Frammenti, storia di un'ossessione

di Jane Ale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 21 Novembre 2011: Come lei si dichiarò a lui, all'inizio ***
Capitolo 3: *** Senso di colpa ***
Capitolo 4: *** 20 Aprile 2012: Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te ***
Capitolo 5: *** 22 e 23 Aprile 2012: E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo ***
Capitolo 6: *** 25 Aprile 2012: The truth hurts and lies worse ***
Capitolo 7: *** L'ultimo ricordo: Some things we don't talk about, better do without ***
Capitolo 8: *** Perché, forse, anche lei era stronza ***
Capitolo 9: *** Quelle cose non dette ***
Capitolo 10: *** Ferite ***
Capitolo 11: *** Love sucks - L'amore ti succhia l'anima ***
Capitolo 12: *** Perfezione ***
Capitolo 13: *** Attrazione ***
Capitolo 14: *** Logica e non-logica ***
Capitolo 15: *** Tentazione o tentativo? ***
Capitolo 16: *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 17: *** Ogni cosa è illuminata, o forse no ***
Capitolo 18: *** Tutto sbagliato ***
Capitolo 19: *** Se vuoi guarire, però, prova un po' ad innamorarti di te ***
Capitolo 20: *** Verso la resa dei conti ***
Capitolo 21: *** La svolta - The End ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo - Frammenti
Prologo
O più comunemente, dove tutto ebbe inizio






Se mi avessero chiesto di descrivere il mio sentimento per te, avrei detto che fosse amore.
Questo se me lo avessero domandato tempo fa, quando ancora il nostro rapporto poteva essere definito amicizia e le nostre conversazioni non terminavano con porte sbattute violentemente, telefonate terminate senza saluto e libri scagliati per aria, anziché appoggiati su una libreria.
Non sapevo come e quando avessimo superato il limite, ma noi non eravamo più noi.
Nonostante ciò, non riuscivo ad immaginare la mia vita senza te e tu, stando alle tue parole, non sopportavi i pomeriggi solitari senza la mia compagnia, anche se si trattava semplicemente di una telefonata.
In quei mesi avevo cercato più volte di rivelarti i miei sentimenti, quando ancora potevano essere così definiti.
Poi, quella fatidica sera, oltre i monti del nostro paese, qualcosa era cambiato. Non so bene cosa, ma io non ero più stata la stessa: avevo cominciato a vedere la tua immagine ovunque, i miei sogni erano popolati da te, la tua voce mi rieccheggiava nelle orecchie anche ore dopo che mi avevi urlato contro.
Eri diventato la mia ossessione.
Non c'era una classificazione per il nostro rapporto. Io morivo senza te. Tu non ti esprimevi.
Eravamo cambiati insieme, senza neppure rendercene conto.

Solo adesso che sono qui, in un limbo senza definizione di tempo e spazio, mi rendo conto di non avere niente tra le mani.
Mille domande, nessuna soluzione e qualche ricordo.
Ma forse, per trovare le risposte, devo tornare indietro.
Fare un tuffo nel passato, un'ultima volta, prima di andare avanti. Questa volta per sempre.

Per adesso, però, mi limito a tornare ancora da te.

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Capitolo 2
*** 21 Novembre 2011: Come lei si dichiarò a lui, all'inizio ***


Capitolo 1
21 Novembre 2011
Come lei si dichiarò a lui, all'inizio




C'era stata una volta in cui mi ero dichiarata, proprio così, dichiarata a te. Era stato patetico, niente a che vedere con i discorsi romantici dei film.
Chiusi gli occhi tentando di ricordare ogni minimo dettaglio, ma l'unica cosa che mi veniva in mente era la frase di una stupida canzoncina..

"...'cause I hate that you left without hearing the words that I needed you to."
E poi ricordai tutto. Quelle parole mi avevano scaraventata indietro di qualche mese.

Indietro a quando mi aprii a te. 
L'ultima volta avevi detto che ti avevo deluso, non ti saresti mai aspettato che io non avessi il coraggio di dirtelo in faccia. 
E non me lo feci ripetere una seconda volta. 
Quando scelsi di parlarti, l'aula era gremita di persone troppo intente a pensare al loro estenuante ego per fare caso a noi. Erano giorni che ti dicevo di doverti parlare, ma tu rimandavi. Quel giorno non avrei potuto attendere oltre, era un peso troppo grosso per essere sopportato ancora. Ti dissi che era importante.
-Ti prego!- ti chiesi quasi implorante. Ti sedesti accanto a me con fare arrogante.
-Allora?- Volevi che finesse presto, lo vedevo dalla tua espressione. E in quel momento non avrei potuto essere più d'accordo con te. 
Dovettero passare alcuni minuti prima che riuscissi a formulare una frase di senso compiuto. Poi presi fiato, ma senza guardarti in faccia, parlai.
-Ho un problema: mi piaci.- Parole semplici, coincise, persino stupide e insignificanti rispetto a quello che mi era costato pronunciarle, ma non avrei saputo elaborare il discorso in altra maniera.
Sapevo che avrei dovuto alzare la testa per guardarti negli occhi, ma non volevo farlo. Mi costrinsi.
Tu stavi guardando un punto indistinto davanti a te con espressione indifferente, come se quello che stava accadendo intorno a te non ti riguardasse minimamente.
Poi con uno scatto repentino ti alzasti. Pensai che a quel punto ti saresti voltato e mi avresti detto qualcosa, qualsiasi cosa. Invece no. Ti limitasti a fissarti la mano sinistra, inclinando leggermente la testa nella mia direzione. Poi, senza uno sguardo, senza una parola, te ne andasti.
Mi lasciasti lì.
Sentii qualcosa dentro di me spezzarsi. No, non era il cuore. Troppo romantico.
Era tutto quello di buono che c'era in me che aveva fatto le valigie e se ne stava andando. L'amicizia, l'amore, la compassione, il perdono, la pietà, il rispetto, la dignità. Avevano deciso tutti di abbandonarmi.
Era la consapevolezza, la realizzazione del significato del tuo gesto. Non si trattava di un rifiuto, di un abbandono. Era semplicemente l'ennesima dimostrazione del tuo menefreghismo nei miei confronti. 
E, ancora, non riuscivo ad ammetterlo.
Eppure tu mi avevi lasciata lì. 
Mi avevi lasciata sola in quell'aula piena di gente inconsapevole della faglia che si era creata dentro di me. 
Ma, cosa ancor peggiore, era che tu mi avessi lasciata prima di sentire tutte quelle parole che avevo bisogno che tu sentissi. Non me ne avevi dato il tempo. Non avevi voluto ascoltarmi dopo ciò che avevo detto.
"No, è stato meglio così." mi dissi. "A quel punto saresti stata ancora peggio."
Ma, ancora adesso, non riesco ad accettare che tu non abbia sentito quelle parole, che tu non sappia ciò che avrei voluto dirti.
Non voglio pensare che tu non sappia che quelle che mi facevi provare non erano farfalle nello stomaco, bensì calabroni.
Che quando ero con te la mia folle paura della morte veniva sopraffatta dai sentimenti di amore e gioia che provavo.
E che quando mi sussurravi di stare tranquilla, io lo ero già, perché tu eri lì.
Non voglio pensare a quanto vuote fossero le tue parole quando mi dicesti "Io ci sarò sempre per te". 

Perché se ci ripenso adesso, l'unica cosa che riesco a fare è correre in bagno a vomitare quei maledetti calabroni.





Note dell'autrice:

Buonasera! :)
Ebbene sì, sono ancora qui con una nuova storia. Non ho abbandonato "How will I know?", ma i suoi aggiornamenti sono un po' lenti.
Per quanto riguarda questa nuova storia, so che può sembrare strana ed incomprensibile per il momento, ma con il tempo i capitoli si allungheranno, i personaggi prenderanno forma e tutto avrà un senso.

Vi chiedo solo di avere pazienza. :)
Spero di riuscire a conquistarvi e spero che lascerete qualche recensione.

Un bacio,
Jane Ale


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Capitolo 3
*** Senso di colpa ***


Capitolo 2
Senso di colpa




Riaprii gli occhi.
Per un attimo avevo creduto veramente di trovarmi ancora in quell'aula maledetta. Respirai profondamente.
Forse non era stata una buona idea quella di andare a frugare nei cassetti della memoria. Forse avrei dovuto lasciare tutto così com'era, farmene una ragione e andare avanti.
"No!", mi imposi severamente.
Stavo evitando la scelta più semplice, quella che mi avrebbe risparmiato altri dolori inutili e non sapevo neppure io perché.
Per quale cavolo di motivo avrei dovuto stare male di nuovo?
Il cellulare appoggiato sulla scrivania vibrò. Un messaggio.
Sentii i battiti del cuore aumentare freneticamente, il sangue affluire alle guance e le mani diventare appiccicose a causa del sudore. Mi feci coraggio. Allungai il braccio fino a toccare la superficia liscia della scrivania, fino ad incontrare il cellulare. Lo presi in mano e aprii il messaggio. Ebbi un sussulto nel vedere la prima lettera del destinatario, ma, guardando con attenzione, la delusione prese il sopravvento. Era solo una mia amica.
"E chi ti aspettavi che fosse?" chiese il mio subconscio. "Lui, forse?"
In effetti ero stata una stupida. Eppure non riuscivo a smettere di sperare..
Sbuffai, cercando di scacciare quei pensieri, ma ormai c'ero dentro.
Tirai un calcio alla libreria per calmarmi, ma l'unica cosa che ottenni fu quella di far finire per terra alcuni libri. Mi chinai per raccoglierli. Letteratura italiana, algebra, filosofia e, per ultimo, un po' spiegazzato, il mio diario del periodo oscuro. Lì avevo annotato tutti i pensieri, gli avvenimenti  i fatti da ricordare di quei mesi segnati dalla tua presenza.
Per quanto fossi cosciente dell'errore che stavo per commettere, aprii il diario ad una pagina a caso.
Guardai la data. Risaliva a qualche tempo dopo la mia "dichiarazione". Per una settimana mi avevi evitata, ma poi, come se non fosse mai successo niente, tornasti a parlarmi e, apparentemente, tutto tornò come prima.
Lessi quelle parole più e più volte..

"Eppure ti sto tendendo sempre più vicino, è questo il problema. Per quanto lo neghi, per quanto mi impegni a promettere  di cercare di starti lontana, alla fine, inconsciamente, ti lego con una corda per assicurarmi che tu non te ne vada mai  davvero. È una situazione penosa, sì, è vero, ma allora perché tu non tagli la corda? Perché? Stai fingendo di non sapere, oppure pensi che sia davvero tutto passato. Ma ci credi davvero? Perché mi tieni vicina anche tu? Perché non mi  abbandoni? Perché non mi hai abbandonata dopo che l'hai saputo?
Perfavore, o mi prendi, o mi lasci cadere.
Io non ne ho la forza.
Fallo tu."

Non mi capacitavo del fatto che a scrivere quelle parole fossi stata davvero io.
"Patetica, veramente patetica!", pensai con rabbia. Scaraventai il diario dall'altra parte della stanza.
Ero diventata debole, fragile..un pezzo di argilla nelle sue mani. In tutti quei mesi non avevo fatto altro che aumentare la mia dedizione per lui, fino a raggiungere la disperazione.
Mi buttai sul letto, affondando la testa nel cuscino e feci qualche respiro profondo per ritrovare la calma.
Avevo cominciato a rilassarmi, ma il ricordo prese il sopravvento.

-Cate, adesso smettila! Sei isterica!- mi urlasti poco gentilmente.
-Come faccio a non esserlo? Hai appena detto che non te ne frega niente, niente di niente. Cazzo, ma sei davvero così egoista?- Era delusa, ferita, stanca. Le lacrime erano vicine, ma cercai di ricacciarle indietro.
-Non ho detto questo, stupida!-
-Non darmi della stupida!-
Mi feci forza e ti guardai in faccia. Mi stavi fissando, la fronte contratta e i pugni stretti lungo i fianchi.
Sospirai, cercando di chiamare a me un briciolo di razionalità.
-Va bene, ammettiamo che tu non intendessi dire ciò che hai detto..allora, cosa volevi dire?-
Mantenere la calma e la lucidità richiedeva uno sforzo enorme. Stavo perdendo anche la capacità linguistica.
-Dicevo che non importa quello che dicono, va bene? Se voglio comportarmi in un certo modo, nessuno può impedirmelo; se voglio dire qualcosa, nessuno mi fermerà, è chiaro?-
Ti guardai come si guarda un albero tagliato, consapevoli del fatto che non ricrescerà mai, che non tornerà più ad essere quello di un tempo.
-Appunto. Anch'io penso quelle cose, quelle che ti hanno detto, e non riesco a cambiare idea. Mi dispiace, ma è così.- Abbassai gli occhi, presa dai sensi di colpa.
-Vorresti dire che nemmeno tu vuoi che sia io a vincere quest'anno?- mi chiedesti con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-No, non credo sarebbe giusto...- Che stronza che ero!
-Va bene.- fu tutto ciò che dicesti.
-Cosa? Cosa va bene, Alessandro? Ti sembra che ci sia qualcosa che va bene?- urlai.
-Sto dicendo che va bene, non ci proverò nemmeno. Se devi pensare che non mi importa della tua opinione, allora lascio perdere.-
Ti fissai incredula. Avevi davvero detto che sceglievi me alla competizione. Avrei voluto sorridere, ma non lo feci.
-Grazie.-
Ti limitasti a scuotere le spalle e sorridere debolmente.
Mai come allora mi sentii così in colpa nei tuoi confronti.




Note dell'autrice:

Salve, di nuovo!

So che ancora il senso generale della storia non è chiaro, ma tutto andrà delineandosi.
Per adesso Caterina, la protagonista, si limita a ricordare momenti, più o meno felici, in compagnia di Alessandro.
Questi continui flashback arriveranno fino all'ultimo ricordo, quello più recente, quello della rottura. A quel punto la storia non si svolgerà più nel passato, ma proseguirà con nuovi avvenimenti.
I capitoli non saranno tutti così corti, ma avranno lunghezza variabile.

Spero che avrete la voglia e la pazienza di seguirmi. :)

Un abbraccio,
Jane Ale

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Capitolo 4
*** 20 Aprile 2012: Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te ***


Capitolo 3
20 Aprile 2012
Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te





Se fossi stata la stessa persona di mesi prima, non avrei mai trovato il coraggio di mentire a mia madre. Purtroppo, però, di me era rimasto ben poco.
-Caterina, cosa c'è che non va?- mi chiese notando che ancora non mi ero alzata dal letto.
-Non mi sento bene, mamma. Credo di avere la febbre.- mentii spudoratamente.
-Ti porto il termometro.-
"Maledetto aggeggio!", pensai. Provai la febbre. 36.4, ovviamente. Non ero malata. Scossi fermamente il termometro per far abbassare la colonnina di mercurio. Infatti, quando mia madre tornò in camera, lo prese per controllare la mia temperatura.
-Ma Caterina, potevi almeno aspettare che controllassi!- mi disse contrariata.
-Scusa, mamma. Sono veramente fusa. Comunque segnava 37.8.- Sperai che mi credesse.
-Credo che sia meglio se oggi stai a casa.- mi disse.
Trattenni a stento un sorriso compiaciuto.
-Io dovrei tornare verso le sei questa sera, ma se hai bisogno chiamami in ufficio.- Poi mi sorrise e uscì.
Aspettai di sentire la porta di casa che si chiudeva, poi mi alzai.
Non mi piaceva comportarmi così, sia chiaro, ma ci avevo riflettuto per tutta la notte: non ce l'avrei fatta ad andare a scuola, affrontare sei lunghissime ore di lezione, parlare con quegli ipocriti dei miei compagni e, intanto, fingere di non vederlo.
Certo, ormai erano giorni che non ci parlavamo, ma i ricordi tirati fuori il giorno precedente non mi avrebbero aiutata ad affrontare al meglio quella situazione. Avevo, però, iniziato quello stupido processo masochista e, volente o nolente, avrei dovuto portarlo a termine. Ero consapevole del fatto che avrebbe potuto rivelarsi una perdita di tempo, ma, se c'era qualcosa che mi avrebbe potuto aiutare a capire, allora l'avrei sicuramente trovato nel nostro passato.
Nostro.
Mio e suo, insomma. Un "noi" non era mai esistito e mai avrebbe potuto esistere.
Accesi il computer, ancora indecisa da che punto avrei potuto continuare. Poi la vidi. Non so come mai, ma non avevo mai tolto quella cartella dal desktop. Gita a Londra, aprile 2012. La aprii.
C'erano tutte le foto di quella settimana: monumenti, musei, serate di divertimento, le facce delle famiglie, il suo compleanno. Eravamo stati ospiti nelle case di famiglie della città, e la tua famiglia, sapendo che quella settimana sarebbe stato il tuo compleanno, avevano deciso di organizzarti una festa in una discoteca. Molto gentile da parte sua, no?
Aprii la foto che ci avevano scattato quella sera: eravamo abbracciati, sorridenti come in poche altre occasioni lo eravamo stati, le nostre teste appoggiate l'una a quella dell'altro. Era stato l'ultimo momento felice di quella serata, di quella settimana, di quell'anno. Avevo visto come la guardavi già da qualche giorno, avevo visto come lei si avvicinava a te quando pensava di non essere notata. Era tutta questione di tempo, ma io stavo già male.

-Rilassati, va tutto bene.-
Le tue mani scorrevano delicate sulla mia schiena, quasi a voler scacciare tutto il mio dolore.
-No, non va bene.- ti risposi flebilmente.
-Cosa c’è che non va? Per una volta cerca di non essere triste.-
Mi stavi rimproverando, ma così dolcemente.
-C’è che non sto bene, mi sento..non so neppure io come mi sento. Da schifo!- Non riuscii a fermare il mugolio indistinto che uscì dalla mia bocca dopo aver pronunciato quelle parole.
Sentii le tue braccia stringermi più forte, eliminando quei pochi centimetri d’aria tra i nostri corpi. Ricambiai l’abbraccio incrociando le braccia dietro la tua testa e nascondendo la mia faccia nell’incavo del tuo collo.
-Io sono qui.- mi sussurrasti all’orecchio.
Aspirai a fondo il tuo profumo e sospirai sonoramente, chiudendo gli occhi.
Non so quanto tempo passammo abbracciati nel bel mezzo di quella stanza buia e affollata, non so cosa mi convinse a staccarmi e fuggire via prima che le lacrime facessero la loro comparsa, ma fu in quel momento che capii quanto la situazione mi fosse realmente sfuggita di mano. 
E per quanto tu continuassi a ripetermi che la nostra amicizia fosse forte, io non riuscivo ad ignorare i miei sentimenti. Perché i battiti del cuore non sono come i battiti d'ali di una farfalla, non li ammazzi con l'acido. 
Ci vuole ben altro.

Ricordo ancora di come avevo pianto sulla spalla di una mia amica, di come mi fossi trovata semidistesa sul pavimento di quella schifosissima discoteca, di come credessi di aver toccato il fondo. Ma avrei dovuto saperlo, al peggio non c'è mai fine. Infatti..

Ero appena uscita dal bagno. Mi ci erano voluti venti minuti per tornare ad avere un aspetto almeno lontanamente umano e il risultato non era dei migliori. Poi vidi che ti stavi avvicinando a me. La mia amica si irrigidì.
-Sei sicura?- mi chiese.
-Sì, grazie Vitto, ma posso farcela.- Mi sorrise prima di tornare verso i nostri compagni di classe.
Poi ti guardai. Mi stavi sorridendo, ma c'era qualcosa di strano nel tuo sguardo. Non ebbi il tempo di chiederti niente perché mi stavi abbracciando.
-Ale, cosa fai?- ti chiesi incerta.
-Ti abbraccio, no? È il mio compleanno, mi puoi anche abbracciare.- mi dicesti biascicando.
-Hai bevuto?- Domanda inutile.
-Un pochino, vuoi sentire?-
-Cosa?!- Pensai che tu fossi impazzito.
-Il mio sapore, no?- mi rispondesti con fare ovvio. Sentii le tue mani sulla mia schiena scendere sempre più in basso, forse fin troppo in basso.
-Il tuo sapore?- La mia voce era diventata più acuta del dovuto. La cosa preoccupante era che non sapevo se essere più spaventata o eccitata da quella situazione.
-Sì, il mio sapore...-
Avvicinasti la tua testa alla mia, alzai il viso di riflesso, ma quando le nostre bocche furono quasi in contatto, ti spinsi via.
Cosa stavo per fare? Cosa stavamo per fare? Non era possibile, no, assolutamente no!
Mi allontanai in fretta, interponendo la maggior distanza possibile tra i nostri corpi. Quando Vittoria mi vide, non ebbe bisogno di spiegazioni. Mi prese per mano e mi condusse verso l'uscita, per prendere un po' d'aria. Fui io a parlare.
-Mi ha quasi baciata!- singhiozzai. -Te ne rendi conto? Sono mesi che gli muoio dietro, gliel'ho anche detto, ma lui niente. Poi arriviamo qua e si lancia all'inseguimento della prima inglesina che vede. E adesso cerca di baciarmi? No, cazzo!!-
Sentii Vittoria sospirare, ma non riuscivo a vedere la sua espressione, avevo gli occhi pieni di lacrime. Stava per dire qualcosa quando una ragazza del nostro gruppo, Isa, che era a conoscenza della mia "situazione", corse verso di noi.
-Siete qui!- disse sollevata.
-Si, perché?- chiese Vittoria. Ci fu una pausa prima che Isa rispondesse.
-No, così.-
Vidi Vittoria annuire con il capo. Ma cosa..?
-Isa!- la chiamai. -Dimmi la verità.-
-Che dici Cate?-
-Cosa è successo? Perché ci cercavi?-
Vittoria abbassò lo sguardo. -Diglielo, è giusto che lo sappia ed è meglio che sia adesso..-
Isa sospirò. -Ti consiglio di non tornare dentro adesso, okay?-
-Perché?- domandai sospettosa.
Vittoria sbuffò. -Cavolo Isa, sei un'incapace. Cate, insomma, Ale e Lilian...-
-Ho capito, non c'è bisogno che tu aggiunga altro.- Tentai di sorridere. -Allora, di cosa parliamo per ingannare il tempo?-
-Sei sicura di stare bene, Cate?- mi chiese Vittoria, seriamente preoccupata.
Stavo per risponderle che andava tutto bene, che quello era il momento migliore della serata, che ero grata del fatto di avere amiche come lei al mio fianco, ma quando feci per parlare, sentii le guance inumidirsi e la gola chiudersi.
Stavo piangendo per la terza volta in una sera.




Note dell'autrice:

Buonasera!
Mi sembra impossibile, ma sto davvero aggiornando per la seconda volta in un giorno.
Allora, la storia tra Alessandro e Caterina si sta chiarendo piano piano. Era chiaro che tra i due dovesse essere successo qualcosa e questo capitolo ne è un esempio, ma ancora non è tutto..;)

Spero di aggiornare il più presto possibile.
Se avete voglia, recensite, fatemi sapere cosa ne pensate. :)

Un bacio,
Jane Ale



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Capitolo 5
*** 22 e 23 Aprile 2012: E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo ***


Capitolo 4
22 Aprile 2012
E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo




Tentai di ricordare come fosse finita quella serata, ma la prima immagine lucida risaliva al giorno successivo, quando mi ero recata da Alessandro e, senza una parola, gli avevo restituito il braccialetto che mi aveva dato prima di partire. Lui non aveva capito il perché di quel mio gesto, cercava di capire cosa avessi, il perché non riuscissi a parlargli guardandolo negli occhi; io, intanto, ero troppo presa dal mio insulso dolore per notare che lui non sembrava avere ricordi della sera precedente.
Urlai dalla rabbia. Era veramente frustrante ricordare.
Ogni parola o immagine riaffiorava pian piano nella mia testa e, a quel punto, avrei preferito continuare a tenere tutto chiuso in un cassetto della mia mente.
Andai in cucina a bere un bicchiere d'acqua, tentando di riacquistare la lucidità necessaria per pensare ancora un po'.
"Bene, Caterina, pensa..cosa è successo dopo? Gli hai restituito il braccialetto, vi siete scambiati qualche messaggio e poi?"
Cavolo, perché non riuscivo a ricordare?
Forse avevano ragione i libri di psicologia quando dicevano che il nostro subconscio tende a nascondere le cose che ci tormentano di più. Forse stavo davvero impendendo a me stessa di ripensare a quel periodo.
"No cavolo, io devo ricordare!"
Mi buttai sul divano. Era inutile, stavo girovagando per casa come un fantasma senza riuscire a concludere niente.
Chiusi gli occhi e mi rilassai.
Ma non ebbi il tempo di addormentarmi, perché il ricordo arrivò.

Era domenica.
Camminavamo incessantemente per le salite tortuose di quel monte straniero. Ero stanca, ma sapevo di potercela fare: non mi dispiaceva camminare, avevo sopportato percosi peggiori.
Eppure sentivo il bisogno di lamentarmi, il leggero dolore alla caviglia mi irritava.
-Uffa!- sbuffai. -Non ce la faccio più!-
La ragazza davanti a me si voltò e mi fece un sorriso rassicurante. - Manca poco tesoro.-
Annuii. Guardai il ragazzo alla mia destra e, scherzando, dissi: -Mi porti in braccio?-
Lui mi guardò serio per qualche secondo, poi mi rispose gentilmente: -Va bene, penso di potercela fare. Alla peggio cadiamo nel burrone!- E rise.
Stavo per fermarmi, quando tu intervenisti: -Se vuoi ti porto io.-
Ti confesso che prima di prendere a battere freneticamente, il mio cuore si fermò per un instante.
Nemmeno un secondo, un istante.
E tutto l'amore che avevo accumulato lì da anni aveva minacciato di uscire e prendere il sopravvento.
Ma ripresi subito il controllo. Non potevo permettermi simili debolezze. Almeno non dopo quello che mi avevi fatto due sere prima.
-Non importa. Non ce la faresti.- risposi, cercando di sembrare emotivamente neutrale.
-Scommetti che ce la faccio?-
Il tuo sguardo si era irrimediabilmente acceso. Ecco! Avevo provocato uno dei lati peggiori di te, quello competitivo.
Nonostante tutto, amavo le nostre sfide: le provocazioni, gli sguardi, i sorrisi. Era tutto così dannatamente eccitante.
-Vediamo!- fu tutto ciò che risposi.
Ti girasti per farmi salire sulla tua schiena. -Ti fidi?- mi chiedesti senza guardarmi.
Fui grata del fatto che tu non potessi vedere il sorriso sulle mie labbra. -Ovvio che no!-
Feci un piccolo salto e montai. Sentii le tue mani poggiarsi delicatamente sulle mie natiche per sostenermi. Quel contatto mi provocò una scarica di adrenalina.
Paura? Forse.
Pericolo? Senza dubbio.
Come se avessi captato i miei pensieri, portasti le tue mani sulle mie cosce e, senza una parola, iniziasti a camminare.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, se non ai nostri corpi a contatto, il calore sprigionato dalla tua pelle, il tuo odore...
Brividi.
-Adesso ti faccio venire i brividi!- Sussultai, sorpresa dalle tue parole. Poi iniziasti a correre.
Vedevo la vegetazione sfrecciare veloce al mio fianco, i nostri compagni guardarci allibiti. Non riuscivo a spiegarmi come potessi fare tutto ciò sopportando il mio peso. Mi strinsi forte a te, affondando il mio viso nel tuo collo, proprio come poche ore prima.
Trentasei, per la precisione.
Sentii il dolore riaffiorare. Aumentai la stretta, quasi a volermi salvare dai ricordi. Per un attimo ci riuscii.
Poi rallentasti.
Capii di aver superato il limite. Senza dire una parola abbassai le gambe, proprio nel momento in cui tu allentavi la presa delle mani.
-Scusa, non ce la faccio più.- ti giustificasti.
Sorrisi. -Grazie comunque.- fu tutto quello che seppi rispondere, quando, invece, avrei voluto sentire ancora il tuo corpo a contatto con il mio, piccoli fremiti sulla mia pelle, respiri irregolari.
Ti guardai allontanarti, sorridendomi.
Camminavo lentamente, per inerzia.
Delle ragazze accorsero, volevano i dettagli. Non avevo niente da dire, così mi limitai a sorridere e scuotere il capo.
Alzai lo sguardo. Ormai eri già da lei: camminavate fianco a fianco, tu l'aiutavi a superare i punti più difficili, lei stringeva possessivamente il tuo braccio.
Guardai quelle ragazze intorno a me.
-Le metafore dei poeti sono tutte cazzate. Loro non hanno mai provato l'amore. Se ami non puoi descrivere. L'amore non è paragone, analogia. L'amore è sensazione. L'amore è. A volte nemmeno.-
Queste furono le mie parole.
Aumentai il passo, allontanandomi da loro.
Camminavo, ma senza mai diminuire la distanza tra noi.

Scoppiai a ridere pensando alle parole che avevo detto alle mie compagne, tutte quelle belle frasi sull'amore.
Quanto potevo essere ridicola alle volte? Eppure loro mi avevano dato ragione, come se io fossi riuscita a capire davvero le mie parole. Perché, sinceramente, non sapevo cosa avevo voluto dire, le parole mi erano uscite di getto.
Risi di nuovo. No, non riuscivo davvero a capirmi.
Avevo pensato di amare un individuo che non riusciva a provare sentimenti, se non orgoglio. Mi ero illusa che qualcosa potesse nascere, avevo cercato qualsiasi segnale potesse farmi continuare a sperare. Ero stata fermamente convinta che, prima o poi, se ci credi davvero, i desideri si realizzano. Alla fine, però, ero stata costretta a ricredermi: non si era avverato un cacchio!!
Richiamai alla mente il mio comportamento dopo quella domenica: avevo continuato ad evitarlo, non avevo più risposto ai suoi messaggi, avevo sempre cercato di non rimanere da sola quando lui era nelle vicinanze. Ma il lunedì sera, non riuscii ad attenermi al mio piano: avevamo affittato un capannone per dare una festa con tanto di musica e birra. Mi aveva fermata mentre stavo per prendere una birra e mi aveva implorata di parlargli, di spiegargli il mio comportamento. Non lo avevo neppure guardato in faccia mentre continuavo per la mia strada, ma lui mi aveva afferrato un braccio e lo aveva stretto con decisione. -Adesso mi dici che cazzo ti prende!- mi aveva detto quasi arrabbiato. Non sapevo se fosse più dolorosa la sua stretta sul braccio o il fatto che fosse lì di fronte a me. Lo avevo pregato di lasciarmi stare, ma aveva scosso la testa, continuando a tenermi ferma. Poi era arrivata una ragazza del nostro gruppo.
-Alessandro, smettila. Stai esagerando. Lasciala stare!- aveva detto lei con fermezza. Lui si era girato verso di me e, prima di lasciarmi, aveva mormorato: - Sei una stronza!-.
Pensandoci bene, forse aveva ragione lui, la stronza ero io. In fin dei conti lui non mi aveva mai illusa davvero, il suo gesto di qualche sera prima era stato un errore dovuto all'alcol e io ne stavo facendo una tragedia. Non gli avevo neppure dato una spiegazione! Sì, senza dubbio la stronza ero io.
Ma, qualche minuto dopo, mi ero ricreduta.

Pochi minuti dopo la pista da ballo sembrava infiammata dal tuo bacio con lei. Per giorni avevo cercato di evitarlo, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare la realtà.
Lo sapevo benissimo.
Per quanto il racconto di un evento possa essere realistico, non farà mai male quanto la cruda verità esposta davanti agli occhi. Ma per guarire, dovevo accettare. Per accettare, dovevo vedere.
E vidi.
Le tue mani sui suoi fianchi, le sue braccia attorno al suo collo, le vostre bocche che combaciavano alla perfezione.
Chiusi  gli occhi velocemente, come un bambino che non vuole vedere ciò che lo spaventa. Sentii una rapida stretta al cuore, come uno spillo che veniva conficcato con estrema precisione.
Ma la cosa peggiore non era stato assistere alla scena da una finistra sotto un'insistente pioggerella primaverile.
Non era stato vedere il sorriso sulle sue labbra un secondo prima del bacio.
Non era stato vedere la decisione nei tuoi occhi mentre avvicinavi il tuo volto al suo.
La cosa peggiore era stato lo scorrere circospetto del tuo sguardo per tutta la stanza prima di agire. Avevi posato gli occhi su ogni individuo presente all'interno della sala in quel momento. Avevi controllato attentamente che fosse il momento giusto.
Avevi controllato che io non ci fossi. Che fossi altrove.
Non volevi che assistessi? Beh, avevi fatto male i conti.
Eppure di tutto ciò che avrebbe potuto ferirmi, la sferzata finale l'aveva data questo.
Il fatto che tu sapessi.
Sì, perché tu sapevi, ma non te ne è importato.
Stronzo!





Note dell'autrice:

Salve a tutti!

