Destiny heart (Part II) di aniasolary (/viewuser.php?uid=109910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 57. Giorni contati ***
Capitolo 2: *** 58. Sbaglio ***
Capitolo 3: *** 59. Puntine di luce ***
Capitolo 4: *** 60. Ordini ***
Capitolo 5: *** 61. Iridescente ***
Capitolo 6: *** 62. Colpo ***
Capitolo 7: *** 63. Spine ***
Capitolo 8: *** 64. Tramonto ***
Capitolo 9: *** 65. Convalescenza ***
Capitolo 10: *** 66. Pazienza ***
Capitolo 11: *** 67. Vista appannata ***
Capitolo 12: *** 68. Dolori dal passato ***
Capitolo 13: *** 69. Epilogo ***
Capitolo 14: *** 70. Vuoto ***
Capitolo 15: *** 71. Appiglio ***
Capitolo 16: *** 72. Alba ***
Capitolo 17: *** 73. Adesso ***
Capitolo 18: *** 74. Epilogo: the way that gravity turns on you and me ***
Capitolo 1 *** 57. Giorni contati ***
jake 57
Storia postata dal capitolo 57 in poi per motivi spiegati nella mia pagina d'autore.
(Riassuntino
veloce: nel capitolo 56, ambientato un ora prima di quello che segue,
vediamo che Jacob ha raccontato a Liz SOLO dei Volturi, e che lei ha
davvero paura. Anche Jacob ha paura, ma c'è qualcosa che lo
spaventa ancora di più. Cerca ancora di resistere
all'imprinting. L'unica cosa che vuole è tornare a casa, a
Seattle, in modo che tutto torni come prima. Buona lettura <3)
You will be
the death of me
Yeah, you will be
the death of me
bury it
I won’t let you bury it
I won’t let you smother it
I won’t let you murder it
Time is running out – Muse
Sam non era ancora arrivato.
Colin, i capelli neri lunghi fino al mento e la faccia
ancora da ragazzino, rispondeva alle domande sulla scuola che gli faceva Liz,
vicino a me.
Era troppo rischioso essere esposto al potere di
Edward, e se ogni mio pensiero era seguito da quella palla di ferro, allora
dovevo eliminarli completamente. O pensare ad altro, qualunque cosa.
«No, Jared! » Colin sbottò, mentre Jared si dileguava
con il pezzo di torta appena rubato. Bastò che Kim lo fulminasse con uno sguardo freddo,
e lui lo restituì.
L’imprinting.
Rabbrividii.
Il profilo sfigurato di Emily era più marcato dalla
luce del sole che se ne andava, Leah era appoggiata al muro con la spalla,
senza parlare.
Sam e Brian erano usciti presto.
Sam voleva rendersi conto di cosa fosse capace di fare
Brian, un altro Alfa. Esistono dei legami particolari fra capi, letture di
pensieri anche se non si fa parte dello stesso Branco e messaggi in lingue
antiche che solo loro possono comprendere.
E pensare che io…
«Ah, ho capito, allora ti piace disegnare. Io mi sono
iscritta alla facoltà di Arte e design… sai, fanno anche dei corsi di
orientamento, e poi hai ancora tanto tempo… »
La voce di Liz mi arrivò alle orecchie, uguale a
quella dei miei ricordi, più calda e vicina di tutte le volte in cui l'avevo sentita
per i corridoi del liceo.
Era Liz.
Sarai sempre tu.
Sospirai.
Sarà Renesmee.
Voltai lo sguardo, mi si strinse lo stomaco.
No.
«E perché tu non fai niente?»
Leah si mosse, come scossa. Avvicinò il viso alla
finestra, veloce…
«Jake… Colin ti ha chiesto se… »
Liz.
«Cosa?»
Mi girai.
«Mhm… cioè… » Colin mandò giù la torta. «Perché non ti
sei iscritto a nessuna facol…»
La porta fu aperta, l’appendiabiti finì a terra.
Il
vento estivo fece entrare qualche foglia secca in casa, ne sentii qualcuna andarmi a sfiorare il polpaccio.
Sam si appoggiò al muro, il fiato grosso.
Aveva… una ferita sul collo.
«Dio santo… Sam.»
Emily fece cadere lo strofinaccio che teneva in mano,
lo sguardo allarmato verso Sam.
Brian era fuori, sulla soglia, e non accennava ad
entrare. Leah si precipitò da lui, ma Brian fece qualche passo indietro, come
stordito.
Leah avvicinò la mano al suo viso ma lui si scostò, velocissimo, una smorfia in volto.
Aveva
un graffio lungo tutta la faccia.
«Ma che cazzo vi è preso?!» Leah sbraitò. Il suo viso
prese colore; i capelli cresciuti le finirono davanti al viso, mentre vagava lo
sguardo da una parte all’altra.
Mi girai un attimo verso Liz, sembrava che stesse
addirittura trattenendo il respiro.
«Puoi… puoi chiederlo a lui.» La voce di Brian era bassa, quasi tremava. Lanciò
un’occhiata a Sam, Emily che gli era abbracciata.
Leah si voltò.
«Che cosa… cosa hai fatto?» chiese Leah. Inciampò
nelle parole, il suo viso rivolto verso Sam... ma non era abbastanza forte, non
più. Liz era accanto a me, il suo respiro sulla mia spalla, e mi sentii gelare il
sangue, perché Leah guardava per terra. Non nei suoi occhi, per terra. Una
volta riusciva ancora a guardarlo, ora non ci riusciva più. Anche fra noi due…
fra me e…
«Non vuoi dire a che cosa pensavi?» La voce di Brian
quasi rimbombò.
«Ora… ora dobbiamo andare dai Cullen.» Sam sciolse
l’abbraccio di Emily, piano.
«Ma Sam… » Emily parlò, ancora appoggiata a lui.
«Dobbiamo andarcene.»
«Vai da solo.» Brian cominciò ad allontanarsi, la
porta ancora spalancata.
Leah si voltò un’ultima volta, la testa alta.
Sam abbassò lo sguardo.
Sentii una fitta allo stomaco.
Se sei fortunato,
potrebbe anche andarti così.
Mi alzai dalla sedia, la mia mano sul braccio della
ragazza che amavo, le mie dita a contatto con la sua pelle.
Non avrai più il coraggio di guardarla negli occhi.
Lei mi seguì, lo sguardo basso, senza dire una parola.
Finirà per guardare solo per terra.
Tutti si alzarono con noi, io presi la mano di Liz,
che me la strinse, piano.
Non ci sarà più niente a farla restare con te.
Sentii il battito del mio cuore stridermi nelle
orecchie. Deglutii, il dolore costante intorno al petto.
Non resterà più niente.
***
Con
un braccio cingevo Lizzy per le spalle, non
parlava da quando avevamo cominciato a camminare. Volturi, morte, lite
fra
Brian e Sam… non riuscivo bene a immaginare che cosa potesse
passarle per la
testa. Soprattutto con quell’espressione pensierosa in viso,
quella che non mi faceva mai stare tranquillo ogni volta che la vedevo
addosso a lei.
Che cosa poteva pensare?
«L’imprinting è un legame falso.» Liz riemerse
da qualunque cosa si fosse fermata a pensare.
Annuì.
«Io… ho sempre creduto che Sam fosse innamorato di
Emily. »
«Sicuramente lo è, ora, ma non sarà mai come con Leah.»
Non sarà mai come con te.
«Però… quella cosa… l’imprinting, l’ha comunque
portato a lasciare Leah.»
Feci
un respiro profondo. Se Sam e Brian se l'erano date, Sam doveva aver
pensato a qualcosa a cui non aveva più il diritto di pensare.
Sapevo che avrebbe sempre amato Leah, imprinting del cazzo incluso e compresi tutti i suoi moralismi.
«Forse è dipeso anche da lui… non è riuscito a farsi
forza… »
«È tutto troppo complicato.» sospirò. «Esistono i
vampiri, i muta-forma, sicuramente questa volta i Volturi vengono per uccidermi
sul serio e ci sono anche persone che non sono libere di stare insieme come
vorrebbero... perché l’imprinting è il legame del lupo e tutto il resto, una
specie di catena di forza da cui non si può scappare. Me l’ha raccontato Quil.»
Mi sentii mancare l’aria.
No, non è vero.
Cercai di parlare.
È vero, invece, e lo sai.
«Liz… io non credo che… »
Lo senti.
Renesmee.
«Non ti farà del male nessuno, te l’ho detto. E… per
quella cosa… »
«Mi dispiace per Leah. Mi dispiace davvero.»
La strinsi un po’ di più a me, i suoi capelli a
solleticarmi il collo.
«Anche a me.»
Non permetterò che succeda.
Lei voltò il capo verso di me, i suoi occhi color
nocciola a farmi sentire giusto così.
Non succederà mai.
«Andiamo dentro, ci aspettano.» disse Sam.
Dovevo eliminare i pensieri, qualunque pensiero.
Il cuore non si arrende, il cuore combatte. Il cuore
combatte per chi ama, il cuore non conosce magie.
Tieni a bada i pensieri.
Sam varcò la porta, seguito da Paul.
Nascondili.
Poi entrarono anche Quil e Jared.
Nasconditi.
Sam si mise una mano sulla ferita, stava già guarendo.
Ma forse sarebbe guarita solo quella, di ferita. Lo seguirono anche Embry,
Brady, Seth, Colin…
Adesso.
Liz esitò.
«Andrà bene.» Parlai, a voce bassa. L’odore dolce della
torta di mele che sentivo vicino alle sue labbra.
«Non lo so.»
Liz mi guardò, per poco, gli occhi di marrone chiaro a
sfiorarmi. Poi distolse lo sguardo, la sua mano nella mia. Sospirò, ed io
sentii il suo fiato vicino al mio orecchio.
Ti amo.
Attraversai la soglia, Lizzy poco dietro di me.
C’erano tutti i Cullen.
Sembravano i personaggi di una
soap opera, di quelle che guardava mia zia. Ci mancava solo un bicchiere di
cristallo con dentro del whisky in mano alla nana e il gioco era fatto. Non c'era solo la bionda.
Che puzza.
L’odore cattivo, acquoso e di troppo zucchero.
Schifo.
Edward
Cullen mi fissava e, - ci avrei messo la mano
sul fuoco - mi leggeva nella mente con la sua odiosa capacità di
entrare nei segreti degli altri. I capelli color del
bronzo facevano una
specie di luce strana, tipo arancio, si rifletteva negli occhi di Liz.
Bella mi guardò – occhi dorati, non più cioccolato –, guardava proprio me.
Ti senti gelare, c'è solo freddo.
Non ci poteva essere niente di più strano, - capelli
neri, nessun riflesso ramato - ma allo stesso tempo niente che potesse
cambiare.
Sentii il cuore graffiarmi il petto.
C'è solo freddo, ormai.
Si era messa una camicia a quadri che stonava un po’
con tutto il resto – non più umana, ora vampira –, quello che la vecchia Bella
avrebbe indossato per sentirsi più normale.
Ancora una volta fu come il giorno del matrimonio di
Sam, vedere una falsa imitazione di una goffaggine non ancora sparita, guardare
Bella Swan, riconoscerla… e allo stesso tempo non riconoscerla più.
Sorride, a stento.
«Finché il mio cuore batterà.» sussurra.
Quasi
rido, le ossa rotte mi fanno
sentire un bruciore in tutto il corpo... e soprattutto lì, in
mezzo alla cassa toracica.
Ma quello è colpa sua.
«Sai, penso che potrei accettarti anche
dopo, forse. Mi sa che dipende da quanto puzzerai.» La sento sospirare, sta sorridendo.
Sta andando via.
«Ciao, Jacob.»
«Ciao, Bella.»
Liz mi strinse ancora la mano, quasi
percepii le sue unghie. Quasi sentii il battito del suo cuore attraverso la
pelle.
Non sei tu, Bells.
Era davvero stata sul punto di rovinare tutto fra me e
Liz.
Non più.
Sentii di nuovo delle dita, delle dita calde,
stringermi il braccio con delicatezza non necessaria ma caratteristica di lei.
Fu qualcosa di annebbiante.
C’era Bella.
C’ero io.
C’era Liz.
Si guardarono. Fu solo un secondo.
Sapevo solo che Liz
stava tremando lo sentivo attraverso la sua mano, e non lo avrebbe notato nessuno perché quasi non si vedeva. Lo
potevo notare solo io.
Non tremare, amore.
«Lei è Liz. Liz… lei è… è Bella.» Non avevo mai
pronunciato quei nomi insieme. Un’ondata di gelo mi attraversò il sangue. Gelo e sangue, nello stesso corpo.
Alzai lo sguardo.
«So già chi sei.» La voce di Bella era sottile, come
tirata da qualcosa. L'avevo già sentita. Le si corrugò la fronte, quella parte di pelle vicino alle
sopraciglia… come faceva da umana.
Non sei cambiata.
Liz rimase in silenzio, il rumore del suo
respiro che scandiva un ritmo irregolare, quello del cuore.
«An… Anch’io.»
Ci sono io con te.
Rimasero così, a guardarsi. Non sapevo
se fosse giusto farlo o no... stringerla davanti a lei, appoggiare la mia mano
intorno alle sue spalle davanti a lei… ma non riuscii a trattenermi.
«Ciao, Lizzy. Sono Edward Cullen. Avrei voluto fare la
tua conoscenza in circostanze più serene, ma è sempre un piacere.» Bella smise
di fissarla e voltò lo sguardo, - non puoi andare via, Bells -, mentre Cullen porgeva la sua mano alla mia
ragazza.
Sanguisuga di merda.
Mi
irrigidii.
Trattieni i pensieri.
Sentii la mano di Embry sul mio braccio. Mi fece un
cenno con la testa, guardava verso la veggente.
«Ho avuto altre visioni. Aro cambia idea spesso, ma non riesco a capirlo. I dubbi sono sulle
sue intenzioni, se violente o... non. Vuole capire cosa è successo ai
componenti della sua guardia, anche se ha già provveduto a reclutarne altri.»
disse Alice. Jasper le era seduto accanto e sembrava misurare ogni sua parola,
come se avessero preparato il discorso insieme. Ma Alice aveva detto...
Liz quasi sussultò.
Intenzioni.
Violente o... non.
«Liz…»
Dovevamo davvero avere paura? Lei no.
«Aspetta.» mormorò. Lo sguardo fisso su Alice.
«Che cosa hai visto esattamente?» chiese Sam.
« Sembra che voglia venire qui a farci domande. Siamo
l’unico clan pacifico di queste parti… ma non riesco a vedere nemmeno i poteri
dei nuovi componenti, ne sembra soddisfatto, come se così fosse tranquilo… ed è
meglio che pensiamo a qualcosa… perché Liz è stata coinvolta in questa storia
e potrebbe essere in pericolo.»
«Alice… » Liz la richiamò.
«Lizzy,
tu non c’entri niente. Volevano farci del male
e hanno usato te, tu non hai nessuna colpa.»
Bella si voltò
di scatto, i capelli neri a formare una spece di onda nel vuoto. Non
riuscivo più a vedere il suo volto, anche se ormai non importava
più.
«Quando credi che verranno?»
«Presto. Credo molto presto. La visione non è chiara.
Vi avviserò. Ma è questione di giorni, pochi.»
Poco tempo.
«Ci saremo, in caso di attacchi.»
«Speriamo che non sia necessario.» cominciò Carlisle,
«Ma sarebbe certamente più sicuro per tutti, grazie, Sam.»
«E’ quello per cui siamo nati.»
Quello per cui siamo nati…
Come uccidere i vampiri, come trasformarci in lupi…
Come l’impr…
«Ci sarò anch’io, in
qualunque caso.», presi la parola. «Non resterò con le mani in
mano, non stavolta.» La mia voce era sicura, ferma. Sì, mi sarei trasformato e avrei aiutato il branco e...
«Va bene, Jacob.» fece Sam.
«Te l’avrei detto io stesso.»
Avevamo i giorni contati. Di
qualunque cosa si trattasse.
«Un momento, Jake, che
significa?» La voce di Liz era più alta del normale, sembrava quasi rotta.
«Liz, ti assicuro…» Sam
continuò a parlare con Carlisle, come per distogliere l’attenzione. Sentivo
benissimo lo sguardo di Bella su di noi, su di me.
«Cosa mi assicuri? Mi hai
già raccontato della battaglia contro i neonati, so che ti sei fatto male, so
che cosa sarebbe potuto succedere… » Liz strinse i pugni lungo i fianchi, le
nocche le diventarono quasi bianche. No, non poteva avere paura di questo.
«È stato solo un incidente…»
«Ti sei ferito. Potevi morire,
Jake… E se accadesse di nuovo? Sono io l’umana. Sono io il problema.»
Ti amo da impazzire, solo questo.
«Ne parliamo dopo, okay?»
mormorai. I suoi occhi divennero lucidi.
«No, Jake. Tu non puoi farlo…»
Sempre.
«Dopo, va bene? »
sussurrai.
«Chiamateci in caso di novità.» disse Sam.
Un sospiro. Tutti cominciarono a parlare fra loro.
«Jacob, per favore...»
«Jacob, scusa. Posso parlarti un attimo? » Alice mi
guardò, con aria di aspettativa.
Feci un respiro profondo, senza trattenermi.
«Liz... aspettami fuori, faccio
presto.» cercai di dire. Lei sembrava così... così... piccola e...
«Due secondi.» continuai.
«Sì.» La sua voce non riuscì a reprimere il fastidio, il tremore. Si avvicinò a Embry, che stava uscendo proprio in quel
momento. Dio, non volevo fare altro che abbracciarla.
Alice si diresse in cucina.
Volevo solo andarmene.
«Riguarda Lizzy.»
Come?
«Di che si tratta?» dissi, la mia voce traballò.
«Non
credo che Aro abbia davvero intenzione di fare
una strage, anche perché non conosce nemmeno il motivo per cui
la sua guardia
non ha fatto ritorno. Quando mi concentro su Liz, la vedo sempre allo
stesso
modo... come se quello che le succede nella visione non dipenda da
quello che
tutti pensiamo. Nella visione è da sola, Jacob. E piange... e
c'è del rosso, del sangue, su una mano, non capisco se è
la sua...»
Deglutii. Veloce, dovevo essere veloce, ma la saliva
attraversò la mia gola lentamente, appiccicosa, come se quella stessa
parte del mio corpo avesse voluto spaventarmi per quello che avevo sentito. Ma
non ce n’era alcun bisogno. Sapevo che cosa significasse tremare senza
controllo, avere freddo anche se doveva essere impossibile. Era
quello che sentivo io.
Adesso, e da quel giorno...
«Non riesco a capire.»
«Sono preoccupata per lei.»
«Forse le tue visioni non sono più così affidabili…»
«Non credo, Jacob.» Mi guardò attenta, di sottecchi,
come se con le palpebre rilassate con riuscisse a vedermi davvero bene.
Calmo, Jacob, sta calmo…
«Grazie per avermelo detto.» fiatai.
Lei annuì, velocemente.
«Devo andare.»
Trattieni i pensieri, i pensieri, Jacob.
Uscii dalla stanza, la casa ora sembrava deserta.
Mancava poco alla porta, solo dei piccoli passi,
piccolissimi, veloci, per uscire, andare via e…
«Jake.»
Ma non finiva mai così.
La voce che indicava quel mio passato non così lontano bastò a farmi voltare indietro, anche se ci misi un po'.
Devi andartene.
Non era colpa sua… o forse sì? Non lo sapeva nessuno.
Soltanto io.
«Perché… perché te ne sei andato? Una settimana fa, il
giorno del funerale… intendo.» Oh certo, doveva sempre precisarlo, altrimenti
saremmo ricaduti nello stesso errore e discorso, negli stessi ricordi dolorosi,
negli stessi stanti.
« Non… non c’era motivo di rimanere, per me.» La voce
roca. Mi guardava con quei suoi occhi d’oro, sembravano disegnati. La sua pelle
somigliava a quei teli traslucidi che mia madre metteva sui quadri quando
dovevamo pitturare i muri di casa, per non farli sporcare. La pelle di Bella
era così, sembrava che fosse sempre sul punto di scomparire.
Mi girai, di
nuovo.
«Come l’ultima volta?» fece lei.
Sospirai, senza immaginare
quale tipo di sorriso fosse nato dalle mie labbra... doveva essere qualcosa di simile a una smorfia. Restai sul posto, fermo. Il
cuore prese a battermi ancora più forte.
Era finita, ormai.
«Sì. Come l’ultima volta.»
E non mi voltai più.
*
*
*
*
Salve! :3
Continuo con la pubblicazione di questa storia, perché non ne
posso proprio fare a meno, e perché siamo in una parte in cui,
credo e suppongo, la tensione magari è alta, e io non ce la
faccio proprio a mollarla e a mollare questi due, tre e compagnia
bella. Erika webmaster con il tempo farà tornare la storia
com'era prima e ritroverete anche tutti gli altri capitoli :) La
ringrazio per tutto il lavore che fa per questo bellissimo sito.
Per quanto
riguarda Brian, Leah, Sam ed Emily, non resta che immaginare. Magari
questa cosa verrà chiarita, in futuro, chissà, non si
può dire proprio tutto.
Per quanto
riguarda tutto il resto... be', basterà continuare a leggere :)
Grazie infinite per il vostro sostegno, soprattutto dopo quello che
è successo al mio profilo. Spero che continuerete a seguirmi, siete importantissimi per me, e se volete potete
lasciarmi le voste parole, mi farebbero un immenso piacere <3 Grazie
infinite, davvero. A tutti coloro che leggeranno e hanno letto, e a chi
re-inserirà la storia fra preferite, ricordate e seguite e a chi
lo ha fatto in passato <3 <3 <3 e a chi c'è sempre
stato e ci sarà ancora.
Grazie di tutto.
A presto.
Ania.
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Capitolo 2 *** 58. Sbaglio ***
jake 58
And it’s breaking
over me,
A thousand miles down to the sea bed,
I found the place to rest my head.
Never let me go,
never let me go.
Never let me go, never let me go.
Never let me go –
Florence and the Machine
Camminavamo già da un po’, la riserva era lontana. E
la casa dei Cullen era anche fuori città, come se si trattasse di qualcosa
fuori dal mondo. Ma nel mondo c’era eccome, e stava rovinando il mio.
«… Allora?»
L’avevo baciata, per un tempo che non ero riuscito a definire. Poi si era staccata da me quasi subito. Avevo cercato di
prenderle la mano ma lei si era scostata, veloce, come se l’avessi potuta
scottare.
Brucia,
ti scortica la pelle.
«Combatto, Liz.»
«Bene. » Scalciò un sassolino incontrato nel
percorso senza trattenere uno sbuffo. «Scusami se penso alla tua vita, oltre
che alla mia.»
«Anch’io penso alla tua vita, e ci penso prima della
mia.»
«Non potete consegnarmi direttamente?»
«Smettila.»
«Lo scopriranno comunque. Potresti scappare con
Bella con una delle loro macchine costose. A lei farebbe piacere.»
Ti
sta scorticando la pelle fino in fondo.
«Non me ne frega niente.»
«Già, peccato che si veda da chilometri come ti
guarda.»
«E come mi guarda, secondo te?»
«Come se ti amasse da morire.»
Da
morire.
Forse mettermi a ridere non era proprio la mossa
giusta da fare, soprattutto se la risata aveva quel sapore così amaro. Il punto
era che sentivo dolore per ogni cosa che decidessi di fare, senza limiti.
«Figuriamoci, c'è ancora questo?»
Capelli
rossi. Bambina. Le braccia bianche di Bella.
Continuò a camminare, senza fermarsi un attimo. Se
ci stava provando, non riuscì a trattenere il rossore che le andò a colorare le
guance.
«Proprio quello che volevo sentire.»
«Che ti prende? »
«Perché dovrei dirtelo se non mi dici che cosa
prende a te?»
I suoi passi erano spediti, lo sguardo alto e le braccia
conserte. Era tutta colpa mia, lo sapevo. Perché non ero mai capace di fare
qualcosa in un modo decente. Avrei dovuto parlarle prima di quello che avevo
intenzione di fare, e invece avevo alzato la voce davanti a tutti come se
quella fosse stata la cosa più naturale del mondo. Combattere con i miei
fratelli, e lo era. Lo sarebbe sempre stata. Ma questo Liz non lo sapeva.
«Liz, sono questo. Non posso cambiarlo.» sospirai.
«Credimi, vorrei. Non puoi immaginare quanto.»
«Non so se l’avevi capito, ma io ci tengo a te. Non
ti voglio perdere. È così sbagliato?»
«No che non lo è.» Prese a camminare più lentamente,
i capelli che le ondeggiavano sulle spalle. Mi avvicinai a lei e riuscii a
cingerle i fianchi con le mie braccia.
«Non dire che è sbagliato.»
«Forse sono solo un intralcio nella tua vita.»,
tentò di allontanarsi, ma io la tenni ferma, a sfiorarle la pancia.
«Questa era la perla di saggezza del giorno?»
«La verità soltanto.»
«Ma Liz… »
«Lei è bellissima.»
Alzò il viso verso di me, il venticello a farle
cadere qualche ciocca sul volto.
«Forse.»
Deglutii.
«Senza forse.»
Distolse lo sguardo, si mise a guardare verso il
bosco, dietro di noi.
«Liz, può essere miss Mondo, non me ne faccio
niente.» fiatai.
«Se Bella non c’entra più… e non so ancora se
crederci… Non andare a combattere. Non devi amarmi fino a morire, non letteralmente, non a questo punto, quello non è
amore. Io non ti condanno a fare niente.»
Lei
non ti condanna.
«Non posso.»
«Jake. »
«È quello che sono. »
«Ma… »
«Trasformarmi in lupo, Liz. Correre, essere un
animale, combattere, proteggere. Sono questo… »
Sospirò.
«Per favore, Jake… io… lo so che sei così e non
voglio che tu… faccia qualcosa che non vuoi. Ho solo paura che…»
«Non devi avere paura.»
«Non ci andare.»
«Non posso.»
«E se io…»
«Liz, se si fosse trattato della ragazza di Jared o
Embry ci sarei dovuto andare comunque.»
«Ma non ce la farei… »
« Sono io quello che si fa sotto per la fifa di non
poter più stare con te, non lo capisci?!» sbraitai.
Cazzo.
Un respiro profondo.
Cazzo.
Mi voltai a guardarla, veloce.
«… P-perché? »
Ho
avuto l’imprinting.
Gola
secca.
Aria
che non c’è.
«N-niente. »
Respira.
«Non ci credo.»
Non
smettere di respirare.
«Niente.»
«Non è vero.»
Colpi.
Colpi su colpi.
Cuore
che si è fermato.
«Jake, ho capito che qualcosa non va…»
Non
parlare.
«Che ti succede?»
Niente.
Aprii la bocca, per parlare.
Ho
avuto l’imprinting.
Sentii una fitta al cuore.
Renesmee.
«Liz…»
«Che succede?»
Renesmee
Cullen ha i capelli lunghi e rossi, come sua madre una volta, quando aveva quei
riflessi al sole. Corre nella foresta, sorride. È bellissima, non è mia. Non
posso essere suo, ma mi ha preso lo stesso.
«Non ti voglio perdere per niente al mondo.»
Lasciò cadere le braccia sui fianchi, come se fosse
stanca. Poi si passò una mano fra i capelli.
«Che cosa c’è?» Fece qualche passo, questa volta fui
io a continuare a camminare.
Non la dovevo
guardare.
Renesmee
Cullen ha il viso perfetto, il naso diritto, piccolo, le labbra carnose – sei
tu, Bella – alta, slanciata, ha gli occhi scuri che brillano, sono dello stesso
marrone della cioccolata calda – sei tu, Bella – , Renesmee corre e ride e le
si infiammano le guance… ed è Bella.
È
uguale a lei.
Sentii il rumore dei suoi passi seguirmi.
Non
farmi parlare, Liz. Non rovinare tutto. Io devo resistere, tu devi resistere,
lo sto facendo per noi, lo sto facendo per te. Manca poco, cazzo. Voglio
tornare a Seattle, sentire i ragazzi al telefono, farli venire in città a fare
i cretini, fare l’amore con te di nascosto perché lì siamo ancora i ragazzini
dell’ultimo anno che sono ancora troppo fuori di testa per capire che sono
innamorati pazzi e riconoscerlo sul serio. Non lo fare, per favore. Voglio
passare tutta la vita così, anche se non più di nascosto. Nel garage, a casa
mia, in una casa nostra, ti puoi portare il gatto che ti ha regalato tua zia a
marzo e dipingere le stanze come ti piace, e prendermi per il culo quanto vuoi
per qualunque cosa e io ti amo, cristo. E so che quando lo saprai mi odierai
per sempre, e non posso lasciare che succeda, perché lo sto facendo per noi.
Perché noi è l’unica cosa buona che ho ancora fra le mani e tutto mi sta
scivolando via.
«Non restare zitto, Jacob.»
«Mi dispiace.»
Non
dire più niente, per favore. Torniamo a casa. Te ne vuoi andare da qualche
parte? Vuoi fare qualche impresa folle? Va bene, va benissimo così. Se solo non
ci fossero quei vampiri di merda a rompere il cazzo lo avrei detto per prima.
Non chiedere, Liz, perché lo saprai, mi amerai ancora e non sarà mai più come
prima. Sono tuo anche se la magia mi tira da un’altra parte. Lo capiresti? So
solo che sei la persona più importante della mia vita e se restare zitto ti
terrà qui con me…
Mi
mordo la lingua, Liz. Non posso parlare.
«Dimmelo, Jake.»
Ho
avuto l’imprinting.
Il
lupo è un nemico, poi una salvezza e poi un assassino. Lo sto odiando perché ti
amo e sarà sempre così.
Mi passai una mano sul viso. Non lo potevo fare.
Avevo resistito tutti quei giorni… l’aria era pesante, anche la terra, sembrava
che mi trascinasse giù…
Il
cuore comincia a graffiarti i timpani oltre la carne, ti grida addosso perché
il momento non doveva essere questo. Perché il lupo può avere tutto di te, ma
non il cuore.
Il
lupo, ora, ti dice di staccarti.
Il
lupo, ora, è vicino a farti fuori.
Non ora. Freddo, ghiaccio, sulla lingua, intorno al
petto, le catene, il sangue…
La
parte umana è sempre più debole, gli umani lo sono sempre. Una volta poteva
essere il momento giusto per dirlo, adesso no. Adesso tutti i momenti sono
sbagliati.
«Ti prego, Liz.»
Presi un respiro profondo.
Diglielo.
Mi raggiunse e sentii le sua mani salirmi sulle
spalle, arrivarmi al viso, toccarmi, niente più delicatezza, niente più
dolcezza. Solo lei.
Diglielo.
«Dimmelo.»
Sei
bellissima, amore mio. Anche ora che sei la persona più coraggiosa che io
potrei mai conoscere, perché non sai niente. Perché mi stai toccando e ho caldo
e muoio di freddo se tu non ci sei. Me l’hai detto tu, ti ricordi? “Non avremo
più freddo, Jake, non ne avremo più.”
Non c’era più aria da respirare. Tutta la roba
tossica del pianeta era lì, nell’atmosfera.
Ho
avuto l’imprinting.
«Liz.»
Ho
avuto l’imprinting.
«Parla. »
Renesmee.
Imprinting.
Renesmee.
«… Io…»
Diglielo.
Basta
promesse, basta sogni, basta futuro.
Non
lo vedi che tutto sta scomparendo sotto i tuoi occhi?
«Jacob… »
«Non volevo… Liz, io non volevo che succedesse… sono
giorni… sono pochi… per favore…»
E questa volta gli occhi lucidi le luccicavano sul
serio e non avevano niente a che vedere con i vampiri di casa Cullen, con la
pelle traslucida e gli occhi del materiale dei gioielli.
Le accarezzai il viso, una sua lacrima mi bagnò la
pelle. Una sola. L’unica.
«Io... non... non voglio lasciarti.»
Ti
amo.
«Non voglio sentirlo.» tremò e sciolse l’abbraccio.
Eravamo vicino casa mia, ora. Si vedevano le luci accese da lontano. «Non dire
che mancano pochi giorni, non è la fine. Hai diciotto anni, non parlare così.»
Ti
amo.
«Non ci andare. O dimmi che farai di tutto per
tornare vivo, promettilo, giuralo. Non voglio sentire nient’altro.»
Non
vuole sentirlo.
Le gambe erano pesanti, i piedi dolevano, e ora si
era fatta sera. Una di quelle sere in cui guardi il cielo e ci sono i nuvoloni
e solo a guardarli ti scazzi, soprattutto d’estate.
Ma se sei con la persona più importante della tua
vita non importa più.
«Io… io te lo giuro. Ma ricordati che… » cominciai a
dire, le parole mi morirono in bocca.
Occhi lucidi. Voce che non parla, passi veloci.
Evitava anche solo di sfiorarmi. Avrebbe dato un
saluto veloce e un sorriso a Billy, sarebbe sembrato sempre e comunque
splendido, poi sarebbe corsa in camera sua…
Perché la voce mi moriva in gola?
Perché
è uno sbaglio.
Ebbi l’impulso di dare un calcio a qualcosa.
È
quello che sento.
Cercai di riprendermi.
Respiro.
Respiro profondo.
Avevo visto piangere Liz per motivi seri e per
debolezza, frustrazione. Lei cercava di andare da qualche parte da sola, ma io
ero sempre abbastanza veloce da abbracciarla prima che mi chiudesse la porta in
faccia. Non lo doveva fare. No.
Respiro profondo.
Sei
l’unica cosa che sento, Liz.
Catene.
Acciaio.
«Ricordati. »
Cavi.
Corde.
Tirano,
tirano, tirano forte.
«Ricordati che ti amo.»
Trovai la sua mano, gliela strinsi, il sangue che
fluiva era denso, faceva male. Adesso graffiava anche quello.
«E può succedere… qualunque cosa. Rapimenti,
cazzate, problemi seri, vampiri italiani. Ricordati questo.»
E
posso avere tutta la paura del mondo, può esserci Renesmee Cullen, Bella Swan,
Bella Cullen… devi ricordarti di questo, perché sto lottando. Lo sto facendo a
mani nude contro armi che pungono e tagliano ma tu ricordati di questo.
Ne
ho bisogno.
***
Era mezzanotte quando ricevetti la chiamata.
I Volturi sarebbero arrivati entro quarantotto ore,
l’avevano deciso. Nella visione, diceva Alice, la luce era debole, del primo
pomeriggio, e il vento soffiava verso di noi.
Glielo dissi la mattina dopo, presto. Non avevo
dormito e Liz se ne accorse subito. C’erano troppe cose che non andavano bene e
lei non era stupida, non lo era mai stata.
Cercò di disegnare qualcosa ma le tremava la mano,
le scivolava la matita dalle dita, non parlava.
Poi la abbracciavo e dicevo :“Andrà tutto bene,
vedrai”.
Non
lo vedrai mai.
Non avevo paura di combattere né di morire. L’unica
cosa che riusciva a rubarmi il sonno era che qualcosa – quel qualcosa – potesse spezzarci completamente. Ed era sul punto
di farlo.
La cucina era deserta, la televisione accesa solo
come sottofondo; lei era seduta sulla sedia, ma ormai aveva rinunciato a
mettere su carta qualunque pensiero. Fissava lo schermo, il mento appoggiato
alla mano.
Era uno di quei momenti in cui avrei voluto gridare
e correre e fuggire solo per provare a
soffocare tutti i pensieri. A soffocare quel pensiero.
Spensi la televisione, la abbracciai di nuovo, con
le stesse parole e altre nuove, sembravano sempre le stesse, sembravano non
avere più voce.
Si
avvicina a me, mi prende la mano. Ha quel profumo che inalo quando passo dalla
profumeria vicino scuola, mi impedisce di respirare.
"Tu
non te ne vai, vero?"
Alzo
lo sguardo. Bella ha gli occhi gialli, vuoti. Le hanno tolto tutto il
cioccolato.
"No,
Renesmee. Non me ne vado."
Liz aveva i capelli sciolti, una frontiera in testa.
Gli occhi più belli del mondo. Non volevo ricordarla così. Non volevo ricordarla e basta. Volevo che restasse
sempre con me.
"Meglio
il viola o il blu, Jake?" Renesmee volteggia davanti allo specchio, si guarda
prima di scegliere il suo vestito per il ballo dell’ultimo anno. Non sa ancora
con chi andare, per lei è troppo difficile.
"Sei
sempre bellissima."
Viola
come il vestito di Liz al ballo di dicembre. Blu come il vestito di Bella,
quando era andata a ballare con Edward.
"Va
bene viola. Tanto, mamma, tu hai un sacco di vestiti blu, non posso somigliarti
sempre."
Tremore, paura. Non potevo crederci. Io volevo
restare con Liz, solo con lei. Amavo lei e non c’era più tempo. Il tempo stava
per scadere.
La baciai, di nuovo. Le sue labbra morbide sulle
mie, le sua mani frenetiche fra i miei capelli.
Calore, strisce di fumo.
Bruciature.
Cicatrici.
Il mio corpo che non riusciva mai a contenersi,
perché non c’era più tempo, non ne avevamo più. La baciavo, ancora. E non c’era
più tempo. Un continuo rumore nelle orecchie. L’orologio sul mobiletto accanto
al divano. Dopo l’incidente di mio padre avevamo tolto quello appeso al muro e
adesso c’era solo quello. Secondi, minuti, il tempo ci stava lasciando.
Mi allontanai e mi accorsi di quanto potessi essere
lento. Avevo ancora il sapore di Liz in bocca, sulla lingua, la sua voce che
diceva poco quanto niente. Perché lei non ci credeva, lei aveva paura della
morte, io di qualcosa che mi sembrava anche peggio di quella. Tolsi le pile
dall’orologio, il rumore della plastica bianca sotto le mie dita. Di nuovo,
così. Niente più rumore. Niente secondi, minuti. Adesso eravamo solo noi.
Socchiusi le labbra sulle sue, la cercai di nuovo.
Ora non c’era nessun suono a parte il nostro respiro. Il nostro riflesso da
qualche parte, l’ombra, il fiato che se ne andava. E poi i battiti del cuore,
ancora le uniche cose che potevo distinguere senza avere paura dei numeri.
«Domani.»
«Sì.»
Mi ero intrufolato nella sua stanza, in silenzio.
Perché eravamo ancora i ragazzini dell’ultimo anno che si credono abbastanza
grandi per innamorarsi davvero. Il lenzuolo non mi serviva, ma lei sembrava
sempre sul punto di battere i denti per il gelo.
La strinsi a me. Odore di vita, di lei, di cose che
non avevo ancora visto.
«Non fare brutti sogni.»
«Mi vuoi manipolare la testa?» Cercò di ridere, ma
la sua voce si inclinò. Cominciarono a cadermi addosso le puntine di metallo
che erano tutti i giorni passati da quando avevo deciso di non dirle niente.
«Lo devi fare, fallo per me.» Lasciai scivolare la
mia bocca sulla sua guancia, era fresca. Si era solo sciacquata il viso con l’acqua,
sì, le sue mani davano di sapone, il profumo di quei fiori che si usano sempre
per quelle cose.
Liz.
«Piccola…»
Sei
il mio cuore che batte, il lupo non ti può portare via.
Si girò, il fruscio delle coperte contro le mie
gambe. Poggiò la testa sulla mia spalla, mentre io mi voltavo verso di lei. Le
cadde una ciocca di capelli sul viso, vicino al naso, gliela spostai con le
dita. Aveva gli occhi lucidi che brillavano.
«Sono qui.» sussurrai.
Ero vicino alla tempesta.
Sono
qui, Liz.
Le accarezzai i capelli, una mano a stringerla sul
fianco. Avevo finito il tempo, le ore che mi separavano dal giorno stavano
incendiando tutto.
Non doveva succedere, lo sapevo. Perché così
sembrava che stessi andando a morire e che quella fosse la nostra ultima notte.
Le sfilai i pantaloncini che indossava per dormire, mi
feci strada. Non c'era più tempo, io avevo bisogno di lei.
Le sue mani, le mie. Le sue labbra, le mie.
Trovai rifugio.
Sospiri.
Renesmee.
Io non sentivo altro che sangue, e catene, e la
pelle di Liz, e la bocca, e… quello che volevo.
La ragazza che amavo.
Poi sarebbe ritornato l’acciaio, sarebbe ritornato
il buio.
E il sangue, e il dolore, e le fitte, e le parole incastrate
nella gola…
Sono
qui, Liz.
«Resta con me.»
La guardai, e mi sembrò che il tempo si potesse fermare davvero.
Sono
qui.
*
*
*
*
Ciao <3
Sapete cosa spero? Che leggiate
la storia fino alla fine. Magari adesso mi odiate, e forse mi odierete, e mi
forse odierete ancora. Però per dire veramente che mi odiate, magari
leggete tutto :D Ormai ho capito. L'unica cosa che devo fare è
scrivere. C'è un'amica che sa una cosa importante che
succederà, un'altra che crede di sapere tutto e in realtà
non sa niente, quindi... leggete :D io spero di riuscire a scrivere...
a scrivere bene. E di regalarvi tante emozioni con Jacob, Liz, Bella, e
tutti gli altri <3
La scorsa settimana ho pubblicato un missing
moment su Liz, si chiama Curved Line,
mi farebbe piacere se andaste a darci un'occhiata. Ah, e sto anche continuando la pubblicazione della long JacobxBella September ends. Vi ringrazio tanto,
per tutto. Ringrazio chi recensisce, e chi mette la storia fra
preferite, ricordate e seguite <3 E ringrazio tanto tutte le persone che mi sono vicine <3 Tanti auguri di buona Pasqua :)
Grazie davvero.
Ania
|
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Capitolo 3 *** 59. Puntine di luce ***
jake 59
Oh, can't anybody see,
We've got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
Portishead - Roads
Rigiravo la catenella fra le dita, penzolava e
faceva ombra sulla scrivania. La J appesa agli anelli con il piccolo lupo
creava un’onda sul legno, come se fosse stata disegnata.
Era quasi l’ora e i giorni passati erano stati
troppo pochi. Pochi per le parole da dire, le cose a cui pensare.
Tutta la
riserva era imbrattata di lei; il garage polveroso, casa mia, casa di Seth,
casa di Sam, casa Cullen, la spiaggia, il mare, il locale dove avevamo pranzato
tutti insieme, il centro commerciale dove aveva passato un sacco di pomeriggi
nei giorni in cui non mi parlava a causa di Bella. Poteva essere Seattle, un
sogno, Forks.
Liz c’era.
«Sono le tre.»
«Sì.»
Non mi girai. Il suono della sua voce bastò a farmi
sentire bene, e subito dopo a farmi considerare solo come un gran pezzo di
stronzo.
«Jake. »
«Non chiederlo.»
«Non andare.»
Strinsi i pugni sulla scrivania.
Non ci avevo mai studiato, mai fatto nessun compito,
nemmeno per far vedere a mio padre che ogni tanto combinavo qualcosa. Ora
potevo avere la forza di spaccarla in due, come per spezzare anche il tempo
trascorso e tutte le cose sbagliate.
«Credimi, quando ti parlo.»
C’era solo un ricordo, per quel pezzo di legno
montato a tavolo. E non volevo nemmeno cancellarlo. Mi ricordavo solo che, dopo
il funerale di Bella, eravamo entrati in stanza ed io l’avevo premuta contro la
prima cosa che avevo trovato, quasi schiacciandola. Forse quella volta le avevo
fatto male davvero, anche se non aveva detto niente, e io ero stato anche
troppo preso dalla frenesia per riconoscerlo.
«Ti credo, ma su certe cose le promesse non
bastano.»
Mi ricordavo che le avevo rotto i primi bottoni
della camicia, quasi fossi incapace di spogliarla senza impazzire.
“N-Non smettere.” Aveva tremato. Mi aveva accarezzato
il bordo dei pantaloni, era scesa sulla cerniera.
Ti
amo da morire.
«È una sicurezza. I Cullen hanno dei poteri, ti
sembrerà strano. Ma sono dei super eroi stile Barbie.»
«Come fai a parlare così?» La sua voce si spezzò.
«Non lo so.» sospirai, e stavolta mi voltai a
guardarla. Ritrovai la stessa persona che avevo incontrato al parcheggio,
trasparente davanti ai miei occhi.
«Vorrei riuscirci.» disse. Mi si avvicinò, veloce.
Mi prese le mani, la sua stretta morbida sulle mie dita.
Non
ti dirò mai addio.
