You are human too.

di Ami_Yumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Qualche mese dopo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Avevano organizzato tutto alla perfezione per quell'odiosa rimpatriata dei compagni di liceo. Ero costretta ad andare, ero una delle ragazze più popolari della scuola e ovviamente tutti si sarebbero accorti della mia assenza. Così indossai quei jeans aderenti, un paio di decoltè e una camicia bianca tra il vedere e non vedere.
“Guarda un po' chi si vede. Queen Thomson.”
“Elizabeth Parker. Graziosa ed elegante come sempre.” sorrisi costretta dal contesto. Detestavo Eliza da sempre, e lei odiava me da quando le rubai il titolo di reginetta del ballo. Ora si mostrava in tutta la sua superficialità e idiozia. Con una pancia appena pronunciata, mostrava a tutti il suo marito perfetto, visibilmente in imbarazzo. Chissà quanto sarebbe durato quel matrimonio. Era già il secondo in appena tre anni.
Qualcuno entrò dall'ingresso principale attirando la sua attenzione e quella di tanti altri ragazzi nella sala. Si allontanò e io riuscii ad avvicinarmi al banco delle prelibatezze. Un piccolo bocconcino e una birra. John, uno dei tanti compagni, si avvicinò a me ricordandomi di quanto tempo passavamo insieme per fare i compiti di algebra. Era un genio. Mi confessò di essere insegnante in una delle più rinomate accademie private dello stato e ne fui veramente felice. Mi presentò anche la sua giovane mogliettina.
“Ci siamo sposati appena due mesi fa.” disse lei, un po' timida e emozionata.
“Sono felice per entrambi, sono sicura che i vostri figli saranno dei geni come voi.” ridemmo insieme.
“E tu? Non dirmi che sei sola.” chiese il mio vecchio amico.
“In effetti..”
“Eccomi, amore mio!” urlò qualcuno poco lontano da noi. Mi voltai, vedendo un uomo alto, capelli corti, forse tinti. Mi voltai nuovamente verso la coppia che parlava con me prima di quel trambusto.
“Si, son venuta sola. Meglio single che male accompagnati, dico sempre.”. I due si allontanarono mentre quell'orma d'uomo si avvicinava. Pensai subito fosse quel piagnuccolone di Gery: un ragazzo, il triplo di me, che si mise a piangere quando rifiutai di uscire con lui. Alla fine tutti scoprimmo che era gay ed era felicemente fidanzato. Forse l'avrei incontrato anche quella sera.
“Oh, Jessica Valery “Queen” Thomson” disse squadrandomi da capo a piedi in una posa che parlava da sé.
“Oddio! Non ci credo! Jordan!” l'abbracciai felice. Il mio ex- boyfriend era venuto a quella riluttante festa? Insieme a lui anche Chad e altri suoi amici. Mi voltai dal barista, chiesi quattro birre e due aperitivi. Jordan fece per acconsentire. Dopo aver preso da bere ci dirigemmo nel retro della sala, c'era un piccolo spazio dove nessuno sarebbe venuto a disturbare.
“Ehi, dov'è Mandy? L'ultima volta che ho sentito di voi era qualche anno fa.” chiesi sorseggiando la birra.
“Si, ora viviamo in California. Tu, come mai a questa festa? Non pensavo di vederti”
“Come mai TU sei qui?! Pensavo che i New Found Glory non avessero pause per una festa così stupida.” risposi.
“Perchè stupida?” chiese la testa rossa affianco a Chad.
“Hayley, giusto? -annuì con la testa- Tutti fingiamo di essere amici là dentro, ma qui fuori, se potessimo, ci uccideremo gli uni con gli altri.” le dissi mentre i ragazzi abbassavano lo sguardo acconsentendo il tutto. Steve tolse fuori il suo i-phone scrivendo qualcosa.
“Come sempre scrivi te i testi, vero Steve?” annuì assorto in quelle parole che sicuramente avrebbero composto un'altra fantastica canzone. Dopo qualche minuto di silenzio, Chad riniziò a parlare.
“Ricordate quando facevamo scattare l'allarme antincendio solo per andar via da scuola?”
“Ovviamente i professori davano la colpa a noi, sebbene fossi sempre tu a portare l'accendino.”
“Nessuno meglio di me sapeva come fingere. E comunque l'idea era sempre tua Jordan.”
“Mia? Ma l'idea della reginetta del ballo è stata di Steve e Chad.”
“Reginetta del ballo?” chiese Hayley. Alla domanda rispondemmo tutti con una risata rumorosa. In effetti pochi sapevano come ero diventata la reginetta quell'anno.
“Si, la vedi quella con il vestito giallo, incinta? -la ragazza annuì a Chad- Quella è Elizabeth Parker,
odiava Jessy perché era la ragazza di Jordan e frequentava il nostro gruppo. Ci divertivamo a farla diventare pazza. Così l'ultimo anno, io, Steve e Jordan ci siamo offerti per il controllo delle elezioni. Tutti votarono ma noi cambiammo la scatola con una nostra dove avevamo messo i biglietti con il nome di Jessy.”
“Eravate degli idioti!” commentai accendendo una sigaretta.
“Quindi la vincitrice fu Jess.” terminò Steve.
“Eravate veramente bravi a nascondere le prove.” commentò un uomo giungendo alle nostre spalle.
“Professor Richmond.” lo salutammo.
“Chi avete votato stavolta per il ballo?” disse, mentre noi ci guardavamo a vicenda.
“Elizabeth ha messo nuovamente ai voti tutte le bellezze della scuola.” mi guardò. Spensi velocemente la sigaretta, mi alzai.
“Steve, devo comprarmi i voti, aiutami!”
“Ehi, e io?” chiese Jordan.
“Tesoro, tu sei sposato, non voglio sembrare una poco di buono.”
“io ho un' altra idea. Che ne dite di aiutarmi?” disse Richmond. Prese il suo accendino e lo accese.
“Come i vecchi tempi?” dissi. E subito ci mettemmo all'opera per rovinare la festa a quella povera Eliza Parker. Mi avrebbe odiato fino alla morte ma in fondo così è la vita. C'è chi ti ama e c'è chi ti odierà per sempre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Qualche mese dopo ***



.Taylor. 

Avevo visto quella ragazza da qualche parte. Non ricordavo dove, ma non mi veniva in mente niente. Hayles e i New Found Glory le parlavano come la conoscessero da anni, Jordan le teneva un braccio sopra la spalla.
“Hey Kat, ricordi quella ragazza?”
“E' una vecchia amica di Jordan e Chad. Hayles ha detto che c'era anche per il compleanno di Chad, ma io e Jer non c'eravamo quindi non so che dirti.” mi rispose. Jer ci raggiunse poco dopo con la sua bottiglietta d'acqua. Guardava anche lui verso la ragazza, e, anche lui, fece la stessa domanda.
Dakotah si unì al gruppo, l'abbracciò come una cara amica e rimase lì a parlare. Le vedevo ridere e scherzare ma l'unico pensiero che rimaneva in testa era dove avevo visto quella ragazza.
“Guys, venite!” urlò Hbomb agitando le braccia.
“Come faceva quella filastrocca? Ricordo che avevamo inventato anche dei passi per andare a tempo.” diceva Dak.
“Ok, sei pronta?” disse la ragazza. Iniziarono a muoversi a ritmo recitando una simpatica filastrocca. Kat insisteva per impararla ma le ragazze ribadivano fosse solo per ragazze single e che lei non rientrava nel gruppo.
“Oh, c'mon!” sbuffò Kat.
“Tesoro non prendertela.” la consolava Jer. Continuavano a parlare, rideva quasi per tutto. Anche per le cose più stupide. E per quanto fossi tra loro fisicamente, la mia mente era tra le nuvole, immersa nei suoi mille pensieri. Il telefono squillò evitandomi di fare un'altra delle mie figure. Non ricordavo quella ragazza, ma almeno ora sapevo il suo nome: Jess.
Chris, al telefono, mi chiedeva se avessi già pensato al regalo per nostra madre. Risposi distrattamente di si ma alla domanda “cosa le hai comprato?” deviai la risposta.
“Scusa, bro, ma mi chiamano e devo andare.” chiusi la telefonata e mi voltai. Lei con una macchina fotografica puntava me.
“Fermo!” disse, poi sentii il click dello scatto. “Scusa, eri in una posizione perfetta anche per la luce. Guarda.”. Mi avvicinai prendendo la macchina dalle sue mani fredde. La maggior parte erano scatti in bianco e nero. In quel periodo non ero particolarmente contento degli obiettivi puntati su di me, ma le sue foto... sembravano ritrarre me, non il Taylor che conoscevano tutti. Aveva colto la sfumatura del mio carattere in quelle poche foto.
“Son fantastiche.”
“Grazie.” disse lei riprendendo la macchina. “Taylor, giusto? - annuii con un cenno della testa- Scusami ma sono proprio pessima nel ricordare i nomi.” sorrise.
“Non ti preoccupare, anche io. Jessica, giusto?”
“Jess, va benissimo.”
“Bene.” ci fu un po' di imbarazzo in quel silenzio che seguì. “i ragazzi?”
“Sono andati a prepararsi, tra poco inizia il check. Tu sei il bassista dei Paramore?” disse. Risi prima di rispondere. Aveva cercato lo strumento che meno sapevo suonare.
“No, sono il chitarrista, ma so suonare batteria, piano, percussioni e ...”
“Ti potevi fermare a batteria per non farmi sentire un'idiota in campo di musica.” disse facendomi ridere ancora una volta.
“Taylor, attento a Queen! È una strega!” disse Steve dal microfono di Jordan, ormai sul palco.
“Chi è Queen?” le chiesi, sapendo che avrei fatto una figuraccia e mi sarei pentito subito dopo di averlo chiesto.
“Sono io, e non sono una strega! Dopo me la paga!”. Il suo sguardo determinato sul nostro amico mi fece quasi paura. Ma non era una strega, me lo sentivo.
Jordan e gli altri iniziarono a suonare, vedevo Hayles e gli altri dietro il palco parlare di chissà che cosa. Jess al mio fianco impugnava la fotocamera e scattava delle foto. Rimasi in silenzio ascoltando quella musica allegra e carica dei NFG.
“Stasera sarà impossibile fare delle foto, meglio approfittare dell'assenza di fan.” disse lei avvicinandosi di più al palco.
“Quindi sei una fotografa.”
“Oh, no. La fotografia è solo... un secondo lavoro. Solitamente sono in giro per il mondo: Africa, Europa, Sud America, Europa, Cina, Filippine... insomma, un po' ovunque.”
“Di cosa ti occupi esattamente?”
“Ho una laurea in giornalismo. Viaggio, aiuto le persone e scrivo di loro. Ecco il mio lavoro. Più che una giornalista, mi sento come una racconta-storie: raccolgo testimonianze di popoli di cui molto spesso non sappiamo neanche l'esistenza.” disse.
“Wow. Sembra eccitante.”
“Si, è bello, ma spesso mancare da casa è pesante... voi lo sapete bene.”
“Già. Ma avere la possibilità di vedere felice qualcuno è una bella soddisfazione.”
“Un periodo ho lavorato anche con Invisible Children. Ho visto alcune foto dove indossavi la loro maglia.”
“Si, sono fiero di poter dare dei fondi per i loro progetti. Almeno posso aiutare qualcuno.”
“Ce ne sono pochi di uomini come te.”
“E' un complimento?”
“Diciamo di si.” sorrise. E io la ringraziai.
“Però ora ti devo chiedere un favore. Aiutami a vendicarmi. Steve non se la caverà con le scuse.”. Mi misi a ridere e accettai di aiutarla. Lo scherzo sarebbe stato semplice e divertente. Un secchio pieno di polvere colorata sopra la porta e via. Steve avrebbe avuto i capelli colorati di verde per quel live.
I ragazzi finirono le prove e si diressero verso i camerini. Feci finta di niente e continuai a parlare con tutti gli altri, compresa Jess.
“Allora, Queen, ti è piaciuta la nostra musica? Spero di si.” disse Steve, mettendole un braccio sulle spalle. Lei lo guardò e sorrise. Poi guardò me, quasi disperata.
“WHAT THE F***K!” sentimmo urlare. Ian e Jordan avevano polvere colorata ovunque, non riuscii a trattenermi dal ridere, seguito da Jess e gli altri.
“Sono certo che sei stata tu! Ci scommetto! Solo tu puoi fare tutto questo casino!” iniziò una corsa memorabile. Steve e Jordan e Chad si aiutavano a vicenda pur di catturare Queen, o Jess che si voglia.
“Giuro, non sono stata io! Taylor ha fatto il tutto insieme a Dak!”Steve ormai l'aveva presa sulle spalle e la ragazza tentava di divincolarsi dalla presa senza alcun successo.
“It's not true! Non ti abbiamo aiutato!” urlava Dakotah mentre io ridevo come un disperato nel vedere tutta quella polvere verde tingere i capelli della ragazza. Mi asciugai le lacrime, Steve la posò a terra e lei venne subito da me. Ma non riuscì nell'intento di sporcarmi, Chad arrivò subito con una bottiglia d'acqua e gliela versò in testa. Dovetti sedermi per non perdere l'equilibrio. Ormai non riuscivo a tenermi in piedi dalle risate.
La guerra di schizzi d'acqua finì dopo un po' di tempo. Arrivati in hotel, i ragazzi andarono subito a cambiarsi e a levarsi quel verde da tutto il corpo. Entrai in camera, una singola. Volevo rimanere un po' solo. Decisi di sistemare le valigie e le mie cose. Sarei rimasto li ancora tre giorni quindi dovevo organizzarmi. Lasciai in valigia i jeans e i pantaloni, appesi le camicie e le magliette. Poi presi il mio astuccio, fortunatamente il profumo che era dentro non si era rotto durante il viaggio. Entrai in bagno.
“Oh, sorry!” dissi, vedendola lì, avvolta da un asciugamano corto, e un enorme turbante in testa.
“non preoccuparti, fai pure. Non mi vergogno.”
“Ma io si. -ammisi- Pensavo avessimo bagni separati.”
“Invece no, la tua e quella di Dak sono comunicanti. Comunque pensavo che potreste venire a stare da me. La casa è abbastanza grande per tutti.” disse levandosi l'asciugamano che avvolgeva i capelli.
“Cavoli, è tutto verde. L'ho combinata grossa stavolta!” rise da sola.
“Aspetta ti aiuto.” venne quasi istintivo. Presi l'asciugamano e tentai invano di levarle quella tinta.
“Sai, ti sta bene il verde.” dissi. Mi guardò e ridemmo. Sembravamo dei bambini dopo aver combinato un disastro. Era da tanto tempo che non mi sentivo così, ero tornato il ragazzo spensierato e felice. Non che non lo fossi, ma lei avevo risvegliato il me giocherellone e simpatico che tutti sapevano. Da quando il mio vecchio amico Zac aveva lasciato il gruppo, combinavo meno danni, ero più serio, più impegnato musicalmente. Scrivevo i testi, le musiche e ormai ero quasi sempre con Hayles nelle interviste. L'unica consolazione erano i live, quando suonavo. Non c'era niente e nessuno. In quel momento con la chitarra in mano ero io. Solo io.
Uscii dalla stanza e raggiunsi gli altri all'ingresso dell'hotel.
“Ragazzi, Jess dice che possiamo stare da lei per questi giorni.” li avvisai.
“Tutti tutti?”
“Da quando Queen ha una casa?”
“Non lo so, ma a meno che non abbia una villa, non ci staremmo tutti quanti.” dicevano. A quanto riuscii a capire Jess non aveva mai comprato una casa e non ci pensava neanche a farlo. E avevo comunque ragione a dire che eravamo troppi per una casa, ci sarebbe voluta una villa.
“L'importante è che vi muoviate, ho un appuntamento tra appena mezz'ora a casa. E state tranquilli ci staremo tutti.” disse lei.
“Vado a prendere le valigie.” disse Hayles trascinando gli altri.
“Sei molto gentile a offrirci l'alloggio.” le dissi.
“Dato che ho una casa, usiamola. È troppo grande per una sola persona.”
“Perchè non ci hai detto che hai comprato casa? Avrei fatto un salto ogni tanto.” ci interruppe Jordan.
“Perchè non l'ho comprata io e neanche ne avevo intenzione.... è una storia lunga, Jo.” disse “Vai a prendere i bagagli, e muovetevi!”.




Angolo Autrice.
Se avete letto questo capitolo, vi ringrazio tantissimo. Spero vi stia un pò incuriosendo la strana storia di questa ragazza, che a quanto pare ne combina di tutti i colori. Ma ora, cosa accadrà una volta che i ragazzi giungeranno alla casa? Continuate a leggere e commentate (ovviamente anche commenti non positivi). A domani, cari lettori. baci   -Yumi- 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


