If I can't have you why won't you let me go?

di damnhudson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno. ***



Capitolo Uno.

Le tipiche feste inglesi, erano per lei pane di tutti i giorni. Si destreggiava ad ogni festa di chiunque fosse. Passava il suo tempo settimanale a studiare mentre il fine settimana partecipava alle feste più disparate in qualsiasi quartiere potesse arrivare, l'importante era avere un passaggio. La sua vita era perfetta ai suoi occhi. May non aveva mai dato a sapere niente di lei, eppure la gente - come sempre - si ostinava a dividerla nella più disparate categorie della scala sociale. C'era chi la inseriva tra le sfigate - e a lei andava bene, dato che odiava chi la guardava troppo. -, chi invece la sistemava tra le più appetibili - e a lei continuava ad andare bene, perché così dimostrava solo quanto fosse inattaccabile la sua figura: nessuno la conosceva bene, per quanto dicesse. - . May Sommers era una ragazza che tutti di vista conoscevano, ma che nessuno - appunto, conosceva per davvero. Su di lei tanti pareri, tante belle cose; ma nessuno per davvero aveva conosciuto il vero carattere della ragazza.

May non voleva che nessuno la conoscesse troppo bene, non poteva permettere che qualcuno le facesse notare quanto in effetti fosse sola, voleva solo che le persone parlassero con lei per quello che si mostrava e forse era sbagliato - e lei lo sapeva bene - ma le andava bene così. Odiava parlare, lo faceva a stento. Quando una persona parla poco, ci si aspetta sempre che sia una buona ascoltatrice ma lei non era nemmeno quello. Odiava ascoltare la gente, odiava quando le persone andavano a sbandierare i propri problemi alla luce del sole. Anche lei aveva i suoi problemi eppure non andava a dirlo in giro, c'erano cose che si potevano raccontare ed altre che non si potevano raccontare e anche se le sue non le raccontava comunque, si aspettava che anche gli altri facessero questo tipo di distinzioni. I problemi erano realmente problemi se ti corrodevano da dentro, erano problemi seri se quelli non avevi nemmeno la forza di raccontarli e i suoi erano così. May, spesso e volentieri, quando la gente parlava si distraeva, pensava ad altro, magari a cosa avrebbe voluto mangiare a cena o a che colore avrebbe avuto nei capelli se avesse potuto tingerli: peccato fosse allergica alle tinte. Ma c'era una cosa che odiava più di altre, o quasi. Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale. May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa, per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola. May aveva paura, soprattutto.
Per quello si dava alle feste più disparate. Alle feste non c'era bisogno di parlare. Alle feste ci si divertiva, ballava e beveva. Nessuno ti ferma per chiederti di che segno zodiacale sei, o qual'è il tuo colore preferito. Era l'habitat preferito della ragazza questo. Stava bene così, senza che nessuno le si interessasse. Aveva i suoi genitori che lo facevano, ogni tanto, quando tornavano dal lavoro e bastavano e avanzavano. Non c'era bisogno di altre domande. May stava bene, stava bene come quando inizi a togliere il giacchetto a Maggio perché ormai non fa più troppo freddo, stava bene come quando suo padre le diceva che a cena c'era la pizza e non il solito minestrone. Sorrideva perché nessuno mai l'aveva spezzata, perché nessuno alla fine la conosceva bene, nessuno sapeva come poterla spezzare.
 Ed era felice. E non aveva bisogno di niente, se non di se stessa e quelle feste che facevano in giro.

«A che ora posso rientrare? Ho il passaggio, non c'è bisogno che papà venga a prendermi.» Esordì la ragazza, entrando in cucina mentre sua madre lavava i piatti, in maniera stanca. Come se fosse - o forse lo era per davvero - la solita routine. Se non avesse tanta fretta si sarebbe anche offerta di aiutarla, ma davvero, era in ritardo. La sua "amica" sarebbe passata a prenderla a breve e sapeva quanto Jennifer odiasse aspettare e per non perdere il passaggio doveva fare da brava.
«Non lo so, tesoro.» Rispose, la signora Sommers girandosi verso sua figlia e sorridendole apprezzando il suo vestitino. Non era troppo corto, May non aveva mai dato di questo problemi. Sapeva alla perfezione come vestirsi. «Passa Jennifer?» Chiese ancora, scrutando in viso la figlia, che sorrideva a sua volta.
«Sì. A brevissimo, quindi devi darmi una risposta al volo, mamma.»
«Fai tu, tesoro. Quando la festa finisce... torna. »
Risposte strategiche di una madre che si fida a tal punto di te da non darti il coprifuoco. In momenti come questi, May, amava la sua personalità calma e tranquilla. Non aveva dato problemi ed ora eccola lì, senza coprifuoco. Okay, era anche quasi maggiorenne, ma quasi. Erano pur sempre soddisfazioni, queste. Le migliori. Si avvicinò alla donna che l'aveva messa al mondo, della quale aveva un po' troppo per i suoi gusti e le lasciò un bacio sulla guancia e per un momento la sua poca voglia di parlare si riconobbe.

Era una festa tipicamente inglese in cui l'unico motto che vigeva era: porta chi vuoi, e alcool se puoi. E infatti, lei e la sua Jennifer si erano occupate di passare al supermercato per portare qualcosa. Non era stata una grande spesa, facevi contenti i partecipanti anche solo con una bottiglia. Nel migliore dei casi, se ubriachi, non distinguevano nemmeno il succo alla pesca dalla vodka. "Sempre vodka alla pesca è." Aveva constatato un ragazzo, prima di vomitare tutto compresa l'anima. In genere May non beveva molto, o meglio, tendeva a non esagerare in modo tale che poi potesse ricordare con lucidità tutto quello che diceva o faceva e soprattutto con chi si appartava. In genere scappava prima che le cose si facessero troppo complicate da gestire, ma ogni tanto beccava qualche ragazzo che le piaceva. Andare a quelle feste, era come andare in discoteca, solo che la maggior parte delle volte era una cosa all'aperto e dunque si respirava. Decisamente meglio che una discoteca. E poi la musica tendeva ad essere migliore, era senza dubbio migliore.
Non appena mise piede dentro l'enorme villa che ospitava la festa, si rese effettivamente conto di quanto l'odore di alcool fosse pesante. Lei non avrebbe bevuto, se lo ripromise proprio. Si guardò attorno, cercando qualcuno che conoscesse o magari anche solo il viso di Jennifer che l'aveva lasciata che non erano nemmeno arrivate. Jenny era come lei, solo più espansiva e i suoi sorrisi erano spesso e volentieri più finti dei suoi. Un altro punto a favore di May era che se non voleva sorridere non lo faceva e basta. E si stava meglio così. Non sapeva cosa fare, perché non c'era il solito gruppo ad attenderla, ma solo una vasta dispensa d'alcool e non le piaceva molto, ma si avvicinò comunque, prendendo un bicchierino rosso di carta e versandoci dentro un liquido trasparente, molto simile a qualcosa che aveva recentemente assaggiato, ma di cui al momento il nome non le usciva. Comunque era buono.
«Sommers, non bere!» La avvisò di passaggio Luke, mentre passava tenendo per mano la sua nuova ragazza. Luke e May stavano assieme un periodo prima, era stato il suo primo ragazzo anche se lei non si era mai sentita di amarlo come doveva. Comunque, sta di fatto che ad una festa la ragazza bevette un po' troppo e fece praticamente un casino. Il cellulare di Luke iniziò a registrare messaggi con scritto "sei una merda" o "non ti ho mai amato" o  "lo so che te la fai con Jil" lasciando il ragazzo di sasso, quest'ultimo aspettò che la sua ragazza tornò lucida e il giorno dopo la lasciò, così senza nemmeno troppi giri di parole, era vero che se la faceva con Jil, ma non era affatto giusto per lui - e solo per lui - che venisse trattato così. Il fatto di non averlo mai amato veramente, consentì alla ragazza bionda appena lasciata di non stare troppo male, ma da quel momento non ebbe più nessuna relazione.
«Lasciami in pace! E non tradire Jil.» Rispose lei a tono, guardando il ragazzo andare via con una ragazza che di sicuro non era Jil Hudson. Iniziava a sentire la testa che girava, e per un momento appoggiò il bicchiere, riprendendo a guardarsi intorno, notando solo ora che il giardino si era riempito di bei ragazzi, che di sicuro attiravano la sua attenzione. Le piaceva quell'ambiente. Quando era brilla o ad una festa, perdeva completamente il suo essere buona e calma, anche se per un po' conservava questo status.
«Bevi da sola?» Chiese un ragazzo, piazzandosi davanti a lei. Era brutto, ma brutto davvero.
«Non sono ancora ubriaca, smamma.» Fece, sorridendo e muovendo la manina con un gesto poco carino. Il ragazzo di tutta risposta, abbassò le spalle e se la lasciò dietro, non perdendosi d'animo però e riprovandoci con un'altra ragazza, la quale a quanto parve ci stette e lo seguì.
May continuò a bere, sorseggiando ciò che era presente nel bicchiere. Tequila, ecco come si chiamava. Non doveva, se l'era ripromesso, ma al momento era tutto quello che sapeva fare, un po' perché si stava annoiando un po' perché ne aveva bisogno. Perché non poteva mai essere come tutte le altre ragazze? Perché non poteva essere circondata da persone che le volevano bene per quello che era? Anche se era una stralunata col malumore o il ciclo continuo, perché nessuno le voleva bene? Perché non sapeva tenere le conversazioni e le sue si bloccavano solo ad un misero 'come stai?' si sentiva stupidamente da schifo. Prese il suo bicchiere, dopo averlo riempito e si spostò dal tavolo andando ad appoggiarsi ad un muretto. Si sedette con le spalle contro il muro, lasciando che il liquido trasparente scivolasse nella gola, procurando un po' di fastidio mentre il mondo ai suoi occhi appariva un po' più sfuocato ogni qualvolta che ingoiava.
«Secondo te il bagno dov'è?» Chiese un ragazzo con i capelli corti e gli occhi chiari, mentre la guardava dall'alto. Aveva il suo stesso bicchiere in mano, solo che il suo era giallo. Lo voleva lei quel bicchiere. Il giallo era il suo colore preferito, non del ragazzo che aveva davanti, chiunque esso fosse.
«Dentro casa a meno che tu non voglia fare la pipì all'aria aperta.» Rispose May, stringendosi nelle spalle.
«Non ti darebbe fastidio?» Continuò lui, attirando l'attenzione della ragazza che alzò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri del ragazzo.
«Non mi interesserebbe, in realtà. Anzi, prometto di girarmi! Solo vedi di non far puzzare la tua pipì. Non voglio vomitare.» Ecco, questa era una di quelle cose che da sobria non avrebbe mai detto e per un momento di maledisse per non essersi ascoltata. Dannazione, si era ripromessa di non bere e invece. Sperava solo di non fare la stessa fine della festa passata, dove ancora stava con Luke.
«Uh. - fece il ragazzo scoppiando a ridere e guardandola. Tirò giù la zip, osservando se la ragazza si fosse realmente girata e poi fece pipì, così come le aveva già preannunciato. - Fatto.» Disse, infine. Scavalcò il muretto e si sedette sopra. «Ho una pipì velocissima, ti conviene salire anche a te, così non ti sporcherai e non puzzerai.»
«Giustissimo.» Disse lei, balzando in piedi e porgendo una mano al ragazzo per farsi aiutare a salire. Una volta che si sedette, rimase così con le gambe a penzoloni.
«Io mi chiamo Tom.» Fece il ragazzo, girandosi a guardare la ragazza. «E non ti porgo la mano, perché sai cosa ho appena toccato.»
«Ew, Tom.» Disse lei solamente. Beh, ogni tanto si dimenticava le buone maniere da ubriaca, come presentarsi.
«Tu?» Chiese appunto, il ragazzo senza smettere di guardarla. Anche lei ricambiò lo sguardo, cercando di ricordarsi di cosa stessero parlando. Lui se ne accorse e rise, contagiando anche lei. «Il tuo nome.»
«Scusa. Io sono May. May Sommers. Il mio nome non è un'abbreviazione di niente.»
«Quanto hai bevuto May?» Chiese lui, guardandola.
«Un pochino. Perché?»
«Non so, così per chiedere... Cosa, con esattezza?» Chiese ancora guardandola. May non capiva assolutamente dove lui volesse andare a parare, si guardò intorno e poi, per un momento capì.
«Mio padre ha una pistola. Non puoi farmi del male, ti verrà a cercare e la metà di questa gente mi conosce, quindi non puoi stuprarmi.» Disse lei, saltando giù dal muretto, mentre cercava qualche posto dove tenersi, perché improvvisamente tutto girava, maledetto alcool, l'aveva già pensato, per caso?
«Anche io ho una pistola, vuoi vederla?» Chiese lui, ridendo. «Ed è bella grossa.»
«Tom!» Lo ammonì lei, ubriaca sì, ma questa l'aveva capita.
«Non ti voglio stuprare. Ho una vita davanti, sei pazza, per caso?» Chiese, saltando giù anche lui dal muretto e raggiungendola. Le poggiò una mano sulla spalla per tenerla, vedendola in difficoltà.
«Un po' ubriaca, forse... Ma non pazza, Tom senza cognome.»
«Parker. Tom Parker.» La ragazza annuì, prendendo nota del cognome del ragazzo, mentalmente, ovvio. Anche se ora non si ricordava nemmeno cosa avesse mangiato prima di uscire. Perché aveva mangiato prima di uscire, vero?
«Tom Parker?» Lo richiamò lei, vedendo che si era distratto. Non si sapeva perché ma al momento era bisognosa d'attenzioni e poi quel Tom Parker era molto carino, le piaceva il suo modo di fare e poi non era da tutti fare pipì in mezzo alla gente. L'aveva persino salvata dalla sua velocissima pipì, come l'aveva chiamata lui.
«May Sommers?» Fece il ragazzo, girandosi nuovamente verso la ragazza, la quale senza aspettare mezzo secondo lo baciò sulle labbra. E fu tutto dire che il ragazzo non aspettava altro. Solo che May non si chiese che anche lui fosse ubriaco come lo era lei e se quella era solo una scusa per stare assieme, per un momento, la ragazza abbassò tutte le barriere che in diciassette - quasi diciotto anni aveva alzato. E le aveva abbassate per Tom Parker, che conosceva più o meno da cinque minuti esagerando.


Martina(?)
Allora, non ho idea di cosa sia questa. E' solo una cosa a cui ho lavorato per un po' di tempo, uno degli scritti a cui tengo di più. Un po' perché è il mio primo vero tentativo sullo scrivere sui the wanted, un po' perché ci sono particolarmente affezionata. L'idea nasce nel momento in cui mia cugina si sente male e per farle compagnia, ho mezzo inventato una storia; dunque mi sono messa a scriverla e questo è quello che ne è uscito. Io sono già al capitolo tre, sto scrivendo il quattro. E' una seccatura perché sono capitoli molto lunghi, perché mi perdo spesso e volentieri nei sentimenti di May che, essendo come è, sono molto accentuati.
Dedico l'intera storia a Francesca. Ha sempre, sempre, sempre creduto in me, e mi ha supportato. Ti voglio bene.
May è una parte di me.
Non so cos'altro dire, trolol. Nel caso voi non vogliate leggere, è okay, ma prima di giudicare in negativo, se mai la doveste aprire, leggetela tutta, non so se ne vale la pena, ma è... mh, non so, qualcosa a cui tengo.

Grazie per l'attenzione. :)

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***



Capitolo due
Un mese più tardi.

May scese dal letto ancora un po' stordita dal sonno appena concluso e come ogni mattina, rimase per un po' a guardarsi intorno, cercando di riconoscere la stanza in cui aveva dormito. Non appena mise piede per terra, le balenò in testa l'idea che anche oggi avrebbe dovuto lavorare sodo. Dopo l'ultimo anno a cui si era dedicata assiduamente allo studio, addirittura diminuendo le feste a cui partecipava, si era diplomata, e dunque aveva ripreso a fare ciò che ogni estate faceva: lasciava l'Inghilterra e partiva per la Spagna, dove ad aspettarla stava la sorella della madre, che la trattava esattamente come se fosse sua figlia. Sua zia Gloria, aveva tre figli, e lei era la quarta. Frequentando una scuola di lingue, May aveva imparato a parlare alla perfezione lo spagnolo e poi il fatto che ci passasse tre mesi l'aiutava alla grande. Quando May attraversava il mare per allontanarsi dalla sua isola, iniziava a sentirsi bene. Iniziava a sentire la voglia di divertirsi. Sul serio. Quasi non fosse May Sommers. Quasi non fosse la persona più sola, fredda ed incostante. Nei tre mesi che stava in Spagna smetteva di essere una persona fredda, cinica ed irreale. Semplicemente riprendeva ad essere May con tanto di sorrisi. Ovviamente la Spagna non poteva cambiare tutte le cose. Continuava a non parlare. Ancora non aveva trovato niente da dire di interessante, ma almeno ascoltava. C'era qualcosa nell'accento spagnolo che la obbligava - quasi ad ascoltare. Poca voglia di parlare, ma tanta voglia di ridere ed ascoltare qualunque cose le venisse detta. Quando stava in Spagna stava bene, realmente bene. L'unica cosa che iniziava a pesare era il fatto che fosse per tre mesi lontano dalla sua famiglia. Quell'anno decise che era ora di mettersi a lavoro, iniziare a racimolare i soldi per l'università di lingue che avrebbe presto o tardi frequentato a Liverpool. Magari evitare di servire ai tavoli, non che ci fosse niente di male, ma quando le persone le avrebbero chiesto che cosa consigliava lei, non avrebbe potuto semplicemente stringersi nelle spalle, sarebbe stata mandata via in troppo poco tempo.
Ben presto, sotto l'ala di zio Ramon, trovò un lavoro nel campo della ristorazione. Era qualcosa che sapeva fare alla perfezione, parlare alle altre persone in un'altra lingua e con parlare si intende dare il benvenuto e dire le cose più essenziali che aveva imparato a memoria prima di intraprendere quel lavoro.
Decise che era ora di sbrigarsi ed uscire dalla stanza, mentre finiva di infilarsi la maglietta, e recarsi nel bagno dove prese il suo spazzolino giallo. Giallo come il bicchiere di Tom Parker quella notte. Si era ripromessa di non pensarci più, ma tanto ormai non manteneva più le promesse che faceva a se stessa. Non si spiegava perché, nonostante fosse ubriaca si ricordava alla perfezione di Tom Parker. Ogni singolo dettaglio, ogni frase che lui le disse. E poi, soprattutto non si spiegava perché nonostante fosse stata una cosa da poco, si ostinava ogni tanto a ripensarci. Non era stato niente quel bacio e Tom Parker aveva smesso di farsi sentire e a lei stava bene così, perché nemmeno May si mise alla sua ricerca. Restava sola nella sua camera e pensava al ragazzo che - di sua spontanea volontà - aveva baciato. Quante cose conosceva di lui? Niente. Un nome, un cognome. Il colore dei suoi occhi, il colore che avevano le sue labbra. E stava di nuovo esagerando e degenerando. Prese a spazzolare i denti, chiudendo gli occhi, quasi a volersi costringere di dimenticare ogni cosa a cui aveva pensato, quasi a voler dimenticare Tom. Non esisteva nessun Tom nel suo universo perfetto. Nel momento in cui riaprì gli occhi, sua cugina Sofia apparve davanti a lei, mentre velocemente si legava i capelli nero corvino.
«A che ora stacchi hoy(*)?» Domandò dunque, sistemando una forcina e incalzandola col suo perfetto accento spagnolo. Era così bello sentirlo. May si strinse nelle spalle, lanciando un'occhiata alla ragazza.
«Alla stessa ora di sempre, direi. Perché, tu?» Chiese May di rimando, mentre metteva lo spazzolino apposto e sciacquava la bocca.
Lei e Sofia lavoravano assieme, mentre la seconda aveva più esperienza perché questo per lei era il secondo anno, May non sapeva niente di come mandare avanti questo lavoro, si adattava solo a quello che la cugina le consigliava. La terza persona che lavorava con loro era Oliver, un ragazzo tedesco con circa venti anni che mandava avanti il lavoro che suo padre gli aveva affidato. Il bed and breakfast che seguiva Oliver, era posto a nord di Valencia, lungo una calle(*) anonima, che quasi nessuno conosceva, se non i turisti che chiedevano alloggio a poco prezzo. Oliver offriva la colazione e un posto per dormire. Sofia e May dovevano rifare i letti, preparare le stanze e May da sola accogliere i turisti che non fossero spagnoli, la maggior parte dunque. Si divertiva anche a fare quel lavoro.

Non appena varcarono la soglia della - tipo - villetta che Oliver gestiva il ragazzo le incalzò con un sorriso.
«Non siamo in ritardo, non ci guardare così.» Disse subito Sofia, guardando il ragazzo che si toccava un orecchio.
«Credo stia parlando al telefono, guarda.. » Indicò May, ridendo un po' cercando di non fare rumore. Sofia di tutta risposta rise più forte, attirando - ora ed effettivamente - l'attenzione del ragazzo americano, che si staccò poco dopo l'auricolare dalle orecchie.
«Guess what?» Chiese a quel punto.
Era un continuo mischiare le lingue, si sentiva fortunata May a parlarle tutte. E quindi si sentiva fortunata a capire ogni cosa che i ragazzi dicevano anche tra di loro. Il primo giorno di lavoro, quando Oliver si era presentato a May, le disse qualcosa in tedesco e la faccia che fece subito dopo che Sofia le disse che anche May capiva fu epica. May annuì e sorrise, senza dire niente, come al solito.
«Ho cinque prenotazioni, per cinque diverse camere singole.» Continuò Oliver, osservando le ragazze che da un momento all'altro sarebbe svenute. Cinque camere e per per quanto tempo? Era assurdo dover lavorare così tanto però. Cinque camere da preparare, più le due che ieri May non aveva voglia di fare, risultato: lavoro a palate. Era già stanca prima di iniziare.
«Quando arrivano?» Chiese Sofia, nelle stesse condizioni di sua cugina May.
Oliver guardò Sofia facendole un sorriso e lei sembrò ricambiare. C'era qualcosa che i due non avevano raccontato a May? Si sentiva prima di tutto un po' in più, inoltre tagliata fuori, ma lei cosa voleva rimproverare a chi? Lei non aveva mai raccontato a nessuno di Tom e probabilmente mai lo avrebbe fatto. Si era ritrovata - di nuovo a pensare a Tom.
«Quando?» Richiese May, facendo passare lo sguardo da Oliver a Sofia.
«Uh, allora è questa la tua voce?» Chiese divertito Oliver, prendendosi gioco di May. Aveva già sentito la sua voce, ma ogni volta che questa parlava lui le dice simili idiozie che effettivamente la facevano ridere.
«Ti pentirai amaramente, Oliver, di averla sentita.»
«Esattamente tra.. - Oliver abbassò lo sguardo sul suo orologio, controllando l'ora che in effetti era. - ..tre ore, muovetevi ragazze belle.» Proferì, guardando ancora le ragazze e appoggiando, nuovamente, lo sguardo su Sofia che sorrise un'ultima volta e poi iniziò a salire le scale per andare a mettere in ordine la prima stanza. E May dopo aver osservato Oliver fece lo stesso, dedicandosi prima alle due stanze che non aveva ancora finito di fare la sera prima e poi il tempo volò e quasi le tre ore non le sentiva passare. Non sapeva niente di quei ragazzi nuovi che stavano arrivando ad occupare le stanze che lei e sua cugina avevano con cura preparato. Meno male che non toccava a loro preparare la colazione che era prevista nel prezzo, May non sapeva cucinare niente o meglio, si era cimentata nel fare qualcosa, ma non era andato nel migliore dei modi come ci si aspettava.
«Ah, prendetevi una stanza.» Fece May disgustata dai continui sguardi che li lanciavano i suoi colleghi, inoltre una era sua cugina, dannazione.
«Era meglio quando non parlavi, davvero, Sommers.» Disse Oliver, che puntò lo sguardo su di lei. «Sei pronta ad accoglierli? Sii gentile... - però May lo interruppe con un cenno del capo, mettendosi lei a terminare la frase.
«Sii gentile, May! Non c'è bisogno di parlare male nè di dire troppe cose in più, il necessario.»
«Bravissima, May!»
La ragazza si inchinò brevemente davanti a lui, sorridendogli. Beata Spagna che la cambiava. Che la rendeva migliore. May prese la cartellina che Oliver gli porse, guardando cosa in effetti ci fosse scritto, quando sentì il campanello suonare. Tutto accadde in un minuto. Sofia che si alzava di scatto per aprire la porta, Oliver che sistemava i pantaloni e lei che continuava a studiare la cartellina.
«Oliver, ci deve essere un errore.» Un madornale errore. Oliver scosse la testa e lei alzò il viso per guardarlo ma tutto quello che vide fu: «Tom Parker?»



Martinascorner.

