Lacrime di Follia

di Diomache
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente è impossibile.. ***
Capitolo 2: *** Da principio fu il Caos ***
Capitolo 3: *** Voci di Tenebra Azzurra ***
Capitolo 4: *** Un freddissimo enigma ***
Capitolo 5: *** Quando la razionalità sfugge dalle mani.. ***
Capitolo 6: *** E il tuo cuore annega nell'orrore ***
Capitolo 7: *** Gioia e dolore hanno lo stesso sapore ***
Capitolo 8: *** Sfiorando la tua Anima... ***
Capitolo 9: *** Sarà come bruciare.. ***
Capitolo 10: *** Amore. Come il vento che piega le querce. ***
Capitolo 11: *** Ambrosia ***



Capitolo 1
*** Niente è impossibile.. ***


Ciao a tutti!!!! Eccomi tornata con una nuova storia.. “Lacrime di Follia” è una ff che volevo scrivere da tempo ma, dato che la trama è un po’ complessa, avevo sempre rimandato perché oltre alle ff su Dott House stavo scrivendone anche una originale che mi impegnava molto.. così ora che quella è conclusa, ho trovato il tempo per dedicarmi a quest’idea..

Allora.. LdF è una storia un po’ noir dove si intrecciano vendetta, follia e naturalmente la storia d’amore di Cam e House..se ne troverò lo spazio mi dedicherò anche all’altro mio paring preferito, tanto ormai lo sapete tutti, no? il mio adorato Wilson e Lisa..

Spero che la storia vi piaccia, è un po’ una follia,  (qualcuno penserà che la neve mi ha dato alla testa.. forse ha ragione… ) ma ho deciso comunque di dedicarla alla mia carissima amica Apple.. prima o poi chiamerò David Store e gli chiederò di dare un’occhiata ai tuoi scritti, le più belle storie cottoncandy che io abbia mai letto!

Vorrei lanciare un pensierino anche a Nathaniel e fare tanti complimenti anche a lui per le sue storie, sono davvero belle!

Ringrazio in anticipo tutti coloro che commenteranno e mi daranno consigli, suggerimenti, anche le critiche sono ben accette, aspetto di sapere che ne pensate..

Intanto vi faccio i più sinceri auguri di BUON ANNO!!

 

Buona Lettura, un bacio

 

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo I:  Niente è impossibile

 

 

 

 

 

Vivi come se dovessi morire ora. Pensa come se non dovessi morire mai.

 

 

 

 

Sembrava una comunissima mattinata al Princenton. Una semplicissima, noiosissima mattinata invernale. Natale era passato da alcuni giorni e per il momento l’equipe di diagnostica sembrava  non avere nessun caso di cui occuparsi. Come quasi ogni giorno la porta di vetro con la classica, storica e, se vogliamo, anche un po’ intimidatoria scritta ‘ House MD’ si spalancò con un’oretta abbondante di ritardo dall’orario di lavoro.

Due paia di occhi si voltarono a guardare in quella direzione. Se l’espressione di disagio e di nervosismo era la stessa per entrambi, non si poteva dire che fossero simili anche nel colore: i primi erano neri come la pece, i secondi del colore del mare.

House sorrise implicitamente ai suoi due collaboratori, Foreman e Chase, come al solito, intenti a trastullarsi invece che fare qualcosa di costruttivamente utile. Come occuparsi della sua posta, per esempio. Ah, per quello c’era Cameron, che sbadato.

Si voltò immediatamente dall’altra parte del suo ufficio per assicurasi che l’ immunologa stesse facendo il suo lavoro, ma si accorse che davanti al computer la sedia era stranamente vuota.

Riportò lo sguardo nell’ufficio dove si trovava. In effetti Cameron non era nemmeno lì.

Accorgendosi degli sguardi interrogativi dei due colleghi, disse, sprezzante:

–beh? Che c’è da guardare? Mai visto un capo bello e sexy come me??-

-e puntuale, non dimenticarlo.- aggiunse Chase, ironicamente.- House, è quasi mezzogiorno.-

-ecco perché ho quasi fame.- commentò l’uomo, appoggiando lo zainetto al tavolo e guardandosi intorno, incuriosito.

Eric intuì subito i suoi pensieri -Cameron è stata chiamata dalla Cuddy.- spiegò sfogliando lentamente una rivista scientifica.

House strabuzzò gli occhi in un’esagerata espressione di sorpresa, mentre si appoggiava alla lavagnetta ancora bianca ed iniziava a far roteare il bastone. –mm, non mi piace. Se quelle due diventano amiche, siamo fuori ragazzi.-  concluse strappando un sorriso ad entrambi.

In quell’istante il rumore dei tacchi di Cameron fece girare tutti verso la porta a vetri e infatti, tempo due secondi, fu proprio da lì che sbucò l’immunologa, come ogni giorno, elegante e distinta nel suo camice bianco, con una gonna che le arrivava appena al ginocchio,maglioncino prugna e  scarpe a decolté nere.

Senza quasi che se ne accorgesse House sentì un piccolo, piacevole dolorino nello stomaco. Ormai cominciava a pensare di dover prendere Vicodin anche quando la vedeva la mattina. Tuttavia, fece il disinvolto, come al solito:

-ah, eccolo il nostro terzo moschettiere! Novità dal fronte occidentale?- domandò Greg con un sorriso divertito.

Cameron incontrò i suoi occhi e ricambiò il sorriso.- che c’è? geloso che la Cuddy abbia chiamato me, per una volta, e non te?-

-certo che no. Tutto l’ospedale conosce i gusti sessuali della Cuddy, piccola ingenua, non mi metterei mai tra voi due. Io ho Chase.- disse lanciando un occhiolino all’australiano.-  Dì un po’.- continuò con voce maliziosa.- ti ha fatto qualche proposta indecente?-

-no. Ci ha affidato un caso.- disse alzando la cartellina blu che teneva in mano.

House roteò gli occhi.- eh ti pareva. Ma non ti preoccupare è il suo modo di dimostrare l’affetto, molti mandano fiori, lei noiosissime cartelle cliniche, imparerai ad amarla.-

-di che si tratta?- domandò Foreman, interessato, all’indirizzo dell’immunologa.

Allison gli passò la cartellina.- Maschio 55 anni, ricoverato d’urgenza per insufficienza respiratoria.-

-ecco, te lo dicevo che era noioso.- commentò Greg andando a prendere la sua tazza di caffè amorevolmente preparata, come ogni mattina, da Cameron in persona.

-uh, è un collega.- disse Chase, quasi soprappensiero, sbirciando i dati dalla cartellina.- si tratta del dottor Matthew Park, primario di oncologia dell’ospedale di New York.-

-va bene, questo dovrebbe renderlo più interessante!?- sbottò il diagnosta all’indirizzo del suo collaboratore. –avanti, riempitelo di antibiotici e mandatelo a casa con una stupidissima diagnosi di pleurite.-

-curioso. La pleurite da anche problemi intestinali?- la voce provocante di Eric seppe zittirlo.

I suoi occhi azzurrissimi si voltarono a squadrare il suo neurologo, con un sorriso intrigato. –problemi intestinali?- ripeté, sadicamente divertito, rivolto a Cameron

-se mi avessi lasciato finire.- Commentò quest’ultima sedendosi.- febbre, diarrea profusa ed ematemesi.-

House inclinò la testa di lato, sorridendo.- mm. Mi piace. Niente male come quadro generale.- si voltò verso Allison.- tò’.- disse lanciandole un pennarello che la giovane prese quasi per caso.- vieni a scrivere tutto sulla lavagna. Foreman, tu vai a fare le analisi al dottorcomesichiama e Chase…- si guardò un po’ intorno, per l’ufficio.- tu da’ una bella spolverata. Questo posto sta diventando sudicio,  odio la polvere.-

-e tu dove vai?- domandò Cameron con voce polemica e divertita insieme, rivolta a Greg che si stava dirigendo verso l’uscita.

-come mi ha giustamente ricordato Chase, è mezzogiorno. Ho fame, si va a fare le pappe!-

-resta qui- il tono divertito, leggero ma pur sempre azzardato di Cameron fece girare il diagnosta. –cosa?- ribatté lui, divertito.- tu dai ordini a me?-

-dovrai conviverci, House.- una seconda voce femminile catturò l’attenzione di tutti verso l’entrata del reparto diagnostica. Cuddy, sulla soglia, sorrideva beatamente in un mix concentrato di divertimento e sadismo.

House guardò lei e poi Cameron in un crescendo di preoccupazione.- questo non mi dice niente di buono.- borbottò, ironico.

-già- approvò lei.- visto che sei completamente irresponsabile ho chiesto a Cameron di darti una controllata e di.. tenerti in riga quando ti prendono certe alzate d’ingegno.- il suo tono si fece improvvisamente più duro.- come andare a pranzo quando non avete ancora ipotizzato una diagnosi per il dottor Park!!-

-visto?- esclamò House rivoltò verso la componente maschile del gruppo.- e pensare che vi abbiamo concesso pure parità di diritti!-

-zitto e lavora. Il tuo stomaco può aspettare. Cameron.- concluse la Cuddy lanciando un’occhiata d’intesa con l’immunologa.- Buon lavoro, ragazzi- così com’era velocemente entrata, la donna uscì dall’ufficio.

Sia House, Foreman che Chase osservarono Cameron, incuriositi.

-beh?- chiese quest’ultima.- vi sembra così strano?-

-ma no, siete intime ormai, c’era da aspettarselo.- fu l’ironica risposta di House, mentre si sedeva al posto che abitualmente era di Allison, al fianco di Chase.- avanti, CAPO, ipotizza.-

La donna sospirò.- House non sono il tuo capo. Devo solo..-

-allora, queste ipotesi??- l’interruppe lui, bruscamente.

Iniziarono a lanciare nomi di ipotetiche malattie, supposizioni, tesi da confermare, ma niente che potesse spiegare con certezza un disturbo che oltre all’apparato respiratorio coinvolgesse anche quello digerente. La formulazione della diagnosi si concluse con Foreman e Cameron che si avviarono a fare test per ipotesi assurde che già sapevano non avrebbero portato proprio a nulla e Chase che…

-e io ?- domandò il giovane quando Cameron e Foreman se ne furono andati.

-non mi piace essere ripetitivo. Pulisci l’ufficio.- borbottò House uscendo dalla stanza.

Robert lo guardò uscire, poi sbatté, nervosamente, la cartella del paziente sul tavolo.

 

 

 

-intraprendente la Cuddy.- iniziò Wilson, sorridendo, sedendosi accanto all’amico che, a mensa mangiava qualche boccone di un hamburger. Jimmy notandolo, chiese.- ehi, dove l’hai preso quello? Io non l’ho visto.-

-informazioni riservatissime.- rispose l’altro con aria di mistero. – tu continui a farti le infermiere e disdegni le cuoche, impara, amico, impara.-

Jimmy scosse la testa poi tornò a battere l’incudine sul ferro che più gli interessava.- Cameron come supervisore. Chi l’avrebbe mai detto..-

-io l’avevo detto. Temevo che prima o poi quelle due si sarebbero alleate.- fece un altro boccone.- solidarietà femminile…-

-hai intenzione di renderle la vita impossibile come hai fatto tempo fa con Foreman?- domandò l’oncologo, a brucia pelo.

-Foreman era il mio capo.-

-lei dovrà controllarti.-

-non è la stessa cosa.-

-io direi che è persino peggio.- continuò Wilson osservandolo attentamente.- ma qualcosa mi dice che non hai intenzione di trattarla come hai fatto con Eric… o sbaglio?-

-Cameron è innocua.- rispose il diagnosta con un voce superficiale.- le dai una caramella ed è felice per una settimana.-

-io non la sottovaluterei.- continuò Jimmy.- è un’occasione importante per Allison. La Cuddy le ha dato fiducia e l’ascendente che hai su di lei  potrebbe non bastare per lasciarti fare quello che vuoi-

-naa, tu non la conosci. È ..- si portò l’ hamburger in bocca ma il suo cercapersone suonò prima che potesse addentarlo. Greg roteò gli occhi non appena vide chi era che lo stava chiamando.

-molto efficiente.- concluse Wilson intuendo benissimo di chi si trattava. 

-ho detto che è innocua. Non che non sia rompiballe.- commentò House alzandosi e uscendo velocemente dalla mensa sotto gli occhi divertiti di James.

 

 

 

 

-mm…- mormorò House guardandosi intorno.- qualcosa mi dice che qualcuno ha disertato il suo lavoro.- disse fissando Chase.- qui siamo nell’assoluta anarchia.-

-il paziente peggiora.- s’intromise Allison andando a prendere il pennarello per scrivere.

-alt- l’ interruppe House.

-che c’è?- chiese lei.

-mi sei antipatica, fila a sedere, qui il capo sono ancora io!- borbottò fingendosi offeso e prendendole il pennarello dalle mani. Cameron roteò gli occhi e si sedette, pazientemente, accanto a Robert.

-allora, che cos’ha quest’oncologo?-

-emorragia interna, vomito sanguigno, convulsioni.- rispose Foreman, con voce tesa.- e un peggioramento dell’organismo, in generale.-

-bene. Si sta facendo tutto ancora più complesso. Contenti?-

-i test non hanno portato a niente.- intervenne Cameron.- e se fosse un batterio?-

-sicuro, corri a testarli tutti e 8 miliardi.- fu la risposta acida di House.

-potrebbe sembrare assurdo.- iniziò Foreman, raccogliendo gli sguardi di tutti.- ma una spiegazione ci sarebbe. Cameron ha ragione. È un batterio. L’unico che potrebbe comprendere un quadro così disastroso è..-

-sì, ci ho pensato anch’io.- l’interruppe Greg.- è impossibile e mi piace.-

-qualcuno potrebbe mettercene a parte?- domandò aspramente Chase.

-parlano del Bacillus Antracis.- rispose placidamente Cameron. Robert aggrottò la fronte e Greg disse, divertito.- non preoccuparti, Chase, ci saresti arrivato pure tu prima o poi..-

-è impossibile.- grugnì il ragazzo.- l’antrace si trasmette attraverso spore ed è portato dagli animali.-

-per questo adesso andrai dritto dritto da lui e gli chiederai se ha mai fatto sesso con una mucca, d’accordo?- l’interruppe il diagnosta, con il suo solito accento sarcastico.- Foreman tu và a fare il test.-

I due annuirono, silenziosamente, e lasciarono l’ufficio.

Rimasero lì solamente House e Cameron, in silenzio, lui voltato verso la sua lavagnetta, lei ancora seduta con il blocco per gli appunti appoggiato sulle gambe. I suoi occhi verdi lo fissarono silenziosamente, spiandone le reazioni, al di sotto dei suoi occhiali. Li tolse e lo fissò con intensità. Deglutì lentamente e disse, interrompendo quell’assurdo mutismo.- ti dà fastidio?-

-sinceramente sì, stavo pensando.-

-no, intendo…-

-ho capito cosa intendi.- l’interruppe lui, senza girarsi a guardarla.

Lei abbassò un po’ lo sguardo, poi sussurrò.- so che odi sentirti controllato…-

-tuttavia non hai esitato ad accettare quando la Cuddy te l’ha chiesto.- rispose aspramente, voltandosi verso di lei e puntandole addosso i suoi occhi di ghiaccio. Non sapeva ma si sentiva piuttosto ferito da quella novità.. e non perché non aveva più l’assoluta libertà di prima, sapeva che il ruolo di Cameron era effimero. No, si sentiva tradito perché LEI aveva accettato quel ruolo. Se l’avessero fatto Foreman o Chase non gli avrebbe dato più fastidio di una mosca.

Lui si fidava di lei.

Ah, era assurdo, lei non gli stava voltando le spalle eppure si sentiva così.. deluso??

-non vedo perché avrei dovuto rifiutare.- rispose lei, sinceramente. Insomma ma che voleva? La teneva a distanza, però alla prima occasione le faceva capire che desiderava fare squadra, come se si fidasse solo ed esclusivamente di lei.. era strano, troppo strano.

E lei ne aveva abbastanza delle sue stranezze. –tu sei il mio capo, ma Cuddy è il dirigente sanitario di questo ospedale. Se mi affida un compito io ho il dovere di accettarlo. Specialmente quando non ho motivi.- calcò la voce su quest’ultima.- per rifiutare.- sospirò.- vado dal paziente.-

-ah ah.- la fermò lui.- potrei fare qualche idiozia. Non è prudente lasciarmi solo qui.-

Cam aggrottò la fronte. Non voleva lasciarla andare via??

In un primo momento non seppe che dire.

Poi, sorridendo, decise che era solo una provocazione.- Lisa mi ha chiesto di controllare che tu lavorassi. Non che non facessi idiozie. In quel caso sarebbe tutto normale.- gli lanciò un sorriso malizioso ed uscì dall’ufficio.

Anche House sorrise.

Adorava quel gioco di detti, non detti, di sguardi, di sottintesi. Anche se sapeva quanto fosse deleterio tutto ciò, gli piaceva comunque.

E, nonostante tutto, adorava lei.

 

 

 

Fuori ormai era buio pesto e  nonostante le loro cure il dottor Park non accennava a migliorare. Cameron e House, dopo il piccolo dibattito, avevano continuato a formulare ipotesi e diagnosi, lavorando insieme spalla a spalla, come non facevano più da parecchio tempo.

Era una sensazione bellissima e lo sapevano bene entrambi. Lo leggevano l’ uno negli occhi dell’altra, nei loro sguardi, nei loro silenzi.

Foreman e Chase entrarono nell’ufficio quasi in contemporanea.

-zitti tutti.- esclamò House, prima che uno dei due potesse parlare.- chi è stato dal paziente?-

Chase: -io..-

-bene. Foreman inizia tu.- Robert roteò gli occhi, incontrando il sorriso rassicurante e conciliante di Cameron subito dopo.

Il nero prese un grosso respiro prima di dire. –positivo. Sembra incredibile ma il dottor Park ha un’infezione da antrace.-

-è assurdo.- ridacchiò Chase, nervosissimo.- mi ha assicurato di non aver avuto contatto con questi animali da almeno quattro mesi.-

-carne infetta?- ipotizzò Cam.

-è vegetariano.-

Seguì un inquietante silenzio in cui, a quanto pare, nessuno sapeva che diavolo dire. Infondo non era la prima volta che un paziente era infetto da una malattia senza che ci fosse un qualcosa che potesse ipotizzarne il contagio.

-beh, che problema c’è?- sboccò House.- i pazienti mentono, questo sconvolge qualcuno?- naturalmente i tre non risposero niente.- Bene. Tanto è spacciato comunque ..-

-e se.- tentennò Cameron, inquieta. Si voltarono tutti verso di lei, curiosi di sentirla parlare. Allison distolse appena lo sguardo.- e se qualcuno avesse .. favorito.. il contagio?-

House strinse appena gli occhi ma fu Foreman a dire, sorpreso- vuoi dire volontariamente?-

Allison cercò rifugio negli occhi di Greg che non smettevano un secondo di fissarla.

-interessante. Vado io.- concluse il diagnosta, con voce tesa, uscendo velocemente dalla stanza.

 

 

 

La porta della stanza del dottor Park si aprì piano e un uomo alto, affascinante e accompagnato da un bastone ne varcò la soglia, silenziosamente.

Il paziente aprì lentamente gli occhi, fino ad incontrare lo sguardo del nuovo arrivato. Sorrise, lentamente. – dottor House, finalmente. Avevo sentito moltissimo parlare di lei… a New York è diventato una celebrità per la sua arroganza.-

-lei sta per morire.- tagliò corto Greg, odiando, come sempre quel genere di cose.

Il dottor Park chiuse un secondo gli occhi, inspirando lentamente.- nemmeno lei è stato capace di capire cos’ho, quindi..-

-ha un’infezione da antrace .- rispose brusco il diagnosta. Vide chiaramente l’espressione di stupore sul suo volto.- già.- concordò Greg.- non ci credevamo nemmeno noi. Lo so, potrebbe obbiettare che il test non è risolutivo.. ma i suoi sintomi sono molto chiari. L’infezione è partita dai polmoni, ha coinvolto l’intestino fino a compromettere tutto lo stato generale. Avrà massimo altri due giorni di vita.-

-la terapia..-

-è inutile quando la malattia ha uno stato così avanzato.- la nuda, sacrosanta, terribile verità.

House e Park stettero a fissarsi ancora qualche istante, senza che nessuno potesse dire niente. fu proprio House a rompere quel silenzio, arrivando alla questione che lo interessava di più.- com’è potuto accadere secondo lei? Il contagio intendo.-

L’uomo iniziò ad agitarsi. –io non lo so. Le ho già detto che sono vegetariano e..-             

-si calmi.- lo ammonì House, aspramente.-  vive con qualcuno? Ha moglie, figli…-

L’uomo sospirò, faticando a trattenere le lacrime.- vivo con mia moglie. Perché me lo chiede?-

-e perché sua moglie non è qui al capezzale del suo letto, visto che sta per morire?- domandò, tagliente. Park sembrò in difficoltà.- quando mi hanno ricoverato non l’ho fatta chiamare. Pensavo fosse una sciocchezza. Ora l’ho chiamata, sta per arrivare. Ma lei perché mi sta facendo queste domande?-

Greg alzò lo sguardo verso il soffitto della stanza.- c’è una buona probabilità che lei sia stato ucciso, dottor Park. Qualcuno- calcò la parola.- gli ha messo la polverina magica sul cuscino. Come va con sua moglie?-

-Che diavolo vuole insinuare, dottor House??- urlò,arrabbiato. Le sue urla giunsero improvvise persino al diagnosta e fecero voltare alcune infermiere che passavano per caso lungo il corridoio. –lei non ha il diritto di sospettare di mia moglie!- continuava ad urlare, forte.

-le ho detto di calmarsi, vuole farsi venire un attacco di cuore?? Ok allora la mogliettina non c’entra nulla, qualcun altro?-

-non..- la voce del dottore s’interruppe, bruscamente. House lo fissò intensamente, intuendo che finalmente erano arrivati al nocciolo della questione.

-quell’uomo..- sussurrò il malato,attonito.

House incurvò la fronte, incuriosito.- quell’uomo? Quell’uomo chi?-

Park strinse forte le coperte sotto le dita. S’agitò di nuovo e riprese ad urlare- ora capisco.. quell’uomo…- il suo sguardo tornò su Greg House.- un uomo.. quella lettera…. Oh, avrei dovuto immaginarlo.. è un pazzo, lei non capisce, ha appena iniziato..- gli prese il braccio, stringendolo con voga.- loro sono in pericolo, comprende?? È un folle, ed ha appena iniziato!-

La voce del malato si troncò di nuovo in gola, ma questa volta non fu per l’agitazione. Le pupille rimasero immobili, poi  anche le macchine iniziarono impazzite ad urlare furiosamente.

-loro?- urlò House.- loro chi??-

Park stava avendo un collasso. Perse conoscenza.

Subito la stanza si riempì di infermiere già attirate dal trambusto di poco fa e,poco dopo, sopraggiunsero anche Cameron, Foreman e Chase accorsi all’emergenza.

-che è successo?- domandò frettolosamente l’australiano, non ottenendo alcuna risposta, mentre lui e gli altri cercavano disperatamente di rianimare il paziente.  House se ne stava in disparte, ai lati della stanza, apparentemente impassibile, ad osservare la scena. Sperò che non morisse mentre quelle che sembravano dover essere le ultime parole di Park, gli riecheggiavano nella mente.

Sentì, come un’eco lontano, la voce di Chase, esclamare, tesa.- ora del decesso. 4.30 p.m. -

I suoi occhi fissarono l’uomo morto. Incontrò, subito dopo, lo sguardo preoccupato di Cameron, che si abbassava la mascherina dalla bocca.

Non disse nulla e lui preferì fare lo stesso.

Adesso lo sapeva, quell’uomo era stato ucciso.

Uscì silenziosamente dalla stanza, sotto lo sguardo vellutato della dottoressa.

 

 

 

 

 

 

Intanto, a pochissimi chilometri di distanza, un uomo rideva sommessamente. Si portò il sigaro in bocca per l’ennesima volta, poi soffiò il fumo lentamente, quasi con meditazione.

I suoi occhi neri andarono a focalizzare i volti delle foto che aveva appoggiato a quella scrivania impolverata.

Non aveva che iniziato.

Era giunto il momento in cui tutti avrebbero pagato.

 

 

 

 

To be continued..

 

 

Diomache.

 

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Capitolo 2
*** Da principio fu il Caos ***


Ciao a tutti, eccomi qua con il secondo capitolo della mia storia.. il titolo di questo aggiornamento non è mio, come accade spesso, ma è una citazione di Esiodo (cfr Teogonia verso 116.) e vuole esprimere la confusione di alcuni cambiamenti e le prime avvisaglie di qualcosa che inizia a muoversi nel fronte Wilson /Cuddy, sia nel fronte House/Cam, sia, purtroppo, in quello che coinvolgerà la nostra dottoressa (come ho scritto nell’introduzione) ma in maniera totalmente diversa.. iniziano i primi segnali di una imminente minaccia..

Vorrei dedicare questo capitolo al mio amico Nathaniel, per ringraziarti della bella dedica della tua nuova one-shot (che vi consiglio caldamente di leggere!) e per tutti i tuoi scritti su dott. House perché sono davvero e sottolineo davvero ottime fanfiction!! Avrei voluto dedicarti qualcosa di meglio, ( non so come mi è venuto questo cap, poi sarà a voi il giudizio) ma spero comunque d’averti fatto piacere.

Passo quindi a ringraziare tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo della storia anche se sono cosciente che un semplice ‘grazie’ non è sufficiente per esprimervi quanto i vostri commenti mi facciano piacere!! Un bacio grande a: Gulyuly (grazie dei complimenti, mi fai arrossire…  spero di essere all’altezza delle aspettative, grazie ancora!!!) Apple (ciao tesoro, spero che questo capitolo ti piaccia, fammi sapere mi raccomando!) Ale87, Nick (ciao Nick, che bello fa sempre piacere avere nuovi lettori.. spero che la storia continui a piacerti.. ) Toru85, _vally_  (grazie mille, spero di non deluderti!)irene!!,Mistral, preziosoele , Dana, Nathaniel , Hikary e Levity.  

Grazie di cuore a tutti e.. buona lettura!!!

Un bacio grande,

Diomache.

 

Ps: per i poveri studenti come me.. buon ritorno a scuola! (per quanto possa essere considerato buono..)

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

Capitolo II: Da principio fu il Caos

 

 

 

 

 

Vorrei che il vento passasse ogni istante tra i tuoi capelli. Per sentire, anche da lontano, il tuo profumo.

 

 

 

Erano circa le tre e mezza del mattino. La casa di Allison era completamente al buio, l’unica cosa visibile, l’unica piccolissima fonte di luce era la sua radiosveglia, appoggiata al comodino che trasmetteva l’orario ad intervalli regolari. Ed era completamente in silenzio.

Forse l’unico suono udibile era quello del respiro della ragazza, beatamente addormentata nel proprio letto. Quella era stata una giornata difficile e appena aveva toccato la superficie morbida del suo materasso a due piazze si era addormentata, con una facilità di cui si sarebbe stupita, dato che fino ad un attimo prima aveva avuto in testa le parole di House.

Lei, appena uscito dalla stanza di Park, lo aveva rincorso, velocemente.

-House!-  lo aveva chiamato, perché il diagnosta pareva non averla minimamente vista, accanto a sé. Si era voltato e il suo sguardo, suo malgrado, aveva tradito il grande coinvolgimento emotivo che sentiva in quegli istanti.

Cameron rimase turbata da quell’ espressione. Sapeva che Greg era molto più sensibile di quello che volesse dare a vedere ma i suoi occhi ora.. trasmettevano un’umanità che mai si sarebbe sognata di poter leggere.

-avevi ragione.- disse poi, quasi con voce roca.- è stato ucciso.-

non aveva detto nient’altro, si era girato e se ne era andato, zoppicando.

Poi non l’aveva più rivisto per tutta la serata.

Cameron si rigirò nel sonno, abbracciando dolcemente il proprio cuscino. Improvvisamente qualcosa turbò la quiete di quella casa: fu lo squillo del telefono che si diffuse per l’abitazione in quegli istanti e che fece sobbalzare la ragazza dal sonno.

Gli occhi verdi ed ancora appannati della giovane focalizzarono il suo cordless che continuava a suonare, lì, sul suo comodino. –ma chi diavolo sarà..- mugugnò dando uno sguardo all’ora. Si schiarì la voce, prese il cordless e cercando di apparire il più umana possibile e non un morto dall’oltretomba disse, con un lieve accento scocciato.- Cameron. Chi parla?-

Non ci fu risposta.

Sentì solo un fruscio di sottofondo, insistente.

Allison uscì completamente dall’apatia del risveglio, rizzandosi su  un gomito.- pronto, chi è?- questa volta la sua voce suonò un po’ preoccupata. Suo padre aveva una salute un po’ ballerina ultimamente e queste telefonate nel cuore della notte, le facevano sempre pensare ad un’emergenza.

Ma dall’altra parte del telefono continuava a non sentire nulla. Stava per riattaccare quando il fruscio s’interruppe. Cameron stette ad ascoltare e gli parve di sentire della musica.

Classica. Suonata ad un pianoforte, non registrata in un cd.

Lei se ne intendeva ma non riusciva a riconoscere l’autore della melodia. O semplicemente, essendo le tre di notte ed essendosi appena svegliata, le sfuggiva.

Poi anche quella s’interruppe. E  violentemente, come se quel qualcuno che la stava suonando avesse improvvisamente toccato tutti i tasti del pianoforte, producendo un rumore orribile che la fece sobbalzare. Allison iniziò a respirare un po’ irregolarmente e quando disse, di nuovo.- pronto..- la sua voce vibrava di paura.

Ancora niente. chiunque fosse, non accennava a dire nulla. Si limitava ad avere la cornetta appoggiata all’orecchio, normalmente, tanto che Cameron poteva sentirlo respirare.

- al diavolo.- disse infine, scocciata, un po’ turbata, chiudendo la telefonata e appoggiando il cordless sul comodino. Fece per spegnere di nuovo la luce, ma quella telefonata le aveva lasciato un senso d’inquietudine e la sua casa, così buia e vuota,adesso, le trasmetteva anche lei quell’idea di irrequietezza.

Sospirò mentre il suo sguardo, un po’ languido data l’ora, girava per la stanza, inondata da una penombra che aveva sempre adorato ma che ora le risultava un po’ angosciante.

Ah, Allison, non sei più una bambina che ha paura del buio!

Con un gesto di stizza spense l’abajoue e si ributtò tra le coperte classificando quella telefonata come la bravata di qualche testa di cocomero che non aveva niente di meglio da fare se non suonare arie sconosciute e farle sentire al telefono alla gente.

Sorrise, pensando che magari era un nuovo artista emergente. Rise da sola di quella stupida battuta cercando poi di chiudere gli occhi.

Ma malgrado i suoi tentativi di esorcizzare l’accaduto, sapeva che la nottata tranquilla era terminata.

Riprendere sonno, adesso, non sarebbe stato poi così facile.

 

 

 

 

Lisa Cuddy camminava velocemente per il corridoio, lo sguardo impettito, la fronte corrugata in un’espressione di severo disappunto, gli occhi gelidi che si posavano a turno sui dipendenti che incontrava, freddandoli silenziosamente, in un tacito impeto d’ira.

House era un uomo morto, continuava a ripetersi nella mente, forse per potersi dare ancora di più un’ aria di furore come quella che voleva avere davanti a Greg. Lo aveva fatto mandare a chiamare un quarto d’ora fa ma dato che aveva imparato che per Gregory House la puntualità non era che un optional, lei aveva comodamente sbrigato tutto quello che le rimaneva da fare e aveva deciso di andare a fargli una bella sorpresina andandolo a trovare direttamente in ufficio.

Era arrabbiata ma voleva apparire a lui ancora più furiosa.

Non dovette fingere.

Perché, passando per oncologia, vide improvvisamente uno dei suoi dipendenti chiacchierare troppo allegramente con un’infermiera. Niente di che, lo avrebbe rimproverato di andare a fare il suo lavoro e avrebbe dato un’occhiataccia delle sue all’infermiera. Era quel genere di cose che poteva farle alzare un sopracciglio, non rovinargli la giornata.

Se quell’uomo fosse stato un dipendente qualunque.

Oddio, lo era, eppure… non ne conosceva il motivo ma trovare James Wilson in certe situazioni la irritava più che di ogni altro, anche più di trovare House a mangiare un lecca lecca nella sala d’ambulatorio. Ed era una cosa che poteva seriamente comprometterle la giornata. Quel giorno, le procurò l’ira che cercava per poter poi affrontare degnamente il diagnosta.

Strinse le labbra e, con un implicito falsissimo sorriso, si diresse verso di loro che, beatamente, continuavano a parlare, lui appoggiato alla colonna con quel classico sorriso ebete in faccia e lei con un sorriso adorante e gli occhi a cuoricini.

-dottor James Wilson.- la sua voce gelida e tagliente fece, per un istante, gelare il sangue nelle vene di Jimmy che si voltò, un po’ in imbarazzo. La Cuddy rise, sarcastica.- ma bene. È così che i miei primari impiegano il tempo invece che curare i malati. E pensare che credevo che solo House fosse la pecora nera di questo ospedale.-

-dottoressa Cuddy, posso spiegare.- s’intromise l’infermiera con un evidente sguardo di disappunto.

-stia zitta lei.- ruggì Cuddy, degnandola appena di uno sguardo.

-Cuddy..- iniziò Wilson con un tono misto tra l’impacciato e il conciliante.- stavo solo..-

-facendo qualcosa che esula dal tuo lavoro. – rispose lei, gli occhi infiammati. -e il tuo lavoro è visitare, diagnosticare e curare i pazienti. Mi sembrava ovvio, ma forse ribadirlo ogni tanto è un bene.-

Jimmy sospirò, incredulo della scenata che stava ricevendo. Evidentemente quella era un delle classiche giornatacce di Lisa Cuddy. Tuttavia, non credeva di meritare un simile sfogo.

-spero di essere stata abbastanza chiara.- continuò la donna stringendo gli occhi.- non voglio più trovarti a flirtare con un’infermiera nell’orario di lavoro.- concluse lanciandogli un ultimo, tagliente sguardo e poi allontanandosi velocemente con un piglio ancora più infuriato.

Wilson non seppe perché ma ebbe la chiara sensazione di leggere, infondo ai suoi occhi blu e alla sua severità, un lampo di gelosia.

Non distolse lo sguardo da lei che si allontanava finché la dirigente non svoltò l’angolo. Sapeva che si stava dirigendo nel suo ufficio per incontrare House; la morte di Park aveva gettato un alone inquietante su tutto l’ospedale.

Nonostante lui provasse sempre una sorta di latente piacere nell’incontrare Lisa Cuddy, per una volta, nemmeno per un milione di dollari, avrebbe voluto trovarsi nei panni di House.

 

 

 

In quell’istante, a diagnostica, nell’ufficio di House, stava accadendo qualcosa tutt’altro che usuale. Qualcuno si sarebbe immaginato il team di House tutto impegnato in un nuovo difficilissimo caso, con Greg davanti alla lavagna, Chase, Foreman e Cameron ad ipotizzare la soluzione. Beh, sarebbe rimasto molto meravigliato.

Greg era seduto davanti alla televisione che trasmetteva una corsa di cavalli, lo sguardo divertito, e Foreman era accanto a lui, interessato almeno quanto il suo capo al programma che trasmettevano. Anche Chase aveva una degna occupazione, tutto impegnato com’era a scrivere messaggi al telefonino. Cameron.. beh Cameron nemmeno c’era. Erano quasi le nove e mezzo e lei non era ancora arrivata, cosa che suscitava sempre una certa meraviglia soprattutto quel giorno che aveva visto House stranamente puntuale e lei, ancora più stranamente, in ritardo.

Cose della vita.

Lisa Cuddy giunse nell’ufficio in quegli istanti. Se poco fa era arrabbiata, adesso era davvero furiosa. –ecco come vi guadagnate da vivere voi di diagnostica!- esordì, gridando. La sua entrata in scena fu violenta quanto improvvisa e Chase, che era concentrato, sobbalzò sulla sedia, suscitando le risa degli altri due colleghi.

-idioti.- li apostrofò l’australiano, imbarazzato.

-attenta.- rise House rivolto verso il suo capo.- me lo stai spaventando a morte, è molto sensibile, lui.- 

-faresti bene a stare zitto tu! Oggi avete proprio superato il limite, tutti quanti!- continuò Cuddy, gli occhi che saettavano in ogni direzione. Foreman si alzò per spegnere la televisione, con un’espressione abbastanza colpevole.

-finalmente.- commentò la donna. I suoi occhi gelidi si posarono ancora su House.- e adesso veniamo a te. Cosa diavolo ti è saltato in mente??- urlò, così forte, che anche quelli della hall, al primo piano, avrebbero potuto sentirla.

Greg corrugò la fronte.- mi sfugge un passaggio..- disse, pensieroso.- non mi sembra d’aver fatto nient’altro se non guardare la televisione, questa mattina.-

-è evidente che non mi sto riferendo alla televisione, idiota!- il suo tono era iniziato sarcasticamente per poi finire in maniera inevitabile nell’ira.- un uomo è morto ieri sera, te ne sei dimenticato?-

House scrollò le spalle.- dispiace anche a me.- fece una smorfia di complicità agli altri due dipendenti.- ma si muore continuamente, è la vita. Tutti contenti i becchini e quelli dell’obitorio. Prenditela con loro!-

-continui ad evitare l’argomento ma sai benissimo a che cosa mi riferisco!- rivolse per un istante l’attenzione agli altri due.- e voi? Non avete niente da dire? Ho dovuto sapere che il dottor Park era deceduto di morte violenta per vie traverse! Nessuno mi è venuto a dire che era stato ucciso. Perché, House?- il suo tono era seriamente accusatorio.

Anche Chase e Foreman adesso si voltarono verso il loro capo, stupiti quanto la Cuddy.

-lo confesso. L’ho ucciso io. Gli ho messo l’antrace sul pandoro e ha creduto che fosse zucchero a velo. Geniale, no?-

L’arrivo di Cameron, in quel momento, fu provvidenziale. Almeno per House.

La dottoressa varcò la porta dell’ufficio a testa bassa, con uno sguardo assorto e soprappensiero, tanto che quando si accorse della presenza della Cuddy, lì a pochi passi da lei, per poco non le venne un infarto. -ah.. buongiorno..- disse, impacciata.

-anche a te, Cameron.- rispose Lisa con un sorriso tagliente come un coltello.- bene. Vedo con felicità che questo ospedale sta completamente andando a puttane!- il riferimento a Wilson, nella sua testa, era molto chiaro.- ti sembra questa  l’ora di arrivare??- l’aggredì, con violenza.

Allison fece istintivamente un passo indietro.- ehm io..-

-no, è evidente che stai seguendo le orme del tuo straordinario capo, brava!- continuò Lisa, quasi incapace di contenersi.- e adesso vorrei proprio sapere se hai una spiegazione convincente riguardo al fatto che l’assassinio di Park mi era del tutto allo scuro!-

Cameron non poté fare a meno di sgranare gli occhi. Istintivamente guardò House che, invece, aveva iniziato a palleggiare, come se della discussione non gliene importasse più niente. –mi dispiace.- continuò, concentrandosi sulla Cuddy.- ma credevo che..-

-non mi interessa quello che credevi, dottoressa Cameron.- la Cuddy aveva abbassato il tono ma non aveva perso quella vena velenosa di poco fa. –anche se pensavi che fosse compito di House riferirlo, vorrei ricordarti che è compito TUO controllare che quest’imbecille non faccia cazzate!-

Cameron tornò a guardarlo e questa volta Greg ricambiò il suo sguardo, ma non disse niente.

-lo so..-

-allora, Cameron.- la donna non le diede il tempo nemmeno di aggiungere altro.- poi adempiere questo lavoro sì o no?-

La ragazza si sentì addosso gli occhi di tutti.  Infondo sapevano del coinvolgimento affettivo che l’immunologa nutriva verso il suo capo e di quanto le risultava difficile, a volte, andargli contro. 

–sì.- rispose Allison, con forza, fissando la Cuddy intensamente e suscitando un silenzioso stupore in tutti quanti.

-Bene.- annuì il dirigente. Si voltò verso gli altri.- allora, se proprio non avete niente di meglio da fare, occupatevi di questo caso.- lanciò una cartellina sul tavolo .- se ne sta occupando il dottor Thomas Law, di oncologia, ma inizia a sostenere che non si tratti di un cancro, come poteva sembrare all’inizio e vorrebbe discuterne con voi..- fece per andarsene, arrivò alla porta ma si voltò di nuovo.- House.- continuò posando lo sguardo verso Gregory che le sorrise, ironicamente.- La polizia vuole parlare con te, verrà ad interrogarti. Fatti trovare e fa in modo che vada tutto nel verso giusto. O ti licenzio davvero.-

All’uscita della Cuddy, cadette uno strano silenzio nell’ufficio.

Foreman capì che la situazione sarebbe potuta scoppiare da un momento all’altro.- bene. Forse è il caso di occuparsi di questo..- prese la cartellina.- Michael Jack. Vediamo un po’..- iniziò ad elencarne i sintomi ma nessuno, nell’ufficio, sembrava dargli ascolto.

Cameron sembrava assorta nei suoi pensieri, mentre giocherellava con la cintura del camice, mentre Chase continuava a spostare lo sguardo da Cameron ad House che come al solito, appariva tranquillo e rilassato.

Superficiale.

Menefreghista.

Allison aveva preso quella sfuriata a causa sua e lui non avrebbe pronunciato nemmeno una parola per scusarsi, lo sapeva.

E questo lo mandava su tutte le furie.

L’immunologa interruppe improvvisamente lo scrosciare del discorso di Foreman, dicendo, nervosamente.- io vado a fargli una TC.-  uscì velocemente dall’ufficio, sotto lo sguardo interessato di House.

Si chiedeva quanto avrebbe resistito prima di andarsene. Vedeva bene le lacrime premere sulla soglia dei suoi bellissimi occhi e sapeva altrettanto bene che non sarebbe mai scoppiata a piangere lì, davanti a loro.

Davanti a lui.

-non lo meritava.- la voce di Robert Chase suonò più odiosa di quanto House avesse immaginato. Si aspettava una sua uscita. Vedeva bene quanto Allison l’intrigasse, era perfino divertente osservare Chase lanciarle piccoli sguardi di interesse. Divertente e, per qualche stranissimo motivo, anche molto fastidioso.

Tornò a concentrarsi su di lui.- ma se l’è cavata bene. L’unico modo per far sfuriare più velocemente l’arrabbiatura alla Cuddy è acconsentire, acconsentire e ancora acconsentire. E Cameron è sempre stata grande in questo.-

Si divertì nel leggere la rabbia, adesso, negli occhi dell’australiano. Passò lo sguardo su Foreman. Anche lui, si vedeva, era in netto disappunto.

Ma sapeva bene che tutto sarebbe morto lì. Nessuno avrebbe detto o fatto niente.

Foreman? Ah, infondo non gliene fregava di niente e di nessuno.

Chase? Si, l’interesse sessuale che aveva per Cameron poteva portarlo ad una specie di.. istinto di protezione..  Ma era comunque troppo vigliacco per difenderla fino in fondo.

E Cameron? Come avrebbe reagito lei?

Si sentì stranamente spiazzato quando constatò che, per una volta, non lo sapeva.

 

 

 

Qualche minuto dopo, Cameron stava uscendo dalla stanza per la radiografia. Con un sorriso amaro, pensò che House sarebbe stato tutto contento: era pulita. Questo voleva dire complicazioni e stranezze, quindi un caso interessante.

Ah, ma perché lui non poteva essere come tutti gli altri medici??

Non poteva semplicemente sentirsi sollevato quando un paziente aveva qualcosa di chiaro e stranito quando il disturbo si faceva più complesso del previsto??

Alt, Cam, fai un passo indietro. Non erano proprio le stranezze a rendere Greg così meravigliosamente unico?

L’immunologa si passò una mano tra i capelli mentre percorreva il corridoio. Sì, a lei piaceva anche questo di House.

House.

House.

Continuò a ripetersi il suo nome in testa, fino a che non le venne voglia di gridare.

Si era comportato da bastardo, non aveva detto una parola quando la Cuddy l’aveva bistrattata in quel modo, eppure sapeva benissimo che era colpa sua se aveva preso quella sfuriata.

Sbuffò, di nuovo, mentre aspettava l’ascensore che l’avrebbe riportata da lui. Era solo una stupida, si disse. Ma che diavolo si aspettava da Gregory House? Era freddo, bastardo e cinico con tutti, anche quando sapeva di sbagliare, anche quando era al corrente di ferire i sentimenti degli altri. Perché adesso sarebbe dovuto essere diverso? Perché proprio con lei?

Infondo chi era per lui, se non una sua dipendente alla stregua di Foreman e Chase? Anzi, al di sotto di Foreman, e magari un po’ più su di Chase. Lì si trovava la sua collocazione, lì la sua considerazione. No, forse si sbagliava.

Forse stava addirittura al di sotto di entrambi. Perché donna, perché gentile. Perché crocerossina e, forse, soprattutto, perché lo amava. Greg apprezzava di più Foreman perché sprezzante come lui e Chase per quel suo stesso sentimento di astio e di distacco verso il mondo e i pazienti.

