One Last Chance

di violetsugarplum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson ***
Capitolo 2: *** Mi ricordo di te ***
Capitolo 3: *** Sono ancora qui che aspetto ***
Capitolo 4: *** Sei sempre stato troppo buono ***
Capitolo 5: *** Voglio vederti felice ***
Capitolo 6: *** Perché vuoi rimanere? ***
Capitolo 7: *** Sembrava che... ***
Capitolo 8: *** Indicami la strada ***
Capitolo 9: *** Ci sono io ***
Capitolo 10: *** Chiaro come la luce del sole ***
Capitolo 11: *** Papà, devi dirmi le cose! ***
Capitolo 12: *** Come una stella cometa ***
Capitolo 13: *** Ti penserò sicuramente ***
Capitolo 14: *** Mi fido di te ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson ***




1
. Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson


Blaine guardò fuori dal finestrino facendo ruotare la fede all'anulare con aria distratta, come era solito fare quando era nervoso. Il lungo viale alberato sembrava senza fine, il pomeriggio primaverile era più caldo rispetto a quello che il meteo aveva dichiarato il giorno prima e lui iniziava già a sentirsi un po' stanco per il viaggio, nonostante fosse breve.

"Siamo arrivati?", chiese rivolgendo lo sguardo allo specchietto retrovisore per cercare di incrociare gli sguardi dei suoi due compagni di viaggio.

"Impaziente?"

Due luminosi e grandi occhi azzurri si rifletterono nello specchietto e lo scrutarono attentamente.

"No, è che sono-"

"Siamo arrivati, papà."

La gentile voce della figlia li interruppe. Blaine guardò subito l'edificio a cui Virginie aveva parcheggiato davanti e fu felice di constatare che la foto sul sito Internet era veritiera e che la struttura somigliasse più a un country club che a una casa di riposo.

Afferrò saldamente il bastone poggiato sul sedile e, appena aprì la portiera, la mano libera fu prontamente stretta da una più forte e morbida che tentava di farlo alzare.

"Vuoi che chiami qualcuno con una carrozzella?"


"No, voglio entrarci con le mie gambe. Tanto sappiamo entrambi che non uscirò da qui se non sdraiato in una bara."

"Papà!", esclamò inorridita Virginie mentre lo sorreggeva dall'altro lato. "Ti ricordo che è stata tua l'idea venire qui. Sai che non avremmo avuto problemi a tenerti con noi e..."

"Lo so."

Blaine zittì la figlia cercando di non sembrare troppo seccato. Era un discorso che avevano fatto decine di volte nelle ultime settimane, ma Blaine era diventato inamovibile. Aveva deciso che avrebbe trascorso gli ultimi... Mesi? Anni, forse, se si sentiva particolarmente ottimista?- in una casa di cura perché non voleva più essere un peso per la sua famiglia che ogni volta doveva andare a recuperarlo da qualche parte di Westerville in cui si era perso.

Da quando gli era stato diagnosticato l'Alzheimer aveva promesso di rimanere in casa il più possibile, ma sempre più frequentemente riusciva a sgattaiolare fuori senza esser visto dai vicini e andava al parco a lanciare le molliche di pane alle anatre, come faceva con suo marito tutte le domeniche con Virginie quando era piccola. Ma non era mai riuscito a raggiungere il laghetto. Come non era mai riuscito ad arrivare in altri luoghi prima di ritrovarsi a vagabondare senza meta.

Lentamente i tre raggiunsero il porticato dove lo aspettavano due donne: una alta, magra con la faccia contratta in un'espressione severa che rispecchiava lo sguardo freddo presente nei suoi occhi e l'altra, decisamente più bassa e grassoccia, con un viso rotondo e roseo che le conferiva un'aria materna e rassicurante e che si apriva in un grande sorriso.

"Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson", lo salutò la donna alta porgendogli meccanicamente la mano. "Siamo lieti di averla qui. Sono la signora McDillon, la responsabile di questo luogo."

Blaine le strinse la mano accompagnando il gesto con un debole sorriso e poi sentì un braccio cingergli un fianco mentre si avviavano all'interno della struttura.

"E io sono Rose, una delle infermiere. Ciao, pulcino! Vedrai che qui ti divertirai un mondo!"

Blaine guardò divertito la donna che senza permesso gli aveva già trovato un nomignolo discutibile e azzerato lo spazio personale e immediatamente la prese in simpatia. Appena entrati Blaine notò subito che il posto era bello, luminoso e accogliente con numerosi quadri antichi alle pareti. I corridoi avevano grandi finestre che davano su un giardino ben tenuto, pieno di alberi e fiori dalle forme e dai colori più vari. Se non fosse stata una casa di riposo in cui scontare gli ultimi momenti della sua vita, Blaine avrebbe voluto rimanere lì per sempre.

Si diressero nell'ufficio della signora McDillon e, dopo aver salutato Rose battendole il cinque con la mano come da sua richiesta, Blaine si lasciò cadere su una scomoda poltrona di fronte alla scrivania della donna e i suoi accompagnatori, un po' straniti dalla situazione, fecero lo stesso.

"Bene, signor Anderson. Adesso le illustrerò i programmi del nostro istituto. Sa, sono rimasta molto sorpresa quando ho ricevuto la sua telefonata. Solitamente sono i parenti a forzare il paziente a venire qui." La donna fece un sorriso stiracchiato di circostanza.

Blaine si schiarì la gola. "Mi esponga i programmi, prego."

La signora McDillon afferrò nervosamente dei fogli sulla scrivania e iniziò a leggere.

Il programma era diviso in giornate: il lunedì mattina veniva trascorso parlando del fine settimana passato coi famigliari e, dopo pranzo, attività ricreativa a scelta; il martedì ci si recava nella palestra dell'ala est per fare un po' di attività motoria seguita da fisioterapia per i pazienti che lo avevano richiesto; il mercoledì...

Blaine aveva smesso di ascoltare, tanto era sicuro che non sarebbe mai riuscito a tenere a mente tutto. Per fortuna c'era Rose che sembrava abbastanza disponibile e che l'avrebbe aiutato, no?

"E questo è tutto", concluse formalmente la donna alzando lo sguardo dai fogli. "Domande? Questioni?"

"Quando sono permesse le visite?"

"Tutti i sabati e le domeniche, orario libero. Per un incontro al di fuori di questi due giorni, bisogna telefonare prima per avvisare il personale."

Blaine annuì cercando lo sguardo di sua figlia che gli sorrise teneramente. "Verremo, non ti preoccupare."  

"Ora la faccio accompagnare nella sua camera dove potrà riposarsi un po' prima della cena. Poi, se desidera, può andare nel salone comune a conoscere gli altri ospiti oppure leggere un libro nella biblioteca. Proprio ieri sono arrivati nuovi volumi donati dalla famiglia del fondatore", lo informò la donna alzandosi dalla sedia.

Blaine fu condotto nella sua camera. Aveva richiesto espressamente una singola e fortuna volle che fosse quella che si affacciava sul bellissimo giardino perché l'altra, già occupata, dava sul cortile interno e, secondo Blaine, non era così entusiasmante.

La camera era pulita, ordinata e ospitale. Il letto era ampio, il pulsante per le emergenze era facile da raggiungere e l'enorme armadio aspettava solo di essere riempito con i suoi indumenti ancora chiusi nella valigia appoggiata accanto alla scrivania.

Blaine si sedette sul letto rivolgendo un sorriso radioso a sua figlia. "Visto? È proprio una bella camera."

Virginie gli sorrise di rimando cercando di trattenere le lacrime. "Già... Hai bisogno di aiuto per sistemare le cose?"

"No, no. Potete andare adesso, sto bene. Starò bene."

Virginie si avvicinò a lui abbracciandolo stretto. "Ti voglio bene, papà. Ci vediamo presto, lo sai", disse quasi in un sussurro sciogliendosi lentamente dall'abbraccio.

"Ti voglio bene anch'io, tesoro", Blaine le sorrise sfiorandole appena la mano. "E tu? Non me lo dai un abbraccio?"

L'uomo, che era rimasto in mezzo alla camera a scrutare l'arredamento con una smorfia indecifrabile, scoppiò in una debole risata e lo raggiunse.

"Sei uno sciocco, Blaine", disse scompigliandoli scherzosamente quei pochi capelli rimasti; i folti ricci scuri, che da giovane aveva tentato inutilmente di domare con il gel, erano ormai un ricordo lontano.

"La tua è tutta invidia perché qui hanno anche la piscina", Blaine ridacchiò. "Vieni quando vuoi, va bene? Ok, Kurt?"

"Certo. Verrò ogni seconda domenica del mese, te lo prometto. Non ti lascio da solo in questo luogo di perdizione."

Dopo un breve abbraccio, i due si separarono e Blaine aspettò che entrambi uscissero -dopo un'ulteriore serie di raccomandazioni e promesse- per sdraiarsi sfinito su letto e chiudere gli occhi.

A disfare la valigia ci avrebbe pensato dopo.


 
 

Blaine si svegliò una decina di minuti dopo più stanco e intontito di prima. Ah, i brevi sonnellini degli anziani! Quelli che si fanno durante il pomeriggio perché ti senti esausto e che poi ti fanno pentire durante la notte, quando fatichi a trovare il sonno.

Si alzò, tentò di aggiustare i vestiti un po' spiegazzati e, ignorando ancora la valigia, decise di andare nella sala comune a conoscere gli altri ospiti.

Camminando piano con il suo fidato bastone nel corridoio, capì ben presto di non sapere dove fosse la stanza. Forse sarebbe bastato prestare più attenzione alla signora McDillon.

All'improvviso, una voce squarciò lo strano silenzio presente nell'edificio. "Ehi, tu! Sei quello nuovo?", domandò gridando un uomo che stava correndo trafelato verso di lui. Sembrava piuttosto giovane, sulla trentina d’anni e aveva un paio di occhiali dalla spessa montatura quadrata che continuava a scivolargli sulla punta del naso.

"Sì, per quanto possa essere nuovo, ovviamente... Mi chiamo Blaine. Blaine Anderson", rispose Blaine con un sorriso insicuro.

L'uomo si lasciò scappare una risatina mentre lo squadrava da capo a piedi. "Sono Ralph. Sono anch'io un ospite. Stai cercando un'infermiera?"

"No, in verità stavo cercando di raggiungere il salone comune, ma mi sa che mi sono perso. Ed è una cosa che mi capita sempre più spesso, se devo essere sincero."

"Oh, beh, io ho il diabete", concluse semplicemente l'uomo alzando le spalle. "Vieni, possiamo andarci insieme."

I due si diressero verso la sala e Blaine non rimase sorpreso nello scoprire una stanza molto grande, anch'essa luminosa e confortevole come il resto delle camere della casa di riposo. Un tavolo rotondo era al centro, vicino a un lungo divano a tre posti e due poltrone di chintz dall'aria molto comoda. Una televisione dallo schermo piuttosto grande era accesa su un canale sportivo. Alle pareti erano appesi alcuni quadri e un orologio che scandiva rumorosamente il passare dei secondi. L'altro lato della stanza, invece, era occupato da uno scaffale pieno di trofei, medaglie e alcuni libri e da un pianoforte un po' impolverato, probabilmente inutilizzato da diversi mesi.

"Ecco, questo è il salone comune. L'abbiamo trovato!", esclamò Ralph ridendo, avvicinandosi furtivamente al pianoforte e spostando la panchetta il più silenziosamente possibile per sedercisi sopra. Poi riprese. "Adesso ti presento gli altri. I due che stanno giocando a carte seduti al tavolo sono Frank e Lucille e quella vicino a Lucille è l'infermiera Rose," Blaine guardò il curioso terzetto e rispose con un cenno alla donna che si stava già sbracciando nella sua direzione.

"Lì sul divano a leggere per la millesima volta gli stessi libri c'è Annie." L'uomo intimò a Blaine di avvicinarsi per potergli sussurrare nell'orecchio. "È un po' pazza, poverina, però è tanto dolce e cara..." Ralph sorrise sognante. "...ed è anche tanto bella, anche se adesso ti dà le spalle e non puoi vederla. Poi quello è accanto a lei si chiama..."

Preso dalla foga, Ralph fece scivolare incautamente il gomito sulla tastiera del pianoforte che, di tutta risposta, emise un suono tanto lugubre quanto sgradevole.

"Ancora, Ralph? Quante volte devo ripeterti di smetterla? Non sei Beethoven che, fra parentesi, almeno era scusato, essendo sordo. E poi il pianoforte è scordato, te lo sei scordato?" Una risata fredda e tagliente interruppe per un attimo lo sproloquio. "Lo sai che non lo sopporto, sembra quasi che tu mi innervosisca di proposito."

Una voce ancora più irritante del suono riprodotto dallo strumento si alzò aggressiva dall'uomo seduto accanto a Annie.

"S-scusami, è che sono scivolato e-"

"Non l'ha mica fatto apposta."

Blaine emise un sbuffo infastidito per la maleducazione di quella testa canuta che continuava a rimanere girato. Non era passata nemmeno mezza giornata e Blaine si era già trovato uno che cercava litigi?

"Hai assunto un avvocato, Ralph? Voglio rammentarti che anni fa ero uno di loro, so come funziona il gioco. Ma tu chi sei? Sei un nuovo acquisto del manicomio?" chiese sprezzante.

"Ragazzi..." mormorò debolmente Rose spostando lo sguardo dall’uno all’altro.

"Sì, sono il nuovo arrivato," rispose Blaine ignorando l'ammonimento dell'infermiera e scandendo bene le parole, mentre con passo incerto faceva il giro del divano per poterlo guardare in faccia. Se proprio doveva litigare, almeno avrebbe voluto farlo osservandolo negli occhi.

L'uomo grugnì non preoccupandosi minimamente di mascherare il suo disappunto. "Allora benvenuto, Nuovo Arrivato. Infelice di conoscerti. Io sono..."

Finalmente Blaine riuscì a metterglisi davanti e a guardare il volto di quell'uomo così fastidioso e, specchiandosi per un momento nei suoi grandi occhi verdi screziati d'azzurro, trattenne rumorosamente il fiato.

"S-Sebastian?"








Ecco qui, il primo capitolo (o forse è più un prologo?) della mia prima long. Finalmente mi sono fatta coraggio e l'ho postata, nonostante sia ancora insicura su mille aspetti perché le tematiche non sono facili. Ci sono sopra da tre mesi, non l'ho ancora conclusa, sono perennemente attanagliata da enormi dubbi. Però è qui e voglio provarci.
 
Avverto subito dicendo che no, non finirà nel modo che tutti si aspettano. Perché questo non è 'The Notebook', anche se può ricordarlo. E sì, il personaggio di Annie è una debole scopiazzatura della fragile Annie creata da Suzanne Collins.

E mi pare giusto dire che nel prossimo capitolo, per chi vorrà leggerlo, ci sarà un colpo di scena e sarà pieno di angst. Ma proprio colmo fino all'orlo. Perché mi piace far soffrire la gente, da buona sadica quale sono, per cui mi sembrava doveroso mettere questa premessa. LOL

Ringrazio voi per essere arrivati fino a qui e la mia beta silenziosa che corregge i miei verbi e le mie preposizioni random senza mai ridermi in faccia.

Ma ringrazio più voi, insomma, perché sappiamo bene che una possibilità non si nega mai a nessuno :)

-violetsugarplum

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Capitolo 2
*** Mi ricordo di te ***




2
. Mi ricordo di te



"Chi sei? Come fai a sapere come mi chiamo?"

La voce di Sebastian non era più arrogante e decisa come pochi secondi prima, anzi, sembrava piuttosto tesa.

"Sono Blaine... Blaine Anderson, ti ricordi di me? Frequentavo il-"

"Blaine..." Sebastian pronunciò il suo nome come se avesse quasi paura di sciuparlo. "Sì, mi ricordo di te. Ne è passato del tempo..."

"Già..."

Tra i due calò un silenzio imbarazzato, quasi consci di avere tutti gli sguardi puntati addosso. Blaine continuò a fissare Sebastian e notò che c'era qualcosa di diverso in quegli occhi che ancora rammentava a distanza di anni e che più volte inconsapevolmente si era ritrovato a sognare, senza però più riuscire a dare un volto al loro proprietario. Il verde mischiato a quell'azzurro così intenso si era spento, come se fosse velato di una sorta di tristezza.

Senza rendersene conto, si sedette alla sua sinistra sprofondando nel divano. Sebastian si voltò di scatto nella sua direzione, gli fece un sorriso vacuo che Blaine non riuscì a fare a meno di ricambiare.

"Anch'io mi ricordo di te."

Sebastian ridacchiò. "Effettivamente sono sempre stato un tipo difficile da dimenticare."

Blaine scosse la testa sforzandosi di non roteare gli occhi. A quanto pare l'atteggiamento del Sebastian adolescente non era cambiato di una virgola, solo il suo aspetto fisico si era modificato col trascorrere del tempo. Il viso era diventato magro e le guance scavate; i capelli biondo scuro avevano lasciato il posto a una chioma bianca che gli nascondeva la fronte ormai solcata da profonde rughe.

"Come mai sei qui?"

"Ho iniziato a perdermi. Voglio andare da qualche parte e puntualmente mi perdo, non so più dove sono e figurarsi se riesco a tornare a casa. Mi sono stancato di essere un pericolo per me stesso e, soprattutto, per gli altri. Sai, l'Alzheimer..."

Sebastian non lo lasciò finire e gli afferrò saldamente il polso, come se volesse confortarlo e non volesse sentire una parola in più.

"Ho capito."

"E tu? Perché sei qui?"

Sebastian rispose solamente con una scrollata decisa di spalle, allontanò la propria mano dal braccio di Blaine sfiorando innavertitamente la sua e percepì il metallo freddo della fede sotto i suoi polpastrelli.

"Sei sposato?"

"Vedovo. Da nove anni il mese scorso."

"Mi dispiace. Non mi era simpatico ed era piuttosto fastidioso, però... Povero... Kurt, vero?"

"Kurt non era mio marito. Ed è ancora vivo."

"Ah."

Per la seconda volta lo strano silenzio riempì la stanza. Annie, ancora seduta accanto a Sebastian, alzò gli occhi dal libro che teneva aperto sulle ginocchia e li osservò incuriosita fino a quando Blaine, un po’ impacciato, riprese il discorso.

"Allora, uhm, cosa hai fatto di bello in tutti questi anni?"

L'ultima volta che Blaine e Sebastian si erano visti era stata in un’afosa giornata estiva dopo la fine della scuola. Sebastian era seduto ad un tavolo del Lima Bean a sorseggiare un caffé freddo quando alla porta comparve Blaine, accompagnato come sempre da Kurt. Sebastian incrociò subito il suo sguardo e fece un rapido cenno di saluto con la testa a cui Blaine rispose sventolando la mano, quasi andando a sbattere contro una ragazzina che faceva la fila. Non successe altro perché Sebastian se ne andò pochi minuti dopo lasciando sul tavolo la sua tazza di caffé ancora a metà e non si erano più visti o sentiti.

Fino a quel momento.

"Dopo il liceo, sono tornato in Francia e mi sono laureato in giurisprudenza, proprio come mio padre aveva sempre voluto. Una volta preso il fatidico tocco, ho iniziato a fare di testa mia e, mandando all'aria il praticantato, ho viaggiato per circa due annetti. Sono stato a Roma, a Berlino, in Olanda e perfino in Giappone. Poi una volta che i miei mi hanno tagliato i fondi, sono tornato qui, nella ridente Westerville, con la coda tra le gambe e sono diventato avvocato, per loro somma gioia."

Blaine annuì cosciente del fatto che Sebastian aveva parlato esclusivamente di sé e dei suoi genitori, non nominando compagno o bambini.

"Niente marito?"

"Niente marito," ripetè Sebastian. "E niente figli. Ho convissuto per qualche anno con una persona, ma... Non siamo riusciti a conciliare tutte le cose. Eravamo troppo presi dalle nostre carriere e così ci siamo lasciati. Però non abbiamo perso i contatti e, quando si ricorda, ogni tanto mi viene a trovare."

Sebastian lasciò uscire un flebile sospiro dalle labbra, poi continuò.

"Tu hai dei figli?"

Blaine sorrise orgoglioso. "Ho una bambina... Beh, ormai non è più una bambina, ma per me lo sarà sempre. Ha già ventisette anni ed è sposata. Si chiama Virginie."

"Un nome francese."

"Sì," Blaine ridacchiò. "L'ho scelto io."

Sebastian gli rivolse un largo sorriso che strideva con i suoi occhi spenti. "L'avevo immaginato."

"Ma non mi hai ancora detto cosa ci fai qui..."

"Ragazzi, è ora di cena! Su, prepariamoci!"

La voce squillante di Rose pose termine alla loro conversazione e Blaine si lasciò scappare un leggero sbuffo di fastidio. Aveva ancora un sacco di cose da dire a Sebastian ed era sicuro che anche lui avesse storie interessanti da raccontargli e, forse, con un'altra oretta sarebbe riuscito a tirargliele fuori. E poi c'era ancora questa risposta, questa curiosità che ancora non era stata soddisfatta.

Blaine si alzò faticosamente in piedi seguendo l'esempio degli altri che si stavano avviando verso la porta della stanza.

"Dov'è la sala da pranzo?", chiese a Sebastian.

"Non te l'ha spiegato la McDillon? I pasti vengono consumati in camera."

"Probabilmente me l'ha detto, non ho una buona memoria. Vieni?"

"Sì, ma non riesco a trovare il bastone. Scommetto che me l'ha preso quello scemo di Ralph. Gli ho solo fatto una gentile osservazione perché quando si mette in testa di suonare quel maledetto pianoforte non c'è verso di fermarlo, ma non c'era davvero bisogno di fregarmi il mio bastone. Domani gliela faccio pagare... Oh, eccolo, l'avevo dietro la schiena."

Sebastian aveva afferrato una corta asta bianca e con un gesto veloce l'aveva allungata e appoggiata al pavimento aiutandosi a mettersi in piedi.

"Ecco. Se mi dici qual è la tua stanza, ti ci porto volentieri."

Blaine lo guardò a bocca aperta, ferito. Aveva capito perché quegli occhi non erano quelli che ricordava, così brillanti e vivaci, sempre pronti ad assottigliarsi accompagnando un sorrisetto tanto sarcastico quanto malizioso e accattivante. Lo fissò ancora per un momento mordendosi l'interno della guancia, indeciso su cosa dire, ma poi non riuscì a frenare la lingua.

"Sei cieco."

"Sì. Era una domanda?"

"Sì... N-no, era una constatazione. Perché non me l'hai detto subito?"

"E cosa dovevo dirti? 'Ehi ciao, Blaine, sono passati cinquant'anni! Come stai? Tutto bene? Sì, io tutto ok, anche se sono diventato un po’ cieco.' Non mi pareva una cosa carina."

Blaine annuì con un breve cenno della testa, poi si ricordò che Sebastian non poteva vederlo e mormorò un debole sì.

Uscirono dalla sala comune e si avviarono in silenzio in corridoio verso le loro camere. Blaine lo osservava con la coda dell'occhio notando come Sebastian camminasse con passo deciso, completamente a suo agio nel corridoio e quasi gli andò addosso quando si fermò di colpo.

"Dovrebbe essere la tua camera, vero? Ho contato i passi, dovrei averci azzeccato", disse continuando a battere la punta del bastone contro la porta.

