You, me and the ocean.

di shesproudofdemi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Rain keeps coming down. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Ho tutto eppure non ho niente. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Appesa ad un filo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Bad ocean. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Rain keeps coming down. ***


You, me and the ocean.
Capitolo 1.



«Idiota, smettila di darmi ordini»
«E tu piantala di fare la bambina»
«Harry ma che cazzo vuoi? Smettila tu»
«Giuro che non ti sopporto più..»
 
Andava sempre a finire così, lui si voltava e scappava, come se avesse paura di affrontare la situazione, ed io invece rimanevo li ferma impalata con un mucchio di parole che tenevo in bocca, che una volta o l'altra gli avrei vomitato in faccia.
Non potevamo più stare insieme era evidente.
La nostra non era una di quelle coppie rose e fiori, non era tutto un amore di qua amore di la, non erano le passeggiate in riva all'oceano, non era più tutto questo.
Era un continuo litigare, voltarsi le spalle, tenersi il muso, rispondersi male.
Quello che facevamo però era stare male insieme e questo stare male insieme ci univa incredibilmente sempre di più. Proprio come se non potessimo fare a meno l'uno dell'altra.
Avete mai incontrato la vostra metà perfetta? Quella che combacia alla perfezione con la vostra anima? Quella che completa la vostra vita, il vostro modo di essere?
Lui non faceva altro che costruire e distruggere quella metà mancante.
Quella che tutti sin dalla nascita cerchiamo disperatamente e che prima o poi arriva.
La cosa che mi riusciva meglio quando litigavo con Harry era respingere le persone, respingere ogni sorriso, ogni parola, respingevo anche me stessa alle volte e poi mi odiavo. Odiavo quella che diventavo dopo un litigio. 
Odiavo il fatto che io e lui non eravamo più quelli di una volta, odiavo che quando guardavo l'oceano dalla finestra di camera mia non era più magico come un anno fa, odiavo che le stelle non erano più quelle che guardavamo insieme.
Io ero ancora innamorata di lui, ma perchè quando mi sdraiavo sul letto fissavo il soffitto e questo era solo bianco? Non era più a colori, non era quel soffitto bello e impregnato dei miei sogni che guardavo dopo aver salutato Harry.
La mia stanza non era altro che il covo di tutti i miei sogni soppressi, morti, forse anche loro impauriti e fragili, quei sogni che avrei voluto si realizzassero con lui.. tutti i nostri progetti.
Ne avevamo fatti tanti, forse erano stupide idee di due sedicenni, che adesso però sono cresciuti.
Stavo iniziando a credere che la nostra storia fosse solo una favola per adolescenti, e non più per dei ragazzi di vent'anni come noi.
Ma io nonostante tutto ciò non avrei mai avuto il coraggio li lasciare andare Harry via da me e di vivere la mia vita lontana da lui, litigi compresi.
 
