Destiny heart (Part II)

di aniasolary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 57. Giorni contati ***
Capitolo 2: *** 58. Sbaglio ***
Capitolo 3: *** 59. Puntine di luce ***
Capitolo 4: *** 60. Ordini ***
Capitolo 5: *** 61. Iridescente ***
Capitolo 6: *** 62. Colpo ***
Capitolo 7: *** 63. Spine ***
Capitolo 8: *** 64. Tramonto ***
Capitolo 9: *** 65. Convalescenza ***
Capitolo 10: *** 66. Pazienza ***
Capitolo 11: *** 67. Vista appannata ***
Capitolo 12: *** 68. Dolori dal passato ***
Capitolo 13: *** 69. Epilogo ***
Capitolo 14: *** 70. Vuoto ***
Capitolo 15: *** 71. Appiglio ***
Capitolo 16: *** 72. Alba ***
Capitolo 17: *** 73. Adesso ***
Capitolo 18: *** 74. Epilogo: the way that gravity turns on you and me ***



Capitolo 1
*** 57. Giorni contati ***


jake 57


Storia postata dal capitolo 57 in poi per motivi spiegati nella mia pagina d'autore.


(Riassuntino veloce: nel capitolo 56, ambientato un ora prima di quello che segue, vediamo che Jacob ha raccontato a Liz SOLO dei Volturi, e che lei ha davvero paura. Anche Jacob ha paura, ma c'è qualcosa che lo spaventa ancora di più. Cerca ancora di resistere all'imprinting. L'unica cosa che vuole è tornare a casa, a Seattle, in modo che tutto torni come prima. Buona lettura <3)

You will be

the death of me

Yeah, you will be

the death of me

bury it

I won’t let you bury it

I won’t let you smother it

I won’t let you murder it

Time is running out – Muse

 

Sam non era ancora arrivato.

Colin, i capelli neri lunghi fino al mento e la faccia ancora da ragazzino, rispondeva alle domande sulla scuola che gli faceva Liz, vicino a me.

Era troppo rischioso essere esposto al potere di Edward, e se ogni mio pensiero era seguito da quella palla di ferro, allora dovevo eliminarli completamente. O pensare ad altro, qualunque cosa.

«No, Jared! » Colin sbottò, mentre Jared si dileguava con il pezzo di torta appena rubato. Bastò che Kim lo fulminasse con uno sguardo freddo, e lui lo restituì.

L’imprinting.

Rabbrividii.

Il profilo sfigurato di Emily era più marcato dalla luce del sole che se ne andava, Leah era appoggiata al muro con la spalla, senza parlare.

Sam e Brian erano usciti presto.

Sam voleva rendersi conto di cosa fosse capace di fare Brian, un altro Alfa. Esistono dei legami particolari fra capi, letture di pensieri anche se non si fa parte dello stesso Branco e messaggi in lingue antiche che solo loro possono comprendere.

E pensare che io…

«Ah, ho capito, allora ti piace disegnare. Io mi sono iscritta alla facoltà di Arte e design… sai, fanno anche dei corsi di orientamento, e poi hai ancora tanto tempo… »

La voce di Liz mi arrivò alle orecchie, uguale a quella dei miei ricordi, più calda e vicina di tutte le volte in cui l'avevo sentita per i corridoi del liceo.

Era Liz.

Sarai sempre tu.

Sospirai.

Sarà Renesmee.

Voltai lo sguardo, mi si strinse lo stomaco. 

No.

 «E perché tu non fai niente?»

Leah si mosse, come scossa. Avvicinò il viso alla finestra, veloce…

«Jake… Colin ti ha chiesto se… »

Liz.

«Cosa?»

Mi girai.

«Mhm… cioè… » Colin mandò giù la torta. «Perché non ti sei iscritto a nessuna facol…»

La porta fu aperta, l’appendiabiti finì a terra. 

Il vento estivo fece entrare qualche foglia secca in casa, ne sentii qualcuna andarmi a sfiorare il polpaccio.

Sam si appoggiò al muro, il fiato grosso.

Aveva… una ferita sul collo.

«Dio santo… Sam.»

Emily fece cadere lo strofinaccio che teneva in mano, lo sguardo allarmato verso Sam.

Brian era fuori, sulla soglia, e non accennava ad entrare. Leah si precipitò da lui, ma Brian fece qualche passo indietro, come stordito. 

Leah avvicinò la mano al suo viso ma lui si scostò, velocissimo, una smorfia in volto. 

Aveva un graffio lungo tutta la faccia.

«Ma che cazzo vi è preso?!» Leah sbraitò. Il suo viso prese colore; i capelli cresciuti le finirono davanti al viso, mentre vagava lo sguardo da una parte all’altra.

Mi girai un attimo verso Liz, sembrava che stesse addirittura trattenendo il respiro.

«Puoi… puoi chiederlo a lui.»  La voce di Brian era bassa, quasi tremava. Lanciò un’occhiata a Sam, Emily che gli era abbracciata.

Leah si voltò.

«Che cosa… cosa hai fatto?» chiese Leah. Inciampò nelle parole, il suo viso rivolto verso Sam... ma non era abbastanza forte, non più. Liz era accanto a me, il suo respiro sulla mia spalla, e mi sentii gelare il sangue, perché Leah guardava per terra. Non nei suoi occhi, per terra. Una volta riusciva ancora a guardarlo, ora non ci riusciva più. Anche fra noi due… fra me e…

«Non vuoi dire a che cosa pensavi?» La voce di Brian quasi rimbombò.

«Ora… ora dobbiamo andare dai Cullen.» Sam sciolse l’abbraccio di Emily, piano.

«Ma Sam… » Emily parlò, ancora appoggiata a lui.

«Dobbiamo andarcene.»

«Vai da solo.» Brian cominciò ad allontanarsi, la porta ancora spalancata.

Leah si voltò un’ultima volta, la testa alta.

Sam abbassò lo sguardo.

Sentii una fitta allo stomaco.

Se sei fortunato, potrebbe anche andarti così.

Mi alzai dalla sedia, la mia mano sul braccio della ragazza che amavo, le mie dita a contatto con la sua pelle.

Non avrai più il coraggio di guardarla negli occhi.

Lei mi seguì, lo sguardo basso, senza dire una parola.

Finirà per guardare solo per terra.

Tutti si alzarono con noi, io presi la mano di Liz, che me la strinse, piano.

Non ci sarà più niente a farla restare con te.

Sentii il battito del mio cuore stridermi nelle orecchie. Deglutii, il dolore costante intorno al petto.

Non resterà più niente.

***

Con un braccio cingevo Lizzy per le spalle, non parlava da quando avevamo cominciato a camminare. Volturi, morte, lite fra Brian e Sam… non riuscivo bene a immaginare che cosa potesse passarle per la testa. Soprattutto con quell’espressione pensierosa in viso, quella che non mi faceva mai stare tranquillo ogni volta che la vedevo addosso a lei.

Che cosa poteva pensare?

«L’imprinting è un legame falso.» Liz riemerse da qualunque cosa si fosse fermata a pensare.

Annuì.

«Io… ho sempre creduto che Sam fosse innamorato di Emily. »

«Sicuramente lo è, ora, ma non sarà mai come con Leah.»

Non sarà mai come con te.

«Però… quella cosa… l’imprinting, l’ha comunque portato a lasciare Leah.»

Feci un respiro profondo. Se Sam e Brian se l'erano date, Sam doveva aver pensato a qualcosa a cui non aveva più il diritto di pensare. Sapevo che avrebbe sempre amato Leah, imprinting del cazzo incluso e compresi tutti i suoi moralismi.

«Forse è dipeso anche da lui… non è riuscito a farsi forza… »

«È tutto troppo complicato.» sospirò. «Esistono i vampiri, i muta-forma, sicuramente questa volta i Volturi vengono per uccidermi sul serio e ci sono anche persone che non sono libere di stare insieme come vorrebbero... perché l’imprinting è il legame del lupo e tutto il resto, una specie di catena di forza da cui non si può scappare. Me l’ha raccontato Quil.»

Mi sentii mancare l’aria.

No, non è vero.

Cercai di parlare.

È vero, invece, e lo sai.

«Liz… io non credo che… »

Lo senti.

Renesmee.

«Non ti farà del male nessuno, te l’ho detto. E… per quella cosa… »

«Mi dispiace per Leah. Mi dispiace davvero.»

La strinsi un po’ di più a me, i suoi capelli a solleticarmi il collo.

«Anche a me.»

Non permetterò che succeda.

Lei voltò il capo verso di me, i suoi occhi color nocciola a farmi sentire giusto così.

Non succederà mai.

 

«Andiamo dentro, ci aspettano.» disse Sam.

Dovevo eliminare i pensieri, qualunque pensiero.

Il cuore non si arrende, il cuore combatte. Il cuore combatte per chi ama, il cuore non conosce magie.

Tieni a bada i pensieri.

Sam varcò la porta, seguito da Paul.

Nascondili.

Poi entrarono anche Quil e Jared.

Nasconditi.

Sam si mise una mano sulla ferita, stava già guarendo. Ma forse sarebbe guarita solo quella, di ferita. Lo seguirono anche Embry, Brady, Seth, Colin…

Adesso.

Liz esitò.

«Andrà bene.» Parlai, a voce bassa. L’odore dolce della torta di mele che sentivo vicino alle sue labbra.

«Non lo so.»

Liz mi guardò, per poco, gli occhi di marrone chiaro a sfiorarmi. Poi distolse lo sguardo, la sua mano nella mia. Sospirò, ed io sentii il suo fiato vicino al mio orecchio.

Ti amo.

Attraversai la soglia, Lizzy poco dietro di me.

C’erano tutti i Cullen. 

Sembravano i personaggi di una soap opera, di quelle che guardava mia zia. Ci mancava solo un bicchiere di cristallo con dentro del whisky in mano alla nana e il gioco era fatto. Non c'era solo la bionda.

Che puzza.

L’odore cattivo, acquoso e di troppo zucchero.

Schifo.

Edward Cullen mi fissava e, - ci avrei messo la mano sul fuoco - mi leggeva nella mente con la sua odiosa capacità di entrare nei segreti degli altri. I capelli color del bronzo facevano una specie di luce strana, tipo arancio, si rifletteva negli occhi di Liz.

Bella mi guardò – occhi dorati, non più cioccolato –, guardava proprio me.

Ti senti gelare, c'è solo freddo.

Non ci poteva essere niente di più strano, - capelli neri, nessun riflesso ramato - ma allo stesso tempo niente che potesse cambiare.

Sentii il cuore graffiarmi il petto. 

C'è solo freddo, ormai.

Si era messa una camicia a quadri che stonava un po’ con tutto il resto – non più umana, ora vampira –, quello che la vecchia Bella avrebbe indossato per sentirsi più normale.

Ancora una volta fu come il giorno del matrimonio di Sam, vedere una falsa imitazione di una goffaggine non ancora sparita, guardare Bella Swan, riconoscerla… e allo stesso tempo non riconoscerla più.

Sorride, a stento.

«Finché il mio cuore batterà.» sussurra.

Quasi rido, le ossa rotte mi fanno sentire un bruciore in tutto il corpo... e soprattutto lì, in mezzo alla cassa toracica. 

Ma quello è colpa sua.

«Sai, penso che potrei accettarti anche dopo, forse. Mi sa che dipende da quanto puzzerai.» La sento sospirare, sta sorridendo. 

Sta andando via.

«Ciao, Jacob.»

«Ciao, Bella.» 

Liz mi strinse ancora la mano, quasi percepii le sue unghie. Quasi sentii il battito del suo cuore attraverso la pelle.

Non sei tu, Bells.

