Seven Days

di Lady Antares Degona Lienan
(/viewuser.php?uid=10045)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lunedì [prologo] ***
Capitolo 2: *** Martedì ***
Capitolo 3: *** Mercoledì ***
Capitolo 4: *** Giovedì ***
Capitolo 5: *** Venerdì ***



Capitolo 1
*** Lunedì [prologo] ***


Seven Days

Seven Days

Lunedì

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Cosa? − Harry alzò i suoi squisiti occhi verdi – che erano rimasti nascosti dietro al libro per tutto il discorso, tanto che le irrimediabili espressioni di Hermione erano andate perdute per sempre – per posarli sul viso dell’amica.

- Hai capito benissimo. −

- Ma è… un… -

- … ragazzo? – le venne in aiuto l’altro, spostando di nuovo lo sguardo sul libro di testo. Con una certa ammirazione, Hermione si ritrovò ad ammettere che non lo aveva mai visto così solerte nello svolgere un compito.

- Peggio! – inorridì lei, scuotendo la testa. – Uno Slytherin. –

Alla parola d’ordine tutta la Sala si fece partecipe dello sdegno della ragazza, assumendo un’espressione così disgustata che persino i peggiori Slytherin avrebbero apprezzato. Di nuovo, Hermione non seppe se trovarlo consolante o meno.

Decise di no.

Harry sbuffò. – Andiamo Herm, in fondo è solo un ragazzo come tutti. –

Lei inclinò solerte un sopracciglio. Pessimo segno, a detta di Ron. – Theodore Nott? – rimase un attimo in silenzio. – Stiamo parlando della stessa persona? Di quel ragazzo, sì, certo, carino, niente da dire – s’affrettò a precisare – che ci, voglio dire, ti ha preso come capro espiatorio fin da quando hai messo piede in questa scuola? Di quello che ha chiuso Ron dentro uno sgabuzzino delle scope insinuando che persino un scemo avrebbe capito come liberarsi? – seguì un attimo di silenzio, tanto che tutta la Sala, impegnata fino a qualche secondo prima a ringhiare contro le malefatte dello Slytherin, si guardò intorno imbarazzata.

L’imbarazzante ricordo di un Ron urlante, addirittura cianotico, li fece arrossire tutti.

- Già, mhh, pare proprio di sì. –

Hermione buttò gli occhi al cielo. – Bene. Cioè, male. Molto male. –

Ad ogni modo, Harry non pareva essere eccessivamente turbato dalle sue rimostranze, tanto che alla fine la ragazza si ributtò seduta sul divano.

- Cosa, molto male? –

Come chiamato dai precedenti pensieri, Ronald Weasley si palesò davanti al caminetto, piegandosi su Hermione dall’alto. – Stavate parlando di me? –

- No, naturalmente no. – si affrettò a chiarire lei. Naturalmente, lo fece in maniera un po’ troppo veloce per apparire naturale, ma il Re non se ne curò, o forse non volle curarsene.

- Allora, cosa è “molto male”? A parte andare in giro di nascosto dai professori, o imbattersi in una camera segreta, o –

- Grazie, Ron. – sibilò Hermione zittendolo.

Inutile a dirlo, ma tutto il pubblico della Sala Gryffindor si era sporto dalle rispettive poltrone per ascoltare meglio.

L’occhiataccia del prefetto Ginevra Weasley bastò per rispedirli momentaneamente alle proprie occupazioni.

- Non mi avete ancora risposto. – si lamentò il rosso. – Cosa è “molto male”? –

- Il tuo cervello vuoto. – sibilò la sorella.

- Harry si è fidanzato. – sospirò l’altra.

E poiché Ron stava già assumendo la tipica espressione da fratello offeso che - puntualmente - gli si ricamava in faccia ogni volta che qualcuno faceva insinuazioni su sua sorella ed Harry, si affrettò a precisare. – Non con Ginny. –

- Non con Ginny? – ripeté l’altro, sbalordito. Improvvisamente, la sua mimica facciale si azzerò totalmente, come quando una delle poche certezze della vita si cancella nel nulla.

- Non con Ginny. – concluse finalmente Harry, che aveva assistito a tutta la scena assurdamente trincerato dietro al suo libro di trasfigurazione.

- Reparo…? – sussurrò Ron poco convinto, puntando la bacchetta contro il suo miglior amico.

Hermione inclinò ulteriormente il sopracciglio sinistro. – Che diamine… -

- Credo che stia cercando di riparargli il cervello. -

- Ah. –

- Non ha ancora capito che per farlo, prima dovrebbe procurarsene uno. –

- Ginny! – la riprese l’altra, scoccandole un’occhiata che avrebbe fatto impallidire di vergogna persino la professoressa Mc Granitt. Quella si stampò sul volto una tale espressione indifferente che Hermione non seppe resistere, e distolse lo sguardo. Farla innervosire doveva essere una peculiare abilità della famiglia Weasley.

- Comunque, Ron, Theodore è carino quasi quanto Ginny. –

Entrambi gli esponenti della famiglia divennero decisamente pallidi.

- Theodore… - boccheggiò Ron.

- Carina come… - fece eco Ginny.

- Theodore. – ripeté con una certa flemma il Bambino Sopravvissuto, tanto che Hermione se lo immaginò, in un flash improvviso, con di tazza del the e divisa da maggiordomo. Sbatté gli occhi.

Quando si decise a tornare alla realtà, pareva fosse passato un secolo. Ron stava sbraitando come un ossesso a pochi centimetri dal suo migliore amico, mentre Ginny, con altrettanta dedizione, cercava di stordirlo per l’azzardato paragone di bellezza.

Harry continuava a leggere il libro.

Infine, gli sforzi congiunti dei due fratelli terminarono in un apocalittico grido di frustrazione che scosse l’intera sala, e che per miracolo non spense il caminetto.

- Harry! –

Lui alzò lo sguardo su Hermione. – Si? –

- Per l’amor del cielo, Harry, dì qualcosa! –

- Beh, - lui ponderò la situazione per qualche secondo, nel silenzio più assoluto. – effettivamente, Theo bacia meglio di Ginny. –

- Theo! – trasecolò il rosso.

- Cosa?! – strillò Ginny. – Chi ti ha dato il permesso di… -

Quando finalmente Hermione si decise a lasciare la sala per ritirarsi nel suo dormitorio, l’urlo di Ginny aveva appena superato la soglia “ira tremenda”, e si stava apprestando a raggiungere la fase “morte immediata”.

Per quanto fosse possibile, la strega pensò che effettivamente la situazione poteva anche peggiorare.

E, chiusa la porta alle sue spalle, quello che si trovò davanti non poté far a meno che darle ragione.

 

 

*°*

 

 

Quella stessa mattina, una dozzina di ore prima, tutto il dormitorio di Slytherin pareva essere stato sconvolto da un’esplosione atomica. Ragazzine isteriche correvano da ogni parte, in ogni stanza si udivano dei lamenti strazianti, e nella camera dei ragazzi del settimo anno pareva essersi creato un enorme buco nero. Solo un letto a baldacchino, in mezzo a quella confusione, aveva ancora le tende carminio ancora tirate, impenetrabili nella loro pesantezza. Apparentemente vuoto, non un alito di vita muoveva le cortine di damasco, mentre tutto intorno centinaia di piccole formiche si affollavano correndo.

La grande finestra del sotterraneo aveva ancora le persiane tirate, poiché nessuno, in mezzo al caos, aveva pensato ad illuminare completamente la stanza.

Così che, quando finalmente un inaspettatamente lucido Blaise Zabini si decise a far luce, anche il proprietario del letto a baldacchino – che si trovava ancora all’interno del suddetto – fu costretto ad aprire gli occhi.

- Blaise… - chiamò. – Blaise, dannazione, Blaise! –

- Si, Draco? – il ragazzo infilò il capo all’interno delle cortine, un sorriso smagliante dipinto sul volto. Il contrasto tra lui e il biondo era netto, tanto più che Draco, forte delle poche ore di sonno accumulate, sembrava quasi un cadavere. Il colorito bruno di Blaise, invece, sprizzava energia da tutti i pori. – Hai mugugnato qualcosa, vecchio mio? –

- Altrimenti tu non saresti qui. –

- Mi pare più che giusto. – ammise cordialmente quello. – Allora, ti serve qualcosa? –

- Spiegazioni. – gli occhi cerulei, attenti, si sporgevano oltre lo spiraglio sopra la testa del moro, cercando di capire che cosa stesse succedendo quella mattina.

- Oh. – Blaise entrò completamente nel perimetro delle tende, richiudendo ogni possibile feritoia visiva. – Cerchi spiegazioni. E riguardo cosa, se posso permettermi?

- Là fuori. – indicò le tende. – Tutti urlano, parlano, imprecano… sostanzialmente, Blaise, sapresti dirmi cosa sta succedendo? –

Blaise Zabini, che sin da piccolo aveva sempre avuto il dono della sintesi, non indugiò sui leziosi particolari della vicenda. – Niente, Theodore si è trovato un fidanzato. –

- Ah. –

- Gryffindor. –

- Ah. –

- Comunque, per dovere di cronaca, è Potter. –

- Capisco. –

Passò qualche istante di silenzio, prima che Draco Malfoy potesse ritrovare il coraggio per aprire bocca. – Ora intendo. –

- Cosa? –

- Tutta quella confusione. –

- Ah, già. Ma la cosa divertente, se proprio vuoi saperlo, è che Theo non aveva alcuna intenzione di divulgare la notizia.

Draco inclinò il sopracciglio sinistro, scompigliandosi appena i capelli con la mano. Pareva essere convinto di stare ancora in uno dei suoi sogni – o meglio, dei suoi incubi.

- Considerato il frastuono là fuori, non posso che dargli ragione. –

Blaise fece spallucce.

- Insomma, come si è scoperto? –

- Pare che oltre che omosessuale, Theo fosse pure un amante dei diari giornalieri. – il moro rise. – A quanto pare, qualcuno l’ha scoperto. –

Finalmente l’altro trovò la forza per portare le gambe fuori dal letto, anche se, effettivamente, non osò oltre. Lasciò i piedi a penzolare sul pavimento, inerti, mentre si mordicchiava l’angolo destro della bocca.