Erano le cinque e dopo aver litigato, ancora, ritornai a casa mia.
Le strade erano tristi, gli alberi sembravano piangere, le case guardavano in basso e l'asfalto era bagnato come le mie guance dopo avergli sbattuto la porta di camera sua in faccia.
Ero convinta che quella volta fosse definitiva, fosse un "basta" deciso, non mi aveva rincorso sotto la pioggia come le altre centosettantasette volte. No. Stavolta non mi aveva ne rincorso ne baciato. 
Stavolta ero solo io e il suo maglione di lana arancio, a camminare sotto la pioggia di fine settembre.
Poteva essere l'inizio della fine, l'inizio di un lungo cammino senza la sua presenza al mio fianco.
Entrai in casa, tolsi gli stivaletti, levai i jeans e il maglione bagnati. Mi asciugai i capelli, mi infilai la tuta e quei buffissimi calzini di spugna verdi che avevamo comprato in un mercatino.
Aprii il libro di filosofia, pagina quattrocentoundici: "Le Delusioni scolpiscono il nostro carattere, giorno dopo giorno, rendendoci sempre più preparati nell'affrontare il futuro"
Futuro? Paura di affrontarlo?
Ero convinta che da sola non sarei andata da nessuna parte, che il mio cammino verso quello che tutti chiamano futuro sarebbe stata una faticosa salita verso la felicità. Se invece avrei fatto questo percorso con Harold tutto avrebbe preso una piega diversa.
Allora potevo scegliere: lasciarlo per sempre col rimorso di non aver vissuto la mia vita con lui oppure continuare a vivere la mia quotidianità con lui e sperare che tutto prima o poi si sarebbe sistemato.
Il telefono non squillava da ore ormai, non avevo nemmeno litigato con mio fratello Dave, non avevo chiamato la mia migliore amica.
Era tutto incredibilmente vuoto, piatto, bianco. Niente si muoveva, nemmeno la mia micia.
La tv spenta, la luce del salotto soffusa.
Si muoveva lentamente la tenta di camera mia, il vento sembrava essere calmo anche lui quella sera.
Ed io? Io come stavo?
Ero seduta su un lato del letto e appoggiavo i piedi sul tappeto rosa. fissavo il basso e cercavo una spiegazione.
Poi fissavo il telefono, guardavo lo sfondo e deglutivo.
Avevo poggiato ai piedi del letto il maglione di Harry, quello arancio, quasi avevo paura di guardarlo, di toccarlo.
Avevo paura che nel sentire il suo profumo sarei scoppiata in lacrime e pensavo a lui. 
Lui in quel momento cosa stava facendo?
Lo immaginavo bello, bellissimo, steso sul letto ad ascoltare musica, con una montagna di vestiti sulla poltrona e le converse buttate a caso sul pavimento.







@shesproudofdemi says:
Ciaao ragazzi. Mia cugina (che su Twitter è @Thousandcarrots) ha deciso di iniziare a scrivere una FF sui One Direction. Lei ha scritto anche molte OneShot su di loro (se volete leggerle chiedeteglielo su Twitter, sarà felice di aiutarvi). E niente, con questo ho detto tutto *u* continuate a seguirla, vi prego, perché lei ci tiene tanto. Ps. ha 17 anni! 
<3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Ho tutto eppure non ho niente. ***


You, me and the ocean.
Capitolo 2.


Non andava bene un cazzo: l'università. la famiglia, gli amici, ma soprattutto Ariel.
Non so cosa la gente vedeva in me, non riuscivo a capire cosa avessi di tanto perfetto.
La realtà era che tutto faceva schifo, e sembrava che nulla avesse più senso.
Volevo abbandonare la Columbia, non ne potevo più nemmeno di studiare.
Perchè non poteva essere tutto perfetto?
Perchè io, Harry, non riuscivo a sistemare le cose?
Tutto ciò che m'importava erano la felicità di mia sorella e quella mia e di Ariel.
I miei genitori non andavano più d'accordo da un pezzo e vedevo in loro il riflesso della mia storia appesa ad un filo, un filo che molto probabilmente aveva le ore contate.
Non volevo vedere mia sorella stare male nel sentire i miei litigare, lei non se lo merita, ha solo undici anni. Non si merita di stare male, perchè per stare male ci sarà tempo da grandi..


Mi trovai improvvisamente a dover badare a tutto e tutto ricadeva sulla mia relazione.

Avevo un'esame a breve e invece di studiare me ne stavo sul letto ad immaginare Ariel, ad immaginare cosa lei avrebbe fatto in quel momento, ad immaginare come sarebbe andata se quel pomeriggio non avessimo litigato ancora.
Dopo l'ennesima litigata ero veramente esausto, non ne potevo più di sentire i miei che urlavano, non ne potevo più di sentire le lacrime di Ariel rimbombarmi nella testa come le gocce di un rubinetto rotto, non ne potevo più di quello strazio a soli vent'anni.
Mi alzai dal letto, aprii l'armadio, vidi la sua sciarpa blu buttata così nel primo cassetto. La indossai. 
Aveva il suo profumo, lei era li con me.
Presi la sedia e ci salii, iniziai a scavare in quelle scatole che insomma, tutti hanno nell'armadio, quelle vecchie scatole impolverate con dentro i vestiti di quand'eri piccolo, i giochini e le foto.
Presi quella marrone con i manici color bronzo.
Mi diressi verso il letto, e da sotto il piumino messo a casaccio spuntarono le mie calze preferite, quelle di spugna verdi che io e Ariel comprammo insieme.
Indossai anche quelle.
"Chissà se lei se le ricorda ancora.."
Iniziai a prendere le foto più vecchie, quelle di quando ero un fagottino avvolto nella copertina azzurra che mi regalò nonna Rose, che ora però non c'è più.
Ricostruii tutto il mio passato quella sera, fino ad arrivare alle foto più recenti, fino ad arrivare alla prima foto mia e di Ariel.
Sorridevamo, eravamo piccoli, indifesi e tanto dolci.
Non ci aspettavamo di riuscire a costruire una meravigliosa storia come la nostra, ma nemmeno di finire come siamo adesso.
Rimasi fermo, impietrito per qualche secondo, il cellulare squillava.
Avevo paura a voltarmi, avevo paura che non fosse lei.
Chiusi gli occhi e presi il telefono.




