She'll never come back

di DarknessIBecame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Never Again ***
Capitolo 2: *** Ironic ***
Capitolo 3: *** Come in closer ***
Capitolo 4: *** Breathe me ***
Capitolo 5: *** A.D.I.D.A.S ***
Capitolo 6: *** Hole in my soul Part 1 - Finn Version ***
Capitolo 7: *** Hole in my soul Part 2 - Rachel Version ***
Capitolo 8: *** Feeling good (Dating you is not so easy) ***
Capitolo 9: *** Something in the water/Caterwaul ***
Capitolo 10: *** Walking after you ***
Capitolo 11: *** The scientist ***
Capitolo 12: *** Deep it low ***
Capitolo 13: *** Sex on Fire ***



Capitolo 1
*** Never Again ***


She'll never come back

Never Again

Era tutto un susseguirsi di immagini, volti felici, urla ed abbracci. Volti e voci che l’avevano seguito fino alla macchina, di ritorno dalle Regionali. Avevano vinto, non riusciva ancora a crederci. E dovevano tutto a lei.
“Stop! Rallenta, respira…e non grattarti la testa come un’ebete!” Ok, adesso era tutto sotto controllo.
Regionali, si. Quello doveva diventare un campo neutro. E di nuovo si ritrovò a vagare con la mente a soltanto un paio d’ore prima. Aggrottò la fronte, strizzando un poco gli occhi, in quel suo tipico cipiglio che, come Quinn non si stancava di ricordargli, lo faceva sembrare “scemo”. In fin dei conti era stato un momento bellissimo. Neanche l’inaspettata scenetta del pugno della Sylvester aveva potuto fermarli dal festeggiare. L’unico punto buio in tutta quell’allegria era il faccino di Kurt che ogni tanto tornava ad affacciarsi nei suoi pensieri confusi. Di primo acchito gli era sembrato persino buffo, con quell’espressione a metà tra gioia e fastidio. Cercava di farsi vedere orgoglioso del suo vecchio Glee Club, ma girandosi verso quel damerino che sembrava tanto piacergli, il sorriso forzato che gli aveva rivolto era valso più di mille parole. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, anche solo per posargli una mano sulla quella spallina, che a volte sembrava portare il peso di un mondo…

-Finn? Finn! Ma mi stai ascoltando?- una Quinn esasperata, a braccia conserte, lo stava fissando impaziente.
-La accendi questa macchina, si o no? Sai che ho promesso a mia madre di non fare troppo tardi. E smettila di guardarmi come se fossi  un alieno!- anche quando era arrabbiata, la sua voce era profonda e sensuale, ferma e precisa nello scandire le parole. Oddio, era ancora a bocca aperta? Quando cavolo era salita? Non si era minimamente accorto della sua presenza. Si sbrigò ad annuire convinto, facendo girare la chiave nell’accensione della macchina e preparandosi a fare marcia indietro. Piccole gocce di pioggia andavano infittendosi sul vetro, riempiendo l’abitacolo  di un rumore ovattato, mentre il silenzio si faceva più imbarazzante. Lo specchietto retrovisore gli rendeva una perfetta visuale della scena che si stava svolgendo a pochi metri di distanza. Il parcheggio sembrava deserto, solo una figuretta dai lunghi e morbidi capelli castani aspettava tra gli spazi adibiti alla sosta. Rachel, che fino a poco prima era intenta a strillare nel minuscolo cellulare rosa che teneva tra le mani, ora sembrava arrabbiata. Frustrata. Sbuffava, batteva il piedino sull’asfalto, ancora con il vestito di scena. Le braccia scoperte strette alla vita, le dita delle mani tamburellavano nervosamente a ritmo col piede. La pioggerellina cominciava ad arricciarle le punte dei capelli, chiazzando di scuro il vestitino celeste e l’asfalto intorno a lei. Poi un’ombra le arrivò alle spalle. Ancora lui. C’era sempre lui. Non poteva lasciarla in pace? Lasciarli entrambi in pace? Con un gesto fluido aveva lasciato cadere la sua felpa enorme sulle spalle della ragazza, coprendola nello stesso momento con l’ombrello nero. Aveva visto quello sguardo sorpreso nascerle sul volto, mentre sbatteva più volte le lunghe ciglia da cerbiatta. Poi si era aperta in un sorriso che era sempre e solo destinato a lui, dolce ed affettuoso. Come diamine si può essere dolci ed affettuosi con Noah Puckerman?
Una mano l’aveva scosso dal fissare la scenetta, scrollandolo neanche fosse uno straccio. –Allora?- era stata capace di dirgli solo questo e lui si era aperto in un sorriso stiracchiato, continuando la retromarcia e facendo stridere le gomme durante la sterzata per immettersi nel senso di marcia. Un piccolo espediente per far girare Rachel verso di lui, per incontrare i suoi occhi. La brunetta però non ci fece caso. Stava ridendo ad una battuta del bell’imbusto di fronte a lei, che ora le offriva il braccio ed ad un suo cenno affermativo l’aveva scortata fino al pick up.

Sbuffando contro un mondo che pareva muoversi all’incontrario, Finn Hudson si dirigeva verso casa della sua fidanzata, sperando di poi poter fare quattro chiacchiere con Burt davanti ad una partita qualsiasi.

                                                              ****

Durante l’ora del Glee tutti parevano eccitati, il chiacchiericcio e le risatine arrivavano alle sue orecchie ma lui non ci fece troppo caso. Sapeva quello che si stavano mormorando i ragazzi. MVP. Ed ecco arrivare il professor Schue, con un sorriso raggiante stampato in faccia. Aveva un non so che di…inquietante? Subito cominciò a congratularsi con loro, prima di voltarsi e prendere una statuetta da sopra al pianoforte. Chiamò accanto a lui una Rachel Berry confusa e visibilmente soddisfatta, all’annuncio che per la gara delle Regionali era stata scelta all’unanimità come MVP del Glee Club. Il breve discorso uscì genuino da quelle labbra piene, commuovendola e facendo commuovere anche i loro compagni. Tutti le si accalcarono addosso, la strinsero in un abbraccio collettivo per farle sentire quanto le erano vicino. E lei che pensava di non piacere a nessuno! Finn si mosse per ultimo, insieme a Quinn, quasi avesse aspettato un suo segnale. La Spaventosa Quinn poteva rifarsi viva da un momento all’altro, e non voleva che il momento di Rachel fosse rovinato da una delle solite discussioni che portavano avanti ormai da giorni. Quel maledetto ballo di fine anno stava mandando in tilt la sua ragazza, che non perdeva occasione di fargli notare quanto le sue smorfie, i suoi ragionamenti, le sue movenze fossero poco indicate per il futuro re del ballo. – Dobbiamo vincere Finn! Io voglio vincere! E’ l’unico modo per far vedere a tutti che i migliori in questa scuola siamo ancora noi. Quella coroncina deve essere mia, e non me la farò portar via solo perché tu sembri il figlio di Frankenstein! – il succo del discorso era sempre questo. Lui non andava mai bene, non era mai abbastanza. Ma pendeva dalle sue labbra, era innamorato di lei, per quanto ogni tanto si ritrovasse a pensare alla sua storia con Rachel. Mentre una tendeva sempre a fargli notare i suoi errori, l’altra lo metteva sempre di fronte a scelte difficili. Una troppo sicura, l’altra troppo poco. Camminava per i corridoi ormai deserti, pensando a quanto fosse difficile la sua vita da teenager con un ruolo importante e senza neanche rendersene conto si ritrovò di fronte alla porta dell’auditorium. Perfetto, proprio dove voleva essere. Aveva deciso di parlarle alla fine delle lezioni, di congratularsi a modo suo, di farle sentire che c’era ancora e che aveva sempre creduto in lei. E sapeva che l’avrebbe trovata lì, intenta a provare qualche romantica canzone che mettesse in risalto la sua voce. Qualcosa della sua adorata Barbra, magari.

                                                              ****

Già le prime note si diffondevano nell’aria, e lui, nascosto dietro l’uscio, si preparò ad un nuovo colpo al cuore. Cavolo, persino quelle stupide canzoni sui cerchietti o sui figli unici erano in grado di trasmettergli più di ogni suo cantante preferito, di fargli scendere brividi giù per tutta la schiena! Sbirciò dentro, sicuro che lei non avrebbe minimamente notato la sua presenza. Era seduta su uno sgabello al centro del palco, un piede a terra, il microfono rosa nella mano sinistra. Aveva raccolto i capelli in una coda alta, spostando la frangia di lato e continuando a levarsela dagli occhi ogni volta che qualche ciuffo troppo corto le carezzava il viso. Cos’era quella melodia? Era sicuro di non averla mai sentita, nelle varie serate passate a casa di Rachel, sdraiati sul letto con i vari sottofondi che la ragazza sceglieva con cura, in base all’umore e a quanto avanti voleva che i due si “spingessero”. La chitarra elettrica dava un tocco rock, quasi da cattiva ragazza, ed accompagnava parole che lui sapeva essere dirette alla sua persona.

I hope when you’re in bed with her
You think of me.
I would never wish bad things
but I don’t wish you well.


Diavolo! La brunetta era inviperita. Lo sguardo fisso di fronte a sé, una mano a stringere il tessuto della gonna corta, quasi volesse stracciarlo. Le movenze da prima donna che l’avevano sempre contraddistinta sul palcoscenico perse chissà quando, lasciavano il passo ad una donna arrabbiata, tesa, pronta a sputare ogni parola con un sorrisetto saccente sul volto attaccando con la strofa successiva.

Does it hurt
To know I’ll never be there?
Bet it sucks
To see my face everywhere.

It was YOU
Who chose to end it like you did.
I was the last to know.

You knew
Exactly what you would do,
Don't say
You simply lost your way.

She may believe you.
But I never will.
Never again.

Ogni colpo andava a segno. Ogni accento era come un pugno nello stomaco pronto a colpirlo e a togliergli l’aria. Fece qualche passo ancora verso la scalinata, avvicinandosi alla prima poltrona ed aggrappandovisi con la mano. Cos’era cambiato? Da quando Rachel covava tutto quel rancore? Era davvero così che si sentiva, dietro quella maschera di risolutezza e quel sorriso da star per cui tanto si allenava?  La vide riprendere fiato, e per quanto quelle parole gli facessero male, bramava di sentirla cantare ancora.

Never again will I hear you.
Never again will I miss you.
Never again will I fall to you.
Never.

Never again will I kiss you.
Never again will I want to.
Never again will I love you.
Never.

La sua decisione sembrava essere presa. Stava chiaramente dicendo che si sarebbe lasciata il ragazzo alle spalle, non voleva più tornare indietro. Non sarebbe più tornata indietro. Neanche il tempo di assimilare il pensiero che la canzone era finita, lasciandola spossata. Ed era cominciato l’applauso. Lo sguardo di Finn era subito scivolato sulla platea, dove riconobbe subito la mohawk di Puck. Maledizione! Avrebbe tanto voluto spaccargli la faccia a pugni, anche se era il suo migliore amico, anche se lei non era più sua. Che rabbia. Lo vide avvicinarsi a lei, continuando ad applaudire, mettendo poi le mani sulle ginocchia di Rachel, andata a sedersi sul bordo del palco.

-Allora è così…finalmente posso portarti a cena fuori, eh?- aveva usato il suo miglior tono da macho, ed anche se gli dava le spalle, sapeva che stava usando tutto il suo fascino per irretire la ragazza. La sentì ridacchiare, negli occhi stavano pian piano scivolando via le emozioni portate a galla da quel pezzo, facendo spazio ad uno sguardo smaliziato.
-E cosa vorresti fare, dopo cena?- ammiccando gli si era avvicinata, in attesa della risposta.
-Ho una proposta per te. Voglio darti la possibilità di cantare con la band del mitico Puckzilla. Abbiamo bisogno di una voce femminile, e, sebbene avessi i miei dubbi, dopo questa canzone non posso far altro che chiederti di unirti a noi. In ginocchio, se dovesse essere necessario.- sospirò, come se l’ultima parte del discorso fosse stata la più difficile da pronunciare. E poi successe. Lei si sporse ancora un po’, lasciando che le loro labbra si unissero.
-Mmm…uva?- aveva mormorato Rachel, leccandosi le labbra ed aprendosi in un sorriso splendente. Finn aveva visto abbastanza. Si voltò ed uscì dall’auditorium, non senza lanciarsi un’occhiata alle spalle mentre il suono delle loro risate gli rimbombava nella testa.


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Eccola qua. Finalmente l’ho pubblicata. Ero indecisa fino all’ultimo, ma le parole di Tem_93 e DreamGirl91 (a cui ovviamente voglio dedicare questo capitolo, siete state la mia ispirazione!) mi hanno spronata ad andare avanti. Se vi annoiate, se vi schifate, se vi vien voglia di scovarmi ed uccidermi, fermatevi un attimo a pensare…che questa è la mia prima ficcy! Q_Q
Ho già qualche altra ideuzza in mente, ma se non dovesse piacere, la lascerò come one-shot in ricordo della mia breve carriera da semi-quasi-vorrei ma non posso scrittrice.

Chiedo scusa per eventuali errori di grammatica e di battitura.

Un bacio
Veronica/Vevve

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Capitolo 2
*** Ironic ***


Ironic Ironic

Mentre Kurt e Mercedes si occupavano di tutto, non poté che domandarsi ancora una volta se avesse fatto veramente bene a dargli tutta quella libertà. Ma ormai da una settimana Rachel Berry era sotto costante assedio. Kurt passava più tempo con lei che col suo nuovo fidanzato...beh, quasi. Infatti anche Blaine era sempre invitato alle loro riunioni ormai. Ne sembrava felice, e la ragazza non poté che ammettere che senza il suo apporto ora i suoi due migliori amici si sarebbero presi davvero TROPPE libertà.


-Ragazzi, ho pensato di organizzare una serata tranquilla da me! E poi mi manchi tanto, Kurt...- durante una delle solite telefonate a tre con i ragazzi, aveva messo in atto il suo piano. Perché Rachel Berry sapeva sempre cosa fare. Pianificava sempre le sue mosse.
-Va bene tesoro, ma niente più alcolici, mh!- una Mercedes fin troppo accondiscendente era riuscita a darle man forte nel convincere l'Usignolo, trovando anche la perfetta soluzione. Per cena avrebbero chiesto a Blaine di unirsi a loro, poi sarebbero rimasti a chiacchierare fino a tardi, ed i tre del McKinley (ok, due e mezzo, ma consideravano il ragazzo ancora tale) avrebbero dormito insieme in camera di Rach, aggiungendo una rete ed un materasso preso dalla stanza degli ospiti che i suoi padri avevano arredato con estremo gusto. Così quel sabato sera, dopo aver visto per la milionesima volta
My Fair Lady e pianto di gioia nel momento in cui Eliza finalmente riprendeva il suo posto a casa del Dr. Higgins, avevano lasciato i due piccioncini da soli per salutarsi in santa pace, mentre lei e Mercedes erano salite in camera per rifare i letti e prepararsi per una nottata di chiacchiere tra dive.

-Rach? Abbiamo finito. Sei perfetta!- Kurt batteva insistentemente le mani, quasi volesse auto-glorificarsi per l'opera compiuta. Lei non si era neanche resa conto di essersi alzata in piedi e degli sguardi fissi di Blaine e Mercedes.
-Tesoro, nessuno potrà resisterti sta sera!- aveva esclamato l'amica, mentre nello stesso momento il fidanzato di Kurt si complimentava con gli altri due.
-Se non fossi fidanzato con questo amore di ragazzo, e fossi un po' più etero, potrei pensare di farti il filo, Berry!- incurante dell'occhiataccia del biondino, le aveva sorriso, e lei si era trovata a pensare che quel ragazzo era davvero bellissimo quando sorrideva! Scosse la testa, sorpresa dal movimento dei capelli. Cosa diamine avevano combinato? Odiava sentirsi così vulnerabile ed insicura, soprattutto prima di un'esibizione. Ma i due erano stati irremovibili. Niente specchi fino alla fine delle loro fatiche. Fatiche. Pfui!
-Sarai fantastica, lo sappiamo tutti. E sai anche che ti odiamo per questo! Adesso è il momento della rivelazione. Dopo esserti vista così, non potrai più tornare indietro.- la prese in giro Mercedes, accompagnando le parole con un buffetto sul suo braccio nudo. Poi si era scansata ed aveva sollevato il telo che avevano usato per coprire lo specchio del camerino. Fu in quel momento, mentre il suo cuore perdeva un battito per l'emozione, che rivide tutto quello che era successo solo un paio di settimane prima, e l'aveva portata fin lì.

Puck era venuto per chiederle di unirsi alla sua band, e lei l'aveva baciato. A stampo, s'intende. Semplicemente perché quella richiesta era stata così inaspettata, così ben accetta, che non era riuscita a trattenersi. Si era subito scusata, in imbarazzo, ma lui aveva bloccato il flusso dei suoi pensieri con tanta gentilezza, unita a quella spavalderia che lo contraddistingueva.
-Ehi, piccola, è tutto ok. So che è difficile resistermi, quindi non ne farò un dramma. E poi curi il mio povero orgoglio ferito!- avevano riso insieme, ricordandosi della conversazione avuta il giorno prima nel suo pick up, mentre la riportava a casa dopo la magnifica performance che li aveva portati a stracciare i rivali alle Regionali. Le aveva confessato che Lauren se n'era andata da sola, con la sua macchina, dicendogli che aveva bisogno dei suoi spazi. E lui sapeva che dietro quelle poche parole si nascondeva una "fottuta" verità. Non era riuscito a conquistarla come sperava. Tanta sincerità aveva stupito Rachel, che aveva cercato di consolarlo esclamando convinta che Lauren sarebbe tornata presto sui suoi passi. Dopo tutto lui era Puck, il dio del sesso del McKinley
! Avevano fatto quattro chiacchiere sotto casa della brunetta, fin quando i suoi padri erano tornati a casa, scusandosi per il mostruoso ritardo. Lei e Noah si erano salutati, dandosi appuntamento per la mattina dopo a scuola.
Quella mattina era stato tutto perfetto, fin quando non aveva visto la scenetta di Finn e Quinn che si alzavano insieme, in ritardo rispetto agli altri, per unirsi ai compagni in quell'abbraccio mozzafiato che tanto le aveva scaldato il cuore. Lei, con uno sguardo scocciato, sembrava trascinarsi verso il centro dell'aula; lui come un docile cagnolino non l'aveva mai persa di vista, imitando i suoi modi forse per non farla arrabbiare. La rabbia invece era montata in Rachel, che dopo le lezioni era corsa a sfogarsi in auditorium. Aveva scelto una canzone nuova, che qualche giorno prima aveva sentito alla radio e che le era rimasta impressa per il modo in cui sembrava calzare alla sua storia. Sembrava quasi che quel testo riuscisse a lenire le sue ferite, tutte inferte da quell'Hudson, ovviamente. Troppo presa dal ritmo della musica, si era accorta della presenza di Noah soltanto quando aveva sentito l'applauso solitario rimbombare tra le pareti dell'auditorium. Si era seduta sul bordo del palco ed avevano chiacchierato a lungo. Lui le aveva spiegato che la ragazza del loro batterista se n'era andata quando si erano lasciati, che era la loro voce (<> aveva aggiunto lui con una smorfia), e che li aveva lasciati a piedi due settimane prima del live che avevano organizzato in un locale nel paesino di Elida, a circa un quarto d'ora da Lima. Le aveva snocciolato diligentemente la scaletta delle canzoni, e dopo aver ricevuto ancora una volta la risposta affermativa, si erano dati appuntamento a casa di Puck, per le prove, quella sera. Rachel si era presentata puntualissima, con uno dei suoi migliori maglioncini, sopra ad un vestitino blu a pois e corredato di borsetta rossa. I ragazzi erano già nel seminterrato, e quando la videro arrivare a braccetto con Puck, scossero la testa. Lo avevano preso da parte, e lui con un enigmatico <>, aveva preso posto davanti al microfono, chitarra alla mano. Ed avevano attaccato con il primo pezzo, affiatati e precisi. Lei aveva cercato una qualche rassicurazione in Puck, che prontamente le aveva sorriso ed annuito, ed era partita dimenticando tutto il resto.


Well life has a funny way of sneaking up on you
When you think everything's okay and everything's going right
And life has a funny way of helping you out when
You think everything's gone wrong and everything blows up
In your face"

 
Quando la canzone finì e gli ultimi accordi si persero nell'aria, rimase solo un silenzio pesante intorno a loro. Poi il gruppo si mosse quasi in sincrono. Chi le afferrava le mani, chi cercava di darle pacche sulle spalle...il bassista la staccò persino da terra, abbracciandola e facendole fare una giravolta in aria. Non si era mai sentita così felice, le guance rosse e gli occhi ancorati a terra mentre gli altri si complimentavano con Noah.
-Dove diavolo la tenevi nascosta, maledetto chitarrista da strapazzo?- commentavano, decidendosi poi ad attaccare con qualche altro pezzo. Dopo 3 ore di prove, risate ed una pausa spuntino, si separarono. Era stato il pomeriggio più vivace della sua vita, si ritrovò a pensare la giovane, vedendo sparire su per le scale Jim, Alex e Oliver, in ordine bassista, batterista e tastierista del gruppo. Erano un po' rozzi, degni compari di Puck, ma le piacevano perché altrettanto schietti. Prima di partire Alex le aveva confessato che a prima vista non le avrebbe dato un soldo di fiducia. Sembrava una scolaretta impettita e spocchiosa, secondo lui. Rach aveva spalancato occhi e bocca, annuendo poi rassegnata. Era il suo destino, tutti la vedevano così.
-Ma, ehi! Non fare quella faccia! Potresti anche vestirti di piume di struzzo, e riuscire ad incantare un teatro pieno di ricconi, con la voce che hai! Ci vediamo Martedì, Rachzilla!- sorpresa per quel nomignolo, lo salutò e si voltò nuovamente verso Puck.
-Su, su! Vedrai che andrà tutto bene. Sono un po' testardi, ma sicuramente spaccheremo alla prima serata!- le aveva rivolto un sorriso sincero, ma che non contagiò gli occhi profondi del ragazzo. Sembrava che qualcosa ronzasse in quella testa crestata, e lei sapeva cosa. Il suo stile non si addiceva alla loro musica ed alla band. Loro erano tutti bei ragazzi, muscolosi ed affascinanti, lei sembrava una ragazzina delle medie troppo altezzosa. Quando arrivò uno dei suoi padri a prenderla, salutò Noah con un piano già delineato in mente.

-Che te ne sembra?- impaziente, Kurt, che si era occupato del guardaroba di Rachel,  la fissava mettendola ancora di più in agitazione. Quanto avrebbe voluto aver indosso uno di quei completi con giacca e calzoni al ginocchio che usava per le scampagnate con i papà. Magari erano bruttini, ma comodi e sicuri. Altro che...quello! Le avevano fatto indossare un top con spalline legate alla base del collo di un grigio perla, con uno scollo morbido che creava pieghe alla "vedo non vedo" poco sotto la curva dei seni, rigorosamente senza reggiseno.  Un paio di jeans neri ed aderenti a sigaretta, la vita bassa che lasciava intravedere un pezzo di pelle sotto l'ombelico, strappati ad arte sulla coscia sinistra cadevano a pennello fino alle caviglie, mentre ai piedi calzava decoltè laccate nere, con tacco argentato. Il ragazzo era per caso impazzito? Quei trampoli sembravano pronti a farla rovinare a terra in mezzo al palcoscenico, e lei non poteva permetterlo.
-So cosa stai pensando, ma prova a fare due passi. Sembra di camminare  su delle comode ballerine. Non che abbia provato.- si affrettò ad aggiungere lui, sorridendo imbarazzato. E così era, in effetti. Niente le impediva i movimenti. Ma ancora si sentiva a disagio. Voltandosi nuovamente verso lo specchio si accorse del lavoro certosino di Mercedes. Le aveva passato una crema abbronzante che intensificava il color caramello della sua pelle. Le aveva allisciato i capelli, aggiungendo extension dello stesso identico colore dei suoi, poi aveva cotonato parte della frangia fino ad unirla in mezza coda sul retro della nuca. Il trucco era leggero ma d'effetto. Un velo di cipria e fard albicocca, eyeliner argentato ad allungarle il taglio degli occhi, bocca rossa e ciglia così folte da sembrare finte. La trasformazione che tanto avevano sperato era avvenuta. Sexy, ma non volgare. Una bellezza esotica ed aggressiva.

-Adesso. So che la richiesta vi sembrerà un po' strana, soprattutto perché il mio primo tentativo è stato un fallimento.- buttò fuori la Berry d'un fiato, sul lettone della sua camera, rivolgendo uno sguardo accusatore a Kurt che le cingeva le spalle con un braccio, mentre Mercedes era intenta a struccarsi in pigiama davanti allo specchio. -Però ho bisogno del vostro aiuto. Devo assolutamente cambiare look.- gli altri due si erano fermati, sembravano aver smesso persino di respirare. Poi accolsero la richiesta con grida di giubilo, neanche dovessero redimerla da chissà quale peccato e tutto il loro entusiasmo dovesse concentrarsi su quel compito. Il giovane Hummel urlò così tanto che i genitori di Rachel dovettero fare una capatina in camera, giustificandosi con un semplice "pensavamo che la nostra prediletta vi avesse rubato qualche assolo", prima di tornare a riposare nella loro stanza. Avevano parlato per circa mezz'ora, ascoltando una Rachel concitata che tentava di spiegare i suoi motivi, senza tralasciare la frase del batterista, che tanto l'aveva abbattuta quanto aveva fatto morire dalle risate i suoi amici più cari.
-Vorrei che mi aiutaste per il live. So che non ce la farei mai da sola. E poi...beh, vorrei trovare anche un qualcosa di più adatto per la scuola. Sono stufa di essere presa a granite in faccia per come mi vesto. Tanto vale che cominci da lì, magari potrei abituarmi.- aveva tentennato nel suo ragionamento solo quando Kurt e Mercedes si erano dimostrati risoluti nel volere che si liberasse di tutti quei maglioni.
-Diamoli ai bimbi bisognosi, trinciamoli, bruciamoli, ma non voglio più vederli, ti prego!-aveva esclamato la procace ragazza di fronte a lei, gambe incrociate e pigiama rosa con dei coniglietti stampati sopra. Stremata dalle loro chiacchiere, si era addormentata lasciandosi sfuggire la promessa di accettare QUASI ogni loro decisione. "Lo fanno per il mio bene." si ritrovò a pensare nel dormiveglia, immaginandosi la faccia della band due Sabati dopo. Perché quella sarebbe stata la prova del fuoco per lei.

