5 ways to deal with Death

di orphan_account
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice Generale ***
Capitolo 2: *** Seasons in the Sun ***
Capitolo 3: *** Things Left Unsaid ***
Capitolo 4: *** What Sarah Said ***



Capitolo 1
*** Indice Generale ***


INDICE GENERALE

#1: Seasons in the Sun
Rating: Giallo (K+)
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: Contenuti delicati, AU, OOC
Tipo di Coppia: Nessuna
Presentazione:
Quando Zayn viene a sapere che la sua vecchia amica d'infanzia, Michelle, verrà finalmente liberata dai macchinari che la tengono in vita, non può che sentirsi felice, nonostante si senta meschino a provare un sentimento del genere. L'ultimo legame con il suo passato sta per essere reciso, e allo stesso tempo a Michelle è data la possibilità di lasciarsi andare.

#2: Things Left Unsaid
Rating: Verde (K)
Genere: Generale
Avvertimenti: Contenuti delicati, AU, OOC
Tipo di Coppia: Het
Presentazione:
Mallory è morta, ma Harry non riesce ad afferrare il concetto che la sua ragazza se ne sia andata. Per lui è inconcepibile che si possa morire a sedici anni. Men che meno per una puntura d'ape. E nemmeno la sua conversazione con il medico che ha soccorso Mallory potrà fargli cambiare idea. Semplicemente non si muore a sedici anni...

#3: What Sarah Said
Rating: Giallo (K+)
Genere: Introspettivo, Angst, Drammatico
Avvertimenti: Contenuti delicati, AU
Tipo di Coppia: Het
Presentazione:
Lasciato ad aspettare in una sala d'attesa mentre sua moglie Sarah sta partorendo, Liam sa già senza bisogno di esternare le sue paure che una delle due non ce la farà. I medici li avevano avvertiti che era una gravidanza rischiosa, ma Sarah non li aveva ascoltati. Liam si trova ora davanti un bivio: da una parte Sarah, per cui darebbe la vita, e dall'altra sua figlia appena nata. Ma qual'è la risposta giusta?

#4: One More Day
Rating: Giallo (K+)
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: Contenuti delicati, AU, OOC
Tipo di Coppia: Nessuna
Presentazione:
Se Niall potesse tornare indietro nel tempo e rifare tutto ad capo, darebbe a sua madre tutto l'amore che è capace di dare. Sarebbe un figlio migliore. Ma non può tornare indietro. Ha paura. Piange. Non piange per lei, ma per tutte le occasioni che lui ha sprecato, tutte le volte in cui avrebbe potuto dirle 'ti voglio bene' e non l'ha fatto. Piange per tutto quello che non riusciranno più a fare insieme, piange per un futuro che non potrà mai essere.

#5: Victim
Rating: Arancione (T)
Genere: Guerra, Triste
Avvertimenti: Contenuti delicati, AU, OOC
Tipo di Coppia: Nessuna
Presentazione:
Louis ogni tanto detesta sua sorella. Per non aver combattuto di più, per non aver resistito. Per essersi arruolata nell'esercito. Per aver firmato la sua condanna a morte sul fronte, lontano dalla famiglia. Per essersi fatta ammazzare da un insulso proiettile. Odia l'epitaffio sulla sua lapide. Anche Lottie l'avrebbe odiato, se fosse stata in una posizione di ribattere.

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Capitolo 2
*** Seasons in the Sun ***


Goodbye to you, my trusted friend.
We've known each other since we're nine or ten.
Together we climbed hills or trees.
Learned of love and ABC's,
skinned our hearts and skinned our knees.
Goodbye my friend, it's hard to die,
when all the birds are singing in the sky,
Now that the spring is in the air.

 

Mi sentivo in colpa ad ammettere a me stesso che questa notizia era un sollievo. Insomma, quale persona normale era contenta a sapere che quella sera una vecchia amica di infanzia sarebbe morta definitivamente? L'avevo sempre saputo che c'era qualcosa di tremendamente sbagliato in me.

