Eigenart

di Whatadaph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Esordio e Primo Atto ***
Capitolo 2: *** Atto Secondo (o Interludio) ***
Capitolo 3: *** Atto terzo (o Felice Conclusione) ***



Capitolo 1
*** Esordio e Primo Atto ***


eigenart

Eigenart

Commedia in un prologo e tre atti




“Insieme siamo migliori che presi singolarmente: siamo più reali. Certo, non siamo perfetti, ma la perfezione, lo sai, è sempre a un gradino dalla perfezione, e la lasciamo agli altri. A me piace la sacrosanta e intensa imperfezione della vita.”

Alessandro D’Avenia





L’Inizio (o la Fine)

Palco vuoto. Voci fuori campo.



“Odio quando dimentica le cose importanti – come il mio compleanno o la cena con i miei.
Odio la sua improbabile percezione del tempo e il fatto che sia sempre in ritardo agli appuntamenti. Odio quando sogghigna e si vedono quei suoi canini troppo sporgenti.”

“Il fatto è che Molly è così precisa e pretende che tutti siano precisi quanto lei. Non sopporta che io dimentichi qualcosa o che io sia in ritardo perché magari sto badando a qualche animale. Ed è gelosissima dei miei animali. Si mostra sempre così poco entusiasta per le cose che piacciono a me!”

“Odio quando mi fa i dispetti, odio quando ha le mani sporche di terra. Odio la sua assoluta assenza di empatia, la sua maleducazione. Odio certe sue uscite assolutamente fuori luogo, odio il suo cattivo umore e le sue prese in giro.”

“Non sopporto la sua espressione acida, sembra che abbia bevuto un bicchiere di limonata senza zucchero. Odio quando mi critica, odio la sua assoluta incapacità di accettare critiche a sua volta...”

“... Odio il fatto che Lorcan non accetti mai il parere altrui! È maledettamente presuntuoso.”

“È così presuntuosa! Non è in grado di accettare idee diverse dalle sue. Talmente testarda da diventare ottusa!”

“Odio quando non mi ascolta.”

“Odio quando non mi ascolta.”

“Insopportabile, semplicemente insopportabile. Non hai idea di quanto sia burbero. È patologicamente incapace di dimostrare affetto. Non mi ha mai detto una frase carina che fosse una!”

“Molly è terribilmente ansiosa. Ha quei tic isterici quando qualcosa non va per il verso giusto! In realtà è divertente, però. Quando fa quelle facce.”

“In realtà mi piace che lui sia così appassionato a qualcosa. Non è una persona vuota, ecco.”

“Adoro prenderla in giro. Quando si arrabbia ha delle espressioni adorabili!”

“E mi piace che sia così timido e ritroso, certe volte! Insomma, è un musone, però... Questo lo rende tenero, in un certo senso.”

“Non la sopporto, ma mi piace da morire.”

“Io lo odio, ma...”


“... la amo. Troppo.”

“Ma lo amo.”

“Amo che sia così insopportabile, certe volte, perché lo sono anche io. Insomma, io e lei ci capiamo davvero. Non succede poi così spesso.

“Amo il fatto che  sia così simile a me, per certe cose – perché entrambi siamo determinati e non sopportiamo essere distratti dal nostro intento. È bello essere capiti, ecco.”

“Mi piace che lei sia gelosa dei miei animali. E poi in realtà preferisco lei, insomma, come potrei non farlo? Io la amo.”

“Lo amo. C’è poco da fare.”


****


Atto Primo (o il Vero Inizio)



Scena I – Londra, una mattina d’estate

In scena Molly e la sua rabbia, una sorella troppo buona e una cugina insopportabile



Questa volta lo ammazzo.
Negli ultimi tempi era diventato un pensiero ricorrente, Molly doveva ammetterlo. O meglio, l’avrebbe ammesso molto volentieri, se solo non fosse stato così maledettamente urticante.
“Devo essere impazzita.”
“Questa non è precisamente una novità,” osservò Lily, appollaiata sul davanzale della finestra. Aveva le labbra incurvate in un sorrisetto supponente e appariva del tutto assorta nella contemplazione delle unghie della sua mano sinistra. Mangiucchiate, per la cronaca.
Molly preferì ignorare quell’osservazione inopportuna. Dopotutto, se l’era cercata.
Ormai era più di un'ora che scavava un solco sul pavimento della propria stanza, a forza di camminare avanti e indietro, rimuginando sulle balorde idee cui aveva dato riscontro negli ultimi mesi.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Quando di punto in bianco aveva preso a uscire con Lorcan Scamandro, non avrebbe dovuto essere così negligente da trascurare certi aspetti.
Dopotutto, mettersi con quel cafone era stata una sua libera scelta.
“Io lo ammazzo.”
“Stai con Cane Pazzo Lorcan, cugina,” cinguettò Lily, inesorabile. “Avresti dovuto tener conto di certe cose.”
Ancora non capiva bene cosa le fosse saltato in testa. Lorcan Scamandro aveva un pessimo carattere, ed era la persona più irritante e testarda che lei conoscesse. Era totalmente negato nelle relazioni umane e l'antitesi dell'uomo perfetto.
Insomma, Molly non aveva mai preteso molto da lui. Non desiderava un tipo di relazione come quella fra Roxanne e Lysander ‒ tutta baci e coccole e pareti tappezzate di cuori ‒ perché tutte quelle robe sdolcinate le davano nausea.
Non pretendeva che si vedessero tutti i giorni, ovviamente. Con ogni probabilità non avrebbero sopportato a lungo la reciproca presenza e avrebbero finito per affatturarsi a vicenda quotidianamente. Lorcan andava preso “a piccole dosi”, decisamente.
Non pretendeva neanche che si sentissero tutti i giorni, per Merlino.
Ma dimenticarsi del suo compleanno era decisamente troppo.
Lucy, acciambellata sul letto, la osservava immobile. Sembrava quieta, ma Molly conosceva sua sorella: da un momento all'altro avrebbe detto qualcosa per cercare di farla sentire meglio, sortendo l'effetto opposto.
La colpa non era di Lucy, certo. Era Molly che aveva un caratteraccio.
Di solito, aveva anche maledettamente ragione. Non dovette attendere molto perché Lucy si schiarisse la voce e prendesse la parola.
Fisicamente le due sorelle non si somigliavano affatto. Lucy aveva i capelli castani ed era piccola e soffice, con grandi occhi innocenti. Il suo volto aveva un'aria estremamente morbida ‒ quando litigavano, da piccole, Molly l'afferrava per le guanciotte e tirava forte. Sulla faccia di Lucy restavano sempre dei brutti lividi.
Molly era più di stampo Weasley. Alta e ossuta, con i capelli rossicci e la faccia ricoperta di lentiggini.
“Forse arriverà più tardi,” ipotizzò la minore, esitante. “Magari ha avuto un... un problema con uno dei suoi‒”
“Gorgosprizzi?” suggerì Lily, caustica.
Molly ebbe il subitaneo impulso di afferrare la testa della cugina e sbatterla ripetutamente contro il muro. Per fortuna riuscì a trattenersi, limitando il suo astio a un’occhiata agghiacciante. Lily non fece una piega, e Molly sbuffò, gettando un’occhiata sconsolata fuori dalla finestra.
Non stava spiando il cielo alla ricerca di gufi, però. Affatto.
Il comportamento di Lily, poi, era inammissibile. Fino a qualche mesi prima, se Molly avesse lanciato a un qualche membro della cuginanza uno dei suoi pericolosi sguardi in perfetto stile nonna Molly, quest’ultimo avrebbe preso a squittire terrorizzato. Nella migliore delle ipotesi.
L’amore l’aveva rammollita fino a quel punto?
Gettò a Lily un’occhiata sbiega e la sorprese a fissarla da sotto le folte sopracciglia.  Le sue labbra erano incurvate in un sorrisetto sardonico e il suo sguardo fermo e inossidabile.
Irritante. Terribilmente irritante.
Edificante, ridere delle sventure altrui.
Sì, perché negli occhi di Lily aleggiava sempre quell’aria di sfacciato divertimento, quell’irrisoria scintilla di beffa che aveva la facoltà di irritare Molly da morire. La cugina era talmente insolente da indisporla al punto di voler prendere a schiaffi il suo visetto appuntito dalla mattina alla sera.
O forse la pensava in quel modo perché era già parecchio maldisposta di suo, quella mattina – una vocetta fastidiosa dentro la sua testa diceva così. Maledette voci. Molly avrebbe preso a schiaffi pure loro: che ne potevano sapere! Lei non era così sensibile da poter essere anche solo minimamente condizionata da quella sottospecie di scimmione. O Cane Pazzo, come lo chiamava Lily.
Che poi quel soprannome l’aveva coniato il piccolo Freddie. Avrebbe dovuto ricordarsi di punirlo: il cuginetto undicenne andava rimesso al proprio posto.
Sì, l’avrebbe pagata cara. E poi Molly avrebbe lanciato una Fattura Foruncolosa a Lily non appena i grandi si fossero distratti! Questa sì che era una bella prospettiva, uno di quei progetti che da sempre erano in grado di far incurvare le sue labbra in un sorriso a causa del ritrovato buonumore.
Non funzionò. Molly attese dieci secondi, poi venti, ma quella sensazione di vuoto e delusione e rabbia e stizza non passò.
“State zitte,” sbottò.
“Non stavamo parlando,” replicò Lily, pacata.
Sì, l’avrebbe presa a schiaffi prima o poi.

****


Scena II – Giardino di una casa di campagna

In scena una festeggiata di pessimo umore e parecchie persone fastidiose


“Dovresti sorridere, sai? Di tanto in tanto.”
Molly strinse le labbra e si limitò a scoccare a Louis un’occhiataccia.
Questi sbuffò teatralmente. “Suvvia, cugina! È il tuo compleanno! Sei alla tua festa!”
“Grazie per avermelo ricordato,” ringhiò lei di rimando, prima di riuscire a trattenersi.
Louis non fece una piega al suo tono di voce. “Ah.” Respirò bruscamente. “Credo di aver capito.”
“Beh, allora grazie al tuo sesto senso Veela!”
“Suvvia, non essere scorbutica.”
“Non parlare, Lou, ti prego. Per dieci secondi.”
Silenziosamente, il cugino annuì. Sollevò la mano e – fingendo un’espressione concentrata – contò sulle dita dieci secondi, sillabando i numeri senza che dalle sue labbra uscisse un suono. Arrivato a dieci mise su un gran sorriso e riprese a ciarlare.

