Maschera triste

di chi_lamed
(/viewuser.php?uid=180857)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riflessi ***
Capitolo 2: *** Padre ***
Capitolo 3: *** Carezze ***



Capitolo 1
*** Riflessi ***


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me, ma a quel genio di George Lucas, che non ringrazierò mai abbastanza per aver creato questa saga meravigliosa. La trama è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa. 
 




*** A Silvì, con tanto affetto***


Maschera triste

 
Riflessi
 
Dall’oblò della navetta Luke osservò il verde rigoglioso della luna boscosa di Endor allontanarsi sempre di più. Pur nella sicurezza di quel che stava facendo, al decollo sentì come uno strappo nel petto che gli fece più male di quanto aveva previsto. Stava lasciando i suoi amici per andare a combattere qualcosa di più grande di lui.
Trasse un profondo respiro e lo rilasciò con estrema lentezza, cercando di calmare la mente.
C’era un fallimento ben peggiore della morte e che lo spaventava molto di più: cedere al Lato Oscuro, diventare come suo padre o, peggio, come l’Imperatore. Inoltre c’era il terrore che potesse accadere qualcosa a Leia… sua sorella.
No, niente distrazioni, come gli aveva sempre raccomandato il maestro Yoda.
Concentrarsi sul momento presente, solo su quello.
Non gli fu troppo difficile: era impossibile ignorare il suono regolare del respiratore accanto a sé.
Si ostinò a non voltarsi a guardarlo direttamente. Lo cercò invece nel riflesso dell’oblò, fingendo di interessarsi alle stelle che brillavano lontane nello spazio siderale. Lo fissò, lo scrutò in ogni particolare.
E sentì nascere una consapevolezza mai provata prima. Una consapevolezza che poco alla volta crebbe come un seme che, appena messo radici, non vede l’ora di svilupparsi e germogliare. Lottò per cacciarla, ma senza troppa convinzione; quando si arrese all’evidenza, si accorse che nulla era più vero di quel che aveva appena scoperto.
Si aggrappò con tutto se stesso a quel riflesso e a quell’unica parola che era sbocciata, se li impresse nella mente e nel cuore, certo che quel momento che stava vivendo fosse unico e prezioso. Una volta al cospetto dell’Imperatore, forse, gli sarebbe tornato utile quanto un’ancora di salvataggio.
Ma alla fine cedette. Si voltò, non riuscendo a tenere a freno quella pietà filiale di cui Palpatine poco tempo dopo si sarebbe fatto beffe.
Non c’era una briciola di umanità visibile in quel possente Sith. Nulla che facesse intuire che sotto quel nero vivesse una persona con sentimenti ed emozioni. L’uniforme ed il mantello gli conferivano un’aura maestosa e terribile, capace di incutere la più oscura delle paure alla sola vista.
“Eppure”, pensò Luke, “c’è del buono in lui”. Esisteva, lo percepiva come una debole fiammella in balia di un uragano, come qualcosa di fragile e palpitante, ma c’era e poteva fare la differenza tra la salvezza e la perdizione, tra la vita e la morte.
Come rispondendo ad un muto richiamo, Darth Vader smise di guardare davanti a sé, cercando gli occhi del figlio.
Il giovane jedi non si sottrasse allo sguardo, ma nascose ancora di più i propri pensieri.
 
La maschera lucida e scura come la notte rifletté la luce fioca degli strumenti di bordo e Luke trovò la conferma alla nuova consapevolezza appena acquisita.
Quella di Darth Vader, suo padre, era solamente una maschera triste.

