Tra l'odio e l'amore - Dalla parte di Lui

di _Bec_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** La nanerottola petulante ***
Capitolo 3: *** Occhiali da sole e foto ***



Capitolo 1
*** Primo giorno di scuola ***


Ed eccomi qua con questo primo capitolo che è più un esperimento che altro

Ed eccomi qua con questo primo capitolo che è più un esperimento che altro. Non so se vi piacerà (personalmente lo trovo noioso, ma penso sia perché si tratta solo del primo capitolo, più avanti le cose diventeranno più interessanti come in Tra l’odio e l’amore pov Alice), se verrà seguito, commentato, letto.

Non so se questa storia ricalcherà fedelmente ogni capitolo di Tra l’odio e l’amore o se ne salterà alcuni, diventando così solo una raccolta di pov Lore.

Potrebbe, se l’idea di rileggervi tutta la storia dal punto di vista Lore non vi alletta, trattare solo i capitoli che più vi interessano e lasciar perdere gli altri.

Insomma, se si è capito quello che ho detto, vorrei sentire le vostre opinioni, ditemi un po’ cosa vi piacerebbe di più leggere, per me è uguale :)

I missing moments futuri ho iniziato a scriverli e ne posterò qualcuno a breve, quindi occhio alla sezione delle storie romantiche ;)

Detto questo, mi scuso fin da subito per il linguaggio utilizzato dal protagonista e per i suoi pensieri in questo capitolo.

Ricordo che siamo nella mente di un ragazzo (o almeno, io ci ho provato ad entrarci :P) e che quindi i suoi discorsi con gli amici sono ben diversi da quelli di una ragazza.

Vi lascio alla lettura e ringrazio chi vorrà cimentarsi in questa storia.

Un grazie di cuore anche alle meravigliose ragazze che hanno seguito Tra l’odio e l’amore, è un piacere rincontrarvi qui, spero che questo pov Lore non vi deluda.

 

 

I protagonisti di questa storia sono tratti da “Tra l’odio e l’amore c’è la distanza di un bacio

  

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Capitolo 1: Primo giorno di scuola

 

 

 

 

Oh sì. Cazzo Bìa, tu sì che ci sai fare con quelle mani…e quella bocca, oh sì, sì, sì…ma che…?

Mi alzai di colpo, sbattendo la testa su quella stupida e orribile mensola blu che avevo voluto a tutti i costi da piccolo, per poterci appoggiare sopra il mio prezioso Game Boy la sera, una volta finito di giocarci.

-Alla buon’ora!-

Lo strillo di mia sorella –di una delle due, non avevo ancora identificato quale- dritto dritto nell’orecchio ebbe il potere di mandare a puttane i pochi neuroni rimasti nel mio cervello dopo quella botta madornale.

La guardai in cagnesco e mi massaggiai la testa, gli occhi ancora annebbiati per il sonno e per il male.

Mi aveva colpito pure in faccia quella stronza! Non bastava prendere a calci il materasso, tirarmi i capelli e conficcarmi le unghie nelle braccia per svegliarmi, ora voleva pure spaccarmi il naso!

Avevo sempre tutte le braccia piene di segni rossi per colpa sua, i miei amici più di una volta mi avevano addirittura strizzato l’occhio maliziosi, pensando probabilmente che fosse opera di una qualche amante focosa. Ovviamente io confermavo le loro ipotesi con un’alzata di spalle, mica mi smerdavo dicendo che era stata mia sorella.

-Muoviti idiota, sei in ritardo! E se pensi che ti accompagni in macchina questa volta…beh, scordatelo, ti attacchi al cazzo.-

Sempre carina Rossella. Normalmente, non di certo alle sette del mattino e con un bernoccolo in fase di sviluppo sulla testa, mi compiacevo di quel suo caratterino tanto simile al mio che teneva alla larga parecchie teste di cazzo.

Insomma, nessun ragazzo con un minimo di amor proprio si sarebbe avvicinato a lei! Escluso Christian, il suo ragazzo, che doveva avere un lato veramente masochista.

-Ma chi te l’ha chiesto, stronza!- Sbraitai senza smettere un attimo di massaggiarmi la parte lesa.

Porco cazzo, stavo facendo un sogno degno dei migliori film porno…dovevo assolutamente mettermi d’accordo con la mia migliore scopamica Bìa per vederci uno di quei giorni, prima che me lo dimenticassi.

Feci per alzarmi, ma un cuscino –il mio cuscino- mi arrivò dritto in faccia, -E copriti almeno! Non voglio nemmeno immaginare i sogni che fai, guarda!- Rossella gesticolò schifata e altezzosa come sempre, prima di girare i tacchi ed uscire dalla stanza. Finalmente.

Capii subito a che cosa fosse dovuta quell’ultima frase, mi bastò dare un’occhiatina in basso: era rimasto deluso tanto quanto me per l’interruzione del sogno. E che sogno…e Bìa quanto cazzo gemeva porca vacca, dal vivo mica era così eccitante!

Con molta calma –chi aveva sbatti di fare in fretta? Sarei arrivato in ritardo dando la colpa ai mezzi come sempre-, mi alzai e mi avviai verso il bagno per buttarmi sotto l’acqua fredda della doccia.

I miei piani furono sconvolti dall’arrivo dell’altra piaga, leggasi sorella, che mi si attaccò alla schiena come un koala.

-Loreee! Ma fratellino mio, ti sei già svegliato?-

Sapeva quanto ero nervoso e scazzato appena sveglio e lei si divertiva un mondo a provocarmi con tutte quelle smancerie.

Inutile chiedersi perché tra un Rottweiler sempre incazzato e un Chihuahua appiccicoso, non ci fosse potuta essere una via di mezzo. Ero così fortunato ad avere due sorelle gemelle, una più adorabile dell’altra. L’ironia abbondava anche nei miei pensieri.

-Levati Glenda!- Sbuffai e me la scrollai di dosso come un cane con le pulci. 

Non ero un tipo affettuoso che dispensava baci e abbracci a tutti, anzi, ero esattamente il contrario. Odiavo essere abbracciato dai parenti, specie da quelli che vedevo meno frequentemente e che ripetevano cento volte quanto fossi cresciuto, era una cosa che mi indisponeva da morire.

Potevo sopportare l’abbraccio di un’amica, ma non quello di mia madre o delle mie sorelle. Era più forte di me, era sempre stato così da quando ero piccolo.

Mi scocciava ammetterlo, ma quello era un lato del carattere che avevo preso da mio padre.

Quando Glenda lo abbracciava –perché lei aveva l’irrefrenabile impulso di abbracciare qualsiasi cosa, probabilmente avrebbe abbracciato anche una montagna di merda se ne avesse avuta una davanti- reagiva allo stesso mio identico modo: si irrigidiva, le dava qualche pacchetta sulla spalla e la allontanava.

Mi feci una doccia veloce e mi vestii in fretta; tanto per cambiare ero in ritardo. Il primo giorno. Ma la prima ora c’era il prof di economia, quindi nessun problema.

-Ma’, mi servono cinque euro per il bar, faccio colazione lì.- Ricordate quanto avevo detto prima? Bene, dimenticatelo. Perché da grandissimo ruffiano, quando mi serviva qualcosa, facevo l’immenso sforzo di diventare affettuoso, se non altro per quei pochi secondi necessari ad avere ciò di cui avevo bisogno.

Lei, in risposta, si indicò la guancia e io, mio malgrado e sbuffando, dovetti darle una guanciata frettolosa molto poco simile ad un bacio.

Subdola ricattatrice.

Era anche vero che c’erano sempre di mezzo i soldi le uniche volte che dimostravo un po’ di forzato affetto, quando veniva lei ad abbracciarmi e a dirmi: “Ma quanto è bello mio figlio!”, io la scostavo un po’ malamente con un “Sì, dai ma’, basta.”

Ad ogni modo con quei soldi non avrei comprato nulla al bar della scuola e lo sapeva anche lei: li avrei semplicemente messi da parte insieme a tutte le altre mance per uscire il sabato sera o comprare ricariche per il telefono.

-Guai a te se ti compri le sigarette.- Mi fulminò con lo sguardo, la mano con la banconota a mezz’aria, incerta.

Che rottura. Da quando sapeva che avevo iniziato a fumare –che poi fumare era una parola grossa, fregavo solo qualche sigaretta agli amici di tanto in tanto- era diventata il triplo più apprensiva e rompicoglioni. Si preoccupava, certo, ma non sopportavo che le persone mi stessero troppo addosso. Evitavo di essere troppo brusco con lei solo perché era mia madre, ma una cosa del genere non l’avrei tollerata da parte di nessun altro. Forse per quello avevo avuto solo due ragazze fisse, storie che peraltro erano durate ben poco e che erano finite con un mio “Mi sono rotto i coglioni, e mollami cazzo!” quando le tipe erano diventate troppo appiccicose e avevano iniziato a pretendere troppo.

Misi una mano sul petto con aria solenne, -Giuro.- 

Lei si convinse e, dopo avermi abbracciato –con conseguente mio alzare gli occhi al cielo, mi lasciò finalmente i soldi.

Quanta fatica per guadagnarsi cinque euro. Non vedevo l’ora di essere maggiorenne per andare a lavorare il pomeriggio.

Presi in mano il cellulare ed uscii di casa, giusto in tempo per vedere la porta dell’appartamento di fronte chiudersi dietro ad una bassa figura, molto simile a quella di una bambina: la mia vicina di casa. 

Doveva avere più o meno la mia età, anche se per via dell’altezza sarebbe potuta benissimo passare per una quattordicenne.

In anni e anni che abitavamo vicino non ci eravamo mai parlati, ci salutavamo e basta. O meglio, lei mi salutava e basta, io il più delle volte le rispondevo a grugniti o gesti.

Non mi stava particolarmente simpatica, se la tirava decisamente troppo, ma non si poteva parlare nemmeno di antipatia. Mi era del tutto indifferente.

Le sue labbra si tesero in una smorfia vagamente simile ad un sorriso. Come sempre, non sembrava particolarmente contenta di vedermi, -Ciao.- La sua vocetta bassa ed infantile ebbe il potere di irritarmi più di quanto già non lo fossi per il brusco risveglio.

Chissà perché si ostinava ogni volta a volermi salutare, quando era chiaro che non mi sopportasse. Il motivo non lo avevo mai capito e neanche mi interessava trovarlo.

-Ciao.-  Risposi svogliato -della serie, “se proprio devo risponderti…”-, abbassando gli occhi proprio in quel momento sullo schermo del mio cellulare per leggere un messaggio appena arrivato.

 

Quest’anno si scopa nei bagni, non ci sono storie o prof che tengano. Devo farmi ancora la Kla, la tettona della 5B.

 

Quanto poteva essere scemo il mio amico Andrea?

Sorrisi e mi diressi verso le scale, non avendo voglia di aspettare l’ascensore insieme a quella nanerottola altezzosa.

 

Coglione, ancora non l’hai capito che non te la darà mai? Perché dovrebbe cagare un cazzone di quarta?!

Piuttosto…con Mel ci hai rinunciato definitivamente?

 

Melanie sarebbe stata l’unica ragazza in classe con noi quell’anno, Bìa purtroppo aveva cambiato scuola.

Avevamo frequentato la stessa classe alle elementari, ma non l’avevo mai calcolata più di tanto, cioè, era una femmina, un essere non degno di giocare a calcio con noi maschi nell’intervallo.

Fui sorpreso di ritrovarla alle superiori, tre anni dopo. Era sempre stata al centro delle nostre sfide o scommesse in quegli ultimi anni: nessuno di noi era riuscito a sverginarla, ormai io e il mio amico ci avevamo quasi rinunciato e ci limitavamo a considerarla come un’amica.

 

Sti cazzi, ormai ho perso le speranze! Secondo me è lesbica, non c’è altra spiegazione!

 

Classica giustificazione dataci dal nostro orgoglio maschile. Fisicamente Mel non era male, ma c’era di meglio in giro: era stato solo il suo rifiuto a spingerci a scommettere più volte su di lei.

Avvertii dei passi alle mie spalle ed istintivamente alzai lo sguardo; la mia “deliziosa” vicina di casa mi aveva appena sorpassato per fermarsi qualche metro più avanti, accanto al cartello della fermata dell’autobus.

La osservai, inclinando lievemente la testa ed arricciando involontariamente le labbra: tutto sommato era carina, niente di eclatante però, quante ce n’erano del resto di ragazze carine? E poi aveva un viso troppo da bambolina per i miei gusti. Anche se con una quarta o una quinta di seno quel particolare sarebbe passato in secondo piano…

Si spostò una ciocca di capelli e, dopo aver adocchiato l’orologio, sbuffò scocciata e sbatté ripetutamente un piede a terra. Nervosetta la biondina.

Trattenni a stento una risata, c’era solo un modo per definire le ragazze come lei: ridicole.

Mento in alto, petto in fuori, vestita e truccata tutta di punto. Una gallina. Una cazzo di Barbie altezzosa che credeva di essere chissà chi. Quando in fondo era solo una materia scopabile come un’altra.

Sarebbe stato meraviglioso vederla inciampare e cadere, una gran bella figura di merda era quello che le ci voleva.

Tornai ai miei messaggi, deciso più che mai a scrivere alla mia amica Bìa per chiederle di vederci a casa sua uno di quei giorni. Quel sogno stuzzicava ancora piacevolmente la mia mente ogni tanto…

L’autobus arrivò ed io schizzai subito in fondo per appoggiare il mio regale culo al solito posto, prima che qualcuno potesse fottermelo.

Un’odiosa vecchia inacidita, urtata per sbaglio, mi guardò irritata e borbottò un “Che modi!”. La ignorai, come tutte le sue inutili coetanee.

Finito di sgrovigliare il filo delle cuffie, me le infilai e feci partire la musica dell’Ipod al massimo.

Rialzando lo sguardo, mi accorsi della presenza di Barbie più avanti. Strano che non fosse ancora scesa, di solito scendeva alla fermata della metro a quanto ricordavo.

