Non era malata, un mostro la stava mangiando dall'interno.

di GibsonGirl51
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto iniziò. ***
Capitolo 2: *** Dodici anni dopo ***
Capitolo 3: *** Luglio Duemiladodici. ***
Capitolo 4: *** Agosto, amore mio non ti conosco. ***
Capitolo 5: *** Il giorno dopo ***
Capitolo 6: *** Mojito. ***
Capitolo 7: *** Silvi Marina, Parte 1 ***
Capitolo 8: *** Silvi Marina, Parte 2. ***



Capitolo 1
*** Come tutto iniziò. ***


Come tutto cominciò.

Questa è una storia vera, la storia della mia vita fino al diciassette febbraio di quest'anno. Ho trovato la forza di scriverla solo ora, passato il compleanno di quella persona meravigliosa che era la mia migliore amica, la cosa più bella che potessi mai avere, mia nonna. Nella storia faccio spesso errori scrivendo l'articolo davanti al  suo soprannome, ma è voluto, per me è sempre stato così e sempre lo sarà. Non so se vi piacerà come scrivo, ma a prescindere la continuerò, perchè è anche a scopo psicologico, perchè a sedici anni, non si può tenere tutto dentro. Perciò.. buona lettura. Chi è stato nella mia situazione mi capirà benissimo.
 
Ero solo una bambina, lo ricordo a malapena, ma ho molti dettagli ancora in mente. I capelli ricci di mia nonna color grigio topo, il pancione di mia madre e il trasloco da un paese all’altro. Andavo ancora all’asilo, il nonno aveva ancora il mitico camper, e mi veniva a prendere ogni mercoledì e venerdì alla scuola dell’infanzia. Tutti i miei compagni erano gelosi, lo volevano pure loro un nonno come il mio. Non sapevano che la mia famiglia aveva appena passato il peggior periodo fino a quel momento. Non è facile raccontare ad una bambina di cinque anni che la sua nonna preferita, quella materna, tedesca, ha il cancro. In quell’anno Nonno si era dato all’alcoolismo, improvvisamente era sempre allegro e beveva molto più vino del solito, così come nonna aveva qualcosa di strano, ma ero una bambina, non mi rendevo conto di quello che succedeva intorno a me.

Mi ricordo quando Mamma mi disse che avrei avuto un fratellino: finalmente qualcuno con cui giocare! Ma purtroppo il nostro appartamento era troppo piccolo per quattro più un gatto. E fu così che ci trasferimmo nel paese accanto. Fare un trasloco con il pancione non è mai facile, soprattutto se bisogna pure ristrutturare la casa in cui si va ad abitare. Mamma ce la fece benissimo quell’anno, mi chiedo ancora oggi come ce l’abbia fatta. Quell’anno passavo davvero tanto tempo a casa di mia nonna e di nonno, che erano felicissimi di avere la loro unica nipotina a casa. Vivevano in un’appartamento di tre locali e mezzo, davvero piccolo, ma ci stavamo tutti. Adoravo andare sul letto della Umi (dal tedesco “Oma”, nonna), a guardare le foto delle zie e le mie da poppante. Non le vedevo spesso le zie, che in realtà erano prozie, nonostante una abitasse in un paese abbastanza vicino al nostro. Succedeva poche volte l’anno che le vedessi tutte insieme, Umi, Tante Margot, Zio Horst e  Tante Hannelore. Ma era stupendo quando eravamo tutti insieme. Mi riempivano di regali e mi coccolavano di continuo. Ero la loro bimba, e nonostante Margot parlasse solo tedesco c’era sempre Zio Horst a tradurre per me. Tutto era stupendo, ero la principessa di tutti e stavo un sacco di tempo con i miei nonni, mentre i miei genitori si spaccavano la schiena a fare il trasloco, decidere i colori per la nuova casa ed altre mille cose che non mi ricordo. 
Poi arrivò quel giorno. Quel giorno in cui mi risvegliai a casa mia, non sul letto del nonno, con mamma che mi guardava preoccupata. Qualcosa era successa, io non dovevo essere nel nostro appartamento, io dovevo essere dalla Umi. Guardai mia madre confusa e lei si girò verso mio padre. “Ciopys si è svegliata, andiamo.” Mi vestì e venni caricata in macchina con loro. Non capivo che succedesse, mi ero appena svegliata e iniziai a lamentarmi per la fame. Loro mi porsero delle caramelle, che io tutta contenta mi gustai fino all’ultima. Arrivammo all’ospedale, mia mamma corse di sopra e io rimasi in macchina con mio padre che fece un lungo sospiro. “Cosa c’è Papi?” Chiesi. Lui rimase un attimo in silenzio per poi guardarmi serio. “La umi è malata.” Lo guardai confusa. “E cosa ha?” Volevo delle spiegazioni, tutto qui. Ero solo una bambina, non sapevo che sarebbe stata così difficile per lui dirmi cosa aveva. “Una brutta malattia piccola, il cancro.”  “Cosa è il cancro?” “È come un mostro che ti mangia dall’interno, una brutta cosa.” “Ma si può uccidere questo mostro?” Eravamo nel duemila, ricordatevelo, la chemioterapia era ancora sperimentale. “Forse. Non lo sappiamo.” Annuì e scoppiai in lacrime. “Ma questo mostro si mangerà la mia Umi! Devono ucciderlo!” Dopo questo episodio non mi ricordo molto, a parte la nonna in ospedale, piena di tubi, le accarezzavo le mani e piangevo in silenzio mentre dormiva. Poco a poco perse i capelli, ma guarì. Undici anni dopo, la stessa scena, ma con un finale diverso.
E presto vi racconterò come ho passato il mio ultimo anno e mezzo, tra difficoltà e piccoli momenti felici.

