Our Love is Mad

di BigEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Madness -Muse ***
Capitolo 2: *** Bliss - Muse ***
Capitolo 3: *** Panic station - Muse ***
Capitolo 4: *** Muse- Supermassive Black Hole ***
Capitolo 5: *** Butterflies And Hurricanes - Muse ***
Capitolo 6: *** Falling away with you -Muse ***



Capitolo 1
*** Madness -Muse ***


OUR LOVE IS MAD

 

Come to me, just in a dream
Come on and rescue me
Yes I know, I can’t be wrong
And maybe all too have strong
Our love is…m-m-m-m-m mad

(Muse  -Madness)

 
“No, così non va bene” disse, mentre cancellava quella frase così banale e fin troppo sdolcinata. Impugnò di nuovo la sua chitarra,  e continuò a provare e riprovare, seduto sul letto con la matita tra le labbra e  i capelli neri ancora arruffati, con indosso solo dei jeans stretti, neri.
 
La sua stanza rispecchiava il suo animo scapestrato, ribelle e drogato di musica rock.
Magliette e scarpe erano sparse disordinatamente attorno al letto disfatto.
 Le pareti erano tappezzate di poster dei suoi idoli musicali: sopra il poggia testa del letto c’era una gigantografia di Matthew Bellamy raffigurato mentre suona il piano; dietro la porta si ergeva un poster dell’album degli U2, The Joshua Tree; sopra la scrivania  uno con i componenti del gruppo dei The Cure, mentre altri piccoli poster dei The Clash, dei Greenday e dei Linking Park, ricoprivano l’armadio.
Sulle mensole impolverate vi erano dischi in vinile tra cui si scorgevano alcuni album dei Queen e degli Scorpions e tra questi un paio di quarantacinque giri dei Bon Jovi.
 
“Basta così!” sospirò, sdraiandosi sul letto con le mani dietro la nuca, fissando il soffitto bianco su cui rifletteva la luce soffusa dell’alba dei primi di ottobre.
Chiuse gli occhi cerulei e iniziò a sognare: si immaginò su un palco con i suoi due migliori amici Peter e Larry , rispettivamente il suonatore del basso e della batteria della sua band “The devils”.
La folla acclamava i loro nomi, le ragazze tendevano la mano per toccare il loro mito, il cantante e leader del gruppo, il suonatore della tagliente chitarra elettrica: James Colins. 
 
 
“Sveglia fratello!”
 L’esclamazione seguita dal battito dei pugni alla porta, lo fecero sobbalzare con gli occhi sbarrati dallo spavento improvviso.
“Avanti!”urlò, mettendosi svogliatamente il braccio sugli occhi.
“Sei ancora in questo stato?” lo redarguì il giovane Larry, entrato sbattendo la porta  contro l’armadio, con le mani sui fianchi, con una tracolla nera in spalla.
“  Maledizione! contieni la tua forza Larry!” gli ringhiò il moro sedutosi a bordo letto, poggiando i gomiti sulle gambe, coprendosi il viso con entrambe le mani. “Risparmia la tua straordinaria potenza alle braccia per quando avremo il concerto” concluse sfilandosi la chitarra, strofinandosi gli occhi.
 
Sbuffando prese la maglietta bianca, riposta malamente ai piedi del letto la sera prima, e la  indossò. Riprese la chitarra, si alzò e accovacciandosi la ripose religiosamente nella custodia, sussurrando “ torno tra un po’ piccola” rivolgendosi allo strumento.
“ Certo che sei lento” commentò Peter affacciandosi alla camera di James con le braccia incrociate. Il bassista indossava una camicia e, a differenza degli altri due, amava avere i capelli ordinati e arrivare in tempo a scuola. 
“ A volte mi sembra di vivere con una ragazza” mormorò James.
“ Una ragazza molto sexy” ghignò l’altro, alzandosi il colletto della camicia bianca.”Muoviti!” esclamò andandosene.
 
Dopo che James prese lo zaino semivuoto, deposto sotto la scrivania, i due scesero di corsa verso l’ingresso.  Il cantante si fermò a guardarsi allo specchio posto vicino all’entrata, si scompigliò i capelli corvini e ammiccò, uscì per ultimo. Peter sbuffando prese le chiavi e andò a chiudere il portone, dimenticato aperto dall’amico superficiale.
 Ma mentre stava per infilare la chiave nella serratura James gli urlò:  
“ aspetta!”
 “Cosa c’è ancora?” domandò il biondo aprendo le braccia, visibilmente seccato. “L’anello, l’anello…” disse canticchiando e passando oltre l’entrata, mentre Larry inclinava la testa all’indietro sbuffando, aspettando al posto di guida con un braccio fuori dal finestrino e la mano sul volante. James trovò l’anello, su cui era inciso un teschio, sul tavolino davanti al divano, lo infilò nell’anulare e si diresse velocemente fuori dalla porta.
 
