Come Fumo

di fragolelimoni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** essere al mondo ***
Capitolo 2: *** pesci rossi ***



Capitolo 1
*** essere al mondo ***





 

Capitolo uno - essere al mondo

So what we get drunk
So what we smoke weed
We’re just having fun
We don’t care who sees
So what we go out
Just how it’s supposed to be
Living young and wild and free

————                                                                                                                               
 
«Mar!»
«Dimmi, mamma»
«Papà dice che non sa neanche se sei al mondo! »
«Eh... »
«Ci sei al mondo? »
 
Ero rimasta tutto il pomeriggio sdraiata sul mio letto a pensare. La pioggia batteva sulle finestre della mia mansarda, quella domenica di febbraio, e il cielo era di un grigiore deprimente.
Cercavo di farmi venire un'idea, un'ispirazione. Ripensavo a quello che, una settimana prima, mi aveva detto la mia professoressa di arte, la Sage.
 
Le avevo mostrato una bozza che avevo fatto per un concorso con in palio una borsa di studio.
"Davvero, Phoenix? Questo è il meglio che sei riuscita a fare? Molto al di sotto delle tue possibilità. Con questo riusciresti a entrare solo nell'università pubblica, altro che la New York University"
Non riuscii a sostenere lo sguardo di quei severi occhi grigi. Mi capitava raramente, di non sostenere gli sguardi. La Sage comprese il mio sconfortò e mi parlò più dolcemente.
"Il tema libero è sempre più difficile, perché serve tanta fantasia. Ti rivelo un trucco. Per liberare l'immaginazione, ti serve qualcuno che sia la tua ispirazione." la guardai interrogativa. " Trovati un ragazzo. Ma non uno a caso. Uno che ti faccia fare esperienze nuove, sconvolgenti. Nei limiti della legge, possibilmente"
La guardai come se fosse impazzita. “Ho diciotto anni, non quattordici, prof.  Io faccio sesso come chiunque in questa classe se è questo che intende”, dissi acida. Non avevo problemi a dire agli insegnanti quello che pensavo.
"Trova quello giusto e vedrai”, disse seria. Forse l’avevo fatta innervosire, ma non m’importava.
 La campanella suonò ed io andai alla lezione successiva confusa e irritata. 

  ***
 
 
Mi alzai dal letto quando erano ormai le undici di sera, per andare a lavoro. Lavoravo in un bar notturno, il Viper. 
Il Viper andava molto di moda in quel periodo fra i giovani, per via delle band emergenti che ogni giorno vi suonavano musica alternativa, ma nel complesso era frequentato più che altro da alcolizzati abituali od occasionali. Loro erano gli unici ad essere già seduti al bancone alle undici, quando il locale era vuoto e la band non era ancora arrivata.
Mentre preparavo i soliti drink, pensavo alle parole della mia insegnante, e cercavo fra i clienti qualcuno che potesse essere la mia ispirazione. Era da una settimana che iniziavo insulse conversazioni con ragazzi scelti a caso, e fino ad allora mi avevano deluso tutti. O loro erano tutti uguali, o io ero troppo cinica. Probabilmente entrambe le cose erano vere.
L'unico che poteva fare al caso mio era lo zio Jack, un signore di sessant'anni, un mio amico, e il mio confidente durante le sere di lavoro. Era un poeta, o almeno così diceva, ma nessun editore voleva ingaggiarlo.
«Quando sarò morto», ripeteva «i miei libri varranno oro!».
Nonostante fosse un vecchio pazzo, io gli volevo un gran bene, e lo ritenevo un uomo saggio.
Ma no, lui non era quello giusto.
«Cazzate!», commentai, mentre lui, ingurgitando lo scotch, ascoltava con pazienza il mio racconto della conversazione con la prof.
Zio Jack appoggiò il bicchiere vuoto sul bancone. «Di ragazzi te ne porti a casa un sacco già normalmente, che te ne frega?». Non ero una ragazza facile, erano i ragazzi ad essere facili. 
«I ragazzi che mi porto a casa io sono noiosi e stupidi...»
«Una cosa è certa: deve essere un poeta. Alle donne piacciono i poeti io ne so qualcosa...», ridacchiò compiaciuto fra sé e si riempì un altro bicchiere di scotch.
Ma dovevo dargli ragione. Chi poteva ispirarmi più di un poeta con una storia tormentata? «I poeti di oggi si chiamano musicisti, caro zio Jack.»
« Ti presento io un ragazzo.», se ne uscì. « Abbiamo bevuto insieme tante volte e ho capito che anche lui è un poeta. Fra noi, bambina mia, ci riconosciamo subito!»
«Mi fido di te, allora»
 