"Sì, è la mia... Dopo cena cosa si fa? Si torna di là?"

"No, si va allo strip club," disse serio Sebastian prima di iniziare a ridacchiare. "Dopo cena si va a dormire, Blaine. Possibile che tu non abbia ascoltato una parola?"

"Ti ho detto che ho ascoltato, solo che non ricordo."

Sebastian annuì senza smettere di sogghignare.

"Si va a dormire perché non ci sono più attività da fare e la medicina che ti danno dopo il pasto, meglio conosciuta come sonnifero, inizia a fare il suo effetto. Non dirmi che volevi passare la serata a giocare a carte con Frank e Lucille o, peggio, cercare di scollare Ralph da quel dannato pianoforte."

"No, è che...", balbettò insicuro Blaine aprendo la porta della camera. "Lascia stare. Allora, ci vediamo domani?", chiese pentendosi subito dell'infelice scelta di parole.

Sebastian scrollò violentemente le spalle, probabilmente sforzandosi di ignorare ciò che aveva appena udito.

"Abbiamo scelta, in fondo?"

"Credo di no, dato che siamo qui tutti e due..."

"Ah, dunque abbiamo un appuntamento, Blaine?", scherzò dandogli subito le spalle e marciando a passo spedito verso l'ultima porta del corridoio.

"Abbiamo scelta, in fondo?", sussurrò Blaine e entrò nella propria stanza dove ancora lo aspettava la sua valigia da disfare.







Non odiatemi troppo.

Lo so che ho fatto una cosa orribile, ma prometto che poi le cose andranno per il verso giusto!

E questa è solo una mera scusa perché siete stati così carini a leggere il primo capitolo -e pure metterlo nei preferiti! Siete proprio delle piccole creature innocenti- e a darmi così tanta fiducia da voler continuare... Sono combattuta tra l'ansia di deludervi e la voglia di spupazzarvi. Vi ringrazio con tutto il mio cuore :)

Ah, dimenticavo una questione importante che tengo molto a precisare: la storia non prende assolutamente in considerazione la quarta stagione del telefilm. Mi baso sui fatti accaduti fino alla 3x14, più un incontro inventato in questo capitolo.

L'appuntamento è previsto per la prossima settimana, giusto il tempo di farvi digerire questo capitolo. Sentitevi liberi di insultarmi, so che me lo merito :3

Un abbraccione e grazie ancora ♥

-violetsugarplum

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Capitolo 3
*** Sono ancora qui che aspetto ***




3
. Sono ancora qui che aspetto


La prima notte trascorsa a Villa Liberty fu piacevole: la cena, servita da una cameriera molto gentile, era squisita, il letto era comodo e aveva un cuscino impregnato di un profumo dolce e, infatti, Blaine si addormentò quasi subito ancora vestito com'era arrivato, mandando completamente a monte l'idea di disfare la valigia dopo il pasto.

Fu svegliato dal canto festoso degli uccellini quando il sole era appena sorto e, dopo essersi rigirato tra le lenzuola per una ventina di minuti senza riuscire a riaddormentarsi, decise di alzarsi e andare a prepararsi.

La sera precedente l'infermiera, che gli aveva portato quel sonnifero di cui Sebastian aveva parlato, gli aveva detto che l'ospite poteva richiedere aiuto per recarsi in bagno in qualsiasi momento. Ma Blaine era determinato a farcela ancora da solo, nonostante le gambe fossero malferme come se avessero corso per tutta la notte invece di aver riposato su un soffice materasso.

Aprì la cerniera della valigia per cercare indumenti puliti quando sentì bussare alla porta.

"Blaine? Sei già sveglio? Sono Rose, sto entrando con la colazione! Fatti trovare vestito, eh!" disse spalancando teatralmente la porta con un piede poiché teneva in mano un enorme vassoio con ogni genere di pietanze.

Blaine arrossì lievemente e ricambiò il sorriso. “Buongiorno, Rose.”

“Buongiorno anche a te. Tutto bene?”, chiese squadrandolo con attenzione dalla testa ai piedi e notando subito l’abbigliamento del giorno precedente, ma non lo rimproverò.

“Sì, tutto a posto.”

Rose appoggiò il vassoio sul comodino, si avvicinò a lui e gli diede un affettuoso buffetto sulla guancia.

“Ti ho fatto preparare un po’ di cose, non sapendo i tuoi gusti. Mi raccomando, mangia. Sarà una lunga giornata e hai bisogno di energie.”

“Perché? Cosa facciamo oggi?”

“Mattino sala comune e pomeriggio giardinaggio,” recitò solennemente quasi fosse una poesia imparata a memoria. “Non hai ascoltato la signora McDillon?”

“Sì che l’ho ascoltata, ma non ricordo”, rispose Blaine corrugando la fronte. Iniziava ad essere stanco di questa continua domanda e di mentire – sapendo di farlo- dando una risposta stupida.

“Non ho mai detto il contrario. Hai bisogno di aiuto per il bagno o posso andare dalle ragazze?”

Blaine scosse la testa mormorando imbarazzato che se la sarebbe cavata da solo e questo fece sorridere Rose.

“Non devi preoccuparti o sentirti a disagio. È il mio lavoro, pulcino. Dai, adesso mangia tutto e poi vai subito in salone dove c’è qualcuno che ti sta già aspettando.”

E, dopo avergli fatto un inequivocabile occhiolino, lo lasciò da solo nella camera chiudendo la porta dietro di sé.


 


Quasi inconsapevolmente, Blaine bevve in tutta fretta un bicchiere di succo d’arancia e addentò un grosso biscotto al cioccolato ignorando completamente la coppetta di frutta fresca che Rose si era premurata di fargli preparare nelle cucine.  

Si preparò velocemente e si diresse verso il salone comune. Una volta arrivato sullla porta scorse la nuca di Sebastian, seduto sul divano accanto a Annie nella stessa posizione in cui li aveva visti il giorno precedente, e si avvicinò a loro anticipato dal clunck del suo bastone.  

Sebastian si girò immediatamente verso la direzione da cui proveniva il rumore sordo. “Ah, allora ti sei ricordato del nostro appuntamento!”, disse con un gran sorriso.

Blaine gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla in segno di saluto prima di sedersi al suo fianco.

“Ciao, Sebastian.”

“Come stai? Hai dormito bene?"

"Abbastanza. Il letto era veramente comodo, ma devo dire che non sono molto entusiasta del buongiorno che mi hanno dato gli uccellini."

"Sono usignoli."

"C'era da aspettarselo", commentò Blaine con un sorriso. "Li ho trovati vagamente fuori tono e leggermente striduli. Con più impegno, sento che potrebbero migliorare."

"Io penso che siano stati perfetti, un'esibizione veramente di gran classe... vero, Ralph? Togliti da lì!". Sebastian alzò la voce volgendo la testa verso il pianoforte e Blaine vide Ralph che, nel frattempo era riuscito a sedersi sulla panchetta del pianoforte, allontanarsi a testa bassa dallo strumento.

"Come sapevi che era lì?"

"Oh, abitudine. Ogni giorno è la stessa storia. Si siede lì, convinto di riuscire a fare una serenata per la sua bella come un novello Schubert, ma non gli do mai il tempo di farlo."

"Perché? Magari sa suonare davvero."

"Tanto non lo considera", disse indicando Annie, tranquillamente immersa nella lettura con i lunghi capelli castani che le nascondevano il giovane volto. "Lei ha i suoi libri e non le importa di nient'altro."

"Cosa legge?"

"'Harry Potter'”, sussurrò per non farsi sentire. “E, per favore, non osare mai intavolare una discussione con lei. Legge solo quei libri in maniera ossessiva. Dal primo all'ultimo e, quando li ha terminati, riparte dall'inizio. E la cosa sarebbe anche accettabile, forse al limite del fanatismo, se solo non credesse di essere una strega."

"Oh."

"Già. A settembre ci ha fatto davvero divertire un sacco quando è quasi riuscita a scappare da qui e ha cercato di raggiungere la stazione per prendere un treno che, secondo lei, l'avrebbe portata alla scuola di magia. Per fortuna sono riusciti a fermarla prima che raggiungesse la strada mentre provava a trascinare la valigia lungo il viale."

Blaine osservò Annie che sfogliava incantata le pagine del libro e provò un enorme moto di tenerezza nei suoi confronti.

"E Frank e Lucille? Sono marito e moglie, vero?"

Sebastian annuì. "Entrambi sono sordomuti. Ogni domenica viene il figlio a trovarli, anche lui sordomuto. Stanno sempre insieme a giocare a carte. Per ovvi motivi non abbiamo mai comunicato, ma almeno so che non sono fastidiosi come Ralph", concluse ridendo.

Blaine si morse il labbro, come se volesse controbattere, ma decise di lasciar perdere. Per qualche minuto fissò in silenzio la mano che Sebastian teneva appoggiata casualmente sul bracciolo del divano.

“Da quanto tempo sei qui, Sebastian?”

"Quattro anni."

La risposta arrivò subito, cogliendo Blaine di sorpresa. Dal giorno prima la domanda continuava a tormentarlo, perché aveva notato il passo mai incerto che aveva quando camminava nei corridoi, una sicurezza che poteva essere stata acquisita solo grazie al tempo. Ma Blaine non aveva il coraggio di porgli la questione per paura di ferirlo, magari fargli ritornare alla mente ricordi spiacevoli o, peggio, ricevere una risposta sgradevole come solo Sebastian –adolescente e, a quanto pareva, anche anziano- era in grado di dare.

"Sono tanti."

Sebastian scrollò le spalle. "Già. Però, se ci pensi bene, alla nostra età sembrano perfino pochi. In questi quattro anni ho visto più cose qui che in tutta la mia vita, contando perfino i viaggi che ho fatto quando ero ragazzo.”

Blaine osservò i suoi compagni di avventura, come aveva deciso di soprannominarli, e sentì già di voler loro bene. Ognuno di loro aveva una propria particolarità, erano così diversi con le loro difficoltà, ma con un qualcosa di fondo che li accomunava. Blaine sapeva bene che erano lì per lo stesso motivo: nessuno di loro ce l'avrebbe fatta nel mondo là fuori. Ma perché Sebastian era lì?

“Ma...”, Blaine fece fatica a trovare le parole giuste e arrossì lievemente. “Cos’è successo ai tuoi occhi?”

“Oh, questa è una storia davvero affascinante, Blaine. Non possiamo bruciarcela subito, merita il suo giusto spazio.”

Con grande sollievo da parte di Blaine, Sebastian non sembrò innervosito per la domanda, ma decise comunque di cambiare argomento.

“Quindi... il giardinaggio è un’attività obbligatoria? Perché non credo di sapere come coltivare una pianta, rischierei di far appassire anche quelle finte.”

Sebastian rise. “Ogni attività, come ben sai, è obbligatoria. Non puoi sottrarti a niente, Blaine. È come essere in crociera o in un villaggio vacanze con gli animatori che ti inseguono ovunque costringendoti a spassartela per forza. Pensala in questo modo. Però, dai, il giardinaggio è bello. Io mi diverto sempre tantissimo. ”

Blaine lo guardò poco convinto. Trovava piuttosto inverosimile l’idea che Sebastian si divertisse piantando e annaffiando fiori, ma non osò contraddirlo. Rimasero in silenzio per qualche minuto fino a quando Sebastian riprese a parlare.

“Sai, Blaine, stavo pensando a una cosa che non ti ho ancora chiesto.”

“Dimmi.”

“Hai continuato con la boxe?”

Blaine si ritrovò a strabuzzare gli occhi. Come poteva ricordarsi quella cosa quasi insignificante dopo tutto quel tempo, dopo tutti quegli anni?

“Te lo ricordi ancora?”

“Certo, me ne parlavi sempre! Ti avevo anche chiesto se potevo assistere ad un tuo allenamento.”

“E io cosa ti ho risposto?”

Sono ancora qui che aspetto”, concluse ridacchiando.

Blaine sorrise scuotendo la testa. Non era vero che gliene parlava sempre perché aveva accennato la cosa soltanto una volta e Sebastian si era subito prodigato nel fargli sapere quanto avrebbe voluto vederlo ‘tutto sudato coi muscoli tesi per lo sforzo’e, per Blaine, era stato sufficiente da non ritornare più sull’argomento.

“Ho smesso quando ho iniziato l’università. Il poco tempo libero che avevo a disposizione lo passavo a cantare con un gruppo di amici nei locali. Volevo riprendere dopo la laurea, ma poi non l’ho più fatto perché è arrivato il lavoro... E poi la famiglia.”

“Cosa facevi?”

“Insegnavo in un liceo privato di Columbus.”

Sebastian annuì e lasciò cadere il discorso. Blaine aveva l’impressione che le loro conversazioni sarebbero state tutte così: Sebastian gli poneva una domanda a cui lui rispondeva prontamente e poi più nulla, l’uomo si chiudeva in un silenzio forzato che lo faceva rimanere interdetto.

Rose, che nel frattempo era entrata nel salone fischiettando un motivetto allegro, accese la televisione sul solito canale di sport.

“Tutto bene?”, chiese fissando attentamente Sebastian che, però, non rispose. “Pulcino, vieni un secondo al tavolo con me? Mi è venuta un’idea che potrebbe aiutarti a ricordare le attività. Che ne diresti se facessimo un bello schema di tutte le giornate e poi lo appiccicassimo al tuo armadio? Così al mattino potresti buttarci un’occhiata e sapresti cosa fare. Ti va?”

Blaine, entusiasta, rispose subito di sì facendo sorridere Rose. Mentre la donna lo aiutava ad alzarsi, chiese a Sebastian e a Annie se volessero aiutarli; al tavolo c’erano Lucille, Frank e Ralph già pronti con matite e cartoncini colorati.

Annie saltò prontamente giù dal divano trotterellando verso gli altri, mentre Sebastian incrociò le braccia al petto, come un bambino a cui era appena stato tolto il suo giocattolo preferito.

“No,” fu la sua replica secca. “Sto già guardando la tv.”

Rose alzò gli occhi al cielo e, sospirando, affiancò Blaine ed entrambi si diressero verso il tavolo.




Finirono la tabella pochi minuti prima di pranzo. Era venuta proprio bene, pensò soddisfatto Blaine. Avevano assegnato ad ogni giornata un colore diverso e in quel modo aveva sette cartoncini colorati in cui erano state disegnate le varie attività suddivise in mattina e pomeriggio. Poteva sembrare una cosa infantile, ma a Blaine piaceva moltissimo.

Si era trovato bene a lavorare con gli altri e aveva avuto l’occasione di conoscere meglio Annie e imparare alcune parole nel linguaggio dei segni grazie a Rose. Era stato un momento tranquillo e rilassato, ma Blaine non potè far a meno di lanciare ogni tanto uno sguardo in direzione del divano su cui era ancora seduto Sebastian, apparentemente interessato alla replica di una partita di pallacanestro.

“Bene, è arrivata l’ora di mangiare e quindi adesso tutti in camera. Sebastian, ti andrebbe di accompagnare Blaine e aiutarlo un minuto ad appendere i suoi cartoncini?”

Sebastian grugnì qualcosa a bassa voce, ma si alzò e aspettò che Blaine gli dicesse di andare.

“Senti, se non hai voglia di darmi una mano, puoi anche andare subito in camera. Per me fa lo stesso.”, gli disse lungo il corridoio, spezzando il silenzio intervallato dal rumore dei loro bastoni.

“È uguale.”

“No, non è uguale. Se vuoi, bene. Se non vuoi, non me la prendo. Non mi hai nemmeno aiutato a fare i cartoncini, quindi non m’importa.”

Bene.”

Fu l’ultima cosa che Blaine sentì uscire dalla sua bocca in quella mattina perché Sebastian camminò dritto fino alla fine del corridoio per poi chiudersi nella propria stanza.

Il pomeriggio arrivò prima che Blaine riuscisse a trovare una risposta allo strano comportamento di Sebastian. Gli aveva detto qualcosa di sbagliato? Forse aveva esagerato con le domande troppo personali? Blaine continuava a non capire.

Stava quasi per addormentarsi immerso nei suoi pensieri quando arrivò Rose a scrollarlo per un braccio.

“Sveglia, pigrone. Stiamo aspettando solo te, sono già tutti davanti alla porta.”, lo informò dandogli il braccio per aiutarlo a mettersi in piedi.

“Anche Sebastian?”

Stranamente sì. Non ti ha aiutato con i cartoncini, vero?”, gli chiese notandoli sparpagliati, abbandonati sulla scrivania.

“No. Ma perché-”

“Sebastian sta solo facendo Sebastian, non ti devi preoccupare.”

Blaine annuì, ma non era sicuro di aver compreso il significato di quella frase. Raggiunsero la metà del corridoio quando Rose gridò agli altri che la stavano ancora aspettando di cominciare ad andare.

“Io e te adesso cerchiamo un grembiule così, anche nella peggiore delle ipotesi, non ti sporcherai di terra. Devi vedere come si concia Ralph ogni benedetta volta.” disse prima di prenderlo sottobraccio e condurlo verso un armadietto vicino.

“Io... Io non è che me ne intendo molto di giardinaggio, Rose...” balbettò Blaine seguendola.

“Non c’è problema. Neanche gli altri, tranne Lucille, sono esperti. Basta solo mettere un po’ in ordine alcuni vasi e il gioco è fatto. Puoi sempre chiedere a lei se hai bisogno. È proprio portata, credo che abbia il cosiddetto pollice verde.” disse lanciandogli tra le mani un grembiule nuovo di zecca.

Una volta usciti all’esterno, Blaine ebbe l’opportunità di ammirare il giardino in tutto il suo splendore.

Il prato all’inglese contava alcuni ettari di terreno ed era costellato da diverse aiuole in cui crescevano rigogliosi cespugli di lavanda e ibisco. Davanti agli alberi alti dalla corteccia scura e spessa che profumavano di resina c’era un gazebo in legno con due panchine circondato da piante di rose e altri fiori dai colori sgargianti che Blaine non aveva mai visto prima. Il sentiero in terra battuta terminava con una voliera in metallo che molto probabilmente era rimasta inutilizzata da anni.

Blaine osservò Annie aiutare Ralph a spostare alcuni vasi di gerani mentre Frank e Lucille portavano una carriola contente gli attrezzi da giardinaggio. Ma dov’era Sebastian? Si guardò intorno prima di scorgerlo seduto su una delle due panchine sotto il gazebo.

“Ehi,” disse prendendo tutto il coraggio possibile e si avvicinò a lui. “Tu non ci aiuti?”

Notò subito che Sebastian si irrigidì al suono della sua voce.

“No, io non faccio niente. Me ne sto qui buono buono a farmi i fatti miei. Perché? Volevi per caso vedermi con un paio di cesoie in mano? Effettivamente sarebbe divertente, chissà come andrebbero le cose con Ralph che continuerebbe a girarmi intorno.”

“Ma... Ma prima mi hai detto che ti diverti sempre a fare giardinaggio.”

“Mi riferivo al divertimento che mi dà il pensiero degli altri con la schiena piegata sotto il sole cocente, Blaine.”

Blaine aggrottò la fronte, leggermente infastidito dal suo tono e comportamento tedioso. “Ho capito. Comunque, se vuoi, posso rimanere con te a farti compagnia.”

Sebastian rimase zitto per qualche secondo e strinse le labbra in una smorfia, come se stesse lottando contro un pensiero più grande e più forte di lui, ma poi gli sorrise sornione.

“Oh, Blaine, questa è solamente una scusa per non sporcarti le mani. Ora vai!”

Blaine ridacchiò prima di alzarsi e dirigersi più sereno verso Rose, che stava già spiegando l’attività agli altri.

“...poi li mettiamo tutti qui dentro. È così triste vederla vuota e avrebbe anche bisogno di essere ridipinta.”

Il lavoro consisteva nel travasare i gerani in vasi nuovi e poi disporli in una composizione all’interno della voliera. Sembrava semplice, ma si rivelò più arduo del previsto. Dopo nemmeno cinque minuti Frank fece scivolare a terra un vaso di coccio che si ruppe in mille pezzi e Annie si bagnò le scarpe fino ai calzini rovesciandosi addosso l’annaffiatoio, ma fu proprio Ralph, come predetto da Rose, a fare una caduta spettacolare su un cespuglio dopo essere inciampato su un sacco pieno di terriccio.
“Ero distratto, scusatemi!” mugolò prima di rialzarsi in piedi aiutato da Blaine.

“Basta che tu non ti sia fatto male. Peccato per questi fiorì, però”, disse raccogliendone uno fucsia molto acceso che era caduto dal cespuglio. Lo annusò: era profumatissimo.

Sentendone ancora il profumo, guardò Sebastian e lasciò che le sue gambe lo trascinassero verso il gazebo.

“Ralph è scivolato su un cespuglio pieno di fiori e ne ha fatti cadere un bel po’,” lo informò avvicinandosi piano piano. Sebastian girò la testa nella sua direzione, sul volto un’espressione indecifrabile.

“Senti che buon profumo. Non ho mai sentito un odore così dolce, sembra sappia di rosa però non credo lo sia.”
“Non voglio. E se poi fossi allergico? Non mi va di starnutire o ricoprirmi di bolle e-”

Blaine roteò gli occhi e non lo lasciò finire. “Annusa!”, gli ordinò mettendogli il fiore vicino al volto.

Sebastian sbuffò e inspirò arricciando adorabilmente il naso.

“Sa di fiore.”

“È ovvio, è un fiore! Ha un odore particolare e buonissimo, vero?”

“Sì”, ammise Sebastian in un sussurro, sfiorando la mano di Blaine ancora sotto il suo naso.

Blaine allentò la presa lasciandogli il fiore tra le dita. “Torno là a invasare le piantine. Siamo ancora in alto mare.”, sospirò. Sebastian non rispose e Blaine si incamminò verso gli altri ma, a metà sentiero, si girò di nuovo verso di lui e lo vide annusare il fiore ancora una volta. Le labbra di Blaine si curvarono all’istante in un gran sorriso che non lo abbandonò fino alla voliera.

Dopo un’altra ora il lavoro fu terminato. Blaine constatò che in quel modo il giardino era ancora più bello e i gerani aggiungevano un tocco di colore in più. Rose si complimentò con tutti e fece loro capire in maniera nemmeno troppo subdola che la volta successiva avrebbero pitturato la voliera, suscitando lo scontento di Annie che avrebbe voluto ancora annaffiare i fiori.  

“Oh, è quasi ora di cena! Potete tornare dentro e ricordatevi di lasciare fuori i grembiuli perché sono pieni di terra. Lavatevi con cura le mani –a te, Ralph, la doccia non te la toglie nessuno- mentre io vado a recuperare quel brontolone di Sebby.”

Blaine rise divertito pensando all’espressione che poteva fare Sebastian se avesse udito il soprannome e tornò dentro con gli altri, premurandosi prima di togliere il grembiule sporco.

Dopo essersi lavato le mani, decise che era arrivato il momento di appendere i cartoncini delle attività all’armadio e, mentre era nel salone comune a cercare un rotolo di scotch, udì Sebastian parlare con Rose mentre camminavano lungo il corridoio e giurò di averlo sentito chiedere all’infermiera di aiutarlo a riempire un vaso con dell’acqua.






Bonjour! 

Terzo capitolo un po' più lungo e decisamente meno angst del precedente. A Villa Liberty le cose iniziano ad andare bene con Blaine che riesce ad ambientarsi e Sebby che si scioglie con un fiore che sa di fiore. Aww, Sebby!