Sulla macchina risuonavano le note di Sultan of swing dei Dire Straits.
“ Prima o poi la farò perfettamente” intervenne James, mentre mimava l’assolo di chitarra.
“Cosa?” domandò Peter seduto accanto al conducente, mentre fissando l’orologio tamburellava le dita sulla gamba, ansioso per il ritardo. 
“ L’assolo, l’ultimo pezzo di sultan of swing” rispose sorridendo, aprendo le braccia e mettendole dietro i poggia testa dei sedili posteriori.
 
“A me piacerebbe imparare bene Like a song” intervenne Larry,guardandolo dallo specchietto retrovisore.
 
Peter e James si guardarono e il loro scroscio di risa rattristò il compagno, facendogli corrugare la fronte.
“ Scusaci Larry” si ricompose Peter “ è che per arrivare a quel livello ce ne vuole e poi è abbastanza difficile dal punto di vista del batterista, lo sai vero? Gli U2 non li raggiungi mica da un giorno all’altro.”
“ Certo che lo so” rispose con sguardo torvo, il castano dagli occhi color nocciola, “nemmeno i Dire Straits se è per questo”bisbigliò. 
“Dai fratello!” iniziò James avvicinandosi  al conducente “ sei un grande lo stesso” concluse scompigliandogli i capelli, tirandolo verso di sé per schioccargli un bacio sulla guancia, distraendolo dalla guida. La macchina frenò di colpo a pochi centimetri dal corpo di una ragazza che attraversava la strada sulle strisce pedonali per dirigersi verso l’entrata della scuola.
La giovane, dai lunghi capelli castani e ondulati, trasalì, facendo cadere i libri sull’asfalto. Era  impallidita senza muovere un muscolo davanti all’auto. Le gambe non riuscivano a fare un altro passo, l’adrenalina correva lungo le vene e il cuore le  batteva violento contro lo sterno, facendola respirare spasmodicamente.
“Oh Cristo!” esclamò Peter, bianco in viso“Larry stai più attento!”
“Non è colpa mia se James è un bambino fin troppo cresciuto” si discolpò Larry girando il volto accigliato verso il chitarrista.
“ Ok , ok ragazzi, mi dispiace!” rispose.
“ Non è a noi che devi chiedere scusa, ma  a quella povera ragazza, che si è vista la morte davanti agli occhi!” lo redarguì il bassista.
“ Va bene, va bene” ripeté, scendendo dall’auto e dirigendosi verso la giovane, con le mani infilate nelle tasche.
 
Il cuore le palpitava e, alla vista degli occhi di James, le guance le si arrossarono e   abbassò lo sguardo.
 Per lo spavento i libri, che teneva in mano, le erano caduti sull’asfalto e James mordendosi le labbra si accovacciò per prenderglieli “ci dispiace,” iniziò “ anzi mi dispiace” si corresse, mentre tra i libri scorse la locandina del loro concerto.
“ N…non devi preoccuparti” balbettò imbarazzata, accovacciandosi accanto a lui per recuperare i fogli sparsi “ è..t..tutto apposto. Grazie a Dio non mi sono fatta nulla” gli sorrise timidamente portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
James rimase per un attimo intontito da quel sorriso, dai suoi occhi castani e da quei capelli ondulati, che mossi dal vento autunnale le conferivano un fascino celestiale.
 
“ Piacere, mi chiamo Angie” disse lei melliflua, alzandosi e porgendogli la mano. James la osservò dal basso, e scuotendo la testa come per svegliarsi da un sogno si drizzò grattandosi la nuca e tendendogli la mano si presentò mentre l’angolo del labbro si alzò leggermente per disegnare un mezzo sorriso “ io sono James.” 

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Capitolo 2
*** Bliss - Muse ***


                                                                                                        Everything about you is so easy to love

(Muse – Bliss)

 
 
 
 
“Si lo so” disse timidamente Angie “ho sentito qualche vostra canzone alla radio della scuola” mentre con una mano  stringeva i libri al petto e con l’altra spostava i capelli dietro l’orecchio che le andavano di fronte al viso. “ Mi piace il vostro stile”
“Mi fa davvero piacere” rispose James, mettendo le mani dentro le tasche della giacca di pelle nera, mentre sul suo volto raggiante si disegnava un sorriso che mostrava i canini.
I due rimasero in silenzio a guardarsi e studiarsi. Lui la squadrò sfacciatamente: indossava una gonna a balze color rosa antico, i collant bianchi ricamati, una camicetta bianca avvitata, le ballerine del medesimo colore della gonna e una giacchina a mezzo busto abbinata a scarpe, gonna e borsa. Intuì subito di avere di fronte una ragazza romantica, precisa e amante delle regole: insomma il suo opposto. Lui non era romantico, o almeno era quello che faceva credere.
 