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Capitolo 2
*** Dodici anni dopo ***


Saaalve. Oggi capitolo un po' cortino, ma spero sia apprezzato. È un episodio abbastanza  carino, e giuro, non ci saranno pianti nè nulla del genere.
Per i prossimi giorni non potrò postare, sarò leggermente presa dai giorni di scuola, ma spero nessuno mi uccida per questo. D:
Buona lettura. ^-^



Dodici anni dopo.


E così, ora siamo quasi a dodici anni dopo. Beh, sono cambiate tante cose in questi anni, Umi è stata in ospedale, ha dovuto fare diversi interventi. Nonno ha cambiato macchina, il camper era davvero improponibile dopo i quarant’anni di viaggi su e giù dall’ Abruzzo. Trovammo un camioncino per fortuna, e lui lo chiamò Bonsai. Io dall’altra parte ero cresciuta, avevo avuto le mie cotte. E degli amici che non abitavano di fronte a me, bensì diverse amicizie a distanza, di cui una avrebbe avuto l’anniversario dei quattro anni, proprio in quell’anno. La mia migliore amica, brasiliana, era ritornata nel suo paese, lasciandomi sola. Grazie al cielo strinsi amicizia con una ragazza che conoscevo da sempre, Gemma. In quell'anno, tra le altre cose, cominciai anche a fumare, ma rimase segreto solo per qualche mese.

 

Ma torniamo agli argomenti seri.
 
 
Aprile duemilaundici

Stavo facendo la quarta media, sì abbiamo quattro anni di medie in Svizzera e quattro di superiori, e a storia si parlava di seconda guerra mondiale, più in specifico di Berlino, così pensai bene di chiedere alla mia professoressa, un tesoro mi manca ancora oggi, se aveva voglia di sentire parlare qualcuno che la guerra a Berlino l’ha vissuta sulla pelle. Lei accettò e in un giorno prestabilito Umi venne a scuola con il nonno. Certo, fa strano pensare ad una ragazzina che porta la propria nonna a scuola, per di più una nonna cieca, ma per me era un’occasione stupenda. Ero fiera di lei. E poi avrebbe potuto sentire la voce della mia piccola cotta, un certo Nicholas. Organizzammo bene come gestire quel mercoledì. Umi non parlava perfettamente l’italiano, a volte la dovevo correggere, ma a settantanove anni diventa difficile pure parlare.
 
Un mercoledì, non mi ricordo esattamente la data, mio nonno prese il suo furgoncino e posteggiò nel cortile della scuola. Li andai a prendere a ricreazione, guidando nonna come solo gli accompagnatori dei ciechi sanno fare. Lei d’altro campo cercava di capire com’era fatta la scuola, e con i suo 20% di visibilità da un’occhio mi disse tranquillamente ‘’Hai ragione, questa scuola somiglia proprio ad un bunker.’’ E scoppiai a ridere. La facemmo entrare in classe, la facemmo accomodare alla cattedra e lei iniziò a parlare un po’ titubante, non tranquilla come al solito. Nicholas le pose alcune domande, come il resto della classe, e non fu necessario così spesso il mio intervento per aiutarla a formulare le frasi. Dopo di lei parlò il direttore, suo padre era partigiano dalle parti di Mantova a quanto pare, e mio nonno, acuto parlatore, si inserì diverse volte nei racconti, con il consenso del rettore, rendendo la cosa ancora più interessante.
Finite le due ore tornai a casa, quel giorno pioveva e non avevo l’ombrello, e ringraziai il cielo che nonno avesse posteggiato non troppo lontano.
In viaggio la Umi mi chiese ‘’Chi era Nicholas?’’  E io le risposi ‘’Prima fila centrale’’ Lei si voltò con un ghigno sotto le labbra e mi disse ‘’Non l’ho visto’’ e scoppiò a ridere, contagiando pure me.
 
Beh, questo è un altro aneddoto di nonna, la parte drammatica arriverà tra non molto. Spero che vi abbia fatto sorridere questo capitolo, ci ho messo il cuore. :)

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Capitolo 3
*** Luglio Duemiladodici. ***


Luglio duemiladodici.
 
