If I can't have you why won't you let me go? di damnhudson (/viewuser.php?uid=131226)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno. ***
Capitolo Uno.
Le tipiche feste inglesi, erano per lei pane di tutti i giorni. Si
destreggiava ad ogni festa di chiunque fosse. Passava il suo tempo
settimanale a studiare mentre il fine settimana partecipava alle feste
più disparate in qualsiasi quartiere potesse arrivare,
l'importante era avere un passaggio. La sua vita era perfetta ai suoi
occhi. May non aveva mai dato a sapere niente di lei, eppure la gente -
come sempre - si ostinava a dividerla nella più disparate
categorie della scala sociale. C'era chi la inseriva tra le sfigate - e
a lei andava bene, dato che odiava chi la guardava troppo. -, chi
invece la sistemava tra le più appetibili - e a lei
continuava ad andare bene, perché così dimostrava
solo quanto fosse inattaccabile la sua figura: nessuno la conosceva
bene, per quanto dicesse. - . May Sommers era una ragazza che tutti di
vista conoscevano, ma che nessuno - appunto, conosceva per davvero. Su
di lei tanti pareri, tante belle cose; ma nessuno per davvero aveva
conosciuto il vero carattere della ragazza.
May non voleva che
nessuno la conoscesse troppo bene, non poteva permettere che qualcuno
le facesse notare quanto in effetti fosse sola, voleva solo che le
persone parlassero con lei per quello che si mostrava e forse era
sbagliato - e lei lo sapeva bene - ma le andava bene così.
Odiava parlare, lo faceva a stento. Quando una persona parla poco, ci
si aspetta sempre che sia una buona ascoltatrice ma lei non era nemmeno
quello. Odiava ascoltare la gente, odiava quando le persone andavano a
sbandierare i propri problemi alla luce del sole. Anche lei aveva i
suoi problemi eppure non andava a dirlo in giro, c'erano cose che si
potevano raccontare ed altre che non si potevano raccontare e anche se
le sue non le raccontava comunque, si aspettava che anche gli altri
facessero questo tipo di distinzioni. I problemi erano realmente
problemi se ti corrodevano da dentro, erano problemi seri se quelli non
avevi nemmeno la forza di raccontarli e i suoi erano così.
May, spesso e volentieri, quando la gente parlava si distraeva, pensava
ad altro, magari a cosa avrebbe voluto mangiare a cena o a che colore
avrebbe avuto nei capelli se avesse potuto tingerli: peccato fosse
allergica alle tinte. Ma c'era una cosa che odiava più di
altre, o quasi. Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando
veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso
queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere
così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale.
May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa,
per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente
facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per
questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola.
May aveva paura, soprattutto.
Per quello si dava
alle feste più disparate. Alle feste non c'era bisogno di
parlare. Alle feste ci si divertiva, ballava e beveva. Nessuno ti ferma
per chiederti di che segno zodiacale sei, o qual'è il tuo
colore preferito. Era l'habitat preferito della ragazza questo. Stava
bene così, senza che nessuno le si interessasse. Aveva i
suoi genitori che lo facevano, ogni tanto, quando tornavano dal lavoro
e bastavano e avanzavano. Non c'era bisogno di altre domande. May stava
bene, stava bene come quando inizi a togliere il giacchetto a Maggio
perché ormai non fa più troppo freddo, stava bene
come quando suo padre le diceva che a cena c'era la pizza e non il
solito minestrone. Sorrideva perché nessuno mai l'aveva
spezzata, perché nessuno alla fine la conosceva bene,
nessuno sapeva come poterla spezzare.
Ed era
felice. E non aveva bisogno di niente, se non di se stessa e quelle
feste che facevano in giro.
«A che ora
posso rientrare? Ho il passaggio, non c'è bisogno che
papà venga a prendermi.» Esordì la
ragazza, entrando in cucina mentre sua madre lavava i piatti, in
maniera stanca. Come se fosse - o forse lo era per davvero - la solita
routine. Se non avesse tanta fretta si sarebbe anche offerta di
aiutarla, ma davvero, era in ritardo. La sua "amica" sarebbe passata a
prenderla a breve e sapeva quanto Jennifer odiasse aspettare e per non
perdere il passaggio doveva fare da brava.
«Non lo so,
tesoro.» Rispose, la signora Sommers girandosi verso sua
figlia e sorridendole apprezzando il suo vestitino. Non era troppo
corto, May non aveva mai dato di questo problemi. Sapeva alla
perfezione come vestirsi. «Passa Jennifer?» Chiese
ancora, scrutando in viso la figlia, che sorrideva a sua volta.
«Sì.
A brevissimo, quindi devi darmi una risposta al volo, mamma.»
«Fai tu,
tesoro. Quando la festa finisce... torna. »
Risposte strategiche
di una madre che si fida a tal punto di te da non darti il coprifuoco.
In momenti come questi, May, amava la sua personalità calma
e tranquilla. Non aveva dato problemi ed ora eccola lì,
senza coprifuoco. Okay, era anche quasi maggiorenne, ma quasi. Erano
pur sempre soddisfazioni, queste. Le migliori. Si avvicinò
alla donna che l'aveva messa al mondo, della quale aveva un po' troppo
per i suoi gusti e le lasciò un bacio sulla guancia e per un
momento la sua poca voglia di parlare si riconobbe.
Era una festa
tipicamente inglese in cui l'unico motto che vigeva era: porta chi
vuoi, e alcool se puoi. E infatti, lei e la sua Jennifer si erano
occupate di passare al supermercato per portare qualcosa. Non era stata
una grande spesa, facevi contenti i partecipanti anche solo con una
bottiglia. Nel migliore dei casi, se ubriachi, non distinguevano
nemmeno il succo alla pesca dalla vodka. "Sempre vodka alla pesca
è." Aveva constatato un ragazzo, prima di vomitare tutto
compresa l'anima. In genere May non beveva molto, o meglio, tendeva a
non esagerare in modo tale che poi potesse ricordare con
lucidità tutto quello che diceva o faceva e soprattutto con
chi si appartava. In genere scappava prima che le cose si facessero
troppo complicate da gestire, ma ogni tanto beccava qualche ragazzo che
le piaceva. Andare a quelle feste, era come andare in discoteca, solo
che la maggior parte delle volte era una cosa all'aperto e dunque si
respirava. Decisamente meglio che una discoteca. E poi la musica
tendeva ad essere migliore, era senza dubbio migliore.
Non appena mise piede
dentro l'enorme villa che ospitava la festa, si rese effettivamente
conto di quanto l'odore di alcool fosse pesante. Lei non avrebbe
bevuto, se lo ripromise proprio. Si guardò attorno, cercando
qualcuno che conoscesse o magari anche solo il viso di Jennifer che
l'aveva lasciata che non erano nemmeno arrivate. Jenny era come lei,
solo più espansiva e i suoi sorrisi erano spesso e
volentieri più finti dei suoi. Un altro punto a favore di
May era che se non voleva sorridere non lo faceva e basta. E si stava
meglio così. Non sapeva cosa fare, perché non
c'era il solito gruppo ad attenderla, ma solo una vasta dispensa
d'alcool e non le piaceva molto, ma si avvicinò comunque,
prendendo un bicchierino rosso di carta e versandoci dentro un liquido
trasparente, molto simile a qualcosa che aveva recentemente assaggiato,
ma di cui al momento il nome non le usciva. Comunque era buono.
«Sommers,
non bere!» La avvisò di passaggio Luke, mentre
passava tenendo per mano la sua nuova ragazza. Luke e May stavano
assieme un periodo prima, era stato il suo primo ragazzo anche se lei
non si era mai sentita di amarlo come doveva. Comunque, sta di fatto
che ad una festa la ragazza bevette un po' troppo e fece praticamente
un casino. Il cellulare di Luke iniziò a registrare messaggi
con scritto "sei una merda"
o "non ti ho mai amato"
o "lo so che
te la fai con Jil" lasciando il ragazzo di sasso,
quest'ultimo aspettò che la sua ragazza tornò
lucida e il giorno dopo la lasciò, così senza
nemmeno troppi giri di parole, era vero che se la faceva con Jil, ma
non era affatto giusto per lui - e solo per lui - che venisse trattato
così. Il fatto di non averlo mai amato veramente,
consentì alla ragazza bionda appena lasciata di non stare
troppo male, ma da quel momento non ebbe più nessuna
relazione.
«Lasciami in
pace! E non tradire Jil.» Rispose lei a tono, guardando il
ragazzo andare via con una ragazza che di sicuro non era Jil Hudson.
Iniziava a sentire la testa che girava, e per un momento
appoggiò il bicchiere, riprendendo a guardarsi intorno,
notando solo ora che il giardino si era riempito di bei ragazzi, che di
sicuro attiravano la sua attenzione. Le piaceva quell'ambiente. Quando
era brilla o ad una festa, perdeva completamente il suo essere buona e
calma, anche se per un po' conservava questo status.
«Bevi da
sola?» Chiese un ragazzo, piazzandosi davanti a lei. Era
brutto, ma brutto davvero.
«Non sono
ancora ubriaca, smamma.» Fece, sorridendo e muovendo la
manina con un gesto poco carino. Il ragazzo di tutta risposta,
abbassò le spalle e se la lasciò dietro, non
perdendosi d'animo però e riprovandoci con un'altra ragazza,
la quale a quanto parve ci stette e lo seguì.
May
continuò a bere, sorseggiando ciò che era
presente nel bicchiere. Tequila, ecco come si chiamava. Non doveva, se
l'era ripromesso, ma al momento era tutto quello che sapeva fare, un
po' perché si stava annoiando un po' perché ne
aveva bisogno. Perché non poteva mai essere come tutte le
altre ragazze? Perché non poteva essere circondata da
persone che le volevano bene per quello che era? Anche se era una
stralunata col malumore o il ciclo continuo, perché nessuno
le voleva bene? Perché non sapeva tenere le conversazioni e
le sue si bloccavano solo ad un misero 'come stai?' si sentiva
stupidamente da schifo. Prese il suo bicchiere, dopo averlo riempito e
si spostò dal tavolo andando ad appoggiarsi ad un muretto.
Si sedette con le spalle contro il muro, lasciando che il liquido
trasparente scivolasse nella gola, procurando un po' di fastidio mentre
il mondo ai suoi occhi appariva un po' più sfuocato ogni
qualvolta che ingoiava.
«Secondo te
il bagno dov'è?» Chiese un ragazzo con i capelli
corti e gli occhi chiari, mentre la guardava dall'alto. Aveva il suo
stesso bicchiere in mano, solo che il suo era giallo. Lo voleva lei
quel bicchiere. Il giallo era il suo colore preferito, non del ragazzo
che aveva davanti, chiunque esso fosse.
«Dentro casa
a meno che tu non voglia fare la pipì all'aria
aperta.» Rispose May, stringendosi nelle spalle.
«Non ti
darebbe fastidio?» Continuò lui, attirando
l'attenzione della ragazza che alzò lo sguardo per
incontrare gli occhi azzurri del ragazzo.
«Non mi
interesserebbe, in realtà. Anzi, prometto di girarmi! Solo
vedi di non far puzzare la tua pipì. Non voglio
vomitare.» Ecco, questa era una di quelle cose che da sobria
non avrebbe mai detto e per un momento di maledisse per non essersi
ascoltata. Dannazione, si era ripromessa di non bere e invece. Sperava
solo di non fare la stessa fine della festa passata, dove ancora stava
con Luke.
«Uh. - fece
il ragazzo scoppiando a ridere e guardandola. Tirò
giù la zip, osservando se la ragazza si fosse realmente
girata e poi fece pipì, così come le aveva
già preannunciato. - Fatto.» Disse, infine.
Scavalcò il muretto e si sedette sopra. «Ho una
pipì velocissima, ti conviene salire anche a te,
così non ti sporcherai e non puzzerai.»
«Giustissimo.»
Disse lei, balzando in piedi e porgendo una mano al ragazzo per farsi
aiutare a salire. Una volta che si sedette, rimase così con
le gambe a penzoloni.
«Io mi
chiamo Tom.» Fece il ragazzo, girandosi a guardare la
ragazza. «E non ti porgo la mano, perché sai cosa
ho appena toccato.»
«Ew,
Tom.» Disse lei solamente. Beh, ogni tanto si dimenticava le
buone maniere da ubriaca, come presentarsi.
«Tu?»
Chiese appunto, il ragazzo senza smettere di guardarla. Anche lei
ricambiò lo sguardo, cercando di ricordarsi di cosa stessero
parlando. Lui se ne accorse e rise, contagiando anche lei.
«Il tuo nome.»
«Scusa. Io
sono May. May Sommers. Il mio nome non è un'abbreviazione di
niente.»
«Quanto hai
bevuto May?» Chiese lui, guardandola.
«Un pochino.
Perché?»
«Non so,
così per chiedere... Cosa, con esattezza?» Chiese
ancora guardandola. May non capiva assolutamente dove lui volesse
andare a parare, si guardò intorno e poi, per un momento
capì.
«Mio padre
ha una pistola. Non puoi farmi del male, ti verrà a cercare
e la metà di questa gente mi conosce, quindi non puoi
stuprarmi.» Disse lei, saltando giù dal muretto,
mentre cercava qualche posto dove tenersi, perché
improvvisamente tutto girava, maledetto alcool, l'aveva già
pensato, per caso?
«Anche io ho
una pistola, vuoi vederla?» Chiese lui, ridendo.
«Ed è bella grossa.»
«Tom!»
Lo ammonì lei, ubriaca sì, ma questa l'aveva
capita.
«Non ti
voglio stuprare. Ho una vita davanti, sei pazza, per caso?»
Chiese, saltando giù anche lui dal muretto e raggiungendola.
Le poggiò una mano sulla spalla per tenerla, vedendola in
difficoltà.
«Un po'
ubriaca, forse... Ma non pazza, Tom senza cognome.»
«Parker. Tom
Parker.» La ragazza annuì, prendendo nota del
cognome del ragazzo, mentalmente, ovvio. Anche se ora non si ricordava
nemmeno cosa avesse mangiato prima di uscire. Perché aveva
mangiato prima di uscire, vero?
«Tom
Parker?» Lo richiamò lei, vedendo che si era
distratto. Non si sapeva perché ma al momento era bisognosa
d'attenzioni e poi quel Tom Parker era molto carino, le piaceva il suo
modo di fare e poi non era da tutti fare pipì in mezzo alla
gente. L'aveva persino salvata dalla sua velocissima pipì,
come l'aveva chiamata lui.
«May
Sommers?» Fece il ragazzo, girandosi nuovamente verso la
ragazza, la quale senza aspettare mezzo secondo lo baciò
sulle labbra. E fu tutto dire che il ragazzo non aspettava altro. Solo
che May non si chiese che anche lui fosse ubriaco come lo era lei e se
quella era solo una scusa per stare assieme, per un momento, la ragazza
abbassò tutte le barriere che in diciassette - quasi
diciotto anni aveva alzato. E le aveva abbassate per Tom Parker, che
conosceva più o meno da cinque minuti esagerando.
Martina(?)
Allora, non ho idea di
cosa sia questa. E' solo una cosa a cui ho lavorato per un po' di
tempo, uno degli scritti a cui tengo di più. Un po'
perché è il mio primo vero tentativo sullo
scrivere sui the wanted, un po' perché ci sono
particolarmente affezionata. L'idea nasce nel momento in cui mia cugina
si sente male e per farle compagnia, ho mezzo inventato una storia;
dunque mi sono messa a scriverla e questo è quello che ne
è uscito. Io sono già al capitolo tre, sto
scrivendo il quattro. E' una seccatura perché sono capitoli
molto lunghi, perché mi perdo spesso e volentieri nei
sentimenti di May che, essendo come è, sono molto accentuati.
Dedico l'intera storia a Francesca. Ha sempre, sempre, sempre creduto
in me, e mi ha supportato. Ti voglio bene.
May è una parte di me.
Non so cos'altro dire, trolol. Nel caso voi non vogliate leggere,
è okay, ma prima di giudicare in negativo, se mai la doveste
aprire, leggetela tutta, non so se ne vale la pena, ma è...
mh, non so, qualcosa a cui tengo.
Grazie per
l'attenzione. :)
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Capitolo 2 *** Capitolo due. ***
Capitolo
due
Un
mese più tardi.
May scese dal letto
ancora un po' stordita dal sonno appena concluso e come ogni mattina,
rimase per un po' a guardarsi intorno, cercando di riconoscere la
stanza in cui aveva dormito. Non appena mise piede per terra, le
balenò in testa l'idea che anche oggi avrebbe dovuto
lavorare sodo. Dopo l'ultimo anno a cui si era dedicata assiduamente
allo studio, addirittura diminuendo le feste a cui partecipava, si era
diplomata, e dunque aveva ripreso a fare ciò che ogni estate
faceva: lasciava
l'Inghilterra e partiva per la Spagna, dove ad aspettarla
stava la sorella della madre, che la trattava esattamente come se fosse
sua figlia. Sua zia Gloria, aveva tre figli, e lei era la quarta.
Frequentando una scuola di lingue, May aveva imparato a parlare alla
perfezione lo spagnolo e poi il fatto che ci passasse tre mesi
l'aiutava alla grande. Quando May attraversava il mare per allontanarsi
dalla sua isola, iniziava a sentirsi bene. Iniziava a sentire la voglia
di divertirsi. Sul serio. Quasi non fosse May Sommers. Quasi non fosse
la persona più sola, fredda ed incostante. Nei tre mesi che
stava in Spagna smetteva di essere una persona fredda, cinica ed
irreale. Semplicemente riprendeva ad essere May con tanto di sorrisi.
Ovviamente la Spagna non poteva cambiare tutte le cose. Continuava a
non parlare. Ancora non aveva trovato niente da dire di interessante,
ma almeno ascoltava. C'era qualcosa nell'accento spagnolo che la
obbligava - quasi ad ascoltare. Poca voglia di parlare, ma tanta voglia
di ridere ed ascoltare qualunque cose le venisse detta. Quando stava in
Spagna stava bene, realmente bene. L'unica cosa che iniziava a pesare
era il fatto che fosse per tre mesi lontano dalla sua famiglia.
Quell'anno decise che era ora di mettersi a lavoro, iniziare a
racimolare i soldi per l'università di lingue che avrebbe
presto o tardi frequentato a Liverpool. Magari evitare di servire ai
tavoli, non che ci fosse niente di male, ma quando le persone le
avrebbero chiesto che cosa consigliava lei, non avrebbe potuto
semplicemente stringersi nelle spalle, sarebbe stata mandata via in
troppo poco tempo.
Ben presto, sotto
l'ala di zio Ramon, trovò un lavoro nel campo della
ristorazione. Era qualcosa che sapeva fare alla perfezione, parlare
alle altre persone in un'altra lingua e con parlare si intende dare il
benvenuto e dire le cose più essenziali che aveva imparato a
memoria prima di intraprendere quel lavoro.
Decise che era ora di
sbrigarsi ed uscire dalla stanza, mentre finiva di infilarsi la
maglietta, e recarsi nel bagno dove prese il suo spazzolino giallo.
Giallo come il bicchiere di Tom Parker quella notte. Si era ripromessa
di non pensarci più, ma tanto ormai non manteneva
più le promesse che faceva a se stessa. Non si spiegava
perché, nonostante fosse ubriaca si ricordava alla
perfezione di Tom Parker. Ogni singolo dettaglio, ogni frase che lui le
disse. E poi, soprattutto non si spiegava perché nonostante
fosse stata una cosa da poco, si ostinava ogni tanto a ripensarci. Non
era stato niente quel bacio e Tom Parker aveva smesso di farsi sentire
e a lei stava bene così, perché nemmeno May si
mise alla sua ricerca. Restava sola nella sua camera e pensava al
ragazzo che - di sua spontanea volontà - aveva baciato.
Quante cose conosceva di lui? Niente. Un nome, un cognome. Il colore
dei suoi occhi, il colore che avevano le sue labbra. E stava di nuovo
esagerando e degenerando. Prese a spazzolare i denti, chiudendo gli
occhi, quasi a volersi costringere di dimenticare ogni cosa a cui aveva
pensato, quasi a voler dimenticare Tom. Non esisteva nessun Tom nel suo
universo perfetto. Nel momento in cui riaprì gli occhi, sua
cugina Sofia apparve davanti a lei, mentre velocemente si legava i
capelli nero corvino.
«A che ora
stacchi hoy(*)?» Domandò dunque, sistemando una
forcina e incalzandola col suo perfetto accento spagnolo. Era
così bello sentirlo. May si strinse nelle spalle, lanciando
un'occhiata alla ragazza.
«Alla stessa
ora di sempre, direi. Perché, tu?» Chiese May di
rimando, mentre metteva lo spazzolino apposto e sciacquava la bocca.
Lei e Sofia lavoravano
assieme, mentre la seconda aveva più esperienza
perché questo per lei era il secondo anno, May non sapeva
niente di come mandare avanti questo lavoro, si adattava solo a quello
che la cugina le consigliava. La terza persona che lavorava con loro
era Oliver, un ragazzo tedesco con circa venti anni che mandava avanti
il lavoro che suo padre gli aveva affidato. Il bed and breakfast che
seguiva Oliver, era posto a nord di Valencia, lungo una calle(*)
anonima, che quasi nessuno conosceva, se non i turisti che chiedevano
alloggio a poco prezzo. Oliver offriva la colazione e un posto per
dormire. Sofia e May dovevano rifare i letti, preparare le stanze e May
da sola accogliere i turisti che non fossero spagnoli, la maggior parte
dunque. Si divertiva anche a fare quel lavoro.
Non appena varcarono
la soglia della - tipo - villetta che Oliver gestiva il ragazzo le
incalzò con un sorriso.
«Non siamo
in ritardo, non ci guardare così.» Disse subito
Sofia, guardando il ragazzo che si toccava un orecchio.
«Credo stia
parlando al telefono, guarda.. » Indicò May,
ridendo un po' cercando di non fare rumore. Sofia di tutta risposta
rise più forte, attirando - ora ed effettivamente -
l'attenzione del ragazzo americano, che si staccò poco dopo
l'auricolare dalle orecchie.
«Guess
what?» Chiese a quel punto.
Era un continuo
mischiare le lingue, si sentiva fortunata May a parlarle tutte. E
quindi si sentiva fortunata a capire ogni cosa che i ragazzi dicevano
anche tra di loro. Il primo giorno di lavoro, quando Oliver si era
presentato a May, le disse qualcosa in tedesco e la faccia che fece
subito dopo che Sofia le disse che anche May capiva fu epica. May
annuì e sorrise, senza dire niente, come al solito.
«Ho cinque
prenotazioni, per cinque diverse camere singole.»
Continuò Oliver, osservando le ragazze che da un momento
all'altro sarebbe svenute. Cinque camere e per per quanto tempo? Era
assurdo dover lavorare così tanto però. Cinque
camere da preparare, più le due che ieri May non aveva
voglia di fare, risultato: lavoro a palate. Era già stanca
prima di iniziare.
«Quando
arrivano?» Chiese Sofia, nelle stesse condizioni di sua
cugina May.
Oliver
guardò Sofia facendole un sorriso e lei sembrò
ricambiare. C'era qualcosa che i due non avevano raccontato a May? Si
sentiva prima di tutto un po' in più, inoltre tagliata
fuori, ma lei cosa voleva rimproverare a chi? Lei non aveva mai
raccontato a nessuno di Tom e probabilmente mai lo avrebbe fatto. Si
era ritrovata - di nuovo a pensare a Tom.
«Quando?»
Richiese May, facendo passare lo sguardo da Oliver a Sofia.
«Uh, allora
è questa la tua voce?» Chiese divertito Oliver,
prendendosi gioco di May. Aveva già sentito la sua voce, ma
ogni volta che questa parlava lui le dice simili idiozie che
effettivamente la facevano ridere.
«Ti pentirai
amaramente, Oliver, di averla sentita.»
«Esattamente
tra.. - Oliver abbassò lo sguardo sul suo orologio,
controllando l'ora che in effetti era. - ..tre ore, muovetevi ragazze
belle.» Proferì, guardando ancora le ragazze e
appoggiando, nuovamente, lo sguardo su Sofia che sorrise un'ultima
volta e poi iniziò a salire le scale per andare a mettere in
ordine la prima stanza. E May dopo aver osservato Oliver fece lo
stesso, dedicandosi prima alle due stanze che non aveva ancora finito
di fare la sera prima e poi il tempo volò e quasi le tre ore
non le sentiva passare. Non sapeva niente di quei ragazzi nuovi che
stavano arrivando ad occupare le stanze che lei e sua cugina avevano
con cura preparato. Meno male che non toccava a loro preparare la
colazione che era prevista nel prezzo, May non sapeva cucinare niente o
meglio, si era cimentata nel fare qualcosa, ma non era andato nel
migliore dei modi come ci si aspettava.
«Ah,
prendetevi una stanza.» Fece May disgustata dai continui
sguardi che li lanciavano i suoi colleghi, inoltre una era sua cugina,
dannazione.
«Era meglio
quando non parlavi, davvero, Sommers.» Disse Oliver, che
puntò lo sguardo su di lei. «Sei pronta ad
accoglierli? Sii gentile... - però May lo interruppe con un
cenno del capo, mettendosi lei a terminare la frase.
«Sii
gentile, May! Non c'è bisogno di parlare male nè
di dire troppe cose in più, il necessario.»
«Bravissima,
May!»
La ragazza si
inchinò brevemente davanti a lui, sorridendogli. Beata
Spagna che la cambiava. Che la rendeva migliore. May prese la
cartellina che Oliver gli porse, guardando cosa in effetti ci fosse
scritto, quando sentì il campanello suonare. Tutto accadde
in un minuto. Sofia che si alzava di scatto per aprire la porta, Oliver
che sistemava i pantaloni e lei che continuava a studiare la cartellina.
«Oliver, ci
deve essere un errore.» Un madornale errore. Oliver scosse la
testa e lei alzò il viso per guardarlo ma tutto quello che
vide fu: «Tom Parker?»
Martinascorner.
E finisce così il secondo capitolo. *trollface*
Dunque,
vediamo un po'. Al primo capitolo ho ricevuto quattro recensioni,
quindi mi
sono convinta ad andare avanti. So che nessuno interessano i miei
sproloqui post capitolo, ma io li devo fare per forza. Nom, seriamente,
ho finito le cose da dire. Sono una piccola May, io.