Tuttavia  tra i due si avvertiva l’imbarazzo: le loro mani erano sudate e nonostante James fosse un tipo intraprendente, non aveva avuto il coraggio di emettere un altro suono, immerso com’era negli occhi castani della giovane.
Al contempo Angie sentiva il cuore palpitare e per il nervosismo di avere di fronte il ragazzo più popolare della scuola, quel cantante dall’aria indomita e ribelle, con quella voce profonda e graffiante, si martoriava il labbro interno.
 
Quella mattina la giovane castana, si era svegliata alle sei, come al solito aveva pregato e letto un capitolo del Vangelo. La sua stanza rispecchiava la sua indole docile e sognatrice: sulle mensole della scrivania, accanto alla finestra, vi erano  i libri scolastici messi in fila, in ordine di altezza, e i romanzi di Nikolas Sparks ordinati dai letti a quelli da completare.
 
Aveva sistemato il letto e prima di uscire, dopo aver dato un bacio ai genitori, aveva bevuto un sorso di caffè. Arrivata alla fermata del bus sotto casa, in perfetto orario, ripensò alle  faccende pomeridiane: alle sedici appuntamento con le prove del coro della Chiesa, alle diciotto il volontariato e alle diciannove e trenta sarebbe tornata a casa a studiare.
 
La sua vita poteva apparire monotona, ma lei era felice delle sue scelte, perché la riempivano di buoni sentimenti e di pace interiore. Avere la vita minuziosamente organizzata la rasserenava. Erano i cambiamenti che la preoccupavano.
 
Sul bus diretto a scuola, ascoltava sempre le canzoni che avrebbe dovuto cantare nel pomeriggio, così da memorizzare le parole e l’intonazione. Angie era un mezzo e non un soprano, come l’amica Mary, sua compagna di banco e migliore amica, che aveva ancora una voce bianca. La sua voce roca si era subito distinta tra gli altri coreuti e spesso aveva cantato da solista, con non poco imbarazzo.
 
 La professoressa di letteratura inglese sarebbe mancata la prima ora e dunque avevano dato il permesso alla classe di entrare a scuola un’ora dopo.
 
James invece avrebbe passato la giornata nell’aula di punizione, come accadeva spesso. Non che questo  lo preoccupasse, perché in quella classe si divertiva a cantare le canzoni richieste dagli altri compagni, salendo sulla cattedra e immaginandosi su un palco, il fatto era che trascinava nella punizione anche Peter e Larry.
 
“Ma scusa, suona il clacson!” intimò Peter a Larry, che si era incantato a guardare i due, col mento sul volante.
“ Ma non vedi che Jason è cotto!?” esclamò il batterista indicandolo con la mano, con un sorriso compiaciuto.
“Io non voglio farmi bocciare. E’chiaro?” disse il bassista, prendendolo dal colletto della  felpa, prima di scendere dall’auto sbattendo la portiera, riportando su di sé l’attenzione dei due.
 
“Oh Dio è tardi!” esclamò la ragazza guardando l’ora al cellulare. “ Ci vediamo in giro. Giusto?” chiese speranzosa, fissandolo con occhi languidi.
“Ehm… si.” Farfugliò il ragazzo, esitando per qualche secondo, prima di donarle un ultimo sguardo con quel mezzo sorriso furbo.
 
Gli piaceva, lo attirava, ma sapeva che non si sarebbe mai fatto vedere in giro con lei. Era un duro, doveva farsi vedere con ragazze bellissime e non con tipe carine e nella media.
Eppure lei gli trasmetteva tranquillità e serenità. Ma soprattutto armonia, ciò che mancava nella sua vita frenetica e rumorosa.
 
 
In classe, James, arrivò in ritardo, ma Peter non fu mandato in punizione, dopo aver supplicato la professoressa e aver promesso che quel giorno sarebbe andato volontario all’interrogazione.
 
Angie incontrò all’ingresso Mary, che sorridente le chiese se avesse fatto la riflessione scritta segnata il giorno prima dalla professoressa di letteratura inglese. Ma Angie fissava il pavimento, incantata, con un sorrisetto che non accennava a scomparire, senza rispondere.
 
“Ehi” intervenne Mary strattonandola dal braccio come per svegliarla. “Ma mi stai ascoltando?”
“C..cosa?”la ragazza scosse la testa e batté le palpebre “ scusa ero sovrappensiero” confessò con un sorriso.
L’amica storse le labbra, poi vide gli occhi di Angie spalancarsi all’improvviso e fissare il corridoio, come se avesse avuto una visione. Mary seguì il suo sguardo e notò James dirigersi verso di loro  con i bicipiti al vento, portando la giacca sulla spalla.
Ammiccava ad ogni ragazza che puntualmente rideva come un’oca.
 
“Angie, non mi dire che…” Mary  le rivolse uno sguardo misto tra il timoroso e il disgustato, spalancando gli occhi, mentre il ragazzo le passava accanto senza degnarla di un sorriso.
Le oltrepassò con una smorfia di ribrezzo, masticando volgarmente una chewing-gum, a testa alta, superbo, col volto di chi come lui sapeva di non dover chiedere mai. 

