Non sapevo se avessi fatto bene a dirglielo. Ma sapevo che non era stata solo la mia immaginazione.
Grey poggiò la mano sul muro, voltandosi. Solo ora che mi dava le spalle mi accorsi che lei era scalza. Avevo notato il suo ginocchio, che nudo e bianco, si intravedeva da sotto i suoi collant neri smagliati sulla gamba sinistra. Indossava solo dei pantaloncini di jeans strappati e una maglia a righe bianche e blu rimboccata fino ai gomiti.
Un abbigliamento leggero per un clima così rigido. Fuori, nel corridoio, sentivo che la neve stava ancora cadendo.
Vidi la sua mano minuta e chiara, poggiata al muro, tradire un piccolissimo neo stretto tra il medio e l’anulare.
Un sottile anellino d’argento le cingeva il mignolo. Aveva nocche screpolate dal freddo e un polso sottilissimo e bianco. Cingerlo avrebbe potuto forse spezzarlo, e il rumore sarebbe stato come quello di una corda d’arpa che salta improvvisamente.
Rimasi un po’ sorpreso nel vedere come i lunghi capelli mossi castani le fossero ormai arrivati all’altezza del gancio del reggiseno, che si intravedeva leggermente da sotto la maglia.
Era decisamente un abbigliamento leggero, pensai.
Un piccolo fremito scosse quel corpo fragile, come se avvertisse il mio sguardo scrutarle la persona, rendendola trasparente. D’un tratto si sentì così vulnerabile, che si allontanò di scatto dal muro, andò verso il comodino e afferrò il pacchetto di Laramie tirandone fuori una lunga sigaretta che si ficcò in bocca senza una parola, cercando con veemenza l’accendino tra le coperte del letto in disordine.
Ma io fui più veloce: capii quello che stava cercando, e glielo stava offrendo ammiccante una statuetta di Betty Boop, una piccola pistola poggiata sul suo palmo di plastica.
Presi l’arma dalla mano di Betty e gliela porsi. Grey puntò la pistola alla bocca, la sigaretta stretta tra le labbra, premette il grilletto e una piccola fiamma spuntò dalla canna.
L’odore agre del fumo spirò vischioso dalle sue labbra, danzando sinuoso verso il soffitto decrepito. Ad ogni boccata sembrava sentirsi meglio e sentii crescere in lei la fermezza di qualcosa che doveva fare.
- Vedo che compri ancora quegli assurdi accendini da due soldi a forma di pistola… Questa stanza è un casino, tu sei un casino. Come fai a trovare ancora il letto? Se entrasse tua madre qui dentro ci rimarrebbe secca. E’ lecito chiedere se quel liquido in quella tazza sul tavolo è caffè?
Effettivamente tra i vari libri sparsi sul tavolo, tra il carteggio di Anna Achmatova e Il giovane Holden, c’era una tazza dal liquido nero pece che emanava un tenue bagliore biancastro. La tazza blu scuro faceva da segnalibro tra le pagine inchiostrate di un manga.
- Sì Ben, è caffè. E sì, sono un casino. Sapevo che l’avresti detto di nuovo. E anch’io vedo che porti ancora quell’orrendo maglione rosso che ti ha comprato tua madre. Siediti, ti porto dell’altro caffè.
E con un leggero sorriso, andò a prendere il termos del caffè e una tazza sopra il comò, e schivando abilmente con il piede scalzo il telefono sul pavimento, si sedette di fronte a me, versandomi il liquido nero e denso come la notte.
Accese la lampada sul tavolo. Le ombre vermiglie della sera erano svanite sfumando inevitabilmente nel nero dell’orizzonte. Ora la luce a neon dell’insegna si era fatta meno tagliente sul muro.
Chissà che ora era. Non aveva mai avuto con sé un orologio. In quella stanza non ce n’erano. A scandire il tempo c’erano solo la neve e il battito cardiaco della cornetta.
La osservai portarsi la tazza alle labbra e fu allora che scrutò con attenzione per la prima volta il mio viso.
Notò un po’ divertita che qualche fiocco di ghiaccio era rimasto intrappolato tra i miei capelli spettinati e un po’ lunghi. Non dimostravo per lei più di ventisette anni. Esattamente come lei.
- Sono passati sette anni e ancora non hai imparato a fare un caffè come si deve… Con questo a mala pena ci annaffi le piante.
Grey non fece caso all’apprezzamento e continuò a fumare impassibile, la Laramie stretta tra l’indice e il medio, osservando ogni mia mossa dall’altra parte del tavolo. Ogni tanto scrollava un po’ di cenere nella lattina vuota di Pepsi accanto alla sua tazza, ma non si perdeva un solo movimento. Era curiosa di capire come ero riuscito ad arrivare fino a lei.
Come diavolo avevo fatto a trovarla?
Gettò la cicca nella lattina, che a contatto con il liquido sul fondo sfrigolò dolcemente.
- Raccontami ancora di te, di quella notte fuori dal Jackson’s, quando sentisti Wednesday Morning a Bleeding Street. Cosa ti ha dato l’impressione che fosse diretta a te? Magari la trasmettevano da qualche autoradio in una macchina in sosta. O forse proveniva da qualche locale nelle vicinanze…
Lo specchio incrinato restituiva dall’alto l’immagine impolverata dei due ragazzi seduti l’uno di fronte all’altro.