@Thousandcarrots says:
Nel prossimo capitolo ci saranno avvincenti (?) novità. Ringrazio tutti quelli che hanno letto, mi farebbe piacere anche una recensione per sapere cosa ne pensate. Grazie
<3
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Appesa ad un filo. ***


You, me and the ocean.
Capitolo 3.


…non era lei.
Ma sullo schermo del cellulare era apparsa la scritta "mamma di Ariel".
Allungai il braccio e lo afferrai con insistenza.
In quel momento pensai che forse aveva visto Ariel piangere e voleva spiegazioni, dato il bel rapporto che si era instaurato con fra me e i suoi genitori.
Niente di tutto ciò.



«Harry..» singhiozzava.
Spalancai gli occhi e balzai in piedi.

«Signora, che succede?»
«Ariel ha avuto un gravissimo incidente e ora..»
Il cuore da diecimila battiti al secondo mi si fermò, così, di colpo.
Avrei voluto sostituire quella telefonata con altre mille litigate con Ariel.


«Arrivo» dissi secco.

Infilai le scarpe, presi dal comodino le chiavi della macchina e corsi subito da lei.
Scesi dalle scale piangendo, scesi quelle scale come se volessi trovare nell'ultimo gradino la soluzione a tutti questi problemi.
Non salutai nessuno. Lasciai sul pavimento delle lacrime prima di sbattere la porta.
Sembrava di essere finito in un incubo senza via d'uscita, un circolo vizioso in cui ero prigioniero.
Pioveva, si pioveva forte quella sera e davanti a me non vedevo quasi nulla, solo il viso di Ariel, solo i suoi occhi.
Misi in moto, non so come, ero tutto una tremarella.
L'ospedale dista da casa mia circa cinque minuti, furono i cinque minuti più lunghi della mia vita.
Parcheggiai, e mentre correvo sotto un fiume di pioggia scorsi il padre, lui era li che mi aspettava.
La prima cosa che fece appena mi vide fu abbracciarmi fortissimo.


«No, non può essere..» e piangevo come quando un bambino viene strappato dalla madre.
«Harry ce la farà» lui sembrava calmo, fermo e sicuro di se.

Entrammo, e lì seduti a tringersi c'erano Jane, la madre e Dave, il fratello.
Mi diressi verso loro, presi le mani di Jane e il suo sguardo portò in me quella forza che in quel momento mi mancava, aveva il viso rigato dal trucco, e nei suoi lineamenti riuscivo a vedere l'intensità dello sguardo abbaiante della figlia.
Poi portai al petto Dave, avevo visto crescere quel ragazzino e vederlo in quello stato era una delle cose peggiori che potessero capitarmi.
Mi feci raccontare tutto, ma l'unica cosa che seppero dirmi fu 
«mi disse che andava a farsi un giro in macchina, mi sorrise, aprì la porta e poi se ne andò. Ed eccoci qui ad aspettare qualche notizia dai dottori».