Prima di tutto i ringraziamenti:
ringrazio Gre_Leddy e leonedifuoco per aver inserito la storia tra le seguite; ringrazio Eli_17 per averla inserita non solo tra le seguite, ma anche tra le ricordate. :)
Un grazie speciale va a Afeffa, costretta a sopportare i miei infiniti dubbi e le mie innumerevoli manie. Grazie di tutto!

Per quanto riguarda la storia, questa volta il capitolo è venuto un po' più lungo rispetto agli altri; spero che con il tempo inizierete a farvi un'idea dei due protagonisti. So che la trama può sembrare sfuggente, quasi insensata, ma prima o poi tutto arriverà ad un punto di svolta.

Se avete dubbi, critiche, o semplicemente voglia di commentare, lasciate una piccola recensione. :)

Baci,
Jane Ale

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Capitolo 6
*** 25 Aprile 2012: The truth hurts and lies worse ***


Capitolo 5
25 Aprile 2012
The truth hurts and lies worse - La verità ferisce e le bugie sono peggiori





Non mi ero accorta di essermi addormentata finché non sentii mia madre rincasare. Dopo pranzo mi ero messa sul letto, giusto per riposarmi un po', ma, evidentemente, ero parecchio stanca.
-Caterina?- mi chiamò mia madre, affacciandosi in camera mia.
-Ciao mamma!-
-Come stai? Hai ancora la febbre?- mi chiese con tono preoccupato. Non credo si aspettasse di ritrovarmi esattemente dove mi aveva lasciato quella mattina.
-Meglio. Ho mangiato un po' e poi mi sono addormentata.- Evitai di mentirle ancora.
-Tra poco la misuri di nuovo, però. Vado a fare una doccia.- mi disse.
Sentii la porta del bagno che si chiudeva. Mi alzai dal letto e guardai il mio cellulare.
3 chiamate perse e 1 messaggio ricevuto. Tutti da un unico mittente, Roberta.
"Cate, è tutto il giorno che cerco di parlarti, ma non rispondi. Per favore, fammi avere tue notizie. Voglio sapere cosa succede."
Roberta era quella che, se fossi vissuta in un telefilm, avrei definito la mia migiore amica. Ma io e lei non eravamo questo. Per quanto un legame tra amiche possa essere stretto, il nostro, forse, lo era di più, semplicemente perché era diverso.
Era la mia compagna di bevute, di gossip, di risate; non litigavamo mai, al massimo avevamo accesi scambi di opinione con toni poco amichevoli; quando si parlava di Alessandro, però, lei c'era sempre. Era lì, in prima fila, pronta a farsi raccontare qualsiasi cosa, anche il minimo dettaglio, senza mai lamentarsi.
Eppure, quel giorno, la stavo evitando. Non capivo perché, ma non volevo parlare con nessuno: certo, lei sapeva tutto di me, di Alessandro, di quella mia ultima trovata masochista, ma non riuscivo a trovare il coraggio di chiamarla.
"Sei una stupida, Caterina, è Roberta..cosa vuoi che ti dica? Che sei una scema perché non sei andata a scuola per evitare Alessandro? Beh, sicuramente lo farà, ma è Roberta.."
Persino il mio subconscio, alle volte, sapeva essere più razionale di me. E dire che veniva definito come la parte irrazionale di una persona!
Cercai il numero di Roberta tra le ultime chiamate e pigiai il tasto verde.
-Pronto? Cate?- mi rispose tutta agitata.
-Ciao Roby!-
-Mi spieghi cosa è successo? Cavolo, è tutto il giorno che ti cerco, poi non sei venuta a scuola e non sapevo niente, non rispondevi ai messaggi.- Decisamente agitata, sì.
-Scusa, non stavo bene.- le risposi, cercando di essere convincente.
-Febbre?- mi chiese.
-Sì, una specie..-
-Alessandro?-
Bingo! -No, Roby..cosa c'entra Alessandro adesso? Perché deve rientrare in ogni discorso?-
-Avevo pensato che, visto la tua ultima folle idea, tu fossi rimasta a casa a pensare. Scusa, mi sono sbagliata.-
Che stronza che ero! -No, hai ragione..- ammisi.
-Lo sapevo!- disse con tono vittorioso. -Non mi freghi, cara!-
Storsi il naso. Era davvero impossibile nascoderle qualcosa.
-Domani torni?- mi chiese.
-Non lo so..-
-Secondo me sbagli. Ad essere sincera credo che dovreste parlare per risolvere il problema. Anche in Inghilterra avete risolto tutto parlando, no?- Roberta non era venuta in gita con noi, ma si ricordava ogni avvenimento meglio di me.
-Tutto? Non mi pare proprio.- risposi acida.
-Perché non hai voluto dirgli la verità. Come adesso, del resto: ti ostini ad essere arrabbiata con lui e a non parlargli per qualsiasi motivo ti venga in mente, pur di non dirgli che ti piace!-
Diretta. Della serie "la verità ti fa male, lo so". Ma potevo darle torto?
-Senti Roby, non lo so, va bene? Ne riparleremo. Adesso devo andare, mamma mi sta chiamando. Ciao.- Bugiarda.
-Ciao Cate!-
Chiusi la conversazione. Frustrazione, ecco quello che sentivo. Eppure non potevo negare niente di ciò che Roberta mi aveva detto: negli ultimi tempi, pur di stare lontana da lui mi ero aggrappata a qualsiasi scusa e lui, sentendosi chiuso fuori, ad un certo punto, era scoppiato e mi aveva urlato contro.
Ma non era l'unico punto su cui aveva ragione. Infatti mi aveva fatto tornare in mente un ricordo che, fino a quel momento, era rimasto sepolto chissà dove nella mia testa.

Era mercoledì. Erano cinque giorni che non avevamo una conversazione decente.
Il giorno successivo saremmo ripartiti ed io ero stanca. Stanca di dover camminare per chilometri tutti i giorni, stanca di parlare una lingua che non fosse la mia, stanca di sopportare, stanca di non potermi avvicinare. Stanca di tutto.
Ci trovavamo tutti in giro per fare gli ultimi acquisti prima della partenza. Quel pomeriggio, come al solito, ero con Vittoria
e ci eravamo fermate a prendere un caffé. Non avevo notato subito la tua presenza, insieme a Giovanni, un ragazzo del nostro gruppo. Eravate seduti ad un tavolino, lontani dalla folla.  Non so cosa fu a farmi scattare, ma mi diressi verso di te con passo deciso. Vittoria, sopresa, mi seguì.
-Ciao!- vi salutai.
-Ehi! Cate, Vitto..che ci fate qui?- ci salutò Giovanni raggiante.
-Caffé!- rispose Vittoria sorridendo.
Tu non parlavi, guardavi fuori, come se non ti importasse. Richiamai a me più coraggio possibile.
-Possiamo parlare?- ti chiesi, guardandoti in faccia per la prima volta dopo giorni.
-Dici a me?- Me lo dovevo aspettare. Me l'avresti dovuta far pagare in qualche modo, lo sapevo.
-Sì. Ti ho chiesto di parlare.- Se volevo ottenere qualcosa, dovevo essere decisa.
-Ok. Andiamo fuori.- Ti alzasti. Lanciai uno sguardo a Vittoria, che annuì con il capo. Giovanni sembrava spaesato.
-Dove andate?- chiese. Dubitavo del fatto che tu non gli avessi detto niente.
-Fatti loro, tornano subito.- rispose sbrigativa Vittoria.
Uscimmo fuori, su quella strada affollata. Non sembrava il posto migliore per parlare.
-Allora?- mi chiedesti scocciato.
-Smettila!-
-Di fare cosa?-
-Di fare così!-
Sospirasti, passandoti una mano tra i capelli già scompigliati.
-Okay, non devo fare così. Ma dimmi, Caterina, c'è qualcosa che posso fare? C'è qualcosa che ti sta bene nel mio comportamento, qualcosa che ti impedisca di smettere di parlarmi senza motivo?-
Abbassai la testa. Erano belle domande che avrebbero meritato altrettante belle risposte, ma io non potevo dartele. Non in quel momento, almeno.
-Ale..- cominciai, ma tu parlasti di nuovo.
-No, ora mi ascolti. Non sai come non sopporto questo tuo atteggiamento: una sera mi parli, poi, improvissamente, scompari e il giorno dopo non mi parli più. Cerco di comunicare con te e mi eviti, fai addirittura intervenire le tue amiche. Io non so cosa sia successo, ma, perfavore, illuminami perché non so davvero come cazzo comportarmi con te. Va bene tutto, ma non puoi trattarmi di merda in questo modo.-
Eri arrabbiato, chiaramente, e, guardando le cose dal tuo punto di vista, non potevo che darti ragione. Mi faceva male vederti così, non lo sopportavo. Ti avevo fatto soffrire. Non importava il dolore che mi avevi procurato, le lacrime che avevo versato per te, in quel momento volevo solo che tu non pensassi quelle cose.
-Mi abbracci?- ti chiesi impulsivamente.
Vidi la tua fronte rilassarsi e le tue labbra piegarsi in un sorriso accennato. Apristi le braccia per accogliermi.
Non appena i nostri corpi furono in contatto, tutto cambiò. Improvvisamente non sapevo più dove mi trovassi e, in verità, non me ne importava niente. Mi sentivo completa, come se tutti quei giorni di pianti e tristezza non fossero esistiti.
-Scusa.- ti sussurrai all'orecchio.
-Tutto okay, tranquilla.-
Quando ci staccammo, ti guardai negli occhi. "Bello", pensai. Sentivo il cuore scoppiarmi.
-Cate, posso farti una domanda?-
-Dimmi.-
-Posso sapere cos'è successo? Perché ti sei arrabbiata con me?- mi chiedesti, questa volta con calma.
-Ale, tu non ricordi niente di venerdì sera?- Domanda inutile.
-Sì, mi ricordo tutto, cioè quasi. Mi sa che avevo un po' bevuto.-
"Un po'? Cavolo, è un eufemismo!"
-Sì, me ne sono accorta..-
-Ho fatto qualcosa? Cate, è successo qualcosa?- Adesso eri in ansia. Non so a cosa ti riferissi con quel "è successo qualcosa?", ma non volevo che tu sapessi. No, avevo deciso: non ti avrei detto niente.
-No, cioè, abbiamo avuto una piccola discussione.-
-Perché? Sull'alcol? Eri arrabbiata perché avevo bevuto?-
Prima di partire avevamo litigato riguardo l'alcol: ti avevo chiesto di non superare il limite, ma tu non mi avevi dato ascolto. Certo, il motivo non era questo, ma colsi l'occasione.
-Sì, per questo..- dissi abbassando lo sguardo.
-Me lo immaginavo! Ma ti avevo detto che dovevi stare tranquilla. Visto, non è successo niente.- mi dicesti sorridendo.
"Quanto puoi essere stupido, Alessandro!", pensai.
-Sì, ma me l'avevi promesso.- sussurrai.
-Amici come prima?- mi chiedesti.
-Sì, amici.- ti risposi, nascondendo una smorfia.
Poi sentii le tue braccia avvolgermi per la seconda volta e le mie difese mentali crollarono.
-Mi sei mancato.- ammisi.
-Anche tu. Non sai quante volte, in questi giorni, avrei voluto avere accanto la mia migliore amica.-
Le lacrime affiorarono, ma le ricacciai indietro, mettendole insieme a quella valanga di pensieri che, avevo deciso, avrei affrontato in seguito.
Chiusi gli occhi e mi feci cullare da te.





Note dell'autrice:

Eccomi di nuovo! :)
Per prima cosa voglio ringraziare Beadeisentieri per aver inserito la storia tra le preferite. Grazie davvero.

Poi..siamo quasi arrivati alla fine dei flashback, fortunatamente. Tra uno o due capitoli, faremo, finalmente, la conoscenza di Alessandro nel presente. :)

Come sempre, se avete voglia, recensite.

Baci,
Jane Ale



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Capitolo 7
*** L'ultimo ricordo: Some things we don't talk about, better do without ***


Capitolo 6
L'ultimo ricordo
Some things we don't talk about, better do without - Certe cose di cui non parliamo, meglio farne a meno





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Erano soltanto le dieci, ma ero già nel mio letto al caldo. Avevo cenato velocemente con mia madre, mi ero lavata e messa il pigiama. Volevo soltanto starmene rintanata sotto le coperte e perdermi ancora tra i pensieri.
Sapevo di aver quasi esaurito i ricordi, ma c'era ancora qualcosa che chiedeva di uscire dalla parte sepolta della mia mente. Era accaduto poche settimane prima, per caso. Infatti, dopo il nostro ritorno, io e Alessandro avevamo parlato della gita soltanto due volte, nelle quali avevamo deciso di lasciarci alle spalle i litigi e le incomprensioni e tornare amici come prima. Naturalmente io non avevo avuto il coraggio di dirgli niente riguardo quella sera, ma, forse, andava bene così. Avrei dovuto soltanto chiudere la mente, seppellire il ricordo e fingere che non fosse mai accaduto.  
Prima di chiudere il discorso, però, avevo chiesto ad Alessandro di Lilian. Non che volessi sapere i particolari, ma in fondo ero pur sempre sua amica e sapevo che le mancava. Lui mi aveva risposto che l'avrebbe dimenticata presto, nonostante, a volte, sentisse molto la sua mancanza. Aveva anche aggiunto che avrebbe per sempre portato con sé il ricordo di quei giorni. Come se non bastasse, gli avevo anche chiesto cosa fosse successo tra di loro, ma lui mi aveva assicurato che non fossero andati oltre a qualche bacio. Dentro di me avevo tirato un sospiro di sollievo. Non potevo impedirgli di vivere la sua vita, di fare ciò che voleva, in fin dei conti non avevo nessun diritto su di lui, ma non potevo evitare di sentirmi più leggera.
Poi, però, mi ero dovuta ricredere.

Ero in classe, seduta al mio posto, nonostante fosse ricreazione.
Quasi tutti erano usciti dall'aula, eravamo rimasti io e un gruppetto formato da Giovanni, Emanuele, amico di Giovanni, e due ragazze della mia classe. Non stavo ascoltando i loro discorsi, ma mi era capitato di sentire qualche parola ed avevo capito che l'argomento fosse la gita di qualche tempo prima. Fu solo quando sentii il tuo nome, che iniziai a prestare realmente attenzione.
-Chiedilo ad Alessandro se si è divertito..- disse una delle due ragazze ridacchiando.
-Te lo assicuro, lui sì che si è divertito!- disse Emanuele con un sorriso compiaciuto sulla faccia.
-Vorresti dire che..?- ma l'altra ragazza non finì la domanda, perché Giovanni la interruppe.
-Ragazzi, che ne dite se andiamo un po' alle macchinette?- chiese, guardandomi con la coda dell'occhio.
Ci furono risposte di assenso, poi uscirono tutti. Tutti tranne Giovanni.
-Cate, hai sentito.- La sua non era una domanda.
-Sì.-
-Mi dispiace, non avresti dovuto saperlo. Non così, almeno.- si scusò, abbassando lo sguardo.
Mi bloccai. Cosa non avrei dovuto sapere? Stavamo parlando di te e Lilian, no?
-Giovanni, io c'ero, cioè li ho visti mentre si baciavano. Poi non dovresti essere tu a scusarti.- dissi.
-Cate, Ale e Lilian non si sono solo baciati.- mi spiegò Giovanni con lentezza, quasi fossi una bambina alla quale si sta dicendo che Babbo Natale non esiste.
-Intendi dire che..?- Mente vuota. Nessun pensiero, nessuna immagina, nessun segno di vita. Un buco nero.
-No, però..-
-Okay, basta così.- sbottai, alzandomi in piedi. Non potevo continuare quel discorso.
-Giovanni ti ringrazio per la sincerità, ma penso che tu abbia capito la situazione. Anzi, fammi un favore, dimentica la mia presenza in questa classe oggi. Io non ho mai sentito il vostro discorso e tu non mi hai detto niente.-
Feci per andarmene, ma Giovanni mi richiamò.
-Lui ti ha cercata.-
-Cosa?-
-La notte del suo compleanno, quando era ubriaco.-
Continuavo a non capire. Chi mi aveva cercata? Si riferiva a te?
Giovanni parve capire la mia confusione. -Dopo che te ne sei andata, ha continuato a bere. Dopo un po' si è disteso su un divanetto e si è addormentato. Non volevo lasciarlo solo, quindi mi sono seduto vicino a lui. Poi si è svegliato di colpo e si è messo a sedere. Pensavo dormisse, ma poi mi ha detto "Caterina". Non capivo cosa volesse dire, così gli ho detto di dormire ancora un po', ma lui ha detto "Perché Caterina è andata via così? Le ho fatto qualcosa? Perché ce l'ha sempre con me?".-
Forse, se mi avessero tirato una secchiata d'acqua fredda, sarei comunque rimasta immobile. Ti erI svegliato e avevI chiesto di me? Nonostante fossI ubriaco e avessI passato la serata con Lilian, tu avevi chiesto di me?
Un irrazionale, un cretino, ecco cosa sei! pensai dentro di me. Non dovevo lasciarmi ingannare, però. Mi avevi pur sempre mentito. Guardai Giovanni e gli sorrisi debolmente, poi uscii di classe.
Non dovetti muovere neppure un piede per cercarti, perché stavi venendo nella mia direzione.
-Sei un bugiardo!- ti gridai quando mi passasti davanti.
-Che cazzo dici?- mi rispondesti con tono irritato, come sempre quando non eravamo soli.
-Dico che mi hai raccontato un sacco di cazzate! E poi dici che sono io che non ti racconto le cose, che evito i discorsi che non voglio affrontare, che non mi fido di te. Certo, come no!- Sentivo la testa scoppiarmi, le guance in fiamme e il cuore..beh, non ero neppure sicura che ci fosse ancora.
-Mi puoi spiegare a cosa ti riferisci, perfavore?- chiedesti, cercando di apparire calmo.
-Mi riferisco al fatto che tu quella puttana non l'hai solo baciata!- No, cavolo!
-Chi te l'ha detto?-
Ignorai la tua domanda. -E non sprecarti a dirmi che non ricordi nulla di quella sera, mi hai già umiliata abbastanza.-
-Umiliata? Ma cosa stai dicendo? Ti ho fatto una domanda: chi te l'ha detto?- chiedesti ancora, con tono minaccioso.
Ti guardai negli occhi e accennai un sorriso, uno di quei sorrisi amari che si tirano fuori con la forza nelle situazioni più disperate. -Pensavi di potermi nascondere qualcosa? Hai sbagliato, migliore amico del cazzo!-
Non ascoltai la tua risposta, non guardai la tua faccia, non ti lasciai il tempo di fare niente, perché mi girai e corsi in bagno.
Avevo esagerato, mi ero lasciata sfuggire parole che non avrei mai, e dico mai, dovuto pronunciare. Mi ero esposta troppo, lo sapevo, ma avevo perso la ragione. Mi avevi ferita, mi avevi umiliata, mi avevi raccontato un sacco di bugie.
Cosa avrei dovuto fare, accettare? Far finta di niente?
No, non con te. Non quella volta.

Mi toccai le guance. Bagnate.
Ero davvero arrivata al punto in cui piangevo persino per un ricordo? Se quello non era il fondo, non avrei davvero saputo come definirlo.
Guardai l'orologio. Le 22:37.
Mi asciugai le lacrime con la manica del pigiama. Avevo promesso che non avrei più pianto per lui, ma non ci ero riuscita. Quale potere aveva su di me? Fino a che punto era arrivato a compromettere la mia vita?
Non sapevo dare una risposta razionale a quelle domande. Razionale. Quella situazione non era mai stata razionale.
Stavo cominciando a degenerare. Mi tirai le coperte fino al collo e spensi la luce. Forse il sonno mi avrebbe aiutata. Chiusi gli occhi, ma li riaprii quasi subito. Aferrai il telefono che era sul comodino e composi un messaggio per Roberta.
"Domattina aspettami all'entrata, come sempre".
La risposta arrivò quasi subito.
"Sapevo che avresti preso la decisione giusta. :) Notte."





Note dell'autrice:

Buonasera a tutti!

Eccomi con un nuovo capitolo. So che non è molto lungo, né pienamente soddisfacente, ma era necessario che lo inserissi, in quanto contiene l'ultimo flashback, quello che ci permette di capire la situazione attuale tra Caterina ed Alessandro.

Come sempre ringrazio le persone speciali che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, ma ringrazio anche coloro che si limitano semplicemente a leggere in silenzio. :)
Un grazie particolare va ad Afeffa, che con qualcuno come Caterina ed Alessandro è costretta a vivere ogni giorno.

Spero che continuerete a leggere.  :)

Un bacio,
Jane Ale


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Capitolo 8
*** Perché, forse, anche lei era stronza ***


Capitolo 7
Perché, forse, anche lei era stronza



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Non so perché fossi già in classe. Erano soltanto le 7.45 ed ero già seduta al mio banco.  Era passato qualche giorno da quando avevo visto Alessandro l'ultima volta, ma sembrava che fossero trascorsi mesi.
Quella mattina mi ero svegliata prima del suono della sveglia ed ero arrivata a scuola con largo anticipo. Avevo inviato un messaggio a Roberta dicendole che non avrebbe dovuto aspettarmi, che ci saremmo viste in classe. Sapevo che non avrei avuto possibilità di evitarlo, era sempre tra i primi ad arrivare, a volte sembrava che avesse passato la notte a scuola. Era solo questione di minuti, poi avrei dovuto affrontarlo.
Stavo scorrendo l'elenco delle canzoni sul mio iPod, quando la porta della classe si spalancò e lui fece la sua comparsa. Quando mi vide si fermò un attimo ad osservarmi, quasi sorpreso, poi, senza una parola, posò lo zaino sul suo banco, ovvero quello accanto al mio. Tenevo la testa bassa, ma sentivo il suo sguardo indagatore su di me. Non avrebbe mai parlato per primo, lo conoscevo fin troppo bene, quindi avrei dovuto fare io il primo passo.
-Ciao.- mormorai, sperando che mi sentisse.
-Ciao.- mi rispose freddamente.
-Come va?- Non sapevo perché stessi cercando di aggirare l'ostacolo. Avevo poco tempo e lo stavo sprecando perché avevo paura di affrontarlo.
-Bene. La mia amica mi ha mandato a quel paese qualche giorno fa, non si è più fatta sentire, né vedere, non mi ha più cercato. Come credi che vada?- Dire che era furioso non era ancora abbastanza, ma io lo ero più di lui, anche in quel momento.
Lo guardai negli occhi. -Va sicuramente bene. Se la tua amica non ti ha cercato ci sarà un motivo, non credi? Forse le hai raccontato troppe bugie e lei si è stancata. Forse si è rotta di doverti cercare anche quando dovresti essere tu a farlo, di chiederti scusa quando non ha colpe, di far finta che vada tutto bene perché non hai il coraggio di affrontare i problemi.-
-Non sono io che ho saltato la scuola pur di non parlarne. Sei una bambina, ti comporti come se fossi l'unica a stare male. Tutte le volte mi rinfacci di essere un egocentrico, ma la prima ad esserlo sei tu, vedi solo te stessa.-
Non l'avevo mai sentito parlare così con nessuno, figuriamoci con me. Mi stava accusando di essere egoista, stava cercando di dare la colpa a me. Certo, io non ero stata del tutto sincera con lui: come potevo spiegargli che il vero problema non era la bugia che mi aveva raccontato, ma il fatto che io non riuscissi a vederlo come un amico? Questo, però, non avrei potuto dirlo; avrei dovuto continuare puntando sulla fiducia tradita. Ipocrita, sono solo un'ipocrita, pensai. Il fatto che lui mi avesse mentito restava, comunque.
-Sono l'unica a stare male, Alessandro! È così, non puoi negarlo: io sto male, ma perché me ne importa. A te, invece, non importa un bel niente. L'importante è che ci sia qualche troia che ti corre dietro in qualsiasi posto andiamo, il resto non esiste. Io non esisto. Mi usi e basta, poi non hai neppure il coraggio di dirmi che vi siete chiusi nei bagni a..- Chiusi gli occhi. Non volevo concludere il discorso, non volevo farmi ancora del male. Avevo deciso di affrontarlo, è vero, ma in quel momento me ne pentivo amaramente. Lui era arrabbiato, mi guardava con odio, accecato dall'ira e deciso ad aver ragione. Io, come sempre, avevo già esaurito le mie forze ed ero a pezzi. Ero sempre la prima, e l'unica, a rivelarsi vulnerabile. Lui era indistruttibile, non c'era modo di toccarlo, smuoverlo, era come se le mie parole non arrivassero neppure al suo orecchio.
-Mi ripeti sempre le stesse cose: che a me non importa niente, che sono egocentrico, che ti sfrutto..credo che tu non ci capisca nulla. Se pensi davvero queste cose sei una cretina!-
-Perfetto, adesso sono anche una cretina!- dissi, facendo un risolino isterico. Sentivo i miei amici, cinismo e sarcasmo, farsi spazio dentro me. Erano i miei anticorpi, il mio muro difensivo.
-Cacchio, Caterina, che palle che fai!- sbottò lui, quasi urlando.
-Ovviamente! Mi mancava questa tua uscita. Lo sai cosa? Vaffanculo Alessandro!-
-Cambia disco!- mi prese in giro lui.
-Ti ripeto, vaffanculo! Lì, forse, troverai qualcuna che sia disposta a dartela senza che tu debba uscire dai confini nazionali.- Era un colpo basso, ne ero consapevole, ma non potevo uscire perdente anche da quella battaglia.
La campanella suonò, la porta dell'aula si spalancò e alcuni nostri compagni entrarono. Lo guardai, ma si era già girato dall'altro lato per togliere alcuni libri dallo zaino. Non aveva avuto il tempo di rispondermi, ma sapevo che me l'avrebbe fatta pagare. Ero stata cattiva, quasi crudele. Mi sarei meritata una risposta altrettanto cattiva, ma Alessandro non si sarebbe mai limitato a questo, si sarebbe vendicato in un modo peggiore, come suo solito. Dovevo aver paura? Se fossimo stati ancora in buoni rapporti e quella fosse stata soltanto una discussione come tante, probabilmente no. Ma quella volta eravamo andati troppo oltre, le parole erano uscite prima che potessimo fermarle e io avevo dato il colpo di grazia.
Sì, dovevo aver paura.

Le ore successive furono silenziose come non mai. Non solo non ci parlavamo, ma evitavamo persino di volgere lo sguardo l'uno nella direzione dell'altra. Dire che eravamo infantili non era abbastanza: due bambini avrebbero litigato fino a risolvere la situazione, non avrebbero mai permesso che il discorso finisse così, lasciato a metà dopo essersi lasciati trascinare dall'impulso. Persino un bambino avrebbe capito quanto stupido fosse il nostro comportamento.
Quando la campanella suonò per la ricreazione, Alessandro si alzò velocemente ed uscì dalla classe, seguito dal fedele Emanuele. I due erano inseparabili: si muovevano sempre in coppia, si capivano con un semplice sguardo, avevano espressioni simili, si atteggiavano nello stesso modo. Con il tempo, però, avevo imparato a riconoscere quanto realmente fossero diversi: Emanuele era solare ed espansivo, riservato per ciò che lo riguardava da vicino, disposto ad ascoltare chiunque volesse confidarsi, ma, incomprensibilmente, apatico; Ale, al contrario, era sempre serio, quasi arrabbiato, non parlava con tutti, anzi, sceglieva i pochi "eletti" a cui concedere qualche parola e non usciva mai dal gruppo prescelto. Non raccontava niente di sé, se non quando capiva di potersi fidare realmente; a prima vista si sarebbe potuto affermare che fosse totalmente privo di sentimenti verso ogni creatura vivente che non fosse se stesso, ma sapevo che non era così: si affezionava alle persone fin da subito, si gettava anima e corpo in relazioni impossibili, ma alla fine rimaneva sempre deluso. Per questo si era costruito una barriera per non permettere ai sentimenti di annientarlo. Avevo sempre ammirato questa sua capacità, fin quando non aveva spinto anche me al di là della barriera.
Ancora persa nelle mie riflessioni, appoggiai la testa sul banco, non accorgendomi dello sguardo indagatore di Roberta, seduta di fronte a me.
-Non dovevi sistemare la situazione?- mi chiese, quasi rimproverandomi.
-L'ho fatto. O meglio, ci ho provato.- le risposi.
-Quando?-
Sbuffai. -Stamani, prima dell'inizio delle lezioni.-
-E?- Sapevo che non avrebbe mollato finché non avessi sputato il rospo. Volevo raccontarle cosa ci fossimo detti, ma allo stesso tempo non volevo ripercorrere il dialogo avvenuto quella mattina.
-E niente. Non siamo riusciti a risolvere. In compenso sono stata una stronza, dicendogli che deve sempre cercare
all'estero qualcuna con cui andare, o qualcosa di simile.- dissi sentendomi ancora peggio.
-Se sapesse che tu saresti felice di dargl...-
Non le feci terminare la frase. -Cazzo Roberta, tatto zero!-
-Ma è vero!- disse lei con fare ovvio.
Scossi la testa, sorridendo. Negare sarebbe stato da sciocchi, nessuno ci avrebbe creduto e, forse, nemmeno io. Il fatto era che il problema tra me ed Alessandro non si sarebbe mai potuto risolvere con il sesso, non sarebbe mai stato un punto di arrivo, un metodo risolutivo, ma soltanto una fase. Forse, se gli avessi proposto di diventare trombamici, lui avrebbe accettato e considerato la cosa come un modo alternativo di essere amici; io non avrei mai potuto accettare la situazione: ero già troppo oltre per considerare Alessandro in questi termini.
Guardai Roberta e la trovai intenta a fissarmi con un'espressione quasi pietosa sul volto.
-Roby, puoi smetterla di guardarmi come se volessi farmi la carità?-
-Non voglio farti la carità!- mi rispose sulla difensiva.
-Allora?-
-Vai a parlare con Ale.-
-No.- risposi con fermezza.
-Sai che più tempo passa, più la situazione peggiore. Vai da lui, chiedigli scusa per quello che hai detto stamani e chiarite.-
Aveva ragione, ma non volevo essere io la prima a buttare al vento il mio orgoglio.
-Sono sempre io a fare il primo passo, non è giusto.-
-Caterina, quando fai così sei proprio una bambina. Non ti lamentare se poi non vi parlate. Sai che ho ragione, ma ti ostini a non volerlo ammettere. Fai come vuoi, ma smettila di piangerti addosso allora!-
-Sei una..una merda, ecco!- le dissi alzandomi in piedi.
-Lo so, sono la migliore.- mi rispose sorridendo.

Attraversai l'aula e mi affacciai sul corridoio. Ale stava parlando con Giovanni, Emanuele e una ragazza della nostra classe, Azzurra. Andai da lui, senza pensarci due volte.
-Posso parlarti?- gli chiesi, concentrandomi sul suo naso per evitare di guardarlo negli occhi.
-Che c'è?-
-Possiamo parlare o no?- insistetti. Lui annui impercettibilmente con il capo.
Ci spostammo, dirigendoci verso l'uscita di emergenza.
-Allora?- mi chiese freddamente, guardandomi con odio.
-Scusa.- riuscii a dire, fissandomi le scarpe.
-Come hai detto?-
-Ti ho chiesto scusa, non volevo dire quella cosa stamani.- dissi con più audacia.
-Però l'hai detta. E non solo quella.-
-Quella è l'unica che non avrei voluto dire, il resto lo penso.- Puntai il mio sguardo nel suo.
-Perché sei troppo orgogliosa per ammettere più di un errore alla volta.-
No! Lui che dava dell'orgogliosa a me? Quale stupido scherzo mi stava giocando l'universo?
-Orgogliosa? Io? Sono qui a chiederti scusa, per chiarire. Come sempre sono io a fare il primo passo verso la "pace", perché tu sei troppo impegnato a giocare a "sono figo e non mi interessa di ciò che mi circonda" per vedere i tuoi errori.- dissi con cattiveria.
-Quanto sei stronza!- mi rispose.
-Cambia disco!- lo provocai. Ma lui scosse la testa.
-Aveva ragione Marica, sei proprio infantile.-
-Cosa c'entra Marica?- gli chiesi in un sussurro.
-Niente, ieri abbiamo parlato un po'.- mi disse con leggerezza.
-Di me?-
-Siamo capitati per caso nel discorso.-
-Certo, come no. Dopo mesi che non vi parlate, vi ritrovate a conversare amabilmente come due amici intimi e, perché no, ad offendermi. Alla fine è quello che riesce meglio ad entrambi.- Acidità portami via.
Scosse di nuovo la testa, ridendo amaramente.
-Caterina, il mondo non gira intorno a te. Se io ho voglia di parlare con Marica, ci parlo, a prescindere dal fatto che abbiamo discusso o meno. Ti fai troppi problemi, categorizzi tutto. È per questo che non riusciamo ad andare d'accordo: io sono fatto così, tu non mi accetti e ti arrabbi per tutto.-
-No, Alessandro. Non è per questo che non andiamo d'accordo. Io e te non ci sopportiamo perché entrambi vogliamo bene ad un'unica cosa che, guarda caso, è quella sbagliata.-
-Cosa?- mi chiese confuso.
-A te.- Non seppi se capì il mio messaggio, la mia intrinseca dichiarazione, il mio "ti voglio bene" celato, ma fin troppo esposto.
Mi girai e feci per andarmene. Prima di rientrare, però, mi girai e affondai il coltello nella piaga.
-A proposito, come sta Marica? Sempre cornuta?-




Note dell'autrice:

Buonasera a tutti!

