The Dragon Knight

di Daughter of the Lake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Possibilità ***
Capitolo 4: *** Provarci ***
Capitolo 5: *** Messo il piede su una nuova casa ***
Capitolo 6: *** Ricordi di una vita passata ***
Capitolo 7: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 8: *** Il Drago e il Cavaliere ***
Capitolo 9: *** Risveglio ***
Capitolo 10: *** Il piano ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Finito. Tutto finito.

Dopo quindici anni, lei e i suoi fratelli erano tornati nella stessa stanza vuota, passando per quello stesso armadio.

Dopo quindici anni, lei ne aveva di nuovo dodici.

Aveva avuto ragione. Narnia non era il loro mondo, non avrebbero potuto restarci per sempre.

E adesso?

Che cosa avrebbero fatto, adesso, lei e loro, di nuovo in Inghilterra, nel bel mezzo di una guerra, di nuovo bambini?

Lontano dal regno che avevano governato, lontano da tutti gli abitanti di quel posto che erano stati loro amici, oltre che sudditi?

Come avrebbe fatto, lei...

Un lampo illuminò la stanza vuota, buia nel cuore della notte.

L'armadio le si presentò davanti in tutta la sua maestosità.

Doveva provarci, doveva riuscire a tornare indietro.

Fece qualche passo, fino a ritrovarsi di fronte ad esso, quel portale per un altro mondo.

Ci entrò, stando attenta a non chiudersi a chiave. Con lo sguardo fisso sulle porte, indietreggiò, come, ricordò, aveva fatto Lucy la prima volta.

Sbatté contro la parete di fondo.

Ci sbatté di nuovo.

E di nuovo.

Poi si girò e ci ribatté ancora, con la fronte.

Poi la prese a pugni.

Picchiò, picchiò e picchiò, ma la parete era sempre lì.

Infine si lasciò cadere a terra, sul pavimento dell'armadio, con la testa appoggiata alla maledetta parete che non voleva sparire. Sentì qualcosa scivolarle da sotto il pullover, che ancora non si era tolta da quando erano tornati indietro, tutte quelle ore fa.

Dallo spiraglio tra le ante dell'armadio la luce di un nuovo lampo filtrò, facendo luce sul foglietto di carta che le era caduto per terra.

Lo guardò fin quando la luce non sparì, due secondi dopo.

Con la mano cercò a tentoni, fin quando non ne sentì la consistenza sotto le dita. Sembrava pergamena di Narnia. Come faceva ancora ad averlo, se tutto il resto di quello che aveva avuto lì, quel giorno della caccia al cervo, era sparito?

Uscì dall'armadio, e, alla luce di un altro lampo, intravide la scrittura dell'intestazione di quella che apparentemente era una lettera.

Susan tornò nella stanza che divideva con la sorella, finalmente addormentata, e, nel suo letto, alla luce della candela, lesse la lettera a lei intestata.












Note dell'autrice

Ed eccomi qui. Per chi non lo sapesse, questa storia l'ho già postata ed è momentaneamente ancora presente su EFP, ma in via di cancellazione, fin quando tutte le persone che mi seguivano precedentemente non avranno letto l'avviso sulla sostituzione.

Questa è una nuova versione della mia storia su Susan, riscritta con uno stile diverso e migliore, con delle aggiunte e quindi capitoli più lunghi, con un prologo e dotata di più complessità e spessore (ma qui sarete voi a giudicare!)

Secondo me anche Susan, come vediamo fa Lucy nel film, di notte sgattaiolava nella stanza vuota per cercare di tornare a Narnia.

Avrete visto con quanta forza lo desiderava.

La lettera è molto importante, ma se ne riparlerà più avanti!

Per chi è incuriosito almeno un po', lo invito a seguirmi e mi farebbe molto piacere se ricevessi delle recensioni :)

Oltre al prologo sono già pronti cinque capitoli, quindi li posterò uno al giorno fin quando finiranno. Il sesto è in via di lavorazione.

A presto,

Clady (Daughter of the Lake)

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Capitolo 2
*** Un nuovo inizio ***


 

Capitolo 1

 

Una fine

o

Un nuovo inizio

 

Inghilterra

Nove anni dopo.

(Cameriera)

Susan era stanca.

Cameriera....doveva lavorare come cameriera, lei così intelligente, lei che una volta era stata regina.

Ma quello non era il peggiore dei suoi mali; dalla morte di tutti i suoi cari in un incidente ferroviario, lei era completamente sola: una giovane donna piena di potenzialità colpita da un destino troppo grande da sopportare, che le faceva sentire di avere non ventuno, ma cento anni.

Era molto desolata, Susan.

Non aveva più nessuna speranza per il futuro.

Il dolore l'aveva sommersa; tutto, intorno a sé, era grigio, vuoto, senza nessun senso.

Non aveva più nessuno; gli unici parenti rimastele erano i suoi zii, Harold e Alberta, ma, anch'essi essendo distrutti per la morte del loro unico figlio, non le erano di molto conforto.

Le sue giornate, nei mesi successivi alla catastrofe, in seguito al deprimente funerale, si susseguivano tutte uguali l'una dopo l'altra: si svegliava alle sei del mattino per recarsi a servire la colazione in un caffè nella periferia di Londra, prendendo e cambiando autobus due volte; lì, essendo la più giovane, era sottoposta agli ordini e alle gelosie dei colleghi più anziani, ed essendo anche bella, era costretta a sopportare i palpeggiamenti e le malizie dei rozzi clienti, accompagnati dalle risate e dagli ululati del resto dei presenti, entrambi, personale e clienti, senza curarsi di chiedere se per caso quegli abusi di potere o quelle inopportune attenzioni erano gradite o no alla giovane e bella ragazza.

Staccava alle undici, per poi subito recarsi in un ristorante vicino a servire invece il pranzo, dopo aver fatto un magro pasto anche lei, offertale insieme al salario. Alle tre e mezzo finiva il turno; da lì andava direttamente a casa, tranne un paio di volte alla settimana che dedicava alla spesa, per riposare almeno un paio d'ore, ore che spendeva fissando il vuoto, o rileggendo il solito stupido pezzo di carta....

Ritornava al ristorante alle sei e staccava alle dieci.

Aveva bisogno di più soldi possibile, se voleva raggiungere il suo scopo.

(In loro memoria)

Aveva deciso che non poteva più stare lì, in quella casa, in quella città, in quel paese; era assalita dai ricordi, dai rimorsi, tormentata dai fantasmi della sua famiglia, distrutta così improvvisamente, così inaspettatamente, in modo così travolgente, spegnendo anche chi aveva ancora tanti anni davanti a sé...

Mamma, papà, Peter, Edmund, Lucy, Eustace, Jill, Professor Kirke, zia Polly...tutti andati in un posto in qui lei non poteva andare.

Aveva pensato (oh se ci aveva pensato!) che forse quello non era un posto del tutto inaccessibile... ma era andata avanti.

Sarebbe andata avanti: i suoi non avrebbero voluto che rinunciasse alla sua vita. Questo era la spiegazione che si dava. Va avanti e fatti forza. Per loro.

Non c'è nessun altro motivo.

Dopo tutto questo tempo non poteva ancora credere nelle favole.

Niente di tutto quello è vero, non devi permetterti di contarci troppo, guarda a quanto ha portato finora.

E così si sarebbe trasferita, per lasciarsi tutto alle spalle.

Conta su ciò che hai, non su quello che potresti avere...non c'è più niente per me oltre questo. Vivo soltanto in loro memoria e per nient'altro.

Quasi ci credeva. Quasi. Ma ne riparleremo dopo.

(Cambiamento)

I soldi lasciatile dai genitori, più quelli che era riuscita a racimolare in quei duri mesi di lavoro, più quelli ricavati dalla vendita della casa, potevano consentirle di andare in America, dove già era stata anni prima con i suoi un'estate, e affittare un appartamento a New York: prevedendo che in seguito ai costi del viaggio e dell'affitto non le sarebbe rimasto molto, sapeva che avrebbe dovuto lavorare anche lì. Lo accettava, ma almeno avrebbe cambiato aria, lontana fisicamente dalle nove tombe cui faceva visita ogni settimana, di domenica, che le prosciugavano sempre di più il colore dalle guance, le inumidivano troppo spesso gli occhi e le impedivano di mangiare o dormire, e lontana dal suo passato.

Aveva bisogno di quel cambiamento, se voleva sopravvivere.

(Punto della situazione)

Quel giorno di inizio gennaio era stato particolarmente arduo da sopportare, a lavoro; si stupiva della volgarità e stupidità di certi uomini.

Rientrando in casa, sua per soli altri due giorni, si sfilò il cappotto, la sciarpa e il cappello, e si calò pesantemente sul divano, chiudendo un momento gli occhi.

Susan era stanca.

Riaprendoli si trovò davanti i soliti sorrisi, sul caminetto, che la tormentavano costantemente e sembravano rinfacciarle lo stato attuale delle cose: il fatto che quelli erano gli unici loro sorrisi che avrebbe mai più visto.

Quasi era troppo spossata per salire le scale e andare a letto, ma riuscì a racimolare un po' di forze e ad incamminarsi. Attraversò il salotto, salì le scale e percorse i corridoi quasi in trance, in modo automatico, facendo di tutto per non guardarsi intorno ed estraniarsi dal luogo.

Infilatasi sotto le coperte, sola e al buio, si raggomitolò su un lato e, visto che prevedeva di non addormentarsi tanto presto o di non addormentarsi affatto, fece il punto della situazione.

Tutte le cose dei suoi genitori e dei suoi fratelli erano state donate in beneficenza, ciò che si sarebbe portata in America, comprese le vecchie fotografie, era già quasi tutto impacchettato: mancavano solo gli ultimi vestiti messi a lavare e la foto di famiglia sulla mensola del caminetto; i mobili e arredamenti della casa li lasciava, ovviamente non poteva portarli con sé.

Quello era stato il suo ultimo giorno da cameriera.

Fortemente (inconsciamente), desiderava che, una volta iniziata una nuova vita all'estero, tutto sarebbe migliorato; non sapeva se sarebbe mai guarita dai tragici eventi che avevano caratterizzato la sua vita, a partire dal dover abbandonare quella che per quindici splendidi anni era stata la sua casa, Narnia, insieme a tutto ciò che aveva lasciato là, per passare per quel lungo periodo in cui aveva cercato di andare avanti, non compresa da quei fratelli che non si erano mai accorti di nulla, fino ad arrivare all'incidente: con quello aveva toccato sicuramente il fondo.

Ma adesso si apprestava un nuovo inizio.

(Insonnia)

Non pregava, Susan, non più. Dio non le era mai venuto in aiuto: lei aveva aiutato se stessa. Quindi non pensò di pregare, per trovare la forza di andare avanti, ma si limitò a chiudere ancora più forte gli occhi e a cercarla dentro di sé, la forza. Quando le sembrò di averla trovata, ricordò la sua fonte, e la scacciò via. No. Non devi sperare questo. Tutto è una bugia.

Faticò ad addormentarsi , come ogni notte; dormì male, come ogni notte.

Buffo ciò che accade se siete in casa da soli ed ogni ombra, ogni rumore, cigolio o fruscio che fosse, provochi l'immaginarsi di persone che si muovono nella stanza accanto o di occhi che ti fissano nell'oscurità: erano sempre occhi familiari, delle persone che aveva perso; spesso le sembrava la chiamassero, le parlassero, le dicessero cose già sentite...

<< A stasera...a stasera>> << Non sembri più tu...>> <>

Allora si premeva il cuscino sulle orecchie, ma non serviva a nulla.

Le voci erano nella sua testa.

Quella notte dormì male, come ogni notte.

(Una fine)

Il giorno dopo, l'ultimo, si recò al cimitero e ci restò per qualche ora, sfogandosi nell'ultimo pianto, assicurandosi che i fiori posti sulle tombe fossero abbastanza freschi, e dicendo addio.

Addio a tutti voi. Vi amo, anche se non ve l'ho detto spesso, egoista che sono.

Fu di grande commozione per tutti i passanti, vedere quella povera ragazza, così giovane e carina, eppure così triste, rivolgersi a così tante tombe, poste in fila le une accanto alle altre.

Di seguito andò dagli zii, che abitavano appena fuori città.

Sull'autobus teneva lo sguardo sempre posato sul paesaggio circostante, ma senza vedere nulla.

Sorprendentemente i suoi unici parenti furono piuttosto dolci e amorevoli, le diedero grandi raccomandazioni, la zia scoppiando anche in lacrime e abbracciandola per la prima volta come una figlia, lo zio posandole un bacio sulla fronte, entrambi provati e scossi, come lei, ma in via di ripresa...come lei (o almeno lo sperava).

Gli addii furono oltremodo sinceri, e li fece anche giurare di venirla a trovare, quando se la fossero sentita, magari fra qualche anno: accettarono con calore, ma sembravano dubbiosi. Lei fece finta di non accorgersene, e li lasciò con vero dispiacere; ma non pianse, doveva essere più forte di quanto lo era stata prima.

La sera, nella sua vecchia casa, sistemò le ultime cose, lasciando le chiavi per i nuovi proprietari, che sarebbero arrivati il giorno dopo, sotto lo zerbino; poi si mise a girare per la casa, e ad ogni punto le veniva in mente un aneddoto a lui collegato: su quel tappeto Lucy mosse i primi passi, su quella credenza Edmund prese la foto del padre per portarla nel rifugio durante i bombardamenti, su quelle scale Peter si ruppe un dente, da quella porta uscì il loro padre per andare in guerra, in quella cucina la madre cucinava i suoi manicaretti (le sembrava quasi di sentire ancora il loro odore)...entrò in ogni camera, cercando di ricordare anche tutti gli altri odori familiari, come quello delle sigarette del padre o del dopobarba del fratello, aprì gli armadi vuoti, toccò le coperte su cui avevano dormito, afferrò il vecchio orsetto di Lucy ancora sul suo letto...infine si sedette in mezzo alla sua stanza, che un tempo divideva con la sorella, abbracciando quel pupazzo di stoffa, unica cosa rimastele di lei, premendo il viso contro di lui (il pupazzo).

Il giorno dopo sarebbe partita, per non tornare mai più; dal giorno dopo quella non sarebbe stata più la loro stanza.

Fine. Questa era la fine della prima parte della sua desolante vita.

(Un nuovo inizio)

La mattina dopo, alla luce di un tenue sole, raro in Inghilterra, soprattutto in quel periodo dell'anno, si fermò di fronte alla sua casa, nel giardino freddo e morto, e, mentre i facchini trasportavano le sue valigie in macchina, le disse addio. Addio vecchia, cara, maledetta casa pensò.

E al pari, quando salì sulla nave che l'avrebbe condotta via, nel porto di Londra: Addio vecchia, cara, maledetta città.

Quello era un nuovo inizio.

 



























Note dell'autrice

Questo primo capitolo è anche quello che è meno cambiato rispetto alla prima versione ( e il più corto finora), ma lo stesso ha visto anche lui un po' di revisione!

Per chi mi ha seguito precedentemente potrebbe sembrare quasi uguale, ma in realtà è diversa per dei particolari (o indizi) importanti che ho lasciato qua e là...

Fatemi sapere se vi piace (mi rivolgo a tutti), e anche se mi scoccia dirlo, a volte è un po' frustrante non avere del tutto delle recensioni, quindi preferirei averne almeno due (almeno) prima di postare il prossimo capitolo...mi accontento anche solo di un “Va bene, bello!” o un “Fa schifo, smettila di scrivere!”

Ma per favore fatelo, please!

Alla prossima,

Clady (Daughter of the Lake)

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Capitolo 3
*** Possibilità ***


Capitolo 2

 

Possibilità

o

Jane

 

(Il mare)

Da Londra a New York un transatlantico, con vento favorevole e in assenza di tempeste, impiega circa dieci giorni di navigazione.

Susan, in seguito, conservò nella sua mente, di questi dieci giorni, solo una cosa: il mare.

Il mare calmo e cristallino dei giorni sereni; quello nero e schiumoso dei giorni di tempesta, con onde alte come cavalli che facevano ballare la nave come in un valzer; un mare di ogni gradazione di blu a seconda della profondità; un mare che la cullava di notte, permettendole quasi di dormire. Quasi.

L'osservava dal ponte, sola, in mezzo a centinaia di persone, tutti i giorni.

(Chiunque)

Chiunque passava di lì e posava lo sguardo su Susan, pensava istintivamente a due cose: la prima, che non aveva mai visto al mondo donna più bella di lei; la seconda, che non ne aveva mai vista una più triste.

Il suo viso era pallido e scarno, i suoi capelli corvini erano racchiusi in una severa crocchia, i suoi abiti, rigorosamente neri, erano dismessi, poco curati: il tutto le conferiva un'aria mesta e malinconica.

Ma ciò che più risaltava di lei, erano i suoi occhi: del colore del ghiaccio, non mostravano alcuna emozione, come se fossero vuoti, ed erano costantemente persi oltre l'orizzonte, come se, invece che il mare, vedessero tutt'altro.

Ma che cosa, nessuno lo sapeva.

Nessuno glielo domandava.

La vedevano sempre lì, tutto il giorno, tutti i giorni, tranne che durante i pasti: arrivava e andava via sempre alla stessa ora, dopo l'alba e prima del tramonto, senza rivolgere mai la parola a nessuno.

(Giuramento)

Era passato tanto tempo da quando Susan aveva giurato a se stessa di non vedere mai più né un'alba né un tramonto sul mare. Ma di questo ne riparleremo più avanti.

(Senso di colpa e conversazione solitaria)

I giorni passavano, lunghi e sempre uguali, ma, alla fine, finirono.

Si era a metà del primo mese del 1955 quando la Fortunata, questo il nome della nave, si ritrovò in vista del porto della Grande Mela.

Susan, fin dal momento in cui avevano comunicato che mancavano soltanto ventiquattr'ore all'arrivo, sentiva, suo malgrado, una sorta di eccitazione; ma non fidandosi più delle sue emozioni, che aveva imparato a sue spese portavano per la maggior parte a grosse delusioni, voleva mantenersi cauta e non lasciarsi andare a troppo ottimismo. Ma certe emozioni non sono facili da controllare, soprattutto se in realtà si agognano più dell'aria.

Dalla sua posizione sul ponte aveva la visione di tutta la città, di tutti i suoi immensi edifici e grattacieli: e allora vide anche se stessa, tra questi ultimi, lontana dal passato, in una nuova vita, più bella e luminosa.

Quasi si lasciò andare ad un sorriso.

Ma poi un pensiero l'attraversò.

I miei fratelli non hanno mai visto l'America.

Le sue labbra si congelarono.

E mai la vedranno.

Il suo stomaco si strinse e il suo cuore si contrasse, e il pensiero che più di tutti la tormentava, le si ripresentò. Che diritto ho io? Che diritto ho io di essere qui, di vivere, di respirare, di provare emozioni, di sorridere, mentre loro non possono più? Io avrei dovuto essere con loro, quel giorno, avrei dovuto morire con loro.

Avrei dovuto uccidermi, come avevo desiderato.

Ma tu non lo desideri davvero e sai che non lo desidererebbero neanche i tuoi, sei tu a dire che altrimenti non saresti qui le disse una voce dentro di sé.

Silenzio! Chi ti ha interpellato? Io dovrei morire, e dovrei desiderarlo.

Non che non devi, non devi sentirti in colpa di vivere.

Si, invece. Perché io si e loro no? Che diritto ho io di essere ancora qui, se loro non ci sono più?

Tutti abbiamo il diritto di vivere.

E la chiami vita, questa?

Tutto andrà per il meglio, fidati di me.

Perché dovrei? Tu non sei neanche reale, sei solo nella mia test...

Il fischio della nave, segnale dell'imminente arrivo in porto, la fece sobbalzare e distogliere dai suoi pensieri.

(Incontro/Scontro)

Durante le ultime manovre di attracco notò una gran folla, sul pontile, a terra; immaginava madri, padri, figli, parenti, amanti, amici, tutti in attesa di qualcuno, e i corrispettivi passeggeri, tutti consapevoli che qualcuno li aspettava.

Ma non io, io...Non si permise di continuare; ne aveva avuto abbastanza per quel giorno di pensieri deprimenti.

Il tempo risana tutte le ferite.

Silenzio!

Iniziò la fase di sbarco: Susan si ritrovò nel caos più totale.

Tra il via vai di persone urlanti, sia passeggeri che personale di bordo, con chi cercava chi da una parte, chi cercava cosa da un'altra e chi dava ordini a destra e a manca, tutto era in subbuglio.

Lei, a quel punto, molto tranquillamente, tornò nella sua cabina, prese le sue valigie (quattro) e le posò una alla volta fuori dalla sua porta.

Erano pesanti e interiormente si chiedeva come avrebbe fatto a portarle a terra, quando, ad un tratto, sentì un rumore di passi alla sua destra, si voltò e venne travolta da quello che era un uragano in carne e ossa.

(Risate e amiche)

Una persona (donna, si rese conto) che, a giudicare dall'eco dei passi che aveva sentito un attimo prima, stava correndo, la urtò in pieno e con tutta la forza della sua velocità; lo scontro portò entrambe a perdere l'equilibrio ed a rovinosamente, inevitabilmente, cadere addosso ai quattro bagagli di Susan.

Essi furono rovesciati a terra (non si aprirono, per fortuna) con le due donne sopra di loro, in un parapiglia di braccia e di gambe e di spigoli che a vederlo avrebbe fatto proprio ridere.

<< Ohi, ohi!! Ah, che male! >> gemette la sconosciuta.

Susan, cadendo, aveva sbattuto il gomito sul pavimento e da ciò le scaturiva un acuto dolore; una valigia si trovava per metà sopra la sua testa e lei tentò di allontanarla con il suo altro braccio, quello sano, ma non ci riuscì, poiché sopra di esso c'erano a sua volta le altre valigie, troppo pesanti da spostare tutte insieme; infine, il resto del suo corpo era sommerso da una massa molle che la premeva sul pavimento e le impediva di respirare.

Tentò almeno di liberarsi da quest'ultima, tossendo e cercando di muovere le gambe, allo stesso tempo in cui l'altra cercava di rialzarsi a sua volta, esclamando ad alta voce con un tono allarmato:

<< Oh mio Dio, mi scusi, mi scusi, mi dispiace tanto, non l'ho proprio vista! >>

Ma ella, riuscita in parte a sollevarsi, nello zelo di rimediare al suo danno e liberare quindi la sua vittima, tirando via da lei il grosso bagaglio che le oscurava la testa, andò a causare una nuova caduta di tutti gli altri, che si trovavano in fila precaria sopra di esso; il risultato fu che le valigie si ri-sparpagliarono intorno a loro, Susan potè, sì, emergere da sotto di esse ma solo per finirne di nuovo sotto, stavolta a livello del petto, e la ragazza, nella sopresa, ri-perse l'equilibrio e si ritrovò seduta contro la parete del corridoio e con un bagaglio addosso.

<< Oh, cielo! >> si ritrovò ad esclamare Susan, quando riuscì a girarsi e sedersi, passandosi una mano sul viso, cercando istintivamente di spostare ancora le valigie, senza riuscirci neanche questa volta. Vide l'altra donna nella situazione in cui era, simile alla sua, per terra e incastrata; aggiungendoci che aveva i capelli scarmigliati e il cappello di traverso, tutto ciò le dava un aspetto oltremodo buffo e comico.

Si guardarono a vicenda, poi quel disastro in cui si trovavano, poi loro stesse, tutto era così assurdo, che non poterono impedirsi dallo scoppiare a ridere; un riso sincero e penetrante che andò a scuotere il petto di Susan e a farla rimanere senza fiato. Ne fu esterrefatta: quella era la prima volta che rideva, dall'incidente...

Al tempo non sapeva che lo stava facendo con quella che da allora in poi sarebbe stata la sua migliore amica.

(Spirito e conoscenza)

<< Dio, sono proprio un disastro! Non sa quanto mi dispiace! >> disse ancora la ragazza, tornando, dopo un pò, seria. Prese l'espressione dispiaciuta di chi sa di averla fatta grossa: questo diede occasione a Susan di osservarla più attentamente.

Il suo viso era molto grazioso, con la pelle liscia e delicata; gli occhi erano verdi, luminosi e allungati, il naso regolare, le labbra non troppo carnose, con il labbro inferiore più pieno del superiore; i suoi capelli erano biondo scuro, in quel momento disfatti dalla loro acconciatura a causa della caduta; era magra, ma formosa. Il suo pesante cappotto di pelliccia, apertosi, aveva lasciato scoperto un completo color rosa pallido, elegantemente decorato con un motivo a fiori non vistoso, ma raffinato, composto da una camicetta stretta in vita da una semplice cintura nera appuntata con un fiore dello stesso colore del vestito, che terminava in due lacci cadenti sulla gonna, lunga fin oltre il ginocchio, di cui il cappello, con un altro fiore ad un lato, era il completamento. Portava anche dei guanti, e delle scarpe con il tacco ( che non avevano aiutato la sua corsa) che vedeva spuntare da sotto il suo baule. Dedusse da quell'esame che probabilmente apparteneva ad una benestante famiglia borghese.

<< Stia tranquilla, non è nulla, in fondo, essere buttata a terra in mezzo ad un corridoio di una nave è sempre stato il sogno della mia vita. >> le rispose con un mezzo sorriso. (Fu sorpresa, ancora, dal suo tentativo – anche se misero - di fare dello spirito.) Non c'era bisogno che la ragazza si sentisse in colpa, in fondo era stato solo un incidente, per cui cercò di non farsi vedere mentre si massaggiava il braccio lesionato.

<< Ah, davvero? Che sogni orribili che ha!>> (se solo sapesse) rispose l'estranea, divertita , ma non ancora rassicurata << ma no, sul serio, si è fatta male? >>

Le guardava il braccio; probabilmente il suo tentativo di non farsi notare non era andato proprio a buon fine.

<< Non è niente, solo un graffio. >> Ho visto di peggio, pensò.

<< Quanto mi dispiace! Sono imperdonabile! D'ora in poi sarò sua schiava a vita, glielo prometto, farò tutto quello che mi chiede! >>

<< Beh, allora niente male, per essere appena arrivata in America, ho già guadagnato una schiava. Se lo sapevo sarei partita prima! >>

Dell'altro spirito...ma che cosa le stava succedendo?

<< Ma poi non ci saremmo incontrate, pensa un po' come sarebbe stato non finire travolta, orribile! >>

Risero di nuovo; Susan cominciava a credere di essere impazzita (oltre a iniziare a provare della simpatia per lei)

<< Io sono Jane, ad ogni modo, Jane Dixon. >> disse, a quel punto, la ragazza, allungando una mano al di sopra della montagna di valigie.