A mezzanotte, quando la band iniziò a suonare, il Viper si riempì, e non ebbi più tempo per parlare con zio Jack. Quella sera c'erano i The Black Sheep, una band che mi piaceva molto, dallo stile che si avvicinava molto al Grunge, anche se un po' più leggero. I ragazzi che li venivano a vedere, ovviamente, si ubriacarono in poche ore, e a me e alla mia collega Jess toccava annacquare i drink, come voleva il nostro capo. Jess aveva diciotto anni come me, ma era un’oca di dimensioni stratosferiche. Lei era una ragazza facile. Unico motivo perché era stata assunta al Viper, dato che non sapeva fare niente.
Verso le quattro morivo di sonno e la gente iniziava ad andare a casa: di Domenica la notte è breve.
Avevo la testa appoggiata sul bancone e gli occhi chiusi, quando sentii qualcuno chiamarmi.
“Scusa, sei tu Mara?”
Mi tirai su debolmente, gli occhi ridotti a fessure. “Mi chiamo Mar, come il Mare, ma senza e”.
“Jack mi ha detto che mi paghi se ti faccio da modello”, disse. Cercai di mettere a fuoco il ragazzo. Aveva i capelli scuri, gli occhi scuri, i vestiti scuri. Sbattei le palpebre un altro po’. Aveva dei bei tratti nel viso e una seducente curva delle labbra. Notai subito le labbra. Era alto, e sul braccio destro aveva molti tatuaggi, dal polso alla spalla. Poi vidi che portava i capelli spettinati e i vestiti scombinati. Ed era il bassista dei The Black Sheep.
“Mi chiamo Johnny”, aggiunse scocciato, visto che lo fissavo senza dare altri segni vitali.
“Scrivi tu le canzoni?”, chiesi. “I testi, intendo, oltre alla musica”
“Si.”, disse seccamente, scrutandomi. Poi sorrise “Ti vedo sempre canticchiare le mie canzoni”.
Sorrisi anche io, e chissà come sembravo stupida, con quella faccia assonnata. Decisi che con lui avrei fatto un tentativo per due motivi: primo, me lo aveva raccomandato Jack, e, secondo, era carino. “Facciamo che domani pomeriggio ci vediamo al parco e ne parliamo con calma”.
 






______________________

*tattaaaattataa* *sigla*

Non voglio scrivere una storia pesante da leggere, ma neanche una storia stupida e insignificante.
Spero che con questa cagata scritta nelle notti insonni d'estate io riesca a divertirvi e allo stesso tempo farvi appassionare alla storia.
Vorrei dirvi che non mi interessa avere tante recensioni, ma non è vero. Ne voglio tante, non mi interessa se buone o cattive. Mi basta sapere quello che pensano le persone che leggono questa storia. 
Vi ringrazio anche solo per essere arrivati in fondo al capitolo, grazie a tutti :)
Se lo volete, il prossimo arriva presto!