-Jessica-


Avevo quella casa da appena due mesi e mezzo, mi sentivo ancora un po' a disagio a vivere lì. Ero abituata a quel piccolo appartamento in cui ero cresciuta, e ora mi ritrovavo con una villa, poco distante dal mare, con una piscina, un enorme giardino, cinque stanze da letto con ognuna un bagno personale, un salotto e una cucina immensi, una sala da biliardo e anche una sala prove al posto della solita cantina. Senza considerare anche il posto riservato a macchine e moto. Non avevo mai visto così tanto lusso in un'unica casa.
Percorrevamo il viale d'ingresso in auto fino alla scalinata che ci portava dentro la casa. In giardino vidi Nick fare i suoi soliti esercizi di ginnastica per mantenersi in forma.
“Tesoro! Perché non mi hai avvisato che portavi tanta gente a casa?” chiese scherzando. Parcheggiammo le auto. I ragazzi rimasero a bocca aperta, davanti a quella villa così imponente.
“Venite, vi faccio vedere il resto.”. Sapevo che avevano mille domande da fare, e avrei cercato di rispondere a tutte. Ma solo dopo aver fatto i miei doveri di padrona di casa.
“Salotto, cucina, bagno, sala biliardo.” dicevo agitando le mani e indicando ogni stanza. Poi ci affacciammo sul retro. “Ecco a voi la piscina e il giardino.” finii.
“Diamine! Hai anche una piscina?” commentò Ian.
“Venite, vi faccio vedere le camere.” salimmo al piano superiore. E decidemmo come sistemarci nelle camere, anche se sapevo già come sarebbe finito il tutto: alcuni avrebbero dormito nei letti ma la maggior parte si sarebbe addormentato nelle poltrone, nei divani o addirittura sul pavimento.
“Hai già mostrato a questa bella gente la tua personale collezione di chitarre?” Nick disse proprio quello che volevo evitare. La mia collezione di chitarre. Non era mia. Non lo era mai stata!
“Venite.” abbassai lo sguardo. Li guidai verso quella che chiamavamo la “cantina”. Era un modo di dire, ma sia io sia Nick sapevamo cosa volevamo dire.
“Oddio! È un vero e proprio studio di registrazione, di prove. E tutte queste chitarre e bassi e...”
“Non toccate niente per favore!” dissi quasi urlando.
“Wow! Non so che altro dire. Wow!” osservavano un po' ovunque. Incuriositi e forse anche un po' invidiosi di quel mondo musicale che mi apparteneva.
“Tesoro, è arrivato Tim!” mi avvisò il mio coinquilino.
“Digli che arrivo subito. Bene, su! Uscite! Questa è zona off limits! Avete visto la casa, ora potete sistemarvi e fare ciò che preferite!” dissi. Dakotah si diresse subito davanti alla tv. Era venuta già diverse volte in quel posto, soprattutto perché il suo migliore amico frequentava Nick e altre volte perché l'avevo invitata io per qualche serata tra amiche.
Andai da Tim che aveva già preparato il tutto. Stavamo sotto il portico che dava sul giardino. All'ombra dal grande sole.
“Come mai questo tatuaggio ora?” Tim era il migliore tattoo maker che conoscessi, tutti a L.A. lo conoscevano. E decisi che sarebbe stato lui a farmi il tatuaggio più importante della mia vita. Un pentagramma ondulato con una melodia che solo io conoscevo.
“Sono state le sue ultime note... ed erano per me.”
“Tuo padre era veramente una persona fantastica, mi chiedo perché non si sia mai presentato a te. D'altronde eri sua figlia.”
“non lo so... non sapevo niente di lui fino a poco tempo fa e ora...”
“Scusate, pensavo fosse libero.” Tay arrivò in quel momento. Gli dissi che se voleva poteva rimanere. Accettò volentieri e rimase a guardare la penna scorrere sulla mia pelle.
“Dicevamo? Ah si. Non sapevo neanche fosse vivo. Son sempre cresciuta con Tom, il compagno di mia madre, poi due mesi fa tutta quest'eredità. Senza neanche conoscermi. Dannazione a lui! Poteva almeno presentarsi una volta e poi sparire nuovamente.”
“Finito. Non era così impegnativo come pensavo. Alla fine, il disegno ha facilitato tantissimo. E comunque non prendertela con tuo padre. Se ti ha lasciato tutto questo, un motivo ci sarà.”
“Grazie mille Tim, sei un tesoro!”. Mi offrii di dargli un passaggio dato che tornavamo in città per il live di NFG. Misi una fascia per proteggere il tatuaggio e poi andammo. Dak e Hayles erano le più eccitate del gruppo. Non vedevano l'ora di scatenarsi e divertirsi a ritmo di quella musica energica e coinvolgente. Era da molto che non vedevo i ragazzi suonare e fu un'immensa gioia poterli vedere lì. Per un momento iniziai anche ad aver paura che la mia gioia sembrasse più quella di una mamma che vede il proprio figlio sul palco per la recita scolastica che quella di una semplice amica che non stava a un loro concerto da un sacco di tempo.
“Hey, Jess, quello non è il tipo che avevamo incontra..”
“Oh no! Speriamo non mi veda!” dissi vedendo quel ragazzo nel dietro le quinte. Mi chiesi cosa ci facesse lì, l'ultima volta che lo vidi stavo a Miami. Poi notai il pass e capii che stava lavorando.  
“Non essere così timida. Cosa ti ha fatto?” mi chiese Taylor. Era alto, in quel momento pensai solo di mettermi davanti a lui per coprirmi da quell'essere.
“E' il suo ex, T!” disse Dak.
“Ok, va bene. Girati e fai finta di niente. Continua a seguire il concerto.” disse abbracciandomi alle spalle. Sentivo il cuore battere dell'agitazione. Non capivo come fosse possibile che dopo tanto tempo lui fosse ancora così pesante per il mio cuore. Lo vidi sparire  dietro Jeremy con la coda dell'occhio, Tay si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi “Cosa ha fatto per farti tremare come una foglia?”
“Si nota molto?”
“Spero di no, altrimenti tutti saprebbero della tua paura.”. Sussurravamo, ma la paura non era ancora svanita. E se fosse tornato? E se avesse fatto del male anche a uno di loro?
“E' andato via. Rilassati ora.” Dak mise la sua mano sulla mia spalla, sperai solo non si accorgesse che era Tay che mi teneva in piedi.
“Meglio così. -dissi- Vado a prendere una bottiglietta d'acqua.” Taylor mi seguì. Era un ragazzo così gentile e così ingenuo. Mi chiedevo se ci stesse provando e fosse semplicemente il suo modo di fare. Sapevo che stava facendo quello per aiutarmi ma mi chiesi veramente se potevo fidarmi di lui. Lo conoscevo da appena un giorno. L'avevo visto alla festa di Chad, ma non ci avevo parlato. E ora sembrava essere la persona che più mi assomigliava al mondo.
“Non era il tuo ex, vero?”
“Non dirlo a Dak. E neanche agli altri, per favore.”
“Ok, però.. io ho aiutato te, ora tu aiuterai me. E non preoccuparti, non dirò nulla.” sorrise e mi sentii meglio. Non fece altre domande, per mia fortuna. Continuammo a parlare, mi chiese un aiuto per il regalo a sua madre. Qualche settimana dopo sarebbe stato il suo compleanno e, nonostante avesse detto al fratello che aveva già pensato al regalo, non aveva la benché minima idea di cosa regalarle.
“Voi donne, siete dei miti a fare regali. Ti prego, aiutami.”
“Ok, domani mattina vediamo che si può fare. Ma da quanto ho capito, tua madre è come la mia. Non preoccuparti, qualcosa troveremo.” gli dissi. Tornammo dal gruppo. Jeremy e Taylor si allontanarono insieme ad Hayles per andare a mangiare qualcosa. Io, Dak e Kat ne approfittammo per scattare qualche foto. Poi Dak, iniziò il suo discorso imbarazzante.
“Allora, con Taylor?” sapevo cosa intendeva.
“Vedendolo in questo momento sembra un'idiota.” dissi. Stava ballando con un espressione sul volto che faceva ridere anche Hayles.
“Gli piace far ridere alla gente anche se la gente lo prende per idiota. Non gli interessa degli altri,vuole solo stare bene lui e far stare bene gli altri.” disse Kat con tenerezza.
“Secondo me, sareste perfetti insieme. Lui è così perfetto e tu sei la perfezione.”
“Se ti piace, prenditelo. Lo lascio volentieri a te. Sai che non è il mio tipo.”
“Bè, se lo confronti a qualche tuo ex, come quello che sta sul palco ora...”
“Chi? Oh, my god! Chi è? Perché non so mai niente, io!” si lamentava Kat. Quando le spiegai che conoscevo i ragazzi dal tempo del liceo e che ero la ragazza di Jordan, rimase quasi shoccata, ma divertita. Hayley arrivò proprio in quel momento sulle spalle di Taylor urlando che quella sarebbe stata l'ultima canzone in scaletta, quindi il concerto stava per finire.
“Dopo tutti in spiaggia a festeggiare?” propose. Mentre gli altri accettarono, io declinai l'invito per tornare a casa. Avevo bisogno di riposare. Dopo tre notti passate a festeggiare, avevo decisamente bisogno di dormire. Anche se mi sarebbe piaciuto festeggiare con loro. Ci trattenemmo un poco a commentare il live, e poi come mi aspettavo i ragazzi ammisero di essere troppo stanchi per affrontare un'altra festa. Così tornammo a casa tutti insieme. Salii in camera, misi una maglietta e un pantalone comodo e condivisi il letto con Dak e Hayles.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


.Taylor.


Non riuscivo a dormire, una musica rimbombava nella testa, come se qualcuno stesse suonando un pianoforte in quella bellissima casa. Mi alzai accorgendomi che Jordan aveva un braccio sul mio petto e una gamba sopra la pancia di Ian. Insomma, era impossibile dormire con loro. Risi sentendo il dolce, se tale si può definire, russare del ciccione. Iniziai a muovermi silenziosamente, e scesi le scale. Qualcuno suonava veramente un pianoforte, lo sentii affacciandomi in giardino.
Tornai in cucina a scaldare un po' di caffè e, dopo averne riempito una tazza, seguii quelle note distorte.
“Cazzo! Non capirò mai questo coso! Fanculo a te!” sentii. Solo una persona poteva parlare in quel modo e solo una persona aveva l'accesso a quella parte della casa.
“La calma è la virtù dei forti” dissi entrando.
“Chi ca...Oh, Taylor! Cosa ci fai qua? Ti ho disturbato?”
“No, no. Non preoccuparti. Posso aiutarti?” mi guardò rassegnata. Si spostò facendomi spazio nel sedile del piano.
“E' tutto come ha lasciato lui.” la guardai facendole capire che non sapevo di chi stesse parlando. Prese una sigaretta e l'accese. Andammo fuori dalla sala, in giardino.
“Mio padre. Ho ereditato tutto da lui. Quello stronzo.” aspirò.
“Perchè lo odi così tanto?”
“Non l'ho mai conosciuto. Non si è mai fatto vivo. È andato via quando avevo due anni, non ricordo di lui. Non l’ho mai neanche cercato, non mi interessava. Poi qualche mese fa il suo avvocato mi telefona e mi dice che ho ereditato tutto. Avrei voluto conoscerlo prima se ero nel suo testamento.” aspirò nuovamente.
“Puoi ancora conoscerlo. Hai i suoi scritti, i suoi lavori, no?”
“Stava scrivendo una canzone ma non riesco a capire nulla.” disse quasi triste e arresa. Buttò la sigaretta nel portacenere dopo averla spenta con cura.
Nel leggio del pianoforte stava aperto un grosso quaderno pentagrammato. Simboli e note e testo si alternavano in quelle pagine aperte.
“Sarà circa una settimana che provo a capirci qualcosa,ma alla fine lascio perdere tutto.” disse.
“Vediamo un poco.” iniziai a leggere le note e a suonarle. “Qualcosa non torna.” dissi. Notai che
sebbene le note fossero scritte con cura e con notevole bravura, suonate al piano non rendevano. La musica era confusa, quasi impossibile da sentire.
“E se non fosse per il piano?” proposi.
“Ma il quaderno era sul piano, quindi...” rispose.
“Proviamo” non aspettai la sua risposta. Presi la chitarra più vicino a noi. La musica tornava, le note erano perfette. Lei si avvicinò incantata.
“Sono un pessimo cantante. Magari più tardi riproviamo con Hayles.”
“Potresti risuonarla, per favore?” si avvicinò di più in modo da vedere il quaderno con il testo. Era un testo fantastico. Forse scritto proprio per lei.
“Un giorno ti sentirai sola, sarai triste e il tuo mondo crollerà. Avrei voluto esserci, avrei voluto aiutarti. Avrei voluto essere sempre con te, ma quando si è giovani si fanno tanti errori.”. Lei iniziò a cantare. Soave e leggera, la sua voce veniva dal profondo. Aveva lo stesso effetto che aveva avuto Adele Perkins quando la sentii cantare Set fire to the rain per la prima volta. Avevo il cuore fuori dal petto.
Finii di suonare, la guardai visibilmente commossa.
“Stronzo!” disse. Prese un'altra sigaretta e si diresse in piscina. Abbandonai la chitarra e la seguii. Rimasi in silenzio, accanto a lei. Come tutte le ragazze, prima o poi avrebbe iniziato a parlare.
“Cosa faresti al posto mio? Io non so che fare di tutto questo. Non so niente del mondo della musica e sinceramente non so se possa interessarmi.” sbuffò. Rimasi ancora in silenzio, meditando sulle parole più giuste da dire.
“Solo tu puoi saperlo. Io posso solo stare qui ad aiutarti.” appoggiò la testa sulla mia spalla. Restammo così per un po'.
“Sai surfare?” disse dopo un lungo silenzio.
“Si, che hai in mente?”.
Dopo qualche minuto eravamo in spiaggia a surfare. Il sole illuminava appena le onde. C'erano anche altri ragazzi come noi. E il clima era perfetto. Jess era incredibile sulla tavola, sicuramente aveva passato molto tempo a praticare quello sport. Dopo qualche onda tornò sulla spiaggia, prese la sua macchina fotografica e scattò qualche foto. Presi qualche onda. Surfare mi faceva sentire molto libero e la mente era occupata solo dal pensiero di arrivare alla fine di quell'onda.
Il telefonino squillò diverse volte e lasciai continuasse.
“Perchè non rispondi?” mi chiese. Non c'era un motivo vero e proprio. Stavo bene, tutto lì. E non volevo qualcuno potesse rovinare con poco, anche solo una telefonata, quel momento perfetto.
“Rispondi tu, se vuoi.” pensavo non l'avrebbe fatto, ma in fondo sapevo non dovevo farlo. La vidi prendere il telefono dalla mia borsa.
“Taylor è occupato. Sono Jess, chi parla?” rispose. Le feci cenno di passarmi il telefono ma lei si alzò e iniziò a camminare.
“Salve, signora York!” continuò a parlare. Le dissi di passarmi il telefono nuovamente. Ma lei fece cenno di no. Dio! Era mia madre, chissà cosa stava pensando!
“Dammi il telefono, Jess!” le urlai. Lei si fermò e mi tirò il telefono. Lo presi al volo. Nello schermo non c'era alcuna chiamata. Controllai nelle ultime chiamate ricevute. Non era mia madre, ma solo Jeremy. Buttai il telefono nuovamente nella borsa e cercai con lo sguardo quella ragazza, ormai mia amica. Stava correndo lungo la spiaggia. Tentai di raggiungerla, gliel'avrei fatta pagare.
“Ok, ok. Cerchiamo un compromesso, ok?” disse tra un fiatone e l'altro. Mi limitai a guardarla.
“Farò tutto quello che vuoi ma non provare a riempirmi di sabbia, la detesto dentro il costume.”
“Tutto quello che voglio?”
“Non vengo a letto con te, sia chiaro.”
“Non ci penso nemmeno.”
“Bene”
“Bene”. Le feci la linguaccia e poi ripresi a correre. Lei non mi corse dietro, così arrivai subito nel posto in cui avevamo lasciato le tavole e le borse. Presi tutto e andai in macchina. Accesi il motore e uscii dal parcheggio. Avevo preso anche i suoi vestiti, ovviamente. La vidi arrivare seccata e disperata allo stesso tempo.
“Taylor!” urlò. Le feci cenno con la mano di muoversi. Le feci il solito scherzo cretino dell'andare avanti appena lei si avvicinasse allo sportello. Alla fine stavo ridendo così tanto che mi arresi e la feci salire.
“Sei un idiota!” disse salendo in macchina. Decidemmo di passare nel lato piscina per lasciare le tavole al bordo in modo da asciugarsi. Gli altri stavano tutti nella grande cucina.
“Eccoli qua!” disse Jeremy.
“Visto? Siamo ancora salvi.” risposi ancora ridendo.
Mentre mi facevo la doccia e mi cambiavo ripensavo alle ragazze che avevo frequentato. Erano così diverse da Jessica. Lei era unica nel suo genere, spontanea, divertente. Era solo se stessa.
“Sei pronta?” urlai davanti alla sua porta.
“Entra pure, sto finendo di vestirmi” entrai un po' imbarazzato. La vidi truccarsi davanti allo specchio del bagno.
“Vestirti? Ma se hai ancora l'accappatoio addosso!”
“Dai, Tay. Rilassati. Abbiamo un'intera giornata davanti, quindi...”
“Si, ma dobbiamo essere qui nuovamente alle sette. Ricordi abbiamo quella festa?”
“Ricordo della festa e so anche quanto impiegheremo a fare shopping.”
“L'importante è che ti dai una mossa!” la sua camera era un vero disastro, mi distesi nel letto tentando si ignorare i mille vestiti che aveva tolto dall'armadio. I capelli sciolti le stavano davvero bene e anche il completino intimo viola che indossava. Ok, Taylor, fingi indifferenza, mi dissi.
“Questo o questo?” si poggiò addosso due vestitini corti.
“Per me stai bene anche così.” le dissi. Ovviamente mi tirò contro uno dei due.
“I feel so sexy with this one.” disse ammirandosi allo specchio.
“Muoviti!”.
Raggiungemmo il centro della città in mezz'ora. Tra le vie si muoveva con naturalezza, disinvolta, per niente infastidita dagli sguardi dei passanti. Ogni tanto salutava qualche amico. Camminavamo e parlavamo un po' di tutto nel frattempo. Mi chiese come avevo conosciuto i Paramore e come diventai uno dei membri, alla fine. E io le chiesi come aveva conosciuto i NFG e come avesse fatto a stare con uno come Jordan.
“Oh, we're so young!”
“Ora non ci proveresti più con uno così?”
“Come Jordan? Mmmhh, si..è simpatico, carino, ma sposato e padre. Sinceramente no, non ci proverei.”
“Hai già qualcuno in mente?” rise alla domanda.
“Dopo Jordan non ho mai trovato un altro come lui, sai? Le mie relazioni sono sempre durate troppo poco. Eccoci arrivati!” disse quasi per cambiare il discorso. Guardai l'insegna del negozio. Non suggeriva niente di nuovo rispetto ai soliti oggetti casalinghi.
“Sono sicura che troverai qualcosa per tua madre” entrammo. “Hai già qualche idea?”
“Avrei voluto regalarle qualcosa di significativo, qualcosa come...”
“Un grazie?”
“Già.”
“Le piacciono le statue in legno?” il negozio era più grande di quanto sembrasse dall'esterno. Entrammo in una sala piena di statue, grandi e piccole, fatte in legno. L'odore del legno era fortissimo ma bello. Jess salutò lo scultore abbracciandolo, li lasciai parlare mentre cercavo il regalo. Notai un piccolo portaritratti, a forma di libro con davanti, poggiata sulla base una piccola Madonna col Bambino. Pensai subito a mia madre.
“Se vuoi, Anto ti aiuterà a scrivere sul libro una dedica.”Jess mi presentò all'artista. Mi spiegò come fare per mettere una scritta nella pagina vuota del libro. Jess fece qualche foto per far vedere a mia madre che era opera mia la scritta sopra il legno.
“E ora andiamo a prendere qualcosa per la festa di stasera.” disse contenta. Non avevo voglia di andare a quella festa ma ci andavano tutti e, pur di farli smettere, avevo accettato. Jeremy mi aveva proibito di mettermi i miei soliti jeans e la felpa a zip di sempre. L'avevo odiato.
“Chi prova per primo?” disse euforica all'idea di provare abiti e ancora abiti, come se non ne avesse
già abbastanza nel suo armadio. Non aveva freni, da destra a sinistra, guardava, commentava e chiedeva la mia opinione. Le consigliai anche io qualche abito.
“Che ne pensi?” dopo un paio di prove, uscii dal camerino con gli abiti che avevo scelto io.
“Perfetta.. ehm, cioè... ti stanno da Dio” commentai. Un jeans lungo blu chiaro e una camicia bianca con ricami in pizzo. Semplice ma efficace. Li avrebbe abbinati facilmente a quelle decoltè nere che aveva in casa.
“Bene, prenderò questo.” disse senza incertezze. “ora tocca te!”.
C'erano molti abiti che mi piacevano ma optai per il solito. Jeans neri e camicia bianca. Rientrai nel camerino dopo aver avuto la conferma della mia accompagnatrice.
“Allora con chi andrai alla festa?” mi chiese.
“Penso andremo tutti insieme, no?”
“Aspetta, non muoverti. Mi è venuta un'idea. Posso entrare?”
“Si, certo” mi stupii del fatto che avesse chiesto il permesso di entrare. Non era così timida quando mostrava il suo corpo.
Mi sbottonò qualche bottone della camicia, irrigidendo un po' il colletto.
“Secondo me, in questo modo farai più conquiste. Sei più... sexy.” sorrise. In quel momento avrei voluto metterla spalle al muro e baciarla. Nessuno mi risultava più provocante di Jess. Le veniva naturale, spontaneo, non doveva né impegnarsi né fingere. Forse neanche se ne rendeva conto.
“Magari, prima di uscire, ti segno il colletto con un bacio. Così sarai osservato da tutti, no, anzi, desiderato da tutte.” disse allontanandosi dal camerino ridendo. Scossi la testa per allontanare quei pensieri folli che mi erano venuti in mente.
“Ehi, Jess, dove andiamo a pranzo? Ho una fame da lupo!”. Uscimmo dal negozio e ci dirigemmo in un fast food. Cheeseburgher e patatine. Scoprimmo di avere gli stessi gusti nel scegliere il panino ma non di certo nel dessert.
“Posso assaggiare?” le chiesi incuriosito da quel piatto multicolore.
“Allora, quali sono gli impegni di Taylor Benjamin York dopo questi tre giorni di concerti e feste?” chiese dopo avermi avvicinato il piatto.
“La prossima volta prenderò anche io questa torta, è buonissima. -dissi assaporando ancora quel gusto dolce del palato.- Penso tornerò a Nashville a fare le solite cose.”
“Perchè non resti qui? Altre due settimane e poi partirò per il Warped, quindi...” disse raschiando col cucchiaio il cioccolato rimasto nel fondo del mio piatto.
“Perchè no? Potrei aiutarti anche con la canzone di tuo padre, se ti va.”
“Mi servirebbe un aiuto in quella canzone, sarei più felice se fossi tu.”disse contenta. Forse anche io avevo quel sorrisino ebete quella volta. Lei era contenta, io felice di come stava andando quella breve vacanza che mi ero concesso. Tra poche settimane sarebbe iniziato il Warped Tour e non avevo intenzione di perderlo. Avrei sicuramente seguito qualche data. Chi si perdeva quei giorni di divertimento e musica? Ci sarebbero stati i NFG ma tantissimi altri amici e gruppi che volevo sentire e conoscere.
Hayles, Kat e Dak ci raggiunsero poco dopo, informandoci che i ragazzi si erano fermati in una sala giochi.
“Allora, Dak, hai trovato l'accompagnatore per questo evento?”
“Si, si. Ho telefonato Joseph, mi ha confermato ci sarà anche lui, e sarà più che felice se vorrò accompagnarlo.” la nostra amica sembrava così eccitata dall'idea di essere l'accompagnatrice di un perfetto sconosciuto, almeno per me.
“Taylor, tu andrai con Jess?” chiese qualcuno mentre ero sovrappensiero.
“Cosa? Scusa, ero distratto.” dissi.
“Non vorrai dirmi che ti piace quel genere di ragazza!”
“Che ragazza?” chiesi a Jess. Quella ragazza era capace di confondermi. Si avvicinò a me per guardare meglio.
“Quella ragazza con gli shorts bianchi.” guardai la ragazza e commentai.
“Non è male. Ma non stavo guardando lei e neanche un'altra. Ero semplicemente tra i miei pensieri.”
“In ogni caso non mi hai risposto. - disse Kat fingendosi offesa- Con chi andrai alla festa?”
“Stasera? Non lo so... non andiamo tutti insieme?”
“Si, certo però...” Hayles provava a dire qualcosa ma sembrava più imbarazzata che senza parole.
“Ok, spieghiamo una cosa: non è uno degli eventi classici, ok? È una festa privata. Quindi le regole son queste: 1- si va in coppia se vuoi mostrarti impegnato 2- se vai da solo, cerchi compagnia per stanotte e sicuramente qualcuna da portarti a letto 3- è meglio andare in coppia e siamo in coppia tutti.” disse Dak. Affianco a me, Jess tossiva perchè qualcosa le era andato di traverso.
“Non preoccuparti, non faremo il solito red carpet” mi consolò Hayles. Mi voltai da Jess ancora una volta. Nonostante tossisse come una disperata, rideva.
“Sentiamo un po'. Tu con chi andrai?” le chiesi. La domanda era stata rivolta a me ma nessuno domandava a Jess? Anche lei era rimasta senza accompagnatore, o no?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


