No. Si. No. No. No.

di sil83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. Mi vogliono. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. Non la voglio. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. La notte. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. Ricordi. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. Mi vede. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. Insonni. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. Noi ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. Fratelli. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. Cena per due. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. Fianco a fianco. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. Il mio posto. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. Tempo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. Inizi. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. Mi vogliono. ***


Cammino per il corridoio dell’ospedale. Niente mi sembra più bello. Mi vogliono. Quelli della Hopkins vogliono me. Mi hanno conosciuto, hanno visto quanto posso essere coglione, ma… mi vogliono lo stesso. Nessuno mi ha mai voluto così. E’ in giorni come questi che vorrei avere ancora una moglie, mi fa schifo che mi manchi ancora. Ma è in giorni come questi che vorrei avere ancora Izzie. Vorrei fosse orgogliosa di me. Meredith è felice per me. Cristina mi ha abbracciato ed è stupita quasi quanto me. Izzie sarebbe stata orgogliosa. Izzie mi avrebbe detto che lo sapeva da sempre quanto valevo. Dio quanto mi piacerebbe perdermi nei suoi occhi neri e sentirmi finalmente orgoglioso di me. Stronza. Stronza. Stronza. Quanto vorrei tornare a casa abbracciarla e dirle che finalmente sto diventando un bravo medico. E poi mangiare una dozzina dei suoi maledettissimi muffin, non ho mai avuto il coraggio di dirle quanto mi facciano cagare i muffin. E poi fare l’amore. Sogno ancora di fare l’amore con Izzie. Non importa quante donne ho avuto. Sogno ancora l’odore di Izzie. La voce di Izzie. La pelle di Izzie.
Sono solo nella roulotte di Derek. Oggi è stato un gran giorno. Mi vogliono. Quelli della Hopkins vogliono me. Sono solo nella roulotte di Derek. Bussano alla porta. “Ma chi cazzo…”. Izzie.

 
Angolo mio:
primo capitolo della mia prima fan fiction. E’ corto, conciso. E se non lo si avesse capito… io amo Alex Karev.
Ci sono un po’ di parolacce… chiaro, non sono mie… sono di Alex!

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Capitolo 2
*** Capitolo due. Non la voglio. ***


Capitolo due. Non la voglio.
 
Izzie. Le richiudo la porta in faccia. Non sono pronto, non sono preparato. Quanto la voglio.
Non so quanto tempo passa, non so quanto resto fermo con la mano sulla maniglia ad annaspare l’aria.
È ancora più bella di come la ricordavo.
Non mi sposto dalla porta. Ho paura che lei entri. Ho paura di allontanarmi. Ho paura che aprendo la porta lei se ne sia andata. Ho paura che sia ancora qui.
Oggi era un gran giorno. Che cazzo vuole? Stronza. Stronza. Stronza.

All’improvviso lo vedo. Un biglietto bianco infilato sotto la porta. È stato strappato da un’agenda. 22 giugno. Domani.
Mentre mi abbasso a raccoglierlo riesco solo a pensare che quella stronza ha trovato ancora il modo di rientrare nella mia vita. E che io non la voglio. Non la voglio. Perché se mi lascia solo ancora una volta, non posso garantire che sopravvivrò.

E allora apro la porta. Perché voglio urlarglielo in faccia. Voglio dirle di andare a farsi fottere. Che il suo biglietto non lo leggerò. Che il nostro domani non ci sarà, perché in fondo quasi non c’è stato nemmeno il nostro ieri. Apro la porta e lei sta salendo in macchina.

E allora non urlo. In silenzio le dico che l’amo. E la prego di tornare, perché così possa essere io a cacciarla via. Perché è l’unico modo che conosco per prendere l’aereo domattina e andare a firmare quel contratto. Perché quel contratto è la mia vita. Perché quel contratto me lo sono meritato. Perché la Hopkins vuole me.

Lei mi conosce. Mi guarda negli occhi da lontano e mi sente che le dico che l’amo e che la prego di tornare. Sale in macchina e se ne va. Sento i suoi occhi su di me fino a quando la macchina non sparisce dietro la curva. Mi siedo sui tre gradini appena fuori la roulotte. Prendo il biglietto fra le mani e non so se leggerlo. 22 giugno. Mi aspettano alla Hopkins. Forse mi aspetta ancora Izzie. 22 giugno. Domani.





 
Angolo mio
Grazie a tutte le persone che mi hanno letto. Grazie a Lucia che mi ha commentato. Grazie a Castiel e Kamura86 che mettendomi tra le seguite dimostrano di avere molta fiducia in me!
Anche il secondo capitolo è breve. Izzie è tornata… Alex non l’ha presa benissimo… vediamo cosa farà… alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. La notte. ***


Capitolo tre. La notte.

Quando la notte arriva io sono ancora seduto fuori dalla roulotte. Non mi sono più alzato. Tra le dita stringo ancora quel biglietto con la data di domani. Beh, di oggi. Lo apro e leggo quelle tre parole scritte in fretta con una matita.

Possiamo non odiarci?

Abbozzo un sorriso. In perfetto stile Izzie. Stronza. No. No che non possiamo. Se riuscissi a non odiarti vorrebbe dire che ho finalmente smesso di amarti. E cazzo, è la cosa più difficile che mi sia mai capitato di fare.

Resto seduto su quel gradino ancora per qualche minuto. Devo decidere in fretta. Mi sforzo di pensare alla Hopkins e alle possibilità che la vita mi sta offrendo. Se chiudo gli occhi però vedo solo lei.
Voglio una birra. O due.
Mi strofino il viso con le mani e finalmente mi alzo. Prendo quel cazzo di foglio e me lo infilo in tasca. Ho bisogno di bere, e c’è solo un posto dove voglio andare.

Da Joe.
Apro la porta e la vedo. Seduta al bancone con Meredith e Cristina. Sto per girarmi e andarmene, ma non riesco a non guardarla. E lei lo sente. Sente il mio sguardo. Si volta e mi vede. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Sono un coglione. Era ovvio che lei sarebbe stata qui.

Ormai non posso più scappare. Muovo qualche passo verso di lei. Noto qualcosa che non avevo visto prima. Ha delle cartelle cliniche nella borsa. E allora tutto passa in secondo piano. L’odio. L’amore. La Hopkins. La paura invece si fa largo. La rivedo calva. Con gli occhi spenti. Morta. E allora prego Dio. Prego come non mi è mai capitato di fare. Prego Dio che stia bene. Prego, anche se non ho mai creduto. E mentre prego, lei mi sorride. Non so se le sorrido anch’io. Forse si. Non sono mai riuscito a restare indifferente al suo sorriso.

Mi siedo vicino a lei. Meredith e Cristina sono in imbarazzo, farfugliano qualcosa e se ne vanno. Joe si avvicina e mi da una birra. “Offre la casa”. Siamo rimasti soli. Sono solo con mia moglie. Non la guardo, non sollevo  gli occhi dalla mia birra. Anche lei non parla. Non so a cosa sta pensando. Io alla prima volta che l’ho baciata. È seduta sullo stesso sgabello. E anche oggi veste di verde. E beve vino.

E allora immagino il sapore delle sue labbra che sanno di vino.

Finalmente alzo lo sguardo e la vedo. Vedo le cartelle cliniche e non resisto. Do un sorso alla birra, indico la borsa e le chiedo: “Come stai?” “Non sono mie”. Grazie a Dio. Ricomincio a respirare. E un secondo dopo ad odiarla. Sono così felice che subito non capisco quando aggiunge “Sono di tua madre”.




Angolo mio:
Eccomi qui, ancora una volta a ringraziare tutti quelli che leggono, seguono e commentano la mia storia. Procede un po’ lentamente, e i capitoli sono sempre piuttosto corti… perdonatemi!
Io voglio conoscere la mamma di Alex fin dalla seconda stagione, quindi in questa storia mi concedo tutto quello che Shonda non mi ha mai dato! 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. Ricordi. ***


Capitolo quattro. Ricordi.
 
