Das Licht di Zonzi_Kuchiki (/viewuser.php?uid=222100)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 1 *** I ***
Era
il 15. Il 15 Dicembre. Lì, davanti a quello specchio a
guardarmi e riguardarmi cercando di capire cosa non andava: la
maglietta troppo scollata? Il rossetto troppo scuro? No. Anche
l’eye-liner era dritto, era tutto perfetto. Mi soffermai
sugli occhi, era lo sguardo diverso. Uno sguardo privo di luce, quella
luce che da un po’ era sparita. Perché? Non lo so,
non l’ho mai saputo. So solo che quel giorno ero diversa,
forse doveva accadere qualcosa.
Ormai
senza alcuna voglia distolsi lo sguardo dallo specchio e andai a
spegnere la radio. Stavo ascoltando loro, come sempre.
Ormai senza la loro musica non potevo più stare, mi avevano
cambiato la vita radicalmente, erano loro che avevano ridato la luce ai
miei occhi. Ma perché stava sparendo un’altra
volta? Qualcuno me l’aveva rubata senza il mio consenso?
Mentre mi facevo mille domande il tempo passava...
-Fey!-
Era mia madre, evidentemente ero entrata ancora una volta nel mio mondo
parallelo, quello dal quale nessuno mi può tirar fuori.
-Si
mamma, arrivo!- Risposi frettolosa e presi la borsa,
ficcandoci dentro qualunque cosa, giusto per darle la forma.
La
salutai veloce e uscii di casa.
Faceva
freddo e l’unica cosa che vedevo erano le luci natalizie
soffuse e l’aria che usciva dalla mia bocca, il resto era
offuscato a causa della fitta nebbia che si stendeva come un velo sulle
strade deserte. Aveva tutto un non so che di malinconico e questo non
mi rassicurava, per niente. Avevo come la sensazione che stesse per
succedere qualcosa, così accellerai il passo, la cosa
più sbagliata che potessi fare.
Regnava
un silenzio che quasi faceva paura, sentivo i grilli e il mio respiro
che si affannava. Non so perché ma avevo la sensazione che
qualcuno fosse dietro di me, ma non era nessuno, solo la mia
immaginazione. Mi fermai, scossi la testa e presi le cuffie, non
mancavano mai.
Misi la musica a tutto volume e rientrai un’altra
volta nel mio mondo dove la sua immagine mi nutriva e annientava allo
stesso tempo.
Iniziai
a rallentare il passo che seguiva i battiti lenti del cuore, poi
attraversai la strada..
Lo sguardo basso guardando le strisce bianche in contrasto
con le mie Converse rosse. Sentii una scossa, mi risvegliai da quel
sogno, mi girai a sinistra e sgranai gli occhi, dopo di che, non vidi
più niente.
Ricordo
solo un buio profondo e tutti i rumori passare da amplificati a nulli.
E’ come se tutto si fosse rallentato: La botta, il contatto
violento con l’auto, il mio corpo ribaltato e scaraventato
con forza a terra, la ghiaia che bucava la mia pelle e infine il gelo
che avvolgeva completamente il mio corpo. Sentii la macchina sgommare e
pian piano scomparire.
Aspettai
un po’, ma nessuno venne a recuperarmi. Tutto era muto,
rimbombava solo il mio sottile respiro e la musica ancora accesa
nell’ Mp3: ''Wir fühlen, wir sind fürs Ende
nicht bereit. Wir sterben niemals aus.'' “Non siamo
pronti per la fine non moriremo mai.”
Dopo
quelle parole non sentii più nulla, il freddo mi aveva
presa, per sempre.
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Capitolo 2 *** II ***
Per sempre?
Si ripeteva quel discorso da una mezz'oretta buona, da quando il sole
aveva fatto capolino illuminando leggermente la stanza, riflettendo i
suoi raggi sulle coperte disfatte.
Fey si era svegliata con un'emicrania che le martellava in testa e si
mise a sedere guardandosi attorno e cercando di scacciare quel sogno
così reale che l'aveva fatta svegliare di soprassalto alle
prime luci dell'alba.
Si alzò dal letto, ormai certa che non sarebbe
più riuscita a chiudere occhio. Andò in cucina a
prendere un bicchiere d'acqua e sentiva che c'era qualcosa che non
andava, si sentiva diversa. La casa era deserta, non si sentiva alcun
rumore, neppure il canto degli uccelli che ogni mattina rallegravano la
giornata con le loro melodie. Quel giorno era vuoto.
Iniziò a girottare per la casa svogliata e si diresse verso
la camera di sua madre, ma non c'era. La chiamò ma non ci fu
nessuna risposta.
Corse in camera e si cambiò in fretta e furia, si
girò verso lo specchio per mettersi un po' di blush nelle
guance e dare un po' di colorito a quella sua carnagione troppo chiara
che spesso detestava.
-Ali?..-
Indietreggiò turbata da quello che aveva visto riflesso,
erano ali quelle? Scosse la testa, probabilemente era solo la
stanchezza e quell'incubo, che ancora le ronzava in testa, non aveva
fatto altro che alimentare lo stress che aveva in corpo.
Uscì di casa e iniziò a dirigersi verso
l’ospedale, non sapeva il perché, ma era sicura
che sua madre fosse li. La gente del vicinato piangeva davanti alle
porte delle case, cani che abbaiavano in continuazione e sentiva voci
di persone che in quel momento non pronunciavano neanche una sillaba.
Decise di avvicinarsi per chiedere cosa fosse successo. La signora
Margaret, una donna un po' in carne coi capelli corti neri era
disperata appoggiata al cancelletto della sua casa, qualche metro
più avanti della casa di Fey. Le chiese perché
stesse piangendo, cosa stesse succedendo ma non rispose, continuava a
piangere e guardava da un’altra parte. Cercò di
mettersi davanti a lei ma questa non rispose. Fece così ad
altri, ma nessuno le diede una risposta... era come se nessuno la
vedesse, come se fosse invisibile.
-Mamma, mamma! Guarda! E’ un angelo!
A quelle parole si bloccò di scatto scandalizzata, solo una
bambina che avrà avuto intorno ai 6, 7 anni riusciva a
vederla e l'aveva definita un angelo.
Scappò, corse via. L’incidente era un sogno?
Cos’erano quelle ali? Si chiedeva perché
nessuno riuscisse a vederla, perchè quel giorno era iniziato
in quel modo. Non capiva ma sapeva che la risposta si trovava
lì, dentro quella struttura bianca che tra poco cadeva a
pezzi.
Percorse il lungo corridoio azzurro, quell’odore di
igienizzato le faceva venire la nausea e non riusciva a trovare
suamadre, chiedere era inutile.
Poi la vide, era stremata. Seduta su una misera sedia di plastica che
piangeva con le mani al volto. Suo padre, un uomo alto sulla
sessantina, in piedi che guardava il battiscopa con uno sguardo
assente. Fey cercò di farsi largo tra i medici e vide se
stessa, sdraiata sul lettino, senza vita. In quel momento le
passò l’incidente davanti agli occhi. Nessuno la
vedeva, aveva delle ali, il suo corpo era disteso davanti a
sè... Solo allora si rese conto davvero di essere morta.
Vide sua madre e suo padre avvicinarsi per
un’ultima volta al corpo prima di tornare a casa.
Entrò prima lei; si inginocchiò e le prese la
mano, portandola al viso. Guardava la figlia con uno sguardo di
assoluta tenerezza e piano piano le spostava via i capelli dal viso.
Fey non sopportava rimanere li senza fare nulla, sarebbe voluta andare
la e dirle: Mamma! Sono qui! Non mi vedi? Sono accanto a te!
Lei non riusciva a vederla, lei non riusciva a sentirla, la piccola Fey
per loro non c’era più. Quella ragazza sempre col
sorriso sulle labbra che se avesse potuto avrebbe aiutato il mondo
intero, che con quegli occhi di quel colore così inusuale
riusciva ad incantare chiunque.
La donna uscì e lasciò un po’ di tempo
al padre. Rimase a fissarla per qualche istante, poi le
baciò la mano e pianse. Fey non l'aveva mai visto piangere e
in quel momento avrebbe pianto anche lei, se solo avesse potuto farlo,
ma dai suoi occhi non uscivano lacrime, non ne aveva più la
possibilità. Sentiva la sua sofferenza attraversarla e
questo faceva più male di qualsiasi incidente. Si
avvicinò e lo abbracciò anche se lui non sentiva.
Si scostò dal corpo e se ne andò, lasciandola li
assieme a sè stessa e ai suoi ricordi, che erano le uniche
cose che le rimanevano.
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Capitolo 3 *** III ***
Erano passate alcune settimane dall’incidente, e quindi,
dalla sua morte.
Il funerale era stato straziante; c'erano tutti i suoi amici, i suoi
compagni di scuola, parenti e conoscenti.
Un sacco di persone che Fey credeva non sarebbero mai venute, credeva
che a molte di loro non importasse di lei.
A dire il vero era certa che a molti non importasse.
Vedere le loro lacrime le aveva lasciato un senso di tristezza e allo
stesso tempo di colpa, dava a se stessa la colpa dei loro pianti, dei
loro sorrisi cancellati dal viso.
Era stata colpa sua se i suoi genitori non uscivano più di
casa ed erano diventati pressoché assenti.
Vagava da casa di suo padre a casa di sua madre cercando di confortarli
in qualche modo. Quando era viva spesso pensava a come sarebbe stato
vedere il tutto dall'esterno, ma non avrebbe mai immaginato potesse
essere così. Non aveva le forze necessarie per sostenere
tutto quello che le si stava scagliando contro, ma non poteva lasciarli
da soli.
Sentiva un peso sulla bocca dello stomaco che non si decideva ad
alleviarsi, come se ogni giorno venisse aggiunto un mattone e pian
piano si stesse costruendo una solitudine intoccabile dentro di lei.
Cercò di ricordare cosa faceva, quand'era viva, quando si
sentiva sola e senza speranze. Andava a fare lunghe passeggiate con la
musica alle orecchie, usciva, si rintanava nello studio, parlava con
chiunque avesse bisogno di aiuto, cercando così di
nascondere l'aiuto di cui lei stessa aveva bisogno.
Cercò qualche passatempo, qualcosa da fare piuttosto di
chiudersi ulteriormente in se stessa, così aveva scoperto di
poter fare svariate cose;
sapeva cosa stessero facendo le persone in quel momento, percepiva i
loro pensieri e poteva andare da qualsiasi parte in poco tempo senza
neanche rendersene pienamente conto.
Iniziò a pensare...
Sarebbe potuta andare ovunque, in posti dove ha sempre desiderato
andare, da qualcuno
che ha sempre desiderato.
Riapparve lui, la sua immagine nitida nella sua mente e il pensiero di
poter essere a 10 centimetri dal suo viso la faceva impazzire,
finalmente avrebbe potuto constatare se avesse potuto avere qualche
imperfezione, qualsiasi, perché lei davvero non la trovava.
Cos'avrebbe potuto fare? Non voleva lasciare nessuno da solo, ma non
voleva neanche sprofondare a testa in giù nella situazione
in cui si trovava.
Odiava prendere delle scelte, lo odiava con tutta se stessa
perché poco più tardi aver deciso una qualsiasi
cosa si rendeva immediatamente conto che avrebbe dovuto scegliere
l'altra e che stava andando incontro ad una strada dove al posto del
cemento vi erano solo problemi su problemi.
Guardò per un’ultima volta la madre che aveva un
mezzo sorriso dipinto in faccia guardando la televisione e
uscì di casa.
Era sicura che di lì a poco avrebbe maledetto l'idea di
allontanarsi dalla sua famiglia, ma doveva rischiare... ormai cos'aveva
da perdere?
Faceva freddo, dopotutto era quasi Natale, il cielo aveva il colore e
l’odore della neve ma non scendeva nulla, nemmeno una goccia.
Si mise in viaggio e senza sapere nemmeno come,
pensò ad un posto felice e si ritrovò in
Germania, davanti a quella casa ricoperta di neve.
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Capitolo 4 *** IV ***
Un brivido le percorse la schiena, si chiedeva se fosse li per
davvero, davanti a quella casa, quella casa in cui
c’erano proprio loro.
Avrebbe avuto il suo viso a pochi centimetri di distanza?
Mentre si ripeteva queste cose nella testa si diresse verso
l’ingresso e titubante entrò.
Un forte profumo di cannella le entrò nelle narici e tutto
aveva un’atmosfera diversa in quella casa, sembrava
di essere in un film.
C’era una musica natalizia tedesca in sottofondo e in
lontananza si sentivano delle voci accompagnate da calorose risate.
Fey si guardò attorno; davanti a lei, poco più a
sinistra si innalzava un enorme albero di natale, addobbato come si
deve e con delle candele appese. La luce che illuminava l'abitazione
era calda e dava un senso di sollievo, come se si sentisse a casa, al
sicuro dai suoi problemi là fuori. Davanti a lei c'era una
scalinata color cioccolato dalla quale scese un bastardino nero
zampettando che si diresse verso la stanza dalla quale provenivano le
voci.
Si avvicinò e lo sentì. Sentì quella
voce che avrebbe riconosciuto ovunque.
Si fermò. Era davvero sicura di quello che stava facendo? Si
sarebbe ritrovata davanti a lui e soprattutto non avrebbe potuto far
nient’altro che guardarlo, osservarlo nei minimi particolari,
ma infondo, non è ciò che ha sempre desiderato?
Entrò nella stanza e lui
era li. Seduto su quel divano, con quei pantaloni troppo larghi e le
gambe che, come suo solito, si muovevano senza sosta quasi come se
stesse suonando il tamburo di una batteria.
Titubante si avvicinò a lui e ad ogni passo che faceva il
battito del cuore accelerava e la temperatura aumentava. La ragazza gli
si sedette accanto, arrotolandosi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio, gesto che faceva sempre quand'era nervosa.
Studiò con precisione ogni suo singolo movimento, anche
quello più involontario. Le braccia poggiate sulle ginocchia
e le mani affusolate che si intrecciavano in una maniera
così armoniosa da metterla a disagio, la schiena curva e il
collo proteso in avanti, cercando di ascoltare con maggiore attenzione
ciò che diceva il fratello, che tra l’altro, era
una delle sue solite idiozie. Gli occhi erano concentrati, un
po’ più chiusi del solito che osservavano come se
volessero scrutare qualcosa.
Pensò che non avrebbe mai dimenticato il suo profilo,
è stata la cosa che dal principio l'ha colpita; quel naso
così perfetto, l’unione con le labbra socchiuse
come se da un momento all’altro dovesse dire qualcosa, e quel
piercing era qualcosa di perfetto visto così da vicino.
Rimase incantata a guardarlo quando lui si girò verso la sua
parte; le si gelò il sangue. Le sembrò che i suoi
occhi castani, quasi ambrati, si immergessero completamente dentro i
suoi.
Tom guardò perplesso per poi spostare lo sguardo sul
pavimento in parquet color nocciola e poi si rigirò verso il
fratello ridendo. Fey era bloccata. Si chiese se si fosse reso conto
della sua presenza, non l'aveva vista, forse l'aveva solo sentita,
aveva percepito che c’era qualcuno...
Aveva notato che lo sguardo aveva qualcosa di diverso dagli altri
sguardi, aveva la luce. Aveva quella luce che Fey non aveva
più.
Lui gliel'aveva rubata quella luce, senza che neanche se ne accorgesse.
Sarebbe rimasta lì tutta la notte a guardarlo muoversi,
gesticolare. Sarebbe rimasta tutta la vita, se avesse potuto.
Le piaceva ascoltare la voce di Tom, era diversa da quella di Bill
squillante e accesa. La voce di Tom era profonda, un po' cantilenata,
ma di quelle cantilene con le quali ti ci addormenteresti la sera.
Quando rideva sbottava in una fragorosa risata per poi finire quasi
senza fiato, sfoggiando un'enorme sorriso, socchiudendo gli occhi e
battendo le mani sulle gambe.
Contagiava, Tom era contagioso. Le dava allegria, fiducia.
Tutti e tre stavano mangiando un dolce al cioccolato e Bill era
completamente sporco ai lati della bocca, mentre la mamma e il gemello
ridevano a più non posso.
Era bello vedere una famiglia così riunita, anche se
piccola. Era bello vedere e sentire delle risate felici, sincere. Anche
Fey sorrideva, anche se delle volte si sentiva a disagio. Si stava pian
piano rendendo conto che lei aveva perso tutto quello che aveva davanti
agli occhi, e iniziava a sentirne la mancanza.
Rimase ancora un po’ a osservare i loro comportamenti e poi
andò via, tornò a casa con la sua voce ancora
nella testa.
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Capitolo 5 *** V ***
Era arrivato il Natale.
Fey avrebbe voluto cancellare questa festa, ormai né lei
né la sua famiglia la festeggiavano più, ed era
diventato solo altro momento di tristezza, un momento per ricordare
tutti i Natali passati insieme.
Quel 24 Dicembre era iniziato nel modo più sbagliato
possibile, Fey si era svegliata con un mal di testa atroce, i pensieri
di mille persone dentro la sua testa vagavano e sbattevano l'uno contro
l'altro.
Sentiva suo papà che era arrabbiato e spaventato
perché gli affari non andavano bene.
La mamma che ormai non ce la faceva più, abbandonata al suo
destino.
La vicina non sapeva cosa cucinare per pranzo e temeva di aver perso il
suo gatto Kitty, che a Fey non era mai stato tanto simpatico.
E infine, non sapendo come, sentì i pensieri di Tom; gli
faceva male la pancia e dava la colpa a ciò che stava
mangiando ultimamente, ed era eccitato per il nuovo Tour.
Il Tour.
Fey si era ripromessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche lavorare
e studiare dalla mattina alla sera, pur di andare ad un loro concerto,
cantare assieme a loro e vederli almeno per una volta.
Pensandoci adesso poteva fare molto di più, poteva vivere
con loro e stare attaccata a Tom 24 ore su 24, ma non era la stessa
cosa.
Le sarebbe piaciuto essere notata, per una volta. O per lo meno avere
il beneficio del dubbio.
Nella situazione in cui si trovava ora era certa che Tom non si sarebbe
mai e poi mai accorto di lei, a
meno che un miracolo non la salvasse.
Dall'incidente aveva iniziato a dormire sul divano o nella
sua camera, vicino alla mamma, per darle conforto.
Quel giorno aveva deciso di riposarsi sul divano bordeaux del salone,
posto davanti ad un'enorme vetrata dalla quale si vedeva il bosco.
Era stata svegliata dal fracasso dei vicini che abitavano nella casa
accanto, la famiglia Morgan.
Il signor Harold e la moglie ogni mattina urlavano e sbraitavano contro
la figlia, Jess. Era una ragazza un po' particolare, diciamo bizzarra.
Dei giorni vestiva completamente di nero e chiunque avrebbe giurato che
potesse essere la figlia di satana. Altri giorni invece sembrava la
ragazza più dolce e indifesa del mondo. Fey aveva sempre
cercato di starle lontana, non voleva mettersi nei guai.
Decise di affacciarsi dalla veranda per vedere cosa succedeva, non per
essere ficcanaso ma qualche novità non faceva mai male.
Jess uscì di casa sbattendo la porta e si voltò
verso Fey;
-Che c'è?! Certo tu non hai problemi, a te i tuoi genitori
non rompono i coglioni dalla mattina alla sera!
Diede un calcio al bidoncino dell'immondizia e prese a camminare.
Fey rimase intontita per mezzo secondo e scese velocemente le scale,
raggiungendo la ragazza. La prese per un braccio e la fece girare;
-Mi vedi. -aveva il fiatone. -Tu... tu mi vedi.
-Sì Fey Parker, ti vedo e vorrei non vederti. Stai iniziando
a drogarti? - Jess la scansò.
-Perché mi vedi?? Perché tu puoi e gli altri no!
- Fey era disperata, sembrava che stesse per scoppiare da un momento
all'altro.
-Scusa? Ma che stai dicendo? - Jess si guardò attorno e vide
gli sguardi della gente incollati addosso, alcuni bisbigliavano e delle
mamme portavano via i bambini.
-Sparisci Fey. - Le lanciò uno sguardo d'odio e se ne
andò.
Era quasi mezzanotte e la madre di Fey stava già dormendo.
Dal giorno della morte della figlia aveva iniziato a dormire nella sua
stanza, l'aveva sentita dire che c'era il suo profumo, e quindi era
come se Fey fossi ancora lì con lei.
La ragazza era poggiata sullo stipite della porta e la guardava, si
chiedeva se fosse giusto stare ancora in quella casa, o se
forse sarebbe stato meglio andare via, per far sparire la sua presenza
che la tormentava.
Dove poteva andare? Non sapeva nulla di ciò che era, a parte
che era morta e aveva due ali bianche.
La ossessionavano dei flash, delle immagini un po’ sfocate
della Germania, le immagini di Tom su quel divano che rideva.
Forse doveva andare da lui, forse doveva essere il suo angelo custode.
Forse erano destinati sin dall’inizio, forse doveva vegliare
su di lui sin dall’inizio.
Non fu pienamente sicura della scelta che stava per prendere, ma si era
accorta che qualunque azione ne comportava una, e siccome non era tanto
brava a scegliere doveva buttarsi a capofitto e basta.
Aspettò la mezzanotte, diede un bacio a sua madre e si
diresse da suo padre.
I genitori di Fey avevano divorziato già da qualche anno,
lei non faceva pesare la situazione, a dire il vero delle volte neanche
se ne accorgeva.
Ma i cambiamenti di casa, i pianti e le vincende che visse l'avevano
cambiata, in qualche modo. Lei forse non se ne accorgeva
perché soffocava il tutto nella musica, aveva più
volte affermato che fossero stati proprio i Tokio Hotel a salvarla.
Si rifugiava nelle loro canzoni, si drogava di loro. Le loro parole
diventavano le sue, quelle che non era mai stata in grando di
pronunciare, quelle che magari neanche sapeva di necessitare.
Suo padre era seduto davanti alla tv, come ogni sera e guardava un
programma comico, ogni tanto qualche sorriso.
Fey sapeva benissimo che in realtà non era felice, e la sua
morte aveva provocato solo un'enorme dolore.
Averlo lasciato solo era il suo più grande fallimento, e non
se lo sarebbe mai perdonata.
-Vorrei che fossi felice, Fey. Chi lo sa, magari lassù, o
quaggiù, ti stai divertendo.
Gli occhi dell'uomo si riempirono di lacrime.
-Se mi stai sentendo...ovunque tu sia. Sii felice, figlia mia. So che
sei al mio fianco, sempre. Se non fisicamente ci sei spiritualmente e
col cuore, e sarai sempre la mia bambina, sempre.
Si mise a piangere, e con lui anche Fey. Lo abbracciò e
sembrò quasi che tutto di loro si ricongiungesse; corpo, ossa, anima e cuore.
Fey se ne andò senza sapere se sarebbe più
tornata in quella casa che esplodeva di ricordi.
Torno lì.
Era ancora inesperta, non riusciva mai ad andare in un determinato
posto semplicemente con la forza del pensiero.
Delle volte si ritrovava addirittura a 10 isolati dalla casa dei
gemelli, altre volte sbagliava addirittura città, trovandosi
per le strade di Monaco piuttosto che per quelle di Amburgo.
Quella volta sbucò in una strada che non aveva mai visto, ma
era sicura di essere in Germania.
Vedeva impianti luminosi con sù scritto ''Frohe Weihnachten'',
luci colorate ovunque e il fumo che usciva da ogni comingnolo di ogni
singola villetta. La neve candida rifletteva perfettamente quelle luci
e il tutto sembrava surreale, come una foto di una cartolina.
Le piaceva ritrovarsi in quel mondo, completamente diverso da quello
che aveva vissuto e, contemporaneamente, era tutto quello che aveva
sempre desiderato.
Decise di fare qualche passo seguendo il prolungamento della via, prima
o poi sarebbe sbucata in qualche strada conosciuta. Le piaceva sentire
il rumore dei suoi passi sul ghiaccio, e per una volta, le sarebbe
piaciuto sentire il gelo tedesco di Dicembre, ma purtroppo, non le era
consentito.
Passo dopo passo, finì per pensare di nuovo a Tom.
Nonostante non fosse in grado di sentire il freddo, quando l'aveva
visto era come se
stesse prendendo fuoco.
Sentiva il suo corpo avvampare ed era una sensazione completamente
nuova, date le circostanze. Non riusciva ancora a capacitarsi
dell'effetto che lui esercitava su di lei, cavolo era una persona come
un'altra!
Era difficile rispondere a quelle domande, ma d'altronde cos'altro
poteva fare se non interrogarsi su ciò che le era capitato?
Continuò a camminare, finché non vide una figura
più che familiare.
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Capitolo 6 *** VI ***
Una figura nera, affusolata, che si distingueva dal contrasto con la
neve bianca e i muri chiari delle case.
Camminava a passo svelto e il suo viso era offuscato dal suo respiro
condensato.
Fey si avvicinò e sentì il cuore correre, Tom era
uscito a quell'ora il giorno di Natale?
Più lo guardava, però, più sentiva che
c'era qualcosa che non andava.
Lo scrutò attentamente e notò che il suo profilo
era diverso, leggermente più marcato, la punta del naso non
era all'insù.
La figura era più slanciata e magra e notò che
vestiva un cappotto color grigio scuro, una cuffietta nera in testa e
portava degli anfibi. I suoi occhi erano contornati da un ombretto nero.
Decisamente facile confondere Tom Kaulitz per suo fratello Bill, a
quell'ora della notte.
Decise di seguirlo, dato che non conosceva la strada di casa e
così si mise accanto a lui.
Notò che la somiglianza tra i due era pazzesca, se non fosse
stato per qualche minima differenza, i gemelli Kaulitz sarebbero stati
irriconoscibili.
Bill si fermò tutto d'un tratto.
Fey era leggermente avanti rispetto a lui, teneva la sua valigia, e si
accorse di quanto il moro fosse più alto di lei e la minima
differenza di altezza che aveva con Tom; entrambi, comunque, la
superavano di almeno 20 centimentri.
Bill prese a frugarsi freneticamente le tasche, come se stesse cercando
qualcosa e si fosse appena accorto di averla persa. Si volto
indietrò a guardare l'asfalto nel quale erano marcate solo
le sue orme, per vedere se ciò che cercava gli era caduto,
ma non c'era nulla.
Fey lesse panico
nei suoi occhi.
I suoi pensieri viaggiavano così veloci da incasinarla
completamente.
Vedeva solo immagini indistinte di soldi, uomini del quale non
conosceva l'identità e qualche immagine di Tom, tutto alla
rinfusa.
Il ragazzo si grattò la nuca e imprecò, poi
riprese il suo cammino accendendosi una sigaretta. Inspirava
profondamente, le mani gli tremavano leggermente, forse il freddo o
forse l'ansia. La ragazza non aveva ben capito cosa fosse successo, ma
leggeva un'infinità di emozioni dentro la mente del moro,
quelle più forti erano rabbia
e terrore.
Svoltò l'angolo e si accorse di essere alla fine della via
di casa, riconosceva da lontano la loro e faceva uno strano effetto,
come se la sua anima si stesse per ricongiungere con quello a cui era
sempre stata legata.
Le luci erano spente, rimanevano accese solo quelle
dell’albero di natale che riflettevano sulla neve bianca che
stava sul giardino.
Bill entrò piano e insieme salirono le scale.
-Dov'eri?
Una voce roca, assonnata, li fece sobbalzare e si girarono verso il
salotto. Su un divano in pelle bianca c'era Tom seduto che si
strofinava gli occhi.
Bill non si mosse dal suo posto
-Ero a fare un giro - disse incerto - mi stavi aspettando?
-Direi. - Tom si alzò dal divano e si diresse verso la rampa
di scale, visibilmente seccato.
Una lite tra gemelli, perfetto! Pensò Fey.
-Che giorno è oggi, Bill?
-Oggi? Oggi è natale. Tom perché mi fai queste
domande? E' tardi vorrei andare a letto... -
Il cuore di Bill batteva in una maniera indescrivibile e Fey si sentiva
di troppo in quella situazione, anche se nessuno la vedeva.
-Sì oggi è natale, e sai cosa? Sono rimasto io
con la mamma. Le ho fatto scartare il mio regalo e le ho detto che
è da parte mia e tua, per pararti il culo. Mi spieghi che
cos'hai in testa Bill? - Tom alzò di poco la voce e
iniziò a salire alcuni gradini.
Bill si passò una mano dietro la nuca e stava cercando
disperatamente una scusa da inventare al momento per tirarsi fuori da
quella situazione di merda.
Tom sbuffò e lo superò, salendo le scale e
andando in camera sua.
Quel gesto, per Bill, valeva più di mille parole e
più di mille 'vaffanculo dovevi essere a casa invece di
andare in giro a farti gli affari tuoi'.
Al piano di sopra c’erano tante stanze, Bill entrò
in una stanza infondo al corridoio mentre Tom entrò in una
dalla quale filtrava una luce sul blu chiaro.
Fey si sentiva un ebete con quella valigia rossa in mano.
Si sentiva come una tredicenne eccitata per il suo primo viaggio
lontano da casa. In un certo senso era così, solo che Fey
non stava andando in una città d'arte a scattare qualche
foto e visitare i musei, stava andando a vivere col ragazzo sei suoi
sogni.
Chiunque avrebbe desiderato fare lo stesso! A patto di essere viste,
però...
Decise di entrare e lo vide seduto sul letto matrimoniale che guardava
il pavimento e si leccava le labbra.
Per un attimo rimase bloccata e immaginò come sarebbe stato
se Tom, in quel momento, si fosse girato e l'avesse vista.
Sentì un brivido percorrerla.
Fey poggiò la valigia in un angolo della stanza e si
avvicinò lentamente a lui, sedendosi sul letto.
Rimase ad osservarlo, non voleva leggere i suoi pensieri ma
è come se, in quel momento, Tom volesse che qualcuno gli
aprisse la mente e condividesse con lui quello che lo turbava.
Scosse la testa e si alzò. Si tolse la maglietta, la
poggiò sulla sedia e uscì dalla stanza, per
andare al bagno.
Le passò di fronte, lasciando che una folata del suo profumo
la inebriasse.
Il cuore dell'angelo batteva, forte.
Non aveva provato più una sensazione del genere dal giorno
dell’incidente, è come se dentro di lei fosse nato
di nuovo qualcosa, è come se dentro di lei fosse ancora
viva. Lui aveva fatto sì che provasse di nuovo delle
emozioni, lui aveva la luce che mancava nello sguardo di Fey, era lui
il ladro che non le aveva chiesto il permesso.
Quando tornò si sdraiò sul letto a pancia in su,
guardando il soffitto. Fey si mise accanto a lui, posta su un fianco.
Aveva un mattone nello stomaco, ed era certa che il suo nome iniziasse
per T e finisse per M.
Il moro era immobile, i cornrows gli ricadevano sulle spalle, respirava
leggermente e il suo sguardo si spostava ogni tanto alla sua sinistra,
dov’era Fey.
Era rigido e preoccupato, non solo perché sentiva, in un
certo senso la presenza della ragazza, ma era preoccupato anche per il
fratello.
Non era la prima volta che Bill tornava così tardi la sera,
e proprio quella sera sarebbe stato meglio che facesse compagnia a
Simone.
I pensieri di Tom le passavano davanti come se stesse sfogliando le
pagine di un libro, leggeva che si sentiva deluso dal comportamento di
suo fratello, non riusciva a capire perché si stesse
comportando così.
Rispondeva in modo alterato a tutti senza un motivo apparente, a casa
non c'era quasi mai e durante le prove sembrava piuttosto stanco; tutto
questo non avrebbe fatto bene alla band, ai fans e a lui, in primis.
Fey avrebbe voluto che Tom la vedesse in modo da fargli condividere i
suoi dolori con lei, in modo da alleviargli quel peso così
opprimente che si riusciva a percepire solo a guardarlo negli occhi.
Avevano diverse cose in
comune, lui e lei.
Poi, senza che se ne accorgesse, Tom si
addormentò chiudendo gli occhi e sbattendo per un po' le sue
lunghe ciglia.
Poco dopo, si addormentò anche lei, cullata dal suo respiro.
