Nove di Ventuno

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.

Spalancò gli occhi, di scatto. Rimase immobile: il soffitto di una sala operatoria, o di un'infermeria. Potenti fari la investivano con raggi accecanti, i suoi occhi si adeguarono immediatamente per evitare l'abbagliamento.
- È attiva! - una voce, una femmina umana. Timorosa.
- Attiva? - maschio, umano. Tra l'indignato e il divertito. Diversi volti entrarono nel suo campo visivo: medici in divisa. Federazione dei Pianeti Uniti. Due umani, un boliano, un denobulano.
- Segnali vitali invariati. Attività cerebrale in aumento – la donna umana leggeva degli strumenti sopra la sua testa, fuori vista. Il denobulano attivò un tricorder medico e l'analizzò distaccando da esso il piccolo scanner a corto raggio.
- Inutile – disse sorridendo, nervoso. La sua acconciatura pareva una criniera intorno al viso scuro, la bocca era una cuspide stretta con la punta rivolta verso la cresta del mento.
La Collettività. Il silenzio. Ecco cosa mancava: era isolata. Non poteva comunicare. Informazioni, connessioni, scambi di dati: tutto assente. All'improvviso la necessità la sopraffece. Ristabilire il contatto era l'unica cosa importante. Assimilare la tecnologia del luogo per ristabilire il contatto. Cercò di alzarsi: qualcosa la trattenne. Era legata. Gli altri si allarmarono. Indietreggiarono.
- Calma, signori. È legata saldamente – il boliano alzò le sue grandi mani azzurre come per infondere sicurezza. Gli altri si avvicinarono nuovamente, nervosi. Lei infranse i legami con facilità e si drizzò a sedere.
- Sicurezza in infermeria subito! - la mano del denobulano era volata al comunicatore sulla divisa. La porta si divise in due metà che scivolarono silenziosamente da parte, lasciando uscire i medici mentre lei terminava di liberarsi. Quel senso di vuoto, la solitudine: doveva porvi termine il prima possibile. La Collettività: la connessione, le voci dei suoi simili. Dov'erano tutti? Necessitava di istruzioni, di informazioni. Ne aveva bisogno: un profondo, irrinunciabile, impellente bisogno.
La porta si aprì nuovamente mentre lei volgeva intorno a sé lo sguardo alla ricerca di qualsiasi cosa potesse dimostrarsi utile per ristabilire il contatto. Uomini armati con pistole phaser fecero fuoco per stordirla, dandole tutto il tempo di assimilare le frequenze di sparo di ciascuna arma e di potersi quindi difendere con la massima efficacia. Quando se ne resero conto fecero fuoco per uccidere, ma era troppo tardi. Colpì il primo che tentò di ingaggiare un corpo a corpo: lo mandò a terra centrandolo in pieno petto col palmo della mano sinistra. Gli altri indietreggiarono aprendo inutilmente il fuoco su di lei coi loro phaser manuali regolati al massimo. Attraversò la porta, riconobbe il corridoio. Era a bordo di una nave ma non poteva dire esattamente di che tipo. Le mancavano le informazioni e, cosa ancor peggiore, la sua mente era mutilata dei collegamenti per reperire i dati di cui necessitava disperatamente. Era sola, avrebbe dovuto cavarsela da sé.
Nuovi aggressori, nuove armi. Un fucile phaser le provocò una bruciatura al centro del petto, ma nulla più. Poi i soldati si fecero da parte per sgombrare la linea di tiro a uno di loro che imbracciava un'arma diversa dalle altre. Fece fuoco contro di lei, un sottile raggio purpureo la centrò al ventre. Non riuscì ad assimilarlo. Non poté comunicare a nessuno la nuova minaccia. Cadde a terra ancora cosciente, paralizzata.

Spalancò gli occhi, di scatto. Rimase immobile: vedeva il soffitto della sua cabina, era a bordo della Starfender. Nel buio di quell'ambiente ristretto che i suoi occhi penetravano in ogni angolo con facilità. Aveva sognato di nuovo. Il medico le aveva detto che era buon segno, anche se si svegliava di colpo dopo sogni particolarmente vividi. Tutti i miei sogni sono vividi, pensò stringendo le labbra. Si sollevò a sedere nel letto e si aggiustò la coperta sulle gambe, compiacendosi per quel gesto così umano e spontaneo. Non aveva freddo: le nanomacchine borg che aveva nel sangue e ovunque nel corpo provvedevano a difenderla con efficacia da cambiamenti di temperatura anche bruschi. Lenzuola e coperte servivano più a confortarla che a scaldarla. Servivano a farla sentire umana.
Scivolò fuori dal letto e si diresse allo specchio. Poteva vedere ogni dettaglio di se stessa anche senza luce: la pelle bianca un po' troppo tesa sugli zigomi forse, il naso dritto, le labbra turgide che lei dipingeva di rosso scuro per dare un tocco di colore al suo viso altrimenti smorto. Evidentissimi spiccavano i bulbi oculari neri e riflettenti e il grosso impianto borg attaccato al lato sinistro della testa, con quell'orrendo tubo che le entrava nel cranio. Lo odiava, anche se grazie a esso poteva fare cose che difficilmente un umano avrebbe potuto emulare senza aiuto. Telecomunicazioni a lungo raggio, capacità di calcolo ancora da valutare con precisione, elaborazione di immagini complesse in tempo reale. All'Accademia aveva individuato una frattura in un cristallo di dilitio nuovo semplicemente guardandolo funzionare dentro un nucleo di curvatura. Aveva visto distintamente il plasma di curvatura “soffiare” via dalla microscopica frattura con la stessa facilità con cui chiunque avrebbe visto un ricciolo di fumo grigio. I chirurghi non erano stati in grado di rimuovere l'impianto senza rischiare di ucciderla. Non avevano nemmeno capito a cosa servisse esattamente, ma le avevano promesso ulteriori ricerche.