Per prima cosa mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, spero di non metterci più così tanto.

Questo capitolo, il primo senza ricordi passati, vede Caterina ed Alessandro immersi nella loro discussione ancora irrisolta. Alla fine viene fuori il nome di un nuovo personaggio, Marica. Anche se per adesso è stata soltanto citata, in seguito assumerà un ruolo importante nelle vicende dei due personaggi.

Come sempre ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono la storia. Spero che continuerete a farlo! :)

Mi raccomando, se avete tempo (e voglia) recensite.

Un bacio,
Jane Ale







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Capitolo 9
*** Quelle cose non dette ***


Capitolo 8
Quelle cose non dette



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(Secondo aggiornamento in 24 ore, controllate di aver letto anche il capitolo precedente.)



E così Marica aveva fatto la sua ricomparsa nella mia vita. Non le era bastato rovinarmi i due anni precedenti, portandomi ad un passo dal baratro? Non si era accontentata di vedermi disperare, sperando di svegliarmi un giorno e non essere più me stessa? Sapevo che prima o poi avrei dovuto avere contatti con lei di nuovo, in fondo eravamo nella stessa classe, ma da quando anche Alessandro aveva smesso di parlarle, mi ero sentita al sicuro, come se non potesse più ferirmi.
Poi, quella mattina, lui aveva fatto il suo nome: si erano riavvicinati, avevano avuto modo di parlare, anche di me, ed io mi sentivo una cretina. Non potevo certo impedirgli di parlare, di uscire, di tornare ad essere amici, ma non potevo negare che la cosa mi desse fastidio. Ale sapeva quanto ero stata male quando Marica era mia amica, più volte mi aveva consolata, aveva cercato di farmi sorridere dicendo che "avrebbe spaccato la faccia a quella troia che mi faceva piangere", persino lui aveva discusso con lei, arrivando a non parlarle più. Eppure adesso si comportava come se non fosse successo niente.
Non pretendevo che lui prendesse una posizione e mi difendesse, non l'aveva mai fatto, né volevo che iniziasse in quel momento, ma non riuscivo a capacitarmi del fatto che lui avesse davvero parlato di me con lei. Perché? Con tutte le persone che c'erano, perché proprio lei?

Quando tornai a casa, non trovai nessuno, ma non ne fui sorpresa. Mia madre lavorava fino a tardi quasi tutti i giorni, mio padre, invece, si trovava dall'altra parte del mondo per affari, ma ormai ci ero abituata. Andai in cucina ed aprii il frigorifero, tirai fuori la scatola di un'insalata già pronta, presi una bottiglia d'acqua e me ne andai in camera. Accesi il computer ed iniziai a mangiare seduta alla scrivania. Aprii facebook e mi misi in linea, sperando di trovare la persona che cercavo. Non era in linea, così decisi di lasciargli un messaggio, sperando che entrasse il prima possibile.
"Ciao Giovanni. Lo so che potrebbe sembrarti una domanda stupida, ma non saprei a chi altro rivolgermi: cosa è successo mentre ero assente? Alessandro ha per caso parlato di me con qualcuno di voi? Non dovrei nemmeno fare questo genere di domande, ma ho bisogno di saperlo. Grazie  e scusa."
Era sbagliato, profondamente sbagliato, quello che stavo facendo: evitavo il chiarimento con Alessandro e ponevo tra di noi terze persone che mi dessero le informazioni che volevo. Probabilmente una telenovela sarebbe stata meno pietosa di me in quel momento.
Mi buttai sul letto, cercando di rilassarmi, ma sentii il suono di facebook annunciarmi che avevo ricevuto un messaggio. Sperai che fosse Giovanni, ma quasi mi prese un colpo quando vidi il nome di Marica.
"Ciao bella!" Mi stava forse prendendo per il culo? Da quando mi cercava?
"Ciao"
"Come va? Sai, è tanto che non parliamo un po' noi due."
Sai com'è, l'ultima volta mi hai dato dell'obesa asessuata.
"Eh già.." Fin troppo razionale.
"Allora, come ti vanno le cose?"
"Bene, a te?"
"Benissimo. Io e Edo siamo così felici adesso, è tutto passato."
Edoardo era il suo ragazzo dall'inizio dei tempi. Nessuno ricordava che fosse stata con altri da quando frequentavamo quella scuola, eppure era riuscita a ritrovarsi bollata come ragazza facile e cornuta allo stesso tempo. Avevo sempre sostenuto che fosse umanamente impossibile che una persona potesse raggiungere tali livelli, ma lei non finiva mai di sorprendermi!
"Bene."
Passarono alcuni minuti senza che scrivesse niente. Sperai che avesse lasciato cadere la conversazione, ma mi sbagliavo.
"Allora cara, come va con Ale?"
Sì, ne ero certa, mi stava decisamente prendendo per il culo!
"Tutto bene." mentii.
"Sì, davvero? L'altro giorno abbiamo parlato e mi ha detto che avevate discusso. Quindi avete già chiarito?"
Interessante, molto interessante. Non solo avevano parlato di me, ma lui le aveva anche raccontato del litigio. La conversazione iniziava a prendermi: quanto sapeva?
"Mah, senti, non mi pare il caso che ne parli con te."
"Scusa, non volevo forzarti. Sai, lui si è confidato con me perché siamo amici da sempre e sa che io ci sono quando ha bisogno, ma se tu ancora non sei pronta non fa niente."
"Grazie Marica, ma non credo che avrò mai bisogno di te. In fin dei conti sono troppo infantile, no?"
E adesso cosa mi dici, stronza?
"Chi l'ha detta questa cavolata?"
"Non far finta di niente! So che l'altro giorno hai colto al volo l'occasione per parlare male di me con Alessandro!"
"È questo che ti ha detto? Io non ho detto niente, è stato lui a dire che sei una bambina che gioca a fare la grande, ma finisci per essere ridicola. Ti ho persino difesa!"
"Ci dovrei credere?"
"Non è un problema mio. Scusa, ma devo andare, c'è Edo. A domani."
Chiusi la conversazione.
Non sapevo se credere alle parole di Marica: quando le era sembrato opportuno offendermi, lo aveva sempre fatto direttamente, senza troppi giri di parole, non avrebbe avuto senso parlare male di me con Alessandro; eppure non riuscivo a fidarmi di lei e a non vederla come una subdola doppiogiochista. Aveva qualcosa in mente, ne ero certa, e non avrei mai potuto fidarmi di lei. Dovevo recuperare Ale prima che lei me lo portasse via definitivamente, ma per fare ciò avrei dovuto chiarire la situazione con lui. Sarebbe stato difficile, avrei dovuto sacrificare parte del mio orgoglio, ma per lui l'avrei fatto, in fondo era una delle persone più importanti della mia vita.

Stavo cercando di far tornare un esercizio di matematica quasi impossibile, quando sentii che avevo ricevuto un messaggio su facebook. Alzai lo schermo del mio portatile e guardai il mittente: Giovanni, finalmente!
"Ciao Cate. So cosa vuoi sapere: Marica ha cominciato a seguire Alessandro ovunque durante la tua assenza e, dopo un po', anche lui ha iniziato a cercarla. Li ho visti parlare spesso, ma non saprei dirti di cosa, sai come sono fatti, non ci si può avvicinare. So che non sono affari miei, ma spero che non ti arrabbierai se te lo dico comunque: smettila, ti stai facendo solo del male. Non ha senso che tu continui a perdere tempo dietro questa storia facendoti problemi assurdi. O glielo dici, o lasci che le cose continuino ad andare come sempre, ma non puoi controllarlo. Sai cosa intendo!"
Lessi il messaggio di Giovanni almeno tre volte prima di rendermi conto che lui sapeva. Non c'erano altre spiegazioni alle sue parole, ma quello che mi spaventava di più era il come l'avesse scoperto.
"No, non capisco.. Cosa dovrei dirgli?" gli risposi, facendo finta di non aver capito.
"A te piace Alessandro, ma non glielo vuoi dire. Credo, invece, che dovresti farlo. Sempre se vuoi smuovere qualcosa."
"Chi ti ha detto che a me piace Alessandro? Siamo soltanto amici ed abbiamo litigato, niente di più."
Da quando Giovanni era così sveglio? Ed io che avevo sempre creduto che fossero Emanuele ed Alessandro i cervelli della classe.
"Sono distratto, non scemo. Le vostre litigate per delle cavolate, scene degne delle migliori coppie di fidanzati gelosi, lui che chiede di te da ubriaco, tu che sei gelosa di Marica..piuttosto ovvio. Te l'ho detto, dovresti dirglielo."
Quanto avevo sottovalutato quel ragazzo? Oppure ero io che avevo lasciato che i miei sentimenti corressero senza freni, facendo in modo che tutti li vedessero? Probabilmente entrambe le cose.
"Senti Giovanni, ti ringrazio, ma la situazione non è così semplice. Grazie davvero, ma non mi va di parlarne. Scusami."
"Non preoccuparti, il mio era solo un consiglio. Adesso scappo, ciao."
Ringraziai mentalmente quel ragazzo per non aver continuato. Ero veramente confusa: aveva detto che io ed Alessandro ci comportavamo come fidanzati gelosi, o avevo capito male? Rilessi la conversazione. No, avevo capito perfettamente.
Ero stata così stupida da lasciare che ciò che provavo per Alessandro trapelasse, facendo la figura della ragazzina innamorata che tende a monopolizzare l'oggetto dei suoi desideri, anche quando suo non è. Si poteva cadere più in basso?
Giovanni aveva ragione: non potevo andare avanti così, ma non avrei mai commesso lo stesso errore due volte. Così presi la mia decisione e, senza ripensamenti, inviai un sms ad Ale.
"Alle sei e mezzo sotto casa mia. Dobbiamo chiarire."
Mi rispose con un semplice "Ok".

Lo stavo aspettando da dieci minuti sulla panchina sotto casa mia, ma ancora non era arrivato. Se mi avesse dato buca, non avrei più risposto delle mie azioni e lo avrei picchiato il giorno successivo.
Mentre pensavo ai metodi di tortura più efficaci da attuare, vidi la sua macchina in fondo alla strada. Respirai profondamente, notando che il mio cuore aveva accelerato i battiti alla vista dell'auto. Parcheggiò di fronte a me e, con lentezza estrema, scese dalla macchina. Lo guardai sistemarsi i capelli nello specchietto laterale e dirigersi verso da me: non avevo dubbi, era bello come il sole, anche con quell'espressione arrabbiata sul volto.
-Allora?- mi chiese senza neppure salutarmi.
-Penso che sia stupido continuare a comportarci così.-
Alzò gli occhi al cielo. -A cosa devo questa illuminazione?- mi chiese in tono derisorio.
-Smettila di fare il cretino!- sibilai. -Sto cercando di essere gentile e porre fine a questa situazione. Non è possibile continuare in questo modo, offendendoci e non rivolgendoci la parola. Almeno io non ce la faccio più.-
-Lo so.- fu tutto quello che rispose.
-Sai cosa?- gli chiesi.
-Che è una cosa ridicola.-
-Ale, posso farti una domanda?- Sapevo che non avrei risolto niente facendogli quella domanda, ma volevo sapere.
-Dimmi..-
-Hai davvero detto a Marica che mi comporto da bambina e sono ridicola?-
Per un attimo fui certa che mi avrebbe risposto che non era vero, che Marica si era inventata tutto, che lui non aveva mai detto una sola parola contro di me, ma che lei aveva fatto tutto da sola. Poi, però, lo vidi abbassare lo sguardo e capii.
-Ah.- fu l'unico suono che pronunciai.
-Ero arrabbiato.- si giustificò lui.
-Non è un motivo valido. Da lei potevo aspettarmi qualsiasi cosa, ma da te.. Cavolo Alessandro, eravamo amici!-
-Che vuol dire "eravamo"?- mi chiese alzando repentinamente la testa.
-Che non lo so più.- ammisi.
-Che non sai più cosa? Se siamo amici? Cavolo Cate è una discussione, ma passerà. Vorresti dirmi che vuoi chiudere qui?-
-Sì, se pensi quelle cose di me!-
-Come potrei pensarle? Ero semplicemente arrabbiato, te l'ho già detto. Vuoi davvero buttare via la nostra amicizia per questo? Va bene, ho fatto una cazzata, ma chi non fa errori?- mi domandò retorico.
Non risposi, così lui continuò. -Possiamo chiudere questa storia, Cate? Ti prego, chiudiamo questa discussione e non ne parliamo più.-
Annuii, anche se non ero d'accordo, anche se non era la cosa giusta da fare, anche se l'elenco delle cose non dette sarebbe aumentato a dismisura. Annuii e decisi di lasciar perdere, non avevndo la forza di fare altro.
-Quindi tutto come prima?- mi chiese, cercando il mio sguardo.
-Sì, Ale, tutto come prima.- gli risposi, senza però riuscire a sorridere.
-Bene. Adesso scappo, ho l'allenamento. Ci vediamo domani a scuola.-
-Okay.- gli risposi, guardandomi le scarpe.
-Ciao Cate.-
-Ciao Ale.-
Restai immobile su quella panchina finché non sentii il rumore dell'auto allontanarsi, fino a scomparire.
Dovevo essere felice, avevamo chiarito ed eravamo di nuovo amici. Avevo ottenuto quello che volevo.
Allora perché non riuscivo a sorridere?



Note dell'autrice:

Buonasera (di nuovo)!

Il secondo aggiornamento in una sera, mi sembra quasi un miraggio. :)
In questo capitolo si comincia a delineare la figura di Marica, la quale copre un ruolo essenziale all'interno della storia.
Caterina ed Alessandro hanno finalmente chiarito, o meglio, hanno deciso di non tornare più sul discorso che ha provocato il loro litigio. Sarà la scelta giusta?

Ringrazio Areis e myllyje per aver inserito la storia tra le seguite, _Flowers_ per averla inserita nelle ricordate e Rosshalde per averla inserita sia tra le seguite che tra le preferite. Grazie davvero! :)

Spero che continuerete a leggere e, con pazienza, aspetterò che qualcuno recensisca.

Un bacio,
Jane Ale

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Capitolo 10
*** Ferite ***


Capitolo 9
Ferite




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Finalmente sabato!
Nonostante tutti i problemi, la settimana era passata e il giorno tanto atteso era arrivato. Adoravo il sabato, potevo fare ciò che volevo: dormire, uscire, leggere, ascoltare la musica, tornare tardi la sera, tutte cose che durante la settimana mi erano precluse. La cosa più bella del sabato, però, era l'atmosfera che aleggiava nell'aria, un misto tra meritato riposo dopo una settimana di studio, ed attesa per la serata. Non che avessimo grandi programmi, anzi, di rado facevamo qualcosa di vagamente divertente, ma stare con i miei amici mi piaceva, mi rendeva meno paranoica ed antipatica del solito.
Quel sabato sera eravamo stati tutti invitati al diciottesimo compleanno di Marica. Erano mesi che ci ricordava l'arrivo del "grande giorno", come lo definiva lei: conoscendola non si sarebbe trattata di una semplice cena con musica, troppo semplice per i suoi gusti.
Alessandro mi passò a prendere alle otto e trenta, ritardando di quasi venti minuti. Avevamo deciso di andare insieme senza una ragione precisa, lui me lo aveva proposto ed io, da perfetta stupida, avevo accettato pur di stare sola con lui una manciata di minuti. Negli istanti prima del suo arrivo mi ero guardata allo specchio almeno un centinaio di volte: avevo indossato un vestito nero corto con un paio di tacchi dello stesso colore, arricciando i capelli in modo che cadessero sciolti sulla schiena. Quando mi fece uno squillo sul cellulare, scesi velocemente le scale ed uscii dalla porta rischiando di scivolare sullo zerbino.
Cretina!, pensai. Poi rallentai il passo per raggiungere la sua macchina.
-Ciao!- lo salutai.
-Ciao!- mi rispose senza guardarmi.
-Come va?- gli chiesi pur avvertendo la sua rigidità.
-Bene.- rispose freddamente.
Decisi di rinunciare. Era inutile cercare di abbattere le sue barriere con la gentilezza, se lui le rinforzava con il silenzio e la freddezza. Avrei potuto impormi, cercare di farlo parlare, ne avevo la capacità e l'opportunità, ma per farlo avrei dovuto subire la sua ira. Quella sera non ne avrei avuta la forza. Eppure non riuscivo a sopportare quel silenzio..
-Ale, mi vuoi dire cos'hai?-
Ebbene no: non ero né coerente, né razionale. Mi autoconvincevo di non dover fare una cosa per poi cambiare idea subito dopo.
-Niente.-
-No, non è vero. Se fosse tutto normale, non ti comporteresti così.- gli dissi con calma.
-Così come? Sono normale, non mi pare di aver detto niente di che.- mi rispose, sempre senza guardarmi.
-E ti sembra normale il fatto che non mi parli, che tieni le distanze senza motivo, che non mi guardi neppure in faccia?-
-Invece ti parlo, ma non posso guardarti, sto guidando.- rispose con lo stesso tono arrogante che usava sempre quando si sentiva accusato.
-Cazzate! Alessandro, voglio sapere cos'hai!- gli dissi fermamente.
Lui sospirò, poi si voltò verso di me e mi fissò per un attimo. Io continuai a guardarlo anche quando tornò a fissare la strada, aspettando che dicesse qualcosa.
-Niente, è solo che mi sento così..non lo so.- fu tutto quello che uscì dalla sua bocca.
Fu il mio turno per sospirare. Avevo sempre avvertito quando c'era qualcosa che non andava, quando era arrabbiato, quando stava male. Ogni volta lui negava, ma riuscivo a farlo cedere, in un modo o nell'altro. Quella sera, però, non sembrava intenzionato a parlare ancora. Lo osservavo immobile nella sua posizione, con le mani sul volante e lo sguardo fisso. Era bello e triste e io non riuscivo a vederlo così. Prima che me ne rendessi conto, la mia mano si era mossa nella sua direzione e aveva preso ad accarezzargli delicatamente la testa. Lo sentii irrigidirsi sotto il mio tocco e, per un attimo, trattenni il respiro.
-Non toccarmi!- mi disse sprezzante, allontanando la mia mano poco gentilmente.
-Ma Ale..- cercai di spiegarmi.
-No, voglio solo che tu mi lasci in pace e la smetta di fare domande. Non ti ho chiesto niente!-
Per il resto del viaggio nessuno dei due parlò. Non avevo neppure il coraggio di alzare il viso, ormai le mie scarpe erano diventate un oggetto interessante da analizzare. Avevo sbagliato, mi ero spinta troppo oltre, ma la sua reazione era insensata.
Lo odiavo quando mi trattava così: doveva farmi sentire piccola ed inutile per sentirsi leggermente meglio, ma non si rendeva conto del dolore che mi procurava quel suo atteggiamento.
Quando arrivammo a destinazione, scesi dall'auto sbattendo la portiera. Avevo già percorso parte del vialetto che portava alla villa di Marica, quando lui mi chiamò.
-Caterina?-
-Cosa c'è?- gli chiesi senza neppure cercare di essere gentile.
-Quando voglio andare a casa ti chiamo e ce ne andiamo.-
Senza rispondere, mi voltai e tornai sui miei passi.
Quando varcai il cancello che introduceva al giardino della villa, rimasi impressionata: Marica lo aveva allestito in modo da farlo sembrare un salone da ballo. Al centro c'erano dei grandi tavoli finemente apparecchiati, come quelli di un matrimonio; su ogni tavolo erano posati grandi mazzi di rose rosse (probabilmente regali da parte di Edoardo); in fondo al giardino si trovava una console con ben due dj e un fotografo e, accanto a questa, un open-bar che preparava ogni tipo di drink.
Mi guardai intorno, cercando di scorgere Marica: era appoggiata vicino ad un tavolo su cui erano stati disposti gli innumerevoli regali. Indossava un vestito rosso, molto corto, che le metteva in risalto le lunghe gambe; lo scollo era fin troppo eccessivo, ma non ne ero sorpresa. Aveva arricciato i capelli biondi, che adesso le arrivavano poco sopra le spalle.
Nel complesso non stava male, ma conservava pur sempre quel tratto di volgarità che la caratterizzava: non avrei mai definito Marica una brutta ragazza, ma non avrei neppure osato definire bella una persona che preferiva mettere in mostra le gambe, anziché usare il cervello. Non avevo dubbi sul fatto che il mio fosse un pregiudizio dettato dall'antipatia che provavo nei suoi confronti, ma non potevo farci niente, non riuscivo a trovare la vera bellezza in una come lei.
Mi avvicinai per salutarla e lei mi avvolse in un abbraccio che di affettuoso non aveva niente.
-Ciao tesoro!- mi disse con la sua foce stridula.
-Ciao Marica! Tanti auguri!-
-Grazie mille. Fatti vedere un po'..- mi disse, facendomi allontanare per osservarmi meglio.
Vidi il suo sguardo idagatore passare dal mio abitino nero poco sopra il ginocchio, ai miei tacchi neri, fino alla pochette che avevo in mano. Poi passò ad osservare i miei capelli che, per qualche strano caso, quella sera, somigliavano fin troppo ai suoi: non sapendo cosa fare, li avevo arricciati anch'io, ma, fortunatamente, i miei erano un po' più lunghi, così le persone avrebbero potuto distinguerci.
-Mmm..beh, potevi stare peggio, senza offesa. Il vestito è nero, molto triste e ti fa sembrare anoressica, i capelli non ti donano molto, ma nel complesso non stai male.- concluse sorridendomi, come se con quell'ultima affermazione avesse risolto il problema.
Era per questo che avevo tagliato ogni ponte con lei: era cattiva, egocentrica e velenosa; chiunque si avvicinasse a lei, non riusciva a resistere più di qualche mese. Io avevo battuto ogni record, sopportandola per un anno, ma il prezzo da pagare era stato molto alto. Quella sera ero già nervosa per colpa di Alessandro, ma il suo monologo sul mio aspetto mi aveva fatta infuriare. La squadrai come lei aveva fatto con me, poi, arricciando il naso, le dissi:
-Mmm, allora: il vestito sembra una camicia da notte, ma non preoccuparti, la maggior parte delle persone qui dentro lo scambierà per il vestito di scena di un'attrice porno. I capelli, invece, sono crespi, ma con un trattamento indicato il problema è facilmente risolvibile.-
Vidi la sua bocca spalancarsi, ma non ebbe il tempo di replicare, perché un braccio mi afferrò da dietro, trascinandomi poco più in là.
-Perché la stai provocando in questo modo? Non fare la vittima se poi ti risponde male.- mi disse un Alessandro incredulo ed arrabbiato.
-Spero tu stia scherzando! Hai sentito cosa mi ha detto?- gli chiesi quasi urlando.
-Sì, ho sentito, ma tu hai visto bene di abbassarti al suo livello.-
-Non difenderla!-
-Non la sto difendendo, ma non venire a piangere da me dopo.- mi disse tagliente.
Lo guardai, ma senza vederlo veramente. Chi era quel ragazzo che avevo davanti in quel momento? Cosa ne aveva fatto del mio Alessandro? La malinconia e la delusione presero il posto della rabbia.
-Non preoccuparti, non ho più bisogno di te, Alessandro.- gli dissi sprezzante.
-Hai ragione, tu hai Emanuele, Roberta e adesso anche Giovanni, no?-
Era gelosia quella che sentivo nella sua voce? Forse, ma non avevo tempo di occuparmene in quel momento.
-Sì, e sono contenta di averli accanto.- gli risposi con convinzione. Poi mi allontanai.
Mi stavo dirigendo verso il bar, quando vidi Roberta arrivare insieme a Silvia ed Emanuele. Le sorrisi da lontano, ma capì subito che qualcosa non andava. Mi guardò con aria interrogativa, ma io scossi la testa e mi diressi verso il bar.
-Un vodka lemon.- ordinai al barista.
Fu il drink più veloce della mia vita: dopo dieci minuti il contenuto del bicchiere si trovava già all'interno del mio corpo e io mi sentivo più rilassata. Non avevo mangiato ancora niente, ma era questione di minuti prima che ci mettessimo a sedere. Poco dopo, infatti, mi ritrovai seduta ad un tavolo insieme a Silvia, Roberta, Marica, Isa, Vittoria e Azzurra. La festeggiata aveva organizzato una cena completa, antipasto, due primi, un secondo e il dolce, quindi saremmo dovute rimanere a sedere per un bel po'. La cena passò più o meno tranquillamente tra una chiacchiera e l'altra: Marica mi lanciava sguardi furenti, ma io non la consideravo, limitandomi a parlare con le altre. Dopo il secondo ci fu una pausa, quindi ci alzammo: non appena mi misi in piedi, la testa prese a girare freneticamente. Mi ero dimenticata del precedente drink, così avevo bevuto qualche bicchiere di vino, ma il mio corpo, non abituato a tali livelli di alcol, mi stava avvertendo. Respirai profondamente, ma non mi sentii meglio. Roberta mi venne vicina.
-Tutto bene?- mi chiese.
Annui. -Mi gira un po' la testa.-
-Che sarà mai, il divertimento inizia adesso: smettila di pensare e bevici su!- mi disse sorridendo.
Ci avviammo verso il bar e ordinammo un Sex on the beach. In cinque minuti lo avevamo finito e stavamo ridendo come delle pazze senza un motivo. Non riuscivo a vedere chiaramente, le figure mi apparivano sfocate e in movimento, ma non me ne curavo, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare erano le risate che uscivano incontrollate. Ricordo poco anche il momento dei regali e quello del dolce, ma l'immagine di un bicchiere di spumante nella mia mano destra è ancora vivida.
I ricordi seguenti, però, sono solo immagini frammentate senza un contesto: Roberta che mi conduce a ballare, le luci colorate che illuminano i volti dei presenti senza che io li riconosca, Alessandro che abbraccia Marica, Emanuele che prova a baciare Roberta, ma lei si sposta, Alessandro che mi chiede se ho bevuto, Isa che mi porta in bagno per farmi prendere aria, poi il niente.

Il primo ricordo vivido che ho è di qualche ora dopo: ero seduta accanto ad Alessandro nella sua auto sotto casa mia. Lui ascoltava la musica, mentre io dormicchiavo appoggiata allo sportello. Se mi chiedessero di ripercorrere mentalmente il viaggio di ritorno, non saprei cosa dire, ma sapevo che ci trovavamo a casa mia da poco tempo.
-Ale?- lo chiamai mormorando. La testa mi stava scoppiando e persino la mia voce mi disturbava.
-Dimmi.-
-Sto male.- dissi mugolando.
-Lo so, mettiti buona che poi ti passa.- Il suo tono non era né arrabbiato, né scocciato, e la cosa mi sorprese.
-Non sei arrabbiato?- gli chiesi.
-Perché hai bevuto una bottiglia di vino da sola?- mi chiese con fare retorico.
-Sì, anche.-
-No.- mi rispose dopo aver sospirato. Poi continuò: -Solo che non riesco a capire perché l'hai fatto.-
A pensarci bene, non lo sapevo nemmeno io: mi piaceva la sensazione di rilassamento che l'alcol riusciva a creare in pochi secondi, ma non avevo mai pensato di perdere il controllo. Ero stata un'irresponsabile, una sciocca.
-So solo che sto male.- dissi sottovoce. -Mi abbracci?- gli chiesi prima di scoppiare in lacrime.
Sentii le sua braccia avvolgermi e scivolare lente sulla mia schiena, poi nascosi la mia faccia nell'incavo del suo collo. Le lacrime scendevano frenetiche dai miei occhi per poi cadere sulla sua camicia.
-Non posso vederti ridotta così perché lei ti ha offesa.- mi sussurrò dolcemente all'orecchio.
Si riferiva a Marica, lo avevo capito, ma non ebbi il coraggio di dirgli che la colpa principale era sua, non di Marica. Era lui che mi aveva portato a quello stato di instabilità fisica e mentale, che occupava la mia testa, che mi spezzava il cuore ogni giorno, che mi ossessionava a tal punto da farmi sentire un'estranea all'interno del mio corpo. Agivo per lui, parlavo per lui, vivevo in funzione di lui. Tutto questo, però, non glielo dissi, ma, da perfetta stupida, mi limitai ad annuire.
Dopo un'ora decisi di salire in casa: la testa mi faceva male, ma avevo recuperato la lucidità necessaria a camminare. Prima di scendere dall'auto, lo guardai negli occhi e, d'impulso, lo abbracciai. Non era un abbraccio disperato come il precedente, né amichevole come quelli che ci scambiavamo dopo i litigi, ma era qualcosa di più. Con il naso percorsi la linea della sua mascella, lasciando un piccolo bacio vicino al collo, per poi arrivare all'orecchio.
-Ti voglio bene.- gli sussurrai.
Sentii le sue braccia stringermi un po' di più, prima di rispondermi: - Anch'io.-
Mi staccai con riluttanza e, senza dire altro, scesi dall'auto. Arrivata in casa, mi diressi verso la mia stanza e appoggiai la borsa sulla scrivania, dopo aver tirato fuori il cellulare. Vidi che c'era un messaggio da parte di Alessandro. Guardai l'orario in cui lo aveva mandato: risaliva a qualche ora prima, quando eravamo seduti a mangiare, ma io non lo avevo sentito.
"Perché esageriamo sempre? ..Scusami per prima.."
Sorrisi amaramente.
Forse il mio Alessandro non era scomparso, ma era ancora presente, pronto a scusarsi quando si accorgeva di aver superato il limite. Perché in fondo noi eravamo questo, litigio, pazzia, irrazionalità, eccesso. Eravamo come l'acqua e l'elettricità, non avremmo mai dovuto entrare in contatto, perché sapevamo i danni che ne sarebbero derivati.
Ma, a volte, la ragione non riesce a dominare gli istinti.
Eppure non riuscivo a togliermi la sua domanda dalla testa.
Perché esageriamo sempre?
Non si trattava più solo di discussioni, danni, litigi. Eravamo entrati in un ciclo dal quale non riuscivamo più ad uscire: avevamo sviluppato una malsana dipendenza l'uno dall'altra per la quale ci cercavamo sapendo che ci saremmo fatti del male. Pur sapendo che ci saremmo fatti del male.
Avevamo iniziato a cercarci proprio per ferirci a vicenda.




Note dell'autrice:

Buonasera! :)

Intanto mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma lo studio interferisce un po' nei miei programmi (fin troppo, direi!).

Poi vorrei ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, ovvero:
Afeffa
Beadeisentieri

Imsy
Rosshalde
Eli_17 
_Flowers_
_Miss_
AlexDavis
Areis
Claudya10 
Gre_Leddy 
leonedifuoco 
myllyje 
paty87 
payneslove 
viviii93 

Non sapete come mi rende felice vedere che ci siete e che leggete, dandomi supporto. Grazie davvero! :)

Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.

Cercherò di pubblicare il nuovo capitolo il prima possibile.
Un bacio,
Jane Ale

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Capitolo 11
*** Love sucks - L'amore ti succhia l'anima ***


Capitolo 10
Love sucks - L'amore ti succhia l'anima


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Fammi essere forte, forte di sonno e di intelligenza e forte di ossa e fibra; fammi imparare, attraverso questa disperazione, a distribuirmi: a sapere dove e a chi dare […]. A non essere amara. Risparmiamelo il finale, quel finale acido citrico aspro che scorre nelle vene delle donne in gamba e sole.
Non farmi disperare al punto da buttar via il mio onore per mancanza di consolazione; non farmi nascondere nell’alcol e non permettere che mi laceri per degli sconosciuti; non farmi essere tanto debole da raccontare agli altri come sanguino dentro; come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si coagula. Sono ancora troppo giovane.