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Capitolo 7 *** VII ***
I giorni passavano e la malinconia cresceva.
A Fey mancava essere vista, le mancava sentir pronunciare il suo nome,
le mancava essere una persona.
Le mancava anche la sua famiglia, la sua casa e le sue cose.
La sua stanza, i suoi poster anche se a dirla tutta in quella
situazione non le servivano più di tanto dato che aveva i
suoi sogni davanti agli occhi.
Girava sempre per la casa, li seguiva in giro per il mondo controllando
che stessero bene.
Bill e Tom erano stressati e il massimo che potesse fare era quello di
proteggerli con le sue ali dai dolori più
grandi, così che non potessero sfiorarli.
Ma questo non serviva a molto, ogni giorno che passava i problemi si
moltiplicavano e, nonostante fossero forti, si abbattevano ogni giorno
di più.
Georg e Gustav erano sempre presenti, anche loro provati dal grande
successo che, si sa, porta anche delle cose negative e i ragazzi lo
sapevano bene.
Doveva trovare un modo, un modo per far si che tutti i mali li
toccassero con più delicatezza.
Ma come fare?
Non poteva aiutarli in nessun modo, poteva semplicemente gironzolargli
attorno e sperare che si accorgessero, chissà come, di lei.
A dire il vero, aveva sempre desiderato che qualcuno si accorgesse di
lei, anche prima di ritrovarsi due ali attaccate alla schiena.
Avrebbe voluto che qualcuno la guardasse nel modo in cui si guardavano
gli innamorati nei film, ma non era mai accaduto.
Delle volte era gelosa delle ragazze che Tom incontrava la sera, quando
usciva o dopo un concerto.
Delle volte era addirittura gelosa di Bill.
Fey si ritrovava spesso a pensare a quando Jess Morgan l'aveva vista.
Come ci era riuscita?
Iniziò a credere che solo le persone socialmente disagiate
potessero vederla.
Jess non era tanto normale, come non era normale il fatto che fosse
stata l'unica a vederla e a parlare con lei dal giorno dell'incidente.
Fey poteva essere vista da tutti coloro che avevano bisogno di essere
visti, di essere presi in considerazione.
Manco fossi Dio,
pensò.
Così era stata vista da Jess e dal barbone che solitamente
dormiva nella Logenstraße, vicino alla metropolitana.
Al contrario, era invisibile per il resto della popolazione, come
sempre.
Certi giorni si sentiva uno schifo, si faceva del male da sola nel
seguire Tom durante le sue avventure da una notte con le varie ragazze
che gli si proponevano davanti.
La storia era sempre la stessa: qualche sguardo, qualche sorriso e poi
finivano a letto.
Lo vedeva come si comportava, con quel modo di fare che avrebbe
stregato qualsiasi essere esistente su questa terra.
Il corteggiamento di Tom era punteggiato da varie fasi che a seconda
della ragazza si invertivano, ma alla fine dopo la scopata lui non
l'avrebbe più cercata e lei non ne avrebbe fatto un dramma.
La feriva vederlo avvinghiato al corpo di un'altra, ma d'altronde era
tutto quello che poteva fare, guardare ferma in un angolo della stanza
e segretamente desiderare di essere quella ragazza che avrebbe, almeno
per una notte, avuto l'attenzione di Tom tutta per sè.
Il brutto per entrabi però veniva dopo, quando Tom si
ritrovava da solo in quella stanza con le coperte disfatte.
Si ritrovava a ripensare a quello che aveva fatto e non se ne pentiva,
ma si sentiva ogni volta sempre più solo.
Soprattutto l'ultima volta, dopo che Katerine se n'era andata, Tom era
rimasto solo in quella camera d'albergo affacciato al balcone a fumarsi
una sigaretta.
Si chiedeva se prima o poi avrebbe fatto qualcosa di diverso, e
soprattutto si chiedeva quando Bill sarebbe tornato.
Dopo il concerto era sparito e nessuno sapeva dove fosse.
Avevano trascorso due notti in un hotel al centro di Berlino.
Fey venne svegliata da un dolore atroce, simile ad una coltellata nella
bocca dello stomaco.
Sobbalzò e si accorse che Tom non era più a
letto.
Presa dal panico si alzò in piedi e corse al piano di sotto,
nella hole dell'albergo e intanto cercava di localizzare Tom, di
percepire i suoi pensieri e capire così dove si trovasse.
Tremava, sapeva che stava succedendo qualcosa, ma i pensieri erano
troppo scombussolati.
<< Scappa,
Bill! Vattene, corri porca puttana!>>
Si immobilizzò.
La voce di Tom in
lacrime, il gelo,
la paura.
Corse.
Fey non sapeva dove stesse andando, ma si mise a correre più
che poteva.
Doveva trovarli, doveva capire cosa stesse succedendo, sentiva Tom
sempre più debole, sentiva Bill sempre più
disperato.
L'angelò si ritrovò in un vicolo, Tom accasciato
da una parte, privo di sensi e Bill al suo fianco che piangeva.
Gli corse accanto e vide che entrambi erano feriti al viso; il moro
aveva una guancia viola e svariati graffi sul viso, il trucco
completamente sbavato che gli colava e lui che tirava su col naso.
Tom aveva il labbro spaccato e non respirava.
Fey urlava.
Chiedeva aiuto con una voce senza suono, nessuno l'avrebbe sentita,
neanche Dio.
Parlò a Bill, come se potesse sentirla.
-Ti prego Bill fa qualcosa, chiama aiuto, non lasciarlo qui
così!-
-Mi dispiace Tom, mi dispiace davvero tanto- singhiozzava. -Non pensavo
potessero mettere in mezzo anche te, tu vali più di questa
fottuta droga!-
Bill lanciò via un pacchetto con delle pillole e si
accasciò sul corpo del fratello, immobile, cercando di
rianimarlo spingendo le sue mani sul torace.
Fey vide delle immagini confuse di ciò che era appena
successo; vide Bill per terra accasciato al muro che piangeva, e vide
Tom che veniva picchiato, col suo sangue sparso ovunque.
Era una scena raccapricciante.
Bill era così fragile, così indifeso.
Sembrava un oggetto ridotto in cocci che cercava di riattaccare
qualcosa senza avere la colla per farlo.
Si alzò prendendo il cellulare e con le mani tremanti
chiamò l'ambulanza.
Fey si avvicinò a Tom implorando di svegliarsi, di muoversi,
di aprire gli occhi, di fare qualsiasi cosa ma di non lasciarla.
Di non lasciare nessuno.
Pur essendo morta non aveva idea di cosa l'avrebbe aspettato, e se
fosse finito nella sua situazione avrebbe preferito dare tutto quello
che le restava, piuttosto che fargli vivere un'agonia del genere.
Gli accarezzò una guancia, era freddo come il ghiaccio. Lo
baciò.
Non sentì il tocco, ma le ambulanze erano arrivate.
Glielo portarono via e Bill salì con lui. Fey rimase
lì.
Sola.
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Capitolo 8 *** VIII ***
Fey era rimasta in quella stanza d'ospedale per due giorni interi,
insieme a Bill che sedeva sempre su una poltroncina verde scuro accanto
al letto.
Il sole era appena sorto e accarezzava leggermente i lineamenti del
moro, rendendo visibili i lividi e le guance bagnate dalle lacrime.
Bill teneva stretta la mano di Tom, leggermente gli accarezzava il
dorso col pollice, sperando di veder riaprire gli occhi del gemello,
maledicendosi per quello che gli aveva fatto.
Tom era disteso su un letto con mille macchine attaccate al corpo, in
coma.
I dottori avevano detto che c'erano pochissime probabilità
che il ragazzo potesse risvegliarsi.
Le botte erano state forti e il colpo violento contro il muro gli aveva
causato un trauma cranico.
E tutto per colpa di Bill.
Per il suo egoismo, per il suo menefreghismo e perché non
era nient'altro che un lurido drogato. Queste erano le parole che si
ripeteva nella testa.
Gli arrivò un messaggio al telefono e illuminandosi
mostrò la foto che aveva nel display; erano lui e Tom al
mare, durante le vacanze.
Sentì una stretta alla gola.
Il sorriso di Tom, i loro visi identici. Loro erano uguali.
Lo erano.
Bill era cambiato, non era più la persona che era un tempo,
cos'era andato storto?
Avrebbe voluto essere lui al posto del fratello, avrebbe voluto essere
lui in bilico tra la vita e la morte. Se lo meritava.
Bill avrebbe chiesto perdono, avrebbe implorato Tom di perdonarlo se
solo avesse potuto vedere i suoi occhi. Tom gli aveva sempre fatto da
spalla, l'aveva aiutato in qualsiasi momento. Gli aveva mostrato come
ci si doveva comportare e gli aveva mostrato chi era davvero Bill
Kaulitz.
Eppure era tutto diverso.
Tom era Bill e Bill era Tom.
Erano gemelli, erano perfettamente uguali. Certo il loro look poteva
ingannare, ma erano la stessa persona in due corpi differenti, avevano
lo stesso sangue.
Uno era ciò
che scorreva nelle vene dell'altro.
Le fan inventavano storie d'amore fra di loro. Certo, quelle storie non
erano vere, ma loro si amavano davvero.
Fey camminava avanti e indietro per la stanza.
Doveva trovare un modo, uno qualsiasi per far tornare in vita Tom e
porre fine a quello strazio.
Era stanca di sentire quell'odioso 'bip' della macchina del cuore che
era attaccata al ragazzo, lei voleva sentire Tom. La sua voce.
Voleva sentirlo ridere, parlare, urlare, cantare, qualsiasi cosa.
Ma voleva sentire Tom, non una macchina.
Pensandoci bene trovò un modo.
Forse era troppo azzardato, forse era troppo per lei, ma doveva farlo,
teneva troppo a quei ragazzi.
Doveva solo rinunciare
alle sue ali.
Prendere una decisione di quel genere comportava maturità,
forza, coraggio... amore.
Era un dolore
lancinante, veniva assordata dalle sue stesse grida. Il sangue colava
dalla sua schiena.
Non aveva più
le sue ali, non poteva più volare. L'unica cosa che le
rimaneva era la speranza, la speranza che fosse servito a qualcosa.
-Signora Kaulitz, sono lieto di dirle che suo figlio Tom
è uscito dal coma. Adesso respira senza l'aiuto delle
macchine ed entro qualche ora potrebbe riaprire gli occhi.-
Simone si abbandonò tra le braccia di Bill e entrambi
piansero di felicità. La vicenda della droga, in quel
momento, era passata in secondo piano.
Era stato come se tutti avessero avuto un nuovo motivo per vivere e per
ricominciare.
Fey era seduta sulle sedie del corridoio, visibilmente provata ma si
sentiva completa, felice.
Aveva salvato Tom, gli aveva donato la vita. Cos'erano un paio di ali
bianche in confronto?
-Mamma sta aprendo gli occhi! - La voce di Bill aveva rimbombato per
tutta la stanza, facendo precipitare Simone e il medico che aveva
assistito Tom.
Gli occhi del ragazzo si aprirono lentamente, cercando di mettere a
fuoco le immagini.
Il suo sguardo si spostò sulla figura di Bill, poi sulla
madre e sul dottor Hans, e infine su Fey.
Bill si gettò sul fratello, piangendo.
Gli chiese scusa, gli sussurrò di perdonarlo. Parole che
solo Tom riusciva a sentire.
Il fratello lentamente lo abbracciò
-Certo che ti predono, fratellino. Non fare la checca che piagnucola!-
Entrambi risero e Bill tornò accanto alla madre.
Tom e Fey rimasero a guardarsi per un attimo, dopo di che il ragazzo
cercò di pronunciare qualcosa, spostando lo sguardo di nuovo
sul gemello.
-Chi è lei?- La sua voce era bassa, flebile, a stento si
sentiva.
-Come Tom... E' la mamma, non ricordi?
Gli occhi di Simone si riempirono di lacrime.
-No, chi è la ragazza accanto...alla mamma?
Bill guardò verso Fey per poi guardare la madre e il
dottore, in cerca di spiegazioni.
-E' possibile che siano effetti post-coma, dopotutto Tom ne
è uscito da pochissimo! Le medicine lo intontiscono... -
disse il dottor Hans mentre controllava le cartelle e i valori clinici
del ragazzo - non dovete preoccuparvi, deve solo riposare.
Bill e Simone annuirono, salutarono Tom e assieme al dottore uscirono.
Rimase solo Fey, con lui.
-Merda questa situzione mi mette i brividi.
Tom pronunciò quella frase passandosi una mano
sugli occhi.
Fey era ferma, immobile, in mezzo alla stanza.
Non era possibile, era un sogno.
Era davvero possibile che Tom la vedesse? Sentiva come se non fosse
semplicemente a causa del coma. Era certa che il gesto estremo che
aveva fatto era quel
miracolo che tanto aveva aspettato.
-Tom... ?
Il ragazzo la squadrò da capo a piedi.
Fey portava delle Vans, un paio di jeans neri e un maglioncino grigio.
I capelli lunghi, mossi, color cioccolato.
Tom si soffermò sugli occhi. Celeste ghiaccio.
-Credo di essermi completamente rincoglionito, però
svegliarsi da un coma e trovarsi davanti una bella ragazza
così non è male.
Curvò le labbra in un sorriso, sentendosi leggermente
stupido, prendendo poi a giocherellare con i tubi della flebo.
Il cuore di Fey sembrò pomparsi e riempirsi, e si dipinse
sul suo volto un enorme sorriso.
Era felice.
Lui guardava lei, i suoi occhi erano rivolti sulla sua persona.
Il suono della sua voce era stato emesso solo e soltanto per farsi
sentire da lei.
Tom credeva di sognare, o semplicemente era certo che tutti quei
medicinali e antidolorifici gli facessero avere delle visioni.
Fey non ebbe voglia di pensare a cosa dire a Tom, a come spiegargli
tutta quell'assurda situazione.
L'angelo senza ali si limitò semplicemente ad avvicinarsi al
ragazzo e a sedersi nella poltrona affianco a lui, arrotolandosi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
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Capitolo 9 *** IX ***
Dal giorno in cui Tom aveva aperto gli occhi e l'aveva vista, Fey non
era più andata da lui, non stava più a casa con
la famiglia Kaulitz.
Simone, Bill e Tom avevano deciso di non rivelare nulla e la notizia
sul pestaggio dei gemelli era stata raccontata come un atto di odio
verso la band da parte degli haters. Solo Georg e Gustav sapevano la
verità.
I Tokio Hotel si presero una pausa.
Le due G si erano messe a lavoro per scrivere qualche nuovo pezzo e per
non far allarmare i fan.
Bill andava regolarmente da uno psicologo e vedeva dei professionisti
che lo aiutavano ad uscire dal brutto giro in cui era capitato.
Tom si riprendeva, e Fey riuscendo a leggere i suoi pensieri, sapeva
che si chiedeva sempre di quella ragazza dagli occhi celesti nella sua
stanza d'ospedale.
Fey pensava che sarebbe stato meglio sparire, sarebbe stato
traumatizzante per Tom sapere la verità.
E sopratutto impossibile da credere.
''Hey ciao! Io sono Fey
Parker, sono morta, sono un angelo senza ali e tu mi vedi! Non
è fantastico?''
No.
Non poteva farlo.
-Tom, tesoro, non credi che sia troppo presto per uscire? Voglio dire,
sei ancora convalescente e poi fuori si è già
fatto buio, fa freddo!
-Mamma ma lo sai da quanto sono rinchiuso in questa cavolo di casa?
Puzzo di morto!
Simone roteò gli occhi e incrociò le mani al
petto rivolgendo al figlio uno sguardo un po' preoccupato.
-Non ci starò tre ore. Solo una passeggiata per sgranchirmi
le gambe.
Tom le diede un bacio sulla guancia e si chiuse la porta alle spalle,
respirando a pieni polmoni l'aria fredda di Gennaio.
Fey, come ogni sera, faceva una passeggiata per schiarirsi i pensieri e
rispolverare i suoi ricordi.
Camminava guardandosi le scarpe, e per un attimo le parve di
ripercorrere il giorno dell'incidente.
Un lungo brivido precedette un piccolo scontro.
La ragazza balzò indietro spaventata, urlando, come se fosse
tornata al giorno della sua morte.
Tom urlò a sua volta
-Oh cavolo scusami, non ti avevo vista!
I loro sguardi si incontrarono.
La luce negli occhi di
lui contro il buio negli occhi di lei.
Tom strabuzzò gli occhi e fece qualche passo
indietro, sentendosi immediatamente un'idiota.
Soltanto che quella ragazza gli ricordava tanto qualcuno...
-Non ti preoccupare! Non stavo guardando la strada, ero concentrata..su
altro.
Fey si era sforzata di rispondere nel modo più calmo
possibile cercando di far rallentare il suo cuore che di li a poco
sarebbe balzato fuori. Cercando di non far trasparire nessuna emozione,
sperando che Tom non fuggisse via.
Erano l'uno di fronte all'altra. Incantati, pieni di domande da farsi
senza neanche conoscersi.
-Io ti ho già vista?
Fey entrò in panico. Cosa doveva dirgli? Se gli avesse detto
la verità probabilmente Tom non le avrebbe creduto, ma se
gli avesse detto qualcos'altro probabilmente avrebbe perso qualsiasi
opportunità.
Un'altra scelta.
-Mi sono appena trasferita, abitavo a Brema prima. Probabilmente mi hai
vista passeggiare, lo faccio spesso dopo cena.
Fey sapeva perfettamente che anche Tom usciva spesso a fare due passi,
o se non usciva stava alla finestra a guardare la via che si ricopriva
di neve.
-Sì, probabilmente hai ragione.- Si passò una
mano dietro la nuca - Comunque piacere, io sono Tom!
-Piacere, Fey.
Quando le loro mani si sfiorarono entrambi percepirono una lunga
scossa, ma nè lui nè lei vollero lasciare la
presa.
Le mani di Tom erano calde e morbide, Fey era gelata.
Il ragazzo ripose la mano nelle tasche, senza distogliere gli occhi da
quelli dell'angelo
-Dovresti tornare a casa, c'è molto freddo e sei gelata.
-Sì infatti credo proprio che dovrei... - voltò
il viso nel verso opposto rispetto alla strada che doveva percorrere il
moro
-Ciao, Tom.
-Ciao Fey.
Le regalò un sorriso tale che se la ragazza fosse stata un
gelato si sarebbe sciolta in meno di 3 secondi.
Fey non aveva mai adorato così tanto il suono del suo nome
come in quel momento.
Se avesse potuto, Tom si sarebbe staccato il cervello e l'avrebbe
scaraventato contro il muro.
C'era qualcosa in lui, nella sua testa, che gli diceva di tornare
indietro e continuare a parlare con quella ragazza.
Cos'aveva di speciale? Ok, gli sembrava di ricordarla quel giorno
all'ospedale, dopo tutto il casino che era successo.
Ma tutto ciò era veramente improbabile.
Tom si fermò in mezzo alla strada stringendo i pugni e
inspirando profondamente.
-Ok, se devo tornare indietro e parlarle, ti prego dammi un segno. Uno
qualunque, io lo prenderò come un sì.
Silenzio.
Tom sbuffò e guardando il cielo si accorse che scendevano
dei leggeri fiocchi bianchi, un'infinità se guardati alla
luce dei lampioni.
Si girò e corse incontro alla ragazza.
-Hey aspetta!
Fey si girò a guardarlo.
Non sapeva che scusa inventarsi per parlare ancora con lei, si sentiva
in imbarazzo.
Non era un comportamento da Tom Kaulitz! Ammesso che lei sapesse chi
lui fosse.
-Tu sai chi sono?
Fey ridacchiò
-Tu sei Tom, Tom Kaulitz dei Tokio Hotel.
Tom annuì guardandosi le scarpe per poi posare gli occhi di
nuovo su Fey che si era spostata da un lato i capelli per scrollarsi
qualche fiocco di neve.
Guardandosi scoppiarono a ridere, senza un motivo, semplicemente
perché gli andava e perchè entrambi ne avevano
dannatamente bisogno.
-E' così che conquisti le ragazze? Con la tua risata?
-Anche. Ci sono riuscito?
Dentro di sè, rispose di sì.
-Forse.
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Capitolo 10 *** X ***
I
giorni trascorrevano lenti ed era capitato sempre più spesso
che Fey e Tom si incontrassero la sera, dopo cena.
Facevano
lunghe passeggiate nelle stradine meno frequentate e si sedevano spesso
nelle panchine di un parco lì vicino, davanti ad un lago
ghiacciato.
Erano
diventati amici.
Si
cercavano, amavano parlare per raccontarsi tutto o niente.
Tom
aveva scoperto che Fey era una loro fan e aveva iniziato a farle
qualche domanda sulla sua vita, sulla sua famiglia.
-Chi
è il tuo preferito della band? Tutte ne hanno uno, lo so!
La
trafisse con uno sguardo spavaldo, sollevando un sopracciglio.
Fey
scoppiò a ridere.
-Non
te lo dirò mai!
-Un
giorno te lo farò dire Fey... Fey?
-Parker.
-Fey
Parker. Parker non è un cognome tedesco, no?
-No,
mio padre è inglese. Da piccola ho vissuto un bel po' di
tempo a Londra, poi quando avevo più o meno 11 anni siamo
venuti in Germania, a Brema.
Vivevamo
in un quartiere popolato per lo più da inglesi, per questo
non ho stretto tante amicizie di qui.-
Torturava
e si rigirava tra le mani una foglia che aveva trovato sopra
la panchina.
Tom
la guardava in ogni suo piccolo gesto e movimento.
Il
freddo le arrossava le guance e la punta del naso e Tom non poteva fare
a meno di pensare a quanto quella ragazza fosse bella, e a quello
strano sogno all'ospedale.
-Sei
arrivata in un momento strano.
Fey
aveva il viso che sprofondava in una grossa sciarpa di lana marron, si
girò verso il moro curiosa e nervosa al tempo stesso.
Stranamente,
in quel momeno, non riusciva a leggere i pensieri di Tom.
Il
ragazzo allungò le gambe e si mise più comodo
sulla panchina, con le mani in tasca guardava distratto il cielo.
-Mio
fratello si drogava, e io l'ho scoperto solo poco tempo fa. Eravamo a
Berlino per un concerto e Bill si comportava in modo strano, nessuno lo
vedeva mai dopo i concerti. Spariva, si incazzava se gli chiedevi che
succedeva. Una notte l'ho seguito.-
Fey
aveva incrociato le gambe e si era girata verso Tom, che non la
guardava.
-L'ho
trovato mentre quattro uomini lo tenevano per il collo e lo riempivano
di botte.
''Ti
avevamo detto che dovevi darci il triplo del costo di questa droga,
frocio di merda. Te li puoi permettere i soldi no? Qual'è il
problema?''
Avevo
visto Bill piangere solo quand'era piccolo. Riesci ad immaginare come
sia vedere il proprio fratello piangere per delle bestie che lo
torturano e gli sputano in faccia?-
Tom
si era girato a guardarla, non c'erano lacrime nei suoi occhi.
C'era
solo rabbia.
Gli
occhi di Fey erano diventati più scuri, erano sul verde.
Diventavano così quando si rattristava.
Lo fissò e Tom continuò.
-Ho
urlato a quei tizi, gli ho urlato di smetterla ed ero così
incazzato che li avrei uccisi con le mie stesse mani.
Hanno dato un pugno nello stomaco a Bill e l'hanno fatto cadere a
terra, immobilizzandolo. Poi sono venuti da me e litigando mi hanno
sbattuto per terra facendomi battere la testa. Poi non ricordo
più nulla.
Mi ricordo ancora le loro facce però.-
Fey
avrebbe voluto abbracciarlo e fargli capire che lei c'era.
Fargli
sapere che c'era sempre stata e che quella notte era li.
Fargli
sapere che gli aveva salvato la vita e che l'avrebbe fatto altre cento
volte.
Ma
non gli disse tutte queste cose, se le tenne per se e le
ingoiò, come un boccone amaro.
Mentre
la sua voce taceva, però, i suoi occhi parlavano.
Urlavano.
Tom
la guardò e abbozzò un sorriso.
-Mi
dispiace, non so perché ti ho raccontato tutto questo.
-Come
stai?
Era
la prima volta che qualcuno glielo chiedeva per avere una risposta
sincera. E non si parlava di un bene fisico, ma un bene psicologico, un
bene mentale.
Come
si sentiva veramente Tom?
Lui
scosse la testa, sempre con quel mezzo sorriso stampato sul viso.
-Come
ci riesci? Voglio dire... - Si mise seduto -E' come se mi leggessi nel
pensiero! Mi dici quello che vorrei sentirmi dire, mi chiedi
esattamente ciò che vorrei mi si chiedesse. Aspetti la mia
risposta senza che io ti faccia capire che voglio essere ascoltato.
Fey
gli sorrise socchiudendo leggermente gli occhi, sentiva che si stavano
avvicinando più di quanto avesse mai pensato e sperato.
Si
stavano avvicinando più del dovuto, forse.
-Forse
sto imparando a conoscerti, Tom. Sai quanto si può imparare
a conoscere una persona semplicemente passandoci ogni sera insieme e
chiacchierare su tutto ciò che passa per la testa? Non sei
un ragazzo complicato e stronzo come ti descrivono, ti definirei
addirittura intelligente e quasi filosofico!
Tom
si lasciò andare in una fragorosa risata, contagiando
l'angelo.
Le
loro risate echeggiavano per il quartiere e sembrava
che sciogliessero il freddo.
-Credi
nel caso? Nella fortuna, nel Karma, Dio o qualunque cosa ci sia?
La
domanda di Tom era mirata, aveva uno scopo ben preciso.
-Non
saprei. - ammise la ragazza -Credo a tante cose, tu ci credi?
-Io
sì! E voglio provare una cosa.
Fey
annuì e stette a guardare il ragazzo, divertita.
-Se
ne vale la pena e lo devo fare, dammi un segno!
Tom
urlò verso il cielo e la ragazza lo guardò
storta, non sapendo cosa avesse in mente.
Il
ragazzo si guardava in giro, leggermente preoccupato ma fiducioso.
Poco
dopo Fey si sentì toccare la schiena da qualcosa e fece un
balzo in avanti andando a finire sopra Tom.
Il
ragazzo scoppiò a ridere mentre teneva la ragazza tra le sue
braccia.
Fey
era visibilmente imbarazzata e sulle sue guance si era dipinto un velo
rosso pomodoro, che cercò in tutti i modi di non far notare
al ragazzo.
-Uno
scoiattolo?!
Quante
probabilità c'erano che a quell'ora di sera, con quel
freddo, con pochi alberi intorno ci potesse essere proprio uno
scoiattolo che cercava ghiande dietro Fey?
Pari
a zero.
La
ragazza lo guardò incredula e si mise in piedi.
-Come
cavolo hai fatto??
-Io
non ho fatto niente! Te l'ho detto, non so cosa sia ma chiunque o
qualunque cosa sia mi ha dato un segno!
-Un
segno per cosa?
-Per
vederti ancora. - Tom si alzò dalla panchina e si mise
davanti alla ragazza - ti andrebbe di uscire con me? E non intendo
qualche chiacchiera dopo cena o incontri casuali per strada. Intendo un
appuntamento!
Fey
rimase spiazzata, letteralmente.
Cosa
avrebbe dovuto rispondere? Come faceva ad uscire con Tom se solo lui
poteva vederla? L'avrebbero preso per pazzo, avrebbe perso tutti i fan
e i Tokio Hotel avrebbero fallito.
-Non
so se sia una buona idea...
Gli
occhi del ragazzo presero una curva malinconica. Tutta la sua
sicurezza svanì in un lampo.
Fey
non voleva deluderlo, non poteva farlo. Se avesse rifiutato magari non
avrebbe più avuto la possibilità di vederlo.
-Ad
una condizione si però.
Tom
la guardò interrogativo
-Esco
con te solo se rispondi alla domanda che ti ho fatto prima e se mi
prometti che faremo qualcosa di diverso, lontano dalla gente.
Il
ragazzo sorrise
-Sai
pattinare?
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Capitolo 11 *** XI ***
Tom si sentiva come un bambino di
11 anni alle prese
con la sua prima cotta.
Che diavolo di poteri aveva Fey? L'aveva
completamente
stregato, e a Tom non era mai accaduto.
Solitamente era lui che con uno sguardo e qualche
gesto imbambolava tutte le ragazze, ma quella volta era stata quella
ragazza
dagli occhi azzurri ad ammaliarlo.
Forse era il caso che aveva agito.
Lo stesso caso che per la prima volta aveva dato
il
coraggio a Tom di andare a parlarle ancora e che la seconda volta
l'aveva
convinto ad invitare la ragazza ad uscire.
Un appuntamento.
Com'era un vero appuntamento?
Tom non lo sapeva proprio.
Tra l'altro Fey gli aveva chiesto di stare lontani
dalla gente. Tom non capiva il perché di quella richiesta,
però forse aveva
ragione. Dopo quello che gli era successo non era il caso che andasse
per
locali con una ragazza entrando nel mirino di tutti i paparazzi della
Germania
e non.
Tom iniziò a frugare nell'armadio,
scelse un maglione di
lana a collo alto sul blu scuro, jeans over size
e delle scarpe Nike grigie.
-Perché la tua stanza sembra un campo
da combattimento
Tom?!
Fu come se la voce di Bill fosse emersa dalla montagna
di vestiti che Tom aveva lanciato dall'armadio.
-Devo uscire!
-Si? Dove vai?- Il gemello si poggiò alla porta
incrociando le braccia al petto.
-A fare un giro...
-E ti metti tutto in tiro per andare a fare un giro? -
Bill emise una risata sommessa.
Tom gli rivolse un sorriso complice
-Sì, ok Bill, sto uscendo con una
ragazza e no, non me
la porterò a letto stasera quindi puoi dormire senza i tappi
per le orecchie.
Bill portò le mani in avanti come per discolparsi e
ridendo uscì dalla camera di Tom.
Adesso che Tom la vedeva, Fey non poteva più stare a
casa loro. Perciò aveva 'preso in prestito' la casa di un
signore anziano che
abitava nella via dopo quella di Tom.
Era un signore distinto e nonostante fosse quasi
sempre in casa era sempre vestito elegante, come se stesse aspettando
che qualcuno
gli facesse visita.
Il signor Franz viveva in una casetta a due piani e
aveva 3 stanze da letto, per cui Fey ne occupò una.
Stava lì, davanti alla valigia contando
i minuti che
passavano e con l'ansia a mille.
Era felice, forse non era mai stata così felice in
vita sua, ma allo stesso tempo era terrorizzata.
Cosa sarebbe accaduto se Tom, proprio quella sera,
avesse scoperto cos'era realmente Fey?
Sarebbe accaduto il finimondo e non sarebbe stato
giusto, né per lei né per Tom.
Fey si sentiva di nuovo viva, quand'era con lui. Ed
era certa che anche Tom provava qualcosa di simile.
Si incontrarono lì.
Sotto quel lampione e sotto quella luce che ogni
sera
li illuminava. Uno veniva da una direzione e l'altra veniva da quella
opposta.
Tom regalò un sorriso a Fey e le diede un bacio sulla
guancia, porgendole poi
il braccio facendo segno alla ragazza di prenderlo e seguirlo.
Percorsero la stradina che facevano quasi ogni sera e
quando arrivarono sulla loro panchina vi erano due coperte e sopra due
paia di
pattini, uno per Fey e uno per Tom.
La ragazza ridacchiò.
-Quindi eri serio quando mi hai chiesto se sapevo
pattinare?
-Certamente! Ti sembro un ragazzo poco serio?
Fey fece di no con la testa aggrottando le
sopracciglia, in modo sarcastico, e Tom scoppiò a ridere
-Sì sì, prenditi pure gioco di me. Vediamo quante
volte ti ritroverai col sedere per terra, signorina!
Le passò accanto, quasi sussurrando le ultime parole
al suo orecchio, prendendo poi i pattini e porgendoglieli.
I ragazzi se li infilarono e Tom fu il primo a
percorrere la superficie del lago ghiacciato. Era molto tranquillo e
rilassato,
come se lo facesse ogni giorno.
Fey rimase ai bordi poggiata ad un albero guardando
Tom un po' spaventata.