Sapeva che ci sarebbe stato tutto il Glee Club, qualche Usignolo ed il Prof Schue, che aveva visto qualche tempo prima chiacchierare fuori dal locale con i suoi genitori e sua madre biologica. Non poteva farci niente, era stato più forte di lei. Aveva il fisiologico bisogno di mettersi in mostra, quindi aveva mandato a tutti lo stesso messaggio con ora, luogo e motivo dell'incontro. Non sapeva se avrebbero tutti accettato, ma in cuor suo stava cominciando a sperare che non ci fosse proprio nessuno in sala. "Smettila! Tu sei Rachel Berry. La futura star di Hollywood, acclamata ed adorata dal mondo intero. Contesa dai maggiori registi dei tuoi musical preferiti!" quasi fosse un mantra, questo si ripeteva, uscendo per ultima dal camerino a lei riservato, con i tre al suo seguito, così vicini che le venne pensato volessero essere pronti nel caso si fosse accasciata a terra, per non muoversi più da lì. Un ultimo respiro, prima di guardare il locale per la prima volta. Era pulito, ordinato e....pieno zeppo. Quanta gente avevano invitato i ragazzi della band? Decisa a chiederglielo, lasciò che gli altri si dirigessero ai tavoli, e si incamminò decisa e sicura sul retro del locale, dove sapeva che avrebbe trovato Noah e gli altri, Oliver con la sigaretta in bocca, e forse Jim con una birra ghiacciata. Ed eccoli là, appoggiati con la schiena al muro, vestiti in modo simile e, doveva ammetterlo, veramente belli. Tutti con i jeans, soltanto le maglie si differenziavano. Jim sfoggiava una maglietta a maniche corte con lo stemma di un gruppo metal; Alex una camicia blu scura con le maniche arrotolate, così da mettere in mostra i muscoli; Oliver invece era il più sobrio, indossava semplicemente un dolcevita celeste con scollo a V, che cadeva perfettamente sul petto ampio. E poi c'era Noah.  Noah, bello come il sole, con una semplice camicia nera sbottonata, ed una maglia in lycra bianca ed aderente che lasciava intravedere perfettamente dove portava la linea degli addominali. Bracciale borchiato al polso, jeans bianco sporco, se ne stava appoggiato contro il muro e continuava a sembrare un bocconcino irresistibile. Ma che diamine era andata a pensare? Lei aveva chiuso con i ragazzi. Certo, lo ripeteva tutte le volte, ma questa era la volta buona che rispettasse i suoi propositi. Anche se avrebbe voluto affondare le dita nella mohawk di Noah per attirarlo a sé, o sbatterlo al muro e baciarlo fino a dimenticare dove si trovassero. Ok, era ufficialmente impazzita. Probabilmente l'abbigliamento, le canzoni, la serata, la facevano sentire davvero una cattiva ragazza.
-Avete portato voi tutta quella gente?-esclamò, facendo il suo solito ingresso teatrale. E di teatralità ce ne fu, decisamente. I ragazzi la guardavano come se non capissero chi fosse e cosa stesse dicendo. Poi Oliver fischiò a lungo, mentre Puck poté solo dire -Wow.- Galvanizzata dalla reazione del gruppo, si aprì in un sorriso sornione.
-Non vorrete far tardi, il pubblico ci aspetta!-battendo un paio di volte le mani prima di voltarsi e rientrare senza aspettarli. Sarebbe stato un debutto magnifico.

Il pubblico impaziente mormorava in sala, mentre i ragazzi provavano gli strumenti e controllavano che il suono uscisse limpido dalle casse. Rachel sbirciava dalla porta di servizio, cercando con lo sguardo prima i suoi genitori, poi i suoi migliori amici ed infine lui. Stringeva la mano di Quinn nervosamente, guardandosi intorno come un cucciolo sperduto. Si muoveva troppo sulla sedia, meritandosi un bel rimbrotto da parte della fidanzata. La musica arrivò chiara alle sue orecchie, e lei seppe cosa fare. Era abituata agli sguardi, al pubblico, e quella sera non si sarebbe tirata indietro. Occhi negli occhi, salì quei pochi gradini che la separavano dal palco fissando Noah, che la guardava orgoglioso e...famelico? Non sapeva come descrivere altrimenti la sua occhiata penetrante. Si sistemò di fronte al microfono ed iniziò a cantare, dimenticando tutto e tutti.

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Bene, una domenica poco movimentata e molto assonnata ha prodotto questo nuovo capitolo, in cui da giorni preparavo la rivalsa di Rachel su tutte le varie angherie sopportate al liceo. Ho cambiato qualche tag, visto che dalla one shot sta prendendo forma una storia un pochino più articolata.Vorrei ringraziare chi ha letto il primo capitolo, l'ha recensito, messo tra i preferiti o altro. Ditemi voi, vi sembra che sia andata troppo OOC? Cercherò di rispettare la storia, aggiungendo qualcosa e modificando se gli autori di gLee torneranno alla carica con la coppia Finchel. Perché Puckleberry vale! Spero vivamente che anche questo capitolo vi piaccia!
Ah, dimenticavo. La canzone del titolo è Ironic, di Alanis Morisette.
Un bacione
Vevve

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Capitolo 3
*** Come in closer ***


Come in closer

Come in closer

-Ho la persona che fa al caso nostro, ma…- Puck si contorceva le mani di fronte ai tre amici, cercando di capire se fosse il caso di essere spietatamente sinceri o di indorare la pillola, e lasciar scoprire da soli ai ragazzi di che persona si trattava. Aveva vagliato attentamente le possibilità che avevano di farcela senza una voce femminile, e poi quella di chiedere ad una delle compagne del Glee di far parte della band. Ok, Brittany, Mercedes e Quinn erano fuori a priori. Tina aveva il giusto stile, ma le mancava quel potenziale che la loro cantante avrebbe dovuto avere. Poi c’era Santana. E per quanto la Cheerios sapesse il fatto suo, non voleva che tra i ragazzi venissero a crearsi dissapori dopo una notte di sesso con lei. L’ultima cosa che doveva capitargli era un bassista che si spaccava la mano in una scazzottata.
Rachel stava per arrivare, quindi doveva prepararli mentalmente e fisicamente per quella ragazzina tanto minuscola quanto fastidiosa. Uno scricciolo dalla caparbietà innata.
- Aprite bene le orecchie. La ragazza che sta per arrivare vi sembrerà tutto tranne che una con cui io possa avere anche solo lontanamente parlato. In realtà lei è solamente l’avverarsi dei vostri peggiori incubi. Parlerà, così tanto da farvi venir voglia di catapultarvi fuori dalla finestra. E’ testarda, arrivista, manipolatrice e pure un po’ stronza, ma è la migliore. Lei vince sempre, e noi dobbiamo tenerlo a mente. Vedete di essere carini per i primi cinque minuti.- aggiunse, sospirando pesantemente e passandosi una mano sulla nuca rasata.- poi sono sicuro che non ci saranno problemi. Sarete suoi, come sfortunatamente lo sono io.- Era il discorso più lungo che, a memoria d’uomo, avesse mai pronunciato Noah Puckerman, ma doveva essere sicuro che lei non scappasse e non li facesse scappare.
Oliver, dallo sguardo furbo e l’aria da bambinone troppo cresciuto, gli si era avvicinato e gli aveva dato una pacca sulla spalla, così forte da farlo traballare sulle proprie gambe.
- Sicuro che non sia tua sorella, bro? Una Rachzilla in miniatura. Vediamo un po’ che sa fare.- pronunciò prima di tornare a giochicchiare con il mixer della tastiera, mentre da sopra sua madre annunciava l’arrivo di Rachel. E poi tutto era andato liscio. Beh, più o meno. Le avevano fatto scegliere una canzone e lei li aveva stregati. Aveva osservato gli occhi dei maschietti cambiare, passare da “questo è impazzito”, a “canta meglio di un angelo”, a “Puck è il nostro signore e salvatore”. Soddisfatto dell’andazzo aveva lasciato che Rachel mettesse sotto torchio i ragazzi, ordinando di qua, comandando di là; in un solo pomeriggio il gruppo sembrava suonare quei pezzi da anni, invece che da meno di due mesi. Aveva stravolto ogni cosa, a partire dalla scaletta, passando per tonalità e melodie, fino ad arrivare a zittire Oliver che si era acceso una sigaretta nel seminterrato. A Puck si era fermato il cuore, quando l’aveva vista avvicinarsi a quel gigante con l’indice alzato e lo sguardo furioso.

-Ehi tu, spilungone palestrato! Si, sto parlando con te!- la brunetta aveva posato il dito affusolato contro il petto del ragazzo, che l’aveva guardata per un lungo istante, senza capire cosa volesse. Poi lei aveva schiaffeggiato l’aria, prendendo in pieno la sigaretta del ragazzo e spegnendola sotto la suola di quegli orribili mocassini.
-Prova a fumare un’altra volta in mia presenza e ti ritroverai senza lavoro per i prossimi vent’anni. Ti lascio anche scegliere quale accusa penderà sulla tua testa.- Quelle parole gli fecero venire i brividi, ma sapeva che il peggio era passato. Oliver l’aveva guardata e aveva sorriso annuendo.
-Scusi, signora comandante!- tutti avevano riso e la tensione s’era allentata. Dopo quella serata avevano deciso (ok, Rachel aveva tassativamente imposto una “perfetta tabella di marcia per prepararsi al meglio all’evento” e blablabla) di vedersi tutte le sere dopo cena, due ore a sera. La ragazza aveva tentato, questa volta invano, di convincerli che una dieta ipocalorica a base di chissà quale pianta potesse affinare il loro orecchio e migliorare le loro prestazioni. All’ultima parola le avevano riso in faccia. Solo lei non aveva colto il doppio senso nella frase, ma aveva capito l’antifona e lasciato perdere. A due giorni dal live, ancora non comprendeva da dove tirasse fuori tutta quell’energia. Sapeva che era sempre indaffarata, a scuola con i vari gruppi di studio, approfondimento e cavolate varie; poi c’era il Glee Club, la danza classica, i compiti, i suoi amici che sapeva essersi quasi trasferiti a casa sua: non sapeva per quale motivo, ma la Berry si era lasciata sfuggire poche frasi in proposito e a lui non è che fregasse granché, quindi non aveva ficcanasato. Spesso lui e Rach si vedevano anche prima delle prove. Lei arrivava a casa sua con pesanti occhiaie, l’immancabile borsone con ogni sorta di oggetto all’interno e, quando sapeva che sua madre avrebbe lavorato la sera, la cena per lui ed Abby, la sua sorellina. Solitamente iniziavano facendo i compiti al tavolo della cucina. Lei, sempre la prima a finire, chiamava sua sorella e le chiedeva se aveva bisogno di aiuto in qualche materia. Appena finito di cenare, scendevano a provare qualche duetto per la serata, così che lei potesse armonizzare al meglio le loro voci senza il fastidio di quattro ragazzacci rumorosi, fino a che non arrivavano anche gli altri. Inizialmente quest’intrusione nella sua vita gli aveva dato enormemente fastidio. Puckerman non aveva orari, né una routine, e men che meno voglia di perdere tempo in casa quando avrebbe potuto tranquillamente spassarsela con una o più pollastrelle fuori di lì. Dopo qualche giorno però, quel tran tran quotidiano gli aveva dato una sicurezza che non aveva mai provato prima. Per la prima volta qualcuno si prendeva cura di lui, oltre alla sua adorata mamma. Mamma che sprizzava gioia da tutti i pori ogni volta che, girando per la cucina, li vedeva seduti a quel tavolo.
-Rachel è perfetta. Così carina, a modo…e poi è anche ebrea. Mi fa piacere che tratti così bene la tua ragazza. Devi essere stato irreprensibile con lei, dato che non è ancora scappata.- gli aveva confessato un giorno la madre, e lui l’aveva lasciata cuocere nel suo brodo. Credesse un po’ quello che voleva, meno problemi per lui!
Però a volte osservava Rachel di nascosto, magari quando avrebbe dovuto finire un tema di inglese, e si ritrovava a sorridere vedendola intenta a spiegare qualcosa ad una Abby attenta e vispa, o a passarle affettuosamente una mano tra i capelli quando risolveva un esercizio piuttosto difficile. Quella ragazza riusciva a scaldargli il cuore. Ed allo stesso tempo lo irritava, facendolo inconsapevolmente sentire in colpa per tutte le volte in cui lui era stato un cazzone coi fiocchi e lei non gliel’aveva mai fatto pesare.

La band al completo attendeva impaziente l’arrivo della loro cantante, insicuri su come si sarebbe presentata. Certo, Puck aveva più volte rassicurato gli amici, ma a dieci minuti dall’inizio del concerto si ritrovò più volte a pensare di chiedere ad Oliver una delle sue sigarette. O di correre al bancone del locale ed ubriacarsi fino alla fine dei tempi. Non sembrava male come alternativa.
-Siamo sicuri che ce la farà? Sono già 45 minuti che l’aspettiamo! E non aveva neanche un bel colorito.- Jim cominciava a straparlare, dopo la terza birra, camminando avanti e indietro e mettendo in agitazione gli altri tre. Poi Rachel era arrivata. Cazzo! Gli era mancato il respiro vedendola. Aveva trattenuto il fiato per così tanto tempo che quasi cominciava a girargli la testa. Imbambolato era rimasto a fissarla, e l’unica cosa che il suo cervello bacato aveva saputo trasmettere alla bocca era uno stramaledetto, stupido -Wow-. Quando l’aveva guardata allontanarsi non aveva potuto fare a meno di fissarsi su quel sedere sodo. Stan, il padrone del locale, avrebbe potuto lasciargli la sala biliardo libera per qualche ora, finito lo show. Gli doveva qualche favore…a quel punto avrebbero potuto fare sesso sfrenato su ogni singolo biliardo. Diavolo, sentiva già montare dentro un desiderio impellente di lei. Lo sentiva in ogni fibra del suo corpo. Quella visione provocante non poteva essere la sciocca Berry che conosceva fin dalla tenera età. Quella era una dea venuta per tentarlo e farlo uscire di testa.
-Beh, amico mio…direi che questa sera la nostra ragazza è diventata una donna. Molto attraente direi.- Alex aveva quello sguardo da conquistatore che gli aveva già visto tante volte. -Deve essere mia, amico. Non ti dà fastidio, vero?- aveva alzato un sopracciglio, posando una mano sulla spalla di Puck e stringendogliela leggermente in attesa di risposta. -Fai quel che ti pare. Ma attento, qualcuno potrebbe soffiartela per sbaglio.- aveva sputato con finta sicurezza, fissandolo negli occhi azzurri. Avevano seguito la brunetta all’interno, poi erano saliti sul palco per il soundcheck ed avevano cominciato a suonare. Non aveva potuto far altro che sperare di controllare i nervi e l’irresistibile impulso di strapparle di dosso i vestiti e prenderla su quel palco. Con un ultimo sforzo aveva presentato al pubblico la band, “Crush&Burn”, poi avevano attaccato col primo pezzo, una cover dei Paramore che all’inizio volevano scartare. Ma lei aveva insistito tanto! Già dopo le prime due strofe qualcuno si era alzato ed aveva cominciato a cantare sotto il palco. Stavano andando forte. Ma lui aveva occhi solo per Rachel: ce la stava mettendo tutta, e dopo la terza canzone piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte, mentre la chioma ondeggiava a tempo con i suoi movimenti. Sensuale e provocatoria, fredda e spietata, caricava la band e cambiava ad ogni testo, immergendosi fino all’anima nelle sensazioni che voleva esprimere. Era fantastica. Si davano il cambio ogni due canzoni, e lei tranquillamente sedeva accanto ad Oliver arricchendo la parte corale dei pezzi di Puck con melodie perfette, che sembravano fatte apposta per compenetrare la voce calda del ragazzo. Poi gli si avvicinò, toccandogli il braccio e lasciando una scia incandescente sulla sua pelle col solo tocco delle dita. Era il momento del loro duetto.

I want you to come closer
Come in closer. Come in closer.
I want you to come in closer
Come in closer. Come in closer.
I want you to come in closer, in closer.

E davvero voleva che lei gli si facesse più vicina, per poter respirare il suo odore. Baciare quella pelle di caramello. Scioglierle i capelli e vederla arrossire sotto il suo sguardo. Ma così com’era iniziato, il duetto finì. Anche se la magia di quelle note incatenava ancora i loro occhi, e solo il colpetto di tosse imbarazzato di Jim lì aveva scossi dai pensieri in cui si erano soffermati fin troppo. Solo allora il ragazzo s’accorse dell’applauso che scrosciava nel locale, dei loro compagni che li guardavano orgogliosi e divertiti. La serata era finita. All’uscita i ragazzi erano stati fermati dalla folla di amici e qualche parente, tutti che volevano abbracciarli, complimentarsi e magari chiedere un autografo. Per scherzo, s’intende. Rachel era quasi sparita dietro mazzi di fiori con tanto di bigliettini attaccati, il più grande era quello della signora Corcoran, composto da fresie bianche ed un’unica rosa rossa. Lei era bellissima, sorridente ed entusiasta. Ma traballava su quei tacchi alti, ed il viso aveva perso un po’ del solito colore. Deciso a rimanerle vicino, erano stati accerchiati dal Glee Club al completo. Erano tutti intenti a complimentarsi con la Berry per il cambiamento di stile ed aveva sentito Sam mormorare ad Artie che non avrebbe mai pensato che sotto quei vestitini da sfigata, Rachel nascondesse tutto quel ben di dio. Brittany continuava a chiederle se era sicura di non essere un alieno a forma di Rachel Berry. Aveva tanto sentito parlare dei casi di adduzione, ed aveva cominciato a toccarla per provare che non fosse un ologramma o qualcosa del genere, provocando uno sbuffo da parte di Santana. Poi il mondo sembrò andare al rallentatore. Finn si stava avvicinando, lasciando in disparte la sua ragazza. Aveva aperto le braccia e lei vi era letteralmente caduta in mezzo. Una mano di Puck aveva cercato di sorreggerla all’istante, ma Finn aveva bloccato il corpicino della ragazza ed uno sguardo terrorizzato era spuntato sul suo volto. Era svenuta. Di corsa l’avevano trasportata nuovamente nel locale tra le braccia di Hudson, e l’avevano stesa su uno dei tavoli. Mercedes e Kurt urlavano di lasciarla respirare, e le avevano spruzzato un po’ d’acqua fredda sul viso. Qualche minuto ancora e la brunetta si era ripresa. Noah era seduto lì accanto, e le stringeva delicatamente una mano. Doveva essere suo il primo viso che avrebbe trovato al suo risveglio, e così fu. –Perdonami Noah, io…non volevo, ho rovinato questo bel momento…- aveva cominciato a singhiozzare, stordita. Lui aveva solo potuto abbracciarla, e sussurrarle dolcemente all’orecchio.
-Non farmi più una cosa del genere, Berry. O se proprio vuoi farlo, cerca di svenire tra le mie braccia. Potrei decidere di approfittarne per rapirti da questo branco di imbranati.-. Lei aveva sorriso ed aveva nascosto il volto nell’incavo della sua spalla. Pian piano tutto era tornato alla normalità, ma lui sapeva che non sarebbe stato più lo stesso. Che fosse per sesso, o chissà per cos’altro, Rachel Berry doveva essere sua. E al diavolo Lauren, al diavolo Finn, Alex, Sam o chi altri intendeva mettergli i bastoni tra le ruote.

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Bene, spero di essere stata abbastanza veloce! Sto letteralmente cadendo dalla sedia per il sonno, ma volevo pubblicare subito, per sapere cosa ne pensate. Mi sono dimenticata di dirvi che nel primo capitolo la canzone è Never Again di Kelly Clarkson, mentre Come in closer, di questo capitolo, è dei fantastici Blue October. Piccola curiosità: il nome della band prende spunto da una canzone dei Savage Garden, Crash and Burn, anche se l’ho cambiato in Crush perché il mio ignaro ragazzo pensa che faccia più “pawa”! XD
Vi lascio, me ne vado a letto!
Chiedo scusa per eventuali orrori di ortografia e battitura.
Un bacio, Vevve

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Capitolo 4
*** Breathe me ***


Breathe me

Breathe me

I genitori di Rachel avevano dato un passaggio anche al ragazzo. Erano sempre molto gentili con lui, perché sentivano che c’era più di quello che la figlia voleva fargli credere, tra loro. Non si era mai occupata tanto di quel gigante di Finn, e segretamente ne erano sempre stati contenti. Quando lo vedevano vicino alla figlioletta, avevano sempre il terrore che potesse schiacciarla con quei piedoni o caderle addosso inciampando nelle proprie gambe. Insomma, forse la facevano tragica, ma accettavano qualsiasi stramberia della ragazza, che adoravano più di ogni altra cosa al mondo. Era la loro luce, vivevano in funzione di lei. L’avevano viziata un po’ troppo, ma erano sicuri che con due padri gay non le sarebbero mancati quei valori fondamentali che tante famiglie “normali” cercavano invano di insegnare ai propri pargoletti odiosi e spesso omofobi. Quindi quella sera si erano portati appresso un enorme cestino di muffin, da lei personalmente preparati, ed avevano osservato i ragazzi entrare in macchina, Rachel sorretta da un Noah attento e preoccupato, che subito l’aveva fatta stendere sul sedile e l’aveva carezzata durante tutto il viaggio, mentre lei gli si era accoccolata sulle gambe.
-Oh, papà. Hai portato il cestino?- domandò, allungando un braccio scoperto, la voce assonnata, verso Leroy Berry. Lui lo prese da sotto il sedile e glielo tese. Lei, senza neanche una parola, lo passò a Noah, visibilmente confuso, al quale si illuminarono gli occhi appena scoprì quale sorpresa la moretta gli aveva riservato. Gli rivolse un sorriso stanco, e quando lui riprese ad accarezzarle i capelli, si addormentò tranquilla.

 

-Artie, ti prego, mi sta andando in fumo il cervello. Non potremmo finirla qui per oggi?- Sam, Noah ed Artie erano rinchiusi in casa da poco meno di due ore, quando Puck sbuffò sonoramente per interrompere quel supplizio.
-Abrams, qui l’amico ha ragione. La lezione di oggi l’abbiamo capita, non potremmo uscire a prendere una boccata d’aria?- Sam aveva prontamente dato man forte al ragazzo, cominciando già a mettere apposto libri e quaderni.
-Ragazzi, la chimica non è semplice, lo sapete anche voi…però mi sembra che questa lezione l’abbiate studiata abbastanza. Direi che potreste anche meritarvi un gelato. A spese mie, s’intende!-ridacchiando, Artie si mosse per raggiungere il frigo di casa sua e tirar fuori tre cornetti giganti, che passò in fretta ai due amici, prima di dirigersi con la sedia a rotelle verso la porta posteriore che dava su un piccolo giardinetto con tanto di dondolo. Ormai non provava più vergogna a farsi prendere in braccio dai due ragazzi e farsi lasciare sul dondolo. Gli piaceva la sensazione che quel dondolio gli dava. Li osservò sedersi sull’erba di fronte a lui e mangiare di gusto il gelato. Per qualche minuto vi furono solo rumori di carta stracciata e di morsi al cono. Poi Sam cominciò a muovere quella bocca enorme, riprendendo un discorso che i tre avevano aperto giusto quella mattina. Rachel Berry si era presentata a scuola con una maglietta extralarge a farle da vestito (per altro non più corto delle sue solite minigonne da scolaretta), stivaletti alla caviglia con pochi centimetri di tacco, ed una scritta enorme sul quel vestitino improvvisato. “I am what I am. Any problems?”. Era una maglietta di Mercedes, ne erano sicuri. Ma tanto era bastato.
-Sono rimasti tutto allibiti quando è arrivata a scuola. Sto considerando anche io l’idea dell’adduzione, sapete? - domandò il biondo, rivolgendo uno sguardo divertito ad Artie, il quale però osservava Puck. Qualcosa ribolliva nella mente del ragazzo, e prima o poi sarebbe andato da lui per rivelarglielo. Ne era sicuro, aveva imparato a conoscerlo ed apprezzarlo, sebbene mostrasse sempre quell’aria da duro e strafottente. Un po’ come la Berry. Qualcosa scattò anche nella sua, di mente, e scuotendo la testa lasciò che la voce di Sam gli riempisse le orecchie, mentre descriveva dettagliatamente la sua giornata e più volte si lamentava di come Santana gli prendesse gli angoli della bocca per provare a tirarli fino alle orecchie.

 

Il prof. Schue aveva assegnato un compito alla classe per la settimana, e Rachel era già un vulcano di idee. Con voce pacata, l’insegnante aveva spiegato ai ragazzi che dopo il successo di Loser like me, sarebbe stato il caso di approfondire quei sentimenti, per aiutarli ad assimilarli e andare avanti. Dovevano esprimere con un testo le proprie insicurezze. Probabilmente era una trovata pedagogica della signorina Pillsbury. Gli disse anche che avrebbero dovuto accompagnare la musica con una coreografia e che avrebbero potuto riunirsi in gruppi da massimo quattro persone. Così lei e Mercedes si erano avvicinate decise a Mike e Tina, che provavano qualche passo di danza in disparte, guardandosi con estrema dolcezza. Erano perfetti. Certo, Brittany insieme a Mike era la migliore del Glee quando si trattava di ballo, ma a loro serviva quel tocco di delicatezza che Tina tirava fuori sul palco. Gli avevano proposto di aiutarle per il compito e loro, leggermente imbarazzati avevano subito accettato, decidendo di vedersi dopo le lezioni in auditorium, per cominciare le prove. Dopo quella prima prova, li si vedeva girare sempre insieme nei corridoi, tranne quando Rachel decideva di rimanere da sola.

Fu in una di quelle occasioni che si accorse di quanto il suo nuovo look l’avesse aiutata, e ricordò mentalmente di ringraziare Kurt, Mercedes e Blaine la sera stessa, magari preparando una cenetta coi fiocchi, o regalandogli un enorme peluche a scelta dalla sua sterminata collezione. La brunetta percorreva i corridoi solitari, cercando di rimettere in ordine le proprie idee assurde su Noah, e sul perché lui le avesse detto quelle parole al locale, il Sabato prima. C’era qualcosa che non le tornava, ma era stata ben felice di sentire le sue braccia stringerla a lui, ed averlo vicino per il resto della serata. Si era svegliata dai suoi pensieri di soprassalto, quando una mano forte l’aveva presa per il vestito ed attirata negli spogliatoi. Non si era nemmeno resa conto che quella porta fosse aperta. Una Santana irritata l’aveva bloccata, spalle al muro,e la guardava con un sorrisetto fastidioso e piuttosto minaccioso. Brittany, alle sue spalle, perdeva tempo tentando di allacciare il bottoncino della gonna, che ovviamente non voleva saperne di tornare nell’asola.
-Cosa hai visto?- le domandò Santana tranquilla, e lei sentì un brivido di puro terrore correrle lungo la schiena. La ragazza era al massimo della perfidia quando era così tranquilla.
-Cosa avrei dovuto vedere?- maledetta linguaccia lunga! Non se la sarebbe cavata facilmente, se si comportava in quel modo supponente.
-Ascoltami bene Berry, lo so che ti senti la più figa del mondo eccetera, ma non lo sei. E se hai visto qualcosa, spero per te che rimanga in questa stanza. Entiende?- affermò, prima di lasciarla andare, spostando la coda all’indietro con la mano in una mossa ad effetto. –Comunque Berry…con questo vestitino sei proprio un bocconcino. La vista delle tue gambe ti ha salvata da punizioni ben peggiori. Magari potevano anche piacerti.- ridacchiò divertita la ragazza, facendo roteare il gonnellino e mettendo in mostra un sedere da urlo, prima di tornare ad aiutare Brit con il bottone. La moretta non seppe mai se ad allacciarlo o slacciarlo, perché corse fuori in meno di tre secondi.