- E così, siamo imparentati con Potter. Comunque, non riesco ancora a capire tutto questo scompiglio nel dormitorio. –

- Beh, - l’amico si grattò gentilmente una guancia. – siamo Slytherin, non santi. Nella futura eventualità di un ospite Gryffindor quaggiù, per non parlare di che Gryffindor, alcuni nostri compagni si sono sentiti in dovere di nascondere alcuni oggettini non proprio legali. – tanto per dare l’idea della situazione, scostò le tende del baldacchino, immortalando una Pansy Parkinson che correva disperatamente con tante piccole ampolline tra le braccia.

Draco fece appena in tempo a scorgere un paio di veleni mortali. Sospirò.

- Tempi duri, Blaise. –

- Mh. –

- Voglio dire, se persino gli Slytherin cedono alla follia di questa scuola, che ne sarà di noi? –

 

- Oh no, il mio cianuro migliore! – la voce lamentosa di Pansy fu una sufficiente risposta.

 

 

*°*

 

 

Quello che Draco Malfoy aveva intensamente sperato, mentre si lavava i denti, era che qualsiasi follia si fosse improvvisamente impossessata di quei due ragazzi sarebbe presto sparita.

L’assurda idea che uno Slytherin e un Gryffindor potessero condividere qualcosa – un letto, per di più – era totalmente assurda. Così improbabile, così… irreale, che quasi gli venne da ridere.

Eppure, il sibillino sospetto di quella relazione aveva preso corpo all’interno della sua mente, portandolo a vedere quei piccoli dettagli che, da ignorante, aveva sempre evitato di osservare.

Aveva infantilmente creduto che gli sguardi affilati di Potter, la mattina a colazione, fossero perennemente rivolti a lui. Invece, quella mattinata, aveva improvvisamente capito che erano tutti per la persona che gli stava a fianco.

Theodore. Quello che era stato il suo migliore amico per due anni.

Pareva incredibile pensare che anche lui, un tempo, potesse essere stato parte del suo desiderio.

 

Era impossibile. Non poteva essere, era fuori da ogni pensiero umanamente concepibile. Ma Blaise, a quanto pare, non lo trovava così blasfemo. Forse avrebbe potuto convincerlo a fidanzarsi con Theodore.

No. Doveva trovare una persona che trovasse inadeguato quell’assurdo accoppiamento di Case, che lo aiutasse nel congegnare il piano perfetto.

Ma chi?

 

 

*°*

 

 

Quando Hermione Granger aprì la porta del dormitorio e trovò sul suo letto quello che sembrava Draco Malfoy, ecco, in quel preciso istante, lei pensò che si poteva sempre cadere più in basso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo di introduzione, quasi un prologo se volete.

I capitoli due e tre sono pronti, il quarto è circa a metà.

Alla fine, siccome la Linnie sa essere molto convincente – sembra buona e dolce -, e anche la Babi ha fatto sentire la sua onorevole opinione, mi sono risolta per una long fic.

Ma per motivi di tempo miei – e dei lettori -, ho deciso che non farò capitoli troppo lunghi, all’incirca di questa stessa lunghezza.

Sette giorni, sette capitoli? Non so, forse no, dato che penso di suddividere alcuni giorni in due periodi della giornata per vari motivi.

 

Comunque sia, non aspettatevi qualcosa che superi i dieci capitoli.

Ja ne!

 

RoSs

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Martedì ***


Seven Days

Seven Days

Martedì

 

 

 

 

 

 

 

Prevedibilmente, Hermione era rimasta scioccata da quell’intrusione repentina e improvvisata, tanto che la prima tentazione fu quella di voltarsi, chiudersi la porta alle spalle, e riaprirla solo dopo aver fatto un lungo e liberatorio sospiro.

Comunque, alla fine, non lo fece. Si limitò ad alzare le sopracciglia in un implicito invito a fornire spiegazioni – esaurienti spiegazioni -, mentre si lasciava andare contro lo stipite, una parte del busto appoggiata sul freddo muro in pietra.

Lo scoppiettante camino illuminava il ragazzo solo parzialmente, e ne evidenziava la sola parte destra. L’occhio azzurro scintillava di riflessi rossi, così inquietanti e misteriosi che Hermione non poté far a meno di sentirsi un poco in soggezione.

Dunque, Draco Malfoy la stava fissando, fissando intensamente. Cosa volesse da lei, cosa lo avesse spinto ad avventurarsi fino al covo dei grifoni, questo la strega lo ignorava; così come ignorava la presenza di quel legame di amicizia che un tempo lo aveva unito a Theodore – principalmente perché la sua stessa definizione di Slytherin negava la presenza di sentimenti quali l’affetto.

Probabilmente, in preda alla noia più soporifera, aveva deciso che un sano e sadico divertimento sarebbe riuscito a distrarlo dal suo tran tran quotidiano. Quindi, quando finalmente si decise ad aprire bocca, Hermione si trovò così impreparata di fronte al discorso che lui fece, da rimanere immobile per qualche istante.

- Capisco benissimo, Granger, che la mia presenza qui possa sembrarti un po’… come dire? Strana? Buffa? Anomala? –

- Irritante. – precisò lei, dopo un istante di silenzio.

- Irritante, - concesse l’altro, sorridendo morbidamente tra sé e sé. – ma devo ammettere che, senza un motivo valido, non mi sarei mai andato a rintanare dentro il luogo che più odio in questa scuola. – parlava forbitamente, senza particolari inflessioni sonore, e proprio per quel motivo, presto Hermione ne fu quasi incantata.

Fissava le sue labbra come un assetato fissa una fonte d’acqua nel mezzo del deserto, e piano piano si sporgeva verso di lui con la testa.

- E dunque, Malfoy? –

- Io e te, per quanto assurdo, per una volta vogliamo la stessa cosa. –

Hermione rise, buttando la testa all’indietro, sbattendola lievemente contro il muro. – Solitamente, io e te non stiamo nella stessa frase se non accompagnati dal verbo “odiare”. – cinguettò. – E addirittura mi vieni a dire che abbiamo qualcosa in comune? A parte l’odio reciproco, certo. –

- Potrebbe sembrare ridicolo, in effetti. –

- Non che lo sembri, lo è proprio. – disse lei, facendosi avanti attraverso la stanza. – Avanti Malfoy, qual è il problema che ti assilla? –

E che addirittura lo ha spinto fino a qui, oltretutto.

- Il problema è Potter. – sibilò l’altro.

- Harry? – Hermione assunse un’espressione sorpresa. Di tutte le cose che Malfoy avrebbe potuto dire, o fare, quella di certo era la più bizzarra. – Cosa centra Harry, adesso? –

- Quel dannato deve aver fatto bere una pozione d’amore a Theodore, per vendicarsi di qualcosa. –

All’improvviso fu tutto più chiaro. Ecco spiegata la faccia iraconda dello Slytherin, la sua presenza all’interno della propria stanza, persino quello strano ostentare di un elemento in comune: tutto all’improvviso assumeva uno scopo.

- Per vendicarsi di qualcosa? – strillò. – Queste cose sono prerogativa di voi Slytherin, direi! –

Draco emerse dalle comodità del letto in un gesto fluido, e le si parò davanti in tutta la sua imponente statura. Hermione non seppe se quel brivido che le era sceso giù per la schiena fosse stato dettato dalla paura, o dalla consueta eccitazione che si prova in queste situazioni. In ultima analisi, comunque, si sentì così a disagio che fu costretta a chinare gli occhi.

- Che linguaggio complesso, Granger. Riesci a sembrare noiosa persino mentre insulti qualcuno. Ad ogni modo, forse è vero che noi Slytherin siamo affini alla vendetta, ma di certo il tuo amico sfregiato non ci sta facendo una buona pubblicità. –

Hermione sfoderò un sorrisetto sarcastico che riuscì a ridarle un poco di fiducia perduta. – A quello ci pensate già da soli, comunque. –

- Senti, - Draco schioccò la lingua sonoramente, spazientito. – nessuno dei due approva questa “unione”, ed è evidente che entrambi desideriamo che questa follia finisca quanto prima. Ti propongo un piano per separarli. Così che tu riavrai il tuo Potter, e io il mio amico. –

Hermione gli diede le spalle, marciò fino alla porta, e la aprì. Infine, rossa in volto, urlò – Fuori di qui! –

- Andiamo, Granger… -

- Fuori. – sibilò lei. – Se davvero Theodore Nott fosse tuo amico, non saresti qui a parlare con me. –

Per tutta risposta lui alzò le spalle, e si avviò verso l’uscita.

- Tornerai da me. – le sussurrò prima di uscire, sporgendosi appena verso di lei, dominandola. – Ci scommetto tutto il mio oro, Granger. Vuoi essere la solita persona perfetta, eppure è chiaro che qualcosa ti turba. –

- Levicorpus! – Hermione agitò la bacchetta, infuriata, facendo letteralmente volare Malfoy fino al fondo delle scale. Non si pentì nemmeno per un istante di averlo lasciato in balia d’un intera sala comune Gryffindor.

Quando ci vuole, ci vuole.

 

Lo sentì urlare per un’ultima volta “Theodore Notte è mio amico!”, e poi, spinta dalla furia, si richiuse velocemente la porta alle spalle, dove rimase immobile per qualche minuto.

Infine scivolò fino a terra, completamente esausta.

Le parole di Malfoy, inutile negarlo, l’avevano incredibilmente turbata. Non tanto la sua visita, quanto lo sguardo che le aveva rivolto, quella promessa…

Sarebbe tornata da lui. Non l’avrebbe fatto nemmeno da morta.

Sospirò guardando l’orologio di fronte a lei segnalare in quel preciso istante che erano scoccate le due di notte.

Praticamente trascinandosi, si rifugiò nel proprio letto.

 

 

*°*

 

 

- Cosa ci faceva Draco Malfoy nella tua stanza, di sera, con solo la camicia della divisa addosso? – la voce squillante di Ron l’accolse benevolmente quel martedì mattina, facendola quasi indietreggiare per lo spavento.

- Santo Cielo, Ron! – mormorò. – Abbi un po’ di pietà per le mie povere orecchie! –

- Sciocchezze, - rimbrottò lui – tu non ne hai mai per le mie. –

Hermione l’osservò. Aveva tutti i pantaloni della divisa spiegazzati, i capelli scompigliati e gli occhi pesti, segno di chi ha dormito poco e male. Dalla visione del maglione tutto raggomitolato in un angolo di fianco alla sua stanza capì che, per il terrore di lasciarsela sfuggire, aveva passato parte della nottata lì. Non poté far a meno di distendersi un poco, lasciando persino che un sorriso le si spandesse sul viso teso.