Si morse le labbra, un respiro profondo. Non ce la
feci a fermarmi. L’abbracciai. La strinsi a me, la mia bocca posata sulla sua
fronte.
«Non pensare a me, okay? Vai tipo… che ne so… qui
non c’è una parte in cui ti puoi scatenare? Forse a Port Angeles c’è un gruppo
al centro commerciale, dicono che sono fighi e che firmano gli autografi. Non mi
ingelosisco, prometto.»
Alzò lo sguardo.
Sorrise, di quei sorrisi che li guardi e dici
“finalmente”.
Finalmente,
perché è l’ultima volta che la vedi così.
«Ma come fai?»
«Come faccio cosa? »
« A essere così.» Le comparve la fossetta sulla
guancia.
Le lasciai una mano e la portai sul suo collo, la
pelle chiara lasciata scoperta.
No, perché il sorriso scompare? Ora scendono
lacrime ed è colpa mia.
“Dai,
raccontami. Non ci credo che sei stato solo per tutto questo tempo. Lei come si
chiama?” Renesmee parla, e mentre la voce scompare il sorriso sbiadisce.
“Lei?”
Lei
era tua madre, Renesmee, e ci guarda e ci ascolta. Sono arrivato anche a
pensare che fosse felice, mentre mi innamoravo di un’altra. Liz era davvero
tutto quello che di buono potessi ancora avere nella mia vita.
Mi diede quello che di solito si chiamerebbe
“spintone” ma non riuscì a smuovermi nemmeno di un centimetro.
Sospirò, le mie braccia a cingerla.
“Grazie per avermi accompagnata.”
“È
il ballo di fine anno, non potevi andarci da sola.”
“Ci
sei andato, alle superiori?”
Sì,
e Liz aveva un vestito viola come il tuo. Anzi, il suo era più scuro. Quando
gliel’ho fatto scivolare via, al buio sembrava nero.
Sento freddo, Renesmee,
sarà l’aria.
Sarà
che stai vivendo al mio posto.
«Devi
restare vivo.» sussurrò. La voce spezzata che
mi scaravento lì da lei, a guardarla. Perché la forza di
gravità mi tirava via, ma quando Liz mi chiamava ero sempre
lì, con i piedi di piombo. Sei la mia vita, amore mio. «Devi salvarti.»
“Tu lo ami?” La voce di Bella si inclina,
Renesmee dondola sull’altalena che le hanno montato quando era piccola, anche
se adesso sembra una ventenne. «Hai paura, mamma?»
Ero lì. Ero sempre con Liz. «Sei tu quella che mi
salva.»
Incontrai le sue labbra, un sapore salato mi arrivò
alla lingua. Aveva pianto, prima. E non si era fatta vedere. Adesso potevo
toccarla, e averla e abbracciarla e baciarla. Ma volevo che le lancette non
continuassero più a girare, per stare sempre così.
Fu lei a staccarsi per prima, le guance arrossate e
le labbra che fino a poco prima si stavano fondendo nella mia bocca. Stava per
finire tutto, ora. L’avrei accompagnata da Leah e basta.
Se avessi continuato a guardarla così, senza
contegno, avrei perso il controllo e il cervello. E sapevo come funzionavano i
pensieri del branco, la lettura, il fatto di sentire il dolore e le emozioni
degli altri. Ero suo, era mia, non doveva vedere nessun’altro.
Sei
di Renesmee.
«Liz.»
Renesmee,
Renesmee, Renesmee.
Il lupo ringhia, Il lupo non vuole.
Un dolore allo
stomaco.
«Andrò lì, andrà tutto bene. Tornerò da te.»
Sei
di Renesmee.
Sospirò.
No.
No.
No.
Non
posso.
«Ti… amo.»
E lo dissi piano.
La
gola graffia, il cuore sussulta.
Qualcuno mi pugnala alle spalle, c’è altro
sangue.
Sei
il mio cuore che batte, Liz.
Sempre.
***
L’aria, Le foglie.
Velocità.
Calore, animale.
Il lupo mi prese ancor prima che facessi andar via
tutto il fiato della corsa. La realtà divenne nitida, come se avessi sempre
guardato da un vetro appannato. Come se all’improvviso fossi uscito fuori da
quella scatola che era il corpo dell’uomo.
“Kim,
torno. Non fare così.” Lacrime. Jared.
Baci.
Mani.
Di
nuovo.
“Non
potevi nascere in un modo normale?” Abbracci sciolti all’improvviso.
“Sono
questo.”
Mi persi nella vita dei mie fratelli, che mi venne
dentro come un’onda anomala, quasi facendomi diventare sordo al mondo esterno.
“Allora…
Oggi a pranzo mi dai buca?“
“Se
la prendi così.”
“Embry,
non è la prima volta.”
“Non
rompere.”
“Smettila,
Okay? Ormai ci vediamo solo…”
“…
per scopare?”
“
Ah, credevo che ci fosse di più.”
“
Credi quello che vuoi.”
Correvo, le zampe a schiacciare le foglie, il vento
ad accarezzarmi la pelliccia. Potevo essere più forte di qualunque altro
vampiro. Potevo perdermi negli altri per non vedere me stesso.
“Stai
attento.”
“Lo
sono sempre.”
Baci.
Baci lunghi.
Baci
che fanno male. “Ti amo.”
“Non
so più se crederci.”
“Emily,
sei mia moglie.”
“Sam…”
“Sei
il mio imprinting”
“Non
c’entra niente.”
I ringhi erano forti, i pensieri, le immagini, i
sogni, i ricordi… si poteva toccare tutto.
“Non
fare il coglione.”
“Non
c’è bisogno che me lo dici.”
“Sì,
invece.”
“Non
ti vedo da mesi…”
“A
settembre torno a Forks… è per la laurea, lo sai.”
“Non
ce la faccio, cazzo. E ora vado a combattere e mi resta solo la tua voce.”
“Paul…”
“Ti
amo.”
Seth non c’era, Brian sì. Non so come ci erano
riusciti, ma ora potevo sentire anche lui.
Le
gambe molli, i sospiri, i capelli.
“Leah,
non ci andrai.” Bocche. Gambe. Aria.
“Non
posso farti andare da solo.”
“Andrà
tutto bene, te lo prometto.”
“Non
me ne faccio un cazzo delle promesse.”
Alberi, respiri. Fuoco, voci.
“Perché
oggi non puoi venire a giocare?”
“Piccola,
ho un impegno. Domani.” Rumore di plastica.
Tappeto
calpestato. “Ma Quil, io ho compr-rato una cosa nuova.”
“Domani
starò tutta la giornata con te. Tutta quanta, anche a pranzo, Claire.”
Abbracci.
Baciami.
Non smettere di baciarmi. Non so come è successo, non so che cosa vuole la vita
da me. Ho te e non voglio più niente. Ti tocco, non smetto di toccarti. Ora
sono dentro di te e non mi fermo, e ti sento, e ti voglio, e restiamo così,
Liz, restiamo così per sempre.
Riemersi.
Quelli erano i miei pensieri… i miei ricordi.
Non dovevano vedere più niente.
“Sono in molti?” fece Jared.
“La veggente
dice che sono più dell’altra volta.” Era Sam.
“Siamo in svantaggio.”
“Sì, ma ora ci sono Jake e Brian stiamo messi
bene.” Embry.
“Secondo te ci vogliono fare fuori?”
“Siamo noi che facciamo fuori loro.”
“Non è il momento di pensare così.” La voce di Sam mi riecheggiò in
testa.
Continuammo a correre, l’aria che mi veniva in
faccia e mi pizzicava il muso. Gli alberi che sembravano tutti attaccati, le
chiome verdi che sembravano unite.
L’erba della radura brillava, i raggi del sole la
colpivano direttamente, senza ombre.
La vidi per primo.
Si spostò una ciocca di capelli
neri come il petrolio dietro l’orecchio, la sua pelle splendeva e splendeva davvero. Era un cristallo fatto a persona, di
quelli che io vedevo solo appiccicati agli anelli delle signore, quelle che
pagavano con la carta di credito al negozio di Kyle.
Mi sentii morire, mentre ogni particella dell’aria
era dirottata verso una sola e unica direzione, come il raggio di sole che
illuminava Bella, come il sangue che dalle vene arriva al cuore. Ma quello non
era sangue, era veleno.
Renesmee Cullen – piccolissima – si lasciava
prendere in braccio dal succhiasangue, appoggiando la testa sulla sua spalla, i
riccioli rossi a posarsi sulla sua schiena.
Deglutii.
È
lei.
“Jake, tutto bene?”
“Bene.”
È
lei.
“L’avevi vista, la figlia?”
“No.”
L’aria,
la terra, l’acqua, la vita, la morte… ogni cosa non importa più. Importa…
“Ti vedo strano.”
“Mi immaginavo un mostro con le zanne da fuori, sai
com’è.”
Sentii la risata di Embry, ma in quel momento si
poteva fare tutto tranne che ridere.
«Grazie per essere venuti.» Carlisle si avvicinò a
noi, la puzza era ancora più forte, come se mi avessero buttato addosso un mare
di zucchero e aceto. Con lui c’era Edward, la bambina era vicino a Bella.
“Perché c’è l’ibrida?” fece Sam, la voce seria.
Edward si irrigidì, come se per uno come lui fosse
possibile.
«Che succede?» La voce di Carlisle sembrava non
tradire nessuna emozione.
«Mia figlia è qui perché sarebbe pericoloso
lasciarla sola.»
“E in caso di violenza?”
«Bella è veloce. Riuscirebbe a mantenere lo scudo
mentale pur correndo via.»Vidi Sam annuire, il lupo dal manto più scuro e di
statura più alta. Sembrò che Carlisle avesse capito, anche se Edward non gli
aveva spiegato niente. «Sono contento che tu abbia accettato.» fece ancora. Sam
pensò pochissime parole, Edward le prese al volo, velocemente, così come
finirono nella mia testa insieme a tutto il resto.
«È il loro dovere.» disse, la voce calma, fluida, la
voce per cui Bella sarebbe morta.
La voce per cui alla fine era morta davvero.
Distolsi lo sguardo. Non dovevo guardare nella sua direzione, non dovevo guardare
quella bambina.
Che schifo di odore…
Sbuffai.
No, non potevo fare così. Adesso sarebbero arrivati e
io dovevo essere calmo. Stare calmo…
“Sono loro.” La voce di Sam
rieccheggiò.
Un brivido mi percorse
quella che doveva essere la mia schiena.
Gelo in tutto il tuo corpo.
L’odore dolciastro si propagò nei punti d’aria in cui
credevo di poter ancora respirare
Occhi rossi e scuri.
Il sangue di una ferita aperta.
Mi ricordavo che cosa avevo visto quando mi ero ferito
nella battaglia dopo il diploma di Bella. Il sangue e la carne insieme sono di
un rosso che fa venire il vomito.
Il cuore ti corre nelle orecchie.
Jake, non andare.
La voce di Liz.
«Quale piacere.»
La sua voce mi strisciò sulla pelle, fastidiosa.
«Salve, Aro.» Carlisle guardò verso il vampiro del
centro. Era vestito di nero, i capelli lunghi e scuri.
«E i muta-forma? Li avete addottati come animali
domestici?»
Agitò le mani, con gli occhi socchiusi, e nel silenzio
venne fuori una risata. Una risata che la senti e resti fermo, non ridi; rimani
solo al tuo posto.
La gravità è
elettrica, sei il filo di ferro legato a lei.
Esiste solo lei.
Non guardare.
Guardala.
«Con elementi come Edward e Alice, potreste anche
spiegarmi voi il motivo per cui sono qui.»
Smettila.
È tua.
«Alice ti ha visto arrivare, ma non le è stato
possibile vedere la tua motivazione. Quando qualcosa non la riguarda
direttamente, non riesce a vedere nei dettagli. »
«La perfezione è ancora un
ideale, non si è mai davvero plasmata su nulla che io possa conoscere. E i
poteri di Edward e Alice sono... affascinanti.»
«Sono di chi li possiede.» Jasper prese la parola,
veloce.
Non ti voltare.
La gravità non esiste.
Paul diceva parolacce una dopo l’altra, il nervosismo
di Collin mi scorreva nelle vene insieme alla frenesia di Embry, che ascoltava
senza nemmeno prendere un respiro ogni tanto.
«Anche i componenti
della mia guardia mi appartengono. E sapete...» La bocca gli si
aprì in un sorriso che sembrava quello dello stregatto. «Lo scorso anno li ho mandati in
Argentina per fare dei controlli, ma non hanno più fatto ritorno. Nessuno può
permettersi di non tornare.»
Deglutii. Lo facemmo tutti. Ero
certo che se fosse stato possibile, lo avrebbero fatto anche i Cullen.
Non pensare, Jake.
Non dovevo pensare.
Non dovevo pensare…
«Non sappiamo
niente, Aro.»
Rise, quasi
meccanicamente, unendo le mani.
Ma che diavolo
stava succedendo?
Non pensare.
Aro strinse la mano
di Carlisle, come se si fosse appena ricordato che cosa si fa per salutare
qualcuno. Vidi Bella – non più umana, ora
vampira - che corrugava la fronte.
Forse stava facendo quella cosa dello scudo.
«Un vero peccato.»
«Ci spiace.»
«Ma nuovi componenti della mia
guardia, Anil, Jodelle, Amalia ed Eris
sono curiosi di assistere al potere di Renesmee.»
Ringhiai.
Istantaneamente,
Bella posò la sua mano sulla testa della bambina.
Renesmee.
Renesmee.
Renesmee.
Che cosa voleva?
Cosa sapeva fare la figlia di Bella?
«Non è un
giocattolo.» fiatò Rosalie.
Bella respirava. Bella aveva cominciato a
respirare.
«Certo
che no.» si
sbrigò lui. «Ma è necessario che la mia guardia
approfondisca le conoscenze che loro ha sentito solo dai miei racconti.
Un potere incredibile di un'ibrida umana-vampira.»
«Amore...» La voce di Bella, rivolta alla figlia, mi bloccò il respiro. Non ti ho mai sentito parlare così, Bells.
Ma sei una madre, con tutti gli sbagli del mondo ma sei una madre. E forse
questa è l’unica cosa per cui valeva la pena sbagliare tutto.
Forse.
Edward fece un
passo in avanti, il fruscio dell’erba nelle mie orecchie.
Sentii il cuore
salirmi in gola.
“Stringimi, Jake.” Sei ancora troppo piccola.
Guardati, non vedi? Ti si legge negli occhi. Quanti anni sono, otto? Nove? C’è
ancora la casa delle bambole aperta, proprio lì.
“Stringimi.”insisti.
E mi guardi e i tuoi sono gli occhi di tua
madre.
Devo obbedire.
«Il vostro
atteggiamento mi fa pensare che voi non mi abbiate detto la verità sul conto
della mia vecchia guardia.»
«Assolutamente no,
Aro. Ti assicuro che ti abbiamo detto la verità.» rispose Carlisle.
«... Che cosa avete da nascondere?»
«No.» Bella, sotto
quella maschera di gelo trasparente ed occhi color del sole, abbracciava sua
figlia. Renesmee. «Isabella, hai paura?»
Reneesme.
Proteggila.
Proteggila.
Scossi il capo,
cacciando via la voce.
“Jake, che ti prende?”
“Niente. Sto bene,
Sam.”
«Mamma…»
Voce piccola, flebile.
Chiara.
Edward si voltò
verso Bella, lei alzò il suo sguardo. Forse
combatterò, forse combatterai. Eppure ogni volta che alzi gli occhi e li vedo
diversi è come se fosse la prima volta. Gli occhi di Bella parlavano di
fiducia. Una cosa che non avevo mai capito, quando guardava la sanguisuga.
Guardò Renesmee.
«Ti ricordi di Aro…
vero?»
La voce di Bella.
Sottile.
Bella, sei tu.
Capelli lunghi, occhi grandi.
Reneesme Cullen.
«Sì, me lo
ricordo.»
Voce piccola, lei è piccola.
«Vuole… vuole
salutarti.»
«Ti accompagno io,
tesoro.» Edward le prese la mano, uno sguardo a Bella, qualcosa che non riuscii
a capire.
Renesmee alzò lo
sguardo.
Sei bellissima, amore mio. Sei la persona più
coraggiosa del mondo, perché non sai niente. Cominciò a camminare, a passi delicati.
Lei è delicata. Lei ha bisogno di protezione.
Il vento soffiava,
soffiava verso di noi.
Renesmee corre nella foresta e inciampa, come
sua madre tanto tempo fa.
Quanti anni sono trascorsi? Sembra niente in
confronto a tutto quello che è successo.
Ma lei sta bene.
L’importante è che lei stia bene.
«Basta così,
Edward. Vedo che Renesmee sa camminare da sola.» Aro ruppe quel silenzio.
«Papà…» Quanto sei piccola. Come hai fatto a
uccidere tua madre? Ce l’hai portata via per sempre.
Come hai fatto, Renesmee?
Come?
«Sarà per poco.»
Edward le accarezzò il viso, così simile al suo. Viso a forma di cuore.
Devi proteggerla.
Devi proteggerla.
Devi proteggerla.
Edward
indietreggiò, piano.
Non correre, Renesmee. Puoi farti male. E sei
veramente l’unica cosa che ho, oggi.
“Il braccialetto di mamma è stupendo, l’hai
fatto tu?” Cammini con me, verso la tua casa.
Non riesco a smettere di guardarti. Perché il
ballo c’è stato solo pochi giorni fa ma io non riesco smettere di immaginarti
con quel vestito viola, e penso a Liz. Perché hai gli occhi di Bella e penso a
lei. Perché avevo una vita e ora non esiste più.
Aro tese le mani,
come se fosse stato davvero sicuro che la bambina gliele avrebbe prese.
«Cara Reneesme.»
Si abbassò, lentamente, incontrando i suoi occhi. Sangue e cioccolato.
Le era vicinissimo,
troppo vicino, la bambina gli respirava addosso.
Proteggila.
Proteggila.
Proteggila.
«Ci daresti l’onore
di assistere ancora al tuo bellissimo potere?» le chiese.
«Non farai del male
a nessuno?» Voce chiara, piccola.
Lei è piccola. Lei ha bisogno di…
«Nessuno.» Gli si
stirò il labbro, verso sinistra.
Le si avvicinò una
donna bionda, bassa, il fisico di una ballerina classica.
«Comincia tu,
Amalia.»
La vampira si
avvicinò a Renesmee, che la sfiorò.
Toccala e ti uccido.
Un sospiro.
Calmati.
La donna chiuse gli
occhi e, poco dopo, li riaprì. Che cosa stava facendo?
«Sorprendente.»
esclamò. Bella aveva un’espressione stranissima, come se si stesse sforzando.
Stava facendo qualcosa per Renesmee?
“Jake, l’ibrida fa
vedere i suoi pensieri con il tatto.”
“Ah.”
La bambina, Reneesme, fece un respiro profondo.
Sa respirare.
Sembrava
quasi… una bambina normale.
È bellissima, è tua.
Sei suo.
“Jake…” La voce di
Quil. Stranita.
«Posso tornare da
mamma, adesso?» Voce flebile, voce
candida.
È piccola.
È tua.
Sei suo.
Aro le teneva
ancora le mani. Mi avevano detto che toccando riusciva a sentire tutti i
pensieri di una vita.
«Non ora,
Renesmee. C'è un bel gioco a cui giocare.»
Suo, Jacob.
Sei solo suo.
Del sorriso non
c’era più nemmeno un’ombra.
Salvala.
Ma perché quel
succhiasangue bastardo aveva fatto quello che aveva detto Aro? Non si era
opposto nemmeno per un secondo.
Ora.
Era sua figlia,
cazzo!
«Cosa vuoi, Aro?»
Bella sembrò sprofondare nella sua stessa voce. «Lasciala andare.»
Mi sentii tremare.
«Non credo a quello
che mi avete detto sulla mia guardia.»
«Non c’entra.»
«No, sì...»
Aro sospirò. «Forse...»
Strinse ancora più
forte il braccio della bambina; le bloccò i polsi, indirizzando lo sguardo di
Reneesme verso Edward e Bella.
«Papà…» Voce piccola, lei è piccola, lei è indifesa.
«Siete stati voi...»
«Noi non ne siamo
resposabili!» disse Bella, alzando la voce. Sussultai, sembrava che si fosse
rotto qualcosa.
Bella.
«Allora, cara Isabella, lascia il tuo scudo mentale e permettimi di leggere le vostre menti.»
Viso a forma di cuore, Renesmee.
Lacrime che
rigano il viso.
«Mamma…» Lei è piccola, non la si sente quasi. Lei ha
paura…
Questa è la mia morte, non la sua.
Ringhiai.
Verrà uccisa e la colpa sarà tua.
L’urlo di un uomo.
Le appartieni.
No.
Devi proteggerla.
Digrignai i denti,
ululando.
Muori.
No.
C’era un forza che
non era mia. Era del lupo.
Il lupo era
furioso.
“Jacob, Jacob, che
fai?!”
“Quello che vedi.”
Non ho più nemmeno la voce, Renesmee. Non ho
più voce.
“Non spetta a te…”
“Invece sì.”
Non so chi sta parlando.
“Sono io il capo!”
“Va’ al diavolo…”
Non so chi sta andando a morire.
Non so più niente.
Mi ritrovai a
correre, a correre più in fretta che potevo.
Jacob, cazzo.
Che cazzo fai?
Ma che gli è preso?
Ora, non possiamo lasciarlo da solo.
Guardali. Lo stanno assalendo. Embry, corri.
Sam.
È cominciata.
Il fetore andò ad
inondarmi le narici in un secondo, mentre sentivo pungere la carne dai piccoli
rami della radura che mi si conficcavano nelle zampe.
Tutto esplose.
Tutto è nero.
Buio.
Rumori metallici e
ululati andarono a stridermi le orecchie. I pensieri dei miei fratelli si
mischiarono nella mia testa insieme a tutto il resto, la mia vita.
L’istinto.
L’ordine che mi aveva spinto verso il vampiro.
Tutto è buio.
Scuro.
Corsi.
Cavi d’acciaio
verso di lei.
La sua vita è la mia, la mia vita è la sua.
Era iniziata la
guerra.
La tua vita è la sua. La sua vita è la tua.
L’aria si spezzò al
mio passaggio come se fosse un pezzo di carta strappato.
Il marmo fra i miei
denti, la mia lingua a prendere tutto lo schifo che c’era lì.
Urla, rumori.
Avevo morso il vampiro.
Cavi d’acciaio verso di lei.
Ossa spezzate. Le sentivo, come se fossero davvero le mie. Erano quelle dei miei fratelli.
Cavi d’acciaio ficcati nella mia carne.
Rosso.
Cavi d’acciaio a portarmi lì.
Acciaio, ferro, tutto l’Universo.
Lo agitai, ma la
testa non si staccò. Distolsi lo sguardo di un secondo, il polso di piccola
sanguinava.
Per non farmi tornare mai
più.
«Jacob, Reneesme,
no!»L’urlo di Bella mi perforò le orecchie, così come mi perforò il rumore che
venne dopo, secco, deciso.
Il rumore della mia
costola rotta.
Trattenni un urlo,
mentre ogni cosa era oscura nella mia testa.
Un altro pugno nelle mie ossa.
Non vidi più niente.
Liz…
La neve ha bagnato le tue mani, lo sento
proprio adesso. Anche le tue labbra sono di neve, leggere. Spazzo via il freddo
con le mie, e non capisco cosa sta succedendo… ma ora respiro. Respiro di
nuovo. Trovo il coraggio di stringerti ancora di più, perché è la prima volta
che ti bacio. Ti bacio e non so se ora ti staccherai da me, perché è un rischio
a cui non avevo mai pensato. Ma non importa perché tutto è bianco, tutto è
neve. È solo l’inizio.
“Lasciala subito.”
Collin.
Collin aveva perso i
sensi. Nero e bianco nella sua testa. Nero e puntine di luce… nero…
Devo aiutarlo.
Renesmee.
“Lasciala!”
«Perché?»
Non riuscivo più ad aprire gli occhi.
Liz, fammi restare. Non lasciarmi andare.
Torneremo a Seattle, tu comincerai l’Università, io mi troverò un lavoro. Ti
aspetterò fuori, nel cortile.
Anche sotto la pioggia.
Mi troverai sempre.
Mi mancarono le
forze, completamente. Tanto da dimenticare
tutto, tanto da dimenticare chi ero. Strinsi i denti, ancora. Perché dovevo salvarla a tutti i costi.
Non vidi altro che
sangue, - sanguini, stai sanguinando
– nero, lacrime, solo lacrime.
Il momento che più
avevo temuto fino ad allora mi si materializzò davanti.
“Lasciala!”
No.
“Lasciala!”
No.
Presi un respiro
profondo. Adesso non c'erano solo il buio, il sangue.
Solo puntine di
luce.
Embry. Embry vedeva
solo rosso. Embry aveva perso il respiro. Vedevo anche loro ma non potevo aiutarli.
Devi salvare Renesmee.
“Se uccidi il mio
imprinting muori. Muori… veramente.”
Il silenzio.
Un silenzio che mi
uccise. Tutti i ragazzi, fra ululati, urla e carne martoriata di vampiri,
avevano sentito.
E anche Edward.
Riuscii a vedere, nell'ombra, la mano di ferro di Aro lasciare il polso di Renesmee. Una mano
bianca la portava via. Lei chiamava qualcuno, non piangeva più.
Sei bellissima, amore mio. Ti troverò, sai?
Anche ora che non riesco a vederti. Mi sembra di sentire le tue mani vicino
alle orecchie, quando mi accarezzi i capelli prima di baciarmi. Sto… sto
andando giù… Liz.
Mi accasciai a terra.
«Ho letto tutto nei
pensieri del licantropo.»
Un calcio, un strattone, una fitta alla testa.
Era tutto sfuocato,
tutto era come il dipinto di Liz per l’ultimo compito di arte… quando ci era
caduta l’acqua sopra.
Liz.
La prima volta che ti ho vista c’era il sole.
Ti si vedevano i riflessi biondi, piccola. E sorridevi, nervosa. Sei
diventata sempre più bella.
Nero e puntine di
luce. E voci, voci riconoscibili e troppo lontane. Io che volevo parlare e non
sapevo più come si facesse.
La terra mi graffiava la pelle, non era più fra il mio pelo.
Morivo da umano.
La tua voce si spezza, quando piangi. E tu
non piangi mai. Tutto si è ristretto in queste settimane. La cazzata per Bella,
la battaglia. Quando ti raccontai tutto di Ronnie, ricordi? La tua voce
spezzata… non voglio sentirla. Non piangere mai più, amore mio.
Mai più.
«Dovete pagare.»
Tutto
seguì la linea che era stata segnata.
La consapevolezza essermi tradito da
solo.
Di aver fatto la cosa giusta.
Di aver fatto la cosa sbagliata.
Di aver
buttato all’aria ogni cosa.
Di essermi salvato.
L’ho fatto per te.
Tutto finito.
L’ho fatto per noi.
Nero.
Puntine di
luce.
Sì, fatti
stringere, per favore. Ne ho bisogno, ho bisogno di te.
Labbra.
Le tue labbra.
Sono come l’acqua e ho la gola secca, tutto diventa arido.
Non dovevi farlo. Voce spezzata. Quella voce.
No, non lasciarmi. Non mi lasciare, Liz. Non riesco più a vederti…
non riesco più a sentirti…
Renesmee.
Tutto questo deve finire.
Così mi
uccidi.
Così muoio, Liz.
Per favore.
Il sangue, il
dolore. Fa tutto male. Non riesco più a correre, non riesco più a andare avanti.
«Jake… Jake.»
Perché l’hai fatto, Bella?
Perché?
Guardami, che cosa sono?
L’hai salvata.
Un tonfo sordo. Le ferite, la morte.
Hai vinto.
Urla ovattate. Bella, Alice, Esme.
Sento le tue mani, Liz.
Metallo bruciato. Uomini che gridano... Sam, Brian. Sussurri.
Non mi stringono più.
Dolore.
Ci sono i tuoi occhi, il tuo respiro.
Finii al freddo.
Non c’è più niente.
*
*
*
*
Ciao a tutti :))
Vi devo
chiedere scusa ed io mi vergogno troppo a presentarmi qui con un
capitolo senza aver risposto alle voste recensioni bellissime *.*,
recensioni che mi danno sostegno e che mi rendono felicissima. Grazie a
Maria, Noemi, Fufe, Roberta, Teresa, Caterina per aver recensito. Vi
prometto che arriverò
con tutte le risposte <3
Lasciate che passi Maggio, io cercherò di mettermi in pari un
po' alla volta ogni volta che posso, perché meritate di essere
ringraziati come si deve <3 <3 <3 Grazie mille a Ilaria, che
mi ha dato dei consigli su Aro, spero di non aver toppato troppo.
Grazie
anche a chi legge soltanto, so che ci siete <3 E grazie a chi
ascolta sempre quello che ho da dire, che si tratti di storie o no <3
Grazie alle persone che mi sostengono e alle mie più care amiche, quelle qui su efp e quelle di fuori :)
Mi
piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate di questo capitolo<3 . Ho pubblicato un
missing moment su Liz, si chiama In front of the sky <3
Gli aggiornamenti saranno lenti, ma è probabile che arrivino nei momenti in cui non ve li aspettate :))
Grazie.
Grazie per tutto.
Ania.
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Capitolo 4 *** 60. Ordini ***
jake 60
Allora
i due si appartengono per sempre. E questo significa felicità, serenità, vita
lunga e preziosa.
Figli,
lupi forti.
Il
grande Amore.
E
non si può scappare dalla giustizia, perché segue il cerchio della natura.
Perché
l’imprinting è giusto, desiderato, atteso.
È impossibile sfilare i lacci che legano il lupo,
è un dolore inutile e disonorevole. E
i fili sono indistruttibili.
«Leah.» Noela biascicò il suo nome, ancora con il fiatone.
Il libro mi scivolò dalle gambe.
Trema
insieme al vento.
C’era la porta aperta e l’aria che scorreva. Il
vento che soffiava verso di me.
“Sì,
mi ha detto tutto. Nella visione c’è il vento che soffia verso di noi, è la
luce del primo pomeriggio… Ma vedrò la sera con te.”
Torna,
torna da me.
L’aria scorreva, il cielo buio della sera. Dobbiamo vederlo insieme.
Stavo ancora aspettando.
Torna,
torna da me.
Battevo i denti, era tornato il freddo.
Jacob…
«Seth dov’è? » La voce di Leah.
«Li sta raggiungendo, si sono fatti male.»
Jake,
dove sei?
Leah le prese la mano.
«Nol, resta qui e non uscire per nessuna ragione.»
La sua voce si inclinò, in modo improvviso.
Respira,
respira, respira.
Te
l’ha promesso.
Lui.
Ha. Promesso.
«E Jake?»
Quasi urlai.
«Non lo so,
non so niente, nemmeno di Brian. Seth è corso via.»
Leah si voltò piano. Il mio sguardo incontrò il suo,
senza capire. Come facevo a capire? Non le avevo mai visto quell’espressione in
viso, e la cosa peggiore che poteva essere successa era… era…
«Liz… aspetta qui. Dillo tu ad Emily, è… nel bagno
da ore.»
Quasi tossii, soffocando.
No…
No, no, Jake. Jake, la tua promessa, quello che mi hai detto, ieri notte,
questa mattina…
Sentii una lacrima graffiarmi il viso, lenta. Non è vero.
E poi un’altra, e un'altra ancora. Io ti amo.
Tutto era sfuocato, tutto era sbiadito. Sono qui, Liz.
Mi portai una mano sulla bocca, perché non riuscivo
a parlare.
Sono qui.
E il buio copriva lo spazio, a macchie.
Jacob…
Non c’era più Leah, non c’era nessuno.
Tutto era
buio.
«Leah…» Un sussurro.
Non
esiste, Jacob. Mi hai fatto una promessa, devi tornare. E se non torni ti
odierò per sempre, perché devi guardarmi, prima di andartene. Devi dirmi “Non tornerò.”
«Lizzy, stai calma. Calma. Seth si agita per un
nonnulla, veramente. Stai… calma.»
Jake.
«Io lo… lo sapevo.» Mi sentii smuovere. Cos’era?
Era… era la mano di Leah.
«Liz, va tutto bene.» Il calore aumentò mi stava
abbracciando, ma io non capivo. Non capivo più niente.
«L-Leah… non andrai da sola.»
«È pericoloso, non pensarci. IO mi trasformo. TU non
puoi, non sei come me.»
Aprii gli occhi, appoggiata al muro. «Usa il cervello.»
continuò. Riuscii a vedere il suo viso.
«Allora ci andiamo... ognuno per conto proprio, ma io
ci vado comunque.»
«Cazzo, Lizzy. Non… »
Sentii la porta del bagno cigolare, mentre Noela ci
guardava, ferma vicino all’entrata.
«Brian non ti aveva detto di restare qui
proprio per non trasformarti?»
Leah si allontanò, per poco.
«Che è successo?» La voce di Emily.
Mi portai una mano sul viso, a stropicciarmi gli
occhi. Leah cominciò a parlare, Emily urlò…
Devi salvarti. Doveva
essersi salvato.
Perché se c’era una cosa che non gli avrei mai
permesso era amarmi fino a morire, e
se lui ce l’aveva fatta, allora amavo davvero la persona più meravigliosa che
avessi mai potuto incontrare.
Te
lo prometto.
Riemersi.
Te
lo prometto anch’io.
Mi diressi verso la porta, veloce, senza voltarmi.
Devi
essere sempre in piedi, prima di cadere.
***
Dove
sei, dove vai.
La casa bianca dei Cullen era deforme, gli alberi
sembravano incurvati, come se stessi correndo verso il fondo di qualcosa, una
voragine che mi tirava lì e che non mi avrebbe più fatto ritornare indietro. Emily
spalancò la porta, era socchiusa.
L’odore dell’alcol e del sangue mi trapassò le
narici, costringendomi a stringere gli occhi. Perché il sangue? Perché?
Rumore di scontri.
Pelle.
Nomi sussurrati.
Leah era stretta a Brian e diceva cose in una lingua
che non avrei mai potuto comprendere. Lui le accarezzava i capelli, le
baciava le guance, gli occhi.
Rimasi immobile - Non ti muovere - di
fronte al motivo per cui non avevo la forza di continuare il mio percorso. C’erano
dei lenzuoli, grandi. Alcuni stesi sul pavimento, altri a coprire…
Pelle scura, muscoli tesi, volti familiari nella forma della
coperta.
C’erano loro.
Jake, per favore… no…
E quando Leah alzò il primo lenzuolo, comparve un
viso che avevo conosciuto con un sorriso e battute pesanti.
Lei urlò, aggrappandosi a Brian. Emily mi stringeva la mano, piangeva silenziosa. E con le urla e il
silenzio un enorme buco apparve davanti ai miei occhi. Tanti buchi… tutti quei
ragazzi…
Paul.
Piangiamo, ma Leah è aggrappata al
suo uomo, e niente glielo porterà via.
Ed è proprio lui, mentre trovo come
unico appiglio il sorriso di un ricordo che sembra lontano, a sussurrare i nomi
di tutti quelli che non potranno sorridere più.
E tutti quegli altri...
Emily mi lasciò
improvvisamente, corse verso Sam.
Una lacrima
mi rigò il viso, e mi odiai per il mio sollievo.
Che non durò abbastanza, perché fra i feriti... c'era Jake.
Non
torno indietro se non ci sei tu.
Mi spostai.
Gambe, io che correvo.
Amore
mio, Jake, devi tornare qui. Per fare qualunque cosa, aprire gli occhi,
guardarmi, lasciarmi, volermi, baciarmi, correre via, parlare, stare in
silenzio respirare, devi tornare.
Urla, pianti.
Morti.
Kim, Emily, Esme…
Urla, pianti.
Uccisi.
Chi avevo sfiorato? Quel vampiro, il marito di
Rosalie… o era solamente un altro soprammobile?
Lizzy,
fermati.
Lizzy,
stai ferma.
Dove
vai, cosa vuoi fare.
Non puoi stare qui.
Rumori, lacrime.
Perché?
Ti
amo, Jake, e hai diciotto anni, non puoi morire così.
«Dov’è? »
Nessuno rispose, oppure sì, non riuscivo a sentire,
non riuscivo a capire.
Dovevo correre.
Le scale, salire le scale, non inciampare. Il
fiatone, ancora, l’aria, aprire gli occhi richiuderli, piangere.
Mi fermai appena raggiunsi il corridoio.
«Dov’è? » Mani, mani sulle mie spalle, mani a
stringermi.
Mani fredde.
«Devi andartene.»
Devo
vederlo, devo guardarlo, devo dirgli di svegliarsi, devo gridargli contro, devo
smuoverlo, fare qualcosa, qualunque cosa, non posso farlo andare via, se vuole
scappare deve farlo con le sue gambe, non in questo modo.
Cercai di scostarmi.
Doveva essere in una stanza, sì, ma quale? Avrei
aperto tutte le porte.
«Liz, vattene. Subito.»
Alice mi teneva stretta. I suoi occhi d’oro mi
accecarono nel bianco della stanza – una libreria, un divano - anche se ormai si era fatto
buio.
Era proprio lei, capelli neri, sguardo di luce e
viso bianco.
Gli occhi mi bruciavano, e non sapevo se fosse per
le lacrime o per non riuscire più a sopportare di non sapere dove si trovasse
Jake.
«Alice… »
«Devi andartene subito.»
«Jacob sta bene?»
Non
puoi averlo fatto.
Lasciami,
Jacob, qualunque cosa.
Ma
non morire.
Alice esitò. Perché non parlava?
Non
morire.
«Qualunque cosa. Ti prego, qualunque cosa.
Accetterei qualunque cosa ad allontanarlo da me, a portarmelo via, a fare
finire tutto fra di noi… ma non questo. »
Non
morire.
Alice mi lasciò andare, come se all’improvviso si
fosse accorta di aver sbagliato qualcosa.
Tornerà a vivere, dimmelo.
«Il suo cuore batte ancora, starà bene.»
Sospirai, e sentii una lacrima riscaldarmi il viso.
Perché Jacob manteneva le promesse, e l’aveva fatto anche questa volta.
«Ci sono i Volturi, Liz. Corri via, vai a casa. Non
possono entrare nella riserva, è contro il patto. Sono in salone con Edward e
Jasper. Vattene via. »
«Che cosa vogliono? »
«Te. »
Mi irrigidii.
Te.
“Ha
un buon odore.”
“Demetri, non è il momento.”
Brividi.
“Quando lo sarebbe?”
“
Abbiamo un accordo.”
Lividi.
“ Come se
funzionasse davvero, il sangue di una vittima terrorizzata è sempre delizioso.
Ma credi sul serio che i licantropi ti aiuteranno?”
“
Deve restare viva.”
Cercai di ingoiare la saliva.
“
Quanto ci scommetti?”
«Sei
un'umana, non dovresti sapere nulla della loro esistenza... non sei
l'imprinting di nessuno. Jacob non può proteggerti, nessuno
può proteggerti.
Prendi la mia macchina e corri, subito.»
«No… »
«Vattene. »
« Alice…»
« Corri! »
Indietreggiai, quasi avessi ricevuto uno spintone.
Corri.
Mi si seccò la gola, come se avessi appena ingerito qualcosa di tossico.
Corri.
Inciampai in una borsa di oggetti medici. Voltai la
testa, piano.
Un urlo.
Tutto
si ferma.
Quell’urlo.
Il
mondo si spacca in due.
Quel suono.
Coltello
nel cuore.
Seguii il rumore.
Cado.
La voce di Jake.
***
«Lizzy… »
«Jake! »
Spinsi la maniglia. Sembrava che la voce
provenisse da lì. Doveva provenire da lì.
Jake,
non morire. Per favore, non morire. Così fai morire me, fallo per me, fammi
vivere ancora, viviamo insieme, viviamo lontani, ma resta qui.
«Jake! »La porta era chiusa a chiave. Cosa gli stavano facendo?
Un altro urlo.
Jacob.
«Mio dio, Jacob! Jacob! » Battei i pugni sulla
porta, come se sarei davvero riuscita ad entrare così.
Tirai la maniglia verso di me, riprendendo fiato. Ma
il fiato a cosa mi serviva? Potevo anche smettere di respirare, se lo faceva
anche lui.
«Jake… » La mia voce si spezzò.
Mi appoggiai alla porta con la parte destra del viso, andando a
sbattere con la testa.
Il corridoio scompariva, diventava sempre più lungo,
sempre più stretto, sempre più buio.
E non lo vedevo più, perché tutto sbiadiva.
Anche Alice.
Alice con una mano sulla bocca, che mi
guardava come se fosse terrorizzata.
«Jake.» singhiozzai.
Provai a lasciarmi scivolare sul pavimento.
Ma era troppo tardi, perché il vampiro che mi fissava
dalla parte opposta mi afferrò per la gola.
***
Tremi.
Ferma.
Hai
freddo.
Con gli occhi socchiusi di lacrime.
Li chiuderai per sempre.
«Tu sei… Elizabeth Elle. »La voce mi strisciò sulla
schiena, e non era come con le mani di Jacob, o quando l’acqua calda della
doccia gocciolava dai miei capelli.
Era pesante e grumosa, come la melma del fango.
«Sì… quella dei… come li chiamano? Ah, sì, quella
dei biscotti bruciati. A volte gli umani sono disastrosi, anche quando si
preparano il nutrimento. »
Cercai di aprire di più gli occhi, ma era come
ferirmi da sola. Perché non mi sarei sorpresa se, ad un minimo movimento, le
mani che mi stringevano il mento mi avessero fatto sanguinare.
Mi costrinse a voltarmi, graffiandomi la pelle.
Stai
per morire.
«O dovrei dire… Liz. »
No.
Jake
mi chiama così.
«Piccola… Liz.»
Sbattei le palpebre.
Jake.
Occhi rossi e scuri.
Quelli dipinti dal pennello di Michelangelo, perché
mi toglievano tutto quello che avevo. Succhiavano l'anima.
La pelle bianca…
No.
Non
voglio morire.
Sentii la mano premere intorno al mio collo.
L’aria
se ne va.
«Sei… ancora più bella di come ti ricordava lui.» I
capelli neri e corti gli scivolarono sul viso.
L’aria
diminuisce.
Chiusi gli occhi.
L’aria
non c’è più.
Sentii qualcosa di freddo scorrermi lungo la mano, un
tonfo.
«Paura… la paura… come ti arriva il sangue alla
testa… »
Urlai.
Aveva le unghie sporche di sangue.
Il mio.
E lo leccava.
Aria.
Rantolai qualcosa.
Non
voglio morire.
Beveva.
Non
voglio morire.
Amami
ancora, così posso vivere. Cosa importa dove siamo, cosa siamo, chi vogliamo
essere. Non sarò mai nessuno, ora non sono nessuno, fammi diventare Qualcuno.
Qualunque cosa, fammi vivere.
«Non lo fare, Eris.»
Un ringhio.
«Sì, prima sarebbe da scopare. »
Non era Jacob quello che aveva ringhiato.
Quando mi lasciò il gelo andò via con lui, ma
continuai a tremare.
Mi misi una mano dove sentivo il sangue scendere, palmo
contro palmo.
A battere i denti.
Mi
ha salvato. Tu, Jake, non so chi…
Ma
mi ha salvato.
«Ah, Edward… Eris non l’avrebbe fatto. »
«C’è un patto da rispettare. »
«Hai detto niente uccisioni e niente trasformazioni.
Non ho fatto niente del genere, maritino.»
«Eris… tieni a bada la tua irascibilità. E la mia
parola vale i diamanti delle Americhe del millecinquecento. »
«Non penso a quanto vale.»
«Dipende da te, lo sai. »
«Lo so benissimo. »
«Sei sicuro, Edward? »
Rimasi stesa a terra, la vista appannata.
Sangue,
sangue che scende.
Sentii le lacrime bagnarmi le guance, di nuovo.
Passi, tanti passi. E parole. Sospiri.
«L’ha fatto per vedere Jacob… non è il suo imprinting!
Eris avrebbe potuto dissanguarla…»
«Ma non l’ha fatto.»
«Sì, ma… »
«Bella avrebbe fatto come Liz.»
Sentii una carezza, doveva avermi spostato una
ciocca di capelli… come faceva Jake.
«Edward, che cosa hai...»
«Dopo, Alice. »
Con
gli occhi chiusi, ancora con gli occhi chiusi.