Il ragazzo la guardò e si sentì come quel giorno,
risvegliatosi dal coma.
Proprio come se avesse
appena visto un angelo.
Fey aveva un cappottino nero che arrivava al di
sopra
delle ginocchia, un paio di calze nere e portava i pattini,
così piccoli in
confronto a quelli enormi di Tom.
Il moro si avvicinò sorridendole e la prese per mano,
trascinandola con lui.
Pattinavano insieme, tenuti per mano, alternando gambe
e braccia.
Tom benedì l'idea di Fey di stare
lontani dalla gente,
Fey ringraziò, dentro di sé, Tom per averla
ascoltata.
-E' da molto che pattini?
-Da piccolo andavo con Bill e papà a pattinare nella
pista vicino a casa. Poi crescendo l'ho abbandonato. Ma sai,
è come andare in
bicicletta. Una volta che impari non lo scordi più.
Fey gli sorrise.
-Adesso da sola!
Tom si staccò dalla ragazza e indietreggiò di
pochi
passi mentre Fey avanzava piano e goffamente
-Mi ricordi tanto un cucciolo di cervo appena nato che
non riesce a camminare!- Disse il moro battendo le mani
-Che diavolo di paragone è questo, Tom?! Piuttosto...
Fey non fece in tempo a finire la frase che mettendo
male i piedi scivolò.
Tom si avvicinò velocemente e allungando il busto
prese le mani della ragazza e l'avvicinò a se, stringendola.
I loro visi erano vicini, tanto quanto la distanza di
un bacio.
-Mi hai salvata...
La ragazza abbozzò un sorriso senza staccare i suoi
occhi azzurri da quelli castani di Tom, arrotolandosi una ciocca di
capelli
dietro l'orecchio.
Tom riconobbe quel gesto.
-Sei tu che hai salvato me...
Fey si bloccò e il sorriso
scomparì dal viso.
-Come?
Tom spostò lo sguardo dagli occhi di Fey e si
allontanò di poco, scuotendo il capo.
-Nulla, scusami. Non so perché l'ho detto.
-Stai bene?- Fey gli prese una mano
-Sì.
-Ti avevo detto che sarei uscita con te se avessi
risposto alla mia domanda, in modo sincero.
I ragazzi si spostarono sulla panchina e si
sedettero
vicini, coprendosi con le coperte portate da Tom.
-E' successa una cosa strana, dopo il pestaggio e
dopo
il coma. Vorrei dirtelo, ma sono più che sicuro che mi
prenderesti per un pazzo
maniaco e probabilmente fuggiresti via.
-Non penso che tu sia un pazzo maniaco Tom, puoi
fidarti di me.
Quelle parole per Tom valevano tanto, deglutì
pesantemente e iniziò a parlare.
-Rimasi in coma per due giorni e mezzo e non ricordo
nulla. Molti dicono che vedono delle luci, tunnel, prati, sentono una
felicità
immensa. Io non ho sentito niente di niente.
Quando mi sono svegliato, però, ho visto qualcosa.-
Fey aveva iniziato a tremare, ma Tom non se ne
rese
conto.
-I dottori mi avevano riempito di farmaci e mi
dissero
che avrei potuto avere delle allucinazioni e roba del genere,
però io sono
certo di aver visto qualcuno.
-Chi?
Tom si girò e la guardò
dritta negli occhi, con uno
sguardo che sembrò penetrarla, scrutarla dentro.
Fey si sentì come nuda davanti
a lui e trattenne il respiro finché Tom non rispose-
-Tu.
Fey seppe solo assumere un'espressione che agli
occhi
di Tom parve stupita, ma in realtà era terrorizzata.
-Ti prego non prendermi per pazzo, è solo che in un
certo senso, ti sono grato anche se tu non hai fatto nulla, ovviamente!
Non eri
lì quando sono uscito dal coma, lo so, ma io ti ho vista.
Quella persona era
uguale a te.
E' per questo che quando ci siamo incontrati sono
rimasto spiazzato, non ci potevo credere! Ed è per questo
che ho voluto
rivederti, e conoscendoti ho capito che sei una ragazza speciale, che
sei
diversa dalle altre.-
Fey non rispose e mantenne la stessa espressione
di
prima.
Tom sospirò profondamente e si alzò dalla
panchina.
-Lo sapevo, sono stato un'idiota. Mi dispiace Fey.
-Ti prego Tom non andartene! -la ragazza si alzò di
scatto e gli prese un lembo del maglione, trattenendolo- Io ti credo.
Forse è
stato il caso, come dici tu! Magari era destino che ci dovessimo
incontrare.
Il ragazzo si girò a guardarla.
Il destino.
Cos'aveva il destino in serbo per loro?
Tom l'abbracciò.
Era come se i loro corpi si completassero, come se le
forme di Tom fossero state create appositamente per essere unite a
quelle di
Fey.
Per la ragazza fu l’abbraccio più bello di tutta
la
sua vita. Un abbraccio che scaricava un’energia tale da fa
vibrare ogni singolo
muscolo, penetrava nelle ossa.
Erano soltanto lei e
lui, in un tutt’uno da far
invidia.
Nessuno dei due si rese conto di quanto durò
quell'abbraccio, se solo per pochi secondi o per una manciata di
minuti, ma in
qualunque caso, Fey sarebbe voluta rimanere così per il
resto della sua
esistenza. Tra le sue braccia si sentiva protetta. Entrambi avevano
lasciato da
parte la timidezza e la tristezza di ciò che era accaduto.
Tom per la prima volta sentì di star
bene, davvero.
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Capitolo 12 *** XII ***
Quella notte Tom non aveva chiuso occhio.
Sentiva ancora il profumo di Fey sulla sua pelle,
quell'abbraccio
l'aveva fatto uscire fuori di testa e non riusciva a trovare una
spiegazione.
Si sedette nel letto e iniziò a massaggiarsi le tempie.
Avrebbe voluto che Fey fosse lì, semplicemente per parlarci.
Per sentire
la sua voce.
Quando c'era lei, quando parlavano, quando ascoltava quel suo buffo
accento tedesco non pensava più alle mille mila cose che
stavano andando male.
La settimana successiva sarebbe dovuto partire per un tour in Francia e
non se la sentiva proprio di ricominciare con tutto quello stress, ma
doveva.
Lo faceva per i fans, per i ragazzi, e sotto sotto anche per
sé stesso.
Dopotutto amava suonare e stare di fronte ad un pubblico che lo adorava.
Era sicuro che quel tipo di adorazione, di amore, fosse vero. Sincero.
D'altro canto, però, sapeva che Fey gli sarebbe mancata
terribilmente.
I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che
bussò alla sua porta,
e lentamente questa si aprì. Tom riconobbe la figura del
gemello.
-Che c'è Bill?
-Sapevo che eri sveglio. Prima di tutto perché non stai
russando, e poi
perché lo sono anch'io e non capisco come mai, dato che sto
morendo di sonno.
Tom si mise a ridere e fece segno al fratello di
sedersi.
Bill si avvicinò e si sedette, strofinandosi gli occhi e
poggiando le
mani sulle gambe.
-Bè, che succede?
-Nulla, perché?
-Perché non riesci a dormire?
-Penso.
-A lei?
Tom sorrise e pensò a quanto gli
fossero mancati quei momenti con Bill,
nei quali si capivano in un lampo senza che l'altro dovesse sprecare
inutili
parole per spiegare cosa stesse succedendo. Dopo la storia della droga
i due
parlavano di meno, quello era vero, ma il rapporto era rimasto lo
stesso.
-Dai su, raccontami. Dimmi com'è!
Bill si mise a gambe incrociate, come uno scout
seduto davanti ad un
fuoco pronto ad ascoltare una storia dal capo branco.
Tom rise.
-D'accordo, d'accordo! Vediamo... Si chiama Fey,
è per metà inglese.
Tom stette zitto e Bill lo incitò a
continuare.
-E' mora, ha i capelli lunghi e mossi e ha gli
occhi celesti. Quegli
occhi, Dio... Mi ci perdo dentro.
-Capisco. E caratterialmente com'è?
- E' simpatica, spigliata e divertente. Arrossisce facilmente, delle
volte
risulta molto timida ma ti giuro Bill, mi fa impazzire.
Tom aveva iniziato ad elencare tutto, ogni minimo
particolare di Fey al
fratello, gesticolando e mantenendo un sorriso costante stampato in
viso.
Bill gli sorrise.
-Il fatto che tu non abbia parlato di culo e tette
mi fa pensare che tu
sia davvero cambiato, Tom. Anzi, credo che questa ragazza ti abbia
cambiato
parecchio! Dev'essere un angelo!
-Non ti ho parlato di quei particolari
perché sennò te ne innamoreresti
anche tu!
-Ti sei innamorato?
Tom sentì un mattone sulla bocca dello
stomaco.
Cos'era l'amore?
Tutti lo descrivevano come una cosa stupenda; farfalle,
fiori, cuori, spensieratezza e gioia.
A lui, invece, lo spaventava
terribilmente.
-Sinceramente Bill, non so se voglio innamorarmi.
-Perché?
-Perché l'amore non porta a niente di buono. Tanto succede
sempre
qualcosa che rovina le situazioni e ora come ora non sopporterei di non
vederla
più, di perderla.
Bill si grattò la fronte con la mano
destra e poi gli poggiò l'altra
sulla spalla.
-Dai Romeo, non ti preoccupare. Ti accorgerai tu
quando sarà il momento
giusto e ti sentirai pronto.
Tom gli diede uno spintone e lo mandò
mentalmente a fanculo.
Bill si alzò dal letto e si avvicinò alla porta.
-Vedi di dormire, visto che ho parecchio sonno
arretrato. Buonanotte
Tom.
-Buonanotte Bill.
Quando il gemello uscì Tom
abbandonò la testa sul cuscino e la sentì
molto più leggera, lasciandosi andare in un sonno profondo.
Fey, come Tom, non riusciva a dormire ed era
seduta sul divano, col
signor Franz che guardava un film poliziesco.
Pensava a quello che si erano detti, al fatto che Tom si ricordasse per
filo e per segno quel giorno all'ospedale.
Si ricordava di lei.
Cos'avrebbe fatto adesso?
Tom aveva persino riconosciuto quel gesto che la ragazza faceva
solitamente, l'aveva letto nei suoi pensieri.
Si era cacciata in un guaio enorme, e con lei ci aveva fatto finire
anche Tom.
Era lei il problema.
Tom aveva la sua famiglia, i suoi amici e il suo successo, non
aspettava
niente e nessuno.
Era lei che non aveva più nulla e che l'aveva sempre
aspettato, ogni
giorno.
Fey si raggomitolò su se stessa, quasi sul punto di piangere.
-Non è bene che da occhi belli come i
suoi escano delle lacrime,
signorina.
Fey si girò verso il signor Franz che a
sua volta si girò a guardarla.
-Sì, la vedo. Ho iniziato a vederla da
qualche giorno a questa parte e
credo sia perché stanno per venire a prendermi,
così finalmente potrò
rivederla.
Fey si sedette meglio sul divano e
iniziò a parlare con quell'uomo
sempre ben vestito e che profumava di colonia.
Il signor Franz aveva 85 anni e 3 anni prima gli avevano diagnosticato
un tumore al pancreas, così le disse.
Da quel giorno, ogni singolo giorno, aveva deciso di vestirsi elegante,
così quando sarebbero venuti a prenderlo lui avrebbe avuto
un aspetto dignitoso
e la sua Mary l'avrebbe riconosciuto.
-Chi è Mary?
-Mary è mia moglie. Siamo sposati da ben 65 anni. Purtroppo
me l'hanno
portata via 5 anni fa, ma io l'amo e l'aspetto sempre.
Fey sentì come se il suo cuore si
stesse restringendo fino a seccarsi.
Le parole di quell'uomo, così calme le facevano una
tenerezza immensa.
L'uomo le parlava con occhi verdi stanchi ma pieni di speranza e le
rughe sul suo viso erano la prova delle guerre che aveva combattuto
nella sua
vita e che continuava a combattere.
-Io la aspetto ogni giorno, proprio come fa lei.
Fey si sentì colpita in pieno.
-Signor Franz, cosa devo fare?
-Io non posso dirle cosa fare, non sono nella sua testa e non conosco
il
giovane di cui è innamorata. Però le posso dire
che seguire il proprio cuore è
la via migliore. Io lo feci, tempo fa, e mi portò tanta
felicità.
Fey trovava buffo il modo in cui il signor Franz
le parlava, ma aveva
ragione.
-Quando ho iniziato a vederla ho fatto in modo che
lei non se ne
accorgesse, per capire com'era. Lei è una ragazza molto
tranquilla, educata e
pulita. Però non capisco, come mai non ha più le
ali?
Fey pensò alle sue belle ali bianche e
con quanta furia gliele avevano
strappate, sentendo dei brividi che partivano dalle scapole per
percorrere
l'intero suo corpo.
-Me le sono fatta strappare, per salvargli la vita.
Il signor Franz annuì e si
alzò dal divano, diretto in camera sua.
-E' stato molto coraggioso, da parte sua. Continui
a combattere la sua
battaglia e vedrà che non se ne pentirà.
L'uomo entrò nella sua stanza, dalla
quale Fey sapeva che non sarebbe
più uscito.
Tornò nella sua camera e si mise a
letto, pensando a ciò che le aveva
detto quell'uomo.
Non doveva perdere la speranza, doveva lottare, ne sarebbe valsa la
pena. Era così difficile però.
Si sentiva persa, come se si trovasse costantemente di fronte ad un
bivio e vivesse con l'ansia di non sapere quale strada
prendere.
Aveva paura
dei rimorsi e dei rimpianti. Non sapeva quale fosse peggio.
In una situazione come la sua non sapeva proprio se sarebbe stato
meglio
pentirsi di non aver fatto qualcosa o pentirsi di averla
fatta.
Tanto rimaneva
fottuta in entrambi i casi.
Fey si mise su un fianco, infilando una mano sotto
il cuscino.
Tom, nel
suo letto, fece lo stesso.
Si pensavano e non lo sapevano. Si cercavano, si desideravano e non
potevano saperlo.
Quando si addormentarono entrambi, però, erano certi che
l'indomani si
sarebbero visti e che sarebbe stato bellissimo.
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Capitolo 13 *** XIII ***
Sei giorni.
Tom si svegliò con questo pensiero
nella testa.
Sarebbe stato meglio svegliarsi con una secchiata d'acqua gelida.
Sei giorni, se non cinque, per stare con Fey. E poi
sarebbe dovuto partire per il tour, ovvero 28 giorni. Fortunatamente
Febbraio
ne aveva solo 28.
Tom aveva meno di una settimana per viverla e
conoscerla un po' di più, e forse per innamorarsi.
Voleva mostrarle com'era fatto veramente, voleva
mostrare anche a sé stesso, forse, che lui non era come
tutti lo descrivevano.
Avrebbe voluto chiamarla, ma non aveva il suo numero
di telefono.
Diamine, quella ragazza era così misteriosa! Non
sapeva nulla di lei, a parte ciò che lei gli aveva
raccontato. Tom non sapeva
neanche dove Fey abitasse.
Come avrebbe fatto a incontrarla di nuovo?
Pensò che probabilmente sarebbe stato come i giorni
precedenti, si sarebbero incontrati per caso perché ad
entrambi piaceva uscire
a fare due passi.
Tom era confuso più che mai, non sapeva che scelta
prendere, come conquistarla. Cosa si sarebbe inventato dopo la
pattinata sul
ghiaccio?
Non ha mai avuto di questi problemi, lui.
Solitamente le ragazze le incontrava ad una festa, le
invitava a cena fuori e poi succedeva quello che doveva succedere.
Ma con Fey no. Non sarebbe andata così.
Non che non gli sarebbe piaciuto, sia chiaro.
Fey era davvero bellissima e Tom si sentiva molto
attratto da lei.
Lo era perché lei era diversa dalle altre.
La sua timidezza,
il suo modo di fare così pulito e ingenuo avevano un non so
che di sensuale e
Tom se ne accorgeva ogni giorno di più e ne veniva catturato.
Decise di sdraiarsi sul divano a guardare un po' di
TV.
Guardare la TV, per Tom, significava cambiare
continuamente canale finché non trovava qualcosa di
abbastanza interessante.
Lo colpì una folata gelida in pieno viso.
-Mamma! Chiudi quella porta, ti vorrai per caso
ammalare?!
-Tom non vedi com'è ridotta questa casa? Sembra di
vivere in un porcile e tu e tuo fratello non mi aiutate per nulla!
Il pavimento era completamente lucido, pareva di
cristallo.
Simone aveva una fissazione per la pulizia e Tom certe
volte non la sopportava proprio. Soprattutto quando gli metteva in
ordine la
camera, distruggendo così l'habitat naturale di Tom e
incasinandogli
completamente tutto, finendo poi col ragazzo che non trovava mai niente.
Tom sbuffò e si concentrò di nuovo sulla
televisione,
cambiando canale.
Si sentirono dei passetti veloci e poi un urlo di
Simone.
-Tom Kaulitz! Il tuo cane è appena
passato dove avevo
lavato! Ha lasciato tutte le sue impronte! Mio Dio, adesso
dovrò ricominciare da
capo!
Tom si girò verso la porta e vide
Scotty in lontananza
che correva verso la fine della via.
Il moro sgranò gli occhi e balzò dal divano,
sollevandosi i jeans over size e
rincorrendo il cane, cercando in tutti i modi di raggiungerlo.
-Scotty, cazzo fermati!
Il cane correva a gambe levate, come se si stesse
dirigendo verso una bistecca gigante.
Tom si sentiva un rincoglionito, correva tenendosi i
pantaloni.
Pensò di cambiare stile, ma la sua immagine con dei
jeans stretti lo fece rabbrividire e gli fece scacciare quell'idea
dalla testa.
Il moro rallentò quando vide la coda del cane
scodinzolare da dietro un cespuglio, e dopo poco lo sentì
abbaiare festoso.
Avvicinandosi un poco vide che c'era qualcuno con
Scotty.
Lei.
Fey lo vide sbucare dal cespuglio e sorrise a Tom
quasi senza accorgersene.
Era stato come se quel sorriso avesse rischiarato la
giornata grigia di quel pomeriggio di fine Gennaio.
La ragazza si alzò e corse ad abbracciarlo, un gesto
così naturale che non aveva bisogno di essere spiegato in
alcun modo.
Nonostante questo, però, Fey si sentì in
imbarazzo e
arrossì leggermente.
-Come stai? Scotty mi è corso dietro,
stavo andando
verso casa mia.
Fey indicò la casa del signor Franz, qualche metro
più
avanti.
-Io stavo beato sul divano e il signorino a quattro
zampe ha pensato di fuggire e farmi correre come un dannato.- disse
indicando
il cane.
Fey rise.
-Se non l'avesse fatto non ci saremo incontrati.
-Già.
Fey lesse nella mente di Tom che il ragazzo si chiedeva
della casa.
-Vuoi vedere dove abito?
-Sì, mi piacerebbe molto.
Il signor Franz aveva lasciato scritto di non
vendere
nè affittare la sua casa. L'aveva fatto per Fey. Lui non
aveva figli e nessun
parente stretto al quale dare la casa o per lo meno i soldi della
vendita.
Fey aprì la porta color cioccolato e i ragazzi
entrarono in una casetta dalle pareti spugnate color salmone.
Vi era un piccolo uscio e un salottino con due bei
divani neri e un caminetto. Una grande libreria strapiena di libri di
ogni
genere e al centro della stanza un grande tappeto persiano.
Sulla destra si intravedevano delle scale che
portavano al piano superiore e poi un'altra stanza dove vi era la
cucina.
-Mi piace, il profumo di colonia è di
tuo padre?
Gli occhi di Fey si velarono di tristezza.
-Sì.
-Stai bene? E' come se, non so, ti si fossero spenti
gli occhi.
Fey si sentì colpita nel profondo. Non
era colpa sua
se quella dannata luce aveva deciso di spegnersi ed abbandonarla per
andare
chissà dove.
Non era colpa sua se suo padre e sua madre non erano
più con lei.
Anche la luce della macchina che la investì era
spenta, e le portò via la vita.
La ragazza rispose stizzita.
-Sì. Sto bene.
Tom rimase colpito dalla risposta di Fey e lei si
sentì immediatamente una stronza per avergli risposto in
quel modo, lui
dopotutto non centrava nulla, non sapeva nulla.
-Vieni, ti faccio vedere la mia stanza.
Fey gli rivolse un sorriso, sperando che bastasse per
mettere a posto la sgarbatezza che aveva usato nei confronti di Tom.
Arrivati nella stanza, il ragazzo si mise a ridere.
-Peccato, credevo fosse piena di poster e mie
immagini!
Fey gli diede una leggera spinta.
-Non credere che sia già caduta ai tuoi piedi, Mr.
Kaulitz!
-No?
Tom si avvicinò alla ragazza, cingendola per i fianchi
e avvicinandosi al suo viso.
Fey non sapeva se stesse andando a fuoco, se fosse sul
punto di sgretolarsi in mille pezzi o svenire.
Osservare Tom da così vicino le provocava le
vertigini. Era una bellezza strana, particolare. Lo definiva perfetto.
Fey gli posò una mano sulla spalla, quando il telefono
del moro squillò dalla tasca dei jeans.
Tom socchiuse gli occhi e strinse i pugni.
-Bill.
La ragazza indietreggiò, portandosi il
dorso della
mano sulle labbra, nascondendo un sorriso divertito.
-Spiegami che diavolo vuoi. Dimmelo Bill, ti prego,
illuminami.
Fey scoppiò a ridere.
-Sì, è la sua risata quella che hai sentito e
sì, sono
con lei. Ti ringrazio tanto.
Bill l'aveva sentita.
Sicuramente perché era il gemello di Tom. E avendo un
legame così stretto era possibile che Bill potesse
addirittura vederla.
Tutto questo scaricava su Fey un'adrenalina
indescrivibile. Non si sentiva morta, per niente.
Il ragazzo chiuse la chiamata.
-Devo andare, però passo a prenderti
alle sette. Ti
va?
-Dove mi porti?
-Sarà una sorpresa. - disse ammiccando.
-Neanche un indizio?!
-No, questa volta no. Voglio stupirti!
Le diede un bacio sulla fronte e uscì.
Oltre al profumo di colonia del signor Franz, adesso
si sentiva anche il profumo di Tom in quella casa.
Come promesso il moro passò a prendere Fey alle sette,
aspettandola poggiato alla sua Audi.
-Ti presento la mia bambina!- disse Tom
mostrando a Fey la sua auto limpida come uno
specchio e aprendole lo sportello per salire.
La ragazza si accomodò nei sedili di pelle e si tolse
la sciarpa.
Fey era leggermente preoccupata, aveva preferito non
ripetere a Tom quello che gli aveva chiesto la prima volta che erano
usciti
insieme perché si sarebbe potuto insospettire,
però il fatto che stessero
andando in macchina da qualche parte la preoccupava parecchio.
Non poteva essere vista da tutti, nonostante Bill
l'avesse sentita mentre parlava al telefono.
Il ragazzo si accorse del silenzio dell'angelo e
mentre cambiava la marcia si girò leggermente a guardarla.
-Va tutto bene?
Fey scrollò la testa come per uscire dai suoi pensieri
e si poggiò più comoda nel sedile annuendo con un
sorriso.
-Dove mi porti?
Tom invece di proseguire dritto verso il centro città
svoltò a sinistra, e in lontananza si intravedeva un bosco.
-Non posso Fey, te l'ho detto è una sorpresa!
Il ragazzo svoltò una seconda volta, in una stradina
sterrata dove non vi era anima viva. Poco più avanti Fey non
riuscì a credere
ai suoi occhi.
C'era un piccolo gazebo, circondato da enormi
vetrate,
ricoperto di neve. Attorno vi erano delle piccole lanterne e candele.
Tutt'intorno il bosco innevato, tanto che sembrava di essersi
catapultati
dentro un libro di fiabe.
Tom fermò la macchina e scese. Poco dopo aprì lo
sportello a Fey, che lo guardava stupita.
-Hai fatto tutto tu?
Tom rise.
-Sì. Dopo che mi ha chiamato Bill ho pensato a questo,
ti piace? Tutte le coppiette vengono qui.- Tom si rese conto dopo di
cosa aveva
detto, e si passò una mano dietro la nuca, imbarazzato.
Fey finse di non aver colto le parole di Tom.
-Se mi piace? E' stupendo!
I ragazzi si incamminarono verso il gazebo.
Tom sentiva pugni e calci dentro il suo stomaco e
non
capiva il perché. Non aveva mai provato una sensazione simile, ma era sicuro
che fosse a causa di quella ragazza che
gli camminava accanto e che si guardava intorno.
Non riusciva a capire perché ci fosse così tanto
legato, ma da quando c'era lei tutto andava bene, e in un certo senso
Fey gli aveva
salvato la vita.
Tom aprì la porta principale e fece entrare la
ragazza, che si portò una mano alla bocca girandosi poi
verso il ragazzo.
Al centro della stanza c'era un piccolo tavolo e sopra
di questo due tazze che fumavano di cioccolata calda.
-Ti prego dimmi che non sei una di quelle ragazze che
tengono alla linea e non sgarrano mai, neanche per una cioccolata col
ragazzo
dei propri sogni!
Fey scoppiò a ridere e scosse la testa.
-Io adoro la cioccolata!
Si sedettero e iniziarono a chiacchierare e giocare.
Fey riempì la sua tazza di panna e con
un cucchiaino
ne passò un po' a Tom, sporcandolo sulla punta del naso.
-Ah è così?!
Tom spostò leggermente la sedia e si trovò faccia
a
faccia con la ragazza e riempì il suo cucchiaino di
cioccolata.
-No Tom, non provarci.
Tom esitò per un attimo e le sorrise per poi riempirle
la faccia di cioccolata.
Fey si alzò in piedi cercando di fuggire dalla presa
del ragazzo e entrambi caddero a terra.
La risata di Fey echeggiò per tutta la stanza,
unendosi a quella del moro.
Lui si trovava sopra di lei.
Leggermente le spostò una ciocca di capelli dal viso e
iniziò a baciarla dov'era sporca di cioccolato; il naso, la
guancia sinistra e
il mento. Si spostò poi sullo zigomo destro e infine
l'angolo della bocca.
Rimasero a guardarsi per una manciata di secondi e poi
Fey si avvicinò a lui.
Le loro labbra si unirono e si lasciarono provocando
un leggero schiocco. Tom mise una mano sotto la schiena della ragazza,
che era
leggermente protesa in avanti e con l'altra le accarezzava una guancia.
Fey abbracciò Tom e lentamente gli accarezzava la
nuca.
Le loro labbra si sfiorarono ancora, senza staccarsi
questa volta.
Tom mordeva leggermente quelle fredde di Fey che si
riscaldavano al contatto con quelle morbide e calde di Tom.
Non era certa che tutto quello fosse reale, le carezze
e i baci umidi di Tom le facevano accapponare la pelle e il cuore.
Per un momento ringraziò colui che guidava quella
macchina il 15 Dicembre.
Tom guardò negli occhi di Fey, e per la
prima volta, oltre
a vedere sé stesso riflesso, vide la luce.
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Capitolo 14 *** XIV ***
Quella mattina Tom si alzò
più pimpante del solito.
Mentre gli altri giorni ci sarebbe voluta una
cannonata per buttarlo giù dal letto, quel giorno si
alzò di sua spontanea
volontà e andò a fare colazione di sotto, con
Simone e Bill.
-Che ci fai sveglio a quest'ora tu?!
-Mi sono svegliato Bill, è un'azione che compie l'uomo
ogni giorno.
Bill lo guardò torvo e scosse la testa, continuando ad
imburrare la sua fetta biscottata.
Simone diede un leggero bacio a Tom sulla fronte e li
porse la tazza col latte caldo, che il ragazzo riempì di
cereali.
Tom mangiava con gusto ed era interessato a qualsiasi
cosa, persino alla data di scadenza della marmellata alle ciliegie
quasi
finita.
Bill lo guardava mezzo disgustato, non aveva mai visto
il fratello così.
O per lo meno l'aveva visto così affamato solo dopo che
fumava qualche canna o quando non mangiava da due giorni
perché dormiva.
Simone si accorse dello sguardo di Bill e si mise a
ridere, sedendosi poi accanto a Tom.
-Come si chiama?
Tom si fermò a guardare la madre, con la bocca piena
di cereali e latte.
-Te l'ha detto questo qui accanto a me?
-Non te l'hanno insegnato che non si mangia con la
bocca piena?
-Taci, Bill.
Simone prese la parola.
-No amore, si capisce.
Lo vedeva anche Simone che Tom non era
più lo stesso,
e questo non poteva che far felice tutti, compresa Fey.
La ragazza si era svegliata allo stesso modo di
Tom, e
non aveva fatto altro che pensare e ripensare a quel bacio e al modo in
cui il
ragazzo l'avesse riaccompagnata a casa, dandole semplicemente un bacio
sulla
fronte.
Era una cosa che ormai non faceva più nessuno, e
questo le piaceva.
Le piaceva che Tom le stesse mostrando una parte di sé
stesso che, forse, non conosceva neanche lui.
Il Tom romantico, premuroso e dolce.
Fey sapeva che sotto quella corazza intoccabile si
celava un Tom diverso e avrebbe continuato a combattere per vederla
spuntare
fuori il più possibile.
I pensieri della ragazza però si trovarono a vagare
sulla conversazione che ebbero i due tempo prima, riguardo il pestaggio
dei
gemelli.
Tom le disse che non avevano trovato i quattro spacciatori,
ma lui si ricordava perfettamente le facce.
Fey sapeva che Tom e Bill erano
spesso impegnati in questura, con la polizia, per cercare di risolvere
questa
faccenda, ma era come se quei quattro delinquenti si fossero
volatilizzati.
Eppure Fey era certa che non se ne fossero andati, che
fossero ancora in Germania, e qualcosa dentro di lei le faceva avere
paura,
tanta.
Paura per Tom, paura per Bill, paura per Simone.
Paura per Georg e Gustav, per le loro famiglie.
Paura
per l'incolumità di tutti.
Fey non voleva che l'armonia che si era creata venisse
di punto in bianco a mancare, gettando tutto in un burrone di panico e
terrore.
Cercò di scacciare via quei pensieri, sperando per il
meglio e decise di dare una ripulita alla casa.
Rovistando tra le cose del signor Franz trovò delle
foto che la riportarono alla sua famiglia.
Sua madre e suo padre le mancavano da morire.
Si chiedeva come stessero, ormai erano già mesi che
mancava.
Nonostante la voglia di rivederli, Fey non aveva il coraggio
di andare a trovarli.
Avrebbe voluto parlarci, dire alla madre che si era
innamorata e che aveva trovato una persona fantastica.
Avrebbe voluto
rassicurare il papà e dirgli che nonostante questo ragazzo,
l'unico uomo della
sua vita sarebbe stato per sempre lui.
Gli occhi di Fey si inumidirono leggermente e decise
di riporre le foto dentro i cassetti.
Tom e Bill erano andati in sala di registrazione,
quella mattina avrebbero dovuto incidere un nuovo singolo, in modo da
portarlo
poi per la prima volta in Tour.
Bill sentiva una corrente adrenalinica assurda
scorrergli nelle vene ogni volta che si ritrovava lì con il
fratello e i suoi
due migliori amici e compagni d'avventura.
Si sentiva parecchio in colpa, però.
Era caduto veramente in basso e rischiava di rovinare
tutto ciò che con pazienza e sacrifici quei quattro ragazzi tedeschi
avevano cercato di costruire.
Vedere i sorrisi dei suoi tre compagni, le loro risate
e vederli discutere insieme sulla loro musica, per Bill, era una
meravigliosa
conquista.
Quando ognuno era al proprio posto riempivano quel
silenzio confuso e lo aggiustavano con le parole che trovavano insieme
per
spiegare i loro problemi, le loro battaglie.
La batteria di Gustav era il cuore pulsante della band,
la chitarra di Tom e il basso di Georg erano il sangue che scorreva e
la voce
di Bill era la vita.
Quella vita che creava i Tokio Hotel. Quella vita che, a
sua volta, dava vita a loro, ai fans e alla stessa Fey.
