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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Niente è impossibile.. *** Capitolo 2: *** Da principio fu il Caos *** Capitolo 3: *** Voci di Tenebra Azzurra *** Capitolo 4: *** Un freddissimo enigma *** Capitolo 5: *** Quando la razionalità sfugge dalle mani.. *** Capitolo 6: *** E il tuo cuore annega nell'orrore *** Capitolo 7: *** Gioia e dolore hanno lo stesso sapore *** Capitolo 8: *** Sfiorando la tua Anima... *** Capitolo 9: *** Sarà come bruciare.. *** Capitolo 10: *** Amore. Come il vento che piega le querce. *** Capitolo 11: *** Ambrosia ***
Ciao a tutti!!!!
Eccomi tornata con una nuova storia.. “Lacrime di Follia” è una ff che volevo
scrivere da tempo ma, dato che la trama è un po’ complessa, avevo sempre
rimandato perché oltre alle ff su Dott House stavo scrivendone anche una
originale che mi impegnava molto.. così ora che quella è conclusa, ho trovato il
tempo per dedicarmi a quest’idea..
Allora.. LdF è
una storia un po’ noir dove si intrecciano vendetta, follia e naturalmente la
storia d’amore di Cam e House..se ne troverò lo spazio mi dedicherò anche
all’altro mio paring preferito, tanto ormai lo sapete tutti, no? il mio adorato
Wilson e Lisa..
Spero che la
storia vi piaccia, è un po’ una follia,(qualcuno penserà che la neve mi ha dato alla testa.. forse ha ragione… )
ma ho deciso comunque di dedicarla alla mia carissima amica Apple.. prima
o poi chiamerò David Store e gli chiederò di dare un’occhiata ai tuoi scritti,
le più belle storie cottoncandy che io abbia mai letto!
Vorrei lanciare
un pensierino anche a Nathaniel e fare tanti complimenti anche a lui per
le sue storie, sono davvero belle!
Ringrazio in
anticipo tutti coloro che commenteranno e mi daranno consigli, suggerimenti,
anche le critiche sono ben accette, aspetto di sapere che ne pensate..
Intanto vi faccio
i più sinceri auguri di BUON ANNO!!
Buona Lettura, un
bacio
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
I:Niente è impossibile
Vivi
come se dovessi morire ora. Pensa come se non dovessi morire
mai.
Sembrava
una comunissima mattinata al Princenton. Una semplicissima, noiosissima
mattinata invernale. Natale era passato da alcuni giorni e per il momento
l’equipe di diagnostica sembravanon avere nessun caso di cui occuparsi. Come quasi ogni giorno la porta
di vetro con la classica, storica e, se vogliamo, anche un po’ intimidatoria
scritta ‘ House MD’ si spalancò con un’oretta abbondante di ritardo dall’orario
di lavoro.
Due
paia di occhi si voltarono a guardare in quella direzione. Se l’espressione di
disagio e di nervosismo era la stessa per entrambi, non si poteva dire che
fossero simili anche nel colore: i primi erano neri come la pece, i secondi del
colore del mare.
House
sorrise implicitamente ai suoi due collaboratori, Foreman e Chase, come al
solito, intenti a trastullarsi invece che fare qualcosa di costruttivamente
utile. Come occuparsi della sua posta, per esempio. Ah, per quello c’era
Cameron, che sbadato.
Si
voltò immediatamente dall’altra parte del suo ufficio per assicurasi che l’
immunologa stesse facendo il suo lavoro, ma si accorse che davanti al computer
la sedia era stranamente vuota.
Riportò
lo sguardo nell’ufficio dove si trovava. In effetti Cameron non era nemmeno
lì.
Accorgendosi
degli sguardi interrogativi dei due colleghi, disse, sprezzante:
–beh?
Che c’è da guardare? Mai visto un capo bello e sexy come
me??-
-e
puntuale, non dimenticarlo.- aggiunse Chase, ironicamente.- House, è quasi
mezzogiorno.-
-ecco
perché ho quasi fame.- commentò l’uomo, appoggiando lo zainetto al tavolo e
guardandosi intorno, incuriosito.
Eric
intuì subito i suoi pensieri -Cameron è stata chiamata dalla Cuddy.- spiegò
sfogliando lentamente una rivista scientifica.
House
strabuzzò gli occhi in un’esagerata espressione di sorpresa, mentre si
appoggiava alla lavagnetta ancora bianca ed iniziava a far roteare il bastone.
–mm, non mi piace. Se quelle due diventano amiche, siamo fuori ragazzi.-concluse strappando un sorriso ad
entrambi.
In
quell’istante il rumore dei tacchi di Cameron fece girare tutti verso la porta a
vetri e infatti, tempo due secondi, fu proprio da lì che sbucò l’immunologa,
come ogni giorno, elegante e distinta nel suo camice bianco, con una gonna che
le arrivava appena al ginocchio,maglioncino prugna escarpe a decolté nere.
Senza
quasi che se ne accorgesse House sentì un piccolo, piacevole dolorino nello
stomaco. Ormai cominciava a pensare di dover prendere Vicodin anche quando la
vedeva la mattina. Tuttavia, fece il disinvolto, come al solito:
-ah,
eccolo il nostro terzo moschettiere! Novità dal fronte occidentale?- domandò
Greg con un sorriso divertito.
Cameron
incontrò i suoi occhi e ricambiò il sorriso.- che c’è? geloso che la Cuddy abbia
chiamato me, per una volta, e non te?-
-certo
che no. Tutto l’ospedale conosce i gusti sessuali della Cuddy, piccola ingenua,
non mi metterei mai tra voi due. Io ho Chase.- disse lanciando un occhiolino
all’australiano.-Dì un po’.-
continuò con voce maliziosa.- ti ha fatto qualche proposta
indecente?-
-no.
Ci ha affidato un caso.- disse alzando la cartellina blu che teneva in
mano.
House
roteò gli occhi.- eh ti pareva. Ma non ti preoccupare è il suo modo di
dimostrare l’affetto, molti mandano fiori, lei noiosissime cartelle cliniche,
imparerai ad amarla.-
-di
che si tratta?- domandò Foreman, interessato, all’indirizzo dell’immunologa.
Allison
gli passò la cartellina.- Maschio 55 anni, ricoverato d’urgenza per
insufficienza respiratoria.-
-ecco,
te lo dicevo che era noioso.- commentò Greg andando a prendere la sua tazza di
caffè amorevolmente preparata, come ogni mattina, da Cameron in persona.
-uh, è
un collega.- disse Chase, quasi soprappensiero, sbirciando i dati dalla
cartellina.- si tratta del dottor Matthew Park,
primario di oncologia dell’ospedale di New York.-
-va bene, questo dovrebbe renderlo più interessante!?-
sbottò il diagnosta all’indirizzo del suo collaboratore. –avanti, riempitelo di
antibiotici e mandatelo a casa con una stupidissima diagnosi di pleurite.-
-curioso.
La pleurite da anche problemi intestinali?- la voce provocante di Eric seppe
zittirlo.
I suoi
occhi azzurrissimi si voltarono a squadrare il suo neurologo, con un sorriso
intrigato. –problemi intestinali?- ripeté, sadicamente divertito, rivolto a
Cameron
-se mi
avessi lasciato finire.- Commentò quest’ultima sedendosi.- febbre, diarrea
profusa ed ematemesi.-
House
inclinò la testa di lato, sorridendo.- mm. Mi piace. Niente male come quadro
generale.- si voltò verso Allison.- tò’.- disse lanciandole un pennarello che la
giovane prese quasi per caso.- vieni a scrivere tutto sulla lavagna. Foreman, tu
vai a fare le analisi al dottorcomesichiama e Chase…- si guardò un po’ intorno,
per l’ufficio.- tu da’ una bella spolverata. Questo posto sta diventando
sudicio,odio la
polvere.-
-e tu
dove vai?- domandò Cameron con voce polemica e divertita insieme, rivolta a Greg
che si stava dirigendo verso l’uscita.
-come
mi ha giustamente ricordato Chase, è mezzogiorno. Ho fame, si va a fare le
pappe!-
-resta
qui- il tono divertito, leggero ma pur sempre azzardato di Cameron fece girare
il diagnosta. –cosa?- ribatté lui, divertito.- tu dai ordini a
me?-
-dovrai
conviverci, House.- una seconda voce femminile catturò l’attenzione di tutti
verso l’entrata del reparto diagnostica. Cuddy, sulla soglia, sorrideva
beatamente in un mix concentrato di divertimento e
sadismo.
House
guardò lei e poi Cameron in un crescendo di preoccupazione.- questo non mi dice
niente di buono.- borbottò, ironico.
-già-
approvò lei.- visto che sei completamente irresponsabile ho chiesto a Cameron di
darti una controllata e di.. tenerti in riga quando ti prendono certe alzate
d’ingegno.- il suo tono si fece improvvisamente più duro.- come andare a pranzo
quando non avete ancora ipotizzato una diagnosi per il dottor
Park!!-
-visto?-
esclamò House rivoltò verso la componente maschile del gruppo.- e pensare che vi
abbiamo concesso pure parità di diritti!-
-zitto
e lavora. Il tuo stomaco può aspettare. Cameron.- concluse la Cuddy lanciando
un’occhiata d’intesa con l’immunologa.- Buon lavoro, ragazzi- così com’era
velocemente entrata, la donna uscì dall’ufficio.
Sia
House, Foreman che Chase osservarono Cameron, incuriositi.
-beh?-
chiese quest’ultima.- vi sembra così strano?-
-ma
no, siete intime ormai, c’era da aspettarselo.- fu l’ironica risposta di House,
mentre si sedeva al posto che abitualmente era di Allison, al fianco di Chase.-
avanti, CAPO, ipotizza.-
La
donna sospirò.- House non sono il tuo capo. Devo solo..-
-allora,
queste ipotesi??- l’interruppe lui, bruscamente.
Iniziarono
a lanciare nomi di ipotetiche malattie, supposizioni, tesi da confermare, ma
niente che potesse spiegare con certezza un disturbo che oltre all’apparato
respiratorio coinvolgesse anche quello digerente. La formulazione della diagnosi
si concluse con Foreman e Cameron che si avviarono a fare test per ipotesi
assurde che già sapevano non avrebbero portato proprio a nulla e Chase
che…
-e io
?- domandò il giovane quando Cameron e Foreman se ne furono
andati.
-non
mi piace essere ripetitivo. Pulisci l’ufficio.- borbottò House uscendo dalla
stanza.
Robert
lo guardò uscire, poi sbatté, nervosamente, la cartella del paziente sul tavolo.
-intraprendente la Cuddy.- iniziò Wilson, sorridendo,
sedendosi accanto all’amico che, a mensa mangiava qualche boccone di un
hamburger. Jimmy notandolo, chiese.- ehi, dove l’hai preso quello? Io non l’ho
visto.-
-informazioni
riservatissime.- rispose l’altro con aria di mistero. – tu continui a farti le
infermiere e disdegni le cuoche, impara, amico, impara.-
Jimmy
scosse la testa poi tornò a battere l’incudine sul ferro che più gli
interessava.- Cameron come supervisore. Chi l’avrebbe mai
detto..-
-io
l’avevo detto. Temevo che prima o poi quelle due si sarebbero alleate.- fece un
altro boccone.- solidarietà femminile…-
-hai
intenzione di renderle la vita impossibile come hai fatto tempo fa con Foreman?-
domandò l’oncologo, a brucia pelo.
-Foreman
era il mio capo.-
-lei
dovrà controllarti.-
-non è
la stessa cosa.-
-io
direi che è persino peggio.- continuò Wilson osservandolo attentamente.- ma
qualcosa mi dice che non hai intenzione di trattarla come hai fatto con Eric… o
sbaglio?-
-Cameron
è innocua.- rispose il diagnosta con un voce superficiale.- le dai una caramella
ed è felice per una settimana.-
-io
non la sottovaluterei.- continuò Jimmy.- è un’occasione importante per Allison.
La Cuddy le ha dato fiducia e l’ascendente che hai su di leipotrebbe non bastare per lasciarti fare
quello che vuoi-
-naa,
tu non la conosci. È ..- si portò l’ hamburger in bocca ma il suo cercapersone
suonò prima che potesse addentarlo. Greg roteò gli occhi non appena vide chi era
che lo stava chiamando.
-molto
efficiente.- concluse Wilson intuendo benissimo di chi si trattava.
-ho
detto che è innocua. Non che non sia rompiballe.- commentò House alzandosi e
uscendo velocemente dalla mensa sotto gli occhi divertiti di James.
-mm…-
mormorò House guardandosi intorno.- qualcosa mi dice che qualcuno ha disertato
il suo lavoro.- disse fissando Chase.- qui siamo nell’assoluta anarchia.-
-il
paziente peggiora.- s’intromise Allison andando a prendere il pennarello per
scrivere.
-alt-
l’ interruppe House.
-che
c’è?- chiese lei.
-mi
sei antipatica, fila a sedere, qui il capo sono ancora io!- borbottò fingendosi
offeso e prendendole il pennarello dalle mani. Cameron roteò gli occhi e si
sedette, pazientemente, accanto a Robert.
-allora,
che cos’ha quest’oncologo?-
-emorragia
interna, vomito sanguigno, convulsioni.- rispose Foreman, con voce tesa.- e un
peggioramento dell’organismo, in generale.-
-bene.
Si sta facendo tutto ancora più complesso. Contenti?-
-i
test non hanno portato a niente.- intervenne Cameron.- e se fosse un
batterio?-
-sicuro,
corri a testarli tutti e 8 miliardi.- fu la risposta acida di House.
-potrebbe
sembrare assurdo.- iniziò Foreman, raccogliendo gli sguardi di tutti.- ma una
spiegazione ci sarebbe. Cameron ha ragione. È un batterio. L’unico che potrebbe
comprendere un quadro così disastroso è..-
-sì,
ci ho pensato anch’io.- l’interruppe Greg.- è impossibile e mi
piace.-
-qualcuno
potrebbe mettercene a parte?- domandò aspramente Chase.
-parlano
del Bacillus Antracis.- rispose placidamente Cameron. Robert aggrottò la fronte
e Greg disse, divertito.- non preoccuparti, Chase, ci saresti arrivato pure tu
prima o poi..-
-è
impossibile.- grugnì il ragazzo.- l’antrace si trasmette attraverso spore ed è
portato dagli animali.-
-per
questo adesso andrai dritto dritto da lui e gli chiederai se ha mai fatto sesso
con una mucca, d’accordo?- l’interruppe il diagnosta, con il suo solito accento
sarcastico.- Foreman tu và a fare il test.-
I due
annuirono, silenziosamente, e lasciarono l’ufficio.
Rimasero
lì solamente House e Cameron, in silenzio, lui voltato verso la sua lavagnetta,
lei ancora seduta con il blocco per gli appunti appoggiato sulle gambe. I suoi
occhi verdi lo fissarono silenziosamente, spiandone le reazioni, al di sotto dei
suoi occhiali. Li tolse e lo fissò con intensità. Deglutì lentamente e disse,
interrompendo quell’assurdo mutismo.- ti dà fastidio?-
-sinceramente
sì, stavo pensando.-
-no,
intendo…-
-ho
capito cosa intendi.- l’interruppe lui, senza girarsi a guardarla.
Lei abbassò un po’ lo sguardo, poi sussurrò.- so che odi
sentirti controllato…-
-tuttavia non hai esitato ad accettare quando la Cuddy te
l’ha chiesto.- rispose aspramente, voltandosi verso di lei e puntandole addosso
i suoi occhi di ghiaccio. Non sapeva ma si sentiva piuttosto ferito da quella
novità.. e non perché non aveva più l’assoluta libertà di prima, sapeva che il
ruolo di Cameron era effimero. No, si sentiva tradito perché LEI aveva accettato
quel ruolo. Se l’avessero fatto Foreman o Chase non gli avrebbe dato più
fastidio di una mosca.
Lui si fidava di lei.
Ah, era assurdo, lei non gli stava voltando le spalle
eppure si sentiva così.. deluso??
-non vedo perché avrei dovuto rifiutare.- rispose lei,
sinceramente. Insomma ma che voleva? La teneva a distanza, però alla prima
occasione le faceva capire che desiderava fare squadra, come se si fidasse solo
ed esclusivamente di lei.. era strano, troppo strano.
E lei ne aveva abbastanza delle sue stranezze. –tu sei il
mio capo, ma Cuddy è il dirigente sanitario di questo ospedale. Se mi affida un
compito io ho il dovere di accettarlo. Specialmente quando non ho motivi.- calcò
la voce su quest’ultima.- per rifiutare.- sospirò.- vado dal paziente.-
-ah ah.- la fermò lui.- potrei fare qualche idiozia. Non è
prudente lasciarmi solo qui.-
Cam aggrottò la fronte. Non voleva lasciarla andare
via??
In un primo momento non seppe che dire.
Poi, sorridendo, decise che era solo una provocazione.-
Lisa mi ha chiesto di controllare che tu lavorassi. Non che non facessi idiozie.
In quel caso sarebbe tutto normale.- gli lanciò un sorriso malizioso ed uscì
dall’ufficio.
Anche House sorrise.
Adorava quel gioco di detti, non detti, di sguardi, di
sottintesi. Anche se sapeva quanto fosse deleterio tutto ciò, gli piaceva
comunque.
E, nonostante tutto, adorava lei.
Fuori
ormai era buio pesto enonostante
le loro cure il dottor Park non accennava a migliorare. Cameron e House, dopo il
piccolo dibattito, avevano continuato a formulare ipotesi e diagnosi, lavorando
insieme spalla a spalla, come non facevano più da parecchio tempo.
Era
una sensazione bellissima e lo sapevano bene entrambi. Lo leggevano l’ uno negli
occhi dell’altra, nei loro sguardi, nei loro silenzi.
Foreman
e Chase entrarono nell’ufficio quasi in contemporanea.
-zitti
tutti.- esclamò House, prima che uno dei due potesse parlare.- chi è stato dal
paziente?-
Chase:
-io..-
-bene.
Foreman inizia tu.- Robert roteò gli occhi, incontrando il sorriso rassicurante
e conciliante di Cameron subito dopo.
Il
nero prese un grosso respiro prima di dire. –positivo. Sembra incredibile ma il
dottor Park ha un’infezione da antrace.-
-è
assurdo.- ridacchiò Chase, nervosissimo.- mi ha assicurato di non aver avuto
contatto con questi animali da almeno quattro mesi.-
-carne
infetta?- ipotizzò Cam.
-è
vegetariano.-
Seguì
un inquietante silenzio in cui, a quanto pare, nessuno sapeva che diavolo dire.
Infondo non era la prima volta che un paziente era infetto da una malattia senza
che ci fosse un qualcosa che potesse ipotizzarne il contagio.
-beh,
che problema c’è?- sboccò House.- i pazienti mentono, questo sconvolge
qualcuno?- naturalmente i tre non risposero niente.- Bene. Tanto è spacciato
comunque ..-
-e
se.- tentennò Cameron, inquieta. Si voltarono tutti verso di lei, curiosi di
sentirla parlare. Allison distolse appena lo sguardo.- e se qualcuno avesse ..
favorito.. il contagio?-
House
strinse appena gli occhi ma fu Foreman a dire, sorpreso- vuoi dire
volontariamente?-
Allison
cercò rifugio negli occhi di Greg che non smettevano un secondo di fissarla.
-interessante.
Vado io.- concluse il diagnosta, con voce tesa, uscendo velocemente dalla
stanza.
La
porta della stanza del dottor Park si aprì piano e un uomo alto, affascinante e
accompagnato da un bastone ne varcò la soglia, silenziosamente.
Il
paziente aprì lentamente gli occhi, fino ad incontrare lo sguardo del nuovo
arrivato. Sorrise, lentamente. – dottor House, finalmente. Avevo sentito
moltissimo parlare di lei… a New York è diventato una celebrità per la sua
arroganza.-
-lei
sta per morire.- tagliò corto Greg, odiando, come sempre quel genere di
cose.
Il
dottor Park chiuse un secondo gli occhi, inspirando lentamente.- nemmeno lei è
stato capace di capire cos’ho, quindi..-
-ha
un’infezione da antrace .- rispose brusco il diagnosta. Vide chiaramente
l’espressione di stupore sul suo volto.- già.- concordò Greg.- non ci credevamo
nemmeno noi. Lo so, potrebbe obbiettare che il test non è risolutivo.. ma i suoi
sintomi sono molto chiari. L’infezione è partita dai polmoni, ha coinvolto
l’intestino fino a compromettere tutto lo stato generale. Avrà massimo altri due
giorni di vita.-
-la
terapia..-
-è
inutile quando la malattia ha uno stato così avanzato.- la nuda, sacrosanta,
terribile verità.
House
e Park stettero a fissarsi ancora qualche istante, senza che nessuno potesse
dire niente. fu proprio House a rompere quel silenzio, arrivando alla questione
che lo interessava di più.- com’è potuto accadere secondo lei? Il contagio
intendo.-
L’uomo
iniziò ad agitarsi. –io non lo so. Le ho già detto che sono vegetariano
e..-
-si
calmi.- lo ammonì House, aspramente.-vive con qualcuno? Ha moglie, figli…-
L’uomo
sospirò, faticando a trattenere le lacrime.- vivo con mia moglie. Perché me lo
chiede?-
-e
perché sua moglie non è qui al capezzale del suo letto, visto che sta per
morire?- domandò, tagliente. Park sembrò in difficoltà.- quando mi hanno
ricoverato non l’ho fatta chiamare. Pensavo fosse una sciocchezza. Ora l’ho
chiamata, sta per arrivare. Ma lei perché mi sta facendo queste
domande?-
Greg
alzò lo sguardo verso il soffitto della stanza.- c’è una buona probabilità che
lei sia stato ucciso, dottor Park. Qualcuno- calcò la parola.- gli ha messo la
polverina magica sul cuscino. Come va con sua moglie?-
-Che
diavolo vuole insinuare, dottor House??- urlò,arrabbiato. Le sue urla giunsero
improvvise persino al diagnosta e fecero voltare alcune infermiere che passavano
per caso lungo il corridoio. –lei non ha il diritto di sospettare di mia
moglie!- continuava ad urlare, forte.
-le ho
detto di calmarsi, vuole farsi venire un attacco di cuore?? Ok allora la
mogliettina non c’entra nulla, qualcun altro?-
-non..-
la voce del dottore s’interruppe, bruscamente. House lo fissò intensamente,
intuendo che finalmente erano arrivati al nocciolo della questione.
-quell’uomo..-
sussurrò il malato,attonito.
House
incurvò la fronte, incuriosito.- quell’uomo? Quell’uomo
chi?-
Park
strinse forte le coperte sotto le dita. S’agitò di nuovo e riprese ad urlare-
ora capisco.. quell’uomo…- il suo sguardo tornò su Greg House.- un uomo.. quella
lettera…. Oh, avrei dovuto immaginarlo.. è un pazzo, lei non capisce, ha appena
iniziato..- gli prese il braccio, stringendolo con voga.- loro sono in pericolo,
comprende?? È un folle, ed ha appena iniziato!-
La
voce del malato si troncò di nuovo in gola, ma questa volta non fu per
l’agitazione. Le pupille rimasero immobili, poianche le macchine iniziarono impazzite
ad urlare furiosamente.
-loro?-
urlò House.- loro chi??-
Park
stava avendo un collasso. Perse conoscenza.
Subito
la stanza si riempì di infermiere già attirate dal trambusto di poco fa e,poco
dopo, sopraggiunsero anche Cameron, Foreman e Chase accorsi all’emergenza.
-che è
successo?- domandò frettolosamente l’australiano, non ottenendo alcuna risposta,
mentre lui e gli altri cercavano disperatamente di rianimare il paziente.House se ne stava in disparte, ai lati
della stanza, apparentemente impassibile, ad osservare la scena. Sperò che non
morisse mentre quelle che sembravano dover essere le ultime parole di Park, gli
riecheggiavano nella mente.
Sentì,
come un’eco lontano, la voce di Chase, esclamare, tesa.- ora del decesso. 4.30
p.m. -
I suoi
occhi fissarono l’uomo morto. Incontrò, subito dopo, lo sguardo preoccupato di
Cameron, che si abbassava la mascherina dalla bocca.
Non
disse nulla e lui preferì fare lo stesso.
Adesso
lo sapeva, quell’uomo era stato ucciso.
Uscì
silenziosamente dalla stanza, sotto lo sguardo vellutato della dottoressa.
Intanto,
a pochissimi chilometri di distanza, un uomo rideva sommessamente. Si portò il
sigaro in bocca per l’ennesima volta, poi soffiò il fumo lentamente, quasi con
meditazione.
I suoi
occhi neri andarono a focalizzare i volti delle foto che aveva appoggiato a
quella scrivania impolverata.
Non
aveva che iniziato.
Era
giunto il momento in cui tutti avrebbero pagato.
Ciao a tutti,
eccomi qua con il secondo capitolo della mia storia.. il titolo di questo
aggiornamento non è mio, come accade spesso, ma è una citazione di Esiodo (cfr
Teogonia verso 116.) e vuole esprimere la confusione di alcuni cambiamenti e le
prime avvisaglie di qualcosa che inizia a muoversi nel fronte Wilson /Cuddy, sia
nel fronte House/Cam, sia, purtroppo, in quello che coinvolgerà la nostra
dottoressa (come ho scritto nell’introduzione) ma in maniera totalmente
diversa.. iniziano i primi segnali di una imminente minaccia..
Vorrei dedicare
questo capitolo al mio amico Nathaniel, per ringraziarti della bella
dedica della tua nuova one-shot (che vi consiglio caldamente di leggere!) e per
tutti i tuoi scritti su dott. House perché sono davvero e sottolineo davvero
ottime fanfiction!! Avrei voluto dedicarti qualcosa di meglio, ( non so come mi
è venuto questo cap, poi sarà a voi il giudizio) ma spero comunque d’averti
fatto piacere.
Passo quindi a ringraziare tutti coloro che hanno
recensito il primo capitolo della storia anche se sono cosciente che un semplice
‘grazie’ non è sufficiente per esprimervi quanto i vostri commenti mi facciano
piacere!! Un bacio grande a: Gulyuly (grazie dei complimenti, mi fai
arrossire…spero di essere
all’altezza delle aspettative, grazie ancora!!!) Apple (ciao tesoro,
spero che questo capitolo ti piaccia, fammi sapere mi raccomando!) Ale87,
Nick (ciao Nick, che bello fa sempre piacere avere nuovi lettori.. spero
che la storia continui a piacerti.. ) Toru85, _vally_ (grazie mille, spero di non
deluderti!)irene!!,Mistral, preziosoele , Dana,
Nathaniel , Hikary e Levity.
Grazie di cuore a tutti e.. buona lettura!!!
Un bacio grande,
Diomache.
Ps: per i poveri studenti come me.. buon ritorno a scuola!
(per quanto possa essere considerato buono..)
Lacrime
di Follia
Capitolo
II: Da principio fu il Caos
Vorrei che il vento passasse ogni istante tra i tuoi
capelli. Per sentire, anche da lontano, il tuo profumo.
Erano
circa le tre e mezza del mattino. La casa di Allison era completamente al buio,
l’unica cosa visibile, l’unica piccolissima fonte di luce era la sua
radiosveglia, appoggiata al comodino che trasmetteva l’orario ad intervalli
regolari. Ed era completamente in silenzio.
Forse
l’unico suono udibile era quello del respiro della ragazza, beatamente
addormentata nel proprio letto. Quella era stata una giornata difficile e appena
aveva toccato la superficie morbida del suo materasso a due piazze si era
addormentata, con una facilità di cui si sarebbe stupita, dato che fino ad un
attimo prima aveva avuto in testa le parole di House.
Lei,
appena uscito dalla stanza di Park, lo aveva rincorso, velocemente.
-House!-lo aveva chiamato, perché il diagnosta
pareva non averla minimamente vista, accanto a sé. Si era voltato e il suo
sguardo, suo malgrado, aveva tradito il grande coinvolgimento emotivo che
sentiva in quegli istanti.
Cameron rimase turbata da quell’ espressione. Sapeva che
Greg era molto più sensibile di quello che volesse dare a vedere ma i suoi occhi
ora.. trasmettevano un’umanità che mai si sarebbe sognata di poter leggere.
-avevi
ragione.- disse poi, quasi con voce roca.- è stato ucciso.-
non
aveva detto nient’altro, si era girato e se ne era andato, zoppicando.
Poi
non l’aveva più rivisto per tutta la serata.
Cameron
si rigirò nel sonno, abbracciando dolcemente il proprio cuscino. Improvvisamente
qualcosa turbò la quiete di quella casa: fu lo squillo del telefono che si
diffuse per l’abitazione in quegli istanti e che fece sobbalzare la ragazza dal
sonno.
Gli
occhi verdi ed ancora appannati della giovane focalizzarono il suo cordless che
continuava a suonare, lì, sul suo comodino. –ma chi diavolo sarà..- mugugnò
dando uno sguardo all’ora. Si schiarì la voce, prese il cordless e cercando di
apparire il più umana possibile e non un morto dall’oltretomba disse, con un
lieve accento scocciato.- Cameron. Chi parla?-
Non ci
fu risposta.
Sentì
solo un fruscio di sottofondo, insistente.
Allison
uscì completamente dall’apatia del risveglio, rizzandosi suun gomito.- pronto, chi è?- questa volta
la sua voce suonò un po’ preoccupata. Suo padre aveva una salute un po’
ballerina ultimamente e queste telefonate nel cuore della notte, le facevano
sempre pensare ad un’emergenza.
Ma
dall’altra parte del telefono continuava a non sentire nulla. Stava per
riattaccare quando il fruscio s’interruppe. Cameron stette ad ascoltare e gli
parve di sentire della musica.
Classica.
Suonata ad un pianoforte, non registrata in un cd.
Lei se
ne intendeva ma non riusciva a riconoscere l’autore della melodia. O
semplicemente, essendo le tre di notte ed essendosi appena svegliata, le
sfuggiva.
Poi
anche quella s’interruppe. Eviolentemente, come se quel qualcuno che la stava suonando avesse
improvvisamente toccato tutti i tasti del pianoforte, producendo un rumore
orribile che la fece sobbalzare. Allison iniziò a respirare un po’
irregolarmente e quando disse, di nuovo.- pronto..- la sua voce vibrava di
paura.
Ancora
niente. chiunque fosse, non accennava a dire nulla. Si limitava ad avere la
cornetta appoggiata all’orecchio, normalmente, tanto che Cameron poteva sentirlo
respirare.
- al
diavolo.- disse infine, scocciata, un po’ turbata, chiudendo la telefonata e
appoggiando il cordless sul comodino. Fece per spegnere di nuovo la luce, ma
quella telefonata le aveva lasciato un senso d’inquietudine e la sua casa, così
buia e vuota,adesso, le trasmetteva anche lei quell’idea di irrequietezza.
Sospirò
mentre il suo sguardo, un po’ languido data l’ora, girava per la stanza,
inondata da una penombra che aveva sempre adorato ma che ora le risultava un po’
angosciante.
Ah,
Allison, non sei più una bambina che ha paura del buio!
Con un
gesto di stizza spense l’abajoue e si ributtò tra le coperte classificando
quella telefonata come la bravata di qualche testa di cocomero che non aveva
niente di meglio da fare se non suonare arie sconosciute e farle sentire al
telefono alla gente.
Sorrise,
pensando che magari era un nuovo artista emergente. Rise da sola di quella
stupida battuta cercando poi di chiudere gli occhi.
Ma
malgrado i suoi tentativi di esorcizzare l’accaduto, sapeva che la nottata
tranquilla era terminata.
Riprendere
sonno, adesso, non sarebbe stato poi così facile.
Lisa Cuddy
camminava velocemente per il corridoio, lo sguardo impettito, la fronte
corrugata in un’espressione di severo disappunto, gli occhi gelidi che si
posavano a turno sui dipendenti che incontrava, freddandoli silenziosamente, in
un tacito impeto d’ira.
House era un uomo morto, continuava a ripetersi nella
mente, forse per potersi dare ancora di più un’ aria di furore come quella che
voleva avere davanti a Greg. Lo aveva fatto mandare a chiamare un quarto d’ora
fa ma dato che aveva imparato che per Gregory House la puntualità non era che un
optional, lei aveva comodamente sbrigato tutto quello che le rimaneva da fare e
aveva deciso di andare a fargli una bella sorpresina andandolo a trovare
direttamente in ufficio.
Era arrabbiata ma voleva apparire a lui ancora più
furiosa.
Non dovette fingere.
Perché, passando per oncologia, vide improvvisamente uno
dei suoi dipendenti chiacchierare troppo allegramente con un’infermiera. Niente
di che, lo avrebbe rimproverato di andare a fare il suo lavoro e avrebbe dato
un’occhiataccia delle sue all’infermiera. Era quel genere di cose che poteva
farle alzare un sopracciglio, non rovinargli la giornata.
Se quell’uomo fosse stato un dipendente qualunque.
Oddio, lo era, eppure… non ne conosceva il motivo ma
trovare James Wilson in certe situazioni la irritava più che di ogni altro,
anche più di trovare House a mangiare un lecca lecca nella sala d’ambulatorio.
Ed era una cosa che poteva seriamente comprometterle la giornata. Quel giorno,
le procurò l’ira che cercava per poter poi affrontare degnamente il diagnosta.
Strinse le labbra e, con un implicito falsissimo sorriso,
si diresse verso di loro che, beatamente, continuavano a parlare, lui appoggiato
alla colonna con quel classico sorriso ebete in faccia e lei con un sorriso
adorante e gli occhi a cuoricini.
-dottor James Wilson.- la sua voce gelida e tagliente
fece, per un istante, gelare il sangue nelle vene di Jimmy che si voltò, un po’
in imbarazzo. La Cuddy rise, sarcastica.- ma bene. È così che i miei primari
impiegano il tempo invece che curare i malati. E pensare che credevo che solo
House fosse la pecora nera di questo ospedale.-
-dottoressa Cuddy, posso spiegare.- s’intromise
l’infermiera con un evidente sguardo di disappunto.
-stia zitta lei.- ruggì Cuddy, degnandola appena di uno
sguardo.
-Cuddy..- iniziò Wilson con un tono misto tra l’impacciato
e il conciliante.- stavo solo..-
-facendo qualcosa che esula dal tuo lavoro. – rispose lei,
gli occhi infiammati. -e il tuo lavoro è visitare, diagnosticare e curare i
pazienti. Mi sembrava ovvio, ma forse ribadirlo ogni tanto è un bene.-
Jimmy sospirò, incredulo della scenata che stava
ricevendo. Evidentemente quella era un delle classiche giornatacce di Lisa
Cuddy. Tuttavia, non credeva di meritare un simile sfogo.
-spero di essere stata abbastanza chiara.- continuò la
donna stringendo gli occhi.- non voglio più trovarti a flirtare con
un’infermiera nell’orario di lavoro.- concluse lanciandogli un ultimo, tagliente
sguardo e poi allontanandosi velocemente con un piglio ancora più infuriato.
Wilson non seppe perché ma ebbe la chiara sensazione di
leggere, infondo ai suoi occhi blu e alla sua severità, un lampo di gelosia.
Non distolse lo sguardo da lei che si allontanava finché
la dirigente non svoltò l’angolo. Sapeva che si stava dirigendo nel suo ufficio
per incontrare House; la morte di Park aveva gettato un alone inquietante su
tutto l’ospedale.
Nonostante lui provasse sempre una sorta di latente
piacere nell’incontrare Lisa Cuddy, per una volta, nemmeno per un milione di
dollari, avrebbe voluto trovarsi nei panni di House.
In quell’istante, a diagnostica, nell’ufficio di House,
stava accadendo qualcosa tutt’altro che usuale. Qualcuno si sarebbe immaginato
il team di House tutto impegnato in un nuovo difficilissimo caso, con Greg
davanti alla lavagna, Chase, Foreman e Cameron ad ipotizzare la soluzione. Beh,
sarebbe rimasto molto meravigliato.
Greg era seduto davanti alla televisione che trasmetteva
una corsa di cavalli, lo sguardo divertito, e Foreman era accanto a lui,
interessato almeno quanto il suo capo al programma che trasmettevano. Anche
Chase aveva una degna occupazione, tutto impegnato com’era a scrivere messaggi
al telefonino. Cameron.. beh Cameron nemmeno c’era. Erano quasi le nove e mezzo
e lei non era ancora arrivata, cosa che suscitava sempre una certa meraviglia
soprattutto quel giorno che aveva visto House stranamente puntuale e lei, ancora
più stranamente, in ritardo.
Cose della vita.
Lisa Cuddy giunse nell’ufficio in quegli istanti. Se poco
fa era arrabbiata, adesso era davvero furiosa. –ecco come vi guadagnate da
vivere voi di diagnostica!- esordì, gridando. La sua entrata in scena fu
violenta quanto improvvisa e Chase, che era concentrato, sobbalzò sulla sedia,
suscitando le risa degli altri due colleghi.
-idioti.- li apostrofò l’australiano, imbarazzato.
-attenta.- rise House rivolto verso il suo capo.- me lo
stai spaventando a morte, è molto sensibile, lui.-
-faresti bene a stare zitto tu! Oggi avete proprio
superato il limite, tutti quanti!- continuò Cuddy, gli occhi che saettavano in
ogni direzione. Foreman si alzò per spegnere la televisione, con un’espressione
abbastanza colpevole.
-finalmente.- commentò la donna. I suoi occhi gelidi si
posarono ancora su House.- e adesso veniamo a te. Cosa diavolo ti è saltato in
mente??- urlò, così forte, che anche quelli della hall, al primo piano,
avrebbero potuto sentirla.
Greg corrugò la fronte.- mi sfugge un passaggio..- disse,
pensieroso.- non mi sembra d’aver fatto nient’altro se non guardare la
televisione, questa mattina.-
-è evidente che non mi sto riferendo alla televisione,
idiota!- il suo tono era iniziato sarcasticamente per poi finire in maniera
inevitabile nell’ira.- un uomo è morto ieri sera, te ne sei dimenticato?-
House scrollò le spalle.- dispiace anche a me.- fece una
smorfia di complicità agli altri due dipendenti.- ma si muore continuamente, è
la vita. Tutti contenti i becchini e quelli dell’obitorio. Prenditela con
loro!-
-continui ad evitare l’argomento ma sai benissimo a che
cosa mi riferisco!- rivolse per un istante l’attenzione agli altri due.- e voi?
Non avete niente da dire? Ho dovuto sapere che il dottor Park era deceduto di
morte violenta per vie traverse! Nessuno mi è venuto a dire che era stato
ucciso. Perché, House?- il suo tono era seriamente accusatorio.
Anche Chase e Foreman adesso si voltarono verso il loro
capo, stupiti quanto la Cuddy.
-lo confesso. L’ho ucciso io. Gli ho messo l’antrace sul
pandoro e ha creduto che fosse zucchero a velo. Geniale, no?-
L’arrivo di Cameron, in quel momento, fu provvidenziale.
Almeno per House.
La dottoressa varcò la porta dell’ufficio a testa bassa,
con uno sguardo assorto e soprappensiero, tanto che quando si accorse della
presenza della Cuddy, lì a pochi passi da lei, per poco non le venne un infarto.
-ah.. buongiorno..- disse, impacciata.
-anche a te, Cameron.- rispose Lisa con un sorriso
tagliente come un coltello.- bene. Vedo con felicità che questo ospedale sta
completamente andando a puttane!- il riferimento a Wilson, nella sua testa, era
molto chiaro.- ti sembra questal’ora di arrivare??- l’aggredì, con violenza.
Allison fece istintivamente un passo indietro.- ehm
io..-
-no, è evidente che stai seguendo le orme del tuo
straordinario capo, brava!- continuò Lisa, quasi incapace di contenersi.- e
adesso vorrei proprio sapere se hai una spiegazione convincente riguardo al
fatto che l’assassinio di Park mi era del tutto allo scuro!-
Cameron non poté fare a meno di sgranare gli occhi.
Istintivamente guardò House che, invece, aveva iniziato a palleggiare, come se
della discussione non gliene importasse più niente. –mi dispiace.- continuò,
concentrandosi sulla Cuddy.- ma credevo che..-
-non mi interessa quello che credevi, dottoressa Cameron.-
la Cuddy aveva abbassato il tono ma non aveva perso quella vena velenosa di poco
fa. –anche se pensavi che fosse compito di House riferirlo, vorrei ricordarti
che è compito TUO controllare che quest’imbecille non faccia cazzate!-
Cameron tornò a guardarlo e questa volta Greg ricambiò il
suo sguardo, ma non disse niente.
-lo so..-
-allora, Cameron.- la donna non le diede il tempo nemmeno
di aggiungere altro.- poi adempiere questo lavoro sì o no?-
La ragazza si sentì addosso gli occhi di tutti.Infondo sapevano del coinvolgimento
affettivo che l’immunologa nutriva verso il suo capo e di quanto le risultava
difficile, a volte, andargli contro.
–sì.- rispose Allison, con forza, fissando la Cuddy
intensamente e suscitando un silenzioso stupore in tutti quanti.
-Bene.- annuì il dirigente. Si voltò verso gli altri.-
allora, se proprio non avete niente di meglio da fare, occupatevi di questo
caso.- lanciò una cartellina sul tavolo .- se ne sta occupando il dottor Thomas
Law, di oncologia, ma inizia a sostenere che non si tratti di un cancro, come
poteva sembrare all’inizio e vorrebbe discuterne con voi..- fece per andarsene,
arrivò alla porta ma si voltò di nuovo.- House.- continuò posando lo sguardo
verso Gregory che le sorrise, ironicamente.- La polizia vuole parlare con te,
verrà ad interrogarti. Fatti trovare e fa in modo che vada tutto nel verso
giusto. O ti licenzio davvero.-
All’uscita della Cuddy, cadette uno strano silenzio
nell’ufficio.
Foreman capì che la situazione sarebbe potuta scoppiare da
un momento all’altro.- bene. Forse è il caso di occuparsi di questo..- prese la
cartellina.- Michael Jack. Vediamo un po’..- iniziò ad elencarne i sintomi ma
nessuno, nell’ufficio, sembrava dargli ascolto.
Cameron sembrava assorta nei suoi pensieri, mentre
giocherellava con la cintura del camice, mentre Chase continuava a spostare lo
sguardo da Cameron ad House che come al solito, appariva tranquillo e
rilassato.
Superficiale.
Menefreghista.
Allison aveva preso quella sfuriata a causa sua e lui non
avrebbe pronunciato nemmeno una parola per scusarsi, lo sapeva.
E questo lo mandava su tutte le furie.
L’immunologa interruppe improvvisamente lo scrosciare del
discorso di Foreman, dicendo, nervosamente.- io vado a fargli una TC.-uscì velocemente dall’ufficio, sotto lo
sguardo interessato di House.
Si chiedeva quanto avrebbe resistito prima di andarsene.
Vedeva bene le lacrime premere sulla soglia dei suoi bellissimi occhi e sapeva
altrettanto bene che non sarebbe mai scoppiata a piangere lì, davanti a loro.
Davanti a lui.
-non lo meritava.- la voce di Robert Chase suonò più
odiosa di quanto House avesse immaginato. Si aspettava una sua uscita. Vedeva
bene quanto Allison l’intrigasse, era perfino divertente osservare Chase
lanciarle piccoli sguardi di interesse. Divertente e, per qualche stranissimo
motivo, anche molto fastidioso.
Tornò a concentrarsi su di lui.- ma se l’è cavata bene.
L’unico modo per far sfuriare più velocemente l’arrabbiatura alla Cuddy è
acconsentire, acconsentire e ancora acconsentire. E Cameron è sempre stata
grande in questo.-
Si divertì nel leggere la rabbia, adesso, negli occhi
dell’australiano. Passò lo sguardo su Foreman. Anche lui, si vedeva, era in
netto disappunto.
Ma sapeva bene che tutto sarebbe morto lì. Nessuno avrebbe
detto o fatto niente.
Foreman? Ah, infondo non gliene fregava di niente e di
nessuno.
Chase? Si, l’interesse sessuale che aveva per Cameron
poteva portarlo ad una specie di.. istinto di protezione..Ma era comunque troppo vigliacco per
difenderla fino in fondo.
E Cameron? Come avrebbe reagito lei?
Si sentì stranamente spiazzato quando constatò che, per
una volta, non lo sapeva.
Qualche minuto dopo, Cameron stava uscendo dalla stanza
per la radiografia. Con un sorriso amaro, pensò che House sarebbe stato tutto
contento: era pulita. Questo voleva dire complicazioni e stranezze, quindi un
caso interessante.
Ah, ma perché lui non poteva essere come tutti gli altri
medici??
Non poteva semplicemente sentirsi sollevato quando un
paziente aveva qualcosa di chiaro e stranito quando il disturbo si faceva più
complesso del previsto??
Alt, Cam, fai un passo indietro. Non erano proprio le
stranezze a rendere Greg così meravigliosamente unico?
L’immunologa si passò una mano tra i capelli mentre
percorreva il corridoio. Sì, a lei piaceva anche questo di House.
House.
House.
Continuò a ripetersi il suo nome in testa, fino a che non
le venne voglia di gridare.
Si era comportato da bastardo, non aveva detto una parola
quando la Cuddy l’aveva bistrattata in quel modo, eppure sapeva benissimo che
era colpa sua se aveva preso quella sfuriata.
Sbuffò, di nuovo, mentre aspettava l’ascensore che
l’avrebbe riportata da lui. Era solo una stupida, si disse. Ma che diavolo si
aspettava da Gregory House? Era freddo, bastardo e cinico con tutti, anche
quando sapeva di sbagliare, anche quando era al corrente di ferire i sentimenti
degli altri. Perché adesso sarebbe dovuto essere diverso? Perché proprio con
lei?
Infondo chi era per lui, se non una sua dipendente alla
stregua di Foreman e Chase? Anzi, al di sotto di Foreman, e magari un po’ più su
di Chase. Lì si trovava la sua collocazione, lì la sua considerazione. No, forse
si sbagliava.
Forse stava addirittura al di sotto di entrambi. Perché
donna, perché gentile. Perché crocerossina e, forse, soprattutto, perché lo
amava. Greg apprezzava di più Foreman perché sprezzante come lui e Chase per
quel suo stesso sentimento di astio e di distacco verso il mondo e i pazienti.