«Liz? » Come mi chiama sempre Jake.
Un singhiozzo.
«Lizzy, stai bene. È un taglio profondo ma niente di
grave, non temere. Basteranno un paio di punti. Tu… tu disegni, vero? Lo so… io
l’ho letto nella sua mente.»
Lo guardai.
Edward Cullen mise il suo braccio sotto la mia
schiena, per prendermi in braccio.
«Grazie.»
Respirai, affannata.
I suoi capelli color del rame erano come le
fiammelle di un vecchio falò sulla spiaggia. Jake, avevi le fiamme negli occhi, quella sera.
«Jacob si è fatto male, gli stavano risistemando le
ossa, era per questo che urlava. Non devi dire grazie.» Mi girava la testa. «Sono
tanto dispiaciuto… »
Jake,
stai bene.
Niente più fuoco.
Jake,
amore mio.
Niente più freddo.
Jake,
sei con me.
Poi il sonno.
***
Il
vento, la tempesta, il sangue. La morte. Stai andando giù, Jacob. Stai
andando giù.
No,
devo tornare.
Non
puoi farlo.
Sì,
invece.
Ancora
sangue, ancora lacrime, dolore.
Non
sforzarti.
Devo.
I
lacci di metallo luccicano nel buio, insanguinati. Portano solo verso una
direzione. Mi aggrappo, le mani sfracellate. Stringo.
Tutto
è sfracellato.
Tu
lo sarei per sempre.
Mi mossi leggermente,
sbattendo gli occhi.
Non c’è più niente.
Mi sfuggì un urlo,
mentre mi rigiravo. Quelle erano coperte, lenzuoli. Luce al neon.
«Jacob.»
Mugugnai qualcosa,
senza capire nemmeno che cosa intendessi dire. Tutto faceva male, tutto
bruciava.
«Maledizione,
Jacob.»
Tossii forte, senza
trattenermi. Non riuscivo ad alzare nemmeno la testa.
Ma dovevo farlo. Mi
sentii smuovere, quando capii. Ero vivo. Vedi,
amore, ce l’ho fatta. Stasera il vento soffierà verso di noi, lo vedremo
insieme. «… L-Liz.» Sono tornato,
piccola. E adesso col cazzo che mi portano via da te. Ti proteggerò io, da
qualunque cosa. Abbiamo finito, ce l’abbiamo fatta. E io ti amo da impazzire,
ce l’ho fatta.
«Jacob?»
I lacci sono di metallo, forti, pesanti.
Insanguinati.
Nel dolore,
riconobbi la voce.
«S… Sam.»
Aprii gli occhi.
Era appoggiato
ad un mobile, i pugni chiusi. Il viso rivolto verso il basso. «Liz… Liz dov’è?»
Mi trafisse con lo sguardo.
Come se non fossi
abbastanza ferito.
«Liz… Liz come…»
«Hai anche il coraggio
di chiederlo.»
Trattenni il
respiro. Perché faceva così? E Aro… Aro…
«Fai schifo.»
sputò. Mi cadde addosso dell’acqua ghiacciata.
«Sam...»
«È tutta colpa
tua.»
«Cosa... cosa...» Provai a mettermi seduto,
trattenendo la voce per il dolore. Che cosa avevo fatto?
«Dovevi essere tu a morire. Proprio come gli altri.»
Non potevo
crederci. Davvero ero finito per fare del male ai miei fratelli? Per Renesmee? Adesso sta bene. Avevo davvero preferito
salvare lei?
«Dovresti solo
vergognarti di te stesso.»
Deglutii.
«Sam…
stanno bene?»
«Sono morti! Sono morti, Jake! Finn, Robert,
Brady... e... Paul, Embry... Collin in coma.» Lo seguì
un singhiozzo.
Uccidimi.
Per favore, uccidimi.
Non può essere vero.
«No... non ci posso credere...»
«Credici, bastardo! Tutto per lei!»
Cercai
di mettermi in piedi e quasi ci riuscii. Fui
costretto ad appoggiarmi alla testiera del letto. Non ci credevo, non
era vero. Paul il cazzone? No... non poteva essere morto... doveva
ancora pagare per quella scomessa... Ed Embry?
Il mio amico non l'avrebbe mai fatto.
«Di cos…»
«Quando è
successo?»
Mi irrigidii.
Non ci credo. Non ci credo.
Dovevo mettermi in
piedi, piano.
Piano.
«Sam.»
«Parla.»
Presi
un respiro
profondo. Come avrei fatto a fuggire da tutto questo, adesso? I
ragazzini... Paul e le sue battute... Embry... il mio migliore amico.
No, non Embry. Embry... Lui con le spade di legno sulla spiaggia...
La mia Liz.
«Come ti
sentiresti, tu? »
«Non è di me che
stiamo parlando.»
« Mettersi nei
panni delle altre persone… aiuta a… capire » Riuscii a voltarmi.
«Quando è successo?»
«Non importa. Non sono morti. Ti prego, dimmi che non sono morti... non ci credo.»
« Importa eccome,
dannazione, Jake. Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
In
viso aveva una
specie di ghigno, come se qualcuno lo soffocasse da dietro, con una
corda
invisibile. Io volevo solo sapere dov'era Liz. Volevo che mi dicesse
che i miei fratelli stavano bene. Dovevamo parlare dei Volturi... Non
avevano toccato lui, sicuramente. Altrimenti non avrebbe perso
tempo a farsi i cazzi miei.
«N-Non sono morti. I Volturi. Che cosa vogliono, dove sono. E Liz... dimmi dov'è.»
«È sbagliato.» Fu
come se mi sputasse addosso.
«Cosa è sbagliato?»
«Quello che hai
fatto… Restare con Liz.»
Quasi risi, ma il
dolore era troppo forte. Cosa poteva sapere, lui? Lui che aveva lasciato Leah
subito dopo aver visto Emily, lui che aveva fatto credere a tutti di averla
dimenticata, e poi non era riuscito a trattenere le seghe mentali in presenza di
Brian.
«La amo.» E lo
dissi senza vergogna. Perché se davvero dovevo vergognarmi di qualcosa, quella
era la prima ad esserne esclusa. «Se sto con Liz, niente è sbagliato.»
«Tu
devi stare con Renesmee, il lupo te lo ordina, non puoi disubbidire. Lo
capisci? E per colpa tua è successo questo!»
Ora potevo vomitare
davvero.
«Fottiti.»
E mi ero buttato
contro di lui.
Al diavolo il dolore, Al diavolo la benda. Al diavolo la
debolezza.
Ma che cazzo vuoi, da me? Come
se non fosse abbastanza diffiicile. Fare l’amore con Liz e pensare di non
scoparla soltanto perché è lei che voglio e mi viene in testa la faccia della
mezzosangue ed io non capisco più niente. Guardare Liz, sentirla con me. Ascoltare la sua risata e voler tornare
indietro nel tempo. Vederla piangere e sentirmi di merda. Perché è lei che
voglio e la voglio per tutta la vita.
Fottuto imprinting del cazzo, non
riuscirà a portarmi via da lei.
«Re… Renesmee. Non.
È. Niente. Per me.» ringhiai. Le parole che venivano fuori da ogni respiro
forzato.
«E’ il tuo imprintig,
Jacob.» Sam mi prese la mano con forza, allontanandosi.
«È la mia vita, e
ne faccio quello che voglio.»
«E tu fai ancora
parte del branco. Il capo sono io. Le decisioni del lupo sono sempre le più...»
«È tutta una balla,
tu non capisci, non capisci un cazzo di niente! Non sai... non sai come ci si
sente! Io sono innamorato, io amo
Liz. Tu non lo sai… tu non sai che cosa c’è fra di noi.
E nemmeno quella cazzata dell’imprinting è riuscita a cancellarlo. È forte,
Sam, è più forte di me. »
«Non discutere.»
«Come potrei dirglielo? dimmelo tu, Sam… Tu... tu che sei
bravo, eh. Come gliel’hai detto, tu?»
Sentii un tonfo
sfracellarmi la faccia, in pieno viso, poi sul sul naso. Sentii il dolore solo
pochi secondi dopo, come se mi fossi appena risvegliato da un sogno.
Lo senti l’odore del sangue? È uguale a
quello sui lacci. Sarà sempre con te.
Sentivo le ossa
fradice sotto il palmo delle mie mani. Toccai il mio naso. Spinsi con le dita, tremante,
per metterlo a posto.
«Non volevo questo.» Sentii mormorare.
«Vuoi che io lasci
Liz per l’imprinting. Questo significa... farmi morire, Sam. Avrei preferito che mi avessero ucciso.»
Poi ci fu un rumore
sordo. La porta si era chiusa.
Alzai il viso,
ancora sporco del mio stesso sangue, le mani rosse.
In ginocchio, sul
pavimento, non volevo far altro che scomparire.
Embry, Paul, i ragazzini...
Liz.
Renesmee.
No.
Renesmee.
No.
Mi alzai,
barcollante.
E la luce mi accecò.
*
*
*
*
Ciao a tutti.
Questo
capitolo finalmente è arrivato. L'ho scritto nei momenti di
buca, e su un diario di scuola con una grafia illeggibile,
perché questa storia mi riempie tanto la testa. Voglio
ringraziare tutte le persone che recensiscono e che continuano a
leggere questa storia. Ringrazio tutte le mie amiche, perché
sono davvero fantastiche. Un grazie speciale a Noemi, che ha letto
questo capitolo prima di tutti ed è favolosa <3 a Virginia,
che legge quando può e mi fa impazzire con le sue storie <3,
a J, che mi ascolta sempre e mi fa credere in un sogno <3, a
Stefania, che mi vuole bene come io ne voglio a lei, e anche a Dony,
che mi manca <3, a Cristina che mi reputa sadica ed è tanto
dolce :) e a Tere, Ellie, che vuole leggere questa storia e ancora non
può XD, Steffy, Cate <3, Maria che è meravigliosa con
le sue recensioni, Fufe che coglie la cosa più importante, e
tante altre persone che sicuramente mi ricorderò.
Grazie di tutto. Qui trovate un missing moment collocato poco tempo prima questo capitolo, su Seth <3
Spero che mi farete sapere cosa ne pensate.
p.s Aggiorno a tradimento, gente! :D :D
Ania <3
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Capitolo 5 *** 61. Iridescente ***
jake 62
61. Iridescente
La luce che mi accecò proveniva dagli occhi di Cullen.
Mi portai una mano sugli occhi, mentre mi abituavo a quel bagliore, ancora
incapace di credere a quello che mi aveva detto Sam. Troppe erano le domande e
troppo il dolore. Se anche una sola parte di quello che avevo sentito era…
«È vero.»
Lo guardai, appoggiandomi alla porta.
«È vero, Jacob.»
Mi misi una mano dove c’era la benda che mi fasciava le
costole, mi prendeva metà del torace.
Lo spinsi via ed uscii dalla stanza.
«Jacob.»
«Non mi toccare, succhiasangue.»
«Devi restare a letto.»
«Col cazzo, a letto ci resti tu.»
Scesi le scale, a passi veloci.
With the cataclysm raining down
Insides crying, "save me now"
Gradino dopo gradino, a strisciare la mano sul muro.
Veloce, più veloce... il respiro che mi diventava sempre più affannato.
“Sono sempre più
veloce di te, Jake.”
“No, Embry, non è
vero.”
Mi aggrappai alla ringhiera, ci fu una fitta proprio lì dove c’era
la benda a proteggermi. Potevo farcela, potevo correre. Si trattava solo di un ultimo sforzo.
“E così mi ha messo
una F, ma le avevo detto tutti i cazzi possibili.”
“Sei proprio un
idiota, Paul.”
Il salotto dei Cullen era deserto, e l’odore di vampiro
sembrava che provenisse solo da Edward, dietro di me.
You were there and possibly alone
Ma quando lo vidi riuscii a riconoscerlo. Era inginocchiato e mi dava le
spalle.
Seth.
Si mise in piedi e rimase lì, fermo, senza voltarsi.
Feci qualche passo, la ferita bruciava ancora, anche sotto il cotone e la medicazione.
«Non sono ancora venuti a prenderli.» La sua voce era un
sussurro.
Abbassai lo sguardo. Cercai di respindere l'immagine che mi venne davanti agli occhi.
«Seth.»
Do you feel cold and lost in desperation ?
You build up hope
Si voltò, si mise a tremare. Le braccia lungo i fianchi, i
pugni chiusi, lo sguardo alto a cercare qualcosa, ma cosa?
«Loro...» cominciai a dire.
«Sono morti.»
Chiuse gli occhi.
«No...»
«Sono morti.» Si passò una mano sugli occhi ed io lo presi
per le spalle.
La mia testa martellava, era
martellata, pulsava insieme al cuore.
But failure's all you've known
Remember all the sadness and frustration
«Em-Embry è stato attaccato da tre vampiri insieme, erano di
più, Jake… Erano di più. E Paul ha provato ad aiutarlo… l’hanno attaccato in due,
ma così Embry si è distratto e…» Forse voleva abbracciarmi ma non gli fu possibile.
Strinsi le palpebre e lo spinsi indietro.
Mi misi a terra.
And let it go
Let it go
Le ginocchia a graffiare il pavimento e non quello a
graffiare me.
«È tutta colpa mia.»
Forse entrambe le cose. C’era troppo dolore a infliggere ferite.
C'era il viso di
Embry, il viso di Paul.
And in a burst of light that
blinded every angel
Le mie carezze.
Svegliati,
svegliati.
Nomi.
Vi sto
chiamando, aprite gli occhi.
Minacce.
Se muori tu
muoio io, amici per sempre, vi ricordate?
As if the sky had blown
the heavens into stars
Affondai la testa fra le gambe, il sangue nella bocca, i
denti a graffiare, a far sanguinare… e le lacrime a fare l’effetto dell’alcol,
a bruciare come il sale sulla carne.
Io potevo respirare, loro no.
Io potevo piangere, loro no.
Io potevo amare, loro no.
Io potevo camminare, loro no.
Io potevo dormire, loro non si sarebbero più svegliati.
Io potevo cadere e ferirmi, loro non avrebbero più sentito
niente.
You felt the gravity of tempered grace
Falling into empty space
«Jake...»
Pace.
Oscurità.
Dove siete, ora?
Luce.
Cielo.
Dove siete, ora?
Dio.
Il destino.
Dove siete, ora?
No one there to catch you in their arms
«Jacob… »
Osservai i visi dei miei amici.
Li sfiorai ancora, erano gelidi.
Tremavo,
tremavo.
Smettila di tremare.
Abbracciavo Embry. Gli sistemavo quel ciuffo sempre fuori posto, quei
capelli più lunghi che non si voleva tagliare perché fa più figo così, Jake.
Do you feel cold and lost in desperation ?
You build up hope
Abbracciavo
Paul. Paul con quel tatuaggio sulla pancia. Lui che doveva sempre farsi
vedere. Che cretino con le scommesse, e le
gare a chi mangiava più lasagna, e i discorsi sul sesso, a chi
ce l'ha più
grande. Le serate a guardare le partite, i compiti di matematica
copiati dall'ex di Quil e i graffi sulla moto, che bastardo.
But failure's all you've known
Remember all the sadness and frustration
«Jacob.»
"Non ho deciso io di avere l’imprinting con tua sorella, eh."
Me lo strinsi al petto, inginocchiato a terra. Un caduto in
guerra, un amico, una vita che non c’era più.
"Chi se frega dell’imprinting, Paul." Avrei dovuto dirglielo. "Puoi anche innamorarti
di lei e basta, scemo."
«Jacob, dobbiamo portarli via.»
«No.»
«Adesso.»
«No.»
Mi avvicinai la mano
alla bocca e morsi sulle nocche, per trattenere le urla.
Non poteva essere un incubo?
Uno spaventoso,
fottutissimo incubo. Di quelli che ti svegli e dici “Cazzo, mi stavo facendo
sotto, menomale che non è vero.”
Tremi, tremi, tremi sempre di più.
Mi stavano chiamando. "Jacob, dobbiamo portarli via." Chi mi
stava chiamando?
Tremi, tremi, tremi sempre di più.
And let it go
Let it go
Il fuoco,
c‘era troppo fuoco… e poi il vento, il vento da
dentro che batteva nella mia carne, sulle pareti del mio corpo. Tenni
gli occhi chiusi, mentre un boato mi prendeva nella mia forma
più
forte. Così l'aria divenne mia, sentii un ramo che veniva
spezzato, all'esterno, dallo stesso vento che invadeva me.
Il lupo mi aveva preso.
Tremi, tremi da dentro.
Con gli occhi chiusi, sempre, a cercarli.
Mi ero trasformato. Avevo gli occhi chiusi ma riuscivo a vedere. C'erano onde, fili trasparenti che fluivano nel buio.
Ed io fluivo con loro.
“Paul?”
Solo nero.
“Paul, svegliati!”
Cercai di affondare nella
sua mente ma quello che vidi era sempre la stessa cosa.
“Paul, Rachel… Rachel, lei... cosa farà lei?”
Do you feel cold and lost in desperation ?
You build up hope
Non c’erano più il
rosso, i ricordi vivi, le risate che vedevo ogni volta che leggevo i suoi
pensieri.
Solo nero.
Freddo.
E dolore nel mio corpo.
Non sapevo spiegare
come potesse accadere. Ero nella mente dei miei fratelli e, non sapevo come, il lupo riusciva a sfaldare i legami con il reale.
Ma c'era nero, ancora nero.
E poi… fuoco. Ferite, bruciature ancora incandescenti.
Le sentivo dentro di me.
But failure's all you've known
Remember all the sadness and frustration
La sua pelle è bianca,
di Forks, riflesso della piovosa penisola Olimpica. Capelli rossi, lunghi, lisci. Bowling, biliardo, cinema,
libri…
“Embry?”
Abbiamo litigato di
nuovo, credo che mi abbia lasciato. Ho combattuto. Ho seguito l’ordine di Sam,
non potevo disubbidire senza morire.
Non la rivedrò, sono morto… sono morto…
“Embry, ti sento ancora, non sei morto.”
Sono morto. Non la
rivedrò mai più… mai più…
“La rivedrai, non sei morto, ci sei ancora.”
Non mi sento più il
cuore. Il mio cuore non batte.
“Non la lascerai. Ritornerai. Puoi farcela, non lasciare che
vinca.”
And let it go
Let it go
Era il
lupo a tenerlo ancora attaccato alla vita, anche se solo nella sua mente?
O quella cosa che si chiama anima? O quella ragazza, o entrambe?
Ancora altre immagini. Lei che sorrideva, mi sorrideva,
sorrideva a me che ero Embry ed Embry che era me. Io ero lui e lo ascoltavo. Mi
chiamavo Embry Call e quella ragazza mi baciava, mi prendeva la mano, profumava
di fiori, lavanda, qualcosa di aspro… limone. Lavanda e limone.
Let it go
Il cuore non batte.
Il cuore batterà.
Il cuore è fermo.
Il cuore pulserà.
― Ti amo, te l’ho già
detto?
―È bello sentirlo.
Let it go
Era lui.
Com’era possibile che il suo cuore non battesse
più?
"Devi aggrapparti, Embry. Non cadere giù."
Ashley.
“Fai battere il tuo cuore… forza.”
Ashley.
Fallo battere.
Silenzio.
Fallo battere.
Ashley.
Let it go
Batte.
Lo sto ascoltando.
Debole, debolissimo.
Un sussurro nel buio, una luce piccolissima, invisibile nel nero… no, ora si
vede. Embry ha gli occhi chiusi, dal suo petto si vede il rosso.
È fuoco, brilla.
Do you feel cold and lost in desperation ?
You build up hope
Tuh, tuh, tuh.
Rimbombo ovattato, pulsazioni che fanno rumore.
«Jacob!»
Aprii gli occhi, mentre un altro bruciore mi prendeva il
corpo.
«Jake, sei un pazzo! Non dovevi trasformarti, la ferita…»
«Embry
è vivo.» sussurrai. Mi facevano male gli occhi, qualcosa
mi scese sulle guance, forse lacrime. Per Paul
non c’era stato niente da fare, il mio amico… il fidanzato
di mia sorella. Lui aveva affrontato
due vampiri insieme ed
erano troppo forti…
Ma con
Embry era stato semplicissimo parlargli... Eravamo fratelli? Più
fratelli di come potevo esserlo con gli altri? Era questo che mi aveva
permesso di aiutarlo?
And let it go
«Il suo cuore batte.» Richiusi di nuovo gli occhi, il dolore
era troppo forte, insostenibile.
«Jacob…»
«Il suo cuore batte.»
Let it go
Cominciai a crederci.
La mia benda era insanguinata sul pavimento, sporca di me.
Io che ero marcio, adesso anche fuori.
Poi non vidi più niente.
***
Il
mare canta la mattina presto, con le onde che bagnano la sabbia. Nuoti,
ti tuffi, l'acqua dà conforto alla tua pelle bollente.
―Jake?
Ti chiama, la voce che è cristallo nell’acqua. Ti avvolge, sorridi,
ogni cosa brilla.
―Vieni,
Liz.
―L’acqua
è freddissima.
―Chi
se ne frega, vieni. Ti tengo con me.
Ti
sorride, sbuffa, dice qualcos’altro. Appoggia il suo album da disegni sull’asciugamano,
il tuo viso è per metà nell’acqua, come se la stessi osservando di nascosto
mentre si spoglia. Il costume verde sulla sua pelle rosea, un po’ più scura per
il sole.
―Togliti tutto.
―Ti piacerebbe.―
Si fa sfuggire una risata, ma arrossisce lo stesso. Socchiude gli
occhi, sono nocciola alla luce chiara, coperta dalle nuvole. E ti
raggiunge.
Le
prendi la mano.
La
abbracci.
―
Hai ancora freddo?
Manda
indietro la testa, i capelli bagnati a caderle sul petto. Potrebbe anche non
sembrare umana... Ma il suo cuore che batte all’impazzata è
un rumore che si confonde con quello delle onde, e ti appartiene.
―Sto
davvero benissimo.
Ridi.
Ci
siete solo voi due ma presto vi raggiungeranno anche gli altri. Il mare è
calmo, trasparente… immagine di un futuro ancora lontano. Le sue labbra sono
salate, ricordo di lacrime, ora solo sorrisi, scherzi. La tua bocca è sul suo
collo, odore di spiaggia, giorni luminosi, cielo terso.
Senza
dolore.
―Ti
amo.
Senti
Paul che fa un fischio dalla spiaggia. Con lui ci sono Embry, tua sorella, una
ragazza con i capelli rossi, Jared, i ragazzini che si ricoprono di
sabbia.
E sei innamorato.
Lei
ti guarda, ti bacia ancora, la ami, chiudi gli occhi, le vostre mani si
stringono, tremate, non fa freddo. La accarezzi, si adagia sull'acqua,
chiude gli occhi. La sua pelle è morbida contro la tua, si
riscalda insieme a te.
Il fuoco non brucia anche se arde nell'acqua.
Senza
dolore.
Ma questo era solo un sogno.
Io ed
Edward ci eravamo scambiati solo qualche parola, dopo che avevo
riaperto gli occhi, anche se avrei anche potuto restare zitto per ore.
La testa mi scoppiava.
“Embry si
risveglierà, non sappiamo quando. Come... Come hai fatto?”
“Nella sua mente
c’erano
ancora dei pensieri, il lupo non lo aveva lasciato. L'ho solo chiamato.”
Edward aveva
sussurrato qualcosa, ero riuscito solo a intuire le parole "stesso
sangue".
Paul invece non ce l'aveva fatta, la sua mente era buia. Avevo perso lo stesso.
E Liz...
«Liz è al sicuro.»
La voce del succhiasangue mi bucò i pensieri. Quello che poteva fare somigliava all'effetto degli spari. Tanti proiettili
nella mia testa, a far vedere tutto al mondo esterno.
«Smettila di leggermi in testa.»
«Non ringraziarmi.»
Sentii
una strana sensazione, nelle mani e poi in tutto il corpo, dal petto, fino alla
testa, cuore e cervello.
Liz è al sicuro.
«I…
I Volturi…» tossii, gli occhi socchiusi che mi facevano
vedere a metà invece di affinare la mia vista. Ero seduto sul
letto della stanza in cui avevo dormito.
«La volevano. Aro quando ti ha toccato ha letto tutti i
pensieri della tua vita, allora ha visto anche quello che è successo la scorsa
estate. La volevano Jacob, morta o trasformata.»
Deglutii.
«Dovevamo pagare.» disse ancora.
«Smettila di buttare parole a cavolo. Cos’è che bisogna pagare?» Un
brivido mi attraverò il corpo, come se mi fosse stato buttato del ghiaccio
sulla schiena, ghiaccio appuntito a pungere come spilli.
«Sono stato io a pagare.»
Lo guardai, senza controllare che tipo di occhiata gli stessi lanciando.
Vestito bene, senza ombra di dubbio. Bella roba, Cullen, sempre impeccabile. Ma puzzi lo stesso.
Ma che diavolo diceva?
«Cosa…»
«Sette guardie morte, sette decenni.» Fissò lo sguardo su
un punto indefinito nella stanza Non
leggevo nel pensiero, cazzo. E dei miei amici erano morti e grazie al cielo Liz
era salva.
Ma cosa era successo veramente?
«Sette guardie morte, sette decenni. Settant’anni al
servizio di Aro, non necessariamente alla sua dimora. Ovunque, quando lo vorrà,
io dovrò raggiungerlo e mettere a sua disposizione il mio potere. Con lui è
annullata la mia dieta vegetariana, può usarmi anche per uccidere esseri umani.
Gli ho dato questo, Jacob, perché è tutto quello che ho e tutto quello che è
davvero mio. Hai salvato mia figlia ed era giusto che mi sdebitassi.»
Rimasi
immobile. Fermo come se fossi stato pietrificato, mentre tutti i pezzi
che avevo raccolto si montavano insieme e formavano la verità.
I tasselli si unirono.
«Sei stato tu.»
Una verità che più mi entrava dentro, più mi uccideva.
«Grazie per averla salvata, Jacob. Hai tutta la mia
gratitudine.»
La rabbia aveva il sapore del sangue.
Sale, ferro, acqua
gelida.
Freddo.
«Sei solo un bastardo. Come sempre, come ogni volta... come quando
Bella era viva.» Cercai di trattenere il tremore del mio corpo, quello che presto mi avrebbe
portato ad azzannarlo.
Come quando Bella era viva.
«Hai lasciato… che Aro usasse Renesmee.» Sentivo il ringhio
del lupo riecheggiare nelle mie orecchie.
«Sapevo che l’avresti salvata. Ho letto nei tuoi pensieri
dell’imprinting da quando cercavi di nasconderlo, da quando sei venuto qui
insieme a Lizzy. »
«Hai usato Liz.» Mi
avvicinai, veloce. «Hai usato Liz e me.
»
«I Volturi non torneranno più, volevano qualcosa da noi e
l’hanno avuta. »
«Non mi importa.»
Cos'altro vuoi da me, succhiasangue? Lei è tutto quello che ho.
«Lizzy è stata solo una pedina dei loro giochi, proprio come
te.»
«Hai rovinato tutto…» Il calore aumentava, era come
se una specie di vento bollente mi soffiasse in pieno viso, costringendomi a
chiudere gli occhi. A fuggire, a far liberare la bestia, a farla urlare, a darle il permesso di uccidere.
«Ho dato me stesso per tutti voi.»
«No! Hai rovinato tutto!»
La bestia vuole uccidere.
«Non è vero. Jacob, ho salvato la ragazza che ami, hai
salvato Renesmee. Mi dispiace, sono davvero desolato per quello che è successo,
ma sapevi che prima o poi tutto questo sarebbe finito. Hai avuto l’imprinting
con un’altra, questo non puoi cambiarlo.
Io… non credevo che ci sarebbe mai stata una sorta di opposizione al
legame dell’imprinting, ma alla fine è stato quello a guidarti. Le cose più
importanti nella mia vita sono Bella e mia figlia e stanno bene, non rimarranno
sole, se stanno con te. Non importa quanto ho dovuto pagare per questo.»
Fare male, ferire, tagliare, trafiggere, uccidere...
«Io
non rimarrò. Perché pensi che nascondessi tutto? Per
niente? Voglio che la mia vita sia con Liz, non qui con… con tua
figlia e tua
moglie!»ringhiai. Io, e non il lupo. Perché il lupo
combatteva per altro.
E pregai tutti, i miei amici, mia madre, i miei antenati, per
tenermi ancorato ancora lì, alla terra, per rimanere in forma di uomo, la
forma che era quella per cui ero stato amato, almeno una volta.
«Non rimarrò con Renesmee, non rimarrò con Bella. Questa non
è la vita che voglio. Quello che voglio è al sicuro, adesso, e non lascerò che
qualcun altro lo metta in pericolo.»
Restò
in silenzio per dei secondi che sembrarono non passare mai.
Quanto era
importante il tempo, adesso? Sembrava che non esistesse nemmeno
più.
«Ma che… che dici? È uno sbaglio, Jacob.»
«Sono stanco.» fiatai.
Sì, ero stremato. Ma non
abbastanza.
Ero
ferito, ma nemmeno così ridotto male da non continuare a
combattere. Perché c’era la guerra ma io avevo partecipato
solo ad una
battaglia. Il cerchio si stava stringendo e i miei amici non ne
facevano più parte. E in quel cerchio c’ero io,
c’era Liz, e dovevo fare di tutto per
proteggerla, proteggerci, tenerci in vita nel vero senso della parola.
Nonostante la morte
dei miei fratelli, il sangue, il dolore, la colpa.
«Lo so.» fece un respiro profondo, anche se non gli serviva.
«Carlisle sta arrivando, deve medicarti.»
Ma non era
ancora finita.
Ero in trappola, e i lacci intorno alla mia gola
pungevano e mi toglievano il fiato. Perché erano sempre attaccati
lì. A quel pensiero, a quella bambina, a Renesmee.
Come si fa
a fuggire dalla forza di gravità? Ero sospeso nel vuoto,
attaccato ad una speranza che aveva un solo nome. Tutti hanno una
ragione per vivere ed io la vedevo ovunque. Prendeva la direzione opposta, chiara come le acque del mare che avevo sognato.
Adesso, Liz era la mia.
*
*
*
*
Ciao a tutti <3
Questo capitolo è dedicato a Noemi perché so quanto ama un certo personaggio <3 <3
E' da molto che non aggiorno e mi dispiace, ma spero che questo capitolo vi sia piaciuto :)
Vorrei
dire una cosa. Forse alcuni di voi staranno storcendo il naso per
quello che è successo nella prima parte del capitolo ed io lo
accetto. Ma l'universo di Twilight è un universo del
sovrannaturale, ed io ho pensato che, se esiste l'imprinting - una
magia capace di legare due persone con un sguardo- ho pensato che
potesse essere possibile anche questo. Io non studio medicina e non
sono molto preparata nella materia di scienze, a parte chimica che ho
studiato molto bene quest'anno. Nonostante questo, da delle ricerche so
che, quando si muore e quindi il cuore cessa di battere, il cervello
resta attivo per 3-4 minuti. Dopo questi 4 minuti, intercorre la morte
biologica poiché i danni sono troppo gravi. Ma qui sono
intervenuta. La mente di Embry funzionava ancora con ricordi e parole,
e quando Jacob si è trasformato è entrato nella sua testa
e, grazie al legame del lupo, ha salvato quello che era ancora
salvabile. Purtroppo, la mente di Paul era già buia e Jacob non
ha potuto fare nulla. Liberissimi di storcere ancora il naso, io mi
giustifico con il fatto che, se i vampiri brillano e procreano, quando
la mente è ancora attiva, se stimolata da questo elemento
sovrannaturale - ovvero l'interazione del pensiero -, il sangue
ricomicia a scorrere e il cuore a battere.
Vi ringrazio per aver letto :)
La canzone della prima parte del capitolo è "Iridescent" dei Linkin Park :)
Se volete potete passare da questa storia che diventerà una long, è su Embry e Ashley, la ragazza che lo teneva ancora in vita <3
Grazie
mille ancora. Vi ringrazio uno per uno, siete tanto importanti per me e
spero che sentiate quanto la vostra presenza mi renda felice <3 <3 <3
A presto
Ania <3
|
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Capitolo 6 *** 62. Colpo ***
jake 62
62. Colpo
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright
Is that alright with you?
9 crimes - Damien Rice
Allungai
una
mano fuori dal letto, a tastare il vuoto. Doveva essere notte, ormai. E
quando
aprii gli occhi, l’unico ricordo che avevo erano due mani calde
che mi sfioravano leggermente. Mi portai le gambe al petto, come se in
quel modo avessi potuto placare
il tremolio improvviso che mi aveva preso.
“E chi se l’aspettava, eh, Jake?” Il suo
amico gli dà una gomitata.
“Chiudi
il becco.” Jacob si scosta, mette il suo braccio intorno
alle mie spalle, gli alberi del bosco dietro di noi.
“Lizzy, dimmi, ma ti ha pagata?” Jacob lo guarda male, non riesco a trattenere una risata.
Embry Call.
Diciannove anni.
Abbassai lo
sguardo. Non c’era più la mia maglietta sporca di sangue, ma una specie di vestito,
sì, era mio. Di jeans, con i bottoni a toppe, facile da mettere. Mi ricordava
giorni caldi con i colori a tempera e... i baci di Jacob.
Doveva avermi aiutato Leah a metterlo. L’unica persona che poteva essere andata a casa di Jacob per prendere le mie
cose.
“Ma che ci trovi di bello, in lui?” La fetta di torta quasi si sbriciola sotto le sue mani, quando la prende.
“Vi conoscete da tanto, vero?”
“Certo... è mio amico, ma è deficiente.”
“Ne terrò conto.”
Diciannove anni.
Paul.
«Sei sveglia.» Alzai lo sguardo verso la porta, Leah ci
era appoggiata. La sua casa era tanto simile a quella di Jake, e forse per
questo, subito dopo aver ripreso i sensi, mi ero sentita davvero parte di tutto questo. Il
dispiacere per me era molto più simile all’incredulità, alla consapevolezza di
trovarmi in un incubo da cui mi sarei svegliata e che non era il peggiore,
perché Jacob era vivo.
La scorsa notte Leah aveva singhiozzato
per alcuni minuti, per lei troppi. Vedeva la realtà per quella
che era, come sempre, e quello che si riusciva a scorgere era così buio e allo
stesso vivido da non dare esitazioni. Ci eravamo addormentate come
due amiche dopo un pigiama party e un film.
Ma da noi non
c’era stato nessun film. La verità feriva più dei denti di un vampiro, e ci era
caduta addosso. Erano morti i suoi amici d’infanzia, quelli con cui era stata
costretta a condividere delle cose che avrebbe voluto tenere per sé, Jake me lo aveva detto.
Non c’è mai fine
al male. Soprattutto in questo mondo di vampiri che quasi nessuno conosce.
L’avevo
studiato
nei libri di Storia: nei complotti allo stato, nelle insurrezioni, nei
fanatismi. E poi avevo conosciuto anche la parte più oscura. Il
male... È una penna che può essere guidata solo da una
mano. E quella mano scrive sulla tua pelle, fin quando non ti accorgi
che
l’inchiostro rosso è sangue tuo. Segni che non scompaiono
mai.
«Leah.» La mia
voce era bassa.
«È già
pomeriggio, mi sono svegliata un’ora fa.» Leah si passò una ciocca dietro le
orecchie. Non me n’ero accorta, ma i suoi capelli erano molto più corti. Doveva
averli appena tagliati. «Se vuoi
mangiare…»
Scossi la testa
ancor prima che finisse di parlare.
Avevo già perso qualcosa di caro in passato, e la mia reazione era stata sempre quella.
Pensieri, silenzio, e niente appetito.
Raggiunsi il
soggiorno.
«Stai meglio,
Lizzy?» Brian abbracciava Leah, da dietro, appoggiato al muro, come se non
esistesse nient’altro nel suo mondo. Chissà come aveva fatto ad accorgersi di
me.
«Tutto ok, non
pensare a me.» Guardai la
ferita sulla mia mano, il taglio di quindici centimetri e i punti. Ci passai
sopra una carezza.
Kim mi
abbracciò, i capelli dal profumo di gelsomino. Mi ricordava una serenità
vicinissima a quella della mia casa a Seattle.
Kim. Poche
parole, risata rumorosa, a volte interrotta da qualche suono di gola. Le
bastava Jared e andava tutto bene. Ma se riusciva ad aiutare qualcun altro per
lei era anche meglio.
«Ora resta quella Ashley, la
ragazza di Embry.» sospirò Seth, seduto. Noela gli era
accanto e si alzò
all’improvviso, i capelli lunghi che le scendevano sulle spalle.
Si voltò verso il lavello, a riempire un bicchiere d'acqua.
«Hai il suo
numero?» chiese Jared.
«Non ce l’ha
nessuno, Jed.» intervenne Leah.
Sciolse l’abbraccio da Brian e si
mise a sfogliare la rubrica sul tavolo. «Come facciamo?»
«So dove abita.»
disse Jared.
Leah annuì. Mi
misi fissare la tazza di caffè posata sul tavolo, ancora
intatta. Sicuramente era sua. Accanto c’erano dei biscotti, anche quelli neanche minimamente toccati.
«Qualcuno deve
andare a dirglielo di persona.» sussurrò. Tutti rimanemmo in silenzio, ma io
trattenni il fiato. Perché in un dicembre dell’anno prima, dopo un bacio sotto
la neve, Jacob avrebbe anche potuto non tornare mai più. E se gli fosse
successo qualcosa, mi sarebbe stato detto proprio quello che avevano intenzione
di dire a quella ragazza. Perché lei non sapeva niente e non aveva
nessun diritto di sapere.
«Ti accompagno
io.» Jared si alzò, senza mai lasciare la mano di Kim.
«Vengo con voi.» Brian si aggregò. Leah faceva dei respiri profondi, come se stesse per
soffocare.
«Leah… ehi, stai
calma.»le disse lui.
«Calma un
cazzo.» Prese il libricino con i numeri
di telefono e lo infilò in un cassetto vicino alla cucina. «Come glielo dico?»
«Leah… puoi dire
che… è stato…» cominciò Jared.
«Un incidente…»
sussurrò Brian.
Tutto
quanto era un incidente. Lo ero io, che mi ero innamorata di Jacob. Lo era lui con i suoi fratelli, perché la natura li
aveva resi forti e
poi li aveva traditi.
Lo era Leah.
Lo era la mia presenza.
«Sì, un
incidente.» ripeté Jared, con la voce spezzata. «Con Paul… Brady… » Si morse
le labbra.
«No, Jared.
Smettila di fare così. Se non ci riesci tu io come faccio?»
«È difficile,
Leah.»
«Dio santo,
perché… »
«Devo parlarle io.» Mi voltai.
Sam aveva aperto
la porta, forse era socchiusa o forse aveva usato la chiave. Forse Sam riusciva
sempre a entrare dove voleva.
«Sam.» Leah si
asciugò le lacrime con le mani.
«Lei
non deve sapere niente.» continuò Sam. Si sentivano solo i
rumori dei nostri respiri. Non seppi come, ma tossii leggermente e dissi
quello che mi era appena venuto in mente.
«Forse… è meglio
che non ci vadano in molti. Credo.»Scrollai le spalle, mentre Seth annuiva.
«Tu credi in un
sacco di cose, Lizzy.» La voce di Sam era roca.
Che cosa
intendeva?
«Sì, vado con
Brian.» disse Leah.
«C’è qualcosa in
cui non dovrei credere, Sam? » lo richiamai. Non sopportavo le frasi a metà, ed io volevo sapere di più.
«Te lo dirà
Jacob.» Sam si rivolse a me con uno sguardo che mi trapassò. Era una
sensazione che somigliava all’ago ficcato nella pelle, come quando mi avevano cucito la ferita la sera prima.
Presi un respiro
profondo, mentre una sensazione che non riuscivo mai a riconoscere a pelle mi
invadeva il corpo e la testa.
«Sam,
dovresti
andartene.»Brian fece qualche passo verso di lui, Sam si
voltò, borbottò qualche parola e si chiuse la porta alle spalle, non lasciando
nient’altro
che un silenzio amaro.
In che cosa non devo credere?
Riguarda la battaglia?
Riguarda me?
Riguarda Jacob?
Riguarda noi due?
«Non ha mai
smesso di pensare a te.» La voce di Brain strusciò per i muri e rimbalzò fino
alle mie orecchie. Ma non stava parlando con me.
Stava parlando
con Leah.
Riguarda i Volturi?
Il patto a cui accennava Edward?
Riguarda Bella?
«Non mi interessa.»
Leah gli diede un bacio e lo abbracciò.
Poi entrambi si diressero verso la porta insieme a Jared.
Poi il telefono
squillò, ma Leah non sembrava per niente intenta a rispondere. Brian mi fece un
cenno, capii che dovevo rispondere io.
Lo afferrai.
«Pronto?»
«Lizzy… sei tu?
»
Fu come se una carezza mi portasse ad aprire gli occhi.
«Sì… dottor
Cullen. Sono io.» Leah rimase in bilico sulla porta.
«Stai bene?» chiese.
«Sì, meglio... Grazie.» Feci
un respiro profondo. «Ci sono novità?»
«Ho delle buone
notizie… Embry si è ripreso, non era morto, cercherò di darvi più dettagli. E
Jacob si sta riprendendo.»
Voltai la testa... avevo sentito bene. Leah aveva sentito. E non ne fui
davvero sicura, perché la mia vista si era appannata, forse stavo piangendo, forse stava piangendo
anche lei. La vidi fare qualche passo verso di me, mi prese il telefono, disse
qualcosa. Embry ce l’aveva fatta. Sì… e Jacob si stava riprendendo.
Leah chiuse la telefonata, la abbracciai.
Lei rispose al mio abbraccio.
Si può ancora credere in qualcosa.
E Jacob avrebbe
potuto dirmi tutto, l’importante era che stesse bene.
Era l’unica cosa
che chiedevo.
***
Esme aprì la porta.
Era sera, e Kim mi aveva
convinta a rimanere con lei a casa di Leah, tutto il pomeriggio. Non che le
cose potessero andare diversamente e cambiare in un posto diverso...
Adesso ero di nuovo a casa Cullen.
«Non
so se è sveglio.» mi disse Esme, ma solo dopo avermi preso
le mani per vedere la mia ferita.
Sospirai. Poi continuai a salire le scale.
«Non importa, io… voglio solo vedere se sta bene.»
«Carlisle dice che…»
«Voglio
vederlo con i miei occhi.» Mi guardò con i suoi, chiari e
striati di miele. Quasi sorrise e mi aspettai che emanasse luce. Ma
quella restò interna e mi sfiorò appena.
Mi feci avanti, vicino alla porta. Poggiai una mano sulla maniglia. Esme fece qualche passo
indietro. Disse ancora qualcosa ma non riuscii a sentirla.
Sentire, morire, credere, respirare,
guardare, camminare. La porta era aperta ed io vedevo, e credevo a quello che
mi mostravano i miei occhi.
Lui era lì, appoggiato al muro, il profilo sfumato dalla
luce al neon del lume vicino al letto. Il colore del bronzo, del nero e del
rosso a creare la vita su quell’anonimo sfondo bianco.
Il suo sguardo mi fece tremare le ginocchia mentre correvo e
lui veniva verso di me.
«Piccola.»
Mi aggrappai a lui, e strinsi più forte che potevo.
Ce l’aveva fatta, e non importava che cosa gli passasse per
la testa adesso. Era vivo, andava tutto bene.
«Jake.» Gli venne fuori un verso nel mezzo dei suoi sussurri
rochi, fra i miei capelli. Tremava. Sciolsi la presa, per poco, la mia bocca
posata sulla sua spalla bollente, gli occhi socchiusi, la sua pelle e le sue
carezze.
Jake, lui.
Feci scorrere le mie mani dalle sue braccia fino al
petto e la toccai, la benda che gli copriva la ferita.
«Liz.» Fece
una smorfia.
Mi convinsi a non agitarmi. Quando si era fatto male, chi era
stato a farlo male, quanto si era fatto male…
Perché tremava?
Mi prese la mano, poi me la lasciò. Era impossibile fare finta di niente, non riusciva a tenersi in piedi.
Gli
appoggiai le mani sulle spalle e lo aiutai a sedersi sul letto; i suoi
occhi erano diventati ancora più neri.
«Io… dio santo, Jake… » Lo abbracciai di nuovo.
Un gemito.
Un altro.
Mi allontanai.
«No.