Lei era troppo dolce e cortese per un misantropo come lui.

E Cameron era così stanca di dover essere gentile.

L’ascensore si aprì e lei vi entrò, meditativa. Allison sospirò, lentamente. Basta pensare a lui.

Quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi, con quella telefonata che l’aveva messa di un umore pessimo, e stava andando avanti ancora peggio.

Vediamo di darle almeno un senso, senza continuare a sprecare tempo con lui, si disse, determinata.

-sei molto riflessiva oggi.- la voce di Wilson la fece sobbalzare dai suoi pensieri. Impegnata com’era ad inveire mentalmente contro il suo capo non si era nemmeno accorta di non essere sola.- ah, ciao.- disse, imbarazzata.- scusami, oggi non è giornata.-

Wilson le sorrise.- ti vedo molto agitata infatti.- non volle sottolineare che i suoi occhi erano lucidi di pianto. Sapeva che a volte Cameron era forte quanto fragile. E sapeva bene che cos’era, o meglio, chi era a renderla così vulnerabile.

-infatti.- ripeté lei.

-vai a diagnostica?-

Allison doveva rispondere di sì ma il pensiero di rivedere House la fece impallidire.- no.- disse, quindi, con un sorrisetto strano, meravigliandosi lei per prima di quello che stava facendo- tu si??-

-ehm.. no, veramente, ma..-

-se ci passi dagli questo.- gli porse i risultati della TC.

Wilson li prese senza dire niente. L’ascensore si aprì nel piano dove erano situati gli ambulatori e Cameron ne approfittò per defilarsene velocemente, salutandolo appena con un cenno del capo. Wilson la guardò, un po’ preoccupato. Spinse il tasto due per diagnostica e strinse forte la cartellina per House tra le dita.

Che avrebbe dato, per potergliela spaccare in testa.

 

 

 

Intanto nell’ufficio del dottore più bastardo e geniale del PPTH la conversazione sul paziente continuava, fervida. Al solito team si era aggiunto anche il dottor Thomas Law, un uomo di mezza età con il capo ormai quasi completamente calvo, gli occhiali spessi che però non nascondevano l’espressione intelligente e concentrata. Insieme a Foreman e Chase avevano fatto parecchie ipotesi riguardo al paziente, ipotesi che poi House smontava puntualmente con un sorrisetto soddisfatto dipinto in faccia, sorriso che avrebbe fatto pensare, se non avesse apportato ogni volta ragioni mediche più che valide, che lo facesse solo per puro gusto di controbattere.

L’arrivo di Wilson, infondo, non interruppe un bel niente. L’uomo varcò la soglia dell’ufficio rimanendo subito sorpreso per la presenza di un suo collega di oncologia e per la tensione che si respirava in quell’ufficio come se i non-detti e i pensieri di ciascuno si stessero condensando nell’aria.

Sorrise tra sé pensando che quel giorno era una giornataccia per tutti. Non aveva incontrato qualcuno che non fosse nervoso, teso, agitato o arrabbiato. –ho un regalino per te.- esordì alzando la cartellina.

-oh, ma sei un tesoro!- lo apostrofò House facendogli gli occhi dolci.- Jimmy sei tanto caro ma se è un altro  caso  rimandalo al mittente con bel calcio nel deretano. Siamo leggermente intasati.-  concluse, strappando un sorriso al dottor Law.

-no, in realtà credo che si tratti del vostro paziente.- disse lui, un po’ perplesso.- me le ha date Cameron, dovrebbe essere il risultato della TC.-

-come mai non le ha portate lei di persona?- domandò Chase, piuttosto stupito. L’oncologo si limitò al alzare le spalle.

-Cameron che non torna a lavorare?- domandò, ancora più sorpreso, Foreman.

Wilson preferì essere un po’ evasivo riguardo il turbamento che aveva letto negli occhi di Cam, dicendo solamente: - credo che sia andata a farsi delle ore di clinica. Anche se era piuttosto nervosa.- 

-già, che vuoi farci, le devono arrivare. È sempre così, me l’ha detto.- commentò House, quasi soprappensiero, buttandosi a capofitto nei risultati della TC –puff, è pulita.- la gettò via, spazientendosi.

-questo complica le cose.- commentò Eric, sbuffando. Ricominciarono le ipotesi, le diagnosi, il lavoro. Wilson si fermò con loro, ma nonostante fossero molti di più rispetto al numero usuale di menti pensanti in quell’ufficio, House lo percepiva stranamente vuoto. Cameron aveva lasciato un piccolo vuoto.

Si stupì nel constatare quanto, anche in una semplice diagnosi, la sua presenza o meno si potesse percepire così tanto.

Arrivarono ad una diagnosi accettabile, confermato anche dalle analisi mediche. Thomas Law ringraziò il team con un sorriso felice che a Greg ispirò solo tanta ipocrisia e in men che non si dica l’ufficio si svuotò velocemente. Wilson e Law ritornarono al reparto, casomai passasse di nuovo la Cuddy, Foreman e Chase ad occuparsi del paziente e lui, solo nell’ufficio.

Lui, e il pensiero di lei, che sembrava proprio non volerlo lasciare in pace, un solo istante.

 

 

 

L’uomo che tutto l’ospedale attendeva con trepidazione arrivò in quegli istanti. Era alto, distinto, chiunque solo incrociandolo per il corridoio avrebbe notato lo sguardo guardingo, l’aria penetrante e magnetica.

Sostò qualche istante davanti alla porta dell’ufficio, leggendone l’insegna. House, M.D.

I suoi occhi verdi si posarono sull’interno della stanza. Indugiò, guardando un uomo, al suo interno, che giocava con un game-boy, stravaccato sulla sua poltrona, con i piedi appoggiati alla scrivania. Aggrottò la fronte.

Forse stava sbagliando.. lui cercava un luminare della medicina, chi era quello scansafatiche?

Decise comunque di entrare, magari quell’uomo avrebbe potuto dargli indicazioni. –mi scusi..- disse, facendo il suo ingresso. House non accennò ad alzare il capo. L’uomo sbuffò, contrariato, per poi ripetere. – mi scusi, sto parlando con lei!!-

-shh.- lo ammonì. – non vede che sono concentrato?!- non staccava gli occhi dal gioco.- per qualsiasi cosa, chieda a quei due idioti di là.- accennò appena con il capo all’altra parte dell’ufficio. L’uomo lo seguì con lo sguardo ma la stanza adiacente era vuota.

-ma non c’è nessuno.- commentò, leggermente polemico.

L’uomo brontolò.- è per questo che l’America va a rotoli. Nessuno è mai dove dovrebbe essere.-

-e dove dovrebbe essere il dottor House, secondo lei?- chiese il detective, sorridendo, quasi.

House spense il videogioco e lo posizionò sulla scrivania, puntando i suoi occhi freddi sull’uomo.- il dottor House? Si è licenziato.- rispose, con naturalezza.- sa, qui gli rendevano la vita impossibile.. dipendenti noiosi, il capo asfissiante..-  lo fissò, intensamente.- visite indesiderate…-

-capisco.- rispose, ironico. L’uomo gli sorrise.- sono il detective Smith, è un piacere conoscerla, dottor House. Lieto che abbia deciso di collaborare.-

-ehi che intuito, dovrebbe fare il detective!- lo prese in giro Greg – anche se mi sfugge la parte in cui io avrei detto di collaborare..-

-nessun problema, può dirlo ora.- al sorriso intrigato di House, riprese.- il suo capo, Lisa Cuddy, mi aveva detto che era un tipo difficile..- 

Smith gli porse la mano.

House sorrise, quasi spensieratamente. -già.- ma, come sempre, non si mosse affatto per ricambiare la stretta. Il pensiero della Cuddy gli fece ricordare la lite di poco prima. E questo lo riportò di nuovo a Cameron. Wilson gli aveva detto che era in ambulatorio.

Guardò il detective. No, quella baggianata di un interrogatorio poteva aspettare.

–mi spiace ma devo andare.- si alzò improvvisamente dalla sedia, mosso da uno strano istinto, un istinto che gli faceva abbastanza paura ma che, al momento, gli procurava solo un piccolo brivido allo stomaco.

-ma.. dove va?- domandò l’uomo, sconcertato, vedendolo uscire dallo studio.

-ritornerò, si calmi.- gli rispose Greg, senza voltarsi.- vado un secondo in clinica a farmi visitare, non mi sento molto bene..- si girò un istante, prima di abbandonare l’ufficio.- lei si accomodi. Ma non tocchi il game-boy. È mio.-

E se ne andò, zoppicando, lasciando il detective Smith a dir poco senza parole.

 

 

 

Cameron uscì dalla stanza 1 e si diresse alla hall, dove l’infermiera le porse la cartellina del prossimo paziente che l’attendeva nella stanza 2. Lei la prese quasi soprappensiero, poi si diresse nella stanza dell’ambulatorio, e durante il tragitto l’aprì, sbirciandone il contenuto.

Greta Albert, 91 anni, diarrea..

Aprì la porta, dicendo, con un bel sorriso, anche se di circostanza,- buongiorno signora Greta, sono la dottoressa Allison Cameron..- ma quando alzò gli occhi dalla cartella per cercare il volto della signora, non riuscì nemmeno a terminare la frase.

Il suo cuore mancò di un battito quando vide Gregory House seduto sul lettino, che giocherellava con il bastone e la guardava con una spensierata aria di divertimento.

Deglutì a fatica prima di balbettare.- che diavolo stai facendo qui?-

-indovinello: che cosa ci fa un uomo in un ospedale, seduto su un lettino, in attesa di un dottore?-

Cameron incrociò le braccia.- l’idiota?-

-risposta esatta.- si complimentò l’uomo, sarcastico.- molti avrebbero detto che è malato e vuole essere visitato, ma è evidente che è sbagliato.- sorrise in quel modo maledettamente affascinante che ad Allison faceva sempre rabbrividire.

Sospirò, stringendo la cartellina di quella signora anziana tra le mani. –e.. la signora Greta?-

-l’ho visitata io.- rispose Greg.- e l’ho mandata a casa a prendere un’enterogermina-

-e..- continuò la ragazza, un po’ confusa.- il caso di cui vi stavate occupando con il dottor Law?-

-risolto. Anche senza di te.- aggiunse l’uomo, sorridendo ironicamente. – no, è inutile che cerchi di mandarmi via, Cameron, non ne ho la più pallida intenzione.-

Questo lasciò la donna a bocca aperta.

Per quanto fosse ancora arrabbiata con lui per quello che era accaduto, quelle parole le dettero un piccolo buco, allo stomaco.

Avrebbe dovuto mandarlo fuori, avrebbe dovuto aggredirlo con più veemenza, dannazione infondo se lo meritava!

Già, avrebbe dovuto. Ma, purtroppo, come accadeva frequentemente quando si trattava di House, tutto ciò che quand’era sola s’imponeva con degli imperativi, diventavano lentamente condizionali senza più alcun valore.

Si persero, un istante, una negli occhi dell’altro.

Lui non se ne sarebbe andato e , se era lì in veste di pseudo paziente, lei non avrebbe nemmeno potuto cacciarlo.

Ma forse la verità era che, infondo al suo cuore, non aveva la benché minima intenzione di farlo. 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued…

 

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Voci di Tenebra Azzurra ***


Ciao a tutti!

Innanzitutto, prima di dire ogni altra cosa, vorrei ringraziarvi dal profondono del mio cuore perché mai pensavo che la mia storia potesse riscuotere tanti consensi.. davvero, non so che dire, spero solo che la ff continui ad interessarvi e piacervi, io mi ci sto impegnando molto anche a rispettare l’aggiornamento settimanale, spero di mantenermi costante..

 

Ringrazio moltissimo: Apple, Levity, Ale87, Toru85, Giu_chan, EriMD, giuxxx, Nick, Briseis, Marty mix, Gulyuly, Artemisia89,  Missleep, _vally_, Nathaniel, The Bride, Hikary , Venus e Maggie (ho visto il video è favoloso.. non ho parole per ringraziarti, ho avuto davvero le lacrime agli occhi!!! Un bacio e grazie di nuovo!!!)

 

Dediche: questo capitolo vorrei dedicarlo proprio a te, Maggie, per ringraziarti del bellissimo regalo.. un bacio, spero che il capitolo di piaccia!

 

 

Parlando del capitolo, vorrei precisare che c’è una citazione di Dante (uno dei personaggi dice precisamente che è lui, ma per essere corretti fino in fondo: cfr Dante, Inferno, VIII, vv 37-38-39) il titolo è un verso di Pascoli "La mia sera". Grazie a Nathaniel e Mistral per la dritta!

In questo capitolo le acque cominciano a muoversi e in modo piuttosto burrascoso ma non vorrei anticipare qualcosa..

Spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere!

 

Un bacio, Buona lettura

 

Diomache.

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo III:    Voci di Tenebra Azzurra

 

 

 

 

 

 

-So che forse potrà stupirti perché non sei solito aggirarti per questo piano.. ma qui ci vengono i pazienti. Quelli veri. - La voce della dottoressa suonò abbastanza sarcastica, ironica e.. divertita?.. allo stesso tempo. Poteva Allison essere divertita dopo la partaccia che Greg le aveva fatto davanti alla Cuddy, in ufficio?

Teoricamente no. Ma praticamente…

House le sorrise.- In effetti ne  ho sentito parlare. Ma chi ti dice che io non sia un paziente vero?- Allo sguardo perplesso di lei, continuò, tirando fuori delle pillole dalla giacca.- Guarda, ho anche le medicine!-

-House, fuori il rospo. Dimmi quello che diavolo sei venuto a fare o togliti dai piedi perché IO ho da lavorare.-

-Bene! - Il suo tono non prometteva niente di buono, pensò Allison, mentre lo osservava con un certo timore, intuendo, ahimè, dove sarebbe andato a parare.

-Su.- Continuò Greg levandosi la giacca.- Visitami.-

Cameron aggrottò la fronte, sospirando. Ecco, lo sapeva..

House vide bene quel piccolo lampo di esitazione negli occhi della dottoressa e non mancò certo di sottolinearlo.- Che c’è dottoressa Cameron? Ti imbarazzi a dover visitare il tuo capo?? E dov’è finita la tua professionalità....-

-Non si può fare- Intervenì lei, con una certa sicurezza.

-Ah no? Allora lo ammetti, spudorata.-

-Devi fare la fila, House, di fuori ci sono almeno due decine di persone.- Disse lei, brillantemente, credendo d’aver trovato la strategia per defilarsi da quell’imbarazzatissima situazione. Ma, chissà perché, qualcosa le diceva che non sarebbe stato così facile…

-Ma io sono un’emergenza e poi ormai sono dentro.- Continuò lui, appoggiando la giacca sul lettino sul quale era seduto.- Non si rifiuta un paziente, Cameron. Magari lo si maltratta ma rifiutarlo proprio non sta bene.-

-Allora via la camicia.- Reagì lei, con una prontezza che lo stupì. Continuò.- Se devo visitarti, per non so quale disturbo, cominciamo dai bronchi..-

Greg strinse un po’ gli occhi. Non c’era sensualità nella voce di Cameron ma lui ce la colse comunque.- Per finire dove, dottore?-

-Ho detto- Ribadì lei, fredda.- Via la camicia.-

House esibì uno sguardo malizioso ed iniziò a slacciarsi il primo bottone di questa. Cameron deglutì lentamente e un piccolo brivido gli percorse la schiena solamente al pensiero.

Quei pensieri e quei tentennamenti che credeva di aver solo pensato  evidentemente erano stati riflessi chiaramente sul suo viso perché House si era fermato all’altezza del quinto bottone e la fissava con l’aria saputa di chi ha capito tutto.

Allison strinse gli occhi. Odiava essere così trasparente.

-è inutile che fingi.- La sua stoccata arrivò presto, precisa come temeva - Si vede benissimo che ti trattieni perché ogni mio singolo movimento ti procura uno scompenso ormonale..-

Cameron non rispose, si limitò a fissarlo.

-Ed è per questo che hai accettato il ruolo che la Cuddy ti ha affibbiato.- Continuò House, con un sorriso sarcastico.- Vuoi provare agli altri e a te stessa che ti è passata, che puoi comandarmi, controbattermi .. ignorarmi, addirittura. Ma non è vero. E l’abbiamo appena provato.-

Normalmente si sarebbe scagliata contro di lui, dandogli del presuntuoso, dicendo che lui non sapeva niente dei suoi sentimenti.. ma non le andava. Non le andava affatto.- ok.- Disse, semplicemente.- Adesso vuoi dirmi perché sei venuto?-

House rimase turbato dal suo atteggiamento. Possibile che non lottasse neanche un po’ ? Stava per ribattere qualcos’altro ma lei non gliene diede il tempo.

-Perché non sei in ufficio, cosa sei venuto a fare? – Il silenzio di House fu eloquente. Ally chiuse gli occhi incredula.- Non mi dire che è arrivato il detective.-

-Spiacente, forse avevi pensato a qualcos’altro.- Disse lui, malizioso.- Ma sono venuto perché questo è i miglior nascondiglio del mondo. La Cuddy non verrà mai a cercarmi qui. Specialmente ora che sa che la sua fida paladina sta visitando.-

La donna non poté trattenere un sospiro d’irritazione.- Ma.. quel poliziotto è venuto per interrogare te!-

-lo so! Perché credi che me ne sarei scappato altrimenti!- Sbottò il diagnosta, apparendo quasi a disagio.

La donna lo studiò, attentamente. –Perché lo stai evitando?- Domandò, quasi sussurrando, come se volesse arrivare al suo animo ma lentamente, temendo che una domanda troppo impetuosa avrebbe provocato l’innalzamento dell’abituale muro di cinismo che la divideva da lui.

House la fissò negli occhi, senza fretta, quasi per indovinarne i pensieri; fu Cameron a riprendere, con più insistenza questa volta.

- Eviti questo argomento come la peste. Non l’hai riferito alla Cuddy e adesso vorresti evitare di raccontare al detective che cosa vi siete detti tu e Park prima della sua morte… perché ti spaventa tanto tutto questo?-  Continuò Allison insistendo più con lo sguardo che con le parole.

In effetti, adesso, pensò Greg, quei suoi occhi smeraldini sembravano studiarlo, come se avessero la possibilità di leggervi dentro. Già la possibilità. Ma non ci sarebbero riusciti fino in fondo. Nessuno ci riusciva del tutto. Non sarebbe mai arrivata a lui se lui non glielo avesse permesso. Voleva permetterglielo?

Poteva Greg, adesso, rivelarle la paura che l’ammonimento di Park gli aveva gettato addosso?? 

Oh andiamo faceva ridere. Perfino la sensibilissima e comprensiva Cameron avrebbe sorriso della sua stupidità.

Lui si sentiva inquieto per qualcosa che gli aveva detto un mezzo moribondo, predicandogli altre future morti e un ‘ loro’ che, a quanto pare, erano in pericolo.

Sapeva benissimo che Park poteva anche vaneggiare mentre parlava in quel modo.

Non c’era motivo di preoccuparsi. Eppure lui non si sentiva tranquillo, pur ammettendo che non c’era ragione per non esserlo. E, per un amante della razionalità, non c’era niente di più fastidioso che ritrovarsi a fare pensieri che non avessero alcun riscontro logico.

Ma soprattutto, poteva confidare tutto questo .. a lei?? Si sarebbe sentito uno stupido con tutti, persino con Wilson.

Eppure, qualcosa, nel suo animo, gli diceva che con Cameron sarebbe stato diverso.

Sospirò e scese dal lettino con un balzo, atterrando a pochissimi centimetri dalla bocca di lei.

Quella vicinanza così improvvisa e, tutto sommato, involontaria stordì entrambi. Si trovavano appena ad un soffio l’uno dall’altra, così vicini che Greg poteva finalmente inebriarsi del profumo fatato dei suoi capelli setosi e lei poteva specchiarsi nei meravigliosi occhi di lui, perdendosi in quel bellissimo mare ghiacciato.

Greg aprì la bocca per dire qualcosa ma il fulmineo spalancarsi della porta stroncò sul nascere ogni suo tentativo di proferir parola.

-Mi scusi dottoressa Cameron, c’è qui..- La voce dell’infermiera si mozzò quando vide la scena che si stava presentando davanti ai suoi occhi. Il dottor House, a pochissimi centimetri dalle labbra della dottoressa Cameron, senza la giacca, barbaramente appoggiata al lettino, la camicia sbottonata quasi completamente in modo da far vedere la maglietta nera che portava   sotto…

I suoi occhi, stupiti, meravigliati e profondamente e sinceramente contenti per quello che vedeva, incontrarono quelli imbarazzatissimi della bella immunologa che a quel contatto fece subito un balzo all’indietro, diventando violentemente rossa in viso.

House invece, non poteva fare a meno di sorridere beatamente.

-Beh…- L’infermiera appariva abbastanza in imbarazzo ma poi, quasi con le lacrime agli occhi, disse, in tono confidenziale.- Oh, scusatemi, forse  non dovrei permettermi ma..  era ora, complimenti!- Esclamò tutt’eccitata.- Dottoressa Cameron, tutte noi di diagnostica abbiamo sempre fatto il tifo per lei!-

-Hai visto? Hai un fan club!-  Sottolineò House con un quel maledetto sorriso sarcastico.

Cameron finalmente trovò il coraggio di reagire e di porre, per quanto possibile, rimedio.- No, signora Cheap, veramente si tratta di un equivoco..- Lo sguardo della donna non appariva molto convinto ed Allison riprese, gesticolando, nervosa ed imbarazzata.- il dottor House aveva bisogno di una visita e..-

-Lei capisce, sono un uomo molto malato.- Sottolineò Greg, ironico, strappando un sorriso all’infermiera che, lungi dal credere a Cameron, gli lanciò uno sguardo ironico in cambio. 

Cameron  lo freddò con lo sguardo.- E io.- riprese, dura.- Lo stavo appunto visitando, è un terribile equivoco, la prego, non pensi male.-

La donna gli fece un largo sorriso comprensivo come quello che fa una mamma alla figlia adolescente che, pur scoperta con le mani nella marmellata, nega di avere il fidanzato.

Cameron sospirò, rassegnata, e  lanciò un secondo sguardo truce ad House che continuava ad avere stampato in faccia quel sorriso ebete. Ma che cazzo c’aveva da sorridere tanto???

Greg roteò gli occhi, dicendo.- E va bene, lo dico anch’io.- Si rivolse all’infermiera.- Guardi che si sbaglia, noi non stavamo per fare sesso…-

-Insomma, signora Cheap, che cosa voleva?- L’interruppe bruscamente l’immunologa, lasciando perdere l’imbarazzo e concentrandosi sulla voglia di strappare con uno schiaffo quell’espressione idiota dalla faccia del suo capo.

-Bene..- Riprese la donna, concentrandosi di nuovo sul suo lavoro.- Deve firmare qui.-

Allison si mosse nervosamente verso di lei, siglando il suo cognome dove la donna gli chiedeva, con una scrittura scattosa e decisamente non da lei.- Ecco fatto, può andare.-

La donna uscì, dopo aver dato un ultimo sguardo d’assenso al più burbero medico del PPTH che gli fece l’occhiolino, di rimando. A Cameron non sfuggì quel gesto.

E ad House non sfuggì che a Cameron non gli era sfuggito.

La porta si richiuse e lui disse subito, scocciato.- Mm, eccola che comincia!-

Allison aggrottò la fronte, mise le mani sui fianchi e si preparò per sbraitargli contro tutta la sua vergogna.- Ma.. tu sei completamente pazzo, ti rendi conto di quello che hai fatto??-

-Beh, non era quello che volevi?? Hai dietro una marea di infermiere adoranti e sei ufficialmente la mia donna!- Esclamò, ridendo.

-Finiscitela.- l’ira di Cameron aveva lasciato spazio ad un tono che tendeva più alla malinconia.- Adesso lo saprà tutto l’ospedale.-

-Forte, eh?-

-Lo saprà anche la Cuddy!-  Continuò questa volta, incredula, e spaventata dalla sola prospettiva.

-Ok, questo è decisamente meno forte.-

-Tu stai cercando di farmi togliere l’incarico che mi ha affidato la Cuddy, vero?- Esclamò la donna.

-Sì.- ammise House braccia incrociate.- Sono venuto qui, ti ho indotto a farmi spogliare e ho fatto entrare l’infermiera con cui mi era accordato in precedenza.- Strabuzzò gli occhi.- Ehi, sono un genio!-

Lei sospirò, rassegnata.- è una delle tue prove? Vuoi vedere quanto resisto? Beh, in questo caso mi spiace deluderti, ma non intendo mollare.-

House sorrise della sua determinazione.- Wow. Impressionato.- Seguirono attimi di silenzio interrotti solo da Cameron che si avviò verso la porta, spalancandola.

-È meglio che tu vada.-  disse, decisa.- Il detective ti sta aspettando.-

House brontolò.- Sì, capo.-

Lei per la prima volta non  batté ciglio. La dura corazza di determinazione e forza che si era imposta non doveva vacillare.- Esattamente.- ribadì, con un sorriso che forse tradì un po’ d’ironia.- Fila a lavorare.-

Greg si rivestì e pochissimi minuti dopo, che ad Allison parvero secondi per quanto passarono in fretta, lanciandole un ultimo, vivace sguardo, uscì.

 

 

 

Lungo sulla poltrona di maternità dove andava abitualmente, con la cannuccia di un succo di frutta tra i denti, la musica e gli occhi chiusi, House se ne stava beatamente scappando dal turno d’ambulatorio che sia Cuddy che il suo nuovo e bellissimo segugio gli avevano appioppato. Sorrise. Non lo avrebbero trovato mai lì.

Non si ricordava di esser andato in giro a dire di questo suo nascondiglio.. e, a parte le ostetriche e gli altri infermieri, nessuno sapeva della sua piccola trincea.

Infondo non avrebbero mai pensato di trovarlo a maternità. Reparto poco da lui.

Sciocche. Ma, in qualche modo, la loro sbadataggine gli avrebbe parato il sedere, anche questa volta. Magari Cuddy si sarebbe arrabbiata e quindi lo avrebbe fatto anche Cameron, più per riflesso che per una convinzione sincera. Al contrario di Lisa, lei si era abituata a vederlo continuamente sfuggire l’ambulatorio. Era ora che se ne facesse una ragione anche Cuddy.

Sospirò, mentre si mosse leggermente per toccare l’i-pod e mandare avanti alla canzone successiva.

Era lenta, triste e dei Train.

Non riuscì più a pensare a Cameron, alle arrabbiature della Cuddy e alla sua perfetta tana.

Per quanto cercasse di sfuggirlo, il pensiero dell’interrogatorio avuto con Smith continuava perseguitarlo.

Rivedeva, nella sua mente, piccoli flash delle sue parole, di quello che aveva detto, di cosa aveva dovuto confessare.

 

-Signor House, la prego sia sincero. Voglio le parole di Park. Non se lo immagina nemmeno quanto sia importante per noi.-

 

E lì, via, a sciorinare i suoi angoscianti ricordi. Li aveva ripetuti due volte, obbedendo diligentemente agli ordini di Smith.

Senza nemmeno essere sarcastico.

 

-E poi è morto, senza dire nient’altro? Un nome, un’indicazione più precisa?-

-Che sgarbato, eh? Gliel’ho detto che non stava bene morire così, ma che ci vuole fare, la gente è testarda.-

 

 ….

Ok, era una bugia.

Ma se il tono della conversazione si era mantenuto abbastanza leggero per la prima parte del colloquio, non si potrebbe dire lo stesso per la seconda. Quando Greg aveva dovuto dire della minaccia, della paura di Park per qualcuno in pericolo, allora il tono si era fatto teso, persino lo sguardo dei due uomini era diventato pesante e, se vogliamo, carico di tensione.

Smith aveva ascoltato le sue parole, bevendole con avidità, sfoggiando un penetrante sguardo interessato. Ma non era apparso meravigliato, era come se le parole di House confermassero una sua tesi; il suo interesse non era quello trepidante di chi non sa nulla, ma quello pacato di chi aspetta qualcosa di importante per poter suffragare la propria ipotesi.

House lo notò subito. E glielo disse. Smith a quel punto aveva sospirato, si era guardato intorno, come ad accertarsi che non ci fosse nessuno.

 

-Questo…- disse tirando fuori un fogliettino di carta, accartocciato.- Le dice niente?-

 

Lo prese. Poche parole in rima.

 

Con piangere e con lutto,

spirito maledetto, ti rimani;

ch’io ti riconosco, ancor sie lordo tutto.

 

 

-è Dante.- le sue parole giunsero provvidenziali. Benché amasse quell’autore, non ne conosceva tutti i versi. - Allora?-

 

Ovviamente niente. Park stava morendo, non aveva avuto tempo di poetare. Gli chiese che centravano con la morte dell’oncologo ma Smith fu molto evasivo in proposito. Si limitò a grugnire e ad inarcare un sopracciglio, poi , in aria di congedo, sospirò, alzandosi dalla sedia.

House passò alla canzone successiva. Ma anche se questa era degli Who ed era allegra, non bastò a fargli dimenticare la conversazione.

 

-La ringrazio della disponibilità, dottor House. Comunque..- aveva messo le mani ai fianchi, in un moto di stanchezza ed impotenza insieme.- Non stiamo escludendo nessuna pista. Vendette professionali, familiari di suoi pazienti morti .. siamo quasi certi che l’assassino sia tra queste mura.-

 

Gli occhi di House in quel momento si erano fissati su Foreman, al di là del vetro, nell’altra parte dell’ufficio.

 

-Voi poliziotti avete gli infrarossi per scovare i pregiudicati, eh?-

 

Ricordò il sospiro di rassegnazione del detective, i suoi ringraziamenti e il suo sguardo piuttosto interessato nei confronti di Cameron, che entrava in quel momento.

Tutto lì.

L’interrogatorio di cui aveva tanto paura era terminato senza altri danni. Eppure l’ansia non era passata. E non perché Smith gli aveva detto che forse c’era un pazzo che girava per il PPTH,   dato che sapeva benissimo che l’ospedale pullulava solo d’incompetenti, di pazzo lì c’era solo lui… no, era qualcos’altro. Come un campanello d’allarme, una spia rossa nel suo cervello, accesa ad indicare il pericolo, un pericolo immotivato, certo.

Ma pur sempre di un pericolo si trattava.

 

 

 

 

Le lancette dell’orologio segnavano ormai quasi le nove e trenta. Robert Chase fissò il grande Rolex d’oro che teneva sul polso e sbadigliò leggermente, salutando così una difficile giornata lavorativa come quella, con il caso di Law che li aveva tenuti impegnati per più di mezza giornata e le restanti ore d’ambulatorio che a volte, e su questo conveniva con House, erano più stressanti di giornate intere passate appresso a casi impossibili.

Stava riordinando le sue cose quando Cameron entrò nell’ufficio, seguita a ruota da Foreman.

-Ah, sei qui.- disse Eric, all’indirizzo del collega.- Sai per caso dov’è finito House? Ha il turno in ambulatorio tra dieci minuti.-

-Ambulatorio a quest’ora?-

-C’è ancora gente.- spiegò Cam con un sorriso un po’ spento.- Epidemia d’influenza.-

Robert sbuffò.- Io il mio turno l’ho finito e me ne vado a casa.- Disse con una certa stanchezza e determinazione nella voce. Allison sorrise, un po’ irritata.- Anche noi abbiamo finito tutto, ma se House non si trova dovremo farli noi, prima che la Cuddy s’infuri di nuovo.-

-La Cuddy è uscita e comunque dovresti farli tu.- Intervenne Foreman, quasi con cautela. Sorrise maliziosamente, prima di dire.- Soprattutto ora.-

Cameron corrugò la fronte.- Che vuoi dire?-

Foreman e Chase si scambiarono uno sguardo d’assenso poi scoppiarono tutti e due a ridere, davanti alla loro collega che li guardava stupita.-Ma..- non aggiunse altro. Capì subito che la storiella in ambulatorio aveva fatto il giro del reparto.- Scemi. Non è divertente.-

-Eccome se lo è.- La contraddì Eric, ridendo.

-Ma anche voi, nemmeno due adolescenti si fanno sorprendere così…- La canzonò l’australiano.

-Spero che almeno voi due vi rendiate conto che tutto questo è solo uno stupido, imbarazzante equivoco.- Entrambi stavano per aggiungere qualcosa ma Allison li bloccò sul nascere.- E non ne voglio più parlare.-

Chase si girò verso Eric rivolgendogli uno sguardo ironico, sguardo che Eric stava per sottolineare con qualche battuta quando si aprì la porta dello studio e un’infermiera entrò nell’ufficio.- Dottoressa Cameron, mi hanno detto di dirle che il dottor Law vorrebbe parlare con lei-

Allison aggrottò la fronte.- Ah.. va bene, grazie.- I tre paperotti si scambiarono uno sguardo piuttosto interrogativo, poi l’immunologa prese le cartelle dell’ultimo caso e si avviò alla porta,  sotto gli occhi incuriositi dei colleghi.

-Che può volere Law da Cameron?- Chiese Foreman, quasi distrattamente, all’intensitivista che nel frattempo afferrava il giaccone.

-Bah.- Rispose il biondo.- Io so solo che mi sbrigo ad andarmene a casa, prima che torni Cameron e mi affidi i turni di House.-

Eric rise silenziosamente, poi, annuendo, l’imitò volentieri.

 

 

 

L’auto di Wilson procedeva con scioltezza lungo le strade buie del New Jersey. Era stata una giornata pesante ma nonostante tutto si sentiva bene, felice. Oggi avevano dichiarato un bambino di dodici anni fuori pericolo. Aveva coraggiosamente combattuto contro un tumore per quasi due anni ma ora, per quanto possibile, era guarito.

Un sorriso di tenerezza si dipinse sui bei lineamenti del dottore, mentre svoltava all’incrocio.  Quel bambino aveva avuto il potere di risollevare, almeno in parte, una giornata che invece sarebbe stata completamente orrenda.

Non aveva dimenticato il modo in cui Lisa l’aveva rimproverato, il suo sguardo, il modo, assolutamente esagerato, con cui l’aveva trattato facendo una tragedia di una semplicissimo momento di distrazione.

Perché di quello si trattava.

Non stava corteggiando nessuno. Almeno non lui.

I suoi occhi, un istante, incontrarono delle cartelline che aveva appoggiato al sedile, quasi distrattamente. Ah, merda!

Erano i risultati che Lisa gli aveva assolutamente chiesto entro la serata.

Aggrottò la fronte, pensando che a quest’ora probabilmente stava imprecando contro di lui e la sua sbadataggine.

Stava ancora sospirando quando ebbe una brillante idea: le avrebbe portato i documenti a casa. Fermò un istante l’auto ad un lato della via, fece la retromarcia e percorse la strada a ritroso dirigendosi verso l’abitazione del suo capo.

Non sapeva perché ma quella piccola idea lo rendeva stranamente euforico, felice.

Aveva la possibilità di chiarirsi con lei, di scusarsi se necessario. Non voleva che ci fossero ombre tra loro due.

Fece un sospiro profondo quando capì di essere arrivato in prossimità della sua abitazione. Era una villetta che sorgeva in un complesso di altre ville ma un po’ isolata, in un quartiere semplicemente incantevole. 

Si sorprese nel costatare che tutto, in lei, poteva avvalersi di quell’aggettivo.

Incantevole.

Parcheggiò l’auto e, munito di cartelline, scese dalla vettura, dirigendosi verso casa sua. Si domandò un attimo se la sua visita gli avrebbe fatto piacere. Si convinse di sì, infondo non era affatto tardi, anzi, erano appena le nove, con ogni probabilità era arrivata da poco e non aveva ancora mangiato.

Nemmeno lui aveva cenato.

Per un istante accarezzò l’idea di chiederle di mangiare qualcosa insieme.

Si rese conto che tutte quelle fantasticherie erano destinate a rimanere tali, confinate nell’universo dei sogni di James Wilson quando notò, proprio parcheggiata davanti l’auto di Lisa, una jaguar nera.

I suoi occhi si spostarono sul salotto di Lisa la cui vista era inficiata dalle tende. Non vedeva nessuno ma capì benissimo che non era sola. Tendendo l’orecchio udiva risa, parole.

Non ne aveva la prova ma seppe subito che quella era l’auto di un uomo.

Strinse forte i documenti nella mano mentre l’espressione.. beata.. ?.. di poco prima lasciava lo spazio ad uno strano nervosismo...

Ritornò, mesto e nervoso, nella sua auto, sbattendo la portiera.

La Cuddy (aveva ripreso a pesarla con il suo cognome) avrebbe avuto i documenti il giorno dopo; non aveva la minima intenzione di entrare là dentro.

Mise in moto e partì, sbuffando, non rendendosi conto che lo strano lampo che quella mattina aveva visto negli occhi della dirigente, adesso animava anche i suoi.

 

 

 

L’ascensore che l’avrebbe portata a oncologia procedeva lentamente verso l’alto, in direzione di uno degli ultimi piani del PPTH. Sospirò.

Non conosceva bene il dottor Thomas Law, ma non poteva nemmeno dire di non averlo mai visto. A parte il fatto che lavoravano entrambi nello stesso contesto ospedaliero, aveva  avuto l’occasione di conoscere Law molto tempo fa, quasi tre anni prima, durante il periodo del suo internato alla cinica Mayo.

A quel tempo lei lavorava come specializzanda presso l’immunologo Richardson, molto amico di Law. I due si cercavano spesso per consulti riguardo casi anche piuttosto delicati e lei aveva avuto più di una volta l’occasione di lavorare spalla a spalla con lui. Lo ricordava come un uomo mite e professionale e, particolare che a suo tempo aveva apprezzato come l’oro, sempre di buon umore.

Il ding dell’ascensore la svegliò dai suoi pensieri. Era arrivata ad oncologia.

Il reparto era piuttosto quieto, animato soltanto da medici di turno, pazienti ricoverati e tutto era percorso da un piacevole silenzio.

Passò l’ufficio di Wilson, buio data l’ora, e si recò presso quello di Law, proprio di fianco.

La ragazza  bussò un paio di colpi e attese che il dottore le desse il permesso di entrare.

Non sentì nulla e dopo aver aspettato qualche secondo bussò di nuovo.

Ancora niente.

Corrugò la fronte, pensando che magari il dottore aveva avuto un’emergenza e si era allontanato improvvisamente.

Sbuffò pensando al tempo perso, immaginando che a quest’ora Foreman e Chase se l’erano sicuramente squagliata così sarebbe toccato a lei dare la caccia ad House o, come probabilmente avrebbe fatto, tornare in ambulatorio.

Mosse qualche passo in lontananza ma poi si fermò di nuovo, riflessiva.

Se Law l’aveva mandata a chiamare doveva essere importante. Pensò di entrare ed aspettarlo nell’ufficio. Per sicurezza bussò una terza volta ma nel silenzio del corridoio di oncologia, l’unico rumore che risuonò fu proprio quello delle sue nocche urtate contro la porta lignea.

Si persuase ad aprire. Mano alla maniglia, spinse leggermente la porta dicendo.- Dottor Law…-

I suoi occhi verdi si fermarono istintivamente sui primi oggetti di quell’ufficio a lei nuovo, per andare lentamente a guardare il resto dell’ambiente.

Quando si accorse che qualcuno era seduto dietro la scrivania, continuò, dando leggermente le spalle per chiudere la porta dietro di sé. –Mi scusi se ho insistito tanto, magari non voleva essere disturbato, però mi hanno detto che..-

Gli occhi dell’immunologa focalizzarono la figura, seduta sulla poltrona, a pochi metri da lei.

La voce le si fermò in gola e lasciò cadere la frase.

Thomas Law era lì, davanti a lei.

La fissava ma i suoi occhi non la vedeva realmente, erano opachi, bui, la bocca aperta nel disperato tentativo di trovare aria, le labbra e i denti arrossati da un rivolo vermiglio di sangue, sangue che poi era colato per il collo fino a macchiargli il camice e la scrivania, proprio sotto di lui. 

Un’espressione orrenda e terribile allo stesso tempo animava il suo volto senza vita, il corpo proteso in avanti in un inconsolabile bisogno d’aiuto e il viso paralizzato a guardare un punto fisso davanti a lui, la bocca aperta in un urlo disperato che né Cameron né nessun altro avrebbero mai sentito.

Per alcuni attimi Cameron stette immobile, esattamente come lui, terrorizzata dalla paura.

Il suo cervello constatò subito la morte di quell’uomo ma fu come se non fosse in grado di poter far altro che fissare il morto, senza nemmeno avere la capacità di tremare.

Poi, quando le cartelle cliniche le scivolarono dalle dita e toccarono il pavimento, si risvegliò, come se quel rumore le avesse fatto trovare di nuovo il contatto con la realtà.

Si portò una mano verso la bocca e finalmente trovò la forza di gridare.

 

 

 

 

 

 

To be continued..

Diomache.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Un freddissimo enigma ***


Lacrime di Follia

Eccomi qua!! Scusate il leggero ritardo ma proprio non ce l’ho fatta ad aggiornare prima! Allora, parliamo del capitolo: innanzitutto c’è una citazione canora e una letteraria. La prima è: “drops of jupiter” dei Train, la seconda è il mio Dante, precisamente: purgatorio, III 107-123

È un capitolo molto importante per l’economia della storia e spero che vi piaccia.. i protagonisti iniziano ad avere un quadro più articolato della situazione anche se le risposte si delineeranno bene, come in tutte le storie dark, solo andando avanti..

Prima di lasciarvi ringrazio di cuore chi ha seguito il capitolo precedente e in particolare chi lo ha commentato, vi adoro e questo capitolo è dedicato proprio a voi: Meggie, Venus, Nathaniel, Toru85, Ale87, Mistral, Preziosoele, _Vally_, Briseis, Apple, Levity, Marty Mix, EriMD, SHY, Artemisia89, Nick e Dana.

Buona Lettura,un bacio!

 

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo IV:   Un freddissimo enigma.

 

 

 

 

 

“Ho cercato di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna e di mutare i miei desideri piuttosto che l’ordine del mondo e, in generale, di abituarmi a credere che nulla sia interamente in nostro potere, se si eccettuano i nostri pensieri; in modo che quando avremo fatto del nostro meglio per le cose che non dipendono da noi,  tutto ciò che non ci riesce compiere possiamo ritenerlo del tutto impossibile per le nostre forze.”

Cartesio (Discorso sul Metodo)

 

 

 

 

 

Seppe dell’accaduto circa un quarto d’ora dopo.

Come l’incendio in un fienile si attizza lentamente sui primi ramoscelli di paglia poi si allarga e invade in maniera devastante tutto l’ambiente, così la notizia dell’assassinio del dottor Thomas Law aveva fatto il giro dell’ospedale passando velocemente di bocca in bocca. 

Aveva sentito, tra una canzone e una pennichella, delle infermiere che arrivavano agitate e bianche di paura, avvertendo tra le note del rock degli Who strane parole che l’avevano subito incuriosito. Parole tipo Law, morto, e Cameron.

Curioso, levatosi le cuffie, era sceso per saperne di più. Infondo è la curiosità che muove il mondo, no?

Fu così che era giunto ad oncologia, trovando una marea di persone, poliziotti.

Fu così che l’aveva vista.

Di spalle, voltata verso la portafinestra che dava sull’uscita esterna d’emergenza, con un bicchiere d’acqua tra le mani, lo sguardo assente e terrorizzato. Aveva visto Smith, accanto a lei, ugualmente agitato, confuso quasi. A tratti il volto della giovane si spostava dalla finestra per posarsi su quello del detective e gli occhi penetranti di Smith, concentrati nei suoi, la scrutavano quasi senza pietà come se cercasse in lei le risposte.

Ad House venne da ridere. Che poteva entrarci Cameron in tutto questo?

Il corpo di Law venne portato in quel momento fuori dall’ufficio dove era stato ritrovato. House lo esaminò con attenzione con lo sguardo, non senza pensare quanto fosse orribile nella sua espressione di morte. La barella passò velocemente per il corridoio e si diresse per l’autopsia, così i suoi occhi continuarono a puntarsi su Cameron e il detective. Continuavano a parlare e Allison sembrava sempre più scossa.

Non vide in giro né Foreman né Chase, né tanto meno Wilson però in compenso trovò poco dopo Cuddy che si aggirava inquieta e dava ordini a destra e a manca. Aveva l’aspetto un po’ scomposto e l’ apparenza scocciata  di chi ha interrotto qualcosa di importante e, mentre si faceva strada tra la miriade di poliziotti, sembrava davvero una ragazza arrabbiata più che un dirigente d’ospedale turbato da quello che era accaduto.

-raggio di sole!- la chiamò.

Lisa si voltò con immensa fatica e lo guardò, spazientita quasi.- House che ci fai qui?- disse con un evidente falso sorriso.

Greg fece finta di guardarsi intorno.- ho sentito che c’era una festa e sono arrivato. Sai io vado pazzo per le feste.-

-è morto il dottor Law.- rispose Cuddy senza nemmeno l’arrabbiatura nella voce.

