Yo soy la reina de tus caprichos

di margheritanikolaevna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Yo soy la reina de tus caprichos
 
 
Capitolo primo
 
Quando Flor Rodriguez andava da qualche parte, di solito la gente guardava le sue gambe lunghe, tornite e perennemente abbronzate; proprio come fece, con i suoi splendenti occhi celesti, il giovane poliziotto alto che Flor incrociò sulle scale d’ingresso dell’edificio della Polizia Scientifica di New York.
Poi le sbirciavano il seno, non grande ma prorompente; proprio come fece l’elegante uomo di colore (con tutta l’aria di un pezzo grosso, peraltro) che salì con lei in ascensore fino al trentaquattresimo piano e che, durante tutto il tragitto, non le staccò mai gli occhi di dosso, piegando le labbra in una smorfia che la fece rabbrividire.
Ancora, la gente ammirava i suoi capelli, che aveva lunghi, folti, naturalmente ondulati, di un nero così lucente da risplendere di sfumature bluastre: lo fecero anche le due donne che aspettavano l’ascensore e che, quando lei uscì, la squadrarono da capo a piedi con un’espressione - chissà perché - risentita.
Giunta a destinazione, Flor Rodriguez si guardò intorno piena di meraviglia.
Respirò a fondo, sgranando gli occhi scuri: il suo sogno finalmente si avverava! Più di ogni altra cosa aveva desiderato lavorare in quel posto: aveva studiato  e studiato, ma sapeva che per una come lei, di modesta famiglia portoricana del Bronx con sangue spagnolo nelle vene, quello stage nel più prestigioso laboratorio di polizia scientifica del paese era un desiderio quasi impossibile da realizzare. Perciò, quando l’avevano chiamata per comunicarle che, tra tutti gli studenti del suo corso, era stata scelta proprio lei, prima era rimasta muta per la sorpresa, poi aveva lanciato un urlo liberatorio e infine aveva trascinato sua nonna Sophia in un improvvisato giro di merengue nel bel mezzo del salotto di casa Rodriguez.
E ora, finalmente, il momento era arrivato.
Osservò il via vai dei tecnici di laboratorio che, nei loro camici bianchi, attraversavano l’ampio spazio luminoso e non fece caso ai tre detective  intenti a chiacchierare tra loro, dall’altra parte del corridoio.
Stella Bonasera stava raccontando, per l’ennesima volta, ai colleghi Danny Messer e Sheldon Hawkes - i quali l’ascoltavano ormai in stato pre-comatoso - di quanto fosse stata traumatica l’esperienza vissuta con il suo ex ragazzo Frankie e di come quell’evento l’avesse segnata nelle sue relazioni con gli altri.
 
***
 
Quando Flor Rodriguez andava da qualche parte, la gente le sbirciava sempre le gambe, poi il seno e, ancora, i capelli. Di regola, a questi sguardi seguiva sempre la stessa domanda: “E quella chi è?”.
 
***
“Sapete” proseguì Stella, con aria mesta “Cose del genere ti fanno sentire una nullità! Hai sempre l’impressione che la gente non ti consideri, che non ti ascolti …”.
“E quella chi è?” esclamò Danny all’improvviso, senza replicare alla collega ma anzi volgendo la faccia verso l’ascensore e dando, contemporaneamente, di gomito a Sheldon, il quale sollevò subito gli occhi sulla nuova arrivata.
Prima che Stella potesse aggiungere altro, i due si erano già lanciati incontro alla ragazza lasciandola lì impalata, tutta sola, in mezzo al corridoio.        
“Buongiorno, signorina! Possiamo aiutarla?” domandò Messer, con uno scintillio malandrino negli occhi blu.
“B-buongiorno” esordì timidamente Flor, stringendo al petto la borsa come se fosse una corazza “Sto cercando il detective Mac Taylor…”
“E ti pareva!” pensò Danny, lanciando al collega uno sguardo avvilito. Quello che il dottore gli rimandò, stringendosi nelle spalle, voleva dire: “Di che ti meravigli, amico mio? Sono i privilegi di chi comanda questa baracca!”.
 
***
Lindsay Monroe teneva tra la mani una katana giapponese con la lama lunga quasi un metro e affilata come un rasoio: era l’arma usata per un omicidio e lei e Danny stavano cercando di rilevare eventuali impronte digitali sull’elsa.
A un tratto, senza che nulla lasciasse presagire il suo gesto, la ragazza strinse più saldamente l’impugnatura e fece volteggiare la spada proprio sotto il naso del collega, che era accanto a lei e istintivamente sobbalzò, colto alla sprovvista.
“Allora, Danny” esclamò, socchiudendo gli occhi come un serpente a sonagli che sta per ingoiare un povero, innocente topolino “Com’è la nuova stagista? Carina, vero?”.
Danny Messer deglutì nervosamente e fissò la lama a pochi centimetri dalla sua faccia.
Poi tirò fuori dal suo vasto repertorio il più fantastico dei  sorrisi e, spostando alternativamente lo sguardo sul viso di Lindsay, sulla sua mano stretta intorno all’elsa e sulla spada, rispose: “Insomma, ehm… niente di che”.
 