Addossata alla parete più lunga spiccava la sua alcova speciale. Una versione terrestre dell'alcova di rigenerazione borg che, a occhi umani, si rendeva evidente per i baluginii verdi della piastra radiante in corrispondenza della testa. Non ne aveva bisogno, teoricamente. Il suo corpo aveva ripreso quasi tutte le sue funzioni biologiche, inclusa la rigenerazione autonoma dei tessuti. Sanguinava se ferita: sangue cupo, scurissimo e denso. Aveva bisogno di cibo e sonno. Eppure le mancava qualcosa. Non era semplice insoddisfazione: era la remota consapevolezza di un bisogno fondamentale disatteso, una necessità sopita. Guardò la sua alcova con odio: rappresentava, insieme all'impianto ancora attaccato al cranio, il suo repellente legame coi borg. Inscindibile, almeno in apparenza. Sciolse ogni indugio e si coricò nell'alcova, certa che avrebbe dormito un colpevole sonno senza sogni. Senza bisogni, senza insoddisfazione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.

- Comandante, ho una nave sui sensori di dritta.
Nove alzò lo sguardo dal datapad dove stava controllando i rapporti della mattina. Il guardiamarina Alterman le stava simpatica: le somigliava, bassa di statura e con la pelle pallida, impianti borg a parte. Purtroppo non poteva dire che la simpatia fosse reciproca.
- Sullo schermo.
Il logo della Federazione fece posto al cielo nero dello spazio al confine tra i settori Eta Eridani e Sirio. Il posto ideale per fare incontri sgradevoli a base di dialetto klingon, ma quella piccola sagoma lucente appena distinguibile non pareva una nave imperiale.
- Dalla traccia di curvatura sembrerebbe una nave nausicaana – aggiunse subito Alterman.
- Sanno che ci siamo, ci stanno sondando – l'avrebbe riconosciuto tra mille: era Th'Karr, il suo primo ufficiale klingon. Non aveva ancora capito se la odiava o se l'ammirava: la sfidava spesso in palestra in combattimenti corpo a corpo al limite del lecito, a volte oltre. Nonostante i trenta centimetri d'altezza che le impedivano di guardarlo negli occhi, l'esito degli allenamenti non era affatto scontato.
- Comunicazione in arrivo, comandante – Nove si voltò verso la console da dove era giunta la voce del suo più giovane ufficiale, un umano appena sfornato dall'Accademia.
- Ebbene? - chiese vedendo l'espressione perplessa del terrestre sotto la zazzera bionda tagliata a spazzola.
- Vogliono parlare con lei – sembrava incredulo. Certo i nausicaani non erano noti per la loro temperanza, anche se erano rinomati chiacchieroni.
- Avanti – lo esortò alzandosi in piedi e volgendosi verso lo schermo grande. Sul quale comparve il feroce viso di un alieno dalle zanne sporgenti e dai lunghi capelli neri aggrovigliati.
- Salute, comandante – non si poteva dire che i nausicaani sapessero sorridere, ma il tono di voce non era minaccioso.
- Salute a voi. Sono il comandante Nove di Ventuno, della Flotta Stellare.
- Non nego che per un momento mi sono preoccupato. È da molto che non si vedono borg da queste parti e una nave assimilata, anche se piccola, può essere molto pericolosa. Ma che imperdonabile comportamento, il mio... Mi chiamo Mh-an-Loort e sono il capitano di questa umile nave da carico.
Troppo loquace e remissivo per un nausicaano, pensò Nove. Notò un cenno di diniego fatto col capo dal guardiamarina Alterman: forse condividevano le stesse perplessità.
- Mi chiedevo – continuò l'alieno dal viso feroce – se per puro caso aveste da venderci delle parti di ricambio... la mia nave ha un noioso guasto al nucleo di curvatura e qualche altro... piccolo fastidio...
- Ci faccia avere una lista di quello che le serve, comandante – si costrinse a rispondergli, sperando di poter ancora sfoggiare un po' di impassibilità borg – la aiuteremo come meglio possiamo.
Il nausicaano ringraziò un po' frettolosamente e interruppe il collegamento.
- Alterman?
Il giovane ufficiale si voltò verso Nove, a labbra strette.
- La traccia di curvatura residua non mostra alterazioni evidenti, comandante. Potrebbero essere usciti dalla velocità curvatura di loro volontà e non in seguito a un'avaria.
- Non possiamo negare loro l'aiuto richiesto – obiettò Nove ricambiando la freddezza del suo ufficiale.
- Non possiamo determinare se si tratta effettivamente di un cargo: siamo troppo lontani – insisté Alterman, gli occhi color nocciola fermi in quelli neri e riflettenti del suo comandante.
- Ne sono consapevole. Rotta di avvicinamento, tre quarti di impulso. Voglio anche una scansione dell'area, riferite ogni anomalia.
Il timoniere confermò rotta e velocità e Nove in persona si avvicinò alla console scientifica dove operava il guardiamarina Alterman. Quella la ignorò ostentatamente, proseguendo nel suo lavoro. Nove la osservò per qualche secondo, studiando la danza delle dita sui comandi.