Quinn e Finn avevano deciso di stupire tutti con un duetto formidabile, quindi il ragazzo spesso si fermava a casa della fidanzata, dove la madre li teneva sotto controllo ogni qual volta fosse nei paraggi. Non che facessero granché. Troppe cose da capire, da decidere, da cancellare passavano per la testa del quarterback, e lei sentiva che doveva lasciargli del tempo per ragionare. Un po’ lo faceva per lui, ma soprattutto, sapeva che così avrebbe potuto portare avanti tutti i suoi progetti senza troppe interferenze. Quando sarebbe ritornato con i piedi per terra, non avrebbe ricordato tutto quello a cui aveva acconsentito. L’auto per il ballo, il noleggio dei vestiti, i fiori, le foto e tante altre cose che li avrebbero portati diretti al centro dell’attenzione altrui. Da una parte ringraziava la Berry per quel cambiamento radicale. Doveva ammettere che quel Sabato, l’aveva scioccata vederla così bella su quel palco. Le faceva tornare in mente che lei era destinata a diventare una stella, mentre Quinn sarebbe rimasta lì per sempre. Però tanto bastava a tener occupato Finn, e lei non aveva intenzione di perdere l’occasione di spianare la strada per loro in quel paesino, grazie all’incoronazione del ballo. Era sempre stata una ragazza con i piedi per terra, quindi appena capito cosa l’aspettava per il futuro, aveva pianificato mosse e contromosse per renderlo il più confortevole possibile con i suoi mezzi. Lasciò per ultimo il pensiero del suo ragazzo, che probabilmente stava fantasticando su quella cantante in miniatura. A quello avrebbe pensato più tardi.

Durante la settimana le prove con la band erano continuate, ma l’atmosfera era leggermente cambiata. Ad ogni canzone cresceva un senso d’imbarazzo ed a volte la tensione si poteva tagliare col coltello. Gli unici a scherzare sempre erano Rachel ed Oliver, ormai diventati amiconi. Il ragazzo la faceva ridere e riusciva sempre a stare dietro ai suoi discorsi strampalati, che spesso continuavano solo tra di loro. Jim, se non stava suonando, mandava messaggini alla sua ragazza. Rimanevano solo Puck ed Alex. Quei due cercavano di mantenere il controllo, ma spesso volavano sguardi fulminanti o commenti al vetriolo. Soltanto loro due sapevano perché. Avrebbero avuto un’altra serata circa il mese dopo in un locale diverso, mentre il proprietario del locale di Elida li aveva invitati a tornare: potevano esibirsi quando volevano, le sue entrate erano salite alle stelle soltanto nella prima sera di concerto, e si era sparsa la voce che una band fichissima suonasse in quel pub. La serata gli aveva fatto discreta pubblicità, i ragazzi non volevano un compenso (Rachel e Noah non potevano accettare, dovevano mantenere il livello di agonismo amatoriale o addio Nazionali a New York) e lui era più che disposto a riaverli lì anche tutti i giorni, se fosse stato necessario.

Quella mattina Mercedes si sentiva piuttosto tranquilla. Mike era arrivato presto per prenderla a casa, poi erano passati da Tina e da Rachel. In macchina chiacchierarono del più e del meno, cercando di tenere a bada la Berry che avrebbe voluto lanciarsi in un complicato discorso su come avrebbe saputo riportare in auge certe vecchie canzoni di musical, magari rendendole più briose e cambiando qualche testo. Ah, le sue manie di protagonismo la facevano sempre ridere, almeno adesso che non dovevano più fare a capelli per un assolo. Osservò soddisfatta che l’acconciatura fatta alle due ragazze la sera prima aveva perfettamente tenuto e rimise gli occhi sulla strada, attendendo che Mike svoltasse verso il parcheggio della scuola. Scesero in fretta dalla macchina ed insieme si diressero ad una porta secondaria, la via più veloce per arrivare all’aula di canto.
-Siete sicure che piacerà?- chiese un Mike stranamente insicuro, trattenendo la mano di Tina e guardando le ragazze.
-Tesoro, hai creato qualcosa di unico, come sempre. Nessuno potrà resisterci. Siamo una forza della natura!- esclamò la sua ragazza alzandosi sulle punte per posargli un bacio sul naso.
-Mike, non ti ho mai visto così agitato. Non capisco dove sia il problema. Abbiamo provato tanto, e fino a ieri sera anche tu eri completamente soddisfatto.- la ragazza corrucciò la fronte, ancora a braccetto con Rachel.
-Saremo fantastici. Sarete fantastici ragazzi. Non hai davvero motivo di preoccuparti.- La Berry gli si avvicinò accarezzandogli il braccio e sorridendogli dolcemente. Quella ragazza nascondeva tante buone capacità, tra cui quella di far sorridere Chang di rimando. Lo videro annuire e dopo aver lasciato gli spartiti in aula si diressero ognuno alla propria lezione.
Alle 16 in punto tutti erano nell’auditorium. Chi riscaldava i muscoli, chi provava una coreografia, chi esercitava la voce prima dell’esibizione. Cominciarono i ragazzi, che si esibirono con Lauren in una cover dei Metallica, che ben calzava con il compito affidato, ma che mal eseguirono dal punto di vista del ballo. Poi Finn e Quinn, che portavano una splendida canzone dei The Smiths ma risultarono poco credibili nell’interpretazione, troppo presi da altri pensieri per risultare davvero coerenti. Infine salirono sul palco Rachel, Mercedes, Tina e Mike e vi presero posizione. Rachel sedette al pianoforte e cominciò a suonare, Mercedes sedette al centro del palco con carta e penna alla mano, prendendo a scrivere. Tina e Mike uscirono da dietro le quinte già alle prime note, impegnati in un passo a due dal ritmo spezzato, esitante.

Help, I have done it again 
I have been here many times before 
Hurt myself again today
And, the worst part is there's no-one else to blame 

Be my friend 
Hold me, wrap me up 
Unfold me 
I am small 
I'm needy 
Warm me up 
And breathe me 

Ouch I have lost myself again 
Lost myself and I am nowhere to be found, 
Yeah I think that I might break 
I've lost myself again and I feel unsafe

Be my friend 
Hold me, wrap me up 
Unfold me 
I am small 
I'm needy 
Warm me up 
And breathe me

Era stato tutto perfetto, proprio come avevano immaginato. I quattro si erano impegnati per portare alla realtà quel sentimento di solitudine ed insicurezza profonda che la canzone voleva esprimere, basandosi su un’interpretazione morbida e timida dei movimenti, e l’unione di parti sussurrate a parti più coinvolgenti dal punto di vista vocale aveva fatto il resto. Il professor Shuester alla fine aveva avuto ragione. Sembravano tutti sollevati dopo quel compito, sembrava che avessero fatto una specie di coming out canoro. L’uomo li guardò sorridente, mentre si riunivano per commentare le varie performance; scherzavano e sorridevano. Era riuscito nel suo, di compito, ancora una volta. Le Nuove Direzioni erano pronte per affrontare la scalata alle Nazionali.

Rachel se ne stava in disparte da quando era finita la canzone, e Noah l’aveva notato. Mentre le si avvicinava, aveva sbuffato vedendola alle prese con la maglietta attillata che portava quel giorno sui jeans a vita bassa. Non era abituata a quei vestiti e si vedeva. Quando aveva smesso di torturare i pantaloni tentando invano di farli salire sulla pancia per coprire quel lembo di pelle scura ben visibile, aveva cominciato con la maglia, rischiando quasi di sbrindellarla per farla scendere fino a coprire la cintura. A quel punto si era arresa, e si era accorta della presenza del ragazzo quasi di fronte a lei.
-Qualcosa non va, Noah?- aveva domandato candida, ma con la frustrazione negli occhi.
-Assolutamente no, baby, anzi. E’ eccitante vederti fare questi giochetti coi vestiti. Non so se te ne sei accorta, ma ti sei scoperta ancora di più.- il ragazzo s’era avvicinato di un altro passo mentre parlava, allungando poi una mano verso la pancia di Rachel. Aveva sentito la pelle morbida di lei sotto le dita ed era come se una scossa ad alto voltaggio si fosse irradiata da quel contatto. Era così anche per lei, lo vedeva.
-Posso portarti fuori a cena, questa sera?- dopo averlo domandato l’aveva guardata intensamente negli occhi, sperando che cadesse ai suoi piedi come tutte le altre. Le scostò un boccolo sfuggito alla crocchia dal viso, seguendo istinto e fiuto. L’aveva osservata arrossire senza staccare gli occhi dal suo volto, l’aveva ascoltata balbettare una scusa qualsiasi prima di lasciar perdere ed annuire. Poi era scappata via di corsa, maledicendo se stessa per quella debolezza. Lui voleva portarsela a letto soltanto per come la vedeva ora, ma lei non avrebbe ceduto. Avrebbero semplicemente passato una bella serata insieme, e magari avrebbe approfittato per fargli anche pagare la cena.

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Oddio, scusate per l’attesa! Che settimana cattiva cattiva che ho avuto! Q_Q Spero di non far torto a nessuno con la mia personale interpretazione dei personaggi, non credo di essere uscita troppo dagli schemi, infondo. E’ un capitolo più generico, mi piace scrivere della nostra coppia preferita ma adoro anche tutti gli altri (più o meno. Da leggere: Finn sei un’idiota, ti odiamo tutti.) e volevo ritagliare un po’ di spazio anche per loro. J Spero davvero che vi piaccia! La canzone è Breathe me di Sia, e se vi piacesse come cantante, vi consiglio di ascoltare anche I’m in here. Io l’adoro!
Bene, io vi saluto, stay tuned, il prossimo capitolo sarà sul nuovo personaggio Alex!

BascioCascio
Vevve

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Capitolo 5
*** A.D.I.D.A.S ***


A.D.I.D.A.S.

A.D.I.D.A.S.

Alexander Gabriel Heinze non sprecava le sue serate due volte con la stessa ragazza. Il suo fisico muscoloso ed asciutto, gli occhi cerulei ed i capelli biondissimi, retaggio tedesco della famiglia paterna, gli permettevano di spopolare, attirando gli sguardi dell’intero mondo femminile. Beh, tranne lei. Lei era sempre troppo presa a guardare Puck, a parlare con Oliver, a cantare e parlare e chissà cos’altro. Per questo ormai era diventata un chiodo fisso.

-Bene, siamo arrivati. E’ stato bello. Ti chiamo io, eh!- il ragazzo aspettò che la bionda, di cui non ricordava il nome, scendesse dal suo SUV per ripartire sgommando. “Neanche per sogno! Se spera che sprechi i soldi per una sciacquetta come lei si sbaglia.” si era ritrovato a pensare subito dopo.
Durante il ritorno a casa si era soffermato ancora una volta sull’incredibile ingenuità di quella ragazzina, Rachel Berry, mentre le note della sua canzone preferita riempivano l’abitacolo della macchina. Racchiudeva i suoi pensieri, anche quelli su di lei. Prima o poi gliel’avrebbe fatta ascoltare, magari dopo una nottata infuocata, giusto per farla ammutolire. Altro che tutte quelle canzoni zeppe di sentimentalismi e di ragazzine arrabbiate che avrebbe voluto suonassero.

I will always be the pimp that I see in all of my fantasies 
I don't know your fucking name, so what, let's...
(have sex)

 

Non gli interessava chi fosse, quale fosse la sua storia, perché fosse così petulante e piagnucolona, voleva soltanto averla sotto di sé.

Screaming to be the only way 
that I can truly be free from my fucked up reality 
So I dream and stroke it harder, 
'cause it's so fun to see my face staring back at me 
I don't know your fucking name, so what, let's fuck.

Oh, si, l’avrebbe fatta urlare, l’avrebbe usata, giusto per provare che era capace di tutto, anche di irretire una ragazza casa e chiesa come lei. E poi sarebbe tornato ad occuparsi di ciò che più lo interessava. Sé stesso. Perché, come diceva sempre suo padre, niente è più importante che prendersi cura di se stessi. Anche se per farlo bisogna schiacciare gli altri. La faccenda però si stava facendo complicata, perché lei non dava segni di voler stare al gioco. E sapeva per certo che Puck si sarebbe messo in mezzo. Si conoscevano bene, frequentavano gli stessi posti, avevano gusti simili e probabilmente l’avevano fatto con le stesse donne. Pensava che fossero uguali anche nel modo di pensare, ma quella ragazzina tirava fuori un lato di Puckerman estremamente protettivo, e questo non era stato calcolato. Rimuginò sugli ultimi avvenimenti e sul modo di raggirare il controllo vigile del ragazzo anche dopo essere rientrato in casa. Non si dava per vinto così facilmente. Fin quando non avesse deciso che non ne valeva più la pena, almeno.

 

Finito il concerto, Alex si era stampato un sorriso smagliante in volto, aveva sbottonato un paio di bottoni della camicia e si era diretto verso Rachel, ricordandosi di non fissare troppo la sua scollatura. Anche se sfoggiava quel look da mangiatrice di uomini, non significava che fosse una poco di buono. O almeno, lui non sapeva se lo fosse davvero. Magari quei vestiti da sfigata potevano essere soltanto una copertura. Senza troppi indugi le aveva posato una mano sulla spalla nuda, facendola scivolare sulla schiena fino ad un fianco. Erano nel corridoio che portava ai “camerini”, e nessuno stava passando. Perfetto. La brunetta l’aveva osservato con occhi sbarrati dalla sorpresa. Non erano ancora entrati in confidenza, e lui sperava che quel gesto la mettesse sulla sua stessa lunghezza, era stata una carezza languida, un chiaro segnale per lei.
-Ehi, principessina. Complimenti. Sei stata una belva su quel palco.- aveva ammiccato, spostandosi una ciocca di capelli dagli occhi e mantenendo il contatto sul fianco della ragazza. Fortunatamente lei non si era spostata, e lo guardava con aria soddisfatta. Che fosse tutto così semplice? Forse davvero la Berry non era la santa che voleva far credere.
-Senti dolcezza…cosa ne diresti se domani sera ci vedessimo da me, per un film? Ho casa libera, e magari dopo potremmo ordinare qualcosa da spizzicare…- aveva lasciato che la mano scivolasse leggermente sotto la maglietta fina, creando piccoli cerchi concentrici con le dita, quasi massaggiandola. L’aveva vista spalancare ancora di più quegli occhioni nocciola ed aveva sorriso sicuro.
-Ehm…Alex, io...cioè, sono davvero lusingata dalla tua proposta…-la ragazza faticava a trovare le parole, ed aveva abbassato gli occhi a terra. Non passava nessuno, quindi Alex si decise ad osare di più. Tanto una sberla da quello scricciolo lì non l’avrebbe neanche sentita. E poco gli importava se lei si fosse offesa. Quindi, approfittando di quel contatto, la strinse di scatto a sé, costringendola ad alzare lo sguardo. Sembrava un cerbiatto abbagliato dai fari di una macchina. Ricordava la leggera pressione di lei sul torace, che cercava di scostarsi con entrambe le mani. Quasi non se ne accorse.
-Dai, Alex, basta scherzare. Ci aspettano fuori, devo vedere i miei genitori, i ragazzi del Glee…- continuava a blaterare. Ma non stava mai zitta quella?
-Su, non dirmi che non ti piaccio, babe. Potremmo anche nasconderci nel tuo camerino per un po’. Sono sicuro che nessuno si accorgerà della nostra assenza.- le aveva preso il mento tra le mani, mentre lei cercava ancora di divincolarsi. Doveva ricordare di non farle troppo male, i suoi due papà gay erano parecchio influenti, a quanto aveva capito. Quello che non si era aspettato erano due mani grandi e grosse che lo strattonavano con forza e lo sbattevano al muro del corridoio proprio mentre stava cercando di baciare Rachel. Sputò l’aria fuori dai polmoni appena arrivò il cazzotto. L’aveva preso in pieno stomaco. Puck lo fissava con rabbia e disgusto, una mano sul colletto della camicia, l’altra piantata sul petto per tenerlo attaccato al muro.
-Cosa diamine stavi facendo, imbecille?- sibilò il moro, scandendo fin troppo lentamente le parole.
-Ehi, fratello, sta calmo! Stavo solo facendo una chiacchieratina con la nostra stella. Vero Rach?- le aveva domandato osservandola da sopra la spalla di Puck. Era bianca in volto e stava tremando. Maledetta, sciocca ragazzina! Il moro lo spinse di nuovo contro il muro e gli si avvicinò all’orecchio.
-Prova ad avvicinarti ancora a lei e dovrai pregare Dio di poter usare di nuovo le gambe. Intesi?- ringhiò Puck, prima di lasciarlo andare ed avvicinarsi velocemente a Rachel.
-Sta tranquillo amico. Sarà lei a venire da me, prima di quanto pensi.- ridendo in modo sguaiato si era allontanato da quei due sfigati, pensando a quale delle ragazze viste al locale quella sera poteva riaccompagnarlo a casa.

 

Il biondino continuava a rigirarsi nel letto, lo stereo sparava i Metallica a piena potenza, così da coprire le urla dei genitori di sotto. Solito litigio serale. Doveva escogitare qualcosa per rimediare a quella défaillance, e riconquistare un certo livello di fiducia da parte di Rachel. Ne andava anche della band. Gli piaceva suonare e starla ad ascoltare mentre si lasciava trasportare dalla musica. Era un momento di svago per lui, e non era disposto a farselo portare via. Quindi doveva muoversi in modo più accorto, e cercare di farsela amica. Era sicuro che il resto sarebbe venuto da sé. Nessuna resisteva ad Alexander Gabriel Heinz.

 

Innanzitutto vi chiedo scusa per due cose…la pochezza del capitolo ed il mostruoso ritardo nel pubblicarlo. E’ più difficile di quanto immaginassi scrivere di un personaggio completamente nuovo, dargli forma senza farlo assomigliare troppo a quelli già presenti. Da qui il capitolo estremamente corto. Q_Q
Per il ritardo, beh, ho passato una settimana decisamente poco simpatica, con uno strano mal di testa dovuto ad un occhio dolorante. Prometto però che mi farò perdonare presto!!

La canzone è A.D.I.D.A.S. dei Korn, gruppo che adoro e mi sembrava perfetta per rappresentare i pensieri di Alex.
Spero comunque che il capitolo sia di vostro gradimento!
J

Mi scuso per i vari orrori di ortografia e battitura.

BascioCascio
Vevve

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Capitolo 6
*** Hole in my soul Part 1 - Finn Version ***


Hole in my soul

Hole in my soul Part 1 – Finn Version

Questo capitolo ed il prossimo sono dedicati alla dolcissima Ainwen, che adora gli Aerosmith quanto me!

-Mr. Schue?- il ragazzo si avvicinò timidamente al professore, intento a pizzicare le corde della chitarra, ben oltre la fine della lezione.
-Finn, come mai ancora qui? Hai bisogno di qualcosa?- Will Schuester gli rivolse un sorriso complice. Era stato lui ad appoggiarlo nella scelta del compito per la settimana. Avevano deciso che un tributo al gruppo iconico degli Aerosmith poteva essere un buon esercizio per allargare gli orizzonti del Glee, dopo quello a Madonna, Britney e Lady Gaga. Troppo pop per i suoi gusti. Quando aveva parlato di fronte ai ragazzi aveva già una canzone che gli ronzava per la testa, ed aveva bisogno della voce del professore perché l’esibizione potesse risultare vincente. Quindi aveva aspettato che fosse solo per proporgli la cosa.
-Beh, ecco, si tratta del compito per il Glee. Avrei bisogno di una mano, e lei si è sempre dimostrato disposto…e poi so che le piacciono gli Aerosmith, forse più di me.- goffamente si era avvicinato ad una sedia e vi si era lasciato cadere sospirando.
-Ma certo, di cosa hai bisogno? Vuoi che ti aiuti ad arrangiare una canzone per la tua tonalità?- Schue aveva messo da parte la chitarra e l’aveva raggiunto.
-In effetti…avrei bisogno della sua voce. Avevo pensato a “Hole in my soul”, come pezzo. Potrebbe aiutarmi a chiarire…chiarire…ecco, niente, lasciamo stare.- si fissò i piedoni appena finito quel discorso confuso. Forse aveva parlato troppo, ma era convinto che il prof poteva capirlo. Quella canzone avrebbe potuto aiutare anche lui, soprattutto a far chiarezza sul rapporto con la signorina Pillsbury. Non gliene aveva mai parlato, ma era convinto che non l’avesse mai dimenticata, anche ora che sembrava così preso dalla Holiday. E poi lui era quanto di più simile ad una guida avesse mai avuto, ed anche ad un padre, prima di conoscere Burt Hummel. Non doveva preoccuparsi di quanto avessero rivelato le sue parole, non con lui.
-Oh, grazie Finn! Lo so che voi ragazzi del Glee mi considerate un catorcio troppo vecchio per riuscire a starvi dietro, ma va bene anche così. Le stelle dovete essere voi.- aveva sbuffato, sorridente, l’altro. Avrebbe fatto di tutto per i suoi alunni, per essere il loro insegnante.
-Quindi…è un si?- domandò cautamente il ragazzo, fissandolo negli occhi. Il più era fatto. Aveva bisogno di quella canzone. Come il professore gli aveva insegnato, poteva tirar fuori gran parte del suo essere attraverso il canto, e mai come adesso ne aveva bisogno. Non riusciva a concentrarsi, neanche alla Play! Era sempre troppo preso da mille pensieri per prestare attenzione alle lezioni, alla madre, alle proposte di Kurt che voleva sempre apportare modifiche alla sua stanza per renderla più confortevole. Nella confusione della sua testa passavano immagini di Quinn, dei baci intensi e frettolosi che si scambiavano prima che lei tornasse sul piede di guerra con quello stupido ballo. E poi pensava alla nuova Rachel. Almeno, nuova al di fuori. Perché nel profondo, il suo carattere non era cambiato. Si buttava sempre in interminabili discorsi senza neanche riprendere fiato, gli occhi brillanti nelle sue convinzioni. Si inacidiva ogni volta che i compagni sbagliavano anche solo il tempo di una nota, e l’aveva beccata un paio di volte mentre spingeva la povera Brittany di lato, se le ballava troppo vicino durante una prova. Però l’aveva trovata più rilassata nei rapporti coi compagni, che, superata la barriera che quei vestitini assurdi innalzavano tra lei e gli altri, avevano cominciato a scherzare con la ragazza, persino ad uscire con lei perché meno imbarazzati dal farsi vedere in giro insieme. Tutti sembravano parlarle, sorriderle, guardarla, persino toccarla di più. Sicuramente più di lui, che combatteva contro la voglia di farsi spiegare questo drastico cambio di rotta. Era persino combattuto tra delusione ed invidia. Delusione perché quando stava con lui non era mai stata tanto bella, provocante e sensuale, come se non valesse la pena di esserlo per lui. Invidia perché era convinto che entro breve qualcuno avrebbe preso il suo posto di fianco a lei, e lui non poteva farci niente.
-Finn? Finn!- il prof l’aveva riportato con i piedi per terra, e lui si era accorto di avere le mani strette a pugno. Si, dovevano cominciare al più presto le prove.
-Ho detto che è un si. Direi che entro un paio di giorni possiamo essere pronti, se hai voglia di provare anche dopo gli allenamenti.- Si erano accordati poi sugli orari ed ognuno era tornato alle proprie attività.

Il giorno dopo, un gruppo era già pronto per l’esibizione. Mercedes, Tina, Lauren, Brittany e Santana  avevano preparato una rivisitazione di “Walk this way”, seguendo la cover di Sugababes e Girls Aloud. Si erano posizionate al centro dell’aula, Mercedes, Tina e Lauren sulla destra, Brit e Santana a sinistra, mentre al centro c’era uno di quei microfoni allungati, stile anni ‘50, piazzato su un’asta regolabile. Finn le stava osservando e si chiedeva come mai nel gruppo non ci fosse anche Quinn. Che si fosse unita in un secondo momento? La musica cominciò e lui si godette l’esibizione.

 

Backstroke lover, 
hidin' undercover 
Still I talk to your daddy, he say: 
"You ain't seen nothin' 
'til your down on a muffin 
And I'm sure I can change your ways 

Then I met cheerleader, 
was a real young pleaser 
all the times I could reminisce 
The best thing lovin' 
was a brother and a cousin 
and it started with a little kiss, 
Like this! 

Walk this way, 
Talk this way 
Walk this way, 
Talk this way 
Walk this way, 
Talk this way 
Walk this way, 
Talk this way 

See-saw swingin' with the boys in the school 
and our feet flyin' up in the air 

Singin' hey-diddle-diddle with the kitty in the middle 
You'll be swingin' like you just don't care 

So I took a big chance at the high school dance 
with the boy - he was ready to play 

Was it me he was foolin' 'cos he knew what he was doin' 
when he told me how to walk this way? 

A fine canzone era partito l’applauso. Si erano esibite in modo sfrontato, prendendo possesso del microfono a turno, quasi strappandoselo di mano, ma sempre col sorriso sulla bocca. Avevano ballato, ed erano entrate nel pezzo, con l’atteggiamento giusto. Artie, Sam e Mike si stavano sgolando tra fischi e grida di gradimento. Puckerman era seduto da solo in fondo all’aula, uno sguardo a Lauren ed un’occhiatina veloce a Rachel. Sembrava fosse in un mondo tutto suo, e se prima Finn avrebbe potuto interessarsi ai suoi problemi, ora non gli passava neanche per la testa. Rachel invece era intenta a chiacchierare con Quinn. Strano, molto strano. Poi entrambe le ragazze si alzarono, Quinn al centro dell’aula, Rachel dietro di lei, una mano sulla spalla prima di allontanarsi ed avvicinarsi a Brad.
-Anche io ho preparato un numero per oggi. Ed ho chiesto a Rachel di aiutarmi. Lo so, è strano che abbia accettato di essere la mia corista, ma…per oggi è andata così.- Sottolineò le ultime parole guardandola, lanciandole uno sguardo significativo. Forse voleva intendere che quella era solo una momentanea tregua, ma lui sperava ci fosse di più. Se le due diventavano amiche, lui avrebbe avuto meno problemi. Anche Quinn si sarebbe preoccupata dei sentimenti della ragazza, ed avrebbe capito i motivi che lo spingevano ad essere così discreto nel loro rapporto. Iniziò la canzone, e la voce delicata e melodiosa di Quinn attirò l’attenzione dei ragazzi, completamente. Aveva scelto “Jaded”, uno degli ultimi successi della band.


Hey, ja-ja-jaded 
U got your mama's style 
But you're yesterday's child to me 
So jaded 
U think that's where it's at 
But is that where it's 
Sposta b 
You're gettin' it all over me 
Ex-er-ated 

My, my baby blue 
Yeah, I've been thinking 'bout u 
My, my baby blue 
Yeah, you're so jaded 
And I'm the one that jaded u 


You're thinking so complicated 
I've had it all up to here 
But it's so overrated 
Luv and hate it 
Wouldn't trade it 
Luv me jaded 

Hey, ja-ja-jaded 
There ain't no baby please 
When I'm shootin' the breeze with her 
When everything u c is a blur 
And ex-ta-ceez what u prefer 

My, my baby blue 
Yeah, I've been talking 'bout u 
My, my baby blue 
Yeah, I've been thinking 'bout u 
My, my baby blue 
Yeah, you're so jaded (Jaded) 
Jaded (Jaded) 
You're so jaded 
Cuz I'm the one that jaded u 

Rachel l’aveva aiutata nelle tonalità più alte, e si era sempre tenuta in disparate, sedendosi insieme al pianista per lasciarle l’intera scena. Decise di non pensare a cosa quella canzone significasse per la sua ragazza, doveva concentrarsi sulla sua esibizione, poi avrebbero parlato e magari messo le cose in chiaro.