- Oh Ron, sei incredibile. –

Lui, che ovviamente non aveva potuto seguire tutte le tappe del processo logico della ragazza, si limitò ad assumere un’espressione neutra – a ben vedere, parecchio sciocca – che d’altronde s’intonava alla perfezione con la sua tenuta. Si grattò la nuca svogliatamente, mentre uno sbadiglio lo sorprendeva impreparato.

Hermione ammirò la panoramica dentale del suo migliore amico, e, in un impeto di pura autocommiserazione, si chiese cosa mai l’avesse indotta, tempo prima, a porlo come ragazzo del suo cuore, sentimentalmente parlando.

Forse, ammise, era l’unico obbiettivo a cui potesse puntare. Appena arrivata a scuola, isolata da tutti, perennemente dedita allo studio, l’unico modo convincente che avesse trovato per porre rimedio alla sua solitudine, ogni sera, era quello di attirare su di sé l’attenzione ostentando una cotta per Ronald Weasley. La scelta dell’obbiettivo, per quanto potesse apparire un puro controsenso, era stata dettata dalla condiziona sociale che Ron aveva all’interno della scuola. Un po’ più considerato di lei, certo, eppure ben lontano dai picchi di popolarità del suo migliore amico Harry Potter.

Infine, quella sua infatuazione era andata svanendo proporzionalmente con l’aumentare della sua popolarità a scuola, cosa che, in quel settimo anno, non le dava nemmeno un attimo di tregua. Ron, comunque, rimaneva sempre l’eterno escluso, il ragazzo le cui gesta andavano sempre subordinate a quelle di Potter, i cui voti scolastici non brillavano come quelli di Hermione Granger, su cui si poteva fare affidamento in ogni occasione, ma che non aveva spirito d’iniziativa.

E la lealtà, in quel covo di serpi, era ormai una virtù svalutata, privata del suo verso senso.

- A volte proprio non ti capisco, Herm. Ad ogni modo, che diavolo voleva da te, Malfoy? –

- Propormi un patto. – disse lei, annoiata, mentre la mente ritornava alla sera prima, e un senso di fremente eccitazione le prendeva il ventre. – Non gli ho dato ascolto, comunque. –

- Mi pare ovvio. – lui si grattò una guancia. – Ma, mh, per curiosità, cosa ti avrebbe proposto? – Hermione lo fissò per qualche istante, guardinga.

Che Ronald Billius Weasley amasse bearsi dei fatti altrui non era certo un mistero per nessuno, e che a volte vivesse del pettegolezzo come una vecchia vedova ammuffita, nemmeno. Ma quell’insolita curiosità, abbinata ad un rossore sempre più crescente, era quantomeno sospetta.

- Come mai ti interessa? In fondo, ho ben diritto ad una vita privata. –

Sentendosi scoperto, l’altro si portò le mani al viso, annuendo. – Certamente. Ma, insomma, dato il finimondo di ieri, mi chiedevo se fosse venuto da te per chiederti qualcosa in merito. Non dimentichiamoci che Theodore Nott è uno Slytherin. –

Hermione storse il naso. Presa da altre preoccupazioni, si era completamente dimenticata di quello che era successo con Harry. Alla fine, non poté far a meno di considerare la visita provocante di Malfoy quasi come un piacevole diversivo.

- Già. Ad ogni modo, mi ha chiesto di collaborare con lui. Voleva che lo aiutassi a far lasciare Harry e Theodore. –

Seguì un silenzio teso, quasi distante, tanto che entrambi distolsero gli occhi per andare a puntarli altrove, dove il peso di uno sguardo non comportava la fatica di una segreta confessione.

- E perché non hai accettato? – Hermione posò gli occhi su di lui, confusa.

La domanda di Ron l’aveva inevitabilmente colta impreparata. Sobbalzò penosamente, come colta di sorpresa. Il viso del suo migliore amico era teso, duro, come se quella frase gli fosse costata quasi quanto rinnegare l’amicizia con Harry stesso.

Balbettò confusa, incespicando su parole che non volevano uscirle dalla bocca. Com’era possibile che Ron fosse del parere di Malfoy? In quale universo parallelo erano finiti?

Ma specialmente, come si faceva ad uscirne?

- Ma Ron, Harry è il nostro migliore amico. Come puoi chiedermi una cosa del genere?! Con che coraggio potrei più guardarlo in faccia, se accettassi la proposta di Malfoy? Andiamo, Ron… RON! – stava praticamente piangendo, e nemmeno se n’era resa conto.

Ronald non la guardava. Evitava il suo sguardo, codardamente, lasciandolo posato sul pavimento. – Mi spiace, Herm. –

- Co… cosa? –

- Harry è un eroe. E un eroe non fa queste cose.

- Ma… -

Weasley si allontanò quasi furtivamente. Probabilmente soffriva anche lui come un cane, pressato dall’egoistica scelta che aveva fatto dentro di sé, senza riguardo per nessuno, se non per stesso.

Chiusasi in camera, per la seconda volta in poche ore Hermione non poté far a meno di pensare che ora si era persa pure la lealtà. Capiva, seppur solo con una parte di se stessa, i sentimenti di Ron.

Il rosso era un po’ come la luna: viveva di luce riflessa, non sapeva brillare da solo – o forse, ne era semplicemente convinto. Aveva capito che una simile macchia sull’armatura di Harry – dell’eroe che aveva sconfitto Voldemort  - avrebbe suscitato un notevole ronzio nella comunità magica. E tutti sapevano che quello non sarebbe stato accettato.

Ron aveva semplicemente visto la sua popolarità svanire nel nulla. Ed egoisticamente, aveva deciso che voleva la vita che conduceva da quando aveva conosciuto Harry.

Hermione sospirò mestamente. La fama colpiva anche alle spalle.

 

 

*°*

 

 

La lezione di pozioni fu quanto di più umiliante a cui Hermione avesse mai assistito. La notizia della relazione clandestina doveva essersi diffusa a macchia d’olio in tutti e due i dormitori, poiché gli sguardi di tutti gli alunni – con grande fastidio di Piton -, erano praticamente incollati sui due ragazzi. Questi facevano buon viso a cattivo gioco, ma l’imbarazzo sottopelle era evidente, per non dire evidentissimo.

Harry fece cadere una provetta, che andò a frantumarsi nel mezzo del corridoio centrale. Piton borbottò, visibilmente infastidito.

Theodore – ormai Hermione aveva iniziato a chiamarlo per nome –, che da secoli aveva il banco di fianco a quello di Potter, si era chinato per raccoglierne i pezzi in frantumi. Harry, da parte sua, aveva fatto altrettanto.

Quando le loro mani si erano accidentalmente toccate, tutta la classe aveva trattenuto il respiro, sporgendosi verso di loro. I due si erano ritratti, come scottati.

- Scusami, io… -

- Non… non fa niente. –

A quel punto, il beneamato insegnante di pozioni decise che aveva sopportato fin troppo. – Fuori! – tuonò. – Potter e Nott, fuori!!

Mentre i due puniti passavano come in processione fuori dalla porta, fra le risate e le allusioni generali, Hermione vide alcune lacrime strisciare fra i solchi del viso del suo migliore amico.

 

 

*°*

 

 

Harry non avrebbe dovuto soffrire, si disse. Non importava a quali metodi sarebbe stata costretta a ricorrere, a quante auto punizioni si sarebbe inflitta, come pena.

Hermione di questo era più che certa.

Quando ritrovò Draco Malfoy davanti a camera sua, la notte dopo, non lo salutò nemmeno. Si limitò a fissarlo negli occhi, trovando qualsiasi parola troppo codarda per poter essere pronunciata.

- Alla fine, sei venuta. –

- Ti ascolto. –

 





Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al che, yuppy, si passa al numero due, e poi al numero tre.

Alla fine, questi due primi capitoli si concludono alla stessa maniera – cioè con Draco ed Hermione che devono parlare. Accidenti quanto sono prolissa.

No, Ron non sarà così… così… così viscido sempre. Almeno spero.

 

Per quanto mi riguarda, l’odio totale che provo verso di lui è un elemento che non influenzerà le mie scelte narrative – va bene, va bene, scena dello sgabuzzino a parte. Però dai, quella era così dannatamente carina che non potevo non metterla.

Magari l’inserisco di nuovo, o ne invento un’altra.

Tanto, di posti in cui rinchiudere la gente ad Hogwarts è decisamente pieno. Prendiamo come ipotesi la sola categoria dei “bagni maledetti”: pretendete forse che il nostro caro Salazar Slytherin si accontentasse di un solo bagno, e di una sola camera segreta?

Nono, prettamente impossibile.

Chissà quanti basilischi ci sono nelle tubature. Che poi, voglio dire, avran fatto pure dei figli, no?

Dubbio colossale del momento: ma i basilischi fanno le uova, o i cuccioli già nati? Essendo serpenti – ehm, serpentoni – propenderei per la prima.

Ma riconosco di non aver mai avuto un tete a tete con un basilisco femmina incinta. Per carità, già sono scontrosi di loro, non voglio nemmeno pensare al loro carattere durante momenti simili.

Ho come l’impressione di aver fatto rovine di tutta la mia dignità, in queste righe precedenti.

 

AmenXD

 

 

 

 

Si ringraziano, LCasssieP, camyxpink, Claheaven [poco sclero in questo capitolo, ma confida nel prossimo XD], Cobwy23, Felicity89, Kira Kira, Simona, Erin, DamaArwen88, Gy__MrSMaLfOy, picci 1989, White_tifa, e la mia Artemisia [grazie cara!].

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Mercoledì ***


Seven Days

Seven Days

Mercoledì

 

 

 

 

 

 

 

 

Un qualche vecchio incantesimo latente dei gemelli Weasley risalente al tempo della guerriglia del quinto anno doveva essersi improvvisamente risvegliato: quando Hermione scese a colazione, la mattina di mercoledì, trovò tutte le vetrate della Sala Grande tinte di un triste grigio sporco, mentre la cupola incantata mandava lampi e tuoni. E la Caposcuola era fermamente convinta di aver visto un brillante cielo azzurro, non appena alzata.

Tanto più che, ad avvalorare l’ipotesi del vecchio incantesimo, tutti gli studenti della Sala potevano dilettarsi di una proiezione magica della cara Umbridge – la quale volava sul soffitto trasfigurato, mostrando a tutti un notevole paio di mutandoni a quadretti rossi e azzurri, con qualche sporadico cuoricino verde qua e là.