- Tengo nella massima considerazione le opinioni di ogni membro del mio equipaggio – cercò di mantenere il suo tono più piatto possibile. Le dava fastidio essere messa in discussione per il semplice fatto di essere stata assimilata dai borg. Le aveva sempre dato fastidio: per questo si era iscritta all'Accademia, per questo era diventata un ufficiale tattico prima e comandante poi. Sconfiggere i pregiudizi era stata la sua prima missione, ancora prima del primo giorno da recluta.
Il guardiamarina esitò per un istante, trasmettendole il proprio fastidio. Poi si voltò verso di lei e chiese il permesso di parlare liberamente.
- La mia opinione è che ci stiamo infilando in una trappola, comandante.
- È una possibilità – ammise Nove. Ci aveva pensato, ovviamente. Ma la divisa che indossava le imponeva un comportamento preciso.
- C'è qualcosa che non è al suo posto... quel cargo potrebbe non essere in avaria, potrebbe non essere da solo. Le navi nausicaane di quella classe non sono potenti, è vero. Ma se ci mettessero in inferiorità numerica...
Nove gettò un rapido sguardo alla console del suo ufficiale. Era configurata abbastanza bene e metteva in evidenza i dati critici di quella porzione di spazio interplanetario che era loro dovere pattugliare. Col diminuire della distanza aumentavano le informazioni disponibili sulla nave nausicaana, ma ormai erano a distanza di tiro.
- Vede, comandante? Il loro scafo è ionizzato...
- È coerente con la lista dei guasti che ci hanno trasmesso.
- Ma è un'altra cosa che si può simulare.
Alterman aveva ragione. I nausicaani, rinomati per la loro aggressività, erano sparsi in tutta la galassia come mercenari, pirati, contrabbandieri... ce n'erano perfino a bordo delle navi klingon, apprezzati per le loro doti di combattenti, forti e abili nel corpo a corpo.
- Guardiamarina Virma, contatti la nave nausicaana e chieda il permesso di salire a bordo con una squadra di quattro elementi. Chiami poi il signor B'lagg in sala macchine e gli chieda un tecnico in prestito. Signor Th'Karr, voglio anche due dei suoi uomini, con armamento leggero.
Gli ordini di Nove risuonarono secchi e autoritari sul ponte di comando, il cui silenzio era punteggiato dai suoni degli strumenti. Sarebbe sbarcata sulla nave aliena e avrebbe constatato di persona se c'era effettivamente una minaccia di qualche genere.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.

La sala del teletrasporto era piuttosto affollata. Quattro delle sette pedane erano occupate da membri dell'equipaggio; tra di essi spiccava il comandante Nove.
- Mi permetta di insistere! - Th'Karr si tratteneva a malapena, era palese. Non erano necessari occhi borg per vedere come il suo stato d'animo fosse sul punto di sconfinare in territorio klingon, arginato a stento dal rispetto della divisa e del regolamento della Federazione.
- Th'Karr, ho detto no. Resterà qui a bordo. Il più capace dei miei ufficiali lo voglio al mio posto sul ponte di comando, perché è giusto che sia lì nel momento in cui avrò bisogno di lui. Sono stata chiara?
Gli occhi del klingon brillarono di ferocia, le labbra si serrarono sotto i baffi spioventi e la schiena si irrigidì. La durezza dell'espressione del suo comandante cozzava apertamente con l'esplicito complimento. Ci fu un lungo momento di silenzio teso, duro. Poi il klingon sembrò farsi più alto e massiccio.
- Sì, comandante.
- A lei il comando. Energia! - l'ultimo ordine era rivolto all'operatore del teletrasporto che attivò il raggio. La squadra di sbarco, pronta sulle pedane, si smaterializzò in uno sfarfallio dorato con un suono acuto e ronzante. Riapparve in quello che probabilmente era un luogo di ritrovo per l'equipaggio nausicaano: tavoli, sedie, una larga pedana sotto i loro piedi, come una sorta di palco. Solo tre alti alieni ad accoglierla, vestiti nel medesimo modo e apparentemente disarmati. Una divisa, si chiese Nove perplessa. Si rese conto di non avere molte informazioni sui nausicaani e si pentì di non aver consultato il database della Flotta prima di sbarcare.
- Benvenuti a bordo – disse il primo dei tre orrendi alieni, facendo un passo avanti – sono Mh-an-Loort, il comandante di questa... povera nave.
L'ambiente buio e dimesso voleva suggerire una situazione di emergenza. Nove pensò al guardiamarina Alterman e considerò che anche quella poteva essere una simulazione.
- Ho portato con me un tecnico esperto, nel caso aveste problemi con i pezzi che vi abbiamo mandato.
- Nessun problema... i nostri motori non sono molto affidabili e il mio equipaggio è diventato piuttosto... pratico di ogni sistema.
- Sarebbe opportuno che supervisionassimo l'uso dei ricambi: la Federazione impone standard precisi per il loro impiego e installazione – mentì Nove – In questo il mio equipaggio potrebbe essere di grande utilità. Spero non avrà obiezioni, comandante.
- Ringrazio molto lei e la Federazione per la generosità, comandante... ma non c'è alcun bisogno del vostro intervento per installare le parti. Ce la caveremo benissimo da soli.
- Quand'è così - Nove si strinse nelle spalle, un gesto molto poco borg - ...non nego di essere curiosa. Mi piacerebbe... visitare la nave... dare un'occhiata in giro...
Fece un gesto con la mano come per includere ciò che li circondava. Grazie alle protesi oculari borg che avevano sostituito i suoi veri occhi avrebbe potuto individuare problemi altrimenti rilevabili solo dagli strumenti. Ma si guardò bene dal dirlo al nausicaano: con la stessa facilità avrebbe potuto smascherare qualche inganno o i loschi traffici che Mh-an-Loort stava nascondendo.