Molly si costrinse a non ascoltarlo. Intorno a loro, sembravano tutti divertirsi. Lucy sedeva sulla panchina con il piatto della torta pieno di briciole ancora posato sulle ginocchia, guardando il cielo con espressione assorta. Molly sapeva che fosse uno degli hobby preferiti di sua sorella, da qualche mese a quella parte. Rose era in un angolino con espressione tetra ad ascoltare le chiacchiere di Lily e Albus; Hugo non faceva che ripetere quanto sperasse di essere nominato prefetto a chiunque avesse la pazienza di ascoltarlo; James badava con aria rassegnata a Freddie.
Vic chiacchierava. Teddy fingeva di ascoltarla.
“Mi stai ascoltando, Molly?”
Si riscosse, gettando a Louis un’occhiata sbiega. “Mmh?”
Davvero Cane Pazzo ha dimenticato il tuo compleanno?”
“Proprio tu me lo chiedi, Lou? Ricordi il compleanno anche solo di una delle tue cento ragazze?”
“Molly...”
“Quella del martedì? La bionda, come si chiama... Loraine?”
“Asp–”
“Neanche il suo?”
“Vuoi essere seria per
un minuto?”
“Da che pulpito,” mormorò Molly, ma poi tacque, in ascolto.
“Ricominciamo.” Louis tentò di blandirla con un sorrisino. La faccia di Molly rimase di bronzo: almeno lei era immune dal fascino Veela del cugino. “Davvero Cane Pazzo ha dimenticato il tuo compleanno?”
“Non migliori la situazione chiamandolo così.”

“Non cambiare discorso! Se n’è dimenticato davvero?”
Improvvisamente, Molly desiderò che sotto ai propri piedi si aprisse un baratro. “Evidentemente,” esalò in un filo di voce.

“Il compleanno di Loraine è il quindici marzo.”
“Fanculo.”
Lou aggrottò le sopracciglia. “Molly Weasley, hai appena detto una parolaccia. Il giorno del tuo diciottesimo compleanno. Sei stata svezzata presto alla volgarità, vedo.”
“Oh, quanto sei stupido.”
Il cugino alzò il dito indice. “Non sono stupido, sono geniale e per questo spesso incompreso.”
Molly non poté trattenersi: scoppiò a ridere.
“... E riesco sempre nel mio intento,” aggiunse Louis con una scrollata di spalle.

Quando arrivò la sera e neanche un solo fottutissimo gufo si era ancora avvicinato alla Tana, persino Lily smise di riderci su.
Molly era sempre più arrabbiata e intorno a lei ormai si era formato il vuoto. I cugini percepivano l’aria colma di vibrazioni negative e si dileguavano – furbetti, loro. Ormai l’unico rimasto al suo fianco era Teddy, che da bravo Tassorosso ingenuo e altruista non aveva cuore di lasciarla sola il giorno del suo compleanno.
“Mi dispiace, Molly, se posso fare qualcosa per–”
“No, Teddy,” replicò lei, secca, il volto in preda di tic stizziti. “Niente. Non dire un cavolo di niente.”
“Ma–”
“Ti ho detto di non cercare di consolarmi!” Tirò su col naso. “Non c’è un cavolo di niente da cui io abbia bisogno di essere consolata. E quello che stai pensando
non è vero.” Teddy le porse un fazzoletto e Molly lo prese. “Non pensarlo quindi. Anzi, non pensare proprio. Non pensare così rumorosamente!”
Teddy annuì, paziente, mentre lei faceva una pausa per soffiarsi il naso. “Capito?! Non pensare!”

“Starò attentissimo,” promise lui. “No, tienilo pure,” aggiunse, alludendo al fazzoletto che Molly gli stava restituendo.
“Grazie,” fece lei con voce nasale. “Ma non fare cose carine. Non essere così gentile. Lasciami sola come tutti gli altri. Nessuno mi vuole bene, e io–”
Dominique fluttuò con leggiadria fino a raggiungerli. “È il tuo compleanno,” disse con quel suo irritante tono pratico e perentorio. “Quindi ti divertirai.”
“Io–”

“Soffiati il naso, su.”
Ma perché tutti insistono a regalarmi fazzoletti?
“Dominique, io credo che tornerò a casa. Non mi va di restare qui.”

“E chi ha parlato di restare alla Tana!”
“Voglio andare a casa.”
“Oh, per andarci ci andrai. Giusto il tempo di cambiarti.”
“Ma...”
“Non ammetto repliche, Molly. Non sei più Caposcuola.”


****


Scena III – Interno di un pub

In scena Molly, Louis, Dominique e troppo Firewhiskey



Dominique era proprio una stronza. Molly non faceva che rimuginarvi sopra, mentre cercava disperatamente di raddrizzare il vestito in modo che non la scoprisse così tanto.
Un vestito blu terribilmente scomodo e terribilmente corto. E pure terribilmente leggero: Molly aveva la pelle d’oca sulle gambe.
“Piantala di cercare di coprirti,” fece Louis. “Mi innervosisci. E poi non dovresti, hai uno stacco di coscia che–”
“Lou, non una parola di più.”
Davvero, Molly. Cane Pazzo è un uomo fortunato!”
Dominique comparve seguita da un cameriere armato di vassoio. Stava fluttando ancora – brutto vizio.
“Qui!” trillò, e il ragazzo ai suoi ordini pose sul tavolo tre bicchieri.
Fascino Veela. Potrebbero convincere chiunque a fare qualunque cosa.
Beh, chiunque tranne me.
Tuttavia, non era il fascino Veela di Dominique ad affascinare il cameriere. Molly se ne accorse quando lo vide letteralmente sciogliersi a un sorriso di Lou, che ammiccò nella sua direzione.
Attese che il ragazzo si fosse allontanato prima di sbottare. “Adesso ci provi anche con gli uomini, Lou?”
“Il gusto della caccia, cugina.” Louis fece un gesto di noncuranza con la mano. “Qualcosa che tu non puoi comprendere.”

“Così sembra,” borbottò lei, tentando di nuovo di sistemare il vestito.
Dominique le bloccò il braccio. “Basta, Molly. Prendi un bicchiere.”
“Cos’è?” domandò lei, annusando sospettosa.
“Firewhiskey, Molly.” La cugina sembrava esasperata. “Semplice Firewhiskey.”
“Non sei stata sette anni della tua vita a ripetere quanto fosse poco fine il Firewhiskey?”

“Infatti è poco fine,” convenne Dominique. “Però ci vuole, in certe occasioni.”
“Basta con questi discorsi,” intervenne Louis. “Buon compleanno, Molly!” Levò il bicchiere e lo fece scontrare con il suo. “Adesso dovresti bere,” le fece notare, dopo essersi scolato metà boccale con un solo sorso.
Lei assottigliò gli occhi e avvicinò le labbra al bordo del bicchiere.
Aveva bevuto una sola volta in tutta la sua vita, esattamente un anno prima, il giorno che aveva compiuto diciassette anni. In quell’occasione era talmente di buon umore che aveva finito per scolarsi una bottiglia intera di champagne e poi aveva rimesso l’anima per tutto il giorno successivo, vergognandosi a morte, sotto gli occhi scandalizzati di suo padre e quelli segretamente divertiti di sua madre.
Un vero spasso.
Fanculo.
Bevve con decisione una lunga sorsata, scoprendo con piacevole costernazione il senso di calore che il Firewhiskey faceva scaturire all’altezza del petto.
“Allora, Molly,” le chiese Dominique, giocherellando con il tovagliolo. “Cos’ha fatto il pazzoide?”
“Perché credete tutti che sia pazzo?”
“Lo dici anche tu da circa sette anni,” replicò la cugina pacata. “E non temporeggiare.”
Molly sbuffò, infastidita, bevendo un altro sorso per prendere tempo. “Ha dimenticato il mio compleanno,” confessò in tono piatto, prendendo mentalmente nota di non bere neanche un altro sorso. Già cominciava a girarle la testa.

Dominique si scambiò uno sguardo con Louis e scosse la testa. “Che idiota. Quello non ci sa fare con le donne.”
“Non ci sa fare con le persone, è diverso.”
“Zitto, Lou.” Dominique fece un sorriso. “Beh, l’hai detto ad alta voce. Hai superato la fase della negazione.”

“Non sto elaborando un lutto, Domi.”
“Non ho detto questo.”
Molly bevve distrattamente un altro sorso di Firewhiskey.
Finirò per ubriacarmi, se continuo così. Non era poi così male come prospettiva.
“Beh? Cosa pensi di fare?”
Adesso la testa le girava davvero. Il legno del tavolo cui erano seduti era cosparso di venature. Venature
abbaglianti, però... Il sole era abbagliante, al suo ultimo appuntamento con Lorcan. Avevano litigato e poi fatto l’amore in quel campo a poche miglia dalla Tana, con il grano che le pizzicava la schiena e le braccia.
Istintivamente, strinse le mani attorno ai gomiti.
“Non so. Dovrei fare qualcosa?”
“Dovresti parlarci,” sentenziò Dominique con sicurezza.

Molly rise. Così, quasi senza motivo. “I tuoi consigli sono assolutamente... fuori luogo. Te non lo faresti mai.”
Prevedibilmente, la cugina mise su il broncio.
“Dai, Domi, è vero,” proseguì Molly imperterrita. Non riusciva a porre freno alla propria lingua. “Se Goldstein dimenticasse il tuo compleanno fingeresti che abbia smesso di esistere.”
“Ma Adrian non dimenticherebbe
mai il mio compleanno,” replicò Dominique in tono inflessibile.
Punta sul vivo – nonostante gli strati di annebbiamento prodotti da tutto quel Firewhiskey e dalla sua scarsa propensione all’alcool – Molly si vide costretta a deglutire mentre sentiva uno strano senso di calore dietro agli occhi.
Simile... simile a lacrime.
“Lorcan... Lui...”
Dominique scrollò le spalle. “Secondo me è un comportamento ingiustificabile. Lou?”
“Mah, ingiustificabile forse no. Da imbecille... questo sì. Però che peccato, Lorcan mi è simpatico.”
“Solo a te
sulla faccia della Terra.”
“Ehi, state parlando del mio ragazzo!” si ritrovò a protestare Molly con voce stanca.

