli che si ostinano a seguire 'sta fic delirante. Cribbio, sono due anni e mezzo che la porto avanti. OK, con enooooormi pause, ma dico... due anni e mezzo!

a momenti anchio mi dimentico certi dettagli e devo andare a rivedere cosa avevo descritto xD argh

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** 28 (I sogni d'una foglia bruciata) ***


28. I sogni d'una foglia bru...







28.  I sogni d'una foglia bruciata




Sakura vide camminare lungo il corridoio una donna.
Magra, emaciata, dal volto pallido e scarno. Ogni singolo passo sembrava costarle tutto l'ossigeno che aveva in corpo. Ciò nonostante, camminava con la testa levata, lo sguardo fisso davanti a se', saldo e immobile: come se afferrasse il mondo con quelle pupille minuscole nell'iride ambrata, come se il suo incedere fosse causato non dai suoi muscoli, ma dai suoi occhi.
Poi realizzò.
Realizzò che il suo nome era Tsunade, e che di Tsunade non aveva nulla se non il portamento affaticato e i ricordi delle forme abbondanti.

La ragazzina rimase a osservarla per un tempo che le sembrava infinito.
Osservava quella creatura che pareva essere mossa da un lontano alito di vita, ultima resistenza, ultima persistenza nel mondo prima di scrivere la parola fine.
Pensava.
Oggi dovevo visitare Itachi, pensava.
E la vedeva dirigersi verso l'ambulatorio che soleva usare.
Pensava.
Evidentemente lo faranno fare a lei, oggi, pensava.
E guardava. Guardava fisso quel rimasuglio di donna che si avvicinava alla porta della stanza dove Itachi attendeva. Dove Itachi attendeva lei, Sakura.

Tsunade portò la mano alla maniglia.
Voltandosi lentamente, notò Sakura, in fondo al corridoio.
La osservò.
Lo sguardo diceva: faccio io.
La mente era altrove.

Sarebbe stato tutto normale, per Sakura.
Qualsiasi cosa fosse successa al Ludus, sarebbe stata normale.
Lo sarebbe stato anche il vedere Tsunade, dopo che per mesi era scomparsa nel nulla, aggirarsi per quegli edifici come un fantasma ed andare a visitare Itachi.
Sakura non si sarebbe posta domande. 
Sono cose che succedono. Tutte le cose succedono.
Guardò la donna entrare nello stanzino.
Sakura non si sarebbe posta domande, non si sarebbe mai posta domande, e sempre ciecamente si sarebbe fidata degli eventi.
Ma Itachi?
Itachi no.
E allora Perchè?, le domandava Itachi nella sua mente. Perchè di Tsunade non è rimasto nulla, se non lo spettro d'un ricordo reincarnatosi, effimero, nelle parvenze di quella che una volta era stata una donna?
Perchè quel giorno era tornata a visitare Itachi?, si domandava.
Se lo domandava Sakura, o glielo chiedeva Itachi?
Oh, Itachi glielo avrebbe chiesto.
Come le aveva chiesto che fine avesse fatto Tsunade, come le aveva chiesto perchè si fidava degli eventi.
Ma era di Sakura, quella mente. Era di Sakura, ma Itachi le si infiltrava dentro come uno spiffero di cui non ci si riesce a liberare.
Era lo spiffero a fare quelle domande?
O era Sakura che stava iniziando a porsele sul serio?

La ragazzina scosse il capo. Reimpossessatasi dei propri schemi, della sua solita logica, della sua normale idea di mondo e vita, cercò di mandare via i pensieri che le avevano aleggiato in mente sino ad allora.
No, Sakura, Tu non sei folle. Non sei come Itachi.
E non lo diventerai, no.
Si morse un labbro, strizzò gli occhi, serrò i pugni.
Non ha senso domandarsi perchè.
Non ha alcun senso.






***








Tsunade chiuse dietro di se' la porta dell'ambulatorio. Spalle larghe e mento alto. Immobile.
Itachi sedeva sulla branda. Dava la schiena a Tsunade, ma questo non avrebbe dovuto avere rilevanza, dato che aveva perso gli occhi sei anni prima.

Lui aveva sentito un passo diverso da quello a cui si era abituato negli ultimi tempi.
Sentiva il repiro nell'aria, sentiva un calore lontano, un calore vago e tremulo.
Immobile.
Immobili.
Dovette aspettare molto per poter accettare che i suoi sensi avevano ragione, e che, nonostante i segnali che gli arrivavano fossero diversi da quelli percepiti negli anni passati, c'era una sola persona che poteva essere lì, in quel modo, con quei suoni e quei profumi, alle sue spalle.

"Tsunade."

Un passo avanti.
L'aria si mosse attorno al ragazzo con una parvenza di insicurezza.

Come mai qui?, avrebbe voluto chiedere Itachi.

Ma attese.

"Itachi." sussurrò Tsunade dopo un tempo indefinito ed epocale sulle loro pelli.
"Sì."
Altro mezzo passo avanti della donna, altra aria che si muove, gli odori che vagano, i rumori, il respiro: tutto. Tutto flebile e vago. Tutto prossimo al cedere. Eppure strenuo, eppure tenace, eppure colmo di fissa volontà.
Silenzio.
"Così è questo che ti hanno fatto, Tsunade?" domandò poi il ragazzo.
"No." la sua voce era tenue, apparentemente domata. "No, questo è opera mia. Lo sai come la penso, sugli sprechi."
"Capisco. Ti hanno sollevata."
"Da tutto. Sì."

Lui attese. Attendeva.
Sapeva che c'era una ragione, se Tsunade era lì. Dopo essere stata sollevata dagli incarichi, dopo aver perso la sua posizione di Philosophus.
Tsunade non esisteva più.
Ma era lì. Non avevano importanza le scuse che poteva dare la regio o il Globus riguardo la presenza della donna in quell'ambulatorio.
Tsunade era guidata da qualcosa di preciso.
Qualcosa che a fatica faceva trasparire.
Ma che Itachi era sicuro averle insegnato come si faceva a palesare.

Perchè quella era stata la loro avventura: scoprirsi. Negli anni, nel tempo. Lei debole, lui inutile. 
Lei umana, lui umano.
Mese dopo mese.
Odiandosi, ma insieme.

Il tempo scorreva. Il tempo, ch'era l'ultima cosa rimasta ad Itachi. Il tempo, che il ragazzo sentiva essere contato e finito per Tsunade.

"Ho sbagliato di nuovo, Itachi."
"Come sempre, Tsunade. Come tutti."
"Non ho saputo tenere un figlio della regio incollato alla nostra terra come tutti gli altri."
"E' fuggito, dunque."

Lui sapeva.
Negli anni, aveva sentito e ascoltato.
Sapeva che esisteva. Sapeva che era peggio di lui.
C'era qualcosa.
C'era qualcosa nell'aria.

"Qui... qui qualcosa sembra non funzionare, Itachi. Qui le cose non sono come dovrebbero essere. Non va. Non va, Itachi. Non è mai andata."

Lui si voltò verso la donna, a guardarla, la benda ancora sul volto, e, dietro, le fosse degli occhi, vuote e nere. Itachi la guardava con gli occhi che non aveva, e Tsunade sapeva che nonostante tutto lui ancora vedeva.
Pose una mano sulla branda, il palmo sulla plastica molle.
"Siediti accanto a me, Tsunade."

Stancamente, la donna si sedette accanto al Difetto.
Spalla contro spalla, i due osservavano il muro davanti a loro: chi un modo, e chi nell'altro.
Spalla contro spalla, i due ascoltavano i loro respiri.
Spalla contro spalla.
L'uno la creatura dell'altra. Odiandosi, ma con le anime ignude. Perchè lui era l'errore, e lei era quella che lo aveva commesso. Perchè lui aveva agito con logica, e lei non riusciva a distruggergliela, quella logica.
Lui aveva ucciso, lui aveva cercato una ribellione. Ecco cosa era accaduto.
E uguale con Naruto.

No, diverso.

"Raccontami la storia, Tsunade."
fece Itachi, che da sempre manteneva il suo tono apatico e freddo.
"La sai."
"Tsunade, sai perfettamente che in questo posto nessuno sa veramente niente. Le cose accadono, gli eventi si sovrappongono, in pochi si pongono domande e di loro nessuno ha mai ottenuto risposta."
"Ha ottenuto d'essere dichiarato pazzo", asserì la Philosophus, calando il capo.
"Raccontami la storia, Tsunade."
"Non la conosco, secondo la tua logica."
"Raccontami la Tua storia, Tsunade."




***





E sentiva il suo odore, portato dal vento. Giungeva da dentro un'enorme baracca di fango.
Più si avvicinava, più persone c'erano.
Kyuubi strepitava: lui cercava di non farla vincere. 
Ma adesso che sapeva con cosa aveva a che fare, mantenere il controllo gli era estremamente più facile. E Kyuubi sapeva aspettare, nonostante tutto.
Sempre più fusi, sempre più divisi. I sensi della volpe traspiravano nei suoi. Olfatto, vista, udito di demone.
E la capacità di percepire le essenze degli individui che lo circondavano.

Attorno alla baracca di fango, le entità si facevano sempre più dense: sinchè, di colpo, svanivano.
Al centro di un vuoto apparentemente insensato, un punto. Essenza condensata, inumana, compressa.

Dal Rosso sembrava tutti si mantenessero ad almeno una decina di metri di distanza, probabilmente riparati da almeno una parete.
Un riparo inutile, per quel che ne sapeva Naruto, per quel che Sentiva Naruto.

Protraeva quel nuovo modo di percepire il mondo completamente verso il Rosso.
Quello che non trovava, nella massa concentrata di anima demoniaca, era l'anima umana.

Impossibile, pensava Naruto.
Il Rosso DOVEVA essere umano.

Kyuubi pareva compiaciuta.



***



Giocare con l'incredibile potere delle possibilità.
Questo era stato il lavoro di Tsunade.
Questa era stata la vita di Tsunade.

Con voce atona e sguardo senza fuoco, sembrava raccontasse la sinossi di un copione che non la interessava.



Che i bambini fossero un potenziale pronto da sfruttare, la Regio lo aveva saputo da sempre.
Da sempre esisteva il Ludus, da sempre esistevano le scholae.
Anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, perpetuamente ed instancabilmente, le nuove generazioni venivano allevate per poter essere sempre migliori.
I migliori allevavano bambini pronti ad essere migliori di loro, e questo generava Progresso.
Il progresso sembrava una cosa di cui non potevano fare a meno. Il progresso era sempre stato presente, tanto che la staticità della conoscenza e delle tecnologie non era contemplata.

Nel totale paradosso, mentre ogni singolo elemento di quella società rimaneva statico, tutto progrediva. Il progresso era talmente radicato da far sì che la sua eterna presenza lo rendesse un elemento statico.

Lei sapeva, come tutti, aveva sempre saputo: in quanto Philosophus era suo compito perpetuare quest'eterno miglioramento.
E forse il suo errore fu quello di trovare il modo per accelerare lo stesso progredire del progresso.

Tsunade era divenuta una levatrice senza avere mai avuto una gravidanza, ne il titolo di Mater.
C'erano donne e uomini che venivano scelti per esserlo: Mater et Pater, coppia, copula, figlio. Figlio della Regio, ovviamente.

Lei non era di quelli: ma lei aveva trovato il modo di agire in maniera ancora migliore.
Se per ottenere nuovi individui si suoleva far sì che fossero i migliori a generarli, Tsunade aveva trovato il modo di migliorare gli individui stessi.
Anni di ricerca derivati da un'idea improbabile la portarono a Itachi.

Lui fu il primo.

Grazie ai suoi geni a alle ricerche della Philosophus, era riuscita ad ottenere degli occhi capaci di vedere ben oltre il mondo sino ad allora conosciuto.
Forse fu questo il suo problema.

Itachi era sveglio, mostruosamente intelligente, altrettanto devoto alla Regio.





"Non fu quello che vidi a farmi agire come agii, Tsunade" disse Itachi, sollevando il capo, mentre Tsunade parlava.
"Cosa fu, allora." domandò lei, atona.
I due sedevano ancora spalla contro spalla. Lei sentì un leggero movimento nei muscoli di Itachi: sembrava si fosse ritirato, chiudendosi in maniera impercettibile.
"Fu non trovare un motivo valido, un motivo degno per usare quegli occhi, mentre tutto lasciava intuire che fosse talmente ovvio da non doverci pensare."
Tsunade tacque.
"Vai avanti, Tsunade"
Ma per qualche altro minuto, la donna rimase silente.







Con il passare degli anni, Itachi si chiuse sempre più.
Kakashi, che era stato nominato da Tsunade stessa suo tutore, se ne prese cura in maniera quasi eccessiva. 
Il ragazzino cresceva, incredibilmente brillante e dotato, ma sempre più silenzioso: lo preoccupava.
Era una macchina da guerra, un assassino preciso e silente che sin dal primo momento in cui mise piede sul fronte non fece che far ottenere vittorie su vittorie. 
Il Summus Globus non lo poteva ignorare.
Ne voleva altri.
Ne pretendeva altri. 
E Tsunade tornò al lavoro.

Come Itachi avesse fatto a sapere che la sua creatrice era tornata alla carica, nessuno lo capì. 
Kakashi le aveva detto qualche mese prima che temeva seriamente il ragazzino potesse suicidarsi. La regio non poteva permetterselo, Tsunade per prima. 
Ma quando parve iniziare a riprendersi, lei pensò ad un falso allarme. Non riusciva a capacitarsi di come un elemento incredibilmente perfetto come quello potesse essere caduto in depressione. Non lo concepiva. 
Ma ora Itachi aveva ricominciato a camminare con il busto ben eretto e la testa alta. Il volto non sembrava più poter essere infelice, non c'era segno di frustrazione. 
Una fredda decisione traspariva dalla sua persona.
La fredda decisione che si aspettavano da un ragazzino capace di uccidere schiere di nemici senza battere ciglio e con disumana precisione.

Qualche giorno dopo sparì.
Lo ritrovarono nella sua casa natale, dopo dodici ore di ricerca.
Seduto pacificamente sui talloni, in mezzo ad una stanza imbrattata di sangue, osservava in religioso silenzio i cadaveri dei propri genitori. 
Le iridi rosse, le mani congiunte in grembo, la determinazione fredda e rilassata in volto.





La voce di Tsunade si era incrinata.
Ricordare l'evento che le aveva fatto capire di aver sbagliato la distruggeva ancora. Una volta era una questione d'onore, ma adesso Itachi sentiva il suo crollo psicologico.
Sentiva quanto lo sbagliare le gravasse. Quanto aver rovinato due vite iniziava ad essere un peso.
Non avrebbe dovuto esserlo. Ma lo era. Ormai lo era.
"'Come ti ho fatto, ti disfo', dicesti allora."
"E tu non mutasti espressione."
"Avevo già esaurito le mie lacrime, Tsunade."
Lei si voltò lentamente. Una parte della storia le era nuova, dunque.
"Non ho mai saputo cosa accadde."
Lui espirò. Dialogo fra apatici.
"Dissi loro cosa volevi fare a Sasuke. Cosa mi avevi fatto. Volevo che proteggessero mio fratello. Non potevo permettere che qualcun altro soffrisse come me, che si ritrovasse con milioni di aspettative sulle spalle, con infiniti poteri, e finisse con il non trovare un degno movente per il loro uso. Deludendo la Regio, deludendo se stesso, rimanendo deluso per la sua incapacità di servire la Regio e di seguire una strada. Litigai con loro, perchè erano d'accordo con i nuovi trattamenti, perchè non avevano alcun potere sul figlio ne' volevano averlo. Degli ignavi, ecco cosa erano. Loro rispondevano con calma e devozione alle mie domande furenti. Piansi tutto il dolore e la sterilità del mio animo che avevo patito negli anni. Non si mossero. Erano una Mater e un Pater qualsiasi, dopotutto. Perchè sono tutti così. Sono tutti uguali. E io mi resi conto che ero il primo ad essere drasticamente diverso. Li uccisi in uno scatto di rabbia. Una cosa che so nessuno si sarebbe mai aspettato da me: io per primo. Ma poi compresi di aver fatto la cosa giusta. Perchè erano solo un Pater e una Mater. Come i nemici che uccidevo erano solo nemici. Tutti uguali. Tutti dannatamente uguali. 
Tsunade, il mio gesto era diveso.
Con il mio gesto sentii di avere la possibilità di incrinare il sistema, di cambiare le cose, di distruggere tutto quello che aveva condotto a me, alla mia esistenza e al mio dolore vuoto. In quel momento provavo odio verso la regio, verso il sistema, e verso gli abitanti della regio e i servi del sistema: quindi mi trovai molto soddisfatto."
Tsunade tacque, a lungo. 
Assorbì lentamente i dettagli mancanti, sullo stato di Itachi e sul corso degli eventi.
Infine parlò, levando leggermente il capo.
"Naruto è diverso. Anche da te. Lui ama la Regio."





La Ventii Regio rispose alle prodezze di Itachi con il Rosso.
Nessuno lo vide in azione sino al giorno in cui sia lui che Naruto si ritrovarono sul campo di battaglia, ma Tsunade e altri Philosophi sapevano della sua esistenza da molto prima.
Sapevano che avevano fatto nascere un demone dal ventre di una donna: era evidente che la cosa aveva a che fare con gli spiriti che solcavano le terre non colonizzate dagli esseri umani.
Catturare Kyuubi fu una delle più incredibili imprese, a partire dal fatto che l'esistenza di quegli esseri era poco nota, ed anzi, tutta da provare. I più antichi ed inaccessibili testi ne parlavano, sicchè solo i più vicini al globus ne conoscevano la teorica esistenza.
Trovare la volpe a nove code fu sorprendente, ma affatto sconvolgente. D'altronde, qualcuno ne aveva scritto, quindi doveva averli visti.  E quei territori non erano mai stati visitati negli ultimi secoli. 
Dunque poteva avere un senso: non c'era spazio per le leggende, nell'Ignis Regio.
Se i bianchi fecero nascere un demone dal ventre di una donna, loro, i neri, misero il demone direttamente nel ventre di un bambino.

Nel mentre, Kakashi si era fatto impiantare uno degli occhi di Itachi per capire se era stato effettivamente quello che vedeva a renderlo così. Egli aveva percepito la sua sofferenza incredibilmente da vicino, e non voleva il bis: se Tsunade voleva giocare con Sasuke, prima doveva essere sicura di cosa stava facendo. 
Ma l'occhio di Itachi non sembrava dare nessun problema.
E ormai non era più questione di cosa voleva fare Tsunade: il Summus Globus guardava con incredibilmente vivo interessa alle sperimentazioni.
Lei iniziò ad agire sotto pressioni sempre maggiori, il globus definiva gli obiettivi delle sue ricerche, ed oramai era lui a guidare il gioco.
Grazie all'aiuto di Kakashi, lei riuscì a sistemare la sua tecnologia, e, oltre a far ottenere degli occhi migliori di quelli del fratello a Sasuke, sviluppò altri tipi di mutazioni capaci di adattarsi a particolari tipi di genoma.
Per lei fu incredibile vedere quella potenzialità di talenti prendere vita.

A Naruto impiantarono Kyuubi. In lui avevano trovato le caratteristiche psicologiche e fisiche adatte a contenere il demone: Tsunade rimase quasi sorpresa dall'essere riuscita a trovare relativamente presto un corpo in cui impiantare il demone imprigionato.
E la cosa sorprendente era che quel corpo funzionava molto meglio dei loro contenitori artificiali.

Non sapeva come sarebbe cresciuto il ragazzino.
Quando lo vide bocciato rimase allibita.
E altrettanto la sorprese vedere come continuava strenuamente, e come sembrava quasi drogato dalle punizioni corporali.
Non era il primo, forse.
Ma andava tenuto d'occhio.

Sia lui che Sasuke, i due portatori più a rischio, non avevano potuto avere la cerimonia del passaggio a causa della mancanza dei genitori.
Ambedue orfani. Nulla di troppo raro, eppure una coincidenza spiacevole.
Passare ufficialmente al Ludus con la benedizione di Mater e Pater significava essere fermamente sicuri di cosa si stava facendo, e di cosa si stava per affrontare. E soprattutto, dava sicurezza.

Sasuke e Naruto parevano sicuri, nonostante tutto.
Anche più sicuri degli altri.

Sinchè Naruto non iniziò a fare idiozie eccessive, e, una volta aggredito un Magistro, fece prendere paura a Tsunade.
Improvvisamente sentiva che poteva essere come Itachi. Non ci aveva pensato. 
Ma il rischio che avevano appena corso era stato troppo grande.

Così, per la prima volta nella storia della regio, diedero il laniatus a uno di loro.
Naruto fu rimesso in riga.
Tsunade si tranquillizò.




"Ma quando Kyuubi prese il sopravvento su di lui, qualcosa deve essere cambiato. Non so cosa. Non so leggere nella mente dei ragazzini con i demoni impiantati in corpo."
Itachi aveva ascoltato.
Annuito.
Assorbito.
Ponderato.
"L'insicurezza deve essere stata ciò che lo ha fatto scappare."
Itachi si voltò verso Tsunade.
"Ho sbagliato di nuovo, Itachi. Mi dispiace."
Lenta, una lacrima iniziò a scendere sul volto rugoso ed emaciato della donna.
"Ho fatto soffrire un altro ragazzino, e adesso è lì fuori - solo, perso, e con un demone in corpo. Lo uccideranno, e forse non ci riusciranno nemmeno." lentamente, si sciolse. Tsunade cadde sulla spalla del Difetto, piangendo. Piangeva la disperazione, il terrore e la sensazione d'essere perso che aveva letto in Naruto. E non poteva farci niente. Se non ammettere che qualcosa non andava.
"Mi dispiace, Itachi. Mi dispiace."
Lui le mise una mano sul capo, stringendola leggermente a se'.
"Cosa devo fare, Itachi? Cosa posso fare? Così non va. Le cose mi stanno sfuggendo di mano. Sta tutto perdendo senso, questo mondo sta perdendo senso..."
"E' il volto di quel ragazzino che ti fa parlare così. Adesso sai, adesso capisci. Adesso comprendi." rispose lui. Le si avvicinò all'orecchio, sussurrando, in un tono improvvisamente dolce. 
"Piangi, amica mia." le disse, in un soffio. "Piangi il nostro dolore. Piangi il tuo dolore. Esso è il dolore della regio, è il dolore di qualcosa che sta perdendo il passo con se' stesso. Sii persa come noi, sii persa come me. 
Adesso che ci siamo persi, potremo trovarci. E dare un senso nuovo a questo teatrino di mondo."











[Nota dell'autrice]
BHe, non so voi, ma io mi sono commossa nello scriverlo. sono assolutamente basita dal fatto che sono arrivata a questo capitolo. Lo volevo scrivere da tantissimo tempo. Insomma, è uno dei pezzi centrali. Adesso dovreste aver capito dove voglio andare a parare. Forse è troppo filosofico, forse troppo moralista, forse addirittura ingenuo e trito e ritrito come concetto. Ma vabè.
Spero di aver reso bene quella che era nella mia mente la situazione, e spero vi piaccia questa caratterizzazione dei personaggi. Questo capitolo è un leggero frammento della mia anima :)

Nau! un po' di nuMMeri.  xDD
più di 3000 folli che hanno aperto il primo capitolo e oltre 100 viste all'ultimo, il meno visitato.
Calcolando le visite farlocche, doppie, spastiche eccetera, posso sentirmi di dire che ci sono sull'ordine delle 40/50 persone che si sono lette TUTTA 'sta finfic. 
... Uao. E' un numero INCREDIBILE. Non è che io voglia vantarmi, assolitamente. Voglio piuttosto ringraziare immensamente queste persone che hanno avuto il coraggio di spararsi tutta questa storia sino ad ora, e spero continueranno. La mia e' una fic complessata, cugnosa, spesso dura, e so che anime frivole non la leggono volentieri, so che non è una storia facile e spesso è troppo contorta anche per me. Vi ringrazio immensamente per averla letta, sono molto felice. Veramente.
Inoltre un particolare ringraziamento a GreedFan che mi ha lasciato una recensione... oserei dire Eccessiva, che mi ha lasciata allibita, rasserenata, e un po' perplessa. Sono felice che tu abbia gradito così tanto il mio lavoro, e ci tengo a dire che con un commento così articolato, strutturato e con tale proprietà di linguaggio non avevo mai e poi mai pensato che tu avessi 'solo' 13 anni. Quindi complimenti, credo tu sia moto più matura di quello che pensi di essere. Non crucciarti troppo sulla tua età, a questi livelli penso sia un mero dettaglio.
Grazie ai miei recensori più o meno fissi e ai nuovi (darkshin, thefrozencolor, beast e tanti altri), grazie a quei 31 che si sono messi la storia fra le preferite e soprattutto OMMIODDIOSONOCOMMOSSAGRAZIENONMELOMERITO a rekichan che ha segnalato questa fic per le storie scelte del fandom.

Ci vediamo al prossimo capitolo :) la fine si avvicina, ma non è ancora incombente.




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Capitolo 30
*** 29 (Presa di coscienza) ***


29. Del dono che non concessero





Prese un paio di respiri profondi, socchiudendo gli occhi.
Con il telo bianco calato sul volto, solo quelli erano visibili loro. Occhi azzurri, occhi freddi - nulla a che vedere con il caldo che da mesi pareva tostarlo senza tregua.
Strinse le labbra, le narici allargate in un movimento puramente involontario.
E poi andò.




29. Presa di coscienza

Sia una molecola.
Sia un'altra, e poi un'altra ancora.
Siano esse sole
siano esse vaghe
siano sospese in un nulla denso di polvere.

Basta una scintilla:

é così che iniziò la pioggia.



Sasuke serrò le braccia al petto, storgendo le labbra.
"Non lo riprenderemo mai, così." fece, verso Kakashi.
Quello si strinse nelle spalle, calando lo sguardo asimmetrico. "Suppongo sia il caso di lasciar perdere. Al punto in cui siamo, il primo che lo trova è il primo che lo uccide."
Sasuke aggrottò impercettibilmente le sopracciglia. "Avevamo parlato di trovarlo, non di ucciderlo." asserì, vagamente sorpreso nel suo tono eternamente atono. "Non sapevo si potessero uccidere i figli della propria Regio."
"Sono molte le cose che non sai." Si limitò a dire Kakashi, sebbene vagamente scosso dal commento di Sasuke. A lui non doveva importare, cosa ne facessero di Naruto.
Certo, i due erano legati. Praticamente li avevano legati loro.
Ma molti altri Custodes, negli anni e nei secoli precedenti, erano stati legati. Anche Tsunade e Jiraya: e non un commento simile era uscito dalle loro labbra. Non sino alla vera adultità, per lo meno. Sasuke era uno studente bravo, un ottimo custos, un guerriero che aveva fatto già molta strada in pochi mesi all'interno dell'esercito. Ma rimaneva ancora un bambino.
Doveva ancora crescere. Doveva ancora essere istruito. Doveva ancora essere formato.
Non doveva fare commenti del genere.
Il Rector fissò il dodicenne - quasi tredicenne, ormai -, perplesso. "Le spie che abbiamo nella ventii regio non riescono ad ottenere informazioni su di lui. Dunque, probabilmente nemmeno loro sanno che è giunto nei loro territori. Hanno il Rosso, ma non hanno voi" asserì, con un cenno del capo verso Sasuke. "Avete fatto un ottimo lavoro. Adesso basta. L'esercito vi chiama."
Sasuke annuì lievemente.
Aveva visto cosa faceva il Rosso. Aveva visto cosa facevano Kiba, Shino, Hinata ed altri - cosa faceva lui stesso: ed era abbastanza intelligente da capire che le generazioni precedenti non erano capaci di tali cose.
Anzi, poteva dire che li avevano testati sul campo, negli ultimi mesi.
Ma Sasuke sapeva anche cosa faceva Naruto.
E ormai la cosa era degenerata troppo per non pensare che Loro sapessero Esattamente cosa lo faceva agire così. 
E poco mancava ad ammettere che la sua fuga e la sua scorribanda nella Ventii Regio fossero collegate al Rosso stesso. Sembrava ricalcare le azioni che gli aveva visto fare un campo di battaglia, quando lo aveva visto correre, immune a qualsiasi nemico gli si parasse davanti, verso quell'essere indemoniato. Solo che adesso Naruto sembrava stare agendo con una tattica, con giudizio, con attenzione. 
Come un vero Custos.
"Sta andando dal Rosso." disse il ragazzino, infine.
Kakashi levò le sopracciglia, scrutando il guerriero in crescita.
"Mi spiace, Sasuke, ma anche se fosse ne sei definitivamente fuori." concluse il Rector, voltandogli le spalle per allontanarsi.

Sasuke rimase fermo, a contemplare il suo stesso verbo.
Alla fine, si era risposto da solo.
E se si era risposto, si era anche posto la domanda.
Perchè.



***

Ci aveva messo mesi per avvicinarsi. Per fare in modo che la gente non lo notasse.
Per confondersi.
La baracca, dove sentiva si trovava il Rosso, era a poche spanne da lui.
Ma non poteva ancora entrarci.

Doveva nascondersi, ma in piena vista. 
L'unico modo per non essere notato era farsi notare.
Non fuggire mai, non scomparire, non essere discontinuo. Non avere un atteggiamento sospetto, ma essere sfacciatamente presente, come una persona che c'è sempre stata ma di cui non si ricorda nessuno, in quanto irrilevante.
Ma della quale presenza, di conseguenza, nessuno si cura.

Era difficile.
Era dannatamente difficile.
I sensi che Kyuubi gli aveva prestato stavano rivelandosi fondamentali.
E la cosa lo infastidiva leggermente.

"Ma tu non dipendi da me, piccolo mio."
Naruto storse la bocca alle parole di Kyuubi, che eccheggiavano nella sua mente.
"Semmai il contrario."



***


Il Globus sedeva, nella sua interezza, davanti a loro.
La stanza era bianca. Bianca da morire.
Kakashi e Jiraya mantenevano uno sguardo fuori fuoco, così da non guardare nessuno di loro direttamente negli occhi. Sull'attenti, attendevano.
Pura formalità.
"Dobbiamo notificarvi il decesso di Tsunade." disse uno dei componenti del Globus, dalla voce roca e priva di qualunque dispiacere.
Kakashi e Jiraya socchiudero gli occhi, annuendo lievemente.
Ma non era stata altro che una conferma.
"Speriamo che ella abbia assolto al suo dovere in maniera sufficiente, senza portarsi con se', nell'inesistenza, informazioni a noi utili."
Figurati se lo faceva - pensò Jiraya, con una punta di disprezzo nei confronti dei personaggi che sedevano di fronte a lui.
Non una ruga gli si mosse in volto.
"Per quanto riguarda il soggetto in questione, 'Naruto', alla luce degli ultimi eventi sospendiamo le ricerche."
Kakashi andò a scrutare l'uomo.
"Vi domando perdono, Sommi, ma l'unica cosa che siamo riusciti a capire sin'ora è che si trova nella città principale della Ventii Regio - e che i suoi abitanti non lo sanno."
"O che non abbiamo sufficienti mezzi per ottenere più informazioni." fece l'uomo, come per correggerlo.
Kakashi annuì.
"Dobbiamo prendere atto di ciò." continuò il sommo, "D'altronde, un soggetto del genere verrà presto allo scoperto. Ed in tal caso, ci penseranno i Bianchi ad eliminarlo."
"Questo rischierà seriamente di compromettere gli accordi commerciali con la Ventii Regio, Sommo." Commentò Jiraya, torvo. "Specialmente se si rendono conto che Naruto era nostro."
Il Philosophus accanto a quello che stava parlando deglutì, portando meccanicamente lo sguardo sull'uomo dai lunghi capelli bianchi. "Spero che non stia dubitando dei nostri ambasciatori, Jiraya." asserì, tagliente. "Non sarebbe cosa che vi compete."
Jiraya chinò il capo, socchiudendo gli occhi. "Domando scusa, Sommo."
"La questione non vi riguarda più. Tornate ai vostri incarichi precedenti. Ciò che avviene d'ora in poi sarà cruccio d'altri."


***


Kankuro sedeva al muro, lo sguardo puntato verso il centro della stanza, dove una figura vitrea ed effimera sostava in piedi. Lontana. Almeno una decina di metri da lui.
Era sempre così, quando tornava dal fronte. Doveva fare il turno di guardia.
Controllare che il Rosso non desse di matto.

Non lo aveva mai fatto, a dire il vero.

Ma nessuno aveva il coraggio di lasciare il Rosso incustodito.

Il ragazzino smunto, avvolto nella sua sottospecie di tunica di seta, osservava il muro di fango. Senza alcun interesse, pensava Kankuro. 
Ed era vero.

Perchè il Rosso non guardava. Ascoltava.
E immobile, da giorni, da mesi, il Rosso aspettava.


***


La ragazzina mosse dei passi insicuri dentro l'ambulatorio.
Itachi le dava le spalle.
Lei chiuse la porta dietro di se'. E quello non si mosse.
"... Itachi" chiamò lei, non notando alcuna reazione.
Itachi rimase immobile. Con difficoltà Sakura riusciva a vederne i movimenti della respirazione. Statuario, solido, rigido - quasi artificiale.
L'esatto opposto di tutto ciò, in realtà.

Annegarono nel silenzio.


***


Poc.

Un piccolo, impercepibile, vago e lontano Poc ovattato.
Solamente Poc.

E Kankuro scivolò dolcemente dalla sua sedia di legno, afflosciandosi sul terreno polveroso.


***


"Sto attendendo, Sakura" disse infine Itachi, dopo che il tempo trascorso nel mutismo era divenuto incalcolabile.
"Cosa?" 
"Che tu me lo chieda."


***


Il Rosso si voltò lentamente verso la figura priva di sensi, lasciando scivolare gli occhi, neri d'insonnia e denutrizione, sull'essere accanto Kankuro.
Naruto lo fissava. 
Le iridi scarlatte avevano preso il sopravvento su di lui, che aveva sentito la pupilla stirarsi alla ricerca della verticalità. La sola vicinanza con il Rosso aveva portato la volpe a fremere tanto da invaderlo - tanto da iniziare a forzare le catene con cui lui la relegava dentro di se'.
Il biondino si tolse il telo bianco dal volto, fremente a sua volta. Lo sguardo del custos sembrava voler catturare il Rosso. 
Agitato. Forse emozionato.
In larga parte terrorizzato.
Ma soprattutto disastrosamente soddisfatto di avere il Rosso davanti a se'. Di avere il suo sguardo puntato addosso, di vederne i lineamenti vaghi e smunti.
Quello che lo lasciava atterrito, era che il Rosso rimaneva assolutamente immobile.

Kyuubi e Shukaku si fiutavano goduriosi.
Più calava la distanza fra i due piccoli, fragili esseri umani, più la loro forza accresceva.
Non che si auto alimentassero l'un l'altro, no. 
Volevano solo combattersi. Non per beghe, non per vendetta, non per antichi odi - nulla di così umano. 
Erano due demoni.
Volevano solo combattere. 
Nulla di più naturale.

Il Rosso espirò.
Naruto non capiva cosa lo trattenesse dal saltargli addosso. Lui, fra gli impulsi della volpe e i suoi, stentava a trattenersi.
Ma voleva parlargli, quella era l'idea: solo, non pensava che fosse così facile.
"Suppongo di doverti uccidere." - disse il Rosso, dal nulla.
Era una voce infantile, priva di qualsiasi interesse verso le proprie parole. Lo osservava quasi incuriosito, come un neonato scruta un giocattolo sopra la sua testa. Ma senza altra emozione, senza una piega sul volto stirato sul teschio aguzzo.
"Sono qui per parlare con te." riuscì a esalare Naruto, cercando di soffocare la voglia di squarciare a metà il ventre del Rosso, con gli artigli, neri e aguzzi, che gli stavano crescendo alle mani.
Iniziò a sentire le gote bruciare, e dentro di se' combatteva ferocemente contro una volpe vinta dai suoi stessi istinti, intenta a cercare libertà.
"Io non parlo" rispose con naturalezza il Rosso, come se la stessa eventualità del poter imbastire un discorso non rientrasse nelle sue possibilità. Guardava il biondo stranito, senza comprendere perchè gli fosse stata fatta una richiesta del genere. "Rimane che dovrò ucciderti".
Naruto lo vide alzare il mento, e quel tanto bastò, data l'iniziale immobilità del Rosso, a fargli partire una scarica di adrenalina in corpo.
Kyuubi se ne nutrì avida, dimenandosi e contorcendosi in lui.
I canini di Naruto si affilavano sempre più.
"Tu sei come me, Rosso." ringhiò sommessamente, cercando di trattenersi, incapace di farlo.
Aveva dunque sottovalutato così tanto la situazione?
"Voglio sapere perchè." cercò di concludere, mentre gli si accresceva il fiato.
Davanti a lui, il Rosso era una figura come morta. Non un gesto, non una reazione. Oltre alla volontà bellicosa di Kyuubi, in lui iniziò a insorgere un fastidio lontano, dettato dal fatto che il Rosso pareva sapersi controllare molto meglio di lui.
"Ma io non sono -" fece quello, muovendo improvvisamente un passo, felpato, verso di lui.
Naruto ritrasse la testa, impaurito dalla stessa mancanza di paura dell'altro.
" - dunque non sono come nessuno. Non sono come te. Non sono e basta."
Una mano, scheletrica, diafana, si levò di scatto davanti al voto del Rosso: lo sguardo fisso e stranito sul biondo.

Naruto venne improvvisamente circondato da sabbia.



***

"Non te lo chiederò, Itachi."
Lui rimase lì, con le spalle verso la ragazzina. "Io so che me lo chiederai, Sakura. Perchè non ti sei avvicinata a me. Perchè stai attendendo. Senza fare nulla. E io attendo, assieme a te."
Lei si morse un labbro, inspirando.


***


L'enorme baracca di fango, dove da sempre era stato relegato il Rosso, esplose.
Un turbinìo di sabbia e vento sferzante spianò l'area circostante, portando con se' il boato della costruzione che si accasciava sulle inesistenti fondamenta. Sembrò giungere una vampata di calore, accompagnata da un sibilìo ed infine un ruggito profondo.

Kankuro riprese i sensi di colpo, appena in tempo per vedere il soffitto di paglia e fango crollargli in testa. Si ranicchiò, cercando di proteggersi con le braccia, mentre la prigione del Rosso gli franava attorno.
Quando smise, e rimase solamente un vento continuo e sabbioso a spazzargli la testa, socchiuse gli occhi per comprendere cos'era successo.
Davanti a lui, vide Gaara e la testa dorata guardarsi: due sguardi indemoniati, due bestie a confronto, che nella loro folle guerriglia avevano raso al suolo la costruzione - senza nemmeno sfiorarsi.
"Come... diamine... ha fatto?" 
Cercò di rimettersi in piedi, dondolando sotto l'effetto delle due enormi energie che gli si scontravano davanti, a pochi metri, a pochi passi.
Vide la bestia del fuoco voltarsi leggermente verso di lui. Avvolto da una fluttuante sostanza rossastra, il muso deformato da tratti animali e le gote solcate da triangoli di carne bruciata, il biondino era immobile.
Di fronte a lui, il Rosso era proteso verso avanti, il corpo ingrossato e giallastro. Più cercava di metterlo a fuoco, più si rendeva conto che solo ora traspariva da lui il vero concetto di Bestia.

Shukaku stava prendendo il controllo.
Si stava invigorendo, si stava espandendo. Gaara di certo non l'avrebbe fermato.
Naruto, invece, adirato e furioso, combatteva Kyuubi con ogni sua forza.
Niente più galleggiare, niente più incoscienza.
La volpe poteva avere un istante ripreso il suo corpo, ma lui non demordeva.

"NON ERANO QUESTI I PATTI!"
Urlava il biondino, dentro di se', cercando di riprendersi muscoli e nervi.
"Mi spiace, piccolo mio, è più forte di me - è la mia natura. Non puoi vincere la natura."
"AVEVAMO UN UN ACCORDO! MANTIENILO, DEMONE!"
Naruto annaspava, affogava, riemergeva, e dolorosamente ricercava il suo corpo - le sue dita, il suo volto, le sue gambe.

Kankuro mosse mezzo passo verso i due: un'idea sfacciata, poco furba, decisamente suicida.
Il biondino voltò di scatto il tronco verso di lui, seguito solo dopo dalla testa, che assieme alle braccia venne lanciata in quella direzione. In un solo istante, con quel movimento apparentemente disarticolato e molle, a mo' di frusta, qualcosa di incandescente, bruciante e rosso si avventò sul ragazzo, scaraventandolo lontano.
Cadde a molti metri di distanza. Quando atterrò, con violenza, rimase immobile.
Ma ancora cosciente.
Un ringhio gutturale e profondo scuoteva il terreno.

"NO!"

Naruto riuscì a tendere i muscoli delle dita, contraendo improvvisamente le mani.

"Piccolo mio, non è un tuo compagno. Cosa ti importa?"
"Non sono qui per far guerra! Non sono qui per uccidere!"
"Ti avrebbe ucciso lui, se non lo avessi fermato."

Serrò la mascella.

"Non si sarebbe nemmeno potuto avvicinare, stupido demone!"
Kyuubi gli fu addosso, le zanne serrate al collo, pronta a recidergli la giugulare. Con gli occhi scarlatti osservava adirata il ragazzino. 
"Hai ucciso metà dei suoi compagni solo qualche mese fa. Perchè adesso ti curi di lui?"
Naruto la fissò negli occhi rabbiosi.
Non c'era verso.
Avrebbero lottato per sempre, fintanto che lei sarebbe rimasta rinchiusa nei suo corpo.
Ma non era più succube, questo lo sapeva.
Per quanto gli potesse costare, per quanto gli sembrava di rischiare la vita ogni volta che sfidava quella bestia, continuò a protestare, a ribellarsi, a imporre la sua autorità.
"TU hai ucciso la sua gente. IO stavo proteggendo i MIEI FRATELLI."
E se combattere un demone rinchiuso nel proprio corpo significava cercare la morte - tanto meglio.
Non avrebbe permesso a Kyuubi di vivere a sue spese.
Sarebbero morti tutti e due, piuttosto.
O l'avrebbe liberata.
O qualunque cosa potesse succedere alla sua morte.
Ma no - non le permetteva di toccare il suo corpo senza il suo consenso.

Il Rosso veniva intanto rimpiazzato dalle fattezze di Shukaku, demone tasso, che languido si impossessava di quel corpo avizzito e spento.

Kyuubi scrutò Naruto.
Lentamente si ritrasse, mentre le catene che la stringevano si rinsaldavano.
Non disse niente. Sembrò acquattarsi, mogia, le lunghe orecchie abbassate.

Naruto tornò a percepire tutti i suoi muscoli.
Sentiva le zanne, gli artigli - sentiva gli occhi bruciare, le labbra tirate, il sangue colare dai solchi sul suo volto.
Sentiva ogni fascio cento, mille volte più di prima.
Sentiva quella forza inumana fluttuargli nel corpo e insinuarglisi nelle ossa, pronta a fornirgli un'energia mai vissuta.
Cosciente, potente - scrutò il Rosso che diveniva Shukaku davanti ai sui occhi.
E per la prima volta apprezzò la potenza di Kyuubi.


Morirai fra stenti,
o stella del cielo,
morirai sgomenta,
distrutta,
dilaniata e lacerata

nel dolore più puro

ma dopo aver brillato 
per miliardi di anni.









[Nota dell'autrice]
Augh! son qui, son qui ^^
Spero che come volgano le cose vi piaccia :3 
Devo dire che dopo aver scritto questo capitolo ho capito perchè il Naruto di Kishimoto è così restìo a usare i poteri della volpe... non so se ve l'ho mai detto, ma queste parti tendono a scriversi da sole - io mi limito a riportare :P E, in effetti, avere Kyuubi in corpo è veramente una cosa orribile.

Spero abbiate apprezzato l'inversione di ruoli di Sasuke e Naruto: qui è il biondino ad essere fuggito, e l'Uchiha a cercarlo. L'idea era di farli arrivare a questa situazione cercando di non toccare troppo il carattere, ma tramite 'una serie di sfortunati eventi'. Sasuke, d'altronde, non conoscendo Itachi non ha motivo di essere incazzato con la Regio (o il villaggio della foglia, che dir si voglia): semmai è perplesso e stranito dalla scomparsa improvvisa dei genitori, ed essendo rimasto solo, senza alcuna benedizione da parte del parentado, ha dovuto imporsi lo stesso una certa disciplina e freddezza per poter sopravvivere al Ludus. E' inoltre parecchio intelligente, ha avuto a che fare con Naruto, ha ancora l'eco di 'tuo fratello ha ucciso i tuoi genitori' nella testa e quindi è propenso a cercare cose che non tornano, ad analizzare le situazioni, e ha una certa propensione verso la ricerca della verità. Questo spero si sia visto abbastanza in questo capitolo e un po' in quelli passati.
Naruto, invece, incapace di vedere riscontri positivi nel suo essere jinchuurichi, è entrato in conflitto con le istituzioni e alla fine ha fatto quel che ha fatto, cercando inizialmente il suicidio e poi dovendo mediare un'esistenza con la volpe - che sta ancora costruendo, come si vede.

Gaara è invece un mistero :P 
il mio Gaara è il primo Gaara di Kishimoto e rimarrà tale, a causa di forze maggiori.
Naruto non ha di sicuro un bel futuro felice e ricco di amici da promettergli, quindi lo scatto che ha fatto cambiare Gaara nel manga qui non può esserci.

Vabè.
Spero che quello che volevo fare sia riuscito, almeno in parte.


Grazie alle due che mi han recensita il capitolo passato, e soprattutto grazie per quello che avete detto :) sono felice che questa storia continui a piacere così tanto. Magari non ho quelle 30 recensioni a capitolo che hanno certe fic, però, diavolo, le vostre recensioni valgono cento "WOOOWFHEFFIGOBRAVACONTINUACOSI'TVTTTTBBBBBB". Vi adoro :)

Ultima cosa: di dovere, penso, dopo tutto 'sto tempo, vorrei ringraziare chi mi segue ^^ ecco l'elenco dei folli:

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Capitolo 31
*** 30 (Il dono che non concessero) ***


30. Il dono che non concessero




30. Il dono che non concessero



Ma no.
Lui non era.

Perchè lui non poteva essere.
Ne' Gaara.
Ne' il Rosso.
Ne' Sabbia.

Era sono una funzione.
Un vettore.
Un metodo.
Un mezzo.

L'inutile e trascurabile intermediario.


Di sabbia.


Andava benissimo così.
                                              [estratto dal capitolo 15 - De adulescentia.]






Gli artigli nerastri di Naruto cozzarono contro la pelle del Rosso.
Roccia. Terra. Sabbia compressata.
Quello oscillò vagamente sotto il colpo, e con un movimento di spalle scacciò via il biondino, spingendolo con una folata di vento e sabbia.
Ma Naruto sentiva ogni singolo muscolo vibrargli dentro, in perfetta risonanza con le sue intenzioni. I fasci compatti, temprati da anni di Ludus, si piegavano al suo volere come nulla fosse, e facevano tutto quello che domandava loro.
Così atterrò in piedi, le gambe flesse oltremodo, e con inaudita rapidità ordinò al suo corpo si avventarsi nuovamente sul Rosso.
"Parla, Rosso!" urlò, digrignando i denti oramai divenuti zanne.
Ma quello non lo ascoltava. Continuava a farlo rimbalzare indietro, assalto dopo assalto, indipendentemente dalle diverse tecniche usate. Alto, basso, retro. Inutile, dopotutto: uno contro uno, la sfida diventava un testa a testa, dove lo scontro frontale, alla fine, era l'unica cosa possibile.
Il Rosso non parlava.
Non fiatava, si muoveva molle e leggero, nella sua corazza di corpo deforme, apparentemente marmoreo.
Più Naruto cercava la sua umanità, meno riusciva a trovarla.
Ma era con l'umanità del rosso che voleva parlare.
Perchè con la sua parte bestiale, ci stava già litigando Kyuubi.

 E infatti, Kyuubi e Shukaku parevano godere molto dello scontro fra demoni bambini.
I veri demoni erano loro, certo; ma vedere i piccoli umani litigare con le loro energie in prestito li faceva sentire in un certo qualmodo realizzati. Realizzati entro il limite in cui può sentirsi realizzato un demone.
D'altronde, avevano ottenuto ciò che volevano: combattere. Sebbene non per via diretta, le loro energie stavano comunque entrando i conflitto. E in mezzo, scorreva sangue umano. 
Il che li soddisfava non poco.
Ambedue rapiti dalla natura selvaggia, lasciata inesplorata nei secoli dalla razza umana, serbavano egualmente rancore verso l'altra specie.
Per quanto fossero portati di natura a cercare la battaglia fra di loro, rimanevano gli umani il loro vero nemico. L'unico nemico. L'unico essere che si meritasse il risentimento e l'insofferenza di un demone.
Ma per Shukaku le cose erano leggermente diverse.

Naruto continuava a rotolare indietro.
Evidentemente il Rosso conosceva meglio il demone che era stato sigillato dentro di lui. A dire il vero, iniziava a sospettare che fosse un demone più potente di Kyuubi stessa.
Che passo falso. Era un'evenienza che non aveva contemplato.
Fra la polvere delle macerie della baracca, sotto un sole assassino e cocente, il biondino iniziava a dubitare di quello che stava facendo.
Non riusciva ad entrare in comunicazione con il Rosso.
Non riusciva a scalfire la sua corazza.
Non riusciva a fare niente: veniva rimbalzato via, e tornava alla carica. Con sempre più potenza, ogni volta più esasperato.
Nulla. Aveva piegato i poteri della volpe al suo volere, aveva fatto del suo corpo una macchina priva di qualunque limite, con cui sarebbe stato in grado di saltare, scartare, azzannare, lacerare e trafiggere - con un soffio, come se nulla fosse.
Ma non contro il Rosso.
No, la situazione non era semplice come aveva sperato. Non erano lui e Kyuubi contro il Rosso e il suo demone.
Fatale, sapeva, fatale, aveva imparato, poteva essere l'errore di giudicare in maniera superficiale una situazione.
E rimbalzava.
Rimbalzava.
E l'altro lo osservava, vacuo e deforme.

"Sto attendendo, amica mia" - gongolava Shukaku. Che con vivo divertimento notava quanto il suo umano fosse più forte dell'umano di Kyuubi.
"Che ti uccidano, amico mio?" domandò quella, ironica.
"Kyuubi, ti ricordavo molto più forte. Pare che il corpo umano in cui ti hanno relegata non sia dei migliori."
"Il corpo in cui hanno rinchiuso te è morente, Shukaku." apostrofò lei.
"E' semplicemente che tutta l'energia che gli servirebbe per avere un aspetto sano la uso io. Ma d'altronde non se ne fa niente, di un aspetto sano. Loro lo stanno usando - stanno usando me. Lui è solo ciò che permette alla sua gente di usare la mia forza."
"Usarci come armi al loro servizio. Che onta. Come osano."
"Eppure tu non ti liberi, vero?"

Naruto ringhiò, cercando di afferrare il corpo deforme e ingrossato del Rosso, che d'isto in isto mutava verso una forma bestiale. Le braccia sproporzionatamente grandi, il muso pronunciato, la coda che si allungava - ed il colore giallognolo che sostituiva la pelle, per quanto disidratata e malconcia, pur sempre umana.
Ma di umano rimaneva sempre meno.
Cercò di attaccarsi a lui, costringendosi a non mollarlo in alcun caso. L'energia spazzante di quello lo allontanava, ma oramai Naruto gli cingeva il collo. Si arrampicò maldestramente sulla figura, la cui statura andava ormai avvicinandosi ai due metri. Gli arrivò cavalcioni, mentre quello, rendendosi conto di non riuscire più ad allontanarselo, iniziò a cercare di scrollarselo di dosso.

"Amica mia, ma com'è che sei caduta così in basso?"
"Se il tuo ragazzino non riesce a liberarsi di Naruto, non è sicuramente colpa mia"
"Fallo smettere, amica mia. E cerchiamo di imbastire uno scontro serio. Uno vero. Uno scontro fra demoni."
Kyuubi si zittì. Le due essenze demoniache, intente ad interagire, parvero quasi guardarsi negli occhi. Quelli scarlatti e allungati della volpe, quelli ambrati e stellati del tasso.
"Dunque tu controlli il ragazzino." concluse Kyuubi, secca.

Naruto cercò di conficcare gli artigli nella carne - ma era roccia. 
Scivolò sugli occhi del Rosso, che con un colpo di reni lo fece sobbalzare.
"Parla, Rosso!" urlò il biondino, continuando a confidare in un dialogo ragionato.
Nulla.
Il Rosso emise un latrato di dolore quando gli artigli lo accecarono, conficcandoglisi negli occhi. Cercava continuamente di lanciarsi Naruto lontano, sfruttando ogni singolo potere in suo possesso. Ma lui resistette.
Per quanto lo sconforto lo avvolgesse, per quanto ogni suo piano sembrava stare andando sfumando, Naruto insisteva. E se doveva combattere, avrebbe combattuto. E se doveva usare ogni singola energia di Kyuubi, l'avrebbe usata.
Voleva risposte.
Pretendeva risposte.
Ma ormai si rendeva conto di avere sbagliato persona a cui porre domande.

"Diamine, Kyuubi! Mi hai accecato il ragazzino. Dovrò guardare con il mio spirito, d'ora in poi... dannata te. Mi piaceva vedere i colori."
"Tu... tu lo controlli." sibilò Kyuubi, indignata, resasi conto della situazione. "Stai combattendo per loro."
"Anche tu, amica mia. Ricordi qualche tempo fa? Come eravamo pronti a scannarci, mentre quelle formiche di umani facevano le loro stupide guerre prive di ogni senso? Ti ho sentita."
Kyuubi soffìo, ferita nell'orgoglio. "No, non più. No, le catene con cui Naruto mi racchiude in se' stanno diventando sempre più forti, e sono sempre state tali. Ho avuto fortuna. Credevo di no, ma in realtà ho avuto fortuna. Ma tu..." soffìo nuovamente. "Shukaku, tu sei libero. Tu puoi andare."
"Sì, quando voglio me ne vado. Ovvio."
"Stai combattendo per loro, allora! Vile!" ringhiò.
"E tu no, amica mia?"
"Ciò che facciamo io e Naruto non ha più nulla a che fare con gli umani!"
"Tu e Naruto? Oh, povera Kyuubi. Sei molto più debole di quanto pensassi, allora, se non sei capace di ribellarti ad un ragazzino, e sei finita a pensare che siate la stessa cosa. No, amica mia. Gaara non sono io. Gaara non è niente, è solo un corpo, un rimasuglio di coscienza. Che mi consentiva di vedere il mondo con gli occhi umani, dannazione. Occhi che il tuo caro Naruto gli ha appena lacerato! A me piaceva, vedere i colori!"
"Perchè non te ne vai? Perchè non fuggi la tua prigione?" esplose la volpe, adirata oltremodo, sempre più ferita nell'orgoglio di demone.
"Perchè è divertente. Quando mi sarò stufato, me ne andrò."
"Sei sempre stato un demone stupido, Shukaku! Ma combattere con gli umani! Accettare la loro prigione!"
"Non scaldarti, amica mia. Li sto ingannando. E' una cosa sottile."

Naruto sentì le energie elevarglisi ulteriormente. Kyuubi esplodeva in lui, che al momento affondava gli artigli nei cavi orbitali del Rosso, urlante e scalpitante.
     "Lascia perdere, Naruto."
Intimò Kyuubi, cercando di riprendere il controllo del biondino.
     "Demone, non toccare il mio corpo!"
Brillava rosso, man mano che la volpe si faceva più potente. Adirata e sconvolta, ferita. Umiliata.
     "Stai perdendo tempo, con il Rosso. Stai combattendo contro un demone, come me. Non c'è umanità in lui. Non c'è niente. E' un corpo con un rimasuglio di coscienza, che lascia pensare ai Bianchi che possano controllare Shukaku, il demone che hanno rinchiuso in lui. Ma non è così. Stai combattendo un burattino. Shukaku ha fatto con il Rosso quello che io non sono riuscita a fare con te."
Il ragazzino ascoltò le parole del demone, mentre rabbia e sconforto montavano in lui.
Era chiaro, allora. Non avrebbe mai potuto ottenere niente. I bianchi avevano inscatolato Shukaku in un corpo praticamente inanimato.
No.
No, il Rosso aveva parlato.
C'era un rimasuglio di coscienza, in lui.
Era con quel rimasuglio di coscienza che avrebbe parlato.

"Non hai ancora visto niente, Amico mio."

Naruto ringhiò, lanciandosi via dal Rosso, oramai cieco.
Shukaku poteva ancora vedere, come lui aveva visto le entità umane nella città dei Bianchi attraverso i sensi di Kyuubi.
Il biondino cercava di evocare l'energia della volpe: e lei, ancora avida di battaglia, gliela forniva volentieri.
Il Rosso lo guardava con gli occhi dilaniati, grondanti sangue. E intanto Naruto cresceva. Cresceva alla vista del demone tasso, che vedeva la potenza di Kyuubi liberarsi, sempre più rapidamente. 
E Naruto grondava sangue dai solchi sul volto, mentre attorno a lui turbinava l'energia, tanto grande e compressa da smuovere l'aria, riscaldandola, sino a farla divenire incandescente. Sulla pelle, lo strato rossastro di entità demoniaca si addensava, bollendo.
Uniti e distinti.
Uniti e distinti, sempre più.

Shukaku tremò.


***

Kankuro rotolò sotto le esplosioni che si dipanavano dalle due Bestie in battaglia.
Avanzando in una corsa vagamente zoppa, a causa delle ferite che la prossimità dello scontro fra titani gli aveva procurato, cercava Baki con lo sguardo stravolto.
Dietro di lui il terreno continuava a vibrare, e l'aria a soffiare, incandescente - ben più scottante dell'aria del deserto.
Sotto le macerie, lo sapeva, c'erano dei suoi compagni.
L'ennesimo colpo di frusta, vagante nell'aria e generato dal nulla, gli colpì la schiena,
"Merda!" fece il ragazzo, chiudendosi nelle spalle e cercando di rimanere in equilibrio. Si portò le mani al volto, cercando di proteggersi gli occhi dalla tempesta di sabbia che oramai imperversava. 
Calandosi il cappuccio bianco sul capo, ed issandosi il collo sul naso, continuò a girare freneticamente la testa alla ricerca di Baki.
"Kankuro!"
Ennesima esplosione.
I due si rotolarono addosso, mentre gli edifici attorno a loro sembravano iniziare a cedere.
"Via, via, via!" fece Baki, cercando di raccattare il ragazzo.
"Sono i Neri!" ansimò quello, tossendo per poi acquattarsi alla ricerca di maggiore equilibrio. Sbraitò, cercando un'imprecazione adatta. "L'hanno mandato per far fuori il Rosso - e noi non ci siamo nemmeno accorti che era qua in giro. Quanto tempo è rimasto in attesa del momento propizio? Merda! Merda, merda, MERDA!"
"Tappati quella bocca e vieni con me. Il consiglio sta già provvedendo." Poggiò il braccio sulle spalle di Kankuro, portandolo via con se'.


***

Perchè le notizie viaggiavano in fretta.
E quando Kakashi venne richiamato dal Globus, aveva appena rimesso piede al Ludus. Non fece in tempo a sedersi alla scrivania che un magister irruppe nella sua stanza.
L'uomo dagli occhi asimmetrici levò lo sguardo.
Tutto sommato, se lo aspettava.
Ma forse non era riuscito a vedere la vera fine dell'orizzonte degli eventi.

Dovette ritirare fuori il bracciale che aveva usato in tempi passati, quando ancora lo mandavano a dirigere i manipoli di bellatores. 
Quando era un ragazzino.
E se non c'era tempo per i cerimoniali e tutto - bhe, allora c'era in ballo qualcosa di Grosso.
"Lo hanno trovato" gracchiò l'altoparlantino del bracciale. Kakashi ci soffiò via la polvere di dosso: era vecchio. Si sentiva molto male, e probabilmente non era nemmeno impostato sulle giuste frequenze.
"I bianchi o i nostri?" domandò Kakashi, pacato.
"Tecnicamente i bianchi." Continuò Morino, dall'altra parte della tramsissione. "Ma sta facendo tanto di quel caos che decretare chi l'ha trovato per primo è assolutamente inutile."
"Bene. Se tu mi spiegassi esattamente Cosa è successo... potrei anche cercare di capire perchè state cercando me."
"Il Globus ti sta cercando, io no di certo. Il ragazzino ha ingaggiato battaglia con il Rosso, il demone dei bianchi. Al momento la loro città centrale sta venendo distrutta dallo scontro. E lo sai quali erano gli accordi..."
"Niente attacchi ai centri del commercio. Stupidi loro a tenere il Rosso nella loro città centrale. Naruto stava al Ludus, guardacaso."
"Hanno scatenato il pandemonio, la reattività è alle stelle. Meno un quarto d'ora fa i due ragazzini hanno ingaggiato battaglia, in cinque minuti i bianchi hanno fatto partire sui fronti delle offensive mai viste prima. Sono... INCAZZATI."
"Woh, che bei termini. Suppongo che lì a Folii Pagus siano tutti terrorizzati."
"Smettila di essere sempre così dannatamente calmo, Kakashi! Hai idea di quante spie abbiano loro dalle nostre parti? Ti rendi conto di cosa potrebbe voler dire un attacco dall'interno? Una cosa è difendere le informazioni, un'altra è difendere una città civile!"
"Vieni al dunque, Morino."
"Sono convinti che lo abbiamo mandato noi, a distruggergli la città."
"Mi sembra logico."
"Serve un ambasciatore."
Kakashi soffiò leggermente, le labbra assottigliate in un sorrisetto di divertimento smorzato. "Carino. Fino a qualche manciata di ora fa non doveva essere più affar mio."
"Lo sai che è inutile fare i commentini sarcastici. Se vuoi metterti contro il Globus, fallo pure - ovviamente io mi chiamo fuori. Ma qui la situazione è al limite. Una cosa è combattere sul fronte. Una cosa è non sapere di chi fidarsi nelle regioni centrali. La popolazione ne è sempre stata fuori. Deve continuare a farlo."
"Già. Bhe, suppongo che sarò lì il prima possibile."
"Stanno cercando di organizzare gli accordi - ma è estremamente complicato. Loro vogliono farli nella loro città centrale."
"Naruto avrà distrutto tutto, per allora. Come gli viene in mente di voler fare dei trattati in un posto dove due demoni si stanno scontrando?"
"Si stanno organizzando. Intanto tu dirigiti verso il confine."
Il bracciale soffocò, e con un suono secco ammutolì. 
Kakashi se lo agganciò al braccio, dove sostava una volta. Gli era leggermente stretto: ruotò il polso, che scricchiolò.
E così il Globus aveva chiamato colui che 'non avrebbe dovuto dubitare dei loro ambasciatori'... a fare l'ambasciatore. Divertente, ma non troppo. D'altronde le abilità di Kakashi di gestire le persone e studiarle a fondo erano sempre state apprezzate. Fu sottratto presto dal fronte proprio a causa di quelle.
Certo la maggior parte dei Custos lasciava il fronte prima dei vent'anni... però tendeva a diventare una sottospecie di stratega.
Lui divenne ambasciatore, torturatore, Rector e dunque formatore. Cocktail curioso, ma perfettamente giustificato dalla sua capacità di andare a fondo nella mente della gente. Era parecchio che non contrattava.
Sarebbe stato interessante.
Specialmente coi tempi che correvano.