***
“Sai Sheldon, mi dispiace per le tue scarpe nuove!” disse Stella Bonasera al collega, sollevando per un istante gli occhi dal microscopio col quale stava esaminando dei residui organici repertati su una scena del crimine poche ore prima.
L’uomo interruppe, a sua volta, il lavoro allo spettrometro di massa e le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Eh?” fece.
“No, sai, dovresti starci attento” proseguì lei, senza fare caso alla sua sorpresa “E poi avresti anche potuto scivolare”.
“Stella” disse Sheldon, sempre più sbalordito dall’atteggiamento della collega “Non capisco, ma che stai dicendo?”.
“Stamattina, quando avete visto quella ragazza” ribatté lei, con un sorriso tagliente “ho temuto che tu e Danny scivolaste sulla vostra bava…”.
 
***
Per tutta la giornata Adam Ross era rimasto chiuso nella sua stanza, inchiodato davanti al computer per cercare di eseguire alla perfezione l’ennesimo difficilissimo compito che quella mattina gli aveva assegnato - e per giunta col tono di chi non ammette esitazioni, fallimenti o dilazioni -  il suo capo, il tenente Mac Taylor.
Il ragazzo appoggiò la schiena alla poltroncina e allungò le braccia sopra la testa, stirando i muscoli indolenziti a causa della prolungata immobilità; sbuffò e sospirò.
Quell’uomo lo faceva impazzire: certo, era un eccellente investigatore, un uomo coraggioso e onesto fino al midollo, ma - rifletté Adam - dannazione, possedeva un peso specifico superiore a quello dell’uranio 238! Le rarissime volte in cui l’aveva visto sorridere era sicuro di aver udito un leggero rumorino metallico, come se gli ingranaggi arrugginiti posti agli angoli della sua bocca sottile si stessero rimettendo in moto a fatica dopo essere stati fermi troppo a lungo.   
Tra l’altro, con lui pareva avercela persino un po’: era sempre più duro che con tutti gli altri o, almeno, il giovane si era convinto che fosse così.
A lui mai un “grazie”, né una parola d’incoraggiamento.
Sapeva che aspirare a ricevere un complimento dall’ex maggiore dei marines era come chiedere la luna, ma almeno una pacca sulla spalla le volte - che c’erano state, bisognava riconoscerlo - in cui il suo apporto si era rivelato decisivo per risolvere un caso particolarmente complesso!
E invece, niente.
Il tecnico portò indietro la testa fin quasi a sdraiarsi sullo schienale della sua sedia.
Niente. Solo labbra serrate e severe, uno sguardo distaccato sovrastato dal temutissimo Sopracciglio Inquisitore (ormai divenuto tra i colleghi una sorta di creatura mitologica, quasi dotata di vita propria, il cui semplice inarcarsi bastava a far sì che Adam si sentisse come se nelle sue vene stesse soffiando un vento gelido e impetuoso) e un numero di parole appena sufficiente a comunicargli i suoi ordini; e questo quando gli andava bene.
Perché c’erano state anche occasioni in cui aveva avuto la disavventura di sperimentare su si sé la leggendaria collera di Mac Taylor: allora il detective aveva urlato così forte, sbattendo con violenza un incolpevole fascicolo sul piano di cristallo della sua scrivania, che Adam si era ritrovato a temere seriamente che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite.
In quegli istanti, il ragazzo aveva tentato con tutte le sue forze di impedirsi di fissare la vena che gli si era gonfiata sulla tempia sinistra, ma non ci era riuscito. “Oddio!” ricordava di avere pensato, stringendosi nelle spalle nel vano tentativo di rimpicciolirsi fino a sparire “E se scoppia? Mi accuseranno pure di omicidio?”.
All’improvviso, un energico tamburellare alla porta fece sobbalzare il tecnico informatico e lo strappò bruscamente dai suoi pensieri; compì un movimento scomposto, lo schienale s’inclinò troppo e lui perse l’equilibrio finendo, senza nemmeno sapere bene come, a quattro zampe sul pavimento.
In quell’istante, la porta si aprì.
Adam sollevò gli occhi: vide sulla soglia un paio di eleganti scarpe nere col tacco a spillo, poi due squisite caviglie sottili seguite da altrettante ginocchia tornite, a loro volta sfiorate dall’orlo di un’aderente gonna nera. Ancora più su, una camicetta bianca (indumento che non gli parve mai meno innocente che in quel momento) e, proprio in cima,  un sorriso meraviglioso che illuminò a giorno l’ufficio in penombra e innalzò tutt’a un tratto la temperatura al livello “Sahara a mezzogiorno del 15 agosto”.
E due occhi scuri, dal taglio leggermente allungato, ombreggiati da folte ciglia ricurve. E seni all’insù, una vita che si assottigliava fino a un’estrema snellezza e poi si allargava di nuovo, mettendo in risalto la ricchezza dei fianchi. Non c’era nulla di flaccido, in lei, nulla di rilasciato; anzi, Adam sentì che c’era dentro quel corpo di marmo levigato una forza nascosta, trattenuta, come quella di un puma pronto a scattare.
Secondo un inspiegabile fenomeno fisico, all’istante il tecnico di laboratorio si coprì dalla testa ai piedi di sudore, mentre la gola gli si disseccò e si riempì di sabbia.
La ragazza sorrise interrogativa e Adam, per tutta risposta, se ne innamorò.
Lo seppe in un solo momento. In quel momento.
Se ne innamorò in una frazione di secondo.
Pazzamente.
Perdutamente.
Vanamente.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Dunque, purtroppo la mia vita non fa che peggiorare: il mio capo mi tratta sempre peggio, la collega con cui ho avuto un flirt non mi degna più di uno sguardo e una ragazza che mi avrebbe fatto tanto tanto piacere conoscere meglio mi ha sbattuto la porta in faccia senza tanti complimenti…
Non vi sorprendete, quindi, di ciò che leggerete.
 