Domi aprì la bocca per parlare, ma la richiuse prima di proferir parola. Sia lei che Lou si voltarono in direzione della cugina con espressione grave.
Molly lesse la stessa cosa nei loro identici occhi grigi: Lo sarà ancora a lungo?
Poi divenne tutto molto confuso. La testa le girava da morire, le sue ginocchia traballavano e le parole che pronunciava non sembravano le sue.
Poi dopo pochi istanti e mille anni fu ora di tornare a casa. Molly si Smaterializzò.


****



Scena IV

Notte, strada di campagna

In scena una Molly non molto in sé


Smateralizzarsi in stato di ebbrezza era controindicato. Decisamente controindicato: si rischiava di spezzarsi o di finire in un luogo diverso da quello desiderato, poiché la concentrazione era ostacolata dall’ubriachezza.
Molly lo sapeva bene, ma le era passato di mente. O forse aveva semplicemente deciso di fregarsene, viste le circostanze. Non ne era sicura, però.
Non era sicura di nulla, neanche di dove si trovasse adesso.
Sapeva solo di essere molto arrabbiata e molto triste e di avere assolutamente qualcosa da fare.
Si guardò intorno e si accorse di essersi Materializzata a poche colline di distanza dalla Tana, vicino a un grosso, strambo edificio a forma di caffettiera, col comignolo che spuntava dal beccuccio e una porta d’ingresso piccola e rotonda, con un battente a forma di corvo proprio al centro.
Barcollò oltre il cancelletto – dopo aver annaspato con le dita per riuscire ad aprire il chiavistello – quindi proseguì incespicando sul vialetto, fino alla porta d’ingresso.
“Ciao, Cricket,” biascicò con voce stupida alla testa di corvo.
“Che differenza c’è fra il millepiedi e la zebra?” gracchiò Cricket di rimando.
“Novantasei zampe,” rispose Molly senza pensarci. “Lorcan c’è?”
“Sono qua,” rispose una voce familiare.

Molly si voltò, appoggiandosi al parapetto della veranda per non barcollare.
“Lorcan,” gli si rivolse aspramente. Aveva la bocca impastata e il suo tono uscì fuori strano. Sembrava estremamente distante, come se non fosse lei a parlare. “Sei un deficiente,” sbottò. “Come... come hai potuto...”
“Sei ubriaca, Molly?”

Improvvisamente Lorcan era accanto a lei. La scrutava con una faccia burbera, ma aveva gli occhi tinti di preoccupazione. Aggrottò le sopracciglia. Molly pensò che fosse bello, gli guardò le labbra e le desiderò contro le proprie. Subito.
Poi ricordò di essere arrabbiata con lui e di volerlo lasciare. Perché lui neanche ricordava il suo compleanno.
“Non ti ricordi che giorno... che giorno, uhm, che giorno è oggi?”
“Che cosa stai dicendo?” Lorcan era molto vicino. Le poggiò la mano sulla spalla nuda: una mano grande e calda, leggermente ruvida.
“Ti sei dimenticato.”
“Molly, ma cosa stai dicendo? Vuoi sederti? Un bicchiere d’acqua?”

“Non voglio niente da te!” Alzò improvvisamente la voce. “Niente, capito? Niente!”
“Ho fatto qualcosa che non va?” sbottò Lorcan. “Oggi non ti sei fatta sentire per tutto il giorno!”
“Tanto è normale... fra di noi è normale.”
Aveva davvero voglia di baciarlo.
“Che cosa è normale?”
“Io–”
Lorcan la guardò da capo a piedi. “Perché sei vestita così?” chiese.
“Perché?” ribatté lei. “Sono... sono brutta? Orribile?”
“No,” sembrava quasi divertito. “Sei bella. Solo che mi chiedevo se–”
“Non sei neanche
geloso!”
“Vorresti che lo fossi?”
“No, certo che no,” scosse la testa, spazientita. “Non capisci?”

Non ci capiva più nulla. Però anche Lorcan si stava arrabbiando, lo sapeva. E questo non era giusto: lui aveva dimenticato il suo compleanno! Era colpevole! Non aveva il diritto di arrabbiarsi anche lui!
“Cosa dovrei capire, Molly? Sei ubriaca, cazzo!”
“È il mio compleanno!” Molly quasi gridò. “È il mio compleanno e te ne sei dimenticato! Non mi hai mandato neanche un solo, fottutissimo biglietto!”

Lorcan cambiò espressione improvvisamente, ma non era la faccia colpevole che Molly si sarebbe aspettata. Era piuttosto... ferito. Dispiaciuto.
“Molly, non mi hai mai detto che il diciassette giugno fosse il tuo compleanno,” mormorò. “Lo sai questo, vero?”
“Non te l’ho... Cosa?”
“E il mio compleanno? Che giorno è il mio compleanno, Molly?”
“Io...”

Che giorno era il compleanno di Lorcan? Lo stesso di Lysander, certo. Ma... quando?
Avrebbe dovuto chiederlo a Roxanne. Solo che Roxanne non c’era: era andata in Italia con... con Lysander. Che era il gemello di Lorcan. E aveva il compleanno lo stesso giorno di Lorcan.
Sì, ma che giorno?
“Vuoi sapere una cosa?” sibilò Lorcan in risposta ai suoi interrogativi. “Oggi è anche il mio compleanno.”
Le sembrò di aver appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida. Dritta in testa.
“Io n-non...”
“Non mi hai fatto gli auguri.”
“Neanche... neanche tu mi hai fatto gli auguri.”
“Vero.”
“Auguri.”

Lorcan guardò l’orologio e poi lei. Con occhi tristi. “Molly, la mezzanotte è passata da venticinque minuti.”
E Molly capì. “Addio, Lorcan,” sussurrò, mentre un violento senso di nausea le attanagliava le viscere.
Girò su se stessa e si Smaterializzò. Riapparve sul pianerottolo di casa sua, a Londra.
Le lacrime che aveva trattenuto per tutto il giorno esplosero tutte assieme, mentre si accartocciava su se stessa e rimetteva sullo zerbino.









Note dell’Autrice
Allora, questo è uno spin-off da Metamorphosis, la mia saga sulla NG. Si comporrà di tre capitoli, salvo inconvenienti :)
Naturalmente, ogni commento è gradito!
Bisous,

Daphne

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Capitolo 2
*** Atto Secondo (o Interludio) ***


s

Atto secondo (o Interludio)


In generale, si chiedono consigli solo per non seguirli o, se si seguono,

è per avere qualcuno da rimproverare per averli dati.

Alexandre Dumas



Scena I – Londra, mattinata estiva

In scena Molly, un doposbornia senza precedenti e una sorella caritatevole


Il risveglio fu traumatico.
In principio credette di avere l’influenza. La sua testa sembrava completamente avvolta di ovatta, aveva la bocca impastata e le braccia le parvero incredibilmente pesanti, pur se abbandonate fra le lenzuola.
Provò a deglutire, ma le sembrava di avere una puntina da disegno incastrata in fondo alla gola. Ad ogni tentativo percepiva un pizzicore quasi doloroso.
Va tutto bene. Hai la febbre e il mal di gola. Può succedere a tutti.
Anche a te.
Faticosamente si tastò la fronte, rimanendo alquanto perplessa nello scoprirla fresca. Sgradevolmente appiccicosa, ma fresca.
Non ho la febbre, okay. Posso alzarmi.
Si tirò su con decisione sui gomiti, e immediatamente le parve che la stanza stesse vorticando attorno a lei. Come se il pavimento si inclinasse alternativamente a destra e a sinistra.
Le salì una nausea terrificante.
Compilò mentalmente un elenco dei sintomi. Era un’abitudine che aveva preso durante gli anni di scuola, quando si auto-diagnosticava il malanno in questione pur di non andare in Infermeria. Odiava chiedere aiuto a qualcuno, anche se si trattava di Poppy Chips.
Mal di testa e giramenti. Mal di gola. Sete. Nausea, senso di vomito. Tentò di tirarsi su. Movimenti rallentati. Affaticamento.
Accidenti, ma cosa ho fatto ieri sera?
Tentò di ricostruire gli ultimi avvenimenti del giorno precedente. Ricordò improvvisamente che il giorno precedente era il suo compleanno... e che Lorcan se n’era dimenticato.
Merlino, Lorcan!
I ricordi – che poco prima faticavano tanto a riaffiorare – le tornarono alla mente tutti assieme. Dominique e Louis che l’avevano trascinata in quel pub. Il succinto abitino blu che era stata costretta a indossare dalla cugina – ricacciò infastidita il fatto che fosse stata troppo demoralizzata per riuscire a opporsi. Lou che ci provava con qualunque essere umano di bell’aspetto che si trovasse di fronte, indifferentemente al sesso, all’età e allo stato civile. I bicchieri di Firewhiskey che si erano succeduti uno dopo l’altro – altro pensiero imbarazzante.
E poi... poi si era Smaterializzata, già. Proprio davanti a casa di Lorcan.
Stralci della loro conversazione le risuonarono in mente.
“Cosa dovrei capire, Molly? Sei ubriaca, cazzo!”
“È il mio compleanno! È il mio compleanno e te ne sei dimenticato! Non mi hai mandato neanche un solo, fottutissimo biglietto!”
“Molly, non mi hai mai detto che il diciassette giugno fosse il tuo compleanno. Lo sai questo, vero?”
“Non te l’ho... Cosa?”
“E il mio compleanno? Che giorno è il mio compleanno, Molly?”
“Io...”

“Vuoi sapere una cosa? Oggi è anche il mio compleanno.”
“Io n-non...”
“Non mi hai fatto gli auguri.”
“Neanche... neanche tu mi hai fatto gli auguri.”
“Vero.”
“Auguri.”