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Capitolo 3
*** Panic station - Muse ***


oo 1, 2, 3, 4 fire’s in your eyes
And this chaos, it defies imagination
Ooo 5, 6, 7, minus 9 lives
You’ve arrived at panic station

(Panic station – Muse)

 
 
 
 L’aveva oltrepassata. Così, senza uno sguardo, senza un sorriso.
Pochi minuti prima le era sembrato così gentile, così diverso da come appariva di solito.
 
La realtà era ben diversa: era il ragazzo che tutte le sue compagne bramavano,  ma che era lontano, su un Olimpo che le ragazze come Angie non potevano raggiungere. Ragazze che credevano nel vero amore e che aspettavano ancora il principe azzurro.
Lui?
Quale principe?
Era lontanissimo dalle favole, dal romanticismo e da tutto il mondo incantato dei sogni.
In una favola lui, al massimo, avrebbe interpretato il giullare o lo scemo del villaggio.
Lei lo sognava, lo sognava in un mondo diverso da quello scolastico, sognava di poter cantare con lui, di unire le sue mani  e le loro voci in una sola, bellissima melodia.
Si era sbagliata: pensava di aver scorto, oltre quella corazza e quella maschera da cattivo ragazzo, un pizzico di dolcezza.
Tutti questi pensieri la assillavano e la distraevano dalla lezione di latino. Appoggiata col mento sul palmo della mano, fissava la lavagna senza realmente interessarsi alla spiegazione, la sua mente volava e suonava canzoni tristi.
 
“Angie cara” sospirò Mary, stiracchiandosi le braccia, mentre echeggiava il suono della campanella, che segnava la fine dell’ora “ la speranza è per i sognatori e per chi crede nel mondo delle favole.”
“ No” dissentì aspramente, accigliano lo sguardo verso la finestra da cui si udivano le grida dei ragazzi che giocavano a calcio, tra cui poteva esserci lui, quasi sicuramente “ L’amore spera ogni cosa e…soffre ogni cosa” rispose ad occhi lucidi, girandosi verso l’amica.
 
 
La campanella aveva suonato la fine dell’ora e tutti i ragazzi uscivano dalle aule come fiumi, invadendo i corridoi.
 
“ Rock in the casbha! Rock in the casbha!” canticchiava il giovane James, camminando lungo il corridoio, muovendo la testa al ritmo della batteria dei The Clash che risuonavano nelle sue orecchie dalle cuffiette del suo I-pod, infilate durante la lezione di storia.     
 
Peter aveva appena finito l’ora di chimica e correva  verso l’amico, sventolando il compito, con gli occhi di un bambino che ha ottenuto la cioccolata dopo aver fatto il bravo.
“ James! Ho preso una B! Ho preso una B, ti rendi conto?”
 
Lo raggiunse ma sembrava che non avesse sentito nulla, continuava a camminare fissando gli occhi sull’ i- pod e a far scorrere le playlist.
 
James si bloccò di colpo in mezzo al corridoio semi vuoto, spalancando gli occhi dalla sorpresa. Peter gli si avvicinò aggrottando la fronte, cercando di capire cosa gli fosse successo, guardò nella direzione verso cui guardava l’amico. 
 
Il moro iniziò a schioccare le dita, chiudendo gli occhi  e battendo il ritmo con il piede destro.  Si diresse verso un aula vuota seguito dal biondo. 
Saltò sulla cattedra e, facendo sbarrare gli occhi a Peter,  iniziò a cantare a squarcia gola. Immaginando di trovarsi su un palco, suonava  la sua chitarra, immaginaria.
 
“Bury it, I won't let you bury it, I won't let you smother it, I won't let you murder it.
Our time is running out” James cantava come se fosse su un palco, circondato dai suoi fan e, soprattutto, dalle sue fan.
 
“ Adesso ho capito…” sospirò l’amico, mettendosi il palmo della mano sugli occhi.
Ogni qual volta il ragazzo sentiva quella canzone non poteva fare a meno di suonarla e di cantarla: era una delle sue canzoni preferite.
 
Quella voce graffiante arrivò all’orecchio di Larry che, avendo finito la lezione di arte, si dirigeva verso l’aula di chimica, con le mani dentro le tasche, con  la visiera del suo cappellino abbassata. Sentendo la voce del suo amico si diresse verso l’aula di matematica, l’aula della Smith, la professoressa più severa dell’istituto.
 
Allungò il collo verso l’interno della stanza e vide James, come al solito, posseduto dalla passione per quella canzone sulla cattedra e Peter che lo intimava a scendere con le mani sui fianchi. Purtroppo anche Larry non poteva resistere, dopo tutto il ritmo c’è l’aveva nel sangue.
 