No, Liz, abbracciami.» Mi costrinsi a tenere gli
occhi aperti, mentre lui mi prendeva per il braccio e ricominciava a
stringermi. Respirai il suo profumo. E l’immagine del suo viso
con i
denti serrati mi si disegnò in testa, matita sfumata con
acquerelli. Mi spostai di qualche centimetro e
lo
guardai negli occhi. Neri, pozze scure, animale selvatico... lupo.
Il mio viso era vicinissimo al suo, quando socchiusi gli occhi. E poi le sue labbra furono sulle mie.
La tua bocca, Jake. Il
tuo respiro. E' mio, è tuo. Baciami. Non
smettere di cercarmi, trovami, sono qui. Sono qui anch’io.
Gli posai
un altro bacio sulle labbra, uno di quelli che non servivano a niente e che ne
facevano solo desiderare altri.
Non lasciarmi andare, Jake.
Continuò a guardarmi, a tenermi le mani.
«Niente
mi porterà via da te.» Se le portò sulla bocca e
quasi ebbi l’impulso di chiudere gli occhi per il
tremore. Quanto eravamo cambiati? Eravamo sempre stati diversi
dagli altri.
Lo vedevo nei nostri riflessi, nelle vetrine dei negozi di Seattle. In
una
semplice foto scattata senza che ci avvisassero.
«Niente mi porterà via da te.» disse ancora, come se
volesse convincermi. Convincere me?
Doveva stare bene, ma a me sembrava tutto tranne che fosse così.
«Jake… che cos’hai?» Sentii freddo, anche se lui mi toccava
ancora.«Non stai
bene…»
«Sto bene con te.» Betté leggermente le palpebre e lo riconobbi.«Credimi.» La sua voce vibrava.
Mi risuonò nelle orecchie come se provenisse
dal profondo di me stessa.
Tu credi in troppe
cose, Lizzy.
Jacob si voltò, di poco, e si mise una mano
sulla fasciatura. Gli posai una mano sulla spalla.
Mi respinse, e sentii gelo.
«Liz.» Appoggiò la testa sul cuscino, piano.
«Sono qui. Sono qui.»
E lo
rividi. Lo sguardo che aveva avuto quando gli avevo detto che avevo
paura per la battaglia, io con un album da disegni in mano e lui
lì, per me,
sempre.
«Jacob. Tu non stai bene.»
«Sto bene, mi devi credere.»
Tu credi in troppe
cose, Lizzy.
«Jake,
per favore…» Sam doveva avermi accennato a quello, a
casa di Leah. Come avrei fatto ad aiutarlo, se non sapevo
nemmeno di cosa si trattasse? Avrei dovuto chiamare Carlisle. «Cosa ti fa stare così? Non è la
ferita…?»
«Non chiederlo.» Il sangue mi si gelò nelle vene.
« Jacob.» Sospirai. «Voglio solo che tu stia bene... se posso...»
«Non puoi.»
«Chiamo Carlisle.»
«Carlisle non può fare niente... resta qui.»
Gli accarezzai la fronte, e Jacob fece una smorfia. Nonostante tutto era sempre la colonna portante della
mia vita. Da bambina lo era la mia famiglia, dopo l'incidente c’era stata
Ronnie, poi Lucy e Dina. E dopo era arrivato Jacob.
«Jacob…
Voglio aiutarti.» Carlisle era un medico, l'unica persona a cui
potessi rivolgermi. Aspettai qualche secondo. Lui respirava affannato,
le sue mani nelle mie.
Gli venne fuori un gemito. «Vorrei, ma...»
Misi
meno forza nella presa, lasciando scivolare le mie mani sulle sue spalle.
«Non è dipeso da me.» continuò.
Jacob, di cosa hai
paura? Perché tremi? Abbracciami, stringimi. Non lasciarmi mai.
«Jake. Perché stai così?» La mia voce si spezzò.
«Non l’ho deciso io.»
Mi staccai da lui completamente, le braccia stese lungo i fianchi.
«Carlisle?» alzai la voce, sperando che venisse presto.
Per cosa soffri, Jake? Dammi il tuo dolore,
ti aiuterò. Dove pensi che io sia stata, mentre eri a combattere? Non sei mai
andato in guerra da solo.
Nessun suono. Dov’era Carlisle, adesso? Esme
non mi aveva sentito?
«Carlisle?»
«... Smettila di chiamarlo, non servono farmaci... non può fare niente. Mi odierai.»
Mi odierai.
L’odio
era qualcosa di troppo lontano da quello che ero e avevo
imparato. Non avevo odiato il vampiro che mi aveva ferita, mi aveva
solo terrorizzato. Non avevo odiato Bella, solo non volevo perdere
Jacob.
«Stringimi.» gli dissi.
Presi le sue mani e
me le posai sulla schiena, pesanti.
Tremava, tremavo forte. Non sapevo se ero
io a farlo oppure lui, ormai non c’era più differenza.
«Dimmi cos'è.»
A trattenermi solo le sue labbra, la
mia bocca sul suo petto.
Mi allontanai di poco.
«Ti amo.» disse. Aprii la bocca, ma
le sue mani finirono a sfiorare le mie labbra mentre io lo guardavo, senza capire.
«Non farlo, ti prego.» continuò.
Gli misi
le braccia intorno al collo.
Tu credi in troppe
cose, Lizzy.
«Voglio
solo sapere perché stai così male. Perché... Perché mi dici
che un dottore non può aiutarti?»
Con quell’espressione di pena che non avevo mai visto sul suo viso, disse solo: «Ho sbagliato.»
«Ma Jacob…»
«Perdonami.»
«Perché?» E poi che cosa gli stavo
chiedendo? Cosa non mi aveva detto? Per che cosa dovevo perdonarlo?
«Non voglio ferirti.» La sua voce era roca.
Deglutii, mentre inspiegabilmente le palpebre mi diventavano
pesanti.
«Devi dirmi che ti prende… Altrimenti tutto è
stato inutile. È stato inutile a Seattle, la scorsa estate, è stata inutile
questa battaglia… Non voglio segreti e...»
«Non vuoi segreti.»
«No.»
«Non vuoi che ti dica bugie.»
«Io voglio sempre la verità.»
Quando distolse lo sguardo sembrò che la stanza si
stringesse e diventasse sempre più piccola. I muri si incurvavano verso la
mia direzione, il soffitto diventava una spirale...
«Mi dispiace.» disse.
La stanza diventava sempre più stretta. La stanza diventava
sempre più piccola. Che cos’era? Perché mi sentivo così?
Cosa stava succedendo?
Il tuo corpo si
prepara al colpo.
Quale colpo?
Jacob non mi avrebbe mai fatto del
male. Mi amava, lo sapevo. Sarebbe rimasto con me, lo sapevo.
Non sai niente.
E lottai con tutte le mie forze per attutire
il dolore improvviso con qualcosa, per reprimere la sensazione di
soffocamento.
Jacob alzò lo sguardo verso di me.
Il bruciore ora era fiamme nella mia
pancia e aumentava sempre di più, fino a salirmi in gola.
Jake, spegni il fuoco.
Gli presi le mani.
Jake è il fuoco.
«Jake.»
Ti brucerà.
Strinsi le sue mani, per trovare rifugio dalla paura che non
riuscivo ancora a spiegare. Mi avrebbe aiutato a non sprofondare.
Devi essere sempre in
piedi, prima di cadere.
Le nostre mani erano strette ed io tremavo, tremavo insieme
a lui.
«Ho… Ho avuto l’imprinting.»
*
*
*
*
Non potete immaginare quanto sia difficile per me. Quanto lo sia stato
scrivere questo capitolo senza cancellarlo tutto. Rileggerlo,
sistemarlo e pubblicarlo per voi. Ma
purtroppo... le cose vanno così. Liz ora sa, e nel prossimo
vedremo che cosa succederà. Questo capitolo è dedicato a
Virginia. Perché aspettava questo momento, e spero che questo
sia stato un Momento con la M maiuscola, come tutti gli avvenimenti che
si attendono in una storia, che siano tristi o felici per i
protagonisti. Tesoro, questo è per te, perché li ami,
perché ti emozioni con loro <3
Ma se sono arrivata fino a qui, devo ringraziare molte persone. I primi
siete voi che mi leggete e mi sostenete. Mi lasciate recensioni,
parlate con me, vivete questa storia con me. Ringrazio le bellissime
amiche che ho conosciuto su efp,(J, Vi, Noemi, Tere, Cate... ) con cui ho imparato e riso tanto e a
cui voglio tanto bene. Ringrazio le amiche che sanno di questa mia
passione fuori da efp. Mi ascoltano mentre parlo con la voce bassa e ci
sentiamo degli agenti segreti xD. Ma la storia non è finita, qui
comincia una nuova parte. Sono molto avanti con la scrittura, per
questo spero di pubblicare almeno ogni due settimane e se tutto va
bene, anche una volta alla settimana :))
Voi che cosa ne pensate di questo capitolo? Come credete che reagirà Liz? Avete
opinioni? <3 Spero tanto che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Grazie di tutto.
Un bacio
Ania <3
|
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Capitolo 7 *** 63. Spine ***
63. Spine
I'd give my all to have
Just one more night with you
I'd risk my life to feel
Your body next to mine
Cause I can't let go on
Living in the memory of our song
I'd give my all for your love tonight
My All - Mariah Carey
«Ho… Ho avuto l’imprinting. »
Non riesco a capire cosa significa.
Non vuoi riuscirci.
Questa non è la voce di Jacob.
È stato lui a dirlo.
Provai ad allontanarmi da lui, barcollando. Anche se si era alzato dal letto, più debole di me, e ora mi stringeva per le spalle.
«Liz, guardami. » La voce roca, spezzata.
Ti sto guardando, Jake, e non ti vedo più. Che cos’è questo bruciore alla pancia? Le fiamme mi hanno raggiunta, non era la mia gola, quella che bruciavano. Che cosa resta, adesso?
«Liz! Liz, per favore, parlami.»
Il futuro sta crollando davanti ai miei occhi.
«Ho sentito.»
Io sto crollando.
Una crepa, una linea, una botta.
Polvere, cemento.
Macerie fra le tue mani.
«Per favore… per favore, così impazzisco… »
L’imprinting è essere quello di cui lei ha bisogno. E puoi essere un amico, un fratello, o un amante. Non importa quanto dovrai aspettare, non importa quanto sei importante, l’unica cosa importante per te è lei.
«Io so che cosa significa.»
L’imprinting è catene, amore, devozione, giustizia. Nessuno scappa dall’imprinting, perché è vita, la vita del lupo. E quello che vuole il lupo è sempre la cosa più giusta.
Le parole di quel libro insieme alla voce di Jake mi scorsero in testa. Le frasi in sovraimpressione sullo schermo che mostrava tutto il mio passato.
Io e Jacob insieme con quelle didascalie sotto.
«Non significa niente.»
«Quando è successo?»
Lui deglutì, gli sudava la fronte.
«Il giorno del funerale di Bella.» Un’altra trave, un altro mattone di tutte le nostre cose costruite. Oppure no, ero io quella che stava andando a pezzi. Un pezzo alla volta, piccoli piccoli, granelli e strati di vita passata.
Il giorno del funerale di Bella.
Mi venne addosso, entrando in ogni parte di me.
«Oh… dio…» Tutto quello che si era spezzato dentro di me venne fuori nel filo di voce che avevo. Come se lui avesse davvero potuto sentirmi.
Non era mai stato come quella volta, la sera in cui Jacob era tornato dal funerale.
Potevo ancora sentire le sua mani pesanti sul mio corpo, a possedermi senza scuse e permessi e dolcezza. La sua bocca sulla mia, il dolore alla testa mentre mi faceva sua, forte e senza controllo.
Era sbagliato. Tutto quanto.
Perché lui stava scappando.
«Dimmi chi è.» mormorai, ma mi odiai anche per quello. Perché nella mia voce non c’era né suono né sfumatura. Era solo dolore, ferite, e sangue invisibile. Un ammasso di graffi.
«La figlia di Bella… Re… Renesmee. »
Graffi sulla pelle dove veniva buttato solo acido, a creare uno strato di bruciato.
Renesmee.
La figlia di Bella.
Una… una bambina.
«Liz. »
Non sono più nessuno.
«Tu non me l'hai detto...»
«Ascoltami.»
«Non mi hai detto niente. Nemmeno una parola.»
«Avevo paura.»
«Anch'io, Jake! Adesso! Basta guardarti!Non riesci a tenerti in piedi...»
«Lizzy, aspetta...»
«Ho bisogno di stare da sola.»
«No... »
«Devo... devo pensare... ho bisogno... io mi sento male, Jake. Non posso stare qui. » Presi un respiro profondo, avevo distolto lo sguardo. Tornai a guardarlo, e un valanga amara mi raggiunse la bocca. Erano tutti i miei sogni, frantumati in tante piccole schegge.
«Ti prego... »
«Lasciami andare.»
«No.» Mi mossi nella sua presa, lui era troppo forte, come sempre. Ma non poteva vincere, non stavolta. Perché se per stare con me lui soffriva, sentiva dolore, e moriva… allora avevamo perso entrambi, soprattutto io.
«Lasciami andare. »
«Liz, ti amo.» Ancora l’espressione del dolore addosso.
Dammi il tuo dolore Jake, ma smettila, Smettila di farti del male.
«E l'imprinting... »
«Non c'entra...»
«Essere tutto quello di cui ha bisogno, essere felici… »
«Io sono felice con te. »
Mi misi una mano sugli occhi. Il mondo appariva a macchie, un dipinto venuto male, acqua ad inzuppare tutto.
«Sei quasi morto per questo. Tu non devi morire per me.»
Mi scostai. Le mani di Jacob mi presero per le spalle, mentre io continuavo a dire sempre la stessa cosa. Lasciami andare.
Una volta, con il suo viso sul mio a guardarmi con gli occhi lucidi, gli avevo pregato di non farlo mai.
«No… no, Liz. »
Dovevo andare via.
Vuoi rimanere.
Non doveva più toccarmi.
Vuoi essere toccata.
Mi allontanai.
«Mi dispiace... non posso.» Avevo avuto la forza di sussurrarlo, perché era la verità. Lui continuò a chiamare il mio nome, mentre io mi acchiappavo le lacrime con la mano, il palmo completamente aperto. Non era riuscito a fermarmi e il motivo era solo uno.
Era stremato.
Raggiunsi l’uscita, veloce. Quando mi trovai fuori ispirai l’aria come se avessi passato tutta la mia vita in apnea.
La notte scendeva sugli alberi della foresta, mentre il ricordo infondeva le sue ferite su di me.
Avevo le vertigini, i brividi. Il caldo che mi prendeva dal collo fino alle gambe, forse era febbre. Raggiunsi casa di Billy, non era mai stata così fredda. Appoggiai la giacca all’appendiabiti di metallo, inciampai nel tappetino, andai a sbatterci troppo. Mi graffiai la ferita, la parte di pelle con i punti. Sgorgava di nuovo il sangue. Bagno, acqua, fazzoletti.
Letto, lacrime.
È finita, Lizzy.
Strinsi i palmi, un fazzolettino ad aiutarmi, per fermare il sangue.
Lo amo e devo salvarlo.
«Dio, Lizzy, ti ho cercato dappertutto. »
Avevo ancora gli occhi chiusi e singhiozzavo. Non volevo che mi vedesse, ma a quanto pareva c’era chi pensava a me.
«Leah… »
«Lizzy… che ti prende?»
La guardai, ma era sfuocata, come sfumata in modo esagerato.
«Lui sta male... voglio... aiutarlo.»
«Si riprenderà... che cosa dici? »
«Sono io che lo faccio stare male.»
Inarcò le sopraciglia e mi prese per le spalle, sembrava preoccupata.
«Che cosa dici? »
«Ha avuto l’imprinting con... la bambina di Bella e Edward. Due… due settimane fa. » E mi venne fuori un singhiozzo. Non sembrava più nemmeno la mia voce, quando l’avevo detto. Leah mi abbracciò, forte. Mentre io non smettevo di piangere.
«Jacob...»
«Si sta uccidendo... e sono io, sono io... »
«No, no. » Mi scosse, ogni cosa vibrava. «Sta combattendo per te.»
«Io ho paura per lui, Leah, io non so niente di questo mondo a parte quello che ho visto. E vedo che lui… lui sta male, sta malissimo… »
«No. No, Liz, tu lo ami. Devi restare con lui, devi provare, fare qualunque cosa per...»
Provare? Provare a far cosa? A dargli il permesso di uccidersi per stare con me? Dio, mi sembrava di sentire il sapore del sangue della bocca per tutte le volte in cui mi aveva detto ti amo in quelle settimane. Che cosa succedeva dentro di lui? Non lo sapevo. Ma ero abbastanza sveglia da intuire che fosse qualcosa di insopportabile e terribilmente doloroso.
Ma come facevo a lasciarlo? Si possono separare due persone che si amano?
Come fango e pioggia, insieme ci eravamo uniti, come incastrati. Adesso era caduto un meteorite su tutto il nostro mondo, ed ero rimasta accecata.
«Non devi mollare.» disse.
Devi resistere anche tu.
«Lui ti ama, ti ama da morire.» continuò.
Come si fa a lasciare la presa dalla propria vita? Lui era la mia.
E stavo cadendo nel vuoto.
Per smettere di amare ci vuole coraggio. Ed io non ero mai stata coraggiosa.
Dovevo aiutare Jacob ad uscire da quella prigione a costo di ferirmi, ci avrei provato sul serio.
E avrei sofferto al suo posto.
***
Notte fonda.
Carlisle mi aveva medicato e tolto la benda, la ferita era guarita in fretta. E quando uscii fuori nessuno osò dirmi nulla.
Dovevo andare da lei.
La casa vuota, mio padre da Charlie a Porta Angeles.
Aprii la porta della sua camera, e il rumore flebile del suo respiro mi condusse da lei, supina sul letto, una mano fra i capelli legati e l’altra sicuramente stesa sul fianco, anche se non potevo vederla. Aveva gli occhi chiusi, e qualcosa scintillava fra le sue ciglia, nel buio. Si girò ed io trattenni il respiro. Non stava dormendo.
«Liz. »
Mi avvicinai e lei si mise seduta, in modo velocissimo. Feci qualche altro passo, mentre lei si alzava.
Allungai una mano.
«A-Aspetta... resta lì, non toccarmi. Come hai fatto a venire...»
Lama nella ferita.
«Sono venuto per te.»
«Aspetta.» ripeté, e la voce le si frantumò. Perché erano l’emblema di tutto, le sue fondamenta al dolore, quelle che stavano cedendo.
«N-Non ce la facevo a stare lì.» Deglutii.
«Jacob, io ti amo. Quello... che ti è successo non lo cambia.» Fu lei a fare un passo verso di me e un sollievo simile all’acqua sulla lingua per una persona che non beve da giorni mi invase. Ma durò poco perché lei tornò subito indietro, come se avesse sbagliato.
«Tu…» sussurrò.
«Tu sei la mia forza.»
«Non dire bugie. L'ho letto in quel libro, Jake. E poi… l’ho visto su di te. Il lupo ha scelto e… la scelta non sono io. »
«Ascoltami. »
«Soffrivi anche mentre mi dicevi ti amo e... »
«Ma non conta, perché io ti...»
«Non dirlo.» Mi guardò, con il terrore negli occhi. Non erano più le mie mani a spaventarla, non era più il mio tocco, le mie labbra. Era la mia voce, le mie parole.
La attirai a me, e ne fui ancora più sicuro. Perché non si scostò.
«Non dirlo.»
Dolore.
Lacci.
Renesmee.
Le si riempirono gli occhi di lacrime e non mi lasciò, ma posò il capo sulla mia spalla in un pianto che non aveva voce, mi scosse dal profondo. Non dalla pelle su cui cadevano quelle gocce calde, ma dall’interno.
Io piangevo con lei.
«Io…»
Dolore.
Ti amo.
Sangue.
Carne trafitta.
Sfracellata.
«Io voglio… voglio solo…» singhiozzò.
«Devo dirtelo, Liz. »
Tornò a guardarmi, le sue mani intorno al mio collo, come quando avevamo ballato al ballo di inverno, come quando mi aveva baciato sul suo letto, nella mia stanza, come tutte le volte in cui ci eravamo abbracciati, in un passato vicino ma che sembrava troppo lontano.
Ti amo.
Pugnalate.
Catene.
Renesmee.
Una lacrima le rigò il viso, l’ennesima. La afferrai con le dita, prima di posarci sopra le mie labbra, a leccarla via. La sua guancia e la mia bocca, ad accarezzarsi. Io che sentivo le sue lacrime scendere ancora.
Ti amo.
Quello che mi venne fuori fu solo un rantolio.
Ti amo.
Un sospiro.
E con lo strazio negli occhi nascose il buio dentro di lei e sfiorò le sue labbra con le mie.
Un brivido mi percosse la schiena, mentre Liz mi baciava.
Ci misi un secondo a capire. Sempre che in quel momento ne fossi capace, perché per me era diventato impossibile.
Con una mano scesi sul suo fianco, aprendo la bocca. Liz. Le strinsi i capelli, forte, la guidai dove potevo stringerla di più a me, facendo tremare quella che doveva essere una vecchia libreria.
Renesmee.
No.
Le alzai una gamba e me la posai sul fianco, senza mai staccare la mia bocca dalla sua. Mi leccai le labbra, inspirai il suo profumo, feci scorrere le mie mani sulle sue gambe.
La baciai ancora, mentre lei premeva le sue mani sul mio petto. Forte, troppo forte, voleva che smettessi? Io non volevo smettere.
E ormai non capivo, non capivo più niente. Pensava davvero che avrei rinunciato a lei? Avevo tenuto tutto per me solo per proteggerla, per proteggere noi. E lei era bellissima, anche con gli occhi rossi di pianto. Toccai la mia lingua con la sua e la scossa mi colse lì, sul posto, a vivere e a morire per quel momento, forse l’unico che ci sarebbe mai stato, ma anche quello che avrei ricordato per sempre.
Socchiusi gli occhi, per guardarla. Era buio, ma io vedevo tutto. La sua fossetta sulla guancia, le sopraciglia inarcate, le labbra rosate. Continuai a baciarla, e il gemito che le venne fuori risuonò nel silenzio. Poi sentii le sue mani stringermi la nuca, accarezzarmi, scendere sulla mia schiena. E la sua voce che diceva il mio nome, mentre io la facevo stendere sul letto e le sbottonavo il vestito di jeans.
Non mi impedì di scioglierle i capelli, di toglierle ogni cosa, di stringere la bocca dove lei tremava. «Liz… io…»
«No. Non parlare. » Quel poco che avevo addosso era già ammassato insieme ai suoi vestiti. Cercò di nuovo la mia bocca, prepotente come non l’avevo mai conosciuta. Mi venne sopra, leggera. E le sue labbra erano morbide e calde, come le sue mani. Dissi di nuovo il suo nome.
«Non parlare.» sussurrò. Piangeva ancora, lei. Dio, no, no, no. Non potevo sopportarlo. La spostai al lato del letto, quasi con violenza, mentre la ritrovavo. La guardo e mi fa dimenticare chi sono. La guardo e mi fa ricordare il mio nome. Le mie mani sulle sue ginocchia, è l’unica persona che può avere ancora tutto di me. Ferito per Bella, ferito per Renesmee, ferito, ferito… e rinato per lei.
“Ti amo ti amo ti amo.”
Spingo la lingua, lei si è arresa, io no. Spingo piano, a poco a poco. Scopro che cosa posso sentire. Ascolto che cosa può sentire lei e non capisco più niente. Si è arresa, a cosa non so. Io no. Io combatto. Le sue mani sono fra i miei capelli, le tengo ferme le gambe, divento veloce, forte e non ho nessuno intenzione di fermarmi. Mi sta chiamando, mi sta pregando. Spingo la lingua e la sento nelle orecchie, nel corpo, nelle sue mani, nella voce che non riesce a trattenere.
«Liz…» Ci riprovo. Non può essere lui a vincere, anche se c’è il dolore, anche se c’è Renesmee. Sono qui, e la sto amando, e lei ha tutto di me, anche questo. Deve avere anche questo.
Mi guida verso il suo viso, preme la sua bocca sulla mia, per poco. Metto le mani ai lati della sua testa, per non schiacciarla, per non farle male. Gliene ho già fatto abbastanza, anche ora che si morde le labbra. Anche ora che la bacio e sento il suo sangue e non riesco a controllarmi quando penso che alla fine sono riusciti a bere anche poco del suo.
Sono con lei.
Anche adesso che lei si aggrappa alle mie spalle e stringe le gambe intorno al mio bacino. Ma io non scappo, non scapperò. Sarò sempre dove sarà lei.
Mi implora, mi prega, e mentre la amo così anche la voce sembra qualcosa di lontano, se non è quella che mi viene fuori senza chiedere a me, prima. “Ti amo, ti amo, ti amo.”
Anche adesso che le stringo le mani, le braccia stese sui lenzuoli, a cercare, a trovare, a restare stretti, qui, per sempre. I sospiri, l’amore, la sua voce, i nostri nomi. Io e lei, lei e me. Tanto tempo. I suoi sorrisi a scuola, i compiti andati male di biologia, i disegni bellissimi, i biscotti cucinati male, la grida schizzinose di sua sorella, le chiamate perse di mia zia, i giorni e i pomeriggi, i libri, i sogni, gli abbracci, i baci. Siamo qui, insieme.
Anche adesso che mi butto ancora sulla sua bocca e dio, non ho più fiato, l’ho perso tutto. Non posso dire una parola, non più. Mi ha tolto via tutto. Ora non è Renesmee, è Liz. È stata lei a prendermi, e lei non mi farà più tornare. Come posso seguire l’imprinting se la mia strada è questa?
Lei è con me, mi ama.
Manda indietro la testa ed io chiudo gli occhi, e il calore che mi tormenta ogni giorno della mia vita diventa lava bollente e scende, mi brucia. Lascia scottature, ferite che non si rimangeranno mai. Anche ora che lei mi abbraccia, e Renesmee e il dolore hanno lo stesso volto. E Liz nella mia testa splende, come ogni volta, e la sua pelle sotto le mie mani è morbida, apro gli occhi ed è chiara.
È la mia Liz. Le sue mani mi toccano ancora. Quanto amo i suoi occhi, mi dicono tutto. Adesso non piange, adesso non parla. Mi guarda solamente e mi perdo. I suoi occhi.
Marrone chiaro, nocciola, al sole ancora più chiari. Grandi, con le ciglia lunghe, a guardare me, sempre. Le sue mani. Chiudo gli occhi. Le sua mani. La stringo ancora, e la bacio. La bacio e non smetto. Sulle labbra, sulla fronte, sulla guancia, sul collo. "Ti amo, ti amo, ti amo." E sulla spalla, e sul petto, e sul braccio, dove c’è ancora quella cicatrice da ferro da stiro, e sul ventre, e poi risalgo e le sue mani mi accarezzano ancora.
Dolore...
Renesmee.
Dolore.
Liz.
Quasi gemo, serrando gli occhi, le mie labbra premute ancora sulla sua bocca, le nostre mani intrecciate.
Non sono più mani.
La vita cresce, l'acqua scende, la terra gira.
Sono spine.
"Non smettere di toccarmi."
Sanguino.
La abbraccio.
Mi dice ancora ti amo, e nel suo sguardo c'è tutta la speranza e la forza del mondo.
Faccio un respiro profondo.
L'eco delle sue parole è lontanissima.
Mi sento cadere e il suo viso è l’ultima cosa che vedo.
Acqua. Sete. Una carezza.
Chiude gli occhi e la speranza è buio nella notte.
Fin quando possono accarezzare le spine, senza far sanguinare?
Chiusi gli occhi.
E la forza di gravità mi trascinò nel sonno.
*
*
*
*
Ciao, carissimi. Non me la sento di dire molto di questo capitolo, credo che possa parlare da solo. Spero che vi sia piaciuto, o che almeno possa avervi trasmesso delle emozioni, anche se immagino che non siano delle più felici. La bellissima canzone che fa da introduzione al capitolo me l'ha suggerita Daniela, che mi segue su facebook <3 Grazie mille, Dany! <3 <3 <3
Per il resto, vi ringrazio tantissimo per leggere. Mi farebbe davvero piacere sapere che cosa ne pensate <3
Un ringraziamento speciale a Maria_Black, perché sei davvero una lettrice favolosa <3 Grazie a Noemi, J, Virgy, Fufe, Caterina, 4lb1c0cc4, Tere, Steffy e a Brigida che legge questa storia pur non avendo trovato i capitoli cancellati a causa del problema. <3 <3 <3
La stesura di questa storia è stata terminata, ebbene sì, quindi Destiny Heart, nel mio pc, ha il suo finale. Spero di essere molto più frequente con gli aggiornamenti :D Ah, se vi va, ho ri-postato la storia su Leah, "Soul's Wind". Ci sarà un capitolo alla settimana, è uno spin-off di questa storia, anche se si può leggere pur non avendo letto DH. Vedrete come Leah ha conosciuto Brian ed è finita con lui :) La potete trovare qui <3
Grazie davvero a tutti voi.
Ania <3
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Capitolo 8 *** 64. Tramonto ***
jake 64
64. Tramonto
Mentirai ai miei occhi
Sbaglierai se mi tocchi
Non puoi dimenticarla
Una bugia quando parla
E sbaglierà le parole
ma ti dirà ciò che vuole
La paura che - Tiziano ferro
Sei la sua condanna. Non vuoi liberarlo?
Aprii
gli occhi quando me lo disse il cuore, fra le sue braccia calde.
Ero
rimasta immobile ad ascoltare il suo
respiro
profondo ed il mio leggero, silenzioso. Ad accarezzargli il petto e le
braccia, come se lo stessi scoprendo
per la prima volta. Come se non avessi mai davvero guardato Jacob.
Jacob che, la notte appena passata, si era accasciato fra le mie braccia, tremante, con gli occhi
chiusi.
Così
lo guardavo e mi addentavo al suo respiro. Contavo quanto tempo passava
fra uno e
l’altro, la sua pancia che si alzava e si abbassava contro il mio
corpo. Viveva, Jake
viveva ancora.
Sei la sua tortura, non vuoi che smetta di soffrire?
Che
cosa avevo chiesto? Che sopravvivesse alla battaglia. E almeno questo l'avevo avuto.
La vita è anche dolore e
morte. Ma dolore e morte trovano un luogo in cui svanire e hanno sempre un punto di incontro.
Insieme, adesso, quel punto non sarebbe mai stato raggiunto.
Sei il motivo per cui muore, non vuoi che continui a vivere?
Così
lo guardavo, lo guardavo ancora. E lo toccavo e non riuscivo a trattenere le lacrime,
mentre il suo viso meraviglioso svaniva sotto i miei occhi.
Sono io la sua condanna.
Dovevo
tenerli aperti, dovevo ricordarlo per sempre anche se avrebbe fatto
male. Le sue labbra erano morbide contro le mie dita, le rammentavo
in tutti i modi possibili. I miei pensieri cucivano e formavano la sua bocca
nella mia mente, lui che mi parlava, faceva un fischio a scuola, mi
baciava per la prima
volta e mi rendeva donna.
Sono io che gli faccio male.
Avevo creduto che tutto questo durasse per sempre,
ma il per sempre esisteva solo per lui.
Voglio
baciarlo. Non voglio lasciarlo, voglio stare con lui per tutto
il tempo del mondo. Lo amo, lo amo, lo amo. Come faccio a lasciarlo? Lo amo. Come possiamo
vivere separati?
Le
lacrime scendevano sul mio viso e adesso non vedevo davvero più niente. Jacob
dormiva, sfinito di tutto.
Sono io che lo rendo debole.
Sospirai.
Di nuovo la sua bocca dove non è mai stata e le sue urla e le sue mani a
tirarmi i capelli, a ferirci, le mie unghie, le mie gambe… Era tutto così intenso
che potrebbe essere appena accaduto.
E non accadrà mai più.
Sciolsi
il suo abbraccio e posai le sue mani sulla coperta. Addormentato,
dimentico di tutto.
Fallo per lui.
Mi
alzai dal letto senza smettere di guardarlo.
Apro
la porta e mi mordo le mani, e piango, e trattengo i singhiozzi.
Non si sveglierà.
Non mi vedrà piangere.
Mi
sciacquai la faccia. I capelli fradici sulla mia fronte. Mi
infilai nella doccia.
Una goccia bollente mi trafisse il viso.
Jacob.
Mi misi
qualcosa addosso. Trascinai la valigia in cucina.
Il sole era sorto ed era la prima volta che lo vedevo a Forks. Forse era sorto per noi, forse era solo
una presa in giro nei miei confronti. Forse voleva dirmi che la mia scelta era una
nuova alba per Jacob, perché in tutti in quei
giorni io ero stata solo la sua notte.
Dovevo
trovare le parole giuste, maledizione. Mi appoggiai al lavello,
mi misi una mano fra i capelli. La luce mi prendeva il viso e mi bruciava gli
occhi. Le parole, che parole potevo dire?
Io…
io… Dio, come si fa…
«Che
significa quella valigia?»
Mi
voltai di scatto e restai senza fiato.
Indossava solo dei vecchi jeans, gli occhi un po' gonfi, ugualmente capace di togliermi il respiro.
«Io…
Jacob… »
«Dimmi
che significa.»
Feci
un respiro profondo. La luce che filtrava dai vetri a rimbalzare sulla sua pelle bronzea.
«Voglio
andare a casa, Jake.»
Lui
sospirò.
Di sollievo, sembrava.
Perché?
«Ah…
ok, va bene… Devo… devo avvisare Billy… »
«Ci
vado da sola.»
Il
suo sguardo mi trafisse. Nero e lucido, mi scorreva
nelle vene come il mio stesso sangue.
«Che
significa?» La sua voce si inclinò, mentre lui si appoggiava al tavolo.
«Quello
che ho detto, Jake... Quello che ho detto.» Mi presi
l’elastico dal polso
e mi legai i capelli, di fronte allo specchio nel corridoio. Lo sguardo
di Jacob mi era addosso, dallo specchio e
da dentro, senza cambiare mai. Ma il fatto che i suoi occhi fossero
lucidi non era perché ce li aveva proprio così.
I suoi occhi erano acqua davvero, adesso.
«Vuoi
lasciarmi.»
Mi
morsi le labbra, faceva male.
Fa tutto male.
«Noi....» sussurrai. «Dobbiamo aspettare un po' di tempo... io non posso lasciare che tu... »
«Aspettare? Aspettare cosa? Che mi uccidano?»
«Jake... non voglio che tu stia male... » Respiravo sempre più a fatica. «Stare lontani almeno per un po'...»
«Stanotte
non volevi starmi lontana.»
Colpo al petto.
Affonda.
Affonda.
Affonda.
«Stanotte
eravamo sconvolti.»
«Ah,
e non ti è piaciuto? » Chiusi gli occhi, come di riflesso.
Sentii
le sue mani che mi prendevano i polsi, me li fermò dietro la
schiena, e il suo viso era vicinissimo al mio. Il suo respiro bollente mi
cadeva sulla bocca.
«Jacob, lascia che...»
«Tu
mi ami. »
«E
tu hai l’impriting con un’altra.»
«Non
c’entra un cazzo. »
«Ti ferisci quando stai con me. »
«Non
è ver… »
«Non
ci provare. Non ci provare mai più. »
«Ma
io… io... io ti… » Di fonte a me, di nuovo il dolore lo faceva tremare. Sta cercando
di dirtelo ma qualcosa lo tira da un’altra parte.
«Ti
vedo, Jacob.» La mia voce si spezzò. Schegge di sogni.
«Liz…» Continuò a stringermi. «Non lo puoi fare...»
«Io
ti amo. » sussurrai, e mi faceva male la gola e gli occhi e ogni cosa, la mia pelle
toccata da lui, così vicino a me. Lo sentii
contrarsi, si stava sforzando, non riesciva a
parlare.
Sospirai,
mi tremavano le labbra. Non riusciva a dire nulla senza soffrire.
«Devo lasciarti vivere.» E al diavolo tutto, piangevo di
nuovo.
«Non ci riuscirai.» La sua voce era roca.
«Noi... noi ce la faremo.»
«Ho bisogno di te.»
Gli accarezzai i capelli, scesi sulle sue spalle.
Piano.
In punta di piedi.
Allontanai la testa e cercai i suoi occhi. Fece una
smorfia con la bocca, era sempre più teso.
Avvicinai il suo viso al mio.
Ho
fame del tuo dolore e ne prendo tutto quello che posso. Ti bacio e non respiri. Le tue mani sui miei
fianchi, un gemito dalle tue labbra. Il dolore
è marcio da troppo tempo, qualcosa che è solo veleno, ucciderà con il tempo.
E il tempo sono io.
Lasciai
che poggiasse la sua fronte contro la mia, la sua pelle bollente a
scaldarmi. Gli lasciai le mani, pianissimo. Mi voltai, ancora troppo
lenta, le sue mani sui mie fianchi e la sua bocca a respirarmi il
collo.
Lo specchio.
Fissai i miei occhi: nocciola, marrone chiaro, gli occhi
della mamma, grandi. Le
ciglia, la mia bocca, tutto il mio viso, ogni cosa mentre lui
scompariva come
nebbia dal mio futuro.
La
mia mano era ancora nella sua quando mi diressi in soggiorno e lui respirava, il suo
respiro faceva rumore nel silenzio.
Presi
in mano la valigia. Mi strinsi nelle braccia, lui di fronte a me.
«A...»
«Addio un cazzo.» Mi fece scivolare il manico dalle mani e mi afferrò il polso. Scottature. «Addio
lo dici ai morti, Liz. »
Mi
morsi la lingua. Non era quello che volevo dire. Forse un "aspetta" per non lasciarlo così presto.
«Tu... tu ti riprenderai. Starai bene.»
Lasciami andare.
Non sarei riuscita più a baciarlo, né ad abbracciarlo, anche se avrei potuto
passare tutta la vita a pensare ai sui baci e ai suoi abbracci.
«Non
voglio neanche pensare... alla mia vita senza di te...»
«Devi
vivere, stare bene e basta.» Cercai di mantenere la voce ferma, ripresi il
manico, presi fiato,
cercai di respirare. Inspirare e espirare non era più come una
volta, mi sentivo un
automa che era stato programmato per fare solo quello. «Tu... tu
starai bene e... Staremo bene. E... andrà tutto bene, e torneremo insieme.»
Ignorai il calore morbido che mi prese il petto al suo abbraccio.
«Ce la faremo, ce la farai.» La mia voce sembrava sicura. Ma non
l’avevo guardato negli occhi. Se l’avessi fatto mi sarei
sentita
congelare e la mia voce avrebbe tremato come se mi fossi trovata in un
terreno
smosso da un sisma. Ma ci sono tipi diversi di catastrofi, naturali
allo stesso
modo. Quelle dei sentimenti.
E questa volta mi prese di nuovo per il mento. I suoi
occhi erano scuri e sporchi
di dolore. Li avrei ricordati per sempre. «Io so di non
meritarti. E tu meriti di più. Un raga-ragazzo che ti faccia
ridere e… stare bene davvero... Un
umano…
migliore di me. Perché te lo meriti, cazzo. Ma io
continuerò a combattere, non mi arrendo. So che lo
stai facendo per me ma non mi importa, io non mi fermerò.»
Non piangere, non
piangere, non piangere.
«Jake…
»
Non
piangere, non piangere, non piangere.
Mi
scostai da lui, corsi verso la porta. L’aria fredda mi arrivava in faccia, il
cielo era grigio e ora non c'era traccia del sole. Lo stavo lasciando dietro di me,
mentre mi seguiva lasciava scie sul terreno. Se di fuoco o di sangue, non volevo
saperlo.
Aprii
la portiera.
Misi
la valigia del cofano. Mi avvicinai allo
sportello, lo sfiorai.
Entrai
in macchina, inserii la chiave. I finestrini si abbassarono da soli, era stato
lui a mettere quell' impostazione.
Odio. Lacrime. L'amore brucia.
«Aspetta.
» Era la sua voce che si spezzava.
«Perché?» Quasi urlai.
Ma non mi fermai.
Un
tonfo, mi girai. Dio, Jacob era appoggiato alla mia macchina anche se
mi stavo
muovendo. Stavo per aprire lo sportello chissà per fare cosa,
quando il suo viso era luce e tenebre su di me e i suoi occhi mi
intrappolarono in un solo momento.
Un momento che non avrei dimenticato mai.
Le
lacrime graffiavano.
«Ti
amo. »
Lo aveva detto.
Sospirai, mi portai una mano agli occhi perché ero ridicola, una
bambina. E quello non era il mio posto.
Un giorno tornerò a vedere come stai.
«Ciao, Jacob.»
E non guardo più indietro.
È
mattina ma la luce cala.
Il
sole non c’è più.
*
*
*
*
Ciao a tutti. La canzone a inizio capitolo me l'hanno consigliata Daniela e Noemi, grazie mille ragazze <3 <3 <3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che
abbiate capito Liz. Perché a volte amare qualcuno significa
anche lasciarlo andare, e a lei questa sembrava la scelta più
giusta per impedirgli di soffrire. Alla fine della storia mancano dieci
capitoli, quindi ho un po' di cose in mente per voi :))
Un grazie speciale a Daniela, che
in chat parlando delle sue teorie riguardo alla storia ci ha preso
ampiamente con questo capitolo <3
Spero di essere riuscita a trasmettervi delle emozioni.
E spero anche di riuscire ad aggiornare una volta alla settimana :))
Un bacio e grazie a tutti voi, siete davvero speciali.
Ania <3
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Capitolo 9 *** 65. Convalescenza ***
jake 65
65. Convalescenza.
Notte fonda, sveglia ad un’ora assurda. Acqua che riempiva la mia
bocca, schizzi sul mio viso, un ragazzo che somigliava a me nello
specchio.
Mi avvicinai all’interruttore, per spegnere la luce della cucina.
Rimasi immobile davanti al calendario.
Un mese.
Immobile.
Un mese.
E lo stesso libro che aveva letto
Liz mi era capitato fra le mani. Così, proprio adesso, mi
vennero in mente delle parole che forse lei non era mai arrivata a
leggere.
Solo un uomo
lasciò il suo imprinting perché continuava a ferirsi e ad
amare la donna a cui era promesso prima dell'imprinting. Lasciò
le sue spoglie umane e la sua terra per vagare in forma di lupo.
Perché se non poteva avere la sua donna, allora non avrebbe
voluto avere niente.
Mi appoggiai al muro, mentre tutti
i numeri mi entravano in testa in un vortice rumoroso. Mi morsi la
lingua, trattenni un gemito.
Lei non tornerà.
Non sapevo nemmeno come mi era
venuto in testa di ricominciare a fare i controlli insieme ai ragazzi,
di entrare di nuovo nel branco. Era passato un mese preciso... Trenta
giorni senza di lei. O trentuno, chi cazzo si era messo a fare i conti,
era uguale.
Lei non tornerà.
Uscii di casa e ogni cosa divenne buia, mentre il lupo colorava di rosso e calore il mio corpo.
“Jake, ci sei?”
“Sì.”
Embry si era ripreso. In
realtà aveva aperto gli occhi dopo due settimane, e Sam non si
era nemmeno preso la briga di farlo restare al riposo. No, c'era
l'emergenza dei nomadi che passavano da quelle parti, come se Embry non
fosse abbastanza incasinato per i conti suoi.
Bella coppia di amici, eravamo.
Conoscevo Ashley come se l’avessi davvero incontrata, la
consistenza del tomo universitario sbattuto contro il braccio e il
sapore amaro di quando lo – mi – mandava via.
“Chi siamo?” gli chiesi.
“Solo noi due.”
“Perché?”
“I nuovi si confondono quando ti entrano in testa, lo sai.”
Sbuffai.
“Femminucce.”
Sentii la risata di Embry, lui non aveva dimenticato come si facesse, nonostante tutto.
Collin era ancora in coma.
Non sapevo se tutto questo fosse
successo per la morte di alcuni componenti del branco come Paul, ma
poche settimane dopo la battaglia dei ragazzi avevano cominciato ad
avere la febbre alta e bum, sei un licantropo, bingo.
Vorrei dirti che hai vinto ma non è così.
“Come va con Rachel?”
Mia sorella si era fermata a Forks
dopo il funerale di Paul, e non era ancora andata via. Se la cavava
anche senza le lezioni del college di Santa Monica e studiava a casa,
tutto questo senza dirmi di più di “Hai fame?”
