Sette volte un Kurt-sorriso

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Cooper + Klaine ***
Capitolo 2: *** Day 2: Roomates!Klaine ***
Capitolo 3: *** Day 3: Heroes ***
Capitolo 4: *** Day 4: Skank/Nerd ***
Capitolo 5: *** Day 5: Photographer/Model ***
Capitolo 6: *** Day 6: Dalton ***
Capitolo 7: *** Day 7: winter in New York ***



Capitolo 1
*** Day 1: Cooper + Klaine ***











La Crawford Country Day è la scuola gemellata all’Accademia Dalton.
Millequattrocento ragazze di età compresa trai quattordici e i diciassette anni.
Fanno all’incirca quattordici milioni di ormoni scatenati e senza freno.
Devo ammettere che, convivendo in una scuola di soli maschi, ed essendo gay, mi ero dimenticato completamente di come fossero realmente le ragazze. Grave, gravissimo errore.
-"Blame it on Blaine", capitolo 10.

 




 
In tre lunghi anni della mia vita non mi era mai capitato una cosa del genere. Va bene, tre anni erano un po’ pochi, e forse io ero un po’ esagerato, ma insomma, Priscilla Bay che mi fissava sprezzante era qualcosa che non avevo in nessun modo calcolato. Mi guardai intorno, viaggiando con lo sguardo lungo tutto il vasto cortile della Dalton, ma non c’era traccia nè di Kurt nè dei miei amici, spariti chissà dove non appena avevano visto quella ragazzina incamminarsi verso di me. Facevano sempre così, mi lasciavano sempre da solo con il nemico; perfino Kurt era sgattaiolato via mormorando sommessamente qualcosa come “Non è MAI stato così tardi!”
Sì. Certo. Per me. Per la mia salute mentale.
“Mio caro Blaine Anderson”, cinguettò con le sue labbra imbrattate di lucidalabbra che sapeva di gomma da masticare, i suoi capelli legati in una coda e il suo atteggiamento da Hannah Montana. “Essendo io la leader del nostro Glee Club al femminile, ed essendo tu il fringuello per eccellenza, direi che dobbiamo parlare.”
No, non volevo parlare, volevo solo tornare da Kurt e abbracciarlo e passare il resto della mia vita insieme a lui, e invece quella ragazzina continuava a fissarmi sprezzante; avevo qualcosa trai capelli, per caso?
Avevo già alzato una mano verso la nuca per controllare, facendo finta di niente, come se volessi stiracchiarmi, quando lei puntò i piedi davanti a me ed esclamò: “Vogliamo la vostra palestra!”
“Cosa? Non esiste proprio!”
Quella palestra ci serviva per le prove delle nostre coreografie, era un cimelio degli Warblers che si tramandava da generazioni e mai, mai e poi mai lo avrei lasciato in balìa di una trentina di ragazzine sfrenate.
“Andiamo Blaine Warbler, che ve ne fate? E’ solo per una sera. Poi ripuliamo tutto.”
“Aspetta un momento.” La guardai attentamente, cercando di individuare la sua vera espressione nascosta da quella maschera di finta-cordialità. Oppure un paio di corna da demone.
“Esattamente... cosa vorresti farci con la nostra palestra?”
“Cioè premettiamo che non è vostra vostra. E’ della scuola.” Sbottò lei con i suoi occhi freddi e scuotendo i suoi capelli che sembravano usciti da una pubblicità di qualche balsamo.
“E’ nostra. La usiamo solo noi e voi non avete il diritto di prenderla.”
“Forse no, ma se io avessi ottenuto il diritto dal preside?”
Strabuzzando gli occhi, la vidi estrarre dalla sua tascha minuscola un foglietto tutto stropicciato, contenente il timbro ufficiale della segreteria; il preside acconsentiva alle prove delle GATTINE GRAFFIANTI per tutta la settimana futura. In realtà, però, il mio cervello si era arrestato qualche concetto prima, esattamente quando aveva letto il nome del loro Glee Club.
Non mi ero nemmeno accorto che, in tutto quel tempo, Priscilla mi aveva osservato accigliata, aspettandosi chissà quale reazione o, forse, risata: avrebbe dovuto sicuramente considerare le risate, se al posto mio ci fosse stato qualsiasi altro Warbler sarebbe stata la fine. In effetti, sembrava come irrequieta. Avevo forse tralasciato qualcosa?
No Blaine, dissi tra me e me cercando di darmi un contegno, riprenditi, sii uomo. Dì qualcosa di intelligente. Reagisci!
“...Beh.”
Ottimo commento, davvero: avevo la retorica del presidente Obama.
“Allora siamo d’accordo?”
No che non eravamo d’accordo, non avrei mai permesso alle... alle... GATTINE GRAFFIANTI di maltrattare la nostra palestra. Ok, faceva ridere anche solo pensarlo, quel nome. Ma Priscilla era già andata via saltellando, lasciandomi da solo con i miei brividi, e con l’enorme problema di dover spiegare tutto ai miei compagni sicuramente arrabbiati.
 
“Tu.”
“Hai fatto.”
“Esattamente.”
“CHE COSA!?”
“Ma vi siete addestrati per questo?” Kurt spalancò gli occhi verso Ed, Nick, Colin e Flint, che adesso stavano seduti sulle poltrone della sala prove con tutti i sensi all’erta; io ero in piedi, di fronte a loro, Kurt era a pochi metri da me appoggiato al pianoforte, avevo tanta voglia di abbracciarlo e magari farmi aiutare a non essere lapidato, ma dovevo risolvere quella faccenda da solo.
“In realtà sì.” Nick rispose alla domanda del mio ragazzo con un sorriso trionfante, che Colin accompagnò aggiungendo: “Erano mesi che volevamo farlo!”
Va bene, avevo degli idioti come amici, ma quella non era una novità.
“Ma non cambiamo discorso – mormorò Flint rivolgendomi un’occhiata torva – mi spieghi esattamente come hai fatto a farti fregare da Priscilla zero Camomilla?”
“Non mi sono fatto fregare, mi ha portato un documento firmato dal presid-”
E fu in quell’esatto momento che qualcosa nel mio cervello sovrastato da riccioli ingellati si attivò immediatamente.
“Oh no.”
Ed scrollò la testa, e io fui costretto a sedermi per riprendere fiato, fissando pensieroso il pavimento.
“Blaine?” Kurt si avvicinò piano, aveva un’espressione preoccupata; si sedette sul divano proprio accanto a me e restò a fissarmi perplesso: “Tutto bene?”
“Come ho fatto a farmi fregare? Ha usato il metodo Shannon Rose.”
“Il... cosa?”
“Era una Crawfordina degli anni novanta, la cugina maggiore di Priscilla”, spiegò Nick a Kurt, “Ha falsificato tutti i documenti della sua cartella per ottenere tutti i tipi di agevolazioni possibili.”
“Una volta si è fatta dare mezza sede della Dalton. Senza controllori.”
“Ch-che cosa?”
Kurt sembrava incredulo. Dopotutto nemmeno io, se me lo avessero raccontato in quel modo, sarei riuscito a capire, ma le capacità quasi magiche di Shannon Rose erano famose proprio per essere incredibilmente vere e, ancora peggio, per il fatto che le avesse tramandate unicamente alle sue consorelle ignorando completamente i ragazzi della Dalton.
E io mi ero dimenticato che Priscilla fosse a conoscenza di quel metodo.
“In pratica mi sono lasciato fregare”, ammisi a testa bassa, ma Kurt immediatamente sfoggiò uno di quei sorrisi che erano in grado di farmi sentire forte ed invincibile. Stavo quasi per avvicinarmi ancora di più a lui, stringergli la mano, dargli un piccolo bacio a stampo magari, ma poi la voce entusiasta degli altri ci interruppe riportandoci brutalmente alla realtà: “Blaine, dobbiamo escogitare una vendetta. Non possiamo farci fregare da quelle della Crawford, è assolutamente fuori questione.”
“Non vi preoccupate. Risolverò la questione, a tutti i costi.”
Dopotutto, ero pur sempre il leader degli Warblers: non potevo certo darla vinta a Priscilla o ammettere a tutti i miei compagni di essermela fatta fare sotto al naso, no?
Ma proprio quando abbassai la testa, cercando in tutti i modi di escogitare il contrattacco, mi sfuggì quel piccolo ghigno che si scambiarono i miei amici. Chissà, forse, se lo avessi visto, avrei intuito il loro stupidissimo piano.
 
 
La festa della Crawford era ancora peggio di quanto avessi pensato.
Oltre a degli orrendi striscioni rosa cosparsi da un angolo all’altro di glitter e perline, c’era una musica assordante anni novanta che ricordava vagamente le Spice Girls, e ragazzine di quindici anni che si fingevano ubriache passeggiando per tutto il salone tenendo in mano la stessa birra di mezz’ora prima.
Bene, avevo solo due possibilità. Numero uno: convincere Priscilla a finire la festa. Numero due: farmi proclamare re. E tra le due la seconda mi sembrava addirittura plausibile.
Per un attimo fui anche talmente idiota da pensare di poter contare sull’aiuto dei miei compagni di scuola: mi avevano seguito molti ragazzi, dagli Warblers ad altri studenti. All’inizio avevo creduto lo facessero per solidarietà nei confronti dell’orgoglio della Dalton; ma poi, quando li vidi spargersi come uno sciame di api, tutti diretti verso il loro miele che variava da ragazza in ragazza, mi arresi completamente sconfitto di fronte alla verità: una festa della Crawford era sempre l’unica opportunità che avevano i ragazzi per rimorchiare.
“Andiamo”, sbottai, verso i pochi rimasti accanto a me – un paio di Warblers e Kurt – “E’ anche una festa orribile!”
Lanciai un’occhiata sconsolata verso Kurt in cerca di sostegno, o conforto, insomma, di qualsiasi cosa; non appena posai lo sguardo su di lui, si voltò di scatto cambiando completamente espressione.
“Oh, sì. E’ proprio una festa assurda.”
Bene. Avevano corrotto anche il mio ragazzo.
Blainy!! Che bello vederti!”
Priscilla si presentò con un balzo felino davanti a me, con una gonna corta che lasciava davvero poco all’immaginazione, i capelli raccolti in due codine e un lecca lecca in bocca, che succhiava avidamente. Era un’immagine quasi commuovente. Davvero, la tenacia con cui ci provava con me nonostante il mio orientamento sessuale e Kurt giusto a due centimetri era quasi... ammirevole. E anche molto, molto stupido: ma a giudicare da come barcollava spostando il peso da un piede all’altro, dedussi che fosse già al suo terzo drink.
“Mi hai mentito.”
Lei roteò gli occhi al cielo, emettendo uno sbuffo che somigliava molto ad uno squittio: “Oh Blainy, come sei puntiglioso. Ho soltanto dimenticato di dirti tutta la verità!”
“Quel documento era falso!”, Protestai, con voce ferma sovrastata da Barbie Girl degli Aqua. Nel frattempo erano spariti anche gli ultimi Warbler, ma Kurt era ancora lì: adesso non guardava più la carta da pareti color ciclamino, fissava Priscilla a metà tra il divertito e il seriamente preoccupato. Lei, invece, sembrava avere occhi solo per me, e facendosi lentamente più vicina esclamò: “Vero. Falso. Che differenza fa? Non sono soltanto due facce della stessa medaglia?”
“Devi dire a tutti che la festa è finita.” Ero irremovibile. Mi aveva aggirato, e doveva subirne le conseguenze. “Altrimenti-“
“Altrimenti cosa?” Mi interruppe, provocatoria, “Andrai dai professori? Dalla Pitsbury? E così scoprirai tutto il nostro giro di festicciole? Sorveglieranno questo salone ventiquattro ore al giorno, lo sai. E poi, posso sempre dire che questa festa l’hai organizzata insieme a me.”
“Ma non è vero!”
“A chi crederanno, Blaine? A te...” Chinò appena la testa, facendo un piccolo broncio, e sbattendo le sue lunghe ciglia finte, “O alla dolce e perfetta presidentessa della Crawford?”
Arpia.
E le sue compagne di scuola non erano di certo da meno: avevano creato un cartellone con scritto Wau-Bleah e l’immagine di un piccione morto. Chiaramente, una presa in giro del nostro nome e stemma.
Come osavano deridere Pavarotti?
“Non lo senti, Blaine?” Priscilla stava giocando con una ciocca di capelli, divertita.
“Si chiama umiliazione. La Crafword che prende in giro gli Warblers in casa loro. Si parlerà di questo per anni, andrà nella storia!”
Una grossa arpia.
Aprii la bocca più volte, cercando qualcosa di intelligente da dire, per controbattere; ma dopo qualche secondo di esitazione lei sbuffò e con un sorriso sornione mi mise in mano un bicchiere di vodka, facendomi l’occhiolino e dandomi una piccola pacca sul fianco. Molto, molto vicino al sedere. Con la coda dell’occhio, intravidi Kurt sgranare gli occhi e guardarla allibito.
“Rilassati Blaine Warbler. Non sarai il primo e non sarai nemeno l’ultimo a rimanere fregato da una donna. E poi... se vuoi castigarmi, non sarò certo io a impedirtelo.”
Come?
“Sarai il mio signor Grey.”
“E tu sarai una donna morta.”
Kurt aveva fatto un passo in avanti convinto, avvolgendomi la vita con un braccio e rivolgendo a Priscilla un sorriso spettrale. Lei, in risposta, gli lanciò un’occhiata che oserei definire omicida: “Kurt. Ciao. Non ti avevo proprio notato.”
Cara, sarà per via di quel pettine che osi definire frangia.”
Spalancò la bocca avvilita, ma Kurt non le diede tempo per replicare, dato che si voltò verso di me dicendo: “Io ho sete, andiamo a bere qualcosa?”
E detto quello mi trascinò via lontano da Priscilla, sotto al suo sguardo combattuto e travolti dalla musica poppeggiante. Non riuscii nemmeno per un attimo a camuffare quel mio sorriso che gridava “felicità” da ogni angolo: era un po’ come il Kurt-sorriso che facevo sempre, ma stavolta più convinto, emozionato. Perchè insomma, non capitava tutti i giorni di assistere ad un Kurt Hummel geloso, e di una donna!
“Quella ragazzina non ha proprio un briciolo di dignità”, borbottò tra sè e sè mentre mi trascinava in un angolo della sala, accanto a Ed e Nick che stavano ballando in modo piuttosto ridicolo. Ma io continuavo a guardarlo, e sorridevo, perchè Kurt adesso aveva un’espressione quasi offesa ed era chiaro che stava ripensando alle avanche di Priscilla, e io...
“Kurt?”
Mormorò qualcosa di indefinito, e parlai solo quando ricevetti pienamente la sua attenzione.
“Quando fai così sei troppo adorabile.”
E quando arrossiva in quel modo era ancora meglio.
“Sì, beh, intanto dammi questo drink, niente alcool per te.”
“Perchè?” Protestai quando il bicchiere di plastica mi scivolò dalle dita, mentre Kurt metteva la mano su un fianco commentando: “Non so, quando bevi hai questa strana tendenza a diventare etero e baciare ragazze a caso. Meglio essere previdenti.”
La smorfia dipinta sul suo viso svanì completamente quando le mie labbra si posarono sulle sue.
Ma poi, ci staccammo con un piccolo sobbalzo, colti completamente di sorpresa. Il brusio di ragazzi confusi sovrastò l’immediato silenzio piombato su tutta la sala, adesso, perfettamente illuminata dalla luce.
Centinaia di persone si erano paralizzate sul colpo, altri non avevano ancora capito bene la situazione. Alcuni, i più sobri, scappavano via dalla porta di servizio, bisbigliando: “Gli sbirri!” e nascondendo le bottiglie di alcool.
Non sarebbe andata a finire bene.
“La polizia? Ma non è possibile!” Esclamò Kurt inarcando un sopracciglio e guardandosi intorno, mentre io cercavo di capire perchè tutti gli Warblers fossero misteriosamente scomparsi.
C’era qualcosa di strano. Priscilla si era avvicinata all’entrata, sembrava avesse visto un fantasma. Da dov’eravamo io e Kurt non riuscivamo a vedere granchè, avevamo metà sala e centinaia di persone davanti; da un lato, volevo allontanarmi anche io per evitare di ricevere una bella sospensione per introduzione di alcolici e fumo in luogo scolastico. Dall’altro, però, provai una fitta allo stomaco all’idea che Priscilla dovesse subire tutte le colpe di quella festa, come responsabile.
Certo, l’aveva organizzata lei, ma quante feste avevamo fatto noi Warblers? Se fosse successo a noi?
“La festa è finita”, sentii mormorare da alcune ragazze, e in quel momento vidi Jeff, David e Wes sorridersi quasi compiaciuti. Beh, un pochino, anche io fui felice del loro fallimento; purtroppo per me, però, ero sin troppo buono.
“Dove stai andando?” Kurt mi prese per un polso, bloccandomi giusto un attimo prima di allontanarmi da lui.
Non servì nemmeno dirlo ad alta voce: mi guardò, e la sua espressione confusa si trasformò subito in un dolce sorriso.
“E’ più forte di te, non è vero?”
“... Un po’ sì.” Ammisi. Nonostante il torto subito, nonostante non fosse esattamente la mia migliore amica... non potevo certo stare a guardare mentre Priscilla veniva sospesa. Per un attimo mi chiesi se lei avesse fatto la stessa cosa per me: probabilmente no.
“Dici che sono molto stupido?”
Il viso di Kurt si sciolse in un misto di tenerezza e ammirazione.
“No Blaine. Sei stupendo. E verrò con te; magari, in due, riusciremo a far ragionare il poliziotto.”
Con quel pensiero fisso in mente e la mano di Kurt stretta nella mia, attraversai a grandi falcate tutta la stanza, pronto a fronteggiare quel poliziotto e, probabilmente, prendermi parte della colpa. Chissà, magari, sapendo che la festa era stata organizzata da entrambe le scuole, i presidi sarebbero stati più indulgenti; non potevano certo espellere la rappresentante della Crawford e il leader degli Warblers, vero? ...Vero?
Gli amici che mi vedevano camminare verso l’entrata sorridevano: che avevano da ridere? Potevano anche aiutarmi e sostenermi. Mi sentii un po’ deluso. L’ansia cominciò ad arrampicarsi su di me, irrigidendo i muscoli, facendo contrarre la mascella e serrare le mani a pugno. Forse non era una buona idea; non era affatto una buona idea. Che cosa avrei detto a quel poliziotto? Come mi sarei comportato?
Ma poi, ogni domanda sfumò via dalla mia mente nell’attimo in cui vidi il volto di quell’uomo in divisa e cappello da ufficiale.
“Signorina lei è in guai MOLTO seri!”
Tre uomini in piedi davanti a lei. Il dito puntato contro. La postura eretta e un vago accento scozzese.
Mio fratello. E i fratelli di Ed e Colin, da quanto potevo dedurre.
“Ma-ma signore, io...”
“Alcool. Donne, minigonne e Barbie Girl nella stessa frase sono considerate illegali. Articolo... settordici della costituzione.”
Settordici?
Gli era andata bene che Priscilla non fosse molto sobria, in quel momento. Scoppiò a piangere e le sue amiche l’abbracciarono stretta, facendo commuovere il giovane poliziotto che- un attimo: stava piangendo?
No davvero. Che diavolo?
“Mi scusi...” Tentai di dire, ma fui bruscamente interrotto.
“Ho bisogno di un momento.” Mormorò con voce spezzata. I due poliziotti accanto a lui gli ... gli avevano appena dato una pacca sulla spalla?
“Ma stiamo seriamente scherzando.”
Kurt in tutto quello non ci stava capendo assolutamente niente; passava da me a loro con una velocità piuttosto inquietante, come se da un momento all’altro potesse perdere la testa. Certo, come spiegargli che quella era un’enorme farsa e che quello era, in realtà, il mio stupidissimo fratello e i suoi amici?
“Per stavolta vi lasciamo stare. Ma adesso sgomberate il campo e lasciate la sala agli Warblers.”
Le ragazze eseguirono gli ordini del poliziotto più alto senza fare obiezioni, e in pochi minuti la sala fu sgombera da striscioni e casse dello stereo, lasciando spazio a me e gli altri ragazzi; quest’ultimi, appena avutane la libertà, scoppiarono a ridere saltando e dandosi il cinque a vicenda, complimentandosi per la ottima riuscita del piano.
Davvero, davvero ottima.
“Blaine, non... che sta succedendo?”
Scossi la testa più volte, prendendo Kurt per mano, e portandolo esattamente davanti a mio fratello.
“Kurt, questo è Cooper. Cooper, lui è Kurt.”
“Kurt! Ma che bello. E’ finalmente un piacere conoscerti.”
La sua voce era cambiata completamente, molto più alta e, senza dubbio, priva di quell’assurdo accento scozzese; gli altri due poliziotti accanto a lui si erano tolti cappello e giacca per salutare i loro fratelli, abbracciandosi e ridacchiando compiaciuti.
“Allora Blainers, come sta Kitty?” Domandò Cooper passandosi una mano trai capelli fluenti. E in quel momento, fui quasi sicuro che Kurt fosse arrossito.
“U-un momento”, mormorò con voce roca, visibilmente senza fiato. “Lui... è tuo fratello?”
“Fratello maggiore Cooper Anderson, a rapporto.”
“Ma tu... ma lui... ma voi siete...”
“Attori.”
Attori?!” Esclamò, e io mi avvicinai un po’ di più prendendogli delicatamente una mano perchè, sì, in effetti visto da un occhio esterno poteva sembrare una situazione leggermente paradossale. Prima che potessi esprimermi e spiegare tutto, Colin mi anticipò, prendendo Kurt per le spalle e parlandogli con un sorrisetto: “Lascia che ti presenti Cooper, Telly e Bryan, classe ottantuno, settantotto e settantasei.”
“Sono... sono Warblers?”
“Mio fratello mi ha detto del vostro problema con la Crawford”, disse Bryan. “Cooper ha avuto lo stesso problema con Shannon, ai nostri tempi.”
“Shannon LA Shannon?” Esclamò Nick quasi ammirato. Era sempre un onore sapere aneddoti storici della Dalton.
Telly diede una gomitata a Cooper, ridacchiando sommessamente: “Si faceva fregare come un pollo.”
“Sapeva essere... convincente!” Tentò di controbattere lui. Io non dissi niente, ma si leggeva chiaro come il sole stampato su ogni volto dei miei amici, perfino di Kurt: buon sangue non mente.
“E quindi – proseguì Bryan – ho suggerito a mio fratello di utilizzare il metodo Thompson. Ex-Warblers camuffati da poliziotti e vincere questa serata.”
“Siete stati fantastici!”
 “Un gioco da ragazzi. Basta essere in parte, ignorare qualsiasi cosa dica l’altro personaggio e-“
“Coop – tagliò corto Telly - non ci fare la lezione di teatro adesso. Sei stato bravo.”
“Certo che sono stato bravo.”
Ovviamente. Il secondo nome di mio fratello sarebbe dovuto essere modestia.
“E’... è assurdo”, borbottò Kurt.
“No, è Warbler.”
Cooper fece un ampio sorriso, e guardò i suoi amici che dissero all’unisono: “Si è Warbler per sempre.” (*)
E, nonostante tutto, fui felice di sentire quelle parole.
“Immaginatevi la faccia di Priscilla quando domani andremo da lei e le diremo che è stata gabbata!” Nick stava saltellando sul posto ancora su di giri per quella sceneggiata, mentre gli altri si apprestavano a finire le ultime cose da bere e ripulire la stanza dagli striscioni rosa. E proprio mentre stavano per ringraziare mio fratello per l’ottimo lavoro svolto, lui alzò la testa al cielo dichiarando: “Sono troppo figo.”
Lo guardai strabuzzando gli occhi, sperando vivamente di non aver sentito quella frase.
“Eddai Blaine, è la verità. Sono figo. Guardami! Con questa divisa poi, mi scoperei. Tu non mi scoperesti? Ok tu magari no che sei mio fratello. Ma tu Kurt? Che ne dici?”
“Ok Coop, direi che potresti anche-“
“Andiamo Blainers.” Mio fratello mi passò una mano sulla spalla e con l’altra agguantò un braccio di Kurt. “Non vedo l’ora di sapere tutti i dettagli di te e Kurt. Da quando state insieme? Avete pensato al nome dei vostri figli? Interpreterò il protagonista quando faranno un film sulla vostra storia? Ma che domande, certo che lo interpreterò. Dimmi solo: mi vuoi più passionale, o intenso? Una cosa alla Robert Redford o alla Edward con una colite allo stomaco? Va forte, sai. Una cosa così.”
Fece una faccia che sembrò essere uscita da un horror giapponese con i sottotitoli tedeschi. Una di quelle cose che mi avrebbe accompagnato a lungo nelle mie notti insonni, o che, in altre occasioni, mi avrebbe fatto solo ridere.
“Coop...”
Cercai in tutti i modi di non arrossire, ma Kurt lo stava ancora fissando come incantato, gli occhi che brillavano per l’emozione e la bocca semichiusa.
“Come... come hai detto che si chiama, questa espressione?”
Bene. Il mio ragazzo aveva una cotta per mio fratello.
 