-lo so.- rispose Greg- infatti credo che l’abbiamo organizzata quelli dell’obitorio. Sono bravi ragazzi ma che vuoi farci, si divertono così.-

Cuddy gli si avvicinò interrompendo quel piccolo siparietto ed House poté notare  che aveva l’aria un po’ tesa e il trucco leggermente rovinato. E non era da lei. –House.- disse quasi sospirando.- è già tanto imbarazzante e difficile così.- Lisa distolse lo sguardo.- ti rendi conto?  Un  omicidio! Nel mio ospedale!-

-più che altro..- iniziò.- un omicidio… proprio questa sera.- Cuddy sgranò gli occhi.- oh andiamo, si vede che ti ha rotto interrompere qualcosa di importante.. cos’è.- esibendo uno sguardo ammiccante abbassò la voce ma non abbastanza perché non potessero sentirlo tutti comunque - hai organizzato uno di quei festini, a casa tua?-

Lisa si allontanò con un passo da lui, visibilmente imbarazzata.- senti non ho tempo per le tue congetture mentali- alzò la voce, quasi urlando, per darsi un tono anche di fronte alla polizia.

Infondo lei era il capo lì dentro e voleva che fosse chiaro a tutti.- se proprio non hai niente di meglio da fare và al pronto soccorso e sostituisci qualche ragazzo che è lì da questo pomeriggio oppure..- abbassò la voce questa volta e si avvicinò con uno sguardo tagliente.- chiuditi nel tuo ufficio e riordina tutte le cartelle dei tuoi pazienti.-

Gli lanciò uno sguardo fulminante. Molto alla Cuddy.

House sorrise. Adesso era veramente lei. c’era voluto un po’ a farla arrabbiare ma finalmente era tornata la dura di sempre.

-ehm lo farei volentieri, credimi.- rispose fingendosi sincero e terribilmente dispiaciuto.- ma la vedi quella ragazza laggiù?- indicò Cameron con il capo, che parlava ancora con Smith.- è molto gelosa delle sue scartoffie e se mi metto a riordinare le cartelle al posto suo si arrabbierà a morte e non mi farà più il caffè la mattina.-

Lisa sospirò e il suo sguardo divenne improvvisamente più tenero quando tornò a guardare Allison.- domani la polizia esaminerà con cura tutta la storia medica di Law. E dato che avete lavorato insieme verrà a buttare il naso anche nelle tue cartelle. Non voglio che ci trovi nulla di.. particolare, ci siamo intesi?-

-perfettamente. Cameron ne sarà entusiasta. Salterà di gioia quando le dirò che deve ricontrollare due anni di lavoro.-

Cuddy aggrottò la fronte.- non esagerare con lei – disse, in un mix tra il preoccupato e l’ammonimento, poi si voltò e scomparì misteriosamente tra la massa di persone, poliziotti e curiosi che affollavano quel corridoio di oncologia.

House tornò a guardare Cameron. Smith ora annuiva e le porgeva la mano che lei stringeva con un lieve sorriso. Poi si allontanò  ed uscì per le scale, lasciandola sola con un foglietto in mano e il suo sguardo di nuovo perso e triste. 

Stette per chiamarla ma lei si mosse velocemente verso l’ascensore. Entrò e quello si chiuse poco dopo. House sorrise.

Sapeva dove stava andando.

 

 

 

 

 

Era freddo e c’era il vento sul terrazzo, quella notte. Un freddo pungente, penetrante.

Il cielo sembrava volesse volgere al peggio, e oltre all’aria gelida, si sentivano, in lontananza, gli echi di tuoni distanti.

Eppure, nonostante tutto, Gregory House non riusciva  ancora a distinguere il freddo che faceva fuori con quello che albergava nel suo animo.

Ed era sicura che nemmeno Cameron ci riuscisse.

Lei era lì, come aveva immaginato, appoggiata al muretto che dava sul vuoto, con lo sguardo perso e confuso, proprio come poco prima. sapeva che stava per scoppiare laggiù, con tutta quella confusione, sapeva che aveva bisogno di aria e di freddo. Dio, ormai la conosceva bene.

Lui era lì, ora, ma non sapeva se voleva parlarle, in realtà non sapeva nemmeno perché l’aveva seguita. Era stato qualcosa d’istintivo, di naturale.. qualcosa che non capiva.

Era convinto che lei non l’avesse visto e la fissò per altri interminabili secondi , fissò le sue spalle magre, la schiena che scivolava giù in maniera perfetta, fissò il suo corpo esile nella sua finitezza.

La vide emettere un respiro irregolare e abbracciarsi le spalle, massaggiandosele leggermente per lottare contro il freddo.

Sospirando, House non esitò ad avvicinarsi. Coprì quella piccola distanza che c’era tra di loro con pochi, esitanti, passi.

Con una delicatezza che impressionò lui in primis, le mise la mano sulla spalla. Si meravigliò di quel gesto. Poco fa non voleva nemmeno parlarle, adesso aveva sentito l’ esigenza di toccarla.

Quel contatto non giunse improvviso alla donna. Cameron non si era staccata dal paesaggio invernale ma l’aveva sentito.

Greg pensò che quel semplice contatto avrebbe dovuto farla sobbalzare di paura. Ma era come se sapesse che lui era lì. Gli balenò l’idea che Cameron avesse intuito che lui la stava guardando dai  primi secondi, in ospedale.

E che fosse uscita lassù, proprio per restare sola con lui.

Sorrise. Forse lei lo conosceva molto più di quanto lui conoscesse lei.

Allison chiuse gli occhi, assaporando quel piccolo contatto.

Era piccolo, troppo piccolo. Le serviva di più, aveva bisogno di più. Non occorrevano parole, bastava semplicemente un abbraccio, qualcosa che la riscaldasse perché continuava a sentire freddo, tanto freddo.

Non paga di quello che stava accadendo, seppur con una piccola punta di timidezza appoggiò la sua mano su quella di Greg.

Lo sentì irrigidirsi ma non si mosse. Le piacque l’idea di averlo colto alla sprovvista, cosa che invece lui non aveva fatto con lei. Le piaceva sentire la sua mano sotto la sua, la sua pelle sotto i suoi polpastrelli. House non si mosse e lei non aveva la minima intenzione di farlo: aveva bisogno di quel contatto e se lo sarebbe preso.

Dopo qualche istante Greg fece delicatamente scivolare la sua mano dalla sua spalla e lei, a malincuore, dovette far altrettanto con la propria, mentre un sorriso amaro si dipingeva sul suo viso. Pensò che Greg a questo punto se ne sarebbe andato, ma quando si voltò verso di lui non lo vide in procinto d’andarsene.

Ora toccava a lei sentirsi sorpresa.

Lui stava ancora lì. Questo la rasserenò; il pensiero di non dover elemosinare un po’ d’attenzione la fece sentire meglio.

Come sempre, come doveva essere sempre, a quanto pare, fu Cameron ad interrompere il silenzio, balbettando.- lui… mi aveva mandato a chiamare… l’ho trovato io-

House non disse nulla. Non trovò nulla da dire.  

Gli occhi dell’immunologa si riempirono di lacrime all’improvviso avvento dell’immagine di Law, nella sua mente.- chi può essere tanto malvagio da fare tutto questo?- non era domanda, era più che altro una supplica. –Smith mi ha dato questo.- continuò esibendo un foglietto accartocciato, molto simile a quello che il detective aveva dato a lui, durante il giorno.

House lo lesse, ad alta voce.

 

“or vedi”

e mostrommi una piaga sotto il petto

poi sorridendo disse. “io son Manfredi”

ond’io ti prego che quando tu riedi

vadi a mia bella figlia

e dichi’l vero a lei s’altro si dice.

 

Aggrottò la fronte e i suoi occhi tornarono in quelli di Allison.- ancora Dante.-  sussurrò.

Cameron annuì. Evidentemente Smith le aveva detto del messaggio precedente.- Smith crede che..-

-i due omicidi siano congiunti, vero?- lesse di nuovo il bigliettino.- questa volta però non è preciso come nel primo. Vedi? Non è una terzina intatta, sono versi appiccicati dello stesso canto e molto vicini, ma non perfettamente consecutivi. Come se..-

-come se l’assassino avesse voluto comporre precisamente un messaggio… un ammonimento una minaccia..-

-già.- concordò House, riflessivo. Cameron indovinò i suoi pensieri .- l’avvertimento di Park non era uno sproloquio quindi.. stava cercando veramente di metterti in guardia.-

Greg tornò a guardarla, ma questa volta non ci furono altre parole per molti secondi. Poi disse.- non me. Ha parlato di un ‘loro’.-

-loro?- ripeté Allison, con un sospiro.- e se fossero.. che ne so.. gli oncologi?- domandò con gli occhi ancora lucidi.- infondo sia Park che Law lo erano..-

-ehi, dovremo dirlo a Wilson, o potrei ritrovarlo imbottito cianuro o cosparso di antrace invece che forfora!-

Allison gli lanciò uno sguardo truce, sia perché aveva snobbato così una sua ipotesi sia per l’inquietante scenario che lui aveva predetto con una battuta. Voleva rimproverarlo ma esitò. - ma.. cianuro? Come sai che Law è morto di ..-

-vedrai.- disse lui, superbo. Gli era bastato uno sguardo per capirlo. Era inconfondibile.

Un’improvvisa folata di quel gelido vento invernale fece rabbrividire la giovane che si massaggiò le braccia con le mani, abbracciandosi quasi, sembrando ancora più dolce e tenera, nel buio di quella stranissima notte. 

Eppure, nonostante fosse rigido lassù, era il freddo che albergava dentro di lei a sconvolgerla tanto.

-tu non hai freddo?- gli chiese, dolcemente.

House capì il senso vero di quelle parole. Non alludeva all’inverno.

–sì.- disse, con un tono profondo che trapassò, quasi, l’animo della giovane.- tanto.-

C’era in quella conversazione qualcosa di sottinteso e di molto profondo che spaventava entrambi. Cameron annuì, silenziosamente.

-dovresti andare a casa.- le disse lui e, nonostante non avesse voluto, il suo tono suonò quale era sinceramente: un tono preoccupato, affettuoso in qualche modo.

Nel suo modo di essere affettuoso.

Le riuscì un piccolo sorriso.- grazie. Vado.- disse mentre si avviava verso l’entrata.

Lo guardò, un attimo, prima di rientrare. Quando gli aveva chiesto se avesse freddo o no, non stava pensando all’inverno ma credeva che House l’avrebbe interpretato così.

Come avrebbe fatto chiunque sentendo quella domanda e ignorando i suoi pensieri.

Ma forse lui non ignorava i suoi pensieri, lui sapeva leggere il freddo che aveva dentro, perché era lo stesso che alloggiava anche in lui.

Ma allora perché?

Perché, se avevano freddo entrambi, non avrebbero potuto scaldarsi insieme?

Non c’era una risposta.

E forse non ci sarebbe stata mai.

 

 

 

 

 

–but tell me, did you sail accros the sun.- la voce di House che canticchiava si diffuse nell’ufficio del PPTH non appena l’uomo ne spinse la porta, precisamente alle undici e quaranta cinque. .

-did you..- la voce del diagnosta calò fino a spegnersi quando non vide che, lì, davanti ad una lavagnetta con su scritti alcuni sintomi, c’era solo Foreman. 

-wow.- commentò Greg.- hai un aspetto terribile, mi hai anche tolto la voglia di cantare.-

Eric inarcò un sopracciglio.- Ah, scusa.- mormorò sarcastico.- abbiamo un nuovo caso, tante volte non l’avessi notato- disse indicando con un cenno del capo la lavagna dietro di sé.

-mm interessante- mormorò Greg vedendo che c’era scritto solo uno sterile: dolori muscolari, cefalea, febbre . –scordatelo.-

Troppo banale, troppo inutile. Aveva già un’idea per la testa, figuriamoci.

Notò poi la tazza rossa stracolma di caffè - ehi, a proposito.. i giovincelli?-

Foreman gli indicò con il capo l’altra parte dell’ufficio dove Cameron e Chase, seduti rispettivamente sulla scrivania di House e su una delle sedie davanti a questa, lavoravano, immersi negli schedari e cartelle cliniche di quasi tre anni di lavoro.

Greg sorrise ricordandosi dell’ammonimento della Cuddy, la sera passata: ricontrollare tutti gli schedari.

Lasciò Foreman e si diresse da loro, cantando di nuovo.- now that she’s back in the atmosphere..- entrò con noncuranza.- with drops of jupiter..-

-House- la voce di Chase si levò un secondo dopo, puntuale come Greg temeva.

House alzò gli occhi al cielo. 

-tu, fuori di qui.- gli rispose poi con la sua comunissima sgarbatezza. Non sapeva perché ma vederli lavorare così vicini, così affiatatamene, così.. insieme… gli aveva provocato un conato di irritazione verso Chase che superava anche quella di trovarlo a scrivere sulla lavagna.

-se non l’avessi visto la sto aiutando…- cercò d’iniziare il ragazzo ma senza molto successo.

-allora, non hai sentito??- lo interruppe lui, con meno veemenza questa volta.- ti ho detto fuori di qui.-

Robert sospirò, poi lanciando una breve occhiata a Cameron, uscì dall’ufficio per andare ad occuparsi del nuovo caso di Eric. House si sedette al posto che fino a poco tempo fa aveva occupato Robert, fissando intensamente la ragazza davanti a lui che invece non aveva accennato ad alzare gli occhi dal lavoro.

Brutto segno.

Sicuramente era arrabbiata nera.

Sorrise.

Vedere Allison arrabbiata lo divertiva sempre. Almeno finché non diventava pericolosa.. ma accadeva di rado. –since the return to her stay on the moon.- decise di provocarla, continuando a cantare la sua canzone.- she listens like spring and she takls like june.-

Poi, la sua reazione.-buongiorno.- disse, acida.

House alzò le sopracciglia, notando il suo sguardo stanco - non direi. Non sembri aver dormito molto e hai uno sguardo decisamente poco promettente..-

-scusa, sono stata troppo impegnata a sistemare i tuoi schedari per pensare di passarmi il fondotinta. Sono qui dalle sette, io.-

-oh oh, allora è questo.- disse battendo leggermente la mano su un tomo.- Io sono il capo e vengo quando voglio.-

-e io sono il tuo supervisore. Ritarda così tanto di nuovo e..-

-oh, siamo alle minacce!- la prese in giro ridendo.- è inutile che te la prendi con me. Sei il supervisore, no? È il tuo lavoro sistemare gli schedari, non ti autorizzo a lamentarti. E non ti autorizzo nemmeno a monopolizzare la squadra. È mia.- ribadì come un bambino di cinque anni ribadisce la sua macchinina nuova.

Cameron  inarcò un sopracciglio.- Chase non è di tua proprietà e mi stava dando una mano. E questo è il TUO lavoro.- puntualizzò alla fine.

-no.- disse lui, soprappensiero.- ora non più. Comunque sì, Chase è mio.- disse, fingendosi geloso.- com’è mia questa scrivania e com’è mio questo computer!-

Cameron aggrottò la fronte.- che cos’è, una crisi d’identità?-

-scusate, disturbo?- Wilson s’affacciò improvvisamente alla porta dell’ufficio di House, con uno sguardo incerto dipinto in viso. –Cameron, ti ho portato quei dati che mi avevi richiesto.-

Lei sorrise ma in maniera del tutto forzata. Si vedeva che era stanca, aveva davvero dormito poco. Del resto, era impossibile pensare di riuscirci dopo quello che era accaduto il giorno prima. ogni volta che chiudeva gli occhi l’immagine agonizzante di Law premeva vigorosamente sulla soglie della sua mente.

-grazie James.- disse con un sussurro.

House posò lo sguardo sull’amico.- come mai oggi non sei in tiro come gli altri giorni?-

Cameron abbassò lo sguardo, Jimmy ne esibì uno irritato.- non so di che stai parlando, so solo che ho da fare e parecchio anche.-

-ehi, sembrate lavorare tutti sul serio, ma che efficienza!- sbottò Greg esibendo uno sguardo disgustato.

-già, contrariamente a te che sai far lavorare solo gli altri.- rimbrottò Wilson, deciso.

-naa, a Cameron piace sistemare gli schedari, vero?-

Allison alzò gli occhi dal suo lavoro e lo fulminò con lo sguardo. House l’ignorò e si voltò verso Jimmy, con un sorriso innocente.- visto?-

Sia Cameron che Wilson sospirarono, quasi all’unisono.

–ah ma siete tutti di cattivo umore, oggi?- esclamò Greg, spazientito.

-è morto un mio collega.- la voce di James suonò bassa, profonda.- dovrei saltare di gioia?-

Cameron percepì bene la tensione che si era creata tra i due. Avrebbe voluto andarsene, non le piacevano certe situazioni.

House rimase in silenzio per qualche istante.- già. Ma non solo. C’è dell’altro. Qualcosa di.. femminile?- Cameron alzò lo sguardo, indignata, aspettando una furibonda reazione da parte di James. Ma non avvenne. Questi abbassò gli occhi e parve in difficoltà.

–io vado.- disse quindi Wilson facendo un piccolo cenno ad Allison ed uscendo velocemente dall’ufficio.

House spezzò il silenzio creatosi andandosene, fischiettando la stessa canzone di poco prima, dall’altra parte dell’ufficio, lasciata vuota da Chase e Foreman. Era sicuro che quei due idioti fossero andati a fare qualche esame assurdo al paziente. Incapaci. La soluzione era lì, sotto i loro occhi.

Troppo sottile per Chase o troppo scontata per Foreman?

Bah, semplicemente erano due incompetenti. House prese il pennarello e scrisse la diagnosi lì, accanto ai sintomi.

-and have you fall, for a shooting stars… fall for a shooting stars..- cantando uscì dall’ufficio, dirigendosi verso la mensa, ubbidendo ai primi crampi della fame.

Prima di lasciare l’ufficio diede però un’ultima occhiata alla sua soluzione del caso.

Sorrise.

Foreman e Chase non l’avrebbero capita mai.

Era scritta, certo.

Ma in mandarino.

 

 

 

 

 

 

Gli occhi azzurrissimi di House focalizzarono un tavolo libero, in disparte e piuttosto appartato non solo dalle chiacchiere insopportabili dei suoi colleghi (odiava sentirli discutere dei loro IMPOSSIBILI casi) e dei poliziotti che, schierati da Smith, circolavano per l’PPTH per la felicità di Foreman e di tutti quelli che come lui non li potevano vedere.

Raggiunse quel piccolo angolo di paradiso e vi appoggiò il vassoio stracolmo d’insalata, sognando d’avere un piccolo momento tutto per sé. Sogno che s’infranse miseramente in mille pezzi quando qualche minuto dopo qualcuno gli si avvicinò dicendo.- dottor House..-

Greg non alzò nemmeno lo sguardo. – mm… com’è piccolo il mondo.- commentò roteando gli occhi, sarcastico.

-posso?-

Questa volta il diagnosta alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. Normalmente avrebbe risposto come una battuta. Ma forse questa volta scambiare due chiacchiere con qualcuno non sarebbe stata un’idea tanto malvagia.

Dal detective Smith, per esempio, avrebbe potuto scoprire un sacco di cose interessanti, carpire altre, nuove, informazioni sull’enigma che circondava l’ospedale.

Sì, aveva bisogno di adoperare la sua mente in qualcosa di complesso e se non serviva la intelligenza medica, forse la sua razionalità poteva scoprire qualcosa di nuovo.

Sorrise.- prego.-

Wilson, Foreman, Chase, Cuddy, perfino Cameron avrebbero aperto la bocca dallo stupore.

Smith appoggiò il vassoio e si sedette comodamente davanti al diagnosta.

Buttò uno sguardo sul suo piatto.- ah, è vegetariano?-

-no, solo un po’ squattrinato.- House scoprì, da sotto l’insalata, le tre polpette che aveva sagacemente rubato.- oopss.- disse poi fingendo di constatare solo ora che aveva dinnanzi a sé un poliziotto.

Questo strappò a Smith una risata.- dovrei metterla dentro, dottore.-

-ah, è quello che spero.- commentò l’altro.- niente Cuddy, niente schedari..- fece una pausa, voluta.- niente morti in giro per l’ospedale.- voleva che fosse lui ad introdurre il discorso. E sapeva che adesso Smith l’avrebbe fatto.

Infatti bastò quella voluta battuta per far rabbuiare il detective. L’uomo distolse lo sguardo, in difficoltà.- già.- sospirò.- ci auguriamo che tutto questo finisca ma non ne siamo sicuri.-

-la dottoressa Cameron mi ha detto che cercate qualcuno dell’ospedale.- era una bugia, Cameron non gli aveva detto niente del genere. Ma era sicuro che era ciò che pensavano Smith e gli altri.

L’uomo infatti annuì. Greg gongolò, dentro di sé. Adorava avere ragione.

-probabilmente sì. -  disse Smith.- deve essere per forza così. non necessariamente un medico, anche un infermiere, un tecnico, qualcuno che conosca bene i ritmi ospedalieri, che conoscesse tanto bene Law da poter prenderlo solo nel suo ufficio e, in qualche modo, avvelenarlo con il cianuro.-

House ascoltò con interesse. Ribadì mentalmente quanto fosse geniale: c’ aveva preso anche sul cianuro.

-qualcuno che conosca bene anche la divina commedia, però.- intervenne.- l’assassino non fa che citarla.-

-già- riconobbe il poliziotto. –e non sono citazioni a caso.- né Smith né House mangiavano più. In quel momento il cibo passava decisamente in secondo piano.- prendiamo il primo frammento, per esempio. È una minaccia precisa. L’assassino dice a Park che in qualche modo l’ha riconosciuto, l’ha ritrovato.-

-ancor sei lordo tutto.- citò Greg, impressionando quasi il poliziotto.- non solo l’ha ritrovato, ma l’ha ritrovato nonostante qualcosa. Nel caso di Dante, nonostante che fosse sporco. Nel caso di Park..- lasciò cadere la voce. Smith lo guardò, impaziente.- …e io che ne so!- sbuffò il diagnosta.- questo è il tuo lavoro, non il mio!-

Smith gli sorrise. Nonostante il sarcasmo di House, quella conversazione si stava facendo molto fruttuosa. Gregory e la sua intelligenza arrivavano dove i suoi collabotori, esperti di psicologia criminale, non avevano neppure ipotizzato.

-il secondo messaggio.- continuò Greg, con un sorriso indecifrabile: amava, adorava stupire la gente.- è un messaggio diverso. È come se si presentasse al suo assassino.-

-o a noi.- continuò Park.- potrebbe essere una sfida.-

-ha un tono troppo dolce, è escluso. È tra l’assassino e la vittima, non c’entrano le forze dell’ordine.-

Smith questa vota non poté fare a meno di trattenere una piccola risata.- e lei che ne sa, scusi?-

House sorrise di nuovo.- C’è un elemento molto personale e molto intimo nel messaggio: la parola:  figlia. Precisamente.- continuò.- dice che quando lui andrà dalla figlia dovrà dirle la verità, se si dice altro.-

Smith lo guardò, incredulo.- mi sta cercando di dire che secondo lei l’assassino stava esplicitamente dicendo a Law che stava per andare dalla figlia, quindi dato che poi Law è morto, probabilmente anche questa figlia è morta.-

House lo guardò esattamente come quando i paperotti raggiungevano i suoi pensieri.- è solo un’ipotesi, per carità. Ma io non cercherei solo tra i dipendenti dell’ospedale.-

Smith l’osservò, intrigato.- magari qualche paziente la cui figlia era in cura da Law..- House alzò le sopracciglia, come a scuotere le spalle.- dottor House, mi complimento. Ha una logica ferrata, me l’aveva detto la sua collaboratrice.. la dottoressa Cameron..-

-ah, qui la gente non fa altro che parlare di me..- lagnò l’uomo, nascondendo il piacere che provava per tutto questo.

Smith rise.- sa, la dottoressa Cameron è preoccupata per lei…- ma non lo disse allegramente. Lo disse come se sottintendesse un “e non dovrebbe” accompagnato da qualche altro ignoto pensiero.- dice che lei tratta male i paziente e che..-

-perché non dovrebbe preoccuparsi per me?- House l’interruppe. Aveva visto quell’ombra sul suo volto e ne voleva una spiegazione.

L’uomo, sorpreso, esitò un istante. Quelle erano informazioni riservate. Ma dato il contributo prezioso che Greg aveva dato alle indagini, magari avrebbe anche potuto dirglielo.- la dottoressa dovrebbe stare attenta per lei stessa, non pensare ad altri. –

L’interesse di House era al culmine.- perché.-

L’uomo sospirò.- io non le ho detto niente per non allarmarla ma…- deglutì.- lei sostiene che un’infermiera l’ha mandata a chiamare. E che le ha detto che Law le voleva parlare.-

-già. E non mi risulta che Cameron possa mentire.-

-no, non è in dubbio la sua buona fede.- Smith fece una piccola pausa, poi i suoi occhi verdi fissarono quelli blu di House.-  Quello che dice Cameron è vero. Il problema è che Law… non l’ha mai mandata a chiamare.-

 

 

 

 

 

to be continued..

Diomache.

 

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Capitolo 5
*** Quando la razionalità sfugge dalle mani.. ***


Ciao a tutti!!

Eccomi tornata, scusate se non riesco ad avere un ritmo di pubblicazione che sia anche lontanamente regolare ma cercate di capirmi, fine quadrimestre…. Beh, spero che il capitolo vi piaccia!

Per Gulyuly: sinceramente non so quanti capitoli mi prenderà la storia.. io credo che non saranno più di una decina..

Per Nick:  posso risponderti, tanto lo farà anche Greg nel capitolo.. no, non è del personale del PPTH ;)

Citazione di Dante: Paradiso XVII, 55-75

Ragazzi, non so più come ringraziarvi per le vostre stupende recensioni!

Un bacio enorme a: Apple, Briseis, Toru85, Gulyuly, Ale87, _vally_, Mistral, Mercury259, EriMD, Aras5, Nick, Artemisia89, Brilu, Aicha, Dana, Venus, Nike87, The Bride e Nathaniel.

Grazie mille, vi adorooo!

Buona Lettura..

Mi raccomando, recesitee!

Diomache.

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

Capitolo V:   Quando la razionalità sfugge dalle mani..

 

 

 

 

“ Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il presente e il passato sono i nostri mezzi, solo l’avvenire è il nostro fine.

Così, non viviamo mai ma speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali.”

Pascal (Pensieri)

 

 

 

 

 

Tra i due calò il silenzio, un silenzio che sarebbe stato freddo, assoluto ed insopportabile se non ci fosse stato il classico brusio della mensa.

-sta cercando di dirmi.- House riprese poco dopo, con la voce leggermente roca.- che quindi l’assassino voleva che fosse proprio Cameron e nessun’altro a trovare il corpo??-

Smith sospirò.- l’infermiera ha detto che quest’informazione gli era stata data non da Law ma da un uomo che ha visto uscire dall’ufficio del dottore. Dopo di lui nessuno è più entrato in quella stanza prima della dottoressa Cameron.- il detective fece una piccola, difficile pausa.- certo, magari potrebbe essere solo una coincidenza.-

-una coincidenza???- House si scaldò subito, e rispose con una veemenza che stupì il poliziotto.-  come diavolo si può parlare di una coincidenza?-

Smith alzò le sopracciglia. Non si aspettava una tale reazione da parte di un uomo razionale come House. Era davvero.. curioso. – possiamo sempre presupporre che l’assassino l’abbia fatto solo per guadagnare tempo, per allontanare l’infermiera, chiedendole di andare da una dottoressa di cui aveva letto il nome da qualche parte o perfino sul suo stesso cartellino, in ambulatorio o in qualunque altra circostanza.-

-no.- House ritrovò la sua razionalità in un batter d’occhio.

Si era lasciato andare e già non se lo perdonava.

Una reazione stupida ed ingiustificata. Adesso doveva riprendere le redini di se stesso e dei suoi ragionamenti o sarebbe scoppiato. –no, è troppo campata per aria. Immagino che l’infermiera vi abbia detto che quest’uomo aveva un aspetto comune , che era un tipo qualsiasi, e soprattutto, che lei non conosceva. –

Smith annuì, sempre più impressionato.

-gli sarebbe bastato trovare una stupidissima cazzata per allontanarsi senza dar sospetti. Avrebbe potuto fermare l’infermiera, dire che si era perso, che voleva che l’accompagnasse nella hall, poteva inventarsi qualsiasi altra cosa, molto meno rischiosa.- House si grattò il mento, pensieroso.- così il nostro uomo si è messo nei casini, non ha trovato un modo per fuggire prima. E lui lo sa.-

-non la seguo, dottore.-

Greg fece una smorfia di seccatura. Questo era quello che odiava di più negli altri: quando non lo seguivano nei suoi sillogismi.

- l’assassino sapeva benissimo che così si sarebbe esposto il doppio. Nessun dottore avrebbe chiesto ad un suo paziente di dare una comunicazione ad un’infermiera al posto suo. Era una bugia evidente e rischiosa, che avrebbe insospettito non solo la polizia ma anche l’infermiera stessa. Gli è andata bene perché quella donna era una sciocca, ma ha corso un grosso rischio.-

-che era consapevole di correre, giusto? Quindi lei è sicuro che il coinvolgimento della dottoressa Cameron sia certo. Dottor House, non le sembra di correre  un po’ troppo? Stiamo pur sempre parlando di un folle omicida, non tutte le cose sono dettata da tanta coerenza e acutezza.- obbiettò Smith con un leggero sorriso irrisorio.

House esibì uno sguardo penetrante.- è incredibile pensare quante volte la pazzia si accompagni alla genialità…-

Questo strappò una vera e propria risata al poliziotto che continuò, dicendo.- forse ha ragione. E non solo sulla pazzia. La sua versione dei fatti è un po’ machiavellica ma al momento è l’unica che possediamo, quindi…- l’uomo buttò uno sguardo sui piatti di entrambi.- ah, sarà meglio mangiare prima che ci si freddi tutto..-

House guardò le sue polpette, quasi disgustato.

Odiava tornare al mondo concreto, soprattutto quando la cosa lo interessava parecchio. Azzannò una polpetta con la forchetta e se la portò alla bocca, poi, ancora masticando disse.- che misure di sicurezza indicherete per la dottoressa Cameron?- Smith lo guardò, interrogativo.- immagino che ormai il suo coinvolgimento sia evidente.-

Il detective sembrò in difficoltà. In seria difficoltà.- nessuna.-  disse evitando di proposito di guardare House negli occhi.

-ok.- approvò l’uomo, ironicamente.- è meglio che inizi a cercare un nuovo immunologo , odio i posti vacanti.-

-non possiamo fare nulla finché non ci sono prove concrete.- la voce di Smith sembrò irritata.-  Finché non abbiamo la certezza che Allison Cameron sia in pericolo non possiamo metterle qualcuno al fianco!! È la legge, non ci si può basare su un’ipotesi!-

Greg provò a ribattere qualcosa ma Smith lo precedette.- per questo non ho voluto parlare con lei di tutto questo. Per non gettarle addosso allarmismi inutili. Ma la dottoressa Cameron sa benissimo che ha il dovere di riferirmi qualsiasi cosa noti di strano..-

House annuì, silenziosamente. Sapeva  che era la prassi e che il detective non poteva farci nulla, avevano le mani legate.

Eppure, dentro di sé, non riusciva ad accettarlo.

 

 

 

 

Nell’ufficio del Dottor Law c’erano ancora i poliziotti.

Aveva sentito che c’erano novità importanti, che avevano individuato un uomo sospetto, che avevano iniziato a rivedere tutte le registrazioni delle telecamere dell’ospedale per identificarlo.  Erano dei buoni passi in avanti, finalmente si riusciva ad intravedere una specie di pista investigativa in tutto quel casino.

Magari presto quel clima di confusione e agitazione che gravava sull’ospedale già da un paio di giorni si sarebbe finalmente dissolto..

Avrebbe dovuto essere felice di tutto questo. Eppure si accorse che non era così.

Passava in quell’istante davanti all’ufficio del suo ex collega, dell’uomo con cui aveva lavorato parecchie volte, e l’idea che non ci fosse più perché qualcuno l’aveva ammazzato.. gli metteva brividi, agitazione e angoscia e basta, non riusciva a trovare confortante i progressi delle indagini.

Wilson si sentiva solo svuotato adesso.

Si fermò davanti alla porta di Thomas Law, osservando l’interno dell’ufficio, ancora chiuso a chiunque non fosse della polizia scientifica.

Sospirò.

Si mosse verso il suo ufficio, quando si scontrò con l’unica persona che avrebbe voluto vedere in quell’istante, l’unica donna che avrebbe capito la sua tristezza..

-scusa, Lisa.- disse, impacciato, quando voltandosi improvvisamente si scontrò con la spalla di lei.

Si fissarono negli occhi per lunghi attimi, interminabili secondi in cui nessuno dei due sembrava trovare le parole per interrompere quell’imbarazzante silenzio. Cuddy era nervosa, agitata e strana quella mattina e in condizioni normali si sarebbe arrabbiata per quel brusco scontro.

Ma..

Era lui.

Wilson.

James.

Deglutì lentamente vedendo i suoi occhi stanchi, lucidi, tristi. Quello che per tutti era stato solo un fatto di cronaca, non lo era certo stato per lui. Era evidente che soffrisse, la sua tristezza si leggeva a lettere cubitali nei suoi dolcissimi occhi marroni.

Anche Wilson sembrava non saper proprio che dire. Quando aveva incontrato il suo sguardo era come se avesse perso la facoltà di parola. I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, quegli occhi così speciali e non solo perché della stessa glaciale bellezza del cielo d’inverno, ma perché un po’ allungati, grandi, espressivi.. o semplicemente, perché suoi…. avevano spesso il potere di fargli commettere cose strane, per lo più insensate, di farlo arrabbiare, ingelosire addirittura.

Non poté non pensare all’altra sera e all’auto di quell’uomo. A lei e a quell’ipotetico lui. E, di nuovo, gli si strinse il cuore.

Passò davvero un bel po’ prima che Cuddy riordinasse i neuroni e rispondesse, anche se un po’ titubante.- di niente James-

L’oncologo esibì un sorriso amaro poi i suoi occhi tornarono a fissare l’ufficio di Law. –era una brava persona.- disse, con la voce bassa.- ma nessuno se ne curerà più di tanto. Verrà un nuovo oncologo e dopo qualche giorno sarà dimenticato perfino dalle infermiere che lavoravano con lui-

Era la tristissima verità purtroppo e Cuddy non se la sentì di contraddirlo.- è un grande ospedale.- disse, un po’ esitante.- non si riesce a conoscerci bene tutti.-

-storie.- replicò lui, con la voce un po’ rotta.- la verità è che qui regna solo l’ipocrisia e il menefreghismo. A volte mi domando se House non abbia ragione con il suo libero disinteresse verso tutti. Almeno lui è sincero.- concluse, amaramente.

Poi, scuotendo la testa, capì che si era lasciato andare un po’ troppo.- scusami.- disse, frettolosamente. Riprese la sua razionalità, scappata chissà dove, e recuperò un po’ di distinzione.- senti, per quanto riguarda quei documenti, volevo portarteli l’altra sera ma quando sono passato eri già andata via e..-

Lisa non gli diede modo di continuare.

Come James, anche lei aveva preso di nuovo possesso del suo ruolo, di se stessa. Riacciuffò la sua severità e il suo tono ritornò il grintoso.- sì, in effetti sono uscita abbastanza presto ieri sera, avevo da fare.-

Wilson deglutì a fatica. Sperò che lei si lasciasse sfuggire qualche parola sul cosa avesse avuto da fare ma non avvenne.

–potresti portarmeli in ufficio più tardi?- Wilson annuì.- bene.- concluse la donna.- a dopo.- e sorpassandolo, si avviò verso la fine del corridoio con gli occhi fissi e i pugni serrati, sconvolta come sempre da quella piccola turbe di emozioni che da qualche tempo a questa parte l’invadevano quando si trattava di Wilson.

Jimmy avrebbe voluto voltarsi e guardarla proprio come avviene nei film quando il protagonista maschile si gira verso di lei, ma la donna continua a camminare, poi lui si volta ed è la ragazza a voltarsi, senza riuscire a beccare lo sguardo di lui.

Ma questo accade nei film.

Qui non si sarebbe girato proprio nessuno.

Negando con il capo oltrepassò l’ufficio di Law ed entrò pensoso nella propria stanza.

Per una volta Jimmy si sbagliava.

Lisa si era fermata, poco prima di svoltare l’angolo. L’aveva osservato silenziosamente entrare nella stanza, nell’assurda speranza che anche lui si voltasse verso di lei.

Strinse le labbra e con una strana espressione dipinta in viso, questa volta definitivamente, riprese a camminare.

Dandosi incessantemente della stupida.

 

 

 

 

Di fuori ormai era buio e Cameron era ancora lì, china sullo schedario, con gli occhi rossi per lo sforzo di dover leggere continuamente e l’aria distrutta. Erano quasi le otto e fortunatamente per oggi quell’odiosissima giornata di lavoro stava giungendo al termine, almeno per lei.

Infatti, dall’altra parte dell’ufficio, Foreman e Chase stavano ancora discutendo nel nuovo caso. Foreman era in piedi, accanto alla lavagnetta, con la sua solita aria onnisciente, pennarello in mano, parlava gesticolando rivolto verso Chase che, sguardo perso e fronte accigliata, lo osservava passivo limitandosi a qualche cenno con il capo.

Allison non poté fare a meno di sorridere leggermente.

Voleva molto bene ad entrambi ormai. 

Sì, c’erano stati momentacci, antipatie ma… poi aveva avuto l’occasione di avvicinarsi a tutti e due. Ok, magari con Chase si era avvicinata un po’ troppo… ma in linea generale il rapporto che aveva instaurato con entrambi non le dispiaceva, era .. profondo.. sotto la dura scorza della professionalità, lei lo sapeva.

Anche se Chase e Foreman lo avrebbero negato lei sentiva la chimica che si era creata... 

Ora li conosceva bene, certo non benissimo sul piano personale ma poteva dire di conoscere bene le loro abitudini, le loro espressioni quotidiane.

Si rese conto che a questo punto tutto questo faceva parte della sua vita:l’espressione accigliata di Eric o quella un po’ persa di Robert.. le battute, i sorrisi, le diagnosi fatte insieme, le puntuali smentite da una parte o dall’altra, i cenni d’assenso quando House ne sparava una delle sue .. i sorrisi complici che si scambiavano quando teoricamente non avrebbero dovuto ridere ad una battuta del loro capo, ma in pratica l’impulso era più forte..

Tutto faceva parte di lei, ormai.

Avrebbe pagato perché tutto rimasse proprio così.

Certo, magari non proprio tutto, aggiunse infine con un sorriso amaro, mentre s’apprestava ad uscire.

Per esempio con House. Qui valeva il principio contrario. Quanto avrebbe voluto che la situazione cambiasse.

E non per forza in meglio.

Ma doveva cambiare, questo era l’importante.

Se c’era una cosa che la spaventava era il pensiero di svegliarsi una mattina tra due anni o, che ne so, tre, quattro, e rendersi conto che tutto è rimasto esattamente uguale, esattamente statico, com’ è ora.

Non l’avrebbe sopportato.

Sospirando uscì dalla stanza attraversando l’altro studio.- ragazzi, io vado a casa- li salutò con un tono un po’ piatto.  

-beata te.- commentò Eric, freddo.- sai per caso dove sia finito House?-

La ragazza si limitò ad alzare le spalle, incassando lo sguardo irritato del collega. Notò il quadro dei sintomi scritti sulla lavagnetta. Ai dolori addominali e alla cefalea si era adesso aggiunta la deformazione di una valvola del cuore.

Poi, sul lato, notò un qualcosa di strano.. un.. beh, si sembrava proprio un ideogramma cinese o qualcosa del genere.- e quello che..-

-è opera di House.- rispose Chase irritato almeno quanto Foreman.- a quanto pare invece di lavorare si diverte a fare i disegnini sulla lavagna.-

-io credo che vi abbia scritto la soluzione.- azzardò la donna con un sorriso che cercava di non apparire divertito come era in realtà.

Robert rise, nervoso.- stai scherzando? Se aveva la diagnosi perché non ce l’avrebbe detta?-

-per divertirsi, è ovvio.- commentò Eric, arrabbiato.- ma questa volta sbatte male. Anche se fosse uno dei suoi stupidi test, una prova, un gioco non mi interessa, qui stiamo mettendo a rischio la vita di una persona e non intendo stare al suo gioco ancora per molto!- fece una piccola pausa.- io vado dalla Cuddy.-

Sorpassò velocemente Cameron per dirigersi verso l’uscita ma questa lo bloccò, prendendolo dolcemente per un braccio.- aspetta.- disse, sottovoce, guadagnandosi gli sguardi risentiti dei due uomini.- prova con una arteriografia.- suggerì.

Eric aggrottò la fronte.- Cameron se stai cercando di proteggerlo di nuovo..-

-no.- Allison lo bloccò di nuovo. Non lo stava facendo per House.

O meglio, non lo stava facendo solo per House.

Era un periodo difficile, erano già tutti così nervosi, non voleva che si aggiungesse tensione a tensione.

Prese un po’ di fiato prima di dire. –è la sindrome di Marfan.-

Il neurologo l’osservò, concitato, tra il meravigliato e l’indeciso mentre lei proseguì dicendo: - sicuramente si è verificata la rottura di un’aorta addominale, il che giustifica i dolori, e di una al cervello, che spiega la cefalea. Se è sindrome di Marfan si spigherebbe come mai due aneurismi in contemporanea e perché il cuore presenta una deformazione.-

-tu..- Chase iniziò, un po’ incredulo.- conosci il mandarino?-

-no.- la voce di Foreman rispose per lei.- ma conosce la diagnosi.- la fissò intensamente, sbalordito e irritato.- ottimo lavoro.- era uno sguardo quasi di sfida, e lei se ne accorse subito.

Allison non seppe cosa dire. Si limitò a sorridergli leggermente, annuì, poi, salutandoli di nuovo uscì velocemente dall’ufficio, seguita dallo sguardo tutt’altro che benevolo di Foreman.

Si sentì davvero una cretina. Cretina e stupida come ogni volta che si accorgeva di aver sognato e basta. 

Fino a pochi secondi prima si era sentita a casa con loro. E aveva immaginato che sotto la professionalità, anche per loro fosse così.

Com’era difficile ammettere che ancora una volta si era sbagliata.

 

 

 

La silhouette di Cameron che camminava nel parcheggio verso la propria auto era fissata dai due dottori, appoggiati alla balaustra del piccolo terrazzo che accompagnava l’ufficio di James. L’oncologo l’indicò con il capo, mentre faceva un sorso dal piccolo bicchiere di liquore che reggeva in mano.

I suoi occhi castani si voltarono istintivamente verso House che teneva lo sguardo su di lei.

-è assurdo.- commentò Wilson facendo l’ultimo sorso dal bicchiere.- che diavolo c’entra Cameron in tutto questo?-

-bella domanda.- commentò Greg alzando il bicchiere a mo’ di brindisi e portandoselo alle labbra.- spero solo di non doverlo scoprire quando avrà già un cartellino attaccato all’alluce destro.-

James fece un piccolo, amaro sorriso.- idiota.- rispose, poi, dopo una piccola pausa.- e poi, perché credi che debba esserci un’altra vittima? Non potrebbe essere una resa dei conti tra l’assassino, Park e Law?-

Lo sguardo di House era ancora puntato su di lei che saliva sulla sua auto e che adesso si allontanava dal complesso ospedaliero.- Primo morto:Inferno. Secondo morto: Purgatorio.-

-credi che dato che la divina commedia ha un’altra cantica, debba esserci una terza vittima?-

-non ha scelto Dante a caso.- gli occhi blu di House fissarono intensamente l’amico adesso.- c’è un piccolo filo conduttore in tutto questo. Che lega Park, Law e Cameron.-

Wilson alzò le spalle.- sì. Può darsi.- ammise.- ma ci penserà la polizia, non ti pare? non ti basta combattere contro i virus, adesso vuoi prendertela anche con gli assassini!-

House sorrise.- Smith è un idiota.-

-ci sono novità?-

Greg sorrise amaramente.- figurati. Hanno esaminato i video con le registrazioni ma il nostro uomo è molto furbo. Si è fatto riprendere sempre, costantemente, di spalle.-

Wilson sorrise, meravigliato.- è in gamba. Io scommetto in qualcuno dell’ospedale.-

House fece una piccola smorfia.- no.- disse quindi.- è troppo lucido per essere uno di qui. E poi l’infermiera ha detto di non averlo mai visto.- sospirò.- è un disperato. Un patetico forsennato che ha subito un torto da Law e Park e dopo la disperazione è passato all’azione.-

-questo esclude Cameron, però.- commentò Jimmy.- non mi risulta che lei sia capace di fare volontariamente del male a qualcuno.- disse, sospirando.- ma credo che la polizia sa del suo ipotetico coinvolgimento e Allison possa stare tranquilla..-

-figurati.- House rise amaramente.- non hanno prove sufficienti.- il suo tono divenne improvvisamente irato.- quegli idioti non muoveranno un dito per proteggerla.-

James si voltò di scatto verso di lui, incredulo d’aver sentito bene. Ed House, da parte sua, si maledì di nuovo perché si era lasciato andare troppo, ancora una volta.