-Jessica-



“Jess siamo in ritardo! Gli altri sono già usciti da un po'!” Taylor urlava come un disperato dal piano di sotto ricordandomi ogni 30 secondi che eravamo in ritardo. Sapevo che non era abituato a feste come quelle, e forse non era stata un'ottima idea andarci insieme.
“Giuro che arrivo, ma smettila di urlare.” dissi. Presi la piccola pochette dove avevo sistemato i miei documenti, le sigarette e le chiavi della macchina. Scesi le scale con le scarpe in mano. Li avrei messi dopo, per comodità. I tacchi a spillo meno stavano ai miei piedi meglio era.
“Guidi tu?” gli chiesi. Non sentii risposta, lo guardai squadrarmi da capo a piedi con la bocca aperta.
“Che c'è?” sapevo già la risposta.
“Niente, pensavo solo che se Gesù avesse conosciuto te non sarebbe certo divenuto così santo e casto.” gli tirai un cuscino mentre lui correva verso il garage. Mentre guidava mi infilai le decoltè.
“Spiegami una cosa: come fate a stare su quei trampoli? Io non resisterei neanche cinque minuti.”
“E' un fatto di abitudine e poi spiegami te una cosa ora: perchè i ragazzi trovano sexy le ragazze che portano i tacchi alti?” gli chiesi. Rimase in silenzio, pensieroso.
“You're sexy and you know it.” rispose cantando. La citazione di quella canzone dei LMFAO mi fece ridere. E sentii tra la mia anche la sua risata.
“Niente fotografi, eh?” disse. L'ingresso era veramente pieno di amanti del gossip e fotografi.
“Non preoccuparti, noi passiamo dal retro. Vai avanti.” lo feci parcheggiare poco distante da una porta. Un omone stava davanti a controllare l'entrata.
“Ciao John, come stanno i bambini?” lo salutai. Conoscevo John da quando ero arrivata lì. Mi aveva accolto lui in quella città e sempre lui teneva le chiavi della villa di mio padre fino al mio arrivo. Era una persona fantastica, solare e sempre a disposizione.
“Hey piccola! In dolce compagnia stasera?” rise prendendomi in giro come sempre. Taylor mi prese per mano guidandomi tra la folla.
“Oh, look. Siete arrivati finalmente.” disse Jordan.
“Iniziavamo a pensare che eravate molto occupati” Jeremy iniziava a prenderci in giro. E il suo occhiolino a Taylor spiegava cosa intendesse con la parola “occupati”.
“Poi dite che sono io la ritardataria” sbuffò Hbomb.
“Scusate, ma la perfezione aveva bisogno di tempo.” dissi scherzando. Continuammo così tutta la sera con doppi sensi, battute e risate in quantità. Non importava se c'erano degli sconosciuti, eravamo lì per divertirci e l'avremmo fatto.
“Guarda un po' chi si vede!”disse qualcuno. Mi voltai e riconobbi un vecchio collega di lavoro.
“Jonathan! Che piacere rivederti!” finsi entusiasmo. Parlammo un po' allontanandoci dal gruppo. Avevo lavorato con lui diverso tempo fino a quando non mi fu offerto un lavoro migliore. Jonathan era fin troppo loquace, una chiacchierata con lui equivaleva a una chiacchierata di notte con mia madre durante il suo periodo mensile. Fu difficile allontanarsi da lui, per raggiungere il gruppo. Mi serviva qualcosa di forte per riprendere le energie dopo quella noiosissima chiacchierata. L'unica cosa che sembrava alcolica stava nel bicchiere rosso porpora di Chad. Lo presi e ne presi un sorso.
“Oddio, Chad! Che cazzo è questa roba?!”
“Succo di carota e fragola.” forse la mia faccia schifata fece capire il disaccordo. “Sai che non bevo più alcolici” disse per discolparsi. Gli restituii il bicchiere ancora disgustata da quel sapore in bocca.
“Tieni” Jordan si avvicinò con un bicchiere di vino rosso. Forse i miei occhi avevano preso la forma di cuore mentre lo guardavo ringraziandolo.
“Non finire come l'ultima volta!” disse Dak ricordandomi che l'ultima festa insieme era finita male. Mi ero ubriacata da star male due giorni. Non si sarebbe mai ripetuto. Era stato uno sbaglio, non avrei mai bevuto così tanto in vita mia. Ero sicura, mentre mi allontanavo verso altri amici della festa, che stava raccontando a tutti quell'episodio.
Quella sera si concluse con tante risate e un leggero mal di testa causato più che altro dalla stanchezza. Erano ormai le quattro del mattino quando tornammo nella villa. Prima di andare a dormire, decisi di trattenermi fuori in giardino per un'ultima sigaretta. Frugai nella minuscola pochette alla ricerca del mio portasigarette senza alcun risultato.
“Cerchi queste?” mi voltai. Taylor e Jeremy ridevano tenendolo in mano.
“Datemi subito le mie sigarette!” dissi seccata. Iniziarono a passarselo l'un l'altro per impedirmi di prenderlo.
“Sai che le sigarette fanno male anche alle corde vocali?” ma chi li stava a sentire quei due e le loro lezioni di salute, volevo solo le mie sigarette e basta.
“Taylor, dammi le sigarette!”
“Prendile” era facile per lui. La sua altezza era un vantaggio. Allungai il braccio per raggiungere il suo levato verso l'alto, dove io non sarei mai arrivata.
Sbilanciai il peso fino ad appoggiarmi totalmente al suo petto. Poi perdemmo l'equilibrio e finimmo nella piscina. Ero furiosa, incazzata, forse anche di più. Nessuno toccava il mio portasigarette e nessuno poteva farmi perdere dieci sigarette in un colpo solo. Presi l'oggetto della contesa e me ne andai con scatto deciso. Non degnai loro neanche di uno sguardo.
“Dai, Jess! Era solo un scherzo!” disse Jeremy. Per me non lo era. Dopo la doccia, ritornai fuori per sbollire un poco la rabbia. Stavo sdraiata in uno di quei prendisole ai lati della piscina. Rimasi lì ad aspettare l'alba. Taylor mi raggiunse poco dopo. Mi chiese scusa, ma lo feci anche io. Dopo tutto, se avessero saputo la verità non si sarebbero comportati in quel modo. Tay rimase confuso dalle mie scusa così gli spiegai il motivo.
“Vedi, quel portasigarette è di papà, cioè del mio vero padre. Lo ha lasciato dentro la busta dove c'è una lettera, mai conclusa. Forse anche la canzone doveva far parte della lettera. Non lo so, ma è l'unica cosa che mi ricorda che un tempo io ero con lui. All'interno mamma ci aveva fatto incidere una dedica. Era la sua prima festa del papà. John ha detto che lo aveva sempre con sé.”
“Mi dispiace... se lo avessi saputo...”
“Non potevi saperlo, non l'ho mai detto a nessuno prima..”. Lo guardai senza dir parola.
“Vieni.” mi disse aprendo le braccia. Non rifiutai l'abbraccio e rimasi su quello sdraio insieme a lui abbracciata. Non sapevo cosa stesse succedendo tra me e Taylor. Ci conoscevamo da poco, eppure con lui mi sentivo totalmente a mio agio, tanto da confidargli i miei segreti più intimi.
Il sole ormai spuntava sulla città illuminando ovunque.
“Sai lui amava l'alba. Diceva che con l'alba si festeggiava un nuovo giorno, nuove vite, nuove
speranze, nuovi amori. Non serve un tramonto per essere romantici. Penso avesse conquistato mamma in questo modo strano di concepire il romanticismo.” sorrisi all'idea. Sentivo le sue braccia forti intorno a me e stavo bene. Mi addormentai pian piano.
Il giorno dopo mi svegliai nel divano. Taylor mi aveva sicuramente portato dentro casa. Qualcuno aveva acceso lo stereo, riconobbi subito le canzoni dell'ultimo cd che avevo ascoltato.
“No, io non parto. Jess mi ha chiesto di aiutarla con un lavoro.” riconobbi la voce di Tay.
“Voi due non me la raccontate giusta.” Dakotah.
“Secondo me, sareste una bella coppia.” Nick.
“Nick ha ragione. Dovresti provarci, Tay” Chad.
“La volete smettere? Siamo solo amici!” Taylor.
“Anche io ero suo amico, fino a quando non siamo andati a letto insieme.” certamente Jordan. Non volevo più ascoltarli, e soprattutto dovevo salvare il mio migliore amico. Così mi alzai, mi diressi verso la cucina a piedi scalzi. Il pavimento era fresco.
“Good mornin' to y'all”dissi entrando. Feci finta di nulla e andai subito alla ricerca della mia tazza quotidiana di caffè. Rimasi confusa non trovandola al suo posto.
“Tieni.” Tay mi passò la tazza già col caffè. Lo ringraziai mentre gli altri lo guardavano quasi per affermare le loro supposizioni su di noi due. Feci finta di nulla. Mi diressi in camera con la tazza e la stessa scarsa voglia con cui mi ero alzata. Bene, decisi di indossare qualcosa di comodo per la giornata. Shorts in jeans e maglietta. Scarpe da tennis e un velo di trucco per nascondere le occhiaie.
“Jess, tua madre al telefono!” urlò Nick dal piano di sotto. Presi la cornetta da camera mia.
“Mam? Come stai?” dissi. Iniziò a raccontarmi la sua settimana. Le visite per la gravidanza erano andate bene, per fortuna. Chi l'avrebbe mai detto che mia madre sarebbe rimasta incinta dopo ben 26 anni? Ricordo che la notizia mi terrorizzò un poco, soprattutto perchè iniziavamo a pensare fosse entrata in menopausa, sebbene molto prima del comune. La faccia di mio padre, cioè mio... come dovrei chiamarlo, in fondo era sempre stato mio padre, prima che sapessi dell'altro mio padre, quello vero intendo. In ogni caso, Tom era così contento di diventare padre e già mi prendeva in giro chiamandomi “sorellina” o “sis”. Era divertente.
Mi trattenni con mia madre una mezz'ora, nel mentre i ragazzi organizzavano una piccola festa per stanotte, una sorta di festa di fine vacanza. Io, Tay e Jer e Kat restammo a casa, mentre gli altri si diressero in diversi posti, compreso il supermercato per la spesa.
I ragazzi si sfidavano a Guitar Hero mentre io e Kat passavamo lo smalto sulle unghie. Un bel blu forte, con qualche brillantino.
“Come fa a piacerti quel rosa confetto?”
“Adoro il rosa!” disse euforica.
“Si, lo adora proprio. Si è messa a piangere perchè doveva lasciare la sua pink car a Londra una volta sposata.” rise Jer.
“Hey!” disse lei rimproverandolo.
“Se ti piace, prenditi pure lo smalto. A me non piace così tanto. L'avevo comprato per un abito... penso di averlo ancora nell'armadio.” lei mi guardò come per dire “hai un vestito rosa e non lo usi!”. Distolsi lo sguardo. “Non amo i colori pastello.” dissi.
I ragazzi finirono la partita con Jeremy vincitore. Lo sfidai. Avevo visto il suo risultato e io l'avrei sicuramente battuto.
“Si accettano scommesse, gente!”
“Ok. Se vinco metterai quel vestito rosa che hai nell'armadio alla festa.” disse subito Jeremy, raccogliendo l'approvazione di tutt'e due i miei amici.
“Siete perfidi! Ma se vinco io, ti smalterai le unghie di rosa confetto per stasera. Sia tu che Tay.” dissi. Accettarono. La sfida iniziò. Eravamo più determinati che mai. Soprattutto io che detestavo quel vestito e morivo dalla voglia di vedere quei ragazzi così belli con uno smalto penoso rosa.
Vincevo, stavo vincendo.
“Non mi metterò mai quello smalto!” disse Taylor vedendomi superare il punteggio di Jer. Si avvicinò a me. Era ovvio. Perchè non ho messo delle regole prima di iniziare? Iniziò a farmi il solletico. Mi muovevo come un'idiota cercando di seguire comunque la canzone. Dannazione! Jer
recuperava punti e io li perdevo!
“Taylor, giuro che stasera me la paghi!” gli urlai. La canzone finì, come era ovvio.
“And the winner is..... ME!!!” Jeremy girò per la casa come fosse campione di chissà quale coppa.
“non è valido!”
“Si, non c'erano regole. Quindi tutto valeva.”
“Siete... non ho neanche le parole per...”
“Bene, andiamo a cercare questo vestito!” Kat non mi fece finire neanche la frase, intrecciò il suo braccio col mio e mi obbligò a seguirla.
“Nel frattempo che voi provate quest'abito, Jess, posso prendere la chitarra?” mi chiese Tay.
“Certo, sai dov'è la chiave?” lo sentii annuire e aprire la porta dello studio. Speravo avvisasse l'amico di non toccare nulla. Ci tenevo a lasciare quell'angolo della casa come l'aveva lasciato papà.
“Avete un buon rapporto tu e Taylor.” Kat, rovistava tra le scarpe qualcosa da mettere la sera e abbinare al vestito che ancora stavo cercando.
“Non penserai anche tu che stiamo bene insieme e cose simili?” le risposi.
“Si. -ammise ridendo- Non avevo mai visto Taylor così. Sembra quasi si sia ripreso da quel periodaccio di qualche settimana fa.”
“Cioè?” il mio amico non ne aveva fatto cenno mai. E sinceramente non mi ero accorta di nulla.
“non sai quanto Jer e Hay hanno combattuto affinchè Taylor partisse con noi. Stava giorni rinchiuso in casa, era molto giù. Diceva di voler restare solo, che stava scrivendo delle canzoni nuove, ma non era vero. Adesso sembra molto più tranquillo.”
“Wow. Sarà stato il mio fascino a farlo guarire.” disse scherzando. Anche la mia amica si mise a ridere.
“Sono contenta che lui stia bene con te. Se lo merita, è un ragazzo d'oro. Non ho mai conosciuto qualcuno così prima.”. Non sapevo che dire. Così rimasi in silenzio e continuai a cercare il vestito.
“Eccolo! Trovato! Cavoli è più brutto di come lo ricordassi.”
“Oddio, è bellissimo!” esclamò lei contenta.
“Dici?”
“Si, abbinaci queste, lega i capelli con un nastro e il gioco è fatto.” sembrava convinta e seguii il suo consiglio quella sera. In fondo non mi interessava cosa stavo indossando, l'importante era stare con i miei amici e niente poteva superarli. Erano mitici: Chad si occupava del barbecue, Steve delle bibite e gli altri facevano comunella per chiacchierare e spettegolare.
“Chi vuole un hamburger?” urlò Chad dalla sua postazione. Jer si precipitò senza tanti complimenti.
“Comunque, questo vestito ti sta veramente bene” mi disse Taylor, una volta soli. Lo guardai un poco, mi allontanai leggermente.
“Hey, ci stai provando?” dissi prendendolo in giro.
“No!” esclamò.
“Jo, ti ricordi cosa mi hai detto la prima volta che siamo usciti insieme?”
“Quel vestito ti sta veramente bene.”rispose lui. Mi limitai a guardare Taylor incapace di dire una parola e visibilmente imbarazzato.
“E' una frase di rito.” aggiunse Ian. Il grassone stava già addentando un hot dog supercondito di salse. Mi fece un po' schifo. Lo guardammo tutti e poi iniziammo a ridere.
“Che c'è?” disse indifferente. Mi avvicinai a Jo che preparava dei piatti con le varie prelibatezze e li portai alle ragazze ancora sedute. Poi portai loro da bere: succo di frutta mista per Kat e Hays, e birra per Dakotah. Presi una birra anche per me e mi sedetti a parlare con loro. Mi raccontarono qualche aneddoto sui Paramore durante i tour. Kat li seguiva molto in giro per il continente.
“Siete una bella coppia.” dissi.
“Ce lo dicono in molti e lo penso anche io.”disse ridendo.
“Queen! Queen, vieni un attimo!” Jess, mi chiamo Jess! Perchè Steve insisteva a chiamarmi in quel modo?! Erano finiti gli anni del liceo! Per fargli capire che non mi chiamavo in quel modo, lo ignorai.
“Queen!” urlò più forte. Ignoro, ignoro, ignoro.
“Hey Jess!” disse Jordan.
“Si, Jo?” risposi ignorando che l'amico mi veniva incontro.
“Steve, cosa intendi fare?” senza dir niente mi carica di peso sulle spalle. Misi subito le mani sul vestito per evitare di mostrare il tutto.
“Is ignorance your new best friend or are you stupid?” gli urlai. Jo rideva seguito dagli altri. Mi mise in piedi su una sedia e mi lasciò dopo essersi assicurato del mio equilibrio.
“Ricordi quando avevi recitato Juliet con Chad?”
“Certo, Jordan diventò così geloso che voleva pestarlo.” risposi. I due si guardarono ridendo.
“Ti ricordi che atto recitavi?”
“No, era quello di quei due romanticoni al balcone. Ma ricordo di quando la prof. Ti ha fatto recitare Hamlet.” mi misi a ridere guardando la sua faccia seccata. Ridevo mentre Chad continuava a ripetere a H di non correre. In men che non si dica mi ritrovai il vestito ricoperto di succo di frutta.
“I'm sorry!” disse la ragazza dai capelli fuoco. In fondo la ringraziai: inciampando e versandomi quel succo addosso mi aveva dato la opportunità di cambiarmi l'abito. Così la ringraziai mentre Tay e Jer ammettevano la sconfitta.
“Hayles, thank you. Really, thank you. -dissi sorridendo a quei due- Salgo a cambiarmi e torno subito.”. Mentre mi cambio mi accorgo dei lividi causati dalla presa di Steve sulle anche. Li sfiorai. Mi stupisco ancora di come un uomo abbia tanta forza su di me. Guardo il mio corpo, come era cambiato eppure quella cicatrice era rimasta. Sia dentro sia fuori. In un singolo momento ricordo di come tutto possa diventare cupo e grigio. Il mio corpo imprigionava segreti. Passai le dita su quella cicatrice, concentrandomi su di essa.
“Tutto ok?” sussultai. Dakotah entrò in stanza. Erano preoccupati perchè ci stavo mettendo tanto a cambiarmi il vestito. Indossai la maglietta prima che lei potesse vedere la cicatrice. E scesi con le lei raggiungendo gli altri.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