Passò oltre Peter, prese le bacchette che portava sempre con sé come un porta fortuna, e accompagnò l’amico battendo il ritmo sui banchi. 
“ Larry ti ci metti pure tu?” sbuffò Peter aprendo le braccia e puntando gli occhi al cielo disse “ ma Tu c’è l’hai con me vero?”
 
“Bene, bene. Di nuovo Collins!”
La professoressa Smith era sulla soglia e osservava il giovane cantante sulla cattedra che si dimenava in ginocchio imitando Matt Bellamy.
 Peter sgranò gli occhi e impallidì a sol sentire la voce stridula della professoressa.
 
“ E lei signorino Jacobs ? Non dice nulla?” continuò l’insegnante incedendo verso il ragazzo, al quale era gelato il sangue.  Peter si girò lentamente, deglutì, e con lo sguardo di un bambino colto in flagrante col vasetto della marmellata sorrise mostrando la dentatura perfetta.
“ Miss Smith” iniziò, mentre James continuava la sua esibizione senza che si fosse accorto di nulla. Larry invece si drizzò nascondendo le bacchette dietro la schiena con gli occhi sbarrati.
“ Miss, la prego” il giovane si avvicinò alla professoressa congiungendo le mani, con occhi supplichevoli “ lei non sa, non può immaginare cosa voglia dire vivere 24 ore su 24 con un tipo del genere” commentò indicandolo con la mano, mentre James faceva echeggiare il suo  miglior acuto.
 
“ Ha visto? È ridotto malissimo, ha bisogno di una ragazza! Una ragazza che gli cambi i connotati. Non mi ascolterà mai. Spesso l’ho incitato a vivere rettamente, ad usare il cervello e la logica. L’ho più volte redarguito dicendogli di non servirsi di quel calderone di passioni che si trovano nel suo Es. Le chiedo solo di dargli un’ultima possibilità. Abbia pietà di questo derelitto. So che padre Einstein, che ci guarda da lassù, le infonderà un flusso benefico tale che, sono sicuro, potrà portare alla salvezza una scimmia come James Collins” 
 
La professoressa Smith ascoltò l’orazione del giovane con interesse e massaggiandosi il mento pensò ad una punizione a doc per la piccola rock star.
“ Mi ha convinto Jacobs! Ho trovato la soluzione perfetta per il qui presente Collins!” esclamò con un ghigno la Miss.
Le capacità persuasive di Peter erano ampiamente riconosciute come infallibili, ed anche questa volta era riuscito ad evitare la sicura espulsione della sua piaga che aveva le sembianze del suo migliore amico.

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Capitolo 4
*** Muse- Supermassive Black Hole ***


You set my soul alight
 
(Muse – Supermassive black hole)
 
 
 
 
“James Collins, questa volta, avrai una punizione che ricorderai per tutta la vita!” esclamò la Smith, togliendo gli auricolari dalle orecchie del giovane, che stava dimenandosi, suonando l’ultimo assolo, sdraiato sulla cattedra.
 
“Ma che diavolo!” protestò, prima di rivolgere lo sguardo alla professoressa che lo guardava con la fronte corrugata e le labbra serrate.
 
“ Signora Smith? Che ci fa qui?” domandò James, saltando giù dal tavolo, con occhi sbarrati per la sorpresa. Il giovane non si era proprio reso conto del fatto di essere entrato nell’aula dell’insegnante, era stato portato lì dalla musica, ma soprattutto da un istinto.
Seguire il suo cuore era la regola, non importava quali sarebbero state le conseguenze.  
“ Ringrazi Jacobs che le do una punizione invece di espellerla dall’istituto!” strillò la Smith sbattendo il pugno sulla cattedra, facendosi scivolare gli occhiali sulla punta del naso.
Il giovane si schiarì la voce, l’angolo del labro si alzò per disegnare un ghigno. Incrociò le braccia al petto, alzò il mento e guardò la professoressa con fare superiore.
“ Lei non mi espelle solo perché mio padre” la fissò con sguardo torvo “ è il preside dell’istituto”
 
“Oh no…” sospirò Peter, passando le mani tra i capelli biondi.
 
La professoressa si sentì offesa. L’avrebbe pagata cara.
“Se è questo che pensa facciamo così: se non raggiunge la sufficienza in un mese, farò in modo che lei non possa fare il concerto. Le farò passare la voglia di avere questo atteggiamento!”
“Tsk! Faccia come vuole, io non studierò comunque!” sbuffò appoggiandosi con il fondo schiena ad un banco, incrociando le gambe.
 
“Lo vedremo.  Ah…cara sei arrivata al momento giusto!”
La professoressa rivolse lo sguardo verso Angie, che aveva messo un piede dentro l’aula, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, di vedere lì i tre musicisti.
 
Gli occhi ghiaccio di James inquadrarono la giovane e poi si rivolsero al suolo. Peter la fissò dall’alto in basso: non si era accorto di quanto fosse carina nella sua timidezza.
 