Probabilmente neanche si era accorta di averla superata. O magari andava da un’altra parte.

Hai capito la nanetta, se la bigia il primo giorno.

La persi di vista e la lasciai perdere poco dopo, quando l’autobus incominciò a riempirsi di fermata in fermata.

Milano. Autobus ogni quindici minuti -anche se la mattina in teoria sarebbe dovuto passare ogni otto, persone che per fare due metri si mettevano al volante e file di macchine ad ogni semaforo o incrocio. C’erano pure da aggiungere i tipi dell’AMSA che passavano a pulire le strade a quell’ora, ecco come si formava il traffico. Ed ecco perché ero sempre in ritardo. Svegliarsi prima la mattina? Non era neanche da prendere in considerazione quell’idea.

Una ventina di minuti dopo, la simpatica voce registrata dell’ATM mi annunciò l’imminente arrivo al capolinea e quindi alla mia destinazione.

Già lì, pronti ad aspettarmi per affrontare quel traumatico primo giorno, c’erano Giulio e Stefano, due miei compagni di classe.  

Ste’ mi venne incontro e si spostò con aria da figo un ciuffo di capelli, -Oh, bella Lore!-

Alzai il braccio e gli strinsi la mano scazzato come al solito.

-Come va?-

Alzai impercettibilmente un sopracciglio, -Sono le otto del mattino, come cazzo credi che vada?-

Ste’ annuì senza aggiungere altro, quasi ammirato per via di quella risposta antipatica.

Avevo come l’impressione che cercasse di imitarmi, il suo modo di fare e di prendere per oro colato tutto quello che dicevo era piuttosto inquietante.

Per carità, avevo già avuto un amico che imitava tutto quello che facevo, dal modo di parlare, alla marca dei boxer, e me n’ero liberato a fatica. Ci mancava solo lui!

Più avanti, sul solito vialetto che conduceva al cancello dell’istituto tecnico Molinari, incontrammo Andrea: il tipo dei messaggi, sì.

-Giuro che se tutte ‘ste tipe non la piantano di salutarmi mi incazzo sul serio!- Esordì gesticolando come un cretino, -Non riesco a fare più di due passi porca puttana! Perché le tipe devono per forza attaccarsi alla tua guancia come delle cozze allo scoglio per salutarti?! Che si incollassero al mio cazzo con la bocca, almeno servirebbero a qualcosa!-

Scrollai le spalle divertito, giusto due secondi prima che una massa di capelli rossi mi coprisse la visuale.

-We Lollo!- Fabiana Salvino, 4C. Grazie al cielo non eravamo nella stessa classe, non credo sarei riuscito a sopportarla, troppo logorroica.

Odiavo il suo entusiasmo di prima mattina e odiavo anche il modo in cui mi chiamava, Lollo sembrava il nome di una caramella appiccicosa o di uno yoyo.

-Fabi.- Alzai gli occhi al cielo, mentre Fabiana si staccava dalla mia guancia e si appiccicava a quella di un isterico Andrea.

-Che ha?- Mi chiese dopo averlo salutato.

-Sindrome premestruale.- Spiegai, guadagnandomi un bel dito medio da parte del mio amico.

Ci avviammo, a passo più lento possibile, verso quello che sarebbe stato il nostro carcere per un altro anno, il penultimo per fortuna.

Certo, il Molinari rispetto a tante altre scuole era il Paradiso, dato che durante la stragrande maggioranza delle lezioni non facevamo un beneamato cazzo, ma era pur sempre una scuola, un posto dove si supponeva avremmo dovuto studiare. Solo la parola mi faceva star male.

Entrammo a fatica, dopo aver spintonato un bel po’ di idioti che avevano preso l’atrio come punto di ritrovo per fare i cazzoni. Che cavolo, c’era il cortile per quello!

-Siamo nell’aula 37.- Constatai un po’ scocciato, una volta letto il foglio appeso alla colonna dell’ingresso.

-Oh no! Siamo al secondo piano, che sbatti non c’ho voglia di fare tutte quelle scale, cazzo!- Se avessero detto a Ste’ che il giorno seguente sarebbe stato il 21 dicembre 2012 probabilmente l’avrebbe presa meglio.

-Minchia serio!!! Che palle!-

Spintonai Andre e lo derisi con un: -E dai Andre, hai davvero così poca resistenza? Ecco perché ultimamente Bìa è sempre da me…-

Lui spalancò la bocca indignato, mentre Giulio e Ste’ ridevano come pazzi, -Ma vaffanculo!-

Ridacchiai soddisfatto. Ci voleva veramente poco per provocare Andrea, bastava colpirlo in quel punto, niente avrebbe scalfito di più il suo orgoglio.

Certo, fare due piani di scale la mattina quando si era mezzi addormentati e in ritardo non era il massimo, ma pazienza. Sempre meglio che stare nelle minuscole aule –o meglio, topaie- del piano terra.

-Cazzo, questa sì che è un’aula!- Giulio lanciò il suo zaino su un banco a casaccio, per poi sedercisi sopra ed appoggiare i piedi sulla sedia.

In effetti era piuttosto grande, con un degno spazio fra i banchi che ci avrebbe permesso di muoverci più liberamente.

Anche a costo di fare lo stronzo, mi limitai ad alzare gli angoli della bocca in una smorfia un po’ svogliata quando i miei compagni di classe mi salutarono: non ero decisamente dell’umore per chiacchierare o salutarli decentemente, così non li degnai di ulteriori attenzioni.

Andre, nel frattempo, si era già stravaccato su una delle sedie in fondo, -Ohi, sigaretta?- Poggiò la suola delle scarpe sul bordo del banco e mi porse il pacchetto.

Gliene sfilai una ghignando, -Ci sta.- Prima dell’inizio della lezioni era d’obbligo, per inaugurare l’anno.

La misi fra le labbra e fregai l’accendino al mio amico quando ebbe finito di usarlo.

Occupai il posto vicino e fumai tranquillo l’unica cosa che mi diede la pazienza necessaria a sopportare i suoi successivi sproloqui.

-Una quarta! Dico, una quarta! Mi spieghi come cazzo si può resistere a una quarta?! Te lo dico io: non si può.-

-Ah ah.- Soffiai il fumo e lo aspirai, alzando appena la testa verso il soffitto.

Non vedevo l’ora che incominciassero le lezioni, sempre meglio dei discorsi di Andrea.

Sapeva essere schifosamente logorroico quando voleva, fortuna che era anche stupido e non si era minimamente accorto del fatto che come al solito non lo stessi ascoltando.

-Cazzo oh, poi però non riuscivo più a scrollarmela di dosso, una volta che le svergini...-

Si bloccò di colpo ed un coro di "Alleluja" si levò soave nella mia testa.

Non mi preoccupai troppo di accertarmi che nel suo cervello non si fosse formato un nido di vermi, né mi girai a guardare l'oggetto che aveva catturato la sua attenzione.

Poteva essere un piccione, così come poteva essere il culo di Mel -nulla di nuovo quindi; già visto, più e più volte.

-Oh, Lore.- Sghignazzando, mi diede una gomitata.

-Che c'è?- Borbottai stizzito, senza staccare gli occhi dal soffitto. Già era dura sopportare le sue inutili chiacchiere da donna pettegola con una sigaretta fra le labbra, ci mancavano pure le gomitate da amicone.

-Guardala.-

Annuii svogliato, non facendo subito caso a quanto aveva detto.

Un momento. Guardala? Ma guardare cosa, chi? Mel? La cicca che aveva appena attaccato sotto il banco?

Abbassai finalmente lo sguardo, curioso per una volta di vedere di che cosa stesse parlando.

L'oggetto in questione, che aveva fatto zittire improvvisamente tutti, altro non era che una ragazza.

Il mio cervello -e non solo- fu particolarmente contento di quella visione, dopo Bìa pensavo si sarebbe sentita la mancanza di una tipa da farsi nei bagni.

Si sperava che quella non fosse come Mel, una tipa "guardare ma non toccare".

Uhm, belle gambe, tette…-con lo sguardo, seguii rapito il contorno della canotta che indossava e risalii per esaminare quell’invitante porzione di pelle- nella norma ma comunque arrapanti, collo, capelli biondi, faccia...

Oh cazzo, ma quella...!

Quando finii il mio esame e arrivai ad analizzarla attentamente in volto, la riconobbi subito: la perfettina rompicoglioni che abitava di fronte a me, la Barbie!

La sua faccia già diceva "guardare ma non toccare" e ci aggiungeva pure un "coglioni", visto con quanto ribrezzo ci stava osservando. Grandioso. Una verginella snob e pudica. Ma che ci faceva Barbie lì in mezzo a noi? Dove lo aveva piantato quel frocio di Ken?

-Ah, con questa addio federica...- Andre si sporse in avanti sul banco per osservarla meglio e quasi mi aspettai che si desse lo slancio con le braccia per alzare la testa in alto e ululare.

-Stai sbavando sul banco.- Gli feci notare impassibile. Bastava un essere dotato di tette e figa a far partire quei pochi neuroni rimasti nel suo cervello.

La biondina lanciò un’occhiata un po’ disorientata e spaurita -che si aspettava, era appena entrata nella tana dei lupi!- alla classe, prima di alzare il mento apparentemente sicura di sé e dirigersi verso il primo banco.

La seguii, stranamente curioso, con gli occhi: strano che si fosse iscritta proprio al Molinari. Perché non in un’altra scuola di Milano? Il Molinari non era di certo un liceo, i professori erano degli idioti incompetenti che ci lasciavano perlopiù cazzeggiare durante le lezioni e le poche ragazze iscritte erano completamente diverse da lei, erano ben integrate con...l’ambiente. Lei non c’entrava nulla lì, l’avrei vista bene in un qualche liceo snob, di quelli pieni gremiti di secchioni pronti ad andare in qualche università “prestigiosa”.

-Che figa oh!- Marco si passò la lingua sul labbro visibilmente eccitato.

-Serve una doccia fredda qui.- Ste’ boccheggiò un paio di volte.

Riccardo mosse il bacino eloquentemente contro la sua sedia e tirò fuori la lingua come un cane assetato, -Minchia oh, qui si tromba.-

Che coglioni. Solo a me vedere quella faccia da santarellina faceva passare la voglia di scoparmela? Chissà che cazzo di suora doveva essere.

Anche se…quella canotta che indossava lasciava ben poco all’immaginazione…

-Da quando le santarelline ti arrapano?- Chiesi sovrappensiero, senza staccare gli occhi dalla testa bionda della nuova arrivata. Osservava insistentemente il prof, le cuffie alle orecchie e le mani che si torcevano nervose sotto il banco.

-Da quando ho capito che è tutta una facciata, le santarelline son le più porche.- Mi rispose Andrea compiaciuto.

Inarcai un sopracciglio; anche quello era vero. Restava il fatto che mi risultava abbastanza difficile immaginare che Barbie lo fosse, probabilmente aveva la stessa espressione controllata e sprezzante anche mentre scopava.

In diciassette anni che abitavo vicino a lei, ricordavo di averla vista sempre e solo con la stessa faccia, stesso sorriso forzato e stessa smorfia di sufficienza.

Ma tiratela un po’ di meno, sei ridicola.

Tante volte avrei voluto dirglielo, ma avevo sempre evitato. Non erano cazzi miei, non la conoscevo e non mi sembrava il caso. Alla fine, poteva comportarsi come voleva, se non dava fastidio a quella faccia di minchia del suo ragazzo quell’aria da smorfiosa…

-Ciao ragazzi!- L’arrivo in classe di Mel mi distrasse dalla mia rete di pensieri: si sporse a baciare tutti sulla guancia e mi preoccupai seriamente di vedere la mano di Andre scattare al suo collo quando fu il suo turno di essere salutato.

Fortunatamente, si limitò a sorridere sornione, -‘Giorno Mel, quando ti vedo mi si rizza da morire, sai?-

Tentativo di abbordaggio di Andre: fallito.

Tentativo mio di non ridere: fallito.

-Credo di avertelo già sentito dire un paio di volte, ma questa volta l’hai detto con così tanta…passione. Sono tutta un fremito guarda.- Mel finse di rabbrividire, poi, dopo averci lanciato un’occhiata divertita e aver scosso la testa, si avvicinò alla nuova arrivata.

Istintivamente, poggiai l’avambraccio sul banco e mi alzai appena dalla sedia per cercare di sentire qualcosa.

-Che fai?- Già dal tono di voce e dal ghigno poco trattenuto di Andre, capii che avesse intuito tutto e che mi stesse sfottendo.

Socchiusi gli occhi irritato, più per il fatto di essere stato scoperto che per altro, -Fatti i cazzi tuoi.-

Mel, intanto, aveva attaccato bottone con la bionda, le si era seduta vicino e ci parlava come se la conoscesse da una vita. Era incredibile la velocità con cui le ragazze riuscivano a fare amicizia, a loro bastava tirar fuori qualsiasi argomento stupido per poter socializzare e ridere come cretine.

-Armandi.-

Spostai lo sguardo verso il prof nello stesso momento in cui Marco alzò la mano.

Oh, il vecchio si era svegliato. E solo quindici minuti dopo l’inizio della lezione.

Non attesi che finisse l’appello per fregare un’altra sizza ad Andre, il prof Masetti non spiegava praticamente mai, controllava i presenti solo per far vedere ai colleghi che il suo dovere di prof della prima ora di compilare il registro l’aveva fatto. Poi tornava al suo giornale.

-Oggi si raddoppia?- Andre mi guardò interessato e un po’ sorpreso.

Mi strinsi nelle spalle e accesi la sigaretta, stando comunque attento a non farmi notare troppo dal prof, -È il primo giorno.-

-Latini.-

Merda.

Tossii appena e nascosi la mano sotto il banco, sollevando l’altra con l’intento di scacciare il fumo.