Mi misi fermo, seduto sulle sedie marroni nel corridoio del pronto soccorso a fissare il muro bianco difronte.
La gente passava, andava avanti e indietro, si fermava a bere un caffè e chiacchierava. Io non riuscivo a capire come potessero fare tutto ciò quando un pezzo di me era in bilico tra la vita e la morte..
Non riuscivo a capire perchè il mondo era ancora in movimento, insomma, Ariel era in quella sala operatoria ormai da ore.
Avvertii anche i miei genitori, mia madre mi aveva chiamato sedici volte senza però avere mai una risposta.
Non esitarono a raggiungerci.
Rimanemmo li tutta la notte, quando finalmente un dottore si avvicinò a noi e..


@Thousandcarrots says:
Volevo ringraziare tutte le splendide ragazze che stanno seguendo la mia storia, spero non mi abbandoniate. c:

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Bad ocean. ***


You, me and the ocean.
Capitolo 4.


…vedevo in quell'uomo tutta la voglia di dirci che Ariel era su quel lettino viva.
Volevo sentirmi dire che il suo respiro era più forte di prima e che il suo cuore batteva fuori dal petto come quando stavamo insieme, stretti, le prime volte che facevamo l'amore.
Indossava un camice bianco e aveva in mano una mascherina verde.

«Voi siete i parenti di Ariel?»
Respirai profondamente
«Si» rispose il padre alzandosi.
«Ariel è fuori pericolo»

Ecco, in quell'istante preciso sentii tutto il peso grigio di quella notte scivolarmi addosso, cadere sul pavimento e volare via nell'aria.
«Però..» continuò il dottore.

Sentii cone una crepa nello stomaco, come quanto ti cade il cellulare e lo schermo va in frantumi.


«Ariel non è in pericolo di vita, ma momentaneamente il suo cervello non è in grado di ricostruire il passato, il trauma cranico è stato molto forte e non spaventatevi se per un periodo di tempo faticherà a ricordarsi di voi e di se stessa..»

DAL DIARIO DI HARRY
"Sono passati 13 giorni da quella maledetta notte.
Oggi come non mai sento la mancanza di Ariel e ogni volta che entro in quella camera d'ospedale non riesco a vedere nei suoi occhi il ricordo di noi.
Eppure la nostra è stata una storia che nessuno dimenticherebbe..
Ho paura che lei un giorno possa ricostruire il suo passato e la sua vita dimenticandosi di me, dei giorni passati insieme, dei viaggi, della nostra prima volta, del primo bacio, della prima passeggiata mano nella mano in quel lontano 18 luglio di quattro anni fa.
Come può dimenticare i sorrisi, le lacrime, i pomeriggi passati a spiegarmi filosofia?
E' come se l'oceano avesse trasportato via i ricordi di una vita.
Anche oggi andrò da lei, starò lì e mentre lei dorme, come ogni pomeriggio studierò per l'esame di filosofia, aspettando che lei si svegli dicendomi "Harold sei un cretino, lo sai che la filosofia non puoi studiarla a memoria!".
E invece no, anche oggi si sveglierà, si volterà verso di me e mi dirà "Ciao, tu ti chiami Harry vero?"
Quanto può essere straziante?"

Erano le tre e non avevo pranzato, il mio stomaco si rifiutava di accogliere cibo ormai da giorni.
Avevo in mano un libro, una fotografia e una rosa.
Salii le scale. Odio gli ospedali, odio l'odore di "roba sterile" che mi si impregna nei vesiti.
Ascensore, quarto piano, stanza 102.
Bussai, mi disse "avanti" e io senza esitare un attimo entrai.
Aveva i capelli raccolti e il braccio destro un po' penzolante per via della flebo.
Mi salutò un po' più calorosamente rispetto al solito.
Le poggiai la rosa sul letto, lei mi sorrise e mi misi seduto sulla sedia in parte al letto.


«Cos'è quella?»
«Questa? Eh.. in questa fotografia siamo io e la mia fidanzata quattro anni fa.»
Avevo tirato fuori dalla vecchia scatola marrone delle fotografie.
«Ah quindi ti chiami Harry, hai ventuno anni e sei fidanzato..»
«E tu? Tu chi sei?»
«Io mi chiamo Ariel.»
Finì così, secca, senza dirmi nient'altro.
«Ho un fratello di nome Dave e…»


Continua...

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