Io e Michelle ci eravamo conosciuti dieci anni fa, quando io avevo nove anni e lei sette, perché eravamo vicini di casa. Le volevo un bene incredibile.

Era diventata quasi una sorella per me, una degna sostituta di tre sorelle di sangue, ma assenti. Noi avevamo fatto di tutto assieme. Avevamo costruito una casa sull'albero sotto casa sua quando avevo dodici anni. A undici avevamo, per sbaglio ovviamente, rovesciato della pittura blu sul vestito da sposa della fidanzata di suo fratello. Se mi concentravo riuscivo ancora a sentire le sue urla isteriche mentre strillava che non sarebbe mai riuscita a trovare un altro vestito in tempo per la cerimonia.
Avevamo letto libri assieme che ci avevano traumatizzato entrambi, tanto da cominciare a guardare mia madre sotto una luce diversa. Ci eravamo rincorsi su una spiaggia deserta i primi giorni di dicembre. Ci eravamo anche baciati una volta, prima di decidere che eravamo solo amici.

Quando l'avevano accettata nella scuola media che voleva lei ero stato il primo che aveva chiamato. L'avrei invitata anche al ballo di fine anno se avesse potuto venirci con me. Le avrei dato la serata che ogni ragazza sognava.

Ma per quando io avevo compiuto i diciotto anni, lei era in coma da un bel pezzo.

Quando aveva quattordici anni era stata coinvolta in un incidente stradale. Un tipo l'aveva investita mentre attraversava le strisce pedonali, di ritorno dalla scuola.

Non si era nemmeno fermato ad aiutarla, aveva tirato dritto e tanti saluti.

Per grande sorpresa dei medici, non era morta sul colpo. Aveva combattuto contro la morte, contro il suo destino inevitabile. Quasi speravo che non ci fosse riuscita. E ora, dopo quattro anni, avrei dovuto rivivere tutto da capo.

I primi giorni ero stato al suo fianco ininterrottamente, tenendole la mano mentre le parlavo, perché qualcuno un tempo mi aveva detto che le persone in coma continuavano a sentire le conversazioni. Per mesi e mesi mi ero alzato dal letto solo con la convinzione che forse oggi sarebbe stato il giorno, che oggi si sarebbe svegliata.

Poi, dopo due anni, le visite settimanali che continuavo a farle erano diventate un peso. Mi ero rifatto una vita: avevo altri amici, una ragazza e una pallida imitazione della mia Michelle, un'altra migliore amica. Non credevo che Michelle si sarebbe aspettata che io spendessi la mia vita a piangerla, sarebbe stato davvero egoista da parte sua.

L'avevo vista crescere, tenuta in vita da apparecchi elettronici, con ecocardiografi che registravano ogni suo funzione vitale e i suoi battiti cardiaci. In poco tempo era diventata un'altra persona, un fantasma di quel che era.

Quando entrai nella sua camera quell'ultimo giorno, era una completa sconosciuta. Ma vederla continuava ad evocare un masso sul mio stomaco, il ricordo di una vita passata che non avevo speranza di recuperare. Michelle era il simbolo di un'innocenza ormai a lungo andata e che non avevo possibilità di recuperare, se non attraverso i ricordi sbiaditi dal tempo.

Nulla di lei era uguale a quattro anni fa. Oggi era il suo diciottesimo compleanno, e come regalo i suoi genitori avevano deciso di darle la libertà.

A ragione, secondo me. Vivere in coma, bloccati su un letto, senza potersi muovere, ridere, guardarsi attorno e imparare, che genere di vita era?

Al diavolo la chiesa, ero contento che Michelle non fosse più costretta a questo stato di dormiveglia.

Oggi, ventun agosto, a mezzogiorno in punto, Michelle sarebbe finalmente diventata l'ennesima stella in cielo.