Tutti erano rotolati giù dalle sedie inneggiando un coro ai due gemelli, e per quanto la sua rigida immagine glielo permettesse, anche Minerva Mc Granitt sfoderava un inequivocabile sorriso di divertimento.

Pessima giornata, pensò Draco Malfoy.

La Sala Grande si era trasformata in un bordello babbano, e persino i tutori dell’ordine non facevano molto per intervenire. Tutt’ al più, il suo aristocratico mal di testa non aspettava altro che quello per cominciare a marciare a tutta forza sulle sue povere tempie.

Per un attimo, fu sfiorato dalla tentazione di andare a togliere qualche punto ai mocciosi Gryffindor, in memoria della Squadra D’Inquisizione: tuttavia non si mosse dal suo tavolo.

L’improvviso pensiero della professoressa di trasfigurazione, la cui espressione poteva facilmente commutarsi in qualcosa di veramente spaventoso, lo trattenne da qualsiasi movimento o azione sospetta.

Si limitò a mandare un salutino verso Dolores Umbridge, sperando che al S. Mungo i pasti fossero per lo meno decenti.

- Pensi a qualcosa, vecchio mio? –

La faccia irritantemente divertita di Blaise gli provocò una dolorosa fitta alla tempia sinistra. – Parla piano, dannazione! Lui non dorme mai! –

- Chi, il tuo cervello? Strano, avrei detto spontaneamente il contrario. –

- Stavo parlando del – rispose piccato Malfoy. Fu costretto ad interrompersi per via di un’altra fitta che gli torturò – per dovere di parcondicio – la parte destra del volto.

- Proprio non ti capisco. Dici sempre che le mattine sono estremamente noiose, qui a Hogwarts, e poi, quando succede qualcosa di buffo, non fai altro che lamentarti. – nel mentre, Zabini si servì di un abbondante razione di formaggio fuso, il cui tenace odore raggiunse le delicate narici di Malfoy, che si ritrasse inorridito.

- Tutta colpa di mia madre… -

- Ma chi, la Umbridge? –

- Il mal di testa, idiota. – lo rimbeccò. – Dannazione, Blaise, non fai che aumentarlo! –

- Aa. – intese finalmente l’altro. – E io che mi aspettavo qualche rivelazione scottante. –

- Deluso? –

- Solo parzialmente. – si schernì lui. – Devi ancora raccontarmi che cosa facevi ieri sera fuori dal dormitorio. 

Draco alzò gli occhi grigi su di lui, ben cosciente del fatto che non avrebbe potuto liquidarlo con due sole misere parole. Per quanto orribile fosse tale prospettiva, avrebbe dovuto raccontargli tutto dall’inizio.

Anche se implicava il rivangare quel problematico incontro di boxe tra lui e l’intero dormitorio Gryffindor, per non parlare dello schiaffo della Granger, o del viso istupidito di Weasley.

Troppe cose orrende in una volta.

Il mal di testa di Draco, da dentro il suo cervello, sguainò un ghigno orrendo.

Malfoy non poté far a meno di reprimere un brivido di terrore. Nemmeno la mutande della Umbridge potevano arrivare a tanto.

 

 

*°*

 

 

Quando Hermione Granger giunse in Sala Grande, la prima cosa che pensò fu che avrebbe dovuto rimettere a posto tutto quel macello, e la cosa non rappresentava di certo una prospettiva piacevole. Fece scorrere subdolamente lo sguardo sulla tavolata Slytherin per cercare un inconsapevole volontario che l’aiutasse nello scioglimento dell’incantesimo. Theodore Nott era sempre stato bravo in quella materia, ma si sentiva decisamente impreparata per uno scontro diretto con lui, giacché non riusciva nemmeno a guardare in faccia Harry – ed era noto, che il legame che aveva con i due fosse molto, molto diverso.

Alla fine strisciò rassegnata fino alla propria tavola, proprio mentre – secondo gli schemi della cupola impazzita – iniziava a piovere a catinelle.

La situazione artistica era addirittura peggiorata: per ripararsi dalla tempesta, Dolores Umbridge aveva aperto un grazioso ombrellino a trine e merletti che, ovviamente, essendo traforato, forniva ben poco riparo. Il che, comunque, confermava in maniera tragicomica la stupidità dell’ex professoressa.

Quando riabbassò lo sguardo depresso sul tavolo, Hermione si accorse con orrore che il suo the era stato condito con un grazioso confetto di grandine.

Pessima giornata, commentò tra sé e sé.

Ron continuava ad ignorarla, e rifiutava qualsiasi tipo di contatto. Harry, a causa della sua natura schiva, si era ritenuto in pericolo, e si era chiuso a riccio in stesso.

Proprio quando stava meditando di lasciare quella fiera di stramberie in cui si era tramutata la Sala Grande, un maestoso rapace nero atterrò sulla sua capigliatura crespa, scompigliandogliela, e facendola lacrimare per il dolore.

La lettera era di Draco Malfoy:

 

A stasera, alla torre di astronomia.

 

Sbuffando, crollò il capo. Il rapace, nel mentre, le beccò la mano sinistra, piuttosto irritato per non aver ancora ricevuto il suo compenso. Hermione ululò di dolore. Malfoy, seppur concentrato nella lotta contro il suo mal di testa, rise apertamente.

Hermione ebbe l’idea finalmente che voleva. – Professoressa Mc Granitt, - disse – Professoressa Mc Granitt, il Caposcuola Malfoy mi deride apertamente. Ritengo che una punizione sia più che necessaria. –

Il ghigno sul volto dello Slytherin si spense abbastanza rapidamente, così come la linea delle labbra dell’insegnante sparì nell’incavo di quella smorfia di disappunto.

- Ha perfettamente ragione, signorina Granger. Lascio a lei la decisione finale. Intanto, faccio sgombrare la Sala, e lascio la povera, ehm, la povera Dolores immersa nei suoi divertimenti. –

Roba da matti, pensò Malfoy. Adesso non ci si poteva fidare nemmeno dell’imparzialità degli insegnanti.

Mentre la donna se ne andava, il sorriso di Hermione aumentò di pari passo alla sua soddisfazione. Nello specifico, le parole “soluzione finale” gliene davano molta, anzi moltissima.

Malfoy doveva aver intuito pressappoco la stessa cosa, in quanto, il più silenziosamente possibile, le aveva dato le spalle e si era mischiato alla folla uscente.

- Accio Malfoy!dannazione. Era proprio vero che le cose più semplici erano anche le più diaboliche. Non senza un certo piacere Hermione si ritrovò a fissare il biondo, sdraiato per terra davanti a lei, un’espressione distrutta dipinta sul volto, e la mano sinistra che artigliava ferocemente – ma con scarsi risultati – la propria bacchetta, ottenendo solo di far tremare tutto l’arto violentemente.

- Maledizione Granger, potresti anche essere un poco più delicata. Tutti dicono bene di te, ma non ti hanno mai visto all’opera! – grugnì poco finemente, rimettendosi in piedi, tutto impolverato. – Ma non la pulisce più nessuno, questa sala? Stupidi elfi domestici, esseri inutili. – si accorse con qualche secondo di ritardo di aver decisamente toccato il tasto sbagliato. La Granger ostentava un viso rilassato, ma la piega rigida delle sue labbra – inquietantemente simile a quella della Mc Granitt – non lasciava presagire nulla di buono.

Improvvisamente si ricordò di una cosa: lui era in punizione. Con la Granger. Che in quel momento aveva la sua bacchetta spianata contro il proprio petto.

Non parlare male degli elfi domestici, annotò sul suo taccuino mentale. Non prima di averla privata della sua arma, almeno.

 

 

*°*

 

 

- Così, volevi vedermi. – Hermione iniziò il discorso con un tono volutamente casuale, lo sguardo puntato sulla propria bacchetta, mentre tentava inutilmente di raggiungere la concentrazione necessaria per eliminare l’incantesimo. – Ieri sera, non hai voluto dirmi niente, infine. –

- Tu in compenso mi hai mollato un ceffone non irrilevante, Granger. Quelle manacce da Mezzosangue dovrebbero rimanere al proprio posto. Oppure, visto che tieni così tanto a quei cari elfi domestici, potresti adoperarti per diminuire il loro lavoro nel castello.            -

- Cos’è Malfoy, ci tieni così tanto ad essere schiantato? –

Malfoy decise di no.

- Il piano che volevo esporti è relativamente semplice. – precisò – Sempre che tu sia in grado di capire una cosa del genere. –

- “Sempre che tu sia in grado di capire una cosa del genere.” – lo scimmiottò lei, ostentando una vocetta stridula. – Perché Malfoy, riesci comprendere parole che vadano al di là dei campi semantici del tipo “sesso”, “ragazza”, “relazione”, o “mezzosangue”? –

Lui rise. La risposte della Granger, sempre a metà tra il sarcastico e il saccente, sempre capaci di colpire nel punto giusto, lo facevano divertire. Era quasi orgasmico stare lì ad osservare quella ragazza pretenziosa, invincibile se opportunamente sfidata su alcuni campi, che si dibatteva nell’imbarazzo di pronunciare certe sacre parole.

Hermione Granger era forte.

Lo sguardo dorato non tradiva alcuna incertezza, eppure Malfoy era certo di avervi scorto un bagliore di fragilità qualche istante prima, quando si era esposta con quella fastidiosa eppure necessaria domanda. Comunque, non le fece notare niente di tutto ciò, perché Draco Malfoy era una persona furba, e le persone furbe evitavano prudentemente ogni tipo di donna pericolosa. A meno che non si fosse trattato di un pericolo sessuale – allora la questione sarebbe stata diversa, e Malfoy non sarebbe stato ancora così tanto vestito.

In ultima analisi, Hermione Granger era pericolosa – in senso letterale – e sfidarla ad una gara di schiantesimi era una cosa rischiosa: quasi quanto dire che Ron Weasley aveva un cervello. Gli Slytherin erano abituati a dire bugie, grosse bugie, ma quella era assolutamente un’esagerazione. Dunque, Draco Malfoy sapeva dire bugie – a parte sostenere che Ronald Weasley era intelligente, perché esagerazione era solo un eufemismo a riguardo – e non si fece alcun problema a pronunciarne un’altra, quella mattina.