Fortunatamente non disse nulla, proseguì spedito con gli altri nomi senza soffermarsi troppo su di me. Mi doveva ancora un paio di jeans quel vecchio di merda, per colpa sua l’anno precedente, per nascondergli il fatto che stessi fumando, ne avevo bruciato un paio.

-Puccio.-

Il mio sguardo volò subito verso la Barbie e, sorpreso, mi ritrovai i suoi occhi verdi puntati addosso. Si era accorta di me.

Cazzo hai da guardare?

Durò un attimo, si girò subito dopo per alzare la mano e sorridere affabile al professore. Masetti borbottò a malapena un benvenuto, prima di ritornare al suo prezioso appello, quello che, una volta finito, gli avrebbe permesso di ritornare a leggere il giornale.

La Puccio sembrò restarci male per la scarsa considerazione ottenuta dal prof, si sporse verso Mel e le sussurrò qualcosa di incomprensibile.

-Puccio, eh?-

Mi ero quasi dimenticato della presenza del mio amico Gabriele alla mia sinistra, durante le lezioni era uno dei pochi a restare zitto e attento.

-Già.- Risposi distratto, -Che c’è, ti interessa?- Sghignazzai divertito al solo pensiero.

-A Lele piace la figa? Miracolo!- Andre rise così forte che per un attimo il prof staccò gli occhi dal suo giornale per lanciarci un’occhiataccia.

In anni di scuola insieme, Lele non era mai stato con nessuna ragazza a quanto ne sapevamo, per quello Andre lo provocava sempre con frasi del tipo: “Ti conservi per qualcuna in particolare? O qualcuno?”

Lele si sistemò gli occhiali sul naso con la sua solita aria da intellettuale superiore a tutti, -Coglione.-

Andre, del resto, non poteva sapere che il primo anno Lele, considerandomi il suo più caro amico, aveva avuto il coraggio di confidarmi che si era innamorato di Fabiana.

In un attacco di stronzaggine, gli ero scoppiato a ridere in faccia dicendogli che non aveva speranze e da allora non mi aveva più detto nulla sulla sua vita sentimentale.

-Piuttosto, mi sembra che Lore sia un tantino assorto.- Alzò ed abbassò le sopracciglia più volte, gesto che mi piacque decisamente poco. Se Andre era un coglione, Lele era fin troppo intelligente.

Feci una smorfia e spensi la sigaretta sulla gamba del tavolo, -Come sempre. Mai seguita una lezione del Masetti.-

-Mai fumate due sigarette.- Osservò il mio gesto corrugando la fronte stranito.

-È il primo giorno.- Ripetei scocciato. Ci mancava solo che incominciasse a rompere come mia madre.

Capì che per il suo bene non gli conveniva ribattere, stette zitto per il resto dell’ora, mentre Andrea ricominciava con il suo noioso discorso di prima.

Quando, finalmente, smise di parlare, mi alzai dalla sedia con un intento ben preciso.

-Vai anche tu a dare il benvenuto alla nuova arrivata?-

Lo ammazzo.

Dovetti contare fino a cento per impedirmi di strozzare Lele.

-Abita vicino a me, la conosco già e non è niente di speciale.- Mi voltai prima che potesse pormi qualsiasi altra curiosa e invadente domanda da pettegola, lasciandolo alle congetture che di sicuro avrebbe fatto il suo cervello da secchione.

Non sapevo nemmeno io che cosa avevo voluto far intendere con quel “non è niente di speciale”,  probabilmente avrebbe pensato che me la fossi scopata e che non fosse stato un granché. Di certo non mi schifava l’idea che tutti lo pensassero.

Inarcai appena un sopracciglio e mi poggiai al banco della Puccio con nonchalance.

Lei non si era ancora accorta di me, presa com’era da una discussione sicuramente poco interessante con Mel.

-Non sapevo frequentassi questa scuola.-

Sobbalzò spaventata e sollevò lentamente la testa. Qualcosa mi disse che mi aveva già riconosciuto dalla voce, prima ancora di vedermi, la sua espressione sprezzante e disgustata non mutò quando i suoi occhi incontrarono i miei.

-Non l’ho mai frequentata. È solo da quest’anno che sono iscritta qui.- Sorridere sembrò costarle uno sforzo immane, quasi fosse al cesso.

Perché?

Perché si era iscritta lì? Perché proprio nella mia classe? Impossibile che c’entrassi io, non sapeva che frequentavo quella scuola, non ci eravamo mai neanche parlati! Eppure…era una coincidenza strana.

-Vi conoscete?- Mel, pettegola come solo le donne -e Lele- potevano essere, ci guardò curiosa.

Inclinai la testa pensieroso, -Più o meno.- Sempre che la nostra potesse considerarsi una conoscenza.

Lei non dovette pensarla allo stesso modo, perché i suoi occhi verdi si dilatarono parecchio per la sorpresa.

Che ho detto?

-Non direi.- Dio, sembrava un’acida prof che correggeva il modo di parlare di un suo alunno, -Visto che il qui presente signorino non si degna mai di salutare.-

Stava ghignando? Stava davvero mostrando un’espressione diversa dal solito? Miracolo!

-Di che stai parlando? Io saluto sempre.- Tutta la fatica che facevo per ricambiare il suo saluto la mattina, se non a parole, a gesti, mi dava ragione.

-Ma se sono sempre io a salutare e non dire cazzate va!-

Cazzate? Diceva parolacce? E si stava pure irritando. Bene bene, allora la faccia della bambolina non era di plastica come pensavo, riusciva anche ad arrabbiarsi come i comuni mortali.

-Non è assolutamente vero, tesoro. Sei tu quella maleducata che va sempre di corsa e che mi spia dal buco della serratura per evitarmi.- Piegai le labbra in un sorriso vittorioso nel vederla boccheggiare e avvampare sconfitta.

Più di una volta mi ero accorto di essere spiato sul pianerottolo, non ne avevo mai avuto conferma, ma sospettavo che i passi leggeri e corti che sentivo aldilà della sua porta di casa appartenessero a lei.

-Co…non è assolutamente vero!-

Portai una mano davanti alla bocca per evitare di scoppiarle a ridere in faccia. Mai visto delle guance diventare così rosse in così poco tempo, stava letteralmente per scoppiare.

-Nelle scale c’è silenzio e non è difficile sentire dei passi e dei rumori dietro alla tua porta, dato che è appiccicata all’ascensore.- Ghignai soddisfatto.

-È vero, lo faccio, ma solo perché non voglio andare in ascensore con te.- Incrociò le braccia al petto con decisione ed alzò il mento nella sua solita espressione fiera.

Non potei fare a meno di trovare la frase piena di molteplici significati a cui dare molteplici risposte: per quale motivo non voleva entrare in ascensore con me? Disagio? Temeva –o sperava- che le saltassi addosso?

-Allora vedi che sei tu la maleducata?- Colpita e affondata Puccio.

Sembrava che la parola “maleducata” per lei fosse un insulto peggiore di “puttana”, era a dir poco sconvolta.

Divertito, me ne tornai al mio banco senza lasciarle possibilità di replica. Ci sarebbe stato da divertirsi con quella nanerottola lì, sarebbe stata un piacevole passatempo.

L’ora successiva, quella di matematica, contavo di passarla a messaggiare con Bìa, ma il continuo ed infinito ciarlare di Andrea mi impedì di concentrarmi adeguatamente sulle risposte ai suoi messaggi altamente erotici e stuzzicanti.

-Ma se è un’altra scopata che vuole questa, dalle due botte e poi mollala, no?- Sbottai esasperato.

Di sfuggita, mi accorsi della presenza della Puccio alla lavagna; la prof doveva averla chiamata per metterla alla prova e vedere il suo livello…piuttosto basso evidentemente. Stava cercando, con scarsi risultati, di risolvere una semplice equazione, ma si bloccava ogni due secondi su calcoli semplicissimi.

Ridacchiai, decisamente allietato da quell’ultima scoperta: la biondina perfettina era pure bella ignorante. Nulla di sorprendente, certo, dovevo ancora conoscerla una bionda intelligente. Bìa stessa aveva difficoltà a scuola e a volte se ne usciva con certe frasi cretine…se non altro era brava a letto.

-Allora?-

Eh?

Osservai il mio amico perplesso. Doveva avermi detto qualcosa, ma non lo avevo nemmeno sentito.

Gli diedi una pacca amichevole sulla spalla, -Certo.-

Qualsiasi cosa tu abbia appena detto.

-Oh, grande!- Si illuminò in un sorriso preoccupante, -Grazie oh, sei un amico!-

Annuii poco convinto, -Prego.- Si sarebbe sicuramente dimenticato di quella conversazione conoscendolo, quindi potevo anche concedergli tutto quell’entusiasmo.

Stavo ancora sorridendogli accondiscendente, come si poteva fare ad un bambino a cui si prometteva un giocattolo che non avrebbe mai avuto, quando, voltandomi verso la lavagna, incontrai degli occhi verdi puntati insistentemente su di me.

Accortasi di essere stata colta in flagrante, Alice Puccio si morse il carnoso labbro inferiore –gesto che per qualche contorto motivo i miei occhi seguirono- e sussultò, ma non distolse comunque lo sguardo.

Sembrava mi stesse chiedendo implicitamente di aiutarla, mi fissava quasi supplichevole.

Arcuai un sopracciglio, le labbra ancora piegate in un sorriso. Strano, pensavo di essere l’ultima persona a cui si sarebbe abbassata a chiedere aiuto. Perché guardava me e non, ad esempio, Mel? Forse aveva già saputo della gloriosa media del 4 della Zorzi?

Un’idea brillante mi attraversò la mente e mi fece accentuare il sorriso: lentamente, sfilai le mani dalle tasche dei jeans e le suggerii un risultato inventato così, su due piedi.

-Puccio?- La prof la richiamò, probabilmente stufa della sua lentezza e delle sue esitazioni.

Lei si voltò di scatto, l’aria terrorizzata di chi era ad un passo dal patibolo. Poi, sospirò teatralmente, iniziando a tracciare qualcosa con il gessetto. Il mio averla presa per il culo doveva averle dato una scossa.

Ma…

Aprii la bocca incredulo: no ma dai, ma allora era veramente cretina…due terzi? Aveva davvero scritto la risposta che le avevo suggerito io?!

-Due terzi? Puccio, ci arriva anche un bambino delle elementari che quattro sedicesimi per ventisette primi non può dare due terzi.-

Non riuscii più a trattenere una fragorosa risata a cui si unì ben presto il resto della classe.

Era pure stata smerdata dalla prof! La Zerbato, la prof più comprensiva di tutti, le aveva appena fatto fare una figura di merda davanti all’intera classe il primo giorno di scuola!

E la faccia della Puccio era un vero spettacolo, stavo letteralmente soffocando dal ridere!

-È evidente che sei un tantino indietro con il programma di matematica…- Un tantino? La situazione era molto critica, la prof aveva addolcito fin troppo il tutto.

-Credo che tu debba essere seguita da qualcuno dei tuoi compagni finché non ti rimetterai in pari.-

Non invidiavo per niente il povero sfigato che avrebbe dovuto spiegarle i “meccanismi oscuri” di quella materia così impossibile da capire per il suo cervellino.

Sicuramente la prof avrebbe scelto Lele, era il più adatto a dare ripetizioni, avrebbe avuto la pazienza necessaria a spiegarle le stesse cose più e più volte, anche se dubitavo sarebbe servito a qualcosa.

La Puccio annuì, lo sguardo ancora basso, -Nessun problema, mi faccio prestare il quaderno da Zorzi e…-

Oh, allora non sapeva della media del 4 di Mel. Tra una e l’altra difficile dire quale fosse messa peggio, già immaginavo che scintille avrebbe provocato lo scontro di due menti brillanti come le loro.

-La Zorzi non è molto brava in matematica.-

Diciamo pure che fa cagare.

-Latini,- Un momento, che c’entravo io? -Aiuterai Puccio a mettersi in pari con il programma. Tu hai la media del nove con me, non sarà un problema aiutarla.-

Ahahah, no, cos’era, una battuta? La prof aveva voglia di scherzare.

Ci mancava solo che dovessi sprecare i miei pomeriggi per aiutare quella lì in matematica! Ma non esisteva proprio!

-Prof, mi scusi,- Feci contrariato, guardando male la bionda ignorante vicino alla cattedra, -Quest’anno abbiamo diritto in più come materia, non ho il tempo di stare dietro anche a Puccio.-

Ovviamente di diritto non me ne fregava un cazzo, era solo una scusa per non rinunciare alle uscite con gli amici e alle favolose scopate pomeridiane con Bìa.

-Latini, diritto è una materia che avranno anche tutti gli altri tuoi compagni…- La Zerbato socchiuse gli occhi pensierosa, -Da coordinatrice di classe, però, posso provare a parlare con il professor Crescentini e chiedergli di interrogare per ultimi te e la Puccio nella sua materia.-

Ecco, ora se ne poteva riparlare. Essere interrogato per ultimo equivaleva a ore di ozio durante le prime interrogazione del prof Crescentini, mentre gli altri si affannavano a ripassare col terrore di essere chiamati fuori.

-Sarebbe davvero un angelo se lo facesse prof.- Sfoderai il mio miglior sorriso da ruffiano, lo stesso che utilizzavo per chiedere a mia madre soldi per il sabato sera.

Non avrei comunque dato ripetizioni alla Puccio, avrei solo finto di farlo per evitare di essere interrogato subito in diritto.

Suonata la campanella che decretava l’inizio dell’intervallo, presi il mio quaderno e i miei libri di matematica e li buttai senza troppa gentilezza sul suo banco.

Sussultò, per la terza volta in quella mattinata. Si lasciava cogliere troppo di sorpresa la signorina.

-Questi sono gli appunti, gli esercizi e i libri di matematica tesoro, divertiti.- Ghignai soddisfatto e malefico.

Sollevò la testa e socchiuse gli occhi irritata. Mi odiava proprio. E la cosa mi divertiva da morire.