E finisce così il secondo capitolo. *trollface*
 
Dunque, vediamo un po'. Al primo capitolo ho ricevuto quattro recensioni, quindi mi sono convinta ad andare avanti. So che nessuno interessano i miei sproloqui post capitolo, ma io li devo fare per forza. Nom, seriamente, ho finito le cose da dire. Sono una piccola May, io.
Tatataaaan, e niente, ironia della sorte i ragazzi sono assieme a Valencia ( un sogno Martinesco(?) io non ci sono mai stata, ma conto di andarci. ) e si sono rincontrati.Povere persone innocenti che pendono dalle mie ditina che scrivono, no, seriamente, poverini. Non penso che avranno mai qualcosa di facile questi due, se mai avessero qualcosa. By the way, niente, mi sono dilungata troppo, ora me ne vado che ho anche caldissimo.

Grazie a chi ha recensito, mi avete fatto sentire, come sempre, considerata e anche con del talento. Grazie a chi ha posto questa storia nelle seguite, grazie ai lettori silenziosi come me. Grazie, grazie, grazie.

Taaaantissimo amore, Marti.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***



Capitolo terzo.


Aveva passato un mese davvero difficile, May. Aveva passato praticamente quel mese chiusa in casa con la testa chinata sui libri, perché doveva togliersi dalla testa quel ragazzo che le aveva praticamente scombussolato tutto il suo mondo. Aveva praticamente passato un mese ad incolpare se stessa, perché se il suo intero universo stava prendendo una via sbagliata, era colpa sua. May era sempre stata artefice del suo futuro, e non un Tom Parker reggeva a questa cosa. Sin da piccola, l'unica regola che vigeva era: ad ogni azione una conseguenza. May, al momento, subiva le sue conseguenze.
Perché quel ragazzo le era rimasto nella testa così a lungo? Che diavolo le aveva fatto? Ma più che altro, che diavolo si era fatta da sola?
Nel momento in cui ebbe sfiorato la felicità, tutto sparì, tutto smise di cessare. Tom era nascosto dietro due ragazzi, ma lei lo aveva visto, e nel momento in cui lei pronunciò il suo nome, anche lui si accorse di lei, e per un momento vide l'espressione del suo viso cambiare, passare da un sorriso alla sorpresa o alla delusione, forse. Nemmeno lui si aspettava di trovarla lì.
Tom Parker si era presentato davanti a lei, senza saperlo, non se lo ricordava per niente così. Aveva solo un gran sorriso, un gran bel sorriso, piazzato sul viso, non appena gli occhi di May incontrarono la figura snella del ragazzo. E per quanto la cosa fosse evidente agli occhi di May, la ragazza ancora si rifiutava di crederci. Tom Parker non poteva e doveva essere davanti a lei. E poi i suoi occhi avevano quella luce che non ti aspetti mai di vedere in un ragazzo, e lei rimase a fissarlo, per qualche minuto, mentre lui, con la stessa espressione atterrita faceva lo stesso. Quel ragazzo inseguiva - e non letteralmente! - May. Sogni, pensieri, libri di storia. Lo si poteva trovare ovunque. Per quanto sapesse che fosse colpa sua, la ragazza bionda continuava ad interrogarsi sul perché lui non l'avesse respinta e continuava a cercare una ragione per prendersela con lui, nonostante di ragioni non ce ne fossero. Se lui avesse baciato lei, questa l'avrebbe allontanato? Avrebbe schivato il bacio del ragazzo? No. Assolutamente no.
Si sentiva violata. Come se qualcuno avesse manomesso ogni sua informazione personale e ne avesse dato il dominio pubblico. La Spagna era la sua ultima spiaggia per provare ad essere una persona che non era, ma ora Tom conosceva il suo 'giardino segreto' e tutto, improvvisamente, iniziava a fare schifo, come sempre, come ogni volta che tornava ad essere la persona che era sempre. E perché se May continuava a ripetersi che Tom per lei non aveva significato niente, continuava a sentirsi in quello stato pietoso e adolescenziale? La classica e fottuta sensazione che le ragazze nei film descrivono quando vedono il ragazzo che le piace. Ma a May non piaceva Tom e quella sensazione che sentiva allo stomaco non erano le farfalle che svolazzavano, non era niente! Era solo pure fastidio.
Sentiva lo stomaco arrotolarsi su se stesso, mentre cercava qualcosa da dire, mentre lo sguardo aveva ripreso a vagare per la stanza. I ragazzi ancora fermi davanti alla porta, aspettavano a loro volta e sembravano conoscerla.
«Fermi tutti - esclamò il riccio, uscendo a sua volta da dietro Tom, mentre osservava con cura la ragazza che aveva davanti - non può- »
«Zitto Jay!» Fece un altro ragazzo affianco a lui con gli occhiali da sole. Gli diede una gomitata sul braccio, dicendogli con lo sguardo di fare silenzio. May osservava i ragazzi che si erano esposti senza dire niente e quando - quello che sembrava chiamarsi Jay si girò verso il ragazzo un po' spettinato e col ciuffo sul naso, lui annuì, facendo spallucce. Il biondo assunse un'espressione seria e aggiunse: «Io l'avevo detto che l'Olanda era una meta migliore, dannazione.»
May spostò lo sguardo sopra Oliver e Sofia, che stavano alla sua destra, cercando di dire qualcosa, ma al momento niente di quello che avrebbe voluto dire le usciva.
«May?» Chiese Tom osservandola. Era rimasto nella stessa posizione in cui lei l'aveva lasciato, le braccia a penzoloni sui fianchi e uno sguardo un po' perso, per come la vedeva May.
«Tom.» rispose lei, portando nuovamente lo sguardo sul ragazzo e passandosi una mano tra i capelli che aveva dimenticato di legare prima che i ragazzi arrivarono. Aveva bisogno di una mano, di un momento in cui riprendersi da quello che era appena successo, perciò guardò Sofia e quella capì che era il momento di entrare in scena.
«Mh, bienvenidos en Espana y, seguitemi, per favore, nessuno di noi è di molte parole al momento.» Disse, invitando con un cenno della testa i ragazzi che senza fiatare la seguirono lungo le scale, dove avrebbero trovato le loro rispettive stanze ordinate e pronte. Tom si dondolò sul posto e spinto un po' dal ragazzo col ciuffo alto, che May ancora non aveva individuato, seguì il gruppo. E May rimase sola a contemplare quanto effettivamente le cose cambiassero in soli dieci minuti nemmeno. Al momento odiava se stessa più di sempre, odiava quel momento che sapeva sarebbe arrivato, sperava solo il più tardi possibile. Odiava quando questo succedeva, odiava stare a guardare mentre tutto ciò che possedeva le scivolava dalla mani senza che lei potesse fare niente. Tutto quello che poteva fare era osservare come tutto andava via, come tutto quello che si era guadagnata in anni e anni di attesa, scompariva, scivolava lontano da lei. Quella felicità, quel poco di felicità che aveva se l'era guadagnata, ci aveva messo molto, sì. Odiava la sensazione di qualcosa che si perde, come se mai e poi mai l'avrebbe più avuta e forse era così. Se c'era Tom Parker lì vicino a lei, non poteva fare nient'altro. Sarebbe tornata semplicemente la classica ragazza noiosa, mezza muta, incostante e mille altre aggettivi che con la sua personalità si sposavano divinamente.

«May?» Sofia la raggiunse, una volta che ebbe messo i ragazzi nelle stanze. L'aveva trovata raggomitolata su una poltrona, chiusa in se stessa e aveva trovato Oliver silenzioso farle comunque compagnia, anche senza dirle niente, seduto dall'altra parte rispetto a lei, mentre usava il cellulare. Era una scenetta davvero carina, se non ci fosse stata un po' di gravità in quella situazione. Sofia sapeva solo a grandi linee la storia di Tom, e da come May gliela aveva raccontata non credeva che ci fosse un così disperato tentativo d'evasione da parte della bionda. Eppure, leggeva negli occhi della cugina, che qualcosa non andava, qualcosa non aveva funzionato.
May alzò gli occhi verso il corpetto esile della cugina e per la prima volta da quando era in Spagna, non sorrise. No, non ne aveva voglia. Sofia la trovava così piccola, sapeva quanto in realtà piccola, ma questa volta lo era anche di più. Non fece molto, anche lei si limitò al silenzio. Si fece fare spazio nella poltrona e le mise un braccio intorno alle spalle, facendo sì che May poggiasse il capo sulla sua spalla.
«Sai, Sofi - disse May, ferma immobile nella sua posizione.- non ho niente se non ho te, - sospirò, contorcendo le labbra in qualcosa di simile ad un sorriso - e anche Olli.» Oliver sollevò lo sguardo e sorrise, senza aggiungere altro. A Sofia non serviva altro per captare la situazione devastante in cui si trovava May. Sapeva quanto fosse difficile per la ragazza dire quelle parole, sapeva che in circostante normali non avrebbe mai ammesso il bisogno di un'altra persona.
«Andrà tutto bene, ci sono io.»
«Lo spero.» rispose May, in un sussurro. «Al momento ho solo una gran voglia di tornare a casa mia. Almeno saprò che lì non c'è...» Aggiunse infine.

Per 'contratto' May e Sofia era costrette a stare tutto il giorno nella villa, dove Oliver offriva loro il pranzo ogni giorno, e poi verso le sette e mezzo/otto facevano ritorno a casa. Per ironia della sorte, sorte alla quale May fu grata, i ragazzi stettero a detta di Sofia, tutto in una stanza dove quasi sicuramente stavano organizzato l'itinerario. May si domandò quanto avessero intenzione di restare in Spagna, ma non aveva l'effettiva forza e voglia di aprire i registri, perciò rimase lì, seduta alla sedia del bancone con i piedi su di esso a leggere. Si era portata un libro da casa, 'Il piccolo Principe' ovviamente era nella sua lingua madre, per quanto potesse essere brava ancora non se la sentiva di leggere in una diversa lingua.
«Su ci chiedevamo se, per caso, aveste una cartina del posto.»
«E il piccolo principe scoppiò in una bella risata che mi irritò.» quotò lei, leggendo a voce alta per far capire al ragazzo quanto quell'interruzione l'avesse scocciata. Non alzò gli occhi dal libro, solo continuò a far scorrere lo sguardo sulle frasi che aveva davanti.
«L'ho già letto. Vuoi sapere come va a finire?» chiese ancora una voce maschile, che continuava ad osservarla imperterrito.
«No.» Rispose May secca.
«Scortese.» Il ragazzo si poggiò dal bancone in cui lei stava leggendo, lei alzò un sopracciglio ed arrivò alla fine della frase.
«Amico, - disse lei, riproponendo lo stesso tono che aveva usato in precedenza mentre leggeva il libro a voce alta. Con estrema calma piegò la parte superiore del libro, formando un'orecchia e lo poggiò sulla superficie in legno. Solo quando alzò lo sguardo, si rese conto che era uno dei ragazzi che facevano parte dell'allegra compagnia di Tom, ed era il primo che aveva parlato, attirando tutta l'attenzione su di se. Visto da vicino, senza Tom tra i piedi, era persino meglio. - c'è un'edicola a quattro passi da qui. Troverai quello che cerchi, faccio il tifo per te.»
«Non parlo spagnolo!» convenne lui, dondolando la testa a sinistra.
«Uhm, furbizia... »
«No, Jay...» Disse interropendo la ragazza, poggiò la testa sul braccio e poi le sorrise. May ringraziò chissà quale Dio, per essere seduta nel momento in cui lui sorrise.
«Mh - fece lei, allora - e anche simpatico! »
«Sbagli ancora! McGuiness.» fece il ragazzo allora. Lei ebbe un primo istinto di mettersi a ridere, ma solo dopo riconobbe quanto quelle battute facessero effettivamente schifo.
«Cosa vuoi Jay?» Chiese lei, mettendosi seduta composta.
«Un corso lampo di spagnolo!»
«Con tutto il rispetto, amico, non sembri uno con una soglia d'attenzione adatta ad un corso lampo.» disse lei, guardandolo. Aveva degli occhi blu enormi. «Senti Jay - continuò poi lei - cartina si dice mapa, semplicemente. Arrivi lì e dici: un mapa de Valencia, por favor. Ed il gioco è fatto.»
«Accompagnami almeno!» disse lui che sembrava non capire niente di quello che la ragazza gli diceva. Aveva ragione, la sua attenzione faceva schifo.
«No.»
« Perché mai?»
« Perchè - disse lei, sorridendogli. Lo stava facendo davvero. - sono una brutta, cattiva ed egoista che non vuole dividere la sua conoscenza in campo linguistico con uno che se ne va in giro con quattro ragazzi senza sapere un piffero della lingua del paese.»
«Touché. - fece lui, ridendo. - Tom diceva sempre che sei una di poche parole, e invece.» Rispose il ragazzo con i ricci, davanti a lei. Che diavolo ne sapeva Tom Parker sul suo conto? La sera che si incontrarono lei era ubriaca e per poco non vomitò in faccia a Tom. Tom non sapeva nulla sul suo conto, niente, assolutamente niente. Stupido ragazzo con dei bei capelli, un bel sorriso.. e basta, pure.
«Tom Parker non sa nulla su di me.»
«Sai che ha pure un secondo nome?» Chiese Jay, attirando lo sguardo della ragazza su di esso.
«No, perché...»
«Anthony.»disse subito interrompendola. Lo odiava quando le persone lo facevano così spesso, dannazione, okay, non le piaceva parlare ma un po' di pazienza quando lo faceva. «Lui conosce il tuo.» concluse.
«Io... Jay, devo andare.» Fece, alzandosi dalla sedia e prendendo il libro sotto braccio e alzando lo sguardo verso il ragazzo. Oggi era una brutta, bruttissima giornata e voleva che finisse subito, all'istante.
«Fammi capire un po'. - fece Jay, girandosi verso la ragazza che gli voltava ormai le spalle facendola girare all'istante. - Sostieni di non provare nulla per Tom ma la sua vita e il sentir parlare di lui ti rendono isterica.» Aggiunse.
Chi diavolo era lui per permettersi di parlarle in quella maniera? Non la conosceva nemmeno da dieci minuti eppure si era permesso di fare delle considerazioni sul suo carattere che per un secondo le fecero male. Si era permesso di parlare di lei come se la conoscesse da una vita, le aveva parlato di Tom nonostante di lui a lei - fino a prova contraria - non importasse nulla. Tornò indietro, con le braccia lungo i fianchi e un sorriso sul viso.
«Prima di tutto sono una stronza acidella del cazzo a tutte le ore, passo il mio tempo ad infangare le persone anche solo con lo sguardo, nonostante io parli poco e niente. - Fece, mentre si torturava il pollice con la mano. - Come diavolo ti permetti di venire da me e giudicarmi senza nemmeno conoscermi da dieci minuti? Mi fa un immenso piacere sapere che al mondo d'oggi esistano ancora persone sempre pronte a giudicare. E poi, giuro che dopo ho finito, tu cosa ne sai di quello che, per ipotesi, provo per Tom? Ti prego, dimmi chi sei perchè al momento mi sfugge.»
E con questo aveva finito, davvero, per oggi non avrebbe più parlato, non le andava e aveva usato troppe parole per chi non ne meritava nemmeno mezza. Jay si era comportato male con lei. Okay, forse lei era un po' spinetta, ma non poteva trattarla così ogni qualvolta si trattava di Tom.
«May Elizabeth Sommes, Tom Parker sa cose su di te che nemmeno ti immagini!» Disse Jay mentre lei saliva le scale per tornare a quello che era il suo lavoro e che al momento le costava una gran fatica tenersi.


Martina can do it. (?)
Allora...
Non mi ricordo cosa dovevo dire, però doveva essere davvero importate!.. Ah, sì. Dicevo che ho controllato il capitolo circa tre volte, ma sono sicura che mi sia sfuggita qualche parola, sicuramente scritta super male. Ignoratela nel caso, sono la beta di me stessa, e sono molto distratta quindi mi perdo in un bicchier d'acqua... a proposito ho sete.

Niente. Questo capitolo... è un capitolo. Ho deciso che non esisteranno capitoli di transizione, li riempirò sempre di qualcosa e spero sempre che leggendolo voi abbiate voglia sempre di continuare  ( Vi siete rese conto che questa frase non è nemmeno un po' grammaticalmente corretta? Me lo auguro. ) e magari di recensire, per me è importante che voi lo facciate.

E dunque... May ha incontrato Jay e io dico sempre queste cose ovvie, se avete letto il capitolo. Sono un capitan ovvio, mi amo.

Niente, me ne vado... Non ho voglia di togliere il rosso da questa scritta, capite il mio problema?
Grazie a chi mi segue in silenzio. Vi capito, sono una di voi... ♥

Marti.

Ah, volevo ricordavi, che se mi qualora mi voleste seguire su twitter, nella presentazione c'è il link diretto u.u

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***



Capitolo quarto.

Aveva bisogno di una dannata pausa da tutto quello stress, perciò quando chiese un giorno ad Oliver quello la liquidò con due giorni di pausa. Non fece nessuno problema. L'abbracciò, cosa che la lasciò basita. Non era abituata agli abbracci, non le piacevano nemmeno più di tanto, ma il gesto di Oliver le fece sentire riscaldata e si ricordò com'era l'ultima volta che Luke gliene diede uno. Ringraziò con un sorriso e se ne tornò a casa. Aveva raccontato sia a Sofia che ad Oliver come era stata trattata da Jay e per quanto quelli fossero scettici, era l'unico essere umano che avesse avuto il coraggio di dirle come in realtà stavano le cose. Tom la metteva in difficoltà, la rendeva insicura e antipatica, più di quanto fosse già.
Oliver e Sofia ebbero modo di parlare di questo, finquando all'ora di pranzo, Oliver curioso rivolse a Sofia la fatidica domanda:
«Che problema ha tua cugina, Sofia?» Aveva usato il nome intero, ciò significava che si preoccupava davvero. In genere, quando erano da soli, lui la chiamava Sof, o semplicemente non la chiamava.
«Non lo chiamerei problema, Olly. - fece lei, aprendo il contenitore dell'insalata che aveva preso alla mensa. - Quando tutti chiedono a May chi sia stato il suo primo ragazzo, lei risponde Luke. Ma non penso che l'abbia davvero mai propriamente amato.»
«Uh?» Chiese allora Oliver curioso mentre addentava il suo hamburger.
«C'è stato un ragazzo. Il suo nome credo che fosse o che sia Nick. E' quel tipo di persona che mai nella vita ti potrà mai piacere, ricordo - disse cercando una forchetta - di aver visto una sua foto. Aveva occhi piccoli e attaccati al naso, vedi, i capelli castano chiaro tendente al biondo... A May piaceva davvero moltissimo. Hanno iniziato a parlare su un social network, perché nonostante frequentassero la stessa scuola, May era troppo timida per parlargli di persona. Ogni qualvolta che lui le raccontava qualcosa, mi raccontava di sentirsi parte integrale della sua vita ed era felice. Ci mise l'anima in quella storia. Un po' di tempo dopo lui le chiese di uscire. Era una cosa che aspettava da un po', dunque non se lo fece ripetere due volte ed accettò. Sai - aveva trovato la forchetta! Dunque prese con molta calma a girare l'insalata verde che aveva davanti al naso - non ho ancora tutti i dettagli di quella serata, credo che lei volesse tenersi i migliori ricordi per lei. Ma sapevo che era andata bene e che era felice, ed io ero felice per lei. - Sofia sospirò, Oliver, per un momento, pensò che Sofia avesse provato il dolore che anche May aveva provato. E forse era così. - Nick smise di farsi sentire, frantumò il cuore di May in mille pezzi e la lasciò sola, o meglio, sola con tutte quelle cose non raccontate, sola con i loro ricordi, le loro aspettative e conversazioni. Non penso che May sia realmente mai andata avanti, sai? Credo che sia diventata la May che conosci oggi solo nel momento in cui ha realizzato che di Nick ce n'era solo uno e che questo non sarebbe stato suo. Ecco la May che conosci oggi: apatica, annoiata, silenziosa e senza un vero e proprio sorriso. Ci fai l'abitudine col tempo.»
Fatto il suo quotidiano monologo, Sofia prese finalmente a mangiare. Aveva sentito lo stomaco brontolare, e tutto quel cibo era una benedizione. Oliver rimase in silenzio durante tutto il racconto, non sapeva propriamente cosa dire, era una cosa realmente triste. Avrebbe voluto conoscere la vecchia May. Da come Sofia ne parlava sembrava essere simpatica. Non che la May di ora le dispiacesse, come aveva detto Sofia: ci si fa l'abitudine.
«Perché questo Tom l'ha fatta reagire in quella maniera?» Chiese Oliver, una volta riordinate le idee. Stava davvero provando a capirci qualcosa. Sofia interruppe il suo monologo interiore e alzò la forchetta di metallo verso il ragazzo.
«Hai visto l'espressione di Tom? Okay May. Ma la reazione di lui mi è sembrata alquanto... esagerata quasi. Cioè, manco si fosse preso una cotta per lei.» E questa sarebbe stata una vera e propria tragedia.
«Uhm, e per quanto riguarda Jay?» Chiese ancora, guardandola. Aveva finito di mangiare il suo hamburger e ora prendeva un sorso d'acqua.
«Ci sto ancora pensando in effetti. Voglio dire, che diavolo ci guadagna lui in tutto questo?» Era una ragnatela contorta di pensieri quella di Sofia, anche se il suo primo pensiero raggiunse la cugina.