La mattina dopo Finn si diresse spedito in auditorium, dove sapeva che il prof Schuester lo stava aspettando. Quello che non aveva calcolato era di incontrare Rachel e Sam nel corridoio nuovo, lei poggiata con la schiena sugli armadietti, lui a braccia conserte di fronte alla ragazza. Stavano ridendo di qualcosa, e lei gli posava una mano sul petto, la testa chinata in avanti ed i boccoli a coprirle il volto. Da quando quei due erano così in confidenza? E perché Santana non aveva ancora fatto una delle sue scenate, magari prendendo la moretta per i capelli?
-Ehi, ragazzi. Che ci fate qui?- impacciato, si diresse verso i due, grattandosi la testa.
-Finn! Come mai in giro a quest’ora? Noi abbiamo appena finito di provare in auditorium. Ce ne siamo andati quando è arrivato il professore.- rispose Sam con quella bocca gigantesca sorridente. Non sapeva neanche come facesse ad avere le guance, visto che la maggior parte del volto era occupato dalle labbra. Rachel non aveva parlato, aveva soltanto chinato la testa, dopo un breve saluto.
-Oh, bene, allora vado anche io in auditorium. Ci vediamo lì oggi pomeriggio, ho una bella canzone da farvi sentire.- prese un profondo respiro, fissandoli qualche secondo a bocca aperta, prima di ricominciare a camminare senza neanche salutarli. Aveva persino le orecchie rosse.

-Ok ragazzi. So quanta poca voglia avete di vedermi ballare sul palco, ma Finn ha chiesto il mio aiuto ed io non potevo certo lasciarlo esibire da solo, no? Sapete quanto sono magnanimo.- l’insegnante, accanto al ragazzo, aveva sciolto il silenzio, facendo nascere una risata istantanea tra le prime file della platea.
-Bene prof, se è tutto pronto, direi di cominciare.- Finn strofinò le mani una contro l’altra prima di girarsi verso il loro  “pubblico.”
-Ho chiesto aiuto al professore perché come tutti sapete, Steven Tyler ha una voce molto particolare ed io non riuscirei mai ad arrivare alle sue tonalità. Così, beh…ci esibiremo in “Hole in my soul”.- aveva pronunciato il discorso tutto d’un fiato, lo sguardo basso per la timidezza.

I'm down a one way street
With a one night stand
With a one track mind
Out in no man's land
The punishment sometimes 
Don't seem to fit the crime

Is it over?
Is it over?
'Cause I'm blowin' out the flame

Take a walk outside your mind
Tell me how it feels to be
The one who turns 
The knife inside of me

'Cause if it's over
Then it's over
And it's driving me insane

Ecco. La musica volgeva alle ultime note, e lui era col fiatone corto. Tutto era stato perfetto, e le emozioni erano venute a galla. Shue era stato formidabile, toccando note tanto alte da sembrare quasi impensabili per un uomo. Oltre all’applauso, Finn sentiva addosso lo sguardo penetrante di Quinn, ed uno diverso. Quello di Puck. Di sfuggita incontrò i suoi occhi, seri, una smorfia imbronciata sul volto. Che diamine gli prendeva? Cosa gliene fregava a lui della sua canzone? Sapeva che aveva superato da tempo la storia con Quinn, quindi non aveva motivo di sentirsi frustrato per ciò che esprimeva il testo. Non aveva motivo di sentire niente per lei. In assoluto. Registrò distrattamente la pacca sulla spalla che il professore gli aveva dato, e con un sorriso imbarazzato aveva preso posto accanto alla biondina, dando il cinque alla mano tesa di Artie, e ringraziando i ragazzi per i complimenti.

La giornata non era ancora finita. Sapeva di doversi aspettare le domande della ex-cheerios, ed una volta in macchina si preparò all’interrogatorio. Lei si sedette ed allacciò la cintura, silenziosa. Il suo profumo invadeva l’abitacolo, e lui provò una fitta di desiderio. Gli faceva sempre quell’effetto. Rimasero in silenzio anche durante il viaggio, ed il ragazzo cominciava a stranirsi. Aveva capito che se voleva parlare, toccava a lui iniziare il discorso. Ma Quinn lo precedette.
-Sei ancora innamorato di me, Finn?- domandò a bruciapelo la bionda, puntandogli addosso quegli occhi verdi dalle lunghe ciglia, capaci di ammaliare chiunque.
-Cosa? Io…ma che ti viene in mente? E poi…dovrei chiedertelo io, no? Non sei tu quella “stanca”? Sei stanca di me, Quinn?- rimarcò il ragazzo, ripensando alla canzone del giorno prima.
-Non dire idiozie Finn. Per te ho tradito Sam, e gli ho mentito. Per te. Se non ne fosse valsa la pena, non l’avrei fatto. Sono solo stanca di questa situazione a scuola. Era importante per me essere una Cheerios, ed ora sto facendo di tutto per ritornare in cima. Io ci metto anima e corpo Finn, ma sembra che qualsiasi mio sforzo sia vano!- sospirò la ragazza, imbronciata, le mani a lisciare immaginarie pieghe sulla gonna. Erano arrivati a casa della ragazza, e dopo aver parcheggiato, Finn si allungò verso di lei per stringerla in un abbraccio.
-Certo che sono innamorato di te, sciocchina. Vedo ancora i fuochi d’artificio ogni volta che mi tocchi, che mi baci. Sei tutto per me.- le sussurrò all’orecchio, sicuro di poter chiudere in un cassetto tutto ciò che provava per Rachel. Perché lo sapeva, non sarebbe riuscito a dimenticarla, non finché l’aveva tutti i giorni sotto gli occhi. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la sua ex ragazza, perché non riusciva a mettersi il cuore in pace.

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Bene, ed anche questa è fatta! Sono stata veloce, vero? L’avevo promesso! ;)
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. A breve posterò la seconda parte, la Rachel Version…chissà se lei e Puck usciranno finalmente a cena…e come mai la nostra stella sta preparando una canzone con Sam? XD
Ok, basta dire cavolate. E’ ora di andare a nanna!

Ringrazio dal profondo del cuore chi continua a seguire questa ff, iniziata così, per gioco e chi la recensisce. Siete la mia ispirazione!

Chiedo scusa per eventuali orrori di ortografia e battitura.

BascioCascio
Vevve

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Capitolo 7
*** Hole in my soul Part 2 - Rachel Version ***


Rachel Version

Hole in my soul Part 2 – Rachel Version

Era palesemente soddisfatta dalla piega che la sua vita aveva preso. Camminava per la stanza accarezzando il mobilio ed approfittandone per controllare che non ci fosse polvere in giro, mentre gli occhi vagavano sulle nuove foto che invadevano la stanza. Inizialmente non aveva capito il perché i suoi papà avessero voluto tappezzarle la stanza di quegli orribili pannelli marroni con tante puntine colorate. Poi era arrivato Blaine e tutto le era stato chiaro. Il ragazzo aveva appena ricevuto una macchina fotografica dal padre (“probabilmente spera che diventi un fotografo di successo mondiale, sempre pronto a correre in ogni angolo del pianeta, così non dovrà avere sotto gli occhi la mia vera natura più del necessario”, aveva spiegato l’Usignolo con un sorrisetto che mal celava il turbamento interiore) ed era deciso a riempire le case dei suoi più cari amici con milioni di loro foto, per immortalare ogni singolo momento felice insieme. Rachel ne era stata lusingata, ed effettivamente anche le camere di Mercedes e Kurt erano già attrezzate come la sua. Quello che non aveva previsto era che i tre, quasi ogni pomeriggio, passassero a trovarla con qualche scusa e la convincessero sempre ad accettare quello che le portavano. Era sicura che fosse tutta opera di Kurt, ma ora che comprendeva il suo piano generale, non poteva che ammettere che il ragazzo fosse un genio. Si sedette sul letto ed accarezzò la nuova trapunta color lavanda, regalo della mamma di Mercedes. La stanza manteneva i toni del rosa, ma col passare dei giorni le gradazioni erano passate dal gomma da masticare/shocking, ad un insieme di amaranto, ciliegia, lilla, rosa antico e chi più ne ha più ne metta. E per non ferire i sentimenti degli amici, aveva dovuto fare spazio ai loro oggetti nascondendo in un enorme armadio molti dei suoi peluche. Ok, aveva detto loro che li avrebbe buttati, ma come avrebbe fatto senza PattyLu accanto la notte, oppure senza lo sguardo compassionevole di Janis?
Quello che però più le dava soddisfazione erano le nuove foto che adesso riempivano i muri della camera, accanto a poster di famosi Musical o delle sue cantanti preferite. Non solo di lei con gli altri tre, ma con tutto il Glee. Si era accorta che l’aria nel gruppo era diventata più respirabile, non si sentiva sempre oppressa dalla voglia matta di spaccare tutto e tutti. Almeno, non al di fuori delle lezioni di canto. Ci aveva ragionato su, ed aveva capito che quel cambiamento l’aveva avvicinata ai suoi compagni. Dopo qualche giorno si era sentita più a suo agio, ed anche loro si erano rilassati, proprio perché la ragazza non era più così spesso su di giri, tesa ed irritata. Quindi avevano cominciato ad incontrarsi dopo la scuola, e Blaine non aveva perso tempo. Le foto che più la facevano ridere erano un paio con Brit. In una stavano facendo una sfida a chi volava più in alto sulle altalene del parco, vicino casa della biondina. Santana, in secondo piano, teneva le braccia incrociate con fare da dura, ma osservava l’amica con un sorrisetto pieno d’affetto. Sam e Mike spingevano le due altalene, ed erano stati ripresi in pose stranissime. Mike ,praticamente steso in orizzontale, poggiava soltanto una gamba a terra.
Nell’altra foto invece, Rachel e Brittany erano entrambe sedute in malo modo sulla sedia a rotelle di Artie, lanciate a forte velocità da Puck nel corridoio del centro commerciale. La gente le aveva scansate per un pelo, e loro erano quasi andate a sbattere contro uno dei finestroni che dava sul parcheggio. Non si era mai sentita così libera, così…incontrollabile. Ed apprezzata. Infondo era sempre Rachel Berry, ed aveva bisogno dell’apprezzamento degli altri, senza però cambiare radicalmente per loro. Lo faceva per se stessa, e proprio per questo ne era orgogliosa. Una volta tanto il suo essere così “egoista” stava dando buoni frutti. Poi aveva voluto le copie di alcune foto in cui non appariva ma che lei stessa aveva scattato sotto lo sguardo preoccupato di Blaine. Una ritraeva lui ed il suo fidanzato su una panchina, mano nella mano, che sorridenti spulciavano tra le mille buste di vestiti che Kurt aveva acquistato . Nell’altra, Mercedes imitava una posa da gatta, il volto truccato come fosse la protagonista di Cats. E l’ultima…l’ultima era quella che più la emozionava. Di soppiatto aveva fotografato Noah, che girava con lo skateboard nel parco, lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhi stretti in due fessure, sorridente sotto i raggi del sole. Sembrava tornato un bambino. Quel bambino che incontrava sempre al tempio, che cercava di farla salire sullo skate per insegnarle a guidarlo, quel bambino che spesso la faceva sgattaiolare fuori durante la preghiera per andarsi a stendere sul prato, così, solo per godersi il calore della primavera sulla pelle. La Berry aveva dimenticato quella parte di lui, come probabilmente l’aveva fatto il ragazzo. Solo il Glee era riuscito ad abbattere quella muraglia dietro cui si celava ogni singolo membro del club. Dietro tutte le granite, le risate, le prese in giro. Certo, la brunetta veniva ancora bistrattata ogni volta che caricava un suo video su MySpace, ma almeno tra quei commenti sapeva che Quinn e le cheerios non c’erano più.
La stessa Quinn che l’aveva portata all’esasperazione e che le aveva dato la spinta per scrivere “Get it right”, il giorno prima le aveva timidamente chiesto se la poteva aiutare nella canzone scelta per il compito sugli Aerosmith. E lei aveva accettato. Non c’era più bisogno di essere nemiche. Aveva deciso di lasciar perdere Finn, per il bene di entrambi. Quella storia la stava logorando e sapeva che logorava anche lui. Quindi si era fatta da parte, anche durante l’esibizione, e col sorriso sulle labbra. Prima o poi la bionda avrebbe capito che non doveva più temerla. Forse però, Rachel avrebbe dovuto temere Santana, ma per adesso non se ne preoccupava.

 

Era rimasta indietro, alla fine delle esibizioni, aspettando che tutti i ragazzi uscissero dall’aula. Quando Sam le era passato accanto, gli aveva delicatamente tirato una manica della maglietta a righe, e guardandolo dal basso della sua statura, gli aveva fatto cenno con la testa di rientrare in classe. Il biondino, con sguardo confuso, l’aveva seguita a qualche passo di distanza, e per i primi momenti nessuno dei due aveva parlato.
-Non parliamo spesso noi due, vero Sam?- Rachel aveva preso fiato e fatto la prima mossa, sistemando l’orlo della camicetta semi-trasparente che la sera prima Kurt l’aveva obbligata ad indossare. Non sapeva ancora bene cosa scegliere dal nuovo vestiario, quindi era costretta a seguire i consigli, o meglio, gli ordini dell’amico.
-Ehm…no. E questa novità mi spaventa un poco, Berry. Mi fai sempre un po’ paura, per la verità.- aveva risposto Sam, imbarazzato, andando a sedersi alla batteria.
-Oh. Ok. Beh, spero che la mia proposta possa farti cambiare idea. Sarò completamente schietta, sai che lo sono sempre, a costo di sembrare noiosa e di farmi odiare da tutti. Vorrei che noi due cantassimo insieme tra due giorni. Mi sei simpatico, anche se Santana ti prende sempre in giro per la tua bocca. Effettivamente ho sempre pensato che potrebbe benissimo contenere tutti i premi da me vinti fin dalla tenera età, il che è tutto dire…ma non perdiamo di vista il punto della situazione. Avrei potuto chiedere a Finn, o Puck, ma, oltre alle motivazioni più palesi, loro non andavano semplicemente bene. Ho bisogno della tua perfetta aria da bellissimo e innocente e spero che questo duetto possa portarmi più simpatie anche tra i ragazzi del football. Cioè, saranno un paio di settimane che non ricevo una granita in faccia, ma vorrei che smettessero di urlare commenti osceni ogni volta che gli passo vicino. Fortunatamente li ho beccati prima che mi scrivessero qualcosa sull’armadietto, non ci voglio neanche pensare.- scosse la testa più volte. Il ragazzo la guardava a bocca aperta, forse perché non aveva quasi tirato fiato durante tutto il discorso. Gli esercizi di respirazione dovevano pur servire a qualcosa, no?
-Non…non so se sentirmi lusingato oppure offeso. Ma voglio provare a fidarmi di te. Sei la migliore cantante e sotto sotto ho sempre desiderato duettare con te. Mh…dovrò parlare con Santana, tranquillizzarla, ma credo non ci saranno problemi.-giocherellando con le bacchette della batteria, il ragazzo aveva parlato a voce bassa, guardandola solo ogni tanto, poi si era perso in uno strano discorso su come inserire nella canzone un qualche vocabolo na’vi. Al che, lei aveva interrotto quell’improbabile sproloquio.
-Avevo pensato a “Fly away from here”, che rispecchia quasi completamente il mio bisogno di mettere le ali e volare via verso lidi migliori. Va bene per te?- gli occhi le brillavano per l’eccitazione. Non sapeva il perché, ma era sicura che quella canzone avrebbe attirato parecchi sguardi, tra i quali anche quelli di…basta, non doveva soffermarsi troppo su certi pensieri.
-Certo, piccola. Vogliamo vederci domani in auditorium? Mattina magari? Così poi possiamo andare a lezione insieme e passare davanti a “certi jocks”.- le aveva sorriso sincero, prima di alzarsi ed uscire insieme dalla classe.

 

Il suo piano cominciava a prendere forma, quello che non aveva immaginato era che il primo ad incontrarli fosse Finn. Si era comportato in modo freddo ed impacciato e neanche tre secondi dopo se n’era fuggito via. Le era piaciuta la sua interpretazione di Hole in my soul, ma non si era soffermata sul messaggio che quella canzone sembrava inviarle. Quello che l’aveva preoccupata di più erano gli sguardi che Noah continuava a lanciare a lei e Finn, quasi non riuscisse a concentrarsi su uno dei due.  Aveva pensato di ringraziarlo per la sera del concerto, per come l’aveva difesa e fatta sentire protetta, ma dopo l’invito a cena non gli aveva quasi più rivolto parola, neanche alle prove con la band. Si sentiva estremamente timida quando gli era vicina, ed il pensiero dell’imminente appuntamento (non sapeva come altro definirlo), le mandava in tilt il cervello. Ora però doveva pensare solo a provare con Sam per rendere quell’esibizione veramente brillante. Le ci voleva un po’ per far entrare le sue correzioni nella testa del biondino, ma doveva ammettere che aveva talento da vendere. Il giorno dopo erano pronti, e lei aveva richiesto espressamente che si esibissero per ultimi, per un finale ad effetto. Il prof Schue aveva accettato ancora una volta le sue richieste da diva, mandando avanti il gruppo dei ragazzi. Salirono tutti sul palco, spingendo la carrozzina di Artie fino al suo centro. La canzone scelta era Cryin’. Quasi non poteva crederci. A bocca aperta, si portò dietro Sam, Santana e Brittany e li fece sedere con lei in prima fila.

Now listen 
All I want is someone I can't resist 
I know all I need to know by the way that I got kissed 


I was cryin' when I met you 
Now I'm tryin' to forget you 
Love is sweet misery 
I was cryin' just to get you 
Now I'm dyin', cause I let you 
Do what you do - down on me 


Now there's not even breathin' room 
Between pleasure and pain 
Yeah you cry when we're makin' love 
Must be one and the same 


It's down on me 
Yeah I got to tell you one thing 
It's been on my mind 
Girl I gotta say 
We're partners in crime 
You got that certain something 
What you give to me 
Takes my breath away 
Now the word out on the street 
Is the devil's in your kiss 
If our love goes up in flames 
It's a fire I can't resist 

 

Si erano esibiti magnificamente. Si vedeva che il pezzo era preparato benissimo e che avevano trovato una perfetta sintonia nelle parti da cantare in solitaria ed in quelle dove l’armonia prevedeva tutte le voci. Rachel era saltata in piedi applaudendo ben prima degli altri, come una ragazzina al concerto di qualche boy band. Sam l’aveva guardata di traverso, poi, dopo essersi alzato ed aver dato un bacio a Santana, l’aveva tirata per un braccio e fatta salire sul palco.
-Non perdere la concentrazione, Berry. Non vorrai farmi fare brutta figura, vero?- l’aveva ammonita scherzosamente, mentre incrociavano gli altri che lasciavano loro il posto.
-Non dire cavolate, Evans. Sono io la stella qui. Stammi dietro, se ci riesci!- aveva cercato di fare la dura, ma il magnifico sorrisetto di Noah le era ancora davanti agli occhi. Sembrava…soddisfatto.
Prendendo possesso di uno dei due microfoni, la ragazza si era avvicinata al bordo del palco per fissare tutti i ragazzi presenti.
-Lo so che vi sembrerà strano che io canti con Sam, o che l’altro giorno abbia aiutato Quinn così, senza doppi fini. Ma è così. E’ importante dare, quando si ha un così enorme dono, a volte troppo pesante da portare da soli. Quindi spero vi godiate la nostra performance, e che capiate che quando dico che voglio andarmene da qui, non è per voi. Tutto questo paesino mi opprime, quindi voi potete ritenervi tra i pochi sopportabili a cui…voglio bene. Let’s fly away, Sam!- aveva fatto l’occhiolino alla platea, e si era riportata affianco al ragazzo, riposizionando il microfono sull’asta.

Then fly away from here 
Anywhere 
Yeah, I don't care 
We'll just fly away from here 
Our hopes and dreams are out there somewhere 
Won't let time pass us by 
We'll just fly 

Do you see a bluer sky now 
You can have a better life now 
Open your eyes 
Cause no one here can ever stop us 
They can try but we won't let them 
No way 

Maybe you and I 
Could pack our bags and say goodbye

 

Ed anche l’ultima esibizione era volata via. Tra sguardi complici ed occhiolini, i due si erano mossi ed abbracciati alla fine della canzone. Rachel si sentiva appagata, soprattutto perché aveva provato a se stessa che poteva tutto. Quella era stata una prova, per capire se poteva ricreare un’atmosfera di complicità anche con una persona a lei quasi estranea. Come avrebbe dovuto fare a Broadway, appena l’avessero ingaggiata per il primo spettacolo. Era estremamente grata a Sam, che le aveva dato fiducia e l’aveva fatta sentire a suo agio. Aveva passato il resto della giornata con un sorriso trionfante in volto, a braccetto con Mercedes, prima di separarsi e tornare a casa. Come sempre, era riuscita a brillare.

La settimana era passata velocemente, ma quel Sabato, il tempo sembrava muoversi al rallentatore. Soltanto la presenza di Kurt e Blaine l’aveva trattenuta dall’urlare di frustrazione. Sembrava che ogni cosa da lei posseduta non fosse abbastanza perfetta per quella serata. L’avevano lasciata un’oretta prima, i vestiti pronti sul lettone, e lei si era infilata sotto la doccia per calmare i nervi. Era inutile essere così stressata per un appuntamento. Sapeva che per lui non era di alcuna rilevanza. Era solo una delle tante. Cercò di calmarsi passando ancora una volta la piastra tra i capelli, mettendo un po’ più di mascara…girava come una trottola per la stanza, un corto asciugamano addosso, andando a cercare il profumo, una scarpa finita sotto al letto, un orecchino nascosto sotto ai trucchi, e la musica ad altissimo volume. Tutti i suoi oggetti complottavano contro di lei, celandosi alla vista ogni volta che passava e ripassava nell’ultimo posto in cui credeva li avesse lasciati.
Un colpetto di tosse la distrasse dall’applicazione della sua crema favorita. Intenta a coprire la voce della cantante, aveva completamente dimenticato che ora fosse. Le ultime parole della canzone “I’m ready now, come get me”, le morirono in gola, quando si accorse che Noah Puckerman, in jeans neri e camicia bianca, semplice ma divino, la fissava con uno sguardo che poteva definire diabolico, appoggiato allo stipite della porta di camera sua.

-Se me lo chiedi così, posso solo esaudire ogni tuo desiderio.- aveva detto il ragazzo, avvicinandosi cauto al letto della brunetta.

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Bene! Dopo tante peripezie (ho finito il capitolo con la bavetta alla bocca, mentre guardavo il livestream di DC, capitemi), ecco qui la Rachel Version. Non so perché, ma mi è particolarmente piaciuto scriverla. Forse perché so già cosa accadrà dopo…
Spero di riuscire a pubblicare nuovamente, prima di Sabato almeno, e spero davvero che questo capitolo vi piaccia.

Buona Notte!!
Vevve

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Capitolo 8
*** Feeling good (Dating you is not so easy) ***


Feeling Good

Feeling good

Che visione invitante. L’atmosfera si stava surriscaldando ben prima di quanto avesse programmato.

Noah l’aveva aspettata quindici minuti seduto nel pick up, facendole una marea di squilli e mandandole messaggi poco simpatici. Poi era sceso dall’auto per sgranchirsi le gambe, osservando la sua finestra illuminata, l’ombra della ragazza che ogni tanto faceva capolino dietro le tendine tirate. Adesso riusciva a capire come mai i suoi vicini volessero intentare causa ai Berry: se il volume della musica era alto, la voce della ragazza lo era ancora di più. A lui però non aveva creato mai problemi la cosa. La immaginava muovere quel suo corpicino sexy a tempo di musica, usando tutto ciò che le capitava sotto mano come microfono. L’aveva fatto tante volte quando provavano i duetti. Ancora imbambolato, sotto la sua finestra, si riscosse soltanto quando una mano gli diete due delicati colpetti sulla spalla.
-Noah? Che ci fai qui fuori? Vieni dentro, credo che Rachel ne abbia ancora per un po’.- Hiram Berry gli sorrise, la mano ancora sulla spalla del ragazzo. Se avesse saputo quali pensieri frullavano in quella testa crestata, altro che tanta gentilezza! L’avrebbe rispedito a casa a pedate…Puck scrollò un paio di volte le spalle, ricomponendosi velocemente.
-Salve, Hiram. Stavo cercando di capire quanto ancora sua figlia volesse farmi aspettare, in effetti. Dice che posso andare a controllare di persona? Non vorrei disturbare.- Ecco, doveva comportarsi da bravo ragazzo, se non voleva che gli leggessero in faccia i suoi piani per la serata.
-Ma certo caro! Sai, io e Leroy adoriamo sentirla cantare, ma questa sera era così nervosa che ci ha fatto venire due belle emicranie. Dove avete deciso di passare la serata?- L’uomo l’aveva accompagnato in casa, chiacchierando, e solo all’ultimo Puckerman si era accorto di essere arrivato alle scale che conducevano al piano delle camere.
-Non abbiamo ancora deciso, signore, ma credo che la prima tappa sarà un ristorante. Rach deve rispettare un coprifuoco particolare questa sera? Per sapere, non che voglia farle fare tardi.- Si affrettò ad aggiungere, per non destare sospetti. Aveva già preparato due tabelle di marcia, nell’evenienza che la ragazza dovesse rientrare presto.
-Beh, visto che la mia figlioletta ti sta facendo aspettare, potremmo concordare di rivederci…che so, verso l’una e mezza?- L’uomo alzò un sopracciglio con finto fare minaccioso in attesa di risposta. Era molto più di quello che Puck avesse sperato. Sfoderando uno sguardo innocente e stupito, annuì veementemente, prima di ricevere un’ulteriore pacca sulla spalla, ed un’esortazione a riportare Rachel a casa sana e salva. Velocemente era corso in cima alle scale e si era avvicinato all’uscio aperto, silenziosamente, sbirciando prima e fissando poi. Era stato ad osservarla correre da una parte all’altra della stanza, entrare ed uscire dal bagno. Poi l’amica aveva posato un piedino sulla morbida trapunta, e, dandogli le spalle, aveva cominciato a massaggiarsi la crema sul polpaccio, salendo sempre più su sulla coscia. La mente di Noah era entrata in piena confusione, mentre un prepotente desiderio sgomitava per prendere possesso di tutto il suo corpo, dalla punta dei piedi a quella della mohawk. Rachel aveva due gambe perfette, affusolate ma muscolose quanto bastava per farlo impazzire. E pensare che quell’asciugamano striminzito copriva a malapena due natiche da urlo. Soltanto la sua incantevole, strepitosa, strabiliante voce poteva riportarlo alla realtà. Dall’inferno peccaminoso al paradiso dei sensi. Quella ragazza sapeva avvolgerlo in un perenne stato di piacere, e senza neanche saperlo!
Poggiando la spalla destra al muro con aria disinvolta, interruppe l’assolo, godendosi gli occhi della brunetta ed il passarvi delle varie emozioni. Era buffa, la bocca carnosa spalancata per la sorpresa, le guance che prendevano fuoco pian piano, gli occhi sbarrati mentre assimilava la sua presenza nella stanza. Di scatto, furiosa, si issò sul lettone, raggiungendo carponi la sfilza di cuscini posizionati con cura a ridosso della testiera del letto. Così cominciò il fuoco di cuscini su di lui, che con sguardo spavaldo e malizioso, s’avvicinava lentamente al letto, le mani in tasca ed un sorrisino strafottente stampato in faccia, mentre lei gli urlava come una forsennata di scomparire dalla sua camera.
-Berry, Berry, Berry…ti pare questo il modo di accogliere un ospite, soprattutto visto che ti sta aspettando da almeno mezz’ora? Non che non gradisca la mise…- ridacchio sotto i baffi, indicando col dito il telo che le era salito più su sulle cosce, aprendosi leggermente di lato. Lei si era bloccata di botto, la nuova “pallottola/cuscino” stretta tra le mani era scesa istantaneamente a coprire le gambe. Puckerman aveva fatto il giro del letto per averla più vicina. Lei fece per aprir bocca, le mani avevano mollato il guanciale per portarsi all’attacco contro il petto del ragazzo, ma lui fu più veloce. Con gesto fluido le catturò entrambi i polsi esili con la mano destra, mentre la sinistra si posava delicata sulla sua bocca. Il contatto provocò ad entrambi una bella scarica di adrenalina, mentre lei sospirava un debole “lasciami” a denti stretti. Puck avvicinò pericolosamente il viso al suo, inspirando a fondo per darsi una calmata. Cavolo, i genitori di Rachel erano al piano di sotto, e potevano salire da un momento all’altro, visto che la loro stanza si trovava sullo stesso piano. Se li avessero beccati così, l’avrebbero di sicuro denunciato, e lui non ci teneva a tornare in riformatorio. Per una volta, da quando il padre se n’era andato, si sentiva davvero bene nei suoi panni. Lo doveva ad Artie, al Glee, al Signor Schue, a sua madre ed anche a Rachel. Era così delicata ed inerme…meritava qualcuno che fosse in grado di proteggerla, accanto. Ma che diamine andava a pensare?!?!
-Miss Ritardataria, credi di farcela ad essere pronta in dieci minuti?- Le aveva domandato una volta ritrovato quel briciolo di controllo. Ed averla così vicina, respirare il suo profumo non lo aiutava affatto. Di colpo la lasciò andare e si voltò, dirigendosi alla porta.
-Ti aspetto in macchina.- Turbato, scese le scale, salutò i signori Berry e si chiuse nell’abitacolo, accendendo la radio ed alzando il volume.