-Taylor-


Accompagnammo i ragazzi all'aeroporto l'indomani. Ci saremmo rivisti due settimane dopo a Nashville. La settimana successiva volò. Tra feste, divertimento, e la canzone del padre, fu un vero delirio la prima settimana. Andavamo a letto alle quattro di notte e ci svegliavamo alle undici del mattino ancora addormentati. Qualcosa cambiò il martedì della settimana successiva.
Eravamo in giro per la città con degli amici. Dak era sulla tavola da skate da quasi due ore, mentre io insegnavo a Jess a stare in equilibrio e fare qualche piccola evoluzione. Nick riprendeva con la telecamera, dicendo che prima o poi avrebbe ricattato l'amica con il filmato. Ogni volta che lo diceva, lei cadeva puntualmente dalla tavola facendoci fare una forte risata. Ma non se la prendeva. Anzi, riprendeva determinata a dimostrare che ci sarebbe riuscita.
“Oh, scusa.” disse Jess, dopo aver scontrato un ragazzo mentre cadeva.
“Stai più attenta, troia.” rispose. Lo guardai attentamente. Mi sembrava di averlo già visto.
“Hey, ti ha chiesto scusa.” mi venne istintivo rispondergli. Jess si alzò in fretta, mi spinse indietro.
“Tay, ti prego. Non fare l'idiota, con quello.” la guardai. Il tipo si allontanò. Aveva ancora le mani sul mio petto,. Sentivo il loro calore, accompagnato da quel tremolio.
“Stai tremando. Tutto ok?” levò le mani. Tirò su un sorriso e mi rispose affermando. Ma sapevo non era vero. La sera continuò a fingere di stare bene e tutti lo notammo. Ma non facemmo nulla. Se avesse voluto, avrebbe parlato. Una volta a casa non si trattenne a parlare, come le altre notti. Andò subito a letto. “Sono stanca, scusate.” disse e fuggì via.
“Perchè voi donne siete così lunatiche?” disse Nick, spalmando del burro di arachidi nel pane.
“Non penso dipenda da questo. Hai notato che ogni volta che vediamo quel tipo è sempre molto nervosa?” disse Dak. Non capivo cosa stesse dicendo. Poi ricordai. Avevo ragione nel pensare che conoscevo quel tipo. Era lo stesso da cui Jess si era nascosta il primo giorno che ci incontrammo, o meglio il giorno del concerto dei nostri amici. Jess si era nascosta tra le mie braccia e tremava. Non ne avevamo più parlato ma ora, forse, era giunto il momento.
“Sapevo che aveva avuto una sorta di storia con quel tipo ma poi era andato tutto a rotoli, non so
per quale motivo.” parlammo un po' di quel strano ragazzo e di quanto Jess cambiasse notevolmente quando lo incontrava. I miei amici fecero diverse ipotesi ma nessuna mi sembrava buona. Alla fine, dopo un toast e un dolce, andammo a letto sperando che il malumore di Jess sarebbe finito in un bel sogno.
Crollai appena la mia testa toccò il cuscino. Al mattino ricordai di aver sognato Jess e quel ragazzo durante la notte ma a mala pena ricordavo il contesto del sogno. Mi diressi subito in cucina alla ricerca dei cereali e di qualsiasi cosa fosse commestibile. Preparai la colazione anche per gli altri. Le uova e la pancetta e il succo di arancia per Nick, i cereali col latte per Dak, il croissant caldo e il caffè per Jess. Accesi la televisione, aspettando le notizie dell'ultima ora. Dak e Nick mi raggiunsero poco dopo, ringraziandomi della colazione.
“Tay, saresti un uomo da sposare, peccato che tu non sia gay.” rise.
“All'inizio non pensavi fosse gay, eh?” chiese Dak. La guardai di sbieco, mentre lui rispondeva che, in effetti, aveva avuto qualche dubbio all'inizio.
“Dak, Jess è ancora a letto?” le chiesi.
“Non è nel letto. Pensavo fosse già giù.”
“Come non è nel letto?” ci allarmammo un poco. Non era da Jess fuggire in questa maniera, senza lasciar traccia. Avrebbe sicuramente lasciato un post sul frigo.
Nick andò a controllare nel salotto.
“Niente. E le chiavi della macchina sono ancora al solito posto. Guarda in giardino, io e Dak la cerchiamo su.” la casa era grande, ma non poteva essere nascosta da qualche parte non visibile. Ero preoccupato. Se mi vedesse Jer in questo momento, mi darebbe uno schiaffo per farmi ragionare, pensai. Mi convinsi da solo di rimanere calmo. Non le è successo niente, tranquillo, mi ripetevo. Ma non vedevo nessuna traccia della nostra amica e ne avevo un po' paura.
Poi un flash. Lo studio del padre. Jess mi aveva detto che spesso ci andava perchè si sentiva al sicuro là.
Stesa sul pavimento, dormiva. Raggomitolata con sopra un enorme giacca, sicuramente del padre. Uscii per avvisare gli altri che nel frattempo si erano preparati per uscire. Avevo dimenticato che avevamo appuntamento con gli altri per andare in una piccola spiaggia conosciuta soprattutto da surfisti.
“Sveglio Jess e vi raggiungiamo dopo, ok?” acconsentirono felici. Contenti soprattutto del fatto che io e Jess passavamo sempre più tempo da soli. Continuavano a pensare fossimo una bella coppia.
Rientrai nello studio e notai che il respiro della mia amica era diventato irregolare. Capii da come si agitò che era un incubo e tentai di svegliarla.
“Jess, sono Tay. Jess, svegliati” tentai e ritentai più volte ma lei sembrò non sentirmi. Le sfiorai la pelle nuda del braccio. Spalancò gli occhi verso di me e poi tutto fu troppo veloce e confuso. Si ritirò indietro fino a raggiungere il muro. Portò le ginocchia al petto.
“No! Ti prego! No!” urlò piangendo.
“Jess, sono Taylor. Jess, guardami!” continuai per un poco. Le sue urla finirono. Mi avvicinai cauto pensando stesse nuovamente in quell'incubo.
“Non farmi del male. Ti prego.” disse.
“Non lo farei mai.” risposi. Non rifiutò il mio aiuto. Tra le mie braccia, la sentii piccola e tremante come una foglia al vento. Avevo paura per lei. Cercai di tranquillizzarla fino a quando il pianto non finì in dei singhiozzi che non le permettevano di respirare bene. Ebbi paura di un attacco d'asma prima o poi, ma poi ricordai che lei non ne soffriva. Fortunatamente.
“Proviamo ad alzarci, ok?” lentamente si aggrappò a me per sollevarsi. Camminò verso il bagno. Aprì un piccolo mobiletto dove c’erano diversi farmaci. Ne fece cadere un paio incurante. La tenevo per la vita vedendola un po' insicura nell'equilibrio. La vidi ingoiare tre pastiglie senza l'aiuto dell'acqua. E aspettammo con pazienza un respiro. Calmo e profondo arrivò. Mi guardò. Sembrava ancora terrorizzata.
“Vieni, ti preparo qualcosa da buttar giù nello stomaco.” lei non disse niente, si voltò e cercò nuovamente il mio aiuto per camminare verso la cucina. Sentivo il suo sguardo su di me mentre mi muovevo in quella cucina preparandole una colazione abbastanza abbondante ricordandomi che la
sera precedente aveva mangiato veramente poco. Iniziò a mangiare lentamente. Senza dire una parola.
“Dico agli altri che oggi rimaniamo a casa, ok? Che ne dici di un film?” la vidi annuire debolmente. Nick fece tante domande, ma non dissi effettivamente in che stato fosse la nostra amica, rimasi vago un po' su tutto. Lasciò metà colazione ancora sul piatto, ma mi disse che l'avrebbe mangiata magari più tardi. O durante il film. Le lasciai libera scelta ma mi obbligò a scegliere il film. Non sapevo che gusti avesse, così optai per una commedia. Poggiò la testa sulla mia spalla e guardò il film in silenzio.
“Grazie.” disse sussurrando. Non risposi, non sapendo bene come comportarmi.
“Lui non era così –fece una pausa- Erica me lo presentò una sera, stavamo studiando entrambe architettura”
“studiavi architettura?” chiesi stupito.
“Si… lui era dolce. All’inizio. Due settimane e cinque giorni. –mi stupii di tanta precisione- era ubriaco e si presentò comunque alla mia porta.” Il suo sguardo fissava il televisore ma sapevo che ripercorreva ogni minuto della sua storia. I suoi occhi erano vuoti, spenti. Tentava di bloccare il tremolio delle mani stringendole fra loro. Le porsi la mia, per incoraggiarla e lei la afferrò come fosse un’ancora di salvezza. “gli chiesi di andarsene e tornare quando sarebbe stato meglio, ma lui non lo fece. Diceva che voleva di più da me che una semplice cena. L’ironia non gli era mai mancata. Gli dissi che non avevo intenzione di andare a letto con lui in quelle condizioni. E prese un coltello dal tavolo.” Qualche lacrima iniziò a segnarle il volto, ma continuò. “ mi ferì al fianco, senza colpire organi per fortuna, mi rinchiusi in bagno e telefonai l’ambulanza e la polizia.” Ora provavo rabbia, odio per quell’uomo. E volevo proteggerla a tutti i costi. La strinsi a me.
“Sono qui.” Furono le uniche parole che mi uscirono dalla bocca. Ero lì. Per lei. Non avrei permesso a nessun’altro di toccarla.
Più tardi tornò a mangiare la sua colazione mentre mi raccontava la terapia, il terrore che dovette affrontare poi. Scoprii tante cose di lei. Che aveva sofferto più di quanto chiunque potesse immaginare, che soffriva ancora davanti a quel ragazzo, che aveva paura che qualcuno potesse ancora ferirla. Scoprii che voleva solo sentirsi sicura come un tempo.
“Sai, non l’ho mai raccontato a nessuno … di Mark intendo.”
“Perché a me, allora?”
“Perché mi hai promesso non mi farai del male.” Per un momento sorrisi. Si fidava di me e non potevo tradirla. Non penso neanche ci sarei riuscito. Ogni volta che ci pensavo rimanevo confuso. Chi era effettivamente Jess per me? Un’amica? Una confidente? O qualcosa di più? Lei aveva il potere di confondermi. Per il momento, l’unica cosa che sapevo era che lei aveva bisogno di me e l’avrei protetta.
Scoprii che durante la sua terapia inventò una teoria: “Se un uomo conosce bene il corpo della donna che lo attrae non proverà più nessun desiderio, quindi se la donna mostra subito il suo corpo senza alcuna vergogna, l’uomo non potrà provare interesse e tanto meno la ferirà, no?” mi spiegò. Capii che il suo modo di fare, di mostrarsi era solo una tattica di difesa, niente di più. Era un modo per proteggere se stessa.
“Più ne parli, più mi accorgo di quanto tu nasconda la tua …” non riuscivo a trovare le parole per descriverla.
“Fragilità? Si, mi spezzo in un secondo se …”
“Hey, io ci sarò sempre. Non ti farai male!” dissi senza pensarci due volte. Era quello di cui avevamo bisogno entrambi. Stare in piedi, stare interi. Jess era semplicemente umana. Come me. In fondo anche io nascondevo parte di me agli altri. Quando ero con i Paramore non potevo mostrarmi debole, triste o solo, dovevo essere felice, sorridente, il Taylor York che tutti i fans alla fine si aspettavano. Ma ci sono momenti in cui non ci riesci.
“Kat mi ha detto che non eri in forma prima di questo viaggio” disse appoggiando la sua testolina alla mia spalla. “Se non vuoi parlarne..”
“Mi mancava qualcosa ... Ci sono dei momenti in cui mi sento solo, mi manca qualcosa che non capisco ancora … non so definirlo, ma so che manca …”
“Forse avevi bisogno di una come me che ti rompesse dalla mattina alla sera.” Disse e rise da sola.
“Mi piace stare con te.. mi fai stare bene.” Dissi sincero. Forse un po’ imbarazzato e a disagio. Lei si sollevò, mi baciò la guancia e disse “Si, anche io sto bene con te.”.
Decidemmo poi di tornare in salotto a vedere un po’ di tv show, c’era un programma che le piaceva a quell’ora.
“Chi arriva ultimo è scemo!” disse e corse via. Sentivo la sua risata in lontananza. Appena girai l’angolo della cucina lei salì sulla mia schiena. Rideva.
“Forse era proprio questo che mi mancava.”
“Una rompipalle”
“già”. Mi rendevo pian piano che sembrava più una dichiarazione d’amore che una parola affettiva alla mia migliore amica.
Passammo la serata scherzando e confessandoci piccoli segreti. Le chiesi di accompagnarmi da Dan il giorno dopo, dato il suo ritorno a L.A. e volevo vederlo prima di ripartire.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


-Jessica- 



Ero riuscita a parlare di Mark con Taylor, mi sentivo un po’ più forte ora. Meno vulnerabile. Ma quella notte, senza Dak nel letto mi sentivo terribilmente sola e iniziavo ad aver paura dei miei stessi sogni. Barcollai alzandomi dal letto ma riuscii comunque ad evitare tutti gli ostacoli davanti a me senza sbattere ovunque, come accadeva ogni volta.
“Ah, sei tu! Hey, cosa succede?”
“Niente, niente.. volevo solo vedere …” all’improvviso mi vergognai. Cosa diamine stavo facendo? “Volevo vedere solo … tutto ok?”
“Vieni” si sedette sull’orlo del letto. Mi avvicinai lentamente. Forse per l’imbarazzo. Mi abbracciò forte.
“Ti si legge in faccia che non vuoi dormire sola stanotte.” Rise. “Dai, vieni.” Mi fece spazio e entrai nel suo letto. Il caldo del suo corpo mi avvolse e mi sentii subito bene. Al sicuro. Dormii tutta la notte . Sognai anche Mark, ma stavolta non mi fece paura.
La mattina dopo il sole sorgeva come tutti i giorni e nel silenzio di quella stanza mi fece uno strano effetto. Ero sicura che Dak e Nick fossero andati a letto tardi dato che in cucina trovai un biglietto con scritto “Sono le tre e tutto va bene”. Così decisi di non svegliarli e preparai una tazza di cereali, caffè, un piccolo toast e un bicchiere di succo di frutta, indecisa su cosa avrebbe preferito Taylor. Misi tutto su un vassoio e andai a svegliarlo. Si stupì di vedermi in piedi.
“Come stai?”
“Buongiorno anche a te, Taylor. –suonava più come un rimprovero per non avermi salutato prima- Sto bene, grazie. E tu? Dormito bene?”
“Buongiorno. Si si, tutto ok. Hai preparato tutto questo per me?”
“Non sapevo cosa avresti preferito oggi … vedilo come un ringraziamento per … tutto.” Risposi abbassando lo sguardo. Riconobbi di essere nervosa da come giocherellavo con le dita.
“Hey, sono tuo amico, e ci sarò anche in questi momenti.” Disse rassicurandomi. Iniziò a mangiare la sua colazione.
“Sai, stanotte ho sognato che c’era un gufo nello studio di Dan e ti stava tatuando qualcosa.” Mi misi a ridere.
“quale era il tatuaggio? Ora sono curiosa”
“Non ricordo. Forse una nota musicale.”
“Dove, dove, dove?”
“Sei proprio una rompipalle, lo sai?” mi coricò nel letto facendomi il solletico. Lo avrei ammazzato ma riuscivo a respirare a malapena dalle risate.
“Vai a cambiarti, altrimenti ci metteremmo anni ad uscire.”
“Antipatico” risposi facendogli la linguaccia.
Dan era un tipo simpatico. Tatuato ovunque e anche parecchio strano, ma in fondo chi non lo era a Los Angeles? Notò subito il mio tatuaggio nel polso.
“Bel tattoo?”
“Grazie”
“Non è da tutti, ha un significato?”
“Sono le prime note di una canzone che mi ha lasciato mio padre”
“Allora deve essere una bella canzone.”
“Lo è.” Rispose Tay. “Allora man, cosa mi narri di nuovo?”
“Ti mostro il mio ultimo tattoo.” Dan si sollevò un poco la maglia mostrando un piccolo gufo sulla pelle. Iniziai a ridere come un’idiota mentre Tay spiegava il suo sogno e quelle piccole coincidenze.
“Allora Jess, bisogna fare sto nuovo tattoo”
“Ok, ci sto. Tay, aiutami a scegliere.”. le ore successive passarono a sistemare il nostro tattoo. Infine io e Tay decidemmo per una nota musicale con la scritta “Summer 2012”. L’avremmo fatto insieme, per ricordare la nostra estate insieme. Dan ci invitò a rimanere per cena, avendo organizzato un piccolo barbecue con altri amici. Il giorno dopo trovammo in tutti i social network foto della serata e il nostro nuovo tattoo replicato chissà quante volte.
“Questo è essere famosi?” dissi a Taylor.
“Zitta rompipalle, ora per tutti sei la mia fidanzata.”
“Allora divertiamoci.”
“Cosa vuoi fare?” ero abituata a questi scoop, o meglio fantasie da fans, e non c’era niente di più divertente che aumentare i dubbi. Così scattammo una serie di foto, si unirono anche Dak e Nick. E infine le postammo tutte sul tumblr di Taylor. Era bello stare con loro in quel modo, scherzare senza vergogna e senza paura.
Ormai la settimana a disposizione era finita e il giorno dopo avremmo preso l’aereo per Nashville, dove mi stavano aspettando i miei. Avrei fatto pochi giorni poi sarei partita per il grande Warped Tour!! Non vedevo l’ora.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


.Taylor.