La storia sta lentamente prendendo il via, ma credo che le mie intenzioni si facciano più chiare già dal prossimo capitolo (che arriverà sempre di lunedì, nonostante io stia già fremendo per postarlo! Ma finalmente vi meritate un po' di tregua, ho riempito EFP negli ultimi giorni LOL) ma, soprattutto, dal quinto.

Io vi ringrazio per ogni lettura, ogni parola che state spendendo per me e tutti quei preferiti e seguiti! Non ci posso ancora credere perché non siamo nemmeno arrivati nel vivo della storia -e c'è ancora una confusione pazzesca ma, no problem, la prima ad essere confusa sono proprio io- e già vi siete affezionati.

Siete la puccyness, ecco. ♥

-violetsugarplum


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Capitolo 4
*** Sei sempre stato troppo buono ***




4
. Sei sempre stato troppo buono


Il mattino successivo Blaine non fu svegliato dall’allegro cinguettio degli usignoli, ma da qualcosa che ricollegò al rumore della pioggia. Dopo aver raggiunto la finestra barcollando ancora un po’ intontito dal sonno, scoprì subito di avere ragione; il cielo era grigio, pieno di grosse nuvole che non promettevano nulla di buono per il resto della giornata.

Rose, che nel frattempo era entrata in camera e aveva appoggiato il vassoio della colazione –succo d’arancia e biscotto al cioccolato- sul comodino, lo scosse dai suoi pensieri.

“Brutto tempo, eh? Per fortuna ieri abbiamo finito tutto. Forse Annie non avrebbe dovuto dare così tanta acqua a quei poveri gerani...”

Blaine, mangiucchiando il biscotto e facendo cadere una quantità indefinita di briciole sul pavimento, diede un’occhiata al cartoncino verde appeso al suo armadio.

“Incontro con la psicologa e nel pomeriggio biblioteca?”

Rose annuì. “La dottoressa Goodman ti chiederà come stanno andando i tuoi primi giorni e non ti costringerà a rispondere a domande che non vuoi. Sei preoccupato?”

“No, no. È che credo di non avere nulla di interessante da raccontarle.”

“Oh, pulcino, credimi. Sono sicura che qualcosa ti verrà in mente. Ora bevi il tuo succo e, quando hai finito di prepararti, vieni in salone ad aspettare il tuo turno.”

Blaine fece quanto detto e si ritrovò presto seduto al tavolo impegnato in una noiosa partita a carte con Annie, Lucille e Frank. Ralph era appena uscito dalla sala accompagnato da un’infermiera quando arrivò Sebastian.

“Blaine?”, domandò appena superata la porta.

“Sono al tavolo con gli altri a giocare a bridge. Ti unisci a noi?”

Blaine lo fissò, senza avere grosse aspettative. E infatti rimase piacevolmente stupito quando Sebastian, nonostante una plateale alzata di spalle, si sedette tra lui e Frank.

“Hai già avuto il tuo colloquio?”, disse ripiegando il bastone e appoggiandoselo sulle gambe.

“No, Ralph è il primo ed è entrato giusto qualche minuto fa. Com’è la dottoressa Goodman?”

“Mmh, non è male per essere una strizzacervelli. Io, comunque, non le dico mai la verità. Non voglio che si faccia gli affari miei.”

“Ma quello è il suo lavoro, Sebastian.”

Sebastian ridacchiò. “Lo so, ma altrimenti che gusto ci sarebbe?”

Man mano che gli ospiti terminavano il colloquio facevano ritorno nelle loro stanze e Blaine non si sorprese affatto di essere stato lasciato per ultimo. Proprio quando stava per finire un poco avvincente solitario con le carte, fu accompagnato da un’infermiera nello studio della psicologa.

La dottoressa Goodman era bella e giovane, completamente opposta all’immagine che Blaine si era raffigurato nella sua mente.

Dopo le presentazioni di rito, la donna non lo fece sdraiare sul solito divano sempre protagonista di film e serie televisive, ma lo fece accomodare su... “...una poltrona gonfiabile?”, chiese Blaine un po’ interdetto continuando a osservare l’oggetto come se si aspettasse da un momento all’altro di vedere uscire una telecamera nascosta a riprendere lo scherzo.

“Sì, perché? Non ti piace? Dà un un po’ di vita a questa stanza così smorta. Accomodati, dai.”

Blaine si sedette con lentezza, temendo di cadere con la schiena per terra, e si schiarì la voce nervosamente.

“Allora, Blaine. Grazie a queste cartacce,” disse sventolando in aria alcuni fogli dall’aria ufficiale, “So che hai sessantotto anni, sei stato sposato, hai una figlia e ti sei fatto rinchiudere qui di tua spontanea volontà. È corretto?”

Blaine annuì, incapace di aggiungere altro.

“Molto bene. Ora dimmi come ti senti, come ti trovi qui. Ti trovi bene con gli altri ospiti?”

“Sì, sto bene. Sono trascorsi solo due giorni, ma mi piace stare qui. Vado d’accordo anche con gli altri.”

“Anche con Sebastian?”

“Anche con Sebastian,” sorrise incerto. “In realtà non è la prima volta che lo incontro. L’ho conosciuto anni e anni fa, quando andavo al liceo.”

“Lo so, me l’ha raccontato il giorno in cui sei arrivato.”

Blaine ripensò che Sebastian non gli aveva detto di aver incontrato la psicologa, ma decise di lasciar correre. Del resto, c’erano molte cose a cui gli mancava una risposta.

L’incontro fu piacevole e stimolante; la dottoressa Goodman era spigliata e comunicativa, un’attenta ascoltatrice ma anche un’ottima osservatrice.

“Vedo che indossi ancora la fede.”

Blaine portò subito le dita a torturare l’anello, stringendo forte la nocca fin quasi a farsi male.

“Sono vedovo da nove anni,” e continuò, sentendosi in dovere di puntualizzare. “Sono stato sposato con un uomo.”

“Quindi? Guarda che non ci vedo nulla di male. E questo vorrei farlo sapere pure al tuo amico Sebastian che dopo tutti questi anni continua a farmi credere di essere eterosessuale provandoci con me, come anche stamattina. Ma penso che lo faccia solo per farmi incazzare,” scoppiò in una breve risata. “Siccome il nostro incontro sta quasi per finire, facciamo una cosa? Ne parliamo quando te la senti? Che ne dici?”

Blaine riflettè per qualche secondo e fece di sì con la testa, un po’ dispiaciuto per il fatto che il colloquio fosse stato breve ma anche sollevato, perché non si sentiva ancora pronto per parlare di un argomento così pesante e così doloroso.

“Sono contenta che tu stia bene, Blaine. Sei come una boccata d’ossigeno in questo luogo. Qui la vita è monotona e ripetitiva, si fanno le stesse cose ogni giorno e sembra quasi che il tempo non trascorra mai e, se lo fa, nessuno se ne accorge. Ma credo che le cose stiano per cambiare. Forse l’hanno già fatto... E poi ti piace la mia poltrona gonfiabile e non sei caduto, quindi hai guadagnato già cento punti in più oltre alla mia stima.”

Dopo essersi congedati, Blaine tornò in camera ripensando alle parole della dottoressa Goodman. Sedendosi sul letto aspettando il pranzo, comprese perché Sebastian non la trovasse così male. Ci sapeva decisamente fare e sicuramente aveva capito più cose lei in una ventina di minuti che Blaine in tutta la sua adolescenza.

 


Quando nel pomeriggio Blaine entrò scortato da Ralph in biblioteca, Blaine vide subito Sebastian seduto ad un tavolo davanti a un libro aperto.

“Cosa leggi?”, gli domandò sedendosi accanto a lui, guardandolo sfiorare le pagine con la punta delle dita.

“Un libro che è arrivato qualche giorno fa. Ne hanno ordinati un paio anche per me, come se sapessi leggerli. Ci credi se ti dico che dopo tutti questi anni non conosco ancora perfettamente il braille? Confondo sempre alcune lettere.”

“È così difficile?”

“Non lo sarebbe, se l’avessi studiato con più attenzione. Ma, sai, ho sempre pensato di non averne bisogno, no? Perché ero sicuro che prima o poi avrei visto di nuovo.”

Blaine intensificò il suo sguardo sulla mano di Sebastian, ancora impegnata a scorrere i puntini in rilievo.

“Non c’è modo per... Voglio dire, interventi oppure...?”

“No.”

Il tono risoluto di Sebastian non ammetteva repliche e Blaine non disse altro, consapevole del fatto che quell’argomento, per quella volta, poteva essere considerato chiuso. Lo guardò sfogliare distrattamente altre pagine del libro prima di riprendere a parlare.

“Che libro è?”

“’Il piccolo principe’. È il mio libro preferito fin quando ero piccolo. La mia nounou me lo leggeva sempre per farmi addormentare. Lo hai mai letto?”

“Uhm, no.”

Sebastian si morse pensieroso il labbro.

“Io... In camera ho il libro. Scritto normale, non braille. Se ti va, posso prestartelo.”

Blaine rimase sorpreso dall’offerta. Sebastian non sembrava proprio il genere di persona così generoso da dare in prestito le proprie cose, figurarsi qualcosa così personale come il suo libro preferito.

“Oh,” mormorò Blaine. “Grazie, mi piacerebbe.”

Sebastian si girò verso di lui e gli fece un gran sorriso che Blaine ricambiò subito.

“Sono anni che non lo rileggo, ma penso che non abbia perso la sua magia.”

Senza nemmeno pensarci, Blaine si ritrovò ad afferrare la mano di Sebastian che si era fermata su una pagina.

“Vuoi che te lo legga?”, gli chiese cercando di ignorare la piccola fitta nel petto quando aveva visto il sorriso svanire sul volto di Sebastian al suo tocco. “Non mi darebbe disturbo. Così potrei leggerlo e tu potresti ascoltarmi. Non sono un narratore eccezionale, ma Virginie non si è mai lamentata... Forse perché le facevo anche le vocine...”

Lentamente e senza dire una parola, Sebastian fece scivolare via la sua mano da quella di Blaine.

“Non è necessario.”

“Lo so, ma mi farebbe piacere.”

Davvero?”

La mano di Sebastian si mosse leggermente, come se volesse tornare a toccare quella di Blaine, ma rimase sul libro.

“Sì, davvero.”

“Va bene, allora... Allora io vado a prenderlo e poi torno qui, ok?”, chiese Sebastian alzandosi dalla sedia.

“Ti accompagno?”

Blaine si dovette accontentare di un sorriso che interpretò come un assenso.

“La McDillon ha vietato l’ingresso nelle camere tranne ai parenti degli ospiti e al personale medico.” comunicò Sebastian con una finta aria solenne arrivati davanti alla porta della stanza.

“Quindi ti aspetto fuori?”

“Quindi entri. Quando mai ho rispettato le regole?”

Con una grossa risata aprì la porta e Blaine notò che la stanza non era molto diversa dalla sua, se non fosse stato per un mucchio di volumi stipati alla bell'e meglio nella libreria, sul comodino e perfino sul pavimento. Sulla scrivania, anch'essa ingombra di libri, Blaine vide un vaso contenente il fiore che aveva raccolto il giorno precedente e sorrise tra sé e sé.

“Credo che tu stia aspettando delle scuse per il disordine, ma sappi che non le avrai.”, ridacchiò Sebastian mentre soppesava due libri presi sul comodino accanto al letto.

Blaine alzò le spalle. “Mi sorprende che le infermiere non ti dicano niente.”

“Oh, lo fanno, ma le ignoro. Mi sono sempre circondato di libri, tutte le camere in cui ho vissuto erano così.”, disse portando davanti al suo volto un piccolo volume dalla copertina ingiallita dal tempo e dall'usura. “È questo, vero?”

Blaine strizzò gli occhi per riuscire a leggere il titolo. “È proprio lui. Torniamo di là?”

Sebastian non rispose e posò distrattamente l’altro libro sul comodino.

“Quando sono venuto qui sono arrivato con due valigie,” disse sedendosi sul bordo del letto. “Una conteneva i miei vestiti; l’altra, invece, era piena di tutti questi libri.”

Blaine si guardò intorno un’altra volta e rimase in piedi di fronte a lui. Non aveva ancora capito che stava per assistere ad un altro raro momento in cui Sebastian si sentiva in vena di raccontare qualcosa in più di sé.

“Non so ancora perché li abbia portati. Forse, stupidamente, pensavo che qualcuno me li avrebbe letti. Appena entrato in camera, ancora prima di disfare l’altra valigia, li ho messi a posto. Ogni tanto ne prendo uno, lo sfoglio, sento il suo profumo e cerco di riconoscerlo. Ma non ho mai avuto nessuno che mi dicesse se avessi ragione o no. Ti dicevo, ogni stanza in cui ho dormito era sempre piena di libri. Sono gli unici che mi hanno sempre tenuto compagnia nel corso degli anni...”, si fermò per un momento. “Gli unici che non mi hanno mai abbandonato e che non mi hanno mai mentito, mai giudicato.”

“Ma...”, Blaine cercò di interromperlo.

Sebastian lo fermò con un gesto della mano.

“Anche se non parlo molto e praticamente non partecipo a nessuna attività, non mi sento solo. Capisci, Blaine? Sono scontroso, un vecchio rompicoglioni ma qui, in questa stanza, c’è qualcuno che mi aspetta e, anche se non posso vederlo, so che c’è e non mi giudica per quello che sono o quello che ero.”

Blaine fissò i suoi occhi spenti e respinse l’istinto di ribattere perché non voleva iniziare un altro litigio, non adesso che Sebastian sembrava aprirsi senza pressioni.

“Non so cosa ti ricordi di me, di quando eravamo giovani. Sicuramente non hai dimenticato quello che ti ho fatto. Nemmeno io l’ho dimenticato. E mi ricordo benissimo del male che ho causato quando ero solo un ragazzino viziato, troppo pieno di soldi e di sé, sicuro di avere le spalle protette da un padre influente immischiato in qualcosa di grande come la politica. E riesco anche a ricordare quel ragazzo, quello che ha tentato di ammazzarsi...”

Blaine non ricordava né il suo nome né il suo volto, ma capì subito a chi Sebastian si stesse riferendo perché l’accaduto aveva sconvolto la sua classica vita piatta da studente liceale.

“Ecco perché penso che la situazione in cui mi trovo ora sia ciò che mi merito. È quella cosa che chiamano karma, non è vero? Ho cercato il perdono, ho provato a scusarmi, ma nessuno mi hai mai creduto e non posso certo biasimarli.”

“Non penso sia così.” Le parole uscirono dalla bocca di Blaine senza che riuscisse a fermarle.

“Disse quello che non mi diede un’altra possibilità.”

Una risata sarcastica riempì il silenzio della stanza facendo rabbrividire Blaine che, però, decise di sedersi sul letto di fianco all’uomo.

“Sebastian...”

“No, Blaine. Non dire altro. Lasciami parlare.”

Blaine lo guardò di traverso prima di iniziare a tormentarsi ansiosamente la fede al dito.

“Non sono mai stato il figlio, l’alunno, il compagno perfetto. Ho sbagliato tante cose nella mia vita e solo poche volte ho chiesto scusa per il mio comportamento. Ma non è mai stato sufficiente. Forse tu sei stato il primo a cui abbia mai chiesto di essere perdonato. Però ho cercato di andare avanti, di migliorare il mio stupido atteggiamento e forse un po' ci sono riuscito, ma sai quant'è difficile essere buoni in un mondo come questo?”

Sebastian abbassò il viso e lisciò nervosamente il copriletto aspettando una qualsiasi risposta da parte di Blaine.

“L’ho fatto lo stesso giorno in cui mi chiedesti scusa.”

Blaine dovette combattere contro l’urgenza di afferrargli la mano e stringergliela tra le sue. Vide Sebastian mordersi il labbro, probabilmente in cerca di parole giuste.

“Sei sempre stato troppo buono.”

“Lo so, me lo dicono in tanti. Anche Virginie me lo dice sempre.” Blaine sorrise debolmente.

“Perché è la verità.”

Sebastian alzò il volto incontrando quello di Blaine e Blaine avrebbe dato qualunque cosa pur di specchiarsi in quegli occhi color smeraldo che un tempo brillavano sul volto di quel ragazzo allampanato e arrogante, mentre adesso erano sbiaditi, come se il tempo li avesse consumati.

Perdonami, Blaine.”

E Blaine non fece altro che sfiorargli il dorso della mano, mettendo in quel gesto tutte le parole che non aveva potuto dire quel giorno e i successivi cinquant’anni.




Una volta rientrati in biblioteca, si sedettero di nuovo vicini al tavolo. Sebastian aprì lentamente il libro e ne annusò soddisfatto le pagine. Blaine si chiese se stesse ancora pensando a ciò che era successo pochi minuti prima o quali ricordi potessero affollare la sua mente, quando si ritrovò il volume tra le mani.

“Dai, Blaine, incantami.”

Blaine si schiarì la voce sentendosi stranamente nervoso. Guardò Sebastian, che si era appoggiato allo schienale della sedia e aveva chiuso gli occhi in attesa che iniziasse a leggere, e tossì brevemente.

Un tempo lontano, quando avevo sei anni...







Questo è il punto in cui dovrei scrivere qualcosa di forte e memorabile, ma ho la febbre troppo alta per farlo LOL

Quindi preferisco riempire queste righe con qualcosa di interessante. Scrivendo questo capitolo, mi sono informata sulla scrittura braille e mi si è aperto veramente un mondo. Lo sapevate che l'alfabeto braille è stato inventato da un ragazzo sedicenne francese, cieco dall'età di tre anni, alla fine dell'Ottocento? Il suo nome era Louis Braille e da lui, infatti, derivò poi il nome.
Vi lascio con lo
schema dei simboli. In tutto sono solo 64, ma assumono significati diversi a seconda dell'argomento trattato, spaziando dalla matematica alla musica.
Io sto provando a impararlo da autodidatta e mi confondo spesso, proprio come il nostro Sebby :)

Vi ringrazio per seguire la storia con così tanta passione. Mi risollevate un po' il morale che è terra per colpa di questa influenza orribile. Grazie 


-violetsugarplum


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Capitolo 5
*** Voglio vederti felice ***




5
. Voglio vederti felice


“Oggi viene mia figlia, la mia Virginie.”

Quella mattina Blaine si sentiva particolarmente di buon umore e continuò a sbirciare fuori dalla finestra trattenendo leggermente la tenda tra le dita. Finalmente il sole era rispuntato dopo i temporali del giorno prima e l’erba non sembrava tanto bagnata; magari avrebbe potuto portare Virginie e suo marito a fare una passeggiata nel bellissimo giardino.

Annie, in piedi accanto a lui, gli fece un sorriso vacuo.

“Anche la mia mamma e il mio papà vengono oggi”, disse passandosi le dita tra i lunghi capelli e fissando un punto non ben definito oltre la finestra.

“Beh, sì. Oggi è il giorno di visite. Sei contenta, Annie?”

Ma la ragazza si era già seduta sul divano tenendo in mano il suo libro, osservata attentamente da Ralph vicino al tavolo.

Blaine continuò a guardare fuori cercando di ascoltare il canto degli usignoli, anch’essi felici della bella giornata soleggiata.

“Come sono oggi? Intonati? Hai altri suggerimenti da dargli?”

Sebastian era arrivato dietro di lui accompagnato dal suo bastone bianco e ridacchiava per la battuta appena fatta. Blaine rise a sua volta, spostandosi di lato per fargli spazio davanti alla finestra.

“Non sono male, sicuramente meglio dell’altro giorno. Ma come sapevi che ero qui a guardare fuori?”

“Oh, ho sentito il tuo profumo.”

Blaine sentì subito le guance scaldarsi, preso da uno strano imbarazzo.

Davvero?

“No, me l’ha detto Rose,” Sebastian trattenne un’altra risata. “Stavo scherzando.”

“Molto divertente, sul serio.” commentò Blaine fingendosi offeso, vergognandosi un po' di essere ancora rosso in volto.

Sebastian scostò ancora di più la tenda e fece un grosso sospiro.

“Allora oggi viene tua figlia?”

“Sì, vengono lei e suo marito Zach. Non vedo l’ora di vederla.”

“Lui no?”

“Come posso voler vedere qualcuno che mi ha rubato la mia bambina!?”, esclamò Blaine con aria divertita.

Ridacchiarono entrambi mentre si sedettero sul divano, mettendosi l'uno accanto all'altro come al solito. Blaine notò che Sebastian quel giorno era più rilassato e loquace e ricollegò questo cambiamento al discorso avvenuto il giorno precedente. Sicuramente non era diventato il suo migliore amico, ma era decisamente un passo in avanti. C'erano ancora così tante cose da raccontarsi e Sebastian sembrava ben disposto a farlo, avendo abbandonato l'aria perennemente corrucciata.

“Me la descrivi?”, chiese all'improvviso Sebastian.

Blaine chiuse per un attimo gli occhi, cercando di trovare le parole adatte per rendere giustizia alla bellezza della figlia.

“È alta, molto più alta di me. Ha preso da mio marito, per fortuna. Però ha i miei lineamenti. Capelli scuri un po’ mossi e due grandi occhi ambrati, simili ai miei, che diventano color del caramello quando mi dice le bugie. Credimi, durante il periodo ribelle dell’adolescenza ho iniziato a notare tutte le sfumature. C'era quella volta in cui è tornata a casa un'ora dopo l'orario stabilito e continuava a giurarmi che era stata da una sua amica quando sapevo benissimo che era da-“

“Deve essere proprio una bella ragazza.”  

“Oh beh, lo è”, ammise Blaine orgoglioso.

“Anche tu eri bello. Ricordo ancora quando ti ho visto per la prima volta, là appoggiato alla porta della sala comune della scuola. Avevo preso una cotta mostruosa per te. Eri così bello e bravo a cantare. Mi piaceva molto la tua voce... e tutto il resto.”

Blaine arrossì violentemente sentendosi subito a disagio, ricordando molto il ragazzino timido con cui Sebastian era solito flirtare senza pudore perfino davanti al suo fidanzato. Però Blaine non gli aveva mai sentito dire quelle parole; credeva che fosse attratto da lui per un motivo soltanto -e solo il pensiero imbarazzante gli fece distogliere lo sguardo.

"G-grazie", rispose balbettando. "Anche tu lo eri."  Il suo carattere non gli permetteva mai di accettare un complimento senza ricambiare.

Sebastian fece un sorriso malizioso, uno dei tanti che gli riservava al liceo, ma non aggiunse altro.

Continuarono a chiacchierare e punzecchiarsi amichevolmente fino a quando le infermiere non li avvisarono che li avrebbero riaccompagnati nelle loro stanze per il pranzo.

"Allora... Beh, divertiti con la tua famiglia." disse Sebastian alzandosi dal divano.

Blaine si mise in piedi a sua volta e lo guardò come se volesse aggiungere altro. Chiedergli 'vuoi conoscerli?' sarebbe stato tanto semplice quanto complicato. E le cose tra loro erano già abbastanza difficili. Inoltre Blaine era sicuro che Sebastian avrebbe rifiutato l'invito.


 


Blaine stava riposando sul letto quando sentì bussare alla porta. Una voce familiare lo stava chiamando e ridestandolo lentamente.

"Papà? Sono io, stavi dormendo?"