Jimmy rise.–beh, ci penserai tu, no? L’impavido cavaliere che protegge la dolcissima dama dalle grinfie di un cattivissimo assassino.-

House sembrò pensarci su.- niente male, buona idea.- alzò il bastone.- ho anche la lancia.-

-appunto.- annuì James ridendo.- è perfetto.-

-a parte un particolare.- continuò il diagnosta fissando l’amico, impaziente che continuasse.- non me ne frega proprio niente.-

L’oncologo rise, divertito e incredulo insieme.- avanti, Greg! Non posso crederci! Ancora ti ostini a dire che provi assoluta indifferenza per Cameron? Stai diventando monotono. E anche patetico.- concluse con un notevole accento di serietà nella voce.

House lo fissò intensamente negli occhi, sorridendo leggermente.

Wilson continuò.- anche il tuo attaccamento morboso a questo caso, lo dimostra, no? vuoi scoprirlo a tutti i costi perché lei potrebbe essere in pericolo-

Greg distolse lo sguardo, sospirando leggermente. Perché tutti erano così sicuri di quello che provava, e lui invece non ci capiva niente invece?

-ti senti particolarmente filosofo, oggi.- deviò come era costretto a fare ogni volta. Era squallido e, aveva ragione Jimmy, anche patetico, ma non poteva farne a meno. Gli faceva  paura tutto questo. Gli faceva paura lei.

Lei e ciò che rappresentava. Non poteva negarlo, Cameron lo preoccupava. Era in ansia per lei, il cuo coinvolgimento in tutto questo lo faceva stare inquieto, instabile.. il pensiero che lei fosse legata all’assassino.. lo mandava fuori di testa, era più forte di lui..

Calma Greg, calma.

Sospirò e riprese il controllo di sé per l’ennesima volta.

Ma constatò che era ogni volta più difficile. Il suo ES veniva fuori sempre più spesso.

Continuò: –d’altra parte sei sempre così avvezzo ad indagare sui miei problemi quando pensare ai tuoi è troppo doloroso.- lo sguardo di Jimmy parlò per lui.- anch’io mi sento parecchio filosofo oggi.- disse Greg con un moto d’ottimismo.- e se elucubrassimo davanti al pollo arrosto che ti ha portato tua madre?-

L’oncologo aggrottò la fronte.- e a te chi te l’ha detto che mia madre mi ha portato un pollo arrosto?-

-piccolo Jimmy, quante cose devi imparare.- rispose l’altro ridendo.- allora?-

Wilson rise, insieme a lui, annuendo lentamente.

 

 

 

Allison giunse a casa sue una manciata di minuti dopo. Parcheggiò e in un baleno e, rabbrividendo per il freddo, fu finalmente dentro il suo condominio. Prese le scale quindi percorse i corridoio color crema che l’avrebbe portata a casa sua.

Inserì le chiavi nella serratura del portone e, tirando un sospiro di sollievo, poté finalmente dire che anche quella giornataccia era passata. Appoggiò stancamente la borsetta al divano e si sfilò il cappotto, ancora godendo del buio della sua casa. Accese quindi la luce ma in un primo momento non si accorse di nulla.

La sua casa sembrava quella di sempre, avvolta dal silenzio, da quello squallido, rumosissimo niente che la faceva apparire sempre così uguale, talmente.. vuota che ogni volta che ne varcava la soglia le veniva quasi da piangere.

Non si accorse di nulla finché, sospirando, non si recò in cucina per cercare d’imbastire qualcosa che somigliasse anche vagamente ad una cena.

Arrivò lì e con grande stupore vide una rosa appoggiata sul tavolo.

Era una rosa rossa ed era lì, sul tavolo della sua cucina.

La mattina prima non c’era. Lei non ce l’aveva messa e dato che viveva sola nessun’altro aveva potuto farlo.

-ma che diavolo..- sussurrò, osservando il fiore, senza avere il coraggio di toccarlo.

Alzò gli occhi e vide che, oltre il suo tavolo, vicino alla porta a muro, c’erano altri petali. Guidata da uno strano istinto ma anche da un brutto presentimento, la ragazza seguì la piccola scia, aprì la porta che l’avrebbe condotta nel suo reparto notte.

Lì era ancora molto buio e lei, quasi tremando, accese l’interruttore.

Niente.

Sembrava tutto al suo posto, ad una prima occhiata.

Eppure se ci pensava bene, vedeva benissimo che era stato toccato tutto.

Il quadro era leggermente spostato, il tappeto un po’ storto e quel piccolo elefantino d’avorio, ne era sicura, aveva proboscide voltata di là, non verso sinistra, come adesso.

Sospirò impercettibilmente, imponendosi di non pensare nulla, di non autosuggestionarsi. Percorse il corridoio, ormai ben conscia che non avrebbe potuto chiudere occhio se non si fosse accertata che tutto era come doveva essere: vuoto. Che non ci fosse nessuno.

Con una lentezza quasi disarmante Cameron entrò in camera sua spingendone a stento la porta, scattando subito in cerca dell’interruttore.

E poi, tutto quello che non avrebbe mai voluto vedere.

La sua stanza era completamente a soqquadro, il letto sfasciato, i cuscini fatti a pezzi con una ferocia incredibile dato che tutte le piume erano volate per la stanza, condita anche da centinaia di petali di rosa. I suoi libri sparsi per il pavimento, i suoi armadi completamente svuotati dei suoi indumenti che giacevano lì, in mezzo, davanti ai suoi piedi.

Con orrore i suoi occhi viaggiarono oltre, sullo specchio distrutto, il quadro, il bellissimo ritratto che le aveva fatto suo padre quand’era bambina, completamente sfregiato.

Allison soffocò un singhiozzo, anche se avrebbe tanto voluto gridare non appena i suoi occhi verdi lucidi di lacrime di terrore incontrarono il muro della sua stanza. Neppure quello era stato risparmiato.

Con una vernice c’era stata scritta una frase. Cameron deglutì a fatica, quindi lesse mentalmente scorrendo con gli occhi, incredula.

 

Tu lascerai ogne cosa diletta

E quel che più ti graverà le spalle

Sarà la compagnia malvagia e scempia

con la qual tu cadrai in questa valle

 

 

Era terrorizzata, impaurita, completamente immobile davanti allo scempio che avevano fatto della sua camera eppure una parte di lei s’impose di non perdere la testa, di non lasciarsi sfuggire la sua tanto cara razionalità. Ricollegò subito la frase a Law, a Park, riconobbe la stessa mano folle, le stesse intenzioni omicide. Si guardò freneticamente intorno, pensò che lui avrebbe potuto essere ancora lì, nella sua casa, pensò che forse l’aveva aspettata, aveva atteso che scoprisse tutto questo per poi..

Non volle nemmeno finire il pensiero, corse solamente a ritroso per il corridoio, poi la cucina, con il cuore in gola e ancora incapace di accettare tutto quello che le stava accadendo.

Non riuscì nemmeno a capire come , ma afferrò le chiavi prima di scaraventarsi, correndo, per il corridoio, poi le scale, senza avere ancora la forza di piangere, pensare, ragionare..

Uscì finalmente dal suo odioso condominio e si gettò verso la sua auto. La raggiunse ma non riuscì subito ad infilare le chiavi nella serratura, il mazzo le scivolò dalle mani due volte , poi non centrava la serratura perché continuava continuamente a tremare.. riuscì finalmente a entrare e una volta all’interno chiuse freneticamente la sicura.

S’impose qualche secondo di pausa. Ansimava dal terrore e il fiato che usciva dalla sua bocca si condensava nell’aria . Non aveva preso il cappotto ma non aveva freddo in questo momento. Il cuore le batteva ancora prepotentemente in testa e la rendeva totalmente incapace di pensare.

Si passò una mano sugli occhi poi, sospirando, capì che non ce la faceva, che non riusciva a ragionare, che l’unica cosa che voleva veramente era scappare da lì, fuggire… già, ma dove? Non ci pensò subito, prima di tutto mise in moto, uscì dal parcheggio e sfrecciò via, nel buio di quell’assurda serata, senza una meta, senza pensieri.

Svuotata da tutto, confusa.. aveva bisogno di qualcuno, di parlare, di urlare, di sfogarsi.

Ma da.. chi? Lei non aveva nessuno.

In quel momento prese davvero consapevolezza della sua solitudine.

Non aveva nessuno.

Nessuno.

Poi, nella sua mente confusa s’affacciò un volto, un nome, una speranza. Imboccò la strada che l’avrebbe portata da lui e senza stare troppo a pensare a quello che avrebbero detto o fatto, si ritrovò, pochi minuti dopo, sotto casa sua, sotto l’abitazione dell’unica persona che avrebbe potuto veramente fare qualcosa per lei.

Parcheggiò ed entrò per il portone verde, sempre un po’ socchiuso.

Non fece nemmeno caso che lì, nel parcheggio davanti casa sua, la sua moto arancione non c’era.

Inspirando ancora a fatica, con addosso solamente un maglioncino e un paio di pantaloni neri, suonò al suo appartamento, con le lacrime agli occhi.

Aveva bisogno di lui.

*Apri, Greg* pensò, mentre attendeva con impazienza di udire una voce dall’altra parte dell’uscio. Anche qualcosa di sgarbato, non importava. Ma voleva sentire la sua voce.

Niente.

Suonò di nuovo, ma il risultato fu di nuovo il medesimo.

Cameron battè forte sull’uscio con la mano aperta, dicendo, con la voce un po’ roca.- House sono Cameron.. apri, è urgente!!-

I suoi sospiri divennero gemiti di pura angoscia, quando constatò che l’uomo non accennava ad aprire.- HOUSE!- gridò di nuovo, senza riuscire ad impedire che i singhiozzi la sopraffacessero del tutto.

Ormai il viso era rigato dalle sue lacrime che calde le solcavano la tenera pelle.- House..- sussurrò, constatando che evidentemente l’uomo non era in casa. Si asciugò le guance con il palmo della mano, tirò su con il naso, poi, distrutta, tornò mesta nella propria auto.

Non sapeva dove andare, cosa fare, che cosa pensare.

Aveva solo voglia di piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued..

 

Diomache.

 

 

 

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Capitolo 6
*** E il tuo cuore annega nell'orrore ***


Lacrime di Follia

Ciao a tuttiii!! Eccomi tornata.. mi scuso se non ho recensito in questi giorni le bellissime storie che stanno pubblicando ora sul web ma purtroppo ho avuto l’influenza e la febbre molto alta in questi giorni e il computer è stato un po’ off limits per me.. comunque ho trovato il tempo di scrivere un altro capitolo.. non appena ho visto House in tv mi sono praticamente fiondata in camera! Che bella puntata quella di venerdì.. (e che bella la scena finale^^!!!) ok, finito lo sfogo cottoncandy, riprendiamo con la storia..

È un capitolo direi importante perché segna una svolta anche se le risposte vere e proprie arriveranno dal prossimo..  che dire, leggetelo e fatemi sapere che ve n’è parso!!

Grazie mille a: _vally_, Mistral, Toru85, Damagedlove, Apple, Giuxxx, SHY, Hamburger (non preoccuparti per il lapsus, non fa nulla!!), Pinacchia, irene!!, Marty Mix, Vevy93, Brieseis, Dana, Nick, Ara5, Niniel, Mercury259 e Amarantab.

Grazie ragazzi per il vostro appoggio, non immaginate nemmeno quanto sia prezioso.. continuate a farmi sapere cosa ne pensate! 

Dediche: vorrei dedicare questo capitolo a Rue Meridian, Kate R ed Amarantab, un modo..(forse lo giudicherete un po’ stupido..)  per complimentarvi con voi per le vostre storie.. come ho detto non ho potuto recensirle ma le ho seguite e mi sono piaciute moltissimo!!!

Citazioni: il titolo è un verso di “Madrigale triste” di Baudelaire..

Buona Lettura,

Diomache.

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

Capitolo VI:   E il tuo cuore annega nell’orrore

 

 

 

 

 

 

 

Avremo letti pieni di leggeri odori

Divani profondi come tombe

Fiori strani sulle mensole

Aperti per noi sotto i più bei cieli

 

I nostri cuori saranno due gran fiaccole

Nello sprazzo a gara degli ultimi ardori

Come rifletteranno i loro doppi splendori

Negli specchi gemelli delle nostre anime!

 

Una sera fatta di rosa e di mistico azzurro

Ci scambieremo un unico lampo

Come un unico singhiozzo carico d’addii

 

Un Angelo più tardi schiuderà le porte

E verrà a rianimare, fedele e gioioso,

gli specchi offuscati e le fiamme morte

 

Baudelaire. (La morte degli amanti.)

 

 

 

 

 

Erano le sette e mezzo quando Greg House varcava le porte del Princenton Plaisboro, quella mattina. Cameron il giorno prima gli aveva fatto una bella lavata di capo ma non era certo per quello che lui si presentava puntualmente quel giorno. Anzi, nemmeno puntuale, proprio in anticipo. E un anticipo immotivato dato che non avevano casi particolari, né doveva occuparsi di scadenze improrogabili.

Niente.

Semplicemente, non ne poteva più di starsene a dormire sul divano di Jimmy.

La sera prima, a casa sua, dopo il buonissimo pollo arrosto e un miliardo di chiacchiere inutili, dopo aver deciso di lasciar fuori dalla porte i problemi dell’inesistente vita sentimentale di Greg e di quella di Jimmy, avevano avuto la bella idea di aprire un whisky nuovo di zecca che era stato regalato al padrone di casa per Natale. Anzi, Greg aveva avuto l’idea. Poi, sempre per idea sua, avevano chiamato al loro ‘party’ anche due vicini di casa di Wilson, avevano organizzato un piccolo poker e alla fine si erano ritrovati tutti e quattro ubriachi marci.

Lui e Wilson si erano ubriacati come due adolescenti, due ragazzini del liceo che inebetiti dai problemi scolastici e da inconfessabili turbi amorose avevano affondato la loro insofferenza nell’alcool.

Erano le tre quando House aveva aiutato Jimmy a sbattere fuori casa i due vicini completamente andati e le tre e mezzo quando Wilson aveva , da bravo dottore, decretato che un uomo che non riusciva nemmeno a prendere il bastone perché ne vedeva tre al posto di uno, fosse incapace di guidare una moto e per evitare di ritrovare House all’obitorio, il giorno dopo, invece che a diagnostica, lo aveva obbligato a rimanere.

Greg aveva protestato ribadendo che il suo divano era quanto c’è di più scomodo al mondo.

Wilson non aveva voluto sentire ragioni e per essere ancora più convincente era passato a parlare il linguaggio che un ‘manipolatore bastardo’ come House conosceva bene: quello del ricatto.

“ok. Esci da questa casa e non ti prescrivo Vicodin per un anno.”

Greg aveva fatto un centinaio di smorfie e di battutacce. “Jimmy ti amo anch’io, ma adesso farmi tornare a casa.. non mi sento ancora pronto per una convivenza, non credi che stiamo correndo un po’ troppo?”

“due anni.”

“se sei così geloso e credi che strada facendo incontri un oncologo più carino di te, perché non mi accompagni tu di persona?”

Ma Jimmy era stato irremovibile. “tre.”

E House non aveva avuto una gran forza di ribattere. Si era alzato e si era pesantemente addormentato sullo scomodissimo divano di James Wilson.

Ma non per tutta la notte. Alle sei e mezzo l’allucinante mal di schiena che sapeva l’avrebbe colto, l’aveva fatto svegliare e, senza nemmeno dirlo, non era più riuscito a chiudere occhio.

Così, dopo un’oretta, aveva deciso che si sarebbe recato in ufficio. Almeno lì si sarebbe rilassato, a quell’ora l’ospedale era ancora pressoché silenzioso e la sua equipe non sarebbe stata ancora presente, ne era sicuro.

Per questo, bastone e occhiali da sole, varcava la soglia del suo ufficio, con lo zaino a tracolla e l’aria di un uomo che ha passato una gran bella nottata avvincente.

Ma gli occhiali per poco non gli sfuggirono dal naso quando si accorse che l’ufficio non era silenzioso e deserto come l’aveva sognato.

Qualcuno dormiva beatamente sulla poltrona della sua scrivania.

E quel qualcuno era Cameron.

Si abbassò perfino gli occhiali da sole per essere sicuro che vedesse bene e.. no, non sbagliava era proprio lei. Dormiva, accasciata sulla poltrona, scomposta, i capelli scompigliati, lo sguardo apparentemente beato.. aggrottò la fronte, mentre mille domande s’affollavano nella sua mente. Innanzitutto: che diavolo faceva  lì? L’avevano vista, lui e Wilson, andare via l’altra sera, per quale dannato motivo era tornata?

E che nessuno gli venisse a dire che magari era venuta al lavoro presto e si era addormentata! Quello non era un pisolino di una persona un po’ stanca, quello era proprio un sonno profondo, di quelli che si fanno tra le lenzuola, non sulle poltrone degli altri!

E poi, altro particolare per nulla irrilevante: era vestita esattamente come la sera prima.

E questo non era davvero da Cameron. Con un sorriso divertito decise che il modo migliore per avere tutte quelle risposte era chiederle a lei di persona.

Quindi non si fece molti scrupoli a dare una bella pacca con il bastone sulla scrivania, così forte che la fece svegliare di soprassalto. Non appena la vide così sconvolta però si pentì leggermente del suo poco tatto. “sorgi e brilla bella addormentata!” esclamò in risposta al suo sguardo interrogativo.

Allison si passò una mano sugli occhi, si spostò la frangetta dalle fronte e, faticando ancora a trovare qualcosa da dire, si ricompose, sedendosi in maniera corretta. “ma che ore sono..” disse quindi, con la voce un po’ impastata e l’aspetto confuso.

“le sette e mezzo. – piccola pausa.- no, niente cinque minuti. In piedi!”

“si lo so.- rispose lei, un po’ acida.- questa è la tua poltrona..” bofonchiò, mentre si alzava dalla sedia.

House sorrise. “esatto. E per averne abusato fino adesso ti tocca la penitenza: devi rispondere a tutto quello che ti chiederò giurando di dire la verità, solo la verità, nient’altro che la verità.- la guardò, ridendo.- dite ‘lo giuro’ ”

Cameron negò con il capo. “tu non puoi smettere di fare l’idiota nemmeno per cinque minuti, vero?” l’amarezza per la sua travagliata nottata non tardò a farsi sentire. Notò gli occhiali da sole del suo capo. “notte brava?”

E lui notò la stanchezza del suo viso. “come la tua, credo. Ma dalla tua espressione immagino che questa volta Chase non si sia dato da fare al massimo di sé, eh?”

Allison corrugò i lati della bocca. Di nuovo, come parecchio tempo da questa parte, decise di rispondere con una battuta. “e la tua prostituta del venerdì sera? Fammi indovinare : ha voluto i soldi, ti ha riempito d’alcool e ti ha lasciato tutto solo a dormire sul divano?”

Questo gli strappò un sorriso. “carina questa.”

“grazie.- rispose Ally, un po’ tagliente.- a forza di stare con lo zoppo s’impara a zoppicare.”

“ehi, non ti pare di stare esagerando con tutti questi doppi sensi? Mi hai offeso!”

Lei scrollò le spalle. “era un proverbio. Non l’ho inventato io.”

House le sorrise di nuovo, fissandola intensamente. Vide un problema, infondo ai suoi occhi blu. “Chase a parte.- continuò.- Perché dormivi sulla mia poltrona?  Il tuo lettino non era abbastanza confortevole?”

Le immagini disastrate della sua camera da letto le ripiombarono davanti agli occhi con una violenza che non immaginava neppure. Distolse lo sguardo, sperando di riuscire a celare le forti emozioni che provava. Ma come si poteva nascondere un turbamento così forte ad House?

Non riusciva nemmeno ad inventare una balla decente. Si chiese perché avesse il bisogno di mentirgli adesso, mentre appena qualche ora prima aveva avuto bisogno che lui sapesse tutto.

Non aveva risposte. “niente.- disse, con la voce incerta.- niente che ti riguardi.”

Cercò di passare oltre ma Greg le bloccò il passaggio con il bastone. “obiezione vostro onore. L’imputato ha giurato di dire il vero, e questo è il falso. ”

“io non ho giurato proprio niente.- ribatté lei, debolmente.- e adesso lasciami andare..”

Abbassò l’ostacolo del bastone e passò oltre ma Greg la fermò di nuovo, questa volta con la sola voce. “che cos’è successo, Cameron?”

Una semplice, dolcissima domanda. Niente sarcasmo, niente stupide battute, niente curiosità.

Si leggeva quasi la preoccupazione nella sua voce.

I suoi occhi verdazzurro si posizionarono in quelli di Greg che la fissava intensamente, qualche centimetro più su di lei. House si rese conto solo ora che non era per una sciocchezza che lei era lì. Si accorse solo adesso della pelle lucida, sotto gli occhi, come se avesse pianto, e dell’espressione non solo stanca ma sconvolta.

Capì che era successo qualcosa e qualcosa di grave.

Allison si perse nei suoi occhi. Aprì la bocca per dire qualcosa.

L’improvviso bussare alla porta interruppe tutto quanto.

Greg sospirò, distogliendo lo sguardo, Allison si asciugò gli occhi e si sistemò i capelli, nervosamente. Cameron non fece nemmeno caso a Cuddy che, entrata nell’ufficio, aveva iniziato a spiegare loro che avevano un nuovo caso e a complimentarsi sarcasticamente con Greg per la sua strana puntualità.

Scavalcò Gregory e poi Cuddy, fissando il pavimento, senza vedere nessuno, oltre se stessa e il suo dolore.

Lisa l’osservò uscire dal suo ufficio. “ma che cos’ha?” chiese, un po’ infastidita dal suo comportamento.

“Non lo so.- rispose House, pensierosamente.- non lo so.”

 

 

 

Erano le dieci e mezzo ed Eric Foreman beveva dalla sua tazza di caffè, mentre i suoi occhi neri osservavano la lista dei sintomi che presentava la loro nuova paziente, scritta in bella vista sulla lavagnetta.

Accanto a lui, Chase era appoggiato al tavolo dell’ufficio, con il mento tra le mani, e gli occhi puntati su House che se ne stava beatamente accanto alla lavagnetta a fissare ciò che aveva appena scritto.

Cameron era tra loro. Ma solo fisicamente. Dopo quel piccolo momento con House in cui era quasi riuscita ad aprirsi, adesso si era chiusa a riccio, senza saperne nemmeno il motivo. Avrebbe dovuto andare da Smith, avrebbe dovuto dire a qualcuno quello che le era accaduto.. avrebbe dovuto.. i suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da uno strano colpetto sul capo.

Si risvegliò immediatamente e scoprì House accanto sé.

“toc toc. C’è nessuno??”

La giovane immunologa arrossì vistosamente rispondendo frettolosamente. “ehm sì, io..”

“Datti una svegliata.- l’ammonì il suo capo, molto più rudemente di poco prima.- o ti mando a fare le mie ore di clinica arretrate di un anno!”

Allison annuì, imbarazzata.

“allora..- continuò Greg.- nessuna idea per questa tizia?- si voltò verso la sua equipe.- bene, nemmeno io. Mandiamola a casa”

“i suoi sintomi non sono specifici.- finalmente intervenì Chase… con un intervento che forse avrebbe meritato di essere soppresso nel silenzio di poco prima.- insomma voglio dire.. febbre e dolori addominali.. potrebbe essere di tutto!”

House finse di pensarci su. “complimenti per l’acume. Io non ci avrei mai pensato.”

Foreman osservò un istante Allison, accanto a lui, notando con un certo sconforto che si era di nuovo rifugiata nei suoi problemi. La scosse leggermente prendendola per un polso. “ma che cos’hai?” disse sottovoce, mentre House e Chase intanto bisticciavano tra di loro.

Allison alzò lo sguardo verso il collega. Non seppe dove ma trovò la forza di sorridergli il più tranquillamente possibile. “niente. Sto bene.”

“ehi voi due!- Greg li richiamò subito dopo.- non avete sentito?? Io e Chase stiamo facendo un gioco. S’intitola: diagnosi differenziale. Non è difficile, dovete solo guardare i sintomi e cercare nel vostro cervelletto qualcosa a cui potrebbe corrispondere.- Foreman stava per dire qualcosa ma Greg l’interruppe prima.-  chi arriva per primo ad una diagnosi lo viene a dire a me, ok? Poi se è giusta vince un premio… se invece la paziente muore..” lasciò cadere la frase con evidente noncuranza.

Scrollò le spalle. “allora, siete ancora qui? Non voglio ipotesi idiote, filate a farle qualche decina di test!”

I tre paperotti si alzarono uno dopo l’altro e s’avviarono all’uscita.

L’ultima a farlo fu Cameron. Arrivò alla soglia ma si fermò prima. Pensò che quello era il momento giusto per parlarne ad House.

Si voltò verso di lui e lo vide intento a giocare con lo yo-yo, voltato verso la lavagnetta.

Avrebbe potuto chiamarlo, lui si sarebbe voltato. E l’avrebbe ascoltata.

Ma all’ultimo momento le mancarono le parole.

E il coraggio.

 

 

 

James usciva da una stanza di clinica dove era stato chiamato per un consulto e, passando per la hall, si dirigeva di nuovo verso il piano di oncologia. Si sentiva piuttosto stanco ma non poteva dare la colpa a nessuno se non a se stesso e a quando aveva accettato la proposta di Greg di quella dannatissima serata in cui aveva rifilato all’amico un po’ troppi ‘si’. Il primo era stato il meno pericoloso e il più piacevole: una cena tra amici non era una prospettiva così disastrosa e stare con Greg lo divertiva.

Il secondo era stato quando Greg gli aveva chiesto di aprire lo whisky.

E il terzo, il più disastroso, era stato quando House aveva pensato di fare un piccolo poker con i suoi vicini.

Cena. Whisky. Poker.

Una climax disastrosa.

E adesso, il giorno dopo, si ritrovava con un mal di testa allucinante, talmente forte che aveva dovuto prendere un paio di pillole per essere in sesto ed assicurarsi di essere in grado di svolgere il proprio lavoro.

Aveva visto House un paio d’ore fa. Alla faccia del bastardo che sembrava avesse bevuto camomilla invece whisky! Greg non sembrava avere i postumi di una sbornia, anzi, appariva quasi più acuto degli altri giorni.

Immerso nei suoi pensieri e nel suo mal di testa, si scontrò con qualcuno, proprio in mezzo alla hall.

“oh mi scusi.” Fu l’altro a scusarsi, immediatamente. Wilson rispose, con poca convinzione. “No, scusi lei.” diede una rapida occhiata all’uomo con cui si era scontrato, poi, con un sorriso di circostanza, fece per avviarsi verso l’ascensore quando fu proprio quest’ultimo a richiamarlo.

“ehm, mi scusi?”

James si bloccò e con un lieve disappunto si voltò verso di lui. “sì?” 

“mi dispiace disturbarla… ma.. sa per caso dove si trova l’ufficio della dottoressa Cuddy?”

Questa domanda lo interessò. Jimmy osservò bene il suo interlocutore. Era un distinto uomo sui quarant’anni, alto, brizzolato, un tipo affascinante ed estremamente elegante.. e gentile, anche. Forse troppo. Aveva detto tre ‘mi scusi’  in due battute. House avrebbe detto subito che era un ipocrita, pomposo e viscido leccac…

Lui odiava la superficialità di House. Ma questa volta non avrebbe sbagliato.

“.. – fece una piccola pausa prima di rispondere, dicendo.- .. e lei chi è, scusi?”

Non avrebbe dovuto chiederglielo, infondo avrebbe potuto essere chiunque. Ma qualcosa gli diceva che quello strano bellimbusto era collegato con l’altra sera e con ciò che la Cuddy aveva avuto da fare.

Era solo una sensazione, ok. Ma una sensazione fortissima.

L’uomo sembrò spaesato. Stette per parlare ma Jimmy lo anticipò, trovando in tempo una scusa per spiegare la sua insensata domanda. “è che non sembra un dipendente dell’ospedale.”

“infatti non lo sono.- ammise l’uomo con un sorriso naturale.- cerco la dottoressa per una questione.. personale, diciamo.- concluse e Jimmy credette  di leggervi un certo sadismo nella voce. Sperò di sbagliarsi.- mi sa dire dov’è il suo ufficio?”

Wilson, a malincuore, glielo indicò. L’uomo ringraziò, di nuovo, e si avviò come James gli aveva indicato, con un passo tranquillo e sicuro.

Gli occhi dell’oncologo lo seguirono per qualche tratto.

Poi, sbuffando, si diresse verso l’ascensore dove sarebbe dovuto entrare già da una decina di minuti.

Con il mal di testa, fatalmente triplicato. 

 

 

 

 

 

Smith svoltava in quegli istante, imboccando la strada che l’avrebbe presto portato al Princenton Plaisboro Teaching Hospital. Il cellulare squillò improvvisamente e l’affascinante poliziotto, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada, lo puntò sul sedile, alla ricerca del suo portatile.

Lo trovò subito dopo e aprì la chiamata “Smith.”  disse  riportando lo sguardo sulla strada ed aggiustandosi i reyban. Riconobbe immediatamente la voce di uno dei suoi dipendenti.  “ah, agente Michael.. ci sono novità?”

“sì.- rispose quello, trepidante.- siamo riusciti a prendere il nostro uomo.”

“spiegati meglio.” L’ammonì tagliente, il detective.

“siamo riusciti a beccarlo di profilo e anche frontalmente. La ripresa di una piccola telecamera all’entrata che avevamo sottovalutato.. si vede benissimo e abbiamo tracciato un identikit.”

Il sorriso del detective parlò per lui. Cambiò direzione e si diresse verso il distretto.

Finalmente un nuovo elemento in questa aggrovigliatissima matassa.

“bene. Sto arrivando.”

 

 

 

I tre moschettieri entrarono nell’ufficio di House pochi minuti dopo. Lo trovarono concentrato ed intento a giocherellare con il bastone e la sua pallina rossa. Da un po’ di tempo a questa parte sembrava che fosse diventato uno dei suoi passatempi preferiti.

La faceva rimbalzare al muro e la riprendeva nell’incavatura del bastone… macchinoso ed irrecuperabile perfino nei passatempi.

Foreman provò ad iniziare ma House lo zittì immediatamente. “shh.- l’ammonì.- sto per stabilire un record. Se faccio bene questo lancio arriviamo a trenta..”

Eric si voltò sconsolato verso i suoi colleghi. “interessante ma..”

“shh.- lo ammonì di nuovo, riprendendo la pallina.- trenta! Sono un genio!” la lanciò di nuovo. “fatemi arrivare a trentacinque, tanto non avete trovato niente e gli esami sono tutti negativi.”

I tre assistenti si scambiarono uno altro, paziente e sconfortato sguardo. House lanciò la pallina e la riprese di nuovo. “ trentuno!”

Chase sbuffò, irritato. “non è tutto come prima. Keyra ha avuto un’emorragia intestinale. I chirurghi l’hanno ripresa per le penne, credo che questo meriti un po’ del tuo interesse!”

Greg mancò il lancio questa volta. Terribilmente scocciato si rivolse al suo intesivista.

“me l’aveva detto Cameron che eri andato in bianco questa notte, ma non pensavo che ogni volta diventassi sempre più acido!- guardò la pallina.- Sei nei guai, ragazzo!” disse andando dall’altra parte dell’ufficio dove l’aspettavano la loro fedelissima lavagnetta.

Mentre passavano per la porta che collegava i due ambienti Chase lanciò uno sguardo interrogativo a Cameron che si limitò a negare con il capo, facendogli segno di lasciar perdere.

“allora.. il nostro piccolo Chase tutto incazzato ha detto che questo complica le cose. Invece per me le risolve.- si voltò verso di loro.- chi di voi sa dirmi perché?”

Cameron sospirò, alzando le spalle. Si sentiva completamente arida. I suoi problemi l’assorbivano e non riusciva a concentrarsi nel lavoro, era più forte di lei. Guardava House e non vedeva il suo burbero capo che esigeva il meglio da lei, ma l’uomo con cui avrebbe voluto confidarsi.

Foreman, invece, lucido e perspicace, disse, con un certo moto d’orgoglio nella voce. “la presenza di un’emorragia indica che si sono formate delle fistole e questo è un sintomo che potrebbe condurci al morbo di Crohn”

House annuì, orgoglioso quasi. “esattamente. Vince Foreman. Anche se praticamente giocava da solo.- concluse lanciando un’ultima frecciata ad Allison, assente.- bravo Eric, ti sei aggiudicato il premio.”

“un momento.- s’intromise Robert, non del tutto convinto.- dovrebbe presentare anche altri sintomi come la diarrea..”

“è un’adolescente, ha 16 anni.- intervenne Allison, debolmente.- sicuramente si sarà vergognata a dirtelo.”

“ehi, cosa odono le mie orecchie? L’angelica voce della mia immunologa! Quale prodigio!- diede un’occhiataccia a Chase.- ordinati un po’ di viagra, non so se preferisco tu incazzato o lei insoddisfatta!” non diede modo ad Allison di replicare perché continuò tirando a Foreman il suo cartellino. “congratulazioni, vecchio mio.”

Eric lo prese al volo. “ma cosa..”

“hai vinto tre ore di clinica, GRATIS. No, non ringraziarmi, te lo sei meritato!”

Robert, Allison ed Eric si passarono di nuovo un lungo sguardo.

 

 

 

Erano circa le sei quando Greg House si trovava a passeggiare qua e di là per la hall. “Jimmy!” esclamò, vedendo l’oncologo poco distante da lui, appoggiato ad una colonna. James non lo sentì affatto tutto impegnato ad osservare attentamente Lisa Cuddy che parlava animatamente e accompagnava uno strano dongiovanni all’uscita dell’ospedale.

Si avvicinò attentamente a lui, fino ad appoggiarsi alla sua spalla. “beta chiama alfa. Nemico identificato. Nome in codice: pallone gonfiato.”

Wilson si voltò verso di lui, con un sorriso allegro. “smettila.”

“alfa ecco il piano.- continuò Greg fingendo una voce metallica da ricetrasmittente.- prendi il bisturi e fagli vedere chi sei! Passo e chiudo.”

“quale parte della parola ‘smettila’ non ti è chiara?” continuò l’oncologo,non riuscendo a non ridere, però. Greg sorrise, spensieratamente. “sei geloso.” Decretò. “sei geloso perché la Cuddy ha un nuovo amichetto  che si veste molto più in tiro di te!”

“non dire cretinate.. io non sono geloso.. solo ero.. – cercò una parola adatta. Qual è quella che amava usare Greg in queste occasioni? Ah sì.- curioso. Ecco tutto.”

“le sei , la dottoressa Cameron va a casa.” la voce di Allison, poco distante da loro, interruppe la loro conversazione. Questa volta fu lo sguardo di House ad essere improvvisamente attento ed interessato. I suoi occhi blu si puntarono sulla sua dipendente che usciva dall’ospedale, senza lasciarla un istante.

“che cos’era quello sguardo?”

Greg non distolse gli occhi da lei. “qualcosa che non mi piace per niente.”

“non parlavo del suo, parlavo del tuo!- lo fissò un istante.-.. ma.. non dirmi che sei preoccupato! Greg sarebbe la prima volta dopo..”

Ma House non gli diede modo di continuare. Scivolò via dalla conversazione uscendo dall’ospedale e seguendo Cameron per il buio parcheggio sotterraneo. Wilson, vedendolo andare via, non poté fare a meno di farsi sfuggire un sorriso compiaciuto.

 

 

 

 

 

Allison scendeva le scale che l’avrebbero portata nel parcheggio sotterraneo. Doveva andare da Smith, raccontargli tutto, non poteva tenersi dentro qualcosa del genere.. diamine era in pericolo e la polizia doveva saperlo..  solo.. avrebbe voluto poterne parlare a Greg prima.

Non ne sapeva nemmeno il motivo ma.. voleva che lui sapesse. Forse perché non riusciva più a tenersi tutto dentro. Aveva bisogno di condividere quello che le stava accadendo con qualcuno.. e quel qualcuno doveva essere lui. Aveva bisogno che qualcuno si preoccupasse per lei. Che Greg si preoccupasse per lei.

Arrivò finalmente nel parcheggio. I suoi occhi viaggiarono alla ricerca della sua auto grigia metallizzata, nel silenzioso ambiente.

Troppo silenzioso.

Tirando un piccolo sospiro s’avviò tra la lunga fila di auto, mentre osservava con circospezione l’ambiente, così deserto. Possibile che non ci fosse nessuno che alle sei staccava il turno??

Un piccolo brivido le attraversò la schiena. Continuò a camminare, con il cuore in gola, sentendosi continuamente osservata, voltandosi improvvisamente da una parte all’altra, insicura, impaurita.

Sentì un piccolo rumore alle sue spalle e si voltò di scatto, ansimando e con gli occhi sbarrati. Niente e nessuno.

“Forse sto diventando paranoica..” si disse, ad alta voce. Decise comunque che doveva raggiungere la propria auto il più in fretta possibile.

Si voltò di nuovo per riprendere a camminare ma questa volta non poté farlo.

Sentì improvvisamente qualcuno che l’afferrarla per la vita, le mise una mano intorno alla bocca, poi si ritrovò sbattuta sgraziatamente contro un’auto, con una violenza tanto arrabbiata quanto inaspettata. Allison non fece nemmeno in tempo a realizzare cosa stava accadendo che si ritrovò una mano premere sul collo, ed impedirle quasi di respirare, oltre che gridare. 

I suoi occhi, terrorizzati, incontrarono la figura incappucciata di un uomo. “forse.- disse lo sconosciuto.- dovresti fare più attenzione quando cammini di notte.. tutta sola..”

Cameron cercò di dimenarsi ma la presa dell’uomo era più forte. Fece uno strattone più forte degli altri, riuscì quasi a liberarsi ma l’uomo la bloccò subito prendendola per un polso e quando l’ebbe di nuovo in pugno le girò il capo con uno schiaffo.

“non cercare di muoverti.- ruggì l’aggressore con disprezzo.- è tutto inutile. Il tempo è giunto. Manchi solo tu.”

Gli occhi della donna si riempirono di lacrime ma videro comunque, seppur in maniera un po’ appannata, il suo assalitore estrarre un pugnale.

L’immunologa percepì bene la fredda lama premere sulla giovane pelle del suo collo. Sentì il terrore attanagliare ogni singola fibra del suo corpo, ma trovò la forza di parlare anche se la sua voce non fu più forte di un sussurro.

“perché..- domandò, mentre le lacrime le scendevano sulle guance.- perché io.. che ti ho fatto..”

“lo sai.- gridò l’uomo prendendole le spalle e sbattendola di nuovo contro la vettura, più violentemente.- LO SAI!!” vociò premendo di nuovo l’arma sul suo collo. Cameron vide il suo aguzzino tremare, mentre diceva. “tu.. sei come loro.. io.. pensavo che tu.. ce l’avresti fatta ma.. la tua colpa è la stessa colpa degli altri.- era certa che, sotto il passamontagna, anche lui stesse piangendo.- anche tu meriti di morire!!”

Allison negò con il capo, incredula. Non voleva morire così, non voleva! Lei non aveva fatto niente! “no.- sussurrò, con la voce rotta.- ti prego, io non ho fatto niente…”

“l’avete uccisa..- la voce dell’uomo era rotta e disperata almeno come quella di Cameron. –l’avete uccisa e anche voi dovete morire..”

Brandì il pugnale.

Cameron chiuse gli occhi.

Addio, si disse. Non fece in tempo a pensare altro perché sentì un rumore sordo, fortissimo e poi più nulla. Attese con gli occhi chiusi che la lama la colpisse ma non avvenne.

Mentre un briciolo di speranza iniziava a farsi strada nel suo animo, la giovane aprì gli occhi e, incredula, vide House accanto a lei che brandiva il bastone con il quale sicuramente aveva colpito in testa l’assassino.

L’uomo giaceva a terra adesso, un po’ stordito, ma ancora cosciente. Lei ed House si fissarono per qualche secondo ma non poterono dirsi nulla perché l’assassino si rialzò presto e questa volta Greg fu costretto a colpirlo con un preciso, potente gancio, proprio nell’occhio destro dell’uomo.

L’aggressore cadde di nuovo ma questa volta non cercò di attaccarli nuovamente. Si rialzò e corse via, per il parcheggio deserto. Greg si mosse quasi per rincorrerlo ma si bloccò sul nascere, ricordando improvvisamente di non poterlo fare, di non poter correre, di non poter acciuffare il responsabile di due omicidi, l’uomo che aveva cercato di uccidere Cameron.

Impotente e furioso se ne stette lì, incapace di far altro se non di osservarlo correre via, finché non sparì dalla sua vista. Se non fosse stato per la sua maledettissima gamba..

“House.”

La voce rotta di Cameron lo riportò alla realtà.

Si voltò verso di lei, sconvolta e provata che se ne stava ancora appoggiata all’auto, incapace anche lei di muoversi, ancora attanagliata dalla paura. Greg non seppe cosa dire. Poi balbettò un incerto “come stai..?”

Cameron non trovò la forza di dire nulla solo lasciò che le lacrime le scivolassero lungo le guance. Annuì, lasciando che i singhiozzi la sopraffacessero. Stettero a fissarsi per altri secondi poi Allison non ce la fece più, si avvicinò a lui e l’abbracciò stretto, piangendo con il corpo attaccato al suo, bagnando con le lacrime la sua giacca, il suo petto.

Greg chiuse istintivamente gli occhi per qualche secondo. Era un’emozione nuova e fortissima.

Forse pari a quella che aveva provato quando aveva visto quel dannato bastardo alzare le mani su di lei. Aveva sentito un colpo allo stomaco e non c’aveva visto più. Si era scagliato contro di lui con una forza e una rabbia che quasi non pensava di possedere.

Lei era ancora stretta a lui ed era scossa da continui sussulti.

Lentamente si mosse per accarezzarle i capelli e il contatto fece rilassare la ragazza che si perse nella dolcezza di quel gesto. 

Durò pochissimo. Appena un secondo.

Poi lei si calmò e si staccò da lui. Era rossa in viso, ancora sconvolta e perfino imbarazzata per quell’abbraccio che aveva voluto con tutta se stessa e che alla fine aveva preso.

Lui la guardò intensamente. Non poteva pensare che appena un secondo, un piccolo secondo più tardi..

“io..” Allison provò a dire qualcosa ma fu come se le lacrime la sopraffacessero di nuovo.

“avanti. Dobbiamo andare da Smith” disse House recuperando il sangue freddo e il controllo della situazione. Cameron annuì, lentamente. Lui le prese le chiavi dalle mani e si avviò verso l’auto dell’immunologa, poco distante da lì.

Cameron lo seguì, ancora tremando.

House aprì la vettura, vi entrò ed attese che Cameron facesse altrettanto. Intanto si passò una mano sugli occhi, sospirando.

Adesso Smith non avrebbe potuto rifiutare di concederle protezione.

Sospirò di nuovo. Non sapere che stava accadendo lo angosciava. Non sapeva che diavolo voleva quell’uomo da lei, né cosa la legasse così a filo stretto con Law e Park e che la conducesse quindi inesorabilmente alla morte.

Ma in una cosa era certo. Era l’unica certezza che aveva al momento e l’aveva avuta poco fa,  quando l’aveva vista vicino alla morte, quando aveva capito che poteva non rivederla più, quando aveva sentito addosso tutto il dolore e la tristezza di una vita senza di lei.

Quando aveva capito.

L’amava.

Adesso ne era sicuro.

E nessuno l’avrebbe toccata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued.

 

Diomache.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Gioia e dolore hanno lo stesso sapore ***


Lacrime di Follia

Ciao a tutti!!

 

Inizio introducendovi il settimo capitolo della mia storia.. la prima parte può considerarsi una song fiction perché la nottata insonne di House e Cameron è scandita da alla canzone “Sorry seems to be the hardest word.” Di  Elton John.

 

Non so se vi piacerà come ho strutturato questa prima parte, nella mia mente l’immagine era quella di osservare i pensieri e le azioni di House e Cam, entrambi sconvolti dall’accaduto e dai loro sentimenti.. è un po’ un esperimento condito anche di flashback che spiegano come si è sviluppata la serata dopo l’aggressione.. sta a voi giudicare!

 

Per il resto è il mio consueto stile…

 

Un grazie a tutti i lettori e in particolare ai miei preziosi recensori: amarantab,  Hamburger, Sheila ( ti ringrazio per la rensione, troppo buona! Sono contenta che le citazioni ti siano piaciute, sono tratte da alcuni dei miei autori preferiti!) Venus, Amy, Cate, Toru85, SHY, Mistral, Levity, Nick, Pinacchia, Apple (thanks, my friend!) mercury259, Briseis, Dana (ciao Dana, grazie per aver commentato.. hai ragione il comportamento di Cam poteva sembrare un po’ strano.. ti risponderei ma lo farà House durante il capitolo, non ti voglio anticipare nulla!)_vally_ ( ciao.. sono contenta che anche non essendo Cotton questa storia ti piaccia.. kiss, grazie per la recensione!) Meggie, EriMD, Damagedlove, Rue Meridian, Coco Lee (ciao, grazie innanzitutto per aver recensito. Accolgo con piacere le tue osservazioni riguardanti il mio stile di scrittura, ne farò tesoro, cercando di migliorarmi! Sono la prima a dire che a tratti tendo ad essere un po’ prolissa, spero di correggere questo mio difetto.. in camera ho anche appesi i 38 consigli di scrittura di Eco, ma seguirli.. ah, è tutta un’altra cosa!) aras5, Nathaniel (sei sempre troppo gentile, Nat! Grazie infinite!) Giuxxx e Miky91.