-E che dovrei farci?-

Oh Dio, era pure più ignorante di quanto pensassi.

-Arrangiarti.- Semplice, no? A quel punto doveva aver capito, così, mi girai per andarmene, ma lei mi bloccò con un: -Fermo, fermo, fermo.-

Sospirai pesantemente. Che rottura di coglioni, che voleva ancora? -Che c’è?-

-Senti, se la tua voglia di passare del tempo con me è paragonabile a quella che ho io di passarlo con te, posso assicurarti che ti capisco.- Prese fiato, le guance arrossate e gli occhi che continuavano a lanciarmi saette di odio puro, -Ma la sufficienza in matematica la voglio e a me sembra troppo comodo servirsi così della mia totale incompetenza per le materie scientifiche per non essere interrogato in diritto mio caro. Quindi, o tu mi aiuti come si deve in matematica, o ci metto un attimo a chiedere alla professoressa di cambiarmi tutor, ok?-

Logorroica, petulante, perfettina e rompicazzo: grandioso. E chi l’avrebbe sopportata?

Sbuffai scocciato ed incrociai le braccia al petto, -A casa mia non ci puoi venire.- Era fuori discussione, avrebbe contaminato l’aria di casa con quel profumo nauseante e dolce.

-Va bene, le faremo a casa mia le ripetizioni.- Da brava pazzoide, alzò le braccia esasperata e le lasciò ricadere con uno sbuffo, –Mercoledì?-

Un mercoledì pomeriggio buttato nel cesso… -Ok.- Risposi infine, a fatica.

–Bene. Tanto ti basta attraversare il pianerottolo, non mi sembra ti servano ulteriori spiegazioni.- I suoi occhi diventarono due sottilissime fessure.

-No, infatti.-

Fosse stata come Bìa, sarebbe stato interessante passare un pomeriggio a casa sua. Ma lei non aveva niente della mia amica, era l’esatto contrario.

Altro che arrapante. Andrea era fuori di testa, quella era solo una santarellina rompicoglioni del cazzo. Di quelle appiccicose, di quelle che una volta sverginate non la smettevano più di starti addosso, di quelle che parlavano, parlavano, convinte di aver sempre ragione e di essere superiori a tutto.

Nessun ragazzo sano di mente l’avrebbe sopportata, poco ma sicuro.

 

 

Note dell’autrice:

 

E’ stato stranissimo immedesimarsi in Lorenzo in questo primo capitolo, immagino di doverci prendere di nuovo la mano a scrivere i suoi pov.

Non sono ancora del tutto convinta del risultato, spero sia venuto bene e che vi abbia convinto, come al solito, per qualsiasi vostra perplessità, sono qui :)

Dal prossimo, così come in Tra l’odio e l’amore, le cose inizieranno a diventare più interessanti.

Sempre che non preferiate appunto una sorta di “raccolta” e che quindi vogliate subito un determinato pov di Lore (tipo quello famoso delle scale).

Vado a nascondermi sotto metri di terra che è meglio, stranamente non ho molto altro da dire :)

Colgo l’occasione per augurarvi, un po’ in ritardo, un buonissimo Natale, spero abbiate passato dei bellissimi giorni festivi! :D

Un bacione grande e grazie di cuore per tutto quanto.

Bec

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Capitolo 2
*** La nanerottola petulante ***


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                            Capitolo 2: La nanerottola petulante

 

 

Il cellulare vibrò per la terza volta e per la terza volta lo misi a tacere schiacciando i tasti un po’ a casaccio. Tanto ero già in ritardo, non aveva senso alzarsi così presto.

Mi sarei fatto accompagnare da Rossella o da Glenda in macchina, corrompendole in qualche modo.

Passarono altri cinque minuti e la sveglia suonò di nuovo.

Con la faccia ancora sul cuscino e grugniti inquietanti attutiti dalla stoffa, allungai un braccio e presi in mano il cellulare per leggere ciò che io stesso avevo scritto la sera prima.

 

Alzati coglione o vuoi arrivare in ritardo?!

 

Dovevo essere più convincente, come minaccia non era molto efficace, visto che non me ne fregava un cazzo di arrivare tardi in classe.

Eliminai il “o vuoi arrivare in ritardo” e lasciai “Alzati coglione!”, molto più d’effetto.

Rinominata la sveglia che sarebbe poi suonata le mattine successive, mi preoccupai di procurarmi un passaggio.

Rossella, con la sua costante sindrome premestruale, era da escludere, restava il chihuahua.

-Gleendaaa!- Gridai, senza muovermi di un millimetro da lì. Perché scomodarmi? Sarebbe venuta lei.

Udii dei frettolosi passi dietro la porta, prima che questa si spalancasse del tutto.

-Alzare il culo no, eh?- Sospirò lei scocciata.

-Mi serve che mi accompagni a scuola.- Lasciai ricadere il mento sul cuscino a peso morto, mentre lanciavo una veloce occhiata alla radiosveglia sul comodino. La parola “ritardo” albergava fissa nella mia testa, specie dopo aver visto quel 7 campeggiare vicino a quel 25.

-Tanto per cambiare.- Roteò gli occhi per la stanza e poggiò le mani sui fianchi, -Posso almeno sperare che tu da oggi in poi decida di trattare un pochino meglio Domenico?-

Trattare meglio quel viscido mollusco con cui stava? Non c’era neanche bisogno di pensarci su.

-No.-

Assottigliò lo sguardo irritata, -E allora ti scordi il passaggio.-

Nessun problema: Glenda era facilmente corrompibile con l’affetto, come mia madre.

-Non puoi semplicemente accontentarti della mia più sincera gratitudine? La sincera gratitudine del tuo adorato fratellino.- Una banconota da quattrocento euro sarebbe stata meno falsa del mio sorriso.

Lei schioccò la lingua infastidita, -Sei uno schifoso ruffiano.-

Arricciai il naso senza smettere di sorridere, -Lo so. Ma è anche per questo che mi vuoi bene e mi darai un passaggio.- Com’era facile lavorarsi Glenda.

-Per favore?- Suggerì accigliata.

Illusa. Mi stiracchiai come un gatto e mi alzai con calma, ignorando volutamente la sua richiesta, -Fai in fretta e lascia perdere il trucco, devo essere lì per le 8.10.- Quanto era bello schiavizzare la propria sorella troppo buona per rispondere a dovere.

Si lasciò andare ad uno sbuffo che le spostò la ciocca nera sulla fronte, -Ci metto il tempo che mi serve. Muoviti e vestiti, stronzo. O farai tardi anche in macchina.-

Avevo in mente di fare come aveva detto? Naturalmente no, feci tutto con comodo e ci misi più tempo del solito a sistemarmi i capelli bene in alto.

-Sei più lento e vanitoso di una ragazza.- Mi accusò lei, mentre mi specchiavo con minuziosità nello specchio sopra il lavandino del bagno.

Scrollai le spalle ed inclinai appena la testa per esaminare meglio quel ciuffo ribelle lì sopra, -Ho tutto il tempo di questo mondo, non ho voglia di fare in fretta.-

La vidi alzare un sopracciglio poco convinta, -Non eri in ritardo? Hai detto a me di muovermi, quando sei tu quello ancora a petto nudo.-

Che rottura di coglioni, cazzo, pure l’autista che mi metteva fretta! -Sono quasi pronto, inizia ad aprire la porta.-

-L’hai già detto due volte e siamo ancora qui.-

Mi voltai ghignando soddisfatto, -Beh questa volta è vero.-

Afferrai la prima maglietta che mi capitò in mano e me la infilai dando una veloce occhiata all’orologio. Le 7.50. Almeno avrei evitato quella nanerottola petulante, probabilmente aveva già preso l’autobus delle 7.35.

-Sua Maestà ha finito di prepararsi?- Mi sfotté Glenda, improvvisando un inchino chiaramente derisorio.

-Sei simpatica quanto una spina nel culo,- Sbattei le palpebre velocemente e sorrisi in modo forzato, -Non ti mando a cagare solo perché mi serve il passaggio.-

Lei fece roteare gli occhi per la stanza e le chiavi della macchina intorno all’indice, -Mi sembrava infatti che questa mattina fossi più simpatico del solito.-

Aprii la porta d’ingresso ancora sorridente, ma mi bastò voltarmi verso l’ascensore per bloccarmi di colpo.

Alice Puccio boccheggiava incredula di fronte a me e fino all’ultimo cercò inutilmente di nascondersi dietro il corpo del padre, un ometto quasi più piccolo di lei e dall’aria bonaria.

Perfetto. La giornata non poteva iniziare peggio, non vedevo proprio l’ora di incontrare un’isterica pazzoide di prima mattina.

-Ciao,- Feci un lievissimo cenno in direzione della nana, per poi rivolgermi a suo padre con il sorriso più amichevole che riuscissi a mostrare, -Salve.-

Luca Puccio era un tipo a posto tutto sommato. Il suo unico difetto era quello di essersi sposato con quella pazza di sua moglie e di aver poi avuto una cosetta del genere come figlia. Andava compatito.

-Lorenzo, ciao.- Sorrise entusiasta. Poveretto, chissà come doveva renderlo felice vedere persone al di fuori di quella gabbia di psicopatiche.

Glenda, alle mie spalle, salutò con un “‘Giorno” divertito, senza smettere un attimo di far tintinnare quelle dannatissime chiavi dell’auto.

Per qualche strano ed inquietante motivo, la Puccio mi sorrise, anche se quel ghigno non sembrava volesse dire “Ciao, come stai?”, un “Ti squarterò lentamente” piuttosto.

-Rossella! Buongiorno!-

Alzai gli occhi al cielo scocciato: possibile che ancora non riuscisse a distinguere il chihuaha dal rottweiler? Ma che ci voleva a capire che Glenda aveva i capelli corti e Rossella lunghi? Senza contare che Rossella molto probabilmente non si sarebbe neanche fermata a salutarli, li avrebbe snobbati fin da subito, come avrei tanto voluto fare io.

-Veramente sono Glenda.- Lo corresse lei tranquilla, con una pazienza che se fossi stato al suo posto se ne sarebbe già andata da un pezzo.

-Oh Glenda, scusa…- Si grattò la testa imbarazzato, -Dopo tutto questo tempo fatico ancora a riconoscervi.- Sembrava a disagio, come un bambino che si aspettava di ricevere una bella strigliata da un momento all’altro.

Non riuscivo a capire il perché di tanta mortificazione, in fondo aveva solo sbagliato un nome, non era mica un reato così grave. Oltretutto Glenda, non avendo il mio carattere irascibile, non lo avrebbe certo condannato per una sciocchezza simile.

-Non si preoccupi.- Appunto.

Gli sorrise e Luca Puccio sembrò quasi sollevato da quella reazione. Vivere con la moglie e la figlia gli dovevano aver dato alla testa, non c’era altra spiegazione.

L’ascensore finalmente arrivò e mia sorella si precipitò immediatamente ad aprire la porta esterna per far entrare tutti. Tipico di lei, non sarei mai riuscito a capire il perché di tanta educazione e disponibilità verso il prossimo.

Io la mattina –diciamo pure sempre- ero troppo scazzato persino per aprirla a me stesso la porta, figuriamoci se perdevo tempo e fatica per tenerla aperta a qualcun altro.

-Allora, Glenda, stai andando all’università?-

Mi voltai automaticamente verso il signor Puccio, tutto intento a cercare di dare il via ad un qualsiasi tipo di conversazione. Non doveva essere un amante dei silenzi imbarazzanti.

-No, sto accompagnando mio fratello a scuola perché è in ritardo.-

Sé, va beh, ritardo. Per soli venticinque minuti, quanto la faceva tragica.

Stavo per intromettermi nella conversazione per farglielo notare, quando i miei occhi incrociarono di nuovo quelli furiosi della mia adorabile compagna di classe.

Porco cazzo, aveva dei seri problemi mentali quella, perché diavolo continuava a lanciarmi simili occhiatacce? Non le avevo fatto nulla…non ancora almeno.

-Davvero? Tu in che scuola vai Lorenzo?-

Non lo sapeva? Non che avessi mai sostenuto una conversazione più lunga dei soliti “Salve” o “‘Sera” con lui, ma pensavo che la figlioletta perfetta avesse riferito al suo paparino i dettagli della sua prima giornata nella nuova scuola.

-Il Molinari.- Sorrisi a Puccio Senior, per poi spostare lo sguardo sulla figlia e ghignare soddisfatto di quell’espressione sconvolta. Pensava forse di tenerlo nascosto?

-Davvero? Anche mia figlia va lì adesso!-

Ma non mi dica, che cazzo di sorpresa! Pensi che siamo pure in classe insieme purtroppo e mi è bastato un solo giorno per etichettarla come il più fastidioso ed insignificante essere di questa terra.

Probabilmente non avrebbe mantenuto quell’espressione così amichevole se avessi esternato i miei pensieri.

-La sto accompagnando perché è in ritardo anche lei, vuoi che te lo dia io uno strappo?-

Guardai di sfuggita la Puccio e mi lasciai scappare un sorrisetto compiaciuto: era impossibile non notare quel rossore evidente sulle sue guance e quegli occhi indignati puntati sulla faccia del padre, quel poveretto avrebbe avuto vita breve se avessi accettato.

Però…a me serviva il passaggio e dovetti ammettere almeno a me stesso che irritare la bambolina mi divertiva.

-Certo, grazie.- Mi voltai a guardare Glenda e per un attimo sul suo volto scorsi pura incredulità, -Così risparmio il disturbo a mia sorella che deve studiare per un esame.-

Non ci fossero stati i due Puccio con noi, Glenda mi avrebbe ficcato un termometro in bocca e avrebbe chiamato preoccupatissima un’ambulanza, sostenendo agitata che il suo “fratellino” stesse delirando e fosse ad un passo dalla pazzia.