Lei era troppo dolce e cortese per un misantropo come lui.
E Cameron era così stanca di dover essere gentile.
L’ascensore si aprì e lei vi entrò, meditativa. Allison
sospirò, lentamente. Basta pensare a lui.
Quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi, con
quella telefonata che l’aveva messa di un umore pessimo, e stava andando avanti
ancora peggio.
Vediamo di darle almeno un senso, senza continuare a
sprecare tempo con lui, si disse, determinata.
-sei molto riflessiva oggi.- la voce di Wilson la fece
sobbalzare dai suoi pensieri. Impegnata com’era ad inveire mentalmente contro il
suo capo non si era nemmeno accorta di non essere sola.- ah, ciao.- disse,
imbarazzata.- scusami, oggi non è giornata.-
Wilson le sorrise.- ti vedo molto agitata infatti.- non
volle sottolineare che i suoi occhi erano lucidi di pianto. Sapeva che a volte
Cameron era forte quanto fragile. E sapeva bene che cos’era, o meglio, chi era a
renderla così vulnerabile.
-infatti.- ripeté lei.
-vai a diagnostica?-
Allison doveva rispondere di sì ma il pensiero di rivedere
House la fece impallidire.- no.- disse, quindi, con un sorrisetto strano,
meravigliandosi lei per prima di quello che stava facendo- tu si??-
-ehm.. no, veramente, ma..-
-se ci passi dagli questo.- gli porse i risultati della
TC.
Wilson li prese senza dire niente. L’ascensore si aprì nel
piano dove erano situati gli ambulatori e Cameron ne approfittò per defilarsene
velocemente, salutandolo appena con un cenno del capo. Wilson la guardò, un po’
preoccupato. Spinse il tasto due per diagnostica e strinse forte la cartellina
per House tra le dita.
Che avrebbe dato, per potergliela spaccare in testa.
Intanto nell’ufficio del dottore più bastardo e geniale
del PPTH la conversazione sul paziente continuava, fervida. Al solito team si
era aggiunto anche il dottor Thomas Law, un uomo di mezza età con il capo ormai
quasi completamente calvo, gli occhiali spessi che però non nascondevano
l’espressione intelligente e concentrata. Insieme a Foreman e Chase avevano
fatto parecchie ipotesi riguardo al paziente, ipotesi che poi House smontava
puntualmente con un sorrisetto soddisfatto dipinto in faccia, sorriso che
avrebbe fatto pensare, se non avesse apportato ogni volta ragioni mediche più
che valide, che lo facesse solo per puro gusto di controbattere.
L’arrivo di Wilson, infondo, non interruppe un bel niente.
L’uomo varcò la soglia dell’ufficio rimanendo subito sorpreso per la presenza di
un suo collega di oncologia e per la tensione che si respirava in quell’ufficio
come se i non-detti e i pensieri di ciascuno si stessero condensando nell’aria.
Sorrise tra sé pensando che quel giorno era una
giornataccia per tutti. Non aveva incontrato qualcuno che non fosse nervoso,
teso, agitato o arrabbiato. –ho un regalino per te.- esordì alzando la
cartellina.
-oh, ma sei un tesoro!- lo apostrofò House facendogli gli
occhi dolci.- Jimmy sei tanto caro ma se è un altrocasorimandalo al mittente con bel calcio nel
deretano. Siamo leggermente intasati.-concluse, strappando un sorriso al dottor Law.
-no, in realtà credo che si tratti del vostro paziente.-
disse lui, un po’ perplesso.- me le ha date Cameron, dovrebbe essere il
risultato della TC.-
-come mai non le ha portate lei di persona?- domandò
Chase, piuttosto stupito. L’oncologo si limitò al alzare le spalle.
-Cameron che non torna a lavorare?- domandò, ancora più
sorpreso, Foreman.
Wilson preferì essere un po’ evasivo riguardo il
turbamento che aveva letto negli occhi di Cam, dicendo solamente: - credo che
sia andata a farsi delle ore di clinica. Anche se era piuttosto nervosa.-
-già, che vuoi farci, le devono arrivare. È sempre così,
me l’ha detto.- commentò House, quasi soprappensiero, buttandosi a capofitto nei
risultati della TC –puff, è pulita.- la gettò via, spazientendosi.
-questo complica le cose.- commentò Eric, sbuffando.
Ricominciarono le ipotesi, le diagnosi, il lavoro. Wilson si fermò con loro, ma
nonostante fossero molti di più rispetto al numero usuale di menti pensanti in
quell’ufficio, House lo percepiva stranamente vuoto. Cameron aveva lasciato un
piccolo vuoto.
Si stupì nel constatare quanto, anche in una semplice
diagnosi, la sua presenza o meno si potesse percepire così tanto.
Arrivarono ad una diagnosi accettabile, confermato anche
dalle analisi mediche. Thomas Law ringraziò il team con un sorriso felice che a
Greg ispirò solo tanta ipocrisia e in men che non si dica l’ufficio si svuotò
velocemente. Wilson e Law ritornarono al reparto, casomai passasse di nuovo la
Cuddy, Foreman e Chase ad occuparsi del paziente e lui, solo nell’ufficio.
Lui, e il pensiero di lei, che sembrava proprio non
volerlo lasciare in pace, un solo istante.
L’uomo che
tutto l’ospedale attendeva con trepidazione arrivò in quegli istanti. Era alto,
distinto, chiunque solo incrociandolo per il corridoio avrebbe notato lo sguardo
guardingo, l’aria penetrante e magnetica.
Sostò
qualche istante davanti alla porta dell’ufficio, leggendone l’insegna. House, M.D.
I suoi
occhi verdi si posarono sull’interno della stanza. Indugiò, guardando un uomo,
al suo interno, che giocava con un game-boy, stravaccato sulla sua poltrona, con
i piedi appoggiati alla scrivania. Aggrottò la fronte.
Forse stava
sbagliando.. lui cercava un luminare della medicina, chi era quello
scansafatiche?
Decise
comunque di entrare, magari quell’uomo avrebbe potuto dargli indicazioni. –mi
scusi..- disse, facendo il suo ingresso. House non accennò ad alzare il capo.
L’uomo sbuffò, contrariato, per poi ripetere. – mi scusi, sto parlando con
lei!!-
-shh.- lo
ammonì. – non vede che sono concentrato?!- non staccava gli occhi dal gioco.-
per qualsiasi cosa, chieda a quei due idioti di là.- accennò appena con il capo
all’altra parte dell’ufficio. L’uomo lo seguì con lo sguardo ma la stanza
adiacente era vuota.
-ma non c’è
nessuno.- commentò, leggermente polemico.
L’uomo
brontolò.- è per questo che l’America va a rotoli. Nessuno è mai dove dovrebbe
essere.-
-e dove
dovrebbe essere il dottor House, secondo lei?- chiese il detective, sorridendo,
quasi.
House
spense il videogioco e lo posizionò sulla scrivania, puntando i suoi occhi
freddi sull’uomo.- il dottor House? Si è licenziato.- rispose, con naturalezza.-
sa, qui gli rendevano la vita impossibile.. dipendenti noiosi, il capo
asfissiante..-lo fissò,
intensamente.- visite indesiderate…-
-capisco.-
rispose, ironico. L’uomo gli sorrise.- sono il detective Smith, è un piacere
conoscerla, dottor House. Lieto che abbia deciso di collaborare.-
-ehi che
intuito, dovrebbe fare il detective!- lo prese in giro Greg – anche se mi sfugge
la parte in cui io avrei detto di collaborare..-
-nessun
problema, può dirlo ora.- al sorriso intrigato di House, riprese.- il suo capo,
Lisa Cuddy, mi aveva detto che era un tipo difficile..-
Smith gli
porse la mano.
House
sorrise, quasi spensieratamente. -già.- ma, come sempre, non si mosse affatto
per ricambiare la stretta. Il pensiero della Cuddy gli fece ricordare la lite di
poco prima. E questo lo riportò di nuovo a Cameron. Wilson gli aveva detto che
era in ambulatorio.
Guardò il
detective. No, quella baggianata di un interrogatorio poteva aspettare.
–mi spiace
ma devo andare.- si alzò improvvisamente dalla sedia, mosso da uno strano
istinto, un istinto che gli faceva abbastanza paura ma che, al momento, gli
procurava solo un piccolo brivido allo stomaco.
-ma.. dove
va?- domandò l’uomo, sconcertato, vedendolo uscire dallo studio.
-ritornerò,
si calmi.- gli rispose Greg, senza voltarsi.- vado un secondo in clinica a farmi
visitare, non mi sento molto bene..- si girò un istante, prima di abbandonare
l’ufficio.- lei si accomodi. Ma non tocchi il game-boy. È mio.-
E se ne
andò, zoppicando, lasciando il detective Smith a dir poco senza parole.
Cameron
uscì dalla stanza 1 e si diresse alla hall, dove l’infermiera le porse la
cartellina del prossimo paziente che l’attendeva nella stanza 2. Lei la prese
quasi soprappensiero, poi si diresse nella stanza dell’ambulatorio, e durante il
tragitto l’aprì, sbirciandone il contenuto.
Greta
Albert, 91 anni, diarrea..
Aprì la
porta, dicendo, con un bel sorriso, anche se di circostanza,- buongiorno signora
Greta, sono la dottoressa Allison Cameron..- ma quando alzò gli occhi dalla
cartella per cercare il volto della signora, non riuscì nemmeno a terminare la
frase.
Il suo
cuore mancò di un battito quando vide Gregory House seduto sul lettino, che
giocherellava con il bastone e la guardava con una spensierata aria di
divertimento.
Deglutì a
fatica prima di balbettare.- che diavolo stai facendo qui?-
-indovinello: che cosa ci fa un
uomo in un ospedale, seduto su un lettino, in attesa di un dottore?-
Cameron
incrociò le braccia.- l’idiota?-
-risposta
esatta.- si complimentò l’uomo, sarcastico.- molti avrebbero detto che è malato
e vuole essere visitato, ma è evidente che è sbagliato.- sorrise in quel modo
maledettamente affascinante che ad Allison faceva sempre rabbrividire.
Sospirò,
stringendo la cartellina di quella signora anziana tra le mani. –e.. la signora
Greta?-
-l’ho
visitata io.- rispose Greg.- e l’ho mandata a casa a prendere
un’enterogermina-
-e..-
continuò la ragazza, un po’ confusa.- il caso di cui vi stavate occupando con il
dottor Law?-
-risolto.
Anche senza di te.- aggiunse l’uomo, sorridendo ironicamente. – no, è inutile
che cerchi di mandarmi via, Cameron, non ne ho la più pallida intenzione.-
Questo
lasciò la donna a bocca aperta.
Per quanto
fosse ancora arrabbiata con lui per quello che era accaduto, quelle parole le
dettero un piccolo buco, allo stomaco.
Avrebbe
dovuto mandarlo fuori, avrebbe dovuto aggredirlo con più veemenza, dannazione
infondo se lo meritava!
Già,
avrebbe dovuto. Ma, purtroppo, come accadeva frequentemente quando si trattava
di House, tutto ciò che quand’era sola s’imponeva con degli imperativi,
diventavano lentamente condizionali senza più alcun valore.
Si persero,
un istante, una negli occhi dell’altro.
Lui non se
ne sarebbe andato e , se era lì in veste di pseudo paziente, lei non avrebbe
nemmeno potuto cacciarlo.
Ma forse la
verità era che, infondo al suo cuore, non aveva la benché minima intenzione di
farlo.
Innanzitutto,
prima di dire ogni altra cosa, vorrei ringraziarvi dal profondono del mio cuore
perché mai pensavo che la mia storia potesse riscuotere tanti consensi..
davvero, non so che dire, spero solo che la ff continui ad interessarvi e
piacervi, io mi ci sto impegnando molto anche a rispettare l’aggiornamento
settimanale, spero di mantenermi costante..
Ringrazio
moltissimo: Apple, Levity, Ale87, Toru85,
Giu_chan, EriMD, giuxxx, Nick, Briseis,
Marty mix, Gulyuly, Artemisia89,Missleep, _vally_,
Nathaniel, The Bride, Hikary , Venus e Maggie
(ho visto il video è favoloso.. non ho parole per ringraziarti, ho avuto
davvero le lacrime agli occhi!!! Un bacio e grazie di nuovo!!!)
Dediche: questo
capitolo vorrei dedicarlo proprio a te, Maggie, per ringraziarti del
bellissimo regalo.. un bacio, spero che il capitolo di
piaccia!
Parlando del
capitolo, vorrei precisare che c’è una citazione di Dante (uno dei personaggi
dice precisamente che è lui, ma per essere corretti fino in fondo: cfr Dante,
Inferno, VIII, vv 37-38-39) il titolo è un verso di Pascoli "La mia sera". Grazie a Nathaniel e Mistral per la dritta!
In questo
capitolo le acque cominciano a muoversi e in modo piuttosto burrascoso ma non
vorrei anticipare qualcosa..
Spero che il
capitolo vi piaccia, fatemi sapere!
Un bacio, Buona
lettura
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
III:Voci di Tenebra
Azzurra
-So che forse potrà stupirti perché non sei solito
aggirarti per questo piano.. ma qui ci vengono i pazienti. Quelli veri. - La
voce della dottoressa suonò abbastanza sarcastica, ironica e.. divertita?.. allo
stesso tempo. Poteva Allison essere divertita dopo la partaccia che Greg le
aveva fatto davanti alla Cuddy, in ufficio?
Teoricamente no. Ma praticamente…
House le sorrise.- In effetti neho sentito parlare. Ma chi ti dice che
io non sia un paziente vero?- Allo sguardo perplesso di lei, continuò, tirando
fuori delle pillole dalla giacca.- Guarda, ho anche le medicine!-
-House, fuori il rospo. Dimmi quello che diavolo sei
venuto a fare o togliti dai piedi perché IO ho da lavorare.-
-Bene! - Il suo tono non prometteva niente di buono, pensò
Allison, mentre lo osservava con un certo timore, intuendo, ahimè, dove sarebbe
andato a parare.
-Su.- Continuò Greg levandosi la giacca.- Visitami.-
Cameron aggrottò la fronte, sospirando. Ecco, lo
sapeva..
House vide bene quel piccolo lampo di esitazione negli
occhi della dottoressa e non mancò certo di sottolinearlo.- Che c’è dottoressa
Cameron? Ti imbarazzi a dover visitare il tuo capo?? E dov’è finita la tua
professionalità....-
-Non si può fare- Intervenì lei, con una certa sicurezza.
-Ah no? Allora lo ammetti, spudorata.-
-Devi fare la fila, House, di fuori ci sono almeno due
decine di persone.- Disse lei, brillantemente, credendo d’aver trovato la
strategia per defilarsi da quell’imbarazzatissima situazione. Ma, chissà perché,
qualcosa le diceva che non sarebbe stato così facile…
-Ma io sono un’emergenza e poi ormai sono dentro.-
Continuò lui, appoggiando la giacca sul lettino sul quale era seduto.- Non si
rifiuta un paziente, Cameron. Magari lo si maltratta ma rifiutarlo proprio non
sta bene.-
-Allora via la camicia.- Reagì lei, con una prontezza che
lo stupì. Continuò.- Se devo visitarti, per non so quale disturbo, cominciamo
dai bronchi..-
Greg strinse un po’ gli occhi. Non c’era sensualità nella
voce di Cameron ma lui ce la colse comunque.- Per finire dove, dottore?-
-Ho detto- Ribadì lei, fredda.- Via la camicia.-
House esibì uno sguardo malizioso ed iniziò a slacciarsi
il primo bottone di questa. Cameron deglutì lentamente e un piccolo brivido gli
percorse la schiena solamente al pensiero.
Quei pensieri e quei tentennamenti che credeva di aver
solo pensatoevidentemente erano
stati riflessi chiaramente sul suo viso perché House si era fermato all’altezza
del quinto bottone e la fissava con l’aria saputa di chi ha capito tutto.
Allison strinse gli occhi. Odiava essere così trasparente.
-è inutile che fingi.- La sua stoccata arrivò presto,
precisa come temeva - Si vede benissimo che ti trattieni perché ogni mio singolo
movimento ti procura uno scompenso ormonale..-
Cameron non rispose, si limitò a fissarlo.
-Ed è per questo che hai accettato il ruolo che la Cuddy
ti ha affibbiato.- Continuò House, con un sorriso sarcastico.- Vuoi provare agli
altri e a te stessa che ti è passata, che puoi comandarmi, controbattermi ..
ignorarmi, addirittura. Ma non è vero. E l’abbiamo appena provato.-
Normalmente si sarebbe scagliata contro di lui, dandogli
del presuntuoso, dicendo che lui non sapeva niente dei suoi sentimenti.. ma non
le andava. Non le andava affatto.- ok.- Disse, semplicemente.- Adesso vuoi dirmi
perché sei venuto?-
House rimase turbato dal suo atteggiamento. Possibile che
non lottasse neanche un po’ ? Stava per ribattere qualcos’altro ma lei non
gliene diede il tempo.
-Perché non sei in ufficio, cosa sei venuto a fare? – Il
silenzio di House fu eloquente. Ally chiuse gli occhi incredula.- Non mi dire
che è arrivato il detective.-
-Spiacente, forse avevi pensato a qualcos’altro.- Disse
lui, malizioso.- Ma sono venuto perché questo è i miglior nascondiglio del
mondo. La Cuddy non verrà mai a cercarmi qui. Specialmente ora che sa che la sua
fida paladina sta visitando.-
La donna non poté trattenere un sospiro d’irritazione.-
Ma.. quel poliziotto è venuto per interrogare te!-
-lo so! Perché credi che me ne sarei scappato altrimenti!-
Sbottò il diagnosta, apparendo quasi a disagio.
La donna lo studiò, attentamente. –Perché lo stai
evitando?- Domandò, quasi sussurrando, come se volesse arrivare al suo animo ma
lentamente, temendo che una domanda troppo impetuosa avrebbe provocato
l’innalzamento dell’abituale muro di cinismo che la divideva da lui.
House la fissò negli occhi, senza fretta, quasi per
indovinarne i pensieri; fu Cameron a riprendere, con più insistenza questa
volta.
- Eviti questo argomento come la peste. Non l’hai riferito
alla Cuddy e adesso vorresti evitare di raccontare al detective che cosa vi
siete detti tu e Park prima della sua morte… perché ti spaventa tanto tutto
questo?-Continuò Allison
insistendo più con lo sguardo che con le parole.
In effetti, adesso, pensò Greg, quei suoi occhi smeraldini
sembravano studiarlo, come se avessero la possibilità di leggervi dentro. Già la
possibilità. Ma non ci sarebbero riusciti fino in fondo. Nessuno ci riusciva del
tutto. Non sarebbe mai arrivata a lui se lui non glielo avesse permesso. Voleva
permetterglielo?
Poteva Greg, adesso, rivelarle la paura che l’ammonimento
di Park gli aveva gettato addosso??
Oh andiamo faceva ridere. Perfino la sensibilissima e
comprensiva Cameron avrebbe sorriso della sua stupidità.
Lui si sentiva inquieto per qualcosa che gli aveva detto
un mezzo moribondo, predicandogli altre future morti e un ‘ loro’ che, a quanto
pare, erano in pericolo.
Sapeva benissimo che Park poteva anche vaneggiare mentre
parlava in quel modo.
Non c’era motivo di preoccuparsi. Eppure lui non si
sentiva tranquillo, pur ammettendo che non c’era ragione per non esserlo. E, per
un amante della razionalità, non c’era niente di più fastidioso che ritrovarsi a
fare pensieri che non avessero alcun riscontro logico.
Ma soprattutto, poteva confidare tutto questo .. a lei??
Si sarebbe sentito uno stupido con tutti, persino con Wilson.
Eppure, qualcosa, nel suo animo, gli diceva che con
Cameron sarebbe stato diverso.
Sospirò e scese dal lettino con un balzo, atterrando a
pochissimi centimetri dalla bocca di lei.
Quella vicinanza così improvvisa e, tutto sommato,
involontaria stordì entrambi. Si trovavano appena ad un soffio l’uno dall’altra,
così vicini che Greg poteva finalmente inebriarsi del profumo fatato dei suoi
capelli setosi e lei poteva specchiarsi nei meravigliosi occhi di lui,
perdendosi in quel bellissimo mare ghiacciato.
Greg aprì la bocca per dire qualcosa ma il fulmineo
spalancarsi della porta stroncò sul nascere ogni suo tentativo di proferir
parola.
-Mi scusi dottoressa Cameron, c’è qui..- La voce
dell’infermiera si mozzò quando vide la scena che si stava presentando davanti
ai suoi occhi. Il dottor House, a pochissimi centimetri dalle labbra della
dottoressa Cameron, senza la giacca, barbaramente appoggiata al lettino, la
camicia sbottonata quasi completamente in modo da far vedere la maglietta nera
che portavasotto…
I suoi occhi, stupiti, meravigliati e profondamente e
sinceramente contenti per quello che vedeva, incontrarono quelli
imbarazzatissimi della bella immunologa che a quel contatto fece subito un balzo
all’indietro, diventando violentemente rossa in viso.
House invece, non poteva fare a meno di sorridere
beatamente.
-Beh…- L’infermiera appariva abbastanza in imbarazzo ma
poi, quasi con le lacrime agli occhi, disse, in tono confidenziale.- Oh,
scusatemi, forsenon dovrei
permettermi ma..era ora,
complimenti!- Esclamò tutt’eccitata.- Dottoressa Cameron, tutte noi di
diagnostica abbiamo sempre fatto il tifo per lei!-
-Hai visto? Hai un fan club!-Sottolineò House con un quel maledetto
sorriso sarcastico.
Cameron finalmente trovò il coraggio di reagire e di
porre, per quanto possibile, rimedio.- No, signora Cheap, veramente si tratta di
un equivoco..- Lo sguardo della donna non appariva molto convinto ed Allison
riprese, gesticolando, nervosa ed imbarazzata.- il dottor House aveva bisogno di
una visita e..-
-Lei capisce, sono un uomo molto malato.- Sottolineò Greg,
ironico, strappando un sorriso all’infermiera che, lungi dal credere a Cameron,
gli lanciò uno sguardo ironico in cambio.
Cameronlo
freddò con lo sguardo.- E io.- riprese, dura.- Lo stavo appunto visitando, è un
terribile equivoco, la prego, non pensi male.-
La donna gli fece un largo sorriso comprensivo come quello
che fa una mamma alla figlia adolescente che, pur scoperta con le mani nella
marmellata, nega di avere il fidanzato.
Cameron sospirò, rassegnata, elanciò un secondo sguardo truce ad House
che continuava ad avere stampato in faccia quel sorriso ebete. Ma che cazzo
c’aveva da sorridere tanto???
Greg roteò gli occhi, dicendo.- E va bene, lo dico
anch’io.- Si rivolse all’infermiera.- Guardi che si sbaglia, noi non stavamo per
fare sesso…-
-Insomma, signora Cheap, che cosa voleva?- L’interruppe
bruscamente l’immunologa, lasciando perdere l’imbarazzo e concentrandosi sulla
voglia di strappare con uno schiaffo quell’espressione idiota dalla faccia del
suo capo.
-Bene..- Riprese la donna, concentrandosi di nuovo sul suo
lavoro.- Deve firmare qui.-
Allison si mosse nervosamente verso di lei, siglando il
suo cognome dove la donna gli chiedeva, con una scrittura scattosa e decisamente
non da lei.- Ecco fatto, può andare.-
La donna uscì, dopo aver dato un ultimo sguardo d’assenso
al più burbero medico del PPTH che gli fece l’occhiolino, di rimando. A Cameron
non sfuggì quel gesto.
E ad House non sfuggì che a Cameron non gli era sfuggito.
La porta si richiuse e lui disse subito, scocciato.- Mm,
eccola che comincia!-
Allison aggrottò la fronte, mise le mani sui fianchi e si
preparò per sbraitargli contro tutta la sua vergogna.- Ma.. tu sei completamente
pazzo, ti rendi conto di quello che hai fatto??-
-Beh, non era quello che volevi?? Hai dietro una marea di
infermiere adoranti e sei ufficialmente la mia donna!- Esclamò, ridendo.
-Finiscitela.- l’ira di Cameron aveva lasciato spazio ad
un tono che tendeva più alla malinconia.- Adesso lo saprà tutto l’ospedale.-
-Forte, eh?-
-Lo saprà anche la Cuddy!-Continuò questa volta, incredula, e
spaventata dalla sola prospettiva.
-Ok, questo è decisamente meno forte.-
-Tu stai cercando di farmi togliere l’incarico che mi ha
affidato la Cuddy, vero?- Esclamò la donna.
-Sì.- ammise House braccia incrociate.- Sono venuto qui,
ti ho indotto a farmi spogliare e ho fatto entrare l’infermiera con cui mi era
accordato in precedenza.- Strabuzzò gli occhi.- Ehi, sono un genio!-
Lei sospirò, rassegnata.- è una delle tue prove? Vuoi
vedere quanto resisto? Beh, in questo caso mi spiace deluderti, ma non intendo
mollare.-
House sorrise della sua determinazione.- Wow.
Impressionato.- Seguirono attimi di silenzio interrotti solo da Cameron che si
avviò verso la porta, spalancandola.
-È meglio che tu vada.-disse, decisa.- Il detective ti sta
aspettando.-
House brontolò.- Sì, capo.-
Lei per la prima volta nonbatté ciglio. La dura corazza di
determinazione e forza che si era imposta non doveva vacillare.- Esattamente.-
ribadì, con un sorriso che forse tradì un po’ d’ironia.- Fila a lavorare.-
Greg si rivestì e pochissimi minuti dopo, che ad Allison
parvero secondi per quanto passarono in fretta, lanciandole un ultimo, vivace
sguardo, uscì.
Lungo sulla poltrona di maternità dove andava
abitualmente, con la cannuccia di un succo di frutta tra i denti, la musica e
gli occhi chiusi, House se ne stava beatamente scappando dal turno d’ambulatorio
che sia Cuddy che il suo nuovo e bellissimo segugio gli avevano appioppato.
Sorrise. Non lo avrebbero trovato mai lì.
Non si ricordava di esser andato in giro a dire di questo
suo nascondiglio.. e, a parte le ostetriche e gli altri infermieri, nessuno
sapeva della sua piccola trincea.
Infondo non avrebbero mai pensato di trovarlo a maternità.
Reparto poco da lui.
Sciocche. Ma, in qualche modo, la loro sbadataggine gli
avrebbe parato il sedere, anche questa volta. Magari Cuddy si sarebbe arrabbiata
e quindi lo avrebbe fatto anche Cameron, più per riflesso che per una
convinzione sincera. Al contrario di Lisa, lei si era abituata a vederlo
continuamente sfuggire l’ambulatorio. Era ora che se ne facesse una ragione
anche Cuddy.
Sospirò, mentre si mosse leggermente per toccare l’i-pod e
mandare avanti alla canzone successiva.
Era lenta, triste e dei Train.
Non riuscì più a pensare a Cameron, alle arrabbiature
della Cuddy e alla sua perfetta tana.
Per quanto cercasse di sfuggirlo, il pensiero
dell’interrogatorio avuto con Smith continuava perseguitarlo.
Rivedeva, nella sua mente, piccoli flash delle sue parole,
di quello che aveva detto, di cosa aveva dovuto confessare.
-Signor House, la prego sia sincero. Voglio le parole
di Park. Non se lo immagina nemmeno quanto sia importante per noi.-
E lì, via, a sciorinare i suoi angoscianti ricordi. Li
aveva ripetuti due volte, obbedendo diligentemente agli ordini di Smith.
Senza nemmeno essere sarcastico.
-E poi è morto, senza dire nient’altro? Un nome,
un’indicazione più precisa?-
-Che sgarbato, eh? Gliel’ho detto che non stava bene
morire così, ma che ci vuole fare, la gente è testarda.-
….
Ok, era una bugia.
Ma se il tono della conversazione si era mantenuto
abbastanza leggero per la prima parte del colloquio, non si potrebbe dire lo
stesso per la seconda. Quando Greg aveva dovuto dire della minaccia, della paura
di Park per qualcuno in pericolo, allora il tono si era fatto teso, persino lo
sguardo dei due uomini era diventato pesante e, se vogliamo, carico di tensione.
Smith aveva ascoltato le sue parole, bevendole con
avidità, sfoggiando un penetrante sguardo interessato. Ma non era apparso
meravigliato, era come se le parole di House confermassero una sua tesi; il suo
interesse non era quello trepidante di chi non sa nulla, ma quello pacato di chi
aspetta qualcosa di importante per poter suffragare la propria ipotesi.
House lo notò subito. E glielo disse. Smith a quel punto
aveva sospirato, si era guardato intorno, come ad accertarsi che non ci fosse
nessuno.
-Questo…- disse tirando fuori un fogliettino di carta,
accartocciato.- Le dice niente?-
Lo prese. Poche parole in rima.
Con piangere e con
lutto,
spirito maledetto, ti
rimani;
ch’io ti riconosco, ancor
sie lordo tutto.
-è Dante.- le sue parole giunsero provvidenziali.
Benché amasse quell’autore, non ne conosceva tutti i versi. -
Allora?-
Ovviamente niente. Park stava morendo, non aveva avuto
tempo di poetare. Gli chiese che centravano con la morte dell’oncologo ma Smith
fu molto evasivo in proposito. Si limitò a grugnire e ad inarcare un
sopracciglio, poi , in aria di congedo, sospirò, alzandosi dalla sedia.
House passò alla canzone successiva. Ma anche se questa
era degli Who ed era allegra, non bastò a fargli dimenticare la conversazione.
-La ringrazio della disponibilità, dottor House.
Comunque..- aveva messo le mani ai fianchi, in un moto di stanchezza ed
impotenza insieme.- Non stiamo escludendo nessuna pista. Vendette professionali,
familiari di suoi pazienti morti .. siamo quasi certi che l’assassino sia tra
queste mura.-
Gli occhi di House in quel momento si erano fissati su
Foreman, al di là del vetro, nell’altra parte dell’ufficio.
-Voi poliziotti avete gli infrarossi per scovare i
pregiudicati, eh?-
Ricordò il sospiro di rassegnazione del detective, i suoi
ringraziamenti e il suo sguardo piuttosto interessato nei confronti di Cameron,
che entrava in quel momento.
Tutto lì.
L’interrogatorio di cui aveva tanto paura era terminato
senza altri danni. Eppure l’ansia non era passata. E non perché Smith gli aveva
detto che forse c’era un pazzo che girava per il PPTH,dato che sapeva benissimo che
l’ospedale pullulava solo d’incompetenti, di pazzo lì c’era solo lui… no, era
qualcos’altro. Come un campanello d’allarme, una spia rossa nel suo cervello,
accesa ad indicare il pericolo, un pericolo immotivato, certo.
Ma pur sempre di un pericolo si trattava.
Le lancette dell’orologio segnavano ormai quasi le nove e
trenta. Robert Chase fissò il grande Rolex d’oro che teneva sul polso e
sbadigliò leggermente, salutando così una difficile giornata lavorativa come
quella, con il caso di Law che li aveva tenuti impegnati per più di mezza
giornata e le restanti ore d’ambulatorio che a volte, e su questo conveniva con
House, erano più stressanti di giornate intere passate appresso a casi
impossibili.
Stava riordinando le sue cose quando Cameron entrò
nell’ufficio, seguita a ruota da Foreman.
-Ah, sei qui.- disse Eric, all’indirizzo del collega.- Sai
per caso dov’è finito House? Ha il turno in ambulatorio tra dieci minuti.-
-Ambulatorio a quest’ora?-
-C’è ancora gente.- spiegò Cam con un sorriso un po’
spento.- Epidemia d’influenza.-
Robert sbuffò.- Io il mio turno l’ho finito e me ne vado a
casa.- Disse con una certa stanchezza e determinazione nella voce. Allison
sorrise, un po’ irritata.- Anche noi abbiamo finito tutto, ma se House non si
trova dovremo farli noi, prima che la Cuddy s’infuri di nuovo.-
-La Cuddy è uscita e comunque dovresti farli tu.-
Intervenne Foreman, quasi con cautela. Sorrise maliziosamente, prima di dire.-
Soprattutto ora.-
Cameron corrugò la fronte.- Che vuoi dire?-
Foreman e Chase si scambiarono uno sguardo d’assenso poi
scoppiarono tutti e due a ridere, davanti alla loro collega che li guardava
stupita.-Ma..- non aggiunse altro. Capì subito che la storiella in ambulatorio
aveva fatto il giro del reparto.- Scemi. Non è divertente.-
-Eccome se lo è.- La contraddì Eric, ridendo.
-Ma anche voi, nemmeno due adolescenti si fanno
sorprendere così…- La canzonò l’australiano.
-Spero che almeno voi due vi rendiate conto che tutto
questo è solo uno stupido, imbarazzante equivoco.- Entrambi stavano per
aggiungere qualcosa ma Allison li bloccò sul nascere.- E non ne voglio più
parlare.-
Chase si girò verso Eric rivolgendogli uno sguardo
ironico, sguardo che Eric stava per sottolineare con qualche battuta quando si
aprì la porta dello studio e un’infermiera entrò nell’ufficio.- Dottoressa
Cameron, mi hanno detto di dirle che il dottor Law vorrebbe parlare con lei-
Allison aggrottò la fronte.- Ah.. va bene, grazie.- I tre
paperotti si scambiarono uno sguardo piuttosto interrogativo, poi l’immunologa
prese le cartelle dell’ultimo caso e si avviò alla porta,sotto gli occhi incuriositi dei
colleghi.
-Che può volere Law da Cameron?- Chiese Foreman, quasi
distrattamente, all’intensitivista che nel frattempo afferrava il giaccone.
-Bah.- Rispose il biondo.- Io so solo che mi sbrigo ad
andarmene a casa, prima che torni Cameron e mi affidi i turni di House.-
Eric rise silenziosamente, poi, annuendo, l’imitò
volentieri.
L’auto di Wilson procedeva con scioltezza lungo le strade
buie del New Jersey. Era stata una giornata pesante ma nonostante tutto si
sentiva bene, felice. Oggi avevano dichiarato un bambino di dodici anni fuori
pericolo. Aveva coraggiosamente combattuto contro un tumore per quasi due anni
ma ora, per quanto possibile, era guarito.
Un sorriso di tenerezza si dipinse sui bei lineamenti del
dottore, mentre svoltava all’incrocio.Quel bambino aveva avuto il potere di risollevare, almeno in parte, una
giornata che invece sarebbe stata completamente orrenda.
Non aveva dimenticato il modo in cui Lisa l’aveva
rimproverato, il suo sguardo, il modo, assolutamente esagerato, con cui l’aveva
trattato facendo una tragedia di una semplicissimo momento di distrazione.
Perché di quello si trattava.
Non stava corteggiando nessuno. Almeno non lui.
I suoi occhi, un istante, incontrarono delle cartelline
che aveva appoggiato al sedile, quasi distrattamente. Ah, merda!
Erano i risultati che Lisa gli aveva assolutamente chiesto
entro la serata.
Aggrottò la fronte, pensando che a quest’ora probabilmente
stava imprecando contro di lui e la sua sbadataggine.
Stava ancora sospirando quando ebbe una brillante idea: le
avrebbe portato i documenti a casa. Fermò un istante l’auto ad un lato della
via, fece la retromarcia e percorse la strada a ritroso dirigendosi verso
l’abitazione del suo capo.
Non sapeva perché ma quella piccola idea lo rendeva
stranamente euforico, felice.
Aveva la possibilità di chiarirsi con lei, di scusarsi se
necessario. Non voleva che ci fossero ombre tra loro due.
Fece un sospiro profondo quando capì di essere arrivato in
prossimità della sua abitazione. Era una villetta che sorgeva in un complesso di
altre ville ma un po’ isolata, in un quartiere semplicemente incantevole.
Si sorprese nel costatare che tutto, in lei, poteva
avvalersi di quell’aggettivo.
Incantevole.
Parcheggiò l’auto e, munito di cartelline, scese dalla
vettura, dirigendosi verso casa sua. Si domandò un attimo se la sua visita gli
avrebbe fatto piacere. Si convinse di sì, infondo non era affatto tardi, anzi,
erano appena le nove, con ogni probabilità era arrivata da poco e non aveva
ancora mangiato.
Nemmeno lui aveva cenato.
Per un istante accarezzò l’idea di chiederle di mangiare
qualcosa insieme.
Si rese conto che tutte quelle fantasticherie erano
destinate a rimanere tali, confinate nell’universo dei sogni di James Wilson
quando notò, proprio parcheggiata davanti l’auto di Lisa, una jaguar nera.
I suoi occhi si spostarono sul salotto di Lisa la cui
vista era inficiata dalle tende. Non vedeva nessuno ma capì benissimo che non
era sola. Tendendo l’orecchio udiva risa, parole.
Non ne aveva la prova ma seppe subito che quella era
l’auto di un uomo.
Strinse forte i documenti nella mano mentre
l’espressione.. beata.. ?.. di poco prima lasciava lo spazio ad uno strano
nervosismo...
Ritornò, mesto e nervoso, nella sua auto, sbattendo la
portiera.
La Cuddy (aveva ripreso a pesarla con il suo cognome)
avrebbe avuto i documenti il giorno dopo; non aveva la minima intenzione di
entrare là dentro.
Mise in moto e partì, sbuffando, non rendendosi conto che
lo strano lampo che quella mattina aveva visto negli occhi della dirigente,
adesso animava anche i suoi.
L’ascensore che l’avrebbe portata a oncologia procedeva
lentamente verso l’alto, in direzione di uno degli ultimi piani del PPTH.
Sospirò.
Non conosceva bene il dottor Thomas Law, ma non poteva
nemmeno dire di non averlo mai visto. A parte il fatto che lavoravano entrambi
nello stesso contesto ospedaliero, avevaavuto l’occasione di conoscere Law molto tempo fa, quasi tre anni prima,
durante il periodo del suo internato alla cinica Mayo.
A quel tempo lei lavorava come specializzanda presso
l’immunologo Richardson, molto amico di Law. I due si cercavano spesso per
consulti riguardo casi anche piuttosto delicati e lei aveva avuto più di una
volta l’occasione di lavorare spalla a spalla con lui. Lo ricordava come un uomo
mite e professionale e, particolare che a suo tempo aveva apprezzato come l’oro,
sempre di buon umore.
Il ding dell’ascensore la svegliò dai suoi pensieri. Era
arrivata ad oncologia.
Il reparto era piuttosto quieto, animato soltanto da
medici di turno, pazienti ricoverati e tutto era percorso da un piacevole
silenzio.
Passò l’ufficio di Wilson, buio data l’ora, e si recò
presso quello di Law, proprio di fianco.
La ragazzabussò un paio di colpi e attese che il dottore le desse il permesso di
entrare.
Non sentì nulla e dopo aver aspettato qualche secondo
bussò di nuovo.
Ancora niente.
Corrugò la fronte, pensando che magari il dottore aveva
avuto un’emergenza e si era allontanato improvvisamente.
Sbuffò pensando al tempo perso, immaginando che a
quest’ora Foreman e Chase se l’erano sicuramente squagliata così sarebbe toccato
a lei dare la caccia ad House o, come probabilmente avrebbe fatto, tornare in
ambulatorio.
Mosse qualche passo in lontananza ma poi si fermò di
nuovo, riflessiva.
Se Law l’aveva mandata a chiamare doveva essere
importante. Pensò di entrare ed aspettarlo nell’ufficio. Per sicurezza bussò una
terza volta ma nel silenzio del corridoio di oncologia, l’unico rumore che
risuonò fu proprio quello delle sue nocche urtate contro la porta lignea.
Si persuase ad aprire. Mano alla maniglia, spinse
leggermente la porta dicendo.- Dottor Law…-
I suoi occhi verdi si fermarono istintivamente sui primi
oggetti di quell’ufficio a lei nuovo, per andare lentamente a guardare il resto
dell’ambiente.
Quando si accorse che qualcuno era seduto dietro la
scrivania, continuò, dando leggermente le spalle per chiudere la porta dietro di
sé. –Mi scusi se ho insistito tanto, magari non voleva essere disturbato, però
mi hanno detto che..-
Gli occhi dell’immunologa focalizzarono la figura, seduta
sulla poltrona, a pochi metri da lei.
La voce le si fermò in gola e lasciò cadere la frase.
Thomas Law era lì, davanti a lei.
La fissava ma i suoi occhi non la vedeva realmente, erano
opachi, bui, la bocca aperta nel disperato tentativo di trovare aria, le labbra
e i denti arrossati da un rivolo vermiglio di sangue, sangue che poi era colato
per il collo fino a macchiargli il camice e la scrivania, proprio sotto di
lui.
Un’espressione orrenda e terribile allo stesso tempo
animava il suo volto senza vita, il corpo proteso in avanti in un inconsolabile
bisogno d’aiuto e il viso paralizzato a guardare un punto fisso davanti a lui,
la bocca aperta in un urlo disperato che né Cameron né nessun altro avrebbero
mai sentito.
Per alcuni attimi Cameron stette immobile, esattamente
come lui, terrorizzata dalla paura.
Il suo cervello constatò subito la morte di quell’uomo ma
fu come se non fosse in grado di poter far altro che fissare il morto, senza
nemmeno avere la capacità di tremare.
Poi, quando le cartelle cliniche le scivolarono dalle dita
e toccarono il pavimento, si risvegliò, come se quel rumore le avesse fatto
trovare di nuovo il contatto con la realtà.
Si portò una mano verso la bocca e finalmente trovò la
forza di gridare.
Eccomi qua!!
Scusate il leggero ritardo ma proprio non ce l’ho fatta ad aggiornare prima!
Allora, parliamo del capitolo: innanzitutto c’è una citazione canora e una
letteraria. La prima è: “drops of jupiter” dei Train, la seconda è il mio Dante,
precisamente: purgatorio, III 107-123
È un capitolo
molto importante per l’economia della storia e spero che vi piaccia.. i
protagonisti iniziano ad avere un quadro più articolato della situazione anche
se le risposte si delineeranno bene, come in tutte le storie dark, solo andando
avanti..
Prima di
lasciarvi ringrazio di cuore chi ha seguito il capitolo precedente e in
particolare chi lo ha commentato, vi adoro e questo capitolo è dedicato proprio
a voi: Meggie, Venus, Nathaniel, Toru85,
Ale87, Mistral, Preziosoele, _Vally_,
Briseis, Apple, Levity, Marty Mix, EriMD,
SHY, Artemisia89, Nick e Dana.
Buona Lettura,un
bacio!
Lacrime
di Follia
Capitolo
IV:Un freddissimo enigma.
“Ho
cercato di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna e di mutare i miei
desideri piuttosto che l’ordine del mondo e, in generale, di abituarmi a credere
che nulla sia interamente in nostro potere, se si eccettuano i nostri pensieri;
in modo che quando avremo fatto del nostro meglio per le cose che non dipendono
da noi, tutto ciò che non ci riesce
compiere possiamo ritenerlo del tutto impossibile per le nostre
forze.”
Cartesio
(Discorso sul Metodo)
Seppe dell’accaduto circa un quarto d’ora dopo.
Come l’incendio in un fienile si attizza lentamente sui
primi ramoscelli di paglia poi si allarga e invade in maniera devastante tutto
l’ambiente, così la notizia dell’assassinio del dottor Thomas Law aveva fatto il
giro dell’ospedale passando velocemente di bocca in bocca.
Aveva sentito, tra una canzone e una pennichella, delle
infermiere che arrivavano agitate e bianche di paura, avvertendo tra le note del
rock degli Who strane parole che l’avevano subito incuriosito. Parole tipo Law,
morto, e Cameron.
Curioso,
levatosi le cuffie, era sceso per saperne di più. Infondo è la curiosità che
muove il mondo, no?
Fu
così che era giunto ad oncologia, trovando una marea di persone,
poliziotti.
Fu
così che l’aveva vista.
Di
spalle, voltata verso la portafinestra che dava sull’uscita esterna d’emergenza,
con un bicchiere d’acqua tra le mani, lo sguardo assente e terrorizzato. Aveva
visto Smith, accanto a lei, ugualmente agitato, confuso quasi. A tratti il volto
della giovane si spostava dalla finestra per posarsi su quello del detective e
gli occhi penetranti di Smith, concentrati nei suoi, la scrutavano quasi senza
pietà come se cercasse in lei le risposte.
Ad
House venne da ridere. Che poteva entrarci Cameron in tutto
questo?
Il
corpo di Law venne portato in quel momento fuori dall’ufficio dove era stato
ritrovato. House lo esaminò con attenzione con lo sguardo, non senza pensare
quanto fosse orribile nella sua espressione di morte. La barella passò
velocemente per il corridoio e si diresse per l’autopsia, così i suoi occhi
continuarono a puntarsi su Cameron e il detective. Continuavano a parlare e
Allison sembrava sempre più scossa.
Non
vide in giro né Foreman né Chase, né tanto meno Wilson però in compenso trovò
poco dopo Cuddy che si aggirava inquieta e dava ordini a destra e a manca. Aveva
l’aspetto un po’ scomposto e l’ apparenza scocciatadi chi ha interrotto qualcosa di
importante e, mentre si faceva strada tra la miriade di poliziotti, sembrava
davvero una ragazza arrabbiata più che un dirigente d’ospedale turbato da quello
che era accaduto.
-raggio
di sole!- la chiamò.
Lisa
si voltò con immensa fatica e lo guardò, spazientita quasi.- House che ci fai
qui?- disse con un evidente falso sorriso.
Greg
fece finta di guardarsi intorno.- ho sentito che c’era una festa e sono
arrivato. Sai io vado pazzo per le feste.-
-è
morto il dottor Law.- rispose Cuddy senza nemmeno l’arrabbiatura nella voce.
-lo
so.- rispose Greg- infatti credo che l’abbiamo organizzata quelli dell’obitorio.