Per tutto il viaggio io e Jess non facemmo altro che scattare foto e scherzare.
“Ma quanto sei bello in questa foto” scherzava.
“e tu in questa? Sei proprio brutta!” e ridevo. L’unica differenza era che quando scherzavo su di lei ricevevo un colpo sulla spalla, mentre a me non era concesso. Notai che una signora ci stava guardando in modo strano da quasi tutto il viaggio.
“Scusi il disturbo, ora abbassiamo il tono della voce.” Le dissi.
“Oh, no. Ammiravo quanto siete bellini. Già sposati o state decidendo la data?” non capii cosa stesse dicendo fino a quando non vidi l’anello di Jess. Guardandolo bene sembrava un anello di fidanzamento.
“Ancora tutto da fare. Stiamo tornando a casa per dare la bella notizia.” Risposi. Jess mi guardò.
“Le dispiace farci una foto?” le chiese Jess cortesemente. E chi poteva dire no a quel suo dolce sorriso. Mostrò il suo anello poggiando la mano sul mio petto e mi diede un bacio sulla guancia.
“Dai, signorina. State per sposarvi, potete fare di meglio!” la signora era proprio convinta noi ci stessimo per sposare. Mi voltai e trattenni una calorosa risata. Anche Jess era sul punto di scoppiare. Ma ci sforzammo un poco. Le nostre labbra si toccarono fino allo scatto del flash. Ringraziammo la signora e solo dopo esser scesi dall’aereo iniziammo a ridere.
“Andiamo sposina” la presi in giro e lei incrociò il suo braccio col mio come fossimo veramente una coppietta. Non mi interessava cosa dicesse la gente, se ci fossero fans o giornalisti che avrebbero notato quel gesto o quell’anello. Mi stavo divertendo con la mia migliore amica e non avevo intenzione di smetterla.
“Sai cosa farebbe impazzire tutti?” lei mi guardò stupita. Penso non mi avesse mai visto così. Le presi la mano, fotografai il suo anello e lo postai su Instagram commentando “la cosa più folle io abbia fatto quest’estate!”. Chissà quanti di loro, dei miei fans, dei miei amici, i miei genitori si sarebbero spaventati. Mi arrivò in fretta la menzione su Twitter “@itstayloryall, i married you, i can’t believe it. Aahaahaah!” ridemmo entrambi. Non mi interessava della gente.
Arrivammo a casa ancora ridendo, ma lo sguardo dei miei familiari non era altrettanto divertito.
“Ti sei sposato?!” chiese mia madre. Le spiegai tutto ma Jess non mi aiutò, anzi rideva. Pensavo che da un momento all’altro non respirasse più.
“Sei tu che lo hai scritto su twitter?” disse Justin.
“Da quando stai attento a quello che scrivo su twitter?”
“Veramente l’ho scritto io.” Chiarì la mia amica.
“E tu chi sei?” mia madre notò solo allora la presenza di un’ ‘estranea’ in casa. Jess si presentò col suo sorriso, spiegò a mia madre che era solo un gioco, niente di più. E che eravamo solo amici.
“Mi dispiace che abbia avuto questo turbamento.” E sorrise. Mia madre sembrava essersi tranquillizzata. Vidi i suoi muscoli distendersi e la sua posizione farsi più morbida e comoda. Le lasciai in salotto a guardare l’anello di fidanzamento che Jess portava al dito.
“Mia nonna l’ha regalato a me tempo fa. Lo porto con tanto onore.” Spiegò Jess. Così io andai a preparare qualcosa da mangiare con gli altri ragazzi.
“Comunque sei diverso.” Disse Justin mentre stavamo preparando l’insalata.
“Hai ragione. Mi sento meglio. Avevo bisogno di quel viaggio.”
“E Jessica?”
“Mi ha aiutato tanto. Siamo solo amici, papà, non metterti in testa di più. Se ci fosse stato, ve lo avrei detto, lo sapete.”
“E’ una bella ragazza. E da come va d’accordo con tua madre, sembra anche brava.”
“Ci proverei se non avessi già una famiglia a carico.” Disse mio fratello. Risi all’idea di vederli insieme.
“Credimi, non saresti il suo tipo, Chris.” Continuai a ridere, mentre lui mi guardava scettico.
“Dad, riposndimi! Papà!” Jess urlava contro il telefono. Non mi piaceva affatto la sua espressione preoccupata.
“Dimmi che hai una macchina” mi disse. “Mamma sta in ospedale e la bambina sta per nascere.”
“Andiamo.” Non pensavo si potesse guidare più veloce di quella volta. Andai a parcheggiare dopo averla vista entrare in ospedale e quando arrivai da lei, teneva in mano un piccolo fagotto.
“Hey!”
“Guardala, non è bellissima?” rimanemmo a contemplarla per un poco, poi Jess mi chiese di prendere la macchina fotografica dalla sua borsa e scattare qualche foto.
“Potete entrare. Tra poco veniamo a prendervi la piccola” disse l’infermiera.
“Ciao mamma.” Jess entrò nella stanza con quell’esserino ancora tra le braccia. Scattai qualche foto prima che Jess mi presentasse ai suoi genitori.
“Salve e tanti auguri per la piccola.”
“Oh, grazie Taylor”. Tom e Audrey erano molto gentili e mi permisero di tenere anche la piccola.
“Allora avete già deciso il nome?” chiesi.
“Jess, avvicinati a Taylor. Vi scatto una foto insieme.”
“Siete così carini. Sembra quasi vostra figlia.” Rise la madre. La mia amica sembrava infastidita da quelle parole. Tom fece un bellissimo scatto: guardo Jess e lei guarda la piccola. Il suo sguardo è dolce e leggero sulla neonata. È la più bella foto io abbia visto.
“Vorremmo fossi tu a decidere il nome.” Disse Audrey alla figlia.
“Io? Oddio! Non ne ho idea.” Risi all’espressione di Jess. “Io la chiamerei Warped Tour, ma non penso sia una buona idea.” E rise.
La piccola dormiva già tra le mie braccia e continuavo a dondolare avanti e dietro più per abitudine che necessità.
“Pensaci un po’.” Le consigliò Tom. Lei guardò la piccola, poi i suoi occhi si illuminarono.
“Summer. Che ne pensate? Summer Lein.”
“Summer Cameron Lein.” La corresse Audrey. Jess si voltò a guardarla con aria stupita. Sapevo bene anche io chi fosse Cameron, Cameron Thomson per l’esattezza. Era il padre biologico di Jessica, il padre defunto. Il padre che non aveva e non avrebbe mai conosciuto.
“Signori, devo prendere la piccola per i controlli, la riporterò più tardi per il pasto. –l’infermiera la prese dalle braccia del padre- Che nome devo scrivere sulla culla?”
“Summer Cameron Lein.” Disse Audrey fiera.
Andammo via dall’ospedale poco dopo. Dissi a Jess di farmi sapere se sarebbe tornata a casa per dormire o sarebbe rimasta a casa col padre, ma alle dieci suonò alla porta ancora una volta sorridente. Quella notte non smise di parlare della sorella e di come l’avrebbe viziata dopo esser tornata dal Warped Tour.
I giorni successivi passarono in fretta tra ospedale e feste con gli amici, io e Jess eravamo sempre insieme e stavamo soli solo prima di andare a letto. Quella sera stavamo guardando un film comico. Rideva di gusto e non riuscivo a non guardarla così felice.
“Che c’è? Perché mi guardi così?”
“Niente.. sei felice e mi piace vederti ridere.” Ammisi.
“Certo, sono troppo bella.” Disse ridendo e poggiando la sua testolina sulla mia spalla. Non so che mi prese in quel momento. Forse stavo esagerando. Dormivo troppo poco quel periodo.
“Già, sei veramente bella.” Lei sollevò la testa e un flash mi percorse la mente. Forza signorina, state per sposarvi. E la baciai. La baciai. Non potevo crederci. Non aveva rifiutato. Anzi, era reciproco. Ma qualcosa l’allontanò da me.
“Non possiamo, Tay…non… non ora…non non. No.”
“Cosa c’è di sbagliato?”
“Io” disse e poi la vidi correre verso la porta. No, stavolta non fuggi, pensai. Poi mi venne in mente Mark. Aveva paura e io non volevo perderla. Non potevo rincorrerla, dovevo lasciarla andare. Specie dopo quel bacio. Anche io avevo bisogno di pensare ma non sapere se lei stesse bene mi tormentava. Dovevo cercarla, parlarle, proteggerla. L’avevo spaventata. Dovevo rimediare. Presi il telefono e composi il numero. Jess, rispondi, dai! “Segreteria telefonica…” diamine! “Jess, sono io, rispondi. So di aver sbagliato ma parliamone, ti prego.”. no, non sarebbe servito a nulla. E aspettare una sua chiamata sarebbe stato snervante.
Durante la terapia, son rimasta dai miei genitori. Tom! Era da Tom, era ovvio. La famiglia era il suo rifugio. Era da Tom, ne ero certo. Non serviva telefonare, dovevo andare direttamente a casa sua. Non trovavo le chiavi. Forse Jess le aveva prese oppure le aveva ancora dentro la borsetta. Presi la bicicletta che mio padre mi aveva regalato per le nostre domeniche in bici. Correre sembrava essere sempre troppo poco. Non pensavo altro che accelerare la corsa. Correvo. Dovevo raggiungere casa di Tom. Nient’altro. L’aria era umida e forse avevo anche i capelli spettinati . Ma l’unica cosa che mi spaventava era perdere Jess.
“Tom! Tom!” Bussavo alla porta insistentemente. Ora l’uomo che apriva la porta non era più quello amichevole e simpatico dei giorni precedenti.
“Tom! Mi dispiace! Non volevo ferirla.” Continuavo a ‘farfugliare’ parole, forse le ripetevo più volte. Forse stavo diventando pazzo. Jess apparve in lontananza. La vidi in tutta la sua fragilità.
“Perdonami.” Dissi con tono quasi esausto. Si avvicinò, diede un colpo alla spalla del padre e restammo soli. Si limitò solo ad un gesto. Uno solo. Abbracciarmi. Solo un piccolo abbraccio.
“Scusami.” Sussurrò. Poi mi prese la mano, guidandomi verso la cucina. Ero confuso. Era fuggita da me, l’avevo ferita, l’avevo spaventata. Perché mi chiedeva scusa? C’era qualcosa che non capivo. Ma in fondo questa era Jess. L’unica che riusciva a confondermi. La mia Jess.
“Scusami per essere fuggita così.”
“Jess, ne avevi tutto il diritto. Non dovevo...”
“Il fatto è che tu mi piaci Taylor.”
“Cosa?”
“Tu mi piaci.” Ecco, sono ancora più confuso di prima. Se è un sogno, svegliatemi. Se è uno scherzo, non mi piace affatto.
“Ma ho paura.” Tremava di nuovo. Le sue mani, ci giocherellava nervosamente, tentando di
nascondere quel fastidioso tremolio.
“Non penso...non riesco...ad affrontarlo...ho...” l’abbracciai.
“Hey, sarò tuo amico. Ho paura anche io e non voglio perderti. Mettiamo sta storia da parte ok?” annuì. Restammo abbracciati per un po’ fino alla fine di quel tremolio nervoso. Ma una volta lontani tornò. Suo padre si offrì di accompagnarci in macchina fino a casa, dato che Jess non aveva preso la macchina, pur avendo le chiavi in borsetta. Nel sedile posteriore si addormentò sulla mia spalla e fui costretto a caricarla sulle braccia per portarla dentro casa. La poggiai sul letto e mi assicurai fosse al sicuro. Ma quando lo era realmente?
“Taylor.” Mi voltai, allungava la mano in cerca forse della mia. “Stay with me.” Disse. Stavamo bene insieme ma nessuno dei due era pronto per qualcosa di così devastante quanto quello che provavamo. Non ancora.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