Ho lavorato moltissimo a questo capitolo ed è inutile dirvi che spero che mi farete sapere che ne penserete, aspetto i vostri pareri!!!

Ah! Mi scuso con i sostenitori di Wilson/Cuddy ma non sono riuscita a trattare del loro rapporto.. avrei sfornato 15 pagine e mi sembrava troppo lungo.. ci rifaremo nel prox!

Il titolo è tratto dalla canzone “Ti scatterò una foto” di Tiziano Ferro.

Buona lettura, un bacio.

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo VII:  Gioia e dolore hanno lo stesso sapore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Lasciarsi illudere, diranno i saggi, non è bello.

Non lasciarlo fare, dico io, è ancora peggio.

Chi crede che la felicità dell’uomo dipenda dalle circostanze reali è completamente fuori strada. Dipende dall’opinione che si ha delle cose. La felicità sta in quel che si crede.”

 

 

Erasmo da Rotterdam. “Elogio della Follia.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il buio della sua stanza sembrava ovattare ogni singola cosa, ogni singolo rumore, come se quello fosse un piccolo ed irraggiungibile limbo di silenzio. E lui era lì, seduto sul placido piumone del suo letto, con l’aspetto assorto e l’unica compagnia di una bottiglietta di birra ormai mezza vuota che ogni tanto portava stancamente alle labbra per rubare un sorso.

 

What have I got to do to make you love me
What have I got to do to make you care

 

Uscì dalla doccia. I suoi occhi verdi incontrarono quasi per caso l’orologio a muro che aveva nel bagno e che indicava che erano passate da poco le tre e un quarto. Si avvolse nel suo accappatoio bianco, prese un asciugamano ed iniziò a frizionarsi i capelli bagnati, con metodica apatia. Odiava non riuscire a dormire.

 

What do I do when lightning strikes me
And I wake to find that you're not there

 

House fece un altro piccolo sorso della sua bevanda, poi la sua attenzione si rivolse a quei due enormi volumi che aveva appoggiato al comodino. Si trattavano dei casi e della vita professionale di Park e Law. Li aveva chiesti esplicitamente a Smith e dopo qualche ‘convincente’ argomentazione riguardo la loro inettitudine, il detective, pur se a malincuore, glieli aveva consegnati.

Per un attimo accarezzò l’idea di aprire uno dei tomi ed iniziare a leggere qualcosa ma subito dopo ricordò che erano le tre di notte passate e dubitò di poter essere lucido per studiare a fondo i documenti. No. l’avrebbe fatto domani. Durante l’orario di clinica ad esempio.

 

What do I do to make you want me
What have I got to do to be heard

 

Ancora bagnata ed un po’ infreddolita, Allison uscì dal bagno, passeggiando per l’abitazione, avvolta nell’ombra della notte. Passò davanti alla sua camera da letto, chiusa dagli agenti tramite dei plasticati nastri gialli per impedire a lei e a chiunque altro che non fosse della polizia scientifica di metterci piede: avrebbero potuto inquinare qualsiasi tipo di prova.

Per la verità lei non sarebbe dovuta rimanere a casa sua: era troppo pericoloso. Quella era l’ultima notte che passava lì, poi si sarebbe dovuta trasferire in albergo o da qualsiasi altra parte. Non era al sicuro tra le mura del suo appartamento dato che l’assassino sapeva come entrare e come muoversi nel palazzo senza nemmeno essere notato dal custode.

Si prese un bicchiere d’acqua e ancora rifiutandosi di accendere la luce arrivò in salotto. Si appoggiò alla finestra, scostò le tende e sorseggiando la sua bevanda, osservò stancamente l’auto della polizia che, in borghese, sorvegliava il suo appartamento.

 

What do I say when it's all over
And sorry seems to be the hardest word

 

Greg spense la luce, ritornando nel buio che tanto amava. Purtroppo però non poteva avere il silenzio di prima. La luce aveva svegliato Steve Mc. Queen che, infondo alla camera, aveva preso a correre per la sua rotella. Dannato topo.

        

It's sad, so sad
It's a sad, sad situation

 

 

Cameron si accasciò  sul divano, stanca e sfibrata. L’interrogatorio con Smith era stato lunghissimo e, dal suo punto di vista, assolutamente improduttivo. Quell’uomo le aveva fatto ripetere ben tre volte le dinamiche dell’aggressione e lei che sperava di poter cancellare dalla mente il più possibile di quell’esperienza, dopo un’ora di repliche si trovava a ricordare ogni  singolo atroce dettaglio.

 

And it's getting more and more absurd
It's sad, so sad

 

Il rumore continuo di Steve sulla rotella della propria gabbia lo portò con la mente alle immagini della confusa serata che aveva trascorso, dall’interrogatorio alla accozzaglia che regnava nell’appartamento di Cameron, invaso dalla polizia.

Bevve di nuovo, pensando allo scempio che aveva trovato nella sua camera.

L’aveva contemplato per minuti interi, intimamente scosso, mentre leggeva la frase scritta sul muro cercando di captarne il difficile significato, la sua sterile osservazione era stata interrotta solo da lei che si era dolcemente avvicinata a lui, quasi esitante.

 


It's a sad, sad situation

Why can't we talk it over

 

 “House.”

All’inizio non si era neppure voltato. Aveva solo detto, freddamente. “sì, domani puoi prenderti il giorno libero.”

Lei era rimasta sorpresa. “non era quello che volevo dirti.”

“lo so.- aveva sospirato.- Puoi prenderlo comunque.”

“preferisco lavorare. Ho bisogno di impegnare il mio pensiero in qualcosa di diverso dal casino che sta sconvolgendo la mia vita.”

Greg aveva pesantemente annuito, senza distogliere lo sguardo dal muro e dal suo enigma.

Cameron, un po’ in difficoltà, aveva ripreso, giocherellando pazientemente con le mani. “io..”

Ma lui l’aveva interrotta di nuovo. “perché non sei andata subito da Smith?”

Questa domanda l’aveva spiazzata. Non riuscì a trovare una risposta convincente nei secondi che seguirono. Poteva dirgli che l’aveva disperatamente cercato quando era avvenuto il fatto e che voleva sfogarsi con lui prima che con qualcun altro?

Ma forse non era solo questo.

“io..- balbettò, esitante.- io ero sconvolta.. forse avevo bisogno di parlarne con qualcuno prima di andare dalla polizia..”

Greg la guardò negli occhi per la prima volta. “ma non ne hai parlato con nessuno alla fine, giusto? Se un pazzo entra in camera mia e fa questo putiferio, io la prima cosa che faccio è chiamare la polizia, poi cerco l’amichetta del cuore per parlarne.”

Allison era rimasta, perplessa, in silenzio. Forse aveva ragione.

“no, non è per questo. Tu hai avuto paura che tutto diventasse reale.”

 Lei lo guardò, interrogativa. E lui aveva proseguito. “ finché  qualcosa è confinato solamente nella nostra mente ha uno spessore diverso.. è come se fosse solo nostro e una parte di noi si rifiuta ancora di credere che esso abbia una consistenza reale. Ma quando lo diciamo a qualcuno, quando qualcuno ha la possibilità di vederlo.. sappiamo che non è più solo un prodotto della nostra mente. Fa parte del mondo sensibile, ed è VERO.”

Lei aveva abbassato lo sguardo, un po’ scossa, mentre lui proseguiva. “ e non abbiamo più alibi e rifugi.”

 

Oh it seems to me
That sorry seems to be the hardest word


 

Allison si distese sul divano. Era ancora un po’ bagnata e indossava solamente l’accappatoio, ma i riscaldamenti erano alti e non aveva affatto freddo.  I suoi occhi andarono per caso alla cartellina che Smith le aveva consegnato. Dentro c’era l’identikit del suo assassino. In commissariato l’aveva osservato e aveva confermato che era lui l’uomo che l’aveva aggredita. Smith gliel’aveva lasciato, sperando che osservandolo con attenzione, Allison avesse potuto rintracciare un filo di ricordi che la ricongiungesse a lui. Ma lei non aveva ancora avuto il coraggio di farlo.

Aveva paura.

Si sentiva fragile, spaventata anche da quella grande casa talmente vuota che quando tutti se ne erano andati ed era rimasto solamente House, lei aveva provato l’impulso incredibile di chiedergli di restare. Non voleva di nuovo quel silenzio assordante intorno a lei.

E voleva lui.

 

What do I do to make you love me
What have I got to do to be heard

 

Smith e i poliziotti avevano levato le tende da un paio di minuti e lui non era voluto rimanere un secondo di più. Era giunto alla porta, continuando ad imperversare nel suo silenzio. Poi, quando aveva visto che Allison stava per parlare, la bloccò, sgarbatamente.

“Alt! Non dire niente!”

“ma.. non sai nemmeno quello che volevo dirti.”

“quello era lo sguardo di quando stai per dire qualcosa di terribilmente patetico. E io non ne ho alcuna voglia.”

Lei aveva annuito. Per quanto avesse bisogno di conforto, le andava bene così. Era House. Non poteva sperare di cambiarlo, né desiderava realmente farlo.

“ci vediamo domani.” House aveva oltrepassato la soglia, a testa basta, indifferentemente quasi.

“House.” Nonostante tutto l’impulso di richiamarlo era stato più forte.

Greg si era voltato roteando gli occhi. “Cameron ti prego! È già imbarazzante così se ci mettiamo pure a piangere, dove andrà a finire la mia reputazione da duro?” il suo sarcasmo l’aveva fatta sorridere.

Voleva ringraziarlo ma decise di non dire nulla. Si limitò a sorridergli, dolcemente.

Lui la fissò per qualche secondo poi proseguì per il corridoio, con in mente ancora il suo splendido sorriso.

 

What do I do when lightning strikes me
What have I got to do

 

Cameron chiuse gli occhi.

Pensava a lui.

Anche se facendolo sentiva la solita piccola punta di dolore. *Greg, che cosa dovrei fare perché tu m’amassi… ?* Riaprì gli occhi, e due piccole lacrime le scivolarono lungo i lati delle guancie.

 

 

What have I got to do
When sorry seems to be the hardest word

 

 

La birra era tragicamente finita e Greg si ributtò tra le coperte.

Ma già sapeva che non avrebbe dormito.

A causa sua?

Forse sì. Allungò il braccio nella fredda parte vuota accanto al suo letto. E per un attimo la volle lì.

L’immaginò prona, appoggiata ai gomiti e il capo lì, sorretto nel palmo della mano. La testa inclinata da un lato e gli occhi ridenti che lo fissavano con un’espressione brillante e maliziosa.

Gli piaceva immaginarla così, con lo stesso sorriso divertito e un po’ ironico con cui lo aveva salutato poche ore prima.

Sbuffò e  scostò le coperte in un irato gesto di stizza.

Dannazione, no, non poteva amarla.

Non doveva accadere di nuovo.

 

 

 

Cameron sapeva benissimo che il giorno dopo non sarebbe stato facile. Lei era l’attrazione del momento, la dottoressa dolce ed indifesa aggredita nel parcheggio e che era stata salvata per miracolo dal suo grande eroe Gregory House. Wow..

Lo capì subito quando, non appena varcò le porte del PPTH, incontrò  lo sguardo attonito, meravigliato e curioso di mille dipendenti, di infermiere e persino pazienti che, seduti nella sala d’aspetto con il quotidiano in mano, osservavano stupefatti la foto sul giornale e l’originale in carne ed ossa, aprendo la bocca per lo stupore.

*Cominciamo bene* pensò l’immunologa roteando gli occhi ed infilandosi nell’ascensore prima che qualcuno potesse anche solo pensare d’avvicinarla per chiedere qualcosa del suo terribile incontro. Grazie a Dio ( o qualsiasi cosa c’era lassù, ammesso che ci fosse qualcosa) l’ascensore era vuoto e lei ne approfittò per qualche minuto di relax poi tirò a testa bassa fino all’ufficio di diagnostica.

Pensava di essere salva. Ah, il bello doveva appena iniziare..

Chase, non appena lei varcò la porta, scattò in piedi con uno sguardo decisamente allarmato. “tu.. sei qui?”

Allison lanciò uno sguardo a Foreman, anche lui presente nella stanza.

“già. Sono ancora viva, non hai letto il giornale?” trovò rifugio nel sarcasmo. House docet..

Robert si corresse immediatamente. “No, intendevo..-sospirò.- pensavo che ti saresti presa un giorno libero.”

“ti sbagliavi.- decretò lei, un po’ nervosa.-  allora.. nessun nuovo caso?”

Eric sospirò, mascherando una lieve preoccupazione. “forse avresti dovuto stare a casa. Sei ancora scossa,  ed è comprensibile.”

“io sto bene.” Disse lei, sorridendo un po’ forzatamente. “ed ho bisogno di lavorare. Starmene in albergo e pensare che c’è fuori dalla porta un pazzo che vuole il mio sangue, non mi aiuta.”

Calò uno strano, nervoso silenzio durante il quale Chase e Foreman si scambiarono un tacito sguardo d’assenso.

“ed House?” la voce di Cameron suonò anche un po’ insofferente. 

“il tuo salvatore ha deciso di prendersi un giorno di relax.- iniziò Eric, irritato.- dato lo sforzo ha decretato che se ne starà a dormire sulla poltrona di Wilson e.. ah, ci ha augurato buon lavoro.”

Allison sorrise involontariamente. Non sapeva se sentirsi sollevata perché così non avrebbe avuto l’imbarazzo di incontrare di nuovo i suoi occhi oppure condividere l’irritazione di Foreman perché il loro capo ancora una volta snobbava il lavoro.

Ad ogni modo, il pensiero di un paziente l’avrebbe tenuta occupata per parecchio.

“allora.- riprese- questo nuovo caso?”

 

 

 

James Wilson finì di scorgere i risultati della biopsia della sua paziente. Arrivò alla fine del documento quasi con un moto di speranza, speranza che si infranse miseramente all’ultima riga del foglio dove era chiaramente indicato che il paziente era terminale.

Sospirò e mise mano alla maniglia della porta del suo ufficio, entrando subito dopo.

Alzò lo sguardo quasi per sbaglio e sgranò gli occhi trovando House seduto beatamente sulla sua poltrona, con tre o quattro grandi volumi appoggiati alla scrivania con lo sguardo assorto in uno di questi schedari e in mano il solito bicchiere di plastica, con la cannuccia, contente della salutare coca cola.

“e tu che diavolo ci fai qui?” nonostante l’irritazione il suo tono suonò piuttosto d’ironia.

“studio.” La risposta laconica di lui. “la gente è ignorante e tocca a noi poveri geni rimediare per tutti.”

“oh, suppongo che debba ringraziarti.”

House non rispose nulla ma si lasciò portare via da un sorriso di divertimento mentre gli occhi non lasciavano il grande schedario che stava leggendo.

James sospirò, affondando le mani nelle tasche del camice. “e come mai hai deciso che dovevi erudirti proprio nel mio ufficio?” domandò alzando le sopracciglia. E l’altro, staccando per la prima volta gli occhi dallo schedario e facendo un sorso di coca cola. “ho provato in clinica. ma un bruttissimo dragone cattivo mi ha cacciato via.” piagnucolò fingendo la voce di un bambino.

“ok.- continuò l’altro.- e che mi dici del tuo studio? Sai, non so perché mi portava la testa che ne avessi uno tuo anche tu.”

Greg fece una piccola smorfia di fastidio. “la Cuddy ha assegnato ai paperotti il complicatissimo incarico di scoprire cos’ha un bambino con il naso gocciolante. Immagino che saranno tutti e tre a contendersi il nobel quindi non volevo disturbare..”

Jimmy annuì, soprappensiero. Poi però, come se i calcoli non gli tornassero: “cosa.. tutti e tre?- esclamò.-  Vuoi dirmi che lei è venuta in ospedale?”

House sorrise. “ieri sera mi ha detto che sarebbe venuta. Vuole tenersi impegnata..”

L’oncologo sospirò. “sarà sconvolta. Non riesco nemmeno ad immaginare..”

“io sì.- l’interruppe Greg con un sorriso beffardo.- ed ora se vuoi scusarmi, sono molto impegnato.”

Jimmy trattenne una battutaccia. “e se possibile, posso sapere che cosa di tiene incollato alla mia poltrona? Un trattato scientifico sulle forme di deficienza?”

Greg sorrise, inclinando la testa di lato. “è una cosa complicata. L’acronimo è : schedari di Park e Law.”

L’amico affondò pesantemente le mani nelle tasche del camice. “ok.. la polizia non li ha esaminati?”

“Smith non c’ha trovato nulla. Ma questo non vuol dire che non ci sia nulla.”

“certo. Lui è un poliziotto che ne capisce di queste cose.”

Greg finse di non aver colto il sarcasmo dell’amico, riprendendo la sua affermazione. “è quello che ho  pensato anch’io. Qui si parla di referti medici, di pazienti, di anni di carriera medica. Un detective non ci troverebbe niente di anomalo. – fece una piccola pausa strategica.- io sì.”

Jimmy s’arrese, annuendo. “fa’ come ti pare. Vado a fare il dottore, io.”

House lo salutò con un piccolo sorriso ironico poi, non appena la porta si fu richiusa, i suoi occhi blu ricaddero di nuovo tra le righe di quei noiosissimi schedari.

 

 

 

Era pomeriggio inoltrato quando i tre dottori si ritrovarono nel loro ufficio, quando, seduti davanti alla lavagnetta dei sintomi e con i risultati dei test alle mani, le mille idee che circolavano ancora confuse nella loro mente iniziarono finalmente ad avere una parvenza di significato e poi alla fine, in un crescendo d’ipotesi, di smentite e supposizioni, finalmente arrivò la risposta.

Questa volta uscì proprio dalla bocca di Cameron che, iperattiva ed energica come non lo era mai stata, aveva preferito buttare tutta la concentrazione e l’energia nel caso e aveva raggiunto l’amata soluzione prima dei suoi colleghi.

Il caso era complicato, non interessante come di quelli che attiravano il genio perverso di House ma abbastanza tosto da tenere impegnati per quattro o cinque ore di tempo e fatica, tre dei migliori specialisti del New Jersey. Avevano finito da pochi minuti quando la porta dell’ufficio si era spalancata e niente di meno che Greg House aveva fatto il suo ingresso.

“ehilà, paperotti. Come andiamo con il raffreddore?”

Foreman sospirò alzandosi dalla sedia. “ti sbagliavi.  Non era raffreddore.” rispose alla battuta con un tono tagliente che divertì il principale.

“arg. Lo sapevo che mi stava sfuggendo qualcosa.”

Chase non poté trattenere un sorriso e per questa bell’uscita si beccò anche un pungente sguardo da parte del nero.

“ehi.- mormorò House non trovando la dolce silhouette di Cameron nella stanza.- manca qualcuno qui.”

“Cameron è uscita dall’ufficio da un pò.” Rispose Robert, distrattamente.

“e sapete dove andava?” domandò House avanzando verso il tavolo dove appoggiò i due grandi volumi che reggeva nelle mani. I due negarono.

“esseri socialmente inutili.” Brontolò House roteando gli occhi ed uscendo subito dopo dall’ufficio.

Pazienza, si disse.

Tanto lui sapeva dove trovarla.

 

 

 

Cameron era proprio dove immaginava. In bagno, seduta sulle panchette di legno dove si rifugiava spesso, ad esempio quando avevano avuto il caso di quell’anziano scienziato.

Ebbene ecco, era lì anche adesso, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo rivolto verso il pavimento dove era appoggiata la foto del suo assassino o meglio l’identikit che le aveva fornito Smith.

Il suo arrivo le fece alzare appena lo sguardo. I suoi occhi verdi furono nei suoi occhi e per un attimo Greg sentì di nuovo quel piccolo buco allo stomaco.

“niente?” domandò  rivoltò alla foto.

Lei si scompigliò i capelli, con un fare stanco. “niente.” ripeté, laconicamente. Si era rifugiata da circa una mezz’oretta  perché finito l’impegno per il caso erano tornati i brutti pensieri e aveva deciso di concentrarsi sulla foto. Ne riconosceva i lineamenti, gli occhi disperati, ma niente, non riusciva a collegarlo con qualcuno lei conoscesse, o comunque a qualcuno che avesse incontrato prima di quella tragica sera.

House si sedette pesantemente sulla panchina di fronte a lei, appoggiandosi anche lui alle ginocchia. Cameron alzò lo sguardo e se lo ritrovò a pochi centimetri dal naso, con suo immenso stupore.

“non ti ricorda nulla, eh? Ok .. proviamo con i nomi. Che mi dici di William Higt?”

Cameron lo guardò interrogativa. “William Higt?” e dopo aver ricevuto un segno d’assenso da parte del suo capo, frugò nella memoria, ma a pelle quel nominativo non le evocava nessun ricordo immediato. “no, niente.- sospirò.- ma chi è?”

“ho dato una sbirciata agli schedari. Park e Law hanno avuto un paziente in comune. Proprio questo tizio.”

“interessante.” Commentò lei, anche se senza molto entusiasmo.

“comunque questo Hitg non è direttamente un paziente di entrambi. è più corretto dire che sua figlia Chrystal è stata una loro paziente. Parliamo di tre anni fa. Chrystal Higt è stata ricoverata all’ospedale di New York, reparto oncologia, paziente di Park.”

“per quale patologia in particolare?”

Greg inarcò un sopracciglio. “leucemia. E una forma si direbbe piuttosto grave.. uno stadio della malattia avanzato. La diagnosi di Park fu chiara. Alla bambina restava poco più di un paio d’anni.”

“e un trapianto di midollo osseo?” domandò candidamente lei.

“non fu preso in considerazione, secondo il referto di Park la malattia era troppo avanzata perché un trapianto cambiasse le cose.” Lei annuì, gravemente. “e questo con Law che collegamento ha?”

“c’entra perché dopo un paio di mesetti questo bellimbusto non soddisfatto della sentenza di morte di Park, approda nella clinica Mayo, con la bambina, e la porta a far visitare da.. indovina un po’ chi lavorava lì prima di atterrare al nido della Cuddy??”

Allison si passò una mano tra la frangia scompigliandosela un po’. “Law..” sussurrò.

“non solo lui.- lesse il suo sguardo stupito.- anche tu.”

Cameron sorrise, un po’ incredula. “e questo che cosa centra?”

“niente. A meno che tu non ricordi di aver mai avuto a che fare con tutto questo.”

Allison sospirò. “io lavoravo come specializzanda con il dottor McLuise.- Greg fece per replicare ma lei proseguì dicendo.- che è morto due anni fa. Cancro al fegato.”

House annuì, lentamente. “Chrystal Higt è l’unica cosa che colleghi i due dottori.”

“ma non collega me.”

“non infierire.- piagnucolò.-  speravo che tutto questo avrebbe potuto ricordarti qualcosa.. Sai com’è.. spes ultima dea, dicevano i romani. ”

Lei fece una piccola smorfia. “no, non mi dice nulla. Ma potresti parlarne a Smith. Magari qualcuno potrebbe riconoscere quell’uomo e…”

Greg l’interruppe con un gesto grave. “ma non capisci che ormai sta solo a te risolvere le cose?- prese la foto dal pavimento e la piazzò sulle gambe di lei.-  possibile che non ti dica nulla? Quest’uomo stava per ucciderti!”

Allison lo fulminò con lo sguardo. “lo so, House. C’ero anch’io.”

“bene, allora rifletti.- il suo tono era un po’ aspro ma non se ne curò..- gli occhi, l’espressione, la bocca.. quello che diavolo ti pare, ma fruga, pensa, Cameron! Non è un tipo qualsiasi che dall’oggi al domani ha deciso di fare strage di camici bianchi! È il tuo assassino.”

Gli occhi dell’immunologa non smettevano di essere nei suoi. 

“la risposta è nella tua memoria. Tu questo uomo lo conosci già.” Concluse il diagnosta, fissandola intensamente.

Lei rimase piuttosto scossa ma non disse nulla all’inizio. Poi, deglutendo a fatica, replicò. “ non credi che io stia male abbastanza per quello che sta accadendo? Non credi che guardare questa persona e non trovare niente di significativo nella mia memoria mi faccia stare male?”

House sospirò. La distanza tra di loro ormai era davvero minima. Gli occhi blu del diagnosta si posarono su un piccolo elenco telefonico, proprio accanto alla ragazza. “che cos’è quello?” domandò, incuriosito.

“sto cercando una camera.- disse.- non posso più tornare a casa mia. Ho anche preparato le mie cose..” mormorò nascondendo il suo sguardo a quello dell’interlocutore.

Greg notò una piccola valigia, poco distante da lì. “non sarai al sicuro in un albergo. Lo sai questo? ”

Gli occhi dei si riempirono di lacrime ma non disse niente. Rassegnata, come chiunque che non abbia altra soluzione.

Ma lui aveva la soluzione.. solo non osava pronunciarla. Abbassò lo sguardo, un attimo, esitante. No. Non poteva tollerare l’idea di saperla in pericolo.

“prendi le tue cose” disse, con un filo di voce.

Allison strinse gli occhi, incuriosita. Dove voleva arrivare?

“vieni a stare da me.”

Dovette assicurarsi che il suo cervello avesse la spina attaccata alla presa un paio di volte perché altrimenti non avrebbe mai pensato di aver sentito bene. House.. le chiedeva di andare a stare a casa sua…?

“ma..- balbettò lei, confusa.- noi lavoriamo insieme e..”

“infatti rimarrà tra di noi, non lo saprà nessun altro. Non c’è la camera degli ospiti ma in compenso ho un divano confortevole.. ah, e non andare ad informarti da Wilson, altrimenti un’ora dopo giungerà alle orecchie della Cuddy.”

Allison negò con il capo. “House.. tu credi che questa situazione sia.. gestibile…?” lo fissò intensamente sperando che gli arrivasse il suo messaggio.

“non credo che tu abbia altre soluzioni. Non puoi tornare a casa tua e..”

“posso andare in albergo.”

“sì, e ci troveresti il tuo amichetto entro un paio di ore. Non hai i genitori qui vicino e qui non hai amiche tanto strette da poterti ospitare altrimenti saresti corsa a casa loro già qualche giorno invece che sonnecchiare negli uffici degli altri.- fece una piccola pausa.- Mi urta trovarti a dormire sulla mia poltrona.”

“e che mi dici del tuo divano?” domandò lei, senza nemmeno accorgersi che stava proseguendo il suo gioco di battute.

“è diverso. Non sai quanta gente ci è passata lì...” lasciò cadere la frase con un’espressione chiaramente maliziosa.

Il sorriso di Allison si smorzò quasi seduta stante.

“bene.- disse lui, trionfante.- ci vediamo più tardi, tanto credo che tu sappia dove abito.”

Lei, annuì, pensierosa.

I suoi occhi verdi lo seguirono finché lui non uscì dal bagno. Si chiese, esitante, se avesse fatto bene ad acconsentire a quell’idea tanto bislacca quanto emozionante.

Sapeva che era una soluzione temporanea ma non riusciva ad impedire al suo cuore di battere all’impazzata nel suo petto o di avere i brividi alle gambe e uno strano buco allo stomaco. L’interessamento di House per la sua incolumità la portava a fare pensieri sempre più strani, ad immaginare, sognare quasi.

Ad illudersi.

Era sempre così con lui. Quando meno se l’aspettava arrivava un suo interessamento, una parola, anche piccola, che la faceva sognare..

Ma questa volta sarebbe stato diverso. S’impose di non fare niente di tutto questo.

Un’altra delusione non l’avrebbe tollerata, lo sapeva. Doveva prenderla per quella che era: una fredda e calcolata soluzione per la sua salute, in vista dell’impossibilità di altro.

Punto. Glielo aveva proposto perché non aveva altre soluzioni.

Eppure, nonostante questi sani e buoni propositi, mentre prendeva le sue cose, un candido sorriso sognante si dipinse sul bel volto di Allison Cameron.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued..

Diomache.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Sfiorando la tua Anima... ***


Lacrime di Follia

Ciao a tutti!!

Eccoci qua a questo fantomatico capitolo.. beh, che dire, io ci ho provato, l’ho scritto con il cuore, provando a metterci tutta la passione di cui sono capace, ma l’ho fatto senza pretese, cercando di seguire l’istinto e sperando di non lasciarvi delusi!!!

 

Vi ringrazio moltissimo per le vostre recensioni, non so come farei senza i vostri commenti, grazie!! Questa volta ringrazio in particolar modo: Nathaniel, Toru85, Gulyuly ( ti ringrazio per la recensione.. ho capito cosa intendevi dire, rileggendo lo scritto ho notato più distacco rispetto ai precedenti e me ne dispiace.. ho provato a rimediare scrivendo con più energia questo capitolo, cercando di metterci più ‘Diomache’ come mi hai consigliato tu.. fammi sapere che ne pensi!! Baci) , SHY, Briseis, Apple, Mercury259, Mistral, Levity, Damagedlove, EriMD,  Hamburger, _Vally_, Miky91, CocoLee, Mikomay ( ciao, grazie mille per la recensione e per i consigli, ho cercato di tenerne conto per migliorarmi.. grazie ancora per i complimenti, spero che mi farai sapere che ne pensi di questo cap! Un bacio!)  e Venus

 

Grazie per l’appoggio ragazzi, spero che mi darete i vostri preziosi pareri riguardo questo ottavo capitolo dedicato proprio a tutti voi!!

 

 

Buona lettura,

 

un bacio,

Diomache.

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo VIII: Sfiorando la tua Anima.

 

 

 

 

 

 

 

“Compresi così che ella avrebbe potuto amarmi. Non lo dissi neanche a me stesso ma da quella sera in poi mi sembrò più soffice il letto ch’io occupavo in quella casa, più gentili tutti gli oggetti che mi circondavano, più lieve l’aria che respiravo, più azzurro il cielo, più splendido il sole.”

 

Luigi Pirandello. “il fu Mattia Pascal”

 

 

 

 

 

Ok.

Respira.

Allison appoggiò lentamente la grande valigia di pelle nera davanti all’uscio verde di casa House e tirò un profondissimo sospiro. Eccoci, si disse, mentre deglutiva in maniera assolutamente irregolare ed osservava un po’ sinistramente il campanello che prima o poi avrebbe dovuto decidersi a suonare.

Ad essere sinceri avrebbe preferito rimanere davanti a quella soglia piuttosto che entrare all’interno. Si sentiva imbarazzata e nervosa, e pensare che non aveva messo nemmeno piede  nella sua casa.. figuriamoci una volta dentro! Si passò una mano tra i capelli, poi se li sistemò dietro le orecchie e dandosi mentalmente della cretina adolescente, premette con un gesto scattoso il campanello.

Attese alcuni secondi.

Ed altri ancora.

Un po’ agitata, si schiarì la voce ed iniziò a giocherellare con il lembo della sciarpa, poi, nervosa, incominciò a battere il piede per terra. Il suo stato d’animo passò velocemente dall’imbarazzato, all’agitato per approdare nell’arrabbiato, con tanto di braccia conserte e di sopracciglio inarcato. Ma che diavolo faceva House?

Suonò di nuovo e con molta meno gentilezza. Tutto questo non era affatto divertente, già la situazione non era delle migliori, era già tutto così complicato senza che ci si mettesse House e il suo insopportabile essere scemo a complicare le cose.

“Ehi!” la voce che conosceva tanto bene non giunse, come si aspettava, da dietro la porta verde, dove in linea puramente teorica avrebbe dovuto essere, ma dietro le sue spalle. Allison si girò di scatto e lo trovò lì, davanti a lei, con il giubbotto di pelle, il casco incastrato sotto il braccio e un’espressione casuale dipinta in volto. “E tu che diavolo ci fai qui?”

Oh Dio, avrebbe voluto urlare in quel momento.

Lo sguardo pungente di Cameron strappò all’uomo un sorriso di puro divertimento. Guardò la sua valigia. “Oh, immagino che tu stia cercando un posto dove stare. In effetti mi servirebbe una colf..”

“House non è divertente.”

“Sì che lo è.- controbatté con un sorriso spensierato.- sei così nervosa che ti salterebbero i nervi anche se ti avessi aperto subito e ti avessi accolto a braccia aperte.. non credi che questo sia divertente?” Mentre parlava si era avvicinato bruscamente a lei, così impetuosamente che Cameron, tanto per confermare le sue parole, era arrossita violentemente.

Lui esibì uno dei suoi tipici sguardi, di quelli che volevano dire: appunto.

Gli sguardi che lei tanto odiava. *Cominciamo bene* pensò distogliendo lo sguardo e cercando disperatamente di rimanere padrona di sé.

“Ok signorina. è assunta.- proseguì lui, ridendo.- prego.” Si fece spazio tra lei e la porta, inserì le chiavi e dopo una piccola spinta, l’uscio si apriva davanti a lei e il fantomatico ‘House world’  con essa. Allison esitò un piccolo secondo prima di entrare e lui ne approfittò per spararne un’altra delle sue. “Oh ma se non se la sente, può sempre ritirarsi. In effetti la capisco, varcare la soglia di una casa può essere molto rischioso..”

Allison arrossì di nuovo e si fiondò nel suo appartamento ancora al buio urtando su un oggetto non ancora identificato. “Ma cos..”

In quell’istante House accese la luce ed Allison notò il mucchio di libri accatastati che aveva incontrato con le gambe. Un mucchio di libri accatastati sul pavimento davanti all’entrata?

“Attenta.- l’ammonì lui, con un sorriso ironico.- tengo quei fumetti lì da circa dieci anni e non vorrei dover rompere la colonna proprio adesso.”

Cameron non trovò le parole per rispondergli.

I suoi occhi viaggiarono per l’ambiente, un po’ confuso, un po’ disordinato, prettamente maschile. Ma la cosa che la colpì di più fu nel trovare quella casa così magicamente da lui, come se il suo essere trasudasse da ogni cosa, da quella concezione tutta particolare di ordine, dagli oggetti, dai quadri e le foto appese alle pareti, per finire la ciliegina sulla torta, ovvero quel grande pianoforte lucido e nero che dava quel tocco di genialità, quel tocco di House.

“Ecco il tuo matrimoniale a due piazze.” Disse il diagnosta indicandogli il suo misero divano. “Starai una meraviglia.”

“Sicuro.” Rispose lei, sarcastica.

“Ehi.- lui sembrò offeso.- vuoi dire che non ti piace?”

Allison sorrise, liberamente. “Non mi permetterei mai.. è.. confortevole..”

“Lo sarà di più se dormi con la testa rivolta di qua, lì una volta Wilson c’ha lasciato un ricordino e io non ho avuto più il coraggio di sedermici. Avevo pensato di buttare via tutto ma lui non me l’ha permesso.. sai come sono fatti questi oncologi, tutti così romantici e nostalgici..”

Cameron rise. “Smettila.” Non poteva certo che creder che James Wilson..

“Oh, certo, lui è un uomo tutto d’un pezzo, eh?-continuò House, leggendo l’incredulità negli occhi di lei.-  Ebbene sì, anche i duri se dormono con la mano immersa nell’acqua..” lasciò cadere la frase ed Allison gli rispose con uno sguardo allucinato.

“Ehi, io non ti ho detto niente.” decretò alla fine con un simpatico occhiolino prima di lanciare il casco da una parte e di appendere il proprio giubbotto di pelle.

Osservò lei che faceva lo stesso e con piacere la trovò un po’ più rilassata rispetto a prima, anche se nei suoi occhi c’era sempre quel piccolo lampo di delizioso nervosismo che la rendeva a dir poco affascinante.. si accorse che nonostante agisse e parlasse con estrema disinvoltura, anche lui si sentiva strano, agitato.. l’idea di lei, nella sua casa, lo rendeva un po’ inquieto.

E pensare che questa trovata era venuta proprio a lui.

Riprese, curandosi di non osservarla negli occhi. “Di là c’è la cucina e infondo c’è il bagno.. la mattina presto viene la colf,  non spaventarti è brutta come uno spaventapasseri.”

“Wow, non ti facevo così scrupoloso da tenere una colf..” commentò lei, sorridendo.

“Infatti è quella di Wilson e starà qui a tormentarmi la vita finché quell’imbranato non trova una dimensione stabile. E naturalmente nel frattempo offre lui.” Concluse con un sorriso intrigato.

Lei annuì, roteando il capo. Sapeva che c’era qualcosa sotto…

La voce di lui continuò a destarla dai suoi pensieri:

“Se stai pensando alla cena, al dopo cena e a come passeremo queste ore, devo deluderti. Il mio programma preferito è mangiare un panino davanti alla televisione, fare la doccia e andare a dormire. Non mi metto a discutere sul tempo, sul fatto che non ci sono più le mezze stagioni, che i giovani non sono più quelli di una volta e via discorrendo.”

Lei sorrise, spontaneamente. “Lungi da me cambiare le tue sane abitudini.”

House annuì, soddisfatto. “Ma c’è un problema.- continuò lei, guadagnandosi uno sguardo d’irritazione da parte sua.- il tuo dopo cena, voglio dire, la tua serata davanti al televisore.. coincide con il mio letto.. non posso dormire finché tu non hai finito.”

“Oh, non c’è problema.- Greg finse di non capire.- non mi secca vederti sveglia per casa.”

Lei rise, ma in realtà lo faceva per non piangere. “No, intendevo.. ah.. senti, per quanto tempo guardi la televisione dopo cena?”

“Animo, bimba mia! Ti permetto di stare alzata fino alle tre, diciamo, contenta? Poi tutti a nanna, me compreso. I film porno finiscono più o meno a quell’ora lì..”

Lei aggrottò la fronte, disgustata. “Le tre?” Perdinci. Lei era abituata ad andare a letto verso le undici, spararsi un bel libro e poi andare a correre la mattina alle sei. Ah, santa pazienza.

“Non un minuto di più.” il tono sarcastico di House le faceva ridere, ma a pensarci bene c’era poco da stare allegri.

Sospirò. “C’è di positivo che tu fai la doccia di sera, io di mattina.”

“Dopo le dieci.” Precisò il padrone di casa con un sorriso divertito. “non vorrai mica svegliarmi, vero?”

“Se faccio la doccia alle dieci, a che ora ci presentiamo in ospedale?” domandò lei, abbastanza costernata.

“Il più tardi possibile.” Rispose lui, disinvolto, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi, notando il suo sguardo di disappunto continuò. “è il motto della casa, non penserai mica di poter trasgredire, spero!”

“Oh, e ammettendo per assurdo che io mi adegui al tuo motto, oltre a questo e allo stare alzata fino alle tre di notte, c’è qualche altra regola di sopravivenza che dovrei conoscere?” domandò, con l’aria combattiva, le mani ai fianchi e il capo deliziosamente inclinato in un moto di riprovazione.

Greg annuì, deciso: “Un paio, in realtà. La prima è la più importante di tutte ed è improrogabile: gli ospiti lavano i piatti sporchi.” Allison inarcò un sopracciglio. “Specie se sono donne.” Aggiunse lui con la sua solita, affascinante espressione.

Cameron sorrise, rassegnata. “E la seconda?”

“Puoi usufruire del mio bagno come vuoi –fece una piccola pausa.- Basta che non mi rubi le creme per la pelle e confondi le tue cerette con le mie.”

Lei rise, spensieratamente. “Ci starò attenta.” Confermò con l’ironia che la contraddistingueva e quel semplice e genuino sorriso che ogni volta lasciava il diagnosta senza fiato.

“Bene.” Sentenziò lui, un po’ soprappensiero. Le regalò un’altra breve occhiata, poi, un po’ imbarazzato, si allontanò con la sua solita andatura claudicante, recandosi in camera sua o almeno così le parve mentre lo seguiva con lo sguardo.

Allison rimase immobile e pensierosa ancora alcuni istanti. Non poteva negare di esserci rimasta un po’ male, aveva sperato che lui le dedicasse più tempo ma solo ora si rendeva conto di quanto i suoi pensieri fossero profondamente stupidi.

Diamine, Allison, è House, che diavolo t’aspettavi, che ti accogliesse a braccia aperte con il soufflé nel forno e la tavola imbandita per due??

Negando con il capo e condannando la sua odiosa ingenuità decise pazientemente di occuparsi della propria valigia.

 

 

 

 

Erano da poco passate le nove di sera quando James Wilson era ritornato stancamente nella sua camera d’albergo, dopo una cena che aveva consumato solo con i propri pensieri, seduto al tavolo del ristorante. 

Era bella la sua camera, d’un rosa antico e gentile, di quelli che a lui mettevano tanta tenerezza e al contempo anche tanta tristezza. Gli ricordavano la sua profonda e triste solitudine. E gli ricordavano che, per una volta, almeno, avrebbe voluto con tutto se stesso cambiare la sua situazione, prendere l’iniziativa, fare qualcosa.

Eppure, lui, il  più grande dongiovanni di tutto il PPTH, non era capace di fare nulla per LEI. Era cervellotico ed anche vagamente sarcastico ma era la verità. Lei lo bloccava, gli faceva raggelare la voce in gola e fermare il cuore nel petto ed ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli ghiacciati di lei era come se non solo il suo organismo ma tutto il mondo si fermasse un istante, ipnotizzato.

Odiava sentirsi così.

Si sentiva terribilmente stupido ed ogni santa volta in cui sentiva di aver perso un’altra preziosa occasione per, che ne so, invitarla a cena, avrebbe voluto prendere a schiaffi se stesso e la sua antipatica ed alquanto inaspettata timidezza. Si diceva che la prossima occasione sarebbe stata quella buona, che quello che gli occorreva era solo una piccola mano del destino.

Ebbene, in quella sera di dicembre, arrivò la mano che gli serviva.

Il destino aveva agito sotto le mentite spoglie di un messaggio di segreteria telefonica.

James si accorse che la spia rossa stava lampeggiando solo dopo alcuni minuti.

“Wilson sono Cuddy.” la sua voce gli causò un brivido lungo la schiena. “ho bisogno di parlarti, se non hai impegni chiamami, ci accordiamo sul dove incontrarci.”

Breve, chiaro, freddo. Tipicamente da lei.

Imponendosi di non pensare, Jimmy afferrò il telefono e compose il numero di Lisa. La sua voce, che un pò disordinatamente rispondeva un pronto gentile ma confuso, arrivò solo dopo molti squilli.

“Lisa, sono io.- disse lui con voce un po’ grave.- mi dispiace se ti chiamo ora, ho sentito il messaggio soltanto adesso.”

“Non.. non preoccuparti.” la sua voce gli fece percepire l’esatto contrario.

“Dove vuoi che ci incontriamo?”

“Scusami per quel messaggio, James.- la voce di Lisa adesso era più fredda, più da ‘Cuddy’.- va tutto bene, adesso scusami ma sto uscendo con un’amica.”

Wilson non poteva credere alle sue orecchie. “ Lisa che è successo?” domandò, in apprensione.

“Niente, sono stata una stupida.”

“Di che cosa volevi parlarmi?” insistette lui, non riuscendo a credere che il destino il quale aveva tentato di farlo avvicinare a lei gettando il sasso ora ritraesse bruscamente la mano.

“Niente di importante..”

“Dal tuo tono sembrava proprio di sì.”

“Ok, avevo un problema.- la sua voce adesso sfiorava l’ira, era fredda e dura, irritata.- ma ora ho risolto. E adesso scusami ma, te l’ho detto, sto uscendo.”

Wilson sospirò, chiudendo gli occhi. “Sai che con me puoi parlare. Se..”

“A domani Wilson.” Il suo cognome, pronunciato con quel tono stizzoso e sbrigativo fu l’ultima cosa che udì. La telefonata finì lì e con lei anche le sue misere speranze.

Si sedette pesantemente sul letto, con il cellulare in mano.

Provò a chiamare il suo numero di casa altre due volte ma sempre inutilmente: o lei era uscita  davvero o aveva avuto la cura di non rispondere al suo numero. E aveva magistralmente spento il cellulare.

Sospirando, si gettò con la schiena sul letto.

E s’addormentò, poco dopo.

Sognando lei e quella fantomatica ed irrisolta conversazione che prima o poi avrebbe dovuto affrontare.

 

 

 

 

Cameron smanettava ai fornelli da più di mezz’ora.

Che diavolo stesse combinando era quello che House si chiedeva invece da un’oretta abbondante.

Era sicuro di non avere niente in frigo, niente se non il suo misero panino al tonno e maionese. Per il resto nel suo piccolo spazio gelato c’era sempre stato un eco impressionante.

E invece lei a quanto pare aveva trovato il modo di prepararsi qualcosa scovando chissà che nel caos della sua cucina.

Ma qualsiasi cosa la sua immunologa avesse architettato, tutto questo aveva un profumo a dir poco invitante. Lui l’osservava segretamente dal divano che avrebbe costituito il suo letto provvisorio per alcuni giorni, tenendo per così dire d’occhio lei e il suo operato mentre nell’ambiente risuonava la musica di un cantante inglese, un cd che gli aveva regalato Jimmy.. forse un certo Elton John.

Ad un certo punto sentì un brusco rumore e lei emettere una piccola esclamazione.

Sorrise, pensando che questa era l’occasione che attendeva: poteva affacciarsi alla porta socchiusa della cucina con una scusa decente. Soddisfatto si alzò dal divano, mise a tacere Elton John e le sue sciocchezze sentimentali, e fece irruzione nella stanza adiacente.

“Che stai combinando nella mia cucina?” finse la voce grossa e burbera di un capo arrabbiato.

Ma per sua immensa delusione Allison non aveva rotto niente. “Ci sono andata vicina.” Aveva ammesso qualche secondo dopo, dopo avergli raccontato del salvataggio in extremis di un piatto.