***

Note dell'autrice: ehm, questa è la prima volta che mi cimento con Star Wars. Non so cosa ne sia venuto fuori, ma è da giorni che mi frulla quest'idea in mente e non se ne vuole andare, complice il nuovo super poster di Darth Vader che ho appeso davanti alla mia scrivania. Più lo guardo e più mi ritrovo a fare gli stessi pensieri di Luke.
Vi prego, Star Wars per me è sacra, Anakin/Vader per me è sacro. Ho cercato di mantenermi assolutissimamente IC. Se per caso notate sbavature nel Canon, vi sarei grata se me lo diceste: questi personaggi sono meravigliosi così, non mi sognerei di cambiarli mai e poi mai.
Infine, una recensione è sempre gradita.
Chiara



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Padre ***


Padre
 
Sabbia.
Ovunque.
Intorno a lui, sotto di lui, tra le sue mani.
Negli occhi il riverbero aranciato del tramonto dei due soli di Tatooine.
La mente, invece, lontana anni-luce dal quel pianeta ai margini della Galassia.
Con una calma quasi esasperante aveva sollevato un pugno, allargando poi le dita, quasi impercettibilmente. Prima qualche granello, poi sempre più numerosi. Avevano preso tutti a danzare nell’aria, trasportati dalla lieve brezza che giungeva dal deserto sempre verso quell’ora.
E nessuna espressione sul volto. Nessuna.
Stava diventando sempre più bravo a controllare le proprie emozioni. Yoda avrebbe annuito compiaciuto.
Ancora sabbia, ancora brezza, ancora calma. Ed intanto la notte era scesa, presentandosi con il suo manto adorno di stelle.
Una sola parola nella mente, da ore, giorni, settimane.
Mesi.
Era vera?
Un altro tuffo della mano destra, a smuovere la sabbia fredda, quella più in profondità. E le sensazioni, ancora inaspettate dopo tutto quel tempo, che provenivano dall’arto artificiale. Gli mancava la sua vera mano.
Non era la sola ad essere caduta nel nulla, irrimediabilmente perduta.
Se ne era andata anche la sua giovinezza spensierata, carica di sogni e progetti: era stata tranciata di netto da una rivelazione inaspettata e quasi impossibile da credere.
Quasi.
I ruvidi granelli avevano ripreso a scorrergli tra le dita.
Il tempo stava facendo altrettanto, inesorabile.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento della verità.
 
«Luke.»
«Padre.»
«Figlio.»
 
Illuso.
Il momento della verità era già arrivato da un pezzo, ignorarlo non lo avrebbe aiutato affatto.
Quel richiamo echeggiato nella mente durante la fuga da Bespin era bastato a sgretolare ogni certezza precedente ed ogni rifiuto che aveva opposto appeso sull’orlo di un baratro, disarmato e ferito.
Senza più forze nemmeno per pensare, aveva lasciato che la risposta fiorisse sulle sue labbra prima ancora che nella mente.
 
Padre.
 
Niente più sabbia da raccogliere.
Niente più notte, niente più deserto, niente più stelle.
Solo silenzio.
 
«Padre.»
 
Lo aveva detto con un filo di voce, quasi temendo di essere udito dal vento.
Suonava strana nella sua bocca, quella parola. Come se la lingua e le labbra non fossero mai state abituate a pronunciarla, come se stessero compiendo un movimento a loro ignoto.
 
 


Luke sbatté le palpebre più volte, tornando alla realtà.
Della furia cieca che lo aveva pervaso fino a qualche attimo prima rimanevano un cuore che batteva all’impazzata ed un respiro accelerato.
Per la terza volta in pochi minuti, stava osservando suo padre dall’alto in basso.
 
Padre.
 
Quante volte lo aveva detto, in quella sala del trono?
Gli ci era voluto un intero anno per abituarsi, anche se la vera vittoria l’aveva ottenuta il giorno prima, quando aveva chiamato Darth Vader con il suo vero nome.
Quando lo aveva chiamato “padre” senza abbassare lo sguardo.
 
Calmò il respiro e la mente, lasciando che l’ira si dissolvesse come una nuvola di vapore sotto i due soli in pieno giorno.
L’Imperatore gli stava dicendo qualcosa, ma lui aveva occhi solamente per il braccio destro di Darth Vader e per un arto che non c’era più.
Proprio come il suo.
Uguali anche in quello.
 