-Sylvia Plath







Il risveglio del mattino seguente fu decisamente traumatico: avevo dormito parecchio, ma mi sentivo ancora stanca, la testa minacciava di scoppiare e la nausa imperversava nel mio stomaco. Mi alzai lentamente, per evitare che la testa mi girasse e mi diressi in bagno. Quella che vidi riflessa nello specchio era la figura di un mostro: i capelli erano completamente disordinati, gli occhi erano contornati dal nero del trucco, le labbra erano bianche. Se mia madre mi avesse vista in quel momento, avrebbe pensato di trovarsi di fronte ad un cadavere. Fortunatamente era già uscita. La domenica andavamo sempre a mangiare da mia nonna, ma, non volendomi svegliare, mi aveva lasciata a letto ed era andata da sola. La ringraziai mentalmente almeno un centinaio di volte.
Feci una doccia calda, mi pulii la faccia dal trucco della sera precendente, asciugai i capelli con cura e mi infilai una tuta comoda per stare in casa. Poi mi recai in cucina e, dopo aver mangiato qualche biscotto, buttai giù un antidolorifico per attenuare il dolore alla testa. Dopo un po' mi spostai in camera mia, accesi il computer ed entrai su facebook per vedere se Roberta fosse in linea. Pochi secondi dopo una finestra di conversazione si aprì: era Alessandro.
"Posso venire da te?" Lessi almeno due volte il messaggio prima di capirlo per bene.
"Perché?" gli chiesi confusa.
"Devo chiederti alcune cose."
Non ci stavo capendo niente, ma non gli avrei mai detto di no. "Ok."
"Tra dieci minuti parto, ok?"
"Va bene. A dopo."
Solo quando chiusi la conversazione e realizzai che lui stava venendo da me per parlare, il panico mi pervase. Non avevo la più pallida idea di cosa mi volesse chiedere, se fosse arrabbiato, triste, se la sera precedente avessi detto qualcosa di strano che non ricordavo.
Passai i venti minuti successivi in uno stato di trance, alternando sospiri d'ansia a momenti di panico in cui passavo e ripassavo le mie mani tra i capelli appena lavati. Non reggevo molto bene la tensione in generale, figuriamoci quando si trattava di Alessandro. Lui riusciva a rendermi più vulnerabile di quanto non fossi già, mi portava ad espormi, a fare i conti con la parte di recondita della mia mente, quella che  rifuggiva la razionalità. Qualsiasi cosa avesse dovuto dirmi, sapevo che mi avrebbe portata a pensare e ripensare per ore, mi avrebbe sicuramente messa in crisi. Mia madre mi diceva sempre che non dovevo fasciarmi la testa prima di essermela rotta. Certo, avrebbe avuto ragione se non avessi avuto in previsione di lanciarmi dalla finestra, ma parlare con lui era come fare un salto nel vuoto, fasciarsi la testa era d'obbligo, mi sarei sicuramente fatta male.                                                                                                                                               
Quando sentii squillare il cellulare sobbalzai. Era uno squillo di Alessandro che, nel nostro linguaggio, voleva dire che dovevo aprirgli. Feci un respiro profondo e mi avviai verso la porta. La aprii e mi ritrovai di fronte la sua figura.
-Ciao.- lo salutai flebilmente. Lui non mi rispose, si limitò a guardarmi.
-Posso entrare?- mi chiese dopo qualche secondo. Annuii.
Per quale diavolo di motivo stava in silenzio? Voleva parlarmi, no? Allora perché quel comportamento criptico?
Mi schiarii la gola, sperando che iniziasse a parlare, ma non lo fece.
-Allora?- lo sollecitai. Sì, la pazienza non è mai stata il mio forte.
-Cat, noi siamo amici, no?- mi chiese retorico.
-Certo.- risposi, anche se così certa non ne ero. Ma, in fondo, si trattava solo del mio punto di vista, per lui eravamo amici.
-Quindi se io avessi un problema tu mi aiuteresti a risolverlo?- mi domandò ancora.
Non ci stavo capendo quasi niente, ma non volevo mostrarmi titubante ai suoi occhi. -Ovvio che sì!-
Mi fissò per qualche istante, assicurandosi che fossi completamente sincera. -Potrai reputare stupido quello che sto per dirti, ma non so con chi parlarne. Hai presente Lilian?-
Non appena sentii pronunciare quel nome mi irrigidii. Come potevo non aver presente Lilian? Aveva torturato la mia mente per giorni con la sua immagine da perfetta inglesina, l'avevo odiata con tutta me stessa e le avevo augurato di rompersi tutte e venti le unghie che possiedeva in venti dolorosi modi diversi, e lui mi chiedeva se l'avevo presente? Certo, Alessandro non sapeva questi retroscena che la mia mente aveva fantasiosamente partorito, in fondo non credeva che io fossi gelosa di lei, ma soltanto che mi sentissi tradita come amica. Nonostante tutto, non sopportavo di sentir nominare il nome di  quella, mi rendeva particolarmente nervosa.
-Sì.- fu tutto quello che risposi.
-Ecco, vedi, inizialmente, dopo il ritorno a casa, ho sentito parecchio la sua mancanza..-
-Me lo ricordo!- lo interruppi un po' troppo bruscamente. Fortunatamente mi ignorò.
-E ci siamo sempre mantenuti in contatto. Insomma, stamani ho trovato una sua mail in cui mi chiedeva di andare qualche giorno da lei durante l'estate. Lo so che è una cosa stupida e, probabilmente, non capirai, ma io vorrei andare.- concluse tutto d'un fiato.
-E dov'è il problema?- gli chiesi freddamente.
-Ho bisogno di sentire la tua opinione.- mi disse fissandosi le scarpe.
Ero sempre stata convinta del fatto che il mondo avesse un'ironia propria che, proprio ironica non era, ma avevo dovuto accantonare l'idea quando mia madre aveva definito i miei pensieri "manie di persecuzione". In quel momento, però mi dovetti ricredere: non solo l'universo aveva sfoderato quella stramaledettissima ironia, ma mi stava prendendo bellamente per il culo! Brava Caterina, adesso diventi anche volgare!
-La mia opinione?- La voce uscì un po' più stridula del dovuto. Per quanto cercassi di mantenere un'espressione neutra, la mia voce risentiva della guerra in corso all'interno della mia testa.
Lui mi fissò ed annuì. -Sì, devo sapere cosa ne pensi.-
-Perché?- gli chiesi con un filo di voce.
-Perché sei la mia migliore amica e credo tu sia la persona adatta a darmi consigli di questo genere.- "Frase fatta", pensai.
-Perché io? Perché non Emanuele? Anche lui è il tuo migliore amico e per di più è un maschio.- continuai.
-Voglio sentire cosa ne pensi tu, non Emanuele.- mi rispose pronto.
-Okay, dunque tu vuoi sapere cosa penso del fatto che Lilian ti abbia invitato da lei quest'estate. Bene, credo sia una grandissima cazzata.- gli risposi con estrema calma. Voleva la mia opinione? Certamente non gli avrei mentito, non era mai stato nel mio carattere evitare di dare risposte sincere. Eppure mi sentivo così meschina: lui si apriva con me e mi dava fiducia, mentre io pensavo solo a me stessa assecondando i miei interessi. Maledetto senso di colpa!
-Insomma..- continuai prima che lui potesse replicare. -Più che una cazzata ritengo che sia improduttivo e deleterio per te. Non puoi negare di esserti affezionato a lei, sono convinta che, anche se non lo vuoi ammettere, ti manca ancora. Che senso avrebbe andare da lei per poi stare male dopo? Sai che questa storia non potrebbe avere futuro.- conclusi e, questa volta, sinceramente.
-Lo so, ma non posso farci niente. Da una parte so che andando commetterei uno sbaglio, ma dall'altra..-
-Ale, so che vuoi il mio aiuto e sono più che disposta a dartelo, ma non sono in grado di dirti ciò che vorresti sentirti dire.- gli confessai. Mi dispiaceva non poter essere per lui quell'amica che avrebbe voluto, ma non potevo ignorare quello che provavo per lui, sarebbe stato controproducente, per me in particolare.
-Sì, forse hai ragione.. Ma riflettici, Cate: cosa ci sarebbe di male se io andassi da lei e poi al ritorno mi mettessi l'anima in pace? Non farei del male a nessuno e, invece di dimenticarla adesso, lo farei con qualche mese di ritardo!- disse con un tono entusiasta.
Povero Ale, era così ingenuo! Nel suo essere maschio non aveva ancora capito che i sentimenti non funzionano come la play station: non puoi mettere tutto in pausa per fare merenda, per poi riprendere il gioco esattamente dallo stesso punto qualche ora più tardi! Più vai avanti, più ciò che provi si solidifica e mette le radici dentro di te. Io lo sapevo bene.
-Ale, sai che non è questa la soluzione, non funziona così. Per favore, pensaci bene.- lo pregai.
-Ma io ci ho pensato.- mi rispose serio.
Era nei momenti come quello, nei quali passava improvvisamente dall'essere il mio Ale all'impersonare un mostro sconosciuto, che mi chiedevo chi fosse veramente e quanto davvero lo conoscessi.
-Allora prendi le tue decisioni da solo!- gli dissi, alterandomi. -Non capisco per quale motivo ti rivolgi a me se non posso dirti quello che vorresti!-
-Me lo chiedo anch'io!- mi rispose lui. Lo guardai: mi stava fissando con un'espressione arrabbiata sul volto. Lui era arrabbiato? Cosa si aspettava da me? Lo aveva voluto lui, io ero semplicemente stata sincera, non aveva nessun diritto di arrabbiarsi. Con un cenno gli indicai la porta. -Te ne puoi andare.- gli dissi tagliente.
Vidi un lampo di consapevolezza passare nei suoi occhi. -No Cate, non intendevo questo.. Non voglio che tu mi dica quello che mi voglio sentir dire, ma avrei bisogno del tuo aiuto senza che tu mi tratti come un deficiente.-
Avrei davvero dovuto buttarlo fuori, ma non riuscivo a non rispondergli. -Non ti ho trattato da deficiente! Non l'ho mai fatto in cinque anni di amicizia, non vedo perché avrei dovuto farlo adesso! Dico solo che se non riesci ad accettare la mia opinione, è inutile che tu pretenda il mio aiuto.-
-Forse mi rivolgo a te proprio per questo, forse non voglio sentirmi dare ragione, ci hai mai pensato?- mi chiese.
-In quel caso non dovresti prendertela con me se ti dico che stai affrontando i tuoi sentimenti nel modo sbagliato.- Mi pentii quasi subito di essere stata così brusca, di nuovo.
Mi riservò un'occhiata di disprezzo puro. -Almeno i miei sentimenti sono riservati ad esseri umani, non ad oggetti!-
-Cosa intendi dire?- gli chiesi furiosa.
-Guardati Caterina: sei una nebulosa di emozioni indisciplinate, non riesci ad avere rapporti con gli altri semplicemente perché non riesci ad accettare te stessa. Ma invece di provarci, ti chiudi nel tuo mondo insieme ai tuoi libri e alle tue immagini di città che non potrai mai visitare! Non dirmi che sto affrontando i miei sentimenti nel modo sbagliato, non renderti ridicola in questo modo!-
Le sue parole mi si rovesciarono addosso come un fiume in piena: non si era risparmiato nessun difetto della mia personalità. Tutti colpi centrati e ben assestati, uno dopo l'altro mi avevano colpita in quella zona della cassa toracica sopra lo stomaco, vicino ai polmoni, lì dove tutte le emozioni erano concentrate.
Quella volta non dissi niente: aprii la porta e gli feci cenno di andarsene. Lui, senza una parola, uscì.
Non avevo mai creduto all'espressione "l'amore ti succhia l'anima", ma mi dovetti ricredere.
Quella volta lui si era davvero portato via una parte di me.



-Note dell'autrice-

Salve! :)

Non so come mai mi ritrovo a scrivere sempre le stesse cose, ma devo assolutamente scusarmi per il ritardo nella pubblicazione. Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere e il risultato non è neppure dei migliori.
Nonostante questo sia quasi noioso, nei prossimi capitoli questi due pazzi sconsiderati faranno il "botto".....sperando non nel vero senso della parola! :P

Ringrazio le 8 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le 3 che l'hanno inserita tra le ricordate e le 17 che la seguono. Grazie mille, non sapete come mi rende felice vedere che c'è qualcuno che apprezza! :')

Un grazie particolare va a 00ebano00, che è stata così gentile da condividere con me i suoi pensieri e le sue opinioni. Grazie davvero!

Come sempre, se avete voglia di lasciare una piccola recensione ne sarò felice. :)

Un bacio,
Jane Ale

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Capitolo 12
*** Perfezione ***


 Capitolo 11
Perfezione




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Scema. Se pensavo a quello che avevo appena accettato di fare non potevo che darmi della scema. Odiavo uscire, odiavo le discoteche, odiavo le persone e, dopo i recenti avvenimenti, non potevo che odiare anche i compleanni. Eppure non avevo potuto dire di no ad Emanuele, era stato così gentile ad invitarmi per festeggiare i suoi 18 anni in una famosa discoteca poco distante dalla nostra città. Ero proprio una rottura di palle, non c'è che dire.
Smisi di farmi inutili pensieri e iniziai a vestirmi: indossai un semplice vestitino rosa scuro aderente e un paio di scarpe con il tacco nere; poi ci abbinai una pochette nera ed una giacca dello stesso colore. Non mi sentivo per niente a mio agio quella sera, non volevo uscire e, nonostante mi fossi preparata con estrema cura, mi sentivo distante anni luce. Sentii il telefono vibrare e vidi che era uno messaggio di Giovanni.
Ci sono.
Era stato così gentile ad offrirsi di guidare quella sera, aveva persino insistito per venirmi a prendere a casa. Quel ragazzo era così dolce e comprensivo che non potevo fare a meno di provare un certo affetto nei suoi confronti, non sapevo perché ma credevo di volergli bene. Scesi le scale stando attenta a non cadere dai trampoli che avevo ingenuamente indossato e mi diressi verso l'auto di Giovanni.
Aprii lo sportello e feci per salutare, ma le parole mi morirono in gola: Alessandro se ne stava comodamente disteso sui sedili posteriori con il suo solito sorrisetto stampato sul viso. Sorrisetto che scomparve non appena mi vide.
-Ciao Cate!- mi salutò gentilmente Giovanni mentre salivo sull'auto.
-Ciao a tutti! E tanti auguri Ema!- dissi sporgendomi verso il festeggiato seduto accanto a Giovanni e stampandogli un bacio sulla guancia.
-Guarda che ti si vede tutto!-
Mi voltai verso Alessandro che mi stava palesemente fissando il sedere.
-Eh?- chiesi incapace di formulare una frase completa.
-Ho detto che ti si vede tutto, quel vestito non copre niente e tu sei così scema da tirarlo ancora più su.- disse tra l'annoiato e il disgustato.
-Non sono scema!- risposi adirata. Ma come si permetteva di giudicarmi?
-Sì che lo sei e sei anche un'esibizionista di m...-
-Sei uno stronzo! Smettila! Le tue sono offese gratuite e non le merito. Cosa vuoi dalla mia vita, Alessandro? Se ti faccio tanto schifo puoi sempre andartene, come fanno tutti in un modo o nell'altro!-
-Infatti, è la soluzione migliore!-
Sentii le lacrime affiorare, ma le ricacciai indietro. Stavo per rispondergli, quando Emanuele parlò con tono arrabbiato:
-Adesso basta! Smettetela subito! Non rovinerete la serata con i vostri stupidi litigi! Avete rotto, siete sempre a discutere e nessuno di noi è disposto a sopportarvi ancora. Trovate una soluzione, uccidetevi, allontanatevi, scopate..non mi interessa, ma smettete di litigare!-
Non avevo mai sentito Emanuele rivolgersi a qualcuno in questi termini e mai avrei pensato di essere io la destinataria di un tale discorso, ma non potevo dargli torto: i nostri litigi erano così esasperanti e, evidentemente, non era facile neppure per i nostri amici. Non sapevo come rispondere, avrei preferito rimanere in silenzio per il resto del viaggio, ma Alessandro non perse l'occasione per dire una cazzata delle sue.
-Io non me la porterei mai a letto, è una pazza isterica, l'hai vista?-
Avrei potuto tacere, lasciar cadere il discorso, avrei potuto fare la persona matura, ma non lo feci. Perché? Perché avrebbe potuto dirmi di tutto, ma non che non sarebbe mai potuto venire a letto con me.
-Io sarei una pazza isterica? Sei tutto scemo! E comunque sarei io a non voler venire a letto con te, non mi piacciono le cose usate!-
Alessandro stava per rispondere, ma Emanule fu più veloce: -Giovanni, fermati!-
-Ma Ema, siamo quasi arrivati, che vuoi fare?- chiese Giovanni preoccupato.
-Falli scendere, loro ci raggiungono a piedi. Avanti, scendete, vi farà bene un po' d'aria!-
Il tono di Emanuele non ammetteva repliche, così fummo costretti ad obbedire.
Scendemmo dall'auto e la guardammo ripartire in silenzio, poi Alessandro si voltò e cominciò a camminare nella direzione della discoteca senza neppure guardarmi.
-Ehi, dove vai? Abbi almeno la compiacenza di aspettarmi!- gli urlai mentre tentavo di raggiungerlo, per quanto quei trampoli infernali me lo permettessero.
-Io vado a festeggiare il compleanno del mio migliore amico, tu fai ciò che vuoi, ma non pensare che ti aspetti.- mi rispose con disprezzo.
-Sei un bastardo!- gridai con rabbia. In realtà non avevo motivo di urlare poiché Alessandro era solo qualche metro avanti a me, ma le sue parole mi agitavano troppo. Che novità..quando qualcosa che lo riguardasse non mi aveva agitata?
-Caterina, ti dico una cosa: mi hai rotto il cazzo! Non ne posso più di te, dei tuoi lamenti, dei litigi, basta!-
Quante volte dovrai cadere prima di imparare a rialzarti? Quante volte lascerai che gli altri ti calpestino?
Erano tutte belle domande quelle che la mia mente aveva deciso di pormi in quel momento, solo che io non avevo le risposte. E probabilmente non le avrei mai avute, non se si trattava di lui.
Presi a camminare in silenzio, lo sorpassai guardando dal lato opposto e pregai le mie facili lacrime di non scendere proprio in quel momento. Non guardai indietro, non volevo vederlo; avevo fatto giusto qualche metro quando il mio piede destro scivolò su qualcosa di viscido e io caddi a terra. Se fino a quel momento ero stata delusa e arrabbiata, iniziavo a sentirmi anche umiliata e stanca della piega che la mia vita aveva preso.
Sbuffai e feci per realzarmi, ma due braccia estranee mi afferrarono e mi rimisero in piedi. Avevo visto soltanto le mani, ma mi erano bastate: Ale. Non ebbi il tempo di voltarmi per guardarlo, perché mi strinse a sé.
Mi aggrappai alle sue braccia mentre sentivo il suo petto aderire perfettamente alla mia schiena: era una sensazione indescrivibile, di completezza, di finitudine.
-Ale..- mugolai.
-Cate, così non ce la faccio.- mi disse con tono implorante. Non capii cosa volesse dire, non riuscivo a collegare le sue parole, a dargli un significato. Mi girai per guardarlo in faccia.
Mi fissava, serio, con lo sguardo fisso e lucido. Era strano, concentrato...combattuto.
Il mio istinto mi diceva che avrei dovuto starmene in silenzio, ma la mia boccaccia non era d'accordo, doveva per forza esprimere tutti quegli interrogativi che vorticavano freneticamente nella mia testa.
-Che vuol dire che non ce la fai? A fare cosa?-
Avvicinò il suo viso al mio, lo avvicinò pericolosamente al mio, fino a quando i nostri nasi si sfiorarono.
Sentivo il suo respiro sulle mie labbra serrate e non ci voleva un genio per capire quello che sarebbe successo di lì a poco. Dovevo fare qualcosa,  qualsiasi cosa, ma i muscoli non rispondevano ai miei comandi. E mentre i miei meuroni lavoravano senza sosta, sentii le sue labbra sfiorare le mie e fu la fine.
Era tutto così caotico: io lo volevo, lui mi stava baciando, ma c'era qualcosa di remoto che non riuscivo a ricordare che mi diceva che dovevo oppormi. Era una sensazione forte, quasi più del desiderio che provavo nei suoi confronti.
E, forse, fu proprio quella sensazione a darmi la forza di allontarmi da lui quando sentii le sue labbra schiudersi a contatto con le mie. Indietreggiai senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
-Che diavolo è successo?- mi chiese più sorpreso che arrabbiato.
-Non è successo niente.- dissi più a me che a lui.
-Caterina, guardami!-
Scossi la testa.
-Cate..-
Feci un respiro profondo e alzai la testa. Mi fissava con una strana espressione sul volto, sembrava delusione.
-Perché ti sei allontanata?- mi chiese diretto.
-Perché è giusto che sia così, non sono io quella che vuoi. E tu mi piaci, penso che sia chiaro, ma non potevo lasciare che tu mi baciassi solo per un capriccio.- gli dissi con sincerità.
-Sì, l'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
-Andiamo, gli altri ci stanno aspettando.-

Quando arrivammo davanti alla discoteca, trovammo Emanuele e Giovanni ad aspettarci insieme a Roberta, Isa e Vittoria. Durante il tragitto a piedi non ci eravamo parlati, mi aveva fatta appoggiare al suo braccio a causa dei tacchi, ma il tutto in silenzio. Non appena vidi i nostri amici tirai fuori l'ennesimo sorriso falso. Non ci fu bisogno di spiegare alle ragazze il perché fossimo arrivati a piedi, evidentemente Emanuele aveva provveduto a farlo.
-Finalmente! Entriamo che è già tardi.- ci disse. Perlomeno, notai, aveva recuperato il sorriso.
Ci mettemmo in fila per entrare nel locale; ero accanto a Roberta quando sentii Alessandro sussurrarmi all'orecchio: -Cate, il discorso di prima non è finito.-
Annuii, deglutendo con fatica.
-Tutto bene?- mi domandò Roby guardandomi strana.
-Si, certo.- le risposi tentando l'ennesimo sorriso.
-Okay, spara.- mi disse lei afferrandomi per un polso e trattenendomi in fondo alla fila.
-Roby, dobbiamo entrare.-
-Riassumi.- mi ordinò.
Sbuffai prima di cedere. -Ho litigato con Ale, Emanuele ha voluto che venissimo a piedi, mi ha quasi baciata, mi sono tirata indietro.-
-Ti ha quasi cosa?- mi chiese sgranando gli occhi.
-Mi ha quasi baciata.- le confermai. -Ah, è anche attratto da me, ma non prova niente.-
-Io..tu..cioè..-
-Roby, non preoccuparti, recupera l'uso della parola, ne discutiamo poi.-
La discoteca era veramente grande, se fossi stata da sola mi sarei sicuramente persa alla ricerca della sala giusta. Fortunatamente il tavolo che Emanuele aveva prenotato si trovava nella prima sala. Ci sedemmo e ordinammo da bere al cameriere. Non volevo esagerare quella sera, non avevo dimenticato il compleanno di Marica, ma soprattutto non avevo dimenticato l'effetto che l'alcol aveva su di me.
Quando le bevute arrivarono brindammo tutti insieme, poi consegnammo ad Ema il nostro regalo di compleanno: si trattava di un biglietto per l'Islanda; sua sorella abiatava lì da qualche anno, ma lui non era ancora andato a trovarla, così avevamo pensato che con l'arrivo dell'estate gli avrebbe fatto piacere rivederla. Fu molto contento della nostra idea e per festeggiare ordinò un altro giro di bevute. Non rifiutai, ma subito dopo aver bevuto trascinai Roberta a ballare.
Non ero certamente ubriaca, ma mi sentivo leggera, avevo voglia di ballare e di non pensare.
Roberta era della mia stessa idea, lo vedevo dalle sue mosse di ballo inventate sul momento che scatenavano le risa di entrambe.
Non sapevo da quanto tempo ballavamo quando gli altri si unirono a noi; dall'allegria di Emanuele e dal braccio che andò a posarsi intorno al collo di Roberta, dedussi che nel frattempo avessero bevuto un bel po'. Mi guardai intorno per cercare Alessandro, chiedendomi il perché non fosse con gli altri; stavo per domandarlo a Giovanni, ma due braccia mi avvolsero da dietro.
-Chi cerchi, bella bionda?-
Come tutte le volte in cui sentivo la sua voce, sobbalzai.
-Nessuno.- risposi poco convinta.
-Io dico che mi stavi cercando.- mi sussurrò malizioso all'orecchio.
-E io dico che sei presuntuoso.-
Non dovevo stare al suo gioco, sarei finita sicuramente male. Non ero in condizioni di giocare, ma la coerenza era sempre stata una caratteristica mancante nella mia persona.
Mi sentii voltare, le sue mani andarono a posarsi sui miei fianchi mentre i suoi occhi cercavano i miei.
-Cate, non scherzare con me, non ora.- mi disse serio.
-Perché?- gli domandai sorridendo allusivamente. Masochista, ecco la parola che rimbombava nella mia mente.
-Perché non sono nelle condizioni di controllarmi.- rispose Ale.
Dovevo andarmene, dovevo allontanarmi, dovevo tornare a casa. O meglio, avrei dovuto. In effetti quella sera avrei dovuto fare tante cose, ma quello che realmente feci fu l'esatto contrario di ciò che era giusto.
-Allora non farlo.- fu la mia risposta.
Le sue mani si spostarono più in basso sul mio fondoschiena e mi avvicinarono a lui. Per la seconda volta in una sera il mio naso si trovò a contatto con il suo, le mie labbra sfiorarono le sue.
-Non incasinarmi.- mugolai.
Poi la sua lingua toccò delicatamente il mio labbro inferiore e non capii più niente.
Qualche secondo dopo le nostre lingue si rincorrevano freneticamente, danzando alla perfezione.
Mi sentivo completa mentre esploravo la sua bocca, mi sentivo completa mentre le mie mani si insinuavano dolcemente tra i suoi capelli, mi sentivo completa mentre mordicchiava le mie labbra ridendo. Tutti i pezzi che mi trascinavo dietro da mesi, improvvisamente, si erano ricomposti.
Era la perfezione.




Note dell'autrice:

Salve! :)
Mi scuso per l'enorme ritardo (in effetti "enorme" è un eufemismo), ma ho avuto parecchi problemi: tra l'esame di maturità e le difficoltà a parlare ancora di Ale e Cate, la stesura del capitolo è stata veramente difficile. Lo so che non è un granché come capitolo, ma il vero Alessandro mi ha dato così tanto filo da torcere e anche quello di carta ha deciso di seguire le sue orme. D:
Scusate davvero.

Comunque sia, ringrazio tutte coloro che seguono/preferiscono/ricordano la storia perché mi danno tanta forza. Un immenso grazie va anche a coloro che mi hanno spronata a continuare "Frammenti". Siete fantastiche! :)

Se vi va, sarei felice di sapere cosa ne pensate.
Baci,
Jane




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Capitolo 13
*** Attrazione ***


Capitolo 12
Attrazione






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Arrivai a casa alle quattro quella notte. Fortunatamente mia madre non mi sentì rientrare, altrimenti mi avrebbe fatto una bella ramanzina. In quel momento, però, non me ne importava molto: continuavo a pensare ad Alessandro, al bacio, alle facce sorprese dei nostri amici quando ci eravamo staccati dopo un bel po' di tempo; continuavo a pensare a quando si era avvicinato al mio orecchio e mi aveva detto con aria maliziosa "La prossima volta non portare la mia sopportazione al limite"; continuavo a pensare a quando, prima di allontanarsi, aveva stretto il mio fondoschiena con un gesto che di galante non aveva niente, ma che aveva accelerato i miei battiti cardiaci all'inverosimile. Rabbrividii.
Mi lavai e struccai velocemente, infilai il pigiama e mi distesi sul letto. Guardai il cellulare.
2 messaggi ricevuti.
Il primo era di Roberta: "Domattina alle dieci sono da te. Mi devi raccontare e ho bisogno di parlarti. :) Notte ciccia."
Le risposi velocemente, poi passai al messaggio successivo. Non c'era bisogno di immaginare il mittente: era lui.
"Inutile dire che non sono per niente coerente. Vorrei dirti che mi dispiace, ma sarebbe una cazzata perché non mi è dispiaciuto affatto. Dormi bene, bionda. :*".
Respirai profondamente, aspettai che le mani smettessero di tremare e poi risposi: "Nemmeno a me è dispiaciuto, se devo essere sincera. Però, Ale domani vorrei che ci vedessimo per parlare. Ok? Ti voglio tanto bene."
La risposta arrivò subito. "Ok, passo a prenderti nel pomeriggio. Anch'io Cate. A domani."
Posai il cellulare sul comodino e mi addormentai con un sorriso da ebete stampato sulla faccia, ignara del fatto che la luce del giorno porta con sé ciò che la notte scaccia facilmente: consapevolezza e realtà.

-Allora, fammi capire bene: lui non prova niente per te, però c'è dell'attrazione e qualche ora dopo aver stabilito ciò vi siete attaccati come due polipi? Non c'è male.- riassunse Roberta sarcastica, dopo che le avevo raccontato dettagliatamente cosa era successo la sera precedente.
-Roby, non usare quel tono. Lo capisco, è solo un po' di attrazione.- le dissi.
-Un po'? Se fosse stata "tanta attrazione" vi sareste spogliati nel mezzo della sala, allora?- domandò incredula.
-Se fosse stata "tanta attrazione", come dici tu, se ne sarebbe accorto prima. Comunque nel pomeriggio abbiamo fissato per vederci, quindi chiariremo. Ma ora dimmi, di cosa volevi parlarmi?- le domandai felice di cambiare un po' discorso. Troppi pensieri su Alessandro mi mandavano in confusione.
-Beh..- cominciò lei arrossendo. -Devo dirti una cosa.-
Spalancai gli occhi. -Roberta, sei arrossita!-
-Cavolo Cate, non è semplice. Insomma, c'è un ragazzo che mi viene dietro, diciamo. Ci ha provato più volte, ma io non so come comportarmi.- disse senza guardarmi negli occhi.
-E qual è il problema? Non sai se ti piace?- le chiesi.
-Sì..cioè no..non solo. Potrebbe essere complicato, ecco.-
-Roby, spiegati meglio.- la incoraggiai.
-Questo ragazzo non è un ragazzo normale. Cioè non in quel senso, ma..-
-Roberta, lo conosco?-
-Si.- rispose sbuffando sonoramente.
Le sorrisi. Credevo di aver capito il motivo per cui era tanto in difficoltà.
-Emanuele?- tentai. La velocità con cui i suoi occhi si spalancarono me lo confermò.
-Come lo sai?- domandò boccheggiando.
-Sono una brava osservatrice.- le risposi con un sorriso. -Prima al compleanno di Marica, poi ieri sera. Ho visto come ti guarda, come ti cerca e come tenta di abbracciarti in ogni occasione. Non ci voleva un genio.-
-Ecco, non so cosa fare. Ieri sera siamo rimasti soli per un po' e lui ha tentato di baciarmi, ma io sono scappata. Ero nel panico.-
-Ti piace?- le chiesi.
-Forse.-
-Ovvero?-
-Credo di sì.- rispose.
-E allora buttati, Roby. Tentar non nuoce.- Ma come ero saggia quando si trattava della vita degli altri.
-Ma ci conosciamo!- obiettò lei.
-E allora? Potrebbe essere un fattore positivo, no?-
Mi sorrise. Era un sì.