L’ultima volta che ho visto mia madre è stato quasi un anno fa. Le ho controllato le pastiglie, l’ho velocemente visitata, le ho sistemato il letto e riempito il frigorifero. L’ho salutata e ho chiuso la porta. Solo quando ho chiuso quella fottuta porta ho ricominciato a respirare. Lei mi ha sorriso tutto il tempo, un sorriso spento, non si è mai alzata dalla sedia e quando me ne sono andato ha reclinato la testa di lato e per la prima volta in quel giorno ha parlato: “Arrivederci dottore, mi saluti sua moglie”. Due pugnalate in un colpo solo. Non sono più tornato.

E ora lei è venuta da me. Con mia moglie.

Sono ancora seduto da Joe. La birra è ormai calda. Izzie è ancora vicino a me. Ha provato per tre volte a raccontarmi come ha conosciuto mia madre e che cosa le ha diagnosticato. Ma tutte e tre le volte l’ho fermata. Vorrei tornare a questa mattina. Solo quindici ore fa era tutto perfetto. O forse no. Forse io di perfetto non ho proprio un cazzo. Forse sarebbe meglio lasciar perdere e scappare. Alla Hopkins magari, quei coglioni mi vogliono.

Mi giro di poco e la guardo. I capelli sono tornati lunghi, li tiene raccolti. È leggermente spettinata. Tra le mani ha il bicchiere vuoto del vino. Non indossa più il mio anello. Sono attratto da lei come se non la conoscessi. Inizia a parlarmi e io sento la sua voce lontana. Vedo solo la sua bocca muoversi e i suoi denti e la sua lingua.
Sto immaginando di scopare con mia moglie.

Questo mi aiuta a sentire lei che mi racconta di mia madre. Mi informa che ha incontrato lei e Amber all’ospedale di Tacoma. Si erano fermate li perché mia madre si sentiva male. Perde ripetutamente conoscenza. Non poteva più viaggiare. Ha viaggiato per due giorni su un pullman lurido. Izzie era di turno al pronto soccorso e compilando la cartella clinica le ha riconosciute. Mia sorella ha lo stesso mio sguardo. Le ha caricate in auto. Ed è venuta qui. Mia madre è a Seattle, ed è una paziente di Derek. Un fottuto caso disperato del dottor Stranamore.

“Alex mi dispiace”.

Sentirle pronunciare il mio nome mi risveglia. E di tutto quello che mi ha detto una sola cosa mi ha colpito: “Dove cazzo stavano andando?” Izzie mi guarda e in un sussurro mi dice: “Venivano da te.” Sospira e si appoggia a me, mi abbraccia. Appoggia la sua testa alla mia spalla. E mi ritrovo a pensare che è così che sarebbe dovuta andare, perché ci incastriamo perfettamente. Perché è mia moglie. Perché insieme abbiamo vinto il cancro. Perché i nostri figli sarebbero bellissimi. Perché anche se non la vedo da quasi due anni lei si è presa cura di mia madre. Perché l’amo. Mi lascio andare in quell’abbraccio. Ma quando inizio a parlare le dico: “Grazie di tutto. Puoi tornare a Tacoma”.

 
 
 
Angolo mio.
Ancora grazie a tutte le persone che con infinita pazienza seguono la mia storia… a presto Silvia

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. Mi vede. ***


Capitolo cinque. Mi vede.
 
L’ho vista alzarsi e andare via. L’ho vista uscire. Ho aspettato ancora qualche minuto, poi sono uscito anch’io.

La notte più lunga della mia vita.

Quando l’ascensore si apre sento lo sguardo di tutti su di me. Mi sento scoperto. Ora sanno tutti chi sono, da dove vengo. Odio che cerchino di capire perché a volte sono uno stronzo. Odio le persone che mi studiano. Odio Lexie, che da lontano mi guarda e mi sorride, ha le cartelle di mia madre in mano. Odio farle pena. Entro nella stanza di mia madre. È seduta sul bordo del letto. Sta parlando con Derek. Mia sorella è appena dietro, ha gli occhi lucidi. Odio vederla così debole. Mia madre mi guarda e per la prima volta dopo anni, mi vede. Il suo sguardo è indagatore, preoccupato, stanco, ma vivo. Presente. “Alex”. Mi avvicino. Le prendo la mano. Mia madre è invecchiata. Ha dei profondi solchi attorno alle labbra e agli occhi. La sua mano è fragile, ma mi stringe con forza le dita. Si sta sforzando di non piangere, sa che odio vederla piangere. Meredith, non l’avevo nemmeno vista, chiude le tende e chiama Derek fuori.
Ci lascia soli. Mi siedo vicino a lei, le chiedo come sta, che cosa ha avuto. Lei mi stringe ancora più forte la mano. Reclina la testa all’indietro e si irrigidisce. I suoi occhi spalancati verso il soffitto. Prima di iniziare a tremare violentemente riesce a malapena a dire “mi dispiace”. Come un automa la volto di lato e cerco di proteggerle la testa. E mi ritrovo ad urlare. “Aiuto, ho bisogno di aiuto”. Cristina e la Bailey entrano e rapidamente gestiscono la crisi.
Mi avvicino a mia sorella. Mi spiega che da sei mesi prende regolarmente tutte le medicine. All’inizio ha fatto molta fatica, ma adesso sta bene. Adesso è tornata in sé. Sorride. Non riesco a trattenermi. La prendo per un braccio e in malo modo la trascino fuori dalla stanza. “Che cazzo dici? Come può star bene? Da quanto cazzo ha queste crisi?” Amber ricomincia a piangere. Mi metto una mano nei capelli e sbuffo pesantemente. “Stai diventando come papà”.
Se mi avesse colpito mi avrebbe fatto meno male. Ma sono addestrato, così la ignoro e le chiedo nuovamente: “Da quanto ha queste crisi?” “Karev, ti posso parlare un minuto” La voce di Derek arriva alle mie spalle, mi giro e mi sposto di qualche passo verso di lui. Dalla finestra alle sue spalle vedo la figura riflessa di mia sorella che si asciuga con le mani gli occhi e poi torna nella stanza.

Derek mi sta mostrando la risonanza di mia madre. Ha una massa grande come una pallina da tennis nel bel mezzo del cervello. Ha un cancro. Se siamo d’accordo domani farà degli accertamenti e poi proverà a toglierlo. Mi sorride, ma dai suoi occhi capisco che è una situazione di merda. Vorrei spaccargli la faccia. Vorrei picchiarlo e colpirlo fino a quando non si toglierà quell’espressione del cazzo.

Sto diventando come mio padre.

Lo ringrazio, e gli dico di fare quello che deve. Lo prego di tenermi informato. Di dire tutto prima a me. Io posso capirlo, affrontarlo e sopportarlo. Ci sono già passato. Amber no. Lui mi mette una mano sulla spalla e va via.

Mia madre dorme, è sedata. Ho cercato di convincere Amber ad andare a casa mia, ma lei non ne ha voluto sapere. Si è sistemata sulla poltrona accanto al letto e credo finga di dormire. Decido di lasciarla sola, di andare a casa per qualche ora.