Erano quattro anni che convivevo con la sua perdita, ma questa volta sarebbe stato più definitivo.

Niente più visite all'ospedale di domenica mattina, al posto della messa. Niente più essere costretti a rivivere quegli stupendi momenti passati insieme. Niente di niente. Vuoto.

Al posto di Michelle si sarebbe aperta una voragine, che avrei solo potuto cercare di colmare come potevo.

Mi appoggiai contro il muro bianco, sentendomi per un momento mancare per l'intensità del sentimento. Michelle sarebbe morta.

E la parte più bruta da dire era che io mi sentivo sollevato. Se avessi pianto quando le avrebbero sfilato i tubicini dalla gola sarebbe stato solo per la gioia.

Sì, mi sentivo in colpa, ma purtroppo era vero. Ero felice di non avere più quella stupida prova vivente del mio passato felice, quando il presente era così triste. Non volevo più sentirmi colpevole di essermi rifatto una vita dopo che era risultato ovvio che non si sarebbe svegliata.

Un'infermiera entrò nella camera, avvicinandosi a Michelle prima di notarmi e fermarsi: “Mi scusi, signore, posso aiutarla?”

Scrollai le spalle: “Volevo solo salutarla un'ultima volta.” ammisi alla fine, e per qualche motivo la voce mi si incrinò.

La donna esitò per un secondo, guardandomi meglio: “Capisco. Ci metterò solo un secondo, poi però dovrebbe liberare la camera entro due minuti, abbiamo altri pazienti che aspettano il ricovero.”

Annuii, osservando mentre l'infermiera sfilava gli aghi che la nutrivano e i tubi che le permettevano di respirare. L'ecocardiografo prese a rallentare impercettibilmente, una parabola n perenne discesa che l'avrebbe uccisa.

L'infermiera annuì, lasciandole i capelli: “Ha due minuti.” disse uscendo, guardandomi con compassione. Probabilmente credeva che avrebbe dovuto darmi i numeri di qualche bravo psicologo quando fossi uscito.

Mi avvicinai con passo lento, abbassandomi fino alla sua altezza e sfiorandole la fronte con le labbra. Michelle stava morendo, e nulla avrebbe potuto cambiare le cose, ora. Nessun ripensamento.

Esitai, sovrastandola con la mia altezza, il mio viso a centimetri dal suo. Per un secondo fui tentato di aprirle gli occhi, che ora erano chiusi così placidamente, come se stesse dormendo.

Peccato che non stesse respirando, e che tra qualche secondo sarebbe morta di soffocamento.

L'ecocardiografo emise un ultimo bip prima di fermarsi definitivamente.

“Tanti auguri, Michelle.” mormorai con le lacrime agli occhi, sentendomi libero da un grosso peso.

Mi girai e uscii dalla camera, cercando di trattenermi dal girarmi a guardarla per l'ultima volta.

Ma mentre uscivo fui assalito da un dubbio, destinato ormai a torturami per l'eternità e non consentirmi la pace mentale che avevo tanto agognato.

Gli occhi di Michelle erano verdi o azzurri?

 

ANGOLO AUTRICE

Non so da dove sia uscita questa cosa, sinceramente... Ma ho pensato che tanto valeva cercare di pubblicarla, e vedere se poteva interessare. Quindi, beh, se vi è piaciuto, o se siete interessati a leggere la OS #2 su Harry, lasciate una recensione! Prometto di non mordervi.
E ovviamente, critiche e consigli costruttivi sono benaccetti :)
La canzone iniziale è 'Seasons in the Sun', di... beh, vedete voi, io ho preso come riferimento quella dei Westlife, ma ce ne sono mezzo milione di altre versioni.
Quindi, spero che il mio sclero serale vi sia piaciuto.
Un bacio,
Ele

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Capitolo 3
*** Things Left Unsaid ***


Oh how we'd talk,
For hours upon end.
What I would give,
Just to do it again.
But you're lying there,
In this hospital bed.
Won't you open your eyes,
And let's talk once again
.