Scendi, ci sono.
Il messaggio di Alessandro mi fece agitare più di quanto non lo fossi già. Mi ero preparata con calma, cercando di non pensare a quello che era successo la sera prima, ed ero quasi riuscita a respirare normalmente prima del suo arrivo. La consapevolezza che fosse sotto casa mia, però, mi gettò nel panico. Mentre scendevo le scale mi ripetevo mentalmente "inspira, espira, sorridi, inspira, espira, sorridi". Attraversai la strada e salii sulla sua auto senza guardarlo.
-Ciao.- lo salutai.
-Ehi.- mi disse con un sorriso tirato.
-Tutto bene?-
Annuì. -Dove andiamo?-
-Dove vuoi, Ale.-
-Non predere mai decisioni tu!- mi disse sorridendo.
-No, meglio di no. Combino troppi disastri.-
Restammo in silenzio fino a quando Ale non parcheggiò sul lato sinistro di una stradina di campagna: ci eravamo allontanati un po' dalla città e non sapevo dove ci trovassimo esattamente, ma in quel momento non mi importava nemmeno.
Stavo per parlare, ma lui mi precedette.
-Cate, mi dispiace. Mi avevi detto che non volevi casini e io ho fatto l'esatto opposto. Ho sbagliato, non dovevo forzarti, scusami.- disse tutto d'un fiato.
-Che stai dicendo, Ale?- Non ci capivo un accidente.
-Sto dicendo che non avrei dovuto baciarti, mi hai anche chiesto di non incasinarti e, nonostante ciò, l'ho fatto. Sappiamo entrambi che non posso darti quello che vorresti, ma sono stato così deficiente da cedere all'attrazione.-
Oh, pensai.
-Oh!- dissi ripetendo l'unica cosa che circolava in quel momento nella mia testa.
Solo attrazione. Lui aveva ceduto all'attrazione. Era logico, me lo aveva anche detto. Eppure avevo una fitta perpetua all'altezza dello stomaco che non mi dava la possibilità di parlare.
Notando il mio silenzio continuò: -Non riesco a spiegarlo perché è strano, mi sento davvero attratto da te in una maniera incredibile e non so neppure da dove sia uscita questa cosa. Non mi era mai successo di volere qualcuno come volevo te ieri sera, infatti ho ceduto.-
Continuai a tacere. Adesso arriva il bello. Tre, due, uno..
-Però io credo che sia solo attrazione, niente di più. Per questo ci tenevo a dirtelo: la nostra amicizia per me è più che importante e non voglio che si rovini perché ho fatto una cazzata.-
Oh beh, dunque era stata una cazzata. Non riuscivo a formulare un pensiero, una parola, non riuscivo ad emettere neppure un suono. Ero diventata vuota, fatta d'aria.
-Cate, parla.- mi incitò.
Mi voltai verso di lui, slacciai la cintura di sicurezza per poterlo guardare meglio e lo osservai. Non esaminai i particolari del suo viso come facevo sempre, non mi soffermai sui suoi occhi, non guardai la consistenza delle sue braccia. Mi limitai ad osservarlo, immobile. Poi parlai.
-Hai ragione.- dissi semplicemente.
Mi guardò, chiaramente sorpreso. -Eh?-
-Ho detto che hai ragione. Quella che c'è tra di noi è solo attrazione.-
Mi interruppe. -Ma avevi detto..-
-Mi sono sbagliata.- dissi fermamente. -E siccome non ho intenzione di abbassarmi ad essere una squallida trombamica, credo che, finché questa storia non sarà finita, dovremmo procedere con cautela perché anch'io ci tengo alla nostra amicizia, è una delle poche cose che ho.-
-Non ti avrei mai proposto di essere trombamici, non lo avrei mai fatto, Cate.- mi disse con una nota amara nella voce.
-Voglio sperare.-
-Cosa intendi con "procedere con cautela"?- mi domandò poi.
-Che non possiamo più comportarci come abbiamo fatto fino ad adesso. Se ci sono situazioni che possono mettere a rischio la nostra stabilità, dobbiamo evitarle. In altre parole, non dobbiamo saltarci addosso come ieri sera.- conlusi cercando di scacciare il magone che si era formato nella mia gola.
-Sono d'accordo.- disse.
Rimanemmo qualche secondo in silenzio, fissando le colline di fronte a noi.
-Vuoi che ti riporti a casa?- mi chiese dopo un po'.
-Si, grazie.-
Durante il tragitto di ritorno inviai un messaggio ad una persona che, ero certa, mi avrebbe ascoltata ed aiutata in quel momento di confusione estrema.
Hai voglia di fare una chiacchierata? :) Ho bisogno dei tuoi consigli.
Non potevo disturbare Roberta, aveva già i suoi problemi a cui pensare. La risposta arrivò poco dopo.
Certo. :) Ti passo a prendere verso le 21:30 ed andiamo in gelateria?
Risposi affermativamente e misi via il cellulare. Poco dopo Ale si fermò sotto casa mia.
-Grazie Ale. Ci sentiamo.- lo salutai. Mentre stavo per aprire lo sportello mi richiamò.
"Mi manca la scena da film!"
-Abbracciami Cate.- mi disse.
Avvolsi le braccia intorno al suo torace e posai la testa nell'incavo del suo collo; le sue mani si posarono alla base della mia schiena massaggiandola dolcemente. Emisi un leggero sbuffo misto ad un mugolio di protesta. Non poteva fare così, non ce l'avrei fatta.
-Perché è così difficile?- mi chiese cogliendomi alla sprovvista.
Agii d'istinto e portai una mano tra i suoi capelli. -Potrebbe essere tanto semplice.-
Sospirai e poco dopo lui fece lo stesso. Lo sentii avvicinarmi di più a lui, per quanto l'auto lo permettesse. Gli lasciai un leggero bacio nel collo e lui fece lo stesso tra i miei capelli.
Alzai lo sguardo e i nostri occhi si incrociarono. Solo per un attimo, un lunghissimo e maledettissimo attimo, pensai di mandare tutti i miei buoni propositi all'aria e baciarlo. Ma per quanto l'attimo fosse stato lungo, non lo fu abbastanza da farmi dimenticare il dolore all'altezza dello stomaco.
-Così non funziona. Scusa Ale, è meglio che vada- dissi staccandomi da lui.
-Cate, aspetta.-
-No, non aspetto un cazzo, Alessandro. Sono una stupida, capisci? Non posso e non devo cedere, ma stai rendendo tutto così complicato. Perché hai voluto che ti abbracciassi? Volevi che fossi io la prima a lasciarsi andare, eh? No, no e no. Non ce la faccio.- Ormai stavo urlando.
-No, io avevo bisogno di sentirti.-
Una scossa di eccitazione mi percosse da capo a piedi, ma non era quello il momento giusto.
-Ale..- sussurrai. Sentii le difese abbassarsi.
-Cate, ho voglia di baciarti.- mi disse lui avvicinandosi.
Non l'avrei fermato, non questa volta. Mi sarei condannata, su questo non c'erano dubbi.
Eppure qualcuno decise di salvarmi, perché il suo telefono squillò.
-Mamma, arrivo.- rispose lui freddamente.
Afferrai la mia borsa ed uscii dall'auto. Quando riattaccò si girò a guardarmi.
-Caterina..-
-Stai zitto, Ale. Non complicare le cose più di così, ti prego.-
Annuì. -Ciao, allora.-
-Ciao.- gli dissi forzando un sorriso.
Mi allontanai e mi voltai per andare verso casa. Non sentii l'auto ripartire e, quando arrivai al portone, vidi che era ancora lì. Dovetti raccogliere tutta la forza che avevo per non correre di nuovo da lui. Entrai in casa velocemente, salii le scale e corsi in camera mia. Mi buttai sul letto e soffocai un grido sul cuscino.
Sentii il cellulare che suonava da dentro la borsa, lo afferrai e guardai chi mi stava chiamando.
Ale.
Avrei scommesso tutto che fosse ancora giù e che mi volesse dire di scendere di nuovo. Rifiutai la chiamata, misi il silenzioso e mi diressi verso il bagno per fare la doccia. Sotto il getto dell'acqua calda chiusi gli occhi e cominciai a canticchiare.
"And we will never be alone again 'cause it doesn't happen every day, kinda counted on you being a friend, can I give it up or give it away? Now I thought about what I wanna say but I never really know where to go, so I chained myself to a friend 'cause I know it unlocks like a door."







Nota:
La canzone finale è Instant Crush dei Daft Punk ft. Julian Casablancas.
La parte citata, in traduzione, sarebbe: "E non saremo più soli di nuovo perché non accade tutti i giorni, contavo quasi che tu fossi mio amico, posso rinunciarci o buttarlo via? Ora pensavo a quello che voglio dire, ma non so davvero dove andare, quindi mi sono incatenata ad un amico perché so che apre come una porta."





Note dell'autrice:
Salve a tutti! :)
Come va? Questa volta sono riuscita a concludere il capitolo in tempi decenti, fortunatamente.
Avete visto che le cose tra Caterina ed Alessandro sono un po' sfuggite al loro controllo: Caterina è sull'orlo di un crollo emotivo (per dirla tragicamente :D), Alessandro, invece, è un po' in balia degli ormoni.
Inoltre la ragazza ha inviato un messaggio a qualcuno: a chi pensate sia diretta la "richiesta di aiuto"? Non è molto difficile da capire. Lei in questo momento ha bisogno di un amico, perché Alessandro è un po' assente sotto quel punto di vista, quindi sta cercando un solido appiglio.

Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Mi rendete veramente felice. GRAZIE :)
Come sempre, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate con una piccola recensione, se vi va.
Baci,
Jane.







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Capitolo 14
*** Logica e non-logica ***


Capitolo 13
Logica e non-logica






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-Allora, mi vuoi dire il vero motivo per cui mi hai voluto vedere?- mi chiese Giovanni sorridendo come suo solito.
Sbuffai. -Ok, hai ragione, è inutile girarci intorno: ho bisogno di un tuo consiglio.- ammisi.
-Alessandro?-
-Già.- confermai.
-Le cose si sono complicate dopo ieri sera, eh?- mi domandò.
-Beh, era logico. Ma non è stato tanto il bacio di ieri, quanto quello che mi ha detto oggi quando ci siamo visti per "chiarire". Mi ha confusa immensamente.- Sospirai.
-Come ha giustificato il fatto che ti abbia baciata?-
-Attrazione. Soltanto una fottutissima dose di attrazione che, improvvisamente, gli fa venire voglia di saltarmi addosso. Logico, no?- risposi acida.
Giovanni mi accarezzò delicatamente i capelli per consolarmi e io appoggiai la testa sulla sua spalla sbuffando come un treno a vapore. Molto spesso mi sembrava di tornare ad essere la piccola bambina viziata che ero stata durante la mia infanzia: sbuffavo se i miei genitori non mi facevano fare quello che volevo, battevo i piedi se non mi compravano la Barbie che desideravo da tanto e piangevo se dovevo affrontare situazioni e persone nuove. E anche in quel momento lo stavo facendo, mi stavo lamentando perché, nonostante avessi baciato Alessandro, quella non era la situazione che avevo sognato di vivere. Avevo sempre desiderato che mi baciasse e che fosse innamorato di me, ma non avevo mai fatto i conti con il fato: il mio desiderio era stato esaudito...per metà.
-Cate, hai mai pensato che forse Alessandro potrebbe essere confuso quanto te?- mi domandò Giovanni con un tono di voce basso e pacato, quasi temendo una mia reazione.
In effetti il pensiero che Ale fosse confuso mi sembrava alquanto ridicolo e piuttosto offensivo nei miei confronti, ma non volevo certo rispondere male a Giovanni che era lì per me, così risposi con calma. -Cosa intendi?-
-Voglio dire che, forse, quello che Ale prova per te non è solo attrazione. Probabilmente non sa neppure lui cosa sia ed è spaventato da questa "cosa" nuova. Pensaci, non è strano che così, all'improvviso, lui sia attratto da te a tal punto?-
Il ragionamento di Giovanni non avrebbe fatto una piega se il ragazzo in questione non fosse stato Ale, ma siccome lo conoscevo più che bene, ero certa del fatto che la sua fosse attrazione. E basta.
-Ammetto che il fatto che i suoi ormoni si siano accorti di me nel giro di qualche giorno sia molto strano, ma la spiegazione a cui sono giunta è totalmente diversa: con il tempo si è accorto che ero una femmina anch'io, poi ha capito di piacermi, il che non era per niente difficile, e così ha approfittato di questa preziosa occasione. Ecco tutto.- Trasudavo sarcasmo e acidità da ogni poro.
Giovanni, invece, mi guardava divertito. -Quindi, secondo te, i suoi ormoni sono la causa di questa situazione?- mi chiese cercando di non ridere.
-Esatto.- risposi seria. A quel punto scoppiò a ridere.
-Giovanni, cosa cavolo ridi?- domandai un po' offesa.
-Non sto ridendo di te, però è vero che voi femmine siete un po' cieche alle volte.- mi disse lui.
-Ah! Perfetto, ora siamo cieche!-
-Sì, ci sono dei momenti in cui vi rifiutate di vedere ciò che vi sta davanti e rendete tutto più complicato. Per esempio, perché non puoi prendere in considerazione l'ipotesi che Alessandro provi davvero qualcosa per te? Perché devi darti spiegazioni stupide come quella degli ormoni?-
Abbassai lo sguardo e scossi la testa. -Lasciamo perdere, Giovanni. Non voglio darmi false speranze.-
-Perché dovrebbero essere false?- chiese.
-Non potrebbe essere altrimenti, ma ti prego, lasciamo stare questo discorso per ora.-
Vedevo che non era d'accordo e che avrebbe voluto convincermi, ma sarebbe stato solo un modo per crearmi inutili illusioni. Per quanto Giovanni stesse agendo per il mio bene, non capiva che Alessandro non aveva interesse per me, se non quello fisico. Certo, eravamo amici, e avrei fatto di tutto affiché questo non cambiasse, ma sapevo che i suoi sentimenti nei miei confronti non sarebbero mai potuti cambiare. Dovevo accettarlo ed evitare di farmi ulteriore male.

La mattina dopo, a scuola, riuscii a parlare con Roberta solo durante la ricreazione, poiché era entrata alla seconda ora.
-Roby, tutto bene?- le chiesi.
-Certo, ho solo fatto le analisi del sangue.- rispose indicandomi il braccio.
-Sì, quello l'ho notato. Intendevo con Emanuele. Hai parlato con lui, vero?- domadai suonando troppo minacciosa.
Lei annuì.
-E..?- la sollecitai.
-Ci siamo baciati.- rispose in un sussurro.
-Oddio!- dissi a voce alta. -Non ci credo!-
Ero felice per lei, vedevo che i suoi occhi brillavano di contentezza, anche se in quel momento prevaleva l'imbarazzo.
-E cosa vi siete detti?- le chiesi ancora.
-Abbiamo deciso di provarci. In fin dei conti ci conosciamo da parecchio tempo, ci piacciamo, non c'è niente di male se usciamo insieme come..insomma non proprio come amici. Avevi ragione, Cate, ti devo ringraziare.-
Sorrisi, ma non sentii i ringraziamenti, perché la mia mente si era fermata qualche parola prima.
Ci conosciamo da parecchio tempo, ci piacciamo, non c'è niente di male se usciamo insieme.
Detta così sembrava la cosa più logica del mondo: le persone si piacciono e decidono di uscire, in modo semplice e senza complicazioni. Allora perché nel mio caso sembrava tutto così privo di logica?
Io ed Ale ci conoscevamo da anni, eravamo migliori amici, lui era attratto da me, io ero innamorata di lui, ci eravamo baciati, ma non potevamo uscire insieme.
Dove era il problema?
Non dovetti pensare molto, però. Il problema stava nel fatto che lui non provava niente per me, la sola cosa che voleva era il mio corpo, mentre io gli volevo molto più che bene. Ecco dove risiedeva la non logicità della mia situazione.
-Cate, mi ascolti?- mi domandò Roberta.
-Oh, scusami, mi ero distratta un secondo. Dicevi?-
-Ti stavo dicendo che oggi pomeriggio mi ha chiesto di uscire. Un appuntamento, insomma.- mi disse raggiante.
-Hai accettato?- le chiesi.
-Certo! Devo solo decidere cosa mettere.-
Scoppiai a ridere. Roberta non sarebbe mai cambiata, era sempre la solita solare e divertente ragazza che avevo conosciuto qualche anno prima.
Stavo per risponderle, ma mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi una delle poche persone che pregavo di non incontrare ogni singolo giorno della mia vita.
-Marica.- la salutai atona.
-Cate, ti stavo cercando. Puoi venire un attimo?- mi domandò con quel falso sorriso che aveva perennemente stampato sulla faccia.
-Puoi parlare davanti a Roberta.- ribattei.
-No, tolgo il disturbo.- disse Roberta. Mentre mi passava accanto mi sussurrò all'orecchio "Dopo mi dici!" e io annuii.
-Allora?- dissi rivolgendomi a Marica.
-Ho saputo di te ed Ale. Complimenti, ce l'hai fatta.- mi disse sempre sorridendo.
-Non capisco cosa vuoi dire.- Negare, sempre negare. Altrimenti fingere.
-Cosa non capisci? Il fatto che vi siate baciati o che tu ce l'abbia finalmente fatta dopo tutti i mesi in cui gli sei morta dietro? Non fare quella faccia, Caterina, lo sanno tutti da sempre che sei cotta di lui e mi stupisco che non l'abbia capito prima. Adesso che è il tuo turno di ricevere attenzioni immagino che sarai contenta, non vedevi l'ora. Ma stai attenta, non durerà molto.- Continuava a sorridere. Per un attimo desiderai che avesse una paralisi alla bocca, così avrebbe imparato a sorridere sempre quella stronza. Poi cancellai quei pensieri, non dovevo abbassarmi al suo livello. Non volevo diventare cattiva.
-Non riesco a capire se la tua è gelosia o semplicemente incapacità di farti i cazzi tuoi, Marica.- le dissi tranquillamente.
-Nessuna delle due, Caterina. Consideralo un consiglio da quella che una volta era tua amica.- mi rispose.
-Appunto, una volta. Ti ringrazio, ma i consigli valgono poco di per sé, pensa un po' quelli che escono dalla bocca di una che non è neppure mia amica.-
-Di certo non guardo al tuo interesse, ma fidati se ti dico che Alessandro si stancherà molto presto di te e a quel punto non gli servirai più nemmeno come amica.- E questa volta, dopo aver parlato, non sorrise.
-Perché?-
-Perché cosa?- mi chiese.
-Perché mi stai dicendo queste cose adesso? Cosa ne sai? Cosa c'è dietro, Marica?-
-Chiedilo a lui.- mi disse semplicemente.
-No, lo sto chiedendo a te.-
Sospirò. -Ha fatto lo stesso con me. Eravamo amici, mi ero presa una cotta per lui, siamo stati insieme per un po'. Poi si è stufato. Non c'è stato un momento preciso o un avvenimento, so solo che non voleva più stare con me. Certo, sapevo fin dall'inizio che lui non provava niente, ma speravo che almeno l'attrazione fisica lo potesse tenere legato a me.-
Era il discorso più lungo che le avessi mai sentito fare. Il più lungo e il più sbagliato. Marica ed Alessandro erano stati insieme, poi lui l'aveva lasciata. Ma erano stati insieme. Adesso il comportamento di Marica mi sembrava più normale, ma c'era ancora qualcosa che non mi tornava.
-Ti piace ancora?- le chiesi.
-No, ora ho Edoardo e sono innamorata di lui, però Alessandro è stato il mio primo vero ragazzo, a me piaceva veramente. Una parte di me resterà sempre legata a lui, per questo continuo a volergli bene ed è il mio migliore amico.- concluse.
Non avevo parole, letteralmente. Cosa avrei dovuto dire? Mi dispiace, non lo sapevo? Beh, che non lo sapessi era ovvio, la mia espressione lo diceva chiaramente. E per il fatto che mi dispiacesse non ne ero troppo sicura.
Optai per sembrare scema. -Ho capito.- dissi soltanto. Una scimmia sarebbe stata più eloquente.
Lei tornò a sorridere. -Caterina, lo so che da una parte sei felice che lui mi abbia lasciata, ma prova a guardare la cosa dal mio punto di vista, quando ho saputo di sabato sera mi è sembrato..-
Avevo capito. -Ti è sembrato di rivivere la stessa storia, solo che la protagonista non eri più tu.-
-Esattamente. E ti assicuro che, a parte i primi tempi, non è stata una storia felice. Lui non provava niente per me, lo vedevo. In più Ale non è mai stato il tipo da legarsi ad una ragazza per troppo tempo, ha sempre avuto problemi con le relazioni.- mi spiegò.
-E adesso come fai ad essergli amica?- chiesi davvero interessata alla risposta.
-Era mio amico prima e lo è ancora. Non potevo costringerlo ad amarmi, ma la nostra amicizia è sempre stata vera.- mi disse lei.
-Ti ringrazio per avermi detto queste cose.- le dissi sinceramente. -Ma tra me ed Ale non c'è e non ci sarà mai niente. Per quanto le nostre situazioni possono essere simili, questa volta lui sa benissimo di non provare niente per me e non si vuole incasinare. Non c'è nessun pericolo.-
-E a te va bene così? Puoi essere sua amica comunque?- mi domandò.
-Sì, presto si stancherà e la situazione tornerà come prima.-
-E tu, Caterina, cosa farai? Continuerai ad andargli dietro come un cagnolino anche quando troverà una nuova ragazza da "corteggiare"?-
Non ebbi il tempo di rispondere, perché la campanella suonò e Marica mi disse che doveva andare in bagno prima di rientrare in classe. Prima di andare, però, mi disse: -Rifletti su quello che ti ho detto. Non fare come me.-
Ero sconvolta. Non solo avevo ricevuto più notizie del dovuto in una botta sola, ma mi ero anche sentita un'estranea rispetto a quello che credevo il mio migliore amico: era stato con Marica e non mi aveva detto niente? Sicuramente era successo prima che ci conoscessimo e diventassimo amici, ma in tutto quel tempo non mi aveva detto niente. Né quando ero amica di Marica, né quando facevamo lunghe chiacchierate raccontandoci i nostri segreti, né quando piangevo raccontando le ultime cattiverie subite a causa di quella ragazza. Niente. Neppure un accenno. Ma chi ero io per Alessandro, allora?
Ripensai al ragionamento che avevo fatto su me ed Ale: avevo detto che, logicamente, eravamo amici. In quel momento capii che neppure la nostra amicizia era logica. La non-logica aveva colpito ancora.

Mentre uscivo dall'aula alla fine di quella lunghissima giornata di scuola, Alessandro mi prese per un braccio e mi trascinò di nuovo all'interno di quella stanza infernale che, ormai, si era svuotata.
-Ciao.- mi disse.
-Ehi.-
-Come va?- mi chiese.
-Bene.- risposi cercando di non far trapelare il mio nervosismo. -Tu?-
-Tutto bene.-
Annuii, poi ci fissammo per qualche secondo.
-Cate, cosa voleva oggi Marica?- mi chiese poco dopo. Sentii qualcosa di grosso, pesante e oscuro farsi spazio dentro di me.
-Niente.- mentii evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
-Cate, il tuo niente vuol dire sempre un mucchio di cose. Sii sincera.- mi disse sorridendo e sollevandomi il mento con due dita. Non appena le sue dita entrarono a contatto con la mia pelle, rabbrividii. Di piacere, però.
-Ale, non mi ha detto niente, davvero.- dissi cercando di risultare sincera.
-Non hai la faccia di una a cui non hanno detto niente.-
Cambiai tattica. -Secondo te cosa mi ha detto?-
-Non lo so, altrimenti non te lo chiederei.-
-Prova ad indovinare.-
Sbuffò. -Cate, smettila e dimmi cosa ti ha detto.- disse con tono palesemente scocciato.
Era scocciato, lui?! -Tutto, Alessandro, mi ha detto tutto!-
Per un attimo mi parve quasi disorientato, poi un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi.
-Ah.- fu tutto ciò che disse.
-Già.-
-E perché avrebbe dovuto raccontarlo a te? Non siete più amiche da un pezzo.- mi chiese con un tono di voce più alto.
-Per mettermi in guardia.- risposi semplicemente.
-Da cosa?- domandò.
-Non da cosa. Da chi.-
-Non ti farei mai del male, Caterina. Lo sai!- mi disse quasi urlando.
-L'hai già fatto.- dissi, ma a voce molto bassa, quasi volendo che non mi sentisse. Ma mi sentì.
-No, ti sbagli. Se avessi voluto farti del male, lo avrei già fatto. E potrei fartene anche adesso, se solo volessi. Potrei essere la genesi dei tuoi casini, Cate.- mi sorrise allusivamente, poi continuò. -Ma non voglio, perché ti voglio bene e non voglio che tu stia male.-
Sembrava dannatamente sincero, ma poi ripensai agli ultimi avvemimenti: mi aveva detto che non mi voleva incasinare, di non volermi creare problemi e di non volermi vedere stare male, eppure nel giro di pochi secondi aveva sempre cercato di baciarmi. Per quanto i suoi propositi fossero stati buoni ogni volta, alla fine aveva fatto solo ciò che voleva e si era preso ciò che desiderava, fregandosene di me e dei miei sentimenti. Sembrava dannatamente sincero, certo, ma questa volta non ci sarei dovuta cascare.
-Ma tu lo sei già, Ale. Sei già la genesi dei miei casini da tanto tempo.- gli dissi.
Vidi i suoi occhi accendersi. In pochi passi mi fu di fronte, ma non volevo guardarlo in faccia, quindi puntai i miei occhi sul pavimento. Sentii le sue mani infilarsi delicatamente sotto la mia maglietta per poi massaggiarmi la schiena.
-Allora devo fare il mio lavoro per bene.- mi sussurrò all'orecchio. Poi la sua bocca cominciò a lasciare una scia di baci sul mio collo, su e giù, poi di nuovo su per arrivare al mio orecchio e mordicchiarlo.
-C-cosa?- chiesi già incapace di comprendere le sue parole. Ma dove volevo andare se dopo due moine ero già gelatina tra le sue braccia? Altro che resistere, se avesse continuato così sarei stata io a baciarlo per prima.
-Hai detto che sono già la genesi dei tuoi casini, no? Allora è giusto che faccia il mio lavoro nel migliore dei modi.- mi spiegò lui.
Mi avrebbe sicuramente fatta morire. Senza dubbio.
Le sue mani continuavano a vagare sotto la mia maglietta, questa volta più freneticamente, la sua bocca scendeva lentamente lungo la mia mandibola e non ci voleva molta immaginazione per capire quale fosse la sua meta. Quando la sua lingua tracciò i contorni delle mie labbra e le sue mani cercarono di intrufolarsi posteriormente sotto i miei jeans, sussultai e legai le mie mani dietro al suo collo per stringermi di più a lui. In quel momento logica e non-logica erano a centinaia di chilometri da noi, non mi importava niente di quello che eravamo o non eravamo, persino le parole di Marica si erano rifugiate in un angolo sconosciuto della mia mente.
Schiusi le labbra per la lasciare alla sua lingua libero accesso, ma prima che potessimo approfondire il bacio, qualcuno entrò nella stanza emettendo un colpetto di tosse.
-Scusate se vi interrompo, ma ho dimenticato una cosa.-
Nonostante fossi pervasa da una buona dose di istinto omicida per essere stata interrotta proprio in quel momento, la parte razionale del mio cervello aveva ripreso a funzionare e ringraziava chiunque avesse mandato quell'interruzione.
Mi aveva salvata. Alemeno per quel momento.





Note dell'autrice:

Salve a tutte/i!
Eccomi con un nuovo capitolo. Non è un granché, lo ammetto, ci sono molti dialoghi, spiegazioni e poco Alessandro, ma sono tutte cose necessarie. Spero, comunque, che sia di vostro gradimento. :)

Come sempre, ringrazio le persone speciali che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e che hanno recensito. Vi ringrazio davvero tanto, siete delle creature stupende.

Se volete lasciare una piccola recensione ne sarò felicissima. :)
Alla prossima!
Un bacio,
Jane Ale



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Capitolo 15
*** Tentazione o tentativo? ***


Capitolo 14
Tentazione o tentativo?






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Erano le quattro di pomeriggio e ancora non avevo aperto libro. Dovevo studiare pagine su pagine per il giorno successivo, ma la mia mente non riusciva a concentrarsi. Era passato qualche giorno da quando Marica aveva trovato me ed Alessandro impegnati a cercare di baciarci; mi ero sentita così in imbarazzo quando ci aveva interrotti, ma col senno di poi avevo capito di esserle veramente grata. La odiavo ancora, certo, ma quello che mi aveva raccontato l'aveva resa più normale ai miei occhi e il fatto che avesse impedito alla mia esistenza di incasinarsi più di così non era da sottovalutare. Ed era proprio per quel motivo che, dopo aver cominciato ad accennare un saluto verso Marica, avevo anche cominciato ad evitare Alessandro.
Non sapevo perché lo stessi facendo, forse una vera ragione non c'era, ma ero più che sicura che se l'avessi evitato anche i problemi sarebbero spariti. Ero idiota, sì. Ero un'idiota impaurita a cui piaceva creare problemi e poi scappare. Prima o poi avrei dovuto affrontarlo, era impossibile che Alessandro non volesse chiarimenti sul mio comportamento, già il fatto che mi avesse lasciata sola per qualche giorno era molto strano.
Sbuffai e mi alzai dal letto per costringermi a studiare almeno un po'. Presi il libro di storia e controllai le pagine che dovevo studiare, erano almeno trenta. Cominciai a leggere sottolineando con il lapis i fatti che ritenevo più importanti per cercare di memorizzarli. Ero alla sesta pagina quando mia madre entrò nella mia stanza senza bussare. Menomale avevo un libro davanti.
-Mamma, dovresti bussare.- le dissi.
-Sì, certo tesoro, la prossima volta cercherò di ricordarlo.- mi rispose ironica.
-Che c'è mamma?- le chiesi continuando a fissare il libro per mostrarmi interessata ai compiti.
-Come sta Alessandro?- mi domandò con tono vago mentre si sedeva sul mio letto.
Naturalmente non potei fare a meno di arrossire e far cadere il lapis sentendo il suo nome. La discrezione in persona, ecco cos'ero.
-Bene, perché me lo chiedi?- risposi con finto tono disinteressato.
-L'ho incontrato poco fa in centro, stava andando a comprare una ricarica per il cellulare e mi è sembrato che mi stesse evitando. L'ho chiamato per salutarlo e sentire come stava, gli ho detto che era tanto che non ti veniva a trovare e lo sai cosa mi ha risposto?- Tono vago troppo accentuato. Scossi la testa perché non riuscivo a parlare. Avevo paura di quello che stavo per sentire.
-Mi ha detto: "Lo chieda a sua figlia. A quanto pare sono diventato trasparente." Cosa sta succedendo Caterina?- Adesso il finto tono vago era scomparso, aveva lasciato il posto all'investigatore che viveva dentro il corpo di mia madre.
-Niente.- le risposi secca.
-Non raccontarmi bugie, Cate. Sono tua mamma, lo so quando menti.-
Avevo sempre odiato il fatto che mia madre fosse così legata ad Alessandro, potevo capire che gli fosse grata per essermi sempre stato accanto da quando ci eravamo conosciuti, ma non sopportavo il fatto che lo difendesse senza neppure sapere quello che stava succedendo tra noi. Ero io sua figlia, non lui!
-Se sei mia madre perché prendi le sue parti?- le chiesi acida.
-Non sto prendendo le parti di nessuno, vorrei solo sapere cosa è successo. Non avevo mai sentito Alessandro parlare così. Avete litigato?- mi domandò.
-No.-
-Avete discusso, allora? Ogni tanto è normale avere degli scontri, opinioni contrastanti.-
-No, non abbiamo discusso.-
-Allora cosa è successo? Ti ha tratt..-
Non la feci neppure finire, le parole vennero fuori da sole. -Ci siamo baciati, va bene?- Forse avevo urlato.
Guardai mia madre. -Ah.- fu tutto quello che mi disse.
-Già, proprio "ah", è la risposta giusta mamma.-
-No, tesoro, non volevo offenderti, sono solo..sorpresa, ecco.-
-Non dirlo a me.- le dissi accenando una risatina nervosa.
-Quando è successo?-
-La sera del compleanno di Emanuele. E sarebbe successo anche il giorno successivo e qualche mattina fa, ma gli dei sono intervenuti.- le dissi.
-Gli dei?- mi chiese perplessa.
-Sì, quello stronzo di Zeus e prole.-
-Certo.- mi disse lanciandomi un'occhiata divertita. -E perché Zeus sarebbe uno stronzo?-
-Quale essere maschilista ed incestuoso con una famiglia invidiata anche dai protagonisti di Beautiful non dovrebbe essere definito tale?-

Avevo appena finito di cenare insieme a mia madre e mi ero già seduta alla mia scrivania per continuare a studiare, quando il campanello suonò. Qualche secondo dopo mi sentii chiamare.
-Cate, scendi, è per te.- mi urlò mia madre. Chi cavolo era a quell'ora?
Quando arrivai di fronte alla porta mi bloccai. Ovviamente. La mia vita romanzata seguiva sempre le orme dei grandi classici se non si parlava di happy ending.
-Cosa ci fai qui?- gli chiesi.
-Dobbiamo parlare.- mi rispose secco.
-E non potevi aspettare domattina, Alessandro?-
-No, non potevo, Caterina.- rispose marcando il mio nome come avevo fatto io con il suo.
-Vi lascio soli.- ci disse mia madre.
-Non importa, andiamo a fare un giro.- disse Alessandro prima che potessi rispondere.
-Va bene, state attenti.- disse lei prima di tornare in salotto.
-Chi ti ha detto che voglia venire a fare un giro con te?- gli chiesi arrabbiata.
-Me lo devi, sono giorni che mi eviti.- In effetti...
-Devo studiare.- dissi decisa. Sollevò un sopracciglio. -Va bene, ma devo tornare presto.- acconsentii.
Mi infilai le scarpe, presi una felpa e lo seguii verso la sua auto. Un brivido mi salì lungo la schiena al ricordo dell'ultima volta che eravamo chiusi in quell'abitacolo insieme e deglutii rumorosamente, ma sperai che non se ne accorgesse.
-Allora, di cosa volevi parlarmi?- gli chiesi cercando di sembrare tranquilla.
-Ma non so..sono giorni che mi eviti, se per caso ci troviamo nello stesso posto te ne vai, non mi guardi mai negli occhi, secondo te di cosa voglio parlare? Del tempo?-
Aveva tutte le ragioni del mondo, la mia domanda era stata stupida, il mio comportamento era stato stupido. Insomma ero una scema a giro per il mondo.
-Hai ragione.- dissi flebilmente.
-Puoi spiegarmi il perché di questo tuo comportamento?- mi chiese con un po' più di calma.
Lo fissai alcuni secondi prima di parlare. -Pensavo che se ti avessi evitato sarei stata lontana dai casini per un po'.- ammisi.
-L'hai presa seriamente la storia della "genesi dei tuoi casini", eh?- domandò accennando un sorriso.
Arrossii. -No, cioè non è poi così sbagliata. In fin dei conti le ultime volte in cui siamo rimasti soli ci siamo..insomma non siamo più riusciti a parlare e basta, quindi ho pensato che se mi fossi allontanata non ci saremmo più trovati in quella situazione.- dissi sinceramente.
-In effetti è così. Dunque vuoi continuare ad evitarmi per sempre?- chiese.
-No, però finché non ti passerà questa attrazione cercherò di stare più distante. Per il bene di entrambi.-
-E se non mi passasse?- Sembrava davvero preoccupato, ma non ero sicura che fosse sincero.
-Ti passerà. Guarda la tua cotta per Lilian com'è passata velocemente, qualche settimana fa ti sarebbe sembrato impossibile.- gli dissi.
Non mi rispose subito, per un momento pensai che volesse dirmi che in realtà a lui Lilian piaceva davvero e che io ero solo una meteora, il giocattolo del momento. In effetti lo ero, ma speravo che Lilian, almeno, fosse scomparsa dai suoi pensieri.
-Si, ma solo perché ho capito che non mi importava poi così tanto di lei. Non quanto te almeno.-
A quelle parole morii. La testa mi girava vorticosamente, il cuore batteva così forte che lo sentivo rimbombare negli orecchi, le mani era sudatissime. Lo aveva detto davvero, non me l'ero sognato.
-O-oh!- fu tutto ciò che riuscii a balbettare, ma la sua occhiata strana mi fece riprendere. -Visto? Quindi è solo questione di tempo, ti passerà e così torneremo ad essere amici.- conclusi con un sorriso tirato.
-Ma ti senti quando parli Caterina? Che cavolate stai dicendo? Ti ho appena detto che mi sono accorto di tenere tanto a te, che non so se riuscirò a farcela e tu mi dici che prima o poi mi passerà. Invece no, non smetterò di pensare a te, perché ti voglio!- disse quasi urlando.
Nonostante il mio cervello tentasse di liberarsi per darsi alla fuga, riuscii a rispondere in maniera coerente. -Quello che vuoi è il mio corpo.-
-Può darsi, ma non posso saperlo. Non riesco a capirlo e sicuramente non è allontanandoti che risolveresti il problema.- concluse deciso.
-Quindi, secondo te, l'unica soluzione è provarci?- domandai sentendomi soffocare.
-Esatto.- E lì esplosi.
-Esatto un cazzo, Alessandro! Ora te lo chiedo io, cosa diavolo hai nella testa? Mi stai chiedendo di provare a essere qualcosa più che amici solo per vedere se quella che provi per me è pura attrazione fisica o se, forse, potrebbe esserci qualcosa di più! Te ne rendi conto? Non solo sai che tengo a te come a nessun altro, ma sai benissimo che sono innamorata di te dall'inizio dei tempi, eppure hai il coraggio di chiedermi queste cose. Sei tutto matto!-
Ero quasi orgogliosa di me, gli avevo detto tutto quello che pensavo e non mi ero fatta sottomettere, fin quando mi accorsi di un piccolo e fin troppo rilevante dettaglio: avevo appena ammesso di essermi innamorata di lui! Certo, sapeva di piacermi, ma sicuramente non pensava che fossi a quel livello. Quando me ne accorsi, però, era troppo tardi. Lo guardai e vidi i suoi occhi spalancati per lo stupore.
-Cate..tu sei..-
Non lo lasciai terminare. -Lascia stare Alessandro, ho fatto l'ennesima cazzata. L'avevo detto che non dovevo scendere, perché non mi ascolto mai?-
Scesi velocemente dall'auto imprecando, brontolando e insultandomi come facevo quando ero arrabbiata. Troppo presa dal mio sproloquio non mi accorsi che anche lui era sceso e mi aveva seguita. Mi afferrò per le spalle e mi voltò. Non ebbi il tempo di realizzare perché le sue labbra erano già sulle mie. La mia mente pregò il mio corpo di spingerlo via, di ribellarsi, ma quella volta non lo fece. Anzi, le mie mani si aggrapparono forte alla sua maglietta e lo avvicinarono mentre mi alzavo sulle punte per raggiungerlo meglio. Posò le sue mani sui miei fianchi mentre la sua lingua si faceva spazio nella mia bocca per trovare la mia. Era un bacio vorace, agitato, frenetico. Non c'era niente di romantico, dolce o vagamente pacato nel modo in cui mi trascinò verso la sua auto per farmici appoggiare mentre faceva vagare le sue mani sulla mia pancia sotto la maglietta. Non so per quanto tempo restammo appigliati l'uno all'altra intenti a baciarci con frenesia. Fu lui a staccarsi per primo: appoggiò la sua fronte contro la mia e sussurrò qualcosa, ma non capii subito.
-Cosa?- gli chiesi ancora con il respiro corto.
-Ho detto "proviamoci". Ti prego.- mi disse guardandomi dritta negli occhi.
Non c'erano presupposti a favore di una possibile relazione tra di noi, non c'erano presagi positivi, anzi sembrava che tutto dovesse andare irrimediabilmente male, ma in quel momento non potei fare altro che fregarmene.
Pregai che andasse tutto bene, almeno per quella volta, e feci l'unica cosa che volevo fare.
Annuii.