Tatataaaan,
e niente, ironia della sorte i ragazzi sono assieme a Valencia ( un
sogno Martinesco(?) io non ci sono mai stata, ma conto di andarci. ) e
si sono rincontrati.Povere persone innocenti che pendono dalle mie
ditina che scrivono, no, seriamente, poverini. Non penso che avranno
mai qualcosa di facile questi due, se mai avessero qualcosa. By the
way, niente, mi sono dilungata troppo, ora me ne vado che ho anche
caldissimo.
Grazie a chi ha recensito, mi avete fatto sentire, come sempre,
considerata e anche con del talento. Grazie a chi ha posto questa
storia nelle seguite, grazie ai lettori silenziosi come me. Grazie,
grazie, grazie.
Taaaantissimo amore, Marti.♥
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Capitolo 3 *** Capitolo tre. ***
Capitolo terzo.
Aveva passato un mese
davvero difficile, May. Aveva passato praticamente quel mese chiusa in
casa con la testa chinata sui libri, perché doveva togliersi
dalla testa quel ragazzo che le aveva praticamente scombussolato tutto
il suo mondo. Aveva praticamente passato un mese ad incolpare se
stessa, perché se il suo intero universo stava prendendo una
via sbagliata, era colpa sua. May era sempre stata artefice del suo
futuro, e non un Tom Parker reggeva a questa cosa. Sin da piccola,
l'unica regola che vigeva era: ad ogni azione una conseguenza. May, al
momento, subiva le sue conseguenze.
Perché quel
ragazzo le era rimasto nella testa così a lungo? Che diavolo
le aveva fatto? Ma più che altro, che diavolo si era fatta
da sola?
Nel momento in cui
ebbe sfiorato la felicità, tutto sparì, tutto
smise di cessare. Tom era nascosto dietro due ragazzi, ma lei lo aveva
visto, e nel momento in cui lei pronunciò il suo nome, anche
lui si accorse di lei, e per un momento vide l'espressione del suo viso
cambiare, passare da un sorriso alla sorpresa o alla delusione, forse.
Nemmeno lui si aspettava di trovarla lì.
Tom Parker si era
presentato davanti a lei, senza saperlo, non se lo ricordava per niente
così. Aveva solo un gran sorriso, un gran bel sorriso,
piazzato sul viso, non appena gli occhi di May incontrarono la figura
snella del ragazzo. E per quanto la cosa fosse evidente agli occhi di
May, la ragazza ancora si rifiutava di crederci. Tom Parker non poteva
e doveva essere davanti a lei. E poi i suoi occhi avevano quella luce
che non ti aspetti mai di vedere in un ragazzo, e lei rimase a
fissarlo, per qualche minuto, mentre lui, con la stessa espressione
atterrita faceva lo stesso. Quel ragazzo inseguiva - e non
letteralmente! - May. Sogni, pensieri, libri di storia. Lo si poteva
trovare ovunque. Per quanto sapesse che fosse colpa sua, la ragazza
bionda continuava ad interrogarsi sul perché lui non
l'avesse respinta e continuava a cercare una ragione per prendersela
con lui, nonostante di ragioni non ce ne fossero. Se lui avesse baciato
lei, questa l'avrebbe allontanato? Avrebbe schivato il bacio del
ragazzo? No. Assolutamente no.
Si sentiva violata.
Come se qualcuno avesse manomesso ogni sua informazione personale e ne
avesse dato il dominio pubblico. La Spagna era la sua ultima spiaggia
per provare ad essere una persona che non era, ma ora Tom conosceva il
suo 'giardino segreto' e tutto, improvvisamente, iniziava a fare
schifo, come sempre, come ogni volta che tornava ad essere la persona
che era sempre. E perché se May continuava a ripetersi che
Tom per lei non aveva significato niente, continuava a sentirsi in
quello stato pietoso e adolescenziale? La classica e fottuta sensazione
che le ragazze nei film descrivono quando vedono il ragazzo che le
piace. Ma a May non piaceva Tom e quella sensazione che sentiva allo
stomaco non erano le farfalle che svolazzavano, non era niente! Era
solo pure fastidio.
Sentiva lo stomaco
arrotolarsi su se stesso, mentre cercava qualcosa da dire, mentre lo
sguardo aveva ripreso a vagare per la stanza. I ragazzi ancora fermi
davanti alla porta, aspettavano a loro volta e sembravano conoscerla.
«Fermi tutti
- esclamò il riccio, uscendo a sua volta da dietro Tom,
mentre osservava con cura la ragazza che aveva davanti - non
può- »
«Zitto
Jay!» Fece un altro ragazzo affianco a lui con gli occhiali
da sole. Gli diede una gomitata sul braccio, dicendogli con lo sguardo
di fare silenzio. May osservava i ragazzi che si erano esposti senza
dire niente e quando - quello che sembrava chiamarsi Jay si
girò verso il ragazzo un po' spettinato e col ciuffo sul
naso, lui annuì, facendo spallucce. Il biondo assunse
un'espressione seria e aggiunse: «Io l'avevo detto che
l'Olanda era una meta migliore, dannazione.»
May spostò
lo sguardo sopra Oliver e Sofia, che stavano alla sua destra, cercando
di dire qualcosa, ma al momento niente di quello che avrebbe voluto
dire le usciva.
«May?»
Chiese Tom osservandola. Era rimasto nella stessa posizione in cui lei
l'aveva lasciato, le braccia a penzoloni sui fianchi e uno sguardo un
po' perso, per come la vedeva May.
«Tom.»
rispose lei, portando nuovamente lo sguardo sul ragazzo e passandosi
una mano tra i capelli che aveva dimenticato di legare prima
che i ragazzi arrivarono. Aveva bisogno di una mano, di un momento in
cui riprendersi da quello che era appena successo, perciò
guardò Sofia e quella capì che era il momento di
entrare in scena.
«Mh,
bienvenidos en Espana y, seguitemi, per favore, nessuno di noi
è di molte parole al momento.» Disse, invitando
con un cenno della testa i ragazzi che senza fiatare la seguirono lungo
le scale, dove avrebbero trovato le loro rispettive stanze ordinate e
pronte. Tom si dondolò sul posto e spinto un po' dal ragazzo
col ciuffo alto, che May ancora non aveva individuato, seguì
il gruppo. E May rimase sola a contemplare quanto effettivamente le
cose cambiassero in soli dieci minuti nemmeno. Al momento odiava se
stessa più di sempre, odiava quel momento che sapeva sarebbe
arrivato, sperava solo il più tardi possibile. Odiava quando
questo succedeva, odiava stare a guardare mentre tutto ciò
che possedeva le scivolava dalla mani senza che lei potesse fare
niente. Tutto quello che poteva fare era osservare come tutto andava
via, come tutto quello che si era guadagnata in anni e anni di attesa,
scompariva, scivolava lontano da lei. Quella felicità, quel
poco di felicità che aveva se l'era guadagnata, ci aveva
messo molto, sì. Odiava la sensazione di qualcosa che si
perde, come se mai e poi mai l'avrebbe più avuta e forse era
così. Se c'era Tom Parker lì vicino a lei, non
poteva fare nient'altro. Sarebbe tornata semplicemente la classica
ragazza noiosa, mezza muta, incostante e mille altre aggettivi che con
la sua personalità si sposavano divinamente.
«May?»
Sofia la raggiunse, una volta che ebbe messo i ragazzi nelle stanze.
L'aveva trovata raggomitolata su una poltrona, chiusa in se stessa e
aveva trovato Oliver silenzioso farle comunque compagnia, anche senza
dirle niente, seduto dall'altra parte rispetto a lei, mentre usava il
cellulare. Era una scenetta davvero carina, se non ci fosse stata un
po' di gravità in quella situazione. Sofia sapeva solo a
grandi linee la storia di Tom, e da come May gliela aveva raccontata
non credeva che ci fosse un così disperato tentativo
d'evasione da parte della bionda. Eppure, leggeva negli occhi della
cugina, che qualcosa non andava, qualcosa non aveva funzionato.
May alzò
gli occhi verso il corpetto esile della cugina e per la prima volta da
quando era in Spagna, non sorrise. No, non ne aveva voglia. Sofia la
trovava così piccola, sapeva quanto in realtà
piccola, ma questa volta lo era anche di più. Non fece
molto, anche lei si limitò al silenzio. Si fece fare spazio
nella poltrona e le mise un braccio intorno alle spalle, facendo
sì che May poggiasse il capo sulla sua spalla.
«Sai, Sofi -
disse May, ferma immobile nella sua posizione.- non ho niente se non ho
te, - sospirò, contorcendo le labbra in qualcosa di simile
ad un sorriso - e anche Olli.» Oliver sollevò lo
sguardo e sorrise, senza aggiungere altro. A Sofia non serviva altro
per captare la situazione devastante in cui si trovava May. Sapeva
quanto fosse difficile per la ragazza dire quelle parole, sapeva che in
circostante normali non avrebbe mai ammesso il bisogno di un'altra
persona.
«Andrà
tutto bene, ci sono io.»
«Lo
spero.» rispose May, in un sussurro. «Al momento ho
solo una gran voglia di tornare a casa mia. Almeno saprò che
lì non c'è...» Aggiunse infine.
Per 'contratto' May e
Sofia era costrette a stare tutto il giorno nella villa, dove Oliver
offriva loro il pranzo ogni giorno, e poi verso le sette e mezzo/otto
facevano ritorno a casa. Per ironia della sorte, sorte alla quale May
fu grata, i ragazzi stettero a detta di Sofia, tutto in una stanza dove
quasi sicuramente stavano organizzato l'itinerario. May si
domandò quanto avessero intenzione di restare in Spagna, ma
non aveva l'effettiva forza e voglia di aprire i registri,
perciò rimase lì, seduta alla sedia del bancone
con i piedi su di esso a leggere. Si era portata un libro da casa, 'Il
piccolo Principe' ovviamente era nella sua lingua madre, per quanto
potesse essere brava ancora non se la sentiva di leggere in una diversa
lingua.
«Su ci
chiedevamo se, per caso, aveste una cartina del posto.»
«E il
piccolo principe scoppiò in una bella risata che mi
irritò.» quotò lei, leggendo a voce
alta per far capire al ragazzo quanto quell'interruzione l'avesse
scocciata. Non alzò gli occhi dal libro, solo
continuò a far scorrere lo sguardo sulle frasi che aveva
davanti.
«L'ho
già letto. Vuoi sapere come va a finire?» chiese
ancora una voce maschile, che continuava ad osservarla imperterrito.
«No.»
Rispose May secca.
«Scortese.»
Il ragazzo si poggiò dal bancone in cui lei stava leggendo,
lei alzò un sopracciglio ed arrivò alla fine
della frase.
«Amico, -
disse lei, riproponendo lo stesso tono che aveva usato in precedenza
mentre leggeva il libro a voce alta. Con estrema calma piegò
la parte superiore del libro, formando un'orecchia e lo
poggiò sulla superficie in legno. Solo quando
alzò lo sguardo, si rese conto che era uno dei ragazzi che
facevano parte dell'allegra compagnia di Tom, ed era il primo che aveva
parlato, attirando tutta l'attenzione su di se. Visto da vicino, senza
Tom tra i piedi, era persino meglio. - c'è un'edicola a
quattro passi da qui. Troverai quello che cerchi, faccio il tifo per
te.»
«Non parlo
spagnolo!» convenne lui, dondolando la testa a sinistra.
«Uhm,
furbizia... »
«No,
Jay...» Disse interropendo la ragazza, poggiò la
testa sul braccio e poi le sorrise. May ringraziò
chissà quale Dio, per essere seduta nel momento in cui lui
sorrise.
«Mh - fece
lei, allora - e anche simpatico! »
«Sbagli
ancora! McGuiness.» fece il ragazzo allora. Lei ebbe un primo
istinto di mettersi a ridere, ma solo dopo riconobbe quanto quelle
battute facessero effettivamente schifo.
«Cosa vuoi
Jay?» Chiese lei, mettendosi seduta composta.
«Un corso
lampo di spagnolo!»
«Con tutto
il rispetto, amico, non sembri uno con una soglia d'attenzione adatta
ad un corso lampo.» disse lei, guardandolo. Aveva degli occhi
blu enormi. «Senti Jay - continuò poi lei -
cartina si dice mapa, semplicemente. Arrivi lì e dici: un
mapa de Valencia, por favor. Ed il gioco è fatto.»
«Accompagnami
almeno!» disse lui che sembrava non capire niente di quello
che la ragazza gli diceva. Aveva ragione, la sua attenzione faceva
schifo.
«No.»
«
Perché mai?»
«
Perchè - disse lei, sorridendogli. Lo stava facendo davvero.
- sono una brutta, cattiva ed egoista che non vuole dividere la sua
conoscenza in campo linguistico con uno che se ne va in giro con
quattro ragazzi senza sapere un piffero della lingua del
paese.»
«Touché.
- fece lui, ridendo. - Tom diceva sempre che sei una di poche parole, e
invece.» Rispose il ragazzo con i ricci, davanti a lei. Che
diavolo ne sapeva Tom Parker sul suo conto? La sera che si incontrarono
lei era ubriaca e per poco non vomitò in faccia a Tom. Tom
non sapeva nulla sul suo conto, niente, assolutamente niente. Stupido
ragazzo con dei bei capelli, un bel sorriso.. e basta, pure.
«Tom Parker
non sa nulla su di me.»
«Sai che ha
pure un secondo nome?» Chiese Jay, attirando lo sguardo della
ragazza su di esso.
«No,
perché...»
«Anthony.»disse
subito interrompendola. Lo odiava quando le persone lo facevano
così spesso, dannazione, okay, non le piaceva parlare ma un
po' di pazienza quando lo faceva. «Lui conosce il
tuo.» concluse.
«Io... Jay,
devo andare.» Fece, alzandosi dalla sedia e prendendo il
libro sotto braccio e alzando lo sguardo verso il ragazzo. Oggi era una
brutta, bruttissima giornata e voleva che finisse subito, all'istante.
«Fammi
capire un po'. - fece Jay, girandosi verso la ragazza che gli voltava
ormai le spalle facendola girare all'istante. - Sostieni di non provare
nulla per Tom ma la sua vita e il sentir parlare di lui ti rendono
isterica.» Aggiunse.
Chi diavolo era lui
per permettersi di parlarle in quella maniera? Non la conosceva nemmeno
da dieci minuti eppure si era permesso di fare delle considerazioni sul
suo carattere che per un secondo le fecero male. Si era permesso di
parlare di lei come se la conoscesse da una vita, le aveva parlato di
Tom nonostante di lui a lei - fino a prova contraria - non importasse
nulla. Tornò indietro, con le braccia lungo i fianchi e un
sorriso sul viso.
«Prima di
tutto sono una stronza acidella del cazzo a tutte le ore, passo il mio
tempo ad infangare le persone anche solo con lo sguardo, nonostante io
parli poco e niente. - Fece, mentre si torturava il pollice con la
mano. - Come diavolo ti permetti di venire da me e giudicarmi senza
nemmeno conoscermi da dieci minuti? Mi fa un immenso piacere sapere che
al mondo d'oggi esistano ancora persone sempre pronte a giudicare. E
poi, giuro che dopo ho finito, tu cosa ne sai di quello che, per
ipotesi, provo per Tom? Ti prego, dimmi chi sei perchè al
momento mi sfugge.»
E con questo aveva
finito, davvero, per oggi non avrebbe più parlato, non le
andava e aveva usato troppe parole per chi non ne meritava nemmeno
mezza. Jay si era comportato male con lei. Okay, forse lei era un po'
spinetta, ma non poteva trattarla così ogni qualvolta si
trattava di Tom.
«May
Elizabeth Sommes, Tom Parker sa cose su di te che nemmeno ti
immagini!» Disse Jay mentre lei saliva le scale per tornare a
quello che era il suo lavoro e che al momento le costava una gran
fatica tenersi.
Martina can do it. (?)
Allora...
Non mi ricordo cosa dovevo
dire, però doveva essere davvero importate!.. Ah,
sì. Dicevo che ho controllato il capitolo circa tre volte,
ma sono sicura che mi sia sfuggita qualche parola, sicuramente scritta
super male. Ignoratela nel caso, sono la beta di me stessa, e sono
molto distratta quindi mi perdo in un bicchier d'acqua... a proposito
ho sete.
Niente. Questo capitolo... è un capitolo. Ho deciso che non
esisteranno capitoli di transizione, li riempirò sempre di
qualcosa e spero sempre che leggendolo voi abbiate voglia sempre di
continuare ( Vi siete rese conto che questa frase non
è nemmeno un po' grammaticalmente corretta? Me lo auguro. )
e magari di recensire, per me è importante che voi lo
facciate.
E dunque... May ha incontrato Jay e io dico sempre queste cose ovvie,
se avete letto il capitolo. Sono un capitan ovvio, mi amo. ♥
Niente, me ne vado... Non ho voglia di togliere il rosso da questa
scritta, capite il mio problema?
Grazie a chi mi segue in silenzio. Vi capito, sono una di voi...
♥
Marti.
Ah, volevo ricordavi, che se mi qualora mi voleste seguire su twitter,
nella presentazione c'è il link diretto u.u
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro. ***
Capitolo
quarto.
Aveva bisogno di una
dannata pausa da tutto quello stress, perciò quando chiese
un giorno ad Oliver quello la liquidò con due giorni di
pausa. Non fece nessuno problema. L'abbracciò, cosa che la
lasciò basita. Non era abituata agli abbracci, non le
piacevano nemmeno più di tanto, ma il gesto di Oliver le
fece sentire riscaldata e si ricordò com'era l'ultima volta
che Luke gliene diede uno. Ringraziò con un sorriso e se ne
tornò a casa. Aveva raccontato sia a Sofia che ad Oliver
come era stata trattata da Jay e per quanto quelli fossero scettici,
era l'unico essere umano che avesse avuto il coraggio di dirle come in
realtà stavano le cose. Tom la metteva in
difficoltà, la rendeva insicura e antipatica, più
di quanto fosse già.
Oliver e Sofia ebbero
modo di parlare di questo, finquando all'ora di pranzo, Oliver curioso
rivolse a Sofia la fatidica domanda:
«Che
problema ha tua cugina, Sofia?» Aveva usato il nome intero,
ciò significava che si preoccupava davvero. In genere,
quando erano da soli, lui la chiamava Sof, o semplicemente non la
chiamava.
«Non lo
chiamerei problema, Olly. - fece lei, aprendo il contenitore
dell'insalata che aveva preso alla mensa. - Quando tutti chiedono a May
chi sia stato il suo primo ragazzo, lei risponde Luke. Ma non penso che
l'abbia davvero mai propriamente amato.»
«Uh?»
Chiese allora Oliver curioso mentre addentava il suo hamburger.
«C'è
stato un ragazzo. Il suo nome credo che fosse o che sia Nick. E' quel
tipo di persona che mai nella vita ti potrà mai piacere,
ricordo - disse cercando una forchetta - di aver visto una sua foto.
Aveva occhi piccoli e attaccati al naso, vedi, i capelli castano chiaro
tendente al biondo... A May piaceva davvero moltissimo. Hanno iniziato
a parlare su un social network, perché nonostante
frequentassero la stessa scuola, May era troppo timida per parlargli di
persona. Ogni qualvolta che lui le raccontava qualcosa, mi raccontava
di sentirsi parte integrale della sua vita ed era felice. Ci mise
l'anima in quella storia. Un po' di tempo dopo lui le chiese di uscire.
Era una cosa che aspettava da un po', dunque non se lo fece ripetere
due volte ed accettò. Sai - aveva trovato la forchetta!
Dunque prese con molta calma a girare l'insalata verde che aveva
davanti al naso - non ho ancora tutti i dettagli di quella serata,
credo che lei volesse tenersi i migliori ricordi per lei. Ma sapevo che
era andata bene e che era felice, ed io ero felice per lei. - Sofia
sospirò, Oliver, per un momento, pensò che Sofia
avesse provato il dolore che anche May aveva provato. E forse era
così. - Nick smise di farsi sentire, frantumò il
cuore di May in mille pezzi e la lasciò sola, o meglio, sola
con tutte quelle cose non raccontate, sola con i loro ricordi, le loro
aspettative e conversazioni. Non penso che May sia realmente mai andata
avanti, sai? Credo che sia diventata la May che conosci oggi solo nel
momento in cui ha realizzato che di Nick ce n'era solo uno e che questo
non sarebbe stato suo. Ecco la May che conosci oggi: apatica, annoiata,
silenziosa e senza un vero e proprio sorriso. Ci fai l'abitudine col
tempo.»
Fatto il suo
quotidiano monologo, Sofia prese finalmente a mangiare. Aveva sentito
lo stomaco brontolare, e tutto quel cibo era una benedizione. Oliver
rimase in silenzio durante tutto il racconto, non sapeva propriamente
cosa dire, era una cosa realmente triste. Avrebbe voluto conoscere la
vecchia May. Da come Sofia ne parlava sembrava essere simpatica. Non
che la May di ora le dispiacesse, come aveva detto Sofia: ci si fa
l'abitudine.
«Perché
questo Tom l'ha fatta reagire in quella maniera?» Chiese
Oliver, una volta riordinate le idee. Stava davvero provando a capirci
qualcosa. Sofia interruppe il suo monologo interiore e alzò
la forchetta di metallo verso il ragazzo.
«Hai visto
l'espressione di Tom? Okay May. Ma la reazione di lui mi è
sembrata alquanto... esagerata quasi. Cioè, manco si fosse
preso una cotta per lei.» E questa sarebbe stata una vera e
propria tragedia.
«Uhm, e per
quanto riguarda Jay?» Chiese ancora, guardandola. Aveva
finito di mangiare il suo hamburger e ora prendeva un sorso d'acqua.
«Ci sto
ancora pensando in effetti. Voglio dire, che diavolo ci guadagna lui in
tutto questo?» Era una ragnatela contorta di pensieri quella
di Sofia, anche se il suo primo pensiero raggiunse la cugina.
Due giorni passarono
troppo in fretta per quanto riguardasse May. Aveva passato tutto il
tempo a pensare a Tom, e a Jay e poi di nuovo a Tom. Non sapeva
perché ancora non aveva smesso di pensare a quel brutto
maleducato di Jay. Eppure lo faceva. Non smetteva di pensare alle poche
parole che il ragazzo le aveva rivolto. A quanti significati potessero
avere. Cosa intendeva quando le disse che Tom sapeva tante cose sul suo
conto? Oltre ad essere imbarazzante e metteva anche un po' di paura.
Poi Jay aveva usato il suo secondo nome. Una persona appena conosciuta
non usa il tuo secondo nome del quale particolarmente di vergogni. Ci
aveva pensato tanto, in effetti. A volta l'aveva finita a testa in
giù sul letto, mentre cercava di capirci qualcosa. Non
appena decise che la sua pausa era finita, si mise qualcosa di decente
addosso e tornò a lavoro, sperando di non trovare nessuno
dei cinque ragazzi, anche se gli altri tre non gli avevano fatto
niente. Sembravano anche persone simpatiche se non se ne
andassero in giro con gente come Jay. Ce ne voleva di forza di
volontà. Ma se andava bene a loro, lei non era nessuno per
impedirlo. Nel momento in cui May si rese conto di
dover uscire da quello stato pietoso, si vestì e
dopo aver infilato le cuffie nelle orecchie uscì di casa,
prendendo il primo bus che le capitò a tiro e siccome era in
anticipo decise di scendere circa due fermate prima, così da
poter fare due passi. Continuava a non capire perché la
gente si ostinasse a voler andare a Madrid piuttosto che a Valencia.
Okay, Madrid era la capitale, ma c'era sempre troppa gente e troppo
poco da fare, lei c'era stata e non si era divertita
granché. E lei odiava la gente, per davvero.
Sentì vibrare il cellulare nella tasca dei jeans e lo prese,
facendo attenzione a non togliere la musica in sottofondo: "c'è tom in giro".
Inoltre Tom era stato scritto anche minuscolo. May si fermò
un attimo e prese una boccata d'aria, poi si rilassò. Si
sentiva pronta nel caso To avesse voluto affrontarla. Prese persino
quella cartina che Jay, quel pomeriggio, le chiese. Entrò
cauta dentro il b&b, col cuore che le martellava nel petto e
salì le scale. Si stava buttando tra le braccia del nemico,
solo per non fare la scortese. Si era fottuta il cervello,
sì. Sapeva con precisione che la camera di Jay era la numero
otto e che Tom aveva la cinque. Lo sapeva perché, beh.. si
era documentata. Bussò alla numero otto due volte,
aspettando che venisse qualcuno ad aprirle. Sentì dei passi
provenire dalla camera e una voce introdursi e non era quella di Jay,
tanto meno quella di Tom. Aveva sbagliato stanza.
«Che poi
perché a Valencia ci dovrebbe essere una via che si chiama:
Via Barcellona?» Chiese il ragazzo, trovandosi May davanti
alla porta. Questa sorrise, domandandosi chi diavolo fosse il ragazzo.
«Piacere,
Nathan - fece sorridendole a sue volta. - Chi preferisci, Jay o Nathan?
»
«Jay, per
favore...»
«Tom! Alla
porta! - fece il ragazzo. - Poi ti spiego, magari, okay? Ciao!
»
Nathan
lasciò la porta socchiusa, mentre May pensava a quanto
inutile fosse quel ragazzo alto esattamente quanto lei. Adesso passava
per la tipa che non poteva fare a meno di Tom Parker e che era
addirittura andata a cercalo. Lei stava solo cercando Jay. Un grosso ed
imbarazzante malinteso.
«Sì?
- fece Tom, affacciandosi alla porta. - Oh, merda, ciao!»
fece sorpreso, ancora.
«Carrer de
Barcelona. Anche Roma ha le vie denominate per città di
altre regioni.» Fece, parlando a vanvera proprio.
Perché ricordava che il ragazzo avesse gli occhi chiari,
quando in effetti erano castani? Una svista da ubriaca, probabilmente.
«Come?»
Chiese confuso a quel punto il ragazzo.
«La domanda
precedente di Nathan. La via si chiama Carrer de Barcelona. E ti ho
spiegato che è una cosa normale...»
Spiegò, stringendosi nelle spalle e tenendo forte a se la
cartina che aveva precedentemente comprato.
«Dovresti
lasciar perdere Nathan, dice sempre questo genere di cose.»