Sono bravi ragazzi ma che vuoi farci, si divertono così.-
Cuddy
gli si avvicinò interrompendo quel piccolo siparietto ed House poté notareche aveva l’aria un po’ tesa e il trucco
leggermente rovinato. E non era da lei. –House.- disse quasi sospirando.- è già
tanto imbarazzante e difficile così.- Lisa distolse lo sguardo.- ti rendi
conto?Unomicidio! Nel mio
ospedale!-
-più
che altro..- iniziò.- un omicidio… proprio questa sera.- Cuddy sgranò gli
occhi.- oh andiamo, si vede che ti ha rotto interrompere qualcosa di
importante.. cos’è.- esibendo uno sguardo ammiccante abbassò la voce ma non
abbastanza perché non potessero sentirlo tutti comunque - hai organizzato uno di
quei festini, a casa tua?-
Lisa
si allontanò con un passo da lui, visibilmente imbarazzata.- senti non ho tempo
per le tue congetture mentali- alzò la voce, quasi urlando, per darsi un tono
anche di fronte alla polizia.
Infondo
lei era il capo lì dentro e voleva che fosse chiaro a tutti.- se proprio non hai
niente di meglio da fare và al pronto soccorso e sostituisci qualche ragazzo che
è lì da questo pomeriggio oppure..- abbassò la voce questa volta e si avvicinò
con uno sguardo tagliente.- chiuditi nel tuo ufficio e riordina tutte le
cartelle dei tuoi pazienti.-
Gli
lanciò uno sguardo fulminante. Molto alla Cuddy.
House
sorrise. Adesso era veramente lei. c’era voluto un po’ a farla arrabbiare ma
finalmente era tornata la dura di sempre.
-ehm
lo farei volentieri, credimi.- rispose fingendosi sincero e terribilmente
dispiaciuto.- ma la vedi quella ragazza laggiù?- indicò Cameron con il capo, che
parlava ancora con Smith.- è molto gelosa delle sue scartoffie e se mi metto a
riordinare le cartelle al posto suo si arrabbierà a morte e non mi farà più il
caffè la mattina.-
Lisa
sospirò e il suo sguardo divenne improvvisamente più tenero quando tornò a
guardare Allison.- domani la polizia esaminerà con cura tutta la storia medica
di Law. E dato che avete lavorato insieme verrà a buttare il naso anche nelle
tue cartelle. Non voglio che ci trovi nulla di.. particolare, ci siamo
intesi?-
-perfettamente.
Cameron ne sarà entusiasta. Salterà di gioia quando le dirò che deve
ricontrollare due anni di lavoro.-
Cuddy
aggrottò la fronte.- non esagerare con lei – disse, in un mix tra il preoccupato
e l’ammonimento, poi si voltò e scomparì misteriosamente tra la massa di
persone, poliziotti e curiosi che affollavano quel corridoio di oncologia.
House
tornò a guardare Cameron. Smith ora annuiva e le porgeva la mano che lei
stringeva con un lieve sorriso. Poi si allontanòed uscì per le scale, lasciandola sola
con un foglietto in mano e il suo sguardo di nuovo perso e triste.
Stette
per chiamarla ma lei si mosse velocemente verso l’ascensore. Entrò e quello si
chiuse poco dopo. House sorrise.
Sapeva
dove stava andando.
Era freddo
e c’era il vento sul terrazzo, quella notte. Un freddo pungente, penetrante.
Il cielo
sembrava volesse volgere al peggio, e oltre all’aria gelida, si sentivano, in
lontananza, gli echi di tuoni distanti.
Eppure, nonostante tutto, Gregory House non riuscivaancora a distinguere il freddo che
faceva fuori con quello che albergava nel suo animo.
Ed era sicura che nemmeno Cameron ci riuscisse.
Lei era lì, come aveva immaginato, appoggiata al muretto
che dava sul vuoto, con lo sguardo perso e confuso, proprio come poco prima.
sapeva che stava per scoppiare laggiù, con tutta quella confusione, sapeva che
aveva bisogno di aria e di freddo. Dio, ormai la conosceva bene.
Lui era lì, ora, ma non sapeva se voleva parlarle, in
realtà non sapeva nemmeno perché l’aveva seguita. Era stato qualcosa
d’istintivo, di naturale.. qualcosa che non capiva.
Era convinto che lei non l’avesse visto e la fissò per
altri interminabili secondi , fissò le sue spalle magre, la schiena che
scivolava giù in maniera perfetta, fissò il suo corpo esile nella sua finitezza.
La
vide emettere un respiro irregolare e abbracciarsi le spalle, massaggiandosele
leggermente per lottare contro il freddo.
Sospirando,
House non esitò ad avvicinarsi. Coprì quella piccola distanza che c’era tra di
loro con pochi, esitanti, passi.
Con
una delicatezza che impressionò lui in primis, le mise la mano sulla spalla. Si
meravigliò di quel gesto. Poco fa non voleva nemmeno parlarle, adesso aveva
sentito l’ esigenza di toccarla.
Quel
contatto non giunse improvviso alla donna. Cameron non si era staccata dal
paesaggio invernale ma l’aveva sentito.
Greg
pensò che quel semplice contatto avrebbe dovuto farla sobbalzare di paura. Ma
era come se sapesse che lui era lì. Gli balenò l’idea che Cameron avesse intuito
che lui la stava guardando daiprimi secondi, in ospedale.
E che
fosse uscita lassù, proprio per restare sola con lui.
Sorrise.
Forse lei lo conosceva molto più di quanto lui conoscesse lei.
Allison
chiuse gli occhi, assaporando quel piccolo contatto.
Era
piccolo, troppo piccolo. Le serviva di più, aveva bisogno di più. Non
occorrevano parole, bastava semplicemente un abbraccio, qualcosa che la
riscaldasse perché continuava a sentire freddo, tanto freddo.
Non
paga di quello che stava accadendo, seppur con una piccola punta di timidezza
appoggiò la sua mano su quella di Greg.
Lo
sentì irrigidirsi ma non si mosse. Le piacque l’idea di averlo colto alla
sprovvista, cosa che invece lui non aveva fatto con lei. Le piaceva sentire la
sua mano sotto la sua, la sua pelle sotto i suoi polpastrelli. House non si
mosse e lei non aveva la minima intenzione di farlo: aveva bisogno di quel
contatto e se lo sarebbe preso.
Dopo
qualche istante Greg fece delicatamente scivolare la sua mano dalla sua spalla e
lei, a malincuore, dovette far altrettanto con la propria, mentre un sorriso
amaro si dipingeva sul suo viso. Pensò che Greg a questo punto se ne sarebbe
andato, ma quando si voltò verso di lui non lo vide in procinto d’andarsene.
Ora
toccava a lei sentirsi sorpresa.
Lui
stava ancora lì. Questo la rasserenò; il pensiero di non dover elemosinare un
po’ d’attenzione la fece sentire meglio.
Come
sempre, come doveva essere sempre, a quanto pare, fu Cameron ad interrompere il
silenzio, balbettando.- lui… mi aveva mandato a chiamare… l’ho trovato io-
House
non disse nulla. Non trovò nulla da dire.
Gli
occhi dell’immunologa si riempirono di lacrime all’improvviso avvento
dell’immagine di Law, nella sua mente.- chi può essere tanto malvagio da fare
tutto questo?- non era domanda, era più che altro una supplica. –Smith mi ha
dato questo.- continuò esibendo un foglietto accartocciato, molto simile a
quello che il detective aveva dato a lui, durante il giorno.
House
lo lesse, ad alta voce.
“or
vedi”
e
mostrommi una piaga sotto il petto
poi
sorridendo disse. “io son Manfredi”
ond’io
ti prego che quando tu riedi
vadi a
mia bella figlia
e
dichi’l vero a lei s’altro si dice.
Aggrottò
la fronte e i suoi occhi tornarono in quelli di Allison.- ancora Dante.-sussurrò.
Cameron
annuì. Evidentemente Smith le aveva detto del messaggio precedente.- Smith crede
che..-
-i due
omicidi siano congiunti, vero?- lesse di nuovo il bigliettino.- questa volta
però non è preciso come nel primo. Vedi? Non è una terzina intatta, sono versi
appiccicati dello stesso canto e molto vicini, ma non perfettamente consecutivi.
Come se..-
-come
se l’assassino avesse voluto comporre precisamente un messaggio… un ammonimento
una minaccia..-
-già.-
concordò House, riflessivo. Cameron indovinò i suoi pensieri .- l’avvertimento
di Park non era uno sproloquio quindi.. stava cercando veramente di metterti in
guardia.-
Greg
tornò a guardarla, ma questa volta non ci furono altre parole per molti secondi.
Poi disse.- non me. Ha parlato di un ‘loro’.-
-loro?-
ripeté Allison, con un sospiro.- e se fossero.. che ne so.. gli oncologi?-
domandò con gli occhi ancora lucidi.- infondo sia Park che Law lo
erano..-
-ehi,
dovremo dirlo a Wilson, o potrei ritrovarlo imbottito cianuro o cosparso di
antrace invece che forfora!-
Allison
gli lanciò uno sguardo truce, sia perché aveva snobbato così una sua ipotesi sia
per l’inquietante scenario che lui aveva predetto con una battuta. Voleva
rimproverarlo ma esitò. - ma.. cianuro? Come sai che Law è morto di ..-
-vedrai.-
disse lui, superbo. Gli era bastato uno sguardo per capirlo. Era inconfondibile.
Un’improvvisa
folata di quel gelido vento invernale fece rabbrividire la giovane che si
massaggiò le braccia con le mani, abbracciandosi quasi, sembrando ancora più
dolce e tenera, nel buio di quella stranissima notte.
Eppure,
nonostante fosse rigido lassù, era il freddo che albergava dentro di lei a
sconvolgerla tanto.
-tu
non hai freddo?- gli chiese, dolcemente.
House
capì il senso vero di quelle parole. Non alludeva all’inverno.
–sì.-
disse, con un tono profondo che trapassò, quasi, l’animo della giovane.-
tanto.-
C’era
in quella conversazione qualcosa di sottinteso e di molto profondo che
spaventava entrambi. Cameron annuì, silenziosamente.
-dovresti
andare a casa.- le disse lui e, nonostante non avesse voluto, il suo tono suonò
quale era sinceramente: un tono preoccupato, affettuoso in qualche modo.
Nel
suo modo di essere affettuoso.
Le riuscì un piccolo sorriso.- grazie.
Vado.- disse mentre si avviava verso l’entrata.
Lo
guardò, un attimo, prima di rientrare. Quando gli aveva chiesto se avesse freddo
o no, non stava pensando all’inverno ma credeva che House l’avrebbe interpretato
così.
Come
avrebbe fatto chiunque sentendo quella domanda e ignorando i suoi pensieri.
Ma
forse lui non ignorava i suoi pensieri, lui sapeva leggere il freddo che aveva
dentro, perché era lo stesso che alloggiava anche in lui.
Ma
allora perché?
Perché,
se avevano freddo entrambi, non avrebbero potuto scaldarsi
insieme?
Non
c’era una risposta.
E
forse non ci sarebbe stata mai.
–but tell
me, did you sail accros the sun.- la voce di House che canticchiava si diffuse
nell’ufficio del PPTH non appena l’uomo ne spinse la porta, precisamente alle
undici e quaranta cinque. .
-did you..-
la voce del diagnosta calò fino a spegnersi quando non vide che, lì, davanti ad
una lavagnetta con su scritti alcuni sintomi, c’era solo Foreman.
-wow.-
commentò Greg.- hai un aspetto terribile, mi hai anche tolto la voglia di
cantare.-
Eric inarcò
un sopracciglio.- Ah, scusa.- mormorò sarcastico.- abbiamo un nuovo caso, tante
volte non l’avessi notato- disse indicando con un cenno del capo la lavagna
dietro di sé.
-mm
interessante- mormorò Greg vedendo che c’era scritto solo uno sterile: dolori
muscolari, cefalea, febbre . –scordatelo.-
Troppo
banale, troppo inutile. Aveva già un’idea per la testa, figuriamoci.
Notò poi la
tazza rossa stracolma di caffè - ehi, a proposito.. i giovincelli?-
Foreman gli
indicò con il capo l’altra parte dell’ufficio dove Cameron e Chase, seduti
rispettivamente sulla scrivania di House e su una delle sedie davanti a questa,
lavoravano, immersi negli schedari e cartelle cliniche di quasi tre anni di
lavoro.
Greg
sorrise ricordandosi dell’ammonimento della Cuddy, la sera passata:
ricontrollare tutti gli schedari.
Lasciò
Foreman e si diresse da loro, cantando di nuovo.- now that she’s back in the
atmosphere..- entrò con noncuranza.- with drops of jupiter..-
-House- la
voce di Chase si levò un secondo dopo, puntuale come Greg temeva.
House alzò
gli occhi al cielo.
-tu, fuori
di qui.- gli rispose poi con la sua comunissima sgarbatezza. Non sapeva perché
ma vederli lavorare così vicini, così affiatatamene, così.. insieme… gli aveva
provocato un conato di irritazione verso Chase che superava anche quella di
trovarlo a scrivere sulla lavagna.
-se non
l’avessi visto la sto aiutando…- cercò d’iniziare il ragazzo ma senza molto
successo.
-allora,
non hai sentito??- lo interruppe lui, con meno veemenza questa volta.- ti ho
detto fuori di qui.-
Robert
sospirò, poi lanciando una breve occhiata a Cameron, uscì dall’ufficio per
andare ad occuparsi del nuovo caso di Eric. House si sedette al posto che fino a
poco tempo fa aveva occupato Robert, fissando intensamente la ragazza davanti a
lui che invece non aveva accennato ad alzare gli occhi dal lavoro.
Brutto
segno.
Sicuramente
era arrabbiata nera.
Sorrise.
Vedere
Allison arrabbiata lo divertiva sempre. Almeno finché non diventava pericolosa..
ma accadeva di rado. –since the return to her stay on the moon.- decise di
provocarla, continuando a cantare la sua canzone.- she listens like spring and
she takls like june.-
Poi, la sua
reazione.-buongiorno.- disse, acida.
House alzò
le sopracciglia, notando il suo sguardo stanco - non direi. Non sembri aver
dormito molto e hai uno sguardo decisamente poco promettente..-
-scusa,
sono stata troppo impegnata a sistemare i tuoi schedari per pensare di passarmi
il fondotinta. Sono qui dalle sette, io.-
-oh oh,
allora è questo.- disse battendo leggermente la mano su un tomo.- Io sono il
capo e vengo quando voglio.-
-e io sono
il tuo supervisore. Ritarda così tanto di nuovo e..-
-oh, siamo
alle minacce!- la prese in giro ridendo.- è inutile che te la prendi con me. Sei
il supervisore, no? È il tuo lavoro sistemare gli schedari, non ti autorizzo a
lamentarti. E non ti autorizzo nemmeno a monopolizzare la squadra. È mia.-
ribadì come un bambino di cinque anni ribadisce la sua macchinina nuova.
Cameroninarcò un sopracciglio.- Chase non è di
tua proprietà e mi stava dando una mano. E questo è il TUO lavoro.- puntualizzò
alla fine.
-no.- disse
lui, soprappensiero.- ora non più. Comunque sì, Chase è mio.- disse, fingendosi
geloso.- com’è mia questa scrivania e com’è mio questo computer!-
Cameron
aggrottò la fronte.- che cos’è, una crisi d’identità?-
-scusate,
disturbo?- Wilson s’affacciò improvvisamente alla porta dell’ufficio di House,
con uno sguardo incerto dipinto in viso. –Cameron, ti ho portato quei dati che
mi avevi richiesto.-
Lei sorrise
ma in maniera del tutto forzata. Si vedeva che era stanca, aveva davvero dormito
poco. Del resto, era impossibile pensare di riuscirci dopo quello che era
accaduto il giorno prima. ogni volta che chiudeva gli occhi l’immagine
agonizzante di Law premeva vigorosamente sulla soglie della sua mente.
-grazie
James.- disse con un sussurro.
House posò
lo sguardo sull’amico.- come mai oggi non sei in tiro come gli altri giorni?-
Cameron
abbassò lo sguardo, Jimmy ne esibì uno irritato.- non so di che stai parlando,
so solo che ho da fare e parecchio anche.-
-ehi,
sembrate lavorare tutti sul serio, ma che efficienza!- sbottò Greg esibendo uno
sguardo disgustato.
-già,
contrariamente a te che sai far lavorare solo gli altri.- rimbrottò Wilson,
deciso.
-naa, a
Cameron piace sistemare gli schedari, vero?-
Allison
alzò gli occhi dal suo lavoro e lo fulminò con lo sguardo. House l’ignorò e si
voltò verso Jimmy, con un sorriso innocente.- visto?-
Sia Cameron
che Wilson sospirarono, quasi all’unisono.
–ah ma
siete tutti di cattivo umore, oggi?- esclamò Greg, spazientito.
-è morto un
mio collega.- la voce di James suonò bassa, profonda.- dovrei saltare di
gioia?-
Cameron
percepì bene la tensione che si era creata tra i due. Avrebbe voluto andarsene,
non le piacevano certe situazioni.
House
rimase in silenzio per qualche istante.- già. Ma non solo. C’è dell’altro.
Qualcosa di.. femminile?- Cameron alzò lo sguardo, indignata, aspettando una
furibonda reazione da parte di James. Ma non avvenne. Questi abbassò gli occhi e
parve in difficoltà.
–io vado.-
disse quindi Wilson facendo un piccolo cenno ad Allison ed uscendo velocemente
dall’ufficio.
House
spezzò il silenzio creatosi andandosene, fischiettando la stessa canzone di poco
prima, dall’altra parte dell’ufficio, lasciata vuota da Chase e Foreman. Era
sicuro che quei due idioti fossero andati a fare qualche esame assurdo al
paziente. Incapaci. La soluzione era lì, sotto i loro occhi.
Troppo
sottile per Chase o troppo scontata per Foreman?
Bah,
semplicemente erano due incompetenti. House prese il pennarello e scrisse la
diagnosi lì, accanto ai sintomi.
-and have you fall, for a shooting
stars… fall for a shooting stars..- cantando uscì dall’ufficio,
dirigendosi verso la mensa, ubbidendo ai primi crampi della fame.
Prima di
lasciare l’ufficio diede però un’ultima occhiata alla sua soluzione del caso.
Sorrise.
Foreman e
Chase non l’avrebbero capita mai.
Era
scritta, certo.
Ma in
mandarino.
Gli occhi
azzurrissimi di House focalizzarono un tavolo libero, in disparte e piuttosto
appartato non solo dalle chiacchiere insopportabili dei suoi colleghi (odiava
sentirli discutere dei loro IMPOSSIBILI casi) e dei poliziotti che, schierati da
Smith, circolavano per l’PPTH per la felicità di Foreman e di tutti quelli che
come lui non li potevano vedere.
Raggiunse
quel piccolo angolo di paradiso e vi appoggiò il vassoio stracolmo d’insalata,
sognando d’avere un piccolo momento tutto per sé. Sogno che s’infranse
miseramente in mille pezzi quando qualche minuto dopo qualcuno gli si avvicinò
dicendo.- dottor House..-
Greg non
alzò nemmeno lo sguardo. – mm… com’è piccolo il mondo.- commentò roteando gli
occhi, sarcastico.
-posso?-
Questa
volta il diagnosta alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. Normalmente
avrebbe risposto come una battuta. Ma forse questa volta scambiare due
chiacchiere con qualcuno non sarebbe stata un’idea tanto malvagia.
Dal
detective Smith, per esempio, avrebbe potuto scoprire un sacco di cose
interessanti, carpire altre, nuove, informazioni sull’enigma che circondava
l’ospedale.
Sì, aveva
bisogno di adoperare la sua mente in qualcosa di complesso e se non serviva la
intelligenza medica, forse la sua razionalità poteva scoprire qualcosa di
nuovo.
Sorrise.-
prego.-
Wilson,
Foreman, Chase, Cuddy, perfino Cameron avrebbero aperto la bocca dallo stupore.
Smith
appoggiò il vassoio e si sedette comodamente davanti al diagnosta.
Buttò uno
sguardo sul suo piatto.- ah, è vegetariano?-
-no, solo
un po’ squattrinato.- House scoprì, da sotto l’insalata, le tre polpette che
aveva sagacemente rubato.- oopss.- disse poi fingendo di constatare solo ora che
aveva dinnanzi a sé un poliziotto.
Questo
strappò a Smith una risata.- dovrei metterla dentro, dottore.-
-ah, è quello che spero.- commentò l’altro.- niente Cuddy,
niente schedari..- fece una pausa, voluta.- niente morti in giro per
l’ospedale.- voleva che fosse lui ad introdurre il discorso. E sapeva che adesso
Smith l’avrebbe fatto.
Infatti bastò quella voluta battuta per far rabbuiare il
detective. L’uomo distolse lo sguardo, in difficoltà.- già.- sospirò.- ci
auguriamo che tutto questo finisca ma non ne siamo sicuri.-
-la dottoressa Cameron mi ha detto che cercate qualcuno
dell’ospedale.- era una bugia, Cameron non gli aveva detto niente del genere. Ma
era sicuro che era ciò che pensavano Smith e gli altri.
L’uomo infatti annuì. Greg gongolò, dentro di sé. Adorava
avere ragione.
-probabilmente sì. -disse Smith.- deve essere per forza così. non necessariamente un medico,
anche un infermiere, un tecnico, qualcuno che conosca bene i ritmi ospedalieri,
che conoscesse tanto bene Law da poter prenderlo solo nel suo ufficio e, in
qualche modo, avvelenarlo con il cianuro.-
House ascoltò con interesse. Ribadì mentalmente quanto
fosse geniale: c’ aveva preso anche sul cianuro.
-qualcuno che conosca bene anche la divina commedia,
però.- intervenne.- l’assassino non fa che citarla.-
-già- riconobbe il poliziotto. –e non sono citazioni a
caso.- né Smith né House mangiavano più. In quel momento il cibo passava
decisamente in secondo piano.- prendiamo il primo frammento, per esempio. È una
minaccia precisa. L’assassino dice a Park che in qualche modo l’ha riconosciuto,
l’ha ritrovato.-
-ancor sei lordo tutto.- citò Greg, impressionando
quasi il poliziotto.- non solo l’ha ritrovato, ma l’ha ritrovato nonostante
qualcosa. Nel caso di Dante, nonostante che fosse sporco. Nel caso di Park..-
lasciò cadere la voce. Smith lo guardò, impaziente.- …e io che ne so!- sbuffò il
diagnosta.- questo è il tuo lavoro, non il mio!-
Smith gli sorrise. Nonostante il sarcasmo di House, quella
conversazione si stava facendo molto fruttuosa. Gregory e la sua intelligenza
arrivavano dove i suoi collabotori, esperti di psicologia criminale, non avevano
neppure ipotizzato.
-il secondo messaggio.- continuò Greg, con un sorriso
indecifrabile: amava, adorava stupire la gente.- è un messaggio diverso. È come
se si presentasse al suo assassino.-
-o a noi.- continuò Park.- potrebbe essere una sfida.-
-ha un tono troppo dolce, è escluso. È tra l’assassino e
la vittima, non c’entrano le forze dell’ordine.-
Smith questa vota non poté fare a meno di trattenere una
piccola risata.- e lei che ne sa, scusi?-
House sorrise di nuovo.- C’è un elemento molto personale e
molto intimo nel messaggio: la parola:figlia. Precisamente.- continuò.- dice che quando lui andrà dalla figlia
dovrà dirle la verità, se si dice altro.-
Smith lo guardò, incredulo.- mi sta cercando di dire che
secondo lei l’assassino stava esplicitamente dicendo a Law che stava per andare
dalla figlia, quindi dato che poi Law è morto, probabilmente anche questa figlia
è morta.-
House lo guardò esattamente come quando i paperotti
raggiungevano i suoi pensieri.- è solo un’ipotesi, per carità. Ma io non
cercherei solo tra i dipendenti dell’ospedale.-
Smith l’osservò, intrigato.- magari qualche paziente la
cui figlia era in cura da Law..- House alzò le sopracciglia, come a scuotere le
spalle.- dottor House, mi complimento. Ha una logica ferrata, me l’aveva detto
la sua collaboratrice.. la dottoressa Cameron..-
-ah, qui la gente non fa altro che parlare di me..- lagnò
l’uomo, nascondendo il piacere che provava per tutto questo.
Smith rise.- sa, la dottoressa Cameron è preoccupata per
lei…- ma non lo disse allegramente. Lo disse come se sottintendesse un “e non
dovrebbe” accompagnato da qualche altro ignoto pensiero.- dice che lei tratta
male i paziente e che..-
-perché non dovrebbe preoccuparsi per me?- House
l’interruppe. Aveva visto quell’ombra sul suo volto e ne voleva una spiegazione.
L’uomo, sorpreso, esitò un istante. Quelle erano
informazioni riservate. Ma dato il contributo prezioso che Greg aveva dato alle
indagini, magari avrebbe anche potuto dirglielo.- la dottoressa dovrebbe stare
attenta per lei stessa, non pensare ad altri. –
L’interesse di House era al culmine.- perché.-
L’uomo sospirò.- io non le ho detto niente per non
allarmarla ma…- deglutì.- lei sostiene che un’infermiera l’ha mandata a
chiamare. E che le ha detto che Law le voleva parlare.-
-già. E non mi risulta che Cameron possa mentire.-
-no, non è in dubbio la sua buona fede.- Smith fece una
piccola pausa, poi i suoi occhi verdi fissarono quelli blu di House.-Quello che dice Cameron è vero. Il
problema è che Law… non l’ha mai mandata a chiamare.-
Capitolo 5 *** Quando la razionalità sfugge dalle mani.. ***
Ciao
a tutti!!
Eccomi
tornata, scusate se non riesco ad avere un ritmo di pubblicazione che sia anche
lontanamente regolare ma cercate di capirmi, fine quadrimestre…. Beh, spero che
il capitolo vi piaccia!
Per
Gulyuly: sinceramente non so quanti capitoli mi prenderà la storia.. io
credo che non saranno più di una decina..
Per
Nick: posso risponderti,
tanto lo farà anche Greg nel capitolo.. no, non è del personale del PPTH
;)
Citazione
di Dante: Paradiso XVII, 55-75
Ragazzi,
non so più come ringraziarvi per le vostre stupende recensioni!
Un
bacio enorme a: Apple, Briseis, Toru85, Gulyuly,
Ale87, _vally_, Mistral, Mercury259, EriMD,
Aras5, Nick, Artemisia89, Brilu, Aicha,
Dana, Venus, Nike87, The Bride e Nathaniel.
Grazie
mille, vi adorooo!
Buona
Lettura..
Mi
raccomando, recesitee!
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
V:Quando la razionalità
sfugge dalle mani..
“ Ciascuno esamini i propri
pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall’avvenire. Non pensiamo
quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di
predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il presente e il
passato sono i nostri mezzi, solo l’avvenire è il nostro fine.
Così, non viviamo mai ma
speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che
non siamo mai tali.”
Pascal (Pensieri)
Tra i due calò il silenzio, un
silenzio che sarebbe stato freddo, assoluto ed insopportabile se non ci fosse
stato il classico brusio della mensa.
-sta
cercando di dirmi.- House riprese poco dopo, con la voce leggermente roca.- che
quindi l’assassino voleva che fosse proprio Cameron e nessun’altro a trovare il
corpo??-
Smith
sospirò.- l’infermiera ha detto che quest’informazione gli era stata data non da
Law ma da un uomo che ha visto uscire dall’ufficio del dottore. Dopo di lui
nessuno è più entrato in quella stanza prima della dottoressa Cameron.- il
detective fece una piccola, difficile pausa.- certo, magari potrebbe essere solo
una coincidenza.-
-una
coincidenza???- House si scaldò subito, e rispose con una veemenza che stupì il
poliziotto.-come diavolo si può
parlare di una coincidenza?-
Smith
alzò le sopracciglia. Non si aspettava una tale reazione da parte di un uomo
razionale come House. Era davvero.. curioso. – possiamo sempre presupporre che
l’assassino l’abbia fatto solo per guadagnare tempo, per allontanare
l’infermiera, chiedendole di andare da una dottoressa di cui aveva letto il nome
da qualche parte o perfino sul suo stesso cartellino, in ambulatorio o in
qualunque altra circostanza.-
-no.-
House ritrovò la sua razionalità in un batter d’occhio.
Si era
lasciato andare e già non se lo perdonava.
Una
reazione stupida ed ingiustificata. Adesso doveva riprendere le redini di se
stesso e dei suoi ragionamenti o sarebbe scoppiato. –no, è troppo campata per
aria. Immagino che l’infermiera vi abbia detto che quest’uomo aveva un aspetto
comune , che era un tipo qualsiasi, e soprattutto, che lei non conosceva.
–
Smith
annuì, sempre più impressionato.
-gli
sarebbe bastato trovare una stupidissima cazzata per allontanarsi senza dar
sospetti. Avrebbe potuto fermare l’infermiera, dire che si era perso, che voleva
che l’accompagnasse nella hall, poteva inventarsi qualsiasi altra cosa, molto
meno rischiosa.- House si grattò il mento, pensieroso.- così il nostro uomo si è
messo nei casini, non ha trovato un modo per fuggire prima. E lui lo
sa.-
-non
la seguo, dottore.-
Greg
fece una smorfia di seccatura. Questo era quello che odiava di più negli altri:
quando non lo seguivano nei suoi sillogismi.
-
l’assassino sapeva benissimo che così si sarebbe esposto il doppio. Nessun
dottore avrebbe chiesto ad un suo paziente di dare una comunicazione ad
un’infermiera al posto suo. Era una bugia evidente e rischiosa, che avrebbe
insospettito non solo la polizia ma anche l’infermiera stessa. Gli è andata bene
perché quella donna era una sciocca, ma ha corso un grosso
rischio.-
-che
era consapevole di correre, giusto? Quindi lei è sicuro che il coinvolgimento
della dottoressa Cameron sia certo. Dottor House, non le sembra di correreun po’ troppo? Stiamo pur sempre
parlando di un folle omicida, non tutte le cose sono dettata da tanta coerenza e
acutezza.- obbiettò Smith con un leggero sorriso
irrisorio.
House
esibì uno sguardo penetrante.- è incredibile pensare quante volte la pazzia si
accompagni alla genialità…-
Questo
strappò una vera e propria risata al poliziotto che continuò, dicendo.- forse ha
ragione. E non solo sulla pazzia. La sua versione dei fatti è un po’
machiavellica ma al momento è l’unica che possediamo, quindi…- l’uomo buttò uno
sguardo sui piatti di entrambi.- ah, sarà meglio mangiare prima che ci si freddi
tutto..-
House
guardò le sue polpette, quasi disgustato.
Odiava
tornare al mondo concreto, soprattutto quando la cosa lo interessava parecchio.
Azzannò una polpetta con la forchetta e se la portò alla bocca, poi, ancora
masticando disse.- che misure di sicurezza indicherete per la dottoressa
Cameron?- Smith lo guardò, interrogativo.- immagino che ormai il suo
coinvolgimento sia evidente.-
Il
detective sembrò in difficoltà. In seria difficoltà.- nessuna.-disse evitando di proposito di guardare
House negli occhi.
-ok.-
approvò l’uomo, ironicamente.- è meglio che inizi a cercare un nuovo immunologo
, odio i posti vacanti.-
-non
possiamo fare nulla finché non ci sono prove concrete.- la voce di Smith sembrò
irritata.-Finché non abbiamo la
certezza che Allison Cameron sia in pericolo non possiamo metterle qualcuno al
fianco!! È la legge, non ci si può basare su un’ipotesi!-
Greg
provò a ribattere qualcosa ma Smith lo precedette.- per questo non ho voluto
parlare con lei di tutto questo. Per non gettarle addosso allarmismi inutili. Ma
la dottoressa Cameron sa benissimo che ha il dovere di riferirmi qualsiasi cosa
noti di strano..-
House
annuì, silenziosamente. Sapevache
era la prassi e che il detective non poteva farci nulla, avevano le mani legate.
Eppure,
dentro di sé, non riusciva ad accettarlo.
Nell’ufficio
del Dottor Law c’erano ancora i poliziotti.
Aveva
sentito che c’erano novità importanti, che avevano individuato un uomo sospetto,
che avevano iniziato a rivedere tutte le registrazioni delle telecamere
dell’ospedale per identificarlo.Erano dei buoni passi in avanti, finalmente si riusciva ad intravedere
una specie di pista investigativa in tutto quel casino.
Magari
presto quel clima di confusione e agitazione che gravava sull’ospedale già da un
paio di giorni si sarebbe finalmente dissolto..
Avrebbe
dovuto essere felice di tutto questo. Eppure si accorse che non era così.
Passava
in quell’istante davanti all’ufficio del suo ex collega, dell’uomo con cui aveva
lavorato parecchie volte, e l’idea che non ci fosse più perché qualcuno l’aveva
ammazzato.. gli metteva brividi, agitazione e angoscia e basta, non riusciva a
trovare confortante i progressi delle indagini.
Wilson
si sentiva solo svuotato adesso.
Si
fermò davanti alla porta di Thomas Law, osservando l’interno dell’ufficio,
ancora chiuso a chiunque non fosse della polizia scientifica.
Sospirò.
Si
mosse verso il suo ufficio, quando si scontrò con l’unica persona che avrebbe
voluto vedere in quell’istante, l’unica donna che avrebbe capito la sua
tristezza..
-scusa,
Lisa.- disse, impacciato, quando voltandosi improvvisamente si scontrò con la
spalla di lei.
Si
fissarono negli occhi per lunghi attimi, interminabili secondi in cui nessuno
dei due sembrava trovare le parole per interrompere quell’imbarazzante silenzio.
Cuddy era nervosa, agitata e strana quella mattina e in condizioni normali si
sarebbe arrabbiata per quel brusco scontro.
Ma..
Era
lui.
Wilson.
James.
Deglutì
lentamente vedendo i suoi occhi stanchi, lucidi, tristi. Quello che per tutti
era stato solo un fatto di cronaca, non lo era certo stato per lui. Era evidente
che soffrisse, la sua tristezza si leggeva a lettere cubitali nei suoi
dolcissimi occhi marroni.
Anche
Wilson sembrava non saper proprio che dire. Quando aveva incontrato il suo
sguardo era come se avesse perso la facoltà di parola. I suoi occhi, i suoi
bellissimi occhi, quegli occhi così speciali e non solo perché della stessa
glaciale bellezza del cielo d’inverno, ma perché un po’ allungati, grandi,
espressivi.. o semplicemente, perché suoi…. avevano spesso il potere di fargli
commettere cose strane, per lo più insensate, di farlo arrabbiare, ingelosire
addirittura.
Non
poté non pensare all’altra sera e all’auto di quell’uomo. A lei e a
quell’ipotetico lui. E, di nuovo, gli si strinse il cuore.
Passò
davvero un bel po’ prima che Cuddy riordinasse i neuroni e rispondesse, anche se
un po’ titubante.- di niente James-
L’oncologo
esibì un sorriso amaro poi i suoi occhi tornarono a fissare l’ufficio di Law.
–era una brava persona.- disse, con la voce bassa.- ma nessuno se ne curerà più
di tanto. Verrà un nuovo oncologo e dopo qualche giorno sarà dimenticato perfino
dalle infermiere che lavoravano con lui-
Era la
tristissima verità purtroppo e Cuddy non se la sentì di contraddirlo.- è un
grande ospedale.- disse, un po’ esitante.- non si riesce a conoscerci bene
tutti.-
-storie.-
replicò lui, con la voce un po’ rotta.- la verità è che qui regna solo
l’ipocrisia e il menefreghismo. A volte mi domando se House non abbia ragione
con il suo libero disinteresse verso tutti. Almeno lui è sincero.- concluse,
amaramente.
Poi,
scuotendo la testa, capì che si era lasciato andare un po’ troppo.- scusami.-
disse, frettolosamente. Riprese la sua razionalità, scappata chissà dove, e
recuperò un po’ di distinzione.- senti, per quanto riguarda quei documenti,
volevo portarteli l’altra sera ma quando sono passato eri già andata via
e..-
Lisa
non gli diede modo di continuare.
Come
James, anche lei aveva preso di nuovo possesso del suo ruolo, di se stessa.
Riacciuffò la sua severità e il suo tono ritornò il grintoso.- sì, in effetti
sono uscita abbastanza presto ieri sera, avevo da fare.-
Wilson
deglutì a fatica. Sperò che lei si lasciasse sfuggire qualche parola sul
cosa avesse avuto da fare ma non avvenne.
–potresti
portarmeli in ufficio più tardi?- Wilson annuì.- bene.- concluse la donna.- a
dopo.- e sorpassandolo, si avviò verso la fine del corridoio con gli occhi fissi
e i pugni serrati, sconvolta come sempre da quella piccola turbe di emozioni che
da qualche tempo a questa parte l’invadevano quando si trattava di Wilson.
Jimmy
avrebbe voluto voltarsi e guardarla proprio come avviene nei film quando il
protagonista maschile si gira verso di lei, ma la donna continua a camminare,
poi lui si volta ed è la ragazza a voltarsi, senza riuscire a beccare lo sguardo
di lui.
Ma
questo accade nei film.
Qui
non si sarebbe girato proprio nessuno.
Negando
con il capo oltrepassò l’ufficio di Law ed entrò pensoso nella propria
stanza.
Per
una volta Jimmy si sbagliava.
Lisa
si era fermata, poco prima di svoltare l’angolo. L’aveva osservato
silenziosamente entrare nella stanza, nell’assurda speranza che anche lui si
voltasse verso di lei.
Strinse
le labbra e con una strana espressione dipinta in viso, questa volta
definitivamente, riprese a camminare.
Dandosi
incessantemente della stupida.
Di
fuori ormai era buio e Cameron era ancora lì, china sullo schedario, con gli
occhi rossi per lo sforzo di dover leggere continuamente e l’aria distrutta.
Erano quasi le otto e fortunatamente per oggi quell’odiosissima giornata di
lavoro stava giungendo al termine, almeno per lei.
Infatti,
dall’altra parte dell’ufficio, Foreman e Chase stavano ancora discutendo nel
nuovo caso. Foreman era in piedi, accanto alla lavagnetta, con la sua solita
aria onnisciente, pennarello in mano, parlava gesticolando rivolto verso Chase
che, sguardo perso e fronte accigliata, lo osservava passivo limitandosi a
qualche cenno con il capo.
Allison
non poté fare a meno di sorridere leggermente.
Voleva
molto bene ad entrambi ormai.
Sì,
c’erano stati momentacci, antipatie ma… poi aveva avuto l’occasione di
avvicinarsi a tutti e due. Ok, magari con Chase si era avvicinata un po’ troppo…
ma in linea generale il rapporto che aveva instaurato con entrambi non le
dispiaceva, era .. profondo.. sotto la dura scorza della professionalità, lei lo
sapeva.
Anche
se Chase e Foreman lo avrebbero negato lei sentiva la chimica che si era
creata...
Ora li
conosceva bene, certo non benissimo sul piano personale ma poteva dire di
conoscere bene le loro abitudini, le loro espressioni quotidiane.
Si
rese conto che a questo punto tutto questo faceva parte della sua
vita:l’espressione accigliata di Eric o quella un po’ persa di Robert.. le
battute, i sorrisi, le diagnosi fatte insieme, le puntuali smentite da una parte
o dall’altra, i cenni d’assenso quando House ne sparava una delle sue .. i
sorrisi complici che si scambiavano quando teoricamente non avrebbero dovuto
ridere ad una battuta del loro capo, ma in pratica l’impulso era più
forte..
Tutto
faceva parte di lei, ormai.
Avrebbe
pagato perché tutto rimasse proprio così.
Certo,
magari non proprio tutto, aggiunse infine con un sorriso amaro, mentre
s’apprestava ad uscire.
Per
esempio con House. Qui valeva il principio contrario. Quanto avrebbe voluto che
la situazione cambiasse.
E non
per forza in meglio.
Ma
doveva cambiare, questo era l’importante.
Se
c’era una cosa che la spaventava era il pensiero di svegliarsi una mattina tra
due anni o, che ne so, tre, quattro, e rendersi conto che tutto è rimasto
esattamente uguale, esattamente statico, com’ è ora.
Non
l’avrebbe sopportato.
Sospirando
uscì dalla stanza attraversando l’altro studio.- ragazzi, io vado a casa- li
salutò con un tono un po’ piatto.
-beata
te.- commentò Eric, freddo.- sai per caso dove sia finito House?-
La
ragazza si limitò ad alzare le spalle, incassando lo sguardo irritato del
collega. Notò il quadro dei sintomi scritti sulla lavagnetta. Ai dolori
addominali e alla cefalea si era adesso aggiunta la deformazione di una valvola
del cuore.
Poi,
sul lato, notò un qualcosa di strano.. un.. beh, si sembrava proprio un
ideogramma cinese o qualcosa del genere.- e quello che..-
-è
opera di House.- rispose Chase irritato almeno quanto Foreman.- a quanto pare
invece di lavorare si diverte a fare i disegnini sulla
lavagna.-
-io
credo che vi abbia scritto la soluzione.- azzardò la donna con un sorriso che
cercava di non apparire divertito come era in realtà.
Robert
rise, nervoso.- stai scherzando? Se aveva la diagnosi perché non ce l’avrebbe
detta?-
-per
divertirsi, è ovvio.- commentò Eric, arrabbiato.- ma questa volta sbatte male.
Anche se fosse uno dei suoi stupidi test, una prova, un gioco non mi interessa,
qui stiamo mettendo a rischio la vita di una persona e non intendo stare al suo
gioco ancora per molto!- fece una piccola pausa.- io vado dalla Cuddy.-
Sorpassò
velocemente Cameron per dirigersi verso l’uscita ma questa lo bloccò,
prendendolo dolcemente per un braccio.- aspetta.- disse, sottovoce,
guadagnandosi gli sguardi risentiti dei due uomini.- prova con una
arteriografia.- suggerì.
Eric
aggrottò la fronte.- Cameron se stai cercando di proteggerlo di
nuovo..-
-no.-
Allison lo bloccò di nuovo. Non lo stava facendo per House.
O
meglio, non lo stava facendo solo per House.
Era un
periodo difficile, erano già tutti così nervosi, non voleva che si aggiungesse
tensione a tensione.
Prese
un po’ di fiato prima di dire. –è la sindrome di Marfan.-
Il
neurologo l’osservò, concitato, tra il meravigliato e l’indeciso mentre lei
proseguì dicendo: - sicuramente si è verificata la rottura di un’aorta
addominale, il che giustifica i dolori, e di una al cervello, che spiega la
cefalea. Se è sindrome di Marfan si spigherebbe come mai due aneurismi in
contemporanea e perché il cuore presenta una deformazione.-
-tu..-
Chase iniziò, un po’ incredulo.- conosci il mandarino?-
-no.-
la voce di Foreman rispose per lei.- ma conosce la diagnosi.- la fissò
intensamente, sbalordito e irritato.- ottimo lavoro.- era uno sguardo quasi di
sfida, e lei se ne accorse subito.
Allison
non seppe cosa dire. Si limitò a sorridergli leggermente, annuì, poi,
salutandoli di nuovo uscì velocemente dall’ufficio, seguita dallo sguardo
tutt’altro che benevolo di Foreman.
Si
sentì davvero una cretina. Cretina e stupida come ogni volta che si accorgeva di
aver sognato e basta.
Fino a
pochi secondi prima si era sentita a casa con loro. E aveva immaginato che sotto
la professionalità, anche per loro fosse così.
Com’era
difficile ammettere che ancora una volta si era sbagliata.
La
silhouette di Cameron che camminava nel parcheggio verso la propria auto era
fissata dai due dottori, appoggiati alla balaustra del piccolo terrazzo che
accompagnava l’ufficio di James. L’oncologo l’indicò con il capo, mentre faceva
un sorso dal piccolo bicchiere di liquore che reggeva in mano.
I suoi
occhi castani si voltarono istintivamente verso House che teneva lo sguardo su
di lei.
-è
assurdo.- commentò Wilson facendo l’ultimo sorso dal bicchiere.- che diavolo
c’entra Cameron in tutto questo?-
-bella
domanda.- commentò Greg alzando il bicchiere a mo’ di brindisi e portandoselo
alle labbra.- spero solo di non doverlo scoprire quando avrà già un cartellino
attaccato all’alluce destro.-
James
fece un piccolo, amaro sorriso.- idiota.- rispose, poi, dopo una piccola pausa.-
e poi, perché credi che debba esserci un’altra vittima? Non potrebbe essere una
resa dei conti tra l’assassino, Park e Law?-
Lo
sguardo di House era ancora puntato su di lei che saliva sulla sua auto e che
adesso si allontanava dal complesso ospedaliero.- Primo morto:Inferno. Secondo
morto: Purgatorio.-
-credi
che dato che la divina commedia ha un’altra cantica, debba esserci una terza
vittima?-
-non
ha scelto Dante a caso.- gli occhi blu di House fissarono intensamente l’amico
adesso.- c’è un piccolo filo conduttore in tutto questo. Che lega Park, Law e
Cameron.-
Wilson
alzò le spalle.- sì. Può darsi.- ammise.- ma ci penserà la polizia, non ti pare?
non ti basta combattere contro i virus, adesso vuoi prendertela anche con gli
assassini!-
House
sorrise.- Smith è un idiota.-
-ci
sono novità?-
Greg
sorrise amaramente.- figurati. Hanno esaminato i video con le registrazioni ma
il nostro uomo è molto furbo. Si è fatto riprendere sempre, costantemente, di
spalle.-
Wilson
sorrise, meravigliato.- è in gamba. Io scommetto in qualcuno
dell’ospedale.-
House
fece una piccola smorfia.- no.- disse quindi.- è troppo lucido per essere uno di
qui. E poi l’infermiera ha detto di non averlo mai visto.- sospirò.- è un
disperato. Un patetico forsennato che ha subito un torto da Law e Park e dopo la
disperazione è passato all’azione.-
-questo
esclude Cameron, però.- commentò Jimmy.- non mi risulta che lei sia capace di
fare volontariamente del male a qualcuno.- disse, sospirando.- ma credo che la
polizia sa del suo ipotetico coinvolgimento e Allison possa stare
tranquilla..-
-figurati.-
House rise amaramente.- non hanno prove sufficienti.- il suo tono divenne
improvvisamente irato.- quegli idioti non muoveranno un dito per proteggerla.-
James
si voltò di scatto verso di lui, incredulo d’aver sentito bene. Ed House, da
parte sua, si maledì di nuovo perché si era lasciato andare troppo, ancora una
volta.