Tristemente vostro, Adam Ross
 
Capitolo secondo
 
Da settimane, ormai, Adam Ross non era più lui e i colleghi non riuscivano a spiegarsi cosa gli fosse accaduto: non mangiava, non dormiva, a stento riusciva a concludere qualcosa sul lavoro, tanto che più di una volta Danny e gli altri l’avevano dovuto coprire con Mac per evitare che il suo comportamento negligente venisse fuori.
Se ne stava in silenzio, fissando il vuoto, seduto alla sua scrivania davanti al computer che a volte non accendeva nemmeno più.
Quando gli capitava di incrociare Flor nei corridoi o alle riunioni, oppure lei per qualche motivo andava nel suo ufficio, non riusciva a fare altro che balbettare mezze frasi incomprensibili e smozzicate, senza avere nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi.
Non che la ragazza non avesse capito; per carità, aveva capito eccome.
Solo che aveva anche un fidanzato, lo stesso dai tempi del college: un bravo ragazzo gentile che l’adorava e sarebbe stato un padre perfetto per i loro figli.
E poi c’era quel nuovo, meraviglioso, lavoro che l’entusiasmava e le richiedeva un profondo impegno.
Per la verità, c’era anche qualcos’altro, ma si trattava di una cosa che era bene non si venisse a sapere nel laboratorio della Scientifica di New York; qualcosa che la spingeva a trattenersi in ufficio fino a tardi, quando non c’era più nessuno in giro.
Quasinessuno, in verità.
Qualcosa che la faceva fremere, che faceva vibrare il suo corpo e trasportava la sua anima lontano, verso luoghi incantevoli. Qualcosa che ogni volta le regalava meravigliosi brividi di piacere.
Ultimamente lo desiderava tutto il giorno, senza interruzione; a volte la bramosia si faceva a tal punto urgente che Flor Rodriguez temeva d’impazzire.  
Desiderio. Trasgressione.
Eh si, se l’avessero scoperta avrebbe rischiato di perdere ciò che aveva faticosamente conquistato: lo scandalo poteva spazzare via tutte le sue ambizioni di carriera. Certo, aveva paura, ma la tentazione era più forte. Giorno dopo giorno. Notte dopo notte.
 