«Okay - fece
sorridendo May, spostando lo sguardo dietro il ragazzo. Praticamente
aveva azzeccato la stanza, ma aveva beccato il momento sbagliato,
ovvero una specie di riunione. Dunque dietro Tom c'erano quattro
ragazzi che la osservavano. Niente di più imbarazzante. - Ho
portato la cartina che Jay mi ha chiesto l'altro giorno..»
No, seriamente, cosa ci faceva lì? Poteva essere in mille
altri posti meno imbarazzanti. Per giunta anche Tom la fissava. Aveva i
capelli legati o sciolti?
«Grazie
mille, May! - fece lui abbozzando un sorriso. Che tenerezza! Stupida, stupida
May. - Abbiamo provato a cercare qualcosa su internet, ma
non capiamo un cazzo!» Disse sincero, mentre si passava una
mano sul mento.
«Tom!»
Lo riprese un ragazzo all'interno della stanza.
«Scusa,
mamma.» rispose lui divertito, volgendo la testa verso i
ragazzi che erano dentro con lui.
«Chi
è?» Non che le importasse davvero a May. No,
bugiarda! Era curiosa e cercava di vedere qualcosa oltre il ragazzo.
«Siva! Non
conosci ancora tutti i ragazzi?» Lei scosse la testa e il
ragazzo in risposta aprì tutta la porta, lasciandole vedere
chiaramente la stanza. Prima di focalizzarsi sui ragazzi,
però, fece vagare lo sguardo sul casino che avevano
combinato in quella stanza. Faceva schifo, lei poi avrebbe dovuto
pulirla! A proposito, quanto avevano detto che dovevano stare
«Mettetevi
composti!» Fece Tom guardando gli amici. May rimase
esattamente dove era, mentre guardava la figura di Tom muoversi,
notando solo ora che era senza maglietta.
«Amico, non
so come dirtelo... Ma sei rimasto senza maglietta!» Gli fece
notare Nathan. Jay la stava guardando e ora, anche lei guardava lui.
Senza dire niente, era già stato detto - quasi tutto - . Non
abbassò lo sguardo tanto meno lui, ma furono distratto dalla
risata di Tom echeggiare nella stanza.
«Questo
è Max - fece indicando un ragazzo disteso a pancia in
giù sul letto. Quello fece un sorrisone e le sorrise -
Nathan aka Nath, Jay che a quanto ho capito già conosci - il
biondo fece un cenno col capo e voltò lo sguardo - e
Siva.» Siva aveva un bel sorriso. Lei ne rivolse uno a
ciascuno. Ma ovviamente non disse nulla, questa volta perché
non sapeva cosa dire, proprio.
«Amico,
avevi ragione - fece Max, mettendosi seduto. - se non ha ancora detto
niente per il porcile che vede al momento parla davvero poco.»
«Tranquilli!
Effettivamente parla piuttosto poco, ma quando lo fa risulta essere
piuttosto velenosa.» Fece Jay, osservandosi le unghie. Tom
rimase interdetto da quello che Jay disse, mentre lei rimase solo
ferita. Lasciò che il discorso calasse a picco.
«Qualcuno di
voi parla spagnolo? È quella la lingua della
cartina.» Fece, tirandola addosso a Nathan poi, che la prese
al volo. Ci fu una risata generale. Che diavolo ci facevano in Spagna
se non parlavano nemmeno un pizzico della lingua madre?
«Una
mano?» Chiese Tom, facendo ciondolare la testa.
«Se
è Tom a chiederla allora sì, vero May?»
Chiese Jay, sorridendole.
«Chi
è più velenoso ora, Jay?» Chiese lei,
mettendo da parte il fatto che ci fosse nuovamente rimasta male e
piazzando un sorriso sul volto. «Okay, ma solo pochi minuti,
perché prima di iniziare il turno devo fare
merenda.» May non capiva cosa Jay volesse esattamente da lei.
Chiese ai ragazzi di venirle incontro, e Tom suggerì loro di
lasciarla respirare. Tom Parker sapeva che odiava la gente? Che odiava
i posti chiuso? Che era uno stalker? Che Jay la osservava di nuovo?
Questo non lo sapeva, perché era troppo impegnato a ridere e
scherzare con Max e quando notò questo dettaglio, non si sa
perché ma fu sollevata. «Noi siamo qui - fece,
puntando il dito sopra la cartina, poi si guardò attorno. -
Ora, dovete dirmi semplicemente dove volete andare, io
tradurrò e mi disegnerò le linee guida.
Ovviamente ci sono un sacco di cose che onestamente nemmeno io ho
visto, ma so con quale bus potete arrivare alla stazione per poi vedere
molte di queste cose. - fece, facendo roteare il dito sulla cartina -
Se, invece, volete solo partecipare alla movida, Nathan abbassa la
mano, sto parlando, beh dovete solo aspettare la notte e prendere un
taxi, loro vi guideranno.» Fece, spiegando il tutto.
«Ora
posso?» Chiese Nathan, attirando l'attenzione della ragazza e
del resto del gruppo, lei annuì e lui continuò.
«La parola movida, cosa significa?»
Lei lo
guardò sorpresa, era una domanda molto intelligente.
«Beh, la
Movida Madrileña, è un movimento sociale e
artistico che si ebbe a Madrid durante la fine del regime di Francisco
Franco - un dittatore che aveva quasi raso al suolo la popolazione
spagnola - ed è praticamente un insieme di idee liberali di
ragazzi, che finalmente, alla fine dei quel periodo, posso uscire dalle
loro case riempiendo le piazze. Da cosa nasce cosa, se vuoi poi ti
spiego più nel dettaglio.» Rispose sorridendo May.
Nathan scosse la testa, divertito.
«Amica, sai
un sacco di cose.»
«Certe cose
si studiano!» Rispose lei, sorridendo.
«Per
chiuderla in bellezza, amico - fece Jay e questo non prometteva nulla
di buono - la movida è il divertimento notturno, quello che
piace tanto a May.» Appunto.
«Jay!»
Lo riprese Max.
«Cosa ti
rende tanto geloso di Tom, Jay? Il fatto che quando tu vai alle feste
non trovi nessuno che sia disposta a dartela?» Fece lei,
guardandolo. Ma non come la prima volta che entrò nella
stanza, in maniera diversa.
«Jay, con
questa direi che ti sei messo in ridicolo abbastanza.»
Commentò Siva, ridendo.
«No, un
attimo... May, quanto ricordi della festa?» Chiese Jay,
osservandola.
«Devo
andare, ma se serve qualcosa fatemi un fischio o uno squillo o scendete
a chiamarmi. Mi trovate giù.» Fece tirando un
sorriso e alzandosi dalla sedia più pulita che aveva trovato
nella stanza. Senza che nessuno dicesse niente, o meglio, lei non
ascoltò, lasciò la stanza.
Quando le promesse si
rompono a cosa ti appendi per stare su? Quando le promesse che fai a te
stesso non vengono mantenute, chi verrà a salvarti? Tom
Parker non aveva messo a soqquadro il suo mondo. L'aveva messo lei
stessa. Aveva passato un mese a torturarsi il cervello con seghe
mentali su come sarebbe stato rincontrarlo e non era andata male.
Magari c'era qualche ricordo sbiadito, ma la persona che aveva
incontrato era ancora lì. E le piaceva. E non in quel senso,
o meglio, anche. Tom era una persona carina e piacevole. Aveva qualcosa
che l'attirava, come al proprio tempo, Nick fece. Non era stato Tom a
buttare giù da un burrone le aspettative di May. Scrisse un
biglietto e salì di corsa verso la stanza di Tom. "Abbiamo bisogno di parlare,
domani alle sette." E si lasciò andare a suo
lavoro.
:D
Basta, ho deciso che cambio
ogni volta che inizio questo pezzetto anche se non so perché
effettivamente lo inizio, LOL.
Mi sono resa conto che May assomiglia sempre più alla
persona che scrive questa storia, ne sta assumendo proprio il
carattere. Sto parlando di me in terza sì, lo faccio, spesso
succede.
Mi scuso se ci ho messo tanto ad aggiornare, sei giorni, ma proprio non
avevo voglia e tempo. Inoltre ho finito poco fa di scrivere il quarto e
già lavoro al quindi, scrivo finché non mi prende
il blocco, anche se lo sento arrivare.
E basta, non dovrei aver altro da dire...
Ah, mh, grazie a chiunque ancora mi segue in silenzio, sono sempre una
di voi. Grazie a chi mi ha messo tra le preferite, seguite etc, grazie.
Marti.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque. ***
Capitolo
cinque.
«Fammi
un po' capire perché. E' come buttarti
nella tana nel lupo, May...» Fece, Sofia osservando la
ragazza che stava ormai
da dieci minuti davanti all'armadio alla ricerca di qualcosa di carino
da
mettere, magari. Continuava a parlare da circa dieci minuti, per quanto
May ne
sapesse, ma ancora non si era stancata. Non appena il messaggio fu
inviato, Tom
le rispose in meno di dieci minuti, facendole sapere che per lui anche
era
okay, vedersi.
«Dai,
Sofia. Non sto andando a morire.» Fece May,
lanciandole uno sguardo dallo specchio. «Sai che porca
miseria, non ho portato
nemmeno un vestito? A casa ne ho di meravigliosi con tutte le feste a
cui ho
partecipato.»
«Se
vuoi te ne presto qualcuno io, tanto la
taglia è quella, ma prima - fece Sofia, girando May verso la
sua parte. -
voglio sapere perché per te è così
necessario parlare con Tom.»
«Cosa
c'è di male?» chiese a sua volta,
osservando negli occhi la cugina. «È solamente
quello che avrei dovuto fare
tanto tempo fa con Nick; ma che non ho mai avuto il coraggio di
fare..» La
ragazza si mise seduta a terra, portando le mani tra i capelli. Ed
eccolo.
Sapeva riconoscere un crollo emotivo lontano due metri, soprattutto se
quel
crollo emotivo era il suo. Smetteva quasi di respirare o meglio i suoi
respiri
si facevano talmente fievoli e leggeri che nessuno la sentiva; parlava
un sacco,
quando era in procinto di piangere e soprattutto non singhiozzava. Le
sue
lacrime scendevano visibilmente, ma non singhiozzava.
«Sai,
quando una persona ti dice che sei carina,
inizi a farti delle vere e proprie paranoie. Inizi a voler sembrare
sempre più
bella e mentre ti guardi allo specchio, mentre osservi il tuo volto
apparire
solo e sempre più patetico con tutto quel trucco ti senti
brutta, ma
soprattutto una fallita. Hai deluso le aspettative
di chi, forse,
credeva in te. Quando una persona, Sofia, ti dice che sei troppo grassa
lo fa
per insinuarti delle paranoie e quasi sempre ci riesce. Allora passi la
tua
adolescenza a chiuderti se, essendo più magra, qualcuno
avrebbe mai voluto
baciarti. Ma questo non lo scoprirai mai, lo sai? Quando un ragazzo, al
vostro
primo appuntamento non ti bacia ma ti prende la mano, lo fa
perché vuole
colpirti e soprattutto perché vuole che sia tu a
richiamarlo, così lui potrà
dire che la stronza con cui è uscito il sabato sera
è talmente sfigata da
averlo richiamato che non aveva nemmeno messo piede a casa.»
May ovviamente
piangeva, ma sul suo volto c'era sempre un certo e vago sorrisino
sarcastico.
Non aveva ancora parlato di se, lei non faceva parte di quelle
categorie che
aveva appena elencato alla cugina. «Quando un ragazzo ti dice
'voglio
continuare ad uscire con te, ti chiamo presto' e non lo fa..
io non lo so
perché non lo fa. E vuoi sapere perché non lo so?
- chiese retorica alla cugina
che nella sua posizione si limitò solo a scuotere la testa.
Non voleva bloccare
le lacrime, ci aveva messo così tanto a farle scendere. -
perché non ho mai
avuto le palle di chiedere a Nick perché mai non si fosse
mai più fatto
sentire.» Questa parte la sussurrò,
dubitò - per un secondo che sua cugina
l'avesse sentita. Era difficile ammetterlo, era difficile dirlo a voce
alta.
«Adesso voglio sapere perché Tom non si
è più fatto sentire, perché poteva
farsi sentire. Ha il mio stesso accento, non può essere un
turista. Ecco perché
parlerò con Tom, va bene? - spiegò ancora,
rivolgendo un sorriso alla cugina
che seria e senza dire niente annuì. - Bene. Hai un vestito
azzurro?»
«No.
Ne ho uno sul lilla e uno blu con i fiori.» Rispose
lei, guardandola.
«Quello
lilla andrà bene, i fiori non mi
piacciono tanto..» Fece May, alzandosi da terra e pulendosi
gli occhi verdi
dalle lacrime. Adesso andava tutto bene.
Ci
aveva in pratica rinunciato. Aveva legato i
capelli a discapito di quanto si riproponeva. Aveva provato circa dieci
modi
per mettere i capelli. Forcine, cerchietti, fiocchi e quello che
riusciva ad
essere alla fine era: poco seria, scialba e noiosa. Camminava composta
con la
sua borsa a tracolla e il vestitino che, ogni tanto, oscillava. Doveva
ricordarsi che quello non era un appuntamento, era semplicemente
l'unica
occasione per chiarire la situazione che si era creata. Ancora una
volta si
trovò a pensare a quanto effettivamente fosse stupida a
voler parlare di una
situazione che probabilmente solo lei vedeva tragica.
«Ciao!
- fece Tom, sbucando dal nulla. Lei portò
una mano al petto, e si girò a guardarlo. - Sono per caso in
ritardo?»
«Ugh,
no, sono appena arrivata, tranquillo..» Fece,
lei sorridendo al ragazzo. «Andiamo
posso arrivare in un posto, dove i tuoi amici non ci troveranno mai.
Mia cugina
sì, ma tanto sa che non deve cercarmi.»
«È
contraria?» Chiese Tom, mentre metteva le mani
in tasca ed osservava la ragazza camminare davanti a lui.
«No,
è solo molto... protettiva, vedila
così.»
rispose.
«Sei
molto carina, questo colore ti dona!» Fece
lui, sorridendole. Non appena aperto il sorriso, la ragazza
tornò a guardare davanti
a se era chiaro che quel sorriso non poteva vederlo, chiaro come il
sole. Se
avesse voluto restare lucida, sapeva benissimo cosa fare.
«Grazie,
tu profumi di buono. Anche mio padre usa
questa marca di profumo.» Rispose, guardandola. «Questo..
è il porto di Valencia,
attraccano un sacco di robe qui, lo sai?»
«Non
pensavo fossi tipa da porto, May.»
«Perché
- fece, ridendo - ti scappa da fare la
pipì se vedi l'acqua?» Chiese, ridendo la ragazza.
«Touché
- ammise il ragazzo, tirando indietro la
testa - No, in ogni caso è molto bello, mi piace.»
May annuì alle parole di
Tom, osservandolo, mentre si sedeva su una panchina.
«Sai...
Il tuo nome mi piace, è.. la primavera,
ed è la mia stagione preferita.»
«A
proposito di questo, Tom - fece lei, andando a
sedersi vicino al ragazzo - sai che ho due nomi, me l'ha detto Jay,
come è
possibile?» Tom fece ciondolare la testa, cercando una
plausibile risposta.
Increspò le labbra, poteva assolutamente dirle la
verità, ma quello
sarebbe stato più difficile.
«Quando
sei andata via dalla festa mi sono
documentato un po' di te. Sai com'è, tutti ti
conoscono.»
«Sì,
io.. frequento molte feste e le persone
hanno iniziato a riconoscermi - rispose - ma Tom non regge, capisci? Il
mio
secondo nome non è presente nei registri. È un
nome che non ho dalla nascita.
Quando mia zia è morta, mio padre ha deciso di mettermi il
suo nome, avevo otto
anni, ed è.. Annabeth! May Annabeth Sommers.»
Lui
sospirò solamente, prese in considerazione
l'idea di dirle la verità.. «Sono tipo
un'entità che indovina le cose!» provò,
ridendo.
«Parker!»
fece, ridendo.
«Uhm..
mi sono preso una cotta per te e allora...
mi sono semplicemente preso la briga di conoscerti, anche se tu non lo
sapevi.
- continuò il ragazzo - volevo chiederti di uscire, ma sei
sparita del tutto dopo.»
«Avevo
la maturità...» Fece lei, interrompendo il
discorso. «Avevi una cotta per me e non mi hai cercato
assolutamente?»
«Avevo?
Sta di fatto che non ti ho trovato,
capito? E poi quella festa è stata particolarmente
sfigata.» Rispose Tom.
«Perché?»
«C'erano
anche gli altri alla festa, cioè non
tutti, Nathan e Jay da qualche parte e praticamente mentre si giravano
il posto
una ha detto al secondo che non era abbastanza ubriaca per farsela con
lui! Jay
c'è rimasto malissimo perché in genere
è uno che piace, sai com'è.»
Raccontò
Tom cercando di far capire alla ragazza quanto fosse stato duro questo
colpo
per il suo amico.
«Andiamo,
non è mi- » fece, interrompendosi di
colpo, lasciando vagare lo sguardo nel vuoto.
"May,
quanto ti ricordi della festa?" Era
lui. Era lei ad averlo trattato male per prima, lui si stava prendendo
la
rivincita che tanto meritava, perché lei era stata cattiva.
«Che
succede?» chiese Tom, muovendole una mano
davanti agli occhi.
«Niente,
scusami Tom.»
«Deve
esserti successo qualcosa per forza, perché
non mi chiami mai Tom: Parker, Tom Parker, ma mai col mio nome.
Quindi..?»
Astuto il ragazzo, e soprattutto prestava attenzione a quello che lei
diceva,
cosa che risultava impossibile.
«Non
ho ancora mangiato ed ora ho fame.» Fece
sorridendo. Tom rilassò le spalle visibilmente per
chissà quale motivo. Stava andando
tutto bene, forse...
«Sei
tu quella che parla spagnolo, posso
comprarti il mondo!»
«Parker
- iniziò la ragazza, mentre con la
stecchetta di legno prendeva un'altra patatina fritta dal piatto bianco
che Tom
aveva sulle ginocchia. Vide il ragazzo alzare lo sguardo verso di lei.
- Perché
una cotta per me? C'erano un sacco di persone a quella festa!»
Tom
aggrottò le sopracciglia, passandosi la
lingua sulle labbra salate.
«Sai,
credo che a prescindere non si possa
decidere per chi prendersi una cotta. - iniziò il ragazzo,
osservandola - E poi
c'è il fatto che io non ero ubriaco e ricordo esattamente
tutto quello che mi
hai detto o non detto e soprattutto come me l'hai detto. Mi hai
divertito e
allo stesso tempo mi hai fatto una gran tenerezza.»
Lo
aveva divertito? Era una cosa impossibile e
alla quale non credeva per niente, lei non era divertente. Era una
rompi palle
per eccellenza, odiava il mondo e per qualche strana ragione sapeva che
il
mondo odiava lei o parecchie cose che la riguardavano non sarebbero
andate così
male.
«
E poi - riprese a parlare, dopo che ebbe riso
un po' delle sua espressione pensierosa - eri ubriaca! Credevi che ti
volessi
stuprare e hai comunque detto quattro parole in croce in mezz'ora che
siamo stati
assieme. Dove la trovo una ragazza che parla così poco?
C'è qualcosa di diverso
in te.» lei annuì, alzando gli occhioni verdi
verso il ragazzo che al momento
le pareva così simpatico. «May, credi che io.. -
si interruppe per schiarirsi
la voce. Non le stava per chiedere se per caso anche lui le piacesse
vero?
Erano cose elementari. E inoltre solo ora le veniva in mente che non
sapeva
assolutamente quanti anni avesse. - ...May Sommers?» la
richiamò a se.
«Tom
Parker?» Rispose guardandolo e sorridendo.
Lo sapeva cosa stava per succedere e non ce la faceva a spostarsi, non
ce la
faceva proprio perché era proprio come la prima e
dannatissima volta. Lui
poggiò con estrema calma le labbra su quelle della ragazza e
lei sentì il
sapore salato, ma soprattutto sentiva una strana e piacevole sensazione
di
casa.
«Sì,
ho io le chiavi - fece, la ragazza cercando
di tenersi lontana dalle labbra di Tom., ma devi fare silenzio, Tom,
per favore
o sveglierai tutti tutto.» Prese le chiavi dalla borsa che
teneva ancora a tracolla
e aprii il portone. «Shh, entra... Buonanotte
Parker!» disse salutando
allegramente il ragazzo che le baciava la guancia e saliva le scale.
C'era
qualcosa che doveva ricordarsi di prendere,
ma che al momento le sfuggiva: Il Piccolo Principe, ecco!
«Che
cosa stai facendo a quest'ora qui?» chiese
una voce, facendo saltare la ragazza dall'altra parte della stanza,
quasi.
«Che
diavolo! Jay? Che cosa ci fai nella hall a
quest'ora?»
«Ti
sei divertita con Tom?» chiese ancora.
«Jay...
- disse la ragazza, poggiando una mano
sul petto di Jay che al momento sentiva vicino, troppo vicino. - io...
senti,
io quella sera non ero in me. Mi dispiace averti trattato male o
qualsiasi cosa
io ti abbia detto ma che non ricordo, mi dispiace..»
«Non
importa. Hai conosciuto Tom e sono sicuro
che ne sia valsa la pena, no?» Aveva bevuto?
Perché iniziava a sentire l'odore
dell'alcool entrandole nel naso.
«Sono
sicura che ne sarebbe valsa la pena anche
per te, davvero.»
«May..
Lui è tornato da me e mi ha raccontato di
questa bellissima ragazza con i capelli biondi e gli occhi verdi lo
avesse
baciato. Mentre a me, la stessa ragazza mi avesse dato il due di
picche.. E non
lo so, non so perché sono geloso di Tom. E allora io ho
potuto dirgli solo che
era stato bravo! - continuò, guardandola. - Frequentavi il
corso A, vero? Ti
sei diplomata con settantanove e frequenterai a Liverpool il corso di
lingue?
Non è vero? Io ti avevo trovato a differenza sua. Ma non
sapevo cosa mi
bloccasse. E tu.. continui a preferire Tom!»
«Jay,
non so di cosa parli... Hai assolutamente
bevuto.. e.. devo andare..» fece, allontanandosi, prima di
sentire il polso
bloccato dalla sua mano. «Mi fai male, Jay...» Le
distanze si annullarono e con
loro tutte le sicurezze di May, nuovamente.
Martina.
Non lo so
perché ci metto tanto ad aggiornare, avendo anche i capitoli
già messi e solo da correggere, credo di essere solo molto
pigra. Niente. Spero che non ci siano errori e questa volta non ho
niente da dire.
Non mi odiate per la Tay(May+Tom.), avranno il loro tempo, spero. Lo
spero anche per me, perché li shippo ardentemente. LOL
Mo vado che devo recensire un po' di cose, LOL.
Hasta luego.♥
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Capitolo 6 *** Capitolo sei. ***
Capitolo sei.
Doveva assolutamente
svegliarsi e smetterla di essere quel genere di ragazza che gli altri
volevano che fosse, non lo era mai stata e non doveva iniziare ad
esserlo ora. Aprì gli occhi, guardando il soffitto bianco
della camera che occupava. Bianco. Bianco come il suo umore, bianco
come la neve. Bianco come gli accenni di bianco che i capelli di suo
padre iniziavano ad avere. Non lo aveva ancora sentito da quando era
arrivata. Era già passata più di una settimana.
Qualche messaggino al volo alla madre, ma per il resto non aveva
sentito nessuno o sicuramente avrebbe sofferto la mancanza da casa. Le
mancava solo quello. Suo padre era la sua nota ispiratrice. Aveva preso
il suo carattere da suo padre: silenziosa, vivace, particolarmente
antipatica, sguardi fulminanti. Per quanto riguardava
l’antipatia, suo padre non lo era veramente, era solamente
solito dire le cose in faccia e molto spesso, questo alla gente non
piaceva. La gente era ipocrita, May lo sapeva bene. Chiedeva sempre
sincerità, e quando la servivi su un piatto
d’argento, ti voltavano le spalle offese. A suo padre non
importava molto. Era sempre stato un uomo solitario. Quando era
più piccola, le bastava un solo sguardo da parte
dell’uomo per frenarla del tutto. Ma lei era sempre stata una
bambina calma, mai irrequieta. Sempre stata una figlia modello con la
testa sulle spalle. Peccato essere figlia unica, sarebbe stata una
sorella maggiore perfetta. “May” era il
mese in cui sua madre vide per la prima volta suo padre, per le vie di
Bilbao, nota città spagnola. Steven era in vacanza in
Spagna, mentre Peggy in Spagna ci viveva e poi lei, per
chissà quale ragione, lasciò tutto per seguirlo
in Inghilterra. Pensandoci bene, chissà dove sarebbe adesso
se avesse continuato a stare in Spagna, anziché in
Inghilterra. Nessun Tom a farla sentire un’adolescente,
nessun Jay a farla sentire insicura. Il personaggio che si era
costruita non era insicuro, era forte. Lei però
sì, e questo la scopriva visibilmente, la rendeva, secondo
lei, una preda facile da attaccare. Scoperta, violata nella sua
persona. Quando aveva scelto di essere quel genere di persona che finge
di apparire, si era ripromessa che non avrebbe mai permesso a nessuno
di renderla debole, ma ormai tutte le promesse che si era fatta erano
andate a farsi un giro, assieme alla sua sicurezza.
Un giorno, voleva
svegliarsi, magari a casa sua, ed avere una giornata facile. Ne
chiedeva solo una, poi avrebbe vissuto tutti i giorni, senza
lamentarsi, ma almeno una gliela si doveva. Prese il cellulare,
controllandolo per la prima volta da, quando era tornata a casa dalla
sera precedente. Si era chiusa nella sua camera, poggiato la testa sul
cuscino e addormentata pesantemente col sapore delle labbra di Jay
invece che con quello di Tom, come tutti si sarebbero aspettati,
compresa lei. Passava sempre più tempo a chiedersi come mai
due persone come Jay e Tom l’avessero baciata e invece Nick
non ci avesse mai nemmeno provato. Cosa aveva di sbagliato? Attirava
due persone a baciarla, ma mai l’unica persona che per anni,
aveva voluto.
Fortunatamente, a
parte Tom, nessuno aveva il suo numero di cellulare e per quanto
riguardava una questione di privacy, quello non compariva nemmeno nei
registri lavorativi. Non che Oliver e Sofia non ce
l’avessero, solo sapevano bene di non essere autorizzati a
darlo in giro. Era ‘salva’ almeno per ora.