“Che vuoi?” “Non entrare in camera mia.”
Ma lei ha perso Paul.
Proprio come l'ho perso io.
“Ho capito.” Era sempre
Embry. Ci leggevamo nel pensiero, era vero. Ma era come se ci fosse
qualcos’altro, da quella volta in cui ero riuscito a entrare
nella sua testa quando il suo cuore – inspiegabilemnte –
aveva ricominciato a battere.
“E tu come stai?”
“Domanda di riserva?”
Risi.
Fa male anche respirare, adesso.
A volte correvo nella foresta,
ringhiando verso tutti gli animali fino a scorticarmi gola e pelle e
zampe, mentre i lacci del lupo mi portavano sempre da una parte.
Ma io svoltavo e tornavo indietro.
“Jacob, sai che non puoi continuare così…”
“Aspetto che Collin si
rimetta, non voglio lasciare tutto senza che tutti quelli che sono
stati coinvolti non mi abbiano sputato in faccia.”
“Collin non ti sputerebbe mai in faccia.”
Sospirai.
“Questo non è più il mio posto, il mio posto non è da nessuna parte.”
Vidi il suo muso dorato emergere dall’oscurità. “Sai che Sam non te lo lascerebbe fare.”
“Sam ha il suo branco.”
“Nelle leggende…”
“Meglio vivere da animale che vivere così.”
La notte faceva silenzio, ad ascoltare i pensieri di due lupi con il peso del mondo e della protezione degli umani addosso.
Alzai il muso e l’aria
più fredda mi accarezzò il pelo. Cominciai a correre
verso i confini, affinando l’olfatto e l’udito.
Ringhiai, mentre Embry mi seguiva.
Vaghe immagini di una ragazza con i capelli rossi erano sullo sfondo
dei miei pensieri. Venni immerso da dei lacci di metallo, come a creare
una gabbia su di lei. La sua pelle non era più pallida, ma
rosata, i capelli non più rossi, ma castani chiarissimi. Lei che
mi guardava, lei che mi parlava, lei che mi diceva ti amo e poi andava
via.
Liz.
Che cosa pensi
che faccia, Liz? Pensi che stia abbracciando Renesmee nel suo letto,
che stia pensando a quanto sarà bello quando crescerà?
Non la vedrò crescere.
Non la vedrò andare a scuola, truccarsi, diventare grande, assomigliare a Bella ogni giorno di più.
Se è lei e non tu...
Non posso vivere
***
«Allora, scegli. Rosso o blu?»
Lucy teneva in mano due vestiti, un
sorriso che accecava mi sulla faccia e il suo solito tono di voce
incalzante. Mi passai una mano fra i capelli.
«Blu.»
«Va bene, rosso. »
Sbuffai.
«È troppo appariscente.»
«Ma devi cambiare look.»
«Sai che non mi va.»
«È l’alternativa a cambiare pettinatura, l’hai scelta tu.»
Ignorai i vestiti che sarei andata a schiacciare e mi sedetti sul letto, a braccia conserte. Feci un respiro profondo.
Fa ancora male respirare.
«Non mi va.» Mi portai le ginocchia al petto.
«Ma no, tesoro… »
Lucy poggiò tutto quello che aveva in mano sulla sedia accanto al letto e venne a sedersi accanto a me.
«Tu sei una ragazza
fantastica.» I suoi occhi marroni mi accaldarono in un abbraccio
che non mi aveva ancora raggiunto. Quello di una delle mie più
care amiche.
E avevo dovuto inventarmi una
storiella. Dire che Jacob era rimasto a Forks perché dei suoi
amici si erano fatti male era stato abbastanza semplice. Poche domande
da parte loro e risposte vaghe da parte mia. La mia scarsa dote
nell’essere credibile mentre dicevo: “Va tutto bene”.
Era già passato un mese da quando avevo visto Jacob per l’ultima volta.
«Lucy. Non parliamone.»
«No, invece ne parliamo. Tu
sei bella e intelligente e una persona allegra che non si fa mettere
sotto da nessuno. Non sarà un maschio a farti stare così,
d’accordo? Sei bella, te l’ho già detto? E
intelligente e spiritosa. È passato un mese e devi piantarla.
»
«Ma sto bene. E poi noi... stiamo insieme. Cosa c'entra se...»
«Non dire cazzate, non sono cretina. L'unica volta in cui sembravi quella di prima avevi bevuto il caffè.»
«Quella di prima?»
«Non mi prendere in
giro.» Sembrava arrabbiata... eppure mi abbracciò. Un
abbraccio fatto di braccia strette e un po’ ossute.
―Che bello che sei venuta alla mia festa! ― Lucy indossa un vestitino bianco, è il suo decimo compleanno.
―Ti ho portato
il regalo. Ho convinto mia nonna a portarmi al megastore…― Le
porgo la scatola ma lei mi abbraccia prima che io possa dire
qualcos’altro.
―Grazie, Lizzy.
― Mi prende la scatola dalle mani. I capelli castano scuro sono
raccolti in delle trecce, le cadono sulle spalle. ―Stiamo giocando al
gioco della bottiglia, ma Walter non è ancora arrivato.
Menomale... bleah... Tanto io dico sempre “schiaffo”
così non bacio nessuno.
«Stasera chiamiamo Dina e ci vediamo un bel film. Niente di romantico, ma con fighi in primo piano. » Mi sorrise.
«Vada per il film. Ma... aspetta, tu non dovevi… »
«Vedere Walter? Sì,
certo. Quel cretino mi fa sempre incavolare. Ha posticipato
l’appuntamento di due ore perché ha invitato i suoi amici
delle elementari a giocare alla play a casa sua, si può? Ma se
lo mangiasse, quel joystick. Voglio sbavare su Jonny Depp.» Si
alzò dal letto e prese il suo cellulare. Era velocissima su quel
touch.
I capelli le arrivavano fin poco sopra le spalle, li aveva tagliati da
poco ed era ancora strano vederla così. A volte però
bisognerebbe accettare le cose così come vengono, anche se sono
cambiate. Dare un taglio netto e accettarlo, soprattutto se si sa di
aver fatto la cosa giusta.
«Dina! Non ti ho interrota,
vero? Mark è lì con te, no, vero? Ah, c’è?
Allora solutamelo… Dina… ma hai il vivavoce? Toglilo
subito! L’hai tolto? Ecco, stasera serata fra ragazze non dire
che non puoi… no dai, guardiamo un film con Jonny Depp, lo faccio
scegliere a te. “Neverland”? Senti... ma non ne conosci uno
in cui fa sesso?»
Mi adagiai sui cuscini, i tessuti
lisci e freschi sotto di me. Mi misi una mano sulla pancia, ad
ascoltare il mio respiro. Forse era stata la mossa giusta. Dovevo solo
lasciare che il tempo passasse. Io non mi ero arresa e nemmeno lui.
Il tempo guarisce le ferite ma il dolore resta lo stesso.
Al dolore ci si abitua, prima o
poi. Perché l’amore non è per sempre. Ma per sempre
è quello che rimane. I ricordi e i segni, che non vanno mai via.
*
*
*
*
Ciao a tutti :)
Un capitolo di passaggio per farvi capire come vanno le cose. Spero comunque che vi sia piaciuto :)
Spero di aggiornare presto con il prossimo. Vi ringrazio tutti, siete
meravigliosi. E grazie per leggere questa storia che racconta i nostri
Jacob e Liz, e ha visto crescere anche me, nella scrittura e nella vita.
Grazie davvero.
Un bacio
Vostra Ania <3
|
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Capitolo 10 *** 66. Pazienza ***
jake 66
66. Pazienza
Just have a little patience,
Still hurting from a love I lost,
I'm feeling your frustration,
but in any minute all the pain will stop,
just hold me close inside your arms tonight,
don't be to hard on my emotion.
Patience - Take That
Larry,
quello nuovo, aveva avuto l’imprinting con una quattordicenne che una volta gli aveva
scritto una cosa sporca su un bigliettino. Lui l’aveva mandata a fanculo, ora
si diceva tremila parolacce per quel giorno.
Certo,
quando lui le aveva chiesto scusa lei si era portata la mano alla bocca e aveva
riso. Quel tipo di risata che fa hi hi hi.
Bellissima
risata.
No,
era orrenda.
Hi hi hi.
Ride
come un’oca, in un ricordo lontano Larry sghignazzava.
Adesso
sognava quella risata ed io la sentivo, hi hi hi, e la vedevo, lacci d’acciao,
nella sua testa.
«Lei
è un po’ frettolosa, ma forse è meglio aspettare. » Larry si mise la mano dietro
la testa, mentre io divoravo una fetta di torta di Emily.
«Vuole
già scopare? » Trevor somigliava a Paul. Uscite fuori luogo e risate rumorose,
ma con quella sfumatura di idiota che Paul nascondeva molto meglio, e non l'avrei mai detto. Quanto mi manchi, amico mio.
Embry
rideva, la faccia di chi la sa lunga. Io pensavo al sesso e al posto di
eccitarmi mi saliva l’acido in gola e un bruciore al petto mi arrivava alla
pancia e poi saliva di nuovo su, a farmi male. Perché pensavo a Liz, alla sera
del ballo, a quelle volte in cui tutto era successo di fretta perché il giorno
dopo c’era scuola e non c’era un dannato posto in cui stare davvero tranquilli
e poi a Forks, con la casa libera e…
«Pianeta Terra
chiama Jacob. »
La pelle di Liz scomparve dalle mie mani.
«Mhm?
»
«Trevor
dice che dovrei sbatterla, Embry si è astenuto, Jared dice di aspettare che lo
chieda esplicitamente… »
Ah,
quindi dovevo dire anche io qualcosa. Perfetto, che meraviglia.
«Tu
non lo vuoi fare.» gli dissi.
«No,
nel senso… »
«Lei
non ti piace. È cinque anni più piccola di te, ha le lentiggini su tutta la
faccia, un culo enorme e ride come un’oca. Non ti sarebbe mai piaciuta. Non
vedo come tu possa fare a scopartela. »
Fuoco.
Pulsa, pulsa, pulsa tutto.
Cercai
di aprire gli occhi, e trattenere un urlo fu inutile. Larry mi aveva dato un pugno
e mi aveva fatto cadere a terra.
Un
momento, potevo alzarmi.
Fuoco.
Ora
una morsa intorno alla mia gola.
Soffochi.
«Tu…
non… devi… mai… più…»
Soffochi.
La
mano stringe, la mano è dura, la mano graffia.
Aria,
aria, aria.
«Larry,
così lo uccidi. » La voce di Jared.
«È…
quello che… voglio… che… devo fare. »
«Larry!
» La voce di Embry che lo chiamava. Una mano sulle mie spalle, sulla mia
faccia.
Uno
strattone.
Cominciai
a tossire. Non riuscivo ad aprire gli occhi, ma potevo ancora respirare. Sì,
c’era l’aria. Non l’avevo sognata.
«Hai
sentito che ha detto? Sul… sul mio imprinting… »
«Larry,
calmati. Jake scherzava. »
Aprii
gli occhi ed incontrai i suoi, quelli di Larry, la rabbia scritta nelle sue iridi scure e vuote
di umanità, scelta, pensieri. Perché il lupo stava difendendo il suo
imprinting.
Avevo
capito tutto benissimo, non mi sarebbe mai successa una cosa simile. Ma lui non
doveva difendersi da niente, non doveva salvare nessuna storia, e allora l’imprinting non aveva portato dolori.
Ma Larry era tenuto con entrambe le braccia da Jared e da Embry. Mi squartava la
pancia con gli occhi.
Sembrava che mi odiasse già come se avessi cercato di mettergli il veleno nel bicchiere.
Gli
uomini si scrivono il proprio destino da soli, dicono. Larry mi guardava ed io
capivo.
Liz era ancora nella mia testa e mi baciava per l’ultima volta.
Forse
ero così irresistibile da aver attirato quella
sfiga-destino senza una penna in mano per scrivere e
decidere.
Uscii da casa di Emily.
Il bosco di Forks era fitto e scuro, di pomeriggio. Avevo messo in moto
una macchina che Quil mi aveva portato da riparare, quando
squillò il telefono.
Per la prima volta, un respiro di sollievo
dopo più di un mese mi gonfiò il petto, anche se era accompagnato dalla voce di un vampiro.
Collin si era svegliato dal coma.
***
Quel giorno il
cielo era nuvoloso e mi ricordava terribilmente Forks.
Ma potevo anche
pensare ad un paese del nord dell’Europa, l’Alaska, Londra.
Non pensare a lui.
Seattle è
bellissima, grande e dispersiva.
Fatta apposta
per me.
Va bene qualunque posto, basta che ci sia
tu.
«Signorina,
siamo arrivati.»
Ricominciai a
vedere di nuovo Seattle e non più Londra né Forks.
«Ok, grazie.»
Uscii dal taxi e pagai l’autista. Avevo passato tutta la giornata a ritirare i
moduli per l’Università, a comprare i colori a tempera per quel progetto di presentazione. Perché
le cose erano cambiate e andava tutto bene, quanto suona falsa la tua voce quando parli nella tua mente, Liz. Ora avrei visto i miei amici e
mi sarei divertita. Come tutte le volte.
Quanto fai ridere quando dici le bugie.
Mi diressi verso
la panchina del parco – la nostra panchina storica – c’erano persino i nostri nomi
sopra. Ci poggiai la borsa sopra e l'album da disegni.
Lizzy frizzy,
Waltie Water, Lucy Star, Dina Dark, Ronnie dance…
Era meglio che
mi sedessi.
Io stavo bene, lui stava bene.
Questa era la perla di saggezza del giorno?
Dina e Mark
non arrivavano ancora, e nemmeno Lucy. Avevo anche fatto ritardo e ancora non
si presentavano. Tutto normale.
Stavo bene, benissimo.
Lasciamo perdere.
Cominciai
a
digitare il numero di Lucy sul mio cellulare preistorico. Pigiai sul
tasto verde tre volte prima di avviare la chiamata. Dovevo comprarmene
uno nuovo e buttare la scheda.
Lucy non
rispondeva.
Dovevo eliminare le nostre foto dal telefonino...
Cancellarlo da un’immagine non lo cancellerà dalla tua vita.
Stavo bene,
certo che stavo bene.
La vita assorbe tutto ma l’inchiostro si
asciuga presto. Non va mai via.
Stavo bene,
certo che stavo bene.
Sto bene, Jake,
non mi vedi?
Stavo bene,
certo che stavo bene.
«Lucy? »
«Lizzy, scusami
tanto! »
«Dove sei? »
Gli alberi del
parco – Jacob che ci si appoggia su – lo scivolo per i bambini – Jacob ti
prende la mano e ti porta lì sotto, piove, ti mette al riparo – il chioschetto
dei gelati – ti ruba un morso senza chiederti il permesso, baci che profumano
di cioccolato – bambini che correvano.
«Non ce la
faccio a venire, mi dispiace. »
«Ok, ma sai
qualcosa di Dina, Mark? Walter è con te? »
«No, è proprio
impossibile. »
«Ma che succede?
»
«No… niente. »
«Ok, ora me ne
vado a casa. »
«NO! NO! Ma
credi davvero che ti lascerei lì da sola?»
«Ecco… non è
quello che hai appena fatto?»
Presi la borsa e
mi alzai dalla panchina. Pomeriggio inoltrato d’estate, senza sole e con il
cielo coperto. Una di quelle giornate che possono diventare belle solo se si è
insieme a qualcuno.
«Tu… dovresti
vedere un ragazzo.»
Rimasi immobile.
La borsa mi andò a sbattere contro la gamba, la maglietta che mi lasciava
scoperta una spalla svolazzava per il vento. Sentivo il sangue nella bocca, mi
ero morsa la guancia.
«No.» dissi.
«Aspetta un
attimo! Dai, non fare così.»
«Non sopporto
queste cose. »
«Lizzy…»
«Ciao, Lucy.»
Chiusi la
telefonata.
No, non mi dava
fastidio che le mie amiche mi avessero rimediato un appuntamento. No, non mi
dava fastidio che non me l’avessero nemmeno chiesto. No, non mi dava fastidio
che non avessero nemmeno pensato di parlarne con me. No.
Quello che
provavo era talmente evidente che avevano pensato ad un espediente di quel
genere.
«Scusa? »
No, no, no.
«Ehi? »
Non voglio voltarmi. Vai a casa, non
uscire con me, non parlarmi.
Seguii la voce.
Il ragazzo aveva
in mano dei fogli. Oddio, il mio album. Ero talmente fuori di testa da
dimenticarlo sulla panchina. Sì, forse non era lui il
mio appuntamento, ed io ero ancora vicino alla panchina, poteva essere solo di
passaggio.
Mi precipitai da lui. Sorrisi, quasi
senza accorgermene.
«È tuo? » mi
chiese.
«Sì... grazie.» Glielo tolsi dalle mani e me lo
strinsi al petto, come se avessi appena trovato un tesoro. Bel tesoro, visto
che lo avevo lasciato lì.
Era evidente,
avevo la testa ad un’altra parte.
Anche il cuore.
«Di niente,
Lizzy. »
Che cosa?
Il ragazzo si
passò una mano frai capelli ricciolini, castano scuro. Prese il suo telefonino
e poi lo rimise in tasca, nel modo più veloce possibile. «È che io non
sono tanto puntuale… e forse nemmeno mi hai riconosciuto. »
Mi misi l’album
sotto un braccio e lo fissai senza vergogna. La carnagione chiara, più o meno
come la mia, ma con un biancore più accentuato. E gli occhi… gli occhi marroni,
come il cioccolato fondente, quello cremoso e caldo.
Un ricciolo gli
cadde sul viso e lo stomaco mi si attorcigliò, mentre il suo viso si materializzava
nei mie ricordi di due anni prima, quando rideva insieme a Ronnie.
«Peter.»
Si mise a
ridere. Una risata pacata, come se fossi attutita da qualcosa. Ma dolce.
«Sì, io non ti
avrei riconosciuta se non avessi letto il tuo nome sull’album e non ti avessi
sentito parlare con Lucy al telefono. Siamo pari, non sentirti in colpa.»
I
suoi capelli
mi fecero il solletico sul naso, quando lo abbracciai. Profumo maschile
e
fisico magro ma... da quando aveva i muscoli? Mio dio, Peter. Non avevo
più saputo niente di lui dopo la scomparsa di Ronnie.
L’ultimo ricordo
che avevo di lui risaliva ad una brevissima intervista televisiva. La voce di
un giornalista in sottofondo, i rumori della città e le urla della gente.
“Eravate innamorati, vero?”
I suoi occhi
lucidi avevano parlato al suo posto.
Mi staccai da
lui.
«Sei… diventato
più alto? » Sembrava che il sorriso se lo fosse dipinto da solo, non accennava
a scomparire. Ed io mi sentivo il viso tirare. Non me n’ero accorta… sorridevo
anch’io.
«Be’, forse.»
Alzò il braccio per toccarsi la nuca, come faceva sempre prima di qualche
concertino per la scuola. In realtà era Ronnie a costringermi ad osservarlo per
ogni cosa, quando era nella fase cotta da paura – la mia migliore amica – e
conoscevo molte cose di lui anche se non eravamo andati mai oltre qualche
battuta e dei saluti amichevoli e un abbraccio il giorno del suo ultimo
compleanno passato a Seattle.
«Forse? È tutto
quello che mi dici? »
Rise ancora.
«Anche
tu sei
diventata più alta e… » Si mise dritto, gli si
alzò la maglia, leggermente. «Non ti ricordavo
così. »
«Così come?» Mi
sistemai la borsa a tracolla, mi misi una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
guardai quanto fossero interessanti le mie scarpre mentre lui faceva una specie
di giro.
«Bella. »
Alzai lo
sguardo.
«Non ti
ricordavo così cascamorto.»
«Cascamorto? IO?»
«Già. »
E poi non eri così carino.
«Va bene, vuoi
rimanere tutto il pomeriggio così o vuoi andare a prendere qualcosa da
mangiare? »
«Mangi tanto
come… »
«Sì, mangio
tanto e non ingrasso, come nei bei tempi del liceo. » disse.
Aprii la borsa e ci feci
entrare il mio album da disegno. Lo seguii con lo sguardo, si stava dirigendo
verso il chioschetto dei gelati.
―Ho una fame da lupi. ― Jacob mi prende
la mano e se la avvicina al viso. Siamo seduti sull’erba, gli zaini sotto le
nostre gambe.
― E quindi? ― Gli sorrido.
―Se non mi riempio la pancia potrei
mangiare te.
Sto per dirgli qualcosa, i fogli mi
scivolano dalle gambe insieme alla matita. Le sue labbra sono sulle mie, le mie
mani aggrappate alle sue spalle.
Apre la bocca, ancora sulle mie labbra.
Sento le sue mani fra i miei capelli.
―Ho fame anche io.
Sospiro.
―Ma di cosa?
Lo guardo, lui mi sorride in quel modo
che fa scomparire tutto quello che mi sta intorno.
―Gelato.
Non smette di sorridere.
―Alla fragola, scemo.
Si mette in piedi, l’erba appiccicata ai
suoi jeans.
Si volta un attimo.
―Vado e torno.
«Vado e torno. »
Era la voce di Peter.
Dovevo
smetterla.
«No… aspetta… ho
voglia di pizza, tu non ne vuoi? » gli chiesi. Lui si avvicinò a me e mi sfilò la
borsa dal braccio. Gli si formò una fossetta sulla guancia.
«Questa cosa ti spezza e dovresti mangiare di più. »
«È
leggera.»
«Sì, sì, certo.»
Cominciammo a camminare verso la strada, a due isolati da lì c’era una
pizzeria. Peter aveva il passo veloce, come se avesse fretta. Era come se
stessimo correndo, ma forse per lui era normale camminare così.
Peter aveva lasciato la città quando Ronnie era scomparsa. Adesso i suoi occhi
sorridevano. Forse lasciare tutto era stata l’unica soluzione per ricominciare
a vivere da un’altra parte.
«Come stai messa
a situazioni sentimentali? » La sua voce sembrava quella di un bambino che sta
per fare un dispetto, anche se poteva sembrare innocente.
«Salto.» Risi.
«Non puoi
saltare, voglio che mi aggiorni. »
«E che devo
dirti? »
«Ah, che ne so. Due anni fa tu avevi sedici anni e avevi dato solo qualche
bacio al gioco della bottiglia. Oggi ne hai diciotto... insomma, ne devi fare diciannove. Aggiornamenti?»
Mi guardai
intorno, come se non conoscessi l’ambiente in cui mi trovavo. Peter non mi
stava aiutando per niente.
«Ho un ragazzo.»
«Mhm.»
«Mhm-mhm.»
«E
dov'è? Sì, cioè... perché non ho visto
nessuno che mi fulminasse con gli occhi e mi cacciasse via? E dopo
quanto
l’avete fatto?»
Gli diedi una
gomitata. Wow, l’avevo preso alla sprovvista. Me lo ricordavo più sveglio.
«Chi ti dice che
io abbia…? »
«Sì, e io sono
Babbo Natale.» Sbuffò.
Mi stava facendo
diventare rossa, eppure andava bene lo stesso. Non tratteneva
più le lacrime, come davanti ai giornalisti, dove mi era sembrato una delle persone
più fragili che avessi mai conosciuto.
«Be', se fossi il tuo ragazzo non ti lascerei da sola con me.» Ammiccò.
Lo ignorai spudoratamente.
«Dei suoi amici hanno avuto un incidente. Lui è di Forks ed è rimasto lì...»
«Da quando?»
«Più di un mese. Ma comunque ci sentiamo e...» La voce mi si bloccò nella gola. «Sì, p-praticamente ogni.... giorno, cioè...»
«Non sei tanto brava a dire le bugie.»
Rimasi in silenzio.
«Ahia. » Si lisciò la maglietta bianca. «Se ti ha fatto scappare via ha bisogno di un bel paio di occhiali.»
Sentii una cosa
allo stomaco, il cuore mi salì in gola.
Jacob mi guarda, le braccia appoggiate al
muro accanto alla mia testa. Si sta sforzando, vuole dirmelo, gli fa male.
―Non dirlo.
―Devo.
Mi appoggio a lui, alzo il viso, trovo le
sue lbbra, un ringhio esce dalla sua gola.
Lo sto salvando.
«Insomma, posso capire qualche giorno. Una settimana…»
La sua furia assomiglia alla violenza, il
rumore dei bottoni che si staccano è uno solo, mi raggiunge le orecchie tutte
insieme con l’eco della sua voce.
―Ti amo.
Sono io a dirglielo, con la speranza che
non parli e mi mostri quello che può fare solo con il corpo e non con la voce.
Le sue mani sono bollenti, mi mordo le labbra. Stringo le gambe e il fuoco
ustiona, lo sentirò anche quando si sarà spento.
«Lizzy, ci sei?»
Lo guardai.
Peter aveva il viso più sfinito, le guance distese. Puntini sul mento a farmi
vedere che era diventato grande.
«Sì, certo.»
Mi sorrise e sentii dolore. «Meglio perderli
che trovarli, quelli così. »
Sospirai, mentre
lui continuava a camminare.
«Tu in che
categoria sei?» La mia voce era leggermente smorzata.
«Quella dei
vecchi amici, no?» Allungò il passo, con il viso rivoltò verso di me. «Oppure
quella degli ami… »
Andò a sbattere
contro una signora con un bambino piccolo.
«Oh, mi scusi!»
Peter prese a sistemare la visiera al cappello del piccolo e la madre
guardava Peter in modo strano. Poi lei si allontanò, veloce.
«Ma la finisci
di ridere?»
Stavo ridendo?
Non risposi, ma
sicuramente aveva capito cosa intendevo.
«Ma smettila!
Quando sarò famoso quella donna dirà a tutti di essere andata a sbattere contro
Peter Dolovan… »
«Oh sì, certo. »
«Ma da quando
sei così acida? »
«Ma se non ti ho
detto niente! Certo che diventerai famoso, e naturalmente mi farai entrare
dietro le quinte. »
«Ah… per fare
cosa? »
«Per farti i
complimenti. »
«E per cosa? »
«Per la perfomance. »
«Ma quale? »
«Peter, finiscila.»
Rimase in
silenzio, mentre si metteva le mani in tasca. Non l’avevo mai visto così,
nemmeno con Ronnie. Mi ricordava dei tempi in cui i
miei unici problemi erano i compiti di Fisica.
L’insegna
della
pizzeria era vicina e brillava, nonostante fosse pomeriggio e con un
cielo simile al mio umore costante. Forse qualcosa poteva ancora andare bene, per me.
*
*
*
*
Ciao, belli! :D Allora, spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto
:) Abbiamo incontrato Peter, stava con Ronnie prima che le ivenisse
reclutata nell'esercito dei vampiri. Ne ho parlato per la prima volta
nel missing moment In front of the Sky, dal punto divista di Liz.
Che ruolo avrà d'ora in poi? <3
Grazie davvero a tutti voi per esserci.
Un bacio
Ania
|
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Capitolo 11 *** 67. Vista appannata ***
jake 67
67. Vista appannata
I can't breathe
Until you're resting here with me
I won't leave
I can't hide
I cannot be
Until you're resting here with me
Mancava poco
meno di una settimana all’inizio dell’Università. Arte e Design. Ed era uno dei
pochi motivi che mi facevano annebbiare la vista per gli occhi lucidi senza farmi pensare a un ragazzo.
Quasi.
«Lizzy, stai
attenta ai biscotti! » La voce di Silvya mi arrivò alle orecchie dal salotto.
«Sì, Sil. Certo.
»
Certo.
―Che ci hai messo sopra?
―Le gocce di cioccolato. Perché, non ti
piacciono? ― Jacob mordicchia un biscotto, le briciole cadono sul libro di Inglese.
―No, no, sono buoni.
―Sicuro? ― Avvicino una mano al vassoio e
ne prendo uno anch'io. Il sapore del cioccolato è l’unica cosa sopportabile,
mi colora la lingua insieme al sapore di bruciato. Deglutisco.
E Jacob ne prende anche un altro.
―Che c’è?
Mi viene da ridere. È colpa sua, mi
distrae. Perché se lui avesse studiato Inglese io avrei potuto stare davanti al
forno e controllare. E invece non ha studiato inglese e ho la bocca screpolata,
il ricordo del suo profumo nella mia gola.
―Niente. Tutto ok, Jake.
Con un sorriso illumina tutto.
Certo.
«Lizzy, cos’è
questa puzza? »
«Niente! »
Mi avvicinai al
forno, veloce. Oh ma cavolo... cavolo... Mi ero dimenticata di
mettermi le presine. Ok, fortunatamente avevo solo sfiorato la teglia e non
l’avevo stretta fra le mani. Bene, le presine.
«Lizzy, sei
viva? »
«Certo! »
Presi la teglia
e la posai sul lavandino. Questa volta erano con la crema. Mi misi a sistemarli
in un piattino. Era un bel diversivo. Mia sorella era stesa sul divano a
guardare la tv. Se mio padre avesse saputo che le lasciavo vedere
Gossip Girl a dieci anni si sarebbe fatto idee strane, ma non avevo voglia di
litigare con Silvya.
Giornata
piena
per sopprimere i pensieri. Il piccolo John, il mio cuginetto di un
anno, mi guardava dal seggiolino. E un bambino è assolutamente
capace di sopprimere
ogni cosa che non riguarda lui stesso. Presi i biscotti e li posai sul
tavolino. Quando tornai indietro, John emetteva piccoli risolini.
Lo posai sulle
gambe di Silvya, che lo strinse con un sorriso.
John chiaccherava fra sé, il ciuffo di
capelli neri che gli cadeva leggermente sugli occhi scuri. Gli accarezzai il
viso, la pelle liscia e sottile contro le mie dita, e gli andai a sistemare i
capelli.
Rimasi un po’
così, incantata a guardare il bambino. Sentii il mio cuore battere come se si
trovasse in una gabbia per uscire a tutti i costi, percuotendo forte tutto
quello che gli era intorno.
Il cuore che batte forte quando mi
tocchi, Jake. E mio padre torna fra mezz’ora, lo sai, e se ci sfugge qualcosa
saremo nei guai ma non importa lo stesso. ―Va tutto bene?
È strano che me lo chiedi sempre. Eppure
mi fa sentire importante, come se ogni cosa dipendesse davvero da questo. Ti
bacio, fai scorrere le tue mani sulla mia schiena, sopra di me. Trovi quello
che serve per avvicinarti di più e sai che hai già tutto. Perché ti sei
fermato? Dio, non ce la faccio. Se ci scoprono siamo morti ma potrei morire lo
stesso.
―Baciami.
«Lizzy, ti
squilla il telefono. »
E per l’ennesima
volta i colori scomparvero e ritornai nel salotto di casa mia con un
grandissimo impulso di insultarmi. «Sì, vado.» Attraversai la cucina, la
suoneria di “Bad Romance” di Lady Gaga in sottofondo, mai stata più appropriata.
Diedi uno sguardo al nome di chi mi stava chiamando e risposi.
***
Feci scivolare la matita fra le gambe, insieme al mio album.
Peter toccava
con il plettro le corde della sua chitarra, una fender che lui aveva chiamato Marylin.
Così non
riuscivo ad ascoltare le parole che cantava Josh, il cantante, senza trattenere
una risata.
Anche se in
effetti da ridere c’era poco.
Peter non
sembrava Peter.
Le mani andavano veloci sulla chitarra, e lui si contorceva
poco quanto niente, i capelli gli cadevano un po’ sugli occhi e quando li
alzava emanavano bagliori quasi rossi fino fondo del garage. C’era una luce,
fioca, forse perché era sera, forse per creare atmosfera. Comunque non ero
l’unica ad ascoltarli. Vicino a me c’era qualche ragazzino e due ragazze più o
meno della mia età.
Non pensai molto a loro.
Cosa stai
guardando?
Niente.
Chi stai
guardando?
Peter.
Lui alzò il viso
verso di me e chiuse leggermente un occhio, quella cosa che si chiama
occhiolino.
Che scemo.
«Va bene,
ragazzi. Scaldatevi con la birra, per oggi basta. » disse quello che cantava.
Chi stai
guardano?
Peter.
Diede
qualche pacca sulla spalla al batterista. Era un sacco più basso, e
ridevano insieme. Poi Peter si girò verso di me, un sorriso sulle labbra.
Chi stai
guardando?
Peter.
Sentii il rumore
dei nastri della cassette quando vengono tirati indietro. Quasi sussultai.
Chi stai
guardando?
Certo che è carino.
Oddio… no. No. No. No.
Di che hai
paura, adesso, Liz? Sapevi che sarebbe successo, in una vita senza di me.
«Ehi! » Peter
quasi mi fece volare, stringendomi fra le braccia. Mi sentii la gola soffocare,
appoggiata alla sua spalla. Profumo di menta.
«Ero sicuro che saresti venuta, anche se ti sei persa due canzoni degli U2.» Rise.
«Ne eri sicuro?» Sciolse l’abbraccio, senza smettere di sorridere, mentre io
cercavo di aggiustarmi quella specie di cappello di cotone che avevo in testa.
Mi misi le mani
sul capo, a sistemarlo.
«Mi sono liberata all'ultimo minuto, oggi ho fatto la babysitter.» gli dissi.
«Perché hai quel
coso in testa? »
Sbuffai. «Me l’ha dato Dina per cambiare Look. »
«Cambiare Look o
assomigliare a un folletto? »
«Forse entrambe
le cose.» Me lo tolsi e lo piegai. Feci un sospiro e mi appoggiai al palco.
Quasi mi morsi la lingua quando mi accorsi di cosa stava facendo e della sua
velocità. Mi ritrovai seduta sullo stage, aiutata da lui.
«Sei sempre
carina. »
Bene.
Chi stai
guardando?
Peter che si mordeva le labbra e faceva un sorrisino.
Ma la vuoi
finire?
«Sei molto bravo
a suonare. Non eri così bravo due anni fa.»
Era mio amico.
Perché tutti quei ragionamenti strani?
«Be’, te l’avevo
detto che era una cosa imperdibile. »
Dio, è proprio bello quando sorride. Il bagliore diventa un’ombra di luce e il buio del
garage...
«E tu sei decisamente un narcisista.» constatai.
Mi misi la borsa
sulle gambe e me la strinsi al petto.
«È verissimo.
Perché lo dici con quel tono schifato? »
Lo guardai
accigliata. «Perché non è una buona cosa. »
«È una cosa da
rock star. »
Sentii una
risata arrivarmi alle orecchie, strozzata, come se fosse venuta fuori in un
momento non opportuno.
«Josh,
finiscila! » fece Peter, e gli si mossero i capelli ricci. Se li portò su con
una mano. «Che fai, origli? »
«No!No, Pete! »
disse quello. Mi voltai a guardarlo, era il cantante. «Certo che non origlio.
»
«Ho capito che
lei ti piace, ma non credi che dovresti presentarti, prima? »
Cercai di dare
uno schiaffo a Peter, ridacchiava e faceva lo stesso rumore della corda più
grave della sua chitarra.
«Ma che dici? »
gli sussurrai.
«Ehi, ragazzi!
Non volete conoscere la mia ragazza? » disse ad alta voce. Tutti stavano
mettendo a posto i loro strumenti e Peter era l’unico che aveva ancora la
chitarra appesa alle sue spalle.
Ma se ne
dimenticarono completamente e vennero a stringermi la mano tutti quanti.
«Non sapevo che
fossi fidanzato, Pete. » disse il batterista.
«Infatti non
sono la sua fidanzata! » cercavo di sovrastare il chiasso. Mi zittii per un
po’, mentre Peter e i ragazzi parlavano di cantanti e nomi di band e facevano battute
che sfioravano l’eleganza della serie di "American Pie". Quasi si prendevano a
pugni e si scambiavano insulti che li facevano ridere.
Paul prende a pugni Jacob, Embry si mette
in mezzo, Seth ride da dietro, Quil scuote la testa, Jared tiene la mano di
Kim, dice “Ragazzi, non è ora di smetterla?”
―No. ― E lo dice Jacob. Sono seduta sulla
spiaggia insieme a tutti gli altri, Leah è abbracciata a Brian e Noela prova a
fare le foto notturne con la sua macchina fotografica.
Affondo le mani nella sabbia, sento il
calore del falò inondarmi la faccia. Jacob mi guarda, un sorriso in volto.
―Io
non voglio che finisca.
Se n’erano
andati tutti, e adesso Peter stava mettendo a posto la sua chitarra, piano,
come se potesse essere graffiata da un momento all’altro.
«Si è fatto
tardi.» dissi, stringendomi nelle spalle.
«Porto la
chitarra a casa e poi facciamo un giro.»
Uno strano
brusio mi invase la testa, come tante formiche che camminano insieme e nello
stesso posto. Il male alla pancia non era dovuto allo stomaco vuoto, e nemmeno
quella strana leggerezza nelle mani.
Peter voleva uscire con me.
«Io non sono la
tua ragazza.» E cercai di dirlo con il sorriso, in modo che cogliesse la
vena di scherzo. Non mi chiesi se ci fossi riuscita, quella brava a mentire non
ero io.
L'ho fatto per
te.
L’ho fatto per
noi.
Presi un respiro
profondo.
Jacob.
«Lo so, Lizzy
frizzy. Era per farti arrabbiare.» Sorrisi, alla
luce fioca. «Ci sono riuscito? » disse ancora.
«Mi hai fatto
ridere. »
L’aria tiepida
dell’estate mi accarezzava la pelle, abbandonata dal calore incandescente delle
mani di Jacob Black.
Ma lui c’era
ancora. Lo sentivo.
Peter prese la
custodia con la chitarra e si avvicinò a me. Mi passò una ciocca dietro le
orecchie. Spesso mi scottava, le mie labbra diventavano bollenti sul petto,
ma non avrei mai potuto smettere.
Jacob avvicinò
il suo viso al mio. Le sue mani mi accarezzarono il viso.
Delicate, a
cercare.
Calore.
Abbassai lo
sguardo.
Mani chiare,
gentili.
Di Peter.
«Peter,
scusa,
ho scordato le pile della testiera.» La voce fu seguita dal suono
degli interruttori. La luce si accese e Peter si allontanò da
me, aveva le guance più colorate.
«Certo, Steve,
noi andiamo.»
Avevo visto
Jacob.
Mi morsi la
lingua.
Vedevo sempre lui.
*
*
*
*
Ciao, ragazzi! Allora, qui la vita
continua normalmente, per Lizzy. Il punto è, quanto può
andare avanti quando il suo pensiero è fermo sempre da una
parte? Vedremo. E vedremo anche che intenzioni ha Jacob.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, comunque :) E nel prossimo ci sarà una svolta decisiva <3
Grazie mille a tutti voi
Un bacio
Vostra Ania <3
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Capitolo 12 *** 68. Dolori dal passato ***
jake 69
68. Dolori dal passato
«Posso aspettare
fuori, se vuoi. »
«No, ma che,
scherzi… Molly? Molly, dai apri!» Bussò più volte alla porta del suo
appartamento, verde opaco, il colore della crema amara agli asparagi.
«Penso che ti
starà simpatica.» mi disse ancora.
Gli sorrisi.
La porta si
aprì.
La
signora si
sistemò la giacca, su cui cadevano i capelli corti e rossi,
sicuramente tinti. Due occhi grigi mi guardarono, sbiaditi dal tempo
che cantava
sui segni della sua pelle.
«Ciao, caro.»
«Ciao, Molly. »
Poteva avere all’incirca settant’anni, come mia nonna. «Che facevi? »
La signora
camminava per il corridoio a passi spediti.
«Oh
nulla,
Peter. Oggi è una giornata bellissima, hai visto come sono
belli i
colori nel cielo? Si vede anche se è sera. Magari fra un po'
potrei scrivergli.» Peter aprì un’altra porta e mi
accorsi che doveva essere
quella della sua stanza. Emergeva un letto disfatto, dei poster enormi
che non facevano vedere nemmeno la pittura bianca di tutta la casa.
Tornò dopo qualche
secondo ed io lo seguii in cucina.
Peter sospirò,
come dispiaciuto.
«Molly, dovresti
smetterla di… »
«E questa
signorina, Peter? È la tua fidanzata?»
Ma ce l'ho scritta in faccia questa parola?
La voce della signora era dolce, ma
sembrava che si spezzasse, faceva lo stesso rumore dello foglie calpestate e
veniva fuori quasi a sforzo, dalle sue labbra sottili.
Peter rimase
immobile con la testa nel frigorifero, e sentii lo stomaco traballarmi.
«No… no,
signora. Sono un’amica. Mi chiamo Lizzy Audley.» Le strinsi la mano, la pelle
morbida e incavata contro il mio palmo. Quasi mi incantai a guardarla, aveva
degli occhi che sembravano guardare lontano. E quando si voltò leggermente i suoi
lineamenti crearono un’ombra precisa contro il muro, dalle linee morbide.
«Lizzy come
Elisabeth? »
«Sì.» assentii.
«Che nome
meraviglioso. Proprio come la ragina di Inghilterra… Ti va una tazza di tè? »
Peter chiuse il
frigorifero con in mano una bottiglia di coca cola. «Ma Molly, sono le nove.»
«Oh, ma il tè
preso per colazione va benissimo. »
Rimasi così, in
bilico. Mentre Peter si passava una mano fra i capelli e chiudeva gli occhi.
Molly lo guardava e i suoi sbiadivano, cancellati.
«Ecco… Lizzy… »
cominciò Peter.
«Non importa, ho
già fatto colazione, Molly. » le dissi.
Vidi Peter
sorridere, mentre si voltava e apriva la bottiglia.
La signora
annuì, ed io capii che i puzzle non erano stati incastrati bene. Si vedeva
dall’espressione di Peter.
Molly non stava
bene.
***
«...
Già, il marito è morto un sacco di tempo fa e Molly è sempre
stata una forte, ha cresicuto sei figli da sola. Dopo la trombosi
è cambiata completamente e ha cominciato a scrivergli lettere. E
a volte si confonde con le cose e... Di solito le
persone insistono.» disse Peter, mentre camminavamo dalle parti
dello stadio.
«Sarebbe stato
stupido.» risposi io. Mi misi le braccia al petto. Cominciava a fare
freddo, e sembrava che tutti fossero chiusi in casa.
«Molly
è la mia madrina. Quando ha saputo che tornavo a Seattle ha
insistito che andassi a stare da lei, sai... la mia mancanza si sente.
Da quel punto di vista ragiona benissimo.»
Sbuffai, con il
sorriso sulle labbra.
«Come fa con tutte le cose di casa?»
«C'è
sua figlia, ma è fuori città adesso. Non è il mio
tipo, però. Non ha l'età per stare con me, dovrebbe
guardare quelli sui quaranta.» disse lui.
«Peter...»
«Preferisco
le diciottenni che si mettono cappelli buffi per cambiare look.»
Gli feci una linguaccia e poi risi.
Per non pensare.
Seduta al
tavolo, aspettavo che mi venissero portate le patatine. C’era un chiasso
tremendo, in pizzeria. E per parlare quasi dovevamo usare dei linguaggi in
codice.
Il cameriere
portò due birre e andò via.
Mi misi diritta.
«E la mia coca
cola? »
«Coca cola? La
coca cola la bevi davanti ai vecchi, Lizzy, per fare capire che ti piace ancora
la roba da ragazzini di scuole medie. Questa è per te.» E fece scivolare la
birra verso di me.
«Io non bevo. »
«Ed io sono un principe.
»
«Sei venuto con
il cavallo? »
Aprì la sua
birra e spostò i bicchieri di plastica con il gomito fin quasi alla punta del
nostro tavolo. Cominciò a bere dalla bottiglia, i capelli all’indietro, e il
viso chiaro contratto.
«Peter, che
schifo.» Mi appoggiai al tavolo con i gomiti. Poggiai il mento sulle mani e
aspettai che finisse i suoi sorsi.
Mise la birra
sul tavolo, e quando mi ritrovai le patatine sotto il naso quasi non me ne
accorsi.
«Tocca a te,
ora. »
«No. »
«Devi bere. »
«No.» Afferrò la
mia birra – la mia birra? Io non avrei bevuto! –, prese un bicchiere di
plastica e ce la versò dentro.
«Prendi. » Mi
diede il bicchiere. Plastica trasparente, si vedeva il liquido dorato che
faceva le bollicine. Solo l’odore mi fece rivoltare lo stomaco. Era
pieno fino all’orlo.
«No. »
Peter si mise
come poco prima mi ero messa io. I gomiti sul tavolo e il mento appoggiato alle
mani.