Ero appena tornata dalla mia avventura come monitrice in una colonia, facendo una fatica bestia a sopportare i bambini a causa del divieto di fumo, nonna sapeva che fumavo, ormai lo sapevano tutti tranne nonno. Mi ricordo quel giorno. Eravamo a casa loro a mangiare, io e mia mamma. Si mangiava carne e patate, come di consueto cucinava nonno.
Poi qualcosa cambiò. Umi si alzò ed andò in bagno a rimettere, poi quando tornò a tavola piangeva: non riusciva a mangiare più niente.
Mia madre le parlava in tedesco, mentre io e nonno continuavamo a mangiare, testa bassa sul piatto.
Qualche giorno dopo fu ricoverata in ospedale, e ironia della sorte, fu un batterista a soccorrerla. Piccolo appunto; io ho il terrore dei batteristi, però stranamente non mi fece nessun effetto ciò.
Mia madre mi spiegò che nonna doveva fare una biopsia e andava aperta per vedere come stava messo lo stomaco. Fui abbastanza sollevata di quello che mi disse, grazie al cielo non era nulla di grave. Certo, troppo bello per essere vero.
Passarono alcuni giorni prima che la potessero operare, e dopo quella operazione nulla fu più lo stesso.
I giorni seguenti furono di continui pianti e parole in tedesco tra mia madre e mia nonna. Non chiesi nulla, semplicemente rimanevo lì a guardare. Ogni tanto scendevamo in giardino a fumare, e lì cercavamo di far sembrare tutto ok. Succedeva anche di ridere, e spesso per le cavolate più assurde.
Un giorno presi coraggio e chiesi a mia madre perché la Umi continuava a piangere, lei mi rispose che era a causa dello stress, della vecchiaia e dei ricordi della guerra. Non chiesi mai perché piangeva anche lei, non volevo saperlo, perché sospettavo.
 
Era estate, ogni mattina andavo in radio ad esercitarmi nello speaking radiofonico. Non pensavo spesso a mia nonna, tanto ero presa da quel lavoro. Amavo stare dietro a quel microfono a chiaccherare con Aldo, lo speaker ufficiale, lui mi ha sempre fatto scompisciare dal ridere. Ogni volta che qualcuno dello staff mi chiedeva che avrei fatto il pomeriggio rispondevo che sarei andata a trovare mia nonna, e loro assumevano un’espressione preoccupata a cui io cercavo di far cambiare espressione dicendo che non era nulla di grave. Lei mi ascoltava sempre quando andavo in radio, insomma ero la sua unica nipotina e perdipiù un giorno rischiavo di diventare un personaggio pubblico. In effetti, spesso, ci ritrovavamo a pensare a cosa sarei potuta diventare un giorno, perché la radio è un trampolino di lancio, anche se per me era tutto in quel periodo.
 
Andarla a trovare era stupendo, soprattutto se eravamo solo io e lei. Si parlava di tutto, e mi diceva sempre di avermi ascoltata la mattina. Voleva sempre sapere di due mie amiche di chat che abitano a Palermo, Giorgia e Simona, e aggiungeva sempre che un giorno avrebbe voluto scendere per conoscerle. Loro in quel periodo diventarono il mio mondo. Non c’erano altre persone disposte a sostenere il peso che inconsapevolmente portavo. Già, mi ero affezionata a delle persone via chat. E non erano solo loro due, c’erano anche Anna, Margherita, Arianna e Matteo. Già, Matteo. Vi parlerò più avanti di lui, ora non è il momento.
 
Lei si interessava sempre a come stavano, se mi raccontavano cose nuove doveva saperle, perché lei non era solo la mia nonna, lei voleva essere la pure la nonna dei miei amici. Così mi ritrovai la sera, momento in cui mi connettevo più spesso, a parlare ai miei amici da parte di mia nonna. La trovavo una cosa carina, e mi faceva bene, perché spesso il terrore che si stava formando nella mia testa mi sembrava più concreto.
 
E qualche giorno dopo, ebbi conferma: il mio terrore era giustificato.
 
 
 
Ecco qua ragassuole, è un capitolo strano, lo so. Non ho articolato bene, lo so. Ma è un casino semplicemente per il fatto che dovevo spiegare com’era la mia vita allora. Stavo passando un periodo stupendo prima della fine di luglio, e poi puff.. la mia vita era un casino.
Spero che nessuna delle mie amiche si offenda se l’ho menzionata, ma dovevo, loro sono la mia vita. é___é
Grazie a chi legge, e non abbiate paura di scrivere quello che sentite, io l’ho capito ora che è inutile.
Un bacio.
Martih.

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Capitolo 4
*** Agosto, amore mio non ti conosco. ***


(9) Agosto, amore mio non ti conosco.
 