<< Susan Pevensie...>> le prese la mano << ...è un piacere conoscerla, signorina Dixon. >>

(Qualcosa in comune)

<< Oh, ma mi chiami Jane. E in più sono sicura non sia stato del tutto un piacere... >> fece cadere gli occhi intorno alla loro situazione, poi le strizzò l'occhio.

<< Ah ah, no, questo non è un problema, davvero sono felice di conoscerla. Lei può chiamarmi Susan, in ogni caso, ma io penso che non la chiamerò Jane, Terremoto mi sembra un nome più appropriato! >>

<< Ah! Dio! Mi chiamano così anche i miei parenti, soprattutto il mio fidanzato, lui dice che un giorno gli provocherò una commozione cerebrale! Ma, per favore, diamoci del tu! >>

Susan si limitò ad annuire e sorridere.

Era un po' stordita da ciò che stava accadendo.

Non aveva una conversazione così piacevole da quella che sembrava una vita; prima non rideva, o sorrideva, per settimane, e adesso non riusciva più a smettere!

Si scervellò per trovare qualcosa da dire.

<< E quindi >> si risolse << hai un fidanzato? >>

La conosceva da pochi minuti, una persona che non fosse stata lei avrebbe potuto anche prenderla a male parole, eppure le faceva piacere saperlo; Jane aveva quell'aria gaia e spensierata di chi è in pace con il mondo, un sorriso così dolce e spontaneo che non poteva appartenere se non ad una persona di buon cuore ed animo gentile, che non potevi non augurarle il meglio; che fosse un po' esuberante non faceva che renderla anche divertente.

Tutto ciò faceva provare a Susan un'istintiva predisposizione verso di lei.

<< Oh, sì! Lo amo tanto, ma non lo vedo da più di un mese... >> e qui iniziò a parlare molto velocemente, tanto da rendere difficile seguirla << ...ero andata in Inghilterra a trovare i miei, visto che credo che dopo il matrimonio non sarà più possibile andarci tanto spesso (e in più volevo vedere forse per l'ultima volta la mia casa) e quando ti sono venuta addosso stavo correndo perché avevo dimenticato il cappello in cabina e qindi volevo recuperare il tempo perso, visto che lui dovrebbe essere giù a terra ad aspettarmi! >> Le si illuminarono gli occhi.

Abbiamo qualcosa in comune...abbiamo entrambe lasciato per sempre la nostra prima casa pensò Susan ma le circostanze sono completamente diverse...

<< Oh, beh, in questo caso, che cosa ci fai ancora qui con me? >>

Un po' le dispiaceva che se ne andasse; credeva di non rivederla mai più.

<< Scherzi?! Ti ho detto che sarei stata la tua schiava, e una schiava non lascia la padrona sul pavimento di una nave con tutte queste grosse e pesanti valigie addosso! Forza, recuperiamo i tuoi e scendiamo tutti insieme! >>

<< Ma no, non c'è bisogn... >>

<< Non voglio sentire altro, forza! >>

E cercò, con molta difficoltà, di rimettersi in piedi.

(Aiuto)

Dopo altri affanni e tentativi, ricadute e risate, riuscirono finalmente a rialzare le valigie, restare stabili sulle loro gambe e aggiustare i loro aspetti.

Susan iniziò a protestare ancora dell'idea della sua nuova “amica”, se così si poteva chiamarla, ma lei non voleva sentire ragioni.

<< Allora, con chi sei? Vedo che siete un bel po', con tutte queste valigie! >>

<< Ehm...sono da sola. >>

Non voleva spiattellarle subito la deprimente storia della sua vita, non volendo che avesse pietà di lei, però non voleva neanche mentire.

Silenzio imbarazzante...poi:

<< Davvero, tutta sola? Una ragazza giovane come te! Non puoi essere più grande di me... >>

<< Si, sono da sola. >>

Dal suo tono, Jane dovette capire fosse meglio lasciar perdere l'argomento, per cui si limitò a dire, un po' esitante:

<< Ma avrai almeno qualcuno ad aspettarti a terra? >>

Susan scosse il capo, rigida.

<< Ed è la tua prima volta in America? >>

<< Ci sono stata una volta, un'estate, ma sono passati molti anni, da allora... >>

<< ...Quindi immagino tu non abbia un posto dove andare... >> Susan scosse il capo di nuovo << ...e non sappia come trovarlo? >> Questa volta il suo cenno era appena percettibile, ma Jane l'afferrò lo stesso. << beh, allora...>>

Si guardarono per alcuni interminabili istanti, ancora in silenzio.

Poi finalmente Jane disse:

<< I miei zii mi staranno aspettando di sopra, sono sicura che potremmo aiutarti, in qualche modo... >> a quel punto le lanciò un sorriso, un sorriso incoraggiante, (Susan pensò che quello fosse la parte più bella di lei, le illuminava il viso...) << ...perché non vieni con noi? >>

(Possibilità)

Susan fu colpita da quella frase come da una scossa elettrica.

Gli occhi le si spalancarono, la testa scattò e si irrigidì all'esterno, mentre all'interno cominciò a girare e ragionare (o a tentare di farlo).

Lei era una donna molto giovane, sola, in una città sconosciuta: obiettivamente, non le sarebbe stato facile cavarsela in queste condizioni e dell'aiuto, le sarebbe stato utile.

Ma non era questo che le creava problemi, mentre rifletteva, in piedi in mezzo al corridoio di una nave con lo sguardo fisso, sull'offerta fattele da una, praticamente, sconosciuta.

Era la possibilità, il problema.

La possibilità che le si presentava di, effettivamente, tornare a interagire con altre persone, di, magari, contare su di loro e di vivere di nuovo in mezzo a loro...

Ma questo è quello che volevi, no?, quando hai lasciato l'Inghilterra... ricordò a se stessa.

Sì, era quello che aveva voluto.

Ma lo voglio davvero?

Sì.

Ma non mi sento pronta.

Lo sarai.

Non so...

Vai con lei, ti aiuterà a sistemarti e niente di più, se tu non vuoi

Ma, e se...

<< Susan? >>

Alzò li occhi su di lei.

<< ...Allora? >>

Quel suo sorriso era sempre lì, benevolo e rassicurante.

Dell'aiuto...era tanto tempo che non l'aveva...

Accettare dell'aiuto...

Solo questo, non può fare tanto male, no?

Certo che no.

Non l'ho chiesto a te!

Solo un po' d'aiuto, accetterai solo un po' d'aiuto, perché ne hai bisogno, ma niente di più, non puoi permettertelo, ricorda!

<< ...Sì. Si, vengo con te. >>













 







Note dell'autrice

E va bene, uno ha commentato, e avevo pure detto che ne avrei postato uno al giorno, quindi eccomi qui lo stesso...però siate più numerosi!

Spero comunque che il capitolo vi piaccia, perché questo incontro con Jane è davvero molto importante per la vita di Susan...

Ecco a voi il capitolo, che personalmente mi piace abbastanza

Alla prossima,

vi ricordo che le recensioni sono dei biscotti al cioccolato,

Daughter of the Lake

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Capitolo 4
*** Provarci ***


                                                              Capitolo 3

 

                                                                Provarci

                                                                                  o

                                                                 I Dixon

 

(Imprevisto)

Lei non aveva previsto questo.

Quello che aveva previsto, quando aveva acconsentito a scendere dalla nave insieme a Jane e ai suoi zii, era soltanto che magari le avrebbero potuto consigliare, conoscendo bene la città, un buon appartamento da affittare o un lavoro decente...

Non aveva previsto questo.

<< ...il mio appartamento è abbastanza grande per due, perché non vieni a vivere con me? >> le disse Jane, a un tratto.

Tre paia di occhi la guardarono, in attesa.

...

(Folla)

La folla, sul ponte, era fitta, rumorosa e caotica.

Jane doveva alzarsi sulle punte dei piedi (i bagagli di Susan li avevano affidati a dei marinai, quindi si ritrovarono liberate dal loro peso – quelli di Jane li avevano i suoi parenti), nel tentativo di trovare i suoi zii.

Una volta avvistati, le sue sopracciglia si erano alzate in segno di riconoscimento e sollievo.

Si era operata immediatamente a trovare un modo per raggiungerli, ma, alla fine, non trovando un metodo migliore, si era risolta a quello classico: spingi e sguscia. Afferrando la mano di Susan, iniziò a farsi largo tra la folla insieme a lei.

John e Miranda Dixon aspettavano la nipote, sorpresi e preoccupati del suo ritardo (vista e considerata la smania della ragazza di raggiungere il fidanzato), di lato al ponte di sbarco, per non ostruire il passaggio. Come la nipote, si alzavano in punta di piedi e scrutavano attentamente tra la miriade di persone, finché non la scorsero, mano nella mano con un'altra ragazza.

(John e Miranda)

John era il fratello del padre di Jane; era un uomo nei suoi tardi trent'anni, che sono quasi più quaranta, di media statura, ma di spalle larghe, sia letteralmente che metaforicamente.

I suoi capelli biondo-rossicci erano più radi sulle tempie, ma conservavano ancora il loro colore originale; aveva un viso squadrato, con una mascella forte, denti bianchi, naso importante, e occhi acuti e vispi, castani. Lo si poteva considerare un bell'uomo: se non, almeno affascinante.

Uomo pratico e schietto, si era trasferito in America insieme alla moglie una decina di anni prima, poco dopo il loro matrimonio, per tentare, come molti, il sogno americano. Grazie al suo ingegno e a tanto duro lavoro, era riuscito, alla fine, a raggiungere una posizione di prestigio nella banca in cui lavorava.

Miranda era di poco più giovane di lui; aveva capelli castani, corti, acconciati secondo la moda del tempo; gli occhi cerulei, evidenziati da sopracciglia ben disegnate, accompagnavano un naso perfettamente in linea con l'armonia del viso; la sua bocca, sempre sorridente, era forse un pò troppo larga, e magari le sue guance con gli anni erano diventate più incavate, ma per il marito rimaneva sempre la donna più bella che avesse mai visto.

Era insegnante ad una scuola elementare femminile.

La coppia non aveva figli, per dei problemi di fertilità, non era ancora certo di chi: col tempo erano riusciti a perdonarsi a vicenda (quasi).

(Miranda)

<< Jane, cara! Ma dove ti eri andata a cacciare, ti stiamo aspettando da un bel po'! >> esclamò Miranda, appena la nipote arrivò vicino a loro.

<< Scusate, zia, zio, ma, vedete!... >> spinse la sua compagna più in vista << ...lei è Susan Pevensie, l'ho appena travolta giù nel corridoio(!), e quindi abbiamo fatto un po' di conoscenza e ho scoperto che lei è nuova di qui, è da sola e non sa dove andare, allora le ho proposto di venire con noi, così possiamo darle una mano! >>

La ragazza presentata come Susan fece una lieve, cortese, reverenza, dicendo << E' un piacere conoscervi, signori...Dixon, credo?>> ...si voltò verso Jane, che annuì.

<< Si, loro sono i miei zii, John, fratello di mio padre, e Miranda. >> aggiunse lei, muovendo le mani per indicarli.

<< Ovviamente non vorrei sembrare un'approfittatrice, ho accettato soltanto perché Jane ha detto che non c'erano problemi... >> si affrettò ad aggiungere, quindi, la ragazza.

Non poteva avere molti anni più di venti; Miranda rimase colpita dalla sua bellezza, ma, allo stesso tempo, capì che qualcosa non andava.

Che cosa avrà spinto una ragazza così giovane a partire da sola per l'America?, fu la prima cosa che pensò.

Sì, è bella, fu la seconda, ma ha una aria strana...un'aria di morte.

Non ci credeva affatto, che fosse un'approfittatrice, senza bisogno delle sue rassicurazioni; sembrava cortese, gentile, un po' timida e molto, molto triste.

Notò le sue occhiaie, notò i suoi abiti neri da lutto, e notò il suo sguardo malinconico: ne concluse che c'era molto da sapere, su di lei, ma non pensava avrebbe voluto mai saperlo.

Se ha bisogno d'aiuto, da me lo avrà.

<< Ma certo che non ci sono problemi, signorina Pevensie, anche per noi è un piacere conoscerla, e spero che nostra nipote non le abbia recato danno? >> le si rivolse suo marito, lanciando intanto un'occhiata alla loro nipote, un misto fra l'arrabbiato e il rassegnato, come anche divertito, per l'incorreggibilità della ragazza.

Miranda annuì, esasperata, rivolgendosi a Susan:

<< Jane è una cara ragazza, ma, cielo! >> scosse la testa << quanto è goffa! In famiglia non siamo tutti così, glielo assicuro! >>

<< Non vi preoccupate, signori Dixon>> ribatté lei << Jane è davvero molto simpatica e poi è stato solo un'incidente, non mi sono fatta nulla. >>

<> disse Jane, afferrando un braccio alla sua amica.

<< Oh, sei ferita, cara? Assolutamente,dobbiamo andare dal medico di bordo! >> esclamò, allora, allarmata, Miranda.

<< Ma no, ma no, non è niente, non dovete assolutamente disturbarvi tanto! >>

<< Sciocchezze, cara. >> concluse Miranda.

Povera ragazza.

Sapeva istintivamente che fosse così.

(John)

Le proteste della ragazza furono ignorate, anche quando puntualizzò a Jane che il fidanzato l'aspettava, cosa al quale ebbe la risposta << Qualche minuto in più non farà male a nessuno, anzi; si preoccuperà, chiederà in giro, penserà ancora di più a me, e quando mi vedrà sarà ancora più felice di sapere che sono viva e vegeta! >>

Quella ragazza è incorreggibile pensò John, ma sorrise e scosse la testa benevolmente. Le voleva bene, dopotutto.

Tutti e quattro si avviarono dal medico di bordo.

La ragazza lo incuriosiva, John. Essendo un uomo acuto, si riservò di studiarla per bene.

Questa ragazza ne ha passate, di disgrazie, i suoi occhi le riflettono una dopo l'altra, dalla prima all'ultima, fu la prima cosa che pensò, alla fine del suo esame.

Tempo dopo, quando ebbe l'occasione di ascoltare la sua storia, non ne rimase affatto sorpreso o sconcertato; era solo la conferma a parole di cose che già aveva letto in una lingua assai più complessa, che è quella delle emozioni.

Avrebbero potuto risparmiarsi la visita dal medico: tutto quello che fece fu

esaminare la lesione, concludere che era solo una contusione (e grazie tante) e fasciarla (niente che non si sarebbe potuto fare a casa con un misero kit di pronto soccorso). Ma era meglio non dire questo a sua moglie.

(Jane)

Alle rassicurazioni del medico, si misero in fila, finalmente, per sbarcare.

Jane era entusiasta, e non solo per la prospettiva di rivedere il suo fidanzato: aveva una nuova amica e lei adorava fare nuove conoscenze.

Ma non era neanche solo questo.

Lei non era stupida; aveva notato che Susan era in una situazione...particolare...insomma!, era sola, in un nuovo paese, circondata da un'atmosfera tetra! (notava molte cose, Jane.)

Capiva che avesse bisogno di qualcuno vicino, di un'amica, di qualcuno che le volesse bene (Jane sentiva già un istintivo affetto verso di lei) e il suo animo gentile si animava alla prospettiva di essere quel qualcuno: in questo modo avrebbe potuto aiutarla a superare tutto ciò che l'affliggeva.

Le avrebbe trovato un lavoro, magari - mi sembra intelligente - potrei procurarle qualcosa alla scuola dove lavoro io...poi le troverò un bel appartamento, chissà se nel mio quartiere...e le venne l'idea.

<< Susan! >> le afferrò il braccio << ho avuto la migliore delle idee!! >>

La sua amica (già la considerava tale) si girò verso di lei, con uno sguardo incerto e un po' curioso.

<< Si? E quale sarebbe? >>

<< Visto che non hai un posto dove andare e il mio appartamento è abbastanza grande per due, perché non vieni a vivere con me? >> le disse.

Perfetto.

Idea perfetta.

I suoi zii la guardarono.

<< Questa è un'ottima idea davvero! >> esclamò sua zia.

Suo zio annuì.

Jane sorrise.

Tutti e tre si voltarono verso colei a qui era stata rivolta la domanda.

(Susan)

...

E' difficile spiegare come si sentì Susan in quel momento.

Soltanto la scelta che aveva fatto di scendere dalla nave insieme a Jane e alla sua famiglia e accettare il loro aiuto, era stato difficile, per lei!

Per lei era stato come un grande passo: un passo verso la vita.

E ora questo!

Ma andiamo con calma.

(Aprire il cuore)

Da un giorno all'altro aveva perso tutta la sua famiglia; da un giorno all'altro aveva perso tutte le persone a lei care.

Non riusciva a cancellare dal fondo dei suoi occhi, di giorno come di notte, l'immagine della stazione di Londra, completamente distrutta, con due treni divelsi sulle piattaforme, fumanti e capovolti; l'immagine del poliziotto che la sosteneva mentre l'accompagnava all'identificazione dei corpi; l'ombra delle masse bianche in terra, i morti, coperti da un lenzuolo; il ricordo del medico di campo che scopriva i corpi martoriati e coperti di sangue di sua madre, suo padre, i suoi fratelli, sua sorella, suo cugino, e dei suoi amici...

Questi orribili e inevitabili flash erano ormai diventati parte di lei. Spesso, non comprendeva a pieno il loro significato se non quando li riviveva ancora una volta, cosa che le provocava un salto al cuore, che invece di sangue, sembrava pulsare dolore, in seguito al quale si rendeva conto, per l'ennesima volta, del fatto che era sola al mondo e che non avrebbe mai, mai, più rivisto, abbracciato, riso, parlato con nessuno di loro, e che soprattutto loro non avrebbero più visto, abbracciato, riso, parlato nulla, nulla, di nulla, con nessuno...dopo questa realizzazione e il successivo scoppio di dolore, esso spariva, lasciando, al suo posto, solo il vuoto.

Del funerale non ricordava nulla, quasi fosse un buco nero, mentre dei giorni successivi rimaneva un unico pensiero: Presto li raggiungerò

Cosa l'avesse spinta a vivere, come era riuscita a non suicidarsi, non ne aveva idea (o forse si...)

Ma sta di fatto che non si uccise, e dopo una settimana dal funerale, il pensiero non sparì, ma fu messo da parte, sostituito in fermezza da: Devo andarmene da qui

Era una certezza: non poteva restare in quella casa piena di ricordi e presenze.

Si buttò nel lavoro al solo scopo di guadagnare il più possibile (ma questo voi già lo sapete), e così andò avanti.

Della vera ragione per cui era riuscita a trovarne la forza, non è ancora tempo di parlarne.

L'importante è che, in ogni caso, lei visse.

Era stata fortunata: prima ancora di mettere piede in America aveva trovato qualcuno disponibile ad aiutarla...

Ma lei era spezzata, anche se viva.

Da tanto tempo (le sembrava) non riceveva aiuto da nessuno e solo aprirsi ad esso le era costato uno sforzo interiore enorme...

Non era pronta a questo...andare a vivere con qualcuno!

Dopo tutto quello che aveva sofferto, dopo tutto ciò che aveva perso (non solo negli ultimi quattro mesi) era terrorizzata da questa prospettiva.

I dubbi che l'assalirono ( Come posso andare a vivere con lei?! La conosco appena! Dovrei fidarmi di una completa sconosciuta?! No, non esiste, è da sciocchi un comportamento del genere...dovrei scusarmi, ringraziarla per la sua disponibilità, e andarmene per conto mio, al sicuro...nel rifugio della mia solitudine...ma è poi un rifugio o una prigione?) - sicuramente legittimi, in quanto, chi è che va via con degli sconosciuti? chissà che tipo di persone sono e se sono pericolose ecc. (ma Susan sentiva a pelle che Jane non era così, che poteva fidarsi di lei) - avevano l'unico scopo di creare una barriera intorno a sé, perché il punto era proprio lì. Fidarsi.

Da fiducia a amicizia e affetto il passo è breve.

Tutte le persone a cui aveva voluto bene erano morte, lasciandola sola...se si fosse affezionata, se avesse voluto di nuovo bene a qualcuno, per poi perderlo, di nuovo, sarebbe stata la sua fine, definitivamente. Come poteva non essere terrorizzata di andare a vivere con Jane? Di magari diventare amiche? E se poi morisse? Se non fosse la ragazza che penso sia e mi abbandonasse una volta saputo tutto di me, non volendosi accollare i miei problemi (la capirei, ma ci soffrirei lo stesso)? Non voleva aggiungere nessun altra sofferenza a quelle che già aveva.

Capirete che, per lei, trovare la forza, il coraggio, di allontanare tali paure e di conseguenza permettere al suo cuore di aprirsi di nuovo, era una grande sfida.

(Provarci )

Il signor Dixon la guardava con lo sguardo di chi la sa lunga, accennando di sì con la testa, quasi volendole dire Andrà tutto bene.

La signora Dixon aveva uno sguardo e un sorriso gentili, da mamma...ma Susan non volle pensare a questo.

Jane aveva il sorriso più abbagliante di tutti: la sua eccitazione sembrava strariparle dagli occhi, che sembravano volerle dire Staremo bene insieme, saremo grandi amiche, fidati di me!

Nessuno dei tre le mise fretta.

Nessuno parlò, mentre intanto la fila davanti a loro procedeva (molto lentamente).

Susan era intrappolata nei suoi pensieri, nei suoi dubbi, nelle sue emozioni contrastanti, nelle sue paure.

Nonostante tutto, tutto, una parte di lei, nelle profondità del suo essere, lo voleva, voleva provarci.

Infine si decise a esternare qualcuno dei suoi dubbi.

<< Ma...ma, ma io non posso permettermelo, se è un appartamento così grande io...>>

<< Oh, sciocchina, non dovrai pagare affatto, ci mancherebbe altro! >>le ribatté la signora Dixon, quasi indignata.

<< Ma, e le tasse? Le spese per la corrente, l'acqua e tutto il resto? No, no, non potrei mai approfittare così di voi! >>

<< Ma no, mia cara ragazza >> intervenne anche il signor Dixon << non ti devi preoccupare di questo, io ho un discreto lavoro in banca, e in più Jane ha un lavoro da insegnante che le permette di aiutarci a mantenere il suo appartamento che è intestato a noi...>>

<< Ancora peggio, no, mi scusi signor Dixon, ma io non pos...>>

<< Senti, facciamo così >> disse a quel punto Jane, autoritariamente, facendo un gesto con le mani per zittire tutti << non appena ti sarai trovata un lavoro decente (cosa che penso sia tuo desiderio e che noi ti aiuteremo a fare) ci darai un quarto della paga, CREDO >> alzò la voce per sovrastare le proteste che stavano per nascere << che sia più che equo, soprattutto se si tratta di una mia amica! E poi, stai tranquilla, io sono una frana nelle faccende domestiche, quindi dovrai aiutarmi a farle per forza, così “contribuirai” in qualche modo! Hai altre obiezioni?>> concluse, sorridendo, posandosi le mani sui fianchi, muovendo la testa in un cenno soddisfatto e aspettando una risposta, preparandosi a ribattere ancora nel caso in cui fosse stata positiva.

Susan guardava quei visi in attesa di un suo sì, sentendosi quasi commossa del fatto che l'avessero presa a cuore a tal punto.

Che cosa faccio? Vado a vivere con Jane Dixon?

Provarci non costa nulla.

Lo dici tu.

Ma nonostante tutto, in cuor suo sapeva già la risposta.

Ci proverò.

<< Va bene,accetto. >>

<< Siii!! >> Jane si slanciò su di lei e la strinse in un enorme abbraccio da orso. Susan fu sorpresa dal gesto e dapprima si irrigidì: ma uno non resiste a Jane Dixon troppo a lungo, quindi, alla fine, cedette a ricambiarla con un lieve abbraccio e a lasciarsi andare ad una mezza risata. (Tutto era a metà, di lei)

Forse tutto sarebbe andato per il meglio.

Forse.

<< Magnifico, è deciso, ma, guardate, siamo a terra! Sarà meglio sbrigaci, no? Non vuoi rivedere il tuo David, cara? >> la signora Dixon, mentre si rivolgeva alla nipote, sorrise a Susan.

Erano effettivamente arrivati alla fine del ponte.

<< Sono così contenta, vedrai che staremo bene insieme! >> disse Jane, incastrando il braccio sotto il braccio della sua nuova coinquilina.

Susan era quasi serena ( quasi, o almeno in proporzione al suo precedente stato) e guardava al futuro, in quel momento, con una nuova aspettativa.

( “Provarci” sarebbe stato il suo nuovo motto.)

Sorrise a Jane e, insieme a lei, seguì i Signori Dixon verso la loro auto.

 

 

 

 

 






Note dell'autrice

Non credo ci sia molto altro da aggiungere...mmm credo si capisca che la scritta in corsivo e grassetto è una voce nella sua testa e quella solo in corsivo sono i suoi pensieri...le cose per Susan si mettono bene, quello che dovremo vedere è come le affronterà o se riuscirà a farlo, ad “aprire il cuore”...sì, penso che sia tutto!

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto

Alla prossima,

Sempre La Stessa

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Capitolo 5
*** Messo il piede su una nuova casa ***


Capitolo 4

 

Messo il piede su una nuova casa

 

(Preambolo: Desiderio)

Qualcuno potrebbe pensare che Susan, nonostante tutte le sue obiezioni sull'affezionarsi di nuovo a qualcuno per paura di soffrirne di nuovo, abbia accettato di andare a vivere con Jane Dixon, ragazza appena conosciuta nell'atto di lasciare la nave che l'aveva condotta in America, troppo facilmente o velocemente; ma, bisogna capire, con questa decisione le sue paure non si erano affatto dissipate (se per questo, erano aumentate) e l'unico motivo che l'aveva spinta a ciò era il fatto che lei era ormai a quel punto in cui si è così in basso nella scala dell'infelicità, che non si può non anelare ad almeno la possibilità di raggiungere una qualche sorta di felicità o, se non proprio, serenità e pace (lei era ancora scettica che le avrebbe raggiunte davvero).

Penso che nessuno possa biasimarla per desiderare questo.

(Il biglietto)

Jane si era fatta più impaziente; Susan notava la sua agitazione (o eccitazione, a seconda) dai movimenti del suo corpo. Le mani le tremavano, il respiro era agitato; la vedeva mordersi le labbra e allungare il collo in cerca di una testa fin troppo conosciuta fra la miriade sconosciute. (Poteva capirla)

<< Jane, tesoro, sta calma, sarà qui intorno >> la rimbrottò sua zia. Jane non dimostrò di aver sentito.

Finalmente avevano messo piede sul suolo americano della città di New York; Jane cercava freneticamente il suo fidanzato in mezzo alla folla.