Era davvero stata sul punto di rovinare tutto fra me e Liz.

Non più.

Sentii di nuovo delle dita, delle dita calde, stringermi il braccio con delicatezza non necessaria ma caratteristica di lei.

Fu qualcosa di annebbiante.

C’era Bella.

C’ero io.

C’era Liz.

Si guardarono. Fu solo un secondo. 

Sapevo solo che Liz stava tremando lo sentivo attraverso la sua mano, e non lo avrebbe notato nessuno perché quasi non si vedeva. Lo potevo notare solo io.

Non tremare, amore.

«Lei è Liz. Liz… lei è… è Bella.» Non avevo mai pronunciato quei nomi insieme. Un’ondata di gelo mi attraversò il sangue. Gelo e sangue, nello stesso corpo.

Alzai lo sguardo.

«So già chi sei.» La voce di Bella era sottile, come tirata da qualcosa. L'avevo già sentita. Le si corrugò la fronte, quella parte di pelle vicino alle sopraciglia… come faceva da umana.

Non sei cambiata.

Liz rimase in silenzio, il rumore del suo respiro che scandiva un ritmo irregolare, quello del cuore.

«An… Anch’io.»

Ci sono io con te. 

Rimasero così, a guardarsi. Non sapevo se fosse giusto farlo o no... stringerla davanti a lei, appoggiare la mia mano intorno alle sue spalle davanti a lei… ma non riuscii a trattenermi.

«Ciao, Lizzy. Sono Edward Cullen. Avrei voluto fare la tua conoscenza in circostanze più serene, ma è sempre un piacere.» Bella smise di fissarla e voltò lo sguardo, - non puoi andare via, Bells -, mentre Cullen porgeva la sua mano alla mia ragazza.

Sanguisuga di merda.

Mi irrigidii.

Trattieni i pensieri.

Sentii la mano di Embry sul mio braccio. Mi fece un cenno con la testa, guardava verso la veggente.

«Ho avuto altre visioni. Aro cambia idea spesso,  ma non riesco a capirlo. I dubbi sono sulle sue intenzioni, se violente o... non. Vuole capire cosa è successo ai componenti della sua guardia, anche se ha già provveduto a reclutarne altri.» disse Alice. Jasper le era seduto accanto e sembrava misurare ogni sua parola, come se avessero preparato il discorso insieme. Ma Alice aveva detto...

Liz quasi sussultò.

Intenzioni.

Violente o... non.

«Liz…» 

Dovevamo davvero avere paura? Lei no.

«Aspetta.» mormorò. Lo sguardo fisso su Alice.

«Che cosa hai visto esattamente?» chiese Sam.

« Sembra che voglia venire qui a farci domande. Siamo l’unico clan pacifico di queste parti… ma non riesco a vedere nemmeno i poteri dei nuovi componenti, ne sembra soddisfatto, come se così fosse tranquilo… ed è meglio che pensiamo a qualcosa… perché Liz è stata coinvolta in questa storia e potrebbe essere in pericolo.»

«Alice… » Liz la richiamò.

«Lizzy, tu non c’entri niente. Volevano farci del male e hanno usato te, tu non hai nessuna colpa.» 

Bella si voltò di scatto, i capelli neri a formare una spece di onda nel vuoto. Non riuscivo più a vedere il suo volto, anche se ormai non importava più.

«Quando credi che verranno?»

«Presto. Credo molto presto. La visione non è chiara. Vi avviserò. Ma è questione di giorni, pochi.» 

Poco tempo.

«Ci saremo, in caso di attacchi.»

«Speriamo che non sia necessario.» cominciò Carlisle,  «Ma sarebbe certamente più sicuro per tutti, grazie, Sam.»

«E’ quello per cui siamo nati.»

Quello per cui siamo nati…

Come uccidere i vampiri, come trasformarci in lupi…

Come l’impr…

«Ci sarò anch’io, in qualunque caso.», presi la parola. «Non resterò con le mani in mano, non stavolta.» La mia voce era sicura, ferma. Sì, mi sarei trasformato e avrei aiutato il branco e...

«Va bene, Jacob.» fece Sam. «Te l’avrei detto io stesso.» 

Avevamo i giorni contati. Di qualunque cosa si trattasse.

«Un momento, Jake, che significa?» La voce di Liz era più alta del normale, sembrava quasi rotta.

«Liz, ti assicuro…» Sam continuò a parlare con Carlisle, come per distogliere l’attenzione. Sentivo benissimo lo sguardo di Bella su di noi, su di me.

«Cosa mi assicuri? Mi hai già raccontato della battaglia contro i neonati, so che ti sei fatto male, so che cosa sarebbe potuto succedere… » Liz strinse i pugni lungo i fianchi, le nocche le diventarono quasi bianche. No, non poteva avere paura di questo.

«È stato solo un incidente…»

«Ti sei ferito. Potevi morire, Jake… E se accadesse di nuovo? Sono io l’umana. Sono io il problema.»

Ti amo da impazzire, solo questo.

«Ne parliamo dopo, okay?» mormorai. I suoi occhi divennero lucidi.

«No, Jake. Tu non puoi farlo…»

Sempre.

«Dopo, va bene? » sussurrai.

«Chiamateci in caso di novità.» disse Sam.

Un sospiro. Tutti cominciarono a parlare fra loro. 

«Jacob, per favore...»

«Jacob, scusa. Posso parlarti un attimo? » Alice mi guardò, con aria di aspettativa.

Feci un respiro profondo, senza trattenermi.

«Liz... aspettami fuori, faccio presto.» cercai di dire. Lei sembrava così... così... piccola e...

«Due secondi.» continuai.

«Sì.» La sua voce non riuscì a reprimere il fastidio, il tremore. Si avvicinò a Embry, che stava uscendo proprio in quel momento. Dio, non volevo fare altro che abbracciarla.

Alice si diresse in cucina.

 Volevo solo andarmene.

«Riguarda Lizzy.»

Come?

«Di che si tratta?» dissi, la mia voce traballò.

«Non credo che Aro abbia davvero intenzione di fare una strage, anche perché non conosce nemmeno il motivo per cui la sua guardia non ha fatto ritorno. Quando mi concentro su Liz, la vedo sempre allo stesso modo... come se quello che le succede nella visione non dipenda da quello che tutti pensiamo. Nella visione è da sola, Jacob. E piange... e c'è del rosso, del sangue, su una mano, non capisco se è la sua...»

Deglutii. Veloce, dovevo essere veloce, ma la saliva attraversò la mia gola lentamente, appiccicosa, come se quella stessa parte del mio corpo avesse voluto spaventarmi per quello che avevo sentito. Ma non ce n’era alcun bisogno. Sapevo che cosa significasse tremare senza controllo, avere freddo anche se doveva essere impossibile. Era quello che sentivo io. 

Adesso, e da quel giorno...

«Non riesco a capire.»

«Sono preoccupata per lei.»

«Forse le tue visioni non sono più così affidabili…»

«Non credo, Jacob.» Mi guardò attenta, di sottecchi, come se con le palpebre rilassate con riuscisse a vedermi davvero bene.

Calmo, Jacob, sta calmo…

«Grazie per avermelo detto.» fiatai.

Lei annuì, velocemente.

«Devo andare.»

Trattieni i pensieri, i pensieri, Jacob.

Uscii dalla stanza, la casa ora sembrava deserta.

Mancava poco alla porta, solo dei piccoli passi, piccolissimi, veloci, per uscire, andare via e…

«Jake.»

Ma non finiva mai così.

La voce che indicava quel mio passato non così lontano bastò a farmi voltare indietro, anche se ci misi un po'.

Devi andartene.

Non era colpa sua… o forse sì? Non lo sapeva nessuno.

Soltanto io.

«Perché… perché te ne sei andato? Una settimana fa, il giorno del funerale… intendo.» Oh certo, doveva sempre precisarlo, altrimenti saremmo ricaduti nello stesso errore e discorso, negli stessi ricordi dolorosi, negli stessi stanti.

« Non… non c’era motivo di rimanere, per me.» La voce roca. Mi guardava con quei suoi occhi d’oro, sembravano disegnati. La sua pelle somigliava a quei teli traslucidi che mia madre metteva sui quadri quando dovevamo pitturare i muri di casa, per non farli sporcare. La pelle di Bella era così, sembrava che fosse sempre sul punto di scomparire.

Mi girai, di nuovo.

«Come l’ultima volta?» fece lei.

Sospirai, senza immaginare quale tipo di sorriso fosse nato dalle mie labbra... doveva essere qualcosa di simile a una smorfia. Restai sul posto, fermo. Il cuore prese a battermi ancora più forte. 

Era finita, ormai.

«Sì. Come l’ultima volta.»

E non mi voltai più.

*

*

*

*

Salve! :3 Continuo con la pubblicazione di questa storia, perché non ne posso proprio fare a meno, e perché siamo in una parte in cui, credo e suppongo, la tensione magari è alta, e io non ce la faccio proprio a mollarla e a mollare questi due, tre e compagnia bella. Erika webmaster con il tempo farà tornare la storia com'era prima e ritroverete anche tutti gli altri capitoli :) La ringrazio per tutto il lavore che fa per questo bellissimo sito.

Per quanto riguarda Brian, Leah, Sam ed Emily, non resta che immaginare. Magari questa cosa verrà chiarita, in futuro, chissà, non si può dire proprio tutto.

Per quanto riguarda tutto il resto... be', basterà continuare a leggere :) Grazie infinite per il vostro sostegno, soprattutto dopo quello che è successo al mio profilo. Spero che continuerete a seguirmi, siete importantissimi per me, e se volete potete lasciarmi le voste parole, mi farebbero un immenso piacere <3 Grazie infinite, davvero. A tutti coloro che leggeranno e hanno letto, e a chi re-inserirà la storia fra preferite, ricordate e seguite e a chi lo ha fatto in passato <3 <3 <3 e a chi c'è sempre stato e ci sarà ancora.

Grazie di tutto.

A presto.

Ania.

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Capitolo 2
*** 58. Sbaglio ***


jake 58

And it’s breaking over me,
A thousand miles down to the sea bed,
I found the place to rest my head.

Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go.

 

Never let me go – Florence and the Machine




 

Camminavamo già da un po’, la riserva era lontana. E la casa dei Cullen era anche fuori città, come se si trattasse di qualcosa fuori dal mondo. Ma nel mondo c’era eccome, e stava rovinando il mio.

«… Allora?»

L’avevo baciata, per un tempo che non ero riuscito a definire. Poi si era staccata da me quasi subito. Avevo cercato di prenderle la mano ma lei si era scostata, veloce, come se l’avessi potuta scottare.

Brucia, ti scortica la pelle.

«Combatto, Liz.»

«Bene. » Scalciò un sassolino incontrato nel percorso senza trattenere uno sbuffo. «Scusami se penso alla tua vita, oltre che alla mia.»

«Anch’io penso alla tua vita, e ci penso prima della mia.»

«Non potete consegnarmi direttamente?»

«Smettila.»

«Lo scopriranno comunque. Potresti scappare con Bella con una delle loro macchine costose. A lei farebbe piacere.»

Ti sta scorticando la pelle fino in fondo.

«Non me ne frega niente.»

«Già, peccato che si veda da chilometri come ti guarda.»

«E come mi guarda, secondo te?»

«Come se ti amasse da morire.»

Da morire.

Forse mettermi a ridere non era proprio la mossa giusta da fare, soprattutto se la risata aveva quel sapore così amaro. Il punto era che sentivo dolore per ogni cosa che decidessi di fare, senza limiti.

«Figuriamoci, c'è ancora questo?»

Capelli rossi. Bambina. Le braccia bianche di Bella.