Davanti alla roulotte, seduta sui tre gradini c’è Izzie. In pochi passi la raggiungo. Mi siedo vicino a lei. La sua vicinanza, il suo profumo. Le appoggio una mano sulla gamba. Quel contatto quasi casuale, mi fa stare meglio. Faccio scorrere la mia mano lungo la sua coscia e poi le accarezzo la schiena. Non mi ferma. Si sposta solo di un po’. Le dico solo: “Ti prego” e le appoggio una mano sul collo, sotto la testa. “Alex, aspetta.” Ripeto: “Ti prego”. Desidero baciarla, desidero scoparla, desidero che per un attimo tutto si fermi. Desidero smettere di pensare. Desidero smettere di star male. E Izzie è da sempre la mia morfina. Mi avvicino e la bacio. Le nostre lingue si accarezzano. Si incontrano. Si assaggiano. Ancora e ancora e ancora. Un bacio veloce. Le infilo le mani sotto il maglione. “Alex, aspetta”.
Voglio fare l’amore con lei li, su quei tre gradini. Cerco di toglierle il maglione, ma lei mi ferma. “Aspetta… c’è… c’è ancora l’orso?” Mi fermo la guardo e inizio a sorridere, e poi a ridere. Non riesco a fermarmi. E lei ride con me. Rido per tantissimo tempo. E non mi accorgo che ad un certo punto ho iniziato a piangere.


Angolo mio
Capitolo più lungo del solito e del previsto! Spero piaccia... Grazie ancora a tutti!
A presto
Silvia

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. Insonni. ***


Capitolo sei. Insonni.

Non riesco a dormire. Izzie è sdraiata vicino a me. Se sposto la mia mano destra di pochi centimetri la potrei toccare. Non ho il coraggio di farlo. Lei sta dormendo. Riconosco il suo respiro. Sembra non se ne sia mai andata. Sembra che non l’abbia mai cacciata via. Non riesco a dormire.

Alla fine non abbiamo fatto l’amore. Mi ha stretto fino a quando non ho smesso di ridere e poi mi ha stretto ancora più forte. Alla fine mi ha solo detto: “Entriamo”. Si è sdraiata vicino a me e dopo poco si è addormentata. Io ho dovuto allontanarmi. Separarmi. Sentivo bruciare i punti del mio corpo che lei toccava. Faceva male.

Non riesco a dormire. Voglio tornare in ospedale. Voglio vedere mia madre. Lentamente mi alzo, senza svegliarla. Meccanicamente infilo una mano in tasca e con la punta delle dita sento il biglietto che poche ore fa Izzie mi ha infilato sotto la porta.

Possiamo non odiarci?

Mi volto a guardarla. Appoggio il foglietto sul tavolo. La guardo ancora una volta. Cerco una penna e sotto le scrivo: POSSIAMO.

Sto quasi per uscire, ma torno subito sui miei passi, riprendo la penna e aggiungo: FORSE.

Quando entro in ospedale non vedo nessuno. I corridoi sono vuoti. La stanza del medico di guardia è chiusa. È tranquillo. Dal corridoio osservo mia madre. È sveglia. Resto ancora un po’ a guardarla. Meryl Streep.
In realtà non le assomiglia molto, ma una volta mio padre l’ha presa tra le braccia e le ha fatto fare due giri di valzer tra il forno e il lavandino. E poi l’ha baciata, davanti a me. Ricordo di aver fatto un gesto schifato e che lui, ridendo, mi ha infilato una mano tra i capelli e mi ha dolcemente scosso la testa. “Stupido, non ci sono donne belle come tua madre! È anche meglio di Meryl Streep!” Dieci giorni dopo ha perso il lavoro, e si è ubriacato per la prima volta.

Entro e mi siedo sul letto vicino a lei. Mi sorride, si porta l’indice davanti alle labbra e poi mi indica Amber, che dorme sulla poltrona. Mi prende la mano e senza parlare stiamo così. Vicini. “Mi piace. Izzie.” Lo dice in un sussurro, quasi non lo sento. La guardo negli occhi e le rispondo che è complicato. Lei alza le spalle e fa una faccia talmente buffa che non riesco a non sorridere. Poi aggiunge: “Mi piace lo stesso.” Restiamo in silenzio. Ci guardiamo. Ci stringiamo solo la mano. Negli ultimi dieci anni non sono stato abituato ad avere una madre. Abbassa le palpebre e in un sussurro ancora più leggero aggiunge: “Mi piaci tu. Dottor Karev!” Sento le lacrime salirmi agli occhi. Cazzo. Le ricaccio giù. Le stringo ancora più forte la mano e le dico: “Faccio del mio meglio, ma anch’io sono complicato.” “Lo so. Ho parlato con la dottoressa Bailey, con la dottoressa Robbins e con il dottor Webber, mi hanno raccontato questi anni in cui non ci sono stata. Mi hanno raccontato chi sei diventato. Mi hanno parlato dell’Africa. Mi piaci Alex!” Non so come posso ricordarmene ora, ma le dico: “Ti hanno anche raccontato che ho ucciso un uomo perché ho sbagliato un calcolo? E che in un ascensore durante un’emergenza mi sono bloccato? E che ho sputtanato la mia migliore amica, rischiando che perdesse sua figlia? Ti hanno raccontato anche questo?” Mentre parlo lei prima apre gli occhi, li sgrana, poi li richiude. Mi tiene sempre la mano e con l’altra mi accarezza il viso. Si sforza appena e si mette seduta.  Mi guarda dritto negli occhi e mi abbraccia. “Mi spiace così tanto, di non esserci stata.”

Le luci nell’ospedale si riaccendono. Esco dalla stanza di mia madre. Devo prendere aria. Devo parlare con Derek. Devo dirgli che deve fare un altro miracolo. Rivoglio mia madre. Mentre chiudo la porta la guardo dal vetro. Finalmente si è lasciata andare. Si è stesa nuovamente con la testa sul cuscino. I capelli biondo cenere le incorniciano il viso. Ha dei lineamenti delicati e il naso leggermente a punta. Assomiglia davvero a Meryl Streep, solo lei ha sofferto di più.



Angolo mio
In questo capitolo non succede molto, ma volevo dare un pò di spazio ad Alex e a sua madre. Mi sembrava doveroso!
Sempre grazie mille a tutti quelli che leggono la mia storia. Grazie mille +1 a chi ha commentato!
A presto!
Silvia 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. Noi ***


Capitolo sette. Noi.

Mi sono preso qualche giorno di ferie. Non posso lavorare. Il dottor Webber ha parlato con quelli della Hopkins. Hanno capito. Ho quindici giorni di tempo per scegliere. Quindici giorni per decidere. Per confermare la mia scelta. Per dare una direzione alla mia vita.

Sono qui davanti a Derek. Mi sta spiegando quello che vuole fare, gli esami che deve avere per poter decidere la strategia migliore. Con me c’è la dottoressa Bailey. Ascolta, segue e ogni tanto fa qualche domanda che non ho il coraggio di fare io. Derek mi guarda dritto negli occhi e con voce decisa conclude: “Non voglio che ti fai false speranze, dottor Karev. La situazione è drammatica. Se dovessi darti una percentuale…” “Noi non crediamo alle statistiche”. La voce di Izzie mi arriva improvvisa da dietro le spalle. La sua voce forte mi da forza. Non stava parlando con Derek. Lo stava dicendo a me. Noi. Noi non crediamo alle statistiche. Noi abbiamo già battuto tutte le statistiche. Noi siamo sopravvissuti. Noi.

Izzie mi si mette accanto e ascolta quello che Derek pensa di fare. Poi si sposta con la Bailey e continuano a parlare sottovoce, indicando ogni tanto qualche punto della lastra. Io mi appoggio al muro infondo alla stanza e la guardo. Indossa ancora gli stessi vestiti di ieri, sono solo più stropicciati. I capelli invece sono perfettamente in ordine, raccolti dietro la testa. In questo momento mi rendo conto che l’unica cosa certa che ho capito durante la notte è che la rivoglio. Non so se potrò mai perdonarla, non so se mi fiderò mai completamente di lei. Non so neppure se riuscirò mai a smettere di odiarla. E sono assolutamente sicuro che prima o poi sputtaneremo tutto ancora una volta. Ma io la voglio. E non per scoparla una notte. Io voglio sentirmi ancora in quel noi. Voglio che lei sia dalla mia parte. Voglio che combatta insieme a me. Perché noi non crediamo alle statistiche. Perché noi abbiamo già vinto.