Fatti pochi metri il fidato autista dei Dixon, così lo presentò il signor Dixon, il signor Eril, venne loro incontro, togliendosi il cappello e facendo un lieve inchino in segno di rispetto ai suoi datori di lavoro:

<< Bentornati in patria, signori e signorina. >>

<< Ti ringraziamo, Mau: nonostante ami l'Inghilterra, è bello essere di nuovo qui, a casa. >> gli rispose il signor Dixon. La signora Dixon annuì.

Maurice Eril, professione autista, si inchinò di nuovo.

Raddrizzandosi, si rivolse a Jane:

<< Sono immensamente desolato, mia cara signorina, di informarla che il signor Norland non ha potuto farcela, di venirvi a prendere: mi ha incaricato di darle questo >> e prese dalla tasca interna della sua giacca, un bigliettino.

La diretta interessata, quando il signor Eril le si era rivolta, aveva ascoltato solo con un mezzo orecchio, intenta ancora a girare la testa intorno e ad alzarsi sulle punte dei piedi, ma colta l'ultima frase, la sua testa scattò verso il suo interlocutore, il suo sorriso entusiasta e pieno di aspettative si dissolse e fu sostituito da una smorfia di amara delusione. Prese velocemente il biglietto che le veniva porto, aprendolo istantaneamente, stando però attenta ad allontanarlo da occhi indiscreti.

Mentre leggeva ogni tanto le scappava qualche sorrisetto, probabilmente per qualcosa di buffo che c'era scritto, ma quando finì, ritornò seria, sospirò e rialzò il capo.

<< Quando ve l'ha dato? >> chiese quietamente al signor Eril.

<< Il ragazzo è arrivato qui al porto circa due ore fa (io infatti ero già qui ad aspettarvi, ma la vostra nave ha fatto ritardo), visibilmente molto di fretta, dicendomi che aveva un'emergenza e che non avrebbe potuto attendere il vostro arrivo; quindi mi ha dato il biglietto. >>

Jane a quel punto sembrò rassegnarsi, ma lo stesso sbuffò amareggiata.

<< Dai, cara, sta pur certa che lo vedrai stasera, al massimo, se non prima! Per il momento ci conviene andare a casa...>> si intromise allora la signora Dixon << ...voi due ragazze pranzerete con noi, vero? Poi potrete anche andare a sistemarvi... >>

<< No, grazie, zia, insomma, se Susan vuole... >> Jane le ribattè << ...ma io preferirei tornare a casa, se a te non dispiace. Tu, Susan, che vuoi fare? >>

Si guardarono e lei capì cosa doveva fare.

<< Vi ringrazio moltissimo, signora Dixon, signor Dixon, non so cosa avrei fatto, senza di voi: magari verremo un'altra volta, in questo momento ho disperatamente bisogno di sistemarmi e riposarmi un po'. Spero non vi dispiaccia troppo. >>

<< Non ti preoccupare, va bene così, cara, capiamo! Però vi accompagneremo nel vostro appartamento. Forza, tutti in macchina! >> concluse quindi la zia.

Prese per il braccio il marito e andò verso l'auto.

Salendo in macchina Jane era molto abbattuta.

(Messo il piede)

E Susan, vi chiederete, cosa pensava in tutto questo?

Messo il piede su quella che da allora in poi sarebbe stata la sua casa, respirò a fondo...e tossì per il fumo delle auto. Niente di diverso da Londra.

Era davvero un nuovo inizio? O niente sarebbe cambiato?

Poteva pensare seriamente che un nuovo posto avrebbe significato dimenticare e lasciarsi tutto alle spalle? Sapeva che non era così.

Ormai, però, aveva capito che la soluzione alle sofferenze non era dimenticare, ma accettare e conviverci. Cambiare aria l'avrebbe aiutata soltanto perché qui, in America, ogni cosa non le avrebbe ricordato tutto ciò che aveva perso, ma ciò che avrebbe potuto ottenere; non c'era niente di familiare che avrebbe potuto causarle nostalgia o farle pensare a come avrebbero dovuto essere le cose, se soltanto non fosse successo quello che era successo; tutto era nuovo, pieno di vita, e le cose non le si prospettavano così brutte, grazie al fortuito incontro con Jane e la sua famiglia.

L'inizio le era sembrato abbastanza promettente.

Messo il piede in terra, capì che avrebbe potuto abituarsi allo smog, al caos, alla frenesia, e, soprattutto, che avrebbe potuto abituarsi a Jane. Sempre distaccata, però, i sentimenti fanno male. (la pensava così, non ci si può far nulla...ma chi potrà farle cambiare idea?...mmh non sarà affatto facile)

Ma ricordati di questo momento, di questo dolore, magari un giorno ne ripenserai con più serenità e accettazione. Adesso è troppo presto, ma un giorno lo farai.

Si era lasciata guidare verso la macchina dei Dixon, osservando, udendo tutto ciò che le passava davanti agli occhi e a portata d'orecchi: le persone sul pontile si riunivano con i loro cari.

C'era chi si abbracciava, chi litigava, chi invece era molto formale; si ricordò del gioco che faceva con i suoi fratelli, di immaginare le storie di ogni sconosciuto che si incontrava per strada, ricostruendo drammi, commedie, tragedie o tragicommedie...

Era sempre stata brava in quel gioco; provò a rifarlo, cercando di immaginare quali travagli avevano dovuto attraversare i due innamorati che si baciavano tra la folla, ma non le venne in mente nulla.

Sarò mai più in grado di giocare?

In quel momento si avvicinò loro un uomo, che il signor Dixon presentò come il “nostro fidato autista, il signor Eril”, ma non gli riservò molta attenzione.

Le dispiacque per la delusione della sua amica e sperò che quel suo signor Norland non fosse un tipo odioso, che lavora sempre e trascura la sua fidanzata; guardando Jane non le sembrava possibile che lei avrebbe mai potuto scegliere qualcuno del genere, ma forse l'amore è più cieco di come uno si immaginerebbe.

Salirono, quindi, in auto.

(Abitudini)

Il signor Dixon si sedette avanti, affianco all'autista; loro tre dietro, con Susan vicino il finestrino destro, Jane in mezzo, e la signora Dixon su lato sinistro.

Per Susan quel sistema di guida era del tutto nuovo, dal lato sbagliato della strada, tanto che, dimenticandosene, credeva che avrebbe avuto la vista dell'altra corsia, invece di quella in prima fila di tutti i palazzi, ristoranti, caffè, negozi esistenti nella Grande Mela. Oltre che a Londra, non era mai stata in una grande città, e soprattutto non era mai stata in una così moderna e piena di grattacieli.

Una parte di lei osservava e rimaneva affascinata, guardando verso le miriade di possibilità che potevano presentarlesi, l'altra parte di lei riprese l'antica abitudine di guardare ma non vedere, perdendosi ancora una volta in pensieri che ardentemente desiderava sparissero. (Uno si potrebbe domandare come si fa a da una parte osservare e dall'altra non vedere, ma, un po' di immaginazione, le cose erano alternate nello spazio di pochi secondi.)

(Un po' sugli altri)

Magari non vi interessa che anche gli altri passeggeri avessero dei pensieri.

Magari non vi interessa che John Dixon, finita la vacanza, era tornato in modalità funzionario-di-banca, per cui aveva la mente tutta presa da vecchi conti e da interrogativi su come sarebbe stata la situazione a lavoro; che Miranda Dixon si interrogava sulle condizioni in cui avrebbe trovato la casa, sperando che la governante avesse fatto un buon lavoro; che Jane pensava a al suo fidanzato (ovviamente), a dove fosse e a cosa stesse facendo, se l'avrebbe visto quella sera etc..(immaginazione)..; e che il signor Eril pensava a quando il signor Dixon l'avrebbe pagato.

Ma anche se non vi interessa, io ve l'ho detto lo stesso.

Ma tornando seri.

(Facciate e formalità)

Susan era così immersa nella sua mente, che dovettero scuoterla, allorché si fermarono di fronte ad un palazzo. Si volse verso Jane, che le sorrise, annuendo e indicando alla sua sinistra, e Susan tornò in sé.

Scesero tutti dall'auto.

L'edificio davanti al quale si erano fermati aveva quattro piani, non era molto lontano dal centro (così le dissero), ed era simile a tutti quelli della strada; era di un grigio scuro, più chiaro intorno alle finestre, tre per piano. Il portone era di legno, ad arco, e vi si accedeva per una scalinata di sei gradini. Affianco c'era una recinzione che immetteva al piano sotterraneo della casa.

Il tutto era più carino grazie agli alberi piantati lungo il viale sul quale scesero, che coprivano per metà la facciata, quasi da far sembrare che l'albero in realtà fosse un'edera rampicante sul palazzo.

Susan si chiese a che piano fosse l'appartamento di Jane.

Quest'ultima parve leggerle il pensiero, perché disse:

<< Il nostro appartamento è quello all'ultimo piano, ha anche accesso al tetto! >>

Sembra si sia ripresa dalla delusione precedente, ma magari è solo una facciata, pensò Susan. (Non lo era, uno può essere felice per una cosa e triste per un'altra allo stesso tempo)

Scacciò tali pensieri e guardò le finestre che le venivano indicate.

Sto andando a vivere lì...chissà per quanto tempo.

Cominciava ad agitarsi, lo stomaco le si era chiuso.

Magari stava commettendo un errore...

<< Eccoci qui, è ora di separarsi, ma solo temporaneamente, spero! >>

La signora Dixon si rivolse a entrambe le ragazze, ma a Susan in particolare.

<< Mi piacerebbe tanto conoscerti meglio, cara! >> le disse infatti.

Susan ripristinò il suo tono gentile ed educato. (Neanche la sua era una facciata, non del tutto: lei era davvero di natura gentile, ma tutto ciò che aveva passato le aveva inasprito il cuore e perciò le risultava difficile sorridere e fare la carina, quindi aveva imparato ad agire meccanicamente)

<< Altrettanto io, signora, è stato un piacere conoscervi, lei e il signor Dixon. >> (Ed era vero, se non proprio allo stesso livello in cui le aveva fatto piacere conoscere Jane.)

<< Il piacere è tutto nostro, signorina >> disse quest'ultimo << spero che si trovi bene, qui, sia nella città, che con nostra nipote nella stessa casa. >>

<< E per favore, cara, chiamaci Miranda e John, mi hanno sempre fatto venire il prurito, le troppe formalità! >>

Susan accennò un sorriso. (Una ex-regina ne sa di formalità)

<< Se questo il vostro desiderio, però a patto che anche voi mi chiamerete Susan, d'ora in poi ? >>

<< Sta bene, sta bene, è tutto sistemato allora, lasciate che vi baci la mano, Susan. >>

Susan non si sentiva molto a proprio agio all'idea, ma lo stesso gli porse la mano, e lui gliela baciò. Era solo formalità, in fondo.

<< A presto, ragazza, e stai bene, adesso vado a occuparmi di far portare le valigie di sopra. >>

<< La ringrazio, sign...>> ma al suo cipiglio divertito << John. >>

<< Non è niente, niente di più di quello che merita una brava ragazza come te. >>

<< E come sa, che sono una brava ragazza? >>

Lui non rispose, ma si limitò a scrollare le spalle; Susan capì che oltre il suo silenzio c'era grande intuito, e credette di indovinare che lui era quello che aveva capito di più, su di lei.

<<< Ehi, zio ingrato, a me non saluti?? >> si intromise a quel punto Jane, scherzando.

<< Certo che no, nipote impicciona, ti ho già visto troppo ultimamente, e scommetto che domani verrai comunque a casa nostra, per nessun altro motivo che per darci fastidio! >>

E si abbracciarono e baciarono sulle guance, poi John si allontanò.

Quindi Miranda continuò:

<< Ciao, Susan, mi raccomando, se questa qui ti fa impazzire, puoi benissimo venire a stare da noi(!) >>

Lei abbracciò e baciò entrambe le ragazze con grandi raccomandazioni, mettendoci tanto che, quando finalmente si accinse a risalire in macchina, John e l'autista avevano già finito di portare su tutte e sei le valigie( le due di Jane e quelle degli zii erano state affidate ad un taxi che era arrivato prima di loro, che, scaricate le prime due, era ripartito verso la casa dei Dixon)

Susan e Jane aspettarono fin quando non videro l'auto sparire nel traffico newyorchese.

Poi si decisero a salire.

(Le scale)

Insieme entrarono nel palazzo e cominciarono a salire le scale, in silenzio, all'inizio, fin quando:

<< Piano, piano, o mi verrà un infarto! >> Susan dovette esclamare, cercando di rallentare Jane che le aveva afferrato una mano e cominciato, letteralmente, a trascinarla correndo su per le scale!

<< Zitta e muoviti, e ti avverto che ora che vivrai con me, dovrai mettere su almeno qualche chilo, che sembri uno scheletro per quanto sei magra, poi faremo tanta ginnastica, per rinvigorirti un po' che sei troppo gracilina, e infine dovrai ridere, RIDERE DAVVERO, perchè quella specie di smorfie che fai vanno bene solo per un cadavere, non per una persona! Mi hai capito?>>

<< Ti...rispondo...quando riprendo...fiato! >>

<< Accetabile, ma non mi scampi! >>

Dopo un'infinità di scale, o così sembrarono a Susan, arrivarono al loro pianerottolo; era ancora senza fiato, per cui dovette appoggiarsi alla ringhiera. Jane, intanto, si mise a frugare un attimo in una pianta, da dove prese una chiave.

<< E l'altra...non...ce l'hai? >> chiese Susan, stupita.

<< Mmm...credo di averla dimenticata nell'appartamento partendo un mese fa. >> rispose, non scialante.

Susan scosse la testa, divertita: cominciava già a capire che tipo fosse, e si aspettava che molte cose del genere sarebbero ancora successe; era curiosa di sapere quali.

Jane infilò la chiave nella toppa, e girò.











Note dell'autrice

Ecco a voi il quarto capitolo!

Susan è ufficialmente in America, e adesso? Che cosa le succederà?

Per il momento aspettatevi, dopo il prossimo capitolo, un lungo flashback di quando erano a Narnia, dove lei ricorda quel periodo e che cosa accadde: si rivelerà quale è, cronologicamente per questa storia, il vero “inizio di tutto”...

Ma ci si arriverà.

A presto con il quinto capitolo,

Daughter of the Lake

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Capitolo 6
*** Ricordi di una vita passata ***


Capitolo 5

 

Ricordi di una vita passata

o

Maledetta Narnia

 

(Destino)

Il destino opera in modi misteriosi, a volte, tanto da stupirci.

Susan, in seguito, ripensando a quel periodo della sua vita successivo alla morte della sua famiglia, si chiese spesso se tutta la sofferenza, tutte le difficoltà attraverso le quali dovette passare, non fossero già state scritte.

Non fossero altro che il frutto di un disegno più grande.

Destino, appunto.

Perché con la consapevolezza di poi non poté più pensare che il suo incontro con Jane fosse stato dettato soltanto dal caso.

Perché quell'incontro, fu fondamentale per la sua vita.

Ma ci arriveremo.

(Carpe Diem)

Susan, nel gennaio del 1955, non aveva nessuna fede nel destino.

Quest'ultimo le aveva lanciato troppi brutti. Era stanca, di fidarsi.

A quel tempo era grata, sì, di aver incontrato Jane, perché era una cara ragazza, simpatica, volenterosa di aiutarla e le aveva risparmiato la fatica di cercarsi da sé un appartamento e un lavoro, ma non pensava che ciò avrebbe portata a molto altro, in futuro.

Aveva imparato ad accontentarsi di quello che aveva, a migliorarlo col duro lavoro, ma mai sperare di più. Non più.

Vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Carpe Diem. Cogli l'Attimo.

Aveva ormai imparato che la vita è imprevedibile e che non bisogna mai dare nulla per scontato.

(Fantasmi)

La porta fu aperta: Jane la precedette e, in pochi lunghi passi, si posizionò in mezzo alla stanza a braccia spalancate, esclamando: << Benvenuta a casa!>> con un enorme sorriso in volto.

Susan le sorrise a sua volta, timidamente, esitante; fece appena qualche passo e quindi si ritrovò all'interno.

Casa. Questa è la mia nuova casa. Negli ultimi mesi aveva vissuto in uno strano rapporto con la sua vecchia casa. Qui sarà diverso. Niente fantasmi a New York.

(Ricominciare)

L'appartamento era spazioso, arioso, composto da una sala principale, una cucina, un tavolo da pranzo in quercia posto tra queste due, due camere da letto, un bagno e una sala che Jane chiamava “ricreativa” (comprendeva un pianoforte a coda, un cavalletto da disegno, un giradischi, scaffali pieni di libri e una poltrona in cui leggerli). L'insieme era armonioso, una compenetrazione perfetta di bianco (delle pareti, delle tende, del divano) e di marrone (dei mobili, del tavolo da pranzo, del banco da cucina), reso frizzante da alcuni miglioramenti indubbiamente a opera di Jane, quali i numerosi vasi di fiori, i quadri alle pareti e le foto, tante foto.

Susan si sentì immediatamente a proprio agio, se non contiamo le sue innate paure.

Questo è il posto adatto per ricominciare, pensò. Lo sperava.

<< Ti piace? >> le chiese Jane, speranzosa, guardandola di sottecchi.

Lei annuì.

Ciò non fece altro che allargare di più il sorriso della sua amica, che la strinse in un abbraccio.

<< Vedrai, staremo bene qui. >> le disse, sottovoce, all'orecchio.

Susan annuì di nuovo. (Di poche parole, la nostra Susan.)

<< Dai, che ti faccio vedere il resto. >>

La trascinò, stavolta metaforicamente, in un piccolo tour di tutta la casa. Le mostrò prima il salotto, poi la cucina e infine le stanze. Della stanza “ricreativa” Jane le disse che poteva usufruirne quando voleva, ma che se leggeva un libro, doveva stare attenta a non rovinarlo << Se no a chi lo sente, lo zio! >>, mentre in bagno commentò << Lo so che è un po' piccolo (era il doppio del suo bagno inglese), ma vedrai che ci abitueremo a dividerlo (a casa l'aveva sempre diviso con i suoi tre fratelli) >>.

Le mostrò anche la sua - di Jane - camera, che era color pesca e molto carina, << e troppo ordinata! >>, disse la proprietaria, << lo so, che è opera della governate di mia zia! Sono assente per un mese, e guarda che cosa mi combinano! >>

Infine arrivarono alla camera che sarebbe stata di Susan, l'ultima del corridoio.

Appena entrati dalla porta si poggiava i piedi su un bellissimo tappeto persiano. Il letto era a due piazze; la toeletta e l'armadio, l'una di fronte e l'altro al lato del letto, erano dello stesso legno del tavolo da pranzo; la finestra era sulla parete di fronte alla porta. C'era anche una lampada a fianco del letto. Molto carina. Susan accennò un sorriso e un cenno di approvazione allo sguardo interrogativo di Jane.

<< Sistemati e riposati quanto vuoi, io farò lo stesso, ok? >> le disse allora, soddisfatta.

<< Si, va bene>> ma prima che si potesse allontanare aggiunse <<...e grazie. >> Riversò in quella parola tutta la gratitudine che aveva, non solo per averle mostrato la casa, ma per tutto, per non aver esitato un momento nell'ospitarla, lei, un'estranea, per esserle amica, quando non si conoscevano che da poche ore.

<< Non c'è di che.>> Aveva capito, a giudicare dal sorriso e dallo sguardo che le rivolse, annuendo leggermente con il capo.

Quindi si allontanò, e Susan chiuse la porta dietro di sé.

(Maledetta Narnia)

Le sue valigie erano ai piedi del letto e così, senza neanche pensarci, cominciò a sistemare le sue cose: il riposo non faceva proprio per lei, ultimamente.

Mise la biancheria nei cassetti dei comodini e i vestiti nell'armadio, poi prese il bagaglio contenente i vecchi ricordi e lo trascinò vicino alla toeletta, proponendosi di porre lì tutte le fotografie. Proponendosi.

Magari è meglio lasciarle qui dentro, o magari dentro le profondità dell'armadio...

Arrivò lo stesso di fronte al mobile, alzò lo sguardo e si ritrovò riflessa in uno specchio. E notò, probabilmente per la prima volta in quattro mesi, il suo aspetto.

Ciò che vide avrebbe sconvolto la se stessa del prima: la giovane donna di fronte a lei non era più la stessa di un tempo. I suoi occhi erano freddi, vuoti, il suo viso troppo magro e pallido, i capelli spenti; le venne in mente dell'ultima volta che si era guardata allo specchio prima dell'incidente, una sera in cui doveva andare a una festa: aveva i capelli lucenti, pettinati a boccoli, che le ricadevano dolcemente ai lati delle guance, i contorni degli occhi erano scuri e le ciglia lunghe e nere, le labbra rosse come il sangue, che facevano risaltare la sua carnagione pallida, ma luminosa e sana, tutto secondo la moda del tempo.

Lì, a New York, si chiedeva dove fosse, quella persona: le sembrava così lontana da lei, nella sponda opposta al mare di dolore che l'aveva travolta, da stentare a credere che la fosse mai stata.

E capì, quanto fosse stato un errore diventarla in primo luogo, nell'illusione di poter in quel modo dimenticare...

Ma spieghiamo meglio.

Per tutti, prima, sembrava felice, allegra, spensierata, una ragazza che si godeva la vita (contrasto, rispetto a quel momento, di cui, per non piangere, era meglio ridere); c'era anche chi, come i suoi fratelli, avrebbe potuto considerarla sciocca e presuntuosa - ma la realtà era un altra.

Lei soffriva, soffriva anche allora, di un dolore così acuto e intenso che, a differenza di quest'altro, che non aveva fatto che svuotarla dall'interno, pulsava, pulsava sempre, all'altezza del suo cuore, provocandole fitte continue e pressanti, impossibili da eliminare. Non lo sopportava, non ci riusciva, era troppo, non sarebbe sopravvissuta se non avesse fatto quello che ha fatto, diventare una ragazza sciocca e presuntuosa annegando il suo dolore nell'oblio del divertimento sfrenato; in questo modo è riuscita a nasconderlo, mascherandolo, sotterrandolo nei meandri del suo essere, riuscendo a non farlo notare a nessuno, la sua famiglia in primis.

<< Ormai t'interessano solo vestiti, creme, rossetti e gran feste! Non ti riconosciamo più!! >>

Le accuse di suo fratello risuonavano ancora nella sua mente, così vivide che, se chiudeva gli occhi, quasi riusciva a immaginare di essere di nuovo nella sua camera a Londra, seduta di fronte a una toeletta simile a quella davanti alla quale si trovava in quel momento, con Peter in piedi dietro di lei, che le rimproverava il suo non voler far parte di quella specie di “Club di Narnia” che lui, Edmund, Lucy e tutti gli altri avevano creato per poter parlare liberamente di quel mondo ogni volta che ne avevano voglia.

Quel giorno stesso morì. Quelle furono le ultime parole che le disse.

Non voleva piangere, non di nuovo. Si concentrò sulla rabbia che la stava invadendo in quel momento...

Loro non hanno mai capito nulla, né a Narnia, né in Inghilterra!

...la verità era che loro non avrebbero mai potuto capire, perché fino al giorno della loro morte, non furono altro che dei bambini. Bambini troppo cresciuti, ancorati a quella vita che era più una favola - piuttosto che vita vera, dura, del tipo che stava sperimentando lei in quel momento - senza la capacità di andare avanti, in modo tale da capire che esiste altro, oltre quel mondo fatato, perfetto, dove non si ha un problema al mondo, ma che è anche dannatamente irreale.

La vera vita non è così, io lo so.

Ha cercato di farglielo capire, che dovevano fare come aveva detto Aslan, di vivere appieno nel nostro mondo ormai che il loro tempo a Narnia era finito, ma invece tutti quanti erano ossessionati. Costantemente, durante la giornata, il loro unico argomento di conversazione era sempre quello.

Narnia, Narnia e Narnia, sempre e solo Narnia.

Non avevano amici, non uscivano, non facevano nulla all'infuori di andare a scuola, e poi accusavano me di tentare di vivere la mia vita, di andare avanti e così lasciarmi alle spalle tutto quello che era successo lì!

Lei era stata felice a Narnia, forse più di tutti loro, ma poi quella felicità le era stata tolta, e adesso non avrebbe mai potuto riaverla indietro. (O si imponeva di pensare che mai l'avrebbe riavuta indietro, nonostante certe cose che sapeva di cui parleremo in seguito, perché se si fosse permessa di credere il contrario anche solo per un momento, e poi non fosse successo nulla...non voleva pensarci.)

Non capiva come loro potessero parlare, anche solo pensare!, a Narnia, continuamente, senza soffrire nella consapevolezza che non sarebbero più tornati.

A lei faceva troppo male.

Dimenticare era stato il suo scopo: per questo si era allontanata dai suoi fratelli e dalla loro ossessione per il passato, ed aveva abbracciato la filosofia del divertissement*.

Ci era quasi riuscita. Quasi. (Per niente.)

All'apparenza, sicuramente.

Ma fino all'incidente: quello ha cambiato tutto.

Non ha più potuto farlo; niente, da allora, ha avuto più senso, che ormai era impossibile alcun tentativo di oblio; ogni giorno, la stessa immagine era sul retro della sua mente, quell'immagine dei corpi martoriati e coperti di sangue dei suoi genitori, dei suoi fratelli, dei suoi amici, riversi a terra sulla banchina della stazione, coperti da lenzuoli bianchi, circondati da agenti di polizia, giornalisti e curiosi, tutti lì ad assistere alle urla disperate di una giovane donna che aveva improvvisamente e tragicamente perso tutta la sua famiglia... Sapeva che niente avrebbe mai potuto cancellare tutto questo, che non l'avrebbe mai dimenticato, come, in effetti, non aveva mai dimenticato il resto, nonostante tutti i suoi sforzi.

E' tutto inutile. Aveva capito anche questo; avrebbe dovuto convivere con il dolore per tutta la vita, con un dolore che era parte di lei, come un braccio o una gamba. Per quanto cercasse di infondersi speranza, per quanto si ripetesse dentro di lei, che lì, in America, sarebbe andata meglio, sarebbe stato diverso, che l'avrebbe superato, che avrebbe imparato a conviverci serenamente, col tempo - in fondo al cuore era fortemente convinta che mai sarebbe stata più felice, a nessun livello, e soprattutto mai più come lo era stata un tempo, a Narnia.

Ma mille e mille volte avrebbe preferito che mai ci fossero andati, lì, se pur ci fosse stata bene.

Perché se non fossero mai andati a Narnia, lei non avrebbe avuto il cuore spezzato dall'età di dodici anni, i suoi fratelli non sarebbero stati ossessionati da una vita passata e, di conseguenza, non si sarebbero mai trovati su quel treno che li avrebbe portati alla morte.