***




(*)"Once a Warbler, always a Warbler".
Angolo di Fra


Come ho detto nell'introduzione: buona Klaine Week in puro Blame it on Blaine-style!
Ci saranno sette OS ispirate alla mia prima fanfiction, e in ognuna di queste verrà citato il Kurt-sorriso. Perchè io lo amo e a quanto pare lo amate voi. Così come avete amato e continuate ad amare quella storia in un modo impressionante.
Così mi è sembrato carino ringraziarvi in questo modo, per tutto quello che avete fatto. Per ringraziare i miei primi "lettori" (diciamo compagni di scleri) perchè siete ancora qui.
Non potete capire che emozione è stata rivestire i panni del mio Blaine. Anche se non sono più abituata a scrivere in prima persona! Per motivi di ambientazione della ff ho dovuto interpretare i prompt in modo piuttosto libero (tipo questo, incomincio bene insomma ahah!) ma spero che vi piacciano comunque.
E niente, spero che tutto questo vi risollevi il morale. In tal caso, fatemi sapere.
Voi risollevate costantemente il mio quindi siamo pari :)
Volevo soltanto ringraziare di cuore Ilarina perchè mi fa sempre delle grafiche stupende (il Kurt-sorriso gente, guardatelo, penso che fisserò questo bannerino per ere) e perchè soprattutto mi fa le grafiche Klaine, nonostante non sia la sua ship. E per questo l'ammiro tantissimo e l'adoro.

Un bacione e buona Klaine week e buon Kurt-sorriso!

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Capitolo 2
*** Day 2: Roomates!Klaine ***











 
 
 

I professori mi avevano parlato della Dalton come di un’accademia seria e di classe, fatta di studenti a modo e, soprattutto, diligenti.
Nessuno, quindi, mi aveva accennato a chiodi di gruppo per giocare a calcetto, o a festini improvvisati nella stanza di qualcuno –spesso e (s)fortunatamente, la mia-, oppure a esibizioni corali degli Warblers nei posti più frequentati della scuola.
 
Blame it on Blaine – capitolo 2
 
(Questa OS è ambientata poco dopo il trasferimento di Kurt alla Dalton.)



 

 
A volte essere in camera con Flint era davvero estenuante.
C’erano dei momenti in cui si svegliava nel bel pieno della notte saltando sul letto e recitando qualche frase strana, come se stesse vivendo un film tutto suo, o una fanfiction venuta male. (*)
Altre volte, semplicemente, mi svegliavo con il suo viso a dieci centimetri dal mio, e no, ve lo assicuro, non era una immagine confortante.
“Cavolo Blaine, i tuoi capelli lievitano davvero di notte.”
Questo era grossomodo il commento che mi dava il buongiorno tutte le mattine.
Ma i momenti più snervanti sicuramente erano la quantità indefinita di festini, raduni, partite di football e cene al contrario che venivano organizzate nella nostra camera. Era come se fosse una specie di piazzetta degli Warbler; dopo cena non c’era bisogno di dire il luogo di ritrovo, finivano tutti da noi. Anche se, magari, io avrei dovuto fare qualcosa di utile tipo studiare, rilassarmi, ascoltare musica, parlare con Kurt insomma, vivere.
Per questo, ogni volta che arrivavo in sala mensa per salutare tutti gli altri facendo colazione, e incontravo Kurt, un po’ invidiavo il suo aspetto perfetto e il suo umore raggiante, così come il fatto che si risvegliasse ogni volta con il canto degli uccelli e una dolce suoneria del cellulare, e non con qualche infarto multiplo. Una volta vide le mie profonde occhiaie e gli sguardi omicida che lanciavo a Flint, e si era avvicinato a me con fare preoccupato.
“Blaine, ma hai dormito questa notte?”
“Tra un assalto di zombie e un rapimento alieno? Sì. Per due ore.”
“Un... cosa?”
Non ci fu bisogno di spiegargli la situazione: bastò pronunciare il nome di Flint.
“Ho fatto un sogno stranissimo”, stava dicendo a Ed e Colin che sembravano entusiasti e rilassati. Loro non avevano certo problemi di convivenza, erano praticamente identici; tifavano perfino per la stessa squadra di football, insomma, era il paradiso.
Un po’ li invidiavo. Tutto ciò che volevo era passare una serata tranquilla, senza frecciatine tra me Kurt e il mio ipotetico Kurt-sorriso, senza Pannocchia che soffiava e si strusciava sul letto cercando di sgattaiolare sotto le coperte, con un sonno durato almeno sei ore e, soprattutto, con Kurt.
Oh.
Quell’ultimo pensiero attraversò la mia mente senza nemmeno averci fatto molto caso.
“Blaine?”
E il mio migliore amico era proprio lì, con i suoi occhi azzurri e splendenti, le sue labbra rosee e-
No Blaine. Basta fare pensieri sul tuo migliore amico. Devi smetterla.
“Insomma, che hai fatto ieri sera?”
“Sono stato da Rachel”, mi rispose lui; il suo viso si sciolse in un piccolo sorriso, uno di quelli che ormai sapevo fossero collegati alla sua nostalgia per il McKinley.
“Siamo stati bene – continuò – abbiamo visto Com’eravamo e Mercedes è scoppiata a piangere sul cuscino a forma di renna.”
“Oh, c’era anche Mercedes?”
“Ah, sì, non te l’avevo detto scusami. I pigiama party sono sempre organizzati da noi tre.”
Oh no.
Oh no, no no.
“Blaine, perchè mi guardi così?”
Perchè aveva appena pronunciato la parola innominabile. Il tabù di ogni Warbler; ma Nick si era già alzato in piedi in mezzo a tutta la sala mensa, impugnando la forchetta come se fosse uno scettro, un sorriso fiero e smagliante, che lo rendeva ancora di più irrequieto.
E poi, con tono solenne, che non ammetteva repliche, sotto alla folla di Warblers esultanti dichiarò: “Stasera gli Warblers faranno un pigiama party!”
 
Ovviamente non avrei mai pensato che la cosa sarebbe andata veramente in porto. Insomma, in realtà il mio sogno primario era quello di dormire; Kurt invece era sin troppo emozionato: aveva già scelto il pigiama, la lista di film da vedere, il tipo di cibo da cucinare abusivamente nella mensa della Dalton e, per ultimo, ma non per importanza, il cuscino con il quale avrebbe dormito in camera mia.
Perchè, ovviamente, il pigiama party si teneva in camera mia. Non c’era nemmeno bisogno di dirlo.
Non sapevo bene come spiegarli che il loro tipo di pigiama party non era esattamente lo stesso che si aspettava lui; in realtà quel tipo di party degli Warbler fu ufficialmente abolito dal consiglio studentesco dal millenovecentoottantanove. Esattamente, dopo l’ultima volta che la camera di un ragazzo profumò di incenso per otto mesi e le tende di casa sua erano state tagliate con la forma di una decorazione natalizia. Senza nulla togliere alla cucina completamente distrutta, al corridoio inondato da birre vuote, alla televisione rotta e ad un paio di calzini appesi sul balcone. Ancora dovevo ben capire quell’ultimo dettaglio.
Stavo quasi per dire tutto quanto a Kurt, ma poi Jeff mi mandò a prelevare – o meglio, rubare – la televisione dallo stanzino del bidello, e fui costretto a separarmi dal mio migliore amico.
“Ci vediamo dopo, okay?”
“Non vedo l’ora, sono così emozionato!” Sussurrò battendo le mani con convinzione, “Dici che riusciremo a vederci tutte le edizioni de La Fabbrica di Cioccolato?”
Oh, Kurt.
“... Sì, perchè no.”
C’era una buona probabilità di vederlo durante le nostre prossime e infinite ore di punizione.
 
 
Dopo due ore distruttive della Pitsbury, senza neanche preoccuparmi di salutare gli altri ragazzi, corsi verso camera di Kurt tenendo ancora stretto il cellulare tra le mani. Mi aveva esattamente scritto: “Ho bisogno di vederti il prima possibile”, e sinceramente ero molto preoccupato. Kurt non mi mandava mai messaggi del genere; non quando andava tutto bene, almeno.
Tuttavia, nel momento in cui arrivai alla sua porta e feci per bussare, questa si spalancò lasciandomi completamente basito di fronte ad un Chase in felpa intento a lavarti i denti.
“...Ah.”
Dopo qualche secondo di silenzio, dedussi che quello fosse il suo bizzarro modo per salutarmi.
“Ciao anche a te, Chase. Kurt?”
Non rispose. Ovviamente. Mi rendeva sempre le cose così facili, lui.
“Senti, lo so che questa è un’ottima occasione per riempirmi di insulti o prendermi in giro per la mia voce da cantante pop-star di seconda mano, ma-“
“Aspetta.”
Colto in flagrante da quella parola, mi fermai di colpo, confuso. Chase sembrava incredibilmente serio mentre mi disse: “Non credo che la tua voce sia da pop-star.”
“...No?” Chiesi, gli occhi un po’ più grandi, l’umore un po’ più sereno. Forse Chase non era poi così tanto orribile cinico e menefreghista!
“No. In effetti ti vedo meglio a Broadway. Come turista.”
...Dicevamo?
“Senti, tu mandami Kurt e basta.”
“Non posso, è sotto la doccia.”
Rischiai seriamente di perdere la pazienza e sbattere la testa contro il muro perchè, davvero, non poteva dirlo prima!? Glielo dissi, in preda ad un attacco di nervi, e la sua unica risposta fu: “In effetti sì. Ma mi annoiavo. E tu sei uno spasso. Ci sono così tanti argomenti su cui prenderti in giro che penso creerò una specie di ruota, la girerò una volta al giorno e quella sceglierà l’argomento per me. Oggi a quanto pare riguarda il tuo estro canoro.”
“Dì a Kurt di chiamarmi, io vado in camera mia.”
Non avevo veramente voglia di stare a sentire i discorsi senza senso di Chase per tutta la serata; Kurt sarebbe stato bene, e poi, non avremmo forse avuto tutta la notte per parlare?
 