-Jessica-


New Found Glory, Twenty Pilots, You me at six. Non riuscivo più a vivere senza musica. Amavo il Warped e amavo stare lì. Inviavo il materiale al giornale la notte appena finiti i live, poi c’erano feste, divertimento e nuove conoscenze e nuove foto. Era divertente e nonostante tutto, tre mesi passarono in fretta. Mentre ero via, i miei si trasferirono a Los Angeles, nella mia casa, e Taylor registrava con gli altri il nuovo album, o almeno iniziavano qualche demo. Restavamo al telefono per ore. La distanza non era un problema per noi due.
“Come hanno suonato i gruppi?”
“Tay, dovresti esserci. Musica ovunque, band ovunque. Non so più se mi basteranno le macchine fotografiche –ridemmo- comunque sono tutti fantastici. Ho conosciuto i You me at six, mitici.”
“Non sapevo ci fossero anche loro.”
“Si e sul palco sono grandiosi. Peccato che tu non ci sia.”
“Che dici allora se ci vediamo a Denver?”
“Cosa?”
“Si, Hayles va per Chad ed io potrei accompagnarla e passare un po’ di tempo insieme, se...ti va?” un colpo al cuore. Mi va? Perché mi sentivo così...felice all’idea che lui tornasse da me, per me? Perché sentivo il cuore sbalzarmi fuori dal petto, la gola seccarsi?
“Do-domani? Oddio, non mi prendi in giro, vero? Dimmi di no, ti prego!”
“Ci sarò.” Urlai, e già immaginavo lui che sorrideva allontanando il telefono dall’orecchio.
“Are you crazy? Sto guidando e non ho gli auricolari, se urli un’altra volta così, domani non sentirò nulla e forse non sarò neanche vivo!” mi rimproverò.
“Scusami, pensavo...fossi da qualche parte a non far nulla.”
“Infatti” rise.
“Mi hai preso in giro!” Continuammo a scherzare al telefono.
“Pensa che tra una settimana il Warped finirà, tornerai a casa e non farai nulla dalla mattina alla sera”
“Ti dimentichi Summer, i miei genitori, il giornale...”
“Le feste, gli amici, il sole...e che dovrai stare anche con me, vero rompipalle?”
“Yep. Sarò il tuo incubo.” Quelle parole suonarono nella mia mente per tutto il viaggio. Non riuscii a dormire, così feci compagnia a Max, l’autista del nostro bus, per un po’. ‘E poi dovrai stare anche con me, vero rompipalle?’ e se Taylor fosse quello giusto. Se fosse quello per cui avevo tanto lottato? Lui che riusciva sempre a rendermi più forte, più sicura, più...tranquilla. Stavo bene con lui. Ma non ero certa di quello che provavo. Non volevo rischiare di perdere un caro amico. Eppure ero certa che ci legava qualcosa di più di una sola amicizia.
Il giorno dopo eravamo a Denver, i ragazzi montavano i palchi, le band avevano i loro meeting e io la libertà di fare quello che volevo. Mi rilassai un poco. Mangiavo il mio gelato e giravo col mio pass tra i vari luoghi d’incontro. Un ragazzo si avvicinò a me chiedendomi di dirigermi al bancone dei NFG. Ian prese subito il mio gelato.
“Ho una fame!” disse.
“Posso portarvi qualcosa da mangiare? Da bere?” chiesi.
“No no, abbiamo tutto, grazie Queen.” Rispose Steve.
“Sai a che ora arriveranno i ragazzi?”
“Chi?”
“Hayles e Taylor”
“Ah si...giusto...no. Pensavo lo sapessi te, Chad.”
“No, non ho ancora avuto tempo per chiamare H.”
“Perché non chiami tu il tuo Taylor?” scherzò Jordan.
“Ti ha nominato la sua Queen?” rise Steve. Non trovai le parole per rispondere. Era così che andava quando si parlava di Taylor. Ormai quando si parlava di lui tornava in mente solo quel bacio.
“Jessica, potresti sostituirmi al palco dei Runny Climb?”
“Si, vado subito. Ragazzi, ci vediamo più tardi al live. Inseritemi nell’elenco, altrimenti quelli non mi faranno stare sul palco.” Come non detto. Jordan rise nel vedermi discutere con la sicurezza. E solo grazie al suo ‘la lasci passare’ mi fu possibile stare sul palco durante il live. Tutti si muovevano come pazzi. E come al solito le migliori foto le scattai da sotto il palco. Attesi i ragazzi dopo il live sopra una delle tante casse con scritto NEW FOUND GLORY.
“Perfetta.” Alzai lo sguardo.
“Ciao rompipalle!”
“Taylor!” Urlai e gli corsi incontro. Ci volle poco per sollevarmi da terra.
“Eravamo dall’altra parte del palco ma eri troppo concentrata per guardarci.” Disse H.
“Quando siete arrivati?”
“Tardi. Per colpa di Hayles.” Disse Taylor guardandosi intorno alla ricerca di quella piccola strega. Ma era già tra le grandi braccia di Chad ed era impossibile separarli.
“Jess, al palco 2.”
“Avevo il palco 5 oggi, nient’altro. Ho il resto della giornata libero, chiedi a Jackson.” Sky si allontanò sconvolta alla ricerca dell’altro fotografo.
“Sei una ragazza impegnata, vedo.”
“Oggi no! C’è il mio migliore amico e voglio divertirmi con lui.” Risposi. Sincera. Decidemmo per un gelato insieme, mentre percorrevamo quell’immenso posto. Ero di casa lì, ma con Taylor al mio fianco era tutto diverso. Era come sentirsi completa.
“Stasera siamo invitati ad un party! Yeah!” urlava H.
“Si, i YM@6 ci hanno invitato al loro ‘party’-spiegò Chad, mentre Hayley stava già festeggiando da sola per l’invito- Ci sarà così tanto alcool che sarò l’unico sobrio.”
“Posso chiedervi una cosa? La le si scaricano mai le batterie?” dissi. Ridemmo tutt’e tre, infine, attirando la sua attenzione.
La sera arrivarono anche Jer e Kat con il loro micro cagnolino. Speravo non avesse fatto l’intero viaggio chiuso in quelle scatole odiose chiamate cucce da trasporto. Io e Kat ci divertimmo a
prepararlo per la festa. Era così tranquillo e si faceva fare veramente di tutto. Era così carino che ci trattenemmo più del dovuto. Così arrivammo tardi alla festa. Taylor ed Hayles ci rimproverarono come sempre ma con un paio di occhi dolci a T ed una promessa ad H, tutto di risolse in breve tempo. Parlavo con alcune ragazze degli stand che avevo conosciuto, Taylor e Jer parlavano con altri ragazzi mentre Kat era circondata da altri che coccolavano Cowboy.
‘‘Ecco, bene, c’è anche quello stronzo del mio ex.” Disse una di loro. Mi voltai a guardare. Mark. Forse sbarrai gli occhi, forse stavo già tremando ma non mi accorgevo. Tay si avvicinò a me.
“Come va?”
“Bene. Te?”
“Ho visto Mark.” Abbassai lo sguardo. “Non tremi, è un buon segno, non trovi?” . A quelle parole mi sentii sollevata, ormai avevo la forza di affrontarlo. Non mi poteva più ferire. Non più. Ora ero forte. Taylor mi guidò a prendere qualcosa da bere, cingendomi la vita con il braccio. Mi mancava il contatto tra noi due, quel nostro modo di sfiorarci senza fretta. E la sua mano sulla cicatrice di Mark mi faceva sentire invincibile. Josh e Matt dei You me at 6 si avvicinarono e chiacchierammo un po’. Poi arrivò Dan forse già un po’ brillo.
“Non mi avevi detto di essere la ragazza di Taylor York” disse.
“Non sono il suo ragazzo, siamo solo amici” rispose Tay spettinandomi i capelli, dopo aver levato il braccio dalle mie spalle.
“Esattamente” confermai.
“Allora sappi che noi siamo tutti single” rise Matt
“Ma quella foto su instagram...”
“Solo uno scherzo, Dan” il ragazzo sembrò non curarsi della mia risposta e continuò a guardare altrove. Matt fu chiamato da alcuni amici e si unì a loro, invece Josh mi rubò al mio accompagnatore per una partita a biliardo. E giustamente si vincevano soldi quanto bicchierini di vodka. Vinsi la mia partita ma non ressi tutto l’alcool ingerito. Cercai Taylor. Chiacchierava allegro con una ragazza. Sapevo bene cosa fosse quella rabbia, furia che mi invase piano. Gli sfiorò il braccio mentre ridevano. Nessuno doveva toccare il mio Taylor! L’alcool giocava con la mia ratio e io stavo al suo sporco gioco. Mi avvicinai a loro, presi la mano di Tay tra le mie e mi atteggiai come una fidanzatina innamorata. Lo chiamai ‘amore’ e guardavo quella troia a disagio.
“Jess, sei ubriaca”
“No, ok, forse si” stavo facendo la stupida. E il mal di testa, la nausea giungevano lentamente. Andammo via dalla festa, ritornando al nostro bus. Taylor mi prese tra le braccia, infine. E mi sentii difesa ed al mio posto. La testa mi girava e non ragionavo più. I pensieri confusi, mille cose in mente ma solo un pensiero fermo, deciso e sicuro. Volevo Taylor.
“Ok, ora stai un attimo qui.”
“Taylor.” E lui si avvicinò. Ci misi poco a baciare quelle labbra morbide, calde. Ma si allontanò troppo presto.
“Jess, non ora. Sei ubriaca e sarebbe...” non capii cosa dicesse, stavo già dormendo.
L’indomani mi svegliai mentre il bus viaggiava già. Il braccio di Taylor mi circondava ed io stringevo la sua mano, ricambiata. Cos’era successo? Oh, caspita, che mal di testa! Taylor sussurrava qualcosa durante il sonno e tentai di non svegliarlo. Mi sorreggevo a tutte le superfici per non perdere l’equilibrio. Mi avvicinai a Max dandogli il buongiorno.
“Notte pazza?”
“Non so, non ricordo.”
“Bevuto troppo?”
“Decisamente.”
“Ah, il telefono ha squillato un paio di volte mentre dormivate.”
“Diamine!” Andai alla ricerca del mio telefono e notai 5 chiamate senza risposta. Jeremy, Jeremy, Kat, Jeremy, Kat. Mentre scorrevo i messaggi, suonò il telefono di Taylor. Speriamo non lo svegli, pensai.
“Pronto?”
“Jess?”
“Si.”
“Sono Jerm.”
“Ciao Jerm. Stavo per telefonarti.”
“Tutto ok? Taylor è con te?”
“Si, si. È ancora addormentato, però. Ti serviva qualcosa?”
“No, no. Solo assicurarmi che fosse tutto ok. Ieri siete spariti.”
“Si, Tay mi ha portato al bus, stavo poco bene.”
“Ok, fammi chiamare appena si sveglia.”
“Certo.”
“Ci vediamo a L.A. Buon viaggio.” Andai a cambiarmi e preparai la colazione e un buon caffè per Max. Ci fermammo poco dopo in modo potesse berlo sgranchendosi un po’ le ossa.
“Buongiorno” Taylor scese dal bus strofinandosi gli occhi.
“Taylor York sul mio bus. Quale onore. -Disse Max. Risi- comunque dovresti indossare una maglietta, mi fai sfigurare davanti a questa bella ragazza.” In effetti Taylor era molto più muscoloso in confronto a Max ma tra i due non avrei potuto scegliere il più sexy.
“Non preoccuparti. Non sono i muscoli ad interessare Jess –rispose Tay- allora come stai? mal di testa?”
“Ho preso un’aspirina. Sto decisamente meglio.”
“Perfetto” disse. Mi baciò la fronte, poi tornò sul bus.
“Bene, ripartiamo. L.A. ci aspetta.” Tornammo dentro e ripartimmo. Sentivo nell’aria qualcosa che non andava. Taylor era rimasto tutto il tempo in silenzio. La musica dalla radio dominava l’abitacolo.
“Cosa succede, Tay?”
“Solo un po’ di malumore.” Lo sentivo nella sua voce che qualcosa gli frullava nella testa.
“è colpa mia?” non rispose subito e un gran senso di colpa mi percorse le vene.
“Mi hai detto di non aspettarti prima di partire, ricordi?” era vero. Nonostante entrambi sapessimo cosa provavamo non volevamo rischiare, e non volevo lui perdesse l’occasione di essere felice mentre aspettava me. E se non fossi stata mai pronta? Non doveva aspettare me. Doveva vivere la sua vita. Ci soffrivo, ma era la cosa più giusta.
“Si.”
“Allora perché ieri hai fatto quella scena? Perché mi hai baciato, mi hai detto di restare con te per sempre?” battito accelerato, mani tremanti, gola secca. Un attacco di panico in piena regola.
“Tay...non ricordo...non...oddio.” cosa dovevo dire?
“Sto iniziando a frequentare un altro gruppo, Jess. Ma mi confondi le idee.” Il suo sguardo basso. Era vero. Tutto. Nascosi le mani sotto il tavolino. Tremavano troppo e non volevo lui si preoccupasse per me. Gli stavo creando fin troppi problemi.
“Sei felice col nuovo gruppo?”
“Si. Ho parlato anche di te e non vedono l’ora di vederti e conoscerti.” Sorrise.
“Allora a L.A. me li farai conoscere, ok? E scusami per ieri, ero ubriaca. Non ricordo niente di quello che è successo. Scusami.” Gli sorrisi. Sollevò lo sguardo fino ad incrociare il mio.
“Sai che ti voglio bene, vero?”
“Io di più” risposi. Durante il viaggio guardammo le foto del giorno prima, ne inviai al mio capo e altre ne pubblicai sul mio sito.
“Ti squilla il telefono” urlai a Tay intento a parlare con Max.
“It’s Taylor here. –pausa- hey, how are you? –pausa- certo. È fantastico. –pausa- si va benissimo. Allora ci vediamo lì. –pausa- Grande idea, così ti presento anche Jess, sono sicuro andrete d’accordo. –pausa- ok, a dopo. Ciao. Anche io.” Sorrise chiudendo la telefonata. Allora era proprio vero. Era felice. Decisamente.
“Era Chelsea, non vede l’ora di conoscerti. Ha detto che ci raggiungerà al Warped e poi andremo a bere qualcosa insieme agli altri. Non vedo l’ora che vi conosciate.”
“Ti piace, vero?”
“è una ragazza a posto.”
“A Taylor piace Chelsea, a Tay piace Chelsea.” Cantilenavo.
“Dai smettila.” Ma io continuai, come avrebbe fatto la Jess amica di Taylor. Mentre la Jess innamorata di Tay moriva e si nascondeva. Era difficile ma anche lui avrebbe fatto lo stesso per me. E fu ancora più difficile una volta arrivati nella grande città degli angeli.
“Casa dolce casa.” Dissi scendendo dal bus. Max era distrutto dal viaggio e decise di dormire un po’. Io e Tay prendemmo i pass, la macchina fotografica ed il resto, e andammo a fare un giro. Alcuni palchi erano già montati, quelli minori. Alcune band si unirono al Warped solo per l’ultima tappa, erano band ancora poco conosciute, ma era questo lo spirito della manifestazione. Alcuni riconobbero Taylor e chiesero autografi ed io gli scattavo foto mettendomi da parte. Era lui il divo, in quei momenti. Poco dopo incontrammo Jordan con Chad ed Dan, Jer, Kat, Josh ed Hayles arrivarono poco dopo.
“Ragazzi, che ne dite di una bella foto di gruppo?” proposi e tutti si misero insieme pronti a fare le smorfie più strane. La mia macchina passò poi di mano in mano per osservare l’immagine.
“Jessica Thomson?”
“Si?” era un uomo sulla cinquantina.
“Vorrei proporle un impiego.” Mi allontanai con lui e mi spiegò il tutto. Avevo un mese per pensarci. Mi consegnò il biglietto da visita e mi strinse la mano. Possibile che lavorare per il Warped mi procurasse così tanto lavoro? Taylor mi guardò con aria interrogativa.
“Ti spiego stasera.” Risposi. Ma dopo i live, presi un taxi e andai dai miei genitori.
“Ciao Kat, scusa il disturbo, ma puoi dire a Tay che non verrò stasera?”
“Perché?”
“Digli che è il suo momento.”
“Ok.” Chiusa la telefonata spensi il telefono. Volevo solo restare con la mia famiglia in quel momento. E Tay doveva vivere la sua vita senza me. Doveva avere il suo momento di essere felice.
Il giorno dopo Tay si presentò ai live con qualche nuovo amico e non riuscii a scamparmela.
“Taylor parla molto di te, sai?”
“Spero in bene.” Sorrisi.
“Ciao, io sono Chelsea.” Riccia, mora, portava un paio di short bianchi con una maglietta con scritto ‘Love is true’ e un paio di scarpe da tennis.
“Finalmente ti conosco. Taylor mi ha parlato di te.” Dissi stringendole la mano. Sorrisi mentre lei arrossì un poco.
“Allora, chi andrete ad ascoltare oggi?” chiesi.
“Tu in quale palco lavori oggi?”
“In tutti –risi- ho lo special pass oggi. Dovrò girare un po’ perché il mio capo vuole uno speciale di tutti i gruppi e non sarà una cosa semplice.”
“Promettimi che domani mi mostrerai tutte le foto.” Sorrise Chelsea.
“Certo.” Taylor mi guardò felice. Capii che era contento che io e Chelsea stessimo andando d’accordo. Ma non sapeva quanto stessi fingendo. Volevo fosse felice e avrei fatto di tutto. Passai a casa mia quella mattina per ritrovare i miei vestiti ed i miei tacchi tanto amati. Il Warped era finito e restavano solo feste, incontri e nuovi programmi. Nel parcheggio incontrai Josh e Jordan, entrambi mi guardarono stupiti.
“Finalmente ti riconosco!” disse il mio amico di vecchia data.
“Non ti avrei riconosciuta. Posso accompagnarti?” commentò l’altro. Acconsentii. Entrai con loro e subito fummo sotto i flash e gli occhi di tutti.
“Sono geloso. Potevi dirmi che venivi accompagnato.” Disse Dan nel vedere l’amico in mia compagnia.
“è mia, amico. Ho vinto.” Scherzarono.
“Wow Jess, sei fantastica.”
“Grazie Chelsea, anche tu.” Dissi sorridendo. Il mio sguardo poi incrociò quello di Taylor. Mi sorrise e fece una delle sue smorfie. Conoscevo il significato. Mi trovava sexy.
“Tay, non trovi sia splendida?” chiese la ragazza al suo accompagnatore.
“Si, splendida come sempre.”
“Tay, quanto ti ha pagato Chelsea per rispondere così?” scherzai.
“Non avevo notato che aveste lo stesso tattoo.” Disse Jordan. Chelsea controllò prima quello di Taylor, poi il mio.
“Si, è stato fatto per ricordarci...”
“...della nostra amicizia” disse Steve con vocina fine e dondolando come una bambina. Feci finta che quella battuta non mi atterrasse e che non mi facesse pensare ai baci, ai sentimenti, e risi. Feci finta di stare bene tutta la sera, ridendo e scherzando con tutti, su tutto, per Taylor. Ed ero anche brava perché Taylor non si accorse di nulla. Passarono due giorni prima di vederli nuovamente. E fu lo stesso giorno che li salutai prima di partire per 6 mesi in Africa. Non pensavo di accettare quell’incarico ma i fatti che accaddero in quei giorni mi fecero cambiare idea. Taylor e Chelsea erano felici insieme. Soffrii di più, però, scoprendo lo scatolone con le lettere ed i regali di papà, nascosti da mamma in tutti quegli anni.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


.Taylor.


Ho bisogno di andar via. Sono sicura, capirai. Sei il migliore amico io abbia avuto. Goditi la vita, Taylor York. Te lo meriti, ti meriti il meglio. Ti voglio bene. Tua, Jessica.

 
Rimasi davanti a quella lettera per ore, fino a quando Chelsea non rientrò e mi strinse in uno dei suoi caldi abbracci. Ma riuscii solo a sperare fosse Jess.
“Ho comprato...” Chelsea iniziò a fare un elenco di cose e parlava, parlava ma non l’ascoltavo. Mi alzai di scatto, afferrai la lettera, le chiavi della macchina.
“Non aspettarmi per cena.” Durante il tragitto chiamai Jeremy.
“è andata via, Jer. Partita non so dove.”
“Come partita?”
“Partita. Gone. Come te lo devo dire?”
“Calma amico, ti raggiungo, dove sei?”
“Sto andando a casa sua.”
“Ci vediamo lì.” Tom venne ad aprirci con Summer tra le braccia. La madre di Jess si presentò poco dopo con Nick, la faccia segnata dalle lacrime.
“Ditemi che avete notizie di lei.” Implorò. Jer scosse la testa. Ci sedemmo sul divano a parlarne.
“Ha trovato lo scatolone del padre.”
“Che scatolone?” chiesi allarmato.
“Da quando io e Cameron ci separammo, lui iniziò a scriverle lettere, spedire regali. Jess stava bene e non volevo sapesse di Cam, così non glieli ho mai dati. Avevo intenzione di darglieli tra qualche giorno ma...li ha trovati prima lei.” Iniziò a scenderle qualche lacrima.
“ Ha reagito male, era furiosa. Poi è uscita e stamattina abbiamo trovato le lettere.” Terminò Tom.
“Maledizione!” esclamai. Non riuscivo a stare fermo, andavo avanti e indietro e mi portavo le mani
sulla fronte pensando a cosa fare.
“Posso salire in camera sua?” chiesi. Jeremy e Nick mi seguirono.
“Quello è lo scatolone. -Mi indicò Nick.- manca qualche abito e qualche foto, quella di voi due in aereo, quella della famiglia e una di gruppo con tutti gli amici. Nient’altro. Il resto è qui.” Aggiunse. Oltre i regali, tra cui molti cd, e le varie lettere, trovai un pacco interessante. Conteneva un cd, una lettera e dei tabulati.
“Merda, merda, merda!!” dissi. Poi corsi al piano inferiore.
“Audrey, hai mai letto questa lettera?”
“No, non ne ho mai aperto una”
“Jess ha passato ore per capire quello spartito nello studio. L’ho aiutata io e tu glielo hai nascosto. Senti qua!” Cam aveva inciso quella canzone e gliel’aveva spedita. Jess aveva trovato le prove nello studio ed aveva cercato di finirla ma non ce n’era bisogno. Il padre aveva già fatto tutto. E la madre non glielo aveva detto. Si sentiva tradita, ferita.
“Qualcuno di voi conosce un certo Kane Richard?”
“No, chi è?”
“è in un biglietto da visita nella camera di Jess.” Nick prese il suo portatile e fece una rapida ricerca.
“Ecco il sito del giornale.” Mi avvicinai ed in quel momento riconobbi l’uomo.
“Ha parlato con Jess al Warped qualche giorno fa. Ma non le ho chiesto chi fosse.” Ammisi.
“Guardate, c’è un nuovo articolo.” Jer rivolse la nostra attenzione su un titolo ‘JESSICA VALERY THOMSON, UNA NUOVA INVIATA.” Recitava e da lì capimmo il tutto. Tornai a casa, quella che avevo affittato per stare a Los Angeles per tutto il tempo necessario per registrare il nuovo album. Chelsea era a letto sicuramente. Rimasi in salotto, sdraiato sul divano, pensando. Sei mesi. Sei. Lunghi. Mesi. Senza poterla vedere, sentire, proteggere. Amarla. E non l’avevo neanche salutata. Non mi ero accorto neanche del suo dolore. Il telefono squillò diverse volte. Aveva scelto lei la suoneria e non l’avrei mai cambiata sebbene fosse ridicola e stupida.
“Come stai?”
“Avevo promesso di non ferirla, Jer.”
“Pensi di averlo fatto?”
“Penso di si.”
“Non è colpa tua. Non ti aveva detto lei di non aspettarla?”
“Si, ma questo non voleva dire lasciarla sola. Pensavo fosse felice e invece solo ora mi accorgo che stava fingendo. Per tutto il tempo. Che stupido!” non capivo cosa provassi. Tristezza? Rabbia? Dolore? Amarezza? Fu impossibile dormire quella notte. Il suo pensiero mi invadeva. I ricordi tornavano.
“Buongiorno –disse Chelsea. Si avvicinò, mi baciò- non sei venuto a letto stanotte.”
“Non riuscivo a dormire.” Mi alzai. Perché non riuscivo a starle accanto.
“Come mai? Mi avresti dovuto svegliare.”
“Jess è partita senza dirmi niente e non la vedrò prima di 6 mesi.”
“Voleranno, vedrai e quando tornerà starà benissimo.” Disse e mi abbracciò.
“Hai ragione.” Ricambiai l’abbraccio. Mi illusi con le sue parole che sarebbe andato tutto bene, che il tempo sarebbe volato come vento, che lei non sarebbe diventato il mio incubo ricorrente, che Chelsea sarebbe stata al mio fianco e che l’avrei amata ogni giorno di più. Una settimana sembrava un mese, un mese sembrava un anno, sebbene il giorno sembrava volare troppo in fretta con lei nella mia testa. I litigi con Chelsea divennero frequenti e, fin troppo spesso, lei dava la colpa a Jess. Non lo sopportavo.
“Smettila di dare la colpa a lei! Tu non la conosci!”
“No, ma conosco te! Da quanto è sparita tieni la vostra foto nel portafoglio e la notte passi ore a guardarla.”
“Quelli non sono affari tuoi.”
“La ami Taylor e non lo vuoi ammettere. Io sono solo un terzo incomodo.” Colpito e atterrato.
“Vedi, non hai risposto. -Il suo tono si fece più calmo- Se mi amassi avresti smentito subito. Pensavi di potermi amare, ma è lei che vuoi Taylor. L’hai sempre voluta, ma non...non posso sostituirla.”
Solo una parola uscì dalle mie labbra secche.
“Scusami.” Lei mi baciò sulla guancia e prese le valigie. Ero solo ora. Totalmente solo. Mi catapultai nel lavoro. La musica era l’unica cosa che poteva salvarmi. I miei riff si fecero più accattivanti con tutta la rabbia che avevo dentro, i miei testi più veri. Sentivo Audrey e Tom, spesso andavo da loro per vedere la piccola Summer. I miei amici mi stavano accanto e mi aiutavano ogni volta mi vedessero sottotono. Jer divenne il mio psicologo e H mi aiutò ad estraniare i miei sentimenti con la musica. I giorni sembravano passare più velocemente ma le notti rallentavano il ritmo.
Due mesi, venti giorni al ritorno di Jess. Il telefono squillò insistente.
“Taylor! Sono Tom. Ti aspettiamo.” La seconda lettera in tutto quel tempo. Nella prima, arrivata dopo un mese dalla sua partenza, ci spiegava che aveva bisogno di cambiare aria, di spazio e tempo per pensare. Che non odiava nessuno, che doveva solo accettare tante cose. Si scusava per esser partita così senza avvisare, di averci fatto preoccupare. Ci rassicurò di star bene. E terminò con qualche piccolo episodio. Non era possibile risponderle, si spostava spesso e la posta non era prevista in tutti i paesi che avrebbe visitato.
“Eccomi.” Dissi, arrivato a casa sua. Summer dormiva nella sua culla e Tom preparava qualcosa da mangiare.
“Speriamo tutto ok.” Audrey era sempre in ansia. E anche io, in quei momenti, mi sentivo morire. Tom iniziò a leggere. Primo: stava bene. Secondo: ormai era lontano da zone pericolose. Terzo: ci pensava. Quarto: non vedeva l’ora di tornare. Quinto ed ultimo: era felice di essere partita.
Il cuore tornò ad un battito normale. Tirai un sospiro di sollievo.
“Taylor, rimani per cena?”
“Volentieri.”
Tre settimane, quattro gironi al ritorno di Jess. Tornai a Nashville data la pausa dalla registrazione del nuovo album. Non avevo voglia di stare solo, così passavo quasi tutto il tempo a casa dei miei genitori.
“Cosa c’è che non va?”
“Non posso proprio mentirvi, vero?” sorrisero. Gli spiegai di Jess, di Chelsea e di tutto il resto.
“Come sta?”
“Nell’ultima lettera ha detto che era tutto ok”
“Tra quanto tornerà?”
“Venticinque giorni.”
“Hai intenzione di dirle tutto?”
“Cos’altro potrei fare?” Guardai mio padre alzare le spalle.
“Se avrai bisogno noi saremo qua.”
“Grazie. Vi voglio bene.” Continuammo a cenare in silenzio.
“Domani è domenica, che ne dici di andare insieme in Chiesa?” Propose mia madre. Sperai che il buon Dio mi aiutasse a trovare il coraggio per superare quei 25 giorni. Per parlare con Jess. Per trovare le parole giuste. Per averla sempre al mio fianco. Per non sentire la lentezza di quelle seicento ore. Ma il giorno prima dello scadere fu impossibile non sentire la tensione. Dalle ventiquattro ore prima iniziò il conto alla rovescia. 3 ore. 2. 1. E poi fu il turno dei minuti. 30.
“Novità?”
“Niente ancora, Taylor. -Tom era stato gentile e paziente- ti avviserò appena arriverà”. Passarono altri due giorni. La tensione, l’impazienza. La paura.
“Pronto?”
“Tay, sono Hayley. È a casa.”