Perché sapeva - li aveva sentiti parlare - che quel giorno si trovavano tutti alla stazione per poter salvare non sapeva quale re, in pericolo per non sapeva quale cosa.

Narnia, la odiava.

Tutto, era colpa sua!

<< Maledetta Narnia!! >> si ritrovò a urlare, colpendo il ripiano della toeletta con tutti e due i pugni, facendosi male. Lacrime salate, di rabbia e dolore, le sgorgarono dagli occhi senza che potesse fermarle; appoggiò la testa sul duro legno, cercando di soffocare i singhiozzi che la scuotevano dall'interno.

<< Maledetta Narnia. >> ripeté ancora, questa volta in un sussurro.

Odi et amo**. Quanto era vero.

Perché Susan sapeva soprattutto che, se avesse potuto tornare indietro e se si fosse ritrovata di nuovo davanti a quell'armadio da cui tutto ebbe inizio, ci sarebbe entrata un'altra volta, e di corsa, anche, perché quello era stato il periodo più bello della sua vita, nonostante quello che poteva desiderava in quel momento (non esserci mai andata - perché non era del tutto vero.)

Quello che desiderava davvero era non essersene mai andata da lì.

Se avesse potuto tornare indietro e se avesse potuto scegliere in quale momento, avrebbe scelto il giorno della caccia al cervo e l'avrebbe impedita.

Ah, che prospettiva meravigliosa! Con quanta forza lo desiderava!

Ma era impossibile. E questo era altra fonte di dolore.

Chiuse gli occhi.

Chi potrebbe avere emozioni più ingarbugliate delle sue?

Amava Narnia, desiderava tornarci, e poi di non esserci mai andata, e poi di non essersene mai andata da lì, ma allo stesso tempo non avrebbe voluto essere lontana dai suoi genitori per sempre, e infine la odiava, perché aveva ucciso la sua famiglia.

Voleva dimenticarsene, ma non ci riusciva e non lo voleva davvero...

Susan era stanca. Ormai era stanca di lottare, di costringersi a dimenticare e di impedire ai ricordi di affiorarle nella mente. Era anche stanca di soffrire, ma questo non poteva essere cambiato.

Tutto quello che desiderava in quel momento era perdersi all'interno di quella valle incantata, anche se soltanto con la mente.

Si lasciò andare.
















Note dell'autrice

Ecco il capitolo cinque, che è uno dei miei preferiti. Molto importante per capire Susan (o almeno, la mia versione di lei).

Ringrazio di cuore le sei persone che mi seguono! (ma se magari vi fate sentire un po' di più, non mi offendo! :P)

Sono in una fase buona di ispirazione, quindi sono pronti anche i prossimi due capitoli, ma magari aspetterò un po' per metterli perché devo revisionarli – e saranno ambientati a Narnia, come moolti altri a venire, non so quanto ci vorrà per raccontare tutto quello che c'è da raccontare e quindi tornare poi a questo presente, ma alla fine ci si ritornerà perché qui c'è tuuutta un'altra storia...(ovviamente, se no a che scopo iniziare da qui?)

Intanto a presto,

le recensioni sono fatte di zucchero, quindi se non volete che svenga...

Daughter of the Lake

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Capitolo 7
*** L'inizio di tutto ***


Capitolo 6

 

L'inizio di tutto

o

La rivolta dei Nani Neri

 

Narnia

Quarto anno di regno dei figli di Adamo e delle figlie di Eva.

(L'alba)

L'usignolo, che nonostante non parlasse fosse anch'esso impregnato della grande e antica magia che dominava tutta Narnia, cantò; lui sapeva che lei si alzava tutti i giorni prima dell'alba, per scendere sulla spiaggia, in tempo per ammirare il sorgere del sole. Si posò sul davanzale della finestra della sua camera.

Susan si svegliò.

Aprendo gli occhi, sorrise.

<< Ti ringrazio, amico Usignolo >> gli disse, e lui volò via.

Lasciò scorrere languidamente le dita fra i suoi lunghi capelli corvini e richiuse gli occhi, godendosi ancora per qualche minuto il confortevole tepore che ancora l'avvolgeva.

Era sua abitudine, abitudine che amava, porsi di fronte al mare e ammirare l'alba ogni mattina. Guardare il blu della notte mischiarsi con il giallo del sole, creandone il rosa, per poi tramutarsi in azzurro, l'affascinava. Era una vista che la inebriava, le dava forza e serenità.

Sulla Terra non avrebbe mai potuto svegliarsi ogni giorno così presto, senza sentirsi costantemente stanca e spossata, ma era a Narnia, e solo respirare la sua aria ti sentivi forte e pieno di vita. Non che ne avesse bisogno.

Susan, all'età di sedici anni, era nella primavera della sua vita e nel fiore della sua bellezza.

Decisa a iniziare una nuova giornata, si alzò dal letto a baldacchino e si affacciò alla finestra. La sua stanza si trovava nel lato sud del castello, per cui si affacciava proprio sulla baia di Cair Paravel. Una lieve brezza spirava dal mare e Susan ne annusò il profumo di salsedine, chiudendo gli occhi.

Era sempre una bella giornata, a Narnia.

Infine si allontanò da lì, prese il suo mantello e uscì.

Per arrivare alla porta principale doveva attraversare molti corridoi, ma non le dispiaceva farlo; a quell'ora erano deserti, tutto era in penombra, e lei si divertiva a guardare le ombre che il suo corpo proiettava sulle pareti, quando passava di fronte alle torce disseminate per tutto il castello, e a far scorrere le dita lungo tutti i muri, cogliendo i cambiamenti delle loro superfici e di conseguenza cambiando direzione giunta ad ogni luogo familiare.

I suoi passi risuonavano, rimbombavano, ma lei non aveva paura; fantasmi, mostri, erano tutte sciocchezze, lì, in quel luogo di pace. I suoni che provocava le tornavano indietro in modo alterato, quasi che disperdendosi nell'aria si incontrassero e si unissero per formare melodie tutte nuove; quegli effetti le provocavano sempre meraviglia.

Attraversando Cair Paravel in tutta la sua larghezza, si accorse che il buio si andava schiarendo, quindi accelerò, arrivò quasi di corsa al portone e, in un istante, fu fuori. Un lieve vento le scompigliò i capelli e l'accompagnò per tutta la strada attraverso il parco, il giardino con al centro un immenso pozzo e, infine, per la scalinata che portava sulla spiaggia.

Rise, Susan, quando stava per inciampare su una radice, e rideva ancora quando arrivò sulla sabbia.

Si tolse le scarpe, lasciandole vicino ai gradini, e il mantello, facendoselo scivolare via dalle spalle con un gesto aggraziato.

La vedeva, in lontananza, la sfera di luce, che spuntava lentamente da oltre l'orizzonte. Tutto andava schiarendosi, creando un arcobaleno di colori.

Stette lì, seduta abbastanza vicina all'acqua da bagnarsi i piedi, fin quando il sole non divenne un cerchio perfetto, filo a filo con la superficie del mare.

A quel punto si alzò, si lasciò scivolare via dalla veste da notte come prima aveva fatto con il mantello e, completamente nuda, entrò nell'acqua, calda e piatta come vetro; si tuffò in profondità, sentendo i capelli allargarsi sulle sue spalle, e salutò le sirene, che nuotavano lì sotto, che ricambiarono.

Quando risalì in superficie, si sdraiò sul pelo dell'acqua e guardò in alto il cielo sopra di lei, dove le ultime stelle andavano scomparendo mano a mano che la luce del sole prendeva il loro posto nell'illuminare la valle di Narnia.

Il sole, lì, era diverso da quello della Terra, più grande e luminoso; anche le costellazioni erano tutte nuove e la luna era più tonda e bianca, anche se in quel momento era già scomparsa dall'altra parte del Mondo.

Lei si lasciò cullare dalle onde.

(Un'ora)

Susan riservava un'ora, ogni giorno, per ammirare l'alba, a se stessa.

In quell'ora allontanava da sé tutte quelle responsabilità e preoccupazioni che ricadevano sulle sue spalle da che era Regina: non che fossero troppo gravose o che lei le detestasse, essendo sempre stata un tipo molto operoso ed efficiente, e non che non avesse del tutto altri momenti in cui potesse dedicarsi ad altro, oltre che a suddette responsabilità, durante la giornata: ma comunque, in ogni caso, i suoi doveri di Regina la occupavano un bel dire e, per la maggior parte, in quei momenti in cui poteva fermarsi un attimo era perlopiù circondata dai suoi fratelli e da tutta la corte, e non erano quindi minimamente paragonabili a quell'ora della mattina, prima che tutti si svegliassero, in cui aveva il tempo per rilassarsi, godersi un po' di solitudine e pensare.

Quel giorno, guardando il cielo, pensando a quanto le costellazioni sopra di lei fossero diverse da quelle che aveva studiato a scuola, le venne in mente la Terra.

A lei mancavano i suoi genitori, ed era preoccupata per quello che poteva succedergli, essendo loro in guerra (o almeno supponeva fossero ancora in guerra, anche se erano passati già quattro anni da che erano lì), ma, allo stesso tempo, sentiva che non gli mancavano abbastanza; essere lì a Narnia, assorbita dalla vita Reale, occupata da tutti i problemi che ne derivavano, che, nonostante tutto, non erano fonte né di dolore né di ansia, ma erano soltanto quelle comuni questioni che caratterizzano un Regno in tempo di pace, ed essere costantemente circondata, quindi, da un'atmosfera di ritrovata felicità e benessere, portava a dimenticare tutto il resto, cioè tutto quello che c'era stato prima del giorno in cui attraversarono quell'armadio nella casa del Professor Kirke, approdando in un bosco incantato.

I suoi ricordi del periodo precedente a quello, sentiva che andavano man mano svanendo, sfumando: e il peggio era che quasi non le importava.

Senza il quasi.

Per quietarsi la coscienza, Susan usava dire a se stessa che, anche se avesse voluto tornare indietro, magari a prendere i suoi genitori e portarli lì, non avrebbe saputo come fare, o se avrebbe potuto farlo. Quindi allontanava da sé pensieri così malinconici, e non appena fatto, era quasi come se non li avesse mai avuti. Senza il quasi.

Lei non sapeva che tutto ciò fosse causa della magia che la circondava.

(Quel giorno)

Quel giorno non fu diverso dagli altri.

Allontanata da sé l'immagine di sua madre e suo padre, se ne dimenticò.

Continuò, invece, a nuotare un altro po', mentre la sua mente volava nella direzione in cui la mente di ogni giovane donna nel fiore dei suoi anni vola.

Per quell'ora poteva permettersi di essere almeno un po' sciocca.

Allora sognò del giorno in cui un Re o un Principe lontano sarebbe arrivato alla corte di Narnia, di come si sarebbero innamorati e di come si sarebbero sposati, vivendo e regnando giustamente nel castello di lui fino al giorno della loro morte, lasciando dietro di loro figli che sarebbero stati giusti, saggi, fieri e valorosi al pari dei loro genitori.

Sogno dolce che la fece sorridere, e anche un po' ridere di sé.

Non sapeva per quanto tempo rimase in acqua a lasciarsi cullare dalle onde del mare, ma a un certo punto, quando il sole era a meno di un quarto del suo cammino, trombe squillarono all'interno del castello dietro di lei.

In quel momento si ricordò della battuta di caccia programmata per quel giorno.

<< Per Aslan! >> esclamò.

Iniziò a nuotare velocemente verso la riva.

Uscita dall'acqua indossò in fretta la veste da camera, prima che qualcuno la vedesse in quello stato indecente da qualche finestra sopra di lei, ma il tessuto si appiccicava tanto al suo corpo bagnato, divenendo quasi trasparente, che non faceva molta differenza.

Corse, quindi, fino al mantello, in cui si avvolse, e, mentre saliva i gradini che portavano al giardino, si infilò le scarpe, sempre correndo.

Arrivata vicino al pozzo, però, si rese conto che in quel momento il castello si stava ormai gremendo di persone (cavalieri, soprattutto, umani e non), e non poteva permettere che vedessero la loro Regina in quello stato: per cui decise che avrebbe raggiunto la sua camera scalando la pianta rampicante che era alta abbastanza da passare proprio accanto alla sua finestra. L'aveva fatto molte volte - non era la prima volta che fosse in ritardo - per cui non fu un problema.

Raggiunse la sua camera senza incidenti - senza contare di quando arrivò di fronte a una finestra davanti alla quale stavano passando degli uomini di Archenland e dovette abbassarsi per non farsi notare – e appena messo piede sul pavimento, si affrettò a prepararsi. Si frizionò i capelli con degli asciugamani, ma quando capì che non avrebbe mai fatto in tempo ad asciugarli, chiamò la sua cameriera per farglieli sistemare in una treccia.

Per l'occasione scelse un completo da caccia maschile.

(Il desiderio di Lucy)

Uno non aspetterebbe delle regine di prendere parte a battute di caccia, essendo quest'ultima un'occupazione prettamente maschile, ma Lucy, sua sorella, lo adorava – non la parte in cui si uccidevano animali, cosa che il più delle volte faceva di tutto non accadesse, ma la parte “divertente” in cui si cavalcava per miglia e si dormiva nei boschi ( lei non tollerava che gli uomini ci andassero e lei no, ma non era molto ben accetta dai primi, per il suddetto fatto di far scappare loro le prede, ma lei era una regina, e non ci si poteva dire di no) – e Susan non avrebbe mai permesso alla sua sorellina di stare a stretto contatto da sola con tutti quei cacciatori.

Dalla prima volta che Lucy aveva fatto presente questo suo desiderio erano passati anni, ma questa era solo la terza volta che le era permesso di partecipare: la sua giovane età era stata una grande alleata nella battaglia di Peter nell'impedirle di andare con gli altri (Susan era stata completamente dalla parte del fratello maggiore).

Ma al dodicesimo compleanno della piccola regina, egli non poté più procrastinare il temuto evento, in quanto ormai Lucy aveva addirittura due anni in più di quanti ne aveva avuti Edmund alla sua prima battuta di caccia, tre anni prima, e lei non avrebbe tollerato oltre.

Per festeggiare il suo compleanno fu quindi organizzata una grande caccia a cui furono invitati tutti i cavalieri di Narnia e di Archenland.

Le fu posta un'unica condizione, e cioè che anche Susan avrebbe partecipato e che mai avrebbe dovuto allontanarsi troppo dalla sorella maggiore.

Da quella prima volta si capì già che era stato uno sbaglio, a detta dei cacciatori e dei due giovani re. Lucy era indisciplinata e troppo entusiasta della nuova avventura, faceva scappare, facendo rumore,– di proposito, ovviamente – tutte le prede che poteva e faceva tutto piuttosto che stare vicino alla sorella. Susan era esasperata, ma non riusciva a rimproverarla troppo duramente, perché anche a lei non piaceva che le uccidessero poveri animali indifesi sotto gli occhi.

Da allora fu aggiunta una nuova condizione, e cioè che le ragazze avrebbero partecipato solo alle battute di caccia organizzate per eventi importanti. Lucy protestò, pianse e implorò, ma non valse a nulla. Così fu deciso.

I successivi due “eventi importanti” furono i compleanni di entrambi i re (Susan compie gli anni più tardi, durante l'anno), e altre due cacce ebbero luogo.

Susan alzava gli occhi al cielo a quelle stravaganze della sorella, e internamente aborriva l'avvicinarsi di un nuovo evento (assolutamente, per il suo compleanno avrebbe impedito un tale tipo di festeggiamento), in quanto non era una grande appassionata di caccia, ma col tempo si rassegnò e ormai era pronta per festeggiare il quarto anniversario del loro regno con una nuova - le sembrava l'ennesima, ma era solo la quarta - battuta di caccia.

(Posizione di partenza)

Prese il suo arco, le frecce e il suo corno e si diresse verso la sala da pranzo, per fare colazione con tutti i loro ospiti.

Passarono due ore prima che si fosse pronti a partire.

Peter, che a diciassette anni era ormai considerato un uomo, essendo il Re Supremo cavalcava in testa alla partita, con Edmund, di tredici anni, sul fianco destro. Sul fianco sinistro c'era, invece, il Re Lune di Archenland.

Susan e Lucy cavalcavano dietro di loro, circondate da guardie del corpo, mentre tutto il resto della corte di entrambi i regni veniva dietro di loro.

(La scorta)

Vi domanderete il perché, in tempo di pace e in un luogo dorato come Narnia, le regine avessero bisogno di una scorta.

Il motivo è che, in fondo, i quattro sovrani erano saliti al trono da soli quattro anni, ponendo fine ad un lungo regno di terrore, che, inevitabilmente, aveva ancora degli strascichi.

Il primo periodo del loro regno non era stato tutto rose e fiori.

I sovrani avevano impiegato molto tempo a ripristinare l'equilibrio e l'armonia in tutta Narnia e a rifondare la pace sia all'interno che all'esterno (con gli altri regni).

Perché la verità è che non tutti erano stati sconfitti nella battagli di Beruna: la Strega Bianca aveva avuto molti alleati e per evitare che Nani, Giganti o Bestie, dispersosi nei luoghi più oscuri alla sconfitta della loro Regina, divenissero pericolosi per la sicurezza di Narnia, i Re e le Regine dovettero stanarli, imprigionarli, ucciderli solo in caso di resistenza e in ogni caso far loro giurare fedeltà al nuovo regno.

Dovettero, inoltre, lavorare duro – aiutati da molti dei loro fedeli amici ora impiegati a Cair Paravel come guardie, cavalieri, o consiglieri – per ricostruire ogni cosa così da riportare Narnia all'antico splendore, viaggiare per tutte le loro terre, per assicurarsi l'amicizia, il rispetto e la fedeltà di tutte le creature, e per i regni a sud, per stringere patti di amicizia e alleanza sia con Archenland che con Calormen; dovettero richiamare a sé tutti quei lord narniani che erano riusciti a scappare dal regno della Strega rifugiandosi a sud e infine dovettero partecipare e organizzare innumerevoli banchetti, per saldare e mantenere tali alleanze.

Ma alla fine tutto era tornato al suo posto. A Narnia era tornata la pace.

O così sembrava.

Non molto tempo prima, alcune creature dei boschi erano arrivate al castello per informare i re e le regine che le loro case erano sporadicamente attaccate e derubate da bande di Nani Neri, i vecchi, e più fidati, alleati della Strega Bianca.

I Re, con un piccolo gruppo di cavalieri, erano partiti per risolvere la questione.

Si erano appostati nei boschi, cautamente, ad aspettare: infine erano riusciti a cogliere sul fatto alcuni gruppi di suddetti Nani. Molti furono catturati, mentre altri scapparono e sparirono, senza che nessuno degli inseguitori riuscisse a capire dove. Fecero di tutto per far parlare i prigionieri, ma tutto quello che riuscirono a ottenere fu un “guardatevi le spalle”.

Stettero più di due mesi nei boschi, ma non valse a nulla; i Nani sembravano spariti nel nulla.

Ritornarono a Cair Paravel portando con sé i prigionieri che vennero rinchiusi nelle segrete.

Non c'è bisogno di parlare della preoccupazione delle regine durante tutto quel tempo.

Per un po' sembrò tutto tranquillo.

Passarono addirittura anni, e quasi tutti si erano dimenticati di quelle piccole scorribande. In fondo, che problemi poteva mai causare, un gruppetto di Nani?

Nelle precedenti battute di caccia nessuno si era neanche sognato di dotare le regine di una scorta, ma qualcosa adesso era cambiato.

I prigionieri erano scappati, nessuno sa come. (In seguito si scoprì che dei loro compagni, in quegli anni, avevano lavorato per costruire tunnel sotterranei da cui farli uscire.)

Ciò aveva provocato dell'agitazione, ma non così tanta: in fondo, dopo tutti quegli anni di prigionia, erano così deboli che non venivano considerati una grande minaccia.

Per cui non si rinunciò ai festeggiamenti dell'anniversario del regno, e le uniche precauzioni che vennero prese furono: costituire una squadra che inseguisse i fuggitivi e, appunto, una scorta alle regine – in caso di disordini avevano il compito di proteggerle e portarle in salvo (però quasi nessuno credeva che sarebbe davvero successo qualcosa, era solo, appunto, per precauzione).

Per cui ecco spiegata la loro presenza.

(La battuta di caccia)

Cavalcarono per miglia e miglia, fino ad arrivare al bosco oltre la Tavola di Pietra. Qui iniziò la caccia vera e propria, che si protratte per tutto il resto della giornata (Susan fu incaricata di tenere lontana Lucy, portandola a esplorare in giro dalla parte opposta ai cacciatori– con la scorta, ovviamente).

Si divertirono molto, a fare conoscenza con gli animali e le creature, a prendere il tè con loro e, a tarda serata, a ballare – raggiunti dal resto del loro gruppo – e cantare tutti insieme. Si banchettò con carne di cervo (non parlante, ovviamente, è facile distinguerli perché i cervi comuni sono più piccoli e hanno il pelo più scuro). Dormirono tutti in una radura in mezzo al piccolo bosco, sotto le stelle. I quattro fratelli dormivano l'uno accanto all'altro, contando dapprima le luci del cielo, godendosi la pace, per poi rilassarsi ed addormentarsi, ormai a tarda notte.

Era sempre un bella giornata, a Narnia. (O quasi.)

Si stava tutti così bene, era così un peccato tornare già indietro, che si decise, per il giorno dopo, di proseguire.

La mattina si partì di buon ora, e, in capo a poco tempo, si arrivò al bosco oltre il Lago Ghiacciato (ormai disciolto). Seguì una giornata perfettamente piacevole e fortunata come la precedente. Ed anche a quel punto, come si poteva tornare indietro? Stava andando tutto così bene! Si decise anche per il terzo giorno, di proseguire.

Arrivarono al Grande Bosco dell'Ovest.

(L'inizio di tutto)

In seguito alcuni furono dubbiosi se davvero desiderare di non aver prolungato quella battuta di caccia.

Qualcuno non ebbe la possibilità di esprimere la propria opinione; molti, sicuramente, l'avrebbe preferito di gran lunga, visto come andò a finire; altri, alla fin fine, dissero che non gli importava granché, visto che per loro era andato tutto bene; alcuni furono, nonostante tutto, lieti di ciò che aveva portato; infine, qualcun altro potrebbe considerare quel giorno come l'inizio di tutto.

Ma andiamo avanti.

(Disarcionamento)

Fu da quando soltanto i primi alberi furono in vista, che tutto cominciò ad andare a rotoli.

Con l'andare dei giorni, i ranghi serrati del primo si erano ormai sciolti e ognuno cavalcava dove preferiva. Lucy era in testa, impegnata in una gara di velocità con Edmund, Peter e Susan li inneggiavano da dietro, insieme a Re Lune e ad alcuni lord di entrambi i regni, mentre tutti gli altri li seguivano in modo disperso e libero. La scorta era in mezzo a questi ultimi, anche se abbastanza vicina al gruppo principale.

L'entrata del bosco era a poche yarde di distanza, quando Peter decise di raggiungere i fratelli minori. Susan lo seguì qualche minuto dopo.

Da quel momento le cose accaddero molto velocemente.

La terra loro intorno cominciò a muoversi in modo strano, come se qualcuno stesse spingendola da sotto.

Lei non se ne accorse e neanche i lord alla sua sinistra.

La scorta invece si, quindi cominciò a urlare e ad accelerare, ma ormai era troppo tardi.

Alla destra di Susan spuntò un gruppo di Nani, Neri a giudicare, che l'afferrarono per i piedi e cominciarono a tirarla in basso. Lei urlò, cercò di afferrarsi alla sella, ma il suo cavallo si spaventò, si alzò sulle zampe posteriori, e la disarcionò. Urlò ancora, mentre cadeva, ma una volta a terra, sbatté la testa e la vista le si cominciò a oscurare.

I rumori che d'un tratto esplosero intorno a lei, le sembravano lontani mille miglia.

L'ultima cosa di cui fu cosciente, prima di svenire, fu dell'ombra nera che calava su di loro e del getto di luce intensa che li investiva.

(La rivolta dei Nani Neri)

Adesso partiamo dall'inizio e spieghiamo bene tutti i retroscena di che cosa accadde quel giorno.

A differenza di ciò che si credeva universalmente a Narnia, furono in molti, di quegli antichi alleati della Strega Bianca, i Nani Neri, a sopravvivere; chi vuoi per essersi nascosto, chi per essere fuggito.

Fin dai primi tempi del nuovo regno, essi si erano riuniti, rifugiati nelle profondità della terra, e avevano cospirato. Non erano contenti, i Nani Neri, del nuovo stato delle cose, a detta loro fin troppo “favoreggiatore di creature inferiori” e non delle vere creature superiori (loro, appunto).

Pianificarono, quindi, di detronizzare i nuovi re.

Per anni, organizzarono una rivolta: quelle prime ruberie di cui i sovrani vennero a conoscenza non erano altro che delle piccole sortite per procurarsi più materie prime possibili.

Quando alcuni dei loro compagni vennero imprigionati, come ho già detto, venne formata una squadra di scavatori per creare un tunnel al di sotto del castello per farli scappare. Ci volle molto tempo, a causa della dura pietra in cui era costruito, ma alla fine fu pronto e i prigionieri potevano fuggirvi; ma si decise di aspettare. A quel punto il resto di loro era già in attesa dell'occasione propizia per attaccare, e quella fuga sarebbe potuta servire come diversivo.

Alla fine venne, l'occasione.

In tutto il regno se ne parlava, dei grandi festeggiamenti in programma per l'anniversario della salita al trono dei figli di Adamo e delle figlie di Eva: ci sarebbe stata una grande battuta di caccia, a cui sarebbero state invitate tutte le creature che avrebbero voluto prenderne parte e in più anche il Re Lune e la sua corte, a cui avrebbe fatto seguito un grande banchetto dove avrebbero suonato musicanti provenienti dal Grande Bosco.

Niente fu lasciato al caso.

Pochi giorni prima del grande evento, il primo generale nano dette l'ordine ai prigionieri di scappare, in modo tale che avrebbero potuto creare una falsa pista per la squadra che sicuramente sarebbe stata mandata al loro inseguimento, così da fare in modo che essa sarebbe stata lontana dai loro sovrani nel momento in cui avrebbero attaccato.

Programmarono che ciò (l'attacco) sarebbe avvenuto durante la battuta di caccia.