- Ovviamente sì. – il che era anche abbastanza vero. Lui parlava anche del quidditch, quindi poteva ritenersi soddisfatto: non avendo ancora detto una grossa bugia alla Granger, poteva permettersi di dirne una ora.

- Senti Granger, parliamo chiaro: questa cosa non piace a te quasi quanto non piace a me. –

- E suppongo che dovrei ringraziarti per l’immenso sforzo a cui ti stai sottoponendo ora, dunque. –

Malfoy parve considerare la questione per qualche istante, infine alzò le spalle, sottolineando il movimento con un broncio nichilista. Mha, come preferisci. –

Il sopracciglio sinistro di Hermione, se ne avesse avuta la possibilità, si sarebbe addirittura ribaltato, al posto di convergere leggermente verso l’interno del viso. Comunque, la piega doveva essere abbastanza esplicita da convincere l’altro a stare zitto. – Cosa vuoi Malfoy? –

- E’ semplice: che tu diventi la mia ragazza. Per finta, ovviamente. –

- Certo. –

- Bene, allora ci vediamo. – sventolò una mano in saluto, e si allontanò verso la porta della Sala Grande.

- Accio Malfoy! –

Ormai richiamare i propri compagni d’anno con la voce doveva essere una moda decisamente superata, concluse il biondo. Quella dell’incantesimo di richiamo era un’abitudine particolarmente scomoda, oltre che dannosa.

- Granger… -

- A volte la tua idiozia mi commuove, Malfoy. – scandì secca. – Come puoi pretendere che io accetti una cosa del genere? –

- Ieri sera pareva pronta a tutto. –

- Questa cosa trascende decisamente il mio concetto di tutto. Scordatelo. –

Un ghigno gli distorse il volto, tanto che gli parve quasi una scena da film. – Pensaci, MezzoSangue. Abbiamo bisogno di trovare un argomento in comune a tutti e due, che li faccia discutere. –

-E dunque? – quel sopracciglio stava diventando fastidiosamente privo di inibizioni, e pareva vagare sul volto dell’altra, disperso.

- Noi siamo l’argomento in comune. –

- Malfoy, dimentichi un particolare: io ti odio. –

Lui alzò le spalle, scrollandosi di dosso tutta la polvere del pavimento. – Come se potessi dimenticarlo. Ma il tuo amore per Potter supera anche l’odio che provi per me. –

Hermione parve riflettere per qualche istante, la schiena curva e gli occhi assenti. Come poteva spingersi tanto in basso, quando aveva rimproverato a Ronald quella stessa debolezza qualche tempo prima?

In fondo Malfoy aveva detto la verità. Lei voleva bene ad Harry come ad un fratello minore, un fratello minore da proteggere.

- Va bene. –

- Allora siamo d’accordo. –

- EMalfoy? –

Lui si voltò, aveva un viso tranquillo. – Sì? –

- Come… come speri di farlo sapere in giro? –

Malfoy snudò un ghigno che la professoressa Mc Granitt a confronto era solo un’innocente colomba. – Questo, - disse sventolando un biglietto – è quello che ci aiuterà. –

 

 

*°*

 

 

Se Ronald Weasley amava il pettegolezzo, Pansy Parkinson lo aveva innalzato a Dio Supremo e Regolatore della propria vita.

Quando si ritrovò sopra al cuscino quel piccolo biglietto in carta giallastra, pensò immediatamente ad un biglietto dalla sua compagna Millicent.

Invece il messaggio era anonimo, e totalmente estraneo al discorso che aveva avuto con l’amica qualche oretta prima.

 

Draco Malfoy ed Hermione Granger si sono messi insieme. Non dirlo a nessuno.

 

Il che equivaleva ad un invito a nozze. Per la prima mezz’ora, si era trastullata con quel biglietto sotto il naso, senza fare niente. Poi, nei successivi venti minuti, quella parola sottolineata aveva cominciato a vagare nella sua mente, ingigantendosi ad ogni istante che passava.

Altri dieci minuti, in cui Pansy Parkinson si sentì dilaniare da quella scritta.

Va bene, pensò. Non lo dirò quasi a nessuno.

 

 

*°*

 

 

Alla sua entrata nella Sala Grande per l’ora del pranzo Draco Malfoy ebbe la conferma delle proprie teorie: chiedere a Pansy Parkinson di mantenere un segreto era come chiedere a Ronald Weasley di pensare. Tecnicamente impossibile.

Il tavolo degli Slytherin doveva aver subodorato qualcosa, perché nessuno ostentava espressioni particolarmente sconvolte, e Blaise Zabini beveva la sua tazza di the praticamente affogandovi dentro per nascondere un sorriso che gli tirava tutto il volto.

O forse, nessuno dei suoi compagni avrebbe mai potuto concepire una cosa del genere, così che il cicaleccio di Pansy era stato ignorato.

Infine, Hermione entrò nella Sala, un’espressione vagamente terrorizzata sul viso, perché quando si trattava di sparlare, Hogwarts si rivelava essere una scuola particolarmente unita: unita sotto il segno del pettegolezzo. Tant’è che la voce era arrivata anche alle sue orecchie.

Improvvisamente tutti gli studenti si zittirono, puntando i propri sguardi sulla ragazza, la quale avvampò con così ampia partecipazione, che gli Slytherin furono costretti a rivedere le loro teorie.

Draco Malfoy le si fece incontro, stiracchiò un sorrisetto, e, giunto davanti a lei, pronunciò un tranquillo – Buongiorno Hermione. –

Lei, per tutta risposta, strabuzzò gli occhi: la situazione appariva tragicomica e non prometteva nulla di buono.

- Stanno proprio insieme. – commentò Zabini soddisfatto. Infine si alzò, dirigendosi verso di loro: giacché uno Slytherin sapeva dire bugie, bugie grosse – a parte sostenere che Ronald Weasley era intelligente – e quella sembrava una totale assurdità, per non diminuire la propria stima, Blaise Zabini fece l’unica cosa possibile.

Diede una forte spallata alla Granger, che capitolò proprio sul corpo di Malfoy – che si era abbassato giusto in tempo per baciarla sulla bocca.

 

Pansy Parkinson pigolò come un bambino a cui hanno detto che il Natale viene otto volte all’anno.

Tutti gli Slytherin sospirarono. La loro credibilità era salva. L’eventualità di non poter dire ben due bugie – a parte sostenere che Weasley fosse intelligente, perché era una totale assurdità – era decisamente peggio che sopportare l’idea di due coppie miste.

 

Malfoy nel frattempo aveva deciso di approfondire il bacio.

Il tavolo verde rabbrividì.

 

Forse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

No, ok.

Fate un alterino alla mia amica, che prende le cose che scrivo, le batte sul pc e le posta sull’efp.

Lo so. Sarei dovuta sparire per studiare ma alla fine scrivere distrae.

Questo capitolo è stata un’illuminazione: è quando mi sono resa conto del fatto che ero già a mercoledì e, ops!, una settimana finisce di domenica.

Ok, lo so che il povero Ronald non centra niente ma… insomma. È Ronald Weasley, voglio dire!

OMG °°

 

Ringrazio tutti quelli che hanno commentato: Claheaven, Artemisia amora, Kithiara, Camyxpink, Kira Kira, Erin, White_tifa.

Me commossa!

 

Ad Malora!

Lady

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Giovedì ***


Seven Days

Seven Days

Giovedì

 

 

 

 

 

 

 

Quando si trattava di gestire delle emergenze, di qualsiasi entità o gravità, Ronald Weasley non sbagliava mai. Semplicemente, amava applicare quel metodo di ragionamento tanto caro anche a Goyle e Tiger secondo cui bisognava affrontare un punto per volta, e risolto quello, passare al grattacapo successivo. Niente di più giusto quando si trattava di arginare situazioni di tipo sequenziale, per cui l’effetto della prima era la causa della seconda, e risalendo lungo la catena, si poteva facilmente risolvere il problema all’origine. Va bene: Ronald Weasley non sbagliava mai perché nessuno gli aveva mai consegnato il suo cuore in ginocchio, pregandolo affinché risolvesse ogni sua tribolazione. Se non fidarsi di uno Slytherin era cosa buona e giusta – intuizione a cui persino il Re poteva facilmente approdare – fidarsi del credo Slytherin in fatto di pettegolezzi lo era altrettanto. Se nessun pettegolezzo dei verde argento circolava riguardo al presunto avvistamento del cervello di Ronald Weasley, le probabilità che questo esistesse diminuivano sensibilmente. E giacché nemmeno gli Slytherin osavano affermare che Ronald Weasley aveva un cervello, allora doveva essere vero.

Insomma, per farla breve, Ronald Weasley quella mattina era particolarmente confuso: aveva appena perso pezzi significativi riguardo la credibilità della propria teoria, giacché non uno, non due, ma ben tre problemi gli erano capitati davanti al naso contemporaneamente. Il dramma stava proprio nel fatto di non riuscire a collegarli tutti.

Per esempio: al fatto che Harry e quello si fossero messi insieme poteva agilmente collegare la reazione rumorosa di sua sorella. Ma di lì a spiegare per quale motivo Hermione si fosse messa con quell’altro, il passo era davvero troppo lungo. Oppure: Hermione si era sentita abbandonata da Harry e aveva cercato rifugio tra le braccia di Malfoy, e Ginny… beh, Ginny si comportava di conseguenza. Ma in quel caso non avrebbe saputo collegare le due ragazze, quindi il problema era di nuovo daccapo.

Comunque, spiegare perché Hermione e quell’altro avessero deciso di essere una coppia era qualcosa di veramente troppo complesso per lui, tanto che era sopraggiunto un apocalittico mal di testa a fargli compagnia.

- Cerchi di pensare, Ronnie? –

- Chiudi il becco, Gin. Già la questione è abbastanza complicata di suo, senza che ti metta pure tu col tuo inguaribile malumore. – il Prefetto sorrise malignamente da dietro la tazza del the.

- Comunque, pare stia andando bene. – buttò lì casualmente.

- Quell’altro si comporta bene? –

- Mi pare che Harry sia felicissimo. –

Il Re dei re emise un guaito che avrebbe potuto commuovere persino il Barone Sanguinario, se soltanto il fantasma fosse stato dotato di un cuore. Ma dato che non l’aveva, si dovette accontentare di commuovere Calì Patil, la quale, distrutta per il suo essere distrutto, gli poggiò caritatevolmente una mano sulla spalla.

- Quell’altro è quello. –

- Mh? – fu il turno di Ginevra, che imbronciò il viso senza aver capito.