- Lei mi lusinga, comandante... - Nove ebbe la sgradevole sensazione che il nausicaano stesse tentando di sorridere, ma con pessimi risultati. L'alieno allargò le braccia imitando il gesto col quale lei pochi istanti prima aveva inteso indicare la nave.
- ...ma temo che ci sia ben poco da vedere. Questo è l'ambiente più ampio che non sia dedicato allo stivaggio della merce. Inoltre, tutte le squadre di riparazione sono all'opera.
- Sono abituata agli spazi ristretti – Nove scese dalla pedana e mosse qualche passo alle spalle del comandante nausicaano – e prometto di non intralciare i lavori di riparazione. Inoltre l'ingegnere McCormick potrebbe fornire dei consigli utili a...
- Mi vedo costretto a insistere...
Un rumore insolito, inatteso. Teletrasporto. L'improvviso cambiamento nel tono di voce di Mh-an-Loort. Nove si voltò appena in tempo per vedere la sua squadra di sbarco disarmata da quattro energumeni nausicaani sbucati dalle ombre alle loro spalle. Il comandante della nave aliena le puntava contro un disgregatore klingon.
- Nove a Starfender, teletrasporto di emergenza! - il combadge sul seno aveva regolarmente cinguettato il suo segnale, ma non ci fu risposta. Nove lo sfiorò di nuovo, ripetendo la richiesta di aiuto. Nulla. Ora la smorfia sul viso del nausicaano era diversamente interpretabile.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.

McCormick si ritrasse dall'ingresso della cella e andò a sedersi sconsolato con i due della squadra di sicurezza. Semplici sbarre metalliche: ecco cosa li tratteneva prigionieri. Niente campi di forza, barriere invisibili, griglie di energia. Banali sbarre di metallo azionate da un motore nascosto il cui interruttore era al di fuori della loro portata. Il suo ingegnere era impotente. Cercando di non dare nell'occhio, Nove strinse le mani intorno a una di quelle sbarre e cominciò a spingere, discretamente. Ci mise tutta la sua forza ma non ottenne risultati. Eppure grazie alla sua indesiderata parentela con i borg la sua forza fisica era ancora di gran lunga superiore a quella di qualsiasi femmina umana prossima ai quarant'anni d'età. La stava perdendo giorno per giorno, insieme a diverse altre capacità borg, ma era ancora sufficiente da permetterle di tenere agevolmente testa a un klingon di oltre cento chili di peso come Th'Karr.
Lasciò la presa sul freddo acciaio nausicaano e si volse verso i suoi compagni di cella, la sua squadra di sbarco. Si erano fatti sorprendere come novellini, ma non se la sentiva di biasimarli: si era fatta sorprendere insieme a loro. Anzi, la sua situazione era aggravata dal fatto che lei aveva avuto il forte sospetto che si trattasse di una trappola. Alterman l'aveva detto subito.
- Ci sarà qualcosa che possiamo fare... - era un'esortazione più per se stessa che per i propri uomini. Nove lesse lo sconforto sui loro visi: mancavano pochi minuti poi sarebbe scoccata la seconda ora della loro prigionia e nessuno si era fatto vivo.
- Perché non arrivano i soccorsi, comandante?
- Non conosciamo la situazione, McCormick. Sono certa che Th'Karr è pronto a intervenire in nostro soccorso. Se non l'ha ancora fatto c'è sicuramente una ragione valida.
- E... lei, comandante?
Nove si voltò verso il suo ingegnere puntandogli contro gli occhi riflettenti.
- Sì?
- Lei non... voglio dire, i suoi... le sue... - l'imbarazzo del giovane tecnico era evidentissimo. C'era qualcosa che voleva dire, ma esitava.
- Qualcosa non va, McCormick? - forse mise un po' troppa durezza nel tono di voce ma senza volere. Essere discriminata per il suo passato borg le aveva insegnato a stare continuamente sulla difensiva. L'ingegnere si irrigidì, cercò conforto nei visi pallidi degli altri due ma non trovandone si rassegnò a continuare.
- Le sue... capacità borg non ci possono essere d'aiuto?
A McCormick tremava il labbro inferiore. Era molto giovane: un promettente elemento nella squadra tecnica. La famiglia di suo padre era stata a lungo a bordo di un cargo commerciale fino all'incontro con una sfera borg. Suo nonno era fortuitamente scampato per poi morire combattendo a Wolf 359 pochi anni dopo. Ansiosa di mostrarsi umana, Nove gli sorrise.
- Invio a intervalli regolari un segnale subspaziale, ma purtroppo non sono più in grado di ricevere autonomamente. Non posso dirti se viene ascoltato, e da chi.
- Per quanto riguarda il... resto – aggiunse dopo un piccolo, umanissimo sospiro di rassegnazione – le mie capacità borg stanno venendo lentamente meno, giorno per giorno.
Rammentò con precisione cosa le aveva detto il medico: le erano “cresciuti” filamenti polimetallici dentro le ossa; aveva molti organi totalmente biomeccanici tra cui il cuore, i reni, il fegato; gli occhi le erano stati espiantati, sostituiti da bulbi oculari riflettenti privi di qualsiasi dettaglio; le protesi borg avevano messo radici nel cervello, si erano aperta la strada attraverso il teschio ed erano affiorate sulla pelle. Il maledetto tubo che la collegava al voluminoso impianto che si portava attaccato alla testa conteneva forse microconduttori che si diramavano su gran parte della corteccia cerebrale. Era quasi un miracolo che l'avessero liberata senza ucciderla. Le nanomacchine borg nel suo corpo non potevano essere eliminate completamente, o sarebbe morta per le crisi di rigetto. Non potevano essere lasciate libere di riprodursi, o sarebbe tornata al Collettivo in poche ore. Stava pagando il prezzo più alto che potesse immaginare dopo la morte: non era più umana, non era del tutto borg; aveva irrimediabilmente perduto la memoria dei trentaquattro anni di vita precedente l'assimilazione, selettivamente eliminata dalla Collettività. Pensò che tutto sommato non era troppo diverso dall'essere morti.