Quando si volta verso di me, mi guarda con una strana espressione interrogativa. Mi rendo conto che sto sorridendo. Che cazzo faccio? Mia madre sta male, e io rido e gioco a fare l’innamorato? Coglione. Ma poi la guardo ancora e mi devo proprio sforzare per non sorridere.

Izzie è andata a casa di Meredith, a prendersi dei vestiti di ricambio. Mia madre e mia sorella stanno girando per l’ospedale con Derek e Lexie, stanno facendo molti più esami del necessario. Meglio così. Io sono seduto, solo, in sala mensa. Mi sto sentendo una merda. Sono felice. Che uomo di merda sono? Sono incazzato trecentocinquanta giorni l’anno circa e sono felice oggi. Che mia madre sta per essere operata. Sento la sedia accanto a me muoversi. Meredith. “Hai fatto sesso con Izzie?” La guardo stranita, faccio una faccia stupita e piccata: “Che cazzo dici? Mia madre ha un tumore e io dovrei scopare con la mia ex? No!” Lei mi guarda ancora un attimo pensierosa, allora aggiungo: “Le ho detto di tornarsene a Tacoma, di sparire.” Lei continua a guardarmi. Arriccia appena le labbra: “Oh, ok!” “Ok, cosa?” Un’altra sedia di fronte a me si sposta. Cristina. “Perché sei felice Karev? Hai fatto sesso con Izzie?” Mi alzo sbattendo la sedia sul pavimento. Mi volto e mi allontano. Poi mi giro, le vedo ridere. “Fanculo, a tutte e due!”

Uscendo dalla mensa incontro Hunt, con Webber. Hunt mi ferma, mi conferma che anche lui mi lascia quindici giorni di tempo per decidere. Non mi mette fretta. Poi aggiunge: “So che non dovrei dirti niente. Che non sono fatti miei. Ma ho offerto un posto anche alla Stevens.” Lo ringrazio per la proroga e aggiungo: “Non sono fatti miei dove lavorerà mia moglie.” Il dottor Webber alza le sopracciglia e picchiandomi una mano sulla spalla: “Ex moglie, Karev. Ex moglie.”

Sono di nuovo solo nella stanza di mia madre. Sto aspettando che tornino. Mi siedo sulla poltrona, e penso che quel noi ora è ancora più concreto. Dopo la proposta di Hunt, quel noi ha un futuro realmente possibile. Ma un dubbio si insinua. Un’idea strana. Izzie cosa vuole? Mi ha chiesto di non odiarla, ma non mi ha chiesto di amarla. È tornata per mia madre, magari non per me. Mi è stata vicina, perché è Izzie, perché lei è fatta così. Anche lei avrà sofferto in questi anni? E se avesse un altro? E se stando senza di me fosse stata meglio che con me? Le dovrei parlare. Oppure lascio andare tutto come va. Tra quindici giorni faccio la valigia e ricomincio dalla Hopkins. Una nuova vita. Un nuovo me. Senza Izzie.


Angolo mio
Come sempre grazie per la pazienza e la fiducia con cui seguite la storia. Alex ha capito cosa vuole... ora sarà tutto più semplice? Mah, io non ci giurerei!
A presto
Silvia

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. Fratelli. ***


Capitolo otto. Fratelli.

Derek opererà mia madre domani mattina. Cercherà di asportare il più possibile. Lexie lo assisterà e anche la Bailey sarà in sala. Mi ha promesso che mi terrà aggiornato, perché ovviamente io non posso entrare. Lo so. So come ci si sente. Aspettare che qualcuno arrivi. Decifrare la sua espressione nei dieci metri che mancano prima che inizi a parlare. Passare giorni e notti seduti accanto al letto aspettando che si svegli. So come ci si sente. Cazzo. So come ci si sente in questa situazione di merda.

Sto compilando i moduli dell’assicurazione, grazie a Dio è tutto in regola. È stata una delle prime cose che ho sistemato con il mio stipendio. Ho dato un’assicurazione alla mia famiglia. Mentre riempio i documenti Izzie sta chiacchierando con mia madre e mia sorella. Parlano tra loro, come se si conoscessero da sempre. Mi fa incazzare. Non voglio che leghino, voglio essere libero di poterla mandar via ancora. Voglio che lei si senta libera di andare e che non resti solo per loro o perché la famiglia Karev le fa pena. In realtà voglio che resti. Il perché sono solo cazzi suoi.
È da ieri sera che non parliamo. Questa mattina siamo sempre stati in mezzo alla gente e ora siamo qui, nella stanza di mia madre. Abbiamo passato tutto il tempo a guardarci e ogni tanto a sorriderci. Penso a quel biglietto che le ho lasciato sul tavolo. Sono un idiota del cazzo. Non so come ne uscirò da questa storia. Izzie mi rende fragile. E in questo momento non posso esserlo. Quel che resta della mia famiglia ha bisogno di me.


Sto cercando di convincermi a chiederle di accompagnarmi da Derek per sapere qualcosa in più sull’intervento. È solo una scusa per stare solo con lei. È solo una scusa per chiederle di Hunt e della proposta di lavoro. È solo per sondare il terreno e capire cosa vuole. È solo magari per baciarla ancora. “Alex, mi accompagni a bere un caffè?” Amber. Mia sorella non mi ha quasi rivolto la parola da quando ci siamo incontrati. Io la guardo un po’ stranito. “C’è una macchinetta in fondo al corridoio.” Amber mi guarda per un secondo interminabile. Alla fine abbassa lo sguardo ed esce. Mia madre ed Izzie in contemporanea mi lanciano uno sguardo truce. Non si sono accorte ma entrambe hanno mosso la mano destra indicandomi la porta. Ed entrambe hanno inclinato la testa. Mi stanno sgridando. Mia moglie, ok ex-moglie, e mia madre si sono coalizzate. Sono fottuto.
Mi alzo. “La macchinetta ogni tanto si blocca. È meglio se la accompagno.” Quando esco Amber sta già sorseggiando il suo caffè. Mi avvicino. “Com’è?” Solleva appena lo sguardo, poi butta il caffè nel cestino. “Fa schifo. E anche tu mi fai schifo. E io credo di fare schifo a te. Ma a mamma piaci, e anche io le piaccio e lei piace a noi. Quindi vedrò di sopportarti.” Dice tutto questo guardandomi dritto negli occhi. “Non è vero che mi fai schifo.” Cerco di difendermi. “Perché volevi parlarmi?” Abbassa per un secondo lo sguardo, muove appena i piedi, poi ricomincia a fissarmi negli occhi. “Voglio sapere la verità su mamma. Voglio sapere che cosa ha, che cosa dobbiamo aspettarci dall’operazione. Voglio sapere se questo dottor Shepherd è davvero così bravo.” Mentre parla le si incrina la voce e due lacrime cominciano a scenderle sul viso. “So che ti sto sul cazzo perché piango, ma io sono più forte di quel che sembro. Da quando Aaron se ne è andato ho pianto molto, ma ho saputo rialzarmi e so gestire la situazione.” Alza la voce. “Io piango, ma sono forte Alex.” Mi punta un dito contro il petto. “Io ti sto sul cazzo e anche tu mi stai sul cazzo. E quando piango così anche io mi sto sul cazzo. Ma mi conosco. Quando smetto di piangere, mi rimbocco le maniche. Ho fatto così con mamma. E adesso voglio la verità , perché quando ce ne andremo da qui, ci sarò io con lei.” Le prendo la mano che mi sta ancora puntando sul petto e la avvicino di più a me. La abbraccio. “Non mi fai schifo, ma un po’ mi stai sul cazzo, perché hai fatto quello che avrei dovuto fare io. Perché mi ricordi dove ho fallito. Perché forse sei più forte di me.” La sento un po’ rilassarsi contro di me, sento le sue spalle sciogliersi. “Perché stavate venendo da me?” le chiedo. “Perché mamma non stava bene e il nostro medico non ci capiva un cazzo, e Aaron quando era tornato a casa dopo averti visto continuava a dire che sembravi un medico vero, e che gli altri medici che lavoravano con te erano molto bravi.” La allontano appena da me, la guardo dritta in faccia. “Io sono un medico vero!” “Si, ma quello con i capelli belli è più bravo di te, giusto?” “È solo più vecchio.” Non sembra troppo convinta ma per ora se la fa bastare. “Torniamo da mamma.” Un attimo prima di aprire la porta mi dice: “Non capisco cosa Izzie ci trovi in te. Lei è una figa pazzesca. Sai che faceva la modella?” Alzo gli occhi al soffitto “Dovresti controllare un po’ di più il tuo linguaggio. Comunque, si, mi stai proprio sul cazzo!” Le sorrido. Ora ne ho avuto la prova. Amber è al cento per cento una Karev.