Jimmy
rise.–beh, ci penserai tu, no? L’impavido cavaliere che protegge la dolcissima
dama dalle grinfie di un cattivissimo assassino.-
House
sembrò pensarci su.- niente male, buona idea.- alzò il bastone.- ho anche la
lancia.-
-appunto.-
annuì James ridendo.- è perfetto.-
-a
parte un particolare.- continuò il diagnosta fissando l’amico, impaziente che
continuasse.- non me ne frega proprio niente.-
L’oncologo
rise, divertito e incredulo insieme.- avanti, Greg! Non posso crederci! Ancora
ti ostini a dire che provi assoluta indifferenza per Cameron? Stai diventando
monotono. E anche patetico.- concluse con un notevole accento di serietà nella
voce.
House
lo fissò intensamente negli occhi, sorridendo leggermente.
Wilson
continuò.- anche il tuo attaccamento morboso a questo caso, lo dimostra, no?
vuoi scoprirlo a tutti i costi perché lei potrebbe essere in
pericolo-
Greg
distolse lo sguardo, sospirando leggermente. Perché tutti erano così sicuri di
quello che provava, e lui invece non ci capiva niente
invece?
-ti
senti particolarmente filosofo, oggi.- deviò come era costretto a fare ogni
volta. Era squallido e, aveva ragione Jimmy, anche patetico, ma non poteva farne
a meno. Gli facevapaura tutto
questo. Gli faceva paura lei.
Lei e
ciò che rappresentava. Non poteva negarlo, Cameron lo preoccupava. Era in ansia
per lei, il cuo coinvolgimento in tutto questo lo faceva stare inquieto,
instabile.. il pensiero che lei fosse legata all’assassino.. lo mandava fuori di
testa, era più forte di lui..
Calma
Greg, calma.
Sospirò
e riprese il controllo di sé per l’ennesima volta.
Ma
constatò che era ogni volta più difficile. Il suo ES veniva fuori sempre più
spesso.
Continuò:
–d’altra parte sei sempre così avvezzo ad indagare sui miei problemi quando
pensare ai tuoi è troppo doloroso.- lo sguardo di Jimmy parlò per lui.- anch’io
mi sento parecchio filosofo oggi.- disse Greg con un moto d’ottimismo.- e se
elucubrassimo davanti al pollo arrosto che ti ha portato tua
madre?-
L’oncologo
aggrottò la fronte.- e a te chi te l’ha detto che mia madre mi ha portato un
pollo arrosto?-
Allison
giunse a casa sue una manciata di minuti dopo. Parcheggiò e in un baleno e,
rabbrividendo per il freddo, fu finalmente dentro il suo condominio. Prese le
scale quindi percorse i corridoio color crema che l’avrebbe portata a casa sua.
Inserì
le chiavi nella serratura del portone e, tirando un sospiro di sollievo, poté
finalmente dire che anche quella giornataccia era passata. Appoggiò stancamente
la borsetta al divano e si sfilò il cappotto, ancora godendo del buio della sua
casa. Accese quindi la luce ma in un primo momento non si accorse di nulla.
La sua
casa sembrava quella di sempre, avvolta dal silenzio, da quello squallido,
rumosissimo niente che la faceva apparire sempre così uguale, talmente.. vuota
che ogni volta che ne varcava la soglia le veniva quasi da piangere.
Non si
accorse di nulla finché, sospirando, non si recò in cucina per cercare
d’imbastire qualcosa che somigliasse anche vagamente ad una cena.
Arrivò
lì e con grande stupore vide una rosa appoggiata sul tavolo.
Era
una rosa rossa ed era lì, sul tavolo della sua cucina.
La
mattina prima non c’era. Lei non ce l’aveva messa e dato che viveva sola
nessun’altro aveva potuto farlo.
-ma
che diavolo..- sussurrò, osservando il fiore, senza avere il coraggio di
toccarlo.
Alzò
gli occhi e vide che, oltre il suo tavolo, vicino alla porta a muro, c’erano
altri petali. Guidata da uno strano istinto ma anche da un brutto presentimento,
la ragazza seguì la piccola scia, aprì la porta che l’avrebbe condotta nel suo
reparto notte.
Lì era
ancora molto buio e lei, quasi tremando, accese l’interruttore.
Niente.
Sembrava
tutto al suo posto, ad una prima occhiata.
Eppure
se ci pensava bene, vedeva benissimo che era stato toccato tutto.
Il
quadro era leggermente spostato, il tappeto un po’ storto e quel piccolo
elefantino d’avorio, ne era sicura, aveva proboscide voltata di là, non verso
sinistra, come adesso.
Sospirò
impercettibilmente, imponendosi di non pensare nulla, di non autosuggestionarsi.
Percorse il corridoio, ormai ben conscia che non avrebbe potuto chiudere occhio
se non si fosse accertata che tutto era come doveva essere: vuoto. Che non ci
fosse nessuno.
Con
una lentezza quasi disarmante Cameron entrò in camera sua spingendone a stento
la porta, scattando subito in cerca dell’interruttore.
E poi,
tutto quello che non avrebbe mai voluto vedere.
La sua
stanza era completamente a soqquadro, il letto sfasciato, i cuscini fatti a
pezzi con una ferocia incredibile dato che tutte le piume erano volate per la
stanza, condita anche da centinaia di petali di rosa. I suoi libri sparsi per il
pavimento, i suoi armadi completamente svuotati dei suoi indumenti che giacevano
lì, in mezzo, davanti ai suoi piedi.
Con
orrore i suoi occhi viaggiarono oltre, sullo specchio distrutto, il quadro, il
bellissimo ritratto che le aveva fatto suo padre quand’era bambina,
completamente sfregiato.
Allison
soffocò un singhiozzo, anche se avrebbe tanto voluto gridare non appena i suoi
occhi verdi lucidi di lacrime di terrore incontrarono il muro della sua stanza.
Neppure quello era stato risparmiato.
Con
una vernice c’era stata scritta una frase. Cameron deglutì a fatica, quindi
lesse mentalmente scorrendo con gli occhi, incredula.
Tu
lascerai ogne cosa diletta
E quel
che più ti graverà le spalle
Sarà
la compagnia malvagia e scempia
con la
qual tu cadrai in questa valle
Era
terrorizzata, impaurita, completamente immobile davanti allo scempio che avevano
fatto della sua camera eppure una parte di lei s’impose di non perdere la testa,
di non lasciarsi sfuggire la sua tanto cara razionalità. Ricollegò subito la
frase a Law, a Park, riconobbe la stessa mano folle, le stesse intenzioni
omicide. Si guardò freneticamente intorno, pensò che lui avrebbe potuto essere
ancora lì, nella sua casa, pensò che forse l’aveva aspettata, aveva atteso che
scoprisse tutto questo per poi..
Non
volle nemmeno finire il pensiero, corse solamente a ritroso per il corridoio,
poi la cucina, con il cuore in gola e ancora incapace di accettare tutto quello
che le stava accadendo.
Non
riuscì nemmeno a capire come , ma afferrò le chiavi prima di scaraventarsi,
correndo, per il corridoio, poi le scale, senza avere ancora la forza di
piangere, pensare, ragionare..
Uscì
finalmente dal suo odioso condominio e si gettò verso la sua auto. La raggiunse
ma non riuscì subito ad infilare le chiavi nella serratura, il mazzo le scivolò
dalle mani due volte , poi non centrava la serratura perché continuava
continuamente a tremare.. riuscì finalmente a entrare e una volta all’interno
chiuse freneticamente la sicura.
S’impose
qualche secondo di pausa. Ansimava dal terrore e il fiato che usciva dalla sua
bocca si condensava nell’aria . Non aveva preso il cappotto ma non aveva freddo
in questo momento. Il cuore le batteva ancora prepotentemente in testa e la
rendeva totalmente incapace di pensare.
Si
passò una mano sugli occhi poi, sospirando, capì che non ce la faceva, che non
riusciva a ragionare, che l’unica cosa che voleva veramente era scappare da lì,
fuggire… già, ma dove? Non ci pensò subito, prima di tutto mise in moto, uscì
dal parcheggio e sfrecciò via, nel buio di quell’assurda serata, senza una meta,
senza pensieri.
Svuotata
da tutto, confusa.. aveva bisogno di qualcuno, di parlare, di urlare, di
sfogarsi.
Ma
da.. chi? Lei non aveva nessuno.
In
quel momento prese davvero consapevolezza della sua solitudine.
Non
aveva nessuno.
Nessuno.
Poi,
nella sua mente confusa s’affacciò un volto, un nome, una speranza. Imboccò la
strada che l’avrebbe portata da lui e senza stare troppo a pensare a quello che
avrebbero detto o fatto, si ritrovò, pochi minuti dopo, sotto casa sua, sotto
l’abitazione dell’unica persona che avrebbe potuto veramente fare qualcosa per
lei.
Parcheggiò
ed entrò per il portone verde, sempre un po’ socchiuso.
Non
fece nemmeno caso che lì, nel parcheggio davanti casa sua, la sua moto arancione
non c’era.
Inspirando
ancora a fatica, con addosso solamente un maglioncino e un paio di pantaloni
neri, suonò al suo appartamento, con le lacrime agli
occhi.
Aveva
bisogno di lui.
*Apri,
Greg* pensò, mentre attendeva con impazienza di udire una voce dall’altra parte
dell’uscio. Anche qualcosa di sgarbato, non importava. Ma voleva sentire la sua
voce.
Niente.
Suonò
di nuovo, ma il risultato fu di nuovo il medesimo.
Cameron
battè forte sull’uscio con la mano aperta, dicendo, con la voce un po’ roca.-
House sono Cameron.. apri, è urgente!!-
I suoi
sospiri divennero gemiti di pura angoscia, quando constatò che l’uomo non
accennava ad aprire.- HOUSE!- gridò di nuovo, senza riuscire ad impedire che i
singhiozzi la sopraffacessero del tutto.
Ormai
il viso era rigato dalle sue lacrime che calde le solcavano la tenera pelle.-
House..-
sussurrò, constatando che evidentemente l’uomo non era in casa. Si
asciugò le guance con il palmo della mano, tirò su con il naso, poi, distrutta,
tornò mesta nella propria auto.
Non
sapeva dove andare, cosa fare, che cosa pensare.
Capitolo 6 *** E il tuo cuore annega nell'orrore ***
Lacrime di Follia
Ciao
a tuttiii!! Eccomi tornata.. mi scuso se non ho recensito in questi giorni le
bellissime storie che stanno pubblicando ora sul web ma purtroppo ho avuto
l’influenza e la febbre molto alta in questi giorni e il computer è stato un po’
off limits per me.. comunque ho trovato il tempo di scrivere un altro capitolo..
non appena ho visto House in tv mi sono praticamente fiondata in camera! Che
bella puntata quella di venerdì.. (e che bella la scena finale^^!!!) ok, finito
lo sfogo cottoncandy, riprendiamo con la storia..
È
un capitolo direi importante perché segna una svolta anche se le risposte vere e
proprie arriveranno dal prossimo..che dire, leggetelo e fatemi sapere che ve n’è
parso!!
Grazie
mille a: _vally_, Mistral, Toru85, Damagedlove,
Apple, Giuxxx, SHY, Hamburger (non preoccuparti per
il lapsus, non fa nulla!!), Pinacchia, irene!!, Marty Mix,
Vevy93, Brieseis, Dana, Nick, Ara5,
Niniel, Mercury259 e Amarantab.
Grazie
ragazzi per il vostro appoggio, non immaginate nemmeno quanto sia prezioso..
continuate a farmi sapere cosa ne pensate!
Dediche:
vorrei dedicare questo capitolo a Rue Meridian, Kate R ed
Amarantab, un modo..(forse lo giudicherete un po’ stupido..) per complimentarvi con voi per le vostre
storie.. come ho detto non ho potuto recensirle ma le ho seguite e mi sono
piaciute moltissimo!!!
Citazioni:
il titolo è un verso di “Madrigale triste” di Baudelaire..
Buona
Lettura,
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
VI:E il tuo cuore annega
nell’orrore
Avremo letti pieni di leggeri odori
Divani
profondi come tombe
Fiori
strani sulle mensole
Aperti
per noi sotto i più bei cieli
I
nostri cuori saranno due gran fiaccole
Nello
sprazzo a gara degli ultimi ardori
Come
rifletteranno i loro doppi splendori
Negli
specchi gemelli delle nostre anime!
Una
sera fatta di rosa e di mistico azzurro
Ci
scambieremo un unico lampo
Come
un unico singhiozzo carico d’addii
Un
Angelo più tardi schiuderà le porte
E
verrà a rianimare, fedele e gioioso,
gli
specchi offuscati e le fiamme morte
Baudelaire.
(La morte degli amanti.)
Erano le sette e mezzo quando Greg House varcava le porte
del Princenton Plaisboro, quella mattina. Cameron il giorno prima gli aveva
fatto una bella lavata di capo ma non era certo per quello che lui si presentava
puntualmente quel giorno. Anzi, nemmeno puntuale, proprio in anticipo. E un
anticipo immotivato dato che non avevano casi particolari, né doveva occuparsi
di scadenze improrogabili.
Niente.
Semplicemente, non ne poteva più di starsene a dormire sul
divano di Jimmy.
La sera prima, a casa sua, dopo il buonissimo pollo arrosto
e un miliardo di chiacchiere inutili, dopo aver deciso di lasciar fuori dalla
porte i problemi dell’inesistente vita sentimentale di Greg e di quella di
Jimmy, avevano avuto la bella idea di aprire un whisky nuovo di zecca che era
stato regalato al padrone di casa per Natale. Anzi, Greg aveva avuto l’idea.
Poi, sempre per idea sua, avevano chiamato al loro ‘party’ anche due vicini di
casa di Wilson, avevano organizzato un piccolo poker e alla fine si erano
ritrovati tutti e quattro ubriachi marci.
Lui e Wilson si erano ubriacati come due adolescenti, due
ragazzini del liceo che inebetiti dai problemi scolastici e da inconfessabili
turbi amorose avevano affondato la loro insofferenza nell’alcool.
Erano le tre quando House aveva aiutato Jimmy a sbattere
fuori casa i due vicini completamente andati e le tre e mezzo quando Wilson
aveva , da bravo dottore, decretato che un uomo che non riusciva nemmeno a
prendere il bastone perché ne vedeva tre al posto di uno, fosse incapace di
guidare una moto e per evitare di ritrovare House all’obitorio, il giorno dopo,
invece che a diagnostica, lo aveva obbligato a rimanere.
Greg aveva protestato ribadendo che il suo divano era
quanto c’è di più scomodo al mondo.
Wilson non aveva voluto sentire ragioni e per essere ancora
più convincente era passato a parlare il linguaggio che un ‘manipolatore
bastardo’ come House conosceva bene: quello del ricatto.
“ok. Esci da questa casa e non ti prescrivo Vicodin per un
anno.”
Greg aveva fatto un centinaio di smorfie e di battutacce.
“Jimmy ti amo anch’io, ma adesso farmi tornare a casa.. non mi sento ancora
pronto per una convivenza, non credi che stiamo correndo un po’ troppo?”
“due anni.”
“se sei così geloso e credi che strada facendo incontri un
oncologo più carino di te, perché non mi accompagni tu di persona?”
Ma Jimmy era stato irremovibile. “tre.”
E House non aveva avuto una gran forza di ribattere. Si era
alzato e si era pesantemente addormentato sullo scomodissimo divano di James
Wilson.
Ma non per tutta la notte. Alle sei e mezzo l’allucinante
mal di schiena che sapeva l’avrebbe colto, l’aveva fatto svegliare e, senza
nemmeno dirlo, non era più riuscito a chiudere occhio.
Così, dopo un’oretta, aveva deciso che si sarebbe recato in
ufficio. Almeno lì si sarebbe rilassato, a quell’ora l’ospedale era ancora
pressoché silenzioso e la sua equipe non sarebbe stata ancora presente, ne era
sicuro.
Per questo, bastone e occhiali da sole, varcava la soglia
del suo ufficio, con lo zaino a tracolla e l’aria di un uomo che ha passato una
gran bella nottata avvincente.
Ma gli occhiali per poco non gli sfuggirono dal naso quando
si accorse che l’ufficio non era silenzioso e deserto come l’aveva sognato.
Qualcuno dormiva beatamente sulla poltrona della sua
scrivania.
E quel qualcuno era Cameron.
Si abbassò perfino gli occhiali da sole per essere sicuro
che vedesse bene e.. no, non sbagliava era proprio lei. Dormiva, accasciata
sulla poltrona, scomposta, i capelli scompigliati, lo sguardo apparentemente
beato.. aggrottò la fronte, mentre mille domande s’affollavano nella sua mente.
Innanzitutto: che diavolo facevalì? L’avevano vista, lui e Wilson, andare via l’altra sera, per quale
dannato motivo era tornata?
E che nessuno gli venisse a dire che magari era venuta al
lavoro presto e si era addormentata! Quello non era un pisolino di una persona
un po’ stanca, quello era proprio un sonno profondo, di quelli che si fanno tra
le lenzuola, non sulle poltrone degli altri!
E poi, altro particolare per nulla irrilevante: era vestita
esattamente come la sera prima.
E questo non era davvero da Cameron. Con un sorriso
divertito decise che il modo migliore per avere tutte quelle risposte era
chiederle a lei di persona.
Quindi non si fece molti scrupoli a dare una bella pacca
con il bastone sulla scrivania, così forte che la fece svegliare di soprassalto.
Non appena la vide così sconvolta però si pentì leggermente del suo poco tatto.
“sorgi e brilla bella addormentata!” esclamò in risposta al suo sguardo
interrogativo.
Allison si passò una mano sugli occhi, si spostò la
frangetta dalle fronte e, faticando ancora a trovare qualcosa da dire, si
ricompose, sedendosi in maniera corretta. “ma che ore sono..” disse quindi, con
la voce un po’ impastata e l’aspetto confuso.
“le sette e mezzo. – piccola pausa.- no, niente cinque
minuti. In piedi!”
“si lo so.- rispose lei, un po’ acida.- questa è la tua
poltrona..” bofonchiò, mentre si alzava dalla sedia.
House sorrise. “esatto. E per averne abusato fino adesso ti
tocca la penitenza: devi rispondere a tutto quello che ti chiederò giurando di
dire la verità, solo la verità, nient’altro che la verità.- la guardò, ridendo.-
dite ‘lo giuro’ ”
Cameron negò con il capo. “tu non puoi smettere di fare
l’idiota nemmeno per cinque minuti, vero?” l’amarezza per la sua travagliata
nottata non tardò a farsi sentire. Notò gli occhiali da sole del suo capo.
“notte brava?”
E lui notò la stanchezza del suo viso. “come la tua, credo.
Ma dalla tua espressione immagino che questa volta Chase non si sia dato da fare
al massimo di sé, eh?”
Allison corrugò i lati della bocca. Di nuovo, come
parecchio tempo da questa parte, decise di rispondere con una battuta. “e la tua
prostituta del venerdì sera? Fammi indovinare : ha voluto i soldi, ti ha
riempito d’alcool e ti ha lasciato tutto solo a dormire sul divano?”
Questo gli strappò un sorriso. “carina questa.”
“grazie.- rispose Ally, un po’ tagliente.- a forza di stare
con lo zoppo s’impara a zoppicare.”
“ehi, non ti pare di stare esagerando con tutti questi
doppi sensi? Mi hai offeso!”
Lei scrollò le spalle. “era un proverbio. Non l’ho
inventato io.”
House le sorrise di nuovo, fissandola intensamente. Vide un
problema, infondo ai suoi occhi blu. “Chase a parte.- continuò.- Perché dormivi
sulla mia poltrona?Il tuo lettino
non era abbastanza confortevole?”
Le immagini disastrate della sua camera da letto le
ripiombarono davanti agli occhi con una violenza che non immaginava neppure.
Distolse lo sguardo, sperando di riuscire a celare le forti emozioni che
provava. Ma come si poteva nascondere un turbamento così forte ad House?
Non riusciva nemmeno ad inventare una balla decente. Si
chiese perché avesse il bisogno di mentirgli adesso, mentre appena qualche ora
prima aveva avuto bisogno che lui sapesse tutto.
Non aveva risposte. “niente.- disse, con la voce incerta.-
niente che ti riguardi.”
Cercò di passare oltre ma Greg le bloccò il passaggio con
il bastone. “obiezione vostro onore. L’imputato ha giurato di dire il vero, e
questo è il falso. ”
“io non ho giurato proprio niente.- ribatté lei,
debolmente.- e adesso lasciami andare..”
Abbassò l’ostacolo del bastone e passò oltre ma Greg la
fermò di nuovo, questa volta con la sola voce. “che cos’è successo,
Cameron?”
Si leggeva quasi la
preoccupazione nella sua voce.
I suoi occhi verdazzurro si posizionarono in quelli di Greg
che la fissava intensamente, qualche centimetro più su di lei. House si rese
conto solo ora che non era per una sciocchezza che lei era lì. Si accorse solo
adesso della pelle lucida, sotto gli occhi, come se avesse pianto, e
dell’espressione non solo stanca ma sconvolta.
Capì che era successo qualcosa e qualcosa di grave.
Allison si perse nei suoi occhi. Aprì la bocca per dire
qualcosa.
L’improvviso bussare alla porta interruppe tutto quanto.
Greg sospirò, distogliendo lo sguardo, Allison si asciugò
gli occhi e si sistemò i capelli, nervosamente. Cameron non fece nemmeno caso a
Cuddy che, entrata nell’ufficio, aveva iniziato a spiegare loro che avevano un
nuovo caso e a complimentarsi sarcasticamente con Greg per la sua strana
puntualità.
Scavalcò Gregory e poi Cuddy, fissando il pavimento, senza
vedere nessuno, oltre se stessa e il suo dolore.
Lisa l’osservò uscire dal suo ufficio. “ma che cos’ha?”
chiese, un po’ infastidita dal suo comportamento.
“Non lo so.- rispose House, pensierosamente.- non lo
so.”
Erano le dieci e mezzo ed Eric Foreman beveva dalla sua
tazza di caffè, mentre i suoi occhi neri osservavano la lista dei sintomi che
presentava la loro nuova paziente, scritta in bella vista sulla lavagnetta.
Accanto a lui, Chase era appoggiato al tavolo dell’ufficio,
con il mento tra le mani, e gli occhi puntati su House che se ne stava
beatamente accanto alla lavagnetta a fissare ciò che aveva appena scritto.
Cameron era tra loro. Ma solo fisicamente. Dopo quel
piccolo momento con House in cui era quasi riuscita ad aprirsi, adesso si era
chiusa a riccio, senza saperne nemmeno il motivo. Avrebbe dovuto andare da
Smith, avrebbe dovuto dire a qualcuno quello che le era accaduto.. avrebbe
dovuto.. i suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da uno strano
colpetto sul capo.
Si risvegliò immediatamente e scoprì House accanto sé.
“toc toc. C’è nessuno??”
La giovane immunologa arrossì vistosamente rispondendo
frettolosamente. “ehm sì, io..”
“Datti una svegliata.- l’ammonì il suo capo, molto più
rudemente di poco prima.- o ti mando a fare le mie ore di clinica arretrate di
un anno!”
Allison annuì, imbarazzata.
“allora..- continuò Greg.- nessuna idea per questa tizia?-
si voltò verso la sua equipe.- bene, nemmeno io. Mandiamola a casa”
“i suoi sintomi non sono specifici.- finalmente intervenì
Chase… con un intervento che forse avrebbe meritato di essere soppresso nel
silenzio di poco prima.- insomma voglio dire.. febbre e dolori addominali..
potrebbe essere di tutto!”
House finse di pensarci su. “complimenti per l’acume. Io
non ci avrei mai pensato.”
Foreman osservò un istante Allison, accanto a lui, notando
con un certo sconforto che si era di nuovo rifugiata nei suoi problemi. La
scosse leggermente prendendola per un polso. “ma che cos’hai?” disse sottovoce,
mentre House e Chase intanto bisticciavano tra di loro.
Allison alzò lo sguardo verso il collega. Non seppe dove ma
trovò la forza di sorridergli il più tranquillamente possibile. “niente. Sto
bene.”
“ehi voi due!- Greg li richiamò subito dopo.- non avete
sentito?? Io e Chase stiamo facendo un gioco. S’intitola: diagnosi
differenziale. Non è difficile, dovete solo guardare i sintomi e cercare nel
vostro cervelletto qualcosa a cui potrebbe corrispondere.- Foreman stava per
dire qualcosa ma Greg l’interruppe prima.-chi arriva per primo ad una diagnosi lo viene a dire a me, ok? Poi se è
giusta vince un premio… se invece la paziente muore..” lasciò cadere la frase
con evidente noncuranza.
Scrollò le spalle. “allora, siete ancora qui? Non voglio
ipotesi idiote, filate a farle qualche decina di test!”
I tre paperotti si alzarono uno dopo l’altro e s’avviarono
all’uscita.
L’ultima a farlo fu Cameron. Arrivò alla soglia ma si fermò
prima. Pensò che quello era il momento giusto per parlarne ad House.
Si voltò verso di lui e lo vide intento a giocare con lo
yo-yo, voltato verso la lavagnetta.
Avrebbe potuto chiamarlo, lui si sarebbe voltato. E
l’avrebbe ascoltata.
Ma all’ultimo momento le mancarono le parole.
E il coraggio.
James usciva da una stanza di clinica dove era stato
chiamato per un consulto e, passando per la hall, si dirigeva di nuovo verso il
piano di oncologia. Si sentiva piuttosto stanco ma non poteva dare la colpa a
nessuno se non a se stesso e a quando aveva accettato la proposta di Greg di
quella dannatissima serata in cui aveva rifilato all’amico un po’ troppi ‘si’.
Il primo era stato il meno pericoloso e il più piacevole: una cena tra amici non
era una prospettiva così disastrosa e stare con Greg lo divertiva.
Il secondo era stato quando Greg gli aveva chiesto di
aprire lo whisky.
E il terzo, il più disastroso, era stato quando House aveva
pensato di fare un piccolo poker con i suoi vicini.
Cena. Whisky. Poker.
Una climax disastrosa.
E adesso, il giorno dopo, si ritrovava con un mal di testa
allucinante, talmente forte che aveva dovuto prendere un paio di pillole per
essere in sesto ed assicurarsi di essere in grado di svolgere il proprio lavoro.
Aveva visto House un paio d’ore fa. Alla faccia del
bastardo che sembrava avesse bevuto camomilla invece whisky! Greg non sembrava
avere i postumi di una sbornia, anzi, appariva quasi più acuto degli altri
giorni.
Immerso nei suoi pensieri e nel suo mal di testa, si
scontrò con qualcuno, proprio in mezzo alla hall.
“oh mi scusi.” Fu l’altro a scusarsi, immediatamente.
Wilson rispose, con poca convinzione. “No, scusi lei.” diede una rapida occhiata
all’uomo con cui si era scontrato, poi, con un sorriso di circostanza, fece per
avviarsi verso l’ascensore quando fu proprio quest’ultimo a richiamarlo.
“ehm, mi scusi?”
James si bloccò e con un lieve disappunto si voltò verso di
lui. “sì?”
“mi dispiace disturbarla… ma.. sa per caso dove si trova
l’ufficio della dottoressa Cuddy?”
Questa domanda lo interessò. Jimmy osservò bene il suo
interlocutore. Era un distinto uomo sui quarant’anni, alto, brizzolato, un tipo
affascinante ed estremamente elegante.. e gentile, anche. Forse troppo. Aveva
detto tre ‘mi scusi’in due
battute. House avrebbe detto subito che era un ipocrita, pomposo e viscido
leccac…
Lui odiava la superficialità di House. Ma questa volta non
avrebbe sbagliato.
“.. – fece una piccola pausa prima di rispondere, dicendo.-
.. e lei chi è, scusi?”
Non avrebbe dovuto chiederglielo, infondo avrebbe potuto
essere chiunque. Ma qualcosa gli diceva che quello strano bellimbusto era
collegato con l’altra sera e con ciò che la Cuddy aveva avuto da fare.
Era solo una sensazione, ok. Ma una sensazione fortissima.
L’uomo sembrò spaesato. Stette per parlare ma Jimmy lo
anticipò, trovando in tempo una scusa per spiegare la sua insensata domanda. “è
che non sembra un dipendente dell’ospedale.”
“infatti non lo sono.- ammise l’uomo con un sorriso
naturale.- cerco la dottoressa per una questione.. personale, diciamo.- concluse
e Jimmy credettedi leggervi un
certo sadismo nella voce. Sperò di sbagliarsi.- mi sa dire dov’è il suo
ufficio?”
Wilson, a malincuore, glielo indicò. L’uomo ringraziò, di
nuovo, e si avviò come James gli aveva indicato, con un passo tranquillo e
sicuro.
Gli occhi dell’oncologo lo seguirono per qualche
tratto.
Poi, sbuffando, si diresse verso l’ascensore dove sarebbe
dovuto entrare già da una decina di minuti.
Con il mal di testa, fatalmente triplicato.
Smith svoltava in quegli istante, imboccando la strada che
l’avrebbe presto portato al Princenton Plaisboro Teaching Hospital. Il cellulare
squillò improvvisamente e l’affascinante poliziotto, distogliendo per un attimo
lo sguardo dalla strada, lo puntò sul sedile, alla ricerca del suo portatile.
Lo trovò subito dopo e aprì la chiamata “Smith.”disseriportando lo sguardo sulla strada ed
aggiustandosi i reyban. Riconobbe immediatamente la voce di uno dei suoi
dipendenti.“ah, agente Michael..
ci sono novità?”
“sì.- rispose quello, trepidante.- siamo riusciti a
prendere il nostro uomo.”
“spiegati meglio.” L’ammonì tagliente, il detective.
“siamo riusciti a beccarlo di profilo e anche frontalmente.
La ripresa di una piccola telecamera all’entrata che avevamo sottovalutato.. si
vede benissimo e abbiamo tracciato un identikit.”
Il sorriso del detective parlò per lui. Cambiò direzione e
si diresse verso il distretto.
Finalmente un nuovo elemento in questa aggrovigliatissima
matassa.
“bene. Sto arrivando.”
I tre moschettieri entrarono nell’ufficio di House pochi
minuti dopo. Lo trovarono concentrato ed intento a giocherellare con il bastone
e la sua pallina rossa. Da un po’ di tempo a questa parte sembrava che fosse
diventato uno dei suoi passatempi preferiti.
La faceva rimbalzare al muro e la riprendeva
nell’incavatura del bastone… macchinoso ed irrecuperabile perfino nei
passatempi.
Foreman provò ad iniziare ma House lo zittì immediatamente.
“shh.- l’ammonì.- sto per stabilire un record. Se faccio bene questo lancio
arriviamo a trenta..”
Eric si voltò sconsolato verso i suoi colleghi.
“interessante ma..”
“shh.- lo ammonì di nuovo, riprendendo la pallina.- trenta!
Sono un genio!” la lanciò di nuovo. “fatemi arrivare a trentacinque, tanto non
avete trovato niente e gli esami sono tutti negativi.”
I tre assistenti si scambiarono uno altro, paziente e
sconfortato sguardo. House lanciò la pallina e la riprese di nuovo. “
trentuno!”
Chase sbuffò, irritato. “non è tutto come prima. Keyra ha
avuto un’emorragia intestinale. I chirurghi l’hanno ripresa per le penne, credo
che questo meriti un po’ del tuo interesse!”
Greg mancò il lancio questa volta. Terribilmente scocciato
si rivolse al suo intesivista.
“me l’aveva detto Cameron che eri andato in bianco questa
notte, ma non pensavo che ogni volta diventassi sempre più acido!- guardò la
pallina.- Sei nei guai, ragazzo!” disse andando dall’altra parte dell’ufficio
dove l’aspettavano la loro fedelissima lavagnetta.
Mentre passavano per la porta che collegava i due ambienti
Chase lanciò uno sguardo interrogativo a Cameron che si limitò a negare con il
capo, facendogli segno di lasciar perdere.
“allora.. il nostro piccolo Chase tutto incazzato ha detto
che questo complica le cose. Invece per me le risolve.- si voltò verso di loro.-
chi di voi sa dirmi perché?”
Cameron sospirò, alzando le spalle. Si sentiva
completamente arida. I suoi problemi l’assorbivano e non riusciva a concentrarsi
nel lavoro, era più forte di lei. Guardava House e non vedeva il suo burbero
capo che esigeva il meglio da lei, ma l’uomo con cui avrebbe voluto confidarsi.
Foreman, invece, lucido e perspicace, disse, con un certo
moto d’orgoglio nella voce. “la presenza di un’emorragia indica che si sono
formate delle fistole e questo è un sintomo che potrebbe condurci al morbo di
Crohn”
House annuì, orgoglioso quasi. “esattamente. Vince Foreman.
Anche se praticamente giocava da solo.- concluse lanciando un’ultima frecciata
ad Allison, assente.- bravo Eric, ti sei aggiudicato il premio.”
“un momento.- s’intromise Robert, non del tutto convinto.-
dovrebbe presentare anche altri sintomi come la diarrea..”
“è un’adolescente, ha 16 anni.- intervenne Allison,
debolmente.- sicuramente si sarà vergognata a dirtelo.”
“ehi, cosa odono le mie orecchie? L’angelica voce della mia
immunologa! Quale prodigio!- diede un’occhiataccia a Chase.- ordinati un po’ di
viagra, non so se preferisco tu incazzato o lei insoddisfatta!” non diede modo
ad Allison di replicare perché continuò tirando a Foreman il suo cartellino.
“congratulazioni, vecchio mio.”
Eric lo prese al volo. “ma cosa..”
“hai vinto tre ore di clinica, GRATIS. No, non
ringraziarmi, te lo sei meritato!”
Robert, Allison ed Eric si passarono di nuovo un lungo
sguardo.
Erano circa le sei quando Greg House si trovava a
passeggiare qua e di là per la hall. “Jimmy!” esclamò, vedendo l’oncologo poco
distante da lui, appoggiato ad una colonna. James non lo sentì affatto tutto
impegnato ad osservare attentamente Lisa Cuddy che parlava animatamente e
accompagnava uno strano dongiovanni all’uscita dell’ospedale.
Si avvicinò attentamente a lui, fino ad appoggiarsi alla
sua spalla. “beta chiama alfa. Nemico identificato. Nome in codice: pallone
gonfiato.”
Wilson si voltò verso di lui, con un sorriso allegro.
“smettila.”
“alfa ecco il piano.- continuò Greg fingendo una voce
metallica da ricetrasmittente.- prendi il bisturi e fagli vedere chi sei! Passo
e chiudo.”
“quale parte della parola ‘smettila’ non ti è chiara?”
continuò l’oncologo,non riuscendo a non ridere, però. Greg sorrise,
spensieratamente. “sei geloso.” Decretò. “sei geloso perché la Cuddy ha un nuovo
amichettoche si veste molto più in
tiro di te!”
“non dire cretinate.. io non sono geloso.. solo ero.. –
cercò una parola adatta. Qual è quella che amava usare Greg in queste occasioni?
Ah sì.- curioso. Ecco tutto.”
“le sei , la dottoressa Cameron va a casa.” la voce di
Allison, poco distante da loro, interruppe la loro conversazione. Questa volta
fu lo sguardo di House ad essere improvvisamente attento ed interessato. I suoi
occhi blu si puntarono sulla sua dipendente che usciva dall’ospedale, senza
lasciarla un istante.
“che cos’era quello sguardo?”
Greg non distolse gli occhi da lei. “qualcosa che non mi
piace per niente.”
“non parlavo del suo, parlavo del tuo!- lo fissò un
istante.-.. ma.. non dirmi che sei preoccupato! Greg sarebbe la prima volta
dopo..”
Ma House non gli diede modo di continuare. Scivolò via
dalla conversazione uscendo dall’ospedale e seguendo Cameron per il buio
parcheggio sotterraneo. Wilson, vedendolo andare via, non poté fare a meno di
farsi sfuggire un sorriso compiaciuto.
Allison scendeva le scale che l’avrebbero portata nel
parcheggio sotterraneo. Doveva andare da Smith, raccontargli tutto, non poteva
tenersi dentro qualcosa del genere.. diamine era in pericolo e la polizia doveva
saperlo..solo.. avrebbe voluto
poterne parlare a Greg prima.
Non ne sapeva nemmeno il motivo ma.. voleva che lui
sapesse. Forse perché non riusciva più a tenersi tutto dentro. Aveva bisogno di
condividere quello che le stava accadendo con qualcuno.. e quel qualcuno doveva
essere lui. Aveva bisogno che qualcuno si preoccupasse per lei. Che Greg si
preoccupasse per lei.
Arrivò finalmente nel parcheggio. I suoi occhi viaggiarono
alla ricerca della sua auto grigia metallizzata, nel silenzioso ambiente.
Troppo silenzioso.
Tirando un piccolo sospiro s’avviò tra la lunga fila di
auto, mentre osservava con circospezione l’ambiente, così deserto. Possibile che
non ci fosse nessuno che alle sei staccava il turno??
Un piccolo brivido le attraversò la schiena. Continuò a
camminare, con il cuore in gola, sentendosi continuamente osservata, voltandosi
improvvisamente da una parte all’altra, insicura, impaurita.
Sentì un piccolo rumore alle sue spalle e si voltò di
scatto, ansimando e con gli occhi sbarrati. Niente e nessuno.
“Forse sto diventando paranoica..” si disse, ad alta voce.
Decise comunque che doveva raggiungere la propria auto il più in fretta
possibile.
Si voltò di nuovo per riprendere a camminare ma questa
volta non poté farlo.
Sentì improvvisamente qualcuno che l’afferrarla per la
vita, le mise una mano intorno alla bocca, poi si ritrovò sbattuta
sgraziatamente contro un’auto, con una violenza tanto arrabbiata quanto
inaspettata. Allison non fece nemmeno in tempo a realizzare cosa stava accadendo
che si ritrovò una mano premere sul collo, ed impedirle quasi di respirare,
oltre che gridare.
I suoi occhi, terrorizzati, incontrarono la figura
incappucciata di un uomo. “forse.- disse lo sconosciuto.- dovresti fare più
attenzione quando cammini di notte.. tutta sola..”
Cameron cercò di dimenarsi ma la presa dell’uomo era più
forte. Fece uno strattone più forte degli altri, riuscì quasi a liberarsi ma
l’uomo la bloccò subito prendendola per un polso e quando l’ebbe di nuovo in
pugno le girò il capo con uno schiaffo.
“non cercare di muoverti.- ruggì l’aggressore con
disprezzo.- è tutto inutile. Il tempo è giunto. Manchi solo tu.”
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime ma videro
comunque, seppur in maniera un po’ appannata, il suo assalitore estrarre un
pugnale.
L’immunologa percepì bene la fredda lama premere sulla
giovane pelle del suo collo. Sentì il terrore attanagliare ogni singola fibra
del suo corpo, ma trovò la forza di parlare anche se la sua voce non fu più
forte di un sussurro.
“perché..- domandò, mentre le lacrime le scendevano sulle
guance.- perché io.. che ti ho fatto..”
“lo sai.- gridò l’uomo prendendole le spalle e sbattendola
di nuovo contro la vettura, più violentemente.- LO SAI!!” vociò premendo di
nuovo l’arma sul suo collo. Cameron vide il suo aguzzino tremare, mentre diceva.
“tu.. sei come loro.. io.. pensavo che tu.. ce l’avresti fatta ma.. la tua colpa
è la stessa colpa degli altri.- era certa che, sotto il passamontagna, anche lui
stesse piangendo.- anche tu meriti di morire!!”
Allison negò con il capo, incredula. Non voleva morire
così, non voleva! Lei non aveva fatto niente! “no.- sussurrò, con la voce
rotta.- ti prego, io non ho fatto niente…”
“l’avete uccisa..- la voce dell’uomo era rotta e disperata
almeno come quella di Cameron. –l’avete uccisa e anche voi dovete morire..”
Brandì il pugnale.
Cameron chiuse gli occhi.
Addio, si disse. Non fece in tempo a pensare altro perché
sentì un rumore sordo, fortissimo e poi più nulla. Attese con gli occhi chiusi
che la lama la colpisse ma non avvenne.
Mentre un briciolo di speranza iniziava a farsi strada nel
suo animo, la giovane aprì gli occhi e, incredula, vide House accanto a lei che
brandiva il bastone con il quale sicuramente aveva colpito in testa l’assassino.
L’uomo giaceva a terra adesso, un po’ stordito, ma ancora
cosciente. Lei ed House si fissarono per qualche secondo ma non poterono dirsi
nulla perché l’assassino si rialzò presto e questa volta Greg fu costretto a
colpirlo con un preciso, potente gancio, proprio nell’occhio destro dell’uomo.
L’aggressore cadde di nuovo ma questa volta non cercò di
attaccarli nuovamente. Si rialzò e corse via, per il parcheggio deserto. Greg si
mosse quasi per rincorrerlo ma si bloccò sul nascere, ricordando improvvisamente
di non poterlo fare, di non poter correre, di non poter acciuffare il
responsabile di due omicidi, l’uomo che aveva cercato di uccidere Cameron.
Impotente e furioso se ne stette lì, incapace di far altro
se non di osservarlo correre via, finché non sparì dalla sua vista. Se non fosse
stato per la sua maledettissima gamba..
“House.”
La voce rotta di Cameron lo riportò alla realtà.
Si voltò verso di lei, sconvolta e provata che se ne stava
ancora appoggiata all’auto, incapace anche lei di muoversi, ancora attanagliata
dalla paura. Greg non seppe cosa dire. Poi balbettò un incerto “come
stai..?”
Cameron non trovò la forza di dire nulla solo lasciò che le
lacrime le scivolassero lungo le guance. Annuì, lasciando che i singhiozzi la
sopraffacessero. Stettero a fissarsi per altri secondi poi Allison non ce la
fece più, si avvicinò a lui e l’abbracciò stretto, piangendo con il corpo
attaccato al suo, bagnando con le lacrime la sua giacca, il suo petto.
Greg chiuse istintivamente gli occhi per qualche secondo.
Era un’emozione nuova e fortissima.
Forse pari a quella che aveva provato quando aveva visto
quel dannato bastardo alzare le mani su di lei. Aveva sentito un colpo allo
stomaco e non c’aveva visto più. Si era scagliato contro di lui con una forza e
una rabbia che quasi non pensava di possedere.
Lei era ancora stretta a lui ed era scossa da continui
sussulti.
Lentamente si mosse per accarezzarle i capelli e il
contatto fece rilassare la ragazza che si perse nella dolcezza di quel
gesto.
Durò pochissimo. Appena un secondo.
Poi lei si calmò e si staccò da lui. Era rossa in viso,
ancora sconvolta e perfino imbarazzata per quell’abbraccio che aveva voluto con
tutta se stessa e che alla fine aveva preso.
Lui la guardò intensamente. Non poteva pensare che appena
un secondo, un piccolo secondo più tardi..
“io..” Allison provò a dire qualcosa ma fu come se le
lacrime la sopraffacessero di nuovo.
“avanti. Dobbiamo andare da Smith” disse House recuperando
il sangue freddo e il controllo della situazione. Cameron annuì, lentamente. Lui
le prese le chiavi dalle mani e si avviò verso l’auto dell’immunologa, poco
distante da lì.
Cameron lo seguì, ancora tremando.
House aprì la vettura, vi entrò ed attese che Cameron
facesse altrettanto. Intanto si passò una mano sugli occhi, sospirando.
Adesso Smith non avrebbe potuto rifiutare di concederle
protezione.
Sospirò di nuovo. Non sapere che stava accadendo lo
angosciava. Non sapeva che diavolo voleva quell’uomo da lei, né cosa la legasse
così a filo stretto con Law e Park e che la conducesse quindi inesorabilmente
alla morte.
Ma in una cosa era certo. Era l’unica certezza che aveva al
momento e l’aveva avuta poco fa,quando l’aveva vista vicino alla morte, quando aveva capito che poteva
non rivederla più, quando aveva sentito addosso tutto il dolore e la tristezza
di una vita senza di lei.
Capitolo 7 *** Gioia e dolore hanno lo stesso sapore ***
Lacrime di Follia
Ciao a tutti!!
Inizio
introducendovi il settimo capitolo della mia storia.. la prima parte può
considerarsi una song fiction perché la nottata insonne di House e Cameron è
scandita da alla canzone “Sorry seems to be the hardest word.” DiElton John.
Non so se vi
piacerà come ho strutturato questa prima parte, nella mia mente l’immagine era
quella di osservare i pensieri e le azioni di House e Cam, entrambi sconvolti
dall’accaduto e dai loro sentimenti.. è un po’ un esperimento condito anche di
flashback che spiegano come si è sviluppata la serata dopo l’aggressione.. sta a
voi giudicare!
Per il resto è il
mio consueto stile…
Un grazie a tutti i lettori e in particolare ai miei
preziosi recensori: amarantab, Hamburger, Sheila ( ti
ringrazio per la rensione, troppo buona! Sono contenta che le citazioni ti siano
piaciute, sono tratte da alcuni dei miei autori preferiti!) Venus,
Amy, Cate, Toru85, SHY, Mistral,
Levity, Nick, Pinacchia, Apple (thanks, my friend!) mercury259,
Briseis, Dana (ciao Dana, grazie per aver commentato.. hai ragione
il comportamento di Cam poteva sembrare un po’ strano.. ti risponderei ma lo
farà House durante il capitolo, non ti voglio anticipare nulla!)_vally_ (
ciao.. sono contenta che anche non essendo Cotton questa storia ti piaccia..
kiss, grazie per la recensione!) Meggie, EriMD,
Damagedlove, Rue Meridian, Coco Lee (ciao, grazie
innanzitutto per aver recensito. Accolgo con piacere le tue osservazioni
riguardanti il mio stile di scrittura, ne farò tesoro, cercando di migliorarmi!
Sono la prima a dire che a tratti tendo ad essere un po’ prolissa, spero di
correggere questo mio difetto.. in camera ho anche appesi i 38 consigli di
scrittura di Eco, ma seguirli.. ah, è tutta un’altra cosa!) aras5,
Nathaniel (sei sempre troppo gentile, Nat! Grazie infinite!)
Giuxxx e Miky91.
Ho lavorato moltissimo a questo capitolo ed è inutile
dirvi che spero che mi farete sapere che ne penserete, aspetto i vostri
pareri!!!