Due giorni passarono troppo in fretta per quanto riguardasse May. Aveva passato tutto il tempo a pensare a Tom, e a Jay e poi di nuovo a Tom. Non sapeva perché ancora non aveva smesso di pensare a quel brutto maleducato di Jay. Eppure lo faceva. Non smetteva di pensare alle poche parole che il ragazzo le aveva rivolto. A quanti significati potessero avere. Cosa intendeva quando le disse che Tom sapeva tante cose sul suo conto? Oltre ad essere imbarazzante e metteva anche un po' di paura. Poi Jay aveva usato il suo secondo nome. Una persona appena conosciuta non usa il tuo secondo nome del quale particolarmente di vergogni. Ci aveva pensato tanto, in effetti. A volta l'aveva finita a testa in giù sul letto, mentre cercava di capirci qualcosa. Non appena decise che la sua pausa era finita, si mise qualcosa di decente addosso e tornò a lavoro, sperando di non trovare nessuno dei cinque ragazzi, anche se gli altri tre non gli avevano fatto niente.  Sembravano anche persone simpatiche se non se ne andassero in giro con gente come Jay. Ce ne voleva di forza di volontà. Ma se andava bene a loro, lei non era nessuno per impedirlo. Nel momento in cui May si rese conto di dover uscire da quello stato pietoso, si vestì e dopo aver infilato le cuffie nelle orecchie uscì di casa, prendendo il primo bus che le capitò a tiro e siccome era in anticipo decise di scendere circa due fermate prima, così da poter fare due passi. Continuava a non capire perché la gente si ostinasse a voler andare a Madrid piuttosto che a Valencia. Okay, Madrid era la capitale, ma c'era sempre troppa gente e troppo poco da fare, lei c'era stata e non si era divertita granché. E lei odiava la gente, per davvero. Sentì vibrare il cellulare nella tasca dei jeans e lo prese, facendo attenzione a non togliere la musica in sottofondo: "c'è tom in giro". Inoltre Tom era stato scritto anche minuscolo. May si fermò un attimo e prese una boccata d'aria, poi si rilassò. Si sentiva pronta nel caso To avesse voluto affrontarla. Prese persino quella cartina che Jay, quel pomeriggio, le chiese. Entrò cauta dentro il b&b, col cuore che le martellava nel petto e salì le scale. Si stava buttando tra le braccia del nemico, solo per non fare la scortese. Si era fottuta il cervello, sì. Sapeva con precisione che la camera di Jay era la numero otto e che Tom aveva la cinque. Lo sapeva perché, beh.. si era documentata.  Bussò alla numero otto due volte, aspettando che venisse qualcuno ad aprirle. Sentì dei passi provenire dalla camera e una voce introdursi e non era quella di Jay, tanto meno quella di Tom. Aveva sbagliato stanza.
«Che poi perché a Valencia ci dovrebbe essere una via che si chiama: Via Barcellona?» Chiese il ragazzo, trovandosi May davanti alla porta. Questa sorrise, domandandosi chi diavolo fosse il ragazzo.
«Piacere, Nathan - fece sorridendole a sue volta. - Chi preferisci, Jay o Nathan? »
«Jay, per favore...»
«Tom! Alla porta! - fece il ragazzo. - Poi ti spiego, magari, okay? Ciao! »
Nathan lasciò la porta socchiusa, mentre May pensava a quanto inutile fosse quel ragazzo alto esattamente quanto lei. Adesso passava per la tipa che non poteva fare a meno di Tom Parker e che era addirittura andata a cercalo. Lei stava solo cercando Jay. Un grosso ed imbarazzante malinteso.
«Sì? - fece Tom, affacciandosi alla porta. - Oh, merda, ciao!» fece sorpreso, ancora.
«Carrer de Barcelona. Anche Roma ha le vie denominate per città di altre regioni.» Fece, parlando a vanvera proprio. Perché ricordava che il ragazzo avesse gli occhi chiari, quando in effetti erano castani? Una svista da ubriaca, probabilmente.
«Come?» Chiese confuso a quel punto il ragazzo.
«La domanda precedente di Nathan. La via si chiama Carrer de Barcelona. E ti ho spiegato che è una cosa normale...» Spiegò, stringendosi nelle spalle e tenendo forte a se la cartina che aveva precedentemente comprato.
«Dovresti lasciar perdere Nathan, dice sempre questo genere di cose.»
«Okay - fece sorridendo May, spostando lo sguardo dietro il ragazzo. Praticamente aveva azzeccato la stanza, ma aveva beccato il momento sbagliato, ovvero una specie di riunione. Dunque dietro Tom c'erano quattro ragazzi che la osservavano. Niente di più imbarazzante. - Ho portato la cartina che Jay mi ha chiesto l'altro giorno..» No, seriamente, cosa ci faceva lì? Poteva essere in mille altri posti meno imbarazzanti. Per giunta anche Tom la fissava. Aveva i capelli legati o sciolti?
«Grazie mille, May! - fece lui abbozzando un sorriso. Che tenerezza! Stupida, stupida May. - Abbiamo provato a cercare qualcosa su internet, ma non capiamo un cazzo!» Disse sincero, mentre si passava una mano sul mento.
«Tom!» Lo riprese un ragazzo all'interno della stanza.
«Scusa, mamma.» rispose lui divertito, volgendo la testa verso i ragazzi che erano dentro con lui.
«Chi è?» Non che le importasse davvero a May. No, bugiarda! Era curiosa e cercava di vedere qualcosa oltre il ragazzo.
«Siva! Non conosci ancora tutti i ragazzi?» Lei scosse la testa e il ragazzo in risposta aprì tutta la porta, lasciandole vedere chiaramente la stanza. Prima di focalizzarsi sui ragazzi, però, fece vagare lo sguardo sul casino che avevano combinato in quella stanza. Faceva schifo, lei poi avrebbe dovuto pulirla! A proposito, quanto avevano detto che dovevano stare
«Mettetevi composti!» Fece Tom guardando gli amici. May rimase esattamente dove era, mentre guardava la figura di Tom muoversi, notando solo ora che era senza maglietta.
«Amico, non so come dirtelo... Ma sei rimasto senza maglietta!» Gli fece notare Nathan. Jay la stava guardando e ora, anche lei guardava lui. Senza dire niente, era già stato detto - quasi tutto - . Non abbassò lo sguardo tanto meno lui, ma furono distratto dalla risata di Tom echeggiare nella stanza.
«Questo è Max - fece indicando un ragazzo disteso a pancia in giù sul letto. Quello fece un sorrisone e le sorrise - Nathan aka Nath, Jay che a quanto ho capito già conosci - il biondo fece un cenno col capo e voltò lo sguardo - e Siva.» Siva aveva un bel sorriso. Lei ne rivolse uno a ciascuno. Ma ovviamente non disse nulla, questa volta perché non sapeva cosa dire, proprio.
«Amico, avevi ragione - fece Max, mettendosi seduto. - se non ha ancora detto niente per il porcile che vede al momento parla davvero poco.»
«Tranquilli! Effettivamente parla piuttosto poco, ma quando lo fa risulta essere piuttosto velenosa.» Fece Jay, osservandosi le unghie. Tom rimase interdetto da quello che Jay disse, mentre lei rimase solo ferita. Lasciò che il discorso calasse a picco.
«Qualcuno di voi parla spagnolo? È quella la lingua della cartina.» Fece, tirandola addosso a Nathan poi, che la prese al volo. Ci fu una risata generale. Che diavolo ci facevano in Spagna se non parlavano nemmeno un pizzico della lingua madre?
«Una mano?» Chiese Tom, facendo ciondolare la testa.
«Se è Tom a chiederla allora sì, vero May?» Chiese Jay, sorridendole.
«Chi è più velenoso ora, Jay?» Chiese lei, mettendo da parte il fatto che ci fosse nuovamente rimasta male e piazzando un sorriso sul volto. «Okay, ma solo pochi minuti, perché prima di iniziare il turno devo fare merenda.» May non capiva cosa Jay volesse esattamente da lei. Chiese ai ragazzi di venirle incontro, e Tom suggerì loro di lasciarla respirare. Tom Parker sapeva che odiava la gente? Che odiava i posti chiuso? Che era uno stalker? Che Jay la osservava di nuovo? Questo non lo sapeva, perché era troppo impegnato a ridere e scherzare con Max e quando notò questo dettaglio, non si sa perché ma fu sollevata. «Noi siamo qui - fece, puntando il dito sopra la cartina, poi si guardò attorno. - Ora, dovete dirmi semplicemente dove volete andare, io tradurrò e mi disegnerò le linee guida. Ovviamente ci sono un sacco di cose che onestamente nemmeno io ho visto, ma so con quale bus potete arrivare alla stazione per poi vedere molte di queste cose. - fece, facendo roteare il dito sulla cartina - Se, invece, volete solo partecipare alla movida, Nathan abbassa la mano, sto parlando, beh dovete solo aspettare la notte e prendere un taxi, loro vi guideranno.» Fece, spiegando il tutto.
«Ora posso?» Chiese Nathan, attirando l'attenzione della ragazza e del resto del gruppo, lei annuì e lui continuò. «La parola movida, cosa significa?»
Lei lo guardò sorpresa, era una domanda molto intelligente.
«Beh, la Movida Madrileña, è un movimento sociale e artistico che si ebbe a Madrid durante la fine del regime di Francisco Franco - un dittatore che aveva quasi raso al suolo la popolazione spagnola - ed è praticamente un insieme di idee liberali di ragazzi, che finalmente, alla fine dei quel periodo, posso uscire dalle loro case riempiendo le piazze. Da cosa nasce cosa, se vuoi poi ti spiego più nel dettaglio.» Rispose sorridendo May. Nathan scosse la testa, divertito.
«Amica, sai un sacco di cose.»
«Certe cose si studiano!» Rispose lei, sorridendo.
«Per chiuderla in bellezza, amico - fece Jay e questo non prometteva nulla di buono - la movida è il divertimento notturno, quello che piace tanto a May.» Appunto.
«Jay!» Lo riprese Max.
«Cosa ti rende tanto geloso di Tom, Jay? Il fatto che quando tu vai alle feste non trovi nessuno che sia disposta a dartela?» Fece lei, guardandolo. Ma non come la prima volta che entrò nella stanza, in maniera diversa.
«Jay, con questa direi che ti sei messo in ridicolo abbastanza.» Commentò Siva, ridendo.
«No, un attimo... May, quanto ricordi della festa?» Chiese Jay, osservandola.
«Devo andare, ma se serve qualcosa fatemi un fischio o uno squillo o scendete a chiamarmi. Mi trovate giù.» Fece tirando un sorriso e alzandosi dalla sedia più pulita che aveva trovato nella stanza. Senza che nessuno dicesse niente, o meglio, lei non ascoltò, lasciò la stanza.
Quando le promesse si rompono a cosa ti appendi per stare su? Quando le promesse che fai a te stesso non vengono mantenute, chi verrà a salvarti? Tom Parker non aveva messo a soqquadro il suo mondo. L'aveva messo lei stessa. Aveva passato un mese a torturarsi il cervello con seghe mentali su come sarebbe stato rincontrarlo e non era andata male. Magari c'era qualche ricordo sbiadito, ma la persona che aveva incontrato era ancora lì. E le piaceva. E non in quel senso, o meglio, anche. Tom era una persona carina e piacevole. Aveva qualcosa che l'attirava, come al proprio tempo, Nick fece. Non era stato Tom a buttare giù da un burrone le aspettative di May. Scrisse un biglietto e salì di corsa verso la stanza di Tom. "Abbiamo bisogno di parlare, domani alle sette." E si lasciò andare a suo lavoro.


:D

Basta, ho deciso che cambio ogni volta che inizio questo pezzetto anche se non so perché effettivamente lo inizio, LOL.
Mi sono resa conto che May assomiglia sempre più alla persona che scrive questa storia, ne sta assumendo proprio il carattere. Sto parlando di me in terza sì, lo faccio, spesso succede.
Mi scuso se ci ho messo tanto ad aggiornare, sei giorni, ma proprio non avevo voglia e tempo. Inoltre ho finito poco fa di scrivere il quarto e già lavoro al quindi, scrivo finché non mi prende il blocco, anche se lo sento arrivare.
E basta, non dovrei aver altro da dire...
Ah, mh, grazie a chiunque ancora mi segue in silenzio, sono sempre una di voi. Grazie a chi mi ha messo tra le preferite, seguite etc, grazie.
Marti.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***



Capitolo cinque.

«Fammi un po' capire perché. E' come buttarti nella tana nel lupo, May...» Fece, Sofia osservando la ragazza che stava ormai da dieci minuti davanti all'armadio alla ricerca di qualcosa di carino da mettere, magari. Continuava a parlare da circa dieci minuti, per quanto May ne sapesse, ma ancora non si era stancata. Non appena il messaggio fu inviato, Tom le rispose in meno di dieci minuti, facendole sapere che per lui anche era okay, vedersi.
«Dai, Sofia. Non sto andando a morire.» Fece May, lanciandole uno sguardo dallo specchio. «Sai che porca miseria, non ho portato nemmeno un vestito? A casa ne ho di meravigliosi con tutte le feste a cui ho partecipato.»
«Se vuoi te ne presto qualcuno io, tanto la taglia è quella, ma prima - fece Sofia, girando May verso la sua parte. - voglio sapere perché per te è così necessario parlare con Tom.»
«Cosa c'è di male?» chiese a sua volta, osservando negli occhi la cugina. «È solamente quello che avrei dovuto fare tanto tempo fa con Nick; ma che non ho mai avuto il coraggio di fare..» La ragazza si mise seduta a terra, portando le mani tra i capelli. Ed eccolo. Sapeva riconoscere un crollo emotivo lontano due metri, soprattutto se quel crollo emotivo era il suo. Smetteva quasi di respirare o meglio i suoi respiri si facevano talmente fievoli e leggeri che nessuno la sentiva; parlava un sacco, quando era in procinto di piangere e soprattutto non singhiozzava. Le sue lacrime scendevano visibilmente, ma non singhiozzava.
«Sai, quando una persona ti dice che sei carina, inizi a farti delle vere e proprie paranoie. Inizi a voler sembrare sempre più bella e mentre ti guardi allo specchio, mentre osservi il tuo volto apparire solo e sempre più patetico con tutto quel trucco ti senti brutta, ma soprattutto una fallita. Hai deluso le aspettative di chi, forse, credeva in te. Quando una persona, Sofia, ti dice che sei troppo grassa lo fa per insinuarti delle paranoie e quasi sempre ci riesce. Allora passi la tua adolescenza a chiuderti se, essendo più magra, qualcuno avrebbe mai voluto baciarti. Ma questo non lo scoprirai mai, lo sai? Quando un ragazzo, al vostro primo appuntamento non ti bacia ma ti prende la mano, lo fa perché vuole colpirti e soprattutto perché vuole che sia tu a richiamarlo, così lui potrà dire che la stronza con cui è uscito il sabato sera è talmente sfigata da averlo richiamato che non aveva nemmeno messo piede a casa.» May ovviamente piangeva, ma sul suo volto c'era sempre un certo e vago sorrisino sarcastico. Non aveva ancora parlato di se, lei non faceva parte di quelle categorie che aveva appena elencato alla cugina. «Quando un ragazzo ti dice 'voglio continuare ad uscire con te, ti chiamo presto' e non lo fa.. io non lo so perché non lo fa. E vuoi sapere perché non lo so? - chiese retorica alla cugina che nella sua posizione si limitò solo a scuotere la testa. Non voleva bloccare le lacrime, ci aveva messo così tanto a farle scendere. - perché non ho mai avuto le palle di chiedere a Nick perché mai non si fosse mai più fatto sentire.» Questa parte la sussurrò, dubitò - per un secondo che sua cugina l'avesse sentita. Era difficile ammetterlo, era difficile dirlo a voce alta. «Adesso voglio sapere perché Tom non si è più fatto sentire, perché poteva farsi sentire. Ha il mio stesso accento, non può essere un turista. Ecco perché parlerò con Tom, va bene? - spiegò ancora, rivolgendo un sorriso alla cugina che seria e senza dire niente annuì. - Bene. Hai un vestito azzurro?»
«No. Ne ho uno sul lilla e uno blu con i fiori.» Rispose lei, guardandola.
«Quello lilla andrà bene, i fiori non mi piacciono tanto..» Fece May, alzandosi da terra e pulendosi gli occhi verdi dalle lacrime. Adesso andava tutto bene.
 
Ci aveva in pratica rinunciato. Aveva legato i capelli a discapito di quanto si riproponeva. Aveva provato circa dieci modi per mettere i capelli. Forcine, cerchietti, fiocchi e quello che riusciva ad essere alla fine era: poco seria, scialba e noiosa. Camminava composta con la sua borsa a tracolla e il vestitino che, ogni tanto, oscillava. Doveva ricordarsi che quello non era un appuntamento, era semplicemente l'unica occasione per chiarire la situazione che si era creata. Ancora una volta si trovò a pensare a quanto effettivamente fosse stupida a voler parlare di una situazione che probabilmente solo lei vedeva tragica.
«Ciao! - fece Tom, sbucando dal nulla. Lei portò una mano al petto, e si girò a guardarlo. - Sono per caso in ritardo?»
«Ugh, no, sono appena arrivata, tranquillo..» Fece, lei sorridendo al ragazzo.  «Andiamo posso arrivare in un posto, dove i tuoi amici non ci troveranno mai. Mia cugina sì, ma tanto sa che non deve cercarmi.»
«È contraria?» Chiese Tom, mentre metteva le mani in tasca ed osservava la ragazza camminare davanti a lui.
«No, è solo molto... protettiva, vedila così.» rispose.
«Sei molto carina, questo colore ti dona!» Fece lui, sorridendole. Non appena aperto il sorriso, la ragazza tornò a guardare davanti a se era chiaro che quel sorriso non poteva vederlo, chiaro come il sole. Se avesse voluto restare lucida, sapeva benissimo cosa fare.
«Grazie, tu profumi di buono. Anche mio padre usa questa marca di profumo.» Rispose, guardandola. «Questo.. è il porto di Valencia, attraccano un sacco di robe qui, lo sai?»
«Non pensavo fossi tipa da porto, May.»
«Perché - fece, ridendo - ti scappa da fare la pipì se vedi l'acqua?» Chiese, ridendo la ragazza.
«Touché - ammise il ragazzo, tirando indietro la testa - No, in ogni caso è molto bello, mi piace.» May annuì alle parole di Tom, osservandolo, mentre si sedeva su una panchina.
«Sai... Il tuo nome mi piace, è.. la primavera, ed è la mia stagione preferita.»
«A proposito di questo, Tom - fece lei, andando a sedersi vicino al ragazzo - sai che ho due nomi, me l'ha detto Jay, come è possibile?» Tom fece ciondolare la testa, cercando una plausibile risposta. Increspò le labbra, poteva assolutamente dirle la verità, ma quello sarebbe stato più difficile.
«Quando sei andata via dalla festa mi sono documentato un po' di te. Sai com'è, tutti ti conoscono.»
«Sì, io.. frequento molte feste e le persone hanno iniziato a riconoscermi - rispose - ma Tom non regge, capisci? Il mio secondo nome non è presente nei registri. È un nome che non ho dalla nascita. Quando mia zia è morta, mio padre ha deciso di mettermi il suo nome, avevo otto anni, ed è.. Annabeth! May Annabeth Sommers.»
Lui sospirò solamente, prese in considerazione l'idea di dirle la verità.. «Sono tipo un'entità che indovina le cose!» provò, ridendo.
«Parker!» fece, ridendo.
«Uhm.. mi sono preso una cotta per te e allora... mi sono semplicemente preso la briga di conoscerti, anche se tu non lo sapevi. - continuò il ragazzo - volevo chiederti di uscire, ma sei sparita del tutto dopo.»
«Avevo la maturità...» Fece lei, interrompendo il discorso. «Avevi una cotta per me e non mi hai cercato assolutamente?»
«Avevo? Sta di fatto che non ti ho trovato, capito? E poi quella festa è stata particolarmente sfigata.» Rispose Tom.
«Perché?»
«C'erano anche gli altri alla festa, cioè non tutti, Nathan e Jay da qualche parte e praticamente mentre si giravano il posto una ha detto al secondo che non era abbastanza ubriaca per farsela con lui! Jay c'è rimasto malissimo perché in genere è uno che piace, sai com'è.» Raccontò Tom cercando di far capire alla ragazza quanto fosse stato duro questo colpo per il suo amico.
«Andiamo, non è mi- » fece, interrompendosi di colpo, lasciando vagare lo sguardo nel vuoto.
"May, quanto ti ricordi della festa?" Era lui. Era lei ad averlo trattato male per prima, lui si stava prendendo la rivincita che tanto meritava, perché lei era stata cattiva.
«Che succede?» chiese Tom, muovendole una mano davanti agli occhi.
«Niente, scusami Tom.»
«Deve esserti successo qualcosa per forza, perché non mi chiami mai Tom: Parker, Tom Parker, ma mai col mio nome. Quindi..?» Astuto il ragazzo, e soprattutto prestava attenzione a quello che lei diceva, cosa che risultava impossibile.
«Non ho ancora mangiato ed ora ho fame.» Fece sorridendo. Tom rilassò le spalle visibilmente per chissà quale motivo. Stava andando tutto bene, forse...
«Sei tu quella che parla spagnolo, posso comprarti il mondo!»
 
«Parker - iniziò la ragazza, mentre con la stecchetta di legno prendeva un'altra patatina fritta dal piatto bianco che Tom aveva sulle ginocchia. Vide il ragazzo alzare lo sguardo verso di lei. - Perché una cotta per me? C'erano un sacco di persone a quella festa!»
Tom aggrottò le sopracciglia, passandosi la lingua sulle labbra salate.
«Sai, credo che a prescindere non si possa decidere per chi prendersi una cotta. - iniziò il ragazzo, osservandola - E poi c'è il fatto che io non ero ubriaco e ricordo esattamente tutto quello che mi hai detto o non detto e soprattutto come me l'hai detto. Mi hai divertito e allo stesso tempo mi hai fatto una gran tenerezza.»
Lo aveva divertito? Era una cosa impossibile e alla quale non credeva per niente, lei non era divertente. Era una rompi palle per eccellenza, odiava il mondo e per qualche strana ragione sapeva che il mondo odiava lei o parecchie cose che la riguardavano non sarebbero andate così male.
« E poi - riprese a parlare, dopo che ebbe riso un po' delle sua espressione pensierosa - eri ubriaca! Credevi che ti volessi stuprare e hai comunque detto quattro parole in croce in mezz'ora che siamo stati assieme. Dove la trovo una ragazza che parla così poco? C'è qualcosa di diverso in te.» lei annuì, alzando gli occhioni verdi verso il ragazzo che al momento le pareva così simpatico. «May, credi che io.. - si interruppe per schiarirsi la voce. Non le stava per chiedere se per caso anche lui le piacesse vero? Erano cose elementari. E inoltre solo ora le veniva in mente che non sapeva assolutamente quanti anni avesse. - ...May Sommers?» la richiamò a se.
«Tom Parker?» Rispose guardandolo e sorridendo. Lo sapeva cosa stava per succedere e non ce la faceva a spostarsi, non ce la faceva proprio perché era proprio come la prima e dannatissima volta. Lui poggiò con estrema calma le labbra su quelle della ragazza e lei sentì il sapore salato, ma soprattutto sentiva una strana e piacevole sensazione di casa.
 
«Sì, ho io le chiavi - fece, la ragazza cercando di tenersi lontana dalle labbra di Tom., ma devi fare silenzio, Tom, per favore o sveglierai tutti tutto.» Prese le chiavi dalla borsa che teneva ancora a tracolla e aprii il portone. «Shh, entra... Buonanotte Parker!» disse salutando allegramente il ragazzo che le baciava la guancia e saliva le scale.
C'era qualcosa che doveva ricordarsi di prendere, ma che al momento le sfuggiva: Il Piccolo Principe, ecco!
«Che cosa stai facendo a quest'ora qui?» chiese una voce, facendo saltare la ragazza dall'altra parte della stanza, quasi.
«Che diavolo! Jay? Che cosa ci fai nella hall a quest'ora?»
«Ti sei divertita con Tom?» chiese ancora.
«Jay... - disse la ragazza, poggiando una mano sul petto di Jay che al momento sentiva vicino, troppo vicino. - io... senti, io quella sera non ero in me. Mi dispiace averti trattato male o qualsiasi cosa io ti abbia detto ma che non ricordo, mi dispiace..»
«Non importa. Hai conosciuto Tom e sono sicuro che ne sia valsa la pena, no?» Aveva bevuto? Perché iniziava a sentire l'odore dell'alcool entrandole nel naso.
«Sono sicura che ne sarebbe valsa la pena anche per te, davvero.»
«May.. Lui è tornato da me e mi ha raccontato di questa bellissima ragazza con i capelli biondi e gli occhi verdi lo avesse baciato. Mentre a me, la stessa ragazza mi avesse dato il due di picche.. E non lo so, non so perché sono geloso di Tom. E allora io ho potuto dirgli solo che era stato bravo! - continuò, guardandola. - Frequentavi il corso A, vero? Ti sei diplomata con settantanove e frequenterai a Liverpool il corso di lingue? Non è vero? Io ti avevo trovato a differenza sua. Ma non sapevo cosa mi bloccasse. E tu.. continui a preferire Tom!»
«Jay, non so di cosa parli... Hai assolutamente bevuto.. e.. devo andare..» fece, allontanandosi, prima di sentire il polso bloccato dalla sua mano. «Mi fai male, Jay...» Le distanze si annullarono e con loro tutte le sicurezze di May, nuovamente.

Martina.
Non lo so perché ci metto tanto ad aggiornare, avendo anche i capitoli già messi e solo da correggere, credo di essere solo molto pigra. Niente. Spero che non ci siano errori e questa volta non ho niente da dire.
Non mi odiate per la Tay(May+Tom.), avranno il loro tempo, spero. Lo spero anche per me, perché li shippo ardentemente. LOL
Mo vado che devo recensire un po' di cose, LOL.
Hasta luego.♥

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***



Capitolo sei.

Doveva assolutamente svegliarsi e smetterla di essere quel genere di ragazza che gli altri volevano che fosse, non lo era mai stata e non doveva iniziare ad esserlo ora. Aprì gli occhi, guardando il soffitto bianco della camera che occupava. Bianco. Bianco come il suo umore, bianco come la neve. Bianco come gli accenni di bianco che i capelli di suo padre iniziavano ad avere. Non lo aveva ancora sentito da quando era arrivata. Era già passata più di una settimana. Qualche messaggino al volo alla madre, ma per il resto non aveva sentito nessuno o sicuramente avrebbe sofferto la mancanza da casa. Le mancava solo quello. Suo padre era la sua nota ispiratrice. Aveva preso il suo carattere da suo padre: silenziosa, vivace, particolarmente antipatica, sguardi fulminanti. Per quanto riguardava l’antipatia, suo padre non lo era veramente, era solamente solito dire le cose in faccia e molto spesso, questo alla gente non piaceva. La gente era ipocrita, May lo sapeva bene. Chiedeva sempre sincerità, e quando la servivi su un piatto d’argento, ti voltavano le spalle offese. A suo padre non importava molto. Era sempre stato un uomo solitario. Quando era più piccola, le bastava un solo sguardo da parte dell’uomo per frenarla del tutto. Ma lei era sempre stata una bambina calma, mai irrequieta. Sempre stata una figlia modello con la testa sulle spalle. Peccato essere figlia unica, sarebbe stata una sorella maggiore perfetta.  “May” era il mese in cui sua madre vide per la prima volta suo padre, per le vie di Bilbao, nota città spagnola. Steven era in vacanza in Spagna, mentre Peggy in Spagna ci viveva e poi lei, per chissà quale ragione, lasciò tutto per seguirlo in Inghilterra. Pensandoci bene, chissà dove sarebbe adesso se avesse continuato a stare in Spagna, anziché in Inghilterra. Nessun Tom a farla sentire un’adolescente, nessun Jay a farla sentire insicura. Il personaggio che si era costruita non era insicuro, era forte. Lei però sì, e questo la scopriva visibilmente, la rendeva, secondo lei, una preda facile da attaccare. Scoperta, violata nella sua persona. Quando aveva scelto di essere quel genere di persona che finge di apparire, si era ripromessa che non avrebbe mai permesso a nessuno di renderla debole, ma ormai tutte le promesse che si era fatta erano andate a farsi un giro, assieme alla sua sicurezza.
Un giorno, voleva svegliarsi, magari a casa sua, ed avere una giornata facile. Ne chiedeva solo una, poi avrebbe vissuto tutti i giorni, senza lamentarsi, ma almeno una gliela si doveva. Prese il cellulare, controllandolo per la prima volta da, quando era tornata a casa dalla sera precedente. Si era chiusa nella sua camera, poggiato la testa sul cuscino e addormentata pesantemente col sapore delle labbra di Jay invece che con quello di Tom, come tutti si sarebbero aspettati, compresa lei. Passava sempre più tempo a chiedersi come mai due persone come Jay e Tom l’avessero baciata e invece Nick non ci avesse mai nemmeno provato. Cosa aveva di sbagliato? Attirava due persone a baciarla, ma mai l’unica persona che per anni, aveva voluto.
Fortunatamente, a parte Tom, nessuno aveva il suo numero di cellulare e per quanto riguardava una questione di privacy, quello non compariva nemmeno nei registri lavorativi. Non che Oliver e Sofia non ce l’avessero, solo sapevano bene di non essere autorizzati a darlo in giro. Era ‘salva’ almeno per ora.
Non aveva pensato a molte soluzioni per mettere fine a quell’imbarazzante situazione che si era creata e che solo lei e Jay conoscevano. Perché effettivamente il ragazzo sapeva benissimo che Tom probabilmente l’aveva baciata, ma se n’era fregato baciandola a sua volta, creando una situazione brutta, bruttissima. Forse avrebbe solo dovuto licenziarsi. Pazienza per l’università, i suoi genitori le avrebbero pagato il primo anno e poi avrebbe cambiato meta turistica e sicuramente anche tipo di lavoro. Olanda, o perché no, magari l’Italia. Ora che ci pensava aveva dei cugini danesi alla lontana. Che meraviglia! Per quanto riguardava il posto era apposto. Era strano pensare che due persone le avessero rovinato tutto quello che aveva costruito in anni e anni. Era strano soprattutto pensare che non era effettivamente colpa loro, bensì sua. Era lei l’ubriaca quella sera. Lei aveva baciato Tom, lei aveva respinto Jay. Lei si era scavata una specie di fossa da sola. Era una stronza, soprattutto per aver trattato male Jay, che effettivamente visto da sobria, non era per niente male, anzi, se la situazione non fosse stata così complicata ci avrebbe anche fatto un pensierino; ma perché diavolo era così bloccata? Con tutti, parenti, cugini, amici, compresa se stessa. Forse avrebbe potuto smetterla di fare la tragica, magari cercarsi sempre un nuovo lavoro dove non avrebbe incontrato i ragazzi. Cameriera o no a quel punto non avrebbe fatto nessuna differenza, niente poteva andarle peggio.