 
Angolo mio:
Ebbene si, Alex doveva confrontarsi un po’ anche con sua sorella… non potevamo lasciarla li sullo sfondo! Anche perché Amber è una tosta!
Sempre grazie mille a chi legge e a chi commenta!
A presto…
Silvia

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. Cena per due. ***


Capitolo Nove. Cena per due.

Sono stato con la mia famiglia tutto il pomeriggio. Izzie è stata con noi. Domani l’intervento sarà lungo e difficile. Mia madre deve riposare, così le somministro un leggero sedativo e la lascio tranquilla. Cerco di convincere ancora Amber che la mia roulotte è a sua disposizione, ma non ne vuole proprio sapere. “Voglio restare qui.” Non posso lasciarla dormire su una poltrona, così le porto una branda, è scomoda, ma almeno può stendersi. Prima di chiudere la porta mi si avvicina e mi bacia leggera la guancia “Grazie!” Io la guardo un po’ stranito e subito mi sussurra “Dovrai pur riguadagnare punti con Izzie, allo stato attuale sei fottuto…”

Izzie mi sta aspettando all’ascensore. Entriamo insieme e mentre scende si crea un attimo di imbarazzo. Restiamo in silenzio. Sembra non arrivare mai a terra. Le porte si aprono. “Meredith mi ha detto che se voglio posso dormire da lei.” No. No, non voglio che dormi da Meredith, cazzo. Devi dormire da me. Con me. Su di me. “Puoi dormire anche da me, se vuoi. Ieri sera ho esagerato, scusami. Ti giuro che stasera non ci provo!” Sorride. È bellissima. Ho mentito. Ho spudoratamente mentito. “Ok, però cucino io. Penso siano due anni che non fai una cena decente!” Non avevo nemmeno pensato alla cena. Si, credo siano circa due anni che non ceno. Mi rimpinzo alla mensa, poi spizzico qualcosa. Non ho più acceso un fornello da quando Izzie è andata. Credo che lo sappia.

Quando arriviamo a casa mi faccio una doccia veloce. Lei apparecchia, cucina e mi riempie il frigorifero. Questa mattina quando si è svegliata mi ha sistemato la roulotte. Credo abbia anche pulito. La mia collezione di lattine vuote sotto il letto è sparita. Quando esco è già tutto pronto. Ha apparecchiato fuori. Una lampada a olio ad illuminare il tavolo. “Ho una tovaglia?” Le chiedo stupito. “Si, era ancora dove l’avevo lasciata io.” Ha preparato due bistecche e sono molto invitanti. Le verdure al vapore di contorno. Mi siedo di fronte a lei. “Grazie!” Sto per tagliare la carne, quando lei si alza e si volta. Mi da le spalle. “Scusami, è che così non ci riesco!” La sento piangere. Mi alzo e la raggiungo. Non la tocco. La guardo e non riesco ad aggiungere niente. “Non è colpa tua” mi dice “è solo che non capisco più cosa voglio. Non posso cancellare questi due anni.” “Io si” le rispondo senza lasciarle il tempo di pensare. Sicuro. “Io si, Iz perché in questi due anni ho lavorato. Sono stato un medico, ma quando uscivo dall’ospedale, dalla sala operatoria, non ero più niente. Io questi due anni non li ho vissuti, quindi posso cancellarli, senza problemi.” Le lacrime le stanno scendendo sul viso e sul collo. Non la tocco, perché se la toccassi ora, la bacerei e la stringerei e poi mi incazzerei perché adesso è lei quella che non è pronta. “Avevi ragione tu” quasi lo urla. Poi si siede sulla sedia e mi spiega “Quando mi hai mandato via hai detto che meritavi di meglio e avevi ragione tu” Vorrei fermarla e obbligarla ad ascoltarmi ma piange, urla e non mi da il tempo di zittirla. “Avevi ragione tu, ti meriti di meglio. Io sono una stronza. Quando sono morta credo che una parte di me sia morta per sempre. Non sono più quella di prima. Ti meriti di meglio Alex” Le sorrido e mi impedisco di asciugarle le lacrime, mi faccio più vicino a lei. Sono quasi in ginocchio. “Hai ragione. Sei una stronza, ma lo sono anch’io. In un certo senso ci completiamo. E la parte di te che non c’è più, è la stessa che ho perso io quando ti ho stretta tra le braccia e non respiravi. Hai ragione anche sul fatto che mi merito di meglio. Il problema è che non voglio il meglio. Voglio te.”
Mi azzittisco un attimo e vedo che ha smesso di singhiozzare. Mi guarda e sembra stia pensando a quello che le ho detto. Aggiungo subito “Se hai altre obbiezioni dille subito, così posso controbatterle, perché tra esattamente cinque secondi ti bacerò. Uno. Due.” Non arrivo nemmeno a tre, mi mette entrambe le mani sul viso e mi attira a sé. Mi bacia. La bacio. Ci stringiamo così forte che ho paura di lasciarle dei lividi. La bacio come se fossero due anni che non ceno. La stringo così forte perché ho una paura fottuta di perderla ancora. Il sapore delle sue lacrime sulle mie labbra. La sollevo, senza smettere di baciarla e la porto dentro la roulotte. Quasi senza rendermene conto siamo sul letto. Le sfilo gli abiti con urgenza. Mi stacco da lei solo un secondo, per slacciarmi i pantaloni, ma lei mi volta e si siede a cavalcioni su di me. Mi bacia. La bacio. Inizia a sfilarmi la canottiera e ad accarezzarmi il petto. Non c’è più spazio per nessuna parola. Solo i nostri corpi. I nostri occhi. Le nostre mani. Le nostre lingue. So come darle piacere. Sa come darmi piacere. Ci conosciamo. Ci apparteniamo.

 
Angolo mio:
Eccomi… capitolo appena appena più lungo del solito. Io credo che le bistecche diventeranno fredde!!!
Sempre grazie a chi mi segue e mi recensisce.
A presto.
Silvia

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. Fianco a fianco. ***


Capitolo dieci. Fianco a fianco.

Le nostre mani sono state intrecciate per tutto il tempo. I nostri corpi si sono mossi, seguendo il ritmo di una danza che conosciamo a memoria. Le nostre voci, basse e sussurrate. Una melodia che unisce il nostro piacere. Ho tenuto gli occhi sempre aperti, anche mentre la baciavo. Non ho avuto il coraggio di chiuderli, temevo sparisse. L’ho guardata. Ho scrutato ogni espressione. Le ho accarezzato ogni centimetro. Ed ora è sdraiata accanto a me. Non riesco a dormire, non riesco a smettere di guardarla. Ho adattato il mio respiro al suo. Inspiriamo insieme aria. Sento il suo calore. La sua pancia attaccata al mio fianco. La sua testa nell’incavo della mia spalla. Siamo ancora nudi. Il lenzuolo ci copre solo fino alla vita. Vorrei poter dormire, sono quasi due giorni che non mi concedo un sonno vero. Vorrei poter dormire. Ma quando chiudo gli occhi vedo solo la tac di mia madre. Vedo il suo tumore-pallina. Allora preferisco tenere gli occhi aperti. Guardare Izzie.  