-Ragazzi che ne dite di 5 minuti di pausa?
La voce di Bill echeggiò dal microfono della sala di
registrazione e tutti coloro che lavoravano là dentro non
rifiutarono l'idea
del giovane.
I quattro andarono fuori, in un piccolo balconcino dal
quale si vedeva la città.
Tutti si accesero una sigaretta e si poggiarono al
cornicione, chiacchierando tra loro.
-E così il dio del sesso sta abbassando
la cresta?
La battuta di Georg fece ridere i tre, beccandosi un
pugno non troppo forte sulla spalla da parte di Tom.
-Se ci pensi è un bene, almeno dovremmo scrivere meno
canzoni come Reden!
Gustav, il taciturno del gruppo, raramente faceva quel
tipo di battute ma quando le faceva era esilarante. Prendere per il
culo Tom
Kaulitz era esilarante.
-Adesso Tom inizierà a scrivere canzoni d'amore, altro
che!
-No Bill, quelle le lasciamo a te.
Georg e Tom si diedero il cinque mentre i ragazzi
ridevano a più non posso.
Il sole tramontava dietro di loro e tra le risate
Tom
si rese conto che aveva perso un giorno con Fey. Di conseguenza, gliene
rimanevano solo quattro.
I ragazzi rientrarono in sala per continuare a
provare, e alle dieci finirono.
Georg e Gustav presero una strada differente da quella
dei gemelli, i quali decisero di fare due passi.
Dopo dieci minuti però si resero conto di come la loro
idea fosse stata veramente pessima.
Le cose erano due: o incappavano nei paparazzi o in
maniaci drogati.
E tra le due, ovviamente, i gemelli preferivano cento
volte una mandria imbizzarrita di paparazzi.
-Dai manca poco ad arrivare a casa.
Bill l'aveva detto per confortare Tom, ma suonava tanto
come un conforto anche a sè stesso.
Fey stava andando a buttare la spazzatura nei
cassonetti che si trovavano dietro l'angolo, la strada dove abitavano i
gemelli, senza accorgersi però che si stavano avvicinando
Bill e Tom.
Buttò i due sacchetti, e come il bidone si richiuse
vide le due figure.
La ragazza sgranò gli occhi e si inchinò,
nascondendosi, e pregò in tutte le lingue che conosceva che
Tom non l'avesse
vista.
Se Tom l'avesse vista sarebbe stata la fine.
Bill non poteva vederla.
Tom guardò interrogativo davanti a se, ma quando si
girò dal fratello vide che la sua espressione era
tranquilla, come se non
avesse visto nulla.
I ragazzi svoltarono in una stradina secondaria e si
diressero verso casa.
Tom decise all'ultimo di andare a salutare Fey e tornò
indietro, vedendola mentre stava per entrare nel portone.
-Fey!
La ragazza si girò e sperò che Tom non le
chiedesse se
fosse lei quella pazza dietro i bidoni della spazzatura.
Fortunatamente non lo fece.
-Mi dispiace non esserci stato oggi, ero molto
occupato con la band.
-Non ti preoccupare Tom, hai i tuoi impegni io non
devo essere una distrazione.
-Tu non sei una distrazione, o se lo sei, bè sei la
miglior distrazione che qualcuno potrebbe mai desiderare.
Fey gli si avvicinò e si mise leggermente in punta di
piedi così da arrivare più facilmente alle labbra
del moro, che erano socchiuse
in un sorriso.
Tom si abbassò leggermente e la strinse forte a
sé,
baciandola dolcemente.
-Ci vediamo domani?
-Assolutamente sì.
Tom le aprì il cancello, che era socchiuso, e lo
fermò
con un piede.
-Buonanotte, Fey.
Le diede un leggero bacio sulla fronte e la salutò,
incamminandosi verso casa.
Fey si sentiva uno straccio.
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Capitolo 15 *** XV ***
-Tom, questo pomeriggio torna Gordon e dobbiamo uscire a cena fuori.
Pensi di poterti organizzare con Bill e stare da soli?
Tom pensò inizialmente ad una serata in casa con Bill, ma
successivamente quell'idea venne sostituita dall'idea di Fey, con lui,
quella sera.
Il ragazzo annuì alla madre e corse di sopra irrompendo
nella camera del gemello.
Bill era sdraiato sul letto, con le cuffie attaccate al suo portatile,
che intonava una canzone.
Quando entrò il fratello tolse le cuffie dalle orecchie e le
lasciò poggiarsi sulle spalle e guardò Tom
interrogativo.
-Stasera mamma non c'è.
-Lo so.
-Che fai? Esci con Andreas?
Tom aprì l'armadio di Bill scegliendo i vestiti che il
fratello si sarebbe potuto mettere quella sera.
-Che diavolo fai?!
Il moro poggiò il pc al suo fianco e si mise a sedere sul
materasso, leggermente confuso.
-Te l'ho detto, mamma stasera non c'è!
-E quindi hai intenzione di sbolognarmi per stare da solo con la tua
ragazza?
-Non è la mia ragazza, e comunque sì.
-Ah bè, grazie per avermi avvisato in anticipo, sono solo le
4 e mamma esce alle 6, e se permetti- disse alzandosi dal letto- non ho
intenzione di farmi scegliere i vestiti da un buzzurro come te.
-Sei geloso Bill?
Colpito e affondato.
-Chi, io? E di che? Di un paio di tette? No. Tu sei mio fratello. Tu
sei mio fratello gemello Tom, non mi incazzo se preferisci stare con
una femmina, tranquillo. Uscirò con Andreas, anzi guarda
adesso lo chiamo!
Il moro prese il telefono e compose il numero dell'amico.
-Pronto Andy, sono Bill. Hai da fare stasera?
Tom diede un colpo a Bill dietro la nuca e successivamente gli diede un
bacio nella guancia e uscì dalla sua camera, mentre il
fratello scuoteva la testa continuando a parlare con l'amico.
-Sì, si è completamente rincoglionito.
Sembravano i Bill e Tom di 12 anni prima.
Tom uscì di casa e si precipitò a casa di Fey,
temeva che con così poco preavviso la ragazza avesse
già preso qualche impegno, e se fosse stato così,
Tom avrebbe perso un'occasione d'oro.
Bussò alla porta tre volte e dopo più di un
minuto d'attesa, che per lui pareva un'infinità, la porta si
aprì.
Fey era in accappatoio e aveva un asciugamano legato in testa che le
teneva i capelli.
Quando vide Tom assunse un'espressione leggermente perplessa e poi gli
sorrise.
-Dimmi che non hai impegni.
-Mh, no. Direi di no, perché?
-Ti va di cenare da me? Mia madre non è in casa e Bill deve
uscire con Andreas.
-Avevi architettato tutto o è stato un colpo di culo?
Tom rise.
-E' stato il caso, te l'ho detto! E' a nostro favore.
La ragazza rise e si strinse di più l'accappatoio in vita.
-D'accordo, a che ora?
-Alle sette?
-Va bene.
Tom scese gli scalini senza staccare gli occhi dalla ragazza.
-Sei bellissima anche così, comunque.
Tom ai fornelli era una visione quasi utopica, però vestiva
abbastanza bene con quel grembiule di Simone, almeno questo era quello
che pensava Fey.
La ragazza era arrivata nel mentre che Tom era alle prese con la cena e
decise di aiutarlo.
Fey indossava un maglione lungo, sul turchese, che aveva stretto in
vita con una cinta nera e un paio di scarpe alte che si abbinavano.
Più Tom la guardava, più non riusciva a
paragonarla alle altre ragazze con cui era stato.
Si recarono in cucina dove aleggiava un profumo delizioso. Tom porse a
Fey un altro grembiule che a parer suo la rendeva ancora più
sexy e questo fece divertire la ragazza.
Lei non si sentiva così, ed era strano sentirselo dire.
Quando era viva, in molti le dicevano che era una bella ragazza,
addirittura che era perfetta. Ma lei non ci credeva mai. Forse
perché tutti sprecavano solo un mucchio di parole, ma poi
parlando di fatti non combinavano mai nulla.
Mentre Fey apparecchiava Tom si stava destreggiando tra il sugo,
l'acqua della pasta e altri ingredienti a parte che Fey non aveva
ancora identificato.
Come la ragazza finì si avvicinò al moro che
aveva evidente bisogno di una mano.
-Sei brava a cucinare?
-Sì, credo. Per lo meno, mia madre mi ha insegnato qualcosa,
ma non so se sono una brava cuoca!
-Scommetto di sì, stupiscimi Fey!
Tom le porse una ciotola con dentro della farina mischiata col pan
grattato, un vassoio pieno di verdure e una confezione di formaggio.
-E io che dovrei fare?
-Te l'ho detto, stupiscimi. Poi se morirò avvelenato
potranno dare la colpa a te.
Fey si mise a ridere e iniziò a maneggiare gli ingredienti.
-Mi servono delle uova, e un bicchiere d'acqua.
Tom glieli porse.
Mentre Fey metteva in forno gli involtini di verdure e formaggio, che
sarebbero stati secondo Tom qualcosa di divino, la pasta e il sugo
erano quasi pronti.
Tom non poté fare a meno di osservare Fey e come quel
maglione si posasse sul corpo della ragazza.
Le accarezzò i capelli, facendole provare dei leggeri
brividi e Fey si girò verso Tom, avvicinandosi al suo viso.
Il ragazzo poggiò le mani sui fianchi di Fey, scendendo poi
sul sedere.
-Dimmi che non l'hai fatto!
Tom scoppiò a ridere e Fey gli diede un colpo sulla spalla
destra.
Aveva le mani completamente piene di farina e aveva lasciato sul
maglione della ragazza l'impronta delle sue mani enormi.
Tom le prese le guance in una mano e le diede un bacio.
-Sei un idiota!
Fey rideva e nel mentre cercava di togliersi la farina dal maglione.
-Lo so, ma ti piaccio anche per questo!
Il ragazzo mise tutto in tavola e i due iniziarono a mangiare.
Era curioso il modo di fare di entrambi, facevano praticamente le
stesse cose senza rendersene conto.
Tom avvicinava la mano al sale e così faceva Fey, e
rimanevano un minuto buono a decidere chi dei due l'avrebbe dovuto
prendere per primo.
Quando sorseggiavano il loro bicchiere di vino i loro sguardi si
incontravano e finivano di bere entrambi nello stesso momento,
mettendosi poi a ridere.
Fey era ammaliata da Tom, anche per il modo in cui il ragazzo mangiava,
semplicemente per come prendeva in mano la forchetta.
Quando parlava gesticolava tantissimo e a Fey piaceva vedere come i
tendini delle mani risaltassero, e sembrava che il ragazzo se ne fosse
accorto.
Quando Fey parlava, Tom non poteva non incantarsi nelle labbra rosse
dell'angelo. Avrebbe voluto alzarsi dalla sua sedia, andare
là e baciarla.
Senza spiegazioni, senza dire niente. Semplicemente perché
lo desiderava.
Probabilmente un comportamento del genere l'avrebbe fatta fuggire via
spaventata, per questo Tom optò per un'altra idea.
I ragazzi, dopo che finirono la cena, misero tutto nel lavello della
cucina e si spostarono nel giardino sul retro della casa.
L'aria era fredda quella sera, ma non avrebbe nevicato, il cielo era
limpido e punteggiato di stelle.
Fey e Tom si sdraiarono sull'amaca del giardino e il ragazzo
coprì entrambi con un piumone.
I loro visi erano rivolti verso il cielo, a contemplare le stelle.
La voce di Tom ruppe il silenzio.
-Perché hai scelto me?
Fey rimase spiazzata dalla domanda del ragazzo, che cosa intendeva Tom?
-Voglio dire, perché hai scelto di continuare a vedermi?
Cos'ho di speciale? E' perché sono famoso?
-Come? Tom, non pensarci nemmeno! Incontrarti è stata la
cosa migliore che mi sia mai capitata, conoscerti per davvero,
condividere con te qualcosa ogni giorno è importantissimo
per me.
So che è difficile da credere, ma da quando ti conosco mi
è sempre più difficile non pensare a te e vorrei
che tu ci credessi, vorrei che ti fidassi di me.
Fey si era sforzata terribilmente per dirglielo, ma da una parte si
sentì più libera.
Tom sorrise e tornò a guardare il cielo e mentre stava per
rispondere alla ragazza, di punto in bianco la sua espressione
cambiò; ingigantì gli occhi e aprì la
bocca, quasi incredulo.
-L'hai vista?? Fey dimmi che l'hai vista!
Continuava ad indicare il cielo e cercava approvazione dalla ragazza,
come un bambino.
Fey scoppiò a ridere scuotendo la testa.
-Mi dispiace Tom non ho visto nulla! Com'era?
-Fantastica. Ti giuro mai visto qualcosa del genere! Poi in questo
periodo dell'anno solitamente non se ne vedono mai!
Fey si strinse il piumone al petto.
-Hai espresso un desiderio?
Tom frenò di poco il suo entusiasmo, ma aveva ancora un
grande sorriso sulle labbra.
-Sì, ho desiderato di innamorarmi di te.
Se fosse stato un sogno, Fey avrebbe voluto non svegliarsi mai.
Ma era la realtà, ed era stupenda.
Tom si girò verso la ragazza e le prese il viso fra le mani,
guardandola come non aveva mai fatto prima, guardando ogni minimo
particolare.
Fey si avvicinò di più e lo baciò,
piccoli baci accompagnati da carezze.
Tom avvicinò il suo corpo a quello dell'angelo,
accarezzandole una gamba, salendo un po' più su fino alla
coscia.
La ragazza sorrise impercettibilmente e Tom nascose il viso tra il suo
collo e la spalla.
-Parto dopodomani.
La ragazza continuava ad accarezzare i cornrows del moro, poggiando il
mento sulla sua testa.
-Mi prometti una cosa?
Tom sollevò il viso.
-Mi prometti che… quando ritornerai in Germania, ritornerai
anche da me?
Le sorrise.
-E come potrei non tornare da te?
I due si strinsero in un abbraccio e Fey posò la testa sul
petto di Tom, rimanendo lì, a farsi coccolare ancora per un
po'.
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Capitolo 16 *** XVI ***
Le camere di Bill e Tom erano un completo casino.
C’era di tutto sparso per il pavimento. Entrambi odiavano
profondamente preparare le valigie per partire.
Era la parte più noiosa e poi avevano sempre paura di
dimenticare qualcosa di importante, soprattutto Bill.
Tom aveva già messo una decina di fasce, bandane e
cappellini. Felpe, maglioni, jeans e quant’altro.
Nelle sue vene scorrevano ansia, adrenalina. I tour gli facevano sempre
quest’effetto. E a Tom piaceva un sacco.
Questa volta, però, sarebbe stato diverso.
Le scorse volte quando partiva non lasciava nulla a casa, a parte la
mamma e Gordon ad aspettarlo.
Aveva Bill, Georg e Gustav con sé, le cose più
importanti.
Questa volta, però, avrebbe lasciato anche
un’altra cosa molto importante a casa: Fey.
Quella sera sarebbe stata speciale, questo fu quello che Tom si
ripromise.
Il cielo tedesco quel pomeriggio era grigio e a Fey non piaceva per
niente. Rispecchiava perfettamente il suo umore.
La sera prima i due avevano parlato di cosa fare il giorno dopo, e
avevano deciso di stare da Tom, Bill avrebbe trascorso il pomeriggio
con Georg e Gustav per definire le ultime cose.
Quando Fey entrò in casa sentì di nuovo quel
profumo di cannella e si rese conto di come non fosse cambiato nulla
dalla prima volta in cui c’era stata.
Si ricordò delle sensazioni che aveva provato, di quanto il
suo cuore avesse iniziato a correre al suono della risata di Tom.
Lo stesso Tom che adesso era accanto a lei e l’accompagnava
di sopra.
I due entrarono nella camera del moro.
-Scusami per il disordine, ma quando parto lascio sempre un casino
assurdo!
Fey annuì e rise. Sapeva che Tom era un tipo ordinato. Per
lo meno, era nella norma. Quello un po' più disordinato era
Bill.
Si mise a dare un’occhiata alle cose che non aveva mai notato.
Guardò i libri di Tom che erano riposti nella libreria, i
souvenir dei vari viaggi che aveva fatto. Le foto di lui e Bill da
piccoli col papà e la mamma.
La scrivania era ampia e in un lato c’erano accumulati fogli
con ogni tipo di scritta sopra. Fey sorrise leggendo ''Ricorda di comprare il latte
per mamma''.
Quando si girò verso il letto, vide Tom seduto che accordava
la chitarra e teneva il plettro tra le labbra.
Il ragazzo lo prese tra le dita e iniziò a suonare qualche
nota.
Fey gli sedette accanto e riconobbe la melodia.
-Ich bin da.
Tom le sorrise e annuì con la testa, continuando poi a
suonare.
-Ti piace?
-Da morire.
-Quando la suonerò in concerto ti penserò allora.
Fey gli regalò un sorriso enorme e agitò i piedi
come una bambina.
-Sai suonare?
La ragazza scosse la testa.
-Allora ti insegno io qualcosa!
Le porse la chitarra e si sedette alla sua sinistra, leggermente
più indietro, con le ginocchia sul materasso.
Le prese la mano sinistra e mise le dita di Fey sulle corde. Poi, senza
togliere la sua mano da quella dell’angelo, con
l’altra mano prese quella destra di Fey e le fece cenno di
suonare.
-Questo è un Do.
La ragazza sorrise e si girò alla sua sinistra dove il viso
di Tom era vicinissimo al suo.
Era di profilo e le accarezzava le dita, baciandole piano.
Lo sguardo dell’angelo passò dalla fascia bianca
che Tom portava sulla fronte, alle sue ciglia.
I suoi zigomi leggermente pronunciati dati dal sorriso leggermente
marcato, il profilo perfetto del suo naso, le labbra.
Lo amava.
Ne era certa, Fey era completamente e incondizionatamente innamorata di
Tom.
-Tom…
Il ragazzo si girò verso la ragazza, quando si
aprì la porta.
Fey sgranò gli occhi e si irrigidì.
Era Bill.
Guardò Tom interrogativo.
-Che fai? Perché sei messo così?
Bill vide che Tom era poggiato sul letto in modo inusuale per uno che
sta suonando la chitarra.
Tom lo guardò con fare ovvio, come per dire ''Cosa? Non vedi
che sono qui con lei e le sto insegnando a suonare?!''
Bill scosse la testa, lasciando perdere com’era seduto il
fratello.
-Non doveva venire Fey?
Tom sgranò gli occhi e gli si gelò il sangue.
Non aveva il coraggio di girarsi verso la ragazza, non aveva il
coraggio di muoversi, neppure di respirare, di fiatare.
Era come se una bomba gli fosse esplosa davanti, spazzando via tutto
quello che lo faceva reggere in piedi.
Non rispose.
Bill alzò le mani in aria e uscì dalla camera,
pensando che Tom non si sentisse bene, pensando che avesse litigato con
Fey, un’amnesia… chi lo sa.
Quando la porta si richiuse, calò il silenzio.
Erano vicini, ma tra di loro si era creato un abisso incolmabile.
Tom credeva di essere pazzo.
Ripercorse con la mente i momenti passati con Fey, fino ad arrivare al
sogno dell’ospedale.
Era stato tutto un’allucinazione, uno scherzo delle medicine.
Chiuse gli occhi e li strinse così forte da sentirli
comprimersi.
Non sapeva se sperare di vederla o meno, quando li avrebbe riaperti.
Ma quando si girò alla sua destra, la ragazza era ancora
lì, in lacrime.
Tom si alzò tremante dal letto tenendosi la testa fra le
mani, cercando una soluzione, una qualsiasi per spiegare quello che
stava succedendo.
-Non puoi non essere vera…
Fey singhiozzò rumorosamente e si mise immediatamente una
mano davanti alla bocca, mentre con la manica del maglione si asciugava
le lacrime.
-Lascia…lascia che ti spieghi Tom.- si alzò dal
letto.
Tom indietreggiò.
-Non credo di essere pazzo, non… non posso essere pazzo.-
rise nervosamente- Che diavolo sta succedendo. Perché Bill
non ti ha vista?
Fey respirò a fondo prima di rispondere, lasciando scorrere
qualche secondo.
-Io non sono viva, Tom. Sono morta.
Tom alzò un sopracciglio e guardò dritto dentro
gli occhi della ragazza.
-Scusami?
-Mi chiamo Fey Parker. Ho 19 anni e sono morta il 15 Dicembre scorso.
Sono stata investita da una macchina, guidata probabilmente da un
ubriaco. Non me ne sono accorta subito. Me ne sono accorta soltanto
quando ho visto il mio corpo buttato su un lettino d’ospedale
con ai lati mio padre e mia madre che piangevano. E’ vero che
mio padre è inglese, è vero che ho vissuto a
Londra ed è vero che vivevo a Brema. Su questo non ti ho
mentito Tom, te lo posso giurare.
Tom era distrutto da quello che Fey gli stava dicendo, ancora non
capiva.
Le fece cenno di continuare.
-Dopo aver scoperto di essere…un angelo, ho scoperto di
poter fare delle cose, come sentire i pensieri delle persone e andare
velocemente da qualche parte semplicemente col pensiero. E una volta
sono venuta da te.
-Sto impazzendo…sto impazzendo.
-Non stai impazzendo Tom! Io esisto, io sono qui!
-Dimostramelo! Come può essere vero tutto questo? Come?!
-Ti ricordi il giorno di Natale? Eri arrabbiato con Bill,
perché invece di stare insieme a te e Simone era uscito, ed
era tornato tardi a casa senza darti una spiegazione. Dopo i Tour non
si faceva mai vedere e rispondeva sgarbato persino a te.
Tom rimase shockato.
-C’eri… c’eri anche li?
Perché ti ho vista solo…dopo il coma?
-Quando tu e Bill siete stati aggrediti, io ero lì. Sono
arrivata quando eri a terra privo di sensi e solo Dio sa quanto ho
pregato perché tu ti risvegliassi, perché
arrivasse qualcuno e perché Bill avesse la forza di chiamare
l’ambulanza. Io ti ho salvato la vita Tom.
Tom scosse la testa e si spostò verso la scrivania.
-Perché cazzo non me l’hai detto, Fey?
Perché non me l’hai detto prima? Perché
mi hai mentito?!
-Come avresti potuto credermi? Cos’avresti fatto se ti avessi
detto di essere un angelo?! Mi avresti presa per pazza e…
-La gente prenderà per pazzo me adesso!
Preso dall’ira, Tom scaraventò a terra i fogli che
c’erano sulla scrivania, emettendo poi un gemito di rabbia.
-Mio fratello Bill…mio fratello gemello. Mi ha preso per
malato, per pazzo, e così faranno Georg, Gustav, mia madre e
tutti gli altri.
Fey si sentiva una nullità. Avrebbe preferito scomparire,
evaporare, distruggersi.
-Sei un angelo? Dove cazzo sono le tue ali allora?
-Me le sono fatta strappare per salvarti la vita!
Fey gli urlò contro quello che la opprimeva più
di tutte, piangeva e non si rendeva conto della forza con la quale le
lacrime sgorgavano dai suoi occhi.
Tom continuava a scuotere la testa, vicino ad andare in una crisi di
nervi.
La testa gli pulsava dannatamente forte e per poco non perse
l’equilibrio.
Fey si precipitò al suo fianco, ma il ragazzo la
scansò.
-Vai…
Fey si allontanò di qualche passo da Tom e si
asciugò le lacrime.
Lo guardò per un’ultima volta e poi
scomparì davanti ai suoi occhi.
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Capitolo 17 *** XVII ***
In questo capitolo ci sono degli elementi che non combaciano tra loro,
ma li ho voluti comunque mettere perché sono importanti per
mantenere la coerenza di quello che è successo prima. Il
Tour è l' Humanoid
City, ma c'è una canzone che i Tokio Hotel non
hanno fatto nei concerti del 2010. Volevo precisare questo, buona
lettura. :)
“Bienvenue
dans l’aéroport Charles de Gaulle.”
Le porte degli arrivi internazionali, “arrivées
internationales”, si aprirono e si sentirono delle urla quasi
disumane.
Centinai di ragazzine francesi impazzite che venivano bloccate da
transenne e polizia.
Tre omoni neri furono i primi a varcare la soglia, seguiti da un Bill
Kaulitz che sfoggiava la sua altissima cresta nera e indossava un paio
di occhiali da sole.
Il giovane era affiancato da altre due guardie del corpo.
Appena il moro uscì tutte si misero a urlare. Le uniche
parole che si capivano erano “Bill, Tokio Hotel, mon Dieu,
Georg, Gustav, Tom.”
Dietro Bill camminava Gustav, poi Georg e infine Tom, anche loro
affiancati da due o tre bodyguards.
I giovani non ebbero tempo per fermarsi, anche perché se
l’avessero fatto probabilmente non ne sarebbero usciti vivi.
Uscirono dall’aeroporto e entrarono in un macchinone nero,
accecati dalle luci dei flash.
-Le fans francesi sono sempre così, una per poco non mi
strappava il braccio!
Bill si massaggiava il polso destro mentre guardava dai finestrini
oscurati.
Tom non aveva aperto bocca per tutto il viaggio e nessuno gli aveva
chiesto nulla.
Quella sera avrebbero avuto il primo dei tre concerti del Tour
francese, al Palais Omnisport Bercy.
Il macchinone della Mercedes fermò i quattro davanti
all’hotel e i ragazzi ci misero più di
mezz’ora per entrare.
Si misero a firmare qualche autografo, finché potevano.
Le loro stanze erano all’ultimo piano e tutte e quattro
davano su un attico dal quale si vedeva la città di Parigi
illuminata.
Era uno spettacolo.
Tom accese la ventesima sigaretta della giornata e inspirò
la nicotina a pieni polmoni, sperando che gli andasse al cervello e
impedisse così di farlo pensare.
Non aveva smesso di pensare a Fey e a com’era sparita davanti
ai suoi occhi.
Era arrabbiato con lei, ma forse aveva esagerato. E comunque lei gli
aveva mentito, su tutto.
Però gli mancava.
Lei aveva detto che gli aveva salvato la vita, che si era fatta
strappare le ali per lui.
Aveva avuto davvero così tanto coraggio? Tom era davvero
così importante per lei?
Il moro poggiava i gomiti sulla ringhiera e guardava distratto il
panorama, incantandosi molto spesso su qualche luce abbagliante.
Bill entrò in camera sua e raggiunse il fratello nella
terrazza, mettendosi esattamente com’era lui.
-Tutto apposto?
Tom non rispose, si limitò ad annuire.
Bill lo fece a sua volta.
-Posso chiederti una cosa, Bill?
-Certo, dimmi.
-Cos’ho detto quando mi sono risvegliato dal coma?
-Mi hai detto di non fare la checca, perché piangevo.
Tom scosse la testa.
-No, oltre quello.
Bill sembrò pensarci su un attimo.
-Ah, già! Hai parlato di una ragazza, accanto alla mamma. Ma
erano le medicine, il dottor Hans aveva detto che potevi avere delle
visioni o roba simile. Perché?
Non era pazzo. L’aveva vista davvero, Fey era vera.
-Così.
Tom spense la sigaretta e diede una pacca sulla spalla destra di Bill.
-Andiamo.
Era ora.
Le luci si spensero e un boato parve riempire l’intera arena,
facendola vibrare.
“Welcome to Humanoid City.”
Le urla delle fans quasi coprivano la musica.
Apparve prima Gustav in alto con la sua batteria, poi
dall’uovo uscirono Georg, Tom e infine Bill.
Le loro voci, i loro movimenti, le loro espressioni, i loro visi erano
tutto per quelle ragazze lì sotto.
Avrebbero dato la vita per far si che lo sguardo di uno dei quattro si
posasse sugli occhi di una di loro, avrebbero dato qualsiasi cosa.
Quando cantavano, le loro labbra si muovevano perfettamente
all’unisono con quelle di Bill, se lui sorrideva sorridevano
anche loro, tra le lacrime.
Era una sensazione che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato.
“Ich bin da,
ich bin da wenn du willst. Ich bin da, ganz egal wo du bist. Ich bin
da, schau in dich rein dann siehst du mich. Ich bin da, wenn du nach
mir greifst dann halt ich dich. Ich bin da wenn du willst, ganz egal wo
du bist. An deiner Seite, nur eine Weile, du bist nicht alleine.”
Coriandoli.
Grida di gioia.
Lacrime.
-Mercì beaucoup! Thank you so much guys. See you soon!
I ragazzi andarono dietro le quinte e si abbracciarono forte.
Lo staff si complimentò con loro e si avvicinò
l’organizzatore degli eventi e concerti nella capitale
francese.
-Siete stanchi ragazzi? Ci sarà una festa tra
un’ora e sarei onorato di avervi come ospiti.
I ragazzi si guardarono e Bill prese la parola.
-D’accordo, perché no.
I quattro fecero una capatina all’hotel. Si fecero una
doccia, si rilassarono un attimo e poi andarono al party francese
stracolmo di VIP, a quanto erano venuti a sapere.
La festa era in un palazzo a due piani al centro della
città, e all’entrata c’erano due grandi
omoni che facevano la selezione.
I Tokio Hotel entrarono e appena misero piede nella sala vennero
salutati da una decina di personaggi famosi. Cantanti, attori, sportivi.
La musica rimbombava nelle orecchie dei quattro, mentre
l’intera sala era illuminata da luci di ogni colore; prima
verdi, poi blu poi fuxia e così via, ad alternarsi.
C’erano delle ragazze vestite con abitini succinti che
servivano cocktail su dei vassoi d’argento e si avvicinavano
in modo provocatorio.
Georg e Gustav parlavano con un giocatore di basket, Bill e Tom erano
insieme che parlavano con un importante discografico.
L’uomo aveva sulla cinquantina d’anni ed era
ubriaco, più o meno come i gemelli. Quei drink fruttati
davano alla testa, e il sapore della frutta nascondeva il sapore
dell’alcool.
Bill e il signor Marcus, il discografico, vennero chiamati e si
spostarono, mentre Tom prendeva un altro drink. Quando si
girò, infatti, non vide più il fratello.
Si toccò la tasca destra dei jeans e sentì il
pacchetto di sigarette con l’accendino. Questo gli diede
sollievo, aveva proprio voglia di una bella sigaretta.
Quando si stava dirigendo verso l’uscita, però,
venne bloccato da una mano che lo fece girare.
Davanti a lui vide una ragazza dai capelli rossi con grandi occhi verdi
che portava un mini vestitino blu metallizzato.
Gli offrì un drink e sorrise.
-Sei Tom?
Il ragazzo annuì e la rossa gli disse
qualcos’altro, che però Tom non riuscì
a sentire a causa della musica alta. Le fece cennò di non
aver capito, e la ragazza lo prese per un braccio.
Tom non capiva dove stesse andando, dove quella ragazza lo stesse
portando. Si rese solo conto di aver dato una spinta ad un ragazzo che
aveva versato del drink sul vestito bianco di un'altra. Meglio per lui,
si disse.
La ragazza portò Tom in una stanza, lontano dalla musica e
dalla gente.
Lui si grattò la testa e si guardò intorno, poi
guardò lei.
-Io sono Kessie.
Tom annuì per poi posare lo sguardo sulla scollatura
vertiginosa della rossa.
-Piacere, Kessie.
La ragazza rise e iniziarono a parlare. Aveva un forte accento
francese, ma a Tom non importava gran ché, riusciva a
capirla.
Kessie gli si avvicinava e gli accarezzava le spalle e il collo. Tom
inizialmente non ci fece caso, ma poi si rese conto della situazione.
Era in una camera, da solo con una ragazza super sexy che non aspettava
altro che slacciargli i pantaloni.
Era come se Tom, in quel momento, avesse due personalità.
Due parti divergenti.
Una parte di lui gli diceva di buttarsi e di non farsela scappare.
L’altra parte gli diceva di salutare Kessie e tornarsene in
albergo.
Quale parte avrebbe prevalso?
Nonostante i due fossero lontani dalla musica si sentiva ugualmente,
anche se a basso volume.
La ragazza iniziò a muoversi a stretto contatto col corpo di
Tom che rimaneva immobile.