***
 
Adam Ross aveva preso l’insana abitudine di origliare, nascosto dietro la porta dell’ufficio dove provvisoriamente lavorava Flor durante lo stage; quella sera, sentì qualcosa che lo sconvolse.
La donna dei suoi sogni parlava con qualcuno.
“Oh, ieri è stato meraviglioso!” tubava. La sua voce di solito era leggermente roca, assai sensuale secondo lui, ma in quel momento la sentì morbida al pari del velluto e insieme quasi estenuata, come dopo un piacere troppo intenso.
“Ti muovi in un modo fantastico, quando sento il tuo corpo premere contro il mio è come se ne sprizzassero scintille…”.
L’interlocutore misterioso non rispose.
“E’ stato meraviglioso” ripeté Flor, in tono sognante “Ti prego, facciamolo di nuovo stasera!”.
Adam trattenne a stento un conato di vomito e la salivazione gli si azzerò all’istante; un velo nero gli calò per un momento sugli occhi, sentì distintamente il suo cuore perdere un battito e, subito dopo, accelerare furiosamente la sua marcia infelice.  Avrebbe dato in quel momento la sua miserabile vita di fallito per sapere chi era l’uomo misterioso col quale Flor - la sua Flor - tradiva il fidanzato.
Colui che la faceva vibrare come una corda di violino, che le strappava brividi di passione così intensi da toglierle ogni pudore.
L’avrebbe ucciso.
Poco ma sicuro.
Invece, ancora una volta gli mancò il coraggio: non fu capace di spalancare la porta e sorprendere i due fedifraghi sul fatto.
All’improvviso, sentì un rumore di passi e capì che qualcuno stava per uscire dalla stanza; ebbe appena il tempo di raddrizzarsi, fare due passi indietro e afferrare il cellulare, nella speranza di sembrare intento a mandare un messaggino, che Flor varcò la soglia. Sola.
Lui era rimasto dentro, allora.
La sorte si accaniva contro di lui come al solito, pensò il tecnico informatico.        
“Adam?” fece lei, meravigliata di trovarselo lì davanti “Che cosa fai qui a quest’ora?”.
Il ragazzo biascicò qualcosa sulla necessità di completare dei controlli incrociati nella banca dati AFIS e il volto di Flor si distese in un sorriso. “Bene” pensò, tirando un sospiro di sollievo. Sembrava che non avesse capito. Ora, però, doveva portarlo via di lì: non poteva certo rischiare che quel tipo strano scoprisse tutto.
Sbatté le lunghe ciglia, lo prese sotto il braccio e, trascinandolo con dolcezza lungo il corridoio, cinguettò: “Oh Adam, che fortuna averti incontrato! Potresti aiutarmi a far funzionare il FASTSCAN, per favore? Sai, Stella mi ha chiesto di elaborare delle immagini per domattina… mi aiuti? Dai, ti prego…”.
 
***
“Stronzo!”
Questa volta Flor Rodriguez era veramente arrabbiata: il suo fidanzato era sempre stato un tipo possessivo, ma da quando lei aveva iniziato a lavorare alla Scientifica la sua gelosia era diventata quasi insopportabile, alimentata dal fatto che la ragazza trascorreva moltissimo tempo in ufficio, rimanendo spesso fuori casa anche tutta la notte.
“Va bene!” gridò, furiosa “Se è questo che pensi di me, allora adesso esco e vado a letto col primo che incontro!”. Così dicendo, si precipitò fuori dall’ufficio e le sue parole risuonarono nel corridoio, in quel momento deserto, giungendo fino alla stanza di Adam che, come spesso faceva ormai anziché darsi da fare al computer, trascorreva ore intere in piedi dietro alla porta socchiusa nella speranza di veder passare Flor o di sentire ciò che diceva.
L’eco della frase urlata dalla ragazza non si era ancora spenta che già Adam Ross, con un tempo di reazione alla partenza degno del miglior centometrista del pianeta, era scattato nel corridoio.
Ma la sorte era contro di lui: la Grande Vigliacca si materializzò in un  pavimento da poco ricoperto di cera e nella stringa di una delle sue sneakers, lasciata sbadatamente slacciata. La sorte gli riservò una rovinosa scivolata, che fece precipitare il suo corpo per terra e il suo morale infinitamente più in basso.
Bocconi sul pavimento, mentre tentava di rialzarsi in mezzo ai cocci del proprio ego ancora una volta frantumato in mille pezzi, vide Mac Taylor uscire dal suo ufficio, vide Flor guardarlo negli occhi e sorridergli.
Vide, incredibilmente, Mac ricambiare il suo sorriso.
Vide che si allontanavano insieme.
 
***
 
Adam Ross aveva capito tutto.
E aveva deciso. Ne era sicuro: avrebbe ucciso Mac Taylor.
Dio Santo, quanto lo odiava!
Non solo lo aveva sempre trattato con sufficienza, senza mai dimostragli né stima né riconoscenza, ma adesso gli bastava un misero sorrisetto per portargli via la cosa che più desiderava al mondo, quella che per lui contava più di ogni altra.
E poi, quella sua insopportabile spocchia! E le sue battute da uomo vero…
“Sembra che abbia ingoiato John Wayne!” borbottò il giovane tra sé e sé.
Si, l’avrebbe ucciso.
Ma come?
Dannazione, quello era un ex marine, addestrato, duro e cazzuto e lui sapeva perfettamente di non avere nessuna speranza di sopraffarlo in uno scontro diretto.
Perciò, avrebbe giocato d’astuzia.
La testa sulle braccia reclinate, chino sulla scrivania, il ragazzo cullava i suoi propositi omicidi; il che, peraltro, era dolce come succhiare una caramella deliziosa. Una caramella che rigirava in bocca per ore, dalla mattina alla sera, e che, anziché diventare scipita, acquistava magicamente un sapore sempre più gustoso.
“Ah!” sospirava Adam “Piantargli un paletto di legno di frassino dritto in mezzo al cuore e scoprire così se le leggende che circolavano nel laboratorio a proposito della sua insonnia fossero o meno fondate! Oppure mettergli un veleno potentissimo nel caffè e poi rimanere in piedi di fronte a lui a guardarlo mentre si contorceva - la bava alla bocca, gli occhi fuori dalle orbite - sul pavimento, in preda ad atroci spasmi di dolore…”.
Certo, considerava, non sarebbe stato facile assassinare niente meno che il capo della Polizia Scientifica di New York e, per giunta, proprio all’interno del suo laboratorio; il tutto, ovviamente, senza correre il rischio di essere scoperto.
Insomma, doveva architettare il delitto perfetto, e doveva anche farlo in fretta, perché il pensiero di quei due insieme gli stava avvelenando il sangue, lo stava letteralmente facendo impazzire.
 