“Professoressa Smith…cosa succede?” domandò guardando prima il gruppetto di ragazzi e poi l’insegnate.
 
“Cara mia, so che sicuramente ti sto per assegnare una scocciatura. Ma vedi questo ragazzo ha bisogno di alcune ripetizioni nelle mie materie.” Appoggiando le mani sulle sue spalle la trasportò davanti al giovane, che preferiva guardare fuori dalla finestra che rivolgerle lo sguardo. “ Se lo farai arrivare alla sufficienza, cosa molto improbabile considerando il soggetto,” continuò la Smith “ ti darò dei crediti extra!”
“Ma…come farò con le altre materie? Devo anche studiare i programmi degli altri professori. Mi ero promessa che non avrei partecipato a corsi extra e dedicarmi allo studio per il diploma” sostenne la ragazza, rivolgendo uno sguardo preoccupato all’insegnate.
“ Stuart, Stuart lei non si deve preoccupare! Io sono una delle rappresentanti del consiglio insegnati, questo la agevolerà sicuramente!”
 
La ragazza non voleva fare quel corso, non tanto per lo studio, quella era una scusa, ma perché pensare di dover passare i pomeriggi con lui la innervosiva parecchio. Aveva constatato, pure in questa situazione, che razza di ragazzo fosse, e l’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stato guardarlo in quegli occhi e parlare di chimica, algebra e quant’altro.
“ La agevolerà sicuramente…” ripeté James, rivolgendo un sorriso di cortesia alla giovane, quando la professoressa era uscita dall’aula per prendere i registri.
 
 
 
 
 
 
“ Scusa carina non è per te, ma non ho nessuna intenzione di studiare. Non è la mia aspirazione, capisci?” James era seduto sulla sedia,  dondolandosi all’indietro  teneva le gambe incrociate, poggiando i piedi sul banco.
 
“O si, si, certo, capisco” mormorò la castana, rivolgendogli le spalle per scrivere il suo nome alla lavagna.
 
“ Innanzi tutto mi chiamo Angie Stuart e non carina. E da ora in poi non accetterò altri nomignoli”
“ Mi scusi Miss Stuart” ridacchiò il ragazzo alzando le mani in segno di resa.
 
Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, ma la violenza non faceva parte di lei. Lui le faceva scoprire i  lati più brutti del suo carattere.
“ Iniziamo da pagina uno…”
“Come la canzone dei Muse!” esclamò lui, mentre mordicchiava la matita.
“ Ma ho a che fare con un ragazzo o con un bambino?” si appoggiò alla cattedra e lo guardò dall’alto, tenendo il libro chiuso sul petto.
 
Il giovane James si alzò, si diresse verso di lei con le braccia conserte e la fissò. Non poteva dirgli quello che doveva fare e tantomeno osare guardarlo dall’alto, come se lei gli fosse superiore. Allungò il collo, avvicinandosi a pochi centimetri da suo viso, le disse con voce profonda“ Hai a che fare con un ragazzo, fidati”
 
Il pomeriggio era uno di quelli da non perdere. L’ultimo sprazzo di calore estivo.
L’ultimo raggio caldo del sole di ottobre, attraversava i vetri del Suv rosso di Peter, che si faceva una dormita, sdraiato sul sedile posteriore, aspettando che l’amico finisse le ripetizioni.   
Quei lunghi capelli castani,ondulati e quel viso d’angelo attraversarono la sua mente prima di svegliarsi  col bussare di Larry che lo invitava ad aprirgli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
Ciao a tutti!
Spero che questa storia vi stia piacendo =)
 
Vorrei dirvi alcune curiosità:
  1. I titoli riguardano canzoni dei Muse che, più o meno, parlano dell’anima di un determinato personaggio nominato nel capitolo.
  2. I nomi dei ragazzi sono appositamente studiati: Larry è il nome del batterista degli U2, James è il secondo nome del leader dei Muse, Matthew Bellamy, Peter sinceramente non ha a che fare con la musica, ma dato che lui è quello più stabile, diciamo così XD, l’ho scelto perché mi dava l’idea della solidità. Angie: bhe è ovvio, ci voleva un angelo in mezzo hai “devils” XD
  3. I gusti musicali di James sono i miei; Angie è la mia sublimazione (esagerata però XD)
 
Detto ciò ringrazio soprattutto Liz e Bea (che è stata la prima a recensire). Ringrazio inoltre tutti i lettori silenziosi ( fatevi sentire!)
 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Butterflies And Hurricanes - Muse ***


Best,
you’ve got to be the best
you’ve got to change the world
and you use this chance to be heard
your time is now”

 
(Batterflies and Hurricanes)

 
“Ehy fratello! è da quando la Smith mi ha messo in punizione che non parli!” intervenne James, dando un pacca sulla spalla a Peter che, disturbato dalla sua presenza, mentre stava cercando di studiare, ricurvo sul libro di storia, grugnì senza rispondergli.
“Non ti va di parlare ho capito” commentò indifferente facendo spallucce, uscendo dalla stanza dell’amico.
 