 

Non ci potevo credere. Era assurdo. Ridicolo. Com'era possibile che fosse successa una cosa del genere? Di certo i medici dovevano essersi sbagliati. Sì, doveva essere andata così: un'altra ragazza era morta, e l'infermiera si era confusa con la mia Mallory.

Forse anche quest'altra ragazza aveva capelli biondi che rilucevano dorati sotto il sole, e occhi marroni che brillavano di vitalità.

Certo, non potevo negare che Mallory fosse stata male. L'avevo vista accasciarsi a terra con i miei stessi occhi, i respiri spezzati e irregolari. Stava abbastanza male perché chiamassi un'ambulanza, senza sapere cosa fare. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere.

Ma non poteva essere morta. Mi scappò da ridere a formulare un pensiero così irrazionale.

Non si moriva a sedici anni, era impossibile. A sedici anni si pensava alla scuola, al proprio futuro, alle droghe, all'amore. Non a morire.

Un medico giovane attraversò il corridoio con passo veloce, con in mano pile di fogli e il camice bianco, sbottonato, che svolazzava dietro di lui.

Mi alzai in piedi di scatto dalla sedia di plastica nella sala d'attesa. Finalmente qualcuno che poteva darmi delle risposte serie.

Quando avevo chiesto la prima volta, il medico aveva detto che Mallory era morta. No, non morta, deceduta. Come se ci fosse qualche differenza.

Lo raggiunsi, sentendo le gambe scricchiolare dal poco utilizzo nelle ultime ore: “Mi scusi, dottore, io-”

A sentire la mia voce, l'uomo si bloccò di botto, girandosi a guardarmi con gli occhi socchiusi: “Ancora lei, signor Styles? Mi dispiace dover essere così brusco, ma sono di fretta.”

Lo scrutai meglio, accorgendomi a livello conscio che era sempre lo stesso medico con cui avevo parlato prima. E lo stesso che era arrivato con l'ambulanza, scuotendo la testa appena l'aveva vista distesa per terra: “So che ha altro da fare, quindi la lascio in pace, ma volevo sapere se poteva dirmi qualcosa su Mallory.”

“Le ho già detto tutto quello che c'era da dire sulla signorina Thomson. Ora, con il suo permesso, io andrei.” Lui aveva detto che Mallory era morta, ma quello non era possibile.

Nessuno moriva a sedici anni. E di certo nessuno moriva per una puntura d'ape. Era irrealistico, tanto quanto questa situazione. Perché nessuno si degnava di rispondere alle mie domande? Era la mia ragazza di cui stavamo parlando, dannazione!

“Guardi che lei non mi ha detto proprio un bel niente. Pretendo di sapere cosa sta succedendo alla mia ragazza.”

L'espressione dell'uomo si acuì, per la prima volta osservandomi con la tipica espressione distaccata dei medici. Mi fece cenno di seguirlo, riprendendo a camminare in direzione opposta.

Ecco, ora mi avrebbero portato da lei, e tutto si sarebbe risolto. Avremmo vissuto per sempre felici e contenti, avremmo avuto il nostro finale da favola. Ce lo meritavamo.

Ma il medico mi condusse in una piccola stanza con un lettino, che somigliava sospettosamente ad uno studio medico.

“Si distenda sul lettino.” mi ordinò, inforcando degli occhiali e tirando fuori uno stetoscopio da un cassetto dietro alla scrivania.

“Ma non sono io il malato.” obiettai, pur facendo come aveva chiesto.

Il medico scosse la testa, facendomi togliere la maglietta.

Fu mentre mi stava misurando la pressione che pensai bene di protestare per questa situazione.

“Mi scusi, ma tutto questo è ridicolo. Io voglio solo sapere come sta la mia ragazza.”

“Centoventi e sessanta, è regolare.” mormorò lui, sedendosi dietro la scrivania e prendendo in mano una cartella clinica e una penna dall'aria antica.