F&L

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Capitolo 2
*** pesci rossi ***


Capitolo due pesci rossi
 

He looked just like you'd want him to
Some kind of slick chrome American prince
A blue jean serenade, and moon river, what you do to me
I don't believe you

 
 

————
 






Mia sorella, Coral, mi usò come scusa con i miei genitori per vedere il suo fidanzatino al parco. Io a quattordici anni non ero così sveglia. Da lei avevo solo da imparare.
Camminavo lungo il viale alberato, calpestando le foglie scricchiolanti e gelate.
“Avete gli stessi occhi”, la voce di Johnny dietro di me mi fece sobbalzare. Mi voltai e lo trovai a guardarmi con un' espressione seria e le mani in tasca. Era vestito come la sera prima, e sopra la larga maglietta a mezze maniche portava solo un giubbotto di pelle, per di più aperto. Io, con sciarpa e guanti, sembravo in tenuta da polo nord, in confronto. Indicò mia sorella, seduta su una panchina vicino ad un laghetto, con il suo amico. “Ci sono passato vicino mentre venivo qui, ho capito subito che era tua sorella. Siete identiche. E gli occhi sono di un bellissimo colore”, continuò mentre si accendeva una sigaretta.
Io e mia sorella avevamo la stessa corporatura alta e magra, le stesse mani, il viso molto simile, e identici occhi verde chiaro. Ma i miei capelli erano castani. Coral, invece, aveva i capelli rossi quanto il suo nome.
“Si, di solito funziona con le ragazze, fare i complimenti sugli occhi?”.
Sorrise. “E sei anche piuttosto sveglia”. Sorrisi anche io. Mi offrì una sigaretta che accettai, e ci mettemmo a fumare insieme su una panchina. 
"Devo fare un servizio fotografico per un compito di scuola", iniziai. Decisi di non dirgli la verità (il fatto dello scopa-amico-ispiratore), ma di fargli tutte le foto che voleva la Sage in una volta sola e usare il servizio come scusa per fare amicizia con lui. Un piano diabolico, insomma.
"E quanto intendi pagarmi?". Fu diretto come lo ero stata io.
Io non avevo intenzione di sborsare un centesimo, anche perché stavo mettendo da parte dei soldi da un bel po'. "Non ti darò soldi, ma molto di più. Convincerò il mio capo a farvi suonare al Viper il sabato sera". Per tutti i gruppi che volevano avere successo, il sabato sera del Viper era come una rampa di lancio. Ogni mese, di sabato venivano dei produttori discografici di New York in cerca di giovani promesse. Per Johnny il sabato sera del Viper era come per me la lettera di raccomandazione della Sage.
"E tu come faresti a convincere il signor Gomez?"
"E’ mio zio", mentii "fa tutto quello che voglio". Non sapevo come avrei convinto il mio capo, il signor Gomez, uomo grezzo ma abile negli affari, ma speravo che una maglietta scollata potesse funzionare.
 Johnny ci pensò su qualche minuto, ma poi accettò il patto.
"Affare fatto.", concluse. Finimmo le nostre sigarette nello stesso momento e le buttammo per terra.
"Il giorno e l'ora del servizio te li farò sapere fra qualche giorno"
"Allora ci vediamo", disse, facendo per alzarsi.
"Aspetta", lo fermai "hai qualcosa da fare?"
"No, ma.."
"Stai qua, devo stare ad aspettare mia sorella. In cambio ti offro una sigaretta". Tirai fuori il mio pacchetto dalla borsa. Mi guardò perplesso. " Tutte le sigarette che vuoi", aggiunsi facendo gli occhi dolci. Dovevo trovare una scusa per parlargli.
Scrollò le spalle e si mise a sedere di nuovo, prendendo la mia sigaretta.
"Tu non hai molti amici, vero?", sembrava un po’ scocciato.
"Sto meglio sola. Tu invece, sembri molto socievole", dissi ironica, ma lui non capì il sarcasmo.
Sorrise. Un secondo prima aveva l'aria scocciata e adesso sorrideva. Ma che problema aveva? "Diciamo solo che ho sempre qualcosa da fare." Però era bello quando sorrideva.
In effetti quando lo vedevo al Viper era sempre con degli amici o con qualche ragazza.
Finì la sigaretta e la buttò per terra, dove si spense al contatto col ghiaccio.
"C'è una cosa che ti voglio chiedere." Spensi un'altra sigaretta nel ghiaccio. Si stava formando un mucchietto.
"Quello che vuoi", disse con aria gentile, guardandomi dritta negli occhi. Sostenni lo sguardo senza problemi, cosa che non ero riuscita a fare quel giorno con la Sage e la sua delusione.
" Sei tu che scrivi le canzoni, giusto?" annuì. "Allora sai cosa vuol dire essere in crisi da pagina bianca. Io ci sto passando proprio adesso. Tu come fai quando ti manca l'ispirazione?"
"Leggo libri, guardo film...", rispose, poi si mise a pensare." In realtà i testi migliori nascono quando sono ubriaco. Se ho passato la notte con una bella ragazza, soprattutto. E il giorno dopo correggo gli errori di ortografia.", dopo la sua confessione continuò a guardare a terra, assorto.
"Quindi hai una ragazza?", azzardai timidamente la fatidica domanda. Se ce l'aveva ero fottuta, perché dovevo passare molto tempo con lui e lei sarebbe stata gelosa.
Mi sorrise negando con la testa. “Allora i complimenti funzionano?”
Scoppiai a ridere. Nonostante i cambiamenti d'umore improvvisi, Johnny mi piaceva. Lo zio jack non sbagliava mai.
Si alzò in piedi. "Stasera tu vieni con me in un posto". Lo guardai torva. "Quando mi manca l'ispirazione per scrivere una canzone, vado lì. Funziona sempre, fidati. Ti vengo a prendere davanti a questo parco alle undici.", aggiunse vedendo la mia espressione contrariata.
"Perché fai questo per me?"
"Tu mi farai suonare al Viper Sabato per qualche stupida foto, devo ripagarti in qualche modo. Ah, e vestiti leggera, farà caldo. Ci si vede", disse. Se ne andò, così, lasciandomi da sola su quella panchina a guardarlo sparire nella nebbia.
 