Steso a terra, suo padre stava in silenzio, aspettando il colpo di grazia.
Il luccichio verde della spada laser del ragazzo si rifletté sul nero lucido della maschera del potente Sith appena sconfitto.
Quella maschera che non incuteva alcuna paura, ma solo pietà.

Davvero non c’era alcun motivo di proseguire.
Luke spense la propria arma e la gettò lontano, davanti all’Imperatore.

 
Padre.
 
Sconosciuto, desiderato, ritrovato.
Odiato.
 
E, alla fine, amato.
La debole fiammella di bene non s’era spenta, palpitava ancora. Era solo in attesa di essere liberata.
 
«Avete fallito, altezza.» Luke sputò quell’appellativo con tutto il disprezzo possibile. «Sono uno jedi, come mio padre prima di me
 
Mai, come prima d’allora, andò orgoglioso d’essere figlio.


 
***

Angolino autrice: sì lo so, i miei aggiornamenti ormai hanno tempi biblici. Ma mi servono tempo e serenità per scrivere non dico bene, ma almeno in maniera decente e a quanto pare sia l'uno che l'altra latitano parecchio in questo periodo.
Sono riuscita a rimanere IC?
Spero tanto di sì, perchè è quel che più mi preme.
Come sempre, le recensioni sono gradite, anche le critiche costruttive riguardo stile, trama e metodo narrativo.
Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Carezze ***


Carezze

 
Si era rifiutato di vedere e di sentire, tranne che per lo stretto necessario alla propria sopravvivenza. Tutto il resto non esisteva più, come volatilizzato e dissolto all’improvviso: Luke non aveva badato ai soldati imperiali che sciamavano all’impazzata in cerca di una qualsiasi via di fuga, né al gigante di morte squassato dalle esplosioni e che non avrebbe retto ancora a lungo, né tantomeno all’odore acre delle lamiere che tutt’attorno fondevano per il forte calore.
Infine, si era rifiutato di cedere alla sua stessa spossatezza.
Aveva un unico imperativo: andare via al più presto possibile.
E non voltarsi indietro.
Le mani avevano sfiorato agili i comandi, la navetta s’era alzata in volo, leggera, lasciandosi poco dopo dietro di sé i frammenti di quella che era stata una micidiale macchina distruttiva e che si disperdevano come schegge impazzite. In quel momento si era concesso solo qualche misero istante di gioia e sollievo, per i suoi amici, sì, soprattutto per sua sorella, ma il nero dello spazio aperto aveva reclamato la sua totale attenzione, ricordandogli un vuoto che ad ogni istante sentiva crescere dentro di sé.
Quando la Luna Boscosa di Endor lo aveva finalmente accolto con la sua vegetazione gigantesca e lussureggiante, Luke si rese conto di non ricordare quasi nulla di quell’assurdo viaggio.
Il senso della perdita, ora che era tutto finito, ora che poteva riprendere a respirare, si fece più vivo che mai e gli si presentò in tutta la sua immane portata.
 
Non era a questo che pensavo, quando sono partito con te.
 
Furono le prime parole che gli salirono alle labbra e che avrebbe voluto dire, non appena calpestò quel suolo umido e crepitante di foglie larghe e verdi che si stendevano a terra come un infinito tappeto.
 
Non era questo che speravo, quando sono partito con te.
 
Per tutto il tempo che gli fu necessario per allestire ogni cosa, gli alberi e la notte assistettero in silenzio al suo dialogo muto con qualcuno che non sarebbe più stato in grado di sentirlo.
 
Non era questa la fine che sognavo.
 
Quante ore erano trascorse, da quando si era consegnato volontariamente all’Impero? Da quando aveva sentito un tuffo al cuore nel rivedere una nera presenza che era riuscito a chiamare “padre” senza che la voce gli tremasse e senza più temerlo, ma anzi, offrendogli il proprio perdono?
Non seppe trovare la risposta – non si impegnò nemmeno – ma si sentì comunque come se fossero passati cent’anni e tutto il peso si fosse improvvisamente posato su di lui.
 
Sbagliato.
 
Il peso sulle sue spalle era un altro.
 