***

Le due immense aure d'energia cozzarono, radendo definitivamente al suolo quei pochi edifici pericolanti che circondavano le macerie della baracca.
Le anime dei due demoni parevano prossime a materializzarsi nell'aere denso e polveroso: due paia di occhi bestiali si scrutavano, galleggiando in un etere bollente.
Naruto si sporse in avanti, riuscendo a caricare con la pura energia della volpe un'onda d'urto che fece traballare il Rosso indemoniato.
Sì, era poco. Sì, bastava poco.
Adesso poteva.
"Lascia andare il Rosso." ordinarono due voci: l'una vagamente infantile, l'altra disumana. Ma ringhianti ambedue.
Shukaku parve divertito. In risposta al loro dire, si espanse ulteriormente nel corpo del Rosso, di cui oramai pareva non rimanere più nulla.
Naruto storse le labbra, ingrossate e nerastre. Vagamente percepiva i confini dei propri nervi: l'energia era tutto ciò che sentiva, tutto ciò che al momento lo armava, e in gran parte ciò che era. 
L'energia, l'energia della volpe mescolata alla sua volontà - che potere immenso, pensava Shukaku, osservandoli.
Era chiaro che la partita poteva solamente volgere al termine. Con la sua sconfitta.
Non poteva niente contro una creatura del genere.
Il Rosso si incurvò nelle sue fattezze bestiali. "Tantovale che lo uccidiate." vibrò la voce di Shukaku dall'essere.
Non c'era più modo di capire chi era cosa.
Il Rosso era stato fatto sprofondare. Non esisteva più.
Davanti a loro Shukaku si ergeva, non del tutto se' stesso, ma sicuramente non sottomesso.
Naruto tese gli artigli.
"Sei già libero, Demone." fece lui, gutturale. "Vattene." continuò, assieme a Kyuubi.
"Vuoi parlare con il ragazzino, non è vero - Naruto?" domandò Shukaku, allargando un sorriso improbabile.
Naruto Digrignò ulteriormente i denti.
"Cosa credi che ti dirà, dopo averlo accecato? Pensi davvero che vorrà parlare con te? Pensi davvero che abbia qualcosa da dire?"
"Andrò fino in fondo!" esplose, soffiando e lanciandosi addosso a quello.
Si rotolarono per qualche minuto, mentre il sangue del biondino scorreva - e anche il demone iniziava a vacillare. 
Si saltarono addosso, sfiorandosi istantaneamente, l'uno soffiante, l'altro ringhiante, in una bolgia di sabbia e vento e calore e potere smisurato, violento. 
Noncuranti della città che radevano progressivamente al suolo.
"Dovessi AMMAZZARTI!" ringhiò Naruto.
"Pensi che sia possibile?" rispose Shukaku, divertito.
Naruto si fermò.
Ansimante e adirato, stanco, sudato, sanguinante.
Ma le ferite venivano guarite dalla volpe, evaporanti, e quindi sapeva che sarebbe potuto andare avanti per molto.
Molto tempo.
"Posso lasciare questo corpo, se ci tieni." fece il demone, continuando a sorridere. "Ma se ucciderai qualcuno, non sarò io. Fidati, ragazzino."
"Lascia il Rosso, allora. Smettila di combattere, smettila di giocare - e lascialo andare." Gli occhi di Naruto - gli occhi della volpe -, erano una linea sottilissima e dell'oscurità più profonda, circondati da un rosso accecante. Ricolmi d'odio viscerale, carichi di disprezzo, riversavano ogni singola sensazione sul demone, in uno sguardo fisso.
"Il problema, Naruto, è che il Rosso non sopravviverà ad una cosa del genere. Ormai avrai ben compreso che il tuo legame con Kyuubi è ben diverso da ciò che vincola il mio spirito al Rosso. Il Rosso è nato per farmi da prigione, il Rosso è nato con me' già incastonato nel suo corpo. Nulla è il Rosso, senza di me. E' solo un vettore, il mezzo che gli umani credono possa controllarmi. Oh, ma non è certo così, no. Che io sia rimasto qui dentro per questi anni è stata una mia scelta. Non ci sono catene, in questo corpo. Non ci sono limiti. E quando morrà, io mi limiterò a dileguarmi. Se me ne vado ora, Naruto, il Rosso muore. Perchè il Rosso non è. La sua coscienza, la sua mente, la sua anima sono briciole che vagano, ridotte a un niente dalla sua stessa gente." 
"Lui ha parlato!" insistette il biondino, dondolando il corpo in un gesto di troppa enfasi. "Lui ha parlato, ha risposto - non mentirmi, Demone! Può pensare, io lo so!"
"Tu puoi pensare, Naruto. A lui non è dato. Tu sei, Naruto. Tu sei stato, prima di diventare la prigione di Kyuubi. Lui no. Lui serviva esclusivamente per ME.
Era così?
L'unica fonte che pensava esistesse,
l'unica persona con cui pensava avrebbe potuto condividere la sua condizione, 
era Nulla.
"Il Rosso non esiste, Naruto. Smettila di cercarlo."




***


La divisa scura riluceva all'illuminazione artificiale della SubSphaera. Le suole degli stivali risuonavano sul pavimento, accompagnandolo.
Non sapeva esattamente cosa stava facendo.
Davvero, non lo sapeva.
Andava contro a tutto quello che la sua anima gli diceva.
Ma la sua mente pretendeva altro. La sua mente guidava i suoi passi, nonostante le abitudini gli dicessero che era fondamentalmente sbagliato.
Ma no, non tutta la sua anima era vincolata alle abitudini. C'era una parte di lui che accompagnava il suo incedere assieme alla sua mente.
"Kakashi."

L'orizzonte degli eventi.

L'uomo volse lentamente lo sguardo verso Sasuke.
Quello continuò a muovere qualche passo, affiancandosi all'enorme tubo dell'Effluxum. Pose la mandritta sulla parete, curvilinea e trasparente, carezzando il materiale con i guanti grigiastri.
Kakashi lo osservò di sottecchi, senza una parola, mentre riponeva i documenti che stava studiando. Anni e anni di trattati passati. Meno di mezza giornata per ristudiarli tutti.
Ogni secondo era prezioso.
E il siluro dell'Effluxum non sarebbe arrivato se non dopo mezz'ora abbondante.
"Sasuke. Che bello lustrato." fece il Rector, incrociando le braccia al petto.
Il ragazzino storse la bocca, vagamente divertito. "Le notizie si spargono in fretta, Kakashi. Soprattutto quando sai cosa cercare. E dove."
L'uomo alzò il mento, scrutando l'altro di sottecchi.
Lo aveva cullato per quasi un anno. Lo aveva controllato per conto di Tsunade. Lo aveva accompagnato all'improbabile ricerca di Naruto, per un breve periodo.
Era quasi troppo sveglio.
Ma un ottimo Custos, sì.
"Avevo ragione io." concluse Sasuke, assottigliando lo sguardo.
"Anche se fosse, non ti riguarda più, Sasuke. Ne avevamo già parlato."
"Voglio venire con te."
Kakashi levò le sopracciglia.
"No."
"Il mio compito era recuperare Naruto. Intendo portarlo a termine."
L'uomo compì mezzo passo avanti, inarcando leggermente la schiena.
"Il tuo compito è obbedire agli ordini, Sasuke. Ed è la seconda volta che sorvolo sulla tua insubordinazione. Al Ludus ti saresti già preso una bella marea di frustate."
"Non siamo più al Ludus, adesso?" domandò, ironico.
"Non vorrei che tu iniziassi proprio ora che sei praticamente un vero Custos."
"Portami con te, Kakashi. Ti sarei solo che d'aiuto. Lo sai. Potrei fermare Naruto. L'ho già fatto."
"Pensi che stia andando a fermare Naruto? Ci stanno già pensando i Bianchi, a fermarlo. Io vado ad evitare che la guerra diventi una cosa ingestibile."
Sasuke arricciò le labbra, calando lo sguardo.
Aveva pensato che sarebbe arrivato a quello.
Ma prima di farlo, voleva essere sicuro.
Sicuro di cosa voleva.
Trovare Naruto?
Capire cos'aveva in corpo? Cosa lo guidava?
O forse capire tutto. Lui, e la sua stupida mania di sapere. Era una novità, sotto certi aspetti. Ma gli sembrava ormai impossibile continuare a procedere in quel mondo, mentre attorno di tutto accadeva, mentre un suo compagno diventava Bestia, fuggiva, ed ora scatenava l'inferno in un'altra Regio... senza fermarsi un attimo a chiedersi Cosa stava succedendo.
Perchè non era mai successo niente del genere.
I traditori, nell'Ignis regio, non esistevano.
Non era un'idea contemplata.
Non c'era punizione apposita.
Nulla.
Era una cosa nuova.
E cosa poteva avere scatenato una cosa così nuova?
Portò le mani l'una vicino all'altra, carezzandosi con inesorabile lentezza le punte delle dita.
"Portami con te, Kakashi." fece, in tono da ultimatum.
"... no. Mi spiace."
Fu un attimo.
Allargò le mani, la ragnatela di elettricità che si espandeva fra i suoi palmi. Si flettè sulle ginocchia mentre le sue iridi divenivano incendiate, rosse, capaci di veder ben oltre quello che una persona comune può.
Kakashi gli fu addosso.
Senza nemmeno essersi potuto muovere, Sasuke si ritrovò sollevato da terra, afferrato per il bavero, penzolante. I guanti ancora carichi di elettricità.
Il Rector lo guardava con due occhi asimmetrici.
Uno scuro, sottile, e apparentemente sonnacchioso; l'altro incandescente. Scarlatto.
Come i suoi.
"Non farlo, Sasuke." fece l'uomo, disastrosamente calmo e glaciale.
Lui sentiva le cariche pizzicagli leggermente la pelle delle mani guantate. Improvvisamente la sua idea gli sembrò chiaramente stupida.
Eppure, sì, per un istante era stato convinto di poter cogliere Kakashi di sorpresa. Per poterlo stordire.
Forse addrittura minacciare.
Era quello il tuo piano Sasuke? Che piano stupido.
C'è un motivo per cui lui è un Rector, e tu non ancora completamente un Custos.
Ma aveva avuto la presunzione di credere che quegli occhi fossero una cosa sua.
Che anche Kakashi ne avesse uno... un occhio del fuoco, un occhio capace di vedere e prevedere.
Ma il Rector gliel'aveva detto. C'erano tante cose, che non sapeva.
Troppe.
"Portami con te, Kakashi." insistette, irremovibile.
"Hai appena cercato di assalirmi, Sasuke. Te ne rendi conto? Vero?" domandò, imperturbabile, l'uomo.
Quella sua monotonia disarmava il ragazzino. 
"Voglio solo capire cosa è Naruto. Non mi sembra di chiedere troppo."
Kakashi storse le labbra.

L'orizzonte degli eventi.
Eccolo lì, pronto a fagocitarlo.
Mentre il buco nero si estende.
E Tsunade, e Naruto, e Itachi.
E adesso anche Sasuke.
E i tre ragazzi senza avere mai parlato l'uno con l'altro.
Non erano i soggetti. Era il sistema.
Era il sistema che collassava, e loro erano coloro che per primi se n'erano accorti, che se ne stavano accorgendo, e per qualche strano motivo avevano o avevano avuto il coraggio di scavare nelle crepe.

E anche lui ne stava entrando a far parte.
Come Tsunade.

"Lo sai, Sasuke" sussurrò, gelido, stringendo ulteriormente il bavero del ragazzo e strattonandolo leggermente. "Lo sai, cosa è successo all'ultima persona che ha provato a fare una cosa del genere?"
Sasuke lo scrutava, muto, in parte stranito.
Ma diavolo. Kakashi lo stava solo proteggendo.
Il Rector ne era convinto.
Ed era convinto che consistesse proprio in quello, il suo sbaglio.
"Non lo sai, Sasuke. E non lo devi sapere. E non lo vuoi sapere. E non lo puoi sapere, perchè io non conosco parole che possano descrivere cosa è successo, quali siano le conseguenze di questo gesto, giuro che non sono capace di spiegartelo. Lo devi vedere, lo devi sentire, lo devi Fare per renderti conto che non vorresti mai aver vissuto un'esperienza del genere. Che non avresti mai voluto farlo. Lascia perdere, Sasuke. Torna a fare il tredicenne quale sei, impegnati a diventare Custos e Dimenticati di Naruto."
Sasuke strinse la mandibola, deglutendo.
Kakashi lo sentiva tremare.
"E dovrei dimenticarmi anche di questo?"
"Se non lo farai da solo, ti costringerò io a farlo. Conosci il Laniatus, Sasuke?"




E le piccole scheggie?
Che ne faremo di loro, mio Re?

Delle briciole,
della polvere,
dei grani di sabbia.
Sono nulla, mio Re.

Ma una volta, forse,
erano tutto, mio Re.



E allora bruciale.



















[Nota dell'autrice]
Ok, Ok, credo proprio che qui si debba fare una piccola considerazione... l'aspetto di Gaara demonizzto non è esattamente quello convenzionale
Diciamo che io me lo vedo un po' in modalità 'la cosa'. Tanto per chiarirsi. Insomma, come si era visto all'inizio.
Perchè, davvero, Shukaku versione completa l'ho sempre trovato particolarmente ridicolo. Oh, andiamo - un enorme tasso di roccia che sghignazza come un folle e che ha sulla fronte il busto di Gaara, addormentato..? maddai.
Poco credibile.
Certo, essendo il demone a una coda, Shukaku ha tutto il diritto di fare l'anormale... ma per quanto riguarda i jinchuurichi e il livello di demonizzazione, preferisco di gran lunga il modello di tutti gli altri, con le code che aumentano, il chakra demoniaco e tutte quelle belle cose lì. Ho amato follemente Naruto a 4 e 8 code.
OK, certo, rimane che Shukaku ha una coda sola. Quindi o tutto o niente. Ma mettere un microbo di 14 anni scarsi contro un COSO enorme... è una visione improbabile, a mio parere.
Quindi preferisco che Gaara ondeggi a metà, fra la forma umana e quella completamente demoniaca. Più Shukaku prevale - anzi, più si fa vivo, più il corpo del ragazzino viene deformato verso l'aspetto del demone. 

Vabè.
Spero abbiate gradito.
Sembra che ci sia un bel casino.
Le cose stanno iniziando ad esplodere :D

Grazie ai recensori! 
@nous: grazie della recensione, sono molto felice che questa storia sia gradita anche a chi non è pratico del fandom. Spesso mi rendo conto che certe cose sono difficili da comprendere appieno senza avere una certa conoscenza dei personaggi originali, ma ho sempre cercato di non dare niente per scontato... anche se, appunto, mi accorgo che non mi riesce molto facilmente...
@GreedFan: bhe, penso che come per tutti quelli che scrivono con un certo impegno qui, pubblicare un libro è il mio sogno :) ma so perfettamente di non essere neanche lontanamente pronta. Inoltre la pubblicazione è una cosa complicata, e anche una volta riusciti a farsi pubblicare il successo... bhe, è principalmente una questione di culo.
Prima di provare a scrivere una cosa originale che possa ambire alla pubblicazione, mi sono imposta di voler finire questa fanfic. Intanto perchè (purtroppo) non sono mai riuscita a finirne una long in vita mia (... e, sigh, sono su efp dal 2003 - ergo, 7 anni.... <___<'''' ok che avevo 13 anni all'epoca, però, insomma...), e poi perchè devo dire che questa longfic è una vera sfida. Da un lato mi è naturale scriverla, dall'altro è estremamente difficile, perchè voglio fare in modo che sia tutto motivato, abbia tutto un nesso logico - e alla fine, abbia un senso, una 'morale' valida e che riesca a dare uno scopo a questo infinito svarione di guerre, torture, massacri eccetera.
Semmai pubblicherò, però, sarà certamente questo il primo tipo di storia che cercherò di creare. Ma comunque senza ispirazione non si va da nessuna parte... ^^ quindi intanto cerchiamo di finire quello che abbiamo iniziato.





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Capitolo 32
*** 31 (Maieutica) ***


Copy of 31.





31. Maieutica



"L'uomo più saggio non è colui che sa, ma chi sa di non sapere."
                                                                              Socrate





"Se credi davvero di non poter lasciar perdere tutta questa storia, ci penserà quello a fartelo fare. Che tu lo voglia o no."

***

Che fosse l'unica soluzione possibile, Kankuro lo aveva capito prima di arrivare davanti al consiglio.
Che adesso si trovasse con un bussolotto pieno di gas in mano, ecco, quello esulava dalle sue aspettative.
"O mi dai qualcosa che lo lanci o... o...  ... mi ammazzano prima che io sia a una distanza accettabile."
"Hai le braccia." fu la risposta di Baki.
Infagottato nella divisa bianca, il ragazzo si calò il telo sul volto. Da quel poco di pelle che sporgeva, si intravedevano segni violacei che suoleva dipingersi prima di scendere in guerra. 
Li aveva fatti in fretta, erano alquanto imprecisi.
Ma ora ne sentiva il bisogno più che mai.
"Voi siete fuori di testa."
"E' l'unica, Kankuro. O adesso, o mai più. Avanza basso, per non farti scaraventare via dai venti che liberano. Lanciagliela il più vicino possibile."
Quello osservò l'oggetto che teneva fra le mani, estremamente perplesso. La gamba gli faceva ancora leggermente male, ma gli antidolorifici che gli avevano cacciato giù per la gola stavano agendo bene e in fretta.
Baki calò leggermente il capo. "L'ultima volta ha funzionato solo in questo modo. Non esiste altra arma. E usarne una anche solo di supporto rischierebbe esclusivamente di ritorcertisi contro."
Avevano già perso troppo tempo.
"E così sia, allora. Sperando di rivederti alla nuova alba, Baki."
"Sperando di vederti alla nuova alba, Kankuro. VAI."

Si flettè in avanti, scivolando lentamente e dolcemente sulla sabbia, fra macerie e sassi e qualche sporadico cadavere.
Baki si portò il visore agli occhi, seguendo il ragazzo da dietro le lenti.




Naruto non sentiva la stanchezza. Ciò nonostante, sentiva il proprio corpo cedere.
Sebbene Kyuubi gli potesse fornire spropositate quantità di energia, man mano che lo scontro avanzava si rendeva conto che ne consumava volumi sempre maggiori.
Non era abituato.
I suoi muscoli non erano abituati. Erano muscoli estremamente allenati, sì: ma anche se avevano il carburante necessario, in quanto a struttura a se' stante iniziavano a perdere colpi.
D'altronde, era forse un'ora che i due demoni si beccavano.
Toccata e fuga, toccata e fuga, litigio e rissa, poi distanti nuovamente.
E a quale scopo?
Nessuno, ormai.
Non poteva comunicare col Rosso. Non c'era un Rosso con cui comunicare, a detta di Shukaku.
E Shukaku non mollava, diveritito, e Kyuubi non riusciva a frenare i suoi impulsi belligeranti nei confronti dell'altro demone.
Aveva la sensazione di stare aspettando una fine che non poteva giungere.
Morire? Non poteva. Ci aveva provato. Lo aveva visto. Uccidere Shukaku? Impossibile, a sua detta. Non lasciando il Rosso in vita, comunque.
Si sentiva palleggiato. 
Colmo di sconforto, non sapeva più cosa fare, cosa poteva fare.
E se anche quel combattimento ormai insensato fosse finito, riguardo al 'dopo', aveva parecchi dubbi.
Quell'ultimo barlume di sensatezza che andava cercano era stato spento, con un misero ed imperturbato soffio.

Click.

Il Rosso si immobilizzò.
L'aura di Shukaku che sovrastava la Bestia sembrò fremere, sconcertata.
"Oh, diamine." fece il demone, nella sua voce ruggita. 
Naruto sollevò il capo, osservando l'entità demoniaca addensata nell'aria. 
"Scappa, amica, mia - VELOCE!"
"Cosa ti prende?" domandò perplessa Kyuubi, facendo vibrare il corpo di Naruto alla sua voce greve.
"Ho già visto questa scena, quando mi hanno preso" fece Shukaku, iniziando a risalire nell'aere. "Quella roba schifosa e umana, sembra proprio che sia capace di metterci fuori gioco. Vieni via con me, amica mia. Ti assegno la vittoria, se è ciò che ti preme!"
Il biondino voltò il capo, guardandosi attorno perplesso. Di cosa stava parlando il demone?
Kyuubi sembrava essere all'erta. Agitatissima, sentiva la sua energia pulsargli dentro, quasi il battito del suo cuore si fosse improvvisamente accelerato.
La volpe voleva andarsene.
Ma Naruto continuò a guardarsi attorno, mentre Shukaku smuoveva violentemente l'aria attorno a loro.
Poi la vide.
Un oggetto cilindrico che prima non c'era.
Gas.
A qualche metro da quello, una presenza umana in attesa.
Si voltò di scatto verso il Rosso.
Lo vide immobile, il capo levato verso l'alto, molle e inespressivo. Shukaku, che andava via via materializzandosi sopra di esso, sembrava letteralmente evaporare dalle sue membra.
Schiuse le labbra, attonito.
E poi vide il demone iniziare a muoversi, fulmineo e ancora etereo, verso il deserto.

Kyuubi lo spingeva, lo spingeva con più energia di quella con cui si era sentito spingere verso il Rosso mesi prima, quando si erano incontrati sul fronte.
Si lasciò muovere.
Sentiva il terrore nella volpe.
Lo conosceva.
Era lo stesso che aveva provato lui, temendo di dover essere nuovamente sottoposto al Laniatus.

Mosse qualche balzo, seguendo Shukaku, che rimbalzava in una scia dorata ancora vincolata al Rosso.
Stava per caricare le gambe, flesse, per accelerare, quando sentì un gemito dietro le sue spalle.

Si voltò di scatto, ma con immensa fatica.
Kyuubi cercò di spingerlo avanti.
Ma Naruto si fermò.

L'ultimo lembo di Shukaku, inabissato nel corpo del Rosso, si stava lentamente sfilando.
Era come un filo, l'ultimo alito di essenza demoniaca che si separava dal corpo che lo aveva ospitato per più di dieci anni.
Il Rosso emise un leggero e vago gemito, sofferente.

Non poteva non fare marcia indietro.
Kyuubi sembrava non volerne sapere di riavvicinarsi. Ma lui insistette.
Mosse qualche passo, difficile e faticoso, verso l'altro.

E senza un suono o un movimento, l'ultimo filo che legava Shukaku al Rosso si staccò, seguendo il resto del demone, oramai lontano.

Il corpo deformato del Rosso, che era andato sgonfiandosi man mano che Shukaku si allontanava, sussultò.
E molle, si accasciò in terra.

Un solo scatto per riuscire ad essergli addosso.
Mosso dal terrore di sapere che se Kyuubi l'avesse lasciato, quella sarebbe stata la sua fine.
La volpe, disperata, remava contro.

Paura contro paura.
E sete di conoscenza.
Sete di comprensione.

Si accucciò accanto al Rosso, ritornato nelle sue sembianze effimere ed infantili, in un corpo denutrito e fragile.

"Ti prego, Naruto."

Non pensava che la volpe potesse essere capace di supplicare.



***



Sasuke non sapeva cos'era il Laniatus.
Sedeva con le ginocchia larghe, i gomiti poggiati sulle gambe e le mani penzolanti, leggermente gobbo.
Sasuke non sapeva cos'era il Laniatus, ma conosceva Kakashi. 
Conosceva il suo sguardo. Conosceva la sua voce. Conosceva i suoi gesti.
Sasuke non sapeva cos'era il Laniatus, ma sapeva che era cosa da temere.

E quindi rimase lì, per lungo tempo, a contemplare i suoi pensieri e i suoi turbamenti, mentre Kakashi si allontanava verso il confine.


***


Il Rosso aveva due occhi verde acqua, sgranati nel nulla.
Naruto gli sollevò il capo di terra, osservandone il volto smunto. 
Eppure sembrava respirare.
Movimenti impercettibili di una cassa toracica di cristallo.
Naruto avrebbe voluto parlare.
Davvero.
Ma per dire cosa, poi?
Il Rosso era morente. E probabilmente nemmeno senziente.
Il biondo reggeva fra le mani il corpo di un ragazzino, forse di qualche anno in meno di lui, pesante un terzo di quello che avrebbe dovuto essere.
Poi, lentamente, lo vide muovere gli occhi.
Fino a fissarsi sui suoi.
"E' andato." gli sussurrò Naruto, deglutendo.
Iniziava a sentirsi stanco. La volpe sembrava starsi raggomitolando, e fra lo sforzo a cui lui aveva sottoposto i propri muscoli e la fatica con cui cercava di non far prevalere Kyuubi, tutto iniziò a sembrare estremamente difficile.
Ogni gesto, sino ad allora nutrito dall'energia del demone, sembrava ora sempre più impossibile da compiere.
Kyuubi cedeva.
"Non c'è più niente..." esalò il Rosso, con la sua voce infantile ed atona. 

Naruto sentì i polmoni contrarsi, la trachea tappata da uno spasmo.
Prima di accasciarglisi addosso, intravide il volto dell'altro contrarsi in una smorfia di disperazione, gli occhi lucidi, e mezza lacrima che vagamente toccò il margine dello zigomo scarno.




***

Socchiuse gli occhi.
Vide solo un enorme alone scolorato, con macchie che andavano via via spandendosi.
Sentiva ovattato.
In principio, a dirla tutta, non sentiva nemmeno. Poi iniziò a giungergli un fischio, che dopo qualche tempo comprese essere intermittente - ed infine riuscì a classificare come un 'bip'.
Come due bip.
Era steso.
No, non era steso.
Era Legato.
Sì, era anche steso.
Ma era qualcosa di duro.
Voleva avere le forze per scattare in su con il busto, a costo di rimbalzare a causa delle corde che gli cingevano i polsi: ma non le trovò.
Era solo una massa di vaga coscienza.
Nulla più.

"Pare che la nostra trovata fosse azzardata."
Kakashi serrò le labbra, avvicinandosi ai due ripiani su cui i corpi dei ragazzini sembravano poter spirare da un momento all'altro. Fra flebo e respiratori artificiali, in pratica non stavano nemmeno vivendo: le macchine facevano tutto per loro.
Mantenevano solo un minimo di attività cerebrale.
Cos'era successo ai demoni?
"Come ho già detto, è essenziale porre una regolamentazione nell'uso dei demoni come armi." fece Kakashi, osservando Naruto. 
Il ragazzino pareva avere gli occhi semichiusi.
Forse non tutto era perso.
"Visti i risultati, direi che vietarli sia la cosa migliore." fece l'uomo accanto a lui.
Baki, ai margini della stanza assieme a Kankuro, osservava l'ambasciatore del'Ignis Regio con sguardo indagatore.
La figura accanto al Rector, elegante e distinta, non era altro che la Ventii Umbra, capo del Consiglio della Ventii Regio, rappresentante in carica: con la differenza dall'Ignis Umbra che per spodestarlo non era necessario attenderne la morte - o, con molta più praticità, ucciderlo. Era un uomo dal volto anonimo, ma dai modi regali: si muoveva sulla sabbia fluttuando, mantenendo sempre lo sguardo alto e l'espressione impassibile.
C'era un che, in lui. Non sapeva bene cosa, ma era un che.
Le contrattazioni si erano svolte tutto il giorno precedente, ed ora mancava solo quel fastidioso dettaglio.
Kakashi avrebbe voluto usare l'occhio di Itachi, per poter capire se in Naruto e nel Rosso c'erano ancora i due demoni, o se, come sostenevano i Bianchi, avevano abbandonato i corpi.
Era possibile?
Forse per il loro demone. Che aveva conosciuto il gas: ma la volpe? No.
Il Rector era fermamente convinto che, dopo tutto quello che era successo, non esistesse arma abbastanza forte da scindere Naruto e Kyuubi senza il consenso di entrambi.
Senza calcolare che non si conoscevano le conseguenze di un'eventuale divisione dei due.
Ad ogni modo, non poteva usare quel potere. Era evidente che tutta quella storia era partita proprio dal caso di Itachi. Moltissimi civili erano morti, e molto probabilmente tutto ciò non sarebbe accaduto se Itachi non avesse avuto quel potere.
Usarlo di fronte alla Ventii Umbra sarebbe stato quantomeno stupido.
"Ebbene, Ventii Umbra" fece il Rector, volgendosi verso l'uomo. "Assodato che i demoni non dovranno essere usati nella guerra, mi vedo costretto a chiedervi di condividere con l'Ignis Regio la formula del gas che è stato capace di questo."
Quello lo osservò, imperturbabile. "Chiedete molto."
"Pare che sia del tutto innocuo sugli esseri umani, dunque non c'è pericolo. Ventii Umbra, abbiamo pagato molto la sfacciataggine del nostro ragazzo-demone, concedendovi dei benefici commerciali che mai avevamo concesso prima."
"Negli ultimi 400 anni, Kakashi, non erano mai morti tanti civli in una volta. Taluni per sbaglio, altri per spionaggio. Ma gli attacchi ai centri abitati erano chiaramente proibiti."
"Avete ragione. Ambedue sappiamo quanto può essere distruttivo aprire la guerra ad ogni tipo di iniziativa, rimuovendo le regole che ci siamo dati nei secoli. Ma al momento, se quanto sostenete è vero, ci sono due demoni che solcano le vostre e le nostre terre - adirati, furiosi con coloro che li hanno intrappolati." Abbassò lo sguardo, congiungendo le mani dietro la schiena, per poi voltare la spalle a quello e scrutare Naruto. "Abbiamo catturato Kyuubi con estrema difficoltà. Praticamente a mani nude. Qualsiasi arma diventava inutile, al suo cospetto. E' stato necessario impegnare le menti più sottili a nostra disposizione, per trovare un metodo funzionale. Molti uomini sono morti." Si volse nuovamente verso la Ventii Umbra, levando il mento. "E' evidente che il vostro gas ci tornerebbe molto utile."
Baki, poggiato contro il muro della stanza, flettè leggermente le labbra.
Kankuro abbassò lo sguardo.
Sebbene la Ventii Umbra rimanessea impassibile davanti a lui, Kakashi non perse quei piccoli dettagli.
"Mi spiace. Non possiamo fornirvi il gas."
"Lo immaginavo."

La richiesta in se' era stata molto ingenua, la risposta scontata.
Vietare l'utilizzo dei demoni in battaglia non significava avere il dovere di consentire all'altro di difendersi dagli stessi.
Kankuro e Baki lo sapevano. E dunque erano particolarmente vicini alle decisioni del consiglio.
Quello era un dato fondamentale.

Avrebbe potuto insistere, e, con altri compromessi commerciali, ottenere il gas.
Sicuramente i bianchi se lo aspettavano.
Ma non lo fece.




Naruto si svegliò definitivamente.
Aveva passato le ultime ore in uno stato di dormiveglia come incorporea, in cui percepiva tutti gli stimoli esterni ma era del tutto incapace di elaborarli.
Sentì nuovamente le corde che lo fermavano al ripiano, ed il bip aritmico insinuarglisi nelle orecchie.
Aprì lentamente gli occhi, circondato da pareti beige e polverose.
Attese.
Non sapeva cosa.
Ma attese.




Kakashi si sedette sulla panca con un tonfo, svaccato, il sole basso davanti a lui. Giallo.
Kankuro si voltò leggermente perplesso.
"Eilà."
Fece il Rector, osservando le mura di Arenae Pagus.
"Eilà." rispose il ragazzo, senza ben sapere come rivolgersi all'ambasciatore dell'Ignis Regio.
Lui era solo un guerriero, dopotutto. Un Bravo guerriero, ma un guerriero. Non avrebbe dovuto parlare con gli ambasciatori.
"Sei stato tu a lanciare il bussolotto col gas, non è vero? Dev'essere stata un'impresa da urlo."
"Non possiamo fornirvi il gas." tagliò corto Kankuro, sperando di liberarsi di quello.
"Non è il gas il mio problema. So che eri anche a controllo del Rosso, quando Naruto è venuto a far battaglia."
"Sì."
"Pare che vi aspettiate muoiano tutti e due a momenti."
Kankuro non rispose.
"Suvvìa, il patto è stato firmato. I demoni sono ufficialmente armi illegali. Puoi parlare. ... Credo. Perchè se tu non volessi parlare avrei motivo di credere che c'è sotto ancora qualcosa."
Il ragazzo rimase zitto, finchè, di scatto, non si levò dalla panca, con l'aperta intenzione di allontanarsi. "Mi spiace, sono un guerriero, non un uomo da scartoffie. Non ho voce in capitolo. Non parlo per il semplice fatto che un guerriero non ha motivo di parlare con un ambasciatore. E' scorretto."
"Sono un guerriero anch'io." sottolineò Kakashi, accavallando le gambe, la caviglia destra sul ginocchio sinistro.
"Già." fece l'altro, espirando. "Voi fate tutto. E poi non siete capaci di elaborare un gas antidemone."
"Ciò nonostante, le tecnologie le comprate da noi."
Kankuro osservò l'uomo, cercando di capire cosa volesse fare.
"Sai. Naruto era un mio allievo." continuò il Rector, osservandolo e levando successivamente le sopracciglia. "Tocca a te."
"Mph." Kankuro tornò a sedersi, continuando a domandarsi quanto quella conversazione fosse giusta.
Ma c'era un peso di cui avrebbe veramente gradito liberarsi.
E dopotutto, era vero: i due ragazzini sarebbero morti a breve, per quel che ne sapeva lui. Il Rosso per primo.
La storia poteva considerarsi chiusa.
"Gaara avrebbe dovuto essere mio fratello." disse infine, guardando davanti a se'.
"Wow."
"... tocca a te."
"Già. Bhe', vediamo." Sollevò lo sguardo, verso il cielo. "Ho dovuto torturarlo, a causa del demone. Non è stato piacevole."
"I fratelli qui sono molto importanti. Ma Gaara non era umano. Non so esattamente cosa fosse."
"Pare che impiantare il demone in Naruto lo abbia fatto soffrire in maniere incontemplabili."
"Naruto ha ucciso mia sorella."
"Sul campo di battaglia siamo tutti uguali."
"Lo so. Ma poi ho pensato che quello che veniva definito nostro 'fratello' era la stessa identica cosa. E allora ho preso paura."
"Non hai mai conosciuto Gaara senza il demone, vero?"
"Gaara è nato per quello, con quello."
"Nemmeno io ho conosciuto Naruto senza. Ma era molto difficile rendersi conto che aveva qualcosa di strano."
"Voi lo avete camuffato. Noi abbiamo sbandierato Gaara sin da subito."
"Perchè era diverso."
Kankuro si voltò verso il Rector, sbuffando. "Chiudiamola qui. Sto rischiando di dire cose che non dovrei dire. Un Guerriero non parla con un Guerriero, Kakashi. Un guerriero ci combatte."
"Hai ragione."






"Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta."
Socrate







[NDA]
Capitolo... socratico.
Devo cercare di non correre! ed è difficilissimo. Perchè fra pochissimo finalmente faccio succedere quello che sognavo fin dall'inizio, e poi saremo alla conclusione - gli ultimi atti.
Quindi ci vado coi piedi di piombo, se no rischio di rovinare tutto sul più bello. Sono felice perchè il racconto sta tornando abbastanza corale. Ogni piccolo tassello va dove deve andare.
Grazie a TheFrozenColor per la recensione, e anche Reki, che ormai mi segue da anni e per questo la ringrazio profondamente.
@nous: mi sono dimenticata di scriverlo nel capitolo prima: si, certo, è un racconto che vuole screditare le utopie... specialmente quelle in cui tutto sembra funzionare come con gli ingranaggi be oliati. D'altronde, apparte 'Utopia' stesso, non conosco racconto, film o romanzo che, parlando di utopie, non finisca con il dimostrare che sono distopie.



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Capitolo 33
*** 32 (Esecuzione) ***


32. Esecuzione.


32. Esecuzione.


C'erano cose che Kankuro non poteva dire.
Quindi le sapeva.
C'erano regole di buon costume che Kakashi stava infrangendo, bypassando il consiglio e la Ventii Umbra per parlare con il ragazzo.
Questo glielo aveva letto negli occhi, nei gesti, nella voce.
Kankuro aveva paura, ma aveva anche bisogno di parlare. Per quello era stato così facile.
Ma presto era tornato nelle proprie righe, scappando.

Comunque non c'era più niente che Kakashi dovesse sapere al riguardo.
I bianchi erano rimasti molto scossi da tutta la storia dei demoni.
Come ripicca, gli avevano rifiutato la formula del gas.
Se Kyuubi fosse tornata alla carica, se la sarebbe presa anzitutto con loro. I bianchi lo sapevano, e quella era la loro arma. Niente gas, niente controllo di Kyuubi.
Li avrebbero fregati - pensò Kakashi, osservando Naruto che si guardava attorno rintronato.
Se non fosse che Kyuubi era ancora dove l'avevano messa.

Socchiuse le palpebre, facendo ritornare la sua iride sinistra nera come la pece.

Era certo possibile che i bianchi si rendessero conto del fatto che non avesse insistito troppo sul gas, e che quindi pensassero c'era sotto qualcosa.
Per questo avrebbe cercato di insistere un altro po'.
Ma non troppo.
No, era fermamente convinto, alla luce dei fatti, che il posto migliore dove potesse stare Kyuubi fosse proprio Naruto.

"Naruto."


Ti racconterò una storia, piccola Sakura.


Il ragazzino volse il capo verso il Rector.
Kakashi si abbassò su di lui, estraendo, lentamente, il tubo che infilato nella sua trachea lo aiutava a respirare.
Naruto tossì.
Gli squilli dei macchinari cui lui e il Rosso erano attaccati permeavano l'aere bollente della stanza.
Gli occhi azzurri del biondino, ancora leggermente irritati dalla deformazione che avevano subito, si posarono sul corpo dell'altra Bestia.
Pareva immobile. Uno scheletro ricoperto da uno sottile strato di pelle.
Bip.
'Vivo' era un aggettivo molto difficile da attribuirgli.
Bip.
Funzionante, semmai.
Bip.
Ma prossimo al collasso.
Bip.

"Ero venuto per parlargli." fece il ragazzino, con un filo di voce. "Non volevo combattere."
"Avresti dovuto immaginarlo, direi." rispose Kakashi, osservando a sua volta il Rosso. "Ha le ore contate. Minuti, forse."
"Fino all'ultimo contavo di poter rintracciare la sua coscienza. Ma l'hanno uccisa, Kakashi. Non le hanno permesso di crescere e di diventare consistente. E quando il suo demone lo ha abbandonato... il Rosso ha pianto."
Il Rector tornò verso Naruto.
"Ha pianto, perchè era rimasto solo. E da solo, non era nulla." concluse il ragazzino, socchiudendo le palpebre.
"Lo sai che dirmi ciò non ha molto senso, vero, Naruto?"
"Dovevo dirlo a qualcuno. Qualcuno deve sapere."
Kakashi storse le labbra.
Già - qualcuno deve sapere. Ma non lui, che non avrebbe voluto. Non lui che nel non sapere aveva vissuto.
Ormai era dentro.
Non c'era scampo.
E non cercava più una via di fuga.
Estrasse la sua pistola dalla fodera che aveva in vita. La mandritta serrata sull'impugnatura, la mancina a posarsi sul carrello.
Con un lieve gesto, morbido e religioso, caricò la calibro 45 che aveva in dotazione.
Mezzo passo avanti, verso il ripiano marmoreo su cui era legata la Bestia dell'Ignis Regio.
Posò la punta della canna sulla fronte del ragazzino, fra le due sopracciglia bionde.
Naruto sentì il metallo sulla pelle disidratata.
"Mi dispiace."


E' la storia di come siamo arrivati sin qui.



"Perchè devi uccidermi?" domandò Naruto, distaccato e totalmente disinteressato alla cosa.
Lo sguardo era fisso sugli occhi asimmetrici del Rector.
"Per quello che ti ho fatto, Naruto." rispose l'uomo. "Per il Laniatus."
Naruto non distolse lo sguardo. Il ricordo della tortura era vivido in lui, come qualunque altro ricordo. Da quando il muro della sua memoria, eretto dall'azione del Laniatus stesso, era stato abbattuto, ogni singolo evento appariva chiaro e ben delineato.
"Sono gli ordini, Kakashi. Serviamo la nostra Regio. Ognuno nel mondo che meglio gli compete."
Kakashi non si mosse. Ascoltava perplesso le parole di un uomo intrappolate nella voce di un ragazzino.
Ascoltava il suono di una saggezza maturata in un tempo troppo breve, ascoltava le convinzioni su cui tutto il Ludus e tutti i Custos si fondavano.
"E la morte è un onore, Naruto." 



E' la favola di come fui un folle.



"Sì. Morrò per la mia Regio, Kakashi. Proteggendola. Proteggendo i miei maestri e i miei fratelli. Sempre e comunque."
Il Rector abbassò lo sguardo, espirando, sgonfiandosi.
"Bene." fece infine, tornando a scrutare gli occhi del ragazzino.
Naruto non si muoveva.
Sembrava non stare pensando a niente. E al momento, era vero.
Non sapeva come sarebbe andata a finire.
Non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi. Orgoglioso? Rassegnato? Divertito?
Nessuna certezza, come mai ne aveva avute: se non quelle di cui aveva parlato con Kakashi. Le certezze del Ludus, che anche se parevano sgretolarsi sotto la marea di eventi accaduti sino ad allora, nella sua testa erano ancora chiare e limpide, coese, ovvie.
Qualunque cosa sarebbe successa, le avrebbe rispettate. 
Ci credeva.
Fermamente.
Lo avevano notato tutti, questo.
E aveva una logica.
Perchè quei principi, soli, erano principi umani. Erano i principi di una società capace di proteggersi.
Anche da se' stessa.
"Cosa pensi di fare, Kakashi?" domando il biondino, senza preavviso alcuno.
Una domanda sincera e curiosa. La domanda di un bambino.
Bambino o uomo?, si domandava Kakashi leggendo le sue espressioni e le sue parole.
Metà e metà.
"Penso di fare la cosa giusta."

Il rumore dello sparo eccheggiò nella stanza vuota.
Il Rosso sussultò - per poi tornare incosciente e insenziente, mentre il suo cuore rallentava il battito, inesorabilmente.




E' un segreto. 

Fanne buon uso.





***


"Se acconsentite, vorrei seppellirlo come si usa fare dalle vostre parti."
Baki e Kankuro osservavano Kakashi, per poi andare a guardarsi attorno.
Il Rosso da una parte, intento a spegnersi, e il biondino, dall'altra - un foro in fronte da cui scendeva un rivolo di sangue denso. Gli occhi erano socchiusi e vuoti.
Baki si avvicinò al corpo di Naruto, poggiando indice e medio sul collo del ragazzino.
Kankuro storse le labbra.
"Sì, è morto." concluse Baki, dopo qualche minuto. "Perchè vuoi seppellirlo, Kakashi?"
"Era un mio allievo. Il suo nome scomparirà dai registri della nostra regio - noi suoliamo cremare i cadaveri che hanno il lusso di essere rinvenuti, ma per un soggetto di cui si negherà negli anni a venire l'esistenza, ciò non può essere fatto."
"Egli non è figlio di questa terra. Ci sono molti nostri compagni sotto questa terra, Kakashi. Molti dei quali sono morti per causa sua."
"Per causa loro." accennò al Rosso, serrando le braccia al petto. "Per causa di chi ne fece ciò che erano."
Kankuro si sollevò dalla parete dove poggiava le spalle, avanzando verso i due. "Lo seppelliremo sul confine." disse.
Baki non mosse un muscolo.
"E così sia."


***

"Un foro in mezzo agli occhi."
"Tu sai che abbiamo già visto questa scena, Kakashi."
"Certo, Jiraya. Ma il Rosso è guarito istantaneamente. Non respira. Non c'è battito da ore. Il sangue non scorre, il colorito tende lentamente verso la classica tonalità bluastra."
"Dunque qual'è la tua conclusione? Che è finita?"
"Sì. La volpe era stata indebolita dal loro gas antidemone - o come preferisci chiamarlo. Non ha potuto nulla."
"Quindi Kyuubi è morta con lui."
"Così pare."
"E il cadavere?"
"Lo seppelliremo sulla base delle loro usanze."
"... d'altronde, una crematura classica, qui, non la possiamo fare. Naruto scomparirà dalle memorie della Regio. E suppongo lì non si possano bruciare i corpi."
"Indubbiamente non hanno le strutture adatte. La loro cultura dei morti è leggermente diversa dalla nostra."
"Loro hanno i cimiteri. Già - ma non ti permetteranno di seppellirlo in un terreno a loro così sacro."
"Infatti. Andremo sull'esatto confine."
"Bene. Rientra il prima possibile."
Kakashi chiuse la comunicazione.
Levò gli occhi verso l'alto, in un respiro profondo.


***


Il feretro era composto di una sostanza palesemente artificiale - probabilmente plastica. Gli gravava sulle spalle, nero, mentre avanzava sul terreno arido.
"Ci siamo quasi, direi."
Il carro che li aveva accompagnati - obsoleto, era un carro da mercante trainato da cavalli - era oramai molto indietro.
Kankuro si guardò attorno, sotto la divisa bianca da guerriero della Ventii Regio, osservando le milizie di frontiera appostate nei cubicoli di terracotta, nelle tende e nelle casette issate alla buona.
"Sembra tutto calmo. Va bene, Kakashi. Direi che qui va bene."
"In mezzo al fronte?"
Kankuro lo osservò, serrando le braccia al petto.
"Ci possiamo muovere ancora un poco lungo il confine, per uscire dai fronti consueti. Ma immagino tu sappia meglio di me che non esiste linea di separazione fra Ventii Regio ed Ignis Regio ove non si sia svolta e si svolgerà battaglia."
"Vorrei solo evitare di trovarmi in mezzo ad una scaramuccia."
Il ragazzo sbuffò.
"Come vuole, signor ambasciatore."
Assieme a loro, cinque guerrieri bianchi e cinque neri si muovevano compatti, di scorta. 
Dopo qualche altra ora di tragitto lungo il confine, trovarono un punto dove passavano saltuariamente solo alcune sentinelle bianche, a controllare l'ingresso nella Ventii Regio di eventuali spie.
E dire che ciò nonostante Naruto era entrato comunque.
Non appena ordinato loro di farlo, i dieci uomini iniziarono a scavare.
Il trattamento era di tutto riguardo, ma la situazione poteva definirsi decisamente particolare. Difficile era potersi muovere lungo i confini se non con il visto da mercanti.
Ma per gli ambasciatori, questo ed altro: e dire che avrebbero potuto ucciderlo quando volevano: ma era decisamente stupido nuocere agli unici mezzi di comunicazione che esistevano fra le due regio.
Kakashi poggiò il feretro per terra, osservando gli uomini che preparavano la buca.
"Bianchi e neri intenti a collaborare. Se non l'avessi visto, non ci avrei mai creduto."
Kankuro sbuffò. "Facciamo in fretta, semmai."
Calarono entro breve il sacco nero nella fossa. Senza troppa grazia, va detto.
Il Rector si affacciò al limitare dell'improvvisata tomba, osservando dentro.
"Mi ha sempre lasciato perplesso la vostra usanza di seppellire i morti. Sotto certi punti di vista, è quasi antigenico."
"I cimiteri sono fuori dalle città. I morti diverranno sabbia, ma sono ancora legati al deserto. Così impediamo che lo lascino troppo presto. Prima di essersi abituati a non essere vivi. I vostri morti, bruciati, vengono a contatto con il mondo dell'oltretomba troppo presto. Per questo saranno sempre spaesati."
Kakashi lo osservò.
"Mondo dell'oltretomba, dici?"
Kankuro annuì.
"Mai sentito. Il nulla è nulla, sepolto o bruciato che sia."
Il ragazzo si strinse nelle spalle. "Egualmente a noi ha sempre fatto strano questo vostro pensiero."
Il Rector tacque.
Dopo qualche istante, estrasse la sua calibro 45 dalla fodera.
Kankuro fece mezzo passo indietro, interdetto.
"Non ti preoccupare." fece Kakashi, osservando il ragazzo porsi sulla difensiva. Si flettè sulle ginocchia, per andare a poggiare l'arma sul feretro in fondo alla fossa. "Immagino che, avendo seguito le vostre usanze, è questo mondo dell'oltretomba che lo aspetta. Non intendo mandarci un giovane Custos privo della sua arma.".
Kankuro storse le labbra. "Non è così che funziona."
Ma il Rector si strinse nelle spalle, noncurante. "Adesso vediamo di seppellirlo per bene."

Non piantarono nulla che potesse assomigliare a lapidi o paletti commemorativi.
Non c'era nulla da commemorare.
Rimaneva il segno della tomba nel terreno - segno che entro qualche anno sarebbe scomparso.
E allora di Naruto si sarebbe persa ogni traccia.
Kakashi osservava la fossa colmata di terra, silente.
"C'è una cosa che volevo dirti, Kankuro."
"Lo sai come la penso sul dialogo fra me e te. Evitiamolo."
Kakashi si volse verso quello, lasciandosi la tomba alle sue spalle.
"Non è fra me e te. Suppongo sia fra te e Naruto."
Il ragazzo levò le sopracciglia. "... Naruto. L'assassino di mia sorella? Interessante."
"Quando il demone ha abbandonato il corpo di Gaara, ha detto che piangeva."
Quello inclinò il capo, cercando di comprendere il senso della frase.
"Tuo fratello." aggiunse Kakashi. "Piangeva la solitudine."
Kankuro assorbì lentamente il significato di quella frase. Il Rector, nel mentre, si era incamminato sulla strada del ritorno - superando il ragazzo e lasciandolo solo.



***

Scende lenta lungo un viso che si affila e matura.
Scende dolce su un rossore tenue.
Sorpassa il mento
e incontra la terra.
"Tsunade..."
La piccola donna piange, mentre il Difetto la stringe a se'.


***


Si sedette per terra.
Davanti a lui c'era il tavolo dove il Rosso andava concludendo la sua permanenza nel mondo dei vivi.
Bip.
Non aveva molta voglia di alzarsi in piedi.
Ne' di osservarlo in volto.
Bip.
Lo aveva detestato, in passato. Poi solo temuto.
Ora giungeva una sensazione nuova, che non riusciva a collocare nel suo animo turbato.
Bip.
Tre giorni era sopravvissuto.
Dicevano che sarebbe morto da un istante all'altro, e invece per tre giorni era sopravvissuto.
E forse lo avrebbe fatto avanti.
Bip.
Ma perchè?
Dopo qualche tempo di attesa, si levò in piedi.
Bip.

E Gaara era lì. Uno scheletro con un cuore intento a pulsare. Intubato e colmo di flebo.
Aspettavano che morisse. Tanto valeva lasciarlo morire del tutto, senza aiutarlo. Ma avevano avuto la speranza che fosse ancora vagamente senziante. Avrebbero potuto ascoltare una versione dei fatti, in tal caso.
Inutile.
Il Rosso non muoveva un muscolo.
Kankuro gli si affacciò sopra, iniziando ad estrarre, lentamente e con cautela, il tubo del respiratore.
Quello sembrò rantolare, finchè la sua trachea non fu finalmente libera.
Non si mosse.
Kankuro attese, osservandolo respirare a fatica.
Cosa stava facendo?
No, non lo voleva lasciare morire.
Non adesso. Non così.
Posò una mano sulla fronte del Rosso.
No, non lo avrebbe lasciato spegnersi.
Gaara volse a fatica gli occhi verso di lui.

"Gaara."
...
"Mi dispiace."

Il Rosso lo guardava, perso.
Gli occhi, enormi sul volto smunto, circondati dal nero più profondo, divennero lentamente lucidi.

Kankuro si morse le labbra.
Colpevole fino alle viscere, ecco come si sentiva.
Come non si era mai sentito.
Come non aveva mai pensato di doversi sentire.
Non pietà per il fratello, ma quell'amore che non gli aveva mai concesso - e che il Rosso, in quanto non umano ma unicamente ospite di Shukaku, non gli aveva certamente mai chiesto.
Ma ora erano lì.
Due fratelli, nulla più.

Umani.

No, gli avrebbe dato ciò che era giusto.
"Non sarai solo, di là." sussurrò Kankuro, estraendo il pugnale che portava alla caviglia.
Si avvicinò al volto del fratello, mentre, con la mano posata sulla sua fronte, lo carezzava.
"Vai da Temari. Non avere paura, fratello mio. Finirà tutto. E finalmente potrà iniziare la tua storia."

Un gesto secco e preciso, silenzioso: frutto di anni di pratica.

Per liberare la Bestia dal nulla in cui era intrappolata dal giorno della sua nascita.




***




Dondola.
In maniera impercettibile.
Mordendosi le labbra rosate, stretta nelle spalle, come a volersi proteggere.
Una folata, rapida ma preannunciata, sembra avere spazzato via tutto.
E' il vuoto, che incombe e lento cammina, che inesorabile marcia, e nel paradosso la riempie di nulla.

Dondola,
due braccia serrate attorno al suo corpo.
Leggere la stringono senza impedirle movimento alcuno.

Dondola,
la mente svuotata da un pianto che non le appartiene, silente e discreto, definito da due righe di lacrime che scendono lungo le gote.

Tutto ha perso senso - o nulla lo ha mai avuto.

Non piange le morti, ma le sofferenze.
E sa che quello è solo l'inizio.






***






Non era la prima volta che succedeva.
No, lo sapeva.
Forse aveva addirittura sperato troppo.
Forse era stato stupido a non pensare che quella era l'unica via.

Ma questa volta era stato più portentoso della prima.

Con un'esplosione dei muscoli cercò l'aria. Un unico, enorme movimento, dopo tre improvvisi e interminabili istanti di sgomento vivo.
E la sua innata voglia di vivere sembrò essere sempre l'unica vincitrice.

Un urlo smorzato, interrotto, soffocato - tossì violentemente cercando di riadattare i suoi occhi alla luce.
Pulsava.
Tutto pulsava.
Ogni singolo muscolo bruciava, come sciolto nell'acido.

Piegato a metà, cercando solo di capire.

Dove.
Perchè.
Quando.
Cosa.

E i polmoni erano due baratri incendiati ad ogni affannatissimo respiro.
Tremando.

Era come essere rinati.
Come aver ripreso la prima boccata d'aria della propria vita.

E faceva MALE.

Si guardò attorno: terra.
Terra arida, qualche idea di arbusto morente: e attorno a lui, avvolto a lui, un materiale nerastro.
Cercò di issarsi in piedi.
Cadde.
Sul corpo sentì un peso innaturale: calò lo sguardo, osservando le sue mani.
Lerce di terra, anch'esse brucianti come il resto del corpo.
Scure.
Grige.

E poi un battito.

Sussultò.

Un altro. 
Ritmico.
Aritmico.
Sincopato.
Accelerato.
E poi normale: 

il battito di un cuore.

Che pompava sangue.
Che scorreva nel suo corpo.
Che sembrava ridare colore alle sue braccia, alle due dita.

Si concentrò su quel fluido che gli scorreva nelle vene, mentre il pulsare iniziale svaniva lentamente.
Tornò a osservarsi il grembo: notò qualcosa.
Un oggetto metallico.

Si flettè ad osservarlo.
Attonito, sorpreso, incapace di capire da dove veniva.
Ma la conosceva.
E da troppo tempo non l'aveva con se.
Con i gesti con cui si carezza una donna, prese in mano la calibro 45.

Seduto, nudo, in mezzo a un cratere nella terra arida, mezzo infossato, mezzo avvolto da un sacco nero squarciato.

Caricò l'arma, osservandola spiritato.

     "Buongiorno, piccolo mio."

Lui strinse ulteriormente la calibro 45, assaporandone al tatto ogni curva, mentre ogni ricordo ad esso legata tornava nella sua mente che si schiariva.

     "Questa volta c'è mancato veramente poco."












______________________________________









[Nota dell'autrice]
paradosso dei paradossi - il pairing che avevo in mente SFUMA miseramente (me n'ero già accorta tempo fa...) a causa dell'impeto degli eventi.
Inutile forzare, d'altronde, per come sono andate le cose la strada possibile è una ed una sola :) immagino abbiate più o meno capito quale, dato che è l'unica. xD
Comunque...
sììì <3 ci siamoooo <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3





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Capitolo 34
*** 33 (In quei giorni senza sole) ***


33.






Il tempo.
Il tempo è una creatura strana.
E' nulla più di una dimensione, lungo la quale ci hanno lanciati e ci muoviamo.
Il tempo.
E' un concetto contorto, tanto intuitivo da rendere la sua definizione quasi impraticabile.
Il tempo.
Il tempo è cosa normale, il tempo è la base della nostra esistenza.
Nel tempo siamo e diveniamo: nel tempo nasciamo, cresciamo e moriamo.

E dunque tutto ciò che sembra dato dire del tempo è che esso, in un modo o nell'altro, scorre.

Scorre, ora lento e ora più veloce.
Scorre per tutti, senza eccezione alcuna.

Il tempo scorre, e passa, e si allontana, trascinandosi con se' i ricordi degli eventi, i pensieri, le paure, gli amori, gli amici, i sogni, i più grandi desideri.
 E li fa sedimentare nell'animo, nella mente e nel cuore.
Il tempo si porta via tutto, ma il tutto continua a presentarsi nel fuggitivo presente: con le sue conseguenze.

E se un sasso cade nello stagno, ora il sasso non è più sulla sponda, ma circondato dal limo.
E se un lupo caccia una lepre, essa non è più viva, ma nutre il cacciatore consentendogli di sopravvivere ad un'altra notte di gelo.

Se non tutto, quasi, si conserva nel tempo.
Cambia solo aspetto.
Cambia solo forma.
Si sedimenta.
Ma difficilmente farà scomparire completamente le tracce della sua esistenza.



Gira voce sia pensiero frequente immaginare che i grandi avvenimenti siano causa di un capo.
Si pensa spesso ai grandi oratori che aizzano le folle, sfoggiando una dialettica che pare frutto d'un genio - e forti del loro carisma, si trascinano le masse al proprio seguito.

Ma non è così che va il mondo.
Un uomo solo non potrà mai nulla.

Sono i tasselli di un puzzle che lentamente giungono al loro posto che rendono le cose possibili.
Non è un fato da compiersi: è la possibilità del realizzarsi di un evento che si fa sempre più alta.
Potrà succedere.
O forse no.

Sono le crepe che si allungano lungo il muro a farlo infine cedere.
Sono infiniti colpi d'ascia che fanno crollare l'albero.
Sono i millenni di calcare trasportato dalle gocce d'acqua, a generare la stallatite, la stallagmite - e, un giorno, quasi per caso, ad unirle.

Occorre tempo.
Occorrono i tasselli.
E per rompere definitivamente qualcosa di estremamente fragile, basta un unico, piccolo, colpo.

Penseranno che sia stato quello a farlo crollare.
Ma in realtà, aveva già ceduto molto tempo prima.





__________________________________________________________


"Cosa dovrei fare?" sussurrò la ragazzina, il capo più chino di quanto pareva possibile.
La sua mente era vuota. Un nugolo di polvere e frammenti.
Itachi alzò il volto, come per andare a guardare il cielo che non c'era, con gli occhi, che non aveva.
"Non puoi fare niente." concluse, rimanendo fermo in quella posizione.
"Non saprei nemmeno come fare qualcosa. Io... non posso fare nulla. Non c'è nulla da fare." continuò lei, la voce quasi sorpresa nel tono ciò nonostante piatto e atono.
"Se non credermi."
Sakura si volse verso quello, che rimaneva col mento levato.
"Era la storia di Tsunade e di me, quella che ti raccontai, piccola Sakura." continuò il ragazzo. "Ora che conosci la storia, puoi guardare meglio il mondo che ti circonda."
"Non vedo più nulla, per quel che mi riguarda."
"Oh, ma c'è ancora molto, in questo mondo. C'è ancora tutto." Espirò, abbassando il capo. 
Si avvolsero nella coltre del silenzio, che sembrava dar loro la sensazione di proteggerli.
"Mi dispiace di averti coinvolta nella mia sofferenza." Fece d'un tratto Itachi, la voce greve e colpevole. "E' la stessa che mi condusse ad agire in maniera molto poco assennata, e so quanto è grave il peso che ti porti ora addosso."
Sakura tirò le labbra, in uno spasmo di furia malcelata. Le mani si strinsero alla tela del camice.
Itachi sentì.
"Sono convinto di aver fatto la cosa migliore." concluse.
Lei si scattò in piedi, furente: "Tu Sapevi! Sapevi che le regole di questo mondo erano le uniche cose su cui mi basavo, Sapevi che la fiducia che riponevo nel Globus, in Tsunade, e in tutti coloro che mi erano superiori, era Tutto! Era la mia vita! Era la mia esistenza! Così come per tutti, di più per me! Ma ora che mi hai fatto vedere quanto fragile fosse la mia maestra e quanti errori abbia commesso, sia lei che il Globus, in cosa posso credere? Dimmi!"
Il ragazzo osservava la ragazzina scaldarsi e tornare a lacrimare, compatendo, questa volta, se' stessa.
Aspettò che sbollisse la rabbia che aveva in se'.
"Al fine sei stata tu a domandarmi di Tsunade, Sakura."
"Perchè la TUA voce mi rindondava in testa, obbligandomi a chiedermelo! Tu hai scavato per mesi e mesi, ogni dannato giorno in cui ci incontravamo, demolendomi!"
Lui abbassò il capo, come colpevole. "... no, piccola Sakura." Sussurrò. "Tu mi hai permesso di farlo. Perchè con te potevo farlo. Perchè tu sei una creatura logica, come me. A molti altri ho riservato lo stesso trattamento, e tu sola hai risposto alle mie richieste d'attenzione. Perchè tu cerchi la logica, tu ambisci alla conoscenza - ma l'hai sempre fatto seguendo la strada sbagliata. Ed ora che ti ho dimostrato che non è sufficiente seguire le regole del Ludus, che esse non sono logiche, che non sono cosa valida in cui credere... sei crollata. Ed è colpa mia. E mi dispiace - ma era questo il mio intento."
"PERCHE'?!" scattò la ragazzina.
"Perchè quello che ti ho presentato, Sakura, è il tuo mondo. Non il mio. Non più."

La porta sbattè.
Sakura camminò lungo il corridoio a passi lunghi e adirati.
Non avrebbe mai più rivolto parola al Difetto.
Aveva pianto, aveva subito - era pronta a cancellare tutto dalla sua mente.
Non aveva importanza la realtà. Lei - lei doveva sopravvivere.
E con quella storia sulle spalle non ci sarebbe riuscita.