L'esercito fu diviso in più parti: ognuna sarebbe stata posizionata sotto il terreno di ogni bosco adatto per cacciate esistente a Narnia (avevano effettuato dei piccoli buchi sull'esterno, coperti soltanto da un lieve strato di foglie secche e terra, facilmente rompibili con una buona ascia, quindi potevano sentire tutto quello che succedeva fuori, se ci stavate pensando – se ci si camminava sopra, però, era abbastanza resistente, loro comunque erano di sotto a premere nel caso ci passasse qualcuno), tutte tranne una, che avrebbe seguito il gruppo di cacciatori dal momento in cui avesse lasciato il castello (sempre sgusciando sotto terra, i tunnel che avevano creato passavano sotto tutto il regno.)

Decidere in quale dei boschi attaccare l'avrebbero determinato le circostanze, se fossero state più o meno favorevoli in un determinato luogo o in un altro. Sapevano che con tale stratagemma non tutta la loro forza avrebbe attaccato insieme, ma, considerando l'effetto sorpresa che avrebbero suscitato e l'organizzazione che avevano riservato all'impresa, non prevedevano che sarebbe stato un grande problema (ma, comunque, essendo previsto che, nel caso in cui i cacciatori avrebbero proseguito oltre il primo bosco, l'esercito posizionato lì avrebbe dovuto raggiungere il secondo e così via, si sperava che arrivassero fino al Grande Bosco dell'Ovest, il più remoto, visto che a quel punto l'esercito sarebbe stato quasi al completo.)

La fortuna fu dalla loro parte.

Quando, la prima notte, tutti cominciarono a ballare e banchettare con le prede cacciate durante il giorno (come noi sappiamo), i ribelli si decisero quasi ad attaccare, approfittando della loro vulnerabilità, ma, sentendo casualmente le voci di un proseguimento il giorno dopo, si frenarono, e i loro animi cominciarono a scaldarsi.

Quando, la seconda, fu lo stesso, sia la prima e che la seconda parte dell'esercito, che si erano riunite, divenne molto entusiasta.

Quando, il terzo giorno, si arrivò al Grande Bosco, erano quasi al completo e non potevano essere più esultanti: non c'era più bisogno di rimandare, e le loro prospettive di vittoria erano aumentate al pari del loro numero.

Ruppero i buchi che davano sulla superficie, uscirono alla luce del sole, e attaccarono.

(Nel prossimo capitolo)

Ciò che accadde da questo punto in poi, lo scoprirete, come si usa dire, nel prossimo capitolo.

















Note dell'autrice

Ed eccoci a Narnia.

Sono rimasta sorpresa di quanto sia uscito lungo il capitolo; all'inizio pensavo di farlo finire direttamente quando Susan sveniva, ma poi ho capito che anche tutta quella spiegazione sulla rivolta stava meglio qui che al prossimo (che è comunque uscito lungo uguale)

Non credo ci sia molto altro di aggiungere...

Ah! vi lascio come bonus un mio disegno di Susan: http://cladylove.deviantart.com/art/The-Gentle-Queen-294077702

Fatemi sapere se vi è piaciuto (il capitolo) :)

Alla prossima

Daughter of the Lake

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Capitolo 8
*** Il Drago e il Cavaliere ***


Capitolo 7

 

Il drago e il cavaliere

o

La battaglia

 

 

(La battaglia)

Mentre Susan veniva disarcionata, intorno a lei si creò il caos.

Dalla terra era uscito, non un “gruppetto” o una “piccola banda”, ma proprio un esercito di Nani Neri, che li avevano circondati.

Prima che qualcuno potesse anche solo sguainare la spada o incoccare una freccia, essi furono loro addosso.

La battaglia iniziò.

Edmund girò il cavallo e corse verso il centro della mischia; Peter, prima, spinse Lucy fra gli alberi, dove alcune creature del bosco la presero in custodia, nonostante le sue proteste - poi seguì il fratello minore.

Tra orde di piccoli uomini che disarcionavano, facevano roteare le asce e inneggiavano alla Regina Jadis di Narnia, i Narniani si ritrovarono in svantaggio, colti di sorpresa e in mancanza di organizzazione o disciplina.(Tutto come previsto dai Nani.) Nonostante riuscirono a rispondere all'attacco, sembravano destinati a perdere.

Ma a un tratto, nello stessto momento in cui il grido "Per Narnia! Per Aslan!" veniva profferito dai loro Re, rincuorando parzialmente gli animi, qualcos'altro accadde.

Sembrò calare la notte, per far capire quanto fosse enorme l'ombra che calò su di loro.

(Il drago e il cavaliere)

Per degli interminabili attimi, il campo di battaglia rimase immobile, mentre tutti i presenti, amici o nemici, uomini, creature o animali, guardavano in alto.

Un drago gigantesco veniva nella loro direzione.

Sputò fuoco e tutti, nessuno escluso, pensarono che li avrebbe uccisi tutti, nessuno escluso.

E invece no.

Con la fiamma creò un cerchio intorno a loro, cosa che non era molto rassicurante, dapprima, ma pensandoci un attimo, ci si rese conto che in quel modo aveva chiuso i passaggi sotterranei da cui erano usciti i Nani, impedendo loro, quindi, sia di continuare ad uscirne, che di scapparne attraverso.

Era dalla loro - di Narnia - parte, quindi?

Resosi conto di ciò, i Nani cominciarono ad agitarsi e a guardarsi intorno, l'un l'altro, smarriti. Questo non l'avevano previsto.

E non era finita lì.

Dal drago scese un cavaliere, tutto coperto da un armatura nera, che, non appena ebbe messo piede a terra, afferrò il primo Nano che incontrò e lo infilzò con la sua spada lunga e, a giudicare da come scintillava al sole, molto affilata.

A questo alcuni esultarono.

Si capirà che, fin dalla comparsa del drago, gli animi dei Narniani andavano mano a mano scaldandosi, rincuorandosi, quindi, a quel punto, riacquistata la speranza e il vigore, attaccarono i loro nemici con nuovo slancio e determinazione.

Da quel momento in poi, tutti cominciò ad andare a rotoli, per i Nani.

Aiutati dal misterioso cavaliere e dal suo drago, in poco tempo i Narniani riuscirono a vincere la battaglia.

(Confusione)

Susan era rimasta a terra, svenuta, a poca distanza dal cerchio di fuoco creato dal drago, per tutto il tempo.

Il fumo, a un certo punto, la fece tossire e lei rinvenne.

Per un attimo pensò quasi di essere ancora sott'acqua, all'alba, a nuotare con le sirene, perchè tutto intorno a lei sembrava sfocato e non riusciva a percepire rumori o suoni in modo distinto, le arrivava solo una specie di baraonda.

Ma si rese conto che non poteva essere vero, perchè le sembrava di ricordare di esserne uscita, dall'acqua, e anche di essere andata poi ad una battuta di caccia insieme ai suoi fratelli e a tutta la corte...e in più era quasi del tutto certa di essere sdraiata su qualcosa di asciutto e duro, anche...la battuta di caccia! Sì, c'era stata, erano stati via per tre giorni! Le sembrava di ricordare che fossero arrivati al Grande Bosco dell'Ovest...

Ma dopo di questo tutto era confuso, quasi un buco nero...c'erano state delle grida, forse? Era possibile?

Provò a girare appena il capo, ma la testa cominciò a girarle; intravide, però, confusamente, un bagliore alla sua destra e le ci volle qualche istante per rendersi conto che era dovuto a delle fiamme. E si accorse tutt'a un tratto che, in effetti, la circondava un calore quasi insoppostabile. Iniziò a tossire e dovette portare una mano dietro la nuca per riparare il punto da cui sentiva provenire un dolore accecante e dove, notò, si era formato un bernoccolo. Come se l'era fatto?

Cercò di alzarsi, ma non ci riuscì.

Si sentiva debole, oltre che molto confusa, e cercare di riportare alla memoria che cosa era successo non faceva che aumentare il suo mal di testa.

Era anche molto spossata, quasi fosse stanca, e tutto quello che voleva era richiudere gli occhi e riposarsi un pò...ma quel caldo e quel fumo glielo impedivano...

Era quasi sul punto di soffocare e svenire di nuovo, che il fuoco scomparve.

(Il salvataggio)

Buffo come opera il destino, a volte.

Il fuoco stava per ucciderla, ma la sua mancanza provocò quasi lo stesso effetto.

Si era nelle ultime fasi dello scontro, mentre Susan si risvegliava e lottava contro il dolore, la debolezza e il fumo: si costringevano alla resa gli ultimi Nani che ancora opponevano resistenza.

Il drago era atterrato oltre il cerchio di fuoco e il cavaliere, per raggiungerlo, alzò con un gesto deciso la mano destra e lo fece sparire.

A quel punto non si potè impedire cosa accadde.

Alcuni Nani, che erano riusciti a nascondersi dietro a dei cespugli, approfittando della ritrovata via di fuga, si diressero furtivamente verso la direzione in cui si trovava Susan, ormai quasi sull'orlo dell'oblio, l'afferrarono per le braccia e cominciarono a trascinarla verso i loro buchi sotterranei.

Susan sentì delle fitte indicibili alla testa mentre ciò avviva: questo, più la debolezza e la confusione, non potevano permetterle di ribellarsi o di almeno urlare. Era quasi come trasportare una bambola.

Quasi nessuno si accorse di ciò che avveniva, nel caos del dopo-battaglia. Quasi.

Lucy usciva dal bosco proprio in quel momento, mandata a chiamare per usare il suo cordiale sui feriti, notò che la sorella veniva portata via e si mise a gridare:

<< PETER! AIUTO! SUSAN! >>

Tutti si girarono verso di lei e poi verso la direzone dove stava indicando.

A Peter ed Edmund saltò il cuore in gola nel momento videro ciò che stava accadendo: non avevano potuto aiutare la sorella quando era stata disarcionata, e, in seguito, impegnati nello scontro, si erano quasi dimenticati di lei.

Spada in pugno, si diressero, correndo, verso di lei.

Ma anche stavolta, fu il cavaliere a salvare la situazione.

All'urlo di Lucy era salito immediatamente in groppa al drago e in due veloci sbattiti di ali fu sopra la scena: dall'alto, colpì uno dei Nani con la spada, mentre l'altro cadde sotto un colpo di coda della bestia.

Susan era per la metà superiore del corpo all'interno dell'entrata sotterranea; quando i suoi rapitori furono uccisi, senza più sostegno, stava per cadere all'interno.

Il cavaliere con un agile balzò le fu accanto, l'afferrò per la vita e la tirò fuori. Delicatamente, dalle sue braccia, la depositò a terra.

Susan era cosciente, anche se a malapena; prima che il buio la inghiottisse di nuovo, guardò il suo salvatore, che si era nel frattempo tolto l'elmo (<< Mia signora, state bene? >> sentì che le diceva, ma le sue parole le arrivarono come da un altro mondo) e mai dimenticò quel momento.

(L'inizio di tutto-Ripresa)

In seguito alcuni furono dubbiosi se davvero desiderare di non aver prolungato quella battuta di caccia.

Le vittime non ebbero la possibilità di esprimere la propria opinione; molti, i feriti e chi aveva perso dei cari, sicuramente, l'avrebbe preferito di gran lunga, visto come andò a finire; altri, gli illesi, alla fin fine, dissero che non gli importava granché, visto che per loro era andato tutto bene; alcuni, Peter, Edmund e Lucy, furono, nonostante tutto, lieti di ciò che aveva portato, il cavaliere; infine qualcun altro, Susan, potrebbe considerare quel giorno come l'inizio di tutto.

(Il Cavaliere del Drago)

Non c'è bisogno di raccontare nei dettagli quello che seguì dopo la battaglia.

Dopo che fu mandata una sguadra di esploratori all'interno delle gallerie create dai Nani, dove i primi si occuparono degli ultimi ribelli superstiti, dopo che furono seppellite le vittime dei Narniani (quelle dei Nani furono invece bruciate dal drago) secondo tutto le cerimonie del regno, e dopo che Lucy ebbe usato il suo cordiale su tutti i feriti, inclusa Susan, la quale non si svegliò, ma fu affidata alle cure del fidato dottore del Re Lune (<< Non c'è nessun dubbio sul fidarsi del mio lord Ber, mi ha in cura da una vita e in più ha anche fatto nascere i miei figli... >> aveva assicurato quest'ultimo), si decise che ci si sarebbe accampati per la notte all'interno nel Bosco - dove sarebbero stati più al sicuro, protetti dalle creature di quel luogo - e che si sarebbe ripartiti di buon ora il mattino dopo.

I tre sovrani di Narnia, una volta che tutto fu sistemato e si furono assicurati di una futura guarigione della sorella, si diressero, l'uno a fianco dell'altro, dal cavaliere.

Il suo drago non era potuto entrare all'interno della foresta, quindi egli – il cavaliere - si trovava solo, in disparte, appoggiato contro il tronco di un albero, liberato dal peso della sua armatura.

Sembrava in attesa di qualcosa; si guardava, quasi nervosamente, intorno, e adocchiava, mezzo divertito, mezzo incuriosito, gli spiriti degli alberi che gli danzavano intorno.

Ciò fece confermare ai tre i loro dubbi sul suo conto.

Peter, Edmund e Lucy gli si avvicinarono.

Lui li vide quando non erano che a pochi metri di distanza, si raddrizzò e riprese un'aria seria; sembrò stesse per dire qualcosa, ma prima che potesse farlo, loro – i re e la regina - lo ringraziarono, sentitamente, per tutto.

<< A nome mio, il Re Supremo Peter, di mio fratello, Re Edmund, di mia sorella, la Regina Lucy, di nostra sorella che voi avete salvato, la Regina Susan, e di tutta Narnia, vi ringrazio. >>

L'uomo a cui venivano rivolte tali solenni parole, s'inchinò.

<< E' mio onore e dovere essere al servizio delle Maestà Vostre, per cui non è necessario ringraziarmi. >>

I fratelli, si capirà, anche se molto grati del suo intervento, non potevano che essere anche piuttosto confusi – e curiosi - da tutta la faccenda, di lui e del drago.

<< ...Ma, insomma, perchè? Non abbiamo mai sentito parlare di voi, non sembrate di qui, di Narnia...perchè siete venuto in nostro soccorso così, senza nessun dubbio, senza neanche pensarci? (Non che ci dispiaccia, ovviamente) Ma, soprattutto, chi siete? >> Era stato Edmund a parlare, esternando i dubbi che tutti e tre condividevano.

L'uomo - che, in realtà, a giudicare, non sembrava molto più vecchio di Peter - li guardò attentamente.

Egli era alto - li sovrastava tutti - muscoloso, probabilmente per dover tenere testa ad un drago il triplo di lui, aveva corti capelli neri e scintillanti occhi azzurri. Ciò che indossava era una semplice tunica, nera, come la sua armatura.

Quando parlò di nuovo, la sua posa sembrò farsi più fiera e ciò lo fece sembrare, se possibile, ancora più alto.

<< Il mio nome è Richard, e sono un Cavaliere del Drago. >>

(Il racconto del cavaliere)

Susan era sempre inconsciente, adagiata su un giaciglio all'interno di una tenda creata con dei mantelli (non si erano portate vere tende, preferendo tutti dormire sotto le stelle), e sarebbero passati molti giorni, prima che si risvegliasse. L'emorragia interna causata dalla caduta era stata curata dal cordiale di Lucy, ma, lo stesso, ci sarebbe voluto del tempo per permettere al suo corpo di guarire completamente – questo fu quello che disse il dottor Ber di Archenland.

Quindi non potette ascoltare la prima versione del racconto del cavaliere; l'avrebbe sentito solo più tardi, di seconda mano.

Gli altri invece poterono.

Il sole era tramontato al di là degli alberi; la luna, una sottile falce, illuminava meno che fiocamente; l'unica fonte di luce scaturiva dal fuoco intorno al quale gli abitanti di Narnia e i loro sovrani si sedettero, in una radura nel folto del bosco, per ascoltare il nuovo venuto e loro salvatore.

Il cerchio, più che un vero cerchio, era un ovale e il suo inizio era indubbiamente il tronco rovesciato sul quale si trovavano i re, la regina e il cavaliere fra di loro.

Tutti, indubbiamente, guardavano da quella parte, in attesa.

Egli iniziò in questo modo:

<< Come le Nostre Maestà hanno già intuito, Narnia non è il mio mondo. >>

Fece una pausa e scrutò signitifiicamente i suoi ascoltatori, dal Re Lune ai suoi Lord, dai Lord di Narnia ai Centauri, dai Minotauri ai Fauni, dai Felini a tutti gli altri Animali Parlanti.

Quasi con un mezzo sorriso, aggiunse:

<< In effetti, il mio mondo è molto diverso da questo. >>

Altra pausa.

<< Prego, sir Richard, continui. >> lo esortò Lucy, gentilmente, con un sorriso quasi timido.

Egli la guardò – si trovava alla sua sinistra, vicino ad Edmund – poi si guardò un ultima volta intorno fino a posare lo sguardo su Peter, alla sua sinistra.

<< Non ci prolunghi la curiosità, vi preghiamo >> gli disse quest'ultimo, benevolmente.

Sir Richard annuì. Il bagliore delle fiamme creava strane luci sul suo viso, fattosi serio, e sul suo sguardo, concentrato: ciò contribuiva a creare intorno a lui una strana aria mistica e affascinante. Tutti erano elettrizzati, e molto curiosi, di scoprire chi era quel misterioso cavaliere.

Egli cominciò:

<< Io appartengo ad un antico ordine di cavalieri di draghi, risalente a molti secoli fa.

La leggenda narra che, in quel periodo, quattro cavalieri si misero in viaggio alla ricerca di avventure, fortuna e gloria. All'inizio, il loro vagare non portò a nulla, se non a qualche screzio con dei fuorilegge, e andò così fin quando non si ritrovarono in un luogo, a loro insaputa, incantato. >>

<< Non sapevano fosse incantato? Perchè? >> interruppe uno Scoiattolo, dall'alto del ramo di un albero.

Il cavaliere alzò la testa e scorse chi lo aveva interrotto. I tre fratelli non potevano non notare, avendolo vissuto di persona, che egli sembrava sempre sorpreso, ogni volta che un animale parlava.

<< Come ho già detto, il mio mondo è molto diverso dal vostro e la magia, lì, la conoscono in pochi. >>

<< Che mondo triste che deve essere. >> aggiunse un fauno.

Per alcuni minuti non si potette continuare con il racconto, perchè tutti si misero a discutere l'argomento e a fare domande.

<< Gli animali parlano, dove vivi tu? >> chiese una volpe.

<< Bè, gli animali... >>

<< Ma come si fa a non sapere della magia?!? >> interrogò un altro fauno.

<< Vedete, con l'andare degli anni...>>

<< Che strano mondo, senza la magia per tutti! >> si intromise un minotauro.

<< Potebbe sembrare strano...>>

<< Ma come hai fatto ad arrivare a Narnia? >>...

Le domande venivano posto così velocemente e l'una dopo l'altra che il cavaliere non riuscì a risponderne neanche una.

<< PER FAVORE! Tutti quanti! >> si alzò in piedi Peter alla fine, per porre fine a tutto quel caos.

<< Continuando così non sapremo mai tutta la storia! >> soggiunse Edmund << è meglio lasciarlo continuare e le domande alla fine, no? >>

<< Mi ricorda il nostro mondo. >> disse Lucy quando fu tornato il silenzio.

I suoi fratelli la guardarono, e anche il cavaliere.

<< Non sembra anche a voi? Un mondo senza magia e un pò triste... >> continuò rivolta ai primi.

<< Non credo di aver capito bene, Vostra Maestà, voi siete i sovrani di Narnia...ma non siete di qui? >> Il cavaliere era positivamente confuso.

<< Oh, bè, quella è un'altra lunga storia... >>

<< Ve la racconteremo una volta che voi abbiate finito la vostra, Sir, statene certo. >> concluse Peter.

I due si guardarono. Sir Richard annuì.

Edmund e Lucy, insieme a tutti gli altri, lo esortatono quindi a continuare.

<< Ehm ehm, certo, dove ero arrivato...i quattro cavalieri si ritrovarono in un luogo in un certo qual modo magico...Erano in una splendida valle, nei pressi di un lago, ai piedi di una montagna altissima.

Esplorando i dintorni si ritrovarono improvvisamente di fronte ad una vista allo stesso tempo strabiliante e sconvolgente: un enorme drago nero, morto, sulla sponda del lago.

Provarono ad avvicinarvisi, incuriositi, affascinati, e spaventati.

Il drago era una draghessa; sotto di sè aveva quattro uova; una blu, una bianca, una verde e una rossa – si scoprì in seguito che rappresentavano i quattro elementi; acqua, aria, terra e fuoco, ma lo spiegerò meglio dopo.

I cavalieri, di fronte ad esse, pensarono – bisogna ammetterlo, in fondo erano solo uomini – alla fortuna e alla fama che ne sarebbero derivate se le avessero mostrate al resto del mondo: le presero.

Ma non fecero che poco cammino – erano ancora nella stessa valle – che le uova si schiusero. Grande magia accadde in quel momento; una volta fuori dall'uovo, ognuno dei cuccioli di drago morse la mano di uno dei quattro cavalieri, creando da allora in poi un legame indissolubile fra la loro stirpe e quella dei quattro uomini: da quel momento, il drago apperteneva al cavaliere, e il cavaliere al drago, e sarebbe andata così per tutte le generazioni a venire. Nel punto in cui essi vennero morsi, si creò un marchio, simbolo di tale legame, chiamato Draig Brathu – letteralmente, appunto, Morso di Drago. Ne ho uno anch'io, qui, sulla mano destra. >> e alzò suddetta mano, mostrando il segno che vi era sopra a tutti i presenti. Era una specie di spirale, con due punti più profondi ai lati. Tutti guardarono attentamente; non c'era un rumore, nella radura, tranne quello dei loro respiri.

<< Vedete, qui >> e indicò i due punti << questi sono stati fatti dalle zanne della mia draghessa, Ynuchei, e la spirale si è creata per suggellare il nostro legame. >>

<< E' blu. >> notò Lucy. Sir Richard si voltò verso di lei, con un sorpacciglio alzato interrogativamente. Lei indicò la sua mano. << Il tuo marchio, è blu. >>

<< Oh, si è vero, questo perchè il mio elemento è l'acqua. >>

<< Davvero? >>

<< Sì. >>

<< E quindi chi ha un altro elemento, questo Drei Bra... >> - era Edmund a parlare - << Draig Brathu. >> << ...si, Draig Brathoo, chi ha un altro elemento ce l'ha del colore di quell'elemento... >>

<< Si, è esatto, e in più ogni segno è fatto in modo diverso, simile a tutti gli altri, ma particolare a seconda del cavaliere. >>

<< E ogni drago è del color... >>

<< Edmund, Lucy! Pensavo avessimo detto le domande alla fine... >> Peter cominciava a spazientirsi.

<< Oh, giusto, hai ragione... >> disse Lucy, diventando rossa.

<< Ci scusi, Sir, continui... >> si rivolse invece Edmund al cavaliere.

<< Non c'è problema, Vostre Maestà...ma comunque, andando avanti >> e si rivolse di nuovo a tutti << dopo che accadde ciò, cioè il morso e il legame, dal lago apparve loro uno spirito, lo spirito del lago, appunto, che spiegò loro che cosa era accaduto e che cosa significava: loro erano i prescelti, attesi da molti anni, per diventare i Cavalieri dei Draghi. Il loro compito, una volta cresciuti i draghi ed essersi addestrati adeguatamente a combattere insieme a loro, dalle loro groppe, sarebbe stato quello di aiutare ogni essere vivente in difficoltà esistente in ognuno degli infiniti mondi dell'Universo. Sarebbero arrivati in tali mondi attraverso portali spazio-temporali creati dal Draig Brathu... >>

<< Oohh... >>

Il cavaliere sorrise.

<< E' così che sono arrivato qui anch'io, ma fatemi finire il resto della storia.

I miei antenati e i loro draghi rimasero per molti anni in quella valle, per prepararsi alla loro missione. Quando la lasciarono, cominciarono ad occuparsi del loro mondo, che in quanto ad aiuto, ne aveva davvero bisogno; esso era oberato dalle guerra, dalla miseria e dalla fame: ma, come ho già detto, quel mondo non era molto aperto alla magia. I suoi abitanti erano allo stremo, disperati, e tutto ciò che li governava era la paura e l'ignoranza. Alla comparsa di tali "salvatori", si temettero, e così, per difendersi, si cominciò a dar loro la colpa di tutto ciò che li affliggeva. Scacciarono con tutte le loro forza quelle bestie, e quegli uomini malvagi portatori di disgrazie; quest'ultimi non poterono che tornare a rifugiarsi nella loro valle.

Lo spirito del lago disse loro che quella parte del mondo non era ancora pronta a loro, per cui avrebbero dovuto andare via, oltre il Grande Mare, dove esisteva una terra, una nuova terra, abitata dalle creature magiche che erano state scacciate come loro, come maghi, streghe e folletti. Essi partirono, in groppa ai loro draghi, e superarono quell'immesa distesa d'acqua.

Nella nuova terra, essi trovarono un nuovo lago – che, si sa, è grande fonte di magia – e sull'isola al suo centro crearono la loro fortezza. (Esiste ancora oggi, è il nostro ritrovo e luogo di addestramento, noi lo chiamiamo Caer y Draig, la Fortezza del Drago.) Passarono molti anni: i quattro riuscirono ad inserirsi nella comunità magica del luogo, si sposarono all'interno di essa e quando nacquero i loro figli, anch'essi furono destinati a divenatare cavalieri di quei draghi nati dai primi. Le modalità, tutte le regole del mio ordine, sono lunghe da spiegare, per cui concluderò dicendo che da allora è sempre andata così, da padre in figlio; noi siamo cavalieri, viaggiamo per ogni mondo esistente ad aiutare chi si trova in difficoltà; ed è per questo che io mi trovo qui. Ero arrivato da poco, volavo in esplorazione, vi vidi a distanza, voi che cavalcavate verso questo bosco, vidi che venivate attaccati e non ebbi dubbi su chi dovevo aiutare. Tutto il resto voi lo conoscete. >>

E così finì la sua storia.

(Cavaliere della Guardia Reale)

Dopo che il cavaliere ebbe cessato di parlare, il silenzio si protrasse per alcuni minuti.

Poi Lucy disse:

<< Ma adesso che ci avete aiutato, ve ne andrete? >> - sembrava dispiaciuta.

<< ...Temo di no, Vostra Maestà. In realtà, questo è il mio primo viaggio da solo - altri li ho fatti insieme a mio padre - e in genere questo è il più lungo. Potrei stare con voi per anni, non lo so di certo, i viaggi non si decidono, avvengono e basta, all'improvviso. Starei al vostro fianco, e sarei qui durante tutte le difficoltà che potreste incontrare, se a voi sta bene, ovviamente... >>

<< Ma certo! Sarebbe fantastico! >> esclamò Lucy.