«Tu adesso bevi
quella birra.»
«Ho fame, non ho
sete. E sono astemia.» Presi una patatina e me la infilai in bocca. Il sapore del ketchup mi
finì sul palato, forte.
«Ma se tu non
bevi quella birra, io mi metto a cantare ad alta voce, a squarcia gola,
ballando intorno al nostro tavolo. »
Si alzò dalla sedia e cominciai a masticare, piano. Deglutii.
«Peter… »
«Questa la
conosci, è la canzone in cui al ballo di fine anno gli amici di Danny fanno
vedere il culo.»
Quasi mi
strozzai con la patatina. «Stai parlando di "Grease." »
«Oh, sì, che
ragazza. Vuoi che cominci?»
«Per favore…»
«Avevo dodici
anni quando l’ho suonata al saggio. »
« Ma tu ora fai
un altro genere. »
«Bevi. »
«No. Peter, no.
»
«Bene.»
Voltò la testa e
i riccioli gli finirono un po’ più a lato, con un sorriso da chi ha bevuto ed è
felice di averlo fatto.
«Blue
Moon, you saw me standing alone, without a dream in my heart, without a
love of my own.» Cominciò a girare intorno al nostro
tavolo, cantando a voce sempre più alta. Dio, era stonatissimo e
oh mio Dio, ci stavano guardando tutti.
«Peter,
finiscila, dai. » mormorai a denti stretti, la gola secca. Sentivo
le guance in fiamme.
«Blue Moon, you know just what I was there for, you heard me saying a prayer for, someone I really could care for.»
Non accennava a
smettere. Anzi, adesso la sua voce era anche più alta della televisione a
schermo piatto appesa al muro. Mi passai una mano fra i capelli e lo fissai.
Lui continuava a
cantare, alle note alte la sua voce era stridula, e io mi sentivo le guance
imporporare sempre di più.
Presi il bicchiere
con la birra, la schiuma che ancora copriva la bevanda e la avvicinai alla
bocca. Il gusto amarognolo mi attraversò la gola e mi venne quasi l’impulso di
tapparmi il naso, come se stessi per fare un tuffo o solo per non far venir
fuori quello che stavo ingurgitando.
Quando misi il
bicchiere giù, Peter si era fermato e mi stava guardando.
«Uao, ce l’hai
fatta. »
La gente
ricominciò a parlare fra sé e sé e si dimenticò di noi, la ragazza che
diventava rossa e l’amico che cantava "blue moon" intorno al tavolo.
Mi venne fuori
una risata che non sapevo nemmeno da dove provenisse, ma poi fu seguita da un
singhiozzo, e Peter non si trattenne per niente dal ridermi in faccia e rubare
dalla vaschetta delle mie patatine.
«Forza, non ti
agitare, sei stata brava. »
«Brava?» Un altro singhiozzo. «N-Non vedi che c-cosa mi… » Un altro singhiozzo. Lui
rideva con le mani sulla pancia, la dentatura bianca che quasi faceva
fluorescenza alla luce del locale. «… mi sta
succedendo. » continuai.
«Lo vedo
benissimo, Lizzy.» Si versò dell’altra birra. «Dai non prendertela, adesso puoi
chiedermi tutto quello che vuoi. »
«Non ti chiederò
proprio niente. » dissi, trattenendo un altro singhiozzo. «Anzi, sì. »
«Dimmi. » E la
sua voce era gentile.
Presi il
borsellino dalla borsa e misi i soldi che mi servivano sul tavolino. «Vammi a
prendere l’acqua. Così almeno mi può passare il singhiozzo. »
Gli angoli della
sua bocca si abbassarono in un’espressione dispiaciuta. «Tutto qua? »
«Sì. » Mi passai
una ciocca dietro l’orecchio, e quasi si impigliò nei fiori di stoffa che si
trovavano sulla mia frontiera.
Peter bevve un
altro po’ di birra, sempre dalla bottiglia.
Lui finì le mie patatine, la birra mi
aveva chiuso lo stomaco. Ma poi ordinò un’altra pizza, sotto i miei occhi che
chissà come lo guardavano. Quando la pizza arrivò, mi venne di nuovo fame.
«Mi dai un
pezzo? »
«Ma proprio no, è mia. »
Mi spaparanzai
sulla sedia. Alla tv stavano dando uno speciale su Madonna. Mia madre aveva conservato un
sacco di dischi suoi, li aveva conservati tutti.
«Dai, prendi.» Alla fine Peter decise che era una cosa brutta negarmi un pezzo di pizza.
Guardai
l’orologio. In pizzeria c’erano poche persone, ed io cercai di
trattenere uno sbadiglio.
«È mezzanotte e passa, Pete.
Dovremmo andare. »
Mi misi la
giacca a maniche corte, anche quella prestata da Dina. Me la sistemai e tirai
su la cerniera blu.
«Vado a
scassinare la cassa. »
«Eh? »
«A pagare,
volevo dire. »
Presi il telefono, in un
gesto automatico. Sperai che mio padre non mi avesse pensato.
Quando apro gli occhi, è come in vacanza
tanto tempo fa. Quando le pelle scottata del sole pizzica fra le lenzuola, e
l’odore e il ricordo del giorno prima è così dolce da farmi sentire ancora il
sapore di ogni cosa.
―Sveglia?
Jacob armeggia con la cinta dei suoi
pantaloni, la camicia abbottonata a metà. Ricordo le sue mani e la sua bocca su
di me. Il suo corpo che si unisce al mio, i nostri respiri, la sua voce.
―Sì.
Mi stringo nelle coperte e in quel poco
che ho ancora addosso. Lui si avvicina e si siede accanto a me, squarcia l’aria
fredda di dicembre con la sua bocca sulla mia, le sue braccia a stringermi. Ha
passato tutta la notte fuori ma siamo ancora qui. Non voglio lasciarlo mai.
Mi risvegliai dal
sogno come se mi avessero buttato addosso dell’acqua fredda. Mi mossi
leggermente, come barcollante, mordendomi le labbra. Stavo bene.
Mangiavo, ridevo, uscivo.
Ma la mia vita si riprendeva a scatti, pezzi di
vecchie diapositive che non sarebbero mai scomparse dalla mia mente.
Deglutii,
avevo
ancora un sapore amaro in bocca. Mi misi a cercare delle mentine nella
borsa,
mentre mi avvicinavo alla cassa. La ragazza dietro il bancone stava
servendo altre ragazze e Peter era appoggiato ancora lì, al
bancone, con lo
sguardo fisso sullo schermo più piccolo appoggiato a un piccolo
mobiletto.
Feci qualche passo
verso di lui.
«I fenomeni sono
diversi. Riscatti, fuggiaschi, serial Killer. Ricordo ancora quando a Seattle,
un paio di anni fa, ci fu l’allarme. » Nello schermo, la giornalista anziana si
rivolgeva ad un’altra donna. In sovraimpressione apparve: “Kendra Fain –
Criminologa e madre di un ragazzo scomparso a Seattle nel 2006”.
«Peter. » lo
chiamai. Ma lui era immobile.Tanto più alto di me, dal suo profilo riuscivo a
scorgere la mascella serrata. Niente luce nei suoi occhi, solo un marrone scuro
che contrastava con la sua pelle chiara. Il profilo dritto che quasi mi venne
voglia di toccare per farmi guardare, per richiamarlo al mondo reale.
Ma il
mondo reale era quello.
E Ronnie, la mia
migliore amica, la sua ragazza quando lui andava ancora alle superiori, non
c’era più.
«Peter.» Gli
misi una mano sul braccio ma lui si scostò, e lo fece come si farebbe con una
mosca che dà solo fastidio.
«Una
strage, più di cento vittime. Sono casi in cui è difficile avere speranze, e la
polizia, con ogni sforzo e strumento necessario, non è riuscita ad arrivare a
nulla. Tutti giovani e con la vita davanti. » La giornalista parlava e, dietro
di lei, scorrevano le immagini. «L’ultima vittima risale
proprio a due precisi anni fa, gli inizi di luglio.» Cercai di chiamare ancora
il nome di Peter. Peter Dolovan, mio amico. Il ragazzo di Ronnie due anni
prima. Quello che aveva lasciato la città subito dopo il diploma ed era tornato
per l’estate solo dopo due anni, con un sorriso che mi aveva quasi fatto
dimenticare il resto.
La voce mi morì
in gola. Peter, Peter. Non lasciarmi da
sola, Peter. Le gambe mi divennero pesanti, al punto che dovevo per forza
appoggiarmi a qualcosa per non cadere. Perché sarei caduta.
Fra le foto, apparve quella di una ragazza con i capelli castani scuri,
quasi come quelli di Peter ma liscissimi, perché io l’avevo aiutata a fare le
trecce per l’acconciatura del saggio di danza. Le meshes arancioni e il
sorriso, gli occhi allungati sulla carnagione dorata. La mia migliore amica.
Peter si
avvicinò all’uscita, quasi senza guardarmi, ed io mi mossi per raggiungerlo. Peter, non lasciarmi da sola. Non correre,
non ce la faccio. Mi fa male tutto, ogni cosa, ogni ricordo, ogni momento con
Ronnie, ogni momento senza Ronnie, ogni momento con te. Dove sei, Jacob Black?
Sii felice per me, perché io non ci riesco.
«Peter? » Uscii
dalla pizzeria e lui era lontano da me almeno quindici metri. Si fermò e non
andò più avanti. Si voltò solo un poco, e i capelli ricci mascheravano la sua
ombra sulla strada.
Era tardi e molte persone dormivano.
Io vivevo al
buio da tanto, ormai.
«Tu credi che
sia morta? » chiese.
Feci qualche
altro passo verso di lui e adesso lo vedevo bene. Le sue immagini si
sovrapposero, lui e la voce rotta con i giornalisti che gli facevano domande, e
poi lui in quel momento, cresciuto, ventun anni, chiatarra, birra, risate e lui
che adesso mi chiedeva con quella stessa voce se Ronnie era viva o no.
«Non posso
saperlo. »
«Non ti ho
chiesto se lo sai. Ti ho chiesto che cosa credi. »
Trattenni il
respiro.
Ma io lo so, Peter. So ogni cosa. Se solo
la terra fosse un luogo confortante, per i morti... Ronnie è morta nel fuoco.
«Perché non
rispondi?» fece ancora. Ed io ero sempre più vicina a lui.
Improvvisamente
vidi una nebbia che lo faceva scomparire nell’oscurità illuminata solo dalla
luce dei lampioni. Erano delle lacrime che mi caddero sul viso.
«Io… come faccio a dirlo, Pete? Ronnie era la mia migliore amica. »
«Era, parli al
passato, Liz? »
Liz.
Solo Jacob mi
chiamava così.
―Ti
amo. ― La sua voce graffia nelle mie orecchie, mentre chiudo gli occhi. La sua
bocca mi prende, le sue mani mi stringono, il suo respiro diventa mio, perché
vivo insieme a lui.
Non
voglio che tutto questo finisca.
―Anch’io
ti amo.
Gli
occhi bruciano, il cuore brucia di vuoto, mentre penso a Ronnie, alla verità
che ora conosco bene. Io… voglio solo che lei stia bene, ovunque sia. Lei e mia
madre…
―Liz…
Liz, è la cosa più pericolosa che possa esistere.
―Non
dirò niente a nessuno.
Ma Peter adesso mi prendeva per il braccio
e non c’era dolcezza, gentilezza o amicizia. Solo voglia di sentire e ascoltare
il dolore da una voce che non fosse la sua.
«Secondo me è morta, Pete. » Feci un
respiro profondo, e adesso le lacrime scendevano. Avevo chiuso gli occhi e non
vedevo più niente. Chi era che ora mi accarezzava la guancia? Chi era che ora
toccava le mie lacrime? Jacob le aveva baciate, le aveva leccate e ingoiate,
salate e amare, per avere il mio dolore. Tirai su col naso.
«Lizzy… » Era la sua voce.
Spezzata, calda.
Jacob.
Peter.
Jacob.
Peter.
Aprii gli occhi, per riconoscerlo.
Peter si leccò le
labbra, sospirando. Mi lasciò
andare dalla sua presa.
«Io… io non vedevo
nessun’altra, quando stavo con lei. E Dio, ero innamorato
veramente.... I visi di tutte le altre ragazze era come se non li vedessi. Me li ricordo
tutti sbiaditi, come
vedrebbe una persona miope che ha bisogno degli occhiali. E quando
Ronnie è scomparsa non ho visto altro che facce sbiadite.»
si
interruppe per qualche secondo. Avevo il fiatone, non sapevo
perché. «Sono
passati due anni, e non ho riconosciuto mai nessuna faccia... è
assurdo.»
«Peter, io… » cominciai.
«Non
c’è stato momento in cui non l’ho vista. Ho visto
Ronnie sempre. Ma poi sono tornato qui a Seattle. Ti ho vista, ti ho
riconosciuta e
non eri Ronnie, non eri un fantasma. Eri tu e basta.» Peter mi
prese una mano
e mi accarezzò la guancia con l’altra.
Rabbrividii.
«La dimenticherò? La sto dimenticando?»
Deglutii e cercai di parlare. «Continuare a vivere non significa dimenticare. Ronnie lo avrebbe
voluto. »
Mi pentii del modo in cui avevo parlato.
Forse in modo troppo sicuro, con troppa rassegnazione. Perché per Peter
Ronnie era ancora sempre la stessa. La ragazza che amava ballare e sognava di
andare alla Juliard. Una ragazza che, dopo gli allenamenti delle cheerleader,
non era tornata più.
«Grazie.» disse.
Rimasi immobile. Volevo solo scostarmi,
perché stavo capendo una cosa che non volevo capire. Peter aveva le fiamme nei suoi occhi marrone
come il cioccolato fondente, ed era bello.
Ed era troppo vicino.
«Tu sei mio amico, Pete.» dissi quelle
parole come se stessi enunciando quelle decisive in un gioco finale.
Quelle che avrebbero scatenato la guerra, o che avrebbero portato la pace. «Ehm... devo andare a casa. »
«Sì... ti accompagno io. Prima però passiamo da me. »
«Perché?»
«Hai lasciato lì il tuo album, non ti ricordi?»
Mi prese la mano e ignorai il nervosismo. Entrammo in macchina.
Acceleratore.
Curva. Clacson.
Peter.
Semaforo.
Arancione. Rosso.
Peter.
Corsa. Passanti.
Fermata.
Peter.
Di fronte alla
porta di casa sua, aveva ancora il fiatone.
La chiave
tintinnò sul pavimento.
La infilò nella
serratura ed aprì. La casa era buia, una luce leggera proveniva dal riflesso
della finestra, dalla cucina. Mi arrivava all’altezza degli occhi.
Dimenticare
a casa sua la cartellina con il nuovo progetto di Arte moderna era
stata una mossa incredibile. Non ci credevo. Non sarebbe successo
niente.
Ed ero a casa sua, di notte.
«... Torno subito.» Mi sedetti
sulla sedia, dei fogli di fronte a me. Ne presi qualcuno... erano delle
lettere. Forse quelle che scriveva Molly. E i miei occhi scorsero su quelle parole, il cuore in gola
e una sensazione che mi faceva venire freddo.
"Caro, James.
Forse non ricordi
com’era la nostra città, quando l’hai lasciata. Oggi, di fronte alla nostra
finestra, ci sono dei pezzi di carta enormi con pubblicità di cose che non
avrai mai conosciuto, qui a Seattle. I manifesti con la donna bionda e la “Coca
cola” vengono usati sulle borse, ed io non ne bevo una da tanto tempo, senza di
te non mi sembra lo stesso.
Le strade sono
cambiate, alcune non esistono più. Ne sono nate di nuove, e i giovani ci
camminano veloci. Quando c’è Peter sono veloce anch’io, mi prende il braccio e
mi lascia percorrere i percorsi con i miei piccoli passi. Ma non è vero, non
sono più così veloci. Avevamo vent’anni quando te ne sei andato, i nostri figli
erano piccolissimi e ti hanno visto solo nelle nostre foto. Ma chi non c’è
spesso è andato solo da un’altra parte.
Come
fai a tornare se non vai via? Sai
che non sono mai stata brava con i numeri. Assomiglio a tua nonna, tu
la
ricordi? Quella signora anziana che viveva vicino al porto e vendeva le
viole.
Ho i suoi stessi solchi sul viso, come se fossi di creta e il tempo
fosse un
pennello. Accarezzeresti mai il mio viso, anche se è
così? Ti sto immaginando. Forse anche tu sei simile a me, ora.
Ultimamente esco sempre meno. Peter ha scoperto delle nostre lettere e
sembra spaventato. Non lo vedevo da due anni, si era trasferito per
studiare
fuori ed ora è qui da me, in vacanza. Sapeva già che ero
finita all’ospedale
per… oh, James, non ricordo il nome, sai come sono con queste
cose. Ma sa delle nostre lettere e ora pensa che io sia una vecchia
pazza, perché
scrivo ad un uomo che non c’è più. Ma come fanno
gli altri a sapere? Il cuore
batte verso un’unica direzione, ed io non so dove sei davvero, ma
so che sei
vicino e il mio cuore ti chiama qui. Forse sei proprio accanto a me,
dietro di me, seduto al mio fianco. Guidi
tu la mia penna, perché la mia mano trema. Sono davvero malata?
James… Non hai
visto tuo figlio, il giorno del suo matrimonio. Hai mai visto occhi
innamorati?
No, risponderesti, e poi rideresti. Ricordati dei miei. Di che colore
sono? Non
ricordo… ma forse potrei ricordare anch’io, anche se le
nostre foto sono in
bianco e nero. Quando ci siamo sposati avevo dei fiori bianchi in
testa, i miei
capelli erano neri. E i miei occhi erano come il mare d’inverno,
grigi di
calma. Li hai visti accendersi solo tu.
I tuoi figli
innamorati erano la cosa più bella del mondo, quando si sono sposati. Ricordi
quando sono nati? Rossi e piccoli e con la manina chiusa. Che cosa si provava a
guardarli? Restate sempre con me,
pensavo. E poi li vedevi lì, in chiesa, con
quell’abito che avevo scelto con loro. Quel fiore blu nella tasca
che a me non
piaceva per niente ma che loro hanno insistito nel mettere
perché è il colore
preferito della ragazza che amano. La musica suonava, io li
accompagnavo. Poi li ho
lasciati lì. Non erano più rossi, né piccoli,
né con la manina chiusa a pugno.
Erano con le guance accaldate dall’emozione, più alti di
me, la loro mano
stringeva la mia e poi quella della loro sposa, e lo stesso è
successo con le ragazze. Oh, James… se solo tu li avessi visti.
E avessi visto i loro
figli e quanto… quanto ti somiglia il più piccolo.
Ora, tu, mi guidi questa
penna. Si sta scaricando… aspetta un attimo… Ecco, sono ritornata qua dopo
mezz’ora, Peter non c’è ma è meglio che non veda. Mi sembra così triste, a
volte. Anche lui è innamorato… lo era, una volta. Forse ora lo è di nuovo. Lei
ha lo sguardo dolce, mi ispira tutto lo zucchero che ho nella dispensa, ma tu
sai che a me non fa male. Non lo mettevo mai, nemmeno con il caffè.
Carola dice che, quando tornerà da Miami,
per tre giorni potrò stare in un posto con persone che si prenderanno cura di
me. È vicino al parco, amore mio. Ci siamo incontrati lì, la prima volta,
ricordi? Smettila di non farti vedere.
Lì, oggi, c’è una
panchina verde vicino agli alberi. C’è sempre l’ombra, come piace a te quando
andavamo a fare i pic-nik.
Dovevi andartene per tornare.
So che sei qui
con me.
Lasciami
raccontare tutto questo ad alta voce. Se ti piace ancora come canto, potremo
cantare insieme. Frank Sinatra, quanto mi piace ancora. Conservo ancora il
vecchio cd che mi hai regalato, so tutte le parole a memoria.
Al parco. Di pomeriggio.
Abbi pazienza,
cammino lentamente. Non sono più giovane come una volta. Insieme lo saremo,
però. Ne sono certa.
Sono
le undici e mezza... Peter starà per tornare,è meglio che
smetta. Tanto so che mi sei vicino. Sempre verso una sola e
unica direzione.
Mi manca
stringerti quando la notte fa freddo.
Tua Molly."
Mi portai una mano agli occhi, vedevo sbiadito.
Quella lettera mi aveva fatto saltare il cuore nella gola. O forse era solamente inciampato da
qualche parte, non lo sapevo.
«Hei.» Peter mi sfiorò il fianco e si sedette sul divano di fronte al tavolo.
Non riuscii a
trattenere la mano che gli andò ad accarezzare i capelli scuri che si
arricciavano sopra le orecchie e gli cadevano sulla guancia. Peter è innamorato, ora.
Peter.
Jacob.
Peter.
Jacob.
Jacob. Jacob.
Jacob.
Peter mi prese la mano e se la avvicinò alla bocca.
Mi strinse a sé e intrecciò la sua mano alla mia.
Lo abbracciai e
sentii il suo corpo irrigidirsi, poi i suoi palmi sulla mia schiena, a stendere
il tessuto della mia maglietta. Poi ci fu un rumore di plastica, un interruttore della luce che veniva spento.
Trattenni il
fiato, e i suoi occhi si accesero nel buio. Marrone, crema, una dolcezza che
avevo visto solo nel suo sguardo e sul suo viso.
Ma nella mia mente il vuoto, un
burrone così nero da non lasciar vedere nemmeno la sua fine. E un viso familiare
emergeva dall’ombra.
«Tu sei così
dolce. » La sua voce era leggermente graffiata, inceppata come un vecchio
disco. Ma riuscivo ancora a scorgere la morbidezza di sempre. «Sei così
bella.»
Sentii il mio
respiro farsi frettoloso, come se stessi correndo per prendere qualcosa. E il
mio stomaco quasi mi mormorò qualcosa, che io comunque non riuscii a
capire.
«Sto per fare una cosa.» sussurrò, fra i miei capelli.
Sentii un leggero tremore, mentre
lui mi teneva le mani ed eravamo vicini in un modo che nessuno si sognerebbe di
dire :“Tu sei mio, amico”. Tremava anche la sua mano sulla mia
guancia, tremavano le sue labbra, mentre chiudeva gli occhi. Ed io non riuscivo
a chiuderli senza perdermi.
Ti amo, Liz. Non mandarmi via. Che cosa stai
facendo? Come pensi che stia, senza di te? Non riesco a vivere se tu non ci
sei.
Le labbra di Peter erano vicinissime alle
mie. Gli occhi chiusi, le sue ciglia lunghe.
Le
sue labbra, le mie labbra. Jacob non soffrirà per questo, non
morirà per me. Amare significa rendere liberi, io lo amo, lo libererò. Non ci sarà più dolore.
Scambiai per dolce il sapore amaro
dell’alcol sulla sua lingua, la sua mano sulla mia guancia, le sue labbra
leggere come carezze sulla mia bocca.
Chiusi gli occhi, la luce della strada dai fori della tapparella mi
faceva vedere piccole macchie fluorescenti sul nero.
Peter mi stava baciando.
«Pete.»
Chiusi gli occhi. Mi ritrovai a sentire una strana pressione sui polsi,
e quando aprii gli occhi le mie mani era sulle sue spalle e le
sue dita
intrecciate alle mie. Gli occhi scuri che mi cercavano, leggermente
socchiusi.
Sembrava che stesse per cadere addormentato, e quasi mi persi in quel
dondolio
che lo portava verso di me. Sempre più vicino, sempre più
vicino, abbracciato a
me. Scacciai via l’odore di birra, come se fosse solo una specie
di nuvola, un
disegnino da bambini fatto per sbaglio su un quadro del realismo.
Così
incontrai di nuovo il suo odore fresco, dentifricio e semplicemente
profumo.
Morbido e allo stesso tempo forte, buono, suo. E lo sentii davvero,
perché le
sue labbra erano sulle mie. Un verso venne fuori dalla sua gola e si
confuse
con il mio respiro, mentre mi stringeva a lui. Sentii la sua mano sul
viso, i
calli duri dei polpastrelli a toccarmi. Si fece più forte sulle
labbra, che mi
si aprirono, e la sua lingua mi arrivò al palato e mi prese,
mentre lui mi
sollevava. Sul letto il colpo mi fece quasi sussultare, senza il suo
abbraccio.
Rimasi immobile, mentre lui raccoglieva le coperte cadute a terra
e si
passava una mano fra i capelli. Mi prese il viso tra le mani e mi
baciò ancora. Sentii l’eco del mio corpo che
rabbrividiva, mentre lui mi toccava. La sua bocca sul mio collo, le sue
mani su
di me. Era già buio, nella stanza.
Smisi di essere Liz e
chiusi gli occhi.
*
*
*
*
Ciao a tutti :) Spero che non mi vogliate uccidere, questo capitolo
è molto importante per il resto. Da qui comincia un scalata
verso quella che potrà essere una vottoria o una perdita. Grazie
davvero per esserci sempre, spero che abbiate passato delle belle
vacanze e che le stiate passando bene, se così fosse. Grazie
davvero :) Mi piacerebbe molto ricevere i vostri pareri, mi rendereste
davvero felice. Oh, passate a leggere Il mio perché, una fantastica storia su Embry :)
Un bacio e al prossimo
Ania <3
p.s ho trovato un cantante che assomiglia molto a Peter come lo immagino, si chiama Steve Mokaen :) Eccolo qui
Alla settimana prossima <3
|
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Capitolo 13 *** 69. Epilogo ***
jake 69
69. Epilogo
The day between the soil and the sky
An emptiness, a void, a heaviness, a sigh,
But I know you will make through alive
Cause you never said goodbye
Between - Courrier
Jacob
Sette anni dopo.
Mi sveglio alle
tre di notte, buio pesto.
E il rumore di un cuore accelerato mi spinge ad
aprire gli occhi.
I capelli le
cadono sul petto, le labbra leggermente aperte, il tessuto bianco che sembra
trasparente.
«Che ci fai
qui?» le chiedo. La mia voce suona roca, mentre lei mi fa scivolare il
lenzuolo dal petto e se lo avvolge sopra la testa, i riccioli che le
finiscono sulle guance.
«Sono entrata
dalla finestra.» La sua voce è dello stesso candore della sua pelle, anche se
le guance le si infiammano.
Appoggia la
testa sulla mia spalla, e sento una strana pressione all’interno della mia
testa, come se pulsasse, perché lei è quasi della mia stessa temperatura e mi aspetto
sempre di sentire qualcosa.
«Da quando sei
qui?»
«Russavi già.» risponde
e poi ride. Le prendo il naso fra due dita, come se fosse piccola. «Mi sentivo
triste.»
«Tuo padre è
partito di nuovo.» Non è una domanda.
Gli occhi
color cioccolato che sono l’unica cosa più scura che ha si chiudono anche se
restano aperti. Diventano opachi ed io non riesco più a riflettermi dentro. Poi
mi guarda fisso e sembra che se li toccassi mi troverei il cioccolato sulle dita. Si
morde le labbra e io la abbraccio perché - è così e basta -, cazzo, non ce la faccio.
«Non capisco.»
sussurra.
«Non devi
capire.»
«Non mi vogliono
bene.»
«Non è vero,
Ness, lo sai.»
«Mi lasciano
sempre sola.»
«Non è vero, ci
sono io.»
Si stacca da me ed io le accarezzo la guancia.
Aspetto il
tremore, il brivido, la svolta.
Ma non arriva
niente.
Bells con il vestito bianco il giorno del
suo matrimonio, le trecce, i capelli dai riflessi ramati, l’acqua del fango
negli occhi.
Ha le labbra
dischiuse, rosa e leggermente umide.
Come
il giorno del suo matrimonio.
Adesso le tolgo il lenzuolo dalla testa e i
suoi riccioli sono disordinati, riflessi
ramati. Gli occhi marrone brillano, – acqua
fangosa – lei accenna un sorriso,
inclina la testa, il naso a sfiorarmi il mento – viso a forma di cuore.
Ciao, Bells.
«Sì, tu ci sei
sempre.» sospira, mentre comincia ad accarezzarmi il petto con le dita e non
capisco.
Hai freddo, Bella? Stringiti a
me.
Questa volta non capisco anche se sento chiaro l’ordine che mi urla, dall’interno.
Sento quello che vuole come se io stesso lo desiderassi,
lei deve averlo.
Resto immobile e
stringo gli occhi in uno sforzo inutile che non mi porterà da nessuna parte.
Sento la sua mano sulla mia spalla, le
sue ginocchia ora ai lati delle mie gambe, mentre continua ad accarezzarmi.
«Domani hai
scuola… Ness.»
Non dovrebbe essere qui.
Non dovrebbe farlo, è una bambina.
Ha
nove anni, non diciassette come sembra. Non sa nemmeno lei di che cosa sta
vivendo, che cosa sta chiedendo.
Anche se lo fa per l’ennesima volta.
Perché
l’emorragia mi prende nel cervello, ed io non posso fare nient’altro che quello
che vuole lei.
Eseguo.
Il mio corpo di
uomo reagisce e, Cristo santo, non voglio che si fermi – fermati, Bella –, è il
mio imprinting– Vattene, Bella – ma continua con foga, e chiudo ancora gli
occhi e sento la sua mano sul mio volto. La
tua mano è sul mio volto e mi guardi addolorata, occhi color nocciola, non
cioccolato, quelli sono passati, quelli mi hanno abbandonato e adesso sono nel
mio cuore.
Tu invece sei ovunque.
Mi baci, fa' che non finisca mai, ti prego.
Toccami, toccami, non smettere di toccarmi.
«Non è
importante.» dice lei.
La guardo e
Renesmee – Bells – si porta le mani
dove sono quei tre, quattro bottoni del vestito che indossa. Li sbottona tutti,
poi se lo toglie da sopra la testa, e la pelle bianca è lattea sotto
il mio sguardo.
Bella Swan ancora viva.
Adesso si
avvicina e mi spoglia, le fermo i polsi e sono i suoi occhi intolleranti e
inquisitori perché vuole questo, ed è il mio imprinting e non posso dire di no.
Bells.
Sono debole
sotto la sua presa e mi lascio andare, la lascio fare.
Toccami,
non smettere di toccarmi. Un’ultima volta, per sempre. Questa volta, per
sempre. Sei bellissima, amore mio. Non ti lascerò mai andare via, Liz.
Prende le mie
mani e se le posa sul gancetto del reggiseno, gli occhi cioccolato a fissarmi.
Eseguo.
La guardo come
vuole essere guardata. Così la spoglio e la sento tremare. Sfiora la mia pelle
con la lingua e trattengo un ringhio. Lupo, uomo, istinto. E adesso
l’incastro è perfetto e lei quasi si culla da sola, sul mio corpo. Le mie
mani sono fra i suoi capelli, li tiro, c’è il suo collo ed io lecco. Perché è
quello che vuole e chiede.
Bella Swan ancora viva.
Le sue mani
sulle mie spalle, poi sulla ringhiera del letto a spingere più forte, io sono sempre
più forte dentro di lei, sempre più forte.
Ti amo. Cosa pensi che importi il tempo che
passa? Ho l’orologio rotto da quel
giorno, non è cambiato niente.
Si spinge, sispinge
più forte. Adesso chiama il mio nome ed è più veloce. Le tiro i capelli e le
sto facendo male.
Pensi che io sia felice, così?
«Jake.»
Le tiro i
capelli, mordo.
Così, Liz?
Adesso si muove
piano, e ha le braccia esili, le mani piccole. C’è una
lacrima che scintilla sulla sua guancia ed io la faccio scendere, lascio che le
cada giù, sulla linea del collo e poi sul seno, dove prendo e tocco con le mani, il lupo sta bene.
«Jake.»
E lo dice ancora.
Così? Cosa pensi che sia cambiato? Gli
anni. I numeri si sono aggiunti, trecentosessantacinque giorni e anche di più,
ogni volta, ogni notte. Sono diventato vecchio a furia di ricordare. Sporco e
ancora marcio. Un frutto cattivo non può diventare buono, e il verme che sono tutti i giorni senza di te mi ha
bucato il cuore. Forse mi odieresti o continueresti ad amarmi. Ci stiamo
facendo del male insieme, la distanza la schiaccio sotto i piedi.
E il verme
divora.
Il sangue scende.
Respira
affannata, i capelli bagnati da lacrime e sudore. Mi atterra e non la
riconosco. Mi mette le mani sul petto e continua, ed io non riesco a vederla.
Ci sono solo gli occhi, cioccolato fuso, lacrime, un corpo bianco.
Così, Liz?
Bella.
Capelli ramati.
Bella sotto il
sole.
La prendo per i
gomiti e finisco. I suoi capelli colorano come di sangue il mio cuscino bianco,
e sono sicuro che quello lo sia davvero, del sangue.
Eseguo.
Grida e mi
fermo.
La guardo.
Così, Liz?
Il lupo mi urla
contro, mi fa diventare sordo.
Devi dirlo.
Eseguo.
«Ti amo.»
Una
bugia, una bugia, una bugia. Sembra la voce di un matto, quella che me la urla.
Renesmee ha
ancora gli occhi chiusi e fatica a respirare. Così non mi guarda e posso morire
un’altra volta.
Pelle bianca,
traslucida.
Bells.
Capelli color
del rame, più chiari al sole.
Bells.
Labbra carnose,
a forma di fragola.
Bells.
«Anche io ti
amo.» sorride, mentre lo dice. Ed io apro la bocca in una sorta di imitazione,
perché è quello che vuole vedere. Forse lei è felice. E un “forse” è tutto
quello che posso darle.
Apre gli occhi, li tiene socchiusi.
«Dormi, ora.»
mormoro. La bacio sulla fronte come quando era piccola e mi inventavo le
storie per farla addormentare. Bella leggeva nell’altra stanza, Edward a volte
suonava il piano. A volte non c’era proprio. E tutte le volte Bella si alzava
in piedi, come se mi dovesse dire qualcosa di importante. Lo sguardo d’oro e
perso nel vuoto.
Renesmee ha ancora la
bocca socchiusa.
Ignoro.
La bocca umida.
Ignoro.
Il lupo ringhia.
Ignoro.
Il cuore mi
sanguina.
«Jacob…»
Li sento.
Ululati da lontano, nella foresta. Sono i miei fratelli, ed io non posso
restare più qui. Apro la finestra e l’aria della notte mi accarezza la pelle,
mi stringo nelle braccia un momento.
Non accendo la luce, vedo ogni cosa anche se il nero copre tutto di scuro.
La voce dei miei fratelli mi riscalda le orecchie, mi avvicino alla
porta. Mi stanno chiamando.
Sposto lo
sguardo sul calendario.
Anche questa
notte se ne sta andando.
Sette anni che non sei con me.
La luna illumina
il mio cammino.
A chi appartiene, questa luce?
Il lupo corre.
Ora è libero.
Solo il bosco,
il fuoco, la notte.
E l'oblio.
Sbagliato.
La felicità.
Sbagliato,
Jake.
Ho ancora il
sapore metallico del nomade che abbiamo sfracellato in bocca, ed è una favola. Non
esiste più niente. Il lupo uccide e l’uomo guarda e basta.
C’ è solo il
fuoco che lo fa morire davvero.
«Jake, stai
bene? » mi chiede Embry.
Il sole è ormai
alto, ed io mi sto rimettendo i jeans che ho avuto il tempo di legarmi alla
caviglia-zampa che mi ritrovo.
«Tutto bene.» sospiro.
«Ti abbiamo
chiamato nel momento meno opportuno?» Sorride, ed una dolcezza
nausenante mi prende lo stomaco. Mi mordo la lingua.
«No.»quasi
ringhio. Mi hanno chiamato nel momento migliore, invece. Renesmee voleva che la
baciassi sulle labbra… ed io…
«Non sei per
niente bravo a dirti bugie.»
Lo guardo, si è seduto su una roccia, i capelli un po’ lunghi
che gli cadono leggermente sugli occhi.
«Lei mi ha lasciato a questo.»
«Jake…»
«Oh, basta,
cazzo. Questa è la mia vita.»
«Sai che lei
pensava che saresti stato felice. »
«Sì, lo so. »
«E invece… »
«E invece penso
a lei ogni fottutissima volta.»
Finirà mai tutto
questo?
Embry si passa
una mano fra i capelli. Io sento il sangue che mi scorre fuori dalle vene.
Non finirà
mai.
***
Sono le quattro
e busso alla porta di casa Cullen. Mi appoggio al muro con le mani in tasca, il
viso verso il cielo nuvoloso di ottobre. Bella è un vampiro e sa benissimo
quando sto per arrivare, eppure per venire ad aprire ci mette sempre tempo.
Perché ormai ne ha tanto e non sa che farsene.
«Jake? »
Ed è sempre la
stessa. Come se fosse sorpresa, felice, imbarazzata al tempo stesso.
«Ciao,
Bella.»
Mi lascia entrare nella sua casetta nel bosco. La guardo e brilla,
quasi con
discrezione, perché il sole non c’è. Accarezza il
bordo di un libro, i capelli
alzati e una camicia a quadri che mi illude di rividere i suoi occhi di
una
volta.
Strano, eppure anche normale.
Sapevamo tutti e due che sarebbe
successo. Bella quando mi guarda lo fa sempre allo stesso
modo. Abbiamo fatto l'amore mentre Renesmee dormiva, serena nel suo
letto, con il volto di una bellissima bambina di dieci anni. Non
è successo solo una volta. Facevo finta di non crederci, di
solito. Pensavo che fossero solo allucinazioni, Bella che mi
voleva e si faceva amare da me in un modo simile a
come avrei sempre voluto fare. Con il peso dei suoi rimpianti addosso. Poi è stata lei a sentirsi in
colpa, a dirmi che non poteva più lasciare che succedesse.
«Nessie non è
tornata da scuola?» Sfoglio uno di quei libri che sono sul tavolo.
«Oggi pomeriggio
voleva andare a Seattle a fare compere, non te l’ha detto?» Si siede.
Deglutisco, e
gli occhi gialli e striati di Bella assomigliano a quelli di un gattino. Se non
fosse che sono grandi come due perle e che potrebbero assomigliare alla lava del
sole.
«No. Non me l’ha
detto.»
«Pensavo che
stanotte aveste avuto modo di parlare.» Tiene il segno con l’indice e chiude
il libro. Si sposta una ciocca di capelli dal viso.
Arrossisce in un
ricordo lontano, che prende il suo posto.
Mi siedo davanti
a lei e mi graffio le labbra con i denti.
Non mi vergogno per niente.
«Sei gelosa?»
«No.» Si alza
in piedi. Si volta. Prende un altro libro dalla libreria come se le servisse
veramente.
Il sangue
brucia, quando scorre.
«Renesmee è
brava, Bella.» Ma lo dico in un modo che la fa voltare e quasi la fa correre
verso di me. Faccio davvero schifo, vero? Be’, io sono abbastanza in gamba a
volermi male. Magari se comincia anche lei mi sembrerà di avere uno scopo
nella vita.
«Jacob, per
favore.» Ha gli occhi lucidi e sembra quella di prima. Piangi, Bella. Per favore, piangi. Mi
passo una mano fra i capelli.
«Mamma?» È
Renesmee.
Apre la porta.
«Oh, Jake. Sei
qui.» Rimane sulla soglia, sempre con il sorriso. Le piace fingere di tenere
tutto nascosto. Perché io sono l’amico di famiglia che si è innamorato di lei,
e nascondere ogni cosa a Bella la fa sentire un’adolescente normale.
Ma Bella sa
sempre tutto.
«Ciao, piccola.»
Il lupo ripete le parole nella mia mente. «Tua madre dice che devi andare a
fare compere a Seattle. Ci vai con le tue amiche di scuola? »
«Oh.» Si sistema i riccioli che le cadono sulle spalle. «Speravo che mi accompagnassi tu.
A Seattle. »
Trattengo il respiro.
Bella resta immobile, ancor più di sempre.
Renesmee alza lo
sguardo da terra.
«È… È un
problema? »
«Ness… »
comincio.
«Sicuramente no.
Jacob conosce bene Seattle, tesoro.»
«Oh, davvero?
Non me l’avevi mai detto! »
Seattle.
Liz.
«È vero, la
conosco bene.»
Guardo verso il
basso, e sento gli occhi di Bella che mi illuminano come farebbe la luce di un
faro. Una goccia di sudore mi cade dalla fronte.
Sento i passi di Nessie, lei che cammina con quelle scarpe basse, i jeans chiari che quasi si
confondono con la sua pelle.
«Mi sembri
strano, Jake.» dice.
«Amore, Jacob
lavora, lo sai…» Bella ha sempre la stessa voce. È la stessa di quando mi
raccontava la storia di Dorian Grey, quando dovevo esporla alla scuola della
riserva. Lui giovane e bellissimo per sempre, con macchie indelebili sulla
coscienza.
«La accompagno.» Sorrido a Nessie. E dentro mi sento qualcosa che salta, va su e giù e mi
graffia le pareti dello stomaco, mi ribolle nel cuore e mi oscura il cervello.
Il suo viso appare, la sua voce, le ultime parole, le prime.
Elizabeth Audley.
Lizzy.
Liz.
Lo
sguardo di
Bella sembra allarmato. Si tortura le mani e sarà umana per
sempre, sempre qui,
nel mio cuore che adesso quasi si congela e poi scoppia come
un’enorme palla di
vetro, perché Bella è un fantasma ed io la sento ancora e
sempre. Sto con sua figlia e penso a lei. Penso a lei e arriva Liz,
perché è stata la mia
ultima occasione.
L’ultima volta in cui ho detto “ti amo" con la mia vera voce.
«Grazie, Jacob.» Renesmee è davvero piccolina, la vedo. So che ha l’impulso di fare come quando era
una bambina, darmi un bacio sulla guancia e dirmi grazie. Ma lei sta pensando a
stanotte, alle nostre lingue e ai nostri corpi, a quello che ha chiesto lei. E
così diventa ancora più bambina, perché il rosso delle sue guance è come
quello di Biancaneve. E lei a Biancaneve ha rubato sangue, carne e occhi.
Renesmee entra
in camera sua e mi lancia uno sguardo che dovrebbe essere malizioso, ma io lo
vedo sempre nella sua innocenza, perché per me non cambierà mai.
Bella mi guarda,
resta in silenzio ma urla.
Anche io resto
in silenzio.
Non ho niente da
dire.
***
Dietro
di me ci
sono delle sedicenni che cantano a squarcia gola la canzone di un
gruppo che in tv hanno definito "I nuovi One direction". Non hanno per
niente a cuore il
mio udito super iper sviluppato. Parcheggio la macchina e loro escono
velocemente, quasi avessero fretta.
Spengo la radio - chi me l'ha fatto fare a accenderla -
e appoggio una mano al volante, gli occhiali da sole che mi fanno vedere più
scuro, perché non ho bisogno di protezione per i miei occhi che sanno vedere
nel buio.
Volto la testa e
abbasso il finestrino.
I capelli di
Renesmee sono lunghi e mossi, riflettono la luce come se fossero una lastra di
bronzo. Si gira e il profilo diritto
e gli occhi scuri me la fanno vedere attraverso.
È Bella Swan in una giornata
di sole, tanto tempo fa.
«Vado a fare un
giro.» le dico. Lei annuisce e quasi socchiude gli occhi, non so bene perché.
«Ciao, Jake. A
dopo.»
Le guardo andare
via. Le ragazzine sfigurano con lei. Forse sono carine, o addirittura belle. Ma
Renesmee splende di una luce quieta, come se fosse protetta da un muro
invisibile.
Mi sistemo gli
occhiali da sole. Ho caldo da morire. Come può esserci questa temperatura a
ottobre? Almeno sono a maniche corte.
Esco dall’auto e
mi passo una mano fra i capelli.
Davanti a me, il
parco di Seattle.
Vedo la palla di fuoco nel cielo scoppiare e scendere in
tante piccole scintille rosse. E il caldo del pomeriggio diventa normale. Perché
è settembre e quella ragazza si
guarda le scarpe mentre la fisso. Imprinting. Imprinting. Ora. Ora. Ma
lei alza
lo sguardo e i suoi occhi sono grandi, marrone chiaro, qualche
pagliuzza dorata. E mi accorgo che no, non ha i capelli biondi. Sono
castani chiarissimi e
basta, con solo qualche riflesso. E mi sta sorridendo.
Ma ora sono in
ottobre e si tratta di anni.
Non vedo Liz da quella volta in cui si è infilata
in macchina e se n’è andata. Mi ha guardato con le lacrime agli occhi e ha
parlato per me. Se n’è andata per permettermi di essere felice.