Con l’occasione gli occhi blu di Greg si posarono sulla padella sul fuoco,  fonte del misterioso odorino. Lei captò il suo sguardo e non mancò di sottolinearlo. “è frittata.” Disse sorridendo e pulendosi le mani su una piccola pannella che si era portata da casa perché questa, era sicuro, non c’era nella sua cucina.

House annuì, un po’ sorpreso.

Lei sorrise, incredula. “Pensavi sul serio che non sapessi cucinare???”

“No.- ammise lui, intrigato.- avevo immaginato che sapessi fare qualcosa del genere.. è molto comune tra quelli del tuo sesso.. no, quello che mi stupisce è: dove hai trovato le uova?”

Lei inarcò un sopracciglio:“Credi che le abbia covate io stessa?”

“Ehi, potrebbe essere un’ipotesi.” Esclamò lui, non potendo far a meno di sorridere.

“La verità è che hai una vicina gentilissima.”

House avrebbe voluto spararsi. “Non dirmi che le hai elemosinate dalla decrepita qui di fianco???-esclamò, urlando.- Brava! Anni e anni e di onorato odio reciproco  buttati in fumo!”

Allison non poteva credere alle sue orecchie. “Vuoi dire che non vai d’accodo con quell’anziana signora?? Ma con me è stata deliziosa!”

“Con te tutti sono deliziosi.- la buttò là, infastidito.- questa me la farà pagare, si pulirà i piedi sul mio zerbino e mi ruberà le lettere dalla cassetta della posta per un anno intero!”

Questa volta lei rise di gusto “Ma va! Non posso credere che la signora Thomp..”

“Ha raggirato anche te come tutto il condominio!- spiegò con enfasi.- la realtà è che è una vecchia donna malefica che addirittura istiga il suo cane a fare i suoi sporchi bisogni sulla ruota anteriore della mia moto!”

Lei negò con il capo, tornando ad occuparsi della sua padella. “ Sembri un povero pazzo che cerca di convincere i vicini che ha visto un UFO.”

“Quando avrò le prove che è parente della Cuddy, ti ricrederai..”

La sentì ridere ancora, voltata di spalle. “Lasciando le tue manie di persecuzione da una parte..- iniziò, la voce ancora tinta d’allegria.- ti va di prendere un po’ di frittata? Ce n’è abbastanza per due..”

Greg s’irrigidì improvvisamente.

Un po’ di frittata voleva dire cenare con lei.

No. 

Era questo ciò che temeva di più di quella specie di pseudo convivenza. Era il dover passare il tempo vicino al suo pericoloso sguardo, ai suoi occhi cristallini, alle sue rischiose labbra che si piegavano spesso in un dolce sorriso che mandava lampi di un amore triste e soppresso. No, era tutto così bello che lo agitava. Ne aveva paura. Soprattutto perché adesso che sapeva ciò che sentiva per lei, ignorava come avrebbe potuto reagire. 

No.

“Te l’ho già detto.- la sua voce suonò sgradevole esattamente come voleva che fosse.- io ho il mio panino e la mia tv.”

Cameron non si voltò neppure. Un sorriso triste si dipinse sul suo viso, mentre spegneva il gas. “Come vuoi.” Disse fingendo noncuranza. Ma è così difficile fingere bene…

Lui sparì in quell’istante, prese con il suo panino si diresse davanti alla tv, accendendola.

Cameron mangiò, sola, qualche boccone di frittata. Nonostante tutto aveva sperato che lui acconsentisse, che mangiasse qualcosa con lei.. evidentemente non aveva voluto rivivere la patetica sera a cena che si erano concessi quasi due anni fa.. due anni.. mentre si portava la sua cena alle labbra constatava dell’enormità del tempo che era trascorso da quando aveva iniziato a lavorare con lui. Due anni.. due anni che ne era innamorata.

Non aveva mai concesso a nessun uomo tanto tempo.

E nessun uomo ne aveva mai avuto bisogno a dir la verità.

Ma non è che si stava incaponendo perché lui non la voleva e basta? Lo sperò con tutta se stessa. Lo sperò perché se veramente era così, se lo voleva soltanto per dimostrare a se stessa che poteva avere chiunque, allora anche se non fosse riuscita nel suo intento prima o poi si sarebbe comunque rassegnata.

Invece se era amore.. ah, rassegnarsi sarebbe stato davvero più difficile. 

 

 

 

Greg cambiò di nuovo canale. Erano quasi le undici e mezzo adesso ma quella sera i programmi televisivi sembravano non avere su di lui alcuna attrattiva. Guardava senza vedere veramente come se né il triller più avvincente, né l’horror più terrificante riuscisse a scuotere il suo interesse. Niente, il suo cervello era troppo impegnato a darsi dell’idiota per pensare ad altro.

Sospirando fece un piccolo sorso di birra cercando di cancellare il sapore amaro che quella frittata-mancata gli aveva lasciato in bocca. Si rese conto che non aveva più visto lei da dopo quel rifiuto. Più attento ai suoi rumori che a quelli della tv, l’aveva sentita sistemare la cucina, lavare i piatti, poi i suoi tacchi si erano allontanati, secondo lui, verso il bagno.

La sua voce soft lo risvegliò dai suoi meccanicistici pensieri.

“Posso?” disse lei, accennando a volersi sedere accanto a lui, sul divano. “o anche questo va contro i tuoi programmi serali?”

House sorrise di fronte alla sua ironia. Prese una seconda bottiglietta di birra che aveva preparato appositamente per lei e gliela porse.

Cameron l’afferrò volentieri e si sedette. Il suo sguardo cadde immediatamente sulla tv. “Che stai guardando?”

House avrebbe voluto rispondere un “non lo so.” sospirato ma poi lasciò perdere. Fece un altro sorso. “Un film che è praticamente una merda di pellicola.” Disse quindi, girando canale. “Dovrebbero mettere a morte il regista.” I suoi occhi blu notarono che Allison aveva preso con sé una cartellina blu. “è lui?” disse, rivolgendosi al contenuto della stessa.

“Sì, è lui.” Rispose lei, un po’ vaga. La aprì sulla pagina contente il famoso identikit. Girò lo sguardo su di lui, cambiando argomento con la prima cosa che le venne in mente “ E il tuo porno serale?”

House sorrise. “Calma gli ormoni, bella mia.. il film inizierà tra un’oretta.”

Lei arrossì. “ Io non guarderò quello schifo, non sono mica uno sporco pervertito come te!”

“Hai ragione! Non me l’hai mica chiesto e non sei nemmeno arrossita! Sono proprio un bastardo a pensar male di te!”

“House dacci un taglio! Mi sono solo stupita, tutto qui!” esclamò, stizzita, afferrando il telecomando. “Adesso comunque  si vede quello che dico io.”

Greg sorrise, divertito. “Ok. C’è solo un piccolo, futile dettaglino- piccola pausa.- questa è casa mia!! Io padrone, tu ospite.”

“Il padrone di casa dovrebbe essere un po’ più gentile con l’ospite, ammesso e non concesso che tu sappia cos’è la gentilezza” continuò lei con un tono di voce falsamente conciliante.

“Ehi, ti do la possibilità di dormire sul mio divano, che cosa vuoi di più??”

“Oh, credo che dovrei esserne onorata..” rispose lei centrando con quell’infernale arnese di un telecomando un pallosissimo film d’amore.

House rise sarcasticamente. “Sei pazza se credi che ti lascerò vedere questo film a casa mia. Ho una reputazione da difendere, che ti credi??” fece per prendere il telecomando ma lei  allontanò il braccio. “Solo pochi minuti.” Disse con un sorriso a cui, House se ne accorse, nessun uomo avrebbe potuto negare nulla.

Nemmeno lui.

Videro quasi un’ora intera di quella noia mortale.

Talmente soporifero che Allison aveva iniziato a sonnecchiare dopo una quindicina di minuti ed era crollata poco prima dello struggente finale.

Greg spense finalmente la televisione

Poi girò lo sguardo su di lei.

Era incantevole.

Si era addormentata seppur seduta e ancora con le gambe accavallate. Probabilmente la tensione non le aveva dato modo di sciogliersi e mettersi un po’ più comoda. Sospirando, il suo sguardo si posò sul suo viso, così rilassato, angelico, tranquillo, in netta contrapposizione all’espressione che assumeva frequentemente a causa di molteplici eventi, quando si ritrovava ad essere tesa, nervosa, agitata.

Aveva ancora la bottiglietta di birra, da cui mancavano solo pochi sorsi, nella destra e l’identikit del pazzo nella sinistra.

Sospirò di nuovo, pensando al pericolo a cui lei andava incontro a causa di un pazzo scatenato che nemmeno ricordava di aver mai incontrato. La preoccupazione che sentiva per lei gli fece improvvisamente nascere un piccolo calore in fondo al cuore, quel calore strano e fastidioso che cominciava a sentire troppo spesso e quella paura di averla così vicina, di sentirla così vicina.

Delicatamente, le sfilò la bottiglietta di vetro dalla mano e così pure la cartellina.

Sperò con tutto se stesso che non si svegliasse.

E per fortuna non accadde.

Zoppicando, prese un plaid e lo appoggiò su di lei, per evitare che prendesse freddo. Si stupì dell’amorevolezza che mise in quei gesti. Avrebbe voluto sistemarla lunga sul divano, così scomoda si sarebbe svegliata tutta rotta il giorno dopo.

Ma non osò toccarla.

Il suo corpo, come le sue labbra, era un'altra delle cose con la scritta luminosa ‘danger’  a cui doveva stare attento, se non voleva perdere il controllo di sé.

Senza contare che poteva svegliarsi.

Si alzò dal divano, concedendosi ancora qualche secondo. Adorava guardarla così. Non doveva dare spiegazioni e poteva avere tutto il tempo che voleva per studiarsi a memoria i suoi lineamenti, così da averli sotto gli occhi anche quando si sarebbe allontanato da lei.

Sospirò, distolse lo sguardo e si diede mentalmente dell’idiota.

Non poteva, non poteva.

Aveva giurato al mondo e a se stesso che mai, mai si sarebbe innamorato di nuovo. Aveva sofferto troppo e soffrire di nuovo lo avrebbe ucciso. Un’altra delusione avrebbe significato la chiusura eterna con il mondo degli esseri umani.

Il fatto poi che Cameron sarebbe stata per forza una delusione era scritto a lettere cubitali nella sua mente. Era giovane e bellissima. Lui aveva quasi vent’anni più di lei. Non poteva funzionare. 

“buona notte, Cameron.” Disse, piano, sottovoce. Prese il bastone e con il cuore e l’animo in subbuglio, si recò in camera sua, nell’utopica illusione di riuscire a dormire.

 

 

 

Vento. C’era sole e tanto vento. Lei scendeva dalle scale della clinica Mayo, con una ventiquattrore nella destra.  House le veniva incontro, zoppicando. Si incontrarono circa a metà percorso e lei non era affatto stupita di vederlo lì, dove in realtà non avrebbe affatto dovuto essere.

“Sei patetica.” Esordì  lui, storcendo il capo. “Quella bambina non ha speranze, lo sai.”

Cameron distolse lo sguardo, lasciando che il vento le sconvolgesse i lunghi capelli castano-rosso. “Lo so, lo so. Ma il padre mi ha chiesto di..”

“Balle.” La zittì lui. “non lasciarti impietosire. È un pazzo e vuole ucciderti.”

Allison corrugò la fronte, negando con il capo, scavalcandolo e dirigendosi verso la sua vecchia auto rossa. “Sei fuori di te. Non lo conosco neppure e dici che mi vuole ammazzare!”

Greg la raggiunse in pochi passi. “Ragiona!- le urlò contro.- Non puoi lasciarlo fare! È vero che sono passati tre anni ma devi cercare di ricordare e poi denunciarlo!!”

“Ricordare che cosa?? Denunciare?? - domandò lei, urlando a sua volta.- lavoro qui da due mesi, vuoi già farmi passare un guaio per un’ ipotesi assurda??” si voltò di nuovo con l’intento di andarsene ma House la prese per una spalla, costringendola a voltarsi.

Cameron si voltò di scatto e, atterrita, osservò che il suo interlocutore non era più House.

Era il suo aggressore, l’uomo dell’identikit. “Tu non hai fatto niente!!!” le urlò contro sbattendola sulla sua auto rossa.

“Noo” protestò lei. “no, non è vero.. io ne ho parlato anche con..”

“Taci, puttana, adesso morirai come gli altri!” lo vide estrarre il coltello e alzarlo sopra di lei.

 

Cameron si alzò di scatto dal divano, sudata e terrorizzata. Respirava faticosamente cercando di raccattare da qualche parte l’ossigeno di cui aveva bisogno. Aveva avuto la certezza di urlare ma evidentemente dalla sua bocca non era uscito alcun suono.

Sospirò, portandosi le mani agli occhi e poi tra i capelli. Ripensò un istante al suo incubo, alla clinica Mayo, ad House, al suo assassino. Adesso  ne era sicura. La soluzione al suo problema era scritta proprio lì, nella clinica dove aveva fatto l’internato, tre anni prima.

E forse aveva ragione House. Forse la storia di quella bambina, Chrystal, era la chiave di tutto. Eppure non riusciva a ricordarla.

Con un gesto di stizza si scostò la coperta, arrabbiata con il mondo e con se stessa. Poi, come vide il plaid cadere dal divano dove era seduta in malo modo, si domandò come ci fosse finita.

Gli ultimi ricordi della serata risalivano a quella scena melodrammatica di quel noiosissimo film che aveva voluto vedere.. merda, doveva essersi addormentata. Che figura..

Ecco da dove proveniva la coperta. Probabilmente gliel’aveva messa sopra lui.

Senza accendere la luce vide sul quadrante fosforescente del suo orologio che erano circa le quattro e mezzo del mattino. Indossava ancora i vestiti del giorno prima. Sbuffando afferrò dalla valigia la sua camicia da notte e si cambiò in fretta, quindi decise d’alzarsi, di andare in bagno e lavarsi velocemente il viso, cercando di rimuovere i segni di quel bruttissimo ed inspiegabile sogno.

Camminando nel buio confortevole della casa di House, arrivò nel bagno, vi entrò ed aprì appena l’acqua. Si deterse il viso, incontrando solo parzialmente la sua immagine spaventata sulla superficie dello specchio, quasi totalmente risucchiata dal buio della notte.

Ritornò sui suoi passi ma prima di giungere nel salotto non poté fare a meno di fermarsi qualche istante, lì, davanti alla porta socchiusa della sua camera da letto. Quanto avrebbe voluto entrare e raccontargli tutto.. si sarebbe sentita più leggera, più tranquilla…

Senza riflettere qualche secondo di più, attuò i suoi pensieri e spinse la porta della camera di House, entrandovi silenziosamente.

Vide Steve Mc Queen dormire ancora della grossa, come probabilmente stava facendo il suo padrone, disteso sul suo letto.

Fece per chiamarlo ma le mancò la voce. Decise di avvicinarsi, prima solo di un passo, poi di due, finché non si ritrovò accanto al suo letto, ad appena una decina di centimetri da lui.

Sembrava dormire tranquillamente, con il viso appena inclinato di lato e le labbra socchiuse.

Aprì di nuovo la bocca per chiamarlo. Ma di nuovo le mancò il coraggio.

Tremando leggermente per il freddo di quella nottata d’inverno e per quello più profondo che sentiva nel suo animo, arrivò a sfiorargli il braccio, delicatamente. Assomigliò piuttosto ad una piccola carezza e forse era proprio questo quello che lei voleva che fosse.

Si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime.

Era lì, l’uomo della sua vita.

E non voleva lei.

Lasciò che la mano scivolasse lungo il braccio, arrivando a toccare gentilmente la sua mano di dottore… le mani che tante volte aveva desiderato la stringessero. Imbarazzata, si ritirò lentamente. Si allontanò lievemente da lui e, dopo un ultimo fugace sguardo, decise di tornarsene a dormire.

La notte porta sempre ad amplificare le cose. Domattina quel sogno le sarebbe sembrato esattamente quello che era: uno stupido incubo.

 

 

 

L’auto nera parcheggiò silenziosamente davanti al piccolo condominio di House. L’uomo che ne era alla guida, sospirò leggermente, portandosi il sigaro alla bocca.

I suoi occhi profondi si focalizzarono sull’auto grigia metallizzata di Allison, parcheggiata proprio davanti al posto auto per disabili, occupato da una bellissima moto arancione.

L’uomo sorrise.

“Ci rincontriamo, dottoressa.” Sussurrò, inclinando la testa di lato, con voce grave, profonda e leggermente roca.

La sua auto ripartì un secondo dopo, sfrecciando silenziosa nella notte.

 

 

 

Non appena la porta si richiuse dietro di lei, House aprì gli occhi.

Sentiva ancora il cuore pulsargli furiosamente nelle tempie. Sentiva ancora la sua dolce pressione, lì, sul braccio, nel punto in cui lei l’aveva sfiorato.

Si passò una mano sugli occhi.

Aveva finto di dormire tutto il tempo ma, in qualche modo, era certo che lei lo sapesse.

Era stata una finzione approvata da entrambi. Se Cameron avesse voluto realmente interromperla sarebbe bastato indugiare di più nel suo tocco.  Lui a quel punto avrebbe dovuto interrompere, fingendo di svegliarsi.

Ma la verità era che nessuno dei due aveva voluto veramente smettere di fingere. Era andato bene ad entrambi per ora, perché entrambi avevano troppa paura di quello che sarebbe potuto accadere, lì, nella sua camera da letto, alle quattro di notte.

Cameron aveva paura di un nuovo rifiuto ed House di non riuscire a rifiutarla.

In fondo era così semplice.

Eppure non poteva durare.

Presto quella finzione così ben architettata e organizzata sarebbe capitolata assieme a tutta l’ipocrisia che si trascinavano dietro da troppo tempo.

Presto.

Prima di quanto osassero immaginare.

 

 

 

“Le anime hanno un loro particolar modo d’intendersi, d’entrare in intimità fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali.”    

Luigi Pirandello. “il fu Mattia Pascal”

 

 

 

To be continued..

Diomache.

 

 

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Capitolo 9
*** Sarà come bruciare.. ***


Ciao a tuttiiii

 

Ciao a tuttiiii!!!!!!!

 

Non voglio darvi anticipazioni per questo capitolo, ho davvero pochissimo tempo, volevo solo lanciarvi un bacione enorme e dedicare questo capitolo alla mia amica Apple , tentando di ripagarla del bel pensiero che ha avuto per il mio 18esimo compleanno!!!!

(andate a leggere Together è bellissima!!!)

Apple spero che questo cap ti piaccia, la storia è già dedicata a te ma volevo che lo fosse questo capitolo in particolare, grazie ancora!!!

 

Naturalmente corro a ringraziare anche gli altri che hanno commentato.. un bacio enorme a: Toru85, Venus, Nieniel, _Vally_, Sheila, Pinacchia, Amy, Damagedlove, SHY (grazie per gli auguri!), Briseis, Mistral, Miky91, Aras5, Hamburger, Mercury259, Nathaniel, Elberet, Mikomay, EriMD, Hikary e Nick.

 

Grazie, mi raccomando recensite!!^^

Buona lettura,

Diomache.

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo IX: Sarà come bruciare

 

 

 

 

 

 

“Notre cœur est un instrument incomplet, une lyre où il manque des cordes,

et où nous sommes forcés de rendre les accents de la joie sur le ton consacré aux soupirés »

 

Chateaubriand

 

 

[ il nostro cuore  è uno strumento incompleto, una lira da cui mancano delle corde,

e dove noi siamo forzati di rendere accenti di gioia, su toni consacrati ai sospiri]

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli sembrò d’aver appena chiuso gli occhi quando sentì la sveglia sul comodino iniziare a suonare, squillante e prepotente come ogni mattina, alle nove e quarantacinque.

Con la vista ancora un po’ appannata e i movimenti intorpiditi dal sonno si alzò dal letto, con gesti lenti e pigri, volti innanzitutto alla ricerca di qualcosa di primario: Vicodin e bastone.

Trovò il primo sul comodino accanto all’infernale sveglia e, tanto per inaugurarsi il ‘buongiorno’ ne tracannò una pillola, quindi fu la volta del bastone il ritrovamento del quale, però, fu molto più difficile. Quando finalmente lo individuò lo prese e appoggiandosi a questo, si alzò stancamente dal letto, respirando la silenziosa quiete della sua casa, quella mattina.

Già, non era un po’ troppo silenziosa?

Si era immaginato un risveglio un po’ più dolce, come ad esempio, quello condito dal profumo di bacon e uova che magari Cameron aveva preparato.. naa, niente.

Si disse però che in fondo era quello che si meritava. La sera precedente aveva bruscamente rifiutato la cena di Allison, poteva adesso lei cucinare per due la colazione?

Si immise nel corridoio, senza dire una parola, gettando subito uno sguardo incuriosito all’indirizzo del divano, stranamente vuoto ma rifatto completamente con il plaid piegato e appoggiato al cuscino.

Gettò un occhio in cucina, ma era anch’essa vuota.

Con un sorriso che non era altro se non pura malizia, House si diresse nel bagno, sperando di trovare lì Allison, magari ancora intenta a spogliarsi per andare a fare la sua agognata doccia mattutina. “Ehi, sto entrando e non sono responsabile di quello che vedrò.”

Annunciò socchiudendo la porta ma lentamente per lasciarle il tempo di fermarlo, nel caso fosse veramente in procinto di svestirsi.

Ma l’avanzata di Greg non incontrò nessuno ostacolo né sentì urli sinistri minacciargli la morte se non avesse fatto subito retro front. Constatò mentalmente che Cameron non era nemmeno lì.

E dato che la sua casa consisteva in quegli ambienti, era ormai ovvio che Allison era uscita. Che fosse andata a fare jogging? No, troppo tardi. Una salutista come lei minimo correva alle sei del mattino.. no, era chiaro che Cameron se n’era andata a lavoro. Magari proprio per il gusto di disobbedire alla legge che lui le aveva giocosamente imposto oppure, molto più intelligentemente, per evitare le fatali chiacchiere che Chase e Foreman non si sarebbero certo risparmiati, vendendoli arrivare quasi istantaneamente. Lei aveva ristabilito la normalità, recandosi all’ospedale all’alba come sempre e lui, a metà mattinata, se andava bene, come tutti i giorni.

Un sorriso quasi orgoglioso si dipinse sul suo volto, quando, in cucina, aprì lentamente il frigorifero, nell’assurda speranza di trovare qualcosa che fosse anche lontanamente commestibile. La sua attenzione fu invece catturata dal forno, lasciato socchiuso. Vi gettò un occhio e notò un piccolo fagottino bianco, accartocciato.

Curioso, lo tirò fuori e notò un piccolo biglietto.

“Non hai detto niente riguardo la colazione.

Se non infrange il tuo protocollo, buongiorno e buon appetito. Cameron.”

 

Sorrise, quasi incredulo, estraendone il contenuto: bacon.

Gli aveva preparato la colazione nonostante il suo rifiuto dell’altra sera, nonostante il fatto che avrebbe dovuto essere arrabbiata e comportarsi come tale.

“Sei irrecuperabile.”

Disse ad un’ipotetica Allison con un tono di voce che si sforzava di risultare irritato ma che era inevitabilmente tradito dal dolce sorriso dipinto sulle sue labbra.

 

 

 

 

“Buongiorno.” Fu proprio la voce di Cameron ad accoglierlo quando varcò la soglia del suo ufficio, con lo zainetto sulla spalla, giacca e jeans, come d’abitudine.

Subito i occhi verdi ed intensi catturarono il suo sguardo ma fu per pochissimo perché Greg lo distolse subito.

“Sì, lo era prima che io incontrassi  Cuddy- rispose.-  è gradevolmente insopportabile oggi.” Commentò, acido, lanciando a Chase una cartella clinica. “ Nuovo caso.” Disse, apaticamente, prendendo la tazza di caffè che Allison gli aveva preparato.

Bevve il caffè lentamente, come lentamente aveva mangiato il bacon, appena un’oretta prima.

I suoi occhi incontrarono di nuovo il dolce profilo di lei ma questa volta non i suoi occhi perché la sua immunologa era tutta  presa ad indossare gli occhiali e prendere il suo block note per iniziare ad annotare la sintomatologia, ignorando le futili chiacchiere dei colleghi.

Stava ripercorrendo mentalmente gli eventi della notte prima, ricordando la delicatezza del suo tocco che, seppur breve e dolcissimo, gli aveva procurato un profondo brivido in tutto il corpo quando la voce irritante di Chase lo distrasse da quei pensieri.

Si voltò in direzione dell’intensivista che aveva iniziato dicendo:

“Il paziente è una certo Hans Burth..”

“Sì, va beh, passiamo ai sintomi.” Lo aveva interrotto bruscamente, lasciando trasparire un bel carico d’irritazione. Eric guardò istintivamente Allison, esprimendo con quello sguardo un * cominciamo bene* carico di esasperazione, così sospirato che strappò un sorriso all’immunologa.

“Allora, ha cinquantotto anni ed è..”

“Scusami.- fu proprio Allison ad interrompere Chase adesso.- com’era il nome del paziente?”

House sorrise istintivamente cogliendo la piccola sfida che lei aveva implicitamente lanciato.

Robert guardò di striscio House poi riprese, meccanicamente. “Dicevo, ha cinquantotto anni ed è stato ricoverato per crisi respiratoria.”

“Nessun’altro sintomo?” chiese Foreman, incrociando le braccia.

Cameron aggrottò la fronte. “Un momento, solo a me interessa sapere chi è questo tizio?”

“Ehi, hai ragione!-sbottò House.- Chase, ripeti quell’insignificante nome, potremo dedurre che cosa gli ha tolto il respiro dai polmoni!- lei lo guardò, esasperata.- no, non interessa a nessuno, se non l’avessi capito, e adesso se possiamo continuare..”

“è tutto.” Disse Robert, chiudendo la cartella. “ a parte alcuni episodi di vomito negli ultimi giorni.”

“Particolare irrilevante, vomitano tutti ai giorni nostri.” Sottolineò House fulminando con lo sguardo il suo dipendente che si difese, dicendo: “c’è scritto che ha avuto anche la febbre. È molto probabile che non centri nulla con la crisi respiratoria e che il vomito sia riconducibile ad una sorta di virus intestinale.”

“Quindi abbiamo crisi respiratoria e vomito.” Concluse House, voltandosi per imprimere gli unici due sintomi sulla sua lavagnetta. “Ipotesi?” disse quindi voltandosi solamente con la schiena.

“Facciamo una risonanza magnetica al torace e gli esami di routine.” Propose Chase, con uno scrollo di spalle.

“Impossibile.” Commentò House con un sospiro. “ho sentito che qualcuno ha distrutto la nostra risonanza magnetica.” Disse osservando istintivamente proprio Allison che commentò, per nulla intimidita “Lo hai fatto anche tu un po’ di tempo fa.”

“Era un esperimento importante, il mio.”

“E io dovevo cercare di curare un paziente.” rilanciò lei, leggermente protesa in avanti.

“Paziente.. una balena piuttosto.. ” commentò l’altro con un sorriso beffardo.

“Comunque non credo che sia un problema abbiamo pur sempre una Tac.” Disse quindi lei con un sorriso di sfida.

“Temo di no.” questa volta fu Foreman ad intervenire. “è l’unico strumento a disposizione ed è tutto prenotato per circa sei ore. La nuova risonanza arriverà poco prima, credo.”

“Chi aveva detto che non era un problema?” domandò, retoricamente, il diagnosta senza staccare gli occhi da lei. “D’accordo, ecco il vostro piano d’attacco: Cameron, per punizione, per te niente anamnesi, so che ti piace farla quindi per questa volta cedi il posto a..” fissò Foreman. “Chase!”

L’australiano roteò gli occhi ma non aggiunse altro.

“Poi, l’uomo nero va fare gli avvincenti esami di routine e tu…-  disse fissando la sua immunologa negli occhi.- tu va a sbattere le ciglia, sorridi, muovi il sedere fa quello che ti pare ma voglio che il nostro paziente possa avere una tac entro un’ora.”

Lei lo fulminò con lo sguardo, stringendo le labbra.

“Ok. Due. Ora fuori!”

Chase le lanciò uno sguardo quasi ilare poi si avviò con Eric alla porta ed in breve furono entrambi fuori dall’ufficio. Cameron sospirò, appoggiando le mani al tavolo. “D’accordo. Qual è il tuo problema? Il bacon era troppo crudo??”

Lui sorrise, notando come lei avesse fatto riferimento alla loro pseudo convivenza solamente dopo che Chase e Foreman erano usciti. “No, in effetti il bacon era perfetto, sei tu ad essere stranamente acida. Nottata difficile?”

Lei distolse lo sguardo, arrossendo leggermente. Lui indugiò con lo sguardo, godendo, quasi, a vedere il suo rossore. “Non dirmi che il divano era scomodo, potrei offendermi!”

Allison alzò finalmente gli occhi, sospirando leggermente. “No.- disse, piano.- era comodissimo il divano.”  Continuò con un filo di voce, quasi soprappensiero. “Io… io vado.” Disse quindi, facendo per uscire.

“Ah, Cameron!” la richiamò Greg con un moto d’ironia. Lei si voltò e lui proseguì quasi ridendo. “buon lavoro!”le raccomandò, fingendo uno sguardo sensuale.

Lei lo degnò appena di uno sguardo, poi, un po’ soprappensiero, uscì finalmente dall’ufficio.

 

 

 

Chase entrò nell’ufficio esattamente un’oretta dopo, con l’anamnesi e altri informazioni ricavate dall’ispezione all’abitazione del malato. Trovò Foreman ed House discutere animatamente davanti alla lavagnetta, ora decisamente più piena di sintomi.

“Ci sono novità?” domandò quindi, un po’ confuso.

Foreman si voltò verso di lui, un po’ scocciato come se avesse interrotto il suo match. In effetti  mancavano forse un paio di bisturi e un buon arbitro e quello si poteva considerare un ring a tutti gli effetti. “ Hans è peggiorato. Dalle analisi risulta che l’ossigenazione del sangue è molto bassa, aumenta l’anidride carbonica e questo causa la velocità e la profondità della sua respirazione.”

“Lo sai qual è l’ultima sparata di Foreman?- esclamò Greg esasperato.- ha detto che è Flatulenza!”

Robert si voltò verso di lui, incredulo.

“L’avevo detto mezz’ora fa quando non era ancora pervenute la tosse e l’insufficienza respiratoria acuta.” Si difese il neurologo. “ adesso è ovvio che il vomito non centri, prima no.”

“Ah, certo!!” sbottò Greg, prendendolo in giro. “la verità è che hai detto un’assoluta cavolata e adesso ti senti in imbarazzo.”

“Tu ne spari una dietro l’altra, non vedo perché dovrei sentirmici io! Come tuo dipendente mi sento quasi obbligato ad adeguarmi a te!”

“Se posso interrompervi - iniziò Robert, sarcastico.- dall’anamnesi non risulta nulla di particolare. Solo suo padre, morto di cancro un anno fa.”

“Cancro dove?” domandò House martellando con il bastone.

“Al polmone.”

Greg ed Eric si scambiarono quasi uno sguardo d’assenso. Robert lo notò e gli venne in mente le parole con cui li aveva definiti Cameron, tanto tempo prima: grandi menti all’unisono. 

“E la casa?” chiese il diagnosta sbadigliando.

L’australiano alzò le spalle. “Niente di particolare.”

“Dove vive?” incalzò l’altro.

“In una specie di baracca, vecchissima anche se lui la tiene bene. È un grande igienista a quanto pare.” disse quindi affondando le mani nelle tasche del camice. House restò a fissare il pavimento per altri secondi quindi disse , come se avesse visto sentito la lampadina illuminarsi. “Torna lì e accertati di conoscere con esattezza i materiali di costruzione.”

“E come diavolo..”

“Sei ancora qui??” gli urlò sopra House, irritato. Chase trattenne una sfuriata, strinse le labbra e annuendo lentamente ritornò amaramente sui suoi passi.

Foreman si girò verso di lui ma non fece in tempo a dire nulla perché l’arrivo di Cameron zittì entrambi. “La tac è pronta, faccio andare il paziente.” disse, concitatamente.

House guardò l’orologio. “Un’ora e mezza. Wow. Allora, dicci Cameron, qual è il tuo segreto? promesse piccanti o..”

“In effetti sono dovuta andare a letto con metà dei tecnici, ma alla fine il risultato è stato buono, no?” disse, sarcasticamente.

“Ah, e io che non volevo fare il paramedico!” sbottò House sulla stessa falsariga. Lei arrossì di nuovo ma non se ne accorse nessuno o almeno così le sembrò, coperta dalla forte patina di ironia di cui si serviva.

“Vado.” Disse, uscendo velocemente dall’ufficio, lasciando i due uomini interdetti, per qualche istante.

“Come avrà fatto?” domandò, più a se stesso che ad House, Foreman.

Greg sorrise, orgogliosamente. E a chi conoscesse veramente House, quel sorriso l’avrebbe detta lunga.

 

I risultati della Tac arrivarono una mezz’oretta dopo. I polmoni risultavano infettati da piccole fibre che ad un’analisi più approfondita, effettuata da Foreman, risultarono essere amianto.

“è incredibile.” Mormorò Allison sospirando. “Per avere tanto amianto nei polmoni dovrebbe esserci stata un’ ingente esposizione..”

“Ed infatti c’è.” la voce di Robert fece voltare tutti quanti. L’ufficio era quasi in penombra, parallelamente al tempo fuori che stava rapidamente oscurandosi. Sospirando, l’australiano riprese. “Sembra che la sua abitazione sia stata costruita con del materiale silicico isolante, amianto appunto.”

“Dovremmo chiedere a Wilson se..” iniziò Eric ma House lo zittì con un sorrisetto beffardo. “Non ce n’è bisogno. Io  dico che è Asbestosi.”

Allison alzò le spalle. “Non c’è terapia.” Gli altri due colleghi annuirono, un po’ soprappensiero.

“Andate a dire a questo idiota con la casa di zucchero che gli è venuta la glicemia alta e che deve andarsene al più presto. Sempre che non sia troppo tardi. Accertatevi che non ci sia già tumore.- disse, sulla soglia.- se non c’è tumore bla bla bla, se c’è e presto andrà a fare compagnia al padre, speditelo in oncologia. Io andrò a  casa mia, a riflettere sulla caducità della vita umana..” disse, uscendo definitivamente.

I tre paperotti si scambiarono uno sguardo un po’ perso. “Chi va a parlare con Hans?” chiese poi Chase, con le braccia incrociate, appoggiato al tavolo. Dopo un piccolo silenzio Allison annuì dicendo. “D’accordo. Ci parlerò io.” E dopo poco anche la sua dolce silhouette era scomparsa dall’ufficio di diagnostica.

 

 

Un paio d’ore dopo, quando Cameron arrivò nell’abitazione di House si stupì nel trovarla completamente vuota. Infondo il suo capo aveva staccato quasi un’ora prima di lei, era sicura di trovarlo davanti alla televisione o davanti al computer.. invece la sua abitazione era stranamente vuota e in completo silenzio. Sospirò, richiudendo la porta dietro di sé.

Gettò la borsa sul suo divano-letto ed appese il cappotto grigio. Si chiese se lui l’avesse fatto a posta, se voleva passare il meno tempo possibile in sua compagnia oppure… magari aveva capito che aveva bisogno di riflettere sul suo passato e sulla benedetta bambina, Chrystal e sui tre anni prima, alla clinica Mayo.

Avete mai provato quel terribile senso d’impotenza, quando sentite che qualcosa può risolversi solamente con un vostro gesto, pensiero, ed invece niente, la vostra mente non vuole proprio aiutarvi? Lei tre anni prima lavorava con il dottor McLuise al reparto immunologia!

Come diamine poteva ricordare il caso di una malata di leucemia che magari aveva visto solo un paio di volte??

Il sogno della sera precedente le fece di nuovo venire i brividi.

No, magari non l’aveva vista solo un paio di volte nei corridoi. Quella piccola bambina era legata a lei più di quanto immaginava. E ricordava.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, lacrime di rabbia, di impotenza, di follia forse. Anche se la polizia avesse preso quel malvivente questo non avrebbe certo cambiato le cose. Certo, lei sarebbe stata salva, ma non avrebbe mai scoperto cosa lo aveva portato ad agire in quel modo. E non avrebbe mai potuto sopportalo.

Improvvisamente tra le lacrime sorrise, pensando che stava diventando cocciuta e testarda proprio come House, il ‘complesso dello stratega’ stava contagiando anche lei..

Si chiese cosa avrebbe fatto House al suo posto, cosa faceva lui di solito quando si sentiva così confuso e demoralizzato.. i suoi occhi incontrarono istintivamente il bellissimo pianoforte nero che troneggiava nella stanza. Si avvicinò a lui, con fare circospetto come fosse qualcosa di sacro..

Ah, la musica..  pensò ammirando la perfezione e la magnificenza dello strumento. La musica era davvero qualcosa di eccezionale. Rilassa, scarica, dà la possibilità di sfogare i propri sentimenti, la propria rabbia anche.

Quant’è che non suonava più?

Dalla morte di suo marito.

Nella loro casa avevano un gran bel pianoforte e lei suonava quasi tutti i giorni, ma poi, quand’era morto, quando si era trasferita a Mayo per l’internato, la sua passione era stata sepolta sotto il macigno del dolore e del lavoro. Aveva trovato nel piano la sua valvola di sfogo,poi, passato il piano, c’era stato il lavoro.

Quasi tremando, si sedette nel piccolo sgabello davanti al grande piano e, con un sorriso, constatò che era troppo basso per lei, visto che era regolato per uno stangone come House.

Lo regolò per la sua altezza, poi sfiorò delicatamente i tasti bianchi, quei tasti dove tante volte appoggiavano le mani del suo House. Si chiese, tra i sospiri, se qualche volta, suonando, avesse pensato a lei e al loro rapporto, se rapporto si poteva definire. Si chiese se a volte era proprio l’inquietudine e l’incertezza del loro feeling che lo portava a rifugiarsi nella musica..

Come se un vero e proprio spirito emanasse da quello strumento così caro ad House, anche lei sentì l’irrefrenabile voglia di suonare qualcosa.

Lui non se la sarebbe presa, forse non lo avrebbe saputo mai.

Cercò qualche spartito ma non ne trovò. Evidentemente House aveva la smania da compositore oppure, più semplicemente, ricordava tutto nella sua fervida mente.

Si affidò anche lei alla memoria allora e cercò nei suoi ricordi, fino a  trovare la canzone che amava tanto, forse l’ultima che avesse mai suonato.

Notturno.

Di Chopin.

Timidamente, quasi avesse paura che quei tasti d’ebano e avorio potessero ribellarsi reclamando il loro legittimo proprietario, li sfiorò, facendo risuonare solamente un accordo nella vuota abitazione.

Chiuse per un istante gli occhi.

Sì, ne aveva bisogno.

Lentamente appoggiò anche la sinistra, con il corrispondente contro canto. Aveva sempre creduto d’aver dimenticato tutto della musica, che nemmeno sapesse suonare più. Invece quella canzone era come stampata nella sua mente e le sue mani viaggiavano libere sul piano, quasi fuori dal suo controllo.

Immersa nell’estasi di quel momento non si accorse nemmeno della porta che si apriva.

Quando House, introducendo le chiavi nella serratura, aveva pensato di essere diventato matto perché credeva di sentire un pianoforte suonare, entrando aveva poi constato che era proprio così.

Allison era lì, seduta al suo pianoforte nero, e suonava divinamente.

Riconobbe  immediatamente la melodia. Era Notturno. Chopin.

Inavvertitamente chiuse la porta con più forza e il rumore sopraggiunse alle orecchie di Cameron che si fermò immediatamente, quasi immobilizzata. Allison chiuse lentamente gli occhi, aspettandosi una reazione da parte di lui.

Una battuta, sarcastica o meno, qualcosa, qualsiasi cosa.

Qualcosa che non avvenne.

Lui rimase in silenzio e lei non osò proferire parola.

Fu così che, altrettanto timidamente, riprese la canzone dall’inizio e questa volta sembrò liberarsi di tutte le sue timidezze, suonò come sapeva, come amava tanto fare, anni addietro. Lo sentì avvicinarsi ma l’idea di smettere non la sfiorò neppure. Greg non aveva detto nulla e tanto le bastava.

L’unico momento di incertezza fu quando le sembrò che lui avesse preso qualcosa, forse una sedia e l’avvicinasse a lei. Non era possibile, si disse, e continuò la romantica sinfonia, lasciandosi guidare solamente da quel grande sentimento represso.

Greg si sedette accanto a lei.

Quando lo realizzò fu quasi per fermarsi.

Lo fissò intensamente negli occhi non potendo quasi credere che lui, era lì, seduto accanto a lei. Rimase ferma in quell’accordo per qualche secondo.

House non smise di fissarla per altrettanto tempo. Sentiva qualcosa di fortissimo e di indecifrabile. Sentiva lei sulla stessa frequenza, sulla stessa lunghezza d’onda forse per la prima volta veramente in tanto tempo.  Senza quasi pensare, mise anche lui le mani sul piano, instaurando una sorta di contro canto, di quelli che si eseguiscono solamente se l’aria viene suonata a quattro mani.

E suonò con lei.

Allison sentì mancarle il respiro ma continuò con la sua melodia e lui con la propria. Greg  ammirò silenziosamente lo splendido lavoro che le piccole mani di lei compivano sul suo pianoforte, apprezzandone la tecnica e i trilli eseguiti a perfezione.

L’immunologa si lasciò andare abbastanza tranquillamente, finché non si accorse che la sua melodia doveva scendere e sarebbe andata a confinare con la stessa di House. Si disse che doveva smettere di suonare ma poi le sembrò un sacrilegio interrompere tutto, così, timidamente, spostò la sinistra tra le mani di Greg, per poter continuare.

House sorrise e la fissò un istante. Lei arrossì ma non tolse la mano e, qualche secondo dopo,  quando dovette di nuovo spostarsi di un’ottava non sentì il sollievo che aveva immaginato nel ritornare a suonare più distante da lui.

Anzi. Sentì una sorta di vuoto.

Ma non per molto.

Questa volta fu House a avanzare di ottave in ottave, fino a arrivare a lei e non ebbe la benché minima timidezza di intrecciare le sue mani con le sue. Le loro braccia si sfioravano ripetutamente e la loro musica s’intrecciava nella maniera più meravigliosa e sublime che avessero mai potuto fare.

Il momento più divertente ed emozionante insieme fu quando dovettero aumentare il volume. Entrambi si mossero per premere il pedale e si incontrarono, così che alla fine non lo premette nessuno.

Ma anche se il pezzo finale dell’opera non aveva avuto l’enfasi necessaria, lo sguardo e il sorriso che si scambiarono dopo quel piccolo scontro, la ripagò mille volte.

La canzone finì poco dopo.

Il ritmò si calmò e anche le loro dita smisero di fremere sui tasti, diventando più quiete, più lente e romantiche. Si concluse con un accordo, eseguito da entrambi, perfettamente, all’unisono.

La casa si svuotò di nuovo, ripiombando nel silenzio.

Cameron sembrò realizzare quanto era accaduto solamente in quell’istante. Sentì il cuore rimbombargli nel petto e nelle tempie, la schiena scossa da brividi. Si voltò verso di lui, cercandone disperatamente gli  occhi.

E li trovò.

La stava fissando da minuti.

“Ho suonato il tuo pianoforte..” disse anche se la sua voce risultò quasi un sussurro. “mi dispiace.”

Lui sorrise, teneramente. “Non devi.”  Le rispose con la voce un po’ roca.

Allison sospirò, tremando. Sentire la propria armonia accordarsi cos’ perfettamente con la sua, sentirlo cos’ vicino, la stordiva, la emozionava.

Come mossa da un semplicissimo e primordiale istinto, Allison si avvicinò un po’ più a lui, fissando dolcemente le sue labbra.

Non dovette muoversi ancora.

Lui le venne incontro.

Incontrò la sua bocca a metà strada e ne sfiorò le labbra carnose. Dapprima fu un piccolo tocco poi House la baciò davvero, passandole un braccio intorno alla schiena e sentendo in contemporanea le mani di lei intrecciarsi con le proprie e stringerlo per la nuca.

Sentì le piccole mani di lei muoversi per iniziare a svestirlo e lui le facilitò il compito, sfilandosi la giaccia senza mai lasciare il contatto con le sue labbra. Lei lo spogliò, velocemente, poi lasciò che anche lui fece altrettanto. Mentre il suo cuore e il suo corpo erano andati velocemente in fibrillazione dall’emozione, il suo cervello gridava allarme rosso, perché prima di buttarsi con lui avrebbe dovuto farsi mille domande, rispondersi, poi ponderare, valutare.. ah, al diavolo!

Lui, era lì, tra le sue braccia. E l’amava.

Che cos’altro avrebbe dovuto chiedersi?

House ricambiò lo slancio di Cameron con un affetto ed una passione che mai avrebbe creduto possibile, quella passione che lui credeva sepolta dai tempi lontani della convivenza con Stacy. Da quanto tempo non amava una donna?

No, forse non era passato troppo tempo.

Ma da quanto tempo non amava così una donna??