«No.» Disse Oliver, con tono di voce di chi non ammetteva repliche.
«Cosa? Perché? Ah.» Ribatté May, guardandolo. «Odio tutti quanti. Tutti , compreso te. Jay, Tom… Pure Nathan, Siva e Max. – che ovviamente non c’entravano niente, ma lei doveva trovare qualcuno con cui prendersela. – Ma soprattutto te, che ti reputi mio amico. Ah, dannazione, ma voi che ne sapete di me?»
«So che mi hai stancato. Che prima di essere un tuo amico sono la persona che gestisce e che deve mandare avanti questa baracca qui e che non accetto il foglio delle tue dimissioni. Ora vai a lavorare e fai quello per cui ti pago.» Concluse Oliver, guardandola. Se l’era tirata e sapeva benissimo che Oliver non le avrebbe mai parlato in quella maniera se non se la fosse tirata.
«No!»
«Quanto sei matura! Fai anche i capricci? Andiamo, smettila di complicarti la vita da sola. Che bisogno hai di farlo costantemente?» fece il ragazzo, mettendo le braccia conserte all’altezza del petto. La ragazza sbuffò.
«Che succede?» Chiese Tom entrando dentro la hall dopo aver sceso le scale. Possibile che questi ragazzi se ne stessero sempre e solamente rinchiusi in camera propria a non fare niente, mentre erano in vacanza?
«Odio tutti.» Ripeté la ragazza ciondolando sulle sue gambe salendo poi di corsa le scale.
No, questa volta non voleva che nessuno la disturbasse, che venisse a farle la morale. Aveva solo bisogno di silenzio intorno a sé. Non era come quando, al terzo anno, le venne un crollo emotivo alla lavagna e aveva bisogno di qualcuno che le dicesse che tutto sarebbe andato bene, no. Questa volta non aveva bisogno di nessuno. Solo di se stessa. Sapeva bene come trattarsi, come parlarsi, soprattutto sapeva come prendersi. Sapeva in quanto le sarebbe passato. Non aveva bisogno di qualcuno con le spalle larghe. Col tempo, le sue si erano fatte abbastanza larghe da poter sopportare tutto. Aveva anche imparato a fingere che tutto andasse bene, quando, secondo dopo secondo tutto dentro di lei stava rompendosi. Non aveva bisogno di nessuno finché avrebbe avuto se stessa e lei sicuramente, non si sarebbe mai abbandonata e non si era mai sentita sola. Ma ora in quella stanzetta, oltre ad iniziare a sentirsi sola, stava iniziando a darsi per vinta, ad accettare tutto quello che le arrivava, anche se queste erano continue pugnalate alle spalle. Piano piano il personaggio che si era costruita stava colando a picco, portandosi dietro pure lei. Non aveva voglia di piangere. Aveva pianto tanto in passato e poi non ne aveva il tempo. Tutto stava trascorrendo troppo velocemente e lei continuava a non accorgersene, non sentiva che il tempo stava passando. Fu un continuo bussare alla porta che la riportò indietro.
«Avanti» fu flebile, tanto che dubitò che chiunque ci fosse fuori l’avesse sentita. Con sua gran sorpresa, vide Jay entrare, chiudendosi la porta alle spalle. Alzò il viso completamente asciutto verso il ragazzo che le sorrideva e si sedeva nella poltrona accanto a quella in cui lei era rannicchiata su se stessa.
«Non mi pare il momento… Per favore.»
«Imparerò a tapparmi la bocca se questo serve a starti vicino al momento.» Fece il ragazzo guardandola. Lei si strinse nelle spalle.
«Andata» commentò in un secondo momento, sorridendo o almeno, provandoci.
Era sicura di non voler qualcuno che riempisse i suoi silenzi frequentissimi? Iniziavano davvero ad essere troppo pesanti per una persona piccola come lei.
«Sai, una volta – fece Jay, come se le avesse letto nel pensiero – sono caduto in una piscina. Non sapevo nuotare e prima che qualcuno si accorgesse di me sono passati dei secondi lunghissimi. Ora ho la fobia dell’acqua.»
«Si chiama idrofobia ed è comunissima.» Disse lei, alzando lo sguardo verso il ragazzo che le raccontava il tutto senza che lei nemmeno glielo avesse chiesto.
«Sai davvero un sacco di cose, come ci si sente ad avere una risposta per tutto?» Chiese Jay, sorridendo.
«Non ho una risposta a tutto.» Aveva dei piedi piccolissimi e, solo ora, che non alzava lo sguardo, l’aveva notato.
«Ah, no?»
«No. Per esempio non so perché tu mi abbia baciato, creando un enorme casino nella mia testa, Jay. Non so perché fai finta di niente, ma soprattutto non so perché sei qui al momento.»
«Tu a tua volta stai facendo finta di niente.» Chiarì Jay, guardandola. Che voglia aveva di sorriderle.
«Okay. Ti sei pentito?» Chiese la ragazza, guardando il ragazzo con la coda dell’occhio. Non aveva idea del perché tutto quello che riguardasse Jay, al momento le provocasse le farfalle allo stomaco o in qualsiasi parte del corpo, ma stava andando così.
«Di averti baciata?» chiese lui, chinando la testa di lato.
«Vedila così.»
«No, vedila così.» Rispose lui, portandosi una mano tra i capelli e smuovendoli un po’. May suo malgrado sorrise, guardando l’espressione che il ragazzo assunse. Portò le mani sul viso, coprendolo. In un primo momento pensò che lo stesse facendo perché come al solito voleva chiudersi in se stessa, invece lo faceva perché non voleva che qualcuno la vedesse così. E faceva un po’ strano a dirla tutta, anche a lei. Era sempre abituata a vedersi cupa e… silenziosamente noiosa, e adesso… era sorridente, si piaceva di più. Sì, decisamente.
«May, ascolta… - fece Jay, attirando l’attenzione della ragazza. – non puoi dirlo a nessuno. Tanto meno a Tom. Perché… io ci tengo – deglutì, come se fosse una cosa difficile da dire, abbassando lo sguardo – ma… al momento non possiamo.»
Questo valeva come: ‘ci tengo a te, ma non quanto tengo a Tom, che è mio amico da una vita!’ Lo guardò interrogativa e senza aggiungere molto annuì.
«Okay, grazie – riprese a parlare, alzandosi dalla poltrona. – Ora devo tornare giù. Mi sto trattenendo troppo in bagno.» La ragazza annuì ancora, lui doveva andare, lei doveva fare quello per cui era pagata così come le era stato ricordato e chiesto. Jay si chinò a baciarle la fronte. « Ah, - aggiunse – chiamala ironia, se vuoi… Ma questa è la mia stanza.»

Si sentiva così cretina al momento, mentre cercava di capire perché era andata proprio in quella stanza, mentre provava a capire perché le cose con Tom non fossero mai così semplici. Perché proprio Jay, in tutto questo? Sapeva bene che i due ragazzi erano amici, ma perché Jay si era avvicinato lo stesso a lei? Cosa potevano avere May e Jay in atto, al momento? Perché al momento l’unica cosa che lei sapeva era che probabilmente le cose non stavano andando poi così male al momento.


«First, I'm trying to prove to myself that I'm a person.»
Marilyn Monroe.

Credo che questa frase stia benissimo con May, LOL. E per niente è anche la descrizione su una delle mie immagini del profilo sul real. Chi vuole intendere inteda u.u
Io sono a metà del capitolo nove, mi porto avanti ora così se magari mi dovessi stancare di questa long ho i capitoli pronti e non vi abbandono: MUAHAHAHA.
Dovete assolutamente farmi sapere per chi shippate, perché io non lo so più, perché il mio grillo parlante mi dice che May e Jay sono kafjcjkdf e che devono stare assieme e invece ho un'amica che mi dice che Tom e May sono assolutamente più belli, io non lo so. Non so se l'ho già detto, ma probabilmente inizierò a shippare Tom e Jay, così la faccio finita. Comunque... Niente.
Un ringraziamento va a chi ha recensito, chi continua a leggermi e chi mi supporta, dicendomi: SCRIVI! Praticamente ogni volta che mi vede con le mani in mano... Mia cugina, sì. Quella lì a cui è dedicata la storia, ah, mi ha ancora corretto il capitolo, facendomi notare che avevo usato una parola nel mio dialetto per descrivere May LOL.
Comunque sì, finito. Buona lettura, lova y'all.
Marti.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***



Capitolo sette.
 
May non rispondeva a nessuno dei suoi messaggi, non rispondeva alle chiamate e se non la conoscesse almeno un po’, il ragazzo avrebbe detto che lo stava ignorando. Si convinceva che non fosse così… Forse lo stava davvero ignorando. Non aveva spento il cellulare, quello continuava a squillare, mentre Tom cercava di mettersi in contatto con lei, lei lo lasciava squillare oppure, addirittura, faceva rispondere Sofia che aveva sempre una scusa pronta per non passargli May. Aveva sicuramente preso tutti i turni mattutini, così non avrebbe incontrato nessuno, visto che a quell’ora loro dormivano, non si era più vista in giro.
Tom sapeva benissimo che qualcosa non stava funzionando, sapeva che qualcosa stava andando male, lo sapeva perché se lo sentiva, come se fosse il suo sesto senso a dirglielo. Nessuno esternamente era cambiato: i suoi amici erano rimasti quelli di sempre. Nemmeno Jay che di colpe ne aveva più di tutti. Tom sapeva che qualcosa aveva smesso di funzionare tra loro e che – forse era solo una sua paranoia – qualcosa aveva iniziato ad esistere tra May e Jay. Sapeva che anche il ragazzo aveva iniziato a cercarla. Perché ancora non gli era chiaro, probabilmente il rifiuto gli aveva fatto capire che non poteva avere tutto dalla vita, ma sapeva anche che – a differenza sua – Jay l’aveva trovata. Non capiva perché non gliene avesse mai parlato erano buoni amici, da sempre, quasi. Ed erano arrivati in Spagna con le stesse speranza: promuovere quel disco che non stava andando bene. Non capiva Tom, onestamente. Forse le piaceva, ma… si tornava sempre al solito discorso: perché no?
Quando May era scappata in camera sua, Jay aveva detto che andava in bagno, e poi, quando aveva voltato lo sguardo, lo avevo intravisto uscire dalla sua stessa camera e poco dopo May. Non era assolutamente lucido, obbiettivamente, perciò strinse i pugni; non aveva nessunissima prova sul fatto che i due potessero avere una relazione o qualcosa del genere.
 
«Che fai?» Chiese Tom, che finalmente dopo quasi tre giorni aveva avuto il piacere di incontrare la ragazza. Quella sorrise, passandogli la busta delle patatine.
«Olimpiadi… La Spagna non sta andando bene per niente, ma per quanto riguarda l’Inghilterra è quarta, stando al medagliere.» Commentò guardano prima Tom e poi la tv che continuava a passare immagini patriottistiche alla tv. Tom incrociò le gambe e si sedette affianco alla ragazza, prendendo una patatina e ripassandole la busta.
«Come stai?» Chiese May, sentendo che lui non parlava.
«Bene, grazie… Non mi prendere per uno che ha bisogno della presenza femminile, ma sono tre giorni che non ho notizie di te, e… niente…» Tom sospirò. Non era riuscito a dire quello che voleva, come sempre.
«Già. Scusa.» Rispose lei, omettendo alla grande che lei non si era isolata, solo aveva scelto di passare un po’ più di tempo con Jay.
«Lo so che a te non piace parlare, però… Se vuoi, io posso stare zitto. Basta starti affianco.»
«Buffo.» Commentò in maniera sarcastica May, sorridendo, però al ragazzo che stava di fianco a lei. Tom la guardò interrogativo, cercando di capire dove andasse a parare, ma effettivamente di May Sommers aveva capito poco e niente.
«Che fai stasera?» Chiese Tom. May si morse un labbro.
«Sono ad una ‘festa’.» E Tom sapeva bene cosa significava.
«Ti serve compagnia?»
«No, grazie.» May rispose, usando un tono educato.
«Perché no?» Chiese Tom. ‘Perché ci vado con Jay che a sua volta non vuole che tu sappia che ci vado con lui e questa pare tanto una relazione clandestina, non te la prendere. Non so che diavolo io stia facendo, ma al momento sto bene così.’
Tutto ad un tratto aveva smesso di sentirsi bene, però. Si sentiva un’egocentrica stronza – stronza lo era, ma non egocentrica! – che aveva delle manie di… protagonismo. Si sentiva come se volesse avere tutta l’attenzione dei ragazzi per lei, cosa che invece non era vera. Voleva solo… stare bene! Non le importava con chi o da sola. Non era il genere di persona che aveva bisogno di un ragazzo per sentirsi a proprio agio, anzi, aveva sempre mandato avanti la baracca da sola.
«Vado con Sofia ed Oliver!» Disse lei, pulendosi la bocca dalle briciole. «Usciamo assieme domani?» Chiese a quel punto, interrompendo la serie di pensieri che le governavano la testa.
«Non ho bisogno che tu mi faccia la carità. Se non hai voglia di uscire con me basta dirmelo. Me ne faccio una ragione e vado avanti.» Disse Tom, alzando un sopracciglio.
«Andiamo. Non voglio farti la carità – fece sbuffando May. Okay, forse si sentiva un po’ in colpa perché stava ‘uscendo’ con Jay, ma non era carità – mi fai sapere domani mattina o stasera se hai voglia di uscire? Grazie.»  Si alzò da terra e s’incamminò verso il suo prossimo lavoro. La stanza 15.
 
«Non capisco un cazzo di quello che dicono.» Disse Jay, lamentandosi, mentre occupava il suo posto nella fila.
«Jay! – lo rimproverò May, punzecchiandolo sul petto con l’indice. – Dicono che sono bellissima e che sono sprecata per un tipo come te.»
Il ragazzo grugnì nella direzione della sua accompagnatrice, mentre quella rideva. «Scherzo. Non capiscono perché ci stanno mettendo tanto ad aprire.»
«Pensavo che conoscessi le persone che gestivano questo locale.» Disse Jay incrociando le braccia al petto.
«No. Se mi avessi ascoltato… Io ho detto che Oliver conosce il tipo, ma io sono con te mentre lui è con Sofia.» Fece lei, mettendosi le braccia sui fianchi, aspettando che Jay dicesse qualcosa. Invece continuava a guardarsi intorno, cercando di capire qualcosa. «Comunque se avessi saputo che eri così noioso avrei accettato l’invito di Tom.» Concluse, mettendo le mani nelle tasche degli shorts rosa che aveva portato direttamente da Londra. Ah, finalmente usava qualcosa di suo. Lui scosse la testa molto seriamente, mentre lasciava intravedere un sorriso.
«Mi hai appena convinto a fare da bravo!» Aggiunse poi, chinandosi per baciarla.
«Non capisco cosa sia quest’astio nei confronti di Tom. Tu gli vuoi bene, lui ti vuole bene, io…» Si interruppe, guardando nella stessa direzione in cui guardava Jay che aveva cambiato molto velocemente espressione.
«Tu? Scommetto che tu non sapevi che lui era qui, vero?»
«Cazzo!» Due erano le cose: prima di tutto Tom non sapeva che a quella festa era con Jay, secondo: come aveva fatto a scoprire che era proprio in quel locale? La stava seguendo? Pedinando? In quel caso l’aveva vista con Jay da subito. Sentì Jay sospirare, togliersi il capellino e passare una mano tra i ricci castano chiaro. Dovevano assolutamente trovare una soluzione affinché Tom non li vedesse se ancora non l’aveva fatto.
 
Avevano passato circa un’ora della serata attaccati a Sofia e Oliver che avevano un posto a sedere al chiuso, così nessuno li avrebbe visti.
«Ma non fate altro che baciarvi?» Chiese Jay, innervosito mentre guardava l’ormai coppia. May si batté una mano sulla fronte, perché era effettivamente vero. Aveva anche iniziato ad essere imbarazzante visto che quella era sua cugina.
«Jay, dai, andiamo a ballare.» Fece lei, alzandosi i pantaloni, alzandosi dal divanetto. Attirò l’attenzione di Sofia che la guardò interrogativa. «Mi sono stancata anche io di vedervi attaccati. Nemmeno se tu fossi lo scoglio e Oliver la cozza. Se sono sembrate offese non lo erano. Era solo una metafora per farvi capire.» Jay si alzò seguendola per la pista. Come da registro, il ragazzo girò il cappellino azzurro mettendo la visiera dietro, mentre prima era di lato, attaccandosi al corpo di May che ballava con le braccia sollevate.
«Te l’avevo detto che ne sarebbe assolutamente valsa la pena anche con te, amico!» Lui rise, baciandola velocemente sulle labbra, sentendo il sapore di mente che la gomma da masticare aveva lasciato nella bocca di lei. Dannazione, per quanto adorasse quel contatto, c’era qualcosa che non le tornava. La sensazione che aveva quando baciava Tom era diversa. Non migliore o peggiore, diversa. Cosa cambiava oltre ai due ragazzi?
Si sentiva cattiva più che mai a pensare a questo, mentre ballava con Jay. Si permetteva di pensare a Tom mente era con Jay, nello stesso luogo appiccicati mentre ballavano. Odiava essere confusa. Odiava non sapere cosa fare. Era una stronza. Ed era la seconda volta in una serata che se lo diceva.
«Sommers!» La richiamò Jay, passandole la mano davanti al viso, mentre la musica era terminata. Si era persa praticamente mezza canzone.
«Dimmi tutto. Beviamo?» Chiese lei, guardandolo. Lui storse le labbra, mentre lei pronunciava quell’unica parola.
«No.» Rispose, mettendosi a camminare. Aveva usato il tono di chi non conosceva repliche, proprio come suo padre.
«Andiamo, mica sei mio padre.» Cominciò seguendolo.
«Non mi piace quando bevi. Non mi piace come diventi.» Rispose lui, infilando le mani nelle tasche.
Ma a lei, francamente, quanto gliene importava? Ah, si odiava. Si odiava perché quando qualcuno le faceva notare che certe cose del suo comportamento non andavano bene partiva al contrattacco, anche se sapeva benissimo che questa persona – in questo caso Jay – aveva ragione.. L’unica cosa che al momento riusciva a pensare però era che non le importava niente se a Jay non le piaceva quando beveva, non si poteva piacere sempre a tutti. Si perse, lentamente, tra la folla dentro il locale, avvicinandosi al bancone.
«Tiene alguna cosa fuerte?» Chiese May, facendo riferimento al ragazzo che era seduto affianco a lei, che tra le mani aveva una coca cola con limone. Il barista annuì, muovendosi veloce, porgendole in seguito un liquido verde. Bello il verde. Era il colore preferito di Sofia. Sofia non aveva mai ragione. Non aveva ragione, quando parlava di Tom, ne, quando diceva che non Jay era carina. Aveva detto che sicuramente Jay non le avrebbe fatto male e invece le aveva detto che c’erano aspetti di lei che non gli piacevano. Okay, non tutto poteva piacergli di lei, però lei ci teneva molto ad andare bene a qualcuno. Per quanto Tom a Sofia non piacesse lui queste cose non gliele aveva mai dette. Per la prima volta da quando era in quella stanza, pensò di aver sbagliato accompagnatore. Forse doveva dare più possibilità a Tom. Nel momento in cui girò lo sguardo, a May parve di vedere Tom, ma probabilmente era solo l’alcool e questo significava che il liquido verde era davvero forte come aveva chiesto. Ne chiese un altro guardando il barista che prima le chiese i soldi.
«Voilà.» Fece posando un banconota sul bancone e prendendo da bere. Non appena ebbe finito il drink, si alzò di scatto dallo sgabello: doveva assolutamente fare la pipì.
Il bagno era molto grande e pulito, o almeno, così sembrava. Però non aveva molta luce, forse perché non c’erano finestre ed era vuoto al momento. Con passo svelto raggiunse la metà della stanza, vedendo che il primo bagno era libero.
«Sì, mi va di uscire domani sera con te, May.» Fece Tom. Possibile che non aveva sentito i passi del ragazzo che arrivava? Lei trasalì.
«Non è serata, Parker. Ne parliamo domani.» Ripose lei girandosi verso il ragazzo. «Inoltre è il bagno delle ragazze, mi pare scontato dirti che non sei ben accetto qui dentro. Fuori magari. Ah. Come fai a sapere che ero qui? Mi hai seguita? » L’alcool la rendeva audace, le dava la possibilità di fare tante domande.
«Mi avevi detto che eri con Sofia ed Oliver!»
«No, eh? Hai deciso che è questo il momento in cui vuoi parlare di tutto. Ci sono, ma sono per conto loro.» Disse, allargando le braccia e lasciandole cadere poi suoi fianchi. «Ora mi lasci fare la pipì?» Chiese passandosi una mano tra i capelli, ancora, mentre osservava Tom. Tom le si avvicinò, cautamente.
«Quanto hai bevuto?» Chiese May avvicinandosi a sua volta e mettendo le mani dietro il collo del ragazzo.
«Un po’. Ma posso assicurarti che capisco tutto alla perfezione.» May sospirò, mentre lui poggiava le mani sui suoi fianchi. Che diavolo stava facendo?
«Tom Parker!» lo richiamò, come d’abitudine, poggiando le labbra sopra quelle del ragazzo. C’era un’unica cosa che differenziava i baci di Jay e Tom l’uno dall’altro, a parte le persone, ed erano le sensazioni. Le labbra di Tom sapevano di casa, mentre quelle di Jay di tutto quello che al momento desiderava. Non c’era un bacio migliore ed uno peggiore, erano solo diversi.  Nel frattempo il ragazzo aveva portato le mani dietro la schiena della ragazza, facendole entrare dentro la maglietta rossa che portava.
«Tom… - fece lei, cercando di allontanarlo un po’. – no.» Lui invece continuò imperterrito cercando di slacciarle il reggiseno. E ci sapeva fare, visto come muoveva le mani. «Tom, per favore… Pensa. No!» Okay, era una situazione un po’ scomoda e non riusciva a levarsi Tom di dosso, mentre lo sentiva scendere a baciarle il collo.
«Tom – ripetè ancora una volta, mentre lui la spingeva contro il muro. – inizi a farmi male, spostati…»
«Tom. Spostati. Ora.» Fece una voce che May identificò come Jay. Scandì tutte le parole ad una ad una, pensando a come trattenere la calma. May pensava solo che in questa situazione lui era proprio l’ultima persona che voleva vedere e non solo lei era nella merda fino al collo, ora anche Tom. Ma forse lui se la sarebbe cavata. Tom alzò lo sguardo divertito, mentre lasciava la presa su May che velocemente raggiunse Jay, nascondendosi dietro la sua schiena.
«Non mi piacciono le cose a tre! Non sei gradito.» Rispose questa volta Tom, osservando un Jay che sembrava tutto fuorché tranquillo. Jay rivolse un sorriso sarcastico a May.
« Amico, se tale ti si può definire, è stata lei a baciarmi, come sempre. A differenza di quanto fa con te, a quanto pare.»
«Accidenti, zitto Tom!» bofonchiò May, in un sussurro quasi.
«Amico, se tale t si può definire – ripetè Jay, guardandolo – vuoi vedere una cosa?» Nel momento in cui Tom annuì strafottente, May pensò che Jay gli volesse alzare le mani, mentre con un rapido gesto girò la ragazza verso di se e la baciò sulle labbra. Solo che, mentre a tutti sembrava un bacio con lode, May sentiva la freddezza e le faceva male. Aveva rovinato tutto come sempre. Tom rimase perplesso.
«Me ne ha dato di migliori, onestamente.» Stupido Tom Parker. Jay annuì con forza, mentre s’incamminava verso Tom che restava immobile sul suo posto, lo colpì con forza centrandogli un occhio, che sentì poco dopo pulsare.
«Andiamo ti accompagno a casa.» Fece Jay, girandosi, questa volta, verso May. Quella indietreggiò un poco, notando che il ragazzo muoveva la mano, evidentemente si era fatto male.
«No… Torno da sola. – fece, sospirando. Come si meritava. – Fatti controllare la mano e accompagna Parker. Ne ha più bisogno.» Rispose lei. Jay fece per ridire, ma stette zitto nel momento in cui lei, col labiale pronunciò un ‘per favore.’
«Mandami un messaggio non appena arrivi a casa… » sospirò infine Jay. «Thomas, alzati. Andiamo a casa.»
«Adesso le fai anche da cagnolino?» Chiese quello, poggiandosi su Jay, mentre si teneva l’occhio.
«Nel caso tu non te ne fossi accorto, Parker… Non sei nella posizione.» Gli disse Jay, sorridendogli. Anche lei sorrise vedendo quella scena. Aveva rovinato una delle cose più belle del mondo, l’amicizia tra i due. Nessuno dei due ragazzi ricambiò il sorriso. Se lo meritava, assolutamente! Mise le mani nuovamente nelle tasche degli shorts e percosse la navata per uscire dal locale. Non mandò un messaggio a Jay non appena arrivò a casa, nonostante lo fece. Passò la notte rannicchiata in se stessa, da sola, a piangere. Sapeva bene che non era giusto farlo, era una situazione che si era cercata lei, ma lo fece, in silenzio, dopo aver mandato un messaggio al padre.