Meno di dieci minuti dopo, vide Rachel uscire di casa, con il solito poncho verde e degli orrendi pantaloni a scacchi. Sorrise automaticamente, era sempre Rachel Berry! Lei scivolò velocemente sul sedile, senza degnarlo di un’occhiata. La frangia le copriva gli occhi, e lui con gesto spontaneo gliela sistemò dietro l’orecchio. Lei sbuffò.
-Hai intenzione di passare la serata qui?- Stava torturando quella povera mantella con le dita. Da quando portava smalto nero?
-E tu hai fretta di sapere cosa ho preparato per la serata? – sbruffone come sempre, accese il motore e fece marcia indietro nel vialetto. Per poco non inchiodò, quando lei cominciò a togliersi i pantaloni. La cosa le provocò un eccesso di risa.
-No, proprio per niente. Come minimo mi porterai al fast food e poi cercherai di farmi ubriacare. E’ solo che sento caldo. Ho pensato che fosse meglio evitare un attacco di cuore ai miei papini. Kurt ha esagerato, sta volta.- Aveva parlato mentre piegava i pantaloni, lasciando le gambe in bella mostra, un paio di stivali al ginocchio, marroni e con tacco non indifferente, erano abbinati ad un pezzo di stoffa bianca a più veli che, per quel che il ragazzo riusciva a vedere, doveva essere la gonna. Deglutì a vuoto più volte, la gola sembrava il deserto del Sahara. La brunetta si tolse la mantella, rivelando un mini vestitino senza spalline.
–Rimetti gli occhi sulla strada, Noah, oppure addio serata.- era il suo turno per prenderlo in giro, e se l’era meritato. Praticamente la fissava con la bava alla bocca. Per circa dieci minuti camminarono a velocità sostenuta in silenzio, solo il rombo del motore e dell’asfalto sotto le ruote a fargli compagnia. Più volte aveva sentito lo sguardo curioso della brunetta su di sé, ma Puck era deciso a non ricambiarlo, sapendo che altrimenti non sarebbero arrivati a destinazione.
-Puoi almeno dirmi se sono vestita in modo appropriato? Kurt e Blaine staranno già dando di matto…- aggiunse quasi sovrappensiero la Berry, tirando fuori il cellulare dalla borsetta.
-Rach, quanta gente sa del nostro appuntamento?- domandò cauto, con la terribile sensazione che se la serata non fosse stata di gradimento della ragazza, avrebbe dovuto sbrigarsi a cambiare città. Stato. Nazione. Meglio continente, per andare sul sicuro. Lei alzò un sopracciglio, poi con tranquillità elencò i nomi, aontandoli sulle dita.
- Ci sono Kurt e Blaine, Mercedes, Brittany…quindi probabilmente Santana ed Artie…oh, ed Oliver! Gli stavo scrivendo per decidere…- il discorso della ragazza era passato in secondo piano. Perfetto, lo sapeva tutto il glee. Fortunatamente si sentiva fiero di come aveva organizzato quell’appuntamento. Non ci aveva mai messo tanto impegno. Forse perché alle ragazze con cui usciva di solito bastava guardarlo a torso nudo perché perdessero completamente ogni pudore. Ma quella volta era Rachel la ragazza che voleva conquistare. Voleva le sue attenzioni, sentire quel piccolo corpo caldo stretto al suo. Quindi aveva dovuto impegnarsi sul posto, la musica, l’atmosfera…aveva persino scelto il menù! Ed un’enorme mano gliel’aveva data Oliver. Oh. Oh! Rachel l’aveva appena nominato! Sintonizzò nuovamente la testa sulla voce della ragazza.
-…quindi ho provato a chiamarlo ma niente. Sparito nel nulla per tre giorni! Ed ha ben pensato di liquidare tutta la faccenda con un “scusa se non ti ho più risposto, quando ci vediamo ti spiego tutto.” Ti rendi conto? E comunque aspetto ancora una risposta.- Incrociò le braccia sotto al petto, gesto che mise ancora di più in mostra quel seno che solo all’apparenza sembrava piccolo. Ok, Puckster, ricomincia a respirare e rispondile a…cosa? Ah, si.
-Rach, sei bellissima. E se non ti avessi vista appena uscita dalla doccia, direi che Kurt ha fatto un lavoro perfetto nello scegliere questo stile. Fa tanto tizia di Transformers all’inizio del secondo film. Ora, per favore, vuoi lasciarmi guidare? Quella minigonna mi distrae già abbastanza.- incollò gli occhi sulla strada, non prima di averla vista arrossire e cominciare a scrivere velocemente sul Blackberry. Noah accese lo stereo, e subito l’abitacolo si riempì delle note di una canzone dei Muse.


Stars when you shine 
You know how I feel 
Said I'll be fine 
You know how I feel 
Oh freedom is mine 
And I know how I feel 

It's a new dawn 
It's a new day 
It's a new life 
For me 
Ooh feeling good 
Ooh feeling good 

A volte picchiavano duro, ma ogni volta che si ritrovava a cantare sopra la voce di Mattew Bellamy, perdeva il contatto col mondo circostante. Riusciva a percepire cosa succedeva intorno a lui, ma tutto veniva filtrato attraverso quel velo di musica. Altri quindici minuti di viaggio e già si intravedeva un lungo muro di recinzione, grandi pini crescevano all’interno della proprietà. Il cancello in ferro battuto era già aperto, Puck aveva avvertito del ritardo e dato un secondo orario indicativo, e quando entrò nel vialetto che conduceva al “villino”, spiò l’espressione di Rachel, stupita ed un poco intimorita. Ai lati del vialetto in ghiaia c’erano alberi, panchine ed un prato verde brillante tagliato di fresco. La villa di fronte a loro era in stile mediterraneo, con ampio patio davanti, a tre piani e con enormi balconi angolari. Sulla porta ad attenderli c’era Oliver, il ghigno di chi la sapeva lunga si intravedeva anche da quella distanza.
-Noah, che diamine…- le parole rimasero impigliate nella gola della ragazza, quando parcheggiò finalmente la macchina. A sinistra era posizionato un gazebo di dimensioni sproporzionate, le colonne abbellite da rampicanti e piccoli fiori bianchi, il tutto condito con file di luci bianche e blu. Un lato era occupato dalla tavola già apparecchiata, con tanto di candele rosse accese. L’altro invece era stato adibito ad accogliere una console di tutto rispetto, le casse rialzate dal terreno. Puck s’affrettò a scendere dall’auto, facendo un segno di saluto con la mano ad Oliver, prima di aprire lo sportello ad una Rachel Berry immobile e senza parole, una volta tanto. Le tese la mano e l’aiutò a scendere, ancora intenta a cogliere ogni dettaglio, gli occhioni nocciola brillavano di piacere e soddisfazione.
-Dove siamo Noah? Ma più che altro, perché Oliver è qui?- chiese, la voce addolcita, mentre stringeva il braccio che lui le stava offrendo. Oliver squadrò la coppietta, spense la perenne sigaretta e si rivolse principalmente a Rachel.
-Ecco cos’avevo da fare in questi giorni. Spero tu non sia arrabbiata, ne dovrebbe valere la pena, no? E comunque…benvenuti a casa mia. Per questa sera sarò il vostro maggiordomo, DJ e quant’altro.- Strizzò l’occhio a Noah e senza dare il tempo ai due di ribattere, rientrò in casa.

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Ok, non uccidetemi. Ci sto mettendo una vita, ma ho avuto davveeeero tanti impegni, ed ora sono pure malata. -.- La carissima Tem mi ha convinto a pubblicare giù questo capitolo, che in teoria è si e no la metà di quello che avevo pensato...quindi sto ancora scrivendo....Spero che questo assaggino vi piaccia!! *w* Grazie mille a chi segue questa storia e la recensisce...Vi adoro!!
Ps. perdonatemi i vari orrori di ortografia o battitura, non ci sono con la testa!! Q_Q

BascioCascio
Vevve

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Capitolo 9
*** Something in the water/Caterwaul ***


SITW/C

Something in the water/Caterwaul

-Ti piace? Ce ne ho messo di tempo per organizzare tutto.- si fermò un istante, sembrava che la ragazza si stesse divertendo. Forse trovava buffo il fatto che lui si fosse impegnato in qualcosa? Il suo sguardo si addolcì, in riflesso a quello di lei.
-E’ semplicemente…perfetto! Oh, Noah! Mi dispiace di averti detto quelle cose in macchina. Mi sento così in colpa…- mormorò, gli occhi che vagavano ancora una volta sul gazebo, mentre il sole calava dietro i sempreverdi. Che tenerezza. Era possibile provare una così ampia gamma di piacevoli emozioni? Chissà per quale stupido motivo si era negato tanta bellezza e si era invece intestardito nel suo orgoglio, con il ruolo da duro da mantenere. Stupendo lei, e se stesso, l’abbracciò da dietro, affondando il volto tra quel mare di capelli e respirandone il profumo delicato, sempre presente, che da settimane lo torturava persino nei sogni.
-Che ne dici, vogliamo sederci?- le si mise accanto, tenendo sempre sotto controllo la situazione. Non voleva che la Berry si spaventasse, agitasse, preoccupasse o quant’altro la sua splendida testolina riusciva a partorire. Salirono quell’unico gradino che li separava dalla splendida tavola, poi Noah le scostò la sedia come aveva visto fare in qualche film. L’espressione grata di lei gli lasciò una gradevole sensazione di calore alla bocca dello stomaco. Dopo averla fatta accomodare le si sedette di fronte e prese un piccolo telecomando posizionato accanto al bicchiere. Premette play, sorridendo. Era una delle canzoni proposte dalla Berry durante le prove, una canzone che lui adorava e che gli aveva fatto scoprire una parte di lei con non aveva mostrato molto spesso.
-Hai proprio pensato a tutto, vedo.- ridacchiò lei, allungando una mano sul tavolo. Sembrava un invito inconscio, ma lui non voleva assecondarlo. Non ancora, almeno. Oliver arrivò trotterellando, mentre la prima canzone sfumava, un sottofondo anonimo che non rovinava l’atmosfera.
- Bene. Come antipasto, la casa vi propone una composizione di gamberi su lattuga con salsa a base di lime, crostini di caviale ed un’insalatina di patate e salmone.- diligentemente il ragazzone adagiò il tutto sui piatti, scosse il capo nel constatare quanto fosse impacciato e fece per andarsene. Puck lo trattenne, mettendogli una mano sul braccio e facendolo voltare.
-Te ne devo una, e bella grossa.-
-Oh, si, e presto mi ripagherai con gli interessi. Ah, più tardi arriverà Laurrayne, spero non vi dispiaccia. E Rach, ha lasciato un paio di costumi nello spogliatoio della piscina, per te.- Fece l’occhiolino ai due e sparì di nuovo in casa.
-Piscina, Noah?- sussurrò per non farsi sentire dal padrone di casa. Lui cercò di assumere un’aria totalmente innocente, in disaccordo con la malizia negli occhi e nelle parole.
-Beh, ho pensato che in questa serata così gradevole, potesse farti piacere fare il primo bagno della stagione…con me.- Le sorrise, prima di cominciare ad assaggiare le pietanze appena servite. La guardò di sottecchi, cercando di coglierne le reazioni. Non era abituato a quel cibo ricercato e…salutare, ma doveva ammettere che era davvero strepitoso. Le cuoche di Oliver avevano fatto un ottimo lavoro. La cena andò avanti ancora per un’oretta, nella quale i due chiacchierarono del glee, di come procedeva la scuola, mantenendosi sempre su argomenti leggeri. Ogni tanto il ragazzo si lasciava prendere la mano, buttando là battutine imbarazzanti, divertito ed incantato dalle smorfiette di Rachel, da quello che esprimevano i suoi occhi, da come, anche solo muovendosi, rispondeva in modo sensuale, quasi provocante, ai suoi complimenti. Quando arrivò il dolce, un’enorme torta di pan di spagna, con frutta fresca e crema pasticciera, dalle casse uscirono le prime note di Something in the Water. La ragazza, dopo qualche bicchiere di vino, aveva preso colore sulle guance, gli strappò quasi il telecomando dalle mani, quando vide che stava per cambiare canzone.
-Non ci provare, tesoro.- disse, alzando il volume e cominciando a intonare le strofe alla perfezione.

Give me long days in the sun,
 preludes to the nights to come
previews of the mornings laying in all lazy
give me something fun to do
like a life of loving you

Kiss me quick now baby I'm still crazy over you

Aaah Aaah Aaah
there's something in the water, something in the water
Aaah Aaah Aaah
there's something in the water that makes me love you like I do

 

Aveva cantato fissandolo negli occhi, alzandosi e girando intorno al tavolo, sfiorandolo e sussurrando alcune parti di strofa. In fine gli si era seduta in collo, e lui aveva quasi sputato il sorso di champagne che Oliver gli aveva consigliato per accompagnare il dolce. Si fissarono per qualche interminabile istante, lui le si avvicinò, riducendo le distanze tra i loro volti, ma lei scappò via e tornò a sedersi dall’altra parte del tavolo. Cazzo! Era stato davvero, davvero un imbecille. “Troppo presto, coglione!” gli stava urlando il suo cervello, mentre le parti basse ancora esultavano per quel breve e fugace contatto avuto con la moretta.

-Hai mai pensato a Beth, a come sarebbe...sarebbe stato se l’aveste tenuta?- relativamente brilla, la Berry dopo un po’ aveva avvicinato la sedia a quella del crestato, ora che avevano davvero finito di cenare. Lui ci pensò su, non sapeva come risponderle. Aveva tenuto per se questa cosa per tanto tempo, ma sentiva di potersi fidare di lei. E poi, se riusciva a farle bere ancora qualcosa, magari l’indomani avrebbe del tutto dimenticato quello che stava per dirle.
-Vado a trovarla ogni due settimane, Rach. Quinn non ne è a conoscenza, anche se ne abbiamo discusso molto, dopo la nascita. Ha sempre creduto che per nostra figlia fosse meglio…che non creassimo confusione, che crescesse con la signora Corcoran e che la considerasse da subito come la sua unica famiglia. Ma io…non ce la facevo.- confessò, mantenendo un’aria composta, magari un po’ intenerita mentre ripensava alla sua piccina. Lei gli posò una mano sul braccio, carezzandolo sulla pelle libera dalle maniche della camicia, arrotolate fino all’avambraccio. Gli sorrise comprensiva, il suo discorso aveva riempito gli occhioni da cerbiatta di lacrime, una delle quali rimase impigliata nelle ciglia truccate. Istintivamente le passò un dito sotto l’occhio, raccogliendo quella goccia salata. Le prese la mano, si alzò e la trascinò al centro della pista, giusto in tempo perché la canzone smielata che usciva dalle casse gli permettesse di stringerla a sé, attirandola in una giravolta.
-Non piangere per me, principessina. Non ne vale la pena.- amaro, le sussurrò all’orecchio, inspirando a fondo l’inebriante profumo della ragazza. Sentì le sue piccole mani sfiorargli i fianchi, e si ritrovò stretto nel suo abbraccio. Rachel posò il volto sul suo petto e cominciarono a dondolarsi a ritmo di un lento. Quando la musica finì, si ritrovò a fissarla negli occhi, rimanendo incatenato al suo sguardo penetrante. Ok, adesso è il momento, scemo di un Noah. Lei non si scostò, anzi, si alzò in punta di piedi per far si che le loro labbra si toccassero più velocemente e…arrivò una macchina, che con allegro strombazzare rovinò il momento. Lei distolse lo sguardo imbarazzata, lui maledisse il tempismo della fidanzata di Oliver. Laurrayne parcheggiò e scese dalla macchina, avvolta in un vestitino verde acqua, con la chioma bionda acconciata in morbidi boccoli nel suo eterno caschetto. Li salutò con la mano e soffiò a Rachel un bacio con la mano.
-La prima volta che l’ho vista, non le avrei dato un soldo di fiducia…non capivo come un ragazzo alla mano come Oliver si fosse andato ad impelagare con una che aveva le ciglia quasi più lunghe delle unghie. Sempre perfette, oltretutto. Poi ci ho parlato e mi si è aperto un mondo. E’ di una simpatia innata, e più semplice di quanto dia a vedere.- disse la ragazza, ancora abbracciata a lui, dondolandosi sui talloni. Chissà cosa le passava per la testa. Le scostò una ciocca di capelli, sistemandola dietro l’orecchio, e pensò che forse era il momento per una maggiore…intimità. La prese per mano e se la trascinò dietro. Scesi dalla pedana, il rumore dei tacchi di Rachel si attutì appena toccato il soffice pratino. La musica arrivava chiara fin lì, e lui sapeva che delle piccole casse erano posizionate per tutto il tratto che stavano percorrendo, con una strategia quasi diabolica. Arrivati di fronte alla piscina, dovette ammettere che di notte faceva un effetto diverso. Illuminata da pochi pali old style, l’unica altra illuminazione era data da due piccole luci sulle porte degli spogliatoi, e dai faretti immersi lungo il bordo della piscina. L’acqua emanava un leggero vapore, segno che Oliver aveva già acceso le bocchette che riscaldavano l’acqua. Geniale!
-Ehm…non ci farà male, dopo aver mangiato?- titubante, la brunetta si era però già avvicinata alla superficie trasparente, chinandosi per immergervi le dita. Visuale perfetta…la gonna le era salita, mettendo in mostra ancora una volta quelle cosce perfette. Una tentazione ambulante, era costretto ad ammetterlo. Il grande Puckster avrebbe venduto l’anima, pur di avere quel corpo contro il suo anche solo una volta. O più volte. Si riscosse da quei pensieri, guardando subito l’orologio. Fortunatamente non era ancora scoccata la mezzanotte.
-Io mi tuffo, Berry. Tu, se vuoi, puoi guardare.- si diresse verso lo spogliatoio con un sorrisetto storto sul volto, sbottonando e togliendosi la camicia prima ancora di esservi arrivato. Beh, anche lei poteva godere di quel ben di dio, non era per niente avaro in questo. Si spogliò in fretta, cercando di non sgualcire i panni, e mettendosi un paio di boxer larghi che si era portato da casa il giorno prima e che aveva inaugurato facendo degli splendidi tuffi con il padrone di casa. La gara era consistita a chi faceva arrivare più lontano gli schizzi dell’acqua dopo il tuffo, e Laurrayne aveva fatto da giudice, zuppa dalla testa ai piedi. Qualsiasi altra ragazza ne sarebbe stata altamente scontenta, ma lei, per tutta risposta si era tuffata dietro di loro e li aveva presi a ondate d’acqua. Noah sentì dei rumori provenire dallo stanzino adiacente, sentì grattare una sedia per terra e la voce inconfondibile della Berry che pronunciava una lunga serie di frasi poco simpatiche, l’ultima delle quali sapeva tanto di “saprei io dove mettere i tuoi tuffi, maledetto di un Noah.”. Se la rise per qualche secondo, prima che cominciasse a pensare coerentemente. Lei era nello stanzino accanto, probabilmente nuda, e a breve l’avrebbe vista in costume per la prima volta. Oh-oh. Mossa sbagliata, amico. Già doveva fare i conti con “l’amico Fritz”, pronto a mettersi sull’attenti. Fece profondi respiri, ed uscì prima di lei. Senza pensarci troppo prese la rincorsa e si gettò in acqua, godendo del silenzio ovattato che vigeva nella piscina. Arrivava a malapena il suono della musica, come da un altro mondo. Sfruttò la sua nascosta abilità del trattenere il fiato per percorrere tutta la vasca senza risalire in superficie, e quando toccò con le dita il bordo, sbucò fuori lanciando schizzi sulle mattonelle. Si guardò intorno, alzando un sopracciglio per l’assenza di Rachel. Cercò a bordo piscina, sulle sdraie e poi la vide. Ancora sulla porta dello spogliatoio, lo osservava curiosa ed affascinata. Chissà, forse aveva seguito tutta la scena. Santo cielo. La fidanzata di Oliver non le aveva preso un costume eccessivamente striminzito. Ma non sapeva se considerarlo un due pezzi oppure un costume intero. Era uno di quei modelli uniti sulla pancia da un lembo di stoffa e degli anelli messi qua e là. Non ci capiva molto, ma sapeva che quel costume metteva in risalto le forme della ragazza in un modo da considerare illegale. Era color crema ed il contrasto delicato con la pelle leggermente scura di Rachel era perfetto. Uno degli anelli era strategicamente piazzato tra i seni, così da lasciar intravedere la curvatura nell’incavo tra essi. Un altro era sull’ombelico, dove il tessuto si stringeva a clessidra per poi congiungersi sui fianchi con altri due anelli.  Questi, erano proporzionati ed invitanti. Sembravano fatti apposta per ricevere carezze, oppure per essere presi con forza…se non la smetteva, sarebbe stato costretto a prendersi a schiaffi di fronte a lei. Le fece cenno con la mano di avvicinarsi.
-Dai Rach, si sta da favola!- sospirò, immergendosi nuovamente sotto la superficie ed osservandola muoversi quando si avvicinò al bordo. Si sedette ed immerse i piedini nudi nell’acqua.
-Oh, è davvero calda!- batté le mani lei, tutta contenta, la paura della sua vicinanza, della cena sullo stomaco, del costume che lasciava poco all’immaginazione smarrita chissà dove in quel breve percorso. Noah si aggrappò al bordo della piscina, accanto a lei, e si fermò ad osservarla. I capelli leggermente scompigliati, le guance rosse, i piedini che si muovevano nell’acqua, la facevano sembrare una dodicenne, ed a lui piaceva enormemente questo suo lato infantile. Un po’ come il suo. Si passò una mano sulla mohawk bagnata, piccole goccie al sapor di cloro gli finivano dal naso direttamente in bocca. Deciso, si spostò davanti a Rachel, mettendole una mano vicina ad ogni fianco.
-Che fai, scendi a divertirti con me, o vuoi che rimanga a fissarti come uno scemo mentre sei su questo bel piedistallo?- ci scherzò su, con il suo solito modo di fare scanzonato. Gli posò il mento sulle ginocchia serrate, pensando che probabilmente il filo di barba che gli stava ricrescendo avrebbe potuto solleticarla. Poco male, era sicuro che stimoli di quel tipo potessero piacerle.
-Non so più cosa voglio fare.- Sospirò, chiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro, incassando leggermente il collo tra le spalle. Poi, senza preavviso gli mise le mani sulle spalle, e, standolo a guardare, gli scivolò tra le braccia, immergendosi piano. Doveva essersi addormentato, sicuramente. Aveva preso una botta in testa, la sua vivida immaginazione lo stava traendo in inganno. Era morto in campo per un placcaggio decisamente maldestro e non si sa come, all’inferno si trovava molto meglio di quanto avesse potuto sperare. C’era lei che le si strusciava addosso, cristo santo!! Non finì neanche di formulare tutti questi pensieri sconnessi che lei gli morse un braccio, ridacchiando e sparendo sott’acqua. Cavoli, anche lei a fiato non stava messa male, ma avrebbe dovuto immaginarselo, dopo aver sentito parole a raffica negli ultimi due anni uscire da quel minuscolo corpo. Era tutta polmoni e pochi organi, probabilmente. Dopo qualche minuto di vasche ininterrotte, decise saggiamente di raggiungerla. Non poteva scamparla così, dopo averlo mandato ai pazzi per l’ennesima volta! La fermò nella parte bassa della piscina, dove però solo lui riusciva a toccare.
-Ehy. Credevi di sfuggirmi per molto?- maligno, la prese sotto le ascelle e cominciò a cominciare verso l’acqua più alta, di modo che lei, sbilanciata, lo usasse come punto fermo. E, come programmato, sentì le sue braccia delicate stringersi sopra le spalle, mentre con le gambe si aggrappava istintivamente alla sua pancia. Tutta pacchia, quella sera!
-Sei un maledetto stupido, Puckerman! Mi farai venire il mal di mare- sbuffò mettendo il broncio.
-Uh, se mi chiami Puckerman, devo averti fatta arrabbiare sul serio! Permettimi di rimediare.- sornione, finalmente riusciva ad averla abbastanza vicina da poter posare la bocca sulla sua. Era da quella volta in teatro che non la baciava, e doveva dire che le era mancata. Inizialmente Rachel si scostò, cosa che a lui creò non poco fastidio, per cui la strinse di più tra le braccia. Poi timidamente riprese a baciarlo, lasciandosi andare ad un sospiro di soddisfazione. Lui continuò a camminare nell’acqua, così che scivolasse sui loro corpi scaldandoli, senza che l’aria fresca della notte li disturbasse. Senza quasi accorgersene, le aveva fatto toccare un lato della piscina con la schiena, e non poté fare a meno di appoggiarcela contro per avere un ulteriore aiuto.
-Noah, non dovremmo…non dovremmo uscire? E poi…cosa dirà Oliver?- sussurrò lei contro le sue labbra, il respiro leggermente accelerato, dato che lui le aveva messo entrambe le mani sulle natiche per aiutarla a reggersi meglio.
-Abbiamo tutta la casa a nostra disposizione, se è per questo. Ol e Laurrayne se ne sono andati subito dopo che l’abbiamo vista entrare in casa. Sono usciti dal retro.- ridacchiò, facendole l’occhiolino e baciandole il collo. Aspettava e temeva il momento in cui l’avrebbe fermato, ma neanche quando scese a baciarla tra i seni, o più giù, sulla pancia, lei dette a vedere di volerlo allontanare. Anzi, rispondeva ai suoi baci accarezzandogli la testa, arcuando la schiena reggendosi saldamente sulle sue spalle. Fin dove poteva spingersi? Subito un’idea decisamente poco casta gli balenò nella mente. Sfiorandole i fianchi, le mise un braccio sotto al sedere, spingendola quasi a pelo d’acqua. Risalì la pancia e delicatamente posò una mano su quel seno sodo, da sopra il tessuto.