Continuò a camminare, senza fermarsi un attimo. Se ci stava provando, non riuscì a trattenere il rossore che le andò a colorare le guance.

«Proprio quello che volevo sentire.»

«Che ti prende? »

«Perché dovrei dirtelo se non mi dici che cosa prende a te?»

I suoi passi erano spediti, lo sguardo alto e le braccia conserte. Era tutta colpa mia, lo sapevo. Perché non ero mai capace di fare qualcosa in un modo decente. Avrei dovuto parlarle prima di quello che avevo intenzione di fare, e invece avevo alzato la voce davanti a tutti come se quella fosse stata la cosa più naturale del mondo. Combattere con i miei fratelli, e lo era. Lo sarebbe sempre stata. Ma questo Liz non lo sapeva.

«Liz, sono questo. Non posso cambiarlo.» sospirai. «Credimi, vorrei. Non puoi immaginare quanto.»

«Non so se l’avevi capito, ma io ci tengo a te. Non ti voglio perdere. È così sbagliato?»

«No che non lo è.» Prese a camminare più lentamente, i capelli che le ondeggiavano sulle spalle. Mi avvicinai a lei e riuscii a cingerle i fianchi con le mie braccia.

«Non dire che è sbagliato.»

«Forse sono solo un intralcio nella tua vita.», tentò di allontanarsi, ma io la tenni ferma, a sfiorarle la pancia.

«Questa era la perla di saggezza del giorno?»

«La verità soltanto.»

«Ma Liz… »

«Lei è bellissima.»

Alzò il viso verso di me, il venticello a farle cadere qualche ciocca sul volto.

«Forse.»

Deglutii.

«Senza forse.»

Distolse lo sguardo, si mise a guardare verso il bosco, dietro di noi.

«Liz, può essere miss Mondo, non me ne faccio niente.» fiatai.

«Se Bella non c’entra più… e non so ancora se crederci… Non andare a combattere. Non devi amarmi fino a morire, non letteralmente, non a questo punto, quello non è amore. Io non ti condanno a fare niente.»

Lei non ti condanna.

«Non posso.»

«Jake. »

«È quello che sono. »

«Ma… »

«Trasformarmi in lupo, Liz. Correre, essere un animale, combattere, proteggere. Sono questo… »

Sospirò.

«Per favore, Jake… io… lo so che sei così e non voglio che tu… faccia qualcosa che non vuoi. Ho solo paura che…»

«Non devi avere paura.»

«Non ci andare.»

«Non posso.»

«E se io…»

«Liz, se si fosse trattato della ragazza di Jared o Embry ci sarei dovuto andare comunque.»

«Ma non ce la farei… »

« Sono io quello che si fa sotto per la fifa di non poter più stare con te, non lo capisci?!» sbraitai.

Cazzo.

Un respiro profondo.

Cazzo.

Mi voltai a guardarla, veloce.

«… P-perché? »

Ho avuto l’imprinting.

Gola secca.

Aria che non c’è.

«N-niente. »

Respira.

«Non ci credo.»

Non smettere di respirare.

«Niente.»

«Non è vero.»

Colpi.

Colpi su colpi.

Cuore che si è fermato.

«Jake, ho capito che qualcosa non va…»

Non parlare.

«Che ti succede?»

Niente.

Aprii la bocca, per parlare.

Ho avuto l’imprinting.

Sentii una fitta al cuore.

Renesmee.

«Liz…»

«Che succede?»

Renesmee Cullen ha i capelli lunghi e rossi, come sua madre una volta, quando aveva quei riflessi al sole. Corre nella foresta, sorride. È bellissima, non è mia. Non posso essere suo, ma mi ha preso lo stesso.

«Non ti voglio perdere per niente al mondo.»

Lasciò cadere le braccia sui fianchi, come se fosse stanca. Poi si passò una mano fra i capelli.

«Che cosa c’è?» Fece qualche passo, questa volta fui io a continuare a camminare.

 Non la dovevo guardare.

Renesmee Cullen ha il viso perfetto, il naso diritto, piccolo, le labbra carnose – sei tu, Bella – alta, slanciata, ha gli occhi scuri che brillano, sono dello stesso marrone della cioccolata calda – sei tu, Bella – , Renesmee corre e ride e le si infiammano le guance… ed è Bella.

È uguale a lei.

Sentii il rumore dei suoi passi seguirmi.

Non farmi parlare, Liz. Non rovinare tutto. Io devo resistere, tu devi resistere, lo sto facendo per noi, lo sto facendo per te. Manca poco, cazzo. Voglio tornare a Seattle, sentire i ragazzi al telefono, farli venire in città a fare i cretini, fare l’amore con te di nascosto perché lì siamo ancora i ragazzini dell’ultimo anno che sono ancora troppo fuori di testa per capire che sono innamorati pazzi e riconoscerlo sul serio. Non lo fare, per favore. Voglio passare tutta la vita così, anche se non più di nascosto. Nel garage, a casa mia, in una casa nostra, ti puoi portare il gatto che ti ha regalato tua zia a marzo e dipingere le stanze come ti piace, e prendermi per il culo quanto vuoi per qualunque cosa e io ti amo, cristo. E so che quando lo saprai mi odierai per sempre, e non posso lasciare che succeda, perché lo sto facendo per noi. Perché noi è l’unica cosa buona che ho ancora fra le mani e tutto mi sta scivolando via.

«Non restare zitto, Jacob.»

«Mi dispiace.»

Non dire più niente, per favore. Torniamo a casa. Te ne vuoi andare da qualche parte? Vuoi fare qualche impresa folle? Va bene, va benissimo così. Se solo non ci fossero quei vampiri di merda a rompere il cazzo lo avrei detto per prima. Non chiedere, Liz, perché lo saprai, mi amerai ancora e non sarà mai più come prima. Sono tuo anche se la magia mi tira da un’altra parte. Lo capiresti? So solo che sei la persona più importante della mia vita e se restare zitto ti terrà qui con me…

Mi mordo la lingua, Liz. Non posso parlare.

«Dimmelo, Jake.»

Ho avuto l’imprinting.

Il lupo è un nemico, poi una salvezza e poi un assassino. Lo sto odiando perché ti amo e sarà sempre così.

Mi passai una mano sul viso. Non lo potevo fare. Avevo resistito tutti quei giorni… l’aria era pesante, anche la terra, sembrava che mi trascinasse giù…

Il cuore comincia a graffiarti i timpani oltre la carne, ti grida addosso perché il momento non doveva essere questo. Perché il lupo può avere tutto di te, ma non il cuore.

Il lupo, ora, ti dice di staccarti.

Il lupo, ora, è vicino a farti fuori.

Non ora. Freddo, ghiaccio, sulla lingua, intorno al petto, le catene, il sangue…

La parte umana è sempre più debole, gli umani lo sono sempre. Una volta poteva essere il momento giusto per dirlo, adesso no. Adesso tutti i momenti sono sbagliati.

«Ti prego, Liz.»

Presi un respiro profondo.

Diglielo.

Mi raggiunse e sentii le sua mani salirmi sulle spalle, arrivarmi al viso, toccarmi, niente più delicatezza, niente più dolcezza. Solo lei.

Diglielo.

«Dimmelo.»

Sei bellissima, amore mio. Anche ora che sei la persona più coraggiosa che io potrei mai conoscere, perché non sai niente. Perché mi stai toccando e ho caldo e muoio di freddo se tu non ci sei. Me l’hai detto tu, ti ricordi? “Non avremo più freddo, Jake, non ne avremo più.”

Non c’era più aria da respirare. Tutta la roba tossica del pianeta era lì, nell’atmosfera.

Ho avuto l’imprinting.

«Liz.»

Ho avuto l’imprinting.

«Parla. »

Renesmee.

Imprinting.

Renesmee.

«… Io…»

Diglielo.

Basta promesse, basta sogni, basta futuro.

Non lo vedi che tutto sta scomparendo sotto i tuoi occhi?

«Jacob… »

«Non volevo… Liz, io non volevo che succedesse… sono giorni… sono pochi… per favore…»

E questa volta gli occhi lucidi le luccicavano sul serio e non avevano niente a che vedere con i vampiri di casa Cullen, con la pelle traslucida e gli occhi del materiale dei gioielli.

Le accarezzai il viso, una sua lacrima mi bagnò la pelle. Una sola. L’unica.

«Io... non... non voglio lasciarti.»

Ti amo.

«Non voglio sentirlo.» tremò e sciolse l’abbraccio. Eravamo vicino casa mia, ora. Si vedevano le luci accese da lontano. «Non dire che mancano pochi giorni, non è la fine. Hai diciotto anni, non parlare così.»

Ti amo.

«Non ci andare. O dimmi che farai di tutto per tornare vivo, promettilo, giuralo. Non voglio sentire nient’altro.»

Non vuole sentirlo.

Le gambe erano pesanti, i piedi dolevano, e ora si era fatta sera. Una di quelle sere in cui guardi il cielo e ci sono i nuvoloni e solo a guardarli ti scazzi, soprattutto d’estate.

Ma se sei con la persona più importante della tua vita non importa più.

«Io… io te lo giuro. Ma ricordati che… » cominciai a dire, le parole mi morirono in bocca.

Occhi lucidi. Voce che non parla, passi veloci.

Evitava anche solo di sfiorarmi. Avrebbe dato un saluto veloce e un sorriso a Billy, sarebbe sembrato sempre e comunque splendido, poi sarebbe corsa in camera sua…

Perché la voce mi moriva in gola?

Perché è uno sbaglio.

Ebbi l’impulso di dare un calcio a qualcosa.

È quello che sento.

Cercai di riprendermi.

Respiro.

Respiro profondo.

Avevo visto piangere Liz per motivi seri e per debolezza, frustrazione. Lei cercava di andare da qualche parte da sola, ma io ero sempre abbastanza veloce da abbracciarla prima che mi chiudesse la porta in faccia. Non lo doveva fare. No.

Respiro profondo.

Sei l’unica cosa che sento, Liz.

Catene.

Acciaio.

«Ricordati. »

Cavi.

Corde.

Tirano, tirano, tirano forte.

«Ricordati che ti amo.»

Trovai la sua mano, gliela strinsi, il sangue che fluiva era denso, faceva male. Adesso graffiava anche quello.

«E può succedere… qualunque cosa. Rapimenti, cazzate, problemi seri, vampiri italiani. Ricordati questo.»

E posso avere tutta la paura del mondo, può esserci Renesmee Cullen, Bella Swan, Bella Cullen… devi ricordarti di questo, perché sto lottando. Lo sto facendo a mani nude contro armi che pungono e tagliano ma tu ricordati di questo.

Ne ho bisogno.

***

Era mezzanotte quando ricevetti la chiamata.

I Volturi sarebbero arrivati entro quarantotto ore, l’avevano deciso. Nella visione, diceva Alice, la luce era debole, del primo pomeriggio, e il vento soffiava verso di noi.

Glielo dissi la mattina dopo, presto. Non avevo dormito e Liz se ne accorse subito. C’erano troppe cose che non andavano bene e lei non era stupida, non lo era mai stata.

Cercò di disegnare qualcosa ma le tremava la mano, le scivolava la matita dalle dita, non parlava.

Poi la abbracciavo e dicevo :“Andrà tutto bene, vedrai”.

Non lo vedrai mai.

Non avevo paura di combattere né di morire. L’unica cosa che riusciva a rubarmi il sonno era che qualcosa – quel qualcosa – potesse spezzarci completamente. Ed era sul punto di farlo.

La cucina era deserta, la televisione accesa solo come sottofondo; lei era seduta sulla sedia, ma ormai aveva rinunciato a mettere su carta qualunque pensiero. Fissava lo schermo, il mento appoggiato alla mano.

