Rayearth -revolution- prima fase

di Sephirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Spirale ***
Capitolo 4: *** Preludio ***
Capitolo 5: *** Battaglia ***
Capitolo 6: *** Passato ***
Capitolo 7: *** Pensiero ***
Capitolo 8: *** Gravità ***
Capitolo 9: *** Vetro ***
Capitolo 10: *** Noi ***
Capitolo 11: *** Principessa ***
Capitolo 12: *** Mutevole ***
Capitolo 13: *** Tempo ***
Capitolo 14: *** Errore ***
Capitolo 15: *** Frammento ***
Capitolo 16: *** Ghiaccio - pima parte ***
Capitolo 17: *** Lezione ***
Capitolo 18: *** Fiori ***
Capitolo 19: *** Spaccatura ***
Capitolo 20: *** Bugiarda ***
Capitolo 21: *** Niente - epilogo ***
Capitolo 22: *** Sussurro ***
Capitolo 23: *** Tende ***
Capitolo 24: *** Ghiaccio - seconda parte ***
Capitolo 25: *** Colore ***
Capitolo 26: *** Sbarre ***
Capitolo 27: *** Fuga - parte prima ***
Capitolo 28: *** Fuga - parte seconda ***
Capitolo 29: *** Promessa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


piccola prova

Intrusione dell'autrice: siccome è la mia prima fanfic, vorrei che quando la leggete, anche se in parte, la commentiate, anche solo per dirmi che fa schifo. Farò tesoro dei consigli!

__________

Piove. L'acqua cade scrosciante dal cielo, sulla pelle e sulla pietra. Nuda pietra. E fredda tomba. La mente è annebbiata, ed è difficile ragionare. Sovviene la realtà, ed ancora una volta lo sguardo ripercorre i solchi sulla lapide, e si accorge che disegnano lettere, che formano nomi. Mai fu la verità tanto dolorosa. Un grido nasce nel petto e soffoca in gola, stretto fra labbra che rifiutano le parole. Niente lacrime a rigare il suo viso, o forse son solo confuse alla pioggia. La tomba di madre e padre, che è pur giusto un figlio seppellisca, ma troppo crudele seppellire ora. Tanto monito è quasi ridicolo. Si guarda intorno. Quanto sfarzo, quanta eleganza, per chi null'altro ha fatto che morire ed abbandonare. Ritorna il ricordo impresso con in fuoco dell'odio: un palo ed un corpo impalato. C'è sangue sul mio viso.

__________

Clef si svegliò di soprassalto, completamente sudato. Si guardò attorno e si rese conto di trovarsi nella sua stanza, all'interno del palazzo di Sephiro. Una pausa, durante la quale il respiro rimase sospeso, e poi un lungo sbuffo di sollievo. Si passò una mano tra i capelli argentei madidi di sudore e li scompigliò. Si abbandonò di nuovo sul letto, aspettando che il cuore rallentasse, e guardò fuori dalla finestra, lasciando spaziare lo sguardo fino al più remoto orizzonte, sopra le nuvole più basse. A giudicare dalla luce doveva essere abbastanza tardi, mattina inoltrata. Rimase disteso per qualche secondo, poi, con uno sbuffo, si mise in piedi e raccolse gli abiti troppo eleganti per i suoi gusti.

__________

Pochi minuti dopo faceva scattare la serratura della stanza con un solo cenno delle dita, per poi avviarsi al salone centrale, dove contava di trovare il Consiglio tutto assorto nel criticare il suo ritardo. "come al solito", "è immaturo","è inadatto"...

Assorto nei suoi pensieri, Clef scorse il suo riflesso in un largo specchio a muro che due uomini enormi stavano trasportando lungo il corridoio, tutti sudati e sporchi di polvere. Si girò un attimo a darsi una piccola aggiustata, per non essere troppo incompatibile con la sua carica di Monaco Guida. Innanzitutto si passò una mano fra i capelli per ridargli il verso, impresa pressoché disperata visto che lo stesso concetto di verso era estraneo ai suoi capelli. L'unica ciocca che obbediva era quella che ricadeva sull'occhio sinistro. Un'ultima messa a punto della camicia bianca con rifiniture dorate, per non far vedere troppo che era indecentemente spiegazzata. Due pacche sui pantaloni, una ritoccatina per infilarli bene negli stivali e poi lo specchio gli fu sottratto, così si rimise in cammino.

Arrivato alla porta del salone centrale fece un grande sbadiglio e poi entrò. Lì, come volevasi dimostrare, c'erano quattro vecchietti curvi sotto il peso del tempo e della cattiveria, che, come lo videro entrare, si precipitarono su di lui.

"Avete di nuovo tardato!"

Clef fece un gesto con la mano non esattamente rispettoso.

"Lo avevo arguito"

Parlò con voce limpida, bella, regale più di quanto non fossero i suoi modi. L'anziano davanti a lui divenne rubicondo.

"E non fate dello spirito con me!"

Sarus, l'anziano che lo stava sgridando, era il più importante dei quattro del Consiglio, e quello che si divertiva più di tutti a riprenderlo. Gli altri tre erano Olus, un tipo in carne, Ferus, decisamente soprappeso, ed Irus, così magro da reggersi appena in piedi. C'era chi diceva l'avessero fatto apposta ad eleggere come quattro membri del Consiglio candidati con la stessa desinenza nel nome.

Sarus continuò ad urlargli contro quanto non svolgesse a dovere il suo incarico governativo, ma lui non ascoltava: era troppo intento a cercare qualcuno nella folla del salone. Ad un certo punto Sarus gli prese la testa fra le mani e lo costrinse a guardarlo.

"Possibile, mi domando io, che un ragazzo come voi, figlio di cotanto padre, con gli occhi azzurri, i capelli splendenti, il fisico scolpito, la pelle chiara e la bella voce, dai suoi centosettantatré centimetri di altezza non riesca a comportarsi in maniera più principesca?!"

"Sì, signor Sarus, è incredibile che io non mi faccia comandare dal Consiglio, istituzione politicamente inferiore alla mia carica e che quindi dovrei gestire io"

La risposta del vecchio fu soffocata dalla voce di una giovane, molto simile a quella di Clef. Il  ragazzo alzò lo sguardo e vide una ragazza bionda farsi largo a spintoni tra la folla, anche lei in maniera tutt'altro che consona all'ambiente"

"Frat...fratellino! Ahio! E stia attento a dove va, lei!"

"Ciao Plesea" la salutò lui, senza alzare la voce.

La ragazza lo raggiunse in pochi secondi, gli fece cenno di attendere con la mano, si rifece la coda di cavallo e poi lo guardò negli occhi azzurri come il ghiaccio, identici ai suoi.

"Buongiorno!"

"Anche a te"

"Che entusiasmo... Emeraude ti ha mandato a chiamare per organizzare il ballo di stasera, per ricontrollare la lista degli inviati la tredicesima volta e per chiederti se secondo te sta meglio con un vestito bianco con pizzo o uno azzurro semplice"

"Fantastico. Ora sì che posso manifestare appieno il mio entusiasmo"

La sorella gli sorrise, lo baciò sulla punta del naso e si allontanò trotterellando. Clef la guardò sparire di nuovo tra la folla, mentre Sarus continuava a parlare più a sé stesso che al ragazzo.

__________

Investito della carica di Monaco Guida a solo dodici anni, Clef aveva lasciato gli studi per occuparsi dell'amministrazione di Sephiro, compito in cui lo erudiva il Gran Sacerdote Zagart, che ricopriva la seconda carica più potente dopo Clef stesso. Alla morte di suo padre, il precedente Monaco Guida, come per legge lui, che era il primogenito, doveva succedergli, qualunque fosse la sua età. Così Clef passò alla storia come il più giovane Monaco Guida di Sephiro, e si ritrovò a dover gestire la carica più importante subito dopo la colonna. Questo, ovviamente, aveva fatto nascere in lui l'odio per questo compito. Per fortuna, nella principessa aveva trovato un'amica importante, e nel passare del tempo tra loro, Zagart, Emeraude e Ferio, il fratello minore della principessa, nacque una complicità, se non addirittura un'amicizia importante. Ora, a tre anni di distanza dal giorno dell'investitura, si comportavano come vecchi compagni.

"Clef! Ti ho mandato a chiamare un'ora fa!"

"I preparativi per il ricevimento di stasera sono stati tutti effettuati ed il rinfresco è stato già preparato, mi domando perché, voi state meglio vestita di bianco e trovo che il pizzo vi doni e la lista degli invitati non la ricontrollerò nemmeno sotto tortura. Posso andare?"

Emeraude rimase a fissarlo alcuni secondi, poi scoppiò a ridere.

"Va bene, non la ricontrolliamo quella! Però devo decidere quale dei vestiti bianchi con il pizzo indossare"

"Oddio... ma per questo non ci sono le ancelle? Perché devo farlo io?"

"Perché tu sei abbastanza spigliato da non annuire con foga per qualunque schifezza io metta"

"Va bene..."

Clef si sedette sul letto a baldacchino della principessa con un tonfo. La ragazza, poco più che una bambina, entrò nella stanza affianco per cambiarsi d'abito. Poco dopo si ripresentò stretta in un vestito bianco come la neve con il corpetto di pizzo dorato.

"Questo è uno, altrimenti l'altro ha la gonna più aderente"

"Sì, così sembrate un salame"

"Dovresti parlare con più rispetto alla tua principessa. Allora metto questo?"

"Io credo che vi stia bene"

"Credi?! Ci ho messo due ore a scegliere e tu credi che mi stia bene?!"

La porta d'ingresso alle stanza della principessa si aprì di nuovo.

"Che accade, qui?"

Zagart aveva appena varcato la soglia, richiudendosi le porte alle spalle, splendido e principesco nel suo lungo abito bianco.

"Succede" disse Emeraude "Che il tuo discepolo è un cretino!"

"Succede" si difese Clef "Che la nostra principessa mi obbliga a farle da estetista!"

Zagart guardò Emeraude.

"Qual'è il problema, esattamente, principessa?"

"Non so che mettermi"

"Ma state d'incanto così! Adombrereste il più fulgido degli angeli con il vostro splendore"

Emeraude arrossì violentemente.

"A...allora metto questo, sì..."

Ritornò nella stanza per cambiarsi di nuovo, richiudendosi la porta alle spalle con una foga che tradiva l'imbarazzo.

"Adombrereste il più fulgido degli angeli... ma come ti vengono?" chiese Clef, dopo qualche istante di silenzio.

"Esperienza, ragazzo, esperienza..."

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Clef si passò la manica della camicia sulla fronte per asciugarsi il sudore

Clef si passò la manica della camicia sulla fronte per asciugarsi il sudore: aggrovigliato in quei vestiti si sentiva soffocare, e certo tappezzare la sala da ballo con un numero incalcolabile di stendardi, drappi, ghirlande e compagnia non era stato un lavoro facile. Adesso, però, la sala era meravigliosa.

Ferio gli si accostò, battendogli la mano sulla spalla, annunciandosi con un lungo, basso fischio di ammirazione.

"Accidenti! Proprio un bel lavoro"

Il Monaco Guida gli sorrise, arruffandosi di nuovo i capelli con la mano.

"Quanto manca al ricevimento?" domandò al principe.

"Poco, meno di un'ora"

"Finalmente, così finisce questo strazio..."

"Ti riferisci ad Emeraude?"

"No, a tutto. Voglio una vacanza"

Ferio rise. Gli diede un altro buffetto sulla spalla per consolarlo, Poi lo salutò e si allontanò con passi pesanti e la camminata scoordinata. Clef si guardò un'ultima volta intorno per assicurarsi che tutto fosse pronto. Proprio quando stava per andarsene si staccò un drappo dal muro. Clef fece un pigro gesto con la mano ed il fascio di stoffa si risollevò in aria da solo, andandosi ad impigliare ai chiodi nelle pareti, leggermente scomposto. Il ragazzo si voltò ed uscì dalla sala.

__________

Un'ora dopo partì la musica, e gli abiti svolazzanti presero a volteggiare. Emeraude sedeva su un trono, dietro un parapetto, splendida nel suo vestito niveo, incorniciata dai suoi lunghi capelli biondi. Alla sua sinistra, Zagart portava un abito lungo color porpora. A destra, Clef sedeva abbandonato sul suo piccolo trono, vestito con una lunga giacca lilla pallido. I capelli sciolti gli coprivano il viso.

Il suo compito in quel frangente era di vegliare sulla principessa, nonostante questo spettasse al corpo militare delle guardie di palazzo, che però erano troppo impegnati a danzare con belle dame. Clef vide Lafarga, il comandante delle truppe a difesa della colonna e suo maestro nell'atre militare, porgere la mano ad una ragazza con i lunghi capelli castani e ballare con lei. Sbuffò.

Al suo fianco, Emeraude era tesa e pallida, e continuava a rigirarsi tra le mani guantate un fazzoletto. Zagart se ne accorse e le si accostò.

"Principessa, non vi sentite bene?"

"Perché me lo chiedi?"

"Perché sono dieci minuti che tormentate quel pezzo di stoffa"

Emeraude si fermò e si guardò le mani, arrossendo.

"Sono solo un po' nervosa..."

Zagart aggiunse qualcosa, ma Clef non ascoltò il resto della conversazione. Tra la folla, seduta vicino al tavolo del rinfresco, c'era una ragazza con i capelli neri, lunghi, raccolti in una treccia, con la pelle chiara e lo sguardo perso nel vuoto. era bellissima, la più bella ragazza che avesse mai visto, in un abito sobrio ed elegante, semplice e troppo timida per ballare. Stava giusto rifiutando l'invito di un uomo della milizia.

Emeraude gli batté la mano sulla spalla.

"Ehi?"

"Eh?"

"Che cosa...ah, guardavi quella?" disse la principessa indicandogli la dama.

"Io? No, ecco..."

"Il suo nome è Adele, figlia di una delle mie ancelle più care, sta studiando per diventare Guaritrice. Stando alle parole della madre, è buona, gentile, educata ed intelligente, ma è fidanzata con uno che, per fartela breve, non ne merita nemmeno un pezzetto. Che ci fai ancora qui?"

"Faccio il mio dovere e veglio su di voi, come mi si comanda"

"Ehi, Monaco Guida, ascoltami bene: adesso ti ordino di alzarti, andare da lei, inchinarti ed invitarla a ballare. Adesso!"

Clef le sorrise, si alzò e si diresse verso la ragazza.

__________

Quando le fu di fianco fece un lungo respiro: era la prima volta che tentava di invitare qualcuno a ballare. Le si accostò sempre di più e alla fine le si parò davanti e fece un profondo inchino.

"Madamigella, volete farmi l'onore di concedermi questo ballo?"

La ragazza si premette una mano sul petto.

"Oh, io... io devo declinare, non sono proprio capace a ballare..."

"Nemmeno io, prima o poi finisco sempre con l'inciampare nel mantello" disse lui, alzando la testa con un sorriso. Fu allora che la ragazza notò il colore dei capelli e lo riconobbe.

"Voi siete... siete il Monaco Guida?"

"Bene o male..."

Adele si portò una mano alla bocca.

"Io sono lusingata, ma..."

"Non limitatevi ad essere lusingata, allora. Volete venire o no?"

La ragazza lo guardò negli occhi per un momento, per poi distogliere spaurita lo sguardo. Dopo alcuni secondi di esitazione allungò il braccio e Clef, con un sorriso, le prese la mano e la condusse sulla pista da ballo.

"Io però, davvero non sono capace..."

"Se mi rimanete così distante, dubito che combineremo granché. Avvicinatevi"

Le mise una mano sul fianco e la avvicinò a sé. Mosse i primi passi e lei lo seguì un po' impacciata. Aveva un buon profumo, delicato. Dopo pochi passi prese confidenza e si rilassò. Lui poté sentire chiaramente i muscoli dei fianchi distendersi. I loro sguardi si incrociarono. Un passo, un altro, e quando la musica si fermò loro continuarono, senza farci caso. L'orchestra cambiò brano, ma loro due continuarono sul ritmo di quello precedente, persi l'uno negli occhi dell'altra, con l'inevitabile risultato di andare a scontrarsi contro un'altra coppia. Clef si fermò per scusarsi, poi si girò verso di lei e scoppiò a ridere sommessamente.

"Uno dei Governatori... se lo sanno gli anziani del consiglio mi ammazzano"

Rise anche lei, nonostante non capisse esattamente cosa lui intendesse. Ripresero a ballare, e Clef si accorse che lei stava bene attenta a non poggiare troppo la mano sulla sua spalla.

Una piccola fitta al petto. Clef si fermò. Lei lo guardò un attimo, poi si lasciò condurre fuori dalla pista da ballo. Dopo appena pochi passi gli si avvicinò un uomo molto alto. Clef sentì Adele stringergli il braccio.

L'uomo li raggiunse e chinò il capo di fronte a Clef.

"Per me è un onore che abbiate invitato la mia compagna a ballare, ed onore ancora più grande fare la vostra conoscenza di persona e potervi parlare"

Clef ringraziò, poi, con una piccola spinta, avvicinò la ragazza all'uomo. Mentre lei gli passava affianco gli sussurrò a volume appena percettibile:

"Il mio nome è Adele"

lui rispose velocemente.

"Lo so"

Adele arrossì, poi finì tra le braccia del compagno, che con un ultimo inchino la riportò tra la folla danzante. Lei si voltò a guardarlo, e divenne paonazza quando si accorse che anche lui l'aveva seguita con lo sguardo. Quando la sua esile figura fu sparita, Clef si premette una mano sullo sterno, respirò a fondo e poi si allontanò, per ritirarsi di nuovo dietro il parapetto. Zagart ed Emeraude, però, non c'erano.

__________

Quando rientrò nella sua stanza aveva in mente solo lei. Si sdraiò sul letto, dopo essersi tolto i vestiti. Adele. era l'unica cosa che riusciva a pensare. Rimase per un po' a guardare il soffitto, poi il sonno prese il sopravvento e lui si addormentò. Sognò di nuovo quel giorno di pioggia di tanto tempo fa. Rivide l'acqua portargli via il sangue dalla faccia. Sentì di nuovo il dolore bruciante e l'odore del metallo arrugginito. Quattro croci. un cattivo sapore in bocca. Sapore dolce e amaro del sangue. Ci sono cose che gli uomini non devono dimenticare. La memoria porta alla vendetta, e senza la speranza della vendetta tutto questo farebbe troppo male per essere sopportato.

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Capitolo 3
*** Spirale ***


Erano passati diversi giorni dal ballo a palazzo

Erano passati diversi giorni dal ballo a palazzo, e ancora Adele non riusciva a togliersi di mente il Monaco Guida che le chiedeva di ballare. Completamente immersa nei suoi pensieri, camminava ciondolando per l'ospedale del castello, avanti ed indietro, entrando in stanze senza un motivo preciso e dimenticando i compiti da svolgere. la lunga treccia la accompagnava nei suoi passi rimbalzandole sulla schiena. Il ricordo di quel brevissimo ballo le turbinava in testa incessantemente, ed era impossibile smettere di pensarci. Soprattutto, le riveniva in mente il momento in cui lui si era fermato all'improvviso, allentando la presa su di lei, mentre un'ombra gli attraversava lo sguardo. Non riusciva a fare a meno di pensare a che cosa potesse essergli successo. Continuava anche a pensare che mai era stata tanto dispiaciuta di vedere il suo fidanzato tornare da lei.

Del Monaco Guida si sapeva poco, giusto il titolo altisonante e l'età. Adele aveva sentito dire che era di carattere irascibile ed infantile, poco professionale nell'esercitare i suoi doveri ed irrispettoso, anche se a lei aveva fatto tutt'altro che una pessima impressione.

Entrò un uomo nella stanza dove lei si trovava a vagare. Alto, biondo, occhi azzurri e molto largo. Il generale Lafarga, che regolarmente si presentava ai medici del castello pieno di ferite. Adele gli si avvicinò sorridendo.

"Siete andato di nuovo a caccia di mostri nelle foreste, generale?"

Lafarga le sorrise, e si sedette dove lei le indicava. Aspettò che lei prendesse le bende e tornasse vicino a lui, armata di disinfettante.

"Qui a palazzo mi annoio. Ogni tanto sento il bisogno di usarla, questa spada, allora me la prendo con i mostri. Tanto, quelli non mancano di certo" le rispose.

"Sì, lo dite tutte le volte, ma io continuo a non trovarlo un motivo valido per ridursi così, tutto pieno di tagli e ferite"

"Lo so. ma lasciamo stare quest'argomento, che discutiamo tutte le volte che vengo qui, e prendiamone un altro. Mi dicono che il nostro Monaco Guida si sia comportato da cavaliere per la prima volta..."

Adele arrossì. Lafarga le fece un gran sorriso.

"Beh, abbiamo ballato solo un po'...cioè, no, abbiamo solo ballato un po'. Lui è stato molto gentile, educato... Devo ammettere che faccio fatica a credere a tutto quello che sento sul suo conto, che non si comporta come dovrebbe" Disse la ragazza, aggiustandosi una ciocca di capelli per poi riprendere a medicare le ferite del generale.

"Quel ragazzo lo conosco da prima che diventasse Monaco Guida, ero amico del padre" disse Lafarga. "E se c'è una cosa che posso dirti di lui è che è davvero immaturo, rompiscatole, irascibile, infantile, impulsivo, incosciente, ingestibile, insopportabile, e che non abbiamo mai avuto un Monaco Guida migliore di lui. Ha un senso della giustizia e dell'onore preoccupanti per un ragazzino di quindici anni, ed è buono, più della maggior parte delle malelingue che lo criticano"

Adele sorrise.

"Mi aspettavo una risposta del genere"

"Ha solo bisogno di tempo"

"Sì. Quando lo vedete, salutatemelo"

__________

Clef sventolò la camicia sudata per arieggiarsi, poi si rimise  in posizione e colpì di nuovo il manichino d'allenamento del percorso d'addestramento militare. Un colpo, un altro, quando sentì l'imbottitura cedere contro il suo pugno. Il manichino si ruppe e tutta la sabbia che ne riempiva la testa si riversò sul pavimento. Clef tirò un profondo respiro, passandosi una mano sul viso.

"Sapevo di trovarti qui"

Clef si voltò con un sobbalzo. Dietro di lui Zagart lo guardava con i suoi occhi intensi, attraversati però da angoscia e stanchezza.

"Ciao" rispose il ragazzo. "Non mi ero accorto che fossi entrato"

Zagart spostò il suo sguardo sul manichino distrutto e la sabbia riversa.

"Vedo che oggi sei più nervoso del solito"

"Non dovrei?"

Ci fu un attimo di pesante silenzio, poi Zagart decise di parlare:

"Per quanto riguarda quello che è successo ieri alla riunione del consiglio, quello che hanno detto gli anziani..."

"Non mi è mai importato di quello che dicono gli anziani, e ancora meno mi importa se fanno insinuazioni sul tuo conto. Non mi importa nemmeno di quello che tu deciderai di fare. Solo, sappi che con scelte del genere le conseguenza potrebbero essere impossibili da gestire"

Detto questo, Clef si allontanò, evitando lo sguardo di Zagart. Si fermò sulla porta.

"Però, qualunque sia la tua decisione, e che siano vere o meno le cose che il Consiglio dice di te ed Emeraude, io ti aiuterò come posso"

Zagart gli sorrise.

"Certo. Lo so."

Clef uscì.

__________

Quella sera Clef non provò nemmeno ad addormentarsi. Aveva paura di chiudere gli occhi, di tornare ai ricordi che aveva seppellito. Camminava per i corridoi, mentre sui vetri del castello batteva una leggera pioggerellina. Teneva un'andatura lenta. Si trovò a seguire lunghe linee di pensiero, vaste, che si perdevano in ogni direzione nella sua mente. Pensò a Zagart ed Emeraude, ma scacciò subito il pensiero. La sola idea della nuova riunione del Consiglio lo stremava. Provò a pensare a qualcosa di più rilassante, e la prima cosa che gli venne in mente furono le cucine. Tornò indietro di alcuni passi nel corridoio e ne imboccò un altro, accompagnato solo dal rumore dei suoi passi e dalla pioggia che batteva delicata. Pensò alla pioggia. Da quel giorno le associava solo sentimenti negativi. Non si lasciò distrarre, continuò a pensare a cose di poco conto: pensò a Plesea, che chissà come sarebbe stata con i capelli un po' più corti, e poi al corso per le nuove reclute di Lafarga, che gli aveva chiesto di partecipare per impressionare i nuovi arrivati. Pensò a Lantis, che era da un po' che non si vedeva in giro, chissà perché se ne sta sempre nei giardini esterni, e pensò ad un leggero e costante dolore al petto, dietro lo sterno, che era un po' preoccupato perché insisteva da qualche giorno. Si mise una mano sul petto e si accorse di avere la camicia slacciata. Chinò lo sguardo per rifare il nodo, mentre girava l'angolo. Prese in pieno la porta spalancata del giardino interno.

Dopo una colorita imprecazione a bassa voce si rialzò, controllando che il naso non sanguinasse. Con una mano, fece per richiudere la porta, ma si fermò. Perché il giardino era aperto?

Entrò circospetto, per vedere se ci fosse qualcuno all'interno. Sentì un fruscio tra le piante.

"Chi c'è?"

Una figura sbucò dai cespugli e si avvicinò, fino ad entrare nel debole fascio di luce che filtrava dal soffitto in vetro.

"Perdonatemi l'intrusione" disse la ragazza "So che non dovrei essere... ma voi non siete il Monaco Giuda Clef?"

"Adele?"

La ragazza gli sorrise, raggiante.

"Sono così contenta di rivedervi!"

Subito si portò una mano alla bocca. Certo non era l'atteggiamento da tenere con lui. Clef le si avvicinò, mettendo le mani nelle tasche.

"Nessun problema. Anche io sono felice di rivedere voi, dopo il ballo non ci siamo più incontrati"

"Mi dispiace di essermi introdotta nel giardino, non aveva cattive intenzioni"

"E con quali cattivi propositi si entra in un giardino con dentro solo piante, panchine e fontane?" le arrivò davanti. "Cosa avete fatto al viso?"

Sotto l'occhio destro della ragazza c'era un grande alone bluastro: un livido scuro che le copriva tutta la guancia. Adele chinò il capo, cercando di mettere in ombra il viso.

"Sono caduta"

"Chi si è permesso?"

La ragazza non rispose. Si passò una mano sulla guancia segnata. Clef le alzò il viso e la obbligò a guardarlo negli occhi.

"Chiunque vi abbia colpita, se avete bisogno di aiuto non esitate a rivolgervi a me. So essere persuasivo"

"Sono caduta" ripeté Adele. Sembrava scossa, ed aveva gli occhi rossi. Evidentemente aveva pianto. Stretta nelle spalle, continuava a dondolarsi avanti ed indietro, senza guardarlo negli occhi. "Comunque grazie" aggiunse.

Clef la invitò a sedersi sul bordo della fontana, bagnò una manica della maglietta con l'acqua fredda e gliela passò sul livido. Lei all'inizio si ritrasse, poi si lasciò toccare.

"Cosa ci fate alzata a quest'ora di notte?"

"Potrei farvi la stessa domanda"

Clef la guardò, un po' stupito dalla nota d'insolenza nella voce di lei.

"Non riesco a dormire, così ho fatto una passeggiata"

"Anche io"

Il ragazzo capì che interrogarla ancora non avrebbe sortito alcun effetto, così si limitò a bagnare di nuovo la manica e passargliela sul livido nella speranza di decongestionarlo un po'.

Rimasero così, in silenzio, per diversi minuti. Alla fine Adele si alzò e si risistemo la camicia da notte, che Clef notò solo in quel momento. Il giardino interno era una sezione del castello riservata unicamente alle cariche più alte, come gli anziani e la Colonna, e quella stessa ala del palazzo era riservata alle persone più vicine alla principessa.

"Dovrei tornare, adesso" sembrava agitata.

"Siete sicura che non vi serva nulla?"

Adele scosse la testa con veemenza.

"Vi ringrazio"

Clef sì alzò e l'accompagnò fuori dal giardino. Percorsero assieme i corridoi fino alla porta che conduceva alle stanze comuni, dove dormivano gli abitanti del palazzo di rango inferiore. Adele ringraziò, facendo un profondo arco, poi si richiuse la porta alle spalle, prima che Clef potesse aggiungere qualcosa. il ragazzo rimase a lungo a guardare la maniglia, indeciso se entrare o meno. Alla fine si rese conto che, qualunque cosa decidesse, era passato troppo tempo, e poi lui non conosceva la sua stanza. Così tornò verso le cucine. Lungo i corridoi ricominciò a pensare, e non poté scacciare il pensiero del livido sul viso di Adele. Decise che avrebbe fatto qualcosa per aiutarla, nonostante lei non volesse, perché non poteva tollerare che venissero fatte cose del genere sotto ai suoi occhi. Certo, lei non gli aveva detto nulla, ma questo non sarebbe stato un problema. Arrivato alle cucine questo pensiero si dipanò, lasciando spazio ad altro. Clef rovistò nelle dispense e si prese da mangiare. Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi seduto, con la faccia su uno dei tavoli, fu per la riunione del giorno successivo.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Preludio ***


La riunione del consiglio cominciò in tarda mattinata

La riunione del consiglio cominciò in tarda mattinata. Come al solito, Clef era in ritardo di diversi minuti e quando entrò trovò Zagart e tutti gli anziani già seduti. In particolare, Sarus gli tirò un'occhiata non esattamente cordiale, e gli fece cenno di prendere posto. Lo stomaco di Clef ebbe un leggero sussulto quando notò l'espressione di Zagart. Non lo aveva mai visto così preoccupato.

Zagart era un uomo forte, controllato, che misurava sempre il tono di voce e le parole, i gesti, le espressioni. Anche in situazioni pericolose non aveva mai perso il suo sangue freddo. Adesso, invece, tormentava un lembo del mantello, aveva due aloni sotto gli occhi e rivoli di sudore freddo gli rigavano i lati del collo. Clef occupò il posto a lui designato, di fronte all'amico nella tavola rotonda della sala del Consiglio. Zagart alzò lo sguardo e lo salutò con un sorriso forzato e appena accennato. Il Monaco Guida ricambiò con un lieve gesto della mano. Ferus batté le mani per richiamare l'attenzione.

"Bene" disse. "Ora che siamo, finalmente, tutti presenti, possiamo cominciare la riunione"

Clef non rispose alla provocazione, ma si era accorto di come l'anziano avesse sottolineato quel -finalmente-.

"Sì" disse Irus, prendendo in mano della carte da sotto il tavolo, che non guardò, ma riposizionò meticolosamente. "Dunque, Gran sacerdote Zagart, come ormai sapete sul vostro conto girano... come dire... voci. Dicerie, pettegolezzi, null'altro, che affermano voi abbiate un qualche legame particolare con la principessa Emeraude, il ché naturalmente è ridicolo. Perché, come voi ben sapete, sarebbe una cosa a dir poco scandalosa e catastrofica" si soffermò su ogni singola sillaba di quest'ultima parola.

"Ovviamente" continuò Olus. "Queste sono solo voci, tuttavia spiacevoli. Ci terremmo, per il bene vostro e della principessa, che fossero smentite. Sia beninteso che sparire entrambi nel mezzo di un ricevimento importante come quello di pochi giorni fa non aiuterà le acque a placarsi"

Sarus si sporse, per concludere, guardando Zagart con occhi di fuoco.

"Contiamo su di voi, e sappiamo che non ci deluderete, Gran Sacerdote."

L'anziano si rimise seduto compostamente, con la schiena ben dritta, e congiunse i polpastrelli delle dita.

"Bene. Ora, se avete qualcosa da dire..."

Clef alzò la mano.

"...che non sia una sciocchezza..."

La riabbassò.

"...potete dirla"

Zagart continuò a guardare in basso con occhi assenti, tormentandosi incessantemente il lembo del mantello. Una goccia di sudore gli colò sulla punta del naso. Sarus ridusse gli occhi a due fessure.

"Gran Sacerdote?"

Clef intervenne senza aver chiesto la parola.

"Ma per far smettere queste voci, Zagart ed Emeraude non dovrebbero nemmeno più vedersi, e questo significa che lui non potrebbe fare bene il suo lavoro, ovvero vegliare sulla principessa, come tutti noi. Tra noi ci sono rapporti affettivi, certo, ma anche professionali"

"Non passate da un estremo all'altro, Monaco Guida. Certo che potranno vedersi"

"Le malelingue non tacciono mai, signore. Sappiamo tutti e due che qualunque cosa faranno d'ora in poi la principessa ed il Gran Sacerdote in compagnia passerà sulle bocche di tutti e diventerà un qualcosa di scabroso, proibito, disprezzabile o quantomeno poco opportuno"

Olus annuì.

"Capiamo quello che volete dire, Monaco Guida" disse. "Tuttavia, immagino anche voi capiate che queste voci vanno almeno scoraggiate, se non proprio zittite"

"Certo che capisco, ma mi pare che ve la stiate prendendo troppo per una cosa che alla fine è sciocchezza. Insomma, sono solo dicerie, la gente ne dice talmente tante. Tra poco finiranno da sole"

"Sì" disse Ferus. "E' quello che ci siamo detti anche noi, all'inizio. Tuttavia, le voci continuano e anzi si stanno incrementando. Che tra il Gran Sacerdote e la principessa ci sia del tenero sta diventando una sciocchezza di dominio pubblico. La figura di entrambi ne risentirebbe"

Clef alzò gli occhi al cielo.

"Conosciamo" disse Irus. "La vostra posizione circa la politica, tuttavia converrete con noi che per quanto disprezzabile possa essere non sia da sottovalutare. La principessa può molte cose con le sue preghiere, ma non tutto. Il resto ce lo conferisce quel complesso, corrotto ed instabile meccanismo che è la politica"

"Va bene, sto zitto"

I saggi continuarono a scambiarsi sguardi per alcuni secondi. Il silenzio durò poco, perché Clef era un ragazzo difficile da far tacere.

"Però non capisco: io invito palesemente una bella ragazza a ballare con me, azione che ha chiaramente secondi fini, e nessuno dice niente; loro si allontanano cinque minuti e sono sulla bocca di tutti per mesi. Cos'ha Zagart che io non ho?"

Zagart sorrise, ed il suo viso parve rilassarsi. Clef ricambiò il gesto con uno sguardo di complicità.

"La questione è ben diversa" disse Ferus. "E voi lo sapete: la colonna non può avere distrazioni di sorta, specie se di natura amorosa. Invece se voi vi trovaste una compagna, che gli dei lo risparmino a quella bella signorina, non potrebbe essere che una lieta notizia"

"Il vostro, signore, è un sarcasmo davvero pessimo"

"Questo perché, al contrario di voi, io non passo ore ad esercitarlo"

__________

La riunione era stata estenuante, perché i minuti successivi ai fatti narrati furono un susseguirsi di scontri verbali tra il Monaco Guida ed i membri del Consiglio. Finalmente, però, Clef e Zagart camminavano di nuovo per i corridoi del palazzo, uno con le braccia incrociate dietro la testa, l'altro con lo sguardo basso ma il viso più colorito di prima.

"Clef" esordì Zagart. "Grazie per quello che hai fatto. Ti sono grato per avermi aiutato"

"Figurati. Se no a che servono gli amici?"

"Ti sei esposto per me"

"No, non farla così melensa. Mi diverto solo a dare fastidio a Sarus, tutto qui"

Zagart sorrise e mise la mano sulla spalla dell'amico. Clef la scostò con un gesto femmineo.

"Oh no, ti prego, tra noi non potrebbe mai funzionare"

Per tutta risposta Zagart gli diede una forte botta sulla testa. Scoppiarono a ridere, come si ride quando si fa una cosa stupida dopo un momento di grande tensione.

"In tutto questo, chissà che cosa avranno detto alla principessa" disse Zagart. "Si impressiona così facilmente, forse dovrei andarle a parlare"

"Aspetta" intervenne Clef. "Non mi pare il caso, altrimenti il Consiglio si rimette a bofonchiare. Ci vado io, ad avvertirla"

"Un'ultima cosa, Clef"

"Mh?"

"Tu che cosa pensi di questa storia?"

Il ragazzo si girò a guardare Zagart. Gli piantò gli occhi azzurri come il ghiaccio nei suoi.

"Che tra te e lei ci sia qualcosa lo avevo visto già da tempo, ma a me non interessa. Non so quali siano esattamente i vostri sentimenti, non so quanta confidenza ci sia fra voi due, però questo è un giochino pericoloso. Io ripongo piena fiducia in te, ma stai attento alle decisioni che prendi"

Zagart annuì.

"Cero. Non lascerò che la situazione mi sfugga di mano"

__________

"Come si permettono di fare simili insinuazioni sul mio conto?!"

Emeraude stava urlando a squarciagola da alcuni minuti, tirando cuscini sulle pareti della stanza.

"Dopo tutto quello che faccio, dopo tutto l'impegno che metto nelle mie preghiere, l'amore che provo per Sephiro, vengo ricambiata dal mio popolo e dai miei fedeli con questo? Delle schifose insinuazioni?!"

"Avanti, principessa, calmatevi, sapete come vanno queste cose..."

Clef se ne stava tranquillamente seduto su una delle comode poltrone disseminate per la stanza. Aspettava con pazienza che la principessa si calmasse.

"Calmarmi?! Abbiamo smentito più e più volte, e la gente non tace! Tutto questo è assurdo!"

"Va bene, ma adesso perché non vi sdraiate un attimo, bevete un po' d'acqua e respirate profondamente, così magari ne parliamo da persone civili?"

Emeraude lo guardò con occhi assassini, poi però dovette dargli ragione, perché la sua espressione si rilassò e lei andò a rinfrescarsi il viso. Clef si alzò ed andò a raccogliere i cuscini che giacevano a terra. Quando la principessa rientrò nella stanza, gli sorrise per ringraziarlo del gesto, poi si abbandonò sul letto in una posizione scomposta. passarono alcuni secondi prima che quel silenzio venisse interrotto.

"Clef?"

"Mh?"

"Cosa fai quando non sai che fare?"

"Mi domando cosa dovrei fare"

"E poi?"

"Mah, di solito faccio una scemenza o un'avventatezza. Però, se volete una di quelle risposte da buon amico, la mia sarebbe pressappoco così: farei quello che il mio cuore mi suggerisce di fare. Se invece preferite un consiglio da chi tiene più a voi che a fare bella figura con le sue parole assomiglierebbe di più a: fate l'opposto di quello che il cuore vi dice, perché dice una marea di stupidaggini"

Emeraude sorrise. Poi si alzò per andare a sedersi vicino a lui.

"Vi siete un po' calmata?" chise clef con un sorriso.

"Sì, un po'. In fondo, credo che sia come dici tu: queste voci moriranno da sole. Adesso l'unica cosa da fare è distrarmi un po', pensare ad altro, e aspettare che si calmino le acque. Poi tutto tornerà come prima"

"Allora non parliamo più di questo, cambiamo argomento. Per esempio, che cosa vi hanno de..."

"No, aspetta, un argomento più interessante: come va con la ragazza del ballo, quell'Adele? L'hai più rivista?"

"Sì, una volta" rispose Clef, passandosi una mano sul mento. "L'ho incontrata questa notte nel giar..."

"Notte?" lo interruppe Emeraude. "Ma tu non dormi mai? Come va con quegli incubi che dicevi di avere?"

"Non meglio, purtroppo. Non so perché, ma questo periodo non faccio altro che sognare dei miei genitori e del giorno in cui sono morti. Tutte le notti lo rivedo"

La principessa fece per consolarlo ma, forse per quello che era successo con Zagart, non sapeva come toccarlo in modo da confortarlo senza sembrare inopportuna.

"A proposito di Adele, principessa" disse Clef, con un timbro di voce più basso.

"Sì?"

"L'ho incontrata a notte fonda che vagava impaurita, con un enorme livido su una guancia"

Si voltò verso la principessa.

"Quando avete detto che il suo promesso sposo non la meritava affatto, a cosa vi riferivate di preciso?"

Emeraude fece un gesto di diniego con la mano.

"Se pensi che sia il fidanzato ad alzare le mani su di lei, ti sbagli. Il padre è uscito di senno anni fa e malmena spesso lei e la madre. Quell'uomo è pazzo, e ha tentato il suicidio diverse volte, come puoi vedere con scarso successo. Io stessa, venuta a conoscenza delle violenze che le due donne subivano, ho incaricato due guardie di allontanarlo dalla loro abitazione, ma non posso impedire a loro di andarlo a trovare. Quando parlavo del compagno, mi riferivo solo al fatto che si tratta di un uomo di poco conto. A detta della madre, si tratta anche di un tipo molto geloso ed iracondo. Una ragazza simile meriterebbe di più, ma forse, con il padre che si ritrova, ha anche lei dei problemi e non se ne accorge"

Clef si passò una mano fra i capelli, scoprendo per un attimo l'occhio. Avvertiva un leggero dolore al petto. Si alzò, si congedò dalla principessa ed uscì, accompagnato dai suoi pensieri

__________

Pochi secondi dopo aver poggiato la testa sul cuscino cedette al sonno. Per quanto avesse cercato di scacciare quei ricordi non riuscì ad impedirsi di rifare quel sogno. Questa volta la radura era deserta. Una donna crocifissa. Un uomo impalato. Le loro bocche, mute si aprivano con uno scatto inumano, veloce, simili alle labbra delle marionette. I loro occhi di vetro, tanto familiari, lo guardavano dall'alto della loro sofferenza, ed urlavano silenziose parole, una fredda consapevolezza. Piove, ma la pioggia è rossa e sulla lingua è dolce ed amara, e sa del ferro delle spade e dei bastoni appuntiti.

Non voglio più dormire, perché nel sonno la mia consapevolezza mi raggiunge.