Virginie entrò nella stanza con un gran sorriso e un piccolo pacco tra le mani. Blaine la vide osservare attenta tutta la camera, soffermandosi in particolare sull'anta dell'armadio tappezzata di cartoncini colorati e, sempre con il sorriso sulle labbra, lo aiutò a mettersi seduto per poi abbracciarlo forte.

"Ciao, papà."

"Tesoro, ciao", Blaine la guardò sedersi accanto a lui e le spostò amorevolmente una ciocca di capelli che le era scivolata sulla fronte.

"Come stai?"

"Bene, sto davvero bene."

Gli occhi di Virginie scrutarono il volto di Blaine cercando di capire se stesse mentendo, ma si addolcirono quando lui continuò a parlare.

"Ma sei venuta da sola? Mi avevi detto che saresti venuta con-"

"Zach è al lavoro. Deve fare un po' di straordinari perché..." non riuscì a terminare la frase perché Blaine la interruppe.

"Avete bisogno di soldi? Sei stata licenziata? Posso aiutarvi, lo sai."

"Non è niente di tutto questo, papà. È tutto ok. E poi i tuoi soldi ti serviranno quando deciderai finalmente di tornare a casa."

Blaine sbuffò facendo una smorfia e Virginie non potè trattenere una piccola risata.

"Lo so, papà, lo so. Su, raccontami cosa fai di bello e come sono i tuoi compagni."

Blaine iniziò a spiegare le attività che aveva fatto i giorni precedenti, soffermandosi in una descrizione piuttosto particolareggiata del giardino e del fiore che aveva raccolto dopo che Ralph era caduto sul suo cespuglio.

"Dovevi vedere quant'era mortificato, poverino! E poi ho preso questo fiore, l'ho annusato e sono sicuro di non aver mai sentito un profumo così buono. È piaciuto anche a Sebastian ed è tutto dire!" disse facendo un gran sorriso in direzione della figlia.

"E chi è Sebastian?", chiese Virginie incuriosita dallo strano sbriluccichio negli occhi del padre. Non lo vedeva così genuinamente divertito e sereno da molto tempo.

"Sebastian... Sebastian Smythe è uno degli ospiti", affermò Blaine senza smettere di sorridere. "È un gran brontolone e non gli va mai bene niente, ma è quello con cui passo più tempo insieme. La cosa buffa è che è stato un mio vecchio compagno di scuola al liceo... Beh, non proprio un mio compagno perché ha iniziato a frequentare la Dalton l'anno dopo il mio trasferimento... Però lo conoscevo già da prima."

"Ah, sì? Però non mi ricordo di lui quando mi raccontavi delle feste di rimpatriate."

Virginie continuò a fissarlo scettica e Blaine temette che pensasse che fosse completamente impazzito e se lo stesse inventando.

"Perché non è mai venuto. Forse non l'hanno nemmeno mai invitato... Sai, abbiamo avuto un po' di problemi e ci siamo poi divisi. L'ho rincontrato solo l'altro giorno, dopo quasi cinquant'anni."

"E non me lo fai conoscere?"

Blaine si aspettava questa domanda. Del resto, se l'era posta anche lui giusto qualche ora prima. Sorrise dolcemente a Virginie, cercando di mascherare la delusione che stava provando.

"Non oggi. La prossima volta, magari? Così c'è anche Zach?"

"Va bene", annuì sempre poco convinta. "Allora, perché non apri il regalo che ti ho portato?"

Virginie si alzò dal letto e gli porse il pacchetto che era rimasto sul comodino. Una volta aperto, Blaine si lasciò scappare un singhiozzo sentendo subito le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.

"Grazie, tesoro. È... è un regalo bellissimo."

Il pacchetto conteneva una cornice d'argento con una vecchia foto di famiglia che ritraeva Virginie, più o meno intorno ai tre anni, con i capelli mossi tutti spettinati e la frangetta un po' storta, seduta felice tra le gambe di Blaine, che l'abbracciava forte e poggiava la testa sulla spalla del marito, anch'egli sorridente. Era stata scattata in un momento sereno delle loro vite, quando la principale preoccupazione era portare la piccola in orario all'asilo e riuscire a prendere un fine settimana di ferie per poter andare nel cottage in montagna che affittavano per l'occasione.

"Ti piace? È la foto che papà teneva sul suo comodino... Puoi metterla sul tuo, così è un po' come se fossi a casa... Lui mi manca così tanto... Mi mancate, tu e lui. Vorrei che non ci avesse lasciato..."

Blaine strinse immediatamente la mano della figlia e gliela baciò con tenerezza.

"Anch'io lo vorrei tanto. Però sai che sono sicuro che adesso sia in un posto più bello? Con di nuovo i capelli lunghi, le guance piene e rosee e niente più segni di continue punture di aghi troppo grandi sulle braccia. Quando lo sogno, sorride sempre, come in questa foto... Grazie mille per il regalo, Virginie. Grazie."

"Di niente, papà... È che anche se non sei più a casa, voglio vederti felice."

"Oh... Lo sono. Ti giuro che lo sono."

Blaine le sorrise, sapendo di esserlo davvero come non era mai stato da nove anni a quella parte. Virginie non potè fare altro che ricambiare quel sorriso e si alzò dal letto con gli occhi color miele leggermente lucidi.

"Andiamo in salone? Entrando qui ho incontrato due signori che mi hanno detto di essere i genitori di Annie e volevo scambiare con loro due chiacchiere."

'E assicurarti che Sebastian non sia frutto della mia immaginazione', pensò Blaine mentre Virginie gli allungava il bastone, cercando di asciugarsi gli occhi con una manica della camicetta.







'Giorno e buon inizio settimana! :3

Questo è un po' un capitolo filler che anticipa una cosa piuttosto importante, oserei dire la chiara spiegazione di tutta questa storia. Ma al momento
non dico altro e vi lascio con questo, in cui si scopre qualcosa sul marito di Blaine, visto che era un argomento che non avevo ancora toccato e
mi avete fatto un sacco di domande a riguardo :)
Ecco perché ho deciso che questa settimana aggiornerò prima... perché mi sento in colpa! LOL

E grazie, come sempre, per tutto l'ammmore che sto ricevendo. Non riesco nemmeno a dire quanto mi faccia piacere! ♥

-violetsugarplum



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Capitolo 6
*** Perché vuoi rimanere? ***




6
. Perché vuoi rimanere?



Il pallido sole dell'alba filtrava tra le ante, ma Blaine era già sveglio da parecchi minuti.
 
Aveva sbarrato gli occhi di colpo, probabilmente destato da un incubo, ma non lo ricordava.  Sentiva una leggera nausea ed era una cosa che gli accadeva sempre in vista di qualche fatto sgradevole. Era come una sorta di sesto senso; lo metteva all'erta, sempre come se fosse sul ciglio di un precipizio. E Blaine non capiva da cosa potesse essere derivata.
 
L'incontro con la figlia il giorno precedente era stato tranquillo e rilassato, trascorso chiacchierando con i parenti e gli amici degli altri ospiti senza nessun tipo di problema. Ma Sebastian non era nella sala comune con loro, cosa che dispiacque a Virginie, davvero curiosa di conoscerlo, e rattristò Blaine. Aveva sperato di vederlo, magari seduto sul divano come sempre... Magari in compagnia di qualcuno. Saperlo da solo nella sua camera, circondato da libri che non poteva nemmeno leggere, non era un pensiero piacevole per Blaine. Tuttavia, cercò di mostrarsi sereno e accettò con piacere di giocare a carte tutti insieme, come se fossero una grande famiglia.
 
Prima di andare via, Virginie tentò ancora una volta di convincerlo a tornare a casa con lei, suscitando solo una risatina divertita da parte sua. 
 
"Te l'ho detto, tesoro, io qui sto bene."
 
"Mi dici che sei felice? Me lo dici guardandomi negli occhi, papà?"
 
E Blaine si specchiò in quelle iridi calde così simili alle sue, di un colore tenue e ambrato in cui aveva cercato conforto quando tutto sembrava gli stesse crollando addosso, e semplicemente, glielo disse.
 
"Sono felice."
 
"Anch'io sono felice che tu lo sia", Virginie lo abbracciò, carezzandogli con tenerezza i piccoli ricci alla base del collo. "Lo farò sapere a Kurt, che continua a tempestarmi di telefonate chiedendomi se possiamo venire a riprenderti."
 
"E allora tu diglielo, tu diglielo che sono felice."
 
La donna lo strinse in un ultimo abbraccio prima di chiudere dietro di sé la porta della stanza.

 
 

Quella mattina Blaine non fece colazione; la morsa allo stomaco non accennava a diminuire. Entrò in salone e cercò subito preoccupato la figura di Sebastian. L'uomo era comodamente seduto sul divano, intento ad ascoltare i risultati di una partita di baseball.
 
"Ehi", lo salutò stancamente andando a sedersi accanto come ogni giorno.
 
"Buongiorno a te. Tutto bene?"
 
Sebastian gli rivolse un sorriso radioso e Blaine non potè fare altro che annuire, sforzandosi di rendere il suo tono di voce un po' più allegro.
 
"Oggi aspetti altre visite? Torna tua figlia? Perché, pensavo... Se vuoi... Non so, magari potrei rimanere qui, e-"
 
Sebastian non riuscì a terminare la frase perché dal corridoio si sentì un gran trambusto e alcune voci concitate.
 
"NO! Io devo entrare, avete capito? Io devo parlargli subito, immediatamente!"
 
La porta della sala si spalancò sbattendo forte contro il muro e Kurt, col volto arrossato e gli occhi fuori dalle orbite, sembrava cercare qualcuno con lo sguardo di un cacciatore alla ricerca della propria preda. "Tu!", urlò puntando il dito nella direzione di Blaine e Sebastian.
 
"N-no..." Blaine tentò di scattare in piedi ma, in mancanza del suo bastone d'appoggio, ripiombò sul divano e il rimbalzo non fece altro che aumentargli il senso di nausea. Sebastian, invece, era rimasto immobile.
 
Kurt, sorprendentemente per un uomo della sua età, riuscì agilmente a sfuggire dalla presa degli infermieri e raggiunse il divano, trovandosi a fianco di Sebastian che, nel frattempo, aveva serrato le labbra e gli occhi.
 
"Blaine, andiamo a casa."
 
"N-no...", disse debolmente.
 
"Torniamo a casa."
 
"No, Kurt, ascolta..."
 
"Ti ha detto che non viene."
 
La voce di Sebastian era fredda e la sua espressione era seria, indecifrabile come una maschera di cera. Si girò verso Kurt, che di tutta risposta, emise uno sbuffo seccato e lo ignorò esattamente come aveva fatto fino ad un momento prima.
 
"Blaine, per favore, vieni. Mi sono fatto quasi due ore di viaggio per riportarti a casa."
 
"Io voglio stare qui, Kurt."
 
Il tono che non ammetteva repliche di Blaine ammorbidì leggermente la smorfia dipinta sul volto di Sebastian che, sospirando, invitò gentilmente Kurt a sedersi.
 
"P-prego?", domandò Kurt, non sicuro di aver sentito bene. Anche Blaine rimase sorpreso, al limite dell'incredulità, dall'improvviso cambio di comportamento.
 
"Possiamo discuterne da persone civili. Non abbiamo più sedici anni, ne abbiamo il quadruplo. Quindi, Kurt, abbi la decenza di metterti tranquillo e buono per un attimo e ascoltare quello che vuole dirti il tuo amico Blaine."
 
Kurt si ritrovò a boccheggiare con aria stupida fino a quando, scuotendo brevemente la testa e mormorando qualcosa a bassa voce, si sedette sulla poltrona di chintz accanto al divano.
 
"Perché vuoi rimanere?"
 
"Perché qui sto bene."
 
"Lo so, me l'ha detto Virginie. Si è premurata di farmi sapere che sei felice e lo ero anch'io per te, fino a quando non ha fatto il suo nome. Sapevi che lui era qui, vero?"
 
"No, no, non lo sapevo."
 
"È stata una piacevole sorpresa, devo ammettere", Sebastian interruppe il dialogo con un sorriso accattivante, appoggiando con aria fintamente distratta il braccio sullo schienale, in modo da circondare le spalle di Blaine.
 
Kurt tossì forzatamente. "Dipende dai punti di vista."
 
A Blaine non pareva vero. Gli sembrava di essere tornato improvvisamente indietro col tempo e di essere ancora in quel caffé, a fissare prima uno e poi l'altro, rosso di vergogna ma anche di compiacimento. Perché, doveva essere sincero con se stesso, essere stato conteso tra due ragazzi come quei due, era stato davvero gratificante e lo aveva fatto sentire bene. E loro erano lì, sempre gli stessi, nonostante una vita diversa sulle spalle, a battibeccare e a soffiarsi l'uno contro l'altro come due gatti col pelo ritto, pronti a dare una zampata sul muso se uno dei due avesse osato muoversi per primo.
 
Era una situazione ai limiti dell'assurdo e del grottesco perché, come aveva giustamente ricordato Sebastian, non erano più dei ragazzini, nonostante si comportassero come tali. 
 
Oppure peggio.
 
"Kurt, io... Davvero,  non avevo idea che Sebastian fosse qui. Sai perché ho voluto venire in questa casa di cura e... Sebastian è semplicemente qui, come me."
 
In realtà Blaine non sapeva se Sebastian avesse deciso di sua spontanea volontà di venire a Villa Liberty o fosse stato mandato dal suo ex compagno o magari da alcuni parenti troppo presi dalleloro vite per occuparsi di lui, ma quello non era esattamente il momento opportuno per esporre i suoi dubbi. Kurt contrasse la mascella, insicuro su cosa rispondere.
 
"Sono cresciuto, Kurt."
 
"Gli hai fatto del male. Blaine ti è stato amico, si fidava di te. L'hai trattato come se non valesse niente. Chi mi dà la sicurezza che tu non lo stia ferendo anche adesso? E l'hai tradito, ma lui, per qualche assurdo motivo, ti ha perdonato nonostante tutto. Non gli hai mai chiesto scusa."
 
"Sì, sì che l'ha fatto!", Blaine non riuscì a trattenersi ulteriormente, ignorando Kurt che tentava di zittirlo con un cenno. "Sebastian non è più così! È cambiato! È diverso... È innocuo!"
 
"No, non lo sono."
 
Blaine rimase a bocca aperta. Lo stava difendendo, convinto del fatto che il Sebastian con cui era stato a stretto contatto in quei giorni era veramente un uomo diverso del ragazzo che ricordava, più maturo, più umano, perciò cosa stava facendo?
 
"La situazione in cui mi trovo ora -e non parlo soltanto dei miei occhi- , è la prova di quanto io sia dispiaciuto per la persona che ero, di quanto io rimpianga di aver sprecato gli anni più belli della mia vita a far soffrire la gente. Ero quello che fin dall’adolescenza si circondava di persone –di ogni tipo di persone- pur di non rimanere da solo. Ma la verità è che mi sono sempre sentito solo. Però sai qual è la cosa divertente? È che ho il terrore di morire da solo. Pensare di esalare il mio ultimo respiro nel mio appartamento completamente da solo, mi faceva impazzire. Non sono venuto qui perché volevo farlo, sono qui perché sono un egoista che fino all’ultimo riesce a usare gli altri per il proprio tornaconto.”
 
Kurt scambiò uno sguardo preoccupato con Blaine, che scosse semplicemente la testa ancora incredulo. Sebastian continuò a parlare.
 
"E questo è tutto. Blaine, è stato bello rincontrarti dopo tutti questi anni. Anche tu, Kurt. Se mai aveste voglia di venire a trovarmi, sapete dove sono. Ho il sospetto che rimarrò qui a tediare Ralph ancora per molto tempo."
 
Entrambi non seppero cosa dire quando Sebastian prese il suo bastone bianco, si alzò dal divano tremando quasi impercettibilmente, uscì dalla stanza e li lasciò in un silenzio tanto imbarazzato quanto fastidioso.
 
Blaine non ebbe più dubbi sulla causa del suo malessere.
 
 
 

"Sebastian, posso entrare?"
 
Kurt bussò piano alla porta della sua stanza e, proprio come si aspettava, l'uomo non rispose.
 
"Volevo solo dirti che me ne sto andando e tornerò il mese prossimo. Ma sappi che se succederà qualcosa, qualsiasi cosa, a Blaine, non esiterò a portarlo via da qui. Siamo intesi?"
 
Dalla camera non provenne alcun suono.
 
"Allora arrivederci, Sebastian."
 
"Questa è la mia ultima possibilità. Ciao, Kurt."






Questo è il capitolo più importante; da qui in poi dovrebbe essere chiara la direzione che prenderà la storia :)

Ma ve li immaginate Sebastian e Kurt che battibeccano ancora per Blaine dopo cinquant'anni? XD Nonostante sia una scena fondamentalmente comica, è anche parecchio profonda.

Mi sono sentita in dovere di postare oggi, giorno della Seblaine Sunday, perché la one-shot che ho scritto era veramente troppo, quindi ci voleva qualcosa di, tra virgolette, più leggero e, magari, anche positivo.

Devo ringraziarvi di tutto. Ho letto qualche commento in giro e noto che la storia sta piacendo sempre di più. Non l'avrei mai immaginato e, lo assicuro, questo va al di là di ogni mia aspettativa. Mi fate tanto contenta, vi dico grazie dal profondo del mio cuor ♥

Buona Seblaine Sunday! E ricordatevi che mancano meno di due settimane al ritorno dei bimbi belli! :3

-violetsugarplum 


 

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Capitolo 7
*** Sembrava che... ***




7
. Sembrava che...


I giorni trascorsero tranquillamente così come le settimane e, quasi in un battito di ciglia, l'aria si riempì di un profumo dolce e le ciliegie sugli alberi iniziarono a maturare col primo caldo, diventando di un bel color rosso acceso che ricordava le guance di Blaine quando Sebastian si lasciava scappare dalle labbra qualcosa di particolarmente gentile o, semplicemente, sfiorava la sua mano passandogli un nuovo libro da leggere.

Giugno era arrivato carico di buoni propositi e belle novità.

Avevano terminato di ridipingere la voliera nel giardino e Lucille aveva piantato nuovi cespugli di fiori, quelli che piacevano a Sebastian. Purtroppo, però, Ralph ci era inciampato sopra anche questa volta e aveva fatto un'ennesima caduta spettacolare, rompendosi addirittura gli occhiali e ferendosi lievemente la fronte. Riuscirono finalmente a capire che la sua non era disattenzione o sbadataggine; semplicemente era presbite. Con il nuovo paio di occhiali -più spessi e con la montatura rotonda- affermò di vederci decisamente meglio. E anche Annie fu d'accordo con questo cambiamento.

Blaine avvertiva sempre meno la stanchezza alle gambe nonostante gli impegni quotidiani fossero molti, ma la cosa più sorprendente era il fatto che non si dimenticava più nulla. Si ricordava dove riporre i pennelli lavati dopo la lezione di pittura, sapeva orientarsi nella lunga fila di corridoi che portavano alla piscina e sapeva sempre che giorno fosse, senza più guardare i cartoncini colorati incollati all'anta dell'armadio.

Sebastian era sempre al suo fianco. Aveva smesso di tormentare Ralph -ma lasciargli suonare il pianoforte era ancora totalmente fuori discussione- e partecipava più o meno attivamente ad ogni cosa proposta. Trascorreva la maggior parte del tempo a far battute, come se far ridere Blaine fosse la sua missione principale. E sorrideva spesso, dei sorrisi così belli e genuini che, le infermiere assicurarono di non avergli mai visto fare prima.

Blaine e Sebastian, insieme come al solito, stavano rientrando dall'ora di fisioterapia e stavano camminando tranquillamente per il corridoio quando accanto a loro passarono la signora McDillon, sempre dall'espressione severa, Rose, che fischiettava felice un motivetto da lei inventato, e un bel ragazzo giovane, non più che venticinquenne.

Il ragazzo li salutò educatamente con un cenno della mano e un largo sorriso lasciò intravedere una fila di denti bianchissimi e Blaine, fermandosi di colpo un po' sorpreso, ricambiò. Per poco Sebastian non gli andò a sbattere addosso.

"Ehi, che fai? Perché ti sei bloccato?"

"C'è un ragazzo con la McDillon e Rose."

Sebastian fece roteare il bastone a casaccio, come se stesse tentando di colpirlo.

"Da quanto ne so, la McDillon è una zitella e Rose ha una ventina di bambini troppo piccoli per lasciarli scorrazzare qui dentro... Ha il camice, per caso?"

Blaine non l'aveva notato subito, troppo preso da quegli occhi scuri, profondi e luminosi. Era vero: il ragazzo indossava il camice da infermiere.

"S-sì. Sì, ce l'ha. Ma è veramente giovane, troppo per essere già laureato... Sebastian, posso dire una cosa?"

"Certo... Che c'è? Non ti senti bene, per caso?"

Sebastian aveva preso questa inquietante abitudine di chiedergli ogni momento se si sentisse male, stanco, affaticato, annoiato... E tutti gli aggettivi che potevano venirgli in mente. Blaine era lusingato da questo atteggiamento così protettivo e che lo faceva sorridere tra sé e sé. Era come se Sebastian avesse paura di perderlo da un momento all'altro...

"No, è che... Accidenti, Sebastian, scommetto che se fossi ancora il ragazzino che ho conosciuto alla Dalton, faresti di tutto pur di conoscerlo."

"Oh, ma davvero? È così bello? È basso? Con una quantità spropositata di gel sui capelli, magari?"

Blaine alzò lo sguardo al cielo e evitò di tirargli un piccolo pugno sul braccio solo perché aveva ancora le mani indolenzite dall'oretta trascorsa in palestra.

"È alto, davvero alto. È un po' troppo magro, ma ha un bellissimo volto. Ma mi pare di averlo già visto, è un viso conosciuto."

"Può essere stato uno con cui usciva tua figlia prima di Zach? Oppure un tuo studente?"

"No, non credo. È troppo giovane. È che non riesco proprio a capire dove l'ho già visto."

"Boh, io scommetto che è omosessuale", disse mordendosi il labbro e passandosi una mano tra i capelli argento prima di scoppiare a ridere.

"Ma che c'entra? Comunque, se fosse veramente un infermiere etero, sarebbe sprecato."

Blaine si ritrovò a ridere di cuore con Sebastian mentre rientrarono nelle rispettive camere.  




Nel tardo pomeriggio, il curioso terzetto incontrato poche ore prima fece il loro ingresso nella sala comune, disturbando l'entusiasmante partita di carte che vedeva come vincitori Ralph e Annie e come perdenti assoluti, con ben zero punti, Sebastian e Blaine.

La signora McDillon si schiarì la gola e lanciò un'occhiata torva, apparentemente senza motivo, al gruppo seduto attorno al tavolo.

"Sono lieta di presentarvi un nuovo tirocinante che rimarrà a Villa Liberty per sei mesi. Mark Sanchez, questo è il suo nome, sta studiando per diventare infermiere. Dopo la laurea potrebbe venire a lavorare per noi, quindi esigo il massimo rispetto", disse fissando il ragazzo invece degli altri ospiti. Mark sorrise educatamente, sebbene in evidente imbarazzo.

Come presto scoprirono, Mark era alla mano e disponibile alla battuta, anche se un po' riservato. Sapeva parlare il linguaggio dei segni e leggere il braille -Sebastian, a quella ammissione, sbuffò sonoramente- ed era la prima volta che lavorava a stretto contatto coi pazienti e non piegato sui libri universitari.