Non aveva pensato a
molte soluzioni per mettere fine a quell’imbarazzante
situazione che si era creata e che solo lei e Jay conoscevano.
Perché effettivamente il ragazzo sapeva benissimo che Tom
probabilmente l’aveva baciata, ma se n’era fregato
baciandola a sua volta, creando una situazione brutta, bruttissima.
Forse avrebbe solo dovuto licenziarsi. Pazienza per
l’università, i suoi genitori le avrebbero pagato
il primo anno e poi avrebbe cambiato meta turistica e sicuramente anche
tipo di lavoro. Olanda, o perché no, magari
l’Italia. Ora che ci pensava aveva dei cugini danesi alla
lontana. Che meraviglia! Per quanto riguardava il posto era apposto.
Era strano pensare che due persone le avessero rovinato tutto quello
che aveva costruito in anni e anni. Era strano soprattutto pensare che
non era effettivamente colpa loro, bensì sua. Era lei
l’ubriaca quella sera. Lei aveva baciato Tom, lei aveva
respinto Jay. Lei si era scavata una specie di fossa da sola. Era una
stronza, soprattutto per aver trattato male Jay, che effettivamente
visto da sobria, non era per niente male, anzi, se la situazione non
fosse stata così complicata ci avrebbe anche fatto un
pensierino; ma perché diavolo era così bloccata?
Con tutti, parenti, cugini, amici, compresa se stessa. Forse avrebbe
potuto smetterla di fare la tragica, magari cercarsi sempre un nuovo
lavoro dove non avrebbe incontrato i ragazzi. Cameriera o no a quel
punto non avrebbe fatto nessuna differenza, niente poteva andarle
peggio.
«No.»
Disse Oliver, con tono di voce di chi non ammetteva repliche.
«Cosa?
Perché? Ah.» Ribatté May, guardandolo.
«Odio tutti quanti. Tutti , compreso te. Jay, Tom…
Pure Nathan, Siva e Max. – che ovviamente non
c’entravano niente, ma lei doveva trovare qualcuno con cui
prendersela. – Ma soprattutto te, che ti reputi mio amico.
Ah, dannazione, ma voi che ne sapete di me?»
«So che mi
hai stancato. Che prima di essere un tuo amico sono la persona che
gestisce e che deve mandare avanti questa baracca qui e che non accetto
il foglio delle tue dimissioni. Ora vai a lavorare e fai quello per cui
ti pago.» Concluse Oliver, guardandola. Se l’era
tirata e sapeva benissimo che Oliver non le avrebbe mai parlato in
quella maniera se non se la fosse tirata.
«No!»
«Quanto sei
matura! Fai anche i capricci? Andiamo, smettila di complicarti la vita
da sola. Che bisogno hai di farlo costantemente?» fece il
ragazzo, mettendo le braccia conserte all’altezza del petto.
La ragazza sbuffò.
«Che
succede?» Chiese Tom entrando dentro la hall dopo aver sceso
le scale. Possibile che questi ragazzi se ne stessero sempre e
solamente rinchiusi in camera propria a non fare niente, mentre erano
in vacanza?
«Odio
tutti.» Ripeté la ragazza ciondolando sulle sue
gambe salendo poi di corsa le scale.
No, questa volta non
voleva che nessuno la disturbasse, che venisse a farle la morale. Aveva
solo bisogno di silenzio intorno a sé. Non era come quando,
al terzo anno, le venne un crollo emotivo alla lavagna e aveva bisogno
di qualcuno che le dicesse che tutto sarebbe andato bene, no. Questa
volta non aveva bisogno di nessuno. Solo di se stessa. Sapeva bene come
trattarsi, come parlarsi, soprattutto sapeva come prendersi. Sapeva in
quanto le sarebbe passato. Non aveva bisogno di qualcuno con le spalle
larghe. Col tempo, le sue si erano fatte abbastanza larghe da poter
sopportare tutto. Aveva anche imparato a fingere che tutto andasse
bene, quando, secondo dopo secondo tutto dentro di lei stava
rompendosi. Non aveva bisogno di nessuno finché avrebbe
avuto se stessa e lei sicuramente, non si sarebbe mai abbandonata e non
si era mai sentita sola. Ma ora in quella stanzetta, oltre ad iniziare
a sentirsi sola, stava iniziando a darsi per vinta, ad accettare tutto
quello che le arrivava, anche se queste erano continue pugnalate alle
spalle. Piano piano il personaggio che si era costruita stava colando a
picco, portandosi dietro pure lei. Non aveva voglia di piangere. Aveva
pianto tanto in passato e poi non ne aveva il tempo. Tutto stava
trascorrendo troppo velocemente e lei continuava a non accorgersene,
non sentiva che il tempo stava passando. Fu un continuo bussare alla
porta che la riportò indietro.
«Avanti»
fu flebile, tanto che dubitò che chiunque ci fosse fuori
l’avesse sentita. Con sua gran sorpresa, vide Jay entrare,
chiudendosi la porta alle spalle. Alzò il viso completamente
asciutto verso il ragazzo che le sorrideva e si sedeva nella poltrona
accanto a quella in cui lei era rannicchiata su se stessa.
«Non mi pare
il momento… Per favore.»
«Imparerò
a tapparmi la bocca se questo serve a starti vicino al
momento.» Fece il ragazzo guardandola. Lei si strinse nelle
spalle.
«Andata»
commentò in un secondo momento, sorridendo o almeno,
provandoci.
Era sicura di non
voler qualcuno che riempisse i suoi silenzi frequentissimi? Iniziavano
davvero ad essere troppo pesanti per una persona piccola come lei.
«Sai, una
volta – fece Jay, come se le avesse letto nel pensiero
– sono caduto in una piscina. Non sapevo nuotare e prima che
qualcuno si accorgesse di me sono passati dei secondi lunghissimi. Ora
ho la fobia dell’acqua.»
«Si chiama
idrofobia ed è comunissima.» Disse lei, alzando lo
sguardo verso il ragazzo che le raccontava il tutto senza che lei
nemmeno glielo avesse chiesto.
«Sai davvero
un sacco di cose, come ci si sente ad avere una risposta per
tutto?» Chiese Jay, sorridendo.
«Non ho una
risposta a tutto.» Aveva dei piedi piccolissimi e, solo ora,
che non alzava lo sguardo, l’aveva notato.
«Ah,
no?»
«No. Per
esempio non so perché tu mi abbia baciato, creando un enorme
casino nella mia testa, Jay. Non so perché fai finta di
niente, ma soprattutto non so perché sei qui al
momento.»
«Tu a tua
volta stai facendo finta di niente.» Chiarì Jay,
guardandola. Che voglia aveva di sorriderle.
«Okay. Ti
sei pentito?» Chiese la ragazza, guardando il ragazzo con la
coda dell’occhio. Non aveva idea del perché tutto
quello che riguardasse Jay, al momento le provocasse le farfalle allo
stomaco o in qualsiasi parte del corpo, ma stava andando
così.
«Di averti
baciata?» chiese lui, chinando la testa di lato.
«Vedila
così.»
«No, vedila
così.» Rispose lui, portandosi una mano tra i
capelli e smuovendoli un po’. May suo malgrado sorrise,
guardando l’espressione che il ragazzo assunse.
Portò le mani sul viso, coprendolo. In un primo momento
pensò che lo stesse facendo perché come al solito
voleva chiudersi in se stessa, invece lo faceva perché non
voleva che qualcuno la vedesse così. E faceva un
po’ strano a dirla tutta, anche a lei. Era sempre abituata a
vedersi cupa e… silenziosamente noiosa, e adesso…
era sorridente, si piaceva di più. Sì,
decisamente.
«May,
ascolta… - fece Jay, attirando l’attenzione della
ragazza. – non puoi dirlo a nessuno. Tanto meno a Tom.
Perché… io ci tengo –
deglutì, come se fosse una cosa difficile da dire,
abbassando lo sguardo – ma… al momento non
possiamo.»
Questo valeva come:
‘ci tengo a te, ma non quanto tengo a Tom, che è
mio amico da una vita!’ Lo guardò interrogativa e
senza aggiungere molto annuì.
«Okay,
grazie – riprese a parlare, alzandosi dalla poltrona.
– Ora devo tornare giù. Mi sto trattenendo troppo
in bagno.» La ragazza annuì ancora, lui doveva
andare, lei doveva fare quello per cui era pagata così come
le era stato ricordato e chiesto. Jay si chinò a baciarle la
fronte. « Ah, - aggiunse – chiamala ironia, se
vuoi… Ma questa è la mia stanza.»
Si sentiva
così cretina al momento, mentre cercava di capire
perché era andata proprio in quella stanza, mentre provava a
capire perché le cose con Tom non fossero mai
così semplici. Perché proprio Jay, in tutto
questo? Sapeva bene che i due ragazzi erano amici, ma perché
Jay si era avvicinato lo stesso a lei? Cosa potevano avere May e Jay in
atto, al momento? Perché al momento l’unica cosa
che lei sapeva era che probabilmente le cose non stavano andando poi
così male al momento.
«First, I'm trying
to prove to myself that I'm a person.»
Marilyn Monroe.
Credo che questa frase stia
benissimo con May, LOL. E per niente è anche la descrizione
su una delle mie immagini del profilo sul real. Chi vuole intendere
inteda u.u
Io sono a metà del capitolo nove, mi porto avanti ora
così se magari mi dovessi stancare di questa long ho i
capitoli pronti e non vi abbandono: MUAHAHAHA.
Dovete assolutamente farmi sapere per chi shippate, perché
io non lo so più, perché il mio grillo parlante
mi dice che May e Jay sono kafjcjkdf e che devono stare assieme e
invece ho un'amica che mi dice che Tom e May sono assolutamente
più belli, io non lo so. Non so se l'ho già
detto, ma probabilmente inizierò a shippare Tom e Jay,
così la faccio finita. Comunque... Niente.
Un ringraziamento va a chi ha recensito, chi continua a leggermi e chi
mi supporta, dicendomi: SCRIVI! Praticamente ogni volta che mi vede con
le mani in mano... Mia cugina, sì. Quella lì a
cui è dedicata la storia, ah, mi ha ancora corretto il
capitolo, facendomi notare che avevo usato una parola nel mio dialetto
per descrivere May LOL.
Comunque sì, finito. Buona lettura, lova y'all.
Marti.♥
|
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Capitolo 7 *** Capitolo sette. ***
Capitolo sette.
May non rispondeva a
nessuno dei suoi messaggi, non rispondeva alle chiamate e se non la
conoscesse
almeno un po’, il ragazzo avrebbe detto che lo stava
ignorando. Si convinceva
che non fosse così… Forse lo stava davvero
ignorando. Non aveva spento il
cellulare, quello continuava a squillare, mentre Tom cercava di
mettersi in
contatto con lei, lei lo lasciava squillare oppure, addirittura, faceva
rispondere Sofia che aveva sempre una scusa pronta per non passargli
May. Aveva
sicuramente preso tutti i turni mattutini, così non avrebbe
incontrato nessuno,
visto che a quell’ora loro dormivano, non si era
più vista in giro.
Tom sapeva benissimo
che
qualcosa non stava funzionando, sapeva che qualcosa stava andando male,
lo
sapeva perché se lo sentiva, come se fosse il suo sesto
senso a dirglielo.
Nessuno esternamente era cambiato: i suoi amici erano rimasti quelli di
sempre.
Nemmeno Jay che di colpe ne aveva più di tutti. Tom sapeva
che qualcosa aveva
smesso di funzionare tra loro e che – forse era solo una sua
paranoia –
qualcosa aveva iniziato ad esistere tra May e Jay. Sapeva che anche il
ragazzo
aveva iniziato a cercarla. Perché ancora non gli era chiaro,
probabilmente il
rifiuto gli aveva fatto capire che non poteva avere tutto dalla vita,
ma sapeva
anche che – a differenza sua – Jay
l’aveva trovata. Non capiva perché non
gliene avesse mai parlato erano buoni amici, da sempre, quasi. Ed erano
arrivati in Spagna con le stesse speranza: promuovere quel disco che
non stava
andando bene. Non capiva Tom, onestamente. Forse le piaceva,
ma… si tornava
sempre al solito discorso: perché no?
Quando May era
scappata in
camera sua, Jay aveva detto che andava in bagno, e poi, quando aveva
voltato lo
sguardo, lo avevo intravisto uscire dalla sua stessa camera e poco dopo
May.
Non era assolutamente lucido, obbiettivamente, perciò
strinse i pugni; non
aveva nessunissima prova sul fatto che i due potessero avere una
relazione o
qualcosa del genere.
«Che
fai?» Chiese Tom, che
finalmente dopo quasi tre giorni aveva avuto il piacere di incontrare
la
ragazza. Quella sorrise, passandogli la busta delle patatine.
«Olimpiadi…
La Spagna non
sta andando bene per niente, ma per quanto riguarda
l’Inghilterra è quarta,
stando al medagliere.» Commentò guardano prima Tom
e poi la tv che continuava a
passare immagini patriottistiche alla tv. Tom incrociò le
gambe e si sedette
affianco alla ragazza, prendendo una patatina e ripassandole la busta.
«Come
stai?» Chiese May,
sentendo che lui non parlava.
«Bene,
grazie… Non mi prendere
per uno che ha bisogno della presenza femminile, ma sono tre giorni che
non ho
notizie di te, e… niente…» Tom
sospirò. Non era riuscito a dire quello che
voleva, come sempre.
«Già.
Scusa.» Rispose lei,
omettendo alla grande che lei non si era isolata, solo aveva scelto di
passare
un po’ più di tempo con Jay.
«Lo so che a
te non piace
parlare, però… Se vuoi, io posso stare zitto.
Basta starti affianco.»
«Buffo.»
Commentò in
maniera sarcastica May, sorridendo, però al ragazzo che
stava di fianco a lei.
Tom la guardò interrogativo, cercando di capire dove andasse
a parare, ma
effettivamente di May Sommers aveva capito poco e niente.
«Che fai
stasera?» Chiese
Tom. May si morse un labbro.
«Sono ad una
‘festa’.» E
Tom sapeva bene cosa significava.
«Ti serve
compagnia?»
«No,
grazie.» May rispose,
usando un tono educato.
«Perché
no?» Chiese Tom.
‘Perché ci vado con Jay che a sua volta non vuole
che tu sappia che ci vado con
lui e questa pare tanto una relazione clandestina, non te la prendere.
Non so
che diavolo io stia facendo, ma al momento sto bene
così.’
Tutto ad un tratto
aveva
smesso di sentirsi bene, però. Si sentiva
un’egocentrica stronza – stronza lo
era, ma non egocentrica! – che aveva delle manie
di… protagonismo. Si sentiva
come se volesse avere tutta l’attenzione dei ragazzi per lei,
cosa che invece
non era vera. Voleva solo… stare bene! Non le importava con
chi o da sola. Non
era il genere di persona che aveva bisogno di un ragazzo per sentirsi a
proprio
agio, anzi, aveva sempre mandato avanti la baracca da sola.
«Vado con
Sofia ed
Oliver!» Disse lei, pulendosi la bocca dalle briciole.
«Usciamo assieme
domani?» Chiese a quel punto, interrompendo la serie di
pensieri che le
governavano la testa.
«Non ho
bisogno che tu mi
faccia la carità. Se non hai voglia di uscire con me basta
dirmelo. Me ne
faccio una ragione e vado avanti.» Disse Tom, alzando un
sopracciglio.
«Andiamo.
Non voglio farti
la carità – fece sbuffando May. Okay, forse si
sentiva un po’ in colpa perché
stava ‘uscendo’ con Jay, ma non era
carità – mi fai sapere domani mattina o
stasera se hai voglia di uscire? Grazie.» Si
alzò da terra e s’incamminò verso il
suo
prossimo lavoro. La stanza 15.
«Non capisco
un cazzo di
quello che dicono.» Disse Jay, lamentandosi, mentre occupava
il suo posto nella
fila.
«Jay!
– lo rimproverò May,
punzecchiandolo sul petto con l’indice. – Dicono
che sono bellissima e che sono
sprecata per un tipo come te.»
Il ragazzo
grugnì nella
direzione della sua accompagnatrice, mentre quella rideva.
«Scherzo. Non capiscono
perché ci stanno mettendo tanto ad aprire.»
«Pensavo che
conoscessi le
persone che gestivano questo locale.» Disse Jay incrociando
le braccia al
petto.
«No. Se mi
avessi
ascoltato… Io ho detto che Oliver conosce il tipo, ma io
sono con te mentre lui
è con Sofia.» Fece lei, mettendosi le braccia sui
fianchi, aspettando che Jay
dicesse qualcosa. Invece continuava a guardarsi intorno, cercando di
capire
qualcosa. «Comunque se avessi saputo che eri così
noioso avrei accettato
l’invito di Tom.» Concluse, mettendo le mani nelle
tasche degli shorts rosa che
aveva portato direttamente da Londra. Ah, finalmente usava qualcosa di
suo. Lui
scosse la testa molto seriamente, mentre lasciava intravedere un
sorriso.
«Mi hai
appena convinto a
fare da bravo!» Aggiunse poi, chinandosi per baciarla.
«Non capisco
cosa sia
quest’astio nei confronti di Tom. Tu gli vuoi bene, lui ti
vuole bene, io…» Si
interruppe, guardando nella stessa direzione in cui guardava Jay che
aveva
cambiato molto velocemente espressione.
«Tu?
Scommetto che tu non
sapevi che lui era qui, vero?»
«Cazzo!»
Due erano le
cose: prima di tutto Tom non sapeva che a quella festa era con Jay,
secondo:
come aveva fatto a scoprire che era proprio in quel locale? La stava
seguendo?
Pedinando? In quel caso l’aveva vista con Jay da subito.
Sentì Jay sospirare,
togliersi il capellino e passare una mano tra i ricci castano chiaro.
Dovevano
assolutamente trovare una soluzione affinché Tom non li
vedesse se ancora non
l’aveva fatto.
Avevano passato circa
un’ora della serata attaccati a Sofia e Oliver che avevano un
posto a sedere al
chiuso, così nessuno li avrebbe visti.
«Ma non fate
altro che
baciarvi?» Chiese Jay, innervosito mentre guardava
l’ormai coppia. May si batté
una mano sulla fronte, perché era effettivamente vero. Aveva
anche iniziato ad
essere imbarazzante visto che quella era sua cugina.
«Jay, dai,
andiamo a
ballare.» Fece lei, alzandosi i pantaloni, alzandosi dal
divanetto. Attirò
l’attenzione di Sofia che la guardò interrogativa.
«Mi sono stancata anche io
di vedervi attaccati. Nemmeno se tu fossi lo scoglio e Oliver la cozza.
Se sono
sembrate offese non lo erano. Era solo una metafora per farvi
capire.» Jay si
alzò seguendola per la pista. Come da registro, il ragazzo
girò il cappellino
azzurro mettendo la visiera dietro, mentre prima era di lato,
attaccandosi al
corpo di May che ballava con le braccia sollevate.
«Te
l’avevo detto che ne
sarebbe assolutamente valsa la pena anche con te, amico!» Lui
rise, baciandola
velocemente sulle labbra, sentendo il sapore di mente che la gomma da
masticare
aveva lasciato nella bocca di lei. Dannazione, per quanto adorasse quel
contatto, c’era qualcosa che non le tornava. La sensazione
che aveva quando
baciava Tom era diversa. Non migliore o peggiore, diversa. Cosa
cambiava oltre
ai due ragazzi?
Si sentiva cattiva
più che
mai a pensare a questo, mentre ballava con Jay. Si permetteva di
pensare a Tom
mente era con Jay, nello stesso luogo appiccicati mentre ballavano.
Odiava
essere confusa. Odiava non sapere cosa fare. Era una stronza. Ed era la
seconda
volta in una serata che se lo diceva.
«Sommers!»
La richiamò
Jay, passandole la mano davanti al viso, mentre la musica era
terminata. Si era
persa praticamente mezza canzone.
«Dimmi
tutto. Beviamo?»
Chiese lei, guardandolo. Lui storse le labbra, mentre lei pronunciava
quell’unica parola.
«No.» Rispose,
mettendosi
a camminare. Aveva usato il tono di chi non conosceva repliche, proprio
come
suo padre.
«Andiamo,
mica sei mio padre.» Cominciò seguendolo.
«Non
mi piace quando bevi. Non mi piace come diventi.» Rispose
lui, infilando le
mani nelle tasche.
Ma
a lei, francamente, quanto gliene importava? Ah, si odiava. Si odiava
perché
quando qualcuno le faceva notare che certe cose del suo comportamento
non
andavano bene partiva al contrattacco, anche se sapeva benissimo che
questa
persona – in questo caso Jay – aveva ragione..
L’unica cosa che al momento
riusciva a pensare però era che non le importava niente se a
Jay non le piaceva
quando beveva, non si poteva piacere sempre a tutti. Si perse,
lentamente, tra
la folla dentro il locale, avvicinandosi al bancone.
«Tiene
alguna cosa fuerte?» Chiese May, facendo riferimento al
ragazzo che era seduto
affianco a lei, che tra le mani aveva una coca cola con limone. Il
barista
annuì, muovendosi veloce, porgendole in seguito un liquido
verde. Bello il
verde. Era il colore preferito di Sofia. Sofia non aveva mai ragione.
Non aveva
ragione, quando parlava di Tom, ne, quando diceva che non Jay era
carina. Aveva
detto che sicuramente Jay non le avrebbe fatto male e invece le aveva
detto che
c’erano aspetti di lei che non gli piacevano. Okay, non tutto
poteva piacergli
di lei, però lei ci teneva molto ad andare bene a qualcuno.
Per quanto Tom a
Sofia non piacesse lui queste cose non gliele aveva mai dette. Per la
prima
volta da quando era in quella stanza, pensò di aver
sbagliato accompagnatore.
Forse doveva dare più possibilità a Tom. Nel
momento in cui girò lo sguardo, a
May parve di vedere Tom, ma probabilmente era solo l’alcool e
questo
significava che il liquido verde era davvero forte come aveva chiesto.
Ne
chiese un altro guardando il barista che prima le chiese i soldi.
«Voilà.»
Fece posando un banconota sul bancone e prendendo da bere. Non appena
ebbe
finito il drink, si alzò di scatto dallo sgabello: doveva
assolutamente fare la
pipì.
Il
bagno era molto grande e pulito, o almeno, così sembrava.
Però non aveva molta
luce, forse perché non c’erano finestre ed era
vuoto al momento. Con passo
svelto raggiunse la metà della stanza, vedendo che il primo
bagno era libero.
«Sì,
mi va di uscire domani sera con te, May.» Fece Tom. Possibile
che non aveva
sentito i passi del ragazzo che arrivava? Lei trasalì.
«Non
è serata, Parker. Ne parliamo domani.» Ripose lei
girandosi verso il ragazzo.
«Inoltre è il bagno delle ragazze, mi pare
scontato dirti che non sei ben
accetto qui dentro. Fuori magari. Ah. Come fai a sapere che ero qui? Mi
hai
seguita? » L’alcool la rendeva audace, le dava la
possibilità di fare tante
domande.
«Mi
avevi detto che eri con Sofia ed Oliver!»
«No,
eh? Hai deciso che è questo il momento in cui vuoi parlare
di tutto. Ci sono,
ma sono per conto loro.» Disse, allargando le braccia e
lasciandole cadere poi
suoi fianchi. «Ora mi lasci fare la
pipì?» Chiese passandosi una mano tra i
capelli, ancora, mentre osservava Tom. Tom le si avvicinò,
cautamente.
«Quanto
hai bevuto?» Chiese May avvicinandosi a sua volta e mettendo
le mani dietro il
collo del ragazzo.
«Un
po’. Ma posso assicurarti che capisco tutto alla
perfezione.» May sospirò,
mentre lui poggiava le mani sui suoi fianchi. Che diavolo stava facendo?
«Tom
Parker!» lo richiamò, come d’abitudine,
poggiando le labbra sopra quelle del
ragazzo. C’era un’unica cosa che differenziava i
baci di Jay e Tom l’uno
dall’altro, a parte le persone, ed erano le sensazioni. Le
labbra di Tom
sapevano di casa, mentre quelle di Jay di tutto quello che al momento
desiderava. Non c’era un bacio migliore ed uno peggiore,
erano solo
diversi. Nel
frattempo il ragazzo aveva
portato le mani dietro la schiena della ragazza, facendole entrare
dentro la
maglietta rossa che portava.
«Tom…
- fece lei, cercando di allontanarlo un po’. –
no.» Lui invece continuò
imperterrito cercando di slacciarle il reggiseno. E ci sapeva fare,
visto come
muoveva le mani. «Tom, per favore… Pensa.
No!» Okay, era una situazione un po’
scomoda e non riusciva a levarsi Tom di dosso, mentre lo sentiva
scendere a
baciarle il collo.
«Tom
– ripetè ancora una volta, mentre lui la spingeva
contro il muro. – inizi a
farmi male, spostati…»
«Tom.
Spostati. Ora.» Fece una voce che May identificò
come Jay. Scandì tutte le
parole ad una ad una, pensando a come trattenere la calma. May pensava
solo che
in questa situazione lui era proprio l’ultima persona che
voleva vedere e non
solo lei era nella merda fino al collo, ora anche Tom. Ma forse lui se
la
sarebbe cavata. Tom alzò lo sguardo divertito, mentre
lasciava la presa su May
che velocemente raggiunse Jay, nascondendosi dietro la sua schiena.
«Non
mi piacciono le cose a tre! Non sei gradito.» Rispose questa
volta Tom,
osservando un Jay che sembrava tutto fuorché tranquillo. Jay
rivolse un sorriso
sarcastico a May.
«
Amico, se tale ti si può definire, è stata lei a
baciarmi, come sempre. A
differenza di quanto fa con te, a quanto pare.»
«Accidenti,
zitto Tom!» bofonchiò May, in un sussurro quasi.
«Amico,
se tale t si può definire – ripetè Jay,
guardandolo – vuoi vedere una cosa?»
Nel momento in cui Tom annuì strafottente, May
pensò che Jay gli volesse alzare
le mani, mentre con un rapido gesto girò la ragazza verso di
se e la baciò
sulle labbra. Solo che, mentre a tutti sembrava un bacio con lode, May
sentiva
la freddezza e le faceva male. Aveva rovinato tutto come sempre. Tom
rimase
perplesso.
«Me
ne ha dato di migliori, onestamente.» Stupido Tom Parker. Jay
annuì con forza,
mentre s’incamminava verso Tom che restava immobile sul suo
posto, lo colpì con
forza centrandogli un occhio, che sentì poco dopo pulsare.