“Molly, la mezzanotte è passata da venticinque minuti.”
“Addio, Lorcan.”
E poi si era Smaterializzata e aveva dato di stomaco sullo zerbino di casa sua, quindi si era trascinata singhiozzante a letto, e poi... poi non ricordava altro. Doveva essersi addormentata.
Abbandonò ogni tentativo di alzarsi dal letto, lasciandosi sprofondare ancora di più fra il piumone e i cuscini. Desiderava scomparire. Il mondo faceva schifo. Stava male e si vergognava da morire e si sentiva terribilmente sconsolata. La vita faceva schifo.
La porta della sua stanza si aprì con un cigolio.
Lucy si fece avanti con la sua migliore espressione di crocerossina. In una mano aveva un bicchiere d’acqua, nell’altra stringeva una fialetta che aveva tutta l’aria di provenire da casa Weasley-Delacour.
Molly la vide storcere leggermente il nasino voltato all’insù.
(Quando erano piccole le diceva sempre che sembrava il naso di un maialetto, anche se non era vero).
“Perché storci il naso?” domandò brusca, demoralizzandosi ulteriormente nel rendersi conto di quanto suonasse gracchiante la propria voce. Somigliava a quella di Cricket, il battente-testa-di-corvo.
Che differenza c’è fra un millepiedi e una zebra?
“Niente.” Lucy si affrettò a sorridere. “C’è un po’ di odore di Firewhiskey.”
Diplomatica come sempre. Probabilmente ci sarà un tanfo infernale.
Adesso che ci pensava, anche lei percepiva l’odore penetrante di alcool. Solo che non ci aveva fatto caso, prima.
Non starò diventando un’alcolizzata?
“Molly, non c’è bisogno di vergognarti a morte!” fece Lucy. “Non sei un’alcolizzata per una sbronza. Okay?”
“Taci, mocciosa,” replicò lei, caustica. “Che ne capisci, tu.”
La sorella roteò gli occhi. Molly, suo malgrado, si sentì un po’ in colpa. “Scusa,” disse, “è solo che...”
“Non fa niente, ormai sono abituata al tuo caratteraccio,” replicò la minore con un sorrisino angelico.
Ingannatore sorrisino angelico: Molly conosceva bene sua sorella. Probabilmente aveva in mente di parlare di Lorcan. Il che era tutto fuorché angelico.
Sembra buona e cara, ma in realtà è sadica.
“Bevi.” Lucy aveva abbastanza buon senso da rimandare. Le porse il bicchiere pieno d’acqua, che Molly mandò giù senza troppe storie. Non appena l’acqua fresca le scorse per la gola – affievolendo leggermente il fastidio della puntina da disegno – si sentì un filino meglio. E un filino peggio.
Era più in sé, più cosciente, più... più tragicamente consapevole.
Si mise il cuscino sopra la testa.
“L’amore fa schifo,” brontolò con voce soffocata.
Lucy tirò via il cuscino con decisione. “Dimentichi questo,” ordinò, inflessibile, porgendole la fiala. Agganciato al collo della bottiglia Molly trovò un biglietto. “Filtro anti-sbornia certificato. Tirati su. Louis,” lesse. “Simpatico.”
“Invece è stato molto gentile,” la rimbeccò Lucy. “Altrimenti ti saresti tenuta il mal di testa per tutto il giorno e non saresti riuscita a parlare con Lorcan.”
L’aveva detta, la Parola Proibitissima.

Molly si premette di nuovo il cuscino sulla faccia, singhiozzando stupidamente.

****


Scena II – Londra, stessa mattinata estiva

In scena Molly, Lucy, vecchi film Babbani in bianco e nero e troppe paturnie


Erano quasi le undici quando Molly si decise a emergere dalla propria stanza. Ormai l’unica traccia della sbronza della sera prima era un vago giramento di testa, ogniqualvolta si muoveva troppo in fretta.
I loro genitori erano al lavoro, il padre Percy all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e la madre Audrey al reparto di MagiRadiologia dell’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche, di cui era primario.
Per fortuna. Se papà scoprisse che ho bevuto, mi farebbe la predica per settimane.
Per fortuna Lucy l’aveva coperta, quella mattina, asserendo con convinzione che Molly stava studiando per l’esame di ammissione al Ministero e non poteva essere disturbata per nessun motivo – e dimostrando così di saper dire anche bugie, all’occorrenza.
Ovviamente, i loro genitori se l’erano bevuta. Era facile fregarli se si puntava sulla triade studio-lavoro-carriera.
Molly ancora non si era decisa a mandare un gufo a Lorcan. Insomma, era chiaro che dovessero vedersi. Per correttezza, insomma... per non finirla a quella maniera.
Che coppia siamo? Non sapevamo neanche il giorno del compleanno l’uno dell’altra. L’antitesi del romanticismo.
Accidenti, non abbiamo molto dialogo. Se parliamo litighiamo.
Per temporeggiare, aveva impiegato il tempo in ogni attività possibile, mettendo in ordine la sua stanza già perfettamente ordinata e organizzando il suo piano di studi per le settimane successive nel dettaglio, con cura maniacale.
Proprio tutto quello che Lorcan non sopporta di me.
Il pensiero del suo – forse non più – ragazzo continuava ad affacciarsi nella sua mente, per quanto Molly tentasse di scacciarlo. Si sentiva così stupida, così frustrata...
Basta.
A quel punto, era uscita dalla propria stanza.
Trovò Lucy in salotto, sprofondata sul divano e immersa nella più beata nullafacenza, tutta intenta alla visione di un vecchio film Babbano che trasmettevano in televisione.
Molly gettò un’occhiata allo schermo e riconobbe la pellicola in questione come Colazione da Tiffany, uno dei cult di sua sorella.
Oh, povero amore!” stava dicendo Audrey Hepburn in quel momento, stringendosi al collo il suo grosso gatto. “Povero amore senza nome! Oh, ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome... perché, in fondo, noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale. E poi, non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio. Non so ancora dove sarà... ma so com’è. È come Tiffany.”
Tiffany?” replicò George Peppard, perplesso. “Tiffany il gioielliere?”
Appunto. Io vado pazza per Tiffany! E... specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.
Ehm, vuol dire... quando è triste?”
No... uno è triste perché si accorge che sta ingrassando, o perché piove... è diverso. No, le paturnie sono orribili. È come un’improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei?”
Molly indietreggiò.
Come un’improvvisa paura di non si sa che.
Forse era più simile a Holly Golightly di quanto mai avrebbe pensato. Anche lei era presa dalle paturnie, di tanto in tanto. E, realizzò improvvisamente, ogni singolo tormento di quel genere aveva qualcosa a che fare con Lorcan.
Aveva avuto le paturnie quando Lorcan le aveva rovesciato un secchio di Vermicoli in testa, al terzo anno. Si era sentita così umiliata e delusa da pensarci per settimane e settimane, con un vago senso d’ansia in sottofondo.
Era successa la stessa cosa quando al quarto anno lui l’aveva provocata al punto da costringerla ad affatturarlo pubblicamente. Al riguardo aveva provato uno strano miscuglio di nervosismo, frustrazione e senso di colpa che non se n’era andato per un bel pezzo. A pensarci, sentiva ancora il cuore sprofondare e un curioso desiderio di dimenticare l’avvenimento.
Al quinto anno Lorcan le aveva rubato metà degli appunti e si erano sfidati a duello in piena Sala d’Ingresso. Il colloquio con la preside che era seguito era stato uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita.
Odiava le paturnie, odiava quell’incertezza e quell’idea improvvisa di futuro vuoto che le appariva talvolta, quando si immaginava Ministro della Magia, con la carriera più rapida e brillante della storia... ma terribilmente sola, costretta a trovare ogni sera una casa deserta, non sapendo come riempire il tempo che la separava dall’ora di andare a dormire.
La mano fresca di Lucy si intrecciò improvvisamente alla sua, tirandola verso il divano. La sorellina le si accoccolò contro mentre alzava il volume. Molly la lasciò fare, e dopo un po’ si ritrovò a poggiare la testa su quella di Lucy, singhiozzando piano.
Non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia,” annunciò Holly con convinzione.
Non voglio metterti in guardia, io voglio amarti.”
“È la stessa cosa.”
Odiava l’idea di futuro vuoto, ma odiava ancora di più l’idea di nessun futuro... o meglio, di perdere il futuro che aveva progettato per sé. La carriera brillante che si distendeva davanti ai suoi occhi era una via che avrebbe percorso fiduciosa e determinata.
L’amore sarebbe stato solo un inutile impedimento. Già lo era, no? Invece che studiare per il test di ammissione, si stava crogiolando in quella stupida desolazione e quelle stupide paturnie davanti a Colazione da Tiffany.
Si sentì terribilmente patetica. Non voleva che il suo futuro finisse ingabbiato dall’amore.
Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici. Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.
L’invettiva di Paul Varjak le fece stringere i denti.
Detestava i cult di Lucy: la facevano sempre sentire un po’ uno schifo.

****


Scena III – Hyde Park, Londra

In scena Molly e i soliti cugini ficcanaso


“Il punto è che devi parlare con lui, Molly.”
Lanciò un’occhiataccia a Domi, per poi fissare caparbiamente lo sguardo sulla superficie increspata della Serpentine, il celebre lago artificiale di Hyde Park.

Mezz’ora prima si era decisa a uscire di casa, lasciando Lucy a commuoversi davanti all’intera filmografia della Hepburn. Ovviamente, quando Dominique aveva mandato un gufo a casa loro per chiedere come stesse, Lucy aveva risposto facendo la spia sulla sua destinazione.
Quindi Molly aveva dovuto rinunciare ai suoi propositi di piangersi addosso mentre gettava briciole alle anatre – per quanto le piacesse autoconvincersi che avrebbe proseguito la lettura di Uno studio in rosso nella più completa serenità d’animo.
Davvero, le sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo in compagnia di Sherlock Holmes e del dottor Watson. Ma la bionda cugina era comparsa improvvisamente davanti alla sua panchina, accomodandovisi su senza complimenti.
“Almeno una lavata di capo dovresti fargliela,” insisté Dominique.
Molly continuo a ignorarla ostinatamente.
“Non puoi far finta di niente.”
Strinse le labbra.

“Un momento...” La voce di Dominique si fece irritante e terrificata. “Non avete già parlato, vero?”
Molly annuì bruscamente.

Ieri sera?” arrischiò la cugina in tono allarmato.
Preparandosi al patibolo, annuì ancora.
“Quando eri completamente sbronza, Molly?”
Non rispose. Rimase perfettamente
immobile.
“E come è andata?”
Scrollò le spalle.
“Cosa ha detto Cane Pazzo per giustificarsi?”
Silenzio. Dominique la fissò, in attesa.
“Era anche il suo compleanno,” rispose infine Molly con un filo di voce.