Era uno di quei momenti in cui avrei voluto gridare e correre e fuggire solo per provare a soffocare tutti i pensieri. A soffocare quel pensiero.

Spensi la televisione, la abbracciai di nuovo, con le stesse parole e altre nuove, sembravano sempre le stesse, sembravano non avere più voce.

Si avvicina a me, mi prende la mano. Ha quel profumo che inalo quando passo dalla profumeria vicino scuola, mi impedisce di respirare.

"Tu non te ne vai, vero?"

Alzo lo sguardo. Bella ha gli occhi gialli, vuoti. Le hanno tolto tutto il cioccolato.

"No, Renesmee. Non me ne vado."

Liz aveva i capelli sciolti, una frontiera in testa. Gli occhi più belli del mondo. Non volevo ricordarla così. Non volevo ricordarla e basta. Volevo che restasse sempre con me.

"Meglio il viola o il blu, Jake?" Renesmee volteggia davanti allo specchio, si guarda prima di scegliere il suo vestito per il ballo dell’ultimo anno. Non sa ancora con chi andare, per lei è troppo difficile.

"Sei sempre bellissima."

Viola come il vestito di Liz al ballo di dicembre. Blu come il vestito di Bella, quando era andata a ballare con Edward.

"Va bene viola. Tanto, mamma, tu hai un sacco di vestiti blu, non posso somigliarti sempre."

Tremore, paura. Non potevo crederci. Io volevo restare con Liz, solo con lei. Amavo lei e non c’era più tempo. Il tempo stava per scadere.

La baciai, di nuovo. Le sue labbra morbide sulle mie, le sua mani frenetiche fra i miei capelli.

Calore, strisce di fumo.

Bruciature.

Cicatrici.

Il mio corpo che non riusciva mai a contenersi, perché non c’era più tempo, non ne avevamo più. La baciavo, ancora. E non c’era più tempo. Un continuo rumore nelle orecchie. L’orologio sul mobiletto accanto al divano. Dopo l’incidente di mio padre avevamo tolto quello appeso al muro e adesso c’era solo quello. Secondi, minuti, il tempo ci stava lasciando.

Mi allontanai e mi accorsi di quanto potessi essere lento. Avevo ancora il sapore di Liz in bocca, sulla lingua, la sua voce che diceva poco quanto niente. Perché lei non ci credeva, lei aveva paura della morte, io di qualcosa che mi sembrava anche peggio di quella. Tolsi le pile dall’orologio, il rumore della plastica bianca sotto le mie dita. Di nuovo, così. Niente più rumore. Niente secondi, minuti. Adesso eravamo solo noi.

Socchiusi le labbra sulle sue, la cercai di nuovo. Ora non c’era nessun suono a parte il nostro respiro. Il nostro riflesso da qualche parte, l’ombra, il fiato che se ne andava. E poi i battiti del cuore, ancora le uniche cose che potevo distinguere senza avere paura dei numeri.

«Domani.»

«Sì.»

Mi ero intrufolato nella sua stanza, in silenzio. Perché eravamo ancora i ragazzini dell’ultimo anno che si credono abbastanza grandi per innamorarsi davvero. Il lenzuolo non mi serviva, ma lei sembrava sempre sul punto di battere i denti per il gelo.

La strinsi a me. Odore di vita, di lei, di cose che non avevo ancora visto.

«Non fare brutti sogni.»

«Mi vuoi manipolare la testa?» Cercò di ridere, ma la sua voce si inclinò. Cominciarono a cadermi addosso le puntine di metallo che erano tutti i giorni passati da quando avevo deciso di non dirle niente.

«Lo devi fare, fallo per me.» Lasciai scivolare la mia bocca sulla sua guancia, era fresca. Si era solo sciacquata il viso con l’acqua, sì, le sue mani davano di sapone, il profumo di quei fiori che si usano sempre per quelle cose.

Liz.

«Piccola…»

Sei il mio cuore che batte, il lupo non ti può portare via.

Si girò, il fruscio delle coperte contro le mie gambe. Poggiò la testa sulla mia spalla, mentre io mi voltavo verso di lei. Le cadde una ciocca di capelli sul viso, vicino al naso, gliela spostai con le dita. Aveva gli occhi lucidi che brillavano.

«Sono qui.» sussurrai.

Ero vicino alla tempesta.

Sono qui, Liz.

Le accarezzai i capelli, una mano a stringerla sul fianco. Avevo finito il tempo, le ore che mi separavano dal giorno stavano incendiando tutto.

Non doveva succedere, lo sapevo. Perché così sembrava che stessi andando a morire e che quella fosse la nostra ultima notte.

Le sfilai i pantaloncini che indossava per dormire, mi feci strada. Non c'era più tempo, io avevo bisogno di lei. 

Le sue mani, le mie. Le sue labbra, le mie.

Trovai rifugio.

Sospiri.

Renesmee.

Io non sentivo altro che sangue, e catene, e la pelle di Liz, e la bocca, e… quello che volevo.

La ragazza che amavo.

Poi sarebbe ritornato l’acciaio, sarebbe ritornato il buio.

E il sangue, e il dolore, e le fitte, e le parole incastrate nella gola…

Sono qui, Liz.

«Resta con me.» 

La guardai, e mi sembrò che il tempo si potesse fermare davvero.

Sono qui.

*

*

*

*

Ciao <3

Sapete cosa spero? Che leggiate la storia fino alla fine. Magari adesso mi odiate, e forse mi odierete, e mi forse odierete ancora. Però per dire veramente che mi odiate, magari leggete tutto :D Ormai ho capito. L'unica cosa che devo fare è scrivere. C'è un'amica che sa una cosa importante che succederà, un'altra che crede di sapere tutto e in realtà non sa niente, quindi... leggete :D io spero di riuscire a scrivere... a scrivere bene. E di regalarvi tante emozioni con Jacob, Liz, Bella, e tutti gli altri <3 

La scorsa settimana ho pubblicato un missing moment su Liz,  si chiama Curved Line, mi farebbe piacere se andaste a darci un'occhiata. Ah, e sto anche continuando la pubblicazione della long JacobxBella September ends. Vi ringrazio tanto, per tutto. Ringrazio chi recensisce, e chi mette la storia fra preferite, ricordate e seguite <3 E ringrazio tanto tutte le persone che mi sono vicine <3 Tanti auguri di buona Pasqua :)

Grazie davvero.

Ania

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Capitolo 3
*** 59. Puntine di luce ***


jake 59
Oh, can't anybody see,
We've got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
Portishead - Roads

Rigiravo la catenella fra le dita, penzolava e faceva ombra sulla scrivania. La J appesa agli anelli con il piccolo lupo creava un’onda sul legno, come se fosse stata disegnata.

Era quasi l’ora e i giorni passati erano stati troppo pochi. Pochi per le parole da dire, le cose a cui pensare. 

Tutta la riserva era imbrattata di lei; il garage polveroso, casa mia, casa di Seth, casa di Sam, casa Cullen, la spiaggia, il mare, il locale dove avevamo pranzato tutti insieme, il centro commerciale dove aveva passato un sacco di pomeriggi nei giorni in cui non mi parlava a causa di Bella. Poteva essere Seattle, un sogno, Forks.

Liz c’era.

«Sono le tre.»

«Sì.»

Non mi girai. Il suono della sua voce bastò a farmi sentire bene, e subito dopo a farmi considerare solo come un gran pezzo di stronzo.

«Jake. »

«Non chiederlo.»

«Non andare.»

Strinsi i pugni sulla scrivania.

Non ci avevo mai studiato, mai fatto nessun compito, nemmeno per far vedere a mio padre che ogni tanto combinavo qualcosa. Ora potevo avere la forza di spaccarla in due, come per spezzare anche il tempo trascorso e tutte le cose sbagliate.

«Credimi, quando ti parlo.»

C’era solo un ricordo, per quel pezzo di legno montato a tavolo. E non volevo nemmeno cancellarlo. Mi ricordavo solo che, dopo il funerale di Bella, eravamo entrati in stanza ed io l’avevo premuta contro la prima cosa che avevo trovato, quasi schiacciandola. Forse quella volta le avevo fatto male davvero, anche se non aveva detto niente, e io ero stato anche troppo preso dalla frenesia per riconoscerlo.

«Ti credo, ma su certe cose le promesse non bastano.»

Mi ricordavo che le avevo rotto i primi bottoni della camicia, quasi fossi incapace di spogliarla senza impazzire.

“N-Non smettere.” Aveva tremato. Mi aveva accarezzato il bordo dei pantaloni, era scesa sulla cerniera.

Ti amo da morire.

«È una sicurezza. I Cullen hanno dei poteri, ti sembrerà strano. Ma sono dei super eroi stile Barbie.»

«Come fai a parlare così?» La sua voce si spezzò.

«Non lo so.» sospirai, e stavolta mi voltai a guardarla. Ritrovai la stessa persona che avevo incontrato al parcheggio, trasparente davanti ai miei occhi.

«Vorrei riuscirci.» disse. Mi si avvicinò, veloce. Mi prese le mani, la sua stretta morbida sulle mie dita.

Non ti dirò mai addio.

Si morse le labbra, un respiro profondo. Non ce la feci a fermarmi. L’abbracciai. La strinsi a me, la mia bocca posata sulla sua fronte.

«Non pensare a me, okay? Vai tipo… che ne so… qui non c’è una parte in cui ti puoi scatenare? Forse a Port Angeles c’è un gruppo al centro commerciale, dicono che sono fighi e che firmano gli autografi. Non mi ingelosisco, prometto.»

Alzò lo sguardo.

Sorrise, di quei sorrisi che li guardi e dici “finalmente”.

Finalmente, perché è l’ultima volta che la vedi così.

«Ma come fai?»

«Come faccio cosa? »

« A essere così.» Le comparve la fossetta sulla guancia.

Le lasciai una mano e la portai sul suo collo, la pelle chiara lasciata scoperta.

 No, perché il sorriso scompare? Ora scendono lacrime ed è colpa mia.

“Dai, raccontami. Non ci credo che sei stato solo per tutto questo tempo. Lei come si chiama?” Renesmee parla, e mentre la voce scompare il sorriso sbiadisce.

“Lei?”

Lei era tua madre, Renesmee, e ci guarda e ci ascolta. Sono arrivato anche a pensare che fosse felice, mentre mi innamoravo di un’altra. Liz era davvero tutto quello che di buono potessi ancora avere nella mia vita.

Mi diede quello che di solito si chiamerebbe “spintone” ma non riuscì a smuovermi nemmeno di un centimetro.

Sospirò, le mie braccia a cingerla.

 “Grazie per avermi accompagnata.”

“È il ballo di fine anno, non potevi andarci da sola.”

“Ci sei andato, alle superiori?”

Sì, e Liz aveva un vestito viola come il tuo. Anzi, il suo era più scuro. Quando gliel’ho fatto scivolare via, al buio sembrava nero. 

Sento freddo, Renesmee, sarà l’aria.

Sarà che stai vivendo al mio posto.

«Devi restare vivo.» sussurrò. La voce spezzata che mi scaravento lì da lei, a guardarla. Perché la forza di gravità mi tirava via, ma quando Liz mi chiamava ero sempre lì, con i piedi di piombo. Sei la mia vita, amore mio. «Devi salvarti.»

 Tu lo ami?” La voce di Bella si inclina, Renesmee dondola sull’altalena che le hanno montato quando era piccola, anche se adesso sembra una ventenne. «Hai paura, mamma?»

Ero lì. Ero sempre con Liz. «Sei tu quella che mi salva.»