- Comandante! Si starà chiedendo come mai l'ho trascurata...
Il nausicaano, insolitamente cortese, interruppe il corso dei pensieri di Nove mostrandosi con fare arrogante oltre le sbarre.
- Il vostro equipaggio si oppone con forza, ma siamo ugualmente a buon punto.
Alle spalle di Mh-an-Loort transitarono alcuni membri dell'equipaggio della Starfender, ridotti all'impotenza. Nove li riconobbe tutti, uno per uno. I borg le avevano cancellato il suo passato ma le avevano dato la radicata capacità di memorizzare nuove informazioni in modo efficacissimo. Scortati da pochi guerrieri i prigionieri furono rinchiusi in altre celle che Nove non poteva vedere dalla sua posizione.
- Resistere è inutile – il comandante alieno gorgogliò una risata. Un nausicaano col senso dell'umorismo, pensò Nove acida. La situazione stava precipitando: evidentemente erano riusciti ad abbordare la sua nave.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5.

Nanomacchine nel corpo e impianti borg potevano tornare comodi in determinate occasioni. Ma l'innata capacità di misurare il tempo con precisione anzi, la consapevolezza del suo scorrere uniforme poteva trasformarsi in un vero tormento per una coscienza umana. Nove rimase richiusa per ottantantasette minuti insieme alla sua squadra di sbarco schiacciata sotto i loro sguardi, oppressa dalle lamentose voci dei membri del suo equipaggio imprigionati nelle celle adiacenti. Avrebbe voluto poter ignorare il trascorrere del tempo ma semplicemente non era in grado di farlo.
- Lasci perdere, comandante – la sgradevole voce di Mh-an-Loort interruppe i suoi tentativi di confortare i suoi uomini e di mantenere una certa disciplina. Pur essendo alto e imponente quell'individuo aveva la capacità di muoversi apparentemente senza produrre rumore.
- Si faccia indietro – il nausicaano spianò un disgregatore puntandolo verso di lei ma badando a rimanere fuori portata delle braccia. Nove non poté che obbedire. Una cosa che non poteva più fare, e che ora le sarebbe tornata estremamente utile, era assimilare l'energia di un'arma da fuoco per difendersi.
Fatto un rapido cenno a qualcuno che rimaneva fuori vista, l'alieno tornò con gli occhi su di lei. Impossibile dire se stesse ghignando soddisfatto o minaccioso. Le sbarre vennero sbloccate e ritratte e Mh-an-Loort riempì di prigionieri la cella, aiutato dai suoi simili. Si occupava in prima persona del loro trasbordo: segno forse che l'equipaggio nausicaano era in inferiorità numerica.
Non appena l'alieno se ne fu andato Nove pretese un rapporto dal più alto in grado. La Starfender era quasi del tutto caduta in mano al nemico, l'equipaggio era stato colto di sorpresa e molti si erano trovati indifesi di fronte ai disgregatori klingon impugnati dagli alieni. Si lamentavano vittime anche se non era possibile determinarne con precisione il numero. Tra queste di certo il primo ufficiale klingon, colpito al ventre da una scarica mentre difendeva la nave alla testa di una squadra della sicurezza. Nove si accigliò digrignando i denti, profondamente colpita da quella perdita. Avrebbe voluto poter provare più rabbia, più indignazione. Avrebbe voluto sentire la pelle del viso incendiarsi d'ira per mostrare a tutti ciò che provava. Invece la sua fisiologia alterata non cedette al sentimento neppure per un istante: non un tuffo al cuore, non un sospiro, non una fitta.
- Il rapporto non è esatto, comandante.
Tutte le teste si volsero in una direzione, sorprese da quella voce. L'ufficiale interrogato da Nove si interruppe allibito. Oltre le sbarre, la divisa sporca e lacera, affaticato ma determinato, Th'Karr. Impugnava la sua bat'leth le cui punte erano tinte di sangue cupo.
- L'interruttore sulla parete! - rispose prontamente Nove. Il klingon si mosse per azionare il congegno che apriva la cella, dimostrando di zoppicare.
- Aiutatemi, voi! - ordinò il comandante ai suoi uomini quando le sbarre si furono aperte. Le tirarono fino a richiuderle senza l'ausilio del meccanismo, guastandolo, assicurandosi di riuscire a riaprirle. Tra gemiti e scricchiolii la chiusura fu forzata: con un po' di fortuna i nausicaani non si sarebbero accorti di nulla. Anche Th'Karr era in cella ora, celato dal fitto numero dei prigionieri ammassati.
All'occhio analitico di Nove non sfuggì che a imbrattare la divisa di Th'Karr c'era anche purpureo sangue klingon. Quando cercò di accertare le condizioni della ferita, l'ufficiale si ritrasse bestemmiando nella sua lingua.