In effetti era stato strano persino per me sentirmi pronunciare quella frase, ci avevo messo troppo poco sarcasmo…

Mia sorella boccheggiò incerta per qualche secondo e sembrò seriamente sul punto di chiedermi se mi sentissi bene, dato che solo con la febbre a quaranta –ma neanche- avrei potuto dire qualcosa di così…premuroso.

Poi, accortasi dello sguardo di Puccio, si affrettò a rispondere, -Mi farebbe davvero un grandissimo favore, grazie.-

L’ascensore, nel frattempo, era arrivato al piano terra. Mai sei piani mi erano sembrati così infiniti.

Non mi dispiacque più di tanto fare la strada in macchina con Luca Puccio –e con quel piccolissimo dettaglio imbronciato seduto accanto a lui-, trovammo subito un argomento su cui incentrare un dialogo, argomento che escluse fin da subito il dettaglio nominato poco prima.

Puccio era milanista, ma stranamente non fu sgradevole parlare con lui di calcio, nonostante non nutrissi particolare simpatia per i milanisti in generale –Andrea era un’eccezione più unica che rara.

Arrivati a destinazione, lo salutai e ringraziai, per poi dirigermi verso l’entrata ignorando volutamente una seccante presenza alle mie spalle.

-Come diavolo ti è venuto in mente di accettare la proposta di mio padre?!-

Eccola lì. Sarei quasi rimasto deluso se non avesse detto nulla.

-Credi che non l’abbia capito che stai cercando di irritarmi a morte, eh?!-

Brava Puccio, dieci e lode. Allora non sei stupida come pensavo.

La guardai di sfuggita, indeciso se mettermi a ridere per il modo in cui ansimava affaticata per poter stare al mio passo, o risponderle seriamente.

-Ero in ritardo e mi serviva un passaggio…- Alzai le spalle con noncuranza, -Non pensare che il mondo ruoti intorno a te, mia cara.- Sorrisi di sbieco, senza rallentare nemmeno un po’. Vederla arrancare così tanto per starmi dietro era stupendo.

-Io non penso che il mondo giri intorno a me. Sei tu l’arrogante che lo pensa.-

Precisamente. Ma chi era lei per venirmi a dire una cosa del genere?

-Non mi conosci nemmeno, come fai a dirlo?- Inarcai un sopracciglio, curioso di sentire quale sarebbe stata la sua risposta.

Alzò il mento altezzosa e fece una piccola smorfia, -Quel poco che conosco mi basta credimi, non mi serve altro per capire di che pasta sei fatto.-

Di che pasta ero fatto? Sul serio? E ci era arrivata da sola o le aveva dato una mano il suo piccolo e malfunzionante cervello da bionda?

-È molto stupido da parte tua giudicare quello che non conosci bene.- Ghignai soddisfatto e vittorioso.

Oh Puccio, non fare quella faccia su. Me le servi su un piatto d’argento le risposte…servissi anche qualcos’altro su un piatto d’argento, evitando magari di parlare con quella vocetta del cazzo che ti ritrovi…

Non le diedi il tempo di rispondere, le voltai le spalle con ancora quel sorriso stampato in faccia e raggiunsi Andrea e Giulio seduti sugli scalini davanti all’ingresso.

-Oh bella Lore! Non sai che cazzo di voglia c’ho di balzare* (*bigiare, marinare la scuola) oggi.- Andre si accese la sua solita sigaretta con fare annoiato, stravaccandosi poi con la schiena e i gomiti sullo scalino dietro.

-Figa oggi c’è pure quella troia di geografia, ci fa le domande sui capitoli che ha dato da fare per l’estate.- Giulio aggrottò la fronte contrariato, -Voi sapete qualcosa?-

Lo guardai scettico, -Ma ti pare? Non ho aperto neanche il libro.- Non ricordavo nemmeno più come fosse la copertina del libro di geografia, l’avevo dato per disperso nella mia stanza da mesi ormai.

-Ma sì, tanto farà le domande che ci sono in fondo al capitolo, basta segnarsi le risposte.- Andre annuì soddisfatto; per la prima volta aveva fatto un discorso intelligente, la cosa aveva dell’incredibile.

-Giusto!- Giulio si diede un colpo in fronte, -Bon, io inizio ad andare in classe allora, vedo di segnarmi qualcosa sulle mani e sul banco.- Ci salutò e salì gli ultimi scalini a passo lento e pesante prima di entrare.

-Oh, io invece ti devo raccontare poi come è andata con la spagnola…-

Ghignai e mi sedetti vicino ad Andre incuriosito, -Ah già, la spagnola di sabato sera…allora?- Chiesi immaginandomi già la risposta.

-Uno schifo guarda.-

Arretrai di poco con la testa stranito, -Come uno schifo? Era figa scusa…-

-Sì, quello sì, ma…- Mi sembrò quasi che stesse trattenendo dei conati di vomito, -Praticamente…me la porto a casa, no? Inizio a farmela e…-

Spalancai occhi e bocca piuttosto disgustato, -Oh Cristo, era un uomo?!-

Mi lanciò un’occhiataccia risentita, -No coglione, era una donna!-

Tirai un sospiro di sollievo. Non ci tenevo particolarmente ad avere tutti i dettagli della vicenda se quella strafiga di Lolita fosse stata un…Lolito.

-E allora?- Sollecitai impaziente.

-E allora inizio a farmela subito…ci saremmo detti sì e no due parole in croce e non ho capito nemmeno quelle, visto che parlava spagnolo…- Fece una smorfia; già per lui era difficile stare a sentire le italiane, figuriamoci le spagnole.

-Le cose si fanno più spinte…- Proseguì, facendo delle pause per dare al tutto più pathos, -La spoglio, lei mi spoglia e le ficcò una mano nella…-

-Ah-ah.- Sorrisi furbescamente; il racconto si faceva molto interessante.

-La faccio godere,- altra pausa enfatica, -gemeva di brutto porca puttana…- I suoi occhi si accesero di eccitazione al ricordo.

-Continuo per un po’….e come tolgo la mano…- L’entusiasmo di Andre si spense di botto, lasciando posto solo ad un’espressione delusa e schifata, -Avevo il Mar Rosso fino al braccio.-

Ci misi un attimo a ricollegare il tutto, ma quando compresi la fine di quel racconto, incominciai a ridere fino a lacrimare, -Oh cazzo, non ci credo!-

-Te lo giuro! Ma che cazzo di schifo, stavo per mettermi a vomitare davanti a lei!-

Schizzinoso com’era lo credevo bene!

-E lei? Ma scusa non ti ha fermato?-

-Ma ti ho detto che non abbiamo praticamente parlato! E poi come me lo diceva? Come cazzo si dice mestruazioni in spagnolo?! Se anche me lo avesse detto non l’avrei capita!-

Stavo soffocando, sarei finito all’ospedale di lì a poco, non riuscivo a respirare per il troppo ridere.

-‘Fanculo, mai più con una spagnola. Ok che te la smollano subito, ma se devo trovarmi in un lago di sangue!-

E Andrea non aiutava di certo a farmi smettere, –Cioè, capitano tutte a te Andre!- Riuscii a dire, fra una risata e l’altra.

-Minchia veramente…-

Dopo quel brillante racconto, ci decidemmo finalmente ad entrare in classe, visto che la campanella era già suonata da un bel po’.

La prof fortunatamente non era ancora arrivata, così potemmo continuare a parlare indisturbati e a cazzeggiare per altri cinque minuti.

Quando entrò in classe, Claudia Rettino -soprannominata da tutti Rett, iniziò a raccontarci delle sue meravigliose –chiaramente era ironico- vacanze in Cina.

Mi domandai davvero cosa avrei fatto se la prof non fosse stata così generosa da condividere con noi la sua emozionante esperienza. Probabilmente mi sarei buttato giù da un balcone.

Ero certo che praticamente nessuno la stesse ascoltando, chi poteva essere così sfigato e masochista?

I miei occhi si posarono involontariamente su una schiena ritta coperta da una liscia cascata di capelli biondi e trovarono risposta. Solo la Puccio.

-Della serie “che cazzo ce ne può fregare a noi delle vacanze della Rett”?- Scherzò Andre, dandomi una gomitata.

Ridacchiai, -Di che minchia ti lamenti? Almeno non interroga.-

Le ultime parole famose.

L’inutile discorso della prof finì e nella classe calò un silenzio tombale.

Per la gioia di tutti, la Rett chiamò per primo Garbatelli, il secchione della classe, chiedendogli la risposta alla prima domanda dell’esercizio 1 in fondo al capitolo 22.

Feci un rapido calcolo e conclusi che a me sarebbe toccato rispondere alla domanda 3 dell’esercizio 2, così scorsi le pagine del capitolo in cerca della risposta e me la segnai a matita sul banco.

Quando arrivò il mio turno, la Rett mi fece, come previsto, proprio la domanda numero tre; buttai con nonchalance un occhio sul banco e lessi la risposta.

La Rettino si sistemò gli occhiali sul naso e annuì, -Sì, va bene.-

Mi stiracchiai e ghignai soddisfatto: un più sul registro senza aver fatto un emerito cazzo, la giornata iniziava bene.

-Sì, Puccio?-

Sbattei le palpebre perplesso.

Puccio? Che c’entra la Puccio?

-Mi scusi professoressa.-

Poteva la voce di un essere umano essere tanto odiosa e saccente?

Spostai annoiato il mio sguardo su di lei: si stava attorcigliando una ciocca di capelli al dito e sorrideva come solo una bambina stupida poteva fare.

-Ma mi sembra giusto informarla che Latini si era scritto la risposta sul banco. Insomma, mi sembra una mancanza di rispetto nei suoi confronti.-

Man mano che aveva parlato, i miei occhi si erano spalancati increduli.

Ma che grandissima troia!

Non aveva niente di meglio da fare che guardare quello che facevo e rompermi i coglioni?!

Fatti una vita Puccio.

Sentii a malapena il commento di Andre, così come non feci più di tanto caso a Lele che si sporgeva verso di me per passarmi la gomma.

Continuai a fissare in tralice la Puccio che non nascose un sorrisino soddisfatto nel vedere la prof avanzare verso di me per controllare.

-Cancella, cancella!-

Decisi di seguire il consiglio di Lele e di provare a cancellare, almeno in parte, la mia precedente e brillante risposta. Non servì a molto, ovviamente, la prof si accorse subito del mio tentativo di nascondere le “prove”.

-Latini, è scrivendoti le cose sul banco che speri poi di passare l’esame di maturità?-

E quella cos’era, una domanda retorica? Sperava forse che le rispondessi “No, prof, ha ragione”? Che mi scusassi? Ingenua. Di certo non avrei dato quella soddisfazione né a lei, né tantomeno alla Puccio.

-Perché no?- Risposi ghignando.

Lei fece una smorfia contrariata, -Per stavolta ti prendi un impreparato sul registro Latini. La prossima volta scatta il 2.-

Annuii senza smettere di sorridere. Capirai, per un impreparato all’inizio dell’anno, c’era tutto il tempo di recuperare.

Non appena la Rett si girò, digrignai un –Brutta stronza…- neanche a voce troppo bassa.

-Come?- Quello che doveva essere uno sguardo minaccioso, non fece che farmi trattenere a stento una risata.

-Dicevo stronza.- Voleva lo spelling della parola forse?

Prima che potesse esploderle la faccia per la rabbia, precisai che quell’insulto non fosse rivolto a lei, ma alla cara Puccio.

Puntai gli occhi sulla nanerottola e la squadrai infastidito, ricevendo in risposta lo stesso identico sguardo astioso di quella mattina.

Non avessi saputo come stavano le cose, avrei quasi pensato che stesse cercando di attirare la mia attenzione, perché diavolo continuava a provocarmi in quel modo? Ancora per la storia del suggerimento sbagliato? Se l’era presa per una cavolata del genere?

-La Puccio ha fatto più che bene ad avvisarmi. E per questo tuo comportamento Latini ti prendi anche una bella nota sul diario che voglio vedere firmata da tua madre domani.-

Minchia, si faceva severa la Rett! Peccato che nemmeno quello servì a farle guadagnare un pochino di rispetto da parte della classe.

-Va bene.- Scrollai le spalle e le passai il diario. Mia madre era abituata al peggio, in seconda ero stato sospeso per aver quasi dato fuoco al banco e mi ero preso tante di quelle note perché beccato a fumare in bagno…

Al massimo poi avrei potuto falsificarla io la sua firma, nulla di cui preoccuparsi.

Scrisse sul diario del mio comportamento maleducato e scorretto nei suoi confronti e dell’insulto rivolto alla mia compagna, per poi firmare con foga alla fine di tutto.

Una nota il secondo giorno di scuola, questo era un record anche per me…e tutto per colpa di quella pazzoide.

Attesi impaziente la fine dell’ora, poi, una volta suonata la campanella, mi alzai in fretta e mi diressi al banco della Puccio pronto ad incuterle almeno un po’ di timore per fargliela pagare.

-Ehi stronzetta, ti sei divertita a guardare mentre mi metteva quella cazzo di nota, eh?-

Ero incazzato nero. Non tanto per la nota in sé, quanto per il fatto che per colpa di quella stronza, la Rett, dopo quella storia, mi avrebbe tenuto d’occhio durante le verifiche. Ed io ero uno dei tanti che faceva affidamento sulle foto del libro fatte con il cellulare. Per un bel po’ di tempo mi sarebbe toccato studiare, una tragedia.

La vidi alzare lo sguardo per affrontarmi con decisione, ma in un attimo, i suoi occhi persero tutta quella sicurezza e si sgranarono sorpresi e disorientati.

-Ehm…-

Ehm, Puccio? È tutto quello che sai dire?

-Hai perso la parola, forse?- Domandai, senza smettere nemmeno per un secondo di fissarla.

Ero al corrente di avere un certo effetto sulle ragazze, ma sapere di averlo anche sulla nanerottola snob era senza alcun dubbio una gradevole notizia che mi fece più piacere di quanto io stesso ammisi.