Era il nove agosto, come dimenticarselo. Ogni giorno era la stessa solfa. La mattina radio, il pomeriggio Umi. Poi la sera, una volta a casa si scriveva alle amiche.
Quel giorno procedette con lo stesso ritmo di altri, al solito mi chiedevano come stava la nonna e io rispondevo ‘’Sta benissimo.’’ Senza pensare ad altro ogni giorno, mi svegliavo consapevole che mia madre mi nascondesse qualcosa.
Quel martedì tutti mi fecero sentire leggermente esclusa. Sembrava che tutti mi nascondessero qualcosa.
A mezzogiorno lasciai la radio, come sempre, per andare all’ospedale, poco lontano se non altro, si e no due minuti a piedi.
Salii le scale, non mi andava di prendere l’ascensore, e andai al terzo piano, stanza 309.
Mia nonna era in ospedale ormai da più di una settimana e mezza. Sascha, mio fratello, e mia madre arrivarono poco dopo, e ricominciarono a parlare in tedesco fra di loro, e io stavo in silenzio, cercando di capire che stessero dicendo. Ogni tanto capitava che si fermassero per parlarmi in italiano, e quando era così si dicevano tante, ma tante scemate.
Poi  venne il momento di andare via.
Baciai mia nonna e la abbracciai, come facevo sempre. Poi scendemmo e ci avviammo alla macchina, ma svoltato l’angolo mio fratello si tastò le tasche, per poi dire un ‘’Ma ce l’avevo!’’. L’oggetto in questione era una statuetta di Buddha, che mio fratello continuava a scordarsi quando andavamo da nonna.
‘’Corri subito su a dargliela!’’ Disse mia madre con un sorriso, e mio fratelli eseguì subito. Appena lui svoltò l’angolo della costruzione mia mamma, più bassa di me di qualche centimetro, mi scoppiò a piangere sulla spalla, sussurrandomi queste parole; ‘’Ha la pancia piena di cancro’’.
Non mi ricordo molto di quello che successe dopo. Mi ricordo soltanto che quella sera, una volta arrivata a casa mi buttai a letto e ci rimasi fino a quando mia madre non mi chiamò di sotto per la cena. Chiaramente sia io che lei non mangiammo e dicemmo a mio fratello che non stavamo bene. Poco dopo uscii per la mia passeggiata serale con Zeus, il mio cane, mentre cercavo di contattare quella che un tempo era la mia migliore amica. A causa di un litigio per gelosia da parte di entrambe l’avevo persa, e credevo per sempre.
Fumai all’incirca un pacchetto di sigarette quella sera.
‘’Gemma, ho bisogno di te.’’ Le scrissi. Lei mi rispose così. ‘’Non voglio sapere nulla.’’ E io ribattei incazzata come una iena ‘’Sei molto gentile, soprattutto adesso che ho bisogno di te, una persona che amo rischia di non arrivare a Natale e ho bisogno di conforto. Ti prego.’’
‘’Cavoli tuoi’’ Cancellai tutti i messaggi. Mi vergognavo di quello che avevo appena fatto. Buttai il telefono su una panchina e scoppiai in lacrime. Non c’era più nessuno per me. Ma qualcuno in quel momento mi fece cambiare idea. Quel vitellino sottopeso del mio cane poggiò il muso sulle mie gambe, come per confortarmi, e per l’ennesima volta in dieci anni di vita suoi piansi sul suo pelo bianco così morbido, stringendo il mio unico amico. Continuai così per una quantità incalcolabile di tempo, fino a quando non sentii il telefono squillare. Risposi, era mio padre. ‘’Torna a casa.’’ ‘’Mezz’ora e arrivo.’’ Chiusi la chiamata e cercai di non piangere più, rinfrescandomi nella fontana lì vicino. Una volta arrivata a casa diedi da mangiare a Zeus e poi tornai sul mio letto, stringendo il mio orsetto. Che cosa pietosa, alla mia età avere ancora l’orsetto che praticamente ha la tua stessa età. Ma non mi importava nulla, volevo solo addormentarmi e non svegliarmi più.Però il mio telefono squillò. Guardai il numero, era Anna da Cagliari. Risposi. Lei non mi chiamava mai. Solo in quel momento mi ricordai che quel giorno era al concerto dei Modà.
‘’Non chiamo mai.. ti cerco solo quando poi ho voglia di assaggiarti e di confonderti..’’
Mi lasciai avvolgere dalla voce di Kekko. Mi faceva sentire come se non stesse succedendo niente. Quando finì la chiamata mi addormentai di colpo.


Ciao belli! Non mi sono dimenticata di voi, ho solo avuto tanti bordelli con il lavoro e la scuola, adesso con le vacanze imminenti cercherò di aggiornare più spesso. ^^
Grazie a tutti quelli che leggono, mi togliete un peso solo aprendo il capitolo. Quando so che ci sono state delle visite mi sento leggera. Non sono l'unica che vive l'inferno di tutto questo, siamo in tanti. Mi piace che voi veniate coinvolti. Grazie ancora.


-Martih.