«Andiamo
ti accompagno a casa.» Fece Jay, girandosi, questa volta,
verso May. Quella
indietreggiò un poco, notando che il ragazzo muoveva la
mano, evidentemente si
era fatto male.
«No…
Torno da sola. – fece, sospirando. Come si meritava.
– Fatti controllare la
mano e accompagna Parker. Ne ha più bisogno.»
Rispose lei. Jay fece per ridire,
ma stette zitto nel momento in cui lei, col labiale
pronunciò un ‘per
favore.’
«Mandami
un messaggio non appena arrivi a casa… »
sospirò infine Jay. «Thomas, alzati.
Andiamo a casa.»
«Adesso
le fai anche da cagnolino?» Chiese quello, poggiandosi su
Jay, mentre si teneva
l’occhio.
«Nel
caso tu non te ne fossi accorto, Parker… Non sei nella
posizione.» Gli disse
Jay, sorridendogli. Anche lei sorrise vedendo quella scena. Aveva
rovinato una
delle cose più belle del mondo, l’amicizia tra i
due. Nessuno dei due ragazzi
ricambiò il sorriso. Se lo meritava, assolutamente! Mise le
mani nuovamente
nelle tasche degli shorts e percosse la navata per uscire dal locale.
Non mandò
un messaggio a Jay non appena arrivò a casa, nonostante lo
fece. Passò la notte
rannicchiata in se stessa, da sola, a piangere. Sapeva bene che non era
giusto
farlo, era una situazione che si era cercata lei, ma lo fece, in
silenzio, dopo
aver mandato un messaggio al padre.
*martichu.*
No, non avete il diritto di odiarmi. Solo spero che non vi
aspettaste una cosa del genere. Quando ho ideato questa FF, non vedevo
l'ora di arrivare a questo pezzo, onestamente. Poi... Ho dovuto
scriverlo e non ce la facevo AHAHAHAHA. Lo so, povero Tom, sto male
anche io per questo, ma doveva succedere qualcosa di grave per fare
capire determinate cose a tutti e tre i ragazzi. Spero che le abbiano
capite, onestamente. Le hanno capite. Ve lo dico io che ho scritto
anche l'ottavo capitolo e il nono. YAY, sì, sono pronti. Il
nono lo devo solo passare al pc.
Niente, spero che vi sia piaciuto anche questo. Come sempre grazie a
chi recensisce e mi fa sentire bene e apprezzata. E' sempre tutto
merito vostro. E grazie a chi legge in silenzio, segue, mette tra i
preferiti e via dicendo. Grazie.
-Marti.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo otto. ***
Capitolo
otto.
«In
three words I can sum
up everything I've learned about life: it
goes on.»
―
Robert Frost
«Ma che
cazzo avete
fatto?» Chiese Nathan tirando la testa fuori dalla sua porta
marrone, mentre i
due cercavano di sgattaiolare dentro le proprie camere senza che
nessuno li
notasse.
«E stai
zitto, Nathan. C’è
gente che dorme oltre a te.» Parlò Tom, che ancora
si reggeva a Jay. Non era
più tardi delle due del mattino, la serata non era durata
troppo per come era
andata a finire.
«E io che
pensavo che i
primi a soffrire della costante convivenza tra ragazzi sarebbero stati
Jay e
Nathan… Sono deluso!» Commentò Max, che
dato il chiasso, aveva pensato bene di
uscire allo scoperto, affacciandosi alla porta anche lui.
«Ma che
cazzo è una
riunione notturna? Andate a dormire.» Fece Jay, seccato,
mentre teneva una mano
dietro Tom, nella speranza che non cadesse, accompagnandolo, quasi.
«Stai
cercando di dirmi
che tendo al gay? Fottiti, Max!» Aggiunse Nathan, offeso.
«Manca solo
Siva. Seev!»
Chiamò Tom che, chissà perché, si
stava divertendo. Senza ombra di dubbio
l’alcool.
«No. Ci
sono, solo che col
buio faccio pandan.» Commentò Siva, sornione,
mentre si prendeva gioco di se
stesso. Anche lui era affacciato anch’esso alla porta di
camera sua.
«Pandan? Che
cazzo di
parola è? Perché non è Siva quello
gay?» Nathan, nuovamente, chiese.
«Perché
sono fidanzato!»
Rispose Siva. Jay sbuffò. La verità era che era
esausto, Tom sussultava per via
dell’occhio e quello iniziava a sentirsi in colpa per quello
che aveva fatto.
Non che non se lo fosse meritato. Solo che… Erano amici, e
gli dispiaceva.
«Perché
non sei lì a
scopartela piuttosto?» Jay scoppiò a ridere di
cuore, contagiando Max e Siva.
«In camera
di Tom, così
questo si siede. Vi spieghiamo tutto.» Fece Jay, in un
sospiro dopo che ebbe
calmato la risata. Come avrebbe spiegato agli altri ciò che
Tom aveva fatto,
senza farlo passare per un maniaco? Controllò il cellulare,
mentre entrava
nella camera ordinata di Tom, niente, nessun messaggio. Sapeva che era
arrivata,
solo non capiva perché puniva anche lui, non era colpa sua.
«Cazzo, Jay!
Hai visto
cosa mi hai fatto?» Chiese Tom, continuando a passare
l’indice di tanto in
tanto sopra l’occhio che iniziava a farsi nero.
Cioè, al momento era di una
strana colorazione di viola. Con quale faccia lo chiedeva,
però? Jay alzò lo
sguardo, alzando un sopracciglio. Ah, se gli sguardi potessero
uccidere. Solo
che poi si sarebbe sentito nuovamente in colpa.
«Tom.»
Disse soltanto. Non
aggiunse altro perché quello poco dopo, alzò le
braccia al cielo. Tom mi andò a
sedere rannicchiato sopra una poltrona. Non doveva aver bevuto poco
visto che
sopra l’occhio ci mise un portacenere. Almeno era freddo.
«Scusate il
ritardo,
dovevo vestirmi! – Fece Nathan entrando in camera seguito da
Siva e Max. – E’
anche peggiore visto da vicino!» Commentò poi,
avvicinandosi a Tom e
guardandolo attentamente. Spostò in maniera veloce lo
sguardo su Jay che annuì.
May. Aveva capito al volo, come sempre. Sospirò,
perché lui lo sapeva che
questa situazione non avrebbe portato a nulla di buono, e
andò a sedersi sulla
poltrona. Lui aveva aiutato Jay a mettersi sulle tracce di May, contro
il suo
volere, ovvio, ma era pur sempre il suo migliore amico e non poteva non
aiutarlo. Solo non capiva perché gli avesse alzato le mani,
doveva essere una
cosa grave visto che Jay quasi mai usava la violenza.
«Tom!»
Fece infine Max,
andando incontro a Tom, lasciando che Siva chiudesse la porta.
«Che diavolo è
successo?»
«Ti
prego… Ricordami chi è
più gay al momento!» Fece Nathan. Si era preso a
cuore la faccenda, ovviamente.
Tom si strinse nelle spalle, mentre Max si sedeva sul bracciolo della
poltrona.
«Ho fatto il
cazzone con
la tipa di uno… – cominciò Tom, facendo
posare lo sguardo su Jay che lo
guardava, di tanto in tanto. – però io che cazzo
ne sapevo che stavano assieme?
Conosco questo tipo da una vita e non me ne ha mai parlato.»
«Abbiamo
capito che stai
parlando del triangolo che c’è tra te, May e
Jay.» Fece Siva, incrociando le
braccia al petto, mentre era poggiato alla porta.
«Scusami,
Max.. – fece
Nathan dal nulla. Non aveva parlato per troppo tempo! –
Perché Siva dice parole
come ‘pandan’ o
‘triangolo’ e io
devo essere gay?» Max di tutta risposta gli lanciò
un cuscino e Nathan successivamente lo strinse al petto.
«Ecco
perché!» Fece
ridendo Max, contagiando Jay, che ormai rideva per tutto per allentare
la
tensione che sentiva. Tom stava per addormentarsi più o meno.
«Ho
anch’io bisogno
d’affetto… Magari May può… -
si interruppe subito, notando come Jay lo
guardasse con un sopracciglio sollevato e Tom avesse alzato la testa a
guardarlo anche lui. – scherzavo, dai.» Aggiunse
borbottando. Era già un casino
così la situazione, se si fosse messo Nathan di mezzo
sarebbe finita. Jay
spostò la testa di lato, osservando Tom.
«Ah, ma
credo che abbia
comunque smesso con entrambi.» Aggiunse, facendo annuire Tom.
«Secondo me
è un po’
stronza… » Disse Nathan, accendendo la lampada che
stava sopra il comodino di
Tom.
«Beh,
sì… L’ha sempre
detto.» Rispose Jay.
«Sa anche
che è
antipatica, ma vive lo stesso…» Aggiunse Tom,
alzando un sopracciglio. L’occhio
si era gonfiato in maniera assurda. Jay non pensava di averlo colpito
così
forte.
«Ma
poi… Ci avete pensato?
Che razza di nome è May?» Chiese ancora per
smorzare la tensione, Siva.
«Il suo
secondo nome è
Annabeth.» Disse Tom.
«Non era
Elizabeth?»
Chiese allora Max. Allora ne sapeva anche lui. Aveva sicuramente
parlato con
Tom, visto i loro rapporti.
«May sa le
cose basilari..
– fece Siva, attirando l’attenzione di tutti.
– Scoperta dell’America, fine del
Medioevo… Magari sa anche spiegarvi l’insurrezione
spagnola… Ma nessuno ha mai
notato che non sa cosa vuole e che probabilmente non vuole niente? Ha
bisogno
di entrambi… »
«O di
nessuno… » Aggiunse
Max, guardando Tom che muoveva il portacenere sull’occhio.
«No, non
penso sia così...
– fece Nathan che nel frattempo aveva preso l’ardua
via del mangiarsi le
unghie, senza ascoltare nessuno. Alzò lo sguardo cercando
Jay, che l’osservò a
sua volta. – Cerca qualcuno che le voglia bene, compagnia.
Quando Jay mi ha
chiesto di aiutarlo a trovarla, abbiamo iniziato a capire un
po’ come fosse
May. Abbiamo capito quanto fosse sola. Chi alle superiori pranza da
sola? O non
parla con nessuno? O non si toglie le cuffie dalle orecchie?
E’ sola. Non vi
sta usando… Vi vuole bene.» Il gruppo rimase
accigliato, mentre Nathan ultimava
il suo discorso. «Cosa c’è? Preferite
che vi rifaccia l’intero discorso
aggiungendoci le parolacce?»
«No,
perché abbiamo un
problema peggiore.» Disse Max.
«E?»
Siva lo incoraggiò a
continuare, visto che si era fermato. Jay osservò tutti, uno
per uno, finendo a
Tom che iniziava ad innervosirsi per il dolore.
«No…
Non lo voglio
sentire. Vado a letto… Notte.» Jay di problemi ne
aveva già abbastanza, un
altro che comprendesse la band che stava iniziando a venire fuori, non
lo
voleva. Un po’ di silenzio gli avrebbe fatto comodo magari.
Controllò ancora
una volta il cellulare prima di lasciare la stanza, non aveva niente,
nemmeno
la segreteria telefonica. Scosse la testa nella direzione di Tom che
sospirò,
poi lasciò la stanza. Sparita nel nulla. Gli faceva piacere
credere che fosse
meglio così, non aveva altri problemi, May non
l’avrebbe disturbato più e con
lui non avrebbe più cercato Tom… Già,
meglio…
Buttò la
maglietta sulla
poltrona e poco dopo si stese a letto, guardando il soffitto. Si
divertiva
sempre ad essere la persona che tutti volevano, simpatico e
allegro… Spesso
aiutava i suoi amici, quando erano giù di morale e a lui
andava bene così,
perché essere amici era anche quello, però al
momento era solo. O meglio no, ma
si sentiva tale.
«Jay?»
Nathan continuava a
bussare imperterrito, perché tanto lo sapeva che era sveglio!
«Ma sei
scemo? E’ aperta!»
Disse Jay, che si era dovuto alzare per aprire la porta.
«Sei
ingrassato e dobbiamo
parlare!»
«E meno male
che non sei
la mia ragazza, sennò questa frase mi metterebbe
ansia.» Rispose Jay, facendolo
passare.
«Guarda stai
zitto. Io
gay, bah… » Jay rise, tornando a distendersi sul
letto lasciando che fosse
Nathan a chiudere la porta.
«Non sono
ingrassato.
Piuttosto con Tom chi c’è?»
«Max e Siva.
Stava
iniziando a blaterare e io odio quando le persone ubriache cercano di
parlare…»
Rispose quello, stringendosi nelle spalle.
«Nathan…
Sei la persona
che parla più in assoluto, quando sei ubriaco.»
«Sì,
ma io posso…»
«Quale era
il problema
peggiore del tentato stupro di Tom?» Chiese Jay. Nathan
alzò un sopracciglio.
Non aveva mai mentito a Jay e ovviamente non avrebbe iniziato ora.
«Tentato
stupro? – Chiese
guardandolo. – Il problema è May. Ha paura che
dividerà la band.»
«Band che
ancora non
esiste, vorrei farti notare. Più o meno, ha cercato di
metterle le mani dentro
la maglietta di May, ma lei non voleva…»
Raccontò Jay, osservando l’espressione
di Nathan cambiare in un secondo. «Allora l’ho
colpito… Ma giuro, mi sono
sentito male tre secondi dopo tipo…»
«Jay…
- fece Nathan,
chiamandolo. – perché questa lotta?»
«Non lo so,
Nate…» Nathan
sbadigliò dopo questa risposta, si avviò alla
porta e dopo aver dato la
buonanotte all’amico uscì, stanco. Jay prese il
cellulare, rileggendo i
messaggi degli ultimi tre giorni. Scrisse un messaggio, qualcosa che
non le
desse fastidio, magari: “Fatti viva!”
Spense il cellulare
dopo
aver atteso una risposta che non arrivò, poco dopo si
addormentò stanco anche
lui.
Tom aveva male alla
testa,
l’alcool gli faceva sempre male e in più sentiva
l’occhio pulsare. Non si era
controllato l’occhio, si era solo messo a letto, anche lui,
una volta che tutti
ebbero lasciato la sua stanza. Si era accorto che aveva esagerato, Jay
non era
un tipo che alzava le mani, ma l’aveva fatto. Se
l’era meritato.
Jay non era un ragazzo
violento, non si prendeva cotte – o qualsiasi cosa quella
fosse – Jay era
sarcastico, simpatico, spesso e volentieri imbarazzante. Jay era
semplicemente
una delle persone a cui voleva più bene e che conosceva da
tantissimo tempo.
Nessun messaggio, nemmeno lui. Si chiese più volte se invece
a lui ne fossero
arrivati. Lei aveva scelto lui sin da molto tempo prima e con
questa… cosa che
aveva fatto si era scavato la fossa da solo. Mandò
l’avviso di chiamata a May,
sentendo la segreteria sospirò, immaginandosi May che stava
ad ascoltare.
«Lo so che
sei sveglia… Lo
so perché è successa una brutta cosa stasera e mi
dispiace tanto, non avrei mai
voluto farti del male… Non so cosa sarebbe successo se non
fosse arrivato Jay,
non so nemmeno immaginarmelo. Comunque mi dispiace, okay? È
stato un errore,
spero saprai perdonarmi. Notte…»
May non rispose,
ascoltò i
vari messaggi nella segreteria, non rispose a quello di Jay; stringeva
il
biglietto di ritorno senza una data, ancora… Rimase seduta
tutta la notte,
scossa e sola, come era arrivata… Non aveva senso
convincersi che le persone
potevano cambiare. Lei non poteva cambiare…
*martichu.*
Come mi chiama il mio
amico, ciao Già♥,
e anche se lui non mi vede, salutarlo fa sempre bene LOL.
Come sempre sono la beta di me stessa e quindi probabilmente ci
sarà qualche errore, che non ho visto, nonostante abbia
letto e riletto questo capitolo, quindi scusate. :)
Okay questo è uno dei miei capitolo preferiti, assieme al
dieci che ho scritto ieri sera. E' tutto così wanteddoso(?)
e Nathan per come l'ho visto io fa piegare dal ridere, cioè,
spero che vi sia piaciuto come l'ho scritto... Spero sempre di averci
preso con quello che ho scritto. Jay e Tom sono apposto, non hanno
nessuna lite in corso nonostante quello che è successo.
Perché si amano e io amo loro kwjdkjskd. Datemi
un Nathaaaaan, lo voglio ora.
Ora nulla, finito.
Love y'all.
Marti.♥
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Capitolo 9 *** Capitolo nove. ***
Capitolo
nove.
Quando
Sofia entrò in cucina, trovò sua cugina che
guardava in pigiama la televisione,
cosa abituale da un po’ di tempo a questa parte per May. Da
quando aveva smesso
di andare a lavorare, per l’ennesima volta, aveva decisamente
smesso di fare
altro che non fosse guardare la tv mangiando cereali e dormire. Era
seduta
sulla poltrona verde di Sofia, rannicchiata su se stessa, mentre
portava alla
bocca stancamente una cucchiaiata di cereali. Faceva solo quello e
sembrava
pienamente soddisfatta di come lo faceva. Okay, aveva anche smesso
nuovamente
di parlare, concedendo di tanto in tanto qualche frase o saluto e
probabilmente
era ancora molto scossa, ma era stata ‘salvata’ in
tempo da Jay, nessuno le
aveva fatto del male. Per quando Sofia tentasse di parlarle lei
scrollava le
spalle e tornava a guardare la tv, intenta come un secondo prima. Sua
cugina
dunque non aveva la benché minima idea di quello che era
successo quella notte.
Avrebbe potuto parlare con i ragazzi, sì, ma anche quelli
avevano smesso di
farsi vedere in giro, forse avevano preso a lavorare anche loro, come
era in
programma visto che erano lì oltre che per una vacanza, per
promuovere un disco
che in Inghilterra non stava andando. Era molto curiosa di sapere cosa
stava
succedendo, non si sarebbe arresa finché non avrebbe capito
quello che stava
succedendo.
«Buongiorno!»
Fece Sofia entrando in cucina e schiarendosi la voce, anche lei si era
appena
svegliata ed erano solo le nove. Alle dieci avrebbe dovuto essere a
lavoro e
nonostante non avesse molto tempo aveva deciso di provarci a togliere
qualcosa
dalla bocca di May. La cugina rispose con un cenno della testa ed un
sorriso
tirato, tornando poco dopo a guardare lo schermo in movimento.
«Adoro
questo programma!!» Esclamò con troppo enfasi,
provocando un’occhiataccia da
May, la quale si era di nuovo distratta.
«Oggi
non ci capisco niente.» Rispose May, finalmente, facendo
sorridere Sofia.
«Oh,
beh… dubito che tu lo stia seguendo veramente!»
«Mi
sono appena svegliata, dammi tempo –fece sbadigliando
apposta. Era sveglia da
molto prima e forse non aveva nemmeno chiuso occhio se non per due ore.
– Oggi
devi lavorare?»
«Ovvio…
Come ogni giorno, come te!» Provò Sofia,
guardandola. E invece no. Lei non ci
sarebbe andata perché non le andava di vedere nessuno.
«No…
Io sto prendendo in considerazione l’idea di tornare a casa,
tra qualche giorno
o forse domani…» Raccontò May, alzando
lo sguardo nella direzione di Sofia che
rimase un po’ delusa da quelle parole.
«May.
– fece, guardandola attentamente. – Abbiamo passato
tutti momenti brutti nella
nostra vita, momenti che credevamo di non saper superare
perché tutto faceva
troppo male per viverlo anche solo un giorno in più. Abbiamo
tutti provato a
scappare da questi che noi oggi chiamiamo problemi passati…
Abbiamo visto
quanto questi ci inseguano finché non ci
ritrovano… Se vuoi andartene e
dimostrarti ancora una codarda, okay, prego, la porta è
quella, ma non passare
il tuo dannato tempo a fare la vittima chiudendoti in te stessa, solo
perché è
l’unica cosa che sai fare bene. Hai bisogno di parlare, May.
Di raccontare. Non
lo vedi? – chiese indicandola mentre manteneva tutta la calma
necessaria. – Non
lo vedi? Non è Jay, non è Tom a farti
male… Sei tu. Sei tu che ti proibisci dei
confronti diretti con le persone. Mi auguro che quando crescerai,
perché al
momento non ti dimostri adulta, capirai che non sei perfetta, che non
ti stai
facendo del bene escludendoti dal mondo. Pensi che così
passerà? Prego… La tua
strada è quella.» Sofia terminò il suo
discorso guardando fissa May, che aveva
le labbra schiuse per la sorpresa. Non si aspettava affatto che
qualcuno così
vicino come Sofia le dicesse quelle cose. Aveva sentito un gelo nella
voce di
Sofia che non aveva mai sentito da nessuno. Non sapeva cosa realmente
si
aspettasse e ovviamente non voleva compassione da parte di nessuno,
solo che
era difficile sentire qualcuno che ti è così
vicino allontanarsi con un paio di
frasi. Nonostante se le fosse meritate tutte. Deglutii, cercando di
riprendere
la lucidità che le mancava al momento, sospirò e
si strinse nelle spalle,
facendosi, se possibile, ancora più piccola.
«Come
va con Oliver?» Chiese allora, cercando di spostare
l’argomento.
«Mi
ha chiesto di fargli sapere se deve prendere un’altra persona
per aiutarmi,
visto che tu ti rifiuti di farlo, categoricamente.»
Ovviamente questo non era
vero, perché Oliver non l’avrebbe mai detto e
Sofia non glielo avrebbe mai
permesso, ma per smuoverla da quella poltrona servivano le maniere
forti. «C’è
molto lavoro May, sono arrivate altre due famiglie, una delle quali ha
anche un
figlio.»
«No…
Ti… Ti aiuto io, se ne hai bisogno, non voglio perdere il
lavoro.»
«May…
- Fece Sofia avvicinandosi lentamente alla cugina. - …Che
diavolo è successo a
quella festa?» Chiese, sedendosi sul bracciolo della
poltrona. May alzò un
sopracciglio, guardando la cugina.
«Quella
festa. C’era anche Tom… E io avevo bevuto un
pochino… E l’ho visto… e - »
«E
sappiamo tutti benissimo che quando sei brilla tendi a lasciar perdere
ogni
cosa o persona che non si chiami Tom.» La interruppe Sofia,
completando la
frase per lei.
«Vedila
così. E… ci siamo baciati, o meglio io
l’ho baciato, ancora… E lui ha pensato
bene che fosse un ‘via’ e ha provato a mettermi le
mani dentro la maglietta. –
raccontò, mischiando il racconto con vari sospiri, dai quali
Sofia capì che la
ragazza era ancora palesemente scossa. – Dunque è
arrivato Jay, che non so sa
dove sia sbucato, nemmeno fosse Superman, e l’ha visto
così, con quelle mani
sul mio corpo e gli ha dato un pugno.» Sofia rimase un attimo
in silenzio,
mettendo la bocca ad o, mentre pensava a Jay che dava un pugno a Tom.
Non era
assolutamente possibile. Non era assolutamente tipo, o meglio, non lo
sembrava
affatto.
«Ma…»
Fece, muovendo le labbra senza dire altro, vedendo la cugina che
annuiva,
interdetta quanto lei se non di più.
«…non so cosa dire. Cioè… Tu
cos’hai fatto
e Tom?» Raffica di domande, May doveva aspettarsela.
«Tom
niente, ovviamente ha fatto il cretino. Io me ne sono andata. Jay si
è fatto
male alla mano Tom aveva quell’occhio gonfio, tutta colpa
mia… Sono scappata,
come sempre.»
Sofia
si portò una mano sulla fronte, confusa.
«May…
E’ arrivato il momento di farti una domanda.»
«Dimmi…»
Non che si sentisse pronta, eh, anzi…Le domande di Sofia
erano sempre giuste e
centrate, ma mai fatte nel momento giusto.
«Okay.
Tom o Jay?»
Appunto.
May si strinse nelle spalle, guardando la cugina che la scrutava con un
certo
sguardo, che le metteva ansia. Non lo sapeva. C’erano tante
cose da
considerare, tanti sentimenti da prendere in considerazione.
«Non
ho idea di come si faccia a sapere che è l’uno e
non l’altro.»
«Identifica
i tuoi comportamenti, May. Osservati in presenza di Jay e in quella di
Tom.
Osserva come ti interessi Tom solo quando sei brilla o ubriaca, ma
osserva
anche come tendi a non voler far male a Jay. – Sofia fece una
pausa,
stringendosi nella felpa verde. Perché aveva una felpa?
– Arriva Jay e balli.
Non credo di averti mai vista in vita mia ballare. Arriva Tom ed
è tutto
scombussolato.»
«Stai
cercando di dirmi qualcosa che ha a che fare con Jay?» Chiese
May, ridendo.
Sofia si strinse sulle spalle, sorridendole. «Tom mi ricorda
Nick. – May
trattenne il respiro e Sofia sbarrò gli occhi. Okay, dirlo
ad alta voce faceva
ancora più impressione che pensarlo. – Il modo in
cui mi tratta no, ovviamente,
Tom mi fa sentire… bene, più o meno, ma
l’ansia quando lo vedo è la stessa.
Divento insicura, come se tutto dipendesse da quello che dico al
momento, e lo
sai che non sono brava a scegliere cosa dire. Con Jay è
tutta un’altra cosa,
onestamente. Tom mi fa lo stesso effetto che mi fa Nick.»
«May,
hai la tua risposta e ancora non l’hai
capito…» Disse Sofia, sibillina, come se
lasciasse intendere a May. «Andiamo a lavorare.»
Non sapeva come affrontare i
ragazzi. Sentiva le mani di Tom ancora sul suo corpo e vedeva la
delusione sul
viso di Jay, guardarla. Si sentiva sporca per quanto riguardava
entrambi i
ragazzi. «Guardami, May. – Fece Sofia, accogliendo
il suo sguardo. – Devi solo
ignorarli.» May annuì, convinta. Ce la poteva fare
e stava tornando a lavorare.
*
«Bentornata!»
disse Oliver avvolgendo la ragazza in un abbraccio e sorridendo invece
a Sofia.