Incontrai le sue labbra, un sapore salato mi arrivò alla lingua. Aveva pianto, prima. E non si era fatta vedere. Adesso potevo toccarla, e averla e abbracciarla e baciarla. Ma volevo che le lancette non continuassero più a girare, per stare sempre così.

Fu lei a staccarsi per prima, le guance arrossate e le labbra che fino a poco prima si stavano fondendo nella mia bocca. Stava per finire tutto, ora. L’avrei accompagnata da Leah e basta.

Se avessi continuato a guardarla così, senza contegno, avrei perso il controllo e il cervello. E sapevo come funzionavano i pensieri del branco, la lettura, il fatto di sentire il dolore e le emozioni degli altri. Ero suo, era mia, non doveva vedere nessun’altro.

Sei di Renesmee.

«Liz.»

Renesmee, Renesmee, Renesmee. 

Il lupo ringhia, Il lupo non vuole. 

Un dolore allo stomaco.

«Andrò lì, andrà tutto bene. Tornerò da te.»

Sei di Renesmee.

Sospirò.

No.

No.

No.

Non posso.

«Ti… amo.» 

E lo dissi piano.

La gola graffia, il cuore sussulta. 

Qualcuno mi pugnala alle spalle, c’è altro sangue.

Sei il mio cuore che batte, Liz.

Sempre.

***

L’aria, Le foglie.

Velocità.

Calore, animale.

Il lupo mi prese ancor prima che facessi andar via tutto il fiato della corsa. La realtà divenne nitida, come se avessi sempre guardato da un vetro appannato. Come se all’improvviso fossi uscito fuori da quella scatola che era il corpo dell’uomo.

“Kim, torno. Non fare così.” Lacrime. Jared.

Baci. Mani.

Di nuovo.

“Non potevi nascere in un modo normale?” Abbracci sciolti all’improvviso.

“Sono questo.”

Mi persi nella vita dei mie fratelli, che mi venne dentro come un’onda anomala, quasi facendomi diventare sordo al mondo esterno.

“Allora… Oggi a pranzo mi dai buca?“

“Se la prendi così.”

“Embry, non è la prima volta.”

“Non rompere.”

“Smettila, Okay? Ormai ci vediamo solo…”

“… per scopare?”

“ Ah, credevo che ci fosse di più.”

“ Credi quello che vuoi.”

Correvo, le zampe a schiacciare le foglie, il vento ad accarezzarmi la pelliccia. Potevo essere più forte di qualunque altro vampiro. Potevo perdermi negli altri per non vedere me stesso.

“Stai attento.”

“Lo sono sempre.”

Baci. Baci lunghi.

Baci che fanno male. “Ti amo.”

“Non so più se crederci.”

“Emily, sei mia moglie.”

“Sam…”

“Sei il mio imprinting”

“Non c’entra niente.”

I ringhi erano forti, i pensieri, le immagini, i sogni, i ricordi… si poteva toccare tutto.

“Non fare il coglione.”

“Non c’è bisogno che me lo dici.”

“Sì, invece.”

“Non ti vedo da mesi…”

“A settembre torno a Forks… è per la laurea, lo sai.”

“Non ce la faccio, cazzo. E ora vado a combattere e mi resta solo la tua voce.”

“Paul…”

“Ti amo.”

Seth non c’era, Brian sì. Non so come ci erano riusciti, ma ora potevo sentire anche lui.

Le gambe molli, i sospiri, i capelli.

“Leah, non ci andrai.” Bocche. Gambe. Aria.

“Non posso farti andare da solo.”

“Andrà tutto bene, te lo prometto.”

“Non me ne faccio un cazzo delle promesse.”

Alberi, respiri. Fuoco, voci.

“Perché oggi non puoi venire a giocare?”

“Piccola, ho un impegno. Domani.” Rumore di plastica.

Tappeto calpestato. “Ma Quil, io ho compr-rato una cosa nuova.”

“Domani starò tutta la giornata con te. Tutta quanta, anche a pranzo, Claire.” Abbracci.

Baciami. Non smettere di baciarmi. Non so come è successo, non so che cosa vuole la vita da me. Ho te e non voglio più niente. Ti tocco, non smetto di toccarti. Ora sono dentro di te e non mi fermo, e ti sento, e ti voglio, e restiamo così, Liz, restiamo così per sempre.

Riemersi.

Quelli erano i miei pensieri… i miei ricordi.

Non dovevano vedere più niente.

“Sono in molti?” fece Jared.

“La  veggente dice che sono più dell’altra volta.” Era Sam.

“Siamo in svantaggio.”

“Sì, ma ora ci sono Jake e Brian stiamo messi bene.” Embry.

“Secondo te ci vogliono fare fuori?”

“Siamo noi che facciamo fuori loro.”

“Non è il momento di pensare così.” La voce di Sam mi riecheggiò in testa.

Continuammo a correre, l’aria che mi veniva in faccia e mi pizzicava il muso. Gli alberi che sembravano tutti attaccati, le chiome verdi che sembravano unite.

L’erba della radura brillava, i raggi del sole la colpivano direttamente, senza ombre.

La vidi per primo. 

Si spostò una ciocca di capelli neri come il petrolio dietro l’orecchio, la sua pelle splendeva e splendeva davvero. Era un cristallo fatto a persona, di quelli che io vedevo solo appiccicati agli anelli delle signore, quelle che pagavano con la carta di credito al negozio di Kyle.

Mi sentii morire, mentre ogni particella dell’aria era dirottata verso una sola e unica direzione, come il raggio di sole che illuminava Bella, come il sangue che dalle vene arriva al cuore. Ma quello non era sangue, era veleno.

Renesmee Cullen – piccolissima – si lasciava prendere in braccio dal succhiasangue, appoggiando la testa sulla sua spalla, i riccioli rossi a posarsi sulla sua schiena.

Deglutii.

È lei.

“Jake, tutto bene?”

“Bene.”

È lei.

“L’avevi vista, la figlia?”

“No.”

L’aria, la terra, l’acqua, la vita, la morte… ogni cosa non importa più. Importa…

“Ti vedo strano.”

“Mi immaginavo un mostro con le zanne da fuori, sai com’è.”

Sentii la risata di Embry, ma in quel momento si poteva fare tutto tranne che ridere.

«Grazie per essere venuti.» Carlisle si avvicinò a noi, la puzza era ancora più forte, come se mi avessero buttato addosso un mare di zucchero e aceto. Con lui c’era Edward, la bambina era vicino a Bella.

“Perché c’è l’ibrida?” fece Sam, la voce seria.

Edward si irrigidì, come se per uno come lui fosse possibile.

«Che succede?» La voce di Carlisle sembrava non tradire nessuna emozione.

«Mia figlia è qui perché sarebbe pericoloso lasciarla sola.»

“E in caso di violenza?”

«Bella è veloce. Riuscirebbe a mantenere lo scudo mentale pur correndo via.»Vidi Sam annuire, il lupo dal manto più scuro e di statura più alta. Sembrò che Carlisle avesse capito, anche se Edward non gli aveva spiegato niente. «Sono contento che tu abbia accettato.» fece ancora. Sam pensò pochissime parole, Edward le prese al volo, velocemente, così come finirono nella mia testa insieme a tutto il resto.

«È il loro dovere.» disse, la voce calma, fluida, la voce per cui Bella sarebbe morta. 

La voce per cui alla fine era morta davvero.

Distolsi lo sguardo. Non dovevo guardare nella sua direzione, non dovevo guardare quella bambina.

Che schifo di odore…

Sbuffai.

No, non potevo fare così. Adesso sarebbero arrivati e io dovevo essere calmo. Stare calmo…

“Sono loro.” La voce di Sam rieccheggiò.

Un brivido mi percorse quella che doveva essere la mia schiena.

Gelo in tutto il tuo corpo.

L’odore dolciastro si propagò nei punti d’aria in cui credevo di poter ancora respirare

Occhi rossi e scuri.

Il sangue di una ferita aperta.

Mi ricordavo che cosa avevo visto quando mi ero ferito nella battaglia dopo il diploma di Bella. Il sangue e la carne insieme sono di un rosso che fa venire il vomito.

Il cuore ti corre nelle orecchie.

Jake, non andare. 

La voce di Liz.

«Quale piacere.»

La sua voce mi strisciò sulla pelle, fastidiosa.

«Salve, Aro.» Carlisle guardò verso il vampiro del centro. Era vestito di nero, i capelli lunghi e scuri.

«E i muta-forma? Li avete addottati come animali domestici?»

Agitò le mani, con gli occhi socchiusi, e nel silenzio venne fuori una risata. Una risata che la senti e resti fermo, non ridi; rimani solo al tuo posto.

La gravità è elettrica, sei il filo di ferro legato a lei. 

Esiste solo lei.

Non guardare.

Guardala.

«Con elementi come Edward e Alice, potreste anche spiegarmi voi il motivo per cui sono qui.»

Smettila.

È tua.

«Alice ti ha visto arrivare, ma non le è stato possibile vedere la tua motivazione. Quando qualcosa non la riguarda direttamente, non riesce a vedere nei dettagli. »

«La perfezione è ancora un ideale, non si è mai davvero plasmata su nulla che io possa conoscere. E i poteri di Edward e Alice sono... affascinanti.»

«Sono di chi li possiede.» Jasper prese la parola, veloce.

Non ti voltare.

La gravità non esiste.

Paul diceva parolacce una dopo l’altra, il nervosismo di Collin mi scorreva nelle vene insieme alla frenesia di Embry, che ascoltava senza nemmeno prendere un respiro ogni tanto.

«Anche i componenti della mia guardia mi appartengono. E sapete...» La bocca gli si aprì in un sorriso che sembrava quello dello stregatto. «Lo scorso anno li ho mandati in Argentina per fare dei controlli, ma non hanno più fatto ritorno. Nessuno può permettersi di non tornare.»

Deglutii. Lo facemmo tutti. Ero certo che se fosse stato possibile, lo avrebbero fatto anche i Cullen.

Non pensare, Jake.

Non dovevo pensare. Non dovevo pensare…

«Non sappiamo niente, Aro.»

Rise, quasi meccanicamente, unendo le mani. 

Ma che diavolo stava succedendo?

Non pensare.

Aro strinse la mano di Carlisle, come se si fosse appena ricordato che cosa si fa per salutare qualcuno. Vidi Bella – non più umana, ora vampira -  che corrugava la fronte. Forse stava facendo quella cosa dello scudo.

«Un vero peccato.» 

«Ci spiace.»

«Ma nuovi componenti della mia guardia, Anil, Jodelle, Amalia ed Eris sono curiosi di assistere al potere di Renesmee.»

Ringhiai.

Istantaneamente, Bella posò la sua mano sulla testa della bambina.

Renesmee.

Renesmee.

Renesmee.

Che cosa voleva? Cosa sapeva fare la figlia di Bella?

«Non è un giocattolo.» fiatò Rosalie.

Bella respirava. Bella aveva cominciato a respirare.

 «Certo che no.» si sbrigò lui. «Ma è necessario che la mia guardia approfondisca le conoscenze che loro ha sentito solo dai miei racconti. Un potere incredibile di un'ibrida umana-vampira.»

«Amore...» La voce di Bella, rivolta alla figlia, mi bloccò il respiro. Non ti ho mai sentito parlare così, Bells. Ma sei una madre, con tutti gli sbagli del mondo ma sei una madre. E forse questa è l’unica cosa per cui valeva la pena sbagliare tutto.

Forse.

Edward fece un passo in avanti, il fruscio dell’erba nelle mie orecchie.

Sentii il cuore salirmi in gola.

Stringimi, Jake.” Sei ancora troppo piccola. Guardati, non vedi? Ti si legge negli occhi. Quanti anni sono, otto? Nove? C’è ancora la casa delle bambole aperta, proprio lì.