Quando si sveglia, io la sto ancora guardando. Sono le tre e mezza. Muove dolcemente il naso strofinandolo sulla mia spalla. Ti prego non spostarti. Apre gli occhi e li fissa nei miei. Ci guardiamo senza parlare per quasi un minuto. Ho paura di averla forzata. Ho paura di averle fatto fare quello di cui aveva paura. Ho paura della sua paura. Finalmente sorride. “Visto che sei sveglio da un po’, esci a recuperare le bistecche. Ho fame!” “Che cosa?” Lei si è messa seduta sul letto, ha appoggiato la schiena alla testata e si è tirata il lenzuolo fino a sopra il seno. “Dai, tu esci, io le scaldo!” “Non so dove sono le mie mutande” protesto. Lei allora mi sorride divertita “Dai Alex, non ti servono, non c’è nessuno fuori!” Mi alzo e la sfido. Da in fondo al letto sfilo il lenzuolo da sotto il materasso, e glielo strappo dalle mani. Me lo arrotolo sui fianchi. “Dai, stronzo” “Iz, non ti serve, non c’è nessuno qui!” le faccio eco. Quando rientro con i piatti delle bistecche Izzie è seduta sul bordo del letto. Si è già vestita. La magia è finita. Mi allunga le mutande e la canottiera. Appoggio le bistecche sul fornello e lei si mette a cucinare. Dandomi la schiena. Infilo solo le mutande, poi resto a guardarla. Il tavolo è fuori, quindi per cenare dovremo appoggiarci sul letto.

Mangiamo senza parlare, ogni tanto ci guardiamo. È ancora presto per andare in ospedale. È tardi per provare a dormire. Ho paura di quello che succederà adesso. Ho paura che dopo averla avuta ancora una volta se ne vada. Tolgo i piatti e mi sdraio, le chiedo di stendersi vicino a me. Siamo fianco a fianco. Guardiamo il soffitto. Lei allora fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Si alza e mi bacia leggera la cicatrice che ho sul petto. Poi si accoccola li. “Sai che mi hanno sparato?” le chiedo. Sospira, poi inizia a raccontare. “Ho sentito della sparatoria in televisione. Quando ho saputo che eri tra i feriti non sono nemmeno riuscita a chiamare Meredith. Mi sono messa in macchina e ho guidato. Non so come ho fatto. Non ricordo niente del percorso. Quando sono arrivata al parcheggio ho visto le zone transennate. C’erano ancora i poliziotti. Non ho potuto entrare. Sono rimasta li. Poi quando tutti se ne sono andati, non sono riuscita ad entrare comunque. Avevo paura che tu mi cacciassi via. Ho aspettato. Poi mi ha visto Webber. Si è avvicinato e mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che eri in pericolo. Che Lexie era vicino a te. Gli ho chiesto di fare la spola tra la mia macchina e l’ospedale. E lui l’ha fatto. Sono rimasta li fuori un giorno e mezzo. Poi finalmente mi ha detto che ti eri svegliato. Che eri fuori pericolo. Allora l’ho abbracciato. Sono risalita in macchina e sono tornata a Tacoma. Non ricordo nemmeno quel viaggio.”

Il mio respiro si è bloccato. Lei era li. L’ho chiamata almeno duecento volte in quei giorni e lei era li. No, non posso perderla di nuovo. Non posso. La abbraccio e in un sussurro leggero vicino al suo orecchio le dico: “Ti amo.” Resta in silenzio. Mi stringe un po’ più forte. Si allontana da me di pochi centimetri. Mi guarda. “E mi odi” aggiunge. Le sorrido: “In parti uguali.”
Si asciuga gli occhi. Mi bacia leggera sulle labbra. Si alza. “Forza, adesso dobbiamo andare in ospedale”. Mi vesto veloce, quasi quanto mi sono spogliato. Quando usciamo l’alba sta schiarendo la notte. L’ultima cosa che vedo prima di entrare in auto è il tavolo apparecchiato, per due, che ci aspetterà stasera.



Angolo mio:
Per prima cosa PERDONATEMI, tra vacanza e ripresa del lavoro non sono più riuscita ad aggiornare... poi, al solito, sempre un GRAZIE enorme per chiunque legge, segue e commenta!!!
A presto
Silvia

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. Il mio posto. ***


Capitolo undici. Il mio posto.

Quando sono arrivato in ospedale mia madre era già sveglia. Credo che anche lei non sia riuscita a dormire. Mi ha preso con forza una mano e non me l’ha lasciata più. Ha aspettato pazientemente che sia Amber che Izzie uscissero e poi si è messa a sedere sul letto, mi ha chiesto di mettermi davanti a lei e mi ha lasciato il suo testamento. “Prenditi cura di Amber e di Aaron, e di te stesso” Ho cercato di fermarla: “Mamma, non devi” Ma lei, non mi ha permesso di continuare. “Si che devo, sono tua madre. Non lo sono stata per troppo tempo. Non impedirmi di esserlo. Non ho paura di morire Alex. Morire fa parte della vita. Sono terrorizzata all’idea di spegnermi ancora.” “Non succederà” lo dico piano. Più a me che a lei. Mi zittisce. “Amber è una ragazza tosta. Mi ricorda te. Sai che vuole fare il dottore? Aiutala a studiare. Aiutala ad andare avanti. Prenditi cura di lei. Aaron, invece è come me. È fragile. Ha bisogno di essere seguito, infilagli le pillole in bocca ogni giorno. Non permettere che si arrenda. Tu, tu continua ad essere il meraviglioso miracolo che sei.” “Mamma, adesso basta. Andrà tutto bene. Il dottor Shepherd.” Mi blocca, appoggiandomi le dita sulla bocca. Mi sorride. “Lo so che è bravo. Ma quello che io ti ho chiesto adesso, vale comunque. Comunque vada. Ti sto chiedendo di tornare ad essere una famiglia.” Mi avvicino e la abbraccio. La stringo forte e le accarezzo i capelli. “Va bene. Ci sarò per voi. E voi ci sarete per me.” La stringo per ancora qualche secondo, poi la adagio sul cuscino.

Sono seduto nella sala d’aspetto. Sono seduto tra mia sorella ed Izzie. Nessuno parla. Sembra che nessuno respiri. Ripenso a quello che mi ha chiesto. In fondo mi sento una merda. Ho odiato mio padre, ma sono come lui. Sono scappato. L’ho lasciata sola. Ha dovuto chiedermi di tornare ad essere una famiglia. Lo stesso ho fatto anche con Izzie. Perché cazzo sono fatto così? È in sala da più di due ore. La Bailey dice che va tutto secondo i piani. È già venuta due volte a tenermi informato. Sono due notti che non dormo. Non riesco ad essere lucido. L’unica cosa che ho ben chiara in mente è quanto sia uno stronzo. E per un attimo comincio a pensare, che se ora mi alzassi da questa fottuta sedia e mi fiondassi fuori da questo fottuto ospedale, le persone accanto a me starebbero meglio. Meglio. Volevo avere vicino qualcuno meglio di Izzie. Sono stato solo come un cane. Ora vorrei che Izzie e la mia famiglia, potessero avere qualcuno meglio di me. La Bailey è tornata. È sotto i ferri da tre ore e mezza. Tutto secondo la norma. Owen vuole che io mi fermi qui. Che diventi un grande chirurgo e faccia qui grandi cose. Mia madre dice che sono un miracolo. Izzie è tornata. Quando cazzo si accorgeranno tutti di che fottutissimo bluff sono. Mi manca l’aria. Ho bisogno di uscire. Quando mi alzo e mi avvicino alla porta, vedo il mio riflesso sul vetro e ricordo. Ricordo mio padre che usciva di casa, con la sua chitarra sulla spalla. Sembrava annaspare l’aria. Annaspo l’aria. Vedo la Bailey arrivare, ma faccio finta di niente. Apro quella porta ed esco. Mi siedo sulla prima panchina che trovo. Sotto la grande vetrata. Va un po’ meglio. Ma non riesco a garantire che entrerò ancora. Non riesco a trovare una buona ragione per entrare. O meglio, le ragioni ci sono, ma io sono come mio padre. Presto o tardi scapperei comunque. Ancora.