"Sono molto contento di essere qui", disse con un gran sorriso che abbellì ancora di più il suo volto, come se fosse possibile.

La sua simpatia era contagiosa, aveva un modo di fare che affascinava e catalizzava l'attenzione di tutti e non si poteva far altro che rimanere incantati. Annie e Lucille, in particolare, sembravano pendere dalle sue labbra. Ralph e Frank gli lanciarono più volte sguardi dardeggianti, che Blaine fece finta di non notare, rimanendo seduti con le braccia incrociate al petto.

"Frank e Ralph sono gelosissimi", sussurrò all'orecchio di Sebastian prima di vedere che anche lui era nella stessa posizione, serio, con le labbra tese in una smorfia strana. Blaine ridacchiò e le sue guance si tinsero lievemente di rosa.

Dopo una lunga chiacchierata, ognuno si diresse alle proprie stanze. E fu in quel momento, dopo aver dato la buonanotte a Sebastian, che Blaine decise di voler trovare la risposta alla sua domanda. Approfittando del fatto che il ragazzo era entrato in camera per chiedergli se avesse bisogno di aiuto, Blaine lo trattenne per alcuni istanti.

"Mark, io e te ci conosciamo?"

Mark lo fissò per qualche secondo, ma poi scrollò la testa in segno di diniego, continuando a sprimacciare il cuscino.

"È che ho la sensazione di averti già visto da qualche parte, ma non riesco proprio a ricordare. Sei qui di Westerville? O magari di Columbus?"

Il ragazzo fece un gran sospiro. "No, signor Anderson. Vuole seguirmi adesso in bagno, così posso aiutarla?"

"Su, puoi chiamarmi Blaine, non sono mica così vecchio... Ma comunque il tuo viso non mi è nuovo... Più che l'infermiere, potresti fare il modello... Oh!"

E Blaine ricordò. Nella sua mente si formò l'immagine di una copertina di una rivista di moda; quella che dirigeva Kurt e che puntualmente ogni mese gli veniva recapitata a casa, come suo volere, da venti anni. E quel ragazzo dai tratti decisi e eleganti, che indossava un completo costosissimo di haute couture, era sicuramente lui. Come poteva non rimanere impresso?

Mark arrossì violentemente e tentò di nascondere il volto lisciando il copriletto.

"N-non lo dica alla direttrice McDillon, la prego. Mi ritroverei licenziato nel giro di un minuto e ho bisogno di finire questo tirocinio, se voglio laurearmi entro il tempo massimo. Non ho molti soldi, ho bisogno di lavorare per pagarmi gli studi e l'affitto e posare ogni tanto per qualche rivista... Anche la mia ragazza lavora, lei fa la fotografa, ma i soldi non bastano mai..."

Blaine annuì velocemente, preoccupato dal suo tono impanicato per la paura di essere scoperto. Non gli era nemmeno passata per la testa l'idea di riferirlo a qualcuno. Tranne Sebastian, ovviamente.

"Non c'è nulla di male, eh. Tutti hanno fatto dei lavori per mantenersi, Mark. È normale."

Blaine gli poggiò una mano sulla spalla e sentì il ragazzo tranquillizzarsi.

"Ti troverai bene qui con noi, non giudichiamo nessuno perché non ne abbiamo il diritto. Passerai dei bei mesi, te lo posso assicurare. Cerca solo di essere meno 'modello' perché di là c'è gente che s'ingelosisce facilmente."

Entrambi risero. "Grazie, signor Anders- Blaine. In effetti suo marito sembra essere estremamente minaccioso", Mark sorrise complice.

Blaine, palesemente confuso, sbattè più volte le palpebre.

"Mio marito?"

"Sì, il signore alto seduto accanto a lei...", e indicò la fede al dito.

"No, Sebastian non è mio marito... Mio marito non c'è più... Sebastian è..."

Mark lo interruppe subito scusandosi, rosso di vergogna e imbarazzo.

"Mi dispiace, mi dispiace! Ho letto sui fascicoli che c'era una coppia, ma non ho ancora avuto accesso alle vostre cartelle individuali e... Oh, sono così desolato! È che lui sembrava che..."

Blaine si morse il labbro, tentando di fermare il flusso dei suoi pensieri dopo quella frase. Sebastian sembrava cosa?

"Grazie per l'aiuto, Mark. Sono a posto così, vai pure dagli altri."

"Blaine, davvero, le chiedo scusa..."

Un sorriso paterno si delineò sulle labbra di Blaine. Era troppo stanco per mettersi a discutere, troppo stanco addirittura per realizzare ciò che il ragazzo gli aveva appena detto.

"Va tutto bene, sul serio."

Mark gli sorrise di rimando, lisciando ancora una volta una piegolina inesistente della coperta.

"Buonanotte, Blaine. Sogni d'oro."

Ma i sogni di quella notte furono tutti di una leggera sfumatura verde opaco, così diversa dalla tonalità brillante che ancora ricordava. Perché Blaine poteva dimenticare parecchie cose, ma quel colore era rimasto impresso nella sua mente come una pennellata decisa su una tela bianca.






E, alla fine, Blaine è rimasto.

Come avevo promesso, capitolo filler! Filler ovunque! Ma, come sempre, è necessario. Spero che il personaggio di Mark vi piaccia perché sarà davvero importante in futuro :)

I nostri vecchietti adorabili sono sempre insieme e uno di loro è particolarmente protettivo e geloso... Chissà chi è! LOL

Un grazie a tutti voi che continuate a leggere, recensire, mettere nei preferiti e tutto perché mi rendete tanto contenta. E tanto sorpresa. Non riesco ancora a capacitarmene e mi sprona ad andare avanti. Al momento sto scrivendo il penultimo capitolo e ho proprio bisogno di questo affetto ♥


L'appuntamento coi nonnini è sempre previsto per lunedì, ma prima ci sarà una one-shot così piena di FEELS che manco vi ricorderete di questa. Non fatelo. Cioè, ricordatevi. LOL

Abbracci stritolanti a tutti!

-violetsugarplum

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Capitolo 8
*** Indicami la strada ***




8
. Indicami la strada


"Sebastian, per favore, vuoi stare fermo?"

Blaine cercò di aggiustare il colletto leggermente stropicciato del blazer leggero dell'uomo, il quale tentava inutilmente di divincolarsi.

"Non ho bisogno di essere carino e poi fa veramente troppo caldo e ho anche sonno."

Blaine sbuffò divertito, riuscendo finalmente a lisciare la stoffa. Guardò il risultato dei suoi sforzi e constatò che, in quel modo, Sebastian era davvero impeccabile.

L'undici luglio di ogni anno, Villa Liberty ospitava una festa di beneficenza, in cui la famiglia del fondatore e i benefattori si incontravano, mangiavano a sazietà e, se fosse rimasto abbastanza tempo, avrebbero deciso le sorti dell'istituto con consistenti donazioni.

La signora McDillon si era premurata più volte con nemmeno troppa delicatezza di ricordar loro di mantenere un comportamento adeguato ed erano ormai giorni che tutto il corpo degli infermieri puliva le stanze da cima a fondo, affaccendato in compiti sempre più disparati.

Blaine si sentiva nervoso perché non sapeva come comportarsi. Gli era stato detto che le persone avrebbero dato loro un'occhiata, 'come fossimo gli animali all'interno di uno zoo', aveva spiegato Sebastian-, ma era preoccupato di non riuscire a dare una buona impressione. 'Come se gli importasse' -aveva aggiunto l'uomo- 'tanto sono qui solo per abbuffarsi'.

E Blaine fu costretto a dargli ragione. Una ventina di persone vestite elegantemente, forse in modo eccessivo, l'avevano squadrato e gli avevano donato un sorrisetto di circostanza, accompagnato da uno sguardo pieno di compassione mista a pietà, per poi buttarsi sul buffet allestito nel giardino. Guardò la signora McDillon parlare concitatamente con un uomo che più o meno era suo coetaneo e Blaine si sentì improvvisamente nauseato.

"L'unica cosa bella di questa festa è che Ralph viene controllato a vista dagli infermieri, mentre io posso fare ciò che voglio. L'anno scorso sono stato tutto il tempo sotto il gazebo e se ne sono accorti solo a tarda sera. Inutile dirti, Blaine, che mi sono divertito un mondo."

Blaine fece roteare gli occhi e si lasciò cadere su una sedia di plastica rigida accanto a lui. Da qualche giorno le sue gambe lo stavano facendo impazzire; i muscoli erano perennemente doloranti e tesi, le ossa sembravano sgretolarsi sotto il suo peso e l'unico modo per provare un po' di sollievo era tenerle sollevate. Ma star seduto su una sedia a rotelle era ancora troppo per lui; era umiliante.

"Ti fanno ancora male?", chiese Sebastian preoccupato.

"Un po'. Dovrò farci l'abitudine, mi sa..."

Sebastian annuì, facendogli un piccolo sorriso di incoraggiamento, per poi continuare a parlare.

"Andiamo sotto il gazebo? È una proposta davvero allettante, guarda," disse aprendo il blazer e mostrando un rigonfiamento nella tasca interna. "È 'Il tempo ritrovato' di Proust, devi ancora finirmi di leggere le ultime pagine e oggi è giorno di biblioteca."

Blaine non riuscì a trattenere una breve risata che fu subito sostituita da un lieve gemito quando tentò di alzarsi in piedi.

"Non importa, rimaniamo qui. Non voglio farti affaticare. Questa tortura prima o poi finirà, no?"

Blaine scosse la testa e si strinse nelle spalle. Era intenzionato a muoversi, non importava se le gambe gli facessero così male, perché non voleva stare un minuto di più in mezzo a persone che fingevano di essere interessate a loro quando, in realtà, erano meno che invisibili.

"Chiedo a Mark di portarmi la carrozzella, Sebastian."

Sebastian aprì la bocca per ribattere, ma la chiuse pochi istanti dopo.

Dopo che l'infermiere l'ebbe aiutato ad accomodarsi sulla sedia, Blaine dovette usare tutta la sua capacità di persuasione prima di convincerlo che sarebbe riuscito a manovrarla da solo. Si sentiva strano e impotente nello stesso momento. Non essere più capace di controllare i propri movimenti era una delle tante cose che più lo spaventavano della terza età e, purtroppo, quel momento era arrivato.

"Allora, andiamo?", chiese a Sebastian.

L'uomo fece una smorfia strana, ma si alzò in piedi, ripiegando su se stesso il bastone bianco, e afferrò i manici della carrozzella dopo alcuni tentativi.

"Ti accompagno."

"No, ma veramente Sebastian..."

"Zitto, tu indicami solo la strada", disse senza riuscirgli a dare il tempo di replicare.

La scena avrebbe potuto sembrare comica sotto ogni punto di vista ma, in realtà, era di una dolcezza unica. Sebastian continuava a spingere la sedia e Blaine gli dava le indicazioni -'più a destra, ora un po' più a sinistra, ma mi stai tenendo bene? Perché qui c'è una lieve pendenza...'

"Sebastian, stiamo uscendo dal sentiero. Rientra perché le ruote non girano sull'erba."

Sebastian sospirò per un motivo che solo lui poteva sapere e girò leggermente.

"Gira ancora un po', altrimenti rischiamo di calpestare tutti i denti di leone...", ma l'avvertimento arrivò troppo tardi perché riuscirono ugualmente a schiacciarli.

"Embè? Manco mi piacciono!", fu l'unico commento che Sebastian riuscì a fare prima di scoppiare a ridere divertito.

Raggiunsero il gazebo e Blaine aspettò che Sebastian si sedesse prima di posizionare la carrozzella accanto a lui. Da quella posizione poteva vedere la direttrice e i suoi ospiti, ancora occupati in un lunghe e vuote conversazioni, e gli infermieri chiaramente stanchi, accaldati e annoiati.

"Quella festa non diventerebbe divertente nemmeno se la McDillon avesse comprato dei fustini di birra da una confraternita. Una volta l'avevamo fatto alla Dalton." sentenziò Sebastian.

Blaine ridacchiò. "E chi poteva immaginarlo, eh?"

Continuarono a parlare e ricordare stupidaggini di gioventù per una buona ora, dimenticando completamente il motivo per il quale si erano spostati lì.

A Blaine piaceva parlare con Sebastian. Aveva sempre aneddoti divertenti sui suoi viaggi e i suoi commenti erano acuti e mai troppo impertinenti e noiosi. Blaine adorava guardare le sue mani quando raccontava qualcosa, perché gesticolava moltissimo, come se le sue lunghe dita affusolate fossero impegnate in una danza lenta e affascinante. Non glielo aveva mai detto, era un suo piccolo piacere personale e quasi si sentiva in colpa a fissarlo senza che lui ne fosse al corrente.

"...e poi entro in questo negozio nel quartiere di Shibuya e c'era questo ragazzo vestito da-"

"Sebastian, cos'è successo ai tuoi occhi?"

Blaine l'aveva rifatto. Aveva posto questa domanda ancora una volta. E, vedendo Sebastian serrare le labbra in una morsa stretta, sapeva che nemmeno oggi avrebbe avuto la sua risposta.

"Scusa... Io..."

"Ho avuto un incidente."

A Blaine non era sfuggito il lieve tremolio nella voce dell'uomo e le dita che avevano stretto saldamente la corta asta di alluminio fino a farsi sbiancare le nocche.

"Stradale?"

"Non so se possa essere classificato così, in effetti, perché non ero alla guida di nessun mezzo. Però... È successo in mezzo ad un vicolo."

Blaine avrebbe potuto chiedergli altro, avrebbe potuto dirgli un sacco di cose rassicuranti, ma non fece niente di tutto questo. Continuò a guardarlo, ma non nello stesso modo in cui lo facevano tutti quelle persone che la McDillon continuava a chiamare 'benefattori'. Fissava il suo volto duro, con le guance sempre più scavate, quasi privo di ogni emozione. Avrebbe dovuto stringergli le mani, carezzando con i suoi pollici il loro dorso, ma rimase immobile sulla sua sedia a rotelle con le braccia adagiate mollemente sulle gambe.

"Spero che almeno li abbiano presi."

Sebastian rise, facendo sollevare un sopracciglio a Blaine per lo stupore.

"Le persone non pagano mai per i loro errori, Blaine. Tranne me."

"Mi dispiace, Sebastian..."

Sebastian cercò a tentoni le mani di Blaine e gliele sfiorò delicatamente, sospirando piano.

"È successo tanti anni fa. Ero appena riuscito a pagare con il mio primo stipendio il mese d'affitto del mio appartamento ed ero andato in questo locale a festeggiare e all'uscita c'erano...", la voce s'incrinò appena, ma Sebastian, scuotendo la testa, continuò a parlare. "Io... Il fatto di aver perso la vista... Sai, sembra impossibile e quasi stupido da dire, ma mi ha fatto proprio aprire gli occhi... Capisci cosa intendo? Quando i dottori mi hanno detto che non avrei mai più visto nulla per il resto della mia vita, mi sono messo a ridere. A ridere, Blaine. Perché tanto più giù di così non potevo andare... Avevo toccato proprio il fondo. E dato che la mia vita era completamente cambiata, perché dovevo farlo anch'io? Avrei dovuto smettere di fare l'arrogante, il saccente... di cercare di trovare conforto tra le pagine di vecchi libri. Non so cosa sia successo al mondo dopo quel giorno perché io non l'ho più visto e non ho mai avuto la necessità di farmelo raccontare dagli altri perché sapevo che le loro parole non sarebbero mai state sufficienti a descrivermelo come avrei voluto."

Blaine, stringendo forte le mani di Sebastian tra le sue, deglutì faticosamente e non riuscì a trattenere una lacrima che si staccò dalle sue lunga ciglia bianche e gli percorse la guancia fino a nascondersi sotto al colletto della camicia.

"Poi ho deciso che era ora di darci un taglio. Non ho avuto un'illuminazione, per carità, ho solo imparato a comportarmi più o meno bene, magari non con dei modi propriamente consoni. Anche se detesto dover essere aiutato in tutto, perché uno come me odia fare richieste di questo genere, ho incontrato persone che lo hanno fatto, mentre altre mi hanno deluso... Un po' come succede sempre, credo. Però non le ho respinte..."

"Lo so, Sebastian... So come ci si sente a svegliarsi un giorno e perdere ogni certezza e ogni appiglio... E ti sembra di andare sempre più a fondo e speri solo che finisca il prima possibile. Se non ci fossero stati Virginie e Kurt, non so cosa avrei fatto dopo la scomparsa di mio marito. E lo so che non bisogna respingere nessuno e so anche che tu non lo hai fatto, altrimenti avresti respinto anche me."

"No, io non ti respingerei mai", Sebastian sorrise dolcemente. "È bello averti rincontrato dopo tanti anni. Sarebbe stato ancora più bello farlo in condizioni migliori, ma... Se questo è tutto ciò che possiamo avere, a me sta bene."

"Anche a me sta bene", annuì Blaine lasciando momentaneamente andare la mano di Sebastian per asciugarsi le lacrime che stavano iniziando a rigare il suo volto.

"A volte ho solo bisogno di qualcuno che mi spieghi cosa accade intorno a me. Perché da solo non posso farcela."

"Nessuno ci riuscirebbe. Ecco perché siamo qui. Ci sono loro, ci sono io... È finito il tempo in cui il nostro orgoglio era superiore ad ogni cosa", Blaine non aspettò che la mano di Sebastian cercasse la propria; gliela strinse di nuovo forte, accarezzandone gentilmente il dorso.

Sebastian sospirò pesantemente. "È dura parlare con qualcuno di queste cose... Nel senso che sembra tanto facile, ma mi fa sentire davvero esposto e vulnerabile, come se non avessi più protezioni e fossi alla mercè di pensieri che non so nemmeno affrontare."

"Beh, un po' alla volta, forse, riuscirai a venirne a capo, no?"

"Sì, forse. Tanto ho ancora tempo, vero?", si lasciò scappare un timido sorriso, che Blaine non aveva mai avuto l'occasione di vedere prima di quel momento.

"Abbiamo tutto il tempo che vuoi, Sebastian."

Ritornarono all'interno della villa quando gli ospiti e la McDillon se n'erano già andati e gli infermieri erano affaccendati a ripulire tutto, come se quello fosse stato loro compito. Blaine vide Ralph accompagnare Annie alla camera che condivideva con Lucille e le sussurrò all'orecchio una cosa che la fece ridere di gusto e gli fece addirittura guadagnare un inaspettato bacio sulla guancia.

Sebastian si fermò davanti alla porta della stanza di Blaine. "Il numero di passi era quello, quindi dovrei averci azzeccato ancora una volta", scherzò.

Blaine continuò ad osservare Ralph che si accarezzava il viso ancora incredulo. "È giusta, come sempre. Allora buonanotte, Sebastian, a domani. Dormi bene."

Sebastian gli aprì la porta e gli rivolse un sorriso smagliante. "Anche tu. A domani."

Blaine si spinse con la sedia a rotelle all'interno della stanza e aspettò che l'uomo gli augurasse ancora una volta la buonanotte prima di chiudere la porta, lasciandolo solo coi suoi pensieri e con una nuova consapevolezza, all'interno della camera ancora illuminata dal sole estivo.

Dopo qualche sforzo e qualche torsione, facendo sì che l'anulare si arrossasse intensamente fino a quasi fargli male, riuscì a sfilare la fede per la prima volta dopo anni. La baciò, mormorando qualcosa che solo gli usignoli stranamente silenziosi fuori dalla finestra poterono udire, e la richiuse nel palmo della mano.






Sebastian/denti di leone schiacciati = OTP per sempre.

Anyway, buongiorno e buon inizio di settimana! Non ho niente da aggiungere a questo capitolo perché parla già benissimo da solo. Posso solo dire che aggiornerò più frequentemente dato che ho sbagliato alcuni conti LOL ma non so ancora quando perché non so proprio gestirmi, però sicuramente ci sarà un aggiornamento prima di lunedì! XD L'unica cosa certa è che entro metà gennaio sarà terminata. In tutto sono quindici capitoli e, con questo, siamo già oltre la metà :)

Ringrazio come sempre voi per tutte le cose carine che mi dite e per continuare a leggere e apprezzare. È la mia prima long, non pensavo che potesse piacere, ma questo lo sapete già. Siete flawless ♥

-violetsugarplum

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Capitolo 9
*** Ci sono io ***




9
. Ci sono io

Sebastian uscì dallo studio della dottoressa Goodman con un gran sorriso sulle labbra. Era finalmente riuscito a raccontarle qualcosa su di sé, cosa che non era mai riuscito a fare fin da quando era arrivato a Villa Liberty. Anche la donna parve piuttosto sorpresa all'inizio del colloquio, ma ormai era abituata agli strani comportamenti dell'uomo e, sinceramente, nella sua vita aveva visto cose ben peggiori di un sessantottenne che non smetteva più di parlare e sogghignare quasi saltando sulla sua poltrona gonfiabile. "Va a finire che mi affeziono pure a te", gli disse prima di congedarlo e battergli amorevolmente una mano sulla spalla, per poi sollevare lo sguardo al cielo quando Sebastian le rispose di non essere interessato alla sua corte.

Non si sentiva più così restio a parlare; era sciolto, desideroso di spiegarsi, come se si fosse finalmente liberato di un macigno che lo bloccava da troppo tempo. Era bastato essere meno Sebastian e aprire il suo cuore a Blaine per renderlo sereno.

In fondo, lo aveva sempre saputo.

Sebastian non vedeva l'ora di bussare alla porta della sua camera, aspettare esattamente quei cinquantasei secondi che contava nella sua mente prima di sentire il rumore della maniglia, un lieve cigolio dei cardini, la sua voce gentile, magari ancora impastata dal sonno per il breve riposino, che lo salutava e immaginare quel sorriso dolce.

E poi avrebbe cercato di convincerlo ad andare di nuovo sotto il gazebo a leggere per lui o, perché no, continuare a parlare fino a quando il sole non avrebbe deciso di andare a coricarsi lasciando spazio ad una fresca notte stellata. Magari Blaine avrebbe potuto descrivergli le stelle e lui le avrebbe immaginate, evitandogli di chiedergli se fossero luminose quanto i suoi occhi per non metterlo in imbarazzo.

Avrebbero di nuovo percorso il sentiero in quel modo buffo come il giorno precedente perché chissà quanto poteva essere divertente vedere un cieco spingere un'altra persona su una sedia a rotelle con la speranza di vederli ribaltarsi prima o poi da qualche parte. Sebastian ridacchiò al pensiero, come un bambino che medita di combinare una marachella. Si sarebbe seduto sulla panchina di legno e, se Blaine fosse stato d'accordo, avrebbe provato a sollevarlo e a farlo sedere accanto a lui. Era sicuro di potercela fare; il peso non lo spaventava più della paura di fargli male in qualche modo.

E Sebastian sarebbe stato lì, tranquillo, a bearsi della sua voce di cui, ormai, riusciva a cogliere ogni sfumatura. E si lasciava avvolgere dal profumo della sua pelle perché, sì, in realtà lo percepiva anche se gli aveva detto che non era vero, e si faceva guidare da esso. Sapeva quando gli sorrideva, sapeva perfino quando roteava gli occhi quando gli diceva qualcosa di poco opportuno come, ad esempio, ricordargli quanto fosse adorabile in quei pantaloni troppo stretti che era solito portare quando era ragazzino. Sapeva che Blaine non mentiva quando rispondeva a Kurt, Virginie e suo marito che lì stava bene, che era felice.