“Stringimi.”insisti.

E mi guardi e i tuoi sono gli occhi di tua madre.

Devo obbedire.

«Il vostro atteggiamento mi fa pensare che voi non mi abbiate detto la verità sul conto della mia vecchia guardia.»

«Assolutamente no, Aro. Ti assicuro che ti abbiamo detto la verità.» rispose Carlisle.

«... Che cosa avete da nascondere?»

«No.» Bella, sotto quella maschera di gelo trasparente ed occhi color del sole, abbracciava sua figlia. Renesmee. «Isabella, hai paura?»

Reneesme.

Proteggila.

Proteggila.

Scossi il capo, cacciando via la voce.

“Jake, che ti prende?”

“Niente. Sto bene, Sam.”

«Mamma…»

Voce piccola, flebile.

Chiara.

Edward si voltò verso Bella, lei alzò il suo sguardo. Forse combatterò, forse combatterai. Eppure ogni volta che alzi gli occhi e li vedo diversi è come se fosse la prima volta. Gli occhi di Bella parlavano di fiducia. Una cosa che non avevo mai capito, quando guardava la sanguisuga.

Guardò Renesmee.

«Ti ricordi di Aro… vero?»

La voce di Bella. Sottile.

Bella, sei tu.

Capelli lunghi, occhi grandi.

Reneesme Cullen.

«Sì, me lo ricordo.»

Voce piccola, lei è piccola.

«Vuole… vuole salutarti.»

«Ti accompagno io, tesoro.» Edward le prese la mano, uno sguardo a Bella, qualcosa che non riuscii a capire.

Renesmee alzò lo sguardo.

Sei bellissima, amore mio. Sei la persona più coraggiosa del mondo, perché non sai niente. Cominciò a camminare, a passi delicati.

Lei è delicata. Lei ha bisogno di protezione.

Il vento soffiava, soffiava verso di noi.

Renesmee corre nella foresta e inciampa, come sua madre tanto tempo fa.

Quanti anni sono trascorsi? Sembra niente in confronto a tutto quello che è successo.

Ma lei sta bene.

L’importante è che lei stia bene.

«Basta così, Edward. Vedo che Renesmee sa camminare da sola.» Aro ruppe quel silenzio.

«Papà…» Quanto sei piccola. Come hai fatto a uccidere tua madre? Ce l’hai portata via per sempre. 

Come hai fatto, Renesmee? Come?

«Sarà per poco.» Edward le accarezzò il viso, così simile al suo. Viso a forma di cuore.

Devi proteggerla.

Devi proteggerla.

Devi proteggerla.

Edward indietreggiò, piano.

Non correre, Renesmee. Puoi farti male. E sei veramente l’unica cosa che ho, oggi.

“Il braccialetto di mamma è stupendo, l’hai fatto tu?” Cammini con me, verso la tua casa.

Non riesco a smettere di guardarti. Perché il ballo c’è stato solo pochi giorni fa ma io non riesco smettere di immaginarti con quel vestito viola, e penso a Liz. Perché hai gli occhi di Bella e penso a lei. Perché avevo una vita e ora non esiste più.

Aro tese le mani, come se fosse stato davvero sicuro che la bambina gliele avrebbe prese.

«Cara Reneesme.» Si abbassò, lentamente, incontrando i suoi occhi. Sangue e cioccolato.

Le era vicinissimo, troppo vicino, la bambina gli respirava addosso.

Proteggila.

Proteggila.

Proteggila.

«Ci daresti l’onore di assistere ancora al tuo bellissimo potere?» le chiese.

«Non farai del male a nessuno?» Voce chiara, piccola.

Lei è piccola. Lei ha bisogno di…

«Nessuno.» Gli si stirò il labbro, verso sinistra.

Le si avvicinò una donna bionda, bassa, il fisico di una ballerina classica.

«Comincia tu, Amalia.»

La vampira si avvicinò a Renesmee, che la sfiorò.

Toccala e ti uccido.

Un sospiro.

Calmati.

La donna chiuse gli occhi e, poco dopo, li riaprì. Che cosa stava facendo?

«Sorprendente.» esclamò. Bella aveva un’espressione stranissima, come se si stesse sforzando. Stava facendo qualcosa per Renesmee?

“Jake, l’ibrida fa vedere i suoi pensieri con il tatto.”

“Ah.”

La bambina, Reneesme, fece un respiro profondo.

Sa respirare.

Sembrava quasi… una bambina normale.

È bellissima, è tua.

Sei suo.

“Jake…” La voce di Quil. Stranita.

«Posso tornare da mamma, adesso?» Voce flebile, voce candida.

È piccola. 

È tua. 

Sei suo.

Aro le teneva ancora le mani. Mi avevano detto che toccando riusciva a sentire tutti i pensieri di una vita.

«Non ora, Renesmee. C'è un bel gioco a cui giocare.»

Suo, Jacob. 

Sei solo suo.

Del sorriso non c’era più nemmeno un’ombra.

Salvala.

Ma perché quel succhiasangue bastardo aveva fatto quello che aveva detto Aro? Non si era opposto nemmeno per un secondo.

Ora.

Era sua figlia, cazzo!

«Cosa vuoi, Aro?» Bella sembrò sprofondare nella sua stessa voce. «Lasciala andare.»

Mi sentii tremare.

«Non credo a quello che mi avete detto sulla mia guardia.»

«Non c’entra.»

«No, sì...» Aro sospirò. «Forse...»

Strinse ancora più forte il braccio della bambina; le bloccò i polsi, indirizzando lo sguardo di Reneesme verso Edward e Bella.

«Papà…» Voce piccola, lei è piccola, lei è indifesa.

«Siete stati voi...»

«Noi non ne siamo resposabili!» disse Bella, alzando la voce. Sussultai, sembrava che si fosse rotto qualcosa.

Bella.

«Allora, cara Isabella, lascia il tuo scudo mentale e permettimi di leggere le vostre menti.»

Viso a forma di cuore, Renesmee. 

Lacrime che rigano il viso.

«Mamma…» Lei è piccola, non la si sente quasi. Lei ha paura…

Questa è la mia morte, non la sua.

Ringhiai.

Verrà uccisa e la colpa sarà tua.

L’urlo di un uomo.

Le appartieni.

No.

Devi proteggerla.

Digrignai i denti, ululando.

Muori.

No.

C’era un forza che non era mia. Era del lupo.

Il lupo era furioso.

“Jacob, Jacob, che fai?!”

“Quello che vedi.”

Non ho più nemmeno la voce, Renesmee. Non ho più voce.

“Non spetta a te…”

“Invece sì.”

Non so chi sta parlando.

“Sono io il capo!”

“Va’ al diavolo…”

Non so chi sta andando a morire.

Non so più niente.

Mi ritrovai a correre, a correre più in fretta che potevo.

Jacob, cazzo.

Che cazzo fai?

Ma che gli è preso?

Ora, non possiamo lasciarlo da solo. Guardali. Lo stanno assalendo. Embry, corri.

Sam.

È cominciata.

Il fetore andò ad inondarmi le narici in un secondo, mentre sentivo pungere la carne dai piccoli rami della radura che mi si conficcavano nelle zampe.

Tutto esplose. 

Tutto è nero.

Buio.

Rumori metallici e ululati andarono a stridermi le orecchie. I pensieri dei miei fratelli si mischiarono nella mia testa insieme a tutto il resto, la mia vita. 

L’istinto. 

L’ordine che mi aveva spinto verso il vampiro.

Tutto è buio.

Scuro.

Corsi.

Cavi d’acciaio verso di lei.

La sua vita è la mia, la mia vita è la sua.

Era iniziata la guerra.

La tua vita è la sua. La sua vita è la tua.

L’aria si spezzò al mio passaggio come se fosse un pezzo di carta strappato.

Il marmo fra i miei denti, la mia lingua a prendere tutto lo schifo che c’era lì.

Urla, rumori. 

Avevo morso il vampiro.

Cavi d’acciaio verso di lei.

Ossa spezzate. Le sentivo, come se fossero davvero le mie. Erano quelle dei miei fratelli.

Cavi d’acciaio ficcati nella mia carne.

Rosso.

Cavi d’acciaio a portarmi lì.

Acciaio, ferro, tutto l’Universo.

Lo agitai, ma la testa non si staccò. Distolsi lo sguardo di un secondo, il polso di piccola sanguinava. 

Per non farmi tornare mai più.

«Jacob, Reneesme, no!»L’urlo di Bella mi perforò le orecchie, così come mi perforò il rumore che venne dopo, secco, deciso.

Il rumore della mia costola rotta.

Trattenni un urlo, mentre ogni cosa era oscura nella mia testa.

Un altro pugno nelle mie ossa. 

Non vidi più niente.

Liz…

La neve ha bagnato le tue mani, lo sento proprio adesso. Anche le tue labbra sono di neve, leggere. Spazzo via il freddo con le mie, e non capisco cosa sta succedendo… ma ora respiro. Respiro di nuovo. Trovo il coraggio di stringerti ancora di più, perché è la prima volta che ti bacio. Ti bacio e non so se ora ti staccherai da me, perché è un rischio a cui non avevo mai pensato. Ma non importa perché tutto è bianco, tutto è neve. È solo l’inizio.

“Lasciala subito.”

Collin.

Collin aveva perso i sensi. Nero e bianco nella sua testa. Nero e puntine di luce… nero…

Devo aiutarlo.

Renesmee.

 “Lasciala!”

«Perché?» 

Non riuscivo più ad aprire gli occhi.

Liz, fammi restare. Non lasciarmi andare. Torneremo a Seattle, tu comincerai l’Università, io mi troverò un lavoro. Ti aspetterò fuori, nel cortile. 

Anche sotto la pioggia. 

Mi troverai sempre.

Mi mancarono le forze, completamente. Tanto da dimenticare tutto, tanto da dimenticare chi ero. Strinsi i denti, ancora. Perché dovevo salvarla a tutti i costi.

Non vidi altro che sangue, - sanguini, stai sanguinando  nero, lacrime, solo lacrime.

Il momento che più avevo temuto fino ad allora mi si materializzò davanti.

“Lasciala!”

No.

“Lasciala!”

No.

Presi un respiro profondo. Adesso non c'erano solo il buio, il sangue. 

Solo puntine di luce.

Embry. Embry vedeva solo rosso. Embry aveva perso il respiro. Vedevo anche loro ma non potevo aiutarli.

Devi salvare Renesmee.

“Se uccidi il mio imprinting muori. Muori… veramente.”

Il silenzio.

Un silenzio che mi uccise. Tutti i ragazzi, fra ululati, urla e carne martoriata di vampiri, avevano sentito.

E anche Edward.

Riuscii a vedere, nell'ombra, la mano di ferro di Aro lasciare il polso di Renesmee. Una mano bianca la portava via. Lei chiamava qualcuno, non piangeva più.

Sei bellissima, amore mio. Ti troverò, sai? Anche ora che non riesco a vederti. Mi sembra di sentire le tue mani vicino alle orecchie, quando mi accarezzi i capelli prima di baciarmi. Sto… sto andando giù… Liz.

Mi accasciai a terra. 

«Ho letto tutto nei pensieri del licantropo.»

Un calcio, un strattone, una fitta alla testa.

Era tutto sfuocato, tutto era come il dipinto di Liz per l’ultimo compito di arte… quando ci era caduta l’acqua sopra.

Liz.

La prima volta che ti ho vista c’era il sole. Ti si vedevano i riflessi biondi, piccola. E sorridevi, nervosa. Sei diventata sempre più bella.

Nero e puntine di luce. E voci, voci riconoscibili e troppo lontane. Io che volevo parlare e non sapevo più come si facesse. 