Ah! Mi scuso con i sostenitori di Wilson/Cuddy ma non sono
riuscita a trattare del loro rapporto.. avrei sfornato 15 pagine e mi sembrava
troppo lungo.. ci rifaremo nel prox!
Il titolo è tratto dalla canzone “Ti scatterò una foto” di
Tiziano Ferro.
Buona lettura, un bacio.
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
VII:Gioia e dolore hanno lo stesso
sapore
“Lasciarsi illudere, diranno i saggi, non è bello.
Non lasciarlo fare, dico io, è ancora peggio.
Chi crede che la felicità dell’uomo dipenda dalle circostanze reali
è completamente fuori strada. Dipende dall’opinione che si ha delle cose. La
felicità sta in quel che si crede.”
Erasmo da Rotterdam. “Elogio della Follia.”
Il buio della sua stanza sembrava ovattare ogni singola
cosa, ogni singolo rumore, come se quello fosse un piccolo ed irraggiungibile
limbo di silenzio. E lui era lì, seduto sul placido piumone del suo letto, con
l’aspetto assorto e l’unica compagnia di una bottiglietta di birra ormai mezza
vuota che ogni tanto portava stancamente alle labbra per rubare un sorso.
What
have I got to do to make you love me What have I got to do to make you care
Uscì dalla doccia. I suoi occhi verdi incontrarono quasi
per caso l’orologio a muro che aveva nel bagno e che indicava che erano passate
da poco le tre e un quarto. Si avvolse nel suo accappatoio bianco, prese un
asciugamano ed iniziò a frizionarsi i capelli bagnati, con metodica apatia.
Odiava non riuscire a dormire.
What
do I do when lightning strikes me And I wake to find that you're not there
House fece un altro piccolo sorso della sua bevanda, poi
la sua attenzione si rivolse a quei due enormi volumi che aveva appoggiato al
comodino. Si trattavano dei casi e della vita professionale di Park e Law. Li
aveva chiesti esplicitamente a Smith e dopo qualche ‘convincente’ argomentazione
riguardo la loro inettitudine, il detective, pur se a malincuore, glieli aveva
consegnati.
Per un attimo accarezzò l’idea di aprire uno dei tomi ed
iniziare a leggere qualcosa ma subito dopo ricordò che erano le tre di notte
passate e dubitò di poter essere lucido per studiare a fondo i documenti. No.
l’avrebbe fatto domani. Durante l’orario di clinica ad esempio.
What
do I do to make you want me What have I got to do to be heard
Ancora bagnata ed un po’ infreddolita, Allison uscì dal
bagno, passeggiando per l’abitazione, avvolta nell’ombra della notte. Passò
davanti alla sua camera da letto, chiusa dagli agenti tramite dei plasticati
nastri gialli per impedire a lei e a chiunque altro che non fosse della polizia
scientifica di metterci piede: avrebbero potuto inquinare qualsiasi tipo di
prova.
Per la verità lei non sarebbe dovuta rimanere a casa sua:
era troppo pericoloso. Quella era l’ultima notte che passava lì, poi si sarebbe
dovuta trasferire in albergo o da qualsiasi altra parte. Non era al sicuro tra
le mura del suo appartamento dato che l’assassino sapeva come entrare e come
muoversi nel palazzo senza nemmeno essere notato dal custode.
Si prese un bicchiere d’acqua e ancora rifiutandosi di
accendere la luce arrivò in salotto. Si appoggiò alla finestra, scostò le tende
e sorseggiando la sua bevanda, osservò stancamente l’auto della polizia che, in
borghese, sorvegliava il suo appartamento.
What
do I say when it's all over And sorry seems to be the hardest
word
Greg spense la luce, ritornando nel buio che tanto amava.
Purtroppo però non poteva avere il silenzio di prima. La luce aveva svegliato
Steve Mc. Queen che, infondo alla camera, aveva preso a correre per la sua
rotella. Dannato
topo.
It's
sad, so sad It's a sad, sad situation
Cameron si accasciòsul divano, stanca e sfibrata. L’interrogatorio con Smith era stato
lunghissimo e, dal suo punto di vista, assolutamente improduttivo. Quell’uomo le
aveva fatto ripetere ben tre volte le dinamiche dell’aggressione e lei che
sperava di poter cancellare dalla mente il più possibile di quell’esperienza,
dopo un’ora di repliche si trovava a ricordare ognisingolo atroce dettaglio.
And
it's getting more and more absurd It's sad, so sad
Il rumore continuo di Steve sulla rotella della propria
gabbia lo portò con la mente alle immagini della confusa serata che aveva
trascorso, dall’interrogatorio alla accozzaglia che regnava nell’appartamento di
Cameron, invaso dalla polizia.
Bevve di nuovo, pensando allo scempio che aveva trovato
nella sua camera.
L’aveva contemplato per minuti interi, intimamente scosso,
mentre leggeva la frase scritta sul muro cercando di captarne il difficile
significato, la sua sterile osservazione era stata interrotta solo da lei che si
era dolcemente avvicinata a lui, quasi esitante.
It's
a sad, sad situation
Why
can't we talk it over
“House.”
All’inizio non si era neppure voltato. Aveva solo
detto, freddamente. “sì, domani puoi prenderti il giorno
libero.”
Lei era rimasta sorpresa. “non era quello che volevo
dirti.”
“lo so.- aveva sospirato.- Puoi prenderlo
comunque.”
“preferisco lavorare. Ho bisogno di impegnare il mio
pensiero in qualcosa di diverso dal casino che sta sconvolgendo la mia vita.”
Greg aveva pesantemente annuito, senza distogliere lo
sguardo dal muro e dal suo enigma.
Cameron, un po’ in difficoltà, aveva ripreso,
giocherellando pazientemente con le mani. “io..”
Ma lui l’aveva interrotta di nuovo. “perché non sei
andata subito da Smith?”
Questa domanda l’aveva spiazzata. Non riuscì a trovare
una risposta convincente nei secondi che seguirono. Poteva dirgli che l’aveva
disperatamente cercato quando era avvenuto il fatto e che voleva sfogarsi con
lui prima che con qualcun altro?
Ma forse non era solo questo.
“io..- balbettò, esitante.- io ero sconvolta.. forse
avevo bisogno di parlarne con qualcuno prima di andare dalla
polizia..”
Greg la guardò negli occhi per la prima volta. “ma non
ne hai parlato con nessuno alla fine, giusto? Se un pazzo entra in camera mia e
fa questo putiferio, io la prima cosa che faccio è chiamare la polizia, poi
cerco l’amichetta del cuore per parlarne.”
Allison era rimasta, perplessa, in silenzio. Forse
aveva ragione.
“no, non
è per questo. Tu hai avuto paura che tutto diventasse reale.”
Lei lo guardò, interrogativa. E lui aveva
proseguito. “ finchéqualcosa è
confinato solamente nella nostra mente ha uno spessore diverso.. è come se fosse
solo nostro e una parte di noi si rifiuta ancora di credere che esso abbia una
consistenza reale. Ma quando lo diciamo a qualcuno, quando qualcuno ha la
possibilità di vederlo.. sappiamo che non è più solo un prodotto della nostra
mente. Fa parte del mondo sensibile, ed è VERO.”
Lei
aveva abbassato lo sguardo, un po’ scossa, mentre lui proseguiva. “ e non
abbiamo più alibi e rifugi.”
Oh
it seems to me That sorry seems to be the hardest word
Allison si distese sul divano. Era ancora un po’ bagnata e
indossava solamente l’accappatoio, ma i riscaldamenti erano alti e non aveva
affatto freddo.I suoi occhi
andarono per caso alla cartellina che Smith le aveva consegnato. Dentro c’era
l’identikit del suo assassino. In commissariato l’aveva osservato e aveva
confermato che era lui l’uomo che l’aveva aggredita. Smith gliel’aveva lasciato,
sperando che osservandolo con attenzione, Allison avesse potuto rintracciare un
filo di ricordi che la ricongiungesse a lui. Ma lei non aveva ancora avuto il
coraggio di farlo.
Aveva paura.
Si sentiva fragile, spaventata anche da quella grande casa
talmente vuota che quando tutti se ne erano andati ed era rimasto solamente
House, lei aveva provato l’impulso incredibile di chiedergli di restare. Non
voleva di nuovo quel silenzio assordante intorno a lei.
E voleva lui.
What
do I do to make you love me What have I got to do to be
heard
Smith e i poliziotti avevano levato le tende da un paio
di minuti e lui non era voluto rimanere un secondo di più. Era giunto alla
porta, continuando ad imperversare nel suo silenzio. Poi, quando aveva visto che
Allison stava per parlare, la bloccò, sgarbatamente.
“Alt! Non dire niente!”
“ma.. non sai nemmeno quello che volevo
dirti.”
“quello era lo sguardo di quando stai per dire qualcosa
di terribilmente patetico. E io non ne ho alcuna voglia.”
Lei aveva annuito. Per quanto avesse bisogno di
conforto, le andava bene così. Era House. Non poteva sperare di cambiarlo, né
desiderava realmente farlo.
“ci vediamo domani.” House aveva oltrepassato la
soglia, a testa basta, indifferentemente quasi.
“House.” Nonostante tutto l’impulso di richiamarlo era
stato più forte.
Greg si era voltato roteando gli occhi. “Cameron ti
prego! È già imbarazzante così se ci mettiamo pure a piangere, dove andrà a
finire la mia reputazione da duro?” il suo sarcasmo l’aveva fatta sorridere.
Voleva ringraziarlo ma decise di non dire nulla. Si
limitò a sorridergli, dolcemente.
Lui la fissò per qualche secondo poi proseguì per il
corridoio, con in mente ancora il suo splendido sorriso.
What
do I do when lightning strikes me What have I got to do
Cameron chiuse gli occhi.
Pensava a lui.
Anche se facendolo sentiva la solita piccola punta di
dolore. *Greg, che cosa dovrei fare perché tu m’amassi… ?* Riaprì gli occhi, e
due piccole lacrime le scivolarono lungo i lati delle guancie.
What
have I got to do When sorry seems to be the hardest
word
La birra era tragicamente finita e Greg si ributtò tra le
coperte.
Ma già sapeva che non avrebbe dormito.
A causa sua?
Forse sì. Allungò il braccio nella fredda parte vuota
accanto al suo letto. E per un attimo la volle lì.
L’immaginò prona, appoggiata ai gomiti e il capo lì,
sorretto nel palmo della mano. La testa inclinata da un lato e gli occhi ridenti
che lo fissavano con un’espressione brillante e maliziosa.
Gli piaceva immaginarla così, con lo stesso sorriso
divertito e un po’ ironico con cui lo aveva salutato poche ore prima.
Sbuffò escostò le coperte in un irato gesto di stizza.
Dannazione, no, non poteva amarla.
Non doveva accadere di nuovo.
Cameron sapeva benissimo che il giorno dopo non sarebbe
stato facile. Lei era l’attrazione del momento, la dottoressa dolce ed indifesa
aggredita nel parcheggio e che era stata salvata per miracolo dal suo grande
eroe Gregory House. Wow..
Lo capì subito quando, non appena varcò le porte del PPTH,
incontròlo sguardo attonito,
meravigliato e curioso di mille dipendenti, di infermiere e persino pazienti
che, seduti nella sala d’aspetto con il quotidiano in mano, osservavano
stupefatti la foto sul giornale e l’originale in carne ed ossa, aprendo la bocca
per lo stupore.
*Cominciamo bene* pensò l’immunologa roteando gli occhi ed
infilandosi nell’ascensore prima che qualcuno potesse anche solo pensare
d’avvicinarla per chiedere qualcosa del suo terribile incontro. Grazie a Dio ( o
qualsiasi cosa c’era lassù, ammesso che ci fosse qualcosa) l’ascensore era vuoto
e lei ne approfittò per qualche minuto di relax poi tirò a testa bassa fino
all’ufficio di diagnostica.
Pensava di essere salva. Ah, il bello doveva appena
iniziare..
Chase, non appena lei varcò la porta, scattò in piedi con
uno sguardo decisamente allarmato. “tu.. sei qui?”
Allison lanciò uno sguardo a Foreman, anche lui presente
nella stanza.
“già. Sono ancora viva, non hai letto il giornale?” trovò
rifugio nel sarcasmo. House docet..
Robert si corresse immediatamente. “No,
intendevo..-sospirò.- pensavo che ti saresti presa un giorno libero.”
“ti sbagliavi.- decretò lei, un po’ nervosa.-allora.. nessun nuovo caso?”
Eric sospirò, mascherando una lieve preoccupazione. “forse
avresti dovuto stare a casa. Sei ancora scossa,ed è comprensibile.”
“io sto bene.” Disse lei, sorridendo un po’ forzatamente.
“ed ho bisogno di lavorare. Starmene in albergo e pensare che c’è fuori dalla
porta un pazzo che vuole il mio sangue, non mi aiuta.”
Calò uno strano, nervoso silenzio durante il quale Chase e
Foreman si scambiarono un tacito sguardo d’assenso.
“ed House?” la voce di Cameron suonò anche un po’
insofferente.
“il tuo salvatore ha deciso di prendersi un giorno di
relax.- iniziò Eric, irritato.- dato lo sforzo ha decretato che se ne starà a
dormire sulla poltrona di Wilson e.. ah, ci ha augurato buon lavoro.”
Allison sorrise involontariamente. Non sapeva se sentirsi
sollevata perché così non avrebbe avuto l’imbarazzo di incontrare di nuovo i
suoi occhi oppure condividere l’irritazione di Foreman perché il loro capo
ancora una volta snobbava il lavoro.
Ad ogni modo, il pensiero di un paziente l’avrebbe tenuta
occupata per parecchio.
“allora.- riprese- questo nuovo caso?”
James Wilson finì di scorgere i risultati della biopsia
della sua paziente. Arrivò alla fine del documento quasi con un moto di
speranza, speranza che si infranse miseramente all’ultima riga del foglio dove
era chiaramente indicato che il paziente era terminale.
Sospirò e mise mano alla maniglia della porta del suo
ufficio, entrando subito dopo.
Alzò lo sguardo quasi per sbaglio e sgranò gli occhi
trovando House seduto beatamente sulla sua poltrona, con tre o quattro grandi
volumi appoggiati alla scrivania con lo sguardo assorto in uno di questi
schedari e in mano il solito bicchiere di plastica, con la cannuccia, contente
della salutare coca cola.
“e tu che diavolo ci fai qui?” nonostante l’irritazione il
suo tono suonò piuttosto d’ironia.
“studio.” La risposta laconica di lui. “la gente è
ignorante e tocca a noi poveri geni rimediare per tutti.”
“oh, suppongo che debba ringraziarti.”
House non rispose nulla ma si lasciò portare via da un
sorriso di divertimento mentre gli occhi non lasciavano il grande schedario che
stava leggendo.
James sospirò, affondando le mani nelle tasche del camice.
“e come mai hai deciso che dovevi erudirti proprio nel mio ufficio?” domandò
alzando le sopracciglia. E l’altro, staccando per la prima volta gli occhi dallo
schedario e facendo un sorso di coca cola. “ho provato in clinica. ma un
bruttissimo dragone cattivo mi ha cacciato via.” piagnucolò fingendo la voce di
un bambino.
“ok.- continuò l’altro.- e che mi dici del tuo studio?
Sai, non so perché mi portava la testa che ne avessi uno tuo anche tu.”
Greg fece una piccola smorfia di fastidio. “la Cuddy ha
assegnato ai paperotti il complicatissimo incarico di scoprire cos’ha un bambino
con il naso gocciolante. Immagino che saranno tutti e tre a contendersi il nobel
quindi non volevo disturbare..”
Jimmy
annuì, soprappensiero. Poi però, come se i calcoli non gli tornassero: “cosa..
tutti e tre?- esclamò.-Vuoi dirmi
che lei è venuta in ospedale?”
House
sorrise. “ieri sera mi ha detto che sarebbe venuta. Vuole tenersi
impegnata..”
L’oncologo
sospirò. “sarà sconvolta. Non riesco nemmeno ad
immaginare..”
“io
sì.- l’interruppe Greg con un sorriso beffardo.- ed ora se vuoi scusarmi, sono
molto impegnato.”
Jimmy
trattenne una battutaccia. “e se possibile, posso sapere che cosa di tiene
incollato alla mia poltrona? Un trattato scientifico sulle forme di
deficienza?”
Greg
sorrise, inclinando la testa di lato. “è una cosa complicata. L’acronimo è :
schedari di Park e Law.”
L’amico
affondò pesantemente le mani nelle tasche del camice. “ok.. la polizia non li ha
esaminati?”
“Smith
non c’ha trovato nulla. Ma questo non vuol dire che non ci sia
nulla.”
“certo.
Lui è un poliziotto che ne capisce di queste cose.”
Greg
finse di non aver colto il sarcasmo dell’amico, riprendendo la sua affermazione.
“è quello che hopensato anch’io.
Qui si parla di referti medici, di pazienti, di anni di carriera medica. Un
detective non ci troverebbe niente di anomalo. – fece una piccola pausa
strategica.- io sì.”
Jimmy
s’arrese, annuendo. “fa’ come ti pare. Vado a fare il dottore,
io.”
House
lo salutò con un piccolo sorriso ironico poi, non appena la porta si fu
richiusa, i suoi occhi blu ricaddero di nuovo tra le righe di quei noiosissimi
schedari.
Era pomeriggio inoltrato quando i tre dottori si
ritrovarono nel loro ufficio, quando, seduti davanti alla lavagnetta dei sintomi
e con i risultati dei test alle mani, le mille idee che circolavano ancora
confuse nella loro mente iniziarono finalmente ad avere una parvenza di
significato e poi alla fine, in un crescendo d’ipotesi, di smentite e
supposizioni, finalmente arrivò la risposta.
Questa volta uscì proprio dalla bocca di Cameron che,
iperattiva ed energica come non lo era mai stata, aveva preferito buttare tutta
la concentrazione e l’energia nel caso e aveva raggiunto l’amata soluzione prima
dei suoi colleghi.
Il
caso era complicato, non interessante come di quelli che attiravano il genio
perverso di House ma abbastanza tosto da tenere impegnati per quattro o cinque
ore di tempo e fatica, tre dei migliori specialisti del New Jersey. Avevano
finito da pochi minuti quando la porta dell’ufficio si era spalancata e niente
di meno che Greg House aveva fatto il suo ingresso.
“ehilà,
paperotti. Come andiamo con il raffreddore?”
Foreman
sospirò alzandosi dalla sedia. “ti sbagliavi.Non era raffreddore.” rispose alla
battuta con un tono tagliente che divertì il principale.
“arg.
Lo sapevo che mi stava sfuggendo qualcosa.”
Chase
non poté trattenere un sorriso e per questa bell’uscita si beccò anche un
pungente sguardo da parte del nero.
“ehi.-
mormorò House non trovando la dolce silhouette di Cameron nella stanza.- manca
qualcuno qui.”
“Cameron
è uscita dall’ufficio da un pò.” Rispose Robert, distrattamente.
“e
sapete dove andava?” domandò House avanzando verso il tavolo dove appoggiò i due
grandi volumi che reggeva nelle mani. I due negarono.
“esseri
socialmente inutili.” Brontolò House roteando gli occhi ed uscendo subito dopo
dall’ufficio.
Pazienza,
si disse.
Tanto
lui sapeva dove trovarla.
Cameron
era proprio dove immaginava. In bagno, seduta sulle panchette di legno dove si
rifugiava spesso, ad esempio quando avevano avuto il caso di quell’anziano
scienziato.
Ebbene
ecco, era lì anche adesso, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo
rivolto verso il pavimento dove era appoggiata la foto del suo assassino o
meglio l’identikit che le aveva fornito Smith.
Il suo
arrivo le fece alzare appena lo sguardo. I suoi occhi verdi furono nei suoi
occhi e per un attimo Greg sentì di nuovo quel piccolo buco allo stomaco.
“niente?”
domandòrivoltò alla foto.
Lei si
scompigliò i capelli, con un fare stanco. “niente.” ripeté, laconicamente. Si
era rifugiata da circa una mezz’orettaperché finito l’impegno per il caso erano tornati i brutti pensieri e
aveva deciso di concentrarsi sulla foto. Ne riconosceva i lineamenti, gli occhi
disperati, ma niente, non riusciva a collegarlo con qualcuno lei conoscesse, o
comunque a qualcuno che avesse incontrato prima di quella tragica sera.
House
si sedette pesantemente sulla panchina di fronte a lei, appoggiandosi anche lui
alle ginocchia. Cameron alzò lo sguardo e se lo ritrovò a pochi centimetri dal
naso, con suo immenso stupore.
“non
ti ricorda nulla, eh? Ok .. proviamo con i nomi. Che mi dici di William
Higt?”
Cameron lo guardò interrogativa. “William Higt?” e dopo
aver ricevuto un segno d’assenso da parte del suo capo, frugò nella memoria, ma
a pelle quel nominativo non le evocava nessun ricordo immediato. “no, niente.-
sospirò.- ma chi è?”
“ho dato una sbirciata agli schedari. Park e Law hanno
avuto un paziente in comune. Proprio questo tizio.”
“interessante.” Commentò lei, anche se senza molto
entusiasmo.
“comunque questo Hitg non è direttamente un paziente di
entrambi. è più corretto dire che sua figlia Chrystal è stata una loro paziente.
Parliamo di tre anni fa. Chrystal Higt è stata ricoverata all’ospedale di New
York, reparto oncologia, paziente di Park.”
“per quale patologia in particolare?”
Greg inarcò un sopracciglio. “leucemia. E una forma si
direbbe piuttosto grave.. uno stadio della malattia avanzato. La diagnosi di
Park fu chiara. Alla bambina restava poco più di un paio d’anni.”
“e un trapianto di midollo osseo?” domandò candidamente
lei.
“non fu preso in considerazione, secondo il referto di
Park la malattia era troppo avanzata perché un trapianto cambiasse le cose.” Lei
annuì, gravemente. “e questo con Law che collegamento ha?”
“c’entra perché dopo un paio di mesetti questo bellimbusto
non soddisfatto della sentenza di morte di Park, approda nella clinica Mayo, con
la bambina, e la porta a far visitare da.. indovina un po’ chi lavorava lì prima
di atterrare al nido della Cuddy??”
Allison si passò una mano tra la frangia scompigliandosela
un po’. “Law..” sussurrò.
“non solo lui.- lesse il suo sguardo stupito.- anche
tu.”
Cameron sorrise, un po’ incredula. “e questo che cosa
centra?”
“niente. A meno che tu non ricordi di aver mai avuto a che
fare con tutto questo.”
Allison sospirò. “io lavoravo come specializzanda con il
dottor McLuise.- Greg fece per replicare ma lei proseguì dicendo.- che è morto
due anni fa. Cancro al fegato.”
House
annuì, lentamente. “Chrystal Higt è l’unica cosa che colleghi i due
dottori.”
“ma
non collega me.”
“non
infierire.- piagnucolò.-speravo
che tutto questo avrebbe potuto ricordarti qualcosa.. Sai com’è.. spes ultima
dea, dicevano i romani. ”
Lei
fece una piccola smorfia. “no, non mi dice nulla. Ma potresti parlarne a Smith.
Magari qualcuno potrebbe riconoscere quell’uomo e…”
Greg
l’interruppe con un gesto grave. “ma non capisci che ormai sta solo a te
risolvere le cose?- prese la foto dal pavimento e la piazzò sulle gambe di
lei.-possibile che non ti dica
nulla? Quest’uomo stava per ucciderti!”
Allison lo
fulminò con lo sguardo. “lo so, House. C’ero anch’io.”
“bene,
allora rifletti.- il suo tono era un po’ aspro ma non se ne curò..- gli occhi,
l’espressione, la bocca.. quello che diavolo ti pare, ma fruga, pensa, Cameron!
Non è un tipo qualsiasi che dall’oggi al domani ha deciso di fare strage di
camici bianchi! È il tuo assassino.”
Gli occhi
dell’immunologa non smettevano di essere nei suoi.
“la
risposta è nella tua memoria. Tu questo uomo lo conosci già.” Concluse il
diagnosta, fissandola intensamente.
Lei rimase
piuttosto scossa ma non disse nulla all’inizio. Poi, deglutendo a fatica,
replicò. “ non credi che io stia male abbastanza per quello che sta accadendo?
Non credi che guardare questa persona e non trovare niente di significativo
nella mia memoria mi faccia stare male?”
House
sospirò. La distanza tra di loro ormai era davvero minima. Gli occhi blu del
diagnosta si posarono su un piccolo elenco telefonico, proprio accanto alla
ragazza. “che cos’è quello?” domandò, incuriosito.
“sto
cercando una camera.- disse.- non posso più tornare a casa mia. Ho anche
preparato le mie cose..” mormorò nascondendo il suo sguardo a quello
dell’interlocutore.
Greg notò
una piccola valigia, poco distante da lì. “non sarai al sicuro in un albergo. Lo
sai questo? ”
Gli occhi
dei si riempirono di lacrime ma non disse niente. Rassegnata, come chiunque che
non abbia altra soluzione.
Ma lui
aveva la soluzione.. solo non osava pronunciarla. Abbassò lo sguardo, un attimo,
esitante. No. Non poteva tollerare l’idea di saperla in pericolo.
“prendi le
tue cose” disse, con un filo di voce.
Allison
strinse gli occhi, incuriosita. Dove voleva arrivare?
“vieni a
stare da me.”
Dovette
assicurarsi che il suo cervello avesse la spina attaccata alla presa un paio di
volte perché altrimenti non avrebbe mai pensato di aver sentito bene. House.. le
chiedeva di andare a stare a casa sua…?
“ma..-
balbettò lei, confusa.- noi lavoriamo insieme e..”
“infatti
rimarrà tra di noi, non lo saprà nessun altro. Non c’è la camera degli ospiti ma
in compenso ho un divano confortevole.. ah, e non andare ad informarti da
Wilson, altrimenti un’ora dopo giungerà alle orecchie della Cuddy.”
Allison
negò con il capo. “House.. tu credi che questa situazione sia.. gestibile…?” lo
fissò intensamente sperando che gli arrivasse il suo messaggio.
“non credo
che tu abbia altre soluzioni. Non puoi tornare a casa tua e..”
“posso
andare in albergo.”
“sì, e ci
troveresti il tuo amichetto entro un paio di ore. Non hai i genitori qui vicino
e qui non hai amiche tanto strette da poterti ospitare altrimenti saresti corsa
a casa loro già qualche giorno invece che sonnecchiare negli uffici degli
altri.- fece una piccola pausa.- Mi urta trovarti a dormire sulla mia
poltrona.”
“e che mi
dici del tuo divano?” domandò lei, senza nemmeno accorgersi che stava
proseguendo il suo gioco di battute.
“è diverso.
Non sai quanta gente ci è passata lì...” lasciò cadere la frase con
un’espressione chiaramente maliziosa.
Il sorriso
di Allison si smorzò quasi seduta stante.
“bene.-
disse lui, trionfante.- ci vediamo più tardi, tanto credo che tu sappia dove
abito.”
Lei, annuì,
pensierosa.
I suoi
occhi verdi lo seguirono finché lui non uscì dal bagno. Si chiese, esitante, se
avesse fatto bene ad acconsentire a quell’idea tanto bislacca quanto
emozionante.
Sapeva che
era una soluzione temporanea ma non riusciva ad impedire al suo cuore di battere
all’impazzata nel suo petto o di avere i brividi alle gambe e uno strano buco
allo stomaco. L’interessamento di House per la sua incolumità la portava a fare
pensieri sempre più strani, ad immaginare, sognare quasi.
Ad
illudersi.
Era sempre
così con lui. Quando meno se l’aspettava arrivava un suo interessamento, una
parola, anche piccola, che la faceva sognare..
Ma questa
volta sarebbe stato diverso. S’impose di non fare niente di tutto questo.
Un’altra
delusione non l’avrebbe tollerata, lo sapeva. Doveva prenderla per quella che
era: una fredda e calcolata soluzione per la sua salute, in vista
dell’impossibilità di altro.
Punto.
Glielo aveva proposto perché non aveva altre soluzioni.
Eppure,
nonostante questi sani e buoni propositi, mentre prendeva le sue cose, un
candido sorriso sognante si dipinse sul bel volto di Allison Cameron.
Eccoci qua a
questo fantomatico capitolo.. beh, che dire, io ci ho provato, l’ho scritto con
il cuore, provando a metterci tutta la passione di cui sono capace, ma l’ho
fatto senza pretese, cercando di seguire l’istinto e sperando di non lasciarvi
delusi!!!
Vi ringrazio
moltissimo per le vostre recensioni, non so come farei senza i vostri commenti,
grazie!! Questa volta ringrazio in particolar modo: Nathaniel,
Toru85, Gulyuly ( ti ringrazio per la recensione.. ho capito cosa
intendevi dire, rileggendo lo scritto ho notato più distacco rispetto ai
precedenti e me ne dispiace.. ho provato a rimediare scrivendo con più energia
questo capitolo, cercando di metterci più ‘Diomache’ come mi hai consigliato
tu.. fammi sapere che ne pensi!! Baci) , SHY, Briseis,
Apple, Mercury259, Mistral, Levity,
Damagedlove, EriMD,Hamburger, _Vally_,
Miky91, CocoLee, Mikomay ( ciao, grazie mille per la
recensione e per i consigli, ho cercato di tenerne conto per migliorarmi..
grazie ancora per i complimenti, spero che mi farai sapere che ne pensi di
questo cap! Un bacio!)e
Venus
Grazie per
l’appoggio ragazzi, spero che mi darete i vostri preziosi pareri riguardo questo
ottavo capitolo dedicato proprio a tutti voi!!
Buona
lettura,
un bacio,
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
VIII: Sfiorando la tua Anima.
“Compresi così che ella avrebbe potuto amarmi. Non lo dissi
neanche a me stesso ma da quella sera in poi mi sembrò più soffice il letto
ch’io occupavo in quella casa, più gentili tutti gli oggetti che mi
circondavano, più lieve l’aria che respiravo, più azzurro il cielo, più
splendido il sole.”
Luigi Pirandello. “il fu Mattia Pascal”
Ok.
Respira.
Allison appoggiò lentamente la grande valigia di pelle
nera davanti all’uscio verde di casa House e tirò un profondissimo sospiro.
Eccoci, si disse, mentre deglutiva in maniera assolutamente irregolare ed
osservava un po’ sinistramente il campanello che prima o poi avrebbe dovuto
decidersi a suonare.
Ad essere sinceri avrebbe preferito rimanere davanti a
quella soglia piuttosto che entrare all’interno. Si sentiva imbarazzata e
nervosa, e pensare che non aveva messo nemmeno piedenella sua casa.. figuriamoci una volta
dentro! Si passò una mano tra i capelli, poi se li sistemò dietro le orecchie e
dandosi mentalmente della cretina adolescente, premette con un gesto scattoso il
campanello.
Attese alcuni secondi.
Ed altri ancora.
Un po’ agitata, si schiarì la voce ed iniziò a
giocherellare con il lembo della sciarpa, poi, nervosa, incominciò a battere il
piede per terra. Il suo stato d’animo passò velocemente dall’imbarazzato,
all’agitato per approdare nell’arrabbiato, con tanto di braccia conserte e di
sopracciglio inarcato. Ma che diavolo faceva House?
Suonò di nuovo e con molta meno gentilezza. Tutto questo
non era affatto divertente, già la situazione non era delle migliori, era già
tutto così complicato senza che ci si mettesse House e il suo insopportabile
essere scemo a complicare le cose.
“Ehi!” la voce che conosceva tanto bene non giunse, come
si aspettava, da dietro la porta verde, dove in linea puramente teorica avrebbe
dovuto essere, ma dietro le sue spalle. Allison si girò di scatto e lo trovò lì,
davanti a lei, con il giubbotto di pelle, il casco incastrato sotto il braccio e
un’espressione casuale dipinta in volto. “E tu che diavolo ci fai qui?”
Oh Dio, avrebbe voluto urlare in quel momento.
Lo sguardo pungente di Cameron strappò all’uomo un sorriso
di puro divertimento. Guardò la sua valigia. “Oh, immagino che tu stia cercando
un posto dove stare. In effetti mi servirebbe una colf..”
“House non è divertente.”
“Sì che lo è.- controbatté con un sorriso spensierato.-
sei così nervosa che ti salterebbero i nervi anche se ti avessi aperto subito e
ti avessi accolto a braccia aperte.. non credi che questo sia divertente?”
Mentre parlava si era avvicinato bruscamente a lei, così impetuosamente che
Cameron, tanto per confermare le sue parole, era arrossita violentemente.
Lui esibì uno dei suoi tipici sguardi, di quelli che
volevano dire: appunto.
Gli sguardi che lei tanto odiava. *Cominciamo bene* pensò
distogliendo lo sguardo e cercando disperatamente di rimanere padrona di sé.
“Ok signorina. è assunta.- proseguì lui, ridendo.- prego.”
Si fece spazio tra lei e la porta, inserì le chiavi e dopo una piccola spinta,
l’uscio si apriva davanti a lei e il fantomatico ‘House world’con essa. Allison esitò un piccolo
secondo prima di entrare e lui ne approfittò per spararne un’altra delle sue.
“Oh ma se non se la sente, può sempre ritirarsi. In effetti la capisco, varcare
la soglia di una casa può essere molto rischioso..”
Allison arrossì di nuovo e si fiondò nel suo appartamento
ancora al buio urtando su un oggetto non ancora identificato. “Ma cos..”
In quell’istante House accese la luce ed Allison notò il
mucchio di libri accatastati che aveva incontrato con le gambe. Un mucchio di
libri accatastati sul pavimento davanti all’entrata?
“Attenta.- l’ammonì lui, con un sorriso ironico.- tengo
quei fumetti lì da circa dieci anni e non vorrei dover rompere la colonna
proprio adesso.”
Cameron non trovò le parole per rispondergli.
I suoi occhi viaggiarono per l’ambiente, un po’ confuso,
un po’ disordinato, prettamente maschile. Ma la cosa che la colpì di più fu nel
trovare quella casa così magicamente da lui, come se il suo essere trasudasse da
ogni cosa, da quella concezione tutta particolare di ordine, dagli oggetti, dai
quadri e le foto appese alle pareti, per finire la ciliegina sulla torta, ovvero
quel grande pianoforte lucido e nero che dava quel tocco di genialità, quel
tocco di House.
“Ecco il tuo matrimoniale a due piazze.” Disse il
diagnosta indicandogli il suo misero divano. “Starai una meraviglia.”
“Sicuro.” Rispose lei, sarcastica.
“Ehi.- lui sembrò offeso.- vuoi dire che non ti
piace?”
Allison sorrise, liberamente. “Non mi permetterei mai..
è.. confortevole..”
“Lo sarà di più se dormi con la testa rivolta di qua, lì
una volta Wilson c’ha lasciato un ricordino e io non ho avuto più il coraggio di
sedermici. Avevo pensato di buttare via tutto ma lui non me l’ha permesso.. sai
come sono fatti questi oncologi, tutti così romantici e nostalgici..”
Cameron rise. “Smettila.” Non poteva certo che creder che
James Wilson..
“Oh, certo, lui è un uomo tutto d’un pezzo, eh?-continuò
House, leggendo l’incredulità negli occhi di lei.-Ebbene sì, anche i duri se dormono con
la mano immersa nell’acqua..” lasciò cadere la frase ed Allison gli rispose con
uno sguardo allucinato.
“Ehi, io non ti ho detto niente.” decretò alla fine con un
simpatico occhiolino prima di lanciare il casco da una parte e di appendere il
proprio giubbotto di pelle.
Osservò lei che faceva lo stesso e con piacere la trovò un
po’ più rilassata rispetto a prima, anche se nei suoi occhi c’era sempre quel
piccolo lampo di delizioso nervosismo che la rendeva a dir poco affascinante..
si accorse che nonostante agisse e parlasse con estrema disinvoltura, anche lui
si sentiva strano, agitato.. l’idea di lei, nella sua casa, lo rendeva un po’
inquieto.
E pensare che questa trovata era venuta proprio a lui.
Riprese, curandosi di non osservarla negli occhi. “Di là
c’è la cucina e infondo c’è il bagno.. la mattina presto viene la colf,non spaventarti è brutta come uno
spaventapasseri.”
“Wow, non ti facevo così scrupoloso da tenere una colf..”
commentò lei, sorridendo.
“Infatti è quella di Wilson e starà qui a tormentarmi la
vita finché quell’imbranato non trova una dimensione stabile. E naturalmente nel
frattempo offre lui.” Concluse con un sorriso intrigato.
Lei annuì, roteando il capo. Sapeva che c’era qualcosa
sotto…
La voce di lui continuò a destarla dai suoi pensieri:
“Se stai pensando alla cena, al dopo cena e a come
passeremo queste ore, devo deluderti. Il mio programma preferito è mangiare un
panino davanti alla televisione, fare la doccia e andare a dormire. Non mi metto
a discutere sul tempo, sul fatto che non ci sono più le mezze stagioni, che i
giovani non sono più quelli di una volta e via discorrendo.”
Lei sorrise, spontaneamente. “Lungi da me cambiare le tue
sane abitudini.”
House annuì, soddisfatto. “Ma c’è un problema.- continuò
lei, guadagnandosi uno sguardo d’irritazione da parte sua.- il tuo dopo cena,
voglio dire, la tua serata davanti al televisore.. coincide con il mio letto..
non posso dormire finché tu non hai finito.”
“Oh, non c’è problema.- Greg finse di non capire.- non mi
secca vederti sveglia per casa.”
Lei rise, ma in realtà lo faceva per non piangere. “No,
intendevo.. ah.. senti, per quanto tempo guardi la televisione dopo cena?”
“Animo, bimba mia! Ti permetto di stare alzata fino alle
tre, diciamo, contenta? Poi tutti a nanna, me compreso. I film porno finiscono
più o meno a quell’ora lì..”
Lei aggrottò la fronte, disgustata. “Le tre?” Perdinci.
Lei era abituata ad andare a letto verso le undici, spararsi un bel libro e poi
andare a correre la mattina alle sei. Ah, santa pazienza.
“Non un minuto di più.” il tono sarcastico di House le
faceva ridere, ma a pensarci bene c’era poco da stare allegri.
Sospirò. “C’è di positivo che tu fai la doccia di sera, io
di mattina.”
“Dopo le dieci.” Precisò il padrone di casa con un sorriso
divertito. “non vorrai mica svegliarmi, vero?”
“Se faccio la doccia alle dieci, a che ora ci presentiamo
in ospedale?” domandò lei, abbastanza costernata.
“Il più tardi possibile.” Rispose lui, disinvolto, come se
fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi, notando il suo sguardo di disappunto
continuò. “è il motto della casa, non penserai mica di poter trasgredire,
spero!”
“Oh, e ammettendo per assurdo che io mi adegui al tuo
motto, oltre a questo e allo stare alzata fino alle tre di notte, c’è qualche
altra regola di sopravivenza che dovrei conoscere?” domandò, con l’aria
combattiva, le mani ai fianchi e il capo deliziosamente inclinato in un moto di
riprovazione.
Greg annuì, deciso: “Un paio, in realtà. La prima è la più
importante di tutte ed è improrogabile: gli ospiti lavano i piatti sporchi.”
Allison inarcò un sopracciglio. “Specie se sono donne.” Aggiunse lui con la sua
solita, affascinante espressione.
Cameron sorrise, rassegnata. “E la seconda?”
“Puoi usufruire del mio bagno come vuoi –fece una piccola
pausa.- Basta che non mi rubi le creme per la pelle e confondi le tue cerette
con le mie.”
Lei rise, spensieratamente. “Ci starò attenta.” Confermò
con l’ironia che la contraddistingueva e quel semplice e genuino sorriso che
ogni volta lasciava il diagnosta senza fiato.
“Bene.” Sentenziò lui, un po’ soprappensiero. Le regalò
un’altra breve occhiata, poi, un po’ imbarazzato, si allontanò con la sua solita
andatura claudicante, recandosi in camera sua o almeno così le parve mentre lo
seguiva con lo sguardo.
Allison rimase immobile e pensierosa ancora alcuni
istanti. Non poteva negare di esserci rimasta un po’ male, aveva sperato che lui
le dedicasse più tempo ma solo ora si rendeva conto di quanto i suoi pensieri
fossero profondamente stupidi.
Diamine, Allison, è House, che diavolo t’aspettavi, che ti
accogliesse a braccia aperte con il soufflé nel forno e la tavola imbandita per
due??
Negando con il capo e condannando la sua odiosa ingenuità
decise pazientemente di occuparsi della propria valigia.
Erano da poco passate le nove di sera quando James Wilson
era ritornato stancamente nella sua camera d’albergo, dopo una cena che aveva
consumato solo con i propri pensieri, seduto al tavolo del ristorante.
Era bella la sua camera, d’un rosa antico e gentile, di
quelli che a lui mettevano tanta tenerezza e al contempo anche tanta tristezza.
Gli ricordavano la sua profonda e triste solitudine. E gli ricordavano che, per
una volta, almeno, avrebbe voluto con tutto se stesso cambiare la sua
situazione, prendere l’iniziativa, fare qualcosa.
Eppure, lui, ilpiù grande dongiovanni di tutto il PPTH, non era capace di fare nulla per
LEI. Era cervellotico ed anche vagamente sarcastico ma era la verità. Lei lo
bloccava, gli faceva raggelare la voce in gola e fermare il cuore nel petto ed
ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli ghiacciati di lei era come se
non solo il suo organismo ma tutto il mondo si fermasse un istante, ipnotizzato.
Odiava sentirsi così.
Si sentiva terribilmente stupido ed ogni santa volta in
cui sentiva di aver perso un’altra preziosa occasione per, che ne so, invitarla
a cena, avrebbe voluto prendere a schiaffi se stesso e la sua antipatica ed
alquanto inaspettata timidezza. Si diceva che la prossima occasione sarebbe
stata quella buona, che quello che gli occorreva era solo una piccola mano del
destino.
Ebbene, in quella sera di dicembre, arrivò la mano che gli
serviva.
Il destino aveva agito sotto le mentite spoglie di un
messaggio di segreteria telefonica.
James si accorse che la spia rossa stava lampeggiando solo
dopo alcuni minuti.
“Wilson sono Cuddy.” la sua voce gli causò un brivido
lungo la schiena. “ho bisogno di parlarti, se non hai impegni chiamami, ci
accordiamo sul dove incontrarci.”
Breve, chiaro, freddo. Tipicamente da lei.
Imponendosi di non pensare, Jimmy afferrò il telefono e
compose il numero di Lisa. La sua voce, che un pò disordinatamente rispondeva un
pronto gentile ma confuso, arrivò solo dopo molti squilli.
“Lisa, sono io.- disse lui con voce un po’ grave.- mi
dispiace se ti chiamo ora, ho sentito il messaggio soltanto adesso.”
“Non.. non preoccuparti.” la sua voce gli fece percepire
l’esatto contrario.
“Dove vuoi che ci incontriamo?”
“Scusami per quel messaggio, James.- la voce di Lisa
adesso era più fredda, più da ‘Cuddy’.- va tutto bene, adesso scusami ma sto
uscendo con un’amica.”
Wilson non poteva credere alle sue orecchie. “ Lisa che è
successo?” domandò, in apprensione.
“Niente, sono stata una stupida.”
“Di che cosa volevi parlarmi?” insistette lui, non
riuscendo a credere che il destino il quale aveva tentato di farlo avvicinare a
lei gettando il sasso ora ritraesse bruscamente la mano.
“Niente di importante..”
“Dal tuo tono sembrava proprio di sì.”
“Ok, avevo un problema.- la sua voce adesso sfiorava
l’ira, era fredda e dura, irritata.- ma ora ho risolto. E adesso scusami ma, te
l’ho detto, sto uscendo.”
Wilson sospirò, chiudendo gli occhi. “Sai che con me puoi
parlare. Se..”
“A domani Wilson.” Il suo cognome, pronunciato con quel
tono stizzoso e sbrigativo fu l’ultima cosa che udì. La telefonata finì lì e con
lei anche le sue misere speranze.
Si sedette pesantemente sul letto, con il cellulare in
mano.
Provò a chiamare il suo numero di casa altre due volte ma
sempre inutilmente: o lei era uscitadavvero o aveva avuto la cura di non rispondere al suo numero. E aveva
magistralmente spento il cellulare.
Sospirando, si gettò con la schiena sul letto.
E s’addormentò, poco dopo.
Sognando lei e quella fantomatica ed irrisolta
conversazione che prima o poi avrebbe dovuto affrontare.
Cameron smanettava ai fornelli da più di mezz’ora.
Che diavolo stesse combinando era quello che House si
chiedeva invece da un’oretta abbondante.
Era sicuro di non avere niente in frigo, niente se non il
suo misero panino al tonno e maionese. Per il resto nel suo piccolo spazio
gelato c’era sempre stato un eco impressionante.
E invece lei a quanto pare aveva trovato il modo di
prepararsi qualcosa scovando chissà che nel caos della sua cucina.
Ma qualsiasi cosa la sua immunologa avesse architettato,
tutto questo aveva un profumo a dir poco invitante. Lui l’osservava segretamente
dal divano che avrebbe costituito il suo letto provvisorio per alcuni giorni,
tenendo per così dire d’occhio lei e il suo operato mentre nell’ambiente
risuonava la musica di un cantante inglese, un cd che gli aveva regalato Jimmy..
forse un certo Elton John.
Ad un certo punto sentì un brusco rumore e lei emettere
una piccola esclamazione.
Sorrise, pensando che questa era l’occasione che
attendeva: poteva affacciarsi alla porta socchiusa della cucina con una scusa
decente. Soddisfatto si alzò dal divano, mise a tacere Elton John e le sue
sciocchezze sentimentali, e fece irruzione nella stanza adiacente.
“Che stai combinando nella mia cucina?” finse la voce
grossa e burbera di un capo arrabbiato.
Ma per sua immensa delusione Allison non aveva rotto
niente. “Ci sono andata vicina.” Aveva ammesso qualche secondo dopo, dopo
avergli raccontato del salvataggio in extremis di un piatto.
Con l’occasione gli occhi blu di Greg si posarono sulla
padella sul fuoco,fonte del
misterioso odorino. Lei captò il suo sguardo e non mancò di sottolinearlo. “è
frittata.” Disse sorridendo e pulendosi le mani su una piccola pannella che si
era portata da casa perché questa, era sicuro, non c’era nella sua cucina.