*martichu.*
No, non avete il diritto di odiarmi. Solo spero che non vi aspettaste una cosa del genere. Quando ho ideato questa FF, non vedevo l'ora di arrivare a questo pezzo, onestamente. Poi... Ho dovuto scriverlo e non ce la facevo AHAHAHAHA. Lo so, povero Tom, sto male anche io per questo, ma doveva succedere qualcosa di grave per fare capire determinate cose a tutti e tre i ragazzi. Spero che le abbiano capite, onestamente. Le hanno capite. Ve lo dico io che ho scritto anche l'ottavo capitolo e il nono. YAY, sì, sono pronti. Il nono lo devo solo passare al pc.
Niente, spero che vi sia piaciuto anche questo. Come sempre grazie a chi recensisce e mi fa sentire bene e apprezzata. E' sempre tutto merito vostro. E grazie a chi legge in silenzio, segue, mette tra i preferiti e via dicendo. Grazie.
-Marti.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***



Capitolo otto.
 
«In three words I can sum up everything I've learned about life: it goes on
 ― Robert Frost
 
«Ma che cazzo avete fatto?» Chiese Nathan tirando la testa fuori dalla sua porta marrone, mentre i due cercavano di sgattaiolare dentro le proprie camere senza che nessuno li notasse.
«E stai zitto, Nathan. C’è gente che dorme oltre a te.» Parlò Tom, che ancora si reggeva a Jay. Non era più tardi delle due del mattino, la serata non era durata troppo per come era andata a finire.
«E io che pensavo che i primi a soffrire della costante convivenza tra ragazzi sarebbero stati Jay e Nathan… Sono deluso!» Commentò Max, che dato il chiasso, aveva pensato bene di uscire allo scoperto, affacciandosi alla porta anche lui.
«Ma che cazzo è una riunione notturna? Andate a dormire.» Fece Jay, seccato, mentre teneva una mano dietro Tom, nella speranza che non cadesse, accompagnandolo, quasi.
«Stai cercando di dirmi che tendo al gay? Fottiti, Max!» Aggiunse Nathan, offeso.
«Manca solo Siva. Seev!» Chiamò Tom che, chissà perché, si stava divertendo. Senza ombra di dubbio l’alcool.
«No. Ci sono, solo che col buio faccio pandan.» Commentò Siva, sornione, mentre si prendeva gioco di se stesso. Anche lui era affacciato anch’esso alla porta di camera sua.
«Pandan? Che cazzo di parola è? Perché non è Siva quello gay?» Nathan, nuovamente, chiese.
«Perché sono fidanzato!» Rispose Siva. Jay sbuffò. La verità era che era esausto, Tom sussultava per via dell’occhio e quello iniziava a sentirsi in colpa per quello che aveva fatto. Non che non se lo fosse meritato. Solo che… Erano amici, e gli dispiaceva.
«Perché non sei lì a scopartela piuttosto?» Jay scoppiò a ridere di cuore, contagiando Max e Siva.
«In camera di Tom, così questo si siede. Vi spieghiamo tutto.» Fece Jay, in un sospiro dopo che ebbe calmato la risata. Come avrebbe spiegato agli altri ciò che Tom aveva fatto, senza farlo passare per un maniaco? Controllò il cellulare, mentre entrava nella camera ordinata di Tom, niente, nessun messaggio. Sapeva che era arrivata, solo non capiva perché puniva anche lui, non era colpa sua.
«Cazzo, Jay! Hai visto cosa mi hai fatto?» Chiese Tom, continuando a passare l’indice di tanto in tanto sopra l’occhio che iniziava a farsi nero. Cioè, al momento era di una strana colorazione di viola. Con quale faccia lo chiedeva, però? Jay alzò lo sguardo, alzando un sopracciglio. Ah, se gli sguardi potessero uccidere. Solo che poi si sarebbe sentito nuovamente in colpa.
«Tom.» Disse soltanto. Non aggiunse altro perché quello poco dopo, alzò le braccia al cielo. Tom mi andò a sedere rannicchiato sopra una poltrona. Non doveva aver bevuto poco visto che sopra l’occhio ci mise un portacenere. Almeno era freddo.
«Scusate il ritardo, dovevo vestirmi! – Fece Nathan entrando in camera seguito da Siva e Max. – E’ anche peggiore visto da vicino!» Commentò poi, avvicinandosi a Tom e guardandolo attentamente. Spostò in maniera veloce lo sguardo su Jay che annuì. May. Aveva capito al volo, come sempre. Sospirò, perché lui lo sapeva che questa situazione non avrebbe portato a nulla di buono, e andò a sedersi sulla poltrona. Lui aveva aiutato Jay a mettersi sulle tracce di May, contro il suo volere, ovvio, ma era pur sempre il suo migliore amico e non poteva non aiutarlo. Solo non capiva perché gli avesse alzato le mani, doveva essere una cosa grave visto che Jay quasi mai usava la violenza.
«Tom!» Fece infine Max, andando incontro a Tom, lasciando che Siva chiudesse la porta. «Che diavolo è successo?»
«Ti prego… Ricordami chi è più gay al momento!» Fece Nathan. Si era preso a cuore la faccenda, ovviamente. Tom si strinse nelle spalle, mentre Max si sedeva sul bracciolo della poltrona.
«Ho fatto il cazzone con la tipa di uno… – cominciò Tom, facendo posare lo sguardo su Jay che lo guardava, di tanto in tanto. – però io che cazzo ne sapevo che stavano assieme? Conosco questo tipo da una vita e non me ne ha mai parlato.»
«Abbiamo capito che stai parlando del triangolo che c’è tra te, May e Jay.» Fece Siva, incrociando le braccia al petto, mentre era poggiato alla porta.
«Scusami, Max.. – fece Nathan dal nulla. Non aveva parlato per troppo tempo! – Perché Siva dice parole come ‘pandan’ o ‘triangolo’ e io devo essere gay?» Max di tutta risposta gli lanciò un cuscino e Nathan successivamente lo strinse al petto.
«Ecco perché!» Fece ridendo Max, contagiando Jay, che ormai rideva per tutto per allentare la tensione che sentiva. Tom stava per addormentarsi più o meno.
«Ho anch’io bisogno d’affetto… Magari May può… - si interruppe subito, notando come Jay lo guardasse con un sopracciglio sollevato e Tom avesse alzato la testa a guardarlo anche lui. – scherzavo, dai.» Aggiunse borbottando. Era già un casino così la situazione, se si fosse messo Nathan di mezzo sarebbe finita. Jay spostò la testa di lato, osservando Tom.
«Ah, ma credo che abbia comunque smesso con entrambi.» Aggiunse, facendo annuire Tom.
«Secondo me è un po’ stronza… » Disse Nathan, accendendo la lampada che stava sopra il comodino di Tom.
«Beh, sì… L’ha sempre detto.» Rispose Jay.
«Sa anche che è antipatica, ma vive lo stesso…» Aggiunse Tom, alzando un sopracciglio. L’occhio si era gonfiato in maniera assurda. Jay non pensava di averlo colpito così forte.
«Ma poi… Ci avete pensato? Che razza di nome è May?» Chiese ancora per smorzare la tensione, Siva.
«Il suo secondo nome è Annabeth.» Disse Tom.
«Non era Elizabeth?» Chiese allora Max. Allora ne sapeva anche lui. Aveva sicuramente parlato con Tom, visto i loro rapporti.
«May sa le cose basilari.. – fece Siva, attirando l’attenzione di tutti. – Scoperta dell’America, fine del Medioevo… Magari sa anche spiegarvi l’insurrezione spagnola… Ma nessuno ha mai notato che non sa cosa vuole e che probabilmente non vuole niente? Ha bisogno di entrambi… »
«O di nessuno… » Aggiunse Max, guardando Tom che muoveva il portacenere sull’occhio.
«No, non penso sia così... – fece Nathan che nel frattempo aveva preso l’ardua via del mangiarsi le unghie, senza ascoltare nessuno. Alzò lo sguardo cercando Jay, che l’osservò a sua volta. – Cerca qualcuno che le voglia bene, compagnia. Quando Jay mi ha chiesto di aiutarlo a trovarla, abbiamo iniziato a capire un po’ come fosse May. Abbiamo capito quanto fosse sola. Chi alle superiori pranza da sola? O non parla con nessuno? O non si toglie le cuffie dalle orecchie? E’ sola. Non vi sta usando… Vi vuole bene.» Il gruppo rimase accigliato, mentre Nathan ultimava il suo discorso. «Cosa c’è? Preferite che vi rifaccia l’intero discorso aggiungendoci le parolacce?»
«No, perché abbiamo un problema peggiore.» Disse Max.
«E?» Siva lo incoraggiò a continuare, visto che si era fermato. Jay osservò tutti, uno per uno, finendo a Tom che iniziava ad innervosirsi per il dolore.
«No… Non lo voglio sentire. Vado a letto… Notte.» Jay di problemi ne aveva già abbastanza, un altro che comprendesse la band che stava iniziando a venire fuori, non lo voleva. Un po’ di silenzio gli avrebbe fatto comodo magari. Controllò ancora una volta il cellulare prima di lasciare la stanza, non aveva niente, nemmeno la segreteria telefonica. Scosse la testa nella direzione di Tom che sospirò, poi lasciò la stanza. Sparita nel nulla. Gli faceva piacere credere che fosse meglio così, non aveva altri problemi, May non l’avrebbe disturbato più e con lui non avrebbe più cercato Tom… Già, meglio…
Buttò la maglietta sulla poltrona e poco dopo si stese a letto, guardando il soffitto. Si divertiva sempre ad essere la persona che tutti volevano, simpatico e allegro… Spesso aiutava i suoi amici, quando erano giù di morale e a lui andava bene così, perché essere amici era anche quello, però al momento era solo. O meglio no, ma si sentiva tale.
«Jay?» Nathan continuava a bussare imperterrito, perché tanto lo sapeva che era sveglio!
«Ma sei scemo? E’ aperta!» Disse Jay, che si era dovuto alzare per aprire la porta.
«Sei ingrassato e dobbiamo parlare!»
«E meno male che non sei la mia ragazza, sennò questa frase mi metterebbe ansia.» Rispose Jay, facendolo passare.
«Guarda stai zitto. Io gay, bah… » Jay rise, tornando a distendersi sul letto lasciando che fosse Nathan a chiudere la porta.
«Non sono ingrassato. Piuttosto con Tom chi c’è?»
«Max e Siva. Stava iniziando a blaterare e io odio quando le persone ubriache cercano di parlare…» Rispose quello, stringendosi nelle spalle.
«Nathan… Sei la persona che parla più in assoluto, quando sei ubriaco.»
«Sì, ma io posso…»
«Quale era il problema peggiore del tentato stupro di Tom?» Chiese Jay. Nathan alzò un sopracciglio. Non aveva mai mentito a Jay e ovviamente non avrebbe iniziato ora.
«Tentato stupro? – Chiese guardandolo. – Il problema è May. Ha paura che dividerà la band.»
«Band che ancora non esiste, vorrei farti notare. Più o meno, ha cercato di metterle le mani dentro la maglietta di May, ma lei non voleva…» Raccontò Jay, osservando l’espressione di Nathan cambiare in un secondo. «Allora l’ho colpito… Ma giuro, mi sono sentito male tre secondi dopo tipo…»
«Jay… - fece Nathan, chiamandolo. – perché questa lotta?»
«Non lo so, Nate…» Nathan sbadigliò dopo questa risposta, si avviò alla porta e dopo aver dato la buonanotte all’amico uscì, stanco. Jay prese il cellulare, rileggendo i messaggi degli ultimi tre giorni. Scrisse un messaggio, qualcosa che non le desse fastidio, magari: “Fatti viva!”
Spense il cellulare dopo aver atteso una risposta che non arrivò, poco dopo si addormentò stanco anche lui.
 
Tom aveva male alla testa, l’alcool gli faceva sempre male e in più sentiva l’occhio pulsare. Non si era controllato l’occhio, si era solo messo a letto, anche lui, una volta che tutti ebbero lasciato la sua stanza. Si era accorto che aveva esagerato, Jay non era un tipo che alzava le mani, ma l’aveva fatto. Se l’era meritato.
Jay non era un ragazzo violento, non si prendeva cotte – o qualsiasi cosa quella fosse – Jay era sarcastico, simpatico, spesso e volentieri imbarazzante. Jay era semplicemente una delle persone a cui voleva più bene e che conosceva da tantissimo tempo. Nessun messaggio, nemmeno lui. Si chiese più volte se invece a lui ne fossero arrivati. Lei aveva scelto lui sin da molto tempo prima e con questa… cosa che aveva fatto si era scavato la fossa da solo. Mandò l’avviso di chiamata a May, sentendo la segreteria sospirò, immaginandosi May che stava ad ascoltare.
«Lo so che sei sveglia… Lo so perché è successa una brutta cosa stasera e mi dispiace tanto, non avrei mai voluto farti del male… Non so cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Jay, non so nemmeno immaginarmelo. Comunque mi dispiace, okay? È stato un errore, spero saprai perdonarmi. Notte…»
 
May non rispose, ascoltò i vari messaggi nella segreteria, non rispose a quello di Jay; stringeva il biglietto di ritorno senza una data, ancora… Rimase seduta tutta la notte, scossa e sola, come era arrivata… Non aveva senso convincersi che le persone potevano cambiare. Lei non poteva cambiare…



*martichu.*
Come mi chiama il mio amico, ciao Già, e anche se lui non mi vede, salutarlo fa sempre bene LOL.
Come sempre sono la beta di me stessa e quindi probabilmente ci sarà qualche errore, che non ho visto, nonostante abbia letto e riletto questo capitolo, quindi scusate. :)
Okay questo è uno dei miei capitolo preferiti, assieme al dieci che ho scritto ieri sera. E' tutto così wanteddoso(?) e Nathan per come l'ho visto io fa piegare dal ridere, cioè, spero che vi sia piaciuto come l'ho scritto... Spero sempre di averci preso con quello che ho scritto. Jay e Tom sono apposto, non hanno nessuna lite in corso nonostante quello che è successo. Perché si amano e io amo loro kwjdkjskd. Datemi un Nathaaaaan, lo voglio ora.
Ora nulla, finito.
Love y'all.
Marti.♥

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***



Capitolo nove.
 
Quando Sofia entrò in cucina, trovò sua cugina che guardava in pigiama la televisione, cosa abituale da un po’ di tempo a questa parte per May. Da quando aveva smesso di andare a lavorare, per l’ennesima volta, aveva decisamente smesso di fare altro che non fosse guardare la tv mangiando cereali e dormire. Era seduta sulla poltrona verde di Sofia, rannicchiata su se stessa, mentre portava alla bocca stancamente una cucchiaiata di cereali. Faceva solo quello e sembrava pienamente soddisfatta di come lo faceva. Okay, aveva anche smesso nuovamente di parlare, concedendo di tanto in tanto qualche frase o saluto e probabilmente era ancora molto scossa, ma era stata ‘salvata’ in tempo da Jay, nessuno le aveva fatto del male. Per quando Sofia tentasse di parlarle lei scrollava le spalle e tornava a guardare la tv, intenta come un secondo prima. Sua cugina dunque non aveva la benché minima idea di quello che era successo quella notte. Avrebbe potuto parlare con i ragazzi, sì, ma anche quelli avevano smesso di farsi vedere in giro, forse avevano preso a lavorare anche loro, come era in programma visto che erano lì oltre che per una vacanza, per promuovere un disco che in Inghilterra non stava andando. Era molto curiosa di sapere cosa stava succedendo, non si sarebbe arresa finché non avrebbe capito quello che stava succedendo.
«Buongiorno!» Fece Sofia entrando in cucina e schiarendosi la voce, anche lei si era appena svegliata ed erano solo le nove. Alle dieci avrebbe dovuto essere a lavoro e nonostante non avesse molto tempo aveva deciso di provarci a togliere qualcosa dalla bocca di May. La cugina rispose con un cenno della testa ed un sorriso tirato, tornando poco dopo a guardare lo schermo in movimento.
«Adoro questo programma!!» Esclamò con troppo enfasi, provocando un’occhiataccia da May, la quale si era di nuovo distratta.
«Oggi non ci capisco niente.» Rispose May, finalmente, facendo sorridere Sofia.
«Oh, beh… dubito che tu lo stia seguendo veramente!»
«Mi sono appena svegliata, dammi tempo –fece sbadigliando apposta. Era sveglia da molto prima e forse non aveva nemmeno chiuso occhio se non per due ore. – Oggi devi lavorare?»
«Ovvio… Come ogni giorno, come te!» Provò Sofia, guardandola. E invece no. Lei non ci sarebbe andata perché non le andava di vedere nessuno.
«No… Io sto prendendo in considerazione l’idea di tornare a casa, tra qualche giorno o forse domani…» Raccontò May, alzando lo sguardo nella direzione di Sofia che rimase un po’ delusa da quelle parole.
«May. – fece, guardandola attentamente. – Abbiamo passato tutti momenti brutti nella nostra vita, momenti che credevamo di non saper superare perché tutto faceva troppo male per viverlo anche solo un giorno in più. Abbiamo tutti provato a scappare da questi che noi oggi chiamiamo problemi passati… Abbiamo visto quanto questi ci inseguano finché non ci ritrovano… Se vuoi andartene e dimostrarti ancora una codarda, okay, prego, la porta è quella, ma non passare il tuo dannato tempo a fare la vittima chiudendoti in te stessa, solo perché è l’unica cosa che sai fare bene. Hai bisogno di parlare, May. Di raccontare. Non lo vedi? – chiese indicandola mentre manteneva tutta la calma necessaria. – Non lo vedi? Non è Jay, non è Tom a farti male… Sei tu. Sei tu che ti proibisci dei confronti diretti con le persone. Mi auguro che quando crescerai, perché al momento non ti dimostri adulta, capirai che non sei perfetta, che non ti stai facendo del bene escludendoti dal mondo. Pensi che così passerà? Prego… La tua strada è quella.» Sofia terminò il suo discorso guardando fissa May, che aveva le labbra schiuse per la sorpresa. Non si aspettava affatto che qualcuno così vicino come Sofia le dicesse quelle cose. Aveva sentito un gelo nella voce di Sofia che non aveva mai sentito da nessuno. Non sapeva cosa realmente si aspettasse e ovviamente non voleva compassione da parte di nessuno, solo che era difficile sentire qualcuno che ti è così vicino allontanarsi con un paio di frasi. Nonostante se le fosse meritate tutte. Deglutii, cercando di riprendere la lucidità che le mancava al momento, sospirò e si strinse nelle spalle, facendosi, se possibile, ancora più piccola.
«Come va con Oliver?» Chiese allora, cercando di spostare l’argomento.
«Mi ha chiesto di fargli sapere se deve prendere un’altra persona per aiutarmi, visto che tu ti rifiuti di farlo, categoricamente.» Ovviamente questo non era vero, perché Oliver non l’avrebbe mai detto e Sofia non glielo avrebbe mai permesso, ma per smuoverla da quella poltrona servivano le maniere forti. «C’è molto lavoro May, sono arrivate altre due famiglie, una delle quali ha anche un figlio.»
«No… Ti… Ti aiuto io, se ne hai bisogno, non voglio perdere il lavoro.»
«May… - Fece Sofia avvicinandosi lentamente alla cugina. - …Che diavolo è successo a quella festa?» Chiese, sedendosi sul bracciolo della poltrona. May alzò un sopracciglio, guardando la cugina.
«Quella festa. C’era anche Tom… E io avevo bevuto un pochino… E l’ho visto… e - »
«E sappiamo tutti benissimo che quando sei brilla tendi a lasciar perdere ogni cosa o persona che non si chiami Tom.» La interruppe Sofia, completando la frase per lei.
«Vedila così. E… ci siamo baciati, o meglio io l’ho baciato, ancora… E lui ha pensato bene che fosse un ‘via’ e ha provato a mettermi le mani dentro la maglietta. – raccontò, mischiando il racconto con vari sospiri, dai quali Sofia capì che la ragazza era ancora palesemente scossa. – Dunque è arrivato Jay, che non so sa dove sia sbucato, nemmeno fosse Superman, e l’ha visto così, con quelle mani sul mio corpo e gli ha dato un pugno.» Sofia rimase un attimo in silenzio, mettendo la bocca ad o, mentre pensava a Jay che dava un pugno a Tom. Non era assolutamente possibile. Non era assolutamente tipo, o meglio, non lo sembrava affatto.
«Ma…» Fece, muovendo le labbra senza dire altro, vedendo la cugina che annuiva, interdetta quanto lei se non di più. «…non so cosa dire. Cioè… Tu cos’hai fatto e Tom?» Raffica di domande, May doveva aspettarsela.
«Tom niente, ovviamente ha fatto il cretino. Io me ne sono andata. Jay si è fatto male alla mano Tom aveva quell’occhio gonfio, tutta colpa mia… Sono scappata, come sempre.»
Sofia si portò una mano sulla fronte, confusa.
«May… E’ arrivato il momento di farti una domanda.»
«Dimmi…» Non che si sentisse pronta, eh, anzi…Le domande di Sofia erano sempre giuste e centrate, ma mai fatte nel momento giusto.
«Okay. Tom o Jay?»
Appunto. May si strinse nelle spalle, guardando la cugina che la scrutava con un certo sguardo, che le metteva ansia. Non lo sapeva. C’erano tante cose da considerare, tanti sentimenti da prendere in considerazione.
«Non ho idea di come si faccia a sapere che è l’uno e non l’altro.»
«Identifica i tuoi comportamenti, May. Osservati in presenza di Jay e in quella di Tom. Osserva come ti interessi Tom solo quando sei brilla o ubriaca, ma osserva anche come tendi a non voler far male a Jay. – Sofia fece una pausa, stringendosi nella felpa verde. Perché aveva una felpa? – Arriva Jay e balli. Non credo di averti mai vista in vita mia ballare. Arriva Tom ed è tutto scombussolato.»
«Stai cercando di dirmi qualcosa che ha a che fare con Jay?» Chiese May, ridendo. Sofia si strinse sulle spalle, sorridendole. «Tom mi ricorda Nick. – May trattenne il respiro e Sofia sbarrò gli occhi. Okay, dirlo ad alta voce faceva ancora più impressione che pensarlo. – Il modo in cui mi tratta no, ovviamente, Tom mi fa sentire… bene, più o meno, ma l’ansia quando lo vedo è la stessa. Divento insicura, come se tutto dipendesse da quello che dico al momento, e lo sai che non sono brava a scegliere cosa dire. Con Jay è tutta un’altra cosa, onestamente. Tom mi fa lo stesso effetto che mi fa Nick.»
«May, hai la tua risposta e ancora non l’hai capito…» Disse Sofia, sibillina, come se lasciasse intendere a May. «Andiamo a lavorare.» Non sapeva come affrontare i ragazzi. Sentiva le mani di Tom ancora sul suo corpo e vedeva la delusione sul viso di Jay, guardarla. Si sentiva sporca per quanto riguardava entrambi i ragazzi. «Guardami, May. – Fece Sofia, accogliendo il suo sguardo. – Devi solo ignorarli.» May annuì, convinta. Ce la poteva fare e stava tornando a lavorare.
 