Se era sufficiente una vicinanza così marcata a zittirla...mi sarei risparmiato tanti suoi urletti isterici da lì in poi.

-No.- Scosse la testa ponendo così fine al nostro contatto visivo, -La mia era solo una piccola vendetta per quello che hai fatto ieri.-

Avevo ragione allora, alla Puccio non era ancora andato giù il fatto che le avessi suggerito la risposta sbagliata di proposito.

Isterica, petulante, fastidiosa e pure rancorosa. Ma aveva almeno un pregio quella ragazza? A parte il fattore estetico, su quello nulla da dire. Certo, con una quarta di seno sarebbe stata ancora più piacevole da guardare, ma…stavo divagando, quello non c’entrava nulla.

Schioccai la lingua annoiato, -Oh andiamo, non dirmi che te la sei presa per ieri Puccio. Era solo una cazzata e sinceramente non credevo nemmeno che avresti scritto quello che ti avevo detto, era così ovvio che due terzi fosse sbagliato.-

Impossibile non ridere al ricordo della figuraccia che aveva fatto. Com’era possibile che si fosse fidata così ciecamente del mio suggerimento? Non le era venuto nemmeno per un attimo il dubbio che la risposta potesse essere sbagliata? Oltretutto pure una bambina avrebbe capito che lo era.

-Non ho riflettuto prima di scrivere, ma lo sapevo che era sbagliato!- Sbraitò punta sul vivo.

-E allora perché l’hai scritto?- Alzai un sopracciglio curioso, in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.

-Perché ero alla disperata ricerca di un suggerimento e avrei accettato persino l’aiuto di un opossum siberiano se fosse servito a qualcosa.-

In un primo momento, troppo preso ad esaminare dall’alto in basso quel visetto imbronciato, non feci nemmeno caso alla sua frase demenziale.

Quando poi la assimilai, trattenni a stento una risata, -Un opossum siberiano?- Lo aveva davvero detto? Ma quanto era scema quella ragazza?

Mi sorprese nuovamente con la sua risposta: invece di ritrattare, correggersi o giustificarsi, si limitò a rispondere con un “Sì” convinto. Come se parlare di opossum siberiani fosse normale.

-Immagino. Comunque sappi che ti sei tirata addosso tutta l’antipatia della classe e soprattutto…- Mi avvicinai nuovamente con il viso, scoprendomi particolarmente appagato nel vederla indietreggiare a disagio.

-Soprattutto...?- La voce le tremò leggermente sull’ultima sillaba.

-Ti sei messa contro di me…e non ti conviene avermi come nemico.- Soffiai sorridendo a due centimetri dalla sua faccia.

Un’ondata del suo profumo -stranamente buono e per nulla nauseante come me l’ero immaginato-, mi investì e mi fece perdere per un momento il filo del discorso.

Di che stavamo parlando?

La vidi tremare leggermente e le sue guance, dopo quell’ultima mia frase, assunsero un invitante color rosso.

Deglutì e fece un minuscolo e probabilmente involontario passo indietro, -Capirai…credi di spaventarmi?-

Spaventarla? Ah sì, le avevo appena detto che non le conveniva mettersi contro di me, giusto.

-A te non conviene avermi come nemica!- Incrociò le braccia al petto e mi fissò dal basso dopo aver riacquistato la sua solita aria ostile.

Peccato che la sua voce era uscita stridula e tremolante e le sue guance, se possibile, erano diventate ancora più rosse.

Scoppiai a ridere davanti a quel ridicolo tentativo di essere spavalda.

-Sto davvero tremando dalla paura.- Le voltai le spalle e me ne tornai al mio banco, la sua faccia paonazza ed il suo profumo dolce ancora in testa.

 

 

 

*Note dell’autrice*

 

Sono in ritardo di un giorno rispetto alla data stabilita sul gruppo e sono in ritardo di…mesi? Diciamo mesi, sono in ritardo di mesi qui su EFP, visto che il primo capitolo l’ho postato un bel po’ di tempo fa.

Vi chiedo infinitamente scusa per questo ritardo, sto facendo il possibile per continuare tutte le storie postate e gli extra di Lore e Ali (inizierò a postare anche quelli il prima possibile, il tempo di studiare e scrivo sempre quando mi è possibile).

Sabato ho postato il nuovo capitolo di Time is running out, oggi questo…prossimamente arriveranno anche Emma e il primo extra di Tra l’odio e l’amore, non perdete le speranze, non sospendo nulla!

Detto questo, vi ringrazio di cuore per l’accoglienza dedicata a questo pov di Lore, non so davvero che dire, se non che sono contenta che entrare nella testa di questo cretino vi sia piaciuto così tanto ;)

Devo rispondere ancora alle recensioni, ormai faccio schifo, non riesco più a rispondervi come vorrei e la cosa mi dispiace da morire perché voi impiegate tempo per scrivermi e avessi più tempo vorrei davvero poter ricambiare…lo farò, giuro. Non so come, non so quando, ma lo farò. Perché ci tengo e perché ve lo meritate. Lo so, può sembrare una promessa al vento, ma non lo è. Bene o male mantengo sempre quello che dico, ecco perché questo capitolo è qui ;)

Volete la storia tutta dal punto di vista di Lore (ho letto le vostre recensioni e questo dice la maggioranza) ed eccola qui, per voi.

Spero che questo capitolo non vi abbia fatto troppo schifo, essendo uno dei primi, le cose fra i due sono ancora molto freddine, sapete anche voi che si scalderanno nei prossimi!

Colgo l’occasione per scusarmi dei discorsi fra Andrea e Lore, sono di una volgarità tremenda, lo so, ma…penso siano verosimili, i ragazzi di oggi parlano e pensano in questo modo (credo, ce l’ho messa tutta per entrare nella testa di un ragazzo xD). La storia della spagnola è vera, un mio amico mi ha raccontato la stessa identica storia che Vergata ha raccontato Lore e…inutile dire che ne sono rimasta traumatizzata xD

Ok, queste note stanno diventando un po’ troppo lunghe, vi lascio con uno spoiler del prossimo capitolo che ho postato nel gruppo, augurandovi, in ritardo, una Buona Pasqua!

 

 -Vediamo una cosa...-
In un battito di ciglia, Andre batté sui tasti e scrisse un nome sul motore di ricerca in alto; il risultato che venne fuori fu decisamente un bel colpo...al basso ventre.
Porca puttana...
Alice Puccio, 4 amici in comune.
Nell'immagine del profilo era sdraiata sulla spiaggia, appoggiata sui gomiti, le caviglie incrociate in aria e il mare alle sue spalle.
Seguii con lo sguardo la linea delle sue gambe, del suo culo e della sua schiena, fino ad arrivare alle spalle e alle braccia che nascondevano -purtroppo- il seno coperto solo dal misero pezzo di sopra del bikini.
Deglutii a vuoto decisamente accaldato.
'Sti cazzi. Ma era possibile eccitarsi così tanto solo vedendo una foto? Per giunta nemmeno così porno.
E poi...merda, era quella nanerottola rompicazzo della Puccio, come cazzo faceva ad essere così arrapante?
-Minchia!- sbottò Andre sgranando gli occhi, -Questa è da sega davanti al pc!-
Sì beh, non l'avrei mai detto davanti a lui, ma era proprio quello che stavo pensando.
-Ma non dire stronzate va!- la mia voce uscì flebile, strozzata, incrinata. Non ero credibile per niente.
-Certo...- fece roteare gli occhi per la stanza, -Dillo magari quando non stai per venire solo a guardarla.-

 

Un bacione, alla prossima!

Bec

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Capitolo 3
*** Occhiali da sole e foto ***


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Capitolo 3: Occhiali da sole e foto

 

 

 

 

-Come non vieni da me?-

Alzai gli occhi al soffitto scocciato; -Bìa, te l’ho detto, non posso. Non incominciare con una sceneggiata da fidanzatina rompicazzo.-

Se c’era una cosa che proprio non sopportavo, era che una ragazza mi stesse addosso e mi tempestasse di domande. Se tolleravo Bìa e non l’avevo ancora –non ripetutamente almeno- mandata a cagare era perché a letto faceva delle performance impeccabili.

Diedi un’occhiata all’orologio, ticchettando nervosamente con le dita sul tavolo: le quattro. Ero già in ritardo per le ripetizioni a casa della Puccio. Non che mi importasse arrivare puntuale, anzi, meno stavo con quella pazza isterica meglio era, ma nemmeno la prospettiva di ascoltare le lagne eterne di Bìa mi entusiasmava.

-Stronzo. Potevi almeno avvisarmi prima, mi sono tenuta libera per te.-

Dovetti fare appello a tutta la mia poca pazienza per risponderle quasi gentilmente, -Lo so, scusa, è una cosa venuta fuori all’improvviso.-

Cazzata. Lo sapevo da due giorni che sarei dovuto andare dalla Puccio, semplicemente non avevo avuto né la voglia né il tempo di avvisarla di quel cambio di programma.

Certo che perdere un pomeriggio di sesso sfrenato con Bìa per dare ripetizioni a quell’acida della Puccio…

Sbuffai, inchinandomi per sistemarmi le scarpe dopo essermele infilate, -Senti ti chiamo più tardi se riesco, ok?- Magari potevamo vederci il giorno dopo, si sarebbe trattato di rimandare e basta.

-Non fare promesse che poi non mantieni.-

Schioccai la lingua divertito; mi conosceva fin troppo bene. -Ok, diciamo che c’è una remota possibilità che io ti faccia uno squillo più tardi. Con l’addebito. Se mi ricordo e se ne ho voglia.-

Che era come dirle di non aspettarsi niente, perché le possibilità che io me ne ricordassi e che ne avessi voglia erano nulle.

In risposta mi arrivò un sospiro rassegnato, -Ecco, questo è già più da te.-

Sorrisi, -Vado, non vorrei che quella stronza trovasse il modo di lamentarsi con la prof di matematica pure per questo.-

Un ritardo di dieci minuti per la Puccio molto probabilmente sarebbe stato come un ritardo di tre ore.

-D’accordo, buon divertimento allora.- Ridacchiò maliziosa. Decisamente troppo maliziosa.

Avrei potuto snocciolarle almeno dieci buoni motivi per cui passare un pomeriggio in casa della Puccio non sarebbe stato divertente, ma decisi semplicemente di chiudere la chiamata per evitare di incoraggiare la conversazione e di permettere alla sua parte più logorroica di manifestarsi nuovamente.

Meglio che credesse che andassi dalla Puccio per fare altro piuttosto che stare ad ascoltare ancora le sue inutili chiacchiere.

Quando suonai al campanello della casa di fronte, guardai nuovamente l’orologio affranto.

Almeno due ore di ripetizioni, due ore d’Inferno. Avrei contato i minuti.

Ad aprirmi fu lei, ovviamente, i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo, il naso arricciato in una smorfia quasi schifata e le braccia incrociate al petto.

-Entra.- Mi ordinò, facendosi da parte.

Simpatica come sempre.

Entrai controvoglia e l’occhio mi cadde distrattamente sul corridoio alle sue spalle, dove si affacciavano in tutto quattro stanze; mi chiesi involontariamente quale di quelle fosse la sua.

-In sala.-

La sua voce insopportabile mi riportò con lo sguardo alla mia sinistra.

Aveva intenzione di andare avanti a parlare come un cazzo di robottino?

-Qualcosa da bere?-

-No.-

Non sprecai nemmeno fiato per ringraziarla, era inutile assecondare quei finti convenevoli.

-Ok, bene, allora iniziamo.-

Si diresse a passo spedito verso il centro della sala, prima di bloccarsi e fare una smorfia.

-Se per te va bene.- Aggiunse, non particolarmente convinta.

Scrollai le spalle, -Certo.-

Ho alternative?

Prima iniziavamo e prima me ne sarei andato di lì.

Spostò la sedia per appoggiarci sopra un ginocchio ed osservò il tavolo con aria pensierosa: aveva già preparato una serie di libri, almeno una decina di penne, due delle quali erano appoggiate su un quaderno nuovo, una pila di fogli, due calcolatrici, due righelli, quattro matite e tre gomme.

La cosa che mi inquietava maggiormente era che le gomme erano disposte in ordine di grandezza, i righelli perfettamente allineati, così come le matite e le penne. Non mi sarei sorpreso di trovare i libri in ordine alfabetico.

Carino. Avrà anche le mutande disposte in ordine cromatico nel cassetto della biancheria?

Ero ufficialmente entrato nel piccolo e personale mondo di Alice La Psicopatica.

-Ok, uhm…- Afferrò un libro ed iniziò a sfogliarlo nervosamente, -Da cosa iniziamo?-

Aggrottai la fronte stranito, -Da quello che non hai capito…?- Proposi in tono ovvio.

Cioè, non solo dovevo spiegarle quello che il suo cervello bacato non aveva afferrato, dovevo pure indovinare quali argomenti per lei fossero poco chiari!

Rimise il libro sul tavolo e si morse il labbro, -Ehm…facciamo…- Indicò la copertina lucida e plastificata con l’indice, -Le disequazioni fratte?-

Ma perché caspita lo domandava a me?! Sembrava che non sapesse nemmeno di cosa stesse parlando.

-Basta che ti decidi Puccio, non ho tutto il pomeriggio.-

Mi riservò un’occhiata glaciale e omicida, prima di prendere una penna ed aprirla con rabbia. Per un attimo pensai quasi che volesse infilzarla nella mia mano…

-Vaffanculo.- Mi rispose semplicemente, passandomi –tirandomi addosso piuttosto – il libro che aveva in mano.

Lo aprii e le lanciai un’occhiata divertita, ghignando. Se non altro ci sarebbe stato da divertirsi.

 

********

 

Mai pensiero fu più sbagliato. Dare ripetizioni alla Puccio era esasperante e inutile, era come parlare ad un poppante dell’asilo – che probabilmente sarebbe stato persino più intelligente –, ad ogni cosa che dicevo mi guardava con un’aria a metà fra lo smarrito e l’irritato, come se la sua ignoranza fosse colpa mia!