 

Quella sera la pioggia batteva incessantemente sull'asfalto freddo e nero. 
La macchina di Johnny era vecchia e malconcia. Avevo i capelli fradici e stavo congelando, quindi fui più che sollevata quando mi misi a sedere al calduccio sul sedile posteriore.
«Mettiti comoda e riscaldati, questi sono i miei amici», disse Johnny, poi partì.
«Ciao, Mar», mi salutò calorosamente una rossa, seduta di fianco a me «Ti ricordi di me? Sono Summer, certe volte chiacchieriamo al Viper»
Summer era la chitarrista e voce dei Black Sheep, ed era una bellissima ragazza dai grandi occhi azzurri e dalla voce aggressiva ed energica. Era anche una a cui piaceva bere e divertirsi e quando parlavamo al Viper di solito era brilla. Indossava sempre T-shirts molto lunghe con pantaloncini e le calze scure, sotto le quali riuscivo a distinguere tre tatuaggi. Ne aveva altri due sulle braccia, e un piercing al sopracciglio.
«Certo che mi ricordo di te», risposi sorridendole.
«Io sono Dylan Blaze, per gli amici Blaze...oppure Dylan. Mi chiamano un po' come gli pare», si presentò il ragazzo sul sedile anteriore girandosi e stringendomi la mano.
« Io mi chiamo Mar Phoenix»
« Però! Che figo il tuo cognome, Mara. Non è che te lo sei inventata?», chiese scherzando.
«No, è Mar», lo corressi evidenziando la mancanza della vocale finale.«E tu allora, che cognome è Blaze?»
«Blaze mi rappresenta molto. Perché è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente, come diceva qualcuno», ammiccò.
Passammo sotto un lampione che illuminò il viso al ragazzo e lo riconobbi. Era il batterista dei Black Sheep. Dylan aveva i capelli biondo cenere lunghi e scompigliati come quelli di Johnny, e il suo modo di fare da rockstar faceva a cazzotti con i tratti dolci del suo viso. Inoltre era il ragazzo di Summer da sempre, o almeno così mi aveva detto lei una volta.
«John ha detto che convincerai Gomez a farci suonare il Sabato.» Summer interruppe la spiegazione di Dylan. 
« Si, credo che riuscirò a convincere quel vecchio idiota», risposi. Io e la mia collega Jess lo chiamavamo sempre così.
«Non era mica tuo zio?», chiese Johnny.
Me ne ero dimenticata. Per fortuna arrivò Summer a salvare la situazione, con la sua abitudine di interrompere le persone. «Quello è un maniaco, cazzo. L'altro giorno ero a tanto così dal tirargli un ceffone»
Passammo il resto del viaggio a parlare  di quanto fosse un maiale il signor Gomez.
Il fame chimica era una paninoteca che di sera diventava anche un bar, in cui principalmente si fumavano canne e si stava seduti sui divanetti ad ascoltare la musica. Appena entrata, la sensazione era di camminare nella nebbia.
«Ora capisco perché questo posto ti dà ispirazione.», dissi rivolta a Johnny.
Lui mi guardò e mi fece l'occhiolino.
Ci mettemmo a sedere e ordinammo da bere.
«Mar, sento che tu sei già una di noi», dichiarò Dylan senza preavviso. Perché aveva detto così non lo sapevo, ma rimasi colpita da quelle parole inaspettate e risposi con un sorriso sincero.