Note dell'autrice:

Salve a tutti! :)
Inizio col dire che scrivere questo capitolo mi è risultato un po' difficile perché alcuni ricordi facevano male e non sono pienamente soddisfatta di quello che è venuto fuori, ma spero che apprezzerete o che almeno mi farete sapere cosa ne pensate.

Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e, ovviamente, coloro che hanno recensito. Mi rendete sempre così felice e vi ringrazio per essere sempre presenti. <3

Alla prossima!
Un bacione,
Jane

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Capitolo 16
*** Pelle contro pelle ***


Capitolo 15
Pelle contro pelle






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Stavo camminando verso la scuola con passo svelto. Ero così distratta quella mattina che ero già andata a sbattare contro tre o quattro sventurati passanti. Non riuscivo a concentrarmi su niente, persino camminare in linea retta richiedeva troppa attenzione da parte del mio cervello che, da qualche ora, era impegnato a pensare ad altro. Quando arrivai nel cortile dovetti farmi forza per continuare a respirare in modo apparentemente normale, non volevo certo rischiare una crisi respiratoria alla sola vista di Alessandro. Tanto più che niente doveva sembrare diverso. O meglio, dovevamo sembrare solo amici.
Ebbene sì, se c'era una cosa che Ale mi aveva chiesto era quella di mantenere segreto il nostro "tentativo" di relazione, almeno per il momento. Certo, non che la cosa non mi pesasse, però da una parte mi sentivo d'accordo con questa sua scelta, se poi le cose si fossero stabilizzate avremmo avuto tutto il tempo di dirlo ai nostri amici.
Camminai verso il grande portone che conduceva all'interno dell'istituto, ma prima di entrare mi sentii afferrare da dietro e condurre verso il retro dell'edificio. Non avevo bisogno di vedere chi fosse, le sue mani le avrei riconosciute ovunque.
-Bungiorno.- mi sussurrò all'orecchio dopo che mi ebbe appoggiata a sedere su un muretto.
-Buongiorno a te.- risposi sorridendo per poi mordermi le labbra.
-Dormito bene?- mi chiese appoggiando le mani sulle mie cosce mentre il suo viso si avvicinava al mio.
-Benissimo, grazie. E tu?-
-Alla perfezione.- rispose appoggiando le sue labbra sulle mie. -Oggi usciamo.- sussurrò subito dopo.
-Cosa?- domandai troppo distratta dalle sue labbra per ascoltare davvero.
Ridacchiò. -Oggi usciamo. Io e te.-
-Stai cercando di dirmi che abbiamo un appuntamento?- gli chiesi.
-Più o meno.- mi rispose sorridendo.
Risi mentre allacciavo le mie braccia intorno al suo collo. Sentii la sua mano stringere forte la mia gamba un secondo prima che le nostre bocche si incontrassero. Baciare Alessandro era qualcosa di sensazionale, al di là di ogni immaginazione. Non era bello, non era romantico, né dolce; era passionale, ma anche violento e rabbioso. A tratti doloroso, perché portava via un pezzo d'anima. E avvolta com'ero in quel turbine di emozioni, non mi resi conto di aver allacciato le gambe intorno al suo bacino e di stringere fermamente i suoi capelli. Appoggiò le mani sul mio fondoschiena e cominciò ad accarezzarlo prima delicatamente, poi con possessione.
-Mi piace il tuo sedere.- mi sussurrò con il respiro spezzato.
-L'avevo capito.- risposi senza fiato. Accennò un sorriso malizioso prima di riprendere a baciarmi. Questa volta mi ritrovai appoggiata con la schiena al muretto, mentre Alessandro teneva una mano dietro la mia nuca e l'altra nella tasca posteriore dei miei jeans.
Sarei rimasta lì per sempre, se avessi potuto, aggrappata a lui come se fosse stata la mia unica ragion d'essere. Ma la campanella suonò, riportandoci alla realtà. Ci staccammo ansanti e ci guardammo negli occhi.
-Ci vediamo più tardi.- mi disse prima di andare.
-Va bene.- risposi mentre lui si dirigeva verso l'ingresso della scuola.
Lo seguii a debita distanza, vedendo che si era fermato alle macchinette mi diressi a passo svelto verso la nostra classe, fingendo di essere appena arrivata.
-Cate, cosa hai combinato?- quasi strillò Vittoria vedendomi.
-Perché?- le domandai senza capire.
-Sei sconvolta! I tuoi capelli..-
"Merda!", pensai. Non avevo proprio pensato a come dovevo sembrare disperata: i capelli arruffati, le labbra gonfie e arrossate, il respiro corto.
-Ho corso. Credevo di essere in ritardo.- mi giustificai pregando di non arrossire.
-Dovresti portarti un pettine dietro, però.- mi rimproverò la mia amica sorridendo.
-Hai ragione, dovrò metterlo nello zaino.- le dissi mentre mi sedevo al mio banco.
Notai che Roberta era già seduta e mi fissava in silenzio con espressione seria. In quel momento Alessandro fece il suo ingresso insieme a Giovanni. I nostri sguardi si incontrarono: le sue labbra si incurvarono in un sorriso malizioso, mentre il mio viso (e non solo quello!) prendeva letteralmente fuoco. Distolsi lo sguardo velocemente prima di morire per autocombustione. Quel ragazzo mi avrebbe uccisa, ne ero sempre più sicura.
Quando il professore entrò in classe mi voltai verso Roberta: sul suo volto era stampata un'espressione che somigliava a quella dei cattivi Disney. Era un sogghigno che poteva voler dire una cosa soltanto.
Roberta aveva capito tutto.

-Ragazze vi raggiungo alle macchinette, vado in bagno.- dissi a Vittoria ed Isa quando suonò la campanella della ricreazione.
-Va bene.- mi risposero.  
Camminai verso il bagno delle femmine che si trovava al nostro piano ed entrai. Prima di me c'erano due ragazze ad attendere, forse riuscivo a non passare tutto l'intervallo in quel luogo sporco e puzzolente come spesso accadeva. Sentii la porta del bagno aprirsi alle mie spalle, ma prima che mi potessi girare una voce a me familiare parlò.
-Ti ho trovata!- mi disse.
-Roby! Tutto bene?- le chiesi forzando un sorriso per non far trasparire la mia ansia.
-Benissimo.- Mi stava squadrando con un felino squadra la sua preda prima di attaccare. -Allora? Hai corso parecchio stamani, eh? Te l'ho sempre detto che devi svegliarti prima.- mi disse sorridendo allusiva.
Questo era la tecnica di Roberta: ti metteva sotto pressione fino a quando non confessavi ciò che lei già sapeva, ma che tu non avevi voluto dirle. E funzionò anche quella volta.
Sbuffai. -Smettila Roby, tanto lo so che hai capito.-
Scoppiò a ridere. -Dovevi vedere la tua faccia quando sei entrata in classe questa mattina. Sembrava tu avessi acceso un'insegna sulla tua fronte: pomiciata esaustiva della mattina. Per non parlare dello sguardo ti-spoglierei-qui-ed-ora di Alessandro! Molto discreti.-
-Vaff..-
-Eh no, Cate! Sai che ho ragione.- mi interruppe ridendo prima che potessi mandarla in quel posto ove il sole non sorge mai.
-Va bene.- mi arresi. -Hai vinto, Jessica Fletcher.- le dissi rivolgendole un'occhiata di fuoco.
-Non guardarmi così! Se fossi stata informata non avrei dovuto indagare.-
-Non potevo dirti niente.-
-Che significa che non potevi dirmi niente? Sono la tua migliore amica.- disse indignata.
-Lo so. Alessandro ha voluto che promettessi di non dire niente, vuole che la cosa rimanga segreta. Almeno per ora.- le confessai. Solo dopo aver pronunciato quelle parole mi resi conto di quanto fossero stupide in realtà. E anche Roberta pareva pensarla allo stesso modo dall'occhiata che mi rivolse.
-Davvero?- fu tutto quello che mi chiese.
-Sì, davvero.-
-Intendevo, davvero ti fai trattare come un cagnolino?- mi chiese glaciale.
-Non mi faccio trattare come un cagnolino. Forse ha ragione, prima è meglio vedere come va, no?- tentai di giustificarmi.
-Certo, come no. E nel caso in cui non dovesse funzionare, nessuno saprebbe niente. Grande idea, un modo perfetto per cominciare una relazione con quella che è la tua migliore amica!- disse quasi urlando. Era arrabbiata e aveva ragione, ma in quel momento non l'avrei ammesso. Probabilmente non l'avrei mai ammesso, almeno finché fossi stata sotto l'incantesimo di Alessandro. Ero innamorata di lui, mi fidavo di lui, lo volevo, non avrei permesso che degli stupidi sospetti rovinassero tutto. Per questo feci la cosa più stupida.
-Perché tu ed Emanuele non state facendo la stessa cosa, eh?- le domandai acida.
-Cosa vorresti dire?- mi chiese sorpresa.
-Non avete detto a nessuno che state uscendo insieme, non è così? Quindi non venirmi a fare la predica perché anche tu sei il suo cagnolino.-
-N-non è vero.- mi disse, ma non era convinta nemmeno lei.
Ero una stronza, sì. Sapevo quanto fosse stato difficile per Roberta affrontare l'attrazione per Emanuele e quanto tempo ci avesse messo per decidere di dargli una possibilità, eppure in quel momento volevo solo attaccarla come aveva fatto con me.
-Ma smettila! Non riesci nememno a negare con convinzione.-
-Vaffanculo Caterina!- mi gridò prima di uscire come un razzo dal bagno.

-Tutto bene?- mi chiese Alessandro quando salii sulla sua auto quel pomeriggio.
Annuii. -Tu?-
-Tutto bene. Cate, cos'hai?- mi domandò per niente soddisfatto.
-Ho avuto una discussione con Roberta.- gli dissi.
-Ah! E perché?-
-Dice che mi comporto in maniera strana e non le piace.- Mezza verità.
-Magari è un periodo in cui è più nervosa. Vedrai che risolverete tutto.- mi disse per rassicurarmi.
Dopo qualche minuto Alessandro si fermò vicino a un campo di girasoli. Eravamo usciti dal centro e ci trovavamo in mezzo al niente. Mi chiesi perché ogni volta che uscivamo Ale dovesse scegliere dei posti in cui non c'era nessuno e dove nessuno potesse vederci. Ripensai al discorso avuto con Roberta quella mattina e per un attimo un'idea spaventosa si accese nella mia testa: Alessandro non voleva farsi vedere con me, si stava nascondendo da chiunque potesse vederci!
-Tu ti vergogni di me!- dissi ad alta voce.
Lui si voltò verso di me sgranando gli occhi. -Ma cosa stai dicendo?-
-Tu non vuoi che gli altri ci vedano o sappiano di noi perché ti vergogni. Sono una deficiente!-
-Caterina, sei impazzita?- mi chiese incredulo.
-No, sei tu quello pazzo se pensi che accetterò una cosa del genere. Come ho fatto a non capirlo prima?- urlai mentre scendevo dalla macchina per dirigermi verso il campo poco distante.
Qualche secondo dopo mi aveva già afferrata per un polso, ma io tentavo comunque di camminare.
-Mi spieghi cosa cavolo stai dicendo?- mi domandò aumentando la presa per non farmi scappare.
-Sto dicendo che mi stai prendendo per il culo! Perché mi porti sempre in posti isolati dal mondo? Perché ti nascondi? Perché non vuoi che nessuno sappia che stiamo uscendo insieme? Te lo dico io, perché ti vergogni di me. Stai solo aspettando di poter combinare qualcosa con me per poi mollarmi e tornare ad essere amici come se non fosse successo niente. In fondo se nessuno ne è conoscenza è come se non fosse davvero successo niente, no?- Stavo urlando e gesticolando come una pazza psicopatica, ma non me ne importava molto, in quel luogo dimenticato da Dio non avrei dato fastidio a nessuno.
-No. Non è così.- fu tutto quello che mi disse.
-Ah no? E com'è allora, Alessandro?- chiesi acida.
-Giovanni mi ha detto di non fare il coglione con te.-
-Giovanni? Cosa c'entra adesso?- domandai un po' confusa.
Sbuffò. -Giovanni mi ha messo in guardia, non vuole che ti faccia soffrire e ha paura che mi comporti come un coglione.-
-E allora perché non ascolti il suo consiglio?- chiesi tagliente.
-Lo ascolto, invece! Ma non voglio che tutti sappiano che ci stiamo provando, non voglio sentirmi dare del coglione ogni giorno. Ti voglio bene, ci stiamo provando, ma vorrei che fosse un tentativo nostro, non mio, non tuo, non dei nostri amici. Nostro.-
Quel "nostro" suonava fin troppo bene sulle sue labbra e rischiava di farmi perdere tutta la convinzione che ero riuscita a trovare. Sentivo il mio stomaco contorcersi dall'emozione, ma lo ignorai.
-Dovresti fregartene di quello che dicono gli altri. Lo hai sempre fatto, questo caso non è diverso.- dissi cercando di sembrare fredda.
-Lo è invece, perché tu sei tu ed è più complicato.- Lo guardai storto e lui continuò per spiegarsi. -È più complicato perché tengo a te in modo particolare. Poi se Giovanni sapesse che con Ema..- si interruppe di colpo.
-Che con Ema cosa?- chiesi.
Sembrò un po' indeciso su cosa dire. -Che con Ema abbiamo sempre cercato di evitare le relazioni. Penserebbe che ti stia prendendo in giro.- mi disse. Avrei giurato che non fosse quello che voleva realmente dire, ma lasciai perdere.
-Beh anch'io l'ho pensato.- ammisi.
-Non è così. Te lo gi-..prometto.- mi disse.
-Cosa c'è, Ale? Hai paura dei giuramenti?- chiesi sorridendo.
-Ho paura di cosa potrebbe succedere se giuro.- disse parlando con voce bassissima.
Lasciai cadere l'armatura che mi ero costruita e mi avvicinai prendendogli il viso tra le mani.
-Non succederebbe niente.-
-Potresti andartene.- sussurrò guardandomi negli occhi con un'espressione sofferente.
-Non ti lascerei mai!- gli dissi e avvicinai le mie labbra alle sue lasciando che si sfiorassero.
-Caterina, dimmi che rimarremo per sempre noi, nonostante quello che potrebbe succedere.- mi pregò.
-Rimarremo per sempre noi. Nonostante tutto, Ale.- e lo baciai.
Mi prese per i fianchi e mi sollevò mentre le mie gambe andavano ad allacciarsi intorno ai suoi fianchi. Le nostre lingue si rincorrevano, si incontravano, si intrecciavano, ma quella volta sembravano non avere fretta. Se fino a quel momento tra noi era sempre stato tutto passionale e frenetico, quel pomeriggio il tempo si era fermato e noi non sentivamo il bisogno di rincorrerci. Ci baciavamo con lentezza e dolcezza, ci baciavamo come mai era successo prima.
Rimasi incatenata nel mondo parallelo fatto di baci e carezze finché le mani di Alessandro afferrarono la mia maglietta per toglierla. Non mi opposi quando la stese a terra e mi ci fece distendere sopra, non mi opposi quando cominciò a lasciare una scia di baci sul mio collo, sul mio seno, sulla mia pancia per poi fermarsi subito sopra i miei jeans. Trattenni il fiato e lo guardai.
-Non aver paura.- mi sussurrò. -Non voglio farti niente. Voglio solo sentire la tua pelle contro la mia.-
Sentii il suo respiro infrangersi sulla mia pancia e rabbrividii. Raccolsi tutto il coraggio che avevo e cominciai a togliere la sua maglia. Guardai le sue spalle, le sue braccia e il suo petto, li accarezzai lentamente e poi lo tirai verso di me per riprendere a baciarlo.
Non so quanto tempo rimanemmo a baciarci ed accarezzarci distesi vicino a quel campo. Fu solo quando ci alzammo, mentre il sole stava tramontando, che mi accorsi che quel giorno non avevo sentito solo la sua pelle contro la mia, erano le nostre anime che si erano incontrate.
Non era più questione di pelle contro pelle, carne contro carne.
Quel giorno ebbi la conferma che Alessandro mi era entrato dentro, sotto la pelle.
Ed io non sapevo più come salvarmi.







Note dell'autrice:

Salve a tutti!
Eccomi con un nuovo capitolo che spero sia di vostro gradimento. Dunque, tanto per cominciare devo ammettere che questo capitolo possiede un alto tasso di dolcezza, fin troppo direi. Ma non c'è da preoccuparsi, dove c'è un massimo c'è sempre anche un minimo, quindi a questa bomba di dolcezza seguiranno sicuramente momenti duri. Per ora, però, godiamoci questo momento di calma tra i due protagonisti prima che i segreti vengano a galla...ma adesso basta, ho detto fin troppo! :D

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito "Frammenti" tra le seguite/ricordate/preferite, siete sempre di più e mi rendete veramente felice. *_* Un grazie enorme va anche a tutte le persone che hanno recensito i capitoli precedenti, siete delle creature favolose. :)

Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!
Un bacione,
Jane

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Capitolo 17
*** Ogni cosa è illuminata, o forse no ***


Capitolo 16
Ogni cosa è illuminata, o forse no






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Il fatto che non parlassi da una settimana con la mia migliore amica mi rendeva nervosa. E mi rendeva ancora più nervosa sapere di essere stata una stronza di prima categoria nei suoi confronti. Non che volessi ritirare ciò che avevo detto, in fondo pensavo davvero che Emanuele stesse facendo lo stronzo nei suoi confronti e che lei accettasse il tutto in silenzio, ma non avrei mai dovuto sputarle addosso tutto quel veleno. Soprattutto nella mia situazione. Infatti il mio rapporto con Alessandro era esattamente lo stesso da quando avevamo deciso di nascondere gli ultimi cambiamenti nella nostra amicizia, ovvero ci vedevamo di nascosto, ci appartavamo in ogni momento libero, esploravamo posti distanti chilometri dalla nostra città e, soprattutto, ci baciavamo. Tanto.
Nonostante questo piccolo particolare, però, agli occhi di tutti continuavamo ad essere Cate ed Ale, migliori amici da una vita che litigavano per ogni cavolata. Certo, non che fosse possibile litigare seriamente quando Ale mi lanciava occhiate maliziose che intendevano l'esatto opposto di quello che stava dicendo in quel momento. Al di là di tutto il teatrino che mettevamo in scena ogni giorno, credevo di essere relativamente felice, se non si teneva conto del fatto che non ero sicura di avere ancora una migliore amica.
Era giovedì quando entrai in classe e trovai i miei amici intenti a parlare tra di loro.
-Che c'è di nuovo?- chiesi distrattamente.
-Cate, non ti ricordi? Domani sera riaprirà il Run It, è più di un mese che ne parliamo!- mi rimproverò Isa incredula.
-Già, mi ero scordata.-
-Hai la testa tra le nuvole, biondina?-
E questa non era una provocazione bella e buona?
-No, assolutamente.- risposi cercando di sembrare dignitosa.
-E io che pensavo che ci fosse qualcosa che ti ditraesse..- continuò lui.
-Ti sei sbagliato, Alessandro.- dissi distogliendo lo sguardo per non arrossire alla mia bugia.
Come se non fosse conscio di quanto la sua presenza mi destabilizzasse. O, forse, lo era fin troppo e utilizzava il tutto a suo vantaggio per mettermi in imbarazzo. Sì, decisamente la seconda opzione.
-Allora? Verrai, giusto?- mi chiese Vittoria.
-Certo, non mi perderei mai una serata al Run It.- dissi con una lieve sfumatura ironica.
Il Run It era una sottospecie di locale alternativo, uno di quei pochi in posti in cui si potesse ascoltare musica rock e in cui si potessero avere bevute a basso prezzo. Il luogo perfetto per passare il venerdì sera con gli amici, se non fosse stato per il permanente puzzo di fumo e di sudore che albergava all'interno del locale da qualche anno (nonostante le varie chiusure a cui era stato obbligato per mancanza di licenze). Il mio habitat naturale, insomma!
-Smettila di fare la difficile.- mi liquidò Vittoria. -Domani sera Run It, nessuna obiezione. Giusto Roby?-
Ed eccolo lì il mio tasto dolente: potevo cercare di ignorarla quanto volevo, ma Roberta esisteva, mi mancava e faceva ancora parte del mio gruppo di amici. Sebbene tutti avessero notato il gelo tra di noi, nessuno aveva avuto il coraggio di tirare fuori l'argomento, motivo per cui tutto si svolgeva come se niente fosse.
-Oh certo.- rispose lei sbuffando e andando a sedersi al suo posto (che aveva accuratamente cambiato per non avermi vicina). Ebbene, tutto si svolgeva quasi come se niente fosse.

Venerdì sera, ore 23:17. Ero in ritardo, Alessandro era in ritardo, eravamo in ritardo e non era difficile immaginare il perché.
-Ok, Ale, adesso basta davvero.- dissi respirando a fatica e cercando di togliermelo di dosso.
-Altri cinque minuti, solo cinque. Nessuno brontolerà per cinque minuti in più.- mi pregò lui prima di tornare a baciare il mio collo.
-No, nessuno brontolerà per cinque minuti, ma venti sono abbastanza per scatenare una discussione. La prossima volta non proporre passaggi agli altri se hai intenzione di non rispettare l'impegno.- lo brontolai, ma la mia protesta svanì nel momento in cui una sua mano arpionò il mio fondoschiena con veemenza.
-Cinque minuti.- concessi.
Inutile dire che Emanuele, infuriato, chiamò Alessandro qualche secondo più tardi, chiedendo quale catastrofe si fosse presentata per non permettergli neppure di avvertire. Così fummo costretti ad interrompere il nostro impegno per passare a prendere Ema ed Isa, mentre Giovanni avrebbe dato un passaggio a Roberta e Vittoria.
Arrivammo al Run It alle 23:57, con ben ventisette minuti di ritardo rispetto all'ora stabilita con Giovanni e senza aver fornito una spiegazione soddisfacente ad Emanuele che si ostinava a tenere il muso ad Ale.
-Ema, è colpa mia.- dissi per placare la sua ira. -Non avevo visto l'ora, ero ancora in pigiama. Ale ha solo dovuto attendere che fossi pronta.-
-E non potevate avvertire?- chiese.
-Ehm..si, scusa, ci è proprio passato.- e non potei trattenermi dall'arrossire.
Emanuele mi fissò per qualche secondo, poi, imprevedibilmente sorrise sornione. -Vi perdono.- disse. Poi si avvicinò al mio orecchio: -Ma solo perché sono un vero amico e non interromperei quello che stavate facendo.- e mi strizzò l'occhio.
Scherzava, vero? Non poteva pensare che io ed Ale stessimo...beh, di certo qualcosa aveva capito, ma non volevo dargli nessuna conferma.
-Tu sei tutto scemo, Ema.- risposi vaga, ma senza guardarlo negli occhi. -Entriamo, va'!-
Come prevedibile, il Run It era pieno di gente, come era logico che fosse il giorno dell'ennesima apertura. Ci dirigemmo subito al bar per salutare colui che, dopo innumerevoli bevute, era diventato nostro amico.
-Tommy!- lo chiamai.
-Bionda! Che sorpresa, non mi aspettavo proprio di vederti qui stasera.- mi salutò ridacchiando.
-Non sei divertente.-
-Ma dai.. Ormai sei di casa. Allora, come va ragazzi?-
-Bene, ma potrebbe andare meglio se tu mi preparassi subito il tuo magnifico Invisibile.- disse Emanuele impaziente.
-Certo, fammi vedere lo scontrino.- gli disse Tommy.
-Stai scherzando?- quasi urlò imploante Ema. -Tom, non puoi farmi questo.-
Scoppiammo tutti a ridere. -Solo perché siete voi.- acconsentì Tommy prima di cominciare a preparare i cocktails da noi richiesti. Presi il mio Caipirinha e lo buttai giù velocemente, poi mi diressi verso il divanetto su cui si era seduta Roberta. Pregai che l'alcol provvedesse velocemente a rifornirmi di una buona dose di coraggio, poi le chiesi: -Roby, posso parlarti?-.
Mi guardò qualche secondo, poi annuì. Si alzò e ci dirigemmo verso l'uscita per poterci sentire meglio.
Presi fiato e poi parlai: -Mi dispiace, sono una stronza.- La vidi spalancare gli occhi per la sorpresa, ma continuai. -Non avrei dovuto dirti quelle cose. So che volevi mettermi in guardia e tutto, so che lo fai per il mio bene, ma mi sono sentita come una bambina che viene sgridata per ciò che fa, come se gli altri sapessero ciò che è univocamente giusto da fare. Nonostante questo, però, non dovevo neppure pensare ciò che ti ho detto e ti chiedo scusa.-
Avevo ingoiato tutto l'orgoglio che avevo per recuperare il rapporto con Roberta, perché lei valeva più di qualsiasi principio, regola o codice che il mio cervello aveva elaborato.
-Va bene, accetto le tue scuse.- mi disse.
-Tutto qui?- le chiesi. In fin dei conti avevo fatto un discorso fenomenale.
Lei scoppiò a ridere. -Certo che non cambi mai! Accetto le tue scuse, ti perdono e prometto che non ti giudicherò più per le tue scelte. Ognuno deve decidere cosa fare della propria vita e gli amici non giudicano. Quindi scusami anche tu.-
-Scuse accettate.- le dissi. -Posso abbracciarti?-
-Ovvio che no!-
Scoppiammo a ridere e tornammo dagli altri che ci aspettavano ad un tavolino. Fu subito chiaro che i rapporti tra me e Roby erano tornati quelli di una volta, così bevemmo un altro cocktail prima di correre a ballare tutti insieme.

Quando Ale si fermò sotto casa mia, non riuscivo a smettere di ridere. Era più di un'ora che ridevo senza un motivo: non potevo dare la colpa all'alcol, ma ero sicura che i due Gin Tonic dopo la Caipirinha avessero eseguito il loro lavoro. Tutti i miei neuroni buttati nella spazzatura.
-Allora, mi vuoi spiegare perché ridi?- mi chise Ale voltandosi verso di me.
-Perché sei bello.- gli dissi senza un motivo specifico.
-Quindi la mia bellezza ultramondana ti provoca un riso irrefrenabile?-
-Sì, quello che hai detto.- risposi cercando di placare le risate.
-Quindi ammetti di essere colpita dalla mia bellezza?- chiese, questa volta accennando un sorriso malizioso. Le mie risate cessarono di colpo. Non era più il momento di scherzare.
-Naaa.. Era una battuta.- lo provocai.
-Ah si? E allora perché ogni tanto ti trovo imbambolata a fissarmi?-
E in quel momento mi sentii come se un individuo fosse uscito improvvisamente dai sedili posteriori gridando "BUSTED!", con un cartellone luminoso tra le mani.
-Ma cosa dici? Io non ti fisso. Che presutuoso, guarda te che gente devo frequentare!- blaterai indignata evitando accuratamente di guardarlo. Quando mi voltai, però, lo trovai incredibilmente vicino.
-Che c'è?- mi chiese con quel suo solito sorriso.
-Stai invadendo il mio spazio vitale.- gli dissi cercando di essere convincente.
Rise. -Da quando hai uno spazio vitale? Non mi pareva che esistesse qualche ora fa, prima che Emanuele ci interrompesse..- e si avvicinò ancora.
-Beh, adesso c'è. Lo vedi? Devi allontanarti, devo respi..- ma non mi fu concesso di concludere la frase, perché la sua bocca era già sulla mia. E arrivederci allo spazio vitale, all'aria da respirare e all'imbarazzo. Ogni benedetta volta che ci baciavamo era la stessa storia: mi scioglievo tra le sue mani, sembravo una bambolina, smettevo quasi di pensare e le mie funzioni vitali continuavano ad operare per inerzia. Era disarmante, pensandoci bene: come potevo permettergli di vedermi così vulnerabile? Era estremamente pericoloso considerando la persona che avevo davanti. Ma non me ne fregava un bel niente. Almeno in quel momento.
E, per la cronaca, non mi importava nemmeno che la sua mano destra stesse lentamente oltrepassando la soglia dei miei slip. In realtà non mi ero nemmeno accorta che si era intrufolata al di sotto dei pantaloni, porca miseria! Ma, come ho già detto, quella sera non mi importava. Avevo paura, una fottutissima paura di abbandonarmi a lui, di dargli realmente fiducia, perché in un piccolo angolo della mia mente conservavo ancora il ricordo di tutte le sofferenze che Ale mi aveva inflitto nel tempo; il mio cervello, o quel che ne restava, però, eclissò quel piccolo angolo e decise che questa volta sarebbe andato tutto bene.
Per questo, ancora oggi, dubito fortemente del mio cervello.