- Volevo solo sapere come si comportava quell’altro, mica quello. Di quello ho già abbastanza notizie, grazie. -

Calì Patil fissava la Weasley, perplessa da quell’impressionante quantità di pronomi dimostrativi.

Ron si alzò dal tavolo con gli occhi socchiusi. – Il mal di testa mi sta dilaniando il cervello. Credo che andrò a riposare. –

Mentre la compagna d’anno lo guardava andarsene sospirando, Ginevra sfoderò il suo ghigno peggiore e commentò ad alta voce le epiche gesta del fratello. Come riusciva a fiaccare il mal di testa, per esempio, facendogli dilaniare il niente.

 

 

*°*

 

 

- Io mi chiedo cosa tu abbia nella testa! – gridò. – Segatura? Vermicoli ammuffiti? Tutto quel sangue puro deve averti innaffiato il cervello! –

- Aa. –

- Malfoy, ma mi stai ascoltando? –

- Forse. – il diretto interessato stava seduto sulla sua poltrona preferita, una gamba appesa ad un bracciolo e la testa sostenuta dalla mano sinistra. E nel complesso, non aveva l’aria di una persona attenta. – Insomma, Granger, non sai fare altro? –

Il Sacro Dio Gryffindor doveva aver deciso che lassù nell’Olimpo di Silente ci si annoiava parecchio: così, terribilmente affranto dalle proprie vuote prospettive future, doveva aver stabilito che una reincarnazione sarebbe stata un sufficiente diversivo.

Hermione Granger era evidentemente la fortunata prescelta del Dio che, non contento d’arrecare danno con la sola presenza, aveva pure preso possesso di un corpo tenace – oltre che particolarmente affascinante. Dunque la Gryffindor, dopo aver sradicato il biondo dal suo comodo sedile e averlo fatto capitolare miseramente a terra, gli aveva puntato un piede sul petto, traforandolo con l’assassino tacco a spillo.

- Ahio? – azzardò Malfoy, gli occhi strizzati.

- Oh. – niente da fare. Qualunque situazione, qualunque istante o momento. Il rimorso Gryffindor era peggio di una piaga. – Oh, scusami Malfoy. –

Nell’atto di togliere il piede dal suo torace aveva lasciato il suo peso unicamente sull’altra estremità, tanto che per un attimo traballò: a minare definitivamente il suo equilibrio ci pensò lo Slytherin, il quale, non dovendo far conto con nessuna coscienza, non ci mise nemmeno due secondi a farla capitolare al suo stesso livello.

- Ouch! Malfoy, razza di idiota, toglimi le mani di… - i suoi occhi erano grigi e chiari. Non li aveva mai visti così vicini e così da vicino. - …dosso. –

Sentiva la mano del ragazzo premerle sul ventre, come una barriera tra lei e il suolo, mentre l’altra era mollemente poggiata sulla schiena, appena sopra le lombari. I loro fiati s’infrangevano reciprocamente sul viso dell’altro, violenti. Nella sala era calato un silenzio teso che nessuno dei due seppe spiegare.

- Quanta convinzione, Granger. – la schernì lui, liberandola dalla stretta delle proprie braccia.

Quando si accorse d’essere libera, Hermione fece leva sulle braccia per allontanarsi il più possibile da Malfoy, senza tuttavia riuscirci.

Le sue braccia erano diventate di piombo, e parevano non volersi staccare dal pavimento ove erano poggiate. Non aveva senso, si disse. Perchè non riusciva più a muovere un passo, e ovunque spostasse lo sguardo, immediatamente questo tornava sul viso dello Slytherin?

Sui suoi occhi argentati, fatti del metallo più puro e pregiato. Non avrebbe voluto rimanere lì per sempre perché il suo senso del pudore urlava vendetta: ma l’ipotesi di allontanarsi appariva più che utopistica: semplicemente irrealizzabile.

Non aveva mai pensato a Malfoy come un ragazzo attraente, e non capiva perché il suo cervello avesse deciso di giocarle quello scherzo proprio ora, nel momento di peggiore difficoltà. Di tutte le sfortune che un Gryffindor poteva avere, questa era sicuramente una delle peggiori.

- Potrei anche baciarti, Granger, e poi dirlo a Potter per farlo ingelosire. –

L’idea di base era ottima, i motivi non proprio nobili, ma l’applicazione praticamente impossibile. Draco continuava a guardarla negli occhi, senza interrompere il contatto nemmeno per sbattere le palpebre. Era una visione mistica, inquietante.

- Non mi sembra una buona idea. –

- Che c’è, qualcuno ti ha fatto un incantesimo? Sei diventata malleabile. –

C’era una sfumatura di divertimento nella sua voce che le fece socchiudere gli occhi. Un trucco, un inganno?

- Mi hai fatto un incantesimo, Malfoy? Se è così, smettila subito!

- Perché, senti qualcosa? –

Hermione si morse le labbra. Ci era cascata come una stupida. Se avesse detto di sì, Malfoy avrebbe immediatamente negato il tutto, o forse, ancora peggio, avrebbe sostenuto di avere del potere su di lei. Se avesse detto di no si sarebbe tinta di un rosso così spudoratamente significativo, da doversi andare a nascondere per qualche metro sotto terra. O forse qualcosina di più.

- Fammi alzare, Malfoy. -

- Sei tu che devi volerlo, Granger. Altrimenti, resteremo qui così per un bel po' di tempo… - ed era chiaro che la situazione non doveva dispiacergli poi molto. Aveva un tale sorriso derisorio che Hermione si sentì ridicolmente presa in giro. Stare lì, da sola con lui, non era un'idea furba quasi quanto non lo era trovarsi fianco a fianco con Severus Piton durante una cena.

- Devo andare. -

Finalmente si alzò: la camicetta, arruffata sui fianchi, pareva essere appena uscita da una centrifuga senza poi esser passata alla stireria. E ovviamente la situazione poteva essere fraintesa in almeno dieci modi diversi. Meditò di fermarsi nel bagno dei prefetti per darsi una lavata veloce - il profumo dello Slytherin era dannatamente pungente, quanto ammaliante - e di approfittare del luogo solitario per dare una sistemata anche ai vestiti.

Doveva arrivarci viva, certo, ma la vita era fatta di piccoli passi da affrontare con calma.

Barcollò per un istante sui tacchi, come se ritrovare la posizione eretta fosse stata un'improvvisa quanto inaspettata novità. Lo fissò. - Ricordati che il nostro è un patto di necessità, Malfoy. Un patto di necessità, e niente di più. -

- Scappa, scappa… -

Il malvagio ritornello l'accompagnò fino al corridoio interno del dormitorio, dove infine di spense nel nulla.

La mente di Hermione, tuttavia, continuava a vagare.

 

 

***

 

 

 

- Cerchi di nasconderti da qualcuno, o fuggi da te stessa? -

- Gin, per favore… -

Ovviamente, la sua mente - da tutti ritenuta per lo meno brillante - non aveva calcolato che il bagno dei Prefetti era sì per soli prefetti, ma che ovviamente non era da considerarsi sua proprietà privata. Era arrivata davanti alla porta mossa da una sprovvedutissima ingenuità che le aveva fatto pensare d'essere ormai al sicuro. Quando aveva aperto l'uscio, intrufolandosi di schiena dentro alla stanza, la voce scura della sua migliore amica le aveva sezionato il cuore in tante piccole parti.

Minuscole, parti.

Ginevra Weasley pareva aver perso ogni parvenza di umanità da tempo: agevolare una persona, che fosse la sua migliore amica o meno, non le era mai riuscito particolarmente facile. Ma quando c'era di mezzo un segreto, un grosso segreto, specialmente riguardante Draco Malfoy, il suo sguardo inquisitorio diventava di ghiaccio.

E ogni speranza svaniva nel niente.

- Avanti, sei un'imbranata Gryffindor secchiona. Non puoi nascondere una cosa tanto imbarazzante per molto. Non a me. Che, per inciso, sono la tua migliore amica, ricordi? -

- Sto pensando di riconsiderare la questione. - grugnì la mora, incrociando le braccia sotto il petto. Lanciò al Prefetto un'occhiata ostile, che riuscì a mantenere intatta per circa cinque secondi. Poi il disagio prevalse, e la sua aria da Minerva McGranitt sparì con la stessa velocità con cui Ronald Weasley fuggiva quando si trovava di fronte ad un ragno.

Il che era veramente dire tanto.

- Ma tu non oseresti mai tanto. Allora Hermione, vorresti dirmi che cosa sta succedendo? -

Probabilmente iniziare il discorso con un "Sai, sono stata nella stanza di Draco Malfoy. Non abbiamo fatto sesso per un miracolo divino, ero seduta sopra di lui e no!, non abbiamo fatto niente."

Probabilmente Ginevra l'avrebbe sguaiatamente presa in giro per essere una bigotta Gryffindor senza sex appeal. Comunque sia, tutte le possibili soluzioni che il suo cervello - ormai cominciava seriamente a dubitare della sua efficienza - era riuscito ad escogitare erano assolutamente inutili, tanto che alla fine si lasciò andare ad un neutro - Niente di importante. - che risuonò falso quanto l'oro dei folletti - per lo meno quel denaro aveva la parvenza di cosa vera, almeno per cinque dannati minuti.

Ginevra rise ugualmente. Il ghigno da iena che le deformò il volto non faceva presagire nulla di buono, e infatti: - Mi stai prendendo in giro, Herm? -

- Non… non esattamente, credo. -

- Non esattamente? -

- Oh, va bene. Sì, è successo qualcosa, e no, non ho alcuna intenzione di dirti cosa. -

Ginevra si esibì in una faccia contrita. - Ma io sono la tua migliore amica. -

- Tu sei solo una viscida serpe, ecco cosa sei. -

- Ti avverto che mio fratello sta escogitando qualcosa. Non so cosa, non so perché, non so quando, ma cerca di stare attenta. -

- Ma chi, Ron? -

La rossa sospirò, coprendosi il viso con una mano. - Lo so, lo so. È di mio fratello che stiamo parlando. Per quanto possa sembrare impossibile, sì: sta meditando qualcosa. -

- Non essere così crudele con lui, è solo… -

- Un idiota. - completò la rossa, sepolcrale.

- Vogliamo uscire di qui? Si sta facendo veramente tardi. - Hermione indossò nuovamente la camicetta, limitandosi ad allacciare i primi bottoni dal basso. Ormai, a quell'ora, avrebbe difficilmente incontrato qualcuno per i corridoi.