Così, Liz? A scoparmi lei che è come la
madre e a pensare a te. Così, Liz? Lei geme ed io mi graffio i denti perché sei
l’unica cosa che vorrei e per cui voglio vivere.
Non morire.
Vivere.
Sposto la
macchina nel parcheggio all’ombra, come se mi servisse veramente. Mi spingo a
camminare per le strade e non so nemmeno come ci riesco. Inalo l’aria della
città. Scuola, panini, coca-cola. Walter cotto di Lucy. Lizzy che correva
all’uscita da scuola. Dina che scuoteva la testa mentre ascoltava la musica dai
suoi auricolari. La professoressa di spagnolo, quello di filosofia che baciava
la prof di Arte nei corridoi. La neve, le labbra di Lizzy. I suoi disegni. I
suoi discorsi sulla scuola, sulle feste, sua madre che era morta quando era
piccola, suo padre che lavorava fuori. I sorrisi, i baci. I baci che non ci
facevano più respirare, le mani. La paura. Il ballo…
Continuo a camminare.
In questa strada, sette anni fa, c’era il negozio di Kyle dove lavoravo. Ora si
è trasferito a New York con sua moglie, ha due bambini piccoli.
Continuo a
camminare. So benissimo che a un paio di isolati da qui c’è la casa di Liz.
So benissimo che passerò a guardare da lontano. Non so perché non ci vado
adesso. È che sento freddo e i brividi mi percorono tutto il corpo. Mi fanno
alzare i peli e mi induriscono la pelle.
Dio, sono nella sua stessa città.
Mi sento
bruciare gli occhi e menomale che ho gli occhiali a proteggermi.
Vedo ancora il sole
che scoppia e le scintille dello stesso colore del fuoco.
«Oggi è stato
orribile. Ho ancora la matita nelle unghie.» Mi arrivano alle orecchie le
chiacchere di alcune ragazze.
Il viso di Liz sembra sbiadire dalla mia mente.
«Sì, anch'io.
Ma non pensiamoci, tanto domani è Venerdì. »
Gli occhi
marrone cioccolato.
Sbagliato.
I capelli
ramati.
Sbagliato.
La voce candida.
Sbagliato.
È chiara e
morbida.
«Tu fai qualcosa
domani? »
Sempre quella voce.
Ma non sento
nient’altro, forse dopo c’è una risposta.
I suoni intorno a me diventano tutti
uguali. Clacson, frenate, risate, grida, sussurri, bambini che piangono,
bambini che strillano, ragazze che parlano, ragazzi che giocano. Pugni
amichevoli, schiaffi, carezze, baci, sospiri nascosti.
Liz, amore mio.
La voce morbida e chiara è un unico granello di sabbia in un mondo in cui
il mare non esiste, e le ultime onde del mondo sfracellano le rocce e il terreno e qualunque
cosa, perché... è morbida e chiara. La sua voce.
Qualche passo.
Morbida e
chiara.
«Dio, che bello.»
La sua voce.
Mi volto.
La Design Web Agency
ha sede nel palazzo alto con la scalinata simile a quella di un liceo, quella
che lei sta percorrendo.
La sua gonna è corta, ma qualcosa la copre, sono calze.
Gliene ho rotte due, così. Mi sono ritrovato il nylon fra le dita e ho
biascicato uno “scusa” da niente.
«Adoro quel
posto, ci sono stata un paio di anni fa.» dice l'altra.
Lei
ha i capelli
legati, il viso accarezzato da un leggero venticello. Qualche ciocca le
cade sugli occhi, lei è veloce ad afferarne una e a portarsela
dietro l’orecchio. E
il profilo è uguale e sfumato.
Ti ho cercata sempre.
Una maglietta viola.
Viola come al ballo. Le gambe, snelle, sfinite. Dio, le braccia, le mani
che stringono una cartellina.
La scollatura.
È lei.
Le labbra
rosee.
È lei.
I capelli, gli occhi, le ciglia.
È lei.
«Quel tipo ti
fissa.» Questa non è la sua voce.
Ma lei mi
guarda.
Perché si chiama
forza di gravità? Ogni cosa trema e sono io e c'è lei, è la terra che ci separa.
L’aria che respiriamo, i passi che percorriamo, gli sguardi che ci lanciamo.
Chi sono, io?
Chi è, lei?
Non ricordo
nemmeno da quanto tempo, ma lo so. La stavo cercando.
L’ho trovata.
«T-Terry… io ho
dimenticato una cosa, vado a prederla.»
L’altra riponde
ma io non la vedo. Non c’è più il sole, il nostro pianeta, la vita con l’acqua.
Il nero e una luce come un riflettore su di lei, e le sue iridi mandano
bagliori, lo so, lo sento. La vedo.
Questa è l’aria che respiriamo. Mi
ci aggrappo tutte le volte ed è la stessa.
Il cielo è lo stesso, le nuvole,
le stelle, la luna.
Il giorno, la notte.
Le ore, gli attimi.
Le voci.
«Liz.»la chiamo.
E così capisco
che è tutto vero.
Il cuore batte
ed io mi sento morire, perché ogni cosa pulsa, dentro di me. Ossa e organi e
cervello e suoni e ricordi di lei e di noi e giorni di adesso.
«Liz.» dico ancora.
Mi affanno,
mentre salgo le scale e lei apre la porta e corre, corre veloce. E ce la faccio
a mantenere la porta, mi ci appoggio come se stessi per chiudere gli occhi e
dormire, stremato. Stremato da tutto.
Anche la terra
pulsa, fa tuh tuh, tuh tuh.
È Liz.
Non capisce che
è stata lei a tenermi in vita per tutto questo tempo?
Non riesco a
vedere le pareti bianche, la luce che proviene solo dalle vetrate.
Liz si appoggia
a qualcosa, si mette le mani sul viso, si infiamma completamente. L’incendio si
dirapa e mi prende, lo sento sotto le piante dei piedi. Non si vede ma non
potrebbe bruciare in modo diverso, non potrebbe fare più male. Eppure cammino
sulla striscia di fuoco e non ci sono pareti bianche, non c’è la luce del
pomeriggio.
C’è la lava di un cuore che erutta, come un vulcano. Perché il mio
è sempre stato sul punto di esplodere.
Mi avvicino.
«Che ci fai
qui?»
Ci separano pochi centrimetri e posso sentire il calore del suo fiato.
Chiudo gli occhi e li riapro. Ho desiderato con tutto me stesso che fosse il
suo, quello che ho sentito sul mio viso quasi ogni notte da qualche mese a
questa parte. Il suo affanno.
I suoi occhi
sono luce, fuoco, marrone chiaro, pagliuzze più chiare, oro.
Piange.
«Che ci fai
qui?» chiede di nuovo. Non va in frantumi. Semplicemente la sua voce si scioglie, come la cera,
o come il ghiaccio dimenticato fuori.
Ma lei non ha dimenticato niente.
Non rispondo.
Respiro solamente, mi ricordo che sono vivo. Respiro. E non
riesco a parlare e lei piange, a pochi centrimetri da me.
Si tortura le
mani al petto, un po’ scure sui polpastrelli, colore di mina – lame di coltello
– morbidi sulla mia pelle un tempo, gentili sul mio viso – lame di coltello – a
prendere, a sentire, a toccare, ad amare.
Può dare più
sollievo, il fuoco che brucia?
La mia Liz.
«Mi manchi.» le dico.
Ma mi odio. Mi odio, mi odio, mi odio.
Qualcuno mi uccida perché la sto
abbracciando.
Qualcuno mi uccida perché la sto stringendo e la sto toccando, e
faccio scorrere le mie mani sulla sua schiena mentre lei trema e il suo corpo è
schiacciato contro la scrivania.
Il suo corpo è esile e piccolo, pelle rosata, tiepida con me, mi fa tremare.
Il tremore, la differenza, la svolta.
Arriva ora.
Mi sta
abbracciando anche lei, adesso. E con la bocca le sfioro il collo, ha i
brividi, li sento anch’io.
«Jake.»
singhiozza. Ed io le tengo stretta la testa e incontro l’elastico dei suoi
capelli e non so perché lo faccio. Glieli ho sciolti.
Non so più un cazzo. Non so nemmeno come mi
chiamo.
Jake? È così che mi chiama lei.
O forse sta chiamando qualcun altro.
Non so un cazzo di niente. Solo che voglio morire così perché improvvisamente
respiro.
«Non dovevi
venire.» parla ancora e alza la testa. I suoi occhi sono nei miei. La mia
fronte è calda contro la sua, le mie mani scendono sulle sue braccia, il
tessuto della maglia fino ad arrivare ai polsi. E lei chiude gli occhi e
sospira, mentre le accarezzo con le dita quel poco di pelle liscia e chiara
che posso vedere. Così respiro, e il mio fiato è rumoroso. Potremmo fare
l’amore e allora sarei silenzioso per sentire lei, perché sette anni senza voci
e parole sono buio pesto in pieno giorno, e vivo così da tanto.
«Stai bene?» Questa è una domanda e mi sembra di aver fatto uno
sforzo enorme.
Mi sento leggero e allo stesso tempo so che non riuscirò a
muovere un passo indietro da lei. Anche se… anche se un formicolio mi prende
dall’interno, la testa, ora le braccia, e le dita che la sfiorano.
Liz mi allontana con
una mano, piano, e il miraggio di un sorriso mi viene davanti agli occhi; lo
bevo come se fosse acqua.
Lascio un po’ di spazio fra noi.
«Sì. Bene.» risponde. Annuisce, come se avesse risposto un altro al suo posto. Si tocca i capelli che
le ho sciolto, a scatti. Prende una ciocca e la liscia, guarda per terra. Prende
una ciocca e la liscia, ancora.
«Bene.» ripete.
E quando appoggio una mano alla scrivania lei ha già fatto qualche passo per allontanarsi. Non
stacco gli occhi da lei. Perché bellissima, così simile all’ultima volta.
Persino la lucentezza negli occhi è la stessa dolorosa luce che ho visto quel
giorno.
Il viola me la ricorda il giorno del ballo e tutto il resto è suo.
«E tu?» Le sue labbra si
muovono.
Impiego un secondo a capire che cosa intende, che cosa potrei dirle, a
cosa potrei pensare.
Sì, sto bene.
Sbagliato.
Sto. Bene.
Sbagliato.
Continuo a
guardarla e il tempo scorre lento in tutti i suoi movimenti. L’aria diventa
vapore che bagna. Inumidisce e tampona.
Ed io mordo la lingua e sento il
sangue.
Ha i capelli ramati che le scendono sul
petto, gli occhi di Bella.
Sei suo.
Sto bene.
Non è quello che vuole sentire?
Ma Liz vuole sempre la verità.
«No.» rispondo.
Tortura
una collanina che le ricade sul petto, si morde le labbra.
«C-Che vuoi
dire? »
Un sapore amaro
mi prende la gola e mi raggiunge la lingua, acido come il vomito. L’odore mi
attraversa le narici come se ci fosse una nube di fetore davanti a me, ma io lo
so bene.
Viene da dentro.
«Sto con
Renesmee.» Mi viene fuori senza che me ne accorga.
Sospira, come di
sollievo. Si passa una mano fra i capelli e le si increspano le labbra. Gli
occhi sembrano più chiari, come oro, o solo stelle. O sono io che ho vissuto al
buio finora e so solo che il modo in cui guarda assomiglia al modo in cui
illumina il sole.
«Ne sono… ne
sono felice. »
E scoppio.
Acido, fuoco.
Crollo, caldo afoso.
Buio, nero, freddo.
Renesmee nella mia
testa.
“Baciami, Jacob.” Obbedisco.
“Toccami.” Obbedisco.
“Continua.”
Obbedisco.
Obbedire,
eseguire gli ordini. Ascoltarli.
«Io no.» dico.
Mi
avvicino. Una sensazione di distruzione cade su di me come pioggia. Potrei
cadere e non rialzarmi più.
Mi mordo le labbra e il dolore pulsa come ogni
cosa, perché lei è qui davanti a me, qui il dolore ritorna e lo posso ascoltare
con la sua voce scura.
Qui sono vivo, e muoio.
«Come vuoi che
sia felice, così?» le chiedo.
E muoio.
La prendo per il
braccio.
Vivo e muoio.
«E così come,
poi?» continuo, e solo dopo aver finito mi accorgo di
aver urlato.
Di avere ancora più caldo, di tremare.
«D-Dovevi farlo.»
«Impossibile.»
Sospiro.
Dio, ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo. Non è cambiato niente, Liz. Cosa
vuoi che cambi quando io resto uguale?
Lo farò, lo sento.
La vedo fare
quell’espressione di paura, perché ha capito. Lei capisce
sempre ogni cosa. Vedo le sue labbra che si muovono, che si stirano, le
ho sognate
la notte.
Mi bacerà, per impedirmi di parlare? Vuole dire, no, non farlo. Non
dirlo.
Ma io lo farò,
lo dirò.
Perché per me
lei non è mai andata via.
«Ti amo.»
Non smetto di
guardarla, quando quasi mi piego in due per lo sforzo. Ci sono ancora le
spine. Quelle che si sono conficcate nella mia pelle e sempre più a fondo
nella mia carne quando abbiamo fatto l’amore per l’ultima volta. E le spine
sono rimaste ancora dentro di me, in bilico fra il cuore e il mondo esterno.
La pelle sfregata con
la sua le fa muovere ed io sento male, male, ancora male.
La mia pelle
sfrega con la sua e le spine affondano, tagliano, feriscono sempre di più.
Renesmee.
Renesmee. Renesmee.
Ma io non voglio
che finisca.
«J-Jake, non… »
Non voglio che
finisca.
Voglio ferirmi ancora, chi se ne frega. Non so più niente, non più un
cazzo. Voglio quelle labbra. Perché è sempre stata troppo lontana. Ma la distanza non vince l’amore,
è l’amore che è sempre più forte.
Renesmee.
Renesmee. Renesmee.
Scaccio via
l’immagine. Mi sento morire, ho sete. Ho sete di lei, acqua che avvelena, posso
davvero chiudere gli occhi per sempre e restare così. Le stringo le mani, ho la
bocca socchiusa, i muscoli tesi, ogni cosa è tesa ed io mi sento ancora
più forte. Più aumenta il dolore, più
sento che posso farcela.
Voglio baciarla.
I suoi occhi
quasi svaniscono, sotto lo strato di acqua che ora scende sulle sue guance ed
io non capisco. Non capisco perché volta la testa e mi lascia una mano ed io
sono a pochi centimetri dalla sua bocca e il dolore è così bello che potrei
farlo durare in eterno, se solo fosse possibile.
Perché le ho permesso di
andarsene?
«Non farmi
questo, Jake.» sussurra.
Quasi mi
acceco.
Si asciuga le lacrime con le dita, quelle che una volta ho
baciato e ingioiato.
E sul suo anulare la gemma manda leggeri bagliori, bianca.
È un anello.
Non farmi questo.
La guardo.
«Liz.»
«Vattene. Per
favore, vattene.»
Perché mi prega?
Perché fa questo?
Perché non riesco a
lasciarla?
Faccio un
respiro profondo. Mentre mi verrebbe da sputare per terra, perché...
Perché lei sta con
un altro.
Un altro le ha infilato al dito quell'anello.
Un altro la tocca, la bacia, un altro la ascolta, la abbraccia. Ed io
vorrei solo spaccargli la faccia. Anche se so benissimo che è sbagliato.
«Me ne vado.»
fiato.
Ma non lo faccio, in realtà.
Un movimento, un passo, un altro, e chiudo gli
occhi e posso vederlo, il sangue che sgorga, il fuoco che brucia, Liz che mi guarda, le linee di fuoco che esplodono come se fossero
bombe.
Linee grigie, polvere da sparo. Qualcuno ci butta un fiammifero.
Le prendo il viso fra le mani.
Le mie
labbra sono sulle sue e tutto esplode.
Gemo, con una mano le prendo le spalle. .
Apre la bocca, la assaggio con la lingua. Sento che mi
sta legando per sempre e non sarà mai più come prima. Perché non sono i lacci
d’acciaio, di ferro, quelli a forma di catene. A tenermi intrappolato per
sempre... è questo.
Quello che sento, quello che voglio, quello che mi ha
lasciato e che in realtà è sempre rimasto con me.
Il nostro
respiro è affannato. Le nostre mani ora sono intrecciate, poi si lasciano e si
ritrovano.
Liz è
sottile e leggera e fragile. Le accarezzo i capelli.
La bacio ancora, ora le accarezzo la pelle scoperta dalla
maglietta.
Sto morendo. Le spine affondano. Fammi morire, ora.
Sì, si sta
aggrappando ai miei capelli e tutto si annebbia. È un paesaggio scuro nella mia
testa coperto da macchie grige e bianche. Poi il buio ritorna e copre tutto,
appiccicoso e schifoso come il petrolio.
Le fiamme si alzano.
Non puoi.
Mi stacco da
lei.
Fuoco e acqua si scontrano.
Aspetto che si
riprenda, perché l’ho fatta male.
L’ho ferita, l’ho presa, l’ho baciata.
«Mi dispiace.»
le dico.
Lei si mette la
borsa in spalla. Mi sembra più magra, più esile.
«Anche
a me.»
sussurra. Fa qualche passo verso un’altra porta. La seguo.
«Puoi uscire di qui.» mi dice. La sua voce è rotta.
«Tu non vuoi che
torni.» le dico. Lei apre la porta di sicurezza.
«Non
importa che
cosa voglio. Sai che non cambierà niente.»
Faccio qualche passo e per uscire e la sfioro, con le labbra,
con il
naso, quel suo profilo da ragazzina.
Le spine quasi non le sento.
«Io… spero che
tu sia…»
«Non dirlo.»
Questa volta sono io a parlare così. Sappiamo entrambi che sarebbe una bugia. «Devi
esserlo tu.» dico, e vorrei tanto che la mia voce sembri dura e sicura.
Lei annuisce ma
non sembra convinta. È… è solo bellissima.
«Cerca di stare
bene.»
«Posso provare.» Cerco di sorridere.
Poi chiude la
porta ed io resto fuori. Faccio il giro del palazzo, so benissimo che lei
prenderà l'altra uscita. Ci sono una sacco di persone. Donne con passeggini,
bambini che corrono, ragazzi, ragazzini. C’è anche uno con la custodia di una
chitarra.
Il telefono
vibra nella mia tasca.
Ignoro.
Renesmee.
Renesmee.
Renesmee.
Lei scende le
scale.
Io sono abbastanza lontano da non farmi vedere.
Allunga il passo, quasi
corre. Dio, come fa ad essere così bella? Sarà sempre così, anche quando si
vedrà davvero che il tempo è passato. Sento il mio viso che si rilassa, sto
sorridendo.
Corre, continua
a correre.
E quasi la sua
cartellina cade a terra e il mio cuore ha un tonfo.
Sospira di
sollievo, la sento.
Parla, la sento.
«Peter.»
Poi abbraccia un
altro che non sono io.
La vista si
annebbia, sento ogni cosa perché il mio udito non mi inganna.
«Ehi… ti vedo
scossa.» Lui scuote la testa, i ricci gli cadono sugli occhi. Mette a terra la
custodia della chitarra, per abbracciarla con entrambe le braccia.
«Io… voglio
dimenticare questa giornata.»
«Va bene, è
andata male.» Lui sospira, le bacia le labbra. «Andiamo a casa? »
«Sì, adesso.»
Gli prende la mano. «Voglio solo scordarmi di tutto. »
Deglutisco. Li
guardo camminare. Lei si appoggia a lui... che è una specie di certezza? Che cosa?
Che cos’ha più di me?
Non è un
mutaforma e niente lo porterà via da lei.
Forse lo ama. Vorrei che fosse così.
Vorrei riuscire a pensare davvero in questo modo.
Il telefono
continua a vibrare, lo afferro.
È Renesmee.
Renesmee. Renesmee. Renesmee.
I lacci mi
stringono, sospiro, lascio che la coscienza si appiattisca, il brusio
ricomincia, scambio la luce artificiale per il sole che non splenderà mai più.
Rispondo a
Renesmee, guardo Liz andare via. Bellissima, piccola, con i capelli ora
sciolti. La camminata agile, il suono della sua voce da lontano.
È vero, l’amore
è più forte. Ma spesso noi siamo più deboli.
Così, nell'Epilogo della mia vita, torno da
Renesmee, accompagno a casa le sue amiche, i finestrini dell’auto si appannano,
perché lei mi vuole ed io sento la sua voce, eseguo gli ordini. La mia mano
indugia ancora sulle sue cosce, la mia stessa temperatura e nessun brivido.
Sono felice, Liz.
Nei sogni, forse lo sarò.
Quando
aprii gli
occhi, la mia fronte era bagnata di sudore. Non avevo mai fatto un
sogno così da suicidio in tutta la vita. Mi portai una mano alla
gola,
mentre il respiro affannoso faceva rumore nella stanza buia. Guardai
l’orologio
sul comodino. Mezzanotte e mezza, buio pesto.
Spalancai la porta di casa.
Ogni cosa balenò nella mia mente come se fosse
sempre stata chiara.
Non sarebbe mai cambiato niente, che passassero sette anni o qualche mese.
Avevo deciso.
Dovevo andare da Liz.
Ora.
Forse non era troppo tardi.
La amavo e aspettare non sarebbe servito a niente.
Per
questo corsi, mi trasformai, ascoltai il vento e seguii quella che da
molto avevo già riconosciuto come la mia strada.
*
*
*
*
Ciao
a tutti! Vi ho fatto spaventare? A me ha shoccato scriverlo,
sinceramente, e mi ha fatto davvero tanto male. Spero comunque che vi
abbia emozionato :) Questo capitolo non è un epilogo, Jacob sta
ancora combattendo e noi siamo vicini alla fine. Il sogno di Jacob ci
ha mostrato come sarebbe il futuro se lui cercasse di vivere come gli
dice l'imprinting. L'amore per le due donne che ha davvero amato non scomparirebbe.
Ringrazio
voi fantastici lettori che mi leggete e recensite sempre <3 <3
<3 Maria ( <3), Noemi, fufe, Roberta, J, Vi ( so che mi leggi <3 <3 ) e anche Steffy e tutti voi
altri! <3
Questo capitolo è dedicato a Cristina <3 . Lei mi dice che sono sadica, ma voi ci credete? xD
Da qualche giorno, sono online anche gli altri cpaitoli di Destiny Heart, li trovate qui, ( ho chiesto a Erika, se può, di inserire le vostre recensioni )per questo ho diviso la storia in due parti :))
Grazie mille a tutti voi per esserci, davvero. Non immaginate quanto mi rendete felice.
Un bacio
Vostra Ania <3
|
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Capitolo 14 *** 70. Vuoto ***
jake 70
70. Vuoto
A hundred days have made me older
Since the last time that I saw your pretty face
A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same
But all the miles that separate
Disappear now when I'm dreaming of your face
Here without you - 3 doors down
Sentii
la stoffa della sua maglietta scorrere fra le mie dita, e poi i muscoli
tesi della schiena, delle spalle sui miei polpastrelli.
Una ragazza
si lasciava baciare e chiudeva gli occhi, mentre lui le sbottonava la camicia.
Era come se stessi osservando la scena dall'esterno,
mentre la me stessa che dovevo essere continuava a vivere. E l'altra
invece, era risucchiata via.
Poi sentii la morbidezza della sue labbra su di me.
Ero lontana miglia ma ero lì, fra le sue
coperte.
Presi un
respiro profondo.
E così, accadde.
"Quegli occhi,
dio i suoi occhi. Nero di foresta, amore, giorni perduti, quelli che ci sono
stati e che non ci saranno mai più. Perché sei qui, amore mio?Ho il cuore che corre verso di te, fallo
tornare indietro, caccialo via. Non amarmi più."
«Liz.» La voce.
Eccola lì, roca, graffiata,
schizza via e fa male, ustiona come l’acqua bollente. Una voce che lascia le bruciature e che mi
parlerà per sempre, un’eco lontana ma sempre troppo vicina. Credevo di esserci
riuscita, anche solo per un momento.
È tutta una bugia.
Mi appoggio al
tronco dell’albero davanti a me, il marrone della corteccia sulle mie dita,
ogni cosa ondeggia e sono costretta ad appoggiarmi con entrambe le mani,
mentre chiudo
gli occhi e li riapro e mi volto e
i suoi passi sono i miei, sincroni, due orologi fermi che ricominciano
a funzionare male.
«Jake… »
Sento le sue
dita sotto il mio mento, e porta i miei occhi nei suoi, mare scuro di dolore
che mi arriva addosso in un onda alta.
Alza lo sguardo, le ciglia folte a
fargli ombra sul viso. Si lecca le labbra, piano, sospirando.
Rimango quasi
stordita, non so se per il suono della sua voce o per tutto quanto.
«Sono a pezzi. » Non
smette mai di guardarmi, mentre quella a spezzarsi sono io. Trattengo in gola una
specie di gemito, come se qualcuno mi avesse infilato la mano in gola.
«Tu vuoi sempre
la verità, no? » fa ancora. Cerco di non scivolare lungo il tronco e
scoppiare in lacrime, mentre non voglio fare altro che abbracciarlo ed essere
stretta fra le sue braccia, protetta da lui per proteggere lui, fare qualunque
cose per tornare quelli di una volta.
«Sì… la verità.
» sussurro.
«Lo so.» Trattengo il respiro e qualcosa
mi percorre la schiena, lenta, forse un rivolo di sudore o del sangue, per essere
così attaccata a questa corteccia che mi graffia la schiena.
Mi porto una mano sugli occhi, perché, di nuovo, non vedo più bene. Ma lui
me la afferra e la porta sul mio viso. Sussulto nel toccare la sua pelle, calda
e ricordata nei sogni bui.
«Vieni con me.» Mi prende l’altra mano e la intreccia
alla mia. Un tremore leggero lo travolge e travolge me. «Con me, Liz. Se mi ami ancora.»
La paura
comincia a congelarmi il sangue, vene rosse che diventeranno viola al
più presto. «Jacob.» Non lo fare. Ti prego, non lo fare. Ti fa male, non puoi.
Non toccarmi – toccami, non andare via – abbracciami – porta via le tua mani –
prendimi – scappa, per sempre – baciami – dimenticami per sempre.
«Credevi davvero
che lasciandomi sarebbe cambiato tutto?» La sua voce mi graffia i timpani e
affonda, affonda sempre di più, nel mio petto e nel cuore in corsa con uno
squarcio. Bordi neri e infuocati, incandescenti.
E anche la mia
lingua comincia a bruciare. E anche tutto il resto, quando parlo.
«Io ti amo, non ti ho mai lasciato.»
Jacob sembra contrarsi, accartocciari su se stesso, proprio come una carta
buttata nel fuoco, mentre i suoi occhi si accendono e diventano più neri.
«Lizzy. » Liz. Perché continuavo ad immaginarlo? «Lizzy.» Liz. Ed era davvero immaginazione? Perché mi sembrava di averlo vissuto davvero?
La sua mano indugiava, trovava la cerniera dei mie jeans.
Aprii gli occhi.
«Non posso.» E la mia
voce venne fuori dalle nostre labbra che ancora si toccavano. Peter
sciolse la presa. Aveva le labbra arrossate.
Sospirò, era contro di me. Lo guardavo e mi guardava anche lui,
le pupille leggermente dilatate, un cerchietto marrone a creare una
specie di aureola.
Gli scostai i capelli dal viso.
Trovai la forza di tornare a respirare. Affondare le mani nei cuoi
capelli. Lo sentii sospirare. Guardarmi. Socchiudere gli occhi. Alzarsi.
Avvicinare il viso.
«Lizzy, io...»
«Io... sono innamorata di un altro e tu non meriti questo.»
Ogni cosa era piatta e incolore. Sentii la sua mano tiepida toccarmi il collo ed io mi scostai, veloce.
Incontrai la sua espressione ferita. Troppo tardi. Peter era lì,
davanti a me. Mi strinsi nella braccia.
«No... ho sbagliato io.» La sua voce era allarmata.
«No... è che... mi dispiace. Non è colpa tua, dipende da me.»
«Non... non volevo che andasse a finire così. Pensavo...
pensavo che magari...» Peter si alzò dal letto, lentamente. Chiusi gli occhi.
«Lo so... lo pensavo anch'io. Sono una stupida... me ne vado. »
«Lizzy, aspetta.» Mi alzai anch'io e un senso di
vergogna mi fece tremare le gambe.
«Mi dispiace tanto, Pete.»
Niente nero. Niente bianco.
Solo grigio.
Peter mi attirò a lui e mi strinse in un goffo abbraccio.
Non sentii niente.
Gli occhi neri scomparvero nel millesimo di un secondo, e mi lasciarono senza respiro.
Il fuoco si era spento. Ed io avevo deciso.
Mi passai una
mano fra i capelli e sospirai. Se avessi avuto più tempo avrei anche potuto
innamorarmi di lui. Se non avessi rivisto Jacob.
Ma non ero
riuscita ad evitarlo. Tempo, mesi, ditanze. Quando si ama qualcuno non conta
nient’altro che non sia lui. E la distanza si annulla, il tempo smette di
andare avanti, il dolore resta e l’amore anche. Come con me.
E Peter non
meritava una ragazza che pensava ad un
altro mentre lo baciava. Che rivedeva degli occhi neri e liquidi
invece dei suoi, lucidi e marroni. Che rivedeva un viso bronzeo invece del suo
chiaro, dei capelli neri e corti, invece dei suoi castani.
Non lo meritava.
Ed
io ero in
trappola, ancora. Perché il cuore ha la stessa forma e misura
della nostra mano
chiusa a pugno, e mi colpiva costantemente. Ci era scolpito sopra un
nome, e il
suo battito accelerava tutte le volte che lo sentivo nella mia vita. E
mentre Peter mi baciava, non mi aveva travolto un
ricordo di Jacob ma... che cosa? Una specie di... messaggio, o
segnale?
Ma no... era da pazzi...
Raggiunsi la mia macchina, vicino al garage dove Peter aveva suonato.
Misi
in moto, subito, e non per andare a casa mia.
Per andare a Forks.
Sei pazza. Premetti il piede
sull'acceleratore. A mezzanotte, da sola, verso Forks. Sei
pazza.
Sì, sono pazza e lo amo.
Imboccai
la tangenziale per lasciare la città. Insieme alla mia, altre
macchine si dirigevano verso la parte opposta della penisola Olimpica. Una pazzia.
Sì, lo era, volerlo vedere di nuovo,
abbracciarlo, dirgli che ci avevo provato anch'io.
Arrivare
da lui in piena notte, come un vagabondo che non sa dove andare, una
scappata di casa, una ragazzina. Ma dovevo farlo. Il sangue mi scorreva
nelle vene così come io scorrevo su quella strada, e potevo
andare solo da lui. Scesi dall'auto, piena notte. Rabbrividii, il volto
verso il cielo. La luna che tremolava, io insieme a lei, acqua di mare
che ondeggia, un sospiro trattenuto. Un sussurro, il suo viso impresso
nei miei pensieri. Di fronte a me, gli arbusti fitti e i tronchi scuri
del bosco di Forks immersi nel buio.
Il mio telefono
squillò. E i battiti del mio cuore rimbombavano nella
mia testa, anticamera buia del mio cervello.
Lessi il nome
sul display del cellulare e mi si gelò il sangue. Presi un respiro profondo.
«Jacob? Jacob, sono a Forks.»
Nessuna risposta.
Mi sentii soffocare, l'aria che diventava pesante.
«Lizzy?»
«Seth?» Mi si attorcigliò lo stomaco. «Che... Che succede? Perché mi chiami con il telefono di...»
Silenzio.
Un silenzio
troppo lungo.
Mi appoggiai
all’auto, senza trattenere il tremore. Non sapevo perché, ma un ricordo amaro mi
entrò nella mente, striscia di fumo in un cielo bianco.
La paura di ascoltare
qualcosa.
«Seth?» lo
richiamai.
Lo sentii
sospirare, mentre la striscia di fumo copriva ogni cosa, non lasciando spazio a
niente.
Né alla luce, né alla vita.
Quando sentii le sue parole caddi nel vuoto.
La forza di gravità mi trascinava nel buio.
*
*
*
*
Ciao,
carissimi <3 Manca davvero poco alla fine. Questo capitolo è
corto ma lascia un seme che germoglierà nel prossimo :D Che cosa
sarà
successo? Spero di riuscire ad aggiornare velocemente con i prossimi
capitoli <3 <3 <3
Grazie
a tutti voi. Per tutto quanto. Le recensioni allo scorso capitolo mi
hanno fatto un piacere immenso, ero consapevole di osare ma ho voluto
farlo lo stesso :) A parte lo spavento iniziale xD sono contenta di
avervi trasmesso quello che volevo <3
A prestissimo
Un bacio
Vostra Ania <3
|
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Capitolo 15 *** 71. Appiglio ***
jake 71
71. Appiglio
Don't tell me if I'm dying, cause I don't wanna know
If I can't see the sun, maybe I should go
Don't wake me cause I'm dreaming, of angels on the moon
Where everyone you know, never leaves too soon
Angels on the moon - Thriving Ivory
Quando si
capisce che il nostro tempo è finito? Un punto, una linea, un segno. La pioggia
che cade, la grandine.
O solo il silenzio.
Alzai il viso al
cielo.
Buio.
Mi inoltrai nella foresta.
Strofinai il muso lungo la zampa, braccio umano, per far cadere via gli ultimi lembi della mia maglietta.
Dove ti ha
toccato lei.
Scivolò e mi sfiorò il petto.
Dove ti ha toccato
lei.
Chiusi e riaprii gli occhi nei
secondi necessari per guardare i fili del tessuto volare nell’aria e cadere.
Sei un lupo, ora.
L’aria
si
affinava sulla mia pelliccia, mentre io correvo a tutta
velocità per raggiungerla. Da lupo ero molto più veloce,
e in questo caso non mi servivano mezzi umani, per andare da lei.
Schivai un
ramo spezzato sul mio percorso, saltai. Mi ritrovai davanti a un
tronco e ci azzondai le unghie, ora artigli – le tue mani
– quelle che mi
rendevano un pericolo al mondo – le mani con cui l’hai
toccata – ad affondare, a
far zampillare il sangue. Ringhiai forte, il viso rivolto verso il
cielo nero,
come ogni cosa in quell’istante, da tanto tempo. Solo buio nella mia vita,
anche nella
vista nitida e perfetta del lupo. Mi
mossi verso i confini, mentre il mio ululato ancora cantava, rimanenza di voce
che ancora volava nell’aria della notte. Corri, corri, Jacob Black.
E se Liz mi avesse ricacciato indietro sapevo bene cosa fare.
Ultima volta
umano, ultima volta uomo.
Il ricordo della sua pelle con la tua per sempre.
Sipari chiusi,
niente applausi.
Fine della
storia.
Le mie zampe avanzavano lente sul terreno, adesso. Ero già sui confini e la mia testa era
silenziosa, senza nessun pensiero altrui. Strano, credevo di incontrare qualcuno, invece ogni cosa era
tranquilla. Molto meglio, ero libero per la prima volta della mia vita di fare
qualcosa.
“Non toccava a
te, stasera.” La voce di Larry rimbombò nella mia testa.
Strinsi le zanne.
“Vai via, Larry.”
“Ho capito che
vuoi fare.”
Voltai il muso, per incontrare i suoi occhi. Un manto dorato sotto
la luna quasi brllava nell’oscurità. Ma i suoi occhi non potevano essere più
neri.
“Sai che non puoi.” continuò.
Mi venne fuori
una risata, anche se avevo la mascella serrata. Ma risuonò male, come se provenisse da molto lontano.
Sentii il cuore vibrare, dentro di me. “Non puoi farlo tu.”
Ricominciai a
correre.
Sentii
i suoi
passi pesanti anche oltre i confini, i suoi ringhi, i suoi richiami. Ma
chi se
ne fregava, avevo scelto. Se avessi trovato Liz insieme a un altro non avrei più potuto far nulla.
Non avrei più pensato, ricordato, forse avrei sognato, sì. Che cosa
sognano gli
animali? Mangiano, uccidono, si accopiano, stop. Le persone… sono
solo umane, nient'altro. Nascono, crescono, si innamorano, stanno
male, male da morire, crescono ancora, se sono fortunate muoiono in un
letto
caldo.
Molto probabilmente io sarei morto in una foresta lontana.
“Fermati. Non devi andare oltre i confini, se qualcuno ti vedesse...”
“Lasciami
in pace, bamboccio. Se proprio ti va di stare dietro a qualcuno va'
dalla tua ragazza. Tanto lei è propensa.”
Sentii il suo
fiato sulla gola, la sua mascella contro la mia pelle, a graffiare. Le sue
zanne. Gli ringhiai contro, trovando tutta la mia forza.
“Hai insultato
Jen.” Sentii nella mia testa la sua voce tagliente. “Non te lo lascio fare... hai insultato Jen.”
“Tu non sai
niente dell’amore.” Deglutii,
mentre Larry rafforzava sempre di più la presa, senza smettere
di tramare. “”Non sai niente.”
Lui tremava, gli occhi spalancati.
”Lasciami andare.” Nella mia mente, anche tutto
era un sussurro.
“No.”
I suoi
occhi fiammeggiavano, come il fuoco. I lapilli di quel vulcano mi
colpirono
all’improvviso, scoppiarono ed entrarono dentro di me, mentre lui
mi soffocava.
Lo stava facendo veramente.
Mi soffocava.
Teneva stretta
la morsa, i
denti. E le mie palpebre si fecero
sempre più pesanti, mentre i suoi occhi non erano più scuri ma troppo chiari,
non più neri, rosso sangue.
Ringhiò forte.
E poi i suoi denti mi perforarono la
gola e quel dolore si unì a tutti gli altri, mentre mi accasciavo a terra di schiena per non risvegliarmi più.
Perché non mi
ero opposto? Che cosa potevo saperne. L’unica cosa che volevo era essere
libero, e anche così, stava accadendo.
Dio, Paul… anche tu hai provato questo.
Come quando da piccoli giocavamo a tenerci a galla nel mare, poi arrivavano i
tuoi schizzi.
La libertà.
Da quanto tempo
non la conoscevo, nella mia vita? Forse non mi era mai successo davvero, ed ora
invece sì.
Ora ero libero.
Che cosa si
prova, quando si muore?
Non i denti che ho sentito nella mia carne, non l’odio
negli occhi neri, non la terra contro di me.
Sono solo umano.
Ciao, Bells. Ti
sei fatta male alle ginocchia sulla spiaggia.
Non piangere. Sei diventata bellissima... Mi stai baciando, la tua bocca è sulla mia, in cima alla montagna. La
senti, la neve? Cade suoi tuoi capelli, nei miei. Un giorno vedremo il sole
proprio da qui e ci baceremo ancora. Ora hai un vestito da sposa e il cuore mi
salta in gola, mi corri incontro e piangi e mi abbracci, hai sposato un altro.
Ora sei bianca e vecchia, anche se hai diciannove anni, stesa su quel divano
che non sarà mai quello arancione e sempre pieno di briciole a casa di Charlie.
Ti sta uccidendo. Ti sta uccidendo, Bells. Non
voglio perderti, che cazzo ti è saltato in testa? Fai uscire quella cosa prima che sia troppo
tardi, che cosa vuoi da me? Vuoi che muoia, dimmelo!
C'è
sangue, sangue
dappertutto. I tuoi occhi che piangono insieme a me, cioccolato fuso
d’inverno
quando fa freddo.
Ti tengo stretta la mano, Bells. Perché ti
terrò al caldo e se ti abbraccio non sarai mai fredda ed
è così che non morirai mai. Non ti lascerò morire.
Bella... Bella... non morire.
Il tuo cuore non batte più.
Deglutisco, ti guardo.
Non chiudi gli occhi e resti a guardarmi per
sempre.
“Jacob.”
Sentii una voce,
lontana. La conoscevo, e mi stava chiamando ma non capivo. Su quel
manto di foglie di un autunno vicino, i miei occhi erano chiusi.
Il sole è alto,
non ci sono più le nuvole.
Ogni giorno, a settembre, mi vesto sempre a maniche corte,
Bella amerebbe questa città. La coca che ho preso dallo zaino di Mark mi scende
in gola, lei passa con in mano un libro sottile.
Mi saluta,
- Ciao.
È un’amica. La cocacola scende ed io sorrido. Rispondo: - come va?
- Bene e tu?
- Bene.
Vorrei che fosse così.
Vorrei.
La proiezione
della prima guerra mondiale, i suoi capelli mi solleticano le spalle.
Mordicchia un cracker. -Vuoi?- Sorride.
Lo prendo, - Grazie.- Mi porge il thé al
limone che ha nella bottiglia, bevo.
C’è il suo sapore sopra.
Lei che ride.
Ride e ti prego,
non smettere.
Si appoggia a
me, rido anch’io e rido davvero. Niente più sangue, e mostri, e puzza di
sanguisughe. Burro cacao all’albicocca, biscotti venuti male, evidenziatore,
colori.
Liz.
"Jacob...
Jacob non lasciarti risucchiare."Ancora quella voce. Alle mie orecchie
arrivarono degli ululati, lunghi e sofferti. In quella lingua che avevo
imparato a comprendere, i miei fratelli mi tenevano stretto alla vita.
Le mie mani sul suo viso, che freddo a dicembre, vigilia di Natale.
Non
ride più ma tremo lo stesso. Non ride e chiude gli occhi, mi avvicini. Cade la
neve, nel parco di Seattle.
La sto baciando.
“Jacob.”
La voce era sempre più vicina, e ora non c'erano dubbi... era un
amico, un amico che mi conosceva e che mi stava aiutando.
Dio, ti amo, ti
amo, ti amo. Non te l’ho mai detto, vero? Ma non ti avrei mai detto nemmeno
questo, se non fosse vero. E apri gli occhi e ho avuto una paura fottuta di
perderti per sempre.
Ora sto
morendo, vedi?
Non posso vivere senza di te.
E scivola via
quel vestito e sospiri. Sospiri mentre io ti tocco e ho paura di nuovo. Potrei
pederti, svegliarmi all’improvviso, scoprire che non è vero niente. La tua bocca sulla mia, le tue mani
intrecciate alle mie.
Tu ed io, per la prima volta.
“Aggrappati,
Jacob.”Mi diede quel comando come se fosse un Alpha. Solo, sapeva quello che io ancora non conoscevo.
Lei ha i capelli
ramati, gli occhi marrone cioccolato, corteccia di bosco... no, più scuri,
cioccolato. Ha la sua bocca, è piccola. Ha i suoi occhi, è piccola.
Le catene mi
portano a lei.
Le vidi,
lunghissime e di metallo, che scintillavano ancora, sporche di sangue. Partivano dal mio stomaco.
“Aggrappati,
Jacob.”
Vidi le mie mani
che sfioravano le corde d’acciaio, fredde contro la mia pelle.
Aggrappati.
Non
all’imprinting.
Il suo viso mi
apparve e divenne sempre più vivido.
Le labbra, gli angoli della bocca che si
alzavano in su, i capelli castani chiarissimi al sole, gli occhi marroncino
chiaro, grandi, le pagliuzze ancora più chiare nelle iridi.
“Aggrappati per
tornare in vita, Jacob.”
Scivolai
sulle
catene, in tutto il mio peso. Lotta, libertà, amore, battaglia,
guerre,
vincitori, vinti, catene, acciaio, Liz, Liz, Liz… Un rumore
metallico mi fece
tremare in quella condizione che non riuscivo ancora a capire. Agitai
le braccia, spinsi coi gomiti, con le gambe. Presi fra i denti. Metallo
che strideva, metallo che si scioglieva sotto il mio tocco bollente,
lame avvelenate e infette a bruciare, a bruciare me senza risparmiare
loro stesse.
Le catene
fluttuavano nel nero. E un vento caldo mi prese da dentro, ovunque.
Liz che si
scotta con la teglia dei dolci, Liz che disegna il ritratto di sua sorella, Liz
che ascolta al telefono le sue amiche, Liz che mi abbraccia, Liz che trema contro di me.
Liz.
Poi ogni cosa
scomparve e il buio oscurò ogni parte di me.
Liz
che mi prende la mano e la poggia sul suo petto, il cuore le batte
forte sulla mia pelle e so per certo che il mio batte ovunque e vibra
dove lei accarezza, bacia. Mi sta sorridendo e non è un
ricordo, ha dei contorni troppo nitidi...