- Quei petaQ pagheranno ogni goccia versata! - sbraitò. Gli altri si erano istintivamente ritratti isolando Nove e Th'Karr in un piccolo spazio vuoto. Il klingon non era certo l'unico ferito in quella cella, ma di certo il più vispo e combattivo. Nove, incerta se rimproverarlo o elogiarlo, gli chiese un rapporto sulla situazione. L'ufficiale klingon cominciò descrivendo le prime fasi dell'abbordaggio, l'uso di granate assordanti, di gas e altre armi atte a stordire. Solo in alcuni casi venivano usate armi letali. Descrisse di come aveva cercato di organizzare una resistenza dapprima efficace, poi sempre più disunita sotto la pressione della brutale determinazione dei nausicaani.
All'improvviso la luce si spense.
L'addestramento della Flotta Stellare venne messo a dura prova: l'abbordaggio, la prigionia, l'oscurità improvvisa. Alcuni membri dell'equipaggio si lasciarono sfuggire esclamazioni di sconforto e Nove dovette ancora una volta alzare la voce.
- Silenzio, tutti! - gridò con autorità. Vedeva anche al buio e poteva osservare i loro visi. Preoccupati, tesi, alcuni addirittura spauriti. Dopo pochi secondi si accesero delle tenui luci ambrate, accompagnate da un sommesso mormorio di sollievo.
Nove dette ordini precisi, in fretta. I nausicaani sarebbero tornati a bordo prima o poi, se non altro per trasferire altri prigionieri. Ci volevano ben altro che due o tre celle come quelle per contenere l'equipaggio della Starfender. Ne avrebbero approfittato per sorprenderli e disarmarli. Finché i disgregatori rimanevano in mano ai nemici, non avrebbero avuto serie possibilità di riprendersi la nave.
Fu solo questione di tempo. Mh-an-Loort tornò scortato da due dei suoi con tre soli prigionieri. Non pareva più tanto spavaldo: non lo si poteva dire impallidito, dato che la sua cute gialla e verdognola era ancora tale, ma Nove intuì dai modi frettolosi dell'alieno che qualcosa non stava andando per il verso giusto.
- Indietro! - intimò loro quando li vide tutti addossati all'inferriata.
- Non c'è più spazio – rispose tranquillamente Nove squadrandolo. Ostentando calma, posò lentamente i gomiti sulle sbarre orizzontali e spostò il proprio peso appoggiandosi. Una postura provocante, quasi sensuale nonostante la divisa della Federazione.
Il nausicaano ignorò il comandante della Starfender e azionò l'interruttore che avrebbe dovuto aprire le sbarre. Il motore nascosto, danneggiato, stridette in modo straziante per qualche secondo poi tacque.
- Manca l'energia – mentì Nove.
Mh-an-Loort azionò più volte l'interruttore, freneticamente, ottenendo solo deboli sussulti meccanici. Il motore era andato, ma lui non parve accorgersene.
- Poco male – fece un cenno ai suoi due uomini che spintonarono i tre prigionieri verso le sbarre – tanto non andrete da nessuna parte, con o senza le sbarre. Dopotutto aveva ragione lei, comandante: sarebbe stato meglio che un tecnico della Federazione supervisionasse l'installazione delle vostre parti. Uno dei componenti ha peggiorato l'avaria al nucleo di curvatura di questo bidone... ma non è importante: ora noi abbiamo la sua nave...
Il tono era ritornato beffardo. Forse fu quello a far scattare Nove, forse semplicemente era giunto il momento migliore. Gridò il segnale e spinse via le sbarre con tutta la sua forza mentre i prigionieri delle altre celle facevano altrettanto. Mh-an-Loort e i suoi furono sopraffatti in pochi secondi e disarmati, a dispetto della rinomata ferocia e superiore forza fisica dei nausicaani. Con rabbia fredda e calcolata Nove afferrò Mh-an-Loort per la corazza e lo scrollò, badando che battesse la testa sul pavimento.
- È molto semplice: se mi dici cosa è successo forse ci salviamo tutti. Altrimenti quello che succederà a noi succederà anche a te. Il nausicaano sembrò ghignare. Supino sul pavimento dov'era finito quando i prigionieri erano saltati fuori dalle celle, guardava Nove che incombeva sopra di lui. Accennò un movimento con il polso, ma un membro dell'equipaggio della Starfender se ne accorse.
- Attenti, ha qualcosa in mano! - gridò precipitandosi a immobilizzare l'alieno. Un piccolo dispositivo rotolò via.
- Niente teletrasporto! - Nove schiacciò il comunicatore sotto il tacco dello stivale: con quello l'alieno avrebbe potuto farsi teletraspotare via dalle sue grinfie.
- Voi! - indicò due suoi uomini della sicurezza, distinguibili per la divisa rossa – prendete le armi e mettete in sicurezza quest'area. E voi, lasciatelo!
Mentre i primi eseguirono l'ordine disarmando completamente gli alieni per poi lanciarsi lungo il corridoio, coloro che tenevano immobilizzato Mh-an-Loort sul pavimento esitarono.
- Ma... comandante...
- Ho detto di lasciarlo! - rinforzò il tono di voce, poco avvezza a ripetere due volte lo stesso ordine. Notò con tristezza che ci volevano quattro umani per tenere fermo un solo nausicaano.
Ma non appena l'alieno accennò a sollevarsi Nove gli fu addosso e, afferratolo per gli abiti corazzati, lo sollevò di peso per sbatterlo con violenza contro la parete più vicina. Tutti poterono sentire l'aria sfuggire dai polmoni di Mh-an-Loort sibiliando attraverso le zanne sporgenti dalla bocca. Tanto piccola e minuta da dover tirare indietro la testa per fissare il nausicaano negli occhi ma sufficientemente forte e feroce da indurlo a non reagire, Nove lo minacciò parlando klingon.