Quella che aveva tra le braccia non era una ragazza qualsiasi, era lei. L’unica che gli procurasse quel brivido, quel tormento così forte da assomigliare ad una vertigine, ad un mancamento, uno scompenso, un capogiro. Aveva sentito di amarla e, benché avesse troppa paura di questo sentimento così forte, benché non credesse che fosse per lui ancora possibile amare qualcuno, tutto questo accadeva veramente.

Con lei.

Lì, su quel divano un po’ scalcinato, si consumò la loro passione. Suonarono insieme, di nuovo, eseguendo una melodia ancora più armoniosa di Chopin o di qualsiasi altro grande autore.

Quella era la sinfonia del loro amore.

Si ritrovarono uno sopra l’altra dal momento che il divano era troppo piccolo perché entrambi potessero entrarci in maniera orizzontale e l’idea di poter raggiungere la camera da letto di Greg, in quel momento, era stata impensabile.

Allison si trovò su di lui, per chissà quale strana legge della fisica, ancora un po’ ansimante, con il capo appoggiato al suo petto dove sentiva distintamente il cuore battere ritmato. Si sentì per la prima volta protetta, tranquilla, sicura. L’assassino e i suoi problemi sembravano lontani, evanescenti, cancellati dalla felicità di quei momenti.

Alzò il capo, fissandolo negli occhi. Voleva parlargli di lei, dei suoi sentimenti ma lui non gliene diede modo alcuno, interrompendola con un sorriso sornione e una domanda truffaldina. “Che c’è per cena? Ah non t’offendere io sarei anche sazio ma ho l’impressione che il mio stomaco non sia del mio stesso parere..”

Lei sorrise, cogliendo la sua voglia di eclissare l’argomento.

Acconsentì a farlo. Almeno per il momento.

“Vediamo che mi posso inventare..” disse quindi afferrando la sua camicia da notte e alzandosi anche se a malincuore da quella posizione. Si diresse in cucina con il sorriso sulle labbra, canticchiando mentalmente una canzone allegra, spensierata come mai nella sua vita. Non le importava se Greg non aveva voluto parlare di loro. Ci sarebbe stato tempo anche per quello, bisognava solamente aspettare.

“E se ordinassimo una pizza?” la voce di House la raggiunse mentre era ancora in avanscoperta. “A meno che tu non ..”

lo squillo improvviso del campanello interruppe il diagnosta che lasciò la frase a metà.

“Al diavolo.” Imprecò Greg iniziando a raccattare i suoi vestiti. Suonarono di nuovo.

Cameron si affacciò dalla cucina. “E adesso?” domandò, un po’ spaesata.

Lui sospirò. “Non viene mai nessuno qui a parte Wilson. Quindi nasconditi, qualsiasi cosa voglia lo liquido in un secondo.”

Lei annuì, poco convinta e si rifugiò di nuovo in cucina mentre House, con addosso jeans e maglietta e un’espressione che la diceva lunga sul suo stato d’animo, andava ad aprire la porta.

Aprì l’uscio di casa con uno scatto ma non appena vide chi era alla soglia, la richiuse di botto.

Cameron s’affacciò di nuovo. “Chi era?” domandò.

“Nessuno, nessuno.- s’affrettò a rispondere.- saranno questi ragazzetti del palazzo vicino, gente sbandata che per ammazzare il tempo non fa altro che rompere i ciglioni agli onesti cittadini!”

Si sentì di nuovo bussare, alle spalle di Greg e questa volta, anche la voce del misterioso interlocutore. “Signor Gregory..- la voce cantilenante di un’anziana.- sono la signora Thomp..”

Allison aggrottò la fronte e gli lanciò un’espressione piuttosto eloquente. “Ragazzetti, eh?”

“Anziani e ragazzini. La testa è sempre quella.” Borbottò girandosi e dopo un respiro profondo, aprì finalmente l’uscio di casa con il più ironico dei sorrisi. “Oh signora Thomp, buonasera! Mi scusi  la mia colF deve averle chiuso la porta in faccia poco fa…”

“Oh non fa nulla…” disse l’anziana cercando di sbirciare all’interno ma Greg le si parò meglio davanti in modo da impedirgli ogni visuale. “e a che cosa devo l’onore e l’onere della sua visita?” la incalzò con un sorrisetto un po’ bastardo.

L’anziana signora mise gli occhiali che portava sul petto e prese una strana busta bianca, probabilmente proprio il motivo della sua visita. “Ecco.. mi hanno consegnato questa per.. la signorina Cameron  c’è scritto.. mi hanno detto che abita qui da voi.. oh, gli ho detto che c’era un errore perché voi abitate solo ma non ha voluto ascoltarmi e mi ha pregato di consegnarvela..”

Il volto di House si fece immediatamente serio. “Chi gliel’ha data?” domandò, osservando attentamente la busta.

“Un giovanotto, alto, un po’ riccio..”

“Quanto tempo fa?” domandò di nuovo, sempre più concitatamente.

La donna si trovò spiazzata di fronte a quell’improvviso interessamento per una cosa che lei aveva considerato quasi di nessuna importanza. “Questa mattina.. ma lei non era in casa..”

Greg annuì e disse, frettolosamente. “D’accordo, aspetti un secondo.” Ritornò da lei una frazione di tempo dopo, indossando un paio di guanti plasticati. La donna stava per domandargliene il motivo ma lui l’anticipò, le prese la busta dalla mano poi disse, serio. “Come si sente?- la donna non rispose.- le ho chiesto come si sente, ha qualche disturbo?”

“Ehm no, io.. credo di no..” balbettò l’anziana, spiazzata.

“Rientri in casa e se sente qualcosa che non va, mi chiami.” Disse, rudemente, chiudendo l’uscio senza dire altro.

Allison fece la sua comparsa proprio in quell’istante. Stava per farci una battuta ma quando vide l’espressione tesa e preoccupata di House la voce le morì letteralmente in gola. “Che cos’è?” domandò, rivolta alla busta.

House la osservò un istante poi appoggiò la piccola busta bianca al tavolo, poi zoppicando, prese un paio di buste. Ricordava ancora troppo bene che Park era morto per un’infezione contratta con l’antrace e temeva che questa volta il pazzo potesse fare il bis. Non rispose nulla a Cameron la quale disse, poco dopo, con un sussurro. “è lui, vero?”

Greg alzò gli occhi, fissandola per un istante. “Adesso vediamo che cosa c’è.” con l’ausilio della pinzetta aprì la busta e, dopo essersi assicurato che non fosse infettata con polveri o robe simili, ne estrasse il contenuto.

Era una foto.

La alzò e la mostrò ad Allison, quasi con fatica.

Cameron si avvicinò lentamente, quasi ipnotizzata da quello che vedeva ritratto sulla pellicola fotografica.

C’era un bambina, magrissima, con il viso ridotto quasi ad uno scheletro, gli occhi però grandi, enormi ed azzurri proprio come i suoi. I capelli non c’erano più , al loro posto una cuffia rossa, sbarazzina come il sorriso dipinto sulle labbra della piccola.

Gli occhi di Allison si riempirono di lacrime e si portò le mani alla bocca.

Sotto, scritto a penna, con una bruttissima calligrafia un ‘Do you remember her??’

“Chrystal.” Sussurrò l’immunologa, con un groppo alla gola.

 

Finalmente quell’orrenda storia aveva una spiegazione, un perché, finalmente ricordava, finalmente aveva capito.

 

Ora era tutto chiaro.

 

 

 

 

“Amami che’l Sol si muore e poi rinasce

a noi sua breve luce

s’asconde, e’l sonno eterna notte adduce”

Torquato Tasso. ( Aminta)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued..

 

Diomache.

 

 

 

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Capitolo 10
*** Amore. Come il vento che piega le querce. ***


Sono vivaaa!!! Sì, non ci credevo più nemmeno io ma finalmente ce l’ho fatta!!!

Eccoci qui con il decimo e penultimo capitolo della storia.. vi avverto che sarà un capitolo abbastanza intenso e anche un po’ complicato da scrivere.. volevo far finire la storia con questo aggiornamento ma ho realizzato che mi sarebbero venute troppe pagine così ho fatto uno dei miei soliti tagli nei momenti più cruciali.. non mi uccidete!

 

Ok, vi lascio alla storia, avete aspettato anche troppo ma prima ho l’obbligo e il piacere di ringraziare tutti voi, partendo da una dedica:

 

Questo capitolo è dedicato ad Andrea, il mio migliore amico. Non so se lo leggerai ma volevo comunque che sapessi che senza di te queste settimane non le avrei mai sopportate. Grazie.

 

Passiamo adesso ai ringraziamenti dei lettori e delle lettrici che hanno recensito la volta scorsa e che mi hanno sostenuto rispondendo al capitolo avviso con le loro belle parole, grazie mille! Inizio quindi col ringraziare: Venus, Amy, Preziosoele, Briseis, Apple, Aras5, _Vally_, Nick, Mercury259, Miky91, Hikary.

 

e poi naturalmente: Toru85, Hamburger, Amarantab, Mistral, SHY, Pinacchia, Sheila, Damagedlove, EriMD, Meggie, Elbereth.

 

GRAZIE DI CUORE!!

 

per Nick: bravo!! Hai intuito la trama quasi alla perfezione… ci sei davvero vicino..

 

Scusatemi non ho molto tempo a disposizione, mi piacerebbe rispondere ad ognuno di voi, ma non posso… magari lo farò la prossima volta con la chiusa!

 

Spero vivamente di non deludervi..

 

 

p.s: il titolo è ripreso dall’ultima citazione..

 

 

Buona Lettura,

Diomache.

 

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo X:  Amore. Come il vento che piega le querce. 

 

 

 

 

 

<< […] In quel viso devastato dall’odio per la filosofia ho visto per la prima volta il ritratto dell’Anticristo che non viene dalla tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o dalla verità come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. [..]

Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità. [..] perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità.>>

Il nome della Rosa. Umberto Eco.

 

 

 

 

 

“Chrystal..” la sua voce suonò come un sussurro mentre i suoi occhi passavano dagli occhi della bambina, nella foto, a quelli di House, ritto in piedi davanti a lei. La fissava impaziente ma con uno sguardo che aveva uno strano che di orgoglioso.

“Questo è il momento che preferisco.- disse lui con una voce quasi sognante.- quando il gioco finisce e il mistero si risolve. Quando capisci che tutto aveva un senso, aveva sempre avuto un senso, solo che non lo afferravi per intero.. e adesso tutto coincide e ogni singola parte del puzzle si incastona perfettamente con le altre” concluse avvicinandosi a lei di qualche passo.

Allison distolse lo sguardo. “Per arrivare alla soluzione però questo puzzle si è portato via due vite.”

Greg sorrise amaramente. “I misteri sono sempre pericolosi. Qui sono morte due persone, nell’iter diagnostico a volte un puzzle troppo complicato ti porta via il paziente. l’importante è arrivare alla soluzione prima che sia troppo tardi.”

Lei alzò lo sguardo di scatto, infastidita. “Per scoprire di che cosa si tratti?” disse, acida.

Ma questa volta si sbagliava. Non era questo che House intendeva, anche se normalmente era quello il significato della sue parole. Cameron lo capì non appena incrociò i suoi occhi e si pentì del suo scatto d’ira.

Il diagnosta piegò lo sguardo di lato. “No.” disse quindi. Gli costavano quelle parole. gli costavano parecchio. “prima che potesse portarsi via anche te.”

Gli occhi di Allison cercarono disperatamente i suoi ma lui non si volse a guardarla, forse imbarazzato. “Allora.- disse quindi.- vogliamo delineare questo puzzle sì o no?”

Cameron sospirò, si passò una mano tra i capelli. Avrebbe voluto volare tra le sue braccia, affondare i capelli sul suo petto e sentirlo vicino come poco prima. Avrebbe voluto  stringerlo, sospirare, piangere, attaccata a lui, sentirsi di nuovo le sue mani tra i capelli.. raccontare tutto, sì, ma sdraiata con lui, sul divano, davanti al caminetto accesso.

Ma non poteva.

Che cosa era rimasto di quell’armonia di poco prima, dell’amore, della passione che li aveva travolti? Niente.

Cercare un contatto diverso da quello visivo, un contatto fisico con lui, aveva perso di senso adesso. Erano come due estranei. Allison e Greg erano stati messi da parte, chiusi in una parentesi che Dio solo sa quando avrebbero riaperto.

Negò con il capo e si distanziò da lui prima di qualche passo, poi gli voltò le spalle e si diresse verso la finestra. Gettò gli occhi fuori, sul paesaggio invernale. Sentiva i suoi occhi che non la lasciavano un solo istante e con il calore che quello sguardo continuava ad infondergli, iniziò, il  suo triste racconto.

“Tutto è cominciato tre anni fa, alla clinica Mayo.- disse, senza voltarsi.- lei.. lei si chiamava Chrystal.. ed è il caso a cui tu ti riferivi, ieri.”

House sfoggiò un piccolo sorrisetto soddisfatto. “ Quindi avevo ragione quando ti dicevo che l’unico link che avevo trovato tra i due dottori morti era questa Chrystal e che..”

“Si è lei.- si voltò questa volta, appoggiandosi alla finestra con la schiena e puntando i suoi occhi smeraldo su di lui.- complimenti.” il suo tono risultò un po’ acido.

House sorrise, quasi divertito. “I complimenti lasciamoli a dopo, lo sai che mi imbarazzo sempre. Continua.”

Lei corrugò appena i lati della bocca. “Chrystal Higt venne portata alla clinica di Mayo quando io ero una specializzanda e lavoravo con il dottor McLuise. Non era una nostra paziente, era stata affidata a Law, reparto oncologia.”

“Si questo lo so.- l’interruppe lui, annoiato.- questo è quello che ti ho raccontato io facendo una comparazione tra le cartelle cliniche di Park e Law.- roteò gli occhi.- non vale se mi rifili la mia storiella, devi metterci qualcosa di tuo!”

Allison aggrottò la fronte, in un chiaro segno di fastidio. “House, smettila di parlare di questa storia come se fosse l’ultimo di libro di Agata Christie ” sentirsi pronunciare il suo cognome le diede subito un grosso fastidio. Dopo quello che era successo, si era immaginata di poterlo chiamare Greg.

“Ok, penseremo a scriverci un libro più in là.- disse l’altro ignorando la polemica e fingendo pazienza.- ma cerchiamo di ricostruire i fili del discorso, va bene? Questa Higt, accompagnata dal paparino,va da Park, ospedale di New York. Diagnosi: leucemia. Poi va alla clinica Mayo, perché Hitg non si fidava della diagnosi di Park e..”

“E la prende in cura Law.” Concluse lei, incrociando le braccia.

“e fino qui ci siamo!- esclamò lui, quasi spazientito- adesso è il tuo turno! Come entri in scena tu nella vita della famiglia Hitg? Che c’entri con loro due?- s’interrompe, fingendo di aver trovato la soluzione.- oh no, non dirmi che eri andata a far beneficenza presso i bambini di oncologia e..”

“No.” lo interruppe prima che potesse sparare qualche fastidiosa cazzata. “McLuise era molto amico di Law. I due si consultavano spesso e anche quella mattina Law gli chiese se poteva venire per un consulto. C’ero anch’io nell’ufficio.”

 

“Jhon?” la porta dell’ufficio si spalancò e la sagoma asciutta di Law fece il suo ingresso.

Jhon McLuise alzò gli occhi dalla cartella clinica che stava consultando. “Oh, buongiorno.. a che dobbiamo la visita?”

Cameron era lì, seduta di fronte alla scrivania di McLuise. Aveva i capelli sciolti, lunghi sulle spalle, il camice bianco e un sorriso delicato dipinto sulle labbra.

“Mi faresti un favore? Ho bisogno di un consulto, è un caso importante.” Law parlava con una certa ansia nella voce. Per la prima volta in tanti anni, McLuise negò con il capo, sospirando.

“Non posso, mi dispiace. Ho per le mani un caso troppo delicato.- fece una piccola pausa poi puntò i suoi occhi grigi sulla sua giovane assistente.- ma ho qui la dottoressa Cameron. Allison, te la senti di andare tu?”

 

“Inizialmente Law non era molto convinto. Lui era.. nervoso.. agitato.. voleva assolutamente che fosse McLuise a venire al colloquio.”

“Ma alla fine andasti tu.” Concluse House picchiettando le dita sul tavolo. “E poi?”

Lei alzò le spalle, incrociando le braccia dietro la schiena. “Le ragioni del nervosismo di Law non restarono un mistero ancora per molto. Me ne resi conto non appena misi piede in quella camera.”

 

Law mise mano alla porta e dopo averle regalato uno sguardo carico d’ansia lasciò che fosse Allison ad entrare per prima e ad osservare cosa stava succedendo.

Innanzitutto vide un uomo, sui trentacinque anni, riccio, alto, camminava nervosamente da una parte all’altra della stanza, con lo sguardo basso, gli occhi infossati e lucidi di pianto, le mani portate al petto e sfregate continuamente tra di loro.

Poi, dietro di lui, il fantasma scheletrico di una bambina.

 

 

“Ne ebbi paura quasi subito.- confessò Cameron accarezzandosi le braccia.- lui aveva uno sguardo strano, parlava a raffica..”

“Che cosa ti diceva?”

“Informazioni sulla bambina. Continuava a ripetere che Park era un assassino e che lui l’aveva voluta uccidere la sua Chrystal.”

“E la bambina?- insistette House.- che diceva lei?”

 

 

Chrystal, la piccola bambina malata di cui il padre non faceva che parlare, era quasi muta, risucchiata dal grande cuscino del letto d’ospedale, con lo sguardo fisso e gli occhi sprofondati.

 

“Nulla. Non diceva nulla. – questa volta fu Allison a fissare il proprio sguardo su un punto indeterminato, come se la sua mente fosse altrove.- ascoltava suo padre sproloquiare in silenzio. Allora m’insospettii e chiesi di restare sola con lei. Volevo parlarle. Suo padre sembrava così.. ossessivo..” alzò gli occhi per spiare le reazioni del suo capo alle sue parole.

“E..” l’incitò lui.

 

“Chyrstal, sono la dottoressa Cameron.” le sorrise, cercando di attirare la sua attenzione.

Ma la bambina non la degnò nemmeno di uno sguardo. “Vattene.” Sussurrò, soltanto.

Allison aprì la bocca, incredula. “Perché vuoi che me ne vada?” chiese, lievemente. “Io voglio solo scoprire che cos’hai, non voglio farti del male.” Nessuna risposta. “Nessuno vuole farti del male. Qui sei al sicuro.. ehi.. piccola..” le sfiorò la mano magra ma la bambina la ritrasse.

Poi, improvvisamente, girò il volto di scatto, fissandola con i suoi occhi blu. “Risparmia il tuo tempo, dottoressa Cameron. Io morirò.”

 

 

“Piuttosto consapevole per essere una bambina.”

Cameron sorrise, triste. “Suo padre è pazzo, non lei. Scoprimmo che erano mesi che si sentiva male.”

House aggrottò la fronte, curioso. “Che vuoi dire?”

“Chrystal mi raccontò di aver iniziato a star male quasi un anno fa. Aveva chiesto a suo padre di essere portata dal dottore ma senza risultato. – la voce le vibrò di pianto quando continuò- quel pazzo era troppo fuori di testa per capire che stava male. Pensava che volesse solo attirare la sua attenzione, perché lui era poco presente.. pensava che fossero capricci.. mentre lei moriva di leucemia..” una lacrima le scivolò dalle guance, e lei la asciugò subito, con stizza.

Greg negò con il capo, sconvolto.

“E non è finita.- proseguì lei con gli occhi traboccanti di lacrime.- lui.. lui non accettava la malattia di sua figlia… come non aveva accettato la diagnosi di Park, così non aveva accettato quella di Law.. mi chiese in disparte di visitare sua figlia.. perché di me si fidava e voleva il mio parere medico.”

“Che cosa avevi fatto per avere la sua fiducia?”

“Niente.- rispose, lei, soprappensiero.- assolutamente niente.”

“I miracoli di un bel viso.- commentò House, quasi infastidito.- quindi?”

“La visitai, feci gli esami. Era leucemia.”

 

“Allora, dottoressa Cameron??” la voce di Higt la fermò per il corridoio. Cameron alzò lo sguardo dalla cartella di un altro paziente e lo fissò su quello dell’uomo che aveva di fronte. Era sconvolto e ancora più agitato del normale.

Istintivamente si guardò intorno, quasi spaventata dall’idea di restare sola con lui. Ma sfortunatamente erano quasi le una di notte e il corridoio  era muto e deserto.  Un successivo “Allora??” da parte dell’uomo la spronò a parlare e a rivelare la sua diagnosi.

 “Purtroppo Park non si sbagliava.” disse, sussurrando.

“No..” mormorò l’uomo, fissando il pavimento.

Lei continuò. “E nemmeno Law. È leucemia, signor Higt.”

“No, no..”

“Sua figlia è gravemente malata, la malattia ha uno stadio molto avanzato e..”

“NOOO” urlò, prendendola improvvisamente per le spalle e sbattendola violentemente al muro.

 

Un brivido passò lungo la schiena di Allison al ricordo di quegli avvenimenti.

“E tu l’hai denunciato.” Continuò Greg come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Ma non appena incrociò gli occhi di lei, capì che tanto ovvia non era. “.. non l’hai fatto?- esclamò, incredulo.- quell’uomo aveva delle gravi mancanze nei confronti della figlia e aveva aggredito un medico! Potevate togliergli la bambina in una giornata, sarebbe bastato chiamare gli assistenti sociali! E non l’avete fatto! Ma che cosa aspettavate, che mettesse una bomba nella risonanza magnetica??”   

“Non credere che io non ci abbia pensato.” Rispose lei, fissandolo intensamente. “Ma..”

 

“No, non possiamo farlo.”

Cameron sgranò gli occhi, sconvolta, di fronte alle parole che aveva appena pronunciato Law, aspirando dalla sigaretta, all’entrata della clinica.

“Ma quell’uomo..”

“Lo so, Allison.- continuò lui, teso, fissandola negli occhi.- ma pensa alla bambina. Pensa a Chrystal, per un attimo. Dovrà fare un intervento molto delicato. Avrà bisogno di lui, adesso. anche se pazzo, è pur sempre suo padre.”

 

“l’intervento come andò?” domandò House con il capo leggermente piegato verso il pavimento.

Lei sorrise, tristemente. “Non ci fu nessun intervento.- sussurrò.- suo padre la portò via dalla clinica due giorni dopo. Sosteneva che noi mentivamo, che sua figlia non era così malata, che non poteva morire.” Allison si fermò un istante e proseguì solo dopo aver tirato un bel sospiro profondo. “La portò in un altro ospedale, a San Francisco. Morì due giorni dopo per uno stupido errore di trasfusione.”

Aveva gli occhi pieni di lacrime adesso e la sua voce vibrava di pianto. “Io le ero affezionata.. ricordo ogni singola parola dei nostri colloqui.. le sue immagini mi tormentano ancora a volte, insieme al dubbio di non aver fatto abbastanza per lei..”

Greg fece un sorriso quasi ironico. “Se la malattia era in quello stadio avresti potuto far poco in ogni caso. Non ricominciare con il masochismo e i sensi di colpa, non è il momento- disse, brusco.- Adesso dobbiamo chiamare Smith e raccontare questa favola a sfondo macabro anche a lui.”

Allison corrugò la fronte, incredula. “Adesso non ho voglia di fare proprio niente.- rispose, acida.- raccontagliela tu, se ti diverte tanto fare il contastorie.” Non disse altro, prese i suoi vestiti, ancora sparpagliati sul divano poi, con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò in bagno, sbattendo violentemente  la porta.

Greg rimase, solo, a fissare il pavimento ancora qualche istante, maledicendo il suo distacco e il modo con cui l’aveva trattata.

Era un idiota.

Lei aveva bisogno di lui in quel momento e anche solo un abbraccio le sarebbe bastato.

E lui l’aveva trattata con una freddezza che non meritava.

Si appoggiò stancamente al divano, gettando un occhio sulla morbida superficie dove si erano rotolati pochi attimi fa. Era buffo pensare a come le cose si possono ribaltare completamente in meno di un’ora. Poco prima era stato tanto così dal dirle ti amo e adesso l’aveva praticamente presa a pesci in faccia mentre lei gli raccontava la sua terribile verità.

Sì, era un idiota.

 

 

 

 

 

I tacchi alti della donna scandivano con un leggero tic tic ogni suo passo mentre scendeva le scale del PPTH, la schiena un po’ piegata a destra verso il peso della sua ventiquattrore e gli occhi puntati verso il cielo che non prometteva proprio nulla di buono.

Lisa s’avviò così verso la propria auto, distante circa una ventina di metri, sperando che la pioggia non la cogliesse proprio durante il tragitto, dato che avendo una cartellina molto pesante e i tacchi alti non avrebbe potuto raggiungerla di corsa.

Ma questa volta la fortuna non fu a suo favore e dopo uno tuono l’asfalto davanti a lei cominciò a macchiarsi di tante piccole gocce di pioggia che, tempo nemmeno un secondo,andarono a formare una vera e propria raffica d’acqua.

“Maledizione!” imprecò  cercando di aumentare il passo ben coscia però che in quelle condizioni una bella doccia fredda non gliel’avrebbe tolta proprio nessuno. Sentiva che i capelli stavano già inumidendosi quando notò un contrasto quasi inspiegabile.

Si fermò, sentendosi all’asciutto. Si volse all’indietro ed incontrò la sagoma sorridente di James Wilson  che reggeva un ombrello, con in faccia un sorriso talmente ebete che se l’avesse visto House probabilmente l’avrebbe sfottuto per mesi.

Anche lei non potè fare a meno di sorridere. “Che c’è.- iniziò- si ride delle disgrazie degli altri?” aveva un tono ilare anche se un po’ canzonatorio.

Wilson s’accorse della stupida espressione sognante che aveva tenuto fino a poco prima e trovando un contegno riprese, dicendo, sarcasticamente. “è tutta la vita che sognavo di fare una vera e propria azione da cavaliere!”

“Falla completa allora.” continuò lei, porgendogli la ventiquattrore.

Lui la prese con slancio, non potendo però evitare di sottolineare con l’espressione del viso quanto fosse pesante. Lisa rise, dicendo. “Questo sì che è un comportarsi da uomini.- si girò- la mia auto è là. Mi accompagni?”

Benché la valigetta fosse pesantissima e l’ombrello iniziasse a minacciare di ribaltarsi per la forza del vento, lui non accennò alcuna esitazione e rispose avanzando in avanti con un piccolo cenno del capo.

Lei gli si accostò, protetta dal suo ombrello e finalmente alleggerita da quel peso fastidioso.

Giunsero in silenzio fino all’auto della donna. Lisa iniziò a farsi frettolosa. “Beh, grazie.” Disse facendo cenno di volersi riprendere la cartellina, e dicendo frettolosamente. “Io devo proprio andare, ho tantissime cose da fare..”

James lasciò che la donna si riprendesse la ventiquattrore e l’osservò mentre, agitata, cercava le chiavi nella borsa. Si chiese che cosa fosse giusto fare in questi casi ..se rompere il ghiaccio, se iniziare una conversazione, se..

Decise che avrebbe seguito l’istinto. Cuddy inserì la chiave nella serratura dell’auto, aprì lo sportello ma prima che entrasse Jimmy la prese per un braccio obbligandola a fermarsi.

“Lisa.- disse, osservandola intensamente negli occhi.- va tutto bene?”

La donna non interruppe il contatto visivo ma non rispose nulla.

Deglutì, a fatica, poi chiuse appena gli occhi, sospirando. “Sì.- mentì- va tutto bene.”

Per Wilson fu un colpo enorme. A questo punto avrebbe immaginato che lei si aprisse e gli confidasse il suo terribile segreto, non s’immaginava di nuovo quella fredda bugia.

“Ora scusami ma devo andare.”

Per nulla d’accordo, Wilson non lasciò la presa intorno al suo braccio. “Che cosa c’è che non va?- tornò a domandarle.- tu.. non sei obbligata a confidarti se non vuoi ma..- fece una piccola pausa, impacciato, lasciando che la pioggia scrosciante per un po’ prendesse il posto delle sue parole.- ma io vorrei starti vicino e aiutarti.”

Lei distolse di nuovo lo sguardo e lui proseguì. “I problemi sono più semplici se si affrontano in due.”

Dopo un piccolo silenzio lei rialzò lo sguardo, quasi inspiegabilmente ferita. “In due..- ripeté, amareggiata.- che cosa vuol dire in due, James? Io sono sola e sono sempre stata forte abbastanza da risolvere i miei problemi. Senza il bisogno di nessuno e questa volta non sarà diverso.”

“Nessuno può farcela sempre da solo.- le rispose lui, a tono.- tutti abbiamo bisogno di appoggiarci agli altri.. e anche tu. Altrimenti l’altra sera non mi avresti lasciato quel messaggio.”

Lei sembrò spiazzata, poi ribatté, acida. “Beh, ti ringrazio tanto Wilson. Ma preferisco così.”

Lui negò con il capo ma non s’oppose oltre. “Come vuoi.” Mormorò, scuro, aggrottando la fronte. Restò in silenzio ancora un po’ poi disse, amaramente. “Buona notte, Lisa.” Si  voltò e se ne andò, camminando tra la pioggia, sotto lo sguardo ovattato del dirigente ospedaliero.

Lisa lo guardò ancora un istante, poi fece per entrare nell’auto. Ma non appena ebbe aperto lo sportello si bloccò. Dimenticandosi della pioggia che dopo la partenza di Jimmy imperversava su di lei, si fermò a guardarlo, esitante.

Sentì un grosso groppo in gola e in contemporanea le lacrime premere incontrollate sulla soglia degli occhi. Iniziò a giocherellare con le mani, mentre sentiva il suo ferreo autocontrollo andarsene velocemente. “Non … - bastò quello per far fermare Jimmy.- non c’è. Non ci sarà mai.”

Lui si voltò con il cuore che gli batteva forte nel petto e si fermò a guardarla, mentre continuava, bagnata dalla pioggia. “Non ce la faccio più.- disse mentre le lacrime si mischiavano alla pioggia sul suo viso.- ho provato di nuovo ma.. non riesco ad avere figli..”

Scoppiò a piangere, singhiozzando, nella pioggia, davanti all’uomo che l’ascoltava incredulo.

Wilson lasciò cadere l’ombrello e le corse incontro, abbracciandola con vigore. Chiuse gli occhi mentre stringeva a sé e lasciava che si sfogasse a contatto con il suo petto, mentre la pioggia imperversava su entrambi.

Lui la strinse finché le sue spalle non smisero di alzarsi ed abbassarsi velocemente e lei si calmò, lentamente, anche se non accennò a volersene andare da quella stretta.

James si mosse accarezzandole i capelli umidi, dolcemente. “Vieni con me, Lisa. Vieni con me.”

Lei non rispose nulla, solo si staccò dal suo abbraccio e gli sorrise dolcemente.

Jimmy contraccambiò il sorriso, poi la prese per mano e si mosse all’indietro verso la sua auto.

Non chiese nulla, semplicemente si lasciò condurre da lui, con lo sguardo sognante e sorridente di una donna innamorata.

 

 

 

 

Greg lanciò di nuovo la sua pallina rossa ma sbagliò mira e il piccolo gioco questa volta invece che nella sua mano cadde sul materasso, accanto a lui. Sospirò. Si portò le braccia dietro la nuca e rimase immobile a fissare il soffitto sopra di lui.

Cameron era di là, nel salotto. Sola.

Dopo il piccolo screzio che avevano avuto non si erano più rivolti la parola. Lei si era rifugiata nella sua amarezza e lui era rimasto in disparte, come un osservatore silenzioso del dolore della ragazza. Non una parola, non una carezza, niente.

Se ripensava a quello che era accaduto, nel pomeriggio, gli venivano i brividi. Aveva fatto l’amore con Allison. La verità è che adesso aveva paura.. troppa paura.. di quello che sarebbe potuto accadere, aveva il terrore di scoprire quello che aveva provato, di dare un nome ben preciso alle emozioni che aveva sentito chiare e distinte nel cuore.

Parlare con lei, affrontarla, significava lasciare che tutto questo venisse alla luce.

Ma era questo il momento?

Non avevano adesso altre priorità, altri problemi? Dato che Cameron era troppo scossa per farlo aveva chiamato Smith raccontandogli la verità. Il commissario aveva preso un appuntamento per il giorno dopo, al PPTH, per parlare con Cameron, di persona.

Le sue riflessioni vennero interrotte da qualcosa di imprevisto e di toccante insieme. La porta della sua camera si era aperta lentamente, e la dolcissima figura di Cameron era comparsa, sulla soglia.

Ebbe un tuffo al cuore. Allison doveva davvero aver bisogno di lui se aveva calpestato il suo orgoglio e aveva fatto lei il primo passo.

Si rizzò sui gomiti, senza sapere con certezza cosa dire, esattamente.

“Sono stata una stupida.- la sua voce suonava sottile ma perfettamente lucida. Non c’era traccia né di commozione né di pianto.- ma tu sei stato un bastardo.”

Non obbiettò nulla; era vero.

Allison indossava la sua camicia da notte e Greg con un fremito alla schiena pensò di nuovo che avrebbe tanto voluto sfilargliela, di nuovo.

Gli occhi verdi della ragazza lo fissavano, abissali. “Che cos’è stato, House?” domandò, flebilmente.

Ecco, la domanda che più temeva.

“Ho bisogno di saperlo.”

 

 “e io ti piaccio? Ho bisogno di saperlo..”

 

House sbatté forte le palpebre allontanando i ricordi. Si alzò, mettendosi a sedere sul letto. Le fece cenno d’avvicinarsi ma Allison preferì restare lì, in piedi.

“So che non è il momento adatto, che ci sono molti problemi. Ma voglio sapere se per te tutto questo  stato solo sesso.”

Fece qualche passo verso di lui. “Non sono venuta qui per fare la moralista, solamente voglio fare chiarezza in tutta questa situazione. Perché se tu ti sei solo voluto togliere uno sfizio.. voglio che me lo dica, sinceramente. Voglio saperlo.- piccola pausa.- adesso.”

Il diagnosta deglutì, a fatica, cercando di affrontare uno dei momento più delicati della sua vita. “…. Non sei stata un capriccio.” disse, con la voce quasi roca

Lei sentì il cuore battere forte nel suo petto a quelle parole e l’incitò a proseguire. “E allora? Allora cos’è stato?”

Si osservarono, intensamente, nella penombra della sua camera, immersa nella notte.

“..Non lo so.. .”

Allison chiuse gli occhi quasi esasperata. “Hai fatto l’amore con me. Voglio una spiegazione.” tornò ad essere dura, ferita.

“Se ti dicessi che è stato solo sesso saresti soddisfatta?” la sua replica suonò amara più che sarcastica.

“Se è la verità, sì.” Continuò lei con la voce più instabile questa volta, mentre giocherellava, tremando leggermente.

“è stato solo sesso.”

Lei lo fissò intensamente. “ Non è vero.”

Greg non poté fare a meno di trattenere una risata. “Ah ah. Avevi detto che saresti stata soddisfatta.”

“Ma non è la verità.”

“E TU sai la verità, giusto?”

Lei annuì, decisa. “Puoi dire quello che vuoi.- sussurrò.- poi nasconderti quanto vuoi ma non è così, House. Io ti ho sentito.…-sospirò-  perché hai paura di dirmi quello che senti veramente?”

“Forse perché non ho sentito veramente niente.” ipotizzò con parole più dure di un macigno.

Lei ammutolì, deglutendo leggermente. Questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime.

“O..- proseguì Greg.- perché non so cos..”

“Io non mi accontento più di sapere cosa non è!!!!- le sue urla lo trovarono completamente impreparato.- io ho bisogno di chiarezza House. Voglio sapere CHE COS’E’!”

l’atmosfera cominciò a farsi più tesa, quasi insostenibile. “Dovrei chiedere a Chase se anche a lui hai fatto questo terzogrado..”

Cameron strinse i pugni, incredula. “Non ce n’è stato bisogno. Non ci siamo vergognati di ammettere che c’eravamo solo divertiti insieme. Tu invece non hai nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia che io per te sono stata una delle tue puttane!”

House fece per replicare ma lei gli parlò sopra. “Ti avevo chiesto esplicitamente se eri in grado di gestire questa situazione!!” Cameron lasciò andare la frase, come avrebbe voluto lasciar andare anche se stessa adesso, in un pianto liberatorio che invece cercava ancora di trattenere.

“Sei un bastardo.” sussurrò poi e la conversazione si chiuse così.

Piena di bile e di dolore si girò su se stessa e scappò via da quella camera sotto lo sguardo indescrivibile di House.

 

 

 

Le sette e venticinque.

L’auto di Cameron percorreva lentamente la strada che l’avrebbe portata al PPTH, con una piccola musica di sottofondo, il finestrino aperto e l’aria un po’ fredda del mattino che le accarezzava la pelle ancora lucida. Sapeva che non avrebbe dovuto uscire di casa prima delle otto e mezzo, esattamente quando Smith l’aspettava per il loro colloquio, al PPTH. 

Ma non aveva resistito.

Non sarebbe riuscita a stare in quella casa un minuto di più, esattamente come la nottata precedente non era riuscita a dormire un solo secondo su quel maledettissimo divano.

Stronzo, bastardo, menefreghista..

Nella sua mente continuava infinita la sequela di parolacce rivolte ad House e al maledetto amore che lei continuava a provare per lui nonostante tutto.

Si odiava per questo.

E odiava lui per lo stesso motivo.

Rabbiosamente, parcheggiò e scese dall’auto accarezzata da un vento che ancora sapeva della pioggia che aveva accompagnato il giorno precedente. Salì le scale ed entrò nell’ospedale, rabbrividendo, scossa da uno stranissimo presagio.

 

 

Il telefono di casa House squillò destando il diagnosta dal leggerissimo sonno che l’aveva colto da circa dieci minuti, dopo una nottata in bianco. Prima di rispondere, imprecando, fece giusto in tempo a focalizzare l’orario, sulla radio sveglia. Le otto e cinque.

“Sì.” Rispose con un tono tutt’altro che accomodante.

“House sono Smith.- la voce del detective lo destò un po’ dall’apatia. -devo parlare con la dottoressa Cameron.  Grazie ai suoi ricordi siamo riusciti a completare la decodifica dei versi di Dante e… la sua versione dei fatti sembra combaciare perfettamente con la nostra interpretazione.”

Greg si alzò con un gomito. “La dottoressa non è in casa.”

“Sicuro?”

House si alzò del tutto. “Sì.” * non avrebbe mai lasciato che il telefono mi svegliasse* continuò mentalmente con una certa malinconia.

“è pericoloso per lei girare chissà dove..” commentò il detective. “dov’è andata?”

House sentì un piccolo vuoto allo stomaco. L’assassino. Nella turbe sentimentale di quelle ore l’aveva quasi dimenticato. Con la voce un po’ più incerta rispose al detective. “Penso in ospedale.”

“Beh allora è meglio che io vada da lei, anticiperemo un po’ il nostro colloquio. Mi sento più tranquillo se non passa molto tempo da sola.”

House non disse niente. Riattaccarono entrambi poco dopo. Poi, dopo un paio di secondi di trance, convenì anche lui con le parole di Smith.

Si alzò e iniziò a vestirsi.

Per andare da lei.

 

 

 

Robert Chase aprì stancamente la porta di vetro, facendo il suo ingresso nell’ufficio di House. “... Cameron?” disse, stupito nel vedere la sua collega già al lavoro, con il camice infilato e gli occhi puntati sulla cartella clinica di qualche malato.

Lei alzò i suoi occhi un po’ arrossati ma ugualmente bellissimi e li concentrò sul nuovo arrivato, accompagnando quello sguardo ad un piccolo sorriso. “Buongiorno anche te.”

“Come mai già qui?” chiese l’australiano, iniziando a spogliarsi. “sai che potresti stare un po’ a casa, data la situazione..”

“La casa di House è non è così accogliente.” rispose acidamente lei.

Vide il collega sgranare gli occhi a quella rivelazione. “Sì.- continuò- io non posso più andare a casa mia, dopo quel putiferio, non posso stare in albergo perché avrei bisogno di una guardia. E non posso nemmeno stare a casa di House oltre le sei ore di sonno per notte, altrimenti rischio di impazzire. Ergo, lavoro.”

L’australiano annuì, lentamente. “House è un bastardo. cos’ha fatto per farti saltare i nervi in questo modo?”

“Chase. – l’interruppe lei.- è una situazione difficile per me. Ho un assassino alle calcagna, ricordi? House non ha fatto niente di nuovo. Lui è semplicemente quello di sempre. Sono io che non ho i nervi per reggerlo, adesso.”

Robert lasciò correre. Non credeva alle parole di Allison ma era così scossa che indagare ancora sarebbe stato solo deleterio. S’infilò il camice. “Ah Cameron.- disse, ricordando.- hai dei turni in ambulatorio oggi?- lei negò.- allora ti conviene sentire che c’è, ti cercavano prima, giù nella hall.”

Con un sospiro, lei si alzò e in due passi uscì dall’ufficio.

 

 

 

“Aspetta, fammi vedere..- mormorò l’infermiera con gli occhi puntati allo schermo.- no, non hai turni in ambulatorio oggi.” Concluse spostando lo sguardo su Cameron, appoggiata stancamente al bancone.

“Come immaginavo.- sospirò l’immunologa.- sai chi mi cercava poco prima?”

La donna aggrottò la fronte. “Mm.. chi te l’ha detto?”

“Il dottor Chase.”

La donna negò con il capo mentre si accingeva a rispondere al telefono. “Mah, con me non ha parlato.” Poi si concentrò sulla cornetta che squillava salutando con un piccolo sorriso l’immunologa che dopo un sospiratissimo “Ok.” si dirigeva di nuovo verso l’ascensore da cui era scesa appena qualche minuto prima.

Era appena entrata quando il detective Smith entrò nel PPTH e, con un’aria piuttosto guardinga, s’avvicinò all’infermiera nella hall. “Scusi.-  le chiese, anche se questa era impegnata al telefono.- la dottoressa Cameron?”

La donna scostò la cornetta dal telefono. “è appena salita.” Gli rispose pensando a quanto fosse ricercata, in quel periodo, la bella immunologa.

L’uomo annuì, poi, pensieroso, decise di andare a diagnostica per le scale.

Intanto Cameron seguiva soprappensiero l’ascensore che, al primo piano, si vuotava quasi completamente degli infermieri che prima ospitava.

Schiacciò il tasto due.

Poi, scorgendo con la coda dell’occhio che non era affatto sola si voltò di 180 gradi, dicendo. “Scusi, non le ho nemmeno chiesto dove..” la voce le si fermò in gola.

L’uomo sorrise. “Non fa niente, dottoressa. Io e lei ci fermiamo comunque qui.” Con uno scatto tirò il pulsante rosso e bloccò l’ascensore.

Cameron restò congelata, incredula e terrorizzata allo stesso tempo.

Era LUI.

L’uomo, senza il passamontagna, era esattamente come lo ricordava. Alto, riccio, giovane e con quello sguardo maniacale dipinto in faccia. In passato in quegli occhi morbosi c’era il troppo amore per la figlia che si era deformato in una sorta di ossessione, adesso quell’ossessione si era rivolta con chi, secondo lui, l’aveva privato di lei. Contro Park, Smith.

E adesso contro di lei.

Allison si appiattì istintivamente contro le porte dell’ascensore,con il cuore in gola il terrore che, questa volta, non ci sarebbe stato nessun House a difenderla.

“Bene, dottoressa Cameron.- continuò William Higt con un sorriso a dir poco folle.- finalmente si ricorda di me. E della sua giovane vittima.”

Allison negò con il capo mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime.

L’uomo tirò fuori una pistola e gliela puntò contro senza nessun altro preambolo.

Rideva.

Un paio di lacrime sfuggirono dai bellissimi occhi della dottoressa mentre quello avanzava verso di lei. Con ancora quel sorriso dipinto in faccia, l’uomo gliele asciugò con la canna della pistola, dicendo. “Ma no, non pianga. È così bella che è un peccato vederla crucciata.”

Passò la canna della pistola sulle sue labbra, poi sul collo, in una lenta e sensuale carezza.

Cameron chiuse gli occhi, sperando almeno che facesse in fretta. Volle dedicare il suo ultimo pensiero all’uomo che amava e che l’aveva ferita tanto in questi tre anni. Volle ripensare a lui, ai suoi sorrisi e lasciarsi dietro le offese, ricordare la loro notte d’amore, lasciando stare il colloquio che aveva avuto dopo. Se lo figurò ancora a casa a dormire.

E invece lui era più vicino di quanto lei immaginava. Imprecando perché l’ascensore era bloccato, era faticosamente salito a piedi fino a diagnostica ma non era entrato nel suo ufficio.

Si era fermato prima, pochi passi dopo aver finito le scale.

I suoi muscoli si erano bloccati quando aveva visto Smith, davanti all’ascensore, sbraitare contro Chase che si copriva il volto con una mano, e i corridoi pieni di infermiere e di agenti che arrivavano da ogni parte.

Realizzò subito che stava succedendo.

E che non l’avrebbe rivista mai più.

 

 

<l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce.>> Saffo.

 

 

 

 

 

To be continued..

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Ambrosia ***


Lacrime di Follia

CIAO A TUTTI!!!!!!!!!!