“Prende medicine?”

“No.” risposi, confuso. Ma che centrava?

“Ha mai avuto bisogno di interventi chirurgici?”

“No, e non capisco perché le importi.”

“Ha mai avuto concussioni?” continuò lui, ignorandomi. Scossi la testa. Non capivo come fosse possibile che un ospedale potesse permettere a gente squilibrata come quest'uomo di aprire in due le persone e ricucirle assieme.

“Quindi è la prima volta che soffre di amnesia?” domandò ancora, alzando gli occhi verso di me.

“Cosa?”

“É il suo primo episodio di amnesia? Non le è mai successo prima di dimenticarsi di certi episodi?” ripeté il medico in tono calmo. Come se stesse parlando del tempo.

“Io non soffro di amnesia.” affermai, sbalordito dalle conclusioni che era riuscito a trarre dal nostro breve colloquio.

L'uomo mise giù la cartella con uno scatto, lanciandomi un'occhiata irritata: “E allora perché mi ha chiesto di nuovo cosa fosse successo alla signorina Thomson?”

Balbettai una serie di risposte insensate prima di riuscire a recuperare l'uso della parola: “Ecco, lei ha parlato di adrenalina, allergie mortali, funerali e shock anafilattico. Ma vede, è impossibile che Mallory sia morta, perché ha sedici anni.”

“E cosa dovrebbe significare il fatto che aveva sedici anni?”

“Non si muore così presto! Non-non può essere regolare, di certo ci deve essere un limite di età per morire. Quindi, ora pretendo di sapere come sta.”

Il medico, inaspettatamente, scoppiò a ridere: “Un limite di età? Non si è mai troppo giovani per morire.” disse, con un sorriso intriso di morbido umorismo.

“Come sta?” ripetei cocciutamente, cercando di non farmi impressionare dalle sue parole.

“Oh, molto bene.”

Mi sentii sciogliere per il sollievo. Mallory stava bene. Era viva. Lo sapevo che non poteva essere morta: “Fantastico. E quando posso vederla?”

“Tra due giorni, quando si terranno i funerali.” rispose, riponendo la penna dentro il cassetto.

Non ci vidi più dalla rabbia. Mi stava per caso prendendo in giro?

Scesi dal lettino, digrignando i denti e cercando di controllare l'impulso di tirargli un cartone sul naso: “Senta, non so a che gioco stia giocando, ma pretendo di vedere la mia ragazza. Subito.”

L'uomo sospirò: “Glielo ripeto per l'ultima volta. La signoria Thomson è stata punta da un'ape. Avrebbe dovuto avere con se l'adrenalina, avrebbe potuto salvarle la vita, ma non ce l'aveva. L'allergia le ha provocato uno shock anafilattico. Per quando siamo arrivati, era già troppo tardi. La sua ragazza è morta, signore, non posso farci nulla.”

Mi limitai a fissarlo, non comprendendo il significato delle sue parole.

Lui allungò un cartoncino verso di me: “Questo è l'indirizzo di uno psichiatra molto bravo. Provi a farci un salto, un giorno di questi.”

Afferrai il pezzo di carta con le punta delle dita, ficcandomelo in tasca: “Farò come dice, dottore.” dissi, dirigendomi verso la porta, “Ma sappia che voglio vedere come sta Mallory prima di andarmene.”

 

ANGOLO AUTRICE
Rieccomi :) credo che sia l'aggiornamento più veloce che io abbia mai fatto, tra l'altro...
Ma, comunque, forse lo avrete notato, ho aggiunto un indice all'inizio. Ed ecco, questa è la seconda OS. Spero che non sia troppo male... No, beh, a dire il vero (stranamente) mi piace, spero che sia piaciuta anche a voi.
Forse non ve ne siete accorti, ma mi sto divertendo tantissimo a mistificare i finali delle mie OS xD
Magari se mi poteste lasciare una recensione anche piccina piccina, mi farebbe molto piacere :) Sto stra-usando il verbo 'piacere', tra l'altro...
É tutto, alla prossima.
Ele

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Capitolo 4
*** What Sarah Said ***


And I looked around at all the eyes on the ground,
as the TV entertained itself.
‘Cause there’s no comfort in the waiting room,
just nervous pacers bracing for bad news.
And then the nurse comes round,

and everyone lift their heads,
but I’m thinking of what Sarah said;
that love is watching someone die.
So who’s gonna watch you die?