Never knew I could feel this way
so old and unremembered
never thought it would slip away
and fall like September
scale these walls in front of me
have you ever stopped to wonder
why they forced my voice
to turn from silence to a caterwaul?
I heard your caterwaul...

And what has tried to bound me
i've severed every tie
place your arms around me
and we'll leave the rest behind

What was I to say?
How was I to know?
Was it your soft voice that said so?


-Ti prego, Noah.-
Si era fermata, e lo guardava intensamente negli occhi. Forse l’aveva combinata grossa. Però sapeva che a Finn, da sopra la maglia, era stato permesso di toccarla. Quello che davvero non si aspettava fu il suo modo delicato di prendergli la mano, portandosela alle labbra, prima di farla scivolare ancora sul petto. Sempre sul costume, per carità. Meglio di niente. Anzi, decisamente meglio. Ogni tanto la faceva tornare alla sua altezza, per baciarla con trasporto, ma quelle gambe avvinghiate intorno a lui lo mettevano in seria difficoltà. Lasciò che per qualche secondo l’acqua li cullasse sul posto, stringendo i denti.
-Non possiamo Rach, vero?- le domandò, con un tono dolce, petulante, imbarazzato, angosciato…neanche lui riusciva più a capire cosa ci fosse in quel turbinio di sensazioni. Percepiva solo la sua presenza come un pugno nello stomaco, che gli mozzava il fiato e lo lasciava sgomento. Lei però, sembrava altrettanto insicura, e vide quanto le costasse dirgli di no. Scosse la testa e cercò di lasciarlo andare, probabilmente pensava di averlo deluso. Lui l’attirò di prepotenza a sé, fissando quegli occhi nocciola che provavano a rifuggirlo. Le prese il mento tra le mani, così da costringerla a guardarlo.
-Va tutto bene, piccola. Mi basta sapere che…che per adesso mi vuoi vicino a te, ok?- e stranamente era la pura verità. Sentiva sua ogni parola. – Tu mi piaci, punto e basta.- continuò semplicemente, quasi orgoglioso. Lentamente la portò verso la scaletta e con dispiacere la fece uscire dall’acqua. Lei aspettò che uscisse, e premurosa gli mise un braccio intorno alla vita, cercando di allungarsi il più possibile per dargli un bacio nuovo, più profondo, ozioso ed attento.
-Mi piaci anche tu, Noah Puckerman. Non riuscirei a starti lontana neanche se volessi, mannaggia a me.- borbottò, mentre si incamminavano verso gli spogliatoi. Si cambiarono velocemente, entrambi insicuri su cosa li avrebbe aspettati usciti da quella porta. Rachel avrebbe fatto finta di niente, che quella serata non fosse mai esistita? Una volta pronto, uscì e si appoggiò al muretto appena fuori dallo stanzino, gli occhi fissi a terra. Non l’aveva neanche sentita uscire, perché ancora non si era rimessa le scarpe. Cercò con delicatezza di sciogliere la posa che lo vedeva con le braccia incrociate al petto e vi si infilò, abbracciandolo nuovamente. Puck si rilassò, ridacchiando beffardo. Forse non era poi tutto perduto. Lui e i suoi filmini mentali!
-Pronta per tornare a casa, Rachel?- le sussurrò all’orecchio, baciandolo sicuro di averle causato un bel brivido. Lei annuì semplicemente, lo prese per mano e si avviarono nuovamente verso il gazebo. Era tutto come l’avevano lasciato, ma per lui quella vista aveva preso un significato diverso. Sembrava tutto più grande, luminoso, perfetto. Si fermò semplicemente quanto bastava loro per recuperare un paio di cose e spegnere lo stereo. Velocemente si premurò di avvertire Oliver che stavano lasciando la tenuta, e poi si voltò verso di lei. Con un movimento fluido la prese in braccio, staccandola facilmente da terra.
-Non riesco proprio a starti troppo lontano.- mormorò sulle sue labbra, mentre lei gli allacciava nuovamente al collo le braccia e si lasciava trasportare in macchina. Il viaggio di ritorno fu breve e pieno di sorrisini imbarazzati. La seguì fino alla porta e lì la baciò di nuovo.
-Buonanotte Rachel.-
-Buonanotte Noah. E…beh, grazie. Per…per tutto.- titubante, gli prese la mano e la strinse, rimanendo a guardarlo, cercando di fargli capire in uno sguardo tutto quello che le passava per la testa.

A notte fonda gli arrivò un messaggio, che lui lesse immediatamente. Era difficile dormire quando ti passavano davanti agli occhi delle immagini così potenti da farti soffocare un urlo di frustrazione sul cuscino. Il display illuminato mostrava il nome della Berry. Quindi anche lei aveva problemi ad addormentarsi, eh? Peggio per lei, così imparava a lasciarlo in quelle condizioni. *Forse la prossima volta andrà diversamente. Non ti prometto che sarà facile, con me, ma se ne hai voglia, potrei abituarmi ad averti attorno. Anzi, credo che l’idea mi piaccia già. A lunedì.*
*Sicura di quel che dici, Berry? Ricordi chi sono, vero? Se stai dicendo la verità, allora non mi ti scrollerai più di dosso, babe. Sono già tuo schiavo. Lunedì…mi bacerai anche davanti agli altri se te lo chiedessi?*
Andarono avanti ancora per un’oretta, e si addormentarono entrambi, senza sapere quale dei due fosse crollato per primo.

 

Quel lunedì, era tutto pronto per l’ennesimo gesto sconsiderato alla Puck. Ma che diamine, si vive una volta sola, e poi il preside si sarebbe potuto intenerire. Bleah, che brutto pensiero! Si avvicinò al microfono nell’ufficio di Figgins, lo accese e dopo un colpetto di tosse, cominciò a parlare.
-In diretta dalla presidenza, parte il Noah Puckerman show. Edizione unica, dedicata alla più irritante, sensuale, logorroica, tenera ragazza della scuola. Rachel Berry, ora non puoi più scappare.- finì con tono canzonatorio, provando un paio di accordi alla chitarra. Prese fiato e si buttò, sicuro che ne sarebbe valsa la pena.

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Ok…è venuto decisamente più lungo degli altri capitoli, considerando che comprende anche l’ottavo…XD ci ho messo un casino, ed ho anche capito perché. Alla fine, se non ho troppo slancio, mi conviene scrivere direttamente al pc, perché con carta e penna riesco a scrivere solo di getto.
Non so che altro dirvi, se non che le due canzoni sono di Brooke Fraser e di “…and you will know us by the trail of dead”. Caterwaul è una canzone che adoro e dovevo trovare il modo di inserirla!!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, aspetto commenti e consigli, bacchettate e insulti. Tutto quello che volete, insomma!
Un bacione particolare va alla mia dolcissima Ainwen, che mi supporta/sopporta sempre, ed alla mia schiavista di fiducia Tem, che ha deciso di deliziarmi con tanto pepe nelle sue pietanze…ù.ù

Chiedo umilmente perdono per i vari orrori di ortografia e battitura.
Ringrazio davvero tanto tutti quelli che seguono la mia ff, che la recensiscono, che mi inseriscono tra le preferite, seguite o ricordate o chi solamente rimane tra i silenziosi lettori. Grazie grazie grazie!!

BascioCascio

Vevve

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Capitolo 10
*** Walking after you ***


Walking after you

Walking after you

 

Tonight I'm tangled in my blanket of clouds 
Dreaming aloud 
Things just won't do without you, matter of fact 
I'm on your back, I'm on your back, I'm on your back 

If you'd accept surrender, I'll give up some more 
Weren't you adored 
I cannot be without you, matter of fact 
I'm on your back.

If you walk out on me, I'm walking after you 
If you walk out on me, I'm walking after you 

-Ehi! Su, sia buono, non ho fatto niente di male…va bene, va bene, ma non spinga, insomma!- giusto il tempo di sentire un po’ di trambusto prima che il microfono fosse spento. Noah uscì dall’ufficio del preside con un ghigno brillante stampato in volto, la chitarra da cui penzolava una corda staccata ed un applauso dagli studenti che si erano affacciati sui corridoi al suo annuncio.

In quel momento, Rachel Berry non sapeva se andare a nascondersi nell’angolo più remoto del mondo, se correre fuori dalla classe per sgridare il suo compagno o se correre fuori comunque e gettarsi tra le sue braccia. Era estremamente arrabbiata. Rossa come un pomodoro dall’attaccatura dei capelli alla punta delle manine strette sul contorno del banco. Però c’era di più: si sentiva lusingata, colpita, e a dirla tutta, anche piuttosto stupita. Noah Puckerman, Puck, Puckersex, Puckzilla le aveva appena dedicato una canzone davanti all’intera scuola? Beh, magari non proprio davanti, ma era piuttosto sicura che il suo metodo fosse stato ancora più efficace. Infatti non esisteva aula, corridoio, ufficio senza almeno un altoparlante. Era stata la Sylvester a far istallare i vari collegamenti, così che potesse umiliare pubblicamente chi le pareva, quando le pareva. Alla fine, Rachel decise di rimanere in classe, sotto lo sguardo vigile della prof di scienze, ed occhi e bocca spalancati dei compagni. Era sicura che qualcuna delle ragazze la stesse guardando in cagnesco.  Aspettò pazientemente che finisse l’ora, si incamminò per prima fuori dall’aula  e…SBAM! Kurt le si era praticamente lanciato addosso.

Durante la mattinata, Kurt Hummel si era sentito decisamente annoiato. Disegnava tanti cuoricini con scritto il nome di Blaine ed il suo sulla copertina del quaderno, e ripensava al modo in cui gli amici (e Dave, ma quella era un’altra storia), l’avevano convinto a tornare al McKinley. Era successo solo un paio di giorni prima, ed il fidanzato gli mancava enormemente. L’unico motivo per cui non scoppiava a piangere ogni due secondi era nascosto dietro all’evento che di lì a poco avrebbe travolto la loro scuola. Il Prom. Alla Dalton non potevano, ovviamente, organizzare un ballo, non avevano il permesso di invitare ragazze di altre scuole. Ma adesso Kurt poteva già pregustare il momento in cui avrebbe chiesto a Blaine di essere il suo accompagnatore. Tutti quei pensieri smielati vennero bruscamente interrotti da qualcosa di altrettanto smielato. Quando il biondino capì cosa stava succedendo, batté le mani un paio di volte, negli occhi una scintilla emozionata.
-Una dichiarazione d’amore!- pronunciò nel bel mezzo della lezione, mentre gli altri, ammutoliti, fissavano gli altoparlanti come se ne dovesse uscir fuori un coniglio color ravanello pronto ad ucciderli tutti. Anche se Rach non gli aveva ancora raccontato nulla dell’appuntamento, quella scenetta gli spiegò tante cose. Si fiondò fuori dall’aula senza neanche raccogliere i suoi oggetti e si diresse verso la classe dove sapeva essere l’amica, stritolandola in un abbraccio non appena sbucò fuori dalla porta. In quel momento vide una chioma vaporosa ed una pelle color cioccolato farsi strada tra la folla.
-Adesso si che sei nei guai. Adoro essere tornato in questa scuola!-

Mercedes Jones, indaffarata a dipingersi le unghie nell’unica ora di buco di quel mese, aveva deciso di tirarsi su il morale ficcandosi le cuffiette nelle orecchie ed ascoltando alcuni dei suoi pezzi preferiti. Ogni tanto lanciava occhiate stranite a Brittany, sua compagna di banco, perché intenta a costruire una casetta per gli omini delle sorprese che aveva trovato negli ovetti di cioccolato che le regalavano Artie e Santana. Diceva che la notte prima li aveva sentiti parlottare, quando pensavano che dormisse, intenti a decidere come torturarla per avere una nuova casa più comoda e spaziosa in cui stare. Mercedes aveva scosso la testa, e si era messa a creare disegni complicati sulla superficie liscia dell’unghia. Maledisse l’intero sistema scolastico quando un agghiacciante rumore proveniente dagli altoparlanti le fece tirare una riga dritta con l’applicatore, dipingendosi un dito di verde. Perché, con tutti i soldi che sprecavano per quegli aggeggi, non potevano comprarne di decenti? Non era possibile, ogni volta che un microfono veniva acceso, faceva dei versi terrificanti, distraendo ed impaurendo le varie classi. Solo la voce che sentì parlare qualche secondo dopo la distrasse dai suoi vaneggiamenti ed attirò terribilmente la sua attenzione. Scioccata, si voltò verso Britt, che, poco attenta ed interessata alla canzone di Puck, tirava palline di carta ad una Santana raggelata, con la medesima espressione della nera. Quest’ultima si alzò appena finita la canzone, uscì dalla classe senza chiedere neanche il permesso e si diresse dall’altra parte della scuola, dove sapeva che avrebbe trovato la sua migliore amica e probabilmente anche il suo migliore amico. Osservò per un attimo Kurt arrivare in scivolata davanti alla porta dell’aula di scienze, ridacchiò e quando li vide insieme, si avvicinò sorridente.
-Questa sera, pigiama party. Da me. E non voglio sentire obbiezioni.- mormorò quando gli fu abbastanza vicina, dando una pacca sulla spalla a Rachel.

Finn Hudson stava camminando per i corridoi con la fidanzata, Quinn Fabrey. Avevano ricevuto il permesso di affiggere volantini con i loro volti e distribuire penne con la dicitura “Hudson-Fabrey” un’ora al giorno tutti i giorni, ed anche se lui trovava tutto ciò estremamente umiliante, si costringeva puntualmente a camminare dietro di lei, fingendo un sorriso mentre pensava a quanto avrebbe voluto portare Rachel al ballo. Forse non era corretto, ma era un desiderio che sembrava attanagliarlo nei momenti più impensati, ora che la sentiva allontanarsi sempre più dalla sua vita. Doveva cercare un modo efficace per riaverla tutta per sé, senza far insospettire Quinn. Un duetto! Era un’idea perfetta…fin quando non si accorse di cosa stava succedendo a scuola. Sbatté contro la biondina e lei non si mosse, neanche disse una parola. Molto strano...
Oddio, Puck non si stava davvero dichiarando a Rachel davanti a tutta la scuola, no? Si dichiarava alla SUA Rach? Non poteva sopportare oltre. Si diresse con passo pesante verso l’ufficio del preside, lasciando Quinn ancora imbambolata nel bel mezzo del corridoio, dove erano spuntate diverse teste, pronte a fuggire dalla classe per andare a vedere cosa stava succedendo.

Sam Evans si morse il labbro inferiore, mentre cercava di tradurre una frase piuttosto difficile dall’inglese allo spagnolo. Il prof Schue, paziente, attendeva che i ragazzi finissero il compito assegnato, ma scappò dall’aula imprecando, appena la voce di Puck uscì chiara e forte dalle casse poste sul muro. Il biondo invece si immobilizzò, mentre diverse immagini piuttosto vivaci di Puck e Rachel insieme gli riempivano la mente. Si era avvicinato molto a Rach, negli ultimi tempi. Lei lo chiamava spesso al cellulare, lo riempiva di attenzioni, quasi soffocandolo di regali per lui ed i fratelli. Aveva cominciato anche ad invitarlo in mensa a mangiare con lei, che riempiva sempre un po’ troppo il suo vassoio e finiva irrimediabilmente per lamentarsi e convincerlo a mangiare tutti i suoi dolci. Lo trovava un comportamento poco corretto, un po’ umiliante e di sicuro poco sensibile, ma sopportava di buon grado le sue stranezze. Ora che Santana lo aveva mollato senza motivo, per mettersi con Karofsky, si sentiva solo e spaesato. Non voleva che i ragazzi lo trattassero in modo diverso, ma non era riuscito ad impedire a quel ciclone della Berry di insinuarsi nella sua vita e di sconvolgerla con la sua frizzante ed ingombrante personalità. Quindi, curioso, seguì lo strano istinto di raggiungere l’ufficio del preside e vedere se aveva capito bene. Puck aveva cantato una canzone per lei, e l’idea, ancora più stranamente, non gli andava giù. Arrivato al corridoio, notò che l’azione era già nel vivo. Finn stava urlando contro Noah, il quale sfoggiava uno dei suoi soliti sorrisetti da vincitore.
- Che vuoi, Hudson? Quinn non ti basta più? Hai perso ogni diritto su Rachel, fattene una ragione!- adesso Puck era decisamente arrabbiato. Anche Sam si ritrovò a pensare che lasciare in pace Rachel era la cosa più giusta. Ormai la conosceva, aveva imparato a capire quando soffriva per Finn, ed era sicuro che tutto il glee sapesse quanto stava male. Sfortunatamente era stato troppo preso da Quinn per potersi occupare della stella del gruppo come ora si rammaricava di non aver fatto. Quando stavano per arrivare alle mani, il prof Schue intervenne tempestivamente, ed anche lui si diresse verso i due per tenerli lontani.
-Siete impazziti? Se davvero tenete a Rachel, non pensate che abbia già abbastanza problemi per stare dietro anche ai vostri battibecchi? Non è una bambola da strapazzare, imbecilli.- disse spontaneo, convinto. Schue e Finn da una parte, Puck dall’altra, dimenticarono di essere nel bel mezzo di una rissa, per fissarlo con la bocca aperta. Non gli importava cosa pensavano di lui, gli bastava che capissero che Rachel era molto più importante di una stupida contesa amorosa. Dopo quello che tutti, in quella scuola, le avevano fatto passare, meritava un po’ di pace. Noah prese Sam per un braccio e se lo trascinò via, lasciandosi alle spalle un Finn furibondo che, trattenuto a stento dalle braccia del professore, gli urlò dietro quello che sembrava un “non finisce qui, Puckerman”.

Jesse St. James era di nuovo a Lima. Respirò a fondo l’aria frizzante del mattino, stiracchiandosi davanti al vialetto di casa sua. Aveva programmato tante cose, prima delle quali, una visita alla sua Alma Mater, dove sperava di trovare la signorina Corcoran intenta a torturare qualcuno dei suoi studenti. Poi si sarebbe diretto al McKinley, pronto a prostrarsi ai piedi del suo unico e primo amore, che per tanto tempo aveva tralasciato, inseguendo la carriera ed i sogni di gloria. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma decisamente ne valeva la pena. Vederla fare storie per la sua ricomparsa, sbuffare alle sue parole, magari anche uscire teatralmente lasciandolo solo all’improvviso…non aspettava altro. Tirò le chiavi fuori dalla tasca e si diresse verso l’auto con passo sicuro. Nessuno poteva resistergli, ed era certo che lei ricambiasse ancora quel sentimento che a volte, di notte, riusciva a soffocarlo in una morsa d’acciaio. Non era solo un’infatuazione, questo era amore, con la “a” maiuscola.

Alex Heinze era appostato fuori da quella stupida scuola, l’espressione da cagnolino pentito e bastonato che aveva provato più e più volte stampata sul viso perfetto. Si passò una mano tra i capelli mossi, le spalle poggiate al muro e le braccia incrociate al petto mentre un fiume di studenti cominciava ad uscire dal portone principale. Sistemò il maglione chiaro e si toccò la cinta, cercando la moretta con lo sguardo. Riconobbe i suoi amici, che la tenevano a braccetto tra di loro. Quella ragazzina sembrava la più innocente delle creature, le gote rosse e gli occhi fissi in terra, come se quello che gli amici le stavano dicendo la facesse sentire esageratamente in imbarazzo. Certo era che quei jeans a vita decisamente bassa in cui era strizzata, e quella specie di corpetto bianco con una spallina scivolata sulla spalla mandavano segnali differenti. Per lui, almeno. Si avvicinò ai tre, fingendo un’aria mogia e contrita.
-Ciao Rach.- borbottò, riuscendo comunque a farsi sentire in mezzo alla folla.
-Tuccheddiaminecifaiqui?- Mercedes era stata la prima a rispondere, dopo lo shock iniziale per quella visita completamente inaspettata. Gli puntò un dito contro, portandosi Rachel alle spalle con fare protettivo.
-Sparisci il più in fretta possibile, se non vuoi che ti stacchi i denti uno ad uno.- più seria di così…il biondo sentì un brivido passargli lungo la schiena, ma più il gioco era difficile, più gli piaceva giocare.
-Non sono qui per darle fastidio. Sono qui per scusarmi. Non so cosa mi sia preso quella sera, forse l’emozione della magnifica esibizione, non ne ho la più pallida idea!- si batté una mano sulla fronte, corrucciando le labbra. Sembrava davvero pentito, si stava impegnando davvero tanto.
-Tranquilli, ragazzi. Non credo succederà ancora una cosa del genere, vero Alex?- sentire al sua voce gli lasciò una bella sensazione, dopotutto l’intonazione, la pronuncia, persino le pause erano perfette, se provenivano da quella bocca carnosa. Cercò di trattenere un ghigno spontaneo, altrimenti avrebbe mandato tutto all’aria.
-Lo prometto. Vorrei…vorrei parlarti, se mi dai il permesso.- ecco, aveva recitato la sua parte e vedeva già l’insicurezza far capolino nei suoi occhi. Mentre in quelli degli altri due c’erano astio e sospetto. Lei però annuì, e fece qualche passo verso di lui. Mercedes e Kurt fecero per parlare, ma lei si voltò e sorrise, cercando di sembrare sicura.
-Non preoccupatevi ragazzi. E poi sarò a portata d’orecchie, ok?-  affermò, precedendolo verso il campetto. Lui la seguì a qualche passo di distanza, fermandosi di colpo quando lei girò l’angolo. Se la ritrovò davanti, a braccia incrociate, palesemente diffidente.
-Cosa vuoi Alex? Sono una magnifica attrice, so riconoscere chi mente. Dimmi quello che vuoi e poi vattene. Non permetterò che quello che hai fatto intralci le nostre prove, lo devo a Noah, Oliver e Jim.- tirò un profondo respiro, fissandolo negli occhi. Povera illusa. Pensava di fargli paura? Non avrebbe mai vinto, contro di lui. Quindi alzò un braccio, per prendere il suo visetto delicato tra le dita.
-Rach, davvero, sono qui solo per complimentarmi con te, come non ho potuto fare quella sera. Non voglio che…- stava continuando imperterrito col suo piano, fingendosi il bravo ragazzo che non era. Lei allontanò il viso di scatto, ma stette a sentire quello che aveva da dire. Semplicemente, non poté terminare il discorso. Gli fu fisicamente impedito.

Noah e Sam si trovavano nel campo da allenamento, uno di fronte all’altro, in silenzio. Il primo a sciogliere quel silenzio fu il biondo, togliendosi la frangia lunga dalla fronte.
-Che c’è, Puckerman? Ti brucia il mio discorso, perché sai che è vero?- lo guardò intensamente, ma senza aria di sfida. Tutto quello che voleva era che Rachel stesse bene.
-Sam. Devi essere sincero. A te piace Rachel? Vedo come la guardi, e come lei ti tratta. Ma non puoi illuderti di qualcosa che non c’è. Lei ti vuole bene, ne sono sicuro. E ti considera un ottimo amico, ma non credo ci sia nulla di più.- Puck buttò fuori quel discorso, sperando di essere stato abbastanza delicato ma di aver anche messo in chiaro che l’altro non avrebbe avuto possibilità con la sua principessa. Evans rimase basito quel momento o due, prima di scuotere il capo, un briciolo di tristezza negli occhi blu.
-Qualunque cosa io provi, non sono affari che ti riguardano. Tu vedi solo di rigare dritto e di non farle del male. Altrimenti sarò costretto ad intervenire.- si fissarono seri, per un minuto buono. Poi Puck gli diede una pacca sulla spalla e gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo dietro verso l’entrata della scuola. Stava per dire qualcosa, ma venne interrotto dalla voce di Rachel ed un’altra che conosceva altrettanto bene. Con quanti avrebbe dovuto lottare per quella splendida ragazza? Gli bastò vedere le dita di lui appropriarsi del suo mento per sentire il sangue salirgli alla testa. Lasciò Sam nel punto in cui si erano fermati e si diresse velocemente verso la coppia. Stava letteralmente bollendo di gelosia, visto che la moretta non aveva ancora scacciato la mano di Alex. Gli si fiondò addosso, parandosi tra i due e stringendo il polso del batterista in una mano. Erano più o meno della stessa altezza, quindi si fissarono negli occhi senza problemi. Noah stava praticamente ringhiando.
-Vattene, idiota. Ti ho già detto che devi lasciarla stare. Se ti ribecco a gironzolare qui intorno, ti taglio quel coso che ti ritrovi in mezzo alle gambe.- venne affiancato da Sam, confuso ma sul piede di battaglia. Rachel era completamente sparita dietro le due figure, ma si fece sentire.
-Stava giusto andando via. Vero, Alex?- ripeté, proprio come poco prima. I due si voltarono verso di lei, fissandola con sguardo poco convinto.
-Rach, devi capire che non può stare da solo con te. Devi sempre essere accompagnata, quando c’è questo verme intorno.- Puck osservò Sam, cercando di fargli capire che avrebbe gradito enormemente se avesse portato via l’altro. Gli lasciò il polso, e velocemente i due biondi sparirono alla vista.
-Devi per forza farmi prendere certe paure, Berry?- la fissava contrariato, prima di sospirare passandosi una mano nella mohawk. Quello che davvero non si sarebbe aspettato fu sentire le sue braccia nude allacciarsi intorno al suo collo, e due labbra morbide e calde sulle sue. Il cuore di entrambi perse un battito, quando lui l’abbracciò stretta alla vita, sollevandola di poco da terra per poi schiacciarla tra il muro e sé stesso. Non aveva bisogno di altre parole, gli bastò rimanere lì per quella che sembrò un’eternità, l’unico rumore era quello dei respiri spezzati di entrambi mentre boccheggiavano alla ricerca di ossigeno, solo per riprendere a baciarsi.
Non si accorsero di nulla, neanche del fatto che tutti potevano vederli, mentre si dirigevano alle auto, o alla fermata del pullman per tornare a casa. L’unico sguardo che forse si dimostrò un po’ troppo invadente fu quello di Finn. Rosso di rabbia, stringeva un foglio tra le mani e moriva dentro al solo pensare che lei non l’aveva mai baciato con altrettanta passione.

 

Ok, mi sono un minimo ricollegata alla trama, sperando di non aver fatto grossi casini. Ma solo io sto piangendo per l’ultima puntata? Q_Q
Se così non fosse, allora capitemi, la fine di questo capitolo potrebbe dirsi un po’ scontata, ma sono ancora imbambolata davanti ad alcune adorabili scene di “New York”. Spero comunque di non avervi deluso troppo, so che l’attesa è sempre snervante. Un enorme grazie a chi recensisce, mi aggiunge tra i preferiti/seguiti/ricordati ed a chi semplicemente legge. Mi rendete orgogliosa!! **

Chiedo venia per gli eventuali orrori di ortografia e battitura.