***
Adam Ross era seduto alla sua postazione; la luce azzurrina dello schermo del pc lo illuminava appena, unica macchia di chiarore nell’oscurità dell’ufficio.
A un tratto, sul suo volto pallido si disegnò un sorriso di soddisfazione. Si passò una mano tra i capelli perennemente arruffati e trattenne a stento un grido di gioia: ce l’aveva fatta, aveva trovato il modo di eliminare Mac Taylor!
Sfruttando le sue abilità di tecnico informatico, era infatti riuscito a violare il computer del Ministero della Difesa e a rubare un sofisticato programma di riconoscimento facciale, già sperimentato dai militari e affidabile al cento per cento; sapeva, infatti, che avrebbe avuto a disposizione una sola occasione e non poteva assolutamente permettersi di sbagliare bersaglio. Aveva copiato e installato il software, falsificando le credenziali di accesso e ordinandogli di riconoscere l’immagine del detective Mac Taylor. 
Poi, con maggiore facilità, si era introdotto nella rete informatica del laboratorio e aveva riprogrammato le centraline di controllo dell’ascensore che serviva il loro piano in maniera che, non appena la telecamera puntata sulla porta avesse inquadrato Mac che premeva il pulsante di chiamata, si sarebbe attivato un programma killer da lui stesso appositamente confezionato per l’occasione.
Bloccate le porte d’acciaio della cabina, disattivati tutti i sistemi di protezione anti-caduta e i freni d’emergenza, l’ascensore e il suo sfortunato occupante si sarebbero schiantati al suolo dopo una corsa disperata lunga ben trentaquattro piani.
Non avrebbe avuto scampo, nessuno avrebbe potuto salvarlo.
 “Una morte atroce…” considerò il giovane, accarezzandosi il mento coperto da un’ispida barbetta, non rasata ormai da giorni.  
La caduta da un’altezza del genere sarebbe, senza dubbio, durata almeno una decina di secondi e Mac avrebbe avuto tutto il tempo di rendersi conto di ciò che stava per succedergli; avrebbe capito che stava per morire, senza poter fare nulla per evitarlo.
Nel buio della stanza, Adam Ross sorrise ancora una volta.
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Oggi Adam non c’è: Mac lo ha richiamato per l’ennesima volta perché a causa della sua distrazione i computer dell’ufficio si sono beccati un megavirus cattivissimo e da ore stanno trasmettendo a ciclo continuo tutte le puntate di Spongebob. E solo quelle…
Quindi stavolta il capitolo lo posto io: ditemi la verità, una come Angela Di Maio c’è in ogni ufficio/classe, non è così?
 