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Capitolo 5
*** Battaglia ***


Clef non fu svegliato

Clef non fu svegliato, questa volta, dai suoi sogni, ma dal lugubre suono del corno d'allarme. Le pareti dei corridoi e delle stanze del palazzo tremarono: la principessa aveva avvertito una presenza ostile nei pressi del castello ed aveva attivato gli incantesimi di protezione.

Clef si alzò immediatamente, mentre l'emergenza scacciava via gli altri pensieri dalla sua mente. In situazioni simili era rischioso prendere iniziative, poiché la coordinazione era un fattore determinante, quindi doveva attenersi al protocollo: assicurarsi che la principessa fosse al sicuro e poi recarsi nella sala controllo. Regole ed itinerari, comunque, sembravano non essere proprio il suo forte, e difatti si diresse subito verso la sala, senza preoccuparsi di Emeraude. Confidava, ovviamente, sul fatto che Zagart l'avrebbe protetta, assieme a tutte le altre guardie.

Uscì dalla stanza e si lanciò per i corridoi a piedi nudi. Nella corsa gettò un'occhiata fuori da una delle finestre: era notte fonda. In breve raggiunse la sala di controllo, che a dispetto del nome non conteneva macchinari avanzati o grandi tecnologie di sorta, solo rune su ogni spazio che le pareti ed il pavimento concedessero. Da quella stanza si poteva controllare tutto il sistema d'incantesimi di difesa del palazzo. Solo pochi conoscevano le formule d'accesso per l'invocazione di questi, e a Clef spettava, come compito specifico nei casi di emergenza, gestire il sistema. Appena mise piede nella stanza, l'intricato complesso di incantesimi ebbe una reazione e si attivò. Clef pronunciò le formule di invocazione in un attimo e con precisione, come un vecchio scioglilingua ripetuto mille volte. Le rune brillarono. Attorno al palazzo si eresse una barriera evanescente, sottile come la nebbia ma invalicabile. Alla base della torre centrale del castello si disegnò un circolo magico e si attivarono gli incantesimi d'offensiva. Altre formule, rapide e precise, Clef quasi non si sentiva, e di fronte a lui si visualizzò un'immagine aleggiante del -nemico-. Una creatura molto grande, con enormi ali nere da pipistrello, con una testa senza un viso. Cercando possibili punti deboli da attaccare, il ragazzo individuò la bocca, due enormi fauci che gli dilaniavano il ventre, e poi gli occhi, piccoli e numerosi, dentro i palmi delle mani. Dalla scarsa funzionalità del corpo della creatura Clef arguì subito che non si trattava di un nemico pericoloso. Tuttavia questa supposizione riguardava unicamente l'aspetto fisico dello scontro, e non teneva conto di quello magico. Addestrato a non commettere errori di valutazione, eresse una seconda barriera.

Il mostro non era vicino, e anzi avanzava con lentezza, forse perché si era accorto della reazione. Qualunque fosse il motivo, Clef non vi rifletté a lungo: alcuni gesti con le mani nella direzione delle rune interessate ed altre catene di parole. Il circolo magico della torre centrale brillò. Non diede tempo al mostro di rendersi conto: un fascio di luce nera lo travolse, circondandolo di fulmini azzurri. Fu un colpo molto più forte di quanto non fosse necessario, ma con quei visi che gli turbinavano nella testa, e la visione della loro bocca che si muoveva in modo così disumano, il ragazzo aveva deciso di sfogare rabbia, paura e frustrazione.

Fu con grande stupore che rimase a guardare la creatura mentre si rialzava, con metà del corpo portata via. Fu il turno del mostro, che con un possente colpo dell'unica ala che gli rimaneva si avvicinò pericolosamente al castello in pochi istanti. Sferrò un attacco contro la barriera, che tremò. In quel momento Clef diresse i propri impulsi magici verso altre rune ed altri circoli. L'ennesima catena di formule, sempre senza sentirsi, e gli incantesimi offensivi reagirono: una mitraglia di proiettili luminosi colpì l'avversario. Terminato l'attacco, però, l'essere era ancora in piedi, nonostante gli mancasse ormai più della metà del corpo.

"Ma di che accidenti sei fatto, eh?!" imprecò Clef, puntando le mani verso l'esterno, ai lati della stanza. Indicò due enormi cerchi azzurri con intricate formule scritte sui bordi.

"Adesso, però, io voglio andarmene a dormire"

Una parola. Niente formule. Per pronunciarla attese che il mostro aprisse la bocca per ruggire, perché le sue fauci erano proprio di fronte al circolo sulla torre centrale. L'incantesimo d'offensiva più potente a disposizione colpì in pieno il bersaglio, proprio mentre apriva la bocca. Il mostro fece un verso raschiante ed acuto. protese una mano in avanti, contro la barriera. Clef poté vedere con chiarezza nella sua immagine olografica uno degli occhi guardarlo assassino.

Non ci fu il tempo di pensare, ancora una volta. Il castello vibrò, e la barriera esterna si dissolse in un lampo di luce. Gli incantesimi ebbero un sussulto, si separarono, si sciolsero, pur tentando di rimanere uniti. La rete del sistema di difesa si compromise. Nella sala di controllo arrivò una tale scarica di energia esplosa fuori dalle rune, che Clef non udì un suono, non vide una luce, non sentì nemmeno dolore, mentre quella forza incredibile lo investiva.

Un canto del cigno, forse. Un ultimo attacco sferrato nell'agonia, comunque di una potenza impressionante. Pochi istanti dopo la creatura, o quel che ne rimaneva dopo l'attacco di Clef, si accasciò al suolo e non si mosse più. Emeraude, nella sicurezza delle sue stanze, avvertì il sistema difensivo disfarsi e l'energia di Clef scemare. Si alzò, e non dovette dare ordini. Zagart la seguì immediatamente.

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Capitolo 6
*** Passato ***


Quando si svegliò

Adele sussultò quando una delle guardie irruppe nella sala principale dell'ala ospedaliera. Dietro di lui, diversi altri militari fecero strada alla principessa che, con mano alla gonna, ordinò alla persona più vicina a lei di preparare un letto.

"E servono cure immediate!" aggiunse, quando il medico si allontanò per eseguire.

Dietro di lei Zagart, soffocato dalle guardie di Emeraude, le disse con voce affannata:

"Quali cure, principessa? Sta bene, non ne ha bisogno. Deve solo riposarsi"

Sulle spalle del Gran Sacerdote pendeva il corpo inerme di Clef, con i capelli argentei più scompigliati del solito e bagnati di sudore freddo.

"Ma ci sarà pur qualcosa che si possa fare!" disse Emeraude, agitata.

"Ha ricevuto solo un contraccolpo, sta benissimo! Domani tornerà impertinente e petulante come al solito"

La principessa afferrò una ciocca di capelli biondi e cominciò a rigirarsela attorno all'indice.

Adele era rimasta in silenzio, immobilizzata dalla sorpresa, con un vassoio pieno di boccette in mano. Si riscosse quando uno dei medici indicò uno dei letti al Gran Sacerdote, poggiò il vassoio e si diresse verso di loro. Quando la vide, il medico le venne incontro e le disse di occuparsene seguendo il protocollo. La ragazza annuì e si avvicinò al gran sacerdote.

"Ci sono altri feriti?" chiese.

"Nemmeno lui è ferito. Ha solo bisogno di riposo, poi starà benissimo"

"Sei sicuro, Zagart? Proprio sicuro?" si intromise Emeraude, tormentando quel ricciolo di capelli in preda ad un attacco di ipercinetismo.

Zagart non le rispose e tornò a guardare Adele, che però stava guardando Clef, disteso sul letto.

"Signorina?"

"Sì!" La ragazza tornò a rivolgere la sua attenzione al Gran Sacerdote.

"Posso lasciarle il Monaco Guida in tutta tranquillità o devo preoccuparmi degli sguardi che gli manda?"

Adele divenne di un rosso quasi inumano. Annuì con foga e farfugliò delle scuse. Zagart le sorrise, poi fece un gesto alla principessa e la condusse all'uscita, mentre il corpo di guardia si ridisponeva per scortarli.

"Andiamo nella sala di controllo e cerchiamo di ripristinare la rete di difesa"

Emeraude annuì. Si allontanò con Zagart, sorridendo un'ultima volta ad Adele, divertita dalla coincidenza. Quando Clef si fosse svegliato si sarebbe sentito uno straccio, ma una così dolce compagnia lo avrebbe consolato sicuramente.

__________

Pochi minuti dopo che Zagart ed Emeraude se ne furono andati, entrò nella stanza una ragazza bionda e con gli occhi azzurri, con i lunghi capelli legati in una coda di cavallo e un piccolo diadema sulla fronte. Cercò per pochi secondi con lo sguardo, poi individuò il Monaco Guida e si precipito verso di lui.

"Fratellino!"

Adele si sporse verso Plesea.

"Non disturbatelo, signorina, deve riposare"

"Ma sta bene?"

"Sì, non mostra anomalie. Il Gran sacerdote ha detto che serve solo riposo"

Plesea rimase in silenzio, a guardare il fratello. In quel momento Clef ebbe un leggero sussulto e disse qualcosa di indistinto nel sonno. Mosse la mano di scatto. Piccole gocce di sudore gli scivolarono sul viso. Plesea le asciugò con una manica. Adele rimase a guardare in silenzio, chiedendosi cosa potesse sognare. Il ragazzo parlò di nuovo, questa volta con parole distinte.

"Chiudi gli occhi. Non guardare. Non c'è bisogno che guardi"

Plesea si passò una mano sul viso, che era d'improvviso diventato pallido.

"Cosa sta dicendo?" chiese Adele, sporgendosi verso la ragazza.

"Credo..." Plesea sembrava scossa mentre continuava a tenera la mano sul viso, nascondendo gli occhi. "...credo che stia sognando una cosa successa tanti anni fa"

"Cosa?"

Plesea non rispose. Clef ebbe un altro piccolo sussulto. Parlò di nuovo, ripetendo la frase di prima.

Non guardare. Non c'è bisogno che tu guardi. Non c'è nessuna ragione per cui tu debba ricordare tutto questo.

"Fratello" lo chiamò Plesea, accucciandosi vicino a lui. Il ragazzo reagì e si girò verso di lei, ma continuava a dormire. Parlò di nuovo.

"Non è la mamma. Quella non è la mamma"

Ansimava leggermente, il respiro diventava più irregolare. Frasi sconnesse che accompagnavano spasmi del corpo. Un sogno che si trasformava in incubo. Plesea gli strinse una mano. cadde il silenzio, interrotto solo dal respiro affannoso di Clef. Adele non osava parlare, e poi non avrebbe saputo che dire. Passarono diversi minuti, durante i quali ci fu una grande tensione. Lentamente, il ragazzo parve calmarsi e il suo respiro tornò regolare, nonostante stringesse con forza la mano della sorella. Fu Plesea, infine, a parlare.

"Mi aveva detto che questo periodo faceva brutti sogni tutte le notti, ma non aveva accennato al fatto che sognasse questo"

Adele continuava a non capire, ma certo non osava chiedere. Plesea continuò, come se parlasse a sé stessa invece che alla ragazza.

"Era da tanto che non ripensavamo a quel giorno. Per noi è diventato un argomento tabù, di cui non si deve assolutamente parlare. Dopo il nostro ritorno, abbiamo risposto alle domande che ci vennero poste e poi non ne parlammo mai più. Ho represso quel ricordo molto in profondità e non gli permetto mai di risalire. Pensavo che per lui fosse la stessa cosa, ma evidentemente mi sbagliavo"

Plesea parlò con lo sguardo perso nel vuoto, distante. Passarono alcuni secondi di assoluto silenzio, poi la ragazza sbatté le palpebre rapidamente e si voltò verso Adele.

"Oh, scusa! Scusami, mi sono lasciata un po'... scusa tanto, devo esserti sembrata completamente pazza" sorrise.

Adele ricambiò il sorriso.

"No, assolutamente. Ma posso... insomma, sì, se non sono troppo indiscreta ovviamente... chiedere di cosa...?"

"A che cosa mi riferisco?"

Adele annuì.

Plesea si portò un dito sulle labbra, riflettendo.

"Immagino che tu conosca la storia della nostra famiglia. Almeno, a grandi linee"

"Vi riferite a vostra madre e vostro padre, alla loro tragica fine?"

"Sì, precisamente. Mia madre era il capo di un corpo speciale dell'esercito, una delle poche donne con importanti cariche; invece mio padre non ha bisogno di presentazioni. Immagino tu sappia la storia"

Adele annuì di nuovo.

"Allora non c'è bisogno che te ne parli. Per noi, fu una perdita terribile. Non solo sono morti, ma anche in maniera orribile. Ci ha segnato profondamente. Entrambi"

Plesea non disse nulla che Adele non sapesse già, un avvenimento tragico a cui anche lei aveva assistito, assieme a tutta la loro generazione.

__________

[Diversi anni prima, uno dei mondi che fluttuano vicino Sephiro, Raquia, inviò alla colonna una richiesta di aiuto. Raquia era il mondo più antico, dove per primo si era sviluppata la magia, pura e non focalizzata da incantesimi, ma libera. Attorno ad esso, nacquero successivamente gli altri pianeti, Pharen, Cheezeta, Ootozam e Sephiro, i cui abitanti erano in grado di usare per la maggior parte una magia di gran lunga superiore a quella di Raquia.

Nel corso dei secoli, dei millenni, delle cifre incalcolabili e dell'incessante fluire del tempo, la magia abbandonò completamente Raquia, che, ormai, si ritrovava morente. Scarseggiavano le risorse alimentari, la terra tremava, scossa da continui terremoti, le piante morivano, i fiumi si prosciugavano. Alla fine, come tutte le cose, anche Raquia era prossimo alla morte. Tuttavia, la sua popolazione non intendeva, per qualche ragione, abbandonare il pianeta. Chiesero così sussidi ai pianeti circostanti e la principessa Emeraude, che allora era già in carica, aveva fornito loro tutto ciò che le era stato possibile.

Tuttavia, le richieste divennero, nel tempo, eccessive, e non poterono più essere soddisfatte, così Emeraude interruppe l'invio di sussidi. Anche gli altri pianeti finirono con il ridurre gli aiuti per Raquia, con il risultato imprevisto che gli abitanti, spinti dalla carestia, saccheggiarono con diverse spedizioni gli altri pianeti. Fu subito guerra. Una guerra che durò solo pochi mesi ma che fu devastante. I Raquiani divennero presto avversari terribili, spietati, la fame li aveva disinibiti. Quando poi attaccarono Sephiro, eludendo le difese esterne, Emeraude capì che si trattava di un grande pericolo che se non fermato sarebbe potuto diventare ancora maggiore. Passò il comando a Lafarga, che aveva appena ottenuto il suo titolo. Lui organizzò un'operazione militare di precisione. Decise di inviare, con una piccola navicella, un centinaio di uomini su Raquia, affinché si limitassero ad eliminare la famiglia reale, che gestiva le operazioni di bracconaggio, divenute ormai l'unico sostentamento per il popolo. Sarebbe dovuta essere un'operazione semplice, visto che la magia aveva abbandonato ormai da tempo quei luoghi, mentre scorreva potente nel popolo di Sephiro, ma qualcosa andò storto. Fu ipotizzato che durante una delle azioni di bracconaggio su Ootozam fossero stati rubati dispositivi di difesa, ma qualunque fosse stata la causa, la conseguenza fu che la navetta fu individuata, anticipata e attaccata. Di cento uomini che avevano preso parte alla spedizione non sopravisse nessuno. Tra questi vi erano il Monaco Guida e il comandante del commilitone inviato, l'unica donna nell'esercito di Sephiro ad aver raggiunto una carica tanto elevata, nonché sua moglie.]

__________

Quando si svegliò, Clef non capì subito dove si trovasse. La testa gli pulsava dolorosamente e sentiva le membra formicolare, inerti. Provò a muoversi, ma non ci riuscì, come se non sapesse più dove fossero le sue braccia, le sue gambe, come arrivarci. L'aria gli feriva i polmoni quando respirava, e la pelle bruciava. sentiva rimbombare il battito del suo cuore, troppo veloce, nelle orecchie. Gli facevano male le mani. Erano passati pochi secondi e già sentiva le forze abbandonarlo.  Riuscì un attimo ad aprire gli occhi e sentire la luce ferirglieli, poi gli parve di precipitare.

Sognò, ma non ricordò cosa, e poi si svegliò di nuovo, con la fronte meno sudata ed il corpo meno dolorante. Provò a muoversi e questa volta riuscì a mettersi seduto barcollando.

"Ahia..."

Adele, che aveva un vassoio in mano, fece un salto all'indietro, facendo cadere tutto quello che ci stava sopra.  Quando realizzò finalmente che Clef si era svegliato, non si curò affatto delle medicine a terra, ma anzi lasciò cadere anche il vassoio e gli si accostò.

"Non sforzatevi, rimettetevi sdraiato. Come vi sentite?"

"Blaaah...

"Capisco" disse lei con un sorriso. "Avverto subito vostra sorella"

Clef annuì e Adele si allontanò. Aveva pensato a lungo alle parole che il ragazzo aveva sussurrato nel sonno. Non avrebbe chiesto nulla, almeno per ora, ma era convinta che qualcos'altro avesse segnato così profondamente i due fratelli. Questo perché, da come ne avevano parlato, sembrava che entrambi avessero assistito al massacro. Non sapeva spiegarsi come, ma la curiosità decisamente indiscreta e di una crudeltà innocente ormai le rosicchiava la mente.

___________

piccola intrusione dell'autrice: mi scuso per averci messo tanto ad aggiornare ma scarseggia il tempo libero (sigh), e questo capitolo forse è stato fatto troppo di fretta. Sarà soggetto a diverse modifiche, credo. Consigliatemi per migliorarlo.

 

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Capitolo 7
*** Pensiero ***


Lantis si svegliò solo alla terza chiamata del fratello Zagart

Lantis si svegliò solo alla terza chiamata del fratello Zagart. Si passò una mano tra i capelli, togliendo alcune foglie, e scese con attenzione dal ramo. Cercò di salutare il fratello, ma la sua voce fu strozzata da uno sbadiglio spudorato.

"Tu" lo riprese Zagart. "Dovresti stare a lavorare, a darti da fare come tutti noi, e non schiacciare lunghi pisolini qui nella Colonia!"

"E perché dovrei? Qui non succede mai niente..."

"Davvero? E quello di ieri che cos'era, una delle ancelle di Emeraude? Un po' bruttina, non ti pare?"

"Zagart, quel mostro era alto non so nemmeno quanti metri! Che cosa avrebbe potuto fare la fanteria?"

"Sei dotato, nel caso in cui non ci avessi fatto caso, di armi magiche e di uno spirito animale. Tu NON sei un fante"

Lantis si diede qualche colpetto sul mantello per togliere delle macchioline di polvere. Il pulviscolo attraversò un raggi di sole che filtrava tra i rami degli alberi e si trasformò in uno spruzzo dorato. Il cavaliere lo seguì con lo sguardo. Parlò di nuovo a Zagart, ma senza cercare i suoi occhi.

"In fondo, che ti importa? Ci ha pensato Clef, no?"

"Ed il fatto che sia rimasto svenuto per un giorno intero è un dettaglio, suppongo"

"Zagart..."

"Almeno potevi venire nelle stanze della colonna al mio posto, così io sarei potuto andare nella sala di controllo ad aiutare Clef!"

Lantis parlò con voce sarcastica.

"Pensavo che stare da solo con la principessa non sarebbe stato un problema per te"

Zagart lo guardò, immobile, scioccato dalla risposta del fratello. Quando parlò di nuovo, si rivolse ad un Lantis che non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

"Tutti giudicano senza conoscere. Tutti parlano senza sapere. Eppure da te mi aspettavo di più"

Zagart si voltò e mosse diversi passi in direzione dell'uscita. Lantis cerco delle parole per scusarsi, ma non ne trovò di abbastanza convincenti. Quando Zagart fu sullo stipite della porta lo chiamò e parlò senza riflettere troppo sulla forma.

"Scusami, fratello, non volevo dire questo. Ho solo paura che la gente creda a queste dicerie, potrebbe comprometterti"

Zagart rimase in silenzio alcuni secondi, poi parlò senza voltarsi, nascondendo il viso al fratello.

"E se queste dicerie fossero vere,  allora cosa, e quanto, cambierebbe?"

"Zagart?"

L'uomo non aggiunse altro. Lasciò la colonia e scomparse inghiottito dai corridoi. Lantis rimase a guardare il punto nel vuoto dove poco prima stava suo fratello. Parlò, un pensiero ad alta voce:

"Tutto. Se fossero vere cambierebbe tutto."

__________

Emeraude finì di costringere i capelli in una lunghissima treccia dorata. Si sventolò con una mano, squadrandosi allo specchio in una delle sue enormi stanze. Strinse i lacci dell'abito che portava, rimise a posto la gonna, si tolse il diadema. Quella meravigliosa pietra era stata un regalo molto prezioso, da parte di Zagart, Lantis, Clef, Ferio e Lafarga, che si era unito a loro all'ultimo minuto ma che aveva scelto il dono al posto degli altri, che di oggetti femminili non capivano niente. Chissà, si chiese la principessa, perché Lafarga invece la sapesse tanto lunga. Sorrise. Sospirò. Dalla finestra della stanza entrò un petalo bianco in balia del vento. La ragazza lo afferrò tra la punta delle dita e lasciò che si riflettesse nei suoi occhi azzurri come l'acqua pura. La sua mente vagò. Vagò verso l'unico pensiero che valesse la pena di pensare, ormai da tanto tempo

Tentava di impedire al proprio sguardo di illuminarsi, tentava di impedire al proprio viso di arrossarsi, di impedire alle proprie mani di tremare, ma impedire al cuore è difficile. Il pensiero non corre in nessun'altra direzione e tutto d'improvviso ruota intorno a lui, e tutto è solo per lui, ogni gesto, ogni parola, ogni respiro, perché senza di lui che senso avrebbe respirare? E se il vento soffia è solo perché c'è lui, e se i petali possono volare è perché lui esiste ed è qui, qui vicino! E quando lui è qui, quando è talmente vicino da poter sentire il calore della sua pelle, del viso, il profumo, tutto è più bello, la luce è più luminosa e tutto trova un senso. Trova un senso in lui. Con lui. Per lui. Emeraude si strinse il petto, che ora doleva, dilaniato dalla consapevolezza. Se tutto dovesse diventare per lui, finalizzato a lui, unicamente per lui, allora lui non dovrebbe più esserci per me. Ed io smetterei di respirare, perché respirare non avrebbe più senso.

Impedirò. Impedirò a me stessa di fallire contro il mio cuore.

__________

Zagart passò le dita lungo il muro freddo del corridoio. Capiva i sentimenti di Lantis. Quello che non capiva era che nessuno comprendesse i suoi. Evidentemente, dopo diversi anni, era diventato impossibile nascondere quel sentimento e allora, forse, tanto valeva esternarlo, renderlo pubblico! In fondo, cosa sarebbe cambiato? Cosa turbava tanto Emeraude, che aveva deciso di tenere tutto sotto silenzio?

Strapparsi quel sentimento dal cuore si era rivelato impossibile, e poi un affetto così grande, un amore tanto sconfinato, non lo aveva mai provato, e non aveva nessuna intenzione di privarsene. Bastava starle accanto per essere felici, e quella felicità era enorme. Bastava solo il suono della sua voce, solo che lei gli fosse accanto. Era necessario che lei stesse bene, e allora tutto andava bene! I suoi occhi erano diventati l'unica cosa da cercare nel vuoto delle stanze del castello. Il tocco della sua pelle delicata spazzava via tristezza e frustrazione. Perché dovremmo strappare via un amore tanto bello dai nostri cuori? Perché? Quando congiungi le tue mani in preghiera, queste catene ti impediscono di vivere, di essere felice, ti soffocano!

Io voglio vederti libera. Libera di sorridere, di vivere, di amara come meglio credi e al massimo delle tue forze, voglio vederti vivere davvero ogni secondo, ogni singolo istante di questa vita troppo breve e troppo triste senza noi due, insieme. Voglio vederti libera dalle catene di Sephiro.

 

 

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Capitolo 8
*** Gravità ***


All

All'interno della sala d'allenamento per i militari rimbombava sul soffitto a volta incrociata il suono dei colpi delle armi. Tutto il reggimento controllato da Lantis era venuto ad allenarsi per ordine del loro comandante . Ma Lantis non c'era.

Dopo l'attacco al castello non c'erano state seconde minacce, eppure sembrava che fosse calato un velo sulla tranquillità del palazzo: da molto tempo il castello non era più stato attaccato, e sembrava che non esistessero mostri alti più di un paio di metri. La creatura che aveva attaccato tre giorni prima, invece, era enorme, quasi quanto il castello stesso, ed aveva distrutto la rete di incantesimi di difesa, aveva resistito agli attacchi portati da Clef  più e più volte, infine era riuscito a mettere fuori combattimento il ragazzo.

Ma se i mostri sono, a Sephiro, la materializzazione dei sentimenti negativi delle persone, significava che qualcosa non andava. Ferio, che pur non facendo parte di quella legione era venuto ad allenarsi con la spada, credeva di sapere di cosa si trattasse. Affondò violentemente un colpo diagonale sul manichino di legno, arrivando con la lama a diversi centimetri di profondità. Considerando che carne ed ossa sono più facili da tagliare, era un bel colpo. Gli anziani del consiglio avevano indetto un'altra riunione, ma questa volta non era Zagart a doversi presentare, ma Emeraude. Per legge, il Monaco Guida, dovrebbe partecipare ad ogni riunione del Consiglio, ma Sarus aveva insistito moltissimo affinché il ragazzo si riposasse, si rimettesse in sesto, ignorando completamente i molti "sto benissimo" di Clef. Ferio continuò a colpire. Sapeva che il ragazzo avrebbe fatto in modo di essere presente nonostante gli anziani non lo volessero tra i piedi. Lo stesso avrebbe fatto lui, che in qualità di principe aveva il permesso di partecipare alle riunioni. Non l'avrebbero lasciata sola. Affondò un altro colpo.

__________

Lantis finì di vestirsi. Si era spogliato della pesante armatura per indossare abiti più comodi. Passò una mano tra i capelli, cercando di ordinarli. Erano giorni che non pensava ad altro: la storia tra Zagart ed Emeraude, le parole di suo fratello...

Lantis era un uomo forte, coraggioso, non si era mai lasciato abbattere da nulla. Ma ora non si trattava di lui. Si trattava del fratello e della sua principessa.

Se quelle voci fossero vere, cosa, e quanto, cambierebbe?

Lo sapeva. Lo sapeva Zagart e lo sapeva Emeraude. Lo sapevano anche gli anziani, lo sapeva Clef. Ora lo sapeva anche lui. Da quando quella maledetta storia era cominciata, nessuno sembrava più lo stesso: Zagart era diventato fragile, Emeraude aveva perso il suo autocontrollo tanto ferreo, Clef era preoccupato. Lantis, da parte sua, temeva. Temeva le scelte del fratello, ma più di tutto temeva le conseguenze di quelle scelte. Guardò il proprio riflesso nel vetro di una delle finestre della sua stanza. Due occhi neri come una notte senza luna e senza stelle ricambiarono lo sguardo. sentiva, nel cuore, da qualche parte in quella che forse è l'anima, un qualcosa, che non potrebbe essere definito diversamente, bruciare, e consumare. Suo fratello si stava lasciando sfuggire la situazione. Lui non sarebbe rimasto senza far niente. Avrebbe aiutato Zagart in qualsiasi modo, facendo qualsiasi cosa per lui. Tuttavia, proprio non sapeva cosa avrebbe potuto aiutare a risolvere la situazione.

Distolse lo sguardo dal riflesso. Prima di tutto, aveva intenzione di scusarsi per il suo comportamento. Non avrebbe voluto rivolgersi al fratello in quel modo, ma le parole gli erano uscite senza controllo. Poi avrebbe parlato con Clef. E anche con Ferio. Insieme, avrebbero trovato sicuramente una soluzione. Ferio avrebbe parlato con Emeraude con un'intimità che gli altri non potevano sperare di avere, mentre Clef aveva sempre qualche idea, anche se la maggior parte erano pessime. E lui, Lantis, aveva l'ardore: avrebbe impedito a tutti i costi quello che sapeva sarebbe accaduto.

__________

Clef finì di allacciarsi i pantaloni, raccolse la larga camicia posata sulla sedia e la infilò, ma i capelli si intrecciarono ad bottone.

"E no...." tirò per liberarsi, con l'unico risultato di farsi lacrimare gli occhi. Incastrato a metà della camicia, cercò di armeggiare con il bottone, ma anche così non ottenne grandi effetti. Dopo un altro dolorosissimo strattone il ragazzo lanciò un'imprecazione (che per ovvi motivi e buona educazione non verrà riportata) molto colorita.

Proprio in quel momento Adele entrò nella stanza, con l'ennesimo vassoio pieno di boccette in mano.

"Ehm... Monaco Guida?" chiamò, un po' perplessa.

Clef riprese ad armeggiare. "Da quando è passato di moda bussare?"

"Scusatemi, non volevo disturbare, solo non credevo che foste ancora qui..."

"Nessun disturbo"

Adele soffocò una risata: "Serve una mano?"

Clef abbandonò pesantemente le braccia  lungo i fianchi, con uno sbuffo.

"Sì, grazie..."

Adele sorrise e gli si avvicinò. Si alzò sulle punte e cominciò a sciogliere il nodo.

"Ma voi non fate altro che portare vassoi?" chiese Clef con una ristata.

Anche Adele rise.

"Mi capita spesso, sì"

La ragazza riscese sui talloni.

"Fatto"

"Grazie"

Si infilò definitivamente la camicia, ma nello srotolarla lasciò intravedere parte dell'addome. Adele portò una mano alla bocca e parlò senza riflettere.

"Cosa avete fatto?"

Si rese conto solo dopo di essere stata indiscreta: "Cioè, se posso saperlo...se non vi è di troppo disturbo...voglio dire... ecco..."

"Per favore, smettete di farvi tutti questi problemi quando parlate con me. La formalità non è una cosa di cui io mi curi o che mi interessi"

Adele annuì, nascondendo il viso con i lunghi capelli neri, quel giorno lasciati sciolti. Clef passò una mano tra i suoi e se li scompigliò, mentre con l'altra si sbottonò un po' la camicia. Sulla pelle chiara, una zona irregolare, incolore. Sotto la stoffa, la cicatrice partiva dalla spalla sinistra, attraversava il busto e terminava sul fianco destro, quasi fin sulla gamba.

"E' vecchia. Di molto tempo fa"

"E come ve la siete procurata?"

Clef si passò una mano sul viso.

"Un colpo di spada. Cioè, no, una picca... u-un bastone ferrato, ecco"

"Ma... una ferita del genere... come avete fatto a sopravvivere?"

Lui sorrise, nonostante non ci fosse nulla di divertente.

"Sembra peggiore di quanto non sia stata in realtà. Il fatto fu che quello che mi colpì pensava che un bastone  di ferro arroventato fosse più letale, invece un simile calore cicatrizza le ferite. IL taglio non era abbastanza profondo per uccidermi, ed ho perso poco sangue. Certo, poi è rimasto un segno molto evidente, in realtà il taglio era meno impressionante della cicatrice"

"E se posso, in che circostanze..."

"Non offendetevi, ma di questo non mi piace parlare"

Adele abbassò lo sguardo. "Certo, scusatemi"

Clef le sorrise. "Affatto. Nessun problema"

La ragazza si permise di mandargli un timido sguardo, che lui ricambiò con un sorriso ancora più luminoso del primo.

"A proposito, signorina" chiese ad un certo punto, quando lei si stava per voltare.

"Sì?"  disse lei con una piccola luce negli occhi.

Clef abbassò lo sguardo e rimase in silenzio alcuni secondi. Stava cercando le parole per fare una cosa in cui non era esattamente pratico.

"Vorreste..."

Si fermò subito con un sommesso -no-. Rimuginò alcuni secondi, riaprì bocca per parlare, ma di nuovo disse solo -no-. Alla fine fece un gesto con la mano e lasciò perdere.

"Se voi voleste, io avrei piacere di... rivedervi, ecco. Magari in circostanze diverse"

Adele si illuminò.

"Anche se" aggiunse subito dopo lui, mentre le guance si tingevano di rosso. "Forse è sconveniente chiedervelo. Il vostro promesso non sarebbe molto felice se sapesse che vi ho detto una cosa del genere"

"Sì" disse Adele con un sorriso. "Se lo sapesse"

Clef rimase interdetto. Non si aspettava una risposta del genere. Sbatté le palpebre un paio di volte e rimase in silenzio.

"Mi farete sapere voi?"

"Che? Ah! sì, certo, certo..."

Le sorrise per l'ennesima volta, poi riprese in mano in vassoio e lo salutò.

Clef rimase solo nella stanza, a guardarsi in torno, decisamente perplesso. Dopo alcuni secondi gli si dipinse sul viso un largo sorriso, si girò e si diresse all'altra uscita, trotterellando, senza neanche accorgersi di non essersi infilato le scarpe.

__________

Quella sera Lantis cercò a lungo Clef per le stanze del palazzo. Quando lo trovò, seduto nella stanza affianco alle cucine con la sorella entrò, si scusò con la ragazza e lo prese da parte. uscirono dalla piccola stanza e in silenzio si avviarono nei giardini. Non c'era nessuno, lì.

"Scusami Clef, ma volevo parlarti"

"Certo. Dimmi"

"Innanzitutto, come stai?"

"Eh? Oh, bene, non sento niente di strano"

"Mi fa piacere. Hai sentito che il consiglio ha indetto l'ennesima riunione?"

"Sì... e nemmeno vogliono che io ci vada"

"Credi che stiano architettando qualcosa?"

"Mah, non penso che siano così furbi. Più che altro, non vorranno che Emeraude abbia complici, così che sia più facile farla cedere. Magari sperano che lo dica apertamente"

"Dire cosa?"

"Che ha una storia con tuo fratello"

"Te lo ha detto lui?"

"Non me lo ha detto nessuno, ma lo sapevo già da parecchio. Non è una cosa nuova, sono gli altri che se ne sono accorti adesso"

"Da quanto dura?"

"Da un anno, circa. Potrei sbagliarmi, ma approssimativamente è così"

Lantis si rabbuiò.

"Avrebbe dovuto parlarmene. In fondo è sempre mio fratello"

"Devi cercare di capirlo"

"Lo capisco, Clef, lo capisco bene. Questa storia sta diventando tutta troppo contorta"

Clef alzò gli occhi.

"Che vuoi dire?"

"Non lo so... ma vedi, quel mostro gigantesco che ha attaccato il palazzo..."

Il ragazzo sbatté le palpebre.

"Si, ci ho pensato anche io"

"Allora Emeraude è in condizioni peggiori di quanto non immaginassimo"

Clef sbuffò.

"Però è strano. Insomma, capisco che possa essere agitata, ma alla fine mi domando cosa ci possa essere di così tremendo..."

Lantis scosse la testa. Clef lo guardò un attimo, poi parlò.

"Che cosa intendevi con quel cenno?"

"Che cenno?"

"Con la testa. Hai fatto cenno di no"

"Beh... sto solo cercando di mettermi nei suoi panni"

Clef gli lanciò un'occhiata di traverso. Aveva pensato a qualcos'altro, ma non voleva parlarne. Comunque, lui non chiese.

"Si aggiusterà tutto, Lantis"

"Si certo"

Cadde il silenzio. Si accostarono alla fontana, guardando ognuno il riflesso dell'altro nell'acqua, per tentare di decifrarne l'espressione.

"Però..." chiese infine Lantis. "...se non si dovesse aggiustare, se le cose continuassero ad andare avanti di questo passo... che succederebbe? Che dovremmo fare?"

"Non ne ho idea" disse Clef scuotendo il capo. "Tu che cosa faresti?"

Lantis strinse gli occhi, riducendoli a due fessure.

"Aiuterei mio fratello, fino alla fine"

 

 

 

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Capitolo 9
*** Vetro ***


Nuova pagina 1

Quando Sarus entrò nella stanza adibita alle riunioni del Consiglio tutti gli altri si alzarono e non si risedettero fino a quando lui non prese posto. L'anziano poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita. Si guardò attorno: Emeraude, accerchiata dai membri del consiglio, era vestita con abiti scuri e teneva il viso nascosto. Clef e Zagart non erano presenti.

"Si dia inizio alla riunione" disse con tono solenne, levando una mano.

"Principessa" esordì Irus. "Credo che sia d'obbligo una spiegazione"

Emeraude alzò lo sguardo. "Circa cosa?"

"Circa recenti fatti avvenuti" incalzò Olus. "Mi riferisco a quel mostro enorme che ha attaccato il palazzo e che a fatica è stato respinto. Inoltre sono stati registrati avvistamenti di altri mostri nei villaggi e in alcune città molto popolate. E nell'estremo sud alcuni paesi soffrono la siccità. La siccità, vi rendete conto? A Sephiro, il mondo più prospero di tutti!"

"Nelle zone più periferiche del nostro pianeta la gente viene continuamente attaccata da mostri, e ora, come se non bastasse, manca l'acqua nei pozzi" disse Sarus. "Questo, principessa, non può che essere imputabile alle vostre preghiere, quelle che mancate di fare con una certa attenzione"

Emeraude tornò a fissarsi le punte dei piedi, seppellite dalla lunga gonna.

"Mia signora" disse Ferus. "State perdendo la vostra luce interiore, la vostra forza di volontà, perché le vostre attenzioni sono tutte rivolte ad un singolo individuo. Non negate"

"Purtroppo mi trovo costretta a negare. E di queste insinuazioni non voglio più saperne! Tutto questo sta diventando insostenibile. Tra me è Zagart c'è amicizia, anche molto intima se vogliamo, e qualcuno l'ha scambiata per amore, ma non è così! Non tollererò altri affronti simili!"

Sarus batté il pugno sul tavolo. Emeraude sussultò.

"Basta! Basta menzogne, principessa! Potrete mentire a voi stessa, ma certo non a noi! I fatti parlano chiaro. Le vostre preghiere sono inefficienti, non avete più il potere di prima"

"Mi accusate di essere una bugiarda?! Un momento, voi accusate me? Io sono la Colonna! Questo mondo dipende da me, sono la persona più importante! Non mi lascerò trattare così da voi. Né da voi né dal mio popolo! Farò una dichiarazione ufficiale se vorrete, dove dirò di fronte a Sephiro che io non amo Zagart! Tutto questo è assurdo!"

"Dichiarazione ufficiale? Siete impazzita?! Tutto questo va assolutamente taciuto al popolo!"

"Ma questo alimenterà le voci!"

"Non importano le voci, ormai contano solo i fatti, fatti che non potete negare. Se non sono imputabili alle vostre distrazioni amorose, allora come li spiegate?"

"Basta!" Emeraude si alzò in piedi, il viso livido di rabbia. "Che non mi si parli mai più in questo modo"

__________

Clef, all'interno della sala di controllo, stava alimentando una runa nuova, un incantesimo appena installato con l'aiuto di Zagart e Lantis. Un meraviglioso incantesimo occultato di monitoraggio. Permetteva di insinuarsi nelle stanze del castello come presenze astrali, delle specie di fili conduttori che ricevevano un segnale e lo inviavano alla sala controllo. Unico neo, a causa dell'occultamento arrivava solo l'audio.

-mia signora, state perdendo la vostra luce interiore, la vostra forza di volontà, perché le vostre attenzioni sono tutte rivolte ad un singolo individuo. Non negate-

"Che impiccioni... Ben detto, principessa! Se lo meritano proprio!"

"Che dicono, che dicono?" Ferio, sul ciglio della porta, saltellava dal nervosismo. Zagart si torceva le mani dalla rabbia, Lantis voleva poter sentire, e magari anche rispondere a tono a quei vecchiacci.

"Zitti, che non sento" purtroppo il segnale era limitato solo alla persona nella sala controllo, e poteva entrarvi solo una alla volta, per evitare conflitti con gli impulsi magici. "La solita tiritera. La principessa s'è presa una cotta ed ha la testa fra le nuvole, solo a tinte un pochino più fosche"

"E lei che dice?" domandò Zagart.

"Si sta arrabbiando"

"Dai, principessa, fagli vedere chi sei" disse Ferio con un sorriso soddisfatto.

"La pianti di dire cretinate? Ho detto che non sento! Un'intera mattina ad applicare l'incantesimo e poi non capiamo che dicono, sai che bello?"

"Ok, ok..."

"Ehi, aspettate" disse Clef corrugando la fronte. "Sarus sta alzando la voce"

"Che?"

"Ha sbattuto i pugni sul tavolo!"

"Cosa?!" urlò Zagart. "Come si permette?!"

"Che bastardo..." disse Lantis scuotendo la testa.

"Le grida contro! Ma guarda che figlio di cane!"

Zagart si girò.

"Lantis, acchiappalo, non voglio che prenda per il collo gli anziani. Almeno non senza di me"

"Che dicono adesso?" chiese Ferio.

"Che... aspetta... lei si è arrabbiata, parecchio. Adesso credo che si siano alzati in piedi. Sarus... Sarus la sta accusando di star mettendo Sephiro in pericolo, che lo sta facendo vacillare (ma figurati). Le dice che non ha capito l'importanza del suo ruolo, e lei risponde che stanno tutti esagerando (verissimo). Lui le dice che farebbe meglio a dire la verità e lei... mah, lei si fa una gran risata. Che strano... aspetta..."