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Naruto: I frutti dell'Oblìo

- Parte seconda -
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33. In quei giorni senza sole



Negare, negare, negare:
 - fino all'ultimo.

Lasciare un pensiero sul fondo della propria mente.

Per quanto?
E per quanto tempo procedendo dritti, senza volgersi indietro?







L'Effluxum rallentava dolcemente, sotto la spinta dell'acqua che fluiva lungo i suoi mastodontici tubi.
Lui mosse qualche passo, avvicinandosi alle porte stagne del siluro: una volta allineate a quelle del tubo, si aprirono silenziose.
Un passo davanti all'altro, i tacchi degli stivali cromati sul pavimento cementato della SubSphaera.
Con un leggero movimento del capo, si scostò un filo di lunghi capelli corvini da davanti al volto, per poi ricondurlo con la mandritta assieme agli altri, ai lati degli zigomi.
Alzò lo sguardo, i due occhi neri come il fondo d'un baratro a posarsi sul soffitto dell'enorme androne.
"LeeBes" chiamò, volgendosi indietro.
Un ragazzo robusto, grosso, il capo rasato che lasciava intendere i capelli neri, dagli occhi a palla e le labbra sottili, si avvicinò a lui.
"Tre giorni di riposo, non di più. Non intendo lasciare Neji da solo per lungo tempo. Rimetti in ordine i tuoi Bellatores, tappa i buchi delle perdite. Fra settantadue ore esatte intendo partire con un manipolo di quattrocentocinquanta uomini. Non uno di più, non uno di meno."
Lee annuì, sull'attenti, rigidissimo.
"Troverai ciò che hai domandato, SasukeCho."
Sasuke non fece un cenno, incamminandosi verso i propri alloggi.

Così era, da anni, ormai.
Così era, per tutti loro: il solito cubicolo di cemento, il letto, la scrivania, il bagno.
Quand'era bambino, difficilmente avrebbe sospettato che in realtà i Custodes abitavano nient'altro che sotto i suoi piedi.
A dire il vero, non sospettava e basta.
E a dire il vero, nel suo alloggio non ci abitava. Era una camera spoglia, che utilizzava raramente, e che a volte non vedeva per mesi: il fronte era la sua vera casa.
Si sedette sul letto, leggermente molle.
Ah, sì.
La doccia.
Quella sì che gli avrebbe fatto bene.



***




Shikamaru era più uomo che ragazzo degli altri - forse per l'eterna aria annoiata che si portava appresso, o più probabilmente per il pizzetto che si era lasciato crescere giusto giusto in cima al mento.
Sasuke lo osservava distaccato, rigirando la forchetta nello stufato d'agnello, apparentemente affatto intenzionato a mangiarlo. Attorno ai due, il tipico brusio delle mense permeava l'aria, privandoli del silenzio che avrebbero ambedue alquanto gradito.
"E mangia quella roba, Sa'ske!" esordì Kiba, piazzandosi accanto al ragazzo e sbattendo il vassoio sul tavolo. "Non ne vedremo altra così per parecchio tempo."
Shikamaru storse il naso, pensando alle razioni che aveva mangiato illo tempore sul fronte.
Schifo.
"Quant'è comodo muovere le fila da qui dietro" commentò, portandosi le manidietro la nuca. "Il fronte è una rottura."
"Immaginavo fossi qui per comunicarmi le direttive, non per per fare commenti." lo apostrofò Sasuke, cacciandosi una forchettata di stufato in bocca.
L'altro poggiò i polsi, sbuffando. "Certo."

Erano cresciuti così, senza nemmeno rendersene conto.
L'unica novità era un impulso, ante sconosciuto, che avevano scoperto di provare verso il genere opposto - al quale problema ovviavano accompagnatori ed accompagnatrici di dovere.
Ma per il resto, il tempo era semplicemente passato su di loro: e, passo dopo passo, avevano iniziato a progredire.
Sasuke non guardava più Kakashi da un'altezza inferiore da ormai qualche anno. Si era fatto robusto, elastico, maturo, temprato da anni passati a combattere - era un Custos, o anche più che tale: dirigeva battaglie, contava i morti, stendeva rapporti e ricominciava daccapo. Sul volto tanto mascolino quanto affilato, scendeva una lunga frangia di capelli corvini, raggruppati ai lati del capo, e sparati sulla nuca.
Shikamaru, al quale mancavano pochi anni per essere dichiarato ufficialmente un Philosophus, era divenuto più magro, avendo ridotto di molto l'attività fisica - ma controllando ache la sua dieta, come qualunque Philosophus che si rispetti. Il suo compito, al momento, era quello dello stratega di supporto - il tramite fra i Philosophi e i Custodes: ed era un ruolo in cui si faceva valere. Era uno dei pochi ad aver lasciato crescere un accenno di barba, oltre ad avere dei capelli particolarmente lunghi. Si aggirava per il Ludus in abiti quasi civili, e malsopportava la divisa che riservava di mettere in rare occasioni strettamente necessarie.
Parlare con Sasuke degli sviluppi sul suo fronte davanti a un piatto di stufato di vitello della mensa non era fra questi.
Loro, i suoi coetanei guerrieri, lo avevano visto, nella sua veste da Philosophus di drappi neri e rossi a mo' di toga. Gli stava indubbiamente bene: e quando la indossava, forte del loro eterno riguardo nei confronti della sua casta, sembrava tramutarsi agli occhi dei Custodes in un dio.
Era cresciuto con loro.
Non era dio, lo sapeva benissimo. Quindi se lo risparmiava. 
Sapeva che presto sarebbe giunto il tempo in cui avrebbe dovuto perdere quasi definitivamente i contatti con loro, se non interagendoci saltuariamente per disporre ordini sull'andamento del Ludus e delle battaglie. E allora sarebbe stato Philosophus a tutti gli effetti - e difficilmente avrebbero potuto contraddirlo. Il suo verbo sarebbe stato oro colato.
Ma sino ad allora, evitava il più possibile la toga.

"Buondì."

Sakura non era dello stesso avviso.
Almeno non sembrava. Indossava sempre, quando possibile, la sua divisa: altrimenti portava il camice, il che la classificava come medico, e quindi era egualmente un segno distintivo.
Nessuno di loro sapeva cosa faceva - e meno che mai aveva idea di cosa si portava appresso.
La vicenda di Itachi era stata per lei un capitolo che si era chiuso anni prima. Anche se continuava a visitarlo, non aveva più speso una parola con lui - costringendosi, dal giorno in cui prese quella decisione, ad essere la studentessa più rigida e precisa di tutti i tempi. 
Era cosa difficile, lasciarsi indietro Itachi e Tsunade, specialmente perchè sembrava la stessero preparando per seguire le orme della maestra.
Ogni gesto della ragazza era forte e determinato, atto a focalizzarsi sul suo lavoro e a non lasciare vagare la mente: salutava con il petto in fuori, oramai prospero, e non si lasciava scappare mai un atto d'insubordinazione. Da inflessibile ch'era stata una volta, lo era divenuta ora esponenzialmente.
Nessuno sospettava che c'era stato un istante in cui questa ferrea disciplina ed attaccamento alle regole aveva ceduto - per poi riformarsi, sotto costrizione, infinite volte più potente di prima.

Si sedette accanto a Shikamaru, di fronte ai due Custodes. I capelli rosati, mediolunghi, le incorniciavano il volto femminile dai lineamenti dolci.
"Buongiorno, Sakura" fece Kiba, fra un boccone e l'altro.
"Quando siete tornati?" domandò la ragazza, mentre andava a prendere le posate dal vassoio.
"Io ieri" rispose Kiba "Sasuke qualche ora fa."
Il ragazzo dai capelli corvini annuì leggermente.
Si misero a mangiare, silenziosi se non per qualche parola scambiata fra Shikamaru e Sasuke.
Sakura, dal canto suo, si dileguò il prima possibile - cercando di sottrarsi all'immagine del fratello di Itachi. La sua figura, il suo potere - Tunade stessa: non poteva permettere che quei pensieri le ritornassero in testa.
Dedicava ai vecchi compagni tempi ristretti e minimali - l'indispensabile per mantenere i rapporti con i Custos, onde evitare l'alienazione totale.
Ma era lei ad essere alienata in primis: da se' stessa.



***


Bussò con la punta delle nocche, ed aprì la porta senza curarsi dell'eventuale risposta.
"Bentornato" fece Kakashi, senza nemmeno voltarsi: lo sguardo era fisso sulle carte che teneva in mano, seduto in maniera non troppo composta alla scrivania.
"Sono quelli di quest'anno?"
I ragazzini del secondo ciclo.
Pronti da smistare.
Il Rector si strinse nelle spalle: "Nulla di eccezionale, devo dire."
"Peccato. Ho parlato con Shikamaru, ad ogni modo."
"Ah sì?" posò le carte, volgendosi verso Sasuke. 
Quello annuì impercettibilmente. Chiuso nella sua divisa scura e a mo' di seconda pelle, si stringeva nel copriveste grigio che gli spettava: lo portava sulle spalle, lasciandolo cadere quasi fosse un mantello nonostante non fosse niente di più di un giaccone di tela termica. Serrò le braccia al petto, spostando lo sguardo al muro.
"Sembra che fra un po' ti richiameranno a fare ambasciata, ci sono problemi sulle vie di comunicazione mercantili. Ci siamo avvicinati troppo con le battaglie, e ne abbiamo chiuse parecchie."
"Sempre la solita storia. Non vedo perchè debbano chiamare me." concluse il Rector, disinteressato, tornando alle sue carte.
"Dimmi, c'è n'è qualcuno, quest'anno, come me o Neji, o Kiba o Shino?" domandò Sasuke, avvicinandosi all'uomo.
Quello posò i fogli sulla scrivania, senza alcun segno di possessività o riservatezza, ma disponendoli in modo che il Custos non potesse leggerli. "Non credo sia affare che ti riguarda" rispose, garbato e leggero.
Sasuke storse le labbra, espirando uno 'mph' vagamente divertito.
Non era la prima volta che ci provava.
Ma dopotutto era un gioco, non aveva mai visto nulla, ne' tantomeno aveva insistito.
Quanto il Rector gli aveva detto anni prima, il tono con cui aveva pronunciato la parola 'laniatus' - tutto ciò era stato un deterrente sufficiente a non farlo scadere in gesti che, dopotutto, sarebbero stati più riconducibili a Naruto che a lui.
Già.
Naruto.
E la sua mania di controllare i bambini del primo anno.
Si perse in un silenzio contemplativo, le sopracciglia impercettibilmente aggrottate.
"Fra qualche giorno c'è l'esame per diventare Magister." annunciò il Rector "Potresti provare, quest'anno."
"Non si è mai visto un Magister di diciotto anni."
"Oh, che tu non li abbia mai visti non significa che non ce ne siano mai stati. E comunque è improbabile passare al primo tentativo - quindi, fossi in te, mi inizierei a muovere."
"Come se io volessi lasciare il fronte, Kakashi." fece lui, sarcastico.
"Non durerai molto, se continui a stare lì."
"Durerò quanto devo durare, come chiunque. Io servo al fronte, assieme a tutti quelli come me. Immagino tu questo lo sappia, no?"
"Fa' pure come credi." concluse il Rector, tornando a curarsi dei suoi documenti.



Uscì dall'ufficio di Kakashi chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. Mosse qualche passo lungo il corridoio, portandosi le mani prima alla nuca, per poi scivolare sugli occhi, che socchiuse sotto i palmi.
La meta successiva non era troppo distante, e da quando aveva forse undici anni suoleva andare lì, almeno una volta ogni sei mesi.
Certo, l'infermeria che utilizzavano i Custos era un'altra, non quella che aveva conosciuto quand'era studente - ma il concetto era il medesimo: colliro. 
Aveva bisogno del collirio per i suoi occhi. 

Sapeva che anche Neji e Hinata ne usavano - sebbene la loro vista fosse diversa dalla sua -, così come Kiba o Shino avevano preso a fare uso di microiniezioni periodiche.
Avevano capito, nel tempo, di essere diversi. 
Non erano gli unici, questo era certo. Ogni tanto compariva qualche ragazzo o ragazzino più giovane che, palesemente, portava una particolarità simile alle loro.
Il perchè di quel potere particolare non era cosa che li interessava: ma organizzarsi sulla base delle loro abilità era tutta un'altra storia. Lo aveva fatto per primo l'esercito, spedendo lui a condurre i fronti di sfondamento, e spostando invece Hinata e Neji sulle retrovie. 
Sasuke era capace di vedere con un anticipazione sufficiente da essere utile le mosse altrui - e, da come stavano le cose, Hinata e Neji vedevano invece sulla lunga distanza. Kiba governava lupi e sciacalli, Shino gli insetti.
... no, era una definizione semplicistica, quella.
Potevano andare ben oltre.
Ma nessuno di loro sapeva esattamente ne' quanto, ne' come. Era una scoperta, e scoprirsi nel tempo significava prestare moltissima attenzione a se' stessi. E alla guerra, in cui sperimentavano volta per volta le loro abilità.
Era talmente logico che quel loro essere 'oltre', per certi versi, fosse fortemente positivo negli esiti delle battaglie, che in realtà non avevano mai considerato l'idea di lasciare il fronte.
Si poteva. Quello lo sapevano. 
Non si sarebbero mai allontanati per sempre: solo per un certo periodo. E poi, più avanti, le cose sarebbero forse cambiate.
Non a caso Kakashi, Rector fisso, partecipava a svariate missioni speciali. E così Jiraya, Custos 'e basta', si curava delle nuove reclute.
Il futuro di un Custos rimaneva sempre un enorme punto di domanda.
 Ma quella era roba da gente che aveva ben che passato i vent'anni, non li toccava ancora.
Ora loro avevano un periodo di certezza e stabilità: i Giovani stavano al Fronte.
Ed anche a vent'anni superati, dopotutto, loro sospettavano che sarebbero rimasti egualmente a combattere.

Aprì la porta dell'infermeria, bussando in contemporanea: lasciò solo uno spiraglio aperto, domandando permesso.
La voce femminile lo invitò ad entrare.
Sasuke entrò, osservando col capo inclinato verso una spalla la ragazza.
"Sakura." concluse, dopo averla studiata per qualche tempo. "Da quando sei passata a questa infermeria?"
Lei si strinse nelle spalle, mentre era intenta a pulire un set di provette. "Qualche mese. Ma faccio pochi turni, per ora. Che ti serve?"
Schiuse le labbra, per iniziare una frase che non pronunciò. 
Si era reso conto che stava per iniziare con un 'Non so se sai' - ma che idiozia stava per dire. Se era di turno lì, sapeva.
"Mi servono le gocce per gli occhi." concluse il ragazzo, sistemandosi le lunghe e sottili ciocche di capelli corvini.
La ragazza si mosse agile e pratica, pronta a cogliere quanto richiesto.
Sasuke si voltò verso il muro, tacendo la mente.
Era meglio lasciar stare.


***

"Il motivo preciso" fece Jiraya, camminando lungo l'androne ove fermava l'Effluxum "è una questione parecchio strana, ti dirò."
"Mi chiamano per le questioni delicate, non strane." fece notare Kakashi, metodico.
Il Custos, alto e possente, si strinse nelle spalle. "Potrebbe essere strana E delicata, no?"
"Mph." annuì leggermente.
"Nulla di complicato, ad ogni modo. Le carte le hai. Ti basterà il viaggio, per prepararti."
"Dunque, hai forse intenzione di fornirmi qualche anteprima, o devo aspettare di sedermi nel siluro per poter avere informazioni al riguardo?"
"Dicono che c'è qualcosa che sta attaccando il loro bestiame."
Kakashi levò le sopracciglia, perplesso. "Prego?"
"E' solo l'ultima delle loro lagne - ma in pratica pensano che ci sia un gruppo di nostre spie che vagola per il confine - e che sfrutta i loro animali per sopravvivere."
"Questa, poi. Saranno sciacalli."
" ...Già. Ma potremmo essere egualmente noi." precisò Jiraya, osservando Kakashi con sguardo lontanamente complice. Si volse, tornando a guardare fronte se' man mano che avanzavano. "Non sono sciocchi, sanno perfettamente che abbiamo chi può farlo. Controllare gli sciacalli, intendo."
"Si stanno abbassando a queste sciocchezze per strapparci trattati a loro favorevoli? Non possono accusare noi ogni volta che un animale gli mangia una capra."
"Li abbiamo messi alle strette, in questi ultimi due anni. Possono fare appunti di questo genere, e li fanno: non è la prima volta che avanzano commenti simili. I nostri nuovi Custos li stanno massacrando, quindi cercano vie traverse. Ma devo dire che questa volta sono stati molto insistenti - e qui, subentri tu."
"Diamine. Staranno cercando di vietare i guerrieri geneticamente modificati, come hanno vietato i demoni. Ma mi sembra evidente che le due situazioni sono fortemente diverse."
"Il Globus ha dato la cosa in mano tua, quindi - buon lavoro."
"E così sia." Kakashi fece un minuscolo cenno del capo, montando sul siluro dell'Effluxum. 
Osservandolo muoversi dentro il tubo trasparente, Jiraya incrociò le braccia al petto.
Socchiuse gli occhi, e poi girò sui tacchi. 
Entro qualche giorno ci sarebbe stata l'Iniziazione dei ragazzini del secondo ciclo: aveva del lavoro da svolgere.
Oramai la questione dei ladri di bestiame era unicamente competenza di Kakashi.





E prima dell'alba
un'aurora densa
 - come a preparare lo spirito
prima che il sole laceri gli occhi.







[Nota dell'autrice]

Anzitutto grazie a reki che mi ha aiutata a visionare parte del capitolo.
ho tanto aspettato di arrivare a questo salto temporale, che quando mi ci sono trovata davanti è stato più complicato del previsto.
ancora adesso non sono fermamente convinta - anche se nel complesso il capitolo mi piace.
spero anche la parte introduttiva sia gradita, perchè la trovo un ragionamento filosofico interessante e fondante per la fic :)
spero di aver destato i dovuti sospetti senza anticipare troppo.
insomma, spero vi piaccia! xD

grazie a  untild i e che ha aggiunto la fic fra i preferiti ultimamente ... e - mh, mi pare che ci fosse anche qualcunaltro >.<''''' ma non riesco a rintracciare chi.
grazie moltissime comunque!

@DarkShin: bhe, l'idea era quelladi un capitolo triste e sotto certi punti di vista anche sconfortante e demolente. naruto... bhe, devo dire che sotto certi aspetti mi infastidisce 'pararli il culo' sempre così - ma date le sue recenti manie suicide (o comunque di ricerca della morte per vie trasverse), è il minimo che possa fare. d'altro canto mi piace vederlo come un dannato costretto alla vita - prima che dalla volpe, dalla sua natura stessa. La sua forza di spirito è forza e debolezza in contemporanea, perchè non gli consente mai di abbandonarsi agli eventi. E kyuubi non migliora sicuramente le cose. 
spero questa mia idea sia trasparita abbastanza nel racconto, anche se so che è talmente contorta che narrarla è molto difficile..


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Capitolo 35
*** 34 (Hic sunt daemones) ***


34.

34. Hic sunt daemones


Te lo ricordi,
quel suono.
quell'alito,
quel vento

che t'avea trascinato lanciato verso la vita?


"Ci vediamo in giro." fece Kiba, levando distrattamente una mano in cenno di saluto.
"Se non ti fai ammazzare prima."
Si sorpassarono, l'uno che camminava nella direzione opposta dell'altro, lungo il corridoio.
Sasuke si portò le mani agli occhi, ancora leggermente brucianti.
Kiba scomparve rapido oltre l'apertura che portava all'androne dell'Effluxum: poggiato sulla spalla, portava con se' il mitragliatore, ormai suo fedelissimo compagno. Stava tornando al fronte.
Nessuno dei due sapeva se e quando si sarebbero rivisti. Non aveva troppa importanza, dopotutto: chi c'era, c'era - chi non c'era, se n'era andato con onore. Il saluto che s'erano appena scambiati era praticamente di rito, fra i Custodes che avevano l'opportunità di salutarsi prima di tornare al fronte.
Ognuno andava per conto suo.
Si sarebbero sentiti solo se necessario.
Tutto il resto, era un di più.
Anche potersi salutare.


***


Kakashi si portò la mandritta dietro la nuca, grattandosela lievemente.
Osservava il terreno della prateria, carico di erba alta e gialla: sopra, vi sostava lo scheletro di uno gnu - solingo.
Le ossa bianche e lucide erano perfettamente pulite. Eppure, sotto di esso, le chiazze del sangue erano ancora dense.
Non era dunque il risultato di una decomposizione.
Quello era un lavoro di fino.
Si guardò attorno, rielaborando i dati che aveva avuto modo di leggere lungo il viaggio. Cinque uomini di bianco vestiti, dietro di lui, lo controllavano - armi alla mano. Il sesto personaggio, un rappresentante del consiglio della Ventii Regio, attendeva una sua parola, scrutandolo torvo.
Kakashi mosse leggermente il capo, espirando.
"Questa non è opera nostra." precisò. "Comprendo che dopo la vicenda dei demoni siate portati a credere che infrangiamo i trattati, ma... onestamente, non vedo nemmeno come degli animali possano aver fatto questo."
L'uomo annuì. "E' esattamente per questo che guardiamo a voi con sospetto." 
Kakashi mosse lievemente le sopracciglia. "La linea del confine termina a una cinquantina scarsa di chilometri da qui." Portò la mano in alto, indicando a nord. "Ci sono ancora due postazioni di controllo, da cui raramente sia noi che voi dirigiamo attacchi. Lo scontro maggiore si svolge nel centro - dove noi avanziamo verso il deserto, e voi verso le nostre campagne: noi in cerca di metalli e pietre, voi di acqua e viveri. Ma oltre, qui, a nord, la nostra regio e la vostra regio finiscono. E' laggiù che abbiamo catturato Kyuubi."
"Questo lo sappiamo."
"E dunque, non sarebbe più logico se si trattasse di un altro demone?"
L'uomo storse le labbra. "Non siamo degli incauti. E' colmo di trappole antidemone."
"Mai sopravvalutare la propria tecnologia, sapete. Lo abbiamo scoperto noi, per primi. Dovendo sopprimere Naruto. E con Gaara, per voi, è stato lo stesso."
"Mph." fece, leggermente divertito e infastidito quello. "Il nostro demone funzionava Benissimo sinchè il vostro non è giunto a ingaggiar battaglia. Il problema era vostro. Shukaku era pienamente sotto il nostro controllo."
Kakashi spostò lo sguardo dall'uomo, tornando a guardare verso nord. Si intravedeva una linea verdeggiante: foresta densa e fitta, invivibile per gli esseri umani. Dove vivono i demoni. O almeno, dove viveva Kyuubi.
Non poteva dire lo stesso di Shukaku.
"Tutto ciò di cui ci avete accusato potrebbe essere opera di Shukaku stesso." precisò. "E noi non avremmo alcun vantaggio nel uccidervi una cinquantina di capi di bestiame."
"Kakashi, non sia sciocco. Prezzi di mercato, razioni per i nostri guerrieri sui fronti qui vicini. Le motivazioni possono essere infinite."
"Il terreno, qui, è uguale per tutti e due. Prateria, a perdita d'occhio. Questi fronti sono poco belligerati proprio perchè non c'è nulla di interessante ne' per l'una ne' per l'altra fazione. Non ha alcun senso."
Quell'altro non mutava espressione del volto.
Kakashi abbassò lo sguardo, pensoso, portandosi una mano al mento.
Il sospetto di una rottura dei patti avrebbe potuto portare alla rottura di tutti gli altri.
Quello significava il caos.
Per tutte e due le fazioni, ovviamente. La guerra si combatteva fra guerrieri - far entrare in gioco anche i civili sarebbe stata follia. E il Summus Globus pretendeva che ciò non accadesse.
Non doveva accadere.
I civili non avevano nulla a che fare con la guerra.
Di nuovo, toccava a lui provare a mettere le cose a posto.
"E' evidente che dobbiamo fare qualcosa." concluse. "Credo di avere un'idea." sollevò il mento, osservando il cielo terso tipico di quelle zone. "E immagino l'abbiate avuta anche voi."



***


Era da poco calata la sera.
Sasuke si stava sistemando i guanti alle mani - i Suoi guanti -, agganciando i polsini metallici e pesanti. Mosse le dita, di modo che si sistemassero attorno alla sua mano. 
Lee sedeva a qualche metro da lui, le mani congiunte in grembo, gli occhi a palla fissi sul pavimento nel tentativo di concentrarsi. 
Sasuke si tratteneva dallo storgere le labbra, infastidito. Non comprendeva assolutamente la mania dei Bellatores di concentrarsi prima di arrivare al fronte.
La concentrazione serviva in battaglia.
Mica prima.
Ma i suoi combattenti non sembravano assolutamente essere del suo stesso avviso: e gli altri quattrocentoquarantanove, fra uomini e ragazzi, cercavano la concentrazione a loro volta.
Era abituato, ormai.
Distrattamente lasciava vagare la mente al giorno in cui aveva incontrato i bellatores per la prima volta in vita sua. Allora era stato ebbro di potere e di responsabilità: era un ragazzino di dodici anni che, forte del suo carattere, aveva in pochissimo tempo assunto il controllo di tutta l'armata che sostava al fronte - il suo primo fronte.

Un passo.
Un altro.

Si ridestò dai suoi pensieri, osservando una figura in toga rossa avanzare verso di loro nell'androne dell'Effluxum - dove attendevano l'arrivo del siluro.
Shikamaru.

"Ci sono novità."

Sasuke levò le sopracciglia, perplesso.


***

La porta dello scompartimento si chiuse dietro di lui. Mosse qualche passo, per poi andare a sedere nel posto di fronte a Shikamaru.
Il siluro scorreva, rapido, verso il confine.
Lo scompartimento era vuoto.
Solo Sasuke e Shikamaru.
I Bellatores, oltre la chiusura di separazione, cantavano la loro canzone di preparazione alla battaglia.
Ma non c'era battaglia da compiere, ormai.
L'attacco che voleva muovere Sasuke dalla sua postazione era saltato. 
C'erano problemi, aveva detto Shikamaru.
Li avrebbero spostati.
Avrebbe cambiato fronte.
"I bianchi stanno dando fastidio per degli incresciosi eventi che attribuiscono a noi" fece Shikamaru al Custos, una volta che questi s'era sistemato sul sedile. "Stiamo spostando anche Kiba, Shino, Neji e Hinata. Immagino che tutto ciò abbia a che fare con le vostre particolari abilità."
Sasuke lo osservò, il volto inespressivo. "Tu cosa c'entri?"
"Voi Custos riceverete ordini da Kakashi, una volta giunti lì. Vi muoverete da soli. Io mi curerò di far convergere i Bellatores. Quella è una zona di poco interesse, che contava un centinaio di Bellatores e non più di un Custos a fare la guardia. Adesso arriveranno oltre mille guerrieri. La cosa apparirà sospetta ai bianchi, e quindi farò in modo che i Bellatores giungano alle loro postazioni senza essere notati."
"Sai cosa dovremmo fare io e gli altri Custodes?" domandò Sasuke, cercando di immaginare un migliaio di Bellatores - carri armati viventi - avvicinarsi in modalità Stealth agli accampamenti. Era decisamente una cosa che richiedeva l'intervento di Shikamaru. Anzi, forse era una cosa che solo Shikamaru avrebbe saputo organizzare.
"Il Globus ha parlato di demoni."
Le sopracciglia del ragazzo dai capelli corvini si levarono, e di molto.
"Demoni?"
Shikamaru congiunse le dita delle due mani, osservando in alto.
"Sì. E' un dettaglio della storia antica, ovvio che voi Custodes non ne siate a conoscenza - perchè fino a qualche tempo fa era cosa assolutamente irrilevante. Nella zona a nord rispetto a noi, la Ventii Regio e l'Ignis Regio terminano. Inizia lì una fetta di terra inospitale alla vita umana, e di alcun interesse. Nel deserto i bianchi raccolgono minerali, pietre e metalli; nella pianura noi coltiviamo campi e acquisitiamo energia solare. A nord, invece, c'è una foresta incredibilmente fitta. In pochi si sono addentrati lì dentro, secoli or sono, e tutto ciò che hanno saputo dire è che 'Lì ci sono i demoni'. Creature di potenza strepitosa contro le quali nulla possiamo."
"... questa, poi. E dunque?"
"I bianchi accusano noi - e soprattutto voi, Custodes come te o Neji o soprattutto Kiba e Shino - di stare annientando il loro bestiame, che per loro è cosa estremamente preziosa. Ma noi sospettiamo si tratti dei demoni. Voi Custodes andrete a caccia di queste creature, mentre io farò affluire i Bellatores agli accampamenti, smistandoli verso altri fronti, di modo che tutti siano coperti. E' anche possibile che si inciampi realmente in questi demoni. E allora la prudenza non è mai troppa: per questo vi servono un migliaio di guerrieri pronti a combattere."
"Potrebbe essere una trappola. Ci portano da una parte e attaccano dall'altra."
"Non prendermi per sciocco, Sasuke. Se c'è un vero problema, quelli sono i demoni, non i bianchi. Altri Custodes più anziani e strateghi come me stanno organizzando le truppe dove voi avete lasciato i buchi. Inoltre non tutti i Bellatores dei vostri battaglioni vi seguiranno. Se no, sarebbero veramente troppi. Vogliamo che voi abbiate una protezione, non che vi portiate appresso tutti i vostri manipoli."
"E le spie? Ci sono anche quelle. Noteranno che arrivano Bellatores in più."
Sikamaru storse le labbra, divertito, congiungendo le mani dietro la nuca. "Lascia perdere le spie, Sasuke. Le spie stanno nei centri abitati. Servono solo a garantire che non ci siano movimenti dall' e all'interno. Ma questo non è mai avvenuto in secoli di guerre. Queste operazioni si fanno sul fronte. E sul fronte, le spie non esistono. Non sono mai sopravvissute. E' uno spreco mandare una persona addestrata a fare la spia in zona di guerra - ti muore entro qualche giorno, e si porta le informazioni nella morte assieme a se'."
Sasuke si portò le mani agli occhi, leggermente stanchi. Da una delle tasche che portava in vita, attaccata alla cintura che gli assicurava la calibro 45 addosso, estrasse il collirio.
"Ogni volta in cui ti sento fare questi ragionamento intricati, sono fortemente grato a chiunque l'abbia deciso che io sia divenuto Custos e non Philosophus." disse, mettendosi le gocce agli occhi.

Quando arrivarono al punto di sosta dell'Effluxum, la mattina era già ben che iniziata: scesero a terra, in sciami ordinati e silenziosi. Shikamaru, stretto nei suoi drappi neri e rossi, dirigeva gli uomini con la semplicità con cui una persona compie un passo.
Il verbo dello stratega era calmo e asciutto, preciso e piatto. Con molta più semplicità di quanto non avesse mai creduto, Sasuke lo vide creare i gruppi di Bellatores, organizzandoli: bastavano poche parole, con le quali si faceva capire all'istante. Non alzava il tono di voce, parlava con volume normale. Spettava agli altri fare silenzio.
Se per certi versi si muoveva come un Custos, per altri era migliore.
Sasuke lo ascoltava, le braccia serrate al petto, notando con quanta astuzie Shikamaru aveva deciso quanti e quali gruppi muovere, lungo quali percorsi, con quali tempi.
Seduti per terra ascoltavano il ragazzo muoversi lungo mappe immaginarie tracciate in aria, come se quelle esistessero veramente - e il Custos stesso, assieme ai Bellatores, riuscivano a vederle.
Abbozzò un'idea di sorriso, compiaciuto nel vedere la funzionalità del sistema in una delle sue più alte espressioni.
Entro breve, il gruppo di Kiba raggiunse la loro postazione. Shikamaru aveva già allontanato alcuni Bellatores, che fece seguire dai nuovi venuti onde evitare un'accumulazione eccessiva ed inutile di gente.
"Buongiorno, Sasuke" fece Kiba, avvicinadosi all'altro Custos. "Missione speciale?"
"Così pare" rispose noncurante il ragazzo, continuando ad osservare Shikamaru organizzarsi.
"Shino e Neji sono in arrivo. E anche Kakashi."
"Shikamaru ha detto che doveva esserci anche Hinata." fece lui, senza scostare lo sguardo dall'operato dello stratega
"Arriverà, suppongo. Non la sento ancora nell'aria."
"Già. A proposito, tieni i tuoi cani lontano, per cortesia. Non sono in vena."
"Quando serviranno, li userò. Non ti preoccupare."
Ricaddero nel silenzio, attendendo pacifici.

***

"Indubbiamente sanno com'è fatto, un demone."
"Il Globus ha acconsentito a dir loro la verità?"
"Sasuke lo ha sempre sospettato, avendo Visto che in Naruto c'era qualcosa di diverso. Non c'è nessun problema a dire le cose come stanno - specialmente a posteriori."
"Già. Non credi che potrebbe scandalizzarli?"
"Cosa? Sapere che un demone era impiantato in un loro compagno?"
"Vorranno sapere cosa hanno loro, allora - per poter fare quello che possono fare."
Kakashi espirò. "Posso garantire loro che non hanno alcun demone dentro. Basta e avanza."
"E il Globus te lo lascia fare?"
"Sì. Non vedo il problema."
Ma Jiraya non era affatto convinto. "Non mi piace che sappiano."
"Jiraya, tutti abbiamo scoperto, prima o poi, grosse fette di verità del mondo. L'entrata al Ludus, l'inizio del secondo ciclo, il Battesimo... Siamo tutti addestrati per venire a conoscenza di queste cose così, per vie traumatiche. In modo che nulla di superfluo ci venga mai detto, e che quanto la verità arriva, d'un tratto, non ci scandalizza averlo saputo in quel modo."
"Ci sono due casi in cui la cosa... non è andata così."
"No, loro si ponevano domande. Neutralizzati tutti e due."
"Avevi a cuore quei due, o sbaglio?"
"Io non ho a cuore niente. Ho solo gente di cui mi devo occupare."
Jiraya tacque. Deglutii.
vere a cuore era stato l'errore di Tsunade.
Chiaro che Kakashi non lo volesse comettere a sua volta.
Eppure non riusciva a crederci. "D'altronde gli ordini sono ordini - quindi, fine della discussione."
"Ottimo."
I due chiusero la comunicazione.
Kakashi socchiuse gli occhi, ripensando a quanto aveva detto a Jiraya.
C'era una cosa che lo lasciava perplesso, mentre rianalizzava le sue parole.
Una cosa di cui non si era esattamente reso conto fino ad allora.
Eppure era già successo.

Non direttamente.

Ma in un modo o nell'altro, Kakashi aveva mentito.


***

Hinata arrivò per ultima.
Sul volto ovale, dolce e pallido, risaltavano gli occhi candidi come la neve. Il corpo si era fatto aggraziato e curvilineo, stretto nella veste nera dagli intarsi argentati, aderente, che usavano in combattimento. Sul busto, come tutti gli altri, portava una corazza antiproiettile. Il fucile da lunga distanza era a tracolla, come si porta un arco. La calibro 45 che tutti i Custos usavano poggiava al suo fianco, nella fodera.
Osservò Neji, i capelli lungi, la mascella squadrata e lo sguardo, bianco come il suo, serio. Shino si nascondeva invece dietro degli occhiali da sole avvolgenti, chiuso, braccia incrociate, sguardo che nessuno capiva dove mirasse.
Kakashi la salutò con un cenno di mano.
"Buongiorno."
Lei fece un remissivo cenno di saluto e rispetto, andando ad affiancarsi al compagno cecchino.
Kakashi si pose le mani ai fianchi, parandosi davanti a loro. Oltre il Rector, Shikamaru stava preparando gli ultimi manipoli, che si sarebbero appropinquati al confine assieme ai Custos.
"Diavolo, se siete cresciuti."
Iniziò l'uomo, osservando i ragazzi. Kiba era più alto di lui.
Il volto del ragazzo era leggermente affilato ai lati, più rotondo verso il mento. Intravedeva i canini leggermente più appuntiti, una chiara causa della mutazione che Tsunade aveva fatto ai suoi geni, assieme ai due curiosi triangoli rossi che gli erano comparsi sulle gote. Aveva delle spalle larghe, occhi sottili, e un'agilità molto superiore a quella di un Custos qualunque.
Anche se era indubbiamente Shino il personaggio più inquietante. Silente, taciturno, sempre apparentemente raccolto nella contemplazione di qualcosa. Era abbastanza grosso, meno scattante del normale. Ma d'altronde non aveva bisogno di scattare. Bastavano piccoli movimenti precisi per controllare gli sciami di insetti - sia quelli che si trovavano attorno a lui, sia quelli che si portava appresso, sotto la sua stessa pelle.
Erano quelli i tipi di prodigi che avevano fatto guadagnare all'Ignis Regio, negli utlimi tre anni, la bellezza di tre cave di bauxite, due pozzi di gas naturale e uno dei più prolifici giacimenti di ematite. 
Se fossero andati avanti così, avrebbero definitivamente soggiogato i bianchi entro breve tempo. La loro dipendenza per le materie prime stava per essere superata, e, intanto, i bianchi perdevano la speranza di poter coltivare delle terre che non avrebbero mai conquistato.
Tutto quello che rimaneva loro erano i pascoli di gnu, bufali e antilopi che bazzicavano la prateria prima delle 'terre di nessuno'.
Chiaro poi che si offendessero se misteriose presenze iniziavano ad attaccare pure quelli.
La prateria era da sempre stata un terreno così poco utile che nessuno si era mai sognato di fare qualsiasi genere di battaglia, per averle.
Kakashi espirò.
"Tre di voi hanno già partecipato ad una caccia simile." iniziò, continuando a scrutarli. "Ed è a questo punto bene chiarire cosa dobbiamo fare, e perchè mi servite voi."
Sasuke osservò, scostando unicamente gli occhi, Shino e Kiba.
Non mosse un muscolo.
Ma rizzò le orecchie.
"Stiamo andando a caccia di demoni" proseguì. "Sono creature che nulla hanno a che fare con il genere umano, e di cui per secoli non ci siamo curati."
Sasuke strinse impercettibilmente le labbra.
"Voi percepite in maniera migliore degli altri. E sicuramente avete percepito una cosa diversa, nella vostra vita. Questa cosa era Naruto."
Una scossa attraversò Sasuke. Fremette impercettibilmente, i muscoli attraversati da una scarica di adrenalina.
LA Risposta.
Era al fine Giunta.
Puntò gli occhi su Kakashi, fissandolo, in ascolto.
"In lui era stato rinchiuso un demone. Kiba, Shino e Sasuke sono già andati a caccia di Naruto, una volta. E immagino sappiano che era relativamente semplice trovarlo, proprio per questa sua caratteristica."
Kiba e Shino erano rimasti abbastanza basiti a loro volta - ma si erano ripresi immediatamente.
Come sempre, quando un Custos affrontava una notizia inaspettata.
Assimilarono in meno di un secondo la cosa.
"Avevo notato anch'io che c'era qualcosa di differente" fece Neji, spostando il peso sulla gamba destra. "Quindi era un demone?"
"No, Naruto non Era un demone, Aveva un demone dentro se'."
"... ed è morto?" domando Hinata, in un filo di voce lontanamente preoccupato.
"Naruto? Sì. Il demone anche."
Sasuke storse le labbra, ripensando alla caccia che aveva fatto anni prima, alla ricerca di Naruto. Anche allora era stato dichiarato morto.
Osservò Shino e Kiba, nuovamente, facendo saettare le pupille scure fra l'uno e l'altro. Tranquilli ed impassibili.
Tornò su Kakashi.
Possibile che solo lui fosse portato a non dare troppa fede alle parole dei superiori, dopo quella storia?
"Quindi ce n'è un altro, di demone." esordì Kiba, a metà fra il retorico e la domanda.
"Nessuno sa quanti siano. Sui demoni in generale sappiamo poco o niente. Esistono, sono creature potenti, trascendenti la vita stessa - la vita biologica; ma dotate di esistenza e di morte a loro volta."
"Interessante." fece Shino, la voce bassa di tono e volume.
"A nord" continuò il Rector "ci sono le terre di nessuno, solcate da questi demoni. I bianchi ci accusano di avere sabotato il loro bestiame, accusando Kiba in primis."
"Questa, poi." fece il ragazzo, scuotendo il capo lontanamente divertito
"E' più probabile sia stata opera di uno di questi demoni. Osservate le foto."
Porse loro le immagini degli scheletri di gnu sull'erba gialla della prateria della Ventii Regio. I ragazzi le osservarono le ossa bianche ed immacolate, rilucenti, sopra un lago di sangue.
"Nemmeno uno sciame dei miei insetti giungerebbe a compiere un lavoro così fine" mormorò Shino, porgendo la foto che stava esaminando a Hinata.
La ragazza la scrutò un attimo, e gliela rese in rapidità.
"Figuararsi" sbottà Kiba. "Sciacalli fare questa cosa? Saranno anche spazzini, ma non potrebbero mai ripulire uno scheletro con questa precisione. Diavolo, che impressione. Sembra che gli abbiano estratto le ossa dal corpo e portato la carne da qualche altra parte."
"Già." asserì Neji.
"Quindi, l'idea è quella di capire cosa ha fatto questo, come e perchè."
"Una caccia, insomma" precisò Kiba, divertito ed interessato, portandosi le mani congiunte dietro la nuca.
"Una caccia la demone."
Sasuke osservò le foto, per lungo tempo, focalizzato ben oltre la superficie dell'immagine.


Si misero in cammino, per un paio di giorni, a marce forzate.
Shikamaru camminava assieme a loro, diretto a sua volta verso l'accampamento di frontiera.
Sasuke tacque per lungo tempo.

"Pare che questi demoni siano potenti." esordì infine il ragazzo, a metà del secondo giorno di viaggio, verso Kakashi. "Shikamaru ha provato a spiegarmi come gestiranno i Bellatores. Avremo bisogno di un supporto per un eventuale attacco d'un demone, o sbaglio?"
"Sì."
"Non mi sorprende sia cosa che è stata affidata a noi. Certo però sarebbe uno spreco se morissimo tutti in un sol colpo."
"Ce ne sono altri, come voi. Voi avete semplicemente già visto un demone."
"Ma quest'anno non ce ne sono più."
Kakashi non rispose.
Dopotutto, non era nemmeno una domanda.
Da qualche parte, si stava aspettando, da un momento all'altro, che Sasuke irrompesse in una domanda fondamentale. Come aveva fatto anni prima, quando stava andando a giustiziare Naruto.
Oh, Sasuke non lo sapeva.
Ma lo sguardo del ragazzo era ritto davanti a se', e sembrava stare contemplando qualcosa.
Pensava.
Ma non disse null'altro.
Il Rector lo osservo allungare lentamente il passo, finchè non gli diede le spalle.



L'accampamento era uno dei soliti accampamenti.
Casupole di terracotta, una sottospecie di trincea palesemente inutilizzata da anni, qualche tenda dalla trama in mimetica verde e marrone.
La postazione dei bianchi era così vicina che non serviva nemmeno un visore - o lo sguardo potenziato di Hinata e Neji - per poterlo vedere.
Non erano lì per combattere.
Quindi la cosa non avrebbe dovuto interessarli: ma controllare sempre le postazioni nemiche era diventata tanto una questione di vita e di morte, sui fronti 'seri', che anche ora continuavano a gettare occhiate sospette alle baracche bianche che si trovavano ad ovest, e che rilucevano nel giallore della prateria.
Kiba e Shino iniziarono a prendere confidenza con le creature del luogo, cominciando a far fare loro il primo lavoro di ricerca.

Dall'altra parte del confine, Kankuro osservava i movimenti dei Neri, perplesso al vedere un ragazzo circondarsi improvvisamente di lupi e sciacalli.
Abbassò il visore.
Non aveva avuto alcun dubbio sulle estreme abilità dei neri. Aveva combattuto contro quegli stessi ragazzi, ma certo non aveva avuto mai modo di osservarli così da vicino.
Sembrava innaturale. O addirittura troppo naturale, pensò, tornando a osservare Kiba che ora sembrava stare giocando con una cinquantina di animali potenzialmente pericolosi.

Hinata si sedette in cima ad una delle casette diroccate, mezze cadenti. Socchiuse gli occhi, per poi riaprirli - le vene delle tempie che pompavano sangue alla retina e all'iride.
Si guardò attorno, scrutando ogni singolo dettaglio del territorio come sempre faceva.
Entro breve Neji la raggiunse, applicando la stessa prassi.

Lui aveva insistito per essere lì.
Dove c'era un demone, doveva esserci lui.
Questa era la sua idea.
Non sapeva bene cosa ci avrebbe fatto, ma voleva avere la questione sotto controllo.
Gli occhi di Gaara, sproporzionati e lucidi, incastonati in due palpebre nere come la pece, continuavano a materializzarsi nel suo campo visivo.
Si volse, verso uno dei guerrieri che si trovava, assieme a lui, al fortino cadente.
"Mi raccomando" fece il ragazzo, calandosi il telo bianco sul volto. "Dopodomani verrà qui Kakashi a fare ambasciata. Niente idiozie."
"Certo, Kankuro. Non ti preoccupare."



Quale vantaggio nel dominare gli altri
quando non si sa dominare se' stessi..?







[Nota dell'autrice in chiusura]

Thadha.
Sì, mi piacciono molto, da grandi.
Capitoletto preparatorio per l'inizio del gran casino. Nel prossimo capitolo le cose saranno Decisamente movimentate. Almeno, da un certo punto in poi :D
"Hic sunt daemones" deriva ovviamente da "hic sunt leones", frase che descriveva nelle mappe romane e medievali e successive tutte le zone dell'africa inesplorate... causa leoni, appunto. Non ho trovato una traduzione adatta per DEMONE in latino, quindi lo direttamente latinizzato il termine XD 


Sentiti e profondissimi ringraziamenti a Shakuma92 :) grazie per la recensione! e della cui ultima fic, fra l'altro, mi sono innamorata, e vi consiglio di andare a buttare un occhio ^^ "vampire dead or alive" dovrebbe intitolarsi... veramente ben congeniata.


Fra l'altro, ogni tanto rileggendo i vecchi capitoli mi rendo conto che mi scappano delle piccole incongruenze <__< a causa degli aggiornamenti fatti su luuungo tempo. Se ne vedete altri che mi sono sfuggiti, vi prego, avvertitemi... ^^








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Capitolo 36
*** 35 (Due punti, a capo.) ***


35.


35. Due punti, a capo.


Abbiate fiducia
non abbiate paura

abbiate fede
non siate sgomenti.

Attendete in silenzio,
e tacendo, morrete.



La chiamavano giungla.
Sasuke si muoveva in essa con una difficoltà che non avrebbe mai pensato di incontrare, su alcun tipo di terreno.
Conosceva la boscaglia, il deserto, la prateria, la steppa - addirittura le montagne, all'estremo sud, dove era capitato un paio di volte. Aveva visto il mare, le grotte, gli strapiombi, le colline, le doline, le pianure. Aveva visto di tutto.
Ma la giungla? Mai sentita. 
Non c'era da stupirsi che quello fosse territorio inesplorato: era assolutamente Inesplorabile.
Gli alberi si ergevano, alti, grossi, possenti: parevano sfiorare il cielo, che veniva nascosto dalle loro fronde. Il sottobosco era denso, umido, e dava a Sasuke una sensazione di appicicaticcio a dir poco insopportabile. Ad ogni passo sprofondava in una fanghiglia che non vedeva, molle: era nascosta da muschio, da felci ben più alte di lui, e da una matassa di piantine verde-marroncino che rendeva impossibile distinguere dove iniziasse l'una e finisse l'altra.
Le radici degli alberi si arrotolavano, entrando e fuoriuscendo dal terreno: a volte rischiavano di farlo inciampare, altre, essendo sconsideratamente enormi, gli impedivano del tutto il passaggio.
Non che lui rischiasse di cadere o perdere l'equilibrio. Ma era comunque una seccatura: doveva prestare attenzione, anche se era avvantaggiato.
Ci sarebbero stati anche gli insetti, a complicargli la vita, se Shino non glieli avesse levati di torno.
E ci sarebbero anche stati i serpenti, le rane, gli iguana e chissà quali e quante altre specie del tutto sconosciute. 
Ma le creature di quel genere si allontanavano quando li sentivano avvicinarsi. Probabilmente a causa dell'odore pungente di Kiba, che, dopo giorni passati coi lupi e gli sciacalli, aveva assunto il loro odore di predatore.
"Quanto manca?" domandò Sasuke all'apparecchio radio del suo bracciale.
"Ci siete quasi." Rispose Hinata dall'altoparlante. "Ancora una trentina di metri lungo quella direzione, e arriverete al fiume."
"Così dovremmo aver mappato circa otto chilometri quadrati. In sei giorni. Con le nostre abilità, è assolutamente una cosa Indegna." fece il ragazzo, carico di fastidio.
"D'altronde" intervenne Kiba "non possiamo nemmeno muoverci più velocemente di così. Abbiamo già delle mappe approssimative, ma almeno questa zona sarebbe bene conoscerla a fondo."
Sasuke fece un 'mph' molto poco convinto, mentre affondava nell'ennesima pozza di fango e muschio.

Hinata e Neji sostavano su di una torretta di legno, protetti dal sole da un tendalino mimetico. Immobili e concentrati, scrutavano il territorio davanti a loro, fornendo supporto ai tre avventuratisi nella selva.
"Pausa collirio" fece il ragazzo, porgendo la fialetta alla Custos.
Lei socchiuse gli occhi, annullando il suo potere. "Grazie" mormorò, andando ad afferrare con cautela l'oggetto che le porgeva l'altro.

"Eilà, buongiorno."
"Buongiorno, Kakashi." rispose Kankuro, le braccia conserte, assolutamente non intenzionato ad eccedere con la cortesia. Dietro l'ambasciatore, vide un ragazzo avanzare: vestito di drappi neri e rossi, un accenno di barba in cima al mento, occhi taglienti e lunghi capelli raccolti in una coda particolarmente alta. "Sei un Philosophus?" domandò, verso quello.
"Quasi." si limitò a rispondere Shikamaru. "Accompagno Kakashi, per ora."
"Non riesco a capire se la presenza di costui significa che prendete le cose sul serio o se ci prendete in giro" fece il bianco, osservando Kakashi.
Il Rector fece spallucce. "E' uno dei migliori. E' mio superiore, di fatto. Ti prego di trattarlo con il dovuto rispetto."
Kankuro scrutò ancora un istante Shikamaru, e infine distribuì lo sguardo sui due.
Immersi praticamente fino alla vita nell'erba gialla della prateria, si erano incontrati a metà strada.
I guerrieri delle rispettive fazioni li tenevano d'occhio, pronti a scattare in caso di necessità. Neji posava lo sguardo lungo su Kakashi, il fucile carico, la figura di Kankuro esattamente dietro alla punta del mirino.
"Come procedono le ricerche?" domandò Kankuro, infine.
"Stiamo mappando il territorio. Per ora non si trova nulla, ma siamo qui per un trattato." rispose Kakashi.
Il ragazzo levò un sopracciglio. "Un trattato? Non posso firmare trattati, lo sai."
"E' una cosa temporanea" intervenne Shikamaru, muovendo un passo in avanti. "Le mappe che stiamo tracciando in cambio di un sodalizio."
"Cosa ce ne facciamo noialtri delle mappe della giungla, di grazia? Siete voi che andate ad esplorare, lì dentro."
"Sono informazioni. Non saprete mai quando vi serviranno. Ci sono tre Custodes lì dentro, dei più dotati, capaci di mappare un territorio senza nemmeno dover tracciare una linea su un foglio. Il fatto che il luogo sia inesplorato non significa che non riserbi nulla di interessante. In tal caso, divideremo il terreno in equo modo."
Kakashi osservava Shikamaru muoversi con quella che per lui era una sicurezza quasi eccessiva. Kankuro aggrottava le sopracciglia, perplesso.
"Al momento, tutto ciò che noi mappiamo ci appartiene." specificò Shikamaru, notando le espressioni del bianco.
"E in cambio? Cosa volete? Il gas antidemone? Non se ne parla."
"No, vogliamo solo una tregua momentanea. E il vostro aiuto, nel caso in cui il demone attacchi con serietà."
"Non abbiamo alcun problema a trattare un demone, lo sapete. Voialtri, semmai, avrete un problema."
Shikamaru levò impercettibilmente il mento, quasi spavaldo. "Se quanto sostenete è vero, ovvero che è colmo di trappole antidemone, oserei dire che la creatura le ha bypassate senza alcun problema."
"Sempre che fosse un demone, e non uno dei vostri giochetti."
"Se con questo accordo noi avremmo un alleato in un eventuale scontro con questa bestia, voi, nel caso in cui i vostri macchinari non funzionino, avreste l'esperienza di chi catturò un demone a mani nude. Se i vostri trucchetti non funzionano, è proprio della nostra esperienza che avrete bisogno. Se invece funzionano, è meglio per tutti."
Shikamaru vedeva come Kankuro accarezzava ancora l'idea che il demone potesse rivelarsi una minaccia solo per loro, i neri, e non per i bianchi.
Non era una tattica stupida, dopotutto. Anzi.
Ma voleva calcare sul dubbio.
"Pensaci." concluse il ragazzo, voltando le spalle al bianco per poi allontanarsi.
Kakashi e Kankuro rimasero lì, il Rector ad osservare il nemico, il ragazzo a scrutare il terreno.
"Che forza, i nostri Philosophi, eh?"

Era andato lì solo per controllare, non per fare ambasciata.
Odiava il modo in cui i neri pensavano si potesse stipular trattati con chiunque.
Ma, d'altronde, era l'uomo di rango più elevato, al fortino della Ventii Regio - e dunque, avrebbero potuto rivolgersi solo a lui.
Si chiuse nella camera delle comunicazioni, raggiungendo Baki entro breve tempo.
Qualcun'altro avrebbe dovuto decidere.

"L'idea di collaborare coi bianchi mi ha sempre fatto una certa impressione" ammise Kakashi, osservando Shikamaru intento a scarabocchiare simboli a lui incomprensibili.
"Potrebbe essere veramente una situazione interessante."

"Collaborare coi bianchi?"
"Così han detto." Hinata teneva gli occhi puntati su Sasuke, ch'era, alla sua vista, una figura azzurra e immobile. Il ragazzo era attonito.
"Credo che sia la cosa più folle che abbia mai sentito in vita mia." concluse il ragazzo, parlando al microfono del bracciale.
"Però.. è in parte quanto stiamo già facendo."
"Stiamo andando a caccia di demoni per dimostrare che non siamo noi a prendercela con il loro bestiame."
"Sì, ma in un certo senso..."
Sasuke schioccò la lingua sul palato, ammutolendo la ragazza. "Scommetto che è un'idea di Shikamaru."
Hinata tacque, ancora impaurita dal dissenso dell'altro.
"Lo sapevo."

***


"Kiba Kiba."
"Mph."
"Kiba Kiba."
"Mpph."
"Kiba Kiba Kiba."
"Sto dormendo, idiota."
"Aw."
Si voltò lentamente, schiudendo gli occhi.
Una figurina bionda lo osservava, avvilita, le iridi azzurri puntati su di lui, mentre con l'indice della mandritta gli punzecchiava la spalla.
"... Naruto?"

Si svegliò con una scossa: scattò a sedere, gli occhi sbarrati nel buio.
Allargò le narici, tastando l'aria sotto la tenda. 
Si acquattò, camminando lentamente per uscire.
C'era qualcosa.

L'ululato si spanse nell'aria, acuto, quasi acuminato.
Kiba era leggermente proteso in avanti: la sua parte animale, completamente liberata, gli faceva assumere posizioni apparentemente innaturali.
Una manciata di sciacalli gli si avvicinarono, fra i quali compariva anche qualche licaone . Si strofinarono sul ragazzo, per poi allontanarsi ed ululare a loro volta.
Kiba rimaneva immobile, i sensi completamente all'erta.
Senza nessun preavviso apparente, gli animali si lanciarono in una corsa sfrenata, all'interno della giungla.
"Che succede?" domandò Sasuke, uscendo dalla tenda all'udire tanto fracasso.
"Ho sentito qualcosa di familiare. Molto lontano" Kiba si volse verso Sasuke, lo sguardo perso, tutta l'attenzione concentrata ai suoi altri sensi. "L'ho visto in sogno. E adesso inizio a sentirlo."
"Cosa?" domandò Sasuke, quasi scettico.
"Naruto."
"... Naruto?"
"Non Naruto, ma qualcosa che mi ha fatto pensare a lui. Anche le mie bestie lo sentono. Il demone si avvicina."
"Avverto gli altri."
Scivolò verso la tenda, infilandosi i guanti e smuovendo leggermente con la gamba Shino.
"Sono sveglio."
"Buon per te. Andiamo, la caccia è aperta."

Hinata venne svegliata dalla voce di Sasuke, che parlava dalla ricetrasmittente collegata al suo bracciale. Si alzò a sedere, guardandosi attorno: Neji stava già imbracciando il fucile.
"Hanno trovato qualcosa. Io li raggiungo."
La ragazza osservò il compagno perplessa, avvicinandosi a sua volta alla sua arma.
"Vi copro...?" disse, quasi domandandolo.
"Sì. E se puoi guidami mentre mi avvicino a dove sono loro. Quattro occhi sono meglio di due."
Hinata annuì, uscendo dalla tenda ed arrampicandosi, fucile in spalla, alla torretta di legno.
Neji si mosse rapido verso l'entrata della selva.
"Hinata, tutto bene?" domandò Kakashi, uscendo dalla sua tenda.
Lei fece di sì con la testa, imbracciando il fucile. "Neji li sta raggiungendo, io rimarrò di guardia. Vorrei... se possibile, un po' di protezione qua, e... credo, sì, che si debba mandare preparare qualche Bellator dai ragazzi."
Kakashi annuì, mentre Shikamaru usciva a sua volta dalla tenda. "Facciamo noi. Tu tienili d'occhio."
Hinata annuì.
Socchiuse gli occhi, riaprendoli, e si concentrò sulla fitta boscaglia. La figura di Neji, azzurrina, si muoveva rapida verso le ombre degli altri tre.
Caricò il fucile, tenendolo saldamente fra le braccia, distesa. Si sporse leggermente per far scendere le gambette del piedistallo, di modo che l'arma non si muovesse troppo.
E scrutò.
Più a fondo, più lontano.
Qualcosa di caldo si muoveva.
Un punto.
Rosso.

Shikamaru trafficò con le trasmittenti per una buona manciata di minuti, e dal nulla comparvero una ventina di Bellatores che si chiusero nei fortini di argilla.
"Ci arrangiamo."
Fu la risposta secca di Sasuke, quando Kakashi gli propose di mandare qualche altro Bellator in loro aiuto.
Nel silenzio della notte, fremettero come grilli, senza fare un solo rumore.
Si ritrovarono di colpo in oltre cinquanta, nell'accampamento, zitti e immobili, ad attendere che accadesse qualcosa. Non un filo di tensione si percepiva nell'aria.
Lo stratega aveva fatto le cose per bene.
Kakashi lo osservava, lontanamente compiaciuto.

"Lo senti?"
Domandò Kiba, avanzando oramai a quattro zampe. Nonostante la posizione innaturale, si muoveva con estrema agilità.
Un branco di sciacalli si muoveva assieme a loro, come di scorta.
"Lo Vedo." rispose Sasuke, che da dietro i suoi occhi scarlatti vedeva la macchiolina rosso-arancione. Scattò in avanti, fulmineo, esageratamente rapido anche per l'animalità di Kiba.
Lui e Shino si fermarono, attoniti.
"Cosa diavolo intende fare?"
Shino non rispose. Protese le mani in avanti, accerchiando Sasuke di insetti. Gli sciacalli affiancarono a loro volta il ragazzo.
"Voi lo sentite, ma io lo Vedo." rispose piatto quello, parlando al bracciale mentre continuava ad allontanarsi dai due. "Posso prenderlo di sorpresa. Posso anticiparlo. Posso fare molte altre cose. Copritemi."
"Lo vedo anch'io, Sasuke. Cosa sono, manie di protagonismo?" Domandò Neji, a sua volta dalla radio.
Sasuke schioccò la lingua sul palato. "Ho detto Copritemi."
"Sto arrivando. Kiba, Shino, datevi una mossa, non restate lì impalati."

Hinata ascoltava i loro discorsi, perplessa, mentre li osservava muoversi.
Assottigliò le palpebre, scrutando la macchia rossastra verso la quale si muoveva Sasuke.

"Shino, sentito?" domandò Kiba, mentre balzava, di radice in radice, su, lungo gli alberi, e poi di fronda in fronda.
"Sì." Rispose Shino, che si faceva anticipare dagli insetti.
"E' Pungente."
"Già."
"C'è qualcosa che non mi convince."
"Già."
"E' troppo simile."
"Sasuke. Stai attento. Non ci piace."
"Ce l'ho quasi sotto mano" rispose Sasuke, continuando ad avanzare.

"Shikamaru, ci sono quasi." Fece Hinata, a voce alta.
Il sangue dei Bellator schizzò nelle loro vene, spinto dall'accelerazione del cuore.
Adrenalina.
"Non. Muovetevi." sillabò lo stratega, notando che uno di loro si stava per affacciare dall'arco d'entrata di una delle costruzioni dove erano stipati, in attesa.

Sasuke continuò ad avanzare, scartando con meccanica precisione ogni singolo ostacolo, non senza una certa fatica.
Oltre ad avere addosso l'umidità dell'aria, era anche sudato per lo scatto che stava compiendo e i movimenti saettanti con cui si spostava.
Sorvolava su queste scomodità, completamente proteso verso la macchia rossastra.
Era davvero vicina.
E si muoveva.
Gli animali che lo accompagnavano, sotto l'influenza dei suoi due compagni, iniziarono a diradarsi.
Probabilmente intimoriti dall'essere verso il quale stavano andando incontro.

Kakashi levò un braccio in aria, dritto, le dita tese.
Avrebbe dovuto solo calarlo.

"Hinata, potreste iniziare a predisporre qualche Bellator dalle nostre parti, non ti pare?"
"Già fatto." rispose Shikamaru a Neji, tagliando la ragazza fuori dal discorso.
I due Custodes si ammutolirono. 
"... ma io non vedo niente." fece Neji, scettico.
"Perchè stai guardando dalla parte sbagliata. Non ti preoccupare, continua a seguire Sasuke e il demone. Ai guerrieri ci penso io."
"... Shikamaru ha ragione. Li vedo." intervenne Hinata, dopo aver perlustrato la zona.
Niente da fare. C'era un motivo se era uno stratega.
Era dannatamente bravo.

Sasuke si fermò, nel bel mezzo della selva.
Era rimasto solo.

"Sasuke! L'hai trovato?"
"Rimanete Esattamente dove siete."

Si guardò attorno, muovendo le pupille con rapidità, da una zona all'altra. Ogni occhiata una fotografia, fulminea, cercando di ricostruire una visione completa della vegetazione attorno a lui. Alberi, fronde, muschio, liane.
E totale silenzio.
Fece dei respiri profondi e lenti, per togliersi il fiatone che la corsa gli aveva procurato.