Capitolo terzo
 
Questo caffè è veramente disgustoso!” pensò Stella Bonasera dopo aver assaggiato un sorso dell’orrenda bevanda marroncina che le aveva propinato ancora una volta la macchinetta; tuttavia, almeno era caldo e l’avrebbe svegliata un po’.
Lei e Angela Di Maio della Sezione Tracce si erano prese una pausa: cinque minuti a base di caffè pessimo e pettegolezzi succulenti. Angela, infatti, era considerata una sorta digazzettino interno del laboratorio, nonché regina incontrastata delle malelingue: sapeva tutto di tutti e non c’era peccatuccio inconfessabile, errore sul lavoro o litigio tra colleghi di cui lei non fosse tempestivamente, ed esaurientemente, informata.
“Stella” disse la donna, abbassando all’improvviso la voce e chinandosi appena verso di lei come se le stesse confidando un orrendo segreto, che tale avrebbe dovuto a tutti i costi rimanere.
“Hai presente la nuova stagista? Quella che sembra uscita da un video di Jennifer Lopez?!”.
L’altra annuì con un sospiro: come avrebbe potuto non avercela presente? Non era certo una che passava inosservata…
“Si dice che abbia una tresca con qualcuno del laboratorio, l’hanno vista scendere più volte, tutta sola, a tarda notte, al piano dove ci sono le sale autopsie e sai come recita il detto: “donna che va sola, verso l’amore vola…”.
“Ma scusa” azzardò timidamente la detective “non potrebbe essere solo lavoro?”.
Per tutta risposta, l’amica rise di gusto.
“Oh mio Dio, Stella! Dici davvero? Una come quella!”.
“Comunque” riprese “non si sa chi è lui”.
“E secondo te chi potrebbe essere?” fece a quel punto Stella, colta all’improvviso da un sospetto atroce, che stava velocemente trasformandosi in una fitta di gelosia.
“Mah” ribatté l’altra, facendo spallucce, dopo averci pensato su un istante “Escludendo Flack che non lavora qui, Adam che…”
Stella scosse la testa recisamente: no, non poteva essere Adam.
“Appunto!” continuò Angela “Escludendo Adam e anche Sid che potrebbe essere suo padre…”.
“Mac?” esclamò Stella con una smorfia.
L’altra sorrise appena: ecco fatto, c’era riuscita ancora una volta.
La mente di Stella adesso correva a ruota libera: ora si spiegavano quegli strani sorrisi e il fatto che lui sembrasse sempre così contento del lavoro che la ragazza stava facendo per loro. Ma certo! Non poteva essere per il lavoro! Come aveva potuto essere così ingenua?
“In effetti, l’altro giorno l’ho visto andare via insieme a lei. O magari potrebbe anche trattarsi di Danny…” ipotizzò la collega.
“Già” ribatté Stella, persa nei suoi pensieri, poi guardò l’orologio e concluse: “Però, mi raccomando, non dire niente a Lindsay, sai quant’è gelosa di lui!”.
“Si, non preoccuparti” rispose Angela, avviandosi lungo il corridoio per tornare alla sua postazione “non le racconterò nulla. Sarò muta come una tomba”.
 
***
 
Lindsay Monroe era intenta a completare uno dei suoi famosi esperimenti: davanti a lei giaceva una ventina tra coltelli, punteruoli, pugnali di diversa foggia e di lunghezza varia, che la scienziata avrebbe dovuto conficcare uno alla volta nel cadavere di un maiale appeso per le zampe anteriori al soffitto, confrontando poi la forma della ferita inferta con quella rinvenuta su un corpo non ancora identificato, per cercare di risalire al tipo di arma usata per l’omicidio.  
“Lindsay?” la chiamò Angela Di Maio dalla soglia.
“Oh scusami, sei impegnata?” esordì.
“Vieni, entra pure!” rispose gentilmente la ragazza.
L’altra continuò: “Volevo solo dirti che ho avuto i risultati dell’analisi delle fibre che abbiamo rinvenuto sotto la suola delle scarpe del cadavere di Crescent Street”. Diede un’occhiata alla cartellina che teneva tra le mani e lesse: “Si tratta di una fibra sintetica chiamata modacrilico, in pratica un acrilico modificato per resistere alle fiamme: insomma è un tessuto ignifugo”.
Angela fece un passo verso Lindsay e guardò prima il maiale appeso al soffitto e poi le lame lucenti e affilate che la collega stava preparando per l’esperimento.
Dopo un attimo di silenzio disse, come con noncuranza: “Sai per caso dov’è Danny?”.
L’altra levò gli occhi verso di lei e le rivolse uno sguardo interrogativo, ma ancora tranquillo.
“No” rispose “è un po’ che non lo vedo, credo sia su una scena del crimine insieme a Mac”.
“Perché?” aggiunse infine, un po’ dubbiosa.
Senza rispondere alla sua domanda, la collega ribatté, insinuante: “E la nuova stagista, la Rodriguez?”.
“Ehm… no” ribatté la ragazza, iniziando a soppesare con la destra le diverse armi che si trovava davanti.
Ci pensò su un istante.
“Perché?” ripeté, poi, stavolta con un fremito di inquietudine nella voce.
Angela le si avvicinò ancora un po’, la guardò in viso e, abbassando appena il tono della voce, continuò: “Sai, gira voce che quella ragazza abbia una relazione con qualcuno del laboratorio, ma non si sa lui chi sia…”.
Lindsay ebbe improvvisamente l’impressione che nella stanza non ci fosse più aria a sufficienza e si sentì mancare il terreno sotto i piedi; senza pensare, afferrò di scatto una mannaia da macellaio e, con movimento degno di un samurai, la affondò fino all’impugnatura proprio in mezzo alle zampe posteriori dell’incolpevole maiale, che dondolava inespressivo sopra di loro.
Il rumore delle ossa che si spezzavano fece trasalire la collega, che deglutì e fece due passi indietro, avvicinandosi così alla porta.
“Un maiale …” disse, con nella voce un tremito appena percettibile “La disposizione dei loro organi interni è molto simile a quelle degli esseri umani”.
“Già” fece Lindsay, negli occhi uno sguardo strano, la mano ancora stretta all’elsa del coltellaccio “Sono simili agli uomini. Ad alcuni più che ad altri…”.
    