Meredith mi si siede vicino. In questo Meredith mi capisce. Siamo entrambi figli di figli di puttana. Siamo entrambi convinti di aver ereditato questi geni. Zola nel passeggino mi mostra le sue nuove scarpette rosse. “Dille che sono belle. Altrimenti continuerà ad indicarle per tutto il tempo. È una piccola stronzetta.” Sorrido. “Che belle scapine.” La piccola mi sorride e mi manda un bacio. “Wow, sarà una stronza colossale.” “Si, ne sono convinta. Cosa ci fai qui?” Non le rispondo. Resto in silenzio. “Hai paura e vuoi scappare. Lo so. L’ho fatto anch’io. Cioè, io avevo più stile. La bomba, il tuffo nel mare ghiacciato, ho fatto da bersaglio al pazzo con la pistola. Ma poi, inaspettatamente, arriva un giorno in cui capisci quale è il tuo posto. La paura resta, e ogni tanto anche la sensazione di essere sbagliati. Quello fa parte di noi. Il nostro essere un po’ maledetti. Che poi diciamolo, è anche ciò che ci rende così affascinanti.” Mi strizza l’occhio e mi indica Zola che sta mostrandomi insistentemente il fermaglio di Hello Kitty. “Che bel fiocchetto!” La bambina allora allunga le sue manine verso di me e io mi avvicino. Mi scocca un bacio sulla guancia. “Che ti dicevo? Questa cosa l’ha presa sicuramente da Derek!” Poi si alza, ma prima di andare via, aggiunge: “Sai quale è stata la prima volta che ti ho visto nel tuo posto? Quando hai sollevato Izzie, nel suo principesco abito rosa e l’hai stretta a te. Lì eri esattamente nel posto in cui dovevi essere.”
“Adesso dovrei essere di sopra.” Lei piega leggermente la testa di lato e mi saluta. “Si dovresti. Zola di ciao ad Alex.” La piccola mi sorride e muove la manina dall’alto verso il basso. “Questo lo dobbiamo ancora perfezionare.” Le sorrido anch’io. E corro su. Non prendo l'ascensore, faccio le scale. Supero i gradini a due a due. Arrivo giusto un attimo prima che Derek si affacci alla sala d’aspetto.

 
Angolo mio:
Perdonatemi per il ritardo. Sono stata all’estero per lavoro e non avevo internet. Spero che questo capitolo non vi annoi troppo. È un pochino troppo pesante, me ne rendo conto, ma non riuscivo ad andare avanti senza focalizzarmi prima su Alex. E poi ho sempre adorato come interagisce con Meredith.
Sempre grazie, infinito, a chi legge, a chi segue e a chi commenta! A presto! Silvia
 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. Tempo ***


Capitolo dodici. Tempo.

Mentre salivo quelle scale, speravo solo di arrivare in tempo. In tempo per sapere di lei. In tempo per consolare mia sorella. In tempo per ringraziare Derek. In tempo per sentire il profumo di Izzie. In tempo per rivedere ancora, almeno una volta, mia madre. In tempo per non vergognarmi per non esserci stato. In tempo per mantenere le mie promesse. Quella a mia madre di poche ore fa. Quella a mia moglie. Speravo di arrivare in tempo. Speravo di avere ancora tempo.  Sono arrivato nel momento in cui Shepherd ha aperto la porta, deciso. I suoi capelli perfettamente in ordine. Ha operato mia madre per quasi sei ore. Sembra appena arrivato in ospedale. Non riesco a decifrare il suo viso. Non guarda verso di me. Guarda Izzie e Amber. Appoggia una mano sulla spalla di Amber e finalmente mi guarda negli occhi. Ha lo stesso sguardo che aveva dopo l’operazione di Izzie. Cazzo è lo stesso sguardo. Nobile e fiero. Lo sguardo di dio. È andata. Riesco a pensare solo che è andata bene. E lui lo sa che ho capito. Lo sa perché comincio a sorridere. Lo sa perché ci siamo già passati. Lo sa perché anche l’ultima volta non mi ha detto niente, ma mi ha guardato dritto negli occhi. Lo so perché anch’io sono un chirurgo e so come ci si sente. So come ci si sente. Izzie e Amber non hanno ancora capito. Allora Derek sposta lo sguardo su di loro e spiega: “L’operazione in se è andata bene. Ho tolto tutto quello che potevo senza lesionare le funzioni principali. Era un intervento difficile. La vastità e la posizione del tumore non mi hanno permesso di togliere tutto. Ma tramite alcune terapie post intervento, potremo mantenerlo controllato. Non credo sarà possibile eliminarlo del tutto, ma per un po’ di tempo sarà sotto controllo” “Per quanto tempo?” Amber lo chiede con le lacrime agli occhi. Non sa se essere felice per l’esito dell’operazione o angosciata per la data che Derek le sta per dire.
“Io non lo voglio sapere” lo dico prima ancora che il cervello realizzi quello che ho detto. Izzie mi guarda stranita e Amber, Amber credo abbia capito fin da subito quello che intendevo dire. Il suo viso si rilassa. Si lascia cadere sulla sedia. Inizia lentamente a piangere. Come la pioggia che segna la fine dell’estate. Il suo pianto si fa sempre più forte. Derek ci guarda, ora lui non capisce. Nemmeno Izzie capisce. “Perché?” Mi siedo vicino ad Amber. “Perché ho promesso a mia madre che saremmo stati una famiglia. Perché avevo smesso di credere che questa cosa fosse possibile. Perché ogni volta che la guarderò vorrò pensare al meraviglioso miracolo di averla di nuovo nella mia vita. Di vederla di nuovo accesa, come dice lei. E se ora tu Derek mi dicessi quella data. Non riuscirei più a guardarla allo stesso modo. Vedrei in lei solo la data di scadenza.” Izzie mi prende la mano. Ha capito. Derek annuisce e senza aggiungere altro se ne va. Amber ha smesso di piangere. Finalmente si è un po’ rilassata. E anche io. Tendo la mano libera verso mia sorella. Lei mi ci appoggia la sua. Restiamo qualche secondo così. “Sembriamo tre coglioni” la voce di Amber è sarcastica e pungente. Scoppiamo tutti e tre a ridere. Continua comunque a stringermi la mano.

Ci alziamo da quelle sedie solo quando mia madre esce dalla sala e sfila davanti a noi. Non si è ancora svegliata e non si sveglierà fino a domani. La seguiamo e quando la portano nella sua stanza noi ci sediamo nuovamente. Vicini. Vicino a lei. Dormirà fino a domani. Ci hanno detto che è inutile restare qui. Ci hanno detto che è meglio se andiamo a riposare. Amber si è stesa sulla solita brandina e si è addormentata subito. Io e Izzie siamo seduti sul divanetto in fondo al letto. Chiacchieriamo a voce bassa. Quasi in silenzio. Quando comincia a fare buio ci alziamo. Torniamo a casa.