*
«Bentornata!» disse Oliver avvolgendo la ragazza in un abbraccio e sorridendo invece a Sofia. Come ad averla ringraziata per averla riportata. «Okay, bando a queste cose tipo sentimentalismi… Abbiamo da lavorare. Non so se Sofia ti ha avvisato che ci sono  nuove famiglie!» May annuì, sorridendo. «Entrata – disse indicando May – Camere.» Disse indicando Sofia che annuì vittoriosa.
«Ma… A me quello più grande, vi odio tutti!» Fece scherzando May.
Una volta che fu da sola, controllò l’orario, le dieci, i ragazzi avrebbero dovuto dormire a quell’ora. Infilò le cuffie, cominciando a spazzare per terra. Faceva i migliori concerti, quando nessuno la osservava e certe canzoni le venivano davvero, davvero bene.
«I’m gonna love you like I’ve never been broken. I’m gonna say it like it’s never been spoken. Tonight, tonight, I’m letting go, go, go, go.» Si lasciò sfuggire qualche parola, cantando il ritornello di tutta la canzone che al momento le passava nelle orecchie. Era a metà dell’entrata spazzata, quando vide qualcuno sederi sulla poltrona. Alzò gli occhi e ci trovò Jay seduto, con gli occhi gonfi e i capelli in disordine, come sempre. Cercò qualcuno che potesse salvarla da quella situazione imbarazzante. Poteva ignorarlo come le aveva detto Sofia, ovviamente i ragazzi erano noti per lanciarsi determinati sguardi infiniti.
«May… Aiutami con la matrimoniale!» Fece Sofia, dal nulla, facendo trasalire May che era salva. Fece un sorriso di circostanza a Jay e le corse incontro. ‘Grazie’ fece poi, col labiale.
 
*
Al momento del pranzo, però, si era ritrovata inspiegabilmente sola. Sofia ed Oliver erano spariti e ovviamente assieme. Beati loro, avevano trovato la loro pace. Le mancava la sua e stava iniziando suo malgrado a capire quanto fosse importante avere un po’ di pace. Mentre spulciava il suo hamburger, la stessa canzone di prima le rimbombava nella testa, aprì il libro che stava giungendo al termine e iniziò a leggere, mentre ascoltava la musica e mordeva il panino. Si sentiva meno sola a leggere quella storia. O forse se ne stava solo convincendo, si sentiva gelosa di chi poteva parlare col proprio fidanzato, marito, dargli un bacio senza doversi sentire perennemente in colpa o senza distrarsi. Lei non ci aveva mai provato o avrebbe rischiato di più con Nick o azzardato con Jay o Tom. Lei non rischiava. Nella sua testa passava il tempo a pensare a come sarebbe stato un amore epico o tanto meno riceverlo, lasciando da parte ogni speranza di viverlo. Non si era mai sentita abbastanza, era la sua debolezza. Jay le tolse le cuffie proprio mentre era arrivato il ritornello della canzone.
«Prima di tutto… Sei stonata – buttò le cuffie sul piatto vuoto, mentre lei teneva il panino tra le mani – ho avuto modo di sentirti due volte e per favore, basta. Secondo… Mai insegnato che a tavola non si canta? E terzo, ma non per importanza, quando hai intenzione di mandarmi il messaggio con su scritto che sei arrivata a casa, May?»
«Sto leggendo. – disse lei, mostrandogli il libro. – E non ti ho detto che puoi sederti al mio tavolo!»
«Ma guarda un po’, abbiamo qualcosa in comune…Non facciamo le cose che ci chiedono. La mangi quella?» Chiese ancora, indicando la mela verde sul vassoio. May scosse la testa e Jay con un rapido movimento la prese dandole un morso.
«Adesso ti spiego come andrà, va bene?» May annuì, seria con un sopracciglio alzato. «Bene. Prima di tutto hai dato buca a Tom, quindi per rimediare, dovrai uscire con lui. Prima o dopo questo appuntamento, come preferisci tu, devi uscire con me perché ancora non abbiamo avuto un vero e proprio appuntamento. Poi per favore, devi tirarmi fuori da questo triangolo del cazzo, inizia a starmi stretto. Devi solo scegliere.»
May alzò gli occhi verdi, incontrando quelli azzurri del ragazzo. «E se non volessi?» Domandò, osservando poi la mela morsa dal ragazzo, si sentiva distratta.
«So che sei una brava persona, nonostante lo nascondi, una persona a cui piace rimediare ai propri errori. – Lui sorrise, lasciandola un po’ spiazzata. Si rigirò la mela tra le mani, e la indicò. – Fammi sapere, hai il mio numero.»
Lei annuì, solamente, guardandolo andare via.




*martime.*
Allora. Prima di tutto... questo capitolo è Lovatoso. C'è una citazione di una canzone della Lovato che amo alla follia. È il mio modello, so... Se ce l'avete sulle scatole non ditemelo u.ù
Niente... Volevo dirvi di non fidarvi delle apparenze, questo capitolo dice tutto ma soprattutto non dice niente. Sono solo le conclusioni di Sofia, May ancora non ha deciso nulla, perché Martina non ha deciso nulla, chiaro, no? XD
E basta, non so cos'altro dire. Ignorato gli errori, magari u_u
Tanto amore da marti me.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***



CAPITOLO DIECI.
 
Non appena Jay ricevette il messaggio, non si trovava come aveva detto in giro per la Spagna, bensì in uno studio di registrazione, assieme agli altri ragazzi. Finalmente stavano facendo quello per cui si sentivano portati. Erano euforici, nemmeno avessero mangiato un quantitativo assurdo di zucchero. Ridevano e scherzavano l’uno con l’altro, come se non fosse successo niente di quello che da lì a due settimane succedeva. Jay e Tom spesso condividevano anche lo stesso microfono.
«Non senti caldo?» Chiese Siva, guardando Jay, che si sventolava una mano davanti alla faccia.
«No, ho talmente freddo che per non sentirne la mancanza mi faccio aria da solo.» Rispose Jay, allora, guardandolo. Che domanda era? Era ovvio che ne avesse.
«Stai sudando come un maiale. Secondo me sono i tuoi capelli.» Si intromise Nathan, sorseggiando una diet coke.
«Tu invece sei convinto che a bere diet coke, non ingrassi! Guardati la pancia, sei più grasso del bambino di Up.» Lo schernì, ridendo Tom. Nathan si portò una mano sulla pancia, guardandoli e poggiando la lattina sul tavolo.
«Un giorno me la pagherete tutti!» Disse poi.
Jay prese il cellulare, controllando il nuovo messaggio arrivato, May. Controllò Tom con un’occhiata veloce e non sembrava avere nulla, quindi doveva aver scelto di uscire prima con lui. Si morse un labbro per non sorridere, per non fare la figura del cretino, ma il momento di gioia sparì subito dopo, quando pensò al suo amico Tom. L’aveva messo di nuovo dietro di lui. Sapeva già come sarebbe andata questa cosa. Lei magari, ad una festa, avrebbe bevuto un po’ e si sarebbe comportata come si era comportata con Tom con un altro ragazzo. May non era affidabile per nulla e lui lo sapeva bene, eppure era convinto più che ma che ci sarebbe andato a quell’appuntamento quella sera. Almeno per parlare.
 
Alle dieci meno cinque di notte, Jay aveva deciso di farsi vivo, May lo stava aspettando coricata a letto, mentre Sofia faceva avanti e indietro dalla finestra cercando di vedere quando sarebbe arrivato. Stava leggendo, come al suo solito. Aveva scoperto che i libri in spagnolo non erano poi tanto difficili, quindi aveva iniziato a leggerne uno, così per passare il tempo. Quando Jay le aveva detto che probabilmente ci avrebbe messo un po’ ad arrivare, non pensava così tanto. Okay, stava lavorando ad un progetto e quindi non poteva lamentarsi. May aveva avuto tutto il tempo di calmarsi. Stava finalmente rimediando ai suoi errori nei confronti di Jay, poi, in un secondo momento magari avrebbe pensato a Tom. Sofia continuava a rinfacciarle il fatto che aveva cercato prima Jay, piuttosto che Tom mentre la diretta interessata sosteneva solamente che era per dovere. L’unica cosa importante era sistemare le cose, prima o dopo, non importa con chi prima. Era questo il particolare a cui doveva appigliarsi.
Non appena Sofia vide comparire il cappellino azzurro di Jay, corse a dirlo a May, la quale si stava già addormentando. Era un periodo che era sempre stanca. Più dormiva più voleva farlo. May scattò in piedi, con eccessiva foga, sistemando i capelli biondi e lunghi con una forcina, portando il ciuffo all’indietro. Non voleva apparire, ecco, sistemare le cose.
«Jay!» Fece lei, chiamandolo, mentre attraversava il portoncino bianco andandogli incontro. Aveva il fiatone, visto che aveva fatto le scale di corsa per non farlo aspettare troppo. Certo! Come se lui non l’aveva fatta aspettare tanto.
«Ciao! – fece lui, sorridendole. – Ti ho portato una cosa!» May alzò un sopracciglio, stringendo gli occhi ad una fessura, cercando il senso di quello che il ragazzo chiamava regalo. Jay le mostrava un sole disegnato su un cartoncino giallo, munito addirittura di occhi, bocca e naso disegnati col pennarello nero. «Stavano scrivendo canzoni, mi annoiavo.» Giustificò lui, vedendo che la ragazza lo guardava con un sorriso.
«Okay, ha funzionato.» Aggiunse poi, guardando May che prendeva il sole che le veniva passato, passando le dita sui contorni neri. Doveva averlo fatto davvero lui, visto che aveva un tratto davvero leggero. Se fosse stato fatto da un bambino i tratti sarebbero risultati schiacciati.
«Cosa?»
«Sorridere! Con un’idiozia, aggiungerei. – Fece lui, piegando di lato la testa. – Ogni volta che sei triste, avrai Mr.Sun a sorriderti.» May rise, tirando la testa all’indietro.
«Come può una persona che scrive canzoni chiamare qualcosa Mr.Sun? E secondo: E’ mio?» Chiese, calmando la risata e trasformandola in un semplice sorriso.
«Lasciami in pace. – Si difese. Era il primo nome che gli era venuto in mente. – Comunque certo, tutto tuo.»
«Grazie, davvero!» Sorridere guardando un sole di cartone. L’estate dalle mille sorprese.
«Secondo te, Sofia ne ha ancora per molto? – indicò la finestra a cui era affacciata. May alzò lo sguardo, notandola muoversi dietro le tende. – Ci spia da quando sei scesa. Vuoi darle qualcosa da vedere?» C’era da constatare che oggi Jay, stava parlando come non mai. May alzò un sopracciglio, guardandolo. Non sapeva a cosa stava andando a parare, finché il ragazzo non alzò un sopracciglio per controllare Sofia, che nel frattempo si era risistemata nel suo posto alla finestra, la attirò a sé, poggiandole una mano su un fianco e la baciò. Rimase un po’ interdetta. Era ancora convinta che quello fosse un ‘appuntamento’ solo per sistemare le cose?
«Okay, ora possiamo andare. Almeno ha visto qualcosa su cui poi potrò fare delle domande.» Disse, allontanandosi da lei. Rimase un po’ imbambolata. Non si aspettava per niente quel bacio, aveva già baciato Jay, in precedenza, durante quella serata, ma ora era diverso, quasi. Non sapeva di cosa si trattasse. Presero a camminare l’uno vicino all’altro, silenziosi. Jay aveva davvero imparato come non forzarla a parlare, se non aveva voglia. Proprio come le aveva promesso.
«Come sta andando quello che state facendo? – chiese May, voltando lo sguardo verso di lui. – No, un secondo… Ho una domanda più importante. Voi cosa fate? Scrivete canzoni… e poi?»
«Credo che questo tipo di gonna ti stia molto bene. E’ una gonna alta?» Chiese per conferma, lui. Mica faceva un lavoro super segreto di cui non poteva parlare? Magari era un killer e lei era in pericolo. Lei portò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, sorridendogli.
«Parlami di quello che fate tu e i ragazzi.» Riprovò di nuovo.
«Stiamo cercando di diventare una band, quindi avendo i contatti giusti ci siamo fatti sentire e nulla, scriviamo canzoni e registriamo un disco. Finito. » Raccontò, schiacciando il cappellino azzurro sui ricci che formarono una cornice al suo viso. Desiderio malsano di passarci una mano dentro.
«Scrivi anche tu?»
«Di tanto in tanto. Ma mi annoio facilmente. Nathan scrive bei testi.» Rispose. Oh bene, oltre ad essere imbarazzante di tanto in tanto, quel ragazzo sapeva fare anche qualcos’altro. Era curiosissima di sentire o anche solo leggere un testo di qualche canzone. «Tu invece che cerchi di fare?» Chiese poi, spostando la conversazione sulla ragazza. May si strinse nelle spalle, alzando un sopracciglio, poi sospirò.
«Al momento imparare il cinese, laurearmi e tornare qui, magari andare a vivere con Sofia e lavorare… Spero.»
«E io che pensavo che dopo quest’estate non volessi più tornare qui.» Fece il ragazzo, guardandola. May rise, effettivamente.
«Prima di tutto, conto che voi cambiate meta di vacanze, durante questi quattro anni e poi vedila così: sono una che non si arrende.
«Continuerai a venire allora?» Chiese ancora.
«Jay! – disse lei, dandogli un colpetto nel braccio, ridendo. – Smettila di fare sembrare tutto un gigante doppio senso!»
«Io? – chiese lui, in maniera innocente, sorridendole. – Cioè, non fraintendermi, anche se vuoi. Posso fare un sacco di cose e questo rientra nelle mie facoltà, quindi basta chiedere.» Fece lui, guardandola con la coda dell’occhio, mentre il colore sulle sue guance diventava naturale e non semplice trucco.
«Okay… Ne prendo atto, grazie… Per la prossima volta, magari…» Domani, anche…
«Ah, ti mette a disagio, parlare di queste cose!» Fece lui, ridendo.
«No! – Fece lei, ridendo. – Sei tu che mi metti a disagio… Parlo del sesso molto apertamente, ma parlarne con te è un altro paio di maniche.» Cioè. Non voleva dire che era lui a metterla a disagio, perciò, per non far pesare l’affermazione, rise ancora. Era vero, però. Ma c’era già abbastanza tensione, e aggiungerne nuova non era buona cosa.
«Ai ragazzi avevo detto: ‘Andiamo in Olanda, lì la birra è buona e parlano la nostra lingua, più o meno.’ Ma la Spagna, secondo loro era più grande.» Non è che secondo loro era più grande… Era più grande!
«Se stai cercando di chiedermi scusa, non importa, sono tranquilla. E’ stato un caso.» Fece lei, sorridendogli. «Potete stare tranquilli anche voi… Non so se lo sai, ma sono un casino. E’ colpa mia. Ho lasciato che tu e Tom mi faceste male, io non sono questo genere di persona che vedi… Ma per una volta, qualcuno si era interessato a me e ho solo voluto approfittare del momento…» Non seppe come concludere perché Jay la tirò a sé, abbracciandola. May sospirò, tra le braccia del ragazzo e Jay iniziava a sentire tutta quella stanchezza di cui May parlava. C’era. Cosa doveva dire a quel punto? Non seppe nemmeno ricambiare l’abbraccio come si doveva, perché non era brava in quelle cose. L’unica persona che l’abbracciava era la mamma e lo faceva raramente perché a lei non piaceva tanto.
«Che va tutto bene già lo sai… E poi… imparerai il cinese, e tornerai qui.» Fece lui, allontanandola un poco per poterla guardare, mentre le diceva queste cose e ci credeva davvero. Era convinto che May valesse molto più di quanto mostrava in pubblico.
«Lo so… Va tutto bene, per questo non devi o meglio, non dovete sentirvi in colpa. Come ti ho detto è tutta colpa mia! Davvero…» Gli sorrise, e lui la lasciò andare, sorridendo a sua volta.
«Bene. May… Non posso fare troppo tardi e immagino siano già le undici o le dieci e mezza… Devo anche tornare a piedi e domani mi devo alzare presto! Devo andare…» Lei annuì, ovviamente non poteva obbligarlo a restare, soprattutto se doveva lavorare. E poi doveva farlo anche lei.
 
«Allora… A domani?» Chiese lui, una volta che si trovarono nuovamente davanti al portoncino da cui era uscita. Non si era fidato a non accompagnarla. Non era decoroso, prima di tutto e poi c’era gente brutta in giro.
«A domani sì.» Disse lei, sorridendogli. Aprii il portone, entrandoci per metà.
«Aspetta! – fece lui, fermandola. Lei si girò e lui la baciò nuovamente. Fu sorpresa anche questa volta, ma ebbe la bella faccia di ricambiare. Non sapeva nemmeno se avessero risolto tutto quello che dovevano risolvere, non che al momento le importasse tanto… Quel bacio aveva scombussolato tutto, ancora una volta e come sempre. Era un problema. – Ecco, ora puoi andare e io tornare in stanza.»
«Sì, è il caso… Puoi tornare a casa.» Fece lei, guardandolo, portando una mano all’altezza dello stomaco. «Ciao!» Salutò, sorridendo e Jay fece lo stesso, girandosi di spalle, tornando a ‘casa’.
May si morse il labbro, pensando a cosa fare, a cosa dire. Ogni speranza che quello fosse un appuntamento come gli altri era sparita subito, non appena lo ebbe visto, non appena volle ‘dimostrare’ qualcosa alla cugina che li guardava dalla finestra. E se fosse Jay quello che lei voleva, ma che allontanava per il bene di Tom? Mise le mani tra i capelli, mentre aspettava l’ascensore, per tornare nella sua stanza. Perché allontanava Jay per il bene di Tom? Cosa aveva fatto Tom per farla stare bene, da quando si conoscevano? L’aveva incasinata, baciata, le aveva riportato indietro un brutto ricordo e le aveva fatto del male, anche se non in maniera effettiva. Se Tom non le avesse ricordato tanto Nick, lei non ci sarebbe stata a tutto quello. Ma lui era diverso da Nick, aveva un profumo migliore, e quello di Nick lo ricordava ancora alla perfezione. Aveva un sacco di domanda per la testa, quando si addormentò nella sua cameretta blu.
 
 
*HelloMarti!*
Sono in ritardo? Eh, lo so. Ho avuto a che fare con un esame di matematica che mi ha dato del filo da torcere e poi ho finito un’altra ff che avevo aperta su Glee, finalmente! Anche se un po’ mi manca… Okay, no, non è vero LOL.
Comunque niente, non ho nulla da dire in merito a questo capitolo.
Faccio un po’ la lecchina e vi ringrazio tutti, come al solito. Grazie mille a tutti!
Ps: la ff, ha raggiunto le 500e passa visualizzazioni!! Thank you!

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


Capitolo undici.

 

Le settimane volavano, nel vero senso della parola. Non capiva più quanto tempo era passato dall’ultima volta che era triste, perché aveva smesso di esserlo, in modo definitivo. Aveva scoperto che provare ad essere felice era anche meglio del fingere di esserlo. Infondo cosa aveva da perdere? Non si sarebbe pentita un giorno di essere stata felice, piuttosto di non esserlo stata. Mancava poco all’inizio di agosto, mese in cui May doveva fare le valigie e tornare in Inghilterra per via dei test d’ammissione all’università. Le venivano i crampi allo stomaco se solo ci pensava. Non voleva lasciare quel posto. Non ora che finalmente si definiva stabile, non ora che aveva fatto chiarezza su quello che provava/che voleva provare. Non voleva lasciare quel posto perché, ancora una volta, si era dimostrato portatore di sorprese: Jay, Tom, Sofia ed Oliver.

Quel pomeriggio caldo di fine luglio, May non era andata al mare. In realtà non ci andava mai perché non le piaceva molto il sale che si attaccava alla sua pelle e la sabbia, odiava la sabbia, davvero, quindi mentre gli altri due erano andati a lei era toccato restare lì a badare alla tenuta. Non la disturbava ovviamente, almeno c’era pace e tranquillità, visto che tutte famiglie, alle tre di pomeriggio stavano in giro.
Il bancone era tutto suo, mentre giocava con un video gioco che Jay le aveva prestato da poco. Era uno in cui doveva far volare un draghetto viola… Spyro. Dannazione, era difficile. Perché non saliva su quella montagnetta? Lo stava facendo planare bene e stava rispettando quello che aveva imparato nel livello precedente… l’uno. Okay, non era portata per queste cose… Videogiochi. Si grattò il mento, mentre arricciava le labbra e provava a ripetere il livello, visto che aveva terminato già le vite. Come poteva Jay averlo già finito? Si annoiava davvero tanto.
«Posso?» Chiese Tom, schiarendosi la voce. May riconobbe la voce, subito e alzò le sopracciglia di colpo, senza però sollevare lo sguardo dal gioco.
«Vedila come ti pare.» Si morse l’interno della guancia. Era arrabbiata, era normale che gli rispondesse così. Si aspettava semplicemente di essere perdonato come se nulla fosse? Le aveva messo le mani sopra, dentro la sua maglietta e non importava quanto le sue intenzioni non fossero state cattive, dannazione… Lei c’era stata male, perché di Tom Parker, si fidava più o meno.
«Parliamo!» Fece lui, sedendosi di fronte a lei.
«Parliamo un cazzo, Tom! Non ho niente da dirti. » Fece lei in risposta, mentre solo ora le sue iridi verdi, incontravano quelle castane del ragazzo.
«Sei scorretta, May!» Fece lui, alzando il tono della voce, ma solo di una tacca. Non era di certo lì per litigare e ne aveva già parlato con Jay, più o meno.
«Ti prego, Tom! No. Non venirmi a dire che sono scorretta. Sarei stata scorretta se avessi chiesto un ordine restrittivo per tentato stupro nei tuoi confronti, scorretta se avessi detto ad Oliver cosa mi hai fatto, facendo buttare fuori te e i tuoi amici da qui dentro. Sarei stata scorretta se mi fossi fatta vedere da te durante questo periodo, ma no, Tom. Qui quella scorretta non sono io. Sei tu!» Disse, puntandogli il dito contro, mentre lo guardava con lo sguardo assottigliato e la bocca una linea continua. Era arrabbiata, sì, e non poco. Lo era abbastanza. Ma non solo per quello che quella notte era successo, no… Era arrabbiata per tutte le cose che erano successo e che solo una settimana fa aveva metabolizzato. Andiamo, perché non si era accorta che la stava portando ad un punto morto del tutto? Era stata una stupida, e non come quando le ragazzine si prendono in giro per le cottarelle immature che vengono alle superiori, no… Era stata una stupida come lo era un’adulta che commetteva due volte lo stesso errore. Due volte!! Si era fatta mettere nei casini una volta, a Londra, e si era fatta rimettere nei casini, dalla stessa persona anche a Valencia. Le abitudini erano dure a morire. Aveva passato tutto il tempo a pensare a cosa fare e cosa dire a Tom ed ora ce l'aveva davanti, che chiedeva di parlare con lei. Organizzò bene un discorso, mentre lui la guardava, cercando anch’esso di capire cosa dire.
«Lo so, non c’è bisogno di dirmi che… ho fatto una cazzata, lo so. – Fece lui, passandosi una mano tra i capelli, mentre provava a dire qualcosa che potesse sistemare quella situazione. – Però cazzo! Non è solo colpa mia. Tu hai le tue colpe.»
May incrociò le braccia al petto, osservando il ragazzo davanti a se, ponderando su quello che aveva detto. Effettivamente lo sapeva anche lei che era anche colpa sua. «Tu mi baci. Non una volta, May, non due, ma tre volte! Secondo te una persona cosa deve capire? Perché ti prego, queste cose non si fanno. E lo so che sei confusa… O hai sempre la convinzione che i casini li passi solo tu? Anche a me hai confuso. Non sapevo più cosa valesse di più tra te e Jay. E per un secondo, per un secondo ho pure pensato di mandare un’amicizia di cinque anni al vento, pur di rivendicarti mia.» sembrava quasi un racconto, quindi May stette zitta e rimase ad ascoltarlo. «Ma no, May… Sei una persona difficile e io non ci so fare con le persone difficili e sinceramente parlando preferisco il mio amico Jay a te, non fartene una colpa, ma non vado sul sicuro con te, mentre con lui sì.» Concluse Tom. Allora era solo di questo che voleva parlare. Era stata una stupida a pensare che volesse anche solo dirle di dargli una seconda opportunità. Stupida. Rimase in silenzio, mentre si preparava un altro discorso, perché quello di prima non si poteva fare al momento, visto che Tom l’aveva colta alla sprovvista mettendola direttamente nelle mani di Jay. Non ci poteva credere che aveva anche solo tentato di rovinare l’amicizia che c’era tra i due. Onestamente parlando i cinque ragazzi sembravano piuttosto uniti, tutti tra loro e lei non poteva sentirsi in diritto di giocare a dividerli. Avevano un sogno in comune, questo glielo aveva raccontato Jay e dividerli era davvero l’ultima cosa che voleva fare.
«Ti chiedo scusa… Per tutto, Tom. – Fece May, saltando giù dallo sgabello, mentre si mordeva un labbro. – Per averti fatto passare per una persona che non sei, per averti presentato una me che non sono, per aver provato a metterti, involontariamente, contro Jay. Pure se ti ho fatto sentire male, se l’ho mai fatto.» Tom annuì, perché sì, era stato male per lei. Era stato male a causa sua. Perché se lei si era presentata come una persona che non era, Tom si era presentato come un maniaco in cerca di attenzioni che non era. E forse era davvero interessato a May, ma non a questo prezzo. Non a quello di perdere Jay, non a quello di sembrare una persona che non era. Era stato male perché per due volte era passato in secondo piano contro una persona alla quale voleva bene, era una persona che giudicava alla sua altezza, Jay. Tom non aveva niente in più di Jay e Jay, a sua volta, non aveva niente in più di Tom. Erano due persone molto simili e May Sommers aveva fatto cadere tutte queste convinzioni. Non è facile, un giorno, doversi svegliare e dover rincominciare da zero a credere in te stesso, quando qualcuno ti ha buttato talmente giù da non poterti guardare allo specchio. May aveva fatto tanto male a Tom. Aveva smesso di credere in se stesso e non c’era cosa peggiore per una persona.  Però un giorno si era svegliato e aveva realizzato che tutto andava bene, nonostante tutto. Aveva ancora la sua integrità… a metà, ma ancora la possedeva. Doveva solo riprendere a convincersi che lui andava bene così e che nessuno doveva mettere in dubbio che lui era abbastanza. Credeva di essere abbastanza. Aveva sempre soddisfatto i suoi canoni di abbastanza Tom. E May, dal canto suo sapeva che il ragazzo non era quello che si era dimostrato durante quella vacanza perché seppur ubriaca, seppur avendo parlato meno di quindici minuti con lui, sapeva che era una brava persona. Aveva un buon senso dell’umorismo, un gran bel sorriso e un buon profumo… Erano quelle le cose che ormai contavano. Non contava più il fatto che lei in cuor suo non lo aveva scelto…
«Ti chiedo scusa per averti portato in un triangolo con uno dei tuoi migliori amici, non è stata una bella cosa, lo so… Ma… Come ho detto a Jay, non mi sembrava vero che qualcuno come voi, fosse interessato a me. Mai nessuno si è interessato a me, come voi l’avete fatto… E ho avuto due ragazzi, in tutta la mia vita… Voi siete così… perfetti, Tom. – Fece, serrando le labbra. Forse stava dicendo qualcosa in più, ma queste erano le scuse più sentite che avesse mai fatto. Le sentiva davvero, si sentiva cattiva per aver fatto una cosa del genere ad una persona che adesso le sembrava così piccola. – Mi scuso per tutto.» Concluse. Forse Tom si aspettava qualcosa di più, ma pensava di essere stata abbastanza chiara su tutto.
«Puoi dirmelo, così mi metto seriamente l’anima in pace?» Chiese il ragazzo, guardandola. May alzò un sopracciglio, non capendo cosa stesse dicendo.
«Cosa?»
«Puoi dirmi che non hai scelto me? – ripetè, guardandola. – Così la smetto di… provare a crederci anche solamente.» May sentì un groppo salire nella gola, mentre lui le chiedeva quella conferma.
«No, Tom… Non ho scelto te.» Sussurrò quasi. E quello per il ragazzo fu il momento peggiore, sentire che non era stato preferito a qualcuno, sentirsi, per la prima volta, una ruota di scorta. Sentire le parole morirgli in gola e aprire la bocca senza emettere alcun suono. Andava bene così però. Perché per una volta aveva parlato chiaramente, per una volta non aveva giocato con i suoi sentimenti, come per un mese aveva fatto. Sorrise convinto e l’abbracciò e lei ricambiò, stringendolo forte. Non sapeva se aveva scelto Jay, al suo posto. Forse stava scegliendo se stessa.