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


-Jessica-



Ripresi quell’aereo sei mesi dopo. Sei mesi senza telefono, senza internet, senza shopping, feste, alcool, amici, famiglia. Solo qualche messaggio occasionale. Ma tanta, tanta musica. Quei sei mesi mi avevano cambiato notevolmente. Me ne accorsi arrivando all’aeroporto di Roma. Troppa gente, troppi rumori. Era un piccolo shock. Mi sentii meglio risalendo sull’aereo diretto stavolta a casa. Los Angeles. Sei mesi lontano da lei, da casa. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare un poco dalla fantasia. Chissà se Nick aveva modificato qualcosa in casa nostra, se ormai stava con Grant, se stava ancora frequentando Dakotah. Già mi tornarono in mente tutti i miei amici. Chad e Jordan, Hayley, Steve, Kat e Jeremy. Taylor.
“Signora, signora –aprii gli occhi e misi a fuoco- mi spiace svegliarla ma la devo informare che il suo viaggio è finito. Benvenuta a Los Angeles.” Disse. Preparai velocemente le mie cose, notando la stanchezza dell’hostess gentile.
“Scusi, mi sono addormentata. Grazie per avermi svegliata e scusate ancora il disturbo.” Dissi e scesi dall’aereo. Mi buttai nuovamente nel caos americano con più grinta stavolta. Era marzo, eppure sentivo il freddo entrarmi dentro, fino al midollo. Una pioggia sottile scendeva. Mi strinsi dentro il giubbotto, troppo grande per me. Me lo aveva regalato Andrew, un giovane ragazzo del deserto che avevamo salvato dalla guerra. Attesi un po’ prima che un taxi si degnasse di arrivare.
“Pessima stagione per una vacanza a L.A.” iniziò il taxista. Era uno dei tanti motivi per cui adoravo viaggiare in taxi. Poche e semplici domande che, a volte, possono cambiarti la giornata.
“No, no. È sempre bello tornare a casa. Specie dopo 6 mesi.”
“Wow, sei mesi. Mia moglie mi avrebbe già dato per morto –disse- il suo uomo no?”
“Single. Forse però i miei genitori mi avranno dato per dispersa.” Risposi con una piccola risata. Continuammo a parlare, fino a raggiungere la mia amata villa.
“Bentornata a casa, signorina.” Disse, e sorrise. Il borsone non mi era mai sembrato così pesante. E la pioggia leggera fece in fretta a trasformarsi in temporale. Suonai insistentemente il campanello sperando che Nick fosse in casa. Ma fu Dakotah ad aprire la porta. Dalla sua espressione capii che non si aspettava il mio ritorno in quel momento.
“Posso entrare?” chiesi, data la sua immobilità. Poggiai il borsone. E sentii subito dopo il calore dell’abbraccio di Dak. Sentii qualche singhiozzo ma sorrisi e ricambiai l’abbraccio.
“Mi sei mancata anche tu.” Dissi.
“Dak, chi era alla porta?” riconobbi la voce di Nick. La mia amica si allontanò da me, lasciandomi guardare dal ragazzo. Il mio ragazzone. Il mio migliore amico. Anche il suo abbraccio fu forte e caloroso. Dak prese il mio borsone, mentre Nick mi guidò verso il salotto col camino acceso. Lì, inaspettati, Jordan con la sua bella mogliettina, Steve e la sua ragazza, un altro ragazzo, supposi fosse Grant, e Willy, un vecchio amico di Dak, o meglio il suo ragazzo. Salutai tutti con gran gioia.
“Devo chiamare Hayles! Deve saperlo!” disse la mia amica, mentre io rimasi lì a scaldarmi e parlare un poco. Fecero poche domande sebbene in 6 mesi di cose ne fossero successe tante. Dakotah, nel frattempo, preparò il the, aiutata da Mandy. Lo gustai fino in fondo.
“è così buono. Non ne prendo uno così da...” mi bloccai, ricordandomi l’ultima volta che avevo preso un the. Era l’ultima volta che avevo incontrato tutti loro.
“da sei mesi?” scherzò Jordan riportandomi alla realtà.
“Già, da sei mesi.” Finii il mio the in silenzio, lasciando parlare loro. Poi andai nella mia camera accompagnata da un Nick fin troppo premuroso.
“Vieni qua!” Disse, volendomi nuovamente tra le sue braccia muscolose.
“Mi sei mancata, pazzoide. Ti voglio bene. Buonanotte.” Mi diede un bacio sulla fronte e tornò al piano inferiore dagli altri. Entrai nel bagno e notai le candele accese e la vasca piena di acqua calda. Invitante e lussuosa. Mi ci tuffai dentro sapendo che il mio migliore amico ne era l’artefice. Sentii i muscoli alleggerirsi, distendersi e l’acqua scivolare sulla mia pelle rendendola morbida ed idratata. Tornando sul mio materasso con solo la biancheria mi accorsi del lusso che dominava la stanza. Bianche lenzuola, cuscini, un materasso troppo grande per un’unica persona. Ma la stanchezza ebbe la meglio. Il fuso orario mi riduceva sempre simile ad uno zombie. I miei sogni si popolarono di ricordi. La piccola Maggy nascere, i bambini ballare e cantare nella piccola scuola, Andrew regalarmi quel giubbotto dopo avergli assicurato una vita nel villaggio. Mohamed morire sopra una bomba inesplosa per anni. Il cuore affannato, il respiro irregolare. La luce di un fulmine illuminò la stanza. Era solo un tuono, mi ripetei. E tutto sembrò placarsi. Un altro tuono mi fece rabbrividire. Le lacrime scesero senza autorizzazione. Mi venne in mente l’unico posto dove mi sentivo al sicuro. Lo studio di papà. Girovagai con una coperta addosso in quello spazio. Le chitarre, la batteria, i fogli sparsi per terra. Mi stesi tra loro e mi sentii protetta. Papà era lì. Sentivo la sua canzone riecheggiare nella mia testa, sussurrata dalla sua calda voce. Mi chiedevo se anche la morte fosse così...armoniosa. E mi addormentai.
La mattina dopo mi ci volle un po’ per riconoscere la bambina che gattonava sul pavimento dello studio in mia direzione.
“Sum!” qualcuno sussurrò. Lei si mise a ridere. Le sorrisi anche io. Summer. Mia sorella. I suoi ricci castani. I suoi occhi verde scuro. Il suo sorriso splendido. Tesi le braccia per attirarla verso me. La misi sulle mie anche con le gambine aperte. Cominciò a giocherellare con la coperta, coprendomi e scoprendomi la faccia.
“Che bello vederti nuovamente a casa.” La voce di mia madre non fece altro che suscitare in me le lacrime di gioia che tanto aspettavo. Mi aveva ferito con le sue bugie, ma in fondo sapevamo entrambe di aver sbagliato. Non avrei dovuto reagire in quel modo. E lei non avrebbe dovuto nascondermelo. Mi sollevai prendendo mia sorella in braccio e mi diressi verso la donna che mi aveva cresciuto. La abbracciai forte. Facendole forse anche del male.
“Ti voglio bene, mamma.” Dissi. Tra i singhiozzi sentii dire “Anche io ti voglio bene.”.
Tornai a farmi una doccia, veloce e fredda. Un po’ per svegliarmi, un po’ per caricare il mio corpo. Il temporale era finito, anche se dentro me il clima non era molto regolare. Nick e mio padre comprarono una torta con scritto sopra ‘Bentornata’ e quella giornata fu speciale. Dopo sei mesi la mia famiglia non era cambiata. Lo ero io. Ogni tanto narravo qualche episodio della mia esperienza, ma preferivo parlassero loro. Così da poter annotare nella mia mente ogni singolo momento, l’espressione del loro sorriso, i movimenti del loro corpo. La dolcezza delle loro parole. Volevo costruire altri nuovi ricordi. Non per dimenticare i fantasmi del mio viaggio, ma per poter ringraziare Dio di avermi concesso di vivere quell’istante.
Piovve e piovve ancora. Anche quella sera. Mamma, papà ed Annabelle erano da degli amici, Nick da Grant. Io avevo preferito restare a casa per godermi un poco di tranquillità. Iniziai a rivedere alcuni appunti che avevo trascritto nella mia agenda. Il mio editore voleva scrivessi un resoconto del viaggio per poterlo inserire nel giornale. Così iniziai a batterlo al computer. Era stata una bellissima esperienza, ma era triste pensare che molti di quei ragazzi erano morti o ancora in pericolo. Così smisi di scrivere e mi concentrai sul televisore. L’uomo annunciava i candidati per la migliore performance live. Tra i candidati c’erano anche i Paramore e mi accorsi che era solo una replica. Guardai la loro foto svanire in mezzo agli altri candidati. Dopo pochi minuti il telefono squillò.
“Hi girl!” urlò una ragazza dall’accento inglese.
“Hi Kat.” Continuammo a parlare. Era lei soprattutto a farlo. In sei mesi erano successe tante cose di cui voleva assolutamente informarmi. La voce di Jer mi salutò da lontano fino a prendere possesso del telefono.
“Domani pranziamo insieme? Siamo qui per lavoro, ma a pranzo sarebbe bello vederci, che ne pensi?”
“Certo, perché no?” stavolta però non chiesi loro se volevano alloggiare da me. Ero terrorizzata dall’idea di rivedere Taylor. Non sapevo come stava, se stava ancora con Chelsea, se voleva vedermi. Non sapevo come affrontarlo e ciò mi impauriva. Il tatuaggio che avevamo fatto insieme era marchiato sulla mia pelle e mi chiedevo se fosse stato un errore.
“Allora domani da BurgerSmile, ok? Ora fuggo, bussano alla porta.” Jer e Kat mi salutarono e corsi verso l’ingresso. L’invito dei miei amici mi mise di buon umore per cui aprii la porta con un enorme sorriso sulle labbra.
“T-Taylor.” Balbettai alla vista di quel ragazzo. Un mazzo di fiori in mano ed il suo sguardo timido. No, nervoso.
“Vieni dentro, c’è un freddo cane fuori.” Rimase immobile aspettando io avessi chiuso la porta.
“Mi sei mancata” disse abbracciandomi.
“Anche tu” dissi. Eccole, quelle braccia forti, su di me, come torri, inviolabili, imbattibili. Il suo calore mi avvolse ancora fino ad allontanarsi lentamente da me.
“Tieni, sono per te. Per un bentornata a casa.” Disse. Goffo, imbarazzato, era un Taylor che non ricordavo di aver conosciuto in quei mesi insieme. Mi chiesi come apparissi io ai suoi occhi. Rimanemmo in silenzio per un po’, poi squillò nuovamente il telefono. Mamma mi informò che sarebbero rimasti a casa di Stefan e Cloe la notte, soprattutto a causa del maltempo. Ero rassicurata: sarebbe stato difficile guidare con quella pioggia.
“Scusa, era mia madre –dissi- vuoi qualcosa da...”
“Stai già scrivendo l’articolo?”
“Già. Almeno ci provo.”
“Raccontami come è stato.” Quella domanda l’avevo sentita tante volte ma posta da Taylor era diversa. Iniziai a raccontargli dettagli che avevo evitato di dire agli altri. Lui ascoltava paziente, sorseggiando il mio the ormai freddo.
“Ora come stai?” mi chiese. Era strano. Era l’unico ad avermelo chiesto da quanto ero rientrata. Rimasi spiazzata da quella domanda.
“Non lo so. So solo che tutto questo sembra così ridicolo...” era ridicolo quel lusso, era ridicolo narrare cosa capitava lì, era ridicolo stare lì con lui e non dirgli che ero tornata per lui. Era il mio pensiero fisso ma non volevo assolutamente affrontarlo. Immaginavo fosse ancora con Chelsea,
felice.
“E tu? Cosa mi racconti?” chiesi, cercando di non pensare ai miei fantasmi.
“Chelsea mi ha lasciato dopo che sei partita.”
“Mi dispiace...come mai?”
“Non sopportava che io pensassi solo a te.” Il suo sguardo basso indicava la sua timidezza. Poi si sollevò fino ad incrociare il mio sguardo.
“è quello che diceva Antoin a me, mentre ero in Africa.”
“Visto? Collezioni spasimanti in tutto il mondo.” Sorrise.
“No, no...oddio...cioè...mi ripeteva che fissavo troppo la nostra foto, che nella mia testa volevo tornare per la mia famiglia...ma per il cuore...” non riuscii a finire la frase sperando lui capisse. Le sue labbra formarono un sorriso mai visto prima. Mi feci più vicino, fino a sentire il suo respiro sulla pelle. Fino ad impadronirsi totalmente di me. Le mie labbra si modellavano sulle sue. Le sue mani dolci accarezzavano il mio viso. Seduta su di lui sentii di aver capito che non avrei più potuto nascondergli nulla. Mai.
“Andiamo in camera.” Dissi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