-Tu lo spieghi male.- Mi aveva accusato un paio di volte, con un broncio infantile dipinto in volto.

-Te l’ho spiegato due volte e pure con parole semplici, sei tu che non ci capisci comunque un cazzo!-

Due ore dopo sembrava aver finalmente capito il procedimento delle equazioni, riusciva a risolverle lentamente e – mi passai disperato una mano fra i capelli – contando di nascosto con le dita come i bambini, ma ci riusciva ed era già un enorme passo in avanti.

Alle sei e mezza, mentre cercavo senza successo di fare entrare in quella testolina qualcos’altro, arrivò sua madre, che ci salutò gentile e sorridente prima di sparire lungo il corridoio.

-Sei una pessima allieva.- Tempo sprecato ad insegnarle cose che, ero quasi certo, avrebbe dimenticato il giorno dopo.

-E tu un pessimo insegnante.- Mi riprese lei, punta sul vivo.

-Non sono io l’ignorante fra i due.- Poteva stizzirsi quanto voleva, le cose stavano così.

-Io non sono ignorante! La matematica è l’unica materia in cui ho qualche lacuna.- Alzò il mento e si diede un’aria da grande intellettuale. Peccato che non le calzasse proprio…

-Qualche?! Ragazza mia, tu te la devi ristudiare tutta, partendo dalle tabelline.- Trattenni a stento una risata al pensiero di vederla contare ancora con le dita per studiarle.

–Ma come hai fatto ad essere promossa l’anno scorso?- Senza un minimo di nozioni di base, aggiunsi mentalmente.

Promuovevano alla cazzo nella sua scuola? Senza accertarsi delle capacità degli studenti? Aveva un prof rincoglionito? O pervertito e, quindi, particolarmente propenso a mandare avanti ragazze fra un’occhiata alla scollatura e l’altra?

-Di sicuro non bigiando e fumando in classe.- Fu la sua risposta acida.

Curioso. Per sapere delle bigiate e del fumo doveva avermi osservato o essersi informata su di me. A chi aveva chiesto, Mel? Ero stato argomento delle loro sciocche conversazioni?

Alzai un sopracciglio e mi sporsi leggermente verso di lei per replicare a tono, quando sua madre ci raggiunse nuovamente in sala per chiedermi se volessi restare per cena.

Vediamo…altre due ore con la Puccio? Anche no.

Non se ne parlava proprio. Quel pomeriggio con lei mi sarebbe bastato a vita, non ne potevo più della sua vocetta petulante e del suo modo di criticare qualsiasi cosa le dicessi.

-No, grazie, magari un’altra volta.- Quando sua figlia diventerà magicamente sopportabile.

Non persi ulteriore tempo in quella casa, approfittai di quel momento per andarmene senza pensarci due volte.

Fu difficile non mettersi a fare un ridicolo balletto esultante sul pianerottolo, uno di quelli che solitamente faceva Andrea quando –raramente – riusciva a segnare un goal alla Play.

Mi ero liberato di quella seccatura alle sei e mezza, ergo, la serata non era andata ancora a puttane.

Rientrai in casa mia e mi connessi su facebook per inviare un messaggio ai miei amici e metterci d’accordo sull’orario di uscita quella sera, poi corsi in bagno a farmi una doccia.

Al mio ritorno trovai la loro risposta: alle dieci alla fermata della metropolitana Loreto.

 

 

**********

 

Se c’era una cosa che credevo di aver imparato, era che bere troppo e rientrare tardi la sera se il giorno dopo c’era scuola era una pessima idea.

Me ne sarei dovuto ricordare quando, dando un’occhiata all’orologio che segnava le due e mezza, avevo alzato le spalle e pensato “fra poco vado”. Le ultime parole famose.

Il giorno seguente a scuola ero uno straccio, ringhiavo parole sconnesse a chiunque si avvicinasse e appoggiavo la fronte su qualsiasi superficie liscia capitasse a tiro.

Mi ero addormentato sul banco durante l’ora di Storia, di Diritto e di Geografia, che se non altro rispetto al solito erano servite a qualcosa.

La mia sceneggiata alla “sto malissimo, oggi non vado a scuola” aveva quasi convinto ed intenerito mia madre, non fosse stato per l’intervento di Rossella che, dopo avermi buttato lo zaino in faccia, mi aveva strillato contro: “La prossima volta impari a rientrare tardi! Vai a scuola o ti ci mando io a calci idiota! E non provare nemmeno a bigiare perché chiamo in segreteria per accertarmi della tua presenza, capito?! Ti faccio fare una figura di merda con tutti i tuoi compagni e ti mando il bidello in classe a controllarti per conto della mammina.”

Porca troia.

Con mia madre e con Glenda avrei potuto farla franca facilmente, ma Rossella conosceva troppo bene i miei punti deboli.

Che razza di mostro avevo per sorella?

Se non altro ne era valsa la pena, con la mia amica Karolina mi ero divertito la sera precedente, e anche parecchio. Certo non era come farsi Bìa, ma in sua assenza era una buona sostituta.

La settimana proseguì comunque abbastanza bene, Puccio e stanchezza dovuta alle uscite a parte.

Il lunedì pomeriggio lo passai a cazzeggiare a casa di Andre; schifezze da mangiare, Pc e Playstation.

-Noooo!- Andre si portò teatralmente una mano fra i capelli.

-Cosa?- Mi sporsi disinteressato a guardare lo schermo del computer oltre la sua spalla.

-Guarda chi cazzo mi ha aggiunto! Io la ignoro…-

Lolita Sanz.

Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere di gusto, -Ma dai, non fare lo stronzo, accettala!- A parte l’inconveniente da lui raccontato la volta scorsa, la ragazza meritava e tanto.

-Ma ‘sti cazzi, che vada ad imbrattare qualcun altro con il suo sangre de mierda!-

Mi sedetti sulla sedia accanto, scrollando le spalle, -Non avrà mica sempre le mestruazioni, le passeranno prima o poi.-

Inorridì, -‘Frega un cazzo. Ormai non riuscirei a vederla in altro modo, mi tornerebbe sempre in mente quell’episodio, come per Pannolino!- Schioccò le dita, contento di aver trovato un metodo di paragone.

Sgranai gli occhi e congiunsi le mani, -No, Pannolino, me n’ero dimenticato!-

Pannolino era un nostro compagno di classe in prima che si era, come dire, pisciato letteralmente addosso durante un’interrogazione. Aveva cambiato scuola qualche giorno dopo, dopo esser stato ribattezzato Pannolino.

Appoggiai le braccia sulle gambe e gli lanciai un’occhiata scettica dal basso, -Beh c’è comunque differenza fra Pannolino e una gnocca pronta a dartela.-

Andre scosse la testa irremovibile e cliccò sul tasto “Ignora”, -Se la può tenere.- Affermò, aggiungendo fra sé e sé, -Incrostata di sangue…-

Feci una smorfia a metà fra il divertito e il nauseato, -Che coglione.-

Lui scrollò le spalle e mosse la freccetta del mouse fino ad arrivare in alto, sulla classica barra bianca di Facebook.

Non riuscii a fermarlo in tempo semplicemente perché non avevo previsto quali fossero le sue intenzioni, lo intuii troppo tardi.

-Vediamo una cosa...-
In un battito di ciglia, batté sui tasti e scrisse un nome sul motore di ricerca; il risultato che venne fuori fu decisamente un bel colpo...fra le gambe.
Porca puttana...
Alice Puccio, 4 amici in comune.
Nell'immagine del profilo era sdraiata sulla spiaggia, gli occhiali da sole calati sul naso, appoggiata sui gomiti, le caviglie incrociate in aria e il mare alle sue spalle.
Seguii avidamente con lo sguardo la linea delle sue gambe, del suo culo e della sua schiena, fino ad arrivare alle spalle e alle braccia che nascondevano -purtroppo- il seno coperto solo dal misero pezzo di sopra del bikini.
Deglutii a vuoto, decisamente accaldato.
'Sti cazzi. Ma era possibile eccitarsi così tanto solo vedendo una foto? Per giunta nemmeno così porno.
E poi...merda, era quella nanerottola rompicazzo della Puccio, come cazzo faceva ad essere così arrapante?
-Minchia!- sbottò Andre sgranando gli occhi, -Questa è da sega davanti al pc!-
Sì, beh, non l'avrei mai detto davanti a lui, ma era proprio quello che stavo pensando.
-Ma non dire stronzate va!- la mia voce uscì flebile, strozzata, incrinata. Non ero credibile per niente.
-Certo...- fece roteare gli occhi per la stanza, -Dillo magari quando non stai per venire solo a guardarla.-
Non potei dargli completamente torto. Forse facevo più bella figura a stare zitto, visto che parlando mi sarei nuovamente tradito.

-Esci e piantala di fare il coglione.- Mi sforzai di assumere un tono serio, calmo, lucido e di non sembrare minimamente infastidito.

-Aspetta, aspetta…guarda questa!- Rise, scorrendo le altre sue foto, -Qui sembra che stia facendo un…-

Mi schiaffai una mano in fronte, rassegnato, dando comunque un’occhiata alla foto in questione di sfuggita; stava semplicemente ridendo –come non aveva mai riso a scuola-…e aveva la bocca aperta. Un brivido mi attraversò la schiena violentemente al pensiero della Puccio che…

Che…cosa? Che cazzo vado a pensare?

-“Sono Alice Puccio e me lo prendo tutto in bocca.”- La scimmiottò quella testa di cazzo del mio amico, ridendo soddisfatto.

Mi sfregai le mani sulla stoffa dei jeans nervoso; non era normale che il mio respiro ed il mio battito fossero così irregolari, non era normale che sentissi affluire il sangue così pericolosamente verso il basso.

Cioè, sarebbe stato normale alla vista di qualsiasi altra ragazza, ma la Puccio…! Quell’acida di merda dalla voce irritante e stridula…

E sentire i commenti di Andre non mi aiutava di certo a non pensare a cosa effettivamente avrebbe potuto fare la Puccio con quella bocca…

-Finiscila Andre.- Ci stupimmo entrambi della nota stonante e quasi cattiva presente nella mia voce. Se lui stava ridendo, io ero livido in volto.

-Oh, tutto bene?- Mi domandò perplesso e un po’ intimorito, prima di fare come gli avevo caldamente consigliato di fare.

-Benissimo.- Mi alzai di colpo, innervosito. Non capivo nemmeno io perché mi fossi incazzato così tanto per così poco. Non aveva avuto senso reagire così, sia per le frasi di Andre che per la normale reazione del mio corpo alla vista di una ragazza mezza nuda.

Andrea mi stava ancora guardando, così, scrollai le spalle ed indicai l’unica cosa che avrebbe avuto il potere di distrarlo, più di un paio di tette, -Partita alla Play?-

Sbatté il pugno sul tavolo e si mise in piedi esaltato, -Fanculo, sì! Ti spacco il culo stavolta, l’altra volta hai avuto solo fortuna!-

Certo. Che lo credesse pure, bastava solo che non ritornasse sull’argomento “Puccio”.

Inutile dire che lo stracciai come sempre e quell’ennesima vittoria scacciò via facilmente l’irritazione dovuta ad una sciocchezza del genere.

A far tornare il mio malumore il giorno dopo, però, si mise la Puccio in carne e ossa con il suo starnazzare per tutto.

Se solo fosse stata zitta e sorridente come nelle sue foto del profilo avrei quasi potuto trovarla gradevole. Peccato – o per fortuna?- che non fosse così, che straparlasse e rompesse continuamente le scatole.

Bastava un niente per farla scattare, si agitava anche per le cose più stupide e insignificanti. Ma non c’era da sorprendersi, era in linea con il suo carattere da psicopatica.

Mi ritrovai ad avere a che fare con lei, purtroppo, anche durante la verifica di Fisica.

Risolvevo abbastanza velocemente e in piccolo i problemi sui margini di un foglio di brutta, ricopiavo sul foglio di bella e li strappavo e accartocciavo per lanciarli a Lele, che a sua volta, dopo aver copiato, li rimandava a me perché potessi passarli ad Andrea.

Era quello il nostro tacito accordo; io lo aiutavo con le materie scientifiche, lui mi mandava le risposte durante le verifiche di storia e inglese.

Peccato che fra il banco mio e di Andre ci fosse quello della Puccio e che la soluzione al terzo problema finì proprio ai suoi piedi.

Sbuffai e mi sporsi esitante verso di lei, adocchiando velocemente la prof di matematica seduta alla cattedra e china sul registro, -Puccio?-

Non riuscivo a scorgerla bene in viso, i capelli lunghi mi coprivano la visuale, ma fui abbastanza certo di vedere i suoi lineamenti tendersi in una smorfia.

Feci un respiro profondo per cercare di calmarmi; stava volutamente facendo finta di non sentirmi, era evidente, ma sbraitarle contro ed insultarla non sarebbe stata una buona idea.

-Puccio?- Ritentai, a fatica, con un tono di voce un filo più gentile.

-Non ti passerò quell’inutile e sudicio pezzo di carta Latini.- Strinse con forza la mano sulla biro e si chinò ancora di più sul suo foglio, nel chiaro intento di farmi capire che non fosse minimamente disposta a collaborare.

Qualcuno doveva spiegarmi come cazzo si faceva poi a non odiare un’acida del genere. Anche mettendoci la buona volontà non si poteva proprio.

Diedi dei colpi sul banco con la penna innervosito, prima di ritentare in un altro modo, -Se me lo passi, ti lascio copiare.- Cercai di trattare, per quanto mi seccasse l’idea che lei prendesse un bel voto grazie a me.

Visto quanto era scarsa in matematica, dubitavo che in fisica riuscisse a risolvere qualcosa, quindi sarebbe stato sicuramente vantaggioso per lei accettare.

Rise malignamente, voltandosi verso di me solo per ringhiare fra i denti, -Non mi interessa copiare, non sono come voi.-

Non…? Non era come noi? Ma chi cazzo si credeva di essere?! Con quell’aria da maestrina superiore...