La terra mi graffiava la pelle, non era più fra il mio pelo. 

Morivo da umano.

La tua voce si spezza, quando piangi. E tu non piangi mai. Tutto si è ristretto in queste settimane. La cazzata per Bella, la battaglia. Quando ti raccontai tutto di Ronnie, ricordi? La tua voce spezzata… non voglio sentirla. Non piangere mai più, amore mio. 

Mai più.

«Dovete pagare.»

Tutto seguì la linea che era stata segnata. 

La consapevolezza essermi tradito da solo. 

Di aver fatto la cosa giusta. 

Di aver fatto la cosa sbagliata. 

Di aver buttato all’aria ogni cosa. 

Di essermi salvato. 

L’ho fatto per te. 

Tutto finito.

L’ho fatto per noi.

Nero. 

Puntine di luce.

Sì, fatti stringere, per favore. Ne ho bisogno, ho bisogno di te. 

Labbra. 

Le tue labbra. 

Sono come l’acqua e ho la gola secca, tutto diventa arido.

Non dovevi farlo. Voce spezzata. Quella voce.

No, non lasciarmi. Non mi lasciare, Liz. Non riesco più a vederti… non riesco più a sentirti…

Renesmee.

Tutto questo deve finire.

Così mi uccidi.

Così muoio, Liz. Per favore.

Il sangue, il dolore. Fa tutto male. Non riesco più a correre, non riesco più a andare avanti.

«Jake… Jake.» 

Perché l’hai fatto, Bella? 

Perché?

Guardami, che cosa sono?

L’hai salvata. 

Un tonfo sordo. Le ferite, la morte.

Hai vinto.

Urla ovattate. Bella, Alice, Esme.

Sento le tue mani, Liz.

Metallo bruciato. Uomini che gridano... Sam, Brian. Sussurri.

Non mi stringono più.

Dolore.

Ci sono i tuoi occhi, il tuo respiro.

Finii al freddo.

Non c’è più niente.

*

*

*

*

Ciao a tutti :))

Vi devo chiedere scusa ed io mi vergogno troppo a presentarmi qui con un capitolo senza aver risposto alle voste recensioni bellissime *.*, recensioni che mi danno sostegno e che mi rendono felicissima. Grazie a Maria, Noemi, Fufe, Roberta, Teresa, Caterina per aver recensito. Vi prometto che arriverò con tutte le risposte <3 Lasciate che passi Maggio, io cercherò di mettermi in pari un po' alla volta ogni volta che posso, perché meritate di essere ringraziati come si deve <3 <3 <3 Grazie mille a Ilaria, che mi ha dato dei consigli su Aro, spero di non aver toppato troppo.

Grazie anche a chi legge soltanto, so che ci siete <3 E grazie a chi ascolta sempre quello che ho da dire, che si tratti di storie o no <3

Grazie alle persone che mi sostengono e alle mie più care amiche, quelle qui su efp e quelle di fuori :) 

Mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate di questo capitolo<3 . Ho pubblicato un missing moment su Liz, si chiama In front of the sky <3

Gli aggiornamenti saranno lenti, ma è probabile che arrivino nei momenti in cui non ve li aspettate :))

Grazie. 

Grazie per tutto.

Ania.

lupo

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Capitolo 4
*** 60. Ordini ***


jake 60
I bleed, 
And I breathe, 
I breathe, 
I breathe 
I breathe no more
Evanescence - Breathe no more



Allora i due si appartengono per sempre. E questo significa felicità, serenità, vita lunga e preziosa.

Figli, lupi forti.

Il grande Amore.

E non si può scappare dalla giustizia, perché segue il cerchio della natura.

Perché l’imprinting è giusto, desiderato, atteso.

È impossibile sfilare i lacci che legano il lupo, è un dolore inutile e disonorevole. E i fili sono indistruttibili. 

«Leah.» Noela biascicò il suo nome, ancora con il fiatone. 

Il libro mi scivolò dalle gambe.

Trema insieme al vento.

C’era la porta aperta e l’aria che scorreva. Il vento che soffiava verso di me.

“Sì, mi ha detto tutto. Nella visione c’è il vento che soffia verso di noi, è la luce del primo pomeriggio… Ma vedrò la sera con te.”

Torna, torna da me.

L’aria scorreva, il cielo buio della sera. Dobbiamo vederlo insieme.

Stavo ancora aspettando.

Torna, torna da me.

Battevo i denti, era tornato il freddo.

 Jacob…

«Seth dov’è? » La voce di Leah.

«Li sta raggiungendo, si sono fatti male.»

Jake, dove sei?

Leah le prese la mano.

«Nol, resta qui e non uscire per nessuna ragione.» La sua voce si inclinò, in modo improvviso.

Respira, respira, respira.

Te l’ha promesso.

Lui. Ha. Promesso.

«E Jake?»

Quasi urlai.

 «Non lo so, non so niente, nemmeno di Brian. Seth è corso via.»

Leah si voltò piano. Il mio sguardo incontrò il suo, senza capire. Come facevo a capire? Non le avevo mai visto quell’espressione in viso, e la cosa peggiore che poteva essere successa era… era…

«Liz… aspetta qui. Dillo tu ad Emily, è… nel bagno da ore.»

 Quasi tossii, soffocando.

No… No, no, Jake. Jake, la tua promessa, quello che mi hai detto, ieri notte, questa mattina…

Sentii una lacrima graffiarmi il viso, lenta. Non è vero.

E poi un’altra, e un'altra ancora. Io ti amo.

Tutto era sfuocato, tutto era sbiadito. Sono qui, Liz.

Mi portai una mano sulla bocca, perché non riuscivo a parlare. 

Sono qui.

E il buio copriva lo spazio, a macchie.

Jacob…

Non c’era più Leah, non c’era nessuno. 

Tutto era buio.

«Leah…» Un sussurro.

Non esiste, Jacob. Mi hai fatto una promessa, devi tornare. E se non torni ti odierò per sempre, perché devi guardarmi, prima di andartene. Devi dirmi “Non tornerò.”

«Lizzy, stai calma. Calma. Seth si agita per un nonnulla, veramente. Stai… calma.»

Jake.

«Io lo… lo sapevo.» Mi sentii smuovere. Cos’era? Era… era la mano di Leah. 

«Liz, va tutto bene.» Il calore aumentò mi stava abbracciando, ma io non capivo. Non capivo più niente.

«L-Leah… non andrai da sola.»

«È pericoloso, non pensarci. IO mi trasformo. TU non puoi, non sei come me.»

Aprii gli occhi, appoggiata al muro. «Usa il cervello.» continuò. Riuscii a vedere il suo viso.

«Allora ci andiamo... ognuno per conto proprio, ma io ci vado comunque.»

«Cazzo, Lizzy. Non… »

Sentii la porta del bagno cigolare, mentre Noela ci guardava, ferma vicino all’entrata. 

«Brian non ti aveva detto di restare qui proprio per non trasformarti?»

Leah si allontanò, per poco.

«Che è successo?» La voce di Emily.

Mi portai una mano sul viso, a stropicciarmi gli occhi. Leah cominciò a parlare, Emily urlò…

Devi salvarti. Doveva essersi salvato.

Perché se c’era una cosa che non gli avrei mai permesso era amarmi fino a morire, e se lui ce l’aveva fatta, allora amavo davvero la persona più meravigliosa che avessi mai potuto incontrare.

Te lo prometto.

Riemersi.

Te lo prometto anch’io.

Mi diressi verso la porta, veloce, senza voltarmi.

Devi essere sempre in piedi, prima di cadere.

***


Dove sei, dove vai.

La casa bianca dei Cullen era deforme, gli alberi sembravano incurvati, come se stessi correndo verso il fondo di qualcosa, una voragine che mi tirava lì e che non mi avrebbe più fatto ritornare indietro. Emily spalancò la porta, era socchiusa.

L’odore dell’alcol e del sangue mi trapassò le narici, costringendomi a stringere gli occhi. Perché il sangue? Perché?

Rumore di scontri.

Pelle.

Nomi sussurrati.

Leah era stretta a Brian e diceva cose in una lingua che non avrei mai potuto comprendere. Lui le accarezzava i capelli, le baciava le guance, gli occhi.

Rimasi immobile - Non ti muovere - di fronte al motivo per cui non avevo la forza di continuare il mio percorso. C’erano dei lenzuoli, grandi. Alcuni stesi sul pavimento, altri a coprire…

Pelle scura, muscoli tesi, volti familiari nella forma della coperta.

C’erano loro.

Jake, per favore… no…

E quando Leah alzò il primo lenzuolo, comparve un viso che avevo conosciuto con un sorriso e battute pesanti.

Lei urlò, aggrappandosi a Brian. Emily mi stringeva la mano, piangeva silenziosa. E con le urla e il silenzio un enorme buco apparve davanti ai miei occhi. Tanti buchi… tutti quei ragazzi… 

Paul.

Piangiamo, ma Leah è aggrappata al suo uomo, e niente glielo porterà via. 

Ed è proprio lui, mentre trovo come unico appiglio il sorriso di un ricordo che sembra lontano, a sussurrare i nomi di tutti quelli che non potranno sorridere più.

E tutti quegli altri...

Emily mi lasciò improvvisamente, corse verso Sam.

Una lacrima mi rigò il viso, e mi odiai per il mio sollievo.

Che non durò abbastanza, perché fra i feriti... c'era Jake.

Non torno indietro se non ci sei tu.

Mi spostai.

Gambe, io che correvo.

Amore mio, Jake, devi tornare qui. Per fare qualunque cosa, aprire gli occhi, guardarmi, lasciarmi, volermi, baciarmi, correre via, parlare, stare in silenzio respirare, devi tornare.

Urla, pianti. 

Morti.

Kim, Emily, Esme…

Urla, pianti. 

Uccisi.

Chi avevo sfiorato? Quel vampiro, il marito di Rosalie… o era solamente un altro soprammobile?

Lizzy, fermati.

Lizzy, stai ferma.

Dove vai, cosa vuoi fare. 

Non puoi stare qui.

Rumori, lacrime.

Perché?

Ti amo, Jake, e hai diciotto anni, non puoi morire così.

«Dov’è? »

Nessuno rispose, oppure sì, non riuscivo a sentire, non riuscivo a capire.

Dovevo correre.

Le scale, salire le scale, non inciampare. Il fiatone, ancora, l’aria, aprire gli occhi richiuderli, piangere.

Mi fermai appena raggiunsi il corridoio.

«Dov’è? » Mani, mani sulle mie spalle, mani a stringermi.

Mani fredde.

«Devi andartene.»

Devo vederlo, devo guardarlo, devo dirgli di svegliarsi, devo gridargli contro, devo smuoverlo, fare qualcosa, qualunque cosa, non posso farlo andare via, se vuole scappare deve farlo con le sue gambe, non in questo modo.

Cercai di scostarmi.

Doveva essere in una stanza, sì, ma quale? Avrei aperto tutte le porte.

«Liz, vattene. Subito.»

Alice mi teneva stretta. I suoi occhi d’oro mi accecarono nel bianco della stanza – una libreria, un divano - anche se ormai si era fatto buio.

Era proprio lei, capelli neri, sguardo di luce e viso bianco.

Gli occhi mi bruciavano, e non sapevo se fosse per le lacrime o per non riuscire più a sopportare di non sapere dove si trovasse Jake.

«Alice… »

«Devi andartene subito.»

«Jacob sta bene?»

Non puoi averlo fatto. 

Lasciami, Jacob, qualunque cosa.

Ma non morire.

Alice esitò. Perché non parlava?

Non morire.

«Qualunque cosa. Ti prego, qualunque cosa. Accetterei qualunque cosa ad allontanarlo da me, a portarmelo via, a fare finire tutto fra di noi… ma non questo. »

Non morire.