- Se io muoio, tu muori prima... un pezzo alla volta.
Tese un braccio e, come una scena teatrale provata mille volte, la sua mano si strinse sull'impugnatura della bat'leth di Th'Karr, prontamente apparso alle sue spalle.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6.

- Maledetti incompetenti – sibilò Nove tra sé. Era un ufficiale tattico, esperta d'armi e tattiche di combattimento. Sapeva colpire il bersaglio sia con i nuovi, potentissimi phaser Mark XI, studiati per abbattere scudi e perforare scafi corazzati, sia combattere a mani nude. Ma non ci voleva un ingegnere per capire che i danni al nucleo di curvatura della nave nausicaana erano dovuti all'incuria e alla maldestra manutenzione. L'errata installazione di alcuni dei componenti che lei aveva procurato loro aveva fatto il resto. Il nucleo di curvatura era divenuto instabile, c'era stata una perdita di refrigerante in sala macchine e il livello delle radiazioni era pericolosamente aumentato. Non aveva avuto scelta: mandare uno qualsiasi dei suoi in quell'ambiente sarebbe equivalso a una condanna a morte. Le nanosonde borg che ancora circolavano abbondanti nel suo sangue e che permeavano ogni fibra del suo corpo l'avrebbero protetta.
Almeno così sperava.
Sbloccata una doppia porta di protezione con i codici estorti a Mh-an-Loort, ebbe accesso a un locale adiacente la sala macchine. Notò la parete parzialmente congelata dal fluido: era in realtà una paratia tagliafiamme calata nel momento in cui si era reso necessario isolare la sala macchine. Al di là di quella barriera antiradiazioni c'era il nucleo di curvatura che stava per cedere.
Si arrampicò su una scaletta e usando la vista che i borg le avevano dato cercò un punto debole del portello che bloccava l'accesso a un condotto di manutenzione. I nausicaani avevano costruito quella vecchia nave a loro misura, non avrebbe avuto difficoltà ad attraversarlo. E se l'avessero realizzata con un minimo di logica, quel corridoio di manutenzione avrebbe raggiunto i condotti EPS e forse anche le gondole di curvatura.
Con la forza bruta scardinò il portello. Poté sentire le radiazioni aumentare. Le percepiva come un calore sul petto e sul ventre, come un colore dominante: l'interno del corridoio aveva una tinta giallognola che nulla aveva di naturale. Sapeva che non c'era nessuna luce colorata: erano i suoi impianti borg a gridare il pericolo. Non poteva assimilare quelle radiazioni, non poteva neutralizzarle. Le parve quasi di sentire le nanosonde borg reagire, impazzite nel tentativo di opporsi alla minaccia. Varcò la soglia e si immerse nel giallo mortale delle radiazioni.
Doveva cercare una console. Contrariamente ai tubi di Jeffries della Starfender, la nave nausicaana aveva tunnel di manutenzione nei quali era possibile stare in piedi. Erano stretti, ma alti. Dei gradini la aiutarono a scavalcare una grossa tubazione che attraversava il corridoio: impossibile dire cosa fosse, ma la sua temperatura sembrava suggerire facesse parte dell'impianto di raffreddamento in avaria.
Trovò finalmente una console. Cercò di interpretare i diagrammi ma non fu affatto facile. Conosceva il klingon, ma quella nave non sembrava affatto bilingue come lei. Andando a tentoni trovò uno schema grafico del nucleo di curvatura intorno al quale lampeggiavano ansiosamente diversi ammonimenti. Riconobbe il sistema di raffreddamento guasto e dedusse i codici di allarme. Proprio mentre li studiava essi mutarono aspetto e, per toglierle ogni dubbio, scattò un allarme sonoro assordante. Il nucleo era entrato in uno stato critico.
Nove cercò di restare calma e ragionare: il nucleo stava per esplodere. Non ne era certa, ma non poteva correre rischi. C'era più di metà del suo equipaggio su quella bagnarola e se non avesse fatto qualcosa, sarebbero morti tutti. In quel momento il suo combadge risorse trillando.
- Comunicazioni ripristinate, comandante!
Era Virma Brax, il suo ufficiale alle comunicazioni. Aveva una bella voce, ma mai le era parsa bella come in quel momento.
- Presto, passami un tecnico, ho trovato una console di emergenza!
- Subito, comandante! - pochi secondi di pausa, poi riconobbe B'lagg, il boliano ingegnere capo della Starfender. Colui che aveva spinto quell'incrociatore leggero alla bella velocità di curvatura 9,48. Nove si sentì salva, pur con la consapevolezza che non era affatto vero.
Gli descrisse rapidamente ciò che la console mostrava, e B'lagg si mostrò incerto.
- Credo che l'unica via di salvezza sia espellere il nucleo, comandante!
- Come faccio?
- Se questa nave non è stata progettata da una lumaca ferengi, dovrebbe esserci una procedura automatica di emergenza. Qualora non ci fosse, dovrebbe bastare isolare i condotti delle gondole di curvatura!
- Dovrebbe? - protestò. In quel momento si udì un piccolo scoppio piuttosto vicino e la temperatura si impennò sensibilmente. Nemmeno il tempo di riferire l'accaduto all'ingegnere capo e un boato scosse la nave, facendola gemere in ogni sua parte.
Nove perse l'equilibrio e cadde, battendo il viso sulle sporgenze delle pareti troppo ravvicinate. Si riebbe subito, ma la vista era appannata. Incuriosita da quella novità, si scoprì a provare paura quando non riuscì a riprendersi in fretta quanto avrebbe voluto. Le radiazioni, suggerì una parte del suo cervello. Forse quella stessa parte più profondamente modificata dai borg che riusciva a rimanere fredda e analitica nonostante tutto quello che stava accadendo.