Se mi avessero chiesto quale luogo odiavo di più al mondo, le sale d'attesa degli ospedali avrebbero raggiunto il primo posto senza alcuna fatica. Non c'era nulla di più sconfortante che aspettare in una stanza dall'odore asettico, con niente da fare se non osservare le altre persone e disperarsi sulla sorte di una persona amata.
La sala d'attesa del reparto di cura intensiva, però, si stava rivelando un'esperienza anche più angustiante. Erano ore che stavo aspettando di sapere qualcosa su Sarah, e invece nessuno veniva a dirmi nulla. Lanciai uno sguardo distratto al grosso orologio sulla parete bianca, constatando che tra qualche minuto sarebbero state nove ore d'attesa.
Ero dilaniato dall'incertezza. C'era una vocina dentro la mia testa che mi sussurrava tutte le disgrazie che sarebbero potute accadere. C'erano milioni di complicazioni possibili in un parto. Per non parlare del fatto che non era di un banale parto di cui stavamo parlando, ma di quello di mia moglie. Quando le avevano fatto i primi test e le ecografie, era subito risultato ovvio che non sarebbe stata una gravidanza facile. Eravamo entrambi piuttosto avanti con l'età, e da quel che avevo capito ciò comportava diverse complicazioni.
Ma quel che Sarah voleva, avrebbe ottenuto. E Sarah desiderava con tutta se stessa un figlio, quindi avrei fatto di tutto per accontentarla, anche mettere a rischio la sua salute. Oh, non che non avessi provato a farle cambiare idea, ma non c'era stato niente da fare. Avevo proposto l'alternativa dell'adozione, dilungandomi su quanto sarebbe stato nobile e ammirevole adottare un bambino invece che metterne al mondo un altro. Sarah però non ne aveva voluto sapere, e così avevo ceduto al suo desiderio. Durante la gravidanza avevo cercato di autoconvincermi che nulla sarebbe andato storto, ma nel profondo sapevo già, con una lucidità sconcertante, che sarebbe finita in tragedia.
Il solo pensiero mi fece salire un conto di bile acida in gola, e mi alzai dalla scomoda seggiola di plastica per camminare su e giù lungo la sala d'attesa, ignorando le occhiate sporche che gli altri mi stavano lanciando. L'idea di vivere in un mondo senza Sarah mi privava del respiro, mi risultava così difficile da concepire che avrei quasi preferito veder morire la mia bambina che stava nascendo in quel momento.
Ma anche il pensiero di perdere mia figlia, l'esserino su cui avevo riposto così tanti sogni e speranze negli ultimi nove mesi, con cui avevo parlato tramite Sarah, che avevo sentito allegramente calciare nella pancia della sua mamma, mi lasciava agonizzante.
Lanciai un'altra occhiata all'orologio, notando con sconforto che erano ben nove ore e mezza che ero in sala d'aspetto. Chiusi gli occhi, tornando a sedermi di fronte al piccolo televisore, osservando senza vederlo veramente l'uomo del telegiornale, che stava guardando dritto verso la telecamera mentre parlava di una nuova legge che i liberali stavano cercando di far passare.
Per un istante mi domandai come fosse possibile che il mondo stesse andando avanti mentre mia moglie era in una stanza d'ospedale, e forse stava morendo proprio in questo momento.
Proprio in quel momento, prima che la frustrazione per la mia impotenza potesse diventare soffocante, una infermiera entrò nella stanza.
Alzai lo sguardo verso di lei, non riuscendo ad impedire che una scintilla di speranza si facesse strada nel mio cuore. Con la coda degli occhi vidi tutte le persone che, come me, stavano aspettando una comunicazione di qualsiasi tipo, scattare sull'attenti come un cane davanti ad un osso.