Come ad averla ringraziata per averla riportata. «Okay, bando
a queste cose
tipo sentimentalismi… Abbiamo da lavorare. Non so se Sofia
ti ha avvisato che
ci sono nuove
famiglie!» May annuì,
sorridendo. «Entrata – disse indicando May
– Camere.» Disse indicando Sofia che
annuì vittoriosa.
«Ma…
A me quello più grande, vi odio tutti!» Fece
scherzando May.
Una
volta che fu da sola, controllò l’orario, le
dieci, i ragazzi avrebbero dovuto
dormire a quell’ora. Infilò le cuffie, cominciando
a spazzare per terra. Faceva
i migliori concerti, quando nessuno la osservava e certe canzoni le
venivano
davvero, davvero bene.
«I’m
gonna
love you like I’ve never been broken. I’m gonna say
it like it’s never been
spoken. Tonight, tonight,
I’m
letting go, go, go, go.» Si
lasciò sfuggire qualche parola, cantando il ritornello di
tutta
la canzone che al momento le passava nelle orecchie. Era a
metà dell’entrata
spazzata, quando vide qualcuno sederi sulla poltrona. Alzò
gli occhi e ci trovò
Jay seduto, con gli occhi gonfi e i capelli in disordine, come sempre.
Cercò
qualcuno che potesse salvarla da quella situazione imbarazzante. Poteva
ignorarlo
come le aveva detto Sofia, ovviamente i ragazzi erano noti per
lanciarsi
determinati sguardi infiniti.
«May…
Aiutami con la matrimoniale!» Fece Sofia, dal nulla, facendo
trasalire May che
era salva. Fece un sorriso di circostanza a Jay e le corse incontro.
‘Grazie’
fece poi, col labiale.
*
Al
momento del pranzo, però, si era ritrovata inspiegabilmente
sola. Sofia ed
Oliver erano spariti e ovviamente assieme. Beati loro, avevano trovato
la loro
pace. Le mancava la sua e stava iniziando suo malgrado a capire quanto
fosse
importante avere un po’ di pace. Mentre spulciava il suo
hamburger, la stessa
canzone di prima le rimbombava nella testa, aprì il libro
che stava giungendo
al termine e iniziò a leggere, mentre ascoltava la musica e
mordeva il panino.
Si sentiva meno sola a leggere quella storia. O forse se ne stava solo
convincendo, si sentiva gelosa di chi poteva parlare col proprio
fidanzato,
marito, dargli un bacio senza doversi sentire perennemente in colpa o
senza
distrarsi. Lei non ci aveva mai provato o avrebbe rischiato di
più con Nick o
azzardato con Jay o Tom. Lei non rischiava. Nella sua testa passava il
tempo a
pensare a come sarebbe stato un amore epico o tanto meno riceverlo,
lasciando
da parte ogni speranza di viverlo. Non si era mai sentita abbastanza,
era la
sua debolezza. Jay le tolse le cuffie proprio mentre era arrivato il
ritornello
della canzone.
«Prima
di tutto… Sei stonata – buttò le cuffie
sul piatto vuoto, mentre lei teneva il
panino tra le mani – ho avuto modo di sentirti due volte e
per favore, basta.
Secondo… Mai insegnato che a tavola non si canta? E terzo,
ma non per
importanza, quando hai intenzione di mandarmi il messaggio con su
scritto che
sei arrivata a casa, May?»
«Sto
leggendo. – disse lei, mostrandogli il libro. – E
non ti ho detto che puoi
sederti al mio tavolo!»
«Ma
guarda un po’, abbiamo qualcosa in comune…Non
facciamo le cose che ci chiedono.
La mangi quella?» Chiese ancora, indicando la mela verde sul
vassoio. May
scosse la testa e Jay con un rapido movimento la prese dandole un morso.
«Adesso
ti spiego come andrà, va bene?» May
annuì, seria con un sopracciglio alzato. «Bene. Prima di
tutto hai dato buca a Tom, quindi per rimediare, dovrai uscire con lui.
Prima o
dopo questo appuntamento, come preferisci tu, devi uscire con me
perché ancora
non abbiamo avuto un vero e proprio appuntamento. Poi per favore, devi
tirarmi
fuori da questo triangolo del cazzo, inizia a starmi stretto. Devi solo
scegliere.»
May
alzò gli occhi verdi, incontrando quelli azzurri del
ragazzo. «E se non
volessi?» Domandò, osservando poi la mela morsa
dal ragazzo, si sentiva
distratta.
«So
che sei una brava persona, nonostante lo nascondi, una persona a cui
piace
rimediare ai propri errori. – Lui sorrise, lasciandola un
po’ spiazzata. Si
rigirò la mela tra le mani, e la indicò.
– Fammi sapere, hai il mio numero.»
Lei
annuì, solamente, guardandolo andare via.
*martime.*
Allora. Prima di tutto... questo capitolo è Lovatoso.
C'è una citazione di una canzone della Lovato che amo alla
follia. È il mio modello, so... Se ce l'avete sulle scatole
non ditemelo u.ù
Niente... Volevo dirvi di non fidarvi delle apparenze, questo capitolo
dice tutto ma soprattutto non dice niente. Sono solo le conclusioni di
Sofia, May ancora non ha deciso nulla, perché Martina non ha
deciso nulla, chiaro, no? XD
E basta, non so cos'altro dire. Ignorato gli errori, magari u_u
Tanto amore da marti me. ♥
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci. ***
CAPITOLO DIECI.
Non
appena Jay ricevette il messaggio, non si trovava come aveva detto in
giro per
la Spagna, bensì in uno studio di registrazione, assieme
agli altri ragazzi.
Finalmente stavano facendo quello per cui si sentivano portati. Erano
euforici,
nemmeno avessero mangiato un quantitativo assurdo di zucchero. Ridevano
e
scherzavano l’uno con l’altro, come se non fosse
successo niente di quello che
da lì a due settimane succedeva. Jay e Tom spesso
condividevano anche lo stesso
microfono.
«Non
senti
caldo?» Chiese Siva, guardando Jay, che si sventolava una
mano davanti alla
faccia.
«No,
ho
talmente freddo che per non sentirne la mancanza mi faccio aria da
solo.»
Rispose Jay, allora, guardandolo. Che domanda era? Era ovvio che ne
avesse.
«Stai
sudando come un maiale. Secondo me sono i tuoi capelli.» Si
intromise Nathan,
sorseggiando una diet coke.
«Tu
invece sei convinto che a bere diet coke, non ingrassi! Guardati la
pancia, sei
più grasso del bambino di Up.» Lo
schernì, ridendo Tom. Nathan si portò una mano
sulla pancia, guardandoli e poggiando la lattina sul tavolo.
«Un
giorno me la pagherete tutti!» Disse poi.
Jay
prese
il cellulare, controllando il nuovo messaggio arrivato, May.
Controllò Tom con
un’occhiata veloce e non sembrava avere nulla, quindi doveva
aver scelto di
uscire prima con lui. Si morse un labbro per non sorridere, per non
fare la
figura del cretino, ma il momento di gioia sparì subito
dopo, quando pensò al
suo amico Tom. L’aveva messo di nuovo dietro di lui. Sapeva
già come sarebbe
andata questa cosa. Lei magari, ad una festa, avrebbe bevuto un
po’ e si
sarebbe comportata come si era comportata con Tom con un altro ragazzo.
May non
era affidabile per nulla e lui lo sapeva bene, eppure era convinto
più che ma
che ci sarebbe andato a quell’appuntamento quella sera.
Almeno per parlare.
Alle
dieci meno cinque di notte, Jay aveva deciso di farsi vivo, May lo
stava
aspettando coricata a letto, mentre Sofia faceva avanti e indietro
dalla
finestra cercando di vedere quando sarebbe arrivato. Stava leggendo,
come al
suo solito. Aveva scoperto che i libri in spagnolo non erano poi tanto
difficili, quindi aveva iniziato a leggerne uno, così per
passare il tempo.
Quando Jay le aveva detto che probabilmente ci avrebbe messo un
po’ ad
arrivare, non pensava così tanto. Okay, stava lavorando ad
un progetto e quindi
non poteva lamentarsi. May aveva avuto tutto il tempo di calmarsi.
Stava
finalmente rimediando ai suoi errori nei confronti di Jay, poi, in un
secondo
momento magari avrebbe pensato a Tom. Sofia continuava a rinfacciarle
il fatto
che aveva cercato prima Jay, piuttosto che Tom mentre la diretta
interessata
sosteneva solamente che era per dovere. L’unica cosa
importante era sistemare
le cose, prima o dopo, non importa con chi prima. Era questo il
particolare a
cui doveva appigliarsi.
Non
appena Sofia vide comparire il cappellino azzurro di Jay, corse a dirlo
a May,
la quale si stava già addormentando. Era un periodo che era
sempre stanca. Più
dormiva più voleva farlo. May scattò in piedi,
con eccessiva foga, sistemando i
capelli biondi e lunghi con una forcina, portando il ciuffo
all’indietro. Non voleva apparire,
ecco, sistemare le cose.
«Jay!»
Fece lei, chiamandolo, mentre attraversava il portoncino bianco
andandogli
incontro. Aveva il fiatone, visto che aveva fatto le scale di corsa per
non
farlo aspettare troppo. Certo! Come se lui non l’aveva fatta
aspettare tanto.
«Ciao!
–
fece lui, sorridendole. – Ti ho portato una cosa!»
May alzò un sopracciglio,
stringendo gli occhi ad una fessura, cercando il senso di quello che il
ragazzo
chiamava regalo. Jay le mostrava un sole disegnato su un cartoncino
giallo,
munito addirittura di occhi, bocca e naso disegnati col pennarello
nero.
«Stavano scrivendo canzoni, mi annoiavo.»
Giustificò lui, vedendo che la ragazza
lo guardava con un sorriso.
«Okay,
ha
funzionato.» Aggiunse poi, guardando May che prendeva il sole
che le veniva
passato, passando le dita sui contorni neri. Doveva averlo fatto
davvero lui,
visto che aveva un tratto davvero leggero. Se fosse stato fatto da un
bambino i
tratti sarebbero risultati schiacciati.
«Cosa?»
«Sorridere!
Con un’idiozia, aggiungerei. – Fece lui, piegando
di lato la testa. – Ogni
volta che sei triste, avrai Mr.Sun a sorriderti.» May rise,
tirando la testa
all’indietro.
«Come
può
una persona che scrive canzoni chiamare qualcosa Mr.Sun? E secondo:
E’ mio?»
Chiese, calmando la risata e trasformandola in un semplice sorriso.
«Lasciami
in pace. – Si difese. Era il primo nome che gli era venuto in
mente. – Comunque
certo, tutto tuo.»
«Grazie,
davvero!»
Sorridere guardando un sole di cartone. L’estate
dalle mille sorprese.
«Secondo
te, Sofia ne ha ancora per molto? –
indicò la finestra a cui era affacciata. May alzò
lo sguardo, notandola
muoversi dietro le tende. – Ci spia da quando sei scesa. Vuoi
darle qualcosa da
vedere?» C’era da constatare che oggi Jay, stava
parlando come non mai. May
alzò un sopracciglio, guardandolo. Non sapeva a cosa stava
andando a parare,
finché il ragazzo non alzò un sopracciglio per
controllare Sofia, che nel
frattempo si era risistemata nel suo posto alla finestra, la
attirò a sé,
poggiandole una mano su un fianco e la baciò. Rimase un
po’ interdetta. Era
ancora convinta che quello fosse un ‘appuntamento’ solo per sistemare le cose?
«Okay,
ora possiamo andare. Almeno ha visto
qualcosa su cui poi potrò fare delle domande.»
Disse, allontanandosi da lei.
Rimase un po’ imbambolata. Non si aspettava per niente quel
bacio, aveva già
baciato Jay, in precedenza, durante quella serata, ma ora era diverso,
quasi.
Non sapeva di cosa si trattasse. Presero a camminare l’uno
vicino all’altro,
silenziosi. Jay aveva davvero imparato come non forzarla a parlare, se
non
aveva voglia. Proprio come le aveva promesso.
«Come
sta andando quello che state facendo? –
chiese May, voltando lo sguardo verso di lui. – No, un
secondo… Ho una domanda
più importante. Voi cosa fate? Scrivete canzoni…
e poi?»
«Credo
che questo tipo di gonna ti stia molto
bene. E’ una gonna alta?» Chiese per conferma, lui.
Mica faceva un lavoro super
segreto di cui non poteva parlare? Magari era un killer e lei era in
pericolo.
Lei portò una ciocca di capelli biondi dietro
l’orecchio, sorridendogli.
«Parlami
di quello che fate tu e i ragazzi.»
Riprovò di nuovo.
«Stiamo
cercando di diventare una band, quindi avendo
i contatti giusti ci siamo fatti sentire e nulla, scriviamo canzoni e
registriamo un disco. Finito. » Raccontò,
schiacciando il cappellino azzurro
sui ricci che formarono una cornice al suo viso. Desiderio
malsano di passarci una mano dentro.
«Scrivi
anche tu?»
«Di
tanto in tanto. Ma mi annoio facilmente.
Nathan scrive bei testi.» Rispose. Oh bene, oltre ad essere
imbarazzante di
tanto in tanto, quel ragazzo sapeva fare anche qualcos’altro.
Era curiosissima
di sentire o anche solo leggere un testo di qualche canzone.
«Tu invece che
cerchi di fare?» Chiese poi, spostando la conversazione sulla
ragazza. May si
strinse nelle spalle, alzando un sopracciglio, poi sospirò.
«Al
momento imparare il cinese, laurearmi e
tornare qui, magari andare a vivere con Sofia e lavorare…
Spero.»
«E
io che pensavo che dopo quest’estate non
volessi più tornare qui.» Fece il ragazzo,
guardandola. May rise,
effettivamente.
«Prima
di tutto, conto che voi cambiate meta di
vacanze, durante questi quattro anni e poi vedila così: sono una che non si arrende.
«Continuerai
a venire allora?» Chiese ancora.
«Jay!
– disse lei, dandogli un colpetto nel
braccio, ridendo. – Smettila di fare sembrare tutto un
gigante doppio senso!»
«Io?
– chiese lui, in maniera innocente,
sorridendole. – Cioè, non fraintendermi, anche se
vuoi. Posso fare un sacco di
cose e questo rientra nelle mie facoltà, quindi basta
chiedere.» Fece lui,
guardandola con la coda dell’occhio, mentre il colore sulle
sue guance
diventava naturale e non semplice trucco.
«Okay…
Ne prendo atto, grazie… Per la prossima
volta, magari…» Domani, anche…
«Ah,
ti mette a disagio, parlare di queste cose!»
Fece lui, ridendo.
«No!
– Fece lei, ridendo. – Sei tu che mi metti a
disagio… Parlo del sesso molto apertamente, ma parlarne con
te è un altro paio
di maniche.» Cioè. Non voleva dire che era lui a
metterla a disagio, perciò,
per non far pesare l’affermazione, rise ancora. Era vero,
però. Ma c’era già
abbastanza tensione, e aggiungerne nuova non era buona cosa.
«Ai
ragazzi avevo detto: ‘Andiamo in
Olanda, lì la birra è buona e parlano la nostra
lingua, più
o meno.’ Ma la Spagna, secondo loro era
più grande.» Non è che secondo loro
era più grande… Era più grande!
«Se
stai cercando di chiedermi scusa, non
importa, sono tranquilla. E’ stato un caso.» Fece
lei, sorridendogli. «Potete
stare tranquilli anche voi… Non so se lo sai, ma sono un
casino. E’ colpa mia.
Ho lasciato che tu e Tom mi faceste male, io non sono questo genere di
persona
che vedi… Ma per una volta, qualcuno si era interessato a me
e ho solo voluto approfittare
del momento…» Non seppe come concludere
perché Jay la tirò a sé,
abbracciandola. May sospirò, tra le braccia del ragazzo e
Jay iniziava a
sentire tutta quella stanchezza di cui May parlava. C’era.
Cosa doveva dire a quel punto? Non seppe nemmeno ricambiare
l’abbraccio come si doveva, perché non era brava
in quelle cose. L’unica
persona che l’abbracciava era la mamma e lo faceva raramente
perché a lei non
piaceva tanto.
«Che
va tutto bene già lo sai… E poi…
imparerai
il cinese, e tornerai qui.» Fece lui, allontanandola un poco
per poterla guardare,
mentre le diceva queste cose e ci credeva davvero. Era convinto che May
valesse
molto più di quanto mostrava in pubblico.
«Lo
so… Va tutto bene, per questo non devi o
meglio, non dovete sentirvi in colpa. Come ti ho detto è
tutta colpa mia!
Davvero…» Gli sorrise, e lui la lasciò
andare, sorridendo a sua volta.
«Bene.
May… Non posso fare troppo tardi e
immagino siano già le undici o le dieci e mezza…
Devo anche tornare a piedi e
domani mi devo alzare presto! Devo andare…» Lei
annuì, ovviamente non poteva
obbligarlo a restare, soprattutto se doveva lavorare. E poi doveva
farlo anche
lei.
«Allora…
A domani?» Chiese lui, una volta che si
trovarono nuovamente davanti al portoncino da cui era uscita. Non si
era fidato
a non accompagnarla. Non era decoroso, prima di tutto e poi
c’era gente brutta
in giro.
«A
domani sì.» Disse lei, sorridendogli. Aprii il
portone, entrandoci per metà.
«Aspetta!
– fece lui, fermandola. Lei si girò e
lui la baciò nuovamente. Fu sorpresa anche questa volta, ma
ebbe la bella
faccia di ricambiare. Non sapeva nemmeno se avessero risolto tutto
quello che
dovevano risolvere, non che al momento le importasse tanto…
Quel bacio aveva
scombussolato tutto, ancora una volta e come sempre. Era un problema.
– Ecco,
ora puoi andare e io tornare in stanza.»
«Sì,
è il caso… Puoi tornare a casa.» Fece
lei,
guardandolo, portando una mano all’altezza dello stomaco. «Ciao!»
Salutò, sorridendo e Jay fece lo
stesso, girandosi di spalle, tornando a ‘casa’.
May
si morse il labbro, pensando a cosa fare, a
cosa dire. Ogni speranza che quello fosse un appuntamento come gli
altri era
sparita subito, non appena lo ebbe visto, non appena volle ‘dimostrare’ qualcosa alla
cugina che li
guardava dalla finestra. E se fosse Jay quello che lei voleva, ma che
allontanava per il bene di Tom? Mise le mani tra i capelli, mentre
aspettava l’ascensore,
per tornare nella sua stanza. Perché allontanava Jay per il
bene di Tom? Cosa
aveva fatto Tom per farla stare bene, da quando si conoscevano?
L’aveva
incasinata, baciata, le aveva riportato indietro un brutto ricordo e le
aveva
fatto del male, anche se non in maniera effettiva. Se Tom non le avesse
ricordato tanto Nick, lei non ci sarebbe stata a tutto quello. Ma lui
era
diverso da Nick, aveva un profumo migliore, e quello di Nick lo
ricordava
ancora alla perfezione. Aveva un sacco di domanda per la testa, quando
si
addormentò nella sua cameretta blu.
*HelloMarti!*
Sono
in ritardo? Eh, lo so. Ho avuto a che fare
con un esame di matematica che mi ha dato del filo da torcere e poi ho
finito
un’altra ff che avevo aperta su Glee, finalmente! Anche se un
po’ mi manca…
Okay, no, non è vero LOL.
Comunque
niente, non ho nulla da dire in merito a
questo capitolo.
Faccio
un po’ la lecchina e vi ringrazio tutti,
come al solito. Grazie mille a tutti!
Ps:
la ff, ha raggiunto le 500e passa visualizzazioni!!
Thank you! ♥
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Capitolo 11 *** Capitolo undici. ***
Capitolo
undici.
Le
settimane volavano, nel vero senso della parola. Non capiva
più quanto tempo
era passato dall’ultima volta che era triste,
perché aveva smesso di esserlo, in
modo definitivo. Aveva scoperto che provare ad essere felice era anche
meglio
del fingere di esserlo. Infondo cosa aveva da perdere? Non si sarebbe
pentita
un giorno di essere stata felice, piuttosto di non esserlo stata.
Mancava poco
all’inizio di agosto, mese in cui May doveva fare le valigie
e tornare in
Inghilterra per via dei test d’ammissione
all’università. Le venivano i crampi
allo stomaco se solo ci pensava. Non voleva lasciare quel posto. Non
ora che
finalmente si definiva stabile, non
ora che aveva fatto chiarezza su quello che provava/che voleva provare.
Non
voleva lasciare quel posto perché, ancora una volta, si era
dimostrato
portatore di sorprese: Jay, Tom, Sofia
ed Oliver.
Quel
pomeriggio caldo di fine luglio, May non era andata al mare. In
realtà non ci
andava mai perché non le piaceva molto il sale che si
attaccava alla sua pelle
e la sabbia, odiava la sabbia, davvero, quindi mentre gli altri due
erano
andati a lei era toccato restare lì a badare alla tenuta.
Non la disturbava
ovviamente, almeno c’era pace e tranquillità,
visto che tutte famiglie, alle
tre di pomeriggio stavano in giro.
Il
bancone era tutto suo, mentre giocava con un video gioco che Jay le
aveva
prestato da poco. Era uno in cui doveva far volare un draghetto
viola… Spyro.
Dannazione, era difficile. Perché
non saliva su quella montagnetta? Lo stava facendo planare bene e stava
rispettando quello che aveva imparato nel livello
precedente… l’uno. Okay, non
era portata per queste cose… Videogiochi.
Si grattò il mento, mentre arricciava le labbra e provava a
ripetere il
livello, visto che aveva terminato già le vite. Come poteva
Jay averlo già
finito? Si annoiava davvero tanto.
«Posso?»
Chiese Tom, schiarendosi la voce. May riconobbe la voce, subito e
alzò le
sopracciglia di colpo, senza però sollevare lo sguardo dal
gioco.
«Vedila
come ti pare.» Si morse l’interno della guancia.
Era arrabbiata, era normale
che gli rispondesse così. Si aspettava semplicemente di
essere perdonato come
se nulla fosse? Le aveva messo le mani sopra, dentro la sua maglietta e
non
importava quanto le sue intenzioni non fossero state cattive,
dannazione… Lei
c’era stata male, perché di Tom Parker, si fidava
più o meno.
«Parliamo!»
Fece lui, sedendosi di fronte a lei.
«Parliamo
un cazzo, Tom! Non ho niente da dirti. » Fece lei in
risposta, mentre solo ora
le sue iridi verdi, incontravano quelle castane del ragazzo.
«Sei
scorretta, May!» Fece lui, alzando il tono della voce, ma
solo di una tacca.
Non era di certo lì per litigare e ne aveva già
parlato con Jay, più o meno.
«Ti
prego, Tom! No. Non venirmi a dire che sono scorretta. Sarei stata
scorretta se
avessi chiesto un ordine restrittivo per tentato stupro nei tuoi
confronti,
scorretta se avessi detto ad Oliver cosa mi hai fatto, facendo buttare
fuori te
e i tuoi amici da qui dentro. Sarei stata scorretta se mi fossi fatta
vedere da
te durante questo periodo, ma no, Tom. Qui quella scorretta non sono
io. Sei
tu!» Disse, puntandogli il dito contro, mentre lo guardava
con lo sguardo
assottigliato e la bocca una linea continua. Era arrabbiata,
sì, e non poco. Lo
era abbastanza. Ma non solo per quello che quella notte era successo,
no… Era
arrabbiata per tutte le cose che erano successo e che solo una
settimana fa
aveva metabolizzato. Andiamo, perché non si era accorta che
la stava portando
ad un punto morto del tutto? Era stata una stupida, e non come quando
le
ragazzine si prendono in giro per le cottarelle immature che vengono
alle
superiori, no… Era stata una stupida come lo era
un’adulta che commetteva due
volte lo stesso errore. Due volte!! Si era fatta mettere nei casini una
volta,
a Londra, e si era fatta rimettere nei casini, dalla stessa persona
anche a
Valencia. Le abitudini erano dure a morire. Aveva passato tutto il
tempo a
pensare a cosa fare e cosa dire a Tom ed ora ce l'aveva davanti, che
chiedeva
di parlare con lei. Organizzò bene un discorso, mentre lui
la guardava,
cercando anch’esso di capire cosa dire.
«Lo
so,
non c’è bisogno di dirmi che… ho fatto
una cazzata, lo so. – Fece lui,
passandosi una mano tra i capelli, mentre provava a dire qualcosa che
potesse
sistemare quella situazione. – Però cazzo! Non
è solo colpa mia. Tu hai le tue
colpe.»
May
incrociò
le braccia al petto, osservando il ragazzo davanti a se, ponderando su
quello
che aveva detto. Effettivamente lo sapeva anche lei che era anche colpa
sua.
«Tu mi baci. Non una volta, May, non due, ma tre volte!
Secondo te una persona
cosa deve capire? Perché ti prego, queste cose non si fanno.
E lo so che sei
confusa… O hai sempre la convinzione che i casini li passi
solo tu? Anche a me
hai confuso. Non sapevo più cosa valesse di più
tra te e Jay. E per un secondo,
per un secondo ho pure pensato di mandare un’amicizia di
cinque anni al vento,
pur di rivendicarti mia.» sembrava quasi un racconto, quindi
May stette zitta e
rimase ad ascoltarlo. «Ma no, May… Sei una persona
difficile e io non ci so
fare con le persone difficili e sinceramente parlando preferisco il mio
amico
Jay a te, non fartene una colpa, ma non vado sul sicuro con te, mentre
con lui
sì.» Concluse Tom. Allora era solo di questo che
voleva parlare. Era stata una
stupida a pensare che volesse anche solo dirle di dargli una seconda
opportunità. Stupida. Rimase in silenzio, mentre si
preparava un altro
discorso, perché quello di prima non si poteva fare al
momento, visto che Tom
l’aveva colta alla sprovvista mettendola direttamente nelle
mani di Jay. Non ci
poteva credere che aveva anche solo tentato di rovinare
l’amicizia che c’era
tra i due. Onestamente parlando i cinque ragazzi sembravano piuttosto
uniti,
tutti tra loro e lei non poteva sentirsi in diritto di giocare a
dividerli.
Avevano un sogno in comune, questo glielo aveva raccontato Jay e
dividerli era
davvero l’ultima cosa che voleva fare.