-la verità, signori... parlate come se vi fosse stata infusa, come se voi ne foste il vessillo. Ma la verità cambia a seconda delle situazioni e delle persone. Credete che tutto sia limitato a vero e falso, ciò che non è vero deve per forza essere falso e viceversa. Luce ed ombra, bene e male. Il mondo non si limita a queste cose però. Le persone sono complesse, i sentimenti sono enormi! Ebbene, io amo Zagart, ma amo anche il mio popolo. Che la mia gente non me ne voglia a male, ma anche io sono umana! Anche io commetto errori! Però posso rimediare. strapperò questo sentimento, via, lo estirperò, con tutte le radici, se questo vuole la mia gente. Tornerò ad essere quella di prima. Adesso basta. Non posso più andare avanti così-

"Zagart, Lantis, Ferio: la questione ci è decisamente sfuggita di mano. Emeraude ha confessato tutto. Ora sono guai"

Zagart fu sul punto di dire qualcosa, ma le parole gli morirono in gola. Si girò e corse in direzione della stanza del Consiglio. Gli altro lo seguirono dopo un'occhiata fugace.

__________

"Va bene così?"

Nella stanza era sceso il silenzio.

"Va bene, no? Ho ceduto. Ora sapete tutto. E adesso che succede? La situazione cambierà, ora che ho confessato? Cosa volete da me, signori, che vi dica che il vostro mondo perfetto non vi si sta sgretolando sotto i piedi? No, non sta succedendo. Saprò sistemare tutto"

Mille aghi.

"Non dovete più preoccuparvi. L'ho ammesso di fronte a voi e a me stessa"

Mille aghi dentro al cuore.

"Saprò fare fronte a tutto ciò. Ma che non se ne parli mai più. I fatti, come dite voi, parleranno al nostro posto"

Non ho mai sentito tanto male.

"Vi dimostrerò che al cuore si comanda"

Ora ricordo qual'è il mio posto: tra le mie catene.

La porta si aprì. Zagart, Ferio, Lantis e Clef (per ultimo e con un gran fiatone) si precipitarono nella stanza. Emeraude, vedendoli, si illuminò con un sorriso. Si lasciò abbracciare da Ferio, che le sussurrò qualcosa all'orecchio per calmarla. Zagart si precipitò su di lei, chiedendole come stesse. Emeraude annuì, soffocando le lacrime.

Lantis e Clef, invece, molto meno inclini al romanticismo, stavano prendendo ben bene per il collo rispettivamente Sarus ed Irus (che per la verità c'entrava poco e niente, ma visto che a Sarus c'era arrivato prima Clef, Lantis per coerenza se l'era presa con quello più vicino).

Boccheggiando per la corsa a rotta di collo, Clef disse, decisamente infuriato: "Ma con quale diritto parlate in questo modo alla principessa?! Quello che fa lei non sono affari vostri, e certo voi non potete assolutamente rivolgervi a lei in quel modo!"

"Ma-ma-ma voi che diavolo... che ne sapete?!"

"Oh, no, guardate, non mi basta l'aria per raccontarvelo. Però lo sappiamo, e vi meritereste di essere ridotti a polpette sanguinolente e..."

"Clef?" disse Lantis.

"Che vuoi?!"

"Non sei molto minaccioso, veramente. Perché non usi metafore un po' più... non so, intimidatorie?"

"Dici? Si, in effetti -polpetta- non è proprio... oh, zitto, mi fai perdere il filo! Mi distrai!"

"Va bene..." e riprese ad inveire contro il povero Irus, che (poveraccio) era talmente sottile da non riuscire in alcun modo ad opporsi.

__________

Quando ebbero riportato la principessa nelle sue stanze la ragazza si sedette sul letto senza dire una parola. Nel totale silenzio degli amici che la fissavano si rassettò la gonna e carezzò distrattamente una ciocca di capelli. Guardò fuori dalla finestra.

Senza che il viso cambiasse espressione, le lacrime le scesero dagli occhi, ferendole le guance, scivolandole sulle labbra. Non singhiozzò, non si mosse. Zagart le si sedette accanto e, anche lui senza parlare, l'abbracciò piano, come se temesse di farle male.

"E' successa una cosa" disse la principessa dopo alcuni istanti, rompendo quel silenzio sinistro. "Una cosa grave"

"Il consiglio non potrà farvi più di questo" si intromise Clef. "Non vi daranno più fastidio, li metteremo a tacere. non preoccupatevi"

"No. Non sono loro che mi preoccupano, ma la veridicità delle loro parole. Non posso più negare nemmeno a me stessa. Io sono..."

Emeraude guardò fuori dalla finestra un piccolo uccellino che si era posato sul davanzale. Impaurita, la bestiola fuggì facendo fremere le ali.

"Io sono la Colonna, principessa di Sephiro. Non devo più dimenticare qual'è il mio compito"

"Ma gli altri non devono dimenticare la vostra umanità! Siete una persona, dopo tutto, come tutti gli altri!" Clef fece un gesto violento con la mano, le guance gli si velarono di rosso. "E' naturale che le persone si innamorino, è giusto! E' giusto che accada!"

"Giusto, sbagliato. Alla fine, finché il sistema funziona, non ha importanza"

"Invece ha importanza, e molta anche! Perché anche voi adesso vi piegate alle loro parole?"

"Mi sento come una piccola sfera di vetro, posta in cima ad una discesa ripidissima. Non posso tornare indietro, non posso fermarmi. Posso solo andare sempre più veloce. Così veloce che quando toccherò il suolo mi frantumerò"

Siamo uomini in balia dei nostri destini.

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Capitolo 10
*** Noi ***


Clef si strofinò il viso

Clef si strofinò il viso, cercando di scuotersi dal torpore che lo assaliva. Non era riuscito a dormire, e non per i soliti incubi. Emeraude non usciva dalle sue stanze da due giorni e non permetteva a nessuno di entrare. Nemmeno per portarle da mangiare. Lui aveva tentato di entrare in tutti i modi, ma non c'era stato verso di convincerla. Si sentiva frustrato, apatico. E aveva sonno. Un sonno che gli premeva pulsante contro le tempie.

Dopo la riunione del consiglio le cose, come aveva predetto la principessa, non avevano fatto altro che precipitare, sempre più inesorabilmente. Emeraude durante la sua reclusione non aveva speso nemmeno un pensiero per i suoi abitanti e questa mancanza si sentiva ovunque. Fuori, da ormai diverse ore, cadeva una pioggia impietosa, che frustava i vetri delle finestre. Clef si premette i pugni sulle orecchie, per tentare di escludere quel suono. Tentò di distrarre la mente. Non voleva dormire. Era mattina inoltrata. Non voleva sognare. Aveva ancora paura di quello.

Mezz'ora più tardi bussò alla porta dell'appartamento di Adele (o almeno sperava, perché ne aveva già provati una ventina). Non ottenne risposta. Bussò di nuovo, con maggiore insistenza. Una vocina flebile e appena udibile oltre la porta di legno gli rispose di aspettare un attimo. Clef attese. Dopo un po' apparve sulla soglia un'Adele tutta scarmigliata e con un vecchio vestito scolorito. Lei alzò lo sguardo.

"Non sono presentabile" e sbatté la porta.

Clef scoppiò a ridere e si passò una mano sul volto provato.

"Ah... nemmeno io lo sono. Abbiate pietà, so di non essere molto in forma oggi.

Adele, da dietro la porta di legno, pensò agli occhi che aveva appena incrociato: stanchi e malinconici. Aprì appena la porta.

"C'è qualcosa che non va?"

Clef rise di nuovo, ma forzando la voce.

"Qualcosa... fatemi un'altra domanda, per favore, credo sia meglio"

"Allora... posso chiedervi che cosa ci fate qui?"

Le guance del ragazzo si arrossarono di nuovo.

"Ecco... pensavo di invitarvi a... insomma..."

"...ad uscire?"

"Ecco"

"Alle dieci di mattina?"

"Beh... se volete una cena romantica a lume di candela, io non sono la persona che vi ci possa portare. Per la verità avevo in mente una cosa un po' diversa"

Adele lo fissò attentamente.

"Un attimo che mi vesto"

"Sì, ecco... a questo proposito, avete un paio di pantaloni?"

"Ehm... perché?"

"Sono essenziali"

"Ah... in questo caso li prendo dall'armadio di mio padre"

"Aspetto qui"

Adele richiuse la porta con uno sguardo interrogativo.

__________

"Le mani qui e qui, sì, brava. Adesso, forse vi sembrerà un po' pesante, avete le mani piccole e le braccia sottili, ma provate: alzate, ecco... un passo avanti e poi giù. Uh, non male per una signorina"

"Ma pesa tantissimo! Che fatica..."

"Ah ah ah! Sì, anche io le trovo scomode, ma Lafarga insiste nel farmi usare questo tipo. Io, con la mia costituzione, faccio fatica a manovrarle"

La sala d'allenamento della milizia era vuota, eccetto per loro due, che, con un leggero alone attorno al collo della maglietta, menavano fendenti ad un manichino semimobile, attaccato a delle catene. Adele tentò di nuovo di alzare la spada, ma perse l'equilibrio e fece qualche passetto indietro. Clef le strinse discretamente la vita e le diede un colpettino in avanti per ridarle stabilità. La ragazza lasciò andare l'elsa della spada. Quello era decisamente l'invito più strano della sua vita. Eppure, Adele sorrideva. Sorrideva tanto che le facevano male le guance.

"Aiuto, ho bisogno di una pausa"

"Ve la siete cavata bene"

"No... lo dite tanto per dire" tipica frase di chi vuole farsi fare un complimento.

"Invece no" Clef le sorrise, in quel modo tutto suo di sorridere. "Non dico mai le cose tanto per dirle"

Adele rispose al sorriso. Si sedettero su una panca di legno scricchiolante. Adele tirò un lungo sospiro.

"E' stata una cosa particolare, vero?" chiese il ragazzo.

"Sì" rispose lei. "Di tutti i posti questo sarebbe stato l'ultimo a cui avrei pensato. Fino ad ora ci sono stati solo fiori e passeggiate"

"Preferivate un mazzo di rose rosse ed una stradina di campagna costellata di lucciole?"

"No. Assolutamente no" disse lei ridendo. dietro al sorriso si nascondeva una leggera amarezza.

Clef rimase indeciso se chiedere o no, ma saper tenere a freno la lingua non era una dote che poteva vantarsi di avere.

"Perdonatemi l'indiscrezione, ma da come ne parlate sembra che questo promesso sposo non vi vada proprio a genio"

"Dire così sarebbe un eufemismo"

"Wow... forse era meglio non chiedere"

"E' solo che non mi tratta con rispetto. Sembra sempre che tutto sia dovuto, come se qualche regalo potesse comprare il cuore. E mai un per favore, e mai un grazie, e mai uno scusa... ma sicuramente vi sto annoiando. Scusatemi"

"No, nessun disturbo, non mi annoiate. Più che altro sorge abbastanza spontanea una domanda..."

"Perché siamo fidanzati?"

"Ecco"

Adele alzò le spalle.

"Non lo so. A me nessuno a chiesto niente"

"Un classico"

"Lo so" e cadde il silenzio.

Un lungo, pensante, interminabile silenzio, interrotto di tanto in tanto da rari colpi di tosse di Clef. Adele si girò verso di lui.

"Tutto bene?"

"Eh? Oh, sì..."

Adele volse lo sguardo al soffitto spoglio.

"Vi capita mai di sentirvi dire che potete scegliere, che siete liberi, e sapere che non è così?"

"Eh eh..."

"Lo trovate buffo?"

"No, per carità, non ridevo per quello. Pensavo tra me e me, tutto qui. Ma avete provato a parlarne con la vostra famiglia?"

"Sì. E il risultato lo avete visto anche voi"

Clef rimase un attimo in silenzio, lavorando con la memoria. Si fece scuro in volto.

"Il livido?"

Il silenzio di Adele confermò quelle parole.

"Ricordo. E voi ricordate questo: Se vi serve qualcosa, qualunque cosa, non esitate a rivolgervi a me, ve l'ho già detto"

"Vi ringrazio, ma cosa potreste fare?"

"Ho preso per il collo il più importante anziano del Consiglio, non crediate che mi farò remore per vostro padre, se dovesse ripensare che le parole non bastino per discutere"

Adele lo guardò con un sorriso.

"Voi siete gentile. Finirete con il cacciarvi in qualche guaio"

"Credetemi, sono già in un mare di guai"

"Vi riferite alla principessa? Ma cosa è successo?"

Clef si passò una mano sul viso.

"Credo che abbia avuto un crollo nervoso. Purtroppo sono giorni che non vuole vedere nessuno, me compreso. Ma basti dire che l'ultima volta che ho provato a parlarle, da dietro la porta, lei ha scagliato un incantesimo incendiario attraverso il buco della serratura. Ed era pure una bella camicia, quella che mi ha carbonizzato"

"La principessa vi ha ferito?!"

"Noo... figurarsi se basta una fiammella, lo ha fatto di proposito, così non mi avrebbe fatto niente"

La ragazza si carezzò una ciocca di capelli.

"Deve soffrire molto"

"Sì, credo anch'io. Però, scusate, parliamo di qualcos'altro?"

"Certo, avete ragione, Monaco Guida, io..."

"Ah, sì" disse Clef alzando la mano. "Quel titolo, Monaco Guida... lo odio. Non mi ci chiamate più. Cioè, per favore. Per me voi siete Adele, per voi ora io sono Clef. E basta"

La ragazza annuì, timida.

"Va bene... Clef. Oddio, è strano"

Clef rise. "Non lo è, avanti. Mi sta meglio Clef o Monaco Guida? Ho mica la faccia di un vecchio, antipatico politicante?" e si cimentò in un'irriverentissima imitazione di Sarus mentre riprendeva un'invisibile, inadatto Clef. Adele scoppiò a ridere, e lui si girò a guardarla.

"Avete un bel modo di ridere"

Adele si congelò nella posizione in cui si trovava. Sembrava tanto un tentativo...

"Gra...zie?"

"Siete una ragazza solare. Una persona come voi non dovrebbe nemmeno sapere cosa sia la tristezza"

Lei arrossì violentemente. Era decisamente un tentativo ma, accidenti, a lui non serviva affatto. Lei era già sospesa a diversi metri da terra!

Clef, piano, e cercando di nascondere un crescente imbarazzo (si sentiva un po' cretino, in effetti), le si accostò.

"Avete degli occhi bellissimi" -no, cavolo, è scontato!

"Grazie" -eheh, un po' scontato...

"Vorrei potervi rinvenir..." -NO!- "...rivedere! Volevo dire rivedere" -la gaffe no!

"Anche io" -è timido... oddio, perché non ti ho conosciuto prima?

Clef, di nascosto, incrociò le dita sotto la gamba. Si sporse verso di lei, Adele chiuse gli occhi. Un pensiero le fulminò la mente un attimo prima del bacio, ma lei lo lasciò fuggire lontano.

Le nostre azioni avranno delle conseguenze.

 

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Capitolo 11
*** Principessa ***


Nuova pagina 1

Quando tornò nella sua stanza, Clef si gettò sul letto tutto vestito e soffoco nel cuscino un grido di gioia. Rimase lì a respirare il proprio odore intrappolato nella stoffa. Era una cosa stupida, da ragazzini, e lui non doveva pensare da ragazzino, tutti si aspettavano da lui che si comportasse in maniera adulta. Ma quella felicità era troppo travolgente per poterla ignorare, e anche se agli occhi delle persone -più grandi- sarebbe sembrata una scemenza, per lui quello era un momento meraviglioso ed importante. Ricordava sua madre, che ne parlava sempre con un sorriso, nascosto dai lunghi capelli biondi; diceva che il primo bacio non si scorda mai, e per questo era importante. Dovevi scegliere bene la persona di cui ricordarti per sempre. E lui, in quel momento, affogato nel cuscino, era sicuro di aver fatto la scelta giusta. 

Adele, invece, chiusa nel silenzio della sua stanza, mentre osservava la madre che dormiva russando come un trombone, sentiva le dita formicolare. Forse perché il terrore le stava facendo fluire il sangue al contrario. Terrore di disobbedire, di trasgredire, di deludere, di sbagliare. C'era già uno sposo per lei. Un matrimonio di convenienza, come quelli delle favole che le vecchie matrone raccontavano nei giardini popolari ai bambini. Storie dove l'amore non si può comprare, dove la sincerità trionfa sempre e dove c'è una linea netta tra cosa è giusto e cosa non lo è. Invece, si rese conto la ragazza, nella vita fuori dalle favole la sincerità non trionfa mai e l'amore non è altro che una moneta. Questo in cambio di quello. Un prezzo così alto.

Adele si accostò in silenzio alla madre. Squadrò quella donna avviluppata nel lenzuolo. Una donna che si era innamorata di un uomo e che aveva deciso di seguirlo per tutta la vita. Eppure quella donna aveva sbagliato. Sua madre le diceva che lui era cambiato, ma Adele arricciava sempre il naso: le persone non cambiano. Mai. I redenti non esistono. Lei lo aveva capito quando suo padre, per la prima volta, l'aveva picchiata. Le aveva spaccato un labbro. Lei ricordava quell'uomo enorme chinarsi su di lei e abbracciarla, chiedendole scusa. Ma lei le scuse non le sentiva, non poteva, assordata dal fischio delle orecchie.

Crescendo si era resa conto che suo padre non era un uomo poi così enorme, e addirittura da un po' di tempo si era accorta che quell'uomo era quasi minuto. Piccolo, debole, vecchio. Insignificante. Veramente importante. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Quale figlio è capace di rinnegare un genitore alla tenera età di quattordici anni?

la loro non era una famiglia povera. Il matrimonio era stato combinato per cortesia. Il padre dello sposo ed il suo erano vecchi amici, ed il figlio del primo si era innamorato di Adele. Suo padre aveva proposto un fidanzamento. Quando le fu cordialmente chiesto il suo parere Adele non disse no, ma nemmeno disse sì. Si limitò a dire che se il padre fosse stato in disaccordo con un suo diniego, allora avrebbe accettato.

Non era insolito a Sephiro far sposare due ragazzi. La maggiore età si raggiungeva a quindici anni. In pratica, l'anno successivo, i due si sarebbero sposati, nonostante Adele sentisse freddo ogni volta che ci pensava, nonostante lui avesse vent'anni, nonostante la sincerità non trionfasse e l'amore fosse solo una moneta.

Adele non sapeva perché il padre la picchiasse, né lo aveva mai domandato. Non era importante, perché nulla avrebbe giustificato le azioni di quell'uomo, che lei stentava a chiamare papà. La madre, che era una donna debole, non si era opposta. Si limitava ad abbracciare la figlia e a metterle qualche cerotto. Poi le comprava dei vestiti graziosi, dei dolci, le chiedeva scusa in quel modo. Adele guardò di nuovo sua madre nel letto, poi il suo sguardo scivolò su uno dei cuscini. Dopo un attimo di esitazione si girò verso l'armadio e cominciò a spogliarsi.

Adele era una ragazza debole, esattamente come i suoi genitori. in tutta la vita non aveva mai trovato il coraggio di ribellarsi. Ma non avrebbe rinunciato per nulla al mondo alla sensazione che le dava stare con Clef. Forse si era innamorata, quella grazia le era stata concessa. Ma le persone senza spina dorsale come lei, che si lasciavano trascinare dalla vita, non avevano il diritto di essere felici. Lei non meritava quel ragazzo che invece era stato così forte da far fronte a tutte quelle difficoltà. Scosse la testa. eppure non riusciva nemmeno a ribellarsi al suo cuore.  

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Capitolo 12
*** Mutevole ***


Nuova pagina 1

Erano passati sei giorni da quando la principessa Emeraude si era rinchiusa nelle proprie stanze senza uscirne mai. Quella mattina, invece, l'enorme portone decorato dell'ingresso all'ala si stava aprendo in uno spiraglio e la figura minuta della Colonna era scivolata fuori. Si guardò a destra e a sinistra, assicurandosi che non ci fosse nessuno nel corridoio e con passo felpato svoltò a sinistra, tirandosi su la lunga gonna per non inciampare. La moquette che ricopriva il pavimento ovattava il suono del suo passaggio, così un paio di guardie di ronda non la notarono mentre si nascondeva un po' impacciata in un angolo. Quando i due passarono oltre, lei non seppe se essere contenta per non essere stata vista o preoccupata per avere delle guardie così inefficienti. Scelse la seconda opzione quando quello di destra si esibì in uno sbadiglio davvero indecente.
Le guardie svoltarono l'angolo e lei si rimise in marcia. Il corridoio terminava, dopo un lungo tratto, di fronte ad un portone enorme, sempre tutto decorato con immagini di cui ad Emeraude sfuggiva il significato. La ragazza fece un gesto con la mano e la porta si aprì da sola, animata dalla magia della Colonna. sempre assicurandosi che la strada fosse sgombra, la principessa si avventurò oltre la soglia. Dopo diversi minuti che camminava si accorse che le sue scarpe ticchettavano sul pavimento. A quanto pare la moquette era terminata al grande portone e non l'aveva seguita fin lì. Rise della propria distrazione battendosi un palmo sulla fronte, poi si levò i minuscoli tacchi dai piedi e li tenne in mano.
Dopo una lunga camminata, Emeraude si era resa conto che chiunque avesse progettato il castello (che esisteva in quella forma da prima della sua investitura a Colonna Portante) non era una persona normale, o quantomeno eccessivamente dedita alle lunghe passeggiate. Arrivata finalmente alla porta che rappresentava la sua meta, le pulsavano i piedi di dolore, con tutto che era scalza.
Quando aprì la porta, che incredibilmente era di dimensioni normali e non gigantesche, lasciò che il profumo del pane fresco le inondasse le narici. Continuò a guardarsi intorno, anche se l'atrio era minuscolo e non le permetteva di vedere tutta la stanza, che era enorme. tuttavia, a quell'ora nelle cucine non veniva nessuno e le dispense di cibo venivano lasciate incustodite. Emeraude si richiuse la porta alle spalle e si addentrò nella sala. Quando fece per aprire il primo sportello un suono la fece sussultare e per poco non gridò. Si voltò di scatto.
Dietro di lei, sdraiato con la faccia sul tavolo, affogata nelle braccia, Clef dormiva con la bocca leggermente aperta ed una tazza in mano. Emeraude dovette impedirsi di ridere , poi si voltò e riprese a rovistare tra gli scaffali.
Una cosa, poi un'altra, alla fine la ragazza si ritrovò piena di roba tra le mani, con il risultato che i suoi movimenti erano un po' goffi. Quando tentò di allungare la mano per prendere un cestino contenente della frutta, fece cadere la boccetta che giaceva lì accanto e non riuscì ad impedire il peggio: quella si sfracellò a terra e Clef, dietro di lei, alzò la testa di botto.
"Sveglio! Sono sveglio! Stavo solo..." girò lo sguardo verso la principessa e i suoi occhi furono attraversati dall'incertezza. "Oh. Beh, almeno adesso so di non essere l'unico che ha fame fuori orario"
Emeraude gli sorrise, grata della sua reazione spontanea.
"Come state?" chiese Clef, mentre lei prendeva posto accanto a lui.
"Bene. Mi pare bene. Almeno meglio di quando ho sigillato la porta delle mie stanze"
"Meno male" rispose Clef, portandosi la tazza alla bocca. "Che schifo, s'è freddata"
La ragazza fece una piccola risata.
"Mi dispiace per quello che sto facendo passare a tutti voi, davvero. Scusatemi"
"Non dovete scusarvi di nulla, principessa. In verità dovremmo essere noi a chiedere il vostro perdono per essere così irrimediabilmente deficienti"
"Tu sarai sempre dalla mia parte, vero?" chiese lei con un sorriso.
"Non c'è nemmeno da chiedermelo"
Emeraude annuì. "Lo so"
Clef posò la tazza sul tavolo rinunciando definitivamente a bere l'intruglio che ondeggiava all'interno. "E adesso che avete intenzione di fare?"
La principessa si strinse nelle spalle. "Immagino quello che avrei dovuto fare prima che iniziasse tutta questa storia"
"Cioè?"
"Il mio lavoro. Mi metterò d'impegno nelle mie preghiere, risanerò i danni che ho fatto al mio pianeta e la mio popolo con la mia negligenza, mi farò perdonare dal consiglio"
"Non mi riferivo a questo"
Emeraude rimase per alcuni istanti in silenzio.
"Non lo vedrò più. E basta"
Clef annuì, lo sguardo basso, piantato sulla tazza.
"Ma..." continuò la principessa. "...credo che non sarà facile. Non tanto per me, quanto per lui"
"In che senso?"
"Io impedirò a me stessa di vederlo, ma tu dovrai impedire a lui di vedere me" rispose lei. "Naturalmente, solo se accetti di aiutarmi"
Lui annuì di nuovo, sempre senza smettere di guardare la tazza.
"Certo"

"Ho sentito" disse Lantis. "Che Emeraude si è rimessa a pregare. Tu che mi dici?"
Ferio annuì. "Sì, è vero. Io ho poco da dirti, non ne abbiamo parlato. Sembra solo... non lo so, mi sembra diversa. Secondo me ha preso una decisione"
"Che decisione?"
"Zagart o Sephiro. E credo che abbia scelto Sephiro"
Lantis annuì. "Probabile. Comunque tutto questo silenzio non mi piace. Mi sa tanto di Consiglio che non si fa gli affari suoi"
"Non ti so dire. Per la verità, questi giorni non sono nemmeno stato tanto a palazzo. Non reggo la tensione. la gente mi guarda come se sapessi tutti gli affari di mia sorella. Se ne vuoi sapere di più, pare che Clef sia la persona giusta a cui chiedere"
"Perché Clef?"
"Emeraude parla solo con lui. E' l'unico che lascia entrare nelle sue stanze. Ha anche avuto una discussione con Zagart"
Lantis chiuse gli occhi. "Lo so, me ne hanno parlato. Quando gliel'ho chiesto, Zagart non ha voluto rispondermi. Pare che sia stata una cosa molto animata"
Ferio si alzò e si apprestò ad uscire dal piccolo gazebo.
"Animata dici? A me è stato riferito che Zagart abbia preso letteralemnte Clef per il collo e lo abbia sollevato da terra, urlando qualosa come -tu non t'immischiare-. Ma è pur vero che la gente tende ad ingigantire le cose"
Lantis si strinse nelle spalle.
"Alla fine sono tutti e due dei tipi irascibili"
"Non credi" disse Ferio "Che dovremmo fare qualcosa anche noi?"
"Certo che dovremmo, ma cosa potremmo fare? Ti viene in mente niente?"
Ferio parve riflettere. "No. Niente".
poi si voltò verso Lantis. "Forse dovremmo andare a parlargli"
"A chi?"
"A tutti e due"
Lantis scosse la testa. "Basta. le parole non servono più, a questo punto. Forse il nostro problema è che abbiamo perso troppo tempo a parlare mentre ci servivano delle azioni"
Ferio annuì. Poi aggiunse:
"ma è anche vero che a parlare con il senno di poi sono capaci tutti"
"Sì"
A quel punto Ferio si girò e lasciò definitivamente il gazebo. Quando il ragazzo si fu allontanato abbastanza, Lantis si prese la testa fra le mani e rimase a fissare il tavolo di fronte a lui.
Non seppe con esattezza quanto tempo era passato, ma ad un certo punto una mano sulla sua spalla interruppe la sua catena di pensieri. Lantis si voltò e si ritrovò davanti l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere.
Sarus prese posto di fronte a lui con le movenze caute degli anziani.
"Tanti pensieri, giovane guerriero?"
Lantis, ancora sbigottito, ci mise un po' a rispondere, e anche quando ritrovò le parole non seppe che dire uno strozzato -sì-.
"Bene. E' una buona cosa. Odio le persone che non pensano. E dimmi, sono belli, questi tuoi pensieri, oppure sono turpi?"
"Temo" rispose il cavaliere. "Che non siano esattamente positivi"
"Pensate a vostro fratello?"
"E chi non ci pensa, ormai? Non si parla d'altro, a palazzo"
"Lo so." disse Sarus annuendo. "La gente parla. Ma sapete che vi dico? Lasciatela parlare. Sarà la noia, sarà la cattiveria, al popolo piace spettegolare. Che lo facessero. Alla fine sono i fatti soltanto che contano, e i fatti sono che Emeraude ha ricominciato a pregare per Sephiro, e noi non abbiamo bisogno d'altro"
"Un cambio repentino del vostro punto di vista"
"Sbagli. Il mio punto di vista non cambia, ma mi piace vedere le situazioni con gli occhi degli altri e capisco quello che la principessa prova, quello che tutti provate. tuttavia, ora che la situazione è cambiata, non ho più motivo per agire come facevo prima, quindi cambia il mio modo di rapportarmi con questa situazione in funzione del mio punto di vista"
"E non state tacendo voi le voci?"
"Beh, qualcuna cerchiamo di zittirla, ma non me ne preoccuperei più di tanto. Quelle non alimentano il fuoco più di quanto non lo facciamo già noi da soli. Alla fine,come ho detto, la situazione è cambiata ed è necessario cambiare anche il modo di rapportarsi con la nuova situazione"
"E' un discorso molto contorto"
"A differenza di te, mio caro ragazzo, a me piace usare tante parole per dire quello che tu esprimi con un gesto. Sarà la vecchiaia, chissà. Quando raggiungi la mia età vuoi che tutto abbia un senso e che non ci sia nulla di inutile"
"Ora quindi state dalla parte della principessa?"
"Lantis, non esistono fazioni. Solo punti di vista. C'è il mio, c'è il tuo, quello del Gran Sacerdote e della principessa, quello del Monaco Guida, accidenti a lui. Tutti hanno ragione"
"Non è vero signore. Io credo che giusto e sbagliato esistano"
"Oh, ma certo. Ma sono mischiati, e soprattutto sono mutevoli. Un giorno, forse, lo capirai"
Detto questo Sarus si alzò, sempre molto cautamente.
"Signore" gli disse Lantis prima che il vecchio se ne andasse. "Mio fratello sa quello che fa, non preoccupatevi per lui"
"Sei gentile" rispose Sarus, voltandosi appena. "Sì, Zagart sa ciò che fa, ma vorrei saperlo anche io. Vorrei sapere che cosa pensa"
"Mio fratello è molto difficile da capire"
Il vecchio annuì. "Mi auguro soltanto che non lo capiremo troppo tardi"

__________
-AUTRICE CHE SI INTROMETTE- Dodicesimo capitolo! E solo adesso io ho imparato un minimo di HTML, abbastanza per cambiare l'-a capo- e togliere tutti quei vuoti. Che ne dite, è meglio così o come era prima? RECENSITE! *manina che saluta*

 

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Capitolo 13
*** Tempo ***


Nuova pagina 1

"Ma perché non posso parlarle?!"
"Perché lei non vuole, quante volte te lo devo ripetere?!"
Zagart si ritrasse facendo sbattere il mantello nero. Clef si asciugò di nascosto una goccia di sudore dalla fronte, mentre cercava di ridarsi un'aria composta.
"Non puoi impedirmi di incontrarla"
"Lo sto facendo"
"Sì, ma non potrai farlo in eterno. Né tu né lei potrete continuare così ancora a lungo"
"Non capisco, Zagart, che stai facendo? Cosa stai cercando?"
"Che vuoi dire?"
"Un amico tra tutti questi sguardi ostili? O un nemico, qualcuno che abbia torto, torto marcio, a cui dare tutta la colpa. Qualcuno che abbia più colpa di te"
"Non essere sciocco, Clef. Non è colpa di nessuno"
"Dici? Forse l'amore non dipende dalla nostra volontà, ma il modo in cui si gestiscono i sentimenti è un'altra cosa" <
Zagart rise, ma senza gioia.
"Amore? E tu che ne sai dell'amore? Tu che ti vedi di nascosto con una ragazzina incapace di prendere in mano la propria vita, che si nasconde dietro un sorriso ingenuo. E tu le vai dietro come una cane obbediente"
"Questi non sono affari tuoi"
"Dimmi, chi è che non sa gestire i propri sentimenti adesso, eh?"
"Quello che c'è tra me ed Adele, qualunque cosa sia, non influenza in alcun modo il futuro di Sephiro, quindi non c'entra niente!"
Clef fece un passo in avanti, sentendo montare la rabbia.
"Tutte le tue azioni, invece, sin da quando hai scelto di imboccare questa strada, stanno scrivendo una pagina di storia per il nostro mondo! Dalle tue decisioni potrebbero dipenderne le sorti, te ne rendi conto?!"
"Stai esagerando!"
"Prima lo credevo anche io, invece adesso so che non è così! Il nostro  mondo è fragile, perché si basa su una ragazzina! Sconvolgere la vita di Emeraude significa sconvolgere Sephiro!"
"Lei deve essere liberata da queste catene"
Clef si ricompose e prese fiato. Stava sudando freddo e sentiva un dolore sordo al petto. Cercò di respirare regolarmente, ma aveva il fiato corto.
"Le tue parole sono molto toccanti. Ma, scusa se distruggo la tua vena poetica, di queste frasette da damigelle non ce ne facciamo niente"
"Te lo chiedo per l'ultima volta, Clef: spostati"
Il monaco guida scoppiò a ridere con una punta d'amarezza nella voce.
"E se non mi sposto che fai? Mi attacchi?"
"Potrebbe essere un'idea"
"Non essere sciocco"
"Credi che non ne avrei il coraggio?"
Clef digrignò i denti.
"Tu devi imparare quali sono... i limiti da non superare"
"Anche Sephiro dovrebbe impararli"
"NON E' UNA QUESTIONE POLITICA, NE' TANTO MENO ETICA! SEMPLICEMENTE EMERAUDE HA DATO UN ORDINE PRECISO ED IO HO INTENZIONE DI OBBEDIRE!"
Zagart si passò una mano tra i capelli della frangia, umidi di sudore.
"Va bene. Adesso basta. Dì ad Emeraude che se vuole fuggire, facesse pure. Io non scapperò davanti ai miei sentimenti"
"Non è una questione di sentimenti. Qui si tratta di un dovere verso un intero mondo"
"Vero, Clef. Ma esiste anche un dovere verso sé stessi e la propria libertà"
Clef ammutolì.
"E questa, amico mio, non è libertà"

"Fratellino?"
Clef si girò guardando Plesea con uno sguardo appannato.
"Eh?"
"Fratellino, è la terza volta che ti chiamo"
"Oh" il ragazzo si passò una mano sul viso. "Scusa"
"Stai bene?"
"Un fiore"
"Cos'è successo con Zagart" gli chiese la ragazza mentre gli indicava un posto a sedere.
Clef lo occupò abbandonandocisi sopra con poca grazia, nascondendo la faccia tra le mani.
"Chiedi in giro. Questo genere di notizie vola di bocca in bocca come una freccia"
Plesea gli si accostò e gli passò un braccio attorno alle spalle. Dopo un po' di esitazione il ragazzo le si appoggiò pesantemente.
"Che succede?"
Sono stanco.
"Niente"
"E la principessa?"
"Chiusa nelle sue stanze, che si impedisce di incontrare Zagart. Cioè, che si impedisce di impedire a Zagart di incontrarla, giacché devo farlo io"
"Coraggio, fratellino. Prima o poi questa storia finirà"
"Oh, lo so. Ma, come dire, non sono sicuro che finirà in gloria"
Rimasero così. In silenzio. poi Plesea riprese fiato, dopo diversi minuti.
"E Adele?"
"Che vuoi sapere?"
"Qualcosa"
"Qualcosa che?"
"Come va"
"Bene. Cioè, no. Non lo so"
"Cioè?
"Beh, se pensi che ancora non ha detto niente a quell'altro..."
"Immaginavo. Devi dirle qualcosa"
"Credi che non lo faccia? Quattro mesi che ci vediamo di nascosto, credi che io rimanga zitto e buono?"
"E lei?"
"-appena sarà il momento opportuno-. E certo. E io sono un cretino"
"Non è da te una reazione del genere, Clef"
"E quale sarebbe una reazione 'da me'? Andare la e prenderli per il collo entrambi?"
"Sei solo stremato da questa storia di Emeraude. Vedrai che quando si risolverà andrà tutto meglio"
"Mmmh..."
Plesea lo abbracciò più forte, e lui si lasciò abbracciare. Chiuse gli occhi. Tutto quel caos, quelle cose a cui pensare. E quei sogni che non gli davano tregua. Troppe cose da risolvere, e non aveva idea di come fare. Le cose gli scorrevano tra le dita, fuggivano via. E lui non poteva farci niente. E il tempo passava. E inveece di migliorare le cose le logorava, le arrugginiva, le divorava. Tutto senza che si potesse fare niente per evitare che quella pallina di vetro che precipitava a gran velocità continuasse ad accelerare. E Adele, che rischiarava i suoi giorni neri, non riusciva, esattamente come aveva detto Zagart, a prendere in mano la propia vita. Quella sera si erano dati appuntamento nei giardini esterni, ma lui non era sicuro di voler andare. sentiva di dover fuggire. Lontano. Eppure a volte non esistono luoghi abbastanza lontani per sfuggire alle nostre sciagure.

Adele aveva detto di incontrarsi alle panchine nell'albereto. Spero di non aver fatto troppo tradi.
La cercò con lo sguardo tra i tronchi d'albero e le foglie che cadevano in lunghe piroette. Dopo alcuni istanti di gelo la vide, seduta sotto un albero basso, con una lunga giacca, che tremava di freddo.
"Ciao" le disse con dolcezza quando le si fu accostato.
Lei sobbalzò e quando lo riconobbe il suo viso arrossato dal vento si illuminò di un sorriso radioso.
"Ciao"
"Stai bene?"
"Sì. Tu?"
"Abbastanza"
"Ho sentito di quella cosa"
"Di Zagart?"
"Sì"
"L'hai sentita tu e tutto il resto della popolazione"
"Tu stai bene davvero?"
"A grandi linee sì. Ma non parliamone"
"Fa bene parlare"
"Uhm. E che mi dici del nostro terzo incomodo?"
"Ah. Lui"
"Parlare fa bene"
"Sì. Ma fa anche male se non stai attento a quello che dici"
"Ma fa anche male restare zitti. Si rischia di far soffrire le persone a cui teniamo"
"Non dirlo. Lo so già"
"E allora fa qualcosa"
"Tu non capisci"
"Non vorrei che tu ti sentissi offesa da quanto sto per dire, ma forse sei tu che non capisci. in questo modo ferisci me che non posso essere libero di starti accanto come vorrei e che non posso salutarti o abbracciarti o baciarti senza essermi prima guardato bene intorno, e fai male a lui, che certo se ne sarà accorto, bene o male"
"Tu dici?"
"E' un idiota?"
"non è un genio, ma, no, stupido non direi..."
"Allora se n'é accorto. Quantomeno percepisce un cambiamento nel tuo modo di stare con lui"
"credi che soffra?"
"Non lo so. Credo di sì. Francamente non mi interessa. Tu soffri?"
"Un po'"
"perché?"
"Vorrei essere capace di fare quello che devo"
"Ti ho già detto: vuoi che lo faccia io?"
"No. Lui è' il mio promesso. Devo farlo io"
"Sì"
"E tu mi sarai vicino?"
"Io ti sono vicino sempre"
"Frase tipica" disse lei con un sorriso.
"Non mi importa. E' sincera"
"Già. Basta essere sinceri?"
"Solo in amore, temo"
Scivolarono nel silenzio. Un silenzio che si portava via le parole, che non servivano. Accostarono le labbra l'uno all'altra e si baciarono a lungo, sotto le foglie che cadevano. Clef osò passarle le mani attorno ai fianchi e stringerla a sé. E poi le mani dai fianchi salirono ed osò un po' di più.
"Clef?"
"Sì?"
"Ma tu mi ami?"
Clef rimase in silenzio, poggiando la testa sui capelli di lei.
"Beh... quando sono con te sono felice, e quando te ne vai la stanza è vuota. e se ci sei tu non mi importa del resto. Se stiamo insieme mi sento bene, e quando posso sfiorarti mi fa male il cuore. E per stare bene mi basta che stia bene tu. E il resto non ha senso se ci sei. E non saprei che altro dirti, perché non so descriverlo a parole. Ve bene come risposta?"
Lei sorrise.
"Sì. Va bene"
Clef la abbracciò ancora più forte, quasi facendole male. Con le mani non azzardava, nonostante sentisse di aver preso maggiore confidenza con lei. Starle così vicino gli procurava quasi un dolore fisico. Un dolore dolcissimo. Adele si scostò da lui e lo guardò con occhi intesi, scuri e acquosi come quelli di un cerbiatto.
"Ti sto facendo soffrire"
"Non devi preoccuparti"
"Invece sì, che devo preoccuparmi. Insomma, sono quattro mesi che giro intorno a questa storia. Quattro mesi. Quattro mesi durante i quali ogni gesto tra noi è proibito. Non ce la faccio più"
"Ma allora digli la verità, a questo tizio... a proposito, non ho idea di come si chiami" abbozzò un sorriso.
"Che ti importa del nome? Non voglio pronunciarlo quando sto con te. Non voglio pensare a nient'altro, quando sto con te"
"Sì, ok, ma non cambiare discorso buttandomela sul romantico" le disse sempre sorridendo. "Devi parlargli il prima possibile"
"Lo so, smettila di ripetermelo" rispose lei, con una punta di acidità nella voce.
"Lo sai? Eppure non hai ancora..."
"Non trattarmi in questo modo. Tu non hai idea di come mi senta"
"Fammi capire, io non sono parte di questa storia da quando? Da quando non sono più coinvolto e parte determinante? Mi devo essere perso un passaggio"
"Certo che sei coinvolto, ma tu non devi fare quello che faccio io!"
"Credimi, dovessi farlo io, tu non avresti di che lamentarti"
"Ma è diverso!"
"Accidenti! Diverso che!"
"Tu sei forte! Tu ce la fai, io no! Io non sono come te, lo vuoi capire? Io certe cose non riesco a farle!"
"E beh, allora le lasciamo a metà, così è meglio! Ma ti rendi conto che i discorsi che fai non hanno senso? Ti ascolti, almeno, quando parli?"
"No, Clef, tu dovresti aiutarmi, mettermi a mio agio, non in soggezione"
"Ma che divolo, sono mesi che ti metto a tuo agio, adesso fa qualcosa! La tua vita dipende da te!"
"No, non è vero, e lo sai"
"Non è vero perché tu per prima ti fai comandare dagli altri. Tu affoghi nel fango, Adele, ma non hai nessuna intenzione di venirne fuori"
Adele si alzò scanzando lui con uno spintone. Poi la ragazza corse via, e lui la lasciò andare, incapace di muoversi. Non voleva ferirla, ma lei lo aveva fatto imbestialire. Cercò di ralentare il respiro mentre le orecchie gli si tingevano di rosso. Il vento gelido cominciò a sferzargli i capelli, ma lui non se ne curò. Adele sembrava un sogno che veniva tutte le notti, ma che alle luci del giorno spariva, di nuovo, e di nuovo ancora. E lui rincorreva quel sogno che non voleva farsi prendere. Una donna così non l'avrebbe mai immaginata al suo fianco, eppure non poteva fare a meno di lei. Semplicemente, non esisteva nient'altro. Non aveva mai provato un sentimento simile, che lo lacerasse con la sua forza. Non sapeva davvero che fare. Purtroppo, però, per rispettare promesse fatte a lei mille e mille volte, non poteva che rimanere in silenzio e dare tempo al tempo. Ancora, e chissà per quanto.
Sollevò timidamente gli occhi al cielo. Doveva essere notte, ormai. Doveva tornare.