"Non lo sento più." commentò Kiba, guardandosi attorno dal luogo in cui si era fermato.
"Nemmeno io. Sasuke? Lo abbiamo perso."
"No." fece il ragazzo, dalla ricetrasmittente.
Kiba e Shino si osservarono, perplessi.
Videro gli scicalalli tornare, le orecchie appiattite sul capo, il muso basso. Si avvicinarono a Kiba, stringendosi a lui.

Sasuke si morse leggermente le labbra.
Non lo vedeva più.
Ma no, non era possibile.
C'era.
C'era ancora. Doveva esserci.
Lo percepiva.

"Sasuke..."
"Zitti."

Sembrava che qualunque animale, attorno a lui, fosse scomparso.
Ecco il motivo del silenzio innaturale che lo avvolgeva.
Non poteva essere una coincidenza.
Era lì. Solo che non si faceva vedere. 
Ma i suoi occhi, pur non vedendo la chiazza rossa verso la quale si era lanciato, gli stavano dicendo che c'era qualcosa.
Che si muoveva.
Che era pericolosa.
Che andava presa per tempo.

Kakashi e Shikamaru si guardavano negli occhi.

Un flash scarlatto gli irruppe nel campo visivo, prepotente e accecante.
Si mosse senza pensare.
Si mosse rapido, facendo muovere tutte le catene muscolari che aveva.
L'importante fu muoversi.

Neji sbattè gli occhi, incapace di cogliere i movimenti rapidissimi che le due figure compiettero.

Si ritrovò con un collo stretto fra la mano guantata.
Si ritrovò con la canna di una pistola puntata in mezzo agli occhi.

Hinata sussultò.
E questo bastò a Kakashi per calare il braccio, con un gesto rapido e affatto teatrale. 



Davanti a Sasuke si ergeva una figura dai contorni scarlatti, dovuti al dono della sua vista.
L'indice della mandritta dell'essere era posata sul grilletto di una calibro 45.
Sasuke, dal canto suo, faceva vibrare l'elettricità nella sua mano, sfrigolante, stretta alla gola del suo nemico: pronto a scuoterlo con una scossa affatto indifferente.
A rischio di morte ambedue, non uno si mosse. 
Sotto minaccia e minaccianti.
Era stallo.
Sasuke fissava gli occhi dell'altro, senza che un muscolo del volto si muovesse.
Osservava gli occhi rossi, dalla pupilla allungata, stretti fra palpebre scure, nere e affilate.
Era il volto di un uomo, quello su cui posava lo sguardo: di media altezza, dal volto squadrato e smussato. Una frangia di capelli biondi scendeva disordinata sulla fronte alta: il resto della chioma, lunga, cadeva sino alle spalle in ciocche distinte e pesanti. Lungo il mento un'idea di barba chiara e disordinata, priva di qualsiasi cura. Sotto di essa, e lungo le gote, si tratteggiavano sei solchi simmetrici, scavati nella carne, dall'apparenza di tessuto necrotico. Le labbra a stento trattenevano una dentatura affatto umana, dai canini lunghi e affilati.
Portava addosso una maglia ch'evidentemente aveva visto il trascorrere degli anni: logora, sgualcita, strappata, sporca - di terra, di linfa e di sangue: si poggiava su di una sola spalla, grossa e tonica, mentre l'altra manica era rotta. Dalla vita, delle braghe della stessa tela e sorte scendevano larghe sulle sue gambe. 
Scalzo.
E dalla mano che stringeva la pistola, puntata in mezzo ai propri occhi, Sasuke vedeva bene spuntare delle unghie che oramai tali non potevano essere chiamate: erano artigli, neri, affilati e appuntiti.

Non lasciarono un solo respiro tradire alcuna emozione: non allegria, non sconcerto, non rabbia o furore.
Sul volto di ognuno v'era solamente lo sguardo di chi ha appena notato un destino ineluttabile compiersi.
Nessuno dei due sembrava essere sorpreso da quell'evento.

"Naruto."
vibrò lieve la voce di Sasuke.








... so what?










[NdA]
Potreste dire che è il teatrino delle banalità, sotto certi punti di vista - eh, bhe, magari lo è.
ma mi son talmente compiaciuta nello scrivere questo capitolo che vi dirò: sì, è il teatrino delle banalità. l'avevo progettato anni or sono, ormai. mi premeva moltissimo scriverlo. e anche se riconosco che è una scena già vista, 'chissenefrega': dal mio punto di vista, due vecchi amici dovrebbero sempre reincontrarsi dopo lungo tempo minaccandosi l'un l'altro di morte. U_U <3 

@Shakuma: oddio, Kiba che digievolve xDDD ma rotfl xD
mi sembrava inadeguato dargli Akamaru, dato che è un soldato come tutti gli altri, e decisamente non si sarebbe capito, al ludus, perchè lui girava con un cane. Preferivo che usasse le sue abilità sfruttando ciò che trovava sul territorio, come tutti. E alla fine mi piace che faccia così, è molto più utile e... canide xD



















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Capitolo 37
*** 36 (Esplosione) ***


36.

36. Esplosione



Dimmi,
sai tu forse
se quel colore ch'io vedo,
e che tu vedi, 
è in realtà lo stesso per noi tutti,
o muta,
mentre non ne muta il nome?



Sauke manteneva lo sguardo fisso su Naruto.
Sembrava un essere al limite dell'umanità, ma in cui ogni singolo tratto del viso urlava la personalità del ragazzino che aveva conosciuto anni prima. 
Che aveva cercato, anni prima. 
Che aveva fermato, anni prima.
Gli occhi indemoniati del biondo saettavano, posandosi sull'ambiente che li circondava, per poi incollarsi a contemplare il volto di Sasuke. Il Custos vedeva le narici dell'altro fremere, allargandosi ora di più, ora di meno.

Kiba scivolò rapido verso l'odore del compagno, fluttuando fra le fronde della vegetazione.
I Bellatores si avvicinarono rapidi e rumorosi, palesando, di colpo, la loro presenza - ch'era stata ante saggiamente occultata dagli schemi di Shikamaru.




Kankuro aggrottò le sopracciglia.
"Cosa stanno facendo?"
mormorò, togliendo il visore da davanti agli occhi. Un mare di divise nere sembrava avere preso a sgorgare dalle tende e dalle costruzioni dell'accampamento nemico.
Quanti erano? Centinaia?
Migliaia?
Sembravano starsi materializzando dal nulla. Eppure, nei giorni passati, non potevano essere in più di cinquanta neri, lì dentro.
Lo avevano fregato.
Storse le labbra.
Oppure era stato poco attento.
Riportò il visore agli occhi, rintracciando la figura di Kakashi. Sembrava non dare segno di muoversi: statuario, rimaneva immobile mentre i guerrieri del fuoco si lanciavano dentro la giungla. Accanto all'ambasciatore, il Philosophus con cui aveva parlato qualche giorno prima sostava con le braccia incrociate e lo sguardo apparentemente focalizzato su qualcosa di inesistente. Ma concentrato.
Appoggiò il visore sul tavolo, in maniera quasi maldestra, e con un cenno fatto ai due soldati ch'erano nella stanza assieme a lui, uscì celere dalla casupola del suo avamposto.

Kiba e Shino sentivano la presenza del demone avvicinarsi, man mano che si muovevano verso di lui.
Neji vedeva Sasuke immobile, circondato da un'aura scarlatta che pareva lo volesse, in un qualche modo, inglobare. Si addensava in una figura vagamente umanoide, ritta davanti al compagno.
Gli altri due sentivano il terrore che montava nelle loro vene. Non gli apparteneva: era l'istinto degli animali, l'istinto del branco - delle creature che Sanno che a quella cosa non ci si deve avvicinare. Gli sciacalli abbandonarono Kiba, uggiolanti, scrutando il ragazzo con occhi fissi e intimoriti: fra un guaito e l'altro, tentavano di fermare il gesto, per loro folle, del capobranco. Kiba serrava la mascella, cercando di non dare peso agli avvertimenti delle sue creature.




Naruto schiuse le labbra.
"Mi stavate forse cercando?" domandò, lontanamente divertito, con una voce inaspettatamente profonda.
Sasuke sentì le corde vocali dell'altro vibrare sotto il suo palmo, stretto al collo del biondo. 
C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione. L'uno carico di elettricità, l'altro pronto a fare fuoco. 
Un demone che usa un'arma della Regio: una cosa folle.
Era Naruto, quello che aveva davanti a se', o il demone che aveva preso il sopravvento?
Non poteva saperlo.
Rimaneva immobile, cercando di capire qualcosa che percepiva essere incomprensibile.
Non rispose.




"Cosa sta succedendo?"
Domandò Kankuro, ancora intento a correre verso Kakashi. L'uomo, visto il bianco avvicinarsi, si era mosso per andargli incontro.
"Hanno trovato qualcosa." rispose calmo.
"Qualcosa? Da dove saltano fuori tutti questi guerrieri?" il ragazzo non era affatto felice di essersi ritrovato un esercito sotto il naso
Kakashi fece spallucce. "Erano qui." rispose, con ovvietà.
Davanti all'accampamento della Ignis Regio, una schiera di Bellatores si stava allineando a fungere da barriera - mentre gli altri, ormai, erano scomparsi fra la vegetazione.
"Ve l'avevamo detto, che sappiamo cosa vuol dire catturare un demone a mani nude." Continuò Kakashi "Questo è il minimo."
Kankuro si guardò attorno, cercando con lo sguardo la macchia rossa della toga di Shikamaru.
Doveva fare qualcosa.
Ma non aveva nessun potere per farlo.
"Merda."
Kakashi levò un sopracciglio, quasi infastidito dall'esclamazione del bianco.




"Cosa ci fai, qui, Naruto?" domandò Sasuke, continuando a fissare l'essere dai tratti bestiali.
Quello sorrise, prima lontanamente, poi accentuando l'espressione che a causa della dentatura pareva una smorfia.
"Io sono morto." rispose infine.
Sasuke aggrottò le sopracciglia, espirando. Naruto continuava a guardarlo: poi tornò a guardare attorno a se', apparentemente del tutto disinteressato al fatto che il Custos lo teneva sotto scacco, pronto a scuoterlo con l'elettricità di cui era carico il guanto.
"C'è Kiba." asserì il biondo, rilassato, quasi fosse sul punto di rivedere un vecchio amico.
Non era forse così?
Sasuke cercava di fare ordine, ma il filo logico dei suoi pensieri e degli eventi si perse prima ancora di averlo trovato.
"Hai un modo interessante di essere morto." Il Custos iniziava a tremare, non tanto per fatica, o per agitazione. No, era qualcos'altro. Forse iniziava a percepire realmente la mole di energia che sprigionava Naruto.
Forse iniziava a capire realmente cosa potesse essere la creatura con cui aveva a che fare.
O forse no.
Naruto lo osservò, continuando ad annusare l'aria, a far saettare le pupille allungate sulla giungla. Si portò il dorso dell'indice libero sotto le narici, come per pulire il sudore, abbozzando nuovamente un sorriso. In uno di quei gesti che Sasuke non riusciva ad attribuire a un demone o a un'entità disumana, o a un umano qualsiasi. 
Era una cosa da Naruto. Era un gesto classico di Naruto.
Era il ragazzino rilassato ed esuberante, che si divertiva a importunarlo con il rumore del suo campanello.
Il biondo voltò il capo di scatto, lasciando il Custos disorientato.
Fu un attimo.
Nonostante la sua vista, Sasuke si ritrovò con una ginocchiata allo stomaco e un colpo alla testa dato col calcio della pistola dell'altro. Perse il fiato, indietreggiando, e sufficientemente sorpreso da non riuscire a far scattare la scossa prima che il biondo si dileguasse.
Mezzo istante, nemmeno uno: e i suoi occhi che normalmente sapevano essere preveggenti erano stati ingannati.
Cadde a terra disorientato, mentre la figura dell'altro era oramai già sparita fra gli alberi.
"Naruto!"

Kiba sentì l'odore pungente e affilato del demone muoversi, e, oramai vicino a Sasuke, sentì quel nome urlato dal compagno: Naruto.
Saettò accanto al ragazzo, ancora a terra, e scomparì a sua volta fra le fronde, al seguito della figura bionda che aveva appena intravisto fra la vegetazione fitta.

Sasuke osservò attonito Kiba sfrecciagli di fronte, lanciato in una vera e propria caccia. 
Si guardò attorno, rapido, imprecando mentalmente. Chiuse dapprima i pugni, poi unì i palmi delle mani per caricare nuovamente i guanti, e scattò a sua volta dietro all'altro Custos.
Shino e Neji erano di poco dietro di loro.
"Kiba! Muoviti!"
Lenti, sentivano i bellatores giungere rumorosi, accerchiandoli da ogni direzione.
Lo avrebbero preso.




"Kankuro!"
Il ragazzo vide Shikamaru fargli un ampio cenno con la mano, mentre si avvicinava.
"Lo avete preso?" domandò il bianco, ancora inacidito dal fatto di non essersi reso conto dello schieramento di neri che era stato preparato sotto i suoi stessi occhi.
"Non lo sappiamo, non è cosa facile."
Kankuro si guardò attorno, scrutando il muro di soldati dell'ignis regio pronti a difendere il fortino.
Un coro di ululati si alzò dalla foresta.
Stirò un margine della bocca, mormorando qualcosa, e infine cedette: "Stiamo portando due bombole di gas antidemone."
Shikamaru non si mosse alla notizia.
Lo sapeva, che sarebbe andata a finire a quel modo.
Kakashi sorrise. "Bene."




Kiba vedeva, sentiva, fiutava, percepiva Naruto. Sapeva che era lui: nonostante quell'aroma acre e pungente di demone avesse completamente avvolto il ragazzo, il suo odore originale era ancora riconoscibile, sebbene solo da breve distanza.
Lo vedeva muoversi in una corsa tanto animale quanto la sua, lanciandosi di ramo in ramo, gobbo, curvo, e rapido. Gli stava dietro, cercando, con sommo sforzo, di ridurre le distanze.
Sotto, Sasuke li seguiva correndo, lo sguardo fisso sul biondo, l'animo profondamente turbato.
Kiba sentiva ancora la paura che avevano provato i suoi animali nell'avvicinarsi al demone, e che continuavano a provare. Sentiva, lontani, i richiami dei lupi, degli sciacalli, del branco intero, che lo pregava, lo supplicava di non avvicinarsi ancora a quella creatura.
Era pericolosa.
E lui stesso lo sentiva.
Ma era un uomo, non un animale. 
Richiamando a se' ogni energia non utilizzata, balzò in avanti, la schiena di Naruto bene in vista, e lo raggiunse. Allungò una mano per fermarlo, mentre si rendeva conto di stare ringhiando, la mascella serrata e i muscoli tesi.
Naruto si voltò di scatto non appena sentì la mano di Kiba sfiorargli il polpaccio.
Kiba sgranò gli occhi.



Kankuro vide uno stormo di uccelli, rumoroso e disordinato, elevarsi sopra la foresta.
No, non era uno stormo. Erano tutti i volatili della foresta che cercavano disperatamente rifugio nel cielo.
"Lo stanno prendendo!"
il bianco si volse verso la ragazza che aveva pronunciato quelle parole. Hinata, che continuava a fissare nel mirino del fucile, non muoveva un muscolo se non per parlare, all'erta. La osservò un istante, e poi diresse a sua volta lo sguardo verso la giungla.
Un rumore sommesso scosse il terreno.



Vide il volto deformato del ragazzo. Ma no, non era quello.
Video gli occhi scarlatti e animali, la pupilla allungata, i canini affilati.
No, non era quello.
Naruto aprì le labbra, come per ringhiare - ma tutto ciò che ottenne fu un soffio. Un soffio, come di gatto, ma mille volte più potente e denso.
Che fece vibrare il terreno.
Un terrore puro e ancestrale, mai provato prima, avvolse Kiba: nel solo istante in cui Naruto si voltò e soffiò, mortalmente impaurito scivolò sul ramo, e cadde, mancando la presa sul biondo.
Naruto saltò in alto, cambiando drasticamente direzione di novanta gradi, non più verso il cuore della foresta.
Sasuke mutò direzione a sua volta, aggrappandosi ad un albero, su cui si spinse per accelerarsi ulteriormente. Ignorando del tutto la caduta rocambolesca del compagno.




"Ha cambiato direzione! Va a Est!"
Shikamaru annuì alle parole di Hinata, e, dal suo bracciale, prese a dare ordini ai Bellatores.
"Kiba si è fatto male!" continuò la ragazza, dopo aver trattenuto il respiro nel notare Kiba volare verso il terreno.
"Ci penso io" rispose Neji, dall'altoparlante.
Kakashi si volse verso Kankuro, che parve improvvisamente sollevato. Est significava Ignis Regio, ero, nessun problema per i bianchi.
Anzi, quasi di lusso.
L'ambasciatore mosse un passo verso il ragazzo. "Spero non basti questo per farti ritornare sulla tua proposta di aiutarci col gas."
Kankuro fece un verso infastidito. "Kakashi, sarò anche inesperto, ma non sono uno sprovveduto. Nulla gli impedisce di cambiare nuovamente rotta." 
"Già."
"Ho preso la mia decisione, ambasciatore, dato che sono l'unico che qui può decidere. Baki mi ha assegnato ogni delega: se vi servirà, vi lasceremo usare il nostro gas. Sono un uomo di parola."
"Ciò non può essere che un bene."
Kankuro lo scrutò sottecchi. Tutto ciò non significava, ovviamente, che si fidasse di loro.
Anzi.



Neji si fermò su Kiba, frenando la sua corsa in maniera maldestra, tanto che per un isto perse l'equilibrio. Sul volto del compagno era impresso uno sguardo stranito, mentre dal braccio sinistro, fra sangue e muscoli, fuoriusciva leggermente una metà di ulna fratturato.
"Kiba, come stai?" domadò, ispezionando il Custos alla ricerca di altre ferite. 
Kiba non rispondeva. Da lontano, il rumore dei Bellatores si faceva sempre più vicino.
"Kiba!" cercò di richiamarlo Neji. Quello, tremante, si volse lentamente verso di lui. "Hai qualche graffio, forse qualche costola andata, e una signora frattura esposta. Devi uscire di qui. Fatti aiutare."
"Dov'è Shino?" domandò l'altro, con un filo di voce.
"Sta arrivando."
"Andate via."
"Eh?"
"Neji, tu non hai idea di cosa sia quella cosa. Dobbiamo lasciare la foresta, tutti, subito. E' il suo territorio."
"E' per questo che sei così scandalizzato?"
Un secondo bontolio profondo scosse il terreno.
Kiba tremò, con forza, mentre Neji si guardava attorno.
"Lo senti?" domandò al compagno, retorico. "Questo è il suo soffio. Neji, non hai idea di quanto sia pericolosa quella bestia."
"Ma è Naruto?"
"Non lo so che cos'è, ma se questo è il suo soffio, io temo il ruggito. Dobbiamo andarcene, fanculo ai bianchi e alle loro turbe, ammazzerà i Bellatores come se niente fosse!"
Il linguaggio scurrile, i movimenti scattosi, e ancora tremante: Kiba era assolutamente terrorizzato.

Naruto aveva soffiato nuovamente quando si era reso conto di stare andando incontro ai Bellatores, nella speranza che questi si allontanassero. Chiuso, da est e da ovest, dovette tornare a mirare verso nord. Ma quella deviazione, presa in un attimo di disorientamento, si stava rivelando fatale: Sasuke da una parte, l'esercito dall'altra, avevano tutti guadagnato terreno.
E lui doveva andarsene.
Cercare di farsi inseguire da Sasuke non era stata un'idea geniale. Era stato un vero e proprio capriccio, e Kyuubi non faceva altro che continuare a ripeterglielo. D'altro canto, il guaio in cui si era infilato era dovuto alla volpe stessa, che, incapace di trattenersi all'odore animale ed invasore di Kiba, l'aveva quasi aggredito.
E lui, a stento, l'aveva trattenuta.
"Naruto!"
Sasuke gli era alle costole. Naruto accelerò, ma la sua sensazione di essere in trappola si faceva sempre più forte.



Hinata osservava, il fiato sospeso, le macchioline azzurre, che avanzavano come un'onda impetuosa.
Quando la vide infrangersi, si lasciò scappare un sussulto di sgomento.



Naruto se li trovò addosso senza nemmeno accorgersene.
Troppo preoccupato ad evitarli, aveva finito con l'incastrarsi da solo.
Aveva passato anni ad evitare le trappole di gas della Ventii Regio: ma l'Ignis Regio, la Sua Regio - quella era tutta un'altra storia. Quasi sorpreso, si ritrovò ad ammirare per l'ennesima volta nella sua vita l'impeccabile organizzazione di quell'esercito di divise nere contro le quali era finito, nolente, ad impattare.
Non voleva farlo. Era quello che aveva voluto evitare - era quello che evitava da anni.



La ragazza sgranò gli occhi.
Le macchioline azzurre dei Bellatores presero a muoversi in disordine, sbalzate via da un'aura rossa e densa ch'era esplosa dal nulla.
"Cosa succede, Hinata?"
"Stanno combattendo"
"... e?"
Tacque, persa ad osservare lo spettacolo di devastazione.



I Bellatores rimbalzarono come gocce di pioggia, nello scontrarsi contro qualcosa di invisibile e rovente. L'aria, ustionante, si muoveva sotto l'effetto dei moti convettivi causati dall'esplosione di calore, modificando la sua rifrangenza e facendo apparire ogni immagine distorta e sfuocata.
Naruto non capì se ne aveva ucciso qualcuno. Mentre i tratti meno umani del suo corpo si indurivano e si accentuavano sempre più, sotto l'effetto dell'immensa potensa della volpe, il suo corpo si lasciava avvolgere lentamente della sua essenza, gelatinosa e bollente.
Soffiò ancora, scuotendo il terreno, mentre si portava sulle quattro zampe.
I Bellatores, sconcertati, continuavano imperterriti una carica palesemente futile.



Shikamaru si arrampicò rapidamente sulla torretta di controllo dove sostava Hinata, sconcertata.
"Hinata! Dimmi immediatamente cosa sta succedendo!"
Ancora frastornata, cercò di rinsavirsi. "Il rosso. E' il rosso. E' come quella volta - no, peggio. Li sta distruggendo. Come... Come formiche."
Lo stratega osservò Kakashi, per poi mettersi a parlare nel bracciale. "Neji! Cosa sta succedendo?"
"Non ho mai visto niente del genere in vita mia. Nemmeno Quel giorno!" rispose il ragazzo.
"Shikamaru! Falli tornare subito indietro! Tutti!" interruppe Kiba, incapace di mutare il suo tono fortemente agitato.
"Kiba, stai bene?" domandò Shikamaru, nell'intento di calmarlo. "Torna indietro, fatti portare qui dal tuo branco, Hinata ha detto che sei ferito"
"Le mie bestie non hanno il coraggio di avvicinarsi sin qua!" uluò quello. "E fanno Bene! Dannatamente Bene!"
"Calmati, Kiba!"
"Calmarmi cosa? Quella cosa potrebbe fare fuori tutta la regio come se niente fosse!"
"Quello cosa?"
"Naruto!" Sbottò.
Shikamaru voltò lo sguardo di scatto verso Kakashi.
"Naruto?"



"Andate via!" ringhiò Naruto, continuando a scuotere il terreno a suon di soffi disperati, mentre indietreggiava sempre più verso il cuore della giungla. I sensi all'erta, cercava di capire dove fossero finiti i Custos.
Dove fosse finito Sasuke.
C'era troppa confusione - confusione che lui per primo aveva generato - per poter capire dove si trovasse, per poter anticipare le sue mosse più di quanto l'altro, forte dei suoi occhi preveggenti, non sapesse fare.
Continuò a indietreggiare, incapace di dar loro le spalle nel terrore che un attacco del genere potesse far scattare ogni istinto di sopravvivenza della volpe: il che significava morte certa per chiunque si trovasse nei paraggi.
E non era ciò che desiderava.
Continuava a tastare l'aria, a scrutare, ad ascoltare, cercando di non farsi sopraffare dai guerrieri, cercando di mantenere il più calmo possibile l'animo già di per se' impaurito della volpe. La quale, affatto dimentica del giorno in cui fu catturata, si sentiva infinitamente in pericolo.



Kakashi voltò lo sguardo verso la foresta, da cui ormai giungevano, persistenti, tremori e boati che non lasciavano sospettare nulla di buono.
"Kakashi!" lo richiamò Shikamaru. "Dicono che quella cosa è Naruto!"
Il Rector agrottò le sopracciglia, tornando, serio, sullo stratega. "Potrebbe essere."
Kankuro sgranò gli occhi. "Potrebbe essere? Come sarebbe a dire 'potrebbe essere'!?"
In quello, Kankuro e Shikamaru furono assolutamente d'accordo.
Kakashi vedeva i loro sguardi adirati, confusi e traditi.  "Kakashi!" esplose Shikamaru "Hai dichiarato tu al Summus Globus che Naruto era deceduto, assieme a Kyuubi! E' vero o non è vero?"
Kankuro aspettava avido la risposta.
L'uomo, dal canto suo, non sapeva se temere di più la furia del suo superiore, della sua regio, o l'ira del fratello del Rosso.
Non aveva importanza.
Non sapeva cosa diavolo fosse successo. Quello che sapeva, è che con i demoni non puoi avere alcuna certezza.
"Potrebbe essere causa del demone." rispose meccanico e preciso il Rector, senza palesare il minimo turbamento.
No, non era turbato.
Non esattamente.
Non finchè non si ritrovò un cazzotto di Kankuro in faccia.


Sasuke era vicino.
Doveva allontanarsi. Dovevano allontanarsi, anzi - perchè il suo desiderio di isolarlo persisteva, nonostante la volpe continuasse a dargli del folle.
Ma c'era qualcosa che gli suggeriva che, se non ora, non avrebbe avuto mai più occasione di rivedere il Custos.
Saltò indietro, atterrando sul terreno, su cui si ancorò conficcando gli artigli nel muschio e nella terra - lasciando così svariati solchi. Tese i muscoli, e iniziò ad emettere un rumore sommesso, digrignando le zanne.



Il Rector si pulì lentamente il sangue che fluiva dal margine del labbro e dal naso.
"Non esiste modo" disse, lieve e serio, senza incrinare in alcun modo il suo perenne tono disteso "che sia scientificamente dimostrato, per capire se un demone è vivo o morto." concluse, rivolgendosi verso Kankuro, il suo vero interlocutore.
Quello lo osservava con odio.
"Kankuro, tu stesso eri presente, quando Baki lo dichiarò morto, e lo seppellimmo - puoi forse negarlo?"
Quello non rispose.
Kakashi si passò nuovamente la mano sul volto, scrutando Shikamaru. Lo stratega, a metà fra il terrorizzato e l'adirato, cercava di non perdere la calma mentre elaborava una nuova strategia. E il modo con cui trattare Kakashi alla luce della sua svista.
Era un errore giustificabile? Era veramente Naruto, o forse un essere che gli assomigliava? Non si poteva escludere che ce ne fossero altri, di personaggi del genere. O che i demoni si potessero palesare anche sotto quell'aspetto.
Non si sapeva nulla di concreto, su di loro - solo che erano estremamente potenti, l'unica cosa che aveva attirato l'Ignis Regio nella giungla del nord.
"Mio fratello è morto." sibilò Kankuro.
"Lo so."
"No, non hai capito. Hanno ucciso mio fratello. Per far funzionare il trattato che vietava i demoni come armi, e che vietava di impiantarli in esseri umani - non glielo hanno reimpiantato dentro. Avrebbe potuto vivere, sopravvivere, e invece LUI è morto."
Kakashi abbassò il capo, lontanamente colpevole.
"Non pensavo che sopravvivesse." 
Il silenzio che stava per crearsi venne rotto da un tremore incalzante, di terremoto.



Kiba si abbassò immediatamente, tremante, mettendosi a mugolare in un uggiolio istintivo.



Giunse il ringhio. 
Poi il ruggito.
E le scosse, che, violente, sferzarono il terreno, più e più volte.



I bellatores vennero travolti, i primi dello schieramento rovinando miseramente a terra, gli altri immobilizzati dal fragore e dal tremore.
Sasuke, flessosi immediatamente sulle gambe per non perdere l'equilibrio, si portò le braccia davanti al volto per non venire sopraffatto dall'ondata di aria ustionante.



Hinata e Shikamaru, faticando a restare in piedi, si lanciarono rocambolescamente giù dalla torretta. Hinata mancò un gradino, e, colta dal panico, finì col cadere malamente a terra. Strattonata da Shikamaru, schivò per un pelo l'ammasso di legno che crollò.
Le casupole biance si sfregolarono, collassando su loro stesse. Kankuro, colto dal momento di caos e sconforto, ci mise qualche istante per rendersi conto che anche oltre la prateria, dove sostavano i suoi guerrieri, tremava ogni cosa, e ogni cosa veniva distrutta sotto l'impeto di quella specie di terremoto.



Sasuke camminò avanti, lento, cercando di vedere la figura di Naruto.
Questi, ricoperto della gelatina rossastra ch'era l'energia pura della volpe, ora ringhiava sommessamente, dopo aver paralizzato le schiere di Bellatores ed aver aperto una frattura nel terreno davanti a se'.
Il Custos lo osservò basito.
Quello, ancora posto a quattro zampe, ancora con gli artigli affondati nel terreno, volse lentamente il capo verso di lui.
Si fissarono.



"Ritirata!" gridò Shikamaru nel suo bracciale.
Non servì nemmeno: quelli stavano già indietreggiando. L'unico che, nonostante aver ammirato lo spettacolo con sommo stupore, obbedì malavoglia, fu Neji.
Sasuke ignorò direttamente lo stratega.



Naruto, fissato il contatto visivo con l'altro, scattò in avanti, per poi curvare in corsa e lanciarsi nuovamente verso Nord.
Sasuke non attese altri inviti. Lo rincorse, scartando e saltando, evitando fronde e radici, lo sguardo fisso sulla figura dall'aspetto tanto assurdo quanto imponente.



Quale sogno lontano
racconta quel vento

quell'alito vago
che il volto accarezza,

che poi lacera, 
e taglia sferzante
l'animo mio
ed ogni mia sicurezza.






NdA

Aw.
Hem.
Coff.
Sì, insomma.
Scusate. Sono LEGGERMENTE scomparsa nel nulla xD
eh vabè, succede <.<'
mi spiace, sapete che con me funziona così xD
fra l'altro sembra che l'ispirazione mi colga sempre... hem, tipo, qualche giorno prima dell'esame. Tipo uno. Tipo che domani ho un esame -sì. EH.
Coff Coff.
Per il resto, per somma gioia di LaGrenouille, ho iniziato a revisionare seriamente i capitoli precedenti, dove per "seriamente" si intende capitoli 00 e 01, 02 under costruction. Ovviamente anche lì, l'ispirazione mi piglia... in pieno periodo di esami, ergo, è molto poco funzionale, come cosa. Adesso cercherò di arrangiarli e sistemarli, anche se devo dire che ho dovuto rileggerli circa otto volte prima di beccare tutti gli errori di battitura ._. e non sono ancora certa di averli trovati tutti. Non so, magari, c'è qualche folle che si offre per un betareading non troppo beta ma molto reading? xD perchè davvero, ho una capacità di debug assolutamente schifida. Spero fra l'altro che questo capitolo sia relativamente sano, perchè giuro che l'ho ben che ricontrollato.
*zigh*
ehvabè.
Sommi ringraziamenti ad Aya e Hanil che hanno lasciato delle recensioni che mi hanno commossa e ben che rincuorata, e danke a Shakuma che segue e di cui fra l'altro devo assolutamente ripigliare in mano la fiction! Dooh!
LaGrenouille niente, perchè la odio, mi ha fatto una recensione cattiva.
(Scherzo xD abbiamo avuto ben che modo di sentirci via mail e la ringrazio per i commenti sinceri, spero di riuscire a migliorare il mio stile incasinato ed eccessivamente storiografico ;3 )

































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Capitolo 38
*** 37 (Fratelli - I: Patriae Frates) ***




“State bene?”
I soldati annuirono leggermente, lasciando intuire, sotto i veli che coprivano loro il volto, disorientamento totale. Continuavano ad osservare in direzione della foresta.
“E’ stata una pessima idea.” azzardò uno di loro, ansante.
Kankuro, sfinito per la corsa e per quanto era appena accaduto, si accasciò a terra. Imprecando.


“State bene?”
Hinata mugugnò, tenendosi la gamba.
“Lo prendo per un no.”
Il mare nero di Bellatores rientrava, lento, e sanguinante.
Shikamaru, zoppicando, li raggiunse.
Intravide Neji, affiancato da Shino che teneva Kiba in spalla.
“Dov’è Sasuke?” domandò, ancora lontano.
Neji lo guardò fisso.
Lo sapeva benissimo, Shikamaru, dov’era Sasuke.
“Si arrangia.” fu la sua conclusione secca.




37. Fratelli - I: Patriae Frates


E tu lo sai, in fondo,
e non te l’ho chiesto mai;

e tu temevi, in fondo,
che sarebbe andata a finire -

male -
male -

male come il male che io provo nel guardarti da lontano,
fratello.



L’ultimo passo gli fu fatale.
Ebbe solo un istante per rendersi conto che la macchia arancione di Naruto era svanita, e poi gli mancò i terreno sotto i piedi.
Scivolò lungo il pendìo roccioso, ruzzolando, cercando di aggrapparsi alla meno peggio. Perse parecchi metri di quota, il cuore che gli era saltato in gola.
Finalmente si fermò.
Ansimante e sudato, oltre che scorticato per l’attrito. Aveva praticamente distrutto i guanti, nel frenarsi.
Una voce eterea vibrò nell’aria.
“Sei un folle, ad averci rincorso fin qua.” Assomgliava al nuovo timbro di Naruto, ma rindondava in maniera eccessiva.
Il Custos osservò il biondo, prendendo grandi boccate d’aria.
In mezzo alla valle che s’era aperta a strapiombo, v’era solo uno specchio d’acqua: grande, profondo, scuro. Un po’ più indietro, un rumore roco, d’acqua che scende violenta.
Una cascata.
Ma di terra su cui camminare, nemmeno l’ombra.
La conca, larga e rocciosa, era umida dei vapori del lago: Naruto sostava, fluttuando sul pelo dell’acqua, nell’esatto centro.
Come se stesse mostrando il salotto di casa sua, lontanamente orgoglioso.
“Che giochetto carino.” commentò il Custos.
La voce rise sommessamente.
Naruto chiuse gli occhi, inspirando. Sasuke si irrigidì, pronto a qualche attacco poderoso come quelli a cui aveva assistito in passato.
Ma non accadde nulla.
L’aura rossastra che circondava il biondo si disperse, assieme all’eco di quella voce greve.
“Sasuke.” aprì lentamente gli occhi. “Che piacere, vederti ancora vivo.”
L’altro rimase interdetto. Si mosse incerto lungo il pendio, senza staccargli lo sguardo di dosso.
“Te lo ripeto, Naruto. Hai un modo davvero curioso di essere morto.” rispose, saltando su di un appiglio più stabile.
“Puoi tuffarti in acqua, sai? E’ profonda, non ti fai niente.”
“Piantala!” Quell’atteggiamento cortese ed amichevole lo rintronava. Non lo sopportava. Che cavolo stava facendo? “Perchè mi hai portato qui?”
“Perchè mi state cercando?” ribattè l’altro.
“Perchè sei ancora vivo?” controbattè Sasuke
“Perchè siete venuti in questa foresta?” alzò il tono, quasi ringhiando.
“Perchè sei fuggito dal Ludus?” rincarò il Custos.
“Perchè continui a farmi domande e a non rispondere?”  disse ridendo, eppure lapidario.
Sasuke tacque.
Si aspettava ancora che quello gli saltasse addosso, pronto a squartarlo.
Era andata così, l’ultima volta che lo aveva visto in uno stato simile a quello.
E sapeva di esserne uscito vivo per miracolo.
“Non sai rispondere, vero?” la voce di Naruto si mescolò a quell’eco di poco prima.
Sasuke si guardò attorno. “E’ il demone, questo? Naruto, sei tu o è il demone?”
“Siamo noi.” risposero in coro. “Sono io.” concluse poi Naruto, ricacciando la volpe nella sua prigione.
“Divertente.”
“Questo è il nostro territorio, Sasuke. Cosa siete venuti a fare?”
“Piantala, sono stato io il primo a farti le domande!”
Litigavano come due bambini, in toni accesi e frenetici.
“Questa è Casa Mia” sottolineò il biondo. “Ringrazia di essere vivo.”
Il Custos schioccò la lingua sul palato. Ancora aggrappato malamente, guardò in basso.
“E a cosa devo l’onore?”
“RISPONDIMI!” Tuonò, assieme al demone.
Sasuke scivolò leggermente al tremare della roccia.
Tuffarsi o non tuffarsi?
Era una trappola?
O no?
In ogni caso, non esisteva un luogo dove posizionarsi per avere anche solo una buona mira, o un assetto stabile.
I guanti erano andati.
E, a differenza di Naruto, lui di certo non sapeva camminare sull’acqua.
Dannazione.
“Siamo venuti a cercarti.” rispose infine.
“Perchè?”
Sasuke respirò profondamente. “Non stavamo cercando te, tu dovevi essere morto, diamine!”
“Non ha importanza cosa sono o cosa non sono. Cosa stavate cercando? Cosa fate in terra di nessuno?”
“Cercavamo un demone. I bianchi ci accusano di distruggergli il bestiame, e noi cerchiamo il demone che lo sta facendo. Sei tu, allora?”
Naruto tacque, continuando a fissarlo.
Era convinto di essere stato sufficientemente discreto.
“Bene, vedo che sei tanto bravo a ringhiare per avere risposte quanto incapace di darne!”
“Sono stato io.” concluse infine Naruto.
Sasuke lo scrutò di sottecchi.
“E adesso cosa intendi fare, Sasuke?”
Ehi, Sasuke, cosa intendi fare?
Perchè il problema è risolto. Hai trovato il demone. Potresti quasi convincerlo a lasciare in pace il bestiame dei bianchi.
Ti è andata di lusso, Sasuke.
E adesso?
Il Custos guardò in basso. A qualche metro da lui, l’acqua era piatta e scura. Naruto si manteneva sull’attenti, aggressivo - eppure non aveva ancora fatto niente.
“Se non mi volete qui, perchè hai lasciato che ti rincorressi?”
Naruto sorrise.
“Mi mancavi.”
Sasuke schiuse le labbra, incredulo.
“Ti mancavo?”
Ma Naruto continuava a sorridere. Si mosse indietro, mentre si rialzava, dritto, in un portamento molto più umano.
Il Custos lo fissò a lungo, basito. La creatura che aveva davanti ai suoi occhi aveva fratturato il terreno con un solo ruggito. Aveva sbalzato indietro i Bellatores senza nemmeno levare una mano, senza toccarli.
Trascendeva l’umanità.
E lo aveva già visto, il trascendere, lo aveva visto - il potere di un demone.
Prima il Rosso, poi Naruto stesso. Lo aveva temuto, quando, in un solo istante, il compagno lo aveva afferrato, lanciato a terra, e pareva pronto ad ucciderlo.
Ma poi, per oscuri motivi, si era fermato.
Poi aveva tremato.
Poi aveva pianto.
Se lo ricordava.
E lo osservava, memore di quegli eventi.
Naruto, nel lungo silenzio in cui si crogiolava Sasuke, non muoveva un muscolo: non un fiato - immobile, come la roccia, ad attendere.
Il Custos distolse di colpo il contatto visivo, osservando per l’ennesima volta l’acqua sotto di lui.
Era una bestia, quella che aveva davanti.
Lo sentiva con ogni fibra del suo corpo. Ma più lo guardava, più l’unica cosa che riusciva a venirgli in mente non era un demone, non era un animale, non era una creatura al limite di ogni potere mortale: era un uomo.
Non un uomo qualsiasi.
Era Naruto.
Era sempre stato Naruto.
Continuava ad essere Naruto.

Espirò.

Inspirò.

E si tuffò.





“Vado a cercarlo” fece Neji, voltando le spalle allo statega.
“Ma anche no.”
Il Custos si fermò, espirando, per poi voltarsi. “Si farà ammazzare.”
“Che faccia pure. Credi forse di essergli superiore?”
Neji strinse le labbra.
In effetti, aveva questa sensazione, al momento.
“Almeno per quanto riguarda il Buon Senso, Sì.” concluse.
Shikamaru incrociò le braccia al petto.
Attorno a loro, sciamava il fiume di Bellatores. Pareva ci fosse stato solo qualche morto, ma niente di realmente tragico.
Poco più indietro, Hinata e Kiba erano sotto le prime cure di Kakashi e Shino. Avevano già chiamato un medico, in arrivo dal Ludus.
I lupi gironzolavano attorno ai due ragazzi feriti, apparentemente preoccupati. Almeno, per quanto può sembrare preoccupato un branco di lupi.
C’era un gran, bel, bel, gran, Caos.
Questo pensava Shikamaru, che voltò le spalle a Neji senza aggiungere altro.
Non che significasse OK: ma, al momento, aveva troppi problemi per le mani.
Diamine.
Odiava queste cose.
Già lo infastidiva dover mettersi a trafficare con i bellatores: dovevano essre i Custodes gli intermediari, non Lui. Poteva anche sentirsi ancora parte del Ludus, dei suoi compagni, e non voler mettersi la toga da Philosophus - ma coi Bellatores, davvero, meno ci aveva a che fare, meglio era.
Mettersi a cercare un demone, poi. Significava andarsele a cercare. Ma che diavolo avevano in mente, ai piani alti?
Si domandava se fosse più rischioso infastidire oltre un demone o aprire la violazione dei trattati, rischiando di coinvolgere anche i civili.
Anche perchè, poi, nessuno garantiva - anzi - che il demone facesse distinguo fra guerrieri e non.
Imprecò mentalmente.
La mania di Kankuro di imprecare lo stava lentamente contagiando.




Riffiorò in superficie, scuotendo il capo per asciugarsi.
Inspirò profondamente.
L’acqua era fredda. Se non altro, il biondo non aveva mentito: era sufficientemente profonda da potervisici tuffare dall’altezza cui era senza impattare col fondo.
A dire il vero, nemmeno lo vedeva, il fondo.
Tenendosi a galla, si voltò, alla ricerca della figura di Naruto. Il ragazzo camminava blandamente sul pelo dell’acqua, diretto verso di lui.
“Allora, Sas’ke - ” fece, mite, il biondo “ - cosa farai, adesso?”
“Tu, cosa farai.”
Naruto lo guardò perplesso.
“Neeh, Sas’ke - per farti rispondere ad una domanda bisogna ripetertela otto volte?”
Sasuke sorrise di sbieco.
“Non che tu abbia risposto a tutte le mie.”
“Già.”. Si flettè sulle gambe, sempre impegnato a camminare sull’acqua, e portò le mani alle gote, come per reggersi il volto. Levò gli occhi, rossi, verso l’alto.
“Ci sto pensando, Sas’ke.”
“... anch’io.” concluse il Custos.
Naruto tornò con lo sguardo verso il vecchio compagno.



“Vado a parlare con Kankuro.”
Shikamaru annuì, mentre Kakashi, terminato il bendaggio di Kiba, si rierse in piedi.
Lo stratega espirò rumorosamente, in uno sbuffo malcelato.
“Che rogna.” concluse, portandosi le mani alla vita.




L’aria era umida, fresca - e mite. Il rumore della cascata, di sottofondo, era l’unico suono che permeava la valle.
Per il resto, silenzio. E lieve, il rimescolìo dell’acqua smossa da Sasuke o toccata da Naruto.
Sembrava che ambedue si lasciassero, ben volentieri, avvolgere da quel silenzio, da quei lontani rumori che parevano essere la metafora in terra della tranquillità.
Del furore di poco tempo prima, non un’ombra, se non per le sembianze non completamente umane di Naruto.
E pareva quasi bello, guardarsi negli occhi senza aspettarsi che l’altro cercasse d’ucciderti.
Tanto surreale quanto confortante: il tempo sembrava essersi fermato.
Fuori dalla Ignis Regio, fuori dalla Ventii Regio: a Sasuke pareva che in quel luogo nulla di quanto era accaduto sino ad allora avesse un reale senso compiuto.
Gli ultimi anni della sua vita sembravano essersi cancellati.
Forse di più. Più del tempo, o dello spazio: sembrava di essere tornati in un posto ed un momento che loro, per primi, non avevano vissuto.
Ed era strano - sentirsi improvvisamente oltre. Oltre a tutto.
Continuava a scrutare Naruto, e continuava a domandarsi come fosse possibile che il demone, che solo poco prima aveva dimostrato di poter distruggere qualsiasi cosa con la sua sola intenzione, lo osservasse pacioso e rilassato.
Naruto sorrise.
Selvatico - forse, sì. Ma era Naruto.
E a momenti si sorprendeva di non sentire l’eterno rumore del suo campanello.
“Sas’ke.”
Il Custos taceva, meditabondo, perso in pensieri incoglibili da lui stesso. Naruto avvicinò il volto al suo, fissandolo.
“Sas’ke, perchè i tuoi occhi sono così?”  domandò infine il biondo.
Sasuke non rispose.
‘I miei occhi?’ - si lasciò sfuggire, come pensiero.
Per un momento s’irrigidì, sorpreso - colto completamente alla sprovvista da quella domanda che arrivava tanto inattesa quanto priva di risposta.
Continuava a guardare l’espressione sinceramente curiosa Naruto, a meno di un palmo da lui.
Il biondo rimaneva in attesa.
Ma Sasuke continuava a tacere, la mente aggrovigliata, il volto basito.
E poi si riprese. “E tu, perchè hai un demone in corpo? Te lo sei mai chiesto?” cercò di svicolare, in tono serio e pungente.
Naruto annuì, sedendosi a gambe incrociate, i polsi poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso.
“Me lo hanno impiantato dentro.”
Sasuke aggrottò le sopracciglia, non tanto sorpreso, quanto piuttosto diffidente e circospetto a quell’affermazione, ch’era giunta così naturale e spontanea. D’altronde, Lui non sapeva perchè i suoi occhi divenissero scarlatti sotto la sua volontà, e, in quelle occasioni, gli fornissero una vista ben superiore a quella degli altri - oltre alla capacità di preveggenza.
Ma lo aveva preso come un dato di fatto, quindi, tant’era. Chiedersi una cosa del genere, sino ad allora, era come chiedersi perchè uno è biondo, mentre l’altro è moro. Non solo era inutile chiederselo - ma la risposta non sarebbe nemmeno stata interessante.
Ma ora sembrava una domanda sensata.
Legittima. Com’era legittimo chiedersi cosa ci faceva un demone dentro un ragazzino.
Naruto risollevò lo sguardo verso il Custos.
“Dai, Sas’ke. Chiedimelo!” fece, quasi allegro.
Quasi fosse un gioco.
Una sorpresa.
‘Indovina’.
E sorrideva.
Sasuke continuava a rimanere all’erta, disorientato dall’atteggiamento del biondo. O del demone. O di qualunque cosa fosse.
“... cosa?”
Naruto ghignò.
“Tu non sei abituato a fare domande, nhe, Sas’ke?”
Quello andava irritandosi.
La situazione sembrava al limite del tragipatetico.
“Ma prima ne hai fatte davvero tante.” continuò il biondo. “Chiedi, Sas’ke. Chiedimi! Io cercherò di risponderti. Non ho capito tutto, Sas’ke - ma se tu non mi fai le domande, io non so che risposte dare. Funziona così, sai? Domanda e risposta. Ci hai mai provato?”
Non che lo schernisse, anzi. Sembrava proprio gli stesse illustrando un nuovo gioco.
Sasuke continuava a scrutarlo di sottecchi. Che non fosse cresciuto, in realtà? Il corpo di un ragazzo ormai adulto, posseduto da un demone. Il suo animo poteva essere rimasto quello di un ragazzino.
Ma lui conosceva Naruto. Il ragazzino Naruto, per lo meno.
Era un idiota.
Ma non era uno sprovveduto.
O in particolar modo stupido. Dopotutto, aveva praticamente finito il Ludus.
Aveva superato una bocciatura.
Già.
Era un idiota, ma non era stupido.
A meno che non lo fosse diventato col tempo.
Cercava ancora di capire quale fosse stato l’effetto del tempo sul biondo, rimurginando. Quello richiamò la sua attenzione.
“Sas’ke!”
Come faceva sempre.
“Nhe!”
Come aveva sempre fatto.
“Sas’ke!”
“Smettila!” rispose lui, d’impulso, da antiche abitudini.
Silenzio.
E ancora intenti a fissarsi.
Un fremito, lieve, scosse la colonna vertebrale di Sasuke: c’era davvero qualcosa di profondamente sbagliato, in quella situazione.
Era semplicemente troppo assurda, troppo incalcolata.
Troppo fuori dagli schemi.
Una cosa troppo dannatamente da Naruto.





“Sembra che si sia zittito tutto.”
Kankuro continuava a guardare verso la foresta, preoccupato.
Non per le perdite dei neri, ovviamente.
Per i rischi che vedeva insorgere sulla sua terra.
Posò per terra la bombola che reggeva in mano.
Era in parte arrugginita: non che se la cavassero esattamente bene, con la tecnologia, là.
Si divertivano tanto a ideare armi che laceravano col solo spostamento d’aria - ma la bombola che osservava Kakashi non sembrava affatto sicura.
Probabilmente perdeva.
“Piantala di fare quella faccia saccente, Kakashi.” lo apostrofò Kankuro, infastidito dagli ovvi pensieri che trasparivano dall’espressione dell’ambasciatore. “La bombola tiene benissimo. A noi non servono le cose luccicanti, l’importante è che funzionino.”
“Ma è arrugginita.” puntualizzò Kakashi.
“Tsk!” odiava quando i neri facevano così. “Solo lo strato esterno. Che non serve a niente. Ma se non volete il gas, me lo riprendo.”
Kakashi lo guardò.
Era evidente che Kankuro fosse ancora agitato dall’idea che nella foresta ci fosse Naruto.
D’altronde, era stato lui a lanciare, anni prima, il gas fra il Gaara e Naruto, rischiando la pelle, e condannando definitivamente il fratello.
Quanti sensi di colpa, si portava addosso quel ragazzo?
Kakashi storse le labbra.
“Rilassati, Kankuro. Non farò più commenti del genere, se la cosa deve minare la nostra cooperatività.”
“Direi che è già stata minata.”
“Mh.” fece l’uomo, osservando il bianco.
Infine gli voltò le spalle.





“Cosa fai qui, Naruto?”
“Ci vivo.”
“Mh!” fece Sasuke, fra il divertito e lo scocciato dalla semplicità della risposta.
“E perchè sei scappato dal Ludus?”
“Ah - quello.” Naruto abbassò lo sguardo. “Nhe, Sas’ke. Non è che prendi freddo e ti stanchi, a stare in acqua? Vicino alla cascata c’è un po’ di terra dove puoi sederti in comodità.”
“Naruto, stai svicolando.”
Il biondo sorrise.
“Vieni con me.”
S’incamminò.




“Metteremo il gas in bombole più piccole e a pressione maggiore, in modo che i Bellatores li possano portare con se’.” spiegò Kakashi, mentre camminavano verso la postazione dell’Ignis Regio. “Devi solo dirmi quali sono i limiti del volume critico del gas, e qual’è la dose minima necessaria.”
“Quello che sta qui dentro potrebbe bastare per la foresta intera.” rispose il bianco, secco.
“Oh.” fece Kakashi, quasi sinceramente impressionato. “Perchè non lo avete usato?” domandò poi.
Kankuro lo scrutò infastidito.
“Era solo una curiosità, non un appunto.” specificò l’ambasciatore.
“Non siamo degli sprovveduti, Kakashi. Non credi forse che se così fosse, ci avreste annientati molto tempo fa?” domandò, retorico. “Ma noi riusciamo a tenervi testa. Mentre voi state a preoccuparvi di quanta ruggine esterna c’è sulle bombole, noi inventiamo il gas antidemone. Così va il mondo.”
Kakashi annnuì impercettibilmente.
“Il gas antidemone non uccide i demoni.” spiegò il ragazzo. “E’ un semplice repellente. Molto potente. Li indebolisce, li fa stare male, e li fa scappare. Se noi avessimo usato tutto il gas antidemone in una volta, il risultato sarebbe stato di far stare male tutti i demoni che popolano la giungla - e, successivamente, avremmo subito le loro ire. Non è una cosa furba.”
Kakashi annuì. Sul serio, questa volta.





Uno camminava, a pelo d’acqua.
Come un dio.
L’altro nuotava. Lento.
Come un umano.
Il dio osservava l’umano.
Il volto disteso e sereno.
Lo sguardo addolcito da ricordi lontani, e reminescenze che si perdevano nella sua maltrattata memoria.
“Ti ricordi quel giorno, Sasuke?” domandò infine il dio, dopo lunghi silenzi.
Sasuke annuì.
“Anche se le mie sembianze, ora, sono quasi peggiori, quel giorno ero completamente indemoniato. Avevo perso il controllo di qualcosa che nemmeno sapevo di avere.”
“Mi avevi quasi ucciso.”
Naruto si fermò.
Guardava in basso.
Sasuke continuò a nuotare, sino a raggiungere la piccola riva.
Si scrollò, per asciugarsi. Si guardò le mani, infiammate, e infine si sedette.
Il biondo rimaneva lì, in piedi, a capo chino.
“Sas’ke.” Mormorò. Levò lo sguardo verso il compagno.
Verso quello che era stato un compagno.
“Sasuke, mi spiace per quello che ho fatto quel giorno.” serio. Troppo serio.
Triste.
Colpevole.
“E’ per quello che me ne sono andato.” concluse.
Sasuke cercò di capire.
Non capì subito.
Guardava Naruto cercando il nesso.
Nel suo sguardo avvilito e depresso - il volto sempre animale, sempre deforme fra occhi allungati dalla pupilla sottile e canini oramai fattisi zanne - intravide qualcosa.
Intravide un’idea.
Un pensiero.
Il collegamento.
Eccolo.
Lì.
Perchè non tornava.
Perchè sino ad allora non aveva senso.
Perchè Naruto, quel giorno, aveva pianto.
“Per la Regio?”
Naruto risollevò il mento, deciso.
Portò il pugno al petto.
Battè.
Aprì il palmo.
Battè.
Con forza.
Vibrando.
“Patriae Frates, Sasuke.”
Sasuke abbassò lo sguardo, di lato, fissando il nulla, mentre cercava di articolare fra l’abitudine a rispondere al saluto e la situazione del momento.
Un reietto, un demone, un fuggitivo, un morto vivente, non umano, non più compagno - nulla.
Il caos.
Rappresentava il vero e proprio caos.
Espirò, sgonfiandosi.
“Fati Frates, Naruto.”



“Kiba, va meglio?”
il ragazzo annuì lontanamente. “Sasuke è ancora lì dentro, vero?”
“Sì.”
Il suo branco di canidi si era diradato. Un paio di maschi rimanevano a fare da guardia al Custos, mentre parevano coccolarlo, fra strofinamenti rassicuranti e leccate premurose.
Hinata li guardava sorridendo.
“Il medico arriverà entro qualche ora” continuò Neji, levandosi in pedi. “Speriamo di sopravvivere fino ad allora.”



Il biondo sorrise, lontanamente, mentre buona parte dello sconforto rimaneva impresso sul suo viso.
“Mi hanno messo dentro un demone, Sasuke.” iniziò a raccontare, con tono basso. “E quel giorno me ne sono reso conto. Non sapevo di avere niente del genere. Sono un’arma, Sasuke. Ma lo siamo tutti. Serviamo la Regio, proteggiamo la Regio.”



“Non funziona, eh?”
Shikamaru annuì.
“Non pensavo intendesti una cosa di questo genere, quando parlavi di catturare un demone a mani nude.” commentò lo stratega, scocciato. “Se il bracciale di Sasuke è andato, la cosa più probabile è che sia morto.”
“Anche se non possiamo escludere che sia il demone a fare questo effetto. Anzi, la loro presenza ha sempre dato parecchi problemi.”




“Io sono semplicemente un’arma difettosa. Incapace di controllare e direzionare il mio potere. E a causa di ciò, stavo per ucciderti.
Per questo sono scappato. All’inizio, per lo meno.”
Tacque. Respirò, profondamente, a lungo, risollevando gli occhi sul Custos.
Quello, seduto, lo stava ascoltando.
Lo ascoltava.
Lo ascoltava davvero.
Come aveva fatto Iruka, al tempo.
Iruka.
Si ricordava, di Iruka.
Gli venne in mente la sua immagine, dal nulla.
Aveva quasi voglia di rivederlo.
Si rinsavì.
“Io volevo solo morire, Sasuke.”
Il Custos faticava a mantenere il filo.
“Ci ho provato. Davvero, ci ho provato. E non ci sono mai riuscito. Sono qui, intrappolato, con questo demone chiuso nel mio corpo. Ho dovuto arrendermi. Non posso tornare al Ludus, ne’ avvicinarmi troppo alla regio. Non posso fare nulla.”
“Naruto...”
“Mi vuoi chiedere di nuovo perchè ti ho portato qui, non è vero?”
Sasuke rimase leggermente interdetto. Cosa, leggeva nei penseri?
“Te lo leggo in volto” - parve rispondere l’altro. “Sas’ke, sono un ragazzino egoista, suppongo. E’ che... sono solo.”
“Sapevi che saremmo venuti?”
Il biondo scosse il capo. “Non ho certo le tue capacità, Sasuke. Non lo sapevo. E non sapevo tante altre cose. Saranno anni che non parlo con una persona. Ormai ho perso il conto, penso. Quanti anni hai, Sas’ke?”
“Diciotto.”
Naruto sorrise. “Allora io dovrei averne diciannove, nhe?”
Sasuke si portò la mano al volto.
Era veramente troppo assurdo. Non sapeva più cosa pensare.
Non sapeva nemmeno se sapeva pensare, al momento.
Naruto mosse qualche altro passo, sino a raggiungere la riva.
Sostando in piedi, fissava quello che una volta era stato un compagno.
Sasuke, dal basso, osservava il creaturo ch’era divenuto il biondo. Da una figura incivile, trasandata e bestiale, sino ad allora erano uscite solo parole degne di un essere umano.
Forse più umano di lui.
Più dedito alla regio di lui.
Più ‘tutto’ di lui.
“Ma voglio tornare indietro, Sas’ke.”
Il Custos sussultò, sgranando gli occhi.
“Al Ludus.” precisò Naruto.
La volpe strepitava, adirata. Non voleva tornarci, lei, Lì. A meno che non fosse per sterminare tutto e tutti.
Ma non erano certo queste le intenzioni di Naruto.



“Gli do un’ora per tornare indietro, Kakashi. Non di più.”




“Come pensi di tornare, Naruto? Non essere idiota: ufficialmente sei morto. Ed evidentemente loro ti vogliono morto.”
E Naruto sorrideva lontanamente avvilito.
“Oggi avrai ucciso un paio di Bellatores solo con un ruggito, te ne rendi conto?”
“Lo so. Non volevo farlo, ma ho dovuto. Era l’unico modo per evitare di dover uccidere tutti voi.”
Sasuke trasalii.
Si era forse abituato troppo presto all’idea che il biondo fosse mite, in realtà? Stava pur sempre avendo a che fare con un demone.
Incurvò leggermente la schiena, i muscoli tesi.
Improvvisamente tornò in guardia.
“Non fare così, Sas’ke. Non lo faccio apposta.” mormorò Naruto, tornando a fissare per terra. “So controllare la volpe, il demone, ma quando tutti e due veniamo colti dalla paura, è l’istinto a prevalere. E’ successo anche a Kiba, l’hai visto. Ho fatto il possibile perchè non lo attaccassi: il suo odore ci stava agitando tutti e due. Spero che non si sia fatto troppo male.”
“Non crederai certo di tornare al Ludus sotto queste premesse, vero?” domandò acido il Custos.
E Naruto sorrise.
“Sono fuggito. Mh. Sono fuggito circa sei anni fa, se non sbaglio. Per un motivo. Ed esso permane. Ma le cose sono cambiate.”
Sasuke si alzò in piedi, rapido, mentre osservava l’aura arancione dell’altro iniziare a riespandersi, seppur lentamente.
Naruto lo scrutava con la più viva determinazione.
Era molto tempo che pensava a cosa fare.
A come andare avanti.
A cosa fare della sua esistenza.
Era molto tempo che aveva quel lontano desiderio: Kyuubi non ci aveva mai prestato troppa attenzione, perchè non poteva realizzarlo.
Ma se ora anche la sua foresta non era più un luogo sicuro...
tanto valeva fare ciò che desiderava fare.
Kyuubi ringhiava, inorridita all’idea.
“Naruto, non posso permetterti di tornare indietro - e tu lo sai.”
“Sas’ke. Non è più così semplice. Ho pensato, sai. Non potevo fare altro. Ho pensato e ho osservato, questo mondo, fuori dal Ludus, fuori dal fronte.”
Pareva starsi caricando. O forse, il demone stava insorgendo. Sasuke non sapeva come funzionava.
“Tu lo conosci?” domandò Naruto. “Tu lo hai mai visto, come va questo mondo?” Incalzò “Com’è fatta la nostra Regio?”
“Che importanza ha?” Sasuke distribuì il peso sulle gambe, flesse. Definitivamente in guardia.
“Ci hanno cresciuti così, Sasuke. Senza insegnarci a chiederci il perchè delle cose. A un Custos non serve sapere il perchè. E nemmeno a un contadino o a un mercante. A nessuno, sembra, serve sapere perchè rischia di morire ogni giorno.”
“Moriamo per la nostra Regio, Naruto! Sei sempre stato tu il primo a dirlo!”
“E avrei sempre voluto essere il primo a farlo. Noi - ma loro? Ho visto gente morire di fame, ammassata in case minuscole e cadenti, a passare l’inverno le une accanto alle altre. E se non di fame, morivano di freddo. E se non di freddo, morivano di malattie che noi abbiamo sempre superato senza alcun problema. Perchè, Sasuke?”
Sasuke non sapeva rispondere.
“Nessuno ci ha mai detto come si stia lì fuori. A stento ci ricordiamo come vivevamo fino ai sei anni. Ma la realtà, poi - la realtà è diversa. Non ho visto medici, nei villaggi che ho visitato. Non ho visto computer, ne’ vestiti caldi, o comodi come erano i nostri. Non ho visto il cemento, non ho visto nulla di ciò a cui ero abituato.”
“Tu sei uscito di qui?”
Naruto sorrise. Continuava a sorridere.
Ma era dannatamente serio.
“Varie volte. So nascondermi, sai? Ci avete messo giorni per trovarmi. E mi sono fatto vedere solo per potervi allontanare dal mio territorio. E per parlare con te.”
“Che importanza ha? Noi siamo Custodes, siamo l’Elite - li proteggiamo, li difendiamo, questo è il nostro compito, Naruto! Non è una novità che la tecnologia sia tutta ammassata fra il Ludus e la sede del Globus!”
“Ripeti quello che hai detto prima, Sas’ke.”
“Eh?”
“Ripetilo!”
Naruto sembrava gonfiarsi.
Il Custos, stranito, continuava a cercare di capire cosa intendesse fare.
“Siamo l’Elite? Questo?”
“No, Sasuke. Cosa devono fare, i Custos?”
“Proteggere la Regio.”
“Da cosa, Sasuke?” incalzò Naruto.
“Da cosa? Da tutto! Dalla guerra, dai bianchi...” - “Da tutto?” lo interruppe Naruto.
Sasuke iniziava a respirare grandi boccate d’aria, mentre Naruto scaldava l’aere con quella che pareva una rabbia lontana.
“Sasuke! Contadini e mercanti muoiono, di fame, di freddo, di cose stupide! E intanto i Bellatores muoiono al fronte, e i Custodes anche! Ma ogni singola cosa che ci veniva detta di fare - no, quella, non serviva a salvare nessuno. Come facciamo a proteggere la nostra Regio, in questo modo, eh? Come facciamo a proteggerla solamente vegliando sul fronte? Nessuna morte viene impedita, continuando a combattere in questo modo! Nessuna sofferenza, nessun dolore! E’ solo un enorme spreco di sangue, Sasuke!”
“Vorresti forse lasciare che i bianchi avanzino?”
“Che importanza ha? Muoiono tutti lo stesso. Cosa cambia?”
Sasuke cercava di stare a galla in quel mare di idee e contestazioni che Naruto gli stava riversando addosso.
“Voglio morire per la mia Regio, Sas’ke. Ma non per la Regio che mi ha impiantato questo demone in corpo, e che mi ha fatto soffrire, fuggire, e uccidere.”
“Vuoi distruggere il Ludus?”
Naruto sgranò gli occhi, sgomento.
Non ci aveva pensato.
Doveva fare quello?
No.
Cosa doveva fare?
Non lo sapeva.
“Perchè tu hai gli occhi rossi, Sas’ke? Perchè Neji vede così lontano? E Kiba si comporta come un lupo? Siete forse come me, voialtri?”
Sasuke sussultò.
Non ci aveva pensato.