Ovviamente la notte cominciò alle sette di sera; esattamente, bastarono due vodka alla fragola, un apple martini, una bottiglia di rhum e una di limoncello, che Wes dopo il quinto giro aveva ufficialmente decretato essere membro onorario degli Warbler.
“E’ tutto così bello”, piagnucolò Ed, piangendo sulla spalla di Colin che, invece, era più concentrato a battere Jeff al Tetris della Supernintendo montata in camera.
Non c’era più una divisa che potesse essere definita tale, trasformate in camicie sgualcite, cravatte snodate e capelli spettinati. Qualche Warbler aveva cominciato a cantare la canzone dell’amicizia di qualche programma per bambini scovato alle sei di mattina; io stavo tentando inutilmente di isolarmi dal mondo, tappandomi le orecchie con i libri, quando un messaggio di Kurt mi fece improvvisamente destare:
“Non posso venire stasera. Divertitevi.”
Come?
“Blaine, che succede?”
“Ah, no aspetta!”
In meno di un attimo, tutti gli Warbler si radunarono accanto a me, chi sul mio letto, chi per terra, chi con una lente di ingrandimento.
“Osservate bene”, Flint aveva la voce del narratore di Nat Geo Adventure, “Gli occhi più brillanti, le labbra leggermente incurvate.”
“Ma non è un sorriso!”
“Questa è una rarissima variante del Kurt-sorriso. Si chiama, Kurt-sorriso-sono-troppo-preoccupato-per-il-mio-non-ancora-ragazzo.”
La stanza si riempì di una fila infinita di “aww” che mi fecero venire voglia di sparare a qualcuno. E poi sparare a me stesso.
“Allora cosa dice il nostro Kurt?”
“Lui... dice che non può venire.”
“Ma come non può venire. E’ ridicolo!”
“Secondo me Chase l’ha legato ad una sedia, come in qualche tortura cinese – commentò Ed – gli starà facendo vedere tutta la serie completa di 24 ore in Sala Parto senza pause.”
“Oh Dio, che trauma.”
“Ragazzi, dovremmo andare a vedere come sta.”
L’ultima frase di David scaturì una serie di mormorii e di facce pensierose in tutti gli Warbler, troppo ubriachi e pigri per decidere veramente di voler abbandonare il covo per andare a controllare Kurt. Sì: la mia stanza era stata ribattezzata il covo. “Tipo una bat caverna, senza tutta quella cosa gay tra Batman e Robin”, aveva detto Flint. Aggiungendo, anche, un “senza offesa, amico.”
Così, avrei dovuto immaginarmelo che la dichiarazione successiva sarebbe stata: “Mandiamo il più piccolo di noi a controllare.”
Il più piccolo di noi, in teoria, era Jeff: era nato il sette Gennaio, e si era iscritto proprio quell’anno.
Ma poi, qualcuno specificò: “Il più piccolo, Blaine Anderson.”
Ah. Intendevano, il più piccolo di statura; certo. Che amici adorabili che avevo.
Ma dopotutto, non era un grande problema andare a trovare Kurt, eccezion fatta per il dover incontrare di nuovo Chase e subire ogni sua lamentela.
Quando richiusi la camera del covo, sentendo la serratura da dietro la porta scattare immeditamente, una parte di me realizzò di non aver preso le chiavi della camera; perfetto, quindi. Ero ufficialmente diventato un senza-letto. Una versione Warbler di senza-tetto. Avrei vagato per i corridoi con un cartone di succo di frutta alla mano cantando canzoni di Johny Cash.
Con mia grande sorpresa e fortuna, ad aprire la porta della camera diciassette fu proprio Kurt.
“B-Blaine!” Aveva l’aria di uno che aveva appena scoperto una festa a sorpresa; il chè era buffo, contando che la festa fosse dall’altra parte della scuola.
“E’ il mio nome”, scherzai. “Sono passato a vedere come stavi.”
“I-io non sapevo esattamente che, cioè non credevo che, non-non avrei mai detto di-“
“Kurt. Ti prego.”
E non ero stato io a fare quel commento esasperato. E nemmeno Kurt, ovviamente. Chase si presentò dietro di lui con una smorfia poco convinta, incrociando le braccia al petto; il suo compagno di stanza si voltò, e in quel momento fece un’espressione che non potei vedere: doveva essere un’espressione piuttosto strana, o particolarmente eloquente, perchè un attimo dopo vidi Chase sgranare gli occhi e poi scuotere la testa ripetutamente.
“Devo farlo io?”
Kurt non rispose, ma potei leggere una certa esitazione nei muscoli tesi delle sue spalle, e quello mi fece confondere ancora di più.
“E va bene. Lo faccio io. Che palle però, tra tutti e due siete una tortura.”
“N-no Chase, aspett-“
Ma un secondo dopo il ragazzo aveva agguantato cuscino e coperta per uscire a grandi passi fuori dalla stanza, lanciando un’occhiata cinica a Kurt, e una gelida a me.
“Mi devi un favore, nano.”
“I-io?!” Balbettai; ma Chase era già sparito dalla nostra vista, lasciandoci completamente da soli, e io che dovevo ancora capire cosa stesse succedendo.
La prima risposta alle mie domande arrivò una volta che mi voltai di nuovo verso Kurt, osservandone l’abbigliamento: indossava un delizioso pigiama di seta blu, con dei risvolti bianchi; la sua pelle era liscia e luminosa, e i suoi occhi fissi a terra come imbarazzati.
“Kurt, ma perchè stai in pigiama? Ti senti poco bene?”
Realizzai solo troppo tardi tutto quello che stava succedendo.
“Io... niente, sono un cretino e-“
“Kurt.” Lo interruppi. Feci un passo avanti, afferrandolo delicatamente per le braccia. “Non sei un cretino. E ora mi dici cosa sta succedendo?”
Lo vidi deglutire più volte, come se non sapesse bene quali parole usare; alla fine, con molta calma, e tantissima esitazione, mi rivelò tutta la verità, e io restai semplicemente attonito.
“Pensavo... pensavo di venire ad un pigiama party. Ad un pigiama party come quelli che faccio con Rachel e Mercedes; credevo, sì insomma, pop corn e film d’epoca accompagnati da chiacchiere e risate. Cose così. Ma poi Chase mi ha detto che voi siete soliti festeggiare con birre e super alcolici facendo colazione alle cinque di mattina... e allora mi sono sentito un cretino perchè era ovvio che fosse così, sono sempre il pesce fuor d’acqua, e non volevo rovinarti la serata quindi... non sono venuto. Ecco.”
Non sapevo nemmeno da dove cominciare; innanzi tutto, dovevo far capire a Kurt in qualsiasi modo che tutto quello non era stupido. Ma adorabile.
“La tua idea di pigiama party e trenta volte più bella della nostra.”
Ero davvero sincero mentre dicevo quelle parole, e Kurt lo capì: sorrise come se si fosse svegliato da un brutto incubo, come se avesse capito solo in quel momento quanto io e lui fossimo simili.
“Non puoi capire quanto sia stufo di festini, alcool e discorsi su ragazze.”
“Soprattutto di discorsi su ragazze, immagino”, ridacchiò lui facendomi entrare nella stanza, completamente messa a soqquadro da vestiti e cofanetti di dvd. Riconobbi qualche collezione di Kurt mischiata ai film di Chase, e in quel momento mi voltai di scatto verso di lui inarcando un sopracciglio: “Aspetta. Perchè Chase se n’è andato?”
Oh. A giudicare dal rossore delle guance di Kurt che aumentava sempre di più, intuii che le rivelazioni apparentemente imbarazzanti non fossero finite.
“Io... no niente, lascia stare.”
“Kurt, dico sul serio.”
“Volevo fare un pigiama party con te”, ammise, tutto d’un fiato. “Volevo guardare tutti i musical della mia raccolta e poi svegliarti l’indomani a suon di cuscinate. E’-è stupido, lo so.”
“No.”
Era la cosa più bella che avessi mai sentito.
 
Non ci fu bisogno di esprimere a parole quel concetto; semplicemente, gli chiesi in prestito un pigiama, e mi cambiai velocemente in bagno; le maniche mi stavano un po’ lunghe, ma non era un vero problema. Mi sedetti sul letto, feci cenno a Kurt di unirsi accanto a me, prendendo in mano il telecomando del dvd e cominciando a selezionare un musical dalla sua infinita lista.
Alla fine optammo per Rent; lo avevamo visto insieme anche a teatro, ma eravamo semplicemente innamorati di quella storia e delle sue canzoni. Cantammo insieme ogni pezzo possibile soffermandoci nei momenti più romantici o particolarmente esilaranti; finimmo per sdraiarci sul suo letto a una piazza e mezzo l’uno di fronte all’altro, lui con un grosso cuscino a forma di cuore – regalo di Rachel -, io con un peluche a forma di orsacchiotto che ricordava molto quello della mia infanzia.
Ci raccontammo tutti i nostri sogni più strani e quelli che ci facevano svegliare nel bel mezzo della notte; mi raccontò di quanto gli mancasse avere suo padre in giro che borbottava qualcosa circa la difficoltà di cucinare una frittata decente. Mi raccontò del McKinley, dei suoi amici.
E io ascoltai ogni singola parola, perchè le avrei conservate dentro al mio cuore facendogli capire che poteva fidarsi di me; che sarei stato lì per lui.
Kurt, alla fine, sorretto da un piccolo e timido sorriso, si addormentò, senza nemmeno terminare il suo discorso sulle sue dieci canzoni che avrebbe voluto eseguire.
Ed era così bello guardarlo dormire; era così bella l’idea di svegliarsi la mattina dopo rivedendo lo stesso sorriso, ridacchiando per le nostre condizioni assurde, raccogliendo insieme le forze per alzarci dal letto caldo e affrontare la giornata.
Era bella l’idea di essere il compagno di stanza di Kurt, di trovarlo ogni volta che rientravo in camera, di sfogarmi con lui per ogni compito andato a male, magari, dopo aver passato notti intere a studiare insieme.
Quella fu una delle pochissime volte in cui, veramente, invidiai Chase con ogni singola parte del mio cuore.
Ma poi sognai di fare tutte quelle cose, e senza bisogno di sostituirmi al suo compagno di stanza.
Semplicemente, sognai di essere il suo ragazzo.
Ma io non ricordo mai i sogni che faccio.







***

(*)Sì. Mi prendo in giro da sola. E francamente mi diverto molto.
Angolo di Fra

Fluffosissima e davvero assurda, perchè mi pare di aver scritto della prima volta in cui Blaine dorme insieme a Kurt oltre Blame it on the Alchool, ed è prima del suo trasferimento al McKinley, vero?
Vabè, prendetelo un po' come un'AU della mia ff. Ahahah! Che cose contorte.
Non mi convince molto questa OS, ma spero che quanto meno vi faccia sorridere.
A domani!

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Capitolo 3
*** Day 3: Heroes ***






I miei occhi lo fissavano luminosi. C’erano così tante cose del suo passato che non conoscevo, chissà quante mille cose, quali scheletri nell’armadio, quanti dettagli che non mi avrebbe mai rivelato se non sotto tortura… non so perché, ma quella cosa mi riempì di emozione: io volevo sapere tutto di Kurt.
---Blame it on Blaine, capitolo 12.









Ci sono dei giorni che ricorderò per tutta la vita.
Non è che debba capitare per forza qualcosa di straordinario; a volte, me li ricordo senza un motivo particolare, basta un dettaglio, un’immagine.
Ultimamente mi capitava di memorizzare ogni singolo momento passato assieme a Kurt. Era come un album di fotografie, che sfogliavo di volta in volta, come se vivessi un po’ al rallentatore.
Quel giorno era iniziato nella tranquillità più assoluta: sveglia alle sette, colazione a mensa un’oretta dopo, lezione con la Pitsbury che, incredibilmente, era meno acida del solito. Con meno acida, intendevo dire che ci aveva chiamato “piccoli mostriciattoli canterini” soltanto una dozzina di volte, invece della solita ventina. Forse, l’aver ritrovato il suo amato gatto Pannocchia l’aveva un po’ addolcita; io e Flint gliel’avevamo lasciato giusto sulla porta del suo ufficio, con tutti suoi undici chili e il suo soffiare frenetico, mentre la donna sembrava avesse appena assistito ad un miracolo.
Quella mattina non vidi Kurt nemmeno una volta, per colpa dei corsi separati e della mancanza di prove degli Warblers: il consiglio aveva decretato una sorta di lutto collettivo, in onore del mesiversario della morte del nostro piccolo Pavarotti.
Era un modo come un altro per avere un giorno di ferie, per passare un po’ di tempo con i propri amici, fidanzate, parenti; io salutai Flint, Ed, Colin e Nick subito dopo il suono della campanella, rifiutando la loro offerta di film Western e cibo spazzatura. Avevo un impegno più importante, e una promessa da mantenere.
Kurt mi aspettò all’entrata della scuola; come sempre, era bellissimo: gli occhi azzurri erano risaltati dalla morbida sciarpa che gli avvolgeva teneramente il collo, e il suo sorriso radioso ne fece scaturire automaticamente uno sul mio volto, uno di quelli che i miei amici definirebbero Kurt-sorriso e prenderebbero in giro per delle ore intere. Ma era una specie di reazione a catena, era più forte di me.
“Passato una bella giornata?” Mi chiese, porgendomi una mano che afferrai senza esitazione.
“Adesso sì.” Mi strinsi nelle spalle un po’ imbarazzato, ma sapevo bene che Kurt adorava quelle risposte; gli lasciai un piccolo bacio sull’angolo della bocca, prima di incamminarci verso l’enorme cortile della Dalton.
Assomigliava ad una sola di centro sportivo, con tanto di attrezzi per la ginnastica, spazio per la corsa, sabbia per il salto in lungo e molte altre discipline; in realtà io e Kurt ci venivamo davvero poco spesso in quella zona della scuola, di solito era più un posto per atleti che per Warblers, ma sapevamo bene che all’ora di pranzo non ci sarebbe stato praticamente nessuno.
Camminammo così, mano nella mano, parlando di tutto e un po’ di niente: di me, della sua famiglia, del compito di francese della settimana successiva, delle prove con il glee Club. Era esattamente quello che rendeva le mie giornate con Kurt assolutamente uniche: era la sensazione di intimità, di affetto, di complicità, che ci aveva unito sin dalla prima volta.
La tomba di Pavarotti si presentò davanti a noi come se non fosse passato nemmeno un giorno dalla prima volta che l’avevamo vista; la piccola lapide era leggermente ammuffita, ma il suo nome e le date incise delicatamente erano ancora ben visibili. Fu in quel momento, leggendo il giorno della sua scomparsa, che mi resi conto di aver baciato Kurt esattamente trenta giorni prima.
Era cambiato tutto da allora, ma allo stesso tempo era rimasto tutto uguale. Eravamo ancora l’uno il migliore amico dell’altro, e se possibile, adesso, lo eravamo ancora di più.
“Secondo te se la passa bene?”
Kurt mi rivolse un’occhiata cinica, parlando con una punta di sarcasmo nella voce: “Oh non saprei. Tu ti divertiresti a stare chiuso sottoterra?”
A volte dimenticavo quanto fosse scettico, ma ormai sapevo bene come prenderlo: “Almeno la sua bara è carina.”
“Vero”, confermò, sereno. Bastava così poco a farlo sorridere; oppure, forse, bastavo io.
Continuai a fissare quel piccolo strato di terra con una certa commozione, il chè era piuttosto stupido, considerando che si trattasse di un canarino; ma quel canarino aveva avvicinato me e Kurt. In un certo senso, era stato un po’ il nostro cupido.
Ciao, Pavarotti. Il piccolo dialogo mentale nato nella mia mente mi fece un po’ sorridere.
Spero che tu stia bene. Ti saluta Pannocchia, il tuo caro amico.
Era considerato scortese fare del sarcasmo con un defunto?
Volevo solo dirti... grazie.