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Capitolo 14
*** Errore ***


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Il giorno seguante Clef si stava dirigendo verso le stanze della principessa quando vide spuntare da dietro un angolo Adele, che camminava con passo lento e gli occhi piantati sul pavimento. Senza pensare, Clef chiamò il suo nome, pentendosene immediatamente. Adele sollevò di colpo lo sguardo ed il suo volto si dipinse di paura. Prima che lui potesse aggiungere qualcosa si voltò e cercò di fuggire da dove era venuta. Ma, in quel fatidico istante di ritardo, comparve da dietro lo stesso angolo quell'uomo a cui lei era promessa. Adele mise le mani sulla bocca e Clef non fu abbastanza rapido di riflessi per darsi un'aria disinvolta, rimanendo con la mano protesa e l'espressione di chi è felice di rivedere l'oggetto del proprio tormento. L'uomo non ci mise molto a tirare le proprie somme, o semplicemente a confermare un sospetto. Prese Adele per un braccio tirandola accanto a sé e riprese a camminare in direzione di Clef, che ora aveva cambiato espressione e tentava di dissimulare i suoi sentimenti. Quando furono vicinissimi i loro sguardi si incrociarono e non servirono le parole, a quell'uomo, per farsi capire. Clef fremette, forse di rabbia o di gelosia, o forse di timore. Perché in quegli occhi ardeva la scintilla dell'ira che cova. Poi i due si allontanarono e sparirono. Clef, rimasto solo, tuffò il viso nelle mani e gridò in silenzio, aprendo la bocca e sibilando, sentendo la testa pulsare forte. Ora che il promesso di Adele si era accorto di loro due, la ragazza avrebbe potuto agire in tre modi: o rivelando tutto, che forse era la soluzione migliore (e tuttavia Clef non voleva che Adele parlasse senza di lui al suo fianco, temendo la reazione dell'uomo), oppure avrebbe negato tutto. O forse non ne avrebbero parlato e basta, perché a ben pensarci quei pochi gesti di prima erano stati estremamente chiari.
Un clangore sordo alle sue spalle lo fece sobbalzare, riscuotendolo dai suoi pensieri: due guardie, in armatura completa (su cui brillava lo stemma imperiale, una pietra ottagonale azzurra come uno zaffiro) e con l'elmo sottobraccio stavano parlando tra di loro. Quando lo incrociarono fecero una profonda riverenza (profonda quel tanto che le armature consentissero loro). Clef rispose con un inchino un po' impacciato, poi, guardando i soldati allontanarsi, continuò per la sua strada.

Quando giunse nelle stanze di Emeraude, a cui lui solo fra tutti i funzionari di palazzo poteva accedere grazie ai vincoli magici applicati dalla principessa al portone d'ingresso, trovò la ragazza seduta sul pavimento con un libro in mano. Emeraude alzò lo sguardo e sul suo viso comparve un'espressione preoccupata.
"Oddio, che hai fatto?"
"Perché?"
"Sei bianco come un morto... vuoi sdraiarti?"
Clef scosse la testa. "Non è niente"
"Sai" disse la principessa, lasciando cadere il libro e dirigendosi verso di lui. "E' da un po' che dici che non hai niente"
Gli si parò davanti.
"Avanti" e gli prese il viso tra le mani con dolcezza. "Parliamone"
Le parole di Emeraude erano state piene di calore, invece la risposta di Clef fu fredda e secca.
"Temo che ci abbiano scoperti"
"Chi?"
"Me e Adele. Siamo rimasti in silenzio troppo a lungo, incapaci di nascondere i nostri sentimenti o di prenderci le nostre responsabilità"
"Raccontami"
Clef le parlò di quanto era accaduto poco prima, e lei continuò a guardarlo con apprensione per tutta la durata del racconto.
"E' una situazione complicata, invero"
Clef si limitò ad annuire, incapace di parlare a causa di un insistente nodo alla gola.
"Posso farti una domanda estremamente personale?"
Il ragazzo annuì.
"Tu la ami?"
Clef si irrigidì. Seguirono istanti di silenzio, che si compattarono in un lungo momento muto, durante il quale Emeraude fissò gli occhi di Clef scattare inconsciamente mentre lui si interrogava.
"Sì" fu alla fine la sua risposta.
"tanto?"
"Sì"
"Sinceramente?"
"Sì"
"E vuoi che lei sia felice?"
"Certo"
"Anche senza di te?"
Clef la guardò dritta negli occhi. Parve sorpreso dalla domanda, ma subito il suo sguardo cambio. E nel tono della sua risposta non c'era ombra di incertezza.
"Naturalmente"
"Allora" disse Emeraude "Andrà tutto bene"
"Eh?"
"Se lei ricambia i tuoi sentimenti sarà difficile riuscire a separarvi, quindi non hai di che preoccuparti. E non starti a domandare se lei effettivamente provi per te le stesse cose, che ti complichi solo la vita. In ogni caso, è giunto il momento di dire la verità al nostro terzo incomodo"
Clef annuì.
"Le cose brutte non si fanno mai attendere abbastanza, eh?"

Clef, non sapendo come fare a mettersi in contatto con Adele senza metterla nei guai, si era appostato sotto la sua finestra (peraltro veramente minuscola), con un piccolo foglio tra le mani. Su questo, poche righe scritte con la calligrafia curata di chi ha riflettuto prima di segnare la carta.

-Ciao, sono io.
Spero che tu stia bene, che tutto sia andato nel migliore dei modi possibili. Perdonami per il mio errore, e perdonami anche per questa lettera così minuscola, ma non volevo peggiorare le cose. Vorrei essere lì con te, e stringerti la mano, perché so che soffri. Ti prego di essere forte, anche se è difficile. Però ricorda:
non sei mai sola. Non lo sarai mai più-

Aveva riletto quelle righe mille volte, senza che gli piacessero. Ora fissava il foglio, inebetito. Pronunciò veloce alcune parole contorte: il foglietto si piegò da solo su sé stesso due volte, poi prese la forma stilizzata di un uccellino e spiccò il volo, animato da un incantesimo che Clef aveva imparato a scuola, qualche anno prima, per barare agli esami.
Ci ripensò con un sorriso, mentre quella letterina si infilava a fatica nella finestra della ragazza. A quel pezzetto di carta, che nessuno poteva aprire se non la persona che doveva riceverlo, Clef affidò i suoi sentimenti. Così si allontanò, con le mani nelle tasche, immaginando le possibili risposte di lei.

Ma Adele non rispose. Né il giorno dopo, né quello ancora. Né per le due settimane successive. E nella mente di Clef cominciarono ad accavallarsi le ipotesi più terribili. Tanto che, dopo due intere settimane, non poté più aspettare. La andò a cercare, contro ogni rigor di logica, prima nell'ala del palazzo dove lavorava, infine a casa sua. Lì, dopo diversi colpi violenti contro la porta, gli aveva aperto il fidanzato di Adele, che, vedendolo, lo squadrò con astio.
"Cosa volete? Questo non è posto per voi"
"Voglio parlare con Adele"
"Temo, Monaco Guida, che lei non abbia nulla da dirvi"
L'uomo fece per richiudere ma Clef, che sentiva montare la rabbia, sbatté la mano contro la porta, fermandola.
"Che le hai fatto?"
"Nulla che voi dovreste sapere"
"Questo lo decido io"
"Non la vedrete, Monaco Guida"
"Anche questo lo decido io"
"Non c'è nulla, per voi, oltre questa porta"
"Indovina? Decido io anche questo! Pazzesco, eh?"
L'uomo fece leva contro la porta per tentare di richiuderla, ma non riuscì a far fronte ai muscoli allenati del ragazzo, aiutati dall'ira che bolliva nel sangue.
"E ti dirò di più" continuò Clef, con la voce ferma e gelida. "Mi basta un cenno per farti finire con la faccia tra le assi del pavimento. Non sopra. In mezzo. Non scordare che tutto il corpo di guardia mi obbedisce. E spera, spera, che io non trovi nulla che non mi piaccia. Tipo un livido anche microscopico sul corpo di Adele"
"Non ho intenzione di spostarmi"
"E io non avevo intenzione di chiedertelo"
Clef fece un gesto con la mano e l'uomo fu spinto di lato da una forza invisibile.
Fece irruzione nel piccolo appartamento. Non dovette cercare molto con lo sguardo per trovare la ragazza:
Adele se ne stava rannicchiata in un angolo della stanza, con le ginocchia strette al petto e le dita intrecciate, che si dondolava avanti e indietro. Clef sentì un brivido lungo la schiena.
Sul viso della ragazza non c'erano lividi, e questa fu la prima cosa di cui si avvide. Le prese le mani e gli occhi di lei, prima persi nel vuoto, ora si mossero su di lui, nelle iridi azzurre come il ghiaccio.
"Adele" chiamò.
Lei fece un gesto con il capo e gli prese il viso tra le mani.
"Ti voglio bene" gli disse.
Dietro di loro, l'uomo si stava rialzando. Clef, senza girarsi e senza nemmeno cambiare espressione, fece un gesto con le dita in direzione della porta, che si richiuse di botto con un suono sordo. Dopo una rotazione del polso del ragazzo si sentì scattare anche la serratura.
"Stai bene?" le chiese.
Sul viso di Adele balenò qualcosa, come lo spettro di qualche sensazione, o pensiero.
"Sì" rispose.
"Cos'è successo?"
Stesso fantasma sul suo viso, nei suoi occhi.
"Ne abbiamo parlato"
Gli occhi di Clef la incitarono a proseguire. "Ha detto... che ha bisogno di tempo. Per capire. Per abituarsi"
"Nient'altro?"
Lei piantò i propri occhi in quelli di lui. Una piccolissima lacrima cadde oltre le sue ciglia nere.
"Ha detto che mi ama"
Lui l'abbraccio, tentando con quel gesto di trasmettere tutta la comprensione che aveva per lei, e tutto il suo amore. Ebbe la sensazione, però, di non riuscirci.
Non dissero altro, perché bastava così. Eppure Adele, da sopra la spalla del ragazzo che amava, non riusciva a strapparsi via dal viso quello spettro.

__________

Allora: innanzitutto ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno letto fin qui (GRAZIE TANTISSIMOOO!!!). In secondo luogo:

per bellislady: grazie tante per aver letto e soprattutto per aver recensito (fa sempre bene vedere un nome nuovo, rayearth è una sezione dimenticata T_T). Per quel che riguarda Zagart, ti dico subito che anche io gli voglio molto bene, e che quindi  lo tratterò con cura ^^. Alcione, invece, vedrò come inserirla, ma non so se riuscirò nel mio intento (in effetti mi ero ripromessa di farla comparire, ma poi mi sono scordata, me misera...).

Per Sayoko, nella speranza che riprenda a leggere: anche lantis temo di essermelo dimenticato un po', ma faccio fatica a stare appresso a tutti questi personaggi! XO e poi ho avuto un attimo di panico con la storia di Adele, avevo creato una voragine temporale.. c'è stato un momento di blocco che mi ha impedito di pensare ad altro (perdono! tenterò di rifarmi)

 

un saluto a tutti e preparatevi che il prossimo capitolo sta già tutto nella mia testolina (spero solo di non scordarmelo, sai che gaffe @_@)

 

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Capitolo 15
*** Frammento ***


Nuova pagina 1

N.B.: SE NON CAPITE IL CAPITOLO VUOL DIRE CHE VI SIETE SCORDATI QUALCHE PEZZO... CONTROLLATE IL CAPITOLO 6- PASSATO ^^

 

Tesoro, io e la mamma dobbiamo parlarti.

E' successa una cosa.

Dobbiamo porre rimedio ad alcuni errori commessi.

Partiamo, tesoro, per alcuni giorni. E' una spedizione militare. Dovrai badare tu a tua sorella finché non torniamo, va bene? Bravo. Ormai sei grande abbastanza. Ma sta tranquillo, mamma e papà devono solo firmare una torre di scartoffie. Torniamo presto. Andiamo in un posto bellissimo, sai? Dicono che ci siano piante gigantesche e tutte strane, e la gente lì ha le ali, come quelle delle farfalle. Mamma e papà vanno là. A parlare con la regina, che ha le ali più belle e grandi di tutti.

Vedrai, torniamo presto.

Non ti preoccupare.

Però non siete più tornati.

Bugiardi. non siete più tornati.

-Dai, ma che vuoi che succeda?-

Clef risentì la propria voce, poco più acuta. La voce di quando era bambino, di quando aveva dodici anni. E rivide Plesea fare cenno di no con la testa.

-Maddai!- la incitava lui. -Papà ha detto che hanno le ali come quelle delle farfalle! Non le vuoi vedere, le ali?-

Plesea ora pareva un po' più incuriosita. Clef capì che la stava persuadendo, quindi continuò.

-E fiori enooormi!-

La bambina era quasi convinta. Lui le fece un gesto con la mano per incitarla un altro po'.

-Eddai, fifona, che non ci vede nessuno! E poi non vuoi stare con mamma e papà?-

I suoi genitori quel periodo erano assenti. Avevano tanto da fare. Se ne sentiva la mancanza.

Nel tempo si era convinto che fosse stato quello il motivo che lo aveva spinto ad infilarsi con Plesea in uno scompartimento in disuso della navetta che avrebbe accompagnato i loro genitori a Raquia. La mancanza. Non l'infantilismo.

E il viaggio era sembrato eccitante. Poi interminabile. E mentre si crogiolavano nella noia lui realizzava che non era stata una buona idea. Cosa avrebbe detto a mamma e papà quando fosse spuntato fuori dallo scompartimento? Gli avevano detto di badare alla sorellina...

Ma non ci fu bisogno di inventare scuse.

Non sapeva cosa stesse accadendo. Solo, c'erano le fiamme. E il sangue.

Tienila. Tienila per mano. Tienila per mano e non lasciarla andare. Non lasciarla andare. Fuori. Fuori dalla navetta, che è trappola di morte.

Fuori, più veloce che puoi. Sta tossendo. Sta soffocando. E anche tu. Non curarti delle esplosioni. Non c'è tempo per tapparsi le orecchie. Oddio, l'uscita! Oddio, quanto è lontana! Sorellina!

Fuori!

Ma fuori è anche peggio. Il ferro stride, graffia, urla. E le persone cadono. E non si rialzano. Non si rialzano più.
Corri! Corri! Non voltarti e corri.
Il sangue ancora caldo, sul viso, odora di ferro. E nella bocca è disgustoso.

Un capanno! Lì! E' vuoto, vieni! Dietro la porta...Ssssh...

Escludi i suoni. Non ascoltare. Oddio, non ascoltare.

Ti voglio bene.

Sssh...

Le grida sono cessate. Si sente solo gente che piange. Osa. osa sbirciare...

Un palo. Ed un corpo impalato.

Torniamo presto.

Bugiardo.

Un grido. Uno solo. Il tuo. Ora lo sai, quanto fa male. E le gambe vanno da sole. Hai sbagliato. Ti hanno visto.
Chi pagherà il tuo infantilismo?

Due mani sui miei occhi.

Scappa. E non girati. non guardare. Qualsiasi cosa tu senta non guardare. Non c'è bisogno che tu guardi.
La mamma sarà sempre con te.

Ma non era vero. Né la mamma né il papà erano con lui, adesso, mentre vagava per i boschi di Raquia. Camminava tenendo le mani premute contro gli occhi di sua sorella.

Mamma e papà non c'erano. E non ci sarebbero stati più. Non erano lì quando una nave di soccorso ritardataria li aveva trovati. Non erano lì quando tornarono a Sephiro. Mai più.

Non sarebbero stati lì mai più.

Non lì. Né da nessuna parte.

Sei solo, adesso.

__________

Ci fu un lampo, e poi Clef sentì solo un grido. Si accorse solo pochi istanti dopo essere scattato a sedere sul letto che era stato lui a gridare.

Un sogno.

Si passò una mano sul viso madido di sudore e lentamente riprendeva a respirare.
"Clef, stai bene?"
La voce di Adele era colma di preoccupazione. la ragazza gli sfiorò un braccio con una carezza.
Clef la guardò, un attimo smarrito. poi ricordò di averla portata in camera sua per non lasciarla sola con quell'uomo. Ora, la ragazza sembrava essere tornata in sé, m aaveva ancora il viso pallido.
"Sì, sto bene"
"Cosa è stato?"
"Niente. Un incubo"
"Mh..."
Lo strinse forte a sé, per sciogliere l'abbraccio un istante dopo.
"Ma stai tremando!"
"...sì? Sto bene. Va tutto bene. Dormi"
"Come puoi dirmi che va tutto bene? Sei madido di sudore freddo e tremi come una foglia!"
Lui le passò una mano sul viso. Con delicatezza, come se stesse toccando una statua di cristallo.
"Non preoccuparti. Era solo un brutto ricordo. E' andato via"
"Sicuro?"
Lui le sorrise.
"Sono con te. Cosa può farmi paura?"
Adele sorrise e tornò a sdraiarsi accanto a lui.
"Ti voglio bene"
"Anche io. Scusami se ti ho svegliata. Buona notte" E la baciò.

Un incubo. Un ricordo di tanto tempo fa. Un giorno che finì portando la morte nei colori del tramonto. Clef, con il viso affogato nel cuscino, tentando di controllare il tremito, si trovò a rievocarne il ricordo, suo malgrado. E quando lo riportarono su Sephiro, coperto di bende, anche lui aveva la morte dentro. Un dolore così gelido che mozzava il fiato, e le parole. Le parole erano morte. Perché erano state inutili. Le promesse erano state spezzate. Per un mese intero il Clef dodicenne non aveva dato più fiducia alle parole. E le labbra le avevano rifiutate. E il cuore le aveva rinchiuse.

Fu allora che conobbe Zagart. Un amico. Una persona speciale. Il fratello che non aveva mai avuto. E le parole, grazie a lui, ripresero a suonare.

Zagart.

Si riaddormentò pensando all'amico. Non voleva sognare, ma sognò. Ma il sogno cambiò. Un sogno, si sarebbe accorto un anno dopo, premonitore. Si svegliò di nuovo urlando.

 

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Capitolo 16
*** Ghiaccio - pima parte ***


Adele camminava avanti e indietro per la stanza

La mattina successiva Adele dovette chiamare Clef parecchie volte, e dargli diversi scossoni, prima che lui si svegliasse. Finalmente il ragazzo realizzò che qualcuno stava furiosamente battendo contro la porta. Dopo aver scosso forte la testa per riprendersi dal torpore, aprì all'ospite indesiderato.
"Non farti vedere, Adele... desidera? Ah, sei tu, ciao"
Lì, ferma sulla soglia in una posizione rigida, c'era una donna, alta e bella, con il viso incorniciato dai capelli corvini. Nei suoi occhi purpurei si rifletteva l'immagine di un Clef tutto scarmigliato ed in abiti discinti.
"Hai un minuto?" chiese la donna. Aveva una voce molto soave.
"Anche due" Rispose Clef mentre cercava di scorgere ancora il proprio riflesso negli occhi di lei, per mettersi a posto i capelli. Si disse che stava diventando un po' vanitoso.
Rimasero lì, sulla soglia alcuni istanti. Poi lui si sentì in dovere di domandare:
"Ne parliamo fuori?"
"Ne parliamo dentro"
"Ok... allora toccherà fare le dovute presentazioni"
Clef fece un cenno ad Adele, che da dietro un angolo aveva osato sbirciare per ascoltare meglio la conversazione. In risposta a quel cenno, usci fuori dal proprio poco originale nascondiglio e gli si accostò timidamente, conscia che quella scena era, agli occhi di un esterno, piena di significati.
Infatti la battuta tagliente non dovette farsi troppo attendere.
"Vedo che, a dispetto di quello che dice il consiglio, ti dai da fare, anche se non nel senso che vorrebbero loro..."
"Ah-a... senti, lo so che è una frase trita e ritrita e che suona poco convincente anche a me, ma non è come sembra."
"Ah, e allora com'è?"
"Molto più normale di come tu creda. La signorina ha dormito qui"
"Dormito?"
"Dormito"
"Questo non è molto normale" disse la donna alla fine, con un largo sorriso dipinto sulle labbra sottili.
Clef si mise tra Adele e la donna e le presentò accompagnandosi con i gesti. "Adele, questa è Alcione, è la maga di corte, schifosamente brava. Alcione, questa è Adele, ed è la figlia di una delle ancelle di Emeraude"
Alcione annuì con l'aria di saperla lunga. Si chinò sulla spaurita Adele e le porse la mano.
"Il Monaco Guida è gentile, ma non sono poi così brava" disse, sempre sorridendo.
Adele ricambiò poco convinta la stretta della donna, squadrandola di soppiatto. Era veramente bella, ma metteva molto in mostra il proprio corpo. Non era un atteggiamento che la ragazza condividesse. E poi, i gesti della donna, il suo modo di muovere il corpo, di dondolare i fianchi... in breve, per qualche ragione, quella Alcione non le piaceva molto. E poi la sua voce semrava così fredda...
Clef richiamo l'attenzione della donna e le fece cenno di accomodarsi sull'unica sedia presente nella stanza. Lei accettò senza complimenti, come se fosse in stretti rapporti d'amicizia con Clef.
"Hai pazienza di aspettare che io mi conci in modo un tantino più decoroso?" chiese lui, con le mani affogate in una massa di capelli ingarbugliati.
"Certo"
Così, con un sorriso di congedo, Clef si allontanò e sparì nella stanza adiacenete.
Adele, intanto, dal suo posto sul materasso, continuava a fissare di sottecchi la donna, che continuava a non convincerla nonostante il ragazzo l'avesse accolta con calore, come un'amica. Forse perché non l'aveva mai vista? O perché era venuta a disturbare il loro momento di quiete? Cadde il silenzio, e permase*.
Qualche minuto dopo Clef fece ritorno vestito con una camicia larga e sciatta, con delle maniche enormi che finivano a sbuffo sul polso, e dei pantaloni di stoffa con dei rinforzi di metallo sulle ginocchia. Alcione lo salutò con un fischio scherzoso.
"Eheh... dai, seri" disse Clef di rimando, un po' imbarazzato. "Che mi volevi dire?"
"Uhm... veramente è un argomento un po' privato..." rispose la donna, guardando palesemente Adele.
La ragazza scattò in piedi. "Me ne vado subito"
"No, no, aspetta! Privato quanto?" disse Clef di corsa.
"Privato abbastanza da non farmi desiderare che la signorina senta la nostra conversazione"
"Urgente?"
"Non esattamente. Non è una questione di vita o di morte, ma un amico sono certa che la definirebbe urgente, sì"
Clef si voltò verso la ragazza.
"Ti dispiace? Sono da te tra un attimo" le disse con un sorriso caloroso.
"Certo" rispose lei, e si affrettò ad uscire dalla stanza.
Riuscì a calmare il proprio respiro rabbioso solo dopo essersi sbattuta la porta alle spalle. No, quella donna non le piaceva affatto.

"Allora?" chiese Clef, improvvisamente serio, dopo che Adele ebbe richiuso la porta.
"Si tratta di Zagart"
"Immaginavo"
Alcione finse di provare grande attenzione per un graffio sullo schienale della sedia. "Vorrei che tu mi dicessi chiaramente cosa sta accadendo"
"Non che ci sia molto da spiegare, ma va bene. Zagart ed Emeraude provano sentimenti particolari l'uno per l'altra. Purtroppo, però, le attenzioni della principessa verono di più sul Gran Sacerdote che sul proprio compito, quindi, come avrai avuto occasione di notare, si sono verificati a Sephiro eventi allarmanti, come siccità, o eccessive precipitazioni, addirittura la manifestazione di un mostro grande quanto il palazzo. Quindi Emeraude, molto ragionevolmente, ha deciso di impedirsi di incontrare Zagart, e mi ha gentilmente chiesto di aiutarla nell'intento"
"E tu l'aiuti?"
"La risposta la sai già"
"E tu l'aiuti?" ripeté Alcione.
Clef sospirò. "Sì"
"Perché?
"Perché trovo che Emeraude abbia ragione. E trovo che Zagart non stia cercando di aiutare quella povera ragazza. Ma tu non sei qui perché vuoi sentire come sta Emeraude, vero?"
"Mpf. Non per nulla sei il Monaco Guida"
"Scherzi? Lo sanno anche i sassi"
"Grazie"
"Quando vuoi"
"E quindi?" domandò Alcione, con voce stanca. "Come sta Zagart? Che succede a lui?"
"Ce l'ha a morte con me perché dice che ho tradito la nostra amicizia. Sarà..."
"Beh, cerca di metterti nei suoi panni. Soffre molto"
"Anche la principessa soffre molto, eppure quando io entro nelle stanze mi sorride"
"Ho saputo che Zagart ti ha colpito"
Clef rise, ma con poca allegria. "Dire che mi ha colpito è un eufemismo. Mi ha gonfiatoMa capita, quando metti il dito tra moglie e marito, no?"
"Immagino di sì"
Clef le si avvicinò, abbassandosi per guardarla negli occhi.
"Ma mi sfugge il motivo esatto della tua visita"
Alcione cercò di non incrociare lo sguardo del ragazzo.
"Sono venuta per chiederti di farli incontrare. Una volta soltanto.In modo che possano chiarirsi"
"Uhm. E me lo volevi chiedere tu o un tizio che va sempre in giro vestito di nero con un'aria molto minacciosa che è troppo fifone per venirmelo a chiedere d persona?"
Clef interpretò immediatamente il silenzio di Alcione.
"E tu vorresti che loro si incontrassero?"
Alcione parve stupita dalla domanda. "Non dipende da me"
"Nemmeno da me, ma siamo stati messi in mezzo entrambi. Volevo sapere la tua opinione"
Alcione attese a lungo prima di rispondere. Quando parlò, la sua voce era bassa e ferma.
"Se il mio signore è felice, io sono felice"
"Mi aspettavo una risposta del genere" rispose lui con un sorriso.
"Tu non diresti la stessa cosa?"
"Forse. Ma tra dire e fare.."
Detto questo, con l'ennesimo sorriso, porse una mano ad Alcione e la invitò ad alzarsi, per poi riaccompagnarla alla porta.
"Non mi hai risposto"
"Non ho risposta. Non sono io che devo decidere. Ma ne parlerò con Emeraude. Chissà che non acconsenta"
Si salutarno con un gesto fugace. Quando Alcione de ne fu andata, Clef si guardò intorno in cerca di Adele, ma la ragazza non c'era più.

Quel pomeriggio, dopo aver passato tutta la mattina in cerca di Adele, senza trovarla, Clef si era diretto verso le stanze della principessa e le aveva riferito quanto Alcione aveva detto a lui. La risposta di Emeraude era stata confusa, e piena di silenzi, ma in linea di massima aveva acconsentito.
"Dopodomani sera, sotto la cupola del Gazebo Grande. Lui deve presentarsi da solo, ma voglio che tu mi segua"
"Eh?"
"Per sentirmi più sicura. Starai nascosto. L'importante è che io sappia che tu sei lì, vicino a me"
Clef acconsentì immediatamente.
"Un'altra cosa" disse poi Emeraude prima di congedarlo. "Secondo te faccio bene?"
Lui le si accostò, osando passarle una mano tra i capelli.
"Se lo fate per amore, fate bene sicuramente. Riuscirete a chiarirvi, e una soluzione si troverà"

Il giorno successivo Clef non riuscì a trovare Zagart, quindi andò a cercare Alcione. Dopo una rapida ricerca nell'ala principale del palazzo, decise che setacciare tutto il castello non era una cosa furba, quindi si diresse verso la Torre esterna, un alto edificio a pianta circolare che sorgeva alle spalle del palazzo. Questa struttura era sede della scuola reale, a cui potevano accedere unicamente i figli di persone che abitavano a palazzo e che avevano un impiego lì. Clef l'aveva lasciata anzitempo per dedicarsi al ruolo di Monaco Guida, e nonostante non fosse mai stato un grande studioso, un po' rimpiangeva quelle mura.
Alla torre esterna si accedeva tramite un largo corridoio sospeso, a cui si accedeva dall'ala principale. Clef ricordava le corse per arrivare in orario alle lezioni e i suoi disperati tentativi di infilarsi tra gli altri studenti per accelerare il passo.
Dopo qualche minuto, in cui Clef si fece compagnia con i propri ricordi, arrivò alla torre esterna. Era un giorno lavorativo, quindi la Sala d'Ingresso era piena zeppa di adolescenti sconsolati. Ricordava appena la posizione delle varie aule, quindi chiese diverse volte indicazioni agli studenti. Questi, nonostante avessero per la maggior parte la sua stessa età, gli rispondevano con timore reverenziale.
Alla fine riuscì ad arrivare sano e salvo nell'aula di Alcione, aprendo la porta timidamente. Alcione, che era l'insegnante di -Uso degli Incantesimi Offensivi e Duello- (Clef si era sempre domandato perché dessero ad una materia un nome così assurdo) nemmeno alzò lo sguardo, assolutamente degna del proprio ruolo.
"Ciao, Clef. Ragazzi, in piedi. Non sembra, ma lui è il Monaco Guida"
"'Giorno... non c'è bisogno che si alzi nessuno. Senti, Alcione, ti posso...?"
Ma la donna lo anticipò. "Veramente oggi ho un test pratico, magari facciamo un'altra volta"
"Veramente è un pochino urgente"
Finalmente Alcione alzò gli occhi su di lui, inarcando un sopracciglio.
"E' così urgente da non poter attendere la fine del test?"
"Beh, no, ma..."
"Anzi... sai, mi è venuta un'idea"
"Ah? Pff, chissà perché, temo di sapere già cosa mi proporrai..."
"Da quanto non combatti un duello, tu?"
"Infatti... da quando ho lasciato questa scuola, più o meno. Sempre che tu intenda duelli formali"
Alcione annuì. "Mi daresti una mano per la lezione, Clef? Abbiamo appena fatto gli incantesimi silenziosi, e anche se riescono a padroneggiarli molto bene, credo che manchino d rapidità nell'eseguire i contrattacchi"
Clef le sorrise. "Beh, perché no? Dovrebbe essere divertente"
"Mi pare che tu fossi abbastanza abile, vero?"
"Ehm.. dipende" disse Clef, prendendo posto ad un banco vuoto nelle ultime file. "Ero il più veloce di tutti nei duelli, ma ho anche incendiato il capanno della manutenzione ed elettrizzato un custode..."
"Mi ricordo, quel tizio è rimasto con i capelli dritti per una settimana" rispose la donna con un sorriso, che aveva contagiato anche gli allievi.
"Va bene" disse poi Alcione. "Allora preparatevi, andiamo"

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ah-ruhmp... dunque, grazie a tutti quelli che seguono, come al solito! Visto? Sono riuscita ad infilare Alcione nella storia! Ma ora ho qualche problema con Lantis... Non riesco a stare appresso a tutti e non rendere la storia troppo lunga T_T abbiate pietà se c'è qualche buco, e fatemelo notare... magari anche qualche dritta non guatsa ^^
Quindi se qualcuno ha qualche idea su come muovere i personaggi secondari, mi farebbe piacere sentirle... naturalmente direi che sono vostre ^^ non me ne prenderei il merito. Manina che saluta!
per kowalski (spero di aver scritto bene) e in generale, per tutti... sì sempra un po' harry Pootter, l'ho scritto anche all'inizio del prossimo capitolo -che posterò tra domani e dopodomani- ma assicuro che l'idea di una scuola e di un'arena per duelli l'avevo partorita da sola già da aprecchio nei miei filmini... quindi ci tengo a dire che non è scopiazzata, ma che al massimo è poco originale (vi prego credetemi). Per i vari tipi di incantesimi ho pensato a D&D (muti, offensivi, passivi, sulla difensiva...), quindi non ucidetemi, non è plagio!!! T_T

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Capitolo 17
*** Lezione ***


fanfic17

Questo capitolo sembra ripreso da Harry Potter, ma assicuro che non è così (anche se le parole valgono poco, vi prego di credermi...) perché l'idea di tutta questa storia, compreso questo pezzo, ce l'avevo in mente da parecchio ma non l'avevo mai realizzata. Comunque, assicuro che tutte le idee presenti nella storia sono mie al 100%, magari solo poco originali. ^^ grazie per l'attenzione e buona lettura

 