House annuì, un po’ sorpreso.
Lei sorrise, incredula. “Pensavi sul serio che non sapessi
cucinare???”
“No.- ammise lui, intrigato.- avevo immaginato che sapessi
fare qualcosa del genere.. è molto comune tra quelli del tuo sesso.. no, quello
che mi stupisce è: dove hai trovato le uova?”
Lei inarcò un sopracciglio:“Credi che le abbia covate io
stessa?”
“Ehi, potrebbe essere un’ipotesi.” Esclamò lui, non
potendo far a meno di sorridere.
“La verità è che hai una vicina gentilissima.”
House avrebbe voluto spararsi. “Non dirmi che le hai
elemosinate dalla decrepita qui di fianco???-esclamò, urlando.- Brava! Anni e
anni e di onorato odio reciprocobuttati in fumo!”
Allison non poteva credere alle sue orecchie. “Vuoi dire
che non vai d’accodo con quell’anziana signora?? Ma con me è stata
deliziosa!”
“Con te tutti sono deliziosi.- la buttò là, infastidito.-
questa me la farà pagare, si pulirà i piedi sul mio zerbino e mi ruberà le
lettere dalla cassetta della posta per un anno intero!”
Questa volta lei rise di gusto “Ma va! Non posso credere
che la signora Thomp..”
“Ha raggirato anche te come tutto il condominio!- spiegò
con enfasi.- la realtà è che è una vecchia donna malefica che addirittura istiga
il suo cane a fare i suoi sporchi bisogni sulla ruota anteriore della mia moto!”
Lei negò con il capo, tornando ad occuparsi della sua
padella. “ Sembri un povero pazzo che cerca di convincere i vicini che ha visto
un UFO.”
“Quando avrò le prove che è parente della Cuddy, ti
ricrederai..”
La sentì ridere ancora, voltata di spalle. “Lasciando le
tue manie di persecuzione da una parte..- iniziò, la voce ancora tinta
d’allegria.- ti va di prendere un po’ di frittata? Ce n’è abbastanza per
due..”
Greg s’irrigidì improvvisamente.
Un po’ di frittata voleva dire cenare con lei.
No.
Era questo ciò che temeva di più di quella specie di
pseudo convivenza. Era il dover passare il tempo vicino al suo pericoloso
sguardo, ai suoi occhi cristallini, alle sue rischiose labbra che si piegavano
spesso in un dolce sorriso che mandava lampi di un amore triste e soppresso. No,
era tutto così bello che lo agitava. Ne aveva paura. Soprattutto perché adesso
che sapeva ciò che sentiva per lei, ignorava come avrebbe potuto reagire.
No.
“Te l’ho già detto.- la sua voce suonò sgradevole
esattamente come voleva che fosse.- io ho il mio panino e la mia tv.”
Cameron non si voltò neppure. Un sorriso triste si dipinse
sul suo viso, mentre spegneva il gas. “Come vuoi.” Disse fingendo noncuranza. Ma
è così difficile fingere bene…
Lui sparì in quell’istante, prese con il suo panino si
diresse davanti alla tv, accendendola.
Cameron mangiò, sola, qualche boccone di frittata.
Nonostante tutto aveva sperato che lui acconsentisse, che mangiasse qualcosa con
lei.. evidentemente non aveva voluto rivivere la patetica sera a cena che si
erano concessi quasi due anni fa.. due anni.. mentre si portava la sua cena alle
labbra constatava dell’enormità del tempo che era trascorso da quando aveva
iniziato a lavorare con lui. Due anni.. due anni che ne era innamorata.
Non aveva mai concesso a nessun uomo tanto tempo.
E nessun uomo ne aveva mai avuto bisogno a dir la verità.
Ma non è che si stava incaponendo perché lui non la voleva
e basta? Lo sperò con tutta se stessa. Lo sperò perché se veramente era così, se
lo voleva soltanto per dimostrare a se stessa che poteva avere chiunque, allora
anche se non fosse riuscita nel suo intento prima o poi si sarebbe comunque
rassegnata.
Invece se era amore.. ah, rassegnarsi sarebbe stato
davvero più difficile.
Greg cambiò di nuovo canale. Erano quasi le undici e mezzo
adesso ma quella sera i programmi televisivi sembravano non avere su di lui
alcuna attrattiva. Guardava senza vedere veramente come se né il triller più
avvincente, né l’horror più terrificante riuscisse a scuotere il suo interesse.
Niente, il suo cervello era troppo impegnato a darsi dell’idiota per pensare ad
altro.
Sospirando fece un piccolo sorso di birra cercando di
cancellare il sapore amaro che quella frittata-mancata gli aveva lasciato in
bocca. Si rese conto che non aveva più visto lei da dopo quel rifiuto.
Più attento ai suoi rumori che a quelli della tv, l’aveva sentita sistemare la
cucina, lavare i piatti, poi i suoi tacchi si erano allontanati, secondo lui,
verso il bagno.
La sua voce soft lo risvegliò dai suoi meccanicistici
pensieri.
“Posso?” disse lei, accennando a volersi sedere accanto a
lui, sul divano. “o anche questo va contro i tuoi programmi serali?”
House sorrise di fronte alla sua ironia. Prese una seconda
bottiglietta di birra che aveva preparato appositamente per lei e gliela porse.
Cameron l’afferrò volentieri e si sedette. Il suo sguardo
cadde immediatamente sulla tv. “Che stai guardando?”
House avrebbe voluto rispondere un “non lo so.” sospirato
ma poi lasciò perdere. Fece un altro sorso. “Un film che è praticamente una
merda di pellicola.” Disse quindi, girando canale. “Dovrebbero mettere a morte
il regista.” I suoi occhi blu notarono che Allison aveva preso con sé una
cartellina blu. “è lui?” disse, rivolgendosi al contenuto della stessa.
“Sì, è lui.” Rispose lei, un po’ vaga. La aprì sulla
pagina contente il famoso identikit. Girò lo sguardo su di lui, cambiando
argomento con la prima cosa che le venne in mente “ E il tuo porno serale?”
House sorrise. “Calma gli ormoni, bella mia.. il film
inizierà tra un’oretta.”
Lei arrossì. “ Io non guarderò quello schifo, non sono
mica uno sporco pervertito come te!”
“Hai ragione! Non me l’hai mica chiesto e non sei nemmeno
arrossita! Sono proprio un bastardo a pensar male di te!”
“House dacci un taglio! Mi sono solo stupita, tutto qui!”
esclamò, stizzita, afferrando il telecomando. “Adesso comunquesi vede quello che dico io.”
Greg sorrise, divertito. “Ok. C’è solo un piccolo, futile
dettaglino- piccola pausa.- questa è casa mia!! Io padrone, tu ospite.”
“Il padrone di casa dovrebbe essere un po’ più gentile con
l’ospite, ammesso e non concesso che tu sappia cos’è la gentilezza” continuò lei
con un tono di voce falsamente conciliante.
“Ehi, ti do la possibilità di dormire sul mio divano, che
cosa vuoi di più??”
“Oh, credo che dovrei esserne onorata..” rispose lei
centrando con quell’infernale arnese di un telecomando un pallosissimo film
d’amore.
House rise sarcasticamente. “Sei pazza se credi che ti
lascerò vedere questo film a casa mia. Ho una reputazione da difendere, che ti
credi??” fece per prendere il telecomando ma leiallontanò il braccio. “Solo pochi
minuti.” Disse con un sorriso a cui, House se ne accorse, nessun uomo avrebbe
potuto negare nulla.
Nemmeno lui.
Videro quasi un’ora intera di quella noia mortale.
Talmente soporifero che Allison aveva iniziato a
sonnecchiare dopo una quindicina di minuti ed era crollata poco prima dello
struggente finale.
Greg spense finalmente la televisione
Poi girò lo sguardo su di lei.
Era incantevole.
Si era addormentata seppur seduta e ancora con le gambe
accavallate. Probabilmente la tensione non le aveva dato modo di sciogliersi e
mettersi un po’ più comoda. Sospirando, il suo sguardo si posò sul suo viso,
così rilassato, angelico, tranquillo, in netta contrapposizione all’espressione
che assumeva frequentemente a causa di molteplici eventi, quando si ritrovava ad
essere tesa, nervosa, agitata.
Aveva ancora la bottiglietta di birra, da cui mancavano
solo pochi sorsi, nella destra e l’identikit del pazzo nella sinistra.
Sospirò di nuovo, pensando al pericolo a cui lei andava
incontro a causa di un pazzo scatenato che nemmeno ricordava di aver mai
incontrato. La preoccupazione che sentiva per lei gli fece improvvisamente
nascere un piccolo calore in fondo al cuore, quel calore strano e fastidioso che
cominciava a sentire troppo spesso e quella paura di averla così vicina, di
sentirla così vicina.
Delicatamente, le sfilò la bottiglietta di vetro dalla
mano e così pure la cartellina.
Sperò con tutto se stesso che non si svegliasse.
E per fortuna non accadde.
Zoppicando, prese un plaid e lo appoggiò su di lei, per
evitare che prendesse freddo. Si stupì dell’amorevolezza che mise in quei gesti.
Avrebbe voluto sistemarla lunga sul divano, così scomoda si sarebbe svegliata
tutta rotta il giorno dopo.
Ma non osò toccarla.
Il suo corpo, come le sue labbra, era un'altra delle cose
con la scritta luminosa ‘danger’a
cui doveva stare attento, se non voleva perdere il controllo di sé.
Senza contare che poteva svegliarsi.
Si alzò dal divano, concedendosi ancora qualche secondo.
Adorava guardarla così. Non doveva dare spiegazioni e poteva avere tutto il
tempo che voleva per studiarsi a memoria i suoi lineamenti, così da averli sotto
gli occhi anche quando si sarebbe allontanato da lei.
Sospirò, distolse lo sguardo e si diede mentalmente
dell’idiota.
Non poteva, non poteva.
Aveva giurato al mondo e a se stesso che mai, mai si
sarebbe innamorato di nuovo. Aveva sofferto troppo e soffrire di nuovo lo
avrebbe ucciso. Un’altra delusione avrebbe significato la chiusura eterna con il
mondo degli esseri umani.
Il fatto poi che Cameron sarebbe stata per forza una
delusione era scritto a lettere cubitali nella sua mente. Era giovane e
bellissima. Lui aveva quasi vent’anni più di lei. Non poteva funzionare.
“buona notte, Cameron.” Disse, piano, sottovoce. Prese il
bastone e con il cuore e l’animo in subbuglio, si recò in camera sua,
nell’utopica illusione di riuscire a dormire.
Vento. C’era sole e tanto vento. Lei scendeva dalle
scale della clinica Mayo, con una ventiquattrore nella destra.House le veniva incontro, zoppicando. Si
incontrarono circa a metà percorso e lei non era affatto stupita di vederlo lì,
dove in realtà non avrebbe affatto dovuto essere.
“Sei patetica.” Esordìlui, storcendo il capo. “Quella bambina
non ha speranze, lo sai.”
Cameron distolse lo sguardo, lasciando che il vento le
sconvolgesse i lunghi capelli castano-rosso. “Lo so, lo so. Ma il padre mi ha
chiesto di..”
“Balle.” La zittì lui. “non lasciarti impietosire. È un
pazzo e vuole ucciderti.”
Allison corrugò la fronte, negando con il capo,
scavalcandolo e dirigendosi verso la sua vecchia auto rossa. “Sei fuori di te.
Non lo conosco neppure e dici che mi vuole ammazzare!”
Greg la raggiunse in pochi passi. “Ragiona!- le urlò
contro.- Non puoi lasciarlo fare! È vero che sono passati tre anni ma devi
cercare di ricordare e poi denunciarlo!!”
“Ricordare che cosa?? Denunciare?? - domandò lei,
urlando a sua volta.- lavoro qui da due mesi, vuoi già farmi passare un guaio
per un’ ipotesi assurda??” si voltò di nuovo con l’intento di andarsene ma House
la prese per una spalla, costringendola a voltarsi.
Cameron si voltò di scatto e, atterrita, osservò che il
suo interlocutore non era più House.
Era il suo aggressore, l’uomo dell’identikit. “Tu non
hai fatto niente!!!” le urlò contro sbattendola sulla sua auto rossa.
“Noo” protestò lei. “no, non è vero.. io ne ho parlato
anche con..”
“Taci, puttana, adesso morirai come gli altri!” lo vide
estrarre il coltello e alzarlo sopra di lei.
Cameron si alzò di scatto dal divano, sudata e
terrorizzata. Respirava faticosamente cercando di raccattare da qualche parte
l’ossigeno di cui aveva bisogno. Aveva avuto la certezza di urlare ma
evidentemente dalla sua bocca non era uscito alcun suono.
Sospirò, portandosi le mani agli occhi e poi tra i
capelli. Ripensò un istante al suo incubo, alla clinica Mayo, ad House, al suo
assassino. Adessone era sicura. La
soluzione al suo problema era scritta proprio lì, nella clinica dove aveva fatto
l’internato, tre anni prima.
E forse aveva ragione House. Forse la storia di quella
bambina, Chrystal, era la chiave di tutto. Eppure non riusciva a ricordarla.
Con un gesto di stizza si scostò la coperta, arrabbiata
con il mondo e con se stessa. Poi, come vide il plaid cadere dal divano dove era
seduta in malo modo, si domandò come ci fosse finita.
Gli ultimi ricordi della serata risalivano a quella scena
melodrammatica di quel noiosissimo film che aveva voluto vedere.. merda, doveva
essersi addormentata. Che figura..
Ecco da dove proveniva la coperta. Probabilmente
gliel’aveva messa sopra lui.
Senza accendere la luce vide sul quadrante fosforescente
del suo orologio che erano circa le quattro e mezzo del mattino. Indossava
ancora i vestiti del giorno prima. Sbuffando afferrò dalla valigia la sua
camicia da notte e si cambiò in fretta, quindi decise d’alzarsi, di andare in
bagno e lavarsi velocemente il viso, cercando di rimuovere i segni di quel
bruttissimo ed inspiegabile sogno.
Camminando nel buio confortevole della casa di House,
arrivò nel bagno, vi entrò ed aprì appena l’acqua. Si deterse il viso,
incontrando solo parzialmente la sua immagine spaventata sulla superficie dello
specchio, quasi totalmente risucchiata dal buio della notte.
Ritornò sui suoi passi ma prima di giungere nel salotto
non poté fare a meno di fermarsi qualche istante, lì, davanti alla porta
socchiusa della sua camera da letto. Quanto avrebbe voluto entrare e
raccontargli tutto.. si sarebbe sentita più leggera, più tranquilla…
Senza riflettere qualche secondo di più, attuò i suoi
pensieri e spinse la porta della camera di House, entrandovi silenziosamente.
Vide Steve Mc Queen dormire ancora della grossa, come
probabilmente stava facendo il suo padrone, disteso sul suo letto.
Fece per chiamarlo ma le mancò la voce. Decise di
avvicinarsi, prima solo di un passo, poi di due, finché non si ritrovò accanto
al suo letto, ad appena una decina di centimetri da lui.
Sembrava dormire tranquillamente, con il viso appena
inclinato di lato e le labbra socchiuse.
Aprì di nuovo la bocca per chiamarlo. Ma di nuovo le mancò
il coraggio.
Tremando leggermente per il freddo di quella nottata
d’inverno e per quello più profondo che sentiva nel suo animo, arrivò a
sfiorargli il braccio, delicatamente. Assomigliò piuttosto ad una piccola
carezza e forse era proprio questo quello che lei voleva che fosse.
Si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime.
Era lì, l’uomo della sua vita.
E non voleva lei.
Lasciò che la mano scivolasse lungo il braccio, arrivando
a toccare gentilmente la sua mano di dottore… le mani che tante volte aveva
desiderato la stringessero. Imbarazzata, si ritirò lentamente. Si allontanò
lievemente da lui e, dopo un ultimo fugace sguardo, decise di tornarsene a
dormire.
La notte porta sempre ad amplificare le cose. Domattina
quel sogno le sarebbe sembrato esattamente quello che era: uno stupido incubo.
L’auto nera parcheggiò silenziosamente davanti al piccolo
condominio di House. L’uomo che ne era alla guida, sospirò leggermente,
portandosi il sigaro alla bocca.
I suoi occhi profondi si focalizzarono sull’auto grigia
metallizzata di Allison, parcheggiata proprio davanti al posto auto per
disabili, occupato da una bellissima moto arancione.
L’uomo sorrise.
“Ci rincontriamo, dottoressa.” Sussurrò, inclinando la
testa di lato, con voce grave, profonda e leggermente roca.
La sua auto ripartì un secondo dopo, sfrecciando
silenziosa nella notte.
Non appena la porta si richiuse dietro di lei, House aprì
gli occhi.
Sentiva ancora il cuore pulsargli furiosamente nelle
tempie. Sentiva ancora la sua dolce pressione, lì, sul braccio, nel punto in cui
lei l’aveva sfiorato.
Si passò una mano sugli occhi.
Aveva finto di dormire tutto il tempo ma, in qualche modo,
era certo che lei lo sapesse.
Era stata una finzione approvata da entrambi. Se Cameron
avesse voluto realmente interromperla sarebbe bastato indugiare di più nel suo
tocco.Lui a quel punto avrebbe
dovuto interrompere, fingendo di svegliarsi.
Ma la verità era che nessuno dei due aveva voluto
veramente smettere di fingere. Era andato bene ad entrambi per ora,
perché entrambi avevano troppa paura di quello che sarebbe potuto accadere, lì,
nella sua camera da letto, alle quattro di notte.
Cameron aveva paura di un nuovo rifiuto ed House di non
riuscire a rifiutarla.
In fondo era così semplice.
Eppure non poteva durare.
Presto quella finzione così ben architettata e organizzata
sarebbe capitolata assieme a tutta l’ipocrisia che si trascinavano dietro da
troppo tempo.
Presto.
Prima di quanto osassero immaginare.
“Le anime hanno un
loro particolar modo d’intendersi, d’entrare in intimità fino a darsi del tu,
mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole
comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali.”
Non voglio darvi
anticipazioni per questo capitolo, ho davvero pochissimo tempo, volevo solo
lanciarvi un bacione enorme e dedicare questo capitolo alla mia amica
Apple , tentando di ripagarla del bel pensiero che ha avuto per il
mio 18esimo compleanno!!!!
(andate a leggere
Together è bellissima!!!)
Apple spero che
questo cap ti piaccia, la storia è già dedicata a te ma volevo che lo fosse
questo capitolo in particolare, grazie ancora!!!
Naturalmente corro a ringraziare anche gli altri che hanno
commentato.. un bacio enorme a: Toru85, Venus, Nieniel,
_Vally_, Sheila, Pinacchia, Amy, Damagedlove,
SHY (grazie per gli auguri!), Briseis, Mistral,
Miky91, Aras5, Hamburger, Mercury259,
Nathaniel, Elberet, Mikomay, EriMD, Hikary e
Nick.
Grazie, mi raccomando recensite!!^^
Buona lettura,
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
IX: Sarà come bruciare
“Notre
cœur est un instrument incomplet, une lyre
où il manque des cordes,
et
où nous sommes forcés de rendre les accents de la joie sur le ton consacré aux
soupirés »
Chateaubriand
[ il
nostro cuoreè uno strumento
incompleto, una lira da cui mancano delle corde,
e dove
noi siamo forzati di rendere accenti di gioia, su toni consacrati ai
sospiri]
Gli
sembrò d’aver appena chiuso gli occhi quando sentì la sveglia sul comodino
iniziare a suonare, squillante e prepotente come ogni mattina, alle nove e
quarantacinque.
Con la vista ancora un po’ appannata e i movimenti
intorpiditi dal sonno si alzò dal letto, con gesti lenti e pigri, volti
innanzitutto alla ricerca di qualcosa di primario: Vicodin e bastone.
Trovò
il primo sul comodino accanto all’infernale sveglia e, tanto per inaugurarsi il
‘buongiorno’ ne tracannò una pillola, quindi fu la volta del bastone il
ritrovamento del quale, però, fu molto più difficile. Quando finalmente lo
individuò lo prese e appoggiandosi a questo, si alzò stancamente dal letto,
respirando la silenziosa quiete della sua casa, quella mattina.
Già,
non era un po’ troppo silenziosa?
Si era
immaginato un risveglio un po’ più dolce, come ad esempio, quello condito dal
profumo di bacon e uova che magari Cameron aveva preparato.. naa, niente.
Si
disse però che in fondo era quello che si meritava. La sera precedente aveva
bruscamente rifiutato la cena di Allison, poteva adesso lei cucinare per due la
colazione?
Si
immise nel corridoio, senza dire una parola, gettando subito uno sguardo
incuriosito all’indirizzo del divano, stranamente vuoto ma rifatto completamente
con il plaid piegato e appoggiato al cuscino.
Gettò
un occhio in cucina, ma era anch’essa vuota.
Con un
sorriso che non era altro se non pura malizia, House si diresse nel bagno,
sperando di trovare lì Allison, magari ancora intenta a spogliarsi per andare a
fare la sua agognata doccia mattutina. “Ehi, sto entrando e non sono
responsabile di quello che vedrò.”
Annunciò
socchiudendo la porta ma lentamente per lasciarle il tempo di fermarlo, nel caso
fosse veramente in procinto di svestirsi.
Ma
l’avanzata di Greg non incontrò nessuno ostacolo né sentì urli sinistri
minacciargli la morte se non avesse fatto subito retro front. Constatò
mentalmente che Cameron non era nemmeno lì.
E dato
che la sua casa consisteva in quegli ambienti, era ormai ovvio che Allison era
uscita. Che fosse andata a fare jogging? No, troppo tardi. Una salutista come
lei minimo correva alle sei del mattino.. no, era chiaro che Cameron se n’era
andata a lavoro. Magari proprio per il gusto di disobbedire alla legge che lui
le aveva giocosamente imposto oppure, molto più intelligentemente, per evitare
le fatali chiacchiere che Chase e Foreman non si sarebbero certo risparmiati,
vendendoli arrivare quasi istantaneamente. Lei aveva ristabilito la normalità,
recandosi all’ospedale all’alba come sempre e lui, a metà mattinata, se andava
bene, come tutti i giorni.
Un
sorriso quasi orgoglioso si dipinse sul suo volto, quando, in cucina, aprì
lentamente il frigorifero, nell’assurda speranza di trovare qualcosa che fosse
anche lontanamente commestibile. La sua attenzione fu invece catturata dal
forno, lasciato socchiuso. Vi gettò un occhio e notò un piccolo fagottino
bianco, accartocciato.
Curioso,
lo tirò fuori e notò un piccolo biglietto.
“Non hai detto niente riguardo
la colazione.
Se non infrange il tuo
protocollo, buongiorno e buon appetito. Cameron.”
Sorrise, quasi incredulo,
estraendone il contenuto: bacon.
Gli aveva preparato la
colazione nonostante il suo rifiuto dell’altra sera, nonostante il fatto che
avrebbe dovuto essere arrabbiata e comportarsi come tale.
“Sei irrecuperabile.”
Disse ad un’ipotetica
Allison con un tono di voce che si sforzava di risultare irritato ma che era
inevitabilmente tradito dal dolce sorriso dipinto sulle sue labbra.
“Buongiorno.” Fu proprio
la voce di Cameron ad accoglierlo quando varcò la soglia del suo ufficio, con lo
zainetto sulla spalla, giacca e jeans, come d’abitudine.
Subito i occhi verdi ed
intensi catturarono il suo sguardo ma fu per pochissimo perché Greg lo distolse
subito.
“Sì, lo era prima che io
incontrassiCuddy- rispose.-è gradevolmente insopportabile oggi.”
Commentò, acido, lanciando a Chase una cartella clinica. “ Nuovo caso.” Disse,
apaticamente, prendendo la tazza di caffè che Allison gli aveva preparato.
Bevve il caffè lentamente,
come lentamente aveva mangiato il bacon, appena un’oretta prima.
I suoi occhi incontrarono
di nuovo il dolce profilo di lei ma questa volta non i suoi occhi perché la sua
immunologa era tuttapresa ad
indossare gli occhiali e prendere il suo block note per iniziare ad annotare la
sintomatologia, ignorando le futili chiacchiere dei colleghi.
Stava ripercorrendo
mentalmente gli eventi della notte prima, ricordando la delicatezza del suo
tocco che, seppur breve e dolcissimo, gli aveva procurato un profondo brivido in
tutto il corpo quando la voce irritante di Chase lo distrasse da quei pensieri.
Si voltò in direzione
dell’intensivista che aveva iniziato dicendo:
“Il paziente è una certo
Hans Burth..”
“Sì, va beh, passiamo ai
sintomi.” Lo aveva interrotto bruscamente, lasciando trasparire un bel carico
d’irritazione. Eric guardò istintivamente Allison, esprimendo con quello sguardo
un * cominciamo bene* carico di esasperazione, così sospirato che strappò un
sorriso all’immunologa.
“Allora, ha cinquantotto
anni ed è..”
“Scusami.- fu proprio
Allison ad interrompere Chase adesso.- com’era il nome del
paziente?”
House sorrise
istintivamente cogliendo la piccola sfida che lei aveva implicitamente
lanciato.
Robert guardò di striscio
House poi riprese, meccanicamente. “Dicevo, ha cinquantotto anni ed è stato
ricoverato per crisi respiratoria.”
“Nessun’altro sintomo?”
chiese Foreman, incrociando le braccia.
Cameron aggrottò la
fronte. “Un momento, solo a me interessa sapere chi è questo
tizio?”
“Ehi, hai ragione!-sbottò
House.- Chase, ripeti quell’insignificante nome, potremo dedurre che cosa gli ha
tolto il respiro dai polmoni!- lei lo guardò, esasperata.- no, non interessa a
nessuno, se non l’avessi capito, e adesso se possiamo
continuare..”
“è tutto.” Disse Robert,
chiudendo la cartella. “ a parte alcuni episodi di vomito negli ultimi
giorni.”
“Particolare irrilevante,
vomitano tutti ai giorni nostri.” Sottolineò House fulminando con lo sguardo il
suo dipendente che si difese, dicendo: “c’è scritto che ha avuto anche la
febbre. È molto probabile che non centri nulla con la crisi respiratoria e che
il vomito sia riconducibile ad una sorta di virus
intestinale.”
“Quindi abbiamo crisi
respiratoria e vomito.” Concluse House, voltandosi per imprimere gli unici due
sintomi sulla sua lavagnetta. “Ipotesi?” disse quindi voltandosi solamente con
la schiena.
“Facciamo una risonanza
magnetica al torace e gli esami di routine.” Propose Chase, con uno scrollo di
spalle.
“Impossibile.” Commentò
House con un sospiro. “ho sentito che qualcuno ha distrutto la nostra risonanza
magnetica.” Disse osservando istintivamente proprio Allison che commentò, per
nulla intimidita “Lo hai fatto anche tu un po’ di tempo
fa.”
“Era un esperimento
importante, il mio.”
“E io dovevo cercare di
curare un paziente.” rilanciò lei, leggermente protesa in avanti.
“Paziente.. una balena
piuttosto.. ” commentò l’altro con un sorriso beffardo.
“Comunque non credo che
sia un problema abbiamo pur sempre una Tac.” Disse quindi lei con un sorriso di
sfida.
“Temo di no.” questa volta
fu Foreman ad intervenire. “è l’unico strumento a disposizione ed è tutto
prenotato per circa sei ore. La nuova risonanza arriverà poco prima,
credo.”
“Chi aveva detto che non
era un problema?” domandò, retoricamente, il diagnosta senza staccare gli occhi
da lei. “D’accordo, ecco il vostro piano d’attacco: Cameron, per punizione, per
te niente anamnesi, so che ti piace farla quindi per questa volta cedi il posto
a..” fissò Foreman.
“Chase!”
L’australiano roteò gli
occhi ma non aggiunse altro.
“Poi, l’uomo nero va fare
gli avvincenti esami di routine e tu…-disse fissando la sua immunologa negli occhi.- tu va a sbattere le
ciglia, sorridi, muovi il sedere fa quello che ti pare ma voglio che il nostro
paziente possa avere una tac entro un’ora.”
Lei lo fulminò con lo
sguardo, stringendo le labbra.
“Ok. Due. Ora
fuori!”
Chase le lanciò uno
sguardo quasi ilare poi si avviò con Eric alla porta ed in breve furono entrambi
fuori dall’ufficio. Cameron sospirò, appoggiando le mani al tavolo. “D’accordo.
Qual è il tuo problema? Il bacon era troppo crudo??”
Lui sorrise, notando come
lei avesse fatto riferimento alla loro pseudo convivenza solamente dopo che
Chase e Foreman erano usciti. “No, in effetti il bacon era perfetto, sei tu ad
essere stranamente acida. Nottata difficile?”
Lei distolse lo sguardo,
arrossendo leggermente. Lui indugiò con lo sguardo, godendo, quasi, a vedere il
suo rossore. “Non dirmi che il divano era scomodo, potrei
offendermi!”
Allison alzò finalmente
gli occhi, sospirando leggermente. “No.- disse, piano.- era comodissimo il
divano.”Continuò con un filo di
voce, quasi soprappensiero. “Io… io vado.” Disse quindi, facendo per uscire.
“Ah, Cameron!” la richiamò
Greg con un moto d’ironia. Lei si voltò e lui proseguì quasi ridendo. “buon
lavoro!”le raccomandò, fingendo uno sguardo sensuale.
Lei lo degnò appena di uno
sguardo, poi, un po’ soprappensiero, uscì finalmente
dall’ufficio.
Chase entrò nell’ufficio
esattamente un’oretta dopo, con l’anamnesi e altri informazioni ricavate
dall’ispezione all’abitazione del malato. Trovò Foreman ed House discutere
animatamente davanti alla lavagnetta, ora decisamente più piena di sintomi.
“Ci sono novità?” domandò
quindi, un po’ confuso.
Foreman si voltò verso di
lui, un po’ scocciato come se avesse interrotto il suo match. In effettimancavano forse un paio di bisturi e un
buon arbitro e quello si poteva considerare un ring a tutti gli effetti. “ Hans
è peggiorato. Dalle analisi risulta che l’ossigenazione del sangue è molto
bassa, aumenta l’anidride carbonica e questo causa la velocità e la profondità
della sua respirazione.”
“Lo sai qual è l’ultima
sparata di Foreman?- esclamò Greg esasperato.- ha detto che è
Flatulenza!”
Robert si voltò verso di
lui, incredulo.
“L’avevo detto mezz’ora fa
quando non era ancora pervenute la tosse e l’insufficienza respiratoria acuta.”
Si difese il neurologo. “ adesso è ovvio che il vomito non centri, prima
no.”
“Ah, certo!!” sbottò Greg,
prendendolo in giro. “la verità è che hai detto un’assoluta cavolata e adesso ti
senti in imbarazzo.”
“Tu ne spari una dietro
l’altra, non vedo perché dovrei sentirmici io! Come tuo dipendente mi sento
quasi obbligato ad adeguarmi a te!”
“Se posso interrompervi -
iniziò Robert, sarcastico.- dall’anamnesi non risulta nulla di particolare. Solo
suo padre, morto di cancro un anno fa.”
“Cancro dove?” domandò
House martellando con il bastone.
“Al polmone.”
Greg ed Eric si
scambiarono quasi uno sguardo d’assenso. Robert lo notò e gli venne in mente le
parole con cui li aveva definiti Cameron, tanto tempo prima: grandi menti
all’unisono.
“E la casa?” chiese il
diagnosta sbadigliando.
L’australiano alzò le
spalle. “Niente di particolare.”
“Dove vive?” incalzò
l’altro.
“In una specie di baracca,
vecchissima anche se lui la tiene bene. È un grande igienista a quanto pare.”
disse quindi affondando le mani nelle tasche del camice. House restò a fissare
il pavimento per altri secondi quindi disse , come se avesse visto sentito la
lampadina illuminarsi. “Torna lì e accertati di conoscere con esattezza i
materiali di costruzione.”
“E come
diavolo..”
“Sei ancora qui??” gli
urlò sopra House, irritato. Chase trattenne una sfuriata, strinse le labbra e
annuendo lentamente ritornò amaramente sui suoi passi.
Foreman si girò verso di
lui ma non fece in tempo a dire nulla perché l’arrivo di Cameron zittì entrambi.
“La tac è pronta, faccio andare il paziente.” disse, concitatamente.
House guardò l’orologio.
“Un’ora e mezza. Wow. Allora, dicci Cameron, qual è il tuo segreto? promesse
piccanti o..”
“In effetti sono dovuta
andare a letto con metà dei tecnici, ma alla fine il risultato è stato buono,
no?” disse, sarcasticamente.
“Ah, e io che non volevo
fare il paramedico!” sbottò House sulla stessa falsariga. Lei arrossì di nuovo
ma non se ne accorse nessuno o almeno così le sembrò, coperta dalla forte patina
di ironia di cui si serviva.
“Vado.” Disse, uscendo
velocemente dall’ufficio, lasciando i due uomini interdetti, per qualche
istante.
“Come avrà fatto?”
domandò, più a se stesso che ad House, Foreman.
Greg sorrise,
orgogliosamente. E a chi conoscesse veramente House, quel sorriso l’avrebbe
detta lunga.
I risultati della Tac
arrivarono una mezz’oretta dopo. I polmoni risultavano infettati da piccole
fibre che ad un’analisi più approfondita, effettuata da Foreman, risultarono
essere amianto.
“è incredibile.” Mormorò
Allison sospirando. “Per avere tanto amianto nei polmoni dovrebbe esserci stata
un’ ingente esposizione..”
“Ed infatti c’è.” la voce
di Robert fece voltare tutti quanti. L’ufficio era quasi in penombra,
parallelamente al tempo fuori che stava rapidamente oscurandosi. Sospirando,
l’australiano riprese. “Sembra che la sua abitazione sia stata costruita con del
materiale silicico isolante, amianto appunto.”
“Dovremmo chiedere a
Wilson se..” iniziò Eric ma House lo zittì con un sorrisetto beffardo. “Non ce
n’è bisogno. Iodico che è
Asbestosi.”
Allison alzò le spalle.
“Non c’è terapia.” Gli altri due colleghi annuirono, un po’ soprappensiero.
“Andate a dire a questo
idiota con la casa di zucchero che gli è venuta la glicemia alta e che deve
andarsene al più presto. Sempre che non sia troppo tardi. Accertatevi che non ci
sia già tumore.- disse, sulla soglia.- se non c’è tumore bla bla bla, se c’è e
presto andrà a fare compagnia al padre, speditelo in oncologia. Io andrò acasa mia, a riflettere sulla caducità
della vita umana..” disse, uscendo definitivamente.
I tre paperotti si
scambiarono uno sguardo un po’ perso. “Chi va a parlare con Hans?” chiese poi
Chase, con le braccia incrociate, appoggiato al tavolo. Dopo un piccolo silenzio
Allison annuì dicendo. “D’accordo. Ci parlerò io.” E dopo poco anche la sua
dolce silhouette era scomparsa dall’ufficio di diagnostica.
Un paio d’ore dopo, quando
Cameron arrivò nell’abitazione di House si stupì nel trovarla completamente
vuota. Infondo il suo capo aveva staccato quasi un’ora prima di lei, era sicura
di trovarlo davanti alla televisione o davanti al computer.. invece la sua
abitazione era stranamente vuota e in completo silenzio. Sospirò, richiudendo la
porta dietro di sé.
Gettò la borsa sul suo
divano-letto ed appese il cappotto grigio. Si chiese se lui l’avesse fatto a
posta, se voleva passare il meno tempo possibile in sua compagnia oppure… magari
aveva capito che aveva bisogno di riflettere sul suo passato e sulla benedetta
bambina, Chrystal e sui tre anni prima, alla clinica Mayo.
Avete mai provato quel
terribile senso d’impotenza, quando sentite che qualcosa può risolversi
solamente con un vostro gesto, pensiero, ed invece niente, la vostra mente non
vuole proprio aiutarvi? Lei tre anni prima lavorava con il dottor McLuise al
reparto immunologia!
Come diamine poteva
ricordare il caso di una malata di leucemia che magari aveva visto solo un paio
di volte??
Il sogno della sera
precedente le fece di nuovo venire i brividi.
No, magari non l’aveva
vista solo un paio di volte nei corridoi. Quella piccola bambina era legata a
lei più di quanto immaginava. E ricordava.
Sentì gli occhi riempirsi
di lacrime, lacrime di rabbia, di impotenza, di follia forse. Anche se la
polizia avesse preso quel malvivente questo non avrebbe certo cambiato le cose.
Certo, lei sarebbe stata salva, ma non avrebbe mai scoperto cosa lo aveva
portato ad agire in quel modo. E non avrebbe mai potuto sopportalo.
Improvvisamente tra le
lacrime sorrise, pensando che stava diventando cocciuta e testarda proprio come
House, il ‘complesso dello stratega’ stava contagiando anche lei..
Si chiese cosa avrebbe
fatto House al suo posto, cosa faceva lui di solito quando si sentiva così
confuso e demoralizzato.. i suoi occhi incontrarono istintivamente il bellissimo
pianoforte nero che troneggiava nella stanza. Si avvicinò a lui, con fare
circospetto come fosse qualcosa di sacro..
Ah, la musica..pensò ammirando la perfezione e la
magnificenza dello strumento. La musica era davvero qualcosa di eccezionale.
Rilassa, scarica, dà la possibilità di sfogare i propri sentimenti, la propria
rabbia anche.
Quant’è che non suonava
più?
Dalla morte di suo marito.
Nella loro casa avevano un
gran bel pianoforte e lei suonava quasi tutti i giorni, ma poi, quand’era morto,
quando si era trasferita a Mayo per l’internato, la sua passione era stata
sepolta sotto il macigno del dolore e del lavoro. Aveva trovato nel piano la sua
valvola di sfogo,poi, passato il piano, c’era stato il lavoro.
Quasi tremando, si sedette
nel piccolo sgabello davanti al grande piano e, con un sorriso, constatò che era
troppo basso per lei, visto che era regolato per uno stangone come House.
Lo regolò per la sua
altezza, poi sfiorò delicatamente i tasti bianchi, quei tasti dove tante volte
appoggiavano le mani del suo House. Si chiese, tra i sospiri, se qualche volta,
suonando, avesse pensato a lei e al loro rapporto, se rapporto si poteva
definire. Si chiese se a volte era proprio l’inquietudine e l’incertezza del
loro feeling che lo portava a rifugiarsi nella musica..
Come se un vero e proprio
spirito emanasse da quello strumento così caro ad House, anche lei sentì
l’irrefrenabile voglia di suonare qualcosa.
Lui non se la sarebbe
presa, forse non lo avrebbe saputo mai.
Cercò qualche spartito ma
non ne trovò. Evidentemente House aveva la smania da compositore oppure, più
semplicemente, ricordava tutto nella sua fervida mente.
Si affidò anche lei alla
memoria allora e cercò nei suoi ricordi, fino atrovare la canzone che amava tanto,
forse l’ultima che avesse mai suonato.
Notturno.
Di Chopin.
Timidamente, quasi avesse
paura che quei tasti d’ebano e avorio potessero ribellarsi reclamando il loro
legittimo proprietario, li sfiorò, facendo risuonare solamente un accordo nella
vuota abitazione.
Chiuse per un istante gli
occhi.
Sì, ne aveva bisogno.
Lentamente appoggiò anche
la sinistra, con il corrispondente contro canto. Aveva sempre creduto d’aver
dimenticato tutto della musica, che nemmeno sapesse suonare più. Invece quella
canzone era come stampata nella sua mente e le sue mani viaggiavano libere sul
piano, quasi fuori dal suo controllo.
Immersa nell’estasi di
quel momento non si accorse nemmeno della porta che si apriva.
Quando House, introducendo
le chiavi nella serratura, aveva pensato di essere diventato matto perché
credeva di sentire un pianoforte suonare, entrando aveva poi constato che era
proprio così.
Allison era lì, seduta al
suo pianoforte nero, e suonava divinamente.
Riconobbeimmediatamente la melodia. Era Notturno.
Chopin.
Inavvertitamente chiuse la
porta con più forza e il rumore sopraggiunse alle orecchie di Cameron che si
fermò immediatamente, quasi immobilizzata. Allison chiuse lentamente gli occhi,
aspettandosi una reazione da parte di lui.
Una battuta, sarcastica o
meno, qualcosa, qualsiasi cosa.
Qualcosa che non avvenne.
Lui rimase in silenzio e
lei non osò proferire parola.
Fu così che, altrettanto
timidamente, riprese la canzone dall’inizio e questa volta sembrò liberarsi di
tutte le sue timidezze, suonò come sapeva, come amava tanto fare, anni addietro.
Lo sentì avvicinarsi ma l’idea di smettere non la sfiorò neppure. Greg non aveva
detto nulla e tanto le bastava.
L’unico momento di
incertezza fu quando le sembrò che lui avesse preso qualcosa, forse una sedia e
l’avvicinasse a lei. Non era possibile, si disse, e continuò la romantica
sinfonia, lasciandosi guidare solamente da quel grande sentimento represso.
Greg si sedette accanto a
lei.
Quando lo realizzò fu
quasi per fermarsi.
Lo fissò intensamente
negli occhi non potendo quasi credere che lui, era lì, seduto accanto a lei.
Rimase ferma in quell’accordo per qualche secondo.
House non smise di
fissarla per altrettanto tempo. Sentiva qualcosa di fortissimo e di
indecifrabile. Sentiva lei sulla stessa frequenza, sulla stessa lunghezza d’onda
forse per la prima volta veramente in tanto tempo.Senza quasi pensare, mise anche lui le
mani sul piano, instaurando una sorta di contro canto, di quelli che si
eseguiscono solamente se l’aria viene suonata a quattro mani.
E suonò con lei.
Allison sentì mancarle il
respiro ma continuò con la sua melodia e lui con la propria. Gregammirò silenziosamente lo splendido
lavoro che le piccole mani di lei compivano sul suo pianoforte, apprezzandone la
tecnica e i trilli eseguiti a perfezione.
L’immunologa si lasciò
andare abbastanza tranquillamente, finché non si accorse che la sua melodia
doveva scendere e sarebbe andata a confinare con la stessa di House. Si disse
che doveva smettere di suonare ma poi le sembrò un sacrilegio interrompere
tutto, così, timidamente, spostò la sinistra tra le mani di Greg, per poter
continuare.
House sorrise e la fissò
un istante. Lei arrossì ma non tolse la mano e, qualche secondo dopo,quando dovette di nuovo spostarsi di
un’ottava non sentì il sollievo che aveva immaginato nel ritornare a suonare più
distante da lui.
Anzi. Sentì una sorta di
vuoto.
Ma non per molto.
Questa volta fu House a
avanzare di ottave in ottave, fino a arrivare a lei e non ebbe la benché minima
timidezza di intrecciare le sue mani con le sue. Le loro braccia si sfioravano
ripetutamente e la loro musica s’intrecciava nella maniera più meravigliosa e
sublime che avessero mai potuto fare.
Il momento più divertente
ed emozionante insieme fu quando dovettero aumentare il volume. Entrambi si
mossero per premere il pedale e si incontrarono, così che alla fine non lo
premette nessuno.
Ma anche se il pezzo
finale dell’opera non aveva avuto l’enfasi necessaria, lo sguardo e il sorriso
che si scambiarono dopo quel piccolo scontro, la ripagò mille volte.
La canzone finì poco dopo.
Il ritmò si calmò e anche
le loro dita smisero di fremere sui tasti, diventando più quiete, più lente e
romantiche. Si concluse con un accordo, eseguito da entrambi, perfettamente,
all’unisono.
La casa si svuotò di
nuovo, ripiombando nel silenzio.
Cameron sembrò realizzare
quanto era accaduto solamente in quell’istante. Sentì il cuore rimbombargli nel
petto e nelle tempie, la schiena scossa da brividi. Si voltò verso di lui,
cercandone disperatamente gliocchi.
E li
trovò.
La stava fissando da
minuti.
“Ho suonato il tuo
pianoforte..” disse anche se la sua voce risultò quasi un sussurro. “mi
dispiace.”
Lui sorrise, teneramente.
“Non devi.”Le rispose con la voce
un po’ roca.
Allison sospirò, tremando.
Sentire la propria armonia accordarsi cos’ perfettamente con la sua, sentirlo
cos’ vicino, la stordiva, la emozionava.
Come mossa da un
semplicissimo e primordiale istinto, Allison si avvicinò un po’ più a lui,
fissando dolcemente le sue labbra.
Non dovette muoversi
ancora.
Lui le venne incontro.
Incontrò la sua bocca a
metà strada e ne sfiorò le labbra carnose. Dapprima fu un piccolo tocco poi
House la baciò davvero, passandole un braccio intorno alla schiena e sentendo in
contemporanea le mani di lei intrecciarsi con le proprie e stringerlo per la
nuca.
Sentì le piccole mani di
lei muoversi per iniziare a svestirlo e lui le facilitò il compito, sfilandosi
la giaccia senza mai lasciare il contatto con le sue labbra. Lei lo spogliò,
velocemente, poi lasciò che anche lui fece altrettanto. Mentre il suo cuore e il
suo corpo erano andati velocemente in fibrillazione dall’emozione, il suo
cervello gridava allarme rosso, perché prima di buttarsi con lui avrebbe dovuto
farsi mille domande, rispondersi, poi ponderare, valutare.. ah, al
diavolo!
Lui, era lì, tra le sue
braccia. E l’amava.
Che cos’altro avrebbe
dovuto chiedersi?
House ricambiò lo slancio
di Cameron con un affetto ed una passione che mai avrebbe creduto possibile,
quella passione che lui credeva sepolta dai tempi lontani della convivenza con
Stacy. Da quanto tempo non amava una donna?
No, forse non era passato
troppo tempo.
Ma da quanto tempo non
amava così una
donna??
Quella che aveva tra le
braccia non era una ragazza qualsiasi, era lei. L’unica che gli procurasse quel
brivido, quel tormento così forte da assomigliare ad una vertigine, ad un
mancamento, uno scompenso, un capogiro. Aveva sentito di amarla e, benché avesse
troppa paura di questo sentimento così forte, benché non credesse che fosse per
lui ancora possibile amare qualcuno, tutto questo accadeva veramente.