La lampada accesa creava per metà ombre calde e morbide sui loro volti, cedendo il resto all’oscurità.
La fissai. Quella luce elettrica dava uno strano scintillio ai suoi grandi occhi castano chiaro, scivolando lungo il naso piccolo e regolare e insinuandosi tra le sue labbra fin sotto il mento minuto. Alcune ciocche dei capelli mossi e disordinati che le ricadevano davanti agli occhi venivano allontanati bruscamente, riportandoseli dietro all’orecchio, o soffiandoli indietro. Era un po’ nervosa.
Rumore di passi dal soffitto.
- Grey, erano le tre di notte e ti assicuro che non c’erano né macchine in sosta, né locali nelle vicinanze che a quell’ora mandassero quella musica. A nessuno viene in mente di mandare Simon & Garfunkel nei pub di Brooklyn nel cuore della notte. La gente ancora sveglia a quell’ora non ha voglia di andare a dormire, vuole solo qualcuno con cui passare la notte, e in genere i locali mandano solo Fleetwood Mac e Elvis Presley. Roba che ci puoi andare avanti così per ore.
- Invece io ho avuto un impressione ben precisa, quella musica era diretta solo a me, e sono sicuro che solo io riuscivo a sentirla. E soprattutto, sono sicuro che sei stata tu a mandarla.
Qualcuno di sopra aveva acceso la tv. Stralci di battute di un talk show e risate registrate giungevano attraverso il soffitto ed echeggiarono nella stanza. Sembrava provenissero da un altro pianeta, e la stanza numero 24 ne era un altro. Ma alla fine erano tutti pianeti appartenenti allo stesso sistema solare.
Grey continuava a fissarmi incredula senza staccarmi gli occhi di dosso. Di nuovo si accese un’altra Laramie con la sua “arma da fuoco”. Era chiaro che ancora non riuscisse a credermi.
- Non essere così stupita. Quella non è stata l’unica volta. Quasi ogni notte, appena uscito da quella caffetteria, sentivo una musica sempre diversa che sembrava provenisse dal cielo per amplificarsi nelle mie orecchie. Prima erano solo Simon & Garfunkel, poi divennero John Martyn, Nick Drake e Nina Simone. Un giorno era Chet Baker, un altro era Leonard Cohen.
- Poi cominciò a capitarmi anche di giorno. Una mattina stavo andando da Jackson’s come al solito per pranzo, quando, poco prima di entrare, potevo scommetterci di aver sentito un inconfondibile giro di basso di Sterling Morrison.
- Provai ad entrare per vedere se non fosse della musica proveniente dalla caffetteria, ma appena mi sporsi vidi che era in corso una rapina a mano armata con tre tizi con delle maschere di plastica di Micheal Moore, George Bush e Bill Crosby. Fortuna che George Bush non si accorse che avevo visto tutto, era troppo impegnato a controllare che Walt Disney avesse preso tutto dal registro di cassa.
Grey emise una risatina roca, tra il divertito e l’ironico, la cenere della sigaretta pericolosamente in bilico sulla tazza.
- E comunque era impossibile che provenisse da quel locale, Jackson’s ha sempre mandato solo robaccia da quattro soldi e musica pop demenziale e logorante. Immagina che al momento della rapina alla radio stava passando Why Can’t We Be Friends. Cristo, roba da restarci secchi.
Grey stavolta scoppiò in una risata strozzata, il fumo le uscì di getto dalla bocca e si dissolse. Aveva rovesciato un po’ del suo “caffè”. Ma io continuai, imperterrito, ormai semiserio.
- Penso che Micheal, George, Bill e Walt un giorno dovrebbero andare tutti insieme un po’ più avanti e provare a rapinare il negozio di dischi jazz, almeno ascolterebbero musica decente. Anche se credo che troverebbero sicuramente meno grana alla cassa rispetto a quella del Jackson’s. Sempre meno gente compra dischi jazz, ma tutti sentiranno sempre la necessità di prendere un caffè e una fetta di cheesecake.
Scostò la tazza del suo “caffè”. Il pensiero mi era andato a quel negozio disastrato, posandosi su un certo vinile impolverato di Porgy and Bess.
- Frank ha sempre venduto solo musica jazz eccellente. Ricordo che quando ci lavoravo mezzo negozio era pieno dei più bei vinili della Atlantic, ci trovavi dischi d’annata di chiunque dei più grandi, da Ray Charles a John Coltrane. Lavorare in quel posto fu forse uno dei più bei periodi della mia vita.
Ci guardammo per un attimo leggermente sorridenti, poi Grey domandò:
- Era davvero dal cielo che sentivi provenire quella musica?
- Sì. Prima non mi era chiaro come potesse accadere, poi col tempo ho capito che veniva direttamente dal dodicesimo piano di questo motel. Eri tu Grey, che la stavi ascoltando, perché non poteva essere solo una coincidenza che percepissi solo la tua musica preferita. La nostra musica preferita.
David Letterman fece una domanda irriverente dal piano di sopra. Ancora risate registrate.
|