Peter lo conosceva dalle medie, ma ancora non capiva come faceva ad essere così immaturo. Sembrava che fosse ancora un dodicenne.
 
Lui, invece, era cresciuto troppo velocemente. La morte del padre lo aveva invaso di responsabilità come quelle di prendersi cura di Larry e di sua madre, che però li abbandonò la notte di un lontano 25 Dicembre. La famiglia di James li aveva adottati, e Peter non sapeva come ripagare questo dono se non tenendo d’occhio i ragazzi.
 
Si erano trasferiti lì, in quella casa identica a tutte le altre del quartiere, per vivere insieme e suonare in completa libertà. In quella tranquilla cittadina però, un gruppo rock si fa subito notare e Peter faceva le veci sia di un manager che di un diplomatico con i vicini di casa.  Belle ragazze e alcool erano protagonisti del sabato sera in casa “devils” e lui era quello che poi metteva a posto i casini degli altri due.
 
Chiuse il libro con un gesto deciso e poggiò la fronte sulle braccia. Il suo momento di quiete però durò poco, perché il campanello suonò delicatamente.
 
“Andate ad aprire per favore?” strillò, alzando forzatamente la testa dalla scrivania e rivolgendola alla porta semichiusa.
“Io non posso!” urlò James dalla stanza accanto.
“Io sto mangiando!” gridò Larry a piano terra, il più vicino alla porta, ma il cibo aveva sempre la precedenza.
 
Il giovane biondo e dagli occhi castani dovette alzarsi sbuffando. Scese lentamente le scale con uno sguardo cupo.
 
 Passando dalla cucina vide il fratello alle prese con un sandwiches. Peter fissò il ragazzo inclinando la testa di lato.
“Che c’è? Perché quello sguardo?” gli chiese Larry alzando le spalle, con in una mano una fetta di pan carrè e dall’altra il coltello.
“Grazie a proposito!”
“Il cibo viene prima di tutto!”
 
Per Peter, Larry era senza speranza: ha sempre pensato che se non fosse per la batteria e la palestra il suo fratellino sarebbe ben presto diventato il suo fratellone.
 
Il campanello suonò per poco prima che il giovane aprisse la porta e avesse un leggero colpo alla bocca dello stomaco.
“Oh, scusa il disturbo, sono Angie, James è in casa?” domandò frettolosamente la ragazza allungando il collo verso il soggiorno.
 
Si sentiva uno stupido ad aver percepito quel colpo allo stomaco, ma era successo.
 
“Si è in casa, James ha fatto qualcosa?” le chiese preoccupato, dopo tutto non era la prima volta che una ragazza suonava per picchiare James per qualche sua confidenza di troppo.
“Ehm non proprio …” Angie doveva parlare solo con James. Era una sciocchezza, ma le apparteneva. James aveva osato prendergli qualcosa che le apparteneva, ed ora era furiosa.
 
“o- ok… ah! Scusami entra pure!” si era incantato sul suo viso, inevitabilmente, lei le assomigliava così tanto.
 
Angie entrò a piccoli passi, stringendo le braccia al petto, guardinga.

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Capitolo 6
*** Falling away with you -Muse ***


“And I’ll feel my world crumbling
I’ll feel my life crumbling
I’ll feel my soul crumbling away
and falling away
falling away with you”

(Falling Away With You)

 
Angie entrò guardinga. Non sembrava la casa di tre rockettari.
 
Era arredata bene, con mobili moderni, con l’essenziale per rendere una casa accogliente. Peter chiuse lentamente la porta e le disse con uno strano tono di voce caldo e rassicurante: “ vuoi che te lo chiami o ti accompagno nella sua stanza?”
Angie gli sorrise e rispose : “accompagnami ti prego”. “ Seguimi ” il sorriso sghembo di Peter fece inarcare il sopracciglio di Larry che si era gustato la scena masticando il sandwiches, coi gomiti poggiati sul marmo della penisola della cucina.
 
Salì le scale, seguendo Peter con lo sguardo basso, cercando di moderare la rabbia.  “Eccoci” le sorrise, mordendosi il labbro interno, con le mani dentro le tasche.
“Grazie … ti chiami?” domandò con qualche esitazione la castana.
“Giusto, non ci siamo presentati.” Rispose porgendole la mano “ io sono Peter”
“Molto lieta”
 
Peter bussò alla porta bianca, su cui vi erano divieti scritti a lettere cubitali. Il moro faceva sentire la sua voce cantando Hysteria.
“ Ma” intervenne Angie “ perché non apre?”
 