E' di una bellezza
che mi sconvolge, vera.
Non c'era freddo.
Solo un calore che credevo di aver dimenticato, in
fondo al cuore. Questa volta lo sapevo.
Le catene cadevano, cadevano giù.
E il gelo era finito per
sempre.
*
*
*
*
Questo capitolo è per Noemi, J, Virginia, Cristina <3 <3 <3
e per tutti coloro che, come me, pensano che l'amore sia più forte dell'imprinting.
Ciao, carissimi <3 Cosa posso dire? Sono emozionatissima. E lo sono per quello che succede in questo capitolo <3
Spero che tutto qui sia chiaro. Secondo il mio obbiettivo una cosa in
particolare non lo è ancora, ma scoprirete tutto nel prossimo
capitolo :)) Mancano esattamente tre capitoli. Altri due e poi
l'epilogo <3
Grazie davvero, a tutti voi. Comunque
sappiate che alla fine di tutto ci sarà una bella pagina di
ringraziamenti <3 <3 <3
La canzone che vi ho linkato all'inizio
mi piace non solo per la musica ma per il significato, si sposava
benissimo con quello che succede in questo capitolo.
Grazie <3
A presto
Vostra Ania <3
|
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Capitolo 16 *** 72. Alba ***
jake 72
72. Alba.
When the end has come and buildings falling down fast
when we spoilt the land and dried up all the sea
when everyone has lost their heads around us
you will find him you'll find him next to me
Next to me - Emile Sande
«Jake sta morendo.»
Chi
sei? Come ti
chiami? Ogni cosa perde importanza. Ogni cosa si annulla, si cancella,
tasto
magico sulla tastiera della tua vita, disegni e gomma da cancellare.
Solo tu e un ricordo.
Solo tu che corri da lui, perché il
destino è un disegnatore di strade, e tu stai prendendo quella
pericolosa.
Mi ero
infilata in macchina, con il respiro bloccato, soffocata dalle parole di Seth.
Poi avevo reagito, Seth continuava a parlare, il telefono fra le mie
gambe, e allora avevo avuto il coraggio di ascoltarlo. Così ora
entravo a casa Cullen, senza prestare attenzione ai ricordi che mi
passavano nella mente a ogni passo fra quelle mura bianche.
«Dov’è?»
Me ne sono andata per salvarti e ora muori? Non toccare mai più la mia mano, so che senti dolore. Non
dirmi mai più ti amo, so che ti avvicinavi alla morte ogni giorno di più.
Che
ti è successo, Jake?
Il sole non si spegne, il sole è alto e forte e non muore.
Tu non puoi
morire.
«Lizzy.»
Qualcuno mi abbracciò, mi strinse forte. Chi era? Calda…
sentivo la pelle calda contro di me… Leah? No. Alzai il
viso e lo vidi fra le lacrime, alto, tanto alto, le sue mani
sulle mie spalle… capelli n scuri, lisci. Occhi che piangono.
Embry.
Dove sei, Jake? Che cosa hai fatto? Non
volevo che mi amassi fino a morire… io non volevo…
Non
capivo. C'erano tante persone, intorno a me. Statue di marmo e uomini
di carne, lacrime e
sospiri che rimbombavano nella pietra. Le persone parlavano. Non mi
arrivavano la loro parole, perché nella mia testa c'era solo lui.
Incontrai lo sguardo di Carlisle e la sopresa mi travolse. Che cosa era
successo davvero? Mi condussero al suo letto e capii, lo vidi,
aveva una benda sul collo, la coperta bianca che non era niente su di
lui, lui con gli occhi chiusi.
Sembri un bambino, amore mio. Se
non c’è il sole ad illuminare il cielo sarà notte per sempre, lo so.
Gli presi una mano,
mi portarono una sedia. Piansi, singhiozzai. Gli sussurrai delle cose
che nemmeno io sapevo di poter dire. Erano minacce, le frasi più
sdolcinate del mondo. Torna qui, Jake.
Sei un
incosciente e un idiota e un bambino. Ti amo tanto.
«Il suo cuore batte.» disse
qualcuno. E in quel momento seppi che era una voce bellissima...
apparteneva a quel dottore dalle sembianze di un angelo che ci aveva
aiutato più di una volta.
E piangevo tanto come non avevo mai pianto. Sorridevo come non avevo mai fatto.
«Grazie
a te,
Lizzy. Se non ci fossi stata tu non sarebbe tornato. Sono entrato nella
sua testa proprio come ha fatto lui con me quella volta... Gli ho
parlato, l'ho chiamato, ho visto tutto.» Era la voce di Embry. Grazie a me?
Ora
una mano sulla mia spalla era fredda, la carezza di una cara amica.
Capellli neri, corti, piccola amica.
Alice. E avrei voluto con tutto il cuore che mi perdonasse,
perché non riuscii a sentirla. Ma poi mi scosse, e ripeté
sempre le stesse parole. E allora riuscii a capire tutto.
«È tornato
grazie a te.»
Sei
così caldo anche addormentato. Il sangue ti scorre nelle vene, denso e
vivo.
Il mio cuore sussulta. Perché è riuscito a trovarti e la
direzione è quella giusta.
Ci siamo noi in una
foresta ed io non ho più paura.
Ci sei tu e sei un lupo ed io non ho paura.
Accarezzo il tuo manto rosso e diventi uomo sotto le mie mani. E la tua pelle
scotta ed io non la lascio, Jake. Non ti lascio.
Ho capito che cosa vuoi, ho
capito che cosa hai fatto.
Resterò con te.
***
Mi
risvegliai e
Jacob era ancora lì, dormiva. Mi passai una mano fra i capelli e
mi allontanai dal comodino dove avevo poggiato la testa per quelle
poche ore e mi avvicinai al letto. Non riuscii a trattenere il
desiderio di
accarezzargli il viso.
Sentii qualcuno
bussare alla porta. Mi misi seduta dritta, mentre qualcosa mi si attorcigliava
nello stomaco. Non dissi niente, trattenni solo il respiro.
«Posso entrare?»
Voce chiara,
come lontana, ma fin troppo vicina, cristallina.
«S-sì.»
La sua ombra, alta e
lunga, discese sulle coperte bianche ed anche su di me.
Sentii i suoi
passi, poi la sua ombra si disfece, rivelandene un’altra.
Alzai
lo sguardo.
Bella mi
guardava, la pelle che risplendeva nonostante il buio e una leggera luce fioca
che entrava nella stanza attraverso i fori della tapparella. Incontrai i suoi
occhi, dorati come “il bacio” di Klimt. Voltò la testa verso il basso, anche
se ormai ero persa. Perché qualcosa di ardente mi era scoppiato nel petto, una
fiammella -gelosia- che Jacob aveva spento con le sue mani; l'aveva spazzata via con acqua e sole.
Il desiderio di essere come lei.
I capelli neri le ricaddero sul viso, e
i suoi occhi finirono sulla bambina accanto a lei.
Sua figlia.
Mi morsi le
labbra fino a sentirne il sangue, e fu uno sbaglio, perché Bella si girò di
scatto verso di me. Ingoiai il reflusso.
«Io… »
«Lui dorme
ancora.» constatò Bella. E forse avrei dovuto riconoscere la dolcezza, nella
sua voce, ma non ci riuscii. Perché guardava Jacob come se fosse ancora suo.
Forse lo sarebbe stato per sempre, da qualche parte.
Eppure non avevo
più paura.
«Sì.» le dissi.
E guardai la sua bambina.
Che cosa provavo? Compassione? Piccolina, a crescere così in fretta, a
vivere in questo mondo.
«Lizzy…» Bella
tornò a guardarmi. «A me dispiace molto…»
«Va bene.»
dissi. «Sentire questo non cambierà le cose e…»
«Lui ti ama
davvero.»
«... Sì.» Mi
sentii il fiato morire in gola, mentre una nota di chissà quale contentezza
inesaudita volava nell’aria e cantava nel mio petto. Jacob mi amava, contro
ogni cosa.
La mia lacrima
si rifletté negli occhi di Bella, un biancore inaspettato nel buio della
stanza.
«Lui… ecco… »
Bella sospirò, continuò ad incepparsi nelle parole. Così lontana dall’odio, il
respiro di Jacob era la mia pace. «Tu sei fortunata.»
Annuii,
e mi
voltai verso Jacob. Solo così mi resi conto che Renesmee gli si
era avvicinata. I suoi occhi marrone scuro mi sfiorarono, con una
dolcezza che solo un
bambino poteva avere, ma anche con una serietà che ha solo chi
è cresciuto
troppo in fretta.
Aveva posato le
mani sul braccio di Jacob ma… sembrava che gli fosse ancora lontana. Perché uno
strato di luce li separava.
«Rene… » Bella
la richiamò.
Renesmee guardò
sua madre, poi me.
«Starà bene.»
Voce di bambina. Forse non sapeva nemmeno cosa fosse successo davvero. Forse
vedeva Jacob semplicemente come uno dei tanti che l’avevano portata in salvo.
«Tesoro… » Bella
allungò una mano verso di lei, ma Renesmee fece il giro del letto e mi
raggiunse. La lacrima pendeva ancora dalle mie ciglia, e quando lei mi toccò,
scese lenta e sola sulla mia guancia.
«Starà bene. E
anche tu.» mi disse. I capelli lunghi e ramati a sfiorarmi. Le accarezzai il
viso, mi ricordava mia sorella quando era più piccola.
«Certo.» Cercai
di sorridere.
Poi Renesmee
prese la mano di Bella. «Andiamo, mamma?»
«Sì, amore.» le
disse lei. Bella mi guardò e non provai invidia per quanto fosse meravigliosa, perché
lo era davvero ed io ne ero lontanissima. Mi sembrò solo più giovane di me,
perché aveva sbagliato tanto. Renesmee scosse la mano di Bella, e lei si chiuse la porta alle
spalle.
Mi accasciai sulla
sedia, con gli occhi chiusi. Non sapevo perché, ma non mi ero mai sentita così
bene con quello che ero.
Ero pronta.
«Liz.»
La voce di
Jacob era calda e roca e sempre più chiara, quando pronunciava il mio nome.
«Liz.»
Mi stava chiamando davvero.
Si muoveva.
Chiamare
Carlisle. Chiamare qualcuno. Urlare qualcosa.
Niente.
Nessuno.
Jake.
«Jacob.» Gli
toccai il viso. A scatti, piano, troppo forte. Si stava svegliando. «Jacob.»
«Liz… »
«Sono qui.» La
mia voce si inclinò. «Sono qui, Jake.»
Adesso piangevo
e non riuscivo più a trattenermi, e la mia voce moriva e restava lì, nella mia
gola, ma poi ne venne fuori il suo nome e poi, ancora: «Non me ne andrò, Jake.»
«Io ti amo. »
Trattenni il
respiro, nel freddo.
«Io ti amo.» lo
disse di nuovo.
E sorrise.
Sorrideva.
«Jake… »
«L’imprinting…
Liz…»
«Sono qui, sono
qui. »
Aprì gli occhi,
scintillavano nel buio.
«Io... io ce l'ho fatta. Ce l'abbiamo fatta. Non c'è più... l'imprinting...»
Rimasi lì, ferma
a guardare.
Non sforzarti.
Non parlare.
Un bacio.
Un bacio che non finiva mai.
Quando aprii di nuovo gli occhi vidi anche i suoi.
E il sole sorse.
*
*
*
*
Ciao a tutti <3 Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto. Io ne sono abbastanza soddisfatta, anche se
comunque cerco di migliorare sempre e spero di farlo ancora in futuro:)
Un grazie speciale a tutti voi che mi seguite, siamo sempre più
vicini alla fine, ci credete? E be', credo che ormai si sia capito dove
volevo arrivare <3 <3 <3 Quindi grazie. Grazie a chi ha avuto
fiducia in loro, ha continuato ad averne nonostante tutto e grazie a
chi si è affezionato a Jacob e Liz insieme.
Grazie a tutti voi :) Qui sotto c'è un'immmagine che ho fatto un po' di tempo fa per loro due <3 vi piace? <3
Al prossimo capitolo, che è l'ultimo. Poi ci sarà l'epilogo. <3
Vostra Ania
|
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Capitolo 17 *** 73. Adesso ***
jake 73
Beautiful dawn - melt with the stars again.
Do you remember the day when my journey began?
Will you remember the end (of time)?
Beautiful dawn - You're just blowing my mind again.
Thought I was born to endless night, until you shine.
High; running wild among all the stars above.
Sometimes it's hard to believe you remember me.
High - James blunt
73. Adesso
La mia matita
batteva sul banco con la gomma rosa, l’altra mano sotto il mio mento, ad
aspettare che la lezione finisse. Approfondimento della texture.
Inutile.
Già studiato al
liceo.
Avevo
accompagnato Peter alla stazione, quella mattina. Non era stato un
addio. Solo un abbraccio teso, un respiro trattenuto, e poi lui aveva
sorriso prima di me.
Non l'avrei dimenticato, Peter. E speravo che trovasse il suo modo per stare bene per davvero.
Mi passai una
mano fra i capelli, mentre il professore salutava tutti per la fine della
lezione. Corsi di pomeriggio, ma si poteva?
Loro dicevano di
sì.
Uscii dall’aula,
accanto a me c’era Terry, ci eravamo trovate in stanza insieme.
«Stasera
parto
per il week-end, vado a stare dai miei. Sì, per modo di
dire. Il fatto è che Carlos mi manca moltissimo e...»
Dovevo
chiamare
Embry, o Carlisle, chiunque stesse vicino a Jacob. Non lo vedevo da una
settimana, e in quel poco tempo passato da lui si era svegliato
pochissime volte e cosciente per pochi attimi...
«Lizzy… mi stai
ascoltando? »
«Cosa?» Ero
riuscita a prendere il mio cellulare.
«Ti ho appena
detto che stasera parto per il week-end.» ripeté. «Sta-se-ra par-to per… »
«Ho capito, ho
capito!» le dissi. Il campus era un’area enorme, e al sole che rischiarava
il cielo di arancione, ancora non avevano messo via palloni per giocare a
calcio.
Digitai il numero
di Carlisle.
«Lizzy.»
«Un attimo, Terry, è importante. »
«Anche questo è
importante. »
«Non riesco a
immaginare una cosa più importante.» dissi, e mi portai il telefono
all’orecchio. Qualcosa mi tirò all’indietro, Terry che mi aveva preso per il
braccio e mi voltava verso la direzione opposta.
«Quel ragazzo…»
Quel ragazzo.
Non senti più le
gambe.
Cuore, cuore,
cuore.
Gambe?
Cervello.
Alzò lo sguardo.
È lui.
«Ehi… stai bene?
»
«Sì.» Lo vidi
sorridere, il suo sguardo su di me. «Benissimo… scusa, io… »
«Lo conosci? Ti sta facendo segno da un po', credevo...»
«Scusa, è che…»
È
che non riesco
a capire più niente. Lui è lì e mi sta sorridendo.
E non piange più, non si
accascia più, non muore più. Sta bene e mi guarda e ha
quegli occhi che sono
più del sole, perché la sua luce non tramonterà
mai. E sta correndo anche lui verso di me e la cartella mi cade dalle
mani e i disegni si
sporcheranno di terra ed io piangerò. Piangerò
perché ho perso e non ho mai
ritrovato quello che avevo perduto. Ma noi non ci siamo mai persi,
perché ci
sono dei fili che non si spezzano, anche se non sono d’acciaio,
anche se non
sono catene, e si tessono da soli, senza la magia, senza sogni
già scritti e
predestinati. Sono solo mani che si intrecciano e si staccano e si
ritrovano.
E
apprendono il modo di trovarsi.
Mi tuffai fra le sue braccia.
«Che ci fai qui?
»
«Niente… niente…
è tutto ok.»
«Ti senti… »
«Benissimo.» Rideva. «Benissimo.»
Non potevo
credere che tutto questo fosse vero. Era come sentire la spiaggia, la sabbia che volava, odore
di bosco e terra bagnata. Jacob, sei tu. Pineta e pioggia, foglie che cadevano,
lenzuola fresche. Calore. Estate per sempre. Sole.
E poi sentii le
sue mani risalirmi sulle braccia, e sul collo, fra i capelli, sulle mie guance.
Non fare finire questo sogno.
Avevo gli occhi chiusi.
«Non potrei stare meglio.» aggiunse.
Era la sua voce.
E non sapevo se
aveva parlato ad alta voce o no, ma sapevo che era stato lui. Il filo era
attaccato al cuore e volava nella testa. I suoi occhi furono l’ultima cosa che
vidi.
Poi li chiusi.
E le sue labbra
si chiusero sulle mie.
***
«Quindi mi sono
buttata sui libri.»
«Per farlo hai
pensato a me, vero?» Gli sbattei la mia cartellina sul braccio. Sdraiati
sull’erba del parco dove ci eravamo incontrati la prima volta, si stava facendo buio.
Jacob rise. «E
questo che significa? »
«Che la devi
smettere!» E risi anch’io, sempre con la mia cartellina a colpirlo.
«Ma
smettila tu.» Me la prese dalle mani, mentre io cercavo di riprendermela. Se
la mise dietro la schiena. I capelli mi caddero danti agli occhi.
Sbuffai, per farli
sollevare.
«Wow,
sei bellissima.»
«Mhm...»
«Molto meglio dal vivo... che... be', sì, lo sai...»
«Mhm.» Jacob era steso, adesso. E le mie braccia erano ai lati della sua
testa.
«Mhm...»
«Discorsi profondi.» Mi prese le mani, e non pensai minimamente alla
cartellina che schiacciava con la sua schiena. Si mise seduto, le mie mani
strette alle sue.
Mi accarezzò la
nuca e rabbrividii. Mi aggrappai al suo collo, come se stessi per cadere. Ma
noi eravamo già a terra, e per l’ennesima volta, ci saremmo rialzati insieme.
«Il
cazzone mi ha chiesto scusa. Larry. Ha detto che gli dispiaceva un
casino, che non aveva capito niente per la rabbia.» La sua voce
era roca e bassa. «Ma...
in realtà mi ha fatto un favore. Dovevo combattere contro
qualcosa di veramente grande per non tornare più da te... la
morte, vedi un po'. E allora sconfiggere l'imprinting è stato
una specie di... causa naturale, credo.»
Gli accarezzai
il viso. «Non è stato un favore. Mi sono spaventata troppo.»
«Pensavi davvero che mi sarei fatto fare fuori da uno nuovo?»
«Penso che quando ti impegni riesci bene a fare tutto quello che vuoi, anche ad essere idiota.»
«Oh...»
«Ma quello è un talento naturale, non è vero?»
«Tanto tu li conosci bene, i miei talenti. Ma proprio, proprio tutti.» Scese con la bocca sul collo e ci sentii i suoi denti, mi morsi le labbra.
Tornò a guardarmi.«O hai dimenticato qualcosa?»
Chiusi gli occhi e mi avvicinai alle sue labbra.
«Io non dimentico niente.»
«Mhm, devo verificare però.»
«Scemo.»
«Secchiona.»
«Imbecille.»
«Dio, Liz...» Mi abbracciò, mi strinse fortissimo. «Ma sai che certe cose me le sognavo la notte?»
«Che cosa pensi
che abbia fatto, anch’io? »
«Sì, ma tu eri
convinta… »
«Ero convinta di
fare la cosa giusta. E invece l’hai fatta tu, la cosa giusta. Tu
hai lottato per noi, Jake. Ed io non ho mai smesso di pensare a te.»
Gli sfiorai le
labbra con le mie.
«Quindi tuo
padre tornerà a guardarmi male? E ci nasconderemo in garage...»
«Ma Jacob! »
«Ma non mi dirai
più di studiare Inglese perché la scuola è finita, dio… sì. »
«Vuoi smetterla?
»
Il suo sguardo
si illuminò di una luce bassa, come quella delle candele. La sua bocca si alzò
ad un angolo, in un sorriso che conoscevo troppo bene.
E la voce mi strisciò
nelle orecchie, lenta.
«Forse.»
***
Un
appuntamento
normale, come se non fosse mai successo niente. Ricordando ogni cosa
che ci
aveva condotti lì, al punto di partenza nello stesso posto della
meta. Jacob mi stringeva la mano e quando me la lasciò fu per
spostare il braccio intorno alle mie spalle. Respiravo il suo profumo,
camminavo piano. Come se non volessi
arrivare mai da nessuna parte.
«È questa la tua
stanza? »
«Eh?»
«La tua stanza.»
«Ah, sì. 14,
questa. » Lui annuì, e si allontanò, leggermente, troppo piano. Sentivo i
suoi occhi su di me, some se fossero mani a toccarmi. Presi le chiavi dalla
borsa e le infilai nella serrutura. Le mani mi scivolavano.
«Ti aiuto? »
Ma che cavolo,
no!
«Ehm… »
Sentii la sue
dita calde che mi sfioravano e mi incantai a guardarle. La porta si aprì.
«Cosa faresti
senza di me?»
Gli sorrisi,
quasi senza accorgermene. Entrai nella stanza e mi voltai a guardarlo.
Trattenni il respiro, di nuovo. Perché era appoggiato allo stipite e i capelli
neri gli ricadevano leggeri sulla fronte. Di profilo, la sua bocca a disegnare
un’ombra come argentata, riflesso di nero e occhi lucidi.
Sospirai, una
mano a passarmi una ciocca dietro l’orecchio. Il mio cervello spento a
qualunque cosa che non fosse lui, lì di fronte a me.
«Domani ti vengo
a predere alla fine delle lezioni.» disse, e spostò lo sguardo verso di me.
«Sì, ok.»
Mi si avvicinò.
«Preparati a vedermi ogni giorno.» La sua voce si assotigliò fino a invadere ogni parte del mio corpo.
Non andartene.
«Farò questo sacrificio.»
Non voglio
perderti mai più.
Dopo quel bacio lungo quasi come tutta la notte, aprii gli occhi. I suoi erano liquidi, acqua nera.
La superfice fu attraversata da un guizzo, una luce fioca che divenne sempre più forte.
E mi accecò.
Sospirai, gli sbottonai la camicia con gli occhi chiusi, gli scappò un
suono di gola, come un ringhio, lupo di foresta che cerca, ama, lascia
libero l’uomo.
Sentii la sua bocca sul mio seno.
Non aprire gli
occhi.
Sentii il
cuscino contro la mia testa.
Non aprire gli
occhi.
Era dentro di me.
Le scintille formano un cuore, qui, fra la
polvere. Fra la cenere. Ma questa non è terra arida, è qualcosa su cui la vita può esistere ancora.
Strinsi di più le gambe e mi aggrappai alle sue spalle, ai suoi
capelli, alla sua voce, mentre lui spingeva, e il vuoto si
riempiva. «Liz. » Il vuoto non esisteva più. Sentii le sue
mani sulla bocca, a cercare di coprire quel poco di suono che dalla mia bocca eccheggiava
nella notte, campane di una chiesa che non era una chiesa, un’armonia di
cristallo e carne destinata ad esistere a lungo. Sogni spezzati e mai più rimessi insieme.
Solo un nuovo sogno, qualcosa da veder crescere, diventare ancora più grande,
farsi ancora più bello.
Jacob si
accasciò su di me ed io ci credetti. Credetti alle sue mani che mi scostarono i
capelli dal viso, credetti alle sue carezze sul mio corpo che ancora vibrava. Alla bocca
che mi sfiorava il collo, e ora al suo viso che dipingeva il mio profilo nelle
nostre ombre. Credetti a me stessa quando mi appoggiai al suo petto e aprii gli
occhi e i suoi splendevano. Acqua di mare, chiara di nero che era il suo colore,
vivo e ricordato. Credetti a me stessa quando mi sporsi per cercare ancora le
sue labbra e non eravamo stanchi di niente.
Era tutto vero.
Un lacrima mi
bagnò il viso e Jacob la portò via con le sue labbra, come l’ultima volta.
Lo guardai per farlo restare per sempre.
Per sempre.
Adesso.
*
*
*
*
Salve,
carissimi lettori. Siamo sempre più vicini alla fine, ed io
vorrei che non fosse così. Nel capitolo "da infarto" come
l'hanno definito in molti, se in modo positivo o negativo dipende dai
momenti XD appare Terry, la ragazza che scende la sclainata con Liz. E'
la stessa all'inizio di questo capitolo :)
*Orgoglio da collegamenti*
Be',
ma la cosa importante è che questi due sono tornati insieme.
Wow, sono insieme *.* cioè, era ora! Sì, è vero
che io sono una specie di mamma di questi due personaggi che sono
cresciuti in questa storia e sulla mia tastiera... e forse sono di
parte <3 ma mi commuovo sapendo che siete arrivati fino a qui, anche
solo per vedere come sarebbero finiti Jake e Liz <3
La canzone è una delle mie preferite e secondo me sta benissimo con loro due <3
Grazie.
Grazie davvero. Non immaginate l'emozione, per me, nel pubblicare
questi ultimi capitoli, ancora di più di altri anche sempre
importanti dal punto di vista emotivo. Se questa storia esiste,
è anche merito vostro.
Quindi grazie, a tutti voi. Sarei felicissima di sapere che cosa ne pensate <3
Al prossimo capitolo, l'epilogo.
Con tanto affetto
Vostra Ania
|
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Capitolo 18 *** 74. Epilogo: the way that gravity turns on you and me ***
jake 74
74. Epilogo:
The way that gravity turns on you and me
Ciao, mamma.
La mia compagna di stanza dorme dopo l'ennesima
nottata passata a vedere quel "Grey's Anatomy", se non ne approfitto
ora non avrò più tempo per scriverti.
Per bere il sangue devo sempre correre fuori dal davanzale della finestra si vede un bosco, fitto e scuro, verdastro e
luminoso di giorno.
Come quello della nostra casa a Forks.
Papà è lì con te? Digli che mi manca, come sempre.
E mi manchi anche tu.
A volte mi aspetto di sentire degli ululati, come le ultime
volte in cui siamo stati a casa, tipo sette anni fa, ricordi? A volte li sogno.
Sogno anche te. Sogno un ragazzo umano che mi salva e
ho scoperto che frequenta il mio stesso corso di scienze biotecnologiche…
Qui nessuno mi proibisce di andare sulla spiaggia. Immergo i piedi nell’acqua
ed è fantastico, mamma. C’è un ragazzo, è quello del sogno. Anche tu facevi
sogni un po' strani sul futuro quando potevi ancora dormire. Vorrà dire
qualcosa di bello?
Lui mi ci accompagna sempre, posso sentire il battito
del suo cuore da lontano ma so trattenermi. Quando ci sfioriamo sento che posso
essere come lui.
Vengo a trovarti a Natale.
Un bacio grande.
Renesmee.
La tua bambina è
andata via per l'Università qualche mese fa. La senti molto meno, anche se non vi siete mai dette di più oltre a com'è bella la pioggia che cade, mamma e poi Renesmee, non mettere i vestiti buoni quando vai a caccia e anche come fa Catherine a spezzare il cuore a Heathcliff, mamma? Non la sopporto.
Ha smesso di nevicare, e il bosco bianco incontra i
tuoi occhi, due piccole luci opache sul mondo.
La neve continua
a cadere.
Non hai freddo,
Bella?
Non più.
Non puoi
sentirlo, Bella?
Non più.
Ma cammini nella
neve e il ghiaccio sei tu.
Sai
poco di Jacob, ormai:
ne senti parlare, visite a chilometri di distanza, solo sussurri
lontani. Ma troppo vicini, perché quell’eco è
un battito congelato. Ancora sospeso.
L'ultima
volta che l'hai avuto accanto a te avete visto il sole sorgere dalla montagna in cui vi siete
baciati in un tempo che ti sembra più che altro solo
immaginazione. Stava per tornare da lei. E poi... poi lui ti ha preso la mano, ha sorriso, e non credevi
che sarebbe stato triste anche così, col sorriso sulle labbra.
"Ti ho tenuto la
mano mentre morivi, Bells." ti ha detto. E tu sei rimasta ferma nel tempo, mentre il suo passava.
A volte non lo
vedi, a volte è lui che decide di mostrarsi, fra le foglie che cadono, inverno
o estate, tempo che non passa mai.
Ha il suo stesso
manto color bronzo, scuro. E gli occhi di acqua nera che scendono su di te.
Bella Swan salvata per sempre nel cuore
di un altro.
Il lupo rosso si
fa accarezzare da te. Non è nessun uomo, nessun mutaforma. Solo un animale che
ti raggiunge nei boschi, sempre con te.
Perché ci sono
errori che non chiedono pegno, e malattie da cui non si può guarire, mille soli
che splenderanno nel cielo mentre tu non cambi mai.
Il lupo ti
guarda. È quello che hai perso. Un pezzo di lui che non potrai mai avere davvero.
Cosa c’entrava la tua bambina in tutto questo?
L'imprinting era per tua figlia ma in
realtà sei
sempre stata solo tu.
Edward sta
arrivando, Bella. E sospiri, mentre pensi a lui, perché ha un
amore tenace che può ancora tenerti in piedi su quelle gambe che
tremano per qualcosa che non è più emozione. Devi
imparare a non sentire freddo, fra le sue braccia. E forse poi
imparerai ad amarlo, un poco per volta.
Alzi gli occhi
al cielo, arancio scuro di giorni che muoiono.
Ti posi una mano sul petto, in equilibrio sulla neve.
Ancora sospesa.
Come una bambina che gioca su un trave, con i capelli al vento.
Senza mai cadere.
Senza mai volare.
I tuoi ricordi sono tutti i battiti del tuo cuore di marmo.
Se chiudi gli occhi, puoi ancora sentirli.
***
And then I looked up at the sun
and I could see
Oh, the way that gravity turns on you and me
and then I looked up at the sun
and saw the sky
and the way that gravity pulls on you and I
on you and I
Coldpaly - Gravity
«Liz? » Sono
fuori la porta di casa, appoggiato allo stipite. Mi tolgo gli occhiali da sole
e mi passo una mano fra i capelli. Fuori fa un caldo tremendo, andrei in giro
nudo. E così potremmo anche risparmiare tempo più spesso.«Vieni ad aprire?»
«Sono
in bagno,
usa le chiavi.» Parla a bassa voce, ormai: sa che
ho un udito
che può afferrare suoni lontani di chilometri. Sa anche che con
lei riesco
sempre a sentire tutto. Sbuffo e cerco la chiave tra le tremila che
sono
appese al vecchio ciondolo che mi ha regalato. Scalcio via una vecchia
scatola
di celofan, casa nuova, il gatto mi soffia contro, quel bastardo... si
chiama Chad e Liz non mi ha voluto dire perché. Ci sono disegni
ovunque che lei andrà a dipingere e che metterà
anni a finire grazie a me.
Perché mi piace sfilarle quel
grembiule bianco che
si mette sempre per fare quel tipo di cose, e il suo sospiro contro il
freddo
del pavimento sotto la mia pelle calda d’estate.
«Te
ne sei
andato senza avvisare.» La sento dalla cucina. Due grandi passi e
sono da lei,
appoggio gli occhiali sul tavolo e mi tolgo la maglia. Alzo lo sguardo
e mi si secca la lingua, il cuore si ferma, il cuore riprende a
pulsare, tutto nello
stesso istante.
«Ciambelle?»
Sorride con
quelle labbra rosse, sono bellissime come tutto il
resto. Si asciuga i capelli con un asciugamano, goccioline le cadono ancora
sulla maglietta e sulla bocca, umida.
«Solo se le hai
prese senza crema. »
Questa mi fa
ridere.
«Ancora con
quella storia della dieta? »
«Non è una
storia. È la realtà.»
«Ma che cazzo…»
«Zitto. Come le
vuoi le uova?»
«Sbattute.»
Mi
guarda di traverso, quegli occhi grandi e nocciolati, come se potessero davvero
sciogliersi davanti a me. Faccio il giro
del tavolo e la prendo fra le braccia, come se fosse scivolata. Ma lei ride
e le stringo i capelli. La bacio lento, rabbrividisco quando mi tocca con le mani lì,
vicino all’orecchio.
Ho ancora gli
occhi chiusi, le mani appoggiate al tavolo, accanto ai suoi fianchi, quando lei
si stacca da me. Le trovo la mano, e le carezzo il palmo. I capelli
bagnati le finiscono sulle spalle, mentre io le solletico il collo con il naso e
le mie dita la incontrano, di nuovo, dopo infinite volte in poco meno di un
mese. Ci ho speso un sacco di soldi, mai fatto nemmeno un regalo del genere
perché a lei queste cose non piacciono ma… è fresca e i brividi non
finiscono mai.
La sua fede al dito.
«Jake?» Il mio
sguardo incontra il suo lungo la linea della sua voce, filo sottile ed
indistruttibile.
«Dimmi,
piccola.»
«Devo dirtelo
ora?»
«Mhh? »
«Io… devo
dirtelo ora.» Si volta e si avvicina al lavello. La maglietta lunga le arriva
a metà cosce, rossa e bagnata sulle spalle, perché le ho fatto dimenticare che
doveva asciugarsi i capelli. Che cosa deve dirmi? Non è una cosa di lavoro,
l’hanno presa un anno fa in quell’azienda incredibile, poco dopo la laurea. Io…
non riesco a capire.
Mi guarda,
sorseggia un po’ del succo di frutta che ha nel bicchiere. Le labbra le
tremano, gli occhi sono due riflessi di scintille ancora accese, e brillano. Ho
un cervello di uomo del cazzo e di' qualcosa, non farmi penare.
«Amore, che
c’è?» Le prendo il viso fra le mani e le guance sono bagnate e lisce, sento un
fremito.
«Ecco...»
«Liz… che… »
Intreccia la sua
mano alla mia, se la porta alle labbra. Ora i suoi occhi non brillano, non
risplendono, altro che i diamanti che lei non ha mai voluto.
Mi accecano
soltanto.
Anche ora che li
chiude, e le sue labbra sono sulle mie dita. E vorrei fermarle e guidarle io,
ma non capisco. Non capisco perché è lei che deve guidarmi verso la meta, in
questa strada che è ancora intricata.
Ferma la mia mano
sulla sua pancia e il mio cuore resta in silenzio. E vorrei anche provare a
crederci ma già lo faccio, dio, ci credo, le scintille ora sono le sue lacrime e lei
che sorride.
Ho capito tutto.
«Sei...
s-sei sicura?» E forse è la prima volta che balbetto in
tutta la vita. Ma lei mi guarda e mi vede sorridere.
«Sì.»
Mi stringe a sé, mentre lo dice. E le tocco la pancia e lo cerco, quel nuovo
battito di cuore che siamo noi due insieme e che sarà uno.
«Ma come è successo?»
«Jake... ma che vuoi un disegno?»
«Qualcosa di artistico.»
Quanto siamo cambiati? So solo che le bacio le lacrime, come quella volta in
cui dei lacci meccanici volevano portarmi via da lei.
Perché il
destino prende le strade e le intreccia, ma è il cuore a decidere che direzione
prendere.
La prendo
in
braccio e lei si aggrappa al mio collo, e ride e piange, e dio quelle
lacrime
sono dolci, non amare. La amo, l’avevo già detto? La amo.
Sono morto per dirlo
con le catene che stringevano e graffiavano, morirei altre mille volte.
Ciambelle, torte al cioccolato, fragole, le darò tutto quello
che
vuole. Non voglio immaginarlo… sono solo i sogni quelli che
si
immaginano, ma questa volta non è così.
No.
È
vera la sua
pancia che cresce, il dottore che la visita. Le sue amiche che la
abbracciano, la
sua scrivania vuota in ufficio. Le mie mani sporche di grasso in
officina quando
Walt mi stringe la mano, e Embry arriva con quella rossa carina con
tante cose da dire... è bianca come un
mio vecchio ricordo. C'è Leah che prende a dare consigli, Brian
che si limita ad osservarle il sorriso, zia Josie che ha finito di
ricamare una copertina di lana bianca, Seth che sembra ancora un
ragazzino nonostante tutti i casini, quando sta con quella ragazza.
Sorrido.
Forse anch' io gli somiglio.
Nello stesso parco in cui io e Liz ci siamo incontrati, nostra figlia è quella
bambina che ho visto scomparire un giorno lontano negli occhi cioccolato che
erano stati di Bella.
Il
sole è alto, Liz viene
verso di noi, torna da quel negozio di colori per una modifica alla
stanzetta di Iris. L'ha scelto lei, questo nome. Perché mhm,
non so come spiegare, Jake. Ma pensa... dopo un'acquazzone di quelli
che non vedi mai, guardi fuori dalla finestra e non c'è
più il buio. Torna l'azzurro e, dalle nuvole, nascono strisce di
rosso, viola... l'arcobaleno. Sì, magari dopo un po' esci in giardino e guardi per terra, ci sarà qualche germoglio che un giorno diventerà un fiore.
Iris significa entrambe le cose.
Gattona intorno all'albero del parco. La guardo e vorrei smettere di pensarci,
ma so solo che non ci riuscirò mai.
Io, Jacob Black, non avevo speranze.
Oggi ho molto di più di
una speranza. Ma se non ne avessi mai avute, non avrei tutto questo. Se non ne
avessi mai avute, non sarei quello che sono ora. Un uomo che lotta, anche se
gli dicono che ha già perso.
«Ha il tuo stesso
sorriso.» dice Liz. Si appoggia alla mia spalla, è mia moglie. Eppure per me rimarrà
sempre la liceale di cui mi sono innamorato sette anni fa.
«È una furbetta.»
Prendo in braccio la mia bambina, un anno soltanto. «Pà.» le viene fuori, con la voce sottile.
Se si azzardano a
portarmela via prima dei trenta spaccherò dei culi. O riprenderò a
trasformarmi, nessuno può mai sapere.
«E
quella faccia?» Liz ride. Iris mi
mette le mani fra i capelli. Riesco a prenderla anche con una sola
mano, le
faccio posare la testolina sulla mia spalla. Dio, potrà pure
sorridere come me ma questo viso d'angelo di sicuro non viene dal sottoscritto.
«Quale faccia?»
«La stessa che ha
fatto mio padre quando ti ha visto la prima volta.» Quindi Frank avrebbe
voluto spaccarmi il culo. Bene. «A chi vuoi fare male?»
Ma il viso di
Liz è espressione di gioia, amore, la mia casa in mezzo al nulla. Fra quei
cartoni che non abbiamo ancora sistemato bene. Nelle lenzuola fresche che
profumano di lei. Nei miei sogni la notte, quando apro gli occhi e mi accorgo
che non sto sognando. È lei che dorme fra le mie braccia, leggera ed esile, o
con la pancia tonda, come quando era incinta.
Anche se abbiamo litigato da morire per quella bolletta di Internet...
e per quelle bomboniere rotte, non ci credeva che non lo avevo fatto
apposta a farle cadere ma Liz, che palle, quel gufo è inquietante.
Liz solleva Iris, a farla volare. Forse sto sorridendo,
forse guardando soltanto. Forse mi aspetto ancora che tutto questo
scompaia, ma
non è vero. Perché insieme è il nostro posto.
Insieme è più eterno del per
sempre. Perché l’ho capito, la forza di gravità mi
tiene ancorato alla terra, ma
lei è una forza ancora più potente, che mi fa aprire gli
occhi e vivere ogni
giorno.
La mia piccola ride, la manina chiusa intorno al mio pollice. Si tiene seduta, mi
guarda con
quei suoi occhi marrone chiaro e acquosi che scintillano
all’ombra. Ci vedo me stesso e
la strada si fa più lunga, uno sprazzo di luce, un’onda
che si schianta nel
cielo, un tuono nel bianco della tempesta. Nessun destino a creare
tutto
questo.
Solo un cuore che batte. Semplice come inspirare ed espirare. Vivere,
credere, amare.
Senza magie e sguardi eterei.
E così ho vinto.
*
*
*
*
Dedicato a chi crede nei propri sogni e non si arrende.
Dedicato a chi mi vuole bene, lontano o vicino che sia.
E a chi ha creduto in questa storia<3
"Può
essere banale sia un finale triste, che un finale felice. E' il modo in
cui si arriva che lo rende speciale" Ho scritto questo pensiero su
facebook, a Marzo. Pensavo
a questa storia, il finale non era ancora stato scritto ma ce l'avevo
nella testa... e speravo che fosse così. Speravo che questo
lieto fine fosse speciale <3 Spero che per voi lo sia <3
Siamo
arrivati
all'ultimo capitolo. Mi mancherà tantissimo, mi
mancherete voi. Mi mancherà tornare ogni giorno da scuola e
trovare il tempo per Jacob Black e la mia versione alternativa per la
sua felicità. Mi mancheranno le vostre recensioni, i vostri
consigli, le vostre emozioni.
Mi ricordo
il giorno in cui ho cominciato
a scrivere. Ero in una casa diversa, con due anni in meno, con tanta
voglia di cambiare le cose. Questi due anni sono davvero passati e
adesso sono qui, mi tremano le mani e ancora non ci credo. Ogni
capitolo è stato un salto, anche piccolissimo. Oltre che per i
personaggi, anche per me. Credo di essere diventata grande, un po' di
più di quello che ora prima, ma so benissimo che ho ancora tanta
strada da fare per crescere. Oh, eccome se c'è. Non si finisce
mai di crescere, non importa
quanti anni si hanno. Forse è proprio con questa consapevolezza
che non si invecchia dentro, e non c'è bisogno
dell'immortalità o
di un vampiro centenario per questo, anzi :)
Grazie. Grazie perché ci siete, dall'altra parte, e questo per me è davvero importante.
Grazie a tutti
quelli che mi hanno recensito all'inizio, quando questa storia era solo
una piccola briciola di quella che è adesso.
Grazie a chi ha recensito ogni tanto.
Grazie a chi ha recensito sempre.
Grazie a chi mi ha mandato messaggi privati per farmi sapere cose ne pensava della storia.
Grazie ha chi l'ha seguita, ricordata, e preferita.
Grazie a
Caterina, (mia prima lettrice <3) Virginia, (mogliA mia <3) J(amica
mia <3), Noemi(la mia fantastica Embry's Angel <3), amiche
mie bellissime <3 <3 <3, Maria (Sei semplicemente meravigliosa <3) fufe, (i tuoi pensieri sono sempre
stati tanto importanti per me e mi hanno resa tanto felice <3)
Roberta, che mi ha letta nonostante una parte della storia fosse angst,
Daniela, per seguirmi sempre su facebook <3, Roberta87, le volte in cui mi ha recensita mi ha fatto camminare due
metri da terra,
MaryAliceBrandon Cullen, BRIGIDA, Many8, Sara71, Soky, Lea__91,
Ramoso90, Teresa, Steffy,grazie per leggermi e per avermi fatto sapere i vostri pareri
<3.
Grazie a tutti quelli che mi hanno chiesto notizie della storia quando si è cancellata per quel problema <3
Grazie a Cristina, che è la mia consulente e c'è sempre <3 grazie, tesoro <3
Grazie a Stefania, che mi è sempre vicina <3 grazie, amica mia <3
Grazie a Deborah che è la mia salvezza, lei sa perché <3
Grazie a Dony, che vede se stessa nelle cose che ho scritto <3
Grazie
alla mia
famiglia: papà, che ha riparato il pc tutte le
volte in cui questo aveva degli acciacchi strani xD; mamma, che si
è commossa su qualche mio tema (niente di che, davvero XD); e i
miei due fratelli... no, loro no, casinisti! Ma gli voglio bene lo
stesso.
Sono
davvero senza parole. Non vi nascondo che sono commossa, triste per
aver finito questa storia. Ma allo stesso tempo felice, perché
credo di aver fatto del mio meglio. Sto comunque continuando e
continuerò a scrivere <3 Se vi va di leggermi ancora, ecco
qui un esperimento AU con Bella e Jacob, ambientata a Parigi nel 1894.
Si chiama Lucciole.
Poi sto continuando la storia su Embry, Same Mistake. E ho cominciato a scrivere il seguito di Soul's Wind.
Se vi va di parlare con me, ecco qui il mio profilo facebook. Se mi chiedete l'amicizia, mandatemi un messaggio in cui mi dite chi siete qui su efp :)) E qui invece c'è la pagina di Destiny Heart :) Penso che preparerò il pdf, quando avrò finito di rivederla <3
Sarei
davvero felicissima di sapere che cosa ne pensate. Mi fareste un
incredibile regalo, tanto grande. Se questa storia vi ha dato emozioni,
per me sarebbe davvero fantastico vederlo scritto da voi... per chi
scrive è davvero importante <3 <3 <3
Quindi grazie, a tutti voi.
Con affetto.
Vostra Ania <3
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