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Capitolo 5
*** Il giorno dopo ***


~Il giorno dopo.

 
Già, il giorno dopo. Molti dicono che sia il più difficile. Non lo è stato per me. Trascorsi la giornata come tutte le altre, nessuno mi faceva domande, ero tranquilla. Sicuramente mia madre li aveva informati prima di me. L’unica cosa che non fu abitudinaria quel giorno fu la mia prenotazione alla rubrica ditelo con i fiori, un momento in cui la radio regalava un mazzo di fiore da un ascoltatore all’altro. Lo prenotai per il giorno dopo, specificando che Aldo non dovesse parlare, ma bensì io.
Poi andai da nonna, quel giorno fu uno dei primi dopo l’operazione in cui riusciva a venire di nuovo in giardino. Fumammo e ridemmo un po’ ma lo si notava che lei era più debole del solito. Poi andai a casa. E l’unica cosa che feci fu scrivere. Poi le lacrime mi invasero, e il mal di testa le seguì, riducendomi nuovamente uno straccio. Non potevo fare altro che prendere una pastiglia, fumare un po’ e sperare che passasse. E fu in quel momento che mi venne un pensiero. Non era la prima volta che nonna aveva il cancro. Ce lo aveva praticamente da sempre. Non avevo mai capito bene come si evolvesse la cosa, così mi misi a cercare lo schemino che mi fece mia madre a otto anni. In poche parole aveva disegnato un mostriciattolo che ogni tanto si svegliava e si trasformava in una ciste, un mini tumore che veniva subito rimosso, e poi si addormentava ancora. Se all’età di quel disegno era solo un mostriciattolo adesso era peggio. Non era piccolo. Era molto più grande.
Ancora più triste per questo ragionamento dovetti andare a cena, ovviamente non toccai nulla, e il mio cane mi fece compagnia mentre ci facevamo il giretto serale.
Perché mi stava succedendo tutto questo? Non capivo. Andava tutto bene. Avevo incontrato i miei idoli, i sonohra, e mi avevano riconosciuto. Da lì a poco sarei dovuta andare in Sicilia per incontrare le mie amiche Giorgia e Simona, e forse anche il mio campione, Mauricio Pinilla. Ero andata quasi una settimana prima a vedere una qualificazione di Europa League in Svizzera interna, e avevo visto la mia squadra del cuore, il Palermo. Avevo concluso le medie con una licenza decente, mi avevano preso all’istituto d’arte. Una delle mie amiche più care era tornata da poco dal Brasile, dopo due anni.
E lì iniziai a capire. Le cose mi andavano troppo bene. Non potevo avere tutto, giusto? Tanto vale falle sparire la nonna in meno tempo possibile. Massì dai, tanto non gliene frega nulla. ‘’È questo che vuoi vita?’’ pensai ‘’Perché non fai tornare tutto come prima? Non le voglio queste cose! Non voglio Vittoria, non voglio i sonohra, non voglio l’istituto d’arte. Non se comporta questo. Non lo voglio.’’
Tornai a casa ancora più incazzata, lasciai che al cane ci pensasse mio padre, e me ne stetti in camera. Non volevo vedere, sentire, parlare o semplicemente percepire la presenza di nessuno. Volevo stare sola con me stessa e il mio orsetto.
Mi addormentai ad un’ora imprecisata.
Ma so benissimo che quando mi svegliai ero in fase di negazione.




Il mio angolino.

So di non aver aggiornato, mi dispiace, ma tra gli impegni di lavoro e altre cose non ce l'ho fatta. Questo capitolo manco mi piace tanto, non mi convince, ma il prossimo potrebbe essere più carino. Insomma lasciatemi spazio e tempo (e cercate di capirmi dentro [Ommioddio sclero per colpa di Marco Mengoni]) che presto faremo vari salti nel tempo. Grazie mille per le recensioni, mi fate felice quando recensite. ^^
Un bacio!

~
Martih.

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Capitolo 6
*** Mojito. ***


13 Agosto. Mojito.

 

Dovevamo partire e non ne avevo nessunissima voglia. Insomma, che me ne faccio io di una vacanza al mare con gente che non conosco? Eh? Chi me lo spiega? Me ne feci una ragione, quella vacanza non mi entusiasmava. In Abruzzo. Due settimane. E stranamente non conoscevo nessuno. Io volevo andare in Sicilia o in Sardegna, invece no, portiamo Martih e Sascha a Pescara!
Non ero entusiasta di partire, lo ammetto. Volevo rimanere con la nonna, volevo farmi la mia routine in santa pace. Come sempre. Volevo finire la mia estate così. Mi toccò lo stesso fare le valigie e mollare Zeus in una pensione, mentre Mojito sarebbe andato a casa di Nonno, lasciando ad Havana, la femmina, avrebbe avuto casa libera. Sì, questi nomi di alcoolici sono i nomi dei miei gatti. E se vogliamo aggiungere altri nomi per confondervi ci sono anche due gattini, nati a giugno. Flaco e Pinilla. Uno bianco e l’altra tigrata. Quattro gatti e un cane abitavano tutti sotto lo stesso tetto e non litigavano.
Ma andiamo avanti.
Non mi andava proprio di partire. E mentre costringevo Mojito ad entrare nella gabbietta per andare da nonno mi venne un brutto presentimento. Sentivo che stava per succedere qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. Sospirai e salii in macchina con i miei per andare da Nonno, che abitava da solo in quel periodo e gli avrebbe fatto solo bene avere un gattone in casa, e quella bestia non stette zitta un attimo durante il viaggio. ‘’Mau..mau.. MAU!’’ Ed era il colmo. Il mio gatto parla. Cosa dice? Il nome del mio calciatore preferito. Mauricio Pinilla. Chiamatelo caso, ma ora non lo fa più.