Iniziò a baciargli il collo e gli sbottonò i
jeans, infilando poi una mano dentro i boxer del moro.
Tom sgranò gli occhi e sbatté forte nel muro che
distava da lui pochi centimetri.
La ragazza baciò Tom con foga e lui stette al bacio, posando
le mani sul suo sedere.
Il ragazzo si sentì catapultato in una delle tante serate
degli anni precedenti, dopo i concerti. Ragazze bellissime che lo
seguivano, si facevano notare, andavano alle feste.
Era successo di nuovo.
La ragazza aprì la porta della stanza e trascinò
Tom sul letto.
Lui si sentiva come se avesse la testa dentro una lavatrice.
-No! Che cazzo sto facendo!
Kessie indietreggiò guardandolo stranita.
-C’è qualche problema?
-Devi andare, mi dispiace ma non mi sento bene. E poi quanti anni hai
scusa?
La ragazza sbuffò e si alzò dal letto, uscendo
poi dalla stanza.
Tom si sdraiò nuovamente sul letto supino e con gli occhi
chiusi aprì il cassetto per cercare delle compresse per il
mal di testa.
Trovò un pacchetto e lo prese.
Guardando attentamente il pacchetto si rese conto che non erano
medicinali.
Tom si guardò intorno, quella non era la sua stanza. Era la
stanza del fratello.
Bill continuava a drogarsi.
Il pacchetto era sigillato, è vero, ma le aveva ancora.
La nausea accompagnò Tom da quel giorno fino alla fine del
Tour.
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Capitolo 18 *** XVIII ***
Acqua
gelida.
Il riflesso allo specchio.
Tom non si riconosceva più, le uniche
cose che riconosceva erano le pareti familiari del suo bagno,
nient’altro.
Non era più lui, non dopo quello che
aveva fatto.
Non dopo quello che Bill aveva fatto.
Lui era legato a Fey, lui si sentiva
legato a lei. Eppure l’aveva tradita.
Era arrabbiato.
Si sentiva preso in giro da lei, dal
fratello.
Quello che gli avevano fatto era troppo, e
lo perseguitava sotto forma di un peso morto sullo stomaco e nausea
continua.
Era tornato a casa da un paio di giorni,
il Tour era andato alla perfezione e tutti erano rimasti contenti e
soddisfatti.
Tutti eccetto lui, ovviamente.
Guardò dalla finestra e delle leggere
nuvole bianche sferzavano il cielo di Amburgo color pesca; avrebbe
voluto
vederla.
Anche se solo per un istante, anche se
solo per prendersi uno schiaffo in piena faccia.
-Tom! E’ pronto vieni giù!
Tom scosse la testa e si guardò ancora un
attimo allo specchio, uscendo poi dal bagno e dirigendosi in cucina.
Fey era rimasta seduta su quel divano per
tutto il tempo, spostandosi solo per andare al bagno a lavarsi.
Non sapeva perché, ma non riusciva
proprio a stare nella sua stanza. Preferiva stare sul divano, nel posto
del
signor Franz. Era una figura paterna per lei, e stando lì
Fey si sentiva in
qualche modo protetta.
Sapeva cos’era successo, sapeva tutto per
filo e per segno.
Aveva visto la scena davanti ai suoi
occhi.
Inizialmente avrebbe voluto andare la e
prendere a pugni Tom.
Poi ripensando a tutto quello che era
successo diede la colpa a sé stessa.
Infine si rese conto di non essere un
burattino e che, nonostante fosse morta, era pur sempre una persona con
dei
sentimenti e nessuno, nemmeno Tom Kaulitz poteva calpestarli.
Nemmeno la persona che
amava.
Decise che era il momento di reagire, non
poteva fare la muffa su quel divano!
Prese il cappotto e uscì.
-Non
ho tanta fame, vorrei uscire a fare
due passi.
Simone guardò Gordon leggermente turbata,
ma il marito le fece cenno con la testa di lasciarlo andare.
Tom ringraziò, si alzò dal tavolo e
uscì
con solo una felpa addosso.
Il ragazzo non fece la strada di sempre,
la percorse al contrario, facendo così il giro
dell’isolato, passando per il
lago ghiacciato.
Anche
Fey passò di lì.
Entrambi
guardavano l’asfalto,
concentrati più sulle loro scarpe che sulla strada.
Tom dava calci ad una pietra da quando
aveva varcato il cancello di casa, finché questa invece di
continuare a
rimbalzare, non sbatté contro un paio di stivali neri.
Entrambi sollevarono lo sguardo.
Entrambi rimasero pietrificati.
L’angelo si girò, dando le spalle a Tom e
fece per andarsene, quando lui la tenne per un braccio.
-Fey, ti prego aspetta.
La ragazza si girò e gli diede uno
schiaffo, facendo voltare il viso di Tom dall’altra parte e
lasciandogli un
segno rosso sulla guancia.
Le tremò la mano.
-Sei un bastardo.
-Lo so! Aspetta! –la bloccò di nuovo- Me
ne merito altri cento di questi schiaffi, lo so...
-Oh meno male che lo dici tu stesso!
-Mi lasci spiegare?
-Spiegare cosa Tom?! Ti ho visto, ho
visto cos’è successo e non
c’è nulla da spiegare.
Fey riprese a camminare e questa volta
Tom non la bloccò.
-Non puoi andartene!
-Perché? Perché non
posso andarmene?!
Cosa me lo impedisce? Tu?
-Sì. Perché
io…
-Perché tu cosa?
Tom non continuò la frase e Fey alzò le
braccia per poi farle ricadere sui fianchi.
-Tu niente, sempre niente.
Rimase lì a guardarla entrare in casa.
Come
si chiuse la porta alle spalle Fey
scoppiò a piangere.
Da fuori Tom batteva forte alla porta, ma
a lei non importava.
Non voleva ascoltarlo, e anche se avesse
voluto la rabbia era troppa e avrebbe potuto fare qualcosa di avventato.
Neanche Tom sapeva cosa dirle, come
iniziare una discussione. I suoi pensieri erano troppo confusi e
nemmeno Fey
che poteva leggerli ci capiva qualcosa.
-Io non me ne vado Fey! Io non mi muovo
da qui fin ché non mi dai la possibilità di
parlare!
-Perfetto, allora prendi in
considerazione l’idea di accamparti lì tutta la
notte.
-Perché non mi ascolti? Perché cazzo non
mi ascolti per una volta?!
Fey aprì la porta con forza e si ritrovò
Tom davanti che la sovrastava in altezza.
I loro sguardi erano identici:
arrabbiati, feriti,
angosciati.
-Perché non chiedi alla tua amica Kessie
di ascoltarti? Mi pare che fosse abbastanza brava a toccarti, immagina
come
sarebbe da ascoltatrice!
-Kessie? Cosa vuoi che mi importi di
quella, Fey! Ho sbagliato, avevo bevuto un po’ troppo! Ero
appena venuto a
conoscenza del fatto che… che tu sei un angelo!
-E quindi la colpa è mia.
-No! Non ho detto questo! Cristo perché
nessuno mi prende sul serio?! Perché nessuno mi ascolta! Mi
dai il consenso di
stare male? Sono qui, davanti a te a chiederti scusa e tu mi tratti
come uno
straccio!
Prima che la ragazza potesse chiudergli
nuovamente la porta in faccia Tom continuò.
-Bill si droga ancora. Questo
non lo sapevi però, vero?
Fey rimase spiazzata.
Quello non lo sapeva, non era riuscita a
percepirlo. Probabilmente era rimasta troppo concentrata su
ciò che aveva fatto
Tom con la rossa.
L’angelo non rispose.
-Dannazione! – Tom batté forte la mano
sullo stipite della porta, facendo sobbalzare la ragazza – Ti
è così difficile
credere che anch’io ho un cuore e che posso sbagliare? Me ne
rendo conto, sono
stato un coglione. Ho passato un periodo assurdo e tu… tu
sei la mia unica
ancora di salvezza. Ti è così difficile credere
che ho completamente perso il
senno per te?? Rimarrei giorni, ore, a contare le lentiggini sparse sul tuo naso e
sulle tue guance,
quelle che nessuno ha mai notato! E baciarti le dita, una per una.
Vorrei
immergermi costantemente nei tuoi occhi azzurri e sentirmi al sicuro,
assaporare in ogni momento le tue labbra. Ti è
così fottutamente difficile
credermi, Fey?!
Tom
aveva fatto esattamente come quella
macchina.
L’aveva investita, scaraventata a
terra,
colpita…ferita.
Ma l’aveva
salvata.
-Ti
sembra giusto dirmi tutto questo…Tom?
-Dimmi qualcosa tu allora.
-Vai…
Tom la guardò dritta negli occhi
e fece
pochi passi indietro.
-Nessuno si fida di me, ed è come se
tutti avessero il diritto di mentirmi e ferirmi. Stavo morendo e Bill
continua
a drogarsi. Mi stavo innamorando di te e tu non mi hai detto la
verità. Forse
me lo merito.
Il ragazzo si girò e si diresse verso
casa.
Fey avrebbe voluto abbracciarlo, ma era
come se qualcosa la tenesse incollata a terra.
Orgoglio, paura, rabbia.
Non lo sapeva, ma vedeva che la figura
del moro si allontanava sempre di più, e con lui il rapporto
che avevano
creato.
L’unica cosa che rimaneva ad entrambi, e
forse aveva una grande importanza, era che Tom sentiva il dolore di
Fey, e a
sua volta Fey sentiva il dolore di Tom.
Era come se ne venissero divorati, ma
nessuno dei due aveva il coraggio di tornare indietro.
-Ho paura Tom!
Fey aveva iniziato a singhiozzare.
-Non ce la faccio, io non ci riesco…
Tom la guardò e, nonostante fosse
abbastanza lontano, Fey vide che aveva gli occhi lucidi.
-Hai paura di me?
Fey esitò un attimo.
-Ho paura di me…
Tom annuì e rivolse lo sguardo a terra.
-Io ti aspetterò qui. Proprio qui, in
questo punto. Ogni sera. Non mi importa se farà freddo, se
nevicherà, se ci
sarà una tempesta. Io
starò qui ad aspettarti, Fey. Te l’ho
promesso.
Alla ragazza
tornò in mente quello che
aveva chiesto a Tom. Gli aveva chiesto di tornare da lei dopo il tour.
Annuì
mentre una lacrima le rigava la guancia.
Tom si girò e riprese a camminare.
Fey chiuse piano la porta.
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Capitolo 19 *** XIX ***
Il
tempo era
peggiorato, come se lo facesse apposta.
Negli ultimi
giorni la temperatura era diminuita di cinque gradi e un costante vento
gelido
raschiava le strade della città tedesca.
Fey accendeva
ogni sera il camino, nonostante lei non sentisse particolarmente freddo.
Iniziò poi a
capire che un minimo lo sentiva perché era come collegata a
Tom.
Tom aveva
passato le ultime tre sere fuori, nel punto che aveva detto. Rimaneva
diverse
ore, finché non si addormentava in piedi ed era sul punto di
cadere. Allora
tornava a casa.
Fey non era mai
uscita, anche se avrebbe voluto.
Sapeva che
stava sbagliando, sapeva che Tom non lo meritava, eppure era orgogliosa.
''Un’orgogliosa
di merda.''
La fiamma del
fuoco nel camino illuminava il suo viso e i suoi occhi che si erano
colorati di
verde.
Guardò
l’orologio: erano le otto.
Tom era
sicuramente là fuori ad aspettare.
Fey si alzò dal
divano e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.
Si avvicinò
alla finestra e spostò leggermente la tenda.
Tom era lì. In
piedi con le mani in tasca che cercava di proteggersi il viso dentro la
sciarpa, guardandosi le scarpe e spostandosi da un piede all'altro.
Chiuse la tenda
e si poggiò al muro portandosi una mano prima sulla bocca e
poi sul cuore.
La visuale di
quella stanza cambiò, c’era qualcosa che la
opprimeva. Più la guardava e più
sentiva che c’era qualcosa fuori posto.
Forse il vaso
sul tavolo?
Lo prese e lo
mise sulla tv.
No. C’era
ancora qualcosa che non andava.
Prese tutti i
cuscini e li posizionò ordinatamente sul divano,
arretrò di pochi passi e ne
scaraventò 2 contro la parete.
-COSA C’E’ CHE
NON VA!
Oltre che un
urlo di disperazione, era una vera e propria domanda alla quale Fey
voleva dare
risposta.
Nel suo
cervello si insidiò qualcosa, e poco dopo fu più
chiara. E si rese conto che
quella era la risposta.
-Tom.
La ragazza aprì
la porta e vide che Tom era lì.
Esitò per un
attimo, sentendo poi i pensieri di Tom.
Ti prego, vieni
da me.
Fey gli corse
incontro e Tom fece lo stesso, stringendola poi a sé.
Il corpo della
ragazza era smosso dai singhiozzi e si staccò leggermente
per guardarlo negli
occhi.
-Vuoi ancora
che ti dica qualcosa?
Tom annuì,
asciugandole una guancia.
- Ero
incazzata, anzi più che incazzata. Perché pensavo
mi stessi rifilando le stesse
cose che dicevi a tutte e io non volevo. Volevo mandarti a fanculo e
sbatterti
la porta in faccia. Mi sono chiesta come avevo fatto a finire in questa
situazione e perché mi sono innamorata di te. Ma ancora
adesso, se me lo chiedo
non ci sono risposte. E’ così e basta.
Tom le sorrise
e la strinse a sé accarezzandole i capelli.
-Tutti quelli che
incontro muoiono, Tom. La casa in cui vivo era di un vecchio signore
dal quale
mi sono rifugiata, mi ha vista subito e poco dopo è morto.
La ragazza che
abitava vicino a casa mia, Jess, si è suicidata. L'ho
scoperto da poco, non so
neanche come, ma mi è come sbattuta in faccia la sua
immagine, il dolore dei
suoi genitori... che cosa porto di buono? Cosa posso dare a te?
Tom le rivolse
uno sguardo languido e si morse un labbro, continuando poi a stringerla.
-Tu sei il mio
angelo, Fey. Tu mi hai salvato dalla morte.
-Mi dispiace
Tom, mi dispiace da morire...
Tom le diede un
lungo bacio. Si stringevano, era come se entrambi avessero paura che
l’altro
potesse scomparire da un momento all’altro.
Entrarono
in
casa. La stanza era illuminata dalla luce arancione del fuoco del
camino.
Fey chiuse la
porta con una mano mentre continuava a baciare il moro.
Tom prese in
braccio la ragazza e mentre tra i loro baci si insinuava qualche
sorriso, salì
le scale e la portò di sopra.
I loro
movimenti erano lenti, non affrettavano le cose. Sapevano che
nient’altro gli
avrebbe più separati, mai più.
Tom sfilò la
camicia di Fey e successivamente si levò la maglietta,
mentre la ragazza gli
slacciava i jeans accarezzandogli poi il petto nudo.
Il moro le
accarezzò la schiena e l’angelo si
irrigidì.
Tom
indietreggiò leggermente, preoccupato. Fey gli rivolse un
mezzo sorriso, che
nascondeva una vena di tristezza, e si girò spostando da un
lato i capelli.
Sulla schiena
bianca della ragazza vi erano due cicatrici, proprio
all’altezza delle scapole.
Dove prima c’erano le sue ali.
Tom le
accarezzò piano, avendo quasi paura di farle del male.
Le accarezzò le
spalle e le baciò le cicatrici, salendo poi su per il collo.
Quel gesto
aveva cambiato tutto.
Fey non si vergognava più del suo corpo, della sua
schiena, di ciò che era. Tom la faceva sentire bella, la
faceva sentire amata.
Tom si muoveva
piano su di lei, desiderando ogni singola parte del suo corpo.
L’amava. Amava
la sua pelle, il suo profumo, le sue curve, i suoi respiri che si
facevano
sempre più forti.
Amava come i
suoi occhi si socchiudevano, come le sue labbra e le sue mani lo
sfiorassero e
lo facessero piacevolmente rabbrividire.
Si sfioravano
leggermente, nei punti giusti, senza azioni affrettate, mentre la loro
eccitazione
cresceva.
Le loro labbra danzavano, mentre Tom le divaricava leggermente le
gambe e si infilava nel mezzo.
Il castano nocciola di lui si fondeva con
l’azzurro cielo di lei, creando un colore senza paragoni, le
guance di Fey si
colorarono di rosa quando Tom l’avvicinò di
più a se, slacciandole il
reggiseno. La fece sdraiare nuovamente sotto il suo corpo, sfiorandole
i seni e
i fianchi, facendole venire la pelle d’oca.
I loro corpi si univano, l’uno
respirava il sospiro dell’altra e i loro gemiti si fondevano.
Mentre Tom
spingeva di più, Fey lo stringeva e premeva le sue dita
lungo la schiena e
contro i suoi muscoli.
-Ti amo, Tom.
Il ragazzo
sorrise mentre dalle labbra di Fey scendeva sui seni, per poi darle dei
piccoli
morsi sul collo.
Fey si spostò e
Tom si ritrovò sotto di lei, passando le mani sulla schiena
e sui fianchi che
si muovevano sinuosamente ad ogni spinta.
Tom la guardava
alla poca luce che entrava dalle finestre, vedeva come i capelli le
ricadevano
in avanti, come le labbra erano leggermente aperte per prendere
più aria.
Non volevano
che quella notte finisse, volevano che quel piacere durasse il
più possibile,
non volevano smettere di toccarsi, abbracciarsi, di fare l'amore.
Le ombre sulla
parete si muovevano velocemente, finché i loro corpi non si
abbandonarono
all'ultimo sforzo.
Fey si sdraiò
al fianco di Tom mentre lui le sussurrava infiniti ti amo.
La legò a sé,
accarezzandole i capelli.
-Dimmi a cosa
sto pensando.
Fey si mise sui
gomiti ancora col respiro affannoso e gli sorrise, poi si premette le
dita sulle tempie,
assumendo un'espressione concentrata che catturò
completamente l'attenzione di
Tom.
-Stai
pensando... che vorresti fare di nuovo l'amore con me domani,
dopodomani e
dopodomani ancora!
Entrambi
scoppiarono a ridere e Tom scosse la testa divertito.
Dopotutto Fey
non aveva tutti i torti. Questa volta per lui era stata diversa.
Non era
semplicemente sesso. Quel sesso che fai per liberarti.
Di ciò che
provava per Fey non se ne sarebbe mai liberato. Non poteva farne a
meno, era un
qualcosa che lo divorava e non lo lasciava in pace.
Tutto questo lo
spaventava, e lei lo sapeva, ma non disse nulla.
Era una
situazione strana, impossibile da credere e loro c'erano finiti dentro,
completamente.
Impossibile
uscirne, ormai.
Fey
lo avvolse
tra le sue braccia e fu come se lo avvolse anche con le sue ali.
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Capitolo 20 *** XX ***
Il sole era entrato piano dalle persiane semi chiuse, illuminando il
viso di Tom e costringendolo a svegliarsi.
Si stiracchiò portando le mani in alto e sollevandosi di
poco sul materasso, tenendosi su con i gomiti.
Si girò alla sua destra, dove Fey dormiva beatamente.
Indossava solo degli slip neri e le coperte si posavano sulle sue gambe
all'altezza dei polpacci, lasciando il sedere scoperto.
Le si avvicinò e le diede piccoli baci, salendo poi nella
schiena e arrivando alla guancia.
Fey si girò e gli sorrise, stropicciandosi gli occhi.
Tom le diede un bacio sulla fronte e si alzò dal letto,
diretto verso il bagno, o forse la cucina.
-Sai, parli nel sonno.
Tom si girò e alzò un sopracciglio, poggiandosi
poi allo stipite della porta e incrociando le braccia, mettendo
così in risalto i muscoli.
-Veramente? E cosa ho detto?
Fey si mise la maglietta di Tom, che le faceva da vestito, e gli si
avvicinò superandolo poi di qualche passo.
-Inizialmente hai fatto le fusa.
-Le fusa?!
-Sì! Poi hai parlato in una lingua sconosciuta, ma ho capito
alcune frasi come ''hai visto com'è grande?''
Tom divenne paonazzo e scoppiò a ridere, chiedendo
all'angelo se stesse scherzando. Fey scrollò il capo.
-No no! Immagina cosa direbbero i tuoi amici, o addirittura le fan
sapendo che fai il gatto nel sonno. Che macho!
-Più che gatto, direi leone. - Disse alzando un sopracciglio
e ringhiando.
La ragazza gli fece la linguaccia e si avvicinò alla cucina,
seguita poi da Tom che l'abbracciò da dietro.
Fey mise le mani dietro la sua schiena e Tom infilò le sue
braccia fingendo che fossero quelle della ragazza.
Maneggiava tra biscotti, latte e caffè stando attento a non
combinare casini, e quando Fey parlava o lo rimproverava per qualcosa
lui gesticolava portando le mani in alto, poi sul suo viso e sul seno
della ragazza, emettendo versi di apprezzamento.
Fey scoppiò a ridere dandogli un colpetto sul petto e Tom le
diede un bacio, facendola poi sedere sul tavolo e continuando a
baciarla mentre lei cingeva la sua vita con le gambe nude.
Mentre Tom le accarezzava piano, salendo per le cosce,
squillò il telefono.
Le lanciò uno sguardo e lei rise, lasciandola di
malavoglia mentre si allontanava in camera per rispondere.
Fey finì di preparare la colazione e mise tutto sul tavolo.
-Chi era?
-Bill. Mi ha chiesto che fine avevo fatto e quando tornavo. -scosse la
testa divertito- sembra mia madre!
-E' giusto che si preoccupi, è l'altra parte di te!
Tom annuì e si sedette a mangiare insieme alla ragazza.
-Che ne dici di venire con me?
Fey lo guardò un po' interdetta, senza dire niente, e Tom
continuò.
-Lo so che non può vederti -le prese la mano-
però per una volta potrebbe essere divertente, non credi? Ti
posso vedere solo io e Bill non saprebbe nulla! Potresti sentire cosa
mi dice, sarà come un gioco! Da piccolo desideravo essere
invisibile, so che per te non è uno scherzo ma se la prendi
troppo seriamente non riesci ad andare avanti, Fey.
La ragazza era rimasta ad osservarlo, e quando finì, gli
sorrise.
-D'accordo.
Fey si mise una giacchetta di lana bianca, dei jeans neri e un paio di
Vans, raccogliendosi poi i capelli in uno chignon.
Lui riconobbe il modo in cui era vestita, era molto simile a com'era
vestita il primo giorno che la vide, all'ospedale, ma non le disse
nulla.
Tom aprì la porta di casa, seguito da Fey al suo fianco. Le
batteva il cuore fortissimo, in fondo in fondo desiderava che Bill la
vedesse.
Il gemello sbucò dalla rampa delle scale e Fey
sussultò, Tom guardò attentamente l'espressione
di Bill, ma nulla.
-Dov'eri?
-Ero da Fey.
-Ah. -Bill fece una piccola pausa guardando Tom da capo a piedi -
Immagino che vi siate divertiti tutta la notte!
Tom diede una leggera occhiata a Fey che stava sulla sua destra e si
grattò la nuca imbarazzato.
-Sì ci siamo divertiti, grazie!
Tom superò Bill per andare in cucina.
-Vuoi qualcosa da bere?
-Sì, grazie vorrei una Coca.
Tom guardò Bill, si era completamente dimenticato che lui
non potesse vedere la ragazza, e la domanda era rivolta a lei. A sua
volta il gemello lo guardò storto, guardandosi poi attorno.
-Ma sei scemo?
Tom scosse energicamente la testa e gli chiese scusa, mentre Fey dietro
Bill aveva iniziato a ridere e l'ansia stava pian piano allentando la
presa.
Gli porse la bibita e salì di sopra, mentre Fey lo seguiva.
Quando chiuse la porta emise un respiro di sollievo.
-Avevi ragione, non essere visti è davvero divertente!
Tom si passò una mano sul viso sedendosi sul suo letto.
-Cosa facevi quando non potevo vederti?
Fey gli si sedette accanto e si arrotolò una ciocca di
capelli, sfuggiti dallo chignon, dietro l'orecchio.
-Ti seguivo, controllavo che tu stessi bene e che tutto andasse per il
meglio. -sorrise- Una volta ho anche dormito insieme a te.
Tom la guardò come per dirle di continuare a raccontare.
-Non stavi bene, era prima che succedesse tutta quella brutta
situazione con Bill.- Distolse lo sguardo- Mi sono sdraiata accanto a
te e tu eri rigidissimo, come se mi sentissi, ma non so se fosse
davvero così. In quel momento desideravo che mi vedessi
più di qualsiasi altra cosa, avevi bisogno di sfogarti, di
parlare. Certo, magari non ti saresti sfogato con la prima ragazza che
ti appariva davanti - rise - ma io ero lì per te, comunque.
Tom le sorrise e con una mano le accarezzò la guancia
sinistra, scendendo poi sulle labbra e baciandogliele.
Fey si allontanò di qualche centimetro, guardando poi Tom
con i suoi grandi occhi azzurri.
-Tra esattamente 30 secondi entrerà Bill e ti
vedrà baciare il nulla.
Tom le diede un altro bacio, seguito da altri due.
-Cinque...
La porta si aprì e sbucò Bill che posò
i sui grandi occhi truccati di nero su Fey.
-Oh scusate!
Si affrettò a chiudere la porta imbarazzato.
-No, un attimo! - Bill la aprì nuovamente - Tu quando sei
entrata?
Tom e Fey rimasero di sasso.
-La vedi?!
Il gemello rimase interdetto e guardando le espressioni di entrambi si
sentì come se fosse lui quello fuori posto, come un alieno.
-S-sì, Tom. Non sono ancora cieco...
I due rimasero per qualche secondo ancora a bocca aperta e poi Fey si
affrettò ad avvicinarsi a Bill, stringendogli la mano e
regalandogli un sorriso.
Bill venne come irradiato da Fey e la salutò, sorridendole a
sua volta.
-Pensavo che Tom non ti avrebbe mai fatta uscire allo scoperto!
Fey rise imbarazzata e si lisciò il maglioncino addosso.
Bill Kaulitz davanti a lei che le rivolgeva la parola, con quegli occhi
che ti attirano come una calamita, era qualcosa di indescrivibile.
Bill la guardò assottigliando leggermente gli occhi.
-Sei una fan, vero?
Fey arrossì vistosamente e per poco non iniziava a
balbettare. I gemelli risero e Tom le si avvicinò, posandole
una mano sul fianco.
Se fosse rimasta invisibile avrebbe evitato quella figuraccia,
pensò.
Fortunatamente il momento imbarazzante venne interrotto dal campanello
di casa.
Bill scese per primo, seguito da Tom e Fey. Quando aprì la
porta, però, non c'era nessuno.
Soltanto una lettera per terra.
Fey venne investita da una sensazione terribile e si fermò
in mezzo alla stanza, Tom se ne accorse. Guardò prima lei e
poi Bill.
-Fermati.
La voce di Tom tuonò nella stanza e Bill si girò
a guardarlo stranito.
Tom rivolse uno sguardo a Fey che guardò prima la lettera,
per poi posare nuovamente i suoi occhi su quelli di Tom, annuendo
impercettibilmente. Infatti solo Tom si accorse di quel gesto quasi
invisibile.
Si avvicinò e prese la lettera, chiudendo poi la porta.
I tre si sedettero al tavolo della cucina e sembrava che avessero
capito di cosa si trattasse, cosa ci fosse dentro quella busta bianca
leggermente stropicciata.
Tom l'aprì e iniziò a leggere, mentre gli occhi
di Bill zigzagavano tra il foglio bianco e il viso del fratello.
Tom posò il foglio sul tavolo e si passò una mano
sul viso, passando poi la lettera a Bill. Fey sapeva cosa c'era
scritto, l'aveva letto nei suoi pensieri.
Gli occhi di Bill si riempirono di lacrime e si prese la testa tra le
mani, senza però emettere neanche un singhiozzo.
Se ci fosse stato qualcun altro, probabilmente avrebbe fatto capire a
Tom di mandare via quella persona, o se ne sarebbe andato lui stesso.
Invece fu come se la presenza di Fey lo rassicurasse, in qualche modo.
Fu Tom a rompere il silenzio.
-Non ci faremo prendere per il culo da questi bastardi. Tu non devi
niente a nessuno, Bill.
Bill scosse la testa.
-Hai letto anche tu cosa c'è scritto, Tom. -prese in mano la
lettera, sventolandola in aria- Faranno del male a qualcuno se non gli
diamo questi maledetti soldi!
-Lo capisci che non la smetteranno neanche se glieli dai?! Sono dei
pazzi, dei drogati!
Tom si alzò furibondo, andando avanti e indietro per la
stanza.
Fey era incollata alla sedia.
-Sanno dove abito, Cristo!
-Ok, prendiamo la situazione con calma! -Fey si alzò dalla
sedia, cercando di fare il punto del discorso.- Sanno dove abiti,
è vero. Ma chi non lo sa? Devi avvertire la polizia.
Potrebbero far girare qualche pattuglia a sorvegliare la casa, giorno e
notte.
Bill guardò Fey negli occhi, senza chiedersi come facesse a
sapere del contenuto della lettera. Annuì e prese a
massaggiarsi le tempie.
-Perché se la sono presa proprio con me...
Quella era la vera domanda. Perché proprio Bill? Cosa aveva
fatto di male?
Tom si avvicinò al fratello e gli posò una mano
sulla spalla.
-Ne usciremo Bill, stai tranquillo.
Dopo circa una mezz'ora Fey e Tom uscirono e lui la
riaccompagnò a casa.
Durante il tragitto erano rimasti in silenzio, semplicemente presi per
mano, ma prima di salutarla le fece una domanda.
-Sai qualcosa?
Fey scosse la testa, desolata. Purtroppo non sapeva niente, ma questo
non significava che non potesse fare niente.
-Cercherò di scoprire qualcosa e di proteggere te e Bill.
Tom le accarezzò un braccio.
-Dovrei essere io a proteggere tutti...
Fey gli prese le mani, accarezzandole, e gli diede un bacio sulla
guancia fredda.
-Tu lo sostieni, Tom. Senza di te Bill non potrebbe resistere. Fai
tanto, non buttarti giù, questa situazione si
risolverà, te lo prometto.
Tom annuì e la strinse a se, inspirando il suo profumo.
-Sono felice che Bill ti abbia vista.
-Lo sono anch'io, tanto.
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Capitolo 21 *** XXI ***
La neve si scioglie nelle strade
tedesche e il mio sentimento per Tom
cresce, a dismisura.
Da
quando Bill riusciva a vederla, Fey andava spesso a casa dei gemelli.
Tom stesso le aveva detto che il fratello si tranquillizzava quando lei
era nei paraggi.
Proprio come un miracolo, Fey venne vista da Simone e Gordon e,
naturalmente, aveva fatto una buonissima impressione.
Soprattutto a Simone, che se n'era praticamente innamorata.
Nessuno sapeva della lettera anonima, che poi tanto anonima alla fine
non era.
I gemelli avevano deciso di nasconderlo alla madre e al compagno, non
volevano allarmarli. Solo la polizia lo sapeva e ogni notte mandava una
pattuglia.
Per spiegare la situazione, Bill aveva detto che era semplicemente per
essere più tranquillo, nulla di più.
Quando Tom non aveva da fare faceva passeggiate con Fey e avevano
provato ad andare vicino a qualche centro abitato.
Fu sorprendente quando alcuni passanti li videro entrambi e una fan li
fermò, parlando con Fey e chiedendole se fosse la ragazza
del chitarrista.
I due sembravano proprio come due innamorati di un film, si prendevano
per mano ed erano felici di essere visti da tutti.
Erano fieri di mostrare cos'avevano avuto il coraggio di portare avanti.
Nonostante questo Fey si rese conto che quando non era con Tom era
invisibile per tutti gli altri.
Non sapeva darsi una spiegazione, però non doveva
dimenticarsi che non era viva.
Anche se Tom l'aveva come riportata in vita e con lui era rinata, non
doveva dimenticarsi di essere un angelo.
Tutto questo la spaventava e le faceva vibrare lo stomaco,
così cercava ogni volta di scacciar via questo pensiero.
Fey giocava a scacchi con Bill nel salotto di casa, mentre Tom parlava
al telefono.