Il mattino seguente mi svegliai per miracolo. Non so chi mi aiutò a dirigermi a scuola quel sabato mattina, ma alle sette e trenta, con ben mezz'ora di anticipo, mi trovavo di fronte a quel cavolo di edificio. Salii le scale con la velocità di un bradipo e mi avviai verso la mia classe. Sentii delle risate provenire dalla stanza e qualche urletto, che riconobbi essere di Roberta. Mi avvicinai lentamente e capii che Roby ed Ema erano arrivati a scuola in anticipo e stavano approfittando di quel tempo come avevamo fatto io ed Ale la sera precedente. Risi silenziosamente e feci per andare alla macchinette, quando un loro discorso attirò la mia attenzione.
-Ema, non me ne frega niente se mi giuri fedeltà, se oserai tradirmi quando sarete a Londra, giuro che ti taglierò le palle!- Sarete a Londra?
-
Roberta, te l'ho già spiegato: si tratta di un regalo di compleanno per Ale, così rivede la sua Lilian e torna ad essere rilassato e meno rompicoglioni di adesso. Quindi vedi di tranquillizarti, non ho intenzione di tradirti.- le disse lui. La sua Lilian?
-E non ti sembra scorretto nei confronti di Caterina? Odio non poterle dire niente, è pur sempre la mia migliore amica. Dovrebbe venire a saperlo, anche se Ale non vuole.-
-Ma ti sembra il caso? In fin dei conti quella tra Ale e Cate è solo un'amicizia degenerata, ecco. Lo sa anche lei che Ale ha perso la testa per Lilian da un po'.-
-No, Ema, ascolta, non so cosa ti ha raccontato Alessandro, ma le cose tra di loro si sono fatte serie.- disse Roby.
-Fino a ieri sera Ale mi ha garantito di essere single. Fidati, se avesse voluto annullare il viaggio, me lo avrebbe detto.-
Vuoto. Ecco tutto ciò che riuscivo a percepire. Credete che le grandi esplosioni della storia facciano rumore? Allora non avete mai sentito il boato silenzioso delle implosioni.
Mi accasciai a sedere sul pavimento. Un vortice di parole cominciò a ronzare nella mia testa: Ale.. Lilian.. Londra.. Roby sapeva tutto.. Ema.. Amicizia degenerata.. Single..
E poi collegai tutto.
-È più complicato perché tengo a te in modo particolare. Poi se Giovanni sapesse che con Ema..- si interruppe di colpo.
-Che con Ema cosa?- chiesi.
Sembrò un po' indeciso su cosa dire. -Che con Ema abbiamo sempre cercato di evitare le relazioni. Penserebbe che ti stia prendendo in giro.- mi disse. Avrei giurato che non fosse quello che voleva realmente dire, ma lasciai perdere.
Invece non avrei dovuto lasciar perdere, il mio istinto ci aveva visto bene.
-Caterina, dimmi che rimarremo per sempre noi, nonostante quello che potrebbe succedere.- mi pregò.
Ogni cosa è illuminata. Ebbene sì, Jonathan Safran Foer non avrebbe potuto trovare espressione migliore, perché in quel momento ogni cosa era davvero illuminata ed io avevo tutto chiaro.
Chiaro, prima che la mia mente si oscurasse e io vomitassi quel poco di colazione che ero riuscita a mangiare.






Note dell'autrice:

Salve a tutti! :)
Non so da dove cominciare. Chiedere scusa per l'enorme ritardo mi sembra riduttivo, quindi vi imploro...perdonatemi. Non ho perso l'ispirazione, non ho perso la voglia, ma la mancanza di tempo dovuta un po' allo studio, un po' ad altri problemi, non ha certamente aiutato. Quindi, scusate.

Come avevo preannunciato, i periodi "rose e fiori" hanno breve durata. Non importa che vi dica la rabbia che ho provato nello scrivere questo capitolo... Alessandro avrebbe potuto beccarsi qualche schiaffo se si fosse trovato al mio fianco!

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito "Frammenti" tra le seguite/ricordate/preferite, mi rendete veramente felice. *_* Un grazie enorme va anche a tutte le persone che hanno continuato ad aspettare, nonostante il mio ritardo.

Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. Ne sarei molto felice.
Alla prossima!
Un bacione,
Jane

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Capitolo 18
*** Tutto sbagliato ***


Capitolo 17
Tutto sbagliato
 
 


               
A distanza di un bel po’ di tempo, devo confessare, che quello fu il momento in cui la mia innocenza decise di andare a farsi benedire. E no, non il momento in cui persi la mia verginità, ma quello in cui scoprii la verità su Alessandro.
Ero stata una sciocca: avevo permesso ai miei sentimenti di prendere il sopravvento sulla mia razionalità, non permettendo ai miei occhi di vedere ciò che mi circondava, ossia menzogna e cattiveria. Sì, ero delusa, ferita, devastata, ma, sopra a ogni cosa, ero incazzata. Potevo perdonare al mio cuore di aver fatto la scelta sbagliata, ma non avrei mai perdonato ad Alessandro il fatto di avermi utilizzata come una bambola.
Di una cosa ero certa, l’avrebbe pagata.
 
Chiamai il bidello e gli chiesi di ripulire per terra. Che figura, avevo persino rimesso la colazione nel mezzo del corridoio! Andai in bagno a sciacquarmi e ripulirmi, poi tornai verso l’aula che si era, nel frattempo, riempita. Salutai i miei amici con il sorriso più falso che riuscii a produrre, ignorai Alessandro e mi sedetti al mio banco. Sapevo di aver attirato la loro attenzione, non poteva sfuggirgli il fatto che non mi fossi unita al gruppo per le solite chiacchiere mattutine, ma, soprattutto, non poteva sfuggire a nessuno all’interno di quella classe che Caterina avesse reso Alessandro completamente invisibile.
Le ore di lezione passarono in relativa tranquillità, durante l’intervallo mi rintanai in bagno per evitare qualsiasi contatto, mentre all’uscita mi affrettai a prendere il primo autobus che passava. Mi stavo comportando da stronza e ne ero perfettamente consapevole, stavo evitando tutti i miei amici, anche coloro che non avevano colpe. A dirla tutta, la colpa era di uno solo, se si escludeva il fatto che Emanuele appoggiasse il suo migliore amico per una questione di lealtà (o, forse, era veramente un deficiente!) e che Roberta avesse, momentaneamente, messo il cervello in standby a causa del suo nuovo ragazzo. Ebbene sì, queste erano le spiegazioni che avevo trovato per giustificare il comportamento di quei due che, fino a quella mattina, avevo reputato essere miei amici. Non ce l’avevo con loro, ma, prima o poi, avremmo fatto i conti.
Quando arrivai davanti al portone di casa, però, la mia decisione e la mia voglia di vendetta vennero sostituite dalla paura: Alessandro se ne stava appoggiato al suo motorino in attesa, senza dubbio, del mio arrivo. Di cosa avevo paura? Avrei potuto rispondere del confronto, della discussione, della perdita, ma, in realtà, sapevo benissimo che la mia più grande paura era la verità. Una piccola parte di me sperava ancora che le parole sentite quella mattina fossero un’enorme bugia, ma la grande parte sapeva, invece, che quella volta la speranza non sarebbe servita a niente. Mentre percorrevo gli ultimi metri che mi dividevano da lui un pensiero mi attraversò la mente: “Da adesso niente sarà più come prima. La tua vita cambierà, Caterina, e dovrai accettarlo.” Era vero, avrei dovuto rivoluzionare ogni cosa, probabilmente non ero neppure pronta, ma quella volta non volevo tirarmi indietro.
-Alessandro.- lo salutai freddamente.
-Caterina.- mi rispose lui.
-Cosa vuoi?- gli domandai.
Mi guardò furioso. –Cosa voglio io?? Cosa vuoi tu, piuttosto. O, magari, dovrei chiederti che cosa ti passa per la testa! Stamani sembravi impazzita, non parlavi con nessuno, evitavi chiunque tentasse di avvicinarsi, soprattutto me. Cosa ti è preso, cazzo?-
Mi ritrovai a pregare di avere il coraggio di essere una stronza. Poi parlai: -So tutto.-
Non capì. –Tutto? Ma che stai dicendo?-
-Alessandro, so tutto: Lilian, Londra, il viaggio con Emanuele. Tutto.-
Vidi le sue pupille dilatarsi per lo stupore, aprì la bocca e poi la richiuse. Era confuso, non sapeva cosa dire.
-Tranquillo, non serve che tu dica niente. O forse sì, una cosa voglio saperla: come cazzo hai fatto a convivere con te stesso fino ad ora? Che di me non ti importasse niente posso capirlo, ma che la tua coscienza non ti abbia torturato neppure un po’, stento a crederlo.-
-Non è come credi. Io ci tengo a te. Non volevo che lo sapessi in questo modo, te lo avrei detto.- mi disse.
Parole, parole, parole…
-Quando? La sera prima della partenza? Non stiamo qui a raccontarci storie, Alessandro. Tu non mi avresti detto niente, avevi solo bisogno di qualcuno con cui svagarti prima di partire per andare dalla tua cara Lilian. Pensi che non abbia saputo fin dall’inizio che fossi innamorato di lei? Pensi che non stessi male ogni volta che ti vedevo guardarla in quel modo? Pensi che non sia morta quando mi sono accorta che, invece, tu non mi hai mai guardata così? E non negare. Perché ho accettato di averti così, a metà, dandoti tutta me stessa senza ricevere niente in cambio, nella speranza che mi concedessi un briciolo di rispetto. Perché ho pensato che, almeno come amica, mi volessi bene. Ma no, tu non conosci vie di mezzo: tutto o niente, o ami o distruggi.- Ero riuscita a sputargli tutto quel discorso in faccia senza scoppiare a piangere, dovevo essere fiera di come mi ero comportata, ma volevo solo scomparire dalla faccia della Terra.
-No, tu non capisci.- Feci per interromperlo, ma continuò. –Non è così, io tengo a te in un modo che va oltre ogni immaginazione, non lo so descrivere. Avevo prenotato il viaggio con Ema per festeggiare il mio compleanno, ma è successo prima…di noi. Te l’avrei detto, te lo giuro. E avrei buttato tutto all’aria per te.- mi disse quasi urlando.
-Ma non l’hai fatto. Sono i gesti che contano, Alessandro, non le parole. Me l’hai insegnato tu, ricordi?-
Qualche anno prima Alessandro aveva letto Il Piccolo Principe e ne era rimasto affascinato, per mesi non aveva fatto altro che parlarmene. Alla fine lo avevo letto anch’io. Un pomeriggio decidemmo di leggerlo insieme, ma, come succede spesso alla seconda lettura, una frase mi fulminò: “Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole.” Da quel momento capii che, molto spesso, non conta ciò che una persona dice, ma come decide di agire. E Alessandro aveva scelto di fare la cosa sbagliata.
-Cate, non andare, ti prego..- sembrava quasi una preghiera.
-Mi dispiace, non ho voluto io tutto questo.- gli risposi glaciale.
-Mi avevi promesso che saresti rimasta, sempre.-
-Ma non ho mai promesso di intraprendere una missione suicida, Alessandro. Ti avrei dato tutto, ma non posso sacrificare me stessa, la mia dignità..-
-Dignità? Tu mi lasci per dignità?- mi chiese infuriato.
-No, Alessandro, io non ti sto lasciando, perché, in realtà, noi non siamo mai stati insieme. E no, non si tratta di dignità, si tratta di star bene con se stessi. Come posso pretendere che gli altri mi rispettino, se io per prima non rispetto me stessa? Questo è il motivo per cui le cose sono andate male tra di noi, perché io mi sono annullata per te!- e questa voltai gridai anch’io.
-Quindi finisce così?- mi domandò. –Dovrei far finta che tutto quello che abbiamo passato non sia mai esistito?-
-Fai come vuoi.-
-Caterina, guardami.- mi disse prendendomi il mento e facendo in modo che i nostri occhi si incontrassero. –Io non ho mai finto con te, te lo giuro.-
-Cosa fai, adesso giuri?- lo provocai.
-Giuro perché è vero e non ho paura di ammetterlo.-
-Nemmeno io ho avuto paura di ammettere di essermi innamorata di te, ma non è servito a niente. Anzi, guarda dove mi ha condotto questa grandiosa storia dell’amore!-
-Non dire cazzate! Sai benissimo che l’amore esiste.- mi disse.
Scoppiai a ridere convulsamente. –Tu vieni a dire a me che l’amore esiste? Tu che, credendo di essere innamorato di una squallida ragazzina inglese, compri un biglietto aereo solo per portartela a letto, ma nel frattempo usi la tua migliore amica dicendole di provare qualcosa per lei? Proprio tu vuoi dare lezioni d’amore a me, a me che sono sempre stata sincera e non ho mai nascosto i miei sentimenti nei tuoi confronti? Lascia perdere.- Feci per andarmene, ma la sua voce mi fermò.                                         
–E se mi fossi innamorato di te?-                                                     
Era tutto letteralmente, incredibilmente e profondamente sbagliato. Il luogo, il momento, il contesto, persino le parole. Tutto sbagliato. Non mi voltai, continuai a camminare fino al portone. Entrai in casa e, finalmente, scoppiai in un pianto liberatorio.
 
Dormii qualche ora, poi la sera mangiai qualcosa, spensi il telefono e tornai a letto. La domenica passò in maniera uguale, giusto con qualche minima variante: colazione, letto, pranzo, visita alla nonna, cena, letto. Potrebbe sembrare che stessi cercando di rendere la situazione più drammatica di quanto fosse veramente, in realtà volevo solo cadere in un sonno ristoratore di durata quinquennale. Eppure non ci riuscivo. Non me ne fregava di continuare a piangere, disperarmi, volevo solo smettere di pensare, spegnere il cervello e dormire. Volevo che il mondo, così come lo conoscevo io, scomparisse e mi trascinasse dall’altra parte dell’oceano. Lì, ero sicura, sarei stata salva da tutto e da tutti. Eppure tutte le volte che aprivo gli occhi, la mia visuale era sempre la stessa, i pensieri idem, e non facevo altro che desiderare di riprendere sonno.
Il lunedì mattina mia madre si affacciò alla porta della mia camera, mi fissò per qualche secondo (cosa che aveva fatto, senza pretendere risposte, anche nei due giorni precedenti), ma, poi, parlò: -Caterina, non ti ho chiesto niente e continuerò a non farlo finché non sarai tu a volerne parlare, ma ti prego, reagisci. Oggi puoi stare a casa, buttare giù tutti i mobili, mangiare chili di biscotti e urlare quanto vuoi, ma non farti trovare lì come un vegetale al mio ritorno. Preferisco vederti prendere a calci il muro, piuttosto che sotterrata tra quelle coperte.-
Annuii per dimostrarle che avessi sentito le sue parole, ma non avevo nessuna intenzione di distruggere la casa, sarebbe stato un comportamento infantile.
“Perché saltare la scuola per fissare il soffitto della tua stanza non è infantile?” mi fece presente una vocina nella mia testa che, prontamente, ignorai.
Erano le due di pomeriggio quando mi alzai per andare in bagno. Decisi di fare una doccia veloce, giusto per non permettere al mio corpo di riflettere la mia condizione interiore, ossia la putrefazione (sì, avevo tendenze melodrammatiche particolarmente marcate). Quando tornai in camera, trovai un messaggio sul cellulare. Non sapevo proprio chi potesse essere: Vittoria e Isa mi avevano chiesto come stessi e le avevo liquidate con la scusa della febbre, Emanuele e Roberta non si erano fatti sentire, non che mi aspettassi un messaggio da Ema, ma da Roberta mi sarei aspettata molto di più; Giovanni, invece, mi aveva chiamata durante la ricreazione, ma non gli avevo risposto, perché sapevo di non essere in grado di mentirgli e non volevo che venisse a conoscenza di quello che era successo, preferivo aspettare. Insomma, non pensavo che nessuna di queste persone potesse essere il mittente del messaggio, ultimo fra tutti colui che non volevo neppure nominare. Presi il telefono e lessi quello che mi aveva scritto l’unica persona a cui non avevo pensato, Marica.
Ciao Caterina, so che non ti saresti mai aspettata di ricevere un messaggio da me. Ti confesso che ero molto indecisa, poi l’ho inviato. So come mai non sei venuta a scuola stamani, ho sentito i ragazzi mentre parlavano del viaggio, poi Giovanni si è incazzato di brutto e ha litigato con Ale ed Ema. Insomma, non mi ci è voluto molto a capire. Non ti biasimo, anch’io ho desiderato scomparire quando con Ale non è andata, ma su una cosa stai sbagliando: per nessun motivo al mondo dovresti permettere ad altri esseri umani di farti sentire inutile. Poi, probabilmente, non è il tuo caso e mi sto sbagliando, ma nel caso in cui tu stessi cercando di evitare il mondo, allora alza il culo e riprenditi. Preferisco vederti mentre mi fulmini con lo sguardo, almeno so che sei viva.”
Non avevo parole. Non sapevo veramente cosa pensare. Marica, la stronza che mi trattava come uno scarto dell’universo, mi aveva appena mandato il messaggio più sensato che avessi mai ricevuto. Non solo perché capiva come mi sentivo, ma perché, pur non essendo mia amica, era l’unica che si era preoccupata per me. L’unica. Scossi la testa, incredula, e scrissi di getto un messaggio di risposta.
“Per quanto, molto spesso, desideri prenderti per i capelli, ti devo ringraziare. E lo faccio sinceramente. :) Non preoccuparti, tornerò molto presto a lanciarti occhiate assassine che tu, sicuramente, ricambierai.”
Mi rispose con un semplice “Ovviamente ;)” e, senza una ragione, mi trovai a sorridere.
Soltanto qualche minuto dopo, però, compresi quello che Marica aveva scritto: Giovanni aveva saputo tutto quella mattina e aveva litigato con Alessandro ed Emanuele. Ecco perché mi aveva chiamata! Ero la persona più stupida dell’universo: avevo accanto una persona fantastica come Giovanni e, invece di essere sincera con lui, avevo ignorato la sua chiamata. Cercai il suo numero nella rubrica e avviai la chiamata.
-Cate!- mi rispose quasi subito.
-Giovanni, scusami, non ho sentito il telefono.- mi giustificai come una bambina.
-Non preoccuparti, capisco che tu non volessi parlare con nessuno.- disse comprensivo, facendo aumentare il mio senso di colpa.
-No, non è così. Cioè, voglio dire… Adesso sono pronta a parlarne.-
-Sicura?-
-Sì.- No, non lo ero per niente.
-Tra venti minuti sono da te.- mi disse.
Riattaccai e, nonostante tutto, sentii il mio cuore alleggerirsi di qualche grammo. Benedissi mentalmente l’amicizia, quella vera, e cercai di rendermi presentabile per l’arrivo di Giovanni.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:

 
Salve!
Ebbene sì, incredibilmente, sono già tornata. Non so come abbia fatto a finire il capitolo così velocemente, ma è un traguardo considerati i miei precedenti ritardi. :D
 
Dunque, come avete potuto notare, la disperazione regna sovrana. Credo sia il momento peggiore di tutta la storia, ma sarebbe dovuto arrivare, prima o poi. Anche il prossimo capitolo non sarà molto allegro, ma, forse, più avanti, la situazione tornerà ad essere più leggera.
 
Ringrazio di cuore le splendide persone che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite/ricordate/preferite e coloro che hanno recensito. Siete la mia forza e vi porto sempre nel cuore. Grazie! :)
 
Spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo piuttosto velocemente.
Vi aspetto e, come sempre, se volete, potete lasciare una recensione.
Un bacione,
Jane

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Capitolo 19
*** Se vuoi guarire, però, prova un po' ad innamorarti di te ***


Capitolo 18
Se vuoi guarire, però, prova un po’ ad innamorarti di te

 
 
 




 
 
“Qualche volta siamo spinti in una direzione
che avremmo dovuto trovare da soli.”
(dal film “Un amore a 5 stelle”)
 
 
 
 
 


 
Avevo appena finito di raccontare a Giovanni ogni singolo dettaglio della mia relazione con Alessandro, lui mi aveva ascoltata in silenzio senza lasciar trapelare alcuna emozione. Aveva atteso che il mio sfogo giungesse a conclusione, poi, per l’ennesima volta, mi aveva abbracciata.
Non so cosa lo portasse a consolarmi, ascoltarmi e consigliarmi pazientemente ogni volta, non era umanamente possibile che una persona fosse disposta a tanto solo per amicizia, tutto ciò andava al di là della mia comprensione.
O, forse, ero io a non aver chiaro il concetto di amicizia. Cosa pensavo, che l’amico modello fosse Alessandro? Che noi fossimo stati davvero amici? Che il nostro fosse stato un vero rapporto di amicizia, poi degenerato? No, quello era ciò che avrei voluto fosse reale, ma ero arrivata ad un punto di non ritorno: noi non eravamo mai stati amici, nemmeno la prima volta che ci eravamo parlati, all’età di quattordici anni, quando lui mi aveva accusata di odiarlo senza motivo. Noi eravamo stati un caos completo, dal primo all’ultimo giorno, una coppia senza definizione e senza ragion d’essere.
A cosa serviva che le persone ci scambiassero per fidanzati se poi ero quella che stava male per una frase di troppo uscita dalla sua bocca? Volevo davvero spacciare quello schifo per amicizia e continuare ad accontentarmi del niente che mi veniva dato?
Cercai gli occhi di Giovanni con i miei, ma li trovai altrove, freddi e distanti.
-Parla.- gli dissi.
-Non so cosa dirti. È un pezzo di merda.- fu tutto quello che mi rispose.
Sorrisi. –Già. Continuano a ripetermelo tutti.-
-Perché non vuoi ascoltare. Io l’avevo avvertito di non fare cazzate con te, ma niente, quello che vuole se lo prende e poi lo getta via quando si è stufato. Per non parlare di quel cretino di Emanuele!- disse rabbioso.
-No, lui lo capisco. In fondo sono migliori amici.- ammisi flebilmente.
-Avresti mai permesso a Roberta di trattare qualcuno come Alessandro ha trattato te? Lo permetteresti a me?- mi domandò.
Arrossii per il fatto che Giovanni mi avesse implicitamente descritta come la sua migliore amica e provai una fitta piacevole allo stomaco, una di quelle che si provano quando si percepisce il bene che si vuole a qualcuno.
-No, non lo permetterei.- risposi stanca.
-Appunto, quindi smetti di difendere sempre tutti. Preoccupati di te stessa per una volta, guarda che faccia che hai.- mi prese in giro cercando di farmi sorridere.
-Immagino, un’opera d’arte!- dissi ironica.
-Sei bella come sempre.- mi disse lui lasciandomi un bacio sulla fronte.
Sentii l’impulso di dire qualcosa, di mettere in chiaro la situazione, ma non sapevo neppure cosa avrei potuto dire, perché non sapevo quale situazione dovesse essere chiarita. Ero sconvolta, stanca, ferita e cominciavo a diventare mentalmente instabile. Avevo solo bisogno di dormire un po’, ecco tutto.
-Giovanni, io vado. Ho bisogno di riposarmi.- dissi il più gentilmente possibile.
-Va bene, se hai bisogno chiama.-
Annuii e lo salutai con una mano.
-Cate..- mi richiamò.
Mi voltai. –Dimmi.-
-No, niente. Riposati.- mi disse. Avevo capito che non era ciò che avrebbe voluto dirmi, ma lasciai correre. Forse non volevo sapere.
Così mi voltai e andai a casa.
 
Capii, però, che quella giornata non avrebbe mai avuto fine quando arrivai davanti al portone e lo trovai lì ad aspettarmi.
Confesso che una parte di me era sempre stata consapevole del fatto che sarebbe accaduto, ma le altre parti che mi componevano, invece, non avevano neppure preso in considerazione la possibilità di rivederlo.
-Cosa vuoi, Alessandro?- chiesi decisa a chiudere velocemente la conversazione.
-Che tu mi ascolti e mi creda.-
-Proposta allettante, ma non credo di aver voglia di ascoltarti, figurati se sono pronta a credere alle cazzate che spari.- dissi con aria di sufficienza regalandogli una delle mie migliori occhiate disgustate.
-Non far finta di essere superiore con me, si vede che stai di merda.- sputò irato.
-Ma guarda che novità! Ed io che pensavo che questo fosse il mio aspetto normale! Mi stai prendendo per il culo?- gli chiesi trattenendomi dal tirargli un pugno sul naso. Cosa che, tra parentesi, mi avrebbe reso ancora più ridicola e non gli avrebbe procurato nessun dolore.
-Puoi, per favore, ascoltarmi?- mi domandò chiudendo gli occhi per recuperare la calma.
-Hai due minuti.- sentenziai.
Mi fissò qualche secondo, poi cominciò. –Tu hai tutte le ragioni del mondo, veramente tutte. Sono stato uno stronzo, avrei dovuto annullare tutto tempo fa perché, in realtà, a me non importa niente di Lilian. Avevi ragione, era solo una batosta temporanea ed io non sono mai stato innamorato di lei, era la situazione a farmelo credere. Io voglio te, solo te, perché sei la mia migliore amica e ci sei sempre stata, perché non ti voglio perdere e perché hai sempre avuto ragione su ogni singola cosa! E sì, sono i fatti quelli che contano, non le parole! Quindi adesso sono qui, da te, perché voglio sapere se anche tu provi quello che provo io. Devi solo chiedermi di non partire e tra due giorni io resterò qui con te, non salirò su quell’aereo e saremo felici. Chiedimelo!- mi implorò.
Non avevo metabolizzato neppure la metà delle cose che aveva detto, non avevo il coraggio di credere alle sue parole, sarebbe stato solo l’ennesimo attentato terroristico al mio disgraziato cuore. L’unica cosa che avevo memorizzato era stata la data della sua partenza: due giorni, mancavano soltanto due insignificanti giorni.
-Due giorni?- chiesi a voce così bassa che dubitai mi avesse sentita. Ma annuì.
Il centro della mia vita, il fulcro della mia esistenza consisteva nel rendersi conto dei fatti quando ormai non c’era più molto da fare: perché, dopo tutta la confusione che quella storia aveva scatenato, non mi ero preoccupata di informarmi su un dettaglio così importante come la partenza? E, porca vacca, perché a soli due giorni di distanza, la mia rabbia sembrava essere diventata inconsistente e aveva lasciato il posto alla voglia che avevo di lui? O, forse, erano proprio quei due giorni a fare tutta la differenza?
Avrei potuto chiedergli di non partire, probabilmente avrei dovuto farlo, sarebbe stato più semplice, avrei preso tempo e, forse, le cose si sarebbero aggiustate. Avrei potuto, in un modo o nell’altro, perdonarlo, accoglierlo tra le mie braccia e lasciare che tutto questo fosse solo il ricordo di un incubo passato. Ma non lo feci.
Dalla mia bocca non uscì neppure una parola; furono le mie gambe a muoversi verso di lui e furono le mie braccia a cingergli il collo. Poi, come mi sembrò naturale fare, lo baciai. Dapprima dolcemente, poggiando le mie labbra sulle sue in un timido sfioramento, poi, incoraggiata dalle sue mani che premevano sulla mia schiena per avvicinarmi a lui, mi aggrappai alle sue spalle e approfondii il bacio. Lasciai che le nostre lingue si trovassero e giocassero dolcemente, lasciai che mi mordesse il labbro inferiore facendomi sobbalzare dalla sorpresa, lasciai che le sue labbra vagassero freneticamente e senza meta sul mio collo. Sentii le sue mani accarezzarmi la schiena al di sotto della maglietta, sentii la morbidezza dei suoi capelli tra le mie di mani. Poi, sorreggendomi sotto le cosce, mi alzò da terra affinché i nostri occhi fossero alla stessa altezza e, come in ogni fiaba di basso genere, pronunciò le parole che mi fecero tornare bruscamente alla realtà.
-Saliamo da te?-
E la bolla di sapone scoppiò.
Avrei dovuto essere furiosa con lui, avrei dovuto mandarlo a casa a calci in culo, invece gli ero saltata addosso come fossi posseduta. E, forse, posseduta lo ero davvero, se si osservavano le mie reazioni contraddittorie. Io volevo ardentemente fare l’amore con lui, più di qualsiasi altra cosa, ma non doveva succedere. Io ero arrabbiata con lui, lui mi aveva mentito, doveva partire e allontanarsi da me. Da me che gli stavo mentendo.
Scossi la testa. –No, Ale ascoltami. Non possiamo.-
-Cosa stai dicendo?- mi domandò incredulo. –Cos’è, una tattica per farmela pagare? Non ti piaccio più?-
-Non c’entra niente tutto questo, sono io che non posso prenderti in giro. Ti amo, ormai lo sai, ma devi partire. Sono disposta a perdonarti, non me ne frega niente di quello che è successo, ma devi andare a Londra come avevi deciso. Devi darmi del tempo e, forse, stare lontani ci farà bene. Mi fido di te, Ale, ma sono convinta che questo tempo farà bene anche a te.- conclusi. Mi sarei fatta un applauso da sola, il miglior discorso mai sentito. Peccato che fosse un’enorme, colossale cazzata!
-Cosa succederà al mio ritorno?- mi chiese e, per un attimo, ebbi paura che avesse capito più di quel che doveva.
-Proveremo a vedere come va, se davvero proviamo qualcosa l’uno per l’altra o no.-
Lui annuì. –Voglio stare con te.-
Chiusi gli occhi. –Non è il momento per parlarne. Parti, vai a Londra, divertiti, pensami, se vuoi. Se dobbiamo stare insieme, accadrà comunque.-
Posò le labbra sulla mia fronte e vi lasciò un bacio.
-Ciao Cate.-
-Ciao Ale.- gli sorrisi per incoraggiarlo.
Si incamminò verso la strada, poi, raggiunta la sua auto, si voltò verso di me per ricambiare il sorriso.
Ma una lacrima era già scesa sul mio volto. Una stronza che frignava continuamente, ecco cos’ero.
 
Erano quasi le dieci quando sentii il telefono vibrare per l’arrivo di un sms. Era di Roberta.
“Cate, lo so benissimo che ce l’hai con me, ma dobbiamo parlarne. Hai tutte le ragioni, ma devi ascoltarmi.”
Ci avevo riflettuto, non era del tutto colpa sua, in fin dei conti era la ragazza di Emanuele, ma non riuscivo a perdonarle il fatto di aver anteposto un ragazzo alla nostra amicizia. Sembrava veramente la trama di un pessimo telefilm. Aspettai qualche minuto, poi le risposi.
“Okay, al momento giusto ne parleremo.”
-Caterina!- sentii mia madre chiamarmi dalla lavanderia.
-Che c’è, mamma?-
-La gonna a vita alta, quella nera, la vuoi?-
-Sì, assolutamente!-
La sentii trafficare rumorosamente qualche minuto, poi apparve sulla soglia della mia stanza.
-Sei sicura di quello che stai facendo?- mi domandò preoccupata.
-Sì, mamma, è da ieri che me lo chiedi, ma ci ho pensato parecchio e sono assolutamente convinta.- le dissi.
Lei annuì, poi aggiunse: -Non vuoi proprio dirglielo?-
Sospirai. –No, non deve sapere niente. Almeno per ora.-
-E sei assolutamente convinta di non voler andare da lui?-
-Adesso?- le chiesi spalancando gli occhi.
-Adesso, stanotte, domani… Non vuoi rivederlo?-
Per un attimo la odiai per aver posto quella domanda, poi mi ripresi. –No, sto bene così.-
Mi guardò come si guarda un fiore ormai appassito, poi chiuse la porta e mi lasciò sola.
Mi chiesi se mia madre non avesse ragione, se non fossi dovuta andare da lui, parlargli, dirgli la verità, baciarlo ancora.
Il punto, mi resi conto, era che io l'amavo. Non importava che gli avessi gridato contro migliaia di volte, che gli avessi detto che sarebbe dovuto partire, che avevo bisogno di tempo. Io l'amavo.
E no, cazzo, non avrei voluto perderlo. Se avessi dovuto fare quello che realmente volevo, avrei corso per i 12 km che ci separavano, sarei andata da lui e gli avrei detto che lo odiavo come lo avevo sempre odiato, forse di più, che mi aveva rovinato la vita, mi aveva stravolta, fatta a pezzi, ridotta ad un insieme di ossa. Dopo, però, l'avrei abbracciato e gli avrei detto che volevo finirla con quella sceneggiata, non avrei sopportato di stare un altro giorno lontana da lui, che, pur di riaverlo indietro, avrei soppresso tutti i miei sentimenti sbagliati.
Ma no, non potevo farlo. Avevo preso la mia decisione ed era quella giusta. Non avrebbe avuto senso buttare tutto all'aria, non sarei mai riuscita a mettere da parte quello che sentivo. Ci avevo riflettuto, se avessi dovuto scegliere tra averlo accanto subito, pentendomi di non averci pensato abbastanza, o ricominciare da sola, lontana da lui, avrei scelto sicuramente la seconda.
Egoista? Sì, forse. Ma non sarebbe stato un atto egoista anche il suo volermi accanto subito, dopo tutto quello che era successo?
Gli volevo bene, anzi no, lo amavo, adesso che lo avevo capito non avevo più paura ad ammetterlo. Nonostante ciò, non potevo pensare a lui.
Come dicevano nei film? "Ti ho lasciato perché ti amavo troppo."
No, io lo abbandonavo perché, per la prima volta in diciotto anni, stavo provando a conoscere qualcun altro: me stessa. Perché, senza amore per me stessa, nemmeno quello per lui avrebbe avuto senso.
Così, come la più grande delle stronze, stavo per partire di nascosto, senza sapere quando avrei fatto ritorno.
 