Quasi immediatamente mi accorsi che tutti in quel posto conoscevano Johnny. Venivano a salutarlo, si sedevano accanto a lui a fare due chiacchiere, e da come si comportavano, sembravano chissà quali grandi amici. Era molto popolare e il perché era chiaro: faceva conversazione con tutti indistintamente, su qualsiasi argomento, era simpatico e faceva ridere.  Certe volte lui andava a salutare qualcuno, e dove se n’era andato rimaneva un silenzio imbarazzato, poi tornava e tutti ricominciavano a parlare ed essere allegri.
Era diverso da quando suonava al Viper: i suoi testi erano cinici,amari. Invece questo ragazzo era esattamente l’opposto da ciò che si intuiva ascoltando la sua musica.
 Ma vedevo qualcosa nei suoi occhi, che mi fece pensare che quella non era la sua vera natura: c'era come un velo di tristezza nel suo sguardo, ogni volta che rimaneva in silenzio. Come se tornasse ad essere per qualche istante il ragazzo dallo sguardo impenetrabile che suonava al Viper. 
Magari invece era la mia mente annebbiata che mi faceva brutti scherzi. E di lì a poco sarebbe stato anche peggio, perché Dylan stava comprando la roba da un suo amico.
Prese una sigaretta, la aprì e mise il tabacco nella cartina. Poi prese l'erba, vi mise anche quella, il filtro, e arrotolò la cartina. 
Dopo circa venti minuti, mi sembrava che qualsiasi cosa fosse infinitamente bella.
Come le luci sul soffitto. Come facevano ad essere così belle, colorate e sorridenti? Mi facevano così ridere. 
«Mar, cosa stai facendo?», chiese Johnny prendendomi la mano e facendomi cadere. Ma non ero caduta, ero seduta sul divano vicino a lui. Mi mise il braccio intorno alle spalle, e appena lo fece una bionda mi guardò malissimo e se ne andò stizzita. Forse era una sua ex?
Scoppiai a ridere e tutti gli altri insieme a me. Nessuno sapeva perché stava ridendo, ma ci sentivamo tutti felici. C'erano circa una dozzina di persone intorno a noi, che facevano una gran confusione.
Ero così felice, e non sapevo se era perché ero abbracciata a Johnny o per l’erba. O magari in realtà ero abbracciata a Johnny proprio per l’erba. Ma mi piaceva che mi stringesse.
Stavano parlando di musica, mi sembrava, forse parlavano dei Black Sheep. Johnny interveniva spesso e dall'espressione degli altri deducevo che dicesse cose intelligenti. 
«Mar... », mi stava chiamando Dylan. «Cosa ne pensi della nostra musica?»
Perché mi faceva una domanda del genere in quel momento? Dovevo dire qualcosa di intelligente anche io. Mi concentrai. «Siete forti... La vostra musica dice"mi piacciono i Nirvana ma il grunge non vende più". Ma non per questo fate musica scadente, anzi la trovo grandiosa. Forse un po’ triste…», non sapevo come ero riuscita a dire tutte quelle cose senza mordermi la lingua, ma la mia concentrazione iniziava già a sparire e decisi di stare zitta.
Non sapevo di preciso se qualcuno mi stesse ascoltando.
«Ma tu sei la barista del Viper! Ecco dove ti avevo già vista.»,  esclamò un tizio seduto di fronte a me. 
«Gale», mormorai. Il chitarrista dei Black Sheep, pallone gonfiato, fighetto di turno, idiota, cretino...
Il mio sguardo doveva emanare odio denso e nero, perché anche gli altri lo notarono.