«Ti
chiedo scusa… Per tutto, Tom. – Fece May, saltando
giù dallo sgabello, mentre
si mordeva un labbro. – Per averti fatto passare per una
persona che non sei,
per averti presentato una me che non sono, per aver provato a metterti,
involontariamente, contro Jay. Pure se ti ho fatto sentire male, se
l’ho mai
fatto.» Tom annuì, perché
sì, era stato male per lei. Era stato male a causa
sua. Perché se lei si era presentata come una persona che
non era, Tom si era
presentato come un maniaco in cerca di attenzioni che non era. E forse
era
davvero interessato a May, ma non a questo prezzo. Non a quello di
perdere Jay,
non a quello di sembrare una persona che non era. Era stato male
perché per due
volte era passato in secondo piano contro una persona alla quale voleva
bene,
era una persona che giudicava alla sua altezza, Jay. Tom non aveva
niente in
più di Jay e Jay, a sua volta, non aveva niente in
più di Tom. Erano due
persone molto simili e May Sommers aveva fatto cadere tutte queste
convinzioni.
Non è facile, un giorno, doversi svegliare e dover
rincominciare da zero a
credere in te stesso, quando qualcuno ti ha buttato talmente
giù da non poterti
guardare allo specchio. May aveva fatto tanto male a Tom. Aveva smesso
di
credere in se stesso e non c’era cosa peggiore per una
persona. Però
un giorno si era svegliato e aveva
realizzato che tutto andava bene, nonostante tutto. Aveva ancora la sua
integrità… a metà, ma ancora la
possedeva. Doveva solo riprendere a convincersi
che lui andava bene così e che nessuno doveva mettere in
dubbio che lui era
abbastanza. Credeva di essere abbastanza. Aveva sempre soddisfatto i
suoi
canoni di abbastanza Tom. E May, dal canto suo sapeva che il ragazzo
non era
quello che si era dimostrato durante quella vacanza perché
seppur ubriaca,
seppur avendo parlato meno di quindici minuti con lui, sapeva che era
una brava
persona. Aveva un buon senso dell’umorismo, un gran bel
sorriso e un buon
profumo… Erano quelle le cose che ormai contavano. Non
contava più il fatto che
lei in cuor suo non lo aveva scelto…
«Ti
chiedo scusa per averti portato in un triangolo con uno dei tuoi
migliori
amici, non è stata una bella cosa, lo so…
Ma… Come ho detto a Jay, non mi
sembrava vero che qualcuno come voi, fosse interessato a me. Mai
nessuno si è
interessato a me, come voi l’avete fatto… E ho
avuto due ragazzi, in tutta la
mia vita… Voi siete così… perfetti,
Tom. – Fece, serrando le labbra. Forse stava dicendo qualcosa
in più, ma queste
erano le scuse più sentite che avesse mai fatto. Le sentiva
davvero, si sentiva
cattiva per aver fatto una cosa del genere ad una persona che adesso le
sembrava così piccola. – Mi scuso per
tutto.» Concluse. Forse Tom si aspettava
qualcosa di più, ma pensava di essere stata abbastanza
chiara su tutto.
«Puoi
dirmelo, così mi metto seriamente l’anima in
pace?» Chiese il ragazzo,
guardandola. May alzò un sopracciglio, non capendo cosa
stesse dicendo.
«Cosa?»
«Puoi
dirmi che non hai scelto me? – ripetè,
guardandola. – Così la smetto di…
provare a crederci anche solamente.» May sentì un
groppo salire nella gola,
mentre lui le chiedeva quella conferma.
«No,
Tom…
Non ho scelto te.» Sussurrò quasi. E quello per il
ragazzo fu il momento
peggiore, sentire che non era stato preferito a qualcuno, sentirsi, per
la
prima volta, una ruota di scorta. Sentire le parole morirgli in gola e
aprire
la bocca senza emettere alcun suono. Andava bene così
però. Perché per una
volta aveva parlato chiaramente, per una volta non aveva giocato con i
suoi
sentimenti, come per un mese aveva fatto. Sorrise convinto e
l’abbracciò e lei
ricambiò, stringendolo forte. Non sapeva se aveva scelto
Jay, al suo posto.
Forse stava scegliendo se stessa.
*marti:)*
Sì, cambio ogni volta. Ohhh, allora, questo capitolo
è arrivato più in fretta, no? E dire che lo odio
è poco. Prima di tutto penso che mi sia uscito malissimo, ma
per la prima volta in tutta la storia ho scritto un capitolo di
circostanza. Della serie: speravo di non doverlo scrivere, ma l'ho
fatto perché era una cosa che andava chiarita. I due
dovevano parlare...
Punto due: Ho finalmente fatto un banner, a due capitoli dalla fine,
sì XD. Mi diverto con poco io. E poi sono una fan di
photoshop e non mi è sembrato vero quando sono riuscita a
produrre qualcosa di decente.
Tre: Sì, avete letto bene, manca un capitolo più
epilogo... E' tutto in ballo ancora. La situazione con Jay, intendo...
Dopo questo May e Tom non penso che avranno altre scene assieme se non
una che dura tre secondi nel prossimo capitolo! Tra l'altro non
è ancora scritto, uff. By the way...
Grazie a tutti di cuore per continuare a supportarmi! Siete questa ff.
Love y'all! ♥
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici. ***
We can learn to love again.
-Capitolo dodici.
Ogni giorno che passava May sentiva Jay allontarsi, aveva sempre mille impegni e potevano stare assieme davvero molto poco. Avevano da parlare un pochino di quello che era successo con Tom, visto che la ragazza ancora non gli aveva raccontato nulla e poi nulla, voleva solo vederlo un po', per stare un po' con lui. Avevano deciso di pranzare assieme, quella mezz'ora che May aveva libera la sacrificava volentieri per stare con lui, passò per la cucina e prese un pacco di patatine in busta rossa, e si trovò con Jay e la sua mela verde nel parco davanti all'abitazione. May ci era stata più volte con Sofia, quando ancora non lavorava lì e le faceva compagnia durante la pausa; c'erano le altalene e gli scivoli, ma Jay dava l'impressione di essere troppo grande per fare certe cose. Era un ragazzo molto alto, in confronto alla ragazza, contando che gli arrivava alla spalla. I ragazzi si andarono a sedere sulle altalene, dondolando di tanto in tanto. May si girò a guardarlo, doveva avere una passione per le mele visto che ne mangiava in continuazione anche se non era ora di pranzo. Le piaceva osservare il ragazzo durante i gesti meccanici come quello dell'addentare una mela, faceva una serie di espressioni una dopo l'altra: all'inizio, con presa forte mordeva la mela facendo una faccia strana, quasi la mela non fosse dolce, poi l'allontanava e alzava un sopracciglio, come se fosse sorpreso ogni volta di quanto grande fosse il morso che aveva lasciato, alla fine se la rigirava tra le mani masticando. May non si era mai trovata in una situazione del genere. Aveva sempre la sensazione di voler conoscere quel ragazzo che le dondolava affianco, fremeva dalla voglia di imparare a riconoscere quei gesti meccanici che faceva quando era triste o arrabbiato, quando era annoiato o felice. Aveva imparato che odiava stare al centro, lo faceva sentire imbarazzato e quando era imbarazzato si toccava con fare insistente le braccia attorcigliando le dita, quando doveva dire qualcosa di intelligente o qualcosa a cui aveva pensato per un po' di tempo invece si mordeva il labbro, tirandolo dentro la bocca e si toccava i capelli in continuazione, così per distrarre le persone. Non sapeva davvero se questa voglia di conoscere il ragazzo era una cosa positiva o negativa, perché non si era mai trovata in queste situazioni... Non si era mai interessata per davvero a nessuno a differenza di quanto stava succedendo con Jay che le faceva venire sempre più voglia di conoscere qualcosa in più, per poter dire un giorno: okay, il ragazzo è nervoso perché ha fatto determinati movimenti! Voleva conoscere Jay a tutti i costi. Fremeva di informazioni che sperava arrivassero. Non aveva mai desiderato tanto sentire la voce di qualcuno come quella volta, che qualcuno le parlasse nonostante lo odiasse...
«Io non so molto sul tuo conto. Raccontami.» Fece lei, allora, iniziando una conversazione, osservandolo mentre mordeva la mela, ancora una volta. Effettivamente cosa sapeva di lui? Sapeva che andava in giro con quattro persone che giudicava suoi amici uniti da un sogno comune che era fare musica.
«Nemmeno io so tanto di te.» Rispose lui, girandosi a guardarla. La visiera gli copriva gli occhi dal sole.
«Andiamo, sei il mio stalker personale.» gli fece notare lei, ridendo.
«Okay, facciamo un gioco, ti va?» Un gioco? May annuì, osservando il ragazzo e facendogli un cenno col capo per poterlo far parlare. «A turno, una volta per uno, diremo qualcosa che ci riguarda, così sapremo qualcosa in più. Ah. - aggiunse poi, sorridendole. - Io ho proposto, inizia tu.» May si morse il labbro superiore, con fare di sfida, ridendo successivamente.
«Okay, McGuiness. - Acconsentì. Pensò a qualcosa da dire, doveva essere una cosa stupida, all'inizio. - Il mio colore preferito è il giallo!» Il giallo era per personalità strane, eccentriche e lei in fin dai conti un po' lo era... Aveva un sacco di stranezze con cui fare i conti ogni giorno.
«Giallo, okay... - disse lui, in risposta. - Il mio è l'azzurro. La mia prima volta è stata quando avevo sedici anni.» Fece lui. May abbassò lo sguardo verso terra, mettendo da una parte le patatine, non ne voleva più. Pensava si partisse con le cose stupide, stupide come lei. Prese a dondolarsi. «La mia prima volta non è ancora... stata la prima! - fece, sentì Jay ridere, anche se non alzò lo sguardo. Tamburellò un piede per terra, cercando qualcosa da dire. - Sono stata innamorata una volta sola di un ragazzo che si chiama Nick.»
«Nick... - ripetè. Era come se ne prendesse nota mentalmente. - La mia prima ragazza si chiamava Rachel. Non sono mai stato innamorato veramente.»
«Nick. - ribadii lei. - La mia fissa per Tom arriva perché Tom mi ricorda molto Nick.» Jay alzò un sopracciglio, puntandole lo sguardo sopra. Magari questa cosa non voleva saperla. Magari gli avrebbe fatto male. Questo gioco non stava andando bene o era un'impressione?
«Suono il tamburello e di tanto in tanto la batteria.» Fece lui. Okay, erano passati alle cose più leggere, molto meglio.
«Oh, mi sarebbe piaciuto un sacco sentirti suonare la batteria. - Fece May, sorridendogli. - Io suono il flauto, l'ho imparato quando ero più piccola! Mh, porto gli occhiali da vista!»
«Il flauto, eh?» Accennò ad una risata, guardandola.
«Jay!» Lo riprese lei, guardandolo scandalizzata.
«Scusa, pensavo solo a quanto potresti essere brava! - Fece sorridendo. May socchiuse gli occhi, sorridendo e scuotendo la testa. - Il mio film preferito è Avatar.»
«Smettila Jay, mi metti in imbarazzo! - Il ragazzò si strinse nelle spalle, poi May, a mo' di sfida aggiunse: - Sì, sono brava comunque. La mia canzone preferita è Torn!»
«I'm all out of faith, this is how I feel... - cantò, lui. Ah, la conosceva. Era un passo avanti. - Mi piacciono le mele.»
«Non si direbbe. - Fece lei ridendo. - Ho parlato con Tom.» Perché era il caso. Spostò lo sguardo sulle sue giapponesine gialle, notando solo ora che era il caso di cambiare lo smalto, ormai quello azzurro stava andando via del tutto e non le piaceva avere una parte colorata e l'altra no, la vacanza stava finendo però, quindi magari avrebbe rimandato. Jay si alzò senza dire nulla, andando verso il cestino per buttare il torsolo della mela, aveva gli occhi ridotti ad una fessura per il sole che lo colpiva in faccia, il sole bacia i belli... May rise di sé stessa in quel momento, guardando il ragazzo camminare a grandi passi verso di lei. Si grattò una guancia e poi si sedette vicino a lei, nuovamente sull'altalena.
«Ah, sì?» Aveva saltato il suo turno, ma non disse nulla, si limitò ad annuire con forza, guardandolo ora in viso. «Quindi?» May si grattò la testa, e poi si prese il suo tempo. Mise bene una forcina e infilò dall'altra parte una ciocca di capelli dietro l'orecchio, stringendosi nelle spalle.
«Mi ha fatto una tenerezza non indifferente e ti assicuro che non avrei voluto scegliere, perché lui aveva lo stesso sguardo che avevo io quando Nick non mi chiamò più, eh... Però, se devo fare una scelta tra una persona che mi ricorda la mia ferita più grande - »
«May, prendila con leggerezza, non c'è bisogno di fare un idillio per questa cosa.» Fece Jay, interrompendola.
«Pensa un po', pensavo che nemmeno sapessi cosa significa la parola idillio. - Fece, ridendo. - Comunque scusa, tendo ad esternare un po' troppo i miei sentimenti... Comunque sì, ho scelto...»
«Dunque?»
«Ah. McGuiness, la pazienza è una dote dei capaci!» fece lei, ridendo.
«E questa espressione te la sei appena inventata, perché non esiste!» Ribattè lui, alzando un sopracciglio. Come dirgli che aveva preferito lui a Tom? Non c'era un modo per farlo sembrare bello, perché aveva pur sempre ferito Tom per fare questa scelta ed era seriamente molto in pensiero per lui, perché non poteva sapere come l'aveva presa... Sospirò.
«Non ho scelto nessuno.» Disse infine. «Ho solo preferito la persona che mi ha fatto soffrire di meno, la persona con cui avevo meno ricordi e... semplicemente, Jay, Tom ha troppo di Nick e non mi piace ricordare quel periodo della mia vita, è stato davvero orribile.» Forse davvero non c'era una maniera per non farla sembrare un mostro. Il ragazzo fece una smorfia. Sicuramente anche lui stava pensando alla stessa cosa. Come poteva essere felice di questa scelta se andava a discapito di un suo amico? L'unica cosa che May sapeva era che non avrebbero dovuto imporle una scelta. Era come se stessero assieme ora? Perché lui le aveva dato tutti i segnali. Si era alzato, si era messo davanti a lei e comprendosi la vista con una mano, le porse l'altra. May si alzò, stringendo la mano del ragazzo. Jay fece quel movimento che faceva sempre, tirandola a sè, per abbracciarla. May strinse le braccia al collo del ragazzo, socchiudendo gli occhi. Davvero, era in una bruttissima situazione. Si era presa una cotta per quel ragazzo, ma non poco, troppo. Non si ricordava nemmeno come si facesse ad avere una cotta per una persona, come ci si comportasse. Luke era stato diverso, non era il genere di ragazzo che tutte si aspettavando di avere... e Nick, che non era mai nemmeno stato il suo ragazzo.
«Lo so che te l'ho già detto e rischio di essere ripetitivo, ma andrà tutto bene, ne sono sicuro.» Sussurrò lui, al suo orecchio, facendola sospirare nuovamente, perché non era vero che sarebbe andato tutto bene, lei stava per partire e probabilmente non l'avrebbe mai più visto... E tutto si fece così triste, quando quel pensiero le attraversò il cervello.
*Me against enemies, me against friends.*
Ask Glee. Non lo so perché lo sto citando, solo che mentre scrivevo questo pezzo mi sono messa a cantare questa canzone.
BOOOOM, sorpresa. Un capitolo in più. Mi sono resa conto di non aver mai dedicato un capitolo intero ad un po' di sane risate tra Jay e May, quindi l'ho scritto. Mi sento male perché non capisco se è leggibile o troppo noioso. Dovete volermi bene, perché davvero, questo capitolo è uscito dal nulla, quindi per chi shippa i McSommers, è una piacevole sorpresa... LOL. No, allora.... L'altro è quasi finito, ho dovuto interrompere la stesura perché ho pensato bene di scrivere questo...
Grazie to my Francesca( grofflicious qui su twitter :D ), per la tempestiva betatura, non ci sono errori, mi fido di lei. E nulla....
Bye u.u
Ah, la canzone sopra citata è 'Just give me a reason' che è una canzone di P!nk ft con i Fun. Amatela! ♥
Marti. |
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici. ***
In
another life I
would make you stay.
«Escuchame,
pequenita... - Fece zia Gloria, prendendole il volto tra le mani e
dandole un
bacio sulla fronte, sorridendole. - ti vogliamo bene e ti aspettiamo il
prossimo anno, a Luglio, quando questo nuovo anno sarà
terminato, ti
aspettiamo... Ancora. Como cada anno, vale?»
May
sorrise, con gli occhi lucidi, tirò su col naso e
portò una mano sullo stomaco.
«Grazie per tutto... Vi voglio bene.»
«Andale,
tuo zio non vuole vederti piangere, tiene paura di piangere anche
lui.» May rise,
quando sua zia aggiunse questo particolare. Soprattutto
perché non era molto
corretta come frase e poi aveva un accento bellissimo. Quando suo zio
comparì
davanti alla porta, aprendole la porta per farla passare si rese conto
che
voleva abbracciarlo, almeno una volta, prima di andare così
gli strinse le
braccia sul busto, ricacciando le lacrime giù,
perché 'tiene paura di piangere
anche lui.' L'uomo
ricambiò l'abbraccio e senza dire niente, poi si
separò dalla nipote e la
lasciò passare. Sofia l'aspettava con ai piedi la sua
valigia. L'avrebbe anche
accompagnata all'aeroporto. Sarebbe finita proprio com’era
iniziata, loro due.
«Passiamo
prima a salutare Oliver, no?» Chiese May, mettendosi la
cintura.
«Perché
abbiamo fatto tutta l'estate in pullman per andare a lavoro se io guido
ormai
da un anno?» Chiese Sofia, facendo ridere May.
«Sì, andiamo a salutare Oliver.»
«Okay!»
Girò il viso, lasciando che sua cugina parlasse senza
ascoltarla veramente.
Qualche giorno prima lei e Jay avevano deciso che terminare la pseudo
relazione
estiva, perché sarebbero stati lontani per molto tempo e
nessuno dei due se la
sentiva di mandare avanti una relazione a distanza. Almeno si erano
trovati a
concordare su questa cosa, quindi un abbraccio e i due avevano mandato
vana
un'intera estate. Ma andava bene così, perché
davvero una relazione a distanza
non sarebbe stata facile. E poi magari lui avrebbe fatto successo, i
tour
sarebbero iniziati e lei sarebbe stata sempre più sola che
con lui. Quando si
sarebbero visti? Perciò era sempre più contenta
di questa sua decisione. Faceva
male, perché aveva finalmente scoperto quanto fosse felice
la felicità e quanto
fosse bello avere qualcuno a stringerti la mano durante le uscite.
Quanto fosse
bello parlare con una persona che non si stancava mai di ascoltarti, ma
soprattutto quanto fosse confortante avere affianco una persona che non
ti
obbligava a parlare anche se ti vedeva giù di morale. Jay
aveva imparato a
parlare con May, sapeva, quando poteva farlo e quando no... Forse per
questo
May avrebbe voluto mandare a puttane l'idea della laurea - o magari
posticiparla - solo per stare ancora un po' con lui. Ma questo non
sarebbe
cambiato agli inizi di settembre. Loro avrebbero aperto concerti,
conosciuto
gente famosa e mentre lei avrebbe perso un anno buono, lui avrebbe
fatto
qualcosa di costruttivo. E sì, sapeva che era una
grandissima egoista, ma
sapeva bene che lei veniva prima di tutti. Jay non aveva detto niente,
aveva
solo annuito durante il discorso fatto da May e aggiunto un semplice:
hai
ragione, è meglio così. E così avevano
smesso di sentirsi, parlarsi e
rivolgersi quegli sguardi pieni d'intesa che erano iniziati nella
stanza di
Tom, il secondo giorno che si erano visti. May e Jay erano
più di due semplici
persone che uscivano assieme. Avevano passato momenti che li aveva
avvicinati
talmente tanto da pensare di essere fatti per stare assieme, momenti
che li
aveva resi complici di qualcosa che solo loro conoscevano nella loro
perfetta
bolla gialla. Peccato che May non credeva a tutte quelle stronzate e
anche Jay
aveva dimostrato di non crederci, e puff, la bolla era scoppiata in
faccia ai
due ragazzi che erano tornati alla loro precedente vita, quella che
avevano
prima di avvicinarsi tanto.
May
aveva
dovuto dimenticare tante cose, o meglio, far finta di dimenticare tante
cose.
La sensazione che si provava, quando lui le scriveva i messaggi
più stupidi,
solo per farla sorridere, aveva dovuto fingere di dimenticarsi Mr.Sun a
casa,
cosa provava ad ogni sfioramento e addirittura aveva provato a
togliersi dal
naso l'odore del dopobarba di Jay, quello che alla fine non le piaceva
tanto,
perché prediligeva gli odori leggeri... Mentiva a se stessa,
mentiva ogni
giorno ripetendosi che stava bene, ricordandosi che aveva mille altre
cose a
cui pensare, mentiva pensando che magari avrebbe potuto parlare con
Luke o
addirittura cercare Nick, mentiva pensando che c'erano altre ventimila
persone
sulla faccia della terra come Jay. Mentiva e basta, mentiva per non
stare male
e piano piano, si mentiva, pensando che stava funzionando.
E in
pochi minuti l'auto era parcheggiata davanti allo stabilimento e Sofia
le
porgeva un sorriso, scendendo dall'auto. Sorrideva anche lei, May,
perché aveva
un sacco di bei ricordi al momento legati a quella 'casa': Tom, le liti
con
Oliver, Sofia, Nathan, Carrer de Barcelona, Siva, Max, Movida... Jay.
Sospirò e
si fece forza, come al solito.
«Oliver!»
Lo chiamò May con forza, vedendolo comparire da sotto il
bancone poco dopo.
«Che diavo-.. No, forse non voglio saperle certe cose. -
Disse May ridendo. Si
avvicinò buttandogli le braccia al collo. - Grazie per
tutto, Oliver. Per ogni
seconda, terza, quarta opportunità. Grazie. - fece,
sorridendo contro il suo
orecchio. - ah... attenzione, se fai del male a Sofia ti spezzo ogni
ossicino
che hai in quest'esile corpicino.»
«Figurati,
May! Ti voglio bene anch'io e ti aspetto l'anno prossimo!»
Rispose lui, ridendo
e forse un po' impaurito. May scherzava... Forse. Non appena si
staccò dal
ragazzo, si guardò intorno.
«Vai.»
Ordinò
Sofia, guardandola. Aveva capito tutto. «Salutali tutti e
dì quanto sei stata
bene. Sii educata.»
«Sì,
mamma.»
*
May
vagò
lungo l'andito, alla ricerca delle stanze dei ragazzi. Alla ricerca di
quella
di Jay, no... Tom! Nathan!
«Ehy!»
Salutò lei, allegra.
«Ciao
May! Come stai?» Chiese il ragazzo, ricambiando il sorriso.
«Oh,
bene
grazie... Stavo passando a salutare, sto andando via.» May
piegò la bocca in
una smorfia, guardando Nathan, mentre si torturava le mani.
«Okay,
allora buon viaggio, tante care cose.» Cos'era questo tono?
Lei non aveva mai
fatto niente a Nathan, okay, forse aveva fatto qualcosa da quando era
arrivata
ma non a lui. Perché la trattava così?
«Grazie...»
Rispose incerta, però.
«May,
non
vorrà parlare con te... Lasciagli il suo tempo,
perché mentre tu credi che a
lui questa situazione sta bene, questa cosa non lo lascia in pace.
Voglio il
meglio per lui. Non voglio che stia male ulteriormente solo
perché sei così
egocentrica da volerlo salutare. - Fece lui, alzando le sopracciglia.
Aveva
ragione... Ma come dirgli che Jay le mancava talmente tanto da voler
rimandare
tutto solo per stare ancora un po' con lui. Come dirgli che stava
perdendo la
costanza di credere in se stessa perché l'unica persona che
lo faceva per
davvero l'aveva lasciata andare. - Io non ce l'ho con te, May. Ti sto
chiedendo
un favore personale.»
«Ciao
Nathan, prenditi cura di lui.» Fece lei, ricacciando ancora
giù quelle lacrime
amare.
«Grazie
May. Buon proseguimento e sarà fatto.»
E
allora
andò avanti, lasciandosi Nathan alle spalle. Se non parlava
con Jay, avrebbe
parlato con Tom. Perché anche Tom faceva parte della sua
vita, una vita
precedente, ovviamente. Bussò alla porta, con le nocche,
producendo un rumore
piacevole. Aspettò, staccandosi dalla porta. Tom rimase ad
osservarla, non
appena se la trovò davanti, incapace di dire qualcosa di
realmente sensato.
«Ciao
Tom... - Allora provò lei, armandosi di tutto il coraggio
che aveva, - Sono
passata a salutarti. Eh, mh... Vado via tra... - E poi
scoppiò a piangere. Non scoppiò
in tutti i sensi, perché sentì solamente
scenderle dagli occhi, ma non fece
nessun rumore in più, anzi... - non lo so, tre ore forse...
E volevo dirti che
mi mancherai e che... ti ringrazio per quest'estate bella o brutta che
sia.»
Col dorso della mano si asciugò le lacrime,
soffiò sputando un po' d'aria che
aveva in corpo e alzò gli occhi al cielo, tirando su col
naso.
«Buon
viaggio, May... Mi ha fatto piacere rincontrarti.» Fece lui
sorridendo,
avvicinandosi per abbracciarla. May scoppiò in una risata
nervosa. Anche a lei
aveva fatto piacere conoscerlo. Nonostante tutto. Ricambiò
l'abbraccio,
sorridendo anch'essa.
«Non
fare
casini Parker. Almeno, non senza di me. Okay?» Gli
sussurrò.
«Promesso!»
Rispose lui ridendo. La ragazza si allontanò dal ragazzo,
sorridendo. «May,
stai su. Sei più forte di tutto.»
«Anche
tu, Tom. Ricordati.»
Il
ragazzo annuì e May gli fece un altro sorriso, asciugandosi
le lacrime che
continuavano a scendere ma che per fortuna si erano calmate ora.
*
«Hai
parlato con Jay?» Chiese Sofia, guidando verso
l’aeroporto, May si morse il
labbro, guardando fuori dalla finestra mentre ogni pensiero era
concentrato su
quello che stava vedendo… o meglio, su quello a cui non
voleva pensare.
«No.»
«Perché
no?» Chiese allora, paziente.
«Perché
ho incontrato Nathan nella hall e mi chiesto come favore persona di non
parlare
con Jay e abbiamo concordato che è stato meglio
così.» Fece May, grattandosi la
fronte.