***
 
Adam Ross aveva preparato tutto: non appena il tenente Taylor avesse preso l’ascensore principale, la trappola che aveva ordito minuziosamente sarebbe scattata e la sua vendetta sarebbe stata compiuta.
D’improvviso, udì un rumore di passi nel corridoio. S’affacciò e, non visto, scorse Stella Bonasera che, guardandosi intorno con aria circospetta, percorreva in punta di piedi le poche decine di metri che la separavano dal piccolo elevatore interno che conduceva dabbasso, alla zona dove c’erano le camere mortuarie; la vide premere il pulsante di chiamata ed entrare nella cabina in silenzio.
Non erano passati nemmeno trenta secondi da quando la detective se ne era andata, che Adam notò Lindsay fare capolino dalla porta del suo ufficio; la ragazza, proprio come Stella, si avviò a passo svelto, ma cercando di non attirare l’attenzione e di fare meno rumore possibile, verso lo stesso ascensore. Pochi secondi e pure dietro di lei si chiusero le porte metalliche.
Il tecnico rimase interdetto solo per qualche istante; poi, gli tornarono in mente i pettegolezzi che erano giunti al suo orecchio, secondo i quali Flor s’incontrava con un uomo misterioso, a tarda notte, nei locali adibiti alle autopsie. Ripensò alla conversazione criptica che aveva ascoltato, al fatto che la stagista del suo cuore effettivamente aveva parlato di una sorta di appuntamento per rifare qualcosa che le era piaciuto da morire, qualcosa che non aveva più la pazienza di rimandare.
Un lungo ago appuntito penetrò nel suo cuore fino alla cruna e dentro di lui si fece strada un sospetto: che le due colleghe avessero saputo che Flor in quel momento era insieme al suo amante e volessero sorprenderli? 
In quell’istante, la curiosità - la masochistica curiosità di scoprire la donna di cui era perdutamente innamorato tra le braccia di un altro - ebbe la meglio sulla sete di vendetta e Adam si avviò verso la sala autopsie seguendo lo stesso percorso di Stella e Lindsay.
Pochi istanti dopo, Mac Taylor si alzò, spense il computer situato sulla sua scrivania, indossò la giacca e infilò la porta dell’ufficio.
 
***
 
La camera mortuaria era in penombra; nell’aria aleggiavano, come al solito, un odore chimico di disinfettante misto al vago sentore di morte che avrebbe rivoltato lo stomaco a chiunque non fosse più che abituato a lavorare in mezzo ai cadaveri dalla mattina alla sera.
Uno dei due lettini metallici disposti ai lati della stanza era vuoto, mentre sull’altro giaceva, coperto da un lenzuolo bianco, qualcosa di freddo, muto e immobile: un silente testimone di ciò che sarebbe accaduto.
Flor Rodriguez, con una mano, tolse l’ultima forcina che le teneva su la chioma e scosse la notte dei suoi lunghi capelli corvini, che ricaddero disordinatamente sulle spalle, il petto e la schiena.
“Oh, finalmente …” sospirò languida, in direzione dell’uomo che era appena entrato nella camera “Sei arrivato, non ce la faccio più ad aspettare, ti prego, cominciamo!“.
Lui sorrise deliziato, annuì e, con un gesto veloce, schiacciò un pulsante del quadro comandi posto accanto alla porta.
Flor, con gesti frenetici, tremante d’impazienza, si liberò del camice che scivolò ai suoi piedi e si aprì la camicetta rosa, facendo quasi saltar via i bottoni plastica per la fretta. Tirò giù la lampo della gonna e in un istante rimase con addosso solo una corta sottoveste di seta nera; con le mani si accarezzò il corpo, in quel gesto sollevando leggermente la stoffa lucente fino a scoprire per un attimo la farfallina multicolore che aveva tatuata proprio sull’inguine.
L’uomo e la donna, in piedi, l’uno di fronte all’altra, si guardarono negli occhi, pregustando il piacere.
 
***
 
Stella, appostata in silenzio dietro la porta della camera mortuaria, spinse l’uscio quel tanto che bastava per creare uno spiraglio dal quale poter osservare ciò che accadeva all’interno. Si sporse appena, ma nella penombra riuscì a distinguere solo due sagome indistinte; per capire esattamente di chi si trattava, occorreva che entrassero nel fioco cono di luce lattiginosa che pioveva dalle lampade notturne.
In quell’istante, sopraggiunse Lindsay; la ragazza fece per dire qualcosa, ma la collega la zittì con un dito sulle labbra.
Non potevano rischiare di essere scoperte, tra qualche istante avrebbero finalmente saputo la verità.
Lindsay si accucciò in silenzio accanto all’amica, col cuore in tumulto: Dio, e se si fosse trattato di Danny?
Quando le raggiunse Adam Ross, le due donne erano talmente concentrate a osservare ciò che accadeva nella stanza in penombra che quasi non si accorsero di lui.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Allora, siamo giunti al gran finale: si svela il mistero di Flor e il destino di uno dei personaggi si compie, sia pure a causa di un amarissimo fraintendimento.
Se ne avete la possibilità, vi consiglio di cercare il video della canzone su youtube (si chiama "El talismàn" ed è della cantaurtice spagnola Rosana) e ascoltarla mentre leggete, così il tutto è più realistico.
Grazie infinite a chi ha avuto voglia di continuare a leggere e soprattutto a chi mi ha gratificato con i suoi commenti.
Alla prossima!
 