-Scacco matto!
Bill alzò le braccia in aria e sbuffò.
-Come diavolo fai, si può sapere? Sai leggere nel pensiero
per caso?
Tom guardò i due e sorrise mentre Fey gli fece l'occhiolino.
Chiuse il telefono e si sedette accanto alla ragazza, mentre Bill
ancora borbottava per aver perso e rimetteva apposto le pedine.
-Cerca di farlo vincere qualche volta.
Fey annuì ridendo.
-Chi era?- chiese Bill mentre pensava a nuove mosse per battere Fey.
-Stavo parlando con Andreas, mi ha detto che domani sera ci
sarà una festa per l'apertura di un nuovo locale. Dicono che
diventerà presto il luogo più frequentato di
Amburgo.
Bill guardò entrambi e battè le mani.
-Ci andiamo?
Fey guardò Tom con uno sguardo leggermente terrorizzato.
-Non so se sia una buona idea...
-Oh ma certo che lo è!- disse Bill alzandosi dal divano.
-Hai un vestito carino da mettere? E’ una festa in maschera!
Le feste in sé mettevano qualche problema a Fey,
perché non sapeva mai che genere di vestito mettersi. Ma le
feste in maschera erano addirittura peggio!
Non aveva assolutamente la minima idea di cosa indossare e
l’immaginazione l’aveva completamente abbandonata.
Tom decise di portarla in diversi negozi, cercando in tutti i modi di
convincere Fey a vestirsi da infermiera sexy, ma la ragazza non si fece
abbindolare.
Alla fine, al terzo negozio che visitavano, Fey trovò quello
che cercava.
-Non vuoi proprio dirmi che vestito hai scelto, vero?
-No. Sarà una sorpresa, dovrai aspettare per scoprirlo.
Tom sbuffò divertito e la prese per mano, percorrendo la
strada di casa.
Attorno a loro regnava il silenzio e Tom impiegò pochi
minuti per capire che qualcosa non andava, e la sua idea venne
confermata dagli occhi di Fey .
-C’è qualcosa che non va?
La ragazza si fermò, continuando a tenere Tom per mano.
-Io vorrei che tu avessi una storia normale, Tom.
Tom alzò un sopracciglio.
-Io ho te, non ho bisogno di altro.
-Lo sai che non è così, ti sto rovinando la vita.
Non è giusto dover nascondersi, chi lo sa se ci potranno
sempre vedere? Per ora ci è andata bene, vengo vista dalla
tua famiglia, dalle persone di questo quartiere. Ma se dovessero
arrivare i paparazzi? E se nelle foto uscissi solo tu?
-Dio, Fey. Perché pensi sempre in negativo? A me non
importa, da quando ci sei tu tutto ha preso colore. E’ vero,
è difficile, anch’io vorrei darti la luna,
prendere un aereo e portarti a Parigi per baciarti sotto la Tour
Eiffel. Portarti a Venezia facendoci suonare una serenata sulla gondola
e infine andare a guardare l’aurora boreale in Norvegia. E'
difficile, lo so bene, quasi impossibile. Ma mi basta stare con te per
stare bene.
Fey gli strinse di più la mano e lo avvicinò a
sé, accarezzandogli i cornrows.
-Però posso portarti al Luna Park, se ti va. Lo
farò aprire solo per noi. –Inchiodò i
suoi occhi a quelli della ragazza, accarezzandole il mento –
Possiamo mangiare lo zucchero filato, fare tutti i giochi che ci
mandano a testa in giù.
Fey gli strinse le braccia attorno al collo e lo baciò, non
si sarebbe mai stancata del sapore di Tom.
Era l’unica cosa che le ricordava che tutto quello che stava
vivendo non era un sogno.
-Mi piacerebbe andare al Luna Park.
Le luci erano spente e un uomo alto sulla quarantina che
portava una tuta con l’insegna del parco giochi stava per
chiudere il cancello principale.
-Aspetti!
Tom si precipitò dall’uomo, mentre Fey rimase
più indietro, raggiungendoli infine quando l’uomo
annuì con la testa e Tom scoccò alla ragazza un
sorriso smagliante.
Improvvisamente tutti i giochi vennero accesi e la musica
tornò a suonare nell’aria.
Provavano qualsiasi gioco gli fosse permesso: gli autoscontri, le ruote
che li mandavano a testa in giù, che li facevano saltare a
20 metri d’altezza.
Un paio di volte Tom chiese a Fey di fare una pausa, avendo paura di
rigettare da un momento all’altro.
Presero lo zucchero filato, e Tom amava l’espressione di Fey
mentre cercava di addentarlo senza sporcarsi tutta la faccia.
Vide che Fey si fermò a guardare una cabina di fototessere.
-Ne vuoi fare una?
Il suo sguardo si incupì leggermente.
-Dai, proviamoci!
I due entrarono, Tom si sedette sul sellino e fece sedere Fey sopra le
sue gambe, porgendole una salvietta per pulirsi le dita dallo zucchero.
Inserirono le monete e aspettarono.
Uno, due, tre, quattro scatti.
Entrambi i loro visi venivano riflessi sullo schermo e Fey sperava con
tutto il cuore che fosse così anche sulla carta.
Nella prima foto sorridevano entrambi, guancia a guancia. Nella seconda
Tom alzava un sopracciglio e Fey faceva la linguaccia.
La terza foto e la quarta li avevano ritratti nella loro naturalezza,
si sorridono e si baciano.
Fuori dalla cabina aspettavano impazienti le foto, Fey tamburellava le
dita su un braccio.
-Ne prendo due copie.
-Magari non si vedono.
-Fey…
Il rumore della stampa li fece sobbalzare e uscirono due fogli bianchi.
Tom si inchinò per prenderli, lanciando uno sguardo a Fey
che si stava divorando il labbro inferiore.
Gli occhi del ragazzo si posarono sulla carta bianca, e dopo pochi
secondi sugli occhi azzurri di Fey.
-Si vedono?
-Sì.
Fey lanciò un gridolino e si precipitò in braccio
a Tom, che preso alla sprovvista fece di tutto per non far cadere
né lei né le foto.
Fey lo baciò tenendolo stretto e Tom le porse una copia.
I loro visi erano visibili, quelle foto erano un traguardo. Era
un’altra dimostrazione che tutto quello non era un sogno.
-Ti amo da morire, Tom.
-Ti amo anch’io, Fey. Guarda, questa è la mia
preferita.- E le indicò la foto dove si sorridevano.
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Capitolo 22 *** XXII ***
-Dai
posso
entrare?
Fey si stava
dando un ultimo sguardo allo specchio, spostandosi meglio i capelli
mossi sul
petto.
-Sì Tom, puoi
entrare.
L’espressione
di entrambi cambiò quando si videro, stupore e divertimento
nei loro occhi.
Tom aveva il
viso ricoperto da bruciature, ferite e sangue. Era più
bianco e aveva una
leggera barba che sfuggiva al trucco. Il sangue gli colava nel collo,
sulle
clavicole, fino ad arrivare al petto. Indossava una maglia nera e sopra
una
camicia a quadri rossa e nera, entrambe strappate.
Arricciò le
labbra in un sorriso non appena vide lo sguardo di Fey passare dallo
spaventato
al divertito.
-Per un attimo
ho temuto fossero vere.
Tom fece
qualche passo in avanti, avvicinandosi alla ragazza.
-Io invece mi
chiedo ancora se tu sia vera.
Fey era dentro
un abito bianco che le arrivava poco più su del ginocchio. I
capelli lisci, con
qualche onda, che le ricadevano sul petto, le labbra rosee e gli occhi
sembravano brillare come due fari contornati dal trucco nero. Dietro di
lei si
aprivano due enormi ali bianche.
Gli si avvicinò
a gli prese la mano.
-Siamo la
coppia perfetta.
Quando
scesero
le scale videro Bill e altri amici che chiacchieravano tra loro, poco
interessati all’arrivo della coppia. Bill si girò
qualche istante dopo,
regalando a entrambi un enorme sorriso. Lui era un demone, lunghi
capelli
biondi, pelle diafana, canini e due corna poste all’altezza
della fronte.
Fey aveva
sperato inutilmente di poter avvicinarsi un po’ di
più all’altezza di Bill, ma
il ragazzo aveva indossato dei tacchi altrettanto alti e gli arrivava a
mala
pena alla spalla.
-Stasera sei il
nostro angelo Fey, controlla noi cattivi!
Bill le fece un
occhiolino e spostò lo sguardo su Tom, che lo accolse e
scoppiarono a ridere
all’unisono.
Fey sperava
davvero che tutto andasse per il meglio.
La
discoteca
era veramente enorme.
All’entrata una
fila lunghissima di persone aspettavano di essere controllate, la
musica si
sentiva addirittura due strade più avanti e la scritta
“Docks”
brillava in cima
al palazzo.
Quando la
limousine si fermò davanti al locale un uomo scese dal posto
del passeggero e
aprì lo sportello ai ragazzi che sedevano dietro.
Uno dei bodyguard aprì una
porta secondaria, accanto a quella principale, e li fece entrare.
-Tom lei è la
tua nuova ragazza? Come si chiama?
Tom strinse di
più la mano di Fey e fece cenno ai giornalisti di non voler
parlare.
All’interno
la
musica era assordante e il locale aveva banconi ad ogni lato.
Tom allentò la
presa alla mano di Fey e gliela accarezzò dolcemente.
-Sei stupenda.
Le guance della
ragazza si colorarono di rosa e Tom gliene sfiorò una con la
mano destra. Fey
piegò la testa, accogliendo la sua carezza, penetrandolo con
lo sguardo.
Tom le
si avvicinò facendo scorrere la mano sulla schiena nuda,
avvicinando le labbra
al suo orecchio.
-Cosa mi
piacerebbe fare con te, vestita così…
Fey sentì un
brivido che le percorse la spina dorsale. Il ragazzo le
sfiorò il lobo
dell’orecchio con le labbra, mordicchiandolo leggermente.
L’angelo
avvicinò Tom prendendolo per il bordo dei jeans, facendo
scorrere la sua mano
sul cavallo dei pantaloni, sentendo la sua erezione.
-Oh, lo
immagino.
Si sorrisero e
piano le loro labbra si incontrarono, stuzzicandosi, senza soddisfarsi
fino in
fondo.
Tom la prese
per mano e insieme attraversarono la folla di corpi che si muoveva a
ritmo di
musica.
Si chiusero
alle spalle la porta della discoteca, entrando in altre sale
più appartate ma
con altrettanta gente.
Ne attraversarono un’altra per ritrovarsi in una sala
riservata allo staff. La cosa gli eccitava parecchio.
Tom intrecciò
le sue dita a quelle di Fey, facendola poggiare al muro, per poi
alzarle il
mento con un dito mentre con l’altra mano le accarezzava le
cosce.
Le loro lingue si
esploravano, si stuzzicavano. La bocca di Tom scese sul collo, mentre
con la
mano le accarezzava la pelle morbida sotto gli slip.
Fey emise un
gemito e si aggrappò alle spalle larghe del moro.
-Vuoi peccare
lasciandoti andare con un demone come me?
-Sì, è la cosa
che voglio di più al mondo. Non mi importa se il cielo non
mi rivorrà indietro.
Tom le sorrise
e le spostò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio avvicinandosi alle sue
labbra.
La prese in
braccio in modo che Fey allacciasse le gambe alla sua vita, con la
lingua
disegnava piccoli cerchi nel suo collo mentre una miriade di sensazioni
e brividi
le percorrevano il corpo.
Si appoggiarono
su un divanetto in fondo alla stanza, nascosto da un paravento bordeaux
e nero.
Tom si sedette
tenendo Fey in braccio, lei iniziò a muoversi piano su di
lui, premendo e
lasciandogli leggeri baci sulle labbra.
Emise un
gemito soffocato e fece sdraiare Fey sotto di lui. Le alzò
leggermente il
vestito e piano scese a baciarle l’interno delle cosce. Fey
si irrigidì.
-E se entrasse
qualcuno?
-Si godrebbe lo
spettacolo.
-Tom! – Fey diede
un colpo a Tom che scoppiò a ridere si avvicinò
nuovamente al viso della
ragazza.
Lentamente gli
abbassò la cerniera dei jeans e abbassò
l’elastico dei boxer, allacciò le gambe
attorno a Tom e si lasciò andare a quella sensazione.
Guardare Tom
negli occhi mentre facevano l’amore era per Fey la cosa
più bella al mondo.
Non
provava vergogna ma si sentiva completa. Era lui l’unica
persona per la quale
avrebbe combattuto qualsiasi guerra.
Tutta quella
folla era opprimente e sentire i loro pensieri lo era ancora di
più.
Fey cercò
di concentrarsi di meno, ma probabilmente l’alcool le aveva
fatto l’effetto
contrario.
Eppure, tra
tutta quella miriade di gente, c’erano dei pensieri e delle
voci che a Fey
erano più che familiari.
Si rizzò a
sedere sullo sgabellino bordeaux mentre Tom le accarezzava la schiena e
parlava
allegramente con Bill e gli amici.
-Devo andare al
bagno.- Fey si avvicinò a sussurrargli
nell’orecchio e Tom le sorrise annuendo.
La ragazza si
alzò, abbassandosi leggermente il vestito che si era alzato
quando era seduta.
Cercò di farsi
strada tra la folla, in un certo senso si sentiva intimorita da quegli
sguardi,
eppure era così felice di essere vista.
Si trovò quasi
al centro della sala e si fermò, guardandosi attorno come se
sentisse che
qualcosa non andava. E quella voce era sempre più vicina.
Incrociò due
occhi neri e un sorriso beffardo.
Perse un
battito.
Nessuno si accorse della sua espressione, a parte l’uomo,
nessuno se
ne curò visto che tutti stavano ballando e non stavano
guardando cosa stava
succedendo.
Era lui. Era
lui uno di quegli uomini che avevano picchiato Bill.
Le mimò un “So
chi sei” che con le luci stroboscopiche era praticamente
impossibile da vedere.
Ma Fey sentì la voce, e questo bastò
all’uomo per capire che aveva ragione.
Sparì nella
folla e iniziò il panico.
Inizialmente
Fey lo seguì, voleva vedere dove andava. Sapere chi era,
chiedere delle
spiegazioni.
Ma si bloccò, no. Doveva andare da Bill. Doveva portarlo via
da
quella discoteca.
Corse, per
quanto poteva, verso il bancone dov’era seduta qualche minuto
prima.
Il ritorno
sembrò più difficile, era come se la discoteca si
fosse ingigantita e non
riusciva a vedere neanche l’ombra dei gemelli.
Improvvisamente
sentì la risata di Bill, si girò a destra e li
vide. Corse incontro ai ragazzi
e si aggrappò al braccio di Tom.
-Dobbiamo
andarcene.
-Come? Perché?
– Tom poggiò il bicchiere sul bancone e scese
dallo sgabello, guardando la
ragazza negli occhi.
-Tom, è
pericoloso stare qui. Soprattutto per Bill. –Si
girò a guardarlo, mentre lui le
rivolgeva un sorriso timido – per favore.
Tom annuì e
strinse la mascella, si avvicinò poi al fratello e gli
sussurrò qualcosa
all’orecchio. Anche Bill annuì, leggermente
irrigidito.
Salutarono gli
amici e uscirono dalla discoteca, mentre Fey si guardava da una parte
all’altra.
Appena salirono
in macchina fecero un sospiro di sollievo, anche se i gemelli
non
sapevano esattamente cosa stesse succedendo.
Fu Fey a rispondere prontamente
alla loro domanda inespressa.
-C’era l’uomo
che ti ha aggredito, Bill.
Il moro
strabuzzò gli occhi.
-E tu come lo
sai?
-L’ho visto.
-Ma tu non
l’hai mai visto.
Fey guardò Tom,
che a sua volta restituì lo sguardo alla ragazza e poi al
fratello.
-Ti devo
parlare di una cosa, Bill.
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Capitolo 23 *** XXIII ***
Il
silenzio
regnava nell’auto mentre le luci della città
rischiaravano la notte e i ragazzi
tornavano a casa.
Quando la
limousine accostò il primo ad uscire fu Tom, seguito da Fey
ed infine Bill.
Entrando, Fey
si tolse le scarpe e le lasciò vicino alle scale,
così fecero anche i gemelli i
quali andarono a sedersi sul divano.
Ormai era
arrivato il momento della verità.
Tom aveva
sperato di poterlo confessare a Bill in un altro modo, magari sdraiati
in un
prato verde con gli occhi rivolti verso il cielo a commentare le forme
buffe
delle nuvole, come quando erano piccoli.
Però ormai non
era più tempo di giocare, erano cresciuti e la vita bussava
alla loro porta più
forte che mai.
Bill era seduto
davanti a Tom e Fey. Tom non smetteva di torturarsi le mani e cercava
continuamente lo sguardo dell’angelo come un bambino
impaurito.
Bill si era
levato la parrucca e aveva lavato via il cerone dal viso, si agitava
sul divano
bianco in pelle chiedendosi come Fey sapesse di quell’uomo.
Chi era in
realtà?
Tom si portò
una mano alla bocca e tossì leggermente.
-Immagino che
quello che ti ha detto Fey al locale ti abbia scosso…
-Parecchio.
Tom annuì,
deglutendo pesantemente.
-Bill, lei è
forse la persona che ci conosce meglio in assoluto, perché
è sempre stata con
noi…
Tom lasciò
quelle parole sospese nell’aria e Bill alzò un
sopracciglio, sistemandosi
meglio sul divano e guardando l’angelo.
-Ricordi quando
eri entrato in camera mia e l’avevi trovata insieme a me,
quando nessuno era
entrato in casa a parte noi due?
Bill sembrò
rifletterci un po’ su, ma si ricordò
immediatamente e annuì al gemello.
-Lei mi ha
salvato la vita, mi sono risvegliato dal coma grazie a lei. Ricordi
cosa ti
chiesi appena sveglio? Ricordi quella ragazza?
Bill impallidì
e guardò nuovamente verso Fey.
-So che ti può
sembrare assurdo – la voce dell’angelo
catturò l’attenzione di entrambi – ma,
ecco, io non sono normale. Voglio dire…
-E’ un angelo,
Bill.
Il moro non
disse una parola, rimase a guardarli.
-Chiedile
qualcosa, qualsiasi cosa.
Bill guardò
Fey, pronto a dire qualcosa, ma si bloccò, guardando poi il
gemello.
-Potresti
averle detto tu le cose della mia infanzia, se è questo che
dovrei chiederle.
-Chiedile
qualcosa che neanche io so.
Bill iniziò a
pensare e la voce di Fey interruppe bruscamente i suoi pensieri.
-Sì.
Tom si girò
dall’angelo, senza capire.
-Sì, Bill. So
che ti drogavi e so anche che adesso hai smesso, hai smesso
già da tanto. So
che alla festa hai incontrato delle persone che ti hanno insultato, so
che sei
andato in bagno e che quando hai guardato il tuo riflesso hai visto il
viso di
Tom e ti sei fermato. So che tieni a lui più di qualsiasi
altra cosa e che tutto
questo è difficile da reggere, che ti spaventa, e credimi
spaventa anche me. Ma
ti posso giurare che farò di tutto per scoprire chi
è l’uomo che ti minaccia,
farò tutto ciò che posso.
Bill si passò
una mano sul viso, era stremato.
-Quindi…sei un
angelo…
Fey annuì.
-E’ per questo
che vinci sempre a scacchi contro di me? Sai le mie mosse?
Fey rise piano.
-Sì, la maggior
parte delle volte.
Il moro accennò
un sorriso.
-Sapevo che
c’era qualcosa di speciale in te.
Fey gli sorrise
e Tom gli si avvicinò abbracciandolo.
-Scopriamo chi
è questo stronzo e lo prendiamo a calci in culo, ok?
Rimasero tutta
la notte svegli a raccontarsi dettagli e a cercare qualche informazione
in più
su quell’uomo.
Fey cercò anche di captare qualche pensiero, qualche voce
simile
alla sua, ma non ci riuscì.
-Piuttosto non
capisco come faccia a vederti.
Fey fece
spallucce. -Non lo capisco
neanch’io a dir la verità. Solitamente quelli che
mi hanno vista sono state le
persone vicine alla morte, i disagiati… Tu e Tom riuscite a
vedermi perché ho
dato le mie ali per voi e la gente in generale, adesso, riesce a
vedermi solo
quando stiamo insieme. Lui…bè, non ne ho proprio
idea.
Bill annuì – E
se non ne cavassimo piede? Dopotutto, come possiamo spiegare alla
polizia che è
lui? Non possiamo certo dire che tu sei un angelo, finiremmo tutti in
un
ospedale psichiatrico.
Fey sorrise –
Non ti preoccupare, ci inventeremo qualcosa. Ora è meglio
che tu vada a letto,
sei abbastanza stanco e con tutto quello che hai saputo potresti
scoppiare da
un momento all’altro...
Bill non se lo
fece ripetere due volte e salì le scale, passandosi una mano
tra i capelli
corvini.
-Secondo
te
l’ha presa bene?
Fey si sedette
sulle ginocchia di Tom, posandogli un leggero bacio sulle labbra.
-Sì.
Chiaramente è scosso, gli abbiamo detto un segreto con la S
maiuscola. Ma
vedrai che domani andrà meglio.
Tom annuì e
accarezzò la schiena di Fey mentre lei appoggiò
la testa sul suo petto.
-Tom, e se
accadesse qualcosa di brutto?
Il moro le alzò il mento con un dito e le
accarezzò una guancia.
-Perché dovrebbe succedere qualcosa di
brutto? Non lo permetterò, tu e Bill siete la cosa
più cara che ho e vi
proteggerò.
Prima che Fey potesse avvicinarsi al viso
del ragazzo si girò verso la porta.
Passarono venti secondi, forse di meno, prima
che entrambi si alzassero e andassero lentamente verso la porta.
L’agitazione era palpabile.
Tom guardò dallo spioncino ma non c’era
anima viva. Aprirono la porta e a terra trovarono la stessa identica
busta da
lettere stropicciata.
Fey la prese e chiuse piano la porta.
Quando aprirono la busta bianca trovarono due foto
all’interno e un bigliettino
cadde a terra.
Fey lo raccolse mentre Tom guardava immobile le foto.
Veniva ritratto nei momenti in cui era
con Fey, solo che lei non si vedeva. Chiunque avesse visto quelle foto
avrebbe
detto che Tom fosse un pazzo, erano stati immortalati i momenti
più intimi della
coppia.
Tom buttò le foto a terra e iniziò a camminare
per la stanza,
intrecciando le mani alla nuca.
-Come lo sa.
Come cazzo lo sa?
Fey non ne
aveva la più pallida idea, ma era chiaro che chiunque fosse
la persona a
minacciare Bill, ce l’aveva anche con Tom.
-Avete qualche
nemico, o magari qualcuno a cui avete fato un torto senza rendervene
conto?
Tom rispose con
una risatina nervosa – Cosa vuoi che ne sappia, Fey?! Siamo
star a livello
mondiale, abbiamo migliaia di persone che ci odiano per un motivo o per
un
altro, potrebbe essere chiunque!
L’angelo
raccolse le foto e il biglietto, la scrittura era la stessa di quella
lettera.
E quella frase scritta ad inchiostro nero le faceva venire la pelle
d’oca.
“Hai due
giorni
di tempo per darmi i soldi, o quello pazzo per una volta sarai tu, Tom
Kaulitz.”
-Cosa
significa, “quello pazzo per una volta sarai tu?” ?
Tom scosse la
testa esasperato. Non poteva neanche chiedere a Bill, sarebbe stato
meglio
parlargliene l’indomani. Anche se era sicuro che il gemello
non stesse dormendo.
-Portami tutti
gli album di foto della vostra famiglia, foto dei vostri amici, da
piccoli,
tutto quello che trovi Tom.
Il ragazzo salì immediatamente le scale, mentre
l’angelo andò a preparare
due tazze di tè.
Sarebbe stata
una lunga notte.
Si misero a
controllare tutte le foto, tutti i biglietti di auguri che i gemelli
avevano
ricevuto per i compleanni in quegli anni. Bill non ne buttava uno, gli
piacevano i ricordi.
Scrivevano i
nomi di tutti gli amici e persone che Tom riconosceva nelle foto,
cancellandoli
poi nel caso questi non fossero la persona che cercavano.
Erano le
quattro del mattino quando Tom poggiò la penna sul foglio
scarabocchiato, ormai
esausto.
-Fey, ci siamo ore controllando queste persone, non ne caveremo mai
piede. Non senza l’aiuto
di Bill.
Lei lo sapeva
bene, ma sapeva che non avrebbe chiuso occhio con quel peso che
l’opprimeva
così tanto, anche se era stanchissima.
Annuì e sfogliò
l’ultima pagina dell’album di foto, osservando
tutti i visi che venivano
raffigurati.
Uno la colpì
particolarmente.
Due occhi
scuri.
-Tom…
Il ragazzo si
stiracchiò e le si avvicinò.
Fey lo guardò
con gli sgranati.
-Chi è questo?
Lo sguardo che Tom le
restituì le fece capire che avevano fatto centro. Avevano
scoperto l'identità dell'uomo misterioso.
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Capitolo 24 *** XXIV ***
Quegli occhi
erano sempre gli stessi.
Quei maledetti
occhi truccati di nero. E mi imbestialiva l’aria di
sufficienza con cui mi
guardava.
Ero bravo, ero
dannatamente bravo, molto più di quello spocchioso di Tom.
Eppure lui era
il favorito, figuriamoci se avessi mai potuto prendere il suo
posto.
Avevo
pregato Bill di darmi un’altra possibilità, avevo
lavorato giorno e notte per
arrivare alla perfezione.
«Coraggio
amico, non puoi sbattermi fuori! I Devilish li abbiamo ideati noi tre,
no?»
Mi ricorderò
sempre come Bill si girò verso il fratello, lanciandogli uno
di quegli sguardi
che solo loro due capivano. Perché dovevano essere
così uguali, così uniti?
Avevo promesso
a Bill che avrei imparato a suonare il basso, la batteria, il violino,
persino
il triangolo pur di entrare in quel gruppo e farmi un po’ di
verdoni, pur di
stare con loro.
Bill aveva
ancora una voce tenera, ma a me si accapponava la pelle quando cantava,
ed ero
certo che avremmo sfondato.
Avremmo…
Fui liquidato
come si fa con gli scout che bussano alla tua porta chiedendo di
comprare loro
qualche biscotto. C’era pena per me nei loro occhi, ma non
avevano bisogno di
me.
Mi avevano
definito un pazzo, uno squilibrato. Ma chi, io? Voi siete dei pazzi a
non
cogliere l’occasione di avere una persona come me nella
vostra dannatissima
band.
Voi non avete colto
l’occasione di avere una persona come me al vostro
fianco…
Giurai a quel
ragazzino che gliel’avrei fatta pagare e che si sarebbe
ricordato di me.
Volevi
diventare una star? E ti prendi i pro e i contro, Kaulitz.
Sei stressato,
vorresti avere un momento per respirare ma i tuoi muscoli non si
decidono a
rilassarsi.
Ti ho fatto trovare io
quello che ti serviva.
Sei talmente idiota
che trovandoti quella droga davanti hai pensato fosse il fato, fosse
giusto
provare, almeno una volta. Tanto non avrebbe fatto male, no?
Non ti saresti
preso il vizio.
Voi credete a
queste stronzate.
E così hai
continuato. Mentendo a tutti, creando la rovina dei Tokio Hotel con le
tue
stesse mani.
Ed è questo
che
desideravo, volevo vederti crollare, proprio come tu hai fatto crollare
me,
Bill Kaulitz.
E poi… lei.
Proprio quando
stavo per rovinarti la vita portandoti via l’unica cosa cara
che ti rimaneva, è
sbucata fuori questa ragazza.
I miei uomini non la
vedevano, nemmeno tu la
vedevi, solo io. Solo io e tuo fratello.
Credo a Dio e
all’inferno, per questo ho giurato a lui che ti avrei
rovinato la vita, ma
questa ragazza ha sconvolto i miei piani.
Tom non doveva
salvarsi, tu non dovevi uscire dal giro della droga. Così,
qual è il modo
migliore per far cagare sotto qualcuno?
La minaccia.
Ma se mi
scoprisse?
Mi viene da
ridere. Che lo faccia pure, ti avrò distrutto prima,
Kaulitz.
L’unico modo
per renderti la vita impossibile è continuare a starti col
fiato sul collo,
stalkerarti.
Voglio soldi,
ne voglio tanti, tutti e subito. Se questo è
l’unico modo che mi è rimasto per
rovinarti lo farò con piacere. E poi chi lo sa, magari
potrei piantarti una
pallottola nel petto.
Ma forse
sarebbe troppo facile così, non soffriresti abbastanza.
Se invece lo
facessi a tuo fratello? Oppure a tua madre, o al tuo patrigno.
Così sì che
sarebbe divertente, mi piacerebbe vedere quel visino femminile lacerato
dalle
lacrime.
Quelle che hai
fatto versare a me per non avermi preso in quella cazzo di band, per
avermi
escluso dalla tua vita.
Io ci tenevo a
te, Bill, tanto.
Ti volevo un bene
dell’anima, eri come un fratello per me… Ma
d’altronde, cosa te ne facevi di un fratello come me, quando
hai pensato sempre
e solo a te stesso e al tuo caro gemello?
Eravamo piccoli,
è vero, ancora non avevate le idee chiare, ma io le avevo.
Eccome.
Io volevo
diventare famoso, volevo essere qualcuno.
Tu
probabilmente ti sarai dimenticato di me, chi mai potrebbe ricordarsi
un volto
come il mio? Sono sempre stato un fantasma, quando ero con voi nessuno
faceva
caso a me, ma guardavano tutti te e Tom. Il ragazzo truccato e vestito
di nero
e il ragazzo biondo con i dread che faceva cadere ai suoi piedi tutte
le
ragazze.
Ma adesso
basta.
Adesso sì,
sono ancora nell’ombra, sono ancora un fantasma, ma
sarò il
fantasma che ti tormenterà in eterno.
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Capitolo 25 *** XXV ***
Bill
aveva
dormicchiato qualche ora, e così Tom, che si era calmato
solo accarezzando i
capelli di Fey che aveva dormito sul suo petto.
Tom aveva
ripercorso la sua infanzia in una notte, ricordandosi tutti i momenti e
le
discussioni con Dan.
Quel ragazzo
era completamente fuori di testa, Tom si ricordò che Bill ne
era quasi
terrorizzato. Era come se Dan fosse innamorato di lui, e nonostante
tutti
credessero che Bill avesse tendenze omossessuali, il piccoletto aveva
più
ragazze di tutti gli altri del quartiere.
Insomma, si è
gemelli per qualcosa, no? A Tom piaceva pensare questo.
Un piccolo
sorriso si aprì sulle sue labbra, ma il ricordo di quelle
lettere e delle parole
di Dan prima di andarsene spazzarono via la felicità
momentanea.
Come avrebbe
fatto a fermarlo evitando che qualcuno si facesse male?
Avrebbe dovuto
dirlo alla polizia? Dirlo ai genitori, a Bill?
Al gemello
sicuramente. Dopotutto era lui nel mirino di quello psicopatico.
Inoltre Tom non
capiva come Dan potesse vedere Fey. Stava forse per morire? Era una
sorta di
veggente o di quelli che fanno riti satanici?
Tom si mosse un
po’ troppo, a quell’idea, svegliando Fey.
La ragazza
sollevò il viso e si spostò sul suo cuscino,
stropicciandosi gli occhi.
-Lo troveremo
Tom, vedrai.
Il moro annuì e
si chinò su di lei, lasciandole piccoli baci ai lati delle
labbra. Fey gli
sorrise e si sporse un po’ in avanti, facendo presa sulle sua
braccia forti.
Da
quando era iniziato quest’incubo avevano quasi dimenticato il
miracolo che
vivevano ogni giorno e l’idea di potersi separare in qualche
modo terrorizzava
entrambi, anche se non ne avevano mai discusso. Inoltre Tom vedeva di
nuovo la
luce negli occhi di Fey e non voleva rovinare tutto proprio adesso.