Che cosa?!”
Le anatre andarono completamente in allarme. Decollarono tutte insieme, volando a rotta di collo dall’altro capo del Serpentine.
“Complimenti, le hai terrorizzate,” commentò Molly con voce piatta.
“Non cambiare discorso!” la rimbeccò Dominique.
“Forse dovresti urlare più forte. Magari a East End c’è qualcuno che non è riuscito a sentirti.”
La cugina roteò gli occhi. “Sei impossibile,” sbottò, irritata. “Dimmi che stavi scherzando. Ti prego, dimmelo.”
“Non sto scherzando.”

“Quindi...” Dominique poggiò sul naso la punta del dito indice, pensosa. “Quindi anche tu hai scordato il suo compleanno.”
“Non propriamente,” mormorò Molly, desiderando scomparire per l’ennesima volta nell’arco della stessa mattinata. “A dire il vero non ci siamo mai detti in quali giorni fossero i nostri compleanni.”
A giudicare dalla sua espressione, Dominique sembrava indecisa se abbracciarla o prenderla a schiaffi.
Non fece nessuna delle due cose: lei non era una tipa particolarmente fisica.
Neanche Molly, se è per questo.
“Beh, è un problema che dovrete risolvere,” sentenziò la bionda dopo qualche esitazione.
“Non riesco a capire se ci siamo lasciati o meno,” confessò Molly, desolata. “Insomma, non è una cosa normale. Io e lui dovremmo essere una coppia.”
Dominique le scoccò un’occhiata penetrante. “A cosa pensi siano dovute le vostre difficoltà?” domandò cautamente.
“Non lo so.” Molly sospirò. “È che con lui è così difficile parlare. Brontola sempre.”
“Sì.” Dominique annuì.
“Però non sempre!” Si ritrovò a difenderlo automaticamente. “A volte è dolce, a modo suo. E... sexy.” Soggiunse, arrossendo.
“Non c’è niente da vergognarsi ad ammettere di fare buon sesso,” intervenne improvvisamente una voce maschile tragicamente familiare.
Molly roteò gli occhi. “Sembrava troppo bello per essere vero, Lou,” sibilò, caustica. “Che non ci fossi, intendo.”
Lui sorrise sornione. “So che non vedevi l’ora di vedermi, cugina.”
“Come sapevi che eravamo qui?” Dominique interpellò il fratello con aria indagatrice.
“La piccola Lucy ha cantato.” Louis emise un sorrisetto sghembo e si accomodò sulla pacchina con i suoi soliti movimenti fluidi.
Dannati un-ottavo-Veela.
Dicevamo?” riprese Dominique, gettando un’occhiataccia al fratello.
“Che Lorcan a volte è dolce a modo suo e sexy,” borbottò Molly, la testa da un’altra parte.

“E così partirai.”
Lorcan aveva ottenuto il posto da apprendista GuardiaDrago che tanto desiderava. Molly era... felice per lui, sì. In qualche modo. E anche orgogliosa del suo ragazzo.
Peccato che sarebbe partito a settembre. Quei tre mesi che mancavano alla loro separazione le parvero improvvisamente troppo brevi.
La guardò. “Tanto devi diventare Ministro, Weasley,” brontolò. “Non avresti comunque tempo per me.”
Lei sospirò. “Mi mancherai, però.”
“Sciocchezze. Dici sempre che sono insopportabile.”
“Tu sei insopportabile, Lorcan.”
“Come farò a mancarti, allora?”
Lei ci pensò un istante. “Mi mancherà il tuo essere insopportabile,” concluse poi. “Anche se ammetterò che studiare i Draghi in Romania con la supervisione di mio zio Charlie costituisce un’alternativa valida.”
Lorcan sorrise in quel suo modo un po’ strano – come se per ostinazione non vi fosse abituato. “I draghi non sono meglio di te, Molly.”
“Che novità!” fece lei, sarcastica. “Anche se da te mi aspetta-”
“Ai draghi non si può fare niente del genere,” le fece notare lui, mentre la afferrava per la vita e poggiava le labbra sulle sue con la solita irruenza.
“No,” convenne Molly mentre lo baciava. “Effettivamente no”.

“Sì, ma è insopportabile.” Dominique la guardava con uno strano sorrisino. “Maleducato e scortese.”
“Però è anche...” Molly
davvero non sapeva come mai continuasse a difenderlo, “Cavalleresco. A modo suo.”

“La nota disciplinare è stata annullata,” annunciò la preside Sinistra, che sembrava in qualche modo sollevata, “e il ruolo di Caposcuola reintegrato. Devo dire che non posso che esserne lieta... era un vero peccato, sa? Un curriculum come il suo!”
Molly sorrise apertamente. Merlino, avrebbe gridato e ballato e saltato per l’entusiasmo!
“Come... come avete fatto a capire che non ero stata io?”
“Beh, il signor Scamandro, qui, ha confessato.”
“Che cosa?!”
La ragazza si voltò verso Lorcan, stupefatto. “Eri stato tu?”
Lui, se possibile, parve impallidire ancor di più, contraendo il viso. Annuì.
“Ma... perché?!”
Lorcan la guardò dritto negli occhi. “Ho sentito Jackie Finigann parlare male di te e di tua sorella.”

“Affatturare una ragazza vuol dire essere tutto fuorché cavallereschi!” la corresse Louis.
Aggrottò le sopracciglia. “Come sei sessista,” commentò.
“Piantala di sviare,” intimò Dominique. “E comunque questi sono discorsi completamente inutili. C’è una sola persona con cui tu debba parlare, e quella è Lorcan.”

****


Scena IV – Ottery St Catchpole, Pomeriggio

In scena Molly e Lorcan



Il tempo funzionava in maniera strana.
Molly era arrivata al luogo concordato fra lei e Lorcan con dieci minuti di anticipo. Inizialmente, il tempo sembrava non passare mai, i secondi scorrevano goccia a goccia. Poi aveva preso a correre. Fuori dal suo controllo.
Quando il tempo scorre lento, alla fine passa tutto assieme.
“Ciao.”
Sobbalzò. Era talmente immersa nei propri pensieri da isolarsi completamente dal mondo che la circondava. “Lorcan,” constatò, senza fiato. Sentiva il cuore in gola.
“Come ti senti?” le domandò lui bruscamente.”
“Ho... Mi fa male la testa. Ecco. E poi... cioè, sto meglio. Rispetto a stamattina,” si impappinò stupidamente.
Lorcan annuì, come a prendere nota della cosa.
“Ma... dovremmo parlare. Credo.”
“Già.” Il ragazzo si lasciò cadere accanto a lei sulla panchina inondata dal sole. Intorno a loro, la vita dei Babbani di Ottery St Catchpole scorreva come se nulla fosse. “Il concetto era abbastanza chiaro, nella tua lettera.”
(“Dobbiamo parlare. Molly.” In effetti il contenuto era stato chiaro e altrettanto conciso).
“Dovremmo... capire cosa non va fra di noi,” si sentì in dovere di chiarire lei.
“Anche questo era abbastanza chiaro,” buttò lì l’altro. “Sai, so leggere fra le righe.”
Davvero? Non l’avrei mai detto. Molly si morse la lingua prima di esternare qualche commento sarcastico che si sarebbe rivelato del tutto controproducente.
“E... cosa pensi che non vada?” Si stupì nel sentire la propria voce esitare in questo modo.
“Secondo te?” Lorcan le scoccò uno dei suoi sguardi inquisitori.
E va bene, pensò Molly. Devo lanciare io il guanto della sfida.
“Forse... forse siamo troppo diversi,” ipotizzò. “Tu non accetti alcuni aspetti di me.”
“Anche tu non accetti alcuni aspetti di me!” si difese immediatamente Lorcan.
“E tu vai subito sulla difensiva!” protestò lei, indignata.
Lorcan sbuffò. “Vedi, non riusciamo neanche a parlare senza litigare.”
“Questo perché tu sei insofferente e brusco.”
“Molly,
tu sei insofferente e brusca!”
Lei aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse. Aveva improvvisamente compreso che Lorcan aveva ragione... ma non solo lui. Erano entrambi dalla parte della ragione e da quella del torto.
Abbiamo gli stessi difetti.
“Forse siamo solo troppo simili,” si ritrovò a mormorare, improvvisamente sfiancata. “Forse... forse non siamo fatti per stare insieme.”
Voleva essere contraddetta, forse per la prima volta in vita sua. Lo voleva terribilmente.
Ma non accadde.
“Credo che tu abbia ragione, Molly. Non siamo fatti per stare insieme.”
Il ragazzo si alzò dalla panchina e fece per andarsene, ma lei lo trattenne per la manica. “Lorcan.”
Lui le gettò uno sguardo triste. “Che c’è?”
Si rese conto di non riuscire a dirlo. Di non essere in grado di formulare in parole comprensibili ciò che stava pensando. Quindi disse la prima cosa che le venne in mente. “Che differenza c’è fra un millepiedi e una zebra?”

“Novantasei zampe,” mormorò Lorcan. “Per il resto sono praticamente uguali.”
“Risposta corretta,” riuscì a esalare Molly in un soffio, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

Lui si sottrasse delicatamente alla sua presa, quindi se ne andò. Lei lo guardò allontanarsi finché non scomparì dietro l’angolo.
Rimase seduta lì, con le lacrime che le rotolavano sul viso.
Non si era mai sentita così stupida e senza speranze.






Note dell’Autrice
Mi scuso enormemente di aver aggiornato così tardi :(
Ad ogni modo, ecco a voi il secondo capitolo di questo spin-off!
Grazie a chiunque abbia letto e recensito <3

Bacioni!
Daphne

PS: Per chi fosse nuovo alle mie storie, qui trovate il gruppo di Facebook dove posto notizie riguardo a eventuali ritardi, nuovi aggiornamenti, etc... Se siete interessati, liberissimi di chiedere l’add ;)

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Capitolo 3
*** Atto terzo (o Felice Conclusione) ***


Atto terzo (o Felice Conclusione)

 


 



E anche quando mi sveglio in un posto che non è casa mia, quell’attimo in cui non capisco ancora dove sono. E anche quando poi lo capisco.

Francesco Piccolo, “Momenti di trascurabile felicità”.