 

Lo lasciammo nell’appartamento di nonno, aprendogli la gabbietta, e vedendo che nonno non c’era uscimmo a cercarlo. Dopo un’oretta tornammo in casa e Mojito non c’era più. Era il panico. Il paese di mio nonno lo chiamano ‘’Paese dei gatti’’ perché una volta era un paese di pescatori, infatti ha il lago e tante tante barche, e pure boschi e zone verdi ovunque. Mi prese la paura. Dio, no. Ti prego. Potevamo anche odiarci io e quel gatto, ma non poteva essere scappato. Iniziammo a cercarlo per tutta Ascona. Ma ve la vedete una ragazzina con i capelli multicolore che urla per tutte le stradine ‘’Mojito!’’ scuotendo una scatola di croccantini? C’è chi l’ha vista, e ve lo dico che mi prendono per pazza.
 

Dopo tre ore inutili di ricerche tornai a casa di nonno, che aveva preparato la cena, e non mangiai nulla. Mi sedetti semplicemente sul divano, sospirando. Avevo di nuovo pianto, non ne potevo più. Prima la nonna con il cancro, ora il gatto di razza sparito. Guardai la televisione cercando di distrarmi, poi mio fratello ebbe la geniale idea di guardare sotto una cassettiera e trovò il nostro Maine Coon. Cioè, rendetevi conto. Un gatto di otto chili, che quando si sdraia occupa un metro quadrato che passa sotto un mobile che sarà elevato dal pavimento sì e no cinque centimetri. Non esitai a prendere il mio gattone in braccio. Lo strinsi forte forte, mentre i miei ridevano. “Mica lo odiavi?” “Sì. Continuiamo ad odiarci dopo questa, promesso.” Lui miagolò come per confermare e lo posai a terra, ma lo vidi tentato di tornare sotto il mobile. Lo guardai e uscii in balcone, dove lui mi seguì. Mi sedetti sulla sedia di nonna, come facevo spesso in quei tempi, e lui mi saltò in braccio, facendo le fusa.
 

Aveva paura il cucciolo. Non l’avevamo mai portato via da casa, e improvvisamente non c’era più nessuno, neanche un gattino a cui rompere le scatole. Mi fece tanta tanta pena.
Lo accarezzai con tanta dolcezza. Il mio cucciolo aveva bisogno di me. Rientrai e lui mi seguì, mi sedetti sul divano e lui fece lo stesso, sedendosi accanto a me. Non l’aveva mai fatto, nessuno dei due gatti che avevamo l’aveva mai fatto. Sorrisi. Questo era il mio gatto ideale. Nel giro di pochi secondi me lo ritrovai addosso ronfante.
Mio fratello rise guardandoci e scattò una foto.
Quella foto ce l’ho ancora. Perché poi non ci siamo più dimostrati affetto per diverso tempo, io e quel gatto.

 
 
Aaaave ragazze, lo so che questo capitolo non centra niente, ma mi serve da transizione per il prossimo.. spero che non vi abbia fatto schifo leggere del mio gatto. xD
Vabbuò, grazie per la lettura, un bacio.
 
~
Martih.

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Capitolo 7
*** Silvi Marina, Parte 1 ***


Silvi Marina, Parte uno.
 