Scesero le
scale presi per mano, la differenza di temperatura dei due era ancora
notevole,
solo che ormai ci facevano meno caso.
Tom era il
fuoco e Fey era il ghiaccio, ma
al mondo non esisteva qualcosa come loro due
che si completasse in una maniera così meravigliosa.
Trovarono Bill
seduto al tavolo della cucina che metteva un po’ di nutella
sulla sua fetta
biscottata e si unirono a lui, riempendo le loro tazze di cereali e
latte.
Durante la
colazione spiegarono a Bill cos’avevano scoperto e
dall’espressione del ragazzo
era chiaro che non si aspettasse minimamente che potesse essere Dan.
Bill aveva
sempre pensato che quel ragazzo avesse qualche rotella fuori posto, ma
mai
avrebbe immaginato che sarebbe arrivato a fare una cosa del genere.
-Come lo
fermiamo?
Tra un
cucchiaio di cereali e un altro Tom cercò di ideare un
piano, senza però
coinvolgere troppe persone. Solo che in questo modo sarebbe stato
più difficile
incastrare il bastardo. La cosa certa però era che Bill non
doveva uscire allo
scoperto, per nessun motivo.
-Ma è me che
vuole, Tom! Come pretendi che il tuo piano funzioni se io non
sarò presente?
-Io non voglio
che ti succeda nulla, Bill. Mi ricordo bene come ti tenevano incollato
a quel
muro, come ti picchiavano. Non voglio rivedere una scena del genere mai
più.
A Fey venne la
pelle d’oca al ricordo di quella notte. Aveva le immagini del
pestaggio nitide
nella mente, d’altronde era iniziato tutto così.
Scosse la testa
e prese la parola.
-Lui ti cerca,
quindi sarà lui a farsi vivo. Vuole i soldi, no? Stiamo al
suo gioco, ma non ci
faremo trovare impreparati.
-Dovremmo avvertire
la polizia?- la voce di Bill era ridotta ad un soffio, sembrava quasi
che
stesse perdendo completamente le speranze.
Tom e Fey si
guardarono per un attimo, valutando l’idea di mettere in
mezzo anche loro. Ma
come avrebbero potuto spiegare quelle foto? E se avessero voluto
interrogare
Fey perché qualcosa non quadrava? L’avrebbero
vista?
I due
continuavano a guardarsi, come se anche Tom potesse leggere i pensieri
di Fey.
D’un tratto entrambi si girarono verso il moro, e in coro
risposero un secco
‘No’.
Bill annuì
piano – allora cos’avete intenzione di fare?
-Sarà lui a
venire da noi.
La
mattinata
passò liscia, anche se un po’ troppo lentamente.
I Tokio Hotel
avevano un’intervista quella mattina e Natalie aveva dovuto
utilizzare un bel
po’ di fondotinta per coprire le occhiaie di Bill.
Nonostante
questo, davanti alle telecamere sfoggiò il suo sorriso
più bello e la sua voce
era sempre la stessa, candida e canzonata, tanto da far arrossire
persino
l’intervistatrice.
Fey
era nel
giardinetto sul retro che prendeva il sole, quella mattina il cielo era
di un
azzurro incredibile e occupato solo da qualche nuvola.
Pensava a tutto
quello che le stava succedendo, e pensava a Tom, mentre guardava una
nuvola che
cambiava forma, da un continente sconosciuto a un cuore.
Non pensava che amare
potesse essere così, Tom era per lei come una coperta calda
d’inverno e una
doccia fresca d’estate. Le dava vita, era la sua vita.
Tom era in
grado di non farle pensare al vuoto che aveva dentro. Le faceva
dimenticare che
il suo cuore non batteva, che se fosse andata in Cina probabilmente
sarebbe
stata invisibile e che i suoi cari vivevano senza di lei, come se non
ci fosse
più.
Il sole stava
pian piano scendendo all’orizzonte colorando il cielo di
arancione.
Quando i
ragazzi tornarono li accompagnarono anche Georg e Gustav, volevano
passare una
cena tra amici e questo Fey lo sapeva, per questo lasciò
loro quattro pizze
fumanti sul tavolo e un biglietto che diceva che si sarebbero visti
più tardi.
L’angelo sapeva che a Tom non sarebbe andato bene, ma sapeva
anche che Bill si
sarebbe messo nei suoi panni e avrebbe cercato di far capire al gemello
la
situazione.
Tra poco tutta quella storia sarebbe finita, ancora non si sapeva
in che modo, e Fey voleva che i ragazzi trascorressero una serata tutta
per
loro.
Era
tornata a
casa a mettere un po’ in ordine e far circolare
l’aria, era da un pezzo che non
passava almeno due giorni di fila in quella casa, era sempre dai
gemelli.
Decise di
prepararsi un bagno caldo per rilassare i muscoli.
Il bagno era
una delle sue stanze preferite, con un’enorme vasca da bagno
accanto alla
finestra che dava al giardino. Due tende immacolate coprivano il vetro,
ma Fey
le aprì leggermente. Solitamente a quell’ora non
passava nessuno e lei voleva
perdere lo sguardo tra gli alberi scuri.
Mentre i suoi
pensieri balzavano da una cosa a un’altra la sua attenzione
venne catturata da
un’ombra che, passando velocemente il giardino, si nascondeva
dietro un albero.
Fey si alzò di
scatto, mettendosi a sedere e si abbassò leggermente alla
finestra.
Una sensazione
di freddo le attaccò le ossa e i polmoni.
Era lui.
Dan era a pochi
metri da lei, sicuro che fosse in casa, probabilmente dentro la vasca
da bagno.
L’angelo
rabbrividì e cercò di sgattaiolare fuori dalla
vasca, coprendosi immediatamente
con l’accappatoio.
Corse in camera
e si infilò un paio di jeans e una t-shirt, la prima che le
capitò fra le mani.
Stava per arrivare alle scale quando sentì dei rumori
provenire dal piano di
sotto, si sporse leggermente e vide che la porta era aperta.
Era entrato.
Presa dal
panico corse in camera e cercò il telefono, lo
sentì squillare poco dopo, in
soggiorno.
Si rizzò in
piedi e prese tutto il coraggio che le rimaneva a due mani, e piano
scese le
scale.
Sentiva il suo
respiro e il suo odore di meschinità.
Quando incrociò
il suo sguardo è come se si scontrasse con un iceberg,
qualcuno con un’anima
più gelida della sua.
Aveva il
telefono tra le mani e premette il tasto verde.
-Oh, ciao Tom.
Il nome di Tom
era così sbagliato sulle labbra di quella serpe.
Fey non voleva
che lo nominasse, non doveva nemmeno averlo nella mente.
Dan accorciò la
distanza fra loro e si avvicinò piano all’angelo,
girandole attorno.
-Non è strano
che io possa vederti? Possa…toccarti?
Con un dito
sfiorò il braccio nudo di Fey che fece un balzo in avanti e
gli tirò uno schiaffo
in pieno viso.
L’uomo si toccò
la guancia calda con la mano e prima che Fey potesse accorgersene,
potesse
leggere nella sua testa, la prese per i capelli e la tirò
forte, avvicinandosi
al suo orecchio.
-Ti conviene
fare la brava, o chi si prenderà questa pallottola nel petto
sarà il tuo amato
Tom.
Le mostrò la
pistola, mentre Fey tremava sotto le sue grinfie. Non ne capiva nulla
di armi,
non sapeva riconoscerle ma le bastava vedere che avessero un grilletto
e una
canna pronta a fumare.
Passarono
appena 50 secondi, prima che la porta venisse spalancata da Tom,
seguito da
Georg, Gustav e infine Bill.
Gli si gelò il
sangue non appena vide Fey in quelle condizioni, tenuta da Dan che le
puntava
una pistola alla tempia.
Non era sicuro
se premendo il grilletto sarebbe accaduto qualcosa alla ragazza,
nessuno lo
sapeva, per questo si giocò quella carta.
Seguì una
risata che echeggiò per tutta la casa, mentre pian piano i
ragazzi entravano in
casa. Quando Bill lo vide sbiancò.
Dan incominciò
a parlare, a dire tutto quello che si era sempre tenuto dentro, e pian
piano la
sua voce cambiava, si faceva più cattiva e più
triste. E così il suo sguardo
che si concentrava quasi ed esclusivamente sulla figura di Bill.
-Tu non sai
cosa significa soffrire, Bill. Tu non l’hai mai saputo!
Urlava e teneva
sempre più stretta Fey.
-Le fai male,
animale!
-Ma chi, a
questa? Non è neanche un essere umano, cosa vuoi che possa
farle?
E continuava a
tirare i capelli e a premere la pistola sulla sua tempia. Se qualcuno
osava
muoversi puntava prima la pistola su di lui e poi nuovamente sulla
ragazza,
erano in trappola.
Improvvisamente
la porta si spalancò ed entrarono due cani, uno dei due era
il cane dei gemelli.
Dan non ebbe il tempo di muoversi perché entrambi
lo azzannarono, uno
nel braccio e l’altro nella gamba.
Fey potè
liberarsi e corse verso Tom.
Sentirono uno
sparo.
Il cagnetto era
stato colpito ad una gamba. Fey e Tom si girarono.
Un altro sparo.
Bill cadde a
terra.
-No!!
Tom si gettò
sul fratello mentre Fey seguì con lo sguardo Dan che
zoppicante scappava,
seguito da Georg.
In lontananza
si sentivano le sirene della polizia e delle luci blu illuminavano
l’oscurità.
Le sembrava di
rivivere un incubo, di quelli che spesso ti perseguitano la notte,
però era
inverso. L’ultima volta quello riverso a terra privo di vita
era Tom e il
ragazzo che piangeva a dirotto era Bill.
Adesso accadeva
il contrario e le lacrime di Tom colpivano Fey come tremila pallottole
al
secondo. Quelle che avrebbe preferito prendersi piuttosto che vedere
quella
scena, piuttosto che vedere due vite che si sgretolavano.
Si chinò piano
su Bill, gli prese la mano curatissima, bianca, fredda.
Tom continuava
ad urlare e piangere, ‘’chiamate
un’ambulanza’’ diceva.
Stavano arrivando, ma
Fey sentiva Bill così distante.
Guardò Tom, che
le restituì per una frazione di secondo uno sguardo
indefinibile.
Guardò Bill,
guardò le sue mani e guardò aldilà
della porta aperta. C’era qualcosa di
diverso, in tutto quello. Era come se si stesse allontanando da quel
posto,
come se il suo corpo si stesse facendo leggero e fosse pronto a
sollevarsi ed
essere trasportato in chissà quale posto. Ma Fey sapeva bene
che questo sarebbe
accaduto solo se l’avesse voluto.
Poi capì, un’altra
decisione da prendere per salvare la vita a Bill, ancora una volta.
L’avevano messa
di fronte ad una scelta; passare la sua vita accanto a Tom, alla
persona che
più amava, senza essere vista né percepita, come
se se ne fosse andata e l’avesse
abbandonato. Oppure tornare indietro a quel 15 Dicembre con
‘’Wir sterben
niemals aus’’ nelle orecchie, facendo dimenticare
ad entrambi quello che era
successo, cancellando qualsiasi ricordo li unisse.
Quale
sarebbe
stata la sua scelta?
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Capitolo 26 *** XXVI ***
All'asterisco * potete
leggere ascoltando questa traccia audio:
http://www.youtube.com/watch?v=nhtLFE8akZY
Gli
infermieri
arrivarono immediatamente con una barella, l’ambulanza era
fuori con i
portelloni aperti e dentro i paramedici preparavano tutto il
necessario, pronti
a partire per una corsa verso l’ospedale più
vicino.
In due presero
Bill e lo caricarono sul lettino, Tom continuava a tenergli la mano.
Fey era rimasta
in piedi nel punto in cui Bill era caduto a terra, colpito dalla
pallottola di
Dan. Si guardava le mani e vedeva che piano perdevano consistenza,
doveva
prendere una decisione il prima possibile.
Simone era
stata avvertita subito e si stava già dirigendo
all’ospedale.
L’ambulanza
partì senza che Tom riuscisse a salire, a muoversi. Un
paramedico rimase
qualche secondo in più con lui, chiedendogli se avesse
bisogno di un aiuto, di un
calmante.
Ma Tom
continuava a scuotere la testa, a dire che non aveva bisogno di niente,
chiedeva soltanto che Bill venisse salvato.
Dan era stato
arrestato, due pattuglie di polizia erano ferme davanti a casa Kaulitz,
in quel
momento stavano interrogando Georg e Gustav.
La padrona del
cagnolino ferito era arrivata e aveva portato l’animale dal
veterinario.
Tutti
erano indaffarati in qualcosa. Fare domande, salvare vite.
*Tom
e Fey
erano immobili, si guardarono. Mossero pochi passi l’uno
verso l’altra, pochi
ma giusti per sfiorarsi la mano.
Fey si gettò
tra le braccia di Tom, che la strinse a sé e pianse.
Le alzò poi il
mento, tirando su col naso.
-Com’è
possibile tutto questo, Fey? Il tuo Dio ce l’ha con me?
Le lacrime
scendevano gravi sulle sue guance arrossate e Fey era intrappolata in
un dolore
mai provato.
-Posso salvare
Bill, lo posso fare, Tom.
Il ragazzo si
staccò per un attimo e si premette le mani nella testa,
facendo qualche passo
intorno a sé.
-E come puoi
fare? Hai salvato me, hai dato le tue ali! Come puoi salvare anche
Bill?
Fey lo guardò,
lo penetrò con lo sguardo, rendendogli più
semplice comprendere l’unica
soluzione che le rimaneva.
Tom ingigantì
gli occhi e scosse la testa più volte.
-No, no, no… Non se ne parla. Ci dev'essere un modo.
Sembrava un
pazzo.
Anche Fey
iniziò a piangere e si aggrappò alla camicia del
ragazzo.
-E’ l’unica
cosa che posso fare, Tom. Non voglio sparire per te, non voglio che tu
pensi
che io ti abbia abbandonato. Non voglio che tu non mi veda
più, che tu non mi
possa più toccare o percepire. Non voglio vivere
quest’agonia. Non voglio che
tu e Bill dobbiate vivere in questo modo, non voglio che pensiate che
tutto
quello che è successo sia stato una bugia o un sogno.
Piangeva forte
mentre Tom continuava a scuotere la testa e tenerla stretta a
sé.
-L’unica cosa
che posso fare è tornare indietro. Cancellare il dolore che
ti ho provocato,
che ho provocato anche a Bill.
-Io non voglio
perderti, non voglio dimenticarmi di te, non posso lo capisci? Io ti
amo Fey,
sei tutto quello che mi rimane adesso. Ho aspettato tanto per
incontrarti, e
non possono dividerci! Se potessi tornare indietro, ti giuro, che
passerei per
la strada del parco ogni giorno, ad ogni ora, solo per avere la
possibilità di
incontrarti prima, di conoscerti, di vedere questi meravigliosi
occhi…
-Forse sarà più
facile per entrambi…
-Io non voglio
che sia facile! Io voglio che sia difficile, la cosa più
difficile della mia
vita, ma voglio sopportarlo e superarlo con te! Ti prego, non
abbandonarmi…
Fey continuava
a stringerlo e ad accarezzargli le treccine, non aveva più
tempo, gliene
avevano concesso fin troppo e le avevano dato un ultimatum. Doveva
salutarlo,
ma gli addii erano duri e non aveva le forze necessarie per farlo.
Doveva
trovarle però, no?
Prese aria e si staccò leggermente da Tom, gli diede un
bacio e continuò a tenerlo per mano mentre veniva inondata
dalle lacrime degli
occhi ambrati dell’unico uomo che avrebbe amato fino alla
fine dei suoi giorni.
Quando un
angelo ama, lo fa per sempre.
Tom le raccolse
una lacrima dalla guancia e si posò la mano sul cuore.
-Ti prego, un
ultimo giorno, un’ultima notte accanto a te. C’eri
tu quando sopraggiungevano
gli incubi, come posso fare se il mio lato del letto sarà
gelido e duro senza
di te? Dormire con te un’ultima volta, prima di…
di perderti. Ti prego…
La sua voce era
spezzata dai singhiozzi.
Fey inghiottì
quelle parole come un boccone amaro e le conservò dentro di
se.
-Non
dimenticarti di me, promettimelo Tom.
Il ragazzo
pianse ancora e annuì con la testa, singhiozzando.
-Io non ti
dimentico Fey, non lo farò. Mai. Mai, per niente al mondo.
Non mi dimenticherò
della tua voce, dei tuoi occhi, della tua pelle. –con un dito
le accarezzò uno
zigomo, dove aveva una piccola cicatrice - Non mi
dimenticherò delle tue mani e
delle tue carezze. Della tua risata, del tuo profumo, dei tuoi capelli.
Ti amo,
e ti amerò per sempre, te lo giuro.
Fey si avvicinò
e le loro labbra si toccarono di nuovo, come sempre, per
l’ultima volta.
Entrambi
avevano appena scoperto che sapore aveva un bacio d’addio. Il
loro era stato
intenso, quasi duro. Volevano che quel contatto non venisse mai
scordato,
volevano che i loro respiri rimanessero rinchiusi e al sicuro
nell’altro, volevano
che le loro labbra mantenessero ancora quel sapore, finché
sarebbe durato.
Quando
si
allontanarono i loro occhi erano spenti e si riflettevano
l’un l’altro.
Continuarono a stringersi le mani e a guardarsi, come per mantenere
impressa
nella loro mente, come un tatuaggio, l’immagine
dell’altro.
“Ricordati di
me” fu l’ultima cosa che Fey gli
disse, prima di sparire, lasciando Tom con le
mani vuote nel nulla.
Il
ragazzo si
guardò attorno, stordito come se tutto fosse sottosopra e
lui se ne fosse
appena accorto. Quella casa era diventata d’improvviso
inaspettatamente fredda.
Salì le scale di fretta e spalancò la porta di
camera sua.
Le cose di Fey
erano sparite. Tom si avvicinò al letto e annusò
il cuscino sul quale dormiva
la ragazza, era rimasto un leggero profumo di shampoo. Si sedette sul
letto e
strinse il cuscino, cercando di inalare il più possibile
l’unica aria che gli
dava sollievo.
Poco dopo si
avvicinò un agente di polizia, bussò due volte
alla porta prima di mettere un
piede nella stanza.
-Signor
Kaulitz, dovremmo farle alcune domande, dopodiché
l’accompagneremo in ospedale.
Sta bene?
Tom poggiò
delicatamente il cuscino sul letto, sperando che il profumo rimanesse
lì per
sempre. Si alzò, si asciugò gli occhi e
seguì quell’uomo vestito di blu.
Per
Tom il
mondo si era fermato, dentro di lui tutto era immobile mentre fuori
tutti si
muovevano così velocemente, anche troppo.
L’uomo in
divisa continuava a fargli domande, semplici domande a cui lui doveva
semplicemente rispondere ‘Sì’ o
‘No’.
-Chi c’era
durante l’incidente? Nella stanza?
-Io, mio
fratello Bill, Dan, Georg, Gustav e…
-E… ?
Tom lo guardò
stranito, come se non riuscisse a ricordare qualcosa, come se ci fosse
un pezzo
mancante del puzzle.
-Signor
Kaulitz, deve collaborare, deve dirci tutto quello che sa e che si
ricorda.
Tom annuì e
inspirò forte, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Poi
lo guardò di nuovo
con lo sguardo di chi si è appena svegliato e non sa cosa
sia successo durante
il suo sonno.
-C’eravamo solo
noi, sì…
Il mondo
correva fuori dal finestrino di quell’auto e Tom sentiva come
se si stesse
perdendo qualcosa, come se ci fosse un pensiero irraggiungibile in
qualche
parte del suo cervello. Eppure qualcosa la ricordava, ricordava degli
occhi.
Due grandi occhi color ghiaccio con una luce insolita, una luce che gli
ricordava casa.
L’ospedale era stranamente
calmo, bianco, fin troppo luminoso e con il solito puzzo di igienizzato.
L’agente si avvicinò a
un’infermiera di guardia e le chiese di Bill.
-Secondo piano,
cardiochirurgia. Adesso è in sala operatoria.
Salirono in ascensore e un
silenzio imbarazzante riempiva quella scatola quadrata.
-Vedrà che lo salveranno, Tom.
Il moro annuì, non gli
importava delle parole di quell’uomo. Era un estraneo per
lui, non era tenuto a
dimostrare nessun tipo di compassione o pena.
Tom era arrabbiato, e pian
piano mancavano sempre più pezzi in quella storia.
Il respiratore dava aria ai
polmoni di Bill. La pallottola era passata a due centimetri dal cuore.
I medici stavano facendo tutto
il possibile per estrarla senza complicazioni.
Il rumorino della macchina
attaccata al suo corpo contava i secondi che allontanavano Bill dalla
vita, o
dalla morte. Era questo il pensiero costante di Tom.
E se mio fratello morisse?
Cos’avrebbe fatto? Non ne
aveva idea. Sarebbe stato come perdere la casa e non avere un posto
dove
andare, anche peggio. In quel caso si sarebbe potuto riparare sotto un
ponte,
sotto un portone di una vecchia casa. Se Bill fosse morto, non ci
sarebbe stato
nessun altro in grado di proteggerlo.
Gli eventi nella sua mente
sfumavano, venivano offuscati da un alone nero, come se stesse perdendo
gradualmente la memoria.
Dopo tre ore Bill uscì dalla
sala operatoria e lo sistemarono in una camera privata che dava al
giardino
dell’ospedale.
Tom era rimasto accanto al
fratello senza mai spostarsi, neppure per andare al bagno.
Rimase così, ad asciugargli il
sudore se avesse avuto caldo, a coprirlo un po’ di
più se avesse avuto freddo.
A stringergli la mano sperando che potesse sentirlo.
Si addormentò così, con la
mano del fratello stretta alla sua.
Simone entrò nella stanza e
svegliò piano Tom con un bacio sulla guancia. Il ragazzo si
svegliò più
frastornato del solito. Si alzò per sgranchirsi le gambe e
lasciare la sedia
alla madre che aggiustò un sopracciglio a Bill che dormiva
sul letto.
-Come ti senti?
Tom non rispose ma annuì
stanco.
-E Fey dov’è?
Tom la guardò perplesso.
-Chi è Fey?
Prima che Simone potesse
ribattere entrò il chirurgo che aveva operato Bill e
spiegò ai familiari le
condizioni del ragazzo, i rischi a cui era andato incontro e tra quanto
si
sarebbe potuto svegliare.
Dopodiché guardò Tom; era visibilmente
provato, bianco e aveva delle occhiaie enormi.
-Lei sta bene?
-E’ possibile che mio figlio
abbia perso la memoria?
La voce di Simone precedette
la risposta di Tom, il quale la guardò senza capire.
Il medico rispose un po’
titubante, ma dato lo shock che Tom aveva provato, visto che suo
fratello
gemello si trovava in quella situazione, era possibile.
Simone annuì e capì il perché
Tom non si ricordasse di Fey, anche se le sembrava strano, pensava che
l’indomani si sarebbe ricordato e che l’avrebbe
vista di nuovo.
In realtà non sapeva che Tom
non si sarebbe più ricordato della ragazza e lei stessa, in
poche ore, avrebbe
dimenticato l’angelo, come tutti gli altri.
Come se non fosse successo
niente, come se il tempo fosse trascorso, gli eventi si fossero
succeduti,
senza la presenza di Fey Parker nelle loro vite.
Bill si svegliò
un’ora più
tardi e allungò la sua mano verso quella di Tom,
regalandogli uno dei suoi
splendidi e stanchi sorrisi.
Nemmeno Bill fece domande su
Fey, nessuno se ne ricordava più. Bill stava bene, parlava e
respirava
autonomamente. Era tutto tornato alla normalità, era tutto
apposto.
Nonostante questo, però, Tom
sentiva un peso sul cuore, una mancanza difficile da colmare e non
sapeva spiegarsi il perché.
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Capitolo 27 *** XXVII ***
"Tanti
auguri Bill e Tom, siete la mia felicità. :) "
Due forti luci.
Una frenata brusca.
Odore di pneumatici
sull’asfalto.
La macchina per poco le sfiorò
la gamba e l’mp3 le cadde a terra.
-Hey! Stai bene? Scusami, non
ti ho proprio vista qui è tutto buio!
Un ragazzo sulla trentina uscì
dalla Volkswagen blu scuro e si avvicinò a Fey che era
rimasta immobile a pochi
centimetri dall’auto.
Lo guardò e poi si guardò attorno,
come se si fosse appena svegliata.
Il ragazzo le toccò un braccio
e poi le raccolse l’mp3 da terra.
-Tieni, questo è tuo. Ti è
caduto… Sicura di star bene?
Fey lo prese e annuì al biondo
che le offrì un passaggio a casa, ma rifiutò.
-No, grazie… Abito qui dietro,
non c’è bisogno.
-D’accordo.
Rimase lì per qualche istante,
sotto la luce dell’unico lampione nella via. Con “Wir sterben niemals
aus” che
ancora suonava nelle cuffie e le sue Converse rosse leggermente sporche.
Che cos’era accaduto? Era come
se le avessero lanciato un secchio d’acqua gelida dopo una
sbornia. Non capiva
dov’era, non sapeva neanche che giorno fosse.
Rientrò in casa, le luci erano
spente. Andò in cucina a bere un bicchiere
d’acqua, probabilmente stava
sognando, perché la sveglia sul ripiano della cucina segnava
le 22:40 del 15
Dicembre.
Fey fece qualche passo
indietro e controllò nel calendario.
15 Dicembre.
Andò ad accendere la
televisione che rimbombò con la voce di una signorina che
annunciava le
previsioni metereologiche.
Anche lì, 15 Dicembre.
Spense la televisione e
scosse la testa.Non era possibile, no?
Lei
stava sognando, anche perché era a casa sua, e invece doveva
essere da Tom.
Tom, certo. Non avrebbe potuto
dimenticarlo neanche se avesse voluto.
Salì le scale con gli occhi
mezzo chiusi, possibile che le fosse venuto così tanto sonno
d’improvviso?
Riuscì a togliersi le scarpe
prima di buttarsi a letto e cadere in un sonno profondo.
Il sole entrava leggero dalle
tende semichiuse e Fey venne svegliata da un dolce odore di
caffè.
Si rigirò nel letto e allungò
il braccio alla sua sinistra, sussultò quando la mano sporse
dal materasso.
Il letto di Tom
è grande,
perché ho la mano fuori?
Aprì gli occhi e si alzò di
scatto non appena riconobbe la sua stanza, i suoi poster, i suoi
vestiti, le
sue cose. Il suo profumo, il suo e basta.
Si guardò, era ancora vestita.
Si alzò piano, sperando che stesse ancora dormendo, che
stesse ancora sognando, ma sembrava tutto così
reale.
Si affacciò dalle scale e vide
la madre avvicinarsi alla rampa.
-Oh, cara! Sei sveglia! Vuoi
scendere giù a fare colazione? Ho comprato le paste al
cioccolato, come
piacciono a te.
Fey si sforzò di sorridere e
le indicò il bagno. La madre annuì e
tornò in cucina.
Percorse piano il tratto di
corridoio che separava le scale dal bagno, si teneva alla parete, come
per
paura di cadere da un momento all’altro.
Quando si chiuse la porta alle
spalle aspettò qualche secondo prima di guardarsi allo
specchio.
La solita sagoma, i soliti
capelli mossi, i soliti occhi ghiacciati.
Iniziò a credere che non fosse
tutto un sogno, mentre continuava a guardarsi allo specchio, cercando
qualsiasi
traccia di irrealtà.
Si toccò una scapola e non
provò niente, neanche un minimo fastidio.
Le si gelò il sangue. -Ti
prego, ti prego, ti prego…
Fey sussurrava quelle parole a
sé stessa, alla ragazza riflessa nello specchio che quasi
non riconosceva più
senza Tom al suo fianco.
-Ti prego, fa che sia un
sogno… Fammi risvegliare accanto a lui…
Tremava e le lacrime le
bagnavano le guance, toccava lo specchio, lo graffiava
dov’era riflessa la sua
immagine.
Si tolse la maglia e la gettò
a terra.
Si girò e l’unica cosa che
vide riflessa era la sua schiena bianca.
I segni non c’erano più,
neanche un accenno di cicatrice.
-No… No!
Si girò dall’altra parte, si
toccò più volte le scapole, le graffiò
con le unghie, ma niente. A parte un
leggero rossore, quelle cicatrici non tornavano né facevano
male.
Era tutto sparito, evaporato.
Scivolò lungo il muro blu
piastrellato, gli spasmi del pianto la facevano sembrare in preda ad un
attacco
epilettico.
-Io non mi dimenticherò di
Tom… io non mi dimenticherò di lui…
Se lo ripeteva come una
cantilena, come una preghiera per impararlo a memoria ed essere pronta
a ripeterlo in
qualsiasi momento, si dondolava avanti e indietro, stringendo i pugni.
Non poteva dimenticarlo, non
poteva dimenticare quello che era successo. Era stato un miracolo, una
storia
che si sente solo nelle favole, ma che le era capitata.
E nonostante tutto, i
pro erano nettamente superiori ai contro. Fey sapeva quello che aveva
scelto,
quella sera. Ancora lo ricordava. E proprio per questo sapeva che
avrebbe
dimenticato tanti dettagli della storia con Tom, molto presto.
Si alzò piano in piedi,
tenendosi al lavandino.
Le era venuta una maledetta
nausea e sapeva che di lì a poco avrebbe vomitato.
Si riguardò per l’ultima volta
allo specchio, notando qualcosa che sporgeva dalla tasca destra dei
suoi jeans.
La prese.
Era una foto. L’ultima e unica
cosa che la collegava a tutto ciò che era successo.
Una foto con Tom, sul suo
divano. Entrambi in pigiama stretti ad una coperta in plaid arancione.
Tom le
dava un bacio sulla guancia e Fey sorrideva all’obiettivo.
La ragazza tirò su col naso e
accarezzò la foto, il profilo di Tom, la sua guancia.
Tenne stretta quella foto al
suo petto, per poi uscire dal bagno e riporla in un cassetto.
Chissà se si sarebbe ricordata
che quella foto era lì.
Mangiò
metà del cornetto al
cioccolato che la madre le aveva comperato insieme ad una tazza di
tè caldo.
La bevanda calda la riscaldava
dentro, dandole sollievo.
Era tornata alla sua vita, era
tutto uguale a prima, e quasi le sembrava che tutto fosse apposto, come
doveva
essere.
Era incredibile come il corso
degli eventi avesse agito per lei. Un minuto prima avrebbe potuto
spaccare i
muri per la rabbia e il dolore che provava, e un minuto dopo quasi non
si
ricordava neanche perché aveva quel brutto mal di stomaco.
Era quasi Natale, una gioia
per tutti coloro che avessero avuto qualcosa da festeggiare.
Per Fey era uno stupido Natale
come un altro, non si aspettava il regalo da nessuno di particolare, a
parte,
forse, sua madre e suo padre.
Le giornate passavano lente,
senza che nulla preoccupasse Fey. Continuava ad ascoltare i Tokio
Hotel,
continuava a sognare un concerto.
Continuava ad essere la stessa Fey Parker di
sempre.
Usciva con le sue amiche,
incontrava ragazzi, conosceva nuove persone, eppure c’era
qualcosa che non la
lasciava andare, continuava a tormentarla.
Un buco nero che le impediva di
ricordare dettagli importanti, di cui aveva bisogno.
Mangiava regolarmente,
studiava per evitare di pensare, come sempre. Andava a stare dal padre
per
alcuni giorni, e in quei giorni le sembrava di vivere in Inghilterra
invece che
in Germania.
-E’ strano che tu abbia perso
così tanto l’accento, Fey, Hai conosciuto qualche
americano?
La ragazza scosse la testa,
divertita. Questa sorta di antipatia per l'accento americano l'avevano
tutti gli inglesi, zii e parenti compresi, i quali spesso a cena non
facevano altro che parlare di come lo slang americano fosse 'ho-rri-ble!'
Effettivamente si era resa conto anche lei che il suo inglese era
leggermente peggiorato,
ma pensò che fosse perché parlava più
in tedesco con la madre. Anche in quello
era cambiata.
Era diversa.