 



 
 
 
Note dell’autrice:

 
Salve! :)
 
Dopo secoli sono tornata! In effetti mi dovrei vergognare per il colossale ritardo e vi chiedo umilmente scusa.
Questo capitolo è stato molto difficile da scrivere e, probabilmente, non è neppure ciò che vi aspettavate, ma non poteva andare diversamente. La scelta e il comportamento di Caterina possono sembrare surreali, irrazionali, stupidi, ma non è così: ha improvvisamente deciso di partire (ancora non si sa per dove, come e perché), forse per allontanarsi da Ale, forse per il suo bene, chissà, le ragioni potrebbero essere molteplici e tutto verrà spiegato al momento giusto. Vi chiedo solo di non giudicarla troppo severamente, in fin dei conti è solo una quasi diciottenne. E a diciotto anni le decisioni sono le cose più difficili da prendere.
 
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite, ricordate e preferite, coloro che hanno dedicato un minuto del loro tempo alla recensione di questa storia e coloro che, anche se in silenzio, leggono la vita di Ale e Cate.
Grazie, siete davvero importanti!
 
A presto!
Baci,
Jane

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Capitolo 20
*** Verso la resa dei conti ***


Capitolo 19
Verso la resa dei conti
 
 

 
 
 
 
 
 
 
Era il giorno del mio diciottesimo compleanno. Finalmente, dopo mesi, avevo raggiunto quel traguardo tanto agognato. Ero in ansia, preoccupata di come le cose sarebbero potute andare quella sera. “Hai affrontato di peggio!”, pensai per infondermi coraggio. Sì, avevo assolutamente affrontato di peggio, soprattutto nei mesi precedenti, ma la mia festa sarebbe stato il momento della resa dei conti. Il momento della verità.
 
Ero tornata due settimane prima da Bruxelles, luogo che avevo scelto per stare un po’ lontana da casa. Mia zia abitava lì, così avevo chiesto a mia madre di poter studiare in quella città per qualche mese; lei, pur di non vedere più la maschera di depressione che indossavo ogni giorno, aveva accettato la mia proposta. Ero partita all’alba di un fresco giovedì per cominciare una nuova avventura lontana da casa; avevo passato i mesi estivi ad aiutare mia zia in casa, a fare da babysitter ai vicini di casa e a visitare la città come una turista. Poi era arrivato settembre e, come promesso a mia madre, avevo cominciato il mio ultimo anno scolastico in un liceo di Bruxelles, dopo aver ricevuto il permesso dalla mia scuola italiana. Avrei dovuto sostenere i compiti in classe e le interrogazioni in inglese e in francese, poiché quei voti sarebbero stati importanti per la mia ammissione alla maturità in Italia, ma non avevo paura, studiare non sarebbe stato un problema. E, in effetti, non lo era stato: mi ero impegnata, avevo acquisito ottime conoscenze delle due lingue e avevo conseguito buone valutazioni. Le settimane erano volate e mi ero ritrovata a vivere una nuova realtà lontana da casa, ma circondata da persone nuove che mi avevano fatta sentire una di loro fin dall’inizio. Nonostante tutto dovetti ammettere a me stessa che tre mesi non sarebbero serviti a dimenticare, né a creare nuovi legami, ma a me andava bene così, non cercavo stabilità, bensì allegria e amicizia. Dunque avevo passato i sei mesi precedenti in Belgio, lontana da tutto e da tutti, ma soprattutto senza che nessuno sapesse niente: era stata una delle peggiori decisioni che avessi mai preso, la più sbagliata in tutti i sensi, ma non me ne ero mai pentita. Almeno fino a quando non avevo ricevuto il suo primo messaggio.
“Dimmi che non l’hai fatto veramente. È tutto uno scherzo, vero? Dimmelo, altrimenti farò di tutto per sapere dove sei e verrò a prenderti.”
A quello ne erano seguiti altri più arrabbiati, delusi, deliranti, affettuosi, ma io non avevo mai risposto. Fino a quando non ne avevo ricevuto uno da Roberta.
“Io ho sbagliato tutto, ma tu stai cercando di imitarmi. Almeno rispondi gli, è a pezzi. E Giovanni non fa altro che dargli contro. Ragiona, Cate.”
A quel punto avevo risposto a Roberta, le avevo detto che non dovevo giustificare le mie scelte e che ero felice così, che non si preoccupasse della mia vita e che ci saremmo riviste dopo qualche mese; poi avevo scritto a Giovanni, con il quale ero sempre in contatto, e gli avevo chiesto di non litigare con Alessandro per colpa mia. Infine, mettendo da parte il mio spirito da protagonista di fiction sui teenagers, avevo risposto anche a lui.
“Non ce la facevo a risponderti. Mi dispiace, tornerò presto. Smettila di comportarti da immaturo, lascia perdere dove mi trovo, non è importante. Usa questo tempo per pensare a te stesso e a quello che vuoi, Ale, non ha senso che continui a dannarti perché sono partita, non è dipeso da te. Lo sai che ho l’animo tragico. ;) Quindi vai avanti, in fin dei conti è come se fossi in vacanza. Ti voglio bene.”
Non l’avevo più sentito, se non di rado per scambiarci gentili convenevoli come due normali amici. Sì, anch’io mi sarei messa a ridere se avessi sentito qualcuno definirci così, ma, alla fine, era ciò che eravamo diventati.
 
Poi novembre era arrivato e con lui il mio compleanno. Così, quindici giorni prima dell’evento, avevo salutato i miei nuovi amici stranieri, avevo ringraziato mia zia per l’ospitalità e, silenziosa come sempre, avevo preso l’aereo che mi avrebbe riportata a casa. Mia madre era stata felicissima di riavermi a casa, non smetteva più di abbracciarmi e sorridere. Un po’ mi ero pentita di essere stata lontana per così tanto tempo, ma non importava, ero tornata. Nei giorni successivi avevo incontrato Giovanni, il quale mi aveva raccontato cosa fosse successo durante quei mesi e mi aveva assicurato che niente era cambiato. Ci eravamo abbracciati, coccolati, avevamo riso e io non avevo avuto più dubbi sul fatto che lui non mi vedesse solo come un’amica. Pensiero egocentrico, lo ammetto, ma chi meglio di me avrebbe potuto riconoscere i sintomi di quella malattia? Avevo rivisto la me stessa di qualche tempo prima nei suoi gesti, nelle sue parole, nei suoi sguardi. Avevo rivisto me stessa in lui, ma non avevo avuto il coraggio di dirgli niente: non volevo illuderlo, né ferirlo, ma non mi sarei mai permessa di perderlo. In fin dei conti era tutto ciò che avevo, il mio unico amico, il mio unico confidente, la mia ancora. Ero sicura, però, che sarei riuscita a stabilire un limite se ce ne fosse stato bisogno, perché io non sarei mai stata “il suo Alessandro”, non lo avrei mai trascinato a fondo. Ma, forse, mi stavo facendo troppi film mentali.
 
Poi, un pomeriggio di qualche giorno prima, qualcuno aveva suonato il campanello e mi ero ritrovata davanti a quella che un tempo era stata la mia migliore amica.
-Ho incontrato tua mamma, mi ha detto del tuo ritorno.-
-Già.- avevo confermato. –Vuoi entrare?-
Per i dieci minuti successivi ci eravamo scambiate a stento cinque parole, poi Roberta aveva parlato.
-Non avrei mai voluto mentirti, non sapevo come gestire la situazione, era tutto nuovo per me: ero così presa da Emanuele, non volevo rovinare quello che avevamo cominciato insieme e, sinceramente, speravo che Ale te l’avrebbe detto prima di partire. Ma ho sbagliato, su questo non c’è dubbio. Ti chiedo solo di perdonarmi, mi manchi e ho bisogno di te.- mi aveva detto con gli occhi lucidi.
Io, ormai, mi ero arresa da tempo e avevo lasciato che le mie arrabbiature scivolassero via. –Non sono arrabbiata con te, Roby. Non lo sono da un pezzo, solo che non riesco più a fidarmi completamente.- avevo ammesso guardandola negli occhi. Lei aveva avuto un sussulto.
-Però potrei lavorarci.- le avevo detto prima di abbracciarla.
Mi ci era voluto un po’ di tempo per capire che le arrabbiature non portavano a niente e che solo perdonando si poteva sperare di cambiare qualcosa; certo, non ero Madre Teresa di Calcutta e non aspiravo ad esserlo, ma non volevo passare la vita tra stupidi teatrini tragici e litigi adolescenziali. Volevo di più, volevo essere di più.
-Cate, posso dirti una cosa?- mi aveva chiesto poco dopo.
-Dimmi.-
-Perché sei partita?-
Avevo sbuffato piano, ma poi avevo deciso che era giusto che sapesse la verità. –Perché non volevo stare qui, ero arrabbiata, delusa e non volevo vedere nessuno. Mia zia mi aveva già invita da lei per l’estate, ma poi mi è venuto in mente che in alcuni paesi è possibile frequentare l’ultimo anno a metà, insomma un po’ lì e un po’ a casa.-
-Non potevi salutarlo?- mi aveva chiesto senza bisogno di rendere esplicito il soggetto.
-No, l’ho fatto di proposito, non volevo essere qui al suo ritorno, anzi non volevo nemmeno sapere se sarebbe partito.- le avevo detto.
-Quando è tornato ha perso la testa. Un giorno mi ha persino urlato contro, pensava che fossimo in contatto e voleva che ti ricordassi della borsa di studio. Non ho capito cosa significasse, ma credo fosse solo sconvolto.-
No, non era solo sconvolto. Avevo capito subito a cosa si era riferito: era gennaio e la scuola aveva appena indetto un concorso per vincere una borsa di studio e frequentare l’ultimo anno a Boston. Sfortunatamente soltanto una persona per classe poteva fare domanda e lui era stato scelto tra i dieci che si erano proposti nella nostra classe. Alcuni si erano arrabbiati per la scelta fatta dai professori e ne era venuta fuori una forte discussione, soprattutto tra due ragazzi ed Alessandro. Alla fine lui, privo di un qualsiasi sostegno, era uscito dall’aula gridando che non c’era nessuno lì dentro a cui tenesse davvero e che potevamo andare tutti a quel paese. Io, però, l’avevo seguito urlandogli parole poco sensate.
-Cate, adesso smettila! Sei isterica!- mi aveva urlato poco gentilmente.
-Come faccio a non esserlo? Hai appena detto che non te ne frega niente, niente di niente. Cazzo, ma sei davvero così egoista?- Era delusa, ferita, stanca. Le lacrime erano vicine, ma cercai di ricacciarle indietro.
-Non ho detto questo, stupida!-
-Non darmi della stupida!-
Mi ero fatta forza e lo avevo guardato in faccia. Mi stava fissando, la fronte contratta e i pugni stretti lungo i fianchi.
Avevo respirato, cercando di chiamare a me un briciolo di razionalità.
-Va bene, ammettiamo che tu non intendessi dire ciò che hai detto..allora, cosa volevi dire?-
Mantenere la calma e la lucidità richiedeva uno sforzo enorme. Stavo perdendo anche la capacità linguistica.
-Dicevo che non importa quello che dicono, va bene? Se voglio comportarmi in un certo modo, nessuno può impedirmelo; se voglio dire qualcosa, nessuno mi fermerà, è chiaro?-
-Appunto. Anch'io penso quelle cose, quelle che ti hanno detto, e non riesco a cambiare idea. Mi dispiace, ma è così.- Avevo abbassato gli occhi, presa dai sensi di colpa.
-Vorresti dire che nemmeno tu vuoi che sia io a vincere quest'anno?- mi aveva chiesto con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-No, non credo sarebbe giusto...- Che stronza che ero!
-Va bene.- fu tutto ciò che disse.
-Cosa? Cosa va bene, Alessandro? Ti sembra che ci sia qualcosa che va bene?- avevo urlato.
-Sto dicendo che va bene, non ci proverò nemmeno. Se devi pensare che non mi importa della tua opinione, allora lascio perdere.-
Lo avevo fissato incredula. Aveva davvero detto che sceglieva me alla competizione. Avrei voluto sorridere, ma non lo avevo fatto.
-Grazie.-
Lui si limitò a scuotere le spalle e sorridere debolmente.
C’erano stati tanti momenti in cui i sensi di colpa per come mi ero comportata quel giorno erano tornati a farsi sentire e, in tutti quei mesi, non mi ero mai perdonata il fatto di avergli detto quelle cose solo per non vederlo partire: sapevo che lui era l’unico a meritarsi di vincere quella borsa di studio e non pensavo che i miei compagni avessero ragione ad essere arrabbiati, ma avrei fatto di tutto per impedire che partisse. A mesi di distanza, però, la stronza che era partita ero stata io. E lui aveva avuto ragione ad arrabbiarsi, perché per me aveva deciso di restare.
 
Dopo quella piccola parentesi che avevo prontamente rinchiuso in uno dei tanti cassetti della mente, io e Roberta avevamo passato il pomeriggio a mangiare gelato ed aggiornarci sulle rispettive vite, poi lei era dovuta tornare a casa. Prima di andarsene, però, mi aveva detto quello che ancora non sapevo, quello che neppure Giovanni, con tutta la sua buona volontà, era riuscito a dirmi.
-Cate, non so se lo sai già e non voglio assolutamente crearti problemi, lo faccio solo a titolo informativo: Alessandro sta uscendo con una ragazza.-
Io avevo annuito, le avevo sorriso e l’avevo salutata come se la notizia non mi avesse toccata.
-Okay, grazie Roby. Allora ci vediamo venerdì al mio compleanno.-
Avevo chiuso la porta e, per la prima volta in sei mesi, avevo rimpianto la decisione di essere partita per Bruxelles.
Avevo passato tre giorni d’inferno, combattuta tra l’idea di cercarlo, ricordi vorticanti e sentimenti confusi, poi mi ero decisa a calmarmi. Non avevo alcun diritto nei suoi confronti, lo avevo lasciato andare e lui si era rifatto una vita, non c’era niente da dire. Era inutile che continuassi a far finta di essere intoccabile, ero gelosa perché ero ancora innamorata di lui, ma avevo capito da sola che quello era il prezzo da pagare per la decisione che avevo preso sei mesi prima.
Così avevo atteso il giorno del mio compleanno con la speranza che lui si presentasse alla mia festa da solo. O che non si presentasse per niente.
Tutto o niente, mi ero detta.
Quella sarebbe stata davvero la resa dei conti.
 
 
 







 
Note dell’autrice:
 
Salve!
 
Eccomi qui, stranamente, con poco ritardo. Avevo deciso di pubblicare un ultimo capitolo e l’epilogo, ma all’ultimo momento ho deciso di spezzare il capitolo e lasciare la festa di Caterina alla prossima volta.
Sono consapevole di aver scritto una lagna, ma era necessario che spiegassi, almeno brevemente, la decisione di Caterina e tutto ciò che ne è conseguito. Ci sono parecchi balzi temporali, forse troppi, ma era importante che capiste come si sono evolute le cose durante la sua assenza, nonostante non sia successo niente di particolare. Diciamo che Caterina si è divertita, è stata lontana da casa e dai problemi, ma, intanto, il mondo è andato avanti senza di lei.
 
Il flashback di Caterina, quello riferito alla borsa di studio, è lo stesso evento narrato nel secondo capitolo “Sensi di colpa”: all’epoca non era molto chiaro il perché quell’evento fosse importante, ma adesso il cerchio si sta chiudendo.
 
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite, ricordate e preferite, coloro che hanno dedicato un minuto del loro tempo alla recensione di questa storia e coloro che si limitano a leggere in silenzio.
Grazie davvero.
 
A presto!
Baci,
Jane

 

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Capitolo 21
*** La svolta - The End ***


Capitolo 20
La svolta – The End







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Ero pronta.
Mi trovavo, da sola, al centro della sala che mia madre aveva affittato per la mia festa aspettando che gli invitati arrivassero. Avevo indossato un vestito bianco, corto, con una morbida scollatura e un paio di scarpe con il tacco nere. Non ricordavo neppure quando avevo scelto l’abito per la serata, ma speravo di essere presentabile. Mia madre, prima di andarsene, mi aveva ripetuto con gli occhi lucidi quanto fossi bella e quanto fosse orgogliosa di me, ma quella sera non riuscivo proprio a capire cosa la rendesse così orgogliosa di avere per figlia una come me. Uno schifo, ecco cos’ero.
Sentii la porta in fondo alla sala aprirsi, così respirai, mi preparai a sorridere con convinzione e mi recai ad accogliere i miei ospiti.

Sentivo la musica rimbombarmi nelle orecchie. Giravo per la sala salutando tutti gli invitati, scambiando due parole con chi capitava e scartando i regali che mi erano stati consegnati. Mi recai verso il tavolo dei regali e ve li appoggiai sopra, poi respirai profondamente pronta a ripartire.
-Come va la serata, festeggiata?-
Mi voltai ed incontrai il volto sorridente di Giovanni.
-Ehilà! Tutto bene, tu? Ti diverti?- gli domandai.
-Sì, ma preferirei che la festeggiata potesse passare più tempo con il suo migliore amico.- mi rispose sfoderando uno sguardo tenero.
-Adesso sono libera.- gli dissi.
Stavamo per andare a ballare, quando Emanuele e Roberta mi si pararono davanti.
-Ehm Cate, Ema vorrebbe dirti una cosa.- mi disse lei titubante.
-Okay, parla.- risposi rivolgendomi a lui. Giovanni, al mio fianco, si irrigidì, ma non disse niente.
-Volevo dirti che mi dispiace per come mi sono comportato. Non sapevo quali fossero i sentimenti di Alessandro nei tuoi confronti, ho sempre immaginato che ci dovesse essere più di una semplice amicizia tra voi, ma ho sottovalutato la situazione e mi sono intromesso nel vostro rapporto. Non avrei dovuto, erano fatti vostri e non dovevo spingerlo a partire. Quindi scusami.- mi disse lui tutto d’un fiato. Per un attimo, riconoscendo Roberta dietro le sue parole, mi venne da ridere, poi, però sorrisi e gli risposi.
-Accetto le tue scuse, ormai è andata.-
-Non credo che sia andata, se non è una completa testa di cazzo verrà.-
-Ema, non cercare di consolarmi. Sono consapevole di aver buttato tutto all’aria, so che sta uscendo con un’altra e sono sicura che stasera non verrà. Ma va bene così.- dissi senza cercare di far trapelare la mia tristezza.
-Non dire così, Cate. Lui verrà.- mi rassicurò Roberta.
-Di quella non gliene frega niente.- mi disse Emanuele.
Li guardai sorridendo, consapevole del fatto che le loro parole non sarebbero servite a lenire il dolore. Li abbracciai entrambi e li guardai allontanarsi mano nella mano. In fin dei conti ero felice che stessero insieme, erano miei amici e desideravo il meglio per loro.
-Balliamo?- mi chiese cupo Giovanni.
-Certo.- risposi ancora un po’ scossa.
Cominciammo a muoverci sul posto, ma ben presto mi trovai immobile a fissare il vuoto di fronte a me.
-Vieni qui.- Giovanni mi tirò a sé e mi abbracciò. –Va tutto bene, Cate. Questa è la tua festa, è un giorno importante per te, devi essere felice. Sai che io ci sarò sempre per te, ti voglio troppo bene.-
Annuii e alzai lo sguardo per incrociare il suo, ma fu un errore: il suo viso era molto più vicino al mio di quanto mi aspettassi, decisamente troppo vicino.
Limite. Ecco ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Ma per quanto cercassi di tirare fuori le parole, la mia bocca si ostinava a rimanere serrata. Così vidi i suoi occhi farsi più vicini ai miei e sentii le nostre bocche scontrarsi dolcemente. Chiusi gli occhi e lo lasciai fare, ma quando sentii la sua lingua entrare in contatto con la mia, qualcosa dentro di me esplose e mi allontanai repentinamente.
-Scusami. Cazzo, perché rovino sempre tutto?- imprecai più nei miei confronti che nei suoi.
-No, Cate, è stata colpa mia. Non avrei dovuto, scusami.- disse lui con aria colpevole.
-Giovanni, che colpa credi di avere? Il tuo sbaglio è stato quello di esserti invaghito di me, ma io avrei dovuto mettere le cose in chiaro tempo fa. Lo vedi quanto sono egoista?-
Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire e mi allontanai.
-Cate, aspetta!- mi richiamò Giovanni.
-Adesso ho bisogno di stare da sola. Scusami, ci vediamo più tardi.-
Lui annuì e io fuggii fuori da quella sala che, improvvisamente, era diventata troppo piccola per contenere il caos che avevo dentro.

Respirai a pieni polmoni l’aria fresca, ma mi pentii subito di essere uscita senza afferrare almeno una maglia. Era pur sempre novembre. Cominciai a camminare per riscaldarmi, ma una voce alle mie spalle mi fece bloccare all’istante.
-Che fai, scappi di nuovo?-
No. Non adesso. Non lui.
-Io non scappo.- risposi senza voltarmi.
-E dove stai andando allora?-
-Aria, ho bisogno d’aria.-
-E io che pensavo che non tu avessi le palle di affrontare i casini che ti sei costruita da sola.-
Colpita e affondata. A quel punto mi voltai a fronteggiarlo.
-Cioè te? In fondo il mio più grande casino sei sempre stato tu.-
-Non solo, ma anche.- sorrise. Bello come sempre se ne stava lì, davanti a me, in giacca e cravatta. Il mio inferno personale vestito di tutto punto per il mio funerale, ecco cos’era.
Risi. –Io non ho mai avuto paura di affrontarti, sono sempre stata la più sincera tra i due.-
-Sì, finché non sei scomparsa. Ho sempre sottovalutato la tua attitudine al dramma, non scherzavi quando dicevi di amare le tragedie.-
-Te l’ho detto, sono sempre stata sincera.-
-Ma non hai avuto il coraggio di affrontarmi quando hai deciso di partire.-
-Sarebbe stato più semplice per entrambi.- ammisi.
-No, Caterina, non per entrambi. Per te. Per te e basta. Perché per me non è stato semplice partire, non è stato semplice mollare il mio migliore amico per rientrare due giorni in anticipo, non è stato semplice scoprire che eri andata chissà dove per chissà quanto tempo. E, cazzo, non è stato semplice mandarti centinaia di messaggi a cui non hai mai risposto. Ma il mondo è strano. Sai, poi, qual è stata la cosa più difficile da fare? Aprire la tua fottutissima risposta, l’unico messaggio che ti sei degnata di mandarmi in cui mi dicevi di andare avanti! Te ne rendi conto? Volevi che andassi avanti!- urlò furioso.
-Però ti è risultato semplice farlo.- sputai tra i denti.
Stupore, rabbia, confusione, dolore e, infine, odio. Ecco cosa vidi nei suoi occhi prima di sentire la sua risposta.
-Sì, è stato molto facile andare avanti, e sai perché, Caterina?-
Sussultai sentendo pronunciare il mio nome con rabbia e scossi la testa, pur trattandosi di una domanda retorica.
-Perché non c’è nessuno complicato come te, sei il più grande casino che abbia mai conosciuto. E senza di te le cose scorrono come acqua, lisce e senza intralcio. E sì, è stata davvero la cosa più semplice abituarsi a stare senza di te, semplice come respirare.-
Mi stava distruggendo, ne ero consapevole. Avevo sempre saputo che il giorno in cui si sarebbe vendicato sarebbe stato il giorno della mia caduta, ma non immaginavo che avrebbe fatto così male. Perché il dolore che pensiamo di dover provare è sempre inferiore a quello reale? Perché non siamo mai preparati a soffrire?
Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua che boccheggia per cercare di sopravvivere. Vidi che stava per aggiungere dell’altro, ma non potevo sopportare un altro discorso del genere, dovevo fare qualcosa per difendermi.
-Adesso basta, vattene!- gli gridai.
-No, devo finire!-
-Non mi interessa, non voglio ascoltarti!-
-E invece sì, dopo tutto quello che mi hai fatto passare, devi sentire quello che ti voglio dire. Me lo devi.-
Feci per andarmene, ma lui mi afferrò per un polso e mi tirò a sé. Andai a sbattere contro il suo petto e mi ritrovai a pochi centimetri dalla sua faccia, ma mi allontanai subito, ero troppo spaventata da lui in quel momento. Senza lasciarmi andare, però, riprese a parlare.
-Sei un casino, Caterina, non smetterò mai di ripeterlo. Ed è vero, senza di te la mia vita scorreva senza problemi. Ma non è così che volevo che andasse, capisci? Ad un certo punto mi sono chiesto se ero disposto ad accettare la facilità delle cose, se mi sarebbe bastato avere ciò che mi capitava senza lottare. Semplice, naturale, il contrario del caos, l’anti-te, insomma. Che senso aveva, però, fare le cose senza incontrare il muro di acidità e contrarietà che mi ponevi davanti tutte le volte? Lo capisci?-
Non sapevo se voleva che rispondessi, ma lo feci. –No, Alessandro. Non capisco niente di quello che stai dicendo, sei pazzo!-
-Esatto!- mi disse sorridendo. –Io sono pazzo, altrimenti non sarei qui. Credi davvero che una persona normale, dopo tutto quello che è successo, sarebbe ancora qui?-
-Non ci sto capendo niente, ma se sei qui per rinfacciarmi di nuovo quanto io ti abbia ferito, allora puoi andare, ho afferrato.- gli dissi acida.
Lui scosse la testa. –No, sto dicendo che dopo tutto quello che è successo tra noi, dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti a questo momento, solo un pazzo sarebbe ancora qui. Io e te non siamo normali, non saremmo qui a parlarne altrimenti.-
-Va bene, siamo un caso clinico. E quindi?- chiesi continuando a non capire.
-E quindi questo fa tutta la differenza! Perché se io non tenessi a te in maniera spropositata, stasera sarei da un’altra parte, lo sai anche tu.- mi disse con semplicità.
-Saresti con la tua ragazza.-
-Probabilmente sì.-
-E non credi che sia scorretto nei suoi confronti, allora?- domandai sentendo le mani prudere dalla rabbia.
-Sì, se avessi una ragazza.-
Non ero confusa, perché confusa era un termine riduttivo. Io ero completamente persa.
-Ma cosa stai dicendo? Ti giuro che sto iniziando a dubitare della tua sanità mentale. Tu stai uscendo con una ragazza, me l’hanno detto!-
-Uscivo. Ci sono uscito solo qualche volta, in realtà.- disse con fare ovvio.
-A volte penso che mi prendiate tutti per il culo.- ammisi.
Ridacchiò. –Un po’ te lo meriti.-
Lo ignorai. –Continuo a non capire.-
-Immaginavo. Provo a spiegartela così: io sono un pazzo, stasera sono qui, alla tua festa, perché non mi importa niente dei sei mesi in cui sei stata chissà dove per evitarmi, perché non mi importa niente che tu abbia baciato Giovanni dieci minuti fa e, soprattutto, perché non mi importa niente di avere la semplicità. Io voglio la lotta, la contraddizione, la difficoltà e la confusione. Mettila come vuoi, ma io voglio te.-
Avrei dovuto metabolizzare le sue parole, elaborare una risposta razionale, avrei dovuto fare tante cose che il copione richiedeva, ma lui si avvicinò a me e io gli saltai al collo e lo baciai. Al diavolo tutto il resto!
Dovevamo sistemare tante di quelle cose, affrontare mille discorsi e risolvere questioni rimaste irrisolte da tempo, ma non in quel momento. Ci avrei pensato il giorno dopo, quello dopo ancora, e quello ancora dopo. Era ancora tutto così incerto, non sapevo cosa ne sarebbe stato di noi, se avremmo avuto un inizio o una fine, ma l’unica cosa da fare era aspettare.
Probabilmente non avremmo avuto un futuro, forse non era destino, ma ero stanca di cercare di prevedere l’andamento delle cose prima che accadessero, volevo viverle.
Così, quando lui mi sollevò da terra per approfondire il bacio, io sorrisi e, per la prima volta in vita mia, misi il cervello in standby.
In quel momento non avevo bisogno di pensare.
Andava tutto bene.







Epilogo


Sono Caterina e questa era una parte della mia storia.
Quella parte in cui Alessandro ha rappresentato il mio tutto, in cui ho capito cos’è l’amore e perché tutti parlano di farfalle nello stomaco (anche se io sostengo la tesi dei calabroni!).
Quella parte in cui ho capito che i legami, a volte, non sono indissolubili come sembra e che l’amicizia è il più alto, ma anche il più complicato valore che la vita ci regala.
Quella parte in cui ho apprezzato le parole, ma di più i gesti. Senza dimenticare che senza parole, però, non siamo niente.
Ho voluto raccontarvi questa storia a tinte nere, bianche e grigie per farvi sapere che nessuno di noi è solo e che, anche se non ci conosciamo, siamo tutti molto più simili di quanto possa sembrare. Perché che il vostro nome sia Caterina, Alessandro, Roberta, Giovanni, Emanuele o Marica, siamo tutti protagonisti di quel grande show ironico allestito dall’universo: la vita.

Non voglio dirvi com’è finita tra me e Alessandro, cosa è successo dopo, perché non è importante. Voglio che immaginiate per noi il futuro che più vi piace: potete pensare che stiamo ancora insieme, se volete, altrimenti potete immaginare che Giovanni sia entrato a far parte della mia vita come più di un amico; se mi avete odiata, invece, potete anche pensare che sia rimasta una “zitella acida” fino ad oggi.
Non ha importanza com’è finita, ma è più che importante sapere che l’amore c’è stato e che, da qualche parte, esiste sempre, forse nascosto, forse sotto altre forme, ma c’è.

Imparate dagli altri e, al tempo stesso, insegnate. Non dubitate mai di voi stessi, le vostre potenzialità sono infinite, dipende tutto da voi. Vogliatevi bene perché siete la cosa più grande e potente che avete, la prima persona su cui potete contare. Vogliatevi bene, perché se non lo fate voi, non lo faranno nemmeno gli altri.

Sono Caterina e questa storia si conclude qui.







Note dell’autrice:

Salve a tutti! :)

Ebbene, eccoci all’ultimo capitolo di “Frammenti”.
Non credo che sia il finale che immaginavate, non si tratta di un happy ending da favola, né del finale perfetto di una commedia romantica.
Avevo previsto di pubblicare l’epilogo successivamente, ma poi ho deciso di integrarlo all’ultimo capitolo per concludere il tutto e spiegare il perché della mia scelta sul finale. Nonostante la storia possa risultare incompleta, il mio intento era quello di raccontare gli eventi e lasciare il finale aperto all’interpretazione che più vi aggrada; non avrebbe senso dirvi se adesso Caterina e Alessandro non si parlano o se sono innamorati pazzi l’uno dell’altra, perché sì, la loro storia, in un modo o nell’altro, ha avuto un esito, ma non sarebbe giusto narrarlo.
Spero che capiate la mia scelta e non la giudichiate troppo “cattiva”. :)

Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, ricordato o preferito la storia, coloro che ci sono stati fin dall’inizio e mi hanno sostenuta, anche solo con la presenza silenziosa; ringrazio di cuore coloro che hanno recensito. Siete stati tutti importantissimi e mi avete regalato una forza incredibile, ma, soprattutto, una fiducia in me e negli altri che non credevo possibile: mi avete fatto credere in me stessa e avete fatto in modo che mi sentissi meno sola. Questo è un grande potere e il fatto che lo abbiate condiviso con me mi ha resa felicissima.
GRAZIE, perché siete importanti.
Sarebbero da ringraziare anche i personaggi reali di “Frammenti”, ma in fin dei conti è solo un racconto e io non sono J.K.Rowling (anche se mi piacerebbe). :D Ci tengo, però, a dire grazie ad Afeffa ancora una volta, perché lei ha spronato Caterina a scrivere tutto ciò; probabilmente, senza di lei, la storia sarebbe rimasta incompiuta.

Bene, adesso che ho terminato questo papiro, posso eclissarmi. Spero che continuerete a seguire le mie storie. :)
A presto!

Un bacione,
Jane




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