Perché lo era anche lui.

Sebastian, troppo preso dalle sue fantasticherie, non fece subito caso al respiro pesante e affannato che si sentiva al fondo del corridoio. Avvicinandosi in fretta, facendosi largo con l'asta bianca, riconobbe la voce soffocata, costretta in sussurri e rantoli, di Blaine, che era appoggiato in bilico al muro, quasi a rischio di cadere, e si teneva in piedi per miracolo facendosi forza sul suo bastone.

"Ma cosa...?", mormorò debolmente. "...Blaine?"

Sentì l'uomo tirare un profondo sospiro di sollievo e tremare violentemente nello stesso istante, facendo sbattere più volte la punta del bastone sul pavimento.

"M-Mi sono perso. N-non so dove sono...", balbettò terrorizzato.

Sebastian si avvicinò ancora di più, tentando di assumere un sorriso calmo e cercando di non perdere il controllo.

"Va tutto bene, ci sono io... Ti accompagno in camera, ok? È tutto a posto, sta' tranquillo", disse carezzandogli delicatamente un braccio, mentre provava a rimetterlo in piedi senza fargli velocizzare troppo il movimento affinché le sue gambe non cedessero di colpo.

"G-grazie", disse Blaine cercando di calmare il suo respiro ancora affannato. "Grazie davvero... Ma... Ma lei chi è...?"

Il silenzio innaturale del corridoio fu spezzato dal suono greve del bastone di Sebastian che colpì il duro legno del parquet, creando un rumore ancora più forte delle centinaia di grida che esplosero nella mente dell'uomo.






Salve, ho portato con me il mio avvocato per difendermi! LOL
Il capitolo è cortissimo, la scelta è stata telefonatissima, scontata e tutto quello che volete. Lo so, avete totalmente ragione. Ma meglio adesso che dopo, mettiamola così... Sono perdonata, mh? Nemmeno se vi faccio gli occhi da cucciolo come Blainey? Per favore! :3

Non so più come ringraziarvi per questa quantità spropositata di amore completamente immotivato, yay!
 Se potessi, verrei da voi a stritolarvi e a implorare il vostro perdono! Vi ho già detto che siete flawless? 

Anche questa volta posterò prima perché, innanzitutto devo farmi perdonare, e poi devo recuperare. Quindi direi che ci si rilegge nel primo pomeriggio di mercoledì :3

Tanti cuori a tutti e buon sabato!

-violetsugarplum

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Capitolo 10
*** Chiaro come la luce del sole ***




10.
Chiaro come la luce del sole


Disorientamento spazio-temporale combinato ad amnesia anterograda.

"Questa diagnosi deve essere nuova, credo. Non penso di aver mai sentito così tante parole insieme e non averne capita nemmeno una", sospirò Blaine sistemandosi meglio il capo sul cuscino.

Rose gli passò una mano tra i capelli radi e gli sorrise dolcemente.

"C'è sempre qualcosa di nuovo, pulcino. Per fortuna è durato un breve istante ed eri al chiuso, altrimenti...", la donna rabbrividì al pensiero. "Ora devi solo riposare il più possibile e stare tranquillo. Mark farà il turno di notte e rimarrà in camera per vedere se tutto va bene, d'accordo?"

Blaine annuì chiudendo lentamente gli occhi. "Mi dispiace di dare così tanto fastidio e mi dispiace di aver fatto preoccupare tutti. Sapevo che prima o poi mi sarebbe successo di nuovo..."

"Ehi, guarda che è tutto ok. Ci siamo noi, siamo una sorta di super squadra di supereroi in grado di agire in ogni momento! Non voglio che tu stia lì a preoccuparti, Blaine, davvero. Tutti noi siamo qui per te."

Blaine riaprì piano le palpebre e si ritrovò a fissare il volto roseo dell'infermiera che continuava a sorridergli.

"Il primo dottore che mi ha parlato della mia...", Blaine si fermò per un secondo per poi riprendere. "...condizione mi ha detto che non sarei più riuscito a fare cose semplici, come anche solo preparare il caffè... E mi ha detto che avrei iniziato a dimenticare le cose e questo lo so, mi succedeva spesso nei mesi scorsi. Ma..."

Rose si sedette su una sedia accanto al letto. "È frequente che il paziente dimentichi le cose più recenti..."

"Lo so. E lui... Lui come sta?"

Da quando aveva riacquistato la memoria dopo quel breve black out, Blaine aveva cercato con tutto se stesso di non pensare a come avesse potuto sentirsi Sebastian. L'infermiera gli aveva spiegato che l'uomo aveva prima provato a calmarlo e poi a condurlo di nuovo nello studio della dottoressa Goodman, ma non era riuscito a fare nient'altro che trascinarlo per quasi un metro a causa dei violenti tremori del suo corpo e, a quel punto, si era dovuto rassegnare a urlare affinché qualcuno arrivasse in loro soccorso. Successivamente aveva chiesto informazioni sul suo stato di salute e, una volta assicurato che Blaine stesse meglio, si era richiuso in camera, rifiutando il pranzo e ogni minimo contatto con gli altri ospiti e il personale medico.

Blaine non riusciva a capacitarsene. Non era riuscito a riconoscerlo dopo tutte quelle settimane insieme quando gli era bastato solo un'occhiata per ricordarsi di lui dopo cinquant'anni. Si sentiva male solo al pensiero di Sebastian che cercava di aiutarlo, forse preso dal panico quanto lui, che provava a sollevarlo mentre lui era niente di più che un peso morto tra le sue braccia. Blaine poteva solo immaginare cosa volesse dire per Sebastian tentare di non farlo cadere rovinosamente a terra cercando una sorta di appoggio senza riuscire a vederlo. Ma ciò che più lo feriva era il fatto di non essere riuscito a riconoscerlo, soprattutto dopo gli eventi del giorno precedente, di cui ricordava ancora tutto distintamente.

"Gli abbiamo consigliato un altro colloquio con la psicologa, ma ha detto di no. Continua a chiedere di te e basta, si rifiuta categoricamente di fare ogni cosa. Però è contento di sapere che ora stai meglio," le labbra di Rose si curvarono in un piccolo sorriso. "Più tardi, se te la senti, posso farlo venire qui... Così potreste parlare un po'."

"L'ha richiesto lui?"

"Non l'ha detto esplicitamente, ma è chiaro come la luce del sole che vorrebbe starti vicino..."

Blaine fece un sospiro e si addormentò prima che la donna potesse aggiungere altro.




Stava fissando il soffitto illuminato fiocamente dai raggi di sole che penetravano dalle ante quando sentì bussare e vide la porta aprirsi lentamente.

Un tono di voce poco più alto di un sussurro lo chiamò. "Posso... Posso entrare? Sono Sebastian Smythe... Sono..."

"Sì, Sebastian, vieni", disse Blaine cercando di sollevare la schiena dal materasso per mettersi seduto mentre Sebastian entrò nella stanza facendosi spazio con il bastone. "C'è una sedia di fianco al mio letto, mettiti qui."

Sebastian si sedette con cautela, appoggiando l'asta in equilibrio precario contro il bordo del letto. "Se sei stanco e vuoi riposare, posso tornare domani..."

"No",  Blaine lo interruppe. "Ho già dormito troppo per oggi."

Sebastian annuì, anche se sembrava poco convinto. "Io..."

Blaine non lo lasciò parlare. "Mi dispiace per ieri. Non volevo che conoscessi il mio lato oscuro, quello che dimentica tutto e tutti... Non volevo spaventarti." Vide Sebastian scuotere brevemente la testa, ma continuò. "È quello che mi succedeva quando ero in casa o quando uscivo per andare al parco a vedere le anatre nuotare nel laghetto... È come se ogni cosa si cancellasse dalla mia mente e dai miei ricordi. Adesso ce le ho, sono qui...", disse portandosi l'indice su una tempia, sapendo che era un gesto che Sebastian non poteva cogliere. "...ma scivolano via. E poi ritornano, come se niente fosse."

"Una magia non tanto bella."

"Anche Annie sarebbe d'accordo con quest'opinione", Blaine sorrise amaro.

Sebastian si mosse nervoso sulla sedia e arricciò le dita stringendo forte un lembo del lenzuolo che copriva le gambe doloranti di Blaine. "Avrei solo voluto avere tutta la forza di questo mondo per riuscire a sorreggerti piuttosto che farti cadere a terra come un sacco di patate..."

Blaine rise stancamente. "Sei stato bravo, mi hai tenuto stretto nonostante i miei movimenti agitati e il mio peso."

"In effetti ti facevo più leggero. Hai messo su qualche chilo?"

"Ehi!", sbuffò Blaine fingendo di assumere un tono arrabbiato. Entrambi ridacchiarono e poi tacquero, ascoltando l'uno il respiro tranquillo e regolare dell'altro.

Blaine lasciò trascorrere qualche minuto prima di riprendere. "Grazie, Sebastian. Non so cosa sarebbe potuto succedere senza di te... e grazie anche per ieri pomeriggio, mi è piaciuto tanto parlare sotto il gazebo."

"Potrei dire altrettanto."

La frase di Sebastian si riferiva ad un discorso ben più ampio e, ormai, Blaine ne era completamente cosciente. Lo guardò con quegli occhi chiari colmi d'affetto e gratitudine e, quasi senza rendersene conto, accarezzò la sua guancia incavata con la mano sinistra, con un movimento delicato e deciso al tempo stesso. Sebastian non si mosse e non disse nulla ma Blaine, in cuor suo, sapeva che aveva notato la mancanza di qualcosa, quella piccola differenza che poteva e, sicuramente, avrebbe cambiato tutto.






Buongiorno!

Innanzitutto grazie per essere arrivati fin qui senza farmi del male per colpa dell'ultimo capitolo LOL 

Ora una cosa seria: l'ultima perdita di memoria di Blaine non era diversa dalle altre volte. Mi sono documentata (li ho perfino studiati al liceo!) ed è una cosa che può accadere nella realtà. Sono brevi black-out dove la persona dimentica principalmente gli eventi del presente, talvolta anche quelli del passato, e riacquista tutto l'attimo successivo. Non è una roba tirata per i capelli, è proprio così. Ci tenevo a specificare perché so che può sembrare assurdo :)

Vi ringrazio per seguirmi ancora e mi fa davvero piacere leggere complimenti, insulti, e tutto quello che mi scrivete. Grazie. ♥

Ah, per chi volesse, ho deciso di utilizzare la pagina su Facebook che avevo creato mesi fa e che avevo lasciato al suo destino. Al momento è vuota proprio come l'avevo mollata, ma inizierò a riempirla di cosine, da spoiler a cose che mi ispirano al momento... Insomma, la renderò un po' più personale, quindi sentitevi liberi di scrivermi lì ogni cosa. Accetto anche prompt! :)

Un abbraccione caloroso e appuntamento, se la beta vuole, a lunedì! <3

-violetsugarplum

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Capitolo 11
*** Papà, devi dirmi le cose! ***




11
. Papà, devi dirmi le cose!


Blaine dovette usare tutta la pazienza e la capacità di persuasione che aveva per calmare sua figlia quando si presentò con suo marito e Kurt il giorno seguente e convincerli che il suo improvviso black-out non era molto diverso da quelli avuti pochi mesi precedenti.

"Hai rischiato di farti male seriamente, papà! Perché non eri sulla sedia a rotelle? Ma, soprattutto perché non mi hai detto che hai iniziato ad usarla?", domandò Virginie, sforzandosi inutilmente di non alzare la voce.

Zach la guidò per farla sedere su una sedia. "Amore, non ti agitare..."

La donna continuò a guardare il padre con gli occhi spalancati. "Mi è quasi preso un colpo quando ha squillato il telefono ieri sera! Non m'importa se l'infermiere mi ha detto che non era nulla di grave perché, se fosse stato davvero così, non mi avrebbero chiamata. Meno male che c'era Sebastian con te...", lo ringraziò posandogli gentilmente la mano sulla spalla, gesto a cui l'uomo rispose con un sospiro.

Blaine fissò Kurt aspettandosi di vederlo alzare gli occhi al cielo o sbuffare infastidito, ma l'uomo non fece nulla di tutto questo, anzi, gli restituì lo sguardo accennando un sorriso.

"...e siamo venuti qui esattamente qualche giorno fa. Tu non hai detto nulla! Papà, devi dirmi le cose, caz-"

"Modera il linguaggio, signorina", Blaine l'ammonì duramente, come se fosse ancora un'adolescente troppo arrabbiata col genitore perché le aveva proibito di andare al cinema con il ragazzo il venerdì sera.

"Scusate è che... urgh!", si lasciò scappare un lamento frustrato. "Non farmi più questi scherzi, non è veramente il momento. Ho già troppe preoccupazioni nella mia testa..." disse poggiando distrattamente una mano sul suo grembo.

A Blaine non sfuggì quel movimento. Spalancò bocca e occhi nello stesso momento, emettendo un singulto, e scandagliò gli occupanti della stanza: Kurt sorrideva sornione, con l'aria di uno che la sapeva lunga, Zach guardava Virginie in totale adorazione, mentre la donna era ancora intenta a fulminarlo con lo sguardo. Sebastian, invece, cercò di assumere un'espressione annoiata per l'improvviso silenzio calato nella stanza.

"Allora, finalmente ce l'ha fatta anche lui? Se l'ho capito io...", sentenziò prima che la camera si riempì del suono allegro di risate divertite.

"Ma... Ma...", Blaine balbettò, piacevolmente sbalordito ma ancora estramente confuso. "Da quanto? Oh, Virginie... È maschio o femmina? E il nome? E la cameretta? Siete a posto coi mobili? In garage c'è ancora la tua vecchia culla... Sarà un po' impolverata e forse mangiucchiata dai tarli, ma potrebbe ancora andare bene e... Oh! Potremmo ridipingerla di un colore azzurro, nel caso fosse un bimbo! Mesi fa abbiamo dipinto la voliera in giardino, Sebastian, vero? Dio... Sono così contento, sono così contento! Diventerò nonno! Il mio nipotino..."

Blaine non aspettò nemmeno una singola risposta prima di non riuscire più a trattenere lacrime di gioia. Costrinse tutti ad abbracciarlo forte e a complimentarsi con lui, senza un reale motivo, e continuò a parlare eccitato sopra Virginie che tentava di spiegargli che era ancora troppo presto per sapere il sesso e, soprattutto, mettere a soqquadro l'appartamento.

Sebastian ridacchiò prima di dispiegare il bastone per aiutarsi ad alzarsi in piedi. "Ancora congratulazioni Virginie e Zach, sarete dei genitori meravigliosi, ma non fate passare al pupo troppo tempo col nonno. Ora vi lascio festeggiare in tranquillità... Blaine, nel pomeriggio abbiamo la lezione di pittura... Ti vengo a bussare prima alla porta e poi andiamo insieme nella sala comune anche oggi?", chiese tentando inutilmente di mascherare il tono esitante.

Blaine annuì prontamente, ma il suo volto si rabbuiò all'improvviso. "Sì, sì, certo... Ma vai già?"

"Sì, io... Vi lascio da soli, così-"

"Rimani con noi."

Sebastian si girò verso la persona che aveva pronunciato questa frase di punto in bianco e alzò le sopracciglia sospeso tra l'incredulità e la sorpresa. Kurt scosse la testa e rise sommessamente. "Sono sicuro che in camera tua non hai niente di meglio da fare, perciò puoi rimanere qui."

"Ma sei sicuro? Io..."

Virginie si intromise nel discorso. "Sì, dai! Resta, Sebastian. Ci farebbe piacere", annuì  energicamente cercando l'approvazione degli altri. "Ormai fai parte anche tu della famiglia, no?"

Blaine non disse nulla e guardò Sebastian risedersi lentamente sulla sedia, con le guance un po' rosse dall'imbarazzo e, forse, anche di contentezza. Sua figlia aveva detto una cosa giusta, magari senza rendersene conto. Ma, in realtà, Virginie aveva capito tutto e non aveva nulla in contrario.




"Sebastian, dimmi che non è quello che penso."

L'uomo annuì ridacchiando, dondolandosi eccitato avanti e indietro sulla sedia, mentre gli altri ospiti abbandonavano la sala comune. "Ti piace?"

Blaine si sforzò di non ridere. La lezione di pittura, tenuta dalla dottoressa Goodman, non aveva niente di accademico: li lasciava sempre liberi di dar sfogo alla loro fantasia, permettendo loro di esprimersi attraverso un foglio bianco, un buon numero di pennelli e tanti colori di ogni tonalità. Per Blaine era l'attività più rilassante; adorava pasticciare la carta come più desiderava, senza dover tener conto di noiose regole di tecnica. Gli piaceva mordere la punta del pennello e buttar giù tutto ciò che gli passava per la testa in quell'istante. Da qualche settimana aveva iniziato a tracciare prati con fili d'erba di un verde brillante che faceva risaltare l'azzurro luminoso del cielo.

"Non è da buttare, ma mi devi spiegare perché tu hai disegnato una farfalla."

Sebastian, da quanto Blaine avesse memoria, non aveva mai preso parte ad una lezione. Era sì seduto accanto a lui al tavolo, ma non partecipava. Rimaneva in silenzio ad ascoltarlo parlare con gli altri e si allontanava solo quando la psicologa dichiarava conclusa l'ora di lezione. Ma, quel giorno, era diverso. Sebastian aveva immerso la punta dell'indice nella tempera nera, l'aveva appoggiato al foglio e aveva abbozzato un cerchio che ricordava il corpo dell'insetto, continuando il proprio lavoro con estrema cura.

"Non ho disegnato una farfalla." Sebastian assunse un'espressione fintamente ferita.

"Meno male, altrimenti sarebbe la farfalla più brutta di sempre. Senza offesa.", lo punzecchiò.

"È un papillon, Blaine. Come quelli che portavi tu da giovane e che ti facevano sembrare un vecchio. Senza offesa, eh."

"Non mi offendo", disse con un tono che però lo tradì immediatamente, punto sul vivo. "Ma mi stavano così male?"

Sebastian gli rivolse un sorriso a trentadue denti. "E se io ti dicessi che a me piacevi lo stesso?"

"Tu eri un caso disperato, Sebastian", Blaine rise arrossendo violentemente. "Comunque facevano parte del mio stile e poi- ehi!"

Si ritrovò una macchia nera proprio sotto il naso; il dito ancora sporco di colore di Sebastian lo aveva preso alla sprovvista e l'uomo, che ridacchiava trionfante, era riuscito a sporcarlo.

"E questo per cos'era?"

"Hai detto che il mio papillon fa schifo!"

"Ma se non l'avevo nemmeno capito!", ribattè Blaine prima di prendere il pennello tra le dita e lasciare una chiazza blu sulla guancia dell'uomo, coprendo, senza nemmeno farlo di proposito, uno dei tanti nei che costellavano il suo viso.

"Cosa diamine...?"

"Ti ho sporcato perché tu mi hai sporcato. E perché mi hai detto che sembravo un vecchio. Adesso siamo pari. E poi non dico che il tuo papillon sia brutto, anzi, è piuttosto carino! È solo che-" Blaine fu interrotto nuovamente da una nuova chiazza nera, questa volta sulla fronte.

"Due a uno, Blaine. Dovrai pur imparare a sporcarti coi colori, se vuoi diventare nonno", annunciò solennemente tentando di reprimere un sorrisetto.

"Oh no, mio caro Sebastian, questa me la paghi. E a mio nipote non farò toccare le tempere fino ai ventuno anni."

Continuarono a macchiarsi i volti e a ridere di gusto, come due bambini che non facevano nient'altro che divertirsi insieme, godendosi la compagnia reciproca. Erano talmente presi dalla loro sfida a colpi di macchie colorate da non accorgersi di essere osservati da Rose e dalla dottoressa Goodman, ferme sulla porta.

"Giuro che i miei figli si sporcano di meno", sussurrò l'infermiera con le braccia incrociate al petto senza distogliere lo sguardo dalla strana coppia.

La psicologa rise divertita. "Avrai un bel lavoro da fare dopo. Togliere il colore non deve essere semplice."

"Credimi, dovrò utilizzare tutto il sapone che abbiamo, ma so che sicuramente sarà meno difficile che l'aver fatto rispuntare il sorriso su quei faccini."






Innanzitutto, come avrete potuto notare fin da subito, c'è una piccola sorpresa all'inizio della pagina!
È il bellissimo bannerino creato dall'Ilarina ed è stupendo, lo adoro da morire, la ringrazio infinitamente e riempitela di complimenti perché se li merita tuttissimi! <3

Questo è un capitolo in cui il nostro adorabile Blaine nonnino lo diventa nel vero senso del termine XD e poi fa la battaglia di colori col suo degno compare... Ah, questi due bambini.

Grazie a voi che continuate a seguire. Sono sempre più contenta che vi piaccia ancora, grazie mille :)
Sono un po' indietro con le recensioni e tutto, ma prometto che mi metterò in pari domani, avendo finalmente un giorno libero!

Ah, sì, concludo lasciandovi un piccolo spoiler perché oggi mi sento particolarmente in vena LOL
Nel prossimo ci sarà un salto temporale perché il Natale è alle porte anche a Villa Liberty e... cosa c'è di meglio dei cori che cantano le carole?

A lunedì prossimo!

-violetsugarplum

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Capitolo 12
*** Come una stella cometa ***




12
. Come una stella cometa

A Blaine era sempre piaciuta l'aria fredda e pungente di dicembre, fin da quando era bambino. Decorare le finestre e addobbare l'albero era sempre stato il suo compito preferito. Si divertiva tanto a scegliere festoni argentati da mettere un po' ovunque, sia arrotolati come centrotavola che, perfino, posizionati attorno alla vasca da bagno. La sua famiglia lo trovava un po' eccessivo, ma Blaine ricordava quella volta in cui non riuscì non sciogliersi guardando Virginie, che aveva perso la sua prima recita di Natale per colpa di una gran brutta influenza, con il naso un po' gocciolante e gli occhi lucidi per la febbre che osservava estasiata le lucine colorate sulla ringhiera del balcone.

Quando Rose aveva proposto agli ospiti di aiutarla con le decorazioni, Blaine fu il primo a dichiararsi subito disponibile e, nel giro di pochi minuti, si era ritrovato ad appendere le palline dorate ai rami più bassi di un abete di plastica un po' spelacchiato. Ma lui lo trovava bellissimo.

Sebastian, invece, aveva grugnito qualcosa che si era trasformato in uno sbuffo infastidito quando Ralph lo chiamò scherzosamente 'signor Scrooge'. Spiegò che non amava quella festività perché, semplicemente, non l'aveva mai sentita particolarmente. Però prese un cartone contenente alcune palline per l'albero, si sedette sul solito cuscino del divano e iniziò a sfregarle dalla polvere con un piccolo straccio in assoluto silenzio. Nessuno osò dirgli qualcosa per i primi dieci minuti e, soprattutto, non gli fecero notare che stava pulendo ripetitivamente la stessa decorazione.

"Sai già cosa chiedere a Babbo Natale?", domandò Blaine cercando di aggiustare un festone che continuava a scivolare giù dal mobiletto della televisione per poi arrendersi, preferendo focalizzare la propria attenzione sull'uomo che lucidava con cura una pallina rossa già splendente.