L'Arena, l'aria adibita ai duelli all'interno della scuola, a dispetto del nome altisonante era costituita da un minuscolo spiazzo con una piattaforma circolare al centro e delle tribune intorno. Una specie di ring.
Clef stava al centro della piattaforma, con il sole che faceva rilucere i suoi capelli argentati. La classe, assieme ad Alcione, ascoltavano seduti sulle tribune in modo scomposto (eccezion fatta per Alcione, che invece stava dritta e con le spalle ben indietro, le gambe accavallate). Il ragazzo iniziò una spiegazione imbarazzata.
"Dunque, incantesimi offensivi... beh, il modo migliore per mostrarveli è durante un duello, esattamente come ha detto Alcione prima, e immagino che tutti già conosciate le regole fondamentali, quindi non sto qui a spiegarvele di nuovo. Adesso, diciamo che io ed Alcione, se vorrà aiutarmi, faremo un duello d'esempio"
La donna sorrise inarcando un sopracciglio. "Fin dall'inizio avevi in mente di duellare contro di me, eh?"
Clef annuì, divertito. "Certo"
"Lungo il corridoio ce lo avevi stampato in faccia, che volevi fare danni. Tu e i tuoi mezzi sorrisi..."
Alcione si alzò in piedi e gli si accostò con quella sua camminata sensuale. Gli alunni maschi la seguirono avidi con lo sguardo finché non fu di fianco a Clef, che riprese a parlare, attirando di nuovo l'attenzione su di sé.
"Facciamo una cosa semplice, offensiva e difesa"
La donna annuì e si posizionò sul bordo del ring. Clef fece altrettanto.
"Ricorda che si tratta di incantesimi silenziosi" disse Alcione. "Quindi non dire formule"
"Formule?" le rispose lui con una risata. "Non crederai che io me ne ricordi qualcuna, vero?"
"Allora al tre... uno..."
"TRE!"
Alcione scagliò contro Clef un fascio di luce azzurra e il ragazzo mosse la mano. La luce si smaterializzò all'istante frammentandosi in minuscole scaglie luminose, che morirono nell'aria.
Clef ed Alcione, che avevano mantenuto una posizione rilassata, si girarono verso le tribune.
"Ok" disse Clef con una punta di irritazione nella voce. "Chi è stato?"
Una mano molto timida si alzò dalla massa di studenti, accompagnata da un flebile -mi scusi-.
"Vorrei farti notare che urlare -tre- non è stata né una cosa intelligente, né furba, né tantomeno spiritosa. Fortuna che sia io che Alcione abbiamo fatto esperienze di un certo tipo. Ci fossero stati due inesperti al nostro posto, ed avresti assistito a ben altro spettacolo.
La mano si riabbassò. Clef tornò a rivolgersi ad Alcione, un po' indignata che lui avesse usurpato il suo posto di insegnante. "Lame di ghiaccio... bestia! Se non le avessi fermate mi avresti potuto uccidere!"
"Ma le hai fermate"
"Ma avrei potuto non farlo"
"Bugiardo" sorrise Alcione.
Una ragazza mora si girò per parlare con la sua vicina.
"Lame? Io ho visto solo un raggio!"
"Anche io! Mamma mia, quelli sono dei mostri"
Alcione si girò verso la ragazza.
"Signorina Dariin, saper scagliare incantesimi rapidi, non farsi cogliere di sorpresa, e saper respingere un attacco sono requisiti minimi indispensabili per poter affermare di saper usare la magia. Se non fossimo in grado di farlo staremmo seduti lì con voi a seguire una lezione come voi. Non stupitevi"
La ragazza sembrava imbarazzata, e siccome guardava dalla parte di Clef, quando i loro sguardi si incrociarono lui le indirizzò un sorriso dei suoi, accompagnandosi con un gesto della mano.
"Perché non viene a provare, signorina?"
"Eh? No! Per carità, io non sono capace!"
"Nessuno di voi ne è capace, altrimenti non sareste a scuola. Avanti, in fondo se è seduta qui è perché è in grado di usare la magia, e la pratica rende perfetti. E poi io non mordo mica"
La compagna vicina si chinò sulla ragazza e le sussurrò all'orecchio: "Anche mordesse, a te non dispiacerebbe, eh?"
Alcione udì il commento e mascherò una risata, senza riferirlo a Clef.
A quel punto, dopo un altro gesto d'incitazione del Monaco Guida la ragazza non poté più tirarsi indietro e salì sul ring. Si accostò a Clef e lui le mise, senza una parola, il proprio mantello sulle spalle. "Tienilo, non lo levare"
La ragazza annuì. Clef le indicò un punto sul ring e lei ci si posizionò.
"Sai respingere un incantesimo?"
"Bene o male..."
Clef le sorrise di nuovo. "Allora in guardia. Uno, due, tre!"
Un gesto rapido, ma decisamente più lento di quello di prima. La ragazza rispose con una serie di gesti scomposti. Poi, silenzio.
"Beh?" disse lei, dopo un po'. "Respinto?"
"Uhm, no" rispose Clef. "Guarda il mantello.
La ragazza abbassò lo sguardo e intravide un lembo del mantello: era strappato. "Oh... scusatemi..."
"No, nessun problema. Siamo a scuola, no?" un altro sorriso. "Forse sono stato troppo violento io. Riproviamo"
Si ripeté la scena di poco prima, ma fu accompagnata da un piccolo lampo di luce bianca. Questa volta, il mantello era illeso.
"Visto? Non è poi così complicato. Nonostante il mio attacco non fosse molto potente, tu hai avuto buona prontezza di riflessi. Brava"
Alcione si rivolse agli altri allievi.
"Adesso salite sul ring e fate pratica, forza"
I ragazzi eseguirono immediatamente il comando impartito loro e cominciarono a scagliarsi contro incantesimi. Poco dopo che Clef ed Alcione si furono seduti sugli spalti, cominciarono a volare i primi studenti.
Clef mascherò un sorriso.
"Ti diverti?" gli domandò Alcione guardandolo da dietro una ciocca di capelli.
"Beh, sì. E' interessante. Mi mancavano, queste cose. E poi è stato anche divertente tirarsela un po' con gli studenti." aggiunse sghignazzando.
Alcione rispose con un sorriso, ma poco convinto. Voltò immediatamente il capo dall'altra parte. Clef si accorse del tentativo di eludere una conversazione e le si avvicinò un po' di più.
"Tutto bene?"
"Mh? Oh, si, certo..."
"Oh, si, certo" le fece eco Clef. "Dai. Sono un ragazzino ma non sono stupido. Che c'è?"
"Mmmmh..."
"Dai, che tra un po' dovremo andare a raccoglierli e non avremo tempo per parlare" disse lui indicando uno studente che piroettava a mezz'aria per cadere con uno schianto sordo subito dopo. "Va bene" disse Alcione. "Non è niente di particolare, solo..."
Clef la incitò con un cenno del capo.
"...solo, non sono più convinta di voler aiutare Zagart. Vedi, quando lui è felice, anche io sono contenta, ma non riesco ad accettare che sia felice con lei e non con me. Temo che la gelosia mi abbia raggiunto, alla fine"
"Beh, che ti aspettavi, siamo tutti esseri umani"
"Sì, lo so. Sono consapevole del fatto che lui ami la principessa e non me, ma... Non so come spiegarti, ma non riesco a fare a meno di stare affianco a lui, di cercare di renderlo felice. Da un po' di tempo mi sembra quasi che... non so, che solo i momenti trascorsi con lui siano davvero importanti, che tutto il resto scivoli via. Ma in fondo, è lui che mi sfugge dalle mani. Non credevo che potesse succedermi, ma vorrei davvero che Emeraude lo rifiutasse. Perché mi guardi in quel modo?"
Clef batté velocemente le palpebre e spostò lo sguardo sull'ennesimo studente volante. "Niente. Mi domandavo perché tu voglia parlarne con me"
Anche Alcione puntò lo sguardo sui ragazzi in divisa. "Non lo so. Avevo voglia di parlare. E poi, so che di te posso fidarmi"
"Certo che puoi" Clef sbuffò. "Che situazione del cavolo"
Alcione si alzò in piedi e batté le mani per interrompere l'esercizio.
"Va bene, diciamo che a grandi linee funziona. Però naturalmente un duello vero non si compone di un meccanismo così semplice come -botta e risposta-. ad un incantesimo d'attacco si risponde con una difesa in grado di diventare subito anche un'offensiva. Non avrete tempo, in futuro, di pensare, quindi la cosa più importante che vi si possa insegnare è il riflesso condizionato. Ad un attacco risponderete con un attacco non perché sia il modo migliore, il più intelligente, il più conveniente, ma perché il vostro corpo ha agito più velocemente di quanto voi non abbiate ragionato. In quest'anno scolastico e in quelli futuri vi inculcherò questo concetto non nella testa, ma nelle membra, tanto che non avrete bisogno di pensare di reagire: l'avrete già fatto. Adesso, io e Clef, sempre che voglia aiutarmi, vi faremo vedere un duello serio. Se uno dei due si distraesse o semplicemente non fosse abbastanza rapido, finirebbe subito nell'ala ospedaliera"
Alcione si girò verso Clef e aggiunse, a bassa voce e con un sorriso: "Quindi tu vedi di non farti male apposta"
Il ragazzo ricambiò il sorriso e si alzò in piedi. Insieme si diressero di nuovo al centro della piattaforma.
"Cominciamo?" chiese. Alcione annuì.
Gli studenti non avevano nemmeno fatto in tempo ad alzare lo sguardo. Un fascio di luce, un botto sordo, un altro lampo accecante. Clef rotolò di lato e si rialzò immediatamente sulle ginocchia, assolutamente illeso. Poggiò le mani a terra ed il pavimento della piattaforma sussultò, squarciandosi. Alcione fece un lungo salto, riuscendo a non finire incagliata nella spaccatura. Un gesto rapido con la mano ed attorno alla donna apparvero tante lame di ghiaccio, che si andarono a scagliare con un sibilo contro Clef. Lui non si fece trovare impreparato: un'altra capriola e poi, facendo leva sulle gambe piegate, un salto in avanti, poi di nuovo a terra ed uno scarto laterale. Una delle lame gli sibilò all'orecchio ma non lo colpì. Era vicinissimo ad Alcione. Scattò in piedi e le tirò un colpo di taglio con la mano. La donna si abbassò e fece un piccolo salto all'indietro, riprendendo le distanze. Clef le si avvicinò di nuovo, ancora più rapido di prima. Le si parò davanti, ma quando lei mosse un colpo per anticiparlo, lui si abbassò e la colpì con il collo del piede sulla tibia. Alcione vacillò alcuni istanti e poi si rimise in posizione. Unì i dorsi delle mani e li rivolse verso il cielo terso, e quelli che sembravano enormi cristalli squarciarono il terreno, apparendo dal sottosuolo, e tranciarono l'aria, per andarsi a scagliare contro il ragazzo. Clef tentò un'acrobazia, una sorta di capriola improvvisata, ma scivolò su una delle crepe del pavimento ormai accidentato e cadde di schiena. Vide arrivargli addosso un enorme massa cristallina e molto puntuta. Portò le mani in avanti ed eresse una barriera tremolante. Solo parte del cristallo di ghiaccio si dissolse in polvere, il resto superò la barriera e si schiantò dove fino ad un secondo prima giaceva Clef, che si era riuscito a spostare all'ultimo istante. Si rialzò e cercò con lo sguardo Alcione. La donna stava già muovendo le mani per l'ennesimo attacco. Clef le si avventò contro, tentando di improvvisare. Un gesto di taglio con la mano ed un pezzo degli spalti venne via come se niente fosse, andando contro la maga a tutta velocità. La donna fu rapida. Non ebbe bisogno di nessun gesto: due piccole fontane ai lati dell'arena esplosero e l'acqua che ne uscì si ghiacciò. Un numero incalcolabile di lame cristalline si scagliò contro il blocco di roccia. Tuttavia, non fu abbastanza per fermarlo. Alcione si girò un'ultima volta verso Clef e gli scagliò contro un'ultima lastra di ghiaccio. Lui si fece cogliere impreparato, forte di una vittoria certa, e la prese dritta in fronte. Alcione si buttò a terra nel tentativo di schivare gli spalti volanti, con tanta fretta da ferirsi sul terreno accidentato. Il blocco di roccia, però inchiodò un attimo prima di sfiorarla e, molto lentamente, tornò al suo posto. Si poggiò nella pietra spoglia con un tonfo leggero.
"Non avrai creduto davvero che io ti volessi colpire con quella roba, vero?" chiese Clef dall'altra parte del campo mentre si massaggiava la fronte, da cui colava un leggero rivolo di sangue e (sicuramente) spuntava un gran bernoccolo.
Alcione si guardò alle spalle, ancora sdraiata. "Non volevi?"
"Certo che no, scema!"
"Ah, beh" disse lei rialzandosi, massaggiandosi le braccia scorticate. "Allora scusami"
"Bah" Clef si rialzò barcollando. "Ahia"
"Fatto male?"
"Domani avrò un bernoccolo così grosso che avrà volontà propria e prenderà possesso del mondo intero"
"Dai, ci sono i ragazzi, non ci facciamo bella figura..." Clef rise. Poi incrociò gli occhi degli studenti e smise di ridere. Avevano tutti gli occhi spalancati, alcuni erano pallidi. Uno si azzardò ad alzare una mano tremante.
"Signore?"
"Sì?"
"Io non so se ho tanta voglia di fare l'esercizio..."
Clef sorrise. "Nessuno vi chiede di rifare il macello che abbiamo fatto noi. La nostra era solo una dimostrazione, e comunque non dimenticate che sia io che Alcione ci possiamo definire esperti nel nostro campo. Un giorno probabilmete questa prontezza di riflessi l'avrete anche voi. "
"Ma io non so se ce la voglio avere..." disse lo studente, ancora più bianco.
Alcione lo ignorò e si fece avanti di nuovo. "Avrete certamente notato che io e Clef, nel corso del duello, abbiamo adottato strategia differenti. Io ho effettuato un maggior numero di magie, e con un ampio raggio d'azione, qiesto perché so che Clef è molto agile e che potrebbe facilmente schivare un attacco diretto. Invece lui ha cercato uno scontro fisico, perché sa che io non saprei tenere il confronto. Inoltre, Clef usa metodi poco ortodossi, se vogliamo. Non usa molto la magia, e quando la usa fa le cose in grande" colncluse indicando quella parte di spalti che le stava venendo addosso.
Clef si difese con un sorriso imbarazzato "Uops..."
In quel momento dal campanile in cima ad una delle guglie suonarono cupi rintocchi, che segnavano la fine della lezione. Gli studenti si dileguarono in pochi istanti.
Alcione guardò Clef. "Allora, volevi palarmi?"
"Ho riferito alla principessa. Ha detto domani sera al gazebo grande"
"Bene. Grazie"
"Credo che non dovresti fare questo per lui. Non gli devi nulla"
"Fare questo cosa?"
"Cercare di compiacerlo, di aiutarlo, e soffrire perché vedi che tutto ciò che fai non è ricambiato, né come vorresti, né in nessun'altro modo"
Alcione rispose con un flebile sorriso. "Sbagli a dire che non gli devo nulla"
"Che vuoi dire?"
"Lui rende meraviglioso ogni mio giorno semplicemente perché c'è. SEmplicemente stando lì, in silenzio, accanto a me. E io non potrei chiedere niente di più dalla vita"
Clef sbuffò, distogliendo lo sguardo. "Non riesco a capire se tu sia una donna estrmamente forte, o estremamente debole"
"Forse sono solo estremamente stupida. Eppure" aggiunse con un altro sorriso amaro. "Sono felice"
"Lo sei?"
"Sì. Credo"
"Io rimango della mia opinione"
"Tu non sei innamorato di Zagart"
Il ragazzo rispose con una risata. "Oddio, sono orientato su un altro genere di amante..."
Anche Alcione rise. Gli diede un leggero buffetto sulla spalla. "Grazie Clef. Senti, è da un po' che voglio farti una domanda"
"Dica pure"
"Mi chiedevo, tu e Zagart in questo periodo avete rapporti un po' tesi e sembra che la cosa stia peggiorando. E se un giorno le cose precipitassero e Zagart mi chiedesse di ostacolarti? Magari anche di ferirti? Io cosa risponderei?"
Clef si irrigidì. Dopo un lungo silenzio si decise a rispondere, ma aveva una nota di nervosismo nella voce. "E io che ne so?"
"Hai ragione... chissà perché te l'ho chiesto?"
"Non credo che la domanda fosse indirizzata a me"
"Già. Allora ci si incontrerà al gazebo"
"Io non vengo"
"Nemmeno io" rispose la donna alzandosi, indirizzando al ragazzo un occhiolino malizioso.

__________

Vi prego, ditemi che non vi è sembrato troppo scopiazzato! E se vi è sembrato, siate clementi! Lo giuro, l'idea era vecchia (la storia esisteva già da tempo, ma non elaborata del tutto) anche se in effetti non era con Alcione che Clef combatteva, ma con un vecchio insegnante. Ho preferito inserirla perché è uno dei personaggi che mi piacciono di più, anche se mi ero scordata di lei (scusa, Alcy!)

Il prossimo capitolo arriva presto (grazie, kowalsky, per avermi seguito fin qui ^^ me molo orgogliosa davvero) e a bellislady se mai leggerà il capitolo (speriamo O.o) vorevo dire: perché non ti registri? sarebbe più comodo contattarti e rispondere ai tuoi commenti, o sapere il tuo parere su un determinato elemento ^^ By Seph

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Capitolo 18
*** Fiori ***


Nuova pagina 3

La principessa Emeraude si diresse, vestita con un abito nero, al gazebo dell'appuntamento, nel più totale silenzio. Clef, al suo fianco, metteva in pratica gli insegnamenti del corpo militare (la carica di Monaco Guida comprendeva il comando di azioni militari eseguite anche in prima persona, nel caso in cui chi di dovere non fosse stato in grado di svolgere i propri compiti) e muoveva passi molto più che furtivi. Lungo la strada non si scambiarono una parola e Clef passò tutto il tempo a pensare a quello che si sarebbero detti i due amanti. E se lo stava chiedendo anche la principessa mentre si tormentava un guanto nero, ma lui non poteva saperlo.
La ragazza parlò solo in prossimità della meta.
"Nasconditi"
"Dove?"
"Non lo so. Dove ti pare"
"Dite che sono all'antica se mi nascondo in un cespuglio?"
"Entreresti in un cespuglio, più che altro?"
"Pff! La fortuna di essere bassi"
Emeraude non rispose, non sorrise. "Va bene. Io vado"
Clef annuì e cominciò a cercarsi un nascondiglio. La ragazza si allontanò, sentendosi all'improvviso estremamente sola.

Quando giunse lì, Zagart era già arrivato e sedeva contemplando un bel fiore di colore viola. Lei cercò la propria voce nel petto, ma non la trovò del tutto.
"Sei già qui"
Lui sobbalzò. Quando la vide, il suo sguardo duro, tipico del suo viso, si addolcì. Chinò leggermente il capo. "Principessa. Che bello rivedervi, finalmente"
"Già. Volevi parlarmi?"
"Sedetevi" disse lui accompagnandosi con un gesto. La principessa esitò, poi si decise a prendere posto al suo fianco, ma nonostante la vicinanza manteneva una freddezza che non le era congeniale.
"Di che volevi parlarmi, Zagart?"
Dire il suo nome fu una sofferenza.
"Di quello che provo per voi"
Emeraude si irrigidì, Clef, da dentro il suo cespuglio irto di spine ("Uffa!") tese le orecchie per non perdrsi nemmeno un'acca della conversazione.

Zagart rimase a lungo in silenzio dopo la sua teatrale risposta. Quando si decise a coninuare, aveva la voce rotta dall'emozione.
"Quello che sto per fare non è facile, tutt'altro. So quali sono le conseguenze, ci ho pensato a lungo, forse troppo, forse non sarà mai abbastanza. Ma non è più una questione di potere o non potere. Io devo"
Zagart alzò lo sguardo, inchiodando quello di Emeraude. Le prese la mano. Il tempo si ruppe.
"Io vi amo"


"Ti amo"


"E voglio passare tutta la mia vita con te, a qualunque costo"
"Davvro?" chiese la principessa, ma subito abbassò lo sguardo.
"Certo, Emeraude. Ma tu l'ascerai che io t'ami?"
La ragazza rimase in silenzio. Clef tese il collo.
"No"
Cosa...?
"Temo" continuò la principessa, alzando lo sguardo e rivelando un'espressione decisa. "Che tu abbia frainteso i miei sentimenti. Io ti trovo una persona meravigliosa, ma non sono disposta a sacrificare il mio paese per te. Io non ti amo, Zagart. Affatto. Mi dipsiace che tu abbia creduto ci fosse qualcosa di più. E' stata un'unfatuazione. Ma l'infatuazione deve finire. Oggi finisce"

Oggi l'amore che ho coltivato come il più raro e meraviglioso dei fiori, muore. E son io che lo strappo. Lo strappo con tutte le radici. E lo calpesto.

"Ti voglio bene, Zagart, e credevo che si potesse rimanere amici. Eppure, temo, non si può"

Lo calpesto, questo amore. Finché i suoi petali non marciscono sotto il peso del mio obbligo.
E adesso, la parte più dura.

"E per garantire l'integrità della colonna, ti sollevo dall'incarico. E ti verrà formalmente impedito di incontrarmi"

Scusami, mio piccolo fiore.

"Spero che tu possa capire"

Scusami davvero.

Ma io devo.

Clef si era portato una mano alla bocca. Zagart non si era mosso. Lui sentiva solo un dolore sordo pervadergli tutto il corpo.
Cosa succede? cosa sta succedendo? Cosa sono le parole che dici? Perché? Oddio, perché le stai dicendo?

"Principessa, cosa dite?"
"Cosa credevi, che avremo continuato ad amarci in eterno? Io non provo per te gli stessi sentimenti che tu provi per me. Questo è quanto"
"Ma...ma le vostre parole furono ben diverse, quando..."
"Quel giorno è lontano, nel tempo e nella mia memoria. E io sono stata crudele con te. Ho giocato"

Il mio piccolo, piccolo fiore

"Ho giocato con i tuoi sentimenti, e ti chiedo di perdonarmi. Non pensavo, e mai ho pensato, ciò che ti dissi quel giorno. Perdonami, se puoi"

Almeno tu, perdonami. Perdona ciò che io non potrò mai perdonare a me stessa.

"Hai capito quello che ho detto, Zagart?"
"Così voi non mi amate..."
"Esatto"
"Non mi avete mai amato e mi avete mentito per tutto questo tempo"
"Esatto"
"Bugiarda"

"Come osi darmi della bugiarda?"
"Grazie, Emeraude. Davvero. Ma io non voglio allontanarmi da voi. E non ve lo lascerò fare"
"Ti ho apena sollevato dall'incarico. Volente o nolente, non mi vedrai più"
"VOI NON POTETE!"

Oh, mio piccolo fiore, non guardarmi. Non guardarmi dall'alto della tua magnificenza. Altrimenti non potrò reciderti più.


"Io-io... ma come ti permetti! Certo che posso, ed è esattamente ciò che sto facendo! Vattene, Zagart, esci dalla mia vita!"
Zagart l'abbracciò, ed Emeraude non si divincolò.

Oh, mio piccolo fiore. Ne ho bisogno.

"Zagart..?"

ho bisogno di dirti che ti amo.

Emeraude cominciò a piangere, chiusa nel silenzio di quell'abbraccio proibito.
Zagart sorrise
"Sei una pessima bugiarda"
E così rimasero. Stretti tra i fiori del Gazebo. Tanti piccoli fiori meravigliosi. Ma nessuno tanto bello quanto il loro.

"Io non posso"

Emeraude si divincolò e fuggì via. Zagart la chiamò, ma lei non smise di correre, così lui provò ad inseguirla.
Ma non fece in tempo a muovere un passo. Clef, abbandonato il suo nascondiglio, gli si parò davanti.
"No, questo non si fa"
"Levati, Clef"
"Temo di aver ricevuto un ordine troppo preciso per poter disobbedire in qualche modo"
"Adesso non ho tempo da perdere"
"Invece dovresti fermarti a riflettere"
"No. Basta pensieri"
"Dire -basta ai pensieri- non mi suona intelligente, chissà perché"
"Esistono momenti in cui gli uomini devono prendere in mano la propria vita"
Zagart fece un gesto con la mano mentre i suoi occhi bruciavano d'ira.
La camicia di Clef si lacerò e sul suo viso zampillò del sangue. Il dolore sopraggiunse solo qualche secondo dopo, quando Zagart lo superava per correre dietro ad Emeraude. Solo allora realizzò di avere l'addome dilaniato.

Avere una ferita di venti centimetri sulla pancia non gli impedì di profondersi in una colorita espressione di disagio. Voltandosi vide la figura nera di Zagart risalire di corsa le scale del palazzo, e tentò di seguirlo. In quel momento due mani dalla presa parecchio salda lo afferrarono e lo scagliarono contro una colonna del gazebo. Dopo l'ennesima colorita (davvero molto colorita) espressione di disagio, Clef alzò lo sguardo e vide un'appannata Alcione che lo sovrastava. La donna parlò, ma lui colse appena le parole: la sentiva lontanissima, come se avesse l'ovatta nelle orecchie.
"Perdonami, Clef. Cerca di capirmi"
"Capirti è difficile, visto che non sento quello che dici, ma credo di aver capito che succede, nonostante tutto"
"Devi fermarti, non andarle dietro"
"No, ascolta, la principessa mi ha chiesto di proteggerla..."
"Non è vero, ha detto di starle vicino"
"E tu che ne...? oh, lascia stare! In ogni caso il mio compito è quello di proteggere la principessa"
"Non è questo il momento di aiutarli! Non hanno bisogno di nessun aiuto!"
"Senti, Alcione" disse Clef mentre si rialzava, tenendosi alla colonna. "Mi gira troppo la testa per poter formulare ragionamenti più complessi di questo, quindi scegli: o ti levi, o quando avrò finito assomiglierai più che altro a segatura"
Alcione fece un mezzo sorriso.
"Benissimo, Monaco Guida. Vediamo che sai fare su un vero campo di battaglia"
In realtà Alcione sapeva di non avere molte speranze contro di lui, ma contava sul fatto che le gambe del ragazzo non lo reggessero, quindi gli si avventò contro fulminea e lo colpì in pieno mento. Clef barcollò, mentre cercava di rimettere a fuoco, poi prese in bocca il sangue che usciva dalla ferita sul labbro e lo sputò a terra. Si passò una mano sul viso dolorante.
"Sono convinto che un giorno rideremo di tutto questo"
"Forse"
Fu la volta di Clef: si scagliò contro la donna ad una velocità impressionante e con alcuni colpi precisi la immobilizzò a terra, stando attento a non farle male. Pare che invece lei non avesse di queste premure, ed infatti gli rifilò una ginocchiata sulla schiena che gli tolse il fiato. Clef borbottò qualcosa sul non farlo arrabbiare, ma Alcione fu rapida a rimettersi in piedi, invece lui rimase a terra. La donna lo colpì con un calcio nell'addome, proprio sulla ferita aperta da Zagart con la magia (e che prorpio per merito di questa bruciava maledettamente dolorosa). Il ragazzo rimase lì, senza fiato, e con la testa che girava vorticosamente. Alzò di nuovo lo sguardo verso Alcione, che lo guardava con astio.
In quel momento i suoi occhi saettarono a pochi centimetri dalla testa della donna e si dipinsero di terrore.
"O mio dio..."
Alcione si voltò seguendo lo sguardo del ragazzo, verso una delle finestre del castello.
"Cosa diavolo..?"

Emeraude giunse finalmente alle proprie stanze, presa dal panico: nessuna delle guardie che avevano incontrato era riuscita a fermare Zagart, la avevano solo rallentato un poco. La principessa si richiuse la porta alle spalle con un colpo sordo e rimase lì, terrorizzata. Zagart era infuriato con lei perché gli aveva mentito... ma che cosa avrebbe potuto fare? Non le era venuto in mente niente di meglio, e non aveva avuto il coraggio di chiedere una cosa simile a Clef.
Sussultò, perché la porta aveva sussultato con lei. Zagart stava battendo i pugni contro la pietra del portone, urlando il suo nome. Ma Emeraude non aveva intenzione di cedere. Non avrebbe aperto.
I colpi cessarono. Ad un tratto la voce di Zagart si fece più calma.
"Hai tre secondi per spostarti"
Emeraude non capì subito il senso del messaggio. La porta era chiusa da una serratura, non dal suo esile corpicino. Poi, più o meno al due e tre quarti, realizzò e si buttò a terra. La porta esplose letteralmente, invadendo di cenere e detriti la sala.
Emeraude tossì violentemente, poi sentì due mani forti e calde sollevarla con facilità, e la voce che avrebbe riconosciuto tra mille chiederle se fosse ferita, se stesse bene, con quella nota di ansia che la faceva fremere ogni volta.
"Sì, tutto a posto... ma come ti viene in mente di far saltare in aria il portone delle mie stanze, scusa?"
"Non mi aprivate"
"Certo che no"
"Come -certo che no-. Ma si può sapere che ho fatto? Perché fuggivate?"
"Ma perché...perché..."
Emeraude alzò lo sguardo e incrociò gli occhi ametista di Zagart, pieni di dolcezza e di regalità.
"...non lo so perché, non me lo ricordo. Ma era un motivo valido..."
Lo senti ridere, con quella sua risata meravigliosa che si diffondeva lungo le pareti e vibrava nell'aria.
"Siete ferita" notò lui. "Sulla fronte"
Non le diede tempo di replicare. La sollevò da terra come se non pesasse più di un uccellino e la portò nella sala con il letto a baldacchino, dove la poggiò delicatamente. Emeraude sentì crescere il ritmo del cuore. Guardò Zagart negli occhi velati di qualche sentimento che lei non riusciva a cogliere, e sentiva il proprio cuore impazzire, l'aria farsi profumata, il silenzio diventare leggero.
Fu solo quando lui si sporse sopra di lei per baciarla, e quando le sussurrò all'orecchio di amarla più di ogni altra cosa ed oltre ogni ostacolo e comprensione; solo allora lei capì che quel momento era solo per loro, che il tempo si era curvato per creare una bolla di vuoto intorno a loro, che quello era il loro istante infinito. La principessa, dimentica di essere principessa, ricambiò il bacio.

Alcione si voltò nuovamente verso Clef. "Cosa hai visto?" chiese allarmata. Rimase di sasso quando si accorse che dove avrebbe dovuto esserci un ragazzino accovacciato, questi non c'era. lo vide sfrecciare per le scale del palazzo, nella direzione in cui erano andati Zagart ed Emeraude.
"Questo è un trucco schifoso! Vecchio è di bassissimo livello" gli urlò contro, agitando un pugno.
"Vero!" gridò lui di rimando, senza smettere di correre. "Ma funziona!"
Alcione si lanciò al suo inseguimento. In effetti Clef correva, ma quanto può correre veloce un ragazzino con una ferita del genere? E infatti Alcione lo raggiunse dopo pochi minuti di corsa lungo i corridoi del castello, dove si stendeva una scia di guardie tramortite. Ad un certo punto Alcione vide Clef barcollare pericolosamente e prendere male una curva, con il risultato di finire con la faccia contro il muro.
"Attento!" gli gridò, ma poi si riscosse. Aveva ricevuto degli ordini da parte di Zagart, e se li avesse eseguiti a dovere lui l'avrebbe lodata, apprezzata. Bastava questo. bastava.
Bastava?
Alcione afferrò Clef per le caviglie e lo costrinse a girarsi. Lui, steso a terra con il fiato corto, non mosse resistenza.
"Non ce la fai più?" domandò lei.
"No. Guarda che macello che sto facendo" disse Clef, riferendosi alla ferita sull'addome: il sangue gli aveva impregnato tutti i vestiti, e colava fino alla punta dei piedi.
"Zagart si è fatto prendere un po' la mano"
"Beh, era agitato..."
"Ecchissenefrega, checcavolo! Mi ha aperto in due! Nemmeno avessi fatto chissà che..."
"Non vai da nessuna parte?"
"La vedo dura"
Alcione gli sorrise, poi prese un lembo del suo mantello e lo strappò. Avvolse la stoffa attorno alla ferita con delicatezza e precisione.
"Per adesso dovrebbe bastare. Sai, quello di prima è stato un trucco veramente infimo..."
"Ah, beh" disse Clef. "Non hai visto questo"
Dopo uno -scusa- molto poco convinto la colpì in viso, proprio sotto il mento. Approfittando del tentennamento di Alcione, si rialzò in piedi e riprese a correre incespicando.
"Brutto..." fece la donna guardando il sangue che le colava sulla mano. "Brutto, piccolo, sleale bastardo...!"
Anche lei si alzò e tentò di acchiapparlo diverse volte. Ma Clef ormai poteva vedere il portone che dava alle stanze della principessa. Lo trovò completamente sfondato, ma non ci fece troppo caso. Scavalcò le macerie con un salto, ma Alcione, dietro di lui, gli si buttò addosso di peso e lo fece inciampare in uno dei detriti, e così finirono entrambi faccia a terra.
Lui le afferrò i capelli, lei prese a stringergli il collo, e rotolarono di lato. Lì fermò un'altra sonora capocciata, poi il grido di una donna li allarmò.
Clef avvertì un curioso singhiozzo al cuore quando vide la principessa togliere da sopra di sé un corrucciatissimo Zagart e ritirarsi su le spalline del vestito, mezzo aperto sul petto. La principessa disse qualcosa tipo -non è affatto ciò che sembra-, eppure questa volta era esattamente ciò che sembrava.
Di quello che provò Alcione non parleremo, perché certi dolori vanno al di là delle parole.

Emeraude si sentiva profondamente imbarazzata, lì, seduta in cerchio assieme a Zagart, Clef ed Alcione, mentre cercava di allacciarsi più decorosamente l'abito.
"Hai capito..." cominciò Clef. "...la nostra principessina..."
"E piantala" disse lei. "Non abbiamo fatto niente"
"Uh, sì" rispose il ragazzo. "E io sono un Pesce Tazza"
"Pesce che?"
"Pesce Tazza"
"Non esiste"
"Un giorno vi spiegherò il significato del nome -ironia-"
"E dell'aggettivo -pessima-" concluse Zagart. "A proposito, scusami per quel taglio. Non ho saputo controllarmi"
"Va bene, ma pare che stia diventando un abitudine..."
"Ti porto subito nell'ala ospedaliera, se la principessa me lo permette"
"Eh? Ma certo, Zagart, non chiedermelo nemmeno, certo!"
Zagart fece un cenno con il capo e poi aiutò Clef ad alzarsi. "Come va?"
"Non chiedre. Meno domande, più camminare"
Alcione rimase a lungo in silenzio, poi, senza chiedere il permesso e con un solo gesto del capo, si congedò. Allora Emeraude rimase sola con sé stessa, e ad un tratto le parve sentire qualcosa pulsare nel petto che non era il cuore. Cos'era quella sensazione? Come di qualcosa che premeva contro lo sterno. Non lo aveva mai provato prima. Sentì il proprio amore diventare enorme nel suo petto. C'era qualcosa di strano.
Chi c'è dentro di me...?

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Capitolo 19
*** Spaccatura ***


Nuova pagina 3

Clef si svegliò in un comodo letto dell'ala ospedaliera, come pareva accadergli spesso; eppure questa volta si ricordava abbastanza bene come ci fosse arrivato. Una larga fasciatura gli copriva l'addome, la poteva sentire sfregare sulla pelle. La ferita non gli faceva più male, ma le bende gli davano un certo prurito.
Una voce lo salutò, e da dietro un angolo comparve Lantis. Clef si illuminò: era da molto che non si incontravano.
"Come stai?" chiese il cavaliere.
"Bene, meglio di quanto mi aspettassi. E tu?"
"Anche io meglio di quanto mi aspettassi"
"Come mai?"
Lantis prese posto di fianco al ragazzo, che si era tirato su a sedere.
"Sai" esordì. "Io e Zagart abbiamo parlato. Per bene, senza che uno dei due si facesse prendere dall'ira, o da quello che è..."
Clef rise, ignorando una piccola fitta dalla ferita.
"E abbiamo chiarito i nostri... disagi"
"Che vi siete detti?"
"Vuoi un resoconto dettagliato?"
"Ehi, devo stare fermo qui almeno un paio di settimane, dammi qualcosa su cui scervellarmi!"
Di nuovo, risero, insieme.
"Mi mancava" fece Lantis "Questo clima così rilassato"
"Già" gli rispose Clef. "Anche a me. Comunque non cercare di cambiare discorso"
"Non mi va di parlarne..."
"Uffa... a te non va di parlare e punto"
"Non insisti?"
"Non mi va"
Lantis sorrise e voltò la testa. "A proposito. Ti ho portato una sorpresa"
"Sapevi che ero sveglio?"
"No. Avevo in programma di svegliarti io"
Il cavaliere si alzò e si diresse verso una delle tante porte nella sala. Quando l'aprì, Clef scattò in avanti, con il risultato di doversi chinare su sé stesso per il dolore.
Adele si diresse verso di lui e, prima che il ragazzo potesse dire qualcosa, lei lo abbracciò, circondandogli il collo con le braccia.
Clef si dimenò. "Ma dov'eri? Ti ho cercata per due giorni interi!"
"Stavo..." cominciò lei, senza guardarlo negli occhi. "Stavo male"
"Male?"
"Sì. Quando è venuta la tua amica, quella Alcione... fuori dalla porta mi sono sentita male"
"Perché non sei venuta da me?"
"Non volevo disturbarti"
Clef fece un sorriso sghembo. "Tonta"
Le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso, ma quel sorriso non raggiunse anche gli occhi. Clef se ne accorse.
"Ora come stai?"
"Un po' meglio. Senti, adesso ho da fare. Tu riposati. Io passo tra un po'"
"Va... va bene..."
Clef si rimise sdraiato e la guardò allontanarsi, accompagnata dalla sua treccia che le rimbalzava sulla schiena.
Una settimana, si disse la ragazza prima di chiudere la porta dietro le proprie spalle. Una settimana.

E passò una settimana. Una settimana in cui al palazzo gli eventi sembravano congelati. Tutto sembrava normale, improvvisamente, tutto era tornato allo stato comune delle cose. Nessuno aveva più menzionato ciò che era accaduto quella sera di una settimana prima, sembrava semplicemente che non fosse mai successo.
Quel giorno Adele si alzò con un groppo alla gola, e si diresse nella stanza di Clef tormentata da fitte di paura. Lungo il tragitto Non parlò con nessuna delle persone che incontrò. Non alzò mai lo sguardo. Quando raggiunse la porta della stanza si paralizzò, bloccata dal terrore.
La aprì. Sembrava un sogno lontano, che non aveva fatto lei. Non aveva mai dovuto fare niente del genere, prima d'ora. Era semplicemente terrorizzata. Come si è terrorizzati quando si affronta il dubbio.
"Ciao, Clef"
"Ehi, buongiorno! Come mai a quest'ora?"
"Sono le nove. Tu sei sveglio"
"Si? In effetti, è curioso" disse lui con una risata. Anche lei provò a sorridere, ma non ci riuscì.
"Ehi, tutto bene?" chiese Clef.
"Ti devo parlare"
Clef rimase immobile. "Ehm... questa non è una cosa buona, vero?"
"Io..."
Dillo. Tutto d'un fiato. Altrimenti non riuscirai a dirlo più.
Ma non riuscì a dirlo. Si limitò a prendere posto sul letto di fianco a lui.
Lui si alzò a sedere ed avvicinò le labbra a quelle di lei, ma Adele scansò il bacio. Clef rimase interdetto, sporto in avanti, con uno sguardo interrogativo negli occhi. La ragazza non rispose a quella domanda silenziosa, così il ragazzo la esplicitò. "Beh? Mi sono perso qualche passaggio importante della storia?"
Ancora silenzio. Clef si accostò ostentando una certa dolcezza, che però in quel momento non provava.
"Scompari per due giorni, non rispondi alla mia lettera (mi auguro che tu l'abbia letta) e adesso mi tratti come se ti avessi accoltellata con il tagliacarte" si guardò intorno "Che peraltro non trovo più, chissà dove l'ho messo? In ogni caso, mi vuoi dire che ho fatto?"
Adele scosse la testa. "Non sei tu. Non hai fatto niente"
"Non mi pare"
"è colpa mia. E colpa mia, o forse non è colpa di nessuno di noi"
"Pronto? Adele, mi senti? CRedo che un demone abbia preso possesso del tuo corpo!"
Adele gli prese una mano e la strinse, e lui smise immediatamente di sorridere.
Era gelata, e tremava. Clef la guardò negli occhi, lucidi di lacrime.
"Mamma mia, allora è una cosa seria..."
"Non possiamo più vederci"
Cadde il silenzio. Un vuoto di suoni pieno d'incredulità. Clef avrebbe voluto parlare, ma aveva un nodo alla gola.
"Non devi cercarmi più, né scrivermi" continuò lei cominciando, suo malgrado, a piangere. "né parlarmi, né rivolgermi uno sguardo, mai più"
Clef cercò di riprendere a respirare, ma era difficile.
"C-cosa?"
"Scusami. E' tutta colpa mia"
"Ma perché?!" non riusciva più a controllare la voce. Ora stava urlando.
Adele si alzò e corse verso la porta, ma Clef le afferrò il polso.
"Lasciami!"
"Va benissimo" ora la voce del ragazzo era piena di furia. Adele non osò battere. Negli occhi di Clef c'era una luce che non aveva mai visto, un'ira che non si addiceva a quegli iridi azzurri.
"Va benissimo. Sapevo che prima o poi ci saremo lasciati, alla nostra età è normale, ed io lo accetterei, se a lasciarmi fossi tu. Ma se mi lascia il tuo fidanzato, allora no. Allora mi arrabbio"
Adele sgranò gli occhi. Lui le prese il viso tra le mani.
"Dimmi che succede"
La ragazza tentò di sostenere il suo sguardo, ma le lacrime l'accecarono.
"Non posso..."
"Certo che puoi. Io sono qui. Non c'è niente che tu non possa dirmi"
"Questo non posso dirlo"
Clef l'abbracciò forte, cercando di trattenerla. "Tu lo sai, che per te io ci sarò sempre, vero? Qualunque cosa ti abbia detto quell'uomo..."
"No!" lei si sciolse dall'abbraccio. "Sono qui di mia spontanea volontà. Lui non mi ha detto niente"
"E allora?"
Lei non rispose. Si allontanò ed aprì la porta. Sulla soglia si fermò.
"La lettera era bellissima. Grazie"
Ed uscì.
Però Clef, ormai si sa, non era tipo da rimanere zitto, nemmeno quando forse sarebbe stato meglio. Uscì dalla stanza e la rincorse. Quando la raggiunse l'abbracciò forte da dietro.
"Io non ti lascio andare"
"Devi"
"Non esiste"
Adele si girò e ricambiò l'abbraccio.
"Sono incinta"
Clef sentì una scarica di gelo trafiggergli le braccia. Le gambe divennero improvvisamente cedevoli. Fece involontariamente qualche passo indietro. Adele cercò di tenerlo in piedi. "Ehi!"
Clef le si appoggiò addosso. "Sto bene"
"Vuoi sederti?"
"Lo ammazzo. Com'è successo?"
"Mi dispiace" disse lei con un sorriso disperato. "Sono una donna debole. Non volevo"
"Non volevi?! Ti ha costretta?!"
Adele non rispose.
"Lo uccido!"
Adele cercò di trattenerlo con un altro abbraccio. "Non mi ha violentata!"
"Ma vuoi essere chiara, per favore?! Mi sembra una situazione abbastanza delicata da richiedere tutta la precisione possibile!"
"Va bene, ma non gridare!" disse lei ricominciando a piangere, mentre affondava il viso nei vestiti di lui.
Clef si calmò, cercando di dare un ritmo regolare al proprio respiro.
"Va bene. Scusa" disse con un sospiro. "Com'è successo, allora?"
Adele si rabbuiò. Lo prese per mano e lo condusse di nuovo nella stanza, poi si sedettero entrambi sul letto. Adele cominciò il proprio racconto.

Quando ci siamo incontrati nei corridoi, quella volta, lui, beh, aveva già dei sospetti su un tradimento, ma non pensava che fossi tu il mio... amante (è strana questa parola), così si è molto arrabbiato. Ma ha solo alzato la voce, ha gridato che ero una donnaccia. Io gli ho detto che doveva calmarsi, e che non avevo intenzione di mettermi a gridare come lui. Ho fatto finta di essere sicura di me, per una volta nella ma vita, e lui si è calmato davvero. Così gli ho raccontato tutto, e lui ha ascoltato in silenzio e senza fare commenti. Gli ho detto di come ci siamo conosciuti e dei nostri contatti, che eravamo riusciti a mantenere. Quando gli ho detto che durava da quattro mesi, quasi cade dalla sedia. Però non ha fiatato per tutta la durata del mio racconto. Appena ho finito, mi ha chiesto se ti amassi. Io ho risposto che quello che provo per te è molto forte. Mi ha chiesto cosa provassi tu, e ho detto -la stessa cosa-. Lui mi ha risposto che noi non potevamo essere davvero innamorati, perché lui mi amava veramente e non mi avrebbe lasciata a nessuno. Ma lo ha detto con tenerezza. E poi mi ha abbracciata, e mi ha detto che avrebbe voluto sinceramente passare tutta la sua vita con me, e che non era una questione di amicizia tra padri, ma che lo faceva per amore. Ha detto che mi amava. Che io ero libera di scegliere, ma che senza di me lui si sarebbe tolto la vita. Lo ha detto con una voce che io... non sono riuscita ad andare fino in fondo. Io non volevo ferirlo. Non ci sono riuscita. Sono una donna debole. Insomma, lui ha... cominciato a piangere, e anche io mi sono commossa. Siamo rimasti in silenzio così, a lungo, e poi... non lo so, mi ha steso sul letto e mi ha detto che mi avrebbe resa felice, che avremo passato tutta la vita insieme felicemente. Semplicemente. Così, come il mondo ce la offriva. E io ho pensato che... che non volevo pensare. Sono una donnaccia, ha ragione lui. Nemmeno, io l'ho fatto per debolezza. Di fronte alla sua fragilità e alla bellezza delle sue parole, ho voluto credergli. Ho voluto credere che le cose si sarebbero aggiustate da sé. Non so perché l'ho fatto. E' successo e basta. Perdonami, Clef, almeno tu, perché certo io non potrò mai perdonare me sessa. Pensavo di fare del bene, come fosse un regalo, e con il mio sadismo, non trovo altre parole per descriverlo, sadismo infantile, ho creato solo altro dolore. Ora porto suo figlio in grembo. Lui non lo sa ancora, volevo prima parlare con te. Ma almeno tu, cerca di capirmi. ho fatto un errore enorme, ho considerato on maniera sbagliata, sbagliatissima, il mio corpo, e ora ne pagherò le conseguenze. Ma non voglio che mio figli cresca senza un padre, o con un padre che non è il suo. Quindi, questa volta, addio. Vorrei che tu potessi capire. Sei stato il più grande amore della mia vita.

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E ce l'ho fatta!!! ho aggiornato!!! chiedo umilmente perdono, ma oltre ad essermi beccata un virus, ho anche avuto una straziante discussione con la mia creatività, che non voleva uscire dallo stanzino delle scope... commentate ^_-

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Capitolo 20
*** Bugiarda ***


Nuova pagina 3

"Ho intenzione di fare un altro ricevimento"
"Oddio, no"
Clef si abbandonò pesantemente sul divano nello studio della principessa, una stanza tappezzata di librerie e con una minuscola scrivania nel centro, illuminata dal bagliore di una candela. "E perché?"
"Perché voglio... non ti sembra una buona idea? Dà senso di serenità, di benessere... a me sembra una buona idea"
"Mi toccherà preparare tutto..."
Emeraude fece finta di incupirsi. "Se non vuoi farlo, lo chiedo a qualcun'altro. Mica sei indispensabile, che credi?"
"E quando lo trovate qualcuno che vi organizza le cose esattamente come le volete voi?" le rispose lui con un debole sorriso.
Emeraude ricambiò con una leggera risata, delicata e limpida, ma questa si spezzò subito.
"Stai bene?"
Clef rimase un po' in silenzio. "Non tanto"
"Che hai?"
"Un po' di impicci"
Lei gli si accostò, con un'espressione apprensiva.
"Me ne vuoi parlare?"
"Pff, per carità, di impicci voi avete i vostri e vi bastano. Ognuno deve sbrogliarsi i propri problemi da sé, ad un certo punto"
"Mh... ma le persone si aiutano anche a vicenda. Si tratta di un'interazione sociale che fanno in molti, hai mai provato?"
Clef rise e anche la principessa si illuminò di un sorriso.
"Dai, dimmi" insistette la ragazza.
"No, davvero, non è il caso"
"Dai"
"Non mi va di parlarne"
"Dammi almeno un indizio"
"Lasciate perdere"
Quell'ultima frase fu così gelida che Emeraude non si sentì di replicare. Rimase lì dov'era, impietrita, mentre lui si alzava e mormorava delle scuse poco convinte, avviandosi verso l'uscita. Sulla porta Clef si fermò.
"Non vi preoccupate per la festa. Mi occuperò io di tutto"
Ed uscì.