«L'unica ragazza che mi abbia rifiutato dopo una intera settimana di attenzioni.» lo disse come se fosse una cosa brutta. Ero fiera di averlo rifiutato. 
Ero andata a letto con un suo amico una volta, quindi lui era convinto che io ci dovessi stare per forza. Era un bel ragazzo, dai capelli neri e gli occhi verde scuro, aveva carisma e in più suonava la chitarra, tutte gli andavano dietro. Ma era presuntuoso ed arrogante. La nostra ultima conversazione consisteva in uno scambio reciproco di insulti.
«Sono contento che tu l’abbia rifiutato», sussurrò Johnny al mio orecchio.
Johnny, non capivo se ci provava con me o era solo il suo modo di fare. Mi lanciava occhiate complici e ammiccanti,  mi sorrideva e mi accarezzava la mano –e casualmente io mi ero ritrovata ad accarezzare la sua-; e flirtare con lui era più divertente che con chiunque altro.
Ma fu tutto più chiaro quando, dopo avermi accompagnata con la macchina davanti allo stesso parco dove mi era venuto a prendere, usò la scusa di dovermi portare davanti a casa con l'ombrello perché non mi bagnassi, mentre Summer e Dylan aspettavano in auto. In realtà poteva benissimo portarmi fino a casa con la macchina, ma non dissi niente, perché volevo dargli quella soddisfazione. E forse  perché lo volevo anch’io.
Ed eccoci a camminare nel parco sotto un ombrello minuscolo, stretti stretti, lui con il braccio sulle mie spalle e io sui suoi fianchi.
Parlavamo del perché avessi scelto lui come modello per la scuola.
«Per il mio fascino, ovviamente », scherzò.
«Più che altro sei il primo che mi è capitato». Ridemmo insieme.
Arrivati davanti a casa mia, sotto la tettoia, chiuse l'ombrello e si pose davanti a me, cingendomi i fianchi. Il mio corpo aderì al suo senza opporre resistenza, ma nel mio cervello c’era una guerra in corso.
Mi piaceva, ma non volevo dargliela vinta così in fretta. Eppure mi piaceva …
Prima che potessi pensare davvero a qualcosa appoggiò le labbra sulle mie. Solo per pochi secondi, il tempo di imprimere il suo sapore nella mia mente.
Gli sorrisi ed entrai in casa, sfuggendogli dalle mani come fumo.


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*jsfkajdbfkadjgbakdjgbakgjba*


Lo so, ci ho messo un sacco di tempo, e me ne scuso. Ma sono infinitamente insicura. Devo modificare mille volte un capitolo prima di pubblicarlo. 
Sinceramente non so neanche io se mi piace questo capitolo, ma ho deciso di buttarmi, anche grazie agli incoraggiamenti di itsfedej (<3)
La verità è che non vedo l'ora di farvi leggere il terzo capitolo, perché è da lì che inizierete a scoprire davvero qualcosa di John River. 
Boh, ditemi cosa ne pensate.


F&L


 



PS: ho intenzione di cambiare il titolo della storia, questo titolo è solo provvisorio. Quindi se avete qualche consiglio da darmi fate pure, perché sono a corto di idee. Lo vorrei innanzitutto in italiano, perché amo molto la nostra lingua ed è meglio usarla visto che non tutti capiscono l'inglese. E poi lo vorrei riguardante la droga... tipo "skins" in inglese (che vuol dire cartine). 
Vabbè, ci penserò :)

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