“Ti va di camminare un altro po’?”
Per poco non mi accorsi della domanda di Kurt, e così un po’ esitante annuii, dando un’altra piccola stretta alla mia mano e dirigendomi verso le sbarre con cui i ragazzi facevano i sollevamenti, e anche qualche volteggio di ginnastica artistica. Erano davvero alte: certo, dovevano esserlo, per garantire la sicurezza a qualsiasi ragazzo, ma per un attimo rimasi quasi intimorito da quella semplicissima sbarra di metallo.
Quando notai il bagliore di divertimento negli occhi del mio ragazzo, intuii subito la scia dei suoi pensieri, e quasi mi arrabbiai.
“Ti stai chiedendo se ci arrivo senza saltare?”
“In verità mi stavo chiedendo se ci arrivi e basta”, scherzò trattenendo a stento una risata, e io lo guardai torvo, imboccandomi le maniche della divisa.
“Stai a vedere. Sono più agile di quello che pensi.”
“Oh, non ne dubito.”
“Osi sfidarmi, Hummel?”
“Devi riuscire a fare due giri interi.”
“Solo due? Una passeggiata.”
Lui mi incitò con un gesto della testa, indicando la sbarra e dicendo: “Su allora, prego, Juri Chechi.”
Ok, forse, mi ero lasciato trascinare un po’ dal mio orgoglio e dal mio amore per le sfide. Ma dopotutto, quanto poteva essere difficile roteare su quella sbarra?
Molto, realizzai, una volta che mi ritrovai con la schiena a terra. Guardare due edizioni delle olimpiadi evidentemente non aveva fatto di me un grande atleta.
“Blaine, stai bene?”
Kurt corse verso di me quasi subito, a metà tra lo scoppiare a ridere e l’essere mortificato, e io mi finsi offeso per qualche secondo, giusto per farlo preoccupare un po’ di più; però, nel momento in cui avvicinò il suo viso al mio per guardarmi negli occhi supplicando delle scuse, io mi voltai di scatto lasciandogli un bacio a stampo, facendolo restare senza fiato. Avrei voluto approfondire il contatto, ma l’effetto sorpresa fece sì che si staccò quasi subito, mordendosi il labbro inferiore con quel suo fare imbarazzato ed euforico allo stesso tempo: “Se questo era un modo per ammutolirmi ed evitare che ti prendessi in giro-“
“Direi che ha funzionato”, lo interruppi, con un ghigno soddisfatto che fu subito cancellato via da un abbraccio che mi fece accasciare completamente a terra.
“Non hai ancora vinto”, decretai, “Adesso devi farlo tu.”
Mi guardò confuso, inarcando un sopracciglio: “In che senso?”
“Nel senso che adesso tocca a te fare due giri sulla sbarra”, affermai. Sembrò piuttosto titubante, come se avesse paura di farlo, oppure, di farlo vedere a me.
“Kurt.” Accarezzai dolcemente una sua guancia, rivolgendogli un sorriso confortante: “Lo sai che non ti giudicherò in nessun modo, vero? Insomma, io sono finito con il sedere a terra.”
“Ok. E’ solo che... non ti impressionare.”
Impressionare?
Ma non feci in tempo a chiederlo che lui era già in piedi con entrambe le mani sulla sbarra, gli occhi fissi sul cielo sopra di lui; non lo avevo mai visto così concentrato per un esercizio fisico. Forse, aveva paura di farsi male?
No. A giudicare da come si sollevò senza problemi facendo perno sulle gambe per roteare su se stesso, intuii che non fosse proprio quello, il problema.
“Quanti giri dovevo fare? Due?”
Cominciò a volteggiare sulla sbarra sfoggiando un piccolo sorriso che poteva solo essere interpretato come un: “Ho fatto rimanere di stucco il mio ragazzo e la sua faccia in questo momento è troppo divertente.” In effetti, non mi capitava tutti i giorni di rimanere a bocca aperta, con gli occhi completamente sgranati.
“Kurt...” Non sapevo cosa dire. Cosa potevo mai dire? Avevo appena scoperto uno degli ennesimi talenti del mio fidanzato e, oh, dovetti fare ricorso a tutte le mie forze per non pensare alle implicazioni della sua agilità fisica.
“Sì beh, diciamo che di tanto in tanto mi tengo allenato.” Era seduto sulla sbarra tenendosi con le braccia, le gambe ciondolanti proprio vicino a me. Aveva il respiro leggermente affannato, le guance arrossate per lo sforzo, e in quel momento pensai di essere il ragazzo più fortunato del mondo.
“Kurt, potresti... potresti abbassarti?”
“Cosa, non dirmi che soffri di complessi di inferiorità?”
“Molto simpatico”, canzonai, “No, ecco, riesci a fare quella cosa di... di tenerti con le ginocchia e scendere con la testa verso il basso?”
“Intendi così?”
In meno di un secondo fece quanto richiesto, congiungendo le braccia al petto con una certa soddisfazione, mentre io, lentamente, sentivo il mio cuore morire battito dopo battito, e il mio stomaco roteare su se stesso, grosso modo come aveva appena fatto lui.
“Blaine, andiamo, non è niente di chè, davvero.”
Ma più lui parlava e mi guardava con quegli occhi azzurri, più io mi facevo in avanti, senza distogliere mai lo sguardo dal suo. Lo vidi deglutire per qualcosa; non mi ero certo accorto del fatto che lo stessi letteralmente mangiando con gli occhi.
“Te l’avrei detto prima, però voi Warblers siete sempre così sicuri di voi stessi, e onestamente date poco spazio all’auto affermazione, e poi-“
Non mi interessava sentire qualsiasi discorso su qualcosa che non fosse noi. Non mi interessava, perchè in quel momento tutto ciò che volevo fare era afferrare il suo viso capovolto con entrambe le mani e baciarlo in modo intenso e passionale, facendo scontrare le nostre lingue, accarezzandosi con lentezza, i brividi che mano a mano ci correvano lungo la schiena.
E solo dopo lungo tempo sentii Kurt scostarsi leggermente da me, con le labbra arrossate e semplicemente deliziose, incurvate in un sorriso un po’ timido: “Buon mesiversario, Blaine.”
I miei occhi si illuminarono per un breve secondo, e io quasi scoppiai a ridere di nuovo; davvero, in tutto quello, non lo avevamo ancora detto?
“Buon mesiversario, Kurt. Ora, hai intenzione di scendere, oppure devo salire a prenderti per darti un abbraccio come si deve?”
“Tanto non ci riusciresti.”
“Kurt.”
“Okay, okay.”
Lo aiutai a rimettere i piedi per terra, impiegandoci davvero pochissimo tempo, dal momento che lui fece quasi tutto da solo con un ampio balzo. Ancora non riuscivo a credere a quello che avevo visto e, a quanto pareva, ci stava ripensando anche Kurt, dal momento che scoppiò a ridere mormorando: “... Ti rendi conto che abbiamo appena fatto la versione gay del bacio di Spider-man?”
“Spider-man non è bello quanto te”, ribattei, e poi aggiunsi perplesso: “Aspetta, quindi sarei Mary Jane?”
“E io sarei un ragno? Oh aspetta, meglio ancora: un OGM con il patafix alle mani.”
Quando riuscimmo finalmente a smettere di ridere, ci scambiammo un altro bacio.
E pensai che fosse tutto perfetto. Perchè Kurt era perfetto. Perchè, anche se lui scherzava soltanto, io credevo fermamente che lui fosse il mio adorabile spider-man personale.
Dopotutto, anche se non lo avevo ancora realizzato, lui mi aveva salvato entrando nella mia vita. Con i suoi sorrisi, con la sua sicurezza. Mi avrebbe insegnato ad affrontare le mie paure, la mia famiglia, ad essere esattamente me stesso.
Ci sarebbe stato sempre.
E lui sarebbe stato per sempre il mio eroe.






***



Angolo di Fra:

Lo so. Tutti voi vi aspettavate la nerdata del secolo. Voglio dire, me lo aspettavo anche io dalla mia mente contorta. Ma proprio perchè era TROPPO ovvio mi son detta "no, facciamo qualcos'altro". E così ho fatto la cosa meno nerd che potessi fare. Spero che vi sia piaciuta. A me è piaciuta molto mentre la scrivevo, ora rileggendola mi viene da vomitare arcobaleni quindi direi che siamo ad un livello di romanticherie Klaine standard.
E poi, le VERE idee nerd le sto conservando tutte per il sequel di Headshot. ;)
A domani!

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Capitolo 4
*** Day 4: Skank/Nerd ***








Non ci credeva? Bene, quella sera sarei stato l’uomo più sobrio del mondo!
 
Ero l’uomo più ubriaco del mondo.
-Blame it on Blaine, capitolo 14

 
 
 
Ronzio. No, anzi, brusio. Continuava imperterrito accanto al mio orecchio, e io non me ne sarei accorto se non fosse stato per un tonfo sordo fuori dalla mia camera, probabilmente causato da qualche Warbler che era inciampato nelle scale del dormitorio.
Cercai di aprire gli occhi, ma sentii come un macigno posarsi sulla mia faccia, una sorta di incudine fatta da alcool, sonnolenza e sessantotto chili di Kurt spalmati addosso.
Un momento. Kurt?
“Mhhhhmmmmmmmmhmmmmm.”
Ecco spiegato il brusio.
“Ma che diav- oh.” Fui costretto a richiudere gli occhi di scatto per via della luce che filtrava senza pietà dalla finestra, e quando mi portai una mano sul viso mi accorsi finalmente della mancanza di qualche indumento. Del tipo, che ero con soltanto i pantaloni della divisa e la camicia sbottonata a due metri dal letto.
“Cazzo.” Mi alzai di scatto in piedi, scostando un po’ bruscamente il corpo di Kurt per analizzare la situazione circostante; camera mia era completamente messa a soqquadro da bottiglie di birra e buste di patatine vuote, c’erano delle coperte mezze imbrattate di qualche sostanza umida e un denso odore di alcool che sovrastava me, Kurt, le tende e anche una parte di lenzuola. Chiari segni di un precedente festino Warbler: fin qui, tutto normale. Anche avere un terribile dopo sbronza, a conti fatti, era del tutto plausibile: non era certo la prima volta che mi svegliavo con un mal di testa lancinante e Kurt accanto a me, nelle medesime condizioni. Eravamo Warblers, dopotutto. Eppure, c’era come un certo presentimento, come un alone malvagio, che mi faceva stare un po’ sull’attenti.
“Blaine?”
Mi voltai di scatto, come preso in contropiede; e per quanto fosse una visione assolutamente paradisiaca avere Kurt al mio fianco, vederlo svegliarsi dolcemente, per quanto una minuscola parte di me desiderò che succedesse altre milioni di volte, non riuscii proprio a contenere una risata non appena vidi le sue occhiaie, accompagnate da un’espressione poco convinta.
“Chi... dove... perche?”
“Una domanda alla volta, che ne dici?” Borbottai risdraiandomi sul letto per trovarmi a pochi centimetri dal suo viso. Aveva ancora gli occhi chiusi, forse, più per volontà che per bisogno.
“Buongiorno.”
“Buongiorno”, miagolò, evidentemente, anche a lui bastò poco per fare due più due e capire la situazione;  quando feci per dargli un piccolo bacio si scostò indietro facendo una piccola smorfia, allibito: “Blaine non mi vorrai veramente baciare.”
“...Sì? Sai credo che in quanto fidanzato io abbia qualche diritto a riguardo. O dovere, a seconda dei casi.”
“Non quando sappiamo entrambi di alcool e abbiamo un’intera serata da focalizzare. A proposito...” si passò una mano davanti gli occhi, cercando di riacquistare lucidità e rimanere concentrato: “Tu ricordi qualcosa?”
“Black out totale.”
“Come sempre?”
“Come sempre. Cavolo Kurt, la prossima volta che ci sbronziamo ad una festa faremo meglio a-“
“Oh mio Dio.”
Mi fermai. Perchè Kurt adesso aveva aperto gli occhi, eccome se li aveva aperti: sembrava che avesse visto una specie di dinosauro. O un mostro situato, esattamente, all’altezza dei miei capelli.
“Oh no.” Feci per tastarmeli quasi spaventato, cominciò a mancarmi l’aria nei polmoni, lui continuava a fissarmi come se non si ricordasse come parlare e ne approfittai per rantolare qualche discorso sconnesso e agitato.
“Ho – ho i capelli che sono un disastro vero? Ho i riccioli, lo so, cerco sempre di tenerli a bada con il gel ma-“
“Blaine. No. Tu. Capelli. Rosa.”
E un momento.
Rew, stop play.
Tu. Capelli. Rosa.
Capitolai giù dal letto, trascinandomi poco aggraziatamente una coperta e mezze lenzuola, mentre sentivo Kurt continuare a trattenere il fiato nel più completo stato di shock.
Ed eccoli lì. I miei capelli. I miei poveri, innocenti, capelli, ed erano fucsia.
“Oh mio Dio.”
“Okay, stiamo calmi, stiamo molto calmi.” Kurt si alzò subito dopo, arrivandomi lentamente alle spalle, afferrandole con forza mentre continuava a vedere il mio riflesso allo specchio: “Non è sucesso niente, insomma, una tinta si può lavare via... Blaine ma perchè hai i capelli rosa?”
“Non lo so. Non me lo ricordo!”
Stavo piagnucolando. Letteralmente, piagnucolando. Kurt sembrò quasi svenire sul posto, ma per fortuna era troppo preoccupato a reggere me: era proprio ben visibile, un orecchino che, per fortuna, era fatto con la clip così da poterlo togliere quasi subito; ma prima indugiai a osservarne le fattezze, sembrava molto simile a quello dei venditori ambulanti che si trovavano per le strade di Lima, di qualità scadente e, di certo, non di mio gusto.
“Blaine.”
“Oh no.” Avevo già intuito dal suo tono di voce tremante che, forse, le sorprese non fossero finite lì.
“Blaine... adesso devi prendere profondi respiri.”
“Cosa Kurt, andiamo, uccidimi ora e facciamola finita subito.” Borbottai con gli occhi serrati, i pugni stretti e la mascella contratta in una smorfia. Mi preparai al peggio; davvero, ci provai. Ma poi quando sentii il mio ragazzo dire: “Hai un tatuaggio.” Rischiai quasi un attacco cardiaco.
“No dai Kurt, non scherzare.”
“Non sto scherzando. Hai veramente un tatuaggio. Sul braccio destro.”
Forse, se avessi tenuto gli occhi chiusi, sarebbe scomparso? Ma dopo aver raccolto ogni mia pazienza e fatto appello a tutto il mio coraggio, abbassai lo sguardo verso il bicipite, e si trovava proprio lì: un tatuaggio di un delfino con un diario che diceva LA SKUOLA FA SKIFO.
“Io... io devo...”
“Siediti”, ordinò Kurt, e io fui ben lieto di obbedire perchè, beh, mi sentivo un po’ a corto d’aria, e il suo sguardo preoccupato non aiutava granchè, francamente. In pochi secondi eravamo di nuovo sul letto, l’uno voltato verso l’altro, le mani intrecciate e un po’ sudate, forse, per l’attacco di panico che ci stava cogliendo in pieno petto.
“Blaine... non ti ricordi niente?”
“No. Tu?”
“No. Però è strano, voglio dire, tu...”
E poi si bloccò. Si bloccò e per un attimo credetti quasi che stesse per notare qualcos’altro di terribile, ma poi, improvvisamente, lo vidi scoppiare a ridere.
“Certo, come no”, bofonchiai, sviando lo sguardo, “Ridi pure di me, non ti preoccupare.”
“Ma Blaine”, cercò di discolparsi lui, “hai i capelli fucsia.”
Oh beh, in effetti, non potevo dargli tutti i torti. Però, non mi impediva di prenderlo un po’ in giro e dire: “Kurt, sei davvero meschino, non sono fucsia.”
“No, infatti. Sono più rosa schiaparelli.”
E forse non era molto carino ridere di me stesso, ma dopotutto, come potevo trattenermi quando la risata di Kurt era così contagiosa?
Pensavo che il peggio fosse passato, che adesso avremmo potuto finalmente occuparci di far tornare i miei capelli ad un aspetto normale, di togliere quel tatuaggio che sembrava uscito da un pacchetto di patatine e, magari, di disinfettarmi l’orecchio per evitare qualche malattia tipo il tetano. Ma poi, nel momento in cui entrambi ci alzammo per dirigerci in bagno, e Kurt mi lasciò dolcemente un bacio a fior di labbra prima di aprire la porta, un altro, misterioso mondo si aprì di fronte a noi, e noi due non sapemmo proprio più cosa dire.
“Kurt...”
Perchè c’era una foto di lui con la maglietta di Superman, attaccata allo specchio del bagno?
 