I presenti concordarono, inneggiando al cavaliere.

<< E magari potresti anche insegnarci qualche trucco con la spada, ho visto che non sei niente male... >> Edmund aggiunse, entusiasta.

Peter sembrava dubbioso.

<< E nel caso in cui non ci siano, altre difficoltà? >> chiese, pungente.

Sir Richard si voltò ancora una volta verso di lui. Aveva capito che l'opinione più importante, lì, era quella del Re Peter.

<< A quel punto me ne andrei. Ma non sarei arrivato proprio qui, se non ci fosse bisogno di me. Magari potrebbero esserci anni di pace, prima che accadda qualcosaltro, o magari no, o forse potrebbero succere altre rivolte come quella di oggi; non possiamo, nè io posso, saperlo.

Come ho detto, la durata dei viaggi non dipendono da me e anche quando tornerò indietro, sarà senza preavviso, da un momento all'altro. >>

<< Mmm...e nel caso in cui ci siano molti anni di pace e voi rimaneste qui, che cosa fareste? >>

<< Quello che le Maestà Vostre vorranno che faccia. >>

<< ...Ho capito. >>

Il silenzio dei presenti era palpabile; i respiri si fondevano tra loro, come se fossero appartenuti ad un'unica entità. Si era in attesa di cosa avrebbe stabilito il Re Supremo.

Edmund e Lucy non credevano davero che non avrebbe accettatto il rimanere del loro salvatore.

E infatti.

Peter si alzò in piedi, si rivolse a tutti i presenti, e parlò:

<< Da questo momento in poi, il cavaliere Sir Richard e il suo drago, salvatori di tutti noi, sono i benvenuti in tutta Narnia, dal Grande Bosco dell'Ovest, dove ora ci troviamo, fino al Grande Mare dell'Est! Sarà nostro ospite a Cair Paravel, e cavaliere della Guardia Reale. >>

(Il leone, la strega e l'armadio)

Ma non era ancora tempo di andare a dormire; un'altra storia doveva essere raccontata.

Così Peter, Edmund e Lucy, alternandosi, narrarono gli eventi che li avevano portati a Narnia dal loro mondo, di che cosa avevano trovato al loro arrivo e di cosa avevano dovuto affrontare per salire al trono: non c'è bisogno di spiegarlo, perchè questa è una storia che sappiamo tutti.

Quando ebbero finito, il cavaliere rimase pensieroso per qualche istante, poi disse:

<< Non avevo mai sentito di una cosa del genere, di persone comuni – senza offesa, Vostre Maestà – andare in altri mondi...attraverso un armadio, poi... >>

Ridacchiò tra sè e sè, alzando lo sguardo. << Non si smette mai di imparare, non è vero? >>

<< Indubbiamente >> concordò Peter, sorridendo anch'egli << la stessa cosa vale per noi, non avevamo mai sentito parlare di cavalieri del genere vostro. >>

<< Già...ma, quindi, come si chiama, il posto da dove venite, Altezze? >> chiese alla fine.

<< Inghilterra. >> disse Lucy. Lui sembrò rimanere impassibile, nonostante Lucy sperasse che a quel nome mostrasse un qualche segno di riconoscimento.

<< Terra, è il nome del nostro mondo. L'Inghilterra è solo una nazione... >> soggiunse Edmund.

<< Lo conoscete, Sir? >> domandò Peter, visto che il cavaliere non diceva nulla.

<< Ho avuto ragione, vero? E' anche da dove voi venite? >> chiese, curiosa, Lucy.

Egli li guardò e sembrava in qualche modo titubante.

<< Non posso proprio dirvelo, Maestà, da dove vengo, fa parte di una delle tante regole del mio ordine che ho menzionato prima...ma dirò solo una cosa; esistono infiniti mondi, spesso molti si somigliano e di sicuro il vostro non è l'unico senza magia e un pò triste... >>

<< Quindi ci state dicendo che non venite dalla Terra? >> Lucy agrottò le sopracciglia, delusa << magari potevi farci sapere qualcosa sulla guerra che c'è lì... >>

<< Già... >> concordarono i fratelli.

<< Venissi da lì o no, cosa che non confermerò nè negherò, vi dirò un'altra cosa: prima o poi tutte le guerre finiscono. >>

<< Anche questo è vero, Sir, la ringraziamo. >> Peter alla fine disse, rassegnandosi. Lanciò uno sguardo rassicurante a Lucy. << Vedrai che i nostri genitori staranno bene. >> Edmund circondò le spalle della sorella minore in un abbraccio e lei poggiò la testa sulla sua spalla.

Come accadeva a Susan, anche loro, dopo un pò, quando si cominciò a parlare di altro, dimenticarono di aver anche solo menzionato i loro genitori e la loro precedente vita, e tornarono ad essere gioiosi ed immersi nel loro presente come facevano da quattro anni. Anche per loro i ricordi del passato andava svanendo, mano a mano, lentamente, ma inesorabilmente, quasi da farli sembrare frutto di un sogno.

















Note dell'autrice

E finalmente abbiamo introdotto il personaggio che da il nome alla storia!

Questi cavalieri dei draghi e tutto quel che li riguarda è a opera mia, ovviamente – sempre con qualche ispirazione presa qua e là, ma funziona così – e vorrei tanto sapere che ne pensate! Se non avete capito qualcosa su come funziona potete benissimo chiedere.

Il capitolo è troppo lungo?

Non ho voluto tagliarlo perché così suona molto meglio.

Il capitolo 8 è solo in via di lavorazione e non so quando sarà pronto, e anche riguardo ai successivi non prevedo aggiornamenti così veloci come fin'ora perché giovedì mi inizia la scuola – l'ultimo annoooo – e sarò moolto impegnata, ma non smetterò di scrivere questa storia, lo farò solo più lentamente...

Adesso credo di aver detto tutto, quindi

A quando sarà ( l'ottavo però è già a buon punto, è degli altri che bisogna preoccuparsi )

le recensioni sono cioccolata Lindt

Daughter of the Lake

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Capitolo 9
*** Risveglio ***


Capitolo 8

 

Risveglio

o

Nel cuore della notte

 

(Amici con formalità)

A circa metà del terzo giorno di viaggio, si arrivò a Cair Paravel.

Le genti di Narnia e quelle di Archenland si erano separate direttamente dal Grande Bosco; il Re Lune e la sua corte per dirigersi nel loro regno a sud, i Narniani per il castello reale a est.

I saluti sembrarono cordiali e amichevoli come sempre, ma in realtà erano impregnati di una sfumatura di amarezza; nonostante il Re Lune non desse la colpa dell'accaduto ai sovrani di Narnia, si era però pentito di aver accettato di partecipare a tale "festeggiamento", avendo perso alcuni dei suoi uomini nell'attacco. Peter, Edmund e Lucy avevano colto tutto ciò e se ne rammaricavano; contavano, però, sulla buona natura del loro alleato e amico, pronta sempre a perdonare.

Una volta che i loro vecchi compagni di viaggio furono scomparsi oltre l'orizzonte, si partì.

Susan fu trasportata su una lettiga. I suoi fratelli erano preoccupati del fatto che ancora non si svegliasse, ma il dottore li aveva rassicurati – prima o poi ella si sarebbe risvegliata e loro in nessun caso avrebbero dovuto forzare il corso della sua guarigione; l'aria pura e magica di Narnia l'avrebbe guarita.

Ciò non impedì comunque loro di passare molto tempo al suo fianco, parlandole, nella speranza che sentendo la loro voce sarebbe stata più propenza ad uscire dal suo sonno. Ma non accadde nulla, lei era sempre immobile: era Lucy a farla bere e a farle ingoiare dei decotti nutrienti a base di erbe preparati da Lord Ber.

Sir Richard, il Cavaliere del Drago, cavalcò insieme ai due re – su un cavallo, il suo drago volava alto sopra di loro – per la maggior parte del viaggio, quando essi non erano al fianco della sorella; in questo modo Peter e Edmund poterono confermare la loro simpatia nei suoi confronti e porre le basi per un'amicizia che si sarebbe protratta per molti anni a venire.

Egli raccontava loro molte storie sulle sue precedenti avventure insieme al padre o ai suoi amici anch'essi Cavalieri dei Draghi, e in cambio i due fratelli lo istruivano su tutto ciò che veniva loro in mente sulle tradizioni e la storia di Narnia: discussero anche ampiamente di tutte quelle attività di cui i giovani sono appassionati, come le armi, i combattimenti e le strategie di guerra e così il cavaliere, avendo molta più esperienza di loro, essendo stato preparato all'arte del combattimento sin da bambino, si offrì di aiutarli ad addestrarsi e di dar loro anche alcune dritte che si sarebbero potute rivelar loro utili.

Per quando arrivarono al castello i nostri sovrani si ritrovarono, nonostante tutto, lieti di aver prolungato quella battuta di caccia, visto ciò che aveva loro portato – un cavaliere esperto, della loro età, che poteva esser loro amico nel vero senso della parola (sempre mantenendo comunque certe formalità, loro, dopotutto, erano pur sempre dei re) e che in più veniva da un altro mondo, come loro! Egli era anche carismatico, una compagnia interessante, con sempre qualche cosa da dire, spesso divertente - ne erano positivamente entusiasti.

Entrati nel parco del castello venne loro incontro un comitato di benvenuto, molto preoccupato per la prolungata assenza dei loro sovrani.

(Risveglio)

Fu durante la seconda notte da che erano ritornati, che Susan si risvegliò.

Aprì gli occhi in un'oscurità soffusa, accogliente, e con grande piacere si rese conto di essere sdraiata sul un letto e non più sulla dura terra.

La testa ancora vagamente le girava e, per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a ricordare cosa le fosse successo; si mise lentamente a sedere e si beò della vista del camino accesso, che riscaldava l'aria frizzante della notte e diffondeva una lieve luce sul mobilio familiare della sua stanza a Cair Paravel.

Dopo qualche minuto in cui rimase appoggiata ai cuscini, cercando di ricordare quando e come fosse ritornata lì, capì che non poteva più stare sdraiata; anche se era molto tardi - così almeno sembrava - la sua mente era ormai sveglia e nel pieno delle sue facoltà, se pur ancora un pò confusa e pulsante, e i suoi dubbi richiedevano di essere colmati necessariamente. Scostò, quindi, le coperte e poggiò i piedi nudi sul pavimento ormai tiepido, restando in quella posizione fin quando la stanza smise di girare.

Andò poi ad affacciarsi alla finestra: si sorprese, che la luna fosse quasi piena; era stata una sottile falce quella notte nel bosco...

Le tornarono così, di colpo, in mente i tre giorni di caccia, del tè che aveva preso insieme a Lucy con le creature dei boschi, del banchetto a base di cervo, delle danze e dei canti e dei giacigli sotto le stelle...ma poi era successo qualcos'altro riguardo al quale aveva un grande vuoto.

Pensava, le sembrava, di essere svenuta, ma non ne capiva il perchè; ricordava bene, invece, di essersi svegliata da qualche parte, giacente in terra, di aver avuto un bernoccolo in testa – che, constatò, tastandosi il retro del capo, esisteva ancora – di essere stata quasi soffocata da un fuoco, di essere stata afferrata da qualcuno e poi che qualcun'altro aveva gridato, e infine...un viso. Aveva l'immagine di qualcosa che poteva essere il viso di un uomo, ma era più una macchia di colore indistinta, che una vera forma...era sicura che lo fosse soltanto per quegli occhi, di luce azzurrina - l'unica cosa, in mezzo a tutta quella confusione, di cui avesse un chiaro ricordo.

Ma magari se l'era solo sognato; sembrava tutto irreale.

Però il dolore alla testa...e la luna che non era più solo una falce...si era persa dei giorni? Come? Perchè?

Doveva trovare immediatamente i suoi fratelli; loro avrebbero saputo rispondere a tutte le sue domande.

Non riflettè sul fatto che era notte fonda e che loro molto probabilmente erano addormentati: prese direttamente un mantello e uscì dalla sua camera.

(Lei e lui)

I corridoi, durante la notte, erano sempre deserti.

Quella notte, non del tutto.

Lei li conosceva a memoria.

Lui voleva conoscerli.

Lei era stata spinta a percorrerli da un profondo desiderio di sapere.

Lui dalla curiosità.

Lei aveva una precisa meta in mente.

Lui, invece, no.

Lei era sovrappensiero, fissava il pavimento quasi che potesse aiutarla a concentrarsi meglio, che non si accorse della persona che stava camminando nel verso opposto al suo per il corridoio in cui lei stava passando per arrivare alla stanza del fratello: ci andò a finire proprio addosso.

Lui, non appena se la ritrovò davanti, intenta a percorre lo stesso suo corridoio, con lo sguardo basso, all'apparenza senza un meta, pallida e con la veste bianca, pensò fosse un fantasma - anche se indubbiamente un bellissimo fantasma: ma questo fu prima che le venisse addosso.

(Nel cuore della notte)

Susan si ritrovò a finire, nel bel mezzo di un corridoio, contro qualcosa di duro, che non poteva essere un muro; ma fu solo quando due forti braccia le impedirono di cadere all'indietro che si accorse fosse il petto di un uomo. Alzò lo sguardo e incontrò quegli stessi occhi azzurri di cui aveva un'immagine così vivida nella sua memoria. Disse allora di getto le prime parole che le passarono per la testa, senza rifletterci, cosa che le causò, poi, grande imbarazzo: << Ma allora non sei un sogno. >>

Richard si accorse, quando afferrò quella donna per le spalle per impedirle di cadere, che era la regina che aveva salvato giorni prima. Deglutì.

E' davvero la donna più bella che abbia mai visto, pensò.

Era solo una fanciulla, la regina - il re Peter aveva detto avesse un anno in meno di lui, che ne aveva diciassette – aveva una pelle bianca e delicata, lunghi capelli nero corvino, labbra carnose e occhi del colore del cielo quando è sereno...aveva già notato tutto questo, nonostante ella, allora, fosse stata coperta di polvere e fuliggine, quando l'aveva presa tra le braccia e poi deposta a terra, dopo averla salvata dalle grinfie di quei nani: era stata leggera come un giunco e aveva avuto uno sguardo così intenso, seppur pieno di smarrimento e confusione, e dolore, che non pensava l'avrebbe mai dimenticato. Anche se...

<< Ma allora non sei un sogno. >>

Ella profferì all'improvviso, spalancando gli occhi, sembrando sorpresa, non appena i loro sguardi si incontrarono.

<< Ehm...io... >> luì non riuscì a mascherare un mezzo sorriso divertito << ...in realtà no, Vostra Maestà, io sono... >>

Susan si rese conto di colpo, con orrore, di ciò che aveva detto e tornò alla realtà; si coprì la bocca con le manì e attraverso di esse esclamò:

<< Per Aslan! NO!! Non volevo dire questo... >> e cominciò a balbettare frasi incoerenti. Come aveva potuto esternare così i suoi dubbi? Aveva adesso rivelato a quello sconosciuto che egli era stato parte dei suoi pensieri, dei suoi sogni, ponendolo in una posizione di vantaggio nei suoi confronti!

Sarebbe potuta morire di vergogna: desiderò che la terra sotto di lei la inghiottisse.

Ella era così buffa, con gli occhi sgranati, il viso tutto rosso che cercava di coprire con le mani, balbettante in cerca di rimediare al suo errore, che Richard non riuscì proprio ad impedirsi di ridere apertamente – non che ridesse di lei, ma proprio che trovava la situazione estremamente divertente.

Lei invece lo intrepretò proprio in quel modo.

Quelle risate la fecero infiammare; l'imbarazzo si trasformò in furore.

Come osava quell'uomo prendersi gioco di lei, la sua Regina?

Susan agrottò di scatto le sopracciglia, lo fissò intensamente e parlò, in modo molto freddo e composto. Più o meno.

<< Mi sembra di aver capito che lei sappia che io sono la regina, qui! >> il suo scatto fece morire di colpo le risate dell'uomo, che sgranò gli occhi, sorpreso, e anche un pò spaventato << E non credo che sia quindi accettabile che voi possiate prendervi gioco della vostra reg... >>

<< No! >> la interruppe lui << Vostra Maestà, non mi prendevo gioc... >>

<< E non mi sembra che si possa interromperla mentre lei parla!! >>

I suoi occhi di ghiaccio mandavano scintille; lo congelarono.

Come poteva essere stato così stupido da ridere in faccia a una regina, a provocarla in quel modo?

Si fissarono - lei torva, ribollendo internamente, lui ad occhi sgranati, temendo una nuova sfuriata - per alcuni infiniti istanti.

Dopo un pò lui cercò di parlare di nuovo, con un tono più umile e sommesso, stavolta, per calmare le acque...si inchinò anche.

<< Vostra Maestà, vogliate perdonarmi...non era mia intenzione... >>

<< Se perdonarvi o no >> ella lo interruppe gelida << sarà mia decisione farlo; ma intanto è assolutamente inaccettabile che voi approfittiate così del... >> egli rispalancò gli occhi e stava per protestare, ma un dito e uno sguardo minacciosi lo fermarono << ...della mia confusione in merito agli ultimi eventi... >>

A questo punto Susan si fermò, stette in silenzio mentre valutava l'uomo di fronte a sè, riflettè sul da farsi, poi fece per andarsene, superandolo.

Egli non valeva il suo tempo.

<< Aspettate! Aspettate, Vostra Maestà! >> lui cercò di fermarla - lei si girò di scatto verso la sua direzione << Maestà, vi assicuro che io... >>

<< Non c'è bisogno di aggiungere altro. >> lo fermò << Chiunque voi siate, andrò adesso a parlarne con mio fratello il re, in modo tale da riferirgli la vostra insolenza... >>

Richard si sentì invadere dal panico. Poteva, lei, inimicargli i fratelli, nonostante loro l'avessero preso in simpatia? Se ciò fosse accaduto, avrebbero potuto rendere la sua permanenza un inferno!

<< Vostra Maestà, vi prego!, se vogliate ascoltarmi per un solo minuto... >>

<< Non ho intenzione di farlo. >> Lei gli diede le spalle e si incamminò lungo il corridoio, decisa a non voltarsi più indietro.

<< Non mi prendevo gioco di voi, Maestà! >> le corse dietro << ...ridevo soltanto, soltanto perchè la situazione mi sembrava divertente, ma non volevo offenderla!, mi avete colto di sorpresa e non stavo pensando... >>

<< Già, non pensavate, pensa un pò che scoperta! >> disse lei, acidamente.

Susan non sapeva cosa le stava succedendo; lei non era così, solitamente, era sempre gentile - anche quando i suoi fratelli la prendevano in giro, si limitava prima a sorridere e poi a ricambiare loro il favore... - ma quell'uomo, chiunque egli fosse, quell'uomo non si era limitato a prenderla in giro, no! L'aveva umiliata. Questo non poteva accettarlo; lei era una regina, le si doveva portare del rispetto, ne andava della sua integrità!

<< Maestà! >> egli continuò << ve lo giuro, non mi stavo approfittando di voi in nessun modo, non me lo sognerei mai, ho soltanto... >>

<< Basta! >> scattò alla fine lei, esasperata << Lasciatemi in pace, adesso! E smettetela di seguirmi o chiamerò le guardie! >>

<< Io sono una guardia, Altezza. >>

Ciò riuscì finalmente a catturare la sua attenzione. Lei si voltò indietro, sorpresa - ma soprattutto scettica.

Lui si inchinò di nuovo.

<< Sir Richard, Cavaliere del Drago, nuovo membro della Guardia Reale e fedele servitore vostro, Vostra Maestà. >> si presentò; alzò poi il capo in modo esitante, adocchiando la reazione della sua interlocutrice.

Lei non cambiò espressione, si limitò soltanto ad agrottare di più le sopracciglia – che titolo era mai, Cavaliere del Drago? - dicendo:

<< E ditemi, Sir Richard, chi è che vi ha nominato? >>

<< Vostro fratello il Re Peter, Maestà, cinque giorni fa. >>

Cinque giorni...e dove era lei, in tutto questo tempo? Possibile, che avesse dormito per tutti quei giorni?

<< Maestà, intuisco la vostra confusione >> alzò lo sguardo su di lui << ma se mi lasciaste spiegare per qualche minuto, potrei alleviarvela..da quanto ho capito, ricordate vagamente il nostro primo incontro? >>

Quegli occhi...Susan non sapeva che pensare, i suoi ricordi erano troppo confusi...

Prima che iniziasse a ridere di lei, era in una buona predisposizione verso quello sconosciuto, perchè aveva come l'impressione che egli l'avesse salvata in qualche modo; ma dalla sua umiliazione aveva cominciato a pensare che magari era andata in modo diverso, che tutto quello che le era successo – la botta in testa, un presunto svenimento, qualcuno che l'afferrava ecc. - fosse in realtà accaduto per opera sua, e non altrimenti.

Aveva molti più dubbi di quanti egli poteva credere; c'era da fidarsi, di quell'uomo, o no? Era una minaccia?

Richard, invece, non sapeva che pensare del suo silenzio, ma considerò il fatto che l'espressione di lei si fece, anche se solo leggermente, un pò incerta, come un buon segno per continuare.

Ma prima che potesse dire alcunchè, ella parlò di nuovo.

<< E perchè dovrei fidarmi di voi? Non vi conosco, anche se affermate ci siamo già incontrati, cosa riguardo alle quali circostanze ho molti dubbi, e potreste benissimo non dirmi la verità, a vostro favore. Potreste essere una minaccia. >>

Lui la guardò, agrottando le sopracciglia, quasi sconfitto.

Come poteva provarle la sua buona fede, se lei avrebbe preso ogni sua affermazione come una bugia o un tentativo di ingannarla?

Ma non poteva arrendersi: non poteva permettere che lei pensasse di lui in quel modo.

Anche se con lui era stata diversa, aveva sentito di come tutti parlavano di lei, al castello: la Regina Gentile, la chiamavano; la descrivevano come bellissima, intelligente e determinata, cose che lui poteva testimoniare, ma anche , e soprattutto, di gran cuore; lei era una madre per i suoi fratelli ed era la vera forza del regno che, dicevano, era ancora in piedi solo grazie alla sua supervisione. Ma la sua, continuavano, non era una forza fisica, ma del tipo che hanno le donne; un'autorità in campo organizzativo, sempre espressa con gentilezza e bontà, ma indiscussa.

Richard la vedeva, tale forza, e intuiva che lei era buona e gentile – ma non con i suoi nemici: in quel caso diventava gelida e molto intimidante; per nulla al mondo avrebbe mai voluto essere dalla parte opposta alla sua.

Ma lui c'era, da quella parte, in quel momento: ella era adirata con lui e lo vedeva come una minaccia.

Non che avesse tutti i torti; lui l'aveva umiliata e ferita nell'orgoglio.

Ma avrebbe rimediato, doveva rimediare, perchè, oltre al fatto che avendola come nemica ella avrebbe potuto rovinargli la vita, lui voleva stare dall'altra parte, quella al suo fianco, ed essere trattato da lei nello stesso modo in cui trattava tutti gli altri.

Ne era stato affascinato fin da quando l'aveva salvata.

<< Se non siete sicura della mia lealtà, Maestà, vi consiglio di ascoltarmi lo stesso, per poi domani mattina chiedere ai vostri fratelli di darvi la loro versione: se combaciano, dovreste assicurarvi sul mio conto. >>
<< E perchè dovrei andare da loro domattina, e non stasera? >> lei ribattè.

Susan non voleva davvero sospettare di lui, ma tutto quello che egli faceva o diceva la portava a farlo! Da quella notte al giorno dopo avrebbe potuto egli convincere i suoi fratelli, magari ingannandoli in qualche modo, a intercedere per lui o qualcosa del genere?!

<< Rendetevene conto voi stessa, Vostra Maestà, è notte fonda e loro dormono profondamente...perchè svegliarli per chiedere loro qualcosa che potreste benissimo domandar domani? >>

La sua spiegazione poteva risultare logica e convincente, ma lei non si sarebbe lasciata convincere, o raggirare, così facilmente.

<< E io dovrei restare con voi, a sentire la vostra "storia", per non so quanto tempo, nel cuore della notte, senza sapere se posso fidarmi di voi? >> sorrise, trionfante << Non credo proprio. >>

Avrebbe potuto approfittarsi di lei!

Ma neanche lui era ancora pronto a cedere.

<< Se non mi ascoltate adesso, non ci sarebbe nessun motivo domani di ascoltare prima me che i vostri fratelli, visto che loro sarebbero svegli! >>

<< Cercate di convincermi con tanta tenacia, perchè?? Se parlerò direttamente con i miei fratelli domani mattina, saranno loro a spiegarmi e ad assicurarmi, nel caso, nei vostri confronti, e voi penso lo sappiate bene! Che bisogno c'è, allora, di una vostra spiegazione? A meno che voi non mi stiate nascondendo qualcosa o abbiate strane idee in mente... >> e lo fulminò con gli occhi.

Richard ammirava la sua tenacia, ma lo stesso cominciava ad esasperarsi; gli venne il desiderio di sbuffare e alzare gli occhi al cielo, ma si trattenne.

Perchè le donne dovevano essere così maledettamente difficili?

Ma non poteva perdere la calma, o sarebbe stato tutto vano.

<< Maestà, voi mi sembrate un tipo molto intelligente...davvero vi fidereste di me solo ascoltando l'opinione di altri, seppur vostri fratelli? Io credo di no. Credo invece che ci riuscireste solo capendolo da voi! >>

<< E così adesso credete di sapere tutto su di me?? >>

Chi si credeva di essere?

La rabbia che l'aveva animata sin dall'inizio della conversazione, sembrò raggiungere un picco massimo.

<< Non era quello che intendev... >>

<< E poi perchè vi importa tanto che io mi faccia una buona opinione su di voi? Pensate di potermi raggirare in qualche modo, facendomi credere di essere chi non siete? >>

<< No! >>

<< E allora cosa? >>

<< Voi siete la mia regina!!! >> cominciava a perdere la calma << e per niente al mondo vorrei che pensaste male di me più di quanto già non pensate, o che non vi fidiate di me, io che sono vostro suddito. >>

Susan lo scrutò attentamente. Era sorpresa di questa sua uscita improvvisa. Sembrava sincero.

Che cosa doveva pensare di lui?

Si sentiva frustrata - lei non era abituata a non avere il controllo sulla situazione o a non sapere le cose! - e anche stanca.

Susan sospirò, socchiuse un attimo gli occhi e respirò profondamente; si massaggiò anche un pò la testa, che le doleva immensamente.

Non sapeva cosa fare, che pensare!

Chi era quell'uomo?