E se fosse stato così?

“Se continuano a costruire armi che possono ritorcerglisi contro come ho fatto io, cosa succederà?”
Sasuke era paralizzato dalla sola idea di avere a sua volta un demone impiantato dentro di lui.
E se anche lui un giorno avessere dato di matto come Naruto? Se si fosse lasciato sopraffare?
E gli altri?

Cosa stava succedendo, realmente?

“Sas’ke” mormorò Naruto, ingobbendosi. “Sas’ke, io mi fidavo ciecamente di loro, e tu lo sai. Ma non posso più. Non sono riusciti a far funzionare me. Forse non faranno funzionare anche degli altri. Forse un giorno il Ludus diventerà un covo di demoni pronti ad esplodere. Non posso permetterlo, Sasuke. Non posso più fidarmi di loro. E non dovresti fidarti nemmeno tu, Sas’ke.” La sua voce iniziava a confondersi con quella del demone. Kyuubi, all’unisono, condivideva buona parte dei pensieri del suo bambino. “Dovete farvi delle domande, dovete chiedervi cosa sta succedendo, perchè loro, Loro, non sanno più cosa stanno facendo. Non sanno con cosa stanno giocando. Non posso permettere che accada di nuovo. Non posso permettere che si continui così. Ho sofferto, Sasuke, ma non ha importanza cosa ho patito io: non deve ripetersi. Nessuno deve più rischiare di uccidere un suo fratello.”
“E quindi, Naruto" commentò Sasuke osservando il suo atteggiamento sempre più aggressivo "inizierai forse questa nuova era uccidendo Me?”
“No!” Kyuubi si zittì. “Non intendo farlo! Lasciami andare al Ludus, Sas’ke! Sto salvando anche te da ciò che sono diventato!”
“Non voglio la tua pietà, Naruto!”
“Io intendo solo proteggerti!”
“Uccidendo gli altri? Eh? Facendo cosa, Naruto? Pensi che la soluzione sia così semplice?”
Naruto tacque, le zanne digrignate, a quattro zampe.
Sasuke non capiva se voleva attaccarlo o meno.
Ma c’era una cosa che non poteva permettergli.
Il Custos si flesse ancora, cercando di richiamare il più possibile il suo potere.
Sapeva che rischiava di essere una battaglia persa.
Ma doveva provarci.
“Rispondi, Naruto: vuoi distruggere il Ludus?”
“... ... Sì.” risposero, infine, in coro.
Naruto aveva deciso.
“Non posso permettertelo, e tu lo sai.”
“Non voglio fare del male ai miei fratelli” rispose Naruto. La volpe era di tutt’altro avviso: ma era lui che comandava.
“Come farai a distruggere il Ludus senza fare del male ai tuoi fratelli? Eh?”
Naruto non rispose. Non subito.
Era il problema fondamentale.
“Troverò il modo.”
“Mph!” rispose, divertito, il Custos.
Gli occhi iniziavano a bruciargli: li aveva usati anche troppo, quel giorno.
Ma doveva insistere.
“Naruto. Non posso permetterti di uscire da questa foresta.”
“Non mi puoi fare niente, e lo sai.”
“E se avessi anch’io un demone in corpo, come immagini tu?”
“Lo sto facendo per voi! Perchè non capisci?”
Sasuke inspirò. Afferrò la sua calibro 45.  Era l’unica arma che gli rimaneva, oltre alla sua vista.
“Sei tu che non capisci, Naruto: fuori da questa foresta ci sono truppe del vento e del fuoco, pronte con il gas antidemone. Se uscirai di qui, dalla terra di nessuno, ti uccideranno come se niente fosse.”
Il biondo continuava a mulinellare aria rovente attorno a se’, mentre, sorpreso, scrutava il fare deciso del Custos.
“Se tu intendi combattere per la tua Regio, allora, Naruto, Noi siamo Fratelli. Il fato ci è comune. Se devo proteggere i miei fratelli non solo dai bianchi, ma da ‘tutto’ - allora devo proteggerti dalla Regio stessa. Non ho alcuna intenzione di lasciarti uscire da questa foresta.”
Naruto sorrise.
Una lacrima gli solcò il viso, bollendo sull’energia che sprigionava.
Erano passati sei anni.
Sembrava che avessero ripreso da dove avevano abbandonato.
E invece no.
Era tutto, assurdamente, diverso.

Naruto balzò.




Un vento caldo iniziò a soffiare.
Un boato lontano li raggiunse. Forse una luce.
Forse no.
Kankuro osservava, perennemente impaurito, il rancore ancora a rigirargli per il corpo.
Shikamaru osservava, turbato, scocciato - definitivamente convinto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Merda.” sussurrarono i due.






Mijika ni arumono

Tsune ni ki wo tsuketeinai to

Amari ni chikasugite

Miushinatteshimaisou


(Devi stare molto attento

con le cose che ti sono più care:

Sai che, più ti avvicini a qualcosa,

più è difficile vederla.)


- Closer -






___________________________

NdA:
la volevate, la battagliona alla “valle della fine”, non è vero? xD
non so se deludo o cosa.
Si vedrà.
Vabè.
Ah, sì, al solito l’eccessiva produttività è dovuta agli esami.
Che fra parentesi stanno andando male.
Ma non importa.
In fondo ho messo un pezzo della 4a opening di shippuden, perchè - bhe, iniziano a starci bene. :D
e poi perchè sarà un anno che seguo solo il manga e non l’anime, adesso l’ho ripreso in mano (scoprendo che siamo arrivati tantissimo avanti! :O ) e, come al solito, le sigle mi fan tremare le vene i polsi. Mi piacciono praticamente tutte x)

dai, sfruttiamo anche questo angolino per rispondere alle recensioni dei pochi
*Hanil
spero di non farti venire un secondo infarto con questo aggiornamento repentino xD lol. sono felice che nonostante la mia terribile discontinuità continui a seguire :)
(sob, sono proprio una funzione disonoesta... alla faccia della fisica T___T) (rinunciate a capire questo commento, compiangetemi e basta XD)
*LeGrenouille
per tua ulteriore gioia, mi sono decisa a contattare una betareader *__* la santa si è pure detta disponibile, quindi forse riuscirò ad eliminare tutti i miei schifoerrori *_*
gha *_*
(per il computer... coff, io ci vivo - poi ho un macchino nuovo che non scalda niente xD almenoquello...)
*rekichan
già detto il dicibile, suppongo. ^^
sper che la rivisitazione del rapporto sasuke-naruto renda xD è stata cosa soffertissima. :)
*Shakuma
ok, ho capito che on storiografica T.T *sigh* cerco di trattenermi, lo giuro. però quando si tratta di spiegar un po’ come va ‘sto mondo...
...
‘sta fic sta diventando una cosa un po’.. coff.. alla “promessi sposi” manzoniani, non so se intuite il nesso. meglio di no, va’ xD
che mente malata.


 

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Capitolo 39
*** 38 (Cadavere che cammina) ***


38. Cadavere che cammina
 
 
 
Qui
noi
loro
in mezzo
Il baratro



Un sibilo bollente, una ferita millimetrica sull’apice del sopracciglio.
Aria densa e il ruggito furente del ragazzo demone.
Sasuke ricercò l’equilibrio dopo aver schivato la furia del biondo: in un respiro, enorme quanto rapido, si era visto gli artigli neri del ragazzo sfrecciare di poco davanti ai suoi occhi.
Estrasse la sua unica arma dalla cintola.
Naruto serrò le zanne, schizzando verso l’alto in un boato d’esplosione sommessa, mentre s’arrampicava, a balzi potenti, lungo la parete della valle.
Un proiettile gli attraversò la mano, prepotente, facendogli perdere la presa.
Naruto cadde.
Sasuke, da dietro al mirino, non lo perdeva d’occhio: senza mollare l’arma, cercò di inseguirlo.
Il demone fece presto a riaffondare gli artigli della mano sana nella roccia, ignorando deliberatamente il Custos: tornò a salire a tre zampe, mentre apriva e chiudeva l’arto ferito, che guariva in rapidità.
Sasuke sparò di nuovo, fendendogli l’occhio sinistro.
Naruto ululò di dolore: strinse la roccia con forza ancora maggiore, scalciando violentemente contro la parete.
Sasuke vacillò, mentre una fenditura si apriva lungo la pietra. Vide il biondo continuare a salire, e sparò un terzo colpo non appena ebbe ritrovato una posizione stabile.
Questa volta Naruto lo evitò, giungendo in cima alla parete rocciosa.
Sasuke schioccò la lingua sul palato, imprecando.
“Naruto!”

Sasuke si arrampicò a fatica, mentre vedeva la chiazza rossastra del demone allontanarsi.
Gli aveva ferito una mano: aveva continuato.
Gli aveva ferito un occhio: aveva continuato.
Lo poteva colpire.
Lo poteva ferire.
Ma Naruto guariva prima ancora che qualsiasi danno potesse rivelarsi fatale.
Era impossibile.
Giunse sulla sommità sudato come non mai, i muscoli trapanati da migliaia di aghi di fatica stremata. Si sedette a gambe incrociate, cercando di riprendere il fiato che la scalata gli aveva sottratto.
E continuando a guardare verso la chiazza rossa di Naruto.

“E adesso cosa intendi fare?”
Naruto deglutì alle parole della volpe.
“Non possiamo fare un altro passo, potrebbe esserci gas ovunque.” continuò lei.
Naruto si passò la lingua sulle labbra, sporche di sudore.
“Sai cosa voglio fare, Kyuubi.”
“Non ci provare.”
“Non ti costerà tanto.”

Lo vide fermarsi. Muovendo qualche passo lento e stanco, iniziò ad avvicinarsi al biondo: le distanze erano lunghe - nel tempo in cui lui aveva scalato la parete, Naruto aveva percorso tratti chilometrici.
Che avrebbe dovuto fare?
Era evidente che non poteva fermarlo.
E, al momento, nemmeno raggiungerlo.

Naruto si massaggiò la mano che Sasuke gli aveva colpito, volendosi assicurare che fosse guarita. Passò le dita sull’occhio, attendendo che questo smettesse di bruciare.

“Naruto!”
Continuò a camminare, verso di quello, chiamandolo, fra fronde e rami e arbusti e terriccio appiccicoso e melmoso.
Non sapeva assolutamente cosa fare.
Non sapeva cosa voleva fare.
Aveva deciso di proteggerlo dall’agguato, ma così non poteva.
Avrebbe dovuto lasciarlo libero di arrangiarsi? Ce l’aveva fatta per sei anni, in barba a loro tutti. Il suo aiuto non gli serviva.
Ma no, Naruto non aveva idea di cosa lo aspettava lì fuori. Neji e Hinata lo avrebbero visto immediatamente, e forse lo stavano già vedendo. Era circondato.
“Naruto!”

Naruto lo sentì.
Sentiva bene.
Vedeva bene.
Percepiva ancora meglio.
La sua attenzione era ora rivolta a cercare di capire come fossero disposti i Bellatores e i Custodes. Con molta cura, riuscì a intuire facilmente Chi erano.
Diamine.
Era circondato.
“Naruto!”

“Piantala!” insistette Sasuke. “Ascoltami! Lo so che mi senti! Nemmeno io so dove sono le trappole antidemone, e lì fuori sono pieni di gas! Non lasceranno uscire alcun demone da questa foresta, vivo! Diamine, Naruto, il tempo di ha maturato idiota? Torna nella giungla e piantala!”

Naruto inspirò.
Naruto espirò.
Kyuubi ringhiò.
Ringhiò lontana.
Ringhiò sommessa.
Tacque.
E sparì.

Fu come se Naruto gli avesse risposto.
L’aura rossastra e dirompente che lo aveva circondato sino ad allora svanì.
Una macchia azzurrina e flebile fu l’unica cosa che rimase. Vaga come un fuoco fatuo, fragile e debole: queste erano le uniche sensazioni che dava la lontana figura di Naruto a Sasuke. Dopo aver combattuto contro una forza della natura, dopo aver sentito sulla sua pelle e nel suo corpo il tocco bollente e irato del demone, ora vedeva solo qualcosa di minuto ed esile.
Quasi delicato.
Umano.

Naruto sentiva Kyuubi che, ben nascosta nel suo ventre, protestava: incatenata, bloccata, grugniva con gli occhi scarlatti sgranati ed adirati.
Respirò lentamente.
Era faticoso.
Di minuto in minuto stringeva la gabbia che aveva costruito attorno al demone, sempre più, sempre con più forza. E sentiva la volpe dolere e soffrire di questa sua ritrovata cattività.
“Quanto sei diventato forte, bambino mio.” mormorò, in un tono che solo un demone sigillato nel corpo del suo protetto poteva generare: l’ira più profonda, l’affetto e l’ammirazione più sincere.
Naruto non rispose.
Muoveva lentamente ogni singolo muscolo, riassaporando la totale umanità e la fragilità del suo corpo mortale.
Quanto tempo era che non provava questa sensazione?
Anni?
Sì.
Si sentiva infinitamente debole, senza il potere di Kyuubi a permeargli i tessuti.
Ma era come essere immersi nell’acqua fresca.
Sorrise leggermente.
“Non ti ci abituare, bambino mio.” sibilò la volpe.
“Ti voglio proteggere, amica mia. Fidati di me. E poi faremo quel che vogliamo fare. Quel che Io voglio fare.”
“E dopo?”
‘Sarai libera’ - avrebbe voluto dire il ragazzo. ‘Libera di tornare nelle tue terre, lontana dalla follia di chi ci fece questo. Lo Prometto.’.
Non era così semplice.
Nulla era scontato.
“Non lo so.” concluse.




“E’ scomparso.”
“Meno male.”
Kankuro non si fidava affatto di cosa andavano sentenziando i due cecchini dell’Ignis Regio.
“Tornerà.” fece il bianco, lapidario.
“Ci sono due persone.” continuò Neji, cercando di tirare ulteriormente la vista.
“Due persone?” fece perplesso Kiba.
“Abbiamo lasciato indietro qualcuno?” Domandò Neji, a voce alta, verso Shikamaru.
“Solo Sasuke e i caduti.” rispose lo stratega, da qualche decina di metri.
Kiba passò la mano su uno dei due lupi che ancora bazzicavano attorno ai due feriti. Pochi istanti dopo, l’animale si lanciò, correndo, verso la foresta.
"Forse è sopravvissuto qualcuno."
Hinata continuava a guardare, gli occhi sottili ed affaticati. Lo sguardo teso, la vista iniziava a farsi sfuocata.
Si massaggiò le palpebre.


***

“E’ Così urgente?”
Sakura era ancora china sul bambino che stava visitando, il camice bianco indosso e quei fastidiosissimi guanti di lattice alle mani. Il Magister annuì, lasciando il plico di fogli sulla scrivania.
“Potrebbe essere questione di giorni, od ore, addirittura.”
Il bambino, un piccoletto del cui copriveste appallottolato sulle sedia si intravedeva la striscia blu, osservava con occhioni marroni la serietà dell’uomo.
“Sempre che tornino.” precisò la ragazza.
Il bambino si voltò verso di lei, lentamente e con malcelato interesse. Il Magister flesse minimamente il busto, in un lontano inchino, e lasciò l’ambulatorio.
Sakura portò lo sguardo verso il plico, decisamente sostanzioso. Non che non sapesse nulla al riguardo - stava già seguendo un addestramento apposito, per quel genere di cose; ma certo avere a che fare con i suoi vecchi compagni era una cosa un po’ diversa dal gestire i ragazzini del Ludus.
E poi c’era una questione in sospeso.
Che aveva notato solo in quel momento, e di cui forse - anzi, molto probabilmente - il Magister non aveva la benchè minima idea: una busta nera e sigillata di rosso nel bel mezzo della documentazione.
Materiale riservato ai Philosophi.
Forse qualcosa che al momento nemmeno lei conosceva, nonostante la quantità esorbitante di informazioni con cui le avevano riempito la mente negli ultimi sei anni.
Il bambino continuava a fissarla, in attesa.
“Sì, scusa.” fece la ragazza, notando lo sguardo incollato di quello “Adesso finiamo la visita. Vedrai che passa tutto, per te avere un po’ di congiuntivite è normale.”
Quello annuì.
“Hai otto anni, vero?”
“Sì. Blu.”
“L’importante è che tu veda bene.”
“Oh, sì.” fece il bambino, salendo di tono, quasi eccitato. “Vedo benissimo.”
“Anche se brucia?”
Annuì nuovamente.
La ragazza storse le labbra, ormai intuita la situazione. “Facciamo un test della vista, allora.” disse al ragazzino, sorridendo. “E magari anche qualche altra prova.”

Lasciò andare il piccolo mezz’oretta dopo, lo sguardo pensoso: era venuto il momento di vedere cosa diavolo stava succedendo al fronte.
Ma il fatto che il bambino che aveva appena visitato avesse già sviluppato attivamente la mutazione la lasciava piuttosto perplessa. Certo, avevano tolto la componente che faceva sì che non comparisse prima dei dodici anni circa, ch’era stata una precauzione dovuta solo agli atti assurdi di Itachi - ma otto anni erano veramente pochi. Itachi stesso aveva iniziato a dieci, non prima.
Comunque, non era ancora affar suo. Per ora controllava e basta - se avevano deciso di anticipare l’attivazione, c’erano mille motivi più che validi.
Era inutile starsene lì a pensare: compilò il rapporto, e fine.
Avrebbe potuto finalmente leggere quel bel malloppo di roba che le avevano appena portato.


***

Hinata guardava, gli occhi sempre più stanchi e le labbra sempre più dischiuse, la figura che avanzava dritta verso di loro. Lentamente sillabava la stessa parola, da minuti, a ripetizione, il volto dipinto di incredulità che si faceva sempre più densa man mano che quello avanzava.
Neji le sostava accanto, flesso sulle gambe, la pistola impugnata per l’evidente inuitilità dei fucili di precisione.
I quattro Custodes rimanevano immobili e osservavano verso la giungla, verso gli alberi alti che si elevavano a qualche centinaio di metri da loro.
Più lui si avvicinava, più loro, consci, tacevano.
Il lupo di Kiba era tornato da tempo. Gli insetti di Shino restavano dov’erano, ma l’informazione era giunta al ragazzo, che rimaneva immobile con le braccia incrociate e i sensi in attesa.
Sul volto di Kankuro un’espressione di vivo disgusto e di profonda ira si palesava sempre più: gli occhi saettavano rapidi su Kakashi, che assieme a Shikamaru disponeva i Bellatores di modo che qualunque cosa succedesse, l’essere che camminava verso di loro non potesse avere alcuna possibilità di azione.
Il Rector rimaneva con una maschera impenetrabile di serietà ed efficienza impressa a fuoco sul volto, mentre dentro di lui una battaglia lontana gli rivoltava le viscere, sospinta dalle accuse che lo sguardo del bianco faceva ritmicamente cadere su di lui.
Shikamaru, dal canto suo, era in bilico fra la voglia di scomparire sul momento e ritornare in un posto tranquillo - solo guerre, niente demoni, diamine - ed un’estenuante curiosità che gli imponeva di verificare quello che tutti gli altri gli stavano dicendo, non a parole, ma con gesti ed atteggiamenti che ormai avevano reso la comunicazione orale cosa fortemente inutile.

Naruto era vivo.

Naruto era lì.

Naruto era il demone.


Lo videro comparire fra le fronde, scavalcando gli arbusti e le imponenti radici degli alberi.
I Bellatores mossero simultaneamente mezzo passo in avanti, le mini bombole pronte a far fuoco col gas serrate in una mano, le pistole nell’altra.
Il ragazzo, praticamente uomo, levò le braccia grosse e toniche verso l’alto, impugnando nella mandritta la pistola per la canna.
Video un barbaro biondo.
Il corpo temprato e sano, ma sporco e sciatto, vestito di stracci da contadino, con una vaga barba e i capelli malcurati. Lo videro scalzo, gli occhi azzurri fissi verso di loro, il volto squadrato e maturo, serio, che traspirava lontana la genuina curiosità che lo aveva costantemente caratterizzato da bambino.
Lasciò cadere la pistola, mentre i vecchi compagni osservavano un uomo morto intento camminare - un cadavere, vivo: un umano che si faceva demonio ai loro occhi, più di quanto non lo fosse stato un demone stesso.
Naruto.
“Bastardo, è ancora vivo!” urlò Kankuro, adirato, lanciando i suoi soldati addosso al ragazzo.
Il biondo si chiuse su se’ stesso, proteggendosi istintivamente il volto con le braccia: fragile, umano, si sentiva indifeso - prima di sentirli sparare, si credette già morto.
Ma i bianchi non fecero altro che far scattare il gas che portavano con se’.
Kyuubi si dimenò, pronta a fuggire - per poi ritrovarsi ancora più chiusa e segregata, mentre pativa in un silenzio imposto le pene di quell’aria per lei asfissiante.
Naruto serrava gli addominali, respirava lentamente, imponendo la sua umanità sul demonio dell’altra.
Era l’unico modo per sopravvivere.
Questa volta, era lui che doveva aiutare lei - che altrimenti, fuggendo disperata, avrebbe finito col farsi prendere dalle armi umane dopo essere stata indebolita dal gas.
Resosi conto che la cosa funzionava, alzò nuovamente le mani, libere, in segno di resa.
Kakashi osservava la scena: sgomento, soddisfatto, perplesso, esaltato, sconvolto, felice e impaurito. Con il suo perenne volto impassibile.
E veniva divorato.
“Lo voglio morto!” gridò Kankuro, aizzando nuovamente i suoi.
Con un solo gesto Shikamaru fece voltare metà dello schieramento di Bellatores verso i bianchi.
“Cosa diavolo pensi di fare, Kankuro?” domandò lo stratega, parlando con l’autorità di chi ha centinaia di pistole contro una manciata scarsa di avversari. Oltre che quattro Custodes.
“Quello che questo bastardo di Kakashi non ha fatto anni ed anni fa - rispetto i patti!”
“Kankuro, non fare idiozie. E’ uno dei nostri.”
“E’ un Demone!”
“No. Il gas non funziona. E’ ancora in piedi, sano, e si sta arrendendo. E’ un Custos.”
Naruto rimaneva immobile, basito dalla situazione si era venuta a creare. La volpe pulsava dentro di lui, sfinita. Sentiva la sua sofferenza - ma sapeva anche che non l’avrebbe uccisa.
E l’aria si stava già ripulendo.
“Kankuro, lo abbiamo sotto tiro.” continuò Shikamaru, avvicinandosi ai Bellatores. “Non hai nulla di cui preoccuparti.”
Ma nel bianco il terrore era profondo.
Terrore di vedersi tradito da quell’assurda e insensata alleanza temporanea.
Ah - ma loro avevano il gas.
Ne avevano comunque una scorta. Avevano comunque modo di fermarlo.
Decisioni sbagliate, Kankuro - hai preso decisioni sbagliate: la frase danzava nella sua testa, oscurandogli il pensiero ed il ragionamento.
No, doveva calmarsi.
“Fate una sola mossa falsa, e io do immediatamente notizia che i patti - tutti - sono saltati.” sibilò il ragazzo, fremendo.
Shikamaru annuì.
Naruto non si muoveva.
Il suo sguardo spaziava, ma si fermava, sistematico, sempre sulla stessa persona.
E sull’arma che giaceva per terra, a qualche metro da lui.
“Prendete la pistola!”
I Bellatores eseguirno.
“Sasuke sta arrivando.” sussurrò Hinata a Neji. Quello annuì.
“E’ completamente circondato. Ma non è offensivo.”
“Sasuke forse ci spiegherà.”
“O forse no.”
Naruto si morse leggermente le labbra, nel vano tentativo di organizzarsi: Sasuke non scherzava, ne’ esagerava, quando parlava di cosa lo attendeva fuori dalla foresta.
Ora il suo obbiettivo era arrivare al Ludus.
Il prima possibile.
Prima di loro: prima del gas.
Sperando che non ne avessero altro oltre a quello.
Ormai aveva deciso, e quella era l’unica.
Ed era impossibile.

Sarebbe morto.

...Magari.


***

C’era Sasuke, che aveva lo stesso potere di Itachi, e c’era Kakashi, che possedeva uno degli occhi del maggiore dei due.
C’erano Hinata e Neji, che vedevano lontano.
C’era Kiba il lupo, e c’era Shino con i suoi insetti.
C’era un medicus che stava andando da loro, di guardia in uno dei fronti lì vicini.
C’era Shikamaru.
C’era una missione strana. Non era guerra, no.
C’erano alcuni dei Custodes più bravi e capaci che aveva mai conosciuto. E quei cinque, ch’erano della nuova generazione - di quella potente, mutata, i primi a funzionare realmente dopo Itachi stesso.
Radunati lì.
C’era la busta nera, che la ragazza serrava fra le braccia, perplessa.
Respirò profondamente. Si portò verso la porta, chiudendola con un giro di chiave. L’ambulatorio era suo: bianco e metallico, avvolto dal solito sentore di disinfettante e sapone. La branda, il ripiano, il lavandino, gli armadietti.
Doveva chiudere anche la finestra.
Si sedette sul lettino, rompendo, con immensa cura, il sigillo di cera rossa.
C’erano dei fogli neri.
C’era qualcosa che non avrebbe assolutamente dovuto uscire da quella stanza.
C’era un nome.
Un nome nella sua mente fattosi antico.
C’era un numero.
C’era un testo.
C’erano grafici.
Disegni.
Progetti.
Macchinari.
Rapporti.
Sakura si passò la punta della lingua sulle labbra rosee, cercando di non farsi sorprendere dalle parole che leggeva, bianche su sfondo nero, su quei fogli.
Sakura non sapeva se doveva essere sorpresa o meno.
Non lo era.
Perchè in parte Sakura già sapeva.
Qualcosa che sapeva nonostante non avrebbe dovuto.
Ma no, c’era dell’altro.
C’era la voce di Itachi che le leggeva ogni singola sillaba.
Una voce che ormai non sentiva da anni, essendo finalmente riuscita ad ottenere il suo silenzio a suon di ignorarlo in maniera perpetua.
E poi c’era la grana di quella carta, così densa e morbida.
C’era un nome.
Oh, c’era anche una foto. Rare, le foto.
Un bambino biondo con due occhi azzurri e disastrosamente immensi.
Con sei solchi, sul volto, a baffo.

Non era quello il problema.
Il problema era che improvvisamente sembrava che un morto potesse essere resuscitato.



***


“Naruto!”
Il biondo non si mosse, lo sguardo fisso e serio: respirava lentamente, e cercava l’aria pulita che andava riapparendo attorno a lui.
Sentiva la volpe rilassarsi lentamente.
Kakashi non si muoveva, mentre Neji si avvicinava al ragazzo fattosi come selvatico.
“Come diavolo fai ad essere vivo?” domandò a quello, mentre tre Bellatores lo andavano a prendere per trattenerlo.
Il biondo non oppose alcuna resistenza, lasciandosi afferrare alle braccia, alle spalle, sul torso, alla gola.
“Non lo so.” rispose, con un filo di voce.
“Cosa ne facciamo?” domandò, verso Shikamaru. Quello non si muoveva. Ne’ rispose.
Non aveva risposte. Ne’ ordini.
Ne’ idea di cosa si dovesse fare.
Shikamaru era perso. Philosophus?
Come poteva fare il Philosophus se non aveva la minima idea di cosa stava accadendo?
Non era così. Non doveva essere così.
“Lo uccidete.” sibilò Kankuro.
“Non si può uccidere un Custos!” protestò Hinata, cercando di rimettersi malamente in piedi.
Naruto la osservò, notando i movimenti stanchi e gli occhi a fessura.
“Si che si può.” commentò Kakashi, avvicinandosi allo schieramento di Bellatores. “Il problema è se ci si riesce.”
Il biondo portò lo sguardo sul Rector: Neji e gli altri erano solo un impiccio. Ora, il vero problema era Kankuro, il gas, e Kakashi.
Soprattuto Kakashi.
“Shikamaru, non me ne vorrai se ti chiedo il comando.” fece l’uomo, verso lo stratega. “Si sta ripresentando una vecchia missione che evidentemente non ho concluso.”
Shikamaru annuì.
Tutto, pur di tirarsi fuori da quella situazione che non stava ne’ in cielo ne’ in terra. In fin dei conti Kakashi era decisamente più ferrato di lui. Si poteva fare. Quindi lo fece.
“Kakashi, ti cedo il comando.”
“Spegnete immediatamente tutte le trasmittenti.”
Naruto osservava l’uomo, cercando di scovare la strada per riuscire a lasciare il blocco. Li aveva già privati di una certa dose di gas, e la volpe, protetta, si stava riprendendo.
Gli impedimenti fisici andavano lentamente svanendo.
Ma se ne presentavano altri.
“Allora, Naruto.”
Il biondo mosse un braccio, ricordandosi, fallendo, di essere bloccato dai Bellatores. Espirò infastidito dalla cosa.
Voleva salutare Kakashi.
Non poteva.
“Come va’?” domandò il Rector.
Naruto sorrise.
Era Kakashi, dopotutto. Si ricordava come si comportava.
Come disorientava.
Ma non tradiva.
No.
Si rilassò.
“Sono vivo. Non so se è un bene.”
“Già, non lo so nemmeno io.”
Kankuro osservava i due parlare pacificamente.
Non era possibile.
Serrava i denti, vecchie e lontane sensazioni che tornavano in lui.
“Cosa facevate qui, tutti?” domandò Naruto, disteso.
Kakashi lo squadrò a lungo. “Forse lo sai già. Tu, Naruto, piuttosto. Perchè non sei tornato?”
Il ragazzo sorrise amaramente. “Dovevo essere morto, no?”

‘Sì, merda.’
Cosa fai, Kankuro? Piangi?
‘Sì. Merda.’

“Non è stata un’idea furba farti vedere, in tal caso.”
“Non ho molto altro da fare, Kakashi. E poi, sai benissimo come la penso sulla morte.”
Kakashi strinse le labbra, movimenti minimali e difficilmente notabili.
Si flesse, raccogliendo l’arma di Naruto.
“Grazie, Kakashi.”

‘Fanculo, no.’
Cosa fai, Kankuro? Lo temi?
‘Fanculo. No.’

No, il blocco che il ragazzo si vedeva davanti non era più fisico.
Doveva solo evitare di procurarsi una morte istantanea - sempre che fosse possibile -, e sarebbe sopravvissuto, sarebbe riuscito ad andare al Ludus.
Dov’era il Ludus?
Si intravedeva solo in lontananza, ma non era esattamente sicuro che fosse quella cima che notava sull'orizzonte.
La direzione, però, la conosceva.
“Kakashi, solo una cosa.” mormorò il biondo.
No, il blocco non era più fisico. Il blocco era un altro.
Era non fare male.
Era non tradire.
La vedeva, negli occhi asimmetrici del Rector - la scommessa.
“Kakashi, i demoni...”
“Naruto!” Sasuke.
Il Custos rotolò oltre le ultime fronde della giungla, stremato.
Neji,davanti a Naruto, non si mosse mentre qualche Bellator andava a recuperare il superiore.
“...io temo che siano immortali.”

‘Stronzo.’
E adesso, Kankuro?
‘Lo ammazzo.’

Sasuke vide un proiettile d’aria.
Lo vide solo quando, insanguinato, oltrepassò la spalla del Bellator che aveva colpito.
Il Custos socchiuse gli occhi, inacidito.
Bella mira di merda, avevano i Bianchi.
“Cosa diavolo fai, Agricola?!” imprecò contro Kankuro.
Naruto ne aprofittò al volo, con un sorriso largo e felice sul volto, ingenuo quanto lo erano quelli della sua infanzia: l’occasione d’oro era arrivata su di un piatto d’argento, e ancora non capiva bene se l’aveva costruita lui o si era appena venuta a generarsi una serie di colpi di fortuna inauditi.
I suoi vecchi compagni erano stanchi, i Bellator decimati, Shikamaru sconvolto, Kankuro tanto furente da non ragionare e mancare la mira, e Kakashi - Kakashi gli dava l’impressione di non essere un blocco.
Come Sasuke.
Rilasciò la volpe, violenta ed istantanea, per spiccare un balzo esageratamente elevato in un fumo d’aura scarlatta e polvere.
“Via, via, via!”
Lanciarono il gas - ma Naruto era in alto, un’esplosione di energia rovente che qualunque gas non troppo leggero avrebbe faticato a raggiungere in tempi brevi.
Sotto di lui, i guerrieri si muovevano come formiche.
Non aveva fatto un salto a caso.
Iniziò a sentire la discesa, mentre i proiettili gli sibilavano attorno, mentre alcuni lo colpivano, mentre altri lo ferivano.
Kyuubi lo irrorava di energia, sapendo che doveva guarire il suo piccolo contenitore prima che il gas le giungesse alle narici, prima che l’avvolgesse e la zittisse, opprimendola.
I Custos videro il biondo discendere, e man mano che questo si avvicinava al terreno, dovevano rinunciare a far fuoco.
Hinata, sgomenta, cercava di allontanarsi malamente - la caviglia ancora malmessa.
Ma lui le fu addosso.

Che cosa subdola, bambino mio.


***


Naruto Uzumaki.
Era quello, il suo cognomen? Sakura non ricordava nemmeno il suo, a momenti.
La scatola della volpe.
Naruto Uzumaki doveva essere morto anni fa, per mano - anzi, pistola - di Kakashi.
Com’era che improvvisamente non credevano più al rapporto dell’ambasciatore?
La stessa squadra che aveva cercato Naruto Uzumaki qualche mese prima della sua dichiarata morte, era stata convocata per una nuova missione.
Kakashi in testa.
In, avevano detto, una sorprendente alleanza coi bianchi.
A caccia di demoni.
Le ultime trasmissioni parlavano di Naruto.
Naruto era il demone cui erano andati incontro?
La ragazza si alzò in piedi, continuando a cercare di occultare la voce di Itachi che le danzava in testa.
Non era quello il punto.
Il punto era che entro qualche tempo, i sopravvissuti sarebbero arrivati, e lei avrebbe dovuto curarli a fondo ed assicurarsi che non avessero esagerato nell’uso della mutazione.
Fine.
E se c’era anche Naruto Uzumaki, avrebbe guarito anche Naruto Uzumaki.
‘Ah, sì, Piccola Sakura?’
Sakura tirò un pugno violento contro la branda.
“Stai zitto, maledizione!”


***

Il gas lo circondava, dovette fare uno sforzo infinito che gli lasciò un fiatone grosso in ricordo: tappò Kyuubi nella sua gabbia, e si rimise in piedi con Hinata stretta per il collo, intenta a gemere.
“Da quand’è che un Custos usa uno scudo umano, eh, Naruto?” lo aspostrofò Neji, colmo di ribrezzo. “Lasciala andare, non puoi fare niente!”
“Mi spiace, davvero. Non ho alcuna intenzione di ferirvi, lasciatemi andare!”
“Non sei sicuramente in una posizione in cui puoi assicurarcelo, Naruto.” sottolineò Kakashi, calmo.
Ma non era così semplice, no.
Kankuro se ne fregava di Hinata, e Naruto lo capiva.
Gli dava quasi ragione, quando dovette schivarsi - e schivando Hinata, in ostaggio - dai proiettili d'aria che lo investirono.
Sasuke, esausto, si avventò sui bianchi assieme a Neji.
Aveva funzionato.
“Hinata, stai bene?” domandò li biondo selvatico.
La Custos annuì sgomenta.
Bianchi e neri erano tornati ad azzuffarsi: colpa di Kankuro, o merito.
Ma Kakashi e Shikamaru non potevano certo prendere parte al battibecco. Si lanciarono, con alcuni dei Bellatores, ad inseguire Naruto che stava cercando di correre via.
“Naruto! Da quand’è che sei caduto così in basso?” urlò Shikamaru, iracondo per il gesto ignobile che aveva compiuto il vecchio compagno.
Naruto strinse le labbra, colpito nel profondo del suo orgoglio per la seconda volta.
Sapeva che era subdolo, ma non aveva altra via di scampo.
E non aveva usato Hinata propriamente come scudo - l'aveva quasi protetta.
No, non avrebbe mai usato un suo compagno come scudo.
Doveva solo allontanarsi abbastanza da poter essere sicuro che il gas non funzionasse.
Ma Kakashi sembrava aver capito il trucco, e non aveva ancora utilizzato la riserva dei Bellatores che lo avevano seguito e che lo stavano braccando.
Se Naruto avesse lasciato Hinata, lo avrebbero preso con le pistole.
Altrimenti, con il gas.
Ma così, era rallentato.
“Kakashi! Non mi puoi uccidere, lo hai visto!” Urlò il ragazzo, convinto, e quasi disperato nel dover accettare una realtà che lui per primo andava detestando.
“Ah sì? E allora perchè fuggi, Naruto?”
Naruto si fermò, Hinata ancora stretta davanti a lui. “Devi lasciarmi fare una cosa.”
L’uomo s’arrestò a sua volta, lasciando di stucco Shikamaru che andava comprendendo sempre meno cosa diavolo stesse facendo il Rector.
Eppure, il ragazzo non si sentiva di prendere alcuna decisione al riguardo.
No, non era affar suo.
Lui era uno stratega di diciotto anni, i demoni non lo riguardavano: riguardavano Kakashi.
“Cosa vuoi fare, Naruto?” Domandò l’uomo, arrestando i guerrieri.
“Perchè mi è stato messo un demone in corpo, Kakashi?”
“Non lo so.”
“E tu, perchè hai un occhio come quello di Sasuke, eh?”
“Non ti posso rispondere, Naruto.”
“Allora lo chiederò a qualcun altro, finchè non otterrò risposta!”
Kakashi portò il braccio in avanti, direzionando i Bellatores: Naruto, tremando dalla fatica che gli costava quell’azione, esplose di nuovo saltando in alto e lontano, lasciando Hinata in terra, che gemette accasciandosi al suolo, sfinita.
“Merda, Kakashi - così va via!” imprecò Shikamaru.
Spandevano il gas, ma Naruto era in alto. E lontano.
Non serviva più a niente.
“Lo abbiamo perso. Shikamaru, riaccendi le trasmittenti e avverti tutti i Custodes di Naruto!”
Shikamaru serrò i denti.




Kankuro, a terra, le man levate in segno di resa, grondava lacrime di ira e dolore.
“Dodici prigionieri, gli altri morti, tre caduti - tutti Bellatoers.”
“Bene, Sasuke.”
Un combattimento rapido ed efficiente, specialmente considerate le condizioni in cui versavano.
Il Custos osservava Kakashi, dopo aver riportato il rapporto in maniera meccanica.
Lo osservava con gli occhi di chi attende risposta.
Di chi sa già che la domanda è stata già posta.
Kakashi, trapanato dallo sguardo insistente del ragazzo, si allontanò.
“Kakashi!”
“Non è il momento, Sasuke.”
“No, Kakashi, è esattamente Questo il momento! Voglio sapere cosa diavolo sta succedendo!”
“Ho idea che tu lo sappia già - non cercare di mentire, Sasuke.”
Il Custos chiuse gli occhi, che ormai bruciavano come due fiamme.
“Naruto sta andando al Ludus.”
“Vedi che sapevi, Sasuke.”
“Cos’è il Laniatus, Kakashi?”
Kakashi sfiatò, esausto.
“Smettila, Sasuke. Ti ho detto che non è il momento.”
Il ragazzo schioccò la lingua sul palato, adirato. “Piantala. Pretendo risposte.”
“Non le ho.” sillabò il Rector, definitivo.
Questa era una risposta.





 
 
 
 
 
 
Todoke todoke tooku e
Ima wo kishikaisei namida azukete
Kono tobira no mukou ni
Mada minu asu ga otozureru kara
Hajimare
Nagai nagai kimi monogatari
[Continua, continua ad andare lontano
Ora, io credo in queste tue lacrime rinate
oltre i venti , secchi,
diventeremo una primavera che non muore mai
Inizia,
la tua lunga, lunga storia.]
Kimi monogatari / Little by Little
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
______________________
 
 
NDA.
(spero che la traduzione di Kimi monogatari sia lontanamente corretta ._. ci sono ottomila versioni diverse, vai te a capire qual'è quella giusta ._.)
 
Forse qualcuno lo temeva/sperava - ma No, non è una NaruHina. Ha scelto Hinata semplicemente perchè era quella con meno combattività e mezza azzoppata.
E non se l'è nemmeno portata appresso, alla fine.
Ho cambiato il titolo del capitolo precedente, perchè seguiranno altri simili :D
 
penso di poter essere in condizione di poter dire:
 
-7
 
alla parola Fine - il che mi emoziona e terrorizza tantissimo.
 
Spero che il capitolo sia piaciuto, organizzare il passaggio del blocco è stata cosa molto difficile, ma dovrebbe essere cosa assai sensata ormai xD non avete idea di quante ipotesi e deus ex machina ho scartato. Così funziona. Credo ._.
 
Fare Naruto serio e determinato in IC è un casino e temo di stare un pochettino deragliando, però come crescita in sei anni ha senso.
 
 
 
BenBon, rispondiam:
 
 
@Hanil: grazie :) niente scontrone xD non ancora, per lo meno.
Probabilmente ve lo aspettavate ma non era cosa fattibile ._. ma prometto solennemente che fra qualche capitolo ci sarà una battaglia degna di zio kishikishi.
@Aya: denghiù anche a te, spero che non deluda appunto l'aver mancato la mega battaglia che di fatto era impraticabile.
@Reki: bhe devo averti già detto tutto il dicibile, comunque, Grazie *_* sono sempre immensamente felice che i miei deliri ti piacciano, e spero che la pseudosorpresa funzioni
@LaGrenouille: sono vivamente commossa dal fatto che tu abbia colto il punto ;o; spero che non ci siano pastrocci in questa parte ._. ah, semmai a qualcuno interessasse, gli esami sono andati da schifo apparte un miracolato trenta e lode che ha riequilibrato il mio karma dopo una lunga serie di fallimenti. xD
@ cabiria: ciao! ben approdata su questi lidi, sono esterrefatta che ogni tanto ci sia ancora qualcuno che piglia la fic e se la legge da capo.
Ho esaminato davvero con attenzione i tuoi appunti (figurati, so che faccio casini -.- e che sono prolissa xD ). Alcuni errori o discontinuità che mi hai segnalato ammetto essere vere e cerco di riaggiustarle - molte sono dovute ai lunghi tempi di stesura, in maggior parte alle mie manie. La questione della descrizione dei luoghi è quella che mi ha più colpita, hai dannatamente ragione e sto ancora cercando di capire perchè. Di fatto sono una introspettiva, quindi non ci tengo molto a dare una descrizione di come sono fatte le cose, ma aver mancato la descrizione della camera d'ospedale di Naruto un po' mi dispiace. Da un lato mi accorgo che ad atmosfere di ambiente sono un mio grande buco, dall'altro forse non mi sono sbilanciata troppo a causa della costante freddezza che regna nel mio universo. Non lo so, devo lavorarci sopra: la stanza d'ospedale doveva essere confortante, ma un bambino del ludus non conosce molto il significato della parola confortante e, soprattutto, accogliente. Personale o impersonale mancano a loro volta di significato perchè l'omologazione è generale, la freddezza e il distacco di casa, e anche se il posto lo doveva tranquillizzare, non poteva certo essere un luogo bello e felice - sarebbe stato un controsenso. Comunque, in generale, la descrizione langue, questo è vero. Con gli scenari sono parecchio impedita, forse perrchè ho paura di uscirmene con trattati d'architettura xD bhu.
comunque grazie per seguire, fa sempre immenso piacere :) continuerò a pensar a quello che hai scritto.

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Capitolo 40
*** 39 (Peccato Originale) ***


39. Peccato Originale



Tagliente, lama,

spillo, e gelido

ghiaccio eterno:

al sole


si scioglie

in dolce acqua.




Ogni mutazione dipendeva dal dna del bambino in cui era inserita.

Prima bisognava capire se il dna andava bene per la mutazione madre, poi modificarla in base alle necessità, ed infine impiantare.

Sino ad ora, circa otto mutazioni diverse si erano manifestate.

Quelle agli occhi erano le più comuni, nei bambini del Ludus degli ultimi tre anni: oramai avevano un nome - Sharingan, Byakugan, Ranmaru.

Il Ranmaru era terrificante - bambini che vedevano addirittura oltre gli oggetti; il Byakugan, invece, era in assoluto il più presente.

Succedevano a queste tre le mutazioni animali: guerrieri figli dei canidi, degli insetti, dei felini.

E le ultime due nate: manipolazione del legno e manipolazione del ghiaccio.

Nasceva un esercito che stava facendo vibrar le vene ai polsi ai suoi stessi condottieri.

Nasceva l’arma più potente che la Regio avese mai toccato con mano.


Lui - lui era stato un incidente di percorso.

Una piccola esagerazione dovuta all’euforia del momento creativo.


Sakura leggeva i rapporti sul bambino-demone, cercando di non pensare al racconto di Itachi, cercando di mandar via le immagini della sua insegnante Tsunade, e cercando di non ricogliere tutta la sofferenza di cui era stata vittima anni prima.


L’incidente.

L’errore.

Peggio ancora del Difetto - Naruto era uno sbaglio cronico.

Per questo Tsunade era stata sollevata dagli incarichi.

Per questo Tsunade si era lasciata morire.


La ragazza cercava di convincersene.

Ma non ci riusciva.


E lo odiava.



***



Correre, correre, volare - no, di più.

Il fiato grosso, violento e rapido nonostante la volpe fosse con lui più che mai, significava che stava realmente correndo più di quanto qualsiasi essere avesse mai potuto fare.

Il Ludus era lì, la montagna che si avvicinava sempre di più a lui, sempre di più si ingrandiva. Scartando e cambiando direzione in maniera apparentemente del tutto casuale, Naruto cercava di evitare ogni odore gli venisse incontro: giacchè la volpe urlava tutto il suo potere, questo non poteva che essere umano - gli animali, più furbi, scappavano.

Da quanto tempo correva? Non aveva importanza.

Flesso su quattro zampe, una falcata dopo l’altra: per lui il tempo aveva perso significato anni prima.

Si era cristallizzato, ed ora forse aveva ripreso a scorrere.

Qualunque cosa fosse successa, non aveva importanza.

Non sentiva la fatica, non sentiva neanche più il vento contro il volto: sentiva solo odori, ascoltava presenze, tastava l’aria e percepiva l’ossigeno fluire nei polmoni e venire assimilato dal suo corpo umano.


Questo era Naruto.

Un essere che correva alla ricerca delle risposte che non aveva mai potuto avere.

Un essere che correva incontro al mondo che lo aveva scacciato, lo stesso mondo che lo aveva fatto divenire ciò che era: figlio d’un demone, mostro, indomabile e temibile più del nemico.

Tutto ciò che non avrebbe mai voluto diventare.

Tutto ciò che non avrebbe mai dovuto accadere.


Chi era il nemico? Chi era il ragazzino, figlio del Ludus, che lo combatteva?

Niente.

Nessuno.


Non esisteva nulla: esisteva solo la guerra.


Falso.

La guerra e la sofferenza.

Il dolore e lo sconforto. La malattia, il disagio, la fame che prendeva lo stomaco come un serpente si attacca alla carne e stringe le fauci facendo scorrere veleno mortale.


Quello era il mondo.





***



“Dobbiamo muoverci, cazzo.”

“Piantala di parlare come un agricola, Sasuke.” Neji lo scrutava con aria di sufficienza, le braccia serrate al petto. “Adesso prendiamo l’effluxum, e preghiamo che qualche altro Custodes con la sua sezione lo abbia preso.”

“Che schifo.” mormorò Shikamaru.

Kankuro li ascoltava, il volto una maschera di sensazioni intrecciate fra odio e disperazione, bendato e legato assieme agli altri prigionieri.

Se ricordava bene, lo aspettavano torture a cui molti avevano preferito la morte. Non sapeva se fosse un male reale - aveva bisogno di redenzione, sentiva la colpa scivolare in ogni sua vena. Ad ogni modo, il problema fondamentale dell’Ignis Regio non era lui, ma il Demone - e questo era bene. Dannatamente bene.

Forse avrebbero imparato cosa significava avere un demone in casa. Forse avrebbero provato anche loro la sensazione che aveva provato lui quando aveva visto il risultato della sua gente, un mostro, morire.

Ma no, i Neri non erano capaci di cose del genere.

“Kakashi, novità?”

L’uomo scosse il capo.

“Stanno facendo convergere molti altri Custodes al Ludus, ma per il resto nessuno ha ancora niente sotto mano. Si parla di avvistamenti confusi, ma nulla di certo.”

“Non è un idiota.” commentò Sasuke, greve. “Li schiverà tutti. Percepisce il mondo meglio di chiunque altro.” ‘In tutti i sensi’ - pensò.

Kakashi osservò Sasuke a lungo, ma quello, imperterrito, manteneva lo sguardo basso verso il terreno.

Il punto di salita all’effluxum era ormai vicino, pochi chilometri. Il siluro sarebbe partito qualche ora dopo, e lì il medico li attendeva: li avrebbero potuti curare.

Ma non era semplice.

Mentre i Custodes venivano richiamati al Ludus per far fronte a Naruto, i Bellatores venivano mandati in massa sui confini: sicuramente i bianchi non l’avrebbero presa bene, la cattura di Kankuro e degli altri.

Kakashi spostò lo sguardo da Sasuke a Kankuro, osservandoli in modo alternato, mentre cercava di cogliere i legame che sembrava collegare le loro espressioni, così simili seppure apparentemente diverse.




***



Si bloccò, scivolando sul terreno secco dell’ennesimo campo che attraversava, dissodato.

Kyuubi, indispettita, si scuoteva, domandando al suo protetto e prigione cos’accadeva.

“Ascolta.”

Ascoltarono.


Lontano.

Lontano nella sua stessa memoria. Lontano nello spazio e nel tempo, nella sua mente e nel suo cuore.

Nel suo cuore, sì.

Non si era smossa la sua logica: era il suo animo che era stato improvvisamente percosso - battuto e ribattuto da quell’odore tanto pungente quanto remoto.


Insieme, scavarono.

In quella sensazione di dejavu, di richiamo lontano che non riesci a capire a cosa guida, dove punta, o da dove mira.

“Un grande dolore.” mormorò la volpe, come facendosi più piccola. “Il primo giorno in cui ti ho rivolto parola.”

Naruto non si muoveva.

Chiuso ogni contatto con l’esterno.

Pietrificato, a nuotare nelle sue memorie, nelle sue sensazioni - a cercare, in se’ stesso, cos’era, da dove nasceva quel filo sottile che di colpo si era tirato, e sembrava trattenerlo.


Prima di capire, bisogna accettare.



***


C’era un gran movimento, fuori. Sakura chiuse la cartella nera, andando alla finestra per cercare di capire cosa fosse tutto quel trambusto: aprì, sporgendosi, cercando con lo sguardo le divise dei Magistri sotto gli alberi.

Bussarono.

“Avanti.” andò per prendere i documenti - mai fosse che al ragazzino di turno non girasse di essere troppo curioso.

Ma non entrò un ragazzino.

Ne’ un Magister.

Ne’ un Rector.

Ne’ un Custos.

Ne’ un Medicus.

“Mi hanno detto che hai tu il fascicolo di Naruto.”

Era una voce roca.

Anziana, forse più del volto rugoso e rovinato dal tempo. Sakura sussultò, stringendo i documenti al petto.

“Sì, Ignis Umbra.”

Il vecchio, con le vesti rosse e nere da Philosophus addosso, la osservò a lungo, studiandola. Sakura, pallida, lo guardava dritto negli occhi come solo chi è terrorizato sa fare.

L’Ignis Umbra non si scomodava a parlare con chi non era referente del Summus Globus. Parlava solo ai bambini del primo anno, e con qualche Magister.

Parlava poco.

Si vedeva poco.

Prima dei vent’anni, era matematico che avresti sentito la sua voce solo una volta: all’entrata al Ludus. E anche dopo i vent’anni, era molto probabile che tu non l’avresti mai più sentita.

La gerarchia funzionava così: in questo modo, le informazioni erano controllate. Tutto saliva, niente scendeva. Il Summus Globus era l’apice massimo - ma l’Ignis Umbra era la rappresentazione terrena della divisione netta dei ruoli.

Lui era lì.

E fine.

Potevi passare tutta la tua vita al Ludus senza mai avergli rivolto parola.

Ai colloqui, dovevi usare la forma cortese.

Sembrava intoccabile. L’anima del saggio della regio - la conoscenza condensata in un uomo.

“Dimmi, vali anche solo la metà di Tsunade?” domandò l’Ignis Umbra, squadrandola con uno sguardo esageratamente denso e deciso.

“Lo spero, Ignis Umbra.”

“Vedi di farla finita.” pareva risoluto.

Pareva stufo.

Pareva stesse mettendo un punto in fondo a un lungo testo.

“Mi scusi, Ignis Umbra - non capisco...” mormorò Sakura, cercando di non farsi morire le parole in gola nel tentativo di non sbagliare il tono con cui rivolgersi a lui. “... non capisco di cosa parla, domando scusa, Ignis Umbra.” rincarò, flebilie.

“Quello.” additò il vecchio. “Cartella nera, Naruto Uzumaki.”

“E’ vivo?” si lasciò scappare - per poi ammutolirsi di colpo.

“Certo che è vivo - non si può uccidere un demone così facilmente. Sakura è il tuo nome, non è vero?”

Forse era il momento di chiederselo.

Forse, questa volta - con l’Ignis Umbra comparso nel suo piccolo ambulatorio, con quel tono non tanto imperativo verso di lei, ma piuttosto adirato verso il mondo -, Sakura poteva chiederselo senza sentirsi in colpa, senza temere la mano di Itachi sui suoi pensieri.

Senza il terrore di stare sfiorando la pazzia.

Cosa stava succedendo?

“Sì, Ignis Umbra.” sussurrò, tremante, mentre la domanda le rieccheggiava in testa.

“Trova un modo per tirargli fuori il demone, Sakura. Ti prego.”

“Fuori..?”

“E non ucciderlo. Ti prego, non ucciderlo.”

Ti prego.

L’Ignis Umbra che prega.

Ma lei cosa ne sapeva, dei demoni?

Era da considerarsi un capitolo chiuso.

E perchè vivo?

No, quello era chiaro: servivano le informazioni.

La ragazza deglutii, annuento. Il vecchio, ancora sulla porta, la guardava fisso senza compiere un movimento.

Lo vide sospirare.

Il suo mondo crollava.

“In fretta, Sakura. Prima che arrivino loro.”

E scivolava nel baratro, nero, oscuro, profondo più dello spazio e del tempo.




***



Camminava tremando.

Camminava lento.

La vista gli pareva annebbiata, i sensi ovattati. Kyuubi lo abbracciava: sedatasi da sola, lasciato il suo bambino alla sua umanità, e cercava di cullare un animo che già torturato dal passato era ora sul punto di collassare.

Aveva già patito tanto, pensava il demone - scoprendosi umano nella propria pietà.

Aveva già sofferto, si era già risvegliato mille volte dal suo incubo.

Forse questo sarebbe stato il suo ultimo risveglio.

La nota finale che avrebbe reso il caos di suoni della sua storia un requiem tanto prodigioso quanto lo era stato lui.

L’ultima indicazione per mettere ordine nell’infinità di sensazioni ed emozioni che aveva patito e provato in tutta la sua vita.

Naruto camminava, temando.

Camminava verso il filo di Arianna della sua esistenza, camminava tirato da quel filo che lo riportava ad un passato che aveva creduto tanto gioioso quanto lontano.

L’inizio.

L’inizio dell’incubo.



Comparve sulla soglia di una piccola casetta in mezzo ai campi.

Non sapeva.

Non sapeva che quello era il suo odore, perchè, all’epoca, non li sapeva sentire - e perchè la sua memoria aveva occultato per lungo tempo quell’evento passato. Il muro che aveva eretto da ragazzino, dopo il laniatus: lui ne era stato le fondamenta.

E anche ora, dopo anni di patimenti e fughe, lasciava la sua figura lontana nella sua memoria, per non richiamare quel dolore così grande e quello sconforto così profondo che lo aveva fatto sprofondare, definitivamente, nel suo oblio.

Lo vide in lontanaza, oltre il giardino.

Lo vide cresciuto. Lo riconobbe a stento.

Si appoggiò al muro, osservandolo.

Era lui.

Era certo.

Era lui.


Ed era vivo.



***



“Ignis Umbra, bisogna allontanarsi - Sakura, anche tu. Sgombero.”

Il Rector comparso sulla soglia non sembrava accettare un no come risposta. Sakura voleva solamente fuggire dallo sguardo del vecchio, che sentiva come un punteruolo intento a scavare a contorcere ciò che trovava sulla sua strada.

Un peso.

Ecco cos’era, un peso.


Aspettativa.


“Arrivo.”

Raccolse le carte, uscendo. Trambusto generale, seppur ordinato come solo al Ludus si sapeva fare.

Uscì dalla palazzina dove ormai lavorava da anni.

Si bloccò.


Aspettativa.


L’Ignis Umbra era andato avanti, circondato da Magistri che sembravano volerlo proteggere.

Che ci fosse un attacco al Ludus?

Era l’unica.


Aspettativa.

Sì, la riconosceva.

Non era naturale, al Ludus, l’aspettativa. Nessuno aveva aspettativa.

Facevi o non facevi. Eri o non eri. Se volevi, scappavi. Se ci tenevi, rimanevi.

Nessuno si aspettava niente da te: se tu non eri capace, se ne sarebbe trovato un altro migliore.

Dovevi fare il meglio. Se non eri il meglio, non era importante.

Potevi suicidarti perchè non reggevi lo stress, ma non perchè avevi deluso qualcuno.

Avevi solo un compito.

Se fallivi, fallivi. Fallivi tu. Fallivi e basta. Potevano esserci delle conseguenze, sì.

Ma non deludevi. Non c’era nessuno da deludere.

Solo un compito da svolgere, o una regio da proteggere.

E se morivi, era un onore.


“Cosa sta succedendo?” domandò infine, quasi gridando, verso l’Ignis Umbra.

L’uomo sembrò volersi voltare, ma poi, trasportato dalla sua scorta, continuò a camminare.


Aspettativa.

La riconosceva perchè se l’era sentita addosso.

Tempo prima.

Secoli fa.

L’aspettativa di Itachi che le pendeva sulla testa, che le martoriava l’animo: l’aspettativa del Difetto, l’aspettativa lontana di Tsunade - da cui era fuggita.

Una realtà rivelata che le avevano chiesto di riconoscere.

Di accettare.

E di cambiare.


“Minaccia un attacco al ludus, sono tuti richiamati ai rifugi.” le spiegò un Magister, passandole accanto. “Su, forza.”

Sakura si fermò, disorientata.


Naruto.

Naruto era vivo.

Naruto stava tornando.

Al Ludus.

Per quello scappavano.

Per quello l’Ignis Umbra l’aveva pregata.


Respirava a fatica.

“Ehi?” chiese il Magister, osservandola perplesso. “Stai bene?”


No, Sakura.

Non si sfugge dala realtà.

E più che dalla realtà, non si sfugge da se’ stessi.

Dalle lacrime piante nel sentire la storia di Itachi e Tsunade, nello sconforto provato nel sapere la sorte di Naruto.

Un ragazzino che aveva ignorato per tutta la vita - e che ora, si rivelava a lei come una cartella nera e un sopravvissuto.


“Dai, rapida.” accennò infine il Magister, facendole cenno di andare con lei.

“No.” Non aveva mai sentito la sua voce vibrare nella sua gola così. “Devo finire una cosa.” concluse Sakura, allontanandosi dall’uomo e tornando da dove era venuta.



***


Il ragazzo si voltò, notandolo.

Sul suo volto, l’espressione di sorpresa muoveva ogni singolo muscolo, in quella che sembrava gaudio sincero. “AHILO!” esclamò. “Naruto!”

Naruto non si mosse.

Lo fissava stranito.

A stento ne riusciva a sillabare il nome.

Kyuubi, materna, cercava di fare in modo che non fosse troppo.

Perchè forse era davvero troppo.

“Konohamaru.” mormorò infine Naruto.



***


Era un passo deciso.

Un passo contrario.

Mentre tutti andavano, questo avanzava.

Era un passo strano.

Ma netto.

Più cercava di ascoltare, più Itachi rimaneva disorientato.

Non aveva mai sentito quel passo, in tutta la sua vita.

No.

Lo aveva sentito.

Ma era diverso.

Se ne stava andando, allora. Se ne andava carico di terrore.

Ed ora tornava.


La porta si aprì.



***


“Ve’, ma ‘nce posto dello diavolo tuo sei stato, Naruto? Allamiseria cossa lo cacchio ti sei fatto?”

Naruto non reagì. Konohamaru, cresciuto, solido - un ragazzo robusto e abbastanza sano -, sembrava saltare, sembrava felice.

Vestito di stracci, era sereno.