 
 
La sera prima
 
“Blaine, quanto hai bevuto?”
“Nnnnnnnnnoon tanto!” Esclamai facendo versare mezzo Long Island, con la musica di Ke$ha che risuonava per tutto il corridoio buio illuminato solo da qualche luce al neon; il dormitorio degli Warbler si era trasformato in una vera e propria discoteca, con tanto di barman – Wes aveva fatto un corso d’estate, e in realtà era piuttosto bravo -, casse prese dalla camera di Jeff e DJ FUNKY, che in realtà era soltanto il soprannome di Colin. Nessuno aveva avuto il coraggio di smontare il suo entusiasmo quando l’aveva scelto.
“Siete tutti bellissimi, questa notte è solo vostra!” Urlò contro il microfono che raggiunse le potenti casse, con un tono di voce che sembrava uscito dall’ultimo video di Lady Gaga. Erano le classiche frasi che si ripetevano in discoteca, ma insomma, eravamo tutti troppo sbronzi per l’originalità.
Io, in particolare, avevo bevuto esattamente otto shortini, un cocktail alla menta e adesso stavo per finire il long island alla coca-cola, anche se, francamente, non mi ispirava poi molto.
Era passata quasi mezz’ora e io non avevo ancora nessuna traccia di Kurt.
“Ed, ehi, Ed!” Urlai all’orecchio del mio amico, che in quel momento era intento a rimorchiare una della Crawford imbucata insieme a Priscilla e altre sue amiche.
“Blaine, non lo so dov’è Kurt, non scocciare.”
Sgranai gli occhi, pietrificato: “Oh mio Dio Ed, mi leggi nel pensiero! Stavo proprio per chiederti di Kurt!”
“No Blaine, e frena il tuo alcool in corpo”, sentenziò prendendomi per le braccia e costringendomi a stare fermo sul posto, mentre io stavo cercando di fare tutto l’opposto.
“Non ti ho letto nel pensiero, mi è bastato vedere il Kurt-sorriso che hai stampato in faccia.”
“Kurt è proprio bello, non è vero?”
“...Sì. Sì Blaine.” Ormai sapeva che non c’era un vero e proprio modo per evitare il mio tono languido, specialmente quando avevo bevuto.
“Che ne dici di andare a cercarlo? Eh? Ce la fai a camminare?”
“Certo che ce la faccio!” E come dimostrazione tentai di sollevare la gamba stando in equilibrio su una sola, ma con scarsi risultati; abbozzando una smorfia, mi girai di centottanta gradi per camminare con passo spedito verso l’altra parte del dormitorio, più o meno, dove si trovava la mia stanza invasa da alcool, cibo, persone e sigarette.
“Kurt? Kurt!”
Il mio ragazzo stava dicendo qualcosa a Wes, giocherellando con la sua cravatta sgualcita e guardandolo in modo incredibilmente deciso: “Allora hai capito bene?”
Avrei subito intuito quanto fosse stato ubriaco, se io non fossi stato esattamente come lui.
“Sì”, ripetè Wes, “Formula Warbler: qualcosa di alcolico, la più forte che ho e anche se fa schifo va bene.” (*)
“Bravo.”
Mentre lui annuiva verso il nostro amico, aspettando il suo cocktail misterioso, io gli cinsi la vita da dietro, lasciandogli un bacio sul collo. Dio, Kurt era così sensuale...
“Ecco dov’eri!” In meno di un secondo, si voltò verso di me abbracciandomi stretto, per poi cominciare a baciarmi ignorando completamente il resto del mondo che ci circondava.
“Ehm... ragazzi? Kurt? Non lo vuoi il tuo drink?”
Wes dopo poco rinunciò all’idea di stabilire un qualsiasi contatto con noi, tornando ad occuparsi degli altri e lasciando io e Kurt a baciarci con disinvoltura per le seguenti due ore e mezza; lui era spalmato completamente contro il muro e aveva le braccia avvolte contro le mie spalle, mentre io passavo dalla schiena alla vita accarezzandole dolcemente.
Avremmo potuto continuare in quel modo per sempre, lasciandoci annebbiare la testa dal rumore davvero assordante e dall’alcool che ormai aveva preso completamente il controllo dei nostri corpi, ma poi Flint ci passò accanto quasi sbandando contro di noi; si fermò barcollando, chiedendoci subito scusa, ma poi il suo sguardo cadde inevitabilmente sul mio braccio scoperto, dal momento che indossavo una semplice maglietta a mezze maniche.
“Dì un po’ Blaine, lo vuoi un tatuaggio?”
“Se voglio un tatuaggio?”
“Sì, un tatuaggio, lo vuoi?”
“Ma che tatuaggio?”
“Tu dimmi solo se vuoi un tatuaggio!”
“Dai Blaine, digli di sì così sparisce prima”, mormorò Kurt contro il mio orecchio, la voce talmente bassa che mi fece venire i brividi.
Beh, come dire di no dopo una frase del genere; gli esposi il mio braccio ignorando completamente tutto quello che stava subendo, dal momento che ero troppo impegnato a venerare il mento e il collo del mio splendido, sensuale, meraviglioso ragazzo.
“Ecco qui.”
Mi voltai giusto in tempo per vedere quello che sembrava, a tutti gli effetti, una sorpresina uscita dalle patatine, con una frase stupida e che in quel momento non riuscivo nemmeno a leggere bene.
“Sei fantastico.” Flint sembrava del tutto compiaciuto, come se stesse ammirando la sua opera d’arte: “Sembri un vero punk adesso.”
“Sì, nel mondo di Patty, forse.”
“I punk sono sexy.”
Fu proprio allora, esattamente in quell’istante, che mi paralizzai: perchè mon avrei mai creduto di sentire una cosa simile; non da Kurt, per lo meno. Perchè nel mio corpo avevo più litri di alcool che di acqua, e Kurt mi stava guardando con un sorrisetto che avrei osato definire... malizioso.
Da lì, bastò veramente poco a dirigermi nel bagno con lui e Flint, mentre quest’ultimo applicava una sostanza dalle dubbie origini sui miei capelli, spacciandolo per un gel per acconciature anti-gravità.
“Fidati”, continuava a ripetere, e forse, mi sarei dovuto accorgere da quello che non era molto conveniente affidare la mia testa a uno completamente ubriaco. “L’ho preso dalla camera di Nick, è a prova di bomba. Altro che quello stucco che usi tu. Adesso sciacquati, sarai fighissimo!”
“Voglio essere anche io fighissimo”, borbottò Kurt, e io afferrai il suo viso con entrambe le mani, dandogli un lungo bacio.
“Ma tu sei sempre fighissimo, sei il mio ragazzo fighissimo.”
“No Blaine, tu sei un punkettaro, voglio essere anche io qualcos’altro. Facciamo tipo i roleplay!”
E, per un brevissimo momento, quella millesima parte di me che era ancora lucida lo guardò stranito, perchè no, non poteva davvero avermi proposto di fare... di travestirci.
“Ma che bella giornata, vi pare?!” Flint sembrava indeciso se ridere o scappare via, cercando di distrarci e, magari, cambiare argomento di conversazione, ma Kurt sembrava incredibilmente fissato su quello, continuava a dire di voler essere figo, che io ero figo, e che lui non sarebbe mai stato figo abbastanza.
Beh, da ubriachi non si fa molto caso alla ripetizione di concetti e parole.
“Che succede qui?” Nick piombò nel nostro bagno, senza maglietta e con una macchina fotografica in mano. Eppure, la sua espressione era sin troppo allarmata per un comune ragazzo che aveva preso un drink di troppo: “Flint, quello è il MIO gel?”
“... Sì? Lo sto mettendo su di Blaine per fargli una bella cresta, ma ha i capelli troppo corti!”
“... Oh Dio.”
“No. Cosa?” Bofonchiai, ma poi Flint mi fece di nuovo voltare la testa, tappandomi le orecchie come se fossi un bambino.
In realtà, tutto ciò che riuscii a captare dalla loro conversazione fu scherzo a Colin, gel finto e rosa, ma insomma, dovevo essermelo immaginato, no? Come facevano tre parole del genere a finire nella stessa frase? Era colpa dell’alcool. Sicuramente colpa dell’alcool. Il giorno dopo non mi sarei ricordato niente.
Quando Flint si staccò da me era sull’orlo di piangere dalle troppe risate, mentre indicava la macchina fotografica di Nick dicendo: “Dovrai proprio fare una foto, lo sai.”
Era una di quelle polaroid che probabilmente dovevano appartenere a suo fratello, o a suo zio, o a qualche Warbler diplomato che aveva lasciato quei cimeli in favore delle generazioni future. Conteneva gli scatti di tutte le cose più imbarazzanti della scuola, da Ed che aveva pianto per una puntura di vespa a David che si era presentato a lezione vestito da Papa, con gli altri ragazzi che facevano i preti e, qualcuno, le guardie del corpo con tanto di auricolare. Era un oggetto mistico, di cui si provava sia affetto che paura: quella macchina era il presagio per qualcosa di epico.
“Nick, perchè sei senza maglietta?”
“Superman!”
Di nuovo, tutta la nostra attenzione fu catturata dall’esclamazione di Kurt, che adesso stava indicando la maglietta che Nick teneva tra le mani.
“Superman, eccolo! Voglio essere Superman!”
“Kurt, sei ubriaco”, cercò di sdrammatizzare lui, forse perchè non era poi così tanto contento che il mio ragazzo si stesse letteralmente avventando sulla sua maglietta.
“Eddai Nick, me la presti? Posso diventare un eroe e volare. Come Buzz Lightyear.”
“Ma Buzz Lightyear non-“
Lo bloccai con un gesto secco della mano, intimandogli di non proseguire: non volevo sorbirmi per la seconda volta tutta la crisi di pianto di Kurt per Buzz che era caduto dalla finestra.
Senza nemmeno aspettare un’ulteriore conferma, Kurt si tolse la camicia e si infilò in un attimo la maglietta di Nick, guardandosi allo specchio come compiaciuto; se non fossi stato troppo ubriaco per rendermi veramente conto della situazione, probabilmente, sarei scoppiato a ridere immediatamente.
“Non assomiglio per niente a Superman.”
“No”, commentò Nick, “Sembri più uno di quei nerd che passano il sabato sera a guardare telefilm di terza categoria.”
“Nip and Tuck è un grandissimo programma!” Ribattè quasi offeso, ma poi strizzò gli occhi infastidito dal flash accecante della macchina fotografica.
“Non ti azzardare a fare una foto.”
“Ma l’ho già fatta.” Sventolò l’immagine sbiadita fra le mani, e poi Kurt si avventò su di lui con uno scatto repentino, come se volesse placcarlo, minacciarlo, picchiarlo o, probabilmente, strappargli l’arma del delitto fra le mani e frantumarla a terra in mille pezzetti.
“Blaine, Blaine!” Flint stava cercando di trattenerlo bloccandolo con entrambe le braccia, mentre il nostro amico sgattaiolava via dal bagno con una risata malvagia. “Fai qualcosa, insomma, è il tuo ragazzo!”
Oh, e va bene, pensai. Perchè, dopotutto, c’era un solo modo per calmare Kurt Hummel quando era completamente ubriaco e isterico.
“Blaine non ti azzardare nemmeno a fermarmi quella foto finirà su ogni annuario della scuola e io odio con tutto il mio cuore quel manichino che si osa definire uomo e tu... perchè ti stai avvicinando, non ti avvicinare, non ti voglio, lasciami combattere la mia guerr-“
Il resto della frase morì contro le mie labbra, le sue mani andarono a stringere immediatamente il mio collo e noi continuammo a baciarci per ore ed ore, senza il minimo risentimento.
Poco importava se ad un occhio esterno sembravamo due usciti da un videoclip sui Clash e dal Comicon.
Era la regola diciassette di un Warbler: “Se non lo ricordo, non è successo. E le foto sono false.”







***

Angolo di Fra

Non ha senso.
Davvero, non ha per niente senso.
Visto che non so davvero come commentare questa OS penso che vi dirò un piccolo random fact: il (*) l'ho messo perchè è la MIA formula drink quando vado a ballare. E poi mi chiedo perchè non mi ricordo mai niente ahahahahah
vabè basta. Non ha senso questa OS.

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Capitolo 5
*** Day 5: Photographer/Model ***







“Pensate che Kurt abbia ragione, sono troppo al centro della scena?”
I ragazzi si guardarono di rimando, stringendosi nelle spalle.
“Sei il solista, Blaine.”
“E sei egocentrico.”
“Sei il nostro ragazzo copertina!”
“Con i tuoi occhioni da cucciolone riusciresti a venderci perfino quello che indossiamo.”
“Attirare l’attenzione è il tuo mestiere!”

--Blame it on Blaine, capitolo 16.



 


Avete presente un servizio fotografico?
Uno di quelli in cui ci sono un sacco di luci, e di modelli bellissimi che vanno in giro mezzi nudi, con truccatrici che ti sistemano i capelli e direttori artistici che fanno uscire il lato migliore di te?
Ecco. Prendete tutte queste cose, mettetele al contrario, e avrete esattamente l’immagine di Priscilla Bay che cercava di scattare delle foto a me e Kurt.
Ma meglio partire dall’inizio.
L’inizio, a dire il vero, era stato quasi divertente; Kurt era tornato al McKinley, ma veniva spesso alla Dalton per farmi compagnia: i suoi orari erano molto faticosi dei miei, e così dopo le lezioni o il Glee Club si fermava per chiacchiarere, o per un caffè. Di solito facevamo una passeggiata lungo il cortile della Dalton, magari, prendendoci per mano, qualche battuta, qualche carezza; e Priscilla sbucava puntualmente da dietro quella grata che ci divideva dalla sua scuola, cominciandoa a fare foto con la sua Nikon. A lungo andare io cominciai a stufarmi tanto quanto Kurt cominciò a prenderci gusto; non lo avrebbe mai ammesso, non ad alta voce per lo meno: l’idea di essere il soggetto di qualche fotografa amatoriale lo faceva sentire come un piccolo modello. Per non parlare del fatto che, finalmente libero dalla divisa, poteva sfoggiare il suo look al mondo intero. Io, nella mia misera divisa, mi sentivo un po’ ridicolo a camminare accanto a lui e a tutto il suo splendore, perchè fidatevi, era tanto: non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Sembrava che lo facesse apposta a mettere quei pantaloni aderenti, o quelle camicie scure, o quelle cinture che gli risaltavano la vita e- insomma, avete capito.
Certo, non mi aspettavo che lo avesse capito Priscilla: ogni benedetta volta la vedevo scattare qualche foto per poi fare “ciao ciao” con la manina; noi la salutavamo, non c’era niente di male, in fondo. Magari stava facendo delle foto alla scuola, non a noi: magari aveva provato una sorta di affetto verso la Dalton, cosa scontata se non del tutto inevitabile. Ad ogni modo, ero sinceramente sollevato che avesse smesso di chiamarmi Mr Grey e mandarmi sms da maniaco seriale.
Era ormai Primavera inoltrata e da un po’ di tempo, ormai, ci capitava di attraversare il cortile della Dalton salutati da qualche ragazza della Crawford che cacciava fuori gridolini strani o risatine inquietanti. Succedeva anche quando qualcuno degli Warbler ci presentava la sua ragazza – ovviamente della Crawford, non c’era tanta scelta, nei dintorni - e lei sapeva già i nostri nomi e stringeva la mano come se stesse parlando con dei vip.
Era tutto molto strano. “Ma no”, continuava a ripetere Kurt, “E’ normale, tu sei il leader degli Warblers.”
Certo, ma chissà come mai avevo la netta sensazione che quell’euforia non riguardasse solo me, Blaine.
Piuttosto...
Klaine.
Quella parola spuntò dal mio Facebook in una giornata tiepida e noiosa; non aveva un significato da me conosciuto. Assomigliava a una marca di balsami, o a una di quelle pubblicità per cosmetici prodotti in cina; l’avevo letta in un post che un membro delle GG aveva lasciato sulla sua bacheca, un post che, francamente, mi lasciò un po’ allibito. E no, non soltanto per via di quella parola strana.
 
Shanny KLAINE Sunny scrive:
OMG HO APPENA VISTO I KLAINE FUORI DALLA SCUOLA SONO BELLISSIMI OKAY SONO FANTASTICI SONO AWWOSISSIMI E POI A UN CERTO PUNTO SI SONO PRESI PER MANO E IL VERSO CHE è SCAPPATO DALLA MIA GOLA NON ERA UMANO OKAY? OKAY. STO PER SVENIRE. E POI KURT è COSì FIKOOOOO VORREI SPALMARE LA MIA FACCIA SULLA SUA BLAINE FATTELO ANCHE PER TUTTE NOI OH MIO DIO.
 

“Kurt?”
Il mio ragazzo, seduto sul letto di camera mia, cacciò fuori la testa dalla sua rivista di Vogue e mi lanciò uno sguardo enigmatico; certo, doveva aver intuito l’atmosfera della conversazione dal mio tono di voce cauto e, sì, un pochino spaventato.
“...Blaine?” Fece eco lui come per sdrammatizzare, come se stesse cominciando già la sua opera di rilassamento perchè i miei occhi erano fissi sullo schermo, e il mio corpo era come pietrificato.
Visto che non riuscivo a parlare per spiegargli formalmente la situazione, fu costretto ad alzarsi in piedi, dirigendosi verso la scrivania. Lo sentii palesemente trattenere il respiro mentre leggeva quello stato... che poi, era uno stato? Si poteva definire così? A me sembrava molto un ammasso di OKAY e termini che assolutamente non capivo. Tipo awwosisssimo; ma era pronunciabile? Oppure, quel Klaine.
E poi un lampo attraversò la mia mente come se si fosse accesa una lampadina molto pericolosa.
“Klaine. Kurt e Blaine.” Kurt mormorò quelle parole come se fossero di vetro.
“Oh Dio. Abbiamo delle fan.”
 