BascioCascio
Vevve

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Capitolo 11
*** The scientist ***


The scientist

The Scientist

Jesse, appena sceso dalla macchina, si diresse con passo sicuro e spavaldo verso l’entrata del liceo McKinley. Più o meno convinto che, al primo sguardo, lei si sarebbe fiondata tra le sue braccia, accorgendosi solo pochi secondi dopo che probabilmente doveva essere arrabbiata a morte con lui; aveva un sorriso così smagliante che parecchie ragazze si fermarono a guardarlo, mentre lui passava con tranquillità e scioltezza in quella folla di ragazzini. Purtroppo per lui, le cose non andarono come si aspettava. Rachel, a braccetto con Kurt e Mercedes? Era uno strano sogno, decisamente un’immagine diversa da quella che si era immaginato di trovare. Era andato a pensare di tutto, anche di trovarla tra le braccia di quel Lurch ambulante, ma che avesse stretto amicizia con quei due…impensabile. Soltanto il suo abbigliamento lo stupì più di quel fatto. La sua piccola Barbra era…era…diventata una donna. Non sapeva come altro definirla. Probabilmente gli era arrivata la mascella a terra, perché sentiva qualcuno ridacchiare alle sue spalle. Quanto si era perso della sua vita? E come poteva anche solo pensare di rimettersi in pari, quando doveva ancora farsi perdonare da lei?
Sembrava comunque che le sorprese non fossero finite. Notò un tipo aitante, biondo, bellissimo. Sembrava un attore di Hollywood. Si stava lentamente avvicinando a lei, con aria affranta.
Gelosia. Una profonda, dirompente gelosia gli scorreva nelle vene, mentre osservava a distanza ravvicinata la scenetta. I due amici della ragazza sembravano piuttosto arrabbiati, e si ritrovò a pensare di dover ringraziare quei due, se ci tenevano così tanto da volerla proteggere da quel bell’imbusto. Veloce e discreto, li seguì a pochi passi di distanza, e quando girarono l’angolo, lui sgattaiolò dietro alla recinzione che circondava la scuola, abbastanza vicino per origliare, abbastanza nascosto per non essere visto.

-Cosa vuoi Alex? Sono una magnifica attrice, so riconoscere chi mente. Dimmi quello che vuoi e poi vattene. Non permetterò che quello che hai fatto intralci le nostre prove, lo devo a Noah, Oliver e Jim.- la sentì mormorare, astiosa nei confronti del ragazzo. Più tardi avrebbe esaminato ogni parola, con calma. Troppe informazioni concentrate in soli cinque minuti della sua vita. E poi successe. Lui le mise una mano sotto al mento, avvicinandola a sé, guardandola in un modo che fece accendere nella mente di Jesse un campanello d’allarme. Quel tipo era pericoloso. Se non fosse arrivato quel bestione di Puckerman, seguito da un altro biondino con la felpa della squadra di football, sarebbe intervenuto. Ma voleva vedere come si sarebbe evoluta la cosa. Sentì ogni singola parola, e capì che anche se Rachel l’avesse rifiutato, doveva rimanere nei dintorni per un po’, giusto quel che bastava per dare una lezione a quel tipo. Seguì i due biondi con lo sguardo, senza prestare attenzione al discorso tra la sua diva ed il crestato. Grosso sbaglio. Enorme, gigantesco, mastodontico sbaglio. Una fitta al torace lo colpì, quando vide come si baciavano quei due, in bella vista, ignari degli sguardi di chi li circondava. Quella era vera passione. Quando era successo? Perché? Dov’era finite la sua casta, dolce, a volte imbranata Rachel? E perché stava baciando proprio Noah Puckerman? Se stava con lui, voleva dire che gli si era donata completamente. Non c’erano altre spiegazioni. Fu come un fulmine a ciel sereno. Tutto quello che aveva sperato, sognato, progettato andò in frantumi davanti ai suoi occhi, il suo peggiore incubo incarnato da quei due corpi stretti che aveva davanti.  Lui era Jesse St. James, e non avrebbe potuto riavere la sua bella Rachel per sé. L’unica donna che avesse mai desiderato gli era stata portata via. Ma non voleva, non poteva, non riusciva ad arrendersi. Senza pensarci due volte, fece il giro della recinzione metallica e si fermò davanti alla coppia. I pugni chiusi, le braccia tese lungo i fianchi, l’aria concentrata e quasi rabbiosa.
-Rachel.- voleva pronunciare quel nome con sicurezza, ma tutto quel che ne venne fuori, fu un’intonazione delicata. Era impossibile per lui provare altri sentimenti al di fuori dell’amore, della gioia, quando doveva pronunciarlo. Scosse il capo, un ricciolo chiaro gli sfiorò la fronte e lui lo ricacciò via con un gesto secco della mano. Li vide voltarsi entrambi, stupiti. L’espressione della ragazza era incerta, ed in qualche modo imbarazzata. Sembrava che l’avesse beccata con le mani nel barattolo della marmellata. In una frazione di secondo passò dal guardare lui al volto di Noah. Sembrava terrorizzata. Il ragazzo infatti era terrificante. All’inizio era solo scocciato, poi quando l’aveva riconosciuto era passato dallo sconforto, al fastidio, alla furia.
-St. James. Ho già abbastanza problemi, qui, senza che ti immischi anche tu. Quindi vedi di riportare il tuo sedere a Los Angeles e rimanici, ok?- sembrava stanco, quando si passò una mano sulla cresta, stringendo il fianco di Rachel in un abbraccio possessivo. Jesse era decisamente combattuto. Era stato lui a far comparire quello sguardo malinconico sullo splendido viso della ex? Cosa le aveva fatto? Ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto doveva essere successo dopo che se n’era andato. Non aveva dubbi, lei si era rifatta una vita. Ma voleva provare a spiegarsi, a spiegarle che non doveva aver più paura di una sua scomparsa.
Voleva restarle accanto.
-Puckerman. Per favore.
E’ lei che deve scegliere.- forse cercare di raggiungere un accordo, senza aggredirlo, poteva essere un buon sistema per cavarsela senza un occhio nero. Era un modo maturo di comportarsi, e sicuramente lei l’avrebbe apprezzato. Ed era a lei che rivolse il suo sorriso più tenero, pentito. La mora si morse il labbro superiore, stringendo forte la mano del giocatore di football.
-Noah, io…voglio parlare con lui. Dopotutto, mi deve una spiegazione.- annuì, quasi a voler convincere sé stessa, facendo qualche passo incerto verso l’ex cantante dei Vocal Adrenaline. Lui incassò la testa tra le spalle, lasciandole la mano, poi sembrò avere un’illuminazione.
-Vengo con voi. Se è solo una spiegazione, che deve darti, allora potrà farlo in mia presenza.- gli spuntò un sorrisetto arrogante sul visto, mentre fissava la schiena di Rachel, prima di passare sull’altro ragazzo.
-E’ una cosa che voglio fare da sola, per favore. Appena finisco ti chiamo, ok?- senza voltarsi, Rachel precedette Jesse, che scappò dallo sguardo truce e carico di promesse per niente rassicuranti che l’altro gli stava lanciando.

 

La scuola era ancora aperta, e lui sapeva già dove la Berry voleva portarlo. Le rimase sempre a due passi di distanza, osservando il suo corpo, il modo di muoversi, i capelli un po’ più corti di quando l’aveva lasciata, ma altrettanto belli alla vista. La moretta voltò sicura a sinistra, respirando a pieni polmoni. Anche solo sentire l’odore particolare, tipico dell’auditorium, riusciva a calmarla. Il suono dei tacchi rimbombava maggiormente nell’acustica perfetta, favorita dal silenzio pesante di un edificio ormai vuoto. Si fermò a metà della platea, voltandosi repentina verso di lui.
-Ora ci siamo. Questa è la giornata delle sorprese, per me.- sbuffò, sapendo che l’altro non avrebbe potuto capire le sue parole.
-Rachel io…- non gli diede neanche il tempo di finire.
-Jesse. Lo so perché sei qui. Sei pentito per ciò che mi hai fatto, e non me ne stupisco. Sei sempre stato un bravo ragazzo, infondo. Ma quello che avevamo…si è perso nel tempo. Se tu fossi tornato, subito dopo le Regionali, forse…forse avremmo avuto qualche possibilità in più.
Ma adesso devo dirtelo. Non c’è posto nel mio cuore, per te.- diavolo. Era sincera. Non c’era stato alcun tentennamento, né nella voce, né nei suoi occhi. Era arrivato davvero troppo tardi?
-E’ per Puck? Quel giocatore sotto steroidi con il cervello nei pantaloni?- sputò lui rabbiosamente, maledicendosi l’istante dopo aver pronunciato quelle parole. Poté scorgere negli occhi castani di Rachel il momento in cui aveva perso l’ultima possibilità di farle ascoltare le sue motivazioni.
-Si, è per Noah. Ci siamo appena avvicinati, e voglio…voglio darci una possibilità. Infondo, è sempre stato accanto a me, è lui che mi ha protetta da tutti, che mi ha sempre appoggiata. Al contrario di te, o di Finn. Per favore, ti chiedo solo di rispettare la mia decisione. Fallo per quello che c’è stato tra di noi. Se ancora ci tieni a me, lasciami libera di provare.- portò lo sguardo in terra, allungando una mano per afferrare il bordo di una poltroncina. Cosa poteva fare adesso?
-Vorrei poter tornare indietro, all’inizio della nostra relazione. Vorrei poterti dire che ti ho avvicinata senza scopi nascosti, ma già sai che non è così. Lungo il cammino della nostra amicizia…mi sono innamorato di te.
E da stupido quale sono, ho rovinato tutto. Però ti amo ancora. Ti prego solo di non dimenticarlo, se lui ti farà soffrire. Rimarrò qui ancora per un po’. Magari aspettando una tua telefonata.- ancora una volta, doveva lasciarla andare. Era estremamente difficile, ma doveva farlo. Doveva farlo per tornare a veder brillare i suoi occhi di tranquillità, perché non voleva lasciarle un’immagine di lui così amara. Poteva lasciarla andare. Magari un giorno avrebbe scoperto che, infondo al cuore, il sentimento che li legava non era mai svanito. Per ora doveva accontentarsi di sapere che stava bene, e che, seppure gli costasse ammetterlo, era al sicuro. C’era chi l’avrebbe protetta al posto suo.
-Se vuoi andare, non ti trattengo. Pensi che possa rimanere qui, ancora qualche minuto?- le si avvicinò, inspirando ancora una volta quell’incantevole profumo che riportava alla sua mente ricordi preziosi. Scivolò al suo fianco, toccandole il viso, poi si diresse verso il palco, con passi lenti e pesanti.
-Sicuro che vada tutto bene?- si mosse per raggiungerlo, posando una mano sulla sua spalla. Era sempre la solita Rachel. Si preoccupava anche di chi le aveva fatto del male.
Non poteva farci niente.
-Si, certo.
Vai.- sorrise amaro. Lei gli diede un leggero bacio sulla guancia, prima di tornare sui suoi passi, lentamente. Quasi le pesasse allontanarsi da lì. Lui salì sul palco, lanciando uno sguardo alla moretta e posizionandosi al centro di esso. Quella doveva essere l’uscita di scena di Jesse St. James. Così, senza accompagnamento musicale, cominciò a cantare, sperando in un ultimo sguardo.

Come up to meet you, tell you I’m sorry, 
You don’t know how lovely you are. 
I had to find you, tell you I need you, 
Te
ll you I set you apart. 

Tell me your secrets and ask me your questions, 
Oh, lets go back to the start. 
Running in circles, coming in tales, 
Heads are a science apart. 

Nobody said it was easy, 
It's such a shame for us to part. 
Nobody said it was easy, 
No-one ever said it would be this hard, 
Oh take me back to the start. 
Im going back to the start. 

Rachel si fermò, sentendo un familiare pizzicorio agli occhi. Non doveva piangere per lui. Non meritava altre lacrime. Doveva soltanto pensare a Noah, che probabilmente l’aspettava fuori dalla scuola. Ma non poté trattenersi dal lanciargli un’ultima occhiata, prima di uscire. Aspettò sulla porta che finisse di cantare, e lo guardò, annuendo. Lo stava perdonando, ma non poteva dargli di più. Finalmente uscì dalla sala, senza voltarsi indietro. Lui se la sarebbe cavata, era un ragazzo forte e di sicuro non avrebbe avuto problemi a trovare altro su cui rivolgere i propri pensieri. Lei invece, voleva solo riavere le braccia forti di Puckerman a sostenerla, in quel momento.

 

Ok. Sono tornata. E questo capitolo non mi piace. Sarà che fare del male al piccolo Jesse fa male anche a me. Però, se voglio portare avanti la storia, devo liberarmi di qualche personaggio. Se le mie previsioni sono esatte, potrebbero mancare sui 5 capitoli alla fine di questa FF. Non so più se considerarla long, ma non fa niente.
Non so che dirvi…siete davvero tutti magnifici, le recensioni, il numero di visite, chi segue la storia…mi fate davvero battere il cuore. Vi mando un bacione, mi scuso per eventuali orrori di ortografia e battitura e me ne vado a lettino.
:)

Vevve

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Capitolo 12
*** Deep it low ***


Deep it low

L’ispanica batteva insistentemente il piede sul pavimento. Aveva seguito con orrore ogni scena della riunione Puckelberry, quel giorno, e non poteva esserne più nauseata. Come osava la nasona mettere le mani sul suo amico di letto? Puck era l’ultima speranza a cui poteva aggrapparsi. L’ultima parvenza di normalità che le permetteva di mantenere il suo status sociale al McKinley. Non che gliene rimanesse tanto, ma…doveva assolutamente riprendersi il suo bamboccio! Aveva sentito quella dichiarazione sdolcinata e disgustata aveva deciso di seguire fuori le tre dive da musical della scuola. Aveva occhi dappertutto e si era fatta tenere al corrente di quello che succedeva nei corridoi e sui campi da gioco, ovunque fossero andati quelli del Glee, tramite messaggi delle altre Cheerios, che al momento erano sotto il suo comando. Nasona, Aretha e Procellana (anche lei ormai utilizzava i nomignoli della Sylvester) erano fuori dall’edificio, alle prese con quel biondino della band di sfigati messa su da Puckerman. E sembrava che lui fosse in netta minoranza. Chissà se poteva dargli una mano, magari trovando un alleato per allontanare la Berry dall’altro ebreo? Finn era stato trascinato via da Schue a leccarsi le ferite per una lotta persa in partenza. Ma di lui non le fregava tanto. Sembrava invece che Sam, il suo ex cagnolino da compagnia, avesse scoperto di avere una cotta per Rachel e che Puck avesse messo le cose in chiaro. Ed ora era tornato St. James. Ma quella nanetta era una calamità per disastri personali o cosa? Scosse il capo, la chioma scura ormai libera dalla coda alta, finite le lezioni, che oscillava sulle spalle in onde perfette. Accanto a lei, David la guardava annoiato e pentito di averla accompagnata in quella sua missione di spionaggio. – Ah! Si quieres irte, vete! * - sbuffò, infastidita, vedendolo andarsene e borbottare una qualche specie di insulto sulla razza ispanica. Gliel’avrebbe fatta pagare, magari il giorno dopo, rasandogli parti del corpo che voleva fossero sempre ben coperte. Con disgusto, si incamminò verso l’auditorium, dove sapeva essersi diretta la vecchia St. Berry. Rimase dietro l’angolo, ad aspettare pazientemente che uno dei due uscisse, perché qualcuno l’aveva preceduta. Puck era piazzato fuori dalla porta, le spalle al muro piegate verso il basso, il piede che batteva nervoso a terra e le mani ficcate nelle tasche dei jeans, probabilmente per impedirsi di dare pugni a qualcosa. Lo conosceva troppo bene. Si morse un labbro. Poteva davvero continuare così? Ad usare tutti per i suoi porci comodi? Per nascondere le tracce di un amore che tanto le stava a cuore, ma che la faceva vergognare di se stessa? Si riscosse dalla spirale di lugubri pensieri nella quale non voleva ricadere, non lì, quando Jesse cominciò a cantare qualcosa di estremamente sdolcinato (e perfettamente intonato, doveva ammetterlo). Di lì a poco, mentre le note ancora riempivano l’aria, vide la moretta uscire dall’auditorium, sorpresa e quasi sollevata nel vedere Puckerman lì ad aspettarla. Lui aveva uno sguardo truce, ma quando lei si buttò tra le sue braccia, sospirando pesantemente, si sciolse ed il sollievo gli restituì una postura più tranquilla, mentre le accarezzava i capelli e rimaneva in silenzio.
-E’ andata. Non…non credo che tornerà da me. Non…non l’ho visto troppo bene…- sussurrò la ragazza, la voce ancora più bassa a causa delle parole pronunciate a ridosso del petto di Noah. –Shhh. Va tutto bene. Ci sono qui io. Voglio solo…voglio solo sapere se provi ancora qualcosa per lui. Se hai cambiato idea.-
Non poteva più stare ad origliare. Le faceva male vedere quella complicità che con lei il ragazzo non aveva mai avuto e che solo una persona le aveva saputo dare. Scappò via cercando di fare il meno rumore possibile, allontanandosi da quel quadretto troppo smielato e doloroso per i suoi gusti.

***

Altra giornata da affrontare al McKinley. L’ispanica entrò come di consueto in elegante ritardo, a braccetto con Karofsky. Lui era diventato più bravo a nascondere la sua goffagine di fianco a lei, e lei aveva imparato a non insultarlo davanti agli altri. Che poi in privato si sbizzarrisse, invece di farci sesso come pensavano tutti, era affar loro. Si fece lasciare davanti all’aula e come sempre si scambiarono qualche effusione di facciata, baciandosi con tanto di lingua giusto per venire ripresi dal professore ed attirare di più l’attenzione. Quando Dave partì per la sua, di lezione, lei entrò in classe con quelle falcate lunghe e sculettanti che facevano voltare tutti gli sguardi nella sua direzione. Era il modo in cui si sedeva, però, che cozzava con l’immagine di seduttrice. Perdeva tutta la grazia e si afflosciava sulla sedia come se il peso del mondo gravasse sulle sue spalle. E nessuno sapeva che per lei, in buona parte era così. Dover stare tutti i giorni a sedere accanto a Brittany, le costava sempre più sforzo. Mentre tempo prima agognava il momento in cui si sarebbe seduta lì, ora le diventava sempre più difficile. Perché le sue mani bramavano di incontrare quelle della biondina, di accarezzare la pelle morbida e liscia della coscia e risalire poi pian piano sotto la gonna, cercando di non destare troppi sospetti quando discretamente faceva scivolare le dita sotto le mutandine della compagna e le dava piacere davanti a quel branco di imbecilli, che non si accorgevano di quello che stava capitando sotto il loro nasi. Aveva escogitato tutto alla perfezione ed in ogni classe che frequentavano insieme aveva scelto di persona i loro posti e chi doveva essere davanti ed intorno a loro. Solitamente erano i più grossi, per coprirle meglio, oppure quegli sfigati che avevano troppa paura per voltarsi a controllare come mai Britt facesse quei versetti paradisiaci che loro solo lì potevano sognare di sentire. Adesso però, non poteva più. Da quando si era messa con il giocatore omofobo della scuola, l’altra si era allontanata, stupita ed offesa da quel cambiamento di rotta. Offesa perché non aveva voluto indossare la sua maglietta per il compito su Lady Gaga e Born This Way. Ma non poteva ammetterlo, non davanti agli altri. Non voleva ammettere neanche a se stessa di essere lesbica e non bicuriosa, come l’altra soleva definire il loro orientamento sessuale. Aspettò che passassero le ore, sempre più nervosa, e quando finalmente arrivò l’ora dell’intervallo, fuggì veloce verso i bagni, dove si rifugiò, facendo scappare tutte le sciacquette che stavano facendo i loro comodi, ridacchiando e divertendosi mentre lei aveva cose ben più serie  a cui pensare. Poggiò entrambe le mani sul lavandino, facendo respiri profondi e cercando di calmarsi. –Non devi pensarci, Lopez. Non è più affar tuo, non ti vuole. Ormai sta bene così.- Quello che non poteva aspettarsi, mentre ripeteva le stesse parole a mo’ di cantilena, per convincersi che fossero vere, era che proprio la Berry uscisse da uno dei cubicoli alla sua destra. Qualcosa in Santana scattò, d’improvviso. Quando gli occhioni di Rachel incontrarono i suoi, timidi ma pieni di compassione, fu come non vederci più. Fu il fatidico mantello rosso davanti allo sguardo di un toro. Le si avventò contro, urlando inferocita e prendendola per la maglia rossa, legata su un lato del fianco per lasciare scoperta parte della pancia, i jeans bianchi a fasciarle le curve in modo fin troppo provocante. – Che vuoi tu, eh? Ladra, ecco cosa sei. Devi stare lontana da Puckerman, lui è mio. Hai capito bene, mio!- e senza sapere cosa le fosse preso, tirò uno schiaffo alla piccola moretta, i capelli di lei che uscirono a ciocche dalla crocchia morbida alla base della nuca, in ricci scomposti per la violenza dell’impatto. Entrambe si immobilizzarono per diversi secondi, senza trovare altro da dire. Santana improvvisamente tirò un pugno alla porta del bagno dalla quale Rachel sembrava essere uscita ore prima, imprecando in spagnolo dal dolore. L’altra balzò, sorpresa e spaventata. Negli occhi sembrava esserci totale confusione, e la pena per quella povera ragazza, colpevole soltanto di trovarsi vicino a lei nel momento sbagliato, la colpì più che se avesse ricevuto uno schiaffo dall’altra. Dio, ora sì che si stava odiando. – Berry. Rachel, dimmi qualcosa. Parla, ti…ti prego. Io non…- non poté terminare la frase. La piccola dalla personalità ingombrante del Glee, l’aveva delicatamente presa per un polso e l’aveva riportata al lavandino, dove aprì l’acqua fredda e le ficcò la mano sotto il getto. Per un attimo dovette trattenere il respiro. Nella concitazione del momento non si era resa conto di quanto male si fosse fatta, non finché non aveva provato il sollievo freddo che quel piccolo gesto le dava. Sospirando, si allungò in avanti fino a poggiare la fronte contro lo specchio pulito. –Ora mi devi qualcosa, Santana. Mi devi una spiegazione. Mi devi dire perché allontani la povera Brittany e ti nascondi dentro ai pantaloni dei maschi. Me lo devi.- la voce di Rachel era dura, ma tremava terribilmente. La guancia le era diventata rossa, ma sembrava non preoccuparsene. Non stava piangendo, lei non piangeva mai. O almeno, non si faceva mai vedere. Scappava prima che gli altri potessero vedere una sua debolezza. Si stupì di non aver mai pensato prima a quel tratto che l’accomunava all’altra. Se ci pensava a fondo, non era neanche l’unica cosa in cui si assomigliavano, ma non l’avrebbe detto, neanche tra un milione di anni. La guardò, cupa in volto ed annuì un paio di volte. –Andiamo da me, oggi pomeriggio. Fatti trovare pronta alle 14, finite le lezioni, in palestra. Mi cambierò e ti aspetterò lì una volta che le altre saranno andate. Anche se hai cambiato look, non voglio farmi vedere con una sf…strana come te.- sospirando, chiuse gli occhi e rimise la mano sotto l’acqua, fingendo di non sentire l’altra che le accarezzava la spalla sopra la divisa ed usciva discreta dal bagno.

***

Quel pomeriggio si era rivelato decente, se non piacevole, a tratti. Si era sfogata, come mai aveva fatto prima. Le chiacchierate con Quinn solitamente vertevano su ragazzi, trucco, ragazzi, cheerleading, ragazzi, scuola e, come argomento più serio e delicato, i genitori. Entrambe le api regine della scuola avevano in comune dei genitori assenti e poco inclini a supportare le loro decisioni. Le viziavano fino all’inverosimile, ma non dedicavano le giuste attenzioni alle due, che alla fine si ritrovavano ubriache ad inveire contro chi le aveva messe al mondo. Rachel invece aveva un modo fastidioso e tutto suo per andare dritta al punto, quasi dolorosamente diretta.
“Da quanto sei innamorata di Brittany?” le aveva chiesto, così, quasi con leggerezza. E per un momento l’aveva odiata più di quanto potesse pensare possibile. Ma quello sguardo ricolmo di comprensione l’aveva bloccata, impedendole di tirar fuori la piccola pistola che il padre le faceva tenere nel cassettino del comò, accanto al letto. Lei era una perdente, un’emarginata, ed anche con tutte le cattiverie che le aveva riversato addosso in quegli anni, non aveva mai usato una cattiva parola contro di lei, non intenzionalmente almeno. E allora si era aperta. Rachel aveva esperienza, con i suoi papà gay, e sembrava quasi che con le sue parole volesse psicanalizzarla per farle trovare un po’ di quella pace che ancora non riusciva a trovare. Ed effettivamente, così era stato. A metà pomeriggio, aveva acceso lo stereo ed una vecchia canzone di Christina Milian era la prima nella sua playlist. Le aveva spiegato come quella canzone potesse eccitare un maschio all’inverosimile, e la piccola Berry si era dimostrata fin troppo interessata. Ecco come era stato ideato il primo duetto Pezberry.

***

Insicure su come muoversi, Santana voleva andare dritta da Schuester, lanciargli qualche insulto poco velato e confonderlo, così che avessero modo di esibirsi davanti al Glee e ai due che nel gruppo avevano catturato i loro cuori, senza che lui facesse troppe storie. Rachel invece, sempre così precisa in tutto, sempre convinta che avere un piano ben congeniato fosse la migliore mossa, le aveva dato istruzioni diverse.
Dopo aver profumatamente pagato uno dei giocatori di football, famoso per i suoi gilet, ed averlo convinto a fare una piccola svendita fuori dalla scuola, furono sicure che Mr Schue non sarebbe stato un problema. Che fosse per controllare che non ci fossero vendite illegali fuori dall’istituto, o per la sua passione per quell’orrendo capo di abbigliamento, fu immediatamente fuori dall’aula non appena venne avvertito del fatto. San e Rachel si guardarono complici, alzandosi contemporaneamente dalle loro sedie ai lati opposti dell’aula e dirigendosi verso la porta.
-Fareste meglio a muovere quei sederi pigri e dirigervi verso l’auditorium. C’è una sorpresa per voi.- detto questo, la mora uscì con un colpo di coda, senza attendere l’altra che rispondeva tacitamente allo sguardo preoccupato di Puck. Non voleva che avesse troppo a che fare con Santana, era strana negli ultimi tempi e se se la fosse presa con la sua principessina non avrebbe esitato a toccare una donna, pur di difenderla. Ma lo sguardo di Rachel lo rassicurò e lui si mise accanto a Kurt e Mercedes, che sembravano volere la sua opinione (o qualche pettegolezzo) su quello che stava per succedere. Britt li seguiva a ruota, e poi tutti gli altri, ma la ragazza era quella che più cercava di ascoltare le parole di Puckerman. Le sembrava strano che Santana facesse comunella con Rachel, soprattutto perché l’unica con cui era stata, ultimamente, era lei. Si sentiva quasi ferita, ma non poteva dirlo a nessuno, i suoi segreti dovevano rimanere ancorati al piccolo diario sotto al letto, oppure lui si sarebbe arrabbiato e le avrebbe fatto perdere la chiave che vi teneva sempre attaccata per aprirlo.