Naruto ne scrutava il volto ormai lontano da quello infantile del bambino insicuro e tremante che aveva conosciuto. Non si poteva dire che Konohamaru fosse un Custos impettito e sicuro di se’, come lo era stato lui, come si era sentito lui alla prima iniziazione: ma Konohamaru era vivo, e qualcosa scorreva.

Scorreva il dialetto del popolo che aveva sentito da Inari.

Scorreva la pacatezza dell’ignoranza contadina, ignoranza obbligata, che permetteva relativa serenità a coloro che vivevano, alla fine, di stenti.

“Sei vivo.” mormorò il ragazzo, infine.

Konohamaru si bloccò, osservandolo.

Naruto era più malconcio di lui. Konohamaru sarà pur stato un contadino, ma Naruto rasentava il barbaro.

“Ohè, statti bene? Va’ che ti do da mangiare se tieni fame - nhe? Aspio, te sì che c’avevi da diventar Custos, ailo. Chissà che t’avran fatto fare.”

Si era convinto che Naruto fosse un Custos per davvero, sembrava non ci fosse nulla che poteva contraddire la sua idea.

“Perchè sei vivo?” ringhiò Naruto, per poi sciogliere immediatamente lo sguardo carico d’odio che aveva in volto.

Lo guardò nuovamente stranito, sconcertato dal suo stesso atteggiamento.

Il ragazzo lo osservò a lungo, perplesso. “Te necessiti di cibo, vhe.”


Naruto si arrese.

Scivolò in terra, seduto, cercando di non crollare.

Ubriaco.


Il motivo per cui tutto era iniziato.

La scintilla.

Ciò che aveva svegliato Kyuubi, ciò che lo aveva fatto agire d’istinto - un istinto ribelle; ciò che lo aveva portato al laniatus e al muro, a erigerlo, a scattare poi verso Gaara e distruggerlo, a rischiare di uccidere Sasuke, ad essere demone, poi fuggitivo, poi clandestino, poi giustiziato ed infine reietto, confinato lontano dal suo mondo in cui poteva tornare solo rare volte in totale anonimato.

Il senso di colpa, la rabbia, lo sconforto, il dolore.

Tutto ciò non era mai esistito.


Konohamaru era vivo.


Un contadino.

Un povero.

Un nulla.

Ma VIVO.



***



“Itachi.”

L'uomo, seduto per terra nella sua cella ovattata e soffice, portò il volto verso di lei, come a guardarla.

“Hai una bella voce, piccola Sakura. Devi essere una donna, ormai.”

Lei lo fissava, immobile sulla soglia.

Sotto il braccio, i documenti fra cui svettava la cartella nera di Naruto.

Tacquero.

Ma il respiro di Sakura parlava più di quanto le sue labbra non potessero mai formulare.

Itachi si alzò lentamente, andando incontro alla ragazza - il passo lento e leggero, quasi fluttuante sul pavimento imbottito. Costretto nella camicia di forza, si fermò davanti a lei, silente.

Il fremere del Ludus in agitazione giungeva sino alla sua cella.

“Sei tornata.”

Sakura non rispose.

Ma lo fece una piccola contrattura della gola per lei.

“Sì, sei tornata da me.”

“No.” mormorò lei, cercando di trattenere quel qualcosa che sembrava stare uscendo.

Ed era così strano, aver rotto il silenzio che gli aveva imposto negli anni.

“Sei tornata da me, e vuoi sapere come va a finire.”

“Non è vero.” e quello fluiva.

Si manifestava.

“Come va a finire la storia.”

Definitivamete. Definitivamente andata. Definitivamente fuori dalle sue regole.

Un passo nel modo.

Itachi tacque, immobile.

Lei cercava. Lo sguardo perso nel vuoto, cercava una soluzione.

Perchè c’era un problema.

E c’era, c’era un’aspettativa.

Non era solo Itachi.

Era stata anche Tsunade.

E non sapeva perchè, ma era stato anche lui. Il morto che torna.

Il cadavere che parte all’attacco.

“Naruto sta venendo qui.”

“Lo sospettavo, piccola Sakura.”

“Mi hanno chiesto di fermarlo. - No, mi hanno chiesto di liberarlo. In fretta. Presto.”

Il Difetto tornò a tacere, apparentemente assorto - per la prima volta da che Sakura lo conosceva, realmente pensoso.

“Per questo sei venuta da me?”

“Ha sofferto, non è vero?”

“Siamo diversi.”

“Ma ha sofferto.”

“Sì. Tanto.”

Sakura socchiuse gli occhi, cercando di fare ordine. Cercando di capire.

Non era più Itachi.

Non era più lei.

Era tutto. Era l’Ignis Umbra, era Tsunade, era Naruto.

E sì, poi sarebbero stati Sasuke e Neji, Hinata, Kiba e Shino, e poi i più giovani, e poi i più piccoli, e poi i nuovi - i bambini.

Rimasero in silenzio a lungo, cercando ognuno la sua risposta, cercando ognuno nel suo animo qualcosa che potesse fungere da chiave di volta.

Itachi non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero andate così.

Non pensava a Naruto. Aveva sperato in Sasuke, ma in Naruto no. Non lo conosceva.

E invece, forse la chiave era lui.

Sakura si chiuse la porta della cella alle spalle, appoggiandovisi con un respiro profondo. Tornò con lo sguardo su Itachi, mentre le lacrime tornavano a comparire sul suo viso.

Lui le sentiva. Ne sentiva l’odore e il calore.

“Piccola Sakura, sai - non credo sia come me lo ero immaginato.”

Lei abbassò lo sguardo, lasciando scivolare gli occhi sulla cartella nera.

“Ma immagino di capire, ormai, cos’è stato. Forse, in un altro caso, con altre persone, tutto ciò avrebbe funzionato. Saremmo stati tutti guerrieri, saremmo stati armi vincenti. Ma è tornato qualcosa, fuori - qualcosa che il Ludus ha sempre fagocitato, e poi spento - e che pochi di noi hanno saputo realmente provare.”

Sakura si lasciò scivolare in terra, reggendosi la fronte corrugata dal pianto.

“L’affetto e l’amore - rari, e affatto di casa, da noi. Questo ci ha guidati fin qui - tutti. Tutti noi che per caso siamo finiti con l’inciampare in questa sensazione, siamo finiti nel fiume. L’affetto e l’amore, Sakura - questo è stato il peccato. Di Tsunade, mio, di Naruto, e tuo - ora.”

Si flesse sulle gambe, poggiando le labbra sulla fronte della ragazza, scossa di singhiozzi.

Era un fluido, l’affetto.

Un fluido che passava, fluiva - a volte stagnava.

“Non piangere, Piccola Sakura.”







Ano hi hontou ni ushinatta mo notte nandatake?

Toiu wasurete shimatta...

Yuugure de futari sukoshi zutsu mienaku natte itte

Sore na noni bokura kaerezu ni ita


[Cosa ho perso, realmente, quel giorno?

In qualche modo, me ne sono dimenticato.

In una notte piangente, poco a poco, ci siamo sentiti distanti

ma in qualche modo siamo rimasti, incapaci di andarcene.]


Motohira Hata Toumei Datta Sekai - 7th opening Naruto Shippuuden





















__________________________________________________________

 



....


non credo di avere commenti.

apparte un po’ della mia anima che se ne va, appiccicandosi a questo capitolo.


credo di aver incasinato tantissimo, ma è un casino che entro tre capitoli scioglierà ogni nodo.

Ogni.

Singolo.

Nodo.

E avrete la vostra battaglia.

Di quelle che giuro, farò in modo non vi facciano affatto rimpiangere il 40eppassa capitoli che l’hanno preceduta.




*Aya: bhe, vedi sopra ^^

oddio sto strapazzando Naruto tantissimo ç.ò


*LeGreonulle

hu, no, ma ho provveduto post segnalazione u.u

mh, in questo capitolo azione 0, adesso che mi ci fai pensare. ma vabè, sapete che sono così xD ho promesso il battaglione e battaglione sarà!



*reki

ciao reki :D

ce l’ho fatta, noti? xD spero sia uscito decente xD *lol*

ancora due capitoli e poi penso che gongolerai. bhe, almeno ci provo. xD tanto ormai la scena è decisa.



ciao a tutti e grazie per leggere.

come dicevo, ci siamo quasi.

abbiate pietà per gli errori di battitura, sono le due di notte e l’ispirazione è una brutta bestia. ricontrollerò domani sera, forse xD scusate!













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Capitolo 41
*** 40 (Strappo) ***



40. Strappo



Tu forse pensavi,
bambino,
che sarebbe accaduto qualcosa.

Tu forse pensavi,
ragazzo,
che sarebbe cambiato qualcosa.

Tu forse pensavi,
uomo,
che avresti potuto fare qualcosa.

Tu forse pensavi,
vecchio,
che avresti potuto cambiare qualcosa.

Ma tu, cenere,
tu nulla puoi, ne' vuoi, ne' mai farai.





L’Ignis Umbra si sedette sul suo scanno: rosso e nero, rialzato su di un piedistallo e circondato da Custodes.
Nella stanza del rifugio, scuro e metallico, incastonato nella terra affianco alla SubSphaera, si sentiva il vociare dei bambini provenienti dalle altre sale - seduti sulle panche e per terra, in attesa che l’allarme cessasse. Erano decenni che non accadeva niente del genere - e lui stesso, con i sui settant’anni abbondanti, non aveva mai visto fare uso del rifugio.
L’Ignis Umbra si chinò sulla scrivania, riprendendo a scrivere: scriveva su carta - una cosa che sembrava lasciar perplessa la sua scorta, ma per fortuna nessuno poteva mettersi a pontificare su cosa faceva o non faceva l’ombra del fuoco.
Nella destra stringeva la penna, mentre, con la sinistra, controllava gli spostamenti di Custodes e gli ultimi ordini sul monitor incastrato nel tavolo.
Doveva sbrigarsi.
Dai rapporti, era chiaro che se Naruto avesse realmente avuto intenzione di distruggere il Ludus, quei rifugi non sarebbero bastati. Ciò nonostante, si parlava di una delle zone di sicurezza maggiori, dopo - anzi, assieme a - la sede del Globus a Folii Pagus.
Suonò la sirena d’allarme, per l’ennesima volta.
Il vecchio osservò in alto, assorto.
Sembrava non esserci via d’uscita.
L’importante, ora, era scrivere.



***

Bolla.

Ecco cos’era. Una Bolla.
Naruto era dentro una Bolla.
Mangiava pane raffermo e beveva latte caldo.
In una Bolla.
Konohamaru lo guardava con un sorriso lieto.
Bolla.

“Alchè, dhe, che razza de missione facisti te da rovinarti acussì?” domandò il ragazzo, scrutando il biondo.
Naruto mangiava.

Bolla.

“Konohamaru - perchè ti sei convinto che sono un Custos?”
“Dhe, se non parli acomma me’, fihurati - custode o filosofo te seih, altre non ne vedo. E poi c’hai cossa, là.” additò al collo di Naruto, che abbassò lo sguardo, notando, sul torace, una piastrina.
La piastrina.
La sua piastrina.
“Filosofoh te certo ‘un sei - e manco te ce vedo - no pe’ fa’ el cattivo, eh.”

Bolla.

“Chè, si tu qualche cossa altra?”
Se n’era dimenticato.
La piastrina era diventata tanto rapidamente parte di lui che, negli anni, non aveva nemmeno contemplato la sua presenza o la sua assenza.
La prese in mano, leggendola: Naruto, B positivo.

Bolla.

Levò lo sguardo su Konohamaru.
Si sentiva stordito.
Si sentiva avvolto, si sentiva cadere, perso, e improvvisamente il nulla.
Tacque.

Bolla.

Rabbia.
Riscatto.
Domande e risposte. Caos.
Il tutto confluito nel volto di un ragazzo di cui, da bambino, era convinto d’essere stato la causa di morte.
Click.
L’attivazione di un meccanismo che, nonostante i tentativi di Kakashi e della donna che ricordava essere chiamata Tsunade, non aveva mai smesso di funzionare.

Bolla.

Ed ora parlavano.
Non era stordito, non più.
Sembrava improvvisamente fosse stato lanciato altrove - un altro mondo, in un altro luogo, in un altro tempo.
Sotto i suoi gomiti, un tavolo grezzo e scheggiato. Una stanza relativamente piccola, con la vernice bianca scrostata che lasciava vedere l’intonaco e le pietre - non mattoni, pietre, di forme casuali - con cui era costruita la casupola.
Tetto di paglia.
Legno ovunque. Infiammabile all’inverosimile.
Silenzio.
Vento, ogni tanto.
Chissà, si domandava, che cosa ne era di Inari. Se suo nonno era ancora vivo.
Tutto gli ricordava quella famiglia che viveva ai piedi del Ludus, la loro cortesia, e - allo stesso modo - gridava povertà. Come lo avevano gridato i villaggi che aveva visitato, seppur raramente, negli anni precedenti - e, allo stesso modo, come lo urlavano i volti smunti e sporchi dei contadini e degli artigiani.
Naruto non sapeva cos’era la ricchezza, ma sapeva cosa voleva dire svegliarsi alla mattina e bere del latte caldo, fare lezione, e mangiare carne rossa in abbondanza, fare lezione, e mangiare ancora, proteine, vitamine e carboidrati, per riprendersi - e casomai andare nel bosco ad uccidere qualche coniglio se la fame prendeva ancor di più.
Loro, i contadini, non potevano toccare le loro bestie, perchè gli servivano per il latte, per il formaggio, per mille altre cose. Dovevano regolarsi e, se necessario, patire la fame.
Konohamaru gli aveva offerto del cibo, ch’era una ricchezza da non sottovalutare.
“Come mai sei qui, Konohamaru? Perchè hai lasciato il Ludus?” domandò di colpo - senza rendersene nemmeno conto.
“Lo mio nonno l’è duro tanto peggio d’una mula gravida.” si strinse nelle spalle. “‘n giorno mi pigghia e mi fah: te devi andar via, Konohamaru - te devi andar via, Konohamaru - te devi andar via, Konohamaru. ‘n ora lo sarà rimast’addire, sai te. Finchè non gli feci Ok. Che poi, te lo dico, sì, ma‘n t’arrabbiare - mica t’avea tanto in simpatia, a te. M’avea pigliato in lo terrazzo a smaltire li postumi d’una punizione, quello giorno llà - l’era d’un furioso, arda.”
Naruto lo fissava negli occhi, con uno sguardo tanto denso che al ragazzo sembrò ricordare quello serio di suo nonno.
“L’Ignis Umbra non aveva diritto di metter mano su quello che facevi o non facevi al Ludus. Non in quanto tuo nonno.”
Kyuubi sembrò quasi sospirare.

Bolla.

Sembrava di stare per vedere la fine - l’inizio - del cerchio.

Bolla.

La volpe sentiva la rabbia di Naruto, mescolata al suo senso di perdizione totale.
“Potè, dato che lo fece, vhe. Io so’ cresciuto collui, era ‘na situazione strana a prescindere - l’era tutto sbagghiato. Alla fine manco io volevo rimanere llà.”
Naruto beveva le parole del ragazzo come fossero acqua dopo una traversata nel deserto del vento.
Erano, forse, quelle le prime risposte che riceveva.
Abbassò il capo, cercando di ripercorrere le sue ultime decisioni, i suoi ultimi impulsi che lo avevano guidato verso il Ludus.
Coincidenza vigliacca, trovare Konohamaru a metà strada, fra una deviazione e l’altra.

Bolla.

“Mi avevano detto che eri morto.” sentenziò infine il biondo, greve.
Konohamaru si stupì, indietreggiando con il capo.
Naruto lo guardava cercando di non far trapassare la rabbia che quella falsa notizia, quell’immonda bugia che gli avevano propinato, gli suscitava.
Non ci riusciva.
Ma Konohamaru tornò rapidamente col volto sereno, appoggiandosi al tavolo.
“Vhè, lo è sempre il Ludus, nhe? Se cossì volehano dire, l’han detto - li avranno avuti li loro boni motivi, nhe?”
Naruto si irrigidì.
I loro buoni motivi.
I buoni motivi del Ludus.
No.
Non c’erano più buoni motivi. Non c’erano più ragioni. Naruto non credeva più nel Ludus.
E questa era la goccia, sì, che faceva però traboccare per l’ennesima volta un vaso già colmo e ricolmo, che spandeva da tempo.
Il biondo stava per scattare in piedi a sfasciare il tavolo, ma si trattenne: Kyuubi avvampò in lui, risvegliandosi.
Naruto riaprì due occhi scarlatti ed indemoniati.
Konohamaru sussultò, sgomento.
“Cossa lo diamine...” si alzò in piedi, indietreggiando.
Naruto si alzò lentamente in piedi, respirando affannosamente per non far esplodere tutta la sua rabbia.
“Ohè, chettipiglia?”
Naruto vide lo sguardo di Konohamaru, impaurito, il volto pallido, a tratti tremante.
“Heccazzo sei te? Naruto?”
Naruto non si muoveva.
Teneva lo sguardo immobile su quello di Konohamaru, rivedendo un’espressione che conosceva, che temeva, e che lo faceva soffrire più di ogni altra cosa.
La paura. La paura di lui.
E due pupille tremanti che fisse sulla sua figura urlano solo una cosa: mostro.

Mostro, e più pericoloso del nemico stesso.
Quello era Naruto.

La bolla si rompe.



***


Sakura aprì la camicia di forza di Itachi, una cinghia dopo l’altra, lasciandogli il torso nudo e le braccia libere: l’uomo mosse prima le spalle, intorpidite, e poi i gomiti - e poi, tutto assieme. Un concerto di suoni d’ossa rafferme.
La sirena d’allarme si mise a lamentarsi per l’ennesima volta.
La ragazza poggiò una mano sulla sua spalla, in un tocco che lui ben ricordava - lieve e leggero. Le prese la mano, prima che potesse mettersi a fare qualunque cosa, e a passi leggeri iniziò a camminare, portandola con se.
“Volevo solo...” mormorò la ragazza, mentre notava che Itachi si muoveva lungo i corridoi con un passo sicuro che faceva dimenticare la sua cecità.
“Non ha importanza - le mie braccia non torneranno sane.”
Non erano storte, ma prive di tono muscolare. Le liberava solo per la fisioterapia, che serviva a poco o a niente. Almeno, aveva pensato la ragazza, poteva togliergli parte dell’intorpidimento - ma evidentemente Itachi aveva ben chiare le sue priorità.
L’ambulatorio era la sua meta, e si capiva.
“Cerchiamo di liberare Naruto.”
Lei strinse le labbra. “Non credo sarà facile. Non credo nemmeno sarà possibile.”
“Bisogna provare. O preferisci restare a piangere?”
Sakura si scosse, infastidita. Serrò la mano all’uomo, con più forza, ed aumentando il passo.
Itachi sorrise, sentendo che quella, tirandolo, aveva preso a guidare al posto suo.
Così doveva essere.
Così era bene che fosse.


***


“Questo tu credi abbia i suoi buoni motivi, dunque?” sibilò Naruto, mentre il suo volto tornava ad essere a cavallo fra l’umano e il demoniaco: i sei solchi sul volto si aprivano in ferite di tessuto necrotico, i canini si allungavano, gli occhi si affilavano e la pupilla s’ergeva dritta e sottile.
Konohamaru sembrava colto dal terrore.
Il terrore.
Naruto fissava il vecchio amico con lo sguardo di chi non ha più niente da perdere, e colmo di rabbia si appresta a urlare tutto il dolore che lo riempie.
Ma non era solo dolore - e quello, in realtà, nasceva proprio dal terrore stesso di Konohamaru.
“Vedi come mi guardi, Konohamaru.” ringhiò Naruto. “Lo so cosa provi. Lo provo anch’io - pensi che questo abbia i suoi buon motivi?”
Il ragazzo non rispondeva, gelato.
Ma Naruto era partito - e la bolla, la pacifica bolla di improvvisata quotidianità e vita - vita reale, vita umana - s’era dissolta con la stessa rapidità con cui si era creata.
Naruto sorrise.
“E’ talmente evidente che forse non ci arrivi, Konohamaru. E’ limpido e chiaro, basta pensarci - basta volerlo sapere.”
“‘n farmi male, te prego, Naruto. ‘n t’ho fatto nienteh. Nulla.” mormorava il ragazzo, indietreggiando sino a incollare la schiena alla parete malconcia.
“Ti hanno dato per morto perché se saltava fuori che la Gens di uno studente del Ludus aveva influito sul suo rendimento, o sulle sue decisioni, sarebbe stato un disastro. Perché non conta la gens, al Ludus - NON E’ VERO, Konohamaru?” ringhiò,
“Essì... sì - vhe. Così era.” rispose l’altro, tremante.
“E’ così, il Ludus. Un’immensa bugia. Così la guerra e così la Regio. Siamo menzogne ambulanti.”
A Konohoamaru premeva avere solo la vita al sicuro. Osservava Naruto sgomento, e pregava che non lo toccasse.
Naruto non si muoveva, statico, tanto statico quanto carico.
“Ma tu non hai voluto pensarci, Konohamaru. Perchè l’Ignis Umbra non ti voleva al Ludus? Prova a riflettere: perchè?”
“Henessò io de he fa l’Ignis Umbra - cazzo, so’ agricola io!”
“PENSA, AGRICOLA!” Non realtà dei fatti, come aveva detto l’altro, ma insulto. E Konohamaru, seppur da una memoria lontana, l’insulto lo percepiva. “E’ pur’anche tuo nonno - o ti sei dimenticato quanto lo ricordavi in giro?”
Konohamaru tacque per lungo tempo: Naruto cercava di capire se aveva assimilato il concetto o era troppo scosso dalla paura.
Alla fine il contadino si decise a parlare.
“Così funge lo Ludus, Naruto - io manco sapevo he facevi te al sesto anno, e fihurati se non potea accadere che delle sorti di qualcheduno studente mentivano! Didattica, la chiamavan, vhe? O sei te he ‘n te ricordi più come funziona? Ma ‘cazzo de Custos sei, te?”
Naruto abbassò lo sguardo.
Konohamaru lo scrutò, mentre calava il silenzio. Un solo movimento - nemmeno, solo l’intento: e il biondo, indemoniato, lo riprese:
“Non scappare, Konohamaru.” mormorò greve. “Non si può scappare da questo.”
Konohamaru tornò immobile, gelato, come lo era stato sino ad allora.
“Tuo nonno ti avrà sicuramente mandato via a causa di me - e di quelli come me. Sì, avrebbe senso. E sarebbe strano - perchè significherebbe che l’Ignis Umbra non è come dovrebbe essere. Evidentemente lo ha fatto per te.“
Il ragazzo continuava a guardarlo, tremante.
Rimasero in silenzio: Naruto lo osservava, il volto dipinto dalla rassegnazione.
Sembrava che Konohamaru non capisse.
Forse nessuno capiva realmente.
“Mi hanno imposto di essere così. Non ho scelto io - perchè qui nessuno sceglie, in realtà.”
Mosse mezzo passo indietro: la delusione lo attanagliava, ed ora, forse, iniziava a comprendere cosa significasse cercare di distruggere le radicate credenze di un mondo intero: non era possibile.
Sembrava non potesse assolutamente farlo - e lo leggeva negli occhi dell’altro, sgranati e impauriti. Gli leggeva l’incapacità di attribuire colpe a chi stava più in alto, o sbagli, o errori.
Quello erano loro.
Quello erano tutti: menzogne ambulanti, ignavi, ignoranti disinteressati.
E impauriti.

Questa era la realtà.
Erano tutti impauriti da quello che mani che ritenevano più sagge non gli avevano fatto conoscere.
Non volevano sapere, perchè sapere faceva paura, sapere faceva pensare e pensare portava - oltre che responsabilità - terrore.
Questa era la realtà.

Naruto voltò le spalle a Konohamaru, lasciando l’altro sconcertato da un atteggiamento che non si aspettava da un ragazzo sul punto di diventare una bestia feroce.

Non poteva fare niente.
Solo combattere contro qualcosa che un ragazzo, o un uomo, seppur fuso con un demone, non poteva in alcun modo scalfire.

Konohamaru vide il mostro allontanarsi, passi prima lenti e poi più rapidi - avvolto da un silenzio che sembrava fagocitare ogni minimo rumore lo attorniasse.

Naruto non sapeva più cosa pensare.
Non pensava.
Mentre Kyuubi, grama, sussurrava alle sue orecchie quella che sembrava una realtà che il ragazzo era del tutto incapace di accettare.
Non cambierà mai, Naruto.
Lui continuava a camminare.

Konohamaru mosse passi lenti verso l’uscio, affacciandosi a vedere le spalle di quello che stentava a riconoscere come il suo vecchio compagno di giochi.
Quello che aveva pensato potesse essere una sorta di guida.
Del tutto futile.
In un’espressione di improvvisa determinazione, il contadino si flesse.

Poc.
Naruto si voltò.

Konohamaru era ancora sbilanciato, il braccio leggermente teso, proiettato in avanti.

Naruto fece scivolare lo sguardo verso il basso.
Un sasso.



***



Tutto taceva.
Per quanto il silenzio fosse sempre stato permeante in quelle palazzine, ora andava facendosi surreale.
Sakura leggeva e studiava documenti e tomi, cercando disperatamente una via d’uscita.
Più scorreva il testo, più ripassava i punti cruciali, più realizzava che non c’era un modo di tornare indietro - in nessun senso.
Tsunade aveva pensato a cosa sarebbe successo dopo? O era stata tanto avventata da non preoccuparsene?
La ragazza espirò, esponendo le sue frustrazioni ad Itachi.
“Non sempre Tsunade ha agito secondo la sua volontà. Naruto non era certo una cosa che aveva fatto controvoglia - ma con le pressioni che c’erano... mi tratterrei dal darle la colpa.” rispose l’uomo.
Sakura parve smettere addirittura di respirare.
“Non volevo dare la colpa a Tsunade.” sussurrò, non avendo realmente mai pensato a nulla di lontanamente simile.
“Ma una colpa c’è - da qualche parte. Ed è indubbiamente anche sua.”
Lei si ammutolì, tornando alle carte.
Le gravava un peso, in testa - nel petto, sulle spalle e sino alle ginocchia.
Voler fare qualcosa era già stato un passo avanti. Un enorme passo avanti.
Ma il non riuscire a fare ciò che si voleva - quello era il prezzo da pagare.
L’esasperazione.


***


“Vattene via!” gridò Konohamaru, chinandosi, sfacciatamente, a raccogliere un altro sasso.
Naruto lo osservava, immobile.
“Via!”
E lo lanciò.

Vedi come va a finire, Naruto.

Naruto non si mosse.

Non può cambiare.

Lo osservava e basta.

Non cambierà.

Lo fissava e basta.
“Mi hai sentito!?” continuò a urlare Konohamaru, serrando i pugni - e Naruto sentì quella flessione stonata tipica della voce quando quello gridava.
La volpe, gonfiandosi dall’ira, sembrò riuscire ad allentare di molto le catene che la relegavano nel corpo di Naruto: ringhiando, prese il sopravvento su di lui, liberando energia incandescente e scarlatta mentre i tratti demoniaci andavano prendendo definitivamente la meglio.

Potessi andarmene, lo farei!” ruggì la volpe.

Konohamaru, scosso dal tuono della voce del demone e resosi conto della follia appena compiuta, indietreggiò tanto rapidamente da inciampare: si rialzò, osservando il corpo del ragazzo perdere ogni umanità a lui nota.
Ma non sperate che non intenda saldare il conto!

Da quanto tempo non si era sentito così?
Anni.
L’ultima volta in cui si era lasciato trascinare in fondo la baratro era stata anche la prima volta: dopodichè, attento, aveva sempre badato a tenere Kyuubi da parte.
Madre e matrigna, la andava definendo.
Erano a stessa cosa, ma erano divisi. Era lui - importava che fosse lui - doveva essere lui, perchè a Naruto importava essere, e questo suo bisogno aveva sempre tenuto a bada il demone.
Che la volpe gli volesse bene o no, che ormai il legame di prigione e prigioniero fosse degenerato, rimanevano un uomo e un demone chiuso nel suo corpo.
Ora, Naruto si stava lasciando andare.
Del tutto.

Konohamaru si rese conto entro breve che, da lì in poi, non si tornava indietro.
Tanto valeva andare avanti con il proprio passo, pensò il ragazzo.
“Non sei Naruto!!”
Il ragazzo demone esplose, appiattendo il contadino contro la parete sofferente della sua casupola.
E chi è Naruto?” ringhiò il demone, con la sua voce possente e surreale.
“Vattene via!”

Forse ora Naruto capiva cosa aveva guidato Gaara a lasciarsi scivolare nell’oblio.
Scuro, nero, vuoto.
Privo di qualsiasi pensiero e volontà.
Così era.
Perchè ormai Naruto non era nessuno.
La sua gente lo guardava con terrore.
La sua gente lo guardava come se lui fosse il demone.
Non importava cosa dicesse, importava solo la dentatura aguzza e lo sguardo scarlatto.
Importava ciò che loro avevano fatto di lui, non cosa lui avesse fatto di se stesso.
Andare al Ludus, per fare che, gli aveva chiesto Sasuke?
Avrebbe trovato un modo, pensava.
Avrebbe trovato una via.
Avrebbe fatto qualcosa.
Senza fare male a chi più amava: i suoi fratelli, i suoi compagni, la sua gente.

La pelle mutava colore come se si stesse bruciando, viva, sotto l’effetto del calore sferzante che emanava.
Sembrava non ci fosse più un corpo, o un muscolo, o un osso: era sostanza ed energia - amalgamata, compressa, spalmata.
E nero, nero, nero.
Non era più uomo, non era demone.
Era solo un essere che ringhiava dolore.

Falso.
Sbagliato.
Illuso.
Bivaccare per anni non aveva avuto senso.
Nulla aveva avuto senso.
Nemmeno il suo barlume di speranza e idee, quando aveva visto Sasuke e gli altri irrompere nela sua foresta, aveva un reale significato.
Non c’era significato.
C’era il demone.
C’era chi gli aveva impiantato il demone.
E poi c’era lui.
Il vettore.
Il metodo.
Il mezzo.
Carne da macello.

“Lascialo sta..-”.
Rombo.
Boato.
Un’onda di terra.
Cratere.

E Polvere.

***


Itachi sollevò il mento, come se avesse fiutato qualcosa.
Sakura sembrava non riuscire a ragionare, mentre l’ansia - quella vera - la coglieva per la prima volta nella sua vita. Si voltò verso Itachi, notando il suo gesto.
“Cosa c’è?” domandò, guardandosi attorno.
“Dovresti averlo sentito anche tu.”
Sakura si fermò, in ascolto.
“Aspetta.”
Poi l’onda d’urto arrivò.

***


L’effluxum si scosse, assieme alla terra in cui viaggiava: Sasuke, colto di sorpresa, scattò in piedi facendo scattare le sue iridi dal nero al rosso, guardandosi attorno.
“E’ un terremoto..?” mormorò Hinata, perplessa.
Kiba, metà degli arti steccati, schioccò la lingua sul palato.
“Direi di no.”
“Merda.”
Neji roteò gli occhi all’ennesima imprecazione di Sasuke.
E meno male che avevano lasciato Shikamaru a dirigere i Bellatores sui fronti con altri strateghi - se no, pensò il Custos, quel posto di sarebbe trasformato in una tana di Agricolae.

***


La terra tremò con una violenza che l’uomo non pensò di aver mai sentito prima - e sì che lui ne aveva viste veramente tante.
Per poco non slittò sulla roccia: Jiraya si appese alla parete, reggendosi, mentre si guardava indietro per verificare se gli altri Custodes erano sani.
Sì.
Riprese a camminare lungo il sentiero dismesso, che, fra un pericolare e l’altro, li avrebbe condotti in cima all’altipiano del Ludus.
Mancava poco, ma sarebbero arrivati in cima stremati: e quello che li attendeva, ne era certo, sarebbe stato assai peggio di quel cammino tanto tortuoso quanto antico.
“JirayaCho.” urlò, da lontano, uno dei tanti Bellatores che seguivano un lungo manipolo di Custodes. “Ne è caduto un altro!”
Jiraya serrò i denti, infastidito.
“Avanti!” ordinò, con il suo tono possente ed imperativo.
Non aveva tempo di preoccuparsi dei Bellatores che non erano capaci di arrampicarsi per un sentiero che, qualche secolo prima, i Custodes praticavano sistematicamente. Sarà anche stato malconcio - ma, guardacaso, nessun Custos si era ancora fatto sorprendere.
Bellatores.
Stupidi.
Nella mente dell’uomo sembrava non esserci spazio per loro: era affollata da ben altre cose.
Naruto. Il Rosso.
E il volto di Tsunade che ricompariva, quasi ritmico: l’ultimo suo volto che aveva visto, magro, denutrito, ma determinato. Determinato in modo disumano.
Cos’avrebbe fatto Tsunade, adesso? Itachi che uccide i suoi genitori, a confronto, non era nulla.
Il mondo sembrava stesse per conoscere la sua apocalisse. Nulla del genere era mai stato cntemplato, prima. Non credeva che ci fosse modo per contrastare un demone nel corpo di un Custodes. Era la potenza di un demone nel corpo di un ragazzo oltremodo addestrato: sì, era la loro arma, Doveva essere la loro arma vincente.
Vincente lo era.
Forse Jiraya doveva iniziare a preoccuparsi dei Bellatores: si voltò, quasi una sua coscienza lontana lo avesse violentato costringendolo a compiere gesto.
La colonna si fermò.
“Guardate dove andate.” tuonò.
Tsunade, Tsunade.
Non era sempre tutto semplice come sembrava, non era forse vero?
“Il passo è meno importante della vostra vita.”
I Bellatores erano stupidi. Sì.
Perchè erano stati addestrati in modo stupido.
E lui era stato stupido a rendersene conto solo in quel momento.
“In questo caso rallentare la colonna non è un dramma - diamine, sappiate valutare le situazioni!”
I Bellatores non sapevano valutare le situazioni.
Ma nemmeno loro, in realtà, Custodes come lui i Philosophi come Tsunade, erano realmente stati capaci di valutare le situazioni.
Nessuno era stato capace di valutare seriamente Naruto.
Jiraya voltò le spalle alla colonna, tornando a guidare.

***


Non si rese conto di nulla.
Non poteva più rendersi conto.
Kyuubi esplodeva, e basta.
Kyuubi, furiosa di rabbia - per lei e per lui.
Kyuubi che sentiva lo sconforto del suo bambino.
Kyuubi che non era più prigioniera.
Adesso andiamo, bambino mio.
Adesso andiamo a farla finita.



Shounen yo kiite kure ningen nante taishita mon ja nai sa

Ashita nante moui ranai kara nigitta kobushi wo kakusu na yo


[Ragazzo, ascoltami: gli umani non sono poi così una gran cosa.

Non hai bisogno di qualcosa come il domani, non nascondere il tuo pugno serrato.]


No Boy No Cry - Stace Punks






_____________________________



Ogni tanto rileggo i capitoli e trovo incongruenze sparse T_T devo risistemare, augh. domando scusa - sono relativamente inezie, ma fastidiose. ><’

mmmh, tanto per far la pignola: in fisica lo Strappo è, mh, diciamo la quantità successiva all'accelerazione:
la velocità è la variazione di spazio nel tempo
l'accelerazione è la variazione di velocità nel tempo
lo strappo è la variazione di accelerazione nel tempo.
Grande strappo, grande variazione di accelerazione, ENORME variazione di velocità, MOSTRUOSA variazione di spazio.
Ergo, POTENTE. u.u'
tecnicamente si potrebbe andare avanti all'infinito, ma la nomenclatura si ferma qui xD
ovviamente il titolo rende anche senza la spiegazione dell'improvvisata schifoprof qui presente, ma era tanto per far un po' i puntigliosi. xD





BENE BENE BENE BENE BENE *si stropiccia le mani* ci siamo *-*
è stato sofferto, eh. Davvero. Mi premeva tantissimo mettere Konohamaru, però gestirlo è stato un casino. Dovrebbe filare.
adesso mi metto, gongolante a gaudente, a scrivere i capitolo 41 - detto anche, assieme al 42 e il 43 - Il Motivo Per Cui Mi Sono Messa E Ho Insistito A Scrivere Questa Fan Fiction.

Potrebbe essere lunghetto.
Ma fa niente.


rileggendo l’ultimo capitolo mi domandavo se le parole di itachi non potessero sembrare in effetti troppo mielose o,o
però boh, considerato che ci abbiam messo 40 capitoli per arrivare alla conclusione che in quel mondo lo stravolgimento è arrivato da chi provava affetto e/o amore verso qualcuno e/o qualcosa (sottolineiamo Qualcosa, aka la regio, per quanto riguarda Naruto) ... forse era legittimo, ma onestamente non so é.è’ aaah - ecco perchè non devo mettermi a rileggere i capitoli T^T anche se poi spopolano gli errori di battitura xD aiohaioh
Anzi, grazie a LeGren che continua a pigliarmeli, e domando scusa per gli apostrofi... è una lunga storia xD






*Reki: :3 bhe sono felice che sia piaciuto a te in particolare. Come ho detto sopra mi sembrava mieloso ><’ però... bhe, ririririleggendolo direi che regge. In effetti non penso che si possa ridurre ad un disneyano *vogliamoci bene*. almeno lo sperò ._. ç__ç’

*LeGren: riringrazio per la segnalazione degli errori. Fa sempre piacere vedere che i lettori colgono :3 anzi, considerata com’è la mia storia e come sono io, è decisamente Entusiasmante notare che c’è qualche altra persona che coglie quello che volevo trasmettere, a partire dalle odissee dei vari pg. :D
per quanto riguarda il dialetto, lo scrivo un po' a caso cercando di mescolare quelli che conosco con un minimo di coerenza - io me lo sento a metà fra il toscano e il romano, con accenni di veneziano e un po' di calabbrese. xD però ognuno è libero, eh xD

*Greed: ewww, tu esageri sempre éwè’ si Naruto manga ultimamente mi sta scocciando - e sì che, i confronto a molti altri che conosco, io sono un’irriducibile: altri si sono stufati prima. Mi farebbe piacere arrivare al dunque - anche se ammetto che conoscere la storia di Kushina e MInato mi ha fatto gongolare parecchio xD. Per il resto, come al solito, grazie. Anzi, ribadisco: esgeri xD
oh, sono felice che tu abbia comprato la repubblica *w* immagino che se all’epoca fossero esistiti i romanzi, platone ne avrebbe scritto uno xD come ha fatto Moro con Utopia e a seguire, sino ad Orwell... soprattuto Orwell. Ricordiamo comunque che la repubblica è una utopia positiva, la mia fic NO xD semmai farai filosofia a scuola ti auguro di trovare un buon prof perchè, in tal caso, la materia ufficialmente fra le più noiose del liceo potrebbe rivelarsi in assoluto la più stimolante. In teoria vale per qualsiasi buon professore con la sua materia, ma filosofia in particolar modo D: (sì, rientro nella categoria dei fortunati. xD diocheculochehoavuto)


detto questo,
ciao gente, ci vediamo con l’inizio della fine :D


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Capitolo 42
*** 41 (Fratelli - II: Fati Frates) ***


41




41. Fratelli - II: Fati Frates




Deep inside these burning buildings
Voices die to be heard
Years we spent teaching a lesson
We ourselves had never learned

And if strength is born from heartbreak
Then mountains I could move
And if walls could speak I'd pray
That they would tell me what to do.
 (Nel profondo di questi edifici brucianti
voci muoiono per essere sentite:
abbiamo speso anni ad insegnare una lezione
che noi stessi non abbiamo mai imparato.

E se la forza nasce dall’afflizione
allora io potrei muovere le montagne;
e se i muri potessero parlare, li pregherei,
di dirmi cosa devo fare.)







Le luci traballarono per un istante, mentre il terreno in cui erano immersi si scuoteva con forza.
L'Ignis Umbra, chino sul tavolo, rimase immobile senza mutare espressione: attese, paziente, che la scossa finisse.
Quando il terreno - assieme alle pareti ed al soffitto - ebbero smesso di muoversi, rialzò il capo, guardandosi attorno. Il vociare dei bambini si era improvvisamente ammutolito, ed ora sembrava non volesse accennare a riprendere.
Erano così, i bambini del Ludus.
Riusciva ad immaginare i loro occhi puntati sul Magister più vicino, in attesa di istruzioni.
Ma tutti tacevano - Magistri compresi: metà di loro era fuori, all'aperto, in veste ormai di Custos.
Il vecchio flesse nuovamente la schiena, controllando che l'inchiostro si fosse asciugato. Dopo aver soffiato un paio di volte sulla carta, la arrotolò, stringendola con un nastro; la mise fra una delle mille pieghe della sua toga, molto all'interno - al sicuro.
Dopodiché, si alzò.
"Bisogna uccidere i prigionieri di guerra."


***

Sasuke scese con inaudita rapidità dall'effluxum non appena le porte scorrevoli si schiusero: prese a correre con talmente tanta forza che i suoi compagni andavano domandandosi da dove riusciva ad attingere energia.
"Sasuke!" lo richiamò Kakashi.
Il ragazzo non si voltò nemmeno: levò semplicemente la mandritta, nuda e scorticata, lasciando intendere al Rector, o Custos, o Ambasciatore che fosse, che gli servivano delle nuove armi.
Neji varcò a sua volta le porte dell'effluxum tenendo Kankuro ben saldo per il bavero della sua divisa bianca e corposa, ormai malconcia. Storse le labbra, sbuffando.
"Kakashi." fece, verso quello. 'E adesso?' domandava implicitamente.
Erano arrivati prima di Naruto?
E anche se fosse, cosa avrebbero potuto fare, dopo?
Avevano sequestrato ancora un po' del gas antidemone dei bianchi - sarebbe bastato? Era molto, sì - ma andava usato con enorme parsimonia ed altrettanta attenzione.
Kakashi continuava a guardare nella direzione verso cui era sparito Sasuke: proruppe in un lungo sospiro, scendendo, a sua volta, dall'effluxum.
Assieme a loro altri Custos richiamati al Ludus giungevano, e l'atmosfera che regnava nella stazione d'arrivo del mezzo di trasporto sembrava la più strana mai palpata: tutti tornavano, nessuno andava. E tornavano per combattere:  chi stanco, chi no, erano comunque tutti carichi e attenti.
Nessun giovanissimo o ragazzino: molto probabilmente gli studenti erano stati chiamati ai rifugi; posto dove, fra l'altro, Kakashi avrebbe dovuto presto mandare i suoi feriti. Si voltò verso Kiba, che si muoveva con molta difficoltà, aiutato da Shino e dal Medicus che li aveva curati.


***


"Ne è sicuro?" domandò uno dei Magister della scorta, voltandosi verso l'Ignis Umbra.
Il vecchio annuì. "Non possiamo permetterci di avere altri problemi, oltre al demone. E' probabile che possa distruggere abbastanza cose da liberarli, e allora avremmo più nemici di prima."
Meccanico e razionale come al solito, l'Ignis Umbra aveva la sensazione di stare ascoltando un uomo parlare con la sua voce, da fuori. Estraneo a se stesso, quello in cui confidava era aver specificato che bisognava uccidere i prigionieri di guerra.
In un modo o nell'altro, era un ordine che andava dato. Senza ombra di dubbio il Globus si sarebbe quantomeno insospettito di tale mancanza: stava già rischiando parecchio, sarebbe stato stupido ridurre ulteriormente il proprio tempo con un'omissione del genere.
Il Magister annuì, prendendo a parlare al suo bracciale.


***

"Shino, tu dovrai andare da solo."
Il Custos annuì.
"Ci sono altri tre Custodes che controllano gli insetti come te, cerca di trovarli e mettetevi nel bosco. So che voi controllori degli animali non potete fare molto, con Naruto - ma cerchiamo almeno di organizzarci. Kiba e Hinata, nel rifugio, portate con voi il gas antidemone e consegnatelo all'Ignis Umbra."
"Ma.."
"MA cosa, Kiba?" Kakashi sembrò ringhiare. "Dovresti essere sorpreso di non essere morto, e ti metti a fare MA come se volessi - combattere? Mi prendi in giro?"
Il ragazzo grugnì. Hinata, accanto a lui, rimaneva immobile e mogia.
Il bracciale di Kakashi sembrò gracchiare: l'uomo portò il polso all'orecchio, ascoltando.
"... questo cambia le cose."
I Custodes si guardarono. Kakashi accennò col mento al manipolo di guerrieri che avevano catturato. Si avvicinò a Neji, strappandogli letteralmente il bavero di Kankuro di mano.
"Neji, prendi tu i prigionieri - Kankuro mi serve."
"E che devo farne?"
"Ucciderli."
Hinata sussultò. Kiba la scrutò prima perplesso, poi roteando gli occhi: sembrava assurdo che non si fosse ancora abituata alla vita del Custodes.
Kankuro pareva essersi completamente ingobbito a quella novella: la benda che portava sugli occhi gli impediva di far vedere la sua espressione sgomenta e colpevole nella sua interezza.
Gli altri prigionieri, nelle stesse condizioni, si irrigidirono - uno di loro sembrò cercare la fuga.
La pallottola lo raggiunse in rapidità: Kakashi, l'arma ancora fumante in mano, strattonò Kankuro - il cui peso pareva essersi triplicato - e scoccò un'occhiata a Neji.
"Rapido."
"E di quello che ne fai?"
"Informazioni - hai presente, Neji, il lavoro di Rector e Ambasciatore, no?"
Il ragazzo storse la bocca, estraendo la calibro 45 dalla fondina: sarà stata forse la decima volta che la usava in tutta la sua vita. Normalmente, combatteva da molto lontano o da molto vicino: non era certo abituato a fare esecuzioni.
"Recupera Sasuke e poi uscite. Siamo tutti agli ordini dell'Ignis Umbra, quindi attenzione ai bracciali e alle comunicazioni radio."
Neji annuì, caricando la pistola.



***



Jiraya ebbe la sensazione di essere arrivato in cima appena in tempo: l'ordine di esecuzione di tutti i prigionieri di guerra aveva iniziato a fargli balenare in testa un'idea fastidiosa - resa ulteriormente scomoda dal fatto che non aveva ancora le prigioni sotto mano.
Di Naruto nessuna traccia, nonostante il fragore del terremoto che li aveva colpiti poco prima - ch'era stata spudoratamente opera sua. Sembrava di aver sentito un tuono lontano, e di stare aspettando, nel silenzio calmo tipico dell'isto prima della tempesta, il nubifragio più violento mai avvenuto.
"Bene - i Custodes al piazzale del Ludus" proruppe, non appena furono tutti al di fuori del sentiero "i Bellatores attorno, nella foresta - distanti. Siamo agli ordini dell'Ignis Umbra, e subito dopo di lui ci sono io - voglio che questo sia chiaro. Andate!"
I guerrieri - uomini e donne, adulti e qualche ragazzo -  annuirono rapidamente all'ordine e si dispersero, lasciando Jiraya da solo.


***

Quando tornò trovò una montagna di cadaveri.
Levò le sopracciglia perplesso, mentre si sistemava ancora i guanti sulle mani: gli facevano un po' male a causa delle abrasioni, ma adesso si sentiva finalmente armato - e, in un certo senso, più tranquillo.
"Li hai fatti fuori tu?" domandò a Neji, mentre andava per mettersi il collirio agli occhi ancora un po' brucianti.
"Siamo sotto gli ordini dell'Ignis Umbra per direttissima. Ti ho aspettato solo perché me lo ha detto Kakashi."
"Bene, grazie per le tue risposte centrate."
Neji sospirò."Certo che li ho fatti fuori io - mi spieghi cos'hai capito, adesso che lo sai?"
Sasuke sorrise - con una lontana saccenza e quel po' di disprezzo che gli atteggiamenti di Neji stesso gli avevano acceso: "Che hai almeno undici proiettili in meno."
"Farò in modo da non usare proiettili, in tal caso."

La surrealità della situazione sfiorava vette che solo Sasuke, chiacchierando mentre nuotava nel lago con Naruto, aveva toccato e superato. Tutto fremeva, ma fremeva in silenzio: si sentiva la carica, si sentivano i muscoli tesi, ma non si vedeva un singolo movimento. Le persone c'erano, ma sembravano statue.
L'aria di caos ordinato che aveva sempre aleggiato al Ludus era stata sostituita dall'ordine caotico tipico di un fronte in attesa. Neji e Sasuke, nel piazzale assieme a centinaia di altri Custodes, si guardavano attorno sfruttando la loro vista potenziata.


***


I prigionieri di guerra erano relativamente pochi: quelli sopravvissuti fino a quel giorno, per lo meno.
Jiraya si prese la briga di giustiziarli uno ad uno piantando loro un proiettile nel bel mezzo degli occhi: più della metà sembrò grato di quel gesto, il volto emaciato e stravolto dal trattamento che il Ludus e l'Ignis Regio riservavano ai nemici catturati.
Il Laniatus.
C'era solo una persona, lì, che non lo avesse mai sperimentato - i bianchi erano generalmente troppo stupidi per fidarsi delle dicerie, e prima di mettersi a dare informazioni sembrava proprio volessero controllare se questo Laniatus era terribile come tutti dicevano.
Ma lui non aveva nulla da confessare o da dire: e Jiraya lo lasciò per ultimo.
Lo sapeva che, lontano, lo stava prendendo una strana sensazione di conforto: forse per l'essersi accaparrato il compito di liberarsi dei prigionieri di guerra - pericolosissimi, nel caso in cui fossero stati liberati.
Avrebbe avuto l'occasione di fare qualcosa che non aveva mai potuto - e, se non si fosse sbrigato, sarebbe stata la sua ultima opportunità.
Cosa avrebbe pensato Tsunade se Jiraya stesso, suo vecchio amico, avesse ucciso di persona come un prigioniero qualunque la creatura, la sua creatura - con la quale lei aveva preteso di parlare qualche giorno prima della sua morte, impegnandosi con immensa determinazione per ottenere quel colloquio?
Cosa aveva Tsunade da dire al Difetto, e cosa aveva il Difetto da dire a Tsunade?
Era il momento di scoprirlo.
Assumersi il compito di liberarsi di prigionieri, impedendo che qualche stupido Custos di basso livello glieli uccidesse tutti senza distinguo, Itachi compreso, gli portava conforto.
Ma in qualche modo, questo conforto non lo confortava. Lo sconfortava, anzi.
Si sentiva scivolare, come quando aveva perso un paio di volte la presa lungo il sentierino che lo aveva guidato sino in cima all'altipiano: ma lì aveva rapidamente riacquistato l'equilibrio, mentre ora - bhe.
Avrebbe dovuto essere lì fuori per affrontare Naruto, assieme agli altri.
Ma il suo istinto lo guidava da Itachi.

***

"Ammazzami."
Kakashi si sedette sulla sua scrivania, le braccia serrate al petto, lo sguardo indagatore fisso su Kankuro.
Il bianco, che non comprendeva cosa diamine volesse l'altro da lui, si limitava a spronarlo a mettere fine alla sua esistenza.
Fuori stava per arrivare un demone - Il demone, Naruto - e Kakashi tornava nella sua modalità 'chiacchieriamo'. Che diavolo avesse in testa l'ambasciatore, Kankuro non lo comprendeva.
"Ti ho detto che non intendo farlo, Kankuro - piantala. Voglio parlarti."
"Col cazzo che mi fido di te, io! Ammazzami subito e basta - vigliacco come sei, mi aspetto solo che tu ti metta a parlarmi solo per piantarmi un proiettile in testa senza alcun preavviso! Sono un guerriero, non un coglione - concedimi un minimo di dignità e uccidimi subito, se sei tanto premuroso come passi il tempo a voler far credere!"
Kakashi espirò.
"Non è così semplice, Kankuro. E comunque non intendo ucciderti."
Kankuro esplose in un'imprecazione tanto potente che Kakashi non ne conosceva nemmeno il reale significato - ne' l'aveva mai sentita prima: il tono gli era però bastato a capire che il bianco era più furioso che mai.
"Naruto vi sta per distruggere tutto e tu stai qui a parlare con me! Che cazzo avete in testa, voi neri, eh?"
Kakashi espirò di nuovo.
Sospirò.
Scese dal tavolo.
Kankuro aveva ragione - magari, per vie trasverse: cosa avevano in testa, i Custodes?
"Mi serve il tuo aiuto."
"Scordatelo!"
"Non è per me, Kankuro. E' per lui."
"Un motivo in più per negartelo!"
"Devi solo..."
"NO!"

***

"Arriva."
"Non lo vedo, cazzo."
"Sasuke. Piantala."
Anche gli altri Custodes sembravano iniziare a fremere: nonostante non lo vedessero, l'aria aveva iniziato a farsi tesa.
"Non muoverti, Sasuke - o rendi inutile l'assetto."
"L'assetto - tsk. Vedrai che fine fa l'assetto quando compare Naruto."
Non era ancora salito sull'altopiano, e l'unica cosa che sapevano era che 'il nemico' - a loro soli noto come Naruto - stava arrivando da sud.
Il cuore di Sasuke iniziava ad agitarsi. Neji lo osservava cominciare a sudare, domandandosi da quando un elemento valido come lui avesse iniziato ad emozionarsi.
Aveva molto probabilmente a che fare con la sua caccia a Naruto.
"Continuo a non vederlo."
"Non è ancora salito - non vedi oltre le cose, fino a prova contraria."
"Quello sì che è un potere utile."
"Bha. Non sono d'accordo."
Sasuke si ammutolì di colpo.
"L'hai sentito?"
"No."
"Shht."

Difficile era pensare che a quel rumore infinitesimale succedesse, a distanza di pochi secondi, il boato più greve e potente che le loro orecchie avessero mai sentito.
Gli scosse i muscoli, i polmoni - gli fece vibrare le ossa stesse.
Sasuke non si mosse quando vide la figura comparire - piombare dal cielo, in una parabola che pareva del tutto insensata e irrispettosa delle leggi fisiche: gli occhi del Custos, scarlatti nella sua vista potenziata, erano sgranati e sgomenti.
Attonito era dire poco.
Le labbra schiuse.
I palmi congiunti e carichi.
I muscoli come morti.

Non era quello, l'essere che stava aspettando.


***

Quando Jiraya trovò la porta della cella di Itachi aperta, pensò di essere sconvolto.
Non sapeva cosa voleva dire sconvolto.
Lo sperimentò qualche secondo dopo, quando quell'urlo ringhiato gli squarciò i timpani.


Al piano di sopra, uno strillo acuto succedette, quasi contemporaneo, al frastuono che aveva scosso il Ludus.





***

Kankuro sentì con orrore quel verso, quel rumore lancinante e penetrante che gli fece fremere ogni singolo muscolo, in una scossa di terrore ed adrenalina.
Quello - oh, quello sembrava essere addirittura peggio del Rosso, peggio di Gaara.
Migliaia di volte.
Il bianco incollò lo sguardo sbarrato su Kakashi, che, a sua volta, era pietrificato.
Dopo istanti di silenzio gelato, sul volto di Kankuro si spanse un sorriso divertito.
"Bene - vuoi ancora aiutare il tuo pupillo?"
Kakashi tacque.
L'occhio sinistro del Rector, la cui pupilla si era colorata di rosso, tremava. Lo sguardo, definitivamente asimmetrico, sembrava focalizzato su qualcosa di lontano. Non vedeva attraverso i muri, ma quello - quello sembrava attraversarli di per sé.
"Oggi l'Ignis Regio muore, Kakashi."


***


Mosse il piede più arretrato, facendolo scivolare sul terreno.
Quello che vedeva andava oltre a qualsiasi cosa avesse contemplato nella sua misera vita.
Nero.
Energia scarlatta e densa ad attorniare un corpo ribollente - nero, ustionato, bruciato -, in cui si intravedeva lontano il ricordo di una forma umana: due gambe, due braccia.
E poi orecchie lunghe, ed occhi vuoti.
E code.
Miriadi di code.

Era quello l'aspetto di un demone?

Sasuke aveva il fiato rotto e non aveva ancora iniziato a combattere. Naruto - per quanto fosse restio ad associargli quel nome - lo fissava, statico in una posizione da cui avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
Naruto, di cui nessuna fattezza si poteva più riconoscere, lo scrutava, ma non lo vedeva.
Non vedeva nulla, se non umani.
Se non nemici.

Come avrebbe fermato una cosa del genere?

Congiunse i palmi, li allargò, lasciando sfrigolare l'elettricità davanti a sè.

Avrebbe dovuto fermarlo prima.
Avrebbe dovuto impegnarsi di più.
Ora di Naruto non era rimasta niente, se non l'ombra di una figura, se non un creaturo che tutto era tranne che il bambino, e poi il ragazzino, e poi il ragazzo che aveva conosciuto.
Sasuke aveva osato dubitare di lui, quando lo aveva rivisto, ore prima: si era domandato se fosse Naruto o se fosse il demone.
Ma no, quello con cui aveva parlato era Naruto.
Era la cosa che si trovava ora davanti, ad essere il demone.

"Via!"

Mirava a lui?
No.
Non lo aveva nemmeno riconosciuto.

Sasuke vide Neji scattare in avanti, in quello che gli sembrò un gesto assurdo: ma poi capì.
Con un colpo tirato a vuoto, Neji sembrò riuscire a scuotere il terreno - e a tangere il mostro, che parve sussultare.
Perché Neji vedeva, vedeva lontano, e vedeva anche il corpo, dentro, nell'energia stessa che questo faceva fluire: e Neji poteva malleare le cose, con quella sua vista portentosa, poteva gestire la sua energia sino a colpire nell'unico e ben nascosto punto debole dell'avversario.
Per questo Neji combatteva o da molto vicino o da molto lontano.

La battaglia era aperta.

***

"E' lui?" domandò Sakura, con la voce rotta.
Itachi non rispose, rendendo la domanda retorica.
Sakura tremava, impaurita, domandandosi come avrebbe potuto anche solo pensare di liberare Naruto da quello.
"Cerca, Sakura."

Cerca, sì.
Ma non è detto che trova.


***

Centinaia di Custodes si avventarono sul demone: spari, fuochi, addirittura mitraglie, scosse, e colpi al vento.
Soprattutto scosse.
E soprattutto colpi al vento.

Sasuke e Neji sudavano più di quanto non avessero mai fatto in tutta la loro vita: il demone rimaneva lì, nonostante i loro sforzi.
Ringhiava, o forse guaiva, ogni volta che veniva colpito, e girandosi violentemente lanciava fiotti di energia pura e distruggeva quello che trovava.
Uccideva.
Sì, Naruto uccideva.

Naruto uccideva.

I suoi fratelli.

"Naruto! Basta!"
E Neji osservava Sasuke sgolarsi, con lo sguardo di chi guarda un suicida.

Rumori acuti, stridii, poi pesanti e grevi: una intera palazzina di alloggi che crollava esanime sotto i colpi del demone.
Polvere.
Altra polvere.
E terra che trema.
Fuoco, dei lanciafiamme: inutile.
Sasuke cercava di avvicinarsi: nonostante riuscisse a lanciare saette da distanze abbastanza lontane, aveva bisogno di toccarlo per riuscire a scaricare decentemente i guanti - per essere efficace.
E soprattutto, voleva guardarlo negli occhi.

Rotolò.
Contraccolpo inaspettato, le urla - che si spengono in gola: le urla dei morti.

Sasuke si rierse in piedi, la divisa che andava riducendosi a brani: Neji insisteva, lo vedeva con la coda dell'occhio, e accanto a lui vide dei ragazzini di forse quindici anni giungere a dare man forte al compagno.
Ce n'erano altri, sì. Altri come loro.
Altri come Neji.
Eccoli lì.

Ragionava male.
Forse non ragionava.

Si alzò in piedi malamente, mentre osservava il mostro che si dibatteva e spazzava via, affondando gli artigli nel terreno, altre schiere di Custodes, altri edifici che si accartocciavano addosso ai cadaveri e seppellivano vivi i loro compagni.

I suoi compagni.
I suoi fratelli.

"Naruto!"

A Sasuke il fiato mancava.
Barcollava, gli occhi che gli si incendiavano dal dolore.

Riconobbe TenTen e i suoi coltelli, che andavano conficcandosi nel corpo della bestia, assieme alle pallottole: questo inarcava la schiena, urlava e ringhiava.

"Naruto!"

Serrando i denti si avvicinò, passi pesanti, il sapore del sangue in bocca.
Caricò, lanciò.
Luce azzurra nell'aria.
Vide la bestia tremare un istante, poi volgersi verso di lui, rabbiosa e furente.

"Naruto! Guarda cosa stai facendo!"

Rispose ringhiando.


E poi scuotendo il terreno.
E poi uccidendo.
Tutti.
Distruggendo.
Tutto.

E cadevano.
L'uno dopo l'altro.
Come foglie, mentre il piazzale del Ludus si ricopriva di sangue.
Di sangue del fuoco.
Di sangue di Custos.

Erano lì, a difendere se stessi
a proteggere la Sphaera che si ammaccava, tremava
e sulla cui superficie di vetro si spandevano le incrinature, sofferenti.

Sarebbe morto, pensava.
Sarebbe morto.
Sarebbero morti tutti.
Lo stavano già facendo.

E loro, i talentuosi?
Servivano?
No.
Non se ne faceva niente, dei suoi occhi, davanti a Naruto,
davanti ad energia pura,
davanti a furore condensato.
E se fossero stati anche loro,
così,
demoni - non era dato sapere:
ma ora, era vano.

Lui,
Neji
e gli altri ragazzi e ragazzini che vedeva comparire
e che vedeva sferrare colpi precisi e netti
non potevano nulla.

Nulla le armi
nulla le scosse
nulla i proiettili
nulla le lame.


Sarebbero morti lì
non difendendo la regio, ma se stessi
il Ludus, la loro casa
da Naruto

che avrebbe vinto.

Ma quello non era Naruto.
Quello era il demone,
un demone furente,
ricoperto del suo e dell'altrui sangue,
dalle zanne scure
e gli occhi vacui.

Quella era l'apocalisse.














The drones all slave away, they're working overtime,
They serve a faceless queen, they never question why.
Disciples of a God, that neither lives nor breathes.
(I droni sfaticano in continuazione, lavorano oltremodo,
loro servono una regina senza volto, loro non chiedono mai perchè.
Discepoli di un Dio che non ha mai vissuto ne’ respirato.)