*marti:)*
Sì, cambio ogni volta. Ohhh, allora, questo capitolo è arrivato più in fretta, no? E dire che lo odio è poco. Prima di tutto penso che mi sia uscito malissimo, ma per la prima volta in tutta la storia ho scritto un capitolo di circostanza. Della serie: speravo di non doverlo scrivere, ma l'ho fatto perché era una cosa che andava chiarita. I due dovevano parlare...
Punto due: Ho finalmente fatto un banner, a due capitoli dalla fine, sì XD. Mi diverto con poco io. E poi sono una fan di photoshop e non mi è sembrato vero quando sono riuscita a produrre qualcosa di decente.
Tre: Sì, avete letto bene, manca un capitolo più epilogo... E' tutto in ballo ancora. La situazione con Jay, intendo... Dopo questo May e Tom non penso che avranno altre scene assieme se non una che dura tre secondi nel prossimo capitolo! Tra l'altro non è ancora scritto, uff. By the way...
Grazie a tutti di cuore per continuare a supportarmi! Siete questa ff.
Love y'all!

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


We can learn to love again.
-Capitolo dodici.


Ogni giorno che passava May sentiva Jay allontarsi, aveva sempre mille impegni e potevano stare assieme davvero molto poco. Avevano da parlare un pochino di quello che era successo con Tom, visto che la ragazza ancora non gli aveva raccontato nulla e poi nulla, voleva solo vederlo un po', per stare un po' con lui. Avevano deciso di pranzare assieme, quella mezz'ora che May aveva libera la sacrificava volentieri per stare con lui, passò per la cucina e prese un pacco di patatine in busta rossa, e si trovò con Jay e la sua mela verde nel parco davanti all'abitazione. May ci era stata più volte con Sofia, quando ancora non lavorava lì e le faceva compagnia durante la pausa; c'erano le altalene e gli scivoli, ma Jay dava l'impressione di essere troppo grande per fare certe cose. Era un ragazzo molto alto, in confronto alla ragazza, contando che gli arrivava alla spalla. I ragazzi si andarono a sedere sulle altalene, dondolando di tanto in tanto. May si girò a guardarlo, doveva avere una passione per le mele visto che ne mangiava in continuazione anche se non era ora di pranzo. Le piaceva osservare il ragazzo durante i gesti meccanici come quello dell'addentare una mela, faceva una serie di espressioni una dopo l'altra: all'inizio, con presa forte mordeva la mela facendo una faccia strana, quasi la mela non fosse dolce, poi l'allontanava e alzava un sopracciglio, come se fosse sorpreso ogni volta di quanto grande fosse il morso che aveva lasciato, alla fine se la rigirava tra le mani masticando. May non si era mai trovata in una situazione del genere. Aveva sempre la sensazione di voler conoscere quel ragazzo che le dondolava affianco, fremeva dalla voglia di imparare a riconoscere quei gesti meccanici che faceva quando era triste o arrabbiato, quando era annoiato o felice. Aveva imparato che odiava stare al centro, lo faceva sentire imbarazzato e quando era imbarazzato si toccava con fare insistente le braccia attorcigliando le dita, quando doveva dire qualcosa di intelligente o qualcosa a cui aveva pensato per un po' di tempo invece si mordeva il labbro, tirandolo dentro la bocca e si toccava i capelli in continuazione, così per distrarre le persone. Non sapeva davvero se questa voglia di conoscere il ragazzo era una cosa positiva o negativa, perché non si era mai trovata in queste situazioni... Non si era mai interessata per davvero a nessuno a differenza di quanto stava succedendo con Jay che le faceva venire sempre più voglia di conoscere qualcosa in più, per poter dire un giorno: okay, il ragazzo è nervoso perché ha fatto determinati movimenti! Voleva conoscere Jay a tutti i costi. Fremeva di informazioni che sperava arrivassero. Non aveva mai desiderato tanto sentire la voce di qualcuno come quella volta, che qualcuno le parlasse nonostante lo odiasse...
«Io non so molto sul tuo conto. Raccontami.» Fece lei, allora, iniziando una conversazione, osservandolo mentre mordeva la mela, ancora una volta. Effettivamente cosa sapeva di lui? Sapeva che andava in giro con quattro persone che giudicava suoi amici uniti da un sogno comune che era fare musica.
«Nemmeno io so tanto di te.» Rispose lui, girandosi a guardarla. La visiera gli copriva gli occhi dal sole.
«Andiamo, sei il mio stalker personale.» gli fece notare lei, ridendo.
«Okay, facciamo un gioco, ti va?» Un gioco? May annuì, osservando il ragazzo e facendogli un cenno col capo per poterlo far parlare. «A turno, una volta per uno, diremo qualcosa che ci riguarda, così sapremo qualcosa in più. Ah. - aggiunse poi, sorridendole. - Io ho proposto, inizia tu.» May si morse il labbro superiore, con fare di sfida, ridendo successivamente.
«Okay, McGuiness. - Acconsentì. Pensò a qualcosa da dire, doveva essere una cosa stupida, all'inizio. - Il mio colore preferito è il giallo!» Il giallo era per personalità strane, eccentriche e lei in fin dai conti un po' lo era... Aveva un sacco di stranezze con cui fare i conti ogni giorno.
«Giallo, okay... - disse lui, in risposta. - Il mio è l'azzurro. La mia prima volta è stata quando avevo sedici anni.» Fece lui. May abbassò lo sguardo verso terra, mettendo da una parte le patatine, non ne voleva più. Pensava si partisse con le cose stupide, stupide come lei. Prese a dondolarsi. «La mia prima volta non è ancora... stata la prima! - fece, sentì Jay ridere, anche se non alzò lo sguardo. Tamburellò un piede per terra, cercando qualcosa da dire. - Sono stata innamorata una volta sola di un ragazzo che si chiama Nick.»
«Nick... - ripetè. Era come se ne prendesse nota mentalmente. - La mia prima ragazza si chiamava Rachel. Non sono mai stato innamorato veramente.»
«Nick. - ribadii lei. - La mia fissa per Tom arriva perché Tom mi ricorda molto Nick.» Jay alzò un sopracciglio, puntandole lo sguardo sopra. Magari questa cosa non voleva saperla. Magari gli avrebbe fatto male. Questo gioco non stava andando bene o era un'impressione?
«Suono il tamburello e di tanto in tanto la batteria.» Fece lui. Okay, erano passati alle cose più leggere, molto meglio.
«Oh, mi sarebbe piaciuto un sacco sentirti suonare la batteria. - Fece May, sorridendogli. - Io suono il flauto, l'ho imparato quando ero più piccola! Mh, porto gli occhiali da vista!»
«Il flauto, eh?» Accennò ad una risata, guardandola.
«Jay!» Lo riprese lei, guardandolo scandalizzata.
«Scusa, pensavo solo a quanto potresti essere brava! - Fece sorridendo. May socchiuse gli occhi, sorridendo e scuotendo la testa. - Il mio film preferito è Avatar.»
«Smettila Jay, mi metti in imbarazzo! - Il ragazzò si strinse nelle spalle, poi May, a mo' di sfida aggiunse: - Sì, sono brava comunque. La mia canzone preferita è Torn!»
«I'm all out of faith, this is how I feel... - cantò, lui. Ah, la conosceva. Era un passo avanti. - Mi piacciono le mele.»
«Non si direbbe. - Fece lei ridendo. - Ho parlato con Tom.» Perché era il caso. Spostò lo sguardo sulle sue giapponesine gialle, notando solo ora che era il caso di cambiare lo smalto, ormai quello azzurro stava andando via del tutto e non le piaceva avere una parte colorata e l'altra no, la vacanza stava finendo però, quindi magari avrebbe rimandato. Jay si alzò senza dire nulla, andando verso il cestino per buttare il torsolo della mela, aveva gli occhi ridotti ad una fessura per il sole che lo colpiva in faccia, il sole bacia i belli... May rise di sé stessa in quel momento, guardando il ragazzo camminare a grandi passi verso di lei. Si grattò una guancia e poi si sedette vicino a lei, nuovamente sull'altalena.
«Ah, sì?» Aveva saltato il suo turno, ma non disse nulla, si limitò ad annuire con forza, guardandolo ora in viso. «Quindi?» May si grattò la testa, e poi si prese il suo tempo. Mise bene una forcina e infilò dall'altra parte una ciocca di capelli dietro l'orecchio, stringendosi nelle spalle.
«Mi ha fatto una tenerezza non indifferente e ti assicuro che non avrei voluto scegliere, perché lui aveva lo stesso sguardo che avevo io quando Nick non mi chiamò più, eh... Però, se devo fare una scelta tra una persona che mi ricorda la mia ferita più grande - »
«May, prendila con leggerezza, non c'è bisogno di fare un idillio per questa cosa.» Fece Jay, interrompendola.
«Pensa un po', pensavo che nemmeno sapessi cosa significa la parola idillio. - Fece, ridendo. - Comunque scusa, tendo ad esternare un po' troppo i miei sentimenti... Comunque sì, ho scelto...»
«Dunque?»
«Ah. McGuiness, la pazienza è una dote dei capaci!» fece lei, ridendo.
«E questa espressione te la sei appena inventata, perché non esiste!» Ribattè lui, alzando un sopracciglio. Come dirgli che aveva preferito lui a Tom? Non c'era un modo per farlo sembrare bello, perché aveva pur sempre ferito Tom per fare questa scelta ed era seriamente molto in pensiero per lui, perché non poteva sapere come l'aveva presa... Sospirò.
«Non ho scelto nessuno.» Disse infine. «Ho solo preferito la persona che mi ha fatto soffrire di meno, la persona con cui avevo meno ricordi e... semplicemente, Jay, Tom ha troppo di Nick e non mi piace ricordare quel periodo della mia vita, è stato davvero orribile.» Forse davvero non c'era una maniera per non farla sembrare un mostro. Il ragazzo fece una smorfia. Sicuramente anche lui stava pensando alla stessa cosa. Come poteva essere felice di questa scelta se andava a discapito di un suo amico? L'unica cosa che May sapeva era che non avrebbero dovuto imporle una scelta. Era come se stessero assieme ora? Perché lui le aveva dato tutti i segnali. Si era alzato, si era messo davanti a lei e comprendosi la vista con una mano, le porse l'altra. May si alzò, stringendo la mano del ragazzo. Jay fece quel movimento che faceva sempre, tirandola a sè, per abbracciarla. May strinse le braccia al collo del ragazzo, socchiudendo gli occhi. Davvero, era in una bruttissima situazione. Si era presa una cotta per quel ragazzo, ma non poco, troppo. Non si ricordava nemmeno come si facesse ad avere una cotta per una persona, come ci si comportasse. Luke era stato diverso, non era il genere di ragazzo che tutte si aspettavando di avere... e Nick, che non era mai nemmeno stato il suo ragazzo.
«Lo so che te l'ho già detto e rischio di essere ripetitivo, ma andrà tutto bene, ne sono sicuro.» Sussurrò lui, al suo orecchio, facendola sospirare nuovamente, perché non era vero che sarebbe andato tutto bene, lei stava per partire e probabilmente non l'avrebbe mai più visto... E tutto si fece così triste, quando quel pensiero le attraversò il cervello.




*Me against enemies, me against friends.*
Ask Glee. Non lo so perché lo sto citando, solo che mentre scrivevo questo pezzo mi sono messa a cantare questa canzone.

BOOOOM, sorpresa. Un capitolo in più. Mi sono resa conto di non aver mai dedicato un capitolo intero ad un po' di sane risate tra Jay e May, quindi l'ho scritto. Mi sento male perché non capisco se è leggibile o troppo noioso. Dovete volermi bene, perché davvero, questo capitolo è uscito dal nulla, quindi per chi shippa i McSommers, è una piacevole sorpresa... LOL. No, allora.... L'altro è quasi finito, ho dovuto interrompere la stesura perché ho pensato bene di scrivere questo...
Grazie to my Francesca( grofflicious qui su twitter :D ), per la tempestiva betatura, non ci sono errori, mi fido di lei. E nulla....
Bye u.u
Ah, la canzone sopra citata è 'Just give me a reason' che è una canzone di P!nk ft con i Fun. Amatela!
Marti.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. ***


In another life I would make you stay.
 