«Sai
perché hai concordato con quel ragazzo, che tra parentesi
sembra davvero Sid de la era glacial, perché sei una
codarda e avevi una paura boia di
parlare con Jay. Ma tranquilla, May… adesso che tornerai a
casa non ci parlerai
mai più, forse, e starai bene.» Sofia
parcheggiò davanti all’entrata
dell’aeroporto, scendendo dalla macchina. Aprì il
cofano prendendo la valigia
di May che nel frattempo scese dall’auto. Probabilmente era
vero, lei era
partita con la cosa che con Jay non ci voleva parlare e così
le era andato bene
ciò che le disse Nathan.
«Grazie»
disse poi, prendendo di mano la valigia a Sofia, che le fece un sorriso
di
cortesia. Non poteva davvero essere arrabbiata con lei per quella
ragione, non
oggi che se ne andava. Dovevano abbracciarsi e dirsi quanto, a vicenda,
si
sarebbero mancate non portare il muso come una specie di trofeo. May
non voleva
rovinare del tutto quella vacanza, era già, in parte, andata
male. «Sofia, sono
affari miei se parlo o no con Jay, se non ci parlerò mai
più, se ho ascoltato
Nathan solo per fare un piacere a me stessa, se sono egoista o no nei
confronti
del mondo… Non tuoi, okay? Se vuoi smettere di parlarmi,
fallo perché ti ho
rotto un vestito o un fermacapelli, ma non per questo.» May
prese a camminare
senza che la ragazza le rispondesse o che ne avesse il tempo e si
andò a sedere
davanti al tabellone degli orari, infilando le cuffie che le avevano
fatto
compagnia durante le notti insonne, quando tutto andava a puttane e
iniziò a
muovere la testa a ritmo, com’era solito fare mentre
osservava la gente passare
davanti a lei. Sofia le si sedette affianco e poggiò la
testa sulla sua spalla,
era tutto di nuovo come prima come se non avessero mai litigato, era
meglio
così, effettivamente, May aveva bisogno di lei.
I
secondi, i minuti, passarono e così l’ora che
doveva aspettare prima di
prendere l’aereo, senza mai dire niente, tornava la stessa
ragazza che era
prima, così non avrebbe sofferto troppo intensamente.
Sentì l’altoparlante
chiamare il suo volo: Londra. Scostò gentilmente Sofia e si
tolse le cuffie.
«Grazie
per tutto, Sofia. Sei... – May lasciò che la voce
le tremasse un po’, perché
lei era la sua fedele compagna di viaggio, tutto quello che una persona
poteva
desiderare di avere affianco. Oliver era fortunato a stare con lei, a
starle
intorno ogni giorno. - …Grazie, Sofia.» Concluse
perché non sapeva cosa dire
effettivamente, mentre quegli occhioni la osservavano. Sofia la cinse
in un
abbraccio, mentre anche le sue lacrime scendevano.
«Chiamami
su Skype appena arrivi, ti voglio bene.» May annuì
e inizio a mettersi in fila
per lasciare quel posto, dispersa tra gli altri turisti, fu
lì che lo vide, fu
lì che il suo cuore passò all’altra
parte e le causò un arresto cardiaco quasi…
Jay si faceva spazio tra la folla, la stava cercando, forse, per
parlarle. Si
guardò intorno, ancora, Nathan dietro di lui che lo
inseguiva, assieme a Tom,
Max, Siva ed Oliver che doveva averli accompagnati, chiudendo per un
po’ il
posto. May uscì dalla folla in cui era imprigionata,
trovandosi fuori
aspettando che Jay le andasse incontro, si piegò sulle
ginocchia perché aveva
il fiatone. Era stata una lunga corsa.
«Non
sei
passata a salutare, May.» Disse lui, mettendosi di nuovo in
posizione eretta.
«Ho
convenuto non fosse necessario… Ho salutato Nathan, ti
avrebbe passato i miei
saluti, ne sono sicura.» Fece lei, sorridendo
malinconicamente il ragazzo che
non aveva un cappellino quel giorno, ma i capelli al vento che al
momento non
c’era…
«May…
mi
dispiace tanto, per tutto… Ma non lasciarmi qui, da
solo…» Fece il ragazzo,
guardandola, respirando a fatica e con la bocca. «Cazzo...
– si passò una mano
tra i capelli, smuovendoli. – Cazzo. Le relazioni a distanza
non funzionano,
non me n’è mai importato un cazzo e sono sempre
stato del parere che non
durassero, le trovavo per sfigati… Ma adesso io voglio stare
con te… May…» May
si morse l’interno della guancia, non sapendo cosa dire,
guardando il ragazzo.
«Jay,
non
è niente di buono, tu non sai com’è
essere me…» Iniziò la ragazza, ma
l’altro
la interruppe.
«No,
io
non so com’è essere te, May. Io non allontano le
persone di proposito solo per
provare quanto sono scortese, solo per mantenere viva una fottuta
reputazione
che, fattelo dire, fa schifo. Io amo parlare con la gente, fanculo se
non mi
ascoltano, sai cosa me ne importa. Fanculo se la gente non ci
ascolterà
cantare, chi se ne importa, a noi piace farlo… E non mi dire
che non ti è
piaciuto parlare con me, perché non ci credo,
perché è sempre bello parlare con
qualcuno, quindi vaffanculo May, perché io, ora, ti sto
chiedendo di provare a
parlare con me, di restare…»
«Jay…
io…
Ho l’università…»
Provò lei. Aveva ragione Sofia era una codarda, ma di quelle
paurose, di quelle che si preservavano il diritto di vivere solo
perché
pensavano di aver fatto qualcosa di brutto in una vita passata e di non
meritarlo. Lei era la cogliona per eccellenza, perché quando
guardava quegli
occhi tanto gentili di Jay che al momento le chiedevano di stare con
lui,
l’unica cosa che le era uscita dalla bocca era: ‘ho
l’università’.
«Fanculo,
May. Ho buttato un’estate!» Fece lui, guardandola.
Non si ricordava più com’era
rivivere in tranquillità con qualcuno che ti rendeva felice
affianco? Non si
ricordava più la felicità nel sapere che qualcuno
l’accettava per quello che
era… Che poteva essere anche la regina delle stronze che Jay
le avrebbe voluto
bene lo stesso, per quello che era… Lui aveva detto che
aveva sprecato
un’estate con lei e queste parole fecero male…
Molto più di quando, per comune
accordo, decisero di concludere la pseudo relazione che si era creata
tra di
loro… Si sentiva uno schifo! Tutto quello che aveva
costruito era crollato come
fosse un castello di carte in mano ad un bambino e, ancora una volta,
era tutta
colpa sua. C’era stata qualcosa, durante quella vacanza, che
non fosse accaduta
per colpa sua? Niente, si era cercata tutte le situazioni e poi si era
trovata
a piangere per quella ragione. Jay le voltò le spalle,
tornando indietro da
dove era arrivato, tornando dai suoi amici che lo avrebbero sempre
appoggiato,
voltando le spalle alla sua ‘rovina-estati’
bionda. Sofia, in piedi, la osservava. Aveva riconosciuto quello
sguardo. Era
lo stesso di quando Nick non si era fatto più sentire e lei,
in mille pezzi,
glielo aveva raccontato in webcam. Era lo stesso di quando aveva
realizzato che
Tom alla fine non era la persona giusta per lei… Le fece un
cenno col capo,
sperando che capisse. May socchiuse gli occhi e deglutì.
«Aspetta,
Jay.» Lo disse talmente ad alta voce che anche qualcun altro
la sentì e si
girò. Ma quella era paura. Paura di poter perdere, come
sempre, tutto da un
momento all’altro. Stava perdendo Jay e perdere Jay era come
perdere tutto ciò
che non aveva ma che poteva avere e non c’era nulla che ti
faceva stare peggio
di quando perdevi qualcosa che non avevi. Come quando pensi al concerto
a cui
non potrai mai andare e che hai perso. Hai perso qualcosa che non
potevi avere
e ti ha fatto male il doppio.
«Ho
aspettato quasi tre mesi, May…» Il ragazzo si
girò, era una scena molto
teatrale, effettivamente e la gente di tanto in tanto si girava a
guardarli.
«Io
devo
andare Jay… Non puoi chiedermi di saltare un anno di
università per stare qui…
E poi, quando tu avrai finito la promozione del probabile disco qui e
dovrai
andare via io cosa farò? Cosa farò quando
vedrò le tue foto bello sorridente
mentre baci una persona che non sono io? Cosa farò quando
sarai dall’altra
parte del globo e io dovrò guardarti dalla tv? Se hai una
situazione per tutti
questi problemi, Jay, allora c’è una speranza per
noi… E io sarò ben lieta di
ascoltarla e seguirla alla lettera, perché
anch’io, al contrario di quanto
pensi, ho puntato tutta la mia estate su di te e me.» Disse
May, guardandolo.
Era uno dei discorsi più lunghi che avesse mai fatto. Jay si
dondolò sulle
gambe.
«No,
May…
Non c’è una soluzione…»
Rispose lui, solamente, facendo rattristare lei ancora
di più. Nemmeno lui aveva una soluzione, forse, quella
storia non doveva
sussistere e basta. Il volo venne richiamato e lei doveva andare via,
non c’erano
soluzioni… Doveva andare.
«Ciao,
Jay. Salutami Tom e gli altri… E dì a Nathan di
mantenere la promessa. »
«Che
promessa?» Chiese il ragazzo, correndole incontro, nuovamente.
«Non
ho
tempo, devo andare.» Rispose invece lei guardandolo. Si
tirò la tracolla
davanti e fece un cenno con la mano. Jay deglutì, guardando
tutto sparire in un
secondo, fece un passo avanti… Era un fottuto tira e molla e
questo era molto
noioso e soprattutto faceva più male di quanto May avesse
mai potuto immaginare.
E anche Jay. Ma questa era probabilmente l’ultima volta che
la vedeva e voleva
provarci del tutto… E le aveva dato un unico motivo per
provare ed era lui. Si
avvicinò ancora una volta, solo
una, tra la fila che cominciava a formarsi e la girò verso
di se, non
aspettando niente, assolutamente niente, baciandola sulle labbra,
facendole
sentire tutto quello che sentiva.
*ciao!*
Ciao,
prima di tutto… Secondo di tutto mi scuso per il ritardo, la
scuola è iniziata
da una settimana circa e io sto già morendo sotto tutti gli
appunti che sto
prendendo, lentamente anche di noia, sì. BTW. Ecco il
dodicesimo capitolo…
Dovete assolutamente scusarmi per la lunghezza di questo capitolo,
sarò
estremamente noiosa ma dovevo raccontare determinate cose,
scusatemi… C’è
taaaanto May+Jay,
May+Nathan, May+Tom, May+Sofia&Oliver.
Non me ne
vogliate. Ehhhh, nulla. Vi ho lasciato sulle spine, eh? Lo scoprirete
nell’ultimissima
parte di questa FF, che giunge davvero al termine…
Love
u
all, tutti quelli che mi seguono ogni aggiornamento e che non si
stancano mai
del mio continuo blaterare… Siete voi questa FF. Marti.
♥
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Capitolo 14 *** Epilogo. ***
Epilogo.
May era tornata a casa
da
circa due settimane, con settembre appena iniziato, passava le sue
giornate con
la testa sui libri, cercando di memorizzare quanto più
vocaboli possibili, in
modo tale da non fallire il test d’ammissione
all’università che aveva scelto a
undici anni. Si era anche ammalata di ritorno dalla Spagna, la madre ci
aveva
scherzato su, dicendo che il suo corpo si rifiutava di stare a casa, ma
non
sapeva che effettivamente poteva essere così. Jay, era uno
di quei ricordi che
si sarebbe tenuta per sé, con fare egoistico, per non
dividerlo con nessuno.
Quei ricordi erano i suoi, solo i
suoi e non si sentiva di condividerli con nessuno. Tre giorni dopo
ricevette
l’invito ad una festa. Ci pensò molto…
Non voleva perdersela, ma ormai non era
più quel tipo di persona. May Sommers era cambiata in due
mesi. O meglio, il
cambiamento stava avvenendo lentamente, ma stava arrivando. Aveva
iniziato a
studiare in biblioteca e aveva incontrato Finn, un ragazzo gay, che
diventò
subito suo amico. Se qualcuno era suo amico, allora le cose stavano
cambiando.
Non c’era un
giorno che
non pensasse a Sofia. Non c’era un giorno che passava che non
pensava a come
stesse Jay.
L’otto
settembre aveva
fatto il test d’ammissione. Si era svegliata con un grosso
mal di testa. La
ragazza era una di quelle che credeva nel destino o cose del genere,
perciò si
convinse che non l’avrebbe passato. I giorni passavano con la
famiglia Sommers,
che a turno controllavano la cassetta delle lettere, aspettando quella
giusta,
ma arrivavano solo bollette. Bollette del
gas, bollette dell’acqua, bollette della luce…
Tra un po’, sarebbero
arrivate anche le bollette dell’aria che respiravano. Ma non
si lamentava,
anzi. Passava i suoi pomeriggi con Finn, che aveva scoperto frequentare
il
secondo anno nella sua stessa università. Il ragazzo la
faceva sentire
accettata, si accettavano a vicenda.
Era altissimo, un gigante, quasi... Due metri sarebbero stati
esagerati, ma al
metro e novanta ci arrivava. Ben piazzato di spalle e le lentiggini. Ed
era suo amico. Non poteva essere
più felice.
Poi la lettera
arrivò e
May scoprì di aver passato quel test. I suoi genitori erano
così orgogliosi di
lei e lo sarebbe stato anche Jay. E Tom. Tom le aveva detto che lei era
la
migliore di tutti… Anche lui credeva in lei. Finn le chiese
di uscire, per
andare a festeggiare.
«Non mi hai
mai raccontato
della tua vacanza in Spagna.» Fece il ragazzo, guardandola,
mentre sorseggiava
il suo drink.
«Ho
conosciuto due
ragazzi. Si chiamano Jay e Tom… Sono stati importanti,
voglio bene ad entrambi
e… ci siamo divertiti,
sì.» Divertiti
era un parolone, si erano scannati, mezzi stuprati, presi a pugni,
scelti,
allontananti, salutati… In fin dai conti, May non poteva
proprio lamentarsi,
aveva vissuto un’estate piena di ricordi che si sarebbe
portata dietro per il
resto della sua vita… Ah, la sua vita!
«May
Annabeth Sommers…
Andiamo! Sono tuo amico… Perché non mi
racconti?» Chiese il ragazzo disperato.
May si strinse nelle spalle e gli sorrise, iniziando a raccontare per
filo e
per segno ciò che le era successo durante
quell’estate. Era la terza volta che
May si sentiva compresa ed ascoltata. Era la terza volta che qualcuno
le
chiedeva di parlare, per starla a sentire… Era la terza
volta che trovava un
amico sincero. May non poterò fare a meno di sentirsi felice.
*
Le settimane
all’università volavano, così come i
primi mesi. Settembre ed Ottobre non
lasciarono nemmeno i segni del loro passaggio, fu Novembre a fare il
tempo più
freddo, portando le piogge sempre più pesanti. Ironia della
sorte May odiava la
pioggia. Novembre era scuro. Novembre le avrebbe portato diciannove
anni. Novembre passava veloce,
così
come le goccioline scivolavano su un vetro ormai appannato, in un
battito di
ciglia era già il ventidue
novembre,
il giorno del suo compleanno. Sospirò, quando sua madre le
cantò la canzoncina.
Si era rifiutata di avere una festa in grazia di Dio, aveva solo da
studiare.
La signora Sommers però si era rifiutata di lasciare che la
figlia non avesse
una festa decente e d’accordo con Finn si mise ad organizzare
qualcosina già
dagli inizi di Novembre, così da avere tutto il tempo di
organizzarsi e
dividersi le cose da fare. Finn fremeva. Adorava fare questo genere di
cose e
poi aveva incanalato alla perfezione lo stile di May. Tutto doveva
essere
giallo e… silenzioso. Diavolo, no! Non aveva capito un
cavolo dello stile della
ragazza. Aveva un modo molto lavativo di vestirsi e non badava
assolutamente
alla concordanza dei colori. La signora si occupò del posto:
affittò una sala
abbastanza grande incorporata ad una chiesetta fuori città
mentre Finn degli
invitati e la cosa da mangiare. Sarebbe stata una festa da urlo, anche
se May
avrebbe dato di matto, conoscendola almeno un po’.
Alle otto e mezza del
ventidue novembre, la signora Sommers chiamò a gran voce sua
figlia, facendola
preoccupare e dicendo che la nonna stava male e si doveva correre a
casa sua.
Un espediente come un altro. Ovviamente lei non si oppose, adorava sua
nonna
nonostante questa le desse sempre troppo da mangiare.
«Casa di
nonna era
dall’altra parte della strada, mamma.»
«Sei troppo
intelligente
per non aver capito nulla.» La ammonì la donna,
guardandola. Rimproverandola.
«Ti sto
dando
un’opportunità per riportarmi a casa.»
Rispose dunque May.
«No,
tesoro…» Rispose
facendo un cenno negativo con la testa e sorridendole stancamente, come
sempre.
May sbuffò. Avrebbe ammazzato sia sua madre sia il complice
che la salutava con
un sorriso stampato in volto.
«Arrivederci,
signora S.»
Salutò Finn. La “signora S.”
mosse la
mano salutandolo e tornando da dove era arrivata.
«Oh, Finn
Carrol, ti
ammazzo. E ti ammazzerò così lentamente che mi
chiederai pietà per farti
cessare di soffrire.» Fece May, avvicinandosi a lui,
minacciosa puntandogli un
dito contro.
«Calmina tigre!» Le disse lui,
guardandola. «Andrà bene. Ho anche
chiamato una band per suonare alla tua festa, dovrebbero arrivare un
poco più
tardi, però…»
«Seh, seh.
Ti odio lo
stesso e ho fame.»
*
«Sono in
ritardo.» Disse
May, guardando l’amico, seduta su una sedia, mentre osservava
la gente
muoversi, ballare e divertirsi alla sua festa.
«Chi,
tesoro?» Chiese
Finn.
«Come chi?
La band. Mica
possiamo ancora utilizzare lo stereo. Quanto dovrà pagare
mia madre di
corrente?»
«Dannazione,
se tua madre
mi avesse avvisato che - » Il suo discorso si interruppe
perché, suonarono alla
porta. « - non ho finito, ovviamente, aspettami.»
May sbuffò ancora,
guardandolo allontanarsi ed aprire la porta ad altra gente. Per un
secondo
aveva pure sperato che fosse la band tanto attesa. Chissà
quali sfigati avevano
raccattato in meno di venti giorni. Non poteva essere una band famosa e
poi non
si era nemmeno mai confidata con Finn su quale genere musicale le
piacesse.
Sentì il cellulare vibrare, lo prese, veloce tra le mani,
controllandolo. Un
nuovo messaggio. Jay. Il cuore le
passò dall’altra parte, se era
possibile… Pensò che fosse uno scherzo,
che…
dannazione, non si sentivano da un sacco di tempo. Si era ricordato del
suo
compleanno. Finn fece in tempo ad avvicinarsi a lei, che ancora non
aveva letto
il messaggio.
«Chi
è?» Chiese dunque il
moro, guardandola.
May si
grattò la fronte,
sistemando il lungo ciuffo biondo dietro l’orecchio,
inspirò a fondo. «È Jay…
Ti ricordi? Te ne ho parlato…»
«Sì,
è il tipo che hai
frequentato in Francia, mi ricordo.»
«Spagna,
Finn! – Fece lei,
guardandolo. – Leggilo tu!» Gli passò il
cellulare, osservandolo mentre apriva
il messaggio.
«Ehy, May!
– Iniziò Finn,
leggendo con calma. – Siamo a Jakarta, che non ho ancora
capito dove sia… Spero
che il fuso non ci abbia fottuto. Sennò buongiorno, May!!
Noi ti mandiamo tanti
auguri di buon compleanno! Noi inteso come Jay, Nathan, Siva, Max e
Tom… Ci
sono anche Kelsey, Nareesha e Tia, la mia lucertola. Nareesha
è la ragazza di
Siva, te l’avevo detto e Kelsey è la ragazza di
Tom. E’ bionda più di te! –
Finn storse la bocca. Jay era un po’ stupido se le diceva
della nuova relazione
di Tom, ma comunque guardò May, era tranquilla.- Ti mandiamo
un abbraccio e,
appena Nathan scoprirà dove abiti, anche un bel
regalo… TheWanted
più rispettive ragazze e lucertole.»
«Ah.
– disse poi la
ragazza, portandosi una mano all’altezza dello stomaco. -
» Finn le sorrise,
avvicinandosi per abbracciarla. Il
destino le riservava qualcosa di inaspettato,
pensò. May pensò al nome… The
Wanted. Se avevano un nome, significava che la band stava andando e non
poté
fare a meno di sentirsi felice.
«Sommers,
questa musica mi
annoia!» Iniziarono le lamentele generali dei ragazzi che si
spostavano dalla
pista alle fette di pizza sui tavoli. Almeno tenevano la bocca occupata
mangiando, molto meglio.
«Merda, sono
in ritardo…»
Bofonchiò Finn, guardandosi intorno. May non si pose nessuna
domanda, parlava
della band. Ma dovevano essere davvero in ritardo, avrebbero preso la
metà di quello
che gli avevano promesso, ecco. «Li ammazzo tutti!
Spaccandogli le loro
chitarre in testa… Tesoro, mi aspetti?»
«Se smetti
di chiamarmi
tesoro, sì.»
Finn sorrise
spostandosi,
qualcuno si avvicinò a May, facendole gli auguri,
lasciandole il pacchetto dei
loro regali, qualcuno le chiese dove fosse il bagno. C’era
anche Luke, il suo
vecchio fidanzato… Con una nuova! Quel ragazzo cambiava le
ragazze come le mutande,
mentre lei studiava come una dannata per non pensare ad un unico
ragazzo.
Quando era diventata un’adolescente come le altre, col cuore
in mille pezzi che
affondava il dolore nel cibo? Che stronzata.
«Eccoli,
eccoli…» Fece
Finn eccitato, perché poi? Bussarono alla porta, attirando
l’attenzione di
tutti, non appena entrarono nella sala. May mangiava un pezzo di pizza,
portato
da Chantal, una persona che, onestamente, non conosceva, quando
sentì la voce
di Nathan. Merda.
«Finn
Carrol… Ti odio.»
Sussurrò al ragazzo che l’osservava da lontano,
mentre aspettava che tutti e
cinque i ragazzi entrassero nella saletta. Jay alzò lo
sguardo, sorridendole,
facendole un cenno con la mano. Jakarta, eh? Si piazzarono al centro
della sala,
con i microfoni che May ancora non aveva notato, Nathan ne prese uno.
«Jakarta non
ci piaceva
tanto – storse il muso, sorridendole. – E, avendo
un amica a Londra, abbiamo
pensato di farci un salto… Almeno qui capite come
parliamo!» Nathan rise. La
gente rimase un po’ a fissarli. Cioè, come aveva
fatto Finn a portarli qui?
Era… assurdo, quasi. Dovevano essere in tour con tutta
quella buona gente
nominata da Jay… Ma Jay era lì e giocherellava
con un tamburello, con i capelli
che gli cadevano morbidi sul viso e i suoi occhioni cercavano lei.
«Non ho
ancora una
soluzione, ci sto pensando… - Iniziò Jay, che
prese posto al centro della sala.
Uhm… - Ma… io sono qui, May. Sono tornato in fin
dai conti… Quindi, stiamo a
casa per le vacanze, almeno una settimana, poi non lo so…
Ricordi le relazioni
a distanza? Proviamoci. Prima o poi tornerò sempre a casa da
te.»
A parte il fatto che
le
aveva fatto una specie di dichiarazione davanti a tutti, e terminato di
parlare
lui, si erano girati verso di lei, aspettando una risposta che
tardò ad
arrivare. Che cogliona, stava aspettando troppo come sempre. Se non poteva averlo, avrebbe dovuto
mandarlo via tempo fa. Ma lei voleva quel ragazzo e, con un
sorrisone,
annuì.
*Ciaociaociao.*
Ma… è finita. Oddio, è
finita davvero.
Questa ff sa di estate, perché se non sbaglio l’ho
iniziata a
luglio… euh. E’ male fisico quello che senso?
E’ il mio cuore che smetti di
battere… ç_ç Ce la farò non
preoccupatevi per me.
Ci sono due cose/tre
cose
da dire…
- La prima
è che questo
finale non era quello giusto per questa ff. Doveva avere un altro
finale,
TOTALMENTE diverso da questo. Era un finale diverso… Credo
che non vi dirò
nulla, perché ci scriverò un’altra cosa
su quello, spacciandola come una one
shot. ( No, questo fandom non lo abbandono, vi farò arrivare un
sacco di
cose scritte. ) E’ stata cambiato il finale perché
ho ricevuto una minaccia di
morte da Francesca ( aka grofflicius qui su EFP ) quindi se vi ha fatto
più
piacere questo finale ringraziate lei, sennò ammazzatela.
No. Se doveste farlo
non m’importa…
- Sto ancora soffrendo
per
i miei bambini… Jay e May
( McSommers rulez. Io
shippavo per la Tay, volevo dirvelo!! ) sono così jhfcjdhf,
come fanno ad
essere tanto belli? Forse è per questo che soffro tanto a
lasciarli. Sono una
parte di me… Li amo troppo e ho già
concluso…
- Tre. Se siete
arrivate
fino a questo capitolo e avete letto ogni singola parola di questa
storia, grazie. Grazie mille per
avermi
supportato, per avermi seguito e fatta sentire speciale. May sono io e
vedere
tanto affetto nei confronti della ragazza mi fa sentire amata come non
mai. Io
e la mia ciccina ve ne siamo grate… Davvero. Sono arrivata
qui che credevo che
questa ff sarebbe finita del dimenticatoio molto presto e invece
l’avete messa
nelle seguite, preferite… Grazie a chi ha recensito,
lasciandomi un parere. A
chi non l’ha fatto ma mi a seguito comunque, in silenzio.
Grazie per le
preferite e le seguite… Grazie di tutto.
Ma un
ringraziamento speciale va a Francesca (
merda! ) che mi ha ispirato questa
storia, che l’ha resa davvero fattibile e che mi ha sempre,
sempre spronato a
scrivere. ♥♥
Grazie ancora di cuore,
Marti.♥
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