Abruzzo, arriviamo. Quella sera non dormii sapendo che il giorno dopo saremmo partiti.
Di malavoglia avevo preparato le valigie. Valigia, che strana definizione per un cesto del bucato con dei vestiti per la vacanza dentro. La mattina partimmo alle quattro. Mi lasciai cullare dalle canzoni che il mio iPod sceglieva casualmente per tutta la durata del viaggio. Quando vidi il mare per la prima volta dopo più di dieci anni il mio cuore ebbe un balzo. Quanta acqua. Quanto blu. Quanta vicinanza alla destinazione. Una volta arrivate mia madre ebbe la sua mezza crisi di pianto, ritrovandosi vicina alle sue amiche di quando era giovane, che poi avrei iniziato a chiamare Zie, con cui aveva condiviso così tante cose in vent’anni di campeggio. Forse dovrei fermarmi e raccontarvi la storia del campeggio di Silvi Marina.
Negli anni ottanta i miei nonni possedevano un camper, e avevano deciso di passare le vacanze a Lecce. Una volta stanchi, e ancora lontani dalla destinazione, mia madre prese la guida Michelin e aprì ad una pagina a caso nella zona di Pescara. Trovò il Lake Placid Camping a Silvi Marina, via Leonardo Da Vinci 18. Era il secondo anno di attività. Alla fine si piazzarono lì e ci passarono tutta la vacanza, così come le successive, fino ai miei tre anni. Una cartomante predisse a mia madre che avrebbe avuto una figlia entro la fine dell’anno, dopo un anno che provava ad avere una figlia. Mia madre non ci credette subito, poi un mese dopo andò dal ginecologo e si accorsero che era incinta da tre mesi. Continuammo ad andare in quel campeggio poi smettemmo e nacque mio fratello.
E così, dopo dieci anni tornammo.
Una ragazzina, Miriam, presentata da Rosita, una delle tre zie, mi prese e mi trascinò a mare, per fortuna avevo già il costume sotto. Mi tuffai esitante, stupendomi di quanto fosse bassa l’acqua in confronto a quella del Lago Maggiore. Nuotai tantissimo, con le solite frasi stupite. ‘’Ommioddio, quanto blu!’’ ‘’Oh, è davvero salata!’’ ‘’Non si riesce a distinguere dove finisce il mare e inizia il cielo!’’ Insomma, come se lo vedessi per la prima volta il mare.
Dieci minuti dopo essere entrata in acqua presi una medusa. Grande Martih. Passai il resto della giornata sulla sdraio, aspettando che passasse il bruciore. Da quel giorno sto molto, molto, molto attenta alle correnti fredde.
 
Conobbi meglio la mia seconda famiglia, composta da zia Rosita, una biondina tutto pepe, mamma di Miriam, un anno più piccola di me. Poi c’è zia Nicoletta, madre di una piccola peste di nome Maya, di tre anni. Zia Melina è forse la mia preferita. Sarà che è la più giovane, ma io e lei parliamo sempre tantissimo. I genitori delle zie sono i migliori. Ernesto, napoletano di nascita, viene chiamato ‘’lo svizzero’’ dai suoi compaesani, perché si trasferì in Svizzera e tornò a casa con Heidi, grigionese, che parla quasi e unicamente svizzero tedesco (che io non capisco). Questa è la mia vera famiglia. Li amo da morire. Se poi ci aggiungiamo i loro tre gatti che vengono a mangiare regolarmente al nostro bungalow, Colazione, Pranzo e Cena (nomi amorevolmente dati da mio padre), il carlino senza un occhio che è il boss del campeggio, chiamato Hugo, e il Rottweiler con i complessi da cane di piccola taglia completiamo il quadretto.
 
In ogni caso, torniamo a noi. Il secondo giorno ci andai con i guanti di velluto in acqua, poi la sera mi connessi ad internet, parlai con Matteo, amico storico di chat, che abita si e no a quattro ore da Silvi. Ci stavamo mettendo d’accordo di incontrarci il giorno dopo il suo compleanno, il quarto anniversario del giorno in cui ci siamo conosciuti. È incredibile il casino che ne uscì con mio padre, ma questo è un altro capitolo…
 

 
 
Saaaaaaaaaalve, da quanto! Scusatemi per il capitolo scrancio, ma sono demoralizzata. EFP ha cancellato alcune mie fanfiction a cui ero molto legata, e ora sono molto cauta a pubblicare. Comunque spero che ancora qualcuno legga questa storia.
 
Tra meno di due settimane sarà un anno che nonna se n’è andata, sento che in quei giorni scriverò tantissimo.
Come sempre, grazie per la lettura e grazie mille a chi recensisce.
 
~
Martih.

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Capitolo 8
*** Silvi Marina, Parte 2. ***


Silvi Marina, parte due.
 
 
Non era previsto che Matteo venisse a trovarci e rimanere a dormire.
Quello era il motivo del litigio con mio padre, che non faceva altro che urlare e sbraitare che non gliene avevamo parlato, nonostante a tavola fosse il tema di conversazione che veniva usato più spesso. Alla fine riuscemmo comunque a convincerlo a lasciar venire il mio migliore amico di allora, perché quattro anni stavano diventando troppi, per incontrarci.
 
E finalmente arrivò la mattinata del 22 Agosto.
 
Mi svegliai relativamente presto, sapendo che sarebbe stata una giornata speciale. Lo avrei visto.
Non saprei dirvi esattamente se già allora fossi innamorata di lui, ma probabilmente sì, solo che non volevo ammetterlo.
In ogni caso, prima dell’arrivo di Matteo a Silvi fu tutto un susseguirsi di “Fai ordine” “Cosa mangiamo stasera?” “Ah, allora arriva il tuo amico?” fino al fatidico “Ciop, andiamo a prenderlo.”, che mi fece rabbrividire. Era arrivato il momento.
Mi sistemai come meglio potevo, ricordando a me stessa che la prima impressione si dà una volta sola, prima di salire sulla classe A con mia madre e mia cugina, che si era intrufolata dopo avermi visto così entusiasta. Se ci ripenso adesso ancora sorrido, nonostante tutto, siamo cambiate tanto.
 