La donna si guardò attorno brevemente prima di pronunciare con voce secca: “Signor Payne? Il signor Payne è qui?”
Mi alzai in piedi di colpo, quasi inciampando sui miei stessi piedi nella foga di avvicinarmi a lei: “Come sta Sarah? Per favore, mi dica qualcosa.” supplicai la donna, mentre mi conduceva lungo il corridoio.
La maggior parte delle porte erano chiuse, ma alcune erano aperte, e non riuscivo a fare a meno di rabbrividire ogni volta che il mio sguardo cadeva sulle stanze sterili e bianche, con quei lettini color menta così duri e bitorzoluti, e i macchinari complicati che suonavano e sibilavano ogni secondo. Per non parlare dei visi pallidi e smunti delle persone distese nei letti, dei tubi che spuntavano dalle loro braccia e visi, delle espressioni scoraggiate e piene di dolore.
“Congratulazioni.” disse la donna, sorridendomi, “É una bambina perfettamente sana.”
“E Sarah?” domandai, sentendomi allo stesso tempo elettrizzato e terrorizzato.
L'espressione della donna si scurì: “Sua moglie è in condizioni critiche al momento, è stato un parto molto difficile. Potrebbe non farcela.”
Mi sentii mancare, e dovetti fermarmi in mezzo al corridoio e appoggiarmi ad un muro per non cadere. Davanti a me si prospettava una vita senza mia moglie, senza la donna che più amavo al mondo, e il pensiero era intollerabile. Se non ci fosse stata anche mia figlia a cui pensare, ora, non sapevo cosa avrei fatto.
“Quanto è alto il rischio che non ce la faccia?” balbettai infine, stringendo i denti e permettendomi di sperare per l'ultima volta.
“Molto alte. I medici non pensano che arriverà a domani mattina, ma al momento è ancora cosciente.” disse con compassione la donna, appoggiando una mano sulla mia spalla per conforto.
“Posso vederla? Posso vederle tutte e due?” domandai alla fine, voce fievole e spezzata, sentendomi sprofondare in un burrone infinito, senza alcuna via d'uscita.
La donna annuì e mi condusse quasi in fondo al corridoio, di fronte ad una porta socchiusa da cui provenivano i gemiti di un neonato. Feci un respiro profondo ed aprii la porta, temendo quello che avrei incontrato. Lo spettacolo che mi si presentò davanti era allo stesso tempo migliore e peggiore delle mie aspettative.
Sarah era semidistesa con la bambina in braccio, e la guardava con amore che scintillava chiaramente nei suoi occhi. Alzò gli occhi quando mi sentì entrare, e il sorriso che mi rivolse era abbagliante, il più felice che le avessi mai visto addosso. Ma non aveva il migliore degli aspetti, anche se rimaneva comunque bellissima ai miei occhi. Era ricoperta da un velo insistente di sudore, il suo viso era grigiastro e stava tremando visibilmente.
“Liam.” disse con voce raschiante, allungandomi la bambina. Mi avvicinai velocemente per prenderla dalle sue mani, cosciente del fatto che il tremore e la sua debolezza fisica avrebbero potuto portare Sarah a farla cadere.
La mia bambina non era altro che un fagottino rossiccio e piagnucolante, ma ai miei occhi era la più bella del mondo. E poi aprì gli occhi e mi guardò, e in quel momento mi innamorai di lei.
“Ha i tuoi occhi.” sussurrai, cercando di trattenere le lacrime mentre guardavo mia moglie, e strinsi la bambina più forte.