***

Non un rumore proveniva dal rifugio, seppure tutto attorno fosse un concerto di stridii e boati e rumori dal suono ben difficile da descrivere.
Gli ultimi arrivati - due Custodes feriti che avevano portato con sè il gas antidemone -, si erano seduti per terra.
Si sentivano i crolli e i ringhi, mentre le pareti metalliche tremavano e le luci fremevano.
Erano circa tremila, bambini e ragazzini, Magistri e ragazzi che andavano per Philosophus: sparsi fra stanze in cui regnava il silenzio.
Si sentivano rombi, e il mondo si scuoteva.
L'Ignis Umbra camminava lento, senza mutare espressione - la mente assente, lo sguardo che cercava.
Non la trovava.
Uno dei Magistri di scorta si avvicinò a lui, parlandogli piano.
"I delegati del Globus sono fermi nel villaggio più prossimo. I collegamenti sono saltati, l'Effluxum non ha retto alle scosse."
L'Ignis Umbra annuì.
"Cosa stanno facendo, i due delegati?" domandò poi.
Il Magister tacque: sembrava non sapesse rispondere.
"Immagino che attendano."
"La fine?"
L'altro di ammutolì di nuovo.
Il vecchio continuava a camminare, osservandosi attorno.
Sakura non c'era.
"Proviamo col gas. "
"Funziona?" domandò attonito il Magister.
"Non ti fidi del Rector Kakashi, forse?"
"No - certo, ma..."
"Con attenzione. Molta attenzione. Poco, mi raccomando - usatene poco e vedete cosa succede. Non ne abbiamo a bizzeffe, e potremmo solo che farlo arrabbiare."


***
L'incrinatura di una parete, che serpeggiò rapida fiorendo in miriadi di spaccature, fece sussultare Kakashi, portandolo alla decisione che stava sistematicamente mancando: si avvicinò a Kankuro, estraendo il coltello che come ogni buon Custos portava alla caviglia.
Il bianco parve gelare per un istante, riconoscendo che forse Kakashi aveva deciso di accettare il suo invito ad ucciderlo.
Quello, invece, lo slegò, tagliando le funi.
"Ma che cazzo fai?"
"Oh - piantala di parlare come un Agricola, Kankuro: dobbiamo andare via di qua."
Non appena potè muoversi, Kankuro balzò indietro, flesso sulle gambe.
Kakashi ignorò l'atteggiamento dell'altro, muovendosi rapido verso la porta.
"Non ho alcuna intenzione di seguirti, Kakashi!" specificò il bianco.
"Allora puoi restare benissimo qui a farti seppellire vivo."
L'ennesimo tremore parve sottolineare la frase dell'ambasciatore: tre secondi di riluttanza, e Kankuro lo seguì - deciso a dileguarsi appena possibile.

***

Quando Jiraya se lo trovò davanti, non si mosse.
La scena che vide non era una scena che pensava avesse mai potuto avere un senso - forse, sino ad allora.
Vide qualcosa che non aveva realmente mai contemplato.
Il Difetto, libero della camicia di forza, pareva guardare fuori dalla finestra, mentre una ragazza - in veste da Medicus - era china su di una branda dove erano sparpagliati fogli bianchi e neri.
Soprattutto neri.
Sakura, sentendo il respiro affannoso di Jiraya, levò il capo, tremante - gli occhi umidi per lo sconforto che la attorniava.
Itachi non si mosse.
"Ciao." disse il Difetto.
La ragazza schiuse le labbra: la testa le vorticava, ed ormai andava rinunciando nel cercare una logica negli eventi.
La terra tremò per l'ennesima volta, e per l'ennesima volte le urla dei Custodes si sovrapponevano ai ringhi sommessi di Naruto.


***


Sasuke vide la bestia fermarsi di colpo: dal susseguirsi di gesti tanto apparentemente scoordinati quando distruttivi, s'era congelata in una posizione da cui sembrò non volersi più muovere.
Poi, la vide incurvare la schiena.
Abbassare il capo.
Sempre più, sempre più in basso - mentre un lamento gutturale si iniziava ad innalzare dal suo ventre compresso, sostituendosi alle grida animali furenti ed irate che aveva lanciato sino ad allora.
Dovevano avere usato il gas.
Si mosse in avanti, ansante, i polmoni in fiamme come la gola: o adesso, o mai più.

Gli altri Custodes continuavano a sparare, a lanciare, a infierire su una bestia momentaneamente scoperta e debole.
Al ragazzo parve di sentire la sofferenza che il gas gli aveva provocato, condensata in quel lamento lieve e basso che accompagnava il suo raggomitolarsi.
Serrando i denti, Sasuke strofinò i palmi e gli si avventò addosso, pronto a toccare il demone per farlo sussultare sotto la spinta della scossa elettrica.
Un passo, un balzo.
Naruto si voltò di colpo.

E gli fu addosso.


***

Sakura e Jiraya si fissarono a lungo, per lungo tempo.
Non si conoscevano, no.
E nessuno dei due comprendeva la presenza dell'altro in quell'ambulatorio rintanato nel primo piano della prigione-ospedale.
"Jiraya."
Ma Itachi - "Itachi."
Ricordava.
"Come mai qui?"
Sakura scrutava i due scambiarsi battute che trascendevano il luogo e il momento in cui venivano dette: il mondo franava, la bestia urlava - e loro due si salutavano.
"Cosa state facendo?" domandò Jiraya, quasi con sorpresa.
"Cerchiamo un modo di liberare Naruto."
Fu Sakura a rispondere.
Sakura, la cui mente era aggrovigliata dall'incapacità di trovare una risposta, afflitta dalla paura di non trovarla, aveva comunque trovato la forza di ergere il busto e la sua voce.
Itachi sorrise nel sentire la ragazza reagire.
L'uomo si voltò verso il Custos, come se lo stesse guardando - come faceva sempre.
"Ci aiuti?"
Jiraya tacque, attonito.


***

Rotolò.
Ma non era quello.
Sbatté la testa.
Ma non era quello.

Erano gli artigli del demone su di lui, roventi, - no, di più, come fossero composti d'acido: lo presero per le spalle e lo scaraventarono a terra.
Sasuke rilasciò la scossa, mentre i rimasugli della sua tuta si scioglievano, bruciandosi sotto l'energia di cui era composto quel corpo.
Naruto sussultò al colpo ricevuto.
Si lanciò indietro ringhiando e scuotendo il capo: Sasuke, dolorante, cercò di rialzarsi.
Neji seguì, e colpì il demone.
"Naruto!"
Sasuke continuava a chiamarlo.
E forse lo avrebbe chiamato per sempre.

Il demone barcollò, poi ringhiò: e le pallottole ripresero.

Sembrò appallottolarsi su se stesso, gemendo con quella voce oltreumana.
Neji insistette, lanciando palmate per aria che facevano sussultare il mostro di volta in volta.

Gli altri Custodes, dietro, insistevano: i ragazzini dotati della stessa vista di Neji rincaravano la dose, le pallottole e le fiamme e le scosse e le lame si avventavano sul demone indifeso.

Indifeso.

Sasuke si ritrovò sorpreso nell'associare quella parola all'essere che aveva appena distrutto più di metà del Ludus, uccidendo valanghe di Custodes.

Indifeso.


Figlio della regio
andava per essere ucciso dalla stessa regio.
Sì.
Il demone stava per essere soppresso.
Il demone.
Naruto.
Quale demone?

Una bestia dai poteri straordinari,
racchiusa in un ragazzo che sarebbe stato comunque un buon Custos.

Naruto.

Una creazione della regio.
Come lui
come Neji
Hinata
o Kiba
o Shino
- o i ragazzi che lì vedeva, impegnati a colpire,
stanchi, ma perseveranti,
il demone.


Il demone indifeso.

"Naruto."
Forse, forse ucciderlo era la cosa migliore.
Lo aveva praticamente chiesto lui, d'altronde.

Sasuke caricò i guanti, il fiato più grosso che mai, e gli occhi sempre brucianti.
Staccò, e con un gesto netto calò la scossa sul corpo della bestia.

Che sembrò ferma.
Che sembrò immobile.

Sembrò morta, mossa solo dai continui colpi che si avventavano su di lei.

"BASTA!"

Sasuke sentì la sua stessa voce tuonare - e si fermarono.
Si fermarono, nonostante lui non avesse autorità.
E si guardarono.
Si guardarono, scoprendo d'essere un centinaio scarso.
Soli.
Superstiti.

Il cemento del piazzale disseminato di cadaveri e macerie.
Il profilo del campus irregolare, polveroso, ammaccato: punte aguzze di edifici crollati a metà, o mucchi di cemento e pietrisco.

La bestia sussultò.

"Non fermatevi - quello non molla!" gridò un Custos riprendendo a sparare.

Sotto i colpi ripresi come pioggia, il demone non si mosse.
Sasuke, che aveva ormai rinunciato ad attaccare Naruto - o quel che restava di Naruto - osservava con gli occhi spenti, le pupille nere - stanchi.
Respirò.
E continuò a respirare, affannato.

Non lo vide muoversi.
Non lo vide prepararsi.
Non lo vide e basta.

Ma un istante dopo, il corpo nero e rovente del demone era addosso a lui - comparso dal nulla, rinato dal nulla.

E bruciava
e ringhiava
e stringeva
e il Custos era convinto d'aver visto il volto della morte dritto davanti ai suoi occhi.



Neji vide solo un lampo d'energia, che lo sbalzò lontano, assieme agli altri.
Idioti - si disse - idioti a pensare che potesse essere così facile.



Con un colpo di reni si scansò, rotolando, si spostò, e senza nemmeno sapere con quale forza colpì il volto del bestio: in tutta risposta, quello urlò ringhiando - soffiandogli addosso.
"Naruto!"
Ricordava quella scena.
Anni prima.
Ricordava il terrore di vedere un mostro tenere la tua vita fra le mani. Ricordava lo sgomento di scoprire che quel mostro era un proprio compagno.
Il proprio compagno.
"Hai ucciso centinaia di Custodes - sarai contento, adesso!"
E la voce di Sasuke era roca, roca al continuo urlare e respirare più aria di quanta non ne potessero assimilare i polmoni.
La bestia lo prese per il bavero, caricando l'arto libero - gli artigli affilati pronti ad avventarsi su di lui.
E farla finita.

Déjà vu.

Macchè - peggio.
Molto peggio: allora era un ragazzino con gli occhi d'un demone.
Ora era un demone e basta.

E lui, i suoi occhi?
Ora neri, perché esausti?
Li sgranò, come quello decise definitivamente di colpirlo.

La fine aveva la forma di una mano artigliata.
Quello che sentì addosso non era il suo finale, ma il finale di Naruto.
Naruto che s'era già perso, così, avrebbe del tutto concluso.
Era morto, sì.
Perché Naruto non lo avrebbe mai fatto.

Naruto non c'era.

Questo pensò quando la mano artigliata gli si avventò sul volto.

Sentì la testa compressarglisi, i tendini dei bulbi oculari tesi tanto da percepirli sul punto di rompersi.
E gli occhi, prima in croce, poi premuti - i suoi occhi, che mai lo tradirono, gli fecero partire una scossa di dolore tanto acuto che, forse, allora comprese cosa voleva dire preferire ad essa la morte.


***


"Naruto."
Il corpo di Naruto galleggiava. Lo guardava e basta, galleggiando.
"Naruto."
Il corpo di Naruto navigava. Lo guardava e basta, navigando.
Gli occhi azzurri erano persi, fuori fuoco, vuoti e vacui.
Davanti a Sasuke s'erse un volto scarlatto.
Un muso affilato dagli occhi demoniaci, le zanne lunghe, le labbra nere.
Lunghe orecchie, ed una miriade di code.
    "Naruto non c'è."
Tuonò il demone.
Sasuke lo fissò a lungo, il volto sorprendentemente imperturbabile.
"Lascialo andare."
La volpe ringhiò.
    "A voialtri, che ne avete saputo fare solo che un relitto?"
Sasuke tacque.
Mosse passi lenti verso il corpo di Naruto.
Lo scrutò.
Lo scrutò a lungo.
"Così sei tu il demone."
E la volpe ringhiò di nuovo.
"Naruto - non finirà bene."
    "Naruto non c'è. Lo avete ucciso voialtri."
Lo sguardo di Sasuke si posò nuovamente sul demone: decise di avvicinarsi.
Un passo.
Un altro.
Faccia a faccia.
    "Solo  io posso realmente salvarlo."
sentenziò la volpe.
Sasuke rimase lì, fermo.
E il corpo di Naruto galleggiava.
Morto.
Sasuke tese la mano verso il demone, che lo osservava ringhiando.
Prima lo sfiorò.
E poi, con un tocco deciso, lo colpì.

Vortice.



***

Riprese coscienza sentendo un singulto soffocato, rotto in un sussurro, e un tremore.
Si ritrovò a cavalcioni, insanguinato, la mandritta stretta attorno al collo di Naruto.
Di Naruto.
Non del bestio nero e distruttivo che aveva combattuto sino ad allora.
Era ancora indemoniato, ma lo riconosceva. Riconosceva il volto leggermente squadrato, con la barba bionda ed incolta, i sei segni a baffo inabissati nella carne, sanguinanti; gli occhi scarlatti dalla pupilla nera e allungata, i capelli biondi e malconci.
Ritrovatosi addosso a lui, ne sentiva il respiro, rapido quanto estenuato - ma finalmente, umano.
L'uno con gli occhi incollati sull'altro, il sangue rappreso, le ferite esposte, il sudore della battaglia sul volto.
Non videro cosa c'era attorno.
Vedevano ognuno solo colui che gli stava di fronte.
Un respiro, un altro - ogni inspirazione era più faticosa della precedente.
Muti, se non per quei rumori, gorgoglianti, esausti.
Naruto aveva un'espressione stravolta, ed il corpo ridotto a brani di carne e di pelle.
"Sas'ke..."
Era un rantolo.
Sasuke lasciò lentamente il collo del biondo, posando il capo di quello sulla terra - rocciosa e polverosa, sconnessa; i capelli corvini, ridotti a ciocche bagnate, gli penzolavano davanti agli occhi in fili pesanti.
Lo aveva riportato indietro.
Per la seconda volta.
Il Custos iniziò ad evidenziare le presenze degli altri attorno a lui, che scrutavano la scena sgomenti, convinti che Sasuke avesse finalmente fermato il demonio.
Lo sguardo di Naruto era perso.
E per quanto fosse malconcio ed inumano, nel volto Sasuke vi scorse i lineamenti del bambino ch'era stato studente del Ludus.
"Cosa ho fatto."
Domanda.
No.
Affermazione.
No.
Sgomento.
No.
Solo un rantolo.
E le lacrime - le lacrime che Sasuke rivedeva su quel volto deforme: ma ora no - ora era peggio.
Niente, avrebbe voluto dirgli Sasuke.
Tu non hai fatto niente.
Naruto tremava sotto di lui, fissandolo.
"Come hai fatto ad entrare?"
domandò il biondo, la voce smorzata.
Sasuke non si mosse.
"Come hai fatto a sedare la volpe?"
Stava morendo fra le sue braccia, e continuava a fare domande.
L'una dopo l'altra, lo sguardo allucinato che però continuava a pretendere risposte.
Che il Custos non conosceva.
Naruto levò lentamente le braccia, fino a portare le mani artigliate al volto di Sasuke.
"Guardaci, Sas'ke."
Respiri scoordinati e affannati.
"Guardami."

Una battaglia febbrile si stava risolvendo in un dialogo fra derelitti.

Sasuke sentì gli artigli di Naruto conficcarsi nella carne delle sue gote.
Prima premendo, poi lacerando.
"Guarda cosa ho fatto." sussurrò roco, gli occhi affilati ed umidi, incollati sui suoi.
Sentì tirare: tre unghie affilate da un lato, tre dall'altro.
Gli addominali di Naruto si contrassero, sollevando le schiena a fargli raggiungere il volto dell'altro, meno di una spanna, sguardo fisso.
Tirò ancora.
Sasuke si flesse, perso nell'espressione immutevole di quello, che non riusciva a codificare - se non per una botta d'adrenalina che gli si lanciò in corpo.
Tirò ancora.
Disegnando sulle gote di Sasuke tre segni per lato, profondi, incisi e sanguinanti.
Tre ferite.
Tre future cicatrici.
Sasuke non si muoveva.
"Sas'ke... questa è la prova."
No.
"Che va oltre al dubbio."
Lo aveva temuto, sì. Ci pensava, sì.
Ma che fosse realtà.
Quella era un'altra cosa.
"Tu ed io, Sas'ke."
Voce rotta, flebile.
Con quei canini affilati e quei lineamenti inumani.
"Siamo uguali."
Sussurrò.

Sasuke non rispose.









Shout confessions from the greatest heights, where no one can hear,
All my fears, my insecurities are falling like tears.
If you see me, please just walk on by, walk on by.
Forget my name and I'll forget it too.
Failed attempts at living simple lives, simple lives
Are what keep me coming back to you. 
(Urlo confessioni dalle più alte vette, dove nessuno può sentire:
tutte le mie paure, le mie insicurezza, cadono come lacrime.

E se mi vedi, per favore: cammina solo avanti - cammina avanti.
Dimentica il mio nome, e lo dimenticherò anch'io.
Tentativi falliti di vivere vite semplici - vite semplici
sono ciò che mi trattiene dal tornare da te.)


[Rise Against - Drones]


















__________________________________________________________________________________________________


*gorgoglii  indecifrabili*

Io. Spero. Vi Piaccia.
Perchè è una vita che attendo di scriverlo.

Ovviamente si è rivelato molto più contorto di quanto non avevo mai pensato, ma vabè.

Questo capitolo va con dedica a Rekichan, con sommi ringraziamenti - sperando sia anche solo la metà di quello che andavo in giro promettendo xD

Sì è lungo.
Vi avevo avvertiti ._.

Davvero spero gradiate - e se no cicce, perchè *ewwww* - gongola. Me lo adora.


Tanto per diritto di cronaca, ho avuto in mente questa scena da almeno due anni, complice questa fanart che mi ha stritolato il cuore: http://fc03.deviantart.net/fs30/f/2008/066/7/3/___Naruto___Stay_with_Me____by_orin.jpg

Per il resto, adoro aver completamente rigirato i ruoli, sì. Era quello che volevo.






@Vix: 'romanzo' direi che è un complimento, le altre note sono meri dati di fatto... so che mi sono persa una grande fetta di lettori con una storia del genere, ma, come si suol dir da noi, 'cicce'. Si scrive quel che si vuole scrivere, non quello che gli altri vogliono leggere.
:D
comunque grazie per i complimenti, mi hanno fatto estremamente piacere. Ah, sì, e sono felice che ti sia piaciuta la struttura sociale da usare in una partita di D&D xD buona fortuna xD




@LaGren:
Jack, sì, chiaro!
Oh, donna, certo che a te non te ne sfugge UNA. E poi chiudi citando i Doors... ammore xD

sì, non sono una fan dell'accendo aperto xD ma la questione è estremamente semplice: 1. devo fare la fatica di maiuscolare la è accentata, il che non mi è assolutamente naturale; 2: l'accento aperto è assolutamente inutile. E' vero! Negalo: trovami una parola che scritta (in italiano) con accento aperto o con accento chiuso mi dia due significati diversi.
Non c'è.
ERGO la distinzione fra i due accenti è del tuto Superflua ai fini della scrittura, un palese rimasuglio storico: la pronuncia viene da sè - altrimenti, dovremmo scrivere tutte le parole con i VERI accenti giusti, tìpo ìn quésto mòdo - per non parlare degli accenti circonflessi e i trattini delle lunghe.
Sì, è una pontifica che dovrei far notare agli omini dell'accademia della crusca u.u
ogni tanto gli accenti giusti compaiono perchè il correttore me li aggiusta xD *lol*


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Capitolo 43
*** 42 (Domino) ***


42

Respiro.
Silenzio.
Respiro.
Silenzio.
Respiro.
Nero.

Sasuke scendeva col busto, avvicinandosi sempre di più a Naruto, ancora a terra.
Non uno dei due aveva uno sguardo sano.

Respiro.
Silenzio.
Respiro.
Silenzio.
Respiro.
Rosso.

Naruto, le palpebre pesanti, continuava a guardarlo.
Senza nemmeno la forza di fornire un'espressione al suo volto, scrutava e basta.
Il suo corpo, mortale, era in fin di vita.

Respiro.
Silenzio.
Respiro.
Silenzio.
Respiro.

"Dovrei ucciderti." Sussurrò Sasuke all'orecchio del biondo.
Naruto non si mosse.
Un vago tremore lasciò intuire che voleva sorridere.
"Intendi farlo?" domandò.

Respiro.

Attese.
Attese di ammetterlo a sé stesso, prima di rispondere.

Respiro.
Silenzio.
Respiro.

"No."
Naruto girò stancamente il volto verso Sasuke, per tornare a guardarlo.

Respiro.

"Piangi sangue, Sas'ke?"

Silenzio.

Due rivoli rossi e densi scendevano dagli occhi ora scuri di Sasuke: si posavano sugli zigomi, scivolavano sulle guance e inciampavano nella prima delle ferite che Naruto gli aveva inciso - unendosi così al sangue che discendeva da questi, e raggiungeva il mento.
Sasuke sollevò leggermente le spalle, tornando così con il volto di fronte a quello di Naruto, steso a terra.
Plic.
E la goccia scarlatta si posò sulle labbra scure del biondo.

Respiro.
Silenzio.

Con un gemito, Sasuke si accasciò addosso a Naruto, esanime.
Il biondo chiuse gli occhi, mentre i Custodes, fra urla rinate e sorprese, si avventavano addosso ai due.






42. Domino


Calava il buio.
Letterale e metaforico, avvolgeva quello che rimaneva del Ludus in una coltre di silenzio leggero, di aria fredda e di oscurità.
Macerie.
La pavimentazione era puntellata di crateri e solchi, ora rialzata ed ora scoscesa, rotta in frantumi larghi e disordinati, sconnessi.
Macchie di sangue.
E corpi esanimi.
Calava lento, perchè il buio non ha fretta alcuna: come un soffio che perturba una fiamma, e solo dopo averla fatta tremare a lungo, la spegne.
Buio e silenzio.
I palazzi degli alloggi, degli uffici, giacevano a terra - fra cocci di cemento e di vetro: alte si ergevano saltuariamente le pareti di una frazione d'edificio che aveva resistito alla battaglia, o per fortuna sfacciata non era stata colpita direttamente dall'impeto del demone.
Nell'aria c'era odore di polvere: pungente, entrava nelle narici per non uscirne più.

Shino si avvicinò lentamente, dal bosco, al campus.
O a quello che ne rimaneva.

Più in fondo, nascoste fra gli alberi, le palazzine della sezione medica sembravano essere integre: solo parti d'intonaco avevano ceduto alle scosse e alla furia lontana.

Itachi e Jiraya si studiavano, seduti per terra, all'esterno, allontanatisi dall'edificio dove si erano reincontrati.
Sakura comparve solo allora, i fogli sotto mano - ch'era scattata a recuperare non appena tutto pareva essersi fermato: senza dire niente a nessuno dei due, senza badare al fatto che avrebbe potuto ricominciare da un isto all'altro, era semplicemente corsa verso l'ambulatorio da cui si erano dileguati poco prima.
Jiraya la guardò, affannata per la corsa, muovere passi lenti verso di loro.
E prima, per un istante, in tutto quel fragore Itachi si era aspettato di afferrarla per proteggerla, disorientata. Non sapeva il perchè di tale pensiero, o di tale aspettativa: era sicuramente un'idea errata. Era forse l'aver immaginato Sakura come una creatura fragile e forte al contempo, come i cristallo.
Ma Sakura era sempre una giovane che stava per diventare Philosophus. Era ancora pregna degli insegnamenti del Ludus: ancora sapeva come calarsi in fretta da una finestra del primo piano senza farsi del male, ed in tutta rapidità. Itachi era il disabile, non lei.
E intanto, mentre la giovane li raggiungeva, Jiraya rivedeva quello sguardo su di un'altra donna - lo stesso sguardo, e poi lo stesso portamento: l'immagine di Tsunade riapparve violenta nella sua mente, per non andarsene più - concentrata in quella ragazza.
Stanca ed esausta, la schiena dritta, il mento alto.

Le comunicazioni radio iniziarono ad esplodere di lì a breve.

"Lo hanno preso."
Kankuro, con il fiato grosso per la corsa e la paura, continuava a cercare di capire cosa avrebbe potuto fare, una volta scappato di lì.
E da dove scendere.
Kakashi gli leggeva le intenzioni negli occhi, ma continuava a confidare nell'animo che aveva conosciuto nel tempo.
"Kakashi" iniziò il bianco, affannato "è la terza volta che lo vedo essere 'preso'." Perchè ogni volta che Naruto era esploso, Kankuro c'era. "Ci credi ancora?"
Kakashi sorrise.
"Avevi ragione, Kankuro."
Quello allargò le palpebre, continuando a respirare in fretta.
"Quella volta ho mentito. Forse senza saperlo."

Un tramonto arancione posava i suoi colori sugli spigoli irregolari dei resti del Ludus.
La Sphaera, che rimaneva in piedi, sembrava essere stata sgusciata, privata dei vetri che la ricoprivano, incisa, passata e trapassata: ma lì era, e lì restava. Una volta, quel tramonto l'avrebbe incendiata facendola assomigliare ad una trasposizione del sole in discesa, mezzo nascosto dietro l'orizzonte. Ora, brillavano i muri e le strutture metalliche dell'intelaiatura, esposte nella loro enormità.

L'Ignis Umbra fu il terzo ad uscire, dopo due dei Magistri della sua scorta: rimase fermo sulla soglia del rifugio, guardandosi attorno.
Rimase fermo per lungo tempo.
Ad osservare il suo mondo in frantumi.

Quando fu Hinata a varcare la porta, la colse il vuoto.
Kiba scrutava l'ambiente, annusando l'aria, controllando se quanto andavano fremendo le radio era vero: Naruto era stato fermato.
I lupi lo raggiunsero ad un rapido richiamo, e lui, posando la mano sui suoi protetti, continuava a fissare il nulla che aveva avvolto il Ludus.
La sua casa.
E l'odore del sangue si faceva pungente, metallico.
I suoi lupi ululavano il dolore che lui non credeva di riuscire ad esprimere, nel vedere l'uno dopo l'altro sfilare i cadaveri e i crateri, le pozze di sangue - una mano che compariva da un cumulo di macerie, un'arma abbandonata, un brandello di divisa.

E adesso?
Si domandavano tutti.

Si domandavano.

Sì.

Si domandavano tutti.



***



Era convinto di essere riuscito a liberarsene: o, almeno, di non doverci avere di nuovo a che fare in via diretta.
E invece no.
Ormai Shikamaru ci era dentro fino al collo.
"Passano il tempo a dire che non lo si può uccidere, ed ecco che ne basta uno solo a fermarlo."
"Sono leggende - ha distrutto praticamente due terzi del Ludus. Non può averlo fermato uno da solo - sarà stato il colpo finale."
"Sì, ma stiamo parlando del fratello di sangue del Difetto - lo sai, questo?"
"Che importanza ha? Ormai ce ne sono decine, come lui."
"E' potente. Dobbiamo cercare un modo di vedere cosa farne in futuro - non ci si lasciano scappare le armi così."
"Pensare alla ricostruzion sarebbe prioritario, a dire il vero."
"Seh. Pensare al demone è prioritario - ma non possiamo farci fermare da un incidente di percorso."
Shikamaru osservava i due anziani, le braccia conserte e il capo incassato nelle spalle, mentre si scambiavano battute.
"Allora, ragazzo." esordì uno dei due, verso di lui "è immortale o no, questo demone?"
'E io cosa ne so?' gli avrebbe risposto seccato - se solo avesse potuto, chiaramente.
"Così dice lui stesso, Sommo."
"E adesso cosa ne facciamo?" domandò l'altro, rivolto al primo - che sospirò. "Non è furbo mettere piede lì sopra, anche se lo hanno catturato. Comunque niente è immortale, a questo mondo - checchè ne dica lui o Kakashi o Tsunade. Non mi interessa se l'Ignis Umbra ne è convinto: bisgna ucciderlo e basta."
"Dimentichi ovviamente che è un ribelle, che era un Custos, e che almeno una decina di suoi vecchi compagni l'hanno riconosciuto?"
I due tacquero.
"E allora? Sono Custodes."
"Come si tratta un ribelle che fa tanto scalpore e dimezza i Custodes in una battaglia del genere?"
Si fissarono, rivolgendo poi uno sguardo a Shikamaru - il quale, perso nei suoi pensieri, ci mise un po' a risollevare uno sguardo intimidito verso i due.
"Stratega, elabori una strategia."
Perchè?
Fu preso di sorpresa.
Non potevano farlo loro? Erano i Sommi, erano loro i detentori della totale conoscenza di come funzionava la società, la politica, e la didattica.
No, fermi.
L'Ignis Umbra deteneva la didattica.
O no?
"Sommi, perchè non lasciate decidere all'Ignis Umbra?"
Uno dei due schioccò la lingua, quasi divertito. "Ah - ragazzo, sei ancora giovane. Dopo questa, l'Ignis Umbra avrà vita breve."
Shikamaru deglutii.
"Faremo un'esecuzione pubblica ai Custodes, ecco cosa faremo." decise infine il vecchio, rizzando la schiena attempata.
"Non ne abbiamo mai fatte - " pontificò l'altro, la cui voce era gracchiante.
"Bhe', c'è sempre una prima volta. Non era nemmeno mai successo che un Custos con un demone impiantato in corpo si ribellasse e desse il centro nevralgico delle milizie a ferro e fuoco. Azione e reazione, fratello."
Shikamaru si limitava a fissarli, domandandosi perchè si erano messi a chiedergli strategie se poi avevano da far da soli.
Cose da Sommi, suppose.
"Sarà un'esperienza educativa, per gli altri - come se il caos che ha generato non bastasse."
"Sì. Tanto per far capire cosa succede a un traditore."
"E se non muore?"
"Tutto muore."
"Forse lui no." intervenne Shikamaru.
I due lo fissarono, i volti rugosi che celavano il fastidio per quell'intromissione.
"Non sei mai stato convocato dal Globus a colloquio, vero?"
Il vecchio sembrò sussurrare, velatura d'acidità nel tono fermo.
"No, Sommo."
"Parli solo se sei interpellato, ragazzo. Hai capito?"
Shikamaru si morse il labbro: "Sì, Sommo."
"Bene, ragazzo. Dunque, il demone dei bianchi è morto - perchè il nostro non dovrebbe poter morire?"
"Non è morto il demone, Sommo. Da che mi ha detto Kakashi, è morto il contenitore: il demone è fuggito, abbandonandolo."
I due sommi tacquero.
Sì, ricordavano qualcosa del genere.
Ma in qualche modo avevano immaginato che contenitore e demone fossero la stessa cosa.
Al momento, con Naruto, era così.
"Faremo scappare il demone, allora. E poi lo ricattureremo, debilitato dal gas."
"Sì, è una buona strategia."
"Anche se i contenitori artificiali sono più fragili del ragazzo in cui lo ha impiantato Tsunade, almeno non hanno facoltà di tradire: o contengono o non contengono. Di sicuro non pensano. Di lì si troverà un modo di liberarsi del demone."
"Ragazzo, mettiti in contatto con l'Ignis Umbra."
Shikamaru annuì con un sospiro.



***



Sakura stava cercando di risistemare i fogli per terra per riprendere la sua ricerca, quando Jiraya s'erse in piedi, in tutta la sua enorme altezza.
"Hanno ordinato l'esecuzione pubblica." affermò.
Sino ad allora, erano rimasti in silenzio, lasciandosi cullare dall'assurdità del momento, della situazione - e cercando di interpretare prima la quiete, e poi il continuo parlare delle comunicazioni radio.
Per tre volte Itachi aveva domandato a Jiraya cosa volesse - cosa era venuto a fare, lì: 'uccidere i prigionieri', aveva spiegato il Custos, che poi non aveva risposto oltre.
Itachi sentiva nelle sue parole e nel suo tono che c'era molto altro, ma in quel momento, di totale confusione interna ed esterna, ogni decisione o convizione sembrava avere perso senso.
"Come hai detto che ti chiami?" domandò il Custos alla ragazza.
Quella sollevò lo sguardo, notando solo allora la statura spropositata dell'uomo.
"Sakura."
Jiraya sembrò sorridere.
"Sei la fotocopia di Tsunade."
Lei levò un sopracciglio. "No." concluse.
"Non puoi salvarlo. Non c'è modo di liberarlo."
Sakura si immobilizzò. Schiuse le labbra, attonita - e parve da allora incapace di parlare.
"Lo immaginavo." mormorò Itachi. "Tsunade ha sempre avuto questo vizio: non pensare a cosa sarebbe successo dopo."
Jiraya si voltò di scatto verso il Difetto, con una velatura di furia nella mascella serrata. "Spero che tu sappia in che condizioni era, per permetterti di parlare così di lei."
Era un sibilo ringhiato, di fastidio e afflizione.
Che i Custodes fossero capaci di tali sensazioni, per Sakura era una novità.
Ma forse lo era un po' per tutti.
"Lo so, Jiraya." si limitò a rispondere Itachi, serafico.
Il Custos tacque, abbassando lo sguardo.
"Impiantare la volpe nel corpo di Naruto è stata una scommessa per tutti, lei compresa." Spiegò Jiraya, la voce profonda e greve. "Sembrava il bambino più adatto, il più sorprendentemente adatto - ma non si sapeva se era veramente quello giusto. Test fisici e psicologici non potevano spiegare quello che Tsunade ha dovuto ammettere qualche anno dopo: Naruto conteneva la volpe grazie al suo bisogno di vivere e di affermarsi, distinguersi, essere, che lo caratterizzava. Senza di ciò, sarebbe stato sopraffatto. Kakashi mi ha raccontato che è ciò che è avvenuto al Rosso, il ragazzino che conteneva il demone della Ventii Regio: e tutto ciò ha senso."
Sakura sfiatò, sconfortata, tornando a sedersi sui talloni.
"L'unico modo per liberare il demone dalla sua prigione è rompere la prigione."
"E la prigione non si farà rompere facilmente." mormorò Itachi.
"O forse è già stata sfasciata."
Sakura socchiuse gli occhi: la sua mente non aveva ancora finito di lavorare ed elaborare.
Era finita in un vicolo cieco.
La sua prima decisione.
La sua prima volontà di fare qualcosa.
Ed aveva fallito.
Non esisteva soluzione.

Non sapeva cosa pensare.

C'era solo un peso che gravava sempre più.


***

"Avrai la libertà, se acconsenti."
"Non mi fido - e comunque non c'è niente che mi trattenga dal darmela a gambe levate, adesso."
"Verrai preso, se tenti di scappare. Lo sai."
"Ma se siete ridotti a un cadavere di esercito..."
"Un esercito di Custodes, Kankuro."
Il ragazzo schioccò la lingua contro il palato, gurdando in basso.
"E poi potrai assistere all'esecuzione."
Kankuro sembrò sul colpo di scoppiare in una risata isterica.
"Non capisco cosa stai architettando, Kakashi, ma piantala di prendermi per il culo - davvero."
"Non sto architettando poi molto. Sto solo cercando di limitare i danni."
"Giurami che morirà, e avrai non solo la mia presenza, ma anche la mia mediazione."
Kakashi sollevò le sopracciglia, sorpreso.
"Posso giurarti una cosa di cui non sono certo?"
"Sì, Kakashi. Puoi."
"Sarebbe come mentire."
"Non lo hai già fatto?"
"E allora cosa te ne fai, della mia parola?"
"Giura che morirà quando io deciderò che sarà morto."
Il Rector non capiva granchè.
"Ti spiego io come si uccide un demone. Non è difficile, Kakashi. Basta pensare - a volte voi dimostrate di non saperlo proprio fare."
"O forse lo facciamo tanto bene da far sembrare che non sia così."
La bocca di Kankuso si storse in una linea obliqua e netta.



***

"Ancora?"
"Così ha detto il Medicus."
"Va bene."
Sasuke si risvegliò circondato da voci di ragazzini. Voci tremanti, ma decise.
Una stoffa scura e umida sugli occhi, il torso nudo su un ripiano duro, le ferite brucianti.
Loro, i piccoli, lo stavano curando: steso su di una panca, in una sala ampia dalle pareti grigie, sentì un tampone di ovatta sfiorargli le incisioni sul volto, e un fremito fece capire il dolore che provava.
"Si è svegliato." fece una voce immatura e piatta.
"Chiama il Magister."
Cercò di tirarsi su, ma le braccia di due bambini glielo impedirono.
"Il Medicus ha detto che non potete alzarvi." fece una bambina.
"Potete?" domandò il Custos, in un filo di voce.
"Voi Custodes che eravate così vicini."
Erano ridotti a far fare gli infermiari ai piccoli, dunque, tante erano le perdite.
D'altronde, era prevedibile.
"Com'è?"
Riconobbe una voce più adulta avvicinarsi. La sua memoria gli suggeriva che la conosceva.
"Sveglio, Magister Iruka."
"Bene. Eroe del giorno, eh? Sei vivo?"
"Così pare." rispose Sasuke, flebile.
Iruka gli tolse la stoffa dagli occhi, e Sasuke lo vide, riconoscendo un suo vecchio maestro.
Aveva realmente importanza? - si domandava Sasuke. Non solo Iruka, con tutti gli allievi che aveva avuto, non poteva ricordarsi di lui - ma non avrebbe nenanche dovuto.
"L'Ignis Umbra ha ordinato la presenza di chiunque non abbia doveri impellenti all'esecuzione."
L'espressione dell'uomo era netta.
Nettamente affranta.
Sasuke sembrò sorridere, senza comprenderne lui stesso il motivo.
"Non sapevi che era Naruto?"
Iruka storse le labbra.
"Non dovrebbe esserci relazione alcuna fra maestro e discepolo, specialmente se il primo è un addetto alle punizioni. Non trovi, Sasuke?"
Negare per affermare.
Sasuke annuì.
"Chiunque non sia sul punto di morte, al piazzale - adesso!" tuonò poi Iruka, con il tono da insegnante: i bambini annuirono.

Quella che Sasuke pensava fosse una follia, sembrava stare trasformandosi una reazione a catena.
Uno dopo l'altro, i pezzi cadevano, e nuovi scorci di mondo apparivano ai suoi occhi - seppur affaticati.
Naruto e Iruka - quasi logico, a ripensarci: studente e punitore che ritrovandosi sistematicamente nella stessa condizione, finivano con il fare amicizia. Si poteva, sì. Come poteva essere che Kakashi non lo avesse denunciato quando aveva cercato di aggredirlo, come poteva essere che lui stesso si era ritrovato a compiere azioni del genere.

Si mise a sedere, mentre la bambina di prima lo scrutava, quasi ammirata.
La fissò, tornando poi con lo sguardo altrove, lontano, immerso nei suoi pensieri.




***




Lo avevano legato, con catene strette ai polsi, le braccia larghe.
Lo avevano appeso.
Sollevato.
Messo in mostra.

Esposto.

Così com'era, l'avevano afferrato, catturato, e giunto l'ordine lo avevano issato.
Sembrava sorprendentemente leggero.
Sembrava sorprendentemente fragile e umano.

Poi gli avevano costretto le caviglie, l'una di qua, l'una di là.
Strette.
Salde.

Un corpo ridotto a una x.

Era solo quello, ormai. Un corpo maltrattato, seminudo, ustionato e ferito.

Gli avevano posto la bombola di sotto, poggiata per terra, l'apertura verso l'alto con la valvola al minimo - abbastanza da far fluire il gas che, secondo le indicazioni di Kankuro stesso, sarebbe stato sufficiente a debilitarlo per giorni.

Questa volta sarebbe morto davvero.
Non c'era modo di salvarlo.

Questo avrebbe dovuto renderlo felice, pensò il bianco.
Ma non era così.

Il piazzale si riempiva di bambini vestiti di nero, di ragazzini, di ragazzi, di Custodes per la maggior parte feriti.

Al suo paese, nella sua regio, quella folla avrebbe innalzato via via che si accumulava un brusio sempre più intenso, sempre più forte: ma qui no.
I neri, i piccoli neri ordinati nella massa confusa, erano silenti come il deserto stesso.
Migliaia di respiri che andavano accumulandosi, migliaia di coprivesti scure di ogni taglia, e non una parola.
Occhiate, qualche piccola spinta, qualcuno che si alzava sulle punte dei piedi.
Kankuro vedeva gli adulti appostarsi ai margini, alcuni avvicinarsi a Naruto - il quale era stato sospeso sfruttando due delle infinte assi di ferro dell'intelaiatura della Sphaera, lasciata nuda dallo scontro.
E nel buio della notte che omai era calata, quel mare di divise nere sembrava confondersi in un'unica massa dai mille occhi puntati sulla figura di Naruto, illuminata da luci artificiali.

Era surreale.

E questo avrebbe dovuto renderlo felice, tornò a pensare il bianco: invece, non faceva altro che aumentare il suo sconforto nel continuo ripropirgli l'immagine di Gaara, esanime e vuoto.



Jiraya raggiunse il piazzale, tenendo Itachi saldo per la maglia di forza che lui e Sakura gli avevano rimesso indosso.
Nel buio, un corpo sospeso ed insannguinato, illuminato dalle svelava sempre più dettagli man mano che si avvicinavano.
Lei lo fissava.
Un passo, un altro.
Un ragazzo biondo.
Sei solchi sul volto.
E basta.

Sakura non riuscì più a pensare.


Hinata accompagnava Shino e Kiba: si fermarono ai margini del mare nero, osservando il biondo illuminato.
La ragazza, forzandosi, riuscì a distogliere lo sguardo e cercare Neji: lo vide, seduto per terra, decine di metri più in là. Intravide il volto sciupato e notò, forte del suo potere, l'energia infinitesimale che albergava nel ragazzo suo simile.
Non sapeva cosa le faceva più impressione: se i cadaveri, le macerie, l'espressione stravolta di Neji o il corpo appeso di Naruto.

Kiba, attonito, cercava di districarsi fra l'empatia e l'istinto.
Era stato il nemico, Naruto.
Era stato pericoloso.
Lo aveva temuto più di ogni altra cosa.

Ma non ci riusciva più: e nemmeno i suoi lupi, che, sebbene lontani, tacevano alla presenza del mosto.
Non un tremore, non un movimento.
Solo il rispetto e la compassione per quell'animale ferito in attesa di morte.

Shino, chiuso nel suo copriveste, il mento ben nascosto e lo sguardo basso.
Ascoltava le voci degli intessi, che fremevano.

E c'era qualcosa di strano.


Circondati dai morti e dai resti di quella che sarebbe rimasta - se non nella storia, nella loro memoria - la peggior battaglia mai vista, ora l'attenzione era rivolta a colui che l'aveva scatenata.


Ed era lì.
Sospeso.


Neji non riusciva a formulare un pensiero.


Era lì.
Sospeso.

E basta.



Qualcuno di loro notò degli uomini posare un marchingegno pesante e metallico a qualche metro dalla bombola.
Qualcuno di loro si accorse che un Magister aveva preso fra le mani qualcosa.
In pochi lo videro avvicinarsi.
Quasi nessuno lo osservò caricare il braccio.


Quello che sentirono tutti fu uno schiocco potente.


Il mare nero sussultò.
E il dannato gemette.


















____________________________________________________________________________________________________

Ecco qui, 42, meno 4,  a naso.

capitolo silenzioso, senza poesiuole o versi di alcun genere. più o meno come l'aria che si dovrebbe respirare.
grazie a tutti quelli che ancora aggiungono la storia fra le preferite e le seguite ^^



@ LaGrenouille
scusaa xD però scegliersi un nick meno contorto no, eh? xD
comunque vista la reazione immagino il capitolo sia piaciuto. E' cosparso di errori, l'ho notato io per prima <.< devo risistemare *sigh*. questo dovrebbe essere relativamente sano

@ Reki
sono felice che tu gradisca *w*


@Vix
uuh, allora! grazie!
per quanto riguarda la battaglia.. sì, è vero - ma non sapevo Bene come descrivere, e dat che i lcapitolo era lungo già di suo, temevo d'essere prolissa.
Per quanto riguarda le code: ho lasciato sul vago per tutta una serie di motivi.
1: il mio narratore è teoricamente onniscente, ma è di un'onniscenza particolare: in genera sa tutto quello che sanno i personaggi in gioco - se una cosa non la sa nessuno, non la sa neanche lui. In questo modo cerco di dare un'instrospezione generale e corale, anche se nella maggior parte dei moment mi sono ovviamente fermata su Naruto.
dato che le code sono 'tante', immagino che nessuno in quella situazione si sia fermato a contarle. penso sia l'ultimo dei problemi di uno che combatte un demone.
2: non so quante code avesse effettivamente, sebbene la forma descritta assomigliasse a quella a 4 del manga, non mi sono voluta fermare a fare distinguo su quante ce ne sono, quante ne ha, quante ne ha in realtà: l'importante è che sia in forma a cavallo fra l'umano e il demoniaco. kyuubi ha sempre 9 code e per quanto riguarda gli altri biju, si è visto solo shukaku che ha una sola coda. questo non esclude la presenza degli altri ma al momento non intendo trattarli. Comunque ricordo che la storia, con il plot generale, è nata 3 anni fa, quindi allora non avevo tutte le informazioni di adesso... ma non ho voluto correggere il tiro, perchè era inutile.
per l'immagine...xD mai sentita la storia di cui parli, però boh, l'immagine è vecchia.. xD io non sono una scrittrice di yaoi, però ammetto che dare qualche doppiosenso vago da cui qualcuno con impegno possa trarre qualcosa... mi diverte xD



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Capitolo 44
*** 43 (Cantico urlato) ***


42




43. Cantico urlato


E soffiavano le code del gatto nell'aria.
Suoni acuti, secchi.
Suoni lontani.

Ricordi.

Naruto schiuse gli occhi, risvegliato dal dolore della frustata che gli percosse la schiena: in un sussulto, tese ogni singolo muscolo nel suo corpo.
E non sapeva da dove prendeva la forza per farlo.
Forse, dai tempi andati.
Dalle memorie della sua fanciullezza.
Da quel rito che si era imposto per assicurarsi la vita.

Il mare nero di bambini e ragazzini, Magistri e Custodes, vide sotto la pelle malconcia e strappata tirare i muscoli compatti del ragazzo.

Lui non vedeva niente - acciecato dai lampioni, la vista annebbiata dallo stordimento.

Solo dolore.

E lo schiocco del gatto.

Sentiva respiri mozzati.
Sentiva i ragazzi.
Sentiva i bambini.

Il capo abbassato, i capelli sudati e impastati di sangue che ricadevano sul volto ormai umano, taceva.

E lo schiocco del gatto.

Sangue e ferite sui calli che aveva maturato nel tempo.
Muscoli rigidi.

Solo.
E lo schiocco del gatto.

Dolore che serpeggia.
E lacrime.




otzemet eynay lemishma hayeri
(chiudendo i miei occhi al rintocco di uno sparo )




Loro le videro.
Muti di fronte all'esecuzione di un mostro, videro le lacrime scendere sino al mento, e poi cadere in terra.

Non era da uomo piangere, pensavano.

Non era da uomo piangere, pensava.

E lo schiocco del gatto.

L'Ignis Umbra si muoveva lento, lo sguardo incollato sul morituro.

E lo schiocco del gatto.

Prima una coda.
Poi due.
Ora tre.

Lui attendeva il colpo successivo.
Ma non c'era nessun conto alla rovescia.
Non c'era un fermo.
Non c'era un basta.

Ci sarebbe stata solo la sua morte.

Un cadavere piangente fustigato per i suoi peccati.



***




Kankuro lo guardava.
E non riusciva a non tenere le labbra aperte.
E non riusciva a non respirare con ritmo interrotto dalle frustate.

"Perchè vuoi me per mediare con la mia regio?" domandò infine verso Kakashi, nell'intento di distrarsi dallo spettacolo che non sembrava riuscire ad appagarlo - ma solo a farlo soffrire.
L'uomo allungò una mano, additando una ragazza dai lunghi capelli neri e il volto pallido e tondo che si perdeva nell'ombra.
"Guardali, Kankuro."
Spostò l'indice, su di un giovane dai capelli corti e castani, due segni rossi e triangolari sul volto - come zanne.
Erano due dei Custodes con cui era al fronte con la Ventii Regio, pensò Kankuro.
"Sono i tuoi sottoposti."
Kakashi abbassò il braccio, guardandosi attorno.
"Guarda gli altri."
Kankuro, ammanettato, si voltò - seguendo lo sguardo dell'ambasciatore.
"Cos'hanno di strano? Sono le vostre reclute."
"Guardali meglio."



***




Non riusciva a non fare male.
Sakura non aveva mai pensato a niente del genere.
Era quello il modo per uccidere?
No, quella era la punizione.

Schiocco.

Per cosa?
Per aver avuto sfortuna?
Per quello che loro stessi gli avevano fatto?

Schiocco.




motzia kol sheaga
(emettendo un ruggito)






    Bambino mio.
Lui non si mosse.
    Bambino mio.
Vai, le disse Naruto.
Vai via.


Frustata.


    E dove?
Lui non rispose.
    Fra le grinfie dei tuoi fratelli? A ripetere tutto da capo?
E la lacrime sul volto di ragazzo.
Di diciannovenne.
Mi dispiace, le disse Naruto.

"Mi dispiace." mormorò Naruto.


Fermo.
Silenzio.
Rumori.


    Non è andata come pensavi, bambino mio.
No.
    Ma, bambino mio - cosa eri venuto a fare, qui?
Non lo so.


Schiocco.

Naruto schiuse ulteriormente gli occhi, da due fessure sottili a due occhi stanchi.
Silenzio.

Schiocco.

Riconobbe quel ritmo.
Riconobbe quel tocco.


"Iruka."
Iruka si morse le labbra.

    Eri venuto perchè non succedesse di nuovo, bambino mio.
Puoi andare - insistette Naruto.
    Eri ventuo per salvarli da questa sorte.
Fuggi. Non ti tratterrò più: vai via e lasciamo morto. Come il Rosso. Non voglio più niente.





ach bin rega mitchalefet biy'ush
(in un attimo sono preda della disperazione)







La volpe sembrò accoccolarsi accanto all'animo sciupato del giovane. Priva di ogni catena, priva di ogni forza a causa del gas.
Posò il muso su grembo dell'uomo che era lo spirito di Naruto, e socchiuse gli occhi.
Non c'era più il bambino, non c'era più il demone.

Erano solo due anime.

    Non ti abbandonerò, bambino mio. Questa è la nostra sofferenza.
La nostra sofferenza - sembrò ripetere quello.
    Non fare della sofferenza una cosa inutile, bambino mio. Tu avevi un obbiettivo. Tu avevi qualcosa da fare.
Prima di riunciare a tutto.
    Concludi quello che hai iniziato, bambino mio.




***




Kankuro notò, a fatica per causa del buio, alcuni dei bambini coprirsi gli occhi. E poi, ragazzini più grandi che gli sostavano vicino togliere loro le mani dal volto - con gesti lenti, ma decisi. E mentre costringevano i più piccoli ad ammirare l'orrido spettacolo, continuavado ad osservarlo con un'espressione in volto concentrata - sì, ma stranita.
"Devi osservare gli sguardi delle persone, per capire cosa sta covando il loro animo." Spiegò Kakashi al bianco, prima scrutando lui, poi volgendo gli occhi asimmetrici altrove: "Guarda i loro sguardi, Kankuro."
Ma il ragazzo non riuscì a capire. E, per di più, quel tono paterno lo infastidiva oltremodo.
"Per anni ho guardato ed osservato, quello era il mio compito." Continuò l'uomo. "Per anni ho instradato i giovani Custodes al loro Finis nell'esercito, donandogli un'arma, o un incarico. Tutto parte dallo sguardo, Kankuro. Ogni singola idea, o intenzione, è nascosta nei loro occhi."
Kankuro abbassò il volto agrottando le sopracciglia - pensando, cercando di cogliere il senso del discorso che sentiva fare da Kakashi.
"Non mi basta un mediatore, mi serve una persona fidata e capace."
"Io sono una persona fidata?" domandò il ragazzo, retorico e quasi ridendo.
Kakash tacque.



***




"Mi dispiace."
Ripetè Naruto, ad alta voce.
Iruka serrava il gatto a nove code nella mandritta: si era sostituito all'altro Magister, a causa della fatica che provocava maneggiare quell'arma.
Lo rivedeva allora, dopo anni.
Lo rivedeva sempre nella stessa situazione.
Sembrava una maledizione.
Quel giorno, però, ogni cosa era diversa.




hakol avur
mi shechay betoch hasiyut
(tutto, per colui che vive dentro l'incubo)





Schiocco.

"Non volevo, Iruka. Non volevo fare quello che ho fatto."

E pausa.


Il mare nero osservava il dannato peccatore parlare con il suo punitore.
Il mare nero in silenzio cercava di tirare l'orecchio.

Naruto si accorse.

Schiocco.

E pausa.

Si accorse, e inspirò, tremante.
La nebbia negli occhi.
I muscoli che iniziavano a cedere.
Ma si accorse che lo ascoltavano.
Lo ascoltavano come si ascolta il delirio di un folle.
Ma lo ascoltavano.

Schiocco.
Iruka soffriva.

Perchè Iruka conosceva Naruto.
E sapeva, sentiva, avrebbe dato la sua vita nel giurare che quello che diceva era vero.
Qualunque cosa fosse, qualunque si rivelasse i motivo per cui Naruto si era trasformato in un mostro: non importava.
Naruto non avrebbe mai fatto del male a un suo fratello.
Frustata dopo frustata, Iruka se ne convinceva sempre più.


La volpe lo sentì cedere.


"Non l'ho scelto io." sussurrò Naruto.


Non sentì Nessuno.
A parte Iruka.

Che si fermò.


La volpe era stanca.
Ma il suo bambino era sul confine fra la vita e la morte.
Cosa avrebbe dovuto fare, se non cedersi a lui?
Era l'unico modo per aiutarlo.
Era l'unico modo per potergli donare qualcosa.
E fuori, comunque, un'altra prigione la attendeva - sebbene artificiale: l'aveva vista, lì sotto. La conosceva.

Lo inondò.

Schiocco.




mitgaagaat mikol halev
(manca dal profondo del cuore)



Energia pura.
Rimasugli di un demone esausto ed indebolito.

"Non ho scelto io di contenere un demone!" Naruto parve ringhiare, ma sputava solo disperazione.

Iruka continuò a frustarlo.
Stanco.
Ma a oltranza.
Finchè ce la faceva, avrebbe continuato.

"Perchè me lo avete impiantato dentro?" continuò il ragazzo, facendo tremare il mare di divise nere.

Se doveva morire frustato, Naruto doveva morire per mano sua di Iruka.
Questo pensava il Magister, mentre tremando ascoltava parole che sembravano quelle d'un folle.

Qualcuno disse di farlo tacere.
Ma nessuno si mosse.

"Non è stata una mia scelta."
Avvilito.

Lo ascoltarono singhiozzare.

"Non volevo farlo, ho fatto di tutto per non farvi del male - per non far male alla regio."

E lo schiocco del gatto.

"Non è colpa mia!" ringhiò, urlando, mentre l'energia della volpe cercava di mantenere in vita quel cadavere ricolmo di sconforto.
"Neji!"
Neji sussultò quando il mostro piangente, ringhiante e morente lo chiamò.
"Neji! Succederà anche a te, un giorno. Siamo armi! Siamo tutti armi che rischiano di sfiorare la pazzia! Io, voi, voialtri che vedete lontano e controllate gli animali, con gli occhi strani, voi tutti siete identici a me!"

E lo schiocco del gatto.

Trattenne il respiro, e la volpe tornò ad irrorarlo della sua energia.
"Armi della Regio, armi che rischiano di ritorcersi contro la Regio! Non ho custodito un demone nel mio corpo per anni per mia volontà!"

Schiocco.

"Io ero un Custos."




meyachelet leolam sheazlu dim'otav
(desiderando che il mondo cessi le lacrime)


"Io sono un Custos!"

E lo schiocco del gatto.

"Come voi!"

E lo schiocco del gatto.

"Come coloro che ho ucciso! A causa di questo!"

E lo schiocco del gatto.

"Cieco di rabbia! Sopraffatto!"

E lo schiocco del gatto.

"E stordito del dolore che mi ha provocato essere questo! Essere una prigione di un demone!"

E lo schiocco del gatto.

"Domandatevi, un giorno - "

E lo schiocco del gatto.

" - domandatevi se forse non ce l'avete anche voi, un demone impiantato dentro!"

E lo schiocco del gatto.

"C'era un bambino, al Ludus!"

E lo schiocco del gatto.

"Un bambino di cui ero convinto aver causato la morte!"

L'Ignis Umbra si irrigidì.
E lo schiocco del gatto.

"E invece era vivo!"

E lo schiocco del gatto.

"Hanno mentito! Per anni!"

E non mollava.
Iruka era esausto, e sconvolto dalle parole di Naruto.
Ma quello era il Ludus, no?
Il regno dell'oblio.
Dove nessuno sa cosa accadrà poi.
E tutti tacciono.
E tutti si fidano.

E lo schiocco del gatto.

"Come fate a fidarvi di chi mente sulla vita di un fratello?"

Sembrò rispondere Naruto ad Iruka.
Che si fermò un istante, il fiatone che andava avendo la meglio.

"Dovete farvi delle domande!"
Naruto continuava a gridare, nonostante sembrasse assurdo che potesse trovare la forza per farlo.
L'Ignis Umbra abbassò lo sguardo.

E lo schiocco del gatto.

"Domandatevi cosa succederà domani!"

E lo schiocco del gatto.

"Domandatevi perchè siete qui!"

E lo schiocco del gatto.
Naruto sembrava sul punto di collassare.
Ma non lo faceva.

"E cos'è la Regio. Perchè io non lo so."


Pausa.
Cambio, perchè Iruka era finito per terra a causa della fatica. E forse a causa di qualcos'altro.
L'Ignis Umbra osservava il ragazzo parlare - sbraitare, violento e adirato quanto traboccante di strazio. Cos'erano le frustate, in confronto a quello di cui era ricolmo, di cui era stato colmato nel tempo?
Nulla.
Itachi, saldo nelle mani di Jiraya, riconosceva il suo passato, lo ripercorreva man mano che Naruto urlava un dolore miliardi di volte più enorme del suo.
E il mare, e loro, e Kiba e Neji, e Shino e Hinata, ascoltavano attoniti, cercando ognuno di distinguere la realtà dalla follia.

Ma Sakura sapeva che in quelle parole follia non c'era.

La volpe continuava a donare le sue forze a Naruto, nel tentativo di farlo sopravvivere.
La volpe insisteva, conscia di cosa comportava.
Non c'era un posto dove andare, non c'era un luogo dove scappare.

Solo da urlare.

"Mi dispiace."
La voce rotta in gola.

Forse l'ultimo sussulto.


halev kvar met
(il cuore è già morto.)



Sasuke era lontano.
Vedeva l'esecuzione dalla soglia del suo ricovero, dopo aver ignorato deliberatamente le avvertenze del Medicus. Si appoggiava al muro di una palazzina distrutta per metà, incapace di reggersi autonomamente in piedi: riusciva ad intravedere le luci con cui illuminavano Naruto.
Sarebbe morto.
Sarebbe morto davvero.

E sentiva le sue grida.
Le sentiva, lontane.
Non si distinguevano le parole.
Ma il tono gli bastava, per capire.





hatikva
(la speranza)


E schiocchi e frustate.
E sussulti e grida.
E un corpo che muore.
E la volpe che insiste.
Disperata, a dargli nuova vita.
Naruto che urla, e mostra il risultato degli eventi.
Sakura che lo scruta, domandandosi se cercheranno di far passare anche lui, come un folle.
Itachi che lo ascolta. E scava nel suo passato.

Dolore.

Gli aveva detto Tsunade, quando era andata da lui, che Naruto era diverso.
E mentre il Difetto ascoltava le parole del biondo, quasi annuiva alle parole della sua vecchia amica.
Naruto, ad ogni passo, ad ogni respiro, si era mosso unicamente per la Regio, per difendere la Regio, per amore della Regio.
Anche la sua morte era per lei.
Anche il suo requiem era dedicato a lei.


Il silenzio del mare nero era denso.
La paura negli occhi.

Temevano lui.
Temevano il mostro.
Temevano Naruto.

Ma non come Sasuke lo aveva temuto la prima volta.

Temevano il futuro ignoto.

Temevano l'ignoto e basta.


I colpi continuavano, e forse infierivano.
Uno dopo l'altro, si susseguivano ritmici: l'Ignis Umbra vedeva la schiena del ragazzo esporre ormai le ossa, per le tante ferite.
Viveva solo grazie alla volpe.

Iruka assisteva.
Troppo stanco per realizzare il desiderio di essere lui, e nessun altro, a porre fine all'esistenza del ragazzo tramite le frustate.
Non era per odio, no.
Gli sembrava dovuto.
Era rispetto per un vecchio amico.

Hinata piangeva.

Kiba serrava i pugni.
E gli ululati si alzavano, sofferenti.







mitgaagaat ad kdey keev
(manca così tanto da far male.)





Andarono avanti, per lungo tempo.
In attesa che la volpe si liberasse, insistevano, e ormai martoriavano quello che era un cadavere.
I ragazzini e i ragazzi che potevano vedere l'energia scarlatta del demone notarono la fiammella, debole, venire sempre meno.

La volpe non sarebbe mai uscita dalla sua prigione.
Perchè ormai, volpe e prigione erano la stessa cosa.

Tutto muore.
Anche un demone.

Specialmente quando pecca d'amare il suo custode, quando si flette sull'animo morto di un ragazzo ucciso dalla sua stessa gente, e piange.

Si aspettavano uscisse.
Ma lei morì con lui.

Una frustata dopo l'altra, ogni volta più vicini alla fine.
E poi, ad un certo punto, un corpo privo di vita era rimasto a subire i colpi del gatto a nove code.

Ululavano i lupi il dolore di quell'essere che se n'era andato.
E tacevano gli insetti nel rispetto del sacro.

La morte camminò lenta, quella notte, per abbracciare due sue care anime.
La morte giunse, e nessuno la vide.

Ad un certo punto si fermarono, e non c'era più nulla.

Non si può uccidere un demone, avevano detto. Non così facilmente.
Ma un demone è oltre agli uomini.
Un demone sceglie, seppur raramente, seppur sempre acciecato dai suoi istinti di battaglia. E quel giorno il demone aveva scelto di cullare il suo bambino sino alla fine.



Kankuro osservava senza un fiato.
Non era soddisfatto.
Non era neanche lontanamente soddisfatto.
Si sentiva solo più ferito di prima.



***



Nella notte più fonda, l'Ignis Umbra dovette farsi avanti.
Si spensero le luci.
Il buio li facogitò tutti.
Non volle illuminazione, l'ombra del fuoco: voleva che solo la voce risuonasse, quella notte.
Sapeva che Sakura aveva fallito - e, forse, le aveva chiesto troppo. Non si può liberare chiunque dalla propria maledizione. Non si può sperare basti chiederlo a una giovane allieva di Tsunade. E poi, la ragazza avrà avuto anche tutta la documentazione - ma mancava sempre qualcosa, in quei fogli. Qualcosa che il Globus era restio a fare uscire, o che forse Tsunade stessa non aveva scritto.
Era possibile che mancasse il punto saliente.
O che, in realtà, non esistesse proprio modo di far uscire la volpe da Naruto lasciandolo vivo.

Non erano considerazioni da fare, a quel punto.
Il ragazzo era morto.