Con chi avrebbe potuto parlarne? Chi avrebbe potuto aiutarlo? Dagli errori si impara, e le persone si perdonano, ma si accorse che esisteva un confine, superato il quale gli errori semplicemente non erano permessi, e se ne commettevi uno, era finita. Il fatto era che Adele aveva ragione. Non avevano il diritto di sottrarre il padre biologico ad un bambino innocente. Finché si trattava di loro due, andava bene tutto, ma mettere in mezzo un figlio era una cosa... Clef nemmeno riusciva a formulare il pensiero, tanto gli girava la testa dalla paura. Che poi, cosa resta in una situazione del genere, se non la paura di non poter tornare indietro? Gli sembrava di aver percorso una strada buia e tortuosa, di cui il buio inghiottiva la fine, ma la strada percorsa era sempre stata illuminata. Adesso, invece, era sparita, inghiottita e troncata, per sempre. Ecco. Il punto di non-ritorno. Non avrebbero più potuto fermarsi. Ricordò le parole di Emeraude, mesi prima.
Mi sento come una pallina di vetro che precipita lungo un piano inclinato. Non posso fermarmi, non posso tornare indietro. Posso solo andare sempre più veloce. Così veloce che quando toccherò terra mi frantumerò.
Se solo ci fossimo fermati a riflettere davvero su quello che stavamo facendo...
In quel momento, mentre fissava uno dei mille stendardi in cui era imprigionato, sentì un fiotto d'odio per Adele nascergli nel petto.
Era tutta colpa sua. Donna debole, incapace di prendere in mano la propria vita, di difendere la propria felicità, aveva finito per concedersi a quello come se niente fosse, senza un motivo. Stupida! Maledetta stupida, cosa hai fatto?!
Gli tremarono le mani ed il drappo cadde. Ferio, poco dietro di lui, gli si accostò e lo raccolse.
"Tutto ok?"
"Se rispondessi di sì, tu chiederesti -davvero?-. Che palle, mi sono stufato"
Ferio si irrigidì. "Eh?"
Clef lo guardò un attimo e poi distolse lo sguardo. "Scusa. Non volevo. Cioè, volevo, ma ho fatto una stupidaggine"
Ferio si rilassò e gli sorrise. "Tranquillo. Com'è sei così scorbutico? Hai mica le tue cose?"
"Senti, mister codino fuori moda, tra noi due la signorina sei tu"
"E chi lo dice?"
"Quel bel paio di tette lo suggeriscono"
"Non sono tette, che tra parentesi si dice seno, ignorante, ma sono muscoli, e tu non li hai perché sei un lombrico flaccido"
"Sì, insomma, siete molto amici voi due" disse Plesea spuntando alle loro spalle con un altro drappo tra le mani, di un tristissimo viola. "Che discorsi che fate"
"Ma che ne capisci tu di alta filosofia?" rispose Ferio. La ragazza sorrise di sbieco.

 

Ci volle una settimana di lavoro per preparare tutto per bene, ma alla fine il risultato fu grandioso: mai il palazzo aveva visto una festa più sfarzosa. Tuttavia, Clef non riusciva affatto a sentirsi felice. Anzi, vagava per i corridoi, impiccato dalle ghirlande colorate, con uno sguardo triste. Gli altri avevano preso ad evitarlo, e lui preferiva così. Meglio che nessuno facesse domande.
Non aveva scritto ad Adele, nonostante la ragazza glielo avesse chiesto. Non trovava la forza di prendere la penna, non trovava le parole. Cosa dirsi, a questo punto? A cosa serviva tenersi in contatto quando lei aveva deciso di andar via? Di nuovo, un fiotto di risentimento che sapeva di fiele. Si passò una mano tra la frangia sudata e lasciò che quelle maledette ghirlande assorbissero le sue preoccupazioni.
Quella sera, tutto era pronto. La sala da ballo si riempì di donne in abiti voluminosi e di cavalieri eleganti. La principessa accompagnava l'orchestra battendo un piede a terra, ostentando così tanto la propria indifferenza da rendere palese il suo sforzo per non incrociare lo sguardo di Zagart. Pessima attrice. Ma in fondo Zagart stava immobile sulla propria sedia, neanche fosse fatto di marmo. Clef, dal canto suo, stava tutto imbronciato al proprio posto, con le gambe accavallate e i capelli spettinati. Emeraude, pur non sapendo di Adele, non aveva osato replicare, così come i membri del consiglio (fatto curioso).

Gli abiti volteggiavano, la luna irradiava la sua luce argentea dalle finestre, l'orchestra suonava furiosa. Clef cercò di impedire ai propri occhi di vagare sul posto in cui aveva visto Adele la prima volta, stretta in un abito sobrio, con la sua treccia corvina. Ovviamente non ci riuscì. Il fiotto amaro che sgorgò dal suo cuore questa volta non era rabbia, ma comunque velenoso. Era angoscia, mista a nostalgia e ad altri sentimenti a cui non è mai stato dato un nome e comuni solo agli innamorati.
Si sentì sfiorare la spalla e si voltò. La principessa lo guardava con una domanda silenziosa negli occhi. Clef non le rispose.
"Vorrei che tu me ne parlassi" disse lei. "Quando lo vorrai"
Lui si limitò ad un debole cenno di assenso.
"Lo sai che a me puoi dire tutto"
"Non è questo il punto. Non mi va di parlare né con voi né con nessun'altro. Voglio solo essere lasciato in pace"
Emeraude annuì debolmente. Si era sentita ferita.
"Come preferisci"
Clef si voltò di nuovo dall'altra parte, poggiando la guancia sulla mano. Guardò con poco interesse uno degli uomini dell'orchestra strimpellare uno strumento contorto di cui gli sfuggiva il nome. Poi il suo sguardo si spostò, assieme a quello di molti altri, su una signora che aveva appena fatto una caduta impressionante sulla pista da ballo e ora giaceva in una posa contorta mentre il compagno si chinava su di lei. Qualcuno rise educatamente, altri cercarono di aiutare la signora. Clef spostò di nuovo lo sguardo, suo malgrado, su quel posto proibito, dove quel giorno stava lei.
E lì, di nuovo, lei c'era.
Clef socchiuse gli occhi, domandandosi se non se la stesse immaginando. Poi, quando la vide sorridere, il suo viso lievemente truccato rilucere di quel gesto, sentì il cuore stringersi nel petto.
Strappò lo sguardo da lei, ma inevitabilmente l'occhio sfuggiva su di lei, che rimaneva lì, immobile come una statua di cristallo. Clef cercava di distrarsi, ma più ci provava e meno ci riusciva. Cosa ci faceva da sola? Perché non lo cercava con lo sguardo? Eppure sapeva qual'era il suo posto. Aveva intenzione di parlargli? Perché non si muoveva? Perché era seduta proprio ?
E poi se ne rese conto.
Lei aspettava.
Ma non aspettava lui. Non più.
E quando dalla folla vide emergere quello che nella sua mente era diventato l'altro avvertì la gelosia prenderlo alla gola e costringerlo a voltarsi. Ma poteva sentire gli occhi di quell'uomo su Adele, la loro pelle sfiorarsi mente lui la invitava a ballare.
Sentì sulla schiena la mano di Emeraude.
"Che hai?" aveva la voce allarmata. Non aveva visto Adele e quell'altro.
"Un giramento di testa. Torno subito"
"Vengo con te"
"No, da solo"
Emeraude si scostò, cercando di dissimulare il risentimento. "Va bene..."
Clef si alzò e si allontanò con furia. lasciò la sala da ballo e rallentò il passo fino a fermarsi, quando la musica lo ebbe abbandonato. Si poggiò al muro e lasciò scivolare la schiena fino a cadere a terra. Prendendosi la testa fra le mani.
"Avrei..." mormorò. "Avrei dovuto proteggerti"
Il silenzio non rispose. Rimase immobile, vibrando nel vuoto del corridoio buio.

Quando vide Adele ballare con il suo futuro marito Emeraude reinterpretò il comportamento di Clef.
Non rifletté prima di scendere dal suo trono troppo imponente dietro la ringhiera, e non si curò di Zagart che la chiamava. Raggiunse la ragazza, incespicando nel vestito. Con un gesto scostò l'uomo.
"Vieni con me" disse a lei. Non attese una risposta e la trascinò via, urlando un -te la riporto subito- a lui.
Condusse Adele in un luogo più appartato (fermo restando che si trovavano in una sala da ballo). Partì a raffica.
"Ma si può sapere che accidenti fai con quello? Vuoi farmi morire Clef di gelosia?!"
"Ma, io..."
"Nessuna scusa! Io non so perché lui non ti abbia ancora presa per i capelli, ma tu adesso vai lì e gli parli!"
"Ma..."
"Ora"

Clef sollevò appena il viso per vedere di chi fossero quei passi.
"Credevo che tra noi ci fosse un accordo"
Adele gli sorrise, amara. "Ma pare che Emeraude non ne fosse al corrente. Mi ha ordinato di venire a parlarti"
Clef non rispose.
"Alzati da lì" disse lei.
"Non posso"
"Perché?"
"Non ci riesco"
Adele gli tese la mano. Clef guardò finalmente negli occhi di lei e sentì la rabbia morire soffocata dall'affetto. Ma non prese la mano che Adele gli porgeva e distolse subito lo sguardo, e la sua voce fu gelida.
"Che vuoi, adesso?"
"Solo dirti che mi dispiace, davvero. Anche se vale poco, ormai"
"Già, in effetti non me ne faccio granché"
"Mi manchi"
"Anche questo non mi è molto utile"
Adele chiuse gli occhi per reprimere il dolore. Abbassò la testa e mormorò un saluto, accompagnato da altre scuse. Così si allontanò, trascinando il passo, verso la sala da ballo, lasciando lui seduto lì.
Arrivò alla porta decorata e vi fece scorrere le dita sottili. Ed improvvisamente si rese conto di quale fosse la cosa importante.
Si voltò e corse verso quella cosa.
Clef, da parte sua, tutto si aspettava meno un abbraccio con slancio, così entrambi si ritrovarono a terra. Adele piangeva, ma tra le lacrime c'era un sorriso.
"Non mi importa di quello che sarà. Finché potrò starti vicino, qualunque futuro sarà meraviglioso"
Clef avvertì le lacrime pizzicargli gli occhi, ma non piangeva da troppo tempo per ricordarsi come si fa.
"Io vorrei passare tutta la vita con te" continuò la ragazza tra i singhiozzi. "Per la prima volta in tutta la mia vita so esattamente ciò che voglio"
Lo guardò negli occhi di cristallo.
"Voglio stare con te per sempre"
Clef quasi non avvertì l'ondata di sentimenti che lo travolse. Le passò una mano tra i capelli neri.
"-per sempre- è parecchio"
"Ma non abbastanza"
Clef sorrise. L'avvicinò a sé e la baciò delicatamente sulle labbra.
"Va bene. Insieme. Per sempre"
Adele sorrise. "Sei melenso"
"Vero"
"Però è una bella frase"
Sì. Adesso che ci siamo giurati amore eterno, scenderesti da sopra di me? Sei un pochino pesante"
"Oh, sì scusa" Adele si rialzò con un velo di rossore sul viso.
"Domani glielo dirò"
"A chi?" domandò Clef tirandosi su sui gomiti.
"A lui"
"Ah. Sì, domani" rispose il ragazzo con uno sguardo eloquente.
"Domani. Giuro"
"Perché non oggi?"
"Perché devo ancora realizzare. E poi ho mangiato troppo"
Clef sorrise. "E che c'entra?"
Adele rispose alla risata. "Devo andare. Devo levarmi questo maledetto corsetto"
Si salutarono con un ultimo bacio. Clef la guardò allontanarsi incerta sui tacchi, stretta in un abito di un delicato color pesca, con la gonna di seta che le abbracciava le gambe magre. Anche l'altro la stava fissando, nascosto in un angolo che i raggi di luna non baciavano, e nei suoi occhi splendeva il fuoco dell'ira e della gelosia.

Clef si svegliò d buonumore, per la prima volta dopo tanto tempo, sereno e felice. Sapeva che i problemi non erano svaniti, ma improvvisamente erano diventati meno imponenti.
Si vestì in fretta, puntuale per la prima volta in vita sua; riuscì persino a mettersi un po' in ordine i capelli, ma poi, guardando il proprio riflesso nello specchio a muro, sorrise con uno sbuffo e se li scompigliò di nuovo. Quando uscì si preparò a venir travolto dai rumori del palazzo, suono di passi ed il clangore delle armature e il cozzare degli scudi, chiacchiericcio, e il frastuono dei lavori provenienti dalla sala da ballo, che veniva ripulita dopo la festa
Invece, silenzio. Denso e pesante. Assolutamente anomalo.
Dov'era la gente?
I corridoi erano deserti, tutti quanti. Clef vagò per le sale e dopo un po' cominciò ad avvertire una certa inquietudine. Non c'erano nemmeno le guardie appostate. Attraversò diverse stanze, deserte anche quelle, e tese le orecchie, per cogliere qualche rumore che tradisse la presenza di qualcuno. Dopo diversi minuti, però, ancora niente, e all'inquietudine cominciò ad accostarsi l'ansia.
Svoltò l'ennesimo angolo e andò a sbattere contro una persona: una donna che teneva il figlioletta per mano.
Clef arretrò, e si scusò con la signora, sollevato di aver incontrato qualcun'altro e potergli chiedere spiegazioni. La donna non rispose alle scuse. Clef fece per domandarle dove fossero tutti, ma si accorse che lei singhiozzava sommessamente.
"Signora, sta bene...?" chiese, leggermente allarmato. Era davvero una situazione strana.
In quel momento la donna alzò lo sguardo d incrociò gli occhi chiari di Clef, davanti i quali dondolavano diverse ciocche di capelli ingarbugliate. "Voi siete il Monaco Giuda?" chiese finalmente, con la voce tremante.
Clef annuì con cortesia, sfoderando un bel sorriso. "Sì, sono io. Ma cosa vi succede, signora?"
E la donna lo abbracciò. Clef fu preso talmente tanto in contropiede che non osò muoversi. Cercò di formulare una domanda, ma era parecchio imbarazzato.
"E... e dove siano - ehm - sono -ops - tutti i cosi... la gente?"
"Povero ragazzo, povero ragazzo..." sussurrò la donna.
Clef la allontanò, indignato. "Ma si può sapere che accidenti succede?!" alle ortiche le buone maniere.
In quel momento si accorse che la madre teneva le mani premute sugli occhi del bambino. Quel gesto, così familiare ma lontano nella sua memoria fece scattare in Clef qualcosa, avvertì le mani che fremevano.
Proprio in quel momento passarono due guardie con dei lenzuoli bianchi tra le mani, correndo. Clef non perse altro tempo con la donna e li seguì, senza domandare loro nemmeno dove fossero diretti. Si limitò solo a presentarsi in modo sgarbato e ordinar loro categoricamente di non parlare. Sentiva il sangue pompare nelle orecchie, una sensazione d'ansia crescente.
Arrivarono nell'ala del castello dove vivevano i funzionari minori, tutti quelli che avevano un impiego a palazzo che non fosse fisso.
Le due guardie continuavano a correre abbastanza velocemente, Clef faceva fatica a star loro dietro, così non fece caso alla strada che percorsero.
Alla fine i due rallentarono, e lui intravide una folla stretta in uno dei corridoi di appartamenti. Clef si addentrò tra la massa di gente a spintoni e gomitate, mentre quell'ansia cresceva.
Ad un certo punto Si scontrò contro un'armatura dura e fredda. Alzò lo sguardo per profondersi in un'imprecazione decisamente poco consona alla sua carica, ma si fermò, quando incrociò gli occhi autorevoli di Lafarga.
L'uomo rimase un attimo spiazzato, e i suoi occhi si fecero cupi.
"Finalmente una faccia amica!" disse Clef con un sorriso. "Ma che succede, si può sapere?"
Lafarga abbassò lo sguardo, e gli poggiò le mani sulle spalle.
"Venite con me" disse.
"Ma che succede? Perché tutta questa gente ammassata di fronte ad un appartamento?"
Lafarga non rispose e Clef perse la pazienza. Fece per scostarlo ed andare a vedere, ma l'uomo lo afferrò con decisione per un braccio.
"Non credo che voi dobbiate andare lì"
Clef lo guardò con occhi interrogativi e abbastanza irritati.
"Non c'è bisogno che vediate"
Di nuovo, nella sua memoria qualcosa scattò. Il terrore lo prese alle viscere. Si guardò intorno. osservò le facce dei presenti, il corridoio che si snodava. E si rese improvvisamente conto che quell'appartamento era di Adele.
Le gambe divennero molli e per un attimo credette di perdere i sensi. Anche Lafarga dovette pensarlo, perché cercò di sostenerlo come se dovesse cadere. Ma Clef si divincolò dalla presa, e con nuova foga spintonò la gente per farsi largo. Non badò a Lafarga che lo chiamava, dicendogli di aspettare. Alla fine l'uomo riuscì a raggiungerlo, lo prese per una spalla. Ma Clef aveva appena varcato la soglia.
Qualcosa, in quel momento, si ruppe. Un sogno forse, un futuro.
Adele giaceva prona, riversa nel proprio sangue, e con occhi di vetro lo fissava.

La madre, accovacciata al suo fianco, non piangeva mentre la guardava.

I due militari che aveva seguito prima stavano per poggiare le lenzuola su di lei.

Clef non si accorse di aver gridato, di essere entrato nell'appartamento ed aver strappato dalle mani di quei due i drappo bianco. Le si accostò in ginocchio, le prese le spalle e tentò di scuoterla, chiamandola, ripetendole di svegliarsi, sempre senza sentirsi, mentre un sudario di silenzio gli calava addosso, soffocando tutti i suoni.
Sfiorò le ferite che Adele aveva sul ventre. Segni di una lama. La abbracciò, continuando a chiederle disperatamente di svegliarsi, perché stava solo dormendo, solo dormendo...
Una goccia salata gli piovve sulle labbra, e si accorse di piangere. la cullò, avanti e indietro, piano, con delicatezza, è così fragile...
Sentì due mani sollevarlo di peso. Una voce, lontana, oltre il sudario, stava ripetendo, ripetendo, ripetendo...

Mi dispiace.

I suoi occhi saettarono. Lui, quell'uomo, stava in piedi, di fronte ad una guardia, con l'espressione sconvolta e gli occhi accesi di terrore. Continuava a dire che gli dispiaceva, mentre con una mano tentava di lavare via un po' del sangue che lo ricopriva. I suoi occhi scuri si incrociarono con quelli cristallini di Clef.

L'ira sollevò il sudario, i suoni esplosero. Si scagliò su di lui, avvertì il calore dl sangue sulle nocche mentre gli spaccava il labbro. L'uomo cadde a terra ed il ragazzo gli saltò addosso, ma Lafarga lo afferrò e lo sollevo di peso un'altra volta, bloccandolo. Ma la furia e la disperazione erano troppo grandi, erano enormi, due sentimenti giganteschi. Clef estrasse la spada di Lafarga senza che questi riuscisse a fermarlo. Gli ferì le mani per costringerlo a lasciarlo e si liberò della sua presa, infine vibrò il colpo contro la gola dell'assassino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La spada si fermò, vibrando. Clef sentì le lacrime lacerargli il viso, entrargli in bocca, scivolargli sul mento. L'uomo aveva negli occhi il terrore della morte, mentre quella lama sfiorava la sua gola. Chissà perché tutti sono convinti che la morte sia la cosa peggiore? La voce di Clef fu ferma, nonostante le lacrime, rotta solo da quell'odio che gli ruggiva nel petto.

Tu avrai quanto di più terribile io possa darti.

"Ordino che quest'uomo venga rinchiuso nelle prigioni del castello, in una cella senza sbarre, senza finestre, senza luce, con solo pietra intorno a lui, e che vi rimanga per sempre, e che non sia lasciato morire di stenti o di malattia, in modo che per sempre subisca l'adeguata punizione per aver ucciso lei e me"

 

Bugiarda. Avevi detto insieme, per sempre.

Per sempre.

 

 

___________________________

Ciao a tutti! Avete visto? Sono ancora viva, sopravvissuta al primo mese di scuola!! (è stata dura...) Tanto più che il mio computer ha tradito il mio amore per lui, con un falso contatto tra scheda ram e scheda video, ergo il monitor è VUOTO. Il tecnico? ci richiama lui, certo. Voi l'avete sentito? No, infatti. Quindi volevo scusarmi con voi per il ritardo, ho fatto quello che ho potuto, e poi volevo scusarmi con Clef per quello che gli ho fatto, poverino, che vita di me***! (me estremamente sadica ^^). Grazie a tutti quanti e speriamo che dopo sto ritardo mi seguiate ancora! anche perché con la scuola che ci mette lo zampino potrò scrivere un po' più di rado, praticamente solo nei week end... vi prego, siate comprensivi T_T

Un saluto a tutti! by Seph ^^

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Capitolo 21
*** Niente - epilogo ***


Nuova pagina 1

Da quanto Plesea gli stava carezzando i capelli?
E come era finito lì sdraiato?
Ed Emeraude? Perché era seduta lì? Quando era entrata?
Non ricordava di aver chiuso gli occhi, né di essersi svegliato, ma la sua mente era troppo annebbiata per suggerirgli come fosse giunto in quella stanza. Non era svenuto, di questo era certo. Non aveva dormito, nemmeno questo.
Ah, sì.
Ora ricordo.
Era morto. Lo avevano ucciso. Ucciso un pezzettino. Quanto importante? Dove era finito? E lei? Chissà dov'era lei? Chissà se quel pezzetto di lui le fosse accanto? I suoi occhi erano vitrei, come quelli del cadavere che non avrebbe dimenticato mai. Sarebbero rimasti per sempre così, come quelli dei morti? Chissà quanto lontano puoi andare nella mia memoria, prima che io dimentichi com'era il tuo viso? Bugiarda. Non hai mantenuto la promessa. Non hai mantenuto la promessa. Non hai mantenuto la promessa. Bugiarda. Me lo avevi promesso.
Sì, è vero, è una promessa stupida. Ma lui ci credeva. Per lui era importante.
E adesso?
Le persone, le parole, tutti i suoni nel silenzio, lo scalpiccio dei gesti inutili e frugali, i disegni delle dita, le labbra che corrono dietro alle idee. Tutto questo è importante?
Davvero,
è importante?
No. Uhmpf. Non è importante.
Chi sono tutti questi pensieri? Perché la mente corre, e fruga?
Pensare fa male. Per un po', forse, è meglio smettere.
Adesso, chiuderò gli occhi. E poi, sarà Buio.

Plesea avvertiva il delicato fruscio delle ciocche di capelli del fratello sulle proprie dita, che tremavano. Era da un po' che aveva cominciato a piangere, ma per ora nessuno ci aveva fatto caso. Carezzò il profilo del viso del ragazzo, cercando il suo sguardo. Ma quello era lontano. In un posto dove forse non sarebbe potuta andare anche lei. Continuò a carezzargli i capelli in quel gesto meccanico, un piccolo e silente contributo al dolore del fratello.
Nella stanza c'erano altre tre persone, Emeraude, Lantis e Lafarga, eppure non si udiva un solo suono.
I due uomini stavano appoggiati alla parete, fianco a fianco, immobili. La principessa, invece, sedeva sul letto assieme Plesea e Clef, che non sembrava essere però completamente conscio della situazione. La Colonna si dondolava inerme avanti e indietro, stretta nelle spalle.
"Clef?" chiamò.
Gli occhi di lui saettarono nella sua direzione, piantandosi nei suoi, ma senza vederla. Emeraude avvertì un brivido.
"Cosa hai intenzione di fare?"
Clef non rispose.
"Vuoi davvero fare quella cosa? Cioè... rinchiuderlo a vita?"
Un cenno di assenso, nulla di più.
"E tu?"
Nessuna risposta.
"Come stai?"

Ci sono le parole, da qualche parte. Non sono chiuse. Ma non riesco a trovarle. C'è disordine.

C'è un suono. Un suono bellissimo. Tanto delicato. Che fugge via.
Ceri tu, e c'ero io, e poi fu il buio. Ma il buio prima del giorno, e la vita sembrava migliore, scrivevamo sulle pareti un futuro più bello, rincorrendo i disegni della mente con le mani nel cielo. Afferrare il pensiero oltre lo sguardo con le dita degli amanti, che percepiscono il vento cantare nell'aria senza bisogno di suoni. Avrei voluto rincorrerti come un'immagine chiara per tutta la vita, e poi forse un giorno toccarti piano. La nostra promessa sta vibrando nell'aria.
Ci siamo stati io e te, insieme, abbracciati senza tocco, e poi fu il buio.
E poi fu il buio.
Il buio dopo il giorno.
Mi domando se potranno esserci altri giorni.
Ecco le parole. Non sono importanti, ma le ho trovate.

"Non lo so. Non sento niente. Dovrei stare male. Ma non sento niente"
Va molto oltre. Un dolore che va molto oltre la sofferenza. Io le volevo bene.

Emeraude gli si accostò e poggiò la propria mano su quella del ragazzo.
"Nessuno di noi ha parole di conforto. Non possiamo fare nulla per te. Non un gesto, non una carezza, valgono quello che provi. Noi lo sappiamo. Ma anche se è inutile, Clef, siamo tutti qui. Ci saremo sempre"
Detto questo, Emeraude si alzò e si avviò alla porta.
"Vado a cercare la famiglia di Adele"
Un nome che raschia sulle orecchie.
Quanto tempo potrà passare prima che io mi dimentichi come suonava il mio nome detto da te? E il tuo viso? Giura che riuscirò a ricordarlo. Almeno il modo in cui sorridevi, il colore dei tuoi occhi, di cui non sono già più tanto sicuro. Vorrei chiedertelo. Di che colore hai gli occhi? Mi fai vedere come ti fai la treccia? Come muovi le mani mentre ti trucchi? Mentre ti vesti per una serata importante? Mi concedi questo ballo?
Mi concedi questo ballo?
Al destino non ci ho mai creduto. Ma mi serve qualcuno a cui dare la colpa.

 

Una settimana più tardi ci furono i funerali. Clef vi partecipò. Non pianse. Non perché non volesse, non perché si trattenesse. Solo, non sentiva niente.
Ma la luce non era più la stessa.
Vorrei venire con te. Ovunque tu stia andando. Chissà se mi aspetterai.
Non sei morta. Hai solo gli occhi chiusi. Solo gli occhi chiusi. Solo gli occhi chiusi.
Un corredo funebre avanzava tra fiori rossi e viola, e rubava loro i colori. Cominciò a cadere la pioggia.
Ma non bagnava i capelli. Cadeva la pioggia dagli occhi, la pioggia amara sulle labbra quando le accarezza.
Scrivevamo sulle pareti un futuro più bello, la nostra storia fantastica, fatta di gesti che sfuggono mentre noi aspettavamo qualcosa che non sarebbe mai giunto. Scrivevamo sulle pareti un sogno non troppo lontano e ora sono bianche di niente. Le nostre pareti sono bianche di niente. Chissà se le mie mani potrebbero arrivare a toccarti.
Chissà se sai che la notte il mio ultimo pensiero sei sempre tu?
Un uomo in abito scuro gli si avvicinò a testa bassa. Clef non sentì il bisogno di voltarsi a guardarlo, quando questi gli rivolse la parola. in fondo, non era importante.
"So che le parole non servono, ma vorrei che tu sapessi due cose. La prima è poco importante, ma mi dispiace. La seconda è che lei ha detto il tuo nome tutto il tempo"
"Quando dici -tutto il tempo-" chiese Clef afono. "Ti riferisci a quel tempo durante il quale l'hai colpita, seviziata e pugnalata dodici volte con una lama che avevi preso con te appositamente per quello scopo chissà quanto tempo prima pur insistendo che non vi fosse premeditazione di sorta e aspettandoti anche che ti si creda, e sperando che riuscirai a fuggire dalla condanna che ho emanato io?"
L'uomo rimase interdetto, ma prima che potesse aggiungere altro Clef riprese a parlare.
"Non darti pena, quel che è fatto e fatto. Per ora limitati a guardare il suo viso, e questa bella luce di stamattina, perché oggi è il tuo ultimo giorno da essere umano. Mi curerò personalmente che tu, da domani, venga trattato da mostro quale sei. Mi premurerò che tu sopravviva più a lungo di me, in modo da non poter trovare conforto nemmeno nella morte. Non hai idea di che cosa io abbia ordinato ai carcerieri che ti verranno a prendere questa sera nella tua stanza. E se credi che ci sia una via di fuga, se pensi che io non abbia il potere di farti questo, sappi che non ce l'ho, ma che nessuno verrà a ricordarmelo" L'uomo si paralizzò, e Clef con la coda dell'occhio credette di vederlo piangere. Ma non era importante.
"Ricordatelo. Tu non sei più un essere umano"
Il vento scompigliò le vesti del cadavere di Adele, tentando invano di ridarle la vita.
"Comunque grazie"



EPILOGO:

Così si conclude questa prima parte della storia.
L'uomo, di cui non diremo mai il nome, poiché non è più un essere umano, venne rinchiuso in una cella senza finestre e sbarre nel livello più profondo delle prigioni, come fu comandato. Il Monaco Guida non ordinò mai, come ci si era aspettato, di sottoporlo a tortura di sorta. tuttavia, dopo sole poche settimane l'uomo impazzì, e folle è tuttora, preda della giusta punizione, ovvero l'eterna memoria.
La madre della ragazza rinunciò al proprio incarico di ancella della principessa e tornò nella città in cui era nata. Il padre, invece, morì pochi anni dopo per cause naturali, in silenzio, nel sonno. Fu ritrovato da una guardia sdraiato di fianco alla tomba della figlia.
Il Monaco Guida riprese immediatamente il proprio lavoro, eppure mai più con lo stesso animo di prima. Divenne diligente e puntuale. Il Consiglio non ha più trovato alcunché di cui lamentarsi. Eppure, penso di non sbagliare se dico che manca a tutti noi.
La tomba di Adele non fu un monumento sfarzoso, ma solo una piccola lapide di pietra nuda, con un nome senza suono e due date incisi sopra. Non ci furono decori, e pochi visitatori. Però, nel tempo, nei giorni, ogni settimana, c'erano i fiori. E questo poteva bastare. Una storia come tante, sicuramente poco importante di fronte all'immensità del tempo. Ma i fiori ci furono sempre.

                                                                                                       Sarus - frammento

 

Nessuno era preparato a ciò che accadde quell'anno. Nessuno di certo lo avrebbe creduto. E' per questo, per fare in modo che non venga dimenticato, o preso per leggenda, che mi appresto a scrivere quei fatti così dolorosi per noi tutti: la storia di una donna e del suo amore, e di un potere antico in cui non credevamo, la storia di un mondo che ha guardato dentro sé stesso, e di tre arditi, accompagnati da una guida oltre quello che noi credevamo possibile. La storia del loro viaggio.

La storia della prima ed ultima Colonna di Sephiro ad avere evocato i Cavalieri Magici.

                                                                                                            Irus - Libro della Rivoluzione vol.1

 

______________________________________

La storia non è finita, mancano Zagart ed Emeraude ancora da sistemare.... diciamo che questo conclude il racconto sul background di Clef (che vitaccia). Questa prima fase si concluderà con l'evocazione dei cavalieri magici, e poi ci sarà la seconda fase che racconterà la storia di Hikaru, Umi e Fu un po' diversa da quella che conosciamo noi... spero che continuiate a leggere ^^ a proposito, scusate se il capitolo è piccino, ma questo lo sentivo corto, nella mia testolina bacata

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Capitolo 22
*** Sussurro ***


Nuova pagina 1

Due anni si consumarono.

In questo lasso di tempo non era cresciuta granché, si disse la principessa cercando di individuare qualche difetto del vestito, che non era sicura di aver infilato bene. Di prima mattina aveva imparato a non fidarsi troppo delle proprie capacità cognitive, più di una volta Ferio l'aveva ripresa facendole notare di essersi messa l'abito al contrario. E poi, questo che aveva indosso era un intricato garbuglio di lacci e fiocchetti. Un regalo da parte di tutte le ancelle per il suo compleanno, per farglielo indossare il giorno della festa. Questa volta avevano deciso che sarebbe stata una cosa limitata alle persone più vicine alla Colonna.
La mente della principessa fluttuò mentre rifaceva un nodo, e si andò a poggiare su un pensiero doloroso.
Zagart non avrebbe partecipato.
In parte questo la faceva soffrire, ma sapeva che anche rivederlo non l'avrebbe fatta stare meglio. L'anno precedente non si era presentato, e lei stessa aveva dato l'ordine che non fosse lasciato entrare, ma non era comunque riuscita ad impedirsi di lanciare di tanto in tanto un'occhiata alla porta, nella speranza di scorgere la sua sagoma austera.
Da quando aveva emesso l'ordine di allontanamento e gli aveva revocato la carica, quel giorno al gazebo, non lo aveva più rivisto. Era stata una scelta dolorosa e difficile, ma l'aveva presa credendo che il suo sentimento in questo modo sarebbe scomparso.
Invece aveva sortito l'effetto contrario. Si era ritrovata troppe volte a pensare a lui, a ricordare ogni momento prezioso che aveva nel cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di dimenticare, eppure non riusciva a distaccarsi da quei ricordi. Com'è strano il cuore delle persone. Si sorprese a sperare di rivederlo. Davvero, chissà, forse la fortuna potrebbe aiutarci.

Quando scese le scale e fece il suo regale ingresso nella sala da ballo -che ormai era stata promossa a "sala festini"- seguì un coro di acclamazioni. Per fortuna, sembrava che il vestito fosse nel verso giusto. alcune ancelle le si accostarono per farle i complimenti, subito dopo anche Ferio si arrampicò sulla scalinata per abbracciarla e farle gli auguri di buoni sedici anni. Poi vennero tante altre persone, così in fretta che riconobbe appena Lantis, Lafarga e la voce lontana di Plesea che tuta concitata diceva di cominciare a gettarsi sulla colazione servita su lunghi banconi bianchi, che ormai gli auguri erano fatti.
Inutile stare a raccontare come andò tutta quella giornata, ai lettori basti sapere che nessuno si azzardò a lavorare e che fu solo giorno di festeggiamento. I compleanni li conosciamo tutti, e questo non fu diverso. Sappiamo anche che il bello delle feste arriva di sera, quando tutti sono stanchi ma nessuno ha intenzione di cedere. Così la festa si trascinò fino al calar del sole e molto oltre. Emeraude aveva un bicchiere in mano, e non ricordava granché di più. Un po' ubriaca ma non troppo, ricevette diversi inviti a ballare, e li accettò tutti finché non le fecero troppo male i piedi per continuare (tacchi maledetti). Alla fine si andò ad accasciare su una sedia non troppo comoda per togliersi le scarpe sotto la gonna, di nascosto.
dopo alcuni minuti Plesea, reduce anche lei da molti inviti accettati, le si sedette accanto con una risata.
"Uffa, che fatica! Non pensavo di poter praticare il moto perpetuo... non mi sento più le gambe"
Emeraude ricambiò la risata tirando fuori un piedino scalzo per evidenziare la solidarietà.
"Ci credereste che un vecchiaccio del Consiglio mi ha invitata a ballare?" disse ancora Plesea.
"Davvero? E chi?"
"Olus. Ma ho rifiutato. Non ero troppo sicura di riuscire a circumnavigare con le mie braccia il suo pancione"
Dopo l'ennesima risata, Emeraude azzardò una domanda. "E tuo fratello?"
L'espressione di Plesea cambiò subito, diventando più malinconica. "E' lì che parla con Ferio, nel senso che Ferio parla e lui annuisce. Al solito"

Clef vide con la coda dell'occhio Plesea che lo indicava. Si sforzò per un attimo di immaginare di cosa potesse parlare la sorella riferendosi a lui, ma poi decise che non era una cosa importante, che non richiedeva la sua attenzione, così tornò a guardare Ferio, con poco interesse. Il ragazzo continuava a parlare, e lui cercava di capire cosa stesse dicendo, ma c'era la nebbia attorno a lui.
Due anni.
E quel sudario non si era alzato mai.
Domani devo portare i fiori.
Quando Ferio si allontanò un attimo con un gesto di scuse, Clef si trascinò verso una piccola sedia in un angolo e si sedette. Si ricordò di avere tra le mani un bicchiere di cristallo. Non gli piacevano gli alcolici, non gli erano piaciuti mai, eppure bevve meccanicamente. La testa era già annebbiata così com'era, ma riusciva ancora a pensare. Meglio di no.
Meglio di no.

Per l'ennesima volta lo sguardo andò a cercare tra la folla il volto di Zagart, e lo vedeva ovunque, illuso dalla speranza che venisse. Emeraude si costrinse a guardare da un'altra parte, ma non era possibile. La sensazione che la stanza gremita di persone fosse comunque vuota, perché non c'era lui. I ricordi dei momenti passati insieme non sbiadivano, nonostante si allontanassero nel tempo. Sembravano solo un sogno lontano.
Per eliminare quei pensieri molesti dalla mente, la principessa si allontanò dalla sala a lunghe falcate. Salì una rampa di scale e percorse tutto il corridoio, fino a rientrare nelle sue stanze. Giunta lì corse verso il bagno e si sciacquò la faccia, mettendo le mani a coppa in una vaschetta piena d'acqua e petali. Riprese fiato, mentre sentiva qualcosa sussultare dentro di lei.
Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo.
Non era il cuore a sussultare.
Voglio vederlo.
Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo.
Né il respiro nel petto.

Voglio vederlo.  Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo.
Era qualcosa, che prima non si sentiva, ma che c'era da tempo.
Voglio vederlo.  Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Voglio vederlo.
Qualcosa che stava tra il cuore e lo sterno, Qualcosa che premeva da tanto, tanto tempo.
Un desiderio profondo. Un bisogno. Una necessità vitale.
Ti prego. Vieni. Ho bisogno di vederti. Ho bisogno. Ti prego. Ho tanto bisogno.
Quanto è buio.
Emeraude si voltò di scatto. "Chi c'è?!"
Perché qui è così buio?
La principessa si guardò intorno. Sola. Chi aveva parlato?
E' una stanza stretta. E' buia.
Da dove veniva quella voce sottile, flebile, evanescente, eppure così vicina?
Perché non c'è nessuno qui?
Emeraude sentì montare il panico. C'era qualcuno nella stanza con lei. Eppure non ne avvertiva la presenza. E dove poteva nascondersi? Il bagno non era poi tanto grande.
Si fece coraggio, tendendo le orecchie per cogliere il più flebile sospiro, e mosse qualche passo avanti. Non c'erano suoni, adesso. Nessun bisbiglio, nessun sussurro.
Emeraude fu presa dalla paura ed uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Rimase in ascolto. Niente.
Calma. Calma.
Niente.
Calma.
E' troppo buio. Fammi uscire.

"Calmatevi principessa, respirate. Non ho capito una parola di quello che avete detto"
"C'è qualcuno! Nelle mie stanze, che mi segue! Era vicinissimo!"
Clef lanciò un'occhiata apatica a Lafarga e gli fece cenno di seguirlo. Disse ad Emeraude di restare, ma lei insistette per essere scortata assieme a loro per vedere chi l'aveva tanto spaventata.
Giunsero davanti alle stanze della Colonna e Clef si mise di fronte alla porta, poggiandovi sopra una mano con circospezione. La aprì di scatto, e Lafarga saltò in avanti per pararsi di fronte a lui.
Niente.
Com'era prevedibile, l'ingresso era deserto. Con un gesto, Lafarga diede ordine alle tre guardie che si era portato dietro di cominciare un'ispezione. Emeraude si accostò a Clef, che ora stava in posizione rilassata.
Gli afferrò la camicia con le manine gelate.
"Te lo giuro, c'era qualcuno. Sono scura. L'ho sentito. Mi ha sussurrato all'orecchio"
"E che ha detto?"
"Sei sarcastico?"
"Affatto"
Emeraude scandagliò lo sguardo del ragazzo. Ma ormai si era abituata a non trovarci più niente, figurarsi il sarcasmo.
"Ha detto che era in una stanza buia. E stretta. E poi... che voleva uscire"
"E poi?"
"Poi basta"
"Non ha detto nient'altro"
"No"
"E voi che avete fatto?"
"Sono venuta da te"
Clef si passò una mano sul mento.
"Che stavate facendo, prima di sentirla?"
"Mi stavo rinfrescando. Niente di particolare"
"La voce com'era?"
"Eh?"
"Mi spiego, era di un uomo o di una donna? Età? Magari vi era famigliare?"
"No, non era di nessuno che conoscessi. Ma era di donna, credo. Era lontana. Acuta. Forse di bambina. Sembrava di bambina"
Una delle guardie riemerse dalle stanze e si rivolse a Lafarga. Questi, poi, si girò verso Clef ed Emeraude.
"Non hanno trovato nessuno"
"Sì" rispose Clef. "Anche io non sento la presenza di nessuno. Le stanze sono vuote, principessa"
"Impossibile. C'era"
"Allora è fuggito"
"Fate controllare il castello!" disse la ragazza.
"Principessa, non credo sia il caso" disse Clef afono. "La gente potrebbe agitarsi. Sicura di non esservelo immaginato?"
"No, io... io..."
La voce le morì in gola. Sentì il pavimento sparire sotto di lei, il fiato rompersi nel petto, il cuore saltare un battito.
Nello specchio di fronte a lei, vedeva la propria immagine riflessa con uno sguardo di terrore negli occhi. Dietro, una nuvola di fumo nero pulsava, avvinghiata alla sua schiena.
E' buio. E' buio. Fammi uscire. Per favore.

Te lo dico ad un orecchio. E' un segreto.