Cercai di immaginarmi come sarebbe stato vivere dovendo vedere tutti i giorni gli occhi di mia moglie riflessi nel volto di mia figlia, senza avere Sarah accanto a me, ma il pensiero era così ripugnante e orrido che il mio cervello si rifiutò di immaginarsi una scena simile.
“E il tuo naso.” rispose lei dopo un violento attacco di tosse, non smettendo mai di sorridere.
“Hai deciso come chiamarla?” domandai dopo qualche istante di contemplazione della bambina.
Sarah allungò le mani verso nostra figlia, e io la appoggiai tra le sue braccia: “Pensavo a Emily.”
Le sorrisi dolcemente, spostandole i capelli sudaticci dalla fronte e dandole un bacio veloce: “Mi piace. Un bel nome per la nostra bellissima principessa.”
“Liam, mi devi promettere che la educherai come si deve.” mi disse con occhi imploranti, stringendo debolmente una delle mie mani nella sua.
Cercai di deglutire attorno al groppo che mi si era formato in gola: “Non parlare così. Ci sarai anche tu a vederla crescere.”
Sarah sorrise tristemente e baciò prima il dorso della mia mano e poi, con fatica, la fronte della nostra piccolina: “L'infermiera ha detto che sarebbe passata tra qualche minuto a portare Emily nella Nursery. Voglio che tu vada assieme a lei. Non mi piace pensare che non ci sia nessuno a guardarla mentre dorme la prima notte della sua vita.”
“Sarah, non stai bene. Non ho nessuna intenzione di lasciarti sola durante quella che potrebbe essere la tua ultima notte.” ribattei con voce soffocata, sentendomi nuovamente sull'orlo delle lacrime.
Mia moglie mi rivolse uno sguardo sofferente: “So come ti senti, e capisco quanto tutto questo possa essere difficile per te, ma per favore, fai come ti dico.”
Soffocai un singhiozzo: “Mi spiace, non ce la faccio. Come fai a chiedermi di morire da sola?”
“Oh, Liam. Morirò comunque, anche se tu sarai qui con me. Ma Emily ha bisogno di te, ora.”
Mi lasciai cadere su una sedia, nascondendo la faccia tra le mani e cercando di asciugare le lacrime che avevano cominciato a scendere: “Sarah, non mi puoi lasciare. Non mi puoi chiedere una cosa così.”
“Ascoltami, Liam, non ho più tanto tempo. Io morirò, e tu ti dovrai prendere cura di nostra figlia. Ora, voglio che tu vada con lei e ti prenda le tue responsabilità.” disse mia moglie, con la voce sempre più dolce, “Io sarò qui, e saprò che mi ami e che mi stai pensando. Non potrei chiedere di meglio.”
La guardai tra le lacrime: “Non posso lasciarti da sola proprio ora.”
“Tu sei sempre qui con me, tesoro. Anche quando non ci sei.” rispose Sarah, portandosi una mano al cuore, mentre con l'altra teneva stretta Emily, “Non sarò sola.”
Quando passò l'infermiera a prendere nostra figlia, io andai con lei, senza guardarmi indietro per paura di perdere quel barlume di coraggio che mi stava portando ad allontanarmi da mia moglie.
E con ogni passo mi sentivo sempre più solo.
 
E anche la terza one-shot è andata!
Non sono contentissima di come è venuta fuori, ma poteva venirmi molto peggio.
La canzone iniziale appartiene ai Death Cab For Cutie, e si intitola “What Sarah Said”. Se l'avete mai sentita ve la consiglio molto vivamente.
Poi, siccome a scuola faccio Bioetica (che essenzialmente consiste nel discutere su cosa sia moralmente etico e non), sono incredibilmente piena di opinioni riguardo al problema dell'aborto. Però vorrei sapere cosa ne pensate VOI, lettori, dell'aborto. Fatemelo sapere in una recensione o via messaggio privato :) Mi farebbe molto piacere.
Alla prossima one-shot! (Possibilmente non con quasi due anni di stacco)
Ele

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