Una volta che le New Directions furono arrivate in auditorium, trovarono un quadrato nero, leggermente rialzato al centro del palco, e delle Cheerios in vestaglia con stivali dal tacco medio che si riscaldavano ai lati di questo. Tutti leggermente stupiti, presero posto al centro della platea, tranne Noah e Britt, che sembravano più che curiosi di scoprire cosa le due more avessero architettato. La base di una canzone li riportò all’attenzione, così che smettessero di fantasticare e fissassero il palco, illuminato fiocamente, le 4 ragazze disposte due per lato rispetto a quel quadrato scuro, piegate in avanti a toccare la punta dello stivale, una gamba leggermente piegata e l’altra lasciata scivolare verso l’esterno. Santana e Rachel fecero il loro ingresso proprio mentre le ballerine cominciavano a rialzarsi, buttando all’indietro la chioma. La vestaglia in raso di San, era di un porpora scuro, attraversata da complicati ricami che richiamavano un kimono giapponese, identici a quelli di Rachel. Il suo però era di un rosa tenue, delicato, che ne metteva in risalto il cioccolato di occhi e capelli. Entrambe stavano fissando la prima fila della platea, come se volessero mandare un messaggio.

Says he wants you
He says he needs you
It's real talking 
Why not make him wait for you
If he really wants you
If he really needs you
Really got to have you


Rachel finì la sua strofa, lasciando posto a San, ad un passo da quel palco rialzato. L’atmosfera ed I movimenti lenti avevano un che di orientale, ed il palate secco di Noah gli faceva prevedere che sotto quelle vestagliette, lo aspettasse l’inferno. Con una mano tesa verso Santana, l’ebrea fece l’occhiolino alla sala, dalla quale si alzarono fischi di apprezzamento.

Take your time and feel him out
When it's a good boy
I mean a really really good boy
Why not let him lay with you
That's when you give it to him good


Anche San, ora rispecchiava la posizione dell’altra, un braccio teso in avanti, pronta a salire sul quadrato. La musica si era fatta più ritmata, quando salirono finalmente sul palchetto e tolsero in un solo gesto le vestaglie, tutte insieme, così che una miriade di riflessi e colori volassero in aria e cadessero con grazia sul pavimento. Quella coreografia sensuale avrebbe mandato al creatore un’intera folla, ma ciò che più attirava erano le mise di tutte le ragazze. Rigorosamente in nero, stivali al ginocchio, erano per lo più tutte in culottes di seta o calzoncini molto corti. Magliettine nere, legate dietro al collo, lasciavano bene in vista una porzione di scollatura, spalle e braccia nude si muovevano quasi ad imitare una danza spagnola, a partire dalle dita che ondeggiavano sopra le teste.

Dip it low
Pick it up slow
Roll it all around
Poke it out like your back broke
Pop pop pop that thing
I'ma show you how to make your man say "Ooo" 


Dopo quel verso, Noah era letteralmente a bocca aperta. La sua piccola stava cercando di dirgli qualcosa? Qualcosa che gli sarebbe piaciuto molto? Doveva aspettarsi che la vicinanza di Santana potesse fare quest’effetto, ed ora era molto più tranquillo. Si accorse però che Britt si stava quasi contorcendo al suo fianco, stringendo le gambe e torturando l’orlo della gonnellina, gli occhi fissi sull’ispanica e la bava alla bocca quasi quanto lui. Ecco cosa stavano cercando di fare. Era un messaggio per loro, un messaggio che avevano recepito fin troppo bene.

You getting bold
He growin' cold
It's just the symptoms of young love
Growin' old
You think it's time
And your thinking of leaving
But give it time

It's late at night
He's coming home
Meet him at the door with nothin' on
Take him by the hair
Let him know what's on
If you understand me
Y'all come on


All my ladies wind it up
If you know just how to move (move)
All my fellas jump behind
And show her what you want to do (show her what you got daddy)

All my ladies wind it up 
If you know just how to move 
All my fellas jump behind 
And show her what you want to do (oh, whoa oh)


Se avessero mantenuto la parola, quel giorno aspettavano ad entrambi nuove e piccanti sorprese, e l’idea teneva entrambi incollati alle sedie, mentre il Glee club si alzava ancora stupito e quasi senza parole. Le due scesero dal palco, sempre con quegli abiti quasi assenti, scuotendo le chiome morbide e ricce dopo aver salutato e ringraziato le altre ragazze per l’aiuto.
-Puckerman, copriti i pantaloni, siamo ancora in fascia protetta amico!- la voce di Santana lo riscosse dallo stato di torpore che l’aveva preso, mentre guardava Rachel tornare la sua timida ragazza, eccitandolo ancora di più.
-Finiscila, Lopez, non vorrei diventare volgare davanti alla mia principessa Ebreo – Americana. Altrimenti di cose da dirne ne avrei anche troppe, che farebbero drizzare i peli anche alla tua bisnonna.- bisticciare così per loro era normale abitudine, e uno sapeva qual’era il punto massimo al quale potevano arrivare. Diede una pacca sulla spalla a Brittany, così che lo facesse passare e si muovesse ad andare dalla sua “non ancora” ragazza e lui potesse raggiungere la sua. Con poche falcate le fu addosso, sovrastandola anche se portava quei tacchi decisamente provocanti. La afferrò con un braccio e se la portò in un angolino, lontano dal brusio degli altri compagni. La fissò per qualche secondo e poi portò una mano sotto al suo mento, incontrandosi a metà strada per un bacio carico di aspettative. Si abbassò di poco, passandole l’altro braccio sotto al sedere e tirandola su così che fossero alla stessa altezza. Lei teneva le gambe penzoloni, per non dare troppo spettacolo dopo il teatrino messo su con la Lopez, ma si concesse di passargli le braccia nude attorno alle spalle, guardandolo con un sorriso furbo e soddisfatto.
-Piaciuta la sorpresa, Noah?- gli soffiò contro le labbra, mandandolo ai pazzi per quella vicinanza proibitiva che voleva fargli chiedere di più.
-Se ti porto a casa e ti faccio vedere QUANTO mi è piaciuta, la accetti come risposta?- ci scherzò su lui. Sapeva che Rachel non era ancora pronta a niente, non molto di più di qualche palpatina e sempre di lui sul suo corpo. La vide annuire, timida, e poi lanciare un’occhiata alle loro spalle.
-In effetti, era quello che speravo. E sembra che anche loro due potrebbero fare un giretto a casa di San. Non sai quello che le ha preparato…-  ridacchiando, Rachel si fece lasciare a terra, prendendogli la mano e tirandolo verso l’uscita dell’auditorium.
-Magari potresti raccontarmelo a casa mia, potrebbe essere divertente!- con un sorrisetto beffardo, le camminò accanto, rallentando il passo per non farla faticare troppo su quei tacchi.
Sì, decisamente quella era la miglior esibizione a cui avesse mai assistito, e ringraziò ancora una volta la buona stella che lo aveva fatto entrare nel Glee Club, l’anno precedente, anche se gli aveva portato tanti guai. Ma ora aveva lei, e per il momento poteva bastargli.
 
Oooook. Ci sto riprovando. Non so quanti ancora potranno seguire questa storia, soprattutto visto che è ancora sulla seconda stagione e le cose sono un po’ cambiate, da allora. Ma la mia fede nei Puckelberry non diminuisce. L’ho scritto come capitolo di…ritorno, tranquillo, per ricollegare un po’ le idee, essendo molto lontano dall’ultimo scritto. Non vi assicuro, ancora una volta, che ne scriverò un altro in fretta, ma intanto ci ho provato.
Lo dedico alla mia splendida sis Ainwen, splendida ragazza che si sta cimentando in una FF molto originale al momento, datele supporto!

Chiedo perdono per errori di ortografia e cavolate varie.
Vostra
Vevve
*”Se vuoi andartene, vattene!”

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Capitolo 13
*** Sex on Fire ***


Sex on fire

Il viaggio in auto era stato veloce, ma troppo lento per quel che la aspettava. Era sicura di voler portare a termine il suo piano? Più lo guardava di sottecchi, cercando di non farsi scoprire, più  si convinceva che doveva ricompensarlo per la pazienza avuta con lei fino a quel momento. Lo vedeva lanciare occhiatine al suo corpo ancora mezzo svestito e deglutire, stringere le dita attorno al volante e aumentare impercettibilmente la velocità, per dimezzare il tempo che ci voleva dalla scuola a casa Puckerman. Alzò la mano, carezzandogli un lato del volto e lui ci si appoggiò contro, sospirando sonoramente.

-Scusa piccola…non vorrei essere così impaziente, vorrei che andassimo con i tuoi tempi, ma la vicinanza forzata senza poter fare niente non è mai stata il mio forte.-

Di nuovo sospirò, cercando nello specchietto retrovisore lo sguardo scuro della sua ragazza. Lei sorrise, appoggiando il capo sulla sua spalla e lasciando che le labbra premessero sul tessuto della maglietta di Noah.

-Se non ti avessi fatto aspettare così tanto, non saresti così teso. Però voglio fare un passo avanti, voglio che tu mi veda e lavi via ogni battuta, ogni insulto fatto sul mio corpo, così che un giorno io sia pronta e non mi senta inferiore a te per tutto quello che mi è stato detto.-

Magari poteva sembrare un discorso egoistico, ma lo stava facendo per entrambi. Se lei fosse riuscita a sentirsi bene nella sua pelle, non gliel’avrebbe più nascosta, si sarebbe sentita degna di stare al fianco di Noah Puckerman, bello, possente, tutto ciò che una ragazza poteva desiderare. E sapeva bene che se una delle due parti si sentiva inferiore all’altra, il rapporto non poteva funzionare, non sarebbe stato sano. Noah alzò leggermente il volume della radio e quello che ne venne fuori fu solo un altro incentivo a pigiare sull’acceleratore.

The dark of the alley, the breaking of day
The head while I'm driving, I'm driving
Soft lips are open, knuckles are pale
Feels like you're dying, you're dying

You, your sex is on fire
Consumed with what's to transpire

Hot as a fever, rattling bones
I could just taste it, taste it
If it's not forever, if it's just tonight
Oh, it's still the greatest, the greatest, the greatest

You, your sex is on fire
And you, your sex is on fire
Consumed with what's to transpire

And you, your sex is on fire
Consumed with what's to transpire

 
-Cazzo!-

Noah si sbrigò a spegnere del tutto la radio, ma le note dei Kings of Leon proprio non accennavano a lasciare l’abitacolo. Entrambi si ritrovarono a respirare forte, Rachel che prendeva la mano di Puck per stringerla e fargli capire mentalmente che andava tutto bene. Erano quasi arrivati e poi quel calvario sarebbe finito. Lui la ringraziò svoltando nel vialetto della villa bifamiliare che dividevano con un’altra famiglia di Lima ma che era quasi sempre deserta. Chi poteva prendersi una seconda casa a Lima non doveva aver visto molto del mondo. Quando il motore si spense, si girarono entrambi e si incontrarono a metà strada. Noah la prese per la vita, così da avvicinarla ancora un po’ e lei gli posò entrambe le mani sul volto, a fargli da cornice e protezione mentre le bocche premevano l’una sull’altra. La lingua di lei fu quella più veloce, esperta nel saggiare prima le labbra carnose del ragazzo e poi toccare delicatamente l’altra, giocandoci e risucchiandola tra le sue labbra, lasciandola andare dopo averla succhiata un po’, per gioco.

-Entriamo.-

Sembravano aver finito le parole. Scesero in silenzio dall’auto, Noah prese in spalla entrambe le borse senza meravigliarsi del peso di quella di Rachel. Probabilmente aveva con sé chissà quanti libri, per fare i compiti a casa, dopo scuola. Ormai ci era abituato, addirittura li faceva anche lui. La ritrovò davanti al pick up, prendendole la mano e scortandola fino alla porta, dove lei prese le chiavi dalla coccia vicino al dondolo e fece come se fosse a casa sua. Una volta aperto, fu lui a spezzare la tensione con la risata piena che pochissimi avevano avuto modo di sentire. Puck non rideva mai.

-Sembra che uno di noi stia andando al patibolo. Rach, non dobbiamo fare niente che tu non voglia. Possiamo tranquillamente salire in camera, pomiciare finché non viene sera e io mi accontenterò di palparti per bene, perché dopotutto sei la mia ragazza e hai un corpo tanto bello che non me ne staccherei mai. Ok?-

Si girò per farle l’occhiolino ma la trovò ancora seria e agitata, a suo modo.

-No, devo fare le cose per bene. Ho preparato la musica, ho studiato una piccola coreografia…pensavo potesse farmi rilassare un po’. Sei proprio un troglodita, Noah!-
E mentre lo diceva, tutta la tensione svanì, mentre la mora si ritrovava a ridere e gli prendeva nuovamente la mano, tirandolo su per le scale. Prese un cd ed una bustina dalla sua borsa, che lui aveva lasciato appoggiata al muro insieme alla sua e poi con lentezza cominciarono a salire le scale. Arrivati alla porta della camera di Noah, il ragazzo fece per spingere la maniglia verso l’interno ma lei lo bloccò con una mano sul petto.

-Prima ho bisogno di qualche minuto. Ti chiamo io.-

Con un leggero bacio sulla bocca svanì velocemente in camera, richiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo lì inebetito. Sentiva ancora il profumo di Rachel addosso e l’idea di ciò che potevano combinare dentro quella camera, solo entro qualche minuto, gli fece sentire più pressione al cavallo dei pantaloni. Cominciò a fare avanti e indietro per il corridoietto che collegava le camere del primo piano, cercando di scacciare dalla testa ogni pensiero. Tolse il giubbotto e la maglietta che indossava, lasciandoli sulla balaustra, per essere almeno più preparato quando lei l’avrebbe chiamato.
Alzò un sopracciglio nel sentire una musica – solo la base – e la voce suadente di Rachel chiamarlo in camera. Aprì titubante, stranamente e la trovò al centro della stanza, seduta a cavallo della sedia, che gli dava le spalle. Deglutì rumorosamente, osservando quel poco che riusciva a vedere. Calze a rete con tanto di autoreggenti. Body bianco con qualcosa che sembravano dita disegnate sul sedere, capelli sciolti in morbidi boccoli e un cappellino bombato. La ragazza cominciò a cantare, sempre dandogli le spalle e lui fece un passo nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle per sicurezza.


Show a little leg, gotta shimmy your chest 
It's a life, it's a style, it's a need, it's Burlesque 


Era cominciata così, con lei di spalle che schioccava le dita a tempo di musica. Aveva mosso la mano per fargli cenno di sedere sul letto e lui l’aveva fatto, in trance per il suo corpo che si muoveva, la mano che accarezzava la gamba dalla punta del piede fino al fianco e poi davanti, dove lui non poteva arrivare. Mentre Noah si spostava verso il letto, Rachel girava lentamente la sedia, così da dargli ancora le spalle quando si fosse seduto.

E-X-P-R-E-S-S, love, sex 
Ladies no regrets 
E-X-P-R-E-S-S, love, sex 
Ladies no regrets 


Ecco il momento di avere ancora il fiato sospeso. La sua fidanzata aveva passato la gamba destra sopra lo schienale della sedia in una ruota che gli aveva fatto scoppiare le vene del collo, ne era sicuro. Ora erano faccia a faccia e lei era una divina tentatrice. Truccata perfettamente col suo rossetto più intenso e delle leggere linee nere a marcare il taglio grande degli occhi, si teneva il cappellino, si alzava e si metteva in piedi sulla sedia. Piegandosi su una gamba sola, l’altra volò a mezz’aria per accavallarsi di lato. Non sarebbe arrivato alla fine dell’esibizione, di sicuro.

Been holding down for quite some time and finally the moment's right 
I love to make the people stare 
They know I got that certain savoir-faire 


Di sicuro amava far rimanere lui a fissarla e, se avesse provato a fare quello spettacolino davanti ad una platea, avrebbe cavato gli occhi a tutti i presenti, femmine comprese. Era davvero un peccato che quella non fosse la sera giusta per andare fino in fondo, lo stava facendo uscire di testa con tutte quelle idee sensuali su di lei. La ragazza gli tirò addosso il cappello, scuotendo la chioma e passando le mani tra i capelli, così da piegare la schiena e spingere il petto all’infuori. Quasi inconsciamente, Puck si portò il cappello a coprire il membro, che ormai lottava per uscire dalla sua gabbia fin troppo stretta. Pochi secondi ancora e l’avrebbe assalita.

Fasten up 
Can you imagine what would happen if I let you close enough to touch? 
Step into the fantasy 
You'll never want to leave, baby let's give it to you.
…Why? 


Quella fu l’ultima provocazione. Con sguardo serio e determinato, si alzò sotto lo sguardo sconcertato della ragazza, andò a spegnere lo stereo e le si piazzò davanti.

- Tu…tu sarai mia. -

Detto questo, la prima cosa che fece, fu caricarsela in spalla. Senza alcuna protesta, la Berry si fece prendere e poggiare sul letto, troppo imbambolata dal petto nudo e dal resto del corpo di Noah per potergli far notare che sarebbe stato più facile farla camminare dalla sedia al letto. Una volta seduta, spalancò gli occhioni ed aprì le gambe, così che lui potesse mettercisi in mezzo, anche se ancora in piedi e piegarsi per baciarla con foga, le mani che si incastravano tra i capelli per scostarli dal suo viso. Con coraggio, Rachel riprese a respirare e fece scivolare le manine lungo gli addominali scolpiti del ragazzo, accarezzandone la V perfetta che conduceva all’inguine e più giù, dove non aveva mai avuto il coraggio di andare. Questa volta invece, l’avrebbe fatto. Non tremò neanche, quando slacciò il bottone dei jeans e tirò giù la lampo, accarezzando volontariamente il suo membro sotto i boxer. Lo sentì gemere e sentì anche lo sguardo bollente che le stava lanciando ma non alzò gli occhi su di lui. Altrimenti, sarebbe rimasta lì congelata e non sarebbe andata avanti. Infilò i pollici sotto al bordo dei boxer stretti e con una sola mossa li fece calare verso le sue ginocchia, insieme ai pantaloni. Rimase lì, impossibilitata ad andare avanti, quasi tremante mentre guardava la sua mascolinità ergersi davanti a lei senza più contenimenti. Non era quello che si aspettava. O almeno, sì, ma non così…tanto. Sentì le mani di Noah accarezzarle dolcemente il viso e riportare il volto verso l’alto, così da potersi guardare per bene.

-E’ tutto apposto…Sali più su. -

Quel sorriso caldo, tutto per lei, la costrinse a sorridere di rimando. Si lasciò prendere per le spalle e si fece più indietro sul letto, fin quando le gambe non furono completamente stese. Appoggiò i palmi delle mani sul copriletto morbido e lo osservò, così sicuro, mentre toglieva scarpe e calzini e poi via anche con jeans e boxer. I muscoli si flettevano sotto la luce cruda del lampadario, l’abbronzatura metteva in risalto ogni fossetta e tutto in lui le sembrava perfetto. Era così padrone di sé e non si vergognava di niente, lui. Lei invece era già arrossita al solo pensiero di come si era vestita in quella stanza. Il suo corso di pensieri si interruppe, quando lui si mise in ginocchio, toccando con le gambe i suoi piedi e si allungò. Pensò che stesse per sdraiarsi di fianco a lei, invece allungò una mano e le prese la gamba destra, alzandola leggermente e facendo scendere la lampo dello stivale. Non faceva altro che fissarla, e lei, fissandolo di rimando, si concentrava solo in quegli splendidi occhi che le toglievano tutta la forza di ragionare. Puck gettò il primo stivale a terra e subito dopo lo fece seguire dall’altro. Si avvicinò ancora, facendo una cosa che la fece fremere su quel letto. Si poggiò la gamba sulla spalla, incastrandola all’altezza del ginocchio e cominciò ad accarezzarle l’interno coscia. Ora faceva davvero caldo. Con dita veloci e callose,  arrotolò la calza fino alla caviglia, senza guardare quel che facevano le mani. Lei ormai era sdraiata sulla schiena ed osservava la bocca di Noah ed i suoi occhi, mentre baciava ogni centimetro di coscia o gamba che veniva scoperto man mano.

-Amo il fatto che tu sia una ballerina…posso fare ciò che voglio col tuo corpo. -

Lei ancora non aveva detto una parola. Lo guardava agire, toglierle l’altra calza e lanciarla sul mucchio. Lo sentì premere contro la sua intimità, ancora coperta, quando con entrambe le sue gambe sulle spalle, si piegò completamente per baciarle la fronte e rimanere così, mentre scendeva lungo le guancie e poi sul collo, facendola gemere. Se quello era solo l’inizio, cosa sarebbe successo dopo? Forse poteva davvero donarsi a lui, quel giorno. Come se le avesse letto nel pensiero, lui scosse il capo, guardandola mentre le baciava il seno, affondandoci il mento e chiudendo per un secondo gli occhi.

-Sei così morbida, così calda…amo stringere il tuo corpo in ogni momento del giorno…è così femminile e diverso dal mio che mi sembra tempo sprecato starne lontano. Ma non è ancora il momento, Rach. - 

Soffiandole sulla pelle, le prese con i denti la coppa del body, tirandola giù con facilità perché era senza spalline. Scoprì il primo seno e lo guardò, ci strusciò contro il naso e poi ne baciò il capezzolo, solo per ridere del mugugno di apprezzamento della sua ragazza. Passò subito all’altra parte del body, le dita che stuzzicavano il seno già scoperto e la lingua che lasciava una scia bagnata sull’altro, che finì inevitabilmente nella sua bocca. Di questo passo sarebbe scoppiata lì sotto. Stava strusciando il bacino contro l’erezione del ragazzo ma lui non faceva un frizzo. Continuava imperterrito nella sua missione, alzandosi di poco col bacino per poterle abbassare di più il corpetto. Quando fu arrivato all’ombelico, lasciò andare le sue gambe, che crollarono di botto attorno ai suoi fianchi e si strinsero attorno al bacino del ragazzo immediatamente, perché la lingua di Noah si era infilata nel suo ombelico e ora ci girava intorno, prima di soffiare sulla pelle bollente della povera vittima di tanta sensualità. Le dita di lui si arricciarono sotto al bordo del body e lui si fece indietro a forza, facendole alzare il bacino mentre le toglieva anche l’ultimo indumento rimasto. Sentiva ancora più forte il suo sguardo su di sé e per un attimo cercò di coprire la sua intimità, ma le mani di Noah furono più svelte. Una bastò per coprire interamente la sua femminilità, mandandole brividi lungo tutta la schiena quando il pollice si addentrò un po’ di più al suo interno. Puck però si stese sopra di lei, togliendo la mano e facendo combaciare alla perfezione i loro corpi, dandole un senso di protezione che non aveva mai provato. Cominciò a strusciarsi su di lui e lui fece lo stesso, mentre riprendeva possesso delle sue labbra e sporcava entrambi di quel rossetto che con tanta cura aveva applicato solo pochi minuti prima.

-Lo senti questo? Questo è quello che fa il tuo corpo al mio, ogni g-giorno. Lo fai sentire vivo, f-famelico delle tue tenere carni. Gli dai ragione di volerti ogni volta, in qualsiasi modo tu sia vestita, in qualsiasi p-posizione e tra una marea di altre ragazze. Il mio corpo reagisce perfettamente al tuo, vuole averti a tutti i costi. E’ solo la mia testa che gli dice di aspettare e di rispettarti, perché altrimenti ti violerebbe in tutte le maniere possibili. In tutte quelle che lo farebbero sentire appagato…-

Le braccia del ragazzo la presero e la strinsero a sé, mentre lo sfregamento tra di loro si faceva più intenso e un po’ più intimo, tanto da far gemere entrambi e far roteare gli occhi di lei all’indietro, mentre si spingeva di più per sentire di più. Non sapeva cosa, in quel discorso l’avesse più colpita, ma ad ogni parola si sentiva più bella, si sentiva più potente, si sentiva in gradi di gestire il suo corpo e di soggiogare quello di lui. Alzò il bacino, allineandosi così per avere qualcosa di più, per andare fino in fondo, ma Noah come sempre fu più veloce a prevedere le sue mosse. Di scatto, tenendola sempre tra le braccia, si rimise in ginocchio facendola sedere. Rach aprì gli occhi e li spalancò, vedendo quel sorrisetto strafottente da Puckzilla sul volto del fidanzato.

-Non vuoi…non vuoi andare fino in fondo?-

Domandò con un filo di voce, il cuore in gola. Per tutta risposta si sentì strizzare il seno e lo vide scoppiare a ridere.

-Non ci sarebbe cosa che vorrei di più, ma ora è il momento di infilarsi in doccia.-

Con gesto fluido le fece stringere le gambe intorno al suo bacino e si alzò, assicurandosi che rimanesse ben aggrappata al suo corpo. Cominciò a baciargli il collo nel tragitto e lo sentiva irrigidirsi e sbuffare ad ogni morso. Lo sentì anche borbottare qualcosa del tipo “quando lo faremo per la prima volta me la pagherai” ma non ci fece troppo caso. Ormai erano sotto la doccia e lui l’aveva spinta contro il muro, così che solo le gambe servissero da appiglio. Passarono almeno un’ora sotto la doccia a toccarsi, baciarsi, accarezzarsi sotto l’acqua, appagando almeno alcuni dei desideri che entrambi avevano. Uno assaggiò l’intimità dell’altro, Noah sperando che lei avesse capito che niente di lei lo disgustava, tutto il contrario. Non c’erano più state parole tra di loro, solo un conoscersi ed esplorarsi, un venire a conoscenza di lati dell’altro che avevano solo sognato fino a quel momento. Alla fine della doccia, Rachel era così tanto provata da tutte quelle nuove sensazioni ed esperienze che crollò addormentata tra le sue braccia, sopraffatta dalla giornata nella mente e nel corpo. Aveva avuto orgasmi prima, ma se li era sempre procurati da sola, velocemente e con poca soddisfazione. Noah aveva saputo più volte all’apice, prima di bloccarsi e farla calmare, con la scusa di insaponarle la schiena solo per ricominciare da capo una volta confusa abbastanza. Ma anche lei l’aveva ripagato con la stessa moneta e a giudicare dai versi, da come si era contorto sotto l’acqua mentre lei lo lasciava liberarsi su di sé, era stata dannatamente brava. Quella sera, quando si risvegliò abbracciata a lui, nuda e asciutta tra le sue braccia forti e calde, col suo respiro sul collo, sorrise osservando la stanza e sbirciando i raggi lunari che penetravano dalla serranda abbassata. Non sentiva nient’altro, se non i battiti del loro cuore e una felicità immensa scaturire in un sorriso che lui non poteva vedere, ma che stava cambiando le loro vite ed il suo modo di pensare.

***

 
E come sempre ci metto un botto ma alla fine aggiorno. Ho come sempre mille idee per la testa e altre ff pronte da pubblicare, ma prima voglio dedicarmi a questa. Probabilmente qualcosa di nuovo lo infilerò in mezzo, ma saranno del fandom Cast e non sulla serie. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia soddisfatto qualcuno dei vostri desideri (se siete come me, vi ha accontentato poco, ma non è ancora il momento). Sto cercando di tenere la storia arancione il più possibile, così che tutti possano finire di leggere la trama e arrivare finalmente alle nazionali.
Come sempre, scusate per gli orrori di ortografia, non sono intenzionali, è che questi due mi mandano ai pazzi!

BascioCascio
La vostra Vevve
Ps questo capitolo è tutto per la mia sis e la mia persona, che scrivono divinamente e sono entrambe su Efp. Cercatevi Ainwen e GirlOnFire, non ve ne pentirete!

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