Quando aprì la porta, la prima cosa che l'accolse fu il fastidioso flash di un fotografo. Subito dopo, nel bel mezzo del silenzio del castello, mille voci confuse irruppero improvvisamente, stordendola.

- Hermione Granger! -

- Signorina Granger! -

- Come si sente? -

- Cosa sta facendo, con quella camicetta slacciata? -

- Lì dentro c'è Draco Malfoy? -

Lei rimase basita, inchiodata al pavimento.

- Come commenta il furioso litigio che ha spinto Harry Potter e Ronald Weasley a giungere alle mani? -

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a quelli che hanno commentato: Lady Eowyn, Erin, White_Tifa (tesoro sei adorabile a dir poco), Cobwy23, Lady Cassandra, Anya, Crici82, Gemellina, Picci 1989, Lys

 

Vi adoro!

 

RoSs

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Venerdì ***


Seven Days

Seven Days

Venerdì

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina del giorno dopo, Hermione si svegliò in preda al peggiore mal di testa degli ultimi anni, il che era davvero dire tutto. Il solito provvidenziale aiuto da parte di Silente era riuscito a trarre in salvo le due ragazze prima che i giornalisti le prendessero letteralmente d'assalto, ma quando le aveva convocate nel suo studio, per qualche minuto, non aveva concesso loro di vedere Harry e Ron, che al momento si trovavano all'interno dell'infermeria, riparati dai fotografi e dalle domande indiscrete. Silente aveva sostenuto che lasciarli un po' da soli fosse l'idea migliore - anche se né Hermione né Ginevra parevano esserne particolarmente convinte - e così le aveva rispedite nel dormitorio attraverso un vecchio vicolo pressoché sconosciuto, che sbucava ai piedi della Strega Gobba.

Inutile dire che nessuna delle due aveva dormito per più di qualche inutile motivo, per cui la sensazione del risveglio dava modo al cervello di recuperare disordinatamente i fatti appena avvenuti, e la consapevolezza del suo essere inutile la colpiva sempre con più forza.

Ogni volta che si svegliava, lei, pensava.

Così, quel mattino, quando di alzò definitivamente dal quel letto insolitamente scomodo e inutile, barcollò fino al bagno e vi si rinchiuse per qualche istante, per poter meditare nel silenzio. La sua mano si rifiutava anche solo di far andare lo spazzolino da denti per la bocca, così lo lasciò perdere, preferendo il confortante sapore alla menta di una cicca babbana. I suoi capelli non avevano mai rappresentato la perfetta personificazione dell'ordine cosmico: dunque, poteva anche permettersi di lasciare il pettine posato sulla specchiera, per quella mattina. Fece lo stesso ragionamento più o meno con tutte le superflue processioni a cui ubbidiva quotidianamente.

Quando scese per colazione, sembrava l'Hermione Granger trasandata e stanca di qualche anno prima, che non sapeva concedersi null'altro che il monumentale sapere contenuto nella biblioteca. Hermione ricordava gli sguardi che le venivano lanciati spesso, a colazione, e non si stupì di ritrovarne alcuni quella mattina: il derisorio scatto di sopracciglia era sempre snervante. Ignorò la folla di zotici che si apriva davanti ai suoi occhi e si diresse con passo traballante verso Ginevra, che versava più o meno nelle stesse condizioni. La mora non l'aveva mai vista così provata dal quinto anno, quando erano tornati (più o meno) salvi dal Ministero della Magia. Le occhiaie profonde che solcavano i loro visi erano ormai arrivate a lambirne gli zigomi pronunciati.

- Sembri uno spettro, Hermione. -

- E tu un fantasma. - sussurrò esausta. Si lasciò scivolare sulla panca senza alcun riguardo per cose e oggetti nelle vicinanze. Atterrò con un tonfo sgraziato.

Nessuno osò fissarla: erano tutti a conoscenza del fatto avvenuto la sera prima, e sapevano tutti molto bene cosa significasse contrariare Hermione Granger - per altro già contrariata. Lei alzò gli occhi sui suoi compagni di Casa.

- E' venuto qualcuno a dire qualcosa? Non so, riepiloghi, punizioni, visite… -

Lavanda si schiarì la voce e poi disse che no, non era venuto nessuno. - Non ci sono nemmeno gli insegnanti, adesso. - aggiunse Dean Thomas, additando lo spoglio tavolo del consiglio docenti. Hermione si voltò brevemente alle sue spalle. Constatò l'effettiva mancanza dei professori: si girò verso gli altri e annuì.

- Bene. - fece una pausa. - Suppongo che prima o poi verrà qualcuno a chiamarci. Non possono ignorarci per sempre. -

Un paio di persone fecero delle smorfie irriconoscibili. Ginny teneva gli occhi chiusi, ma l'inequivocabile piega sulla fronte non lasciava spazio a equivoci: era furiosa. L'altra fece finta di nulla, come nel nulla aveva lasciato l'occhiata che Draco Malfoy le aveva lanciato qualche istante prima. Tra tutto quello che era successo la notte precedente non aveva decisamente il tempo per dedicarsi anche a lui: inoltre, non era nemmeno così tanto sicura che fosse totalmente estraneo alla situazione. Lo lasciò a cuocere nel suo brodo, e la scelta non fu nemmeno così tanto difficile.

- Ti sta guardando male. Gli hai ucciso il serpente preferito? -

Alzò gli occhi, confusa. - Come? -

Ginny roteò gli occhi, probabilmente sull'orlo di una simpatica crisi di nervi. - Malfoy. Ti sta incenerendo con lo sguardo. Hai ucciso qualche sua bestiola? -

- No. Lo sto semplicemente evitando. -

- Ah. - considerò il suo viso per qualche istante. - Probabilmente è anche peggio. -

Hermione mugolò, lasciandosi scappare un'espressione stralunata. - Gin, ti prego non mettertici anche tu. - si chiuse il viso fra le mani. - Mi basta già il pensiero di quei due rinchiusi come delle bestie dentro l'infermeria. -

- Sono stati trattati seguendo la loro bestiale inclinazione, signorina Granger. -

L'esatta percezione della frase "Può sempre andare peggio di così" non le era mai parsa più chiara quanto in quel momento. La voce flautata del professor Piton le aveva dolcemente carezzato il collo e si era insinuata, viscida, tra le pieghe del suo abito. Lei rabbrividì. Quando si girò verso l'uomo, poté scorgere ancora l'ombra del solito ghigno insolente sparire nell'espressione assorta che era uso assumere in quelle situazioni.

- Professore. - l'apostrofò.

Lui inclinò un sopracciglio. - Stia zitta, Granger, e veda di seguirmi in infermeria senza troppe storie. Che nessuno - il tono della voce di scompose e colpì, vibrante, ogni alunno della sala - ci segua. Sono stato chiaro? -

Nessuno annuì, ma era lampante che il concetto si fosse ben impresso nella mente di tutti.

- Molto bene. - commentò lui. Infine girò sui tacchi e si allontanò verso il corridoio a grandi falcate veloci. Ad Hermione non restò altro da fare che trotterellare per riuscire a sostenere il suo passo, come si confaceva ad un piccolo cagnolino affidabile.

 

 

***

 

Se quello era il concetto del "pensare" di Ronald Weasley, Hermione non osò nemmeno immaginare quale fosse quello di "agire".

Che i due se le fossero date di santa ragione, era chiaro. Entrambi ostentavano una non indifferente collezione di lividi ed escoriazioni. Harry in particolare sfoggiava un grazioso occhio nero: evidentemente Ron l'aveva preso di sorpresa.

Nessuno dei due osò proferir parola. Ma quando Hermione spalancò la bocca per parlare, il rosso azzardò un - Hermione, penso che… -

- Zitto. - lo ammutolì lei. - Non pensare. Il più delle volte si rivela dannoso. - sbottò acidamente.

- Non ci posso credere! - cominciò infine. - Due bambini, uno peggio dell'altro! Cosa diamine vi è saltato in testa di fare tutta quella confusione, nel bel mezzo del corridoio, poi. Non volevo crederci, quando me l'hanno raccontato. Ho passato tutta la notte in pensiero, io!, mentre voi idioti stavate qui a mangiare cioccorane! -

I dolci di Silente spiccavano sui comodini di entrambi.

Fece per ricominciare a parlare, quando all'improvviso una voce li - o meglio la - interruppe.

- Signor Potter, Signor Weasley, Signorina Granger. Vi trovo in forma. -

Tre paia d'occhi si alzarono contemporaneamente al cielo mentre una divagante Sibilla Cooman s'impadroniva dell'attenzione all'interno dell'infermeria, spandendo olezzo d'incenso un po' ovunque. Madama Chips storse il naso, preoccupata.

Come al solito, pareva essere completamente estranea a qualsiasi avvenimento esterno alla sua preziosa e soffocante aula nella torre, tanto che i suoi occhi evanescenti, piuttosto che fissare riottosamente i due coinvolti nella rissa, si puntarono su Hermione. - Ah, Signorina Granger, quanto dolore mi provoca vederla qui. -

- Professoressa. -

Il tono con cui la ragazza scandì quel saluto fece voltare i suoi amici, che preoccupati si prepararono ad assistere ad una memorabile sfida Ragione-Visione. Fortunatamente la Cooman era troppo svagata per cogliere quel velato disprezzo insito nelle parole dell'altra, così che si limitò a darle le spalle, gironzolando per la stanza, curiosando fra i vari armadi e fracassando qualche medicinale che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulla sua strada.

- Sibilla, Sibilla! - la Chips si affrettò a bloccare quella moria medica, ponendosi davanti a lei. - Cosa ti porta quaggiù, Sibilla, lontata dal tuo potere? -

Lei spalancò gli occhi scuri e liquidi, facendo appena socchiudere le labbra. Infine, pronunciò la sua tormentata sentenza. - Una visione, mia cara. Una tremenda, terribile, visione. -

Harry socchiuse gli occhi. - Per caso, professoressa, le è comparso un gramo in sogno? -

- Per Tutti i maghi con la barba, Potter, sì! -

Hermione nascose l'espressione disgustata solo grazie a quel rispetto congenito che tendeva ad impadronirsi di lei in presenza d'un professore. Ron sogghignò.