Epilogo
 
Poi, cominciò.
La musica riempì in un momento la stanza.
 
El talismàn de tu piel me ha dicho
que soy la reina de tus caprichos
 
Yo soy el as de los corazones
que se pasean en tus tentaciones
 
El talismàn de tu piel me cuenta
que en tu montura caeràn la riendas
 
Flor iniziò a danzare.
I suoi piedi passavano l’uno davanti all’altro, al ritmo della chitarra e delle maracas. Scuoteva la testa ritmicamente, muovendo i fianchi seducenti. Le sue braccia di madreperla sembravano richiamare qualcuno che tentasse di sfuggirle continuamente. Lei lo inseguiva, più leggera di una farfalla, come pronta a spiccare il volo.
 
Cuando una noche de amor desesperados
Caigamos juntos y enredados
La alfombra y el abrededor, acabaràn desordenados
 
Cuando una noche de amor que yo non dudo
la eternidad venga seguro
tù y yo, el desnudo y el corazòn, seremos uno
 
L’uomo fece un passo verso di lei e la luce che pioveva dal soffitto lo illuminò, rivelandone le sembianze. Lindsay, Stella e Adam all’unisono esalarono un “ooooooh!” di meraviglia.
Sid Hammerback?!
No, non era possibile … Sid Hammerback?!
L’attempato patologo, con movimenti incredibilmente sensuali, prese tra le braccia Flor, la strinse con energia contro di sé e poi l’allontanò, seguendo il ritmo della musica, ora più incalzante.
 
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: lo dice el corazòn y el fuego de tu piel
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: a ver que dices tù
 
Flor ballava, lasciandosi portare dal brizzolato cavaliere: i suoi movimenti adesso esprimevano sospiri e languore irresistibile, come se stesse morendo sotto le sue carezze. Con le palpebre socchiuse, scuoteva il ventre come le onde del mare e muoveva i seni in maniera allusiva, mentre i piedi non avevano requie.
 
El talismàn de tu piel me ha chiva
que ando descalza de esquina a esquina
par cada calle que hay en tus suenos
que soy el mar de todos tus puertos
 
El talismàn de tu piel me cuenta que tu destino caerà my puerta
Cuando una noche de amor desesperados
caigamos juntos y enredados
la alfombra y el abrededor, acabaràn desordenados
 
Cuando una noche de amor desesperados
caigamos juntos y enredados
la eternidad venga seguro
tù y yo, el desnudo y el corazòn, seremos uno
 
Ora respingendola, ora invece attirandola verso di lui, Sid la faceva volteggiare tra le sue braccia, muovendo il bacino contro il suo in maniera terribilmente erotica. Occhi negli occhi, i respiri confusi e mischiati, si torcevano, gettando indietro la testa, simili a due fiori agitati dalla tempesta. Dalle braccia, dalle gambe, dai piedi scaturivano mille scintille invisibili che incendiavano l’atmosfera.
 
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: lo dice el corazòn y el fuego de tu piel
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: a ver que dices tù
 
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: me lo dice el corazòn y el fuego de tu piel
Yo soy la tierra de tus raìces: el talismàn de tu piel lo dice
Yo soy la tierra de tus raìces: a ver que dices tù
 
Cuando una noche de amor desesperados
caigamos juntos y enredados
tù y yo, el desnudo y el corazòn, seremos uno
 
Dei quattro spettatori che assistevano alla scena, solo uno conservò, suo malgrado, una certa compostezza: gli altri tre rimasero di stucco, occhi sgranati per lo stupore e narici frementi d’eccitazione.
D’improvviso, un boato terrificante, come di qualcosa che si schianta al suolo da un’altezza considerevole, squassò l’aria, seguito da grida di terrore.
I due ballerini s’interruppero bruscamente e guardarono verso la porta, interdetti.
Stella e Lindsay sobbalzarono e scattarono in piedi, trattenendo a stento un urlo.
Adam Ross assunse l’espressione di chi si sia ricordato improvvisamente di qualcosa e, tra sé e sé, si lasciò sfuggire solo un “oops!”.
 
FINE

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