Non chiese aiuto alla Forza per poterlo trasportare, si beò di quell’abbraccio che mai sarebbe stato ricambiato. Si accontentò di darlo, di stringere quel corpo inerme ancora protetto dalla pesante armatura.
 
Dovunque tu sia, puoi sentirlo?
 
Non se ne sarebbe mai staccato.
Per questo adagiarlo sulla pira fu il primo strazio.
 
Lo compose con dignità. Lisciò le pieghe dell’ampio mantello che scendeva in basso a lambire il terreno. Sistemò la maschera, tornata a coprire un volto scoperto ed amato per troppo poco tempo. Adagiò il braccio dall’arto mancante – era stata quella vista a salvarlo dal baratro del Lato Oscuro, rendendosi conto di quanto egli fosse simile a suo padre e di quanto vicino fosse a commettere il suo stesso madornale errore – sotto quello sano, pur sapendo che era artificiale anch’esso.
Quanto di umano vi era rimasto sotto quell’armatura?
Si rispose da solo.
Posò la mano sul petto, all’altezza di un cuore che non batteva più.
 
Questo.
È stato questo a salvarmi.
Ma non è bastato a salvare te.
 
Non pianse.
Il dolore era troppo.
I minuti scorrevano lenti, tutt’attorno in lontananza la foresta riecheggiava di tamburi e suoni di festa. Lui li sentì senza ascoltarli.
Fu solo quando la prima lacrima minacciò di scendere, costringendolo a sbattere le palpebre per ricacciarla indietro, che si accorse che non aveva ancora smesso di toccare quel corpo inerme.
Non riusciva a staccarsene.
Fece come fa qualsiasi figlio amorevole con un genitore che non c’è più: lo stringe una volta che nell’intenzione vorrebbe essere sempre l’ultima, ancora ed ancora, quasi lo culla, come per restituirgli le carezze di un tempo passato, per chiudere un cerchio con la vita.
 
Chissà come sarebbe stato…
 
Lui di carezze non ne aveva mai ricevute, non da quel padre sconosciuto almeno.
Però ricordava quelle che zia Beru gli regalava quasi di nascosto – zio Owen era sempre stato piuttosto burbero, ma mai cattivo – specialmente la sera, quando lo metteva a dormire ed ascoltava indulgente tutti i suoi sogni di bambino che fantasticava di diventare un pilota spaziale.
L’idea di come sarebbe potuto essere se si fossero potuti cancellare quei vent’anni, se le scelte del passato fossero state diverse, irruppe con tale prepotenza che lo obbligò ad allontanarsi dalla pira per riprendere la lucidità e per non cadere nella disperazione.
 
Doveva lasciarlo andare, nonostante fosse straziante quanto una sconfitta.
Doveva farlo e non tanto perché egli era un jedi, ma perché era suo dovere di figlio.
 
Sopra le fronde degli alberi il cielo blu notte fu illuminato di lilla ed amaranto e furono centinaia di scintille quelle che volarono ovunque, spegnendosi infine lontane in un ultimo baluginio dorato. Erano fuochi d’artificio, erano segni di festa per la fine di un’era e per la morte del tiranno.
Come era stato per i tamburi che continuavano incessanti, vide quello spettacolo senza guardarlo veramente. Non gli riuscì di gioire nemmeno un po’ per la vittoria ottenuta, pur avendone tutto il diritto. La foresta non se la prese per questo. Rispettò quel dolore filiale attutendo gli echi lontani con un corale stormire di fronde.
 
Chissà come sarebbe stato…
 
Scosse la testa.
Il momento era giunto.
Il terzo e decisivo colpo al cuore fu quando le fiamme avvolsero la pira.
Il silenzio e la notte nella radura furono riempiti di crepitii e di bagliori che danzarono la loro macabra danza di addio.
 
Non era questa la fine che desideravo per te.
 
Il fuoco iniziò a lambire il mantello.
Luke strinse i pugni, le braccia adagiate lungo i fianchi, gli occhi che volevano imprimersi ogni particolare di quel che vedevano per non dimenticarlo mai, per ricordare il sacrificio di un uomo che aveva salvato un’intera galassia.
 