Non sono come voi.

No che non lo era, non scopava abbastanza e si vedeva.

-Dio Puccio, quanto sei stronza!- Era inutile cercare di comportarsi bene, li tirava fuori lei gli insulti.

La vidi sorridere compiaciuta per la mia risposta irritata, il fatto che l’avessi appena offesa non sembrava toccarla minimamente.

Sospirai, indeciso sul da farsi; alzarsi a prenderlo era fuori discussione, la prof mi avrebbe sicuramente visto sgattaiolare verso la mia odiosa vicina di banco e, se anche non mi avesse notato, la Puccio avrebbe sicuramente fatto la spia, come per la storia della risposta scritta a matita sul banco.

Dovevo giocare d’anticipo. E fargliela pagare magari.

-Mi scusi prof, ma la Puccio continua a stressarmi per copiare.-

Mi sentivo tanto un bambino delle elementari, il cocco della maestra che viene sfottuto da tutti, e mi stetti non poco sul cazzo per quell’uscita.

Porca troia, sono sceso allo stesso livello della Puccio.

Se non altro la stronzetta si sarebbe presa un bel due, niente poteva darmi più soddisfazione di quello, potevo passare pure sul mio irritante comportamento.

-Non è assolutamente vero!- Si difese lei, improvvisamente rossa in viso e agitata.

Non sorridi più, eh Puccio?

-Ah no? E quello cos’è?- Mi passai la lingua sul labbro divertito ed indicai il foglietto ai suoi piedi con il mento.

La prof lo prese in fretta, prima ancora che la Puccio potesse realizzare che quel pezzo di carta l’aveva appena incastrata.

-Puccio!- Fece lei con voce stridula, quasi non riuscisse a credere che la cocchina sempre attenta, presente e puntuale potesse fare una cosa del genere.

-Non è mio!-

Non fosse stato fuori luogo sarei scoppiato a ridere nel vedere le diverse tonalità di rosso che aveva assunto la sua pelle, era a chiazze.

A dir la verità, dopo essermi portato con nonchalance una mano al viso, risi comunque, anche se per poco.

-No, infatti.-

Riportai perplesso lo sguardo sulla prof, tutta intenta ad analizzare il foglietto che aveva in mano, -Questa è la scrittura di Latini.-

Merda.

Quello non era decisamente previsto.

Come diavolo aveva fatto a riconoscerla? Ma non erano le prof quelle che dicevano sempre che avevano decine di classi e facevano fatica a ricordarsi persino i cognomi degli studenti?! Come aveva fatto a capire che quella fosse la mia grafia? Erano solo dei cazzo di numeri poi!

-Latini, Puccio, vi ritiro il compito e vi beccate entrambi un due sul registro.-

Vidi la disperazione prendere possesso dei volti di Lele e Andre, a cui ancora mancavano due problemi da ricopiare.

Io, dal canto mio, mi limitai a consegnarle il foglio indifferente, poco mi importava di un due sul registro, l’avrei recuperato in fretta.

Nel vedere l’espressione sconvolta della Puccio, un involontario sorriso spuntò sulle mie labbra, -Ben ti sta, Puccio.- Così imparava a non fare quello che le chiedevo. Se avesse collaborato subito avrebbe potuto copiare o avere comunque il suo sudato tre – dubitavo che la sua verifica contenesse chissà quale dimostrazione di intelligenza, doveva aver al massimo scritto nome, cognome e data in cima.

L’occhiataccia che mi restituì in risposta non avrebbe fatto paura nemmeno ad un bambino, che sarebbe di sicuro rimasto più turbato dalla vista di Topo Gigio.

-Anche tu hai preso un due.-

Le frasi così ovvie di quella ragazza mi strappavano sempre qualche smorfia, c’era da dire che a volte riusciva ad essere comica se non altro.

-Sì, ma io un due in fisica lo recupero come niente, per te, invece, che fai fatica a prendere il sei nelle materie scientifiche, sarà una vera e propria impresa.- Spiegai tranquillo.

Potrei quasi dire che mi dispiace Puccio, non mi stessi pesantemente sulle palle.

Mi sembrò di scorgere una lieve patina lucida sui suoi occhi, ma non ne fui certo. Ad ogni modo non potevo di certo sorprendermi, era una ragazza. Quale altro modo aveva di reagire alle provocazioni?

Storsi la bocca in un ghigno compiaciuto e decisi di darle la stoccata finale, -Alla fine vinco sempre io Puccio, te lo dicevo che non ti conveniva metterti contro di me.- Feci spallucce.

Strinse le mani a pugno con rabbia, per poi voltarsi dall’altra parte e spostarsi una ciocca di capelli offesa. Era a dir poco ridicola.

-Puccio quanto fa 6x4?- Soffocai a stento una risata.

Sia che rispondesse o che si rifiutasse di farlo avrebbe fatto la figura della stupida.

Optò saggiamente per la seconda opzione, peccato che non fossi intenzionato a lasciar correre così la cosa, proprio ora che avevo iniziato a divertirmi.

-Puccio? Puccio, Puccio, Puccio, Puccio…-

-Ho sentito!- Sbraitò, riservandomi l’ennesimo sguardo di fuoco che avrebbe voluto mi incenerisse. O perlomeno intimorisse. Illusa.

-Allora? Quanto fa?-

Conta con le dita Puccio, forse puoi farcela.

-Fa vaffanquattro.- Fu la sua acida risposta. Si alzò bruscamente, senza darmi altro tempo per continuare a sfotterla, e camminò fino alla cattedra per poter chiedere di andare in bagno.

Ecco fatto, si era arresa in fretta. E con quella risposta da bambina dell’asilo cosa aveva voluto dimostrare? Sorrisi e scossi la testa; ne avevo avuto abbastanza, era una perdita di tempo dialogare con lei.

 

 

***********

 

Come sempre, nell’intervallo, scendevo giù in cortile a fumare insieme ad Andrea e Giulio. Non tanto perché mi andasse di sfilare sigarette al mio amico, quanto per le ragazze che, dalle finestre del Natta - il liceo linguistico lì accanto al nostro -, si affacciavano a parlarci.

Io e Andre ci stavamo lavorando da giorni una mora niente male, ad occhio e croce una quarta di seno, o almeno da quello che avevamo potuto constatare quando si era alzata ingenuamente sulle punte dei piedi sotto nostra richiesta. Quando si parlava con una ragazza poggiata con le braccia al davanzale c’era sempre questo inconveniente, si vedevano solo il viso e il collo.

-E dai.- Andre si portò solennemente una mano al petto. –Sono reduce da una tremenda verifica di fisica, me lo merito, no?-

Era da giorni che cercavamo di convincerla a darci il suo numero -o in alternativa a darci qualcos’altro – ma era decisamente un osso duro, più di molte altre sue compagne di classe.

Mi voltai verso Giulio e lui mormorò sarcastico, stando ben attento a non farsi sentire, -Com’era? “E non fare la preziosa, puttana”.-

L’avevo detta una volta quella frase, scherzando su una ragazza più ubriaca di me in discoteca e da allora Giù non faceva che citarla, neanche avessi detto chissà quale perla.

Mi lasciai sfuggire una risatina, giusto per assecondarlo, mentre Andre e la tizia ci guardavano perplessi.

-Siete degli adorabili rompipalle, lo sapete?- Valentina –così ci aveva detto di chiamarsi - alzò gli occhi al cielo e sorrise.

Storsi il naso per quel “adorabili”, ma non dissi nulla; ormai era fatta. Ancora qualche sciocca moina e poi avrebbe ceduto.

Quando rientrai in classe, ero pienamente soddisfatto del nostro risultato; avevamo avuto il numero di Valentina e adocchiato altre due tipe di una terza, affacciate alla finestra del loro bagno delle ragazze.

Quando rientrai in classe, però, ebbi anche un’altra spiacevole sorpresa.

Attorno al mio banco c’era troppa gente per i miei gusti e quando ne compresi il motivo, tutti fecero un rassicurante –per loro di sicuro - passo indietro.

-Porca troia, che cazzo…?!- I miei occhiali da sole di Gucci, pagati un occhio della testa l’estate scorsa, erano a terra letteralmente distrutti.

Non erano semplicemente caduti, erano…a pezzi!

Sentii l’ilarità dovuta alle tizie di prima svanire di secondo in secondo, sostituita da una rabbia sempre più cieca.

-Chi cazzo è stato?!- Alzai lo sguardo sui miei compagni di classe, tutti improvvisamente impauriti ed intenti a guardarsi l’un l’altro, come a dire “Chi è stato abbia le palle di farsi avanti, io non voglio finirci in mezzo”.

-Giuro che lo ammazzo…- Mi rimisi in piedi e sondai i loro volti, uno ad uno, stringendo le mani a pugno con così tanta forza da bloccare la circolazione e far sbiancare le nocche.

Andrea e Giulio non potevano essere stati, erano con me. Di Lele mi fidavo ciecamente, di Ste e Antonio pure. Che fosse stato…?

Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il nome di Valenti che il mio sguardo incrociò quello divertito e appagato della Puccio.

Ma certo, che coglione, avrei dovuto pensarci subito, chi altri?

-Tu!- Spalancai la bocca incredulo; quella brutta stronza!

-Chi…io?- Si indicò e alzò le spalle, usando un tono di voce così infantile che per poco non mi avventai su di lei dalla collera. In quel momento era solo il pensiero che fosse una ragazza a trattenermi.

-Fai poco la spiritosa.- Mi avvicinai a lei con l’intento di intimorirla, ma lei, sorprendendomi, non indietreggiò di un passo, anzi, mi venne in contro spavalda.

-Sei stata tu! Hai anche solo lontanamente idea di quanto siano costati questi occhiali?!- Indicai ciò che ne restava furioso.

Fece roteare gli occhi annoiata, -No. Quanto?- Ma mi stava veramente sfidando? Non aveva capito quanto ero incazzato?

-300 euro carina, che ora tu, prontamente, provvederai a risarcirmi.-

Nei suoi occhi passò un lampo di sfida, -Stai scherzando spero!- Incrociò le braccia al petto scandalizzata, -Non ci sono prove che sia stata io, potrebbe benissimo essere stato qualcun altro, di sicuro ci sarà un sacco di gente in questa scuola che ti odia.- Affermò sprezzante, lo sguardo assottigliato.

Ce n’erano di patetici sfigati che mi odiavano, sì. Ma non pensai nemmeno per un attimo che potesse essere stato qualcun altro, aveva scritto “colpevole” sulla fronte quella psicopatica.

-L’unica stronza che avrebbe potuto fare una cosa del genere indisturbata nella nostra classe sei tu.-

Nessuno delle altre classi sapeva dove ero seduto, nessuno sapeva che per quell’anno quello sarebbe stato il mio banco.

-Beh io non sono stata.- Alzò le spalle indifferente, come per tirarsene fuori.

Feci un passo in avanti, fino a trovarmi ad un palmo dal suo viso; quella vicinanza non fece che ricordarmi le reazioni del mio corpo alla vista di quella sua maledettissima foto in spiaggia. Mandai giù a vuoto e mi sforzai di rimanere concentrato sul suo viso e di non far scorrere il mio sguardo sul suo corpo come il giorno prima, -La cosa non finisce qui Puccio, pagherai anche questo.- Soffiai minaccioso sulla sua pelle. La vidi socchiudere appena gli occhi e schiudere la bocca per boccheggiare –e sillabare-, -Non.Sono.Stata.Io.- Fece un mezzo sorrisetto sicuro di sé, -E comunque non mi fai paura Latini.-

Non ti conviene provocarmi Puccio, non sai quanto non ti conviene.

Buono a sapersi. Perché non aveva ancora visto nulla di quello che avrebbe potuto davvero farle paura.

-Meglio così.- Ricambiai il sorriso, improvvisamente eccitato per via di quella sfida nascosta nelle nostre parole. Le avevo già detto che non le conveniva mettersi contro di me e ne aveva avuto prova durante l’ora di fisica…evidentemente non era stato abbastanza, dovevo essere più convincente. E lo sarei stato.

 

 

*Note dell’autrice*

 

Comincio con il dire che mi vergogno da morire per le frasi dette o pensate da Lore&Co, sono di un maschilismo e di una volgarità tremenda, scusatemi davvero. Se vi hanno infastidito in qualche modo, non esitate a farmelo notare.

Ho cercato di mettercela tutta per entrare nella testa di un ragazzo di diciassette anni, decisamente stupido e immaturo per via dell’età.

Non è stato facile, se ci sono più o meno riuscita (questo dovrete dirmelo voi XD) è merito dei due “adorabili” fratelli (uno più piccolo e uno più grande, si compensano insomma) con cui sono cresciuta; quando non sono sicura di una cosa mi rivolgo a loro senza problemi, infatti molte delle frasi di Andrea sono alcune delle loro risposte! :D

Avrete notato poi che ho censurato anche una parola mentre parlava Vergata, davanti al pc, immaginerete da sole che cosa sembra che stia facendo Alice nella foto.

Ripeto che non è mia intenzione offendere nessuno, solo cercare di essere il più verosimile possibile.

Poi, una cosa che volevo rettificare; non scriverò TUTTI i capitolo di TLOLA (scusate abbrevio XD) dalla parte di Lore, alcuni irrilevanti li salterò, scriverò solo i più importanti o quelli richiesti, per non togliere tempo agli extra futuri che ho iniziato a postare l’altro giorno.

Che altro dire? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sapete cosa succede dal prossimo, no? Vi dice qualcosa il taglio di capelli, l’ascensore…? :D

Per quanto riguarda le risposte alle recensioni…non mi stancherò mai di dirlo, piano piano (moolto piano purtroppo) rispondo. Per mancanza di tempo non posso fare altrimenti, mi spiace, l’attesa sarebbe ancora più lunga :(

Alla prossima, un bacione!

Bec

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