 
C’era solo un nome ricollegabile a tutto quell’ammasso di scleri, ragazzine con troppi ormoni e post illeggibili: Priscilla. Ovviamente, pensò una parte di me, perchè adesso tutti i suoi stranissimi comportamenti finalmente avevano un senso; a dirla tutta, da una come lei dovevo un po’ immaginarmelo. Di certo, però, non mi sarei mai immaginato che tenesse un blog da capitana delle GG – no, non Gossip Girl, Gattine Graffianti – in cui parlava un po’ di tutti gli Warblers e, in particolare, di me e Kurt. Dei nostri modi di camminare; di come prendevamo il caffè. Del colore dei nostri occhi e di quanto fossimo “awwosi” insieme. C’era scritto proprio così, awwosi.
Erano bruciati tutti i dizionari, visto che erano costrette a inventarsi aggettivi orrendi?
Ero allibito. Allibito e, sinceramente, confuso: era già difficile gestire il mio rapporto con Kurt limitandoci ad amici e parenti, non riuscivo proprio a contemplare l’idea di doverlo esternare a tutto il resto del mondo. Anche se, ovviamente, la Crawford aveva una politica contro le intolleranze pesante quanto la Dalton e i casi di omofobia erano assolutamente inesistenti; a pensarci bene, le ragazze godevano di una sensibilità molto più sviluppata rispetto ai ragazzi. Ma per quanto quella riflessione potesse risultare commuovente, la mia idea non cambiava: io e Kurt non eravamo degli idols. Non lo eravamo, vero?
“Non so che dirti Blaine.” Kurt si strinse nelle spalle una volta che Priscilla ci aveva bombardato con la sua valanga di discorsi su quanto l’amore fosse bello, su quanto fossimo belli, sull’esempio che diamo a tutti gli altri studenti e sul perchè il suo blog dovesse cambiare grafica. L’ultimo punto, in realtà, era stato più una sua divagazione in presa all’isteria, ma nè io nè Kurt eravamo riusciti a seguire il filo e quindi l’avevamo lasciata straparlare. Mi feci un po’ più vicino al mio ragazzo, seduti com’eravamo su quei divanetti della Dalton, mentre lui abbassò lo sguardo e disse: “Io non mi sento proprio di fare il Neil Patrick Harris della situazione.”
Stavo quasi per concordare e aggiungere qualcosa di molto profondo, ma poi mi voltai: “Aspetta, quindi io sarei Davit Burtka?”
No Blaine, non ti esaltare. State insieme da nemmeno un anno. Però sarebbe perfetto. Oh Dio, siamo noi!
“Terra chiama Anderson?” Cinguettò Priscilla passandomi una sua mano glitterata davanti al viso e facendomi completamente sobbalzare: “Sì, beh, comunque, devi chiudere quel blog. E smetterla di stalkerarci, magari.”
“Ma no! Vi prego, non potete farmi questo, e io poi come vivo?!”
“Ehm, come tutte le persone normali, pensando alla tua vita?” Propose Kurt. Priscilla lo guardò torvo come se avesse appena offeso il suo cricetino.
“Ma è questo il punto. Non ho bisogno di vita, quando posso benissimo sognare sulla vostra.”
 “... Quel blog va chiuso domani.”
“Ma...!”
“Niente ma”, continuò Kurt, e per ribadire il concetto incrociò le braccia guardandola negli occhi per dieci lunghissimi secondi; Priscilla, alla fine, sospirò affranta e fece finta di asciugarsi una lacrima. Esagerata.
“Le ragazze ci resteranno malissimo”, piagnucolò. Io e Kurt ci guardammo con una smorfia, perchè insomma, in teoria dovevamo essere noi quelli amareggiati, non lei. Però, in fondo in fondo, l’idea di avere un seguito di persone che sostenesse la nostra relazione era quasi... gratificante. Ci fece sentire un po’ meno soli e rendeva il mondo un posto più bello, rinchiuso in quella specie di bolla composta da Dalton e Crawford.
Ed è stato proprio per questo che, quando Priscilla quasi in lacrime ci aveva supplicato un’ultimissima foto per salutare le fans a dovere, quasi senza pensarci avevamo risposto di sì.
Non biasimateci; non sapevamo proprio a cosa stessimo andando incontro.
 
 
“Allora.”
Priscilla stringeva in una mano una cartellina contenente innumerevoli fogli e appunti, mentre con l’altra continuava a scattare foto a me e a Kurt in tutti i modi possibili. Da un lato, poi da un altro, con effetto seppia, e dopo nemmeno mezz’ora il mio ragazzo aveva cominciato a vagare per tutta la sala comune affacciandosi alle finestre o fingendo pose da autori di libri, quelle in cui si tiene una mano sotto al mento e si sorride soddisfatti.
“Aspetta”, esclamò ad un tratto, “Facciamone una senza la giacca!”
Bene. Priscilla aveva scatenato il lato diva di Kurt. E, subito dopo, il mio.
Perchè in realtà era piuttosto divertente farsi fare delle foto; potevo capire perchè agli attori o ai cantanti famosi piacesse così tanto fare un servizio fotografico, era entusiasmante e allo stesso tempo divertente: io e Kurt continuavamo a ridere, avevamo scoperto di che stoffa fossero fatta i nostri lati esibizionisti se fusi in uno solo, e beh, eravamo un tantino megalomani. E poi, semplicemente, ci eravamo avvicinati giusto un po’ di più. Come un tassello che si aggiungeva al bellissimo puzzle del nostro rapporto.
Non furono delle foto perfette, perchè nè la fotografa nè i modelli erano dei veri e propri esperti, ma era qualcosa che ci sarebbe restato per tutta la vita, come un piccolo momento di autostima dopo tanti venuti male.
E poi, ovviamente, ci fu la parte venuta male.
“Benissimo”, dichiarò Priscilla dopo aver esaurito la batteria della macchina fotografica e le nostre menti, “Adesso mettetevi comodi che c’è l’intervista.”
“Intervista?”
“Ma certo! Sennò che razza di servizio è? Ho raccolto su twitter una serie di domande che le fans avrebbero voluto farvi. Voi rispondete come vi pare, poi ci penso io a caricare tutto sul sito prima di chiuderlo definitivamente!”
“Aspetta un momento”, Kurt la fissò confuso, “Ci sono davvero delle persone che... beh, che vogliono sapere qualcosa su di noi?”
“Oh Kurt, non immagini. Cominciamo?”
E per un attimo mi sentii sereno; ma che dico, mi sentii esterrefatto. Non c’era niente di male, no? Sarebbe stato un modo come un altro per farci conoscere, e per dire al mondo che eravamo felici. Mi ero già preparato mentalmente nel rispondere alle domande in modo semplice e conciso, con dei discorsi non troppo lunghi ma con un tocco di serietà.
Perchè, insomma, ero Blaine Anderson, e il mio ragazzo era Kurt Hummel, e sicuramente le domande sarebbero state importanti e commuoventi, no?
 
“Domanda numero uno. Shanny KLAINE Sunny scrive: Blaine, quanto sei alto?”
Okay, no. Giusto per citarla.
“...Mi appello alla facoltà di non rispondere.”
“Oh andiamo Blaine!” Ridacchiò Kurt, “E’ alto un metro e settantadue.”
“No. Un metro e settantatre.”
“Blaine, misurarsi con le scarpe non conta.”
Lanciai un’occhiata torva al mio ragazzo, che in tutta risposta sembrava indeciso sul prendermi in giro a vita o semplicemente baciarmi nel bel mezzo della conversazione. Ad ogni modo, Priscilla interruppe ogni nostro pensiero dicendo: “Ellis Friskellis scrive: qual è il vostro piatto preferito?”
“Oh”, mormorai: non me l’aspettavo proprio quella domanda. “Credo... la pasta... oppure il pesce... uhm non so bene. Kurt, qual è il tuo?”
“Pizza.”
La mascella di Priscilla scese di tre piani. “P-pizza?!” Balbettò. “Sul serio, cioè, una semplice e banalissima pizza?”
“Sì. Pizza. Oh, e anche il Cheesecake. Commetto dei veri e propri reati per il Cheesecake.”
Il mio sorriso si ampliò solo un poco di più, perchè vedere la reazione sconvolta di qualcuno a cui avevano appena distrutto uno stereotipo era sempre divertente; Priscilla si immaginava qualche piatto raffinato o francese, ma a dire il vero tra me e Kurt quello di buona forchetta ero io.
“Curiosità-ullallà vuole sapere se Blaine brucia i biscotti.”
“Sì che li brucia!”
“No, non è affatto vero!” Protestai. “O meglio, se non ci fossero gli Warbler a rompere le scatole riuscirei anche a cucinarli bene!”
“Certo, come no...” Cantilenò l’intervistatrice, “Dunque... Se aveste la possibilità di mettervi con una celebrità, chi scegliereste?”
E la rapidità con cui Kurt rispose: “Taylor Lautner” mi fece trasalire.
“...Sul serio?”
Ma lui, con le guance sempre più rosse, freddò subito la conversazione esclamando: “Altra domanda?”
“Okay... Come vi chiamate quando siete soli?”
“I-in che senso?”
“Non usiamo tanti nomignoli”, risposi al posto di un Kurt che stava rischiando il soffocamento per imbarazzo estremo. “Per il momento siamo solo Blaine e Kurt.”
A parte nei momenti in cui Kurt mi chiamava “cutie”, ma quella era una cosa che non avrei mai condiviso con nessun altro.
“Uh oh Blaine, preparati, adesso è il tuo turno.”
“C-come?”
“Fangirl-CSI scrive: Blaine, ammettilo, alla Dalton c'è un Club Segreto di D&D.”
“No! Non abbiamo club segreti qui. Di nessun tipo. Nessunissimo tipo.”
Come diavolo aveva fatto a sapere del fight club?
“Altra domanda. Uh, questa ha molti retweet. – ridacchiò Priscilla – Blaine, ho sempre trovato molto inquietante il fatto che tu ti sia accorto di Kurt, dopo la morte di un uccello... Che significati nascosti ci sono dietro?”
Restai in un silenzio, quasi in apnea, per cinque interminabili secondi.
“N-non è che... non è andata così... Kurt m-mi piaceva... ma poi Pavarotti... insomma...”
Povero, povero Pavarotti. Cosa gli avevo fatto.
“Ah, questa è bella.”
“Priscilla, puoi evitare di commentare ogni domanda che fai?”
“No. DISONORE SULLA TUA MUCCA scrive: vorrei davvero davvero sapere da cosa è dovuta la scelta di cantare quella strana canzone a Jeremiah, sul serio era assurda per essere una specie di dichiarazione... Di chi è stata l'idea? Tua o di qualche esaltato fringuello? Povero Kurt...”
“Hai ragione, POVERO ME!”
“Okay vi prego BASTA con questa storia, ero piccolo e scemo va bene?”
“Blaine, è successo due mesi f-“
“Cambiamo domanda.”
Kurt fece uno di quei sorrisi che volevano dire: “Oh Blaine, non sai quanto ti adoro.” Ma io me l’ero perso, preso com’ero a  sotterrarmi nella mia vergogna.
“Ah, aspetta, c’è HATERZ#1 che scrive: Blaine, obbiettivamente parlando, come fai a stare con uno come Kurt?”
“Ehi!”
“Ha.” Borbottai. “Così impari a trattar male il tuo ragazzo.”
E se non fosse stato per un bacio sulla guancia, ma molto vicino alla bocca, probabilmente avrei tenuto il broncio per il resto della giornata.
“Kurt, adesso arrivano le domande per te!”
“Non possiamo proprio evitare?”
“Assolutamente no”, ribattei, perchè era il momento della mia rivincita e non vedevo l’ora di vedere le facce interdette del mio adorabile ragazzo.
Donna molto saggia scrive: io chiederei a Kurt perchè non butta nel cesso il gel di Blaine.”
“Ci ho provato, ma continuano ad aumentare!”
“...Ma perchè tutte le domande ricadono sempre su di me?”
E poi perchè tutti ce l’avevano con il mio gel? Ero offeso; per ripicca da quel giorno in poi me ne sarei messo di più, così imparavano.
“Warbler-addicted scrive: a Kurt chiederei se a Blaine piaccia fare qualcos'altro sopra mobili/divani/tavoli oltre che saltarci sopra per cantare!”
“M-Ma CHE COSA?!”
Non ero così fissato con i soprammobili insomma! Va bene, ogni tanto ci saltavo sopra, e mi piaceva l’odore del legno, ma sono tutti atteggiamenti perfettamente comprensibili, vero? Si chiamava coreografia! Interpretazione! Esternare i propri sentimenti! Ma soprattutto, quale strana allusione ambigua si nascondeva dietro quella domanda?
“Beh...” Kurt ci mise un po’ a trovare una risposta, e per un momento pensai che avesse veramente intenzione di rispondere in modo serio: magari, raccontando di quella volta in cui avevamo pomiciato per tre ore sul divanetto della sala comune e ci eravamo accorti del tempo passato solo quando i custodi ci avevano chiusi dentro. Le mie orecchie stavano già andando in fiamme quando lo sentii dire: “Gli piacciono anche le scale.”
Priscilla lo guardò come se avesse appena ricevuto un pugno in faccia.
“E va bene... passiamo oltre. Sono quasi finite... questa l’ho già fatta, in quest’altra non mi avete risposto decentemente... ah, c’è una tizia che vuole essere adottata da voi.”
“P-Prego?”
“E poi Facebook stalker scrive”, continuò lei, ignorando i nostri visi sbiancati, “Kurt, cosa hai pensato quando Blaine ha passato da te una notte (anche se completamente ubriaco)? Dubito tu abbia dormito tranquillo!”
“Come ha fatto a saperlo?” Esclamò Kurt; anche se quel nick, in effetti, la diceva lunga. “Comunque non ho dormito affatto. Blaine russa.”
“Non è vero!”
Scoppiò in una piccola risata, dopo la quale esitò per qualche istante, voltandosi di nuovo verso Priscilla e mormorando: “A dire il vero, ero troppo emozionato. Avevo il cuore che mi batteva a mille.”
Oh.
“Ahhhhhhhhhhh perchè si è scaricata la macchina fotografica!” Priscilla battè i piedi a terra come una bambina. Io e Kurt ci fermammo nello stesso momento, il mio viso era già a pochi centimetri dal suo, e le sue mani stavano già stringendo le mie in una timida stretta.
“Eccolo! E’ quello! Cavolo, volevo immortalarlo almeno una volta, che peccato!”
“... Ma di cosa stai parlando?” Domandai, mentre con la coda dell’occhio intravidi Kurt arrossire visibilmente, sfoggiando un sorriso che gli illuminò gli occhi limpidi.
“Credo di aver capito.”
“Era il Kurt-sorriso quello! Dovevo fotografarlo!”
“Il... oh no, anche tu? Passi troppo tempo con gli Warblers, dico sul serio.”
Mi passai una mano sul viso in modo quasi esasperato, mentre Priscilla continuava a piagnucolare sulla sua sfortuna. Kurt non smetteva nemmeno per un secondo di fissarmi. Sembrava quasi... incantato.
“... Che c’è?”
“Niente”, rispose lui, “E’ solo che hanno ragione, esiste davvero il Kurt-sorriso.”
E il mio cuore perse qualche battito per la strada, perchè era incredibilmente bello mentre diceva quelle cose a bassa voce, e io non vedevo l’ora di posare le labbra sulle sue e contemplarle per un’eternità.
Mentre mi avvicinavo, facendo sfiorare i nostri nasi e accarezzandogli una guancia con la punta delle dita, feci di nuovo quel sorriso, e sussurrai: “Lo so. Non so bene che sorriso sia, ma so che esiste. Riesco a riconoscerlo da come mi sento quando lo faccio.”
 
Dopo qualche secondo sentii Priscilla sospirare, ma non ci prestai troppa attenzione; in realtà, l’ultima cosa che captai fu il suo tono amareggiato mentre diceva: “Che palle. Non ho fotografato nemmeno il Kliss.”
 
 
 
 
 
 
 
 
**
Angolo di Fra
 
Mi sarebbe piaciuto tantissimo usare tutte le domande che mi avete inviato, ma la OS veniva già troppo lunga così, e un’intervista di duemila parole sarebbe stato davvero troppo prolissa. Comunque vi voglio ringraziare di cuore per le domande, sono stupende, mi avete ispirata tantissimo come avete potuto leggere, e spero che nessuno si sia offeso perchè mi sono presa la liberta di ribattezzare i vostri nick di twitter e Facebook xD sapete che mi piace scherzare, ma la verità è che siete tutti gentilissimi e mi sostenete più di quanto potessi mai desiderare. Quindi grazie.

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Capitolo 6
*** Day 6: Dalton ***








Ce l'avevano fatta. Avevo consegnato la relazione; non sarei stato cacciato fuori dagli Warblers, ed era solo merito loro. Li ringraziai con il cuore in mano, ma fui interrotto quasi subito.

“Amico -esordì Flint, raggiunto dagli altri tre, le braccia conserte, il sorriso orgoglioso- andiamo, pensavo che avessimo superato queste formalità. Siamo i tuoi migliori amici. Saremo sempre pronti ad aiutarti, anche quando sei in stato troppo catatonico per spiccicare mezza parola.”

Arrossii. Kurt strinse debolmente la mia mano. Era rimasto sempre accanto a me, godendosi lo spettacolo con fare leggermente ammirato. Quei ragazzi, davvero, ne sapevano una in più del diavolo.

E capii che, dopotutto, non mi sarei sentito così solo.

--Blame it on Blaine, capitolo 20.

 

Questa OS si colloca nella terza stagione, dopo la puntata di BAD.