Avrei voluto dirti tante cose…
… e tu mi avresti raccontato…
 
Non pianse.
Non sempre il dolore si esprime con lacrime.
 
Avrei tanto voluto conoscerti davvero.
 
Mai come in quel momento tutto quel che egli aveva sentito dire su suo padre gli appariva troppo poco, insufficiente a colmare la sua sete di conoscenza verso un uomo che gli era stato datore di vita.
Invece tutto quel che gli rimaneva erano una nera armatura ed una impenetrabile maschera, così triste a vedersi nel suo profilo lucido ed austero.
Era poco.
Troppo poco.
 
Le fiamme aumentarono d’intensità e Luke stette immobile ad osservare il corpo di Anakin Skywalker venire abbracciato dalle vivaci e cangianti lingue di fuoco. Riflessi rosso ed arancio illuminarono gli occhi del giovane jedi, regalando bagliori impalpabili alle sue iridi azzurre.
Tornò a guardare la maschera, unico spiraglio attraverso cui gli era riuscito d’incontrare un’umanità recuperata al costo della propria vita.
Una maschera triste, perché aveva celato sotto di sé, rinchiudendolo, colui che era stato solo una vittima tra le mani dell’Imperatore, il vero carnefice.
 
Siamo riusciti a guardarci negli occhi… almeno questo.
Solamente questo.
 
Poi fu solo il fuoco, che imponente si levò in alto, avvolgendo completamente la pira e nascondendo ogni cosa alla vista.
Luke rispose a quel’irrequietezza con la completa immobilità, fino a quando non si spensero anche le ultime scintille con cui il leggero vento della sera aveva giocato per farle volare un po’ più in alto del solito, come per eguagliare i bagliori artificiali che coloravano il cielo di variegate tonalità.
 
Quando tutto tornò buio il primo passo fu mosso come fosse un automa, come se il suo stesso corpo non gli appartenesse. Così fu per il secondo ed anche con il terzo. Al quarto egli si rese conto della direzione che stava prendendo e ritornò presente a se stesso.
Non si voltò, non volle vedere il vuoto che ora c’era nella radura, temette che lo avrebbe poi ritrovato anche dentro se stesso.
 
Parecchi passi più avanti la brezza della notte scese di nuovo a giocare con le foglie degli alberi, la cui cima si perdeva alta nei cieli.
Fu un fruscio che sembrava quasi un sospiro corale, come se l’intera natura avesse respirato di sollievo. Quell’eco rimbombò dentro di lui, quasi una voce lontana e mai conosciuta.
Forse era solo suggestione, così credette e cercò di convincersi.
Ma la brezza della notte scese anche a scompigliare i suoi capelli.
E non si sbagliò, no, quando gli sembrò una delicata carezza che andava a posarsi sulla sua fronte e ne scostava leggiadra i capelli biondi.
La assaporò tutta, dal primo all’ultimo istante.
 
Quando il vento si divertì a scuotere un po’ più forte le fronde degli alberi, Luke alzò gli occhi.
Ed oltre il viola e l’arancio, il giallo ed il turchese, l’oro ed il rosso del fuochi d’artificio, oltre essi egli vide finalmente le stelle lontane ed il colore del cielo.

***

Angolino autrice: basta, se continuo a limarla finisco per impazziare.
Devo imparare anch'io a lasciar andare le mie storie, così come ha fatto Luke.
Non so se essere felice per questo finale che sono riuscita a scrivere o se disperarmi: al di là delle spade laser, al di là della galassia lontana, al di là anche di un nero mantello, qui dentro c'è parecchio di me stessa, più di quanto io sia propensa ad ammettere. E me ne sono resa conto mentre scrivevo il dialogo muto di Luke.
Chi mi conosce, capirà.
Per chi non mi conosce - e siete la maggior parte - spero di essere riuscita almeno a costruire una storia decente: sono disponibile per consigli e suggerimenti.
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui,
Chiara

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1293123