In fondo non lo sapeva affatto e magari poteva sbagliarsi sul suo conto – quasi sicuramente, data la scarsità di chiarezza in cui versava – e magari avrebbe fatto meglio ad arrendersi, ad ascoltare quella dannata storia e solo poi giudicare...Ma, e se le avesse fatto del male, nel frattempo? Se avesse avuto cattive intenzioni? Però, riflettè, erano lì, l'una di fronte all'altro, da un bel pò e lui non aveva cercato di fare nulla, apparte scusarsi e convincerla della sua buona fede...

Sospirò di nuovo.

Richard rimase in silenzio per tutto il tempo in cui ci rimase lei, per paura di irritarla ancora.

Vide come si massaggiava la testa e si sentì un'idiota totale - la regina si risvegliava dopo cinque giorni di preoccupazioni e ansie da parte dei suoi fratelli e di tutta la corte, doveva ancora non essere del tutto guarita, e lui la umiliava e la impegnava in una discussione di tale portata, che di sicuro non l'aveva affatto aiutata nella sua guarigione, e solo perchè doveva, o voleva, fare il testardo e riuscire ad entrare nelle sue grazie!

Si vergognava profondamente di se stesso.

<< Vostra Maestà, mi scuso infinitamente per il mio comportamento >> disse infine, chinando la testa, non guardandola negli occhi, che si erano fissati su di lui << Sono stato un vero maleducato, irrispettoso, l'ho umiliata e non ho tenuto in nessun modo in considerazione la sua malattia... >>

<< La mia malattia? >> chiese, stranita, lei.

In fondo, perchè incamponirsi?, si disse a quel punto lei.

Lui avrebbe potuto rispondere a tutte le sue domande, e in quel preciso momento, anche, senza che lei avesse dovuto aspettare la mattina dopo...

Richard la guardò, ricordandosi d'un tratto del vuoto di memoria che aveva già capito ella avesse all'inizio della loro conversazione e disse:

<< Si, Maestà, anche se non è proprio una malattia...è che avete sbatutto forte la testa e siete stata inconsciente per molti giorni; tutti erano preoccupati... >>

<< Ah. >>

Era così, quindi: era stata afferrata per i piedi da qualcuno, poi sarà caduta in qualche modo, sbattendo la testa...per questo era svenuta e adesso non ricordava quasi nulla...

<< Come è successo? > continuò lei.

La sua rabbia, alla fine, era scemata, sostituita dallo stesso desiderio pungente di sapere che l'aveva spinta fuori dal letto, e anche da un pò di vergogna per come l'aveva trattato – troppo duramente e in modo pregiudicato.

Non era decisamente ancora pronta a scusarsi per questo, però aveva deciso avrebbe ascoltato la sua versione dei fatti, restando obiettiva e attenta ad ogni sua espressione o minimo gesto, per capire se mentiva o se si preparava a qualche passo falso - anche se si era ormai convinta che non le avrebbe fatto del male – e in questo modo si saebbe creata una sua impressione su di lui non influenzata da quella di qualcun'altro e assente di ogni pregiudizio. Avrebbe anche provato a dimenticare tutto il loro alterco e lo sgarbo che le aveva fatto. Avrebbe provato.

E sarebbe stata gentile, come suo solito.

<< Mi ascolterete, quindi, Maestà? >> le chiese lui, sembrando profondamente sorpreso.

E lui lo era, infatti; l'avrebbe ascoltato davvero, adesso?, pensava.

Non gli sembrava vero di averla convinta a dargli una possibilità.

Per qualche tempo non era riuscito a dire nulla, quasi sotto shock; alla fine si era deciso a esternare la sua incredulità.

<< Si, vi ascolterò. >> lei confermò - lui quasi sorrise << Ma prima datemi la vostra spada. >>

Quasi. << Pardon, Vostra Grazia? >>

<< La vostra spada, Sir >> e allungò una mano << credete davvero che vi permetterei di tenerla durante il nostro colloquio? Sono già stata molto sconsiderata a lasciarvela fino a questo momento. >> e sotto i suoi occhi increduli, lei sorrise. Gli sorrise!

Lui non sapeva se poteva permettersi di ricambiare, ma internamente si sentì molto sollevato.

<< Non vi farei mai del male, Altezza... >> le disse, incerto.

<< Lasciate giudicare me >> e gli tese di più il braccio, in attesa.

Ella sembrava quasi ironica e continuava ad avere quel sorriso che poteva essere considerato scherzoso, e anche un pò gentile...

Lui cominciò a sganciarsi la cintura a cui era appesa la sua spada, lentamente, tenendo gli occhi fissi su di lei, quasi si trovasse di fronte ad una bestia feroce che avrebbe potuto attaccarlo da un momento all'altro; infine gliela porse. Ella la prese e se la posizionò intorno ai fianchi, sopra il mantello in cui era ben avvolto il suo corpo, a coprire la leggera veste da camera che indossava.

<< Vi ringrazio... >> non suonava neanche, che fosse ancora arrabbiata...

<< Bene. >> disse Susan alla fine, guardandolo seriamente negli occhi << Adesso ditemi tutto. >>

(Pensieri)

<< Susan, sei sveglia! >> esclamò Lucy, non appena entrò nella camera della sorella e la vide seduta sul suo letto, appoggiata ai guanciali.

Colei a cui veniva rivolta tale esclamazione venne così distolta dai suoi pensieri.

Rifletteva sulla notte appena trascorsa.

Era rimasta in assoluto silenzio, mentre il cavaliere le raccontava di come lui e il suo drago avevano salvato tutti loro, e lei. Durante tutto il tempo aveva cercato di non mostrare nessuna delle emozioni che stava provando - come la sorpresa nello scoprire di una rivolta o la vergogna nell'apprendere che essa era stata sventrata solo grazie a quell'uomo nei cui confronti si era comportata in modo tutt'altro che riconoscente - sperava di esserci riuscita: era stata umiliata abbastanza, per quella sera.

Una volta che egli ebbe concluso, tutti i suoi dubbi, sia sull'accaduto che su di lui, si dileguardono; ma, nonostante fosse convinta che egli le avesse detto la verità, non gli avrebbe dato la soddisfazione di dirglielo: tenerlo un pò sulle spine non gli avrebbe fatto del male.

Si era limitata a ringraziarlo, ad informarlo che, se le aveva mentito, presto lei l'avrebbe saputo e a lui sarebbe convenuto prepararsi al peggio in quel caso, poi gli aveva fatto una riverenza e se ne era ritornata nella sua camera.

Non era riuscita a dormire. Aveva speso tutto il resto della notte a ripensare agli eventi di cui adesso era a conoscenza – come abbiamo potuto essere così sciocchi da sottovalutare quei Nani? - e a riflettere sul suo nuovo incontro. Nonostante adesso sapesse che, probabilmente, ci si poteva fidare di lui, sia il fatto che lui le avesse riso in faccia e che poi lei avrebbe dovuto ammettere di essere stata ingiusta nei suoi confronti e magari anche ringraziarlo, la rodevano dall'interno. Sola, nella sua stanza, alla sola luce del fuoco, la sua rabbia era ritornata. Quell'insolente!

Avere anche un debito con lui non faceva che peggiorare la situazione.

(Amore fraterno)

Senza che lei se ne accorgesse era arrivata la mattina e, insieme a lei, sua sorella.

Al suo richiamo fu distolta immediatamente da tali riflessioni; alzò di scatto lo sguardo verso la porta, e sorrise alla vista di Lucy.

I suoi precedenti pensieri svanirono e la sua irritazione insieme a loro.

Allargò le braccia e la sua sorellina vi ci si buttò dentro, arrampicandosi sul letto.

<< Ciao, piccola mia. >> le sussurò ad un orecchio.

<< Oh, Su! Credevo non ti saresti più svegliata! >>

Susan le accarezzò i capelli, mentre Lucy affondava il viso nell'incavo del suo collo e si lasciava andare a dei singhiozzi di sollievo.

<< Mi sono svegliata, invece, e adesso va tutto bene. >> la rassicurò.

Lucy annuì contro di lei.

Rimasero a coccolarsi per un pò, tra risate e lacrime, fin quando non si unì a loro Edmund, al quale seguì una scena come quella di quando era arrivata Lucy, e dopo un pò anche Peter.

Alla fine si ritrovarono tutti e quattro sdraiati sul letto di Susan, a godersi la buona notizia del suo risveglio.

<< Ricordi qualcosa, di quanto accaduto? >> le chiese a un certo punto, rompendo il silenzio, il maggiore.

Susan scosse la testa. << Molto poco. >>

Non era proprio una bugia - si disse - lei non ricordava, ma sapeva, che era diverso; in più non voleva dire loro del suo incontro notturno, perchè non ce n'era nessun bisogno, e inoltre voleva, doveva, ascoltare la loro versione dei fatti.

<< Te lo diciamo noi, Su. >> le assicurò Edmund, prendendole la mano.

<< Dopo. >> asserì Peter.

Tutti si voltarono verso di lui.

<< Gurdatela! >> si rivolse ai due minori << non vedete come è pallida e smagrita? Ha bisogno di mangiare qualcosa, prima. >>

<< Ma io non ho fam... >> protestò la diretta interessata.

<< Peggio. >> la interruppè il fratello.

<< Credo che Peter abbia ragione, Su, devi rimetterti in forze. >> concordò Edmund. Anche Lucy annuì.

<< Fallo per noi, così poi starai ancora meglio. >> aggiunse quest'ultima.

Ai loro sguardi supplichevoli non potè dire di no.

<< E va bene, mangerò un poco, ma solo per non farvi preoccupare. >>

<< Andrò io stesso a farti preparare qualcosa, sorella; torno subito. >> disse Peter, sollevato e con un gran sorriso.

Andandosene, le lasciò un bacio sulla fronte.

Quanto amava i suoi fratelli, Susan.

Sorrise ai due rimasti, che le si strinsero ancora di più contro, e in quel momento si sentì molto rilassata e felice.

Una volta arrivato il cibo, con sua sorpresa, Susan si scoprì affamata: non riuscì comunque a mangiare molto a causa del suo stomaco che, in cinque giorni di solo cibo liquido, le si era ristretto.

<< Vedrai che man mano che passano i giorni potrai mangiare sempre di più. >> la rassicurò Lucy.

<< Di sicuro. >> concordò Edmund.

Susan annuì. << Non vi preoccupate troppo per me, starò benissimo. >>

A quel punto era tempo per la spiegazione.

Combaciavano, le due storie, ovviamente – in più, i suoi fratelli le raccontarono soltanto la storia che aveva detto loro il cavaliere sul suo Ordine, che egli la notte prima aveva solo accennato.

E poi...

<< Dovresti conoscere Sir Richard, sorella! E' fantastico! Pensa che ieri mi ha insegnato questo trucco con la spada... >>

<< E il suo drago è così magnifico; è blu ed enoorme! Fa anche molta paura, però Sir Richard ci ha arricurato che, se non le diamo – è femmina – fastidio, non ci farà alcun male – però è meglio non avvicinarlesi molto... >>

<< E' un tipo molto interessante, te lo assicuro, dovresti ascoltare le sue storie!, e lo stimo molto; dopotutto, ci ha salvato e non ha poi richiesto nessuna ricompensa... >>

<< Ma, ma mi sembra di aver capito che l'hai nominato Cavaliere della Guardia Reale, e questa è una ricompensa, Peter... >>

<< Non l'ha chiesto lui, però, è stata una mia scelta e sono sicuro che non me ne pentirò... >>

<< Ed è davvero forte! Dei muscoli come i suoi me li sogno di averli...>>

<< Lo devi assolutamente conoscere! Magari quando... >>

<< Ok, Ok! D'accordo, ma adesso basta!!! >> i tre si zittirono al suo scatto e la guardarono straniti << Questo vostro cavaliere è perfetto, ho capito, ma smettetela di parlarne, mi sono stancata di sentirlo nominare... >>

Calò il silenzio. Peter, Edmund e Lucy si lanciarono degli sguardi tra di loro, sbalorditi.

<< Su, che ti prende? >> chiese alla fine Peter.

<< Già, sembri molto...non gentile, acida quasi...sicura di stare bene? >> continuò Lucy.

La guardarono.

Stava davvero esagerando, decisamente, si disse Susan.

Perchè quello stupido cavaliere aveva la capacità di farla uscire così fuori dai gangheri?! E non era nemmeno presente!

<< Scusatemi, avete ragione >> disse loro << ...è solo che...che non ho dormito molto stanotte e ancora mi sento un pò strana per tutta questa faccenda del risveglio e... >>

<< Oh è vero, Su, quanto siamo insensibili! >> la interruppe Lucy << Dovrai essere ancora stordita e noi ti riempiamo di chiacchiere! ; ma ce ne andiamo subito e ti lasciamo riposare, vero, fratelli? >>

<< Ma no, non ce n'è bisogn... >>

<< Tranquilla, Su, riposati, quando ti risveglierai vedrai che starai meglio. >>

Le sue ulteriori proteste furono ignorate; Peter, Edmund e Lucy la abbracciarono ancora una volta, la baciarono e poi uscirono dalla sua camera. Andarono in giro per il castello a spargere la notizia del risveglio della Regina Susan: fu così deciso di organizzare un grande banchetto per la sera successiva, che avrebbe sostituito quello mancato in occasione dell'anniversario del loro regno a causa della rivolta dei Nani.

(Formalmente gentile, distaccata e composta)

Susan rimase da sola.

Anche se l'aver affermato di sentirsi stanca era stata solo una bugia, si rese conto che non lo era del tutto: nonostante avesse dormito per cinque giorni filati, i suoi occhi cominciavano a chiudersi.

Si sdraiò sotto le coperte.

Ma prima che potesse addormentarsi si ritrovò ancora una volta a ripensare alla notte precedente: i suoi fratelli sembravano adorare il cavaliere e lei, ormai, in teoria, avrebbe dovuto smetterla di odiarlo; ma non lo tollerava lo stesso, in pratica.

Sarebbe stata ineccepibile, però, nel suo comportamento verso di lui; egli aveva già troppo potere su di lei e non gli avrebbe lasciato anche la soddisfazione di controllare il suo umore.

Doveva solo comportarsi come aveva fatto verso la fine del loro colloquio: formalmente gentile, distaccata e composta.

Avrebbe lasciato i suoi fratelli godersi la compagnia del loro nuovo pupillo e lei non gliel'avrebbe guastata con la sua antipatia verso la suddetta persona.

Formalmente gentile, distaccata e composta – e basta.

Non voleva avere nient'altro a che fare con quell'uomo, si disse.

Le ultime parole famose.

Ma ci arriveremo.


















Note dell'autrice

Ed ecco l'ottavo!

Ho voluto postarlo subito, perché continuavo a rileggerlo e a cambiare qualcosa e alla fine ci sarei uscita pazza...ma quest'ultima versione mi piace abbastanza.

Fatemi sapere cosa ne pensate voi ( davvero, sarei proprio curiosa)

Il prossimo non aspettatevi che arrivi tanto presto perché lo devo ancora iniziare e durante la settimana non so quanto tempo avrò

Intanto godetevi questo

Alla prossima, tra un tempo sconosciuto

Daughter of the Lake

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Capitolo 10
*** Il piano ***


Capitolo 9

 

Il piano

o

Il banchetto

 

(Vestiti)

Toc toc toc.

<< Potete entrare. >>

Dalla porta della camera di Susan entrò sua sorella Lucy.

<< Ciao scricciolo, come sei bella! >> le disse, guardandola, Susan, sorridendo.

Lucy era già pronta per il banchetto: indossava un vestito molto delicato e fresco, adatto alla sua fanciullezza, con il corpetto, le corte maniche e il mantello color ocra e la gonna sul tono più tenue del crema, che le faceva risaltare i capelli biondi, sciolti sulle spalle; non era truccata – non le era permesso, Susan non la riteneva abbastanza grande – e il suo unico ornamento era la corona d'argento. Ma era davvero molto graziosa.

Da quando è, che è cresciuta così?, pensò la sorella maggiore.

<< Oh, grazie... >> le rispose la minore, abbozzando una mezzo sorriso, arrossendo impacciata e guardandosi l'abito, incerta << ma non bella quanto te. >> aggiunse, scoraggiata.

Susan agrottò le sopracciglia.

Lucy aveva soltanto dodici anni ed era da poco fiorita, come donna: si sentiva, di conseguenza, molto a disagio, insicura del suo corpo e della sua nuova femminilità e anche molto imbarazzata - soprattuto nei riguardi dei loro fratelli.

Susan poteva capirla, e poteva anche capire quanto tutto ciò potesse essere difficile da affrontare - soprattutto senza una madre - essendoci passata lei stessa, al loro arrivo a Narnia. Lei cercava, perciò, di starle vicino il più possibile – cercando meglio che poteva di alleviarle, o anche sostituirsi, a tale mancanza - e di aiutarla in ogni modo, soprattutto per farle acquisire autostima.

<< Sciocchezze, sei uno splendore! >> le rispose, quindi, con molto fervore, suonando molto indignata.

Riflettè, poi, per qualche secondo.

<< Dai, vieni qui, >> si risolse, adottando un tono quasi cospiratorio, e un mezzo sorriso << che ho bisogno di un consiglio. >>

<< Da me? >> Lucy spalancò gli occhi, incredula.

<< Ma certo! E da chi, se no? Forza, aiutami a scegliere uno di questi abiti, sono indecisa. >> Susan indicò il letto di fronte a sè, sopra al quale si trovavano tali capi di abbigliamento.

Lucy chiuse la porta dietro di sè, un pò titubante, poi raggiunse la sorella al fianco del letto.

I vestiti erano due: uno era rosso, con un corpetto aderente, delle decorazioni verticali dorate e maniche prima rosse che poi si allargavano dorate, che lasciavano scoperte le spalle; l'altro era viola, con la sottoveste più chiara e quella sopra più scura, allacciata in vita con dei lacci, avente maniche molto lunghe e una scollatura quadrata.

Susan aveva già (appena) fatto la sua scelta, quando Lucy aveva bussato, ma avrebbe indossato qualunque dei due sua sorella avesse scelto.

Quest'ultima stette a rifletterci per un pò, alternando lo sguardo tra i due abiti, mordendosi le labbra. Alla fine:

<< Credo, mmm...credo che sia migliore quello rosso, ecco... >>

Esatto.

<< Credo che tu abbia proprio ragione, tesoro, grazie! >>

A questo Lucy la guardò, prima sopresa, poi sollevata e sorrise.

Susan ricambiò, entusiasta.

Non c'era niente di più bello che fare felice sua sorella.

<< Dai, aiutami a metterlo, se no arriveremo in ritardo! >> la esortò, allora.

(La sala ovale)

Le trombe squillarono; gli sguardi di tutti i presenti si diressero verso le porte principali.

<< Le Loro Maestà, la Regina Susan e la Regina Lucy! >> annunciò l'araldo di corte, a gran voce.

Una scintilla di goia passò per tutti i Narniani: la regina Susan era davvero finalmente guarita e di nuovo tra loro! Splendida come sempre, nel suo vestito rosso e oro e i capelli fluenti, con quel suo sorriso allo stesso tempo brillante e dolce e con un colorito nuovamente sano sulle guancie, varcava la soglia al fianco della piccola regina Lucy, che era al sommo della felicità al loro pari. Si tenevano per mano.

<< Siete in ritardo, sorelle. >> disse, scherzosamente, Edmund, andando loro incontro. Era molto elegante e bello, quasi affascinante, nel suo abito da sera verde e argento. Stava crescendo anche lui.

<< Temo che vi sbagliate, Vostra Maestà >> replicò Mr. Tumnus, dal suo fianco, in un tono di finta solennità << delle regine non sono mai in ritardo >> -fece un gesto di puntualizzazione con un dito << piuttosto sono gli altri, ad essere in anticipo. >>

<< Mi sembra giusto. >> intervenne anche Peter, vestito in grigio e blu, arrivando dal lato opposto, ridendo con gli occhi.

<< Concordo con voi, Mr Tumnus. >> concluse Susan, divertita, facendogli una riverenza, anche lei in finta serietà.

Lui le inchinò la testa, sorridendole e facendole l'occhiolino.

Lucy ridacchiava.

<< Tutti siamo immensamente grati e felici, che voi vi siate ripresa, Vostra Maestà. >> intervenne a quel punto un lord, arrivando nelle loro vicinanze, rivolgendosi a Susan, inchinandolesi.

Tutti, fra i presenti della sala ovale – così chiamato, per via della sua forma, il salone in cui ci si ritrovava prima di spostarsi in quello del pranzo – avanzarono verso i sovrani, accerchiandoli, concordando alle parole del precedente lord con cenni del capo ed entusiaste esclamazioni.

Susan lasciò scorrere lo sguardo su tutti loro, sententosi quasi commossa e molto grata per avere la fortuna di regnare su genti così buone, quindi si decise a parlare, facendo un discorso, molto sentito, in cui li ringraziò di essere lì, della loro premura e li assicurò sul suo perfetto stato di salute (mezza verità, questa).

Dopo il caloroso applauso che ne seguì, si brindò, vivacemente, con del buon vino di Narnia, prima alla regina stessa ( << Alla regina Susan! >>) – la quale si poteva considerare la vera protagonista della serata, volendo festeggiar tutti la sua guarigione - poi ad ognuno degli altri tre sovrani (<< Al re Peter! >> << Al re Edmund! >> << Alla regina Lucy! >> ) e infine a Narnia e ad Aslan.

<< A Narnia! >>

<< A Aslan! >>

La serata iniziava già in modo splendido e non si prospettava che per il meglio; tutti erano di buon umore e l'atmosfera non poteva essere più amichevole e perfetta. I brindisi – o meglio, il vino – la riscaldarono ancora di più.

<< Ma prima che si vada nell'altra sala >> proclamò, calato il silenzio, Peter << quasi dimenticavo, che la nostra reale sorella non ha ancora incontrato formalmente il nostra beneamato salvatore, il cavaliere Sir Richard. >>

<< Oh, è vero, Su! >> esclamò Lucy, prendendole il braccio.

Iniziò un mormorio e gli ospiti cominciarono a guardarsi intorno alla ricerca di tal individuo.

<< Venite avanti, prego, cavaliere. >> lo esortò Edmund, una volta che lo ebbe scorto appoggiato ad una parete.

Egli accondiscese; i presenti si divisero per lasciarlo passare.

<< Susan, sorella, >> cominciò Peter, una volta che egli fu alla giusta distanza << questo è l'uomo di cui vi abbiamo parlato: >> indicandolo << il Cavaliere del Drago che ci ha salvato dall'attacco da parte dei Nani Neri e a cui dobbiamo, quindi, tutti, la vita. >>

Sir Richard si inchinò, rivolgendosi al re:

<< Ripeto, Vostra Maestà, che voi non mi dovete nulla più di quanto già avete fatto per me... >>

<< E' piuttosto testardo su questo punto, Su >> le disse in un bisbiglio - molto ben udibile – Edmund, ammiccando al cavaliere << ma ciò non cambia lo stato delle cose. >>

Egli non ribattè a questo, (capendo probabilmente che fosse una causa persa in partenza) ma si limitò a ricambiare il sorriso del giovane re.

Rivolse, poi, lo sguardo verso la regina, in attesa di una sua risposta, sembrando (agli occhi di Susan) un pò inquieto. Lei quasi sorrise, a questo.

Si permise di valutarlo per qualche istante.

Tenendo fede alla sua riflessione, non aveva ritenuto necessario riferire ai suoi fratelli che lei lo aveva già incontrato (o ri-incontrato, dir si voglia); non era importante, dopotutto, nè rilevante in alcun modo, si era detta.

Quella era la prima volta, però, che lo vedeva, da quella notte.

Di sicuro poteva essere considerato un uomo (o ragazzo) affascinante, con quei suoi occhi azzurri - in quel momento in qualche modo penetranti - i neri capelli indefiniti e il fisico da guerriero; e poteva anche apprezzare internamente questo (dopotutto, lei era pur sempre una donna e non si poteva negare che lui non fosse attraente), ma ciò non cambiava il fatto che aveva ancora delle riserve, nei suoi confronti. Un bel pò, a dirla tutta.

Non che ci avesse pensato molto, nei precedenti due giorni, in cui lei era rimasta principalmente nella sua camera, in convalescenza, uscendo solo sporadicamente per delle brevi passeggiate insieme a Lucy per il castello. Davvero. (Sul serio.)

La questione è: solitamente era lei, ad occuparsi di tutto, al castello (o quasi, almeno), e rimanere in camera, senza far nulla, dalla mattina alla sera, l'aveva fatta sentire totalmente inutile e causato grandi ansie (a dir poco). Come stavano andando i preparativi? Tutto era sotto controllo? Avevano mandato tutti gli inviti? Ecc. erano pensieri (più simili) che le risuonavano in testa continuamente.

Un paio di volte aveva anche cercato di sgusciare via per andare a rassicurarsi di persona, per magari anche aiutare in qualche modo, ma ogni volta era stata fermata o dalla sua cameriera, da qualche guardia, o dai suoi fratelli.

Si era sentita immensamente frustrata, per tutto il tempo.

<< Hai bisogno di riposare, hai avuto da poco un serio trauma e devi ancora riprenderti del tutto! >> era il mantra che le ripetevano - vero, sicuramente, visto che molto spesso era presa da delle fitte acute che le perforavano il cervello e la costringevano a fermarsi di colpo, a chiudere gli occhi e ad afferrarsi la testa con entrambi le mani nel tentativo di alleviare il dolore, ma lei non l'avrebbe mai ammesso. Era anche riuscita a convincere i suoi fratelli che, per il momento del banchetto, stava benissimo e poteva tornare, quindi, dal giorno dopo, a dedicarsi di nuovo attivamente a tutte le sue mansioni e occupazioni, anche se non era vero...

Lei non era mai malata ed odiava adesso esserlo. Non le piaceva essere una preoccupazione per i suoi fratelli o per chiunque altro, costringere gli altri ad occuparsi di lei, a creare tale disturbo, quando in genere era lei che si occupava degli altri; e, soprattuto, non sopportava essere non disponibile.

Lei era la regina e i suoi sudditi dovevano poter contare su di lei in qualunque momento; le si stringeva il cuore pensare che ci fossero problemi che lei non poteva in quel momento risolvere, o che avessero bisogno di lei ma non le avrebbero chiesto aiuto perchè era malata.