-Taylor-


Leggera, una piuma la persona che portai in camera da letto. Forse per i suoi baci, forse perché attendevo da sei lunghi mesi quel momento in cui le avrei dimostrato che l’amavo. Scivolò lentamente giù dai miei fianchi per posarsi a terra. La mia felpa, la mia maglietta, i miei jeans scivolarono sul pavimento. Mi fece sedere sull’orlo del letto. Era lì, davanti a me. La brama di averla per me, mia, mi invase. Corpo ed anima. Ma il suo sguardo mi ricordò di far piano, di non ferirla, di non diventare il suo incubo. L’avvicinai a me cautamente, combattendo contro il desiderio che ormai mi consumava. Lentamente sfilai il maglione. Un brivido le percorse la schiena. Dolcemente fece scivolare i pantaloni, mostrando una cicatrice sulla coscia destra. La guardai in attesa di una spiegazione.
“Guerra civile. Una pallottola.” Disse.
“Dovrò abituarmi alle tue cicatrici” dissi scherzando, anche lei sorrise. Mi permise di trascinarla sopra il letto e posarmi sopra di lei dolcemente. Stavolta non mostrava il suo corpo per proteggersi, anzi per mostrarsi per com’era realmente. Fragile, umana. Il suo corpo perfetto sotto il mio si muoveva lento, a ritmo di un piacere che pian piano invadeva entrambi. Ed era fuoco quando sulle sue labbra poggiavo le mie. Ma una volta sopra di me fu lei a mostrare il desiderio che correva nel suo corpo. In quel momento io ero la preda, lei la cacciatrice. I nostri ruoli si alternavano trovando sempre il giusto equilibrio tra voglia, desiderio e piacere. Capii che non era il desiderio, la sete di lei ad invadermi, ma era lei stessa. E pian piano abbatteva i limiti che mi ero sempre posto. Non esisteva più niente, solo io e lei e le coperte inutili di quel grande letto. Più ne avevo, più ne volevo. Lei era una droga e mi consumava. Lei era il limite massimo che mi ero imposto e ora lo stavo superando. Ormai avevo raggiunto quel limite e avevo vinto. I nostri corpi sfiorarsi, le sue mani strette alle mie, il suo caldo respiro. Accarezzavo i suoi capelli facendoli scivolare tra le dita.
“E dopo cosa succederà?” chiese.
“Non ti lascerò andare più.” Risposi senza insicurezza. Non avevo dubbi. Jess era quello di cui avevo bisogno. Ad ogni ora, in ogni momento.
“Neanche in bagno? Perché mi scappa la pipì” disse, guardandomi. Non riuscii a non ridere, era una
scena così buffa.
“Finally –urlò dal bagno- iniziavo a credere di farla nel letto!” continuai a ridere. Solo lei poteva, ci riusciva. Mi faceva sentire vivo, felice. Al mio posto. Completo. Tornò in camera. Saltò nel letto, tornando a baciarmi.
“Farò una doccia e poi preparerò la colazione.” Disse allontanandosi da me. Afferrai il suo braccio, riavvicinandola a me.
“Non posso lasciarti andare, ricordi?” e ci volle poco a ritrovarmi sotto la doccia con lei. Ancora cullato dal dolce muoversi del suo corpo, dal calore delle sue labbra. Facemmo colazione stuzzicandoci un po’. Era tutto diverso. Lo eravamo noi. Io e lei che andavamo a letto tardi, che criticavamo le coppiette sposate che si baciavano, che non chiedevamo aiuto finchè i nostri pensieri ci annullavano, finchè qualcuno ci riportava alla realtà. Noi che non avremmo mai scommesso di stare un giorno insieme. “Ma quella è una pazza. Ma figurati!” avevo detto a Jordan quel giorno. E poi lei mi aveva conquistato. Senza accorgermene. Ed era già passato un anno da quella volta.
“Devo incontrare Jeremy e Kathryn a pranzo.” Disse tenendo le braccia attorno al mio collo.
“Penso ci saremo tutti.” Risposi avvicinandola ancora a me.
“Come mi devo comportare?”
“Non lo so, decidi tu. Ti do libera scelta. Faremo come vuoi tu.” Non mi importava che la gente sapesse di noi, sapevo di averla per me ed era quello che volevo. Si allontanò pensierosa e aprì le tende della finestra sulla piscina.
“Tra un’ora devo essere in hotel.” Dissi, ricordandomi dell’intervista prevista.
“Allora ci vediamo a pranzo. Penso nel frattempo farò una passeggiata.” Disse. L’avrei portata con me se non avessi saputo quanto importante fosse per lei uscire in città in quella magnifica mattina di marzo. Da quando era tornata il cielo si era coperto di nuvole e solo dopo quella notte sembrava aver trovato il suo equilibrio e il sole era tornato a L.A. Solo per lei.
“Sai che devi narrarci tutto?” Kathryn aveva un piccolo difetto da lavoro. Era curiosa, soprattutto su me e Jess. Aveva votato dall’inizio sulla nostra coppia. A quanto avevo capito c’erano anche delle scommesse in atto.
“Saprete tutto all’ora di pranzo.” La mia amica se ne andò contenta, ma Jer rimase al mio fianco.
“Si vede che non hai chiuso occhio stanotte.”
“Lo dirai a Kat?”
“No, lei è già al telefono con Dak.”
“è andata. Non so cosa succederà adesso.”
“Cioè avete passato tutta la notte insieme e non sai cosa succederà ora? Non ne avete parlato?”
“In realtà no. Ho lasciato a lei la scelta.” Lui scosse la testa, disapprovando. Poi arrivarono i giornalisti.
“Io voglio un megaburger, io voglio un megaburger!” canticchiava Hayles in macchina. Ero un po’ ansioso su cosa avrebbe scelto Jess. Come si sarebbe comportata, e la cosa mi sarebbe andata bene o no? Cosa dovevo fare?
“Ho una sorpresa per te. Posso baciarti quando arrivi?” recitava il messaggio di Jess. Risi da solo suscitando dubbi tra i miei amici.
“è Jess. Chiede tra quanto arriviamo perché ha fame.” Spiegai, inventando.
“Stiamo arrivando e non vedo l’ora. E sarò io a baciarti prima che tu possa farlo, scommettiamo?”
“A tra poco. PS: vincerò io.” Risi anche stavolta. Era veramente testarda e combattiva. Ma nella mia mente pianificavo il modo per vincere. Fui l’ultimo a scendere dalla macchina e, quindi, l’ultimo che lei avrebbe salutato. Salutò Kat, Jeremy, Hayles, JMJ e il resto del gruppo. Ma non si accorse che stavo dietro di lei e appena si voltò a cercarmi, le sue labbra erano mie. Il suo viso tra le mie mani.
“Ho vinto.” Sussurrai.
“Lo stiamo facendo seriamente? Ci potrebbero essere fans, giornalisti..”
“Che lo sappiano. Il problema è che sto morendo di fame.” Risposi. Avrei voluto continuare a baciarla per ore ma i nostri amici ci attendevano. Ci dirigemmo ai nostri tavoli. Jess saltellò allegramente verso le ragazze e si unì a loro per chiacchierare di qualcosa che ignoravo.
“Non sembra affatto cambiata.” Disse Jeremy.
“è sempre stata spumeggiante in questo modo?” chiese JMJ. La guardavo sedersi vicino alle altre. Indossava jeans e magliettina, con quei tacchi che le erano mancati tanto.
“No, she’s just happy.” Risposi a Justin. Ero sicuro che Jessica fosse solo felice in quel momento, non era euforica e spumeggiante. Voleva solo sentirsi a casa e non ci sarebbe riuscita se non avesse visto nuovamente i suoi amici. Mangiò un intero panino. I medici avevano detto che doveva recuperare peso, era dimagrita troppo in sei mesi. E ogni tanto rubava le patatine fritte dal mio piatto.
“Ok, look what I did this mornin’ -disse, alzandosi leggermente la maglietta. Notai la cicatrice della ferita di Mark, incelofanata - ci pensavo da prima di partire ma...e ora l’ho fatto. So di non averti avvisato, scusa.” Mi disse. Pensai mi stesse prendendo in giro, invece i suoi occhi aspettavano quasi un perdono. Guardai il tatuaggio. “What doesn’t kill you, makes you stronger.”
“Non devi scusarti. Mi piace, ti rende più…cattiva.” Sorrisi all’idea di vederla cattiva. Lei che non riusciva mai ad arrabbiarsi, che soffriva se litigava. Lei che aveva chiuso il cuore a chiunque per non soffrire più.
“Ora cosa farai?” le chiese Kat.
“Oh, scriverò un articolo sul viaggio e poi penso mi inventerò qualcosa. Noi giornalisti siamo sempre alla ricerca di qualcosa,no?” si misero a ridere entrambe. Alla ricerca di qualcosa...qualcosa per cui combattere, per cui valga la pena vivere, per cui lottare ancora, ancora, ancora. Ecco il verso che cercava Hayles tutto il giorno.
“Hayles, passami il quaderno e la penna.” Le dissi. Iniziai a scrivere sotto gli occhi vigili dei miei amici. Justin prese il testo e canticchiò il motivetto.
“Jess, penso tu debba venire in studio con noi, stasera.” Disse. Lei lo guardò un po’ confusa. Lei era una musa per me. Non lo sapeva. Non si rendeva conto dell’effetto che faceva. Non conosceva i testi che avevo scritto, che avevamo inciso. Testi scritti la notte, la mattina ad ogni ora, pensando a lei ed alle cose lasciate in sospeso tra noi. Avendola vicino in studio tutto sembrava diverso. Lei non faceva granchè, restava lì con la sua agenda ed il mio notebook a scrivere quell’articolo di giornale su cui doveva lavorare.
“Prova con il la” disse. Io, Jus ed Hayles lavoravamo su quel pezzo da un po’ senza trovare mai il riff giusto.
“E, Hbomb, allunga l’ultima vocale.” Jus la guardava incantato, e anche Kat. Nessuno di loro sapeva che Jess non era solo una giornalista, aveva studiato chitarra al conservatorio per un poco e Jordan le aveva insegnato qualche trucchetto. Quella sera mangiammo in studio, ordinammo cibo messicano.
“Ehy, sei sporco di ketchup. -Mi disse. Prese il tovagliolo e mi pulì accuratamente il mento- sei peggio di un bambino piccolo.” Mi rimproverò.
“Sei sicura?” la guardai di sbieco, eloquente. Lei posò le labbra sulle mie.
“Si.” Sussurrò. Noi ragazzi decidemmo di riordinare la cucina e non mi tirai indietro. Kat ed H piombarono davanti alla televisione, Jess le seguì ma quando le raggiungemmo non era con loro. La trovai nella sala del pianoforte. Bianco candido, il suo rumore risuonava leggero invadendo lo spazio. Non so per quanto tempo rimasi a suonare con lei, a parlare. Fino a quando non furono i baci a non fermarsi più. Fu così per i mesi successivi. Baci, carezze, affetto, letto, sesso, amore. Ti amo.






Angolo Autrice.
Eccomi qua. Un capitolo in più alla mia storia arrivato un pò in ritardo (secondo me troppo in ritardo). spero vi sia piaciuto perchè ero piuttosto scettica nel pubblicarlo ma la mia migliore amica ha insistito (lol). Quindi... beh... grazie a tutti per aver letto e baci. a presto la vostra -yumi- 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


-Jessica- 


È settembre. 10 settembre, per l’esattezza. Mi sveglio nella camera dell’hotel di Phoenix. Taylor mi circonda le spalle con il suo braccio. Lo lascio dormire, date le poche ore di sonno degli ultimi giorni. Specialmente dopo quel concerto durato quasi tre ore. Decido di lasciarlo dormire, almeno fino alle dieci, ma lui mi stringe a se.
“Buongiorno.” Dice.
“Buongiorno. –gli rispondo- è presto, perché non torni a dormire?” si gira nel letto fino a ritrovarmi sotto di lui. Mi bacia. Ancora e ancora. Non riesco a rifiutare la dolcezza dei suoi baci. Dopo qualche secondo, sento le sue dita scorrere lungo la pelle, accarezzarmi le cosce, stringere i capelli tra le dita. Io lascio semplicemente a lui il compito di possedermi. Mi solleva e mi riposa leggermente sul letto, sui cuscini avvolti nella seta. Un brivido mi percorre la schiena fino a sentire il reggiseno slacciarsi e la sua mano riscaldarmi la pelle. Mentre stringo le gambe intorno alla sua vita, continua a baciarmi dolcemente, sensualmente, il collo, la spalla, poi torna alla mia bocca. Mi sento bene. Mi sento donna. Amata. Nessuna parola, mi basta solo scorrere le dita sulla sua schiena alla ricerca dei suoi boxer per fargli capire cosa voglio. Voglio sentirlo, amarlo, conquistarlo. Voglio renderlo felice, soddisfatto, vivo. Darei tutto per lui. Sesso, amore, non so distinguerli. Penso siano entrambi con lui. Il desiderio ci consuma la notte, l’amore ci tiene insieme la mattina. Ancora, ne voglio ancora. E voglio sia lui a continuare. Cerca di allontanarsi da me, ma lo riporto presto sulle mie labbra. Spero mi abbia capito. Anzi, ne sono certa. Mi gira su un lato. Il suo petto ora poggia sulla mia schiena. Con una mano stringo il cuscino, mentre lui con una mano spinge il mio bacino verso il suo. Mentre il piacere si impossessa di noi, mi bacia il collo e la schiena ed io mi limito a stringere il cuscino da una parte e afferrare il suo braccio con l’altra. È mio. Sento il suo sospiro sul collo. Mi stringe più forte. Il piacere supera il dolore. Non ci bado e mi godo il momento. Fino
all’ultimo sospiro.
Stiamo abbracciati l’uno all’altro.
“Ti amo.” Dico. Voglio che lui lo sappia anche se ho paura del dopo. Mi guarda dolce. Mi chiedo come abbia fatto ad innamorarsi di me. Come abbia fatto a conquistarmi. Ride.
“Hey, ti dico che ti amo e te la ridi? Hey!” lo colpisco più volte, sapendo che i miei piccoli colpi non provocano dolore su quei pettorali muscolosi.
“Vieni qua.” Non resisto. Lo bacio ancora.
“Ti amo anch’io.” Dice, ed è come se il mondo girasse in un altro modo. Mi ama. Lo amo.
“Ridevo perché mi hai detto ti amo proprio al nostro mesiversario, come direbbe Kat.”
“Oddio, davvero?”
“Un anno e sette mesi proprio oggi.”
“Che memoria! Io mi ero dimenticata! Dimmi che non mi hai comprato regalo, ti prego!” eccolo, quel sentimento di deluderlo, ferirlo.
“Non ho preparato nulla, tranquilla. E poi ti ho già fatto il mio regalo, ti è piaciuto?” torno a baciarlo senza rispondergli. Senza renderci conto sono già le undici. A mezzogiorno ci incontriamo con gli altri nella hall dell’hotel.
“Non so perché, ma oggi ho una strana sensazione.” Dice Kathryn.
“bella o brutta?” chiede il suo bel maritino.
“Non lo so, ma deve succedere qualcosa.”
“Anche io ho una sensazione, però è bella e so che accadrà stasera.” Dice Taylor, guardandomi. So che si riferisce al regalo che gli ho promesso.
“Ci pensate? Abbiamo finito il tour. Un anno in tour è finito ieri e domani si torna a casa.” Dice Hayles.
“Casa dolce casa.” I ragazzi iniziano a parlare di cosa avverrà. Taylor ed io pensavamo di fare qualche viaggetto per conto nostro prima di pensare realmente sul da farsi. Magari in Africa, chi lo sa. Decidiamo di fare tutti insieme un giro, un ultimo giro in città, per comprare qualcosa e goderci un po’ la vita da turista. Io e Tay sediamo in macchina con Jeremy e Kat. Lei inizia a dare raccomandazioni al suo amore. “Vai piano.”, “Stai attento.”
Taylor invece mi tiene la mano e ogni tanto mi bacia. È strano, sembra quasi che Kat mi stia contagiando la sua brutta sensazione. Ad ogni incrocio c’è un semaforo. Jeremy frena, si ferma e attende il verde.
Primo semaforo: verde. Tay e Kat iniziano a parlare dell’ultimo cd di un gruppo che non conosco. Alla radio danno una canzone che non mi piace.
Secondo semaforo: rosso. Jer si gira a guardarci sul sedile posteriore e subito nota la mano mia e di Tay unite. Come al solito ci prende in giro.
“Il semaforo è verde, muoviti idiota!” dice Tay per farlo smettere. Mi avvicino a Tay e lo bacio un’altra volta.
“Ti amo.” Dico.
“Ti amo anche io.” Un altro bacio. Jer ingrana la prima e parte dopo aver visto il verde scattare. Ma qualcosa non va. Un clacson suona all’impazzata e ho appena il tempo di vedere la macchina venire contro di noi. Sento il colpo prima sulla coscia, poi si propaga a velocità immediata. Sbatto la testa contro il finestrino dopo aver rimbalzato dal lato opposto. Ma la macchina non ha colpito solo me. Jeremy. Come sta Jeremy?
 
Ora mi vedo. Sono in ospedale in una camera triste, vuota. Tutti quei macchinari mi tengono in vita? Sono pallida e ferita. Ma non sento dolore. Vedo Taylor vicino al mio corpo. Ha un cerotto in testa, sicuramente ha sbattuto anche lui la testa contro il finestrino. Qualcuno entra.
“Come sta?” Taylor piange. Le mani sulla fronte. Mi avvicino, gli accarezzo una guancia strappandogli via una lacrima. Ma lui non mi vede, non mi sente. Nessuno, in realtà. Sono un fantasma e sono sola. Ma lui è più solo di me. Hayley lo abbraccia ma non penso servirà a molto. Sento la voce di mio padre cullare la piccola Summer nel corridoio. Non riesce proprio a farla dormire. Niente, è tutto inutile. Mi guardo intorno, Jeremy e Kat giungono da un’altra sala. Vorrei
andar loro incontro e chiedere come stanno, ma so che non mi sentirebbero. Allora cerco mia madre.
“Coma.” È l’unica parola che riesco a sentire dal suo discorso col medico. Coma. Torno dentro la mia stanza. Tutti i miei amici, tutti i miei cari stanno intorno al letto a guardarmi morire. Coma. Mi lascio scivolare lungo il muro. Coma. Vorrei urlare che sono lì, vorrei andare da Taylor e dirgli che lo amo più di qualsiasi altra cosa. Coma. Dirgli che voglio continuare a vivere. Coma. Dirgli che ho paura di morire quanto lui ha paura di perdermi. Coma. Coma. Coma. Sono immateriale sostanza. Sono materia sopra quel letto per moribondi. Coma. Sto per morire. Devo solo accettarlo. Coma. Mia madre entra nella stanza insieme ad un uomo che riconosco come il padre di Taylor. Sono sollevata al pensiero ci sia lui. Si abbracciano. Poi escono. Coma. Cosa sta succedendo? Esco fuori.
“è in coma, Taylor. Non so se ci riuscirà.” Coma, un’altra volta. Mia madre piange mentre parla. Taylor cede. Piange anche lui e cade a terra sulle ginocchia. Coma. Sono sicura che è la parola che rimbomba anche nella sua testa.
“No! No!” urla, ed è come vedere parti di lui, parti di Taylor abbandonare il suo corpo. Taylor avvicinarsi sempre di più a me, diventare pian piano un fantasma anche lui. Peter, il padre, lo sostiene, lo abbraccia. Vorrei esserci io al suo posto. Coma. Sono stanca, solo stanca.
Tre giorni passano in fretta. Taylor sta sempre vicino al mio corpo. Dorme poco. Quando è solo mi parla, scriviamo insieme le canzoni. O almeno così sembra. È l’unico modo per non pensare al fatto che sono morta. Alle sei e mezzo mia madre passa a trovarmi ogni mattina, dopo aver fatto una preghiera al buon Dio. Mio padre arriva alle nove con caffè e briosche. Si mette a parlare con Tay, a volte porta un album di foto per parlare di me al mio...’ragazzo’. Come finisce il suo orario, passa anche lui nella cappella. I ragazzi invece vengono ad orario indefinito. Penso si alzino dal letto e decidano. Solitamente vengono tutti insieme, ma spesso Jeremy dà il cambio a Taylor per un’oretta o due. Si sente in colpa ma immagina che io lo picchierei nel sentirlo parlare così. E in effetti ha ragione. E poi Nick, è venuto solo una volta in questi cinque giorni. Tra lavoro e viaggio non ha tanto tempo. Mi ha parlato delle sue avventure a lavoro, è stato divertente.
“Ci manchi, stellina. Torna da noi.” Il mio corpo sembra reagire a quell’invito e muovo il piede.
“Riflesso incondizionato. Può capitare.” Dice il dottore. Non immagino il dolore che provano i miei nel sentire la spiegazione scientifica dell’avvenimento.
Qualche giorno dopo, vedo arrivare nella stanza accanto un signore. Ha circa 60 anni. Il suo fantasma di avvicina a me mentre sto vicino al mio corpo lasciato incustodito.
“Dove sono i tuoi cari?” chiede.
“Sono lì. Fuori. Parlano.”
“Di che parlano?”
“Non lo so.”
“Da quanto sei qui?”
“Dieci giorni.”
“è molto tempo.”
“Un’eternità.”
“Cosa ti è capitato?”
“Incidente stradale.”
“Colpa del tuo ragazzo?” è la volta che mi giro. Lo guardo in faccia.
“Mai.” Dico. La mia voce è fredda, tagliente, avversaria.
“è quello biondo? O il moro?”
“Alto, moro. –faccio una pausa mentre lo guardo- Taylor.” Sussurro con voce bassa.
“Suona la chitarra. Che sta facendo? Scrive una canzone?”
“Si. Scrive canzoni.” Taylor entra nuovamente nella stanza, mi prende la mano.
“Scusami. Jeremy ha detto che viene domani per pranzo. Speriamo porti cibo buono, che ne dici?” continua a parlare. Gli accarezzo il volto. Poi mi volto. L’uomo è andato via. Lo rivedo solo la notte. Sta nel corridoio. Guarda fuori dalla finestra.
“Com’è finito qua?” gli chiedo.
“Incidente domestico.”
“Le scale si erano spostate?” sorrido, ricordandomi di essere caduta diverse volte durante i vari traslochi da piccola. Ridacchia anche lui. Lo prendo come un si.
“Passi tutto il giorno con lui?”
“Non posso lasciarlo. Da un momento all’altro potrei svanire e non voglio perdermi niente di lui.”
“Anche lui ti ama tanto.” Abbasso lo sguardo, sentendomi persa. Si, lui mi ama tanto ma...non stiamo più insieme. I dubbi mi assalgono.
“Jessica?” la prima parola che mi viene in mente è ‘papà’. Un uomo, non sembra vecchio. Elegante. Profuma di pino silvestre. Ha i capelli bianchi lunghetti in confronto a quelli dell’uomo al mio fianco.
“Jessica, so che non ci siamo mai...” non lo faccio finire, mi butto tra le sue braccia mentre piango. Poi parliamo. Dice che adora Taylor e mi dà la sua benedizione.
“Papà, sono in coma. Sto per morire.” Lui sorride.
“Quando sarà il tuo tempo, piccola, sarò lì. Sono venuta per il tuo compagno ora, vieni con me Ernest.” Dice e si allontana, poi si volta. “Fidati della musica del tuo amore, Jessica, fa miracoli. Un consiglio: non lasciartelo sfuggire.” Sorride ancora e svanisce. Mentre si allontana, sento una musica a me familiare. È la canzone che papà aveva scritto per me. Quella nella busta. Taylor la sta suonando per me. Sorrido guardandolo … poi noto le mie mani.
“Cosa sta succedendo? Aiuto!” urlo. Sto svanendo. Sto morendo.
“Carica!” cosa sono queste voci?
“Due ml di... “ è così che si muore? Con 2 ml di un qualcosa che neanche capisci? Non capisco più nulla, in realtà.
“Jess!” una boccata d’aria. L’urlo mi fa aprire gli occhi. Il soffitto è celeste. Troppe persone intorno a me. Non capisco che dicono. Cosa stanno dicendo?!
“Taylor.” Dico, ma nessuno sembra sentirmi. “Taylor. –ripeto- Taylor!” il dottore mi capisce, si gira. Fa un cenno.
“Jess! Jess!” piango nel sentire la sua voce. Piango perché mi accorgo di esser viva. Di ricordare tutto. Di amare Taylor. Che lui è lì. Lui mi stringe la mano. Piange. Di gioia. Siamo vivi. Siamo due. Siamo un solo noi.
“Non lasciartelo sfuggire.”

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