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Capitolo 23
*** Tende ***


Fanfic23 C'erano delle tende. Era tutto buio, non si vedeva bene. C'era, su un lato, una piccola fessura da cui filtrava una lama di luce. Era una stanza di pietra. E c'erano le tende. Pesanti. Soffocanti.
Emeraude si tirò su a sedere, si accorse di essere rimasta a lungo sdraiata sul pavimento freddo. Cercò di mettersi in piedi, ma le gambe erano pesanti, troppo pesanti. Faceva freddo. Il respiro si condensava in piccole nuvolette di vapore candido. Si accorse di essere nuda, ma non le parve strano.
cercò con le mani qualcosa nel buio, a tentoni, muovendo passi incerti. Ma sfiorava solo le tende pesanti. Le sentiva sulle braccia, poi sul viso, mentre avanzava, e le sentiva sussultare sulle sue labbra quando respirava. Il pavimento sotto i piedi nudi era gelido. E quelle tende erano soffocanti.
Una risata le sfiorò l'orecchio, un suono lontano ed evanescente. Emeraude si immobilizzò. Tese l'orecchio. Di nuovo, qualcuno rise. Più vicino. la risata cristallina di una bambina. sentì qualcosa sfiorarle la mano e fuggire. Le tende sussultarono ancora, alle sue spalle.
Altre risate di bambina, che si avvicinavano per fuggire subito via. E di nuovo, qualcuno le sfiorò la mano.
Vibrò la voce cristallina nel buio: "Ciao"
Emeraude si voltò di scatto, ma non vide nessuno. Si sentiva disorientata e confusa, ma non aveva paura. Però, quelle tende, erano così pesanti...
"Ciao" ripeté a voce.
"Dove sei?" domandò la ragazza. La sua voce echeggiò di suoni diversi, come se tanti bambini le facessero il verso. Le rispose un'altra risata.
"Dove siamo?" chiese Emeraude, di nuovo accompagnata dall'eco di voci.
"Da nessuna parte" rispose la bambina.
"Ma dobbiamo pur essere da qualche parte"
Un'altra risata. "Più vicino di quanto sembri"
"E tu dove sei?"
L'ennesima risata, e di nuovo il silenzio.
le tende pesanti palpitarono per l'ultima volta, filtrò una sottile lama di luce.
C'era una bambina, dove prima c'era il buio. Una bambina dagli occhi di fantasma e i capelli come la neve. Emeraude rimase colpita, e non spaventata, come forse avrebbe dovuto, da quegli occhi senza iride. Solo una pupilla attenta ed intelligente. Anche la pelle era diafana.
"Come ti chiami?" chiese la principessa.
La bambina  si guardò intorno, come in cerca di un suggerimento che venisse sussurrato da quelle tende pesanti.
"Non lo so"
"Non te lo ricordi?"
"Non mi hanno dato alcun nome. Io non ce l'ho" disse la bambina accompagnandosi con un sorriso inespressivo. "Non mi hanno dato neanche il colore. Né degli occhi, né della pelle, né dei capelli"
"E allora come posso chiamarti?"
"Non saprei"
"Ma dove siamo?"
"nella mia stanza buia"
"La tua stanza buia?"
"Dove mi tengono nascosta"
"E perché ti tengono nascosta?"
"Oooh!" disse la bambina coprendosi la faccia, come se fosse terrorizzata al sol pensiero. "Oooh! Se lo scoprissero, sarebbe un disastro! se mi vedessero, tenterebbero di uccidermi!"
Emeraude si chinò per carezzarle la testa.
"Non avere paura, non lascerò che ti venga fatto del male"
"Ooh, non è vero. Forse tu per prima mi soffocheresti. Come le tende, che tolgono l'aria, che sono pesanti, che uccidono la luce"
"Hai tanta paura?"
"Si chiama paura?"
"Credo di sì"
"Allora sì, ne ho tanta"
Emeraude si rialzò, guardandosi intorno. "Quanto è grande la tua stanza buia?"
"Ooh... tanto quanto sei in grado di immaginare tu"
"E come si esce?"
"Non lo so. Io non posso uscire. Vorrei tanto ma non posso"
"Perché?"
"Te l'ho detto. La mia stanza buia è l'unico posto sicuro"
"Non sei mai uscita?"
"No. ma ho visto la luce, poco fa. Una lama sola. Piccola. Però era luce che viene da fuori. Certo, le tende l'hanno subito uccisa, ma io l'ho vista"
"ma..."
"Sssssh!" la bambina si mise un dito sulle labbra.
Emeraude tacque subito, aspettando un suono, che non venne.
"Non senti?" chiese la bambina. "Ti chiamano"
"Chi?"
"Loro"
"Loro chi?"
"Tutti quelli che stanno fuori, alla luce. Non parlare di questo con loro, non parlarne con nessuno. Ora vai"
Emeraude vide quella bambina senza colore salutarla, poi il pavimento scomparve.

Si svegliò con un sussultò, e la prima cosa di cui si accorse fu il dolore alla testa. Acuto e lancinante. La seconda cosa fu il dolore alle guance. Infine si accorse della voce che la chiamava.
"Principessa! Principessa, state bene?"
Era la voce di Clef, finalmente allarmata dopo tanto tempo di suoni afoni.
"Principessa, che avete?"
Emeraude cercò di capire cosa fosse successo. Si guardò intorno.
Clef la stava sorreggendo, e lei era distesa per terra. Forse era svenuta, spiegato quindi il dolere alla testa. Ma non ricordava perché. Si trovava nelle sue stanze, e tutto sembrava normale, tranne forse per il fatto che era circondata da guardie.
"Clef..." si accorse di avere la voce tremante. "Che è successo?"
"A me lo chiedete? Vi siete guardata allo specchio e siete svenuta! Insomma, io vi trovo carina, oggi..."
La principessa sorrise, nel sentire tornato un po' del suo sarcasmo, poi quel sorriso si cancellò quando tornò il ricordo della pulsante ombra nera sulla sua schiena. lanciò subito un'altra occhiata allo specchio. Ma niente.
"Ma allora è stato un sogno?"
"Che?"
"Parlavo tra me e me"
"Fantastico, ora sono certo che abbiate battuto la testa parecchio forte"

Non è stato un sogno. Ne sono sicura.
Una bambina senza colore...

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Salve a tutti! Intanto vi ringrazio per aver letto e recensito, e poi mi scuso per i capitoli così corti, ma faccio fatica a trovare il tempo di aggiornare, quindi spezzarli un po' credo sia meglio, sennç la fine la leggete tra un mese! ^^
Un saluto, by Seph!
Ah una cosa: ho scritto una ff su angel sanctuary a due mani, su un account diverso (Sunshine_Sephirah), e siccome nessuno se la fila, vorrei dire a chi è piaciuto il manga se vuole farci un salto ci fa un favore. Sul mio acount c'è il link diretto, dovete solo fare copia e incolla ^^ Saluto!
E mi auguro che si possa pubblicizzare una propria storia su una propria storia... -_-"


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Capitolo 24
*** Ghiaccio - seconda parte ***


fanfic22 Alcione fece un gesto alle guardie all'entrata per attirare la loro attenzione.
"Potreste venire qui da me?" chiese.
Alcione era una figura conosciuta in tutto Sephiro come Grande Maga di palazzo, così i due uomini le si avvicinarono immediatamente e senza sospettare di nulla. Quando furono abbastanza vicini la donna sfoderò un sorriso ammaliante e poggiò le mani sulle loro fronti. In un istante dalle sue labbra fuggì una formula rapidissima e i due crollarono a terra addormentati. Il sorriso sparì per far posto ad un'espressione soddisfatta.
"Via libera. Non si sveglieranno per una decina di minuti"
A quel richiamo una figura incappucciata sbucò da dietro un angolo ed andò ad accostarsi alla donna.
"Non avrei mai creduto che potesse funzionare veramente" disse.
"Dovresti imparare a fidarti di me" rispose lei.
La figura si tolse il cappuccio e una folta chioma di capelli neri sbuffo nell'aria.
"Io mi fido di te, Alcione, solo che mi sembrava un espediente così poco originale che... non so, non mi convinceva"
Quella voce le fece tremare le mani, bella, limpida e melodiosa, bassa e forte.
"Rimetti il cappuccio, altrimenti sarà stata tutta fatica sprecata. Andiamo, dobbiamo trovare Emeraude"
Così, Zagart e Alcione si voltarono ed entrarono nel castello.

Percorsero i primi tratti di corridoio con estrema furtività, ma si accorsero, dopo pochi minuti, che non c'erano guardie in quell'ala del palazzo.
"Forse è successo qualcosa" disse Alcione tra sé e sé.
"O forse Clef ha fatto tagli del personale"
"Ora capisco perché voi due siete tanto amici"
"Cioè?"
"Nessuno di voi due riesce a rimanere serio troppo a lungo" disse lei con un sorriso.
"Io ci riesco"
"Non mi pare"
"Se volessi potrei"
"Insomma che facciamo?"
Zagart si guardò intorno e alzò le spalle.
"E che dobbiamo fare? Andiamo a cercare Emeraude. Può essere che le guardie siano tutte nella sala dei ricevimenti"
Alcione annuì e si avviarono.
Il palazzo, così vuoto, era strano. Certo tanta pace e silenzio non si erano mai sentiti lì. Il rumore dei passi rimbombava sul soffitto a croce, così alto da sembrare un cielo di pietra. Persino respirare era rumoroso.
In tanto silenzio Alcione avrebbe giurato di sentire il proprio cuore urlare di dolore.
Lo aiutava. Come aveva promesso a sé stessa tanto tempo fa. O forse non era nemmeno tanto che si era fatta quel giuramento. In ogni caso, lo aiutava. Così per sempre, la norma. Eppure lo aiutava a rivedere quella che nel cuore di lui occupava lo stesso trono a cui Alcione aspirava, nella parte più remota dei suoi pensieri. Era un segreto, chissà perché, che lei lo amasse. Forse perché sapeva che non ci sarebbe mai stato posto per lei, su quel trono, e allora bastava stare vicino a lui. Non importava se Zagart se ne accorgesse o meno, perché bastava a lei. Era sempre bastato quello. Amare, in fono, non vuol dire sacrificarsi ad una persona, completamente e senza rimorso?
E allora, cos'era quella bestia che rodeva un angolo della sua anima?
Fa male anche solo pensarci.
Quindi meglio non pensarci, no?
No?

...No?

"Alcione?"
La voce di Zagart interruppe i pensieri della donna.
"Sì?"
"Hai più parlato con Clef dopo... insomma, dopo quella cosa?"
"Quella cosa che è successa?"
"Sì"
"Molto poco. Veramente è lui ad essersi fatto molto silenzioso"
"Non parla più?"
"No, parla ancora, ma per esempio non risponde più in modo sarcastico ai vecchi del Consiglio, e ti ho detto tutto"
"E' grave, allora"
"Beh, tu come ti sentiresti se qualcuno uccidesse Emeraude?"
Zagart abbassò la testa.
"Non dirlo nemmeno"
"Appunto. Senti, ma è vero che una volta Clef aveva completamente smesso di parlare?"
L'uomo fece un cenno d'assenso. "Quando tornò da Raquia, dopo che ebbero ucciso i suoi genitori, la sai la storia. Ma dove lo hai sentito?"
"Voci di corridoio. Non credevo che fossero vere"
"L'ho conosciuto in quel periodo. Sai, io avevo il compito di addestrarlo, prepararlo per il suo ruolo. Non ha parlato per due mesi interi"
"E quando ha ricominciato?"
Zagart distolse lo sguardo dagli occhi viola di Alcione.

Che diritto avevano di esistere, quelle parole?

"E' una sotria lunga"

Se mamma e papà sono morti, che diritto hanno le mie parole di esistere ancora?

"Abbiamo ancora parecchia strada da fare, prima di arrivare alla sala dei ricevimenti"

Che diritto ho io, che ho ucciso i miei genitori, di poter parlare ancora?

"Dai, raccontamenla"

Che diritto ho io di esistere ancora?

"Non è una cosa di cui a Clef piaccia che si parli"

Tu non hai ucciso nessuno.

"Ma lui non è qui"

Tu non potevi immaginarlo nemmeno.

"E poi non lo dirò a nessuno"

Loro sono morti per aiutarti a vivere, ed è questo il tuo diritto.

"Lascia stare, Alcione"

Quindi parla.

"Va bene, non chiedo più"

Perché ogni parola che dici porta il peso della loro vita.

"Sssh!"
Zagart passò una mano sulla bocca di Alcione e la srattonò in un angolo, facendole cenno di non parlare.
Per il corridoio rimbombavano dei passi flebili, lontani. Un gruppo di persone, forse tre o quattro.
Zagart si azzardò a sbirciare.
Il cuore saltò un battito.
Lantis, accompagnato da due guardie, camminava tenendo lo sguardo basso.
Zagart sentì la schiena fremere.
Quanto avrebbe voluto parlargli, spiegargli. Chiedergli scusa. Chiedergli auito.
Lantis si fermò d'improvviso. le due guardi che lo accompagnavano si girarono a guardarlo chiedendogli con gli occhi se avesse intenzione di rimanere a lungo imbambolato.
"Andate avanti, io ho dimenticato di dire una cosa a Lafarga"
Quelli si scambiarono un'occhiata di sbieco, poi abbassarono la testa al loro generale e si allontanarono.
Lantis non si mosse. Attese che le due guardie si fossero allontanate. Quando quelle sparirono, riprese a respirare.
"Puoi uscire"
Zagart prese per mano Alcione e la condusse fuori da quel nascondiglio. Quando lui le sfiorò la mano il cuore della donna sussultò. Incredibile che anche da adulta potesse succederle una cosa del genere. Ma invece di pensare al suo cuore disordinato, doveva preoccuparsi di Lantis. Zagart era stato bandito dal castello, non avrebbero dovuto farsi scoprire. E adesso.
I due fratelli si guardarono a lungo, in silenzio, con i loro occhi intensi e profondi. Poi Lantis lasciò che il nodo alla gola si sciogliesse, prese fiato e parlò.
"Mi sei mancato, Zagart"
"Anche tu, Lantis"
Mi sei mancato davvero tanto.
"Dove sei stato tutto questo tempo?" chiese Lantis.
"Fuori"
"Fuori dove?"
Zagart fece un gesto per veitare la domanda.
"Sono stato in una cittadella non troppo lontana da qui. Ho dormito in una locanda"
"Non ti hanno riconosciuto?"
"No. Ho dato un altro nome"
Continuarono a guardarsi in silenzio, cercando negli occhi dell'altro, l'opportunità.
"Sono successe tante cose mentre eri via" dsse Lantis.
"Cose importanti?"
"Affatto. ma tu ci sei mancato. A tutti"
Quel -tutti- sottointendeva molte cose, comprese le silenziose lacrime di Emeraude.
"Perché sei sparito?" chiese Lantis in un lampo d'audacia. "Perché non ti sei fatto più sentire, nemmeno per lettera?"
Zagart chinò il capo. Come dire al fratello che non ci era riuscito perché il dolore lo aveva soffocato troppo a lungo? Come spiegare il torpore oscuro in cui era precipitato, vagando senza meta lontanò dalle città, chela lontananza da quel luogo lo aveva quasi annientato?
Lantis dovette intendere che il fratello si trovava in difficoltà. Gli poggiò una mano sulla spalla e disse:
"Non importa. Adesso sei tornato"
Che fosse quella l'opportunità? Si, era quella.
Zagart abbracciò il fratello con un calore che non gli era congeniale. "Sei mancato anche a me"
Vedere Zagart impegnato in un simile gesto d'amore fraterno fece un curioso effetto su Alcione, silenziosa spettatrice. Provò un moto di gelosia che tentò di soffocare disepratamente. Ma quel dannato sentimento che la perseguitava era più forte di lei.
Miserabile.
Lo prese per il mantello e lo strattonò.
"C'è qualcuno, dobbiamo andare"
Zagart si fidava di lei. Non avrebbe teso l'orecchio. Lei lo sapeva.
L'uomo si scostò dal fratello e lo guardò negli occhi profondi come l'abisso, così simili ai suoi.
"Aiutami Non dire niente a nessuno"
"La principessa si trova nelle stanze di Clef, con lui. Le guardie sono tutte nelle sale della Colonna. Non dirò niente a nessuno"
Zagart sorrise di fronte alla risposta senza esitazione del fratello, poi se ne discostò e si allontanò con Alcione.
Non abbracciare qualcuno che non sia io.
Non guardare nessuno che non sia io.
Se tu lo facessi, io morirei. 
Perché il mondo non avrebbe senso senza di te.
Non voglio. Assolutamente.
Che tu la riveda.
"Aspetta, Zagart"
Miserabile.
"Che c'è?"
Miserabile.
"Non vuoi ripensarci?"
"E perché dovrei?"
"Clef potrebbe essere un problema"
"Io non credo"
"Forse dovrei andare avanti io" osò Alcione.        
Zagart non rispose. Si limitò a guardare in basso, mentre il pavimento di marmo del castello scorreva sotto di lui.
Due anni di lontananza non avevano sfocato nella mente di Zagart il ricordo di quei lunghi ed interminabili corridoi decorati.
La nostalgia lo sfiorò un istante, si avviuppò stretta attorno al suo cuore e sparì subito. In due anni aveva provato talmente tani sentimenti dolorosi da non riuscire a sentirli più.
Alcione, invece, li sentiva tutti, uno dopo l'altro, mentre la massacravano in silenzio, nascosti per bene.
Infine gunsero difronte alla porta, bassa e decorata con due grifoni rampanti in legno, del Monaco Guida.
Zagart guardò Alcione. I suoi occhi brillavano.
"La sento, è lì dentro" non riuscì a mascherare la gioia.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
"Vado avanti io, Zagart. Non si sa mai"
L'uomo rifletté solo pochi secondi.
"Va bene"
Alcione bussò delicatamente alla porta, facendo cenno di nascondersi a lui.
"Chi è?" la voce di Clef, oltre la porta, era otrnata atona come sempre.
"Sono Alcione"
"Vieni, entra"

Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
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Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
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Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
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Miserabile.
Miserabile.
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Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.
Miserabile.

Miserabile me e il mio sentimento.

Però, io ti amo.

E tu sei mio.

Tutto iniziò e finiì con un lampo. Il primo, quello di Alcione, era esploso a pochi centimentri dal viso di Emeraude, il secondo invece era stato quello di Clef che aveva cercato di proteggere la principessa.
Alcione l'aveva attaccata, Clef si era intromesso e l'aveva salvata. Ma andava bene così.
Tu sei solo mio. Nessun altro avrà mai il diritto di amarti.
La follia l'accecò. Clef si stava rialzando da terra, con un rivolo di salngue alla testa e il braccio pieno di schegge di ghiacchio, affilate come spade di vetro. Lo attaccò una seconda volta, mentre l'odio l'avvelenava.
Emeraude si gettò sull'amico. Lei era la Colonna, non aveva pari a Sephiro. La sua barriera scaraventò lontano sia Alcione che le sue lame.
Zagart entrò nella stanza.
"Acione, che succede?!"
La donna si rialzò, e ancora una volta fu il veleno a farla parlare.
"Non ne ho idea, Clef mi ha attaccato! Non ho fatto nemmeno in tempo a parlare!"
Il ragazzo era troppo intontito per poter controbattere, ed Emeraude, sconvolta dal caos di quegli istanti, non se ne accorse. La bugia sortì il dovuto effetto.
Zagart si scagliò su Clef, allontanando Emeraude. Lo sollevò di peso. Gli accostò le labbra all'orecchio.
"Non farmi essere il tuo nemico"
"Zagart, fermo!"
Emeraudelo sfiorò con le mani delicate, bianche come petali.
"Perché lo fai?! Perché mi fai questo?!"
L'uomo si immobilizzò. Rimase così, fermo, in silenzio, di fronte a quelle lacrime così meravigliose e terribili.
"Perché fai questo a noi due?" chise la principessa, la voce rotta.
In quel momento Clef trovò le proprie mani nella confusione che aveva in testa. Le poggiò sul petto di Zagart.
Quello fu scaraventato lontano, contro una colonna. Si rialzò tossendo, risvegliato dalle grida di Emeraude.
"Fermi, fermi, basta!"
Alcione si ritrasse e strisciò fino allo stipite della porta. Lì, sentì il respiro venir meno, e cominciò a piangere.
"Perdonami, se puoi. Almeno tu. Perché io non potrò mai perdonare me stesa"

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scusate, era apparso un molto inquietante -morirete tutti- sul codice html, credo di aver sbagliato un taglia e incolla o qualcosa del genere... mamma mia che cosa macabra! comunque è stato rimosso, non impressionatevi O.O mi sa che era di un'altra storia che avevo aperto... insomma la mia proverbiale distrazione colpisce ancora (mi ha scioccata!)

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Capitolo 25
*** Colore ***


fanfic25 Zagart si ritrovò in breve con i polsi legati, premuto contro il muro. Chiamava il nome della principessa, disperatamente ma Emeraude non rispondeva. Continuò a chiamarla, chiedendole di poter spiegare, ma il clangore delle armature delle guardie soffocò ogni suo tentativo. La principessa era distante, accerchiata da uomini in divisa. Non poteva sentirlo. Anche Alcione era stata trascinata di peso da quella parte della stanza e ora stava lì, inerte, incapace di rispondere alle domande che le venivano poste con insistenza.
Nell'angolo opposto delle proprie stanze, Clef sentiva le gambe cedevoli, probabilmente a causa del colpo alla testa, ma questo non gli impedì di tirarsi su in piedi e dirigersi verso Alcione, mentre l'ira lo inondava. Nessuna delle guardie che accerchiavano la donna osò mettersi in mezzo dopo dopo aver visto l'espressione del Monaco Guida. Clef afferrò una ciocca di capelli della donna e li strattonò, fino ad avvicinare Alcione al proprio viso, mentre lei si lamentava del dolore. Quando il ragazzo parlò lei non poté fare a meno di guardarlo terrorizzata con occhi spalancati udendo nella sua voce una glaciale vibrazione omicida.
"Perché hai attaccato la principessa?"
Alcione non rispose. Clef tirò ancor di più la ciocca corvina.
"Mi..." cominciò la donna. Nei suoi occhi si dipinse la disperazione.
"Mi è stato ordinato da Zagart"
"E perché tu hai eseguito?"
"Mi ha minacciata"
Ormai non posso più fermarmi. Ormai sono impazzita.
"Ha detto..." riprese, senza accorgersi di aver ricominciato a piangere. "Ha detto che mi avrebbe ucciso se non l'avessi fatto"
"E morta dovresti essere" disse Clef con un sibilo. "Schifosa traditrice"
Poi Clef si rivolse a Zagart, urlando.
"Cosa hai fatto?! Cosa hai fatto?!"
"Posso spiegarti" tentò di dire Zagart, ma la pressione contro il muro gli impediva di respirare.
Clef gli si avvicinò, sempre malfermo sulle gambe. Gli si accostò e di nuovo parlò sibilando.
"Hai rovinato tutto, Zagart. Sei riuscito a rovinare quello che Emeraude ha tentato di proteggere come la cosa più meravigliosa e delicata di tutte. Sei un bastardo" poi si rivolse alle guardie che lo tenevano fermo. "Rinchiudetelo. Mettete a guardia della cella due militari che sappiano usare la magia"
"Ma le celle sono schermate, signore"
Clef gli lanciò un'occhiata terribile. "Lo so, idiota, le abbiamo schermate io e il Gran Sacerdote due anni fa. Ma i miei ordini non si discutono e basta"
Le guardie si scambiarono un'occhiata interrogativa, poi annuirono e si apprestarono ad eseguire il comando. Quando Zagart sentì la pressione sul petto svanire urlò ad Emeraude.
"Non credere a quello che ti verrà detto! Non credere a quello che sembra! Esiste una sola verità, e tu sei in grado di toccarla con mano, tu sai che io non ti ho mai mentito! Lo sai che io ti..."
La guardia sbatté la porta, soffocando le ultime parole di Zagart. Clef rimase in silenzio, aspettando con finta calma che l'amico fosse abbastanza lontano nel corridoio, poi si girò verso Emeraude. Si chinò su di lei e le prese il viso con delicatezza tra le dita sottili, asciugandole con discrezione le lacrime.
"Non piangete, principessa. E' meglio così"
"non sto piangendo"
"Davvero, è meglio così"
La principessa ebbe un singulto, altre lacrime.
"Idiota" singhiozzò. "Ha rovinato tutto"

Zagart fu rinchiuso, come comandato, con a guardia della cella due uomini in grado di usare la magia. Clef, ovviamente, non pensava affatto che sarebbero stati in grado di fermarlo se avesse deciso di evadere. Le aveva messe lì, quelle guardie, in previsione di un altro momento.
In quel frangente servivano talmente poco che Clef le congedò. Così rimasero soli in quel corridoio di pietra. Le altre celle del castello erano vuote, fatta ovviamente eccezione per quella senza sbarre né finestre. Ma quella era situata al livello più basso delle prigioni, e non ci andava mai nessuno tranne la guardia assegnata alla consegna dei pasti. Ed era l'unica cella in quel livello, perché le altre non erano agibili. Non si poteva stare in quel corridoio con quelle grida continue. Non si poteva. Si diventava matti, a sentire quell'ombra gridare tutto il giorno fino a farsi andare via la voce, e ricominciare il gioono dopo.
Rimasero soli, lui e Zagart, in quel corridoio silenzioso, e al pensiero di quelle perpetue grida sotterranee sul suo viso si aprì un sorriso insano.
"Lo trovi divertente?" chiese Zagart, aggrappandosi alle sbarre della cella.
"Non pensavo a te. Piuttosto, che accidenti ti sei messo in testa?"
"Volevo rivederla. E' un crimine?"
"Se sei stato esiliato dal castello sì, un po'"
"Tu non capisci" disse Zagart strattonando le sbarre. "Io ho bisogno di vederla"
"No, sei tu che non capisci" rispose Clef accusandolo con il dito. "Manchi completamente di tatto, sei un egoista, a lei non pensi affatto. A quello che lei sente, a quello che lei desidera, a quello che pesa sulle sue spalle. Le sue, non le tue. Quindi piantala di autocommiserarti, d'essere così melenso. -io ho bisogno di lei-, ma per piacere"
"Io voglio proteggerla, voglio liberarla"
"Non mi pare che tu stia facendo un gran bel lavoro"
"Cosa mi consigli, Clef, di rimanere con le mani in mano come hai fatto tu, fin quando non sarà troppo tardi?!"
Clef chiuse gli occhi. Nel corridoio scese il silenzio.
"Come hai fatto a saperlo?" chiese il ragazzo, calmo.
"Scusami"
"Rispondi e basta"
Zagart sospirò. "Sono cose che si sanno, una tragedia a palazzo vola di bocca in bocca nemmeno fosse una freccia"
"Te ne ha parlato Alcione?"
"Lo sapevo già"
"Io non sono rimasto con le mani in mano. Solo, non avevo capito l'entità della situazione. Il mio infantilismo e la mia inadeguatezza  sono state la causa di ciò che è accaduto. E tu, per quanto possa continuare a mascherarti da uomo giusto, hai già fatto il mio stesso errore. E che non se ne parli più"
"Scusami, sono un idiota"
"Sì, lo sei. Ma non perché sentendoti indifeso parli a sproposito e mi accusi della morte di una persona a cui volevo bene, bensì perché non ti sei accorto di come Emeraude ha tentato di proteggerti"
"Proteggermi? Ma davvero?" chiese Zagart, ironico.
"Sì, dal peso che lei porta, impedendoti di condividerlo. Non meriti una briciola del suo amore, né del riguardo che ha per te"
Zagart abbassò lo sguardo. "Parli come se tu la sapessi lunga"
"Mh. Puoi frecciarmi quanto ti pare, impreca e urlami pure contro. Ma dovrai per forza, alla fine, stare al mio gioco, con le mie regole. E la mia regola dice che adesso tu stai zitto e fermo, inchiodato qui, incapacitato a combinare altri guai"
"Per quanto hai intenzione di tenermi qui?" chiese Zagart con una punta di furia nella voce.
"Fino a quando non avrai capito che io ed Emeraude, anche se tu non te lo meriti, ti stiamo proteggendo"
Clef non aggiunse altro, e se ne andò, richiamando le guardie.

Sarus sbatté un pugno sul tavolo, così forte che il bicchiere di Irus cadde e si infranse, così forte che si fece anche un gran male, ma soffocando un'imprecazione non lo diede a vedere.
"Non possiamo limitarci a bandirlo dal castello, perché non basta!"
"E allora che suggerisci?"
"Ha attentato alla vita della principessa, come minimo andrebbe imprigionato a vita"
"Sì, certo" si intromise Clef, sbattendosi la porta dietro le spalle. "Così un giorno si alza e decide di evadere dalle carceri, e in un batter d'occhio ci ritroviamo uno dei maghi più potenti -no, ma che dico, il più potente di tutti- che gira incazzato come un'ape per il nostro pacifico castello, e noi non riusciamo a fermarlo senza ucciderlo. Ma bravi"
Sarus si sedette con uno sbuffo. "Non credevo che lo avrei detto mai, ma mi mancava la vostra insopportabile irriverenza"
In effetti, si fermò a riflettere il ragazzo, anche se solo per un istante, quel cambiamento improvviso nella routine di palazzo aveva sollevato quella nebbia che gli attorniava la mente da quanto, due anni ormai?
Ma solo per un istante.
"Sì, grazie" disse Clef sedendosi al suo posto, incrociando le gambe sotto di sé. "Vogliamo parlare di cose serie o avete anche anche intenzione di invitarmi a cena fuori, signore?"
Sarus scoppiò a ridere, contro ogni previsione. Quando si riprese, disse una cosa che riuscì a toccare davvero Clef, finalmente.
"Bentornato, Monaco Guida"

"Perché sei triste?"
Emeraude fissò il proprio riflesso nello specchio. Sul viso, a seguito della caduta, un'ombra violacea le copriva la tempia.
"Perché sei triste?" ripeté la voce.
La principessa riconobbe subito la bambina senza colore.
"Perché una persona importante ha tradito la mia fiducia"
"Era molto importante questa persona per te?"
"Sì"
"E ha fatto una cosa molto grave?"
"Sì"
La voce si fece appena più fievole. "Mi dispiace"
Emeraude annuì piano. Strano che quella voce non la spaventasse più. Il fatto che venisse dalla sua testa avrebbe dovuto preoccuparla, invece le faceva sembrare la cosa meno allarmante perché la rendeva più semplice. Infatti, semplicemente, era impazzita e non c'era nessuno che potesse materializzarsi e poi sparire a suo piacimento nelle mura del palazzo. Solo, semplicemente, lei era impazzita.
"Mi fai vedere la sua faccia?" chiese la voce di bambina.
"E come faccio?"
"Prova a pensarla"
Emeraude esitò un istante, perché pensare a lui faceva male, ma inevitabilmente l'immagine del suo viso si intrufolò con prepotenza tra i suoi pensieri scacciando tutti gli altri.
"Ah" fece la voce, con sorpresa. "E' quello che è sempre nella tua mente, chiuso in una bolla di silenzio"
"Lo hai già visto?"
"Certo che sì" rispose la bambina. "E' così importante per te che è impossibile non vederlo. Ma perché lo hai chiuso?"
"Dove?"
"Non lo so, da qualche parte"
Emeraude sospirò per ricacciare indietro le lacrime. "Perché se io pensassi a lui, lui diventerebbe la cosa più importante per me, e il mio popolo ne soffrirebbe. Quindi non posso"
"Ma tu saresti felice?
"Sì"
"E allora?"
"Ti ho detto che gli altri ne soffrirebbero" rispose Emeraude.
"E che importa?"
"Cosa?"
"Voglio dire, perché solo tu devi essere triste? Non è giusto nemmeno un po'"
Emeraude aprì la bocca per ribattere spazientita, ma poi un pensiero la fulminò. Un'idea che aveva rinchiuso accanto a Zagart. Pensò che non era giusto, che, in effetti, tutti avevano diritto a essere felici, lei compresa. Che anche lei aveva il diritto a cercare la propria felicità. E a proteggerla.
Ma quali sarebbero le conseguenze? Potrei comunque essere felice sapendo che altri soffrono a causa mia?
"Magari non soffrirebbero. Magari riuscirebbero a capire"
"No. Non riuscirebbero. Altrimenti, lo avrebbero già fatto, mi avrebbero già lasciata libera"
La voce vibrò di nuovo nella sua testa, ma Emeraude non la ascoltò, perché venne distratta dallo scatto della porta che si apriva. Da quel piccolo spiraglio sbucò una timida zazzera arruffata color argento.
"Posso?"
"Vieni, Clef"
Il ragazzo entrò nella stanza, e dopo aver esaminato accuratamente l'espressione della principessa, si rilassò e prese posto come al solito sul bordo del letto a baldacchino, noncurante della pesantezza con cui compiva il gesto.
"Come state?"
"E come dovrei stare? Hai visto quello che ha fatto"
Clef si limitò ad annuire. "Comunque, se volete, potete andare a parlarci"
"Non ho nessuna intenzione di andare a parlarci"
"Non volete sentire le sue ragioni?"
"Assolutamente no. Ha passato il segno, questa volta"
"Lui dice che è un malinteso"
"Lo so. Non mi interessa. Non doveva entrare a palazzo"
Clef annuì di nuovo. "Quindi non avete intenzione di risolvere la faccenda"
"Lo farò quando mi sentirò pronta, quando voglio io, tanto lui di lì non si muove"
Il ragazzo rise, contro ogni previsione di Emeraude. Di nuovo, però, la risata era impregnata di suoni piatti, afoni. Non stava ridendo sul serio.
"Mi sembra" disse Clef. "Il ritornello di una canzone di tanto tempo fa"
Emeraude rimase in silenzio, esterrefatta dalla reazione così insolente dell'amico.
"Scusa?" gli chiese dopo un attimo di silenzio.
"Ma sì. Aspettate. Aspettate sempre che succeda qualcosa, qualcosa che vi impedisca di prendervi le vostre responsabilità"
"Che dovrei fare secondo te?" chiese la principessa, alterata.
"Potreste bandirlo per sempre, smettere di vacillare tra lui e Sephiro. Quale strada prenderete? Possibile che non abbiate ancora scelto?"
"Bandirlo non è servito a niente, nel caso non te ne fossi accorto"
"Non è vero, per due anni è stato lontano dal palazzo, anche se per voi questo non ha fatto altro che peggiorare la situazione"
Cadde di nuovo il silenzio, lei era completamente incapace di rispondere, presa troppo in contropiede da quei modi improvvisamente così bruschi. Poi Clef si prese una ciocca di capelli tra le dita e cominciò ad arricciarla attorno all'indice, e con aria distratta riprese a parlare, nonostante un tremito nella voce tradisse il suo reale stato d'animo.
"Mi ricordo di una persona che non riuscì, nonostante ne avesse avuto l'occasione, a dire le cose importanti davvero, e non le disse mai a chi invece meritava di sentirle. Mi ricordo di una persona che lasciò tutto quanto passarle addosso, mentre lei rimaneva in silenzio, in attesa che qualcosa capitasse, che succedesse da sé quello che l'avrebbe salvata. Attese così a lungo che le persone che la circondavano cominciarono a soffrire della sua immobilità, attese così a lungo che nemmeno si accorse di quanti stava torturando nel suo gioco innocente. Questa persona non ebbe mai il coraggio di decidere per sé e di difendere le proprie convinzioni, rimase sempre in bilico tra due possibilità. Sempre nel mezzo. Mai schierata neppure quando sapeva qual'era la parte giusta da cui stare. Debole e senza speranza. Ora questa persona giace così come ha sempre fatto, immobile, incapace di cambiare sé stessa o gli altri, fredda, e mai più parlerà, né imparerà, né nient'altro" Clef fissò Emeraude con i suoi occhi di un azzurro incredibile. "Tutti hanno subito la giusta punizione, ognuno di noi ha ricevuto esattamente quello che ha cercato. Abbiamo fatto delle scelte e ora ne dobbiamo pagare le conseguenze. Lei si è venduta ai suoi desideri superficiali, come fosse una prostituta. Voi non siete da meno, principessa. Vi sarà richiesto di fare una scelta a cui non potrete più sottrarvi, e allora dovrete avere il coraggio di fare quello che sapete giusto. Smettete di stare in bilico, smettete di vendervi a lui e poi al vostro popolo, smettete di mettere la maschera della virtù alla vostra vigliaccheria, altrimenti finirete nello squallore"
"Non una parola di più"
"Finirete com'è giusto che sia"
"Clef, basta"
"Nello squallore, come la puttana che siete"
Il suono dello schiaffo continuò ad echeggiare a lungo nel soffitto a volta della camera della principessa. Clef si ricompose con lentezza, ascoltando con curiosità il dolore alla guancia e nella bocca, dove un fiotto di sangue gli tingeva i denti di rosso. Estrasse un piccolo fazzoletto dalla tasca e lo premette contro le labbra. Emeraude ritrasse la mano al petto ignorandone il tremore.
"Così va meglio" disse Clef con un sorriso gelido.
"E adesso sparisci"Il Monaco Giuda eseguì, si alzò in piedi e si congedò con un inchino, mentre un livido rosso cominciava a dilagare sulla sua pelle chiarissima.
Dopo che la porta si fu di nuovo richiusa, Emeraude rimase a fissare il punto dove aveva visto l'amico sparire.
Si sentiva offesa per essere stata paragonata ad Adele, e umiliata dalle parole così violente di lui. Aveva promesso di restarle accanto, invece anche lui se ne stava andando.
Ma forse non aveva torto, forse la sua indecisione era la causa di tutto quel dolore che provava. La sua enorme vigliaccheria a questo l'aveva portata, lei e tutti quelli che amava.
Non voleva ascoltare i propri pensieri. Era stata una giornata lunga, e di sicuro il suo peggior compleanno. Si stese sul letto senza nemmeno togliersi i vestiti.
In sogno la vide di nuovo, quella bambina senza colore. Solo che adesso non era più senza colore: una lieve sfumatura violacea le tingeva i capelli, e gli occhi erano diventati di un rosso vivido.
"Che ti è successo?" domandò Emeraude.
La bambina alzò le spalle. "E' passata la rabbia, e mi ha lasciato i suoi colori"
La ragazza non riusciva a credere ai propri occhi, eppure in quel luogo di buio e tende pesanti il fatto che una bambina bianca prendesse i colori di un sentimento astratto sembrava normale e quasi ovvio.
La bambina le si avvicinò.
"Senti, ma che ti è successo? Perché piangi?"
Emeraude si accorse solo in quel momento che pesanti lacrimoni le rigavano il viso. Si asciugò con il braccio nudo.
"Sono triste, credo, e mi sento sola"
Gli occhi della bambina in quel momento assunsero una sfumatura viola scuro attorno alla pupilla.
"Che succede?" chiese Emeraude.
"E' la solitudine che passa. Che altro senti?"
La principessa prese a fissare il pavimento di quel luogo impossibile.
"Ho paura"
Le tende sussultarono. La pelle della bambina prese il colore dei petali di ciliegio, e il suo corpo parve acquistare consistenza.
"Ho paura di perdere la cosa più importante e non poterla trovare mai più"
E la bambina divenne pian piano più reale,  mente le tende tutt'intorno pulsavano come cuori impazziti.
"E sia" disse. "Che il tuo sentimento più grande diventi la mia ragione, l'unico motivo per me"

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Capitolo 26
*** Sbarre ***


Fanfic26 Emeraude si accorse di aver pianto nel sonno, tantissimo, d'aver pianto tutte e lacrime che si era tenuta dentro. La bambina l'aveva consolata, mentre sul suo corpo prima così bianco sfrecciavano colori cangianti. Quando si svegliò, quella mattina, faceva freddo, e le era tutto incredibilmente chiaro, come se fosse sempre stato lì, davvero evidente.
La bambina era la proiezione dei suoi sentimenti violenti, la rabbia, la paura, il risentimento. Tutte queste cose che non poteva manifestare ma che la ossessionavano le venivano in sogno, come a ricordarle che non avrebbe potuto andare da nessuna parte se quello da cui fuggiva era nella sua testa.
Rimase rannicchiata a lungo in quella posizione, con ancora addosso i vestiti che aveva indossato per il suo sedicesimo compleanno. Poi si decise ad alzarsi, con calma ed indifferenza, come se non sognasse tutte le notti e sempre, quando chiudeva gli occhi, una bambina che era un pezzo ripugnante di lei.
Uscì dalla stanza senza curarsi dei capelli scarmigliati e trovò Clef ad aspettarla, appoggiato al muro e con un grosso livido sulla guancia. La principessa non si scusò, e anzi parlò secca e con cattiveria.
"Sta chiedendo di voi" disse lui.
"Davvero?"
"Sì. E' tutta la mattina che urla come un ossesso, nemmeno lo stessimo torturando"
"Beh, lascialo urlare. Alcione, invece?"
Clef fece spallucce. "Non ha detto più una parola"
"Capisco"
Clef non osò avvicinarsi di nuovo.
"Non volete incontrarlo, oggi?"
"No, affatto. Sto anche pensando all'evetualità di non vederlo mai più e lasciarlo lì a marcire"
Clef alzò gli occhi al cielo, ben attento a non farsi vedere da lei. "Come preferite"
Ma sapeva che la principessa non avrebbe resistito a lungo senza vedere Zagart sapendolo così vicino. Si allontanò senza aspettare che lei lo congedasse.
"Hai nostalgia?" chiese la voce.
"No" rispose Emeraude decisa.
"Non mentire" disse la bambina con tono di rimprovero. "Sta passando adesso"
"Che cosa?"
"La tua nostalgia di lui"

Emeraude  aspettò tre giorni per andare da Zagart,durante i quali pianse come mai in vita sua. Non per tristezza o per disperazione, ma per sfogo. Sfogarsi col cuscino riversandoci dentro tutte le sue vecchie lacrime soppresse le era parso strano all'inizio, poi era diventata la cosa più naturale del mondo. Peccato che solo allora lei avesse imparato a soffrire nel modo giusto, come un normale essere umano dovrebbe fare.
Quando alla fine bussò alla porta di Clef era sicura che non sarebbe scoppiata a piangere, perché non aveva più nulla per cui farlo, e comunque non aveva nemmeno più lacrime.
Il Monaco Guida le aprì la porta con una certa sorpresa. La sua pelle tanto chiara ancora non permetteva a quel livido di andar via, e così aveva ancora un alone che gli copriva tutta la guancia fino all'occhio. Emeraude si sentì particolarmente fiera di sé a quella vista e con un gran sorriso disse:
"Voglio vederlo"
Clef tutto s'aspettava meno la gioia sul suo viso, così sbatté le palpebre un po' inebetito e rispose solo: "Ah"
Dopo un istante di silenzio il ragazzo realizzò e prese la principessa per un braccio con delicatezza e l'accompagnò fino alle prigioni.
Lì, sulla soglia, la lasciò andare.
"Che fai lì impalato?" disse Emeraude.
"Io non vengo, non è il caso"
"Perché no?"
"Perché dovrete sbrigarvela da sola, questa volta" rispose Clef con un sorriso.
Emeraude scorse sul suo viso un'antica dolcezza che era sbiadita attraverso tante sofferenze. Si stupì di quanto fosse bello e dolce quel sorriso, e di quanto le sembrasse distante nel tempo. Nonostante fosse solo un ragazzo la vita lo aveva inasprito, e lui aveva rinchiuso la sua gentilezza da qualche parte, ma non l'aveva dimenticata affatto, ed il modo in cui si illuminava il suo viso ne era la prova. La principessa sentì il cuore stringersi d'affetto per qell'amico che, tutto sommato, non l'aveva mai abbandonata. Gli carezzò il livido sulla guancia, poi si sporse verso di lui, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo più forte che poteva.
Clef si era irrigidito all'improvviso ed era rimasto paralizzato. Poi, con diffidenza e timidezza, ricambiò l'abbraccio. Quando lei si scostò da lui, lei aveva un gran sorriso e lui un lievissimo rossore sulle guance. In tanti anni passati insieme non si erano mai scambiati un gesto simile. Alla fine Emeraude si girò ed entrò nelle prigioni.