Scusate per il ritardo, ormai avrete capito che la puntualità non è il mio forte.. ;-P e anche se avrei una buona scusa per spiegare i motivi del mio rimandare continuamente l’aggiornamento non starò qui a tediarvi troppo, l’importante è che alla fine ce l’abbia fatta, no?

Vi confesso che ho una paura pazza di deludervi…

Voi con le vostre recensioni siete stati fantastici, tutti, io non vorrei essere inciampata proprio alla fine e dopo tanto tempo darvi una conclusione poco soddisfacente.. speriamo di no!

Anche se vi ho fatto aspettare ho fatto comunque in modo che il capitolo fosse un po’ più lungo degli altri e l’ho arricchito con due citazioni a me tanto care, perché rivolte al più grande della lingua greca (secondo me, per carità), Platone e a Catullo con il suo dolcissimo Carme LXXXV dedicato ad Apple che so che ha un interesse particolare per questo autore!;)

Una piccola nota al titolo: l’Ambrosia è nella mitologia greca il cibo degli dei.

Mi scuso con tutti i grecisti (o apprendisti tali ;P) che circolano in rete, scusandomi se la citazione non ha spiriti e accenti (e quindi la dignità che meriterebbe) ma non ho un programma per renderle al meglio.. sorry!

Vorrei fare una precisazione per quanto riguardano le citazioni.. la maggiorparte delle volte le traduzioni dei frammenti che propongo sono opera mia, se fossero di altri autori decisamente più autorevoli ( o prese da un libro) lo avrei fatto notare.

Andiamo alla parte più bella del mio commento: i ringraziamenti.

Innanzitutto vorrei precisare che mai mi sarei immaginata tante recensioni. Sul serio, ragazzi, mi avete tolto il fiato!!!! siete stati per preziosissimi come immagino lo siete per ognuno di noi apprendisti writers e vorrei che teniate sempre a mente  che una parte di questa storia è soprattutto vostra, GRAZIE!!

I miei ringraziamenti più sentiti ringraziamenti, quindi a : Damagedlove, Venus, Hamburger  sei troppo gentile, grazie!) Toru85, SHY, Mistral, Amy, Apple (credo che ringraziarti all’infinito di tutto il sostegno che mi trasmetti ogni volta non basterebbe comunque per farti capire quanto si sono grata, amica mia.. GRAZIE davvero di tutto, ti voglio bene)Sheila, Vally, Pinacchia (ti devo delle scuse, una volta mi sono dimenticata di ringraziarti!) Elbereth ( non preoccuparti, puoi utilizzare comunque  la scena senza problemi! Anche a me è successo un migliaio di volte di trovare già scritte scene che avevo in mente anch’io! Dont’ worry!!!)Hikary, Jakie93, Mercury259, Missleep, Aras5, Piccy6, _Elentary_, Varekai( grazie mille per tutte le belle parole che hai speso per descrivere la mia storia.. spero di meritarmi i tuoi complimenti!)EriMD, Miky91, Birseis, Preziosoele, Cira, Caph of the, Dark_girl92, Angelikfire, Aliena.

Non ho davvero parole per ringraziarvi dei vostri complimenti.

Spero solo che il capitolo vi piaccia.

Un bacio grande,

buona lettura.

La vostra Diomache.

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo XI: Ambrosia

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Alla gar hdh wra apiein&   emin men apoqanoumenw, umin de biwsomenoi&

opoteroi de hmwn ercontai epi ameina pragma,  adhlon panti plhn

h tw qew >>

Apologia di Socrate. Platone.

 

 

[infatti, è ormai ora di andare; io a morire, voi a vivere; chi di noi vada verso una condizione migliore è oscuro a tutti tranne che al dio.]

 

 

 

 

La morte.

House s’accorse di non averci pensato mai veramente. Pur essendoci andato vicino due volte, pur avendola avuta sottomano in continuazione, si rese conto che la morte non era mai stato un problema per lui.

Morte come privazione, morte come assenza di sensibilità. Morte come fine delle funzioni vitali di un uomo. Ecco cos’era la morte. Nient’altro da aggiungere. Oltre la morte? Qui era il problema allora? Nemmeno. Oltre la morte non c’è niente. Niente.

Ma adesso la morte si ripresentava nella sua vita, aveva bussato nuovamente alla sua porta, sfondandola con aggressione e accanendosi su l’unica persona che non la meritava affatto.

Allison Cameron.

Tutti siamo chiamati a morire. È il nostro triste destino, l’unica incrollabile certezza. Per questo tutti si augurano di fare una bella morte, molti la vogliono rapida ed indolore come un ictus, altri la preferiscono accompagnata da tanto affetto, circondata dai loro familiari.

Si chiese come avesse voluto Allison la sua morte.

Di certo, non la immaginava dentro un ascensore e per mano di un pazzo.

Trent’anni sono troppo pochi per morire. La sua bellezza, la sua sincerità, la sua bontà, il suo desiderio incrollabile d’aiutare gli altri non potevano spegnersi così. Lei non poteva spegnersi così.

Aveva bisogno di lei.

Lei non era affatto un’avventura, non lo sarebbe stata mai.

Sospirando si rese conto che aveva infranto la promessa che si era fatto, solo pochi giorni fa. Quando aveva scoperto che Cameron era in pericolo e si era reso conto di amarla, aveva giurato a se stesso che per una volta nella vita avrebbe fatto qualcosa per gli altri e per se. Avrebbe difeso la donna che amava, l’avrebbe protetta. Si era detto che nessuno l’avrebbe toccata.

Eppure adesso era lì, in quell’ascensore che gli operai s’affannavano tanto ad aprire, in un’assurda lotta contro il tempo.

E lui aveva fallito. Non importava quanto Chase si sentisse in colpa o quanta ansia esprimessero gli occhi blu di Cuddy o la rabbia di Foreman o il dolore di Wilson. La colpa era unicamente sua.

Se avesse trovato il coraggio di parlarle veramente, per una volta, se le avesse detto che l’amava, lei non sarebbe corsa al lavoro e via dicendo. L’aveva buttata tra le braccia del suo assassino, lui e il suo deleterio amore.

La mano di Jimmy che si depositava sulla sua spalla lo riscosse per un attimo dai suoi pensieri. Si voltò, quasi stancamente e incontrò lo sguardo del suo amico. Wilson lo fissò intensamente e rimase scosso, per qualche istante, nel notare l’intenso sconvolgimento che albergava negli occhi del suo amico.

“Si salverà.- disse, ostentando una fiducia che non aveva.- Cameron è forte, lo sai.”

“Non più di una pistola.” La voce amara di Greg giunse agli orecchi e ai cuori dei presenti, facendoli voltare verso di lui. Era la tacita e crudele verità, ma nessuno in quel momento aveva voglia di sentirla. E questo lo innervosiva. “Che c’è?- domandò agli altri.- credete che dire che ce la farà, risolverà qualcosa? Non possiamo fare niente per lei, se non augurarci che soffra il meno possibile.”

“Come puoi parlare così.” la voce rabbiosa di Chase non esitò  un istante. Si parò di fronte a lui, con il volto lucido dalle lacrime, gli occhi arrossati di rabbia e pianto. Anche lo sconvolgimento di Robert era una novità per tutti, lui, sempre così distaccato e con un’aria appena sufficiente. “Lei non merita il tuo cinismo.”continuò l’australiano, fissandolo negli occhi.

“Non meritava nemmeno la tua stupidità, se è per questo.” Ribatté House, se possibile, con la stessa rabbia del ragazzo. L’intensivista abbassò lo sguardo per un istante poi, con la voce rotta, continuò. “è colpa mia, lo so.”

“Non dire sciocchezze, Robert.- lo contraddisse James.- non potevi immaginare.”

“Si che poteva.- Greg lo contraddisse di nuovo. Aveva tanta rabbia dentro, e Chase era ancora una volta un buon capro su cui espiarla.- che cosa credevi, che quell’uomo volesse invitarla a cena? Non lo sapevi che aveva una assassino alle calcagna?”

Chase strinse i pugni. “Come potevo.. pensare, come… lui mi ha detto di essere un dipendente dell’ospedale e che era importante!”

“Avresti almeno potuto accompagnarla, se credevi fosse importante! Sei uno sciocco e un inetto, per quale motivo altrimenti pensi che l’assassino si sia rivolto a te, eh? Sapeva benissimo che l’avresti spinta da lui!”

“House smettila! Adesso basta!” Jimmy tentò di frapporsi tra i due.

“Certo, dovremo dargli un bel premio!- continuò Greg, fuori di se.- non bastano le persone che uccide sul lavoro, adesso si è messo ad ammazzare anche i colleghi!”

“House stai passando il limite!- questa volta si levò anche la voce di Cuddy.- è stata una tragica fatalità, non è giusto incolpare Chase, nessuno ha colpe qui!”

Ma una vocina dentro la testa e il cuore di House continuava a gridare il contrario.

Era lui stesso il colpevole, era lui, era lui, ERA LUI!!

“Quest’imbecille ce l’avrà sulla coscienza!-continuò il diagnosta, gridando.- hai capito, Chase? Cameron sta morendo per causa tua!”

“Basta!” gridò l’australiano, esasperato dalle continue accuse, dal pesante groppo sulla coscienza che sentiva, dal pensiero di Cameron, da tutto, dalla rabbia. Ma non si limitò alle parole, zittì il suo accusatore con un pugno, veloce e preciso che colpì House tra il naso e il lato destro della bocca.

“Chase, ma sei impazzito??!” Foreman, in disparte fino a quel momento, si accostò al ragazzo, prendendolo furiosamente per un braccio.

House era a terra e si toccava con la destra il labbro sanguinante mentre i suoi occhi non smettevano di fissare il suo dipendente. Chase ansimava ancora dalla rabbia.

Lisa si abbassò e porse il suo aiuto ad House il quale, con un gesto stizzito, lo rifiutò e s’alzò da sé.

I due si fissarono negli occhi ancora per diversi secondi senza che nessuno dei due dicesse nulla. Chase stava per dire di nuovo qualcosa ma l’arrivo di Smith lo zittì improvvisamente.

Il detective –andato a dare ordini agli operai del piano inferiore.- notò subito la stranissima tensione che si era creata. “Che diavolo è successo qui?” domandò, notando il labbro ingrossato di House e sguardo stravolto di Chase.

Fu proprio quest’ultimo a dire, in un sussurro. “Io vado a pregare.”

Gli occhi di tutti lo seguirono, mentre si allontanava e si dirigeva verso la cappella.

House lo degnò appena di uno sguardo.

“Detective.- Foreman si accostò al poliziotto.- c’è qualcosa che possiamo fare per lei?- domandò, velocemente.- c’è un modo per fare più in fretta?” disse osservando gli operai che lavoravano celermente a pochi passi da loro.

Sospirando, Smith si voltò verso di lui. “L’ascensore è rimasto bloccato tra il primo e il secondo piano. Abbiamo attivato delle macchine tiranti per farlo risalire fino al livello del secondo. Ce la stanno mettendo tutta” concluse con voce roca.

Foreman negò con il capo e si sedette di nuovo, appoggiando i gomiti alle ginocchia e il viso, tra i palmi delle mani.

House era ora impassibile, appoggiato al muro, con lo sguardo fisso sul pavimento. L’unica spia di scompiglio erano gli occhi e la mano destra, stretta con assurda forza attorno al bastone, così violentemente che le nocche della mano erano diventate bianche per lo sforzo.

 

 

 

Fredda.

La prima sensazione sicuramente era quella.

Terribilmente fredda.

Così le appariva la canna della pistola, appoggiata contro la delicata pelle del suo collo.

Lui, intanto, non smetteva di fissarla intensamente negli occhi. E sorrideva, malvagiamente, mentre dai suoi occhi lucidi scendevano di tanto in tanto, piccole lacrime di follia.

Cameron inizialmente aveva chiuso gli occhi. Ma poi, in una sorta d’orgoglio, aveva deciso di morire fissando negli occhi il suo assassino. “Avanti.- disse, con la voce ancora rotta dal pianto.- che cosa aspetti?- lo sfidò. Era pericoloso ma non aveva nulla da perdere.- non vuoi più uccidermi?”

L’uomo per tutta risposta premette con più violenza l’arma sul suo collo e rispose, febbrilmente. “E tu? Tu non hai paura?”

Allison strinse i lati della bocca. “Tutti hanno paura di morire.- rispose, sussurrando.- anche Chrystal ne aveva tanta.”

L’uomo le mollò un ceffone, in uno scatto di rabbia. Cameron si piegò di lato per la forza del colpo. L’immunologa incassò il colpo e cercò di ricacciare indietro le lacrime che le appannavano la vista tornando a guardarlo.

“Non t’azzardare.- riprese quello, tremando di rabbia.- non t’azzardare a nominare mia figlia, puttana.”

“Tua figlia era malata.- continuò Allison, con la voce rotta ma la caparbietà che non le era mai mancata nella vita.- era solo malata. Nessuno l’ha uccisa.”

“Tu menti!!” la picchiò di nuovo questa volta con più forza però, con più violenza, così tanta che Cameron non riuscì a reggersi in piedi e cadde per terra, a suoi piedi, in quell’angusto, piccolo spazio. “L’avete uccisa voi mia figlia!- urlò l’uomo.- lei aveva solo bisogno di me, di suo padre! Non di quelle medicine che le somministravate! Lei non era malata, voi volevate che lo fosse! Cercate morte e malattie in tutti i pazienti!”

“Non è vero.- Allison si stava rialzando.- ti ho anche mostrato le analisi, non ricordi? Quelle sono prove scientifiche, nessuno può..”

“Ti ho detto di tacere!”

Approfittando del fatto che lei fosse ancora quasi a terra, la colpì ma con un calcio. Un calcio che le centrò dritto lo stomaco.

Cameron accolse il colpo, sforzandosi di non gridare, premendo una mano sul busto e accasciandosi su un lato dal dolore. Quando riuscì di nuovo ad alzare gli occhi verso di lui, lo vide che puntava la sua pistola verso di lei.

Stava per parlare di nuovo ma boato accompagnato da un rumore sordo fece sobbalzare entrambi.

Proveniva da sotto di loro. L’ascensore iniziava a muoversi. William sgranò gli occhi, constatando che il mezzo si muoveva, lentamente, verso l’alto.

 

 

“Piano!- urlò Smith, al telefono, rivolto agli operai, di sotto.- ho detto di fare piano! Non se ne deve accorgere altrimenti la ucciderà immediatamente, è chiaro?”

“Oh mio Dio.” Mormorò Wilson, mettendosi una mano sugli occhi e appoggiandosi stancamente al muro.

L’aggancio per spingere l’ascensore verso l’alto era stato così forte che l’avevano avvertito anche loro.

Lisa si portò le mani tra i capelli, sospirando. Alzò lo sguardo, cercando disperatamente gli occhi di Wilson. Li trovò, tristi e desolati come i suoi. L’oncologo le prese la mano, dimenticandosi dei presenti e di quello che avrebbero potuto dire o pensare.. Lisa s’irrigidì iniaizlmente ma poi, sospirando, mandò al diavolo tutto e tutti e si concentrò su quel contatto e sul calore che emanava. Per contrasto, pensò ad House, al calore di cui avrebbe avuto bisogno lui. La scenata di prima poteva dire semplicemente una cosa.

Il pensiero che House si fosse innamorato di nuovo, dopo così tanto tempo e che la donna oggetto del suo amore forse non sarebbe sopravvissuta abbastanza per saperlo, le fece venire gli occhi lucidi.

Non era giusto… House aveva bisogno d’amore almeno quanto lei, eppure forse non ne avrebbe avuto mai. Pensando a James, si sentì quasi in colpa della felicità che la sera precedente aveva conquistato con lui.

Cercò lo sguardo di House, ma lui non era lì con loro. La sua mente era persa, nei meandri dei suoi pensieri e i suoi occhi, fissi sul pavimento.

 

 

Come aveva pensato Smith, l’accaduto aveva terrorizzato Higt. Adesso teneva la pistola tremando verso di lei,mentre prendeva consapevolezza che il tempo rimastogli era davvero poco.

Avrebbe voluto che la dottoressa morisse più lentamente, ma non aveva scelta.

Doveva ucciderla ora.

 

 

“Saranno arrivati al livello del secondo?” domandò Eric, nervosissimo. “quanto ci vuole ancora?”

Uno strano strepito d’assestamento segnalò il loro arrivo. “Eccoli.” Disse Smith dando il segnale ai suoi uomini di aprire le porte

Ma prima ancora che i presenti potessero anche solo  pensare qualcosa, il rumore sordo di uno colpo interruppe tutto.

Speranze, timori, pensieri.

Lisa sobbalzò sulla sedia e con lei tutte le infermiere pronte con la barella davanti alle porte già da diversi minuti.

House invece rimase impietrito, muto, sconvolto dalla consapevolezza che adesso era veramente tutto finito. Tutto finito. Anche il più ostinato barlume di speranza se n’era andato, schiacciato dalla cruda realtà dei fatti.

Un altro sparo. 

Silenzio.

Un altro ancora.

“Muovetevi!” urlò Smith, all’indirizzo degli operai. 

Un rumore più forte segnalò che le porte si erano disattivate, poi, con un raschio metallico, si aprirono.

Quello che videro superava la loro immaginazione. I loro presentimenti e i loro timori.

Videro William Higt, parzialmente disteso, appoggiato ai gomiti, con la gamba destra coperta di sangue e terribilmente dolorante. Era vivo, anche se ferito. Videro Allison Cameron, in ginocchio, davanti a lui. Si copriva il volto con la sinistra mentre nella destra luccicava il lucido nero di una pistola.

Era viva.

Questo fu il primo pensiero di tutti, dalle infermiere al detective, ad House stesso. La tensione si sciolse, tornarono i sorrisi, gli sguardi stupiti, i sospiri, di gioia questa volta, per quella tragedia fortunatamente solo sfiorata. Allison ce l’aveva fatta, non importava come, in un modo o nell’altro se l’aveva cavata, senza l’aiuto di nessuno, sola, aveva affrontato gli ultimi fantasmi del suo passato, vincendo contro quella pazzesca accusa e la follia di quell’uomo.

Era viva e sorrideva, adesso, al loro indirizzo. Si era alzata, anche se un po’ a fatica, e si era diretta verso di loro, con il viso lucido di lacrime di gioia ed era finita tra le braccia di Eric Foreman, il primo ad avvicinarsi a lei. Mentre era abbracciata al suo collega, sentì bene la mano di Lisa, accarezzarle i capelli in un gesto tanto dolce quanto inaspettato dal suo severo capo, poi toccò a Wilson che rideva di sollievo mentre la stringeva a sé.

House fu l’ultimo ad avvicinarsi, silenziosamente, la chiamò, sussurrando il suo nome.

Cameron si voltò verso di lui lentamente. Greg, davanti a lei, non aspettò che come al solito fosse Cameron a fare la prima mossa, questa volta le prese la vita e lasciando che il bastone cadesse a terra, la strinse a se più forte che poteva.

Lei lo strinse e tra le sue braccia finalmente scoppiò a piangere, singhiozzando come una bambina  uscita da un brutto sogno, sfogò su di lui tutta la sua angoscia, tutta la paura che aveva provato.

La mano di Greg si muoveva tra i suoi capelli cercando di confortarla, mentre nel corridoio si era ormai aperto un via vai di gente rumorosa, chiassosa, le infermiere portavano Higt in terapia intensiva, i poliziotti esaminavano l’ascensore, tutti sembravano aver voglia di rompere quell’interminabile silenziosa angoscia di poco prima.

Il loro abbraccio, in quella confusione, restò quasi inosservato ed Allison si prese tutto il tempo che voleva, godendo di quel contatto con l’uomo che amava e che aveva temuto di non rivedere più. Poi, quando si fu calmata, si staccò lentamente da lui.

Non dissero nulla.

Si scambiarono solo un lunghissimo sguardo che voleva dire tante cose, troppe cose, che a parole non sarebbero mai riusciti a comunicarsi.

“Cameron.”

La voce di Chase interruppe quel momento. Allison si voltò verso di lui. Lo trovò davanti a lei, sconvolto dall’angoscia di quegli interminabili minuti. “Oh, Chase.” disse accogliendolo tra le sue braccia. L’intensivista la strinse a se con una gioia quasi maniacale. “Perdonami.”

Affondò il viso tra i suoi capelli, trattenendo le lacrime a stento, tracciando disegni strani con le dita sulla schiena della donna. Allison accolse il suo abbraccio senza dire nulla, appoggiando una mano sulla nuca del ragazzo, sussurrandogli. “Non è colpa tua.” e per Chase quelle parole furono come ambrosia.

Si staccarono lentamente, dopo diversi secondi. L’immunologa gli sorrise, dolcemente. “Ehi. È tutto finito.- disse, più a se stessa, che a lui.- tutto finito.”

Lui annuì, lentamente, poi ancora mortificato, si allontanò rapidamente da lei.

Cameron lo seguì con lo sguardo per qualche istante, poi sussurrò. “Greg..” voltandosi.

Ma dietro di lei, House non c’era più.

 

 

 

 

             

“Posso?”

Gli occhi blu di Lisa Cuddy si alzarono da quei noiosissimi documenti che stava consultando ormai da un paio d’ore abbondanti, senza riuscire a venirne a capo e li puntò verso Wilson che si affacciava alla porta del suo studio. “Ciao.” Disse, affettuosamente. “certo. Entra.”

James obbedì celermente, richiudendo la porta alle sue spalle. “Volevo sapere come va.”

Lisa chiuse definitivamente la cartellina e si concentrò sull’uomo che adesso si era seduto davanti a lei.

“Molto meglio. La polizia se n’è appena andata ma ha garantito una sorveglianza assoluta per quel pazzo maniacale, in terapia intensiva. Cameron gli ha fatto troppo poco. Una pallottola nel polpaccio è non è niente per quel folle.”

Wilson annuì. “Ancora non riesco a crederci che lei abbia sparato.”

Cuddy alzò le spalle. “L’ho detto sempre io che non è carina e gentile come sembrava.” Risero entrambi, sfogandosi in una risata davvero liberatoria.

“Comunque.- riprese James.-  quando ti ho chiesto come andava non mi riferivo a lei. Intendevo te.”

Lisa lo fissò intensamente e sorrise. “Sto bene. E lo devo tutto a te, James. Grazie.” La sua voce suonò dolce, affettuosa, gentile. Con un tono così vicino che a Jimmy scaldò il cuore.

L’oncologo sorrise, ricordando la precedente serata. Dopo averla portata a casa e averla fatta asciugare di tutta l’acqua che aveva preso, sotto la pioggia, aveva cucinato per lei e a tavola, avevano parlato, tanto. Lei si era finalmente aperta a lui, confidandogli tutti i suoi problemi, i suoi tentativi, finiti nel nulla, di diventare disperatamente madre, le sue ansie, le sue notti, sola.

E lui l’aveva ascoltata, semplicemente.

Alla fine avevano anche bevuto e forse un po’ troppo per la verità. Lisa gli era sembrata così fragile, così delicata, con gli occhi un po’ slavati dal trucco e il sorriso reso disinvolto dal buonissimo vino rosso. Tutti e due, un po’ brilli e più spigliati, si erano avvicinati, anche parecchio a volte e c’erano stati momenti in cui aveva dovuto fare forza su se stesso per non baciarla.

Non che non lo volesse.

Ma non poteva farlo, non in quelle condizioni. Baciare Lisa era qualcosa di troppo grande perché potesse essere sciupato e ridotto a conseguenza del vino.

Le prese la mano, con la stessa tenerezza con cui gliela aveva presa poco fa, in quei momenti d’angoscia. La mano di Lisa reggeva ancora la penna ma a quel contatto la stilografica cadde immediatamente e i suoi occhi blu furono subito in quelli castani ed affascinanti dell’oncologo.

Lui si sporse per baciarla, nonostante la posizione non fosse delle migliori, e lei, per facilitargli il compito, gli si fece incontro, appoggiandosi sulla grande scrivania d’ebano.

Le loro labbra si congiunsero a metà strada, in un bacio dolce ma appassionato che riassumeva e nello stesso tempo coronava tutte le emozioni che entrambi avevano iniziato a provare da un mese a questa parte, senza che nessuno dei due fosse in grado di avvicinarsi in maniera più concreta all’altro.

Fino alla sera precedente, almeno.

James le prese delicatamente il viso con la destra mentre si distanziavano lentamente, con piccoli baci. “Di niente.” sussurrò Wilson, ad un passo dalle sue labbra.

Lei si sorrise, facendo luccicare i suoi occhi blu.

“Mi aspetti quando finisci?” domandò lui, con un sorriso smagliante. “Un mio amico ha aperto un ristorante da pochissimo.. cucina messicana… come ti suona?”

Lei gli regalò un bacio a stampo. “Ho già l’acquolina in bocca.”

Wilson annuì e s’avviò alla porta, mise mano alla maniglia, l’aprì ma prima di varcarla si fermò, pensieroso. Si voltò, quasi avesse qualcosa da dirle. La fissò alcuni secondi poi, ricacciando indietro quel ‘ti amo’ che aveva premuto alle sue labbra. “A questa sera allora.” Disse sorridendo ed uscendo dallo studio, decidendo mentalmente che una confessione del genere sarebbe stata troppo prematura.

Lisa fissò la porta ancora per alcuni secondi. “Ti amo, James.” Sussurrò, chiedendosi se avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo con lui presente.

Una telefonata improvvisa la fece quasi sobbalzare e la tirò a forza lontano dai suoi pensieri, trascinandola nel suo lavoro.

“Cuddy.” Alzò la cornetta e si rimise in carreggiata.

“oh, detective Smith. Sì, anch’io sono contenta che tutta questa situazione si sia risolta nel migliore dei modi..” iniziò, dopo essersi accuratamente asciugata una lacrima che aveva osato scalfire il suo autocontrollo e scivolarle giù, lungo la guancia.

Lacrime di gioia, questa volta.

 

 

 

William Higt stava adesso lungo, nel lettino di terapia intensiva, con la gamba rotta ed ingessata, a causa del colpo sparato dalla giovane dottoressa. Sorridendo tra sé, pensò che non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Allison era davanti a lui e lui la puntava con la pistola. Un nuovo sobbalzo aveva fatto improvvisamente perdere loro l’equilibrio ed erano caduta a terra  e lui, idiota, si era lasciato sfuggire la pistola dalle mani. 

 

La pistola era lì, davanti a lei. Con uno scatto la prese e la puntò contro di lui, tremando d’eccitazione e di terrore. Higt aveva cercato d’avvicinarsi ma lei gli aveva caparbiamente puntato contro l’arma. “Fermo.”

“Che cosa vuoi fare dottoressa? Vuoi completare l’opera ed uccidere anche me? O forse vuoi ucciderti da te, soffocata dai tuoi sensi di colpa?”

Gli occhi di Cameron si erano riempiti di lacrime. “Tu non muoverti e non t’accadrà nulla.” Ma la sua voce vibrava, instabile. Non aveva mai tenuto in mano una pistola prima d’ora e il potere che si percepiva nel tenere quell’oggetto in mano era immenso e terrificante.

William l’aveva voluta sfidare, aveva cercato d’avvicinarsi così lei aveva sparato. Ma non su di lui. Aveva sparato alla parete e ben due volte.

“Hai paura di uccidermi, vero?- aveva commentato l’uomo.- ammazzare con le medicine è molto più facile che con una pistola in mano.”

Cameron non voleva sparargli. Ma una rabbia dentro di lei la spinse a premere il grilletto a quelle parole, mirando al polpaccio dell’uomo.

 

Un rumore di tacchi interruppero i pensieri di Higt.

Questi volse lo sguardo verso l’entrata della camera, da dove sentì la guardia parlare con una donna. La  porta si aprì un attimo dopo e Cameron entrò nella stanza.

“Non posso crederci.- grugnì l’uomo.- tu qui?”

Allison piegò la testa di lato. Stava meglio adesso, si era medicata, cambiata, riposata, aveva mangiato qualcosa. Era tornata se stessa, in qualche modo. “Sei un paziente.- disse, con voce fredda.- anche se per poco. Presto andrai in prigione per duplice e tentato omicidio.”

L’uomo scoppiò a ridere. “ E sei venuta a dirmi addio?”

“Non lo so perché sono venuta.” Confessò, abbassando lievemente lo sguardo. “Forse per guardare in faccia l’uomo che voleva uccidermi, guardarlo negli occhi, per un istante. Perché non riesco ancora a credere a tutta questa follia.” La voce gli tremò alla fine.

William distolse lo sguardo. “Io non andrò in prigione.- prima che Allison potesse chiedergli spiegazioni l’uomo continuò.- sto per raggiungere mia figlia. Andrò da lei.” disse, sospirando alla fine. “in qualche modo farò. Non posso più vivere adesso.”

Cameron incurvò le sopracciglia. “Perché mi dici queste cose.”

“Perché so che non le riferirai alla guardia che mi sorveglia.- disse, fissandola negli occhi.- Perché so che anche tu una volta nella vita hai desiderato seguire la persona che amavi nella morte, piuttosto che continuare a vivere.” Quelle parole lasciarono Cameron completamente spiazzata.

Lui continuò. “ Ma adesso è ora di andare. Io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada verso una situazione migliore è oscuro a tutti tranne che al dio.” Sorrise. “Conosce Platone, dottoressa? Chrystal lo adorava.”

Allison lo ascoltò, in silenzio. “Sì.- sussurrò.- conosco Platone.” Non seppe cos’altro dire. Quell’uomo, quell’assassino, quel disperato, le aveva appena confidato che si sarebbe ucciso. Infondo capiva la sua sofferenza, capiva la sua pazzia, capiva il suo stato d’animo, capiva il suo odio. Anche lei aveva odiato il mondo, i medici, aveva odiato anche il suo marito per tutto l’amore che non avrebbe potuto darle più, e aveva odiato se stessa, per tutto l’amore che forse non era stata in grado di dargli mai.

Higt aveva ragione. Non l’avrebbe detto alla guardia.

Non sapeva bene il motivo.

Forse perché voleva che Higt morisse, come erano morti Park e Law. Forse voleva semplicemente vederlo morto, anche se andava contro tutti i suoi principi. 

“Addio.” Disse quindi girando le spalle ed uscendo finalmente da quella stanza, promettendosi di lasciarsi alle spalle quel folle e tutta quell’assurda situazione con la stessa facilità con cui richiudeva, dietro di sé, quella porta.

Trovò House lì fuori.

L’aspettava appoggiato con le spalle al muro e le braccia incrociate, mentre giocherellava con il bastone.

Sorrideva, con lo stesso enigmatico sorriso quando ha appena sciolto un enigma. “Hai sconvolto tutti.- esordì.- persino un uomo d’armi come Foreman.”

“Anch’io odio essere prevedibile.” Rispose lei incamminandosi verso di lui. “te l’ho sempre detto che ci sono moltissime cose di me che non sai.”

Lui sorrise. “Non così tante. Sapevo che eri qui ad esempio. Nonostante la tua piccola parentesi criminale, sei la crocerossina di sempre. Mi sono chiesto: Dove può stare una crocerossina, se non al capezzale del suo assassino?” domandò retoricamente. “ ed infatti eccoti. Il fatto che tu sia qui smentisce ogni tua replica.”

Lei si avvicinò finalmente a lui, fissandolo negli occhi.

“Anche il fatto che tu sia qui a cercarmi, smentisce ogni tua replica.” Era un tono sussurrato, esitante ma preciso e ben chiaro. “Dottor House- continuò, sorridendo maliziosamente.- non credere di essere l’unico a saper usare la logica, qui.”

Concluse, poi gli girò le spalle e fece per andarsene quando la sua voce la bloccò, a metà corridoio. “Che ci facevi da lui?”  Lui l’osservò abbassare il capo, silenziosamente.

“E tu dov’eri?- lei evitò la domanda, quasi risentita.- sei scomparso prima.”

House non rispose niente e, anzi, si rallegrò del fatto che lei fosse ancora di spalle perché  non avrebbe retto il suo sguardo. Che cosa poteva risponderle? Che a vederla tra le braccia di Chase si era innervosito così tanto che avrebbe volentieri risposto al pugno dell’inglesino?

Che per tutto il tempo in cui lei era stata chiusa nell’ascensore aveva avuto il terrore, e dico terrore, di perderla, così quando tutto era finito si era sentito così stordito che aveva bisogno di un po’ d’aria?

Che si era sentito così in colpa che non era riuscito nemmeno a guardarla in faccia all’inizio?

Non finì nemmeno quei pensieri che, alzato lo sguardo, si trovò davanti Cameron persona, in tutta la sua persona. Lo fissava, con occhi quasi supplici. “Non so perché sono andata da lui.”

Erano quasi le dieci e trenta di sera adesso.

Quel corridoio era buio e silenzioso e la voce della ragazza risuonò tra le pareti. 

House la fissò, senza dire nulla. Lei continuò. “Mi ha detto che si ucciderà.”

“Mi sfugge un passaggio.- borbottò lui.- mi dovrei dispiacere?.. o TI dovresti dispiacere?”

Lei negò dolcemente con il capo. “Non è questo il punto. Pensavo alla morte. Per sua figlia ha ucciso due persone..  Mi chiedevo se la rivedrà mai.” Sussurrò quindi.

House abbassò lo sguardo. “No.- rispose.- non rivedrà proprio nessuno. la morte è un capolinea, Cameron. Non c’è niente dopo. Niente.”

“Già- rispose lei, dolcemente.- eppure la morte fa paura. Non di per sé.. la morte di per se stessa è così semplice, così banale. Così facile a volte. molti in certe situazioni preferiscono morire piuttosto che lottare e affrontare la realtà. Eppure fa paura.” Si avvicinò a lui, pericolosamente, senza interrompere il contatto visivo.

“Fa paura perché proprio quando sei ad un passo dalla morte capisci tutto. Ti vengono in mente tutti i tuoi rimorsi, i tuoi desideri più segreti.. quello che avresti voluto fare, quello che vuoi e non puoi più. Perché non ne hai più il tempo.”

Ad House quelle parole fecero venire quel pazzo che gli aveva sparato, e il suo sogno, subito dopo, prima della ketamina. Riaffiorarono quelle immagini senza senso in cui aveva sentito fortissimo, dentro di sé, il desiderio di avere Cameron, di fare l’amore con lei, anche se attraverso un robot.

“Fa paura.- continuò l’immunologa.- perché dedichi gli ultimi attimi alla persona che ami.- la voce le tremò adesso in maniera quasi irreversibile.- e il pensiero che non la vedrai più ti fa impazzire… questa è la morte vera.”

I suoi occhi pieni di lacrime non smisero di fissarlo, intrepidi ed quasi arrabbiati. “Una volta ti ho chiesto che cosa hai pensato quando credevi di morire, House.- sussurrò.- non vuoi sapere quello che ho pensato io?”

“Io non ho risposto”

“Lo so.”

“Tu lo faresti?”

La ragazza sospirò,dolcemente. “Sì.” Disse, tra i denti.

I passi di un’infermiera interruppero tutto.

Cameron abbassò lo sguardo, House distolse il proprio mentre l’anziana donna passava di lì, con un piccolo carrello, osservandoli, incuriosita.

House sospirò, infastidito e con una smorfia le voltò le spalle, proseguendo a camminare lungo il corridoio. Allison rimase interdetta. Non sapeva se quel gesto voleva dirle qualcosa. Per un attimo fantasticò sulla possibilità che lui le avesse lanciato davvero un segnale, magari le aveva chiesto di seguirlo.

Lo fissò, per qualche istante, indecisa sul dafarsi.. poi tornò realisticamente con i piedi per terra.. non c’era nessun segno, nessun segnale.

Basta Cameron.

Basta sognare.

Gli regalò un ultimo fugace sguardo poi si voltò e proseguì nella parte opposta.

 

 

 

 

Pioveva.

Pioveva ininterrottamente da ore ormai ma tutto l’acquazzone che aveva imperversato fino a quasi mezzanotte non aveva spento il suo desiderio di staccare un po’ la spina, di far andare il cervello con un bel giro in moto.

Adesso erano quasi mezzanotte e trenta e ritornava a casa, fradicio ma più rilassato e, soprattutto, con le idee molto più chiare di prima.

Cameron era un capitolo chiuso. Basta, ormai aveva deciso. Era stato a letto insieme a lei, si era tolto il chiodo fisso, adesso stop.

L’ansia prima di riabbracciarla? Semplice e stupida apprensione per una collega.

La gelosia? Una conseguenza dello choc emotivo causato dai motivi precedentemente elencati. Ecco fatto.

Aveva razionalizzato tutti i suoi sentimenti, catalogato le sue emozioni per causa ed effetto, espresso tutto in termini rigorosi e scientifici. Non usciva fuori nulla di insensato, nulla di stranamente sdolcinato.

E la sua vita poteva proseguire, finalmente. Tutto sarebbe tornato nella più assoluta normalità e anche queste sciocche emozioni causate forse anche da un uso eccessivo di Vicodin negli ultimi tempi –si era ripromesso di dare una buona occhiata al foglietto con le controindicazioni- sarebbero passate.

Atarassia.

Apatia.

Sorrideva tra sé mentre parcheggiava,confortato dalla sua razionalità, sotto un cielo ancora piovigginoso ma molto più calmo e si toglieva il casco, storcendo appena la bocca per il leggero fastidio che gli causavano i jeans bagnati e il giubbetto di pelle fradicio. Tuttavia quel fastidio non durò molto perché la sua attenzione venne immediatamente attratta da un taxi che parcheggiava in seconda fila, proprio lì acanto a lui.

Non ci fece quasi caso all’inizio, almeno finché non collegò l’auto alla giovane figura che usciva dal suo condominio, con un borsone a tracolla e camminava speditamente verso quell’auto bianca.

Sentì il cuore fermarsi per un istante.

Cameron.

Prima che la sua ragione potesse formulare qualche scusa logicamente corretta e portarlo al silenzio, il suo cuore, più veloce, lo spinse a chiamarla.

Lei si bloccò, sentendo il suo nome.

Si voltò verso di lui, ad appena pochi passi.  Rimase quasi senza parole all’inizio, ma poi la sua razionalità ebbe molto più tempo per riflettere e rimettere a posto le idee. “Io vado.- disse quindi.- grazie per l’ospitalità.”

Le menti di entrambi corsero ad un evento.

Quell’evento.

“Smith mi ha fatto sistemare l’appartamento.- continuò lei.- e dato che Higt è in prigione o già nell’al di là o dove diavolo gli pare, per me non c’è più alcun pericolo. E non c’è nemmeno ragione che continui a stare da te.”

Lui deglutì, lentamente.

Il tassista si sporse dal finestrino, un po’ infastidito per la pioggia e per quell’attesa. “Ah signorì, ce la damo ‘na mossa? Io non sto tutto il tempo appresso a voi, eh!”

Lei si voltò verso l’uomo. “Sì, mi scusi..” fece per andare ma di nuovo qualcosa la bloccò.

E questa volta fu la mano di House, attorno al suo braccio.

Incredula si voltò verso di lui. “ Che fai?” gli chiese.

Il diagnosta non trovò tempo di rispondere qualcosa di sensato. Quell’odiosissimo impulso che l’aveva portato a fare tante, troppe stupidaggini in questi giorni premeva ancora sulle soglie della sua mente. E non riusciva a spiegarselo adesso.

“A che cosa hai pensato?” Lei sgranò i suoi bei occhi verdi e le sue labbra si aprirono in un moto di stupore. Non disse niente, non trovò niente da dire. Impaurita che anche il più piccolo suono sbagliato avrebbe rovinato tutto preferì osservarlo, in silenzio.

“A che cosa hai pensato quando stavi per morire, Cameron?”

La stretta intorno al suo braccio si trasformò in una lenta carezza che la condusse ad avvicinarsi ancora di più al suo interlocutore.

Lei fissò le sue labbra, quindi lui. “A te.- gli confidò semplicemente.- ho pensato a te, Greg. A quante ne abbiamo passate a tutto quello che ci siamo detti ieri. A tutto il male che ci siamo fatti.” Fece una piccola pausa. “e tu che cosa hai pensato mentre io stavo per morire?”

House sorrise, appena, distogliendo lo sguardo.

“A niente.” disse quindi. Cameron trattenne il respiro, incredula. House continuò, lentamente. “Non riuscivo a pensare a niente. L’unica cosa che sentivo è che se tu fossi morta in qualche modo sarebbe morta anche la parte migliore di me.”

Per Allison quelle parole furono come ambrosia. Sentì le lacrime premerle sulle soglie dei suoi occhi in maniera orrenda, tentò di ricacciarle indietro ma con poco successo. “Io..”

“Posa quel borsone.” Continuò lui. “Steve Mc Queen mi ha confidato di essersi affezionato a te, non gli dispiacerebbe se rimanessi con lui.”

Lei sorrise con il viso bagnato un po’ dalla pioggia e un po’ dalle lacrime. “Stai dicendo sul serio?”

“No. Mi sto divertendo a sparare cazzate, sotto la pioggia, con un vento che soffia a venti nodi e tre gradi centigradi.”

“House io non sto scherzando.- ma il suo tono era allegro come quello di una bambina.- io ..”

“Cameron non farmi pentire d’averti assunta. Che cosa significa la frase: resta a vivere con me, se non che devi restare a vivere con me?”

Lei non rispose nulla soltanto gli buttò le braccia al collo e lo baciò con tutta la felicità che sentiva, con tutto il trasporto, la passione, l’amore che aveva in corpo..

Le loro labbra si congiunsero in un dolcissimo bacio, unendosi e fregandosene dell’autista che continuava a protestare, godendosi di quel piccolo momento, finché, piantato lì il tassista, non tornarono a casa di lui e lì vissero di nuovo il loro piccolo iperuranio, questa volta senza dubbi, senza false speranze o senza rancori di nessun tipo.

Si amarono semplicemente con la nuova e bellissima consapevolezza che non si può liquidare l’amore, come spesso avevano pensato Cameron ed House e come spesso capita a noi di fare.

Possiamo soffocarlo, ma non ignorarlo; così come possiamo ingannare gli altri ma non noi stessi, allo stesso modo l’amore riemerge, quando meno te l’aspetti, e chiede il conto di tutte le volte che l’avevamo respinto che l’avevamo accantonato a favore della nostra razionalità.

E lì, tra le sue braccia, Cameron capì che l’amore premia.

Premia le sofferenze, premia le lacrime gettate nelle notti insonni, abbracciati al cuscino a pensare, stringendo le lenzuola tra le dita, mordendosi le labbra con i denti per soffocare i singhiozzi. Premia nonostante tutte le volte che l’aveva maledetto, tutte le volte che l’aveva odiato.

L’amore dà forza. 

E lo stesso House, anche se forse non l’avrebbe mai ammesso, per una volta aveva trovato qualcosa di molto più forte e duraturo della propria razionalità, della sua intelligenza, del suo sapere, qualcosa che sapeva non l’avrebbe mai tradito, che ci sarebbe stato. 

L’amore per Cameron.

Si ritrovarono questa volta sul suo grande letto matrimoniale, con la corsa ritmata di Steve come sottofondo assieme al battito assordante del cuore che rimbombava nel petto e nelle tempie.

Lei era ancora tra le sue braccia, calde e rassicuranti. Lo strinse più forte, chiudendo gli occhi. “Ho paura, Greg.” Gli confidò con una voce strana. “Tu?”

Lui le accarezzò la pelle sulle spalle, giocherellando con il punte arricciate dei suoi capelli.

“Sì. Ne ho..- continuò sospirando.- Allison sarà difficile. Io sono chiuso, introverso e credo di non essere capace d’amare.” Sospirò di nuovo. “non so se ti posso dare quello che meriti.”

Lei si sporse per guardarlo, rizzandosi su un gomito. “Mi dispiace devi applicarti di più.- disse, sorridendo.- non è facile spaventarmi.” Incurvò le labbra in un dolce sguardo. “ questa casa è accogliente,mi sono ambientata e .. sai che ti dico? Credo di piacere anche a Steve Mc Queen.”

“Come anche ?- rilanciò lui.- è per lui che sei qui. Te l’ho detto che sto cercando una compagna per farlo riprodurre?”

Lei gli regalò un piccolo pugno sulla spalla e poi un altro piccolo colpo con il cuscino. Nella piccola ribellione che nacque a vincere fu di nuovo lui, Greg, che l’immobilizzò sotto di lui, tra le risa generali.

“è troppo tardi Greg.- sussurrò Allison, sensualmente.- ormai non ti sarà facile liberarti di me.”

Le parole di Allison suonarono esattamente come la giovane voleva che facessero: come una dolcissima minaccia al sapore di ambrosia. Greg le coprì le labbra con un bacio, domandandosi di nuovo come potesse sentirsi così coinvolto da lei e contemporaneamente sentire una parte di sé che non accettava quell’irrazionalità e che forse non l’avrebbe fatto mai.

Lei non era la donna adatta a lui, lei era un’infinità di cose e lui un’infinità di altre.

Eppure, contro ogni logica, l’amava davvero.

 

 

 

<< Odi et Amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excurcior. >>

Carme LXXXV.  Catullo.

 

 

[Ti odio e ti desidero. Forse chiederai come sia possibile; non lo so, eppure mi rendo conto che ciò si verifica e mi tormento. ]

(forse sarebbe più corretto tradurre excurcior con ‘sono in croce’ ma mi sembrava un po’ cacofonico)

 

 

FINE

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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