Con lei.
Lì, su quel divano un po’
scalcinato, si consumò la loro passione. Suonarono insieme, di nuovo, eseguendo
una melodia ancora più armoniosa di Chopin o di qualsiasi altro grande autore.
Quella era la sinfonia del
loro amore.
Si ritrovarono uno sopra
l’altra dal momento che il divano era troppo piccolo perché entrambi potessero
entrarci in maniera orizzontale e l’idea di poter raggiungere la camera da letto
di Greg, in quel momento, era stata impensabile.
Allison si trovò su di
lui, per chissà quale strana legge della fisica, ancora un po’ ansimante, con il
capo appoggiato al suo petto dove sentiva distintamente il cuore battere
ritmato. Si sentì per la prima volta protetta, tranquilla, sicura. L’assassino e
i suoi problemi sembravano lontani, evanescenti, cancellati dalla felicità di
quei momenti.
Alzò il capo, fissandolo
negli occhi. Voleva parlargli di lei, dei suoi sentimenti ma lui non gliene
diede modo alcuno, interrompendola con un sorriso sornione e una domanda
truffaldina. “Che c’è per cena? Ah non t’offendere io sarei anche sazio ma ho
l’impressione che il mio stomaco non sia del mio stesso
parere..”
Lei sorrise, cogliendo la
sua voglia di eclissare l’argomento.
Acconsentì a farlo. Almeno
per il momento.
“Vediamo che mi posso
inventare..” disse quindi afferrando la sua camicia da notte e alzandosi anche
se a malincuore da quella posizione. Si diresse in cucina con il sorriso sulle
labbra, canticchiando mentalmente una canzone allegra, spensierata come mai
nella sua vita. Non le importava se Greg non aveva voluto parlare di
loro. Ci sarebbe stato tempo anche per
quello, bisognava solamente aspettare.
“E se ordinassimo una
pizza?” la voce di House la raggiunse mentre era ancora in avanscoperta. “A meno
che tu non ..”
lo squillo improvviso del
campanello interruppe il diagnosta che lasciò la frase a metà.
“Al diavolo.” Imprecò Greg
iniziando a raccattare i suoi vestiti. Suonarono di nuovo.
Cameron si affacciò dalla
cucina. “E adesso?” domandò, un po’ spaesata.
Lui sospirò. “Non viene
mai nessuno qui a parte Wilson. Quindi nasconditi, qualsiasi cosa voglia lo
liquido in un secondo.”
Lei annuì, poco convinta e
si rifugiò di nuovo in cucina mentre House, con addosso jeans e maglietta e
un’espressione che la diceva lunga sul suo stato d’animo, andava ad aprire la
porta.
Aprì l’uscio di casa con
uno scatto ma non appena vide chi era alla soglia, la richiuse di botto.
Cameron s’affacciò di
nuovo. “Chi era?” domandò.
“Nessuno, nessuno.-
s’affrettò a rispondere.- saranno questi ragazzetti del palazzo vicino, gente
sbandata che per ammazzare il tempo non fa altro che rompere i ciglioni agli
onesti cittadini!”
Si sentì di nuovo bussare,
alle spalle di Greg e questa volta, anche la voce del misterioso interlocutore.
“Signor Gregory..- la voce cantilenante di un’anziana.- sono la signora
Thomp..”
Allison aggrottò la fronte
e gli lanciò un’espressione piuttosto eloquente. “Ragazzetti,
eh?”
“Anziani e ragazzini. La
testa è sempre quella.” Borbottò girandosi e dopo un respiro profondo, aprì
finalmente l’uscio di casa con il più ironico dei sorrisi. “Oh signora Thomp,
buonasera! Mi scusila mia colF
deve averle chiuso la porta in faccia poco fa…”
“Oh non fa nulla…” disse
l’anziana cercando di sbirciare all’interno ma Greg le si parò meglio davanti in
modo da impedirgli ogni visuale. “e a che cosa devo l’onore e l’onere della sua
visita?” la incalzò con un sorrisetto un po’ bastardo.
L’anziana signora mise gli
occhiali che portava sul petto e prese una strana busta bianca, probabilmente
proprio il motivo della sua visita. “Ecco.. mi hanno consegnato questa per.. la
signorina Cameronc’è scritto.. mi
hanno detto che abita qui da voi.. oh, gli ho detto che c’era un errore perché
voi abitate solo ma non ha voluto ascoltarmi e mi ha pregato di
consegnarvela..”
Il volto di House si fece
immediatamente serio. “Chi gliel’ha data?” domandò, osservando attentamente la
busta.
“Un giovanotto, alto, un
po’ riccio..”
“Quanto tempo fa?” domandò
di nuovo, sempre più concitatamente.
La donna si trovò
spiazzata di fronte a quell’improvviso interessamento per una cosa che lei aveva
considerato quasi di nessuna importanza. “Questa mattina.. ma lei non era in
casa..”
Greg annuì e disse,
frettolosamente. “D’accordo, aspetti un secondo.” Ritornò da lei una frazione di
tempo dopo, indossando un paio di guanti plasticati. La donna stava per
domandargliene il motivo ma lui l’anticipò, le prese la busta dalla mano poi
disse, serio. “Come si sente?- la donna non rispose.- le ho chiesto come si
sente, ha qualche disturbo?”
“Ehm no, io.. credo di
no..” balbettò l’anziana, spiazzata.
“Rientri in casa e se
sente qualcosa che non va, mi chiami.” Disse, rudemente, chiudendo l’uscio senza
dire altro.
Allison fece la sua
comparsa proprio in quell’istante. Stava per farci una battuta ma quando vide
l’espressione tesa e preoccupata di House la voce le morì letteralmente in gola.
“Che cos’è?” domandò, rivolta alla busta.
House la osservò un
istante poi appoggiò la piccola busta bianca al tavolo, poi zoppicando, prese un
paio di buste. Ricordava ancora troppo bene che Park era morto per un’infezione
contratta con l’antrace e temeva che questa volta il pazzo potesse fare il bis.
Non rispose nulla a Cameron la quale disse, poco dopo, con un sussurro. “è lui,
vero?”
Greg alzò gli occhi,
fissandola per un istante. “Adesso vediamo che cosa c’è.” con l’ausilio della
pinzetta aprì la busta e, dopo essersi assicurato che non fosse infettata con
polveri o robe simili, ne estrasse il contenuto.
Era una foto.
La alzò e la mostrò ad
Allison, quasi con fatica.
Cameron si avvicinò
lentamente, quasi ipnotizzata da quello che vedeva ritratto sulla pellicola
fotografica.
C’era un bambina,
magrissima, con il viso ridotto quasi ad uno scheletro, gli occhi però grandi,
enormi ed azzurri proprio come i suoi. I capelli non c’erano più , al loro posto
una cuffia rossa, sbarazzina come il sorriso dipinto sulle labbra della piccola.
Gli occhi di Allison si
riempirono di lacrime e si portò le mani alla bocca.
Sotto, scritto a penna,
con una bruttissima calligrafia un ‘Do you remember her??’
“Chrystal.” Sussurrò
l’immunologa, con un groppo alla gola.
Finalmente quell’orrenda
storia aveva una spiegazione, un perché, finalmente ricordava, finalmente aveva
capito.
Capitolo 10 *** Amore. Come il vento che piega le querce. ***
Sono
vivaaa!!! Sì, non ci credevo più nemmeno io ma finalmente ce l’ho fatta!!!
Eccoci
qui con il decimo e penultimo capitolo della storia.. vi avverto che sarà un
capitolo abbastanza intenso e anche un po’ complicato da scrivere.. volevo far
finire la storia con questo aggiornamento ma ho realizzato che mi sarebbero
venute troppe pagine così ho fatto uno dei miei soliti tagli nei momenti più
cruciali.. non mi uccidete!
Ok, vi
lascio alla storia, avete aspettato anche troppo ma prima ho l’obbligo e il
piacere di ringraziare tutti voi, partendo da una dedica:
Questo
capitolo è dedicato ad Andrea, il mio migliore amico. Non so se lo
leggerai ma volevo comunque che sapessi che senza di te queste settimane non le
avrei mai sopportate. Grazie.
Passiamo adesso ai
ringraziamenti dei lettori e delle lettrici che hanno recensito la volta scorsa
e che mi hanno sostenuto rispondendo al capitolo avviso con le loro belle
parole, grazie mille! Inizio quindi col ringraziare: Venus, Amy,
Preziosoele, Briseis, Apple, Aras5, _Vally_,
Nick, Mercury259, Miky91, Hikary.
e poi
naturalmente: Toru85, Hamburger, Amarantab, Mistral,
SHY, Pinacchia, Sheila, Damagedlove, EriMD,
Meggie, Elbereth.
GRAZIE DI CUORE!!
per
Nick: bravo!! Hai intuito la trama quasi alla perfezione… ci sei davvero
vicino..
Scusatemi
non ho molto tempo a disposizione, mi piacerebbe rispondere ad ognuno di voi, ma
non posso… magari lo farò la prossima volta con la chiusa!
Spero
vivamente di non deludervi..
p.s:
il titolo è ripreso dall’ultima citazione..
Buona
Lettura,
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
X:Amore. Come il vento che piega
le querce.
<<
[…] In quel viso devastato dall’odio per la filosofia ho visto per la prima
volta il ritratto dell’Anticristo che non viene dalla tribù di Giuda come
vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L’Anticristo può nascere
dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o dalla verità come l’eretico
nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. [..]
Forse
il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità. [..] perché
l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la
verità.>>
Il
nome della Rosa. Umberto Eco.
“Chrystal..”
la sua voce suonò come un sussurro mentre i suoi occhi passavano dagli occhi
della bambina, nella foto, a quelli di House, ritto in piedi davanti a lei. La
fissava impaziente ma con uno sguardo che aveva uno strano che di orgoglioso.
“Questo
è il momento che preferisco.- disse lui con una voce quasi sognante.- quando il
gioco finisce e il mistero si risolve. Quando capisci che tutto aveva un senso,
aveva sempre avuto un senso, solo che non lo afferravi per intero.. e adesso
tutto coincide e ogni singola parte del puzzle si incastona perfettamente con le
altre” concluse avvicinandosi a lei di qualche passo.
Allison
distolse lo sguardo. “Per arrivare alla soluzione però questo puzzle si è
portato via due vite.”
Greg
sorrise amaramente. “I misteri sono sempre pericolosi. Qui sono morte due
persone, nell’iter diagnostico a volte un puzzle troppo complicato ti porta via
il paziente. l’importante è arrivare alla soluzione prima che sia troppo
tardi.”
Lei
alzò lo sguardo di scatto, infastidita. “Per scoprire di che cosa si tratti?”
disse, acida.
Ma
questa volta si sbagliava. Non era questo che House intendeva, anche se
normalmente era quello il significato della sue parole. Cameron lo capì non
appena incrociò i suoi occhi e si pentì del suo scatto d’ira.
Il
diagnosta piegò lo sguardo di lato. “No.” disse quindi. Gli costavano quelle
parole. gli costavano parecchio. “prima che potesse portarsi via anche te.”
Gli
occhi di Allison cercarono disperatamente i suoi ma lui non si volse a
guardarla, forse imbarazzato. “Allora.- disse quindi.- vogliamo delineare questo
puzzle sì o no?”
Cameron
sospirò, si passò una mano tra i capelli. Avrebbe voluto volare tra le sue
braccia, affondare i capelli sul suo petto e sentirlo vicino come poco prima.
Avrebbe volutostringerlo,
sospirare, piangere, attaccata a lui, sentirsi di nuovo le sue mani tra i
capelli.. raccontare tutto, sì, ma sdraiata con lui, sul divano, davanti al
caminetto accesso.
Ma non
poteva.
Che
cosa era rimasto di quell’armonia di poco prima, dell’amore, della passione che
li aveva travolti? Niente.
Cercare
un contatto diverso da quello visivo, un contatto fisico con lui, aveva perso di
senso adesso. Erano come due estranei. Allison e Greg erano stati messi da
parte, chiusi in una parentesi che Dio solo sa quando avrebbero riaperto.
Negò
con il capo e si distanziò da lui prima di qualche passo, poi gli voltò le
spalle e si diresse verso la finestra. Gettò gli occhi fuori, sul paesaggio
invernale. Sentiva i suoi occhi che non la lasciavano un solo istante e con il
calore che quello sguardo continuava ad infondergli, iniziò, ilsuo triste racconto.
“Tutto
è cominciato tre anni fa, alla clinica Mayo.- disse, senza voltarsi.- lei.. lei
si chiamava Chrystal.. ed è il caso a cui tu ti riferivi, ieri.”
House
sfoggiò un piccolo sorrisetto soddisfatto. “ Quindi avevo ragione quando ti
dicevo che l’unico link che avevo trovato tra i due dottori morti era questa
Chrystal e che..”
“Si è
lei.- si voltò questa volta, appoggiandosi alla finestra con la schiena e
puntando i suoi occhi smeraldo su di lui.- complimenti.” il suo tono risultò un
po’ acido.
House
sorrise, quasi divertito. “I complimenti lasciamoli a dopo, lo sai che mi
imbarazzo sempre. Continua.”
Lei
corrugò appena i lati della bocca. “Chrystal Higt
venne portata alla clinica di Mayo quando io ero una specializzanda e lavoravo
con il dottor McLuise. Non era una nostra paziente, era stata affidata a Law,
reparto oncologia.”
“Si
questo lo so.- l’interruppe lui, annoiato.- questo è quello che ti ho raccontato
io facendo una comparazione tra le cartelle cliniche di Park e Law.- roteò gli
occhi.- non vale se mi rifili la mia storiella, devi metterci qualcosa di
tuo!”
Allison
aggrottò la fronte, in un chiaro segno di fastidio. “House, smettila di parlare
di questa storia come se fosse l’ultimo di libro di Agata Christie ” sentirsi
pronunciare il suo cognome le diede subito un grosso fastidio. Dopo quello che
era successo, si era immaginata di poterlo chiamare Greg.
“Ok,
penseremo a scriverci un libro più in là.- disse l’altro ignorando la polemica e
fingendo pazienza.- ma cerchiamo di ricostruire i fili del discorso, va bene?
Questa Higt, accompagnata dal paparino,va da Park, ospedale di New York.
Diagnosi: leucemia. Poi va alla clinica Mayo, perché Hitg non si fidava della
diagnosi di Park e..”
“E la
prende in cura Law.” Concluse lei, incrociando le braccia.
“e
fino qui ci siamo!- esclamò lui, quasi spazientito- adesso è il tuo turno! Come
entri in scena tu nella vita della famiglia Hitg? Che c’entri con loro due?-
s’interrompe, fingendo di aver trovato la soluzione.- oh no, non dirmi che eri
andata a far beneficenza presso i bambini di oncologia
e..”
“No.”
lo interruppe prima che potesse sparare qualche fastidiosa cazzata. “McLuise era
molto amico di Law. I due si consultavano spesso e anche quella mattina Law gli
chiese se poteva venire per un consulto. C’ero anch’io
nell’ufficio.”
“Jhon?” la porta dell’ufficio si spalancò e la sagoma
asciutta di Law fece il suo ingresso.
Jhon
McLuise alzò gli occhi dalla cartella clinica che stava consultando.
“Oh,
buongiorno..
a che
dobbiamo la visita?”
Cameron
era lì, seduta di fronte alla scrivania di McLuise. Aveva i capelli sciolti,
lunghi sulle spalle, il camice bianco e un sorriso delicato dipinto sulle
labbra.
“Mi
faresti un favore? Ho bisogno di un consulto, è un caso importante.” Law parlava
con una certa ansia nella voce. Per la prima volta in tanti anni, McLuise negò
con il capo, sospirando.
“Non
posso, mi dispiace. Ho per le mani un caso troppo delicato.- fece una piccola
pausa poi puntò i suoi occhi grigi sulla sua giovane assistente.- ma ho qui la
dottoressa Cameron. Allison, te la senti di andare
tu?”
“Inizialmente
Law non era molto convinto. Lui era.. nervoso.. agitato.. voleva assolutamente
che fosse McLuise a venire al colloquio.”
“Ma
alla fine andasti tu.” Concluse House picchiettando le dita sul tavolo. “E
poi?”
Lei
alzò le spalle, incrociando le braccia dietro la schiena. “Le ragioni del
nervosismo di Law non restarono un mistero ancora per molto. Me ne resi conto
non appena misi piede in quella camera.”
Law mise mano alla porta e dopo averle regalato uno sguardo carico d’ansia
lasciò che fosse Allison ad entrare per prima e ad osservare cosa stava
succedendo.
Innanzitutto vide un uomo, sui trentacinque anni, riccio, alto, camminava
nervosamente da una parte all’altra della stanza, con lo sguardo basso, gli
occhi infossati e lucidi di pianto, le mani portate al petto e sfregate
continuamente tra di loro.
Poi, dietro di lui, il fantasma scheletrico di una bambina.
“Ne ebbi paura quasi subito.- confessò
Cameron accarezzandosi le braccia.- lui aveva uno sguardo strano, parlava a
raffica..”
“Che cosa ti
diceva?”
“Informazioni sulla bambina. Continuava a
ripetere che Park era un assassino e che lui l’aveva voluta uccidere la sua
Chrystal.”
“E la
bambina?- insistette House.- che diceva lei?”
Chrystal,
la piccola bambina malata di cui il padre non faceva che parlare, era quasi
muta, risucchiata dal grande cuscino del letto d’ospedale, con lo sguardo fisso
e gli occhi sprofondati.
“Nulla.
Non diceva nulla. – questa volta fu Allison a fissare il proprio sguardo su un
punto indeterminato, come se la sua mente fosse altrove.- ascoltava suo padre
sproloquiare in silenzio. Allora m’insospettii e chiesi di restare sola con lei.
Volevo parlarle. Suo padre sembrava così.. ossessivo..” alzò gli occhi per
spiare le reazioni del suo capo alle sue parole.
“E..”
l’incitò lui.
“Chyrstal,
sono la dottoressa Cameron.” le sorrise, cercando di attirare la sua attenzione.
Ma la
bambina non la degnò nemmeno di uno sguardo. “Vattene.” Sussurrò, soltanto.
Allison
aprì la bocca, incredula. “Perché vuoi che me ne vada?” chiese, lievemente. “Io
voglio solo scoprire che cos’hai, non voglio farti del male.” Nessuna risposta.
“Nessuno vuole farti del male. Qui sei al sicuro.. ehi.. piccola..” le sfiorò la
mano magra ma la bambina la ritrasse.
Poi,
improvvisamente, girò il volto di scatto, fissandola con i suoi occhi blu.
“Risparmia il tuo tempo, dottoressa Cameron. Io
morirò.”
“Piuttosto
consapevole per essere una bambina.”
Cameron
sorrise, triste. “Suo padre è pazzo, non lei. Scoprimmo che erano mesi che si
sentiva male.”
House
aggrottò la fronte, curioso. “Che vuoi dire?”
“Chrystal
mi raccontò di aver iniziato a star male quasi un anno fa. Aveva chiesto a suo
padre di essere portata dal dottore ma senza risultato. – la voce le vibrò di
pianto quando continuò- quel pazzo era troppo fuori di testa per capire che
stava male. Pensava che volesse solo attirare la sua attenzione, perché lui era
poco presente.. pensava che fossero capricci.. mentre lei moriva di leucemia..”
una lacrima le scivolò dalle guance, e lei la asciugò subito, con stizza.
Greg
negò con il capo, sconvolto.
“E non
è finita.- proseguì lei con gli occhi traboccanti di lacrime.- lui.. lui non
accettava la malattia di sua figlia… come non aveva accettato la diagnosi di
Park, così non aveva accettato quella di Law.. mi chiese in disparte di visitare
sua figlia.. perché di me si fidava e voleva il mio parere
medico.”
“I
miracoli di un bel viso.- commentò House, quasi infastidito.-
quindi?”
“La
visitai, feci gli esami. Era leucemia.”
“Allora,
dottoressa Cameron??” la voce di Higt la fermò per il corridoio. Cameron alzò lo
sguardo dalla cartella di un altro paziente e lo fissò su quello dell’uomo che
aveva di fronte. Era sconvolto e ancora più agitato del normale.
Istintivamente
si guardò intorno, quasi spaventata dall’idea di restare sola con lui. Ma
sfortunatamente erano quasi le una di notte e il corridoioera muto e deserto.Un successivo “Allora??” da parte
dell’uomo la spronò a parlare e a rivelare la sua
diagnosi.
“Purtroppo Park non si sbagliava.” disse,
sussurrando.
“No..”
mormorò l’uomo, fissando il pavimento.
Lei
continuò. “E nemmeno Law. È leucemia, signor Higt.”
“No,
no..”
“Sua
figlia è gravemente malata, la malattia ha uno stadio molto avanzato
e..”
“NOOO”
urlò, prendendola improvvisamente per le spalle e sbattendola violentemente al
muro.
Un
brivido passò lungo la schiena di Allison al ricordo di quegli avvenimenti.
“E tu
l’hai denunciato.” Continuò Greg come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Ma non
appena incrociò gli occhi di lei, capì che tanto ovvia non era. “.. non l’hai
fatto?- esclamò, incredulo.- quell’uomo aveva delle gravi mancanze nei confronti
della figlia e aveva aggredito un medico! Potevate togliergli la bambina in una
giornata, sarebbe bastato chiamare gli assistenti sociali! E non l’avete fatto!
Ma che cosa aspettavate, che mettesse una bomba nella risonanza
magnetica??”
“Non credere che io non ci abbia pensato.”
Rispose lei, fissandolo intensamente. “Ma..”
“No, non possiamo farlo.”
Cameron sgranò gli occhi, sconvolta, di
fronte alle parole che aveva appena pronunciato Law, aspirando dalla sigaretta,
all’entrata della clinica.
“Ma quell’uomo..”
“Lo so, Allison.- continuò lui, teso,
fissandola negli occhi.- ma pensa alla bambina. Pensa a Chrystal, per un attimo.
Dovrà fare un intervento molto delicato. Avrà bisogno di lui, adesso. anche se
pazzo, è pur sempre suo padre.”
“l’intervento come andò?” domandò House con
il capo leggermente piegato verso il pavimento.
Lei sorrise, tristemente. “Non ci fu nessun
intervento.- sussurrò.- suo padre la portò via dalla clinica due giorni dopo.
Sosteneva che noi mentivamo, che sua figlia non era così malata, che non poteva
morire.” Allison si fermò un istante e proseguì solo dopo aver tirato un bel
sospiro profondo. “La portò in un altro ospedale, a San Francisco. Morì due
giorni dopo per uno stupido errore di trasfusione.”
Aveva gli occhi pieni di lacrime adesso e la
sua voce vibrava di pianto. “Io le ero affezionata.. ricordo ogni singola parola
dei nostri colloqui.. le sue immagini mi tormentano ancora a volte, insieme al
dubbio di non aver fatto abbastanza per lei..”
Greg fece un sorriso quasi ironico. “Se la
malattia era in quello stadio avresti potuto far poco in ogni caso. Non
ricominciare con il masochismo e i sensi di colpa, non è il momento- disse,
brusco.- Adesso dobbiamo chiamare Smith e raccontare questa favola a sfondo
macabro anche a lui.”
Allison corrugò la fronte, incredula. “Adesso
non ho voglia di fare proprio niente.- rispose, acida.- raccontagliela tu, se ti
diverte tanto fare il contastorie.” Non disse altro, prese i suoi vestiti,
ancora sparpagliati sul divano poi, con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò
in bagno, sbattendo violentementela porta.
Greg rimase, solo, a fissare il pavimento
ancora qualche istante, maledicendo il suo distacco e il modo con cui l’aveva
trattata.
Era un idiota.
Lei aveva bisogno di lui in quel momento e
anche solo un abbraccio le sarebbe bastato.
E lui l’aveva trattata con una freddezza che
non meritava.
Si appoggiò stancamente al divano, gettando
un occhio sulla morbida superficie dove si erano rotolati pochi attimi fa. Era
buffo pensare a come le cose si possono ribaltare completamente in meno di
un’ora. Poco prima era stato tanto così dal dirle ti amo e adesso l’aveva
praticamente presa a pesci in faccia mentre lei gli raccontava la sua terribile
verità.
Sì, era un idiota.
I
tacchi alti della donna scandivano con un leggero tic tic ogni suo passo mentre
scendeva le scale del PPTH, la schiena un po’ piegata a destra verso il peso
della sua ventiquattrore e gli occhi puntati verso il cielo che non prometteva
proprio nulla di buono.
Lisa
s’avviò così verso la propria auto, distante circa una ventina di metri,
sperando che la pioggia non la cogliesse proprio durante il tragitto, dato che
avendo una cartellina molto pesante e i tacchi alti non avrebbe potuto
raggiungerla di corsa.
Ma
questa volta la fortuna non fu a suo favore e dopo uno tuono l’asfalto davanti a
lei cominciò a macchiarsi di tante piccole gocce di pioggia che, tempo nemmeno
un secondo,andarono a formare una vera e propria raffica
d’acqua.
“Maledizione!”
imprecòcercando di aumentare il
passo ben coscia però che in quelle condizioni una bella doccia fredda non
gliel’avrebbe tolta proprio nessuno. Sentiva che i capelli stavano già
inumidendosi quando notò un contrasto quasi inspiegabile.
Si fermò,
sentendosi all’asciutto. Si volse all’indietro ed incontrò la sagoma sorridente
di James Wilsonche reggeva un
ombrello, con in faccia un sorriso talmente ebete che se l’avesse visto House
probabilmente l’avrebbe sfottuto per mesi.
Anche
lei non potè fare a meno di sorridere. “Che c’è.- iniziò- si ride delle
disgrazie degli altri?” aveva un tono ilare anche se un po’ canzonatorio.
Wilson
s’accorse della stupida espressione sognante che aveva tenuto fino a poco prima
e trovando un contegno riprese, dicendo, sarcasticamente. “è tutta la vita che
sognavo di fare una vera e propria azione da cavaliere!”
“Falla
completa allora.” continuò lei, porgendogli la
ventiquattrore.
Lui la
prese con slancio, non potendo però evitare di sottolineare con l’espressione
del viso quanto fosse pesante. Lisa rise, dicendo. “Questo sì che è un
comportarsi da uomini.- si girò- la mia auto è là. Mi
accompagni?”
Benché la
valigetta fosse pesantissima e l’ombrello iniziasse a minacciare di ribaltarsi
per la forza del vento, lui non accennò alcuna esitazione e rispose avanzando in
avanti con un piccolo cenno del capo.
Lei
gli si accostò, protetta dal suo ombrello e finalmente alleggerita da quel peso
fastidioso.
Giunsero
in silenzio fino all’auto della donna. Lisa iniziò a farsi frettolosa. “Beh,
grazie.” Disse facendo cenno di volersi riprendere la cartellina, e dicendo
frettolosamente. “Io devo proprio andare, ho tantissime cose da
fare..”
James
lasciò che la donna si riprendesse la ventiquattrore e l’osservò mentre,
agitata, cercava le chiavi nella borsa. Si chiese che cosa fosse giusto fare in
questi casi ..se rompere il ghiaccio, se iniziare una conversazione, se..
Decise
che avrebbe seguito l’istinto. Cuddy inserì la chiave nella serratura dell’auto,
aprì lo sportello ma prima che entrasse Jimmy la prese per un braccio
obbligandola a fermarsi.
“Lisa.-
disse, osservandola intensamente negli occhi.- va tutto
bene?”
La
donna non interruppe il contatto visivo ma non rispose nulla.
Deglutì,
a fatica, poi chiuse appena gli occhi, sospirando. “Sì.- mentì- va tutto
bene.”
Per
Wilson fu un colpo enorme. A questo punto avrebbe immaginato che lei si aprisse
e gli confidasse il suo terribile segreto, non s’immaginava di nuovo quella
fredda bugia.
“Ora
scusami ma devo andare.”
Per
nulla d’accordo, Wilson non lasciò la presa intorno al suo braccio. “Che cosa
c’è che non va?- tornò a domandarle.- tu.. non sei obbligata a confidarti se non
vuoi ma..- fece una piccola pausa, impacciato, lasciando che la pioggia
scrosciante per un po’ prendesse il posto delle sue parole.- ma io vorrei starti
vicino e aiutarti.”
Lei
distolse di nuovo lo sguardo e lui proseguì. “I problemi sono più semplici se si
affrontano in due.”
Dopo
un piccolo silenzio lei rialzò lo sguardo, quasi inspiegabilmente ferita. “In
due..- ripeté, amareggiata.- che cosa vuol dire in due, James? Io sono sola e
sono sempre stata forte abbastanza da risolvere i miei problemi. Senza il
bisogno di nessuno e questa volta non sarà diverso.”
“Nessuno
può farcela sempre da solo.- le rispose lui, a tono.- tutti abbiamo bisogno di
appoggiarci agli altri.. e anche tu. Altrimenti l’altra sera non mi avresti
lasciato quel messaggio.”
Lei
sembrò spiazzata, poi ribatté, acida. “Beh, ti ringrazio tanto Wilson. Ma
preferisco così.”
Lui
negò con il capo ma non s’oppose oltre. “Come vuoi.” Mormorò, scuro, aggrottando
la fronte. Restò in silenzio ancora un po’ poi disse, amaramente. “Buona notte,
Lisa.” Sivoltò e se ne andò,
camminando tra la pioggia, sotto lo sguardo ovattato del dirigente ospedaliero.
Lisa
lo guardò ancora un istante, poi fece per entrare nell’auto. Ma non appena ebbe
aperto lo sportello si bloccò. Dimenticandosi della pioggia che dopo la partenza
di Jimmy imperversava su di lei, si fermò a guardarlo, esitante.
Sentì
un grosso groppo in gola e in contemporanea le lacrime premere incontrollate
sulla soglia degli occhi. Iniziò a giocherellare con le mani, mentre sentiva il
suo ferreo autocontrollo andarsene velocemente. “Non … - bastò quello per far
fermare Jimmy.- non c’è. Non ci sarà mai.”
Lui si
voltò con il cuore che gli batteva forte nel petto e si fermò a guardarla,
mentre continuava, bagnata dalla pioggia. “Non ce la faccio più.- disse mentre
le lacrime si mischiavano alla pioggia sul suo viso.- ho provato di nuovo ma..
non riesco ad avere figli..”
Scoppiò
a piangere, singhiozzando, nella pioggia, davanti all’uomo che l’ascoltava
incredulo.
Wilson
lasciò cadere l’ombrello e le corse incontro, abbracciandola con vigore. Chiuse
gli occhi mentre stringeva a sé e lasciava che si sfogasse a contatto con il suo
petto, mentre la pioggia imperversava su entrambi.
Lui la
strinse finché le sue spalle non smisero di alzarsi ed abbassarsi velocemente e
lei si calmò, lentamente, anche se non accennò a volersene andare da quella
stretta.
James
si mosse accarezzandole i capelli umidi, dolcemente. “Vieni con me, Lisa. Vieni
con me.”
Lei
non rispose nulla, solo si staccò dal suo abbraccio e gli sorrise dolcemente.
Jimmy
contraccambiò il sorriso, poi la prese per mano e si mosse all’indietro verso la
sua auto.
Non
chiese nulla, semplicemente si lasciò condurre da lui, con lo sguardo sognante e
sorridente di una donna innamorata.
Greg
lanciò di nuovo la sua pallina rossa ma sbagliò mira e il piccolo gioco questa
volta invece che nella sua mano cadde sul materasso, accanto a lui. Sospirò. Si
portò le braccia dietro la nuca e rimase immobile a fissare il soffitto sopra di
lui.
Cameron
era di là, nel salotto. Sola.
Dopo
il piccolo screzio che avevano avuto non si erano più rivolti la parola. Lei si
era rifugiata nella sua amarezza e lui era rimasto in disparte, come un
osservatore silenzioso del dolore della ragazza. Non una parola, non una
carezza, niente.
Se
ripensava a quello che era accaduto, nel pomeriggio, gli venivano i brividi.
Aveva fatto l’amore con Allison. La verità è che adesso aveva paura.. troppa
paura.. di quello che sarebbe potuto accadere, aveva il terrore di scoprire
quello che aveva provato, di dare un nome ben preciso alle emozioni che aveva
sentito chiare e distinte nel cuore.
Parlare
con lei, affrontarla, significava lasciare che tutto questo venisse alla luce.
Ma era
questo il momento?
Non
avevano adesso altre priorità, altri problemi? Dato che Cameron era troppo
scossa per farlo aveva chiamato Smith raccontandogli la verità. Il commissario
aveva preso un appuntamento per il giorno dopo, al PPTH, per parlare con
Cameron, di persona.
Le sue
riflessioni vennero interrotte da qualcosa di imprevisto e di toccante insieme.
La porta della sua camera si era aperta lentamente, e la dolcissima figura di
Cameron era comparsa, sulla soglia.
Ebbe
un tuffo al cuore. Allison doveva davvero aver bisogno di lui se aveva
calpestato il suo orgoglio e aveva fatto lei il primo passo.
Si
rizzò sui gomiti, senza sapere con certezza cosa dire, esattamente.
“Sono
stata una stupida.- la sua voce suonava sottile ma perfettamente lucida. Non
c’era traccia né di commozione né di pianto.- ma tu sei stato un
bastardo.”
Non
obbiettò nulla; era vero.
Allison
indossava la sua camicia da notte e Greg con un fremito alla schiena pensò di
nuovo che avrebbe tanto voluto sfilargliela, di nuovo.
Gli
occhi verdi della ragazza lo fissavano, abissali. “Che cos’è stato, House?”
domandò, flebilmente.
Ecco,
la domanda che più temeva.
“Ho
bisogno di saperlo.”
“e io ti piaccio? Ho bisogno di
saperlo..”
House
sbatté forte le palpebre allontanando i ricordi. Si alzò, mettendosi a sedere
sul letto. Le fece cenno d’avvicinarsi ma Allison preferì restare lì, in piedi.
“So
che non è il momento adatto, che ci sono molti problemi. Ma voglio sapere se per
te tutto questostato solo
sesso.”
Fece
qualche passo verso di lui. “Non sono venuta qui per fare la moralista,
solamente voglio fare chiarezza in tutta questa situazione. Perché se tu ti sei
solo voluto togliere uno sfizio.. voglio che me lo dica, sinceramente. Voglio
saperlo.- piccola pausa.- adesso.”
Il
diagnosta deglutì, a fatica, cercando di affrontare uno dei momento più delicati
della sua vita. “…. Non sei stata un capriccio.” disse, con la voce quasi
roca
Lei
sentì il cuore battere forte nel suo petto a quelle parole e l’incitò a
proseguire. “E allora? Allora cos’è stato?”
Si
osservarono, intensamente, nella penombra della sua camera, immersa nella notte.
“..Non
lo so.. .”
Allison
chiuse gli occhi quasi esasperata. “Hai fatto l’amore con me. Voglio una
spiegazione.” tornò ad essere dura, ferita.
“Se ti
dicessi che è stato solo sesso saresti soddisfatta?” la sua replica suonò amara
più che sarcastica.
“Se è
la verità, sì.” Continuò lei con la voce più instabile questa volta, mentre
giocherellava, tremando leggermente.
“è
stato solo sesso.”
Lei lo fissò
intensamente. “ Non è vero.”
Greg non poté fare
a meno di trattenere una risata. “Ah ah.
Avevi detto che saresti stata
soddisfatta.”
“Ma non è la
verità.”
“E TU sai la
verità, giusto?”
Lei
annuì, decisa. “Puoi dire quello che vuoi.- sussurrò.- poi nasconderti quanto
vuoi ma non è così, House. Io ti ho sentito.…-sospirò-perché hai paura di dirmi quello che
senti veramente?”
“Forse
perché non ho sentito veramente niente.” ipotizzò con parole più dure di un
macigno.
Lei ammutolì,
deglutendo leggermente. Questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime.
“O..- proseguì Greg.- perché non so cos..”
“Io
non mi accontento più di sapere cosa non è!!!!- le sue urla lo trovarono
completamente impreparato.- io ho bisogno di chiarezza House. Voglio sapere CHE
COS’E’!”
l’atmosfera
cominciò a farsi più tesa, quasi insostenibile. “Dovrei chiedere a Chase se
anche a lui hai fatto questo terzogrado..”
Cameron
strinse i pugni, incredula. “Non ce n’è stato bisogno. Non ci siamo vergognati
di ammettere che c’eravamo solo divertiti insieme. Tu invece non hai nemmeno il
coraggio di dirmelo in faccia che io per te sono stata una delle tue puttane!”
House
fece per replicare ma lei gli parlò sopra. “Ti avevo chiesto esplicitamente se
eri in grado di gestire questa situazione!!” Cameron lasciò andare la frase,
come avrebbe voluto lasciar andare anche se stessa adesso, in un pianto
liberatorio che invece cercava ancora di trattenere.
“Sei
un bastardo.” sussurrò poi e la conversazione si chiuse così.
Piena
di bile e di dolore si girò su se stessa e scappò via da quella camera sotto lo
sguardo indescrivibile di House.
Le
sette e venticinque.
L’auto
di Cameron percorreva lentamente la strada che l’avrebbe portata al PPTH, con
una piccola musica di sottofondo, il finestrino aperto e l’aria un po’ fredda
del mattino che le accarezzava la pelle ancora lucida. Sapeva che non avrebbe
dovuto uscire di casa prima delle otto e mezzo, esattamente quando Smith
l’aspettava per il loro colloquio, al PPTH.
Ma non
aveva resistito.
Non
sarebbe riuscita a stare in quella casa un minuto di più, esattamente come la
nottata precedente non era riuscita a dormire un solo secondo su quel
maledettissimo divano.
Stronzo,
bastardo, menefreghista..
Nella
sua mente continuava infinita la sequela di parolacce rivolte ad House e al
maledetto amore che lei continuava a provare per lui nonostante tutto.
Si
odiava per questo.
E
odiava lui per lo stesso motivo.
Rabbiosamente,
parcheggiò e scese dall’auto accarezzata da un vento che ancora sapeva della
pioggia che aveva accompagnato il giorno precedente. Salì le scale ed entrò
nell’ospedale, rabbrividendo, scossa da uno stranissimo presagio.
Il
telefono di casa House squillò destando il diagnosta dal leggerissimo sonno che
l’aveva colto da circa dieci minuti, dopo una nottata in bianco. Prima di
rispondere, imprecando, fece giusto in tempo a focalizzare l’orario, sulla radio
sveglia. Le otto e cinque.
“Sì.”
Rispose con un tono tutt’altro che accomodante.
“House
sono Smith.- la voce del detective lo destò un po’ dall’apatia. -devo parlare
con la dottoressa Cameron.Grazie
ai suoi ricordi siamo riusciti a completare la decodifica dei versi di Dante e…
la sua versione dei fatti sembra combaciare perfettamente con la nostra
interpretazione.”
Greg
si alzò con un gomito. “La dottoressa non è in casa.”
“Sicuro?”
House
si alzò del tutto. “Sì.” * non avrebbe mai lasciato che il telefono mi
svegliasse* continuò mentalmente con una certa malinconia.
“è
pericoloso per lei girare chissà dove..” commentò il detective. “dov’è
andata?”
House
sentì un piccolo vuoto allo stomaco. L’assassino. Nella turbe sentimentale di
quelle ore l’aveva quasi dimenticato. Con la voce un po’ più incerta rispose al
detective. “Penso in ospedale.”
“Beh
allora è meglio che io vada da lei, anticiperemo un po’ il nostro colloquio. Mi
sento più tranquillo se non passa molto tempo da sola.”
House
non disse niente. Riattaccarono entrambi poco dopo. Poi, dopo un paio di secondi
di trance, convenì anche lui con le parole di Smith.
Si
alzò e iniziò a vestirsi.
Per
andare da lei.
Robert
Chase aprì stancamente la porta di vetro, facendo il suo ingresso nell’ufficio
di House. “... Cameron?” disse, stupito nel vedere la sua collega già al lavoro,
con il camice infilato e gli occhi puntati sulla cartella clinica di qualche
malato.
Lei
alzò i suoi occhi un po’ arrossati ma ugualmente bellissimi e li concentrò sul
nuovo arrivato, accompagnando quello sguardo ad un piccolo sorriso. “Buongiorno
anche te.”
“Come
mai già qui?” chiese l’australiano, iniziando a spogliarsi. “sai che potresti
stare un po’ a casa, data la situazione..”
“La
casa di House è non è così accogliente.” rispose acidamente lei.
Vide
il collega sgranare gli occhi a quella rivelazione. “Sì.- continuò- io non posso
più andare a casa mia, dopo quel putiferio, non posso stare in albergo perché
avrei bisogno di una guardia. E non posso nemmeno stare a casa di House oltre le
sei ore di sonno per notte, altrimenti rischio di impazzire. Ergo,
lavoro.”
L’australiano
annuì, lentamente. “House è un bastardo. cos’ha fatto per farti saltare i nervi
in questo modo?”
“Chase.
– l’interruppe lei.- è una situazione difficile per me. Ho un assassino alle
calcagna, ricordi? House non ha fatto niente di nuovo. Lui è semplicemente
quello di sempre. Sono io che non ho i nervi per reggerlo,
adesso.”
Robert
lasciò correre. Non credeva alle parole di Allison ma era così scossa che
indagare ancora sarebbe stato solo deleterio. S’infilò il camice. “Ah Cameron.-
disse, ricordando.- hai dei turni in ambulatorio oggi?- lei negò.- allora ti
conviene sentire che c’è, ti cercavano prima, giù nella
hall.”
Con un
sospiro, lei si alzò e in due passi uscì dall’ufficio.
“Aspetta,
fammi vedere..- mormorò l’infermiera con gli occhi puntati allo schermo.- no,
non hai turni in ambulatorio oggi.” Concluse spostando lo sguardo su Cameron,
appoggiata stancamente al bancone.
“Come
immaginavo.- sospirò l’immunologa.- sai chi mi cercava poco
prima?”
La
donna aggrottò la fronte. “Mm.. chi te l’ha detto?”
“Il
dottor Chase.”
La
donna negò con il capo mentre si accingeva a rispondere al telefono. “Mah, con
me non ha parlato.” Poi si concentrò sulla cornetta che squillava salutando con
un piccolo sorriso l’immunologa che dopo un sospiratissimo “Ok.” si dirigeva di
nuovo verso l’ascensore da cui era scesa appena qualche minuto prima.
Era
appena entrata quando il detective Smith entrò nel PPTH e, con un’aria piuttosto
guardinga, s’avvicinò all’infermiera nella hall. “Scusi.-le chiese, anche se questa era impegnata
al telefono.- la dottoressa Cameron?”
La
donna scostò la cornetta dal telefono. “è appena salita.” Gli rispose pensando a
quanto fosse ricercata, in quel periodo, la bella immunologa.
L’uomo
annuì, poi, pensieroso, decise di andare a diagnostica per le scale.
Intanto
Cameron seguiva soprappensiero l’ascensore che, al primo piano, si vuotava quasi
completamente degli infermieri che prima ospitava.
Schiacciò
il tasto due.
Poi,
scorgendo con la coda dell’occhio che non era affatto sola si voltò di 180
gradi, dicendo. “Scusi, non le ho nemmeno chiesto dove..” la voce le si fermò in
gola.
L’uomo
sorrise. “Non fa niente, dottoressa. Io e lei ci fermiamo comunque qui.” Con uno
scatto tirò il pulsante rosso e bloccò l’ascensore.
Cameron
restò congelata, incredula e terrorizzata allo stesso tempo.
Era
LUI.
L’uomo,
senza il passamontagna, era esattamente come lo ricordava. Alto, riccio, giovane
e con quello sguardo maniacale dipinto in faccia. In passato in quegli occhi
morbosi c’era il troppo amore per la figlia che si era deformato in una sorta di
ossessione, adesso quell’ossessione si era rivolta con chi, secondo lui, l’aveva
privato di lei. Contro Park, Smith.
E
adesso contro di lei.
Allison
si appiattì istintivamente contro le porte dell’ascensore,con il cuore in gola
il terrore che, questa volta, non ci sarebbe stato nessun House a difenderla.
“Bene,
dottoressa Cameron.- continuò William Higt con un sorriso a dir poco folle.-
finalmente si ricorda di me. E della sua giovane vittima.”
Allison
negò con il capo mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime.
L’uomo
tirò fuori una pistola e gliela puntò contro senza nessun altro preambolo.
Rideva.
Un
paio di lacrime sfuggirono dai bellissimi occhi della dottoressa mentre quello
avanzava verso di lei. Con ancora quel sorriso dipinto in faccia, l’uomo gliele
asciugò con la canna della pistola, dicendo. “Ma no, non pianga. È così bella
che è un peccato vederla crucciata.”
Passò
la canna della pistola sulle sue labbra, poi sul collo, in una lenta e sensuale
carezza.
Cameron
chiuse gli occhi, sperando almeno che facesse in fretta. Volle dedicare il suo
ultimo pensiero all’uomo che amava e che l’aveva ferita tanto in questi tre
anni. Volle ripensare a lui, ai suoi sorrisi e lasciarsi dietro le offese,
ricordare la loro notte d’amore, lasciando stare il colloquio che aveva avuto
dopo. Se lo figurò ancora a casa a dormire.
E
invece lui era più vicino di quanto lei immaginava. Imprecando perché
l’ascensore era bloccato, era faticosamente salito a piedi fino a diagnostica ma
non era entrato nel suo ufficio.
Si era
fermato prima, pochi passi dopo aver finito le scale.
I suoi
muscoli si erano bloccati quando aveva visto Smith, davanti all’ascensore,
sbraitare contro Chase che si copriva il volto con una mano, e i corridoi pieni
di infermiere e di agenti che arrivavano da ogni parte.
Realizzò
subito che stava succedendo.
E che
non l’avrebbe rivista mai più.
<l'animo
mio, come il vento sui monti che investe le querce.>> Saffo.
Scusate per il
ritardo, ormai avrete capito che la puntualità non è il mio forte.. ;-P e anche
se avrei una buona scusa per spiegare i motivi del mio rimandare continuamente
l’aggiornamento non starò qui a tediarvi troppo, l’importante è che alla fine ce
l’abbia fatta, no?