Quando i suoi occhi si abituarono alla luce più tenue vide Zagart misurare la minuscola cella a lunghe falcate, con l'ovvio risultato di un movimento buffo e frenetico. Non si era accorto di lei.
"Ciao Zagart" disse lei, e lui sobbalzò. Poi la vide e si illuminò di un sorriso.
"Ciao" rispose.
"Allora, hai una spiegazione per questo?"
Zagart annuì. Fece per iniziare a spiegar, ma in quel momento irruppe Sarus. Dietro di lui c'era anche Lantis che parlava concitato:
"Ci deve pur essere un modo, una scappatoia..."
"No, non c'è!" urlò l'anziano.
Clef, alle loro spalle, si rivolse ad Emeraude alzando le mani per discolparsi. "Non sono riuscito a fermarli"
Sarus dribblò il Monaco Guida, il cavaliere e la principessa con sorprendente agilità, ignorando le loro proteste, e agguantò le sbarre della cella di Zagart.
"Ti rendi conto che non ci lasci altra scelta?!"
Zagart si ritrasse, sorpreso. "Cosa?"
"Quelli della consulta hanno già deciso, e noi non possiamo fare nulla!"
Emeraude avvertì il gelo schioccare le fauci sul suo stomaco. La consulta era il tribunale che giudicava i crimini e le dispute a palazzo. Era composta da dodici membri, e quelli eletti per quei quattro anni non avevano mai usato clemenza a nessuno. Come avrebbero punito un attentato alla Colonna?
Emeraude si girò verso Clef, che aveva la sua stessa espressione impaurita.
"A me non è stato detto niente" disse il ragazzo.
"Certo che non ti hanno convocato!" gli rispose Sarus, sempre livido di rabbia. "C'è un conflitto d'interessi, lui è tuo amico"
"Non posso avere voce in capitolo per il semplice fatto che due anni fa eravamo amici?"
"Esatto" Sarus non era mai stato tanto arrabbiato, quasi gli tremavano le mani.
"E quindi che succede?" chiese Zagart da dietro le sbarre.
Sarus scosse la testa.
"Non lo so. Potrebbero decidere di esiliarti nuovamente o di incarcerarti a vita. Non esiste una procedura, per casi simili, nessuno ha mai attentato alla vita della Colonna"
"Ma io non le ho fatto niente!" Zagart si girò verso di lei, tendendole una mano da dietro le sbarre. "Lo sai. Sai che io non ti farei mai del male, come potrei? Non ho dato quegli ordini ad Alcione, né mai l'ho minacciata!"
"Se lei non parla sarà difficile dimostrare la tua tesi" sospirò Clef. "E sono tre giorni che non dice una parola"
Zagart tentò di sporgersi dalla sbarre, premendo il viso contro contro il ferro, nel tentativo di parlare con la maga, ma subito il Monaco Guida scosse la testa.
"Non è qui. L'abbiamo fatta portare nell'ala ospedaliera, non sta bene per niente"
Zagart annuì, poi scese il silenzio.
"Posso restare solo con lei?"
Clef si aspettava qualcosa del genere: tappò la bocca a Sarus prima che potesse ribattere e lo trascinò fuori con sé. Richiudendo la porta rivolse un sorriso d'incoraggiamento alla principessa.
Lei e Zagart rimasero da soli, nel buio di quei corridoi di pietra e di metallo. Lui non parlava, lei non piangeva, animata da una scossa che le percuoteva le vene, un'antica forza che aveva dimenticato. Fu lei a cominciare quella segreta agonia.
"Perché sei venuto a palazzo? Io ti avevo bandito"
"Volevo farti gli auguri di buoni sedici anni"
Non sorrise nessuno dei due. In quel gioco, il primo che sbagliava moriva.
"Sai che non è vero" disse lui.
"Si, lo so, ma non dovevi venire"
"Non ho costretto Alcione a fare nulla, non ho idea del perché lo abbia fatto"
"Nemmeno io riesco ad immaginarlo, ma non è questo il punto"
"Non oso pensare che ti sarebbe successo se Clef..."
"Allora dopo ringrazialo. Non dovevi venire, Zagart"
"Lo so"
"E allora?"
"Che senso ha se non posso stare con te?"
"Per favore"
"No, davvero. Se tu non sei felice, che senso ha? Se io..."
La guardò negli occhi con quello sguardo che l'aveva fatta innamorare.
"... se io non posso godere della tua gioia?"
Emeraude gli si avvicinò. Si chinò e afferrò le sbarre gelide, strette.
"Dovremo imparare, Zagart. Trovare altri motivi. Dovremo capire" abbassò gli occhi, pensando alle parole di Clef che gli avevano fatto meritare quel livido. "Dobbiamo scegliere"
Zagart le afferrò la mano con forza esagerata, tanto da farle male.
"Io ho già scelto, da tanto, Emeraude. Da tanto tempo. E non ho nessuna intenzione di desistere"


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Buongiorno o buonasera a tutti, fedeli lettori! E' sempre un piacere vedervi qui e come sempre, prima di tutto, grazie, per la vostra partecipazione, per le vostre recensioni, per la vostra gentilezza e il vostro sostegno, grazie davvero a tutti.
Dette queste doverosissime parole, volevo dire che ormai manca davvero poco alla fine, anche se piano piano là dove credevo che ci sarebbe stato l'ultimo punto fermo c'è una freccetta che dice -capitolo successivo-. Quindi non me ne abbiate a male se vi dico che conto di concludere al capitolo 28 e poi si finisce al 32. Il fatto è che mi vengono in mente nuove idee per rendere la storia più completa, e di tanto in tanto mi accorgo di aver lasciato qualche buco qua e là e devo correggerlo. Inoltre volevo scusarmi con tutti gli appassionati delle ZagartXEmeraude, in particolare con bellislady, perché mi sembra che il loro rapporto stia diventando un po' monotono. A mia discolpa posso dire solo che gestire una longfic non è proprio facilissimo, e ogni tanto mi passa un po' la voglia, non so se capite cosa intendo... (voglio cominciare la parte con Hikaru Umi e Fu!! T_T)
Inoltre la scuola ci mette lo zampino (per citare una celebrità del nostro tempo: D'HO!) e quindi chiedo venia se vi sembra che la psiche dei personaggi si... "afflosci" un po'... anzi se è così gradirei che me lo scriveste nelle recensioni, non ne posso più di scrivere questa parte ma non voglio buttarla via, i lavori si finiscono in gloria!! Il finale deve essere stupendo!
Ma che chiacchierata lunga! Allora vi saluto, e di nuovo grazie e a presto, e un bacio ad Ilaria, che le si vuole proprio bene perché legge i miei capitoli anche se la storia la sa già e mi regge al banco, ancora non mi ha impiccata alla mia lingua lunga... ^^
Un saluto, Seph!
P.S.: stavo pensando di allestire un blog dedicato alle mie storie, per poter parlare con chi le legge in modo più allegro e diretto che tramite le recensioni (ed i miei tristi soliloqui a fine pagina), magari per condividere dei piccoli particolari o delle idee, dei consigli... che ne direste? rispondete alla domanda nelle recensioni, per favore ^^ e grazie

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Capitolo 27
*** Fuga - parte prima ***


Fanfic27 Curioso che i ruoli si fossero invertiti. Ora era Clef a trascinare per un braccio Sarus verso la sede della consulta, e la cosa gli dava anche un certo piacere.
La grande sala non era molto distante da dove si trovavano, ci impiegarono una decina di minuti, che non è tanto se si considerano le dimensioni del castello. Sarus protestava animatamente, ma il ragazzo non lo degnò di uno sguardo. Entrò aprendo la porta con violenza e, per la prima volta dopo tanto, aveva il fuoco negli occhi.
I dodici uomini che presiedevano la consulta si girarono sconvolti, e quando incrociarono lo sguardo del Monaco Guida nessuno osò fiatare.
“Adesso” disse Clef quasi con un ringhio. “Spiegatemi”
La consulta non era un organo estremamente importante, perché non venivano commessi molti crimini a palazzo, quindi né Clef né Sarus avevano mai avuto contatti con nessuno di loro. Non conoscevano i loro nomi.
Così, un’anonima faccia pallida si rivolse a loro con un’occhiata di sufficienza.
“Non siamo tenuti a discutere le nostre decisioni con voi”
“Non ho detto che voglio discuterle, voglio solo che mi vengano spiegate. Poi, quando avrò capito” aggiunse Clef, con un malvagissimo sguardo divertito. “Deciderò se mi va di discuterle, e vedremo se il fatto che non siete tenuti a farlo vi sembrerà ancora rilevante, appesi al lampadario”
Faccia Pallida lo squadrò per un attimo e parve mosso dal sarcasmo quando fece loro cenno di sedersi. Sarus ancora non aveva fiatato, ma sembrava divertito dal comportamento di Clef e non aveva ancora provato a fermarlo.
Si sedettero affiancati in una serie di posti vuoti.
“Allora, che aspettate?” chiese Clef.
L’uomo al fianco di Faccia Pallida giunse le mani sotto al mento, peraltro incredibilmente lungo.
“Non esistono protocolli per un attentato alla Colonna
“Sì, lo sappiamo”
“Il Gran Sacerdote sostiene che l’Arcimaga Alcione abbia agitò di sua iniziativa, che lui non avrebbe avuto motivo di far del male alla principessa”
“Tuttavia” si intromise un altro uomo, più vicino a Sarus. “Con le sue azioni precedenti a questa non si è guadagnato la nostra fiducia: prima fra tutte la sua espulsione dal castello, e la violazione di quest’ordine”
“Oh, avanti” disse Clef con una risata. “Voleva farle gli auguri!”
“Non siate idiota, per cortesia” rispose Mento Lungo.
“No” Clef si fece di nuovo scuro in viso, sorrideva. “Non siate voi gli idioti, e non per cortesia, ma perché se fate qualcosa che mi infastidisce, io farò qualcosa mi molto illegale”
Mento Lungo continuò fingendosi imperterrito nonostante avesse i muscoli del viso molto tesi.
“O lui o la donna mentono” disse. “Chi ha preso l’iniziativa subirà la condanna”
“E qual è la condanna?” domandò Clef.
Viso Pallido sorrise. “Purtroppo la maggioranza ha deciso la pena di morte”
Lo schianto della mano di Sarus colpì l’aria con violenza, la percosse e la lasciò lì a tremare.
Nessuno degli uomini nella stanza osò fare un fiato, nemmeno Clef, che guardava l’anziano in piedi e ansimante, paonazzo di rabbia. Quando Sarus parlò la voce gli uscì simile ad un ringhio.
“Nelle nostre leggi non è prevista la pena di morte”
Faccia Pallida rispose, ma la sua aria insolente era sparita. “Proprio perché non è prevista non è nemmeno vietata. Possiamo farlo”
“No, non potete farlo. Noi non ve lo lasceremo fare. Vero, Clef?”
Il ragazzo annuì rapido, un po’ intimidito dalla furia di Sarus.
“Dubito che avrete scelta. E comunque non abbiamo ancora deciso”
“Non ci metterete molto, a giudicare dai vostri sorrisi viscidi”
“Finché lei non parla non possiamo decidere”
Sarus sbatté di nuovo le mani sul tavolo. Clef si ritrasse. L’anziano parve non trovare un insulto abbastanza offensivo da rivolger a Faccia Pallida, così prese Clef per un braccio e lo trascinò fuori, invertendo di nuovo i ruoli nel giusto verso.
 
Il giorno seguente Emeraude trovò di nuovo Clef appostato davanti alle sue stanze, con quel livido ancora stampato sulla faccia e degli aloni sotto gli occhi.
“Non hai dormito neanche tu, eh?” Gli chiese la principessa con un sorriso. Clef ricambiò il gesto e si alzò.
“So che la consulta ha deciso, ma non so cosa”
Emeraude gli fece cenno di proseguire.
Il ragazzo sospirò. “Sarus se ne sta occupando, e credo che lo ascolteranno, soprattutto dopo il pezzo di ieri”
“Cosa credi che succederà?”
“Non ne ho idea. Ma…” aggiunse Clef. “Qualunque cosa decidano quelli, voi non preoccupatevi. Ce ne occuperemo noi”
 
Sarus gli afferrò il braccio con violenza, tanto che Clef ebbe un sussulto, perché non se l’era aspettato. IL ragazzo si girò e l’anziano gli sbatté in faccia un foglio un po’ spiegazzato che aveva tutta l’aria di qualcosa di ufficiale.
“Hanno deciso!” fece Sarus livido di rabbia. “Quei bastardi hanno deciso!”
“E se non smettete di sventolare questo accidenti di foglio io come faccio a leggerlo?! Fermo!”
Clef gli strappò dalle mani il documento e lo lesse ad alta voce.
“Dopo aver esaminato attentamente i fati accaduti il giorno bla bla bla… si comanda che in merito alle leggi bla bla bla bla…che Il Gran Sacerdote Zagart e l’Arcimaga Alcione vengano rinchiusi a vita per tentato omicidio?! Macosacazz…!”
“Nell’indecisione li hanno condannati entrambi. Si intromise Sarus, ora con voce desolata.
“Zagart è stato giudicato colpevole a priori, perché ha violato l’ordine di esilio della principessa. E quindi è ‘ovvio’, secondo loro, che avesse intenzioni losche”
Clef strinse i denti e soppresse l’impulso di accartocciare il documento e gettarlo, magari dandogli anche fuoco.
“Andiamo lì” suggerì a Sarus. “E facciamogli male”
“No, Clef, non è il caso. Non risolverebbe niente”
“Non sono d’accordo, la violenza è l’unica cosa che funziona sempre. In ogni caso non ho intenzione di rimanere con le mani in mano.
“non ho detto questo. Cosa credi, signorino, che io sia arrivato a far parte del Consiglio, così, perché sono carino?”
Il viso di Clef si illuminò di sarcasmo. “Mai pensato”
“Fai meno lo spiritoso e rispondimi seriamente, Clef. Saresti disposto a fidarti ciecamente di me?”
 
Avevano detto ad Emeraude di non preoccuparsi, e soprattutto di non uscire dalle sue stanze per nessun motivo, e di fidarsi di loro. La principessa aveva acconsentito.
E così, ora si trovavano in un corridoio buio, solo Clef e Sarus, nel cuore della notte. Il piano non era stato elaborato, non c’era stato il tempo.
Clef faceva fatica a non scoppiare a ridere di fonte a quel Sarus così diverso dal solito: era vestito il abiti informali, neri e di qualche taglia troppo piccoli, un omino un po’ panciuto e con un principio di calvizie, che adesso non aveva nemmeno la metà dell’autorità che Clef gli negava sempre. O quantomeno, gli aveva sempre negato due anni prima. Tuttavia, ora, lì, davanti a lui, sentiva riaffiorare quell’irriverenza che lo aveva caratterizzato tanto tempo prima.
Per contro, Clef aveva il corpo di un adolescente e stava bene nei vestiti che aveva addosso. Sarus individuò il sorriso storto del ragazzo.
“Piantala di ghignare, un giorno anche i tuoi bei addominali cederanno, e ti cadranno i capelli. Che credi, che diciassette anni non ce li ho avuti anche io?”
Clef evitò la provocazione con un alzata di spalle.
“Avanti, andiamo”
Si avviarono, orientandosi per i corridoi bui conosciuti a memoria. Conoscevano tutti gli appostamenti delle guardie, non sarebbe stato difficile evitarle.
Ma dopo pochi minuti si accorsero che la disposizione dei militari  era stata cambiata senza il loro consenso. Quando rischiarono di venir scoperti per la terza volta Clef tirò una gomitata a Sarus da dietro la statua che li nascondeva.
“Ma da quanto la consulta ha tutto questo potere?”
“Non ce l’ha” rispose Sarus. “Deve essere stato Lafarga”
“E perché?”
“Già che ci sei vuoi anche chiedermi quale sia lo scopo della vita? Ma che ne so io! Che domande che fai!”
Sarus aveva parlato troppo forte ed una guardie si era girata. Ora si sentiva il clangore degli stivali in ferro avvicinarsi a loro.
“Chi è la?” domandò, rimettendosi dritto l’elmo con lo stemma del palazzo stampato sopra.
“Bella mossa, genio. Adesso vedete di scivolare verso quella stanza, e fatelo in silenzio.”
Attaccati al muro, respirando appena per non far rumore, riuscirono a raggiungere una porta rimasta aperta.
Entrarono un istante prima che la guardia guardasse dietro il loro nascondiglio.
Quando quella tornò alla sua postazione, Clef sentì di poter tirare un sospiro di sollievo, e mentre lasciava uscire l’aria dai polmoni sfiorò con la spalla uno scudo di metallo appoggiato al muro che vibrò pericolosamente. Sarus lo afferrò un istante prima che cadesse a terra e lanciò un’ occhiataccia a  Clef. “Bella mossa, genio”
Alla fine riuscirono a superare gli appostamenti delle guardie e arrivarono all’ala ospedaliera.
La maggior parte del corpo di guardia era stato collocato lì, ma a questo erano preparati. Sarus era un mago capace, ma non possedeva più l’agilità necessaria, così quel compito scomodo gravava tutto sulle spalle di Clef.
L’ala ospedaliera veniva anticipata da una grande sala bianca con molte porte, ognuna con una targa d’ottone inchiodata sopra. Non avevano bisogno di leggerle, sapevano già dove andare. Presero la porta ad estrema destra e l’aprirono con lentezza estrema per non fare rumore.
Quando arrivarono al primo, sofferto centimetro, lo spiraglio era già sufficiente.
C’erano due guardie appostate lì alla porta e la schiena di una di loro era proprio sulla linea di tiro di Clef, così al ragazzo bastò sollevare appena l’indice. Quello, dopo un singulto cadde a terra strisciando contro il muro. Il compagno non fece nemmeno in tempo ad accorgersene che la porta gli fu spalancata contro la faccia. Un leggero rumore e anche quella cadde a terra.
Clef e Sarus ripresero ad avanzare. Le luci era tenute spente per quei pochi malati nei letti. Nessuno sembrava essersi accorto di niente.
Intorno al letto di Alcione stavano erette molte guardie, cinque da quello che poteva vedere Clef, al buio.
Con Sarus aveva parlato molto di questo particolare. Alla fine avevano deciso che non era importante essere discreti, bastava non farsi riconoscere.
Il fondo, erano stati Zagart e Lafarga ad addestrarlo.
Afferrò un oggetto tondo dal bancone al suo fianco e lo tirò contro la testi di una guardia. Dal rumore l’aveva presa in pieno.
Le altre quattro ebbero appena il tempo di girarsi.
Clef afferrò quella che al tatto sembrava una scopa, si abbassò e la diede sulle ginocchia alla guardia più vicina; girò il bastone e la colpì in testa, tutto nell’arco di pochi istanti. Colpire alle gambe si rivelò utile anche con le altre tre e il ragazzo agì così rapidamente che non riuscirono, probabilmente, a vederlo in viso.
Sarus scavalcò un corpo svenuto e cercò nel buio il corpo di Alcione. Clef fu pi rapido e le prese la mano.
“Alcione?” chiamò piano.
La donna non rispose. Clef le si accostò di più e provò a chiamarla ancora, con lo stesso risultato. Provò a scuoterla e la vide aprire gli occhi, ma non c’era nessuna luce in quegli iridi.
Chiamarla non serviva a niente, non era nemmeno sicuro che lo sentisse. Provò un’altra volta, ma aveva già una nota di rinuncia nella voce. A quel punto snetì le mani di Sarus scansare le sue con prepotenza. L’anziano la prese per le spalle e la scosse forte.
“Avanti, razza di codarda! Ma cosa credi, che rimedierai al danno che hai fatto in questo modo? Sappiamo che hai mentito, e so anche che puoi sentirmi, quindi non ci provare.Puoi anche parlare, ne sono sicuro, e allora rispondimi: Vuoi davvero che Zagart rimanga per sempre rinchiuso in una cella 3X2? E potresti sopportare la consapevolezza di essere tu la causa del suo dolore?”
Sarus aveva alzato la voce, ma nessuno avrebbe mai riconosciuto quel ruggito come il suo.
Alcione non si mosse e i suoi occhi socchiusi rimasero di vetro.
Clef sospirò e la guardò con compassione, attraverso il buio a cui ormai si era abituato. Poi alzò le diede uno schiaffo.
“Avanti, reagisci! Sei una persona disgustosa, hai fatto una cosa orribile, hai tradito chi ami e chi si fidava di te, e ti meriteresti di stare nel posto più infimo e schifoso dell’inferno, non vedi che questa potrebbe essere la tua unica possibilità di redimerti? Non vuoi aiutare chi ami? Sei davvero così…”
La voce gli si smorzò proprio alla fine, quando avvertì un dolore lancinante al ginocchio.
La voce di Alcione si levò nel buio, appena udibile e rotta dai singhiozzi, ma nonostante il pianto c’era una nota di rabbia.
“Se… ti azzardi… d nuovo a…a schiaffeggiarmi… giuro che… ti spezzo le braccia”
“Per ora mi hai spezzato una gamba, se può farti sentire meglio” rispose Clef saltellando su un piede.
Sarus aiutò la donna ad alzarsi, e Alcione tenrò di asciugarsi il viso senza farsi vedere. Il ragazzo si ricompose e le prese una mano con delicatezza.
“Vuoi aiutarlo?”
Alcione fu scossa da un singulto più violento degli altri.
“Sì, che voglio”
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Un grazie a tutti come al solito! Ma quanti capitoli ha questa storia, davvero parecchi, non ce la faccio più, sono esausta! Emeruade, CREPA! (no, no... rinsavisci Seph... ndL'altra me stessa) Ahahah! No scherzo, le voglio ancora bene, povera principessina ^^ (rinsavita) Insomma, pare che all'allegra combriccola si sia unita anche una nuova signorina, Sofonisba (avrò scritto bene? forse sì forse no...)! Mille grazie per aver recensito, spero che continuerai a seguirmi, sono davvero felice ^_^ e poi un grazie a Nike, che pare essersi dimenticata di avere GIA' un account, Esperide, ma scommetto che s'è scordata la password... e così mi ha lasciato a scervellarmi (ma sarà Nicoletta, o non sarà Nicoletta???) e alla fine, sì, è Nicoletta... e allora un grazie anche alla mia Hikaru che è stata così gentile da recensire ^^ Ciao Nico! E ovviamente, ciao anche alle mie fedeli, solite Kowalski e Bellislady, grazie di aver letto anche questo capitolo. Alla prossima!
E un saluto a tutti quelli che conosco... (Sonia è ancora viva??? Ve la ricordate Sonia??? Bei tempi... si dice che sia morta di over dose -???- e ora Birillo sta con Birilla e ha fatto i Birillini -??!!!???-)

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Capitolo 28
*** Fuga - parte seconda ***


Capitolo28 Non si erano preoccupati di sistemare i corpi svenuti delle guardie. Adesso stavano camminando con passo rapido per i corridoi. Alcione aveva smesso di piangere, e quella parte del castello era illuminata.
Liberare la maga prima di andare da Zagart si rivelò essere stata una mossa previdente. Infatti né Clef né Sarus erano in grado di effettuare magie che trascendessero le loro abilità personali, più che altro perché richiedevano formule complesse e nessuno di loro era mai stato una cima a scuola. Alcione invece addormentava le guardie con molta tranquillità, come se non ripetesse per ogni uomo svenuto una formula lunga trentadue sillabe.
Alla fine giunsero ad una porta decorata con figure di cigni intagliate nel legno. Scavalcarono le due guardie addormentate e la aprirono. La porta girò dolcemente sui cardini senza fare rumore, ma lo spiraglio di luce che entrò nella stanza infastidì Olus, che si rigirò nel letto.
“Dai, Alcione”
La donna fece alcuni passi avanti. “Ho la bocca secca”
“Eddai…”
“Certo, certo, un attimo solo!” sibilò lei.
Si schiarì la gola e poggiò la mano sulla testa arruffata di Clef, dopodiché recitò una formula così lunga e complicata che Clef non ne capì nemmeno l’inizio, e arricciò il naso.
“Ho capito solo Antar
“Solo le prime cinque lettere?” rise lei, gli occhi gonfi ma con una scintilla dentro. “Un po’ scarso. Ti permetterà di non fare rumore, ma non dura più di un minuto circa. Tuttavia, se parli, se fai cadere qualcosa, se produci un qualunque suono troppo forte per essere coperto dall’incanto, questo si spezzerà, quindi vedi di essere discreto”
Clef annuì, poi entrò nella stanza dell’anziano.
Olus teneva la chiave della celladi Zagart poggiata sul comodino al suo fianco. Clef attese qualche istante che i suoi occhi si abituassero  alla penombra della stanza. Mosse i primi passi e rimase colpito dall’efficacia dell’incantesimo di Alcione. I suoi piedi erano muti, non emettevano alcun suono mentre sfioravano il pavimento di marmo.
Arrivato al comodino Clef lanciò un’occhiata all’anziano per assicurarsi di non averlo svegliato, poi tese la mano per afferrare la piccola chiave che luccicava debolmente al piccolo raggio di luce dorata che passava per lo spiraglio della porta.  In quel momento sentì qualcosa sfiorargliela schiena, trasalì e represse un gemito.
La mano di Olus gli scivolò addosso, sempre più in basso, fino a sfiorargli i pantaloni. L’anziano borbottò qualcosa con un largo sorriso sulla faccia rotonda.
Clef si fece coraggio e presela chiave d’ottone, intascandosela. Poi cercò di liberarsi dalla mano di Olus senza svegliarlo, ma quello strinse ancora di più la presa. Alla fine il ragazzo si liberò con uno strattone ed uscì dalla stanza mentre Olus chiamava sommessamente un nome di donna, sempre con un sorriso storto.
 
“Com’è andata?” chiese Sarus quando vide il ragazzo sbucare fuori dalla camera di Olus.
“Dipende” rispose Clef. “Ho preso la chiave, ma credo che la mia sessualità sia stata compromessa per sempre”
“Perché?”
“Olus mi ha palpato il sedere”
Sarus ed Alcione si scambiarono un’occhiata, poi non riuscirono a trattenersi e scoppiarono a ridere.
“Nel sonno?” domandò Alcione.
“Secondo te?” rispose Clef irritato.
Arrivarono alle prigioni con facilità, Alcione era straordinaria. Ma la cosa che più stupiva Clef era che la donna non sembrava accusare nessun disturbo nonostante fino a pochi minuti prima non riuscisse nemmeno a muoversi.
Giunsero di fronte alla cella di Zagart. L’uomo dormiva disteso sulla minuscola branda a sua disposizione. Clef lo chiamò con un sibilo e quello sobbalzò.
“Clef! Che ci fate qui?”
Aveva i capelli scompigliati e lo sguardo appannato. Si soffermò solo un istante su Alcione, poi tornò a guardare il ragazzo.
“Perché siete qui?”
“Mi sembrava talmente ovvio… per liberarti, no?”
Il ragazzo sfilò la chiave dalla tasca e la inserì nella toppa.
“Come hai…”
“Poi ti racconto, non adesso”
La serratura scattò, ma la porta non si aprì, e Clef sentì la mano fremere di un contraccolpo. Estrasse la chiave e inorridì.
 
Il piccolo arnese d’ottone se ne stava lì, nella sua mano, ormai completamente inutile, mutilato della sua estremità dentata. Clef sentì il ringhio di Sarus alle sue spalle.
“Hai spezzato… la chiave?”
Cadde un silenzio gelido.
“Come hai fatto?”
“E io che ne so?!”
Alcione lo scostò facendosi largo. Afferrò le sbarre e quelle parvero avere un sussulto mentre si congelavano nella stretta della maga.
Clef alzò lo sguardo.
“Quando vedranno il ghiaccio saranno che sei stata tu        
“Inoltre” disse Zagart. “Se spezzerai le sbarre si romperà l’incantesimo d’allarme”
“Vorrà dire che saremo due fuggiaschi” sorrise lei.
“Avanti Clef, ora rompile”
 
Ora stavano correndo per i corridoi che poco prima li avevano visti furtivi e silenziosi.
Ad un tratto Clef sentì Zagart strattonarlo.
“Che fai?!”
“Voglio andare da lei!”
Clef inchiodò. “Cosa?!”
“Devo andare da li per l’ultima volta! Devo chiederle una cosa importante!”
 
Clef si era  lamentato, si era dimenato, aveva imprecato parecchio. In effetti aveva soprattutto imprecato. In ogni caso non era servito a niente, Zagart rimaneva più forte di lui: ed era riuscito così a trascinarlo fino alle stanze di Emeraude. Quando sentì la voce del Gran Sacerdote, la principessa sobbalzò. Lo vide lì, davanti a sé appoggiato allo stipite della porta, con le guance arrossate per la corsa, e sentì una luce riaccendersi in lei.  Saltò giù dal letto e si lanciò su di lui. Lo baciò senza curarsi di Clef e Sarus, che simultaneamente si girarono da un’altra parte.
Emeraude si lasciò sciogliere da quel bacio che era sembrato troppo lontano per poterlo avere ed ora era suo.
“Arrivano” sussurrò l’anziano, dopo un po’.
Zagart si scostò appena da Emeraude e cercò i suoi occhi azzurri.
“Mia principessa, devo chiederti una cosa”
Strinse dolcemente la presa sulle braccia di lei.
“Vuoi venire con me?”
Clef lo afferrò per i capelli. “Ma sei scemo?! Come ti viene in mente? Smettila di…” lo strattonò ancora più forte. “E non guardarla con quegli occhi languidi mentre ti parlo io!”
Zagart si grò verso Clef.
“Io voglio liberarla”
Il ragazzo si infervorò ancora di più.
“Se non vieni con le tue gambe giuro che ti porto io di peso, va bene? Non ho fatto tutta questa fatica per farmi catturare dalle mie stesse guardie!”
Zagart tentò di replicare, ma Emeraude lo sfiorò con le dita per chiamarlo e gli parlò con un sorriso.
“Grazie, Zagart. Davvero. E addio”
Il Gran Sacerdote si girò di nuovo verso di lei. “Che dici?!”
“Non posso venire, Zagart. Grazie di tutto. Ti terrò per sempre nei miei ricordi più belli”
Glielo vide negli occhi.  Zagart si accorse che Emeraude non avrebbe cambiato idea, perché ormai aveva deciso.
Le prese le mani per tirarla a sé e baciarla un’ultima volta. Poi la lasciò, girandosi verso Clef e passandogli una mano sulle spalle. “Andiamo”
 
L’incantesimo d’allarme era di base sonora, un fischio acuto diffuso per tutto il castello, così forte che Clef aveva smesso di provare a parlare con Zagart, perché non riusciva nemmeno a sentire sé stesso. Così, alla fine, per salutarlo, tentò un abbraccio un po’ impacciato. Zagart gli parlò all’orecchio, e riuscì a farsi sentire.
“Grazie, Clef. Arrivederci”
Clef annuì da sopra la spalla dell’amico. Poi si scostarono lentamente, e il ragazzo gli fece cenno di sbrigarsi ad andare. Zagart si voltò verso il cielo di Sephiro e chiamò il suo spirito animale, un cavallo nero dagli zoccoli illuminati da fiamme blu. Clef lo salutò un’ultima volta dall’alto della torre su cui si trovavano, prima che l’amico spiccasse il volo con il suo spirito. Lo vide andare via, e sentì un pezzo di sé staccarsi per accompagnare Zagart chissà dove.
Poi lo avvertì, chiaro, distinto e inspiegabile.
Questa è l’ultima volta che ti vedo. L’ultima volta che ti saluto.
Gridò a pieni polmoni.
“Mi prenderò cura di lei, te lo prometto!”
Poi Zagart sparì nel grigio di quella nuova alba. Clef scostò le mani dalla bocca e rimase lì a fissare il vuoto. Lantis gli si accostò silenzioso.
“E così, se n’è andato di nuovo”
“Già”
“Ho detto alle guardie di andare dalla parte opposta, hai tutto il tempo d tornare nelle tue stanze e fare finta di niente”
“Grazie, Lantis”
“Vorrei averlo salutato”
“Perché non lo hai fatto?”
Lantis alzò le spalle. “Non lo so. Non sapevo che dire”
“Qualcosa tipo –ciao-?”
Il cavaliere rise. “Sì, ma poi non avrei potuto lasciarlo andare via”
Clef abbassò lo sguardo. Sentiva un grande vuoto.
“Avanti” disse all’amico. “Andiamo”
 
Emeruade stava di nuovo piangendo. Aveva detto che non lo avrebbe seguito, eppure la sua anima aveva gridato di dolore quando lui se ne era andato senza di lei. Aveva sentito quel desiderio farsi enorme, tanto da dilaniarle il cuore e uscire fuori.
Ma ora, Emeraude non piangeva per l’abbandono. Era per un altro dolore.
Sul suo letto, a gambe incrociate, la bambina senza colore cercava di consolarla, mentre sul suo corpo continuavano a sfrecciare quei colori cangianti.
Non aveva capito niente. Quella bambina non era la materializzazione della sua rabbia, ma del suo amore, che aveva provato a schiacciare. E ora quell’amore proibito era divenuto concreto. Emeraude sollevò il suo viso bagnato dalle lacrime. Se ne rese conto in quell’istante. Li odiava tutti, per quello che le avevano fatto, e non avrebbe mai più potuto pregare per loro. Improvvisamente la colonna portante di Sephiro aveva ceduto, crollando su sé stessa.
 
 



______________________
E questa volta è ufficiale, penultimo capitolo! Il prossimo conclude la prima fase!!! Ci sono riuscita! (danza della gioia) Un saluto a tutti i lettori e grazie per le recensioni!  

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Capitolo 29
*** Promessa ***


“Mi avete fatto chiamare?”
Emeraude fece cenno a Lantis di alzarsi dal suo inchino.
“Si, ti ho chiamato”
La principessa si lisciò la gonna. Aveva gli occhi arrossati.
“Ho preso una decisione importante”
Lantis alzò lo sguardo.
“Io ho…” continuò la ragazza. “…sofferto tanto. E ora…”
Sentì il respiro farsi inutile.
“Ora basta. Sono stanca”
“Non capisco, principessa” disse Lantis, ma Emeraude parve non sentirlo.
“Ci ho provato. Davvero tanto. Volevo porre rimedio e scioccamente credevo che ci sarei riuscita. Invece non sono stata capace di proteggere il mio mondo” Sospirò. “La verità è che non mi importa più nulla di Sephiro”
Guardò Lantis negli occhi.
“Amo il mio mondo, ma non posso perdonarlo”
“Non capisco, principessa” ripeté Lantis, anche se temeva la risposta. Il ricordo di una conversazione con suo fratello, un giorno lontano di due anni fa, gli strisciò insidiosa nella memoria.
Se fosse vero cambierebbe tutto.
“Non posso più pregare per loro. Non posso più essere la colonna. E anche se loro mi perdonassero, io non potrei mai vivere sapendo che è colpa mia. Così, ho preso la mia ultima decisione. E questa volta… manterrò fede a me stessa”
Sorrise a Lantis.
“Chiamerò i Cavalieri Magici”
L’uomo rimase fermo alcuni istanti. Una leggenda vecchia quanto il tempo, che non significava nulla da secoli. Una favola appena.
Scattò in avanti.
“Cosa dite?! No! Se voi li chiamaste…”
Emeraude alzò una mano per richiamarlo al silenzio.
“Lo so. Non posso più andare avanti così. La colonna portante non può darsi la morte da sola, e nessun abitante di Sephiro ucciderebbe il pilastro su cui regge questo mondo”
Emeraude ripensò a quella bambina, che non era più un sogno, era viva; ed era sua. Era lei.
“Li chiamerò a breve. Per questo ti ho fatto chiamare. Perché ho bisogno del tuo aiuto. Zagart tenterà d’impedirlo”
“Non vorrete che io combatta contro mio fratello?!” Gemette Lantis, portandosi le mani al viso, mentre realizzava a fatica quanto stava accadendo.
“No, affatto. Voglio che tu lo persuada a non ostacolare i tre campioni che invocherò”
“Sapete che Zagart non si fermerà di fronte ad un vostro…” esitò. “…suicidio”
“Allora dovrai proteggere i Cavalieri, sino a quando non saranno pronti”
Lantis scosse la testa.
“No” disse, in un sussurro. “Non posso”
“Te ne prego, Lantis”
“Non posso. Non lo farò”
L’uomo si voltò e con mani tremanti aprì la porta che dava sul corridoio. Lì, si fermò.
“State facendo uno sbaglio”
“Non è importante, ormai”
“Non potete dire sul serio!”
“Mi dispiace”
“Non fatelo”
“Mi dispiace davvero”
Lantis si richiuse la porta alle spalle con violenza, e tremante, mentre sentiva il terrore dilaniarlo.ù
Via, lontano.
Devo andare via.
 
“Mi avete fatto chiamare?”
“Si, Clef”
“Per dirmi…?”
“Volevo sapere se sei riuscito ad avere notizie di Lantis”
Clef scosse la testa, la chioma argentea e disordinata sbuffò nell’aria seguendo il movimento del capo.
“No. Sembra sparito. Non lo troviamo da nessuna parte. Ormai è una settimana…”
Emeraude chiuse gli occhi. Fece un gesto e le guardie lasciarono la sala. Clef rimase in silenzio, ma aveva uno sguardo interrogativo negli occhi.
Rimasero a lungo in silenzio. Poi Clef si azzardò.
“…eh, insomma…”
“Clef…”
Emeraude lo fissò intensamente. Lui capì che stava per dirgli qualcosa d’importante. La principessa gli sorrise flebilmente.
Strano pensare che questa è l’ultima volta che ti vedo.
“…sto per chiederti di farmi una promessa. Una promessa che non puoi rifiutarmi”
 
 
 
                                                                                  Prima fase       -       FINE
 
 
 
 
Pazzesco! Cioè, l’ho finita! Non ci credo! Oh, è stato un lavoro duro, lo ammetto, ma mi sono divertita tantissimo a scrivere la ff!
Allora, è arrivato il momento dei ringraziamenti… andiamo con ordine, e se vi commuovete avete la mia licenza per versare lacrime sulla vostra tastiera ^_^
Ringrazio prima di tutto Sayoko, che ha seguito la storia sin dagli albori e che ha sopportato i primi, impacciati capitoli, e che magari, quando potrà, leggerà il seguito.
Poi ringrazio naturalmente Kowalsky e Bellislady, che sono state lettrici fedeli e sempre cordiali e piacevoli, mi auguro che continuino a leggere il seguito.
Poi si ringrazia Sofonisba, che si è aggiunta alla fine ma che si è rivelata non solo lettrice devota, ma anche abile scrittrice, e ci tengo a farle sapere che le sue recensioni sono state per me un onore e un piacere da leggere.
Voglio anche ringraziare Nicoletta, che si è presentata tra le recensioni con una moltitudine di nomi, il che fa di te una ragazza un po’ tonta, ma io ti voglio bene lo stesso (pubblica presto, mi raccomando!).
Infine, ultima ma non ultima, ringrazio Sunshine, che è un’amica importante, che mi ha sostenuta mentre scrivevo questa storia sin dall’inizio e che è la mia sola ed unica PSL (Prima Suprema Lettrice). La ringrazio per aver letto ogni singolo capitolo con attenzione, per essere sempre buona e gentile con me, per sopportarmi al banco tutti i santi giorni (Forgotten Warrior! Poi uno si domanda perché ho quei cinque in pagella…), per avermi sempre assecondato con dolcezza in ogni mia cretinata, e per aver riso troppo forte oggi in classe, all’ora di inglese, quando ho detto che quello sembrava un po’ gay e tu mi hai fatto notare che, Ali, è morto! Quello è un sudario! (dehihiho…)
E poi, ovviamente, grazie a tutti quelli che hanno commentato occasionalmente, a quelli che non hanno commentato, a quelli che non hanno mai finito di leggere, grazie a tutti! Perché senza lettori una storia non esiste (frase da diario in rosa ^^)
Un bacio a tutti e ci vediamo tra un paio di settimane con la seconda fase!!

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