 
 
 
 

 
A volte ammettere un errore è più difficile dell’essere perdonati per averlo fatto.
Non avrei mai creduto di ritrovarmi a pensare queste cose sugli Warbler, la mia famiglia. Ricordavo ancora quando Kurt e io eravamo al Lima Bean, io con la mia divisa perfetta e stirata e lui che voleva convincermi a tutti i costi a cambiare scuola.
“Non posso abbandonare gli Warbler”, gli avevo detto; ed ero convinto: non c’era niente, in quel momento, che mi avrebbe fatto cambiare idea.
Perchè, dopotutto, “Quei ragazzi sono i miei amici”.
Avevo detto proprio così. Con un piccolo sorriso, ed una voce addolcita dai ricordi. Io, per molti anni, ero vissuto insieme a loro: nella Dalton, in quel mondo in cui non solo mi ero sentito accettato, per la prima volta in vita mia, ma anche voluto. Amato. In un certo senso, speciale.
Ma sapevo che era sbagliato provare certe cose solo per merito di altri: dovevano nascere da dentro, doveva esserci la consapevolezza di essere esattamente in un certo modo, e non perchè così ti apprezzavano gli altri, ma perchè eri tu a volerlo.
Questo me l’aveva insegnato Kurt; perchè, grazie a lui, avevo imparato a essere veramente me stesso.
Non volevo abbandonare gli Warbler. Ma loro, alla fine, avevano abbandonato me.
E ora stavo sdraiato sul mio letto, con le mie coperte troppo grandi e una benda scura, che copriva tutto l’occhio sinistro. Questo era tutto ciò che restava della mia amicizia durata tanto, tanti anni in cui avevo riso, cantanto, affrontato problemi, per poi risolverli senza mai essere da solo.
Invece, ora, c’era solo buio.
Perchè non vedevo altro, da quell’occhio sinistro. Quella benda mi impediva di vedere ma, paradossalmente, mi aveva aperto gli occhi.
Avrei dovuto capirlo molto tempo prima, quando Flint, Ed, Colin e Nick si lamentarono del poco tempo che passavo con loro; poi, avevano cominciato a evitarmi, a non mandarmi più messaggi, a parlarmi in modo freddo, perfino quando andavo a trovarli.
Avevo pensato che fosse per via delle regionali, il fatto di competere l’uno contro l’altro; non avrei mai creduto che tutto quello potesse essere ricollegato alla fiducia.
Sì, perchè era ovvio: non mi credevano più uno di loro. E forse un poco avevano ragione. Le New Directions mi acvevano finalmente accolto a braccia aperte, il mondo di Kurt era diventato anche un po’ il mio.
E poi, l’ultima volta che ero andato alla Dalton, mi sentii incredibilmente nervoso, preoccupato; perchè loro erano bravi, come sempre, e Sebastian era così sicuro di sè, da incutermi un certo timore. I ragazzi, d’altro canto, sembravano come spenti: burattini in mano di quel ragazzo meschino, ed ero come convinto che, se glie lo avessi chiesto prima, non sarebbero stati in grado di capire cosa fosse giusto e cosa profondamente sbagliato.
Ho agito d’istinto. Non si fa forse così, quando si è sotto minaccia, e quando si rimane profondamente delusi da quelli che pensavo fossero i miei fratelli? Mi trattavano come un estraneo. Un intruso. E forse loro potevano essere rimasti feriti dal mio atteggiamento ostile, ma di certo, quello che stava soffrendo più di tutti ero io.
E il vero motivo, la vera e unica ragione per cui stavo soffrendo, e molto, non era stato osservare i loro occhi freddi, e non era stato nemmeno prendermi quella granita infuocata al posto di Kurt; di quest’ultima cosa non mi sarei mai pentito, se possibile, lo avrei rifatto altre mille volte. In un certo senso, non biasimavo nemmeno Sebastian: avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere da uno come lui.
Ma non da loro.
Colin, Flint, Nick, Ed, tutti quanti. Come avevano potuto fare questo a me? A Kurt?
Perchè loro avevano acconsentito a quel piano ridicolo di oltraggiarlo, umiliarlo, avevano collaborato a distruggerlo e sì, in quel modo, avevano distrutto anche me. Avevano tradito tutto ciò in cui credevano, in cui credevamo: tutta l’amicizia, tutte le nostre imprese passate... sparite. E per cosa, poi? Non lo capivo nemmeno.
Francamente, non capivo nemmeno che fine avesse fatto il detto “Once a Warbler always a Warbler”, visto che sembrava del tutto dimenticato.
 
“Blaine?”
Kurt aprì la porta di camera con gentilezza, entrando assieme ad un vassoio di tè e biscotti. Mi venne quasi immediato sorridere, perchè lui era il mio Kurt, era lì, sarebbe sempre stato lì. Mi venne quasi da piangere a quel pensiero, ma poi mi ricordai che perfino una minima lacrima faceva bruciare l’occhio per ore, e allora feci un respiro profondo.
Lo vidi avvicinarsi a  me con dolcezza, sedendosi sulla poltrona accanto a me; afferrò dolcemente la mia mano, facendo scorrere il pollice lungo tutto il palmo.
“Tutto bene?”
No. L’occhio brucia da morire. Mi sento solo. Sono triste.
“Sì, alla grande. Li hai fatti tu i biscotti?”
Lui sembrò indugiare sul mio volto come amareggiato, ma qualche secondo dopo sfoggiò un bel sorriso e cominciò a raccontare la sua giornata. Io, come sempre, ascoltai: annuivo quando necessario e ridacchiavo quando me la sentivo, perchè Kurt non meritava le mie lamentele, dovevo fingermi felice. Non volevo annoiarlo con tutte le mie riflessioni sui miei ex-amici.
Ma ancora una volta avevo sottovalutato Kurt Hummel, e quanto in realtà mi conoscesse bene.
“Blaine, posso chiederti una cosa?.” Mormorò dopo un’ora passata nella più totale tranquillità, e io gli rivolsi uno sguardo confuso.
“Certo Kurt. Tutto quello che vuoi, lo sai.”
“Promettimi solo che ascolterai.”
E in quel momento non capii bene a cosa si riferisse, io lo avevo ascoltato per tutto il tempo; stavo quasi per ribadire il concetto mostrandomi anche un po’ offeso, ma poi la porta della camera attirò la nostra attenzione con un rumore secco, di chi volesse bussare ma si fosse tirato indietro all’ultimo.
Kurt si alzò in piedi in quel momento, guardandomi innamorato, e pensai che certe volte avrei voluto fargli una fotografia solo per incollare quell’espressione ai miei sogni.
“Io sarò fuori, se hai bisogno.”
Non capivo; dove stava andando? Chi stava per entrare?
Ma poi il mio occhio sano intravide uno sprazzo di colore rosso e blu proprio oltre la porta, e allora tutto si fece più chiaro.
Non mi ero proprio immaginato come sarebbe stato trovarsi di fronte a Ed, Flint, Colin e Nick nel bel mezzo di camera mia, e forse avrei dovuto: forse, non pensavo nemmeno che sarebbero venuti, perchè insomma, con che coraggio si presentavano dopo tutto quello che era successo?
“Ehi, Blaine.”
Nick si fece avanti per primo, seguito a ruota dagli altri tre, timidi, insicuri.
“Ehi.”
Non avevo nessuna intenzione di mostrarmi gentile; non li volevo lì. Volevo solo Kurt, e quando quel pensiero attraversò la mia mente, spalancai di colpo gli occhi – o meglio, l’occhio – e quasi non riuscivo a crederci: “Vi ha chiamati Kurt?”
Annuirono impercettiblimente, mentre le mie labbra si strinsero in una smorfia. Ero quasi arrabbiato con il mio ragazzo. Non avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto chiedermelo prima, parlarne, perchè insomma, come faceva a sapere che li volevo vedere? Non volevo, non volevo assolutamente.
“Ti abbiamo portato... del caffè.”
“Sì, quello della nostra caffetteria...” sussurrò Nick; quello in cui passavo tutti i pomeriggi, conclusi mentalmente, interpretando la sua esitazione.
Mormorai qualcosa, non era un vero e proprio grazie, ma a quanto pare gli bastò per posare il bicchiere proprio sul vassoio di Kurt, accanto alle sue tazze, ai suoi biscotti. Il bicchiere era avvolto dal thermos degli Warbler, lo riconoscevo benissimo, fino a due giorni fa lo usavo anche io. Quel blu attraversato da una sottile striscia rossa era in netto contrasto con il bianco e il verde chiaro del servizio di Kurt, così come con i suoi biscotti ipocalorici.
Perchè stonava così tanto?
Nel frattempo, Flint aveva chiuso la porta, e lentamente si erano seduti tutti accanto a me, Ed sulla poltrona, gli altri, ai piedi del letto. Svoltai la testa da un lato, cercando di respirare regolarmente e non farmi sopraffare dai nervi; loro, quasi per rispetto, o per timore, restarono in silenzio. Quel silenzio durò per molti secondi, uno di quelli ricchi di tensione, amarezza e parole non dette e, per tutti noi, era la prima volta. Non c’era mai stata tensione tra di noi; non avevo mai sentito il desiderio di andarmene, ed ecco che di nuovo l’occhio ferito cominciò a pungere terribilmente, insistendo nel voler piangere.
Una parte di me stava per raccogliere tutte le forze necessarie a urlare contro coloro che una volta erano tutto il mio mondo e dir loro di andare via, di lasciarmi da solo, di far venire da me Kurt. Ma fu proprio quest’ultimo pensiero che mi bloccò quasi lasciandomi senz’aria, perchè, ad un tratto, mi apparvero con chiarezza le sue parole: “Promettimi solo che ascolterai.”
Sembrava quasi un paradosso che avessi cominciato a sorridere, così, senza un motivo apparente, ma dentro di me continuavo a ripetere che Kurt mi conosceva così bene, che aveva già previsto tutte le mie mosse, dalla prima all’ultima; sapeva della mia amarezza verso gli Warblers senza mai parlarne. Sapeva che volevo vederli, ancora prima che lo avessi realizzato io.
“Insomma, come ti senti?” Mormorò Colin guardandomi di sottecchi, come se non sapesse bene se poterlo fare o meno; mi strinsi nelle spalle, riportando tutto ciò che mi aveva detto il dottore, l’operazione, la convalescenza.
“Cavolo... sembra una cosa seria.”
“Lo è”, sentenziai di fronte a quel commento idiota di Ed, “Ma mi hanno assicurato che è un’operazione sicura.”
“Beh allora...”
Di nuovo, silenzio. Ognuno fissava le proprie mani, come incapaci di agire, di dire tutto quello che ci stavamo sigillando dentro. Ma non io; io ero troppo frustrato, deluso, arrabbiato, per non reagire.
“Adesso smettetela, tutti quanti.”
Immediatamente, alzarono la testa e io mi ritrovai con quattro paia di occhi allibiti.
“Non serve tutta questa compassione. Non serve questa premura, il caffè, le domande. Potete anche lasciare evitare.”
“Non stiamo fingendo”, mi interruppe Nick, un po’ bruscamente. “Siamo veramente preoccupati per te.”
“Ma davvero?”
Mi misi composto a sedere, la coperta rossa adesso era stretta tra le mie dita, il mio volto era rigido e freddo, mentre guardavo i ragazzi uno ad uno.
“Beh, avreste dovuto farlo quando Sebastian vi ha proposto quello stupidissimo piano della granita. O quando gli avete passato il bicchiere. O quando ve ne siete andati senza dire nulla, mentre io ero stato appena accecato.”
Non c’era nemmeno bisogno di urlare; c’era così tanta rabbia, nelle mie parole, che perfino il minimo sussurro li faceva rabbrividire.
“Voi eravate i miei migliori amici.”
Non piangere. Non piangere.
“Voi-voi eravate tutto per me, e- e vi siete già dimenticati di tutto quello che abbiamo passato insieme? Di quando abbiamo rubato la televisione nello sgabuzzino? Di quando avete rapito il gatto della Pitsbury solo per farmi andare da Kurt?”
“Eravamo furiosi!” Ammise con un’esclamazione Ed, battendo un piede a terra. “Tu ci hai abbandonati, Blaiene! Come puoi tirare fuori queste cose del passato, proprio tu?! Tu, che te ne sei andato dalla Dalton ignorando completamente ogni nostra supplica, che ci hai voltato le spalle per... per un ragazzo!”
“Non è un ragazzo qualsiasi!”, urlai, “E’ Kurt! E’ il nostro Kurt! Cosa avrei dovuto fare!? Volevate accecarlo, vi rendete conto? E’ stato un Warbler, proprio come voi!”
Quella frase lasciò tutti con un grandissimo macigno sul cuore: le loro schiene si fecero più curve, i loro volti più doloranti, mentre dei piccoli ricordi cominciavano ad affiorare nella loro memoria.
Ricordi di quando Kurt era solo e impaurito, e loro lo avevano subito accolto a braccia aperte interrompendo il mio tour della scuola; ricordi di quando aveva passato una settimana a prepararli per un appuntamento; ricordi di quanto erano stati felici, quando io stavo correndo per le strade di Lima solo per la voglia di rivederlo.
“Cos’è cambiato?”
Non mi ero nemmeno accorto che il mio occhio bendato, lancinante, aveva cominciato a piangere, nascosto dal resto del mondo. Fu l’unica volta in cui mi sentii felice di avere la benda.
Dopo poco tempo, parlò Flint. Non era mai stato un uomo di grandi parole, soprattutto in quei casi: di solito faceva le battute, prendeva in giro. In quel momento mi guardò con gli occhi lucidi quanto i miei e disse: “Non lo so Blaine. Tu eri andato via, e stavi sempre con Kurt, e l’ultima volta che ci siamo visti ci hai offesi.”
“Ho offeso l’esibizione”, puntualizzai, “Perchè Sebastian-“
“Noi non siamo Sebastian.”
Fu in quel momento che, almeno un poco, il mio cuore trasalì: avevano ragione. Non me l’ero presa solo con Sebastian. Non avevo offeso solo lui.
“Mettiti nei nostri panni”, esordì Colin piano, con un tono quasi dolce, “Il tuo migliore amico, il tuo compagno di avventure...”
“E disavventure”, intervenne Ed con un ghigno, e quasi venne da sorridere anche a me.
“Sì, insomma – proseguì l’altro – te ne sei andato, solo perchè te l’ha chiesto Kurt. E va bene, è il tuo ragazzo, e lo ami, ma che ne dici di noi? Noi non contiamo proprio niente, Blaine?”
“Che cosa stai dicendo?! E’ ovvio che-“
“Ti sei unito ad un altro Glee Club”, sentenziò Nick, “Sei diventato un nostro rivale. E poi ogni volta che ti chiedevamo di uscire tu non potevi mai perchè dovevi stare con loro e provare. Come ti saresti sentito?”
Non era andata così, stavo per urlare, ma poi tutto ad un tratto non ne ebbi le forze: davvero mi ero comportato in quel modo? Rielaborai mentalmente gli ultimi mesi della mia vita, le persone con cui lo avevo passato: tutto ad un tratto, un enorme senso di colpa cominciò a farsi strada trai miei timori.
“E poi sei venuto alla Dalton, e ci hai offeso, e sembravi completamente un’altra persona rispetto al Blaine che conoscevamo... nemmeno un anno fa cantavi e ti divertivi insieme a noi.”
Avevo davvero giudicato la loro esibizione come se non fossi più un loro membro? Ero davvero stato così freddo, distaccato?
..., rispose una piccola parte del mio cuore, quella che cominciava a uscire attraverso delle piccole lacrime e dei sospiri.
“Mi dispiace.”
La mia voce uscì spezzata e a malapena udibile, ma per fortuna i ragazzi mi conoscevano da così tanto tempo, avevano già capito.
“Mi dispiace, io-io non volevo comportarmi in questo modo, non volevo allontanarmi.”
“Non è colpa tua.” Flint si alzò piano, per avvicinarsi a me, dandomi una piccola pacca sulla spalla. “Ehi, è normale. Tu stai dalla parte di Kurt. La colpa è solo nostra.”
Come?
“Perchè?” Bisbigliai, e Colin mi rispose con una smorfia amara, che mostrava tutto il suo senso di colpa.
“Perchè lo abbiamo capito troppo tardi. Eravamo così arrabbiati con te, che non riuscivamo davvero a capirti. Noi... abbiamo pensato che Kurt ti avesse cambiato. E Sebastian è riuscito a fuorviarci e a indirizzare tutte le nostre colpe su di lui.”
“Così abbiamo pensato alla granita, - intervenne Flint – ma Blaine, ti assicuro, non era nostra intenzione fargli del male. Cioè, non fisicamente. Sapevamo che il sale scioglieva l’acqua e noi volevamo una miscela più liquida per farla attaccare meglio ai vestiti. Non volevamo ferire nessuno dei due, e nemmeno Sebastian voleva.”
Non mi interessava sapere cosa pensasse o non pensasse lui, ma in quel momento un altro dubbio cominciò ad attanagliare la mia mente, martellandomi con insistenza e frustrazione: non era come dicevano loro, io non ero cambiato. O forse sì?
Forse, non ero più il Blaine Anderson della Dalton Accademy, il ragazzo che metteva gli Warblers al primo posto, che avrebbe fatto di tutto, per difendere un suo amico.
Forse, nella mia scala delle priorità aveva fatto breccia un altro nome, che mi aveva salvato davvero, a cui dovevo così tanto, da non riuscire nemmeno a immaginare una vita senza di lui.
Amavo gli Warbler, ma non quanto amassi Kurt. E io non ero più un Warbler, ma un membro delle New Directions.
“Abbiamo sbagliato.” Sussurrò Flint. Il mio compagno di stanza. Il mio confidente. Il primo ad aver notato il mio Kurt-sorriso, dentro le mura della nostra stanza.
“Non puoi capire quanto ci dispiaccia, Blaine.”
No, pensai, scuotendo debolmente la testa, perchè in quel momento anche il minimo movimento mi faceva male.
“No, dispiace a me.”
Perchè Blaine Warbler adesso era solo un vago ricordo, uno di quelli dolci e malinconici, che mi avrebbero accompagnato la sera prima di andare a dormire. Perchè non sarei più tornato a esibirmi con loro, non ufficialmente; potevo andarli a trovare quando volevo, potevo uscire insieme a loro, parlare. Ma non sarebbe stata la stessa cosa. Non più.
“Noi... noi saremo sempre i tuoi migliori amici, Blaine.”
Anche se tu ne hai trovati altri, conclusi mentalmente. Buffo: ancora una volta, ero riuscito a intuire la scia dei loro pensieri.
“Vi vorrò sempre bene, ragazzi.”
Perchè non c’era nient’altro da dire.
Quando uscirono dalla mia stanza, insieme alla porta si richiuse tutto un universo di sorrisi. Di ricordi.
 