La strada per la stazione sembrava ancora più lunga del solito, quel giorno. Matteo mi stava chiamando per avvisarmi che era arrivato. Non potevo rispondergli, ma sapevo che era lì, così quando entrammo nel piccolo posteggio degradato dalla spazzatura, mi lanciai vedendolo.
Non ero nemmeno sicura che fosse proprio lui, ma sentivo che era così. Infatti non mi sbagliai.
Caricammo in macchina lui e la sua chitarra, tornando al campeggio, mentre partivano le chiacchere tra me e lui, senza imbarazzo, solo tanta felicità.
 
Arrivammo al campeggio e dopo le varie questioni amministrative per lasciarlo entrare e stare con me e la mia famiglia. Lo trascinai al mare senza dargli possibilità di scelta, sapevo molto bene che non amava il mare e che quest’ultimo lo annoiava, nonostante venisse da poco lontano dal Gargano.
 
In spiaggia venimmo assaliti dai miei amici, curiosi di conoscerlo, e dopo le varie presentazioni lo strappai dagli sguardi dei curiosi, trascinandolo in acqua con me, dove scoprii che aveva paura dell’acqua alta.
 
Lo abbracciai, mentre continuavamo a parlare. Gli baciavo la guancia. Lo stringevo. Ero felice.
 
Il bacio.
 
Non fate troppe domande, non lo so nemmeno io come sia successo. Mi sono ritrovata con le sue labbra sulle mie e la sua lingua nella bocca. E da lì cominciò il secondo casino di tutto questo periodo.
Nonostante pensassi “Ma che cazzo sto facendo?” non smisi di baciarlo, almeno fino a quando non mi fu necessario respirare.
 
Non so, ora che ci ripenso, era anche il mio primo bacio non da ubriaca, quello. Forse è per questo che ho sempre pensato che in realtà la mia futura storia con lui sia cominciata vicino agli scogli di Silvi, nel mio mare.
 
Chiaramente, la sera lui dovette tornare a casa, e questo mi causò non poca tristezza.. ma non sapevo cosa mi sarebbe aspettato due giorni dopo.
 
La sorpresa

 
Giovedì. Giorno di mercato. Giorno di grandi spese.
Ci svegliammo come tutti i giorni nel Bungalow ,  preparandoci per un’incursione familiare al mercato e successivamente all’ipermercato del paese.
Il frigo era vuoto, ma soprattutto le bottiglie erano vuote.
Ricevevamo notizie della nonna ogni giorno, stava bene.
 
Ma passiamo alla sorpresa.
 
Stavo facendo la spesa con il famigliame nel supermercato di Città S. Angelo, non troppo lontano da Silvi, e quindi non badavo molto al mio cellulare italiano. Non ci badavo affatto,  non c’era campo all’interno del negozio.
 
Quando uscii mi arrivarono dei messaggi di chiamata persa dalle mie zie. Cosa diavolo stava succedendo? Perché mi avevano chiamato con tanta insistenza?
 
Richiamai, visibilmente preoccupata. Mi rispose Zia Melina.
 
“Vieni in campeggio. C’è una sorpresa.” Mi disse solo, per poi attaccare. Sembrava quasi ridere.
Mi strinsi nelle spalle e tornammo in campeggio, trovando quasi tutte le donne di famiglia sedute sul golf kart, sorridenti, come se nascondessero qualcosa. Scesi dalla macchina e loro mi dissero solamente “Matteo è nel ristorante”.
 
Mi sistemai leggermente i capelli, per poi precipitarmi nel ristorante. Mai, mai avrei pensato che ci fossero anche i genitori di lui.
 
Beh.. almeno mi fu utile, feci anche la loro conoscenza.
 
Io e Matteo passammo un’altra giornata stupenda, suonando, nuotando e chiaccherando con i miei amici.
 
Ma la sua partenza la sera mi riportò totalmente alla realtà. Stavo per tornare a casa. E l’incubo degli ospedali sarebbe ricominciato. La scuola. Gli amici quasi inesistenti. L’unico ragazzo in grado di sopportarmi lontano.
 
Ero pronta per questa sfida.

Buondì buondì. Non sono morta. Perdonate la lunghissima assenza.. la voglia di scrivere era sparita. Non so in quanti di voi ancora mi leggeranno, ma spero di riuscire a riprendere la storia nel migliore dei modi, dato che sto crescendo e sto vedendo sempre più cose da un punto di vista differente.

A chi è arrivato a leggere fino a questo punto devo un grazie.
Martih.

 

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