"Sì", rispose Sebastian sorridendo.

"Altri libri?"

"Mi piacerebbe riuscire a vederti, anche solo per un secondo."

Blaine abbassò lo sguardo cercando di riordinare nella propria mente le parole di Sebastian, sentendo un lieve nodo in gola. Non aveva chiesto di riacquistare la vista; aveva semplicemente il desiderio di poterlo vedere, di poter vedere lui, sebbene solamente per un breve istante.

"E tu cosa vorresti?", Sebastian continuò tranquillamente. "Sappi che però è piuttosto inutile, perché qui non ci permettono di scambiarci dei regali. Solo Rose ci porta i biscotti allo zenzero che, tra l'altro, l'anno scorso erano bruciati."

"Un bel Natale. Mi basterebbe questo."

Sebastian annuì con semplicità, rimettendo la pallina perfettamente pulita dalla polvere nello scatolone. Nel frattempo, Mark entrò trafelato nella sala comune.
"Sapete che giorno è oggi?", chiese rivolgendosi a tutti indistintamente, ricevendo occhiate che oscillavano tra il sorpreso e il preoccupato.

"Che domanda è? Oggi è il diciassette dicem- oh, no", Sebastian si lasciò cadere mollemente contro il cuscino. "Ti prego, anche quest'anno?"

"Sì! Me l'ha appena detto la signora McDillon! Non siete felici?", domandò sorridendo entusiasta. Nessuno degli ospiti sembrava particolamente contento, tranne Lucille e Frank che ridevano sornioni, e Blaine era piuttosto confuso.

"Cosa succede? Di cosa state parlando?"

Fu Sebastian, con tono funebre, a rispondergli. "Ogni anno viene un... un gregge di ragazzini stonato come campane a cantare carole natalizie per noi, fingendo di adorare il fatto di portare gioia a una manica di vecchietti un po' fuori di testa. Ma loro non sanno che per questi nonnetti l'odio è reciproco ed è solamente un'ora di straziante tortura. Immagino che Frank e Lucille se la stiano ridendo. Beati loro che non possono sentire."

"Sono così tremendi?"

"Peggio di quanto tu riesca a immaginare. In confronto, noi alla loro età eravamo delle rockstar. Anche voi di quella scuoletta pubblica. Forse." ridacchiò pulendo un'altra pallina rossa.


Quando presero posto sulle sedie allestite appositamente per l'evento nella sala comune, subito Blaine pensò che Sebastian avesse esagerato.

Il coro era formato da ragazzi che non potevano avere più di sedici anni e frequentavano un liceo poco distante da Villa Liberty. Sembravano veramente impacciati e disorganizzati, ma non erano così terribili come Sebastian aveva lasciato intendere. Blaine li trovò molto teneri, forse un po' scoordinati, ma l'occhio si posò più volte sui due solisti in prima fila che continuavano a guardarsi in cagnesco e sembravano essere impegnati in una gara all'ultimo acuto.

Blaine strattonò gentilmente il braccio di Sebastian costringendolo ad avvicinarsi verso il suo volto, in modo da potergli sussurrare nell'orecchio. "Il coro è quello che è perché i due solisti continuano a fulminarsi con lo sguardo. Non mi stupirei se prima o poi arrivassero alle mani."

"Si sa che non possono esserci due galli nello stesso pollaio", concluse saggiamente Sebastian, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Terminata l'esibizione, i ragazzi augurarono annoiati buone feste agli ospiti che ricambiarono con altrettanto poco calore. Blaine notò che il primo solista, decisamente più alto del secondo e con una faccia tutt'altro che amichevole, non aveva smesso per un istante di osservarlo e, appena finito di congedarsi, si avvicinò all'altro ragazzo con aria polemica.

"È stata l'esibizione più patetica di sempre, Brandon. Ovviamente è tutta colpa tua, sei tu l'anello debole perché io sono stato perfetto. Quasi mi vergogno ad averti come co-capitano. Se fosse per me, saresti nelle retrovie a muovere quelle tue maledette labbra rosse senza far uscire un suono."

Il ragazzo, Brandon, lo guardò ferito prima di abbassare gli occhi. "M-mi dispiace", balbettò. "Ho fatto del mio meglio... Forse hai ragione... Forse sarebbe meglio se mollassi il coro... F-forse sarebbe meglio per entrambi...". Gli rivolse un ultimo sguardo pieno di sofferenza e corse via dalla stanza più velocemente possibile.

Blaine rimase impietrito e sentì distintamente Sebastian irrigidirsi accanto a lui. Era una situazione spiacevole e si sentiva impotente. Quel ragazzo era stato davvero cattivo perché, come gli avevano insegnato anni e anni di scuola -sia come alunno che come professore- e di vita, nessuno deve far sentire così un'altra persona. Non importa se canta bene o male, oppure altri stupidi motivi. Semplicemente, non importa. Pensò rapidamente a qualcosa di saggio da dirgli, perché si sa che gli anziani sanno sempre cosa dire e i giovani, forse, li ascoltano, in modo da fargli capire l'errore e portarlo sulla via giusta, quando Sebastian aprì bocca prima di lui, con un tono freddo e duro.

"Come ti chiami, ragazzino?

Il ragazzo, che stava raccogliendo gli ultimi spartiti, lo guardò con aria leggermente smarrita. "Ehm... Dice a me, signore?"

"Ovvio che dico a te. Ti ho chiesto come ti chiami."

"S-Scott, signore. Perché?"

Blaine capì che anche Sebastian voleva fargli notare la brutta figura che aveva appena fatto davanti a loro. Il problema è che il suo modo di fare non era assolutamente delicato o rassicurante. Si preparò all'esplosione rannicchiandosi leggermente su se stesso.

"Scott? Bene, lascia che ti dica una cosa e apri bene le orecchie perché non ho intenzione di ripetertela un'altra volta. Sai che alla tua età ero il leader di un coro maschile? Eravamo i migliori di tutto l'Ohio e tu, Blaine, non alzare lo sguardo al cielo perché so che lo stai facendo. Dicevo, eravamo davvero eccezionali... L'unico problema è che io ero uno stronzo, forse peggio di te."

Il ragazzo trattenne rumorosamente il respiro.

"Che c'è? Non hai mai sentito tuo nonno dire una parolaccia?", sbuffò. "Ora stammi a sentire. Vai da lui e ti scusi perché, se non lo fai, sarà una cosa che rimpiangerai per il resto della tua vita. Ah, già che ci sei, dichiarati, altrimenti questo sarà un altro rimpianto."

Sul viso del ragazzo si delineò un'espressione irata, confusa e umiliata. "D-dichiararmi? A chi? A Brandon?"

Sebastian rise non preoccupandosi minimamente di nascondere il tono di sincero divertimento. "È così palese, ragazzino! 'Maledette labbra rosse'? Sul serio? Se doveva essere un insulto, ti è proprio riuscito male. Su, ora vai! Vai da lui! Perché lui non rimarrà lì ad aspettarti per sempre!"

Il ragazzino annuì sempre più incerto e, senza dire un'altra parola, uscì dalla stanza mentre Blaine sospirò lentamente, intuendo di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo.

"Non credi di essere stato un po'... Indelicato?"

"No", disse avvicinandosi con velocità alla finestra, afferrando con due dita un lembo della tenda. "Ora vieni qui e dimmi cosa stanno facendo."

Blaine lo squadrò tentando inutilmente di capire il suo comportamento sempre più assurdo, prima di avvicinarsi piano a lui con la carrozzella. Sotto al grosso ciliegio ricoperto di neve c'erano i due ragazzi stretti nei loro cappotti e le mani in tasca, intenti a studiarsi. Ma non come durante l'esibizione, notò Blaine, c'era qualcosa di diverso. Cosa?

"Uhm... Quello alto sta biascicando qualcosa mentre il più piccolo ha sgranato gli occhi e sta arrossendo. Credo si stia scusand- accidenti!"

"Che succede? Dimmelo!" Sebastian, quasi squittendo, spinse via la tenda da un lato.

"No, dai, che così ci scoprono!" Blaine cercò di abbassare la testa in modo da non essere visto. "Si stanno baciando!"

Sebastian rise sonoramente e dopo qualche tentativo riuscì ad aprire la finestra, permettendo all'aria gelida di entrare e far rabbrividire Blaine, che si mosse nervoso sulla sedia a rotelle.

"Sebastian, non è il caso..."

"Ehi, voi due!", gridò, facendo spaventare i ragazzi che si separarono immediatamente, rossi in viso nonostante la giornata tipicamente invernale. "Era ora! Prendete precauzioni e buon Natale!"

Blaine vide i due ragazzi arrossire ancora di più, come se fosse stato possibile, e allontanarsi di corsa stringendo, però, l'uno la mano dell'altro. Si girò verso Sebastian, che stava ancora gongolando senza il minimo imbarazzo.

"Lo scopo era molto bello e nobile, Sebastian, ma ci tengo a ripeterti che il mezzo che hai usato era un po' inopportuno", lo ammonì scherzosamente.

"Oh, taci. Vedrai come mi ringrazieranno! Se l'avesse fermato sotto la porta, probabilmente avremmo avuto un bel bacio sotto il vischio! Comunque per quest'anno ho fatto la mia buona azione, diciamo così. Come una stella cometa, ho illuminato il loro percorso!", rise.

L'unica cosa che potè far Blaine fu scuotere la testa, ridacchiando sommessamente, e supplicarlo di chiudere la finestra.

All'improvviso un pensiero attraversò la sua mente: doveva parlare con Mark e Rose il prima possibile.





Buon lunedì a tutti e grazie per essere arrivati fin qui! :3

Non ho molto da aggiungere, dico solo di fare molta attenzione alla risposta di Sebby e di prepararsi al prossimo capitolo perché sarà composto da 2.500 parole (non ho mai scritto così tanto LOL) e avrà più su e giù delle montagne russe.

La mia pagina su FB è sempre aperta, sentitevi liberi di passare per le coccole e anche per un insulto!

-violetsugarplum

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Capitolo 13
*** Ti penserò sicuramente ***


13ok

 

13. Ti penserò sicuramente

Quella mattina Blaine si sentì particolarmente orgoglioso di se stesso: era riuscito a sollevarsi dalla carrozzella e scivolare sul morbido cuscino del divano della sala comune senza bisogno di aiuto. Era solo un piccolo gesto che, per lui, valeva tanto. E fu contento di sentirsi rimproverare da Rose, la quale gli tenne il broncio giusto per due secondi prima di rimboccargli con cura una coperta sulle gambe.

Quando Blaine sentì la punta del bastone di Sebastian picchiare sul pavimento, non potè trattenere un sorriso di assoluta gioia. Non vedeva l'ora di parlargli o, più semplicemente, di stare con lui.

Gli diede il buongiorno come tutte le mattine e, una volta seduto accanto a lui, gli passò il plaid sulle gambe. Sebastian ridacchiò e gli fece cenno di avvicinarsi ancora di più a lui mormorando qualcosa sulla coperta troppo corta per riuscire ad avvolgere entrambi.

Blaine non se lo fece ripetere una seconda volta e si accucciò contro il suo fianco mentre l'uomo appoggiò il braccio sullo schienale in modo da circondargli le spalle; un gesto che Blaine gli aveva già visto fare mesi prima. Però questa volta era diverso perché non era dettato dal desiderio di far innervosire Kurt ma era un'azione dolce, piena di affetto che, però, non poteva essere comparata alle loro mani strette l'una nell'altra sotto la pesante stoffa, lontano dagli sguardi di tutti.

Si godettero la vicinanza l'uno dell'altro, respirando piano quell'aria natalizia che riempiva la stanza e ascoltando le voci eccitate degli altri ospiti.

"Il coro di ieri mi ha fatto proprio entrare nello spirito del Natale", ridacchiò Sebastian posando piano la tempia contro quella di Blaine che chiuse gli occhi al contatto. Era una sensazione piacevole che fece sentire Blaine protetto e rilassato.

"Io ci sono già dentro da novembre! Ho sempre fatto così! Ero il tormento di mio marito! Gli avevo pure messo qualche nastro colorato attorno al fondo del letto dell'ospedale prima che..." Blaine si interruppe bruscamente.

Si accorse che non aveva mai parlato di lui a Sebastian, nonostante avesse praticamente obbligato quest'ultimo a raccontargli tutta la sua vita. Probabilmente credeva che non gli interessasse perché non ricordava di avergli mai sentito fare una singola domanda al riguardo o forse per altri motivi che, in quel momento, parevano essere tutti senza senso perché Sebastian, ormai, aveva il diritto di sapere.

"Beh, Rose mi ha detto che hai fatto una bellissima composizione da mettere nell'ufficio della McDillon. Scommetto che gli era piaciuto."

"Già..." disse debolmente Blaine.

"Ti manca tanto, vero?"

"Sì."

Sebastian annuì stringendo forte la mano di Blaine, che continuò a parlare perché sapeva che era il momento giusto. In quell'attimo sembrava doveroso spiegarsi attraverso la voce perché i gesti, sebbene fossero stati importanti e forti, non erano più abbastanza.

"È stato il mio punto fermo. Con lui ho costruito tutto quello che volevo avere e l'ho perso in pochi mesi, come se anni e anni di vita fossero andati distrutti a causa di qualcosa che ancora va al di là della mia concezione..."

Blaine fu felice del fatto che Sebastian lo lasciasse parlare senza interromperlo e ogni tanto accarezzasse il dorso della sua mano come per dirgli 'io sono qui che ti ascolto'. Così si ritrovò a raccontare tutto ciò che aveva tenuto dentro per moltissimo tempo e che nemmeno i migliori specialisti di Columbus e la dottoressa Goodman erano riusciti a tirargli fuori.

"Prima di morire mi ha chiesto di essere felice. Nella sua sofferenza ha ancora pensato al mio bene e mi ha raccomandato di tornare ad essere il Blaine sempre sorridente che ricordava. Mi ha detto di andare avanti perché, se non l'avessi fatto, lui non avrebbe lasciato questo posto in serenità. Io gli ho detto di sì perché, in quel momento, era cosa più giusta da fare, ma non l'ho fatto... Ho fatto passare anni di inferno a chi mi era vicino e lo capisco ora, ma non mi sembrava giusto continuare ad andare avanti con la mia vita. Credevo di fare un errore nei suoi confronti, no...? Da qualche parte in fondo al mio cuore sapevo che aveva ragione e che lui voleva davvero questo per me, ma io non trovavo la giusta motivazione. Poi l'ho trovata. E, appena è successo, l'ho detto a Virginie. Suo padre se n'è andato quando lei era poco più che adolescente ed è stata lei a prendersi cura di me quando, in realtà, avrebbe dovuto essere il contrario. Mi ha detto che di essere felice per me... È bello tornare a sentirsi bene. Era una sensazione che non provavo da un bel po' di tempo."

Sebastian, che era rimasto in silenzio tutto il tempo, annuì con convinzione anche se si mosse nervosamente sul divano, ma Blaine non ci fece caso. Anzi, riprese a parlare, cambiando però argomento. Sperava che Sebastian avesse capito ogni singola parola. Lo sperava davvero.

"E, in ogni caso, spero proprio che Virginie non abbia già addobbato la casa perché voglio farlo io... Non dico le finestre perché non ci arrivo stando seduto sulla carrozzella, ma almeno i tavolini."

Sebastian si scosse da quello stato di torpore in cui si trovava, non capendo subito che Blaine avesse cambiato discorso.

"Mh? Torni a casa?"

"Sì, Zach mi viene a prendere oggi pomeriggio alle tre. Ma non ti preoccupare, il tuo regalo riesco a dartelo prima. Devo ancora aggiustare qualche cosina -mi sono fatto aiutare dagli infermieri- ma è pronto."

Blaine gli rivolse un sorriso radioso, che presto scomparve dal suo volto come se fosse stato spazzato via da una folata di vento gelido. Sebastian aveva allentato la stretta sulla sua mano e l'aveva scostata sulla sua gamba.

"Mi hai fatto un regalo? Perché? Comunque mi dispiace, Blaine, ma io vado via alle due."

"Ah, sì? Ma..."

"Il mio ex compagno. Passo le feste da lui. Ha telefonato ieri sera."

"Oh! Non lo sapevo! Ma... Bello! Dove abita?"

"New York."

"Allora dovrai prendere l'aereo! Accidenti, un po' ti invidio! Pensami mentre starò da Virginie a scegliere la giusta tonalità di vernice per la camera del bambino tra una partita di tombola e l'altra! Ha detto che nell'ultima ecografia si è riuscito finalmente a capire il sesso, ma me lo dirà solo quando tornerò a casa! Penso sia un ricatto!", ridacchiò.

Sebastian rise un po' forzatamente. "Ti penserò sicuramente, Blaine."

"Allora...", Blaine continuò. "Allora ci diamo appuntamento a mezzogiorno qui. Anzi, vengo ad aspettarti davanti alla porta della camera e veniamo qui insieme così posso vedere la tua espressione quando sarai davanti alla sorpresa. Spero tanto che ti piaccia!"

"Ma io... Io non ti ho fatto nulla..." ammise leggermente imbarazzato.

Blaine cercò la sua mano sotto la coperta e gliela sfiorò piano con la punta delle dita. "Credimi, mi hai già fatto un regalo bellissimo."




"Rose? Che ore sono adesso? Non voglio arrivare in ritardo! E se Sebastian scoprisse tutto? Non mi sorprenderei se fosse già in sala comune a curiosare!"

L'infermiera, che lo stava aiutando a preparare la valigia con gli ultimi maglioni, rise divertita e posò una mano sulla tasca del camice. "Lo so, ecco perché ho chiuso a chiave! Senti, pulcino, il libro lo vuoi oppure lo lasci qui? Lo metto tra questi maglioni così non si sgualcisce."

Blaine le passò il volume de 'Il piccolo principe' che gli aveva dato Sebastian mesi fa e si premurò che fosse ben protetto tra la lana soffice. Non avrebbe mai sopportato l'idea di rovinare qualcosa di così prezioso. "Sono un po' agitato, Rose..."

Rose gli sorrise con dolcezza e gli diede un tenero buffetto sulla guancia. "Immagino che tu non stia parlando del viaggio ma della sorpresa."

"Già... E se andasse tutto storto? Se avessimo sbagliato? E, soprattutto, se lui si offendesse?"

"Uhm, non credo", rispose pensierosa. "Andrà bene, ne sono sicura."

Il sorriso materno della donna tranquillizzò Blaine che iniziò ad aiutarla a piegare i pantaloni.

"Così Sebastian avrà un bel ricordo di questo Natale, anche se non lo passeremo insieme. Spero si diverta là a New York!"

Rose, tenendo un paio di pantaloni beige in mano, lo guardò confusa. "New York?"

"Sì", Blaine annuì leggermente spazientito, arrotolando una cintura su se stessa. Non era lui quello con problemi di memoria? "Dove abita il suo ex compagno."

Il volto rotondo di Rose si tramutò in una smorfia e parlò a bassa voce, come se avesse quasi paura del peso delle proprie parole. "Pulcino... Sebastian non ha nessuno... Sebastian rimane qui."




A mezzogiorno Blaine non andò a bussare alla sua porta nonostante in sala comune fosse tutto pronto.

Non si aspettò nemmeno che lui venisse a chiamarlo perché ormai sapeva che la sua bugia era stata scoperta e non aveva il coraggio di affrontarlo.

Se ne andò senza salutarlo.

Senza vederlo.

E, una volta salito sulla macchina di Zach, non notò che era sotto il porticato a sentire il rumore, attutito dalla neve che era scesa durante la notte, dell'auto che lo stava per portare via.

Portare via da lui.

Non vide nemmeno Annie avvicinarsi alla schiena dell'uomo quel tanto che bastava per sussurrargli all'orecchio. "Non puoi perdere la tua Lily, Severus."




Blaine era comodamente seduto sul divano e si sentiva rilassato, anche se un po' assonnato. Aveva appena finito di pranzare con la sua famiglia e stava leggendo con Virginie una noiosa rivista per mamme, discutendo su quanto fosse costoso quel particolare tipo di passeggino di un azzurro un po' smorto, quando suonò il telefono di casa.

"Rispondo io. Dovrebbe essere Kurt per gli auguri", si affrettò a dire Zach asciugandosi velocemente le mani sul grembiule. Si era offerto di lavare i piatti e Blaine adorava vederlo così innamorato e premuroso nei confronti di sua figlia. Era veramente un ragazzo d'oro, non poteva chiedere di meglio né come suocero né come futuro nonno.

"No, ce la faccio, ci riesco..." rispose Virginie alzandosi in piedi con fatica. Stava già diventando bella grossa, ma entrambi non avevano il coraggio di dirle di riposarsi per paura di urtare i suoi sentimenti. Soprattutto perché poteva essere in quelle giornate con spiacevoli sbalzi d'umore e Blaine sapeva bene com'era sua figlia quando aveva la luna storta. La guardò rispondere al telefono, spalancare gli occhi per la sorpresa e annuire con un cenno della testa, come se l'interlocutore potesse vederla.

"Papà...", sussurrò nella sua direzione coprendo con una mano il ricevitore. "È Sebastian..."

Blaine, per un momento, ebbe l'istinto di alzarsi dal divano e gettare l'apparecchio fuori dalla finestra. Aveva cercato di non pensare all'ultimo giorno trascorso a Villa Liberty. Aveva tentato di dimenticare quell'episodio il cui solo pensiero gli dava la nausea, ma era stato del tutto inutile. In più, Virginie aveva voluto sapere e fu costretto a raccontarglielo. Lei non disse nulla; gli lasciò solo un piccolo bacio sulla fronte che valeva più di qualsiasi frase.

"Digli che non ci sono."

"Secondo te ci crederebbe? Mi ha detto che vuole parlarti."

"Digli che non voglio."

"Ha detto che è piuttosto importante... Dai, papà, parlagli."

Blaine roteò gli occhi e si fece passare il cordless. Virginie gli sorrise con tenerezza accarezzandosi il pancione e si allontanò dalla stanza seguita da Zach, piuttosto perplesso.

"Che c'è?" ruggì nella cornetta. Non gli importava di essere scortese. In realtà, non voleva nemmeno sentirlo parlare. Aveva risposto solo perché gliel'aveva chiesto sua figlia.

"Blaine..."

Il suo tono di voce era... Blaine non seppe subito come definirlo, ma 'spento' era l'aggettivo più indicato. Era così diverso dal suono allegro a cui si era abituato in tutti quei mesi. Erano passati solo un paio di giorni e Sebastian sembrava già un'altra persona; ricordava il Sebastian incontrato il primo giorno a Villa Liberty... Era così difficile cercare di continuare a rimanere distaccato e superiore. "Ciao...", si ritrovò a rispondere quasi in un sussurro.

"Ti... Ti disturbo?"

"Io e Virginie stavamo guardando i passeggini per mio nipote. È un maschio."

"Sì? Che bello, sono felice per voi!"

Blaine giurò di averlo sentito ridere per la contentezza, ma era ancora troppo arrabbiato con lui per unirsi ai festeggiamenti.

"Virginie mi ha detto che devi parlarmi."

Sebastian rimase zitto per qualche secondo prima di schiarirsi la voce. "Sì... Mark mi ha aiutato a intrufolarmi nell'ufficio della McDillon e mi ha trovato il numero di tua figlia... Io... Io volevo chiederti scusa per l'altro giorno... Non so perché ti abbia raccontato una bugia... Solo non volevo che ti preoccupassi per me."