“And i want it now! Give me your heart and your soul!”  all’interno  della stanza riecheggiava la voce di James, che ascoltava la canzone a tutto volume. Ad un tratto la musica si bloccò è il suono della chitarra scoppiò nelle orecchie della ragazza.
Angie aggrottò la fronte, batté più volte il pugno della sua piccola mano contro la porta, ma la risposta che ne ebbe fu il falsetto del ragazzo che  si ostinava a non aprire. Stanca di aspettare andando avanti e indietro mentre Peter si sforzava a non aprire la porta dell’amico, temendo l’imbarazzo per la giovane, che l’avrebbe visto, nel peggiore dei casi, in boxer mentre si dimenava nel suonare la sua chitarra.
 
Ma non conosceva Angie. La ragazza, infatti, se perdeva la pazienza, poteva pure buttare giù una porta.
 
 Sgranò gli occhi dalla sorpresa, quando vide, che con un colpo deciso del piede, la ragazza aprì la porta trovandosi, inevitabilmente, di fronte ad un’immagine di James non proprio ortodossa.
 
Peter le copri con entrambe le mani gli occhi, per rimediare all’imbarazzante visione di James che in slip, suonava la sua chitarra nera lucida, in piedi, sul letto.
 
“Oh Cristo!” esclamò James nel vedere la ragazza nella sua stanza, protetta da Peter, il quale lo guardava in cagnesco.
“Scendi. Dal. Letto. Vestiti. Adesso.” Scandì bene le parole: era così che faceva quando voleva far capire di essere arrabbiato oltre ogni limite.
“Ma non si bussa?” replicò con un sorriso beffardo, saltando giù dal letto e avvicinandosi alla ragazza, che a braccia incrociate, tamburellava le dita nel braccio.
 
 “ Abbiamo bussato, Collins!” intervenne Angie, che cercava di divincolarsi da Peter, pronta a prenderlo a schiaffi.
 James allungò il collo verso il viso della giovane di cui si potevano vedere solo le labbra serrate tinte di un rosa naturale. Lei poteva sentire il suo respiro vicino al viso, lui la osservò fino a quando con una spinta il biondo non lo fece indietreggiare.
“ Tesoro, evidentemente avevi così tanta voglia di vedermi in questo stato, dato che hai buttato giù la porta”
“Io voglio solo quello che mi appartiene!” affermò togliendosi le mani di Peter dagli occhi.
 
Le sue labbra i schiusero, il suo viso divenne rosso in poco tempo, deglutì e si girò verso la parete dedicata ai ricordi dei concerti Muse, per evitare di mostrarsi volubile, quando doveva essere decisa e forte.
 
Il moro si abbottonò i jeans neri “ Non so di cosa parli” disse, guardandola dallo specchio attaccato alla parete.
“James, smetti di fare il bambino e dalle quello che chiede” intervenne Peter con tono perentorio.
“ Per la seconda volta: non so a cosa si riferisca”
 
La ragazza si voltò verso la schiena nuda di James con occhi lucidi “Sai essere così crudele? Non dovevo dirtelo, avresti dovuto capire che quel diario era importante per me.”
“ E così rubi, James Collins?” era davvero troppo. Peter strinse i pugni contro i fianchi cercando di placare i nervi.
“Cosa?” chiese girandosi di scatto con sguardo accigliato “ non farei mai una cosa del genere! Pensavo se lo fosse dimenticato, l’ho portato a casa così che non lo perdesse. Gli e l’avrei dato domani.”  Disse, mentre, aprendo il cassetto della scrivania, cercava il diario della ragazza e  “ Ecco, tieni!” trovatolo lo buttò sul letto, irritato.
 
Angie lo prese, si sentì una stupida, ma i dubbi rimanevano: l’aveva letto? Certo che l’aveva letto. Nn c’era mica una sicura che gli impedisse di leggere. Se lo strinse al petto e, con una lacrima che scorreva lungo la guancia lo fissò, cercando il suo sguardo, per chiedergli scusa delle sue insinuazioni e della sua impulsività. Ma il ragazzo fissava il pavimento, con sguardo torvo,con braccia incrociate.
 
“Se vuoi saperlo, ho letto le prime due pagine…e” alzò gli occhi per incontrare il suo sguardo, ma la ragazza mostrava le spalle, pronta per andarsene. “ hai un grande talento. Non smettere di scrivere.”
La ragazza avvertì un colpo allo stomaco e corse verso le scale, scese di fretta, apri la porta e uscì e non sentì nemmeno il saluto di  Larry, che la vide sfrecciare fuori, con l’impressione che stesse piangendo.
 
Corse, corse, senza nemmeno vedere dove metteva i piedi, mentre James la guardava andarsene dietro le fessure delle tapparelle della finestra. Per lei erano stati troppi momenti i momenti imbarazzanti, per lui era stato un motivo di ispirazione la venuta di quella strana ragazza, che gli aveva buttato giù la porta per il diario su cui c’erano scritte poesie.
 
Quello era il suo diario su cui scriveva testi di canzoni, le sue, che avrebbe cantato, un giorno.
 

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