Tornò subito alla console: B'lagg le descrisse come avrebbe dovuto essere l'interfaccia di esplusione e Nove impartì comandi a casaccio, provocando soltanto segnali acustici di errore. Non era più lucida, stentava a reagire. Provò sistematicamente i diversi menù finché trovò qualcosa che somigliava a quanto descritto.
- Comandante, non c'è quasi più energia! Deve espellere il nucleo, o le barriere di contenimento cederanno!
- Lo sto facendo! - rispose stizzita all'allarmata voce del suo capomacchina boliano. Aggrappata alla console con una mano, con l'altra esplorava le diverse opzioni. Alla fine riuscì ad attivare qualcosa: udì un forte rumore, sentì il pavimento vibrare sotto i piedi e una serie di gracidii confusi uscire dal suo combadge. Poi dovette cedere alla stanchezza che l'aveva colta all'improvviso, inginocchiandosi. Una volta aveva visto da vicino un drone tattico borg: corazzato e dotato di un cannone disgregatore al posto del braccio destro, poteva opporre ai suoi avversari un impressionante volume di fuoco ma si muoveva con esasperante lentezza. Le sue membra rinforzate erano infatti estremamente pesanti. Si sentiva come uno di quei droni: braccia e gambe pesanti come se fossero di metallo pieno. Drone tattico, finalmente un'assegnazione definitiva, pensò prima di abbandonarsi distesa supina sul pavimento. Era stanca e accaldata, aveva sonno. Non capiva da che parte arrivasse il ricordo del drone tattico, né quegli altri che le venivano a galla sempre più confusi. Voleva solo rigenerarsi nella sua alcova, l'assimilazione l'aveva provata.
Assimilata, pensò. Nove di Ventuno. Ora noi siamo borg.
Poi perse i sensi e precipitò nell'oblio.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.

Spalancò gli occhi, di scatto. Rimase immobile: il soffitto di un'infermeria, una forte luce che i suoi occhi compensarono subito. Un viso. Un lampo di memoria, la coscienza di essere sdraiata su di un lettino diagnostico. Miranda Alterman, grado guardiamarina, ufficiale scientifico a bordo della U.S.S. Starfender, numero di registro NCC 92519. La guardava con occhi limpidi.
- Si è ripresa, direi.
- Come sta, comandante? Mi sente?
Un'altra voce. T'sev, grado tenente, medico di bordo. Vulcaniano.
- Stanca... - accennò ad alzarsi, ma qualcosa la trattenne. Non era legata. La mano di Alterman era posata sulla sua spalla. Avrebbe potuto facilmente vincere quella resistenza, ma preferì appoggiare meglio le spalle sul lettino diagnostico e rilassarsi.
- Ha assorbito una bella quantità di radiazioni, comandante. Logicamente, è viva solo grazie ai suoi trascorsi... biomeccanici.
- Se mi sta dicendo che devo la vita ai borg faccia pure, T'sev. Non mi rincresce affatto.
- Tipica reazione umana – il giovane vulcaniano apparve finalmente nel suo campo visivo – direi che non ci sono pericoli.
- È successo qualcosa? - Nove si corrucciò. Aveva sognato, sogni orribili, sogni borg. Vividi. Come sempre. Temeva che fossero vividi per un motivo diverso dal solito, stavolta.
- Nulla di particolare. Incubi, direi. Comprensibile.
- Ha salvato due navi, comandante! - stavolta era Alterman china su di lei. Pareva felice.
- I nausicaani non sono riusciti a prendere il controllo della sala macchine, quindi la Starfender non ha potuto mettersi a distanza di sicurezza. Fortunatamente il nucleo di curvatura una volta espluso si è raffreddato scongiurando l'esplosione.
- Eravamo troppo vicini?
- Decisamente, comandante – confermò il vulcaniano.
- E la Starfender?
- È salva, comandante. Mentre lei si avventurava nella sala macchine del vascello nausicaano, una nostra squadra si è teletrasportata a bordo della Starfender con l'energia di riserva. Con l'aiuto del tenente Th'Karr abbiamo ripreso l'armeria e costretto i nausicaani sulla difensiva. Poi, colti alle spalle con uno stratagemma, li abbiamo snidati dalla sala del teletrasporto. Da lì in poi è stato facile.
Nove ascoltò il rapporto del vulcaniano che scese nei dettagli. Il suo primo ufficiale era salvo nonostante avesse perso molto sangue per aver subito una seconda ferita in combattimento. I nausicaani erano stati confinati a bordo della loro nave che, priva del nucleo di curvatura, era divenuta del tutto innocua. L'infermeria si stava occupando di tutti i feriti, ben pochi erano gravi. Un solo morto, un membro della squadra di sicurezza, falciato dalla stessa scarica che aveva ferito Th'Karr.
- Chi c'è sul ponte?
- Il primo ufficiale, il tenente Th'Karr, ha assunto il comando.
Nove ebbe un raro, autentico brivido. Due ferite in combattimento non erano riuscite a ridurre all'impotenza il klingon. Lo fece notare al medico di bordo ma il vulcaniano si limitò ad alzare un sopracciglio sul suo giovane ma imperturbabile viso.
- Ho fatto notare al tenente che le sue condizioni di salute non sono compatibili con le funzioni di comandante della nave.
- E quindi? - volle sapere Nove.
- La sua risposta è stata: “sto benone, orecchie-a-punta”.

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