Lo tenevano lì, con il gas ancora a sfiatare dalla bombola.
Lo avrebbero lasciato dov'era, forse per lungo tempo. Per essere certi dela sua dipartita.

Ora doveva fare il suo, pensò l'Ignis Umbra.
Di vita gliene rimaneva ben poca: il Globus avrebbe fatto presto a rimpiazzarlo, dopo tutto quel caos.
Ma ora, doveva eseguire.
Ordini.

Doveva spiegare.
In modo da formare.
Educare.

Cosa poteva fare, lui? Un vecchio che è ufficialmente la carica massima della regio, ma in realtà non è nulla.

Parlare.

Come aveva fatto Naruto.

Parlare con i tono dell'Ignis Umbra.

E aspettare.





***


"Kankuro."
Il ragazzo non si muoveva. Teneva gli occhi incollati sul corpo del biondo, nonostante il buio della notte avesse invaso tutto il Ludus.
"Tu sei l'unico bianco che potrà capire realmente cosa sta per succedere." fece il Rector, incamminandosi: lo avevano chiamato. Si portò quello, ammanettato, con sè - e continuò: "Tu avevi i loro stessi occhi, il loro stesso sguardo, anni fa, quando ci siamo incontrati - quando il Rosso è morto. Forse loro non lo sanno, ma oggi -" si fermò nella sua postazione, in mezzo al mare nero. "- oggi l'Ignis Regio muore, Kankuro. Esattamente come hai detto tu."


***


"Egli ha tradito." la voce dell'Ignis Umbra era alta.
"Egli ha tradito." ripeterono i Rectores e i Magistri, sparsi, di modo da poter amplificare le sue parole in un coro di voci ferme.

Fra loro, c'erano anche Iruka e Kakashi.

"Ha ucciso i suoi fratelli."
"Ha ucciso i suoi fratelli."

"Un mostro assetato di sangue"
"Un mostro assetato di sangue"

"rivoltatosi contro la stessa regio che gli diede i natali."
"rivoltatosi contro la stessa regio che gli diede i natali."

"Da più di quattrocento anni"
"Da più di quattrocento anni"

"un Custos non tradisce la sua regio."
"un Custos non tradisce la sua regio."

"Da più di quattrocento anni"
"Da più di quattrocento anni"

"la regio non uccide un suo Custos."
"la regio non uccide un suo Custos."
A quelle parole, Kankuro guardò basito Kakashi.
Kakashi non si mosse, continuando il suo lavoro di ripetitore.
Menzogne, pensò il bianco, inorridito.
Menzogne, lesse negli occhi del Rector.

"Che questo sia di monito"
"Che questo sia di monito"

"a voi, ed alle generazioni future."
"a voi, ed alle generazioni future."

"Ignis Regionibus!"

"Patriae Frates! Fati Frates!"





הירי
מוציאה קול שאגה
אך בין רגע מתחלפת ביאוש
הכל עבור
מי שחי בתוך הסיוט
מתגעגעת מכל הלב
מייחלת לעולם שאזלו דמעותיו
הלב כבר מת
התקווה
מתגעגעת עד כדי כאב

[Love theme -  Nobuko Toda / Metal Gear Solid 4 OST]










___________________________________________________________________________________________________________

Vi ho linkato la canzone per invitarvi ad ascoltarla, perchè merita. Potete capire cosa mi ha guidata mentre scrivevo il capitolo ^^ semmai la cosa vi interessa xd

Meno due.
Spero che questo capitolo riesca a farvi tremare come ha fatto tremare me scriverlo.



@Vix:
la volpe in Sasuke?
no, no, no, per l'amor del cielo!
non ti preoccupare, sono anni, davvero, che progetto questo finale, non è quello il punto. Tu leggi e vedrai: dove voglio andare a parare con i tagli che Naruto ha lasciato a Sasuke è una cosa strettamente legata al finale, ma non in quel modo. :D
nel 2007 gli spoiler erano arrivati a Pain, ma io mi ero avvicinata al manga da pochi mesi ed ero ferma a Sai e l'inizio dello Shippuuden. E comunque questa storia non ricalca paripari il manga, se non all'inizio - quindi sono abbastanza libera, no? ;)


@LaGren:
ho coretto :D grazie mille (Naruto e Neji era un SUPERLAPSUS).
Sarutobi <3 è parte del gran finale.







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Capitolo 45
*** 44 (Mors Viri, Mors Mundi) ***


44
Calcare la mano su decisioni poco brillanti.
Innalzare i discorsi.
Esagerazione.
Per far scattare quello che era già scattato in molti di loro.

Non era stato lui, concluse l'Ignis Umbra.
E il pensiero andava al nipote.

Era stato tutto.

Lui si era sentito solo di facilitare quel fiume: perchè non ne poteva più.






44. Mors Viri, Mors Mundi



In realtà, poco ricordo di quei giorni.
Ma quella notte è impressa a fuoco nella mia memoria: assieme al suo volto.
Non pensavo di poter soffrire così tanto.
Non pensavo che il cuore potesse fare tanto male.


Here's to you


Lo fissai a lungo.
Mentre i Magistri e i Rectores davano ordine di disperdersi, organizzando gli alloggi, io mi avvicinai a lui.

L'ultima notte.

O forse la prima.

Osservavo il corpo dell'essere che mi era stato narrato come immortale, sollevato ad un metro da terra, stretto da catene troppo grosse per la fragilità che emanava. Nessuno, lui compreso, aveva mai pensato che potesse morire.
Sasuke mi ha detto, un giorno: era la sua maledizione.

Nel buio della notte non c'era altro che un corpo di carne martoriata.
Un corpo giovane e robusto calcato dalle ferite, un volto leggermente squadrato, la testa reclinata sul petto, gli occhi vuoti: e quei tre segni per gota, che in parte lo contradditinguevano, in parte no - perchè nessuno di noi ci aveva mai fatto realmente caso.
Era normale. Tutto era normale: anche l'assurdo.
Lui aveva urlato.
Se n'era andato urlando il suo dolore, parola dopo parola.
E come un coltello nelle mani di chi è poco pratico, aveva scavato, maldestro, nelle anime dei presenti mostrandoci come l'incertezza, il non sapere, potevano essere fatali.
Non credo che a lui interessasse o preoccupasse la sua morte.
Lui gridava e piangeva i morti che aveva causato.



Rest forever




Rimasi lì, forse per ore.
In piedi, immobile, inamovibile.
Ero stanca.
Ero sudata.
Ero distutta.
E mi sentivo fallita, per non aver potuto fare nulla per lui.

Uno dopo l'altro, i miei compagni si allontanarono. Prima i Custodes, poi i Magistri.
Ricordo che Itachi era silente, e sembrava assorto - stretto nella sua camicia di foza, gli occhi bendati.
Non udii altra parola, ne' da lui, ne' da Jiraya stesso.
Ad un certo punto non erano più accanto a me.

La sensazione di incrinatura e di disagio di quei momenti continua a riaffiorare anche adesso, nonostante sia passato molto tempo.
Ad un certo punto, avvicinatami a lui, levai una mano, alzando il braccio per raggiungergli il volto: senza nemmeno rentermente conto, posai una carezza sulle guance livide e fredde.
Ad ogni istante immaginavo potesse tornare.
Dicevano tutti che tornava.
Il morto non morto, il cadavere che cammina.

Avrei voluto parlargli, per dirgli quanto mi dispiacesse.
Per scusarmi di non aver mai fatto nulla per lui, se non quando era troppo tardi.

L'ultima volta che parlai con Naruto avevo dodici anni.
E non mi ricordo cosa gli dissi.
Forse lo insultai.

La voce che avevo sentito far tremare ogni piccolo studente ed anche gli insegnanti più rodati non era quella che ricordavo, per quanto ne rimanesse una velatura lontana.
Non era la voce squillante del bambino che avevo osservato sottecchi durante le lezioni: era la voce di un uomo.
Di un uomo determinato, la cui determinazione si è dimostrata vana ed inutile, ed è sfociata nella più pura afflizione.




last and final



Forse sapevo cosa provava, perchè lo avevo provato anch'io, e continuavo a provarlo: ma non avevo il coraggio di pensare che le sofferenze a cui eravamo andati incontro fossero uguali.
Le mie sembravano ridotte a nulla in confronto alle sue.





moments is yours



La notte scorreva: il mio animo era stato scosso come un tappeto.
Avrei voluto fare qualcosa per lui.
Lo avrei voluto fare più di qualsiasi altra cosa.




agony



Mi ricordo che piansi, come ormai stavo diventando avezza a fare.
Ma non come feci prima, quando davanti a Itachi venni scosssa dai singhiozzi: erano lacrime silenziose che si limtavano a scendere.

Cosa diceva l'Ignis Umbra, quando eravamo piccoli?
La morte è il maggiore degli onori.
Quanto si era contraddetto, quel giorno, donando l'onore massimo a chi doveva essere un nemico nonostante fosse stato un Custos.
E io mi ricordo quanto Naruto credesse in quelle parole.
Cosa avrà provato, quando realizzò il controsenso del rischiare di nuocere a chi gli era più caro?
Non conoscevo la sua storia, allora, se non a sprazzi.

La ricostruimmo col tempo.
E anche adesso ha dei buchi.

Nessuno può conoscere nessun altro abbastanza bene da capire esattamente le cose che fa.
Ed anzi, non si può conoscere nemmeno se stessi a sufficienza da capire.
Lui aveva fatto di tutto per fare in modo che ascoltassimo la sua storia: per quanto, di tempo per narrarla, ne aveva ben poco.

Allora pensai: l'Ignis Umbra è uno sciocco.
Non si è reso conto di cosa ha fatto.
Non si è reso conto di cosa aveva significato per noi tutti quel giorno e quella notte, quelle frustate e quelle parole che lui aveva detto pensando che fossero di monito.




is your triumph


Sbagliavo.

Come feci molto spesso.



***



Quella notte non dormii: svenni a più riprese, svegliandomi sempre una manciata di minuti dopo.
Ad ogni risveglio, mi tastavo il volto, alla ricerca di quelle sei incisioni che mi aveva lasciato Naruto: le ritrovavo lì, brucianti, e intanto il Medicus mi doveva costringere a non toccarle.
C'era poco rimasto con cui far le medicazioni, fra i crolli e il disastro, e l'effluxum non sarebbe tornato a funzionare per almeno una stagione: niente garze per ferite banali come quelle - a patto che non passassi il tempo a tastarmele.
Rischiavo l'infezione.
Sì.
Ma allora non avevo più una percezione del tempo che mi facesse sembrare importante una cosa del genere.
Il mondo mi si era cristallizzato attorno, ed io mi ci muovevo osservando con stupore cosa realmente era.
Ed avevo un baratro, sotto i miei piedi, aperto e spalancato dal dire come profetico di Naruto, che ormai sembrava più che convinto del fatto che anch'io avessi un demone sigillato dentro di me.
Ma era un assurdo: sarebbe stato illegale, oltre che chiaramene pericoloso.
Eppure di menzogne se n'erano dette tante.
Quindi nulla era impossibile.
Forse avrebbero ucciso anche me?

La mia incursione nella mente di Naruto mi si riproponeva, in continuazione: gli occhi del demone, il corpo di Naruto privo di vita sibolo di un animo sciupato ed ormai morente.

Naruto era morto.

Così dicevano.
Così dicevano da anni.

Quando iniziai a vedere il sole, mi alzai.
Assieme alla decisione di rimettermi in piedi, ne giunsero mille altre: dove andare, cosa fare.
Cosa chiedere.
Come chiederlo. Con quanta insistenza.

Convinsi chi era di guarda che stavo bene.
Barcollavo.
Ma stavo bene.

Volevo vedere Naruto.



Trovai Sakura immobile sotto il corpo privo di vita del mio vecchio compagno.
Me ne stupii, allora. Era l'ultima persona che mi aspettavo di trovare piangente a rimirare i resti di un ribelle.
Quando si voltò verso di me, sussultò.

"Cosa ti sei fatto in volto?" mi domandò, in un filo di voce.
Io cercavo di studiare la ragazza che avevo davanti: accennai con il capo a Naruto.
"E' stato lui."
Lei mi fissò, a lungo.
Forse sembravamo uguali.
Forse sembravamo veramente fratelli.

Fissai il cadavere di Naruto a lungo, ricordando gli ululati dei lupi di Kiba e il silenzio del bosco che ci circondava.
Rimanemmo lì, per lunghi minuti, ad osservare taciturni mentre l'alba saliva.
Un po' di vento.
Immobili, l'uno accanto all'altra.

Alla fine accettai.
Questa volta era per sempre.

Non ero riuscito ad ucciderlo di persona, non per problemi tecnici: per un blocco psicologico, per quelle parole, per quelle visioni.
Ma alla fine Naruto era morto.
Allora mi resi conto che avevo affianco a me una persona che avrebbe potuto realmente rispondere alle mie domande. E forse, vista la sua espressione e le sue lacrime, l'unica che lo avrebbe fatto.
"Sakura." iniziai.
Lei sembrava assorta.
Non l'avevo mai vista così.
Non sapevo cosa le fosse accaduto, nel tempo: lo scoprii dopo.
"Naruto era convinto che anch'io avessi un demone."
Lei levò lo sguardo su di me, silenziosa, forse stupita.
"A causa dei miei occhi. Tu eri in ambulatorio, molti giorni fa: tu ci curi, quindi tu sai."
Lei annuì.
Silenzio.
Avevo paura.
Era vero.
Avevo una dannata paura.
"Sono anch'io come Naruto, Sakura?" domandai infine, in un filo di voce strozzata.
Lei parve sorridere, in un sorriso strano.
"No, Sasuke."
La continuai a fissare: poteva esserne certa?
No, in effetti.
Perchè mi guardava così?
"Sasuke, c'è una persona che devi conoscere."



***



L'ultimo legame di sangue che conta per un bambino del Ludus è quello dei genitori, che si spezza nel preciso istante in cui li abbandona per non incontrarli mai più.
E' un motore, è l'ultima fetta di benevolenza: una benedizione, la chiamano, che porta i bambini sulla loro strada.
Poi c'è il nulla.
Ed anche quella cerimonia è solo una farsa. Serve ai bambini, ma per loro, in quanto persone, è inutile - conserveranno un buon ricordo dei genitori, ma questo viene affossato dal mondo in cui entrano: il Ludus fagocita tutto.
Pochi sanno imparare a voler veramente bene, ad amare, ad affezionarsi a qualcuno, a tenere a qualcuno a sufficienza da modellarvi le proprie azioni.
Naruto si era innamorato dei suoi fratelli e della sua regio: del mondo che lo circondava, senza bisogno di genitori, senza bisogno di benedizione. Questa era la sua forza, oltre all'enorme bisogno di vivere che si trasformò nella sua condanna.
Tsunade, invece, dovette passare per lunghi errori, ed infine strinse con me un legame di profonda amicizia.
I legami: furono loro ad intessere la ragnatela che portò dove siamo ora.
Jiraya era stato mio maestro, subito dopo Kakashi: lo scoprii attaccato a Tsunade in un modo che nemmeno lui aveva realizzato. L'aveva osservata dai campi di battaglia trafficare nei suoi esperimenti, e poi, tenendo prima me e poi Naruto sotto la sua ala, aveva finito con l'entrare definitivamente nel suo mondo, per non uscirne più.
Poi c'era Sakura.
E poi c'era Kakashi, che si era preso uno dei miei occhi, in sostituzione di quello che aveva perso nella battaglia che lo aveva reso un Custos relegato a fare il Rector e l'ambasciatore: lo aveva fatto per capire la mia sofferenza. Scoprimmo poi che Kakashi aveva molto più a che fare con Naruto di quasi chiunque altro - senza che quasi nessuno se ne accorgesse.

E poi c'era lui.
L'unico vero motivo per cui avevo iniziato la mia oddissea.
Mi ricordavo un bambino minuscolo, che tenni in braccio quando avevo ancora cinque anni. Mi era sembrata una cosa incredibilmente fragile.
Non lo vidi mai più, perchè non avevo più gli occhi: ne sentii solo la voce, quel giorno.
"Itachi, ti ho portato qualcuno." aveva detto Sakura.
Poi il silenzio, e il respiro di un ragazzo stanco e distrutto.
Mi stava studiando.
"Il mio nome è Sasuke." disse infine.
"Ciao, fratello."



***

Ci raccontammo tutti le nostre storie, in quei giorni.
Storie sussurrate nella desolazione delle macerie, storie raccontate piano per non farsi sentire.
Itachi cercò di spiegarmi perchè aveva ucciso i miei genitori: aveva una voce piatta, che però ogni tanto sembrava incrinarsi.
Più storie raccontavamo, più intrecci nascevano.
Io ero rimasto turbato, da piccolo, nel sapere di quel fratello assassino che non ricordavo: allora feci finta di niente. Mi chiusi in attesa di vedere cosa il Ludus avrebbe fatto di me. Solo quel giorno capii quanto gli eventi erano interconnessi, l'uno con l'altro.
Mi ricordo che mi domandai a lungo perchè mi dissero che avevo un fratello assassino, considerato che in genere nulla veniva detto: ma faceva parte del piano. Serviva per convincere anche me che era un folle, senza mai averlo incontrato - nell'eventualità che ciò accadesse in futuro.
Il Difetto.
Mi stupii nel sentirlo domandare perdono.
Io non lo perdonai.

Non c'era nulla di cui doveva essere perdonato.

Mi ricordo sprazzi di quel periodo brevissimo.
Mi ricordo soprattutto le storie. Quella di Tsunade, quella di mio fratello, quella di Naruto che non conoscevo.
Quella di Sakura, quella di Jiraya.
Poi raccontai le loro storie a Kiba e a Hinata.
Mi ricordo che Hinata pianse.
Poi Neji si avvicinò, e mi chiese di raccontare di nuovo.

Era tutto un racconto, un enorme racconto, che più veniva ripetuto più sembrava prendere consistenza.
Ad ogni parola acquistava un nuovo significato, più denso e profondo.

Nacque tutto in quei giorni, ma nacque come un bambino: per anni, forse decenni o secoli, era andato sviluppandosi nel grembo della Regio.
Non vidi Kakashi per un po' di tempo: quando ricomparve ai miei occhi mi sembrava un uomo diverso.
Si fermò anche lui, a raccontare la sua storia.
E la storia di Naruto che nessun altro, oltre a lui, conosceva: quella che avevo intuito, intravisto, e con gesti stupidi cercato di strappargli.

Erano giorni strani.
Si ricostruiva il Ludus dalle macerie, e intanto noi parlavamo.
Queste storie passavano fra i bambini e i ragazzini come tabù rivelati. E così erano, perchè avrebbero fatto presto a farci tacere se si fosse iniziato a sapere che interi segreti della Regio, come la storia di Naruto e le mutazioni, erano stati svelati. Saremmo stati tutti uccisi: in rigoroso silenzio.
Lo sapevamo.
Più parlavamo, più ci rendavamo conto che secondo la vecchia logica non avremmo dovuto.
E' così che nasce, pensavo, seduto in un isto di pausa mentre continuavo a passare le dita sulle cicatrici che mi aveva lasciato Naruto.
Le sue parole non avevano mai smesso di rimbalzarmi in testa.
Tu ed io, siamo uguali.
Passavo le notti a rielaborare quella frase.
E poi le notti divennero i giorni.
E il suo corpo era ancora lì, appeso, a mostra della vergogna d'un traditore.
Un corpo morto.
Un niente.
Solo un cadavere.

Non era un traditore.
Non se lo meritava.

E così le notti di pensieri divennero notti di incontri.

Scintilla dopo scintilla.

Sino a quella finale.
Che decisi di accendere io.


***


Sasuke cercava da tempo di mettersi in contatto con me, e io non capivo cosa volesse. Non potevo raggiungerlo via radio privatamente, ne' salire per un faccia a faccia: ero alle complete dipendenze dei due Sommi.
Una vera seccatura.
Quello che mi lasciava perplesso era il suo insistere reiterato: erano successe cose grosse, lassù - ma sino a quali livelli?
Avevo le mani legate.
Ma decisi di stare in ascolto.

E feci bene.


***


Sei giorni e sei notti passarono.

Ci muovemmo così.
Senza rendercene conto.
Ci muovemmo e basta.

Guardavo il mio riflesso in un vetro ed osservavo le mie cicatrici.
Quella mattina, sotto la luce dell'alba, sillabai: tu ed io siamo uguali.


Tu ed io siamo uguali.


Siamo tutti uguali.


"Sasuke."
Kakashi mi porgeva un oggetto che stava già diventando sacro.
"E' la sua."
Espirai.
Poi la presi fra le mani, e la accarezzai, come avevo visto Naruto fare nella SubSphaera, il primo giorno del sesto anno.
La sua calibro 45 fra le mie mani. Kakashi l'aveva tenuta da quell'incontro, ai magini della giungla e della terra di nessuno.
Non era un'arma che mi era totalmente propria.
Ma era indubbiamente la più consona.

Mi passai per l'ennesima volta la mano sul volto, osservando Kakashi.
Restammo in silenzio.

E ci muovemmo così, senza sapere se era giusto o sbagliato, senza sapere cosa sarebbe accaduto dopo.
Ma consci che qualunque cosa seguitasse, sarebbe stata unicamente opera nostra.



Tu ed io siamo uguali.

Siamo tutti uguali.

Siamo tutti mostri.
Siamo tutti armi.
In una guerra che non ci appartiene.
 



Naruto si era solo svegliato.
Destato dalle scosse della sua situazione.

Naruto.

Era diventato il nostro martire.






Here's to you
Nicola and Bart

Rest forever
here, in our hearts

Last and final
moments is yours

Agony
is your triumph.

[Here's to you - Ennio Morricone, Joan Baez, Lisbeth Scott]







_________________________________________


pronti per il gran finale?

e vi consiglio di ascoltare anche la canzone di questo capitolo, dal film 'Sacco e Vanzetti', che se aprezzate la mia fic vi consiglio di vedere. Trattasi di storia vera.
La versione è quella delle OST di mgs4, cantata da Lisbeth Scott - che preferisco perchè più melodica.

ps: il narratore ho deciso di farlo morire assieme a Naruto, per fare un finale più, spero, sentito nella narrazione in prima persona.

@Vix: ... sorry!

@LaGren: ^^ ehvabhè XD mi spiace xD grazie per gli aprezzamenti impliciti xD sì, un cap al giorno... crisi!

@Reki: :) felice che aprezzi, adesso cerco di imbastire un buon gran finale, onde evitare di rovinar tutto o.ò terrore T_T

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Capitolo 46
*** 45 (All'alba) + Epilogo + Note Finali ***


45-fin


Quattro colpi.

Quattro spari.

L'ultimo in canna, e il suo sguardo puntato addosso a me.
Non se lo erano aspettato, i Magistri di scorta.
Non se lo era aspettato nessuno di loro.
Ma lui?



45. All'alba


Mi ricordo che si alzò in piedi, e mosse due passi verso di me.
Mi disse: "Vengo anch'io."
Eravamo nella sua cella: a stento riuscivamo a mascherare l'andirivieni che si era creato negli ultimi giorni. L'alba era spuntata da poco, e Sasuke era già andato a far quel che doveva fare.
Lui mi guardava e non mi guardava, come al solito.
"No."
"Non era una domanda."
Mi morsi le labbra, scrutandolo: la sua voce era sempre piatta, ma ormai imparavo a riconoscerne i toni che in essa celava.
"Non era una risposta: era un dato di fatto."
Sembrò sorridere.
"Sakura, non vorrai mica tenermi fuori, non è vero?" domandò, retorico, inclinando leggermente il capo.
"Ci sei più che dentro, è inutile che vieni anche tu."
"Sono d'impedimento, immagino."
Lo avevo forse pensato?
Assolutamente no.
Non in quel modo, per lo meno.
Le chiavi le avevo io, ad ogni modo.
"Non sei d'impedimento, Itachi."
Mi incamminai alla porta, scuotendo il capo. "Ma non voglio che corri rischi inutili."
Successe qualcosa di realmente assurdo: dopo un attimo di silenzio, Itachi scoppiò a ridere.





***



L'Ignis Umbra aveva le mani levate verso l'alto, e il suo sguardo non era affatto sorpreso.
Questo sorprese me. Me, che, meccanico e determinato, avevo fatto per la prima volta fuoco su miei corregionali a sangue freddo.
Mi guardò, ed io mi bloccai: i miei occhi mi avevano dato la mira, ma sembrava che non servisse solo quella, per uccidere.
"Nella mia toga c'è una cosa che devi dare a una ragazza che va per Medicus di nome Sakura." disse.
Io avevo la calibro 45 di Naruto puntata addosso a lui, pronta a fare fuoco.
Cos'era, un gioco?
Rimanemmo fermi, in silenzio: i quattro cadaveri della scorta mi circondavano.
Io iniziai a sentirmi addosso il peso delle mie azioni, ed un'ansia opprimente mi avvolgeva. Fissai il vecchio, lui fissò me.
Sentii il suo sguardo talmente addosso che mi stupii non riuscisse a leggere nella mia mente. E poi, vidi le sue pupille muoversi a ripercorrere le mie cicatrici incrostate.
"Allora?"
Lo guardai a lungo senza capire.
E intanto avevo la paura a fagocitarmi il ventre. E i quattro morti sulla coscienza.
"Muoviti."
C'erano ancora moltissime cose che non comprendevo.
Molte non le comprenderò mai.

Sudato e tremante, feci fuoco.

E l'Ignis Umbra cadde a terra.

Allora mi sembrò di sentrimi leggero: abbassai la canna e osservai il corpo inerme della massima carica della Regio giacere a qualche misero metro da me.

Scintilla.

Non si tornava più indietro.

Si aveva già passato da tempo il punto in cui non si tornava più indietro.


***

C'erano poche persone in giro, all'alba, ma c'erano: dovevamo fare attenzione.
Ero di vedetta assieme a Shino - due pali: lui con gli insetti, io con i lupi.
Ci incontrammo in silenzio.
E non ci scambiammo parola.

E' orribile da dire, ma il tanfo che emanava il cadavere di Naruto era a dir poco nauseabondo.
Sei giorni e sei notti, a macerare sotto il sole e sotto le nuvole.

Indegno.

La prima volta che formulai realmente quella parola nella mia testa, con parole umane, fu all'esecuzione.

La dignità me l'avevano insegnata i lupi.

Capirli mi aveva dato più di quanto ci si possa aspettare: forse non mi ero subito lasciato trascinare come Sasuke, ma quando anch'io arrivai a capire anche solo parte della realtà delle cose, sentii come se avessi già conosciuto tutto ciò.

Avevo proposto io di iniziare da lì.
E Kakashi aveva aggiunto l'idea della tomba.

Dignità.

L'avevamo lasciata agli animali, alla nobiltà dei lupi e delle bestie della foresta.
Forse, pensavo, l'umanità non se la meritava.

Ma Naruto meritava rispetto.

E così la prima cosa che facemmo fu dar pace al suo cadavere, appeso come carne da macello.

Indegno, mi ripetevo.
E i lupi, con me, fremevano d'attenzione.

***


Dovetti trattenere il respiro a lungo, mentre insieme a Sakura liberavamo il cadavere dalle catene.
Era terribile.
In quel momento, oppressa dalla frustrazione e dallo sconforto per la sorte di Naruto, la mia mente cercava la fuga.
Quando ero piccola lo rimiravo per la sua infinita allegria e sconsideratezza, e quando cercò di rapirmi mi sorpresi nello scoprire che non mi usò mai realmente come scudo umano: anzi, mi difese.
Era una cosa da Naruto.

Ero una ragazza debole, l'ho sempre saputo.
Neji mi faceva da sostegno.

Non lo vedevo. Lo cercavo con lo sguardo, durante quel lavoro infame e triste, oltre che clandestino.
Che fine aveva fatto Neji?

Senza di lui non combattevo.
Se combattevo ero brava, ma avevo bisogno di Neji. Questo penso che Kakashi lo capì subito, e poi lo tenne a mente chi faceva le squadre.
Al Ludus avevo tirato avanti osservando Naruto.
Non lo nego.
E la pena che provavo nel dover trattare i suoi resti, tristemente immondi, era totale.
Dopo il Ludus, tirai avanti grazie a Neji.
Osservandolo e facendomi guidare da lui.

Io ho sempre avuto bisogno di una guida.
Avrei dovuto essere un Custos perfetto, dalla mentalità debole e malleabile.
Ma, no: sapevo scegliere.
Me ne dovevo convincere.
Per lui, per loro. E prima di tutto per me stessa.

Così chiusi gli occhi.
E mi feci forza.
Da sola.
Assieme a Sakura, ma indipendente.

Quel giorno cercavamo di cambiare il mondo.
Quel giorno mi costrinsi anch'io a cambiare. O forse di crescere.



***


Sasuke arrivò al piazzale camminando, il volto pallido.
Non disse una parola.
Mi porse una pergamena, osservando il sacco nero in cui avevamo messo il cadavere di Naruto.
Avevo le mani sporche, e me le pulii addosso. Non capivo la sua espressione: era seria, ma lo sembrava essere quasi troppo.
Da quanto non vedevo una pergamena?
Trasalii notando in controluce il marchio delle carte dell'Ignis Umbra.
"Mi ha detto di darla a te." Si limitò a dire Sasuke, per poi flettersi.
Lo vidi estrarre il suo pugnale dalla caviglia.

Le mie pupille scorrevano rapide su quel testo che pareva caduto dal cielo: inaspettato.

Levai lo sguardo su Sasuke, e lo fissai per lungo tempo.
"L'hai ucciso?"
Lui annuii.

Ogni passo in più mostrava nuovi intrecci.
Sembrava una storia destinata a non finire mai.


Domando scusa nell'averti chiesto troppo, Sakura. Spero che tu riesca nell'impresa che ti ho affidato, ma temo non sarà così.
Io sono solo un vecchio.
A voi giovani che mi guardate sempre come la massima carica, svelo: non valgo nulla.
E sono stato anche un pessimo Ignis Umbra, nella mia inutilità. Sono una figura, nulla più.
Naruto era un esperimento che minacciava di ripetersi, come si sono ripetute le mutazioni nonostante l'incidente del Difetto, mai realmente chiarito. Dopo Naruto, il candidato ideale trovato fu mio nipote Konohamaru. Mi comportai male nel costringerlo a lasciare il Ludus: alla fine acconsentì, ma già da tempo girava la voce che per causa mia avrebbe abbandonato.
Lo dichiarai morto per praticità.
Avevo paura per lui. E nel tempo scoprii di aver avuto ragione.
Ho ascoltato le vicende di Naruto da lontano, e ho visto Tsunade morire solo su carta.
Sapevo già che c'era qualcosa che non andava, ma quando ho saputo che voleva attaccare il Ludus ho capito che il ragazzo ne aveva passate troppe per sorvolere sulle infinite cortezze del Globus, della Regio, ed anche mie.
Mi ricordo i vostri occhi, quando siete tutti bambini.
Sono occhi di un'innocenza che viene spenta subito.
Sono stufo.
E sento il peso degli eventi addosso.
Fai qualcosa, Sakura.
Qualunque cosa.
Vedo occhi diversi.
Sento storie diverse.
So valutare le situazioni: scoppierà.
Ed io farò in modo che scoppi.
Bada a Naruto, e, se non puoi, bada ai tuoi fratelli.



Realizzare, durante l'esecuzione, che Naruto aveva sofferto tanto nello scoprire la bugia delle sorti di Konohamaru mi ha fatto pensare di essere stato io, in buona parte, la causa di tutto. O di molti degli eventi in cui siamo inciampati in questi anni.

Vali più della metà di Tsunade, Sakura.
Vali più del doppo di Tsunade: hai la vista sul futuro ed essa è limpida. Sarà difficile, immagino.
Io aspetto.
Ho già fatto la mia mossa: tocca a voi.

Hiruzen Sarutobi


Mi sorpresi nel leggere un nome.
Mi sorpresi nel sapre che l'Ignis Umbra aveva un nome.
Ed un cognomen.
Non compresi mai realmente il motivo di tale firma. Forse, una forma di rispetto. Forse, un segnale di rottura.
Tornai a guardare Sasuke per l'ennesima volta, cercando di comprendere cosa celasse il suo sguardo.
Alla fine fu come se mi rispose: "Lo sapeva che lo avremmo ucciso. Uccidere un simbolo - è più potente del simbolo stesso."

Fu allora che Sasuke mi porse il pugnale.

Misi via la pergamena, in una delle mie tasche, e tornai a fissarlo.
"Perchè il pugnale?"
Lui tacque.
"Guarda il mio volto, Sakura." rispose infine.



***


Mi chiamarono quasi troppo presto: ero intento a discutere con degli strateghi sulla situazione dei Bellatores alla Ventii Regio, e il mio bracciale sembrò tuonare.
"Jiraya. Hai dato tu ordine di rimuovere il cadavere? Non è passata nessuna comunicazione al riguardo, e non lo vedo più."
Era per quello.
Strano.
Mi alzai in piedi, spingendo indietro la sedia e congedandomi dalle comunicazioni radio col fronte.
Allora il tuono divenne tempesta.
Un'altra voce, assai più proeccupata, anzi: sgomenta ed urlante.
"Jiraya! L'Ignis Umbra è stato assassinato!"
Mi fermai.
Inspirai.
Espirai.
E volsi lo sguardo verso l'alto.
Guarda, Tsunade.
Pensai.
Guarda cos'hai combinato.

E forse sorrisi.


***


Eravamo tutti uguali.
Eravamo tutti armi.

Come Naruto.

Nessuna distinzione.
Tutti dannati.
Era la verità.

Fece male e fece bene: era una sensazione strana.
Sasuke me li incise.
Io li incisi agli altri.

E così cominciò.


***

Scoprii io che l'Ignis Umbra era morto: dovevo contattarlo e non rispondeva.
Dunque era questo, il piano?

I Sommi sembravano non capire esattamente cosa stava accadendo.
Io lo intuii.

Sì.
A Sasuke e gli altri sarebbe indubbiamente servito il mio aiuto, da lì.


***

Kakashi venne chiamato, e mi lasciò solo in quello stanzino disperso in un anfratto della SubSphaera.
Senza catene, senza manette, senza nulla.
Un apparecchio radio ed una proposta.
Per il resto, ero libero di fare quello che volevo: fuggire o rimanere, e contattare Baki e i miei superiori per comunicare loro i termini della resa.
Loro ci avrebbero dato la terra. Molta terra. Verde, coltivabile.
Noi li avremmo lasciati in pace per qualche mese.
Perchè ora erano deboli.
Perchè entro breve si sarebbero arresi, senza il comando di nessuno.

Perchè l'Ignis Regio moriva.

E la guerra forse sarebbe finita: a nostro totale vantaggio.

Ci pensai a lungo.
Ma la mia decisione l'avevo presa già prima, quella notte, osservando Naruto morire e gli sguardi del mare nero inchiodati sulla sua figura.

Stava per cambiare tutto.
Ed io, privato di mia sorella da Naruto, privato di mio fratello da Naruto, avviluppato nel disastro ch'erano stati i ragazzi-demone, decisi di aiutarli.
Perchè sapevo perfettamente come si sentivano.
E condividevo il loro dolore.

Era un grand'uomo, Kakashi.
E continua ad esserlo.



***

Sakura era stata la prima.
Con i suoi sei tagli, tre per gota: perchè era giusto così.
Subito dopo si fece avanti Kiba. Aveva già dei segni strani e rossi sul volto: sei di più, sei di meno, disse ridendo. Lui e Naruto erano stati compagni di nullafacenza, al fronte - nella nostra prima uscita.
A Kiba piaceva.
Kiba gli voleva bene, come un cane vuol bene ad un altro cane: pura simpatia.
Il terzo fu Neji, che decise di apparire solo allora.
Neji non aveva mai retto Naruto, in quanto bocciato, e non lo aveva mai visto, poi, oltre all'essere un nemico. Per lungo tempo, prima che comparisse, pensavamo non sarebbe stato dalla nostra.
Invece fu il terzo: era un sintomo.
La quarta fa Hinata.
Il quinto Shino.

Allora arrivarono, in quella zona del piazzale, alcuni Magistri di guardia: e ci videro.
Ci chiesero che fine aveva fatto Naruto.

"Daremo degna sepoltura al nostro compagno."
Disse Sakura. Un tono piatto e incisivo.
Gli uomini sembravano perplessi.

La mattina iniziava.
Un sole acciecante.
Il cemento biancastro, ridotto in pezzi, solcato da crateri, sembrava rilucere assieme alla Sphaera, sulle cui travi metalliche ancora c'erano le catene con cui avevano appeso Naruto.
Non un filo di vento.
E silenzio.
Due piccoli gruppi si erano formati - noi da una parte, loro dall'altra: e iniziavano a catturare l'interesse di chi si muoveva.

Esplose la notizia pochi minuti dopo: l'Ignis Umbra era stato assassinato.

Mi ricordo che Sakura mi scoccò un'occhiata, il capo basso - forse avvilito per la sorte che avevamo deciso per l'uomo che si chiama Hiruzen.

Un colpo secco.
Assieme alla scorta.
Morti.
Uccisi.

Da chi?, si domandavano loro, tanto shockati da non riuscire a connettere gli eventi.

E noi li guardavamo con una serietà che non conoscevano.
Non potevano conoscerla.
Noi stessi ce ne stupivamo.

Mi ricordo la sensazione che mi avvolse, e che ci avvolse tutti.
Mi ricordo il tempo, che passava lento ed inesorabile.

Dovevamo essere solo noi, all'inizio.
Noi con le guance solcate dai baffi di Naruto, incise nella carne dalle nostre stesse lame.

Scese nuovamente il silenzio quando capirono che quell'assassinio era stato opera nostra.

Ma si stupirono, quando arrivarono altri.

Mi ricordo: prima i lupi.
Ragazzini che affiancavano Kiba: perchè loro erano un branco, ovunque fossero.
Poi altri ragazzi.
Altri Custodes della nostra generazione: Ten Ten.
Ino, che credo non vedevo da anni.

Vennero due linci: non conoscevo quella mutazione se non di nome.
Mi fecero una certa impressione.



E da sei diventammo trenta.




E da trenta diventammo cento.




Silenziosi nel nostro tacito accordo: gli altri di fronte, uomini e donne che osservavano impietriti un evento che non sapevano gestire.



E da cento diventammo trecento.



E da trecento diventammo mille.




L'odore del sangue, dei graffi e dei tagli che ci si infieriva sul volto per dire: 'ci sono', si spandeva nell'aria.
Non lo avevamo progettato.

Era successo.

La verità aveva dilagato come una malattia infettiva: era passata di persona in persona, inarrestabile, fra parole e storie.

I Magistri, ed ora i Rectores, con qualche altro Custos o ragazzino perplesso ci osservavano incapaci di tradurre quell'avvenimento.

Due branchi.
Due guppi divisi da un quasi netto solco generazionale.
Due mentalità diverse a confronto, intente a scrutarsi, immobili.



E da mille diventammo duemila.




Rividi la bambina che mi aveva trattenuto sdraiato dopo lo scontro con Naruto.
Era piccola.
Troppo piccola.
Ma diamine, ricordo la sua espressone, che sembrava di donna.

Avevamo menti levati, sguardi fissi e determinati.

Sakura teneva la mano sulla tasca contenente la pergamena di Hiruzen.

Mi ricordo il silenzio.
Mi ricordo quell'aria.
Mi ricordo.

E gli sguardi dei nostri nemici, che non erano bianchi, ma neri. Erano i vecchi.
Era il passato.

Ora, davanti a loro, si ergeva l'esercito di giovani dai poteri incredibili.
Il loro esercito.
Le loro mutazioni, le loro armi, e i loro futuri Philosophi.

Occhi rossi, occhi bianchi.

Ci guardavano, le armi estratte.



In meno di mezz'ora, tutto il Ludus era lì: raccolto attorno a una linea di vuoto che divideva due tempi, due mondi, due umanità.
E attorno a noi, e sotto di noi, ancora miriadi di macerie, e cemento dissestato, e assi storti e polvere sedimentata per terra.


Di fronte a me vidi Jiraya e Kakashi, chiamati al dovere dagli altri Custodes.

Le storie.
Il potere del racconto.
Il terremoto della realtà.

Decisi di parlare.
"Avete ucciso un nostro fratello."

Loro tacquero.

"Lui ne ha uccise centinaia, di vostri fratelli." rispose un Rector.
"Per colpa vostra. Anche quei fraelli li vete uccisi voi, non lui. Anzi, i Sommi hanno ucciso tutti."

Loro ci guardavano senza capire.
No, loro non comprendevano la responsabilità.
Non tutti.
E' difficile capire la responsabilità quando ne sei da sempre privato.

"Naruto era un'arma." sentii la mia voce tuonare. "E lo sono anch'io, che ho questi occhi scarlatti. E lo sono i miei fratelli, che possano chiamare i lupi o malleare il metallo, o che siano privi di mutazione, ma Custodes o futuri tali: non ha importanza. Non sappiamo perchè combattiamo una guerra secolare, non conosciamo il nostro nemico - e peggio ancora, non conosciamo la nostra gente. Lo avete sentito, Naruto, voi? Lo avete sentito urlare il dolore che gli avete procurato?"
Vidi la stizza sui loro volti.
E persi, tacevano, ascoltando me.
"Io lo conobbi, e vi dico: aveva ragione. Mi sono chiesto cosa sarà di me, domani, e non lo so. Qualcun altro, in questo mondo che ci si è costruiti addosso, decide."
"Tu sei un Custos, esegui ordini, come tutti noi." Sibilò un Magister, a denti stretti. "Torna nelle tue schiere."
"Sono queste le mie schiere."
Sentivo respiri pesanti.
"Io sono uomo. Io voglio decidere. Io voglio vedere e sapere perchè. Aprite gli occhi e domandatevi cosa state facendo. Difendiamo la Regio, mi disse un giorno Naruto stesso. L'ho combattuto, ma non per ucciderlo: per salvarlo. E ho fallito."
"Il ragazzo non ragiona -"
"Oh - no. Ragiono meglio di voi tutti messi insieme. Cos'è la Regio?" Urlai infine.

Era una domanda fondamentale.
Nessuno conosceva la risposta.

"Noi siamo la Regio. Noi tutti."

Mi ricordo il silenzio.

"Quelli in basso. Che muoiono di fame mentre noi moriamo al fronte, o che muoiono al fronte con noi, senza valere nulla."

E gli sguardi attoniti.

"Ho deciso che, come fece Naruto, combatterò per la mia gente. Voi per chi combatterete?"

Il primo che mosse passi lenti verso di noi non fu Kakashi: fu Iruka.
Il che sorprese chiunque tranne me.
Mi raggiunse, lento e solenne, e di fianco a me voltò le spalle, osservando la fazione dall'altra parte.

"E' il momento di farsi delle domande."
Si flesse ed estrasse il suo coltello.

Jiraya e Kakashi seguirono, lascianto attoniti uomini e donne forgiati da quell'assurda logica dell'obbedienza.

In noi ribolliva una rabbia lontana, in me soprattutto: rivedevo con i miei occhi la vita di Naruto e mi chiedevo se ciò fosse abbastanza.
Ora eravamo tutti proiettati in avanti.
Il petto in fuori, lo sguardo fiero.

Non era orgoglio.
Era dignità.
Volontà ferma. E decisione.


Forti.
Nella nostra debolezza di animi turbati.
Ma determinati.
Bambini e ragazzi.
Uomini e donne.


Naruto gli si era rivolto contro:
lo facemmo anche noi.
Lo facemmo tutti.


Quello che si innnalzò quel giorno fu un ruggito.
Un enorme ruggito di migliaia di ribelli.


Iniziammo perchè dovevamo.
Perchè ormai era tutto palesemente falso, e, in quei giorni, decidemmo di cambiare il mondo.
Un mondo che era crollato da tempo.
Un mondo che attendeva quel nostro enorme gesto.

Il primo scatto ruppe un silenzio innaturale.

Mi ricordo le voci.
Mi ricordo gli spari.
Mi ricordo le urla.
Mi ricordo la lotta.

Mi ricordo i volti persi dei nostri nemici: il passato opprimente, i secoli bui di ritimicità e statismo erano condensati nei loro sguardi fiacchi, sviliti.
Combatterono.
Ma non come noi.




Noi, quel giorno, facemmo la rivoluzione.




Sapendo perchè combattevamo.
Sapendo qual'era il nostro fine.
Sapendo per chi combattevamo.
Sapendo cosa stavamo realmente facendo.

Duemila, forse tremila persone:
mossi da lui, da Naruto;
ma mossi in realtà da tutti, da ogni singola persona che aveva premuto per arrivare sin lì:
Itachi, Kakashi, Tsunade, Hiruzen, Sakura, Jiraya, ed io stesso.
E poi gli altri.



E per ognuno:
sei solchi, sul volto, a baffo.







____________________________









Epilogo.


Itachi posò con delicatezza le mani sul grembo ormai esageratamente abbondante di Sakura.
Si sporse, portando un orecchio sulla sua pancia, e lì rimase in ascolto come faceva da mesi.

Kakashi osservava i due, lo sguardo altalenante fra l'ennesimo libro e quella visione: gli suscitava una serie di sensazioni che, negli anni, non era ancora riucisto a decifrare del tutto.
Ne' lui, ne' i suoi coetanei, mai avevano avuto un amante se non negli ultimi anni: e fu arduo, per quei pochi che riuscirono a liberare se' stessi dalla prigione emotiva in cui la loro vita li aveva sempre racchiusi, scoprire il mondo nuovo e quelle nuove relazioni.
Kakashi era uno dei tanti che non riusciva ancora a venirne a capo: ma osservare quei due gli provocava quella scia di emozioni che come vioentava le sue sicurezze sulla vita e la morte, già precarie.

L'altipiano del Ludus era lontano sull'orizzonte.
Sasuke ci tornava di rado, accompagnato ogni tanto da quelli che chiamava suoi amici.
Ogni volta che risalivano, si fermavano ad osservare la devastazione che avevano deciso di non toccare mai più.
E passandosi la mano sul volto, ognuno segnato dalle sei cicatrici, muovevano passi fra le macerie sino a giungere all'unica cosa che era stata costruita sino ad allora: il cimitero. Primo e più importante: le lapidi fiorivano fra i resti del vecchio mondo.
Lì si salutavano i morti.
E lì si perpetuava il ricordo.
Ogni tomba era uguale, per ognuno dei morti: la vita aveva eguale importanza per tutti.
Quella di Naruto Uzumaki non faceva eccezione.

Un volto infantile vegliava però sul Villaggio della Foglia: questo il suo nuovo nome.
Lo sguardo levato, il sorriso largo e sincero, a tratti esagerato.
Il petto in fuori era rivolto verso est: la statua bronzea osservava l'alba ogni giorno, ed ogni giorno si lasciava dietro il tramonto.
Una zazzera di capelli disordinati, e sei solchi, sul volto, a baffo.

Da quel giorno lontano nulla fu realmente facile.
Fu anzi un susseguirsi di difficoltà, di discussioni, di idee, di litigi, di lento cambiamento, di apparentemente impossibile smantellamento della vecchia logica per cercarne una nuova, che funzionasse, che riuscisse ad incorporare tutto ciò che ognuno di loro, nel tempo, negli anni, aveva maturato dentro di sè.
Si andavano ridefinendo interi vocabolari.
E poi le domande, che tanto avevano avuto difficoltà a porsi, ora diventavano il problema fondante: v'erano domande che non trovavano risposta, v'erano domande che di risposte non ne avevano.
E c'era il fallimento.
L'aspettativa.
Lo sconforto.
La paura di sbagliare.
Mattone dopo mattone.
Facendo.
Disfando.
Rifacendo.

Fu difficile.

Ma quello che fu, fu loro.






Naruto - I Frutti dell'Oblio / Fine

















NOTE FINALI

Bene.
Eccoci qua.

Devo dire che è stato difficile: ho materiale per scrivere almeno altre, boh, dieci one shot su quello che è il futuro, il nuovo mondo, ma ho deciso di non soffermarmi troppo.
Casomai riordinerò e farò un'altra raccolta.
Per ora, mi fermo qui, perchè è il finale de I Frutti dell'Oblio che volevo vedere.

Credo di aver tremato quando ho scritto 'fine': mi ero imposta di finirla, ma temevo sempre che sarebbe stata l'ennesima storia lasciata a metà.

Ora dovrete  - anzi, se volete, se no, niente - sorbirvi un po' di cose che, bhe, sì: sono le mie note finali.
Seguono:
 - L'angolo dell'autrice
 - Risposta alle recensioni
 - Ringraziamenti





Attenzione, potreste leggere qualcosa che non vi piacerà :D





L’angolo dell’autrice
(che da angolo è diventato superattico di trecento metri quadri ...)


“I frutti dell’oblio”, come titolo, trae ispirazione abbastanza palese da "I fiori del male" di Baudelaire. Appena formulato mi sembrava un titolo idiota, ma entro breve tempo si è dimostrato il più azzeccato che potessi trovare.

Era nata come una trilogia: "Naruto - I frutti del’Oblio" doveva essere il primo, seguiva una storia dedicata a Sasuke ed una dedicata a Sakura.
Dovevano essere tre momenti diversi (giovinezza, adultità, vecchiaia dei tre), e fra l’altro aveva dei bellissimi titoli in stile Hegel xD - però non credo che riuscirò a scrivere gli altri due... vista anche la mole di capitoli che conta il primo 'volume'.

In tutta la storia ci sono una decina di piccole incongruenze che adesso, armata di santa pazienza, devo rivedere e correggere - assieme agli errori di battitura e di grammatica che ogni tanto compaiono.




Questa storia è nata poco prima / dopo che io arrivassi allo Shippuuden, quindi i personaggi originali nascono dalla serie base. L’evoluzione di Itachi, soprattutto, sembrava essere OOC fino all’ultimo - e invece, poi, è risultato che avevo pigliato Kishimoto in supercontropiede e capito cosa voleva fare di quel personaggio.



Questa storia parla di una rivoluzione, di come può nascere e crescere.
Ho visto paragonare la storia del mio Naruto a quella di Cristo, ed, in effetti, ci andiamo vicino; anche se sono atea e dubbiosa sulla figura di quell'uomo, immagino che ormai sia ben radicata in tutti l'idea del martire che cambia il mondo.
Ma mi sembra di avervi dato abbastanza elementi per poter dire che nella mia storia non è affatto così: in moltissimi sono quelli che hanno spinto nella direzione del finale, ognuno con i propri mezzi, e nessuno avente la verità rivelata.
Sono state tante grandi scommesse.
In effetti, quello che segue alla rivoluzione è un processo decisamente tortuoso che, come dovevo fare in origine, meriterebbe una storia a se': chi ha fatto la rivoluzione, in realtà? Come si costruisce un nuovo modo di pensare, di essere uomini, senza ricacciare le macerie del fallimento indietro come se fosse tutto proibito? Si sarà capaci di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, si saprà imparare da ciò che si è rifiutato, ed, nuovamente Hegelianamente parlando, ricostruire partendo non solo dall'antitesi, ma da una buona sintesi?
E Naruto, cosa ne sarà di lui e del suo nome? Diverrà il nuovo cristo, o il nuovo che guevara, tutte e due le cose oppure nessuna?
Rischiano molto, in questo futuro: tutte le porte delle possibilità sono aperte, anche quelle peggiori.
Il mondo è nuovo, ma sarà migliore?
Hanno buone basi da cui partire, ma non si dia per scontato che finiranno sempre bene.
Anzi, sono personalmente molto preoccupata per loro.
Ma sono felice, perchè saranno loro a decidere e ad accollarsi le proprie responsabilità.



Questa storia è una denuncia politica.
Ragazzi, inutile che ve ne stupiate: una distopia non può non essere una denuncia, secondo me - salvo casi rari e relativamente incresciosi.
E’ nata quando ero liceale e l’ho conclusa come universitaria: ne sono successe abbastanza, sia nella mia vita che nel mondo, nel frattempo.
Chi si presta ad una lettura abbastanza attenta capirà abbastanza facilmente qual’è la mia campana: è una storia che parla di povertà, di ragazzi tirati e stressati, di guerrieri ignavi, di ciechi e di classi elitarie, di oligarchie conservatoriste, di disinformati e di ignoranti.
E si conclude con una rivoluzione generazionale.
Indovinate un po’.

Ma questa storia parla principalmente di farsi domande e cercare risposte, agire attivamente anzichè aspettare che qualcuno ordini cosa fare e dove andare, attendendo una realtà rivelata che potrebbe essere più falsa di qualsiasi altra cosa. E qui, non serve essere della mia campana per essere in accordo, secondo me. Basta un minimo di cervello - cosa che ultimamente molti italiani hanno perso per strada.



Ci sono molti personaggi che ho maltrattato in questa storia.
Apparte Naruto, anche Tsunade non ha avuto vita facile. Itachi, poi - bhe, Itachi lo adoro.
E' nato dal nulla quando ho deciso di farlo comparire, e da allora ho capito a cosa mi serviva.

Ora come ora, penso di poter fare un po' di
- considerazioni sul tanto contestato IC / OOC dei personaggi ^^

Sakura: IC. In piena.

Kakashi: IC anche lui, e con mia somma gioia.

Naruto: eeeeeehm? IC? OOC? Secondo me IC, però devo dire che ho stravolto di molto la sua storia.
Ecco, forse il Naruto di Kishimoto non sarebbe entrato al Ludus. Ma vi lascio col dubbio, secondo me Naruto poteva benissimo farcela, e poi... gli serviva per il demone. Sarà entrato davvero o lo avranno cacciato dentro a forza? Comunque, quando Naruto decide di fare una cosa, la fa. E lui ha deciso seriamente di fare il Ludus, quindi lo ha fatto. Mi pare coerente.

Sasuke: IC un po' tirato. Sì, insomma, il vero Sasuke è mister vendetta - qui il ragazzo non aveva i presupposti per diventare tale. Anche la perdita della famiglia, che nel manga è centrale, qui si fa relativamente da parte nella sua storia personale.

Itachi: IC indovinatissimo con veggenza nella testa di Kishimoto u.u

Jiraya: OOC. Se non per la parte che lo lega a Tsunade, per il resto non sono riuscita a renderlo bene - quando scrissi all'inizio la storia Jiraya era ancora solo un gran cazzone, piuttosto potente ma senza l'enorme morale che ne è nata dopo, ed ormai lo avevo instradato... ops.

Shikamaru: abbastanza IC, anche se a conti fatti Non E' esattamente da Shikamaru arrischiarsi a completare tutto il test di fine sesto anno - troppa fatica. Poi ovviamente mancando il rapporto con Asuma, poco si può fare.

Tsunade: mmh, fifty fifty. Le ho cambiato completamente il ruolo, quindi è stata piuttosto diversa, la cosa. Il rapporto Itachi-Tsunade, poi, è una cosa sè stante che certo col manga non centra niente. Però non mi tratterrei dal dire che in quella situazione non mi sarei aspettata da lei un comportamento diverso.

Kiba: IC, dai, anche se manca Akamaru

Shino: BOH? XD è un pg che non ho mai capito, qui era abbastanza di contorno, povero.

Hinata: IC tirato - non credo sarebbe realmente sopravvissuta, al Ludus.

Iruka: IC. punto.

Sarutobi: aaaaaaaw - non lo so. Mi ha funto da jollyjoker, però ha abbastanza l'anda da Sarutobi, tuttosommato.

Kankuro: quasi del tutto OOC. Insomma, ha avuto un ruolo molto imoprtante rispetto a quello del manga e l'ho caratterizzato con un linguaggio scurrile, cosa che mi divertiva molto xD, che non c'entra niente con lui. Però è abbastanza fedele... ma nel manga non è molto ben definito, caraterialmente: o almeno, io non l'ho molto capito, mi sembra un personaggio neutro.

Temari: OOC come il fratello.

Gaara: IC tiratissimo, considerato che è il carattere iniziale del personaggio estremizzato.

Konohamaru: mmmmoh, anche qui, IC iniziale, poi degenerato.

Gai e Rock Lee: non lo so, come maestri dell'allenamento Bellatores carroarmati rasati a zero ce li vedo - il che toglie spazio ovviamente alla loro fondante idiozia e al loro rapporto allievo-maestro. Sono stati un po' delle comparse, ma non ce li vedevo male, nel ruolo che gli ho dato.



Ci sono tutti?
Bhe, posso anche fare un po' una lista dei grandi assenti!
A partire da

Orochimaru: un pg che detesto nella sua inutile malvagità insensata ed idiota. E' un ammasso di stereotipi che non tollero: è proprio un 'cattivo'. La mia storia non ha 'cattivi'. Non c'è spazio per i cattivi, solo per le Persone.

Choji: del tutto inadatto! xD anche se nel primo capitolo dovrebbe esserci un riferimento ._. che toglierò xD

Gli altri sensei: non avevo spazio... già così sono 45 capitoli 0.0

L'akatsuki: bhe, qui non c'è. D'altronde mancano le basi.

Le altre nazioni: ok, sinceramente: all'inizio dovevano esserci, ma poi non riuscivo a gestirle. Questo non toglie che esistano.



- Parliamo ora di un po' di curiosità sparse:

I geniacci hanno radio e computer, ma non sono capaci di tirare su un areoplano o un satellite. Perchè?
Perchè sono ottusi.
A loro il cielo non interessa, frega solo la guerra.
Questo punto è importante e mi sarebbe davvero piaciuto svilupparlo in seguito, nei 'volumi' successivi della mancata trilogia.

Non hanno una religione.
E sono stata molto attenta a non usare imprecazioni del tipo "dio!", che forse mi è scappata ogni tanto, ma di sicuro non c'era nessun "cristo!" - dato che non esiste xD
però nel primo capitolo c'è un riferimento biblico (mosè), e devo decidere cosa farne... un bel problema! come immagine rende, ma tecnicamente...

Non hanno la domenica!
e nemmeno la settimana.

Nessuno è mai andato al bagno.
Bhe, questo è un'omissione classica dei romanzi, penso che mi concederete di non specificare le tappe in gabinetto, vero? xD non averlo specificato non fa di loro superuomini. xD

I mercanti si muovono a cavallo, su carrozzoni.
Questo si è visto, ed era il primo sintomo della realtà al di fuori del Ludus.

La "lingua" viene usata dalla popolazione in occasioni importanti ed in presenza di ospiti, ma Konohamaru se ne frega perchè Naruto è un amico. Lo chiama anche per Nomen, mentre fuori avrebbe dovuto chiamarlo con il Cognomen: che però non consceva.

E quelli che lasciano il Ludus e rientrano nel mondo dei poveri come falliti?
Bhe, è l'ennesima cosa 'normale'. Hanno anche molte conoscenze in più di quelle che non hanno gli altri, ma le dimenticano subito cercando di non pensare al loro grande fallimento. Abbandonare il Ludus significa mollare tutto, anche ciò che si è imparato: perchè non si è all'altezza.
Triste la vita.






Risposta alle ultime recensioni 




@ Vix:
Penso che questa morte sia stata onorata in ben altro modo.
Ogni buona storia ha i suoi morti. Anche quelle che sembrano più innocenti come il re leone, bambi, koda fratello orso - tanto per parare sulla disney, ecco.
Naruto era destinato a morire sin dal primo capitolo: in reatà, nessuno ha mai fatto realmente in modo che lui morisse davvero, Prima, quando lo dipingevano 'immortale'. Io penso che lasciarlo vivo sarebbe stato un atto di buonismo inutile... la sua vita, in questa storia - che di fatto E' questa storia - serviva in quel modo, e in nessun altro.
Per la serie: se Cristo non l'avessero crocefisso, non se lo filava nessuno. Ammettiamolo (parola di atea). Se vogliamo cambiare ambiente, ecco, anche il Che ha trovato la massima espressione del suo personaggio nella morte. Con pro e contro.
Non dico che morire sia bello, ma morire in quel modo fa bene alle storie.
Per quanto riguarda i capitoli dell'altra storia, arriveranno, assieme a quelli dedicati a molti altri. Anche se non so se mettere quelli dedicati a Naruto e Kyuubi, dato che la loro storia è stata narrata in 44 capitoli più che densi... devo pensarci.



@LaGren:
accidenti, scusa xD
ecco, ho aggiornato la sera, va bene?
anche perchè ho riguardato più e più volte questo capitolo, e sono ancora terrorizzata.
Non ho mai scritto un vero finale!
Sono tre anni che lo immagino nella mia testa (sì, era Quasi tutto calcolato, anche se molte piccole cose sono nate in contro).
La volpe, sì, è piaciuta anche a me narrarla.
Ah, spero che Sarutobi abbia sodisfatto ^^'
Per quanto riguarda la narrazione in prima persona, modalità sopravvissuti del Titanic... mmmhè, più o meno l'effetto che volevo ottenere. Spero non Troppo stile documentario o,o ma abbastanza da far un po' venir su qualcosa nell'immedesimazione.





Ringraziamenti


Prima di tutto Rekichan, questo è dovuto.
Grazie mille per aver letto dall'inizio alla fine, nonostante le mie infinite pause e gli aggiornamenti un po' a caso. E per avermi ogni tanto betato o aiutata se mi incastravo in maniera tragica ^^

Poi a tutti gli altri che si sono letti tutto il mattone recensendo:

GreedFan, che poi secondo me ogni tanto esagera parecchio con l'idrolatazione, ma immagino che adesso abbia un po' rivisto le sue posizioni scoprendo che lei è molto più brava di quanto pensa e io molto più pirla di quanto non ha decantato xD

LaGren***, donna dal nick troppo intorcolato perchè io riesca a scriverlo senza fare copia e incolla xD che mi ha corretto gli ultimi capitoli e quindi devo assolutamente ringraziare. Rileggevo fra l'altro la tua prima recensione u.u'' bhe, spero che lo storiografico sia caduto a sufficienza :) però devo dire che era in parte un effetto voluto: anche se in realtà sono io che scrivo in modo spesso TROPPO metodico xD

Vix, che ok, ho capito, mi odia perchè gli ho ucciso Naruto.
Eh vabè.

Aya88,  che spero di battaglie ne abbia avute abbastanza, alla fine! xD

Hanil, anche lei una di data abbastanza vecchia, a riguardare

E poi tutti gli altri.


Sommi ringraziamenti ai 45 che hanno preferito la storia, ai 24 folli che la seguono e ai 4 che la ricordano.
A tutti i pazzi che l'hanno letta, a quelli che l'hanno mollata perchè è proprio una storia cugno, li capisco.
Grazie comunque :)


Grazie a tutti quelli che in un modo o nell'altro mi hanno accompagnata in questi tre anni.
Non avrò scritto un Best Seller - dio, è pur sempre una fan fiction! - ma è stato un lavoro tanto piacevole quanto arduo.
Personalmente per me è un'enorme conquista, perchè è una delle poche cose che concludo nella mia vita.
Di qui in poi, mi sento pronta a poter fare qualcosa di più: non che questa storia fosse per me di serie B, anzi. Me la porterò sempre nel cuore.

Quindi vi saluto.

E me ne vado con somma gioia a mette la spunta al "completa" nell'uppare questo ultimo capitolo.

Ciao!
Kimmy/Pandina.





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