 

 

 




Scena I – Un mese dopo

(In scena Molly, l’Avvoltoio e tre pesci rossi)


 

"Tu sai che partirà domani.”

Victoire si era soffermata a guardarla, pensosa, gli occhi celesti distanti e le labbra arricciate in una smorfietta adorabile. Le sue parole erano suonate flautate e distratte, quasi buttate lì per caso, ma Molly sapeva che la cugina la stava osservando in attesa di reazioni. Per questo proseguì imperterrita nelle sue occupazioni, cercando di non far trasparire nulla dalla propria espressione.

“Pensa tu. Gli Scamandro sono sempre stati un punto di riferimento per i pazzi della zona, e adesso partiranno tutti e due.”

L’adorabile Victoire. Graziosa come un usignolo e con il senso dell’umorismo di un avvoltoio.

“Mh-mh.” Emise un suono annoiato, senza smettere di lucidare energicamente la sua bacchetta magica. Dalla punta sprizzò qualche scintilla.

Seccata, mise via il panno imbevuto di solvente per legno e posò la bacchetta sul comodino, quindi – tanto per fare qualcosa che la distraesse da Victorie – si decise a dare da mangiare ai pesci rossi che boccheggiavano stupidamente nel piccolo acquario. Il demenziale regalo di Natale di Lucy.

Quello di compleanno era stato un cactus.

Che sarcasmo inaspettato, uhm. 

Ma Lu sembra sempre più innocente di quanto non lo sia in realtà.

“So perfettamente che mi stai ignorando con molta convinzione.” L’avvoltoio non demordeva. “E smettila di far ingozzare quei poveri pesci, o scoppieranno.”

Molly aggrottò le sopracciglia. “I pesci scoppiano?”

“Non fare la stupida.”

Vic aveva parlato in quell’irritante tono pretenzioso così tipico di zia Fleur, che Dominique non smetteva praticamente mai. Doveva essere una prerogativa delle un-ottavo-Veela o qualcosa del genere.

Decise di cedere. Se la cugina voleva dirle qualcosa, in un modo o nell’altro l’avrebbe fatto, quindi tanto valeva lasciarla parlare subito, piuttosto che permetterle di sobissarla a quella maniera per ore.

Via il dente, via il dolore.

“Che cosa vuoi?” domandò senza tanti preamboli.

Victoire parve quasi offesa. La sua boccuccia rosa si strinse in un adorabile piccolo broncio, mentre i suoi occhi si sgranarono in un’espressione di tale sbigottimento da far stringere il cuore. Per un attimo, Molly quasi ci credette. Poi ricordò che Vic era un avvoltoio nelle spoglie di usignolo e l’incanto si ruppe.

“Piantala di usare i tuoi trucchetti Veela.” Brontolò. “Fra te e tuo fratello devo ancora decidere chi sia più insopportabile.”

“Domi è esclusa dal conteggio?” La ritrovata serenissima espressione non fu altro che la riprova di quanto Molly aveva teorizzato. 

“Dominique è un caso a parte. Ha una scala dell’insopportabilità tutta sua. E comunque,” ribadì, “non puoi fare così. È disonesto.”

“Sì, sì.” Victoire alzò gli occhi al cielo. “E comunque non lo faccio apposta.”

“Questo è quello che vuoi far credere,” mugugnò Molly di rimando.

La cugina ebbe perlomeno il buon gusto di ignorare quest’ultima osservazione. Si scansò dagli occhi una ciocca dei suoi lunghi capelli biondo argento, che portava sempre sollevati in crocchie disordinate in cima alla testa – con immenso rammarico di zia Fleur, che adorava la figlia maggiore quasi quanto detestava il suo abigliamento basico e quasi mascolino.

Molly, tuttavia, comprendeva le scelte di stile dell’altra. Nonostante potesse apparire il contrario, a Vic non piaceva granché essere guardata. 

Più che normale, quando la maggior parte della gente ti guarda come se ti volesse molestare.

Forse per questo Victoire cercava di essere meno appariscente possibile, nascondendo le proprie forme in maglioni e jeans sformati e portando sempre i capelli legati. Nonostante ciò, i suoi stivali erano rigorosamente in pelle di drago – con grande orgoglio di zio Bill, che se pure non portava più il celeberrimo orecchino con la zanna, ancora non aveva tagliato i capelli rosso fuoco. 

Ad ogni modo, gli sforzi di Vic per non farsi notare non funzionavano granché... era una di quelle persone che, in un modo o nell’altro, finivano sempre per stare al centro dell’attenzione.

Forse per questo Domi è così assurda. Non deve essere facile avere per sorella una così, specie se si è paranoiche come lei.

Comunque fosse – e Molly non avrebbe mai cessato di ribadirlo – Vic era tutto fuorché l’angelo di modestia che poteva apparire dall’esterno. 

Un avvoltoio travestito da usignolo. Già l’ho detto?

“Sai che organizzano una festa?” Percepì lo sguardo di Victoire trapassarle la nuca, mentre cercava in tutti i modi di concentrare la propria attenzione sui pesci e non ascoltare. 

La cugina tacque, in attesa di una risposta.

“Chi?” non poté fare a meno di domandare, sebbene sapesse perfettamente a chi si riferisse. Si sforzò di seguire i movimenti dei pesci, ma era più forte di lei: non riusciva a fare a meno di stare con le orecchie tese, in ascolto.

“Lo sai benissimo.”

Lady Oscar, dai bulbi oculari sporgenti, diede un colpetto con la testa alla povera, piccola Sansa. Quell’antipatico di Stannis si esibì in un superbo colpo di coda e si allontanò, dando a intendere che lui non voleva avere nulla a che fare con l’immaturità delle sue coinquiline. 

Deglutì e si decise a voltarsi in direzione di Victoire. Come si aspettava, la cugina la stava guardando, in attesa di una risposta.

Vic è molte cose, ma di certo non imprevedibile.

Anzi, è una delle persone più prevedibili sulla faccia della Terra.

Lo stesso non si poteva dire di Domi e Louis, su questo non c’erano dubbi.

“Bene, organizzano una festa,” riecheggiò in tono mesto le parole della cugina. “Io che cosa c’entro?”

“C’entri perché sei invitata.”

D’accordo, non se l’aspettava. Doveva ammetterlo.

Ma non sarebbe andata a quella festa. Oh, no! Avrebbero dovuto piazzarle addosso un Incantesimo della Pastoia total body e trascinarla di peso, perché lei non ci sarebbe andata neanche–

“E tu ci verrai. Anche a costo di lanciarti un Incantesimo della Pastoia e trascinarti di peso.”

Molly deglutì, a disagio. “Chi ha organizzato questa festa?”

Probabilmente Lysander. Lorcan non ha questo grande spirito di socialità...

Ma interruppe subito il filo dei propri pensieri, perché permettere loro di soffermarsi su Lorcan faceva troppo male. Già ci pensava Victoire a infierire.

“Te l’ho detto.” La cugina iniziava a spazientirsi. “Gli Scamandro.”

Entrambi? Perché dubito che Lorcan mi avrebbe–”

Ma la sua voce scemò a un’occhiata eloquente di Vic. Molly per un istante si sentì terribilmente infantile.

Dovrei prendere esempio da Stannis. Lui sì che è distaccato e indifferente.

Realizzò di somigliare piuttosto a Lady, che solo qualche giorno prima aveva beccato a sbattere ripetutamente la testolina squamosa contro la parete di vetro dell’acquario. 

E Lucy è Sansa, anche solo per riuscire a sopportarmi.

Ma perché faccio paragoni con i pesci?!

“Forse dovrei prendere un altro Occhi a Bolla,” disse in un pigolio. “Per fare compagnia a Lady Oscar, sai.”

Vic ignorò quest’ultima uscita. “Sai, credo che sia stato Lorcan a invitarti.”

Molly rise come una stupida. “E perché avrebbe dovuto?”

“Perché non tutti hanno il tuo caratteraccio.”

“Beh, Lorcan sì,” ribatté prontamente.

Dal modo in cui la cugina tirò su un respirone e lo lasciò andare lentamente, realizzò che era il momento di piantarla. “Devo venirci per forza?” tentò un’ultima protesta, ma suonò più come un piagnucolio.

 

 

****




 

Scena II – Territorio nemico

(In scena Molly e il Nemico)


 

 

Perlomeno questa volta nessuno l'aveva costretta a indossare un vestito, pensò. Una ben magra consolazione, non c'era che dire. 

Il giardino di casa Scamandro era grande e pieno di animali strani e piante un po' troppo inopportune, ma a modo suo era un bel posto. Specialmente quella sera, nell'aria fragrante della serata estiva, con fatine danzanti a balenare luminose nel buio. La festa doveva essere ben riuscita, a giudicare dal non trascurabile fracasso, ma Molly non si sentiva proprio in vena. Sostava in un angolo, in apprezzata solitudine, con i suoi pantaloncini di jeans consunti e un pullover di cotone. Ci aveva provato, davvero, ma proprio non le riusciva di sollevare lo sguardo dalle sue stupide ginocchia ossute e coperte di lentiggini.

Sorseggiò dal proprio bicchiere di plastica, che conteneva un cocktail a lei sconosciuto. A giudicare dal sapore, doveva essere a base di rum. Non era gratificante la consapevolezza che – nel corso dell'estate – la sua esperienza in fatto di alcolici fosse cresciuta al punto di distinguerli per il loro sapore. 

Un po' squallido, a dirla tutta.

Ringraziava il cielo che Louis fosse troppo impegnato a flirtare per dannarle l'anima anche quella sera, come ultimamente sembrava esser diventato il suo sport preferito. Lo stesso valeva per Victoire, che aveva spedito Teddy a prenderle qualcosa da bere e – grazie a Merlino! – appariva immersa in una profonda conversazione con i coniugi Scamandro. Lucy, dal canto suo, era da qualche parte a confabulare con Hugo a proposito della loro neo-nomina a Prefetti, mentre Lily… 

A pensarci bene, non aveva idea di dove fosse Lily. Non che le importasse granché.

Al contrario, aveva un'idea piuttosto chiara di dove si trovasse Lorcan. Nonostante non avesse sollevato gli occhi dalle ginocchia – e dal bicchiere – che per salutare, in qualche modo riusciva a tenere d'occhio i suoi movimenti. Non aveva chiaro in mente il perché lo stesse facendo, ma questi erano i fatti.