Vi confesso che
ho una paura pazza di deludervi…
Voi con le
vostre recensioni siete stati fantastici, tutti, io non vorrei essere inciampata
proprio alla fine e dopo tanto tempo darvi una conclusione poco soddisfacente..
speriamo di no!
Anche se vi ho
fatto aspettare ho fatto comunque in modo che il capitolo fosse un po’ più lungo
degli altri e l’ho arricchito con due citazioni a me tanto care, perché rivolte
al più grande della lingua greca (secondo me, per carità), Platone e a Catullo
con il suo dolcissimo Carme LXXXV dedicato ad Apple che so che ha un
interesse particolare per questo autore!;)
Una piccola
nota al titolo: l’Ambrosia è nella mitologia greca il cibo degli dei.
Mi scuso con
tutti i grecisti (o apprendisti tali ;P) che circolano in rete, scusandomi se la
citazione non ha spiriti e accenti (e quindi la dignità che meriterebbe) ma non
ho un programma per renderle al meglio.. sorry!
Vorrei fare una
precisazione per quanto riguardano le citazioni.. la maggiorparte delle volte le
traduzioni dei frammenti che propongo sono opera mia, se fossero di altri autori
decisamente più autorevoli ( o prese da un libro) lo avrei fatto notare.
Andiamo alla
parte più bella del mio commento: i ringraziamenti.
Innanzitutto
vorrei precisare che mai mi sarei immaginata tante recensioni. Sul serio,
ragazzi, mi avete tolto il fiato!!!! siete stati per preziosissimi come immagino
lo siete per ognuno di noi apprendisti writers e vorrei che teniate sempre a
mente che una parte di questa
storia è soprattutto vostra, GRAZIE!!
I miei ringraziamenti più sentiti ringraziamenti, quindi a
: Damagedlove, Venus, Hamburger sei troppo gentile, grazie!)
Toru85, SHY, Mistral, Amy, Apple (credo che
ringraziarti all’infinito di tutto il sostegno che mi trasmetti ogni volta non
basterebbe comunque per farti capire quanto si sono grata, amica mia.. GRAZIE
davvero di tutto, ti voglio bene)Sheila, Vally, Pinacchia
(ti devo delle scuse, una volta mi sono dimenticata di ringraziarti!)
Elbereth ( non preoccuparti, puoi utilizzare comunque la scena senza problemi! Anche a me è
successo un migliaio di volte di trovare già scritte scene che avevo in mente
anch’io! Dont’ worry!!!)Hikary, Jakie93, Mercury259,
Missleep, Aras5, Piccy6, _Elentary_, Varekai( grazie mille
per tutte le belle parole che hai speso per descrivere la mia storia.. spero di
meritarmi i tuoi complimenti!)EriMD, Miky91, Birseis,
Preziosoele, Cira, Caph of the, Dark_girl92,
Angelikfire, Aliena.
Non ho davvero parole per ringraziarvi dei vostri
complimenti.
Spero solo che il capitolo vi piaccia.
Un bacio grande,
buona lettura.
La vostra Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
XI: Ambrosia
<<
Alla gar hdh wra apiein&emin men apoqanoumenw, umin de
biwsomenoi&
opoteroi
de hmwn ercontai epi ameina pragma, adhlon panti plhn
h tw
qew >>
Apologia di Socrate. Platone.
[infatti, è ormai ora di andare; io a morire, voi a vivere; chi di
noi vada verso una condizione migliore è oscuro a tutti tranne che al dio.]
La morte.
House
s’accorse di non averci pensato mai veramente. Pur essendoci andato vicino due
volte, pur avendola avuta sottomano in continuazione, si rese conto che la morte
non era mai stato un problema per lui.
Morte
come privazione, morte come assenza di sensibilità. Morte come fine delle
funzioni vitali di un uomo. Ecco cos’era la morte. Nient’altro da aggiungere.
Oltre la morte? Qui era il problema allora? Nemmeno. Oltre la morte non c’è
niente. Niente.
Ma
adesso la morte si ripresentava nella sua vita, aveva bussato nuovamente alla
sua porta, sfondandola con aggressione e accanendosi su l’unica persona che non
la meritava affatto.
Allison
Cameron.
Tutti
siamo chiamati a morire. È il nostro triste destino, l’unica incrollabile
certezza. Per questo tutti si augurano di fare una bella morte, molti la
vogliono rapida ed indolore come un ictus, altri la preferiscono accompagnata da
tanto affetto, circondata dai loro familiari.
Si
chiese come avesse voluto Allison la sua morte.
Di
certo, non la immaginava dentro un ascensore e per mano di un pazzo.
Trent’anni
sono troppo pochi per morire. La sua bellezza, la sua sincerità, la sua bontà,
il suo desiderio incrollabile d’aiutare gli altri non potevano spegnersi così.
Lei non poteva spegnersi così.
Aveva
bisogno di lei.
Lei
non era affatto un’avventura, non lo sarebbe stata mai.
Sospirando
si rese conto che aveva infranto la promessa che si era fatto, solo pochi giorni
fa. Quando aveva scoperto che Cameron era in pericolo e si era reso conto di
amarla, aveva giurato a se stesso che per una volta nella vita avrebbe fatto
qualcosa per gli altri e per se. Avrebbe difeso la donna che amava, l’avrebbe
protetta. Si era detto che nessuno l’avrebbe toccata.
Eppure
adesso era lì, in quell’ascensore che gli operai s’affannavano tanto ad aprire,
in un’assurda lotta contro il tempo.
E lui
aveva fallito. Non importava quanto Chase si sentisse in colpa o quanta ansia
esprimessero gli occhi blu di Cuddy o la rabbia di Foreman o il dolore di
Wilson. La colpa era unicamente sua.
Se
avesse trovato il coraggio di parlarle veramente, per una volta, se le avesse
detto che l’amava, lei non sarebbe corsa al lavoro e via dicendo. L’aveva
buttata tra le braccia del suo assassino, lui e il suo deleterio amore.
La
mano di Jimmy che si depositava sulla sua spalla lo riscosse per un attimo dai
suoi pensieri. Si voltò, quasi stancamente e incontrò lo sguardo del suo amico.
Wilson lo fissò intensamente e rimase scosso, per qualche istante, nel notare
l’intenso sconvolgimento che albergava negli occhi del suo amico.
“Si
salverà.- disse, ostentando una fiducia che non aveva.- Cameron è forte, lo
sai.”
“Non
più di una pistola.” La voce amara di Greg giunse agli orecchi e ai cuori dei
presenti, facendoli voltare verso di lui. Era la tacita e crudele verità, ma
nessuno in quel momento aveva voglia di sentirla. E questo lo innervosiva. “Che
c’è?- domandò agli altri.- credete che dire che ce la farà, risolverà qualcosa?
Non possiamo fare niente per lei, se non augurarci che soffra il meno
possibile.”
“Come
puoi parlare così.” la voce rabbiosa di Chase non esitòun istante. Si parò di fronte a lui, con
il volto lucido dalle lacrime, gli occhi arrossati di rabbia e pianto. Anche lo
sconvolgimento di Robert era una novità per tutti, lui, sempre così distaccato e
con un’aria appena sufficiente. “Lei non merita il tuo cinismo.”continuò
l’australiano, fissandolo negli occhi.
“Non
meritava nemmeno la tua stupidità, se è per questo.” Ribatté House, se
possibile, con la stessa rabbia del ragazzo. L’intensivista abbassò lo sguardo
per un istante poi, con la voce rotta, continuò. “è colpa mia, lo
so.”
“Non
dire sciocchezze, Robert.- lo contraddisse James.- non potevi
immaginare.”
“Si
che poteva.- Greg lo contraddisse di nuovo. Aveva tanta rabbia dentro, e Chase
era ancora una volta un buon capro su cui espiarla.- che cosa credevi, che
quell’uomo volesse invitarla a cena? Non lo sapevi che aveva una assassino alle
calcagna?”
Chase
strinse i pugni. “Come potevo.. pensare, come… lui mi ha detto di essere un
dipendente dell’ospedale e che era importante!”
“Avresti
almeno potuto accompagnarla, se credevi fosse importante! Sei uno sciocco e un
inetto, per quale motivo altrimenti pensi che l’assassino si sia rivolto a te,
eh? Sapeva benissimo che l’avresti spinta da lui!”
“House
smettila! Adesso basta!” Jimmy tentò di frapporsi tra i
due.
“Certo,
dovremo dargli un bel premio!- continuò Greg, fuori di se.- non bastano le
persone che uccide sul lavoro, adesso si è messo ad ammazzare anche i
colleghi!”
“House
stai passando il limite!- questa volta si levò anche la voce di Cuddy.- è stata
una tragica fatalità, non è giusto incolpare Chase, nessuno ha colpe
qui!”
Ma una
vocina dentro la testa e il cuore di House continuava a gridare il contrario.
Era
lui stesso il colpevole, era lui, era lui, ERA LUI!!
“Quest’imbecille
ce l’avrà sulla coscienza!-continuò il diagnosta, gridando.- hai capito, Chase?
Cameron sta morendo per causa tua!”
“Basta!”
gridò l’australiano, esasperato dalle continue accuse, dal pesante groppo sulla
coscienza che sentiva, dal pensiero di Cameron, da tutto, dalla rabbia. Ma non
si limitò alle parole, zittì il suo accusatore con un pugno, veloce e preciso
che colpì House tra il naso e il lato destro della bocca.
“Chase,
ma sei impazzito??!” Foreman, in disparte fino a quel momento, si accostò al
ragazzo, prendendolo furiosamente per un braccio.
House
era a terra e si toccava con la destra il labbro sanguinante mentre i suoi occhi
non smettevano di fissare il suo dipendente. Chase ansimava ancora dalla rabbia.
Lisa
si abbassò e porse il suo aiuto ad House il quale, con un gesto stizzito, lo
rifiutò e s’alzò da sé.
I due
si fissarono negli occhi ancora per diversi secondi senza che nessuno dei due
dicesse nulla. Chase stava per dire di nuovo qualcosa ma l’arrivo di Smith lo
zittì improvvisamente.
Il
detective –andato a dare ordini agli operai del piano inferiore.- notò subito la
stranissima tensione che si era creata. “Che diavolo è successo qui?” domandò,
notando il labbro ingrossato di House e sguardo stravolto di Chase.
Fu
proprio quest’ultimo a dire, in un sussurro. “Io vado a
pregare.”
Gli occhi di tutti lo seguirono, mentre si allontanava e
si dirigeva verso la cappella.
House
lo degnò appena di uno sguardo.
“Detective.-
Foreman si accostò al poliziotto.- c’è qualcosa che possiamo fare per lei?-
domandò, velocemente.- c’è un modo per fare più in fretta?” disse osservando gli
operai che lavoravano celermente a pochi passi da loro.
Sospirando,
Smith si voltò verso di lui. “L’ascensore è rimasto bloccato tra il primo e il
secondo piano. Abbiamo attivato delle macchine tiranti per farlo risalire fino
al livello del secondo. Ce la stanno mettendo tutta” concluse con voce roca.
Foreman
negò con il capo e si sedette di nuovo, appoggiando i gomiti alle ginocchia e il
viso, tra i palmi delle mani.
House
era ora impassibile, appoggiato al muro, con lo sguardo fisso sul pavimento.
L’unica spia di scompiglio erano gli occhi e la mano destra, stretta con assurda
forza attorno al bastone, così violentemente che le nocche della mano erano
diventate bianche per lo sforzo.
Fredda.
La
prima sensazione sicuramente era quella.
Terribilmente
fredda.
Così
le appariva la canna della pistola, appoggiata contro la delicata pelle del suo
collo.
Lui,
intanto, non smetteva di fissarla intensamente negli occhi. E sorrideva,
malvagiamente, mentre dai suoi occhi lucidi scendevano di tanto in tanto,
piccole lacrime di follia.
Cameron
inizialmente aveva chiuso gli occhi. Ma poi, in una sorta d’orgoglio, aveva
deciso di morire fissando negli occhi il suo assassino. “Avanti.- disse, con la
voce ancora rotta dal pianto.- che cosa aspetti?- lo sfidò. Era pericoloso ma
non aveva nulla da perdere.- non vuoi più uccidermi?”
L’uomo
per tutta risposta premette con più violenza l’arma sul suo collo e rispose,
febbrilmente. “E tu? Tu non hai paura?”
Allison
strinse i lati della bocca. “Tutti hanno paura di morire.- rispose,
sussurrando.- anche Chrystal ne aveva tanta.”
L’uomo
le mollò un ceffone, in uno scatto di rabbia. Cameron si piegò di lato per la
forza del colpo. L’immunologa incassò il colpo e cercò di ricacciare indietro le
lacrime che le appannavano la vista tornando a guardarlo.
“Non
t’azzardare.- riprese quello, tremando di rabbia.- non t’azzardare a nominare
mia figlia, puttana.”
“Tua
figlia era malata.- continuò Allison, con la voce rotta ma la caparbietà che non
le era mai mancata nella vita.- era solo malata. Nessuno l’ha
uccisa.”
“Tu
menti!!” la picchiò di nuovo questa volta con più forza però, con più violenza,
così tanta che Cameron non riuscì a reggersi in piedi e cadde per terra, a suoi
piedi, in quell’angusto, piccolo spazio. “L’avete uccisa voi mia figlia!- urlò
l’uomo.- lei aveva solo bisogno di me, di suo padre! Non di quelle medicine che
le somministravate! Lei non era malata, voi volevate che lo fosse! Cercate morte
e malattie in tutti i pazienti!”
“Non è
vero.- Allison si stava rialzando.- ti ho anche mostrato le analisi, non
ricordi? Quelle sono prove scientifiche, nessuno può..”
“Ti ho
detto di tacere!”
Approfittando
del fatto che lei fosse ancora quasi a terra, la colpì ma con un calcio. Un
calcio che le centrò dritto lo stomaco.
Cameron
accolse il colpo, sforzandosi di non gridare, premendo una mano sul busto e
accasciandosi su un lato dal dolore. Quando riuscì di nuovo ad alzare gli occhi
verso di lui, lo vide che puntava la sua pistola verso di lei.
Stava
per parlare di nuovo ma boato accompagnato da un rumore sordo fece sobbalzare
entrambi.
Proveniva
da sotto di loro. L’ascensore iniziava a muoversi. William sgranò gli occhi,
constatando che il mezzo si muoveva, lentamente, verso l’alto.
“Piano!-
urlò Smith, al telefono, rivolto agli operai, di sotto.- ho detto di fare piano!
Non se ne deve accorgere altrimenti la ucciderà immediatamente, è
chiaro?”
“Oh
mio Dio.” Mormorò Wilson, mettendosi una mano sugli occhi e appoggiandosi
stancamente al muro.
L’aggancio
per spingere l’ascensore verso l’alto era stato così forte che l’avevano
avvertito anche loro.
Lisa
si portò le mani tra i capelli, sospirando. Alzò lo sguardo, cercando
disperatamente gli occhi di Wilson. Li trovò, tristi e desolati come i suoi.
L’oncologo le prese la mano, dimenticandosi dei presenti e di quello che
avrebbero potuto dire o pensare.. Lisa s’irrigidì iniaizlmente ma poi,
sospirando, mandò al diavolo tutto e tutti e si concentrò su quel contatto e sul
calore che emanava. Per contrasto, pensò ad House, al calore di cui avrebbe
avuto bisogno lui. La scenata di prima poteva dire semplicemente una cosa.
Il
pensiero che House si fosse innamorato di nuovo, dopo così tanto tempo e che la
donna oggetto del suo amore forse non sarebbe sopravvissuta abbastanza per
saperlo, le fece venire gli occhi lucidi.
Non
era giusto… House aveva bisogno d’amore almeno quanto lei, eppure forse non ne
avrebbe avuto mai. Pensando a James, si sentì quasi in colpa della felicità che
la sera precedente aveva conquistato con lui.
Cercò
lo sguardo di House, ma lui non era lì con loro. La sua mente era persa, nei
meandri dei suoi pensieri e i suoi occhi, fissi sul pavimento.
Come
aveva pensato Smith, l’accaduto aveva terrorizzato Higt. Adesso teneva la
pistola tremando verso di lei,mentre prendeva consapevolezza che il tempo
rimastogli era davvero poco.
Avrebbe
voluto che la dottoressa morisse più lentamente, ma non aveva scelta.
Doveva
ucciderla ora.
“Saranno
arrivati al livello del secondo?” domandò Eric, nervosissimo. “quanto ci vuole
ancora?”
Uno
strano strepito d’assestamento segnalò il loro arrivo. “Eccoli.” Disse Smith
dando il segnale ai suoi uomini di aprire le porte
Ma
prima ancora che i presenti potessero anche solopensare qualcosa, il rumore sordo di uno
colpo interruppe tutto.
Speranze,
timori, pensieri.
Lisa
sobbalzò sulla sedia e con lei tutte le infermiere pronte con la barella davanti
alle porte già da diversi minuti.
House
invece rimase impietrito, muto, sconvolto dalla consapevolezza che adesso era
veramente tutto finito. Tutto finito. Anche il più ostinato barlume di speranza
se n’era andato, schiacciato dalla cruda realtà dei fatti.
Un
altro sparo.
Silenzio.
Un
altro ancora.
“Muovetevi!”
urlò Smith, all’indirizzo degli operai.
Un
rumore più forte segnalò che le porte si erano disattivate, poi, con un raschio
metallico, si aprirono.
Quello
che videro superava la loro immaginazione. I loro presentimenti e i loro
timori.
Videro
William Higt, parzialmente disteso, appoggiato ai gomiti, con la gamba destra
coperta di sangue e terribilmente dolorante. Era vivo, anche se ferito. Videro
Allison Cameron, in ginocchio, davanti a lui. Si copriva il volto con la
sinistra mentre nella destra luccicava il lucido nero di una pistola.
Era
viva.
Questo
fu il primo pensiero di tutti, dalle infermiere al detective, ad House stesso.
La tensione si sciolse, tornarono i sorrisi, gli sguardi stupiti, i sospiri, di
gioia questa volta, per quella tragedia fortunatamente solo sfiorata. Allison ce
l’aveva fatta, non importava come, in un modo o nell’altro se l’aveva cavata,
senza l’aiuto di nessuno, sola, aveva affrontato gli ultimi fantasmi del suo
passato, vincendo contro quella pazzesca accusa e la follia di quell’uomo.
Era
viva e sorrideva, adesso, al loro indirizzo. Si era alzata, anche se un po’ a
fatica, e si era diretta verso di loro, con il viso lucido di lacrime di gioia
ed era finita tra le braccia di Eric Foreman, il primo ad avvicinarsi a lei.
Mentre era abbracciata al suo collega, sentì bene la mano di Lisa, accarezzarle
i capelli in un gesto tanto dolce quanto inaspettato dal suo severo capo, poi
toccò a Wilson che rideva di sollievo mentre la stringeva a sé.
House
fu l’ultimo ad avvicinarsi, silenziosamente, la chiamò, sussurrando il suo nome.
Cameron
si voltò verso di lui lentamente. Greg, davanti a lei, non aspettò che come al
solito fosse Cameron a fare la prima mossa, questa volta le prese la vita e
lasciando che il bastone cadesse a terra, la strinse a se più forte che poteva.
Lei lo
strinse e tra le sue braccia finalmente scoppiò a piangere, singhiozzando come
una bambinauscita da un brutto
sogno, sfogò su di lui tutta la sua angoscia, tutta la paura che aveva provato.
La
mano di Greg si muoveva tra i suoi capelli cercando di confortarla, mentre nel
corridoio si era ormai aperto un via vai di gente rumorosa, chiassosa, le
infermiere portavano Higt in terapia intensiva, i poliziotti esaminavano
l’ascensore, tutti sembravano aver voglia di rompere quell’interminabile
silenziosa angoscia di poco prima.
Il
loro abbraccio, in quella confusione, restò quasi inosservato ed Allison si
prese tutto il tempo che voleva, godendo di quel contatto con l’uomo che amava e
che aveva temuto di non rivedere più. Poi, quando si fu calmata, si staccò
lentamente da lui.
Non
dissero nulla.
Si
scambiarono solo un lunghissimo sguardo che voleva dire tante cose, troppe cose,
che a parole non sarebbero mai riusciti a comunicarsi.
“Cameron.”
La
voce di Chase interruppe quel momento. Allison si voltò verso di lui. Lo trovò
davanti a lei, sconvolto dall’angoscia di quegli interminabili minuti. “Oh,
Chase.” disse accogliendolo tra le sue braccia. L’intensivista la strinse a se
con una gioia quasi maniacale. “Perdonami.”
Affondò
il viso tra i suoi capelli, trattenendo le lacrime a stento, tracciando disegni
strani con le dita sulla schiena della donna. Allison accolse il suo abbraccio
senza dire nulla, appoggiando una mano sulla nuca del ragazzo, sussurrandogli.
“Non è colpa tua.” e per Chase quelle parole furono come ambrosia.
Si
staccarono lentamente, dopo diversi secondi. L’immunologa gli sorrise,
dolcemente. “Ehi. È tutto finito.- disse, più a se stessa, che a lui.- tutto
finito.”
Lui
annuì, lentamente, poi ancora mortificato, si allontanò rapidamente da lei.
Cameron
lo seguì con lo sguardo per qualche istante, poi sussurrò. “Greg..” voltandosi.
Ma
dietro di lei, House non c’era più.
“Posso?”
Gli
occhi blu di Lisa Cuddy si alzarono da quei noiosissimi documenti che stava
consultando ormai da un paio d’ore abbondanti, senza riuscire a venirne a capo e
li puntò verso Wilson che si affacciava alla porta del suo studio. “Ciao.”
Disse, affettuosamente. “certo. Entra.”
James
obbedì celermente, richiudendo la porta alle sue spalle. “Volevo sapere come
va.”
Lisa
chiuse definitivamente la cartellina e si concentrò sull’uomo che adesso si era
seduto davanti a lei.
“Molto
meglio. La polizia se n’è appena andata ma ha garantito una sorveglianza
assoluta per quel pazzo maniacale, in terapia intensiva. Cameron gli ha fatto
troppo poco. Una pallottola nel polpaccio è non è niente per quel
folle.”
Wilson
annuì. “Ancora non riesco a crederci che lei abbia
sparato.”
Cuddy
alzò le spalle. “L’ho detto sempre io che non è carina e gentile come sembrava.”
Risero entrambi, sfogandosi in una risata davvero liberatoria.
“Comunque.-
riprese James.-quando ti ho
chiesto come andava non mi riferivo a lei. Intendevo te.”
Lisa
lo fissò intensamente e sorrise. “Sto bene. E lo devo tutto a te, James.
Grazie.” La sua voce suonò dolce, affettuosa, gentile. Con un tono così vicino
che a Jimmy scaldò il cuore.
L’oncologo
sorrise, ricordando la precedente serata. Dopo averla portata a casa e averla
fatta asciugare di tutta l’acqua che aveva preso, sotto la pioggia, aveva
cucinato per lei e a tavola, avevano parlato, tanto. Lei si era finalmente
aperta a lui, confidandogli tutti i suoi problemi, i suoi tentativi, finiti nel
nulla, di diventare disperatamente madre, le sue ansie, le sue notti, sola.
E lui
l’aveva ascoltata, semplicemente.
Alla
fine avevano anche bevuto e forse un po’ troppo per la verità. Lisa gli era
sembrata così fragile, così delicata, con gli occhi un po’ slavati dal trucco e
il sorriso reso disinvolto dal buonissimo vino rosso. Tutti e due, un po’ brilli
e più spigliati, si erano avvicinati, anche parecchio a volte e c’erano stati
momenti in cui aveva dovuto fare forza su se stesso per non baciarla.
Non
che non lo volesse.
Ma non
poteva farlo, non in quelle condizioni. Baciare Lisa era qualcosa di troppo
grande perché potesse essere sciupato e ridotto a conseguenza del vino.
Le
prese la mano, con la stessa tenerezza con cui gliela aveva presa poco fa, in
quei momenti d’angoscia. La mano di Lisa reggeva ancora la penna ma a quel
contatto la stilografica cadde immediatamente e i suoi occhi blu furono subito
in quelli castani ed affascinanti dell’oncologo.
Lui si
sporse per baciarla, nonostante la posizione non fosse delle migliori, e lei,
per facilitargli il compito, gli si fece incontro, appoggiandosi sulla grande
scrivania d’ebano.
Le loro
labbra si congiunsero a metà strada, in un bacio dolce ma appassionato che
riassumeva e nello stesso tempo coronava tutte le emozioni che entrambi avevano
iniziato a provare da un mese a questa parte, senza che nessuno dei due fosse in
grado di avvicinarsi in maniera più concreta all’altro.
Fino alla
sera precedente, almeno.
James le
prese delicatamente il viso con la destra mentre si distanziavano lentamente,
con piccoli baci. “Di niente.” sussurrò Wilson, ad un passo dalle sue labbra.
Lei si
sorrise, facendo luccicare i suoi occhi blu.
“Mi aspetti
quando finisci?” domandò lui, con un sorriso smagliante. “Un mio amico ha aperto
un ristorante da pochissimo.. cucina messicana… come ti suona?”
Lei gli
regalò un bacio a stampo. “Ho già l’acquolina in bocca.”
Wilson annuì
e s’avviò alla porta, mise mano alla maniglia, l’aprì ma prima di varcarla si
fermò, pensieroso. Si voltò, quasi avesse qualcosa da dirle. La fissò alcuni
secondi poi, ricacciando indietro quel ‘ti amo’ che aveva premuto alle sue
labbra. “A questa sera allora.” Disse sorridendo ed uscendo dallo studio,
decidendo mentalmente che una confessione del genere sarebbe stata troppo
prematura.
Lisa fissò
la porta ancora per alcuni secondi. “Ti amo, James.” Sussurrò, chiedendosi
se avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo con lui presente.
Una
telefonata improvvisa la fece quasi sobbalzare e la tirò a forza lontano dai
suoi pensieri, trascinandola nel suo lavoro.
“Cuddy.”Alzò
la cornetta e si rimise in carreggiata.
“oh, detective Smith. Sì,
anch’io sono contenta che tutta questa situazione si sia risolta nel migliore
dei modi..” iniziò, dopo essersi accuratamente asciugata una lacrima che aveva
osato scalfire il suo autocontrollo e scivolarle giù, lungo la guancia.
Lacrime di
gioia, questa volta.
William
Higt stava adesso lungo, nel lettino di terapia intensiva, con la gamba rotta ed
ingessata, a causa del colpo sparato dalla giovane dottoressa. Sorridendo tra
sé, pensò che non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Allison era davanti a
lui e lui la puntava con la pistola. Un nuovo sobbalzo aveva fatto
improvvisamente perdere loro l’equilibrio ed erano caduta a terrae lui, idiota, si era lasciato sfuggire
la pistola dalle mani.
La
pistola era lì, davanti a lei. Con uno scatto la prese e la puntò contro di lui,
tremando d’eccitazione e di terrore. Higt aveva cercato d’avvicinarsi ma lei gli
aveva caparbiamente puntato contro l’arma. “Fermo.”
“Che
cosa vuoi fare dottoressa? Vuoi completare l’opera ed uccidere anche me? O forse
vuoi ucciderti da te, soffocata dai tuoi sensi di
colpa?”
Gli
occhi di Cameron si erano riempiti di lacrime. “Tu non muoverti e non t’accadrà
nulla.” Ma la sua voce vibrava, instabile. Non aveva mai tenuto in mano una
pistola prima d’ora e il potere che si percepiva nel tenere quell’oggetto in
mano era immenso e terrificante.
William
l’aveva voluta sfidare, aveva cercato d’avvicinarsi così lei aveva sparato. Ma
non su di lui. Aveva sparato alla parete e ben due volte.
“Hai
paura di uccidermi, vero?- aveva commentato l’uomo.- ammazzare con le medicine è
molto più facile che con una pistola in mano.”
Cameron
non voleva sparargli. Ma una rabbia dentro di lei la spinse a premere il
grilletto a quelle parole, mirando al polpaccio dell’uomo.
Un rumore di tacchi interruppero i pensieri di Higt.
Questi
volse lo sguardo verso l’entrata della camera, da dove sentì la guardia parlare
con una donna. Laporta si aprì un
attimo dopo e Cameron entrò nella stanza.
“Non
posso crederci.- grugnì l’uomo.- tu qui?”
Allison
piegò la testa di lato. Stava meglio adesso, si era medicata, cambiata,
riposata, aveva mangiato qualcosa. Era tornata se stessa, in qualche modo. “Sei
un paziente.- disse, con voce fredda.- anche se per poco. Presto andrai in
prigione per duplice e tentato omicidio.”
L’uomo
scoppiò a ridere. “ E sei venuta a dirmi addio?”
“Non
lo so perché sono venuta.” Confessò, abbassando lievemente lo sguardo. “Forse
per guardare in faccia l’uomo che voleva uccidermi, guardarlo negli occhi, per
un istante. Perché non riesco ancora a credere a tutta questa follia.” La voce
gli tremò alla fine.
William
distolse lo sguardo. “Io non andrò in prigione.- prima che Allison potesse
chiedergli spiegazioni l’uomo continuò.- sto per raggiungere mia figlia. Andrò
da lei.” disse, sospirando alla fine. “in qualche modo farò. Non posso più
vivere adesso.”
Cameron
incurvò le sopracciglia. “Perché mi dici queste cose.”
“Perché so che non le riferirai alla guardia che mi
sorveglia.- disse, fissandola negli occhi.- Perché so che anche tu una volta
nella vita hai desiderato seguire la persona che amavi nella morte, piuttosto
che continuare a vivere.” Quelle parole lasciarono Cameron completamente
spiazzata.
Lui continuò. “ Ma adesso è ora di andare. Io a morire,
voi a vivere. Chi di noi vada verso una situazione migliore è oscuro a tutti
tranne che al dio.” Sorrise. “Conosce Platone, dottoressa? Chrystal lo
adorava.”
Allison lo ascoltò, in silenzio. “Sì.- sussurrò.- conosco
Platone.” Non seppe cos’altro dire. Quell’uomo, quell’assassino, quel disperato,
le aveva appena confidato che si sarebbe ucciso. Infondo capiva la sua
sofferenza, capiva la sua pazzia, capiva il suo stato d’animo, capiva il suo
odio. Anche lei aveva odiato il mondo, i medici, aveva odiato anche il suo
marito per tutto l’amore che non avrebbe potuto darle più, e aveva odiato se
stessa, per tutto l’amore che forse non era stata in grado di dargli mai.
Higt aveva ragione. Non l’avrebbe detto alla guardia.
Non sapeva bene il motivo.
Forse perché voleva che Higt morisse, come erano morti
Park e Law. Forse voleva semplicemente vederlo morto, anche se andava contro
tutti i suoi principi.
“Addio.” Disse quindi girando le spalle ed uscendo
finalmente da quella stanza, promettendosi di lasciarsi alle spalle quel folle e
tutta quell’assurda situazione con la stessa facilità con cui richiudeva, dietro
di sé, quella porta.
Trovò House lì fuori.
L’aspettava appoggiato con le spalle al muro e le braccia
incrociate, mentre giocherellava con il bastone.
Sorrideva, con lo stesso enigmatico sorriso quando ha
appena sciolto un enigma. “Hai sconvolto tutti.- esordì.- persino un uomo d’armi
come Foreman.”
“Anch’io odio essere prevedibile.” Rispose lei
incamminandosi verso di lui. “te l’ho sempre detto che ci sono moltissime cose
di me che non sai.”
Lui sorrise. “Non così tante. Sapevo che eri qui ad
esempio. Nonostante la tua piccola parentesi criminale, sei la crocerossina di
sempre. Mi sono chiesto: Dove può stare una crocerossina, se non al capezzale
del suo assassino?” domandò retoricamente. “ ed infatti eccoti. Il fatto che tu
sia qui smentisce ogni tua replica.”
Lei si avvicinò finalmente a lui, fissandolo negli occhi.
“Anche il fatto che tu sia qui a cercarmi, smentisce ogni
tua replica.” Era un tono sussurrato, esitante ma preciso e ben chiaro. “Dottor
House- continuò, sorridendo maliziosamente.- non credere di essere l’unico a
saper usare la logica, qui.”
Concluse, poi gli girò le spalle e fece per andarsene
quando la sua voce la bloccò, a metà corridoio. “Che ci facevi da lui?”Lui l’osservò abbassare il capo,
silenziosamente.
“E tu dov’eri?- lei evitò la domanda, quasi risentita.-
sei scomparso prima.”
House non rispose niente e, anzi, si rallegrò del fatto
che lei fosse ancora di spalle perchénon avrebbe retto il suo sguardo. Che cosa poteva risponderle? Che a
vederla tra le braccia di Chase si era innervosito così tanto che avrebbe
volentieri risposto al pugno dell’inglesino?
Che per tutto il tempo in cui lei era stata chiusa
nell’ascensore aveva avuto il terrore, e dico terrore, di perderla, così quando
tutto era finito si era sentito così stordito che aveva bisogno di un po’
d’aria?
Che si era sentito così in colpa che non era riuscito
nemmeno a guardarla in faccia all’inizio?
Non finì nemmeno quei pensieri che, alzato lo sguardo, si
trovò davanti Cameron persona, in tutta la sua persona. Lo fissava, con occhi
quasi supplici. “Non so perché sono andata da lui.”
Erano quasi le dieci e trenta di sera adesso.
Quel corridoio era buio e silenzioso e la voce della
ragazza risuonò tra le pareti.
House la fissò, senza dire nulla. Lei continuò. “Mi ha
detto che si ucciderà.”
“Mi sfugge un passaggio.- borbottò lui.- mi dovrei
dispiacere?.. o TI dovresti dispiacere?”
Lei negò dolcemente con il capo. “Non è questo il punto.
Pensavo alla morte. Per sua figlia ha ucciso due persone..Mi chiedevo se la rivedrà mai.” Sussurrò
quindi.
House abbassò lo sguardo. “No.- rispose.- non rivedrà
proprio nessuno. la morte è un capolinea, Cameron. Non c’è niente dopo.
Niente.”
“Già- rispose lei, dolcemente.- eppure la morte fa paura.
Non di per sé.. la morte di per se stessa è così semplice, così banale. Così
facile a volte. molti in certe situazioni preferiscono morire piuttosto che
lottare e affrontare la realtà. Eppure fa paura.” Si avvicinò a lui,
pericolosamente, senza interrompere il contatto visivo.
“Fa paura perché proprio quando sei ad un passo dalla
morte capisci tutto. Ti vengono in mente tutti i tuoi rimorsi, i tuoi desideri
più segreti.. quello che avresti voluto fare, quello che vuoi e non puoi più.
Perché non ne hai più il tempo.”
Ad House quelle parole fecero venire quel pazzo che gli
aveva sparato, e il suo sogno, subito dopo, prima della ketamina. Riaffiorarono
quelle immagini senza senso in cui aveva sentito fortissimo, dentro di sé, il
desiderio di avere Cameron, di fare l’amore con lei, anche se attraverso un
robot.
“Fa paura.- continuò l’immunologa.- perché dedichi gli
ultimi attimi alla persona che ami.- la voce le tremò adesso in maniera quasi
irreversibile.- e il pensiero che non la vedrai più ti fa impazzire… questa è la
morte vera.”
I suoi occhi pieni di lacrime non smisero di fissarlo,
intrepidi ed quasi arrabbiati. “Una volta ti ho chiesto che cosa hai pensato
quando credevi di morire, House.- sussurrò.- non vuoi sapere quello che ho
pensato io?”
“Io non ho risposto”
“Lo so.”
“Tu lo faresti?”
La ragazza sospirò,dolcemente. “Sì.” Disse, tra i denti.
I passi di un’infermiera interruppero tutto.
Cameron abbassò lo sguardo, House distolse il proprio
mentre l’anziana donna passava di lì, con un piccolo carrello, osservandoli,
incuriosita.
House sospirò, infastidito e con una smorfia le voltò le
spalle, proseguendo a camminare lungo il corridoio. Allison rimase interdetta.
Non sapeva se quel gesto voleva dirle qualcosa. Per un attimo fantasticò sulla
possibilità che lui le avesse lanciato davvero un segnale, magari le aveva
chiesto di seguirlo.
Lo fissò, per qualche istante, indecisa sul dafarsi.. poi
tornò realisticamente con i piedi per terra.. non c’era nessun segno, nessun
segnale.
Basta Cameron.
Basta sognare.
Gli regalò un ultimo fugace sguardo poi si voltò e
proseguì nella parte opposta.
Pioveva.
Pioveva ininterrottamente da ore ormai ma tutto
l’acquazzone che aveva imperversato fino a quasi mezzanotte non aveva spento il
suo desiderio di staccare un po’ la spina, di far andare il cervello con un bel
giro in moto.
Adesso erano quasi mezzanotte e trenta e ritornava a casa,
fradicio ma più rilassato e, soprattutto, con le idee molto più chiare di prima.
Cameron era un capitolo chiuso. Basta, ormai aveva deciso.
Era stato a letto insieme a lei, si era tolto il chiodo fisso, adesso stop.
L’ansia prima di riabbracciarla? Semplice e stupida
apprensione per una collega.
La gelosia? Una conseguenza dello choc emotivo causato dai
motivi precedentemente elencati. Ecco fatto.
Aveva razionalizzato tutti i suoi sentimenti, catalogato
le sue emozioni per causa ed effetto, espresso tutto in termini rigorosi e
scientifici. Non usciva fuori nulla di insensato, nulla di stranamente
sdolcinato.
E la sua vita poteva proseguire, finalmente. Tutto sarebbe
tornato nella più assoluta normalità e anche queste sciocche emozioni causate
forse anche da un uso eccessivo di Vicodin negli ultimi tempi –si era ripromesso
di dare una buona occhiata al foglietto con le controindicazioni- sarebbero
passate.
Atarassia.
Apatia.
Sorrideva tra sé mentre parcheggiava,confortato dalla sua
razionalità, sotto un cielo ancora piovigginoso ma molto più calmo e si toglieva
il casco, storcendo appena la bocca per il leggero fastidio che gli causavano i
jeans bagnati e il giubbetto di pelle fradicio. Tuttavia quel fastidio non durò
molto perché la sua attenzione venne immediatamente attratta da un taxi che
parcheggiava in seconda fila, proprio lì acanto a lui.
Non ci fece quasi caso all’inizio, almeno finché non
collegò l’auto alla giovane figura che usciva dal suo condominio, con un borsone
a tracolla e camminava speditamente verso quell’auto bianca.
Sentì il cuore fermarsi per un istante.
Cameron.
Prima che la sua ragione potesse formulare qualche scusa
logicamente corretta e portarlo al silenzio, il suo cuore, più veloce, lo spinse
a chiamarla.
Lei si bloccò, sentendo il suo nome.
Si voltò verso di lui, ad appena pochi passi.Rimase quasi senza parole all’inizio, ma
poi la sua razionalità ebbe molto più tempo per riflettere e rimettere a posto
le idee. “Io vado.- disse quindi.- grazie per l’ospitalità.”
Le menti di entrambi corsero ad un evento.
Quell’evento.
“Smith mi ha fatto sistemare l’appartamento.- continuò
lei.- e dato che Higt è in prigione o già nell’al di là o dove diavolo gli pare,
per me non c’è più alcun pericolo. E non c’è nemmeno ragione che continui a
stare da te.”
Lui deglutì, lentamente.
Il tassista si sporse dal finestrino, un po’ infastidito
per la pioggia e per quell’attesa. “Ah signorì, ce la damo ‘na mossa? Io non sto
tutto il tempo appresso a voi, eh!”
Lei si voltò verso l’uomo. “Sì, mi scusi..” fece per
andare ma di nuovo qualcosa la bloccò.
E questa volta fu la mano di House, attorno al suo
braccio.
Incredula si voltò verso di lui. “ Che fai?” gli chiese.
Il diagnosta non trovò tempo di rispondere qualcosa di
sensato. Quell’odiosissimo impulso che l’aveva portato a fare tante, troppe
stupidaggini in questi giorni premeva ancora sulle soglie della sua mente. E non
riusciva a spiegarselo adesso.
“A che cosa hai pensato?” Lei sgranò i suoi bei occhi
verdi e le sue labbra si aprirono in un moto di stupore. Non disse niente, non
trovò niente da dire. Impaurita che anche il più piccolo suono sbagliato avrebbe
rovinato tutto preferì osservarlo, in silenzio.
“A che cosa hai pensato quando stavi per morire,
Cameron?”
La stretta intorno al suo braccio si trasformò in una
lenta carezza che la condusse ad avvicinarsi ancora di più al suo interlocutore.
Lei fissò le sue labbra, quindi lui. “A te.- gli confidò
semplicemente.- ho pensato a te, Greg. A quante ne abbiamo passate a tutto
quello che ci siamo detti ieri. A tutto il male che ci siamo fatti.” Fece una
piccola pausa. “e tu che cosa hai pensato mentre io stavo per morire?”
House sorrise, appena, distogliendo lo sguardo.
“A niente.” disse quindi. Cameron trattenne il respiro,
incredula. House continuò, lentamente. “Non riuscivo a pensare a niente. L’unica
cosa che sentivo è che se tu fossi morta in qualche modo sarebbe morta anche la
parte migliore di me.”
Per Allison quelle parole furono come ambrosia. Sentì le
lacrime premerle sulle soglie dei suoi occhi in maniera orrenda, tentò di
ricacciarle indietro ma con poco successo. “Io..”
“Posa quel borsone.” Continuò lui. “Steve Mc Queen mi ha
confidato di essersi affezionato a te, non gli dispiacerebbe se rimanessi con
lui.”
Lei sorrise con il viso bagnato un po’ dalla pioggia e un
po’ dalle lacrime. “Stai dicendo sul serio?”
“No. Mi sto divertendo a sparare cazzate, sotto la
pioggia, con un vento che soffia a venti nodi e tre gradi centigradi.”
“House io non sto scherzando.- ma il suo tono era allegro
come quello di una bambina.- io ..”
“Cameron non farmi pentire d’averti assunta. Che cosa
significa la frase: resta a vivere con me, se non che devi restare a vivere con
me?”
Lei non rispose nulla soltanto gli buttò le braccia al
collo e lo baciò con tutta la felicità che sentiva, con tutto il trasporto, la
passione, l’amore che aveva in corpo..
Le loro labbra si congiunsero in un dolcissimo bacio,
unendosi e fregandosene dell’autista che continuava a protestare, godendosi di
quel piccolo momento, finché, piantato lì il tassista, non tornarono a casa di
lui e lì vissero di nuovo il loro piccolo iperuranio, questa volta senza dubbi,
senza false speranze o senza rancori di nessun tipo.
Si amarono semplicemente con la nuova e bellissima
consapevolezza che non si può liquidare l’amore, come spesso avevano pensato
Cameron ed House e come spesso capita a noi di fare.
Possiamo soffocarlo, ma non ignorarlo; così come possiamo
ingannare gli altri ma non noi stessi, allo stesso modo l’amore riemerge, quando
meno te l’aspetti, e chiede il conto di tutte le volte che l’avevamo respinto
che l’avevamo accantonato a favore della nostra razionalità.
E lì, tra le sue braccia, Cameron capì che l’amore premia.
Premia le sofferenze, premia le lacrime gettate nelle
notti insonni, abbracciati al cuscino a pensare, stringendo le lenzuola tra le
dita, mordendosi le labbra con i denti per soffocare i singhiozzi. Premia
nonostante tutte le volte che l’aveva maledetto, tutte le volte che l’aveva
odiato.
L’amore dà forza.
E lo stesso House, anche se forse non l’avrebbe mai
ammesso, per una volta aveva trovato qualcosa di molto più forte e duraturo
della propria razionalità, della sua intelligenza, del suo sapere, qualcosa che
sapeva non l’avrebbe mai tradito, che ci sarebbe stato.
L’amore per Cameron.
Si ritrovarono questa volta sul suo grande letto
matrimoniale, con la corsa ritmata di Steve come sottofondo assieme al battito
assordante del cuore che rimbombava nel petto e nelle tempie.
Lei era ancora tra le sue braccia, calde e rassicuranti.
Lo strinse più forte, chiudendo gli occhi. “Ho paura, Greg.” Gli confidò con una
voce strana. “Tu?”
Lui le accarezzò la pelle sulle spalle, giocherellando con
il punte arricciate dei suoi capelli.
“Sì. Ne ho..- continuò sospirando.- Allison sarà
difficile. Io sono chiuso, introverso e credo di non essere capace d’amare.”
Sospirò di nuovo. “non so se ti posso dare quello che meriti.”
Lei si sporse per guardarlo, rizzandosi su un gomito. “Mi
dispiace devi applicarti di più.- disse, sorridendo.- non è facile spaventarmi.”
Incurvò le labbra in un dolce sguardo. “ questa casa è accogliente,mi sono
ambientata e .. sai che ti dico? Credo di piacere anche a Steve Mc Queen.”
“Come anche ?- rilanciò lui.- è per lui che sei
qui. Te l’ho detto che sto cercando una compagna per farlo riprodurre?”
Lei gli regalò un piccolo pugno sulla spalla e poi un
altro piccolo colpo con il cuscino. Nella piccola ribellione che nacque a
vincere fu di nuovo lui, Greg, che l’immobilizzò sotto di lui, tra le risa
generali.
“è troppo tardi Greg.- sussurrò Allison, sensualmente.-
ormai non ti sarà facile liberarti di me.”
Le parole di Allison suonarono esattamente come la giovane
voleva che facessero: come una dolcissima minaccia al sapore di ambrosia. Greg
le coprì le labbra con un bacio, domandandosi di nuovo come potesse sentirsi
così coinvolto da lei e contemporaneamente sentire una parte di sé che non
accettava quell’irrazionalità e che forse non l’avrebbe fatto mai.
Lei non era la donna adatta a lui, lei era un’infinità di
cose e lui un’infinità di altre.
Eppure, contro ogni logica, l’amava davvero.
<< Odi et Amo. Quare id faciam,
fortasse requiris.
Nescio, sed fieri
sentio et excurcior. >>
Carme LXXXV.Catullo.
[Ti odio e ti
desidero. Forse chiederai come sia possibile; non lo so, eppure mi rendo conto
che ciò si verifica e mi tormento. ]
(forse sarebbe più
corretto tradurre excurcior con ‘sono in croce’ ma mi sembrava un po’
cacofonico)