Si era semplicemente svegliata
un giorno ed era una persona diversa, più matura, con
più pesi da sopportare.
Era una ragazza come le altre,
che però a differenza loro aveva un passato alle spalle che
non ricordava.
La notte di Natale arrivò
senza farsi aspettare, e forse l’unica cosa che rendeva Fey
felice era sentire
le urla di gioia dei bambini che ad ogni rumore pensavano fosse
arrivato Babbo
Natale.
Quella sera preparò una
cenetta alla madre che aveva una strana luce negli occhi, come se di
lì a poco
sarebbe successo qualcosa di fantastico.
Fey non ci fece
particolarmente caso, infondo se la madre era felice poteva esserlo
anche lei
per una sera, no?
A casa Kaulitz l’atmosfera era
intima e il solito odore di cannella riempiva ogni centimetro.
Simone aveva appena sfornato
una teglia di biscottini di marzapane, mentre Tom giocava alla
playstation con
un suo vecchio cugino, col quale lui e Bill si tenevano in contatto
ogni tanto.
-Venite ragazzi, è pronta la
cena! E come dessert abbiamo un dolce al cioccolato che ha portato la
zia
Margaret!
Bill e Tom si guardarono con
uno sguardo complice e si avvicinarono al tavolo, prendendo posto.
Tutti erano felici e
spensierati, avevano voglia di godersi quelle vacanze prima
dell’imminente Tour
che li aspettava.
-Che paesi visiterete durante
questo Tour?
-Praticamente tutti. Germania,
Francia, Spagna, Inghilterra, Italia…
La conversazione continuò per
un po’ su quell’argomento, e nel frattempo Tom si
era spostato sul divano
mangiando il suo dolce al cioccolato.
Sentì una sorta di malinconia,
la stanza era piena eppure sembrava così vuota. Mancava
qualcosa, o qualcuno.
-Vado un attimo di sopra!
Tom salì le scale, doveva
assolutamente cambiarsi la T-shirt, se l’avesse sporcata di
cioccolato non se
ne sarebbe più andato!
Iniziò a frugare nel suo
armadio piuttosto ordinato, jeans sulla sinistra e T-shirts sulla
destra.
Decise di prenderne una
vecchiotta marrone. Mentre stava per chiudere l’anta
dell’armadio la sua
attenzione venne catturata da un foglietto bianco che fuoriusciva dalla
tasca
di un paio dei suoi jeans.
Lo prese e il suo cuore perse
un battito.
Era una foto in cui veniva ritratto mentre dava
un bacio ad una ragazza che sorrideva, con degli occhi incredibilmente
chiari.
Tom si sentì la gola
secchissima, guardò dietro la foto e c’era una
piccola scritta in basso a
destra.
“Ich liebe
dich, F.”
Tom continuò a guardare quella
foto, a guardare quegli occhi così luminosi.
-F…
Non ricordava, eppure quella
foto lo faceva stare così male. Decise di metterla in mezzo
ad un quaderno che
stava sulla sua scrivania e tornò giù, insieme
agli altri.
Era così che passarono il
Natale.
Lontani kilometri e kilometri,
ma inaspettatamente vicini, senza ricordarsi l’uno
dell’altra.
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Capitolo 28 *** XXVIII ***
Per
questo capitolo potete ascoltare questa traccia audio :)
http://www.youtube.com/watch?v=6dXHN3oJ7ok
I giorni scorrevano con una
normalità disarmante.
Fey continuava a svegliarsi
alla stessa ora, a fare la stessa colazione, a studiare per i test che
a breve
avrebbe dovuto affrontare.
Continuava a sognare quel
ragazzo ritratto sulle pareti della sua stanza, continuava a sperare in
qualcosa di positivo e inaspettato.
Si interrogava spesso sui
sogni che faceva, così reali da farla svegliare nel bel
mezzo della notte senza
avere quasi idea di dove fosse e che giorno fosse.
Sembrava un futuro che non
aveva ancora vissuto, che però le apparteneva.
I Tokio Hotel andavano alla
grande. Erano nelle hit di qualsiasi classifica musicale. Erano pronti
per il
tour, erano carichi, non aspettavano altro.
Capitava spesso che Tom, dopo
la doccia, rimanesse qualche minuto in più davanti allo
specchio ad osservarsi.
Si chiedeva se era cambiato in
qualche modo, ma a parte le treccine più lunghe ed un
accenno di barba, che
rasava sempre, vedeva comunque lo stesso Tom Kaulitz. Avrebbe voluto,
però, uno
specchio che riflettesse la sua anima, perché la sentiva
così pesante. Questo
non gli era mai capitato, non era il tipo che si preoccupava di
qualcosa che
non aveva davanti. Era solito preoccuparsi per suo fratello e la sua
famiglia,
ma questi erano accanto a lui e stavano bene. Allora, cosa non andava?
-Hey.
Il riflesso di Bill apparve
accanto a quello del fratello. Era truccato e aveva i capelli raccolti.
Nonostante fossero passati
tutti quegli anni, Tom ancora rimaneva sbalordito nel vedere
sé stesso in un
altro corpo. Vedere i suoi occhi nel viso di un’altra persona.
Gli sorrise.
-Stai bene?
-E’ inutile che ti dica di sì,
vero?
Bill sorrise e incrociò le
braccia.
-Che c’è che non va?
Tom sospirò e si girò verso il
fratello, poggiando i gomiti sul ripiano del bagno.
-A dire la verità, Bill, non
lo so neanch’io. E’ come se il mio mondo vada a
rallentatore perché c’è
qualcuno che preme un pulsante contro la mia volontà.
E’ come se mi sfuggisse
qualcosa, in tutto questo.
E ovviamente, come sempre,
Bill sapeva di cosa stesse parlando il fratello, conosceva quella
sensazione.
Ma anche lui non sapeva darsi una risposta.
-Sai Tom, quando ci troviamo
in una situazione del genere, è possibile che qualcosa stia
per accadere! E non
per forza dev’essere qualcosa di brutto, magari qualcosa di
importante entrerà
nella nostra vita.
-A me sembra che qualcosa
abbia abbandonato la mia vita, invece…
Bill lo guardò triste, non
sapeva cosa dirgli, non c’era nulla da fare. Si
avvicinò a gli diede una pacca
sulla spalla.
-Tranquillo, fratellino. Tra
poco inizierà il tour e ci sarà poco tempo per
pensare.
Tom gli sorrise, era davvero
quello di cui aveva bisogno.
Dicembre era arrivato come un
treno, e come un treno era ripartito, portandosi via il Natale e le
varie
festività a seguire.
Il Tour di Febbraio sarebbe
durato tutto il mese, 28 giorni di duro lavoro e di infinita
soddisfazione.
Si vestì e portò Scotty a
fare
una passeggiata.
Lasciò il guinzaglio in modo
che il cane potesse gironzolare a suo piacimento e si mise le mani in
tasca per
ripararsi dal freddo pungente di quella sera.
Passeggiò per il parco davanti al
lago, quel posto lo rasserenava e ogni volta che Tom ci andava sentiva
che da
un momento all’altro un lampo di ricordi l’avrebbe
potuto travolgere e
liberarlo da quell’agonia che si portava appresso.
Quel profumo.
Di nuovo quel profumo che non
ricordava di chi fosse, ma sentiva familiare.
Si sedette sulla panchina e
respirò a pieni polmoni. Quel posto era diventato il suo
rifugio dalla realtà.
Tutte quelle parole una
accanto all’altra le facevano venire mal di testa. Erano
ormai quasi tre ore
che Fey era immersa nello studio, e necessitava davvero di una pausa.
Chiuse il libro di filosofia e
scese in cucina a prepararsi una tazza di tè caldo.
Scendendo vide suo padre
nel salotto assieme a sua madre.
Era leggermente perplessa, non aveva idea del
perché fosse lì, si avvicinò e lo
salutò calorosamente.
-Ciao papà! Che ci fai qui?
Il padre le sorrise e guardò
la madre, che si schiarì la voce.
-Abbiamo una cosa per te.
Fey sorrise ad entrambi. La
prima cosa che le balenò in testa fu un libro. Lei amava
leggere e
probabilmente le avevano fatto un regalo di Natale, dato un
po’ in ritardo.
La madre si avvicinò ad uno
scaffale e prese una busta da lettere, bianca, con sopra scritto ‘Per Fey’.
Gliela porse e la ragazza la
prese tra le mani, senza sapere bene cosa fare.
-Aprila! – La incitò il padre.
Fey ridacchiò e cercò di
aprire la lettera senza stropicciarla troppo.
Un altro foglietto giallo
sbucò dalla carta appena aperta. Le mani di Fey iniziarono a
tremare non appena
riuscì a scorgere poche lettere scritte in nero.
‘Tokio’
Guardò entrambi i genitori che
le sorridevano e la incitavano a continuare ad aprirlo.
Non poteva credere di avere il
suo sogno tra le mani, in un semplice biglietto di carta.
‘Tokio Hotel,
Welcome to HUMANOID CITY Tour Hamburg, Germany Colorline
Arena’
Fey scoppiò a piangere con il
biglietto tra le mani. Non era da lei reagire in questo modo,
soprattutto
davanti ai suoi, ma era stato tutto così inaspettato ed era
scoppiata.
Si
sentiva come se finalmente quel peso che si era portata dietro per
tanto tempo
stesse per essere scaricato.
Sarebbe stata con loro, per
loro. Era la cosa migliore al mondo.
Abbracciò forte i suoi
genitori senza smettere un attimo di dire grazie. Se lo meritava,
meritava di
essere felice.
Era una brava ragazza,
diligente, studiosa, altruista e intelligente. Finalmente
l’attesa aveva
portato qualcosa di buono e qualcosa che l’avrebbe
ricompensata per tutta la
vita.
Era impossibile dormire dopo
una giornata come quella. Sdraiata sul suo letto guardava le stelle
attaccate
al suo soffitto che disegnavano galassie che solo lei conosceva.
Pensava a quanto le mancasse
Tom, e non riusciva a spiegarsi il perché, dato che non
l’aveva mai conosciuto,
eppure era così.
Perché nessuno pensa mai al significato della frase ‘mi manchi’.
Si usa per le cose materiali, no?
Mi manca quella figurina per finire l’album,
mi manca una pagina da studiare e poi sono libero. Mi mancano pochi
centesimi
per comprarmi un gelato.
Eppure, talvolta, lo usiamo per indicare che c’è
un
buco nella nostra anima, e quel buco è dato
dall’assenza di una persona. E Fey
non pensava che fosse così facile da colmare come si
potrebbe fare con una
figurina, una pagina da studiare o qualche moneta.
Qui nessuno le poteva
prestare la persona che le mancava, né le poteva dire quando
Tom avrebbe smesso
di mancarle.
Il countdown era iniziato.
Doveva solo aspettare qualche giorno per poter incrociare nuovamente
quegli
occhi ambrati che lei non ricordava, ma che aveva osservato per ore ed
ore.
|
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Capitolo 29 *** XXIX ***
Per questo capitolo mi piacerebbe che ascoltaste
questa traccia audio, all'asterisco * :)
http://www.youtube.com/watch?v=UZjca8jZkZ8
Fey era partita il giorno
prima del concerto, aveva prenotato assieme alla madre una stanza in un
hotel
vicino all’arena nella quale si sarebbe svolto il
concerto.
Era più che sicura,
però, che avrebbe passato la notte accampata per cercare di
essere il più
vicina possibile al palco.
Il treno ci mise un’ora,
partirono alle otto di quella mattina, nonostante la madre di Fey non
capisse
perché la figlia volesse andare così presto.
-Devo vedere se ci sono già
ragazze in fila! Così posso mettermi assieme a loro!
-Avanti Fey, non starai
esagerando? Hai il biglietto, che differenza fa se li vedi dagli spalti?
-Ho la possibilità di vederli
a pochi metri da me, perché dovrei perdere
quest’occasione?
La madre scosse la testa,
prese le chiavi della macchina e uscì di casa, diretta alla
stazione.
Arrivate ad Amburgo si
avvicinarono all’arena e stranamente, pensò Fey,
non c’era ancora nessuno.
Probabilmente le ragazze sarebbero arrivate nel pomeriggio, e lei
doveva essere
lì.
Poggiarono la valigia che
avevano in comune in hotel, era modesto e confortevole e la camera da
letto
dava su un parchetto con panchine ed altalene, ricoperto da un manto
bianco
lucente.
I sei Tourbus dei ragazzi
arrivarono quella stessa mattina. Decisero di andare in albergo, la
stanchezza
del tour si faceva sentire e avevano decisamente bisogno di una dormita.
-Io voglio andare a fare
shopping.
La voce di Bill ruppe il
silenzio, Tom uscì dal bagno e lo guardò stranito.
-Adesso?
Bill fece spallucce – Perché
no? La città sembra abbastanza tranquilla, non ho visto
nessun gruppo di fan
urlanti dal bus, quindi potremmo tentare!
-Sei consapevole che se ci
vedessero dovremmo scappare?
Bill annuì – Quindi è un sì?
Tom roteò gli occhi e annuì a
sua volta.
I gemelli uscirono
imbacuccati, molto più del dovuto, fuori nevicava, quindi
nessuno ci avrebbe
fatto particolarmente caso.
Entrambi tennero gli occhiali
da sole anche dentro i negozi e nessuno sembrava accorgersi di chi loro
realmente fossero.
*Fey stava girando nella
Spitalerstrasse, dove su ambo i lati si poteva trovare ogni genere di
negozio.
Mentre sua madre entrò in un negozietto di antiquariato, Fey
si precipitò da
H&M, un negozio che nessun ragazzo o ragazza poteva evitare.
-Bill qui è pieno di ragazze,
ti rendi conto che se ci scoprissero non riusciremmo ad uscire da
questo
stupido negozio?
-Tom. Qui da H&M le
ragazze sono più impegnate a cercare di non farsi fregare la
propria taglia da
un’altra! Non staranno di certo pensando a noi due…
Tom sbuffò e si mise a dare
un’occhiata ai cardigan riposti nelle grucce.
Girò lo sguardo verso
sinistra, per vedere se più in là ci fosse
qualcosa che potesse interessargli,
e mentre pensava che avrebbe di gran lunga preferito trovarsi in un
fast food,
vide una figura snella che si muoveva tra i vestiti.
La ragazza si spostò un po’
più in là e Tom cercò di seguirla con
lo sguardo, prima di abbandonare Bill tra
i sue mille vestiti e seguire quella figura così familiare.
Lei continuava a stare di
spalle, ma ogni suo minimo gesto o movimento faceva scattare in Tom un
campanello d’allarme.
Chi era questa ragazza dai
capelli lunghi castani che lasciava dietro di sé una scia di
profumo che gli
ricordava tanto quello che ogni tanto sentiva nella sua stanza e nel
parco
vicino a casa sua?
Fey aveva trovato tante cose
carine, una T-shirt rosa salmone, un maglione color cioccolato e un
paio di
jeans con dei ricami floreali.
-Quello non ti sembra
Tom
Kaulitz dei Tokio Hotel?
La sua attenzione venne
attirata da una ragazza che si trovava davanti a lei, affiancata
dall’amica.
Entrambe parlavano tra loro e guardavano in una direzione indefinita
dietro le
sue spalle.
-Ma sì, c’è anche Bill!
Questa volta il nome del
Kaulitz venne urlato più forte e tutte le ragazze che si
trovavano nelle
vicinanze si girarono e iniziarono a portarsi le mani alla bocca.
Fey si girò immediatamente e
vide le figure dei gemelli che si dirigevano verso l’uscita.
Un’orda di ragazzine iniziò a
seguirli, e così fece Fey. Era più indietro
rispetto alle altre, teneva tra le
mani i capi che doveva comprare e cercava di farsi spazio tra i corpi
delle
ragazzine in delirio.
Voleva solo vederlo, solo
guardarlo negli occhi.
Tom si girò, cercava la
ragazza, che però non riusciva a vedere perché
sovrastata da tutte le altre
cento. Riusciva a scorgere soltanto i suoi capelli, le mani che
tenevano i capi
e il massimo che riuscì a vedere del suo viso fu una
guancia, perché in una
frazione di secondo Fey venne spinta da un’altra e Tom venne
preso per il
braccio da Bill.
Due commesse fecero passare
velocemente i gemelli da una porta di emergenza che li portò
ai magazzini del
negozio.
-Cazzo!
Bill riprese a sospirare
normalmente e guardò il gemello.
-Mi dispiace Tom, non pensavo
ci potessero riconoscere…
Tom scosse la testa – No, non
è per questo, è che…
Bill aspettò che il gemello
continuasse la frase, ma Tom sembrava come in trance.
-Mi sembrava di aver visto una
persona…
-Chi?
Tom guardò Bill dritto negli
occhi – Non lo so.
Nel bel mezzo di quel
putiferio, tra tutte le ragazze urlanti, senza contare quelle che
avevano
letteralmente buttato i vestiti all’aria ed erano uscite dal
negozio per
cercare i gemelli, c’era Fey.
Era rimasta immobile, con i
suoi tre capi in mano, che non si capacitava ancora di ciò
che era appena
successo.
Tom la stava cercando. In
mezzo a tutta quella folla, stava cercando proprio lei.
Si avvicinò alla cassa per
pagare mentre affianco a lei decine di ragazze in lacrime non
smettevano di
ripetere “Ho visto i gemelli Kaulitz, non ci posso
credere!”
Fey non aveva visto niente,
non aveva visto i loro visi, eppure c’era tanto
vicina…
Poche ore e fu come se Bill
si
fosse completamente dimenticato dell’accaduto.
Tom, invece, era sdraiato
supino sul letto e ripensava a quella ragazza e all’effetto
che le aveva fatto
una sconosciuta. Eppure era certo di conoscerla, di averla vista da
qualche
parte.
Era in una situazione
impossibile da credere, ma quella figura che neanche aveva visto
interamente
l’aveva fatto sentire a casa. Si chiedeva quale fosse il suo
nome, di dove
fosse, quanti anni avesse. Se era solita frequentare quel negozio,
oppure era
stato solo un caso.
Voleva vederla.
Si chiedeva come fosse il suo
viso, di che colore fossero i suoi occhi, come fosse il suo sorriso.
Era una fan, lo era
sicuramente, perché aveva visto come cercava di farsi spazio
tra le tante
persone che spingevano.
Chissà com’era la sua voce,
com’era la sua risata. Chissà se anche lei stava
pensando a quello che era
successo.
Scosse la testa, si alzò e
andò a farsi una doccia calda. Sperava che
quell’acqua che scivolava sulla sua
pelle facesse scivolare anche quei pensieri e li facesse scendere
dritti nello
scarico.
Un forte mal di testa
rimbombava nelle sue tempie, l’indomani avrebbe avuto un
concerto, doveva
riposare.
E se lei fosse stata lì?
Sperava di rivederla. Era un ragionamento veramente da idioti, ma aveva
trovato un appiglio, un misero appiglio a cui aggrapparsi, un'ultima
àncora di salvezza.
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Capitolo 30 *** XXX ***
Chiedo
scusa per il ritardo immane nel pubblicare quest'ultimo capitolo, ma si
sa, è sempre un peccato abbandonare qualcosa di proprio e
non avevo proprio il coraggio di scrivere la fine!
Per questo capitolo ci sono due tracce audio:
*http://www.youtube.com/watch?v=aIaqNdRMDaE
** http://www.youtube.com/watch?v=4MFFUyuKqAA
Il
grande momento era arrivato, la notte dell’Humanoid
City Tour che avrebbe assistito, probabilmente, ad un miracolo.
Fey era seduta sull’asfalto impaziente che la security
iniziasse a dare ordini per creare i primi gruppi e far entrare i fans.
Gustav
stava ascoltando della musica col suo laptop e batteva le mani sulle
sua ginocchia e i piedi sul pavimento scuro a ritmo di musica, Georg e
Bill erano seduti attorno ad un tavolo rotondo a mangiare due fette di
pizza, Tom era sul divano che finiva di accordare la chitarra acustica.
Bill aveva appena deciso di fare “In die Nacht”.
Non rientrava nella scaletta, ma quella sera aveva deciso di cambiare
l’ordine delle cose, di fare qualche pazzia magari. Sarebbe
stata una notte speciale, solo che nessuno ancora lo sapeva.
Fey era seduta a gambe incrociate mentre si stringeva attorno il
cappotto, la temperatura era scesa parecchio e stava lì
già da un paio d’ore. Era snervante, ma sapeva che
quello che l’aspettava dopo valeva cento ore come quelle che
aveva passato. Accanto a lei, alla sua sinistra, c’era una
ragazza che aveva all’incirca diciassette anni e continuava a
guardare l’ora e ad osservare la foto di Bill che aveva nello
sfondo del suo telefonino. Era incredibile, se quella ragazza avesse
saputo di Fey l’avrebbe mangiata, ma fortunatamente quei
dettagli erano sconosciuti a tutti, persino alla diretta interessata.
A sinistra, invece, aveva un gruppo di Aliens che cantavano una canzone
dopo l’altra, conoscevano la scaletta a memoria ed una volta
finita ricominciavano a cantare da capo. Fey non sapeva se esser loro
riconoscente, o se chieder loro di smetterla, altrimenti non avrebbe
sopportato di risentire le stesse canzoni dentro quell’arena.
Un omone di almeno due metri si chiuse le porte dell’edificio
alle spalle e il boato provocato fece ammutolire persino il piccolo
concerto di Aliens accanto a Fey. Tutti gli occhi erano puntati su di
lui che si avvicinò agli altri uomini della sicurezza, per
poi avvicinarsi nuovamente alle porte, lasciandole aperte.
-Ora, voglio gruppi da dieci persone. Voglio vedere i vostri biglietti
e quello che avete dentro le borse. Non voglio vedere nessuno correre o
superare gli altri, sono stato chiaro?
E sì, che era stato chiaro. C’erano sei uomini
della sicurezza la cui altezza media era 1.85 almeno.
Il primo gruppo entrò, così come il secondo,
accompagnati da urla e rumori di scarpe che battevano sul pavimento.
Fey si stava letteralmente massacrando le labbra e teneva stretto il
biglietto giallo tra le mani. Aveva una piccola borsa con dentro una
sciarpa, dei fazzolettini e dei trucchi.
Qualcuno cercava di superare la fila, ma era praticamente impossibile
abbattere la barriera di quei ragazzi e ragazze che si tenevano stretti
per mantenere il loro posto.
-Tu sei più piccola, vieni avanti!
Fey venne letteralmente spostata da una fan del suo stesso gruppo e si
ritrovò “capo fila”, esattamente di
fronte all’omone David, a quanto diceva il cartellino.
Fey gli porse il biglietto e lo guardò con i suoi occhi
azzurri che dall’emozione e dalla paura erano ancora
più grandi. L’uomo guardò la borsetta
di Fey e le fece segno di passare, dandole il via libera.
In quel momento Fey non seppe come, perché non si rese
effettivamente conto di cosa stesse facendo, ma corse. Corse
più in fretta che poteva. Il palco era di fronte ai suoi
occhi, la parte destra era completamente piena mentre quella sinistra
era leggermente più libera. In un batter d’occhio
si ritrovò con una transenna premuta contro la pancia e a
pochi metri da lei, le luci e il palco. Si guardò attorno e
ci mise qualche secondo per rendersi conto di aver corso svariati metri
ed essere arrivata in prima fila. Il rumore dentro quel luogo era
assordante, voci, urla, pianti. Gli spalti si riempivano sempre di
più, mentre alcune ragazze accanto a lei urlavano al
telefono “sono in prima fila!”
Guardandosi attorno Fey sorrise e una lacrima le bagnò la
guancia.
*Le luci si spensero.
-Ragazzi, 5 minuti e si va in scena.
Bill annuì e si girò a guardare gli altri
-Siamo pronti?
Si avvicinarono e crearono un cerchio, abbracciandosi.
-Spacchiamo tutto ragazzi!
Il
suono di un cuore che batteva riempì l’intera
arena, le urla rimbombavano e partì una musica elettronica,
Fey credeva di essere sul punto di svenire. Urlava anche lei, ma non
riusciva a sentire neppure la sua voce. Sentiva solo il battito del suo
cuore che scoppiava nelle sue orecchie e andava all’unisono
con il cuore dell’Humanoid City Tour.
D’un tratto l’uovo sul palco si illuminò
e del fumo iniziò a riempire il palco, lasciando Fey sempre
più senza fiato. Una voce squarciò quelle urla e
poco dopo iniziò Noise. Appena Gustav toccò la
batteria, Georg e Tom salirono sul palco. L’uovo si
aprì e da tutto quel fumo e quelle luci apparì la
figura di Bill, che inizialmente era solo un’ombra e
successivamente apparì in tutta la sua bellezza.
Quando i ragazzi toccarono quel palco, Fey realizzò che era
realmente assieme a loro. Nonostante loro fossero qualche metro
più avanti e leggermente più in alto. Erano
insieme, erano a casa. Lei si sentiva a casa.
Il suo sguardo seguiva la figura di Tom che stava esattamente di fronte
a lei. Osservava come le mani esperte si muovessero sulla chitarra,
come il suo corpo si protendesse in avanti quando doveva cantare e
successivamente come tornava indietro, concentrandosi di nuovo sulla
sua chitarra.
Guardava come si muoveva sul palco, come girava, guardava Bill e Georg.
Guardava come saliva le scalette per arrivare al piano superiore del
palco. Come Bill lo guardava e guardava il pubblico.
Avrebbe dato qualsiasi cosa perché quello sguardo si posasse
sul suo. Più lo guardava, più sentiva qualcosa
nel profondo di sé che le diceva “c’è
qualcosa che non sai, c’è qualcosa che devi
scoprire” e lei sapeva che le servivano gli
occhi di Tom per scoprirlo.
Fey era sicura che a fine concerto non avrebbe avuto più
voce, perché urlava come una forsennata. Si abbracciava con
altre due Aliens che non cononosceva neppure. Era incredibile come
quattro semplici ragazzi potessero unire così tanto delle
persone sconosciute. Anche se in realtà, avevano
più cose in comune loro di un qualsiasi parente. I Tokio
Hotel riuscivano a creare rapporti di amicizia indissolubili, e Fey non
potè non pensare alle amiche che erano diventate
indispensabili per lei e che aveva conosciuto grazie a loro, non poteva
non pensare ad una delle sue più grandi amiche, Veronika.
In quel momento Fey era abbracciata ad una ragazza tedesca ed una
australiana che aveva praticamente fatto il giro del mondo per
assistere ad una data tedesca.
Rivolse ai ragazzi lo sguardo più amerovelo del mondo,
ringraziandoli mentalmente per tutto ciò che avevano fatto e
per quello che continuavano a fare, anche senza rendersene conto.
Il
concerto continuava e, come ogni cosa bella, doveva arrivare ad una
fine. Fey non ci pensò poi tanto, perché era
completamente presa dalla musica di quei quattro ragazzi tedeschi,
dalla voce di Bill che riempiva gli spazi con i suoi commenti, i suoi
discorsi e anche i suoi sorrisi. In tutto quel tempo non aveva visto un
attimo lo sguardo di Tom su di lei, nonostante ci fosse stata
più di un’occasione. Per qualche strana ragione,
ogni qual volta Tom girasse il suo viso verso Fey, qualche fan fuori di
testa si metteva a saltare e Fey veniva letteralmente sommersa.
In die Nacht era stata un successo. C’erano solo Bill e Tom
sul palco, i sorrisi che si scambiavano erano qualcosa di meraviglioso
e le lacrime delle fans emozionate da quella scena ne erano la prova.
Però fu quando Gustav scese sul palco a fare la sua Ola che
Fey capì che stava finendo quella notte magica.
Georg e Tom lanciarono le loro bottigliette d’acqua e i loro
asciugamani, e dopo che si furono riposizionati partì la
musica.
Bill stava su quel palco, al centro, con uno sguardo triste ma allo
stesso tempo convinto che quella folla non l’avrebbe vista
per l’ultima volta quella sera. Incitava i fans a cantare con
lui, a saltare, a non perdere la speranza. Il suo sguardo
passò sugli occhi di tutta la prima fila, toccando anche gli
occhi di Fey sui quali si soffermò qualche secondo in
più, restituendole poi un sorriso.
Fey
sentì un enorme calore pervaderle il corpo, e le immagini
piano piano riaffioravano nella sua mente. Le partite a scacchi con
Bill, le risate, le battute e le barzellette. Spostò lo
sguardo sulla figura di Tom, che fece lo stesso.
**D’un tratto fu come se tutto fosse chiaro, come se quel
velo che per tanto tempo era stato sugli occhi dei due ragazzi fosse
scomparso. Tutto era fermo, tutto era immobile. C’era solo la
musica, Tom e Fey. Uno di fronte all’altra si guardavano, si
scavavano dentro riscoprendo i giorni passati insieme. Il loro primo
incontro in ospedale, l’incontro casuale al parco e la voglia
di vedersi continuamente. Il loro primo bacio, le loro risate, i loro
respiri condensati dal freddo tedesco che si univano pian piano,
proprio come avevano fatto i loro cuori. I loro desideri espressi sotto
un cielo stellato, le loro carezze, i loro sospiri
all’unisono. Le feste, i giochi, le liti, le notti passate ad
abbracciarsi e a fare l’amore.
Una lacrima scivolò via dagli occhi di Fey e Tom le sorrise.
Era meravigliosa e vestita di bianco, sembrava un angelo. Nei suoi
occhi più azzurri del cielo stesso aveva ritrovato quella luce che gli
aveva salvato la vita, quella
luce che
pensava di aver perso e che invece aveva ritrovato. Fey gli aveva
completamente rubato l’anima e Tom se ne rendeva pienamente
conto su quel palco, di fronte a mille e più persone,
concentrandosi però solo su una di loro.
Non si sarebbero mai più detti addio. Si erano ricordati e
fu come se non si fossero mai dimenticati per davvero, le crepe che si
erano create dentro di loro si stavano rimarginando.
Si riflettevano
l’uno nell’altra e riflettevano la luce nei loro
occhi che finalmente tornava ad illuminarli.
Per sempre.
Spazio autrice:
Eccoci
alla fine.
Innanzitutto voglio ringraziare tutti voi, nessuno escluso, per aver
letto la mia storia e avermi appoggiata in ogni modo :) Vi ringrazio
per aver lasciato recensioni, avermi dato consigli e avermi permesso di
continuarla!
Ho iniziato a scrivere Das Licht nel 2009 e l'ho ritrovata un anno fa,
nel 2012. I primi capitoli sono quelli 'originali', diciamo, e poi pian
piano l'ho continuata anche grazie ai ricordi e alle emozioni che ho
vissuto al concerto di Padova dei Tokio Hotel nel 2010, l'Humanoid City
Tour :)
Avrete sicuramente notato che ci sono alcune cose che non quadrano,
come la presenza di 'Ich bin da' e 'In die Nacht' in questo Tour, ma
d'altronde questa storia è stata come il mio 'mondo
fantastico' quindi volevo unire qualcosa di vero a qualcosa che non
c'è stato, anche se sarebbe stato stupendo :) (vi immaginete
Ich bin da e In die Nacht?! aaa <3 )
Quando ho scritto la storia sapevo esattamente l'inizio e la fine,
mentre la parte del mezzo è stata un po' più
difficile, ed è per questo che ci ho messo un bel po' per
scriverla.
Nonostante questo, però, anche Das Licht è
finita, e mi mancherà davvero tanto.
Probabilmente qualcuno mi ucciderà per la fine, ma lascio a
voi l'immaginazione :) La storia è mia, ma anche di tutti
voi che l'avete seguita con così tanto entusiasmo!
Ho voluto continuare questa storia sui Tokio Hotel nonostante loro si
siano un po' allontanati da noi Aliens e, sinceramente, non pensavo che
la storia avrebbe avuto così tanti seguaci. Avevo timore che
le vere Aliens si fossero 'estinte' ma, a quanto pare, alcune cose non
muoiono mai, proprio come il mio amore per i Tokio Hotel :)
Detto
questo, vi lascio proprio con questa frase, la stessa frase con la
quale ho iniziato questa storia, che si chiude come un cerchio:)
"Wir sterben niemals aus, wir
tragen uns bis in alle Zeit"
Danke schön,
Sara.
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