Mentre siamo stesi sul letto. Troppo stanchi per fare l’amore. Troppo spaventati per allontanarci l’uno dall’altra. Prendo il coraggio a due mani e le chiedo: “Ho saputo da Hunt che ti ha proposto di restare.” “Si, ma non gli ho ancora risposto. Prima volevo sapere cosa pensavi di fare tu. Se vuoi andare alla Hopkins, io è inutile che accetti qui. Dovrai cercarmi un posto vicino a te.” Mi volto su un fianco e la guardo. “Hai fatto gli esami? Non ti ho nemmeno chiesto in cosa ti sei specializzata?” Si volta sul fianco, ora mi sta di fronte. “Faccio parte della squadra della vagina. Praticamente rischieremmo anche di dover lavorare insieme.” Le accarezzo i capelli. “Lavorare insieme, vivere insieme, invecchiare insieme. Sei sicura di volerlo fare? Dicono in giro che sono uno stronzo pazzesco.” Alza un attimo gli occhi al cielo. Si morde il labbro e aggiunge: "Aspetta, com’era?" Si mordicchia ancora un pò il labbro. Poi mi guarda dritto negli occhi. "Ad essere sincera non vedo l’ora" Mi avvicino alle sue labbra e appena prima di baciarla le sussurro: “Posso baciare la sposa?”. Ci baciamo a lungo. Poi ci sdraiamo. Ci incastriamo vicini. Finalmente, mi addormento.

 
Angolo mio:
La storia in se potrebbe anche finire qui, ma questi due sono stati così sfigati insieme che mi sembra doveroso regalargli almeno ancora un capitolo di assoluta, piena, a tratti sdolcinata felicità. Quindi ci saranno ancora al massimo uno o due capitoli, dipende… sopportatemi!
Grazie come sempre a chiunque, in un modo o nell’altro, passa di qua! A presto. Silvia

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. Inizi. ***


Capitolo tredici. Inizi.

Sono le tre di mattina. Izzie è stesa nel nostro letto e dorme. Dorme molto profondamente. È bellissima. Il suo viso è rilassato e i capelli sciolti sul cuscino. Io sono seduto davanti alla finestra. La guardo dormire. Quando Meredith e Derek hanno finito la loro casa sulla collina, io ho comprato la casa di Meredith. Ora viviamo qui, tutti insieme. Mia madre e mia sorella hanno passato tutto il primo anno a sostenere che si trattava di una soluzione temporanea. Che volevano tornare nell’Iowa. Che avevamo il diritto di restare soli. Ma alla fine sono ancora qui. Amber è al secondo anno di medicina. Se la cava bene e ha già deciso che vuole diventare chirurgo. Anzi, vuole diventare un dio della chirurgia. E come dice mia madre, tutto quello che quella ragazzina si mette in testa lo fa. Mia madre, dorme nella stanza in fondo al corridoio. Dopo l’intervento è stato difficile, ma ora si è ripresa del tutto. Si contende con Izzie la cucina, sistema casa e si è iscritta a un corso di ballo latino americano. Io e Izzie, lavoriamo insieme, viviamo insieme e come preventivato progettiamo di invecchiare insieme. Litighiamo almeno una volta al giorno, ma abbiamo imparato a farlo. Non scappiamo e ci ascoltiamo. Un paio di volte siamo addirittura riusciti a risolvere il problema. Quando non succede, ci teniamo il muso per qualche ora e aspettiamo che passi. Passa sempre. Abbiamo scelto di non sposarci più. Infondo non ci serve, l’abbiamo già fatto e entrambi crediamo in quel per sempre. Ci siamo detti ti amerò per sempre, e questo è per sempre. Non ha senso ripeterlo. Anche se al momento preferiamo dire giorno per giorno. Sono convinto che sia stato proprio quel per sempre a fotterci la prima volta.

La finestra è appena aperta e la luna è l’unica luce della stanza. Il suo chiarore rende Izzie ancora più bella. Non mi sono nemmeno accorto che si è svegliata. “Cosa fai lì?” Si alza e si avvicina, mi appoggia le labbra sulle mie. E si siede vicino a me. “Mi piace stare qui.” Le dico. Annuisce e aggiunge “Credo piaccia molto anche a lei. Chissà cosa starà sognando.” Guardo la piccolina che ho tra le braccia. Le palpebre sottili sono chiuse. È appoggiata con la pancia al mio petto e una coperta la tiene al caldo. “Sta sicuramente sognando me” affermo. Izzie sorride e si avvicina ancora di più. Si raggomitola attaccata alla mia spalla. “Sai che la stai viziando tantissimo e che presto farà i capricci, vero?” Fingo di rifletterci un attimo, in realtà non me ne importa niente. “Non sto viziando lei. Sto viziando me. E tu dici così solo perché sei gelosa e vorresti avermi tutto per te.” Lei scuote la testa: “Non voglio te, voglio lei tutta per me”. Non credo di essere mai stato così bene. Sono stato felice altre volte, ma adesso sono qui. Il profumo di Izzie, mischiato a quello di borotalco. Il calore di mia figlia sul petto. In notti come queste mi capita di pensare che ho rischiato di perdere tutto. In notti come queste penso che forse questa felicità non me la merito. Poi mando affanculo tutto. Abbraccio Izzie. Coccolo un po’ di più Emma. Smetto di pensare. Comincio a vivere.

Izzie alza la testa dal mio braccio e si mette seduta diritta davanti a me. “Mi sono dimenticata di dirti una cosa.” La guardo stranito e lei continua “Ieri ho visto tua madre tornare dalla lezione di ballo. L’ha riaccompagnata a casa Webber.”  “Webber?” Lei mi guarda sorridente, io per lo stupore mi muovo un po’ troppo velocemente e la piccola apre gli occhi, si sveglia. “L’hai svegliata” Izzie mi da un colpetto sulla spalla. Emma sposta la sua manina vicino alla bocca e  senza piangere resta li, e ci guarda. Passa lo sguardo da me ad Izzie. Noi restiamo in silenzio per tutto il tempo e a nostra volta non le stacchiamo gli occhi di dosso. Fino a quando non si riaddormenta. Allora la sollevo da me e la appoggio nella culla. Prima di tornare a letto, mi fermo ancora un secondo. “È bellissima, vero?” mi sussurra Izzie. “Già, sembra quasi impossibile pensare che abbia fatto tutto da solo davanti ad un catalogo di Bethany Whisper.” Mi colpisce ancora, stavolta più forte sul petto. “È squallido Alex. È stato utile, previdente e per certi versi anche romantico. Ma vantartene è squallido.” Ci sdraiamo sotto le coperte la stringo a me. Spengo la luce. E per un attimo penso di addormentarmi subito, mentre ho ancora il profumo di Emma su di me. Poi ricordo: “Aspetta, com’è che mia madre è tornata con Webber?” Izzie sorride, si appoggia meglio a me. “Ti amo. Buona notte.” “Iz, per favore. Sono suo figlio. E il suo medico. Devo sapere.” Sospira. “Sei suo figlio. Ma da come l’ha salutata, ora credo che il suo medico si chiami Richard. Buona notte Alex” Appoggia ancora la testa al cuscino. “Aspetta, come l’ha salutata?” Si solleva, si avvicina e mi bacia. Mi bacia. Mi prende il viso tra le mani. Dimentico di mia madre. Di Webber. La stringo a me e ricambio il bacio. È un bacio passionale, dolce. Sa di buono. Un bacio che non si riceve tutti i giorni. Un bacio che ti ricorda di essere vivo. Un bacio per cui vale la pena aspettare anche una vita intera. Quando si stacca da me, mi guarda e aggiunge: “L’ha salutata così. Buona notte Alex!” Rimango stordito, dal bacio e da mia madre. E da mia moglie. Fino a quando Izzie non si volta e mi dice “Mi hai fatto passare il sonno!” Si mette sopra di me e ricomincia a baciarmi. Mi lascio andare. Smetto di pensare e comincio a fare quello che mi riesce meglio. Amarla.  


Angolo mio:
Beh... siamo alla fine! Questo è davvero l'ultimo capitolo. Ho una mezza idea di ripartire da qui, ma non subito, magari tra qualche mese... non so. Per ora grazie mille a tutti quelli che sono passati di qua. In ogni modo...

A presto!
Silvia

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