Probabilmente – anche se non l'avrebbe mai ammesso – una parte di lei voleva appurarsi che non avesse una nuova ragazza.

Ma chi si metterebbe con un sociopatico come Lorcan?

Ah, già. Io.

A dire il vero era piuttosto certa che il suo ex non si fosse messo con un'altra. Altrimenti, Roxanne si sarebbe immediatamente premurata di farglielo sapere, visto che la sua cugina di era auto-nominata Spia in Carica in casa Scamandro e prendeva molto sul serio il proprio ruolo. Non richiesto, peraltro.

Basta pensare a Lorcan, adesso. Non c'è niente che tu possa dire o fare per…

C'era qualcosa che avrebbe potuto dire, prima. Ma non l'aveva fatto, e le parole non dette non si potevano recuperare. Le parole non dette non esistevano.

Sollevò lo sguardo per una frazione di secondo, nella direzione in cui – lo sapeva – avrebbe potuto vedere quel citrullo del suo ex. Vicino a lui c'era Lysander, un braccio buttato sulle spalle del gemello e l'espressione affranta mentre parlava di qualcosa di molto importante che gli era stato rubato.

Un uovo, a quanto pareva. Probabilmente solo l'ennesima assurdità partorita dalla mente di Lysander.

Come se l'avesse chiamato, anche Lorcan sollevò lo sguardo verso di lei. Per una frazione di secondo rimasero a fissarsi – l'espressione di lui era imbronciata, come al solito – poi Molly abbassò in fretta gli occhi, con la netta sensazione di star arrossendo in zona orecchie.

Che cosa stupida.

"Mi chiedevo dove fossi finita."

Senza sollevare lo sguardo, Molly emise un basso brontolio.

Sapevo che mi era sfuggito qualcuno nella conta.

Dominique piegò le labbra nel suo migliore sorrisetto da ape regina, scansando una ciocca di capelli biondo grano con una mossa molto simile a quella di Victoire. Indossava un vestitino a fiori di tessuto leggero e le sue gambe snelle erano abbronzate, anziché coperte di lentiggini come quelle di Molly. 

"Perché, mi cercavi?"

La cugina inarcò le sopracciglia. "Così pare. Adrian sta parlando di Quidditch con quella noia di James e non mi andava di stare a sentire." Sbuffò, roteando gli occhi. Era divertente vedere come fingesse di essere seccata ogni volta che nominava il suo ragazzo.

La noia di James era molto più realistica: loro due erano davvero troppo diversi per andare d'accordo.

Anche se in realtà è notevole che Domi riesca andare d'accordo con qualcuno.

Sapeva che di sé avrebbe potuto dire lo stesso, quindi evitò di esprimere i propri pensieri.

"Ad ogni modo, perché sei qui da sola?"

Che cosa irritante. Dominique sapeva perfettamente perché – come tutti, d'altronde.

"Secondo te?" replicò acidamente.

"Sai che è un atteggiamento molto infantile?"

"Parla l'esempio di maturità."

A questa non potrà ribattere.

"Mi sembra che io col mio ragazzo ci sto ancora."

Come non detto. Che razza di stronza.

Senza dire altro, si allontanò dalla staccionata calcando i piedi sull'erba. Improvvisamente, sentiva tutto il proprio corpo tremare per il nervosismo accumulato. Mentre se ne andava, colse con la coda dell'occhio Dominique sorridere, e quando Louis deviò il suo percorso afferrandola con un braccio, capì anche il perché.

Era riuscita a gettarla nel bel mezzo della festa. Probabile che lei e Lou si fossero messi d'accordo in precedenza.

Detesto i miei cugini. In un modo o nell'altro, stanno sempre a complottare.

Louis le rivolse il suo rassicurante-affascinante-sorriso-Veela e la trascinò con sé al tavolo del buffet. 

"Come butta, cugina?" Sorrise sghembo. "Tartina?" Senza preavviso, le ficcò dentro la bocca una tartina al salmone. Molly quasi soffocò.

Godendosela un mondo, Lou le batté forte sulla schiena mentre tossiva. 

"Tutto bene?" La voce che suonò all'improvviso accanto a loro era tragicamente nota, e non avrebbe potuto rivolgersi a lei in un momento meno adatto. 

"Shi." Riuscì a biascicare con la bocca piena, arrossendo di botto. "Benisshimo."

Lorcan la guardò fisso con il suo sguardo penetrante, per una volta senza broncio ma con le labbra immobili in una perfetta linea orizzontale, serissimo. 

Finalmente, riuscì a mandare giù un boccone. "Scusa." Non aveva un grande controllo sulle proprie parole. "Quell'idiota di mio cugino. Mi ha fatta praticamente strozzare. Vero, Lou–?" Si guardò attorno, ma Louis si era misteriosamente volatilizzato.

"Ho visto." Non smetteva di fissarla. "Come stai?" Era burbero, ma Molly sapeva che faceva così solo per celare il proprio imbarazzo. E davvero, il suo cuore non avrebbe dovuto prendere a battere così rapidamente per una cosa tanto sciocca. 

"Bene!" Replicò in tono forzatamente allegro. "Tu? Emozionato per la partenza?"

Lorcan annui leggermente, chinando la testa. I capelli biondo scuro piovvero a coprirgli gli occhi.

Gli sono cresciuti, pensò Molly quasi distrattamente, sopprimendo l'istinto di scostarglieli dalla fronte.

"Io ho l'esame per il Ministero fra una settimana," mormorò, tentando di fare conversazione. Bevve nervosamente un sorso dal bicchiere, cercando di non fissare troppo Lorcan.

Lui sollevò di nuovo la testa e emise quanto di più simile a un sorriso fosse in grado di produrre. "Andrai bene, lo sai." La guardò. "Buona fortuna."

Molly deglutì. "Io… Grazie."

Per qualche minuto rimasero in silenzio, Molly a vuotare il bicchiere e Lorcan preso a studiarsi con grande interesse le punte dei piedi. 

Poi Lorcan parlò all'improvviso. "Hanno le strisce."

"Come?" Aggrottò le sopracciglia, perplessa.

"Le zebre hanno le strisce, i millepiedi no. E nessuna zebra ha le strisce uguali a quelle di un'altra."

Quindi tacque. Molly non riusciva a capire. "Ma cosa…"

"Devo andare." Tagliò corto Lorcan.

Prima che lei avesse il tempo di dire o fare alcunché, era già stato riassorbito dalla folla.

 

 

****

 


Scena III – Londra, la mattina successiva

(In scena Molly che finalmente rompe ogni indugio)


 

 

Non riusciva a concentrarsi sullo studio, quella mattina. Ci aveva provato a casa, ma per qualche motivo continuava ad incantarsi con lo sguardo fuori dalla finestra della sua stanza. Dopo due ore di assoluta improduttività, aveva capito che persistere non sarebbe stata la tattica giusta. La decisione di trasferire il volume di Storia del Diritto Magico alla gelateria di Florian Fortebraccio era stata dunque pressoché automatica. 

Seduta a un tavolino esterno, libri e quaderni sparsi sul piano in ferro battuto e intenta a gustarsi un frullato al lampone, si era resa ben presto conto che anche così non ce la faceva proprio. 

Le minute lettere stampate del suo libro si confondevano e sovrapponevano davanti ai suoi occhi, e spesso le capitava di rileggere una frase anche dieci volte prima di accorgersi che suonava familiare. 

Oppure il suo sguardo scorreva sulla pagina e macinava una parola dietro l'altra, senza però dar loro un senso compiuto.

La periodizzazione più diffusa del Diritto Magico Britannico è quello che distingue quattro stati evolutivi. Il primo è il periodo arcaico, che va dalla fondazione della città di Londra fino alla scissione della Camera dei Lord con i rappresentanti della comunità magica. Nessuna zebra ha le strisce uguali a quelle di un'altra.

… No, forse questo non c'è scritto.

Esasperata, si sfilò gli occhiali da lettura dal naso e affondò il volto fra le mani, massaggiandosi delicatamente le palpebre. Doveva essere il caldo a impedirle di concentrarsi, decise. Indossava comodi panni estivi Babbani, ma si sentiva comunque cotta come un uovo nel tegamino. Le guance le bruciavano terribilmente.

Su Diagon Alley il cielo era insolitamente limpido, e il sole spandeva i suoi raggi sull'acciottolato delle strade. Tutti sembravano sorprendentemente di buon umore, e la strada era affollata di studenti di Hogwarts intenti a fare acquisti per il nuovo anno scolastico. Solo l'anno precedente, penso Molly, lei era una di loro.

E pure Lorcan. Un anno prima per lei era solo un compagno di Casa particolarmente musone e spesso irritante.

Tamburellò con il piede contro la gamba della sedia. Avrebbe solo desiderato che quel senso d'ansia che si sentiva addosso scomparisse. Avrebbe voluto smettere di continuare a gettare occhiate nervose all'orologio.

Roxanne prevedibilmente si era premurata di comunicarle l'ora esatta della loro partenza. Sua cugina e i gemelli sarebbero partiti alle undici in punto all'Heathrow Airport. Avevano scelto di viaggiare con mezzi Babbani tutti e tre di comune accordo, per risparmiare e pure per sperimentare un pizzico di vita senza magia, con ogni probabilità. Avrebbero fatto rotta tutti e tre per Parigi, dove avrebbero trascorso qualche giorno prima di ripartire – Lorcan alla volta della sua riserva di draghi in Romania mentre Roxanne e Lysander per il Madagascar, dove avrebbero compiuto ricerche su chissà quale specie di strano animale. Molly non aveva difficoltà a immaginarseli, tutti e tre a camminare per la capitale francese. Con ogni probabilità, Lysander e Roxanne non avrebbero fatto altro che scambiarsi melensaggini di sorta sotto lo sguardo torvo di Lorcan. Il pensiero la fece sorridere e uno strano nodo si strinse nel suo petto, simile a nostalgia. 

Parigi doveva essere bellissima.

Già.

Volo BA854.

Cercò di respirare profondamente, ma – realizzò con costernazione – il cuore le batteva tanto forte che il fiato uscì fuori spezzato. Tamburellò ancora sulla gamba del tavolo, prima di arrestare il piede a mezz'aria.