 
Come previsto arrivai in enorme ritardo. Fortunatamente sapevo di avere dei buoni amici che mi avevano coperto con il professore di turno.
“Oh, ecco Blaine!” Esclamò Ed, indicandomi da lontano. Io corsi verso il sorvegliante, accennando a delle scuse, ma lui scrollò violentemente il capo.
“No-non ti preoccupare, Anderson.” Balbettò, diventando viola. “Non ti devi assolutamente scusare. Spero che tu abbia risolto il tuo…hem…problema.”
“…Sì, certo. La ringrazio per l’interessamento, professor O’Riley.”
Lui annuì titubante, e poi si defilò velocemente. Mi girai verso i miei amici con un sorriso spettrale.
“Posso sapere, di grazia, quale problema avrei avuto?”
“Mah, niente di che – commentò Nick, trattenendo a stento le risate- gli abbiamo detto che hai avuto un attacco di diarrea acuta, e che non riuscivi più ad alzarti dalla tavola del cesso.”
Li fissai.
“Mi rimangio tutto quello che ho pensato su di voi.”
“Perché? Cosa avevi pensato?????” Urlò Ed tenendomi per la giacca.
“Sicuramente aveva pensato che siamo i migliori amici del mondo!”
“Esatto, Nick. Avevo.”

 
 
“Ragazzi, che ci fate qui!?”
“Ah, bell’accoglienza!” Esclamò Ed, con il naso all’insù, e Flint incrociò le braccia.
“E’ questo il modo di salutare i tuoi amici!?”
“Dopo sette lunghi giorni!” Sbottò Colin, e Nick annuì, da vero snob.
“E noi che siamo tornati prima apposta per te…”
“Sul serio?” Domandai io, incredulo e francamente commosso.
“Certo, per te, e per una mega festa di capodanno organizzata dal comitato della Dalton e della Crawford!”
“Ah, ecco, ora vi riconosco.”
“COOOSA!?”

 
 
“Non penso che usciremo più”, disse Colin, una volta che fummo tutti riuniti – Flint e Nick con ancora i costumi di scena -. Eppure, avevano ammesso di essersi divertiti molto, e tutto grazie a noi.
“All'inizio quando vi abbiamo visti abbiamo seriamente pensato all'omicidio di massa...-affermò Ed, scrocchiandosi minacciosamente le nocche -ma devo ammettere che mi sono sentito subito meglio, sapendo che eravate al nostro fianco.”
“Un Warbler non canta mai da solo”, sentenziai, e i miei amici mi guardarono sognanti.
 

 
 
“Blaine, sono qui.”
Kurt.
Non mi ero nemmeno accorto del modo disperato con cui avevo pronunciato il suo nome.
Lo abbracciai, affondando la testa nell’incavo del suo collo, lasciandomi cullare dalla stretta dolce e protettiva delle sue braccia e ascoltando la sua voce sussurrarmi parole piccole e dolci.
Perchè cambiare fa parte della vita.
E anche se sapevo benissimo di non aver nessun diritto nel pensare una cosa simile; anche se quella tazza blu e rossa continuava ad apparire strana ai miei occhi, come, fuori luogo... una parte di me sarebbe stata sempre un Warbler. Era quella parte che adesso stava piangendo più forte.
 
 
 

 
 

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Capitolo 7
*** Day 7: winter in New York ***


 

 

 




 

“Il punto è che…in ogni futuro che immagino, in ogni variazione possibile del mio sogno…tu ci sei sempre.”
Sempre.
Che bel suono, sempre. Non era un forse, non era un può darsi. Era un sempre. Era un piano, che andava oltre gli anni del liceo, oltre ogni mia più rosea immaginazione. Era un futuro, non mio, né di Kurt, ma di tutti e due messi insieme: era il nostro futuro.
Eravamo ancora tanto giovani, e forse troppo ingenui, ma si sa, a quell’età ogni cosa sembra realizzabile, e grazie a quell’ipotesi così bella e rassicurante, cominciai ad accarezzare l’idea di un’accademia di musica, di un’università d’arte. Quante ce n’erano a New York? Decine? Dozzine?
Erano sufficienti. Insomma, stavamo parlando di New York. Ma non solo: stavamo parlando dell’idea di trascorrere il college insieme a Kurt.
Non ero certo di quello che avrei fatto, non avevo un piano ben delineato come il suo, e nemmeno dei desideri molto chiari, ma su una cosa ero sicuro: io volevo stare con lui. Se il tempo, e i sentimenti me lo avrebbero concesso, avrei trascorso con lui ogni attimo della mia vita.
-Blame it on Blaine, ultimo capitolo.





E se dopo la fine ci fosse un nuovo inizio?

 




Non si può scrivere sull’amore.
Chi non l’ha mai provato si sente stupido e invidioso anche solo guardando le coppiette che camminano per strada. Chi l’ha provato tanto tempo fa, è così stantìo di emozioni che ne parla come se fosse una cosa andata a male, una di quelle da evitare. Una malattia.
C’è chi crede di viverlo ogni giorno, e c’è chi lo vive veramente, ma nemmeno se ne accorge. Non è il momento giusto, quello: vorrei dire che l’amore si capisce solo quando è finito, ma in realtà non è neanche vero. L’amore non si capisce. Non si può spiegare. Non si può descrivere. E se qualcuno è tanto illuso da credere di riuscirci, allora, non è mai stato innamorato.
 
Io amo Kurt Hummel.
So che questa affermazione può sembrare ridicola, specie dopo un discorso simile. Ma lo amo davvero. Non c’è un modo facile per dirlo; potrei parlare della nostra attrazione fisica, o di quanto ci capiamo al volo, sì, sono tutti argomenti validi.
E non è nemmeno che io ami ogni cosa di lui, come dicono sempre nei film romantici, perchè ci sono dei difetti di Kurt che proprio non sopporto, oh, ce ne sono tanti. Kurt è egocentrico. E’ vanitoso. Per una cavolata inutile può portare rancore per giorni interi; è perfezionista. Crede di sapere tutto lui; e poi, ha questa ossessione per la moda che io assolutamente non capisco. Perchè comprare un abito da centinaia di dollari se puoi prenderne uno praticamente uguale al mercato? Kurt non si compra il modello, si compra la firma.
Ma ho capito di amarlo davvero quando mi sono reso conto di aver accettato tutte queste cose e senza nemmeno tante difficoltà. E’ così semplice metterle da parte, in favore di qualcosa di più bello.
 


Quella mattina il mio telefono squillava insistentemente, e io non mi ero nemmeno reso conto che la suoneria personalizzata del mio ragazzo era partita da quaranta secondi.
“Blaine!” La sua voce mi aveva svegliato subito, era come se non la sentissi da anni, anche se in realtà non ci vedevamo da soltanto due giorni. Lui era a New York, per le nazionali, e io nel mio letto della Dalton cercando di aprire gli occhi e affrontare la luce del sole che filtrava dalla finestra; doveva averla aperta Flint, visto che non c’era traccia di lui.
“Cos... ma che ore sono?” Avevo borbottato con una voce simile a quella di una rana e poi, scostando il cellulare dall’orecchio, avevo letto sul display le undici e mezza.
“Ma ti sei svegliato ora? Blaine, Blaine mi senti?”
“Sì. E sì. Cavolo ho dormito dodici ore.” Non mi capitava di dormire così tanto da... beh, non mi era mai capitato, in effetti.
“Dicono che quando si è triste si dorma più spesso.”
Quella frase mi fece alzare lentamente a sedere, passandomi una mano sul volto e sussurrando al mio interlocutore: “Kurt, non sono triste. E’ solo che mi manchi, tutto qui.”
Ma lo capisco che sei a New York e che ti stai divertendo un mondo. Lo capisco, è solo che vorrei essere con te.
Tuttavia quelle parole mi erano rimaste in gola, e fui costretto a schiarirmi la voce mentre il mio ragazzo, dall’altra parte dell’America, sospirava.
“Sono a Central Park.”
“... Davvero?”
“Sì. Sono a Central Park, e fa piuttosto caldo. Rachel l’ho abbandonata con gli altri e sto facendo una passeggiata in mezzo a fontanelle e scoiattoli. Lo sai che ci sono scoiattoli selvatici?”
Mi veniva da ridere immaginandomi il suo volto sorpreso e tenero, ma invece mi limitai ad un piccolo sorriso, timido, insicuro.
“Lo avevo letto da qualche parte, sì.” Intanto, mi alzai in piedi cercando di fare mente locale per la giornata; anche se era domenica, sapevo che mi aspettavano cose come Warblers, battaglia con il cibo, sfuriate della Pitsbury e magari tutte nello stesso momento.
“Dici che posso rubarne uno e portarmelo a casa?”
“Direi di no, Kurt.”
“Ma neanche uno piccolo piccolo? Lo chiamerei Coco. Come Coco Chanel. Ha lo stesso colore della sua nuova linea Primavera-Estate. E non ridere.” Mi canzonò dopo qualche secondo in cui si era sorbito tutta la mia leggera risata.
“Okay okay, va bene. Che altro vedi intorno a te?”
“Oh, facciamo questo gioco, ora? Mi piace, lo facevo da piccolo con mia madre. Ci diciamo a turno cosa vediamo e chi vede la cosa più bella vince. Ci stai?”
Ancora non riuscivo a capire come avevo fatto a trovarmi un ragazzo così adorabile, sensibile e meraviglioso come lui. Però, visto che non potevo sapere la risposta, mi limitai a dire di sì e cominciammo a elencare una serie di cose che andavano dalle più assurde alle più monotone, come io che mi ero messo a fare la lista di tutti i mobili presenti nella mia camera e Kurt che contava il numero di panchine rosse ai lati della strada.
“Sono rosse Blaine, proprio rosse! Comunque vedo... vedo un albero.”
“Io vedo una porta.”
“Stai uscendo?”
“Sì, mi sono cambiato e ora vado dai ragazzi.”
“Oh, salutameli. Dunque io vedo... oh, un laghetto!”
“Io vedo un corridoio.”
“... Emozionante.”
“Ok allora rettifico: vedo un corridoio lunghissimo.”
“Ah beh allora è un’altra storia.”
Scoppiammo a ridere nello stesso momento, ma subito dopo Kurt esclamò: “Vedo un altro scoiattolo!”
“Kurt, mi vuoi forse tradire con un roditore?”
“Vedo una bambina che gioca con uno scoiattolo. Adesso voglio adottare anche lei.”
“Sul serio Kurt, fuggi via. Quel posto ti sta-“
“Oh.”
Fu così che mi fermai giusto ad un passo dalla porta che mi divideva dalla sala comune, dagli Warblers, dal resto del mondo. Fu in quel momento che il mio cuore aveva capito esattamente tutto ciò che stava succedendo, e la mia mente aveva già cominciato a viaggare leggera verso immagini mai sognate.
Fu quando Kurt, con voce un po’ spezzata dall’emozione, ma per niente sorpresa, mi disse: “Vedo una famiglia.”
Non mi ero nemmeno reso conto che avesse usato una frase del film Harry ti presento Sally; non mi ero reso conto che era tutto iniziato con Kurt che voleva fare Meg Ryan e io Billy Crystal, che mi ringraziava perchè non ci avevo messo dodici anni a capire di voler stare con lui.
Tutto ciò di cui mi ero reso conto si era trasformato in un pensiero molto sottile, come un filo di seta. Prezioso, fragile; incantevole.
Quando il giorno dopo Kurt tornò da New York, in mezzo ad un bar di Lima, con nient’altro che il mio Kurt-sorriso, gli dissi che lo amavo.
 
 





 
Sono  passati dieci anni da quella volta.
New York è esattamente come me l’aveva descritta lui, tramite quella ridicola conversazione al telefono; gli scoiattoli, paradossalmente, sono perfino aumentati. Ma questa volta abbiamo la possibilità di vederli insieme.
Non fa troppo freddo per essere a Dicembre, di solito ci vestiamo come se fossimo degli eschimesi ambulanti, e invece questa volta sembriamo quasi normali. Central Park è ricoperta da quello strato sottile di neve dovuto alla sera prima; è soffice, rende il paesaggio ancora più immacolato. E’ come un piccolo angolo di natura incastrato nel caos della più grande città del mondo, e io e Kurt lo adoriamo.
 “Ci avresti mai creduto che alla fine ci saremmo trovati proprio qui?”
Kurt non è cambiato di una virgola, dal primo giorno che l'ho visto: i suoi occhi sono pieni di vita, anche se celano un bagliore di maturità che ha acquistato con il tempo.
E’ quella parte di lui che ha imparato ad affrontare i sacrifici; a vivere nelle difficoltà. Ad accettarmi esattamente per quello che sono, e a perdonarmi per quello che ho fatto.
C’è stato un periodo in cui non ci siamo amati. Io l’ho tradito. E’ difficile da dire, ma è così. Ero giovane, e la distanza mi spaventava. Lui non aveva il coraggio di lasciarmi perchè, beh, me lo aveva promesso: non mi avrebbe mai detto addio.
Non l’ha fatto, a dire il vero. Ci siamo trovati, con il tempo e con i nostri dolori. Siamo dei Kurt e Blaine diversi; non siamo più ragazzini, no. Siamo adulti. E si sa, il rapporto tra due adulti è sempre diverso; però, a dire il vero, credo proprio che se siamo così, alla fine, è anche merito di quella nostra adolescenza.
Siamo cresciuti insieme. C’era il rischio che ognuno crescesse a modo suo, che non fossimo più compatibili; invece, in qualche modo, siamo riusciti a completarci. E’ un puzzle diverso; più serio, forse, e di tutt’altra fattura rispetto a quello costruito quando eravamo giovani.
Ma chi lo dice che in realtà questo puzzle non sia solo un ampliamento del precedente?
“Dovresti davvero smetterla di indossare questa felpa.” Kurt si ferma proprio davanti a me e si concentra sul mio colletto, mentre dei bambini ci passano accanto, ci osservano curiosi. Forse, si chiedono da cosa derivi questa intimità fusa ad un senso di abitudine. Dal tempo, vorrei dire a quei bambini: dal rispetto, dall’affiatamento. Ma, soprattutto, dalla sincerità.
“Lo sai che mi piace. E’ la felpa che mi hai comprato tu quando avevo sedici anni.”
“Lo so Blaine; è importante, è la felpa del ti amo e tutto il resto, ma guardala: sta andando a pezzi.”
In effetti non è certo nelle migliori condizioni; ma, forse, quella felpa è un po’ come me. Invecchiata. Sgualcita in alcuni punti; quelli che derivano da un taglio profondo, e che non si rimargineranno mai.
Ho commesso tanti, tanti errori nella mia vita. Ho perso i miei amici. Ho rischiato di perdere il mio unico vero amore.
Ma adesso, dopo tanto tempo, sono qui. Non sono il Blaine migliore che possa esistere: ce ne sono tanti altri, come me, che si comportano diversamente, rendendosi anche migliori di fronte ai loro Kurt.
Ricordo che quand’ero più piccolo non riuscivo in nessun modo a capire come mai Kurt avesse scelto uno come me, o come mai avesse scelto di perdonarmi, dopo averlo ferito.
In realtà, adesso non è questa la domanda che mi tormenta: ho trovato una risposta da molto tempo, ed è semplice. Tanto semplice, quanto è difficile spiegarlo.
“Kurt.”
Si volta verso di me con un leggero scatto, i suoi occhi azzurri incontrano i miei, caldi, conosciuti. Mi inginocchio, sento un po’ freddo al contatto con la neve in terra, ma è una sensazione vivace, rinfrescante. Mi è sempre piaciuta la neve, anche quando riempiva il cortile della Dalton e io con gli altri ragazzi ci prendevamo a pallate; ricordo ancora la prima volta che giocai lì con Kurt, eravamo così piccoli.
So che anche lui pensa la stessa cosa; ed è per questo che delle piccole lacrime cominciano ad affiorare sul suo viso, perchè lui di certo si aspettava una cosa del genere, ma forse, non si è mai preparati del tutto.
Ritornano immagini di tutti i momenti passati insieme; di tutte le storie avute, delle vicende passate. Dei sorrisi. Il mio Kurt-sorriso si è un po’ modificato con il tempo. Ma Kurt dice che adesso è più bello: è più reale, più adatto a noi.
“Ti amo.”
Proprio come dieci anni prima; proprio come Harry ti presento Sally, e tutte le storie d’amore degne di essere raccontate.
“... Mi sposerai, vero?”
 
Perchè non si può scrivere sull’amore. Ma si può scrivere su come sognarlo.
















***

Angolo di Fra



Vorrei solo ringraziare tutte le persone che hanno letto questa raccolta.
Tutte quelle che si sono emozionate con i miei capitoli.
Tutte quelle che sono andate a rileggersi Blame it on Blaine perchè, beh, contando com'è scritta ci vuole coraggio.
Mi è piaciuto davvero molto dare un finale così a questa storia. Perchè la mia ff voleva rispettare tutte le cose canon del telefilm, e così, ho voluto finirla nel modo che io considero più reale possibile, parlando di una storia romanzata.
La vita vera non finisce sempre così. Ma non è forse per questo che si scrivono queste storie?
Blaine, Kurt, Priscilla, Chase e il Kurt-sorriso vi salutano.
E vi ringraziano di cuore.

Francesca

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