Ragionava, sì, che c'erano anche i suoi fratelli che potevano occuparsi di tutto questo, ma Edmund e Lucy erano ancora poco più che bambini e negli ultimi anni si erano più dedicati agli studi, – cosa che incoraggiava e di cui si occupava personalmente – lasciando a lei di pensare all'organizzazione e alle necessità del castello – quindi, non che non li ritenesse capaci o all'altezza, ma tante cose proprio non potevano sapere come farle; Peter, certo, avrebbe potuto prender in mano la situazione, ma lui era più ferrato sulle questioni militari e sulle alleanze necessarie con gli altri regni, che sull'assicurarsi che un clan di centauri fosse seduto al banchetto lontano da un altro per una lite avvenuta fra i due a causa di una femmina di un terzo clan che aveva scelto un marito da uno piuttosto che da un altro, e simili....Si mordeva le unghie dall'agitazione.

In questa atmosfera di pensieri ed emozioni, di conseguenza, solo sporadicamente aveva permesso alla sua mente di volgersi verso quell'angolo del suo cervello dove aveva rinchiuso le sue riflessioni sul cavaliere.

In quei giorni, la rabbia era svanita, l'aveva perdonato (o quasi) per l'umiliazione che le aveva inferto, e non è che provava della vera antipatia nei suoi confronti, se si lasciava da parte il modo irrispettoso con cui si era rivolto a lei (in fondo, aveva cercato di scusarsi): il fatto era che si sentiva inquieta.

Lui l'aveva salvata e da ciò le derivavano diversi ordini di pensieri: in primo luogo, la urtava la possibilità che egli potesse pensare di lei come di una qualche sorta di damigella in pericolo, sempre bisognosa di un cavaliere su un cavallo bianco (o drago, in questo caso) che arrivasse in suo soccorso(!) - anche se non era del tutto certa di sapere il perchè; in secondo, in questo modo egli aveva un vantaggio su di lei: dovendogli la vita, avrebbe potuto usare tale debito a suo favore o contro di lei, insieme ad un'altra miriade di possibilità; infine, sentiva qualcosa, nel profondo del suo stomaco, che le diceva che di quell'uomo non ci si poteva fidare del tutto. Era solo una sensazione, ma non riusciva ad allontanarsene. Anche razionalmente, aveva dei fondamenti! Infatti, nonostante adesso sapesse tutto sulle questioni che si era persa in seguito al suo disarcionamento e avesse sentito la storia del cavaliere detta sia dalle sue labbra che da quella dei suoi fratelli, nulla le assicurava che egli non stesse mentendo, non solo a lei, ma anche a tutti gli altri, riguardo tutto: da qui i suoi numerosi dubbi.

L'avrebbe tenuto d'occhio...

La stavano guardando. Doveva dire qualcosa.

Allontanò i suoi pensieri, sorrise ai presenti e si rivolse, con un tono lento e gentile, al loro "beneamato salvatore", come l'aveva chiamato Peter prima.

<< E' un vero piacere e onore, per me, conoscervi, Sir Richard. E, visto che non ho avuto ancora l'occasione di farlo, vorrei ringraziarvi, sentitamente, per averci, e avermi, salvato. >> era sincera, in questo - di sicuro era grata che avesse salvato le persone che lei amava, per qualunque che fosse stato il suo motivo o anche se avesse avuto un secondo fine. (Era un punto a suo favore.)

Anche se riflettendoci meglio, e se...?

Gli fece, poi, una riverenza, inchinando appena il capo.

Notò che egli sembrava un pò sorpreso, sempre insicuro, ma Susan pensava che lei fosse una delle poche – se non l'unica - ad essersene accorta (ed era, in effetti, così).

Se ne sentiva oltremodo soddisfatta: voleva dire che lui aveva timore di qualcosa che lei avrebbe potuto fare o dire nei suoi confronti, riguardo all'altra notte.

<< Voi siete molto gentile, Vostra Maestà. >> si risolse lui a dire, passato il primo momento d'incertezza << L'onore è tutto mio. >>

Ci fu qualche istante di silenzio, in qui i due nuovi conoscenti rimasero a valutarsi a vicenda, poi:

<< Molto bene!! Quindi, adesso tutte le formalità sono terminate... >> << ...andiamo a rimpinzarci! >> esclamarono ad alta voce, alternandosi, Peter e Edmund.

Entusiasticamente e molto rumorosamente, gli invitati cominciarono a dirigersi verso la sala attigua. Susan notò di come Lucy andò immediatamente a posizionarsi al fianco del cavaliere, di come iniziò ad assediarlo di domande sul più e sul meno di una certa sua avventura in un paese abitato da una specie di insetti giganti, di come Edmund ascoltasse anch'egli avidamente, e di come Peter spinse poi lei in mezzo a loro, sembrando entusiasta al pari dei fratelli minori.

Notò anche di come molti altri, nelle vicinanze, guardassero e ascoltassero quell'uomo con grande interesse e ammirazione, mentre lui raccontava, assecondando i suoi nuovi sovrani.

A giudicare, nei giorni in cui lei era stata malata lui si era già ambientato molto bene, al castello.

(Centro dell'attenzione)

Susan credeva di aver capito.

Avete presente, quelle volte in cui state parlando di qualcosa ad un gruppo di persone, ma nessuno vi ascolta, perde interesse o neanche sembra accorgersi che voi stiate parlando? E di come, ecco che arriva questa persona, che inizia a dire le stesse cose che voi stavate dicendo un attimo prima - inascoltatati - e d'un tratto, tutti sono quasi stregati, ascoltano fino alla fine, senza poterne fare a meno, compresi voi?

Conoscete di queste persone? Che sembrano propio nate per essere al centro dell'attenzione, di cui ogni discorso risulta sempre e comunque interessante e coinvolgente, anche se non lo è (ma lo era, in questo caso)?

Ce l'avete presenti?

Allora potrete capire un pò di più sulla personalità del cavaliere.

Probilmente era la sua voce – rifletteva Susan - profonda e vibrante, carica di accenti e tonalità diverse a seconda della situazione, catturava ogni orecchio che l'ascoltava...

Egli era seduto al centro della tavolata, di fronte alle quattro sedie reali, e raccontava e divertiva e tutti erano estasiati.

Senza volerlo e senza che mai l'avrebbe ammesso, anche Susan si era ritrovata, inevitabilmente, interessata dalle sue storie; mangiava (o provava a farlo), tenendo lo sguardo fisso sul suo piatto, e intanto ascoltava con molta attenzione.

-

Richard si stava godendo la serata.

Era divertente, come storie dette e ridette, ormai, potessero entusiasmare ancora quegli strani abitanti di Narnia. Quasi sembrava essere ritornati a scuola...non che si stesse lamentando; era fantastico, essere al centro dell'attenzione: catturare tutta una folla di ascoltatori, che lo guardavano ad occhi e bocche spalancati, come dei pesci lessi; essere l'origine e la causa dei loro stati d'animo, portandoli dall'essere curiosi, allo scioccati, allo spaventati, al divertiti ecc....la loro ammirazione e le loro attenzioni nei suoi confronti lo facevano sentire di nuovo se stesso - non il burattino tutto << Vostra Maestà >> o << E' stato un vero onore >> ecc. che era costretto dal suo compito ad essere per tutto il resto del tempo – ma il vero sè; il ragazzo amato da tutti, odiato da pochi, il leader, nato per guidare gli altri, quello che si divertiva, senza nessuna responsabilità o preoccupazione...

Magari tutto fosse rimasto sempre così!

(Concentrazione)

<< Vostre Maestà, gentili ospiti: "Nani Neri al carbon" è chiamata,

la ballata mia, di fresco creata. >> un bardo di nome Lingua Alata, un fauno, con il flauto al fianco, così si rivolse ai presenti del banchetto reale, alla fine dell'ultima portata, e così s'inchinò.

Il re Peter si voltò verso la regina Susan e le lanciò un'occhiata, probabilmente per farle intendere che spettava a lei, fare gli onori di casa.

<< Nostro caro Lingua Alata >> lei iniziò, una volta in piedi, con un sorriso benevolo << è sempre una gioia, per noi, averti qui a corte. Puoi cantare, prego. >> e gli fece segno di procedere. Si risedette.

La ballata era un riassunto scherzoso e parodico – scatenò molti scoppi di risate, nel mentre della sua esecuzione - del tentativo dei Nani di riprendere il potere, di come furono bruciati, melodrammaticamente, dal fuoco della grande draghessa Ynuchei (a proposito, chissà dove si è andata a cacciare?) e di come, alla fine, il Cavaliere del Drago avesse tratto in salvo l'amata regina, conquistando l'eterna gratitudine di tutta Narnia.

Richard non prestò molto orecchio, a tutto questo.

Il momento di svago era finito; ben tornata noia. Quanto di questo "intrattenimento" avrebbe dovuto sorbirsi?

Il suo sguardo, nel vagare, si ritrovò attirato dalla bella figura della regina Susan, seduta di fronte a lui; ella aveva lo sguardo fisso sul bardo e seguiva attentamente: a volte sorridendo, a volte ridendo apertamente, altre scuotendo il capo.

Era proprio bella, pensò, ma era anche un vero enigma.

Nei due giorni successivi al loro alterco notturno e precedenti a quel momento, lui era rimasto inquieto, ansioso, di sapere a che cosa si fosse risolta lei, nel frattempo, nei suoi confronti: si era infine ricreduta? O lo considerava ancora un arrogante, un bugiardo o addirittura una minaccia? Durante il loro incontro "ufficiale", qualche ora prima, lui era rimasto in attesa, con il fiato sospeso, lo stomaco in gola, di qualcosa, non sapeva di preciso cosa, che lei avrebbe potuto dire o fare...ma non era successo nulla; lei era stata perfettamente cordiale e gentile e adesso lui non sapeva che pensare.

Le donne sono proprio degli enigmi.

Non si sentiva affatto rassicurato dal suo atteggiamento all'apparenza ben disposto verso di lui: l'impressione che aveva avuto la sera di due giorni prima, di lei come di una bestia feroce pronta ad attaccarlo in qualunque momento, non era ancora svanita. Era quasi imbarazzante.

Lui, addestrato fin quasi dalla nascita ad essere il migliore dei guerrieri, preparato ad affrontare ogni sorta di ostacolo, doveva adesso temere una donna, per avere la missione potenzialmente minacciata! Per il potere che aveva, con una parola ella avrebbe potuto far crollare tutta la fiducia che si era guadagnato in quella settimana, e poi, chissà se avrebbe più potuto riconquistarla! Tutto sarebbe andato a monte.

Avrebbe dovuto essere cauto, da allora in poi, moderare di più le parole e gli atteggiamenti: che cosa potevano fare, in quel posto, una parola o una risata fuori posto! L'avevano avvertito che avrebbe dovuto abituarsi ad uno stile di vita diverso, e farlo anche in fretta; non per niente la prima missione era considerata un prolungamento dell'addestramento.

Che sorrisi particolari, che ha – la sua mente, dopo un pò, in mancanza di altri stimoli, si ritrovò a pensare - con le labbra un pò troppo piene che scoprono all'improvviso tutto quell'abbaglio di denti...come le illuminano tutto il viso, rendendolo ancora più bello...come si scuote, ridendo, appoggiando la mano sulla spalla del fratello al suo fianco...Quanto avrebbe voluto poterle leggerle la mente – il cavaliere-in-missione dentro di lui provò a farsi sentire - per capire che cosa pensasse e se quindi dovesse continuare a preoccuparsi...

Non mi ascoltava, prima – fallì - mentre narravaro le mie solite storie, nuove, per lei (perchè?); è rimasta, sembrava, indifferente, con lo sguardo fisso sul tavolo, perso, quasi che non si accorgesse di nulla di quello che accadeva intorno a lei...perchè non poteva ridere in questo modo anche mentre parlavo io?...

Un'improvviso scoppio di applausi lo fece trasalire – la ballata doveva essere conclusa - così si affrettò a battere le mani anche lui, dopo un attimo di quasi stordimento. Ti stai distraendo, si disse a quel punto, non sei arrivato qui per cose del genere. Concentrati.

(Musica e danze)

Una volta che la danza delle driadi, l'ultimo degli intrattenimenti programmati per il dopo-banchetto, – Susan rimase piacevolmente sorpresa del fatto che tutto fosse stato organizzato così bene – ebbe termine, seguita da un ultimo scroscio di applausi, ci si alzò per dirigersi verso la sala successiva, quella da ballo. Il vivo della festa doveva ancora arrivare.

La musica era sempre indefinibile, quella dei fauni, dei centauri e delle driadi; in breve, quella di tutta Narnia.

Era quel tipo di musica che ti fa desiderare di chiudere gli occhi, e sognare; che ti fa venire i brividi lungo le braccia e dietro la schiena, che dà un'idea di qualcosa di mistico e meraviglioso, di qualcosa di magico.

Danzare al suo ritmo ti faceva sentire come se stessi per spiccare il volo, e poi volare, e dall'alto ballare, fluttuando sopra la polvere dell'aria, soffusa come una nuvola. Era magnifico.

Tutti, tutti, ne erano attratti, e non si poteva non lasciarsi trascinare.

<< Che le danze abbiano inizio! >> proclamò Peter. E la musica iniziò.

I quattro sovrani, secondo la prassi, erano i primi a iniziare.

Edmund, così, insolitamente spavaldo, avanzò verso la folla delle signorine provenienti dalle isole dell'est, e tese la mano verso una giovane lady dai capelli rossi, che Susan aveva notato adochiasse fin dalla prima portata. Le sue amiche intorno a lei cominciarono a ridacchiare, lei arrossì, ed Edmund pure. Seguendo il suo esempio, Lucy cominciò a girarsi intorno, probabilmente alla ricerca di Mr. Tumnus o qualcun altro dei loro amici, ma un giovanotto la intercettò e le si inchinò; lei ne fu sorpresa, voltò lo sguardo verso Susan, chiedendole silenziosamente aiuto su che cosa dovesse fare, quindi sua sorella le fece un cenno con la mano, mimò con le labbra un << Vai avanti. >> e le sorrise incoraggiante. Lucy prese timidamente la mano del ragazzo (Peter, al braccio di Susan, non ne sembrava molto contento).

<< Tocca a te, Su. >> le disse quest'ultimo, poi, in un bisbiglio a denti stretti.

Susan in quel momento non si sentiva particolarmente attratta dalla musica: si sentiva, piuttosto, stordita, a causa di un forte mal di testa, e temeva inoltre che danzando avrebbero potuto tornarle i suoi giramenti, e non voleva che ciò accadesse di fronte a tutti.

<< Vai tu, Pete, io mi sento un pò stanca. >> gli disse quindi.

Lui la guardò agrottando le sopracciglia << Ti senti bene? >>

<< Ma si, si, certo, è solo che è stata una serata lunga, e adesso non me la sento di ballare. Vai, forza, tranquillo, io mi siederò in quella bella poltrona laggiù... >> gli annuì con la testa, ignorando il suo sguardo sospettoso, in un cenno rassicurante, quindi si allontanò. Peter la seguì con gli occhi fin che non si fu effettivamente seduta, poi scelse la sua dama anche lui, e le danze poterono finalmente avere inizio.

(Amicizia)

Incredibile.

Richard non sapeva a che cosa fosse dovuto, se al fatto di aver bevuto un qualche bicchiere di vino di troppo o se a quell'atmosfera di festa: ma sta di fatto che lui stava ballando - lui che odiava ballare – e non aveva neanche nessun desiderio di smettere!

L'ennesima canzone finì – anche se qualche istante dopo ne iniziò un'altra - e lui decise che aveva bisogno di un pò di aria fresca, per smaltire qualunque cosa gli avesse fatto tale strano effetto danzante. Congedò la sua partner, nel modo più cordiale che potè, e si avviò verso la finestra che dava sul terrazzo.

Dovette farsi largo tra un mare di signorine che lo esortavano a invitarle a ballare, prima che risciusse ad arrivarci.

L'aria di mare, all'esterno, era fresca, e a ciò respirò a fondo, tirando un sospiro di sollievo. Si sentiva già molto meglio.

Rimase lì fuori, a sentire il rumore delle onde infrangersi sugli scogli sotto di lui, per un bel pezzo. A un certo punto gli sembrò anche di scorgere in lontananza, nel mezzo della grande distesa d'acqua, un'ombra più scura, e pensò che fosse Ynuchei (il suo drago). Ecco dov'era finita...

<< No, non vi preoccupate, Mr Tumnus, sto benissimo e non mi sto annoiando, avevo solo un pò bisogno di riposo... >> sentì a un certo punto provenire una voce dalle sue spalle, dall'interno. Credeva di aver capito a chi appartenesse. Si voltò e vide il fauno-consigliere dei sovrani allontanarsi dalla regina Susan, indubbiamente, che era seduta su una sedia di fronte alla finestra.

Decise di avvicinarsi. Doveva, dopotutto, sondare il terreno e non sapeva se avrebbe mai avuto un'accasione migliore di questa per farlo.

Entrò di nuovo nella sala, e le si posizionò dietro.

La vide socchiudere gli occhi e appoggiarsi allo schienale dietro di lei.

<< Non ballate. >> si decise a dirle, dopo qualche istante.

Lei sobbalzò, aprendo gli occhi e voltandosi di scatto. Agrottò le sopracciglia, una volta che il suo sguardo si posò su di lui. Pessimo indizio.

<< Non ne ho il desiderio, >> rispose lei alla sua domanda, che era stata più un'affermazione << e in più, non sono affari vostri. >> concluse, freddamente.

<< Come fate a non averne, Maestà, >> lui si decise ad ignorare quell'ultima parte << anche io, che odio ballare, non ho potuto farne a meno! >> sperò che il suo tono fosse abbastanza amichevole.

<< E' la musica che fa quest'effetto; è magica, qui. >> disse lei, in tono pragmatico.

Ah, allora era questo, il motivo!

<< L'ho notato. >> mentì.

Tra di loro si creò un silenzio imbarazzante, dove la regina teneva lo sguardo fisso di fronte a sè, e lui la gardava.

<< Dovreste andare a riposarvi, Vostra Maestà. >> le disse, dopo un po'.

<< Vorreste anche darmi ordini, adesso, Sir? >> ribattè lei, sarcastica.

Lui sospirò. << Era solo un consiglio, Altezza; vedo che siete piuttosto stanca. >>

<< E che cosa ve lo fa pensare? >> gli chiese allora lei, in tono difensivo, irrigidendosi, quasi indignata.

<< Il fatto che un attimo fa stavate per addormentarvi su quella poltrona, mi è sembrato un indizio più che sufficiente... >> le rispose, volendo essere pragmatico, ma suonando più divertito.

Lei fece un verso stizzito.

<< Comincio a pensare che il vostro drago vi abbia incenerito qualche neurone: ancora osate mancarmi di rispetto. >> si rivoltò e gli lanciò uno sguardo eloquente.

Richard capì di avere fatto di nuovo lo stesso errore.

Cominciava davvero ad esasperarsi di se stesso. Quando la smetterai di comportarti con lei come ti comporteresti con qualsiasi altra donna, e inizierai a trattarla da regina?!

Si affrettò ad inchinarsi e stava per scusarsi (gli sembrava che non facesse altro, con lei), quando lo interruppe.

<< Lasciate perdere >> gli disse, sembrando esasperata, ri-rivoltandosi sulla sedia << stasera non sono in vena per preoccuparmi di voi e della vostra insolenza...rabbrividerei ad essere nel vostro mondo, se tutti gli uomini sono come voi. >>

Questo era più che significativo nel capire che lei non aveva affatto cambiato idea nei suoi confronti, riflettè Richard. Magnifico.

Fu quasi per ribattere, ma ci pensò meglio e si frenò.

La guardò, busto e spalle rigide, con le mani giunte in grembo e il viso teso: da tutto ciò si capiva benissimo la sua ostilità. Meglio battere in ritirata, si disse, per non peggiorare ulteriormente le cose.

<< Vostra Maestà. >> le disse quindi in un tono di finalità e di saluto, inchinandosi ancora (quanto ne era stufo), iniziando ad allontanarsi.

<< Aspettate! >> lo richiamò, però, lei, quando non ebbe fatto che pochi passi.

Si voltò, sorpreso.

Lei, straordinariamente, gli sorrise, scuotendo la testa quasi per allontanare da sè ogni pensiero precedente, e, indicandogli con una mano la sedia al suo fianco, lo invitò a sedersi. Lui, sempre più sorpreso, accondiscese.

Non distoglieva lo sguardo da lei, stranito. Era una farsa? Ghe tiro gli avrebbe lanciato, adesso?

Lei lo guardò a sua volta, senza più sorridere, con un'aria molto seria, che però non era priva di gentilezza.

Richard sperava di non avere un aria troppo stupida, mentre aspettava che lei parlasse.

<< Voi ed io, cavaliere, >> iniziò << ammetto che non abbiamo iniziato la nostra conoscenza nel migliore dei modi... >> e accennò un mezzo sorriso.

<< Eh, no, temo di no... >> la imitò lui, scuotendo il capo. I loro sguardi si incotratono per un attimo.

<< Quindi, >> continuò lei << visto che voi ci avete salvato la vita e che i miei fratelli sembrano avervi preso molto in simpatia, ho deciso che ricomincieremo tutto da capo. >>

<< Dite sul serio, Maestà? >> lui quasi spalancò gli occhi.

<< Si, dico sul serio: >> sembrava sincera << io, infatti, adesso perdonerò tutte le vostre mancanze, - che capisco siano principalmente dovute al fatto che non siete di qui e di conseguenza non familiare con le maniere di corte – voi mi prometterete che vi impegnerete a migliorarvi – cosa che vi aiuterò a fare io – e così potremo vivere pacificamente in questo castello che, a quanto ho sentito, non avete presto intenzione di lasciare... >>

<< Non dipende da me, Maestà... >>

<< Lezione numero uno: >> il volume dalla sua voce aumentò di colpo e lui quasi saltò << quando un re o una regina, un lord o una lady, come anche chiunque altro, sta parlando, non lo, o la, si interrompe. >> e si fermò, lanciandogli uno sguardo significativo, aspettando che recepisse il messaggio.

Richard la guardò a sua volta, in attesa che continuasse, poi capì e si affrettò a rispondere:

<< Certamente, Maestà, ho capito. >> e fece dei veloci cenni affermativi con il capo.

Era molto sopreso dalla direzione presa: quindi poteva stare tranquillo? Lei sembrava davvero sincera, riguardo al fatto di dargli una seconda possibilità... Internamente, tirò un sospiro di sollievo; non era ancora tutto perduto.

<< Molto bene; >> continuò ancora lei << quindi, ricapitolando, io sono la vostra regina e voi un cavaliere della nostra Guardia Reale e spero che d'ora in poi le cose fra di noi vadano per il meglio, se ci impegnamo reciprocamente in tal senso. >> e gli sorrise di nuovo, tendendogli una mano, che lui stava per stringere, ma lei gli suggerì dovesse baciarla, e lui lo fece. (Aveva un buon profumo, la sua pelle, di rose.)

La regina chiamò poi un cameriere che passava nei dintorni, prese dal suo vassoio due bicchieri di vino, ed insieme brindarono.

<< Ad una lunga e sana amicizia. >> proclamò lei.

Entrambi sorridevano, prima di bere dalle loro coppe. Perfetto.

(Il piano)

La sua testa si trovava come in una bolla, pulsante, e il dolore le toglieva ogni forza. Ma si sfrozava ugualmente di sorridere a chiunque le si avvicinasse, di parlare a chiuque le rivolgesse la parola, e, insomma, di non far notare a nessuno che fosse in uno stato meno che piacevole.

Fortunatamente il posto in cui aveva deciso di sedersi era abbastanza isolato e distante dalla pista da ballo, e raramente gli ospiti si avventuravano fino a lì; essendo di fronte alla terrazza che dava sul mare, era anche piacevolmente raggiunta da una brezza che dava un pò di sollievo al calore che sentiva in tutto il corpo, e soprattutto alla testa.

Mr. Tumnus se ne era andato, finalmente, e nessuno era nelle vicinanze...magari, quasi avrebbe anche potuto socchiudere un attimo gli occhi...

<< Non ballate. >>

Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare; Susan aprì gli occhi di scatto e si voltò. Agrottò le sopracciglia: ovviamente, non poteva ch essere lui.

Chissà da quanto tempo era dietro di lei e la spiava...

Rispose a quella sua specie di domanda, poi lui parlò ancora, e lei di nuovo e poi lui, fin quando lui non ebbe di nuovo la faccia tosta di prenderla in giro, per il fatto che si era quasi addormentata...Che cosa ci vedevano i suoi fratelli in lui? Come poteva riuscire a trattarlo cordialmente, se lui le mancava di rispetto in quel modo?

Lui pensò bene di allontanarsi.

Lo guardò, mentre andava via, e un'idea improvvisa la colpì.

Ancora una volta si era lasciata troppo prendere dalla rabbia e dall'irritazione, ed aveva sbagliato completamente approccio: avrebbe dovuto rimediare, e in fretta.

Perchè, se quello che pensava era giusto, e cioè che lui avesse in mente qualche piano contro tutti loro (in fondo, la rivolta dei Nani potrebbe essere stata tutta parte di una sua macchinazione per conquistarsi il favore di Narnia, per poi poter agire dall'interno per conquistarla...), solo lei avrebbe potuto sventrarlo, essendo l'unica a non fidarsi di lui, a non essere caduta nella sua trappola, tesa grazie a tutto il fascino che le sue storie ispiravano e alla sua personalità carismatica: conquistandosi quindi la sua fiducia, facendogli credere di essere sua amica, avrebbe potuto in questo modo controllarlo meglio e scoprire così ciò che aveva in mente...

<< Aspettate! >> lo richiamò.

E lui si voltò.

...

<< Ad una lunga e sana amicizia! >> proclamò. E brindarono.

La sua famiglia, la sua casa, i suoi sudditi, potevano essere tutti in pericolo a causa di quest'uomo; (non poteva permettersi di sottovalutarlo; lui aveva un drago, aveva spento il suo fuoco con una mano – le avevano detto - e in più aveva ammesso che c'erano altri come lui, che avrebbero potuto unirglisi) lei avrebbe fatto tutto il possibile per salvarli.

Entrambi sorridevano, prima di bere dalle loro coppe. Perfetto.

 

 

 






















Note dell'autrice

A voi il nono capitolo!

La storia entra nel vivo (spero che non sia troppo noiosa? o.0 ), e come al solito sia benvenuto chiunque voglia recensire, magari per darmi qualche consiglio/critica/apprezzamento/per fare domande ecc. io sono sempre disponibile al dialogo ;)

Spero vivamente che vi piaccia, perché io ci sto veramente mettendo anima e corpo!

Ringrazio intanto tantissimo tutti quelli che hanno messo la storia tra seguita/ricordata/preferita, sappiate che lo apprezzo molto!

Allora ci vedremo (sentiremo? leggeremo? ) al prossimo capitolo, che come per questo arriverà a seconda del tempo disponibile che avrò per scriverlo ecc.

Buon autunno/scuola/lavoro/vita,

Daughter of the Lake

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