«Escuchame, pequenita... - Fece zia Gloria, prendendole il volto tra le mani e dandole un bacio sulla fronte, sorridendole. - ti vogliamo bene e ti aspettiamo il prossimo anno, a Luglio, quando questo nuovo anno sarà terminato, ti aspettiamo... Ancora. Como cada anno, vale?»
May sorrise, con gli occhi lucidi, tirò su col naso e portò una mano sullo stomaco. «Grazie per tutto... Vi voglio bene.»
«Andale, tuo zio non vuole vederti piangere, tiene paura di piangere anche lui.» May rise, quando sua zia aggiunse questo particolare. Soprattutto perché non era molto corretta come frase e poi aveva un accento bellissimo. Quando suo zio comparì davanti alla porta, aprendole la porta per farla passare si rese conto che voleva abbracciarlo, almeno una volta, prima di andare così gli strinse le braccia sul busto, ricacciando le lacrime giù, perché 'tiene paura di piangere anche lui.' L'uomo ricambiò l'abbraccio e senza dire niente, poi si separò dalla nipote e la lasciò passare. Sofia l'aspettava con ai piedi la sua valigia. L'avrebbe anche accompagnata all'aeroporto. Sarebbe finita proprio com’era iniziata, loro due.
«Passiamo prima a salutare Oliver, no?» Chiese May, mettendosi la cintura.
«Perché abbiamo fatto tutta l'estate in pullman per andare a lavoro se io guido ormai da un anno?» Chiese Sofia, facendo ridere May. «Sì, andiamo a salutare Oliver.»
«Okay!» Girò il viso, lasciando che sua cugina parlasse senza ascoltarla veramente. Qualche giorno prima lei e Jay avevano deciso che terminare la pseudo relazione estiva, perché sarebbero stati lontani per molto tempo e nessuno dei due se la sentiva di mandare avanti una relazione a distanza. Almeno si erano trovati a concordare su questa cosa, quindi un abbraccio e i due avevano mandato vana un'intera estate. Ma andava bene così, perché davvero una relazione a distanza non sarebbe stata facile. E poi magari lui avrebbe fatto successo, i tour sarebbero iniziati e lei sarebbe stata sempre più sola che con lui. Quando si sarebbero visti? Perciò era sempre più contenta di questa sua decisione. Faceva male, perché aveva finalmente scoperto quanto fosse felice la felicità e quanto fosse bello avere qualcuno a stringerti la mano durante le uscite. Quanto fosse bello parlare con una persona che non si stancava mai di ascoltarti, ma soprattutto quanto fosse confortante avere affianco una persona che non ti obbligava a parlare anche se ti vedeva giù di morale. Jay aveva imparato a parlare con May, sapeva, quando poteva farlo e quando no... Forse per questo May avrebbe voluto mandare a puttane l'idea della laurea - o magari posticiparla - solo per stare ancora un po' con lui. Ma questo non sarebbe cambiato agli inizi di settembre. Loro avrebbero aperto concerti, conosciuto gente famosa e mentre lei avrebbe perso un anno buono, lui avrebbe fatto qualcosa di costruttivo. E sì, sapeva che era una grandissima egoista, ma sapeva bene che lei veniva prima di tutti. Jay non aveva detto niente, aveva solo annuito durante il discorso fatto da May e aggiunto un semplice: hai ragione, è meglio così. E così avevano smesso di sentirsi, parlarsi e rivolgersi quegli sguardi pieni d'intesa che erano iniziati nella stanza di Tom, il secondo giorno che si erano visti. May e Jay erano più di due semplici persone che uscivano assieme. Avevano passato momenti che li aveva avvicinati talmente tanto da pensare di essere fatti per stare assieme, momenti che li aveva resi complici di qualcosa che solo loro conoscevano nella loro perfetta bolla gialla. Peccato che May non credeva a tutte quelle stronzate e anche Jay aveva dimostrato di non crederci, e puff, la bolla era scoppiata in faccia ai due ragazzi che erano tornati alla loro precedente vita, quella che avevano prima di avvicinarsi tanto.
May aveva dovuto dimenticare tante cose, o meglio, far finta di dimenticare tante cose. La sensazione che si provava, quando lui le scriveva i messaggi più stupidi, solo per farla sorridere, aveva dovuto fingere di dimenticarsi Mr.Sun a casa, cosa provava ad ogni sfioramento e addirittura aveva provato a togliersi dal naso l'odore del dopobarba di Jay, quello che alla fine non le piaceva tanto, perché prediligeva gli odori leggeri... Mentiva a se stessa, mentiva ogni giorno ripetendosi che stava bene, ricordandosi che aveva mille altre cose a cui pensare, mentiva pensando che magari avrebbe potuto parlare con Luke o addirittura cercare Nick, mentiva pensando che c'erano altre ventimila persone sulla faccia della terra come Jay. Mentiva e basta, mentiva per non stare male e piano piano, si mentiva, pensando che stava funzionando.
E in pochi minuti l'auto era parcheggiata davanti allo stabilimento e Sofia le porgeva un sorriso, scendendo dall'auto. Sorrideva anche lei, May, perché aveva un sacco di bei ricordi al momento legati a quella 'casa': Tom, le liti con Oliver, Sofia, Nathan, Carrer de Barcelona, Siva, Max, Movida... Jay. Sospirò e si fece forza, come al solito.
«Oliver!» Lo chiamò May con forza, vedendolo comparire da sotto il bancone poco dopo. «Che diavo-.. No, forse non voglio saperle certe cose. - Disse May ridendo. Si avvicinò buttandogli le braccia al collo. - Grazie per tutto, Oliver. Per ogni seconda, terza, quarta opportunità. Grazie. - fece, sorridendo contro il suo orecchio. - ah... attenzione, se fai del male a Sofia ti spezzo ogni ossicino che hai in quest'esile corpicino.»
«Figurati, May! Ti voglio bene anch'io e ti aspetto l'anno prossimo!» Rispose lui, ridendo e forse un po' impaurito. May scherzava... Forse. Non appena si staccò dal ragazzo, si guardò intorno.
«Vai.» Ordinò Sofia, guardandola. Aveva capito tutto. «Salutali tutti e dì quanto sei stata bene. Sii educata.»
«Sì, mamma.»
*
May vagò lungo l'andito, alla ricerca delle stanze dei ragazzi. Alla ricerca di quella di Jay, no... Tom! Nathan!
«Ehy!» Salutò lei, allegra.
«Ciao May! Come stai?» Chiese il ragazzo, ricambiando il sorriso.
«Oh, bene grazie... Stavo passando a salutare, sto andando via.» May piegò la bocca in una smorfia, guardando Nathan, mentre si torturava le mani.
«Okay, allora buon viaggio, tante care cose.» Cos'era questo tono? Lei non aveva mai fatto niente a Nathan, okay, forse aveva fatto qualcosa da quando era arrivata ma non a lui. Perché la trattava così?
«Grazie...» Rispose incerta, però.
«May, non vorrà parlare con te... Lasciagli il suo tempo, perché mentre tu credi che a lui questa situazione sta bene, questa cosa non lo lascia in pace. Voglio il meglio per lui. Non voglio che stia male ulteriormente solo perché sei così egocentrica da volerlo salutare. - Fece lui, alzando le sopracciglia. Aveva ragione... Ma come dirgli che Jay le mancava talmente tanto da voler rimandare tutto solo per stare ancora un po' con lui. Come dirgli che stava perdendo la costanza di credere in se stessa perché l'unica persona che lo faceva per davvero l'aveva lasciata andare. - Io non ce l'ho con te, May. Ti sto chiedendo un favore personale.»
«Ciao Nathan, prenditi cura di lui.» Fece lei, ricacciando ancora giù quelle lacrime amare.
«Grazie May. Buon proseguimento e sarà fatto.»
E allora andò avanti, lasciandosi Nathan alle spalle. Se non parlava con Jay, avrebbe parlato con Tom. Perché anche Tom faceva parte della sua vita, una vita precedente, ovviamente. Bussò alla porta, con le nocche, producendo un rumore piacevole. Aspettò, staccandosi dalla porta. Tom rimase ad osservarla, non appena se la trovò davanti, incapace di dire qualcosa di realmente sensato.
«Ciao Tom... - Allora provò lei, armandosi di tutto il coraggio che aveva, - Sono passata a salutarti. Eh, mh... Vado via tra... - E poi scoppiò a piangere. Non scoppiò in tutti i sensi, perché sentì solamente scenderle dagli occhi, ma non fece nessun rumore in più, anzi... - non lo so, tre ore forse... E volevo dirti che mi mancherai e che... ti ringrazio per quest'estate bella o brutta che sia.» Col dorso della mano si asciugò le lacrime, soffiò sputando un po' d'aria che aveva in corpo e alzò gli occhi al cielo, tirando su col naso.
«Buon viaggio, May... Mi ha fatto piacere rincontrarti.» Fece lui sorridendo, avvicinandosi per abbracciarla. May scoppiò in una risata nervosa. Anche a lei aveva fatto piacere conoscerlo. Nonostante tutto. Ricambiò l'abbraccio, sorridendo anch'essa.
«Non fare casini Parker. Almeno, non senza di me. Okay?» Gli sussurrò.
«Promesso!» Rispose lui ridendo. La ragazza si allontanò dal ragazzo, sorridendo. «May, stai su. Sei più forte di tutto.»
«Anche tu, Tom. Ricordati.»
Il ragazzo annuì e May gli fece un altro sorriso, asciugandosi le lacrime che continuavano a scendere ma che per fortuna si erano calmate ora.
*
«Hai parlato con Jay?» Chiese Sofia, guidando verso l’aeroporto, May si morse il labbro, guardando fuori dalla finestra mentre ogni pensiero era concentrato su quello che stava vedendo… o meglio, su quello a cui non voleva pensare.
«No.»
«Perché no?» Chiese allora, paziente.
«Perché ho incontrato Nathan nella hall e mi chiesto come favore persona di non parlare con Jay e abbiamo concordato che è stato meglio così.» Fece May, grattandosi la fronte.
«Sai perché hai concordato con quel ragazzo, che tra parentesi sembra davvero Sid de la era glacial, perché sei una codarda e avevi una paura boia di parlare con Jay. Ma tranquilla, May… adesso che tornerai a casa non ci parlerai mai più, forse, e starai bene.» Sofia parcheggiò davanti all’entrata dell’aeroporto, scendendo dalla macchina. Aprì il cofano prendendo la valigia di May che nel frattempo scese dall’auto. Probabilmente era vero, lei era partita con la cosa che con Jay non ci voleva parlare e così le era andato bene ciò che le disse Nathan.
«Grazie» disse poi, prendendo di mano la valigia a Sofia, che le fece un sorriso di cortesia. Non poteva davvero essere arrabbiata con lei per quella ragione, non oggi che se ne andava. Dovevano abbracciarsi e dirsi quanto, a vicenda, si sarebbero mancate non portare il muso come una specie di trofeo. May non voleva rovinare del tutto quella vacanza, era già, in parte, andata male. «Sofia, sono affari miei se parlo o no con Jay, se non ci parlerò mai più, se ho ascoltato Nathan solo per fare un piacere a me stessa, se sono egoista o no nei confronti del mondo… Non tuoi, okay? Se vuoi smettere di parlarmi, fallo perché ti ho rotto un vestito o un fermacapelli, ma non per questo.» May prese a camminare senza che la ragazza le rispondesse o che ne avesse il tempo e si andò a sedere davanti al tabellone degli orari, infilando le cuffie che le avevano fatto compagnia durante le notti insonne, quando tutto andava a puttane e iniziò a muovere la testa a ritmo, com’era solito fare mentre osservava la gente passare davanti a lei. Sofia le si sedette affianco e poggiò la testa sulla sua spalla, era tutto di nuovo come prima come se non avessero mai litigato, era meglio così, effettivamente, May aveva bisogno di lei.
I secondi, i minuti, passarono e così l’ora che doveva aspettare prima di prendere l’aereo, senza mai dire niente, tornava la stessa ragazza che era prima, così non avrebbe sofferto troppo intensamente. Sentì l’altoparlante chiamare il suo volo: Londra. Scostò gentilmente Sofia e si tolse le cuffie.
«Grazie per tutto, Sofia. Sei... – May lasciò che la voce le tremasse un po’, perché lei era la sua fedele compagna di viaggio, tutto quello che una persona poteva desiderare di avere affianco. Oliver era fortunato a stare con lei, a starle intorno ogni giorno. - …Grazie, Sofia.» Concluse perché non sapeva cosa dire effettivamente, mentre quegli occhioni la osservavano. Sofia la cinse in un abbraccio, mentre anche le sue lacrime scendevano.
«Chiamami su Skype appena arrivi, ti voglio bene.» May annuì e inizio a mettersi in fila per lasciare quel posto, dispersa tra gli altri turisti, fu lì che lo vide, fu lì che il suo cuore passò all’altra parte e le causò un arresto cardiaco quasi… Jay si faceva spazio tra la folla, la stava cercando, forse, per parlarle. Si guardò intorno, ancora, Nathan dietro di lui che lo inseguiva, assieme a Tom, Max, Siva ed Oliver che doveva averli accompagnati, chiudendo per un po’ il posto. May uscì dalla folla in cui era imprigionata, trovandosi fuori aspettando che Jay le andasse incontro, si piegò sulle ginocchia perché aveva il fiatone. Era stata una lunga corsa.
«Non sei passata a salutare, May.» Disse lui, mettendosi di nuovo in posizione eretta.
«Ho convenuto non fosse necessario… Ho salutato Nathan, ti avrebbe passato i miei saluti, ne sono sicura.» Fece lei, sorridendo malinconicamente il ragazzo che non aveva un cappellino quel giorno, ma i capelli al vento che al momento non c’era…
«May… mi dispiace tanto, per tutto… Ma non lasciarmi qui, da solo…» Fece il ragazzo, guardandola, respirando a fatica e con la bocca. «Cazzo... – si passò una mano tra i capelli, smuovendoli. – Cazzo. Le relazioni a distanza non funzionano, non me n’è mai importato un cazzo e sono sempre stato del parere che non durassero, le trovavo per sfigati… Ma adesso io voglio stare con te… May…» May si morse l’interno della guancia, non sapendo cosa dire, guardando il ragazzo.
«Jay, non è niente di buono, tu non sai com’è essere me…» Iniziò la ragazza, ma l’altro la interruppe.
«No, io non so com’è essere te, May. Io non allontano le persone di proposito solo per provare quanto sono scortese, solo per mantenere viva una fottuta reputazione che, fattelo dire, fa schifo. Io amo parlare con la gente, fanculo se non mi ascoltano, sai cosa me ne importa. Fanculo se la gente non ci ascolterà cantare, chi se ne importa, a noi piace farlo… E non mi dire che non ti è piaciuto parlare con me, perché non ci credo, perché è sempre bello parlare con qualcuno, quindi vaffanculo May, perché io, ora, ti sto chiedendo di provare a parlare con me, di restare…»
«Jay… io… Ho l’università…» Provò lei. Aveva ragione Sofia era una codarda, ma di quelle paurose, di quelle che si preservavano il diritto di vivere solo perché pensavano di aver fatto qualcosa di brutto in una vita passata e di non meritarlo. Lei era la cogliona per eccellenza, perché quando guardava quegli occhi tanto gentili di Jay che al momento le chiedevano di stare con lui, l’unica cosa che le era uscita dalla bocca era: ‘ho l’università’.
«Fanculo, May. Ho buttato un’estate!» Fece lui, guardandola. Non si ricordava più com’era rivivere in tranquillità con qualcuno che ti rendeva felice affianco? Non si ricordava più la felicità nel sapere che qualcuno l’accettava per quello che era… Che poteva essere anche la regina delle stronze che Jay le avrebbe voluto bene lo stesso, per quello che era… Lui aveva detto che aveva sprecato un’estate con lei e queste parole fecero male… Molto più di quando, per comune accordo, decisero di concludere la pseudo relazione che si era creata tra di loro… Si sentiva uno schifo! Tutto quello che aveva costruito era crollato come fosse un castello di carte in mano ad un bambino e, ancora una volta, era tutta colpa sua. C’era stata qualcosa, durante quella vacanza, che non fosse accaduta per colpa sua? Niente, si era cercata tutte le situazioni e poi si era trovata a piangere per quella ragione. Jay le voltò le spalle, tornando indietro da dove era arrivato, tornando dai suoi amici che lo avrebbero sempre appoggiato, voltando le spalle alla sua ‘rovina-estati’ bionda. Sofia, in piedi, la osservava. Aveva riconosciuto quello sguardo. Era lo stesso di quando Nick non si era fatto più sentire e lei, in mille pezzi, glielo aveva raccontato in webcam. Era lo stesso di quando aveva realizzato che Tom alla fine non era la persona giusta per lei… Le fece un cenno col capo, sperando che capisse. May socchiuse gli occhi e deglutì.
«Aspetta, Jay.» Lo disse talmente ad alta voce che anche qualcun altro la sentì e si girò. Ma quella era paura. Paura di poter perdere, come sempre, tutto da un momento all’altro. Stava perdendo Jay e perdere Jay era come perdere tutto ciò che non aveva ma che poteva avere e non c’era nulla che ti faceva stare peggio di quando perdevi qualcosa che non avevi. Come quando pensi al concerto a cui non potrai mai andare e che hai perso. Hai perso qualcosa che non potevi avere e ti ha fatto male il doppio.
«Ho aspettato quasi tre mesi, May…» Il ragazzo si girò, era una scena molto teatrale, effettivamente e la gente di tanto in tanto si girava a guardarli.
«Io devo andare Jay… Non puoi chiedermi di saltare un anno di università per stare qui… E poi, quando tu avrai finito la promozione del probabile disco qui e dovrai andare via io cosa farò? Cosa farò quando vedrò le tue foto bello sorridente mentre baci una persona che non sono io? Cosa farò quando sarai dall’altra parte del globo e io dovrò guardarti dalla tv? Se hai una situazione per tutti questi problemi, Jay, allora c’è una speranza per noi… E io sarò ben lieta di ascoltarla e seguirla alla lettera, perché anch’io, al contrario di quanto pensi, ho puntato tutta la mia estate su di te e me.» Disse May, guardandolo. Era uno dei discorsi più lunghi che avesse mai fatto. Jay si dondolò sulle gambe.
«No, May… Non c’è una soluzione…» Rispose lui, solamente, facendo rattristare lei ancora di più. Nemmeno lui aveva una soluzione, forse, quella storia non doveva sussistere e basta. Il volo venne richiamato e lei doveva andare via, non c’erano soluzioni… Doveva andare.
«Ciao, Jay. Salutami Tom e gli altri… E dì a Nathan di mantenere la promessa. »
«Che promessa?» Chiese il ragazzo, correndole incontro, nuovamente.
«Non ho tempo, devo andare.» Rispose invece lei guardandolo. Si tirò la tracolla davanti e fece un cenno con la mano. Jay deglutì, guardando tutto sparire in un secondo, fece un passo avanti… Era un fottuto tira e molla e questo era molto noioso e soprattutto faceva più male di quanto May avesse mai potuto immaginare. E anche Jay. Ma questa era probabilmente l’ultima volta che la vedeva e voleva provarci del tutto… E le aveva dato un unico motivo per provare ed era lui. Si avvicinò ancora una volta, solo una, tra la fila che cominciava a formarsi e la girò verso di se, non aspettando niente, assolutamente niente, baciandola sulle labbra, facendole sentire tutto quello che sentiva.
 
*ciao!*
Ciao, prima di tutto… Secondo di tutto mi scuso per il ritardo, la scuola è iniziata da una settimana circa e io sto già morendo sotto tutti gli appunti che sto prendendo, lentamente anche di noia, sì. BTW. Ecco il dodicesimo capitolo… Dovete assolutamente scusarmi per la lunghezza di questo capitolo, sarò estremamente noiosa ma dovevo raccontare determinate cose, scusatemi… C’è taaaanto May+Jay, May+Nathan, May+Tom, May+Sofia&Oliver. Non me ne vogliate. Ehhhh, nulla. Vi ho lasciato sulle spine, eh? Lo scoprirete nell’ultimissima parte di questa FF, che giunge davvero al termine…
Love u all, tutti quelli che mi seguono ogni aggiornamento e che non si stancano mai del mio continuo blaterare… Siete voi questa FF. Marti.

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Capitolo 14
*** Epilogo. ***


Epilogo.
 
May era tornata a casa da circa due settimane, con settembre appena iniziato, passava le sue giornate con la testa sui libri, cercando di memorizzare quanto più vocaboli possibili, in modo tale da non fallire il test d’ammissione all’università che aveva scelto a undici anni. Si era anche ammalata di ritorno dalla Spagna, la madre ci aveva scherzato su, dicendo che il suo corpo si rifiutava di stare a casa, ma non sapeva che effettivamente poteva essere così. Jay, era uno di quei ricordi che si sarebbe tenuta per sé, con fare egoistico, per non dividerlo con nessuno. Quei ricordi erano i suoi, solo i suoi e non si sentiva di condividerli con nessuno. Tre giorni dopo ricevette l’invito ad una festa. Ci pensò molto… Non voleva perdersela, ma ormai non era più quel tipo di persona. May Sommers era cambiata in due mesi. O meglio, il cambiamento stava avvenendo lentamente, ma stava arrivando. Aveva iniziato a studiare in biblioteca e aveva incontrato Finn, un ragazzo gay, che diventò subito suo amico. Se qualcuno era suo amico, allora le cose stavano cambiando.
Non c’era un giorno che non pensasse a Sofia. Non c’era un giorno che passava che non pensava a come stesse Jay.
L’otto settembre aveva fatto il test d’ammissione. Si era svegliata con un grosso mal di testa. La ragazza era una di quelle che credeva nel destino o cose del genere, perciò si convinse che non l’avrebbe passato. I giorni passavano con la famiglia Sommers, che a turno controllavano la cassetta delle lettere, aspettando quella giusta, ma arrivavano solo bollette. Bollette del gas, bollette dell’acqua, bollette della luce… Tra un po’, sarebbero arrivate anche le bollette dell’aria che respiravano. Ma non si lamentava, anzi. Passava i suoi pomeriggi con Finn, che aveva scoperto frequentare il secondo anno nella sua stessa università. Il ragazzo la faceva sentire accettata, si accettavano a vicenda. Era altissimo, un gigante, quasi... Due metri sarebbero stati esagerati, ma al metro e novanta ci arrivava. Ben piazzato di spalle e le lentiggini. Ed era suo amico. Non poteva essere più felice.
Poi la lettera arrivò e May scoprì di aver passato quel test. I suoi genitori erano così orgogliosi di lei e lo sarebbe stato anche Jay. E Tom. Tom le aveva detto che lei era la migliore di tutti… Anche lui credeva in lei. Finn le chiese di uscire, per andare a festeggiare.
«Non mi hai mai raccontato della tua vacanza in Spagna.» Fece il ragazzo, guardandola, mentre sorseggiava il suo drink.
«Ho conosciuto due ragazzi. Si chiamano Jay e Tom… Sono stati importanti, voglio bene ad entrambi e… ci siamo divertiti, sì.» Divertiti era un parolone, si erano scannati, mezzi stuprati, presi a pugni, scelti, allontananti, salutati… In fin dai conti, May non poteva proprio lamentarsi, aveva vissuto un’estate piena di ricordi che si sarebbe portata dietro per il resto della sua vita… Ah, la sua vita!
«May Annabeth Sommers… Andiamo! Sono tuo amico… Perché non mi racconti?» Chiese il ragazzo disperato. May si strinse nelle spalle e gli sorrise, iniziando a raccontare per filo e per segno ciò che le era successo durante quell’estate. Era la terza volta che May si sentiva compresa ed ascoltata. Era la terza volta che qualcuno le chiedeva di parlare, per starla a sentire… Era la terza volta che trovava un amico sincero. May non poterò fare a meno di sentirsi felice.
 
*
 
Le settimane all’università volavano, così come i primi mesi. Settembre ed Ottobre non lasciarono nemmeno i segni del loro passaggio, fu Novembre a fare il tempo più freddo, portando le piogge sempre più pesanti. Ironia della sorte May odiava la pioggia. Novembre era scuro. Novembre le avrebbe portato diciannove anni. Novembre passava veloce, così come le goccioline scivolavano su un vetro ormai appannato, in un battito di ciglia era già il ventidue novembre, il giorno del suo compleanno. Sospirò, quando sua madre le cantò la canzoncina. Si era rifiutata di avere una festa in grazia di Dio, aveva solo da studiare. La signora Sommers però si era rifiutata di lasciare che la figlia non avesse una festa decente e d’accordo con Finn si mise ad organizzare qualcosina già dagli inizi di Novembre, così da avere tutto il tempo di organizzarsi e dividersi le cose da fare. Finn fremeva. Adorava fare questo genere di cose e poi aveva incanalato alla perfezione lo stile di May. Tutto doveva essere giallo e… silenzioso. Diavolo, no! Non aveva capito un cavolo dello stile della ragazza. Aveva un modo molto lavativo di vestirsi e non badava assolutamente alla concordanza dei colori. La signora si occupò del posto: affittò una sala abbastanza grande incorporata ad una chiesetta fuori città mentre Finn degli invitati e la cosa da mangiare. Sarebbe stata una festa da urlo, anche se May avrebbe dato di matto, conoscendola almeno un po’.
Alle otto e mezza del ventidue novembre, la signora Sommers chiamò a gran voce sua figlia, facendola preoccupare e dicendo che la nonna stava male e si doveva correre a casa sua. Un espediente come un altro. Ovviamente lei non si oppose, adorava sua nonna nonostante questa le desse sempre troppo da mangiare.
«Casa di nonna era dall’altra parte della strada, mamma.»
«Sei troppo intelligente per non aver capito nulla.» La ammonì la donna, guardandola. Rimproverandola.
«Ti sto dando un’opportunità per riportarmi a casa.» Rispose dunque May.
«No, tesoro…» Rispose facendo un cenno negativo con la testa e sorridendole stancamente, come sempre. May sbuffò. Avrebbe ammazzato sia sua madre sia il complice che la salutava con un sorriso stampato in volto.
«Arrivederci, signora S.» Salutò Finn. La “signora S.” mosse la mano salutandolo e tornando da dove era arrivata.
«Oh, Finn Carrol, ti ammazzo. E ti ammazzerò così lentamente che mi chiederai pietà per farti cessare di soffrire.» Fece May, avvicinandosi a lui, minacciosa puntandogli un dito contro.
«Calmina tigre!» Le disse lui, guardandola. «Andrà bene. Ho anche chiamato una band per suonare alla tua festa, dovrebbero arrivare un poco più tardi, però…»
«Seh, seh. Ti odio lo stesso e ho fame.»
 
*
 
«Sono in ritardo.» Disse May, guardando l’amico, seduta su una sedia, mentre osservava la gente muoversi, ballare e divertirsi alla sua festa.
«Chi, tesoro?» Chiese Finn.
«Come chi? La band. Mica possiamo ancora utilizzare lo stereo. Quanto dovrà pagare mia madre di corrente?»
«Dannazione, se tua madre mi avesse avvisato che - » Il suo discorso si interruppe perché, suonarono alla porta. « - non ho finito, ovviamente, aspettami.» May sbuffò ancora, guardandolo allontanarsi ed aprire la porta ad altra gente. Per un secondo aveva pure sperato che fosse la band tanto attesa. Chissà quali sfigati avevano raccattato in meno di venti giorni. Non poteva essere una band famosa e poi non si era nemmeno mai confidata con Finn su quale genere musicale le piacesse. Sentì il cellulare vibrare, lo prese, veloce tra le mani, controllandolo. Un nuovo messaggio. Jay. Il cuore le passò dall’altra parte, se era possibile… Pensò che fosse uno scherzo, che… dannazione, non si sentivano da un sacco di tempo. Si era ricordato del suo compleanno. Finn fece in tempo ad avvicinarsi a lei, che ancora non aveva letto il messaggio.
«Chi è?» Chiese dunque il moro, guardandola.
May si grattò la fronte, sistemando il lungo ciuffo biondo dietro l’orecchio, inspirò a fondo. «È Jay… Ti ricordi? Te ne ho parlato…»
«Sì, è il tipo che hai frequentato in Francia, mi ricordo.»
«Spagna, Finn! – Fece lei, guardandolo. – Leggilo tu!» Gli passò il cellulare, osservandolo mentre apriva il messaggio.
«Ehy, May! – Iniziò Finn, leggendo con calma. – Siamo a Jakarta, che non ho ancora capito dove sia… Spero che il fuso non ci abbia fottuto. Sennò buongiorno, May!! Noi ti mandiamo tanti auguri di buon compleanno! Noi inteso come Jay, Nathan, Siva, Max e Tom… Ci sono anche Kelsey, Nareesha e Tia, la mia lucertola. Nareesha è la ragazza di Siva, te l’avevo detto e Kelsey è la ragazza di Tom. E’ bionda più di te! – Finn storse la bocca. Jay era un po’ stupido se le diceva della nuova relazione di Tom, ma comunque guardò May, era tranquilla.- Ti mandiamo un abbraccio e, appena Nathan scoprirà dove abiti, anche un bel regalo… TheWanted più rispettive ragazze e lucertole.»
«Ah. – disse poi la ragazza, portandosi una mano all’altezza dello stomaco. - » Finn le sorrise, avvicinandosi per abbracciarla. Il destino le riservava qualcosa di inaspettato, pensò. May pensò al nome… The Wanted. Se avevano un nome, significava che la band stava andando e non poté fare a meno di sentirsi felice.
«Sommers, questa musica mi annoia!» Iniziarono le lamentele generali dei ragazzi che si spostavano dalla pista alle fette di pizza sui tavoli. Almeno tenevano la bocca occupata mangiando, molto meglio.
«Merda, sono in ritardo…» Bofonchiò Finn, guardandosi intorno. May non si pose nessuna domanda, parlava della band. Ma dovevano essere davvero in ritardo, avrebbero preso la metà di quello che gli avevano promesso, ecco. «Li ammazzo tutti! Spaccandogli le loro chitarre in testa… Tesoro, mi aspetti?»
«Se smetti di chiamarmi tesoro, sì.»
Finn sorrise spostandosi, qualcuno si avvicinò a May, facendole gli auguri, lasciandole il pacchetto dei loro regali, qualcuno le chiese dove fosse il bagno. C’era anche Luke, il suo vecchio fidanzato… Con una nuova! Quel ragazzo cambiava le ragazze come le mutande, mentre lei studiava come una dannata per non pensare ad un unico ragazzo. Quando era diventata un’adolescente come le altre, col cuore in mille pezzi che affondava il dolore nel cibo? Che stronzata.
«Eccoli, eccoli…» Fece Finn eccitato, perché poi? Bussarono alla porta, attirando l’attenzione di tutti, non appena entrarono nella sala. May mangiava un pezzo di pizza, portato da Chantal, una persona che, onestamente, non conosceva, quando sentì la voce di Nathan. Merda.
«Finn Carrol… Ti odio.» Sussurrò al ragazzo che l’osservava da lontano, mentre aspettava che tutti e cinque i ragazzi entrassero nella saletta. Jay alzò lo sguardo, sorridendole, facendole un cenno con la mano. Jakarta, eh? Si piazzarono al centro della sala, con i microfoni che May ancora non aveva notato, Nathan ne prese uno.
«Jakarta non ci piaceva tanto – storse il muso, sorridendole. – E, avendo un amica a Londra, abbiamo pensato di farci un salto… Almeno qui capite come parliamo!» Nathan rise. La gente rimase un po’ a fissarli. Cioè, come aveva fatto Finn a portarli qui? Era… assurdo, quasi. Dovevano essere in tour con tutta quella buona gente nominata da Jay… Ma Jay era lì e giocherellava con un tamburello, con i capelli che gli cadevano morbidi sul viso e i suoi occhioni cercavano lei.
«Non ho ancora una soluzione, ci sto pensando… - Iniziò Jay, che prese posto al centro della sala. Uhm… - Ma… io sono qui, May. Sono tornato in fin dai conti… Quindi, stiamo a casa per le vacanze, almeno una settimana, poi non lo so… Ricordi le relazioni a distanza? Proviamoci. Prima o poi tornerò sempre a casa da te.»
A parte il fatto che le aveva fatto una specie di dichiarazione davanti a tutti, e terminato di parlare lui, si erano girati verso di lei, aspettando una risposta che tardò ad arrivare. Che cogliona, stava aspettando troppo come sempre. Se non poteva averlo, avrebbe dovuto mandarlo via tempo fa. Ma lei voleva quel ragazzo e, con un sorrisone, annuì.
 
*Ciaociaociao.*
Ma… è finita. Oddio, è finita davvero. Questa ff sa di estate, perché se non sbaglio l’ho iniziata a luglio… euh. E’ male fisico quello che senso? E’ il mio cuore che smetti di battere… ç_ç Ce la farò non preoccupatevi per me.

Ci sono due cose/tre cose da dire…
- La prima è che questo finale non era quello giusto per questa ff. Doveva avere un altro finale, TOTALMENTE diverso da questo. Era un finale diverso… Credo che non vi dirò nulla, perché ci scriverò un’altra cosa su quello, spacciandola come una one shot. ( No, questo fandom non lo abbandono, vi farò arrivare un sacco di cose scritte. ) E’ stata cambiato il finale perché ho ricevuto una minaccia di morte da Francesca ( aka grofflicius qui su EFP ) quindi se vi ha fatto più piacere questo finale ringraziate lei, sennò ammazzatela. No. Se doveste farlo non m’importa…
- Sto ancora soffrendo per i miei bambini… Jay e May ( McSommers rulez. Io shippavo per la Tay, volevo dirvelo!! ) sono così jhfcjdhf, come fanno ad essere tanto belli? Forse è per questo che soffro tanto a lasciarli. Sono una parte di me… Li amo troppo e ho già concluso…
- Tre. Se siete arrivate fino a questo capitolo e avete letto ogni singola parola di questa storia, grazie. Grazie mille per avermi supportato, per avermi seguito e fatta sentire speciale. May sono io e vedere tanto affetto nei confronti della ragazza mi fa sentire amata come non mai. Io e la mia ciccina ve ne siamo grate… Davvero. Sono arrivata qui che credevo che questa ff sarebbe finita del dimenticatoio molto presto e invece l’avete messa nelle seguite, preferite… Grazie a chi ha recensito, lasciandomi un parere. A chi non l’ha fatto ma mi a seguito comunque, in silenzio. Grazie per le preferite e le seguite… Grazie di tutto.
Ma un ringraziamento speciale va a Francesca ( merda! ) che mi ha ispirato questa storia, che l’ha resa davvero fattibile e che mi ha sempre, sempre spronato a scrivere. ♥♥
 
Grazie ancora di cuore,
Marti.

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