- E' stato tremendo. Tremendo. - ormai la strega pareva persa nel racconto della visione. - Orde, orde di grami che mi sovrastavano latrando, mentre la pioggia bruna rendeva fetido il loro odore. E poi, all'improvviso, quando tutto mi appariva ormai perduto… -

- Magari è arrivato un centauro a salvarla. -

Era abbastanza palese che Piton fosse completamente disgustato dalla situazione: ed era anche chiaro che considerasse quella donna un insegnante quasi quanto se stesso simpatico - il che era chiaramente ridicolo.

- Oh, no. Diamine, no, professor Piton. Piuttosto… - e si chinò verso Harry con un sorrisino consapevole, come se lui avesse la fortuna di condividere il dono con lei - … ho sentito una voce emergere tra i guaiti. Ed era la tua, Potter. -

Hermione sbuffò.

- Davvero, professoressa Cooman? E cosa… cosa, ehm, dicevo? -

- Prima di tutto, mi pare ovvio, - s'inquietò - ti sei preoccupato della mia preziosissima salute. E infine m'hai suggerito di recarmi in infermeria, immediatamente. -

Tutti tacquero. Ron si lasciò sfuggire un'espressione decisamente disperata - Hermione provò persino del rimorso per avergli inveito contro, qualche minuto prima: niente era distruttivo quanto la Cooman - quasi quanto quella del professore di pozioni.

Passarono alcuni attimi di silenzio in cui Hermione considerò la dolce ipotesi di mandare la sua ex insegnante a quel paese, ovviamente con un adeguato impiego di parole forbite. Proprio quando si decise per un elegante "Professoressa, lei è molto stanca", quella si decise a darle ragione: di punto in bianco, svenne.

Dopo essere rimasta per qualche istante al suolo, fissa e rigida come un animale imbalsamato, il suo corpo venne scosso da alcuni tremiti appena percettibili, che misero tutti in uno stato di agitazione più che normale.

Infine la professoressa Cooman, aprendo gli occhi spiritati e serrando i denti sulla lingua, parlò. - Dovreste immediatamente cercare il serpente giallo. Sicuramente ha stretto lo scarabeo. E qualora un certo ammiratore delle saette decidesse di stare vicino al libro, sarebbe meglio se il libro lo allontanasse. -

Pronunciata la sentenza - di cui nessun aveva capito nulla, o quasi - si schiantò nuovamente al suolo, senza che alcuno si muovesse per afferrarla al volo. Solo quando udì l'inconfondibile tonfo di un corpo per terra, Ron decise di smuoversi.

- Qualcuno ha capito qualcosa? -

- No. -

- Mh, direi di no. -

- Assolutamente no. No, no, chi mai potrebbe capire qualcosa di quelle sciocchezze, perché sono sciocchezze, è chiaro, ovviamente. Che fandonie, assolutamente. E quella donnaccia ha deciso di scuotervi così, poveri ragazzi, dovreste dormire, chiamerò Ginny per dirle di non venire a disturbarvi, anzi no!, credo che andrò a cercarla per dirglielo di persona! -

- Hermione…? -

Il tempo d'arrossire furiosamente per la reazione, la ragazza era già scomparsa dietro alle cortine dei letti. Due istanti dopo, sentirono la porta sbattere con violenza contro il battente. Se n'era andata.

 

 

***

 

 

Che Hermione Granger non fosse mai stata una buona bugiarda, questo lo sapevano tutti. Ma decisamente, con quello stacchetto pubblicitario aveva superato se stessa nell'arte dello smascheramento immediato.

Sospirò, affranta, mentre superava con un balzo alcuni gradini che la separavano dall'anticamera verso il dormitorio Slytherin. Se il sospetto che l'aveva colta nel bel mezzo della premonizione della Cooman - per un attimo sperò che fosse vera - si fosse rivelato esatto, allora quella era la strada giusta per riuscire a risolvere il mistero.

Quello che non si era aspettata, oltre ai giornalisti, alla zuffa e alla Cooman - il che comunque aveva reso la giornata abbastanza imprevedibile - era il suo insegnante di Pozioni ben ancorato davanti al quadro del suo dormitorio, ritto e minaccioso come un cane da guardia.

Per un attimo, le sembrò Fuffy. Poi il paragone le parve troppo assurdo, ed evitò di concentrarvisi troppo. - Ehm, professore. -

- Come faceva a sapere che… -

- Legimens, Granger. -

Già. Detestava essere prevedibile quasi quanto lo detestava un diciottenne qualsiasi. E la voce flautata del suo insegnante le fece capire che era stata molto prevedibile.

- Qualunque cosa tu abbia capito di quella profezia, Granger, devo pregarti di essere molto accorta nei tuoi movimenti e nelle tue azioni. Nessuno di noi due vuole degli scandali, qui, vero? -

Hermione annuì lentamente. - Intesi, professore. -

Infine Piton si spostò di lato, facendo un cenno al ritratto. Quello si spalancò immediatamente, lasciando passare una lieve corrente d'aria fredda che dall'interno spirò verso la tromba delle scale.

Lei rabbrividì.

 

 

***

 

 

- Li hai chiamati tu, i giornalisti. - non era una domanda e di questo Draco Malfoy pareva essersi reso pienamente conto, tanto che si era appoggiato più comodamente allo schienale della sua poltrona, invitandola con un gesto a proseguire.

- Continua, ti prego. -

- Prima ero in infermeria a parlare con Harry e Ron - Draco sfoderò un sorrisino ironico. - e improvvisamente la Cooman ha avuto la brillante idea di farsi venire un'allucinazione, beh, quello che era. - sputò contrariata.

- Ha detto delle cose chiaramente incomprensibili, non mi aspettavo altro da lei, ma una cosa chiara, beh, l'ha pronunciata. Ha detto che il serpente giallo aveva stretto lo scarabeo. -

Malfoy inclinò un sopracciglio. Se aveva colto il problema, era evidente che stava cercando di dimostrare tutto il contrario. - Continuo a non capire. Credi alla Cooman piuttosto che a me? -

Hermione l'ignorò. - Non ci ho fatto immediatamente caso. - disse - Ma poi, ripensandoci un attimo, mi è parso chiaro che il serpente biondo non potevi che essere tu. -

Lo Slytherin rise.

La mora proseguì. - Compreso che stava parlando per metafore, ho cercato di pensare a chi diamine potesse essere lo scarabeo. E poi mi è venuto in mentre che al quinto anno tu ti eri servito della Skeeter per screditare Harry: e guarda caso, quando quell'orribile donna si trasforma, diventa uno scarabeo.

Collegando un poco gli avvenimenti, era chiaro che lo avevi fatto di nuovo. Ti sei servito della Skeeter perché seguisse Harry e Theodore, così che, appena fosse successo qualcosa, sarebbero arrivate frotte di giornalisti curiosi. -

Lui continuava a ridere, scosso da continui fremiti. Aveva gli occhi chiusi e sul viso non c'era traccia di espressione, positiva o negativa che fosse. Ad un certo punto, applaudì. - Ma brava la mia piccola Gryffindor. -

Hermione strinse i denti, infastidita da quella reazione. - Dimmi solo una cosa, Malfoy: perché l'hai fatto? -

Tornò improvvisamente serio e l'abbagliò con i suoi occhi grigi. - Mi pare abbastanza chiaro, Granger, che io e te esistiamo solo per distruggere. - fece una pausa di riflessione, come se stesse soppesando con cura le parole da dire. - Per distruggere qualcosa che non doveva nascere, per essere precisi. Ti ricordi, Hermione? Il nostro patto, il nostro piccolo segreto… - il tono di voce era andato calando, ed Hermione si ritrovò a socchiudere gli occhi, come se il ricordare di quegli eventi l'avesse colta impreparata.

Era vero: si erano messi insieme per far lasciare Harry e Theodore.

La loro unione non aveva avuto altre motivazioni se non quella. La consapevolezza d'averlo dimenticato la fece sobbalzare.

- Pensavi che lo scandalo li avrebbe divisi? -

- Già. -

- Non mi pare che abbia funzionato più di tanto. -

Draco grugnì, evidentemente consapevole del fatto. Roteò gli occhi, infastidito. - E' evidente che ho sottovalutato il problema. - disse.

Hermione fece per aggiungere qualcosa, ma un improvviso bussare alla porta l'interruppe nel bel mezzo del respiro iniziale.

- Avanti. - urlò Malfoy.

La testa di Theodore Nott fece timidamente capolino oltre l'uscio, arrossendo vistosamente per l'imbarazzo: d'improvviso Hermione si chiese con quale diritto avesse deciso di rovinare la vita a quel povero ragazzo, che le pareva così dolce e gentile da non sembrare nemmeno uno Slytherin.

- Ehm, Draco, volevo sapere se il tuo camino era accesso. Per prendere un paio di braci per accendere il nostro. - farfugliò.

Malfoy nicchiò con eleganza. - Sì, è acceso. -

Era così tranquillo che la sua capacità nel mentire quasi deluse Hermione: solo lei lo trovava così dannatamente imbarazzante? Non ebbe la possibilità di meditarci su. Il saluto di Theodore - sempre educato - la riscosse.

Nella stanza, mentre il ragazzo afferrava con la bacchetta alcuni tizzoni, calò all'improvviso un silenzio cupo, che lasciò tutti quanti, se non a disagio, quanto meno straniti. Poi Malfoy calò l'asso nella manica, il vero potenziale di ogni Slytherin: l'ironia. - Pensavo che per accendere bastasse la saetta. - ghignò.

Se Theodore s'irrigidì tutto ad un tratto, punto sul vivo, Hermione ebbe due reazioni. Prima di tutto, si sentì indignata per il trattamento che veniva riservato a Theodore; in secondo luogo, la parola "saetta" provvidenzialmente utilizzata da Malfoy le aveva fatto scattare la scintilla nel cervello ancora parzialmente al buio.

- Ma certo! - esclamò. - Sei tu l'ammiratore delle saette. - disse guardando Theodore. - Ed è evidente che io sono il libro, certo. -

- Granger…? -

- E se "E qualora un certo ammiratore delle saette decidesse di stare vicino al libro, sarebbe meglio se il libro lo allontanasse" allora tu dovresti stare… - un lampo di preoccupazione le animò lo sguardo - … tu dovresti stare lontano da me. - finì, spaventata.

 

 

Fu un attimo di distrazione: una voce, dal nulla, urlò a squarciagola la parola "traditori!".

Un secondo dopo, la stanza esplose.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=129351