Sembrava un figlio che supplicava il perdono da parte del genitore dopo aver combinato un pasticcio più grande di lui.

"Saresti potuto venire qui con noi, Sebastian. Se me l'avessi detto, non saresti rimasto lì da solo."

"Lo so...", rispose. "È che tua figlia e Zach hanno così tanto da fare e io non volevo essere un peso. Avrebbero dovuto starmi dietro come non farebbero nemmeno con il loro bambino... Capisci cosa intendo...?"

E Blaine lo capiva benissimo perché era proprio il motivo per il quale da quasi un anno viveva a Villa Liberty. Ma ciò non scusava assolutamente il comportamento di Sebastian nei suoi confronti perché Blaine sapeva di non meritarselo.

"Sarebbe stato solo per qualche giorno. Virginie ti ha detto che fai parte della famiglia, ricordi? Io dimentico tante cose... ma questo no, non lo scordo."

"Ho avuto paura."

"Perché?"

"Non lo so...", Sebastian disse in un sussurro. "Mi sono fatto prendere dal panico perché... Nessuno mi ha mai detto che sono importante, degno di qualcosa. È una cosa nuova e... Ho avuto paura."

"Non avresti dovuto. Non devi."

"No...?"

"No."

"Ok...", mormorò con un tono sempre più dispiaciuto. "Non so quanto possa valere adesso, ma ti chiedo scusa. So che non mi sono comportato bene perché quello che è successo... Insomma... Parlare del tuo passato... È stata una cosa che desideravo da tempo e mi dispiace per aver sbagliato ancora tutto... E mi dispiace anche di non essere riuscito a salutarti."

"Va bene, Sebastian."

Un altro lungo momento di silenzio s'impadronì della linea. Blaine non sapeva cosa dirgli: era così difficile parlargli senza avere la possibilità di guardare il suo volto o di osservare le sue mani sempre in movimento. Si accorse di sentire la loro mancanza ed ebbe la necessità di stringere qualcosa per sopperire proprio a questa assenza.

"Blaine... Tornerai qui, sì? Non rimarrai lì...? Non... Non ti ho perso per sempre, vero?"

Sebastian aveva tentato di manterenere la voce più sicura possibile, ma non era riuscito nel suo tentativo perché Blaine colse tutta la sua ansia, la sua paura e, soprattutto, il suo dolore. Non riusciva più ad essere arrabbiato con lui, non ora che sembrava così fragile, sul punto di spezzarsi. Sapeva che aveva bisogno di una rassicurazione, ma Blaine non si rese conto di volerne una anche lui stesso.

"Non mi hai perso nemmeno questa volta."

"Ok... Io... Allora io ti aspetto. Buon Natale, Blaine."

"Buon Natale anche a te, Sebastian."






Una cosa prima di iniziare: voglio ringraziarvi per tutto. Per continuare a leggere ed aggiungere la storia tra i preferiti e molto altro. Grazie anche a chi recensisce e mi fa capire che sì, sono una brutta persona, ma nemmeno più di tanto <3

Questo capitolo è lungo (in realtà no, ma per i miei standard sì LOL) per due motivi: 1) perché sì e 2) perché me ne vado via per qualche giorno e vi lascio qualcosa su cui rimuginare. 
Non riuscirò ad aggiornare fino a metà della prossima settimana... Anzi, dico che riuscirò ad aggiornare solo l'anno prossimo perché è una figata dire così XD okay, basta, non faceva ridere. Però è vero. Quindi, uhm, direi a mercoledì prossimo con il penultimo capitolo!

Vi auguro di passare un ottimo Natale con le persone che amate perché è questa la cosa più importante. Dopo i regali. E dopo i parenti che vi danno i soldi.

Ah, nel caso non l'aveste letta, ho scritto una piccola OS natalizia un po' differente dalla norma. La trovate qui.

Tanti abbracci e tanti bacioni ♥

-violetsugarplum


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Capitolo 14
*** Mi fido di te ***


14


14
. Mi fido di te

Blaine tornò a Villa Liberty la prima settimana di gennaio e, con lui, riapparve il sorriso sulle labbra di Sebastian.

Lo trovò in palestra, seduto vicino alla scaletta sul bordo della piscina, completamente vestito,  intento a muovere avanti e indietro i piedi creando tante piccole onde sul pelo dell'acqua.

"Sono tornato", gli disse subito, senza preamboli, avvicinandosi lentamente con la carrozzella.

Sebastian non si voltò; riuscì solamente a rispondergli che lo stava aspettando e che gli era mancato tanto. E si scusò per essere stato un vero e proprio idiota che non aveva capito nulla, né qualche giorno prima né mai. Gli chiese ancora una volta di essere perdonato perché si sentiva ancora più imbecille di quel ragazzino borioso che l'aveva quasi accecato e fatto soffrire.

Blaine lo ascoltò parlare della sua paura di far parte di una famiglia, qualcosa che, ai suoi occhi, pareva gigante e spaventoso perché non ne aveva mai avuta una e non si sentiva all'altezza, anzi, ne era quasi terrorizzato. Gli propose di passare Pasqua assieme, avvertendolo scherzosamente che, se avesse rifiutato l'invito, si sarebbe offeso.

Sebastian accettò ridendo piano e dimenando i piedi nell'acqua.

Come i fiocchi di neve che cadevano sul tetto del gazebo e scivolavano a terra, ogni incertezza finalmente si allontanò da loro. Blaine lasciò che Sebastian si aprisse a lui come mai aveva fatto prima perché a quel punto non c'era più bisogno di tener dentro le proprie insicurezze e paure.

Era arrivato il momento di andare avanti.


"Non mi sento molto a mio agio..." mormorò Sebastian in piedi al centro della sala comune con le braccia lungo i fianchi.

"So che è un po' strano", Blaine lo guardò preoccupato, cercando l'attenzione di Mark, che era dietro l'uomo, indicandogli di spostare più vicino due enormi fari fotografici che era riuscito a portare dentro dopo aver convinto la sua fidanzata a prestarglieli di nuovo. "Vuoi il tuo bastone?"

"No... Però non mi piace molto. Mi sento un po'... Insomma, mi sembra di essere un manichino."

"Ti prometto che facciamo presto, Sebastian."

"Farà male?", chiese stringendo forte le palpebre e mordendosi il labbro.

"No, no! Assolutamente no..." Blaine si diede mentalmente dello stupido. Sapeva benissimo cosa voleva dire per Sebastian stare in piedi senza aver la possibilità di sorreggersi a qualcosa e ebbe improvvisamente il terrore che stesse ripensando a quella sera in cui perse la vista e perciò intimò a Mark di velocizzarsi a registrare la giusta illuminazione. Doveva andare tutto bene perché lui e gli infermieri ci avevano lavorato tanto e sperava con tutto il cuore che funzionasse. E, soprattutto, che Sebastian apprezzasse il gesto. Non gli aveva specificato nulla; gli aveva solo ricordato che era il regalo di Natale che non era riuscito a dargli e, per l'uomo, fu abbastanza. "Mi fido di te.", concluse stringendo leggermente la stoffa delle maniche del cardigan tra le dita.

La conoscenza di Blaine del campo medico era piuttosto scarsa; sapeva benissimo riconoscere la malattie dell'infanzia perché Virginie, ovviamente, non ne aveva saltata una e, purtroppo, aveva perfettamente presente tutti i sintomi del morbo di Alzheimer. Ma la cecità andava veramente al di là della sua competenza.

Ed era per questo che aveva chiesto aiuto ai suoi due infermieri preferiti, di cui si fidava al cento per cento. Avevano passato una sera intera, fino a notte fonda, a sfogliare cartelle mediche e volumi pesanti, presi di nascosto dalla biblioteca sapendo che la direttrice McDillon non avrebbe mai apprezzato. Sfogliando pagine su pagine, l'entusiasmo iniziale di Blaine andò scemando mano a mano che incontrava termini medici in latino che non capiva e nemmeno le rassicurazioni di Rose sembravano essere più sufficienti.

Ma Mark gli disse una semplice frase. "Datti una possibilità", e Blaine seppe esattamente che doveva tentare, senza preoccuparsi del risultato, anche fosse stato deludente. Non trovò nemmeno le parole giuste per ringraziare i due infermieri per tutto quello che stavano facendo per lui, ma essi capirono ugualmente accarezzandogli la mano e dandogli un'amorevole pacca sulla spalla.

Sebastian fece oscillare la testa da una parte e l'altra della stanza cercando di carpire anche il minimo rumore e Blaine lo guardò con tenerezza mentre si alzò piano dalla sedia a rotelle aiutato da Mark. Sapeva che sarebbe riuscito a rimanere in piedi soltanto per pochi minuti perché le sue gambe, ormai, non avevano più la forza di sorreggerlo. Ma aveva giurato a se stesso che ce l'avrebbe fatta.

L'infermiere lo scortò lentamente di fronte a Sebastian, che continuava a morsicarsi il labbro sempre più teso, fino a quando l'uomo non percepì qualcuno davanti a lui.

"B-Blaine?", chiese insicuro. "Cosa...?"

Un click improvviso seguito da due fortissimi fasci di luce bianca illuminarono la sala comune e il suo viso, facendogli subito lacrimare gli occhi, ma non gli importava. Sebastian aprì la bocca in estrema confusione e Blaine si sentì mancare quando lo vide chiudere e riaprire le palpebre freneticamente. Gli afferrò subito le mani e le strinse tra le sue, cercando di ignorare il male alle gambe che si stava facendo sempre più insistente.

"Sebastian..." emise in un sussurro appena udibile e guidò le sue mani sul suo volto.

Era la prima volta che erano così vicini.

Si sentì tracciare con lentezza e cura ogni ruga sulla fronte, non potè far a meno di sorridere quando sfiorò le sue sopracciglia, lasciò che le sue lunghe ciglia solleticassero i suoi polpastrelli duri e callosi che nel frattempo erano scivolati sul dorso del naso e si accorse di essere arrossito quando Sebastian passò più volte la punta delle dita sulle guance.

"Sei ancora più bello di quanto ricordavo", disse Sebastian con voce rotta prima di carezzargli gentilmente le labbra con il pollice.

Se Blaine avesse potuto, avrebbe gridato e saltato dalla gioia. "Mi... Mi vedi?", domandò trattenendo il fiato e accennando un sorriso.

Ore e ore di studio e di discussione con gli infermieri gli avevano fatto capire che, probabilmente, Sebastian non l'avrebbe visto nel vero senso del termine perché i fogli parlavano chiaro: l'uomo non avrebbe mai più riacquisito la vista. Ma forse, attraverso l'uso di una illuminazione così potente, avrebbe distinto le ombre e riconosciuto i contorni del suo viso permettendogli di avere almeno un'immagine sfocata. E, a Blaine, bastò quella risposta.

Sebastian non disse nulla mentre una lacrima scese con rapidità sulla sua gota. Blaine non l'aveva mai visto piangere prima di quel momento e subito sentì un fastidioso nodo alla gola che gli fece ancora più male delle gambe, ormai esauste, su cui si reggeva.

"Mi vedi?", chiese ancora.

L'uomo scosse la testa e prese ad accarezzargli gentilmente una guancia con il dorso della mano. "Vedo una persona meravigliosa, se è ciò che intendi."

Blaine era stato troppo ottimista. Doveva sapere che solo nei film succedono scene di questo genere. Ad esempio, un malato che si risveglia magicamente dal coma. Oppure un cagnolino che ritrova la strada di casa e raggiunge la sua padroncina, ormai cresciuta, dopo anni. Ma lui aveva vissuto abbastanza per capire che, nella vita reale, le cose non vanno in questa maniera.

Attese che la lacrima di Sebastian rigasse il suo viso fino al mento prima di aggrapparsi alla sua vita e stringersi a lui in un abbraccio che desiderava dargli da tanto tempo e sospirò di sollievo quando l'uomo non rimase immobile a questo contatto inaspettato, ma sfiorò con delicatezza la sua schiena.

Per qualche secondo rimasero così, stretti l'uno contro il corpo dell'altro, a bearsi della vicinanza appena scoperta e a cullarsi nei loro profumi. Blaine scoprì che Sebastian sapeva di dolce, di buono, di fiore, lo stesso che raccolse per lui nel giardino mesi prima.
Sperò che si sentisse al sicuro tra le sue braccia come lo era lui, al riparo da ogni cosa.

"Grazie... È il regalo più bello che abbia mai ricevuto... Io..."

Il sussurro di Sebastian arrivò forte al suo orecchio e Blaine lo zittì stringendolo ancora di più a sé nell'abbraccio, che era il perfetto riassunto di tutte le parole e tutti quei gesti attenti che si scambiavano da mesi.






Non è che mi sono dimenticata... Sì, più o meno, è che non lo so, perdo sempre la cognizione del tempo durante le feste (a proposito, come sono andate?). Ma finalmente ho aggiornato, yeee! :3

Questo è il penultimo capitolo e spero tanto che vi sia piaciuto. Forse sono stata un po' cattiva perché 'NUOOO, dov'è il lieto fineeee", ma credo che ci siano diversi modi di vedere le persone. E, se l'ha capito Sebby... Ma comunque non è cattiveria, ci tengo a specificarlo, è solo crudo realismo. 

...e poi chi ha detto che non ci sarà l'happy ending? :)

Ma questo si saprà solo lunedì.

Zan zan!

-violetsugarplum


p.s.: come al solito vi ringrazio per tutto, vi sbaciucchio e vi chiedo scusa per il ritardo, ma non ce la posso fare a fare LOL grazie per seguirmi ancora e non temete, ché le recensioni e le risposte arriveranno lentamente, ma arriveranno. Quante cose mi sono persa in questi giorni?

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Capitolo 15
*** Epilogo ***




15
. Epilogo

Se qualcuno fosse entrato a Villa Liberty negli ultimi tempi, non l'avrebbe riconosciuta.

Perché, da quando la direttrice McDillon se n'era andata in un'altra struttura in cui era decisamente meglio retribuita, le cose erano cambiate parecchio.

Certo, l'edificio era sempre lo stesso, imponente e maestoso, con un ampio porticato e un giardino rigoglioso sul retro. Nella sala comune c'era sempre il tavolo rotondo ingombro di carte da gioco, mentre sul divano giaceva abbandonato ancora aperto un romanzo fantasy. Ma i quadri antichi appesi nei corridoi erano stati sostituiti da disegni un po' meno curati, però sicuramente più personali, più una strana gigantografia di un ragazzo moro, bello come una divinità, che sembrava essere uscita da una rivista di moda.

Rose chiuse piano la porta dello studio della Goodman, lasciando la dottoressa e Mark, appena tornato dal suo viaggio di nozze, a gonfiare una nuova poltrona giallo fosforescente. Si avviò verso il salone fischiettando un motivetto gioioso, quello che era solito suonare Ralph al pianoforte per la sua Annie. E infatti li trovò seduti vicini sulla panchetta; lei intenta a schiacciare i tasti senza seguire nessuna melodia in particolare e lui che le pettinava i lunghi capelli castani con le dita, giocandoci teneramente.
Sorrise e voltò lo sguardo verso Lucille e Frank, che stavano comunicando tra di loro e ridevano sereni mentre si siedevano al tavolo, pronti per una nuova entusiasmante partita di ramino.

L'infermiera si avvicinò alla finestra per aprirla, in modo che il tiepido sole primaverile illuminasse e scaldasse la stanza. Su un ramo di un ciliegio scorse un nuovo nido di usignoli e non potè far a meno di buttare l'occhio al giardino, dove l'erba era già rispuntata dopo il rigido inverno.

Sulla panchina di legno sotto il gazebo, circondato dai cespugli di fiori colorati, c'erano Blaine e Sebastian.

Blaine scostò lo sguardo dal libro che teneva sulle gambe e notò che Sebastian non lo stava ascoltando e alla sua voce aveva preferito le note allegre del pianoforte suonato dalle mani esperte di Ralph che erano perfettamente udibili fin da lì. Ma il volto dell'uomo era girato nella sua direzione e le sue labbra erano curvate in un ampio sorriso.

"Sei stanco? Vuoi tornare dentro?", gli chiese cercando di capire il motivo di questa sua insolita disattenzione. Di solito stava ad occhi chiusi, appoggiato comodamente allo schienale della panchina e non parlava fino a quando Blaine non interrompeva la lettura.

"Lo sai che giorno è oggi?"

"Uhm..." Blaine ci pensò un attimo. "Sabato?"

"Sì, anche", rispose Sebastian non riuscendo a trattenere un ghigno soddisfatto.

"Se è sabato, vuol dire che oggi è giorno di visite... O sbaglio?"

"Corretto. Infatti più tardi verranno Zach, Virginie e i tuoi due nipotini. Tre, se contiamo anche quella in arrivo. Ma te lo sei ricordato! Bravo, Blaine!"

Blaine annuì sorridendo appena. Dimenticare anche le cose più importanti era ormai diventata una consuetudine e, purtroppo, ogni tanto non riconosceva più nemmeno i suoi cari. Ma Sebastian non smetteva mai di aiutarlo, nemmeno quelle mattine in cui gli augurava il buongiorno e si sentiva chiedere chi fosse.  Era sempre al suo fianco a dargli una mano a mantenere la mente allenata con i libri e le continue chiacchierate e Blaine non poteva che essergliene grato.

Quando Sebastian non aggiunse altro, Blaine lo guardò incuriosito e gli pizzicò il dorso della mano che era sul suo grembo. "Dai, non tenermi sulle spine! Dimmelo! Che giorno è?"

"Oggi è il quinto anniversario del tuo arrivo a Villa Liberty. Auguri!", ridacchiò afferrandogli la mano con un movimento rapido e gliela strinse forte, come se non avesse mai abbastanza di sentirlo vicino a sé.

Blaine non rimase sorpreso dal fatto di aver già trascorso ben cinque anni nella casa di riposo perché, in realtà, gli sembrava solo che fossero passati pochi mesi, ma fu piacevolmente stupito da come Sebastian lo ricordasse con così tanta precisione.

"Uh, davvero? E ci sarà una festa?", chiese. "Non mi ricordo se Rose mi ha detto che avrebbe organizzato qualcosa..."

Sebastian rise. "Se avessi voluto una festa, Blaine, avresti dovuto dirlo prima! Ma comunque non sarei riuscito ugualmente a impacchettarti il tuo regalo..."

"Regalo? Davvero mi hai fatto un regalo? Me lo dai ora?", domandò arrossendo, più contento di un bambino il giorno di Natale. Sebastian assunse un'aria fintamente pensierosa.

"Beh, sì, direi che posso dartelo adesso. Però, mi raccomando, occhi ben chiusi, eh! Non voglio che sbirci!", esclamò divertito prima di lasciargli andare la mano e avvicinarsi lentamente a lui.

"Va bene, Sebastian..." sussurrò quasi inconsapevolmente e lo vide sorridergli ancora per tranquillizzarlo.

Serrò immediatamente le palpebre e tremò appena quando avvertì le dita leggere di Sebastian sul suo collo prima di sentire le sue labbra poggiarsi piano, con un misto di timore, ma anche di dolcezza e delicatezza sulle proprie.

O quasi.

Aprì gli occhi sentendosi sfiorare il labbro superiore dal suo inferiore e percepì il suo naso strofinarsi poco gentilmente contro il proprio. Il tutto durò una manciata di secondi, sebbene a Blaine parve un'infinità, perché Sebastian allontanò lentamente il volto dal suo ridendo di gusto, con le guance lievemente arrossate.

"Cinquantacinque anni! No, dico, cinquantacinque anni che aspetto questo momento e sbaglio mira!", continuò a ridere accarezzandogli le guance coi polpastrelli; i loro volti sempre a pochi centimetri di distanza. Blaine poteva sentire perfettamente il suo respiro calmo sulle proprie labbra e quel profumo di fiori buonissimo che sicuramente non proveniva dal cespuglio dietro di loro.

Si unì alla risata e si specchiò nei suoi grandi occhi verdi, che non erano mai stati così belli prima di quell'attimo. Ormai riusciva a leggere ogni sua emozione, ogni pensiero che poteva attraversare la sua mente e si sentì invadere il petto da una sensazione fortissima, che credeva di aver sepolto sotto anni di lacrime e buio.

Gli prese il viso tra le mani e ridacchiò piano. "Puoi sempre riprovare."

"Posso?", domandò Sebastian con quell'immancabile tono malizioso che Blaine aveva imparato ad apprezzare perché capiva che stava solamente cercando di farlo ridere e fargli dimenticare tutte le cose brutte che, ogni tanto, riaffioravano tra i suoi ricordi sempre meno nitidi. E sapeva bene che quella, ormai, era una domanda superflua.

Blaine annuì ridendo. "Sì. Ma ricordati che è la tua ultima possibilità."

"Allora non me la lascio scappare", mormorò piano prima di baciarlo per la prima volta.


Fine






Non posso ancora credere di essere riuscita ad arrivare fino alla fine. 
Perché quando ho iniziato a scrivere era giugno, l'ho finita solo il mese scorso e adesso siamo già in un nuovo anno e finalmente la storia è terminata, tra mille difficoltà e, soprattutto, ripensamenti. Che ho ancora, perché so di aver fatto milioni di errori. Però, in fondo, non cambierei ciò che ho fatto (e poi gli errori servono a migliorare, no?) perché mi è piaciuto da matti scrivere e raccontare la storia di questi due personaggi persone, che meritano tanto, sono flawless e nel canon non avranno mai niente. Purtroppo e per fortuna.

Ringrazio voi, che mi avete sempre sostenuta nonostante tutto. Non metterò i nomi perché non mi piace fare elenchi in cui un nome va prima dell'altro e poi tanto sapete chi siete :) E questa storia è vostra, con le vostre letture, i vostri commenti, i vostri insulti, le vostre recensioni, che mi sono state di grande aiuto per capire se stavo facendo un buon lavoro oppure un casino imbarazzante. Grazie per avermi dato una possibilità e grazie a chi comunque ci ha provato e non mi ha mollata durante il percorso. Beh, grazie anche a chi l'ha fatto. E mi dispiace di non essere stata chiara fin dal principio e di non essere stata all'altezza, ma mi piace vivere nella confusione.

(Avevo scritto che non l'avrei fatto, ma... un grazie speciale alla mia beta silenziosa. Per esserci stata, per avermi aiutata a riordinare i pensieri, per quei guizzi di genialità, per avermi corretto i miei verbi e le mie preposizioni random. E, soprattutto, per non avermi riso in faccia mesi e mesi fa. Grazie per non leggere questi stupidi ringraziamenti.)

Non ci sarà un sequel perché sappiamo tutti benissimo dove si andrebbe a parare e no, grazie. Non escludo, tuttavia, qualche spin-off... Adesso come adesso non ho in mente niente -ho la testa completamente, da un'altra parte- ma non mi va di bloccarmi la strada perché Villa Liberty e i miei due vecchietti mi mancano già moltissimo. Quindi staremo a vedere!

Mi avete chiesto se ho in mente un'altra long e la risposta è: sì. Ho già iniziato a scriverla, ma voglio buttare giù più capitoli possibili prima di pubblicare, perché voglio esserne sicura al 200%, altrimenti so già che ci ripenso, mi perdo d'animo e blablabla. 

Vi ringrazio ancora, di cuore.
Davvero.


...posso finire di frignare o continuo? LOL

A presto,

-violetsugarplum

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