Nessuna zebra ha le strisce uguali a quelle di un'altra.

Volo BA854.

Chiuse gli occhi.

Nessuna zebra…

Si alzò in piedi di scatto. Freneticamente, gettò alla rinfusa il libro di Storia del Diritto Magico nella borsa, seguito da i quaderni che neanche si curò di chiudere. Raccolse gli occhiali dal tavolo e li affondò in fretta nel taschino della camicia. Quindi, senza pensarci due volte, ruotò su se stessa e si Smaterializzò.

Quando fu scomparsa nel nulla con un fragoroso pop, gli altri clienti di Fortebraccio quasi non vi fecero caso, mentre alcuni fogli dispersi fitti dei suoi appunti svolazzavano ancora pigramente attorno al frullato al lampone non finito.

Riapparve a diversi chilometri di distanza, in un gabinetto dell'aeroporto, davanti agli occhi esterrefatti di una Babbana americana con diversi strati di lardo intorno ai fianchi e una pesante macchina fotografica appesa al collo. La guardava con la bocca spalancata e la larga faccia distorta in un'espressione di puro stupore

Le venne da ridere. "Oblivion!" esclamò senza pensarci due volte, puntandole contro la bacchetta, prima di sfrecciare via.

L'aeroporto era terribilmente affollato. Si fece largo a spintoni fra le fiumane di turisti e uomini d'affari – i primi che si trascinavano dietro valige enormi e i secondi con la ventiquattrore al fianco – con la sua borsa a tracolla che le sbatteva ripetutamente contro la coscia, ad ogni passo di corsa. Si sentì esclamare dietro un'ingiuria dopo l'altra, ma non vi fece molto caso. 

Poi, improvvisamente, si fermò di scatto. Aveva realizzato solo in quel momento che non avrebbe mai potuto raggiungere Lorcan in quel modo… Una volta aveva viaggiato in aereo con i nonni materni, e ricordava perfettamente che chi era pronto a partire attendeva in un'ala diversa. Oltre quella specie di forno che vedeva attraverso le borse.

Non poteva superare la barriera senza biglietto… a meno di non Confondere tutti i presenti, ma non le pareva il caso.

Restava un'unica cosa da fare. Non aveva tempo di raggiungere di nuovo il gabinetto, quindi si nascose dietro a una pila di valigie e – prestando attenzione che nessuno la notasse – si Smaterializzò ancora.

Si ritrovò in un bagno dell'altro lato, e di nuovo riprese a correre.

"Volo BA854."

Questa volta non erano i suoi pensieri, ma la voce metallica dell'interfono.

"Volo BA854 per Parigi Charles de Gaulle."

Prese a correre più veloce.

"Volo BA854 per Parigi Charles de Gaulle, ultima chiamata per l'imbarco al gate D3. Ultima chiamata per il gate D3."

Sollevò la testa per vedere i cartelli, agitata, e scoprì con costernazione di essersi Materializzata praticamente nella parte opposta. 

Sto alla lettera N! Assottigliò gli occhi, decisa. Ce la poteva fare.

"Volo BA854 per Parigi Charles de Gaulle…"

M… L….

"Ultima chiamata. Stiamo chiudendo l'imbarco al gate D3."

I… H...

"Volo BA854 per Parigi Charles de Gaulle. Stiamo…"

"Ho capito!" esclamò stizzita, fra i rantoli, mentre correva a rotta di collo.

G… F…

"Il Volo BA854 per Parigi Charles de Gaulle è in partenza al gate D3."

E… D.

Proprio mentre raggiungeva il gate D3, sul tabellone luminoso che indicava le partenze e gli arrivi il volo di Lorcan scomparve. Il che voleva dire…

Che è decollato.

Improvvisamente, si sentì come se qualcosa le fosse crollato addosso con il peso di un macigno. Si sentiva stupida, stupida, terribilmente stupida! Se solo ci avesse pensato prima… Se solo avesse capito anche solo mezz'ora prima cosa voleva realmente, cosa sarebbe stato davvero giusto fare…

Invece adesso era solo una stupida. Una stupida ragazza più sola che mai.

L'avrebbe rimpianto per sempre, lo sapeva. Si scoprì a tremare tutta, sul punto di scoppiare in lacrime. Chiuse gli occhi e strinse i denti più forte che poteva.

Solo un sogno. Domani mi sveglierò e scoprirò che io e Lorcan stiamo ancora insieme. Che l'estate deve ancora cominciare.

Cercò di convincersi più forte che poteva, ma non servì a nulla.

Nessuna zebra ha le strisce uguali a quelle di un'altra.

Era tutto inutile! Tutto così maledettamente inutile.

"Molly?"

Rimase immobile lì dove si trovava, impietrita. Quella voce… era davvero la sua voce? 

Non riusciva a crederci, quindi provò ad aprire gli occhi, per scoprire che Lorcan era davvero lì. La sua espressione era leggermente stupita sotto le sopracciglia aggrottate, ma non sembrava spiacevolmente sorpreso, anzi.

"Tu…" Si accorse di essere senza fiato. "Non dovevi partire?"

Lui annuì appena, guardando in basso, poi alzò gli occhi e sorrise come non le sorrideva da secoli. "Ho cambiato idea, credo. Tu perché sei qui?"

Questa volta Molly sapeva la risposta. "Perché nessuna zebra ha le strisce uguali a quelle di un altra. Tu perché non sei partito?"

La guardò. La guardò e non disse nulla, limitandosi a infilare una mano in tasca – i gemelli Scamandro avevano tasche sorprendentemente spaziose, chissà perché – e trarne fuori una bustina di plastica trasparente e chiusa con un nodo. Era piena d'acqua, e un pesciolino al suo interno non faceva altro che prendere a testate i confini del piccolo spazio che lo conteneva. "C'è un negozio di animali subito fuori dall'aeroporto," disse a mo' di giustificazione. "Sono tornato dentro solo perché avevo dimenticato la giacca."

Ma Molly lo ascoltò solo a metà, osservando meglio il pesciolino. 

Un Occhi a Bolla.

"Tu…" Deglutì. "Quel pesce…"

"Per te." Sembrava impacciato, ma contento. "Per tenere compagnia a Lady. Ho pensato–"

Molly non gli permise di continuare. Era alta quanto lui, quindi gli bastò afferrarlo per la collottola e tirarselo addosso per premere le labbra sulle sue, impedendogli di dire altro.

Lorcan rispose al bacio immediatamente e con entusiasmo, come aveva sempre fatto. Molly gli circondò il collo con le braccia e si ritrovò a piegare la schiena all'indietro, abbracciandolo stretto, fra i viaggiatori attorno a loro che si spingevano per non perdere il volo.

Continuarono a baciarsi finché entrambi non ebbero più fiato.

Molly sentì l'improvvisa urgenza di parlare. Di dire quelle parole che in passato non era stata in grado di pronunciare.

Se le parole non si dicono è come se non esistessero.

"Ti amo." Sbottò. "Ti amo perché le zebre… Il pesce, Lady. Ecco, io–"

"Basta." La guardò e sorrise. "Ti amo anche io."

 

****

 

 

La Fine (o l'Inizio)

Palco vuoto. Voci fuori campo

 

 

“Odio quando dimentica le cose importanti – come il mio compleanno o la cena con i miei.

Odio la sua improbabile percezione del tempo e il fatto che sia sempre in ritardo agli appuntamenti. Odio quando sogghigna e si vedono quei suoi canini troppo sporgenti.” 

 

“Il fatto è che Molly è così precisa e pretende che tutti siano precisi quanto lei. Non sopporta che io dimentichi qualcosa o che io sia in ritardo perché magari sto badando a qualche animale. Ed è gelosissima dei miei animali. Si mostra sempre così poco entusiasta per le cose che piacciono a me!”

 

“Odio quando mi fa i dispetti, odio quando ha le mani sporche di terra. Odio la sua assoluta assenza di empatia, la sua maleducazione. Odio certe sue uscite assolutamente fuori luogo, odio il suo cattivo umore e le sue prese in giro.”

 

“Non sopporto la sua espressione acida, sembra che abbia bevuto un bicchiere di limonata senza zucchero. Odio quando mi critica, odio la sua assoluta incapacità di accettare critiche a sua volta...”

 

“... Odio il fatto che Lorcan non accetti mai il parere altrui! È maledettamente presuntuoso.”

 

“È così presuntuosa! Non è in grado di accettare idee diverse dalle sue. Talmente testarda da diventare ottusa!”

 

“Odio quando non mi ascolta.”

 

“Odio quando non mi ascolta.”

 

“Insopportabile, semplicemente insopportabile. Non hai idea di quanto sia burbero. È patologicamente incapace di dimostrare affetto. Non mi ha mai detto una frase carina che fosse una!”

 

“Molly è terribilmente ansiosa. Ha quei tic isterici quando qualcosa non va per il verso giusto! In realtà è divertente, però. Quando fa quelle facce.”

 

“In realtà mi piace che lui sia così appassionato a qualcosa. Non è una persona vuota, ecco.”

 

“Adoro prenderla in giro. Quando si arrabbia ha delle espressioni adorabili!”

 

“E mi piace che sia così timido e ritroso, certe volte! Insomma, è un musone, però... Questo lo rende tenero, in un certo senso.”

 

“Non la sopporto, ma mi piace da morire.”

 

“Io lo odio, ma...”

 

“... la amo. Troppo.”

 

“Ma lo amo.”

 

“Amo che sia così insopportabile, certe volte, perché lo sono anche io. Insomma, io e lei ci capiamo davvero. Non succede poi così spesso.

 

“Amo il fatto che  sia così simile a me, per certe cose – perché entrambi siamo determinati e non sopportiamo essere distratti dal nostro intento. È bello essere capiti, ecco.”

 

“Mi piace che lei sia gelosa dei miei animali. E poi in realtà preferisco lei, insomma, come potrei non farlo? Io la amo.”

 

“Lo amo. C’è poco da fare.”

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Beh, questa mini-long è stata una delle cose che mi sono più divertita a scrivere, fra tutto quello che ho scritto! Giuro, è stato divertentissimo. Sarà che il POV di Molly è uno di quelli più piacevoli da scrivere, chissà.

Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto, seguito e recensito questa storia! <3 <3 <3

Nelle risposte alle recensioni esaudirò qualsiasi dubbio.

Bisous!

Daphne

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