Alice mi lasciò andare, come se all’improvviso si fosse accorta di aver sbagliato qualcosa.

Tornerà a vivere, dimmelo.

«Il suo cuore batte ancora, starà bene.»

Sospirai, e sentii una lacrima riscaldarmi il viso. Perché Jacob manteneva le promesse, e l’aveva fatto anche questa volta.

«Ci sono i Volturi, Liz. Corri via, vai a casa. Non possono entrare nella riserva, è contro il patto. Sono in salone con Edward e Jasper. Vattene via. »

«Che cosa vogliono? »

«Te. »

Mi irrigidii.

Te.

“Ha un buon odore.”

 “Demetri, non è il momento.”

Brividi.

 “Quando lo sarebbe?”

“ Abbiamo un accordo.”

Lividi.

Come se funzionasse davvero, il sangue di una vittima terrorizzata è sempre delizioso. Ma credi sul serio che i licantropi ti aiuteranno?”

“ Deve restare viva.”

Cercai di ingoiare la saliva.

“ Quanto ci scommetti?”

«Sei un'umana, non dovresti sapere nulla della loro esistenza... non sei l'imprinting di nessuno. Jacob non può proteggerti, nessuno può proteggerti. Prendi la mia macchina e corri, subito.»

«No… »

«Vattene. »

« Alice…»

« Corri! »

Indietreggiai, quasi avessi ricevuto uno spintone.

Corri.

Mi si seccò la gola, come se avessi appena ingerito qualcosa di tossico.

Corri.

Inciampai in una borsa di oggetti medici. Voltai la testa, piano.

Un urlo.

Tutto si ferma.

Quell’urlo.

Il mondo si spacca in due.

Quel suono.

Coltello nel cuore.

Seguii il rumore.

Cado.

La voce di Jake.

***

 

«Lizzy… »

 «Jake! » 

Spinsi la maniglia. Sembrava che la voce provenisse da lì. Doveva provenire da lì.

Jake, non morire. Per favore, non morire. Così fai morire me, fallo per me, fammi vivere ancora, viviamo insieme, viviamo lontani, ma resta qui. 

«Jake! »La porta era chiusa a chiave. Cosa gli stavano facendo?

Un altro urlo.

Jacob.

«Mio dio, Jacob! Jacob! » Battei i pugni sulla porta, come se sarei davvero riuscita ad entrare così.

Tirai la maniglia verso di me, riprendendo fiato. Ma il fiato a cosa mi serviva? Potevo anche smettere di respirare, se lo faceva anche lui.

«Jake… » La mia voce si spezzò.

Mi appoggiai alla porta con la parte destra del viso, andando a sbattere con la testa. 

Il corridoio scompariva, diventava sempre più lungo, sempre più stretto, sempre più buio. 

E non lo vedevo più, perché tutto sbiadiva.

Anche Alice. 

Alice con una mano sulla bocca, che mi guardava come se fosse terrorizzata.

«Jake.» singhiozzai.

Provai a lasciarmi scivolare sul pavimento.

Ma era troppo tardi, perché il vampiro che mi fissava dalla parte opposta mi afferrò per la gola.

***

 

Tremi.

Ferma.

Hai freddo.

Con gli occhi socchiusi di lacrime.

Li chiuderai per sempre.

«Tu sei… Elizabeth Elle. »La voce mi strisciò sulla schiena, e non era come con le mani di Jacob, o quando l’acqua calda della doccia gocciolava dai miei capelli.

Era pesante e grumosa, come la melma del fango.

«Sì… quella dei… come li chiamano? Ah, sì, quella dei biscotti bruciati. A volte gli umani sono disastrosi, anche quando si preparano il nutrimento. »

Cercai di aprire di più gli occhi, ma era come ferirmi da sola. Perché non mi sarei sorpresa se, ad un minimo movimento, le mani che mi stringevano il mento mi avessero fatto sanguinare.

Mi costrinse a voltarmi, graffiandomi la pelle.

Stai per morire.

«O dovrei dire… Liz. »

No.

Jake mi chiama così.

«Piccola… Liz.»

Sbattei le palpebre.

Jake.

Occhi rossi e scuri.

Quelli dipinti dal pennello di Michelangelo, perché mi toglievano tutto quello che avevo. Succhiavano l'anima.

La pelle bianca…

No.

Non voglio morire.

Sentii la mano premere intorno al mio collo.

L’aria se ne va.

«Sei… ancora più bella di come ti ricordava lui.» I capelli neri e corti gli scivolarono sul viso.

L’aria diminuisce.

Chiusi gli occhi.

L’aria non c’è più.

Sentii qualcosa di freddo scorrermi lungo la mano, un tonfo.

«Paura… la paura… come ti arriva il sangue alla testa… »

Urlai.

Aveva le unghie sporche di sangue.

Il mio.

E lo leccava.

Aria.

Rantolai qualcosa.

Non voglio morire.

Beveva.

Non voglio morire.

Amami ancora, così posso vivere. Cosa importa dove siamo, cosa siamo, chi vogliamo essere. Non sarò mai nessuno, ora non sono nessuno, fammi diventare Qualcuno. Qualunque cosa, fammi vivere.

«Non lo fare, Eris.»

Un ringhio.

«Sì, prima sarebbe da scopare. »

Non era Jacob quello che aveva ringhiato.

Quando mi lasciò il gelo andò via con lui, ma continuai a tremare.

Mi misi una mano dove sentivo il sangue scendere, palmo contro palmo.

A battere i denti.

Mi ha salvato. Tu, Jake, non so chi…

Ma mi ha salvato.

«Ah, Edward… Eris non l’avrebbe fatto. »

«C’è un patto da rispettare. »

«Hai detto niente uccisioni e niente trasformazioni. Non ho fatto niente del genere, maritino.»

«Eris… tieni a bada la tua irascibilità. E la mia parola vale i diamanti delle Americhe del millecinquecento. »

«Non penso a quanto vale.»

«Dipende da te, lo sai. »

«Lo so benissimo. »

«Sei sicuro, Edward? »

Rimasi stesa a terra, la vista appannata.

Sangue, sangue che scende.

Sentii le lacrime bagnarmi le guance, di nuovo.

Passi, tanti passi. E parole. Sospiri.

«L’ha fatto per vedere Jacob… non è il suo imprinting! Eris avrebbe potuto dissanguarla…»

«Ma non l’ha fatto.»

«Sì, ma… »

«Bella avrebbe fatto come Liz.»

Sentii una carezza, doveva avermi spostato una ciocca di capelli… come faceva Jake. 

«Edward, che cosa hai...» 

«Dopo, Alice. »

Con gli occhi chiusi, ancora con gli occhi chiusi.

«Liz? » Come mi chiama sempre Jake.

Un singhiozzo.

«Lizzy, stai bene. È un taglio profondo ma niente di grave, non temere. Basteranno un paio di punti. Tu… tu disegni, vero? Lo so… io l’ho letto nella sua mente.»

Lo guardai.

Edward Cullen mise il suo braccio sotto la mia schiena, per prendermi in braccio.

«Grazie.»

Respirai, affannata.

I suoi capelli color del rame erano come le fiammelle di un vecchio falò sulla spiaggia. Jake, avevi le fiamme negli occhi, quella sera.

«Jacob si è fatto male, gli stavano risistemando le ossa, era per questo che urlava. Non devi dire grazie.» Mi girava la testa. «Sono tanto dispiaciuto… »

Jake, stai bene.

Niente più fuoco.

Jake, amore mio.

Niente più freddo.

Jake, sei con me.

Poi il sonno.

***

Il vento, la tempesta, il sangue. La morte. Stai andando giù, Jacob. Stai andando giù.

No, devo tornare.

Non puoi farlo.

Sì, invece.

Ancora sangue, ancora lacrime, dolore.

Non sforzarti.

Devo.

I lacci di metallo luccicano nel buio, insanguinati. Portano solo verso una direzione. Mi aggrappo, le mani sfracellate. Stringo.

Tutto è sfracellato. 

Tu lo sarei per sempre.

 

Mi mossi leggermente, sbattendo gli occhi. 

Non c’è più niente.

Mi sfuggì un urlo, mentre mi rigiravo. Quelle erano coperte, lenzuoli. Luce al neon.

«Jacob.»

Mugugnai qualcosa, senza capire nemmeno che cosa intendessi dire. Tutto faceva male, tutto bruciava.

«Maledizione, Jacob.»

Tossii forte, senza trattenermi. Non riuscivo ad alzare nemmeno la testa. 

Ma dovevo farlo. Mi sentii smuovere, quando capii. Ero vivo. Vedi, amore, ce l’ho fatta. Stasera il vento soffierà verso di noi, lo vedremo insieme. «… L-Liz.» Sono tornato, piccola. E adesso col cazzo che mi portano via da te. Ti proteggerò io, da qualunque cosa. Abbiamo finito, ce l’abbiamo fatta. E io ti amo da impazzire, ce l’ho fatta.

«Jacob?»

I lacci sono di metallo, forti, pesanti.

Insanguinati.

Nel dolore, riconobbi la voce. 

«S… Sam.»

Aprii gli occhi.

Era appoggiato ad un mobile, i pugni chiusi. Il viso rivolto verso il basso. «Liz… Liz dov’è?» Mi trafisse con lo sguardo.

Come se non fossi abbastanza ferito.

«Liz… Liz come…»

«Hai anche il coraggio di chiederlo.»

Trattenni il respiro. Perché faceva così? E Aro… Aro…

«Fai schifo.» sputò. Mi cadde addosso dell’acqua ghiacciata.

«Sam...»

«È tutta colpa tua.»

«Cosa... cosa...» Provai a mettermi seduto, trattenendo la voce per il dolore. Che cosa avevo fatto?

«Dovevi essere tu a morire. Proprio come gli altri.»

Non potevo crederci. Davvero ero finito per fare del male ai miei fratelli? Per Renesmee? Adesso sta bene. Avevo davvero preferito salvare lei?

«Dovresti solo vergognarti di te stesso.»

Deglutii.

«Sam… stanno bene?» 

«Sono morti! Sono morti, Jake! Finn, Robert, Brady... e... Paul, Embry... Collin in coma.» Lo seguì un singhiozzo. 

Uccidimi. 

Per favore, uccidimi. 

Non può essere vero. 

«No... non ci posso credere...» 

«Credici, bastardo! Tutto per lei!»

Cercai di mettermi in piedi e quasi ci riuscii. Fui costretto ad appoggiarmi alla testiera del letto. Non ci credevo, non era vero. Paul il cazzone? No... non poteva essere morto... doveva ancora pagare per quella scomessa... Ed Embry? Il mio amico non l'avrebbe mai fatto.

«Di cos…»

«Quando è successo?»

Mi irrigidii.

Non ci credo. Non ci credo.

Dovevo mettermi in piedi, piano.

Piano.

«Sam.»

«Parla.»

Presi un respiro profondo. Come avrei fatto a fuggire da tutto questo, adesso? I ragazzini... Paul e le sue battute... Embry... il mio migliore amico. No, non Embry. Embry... Lui con le spade di legno sulla spiaggia...

La mia Liz.

«Come ti sentiresti, tu? »

«Non è di me che stiamo parlando.»

« Mettersi nei panni delle altre persone… aiuta a… capire » Riuscii a voltarmi.

«Quando è successo?»

«Non importa. Non sono morti. Ti prego, dimmi che non sono morti... non ci credo.»

« Importa eccome, dannazione, Jake. Ti rendi conto di quello che hai fatto?»

In viso aveva una specie di ghigno, come se qualcuno lo soffocasse da dietro, con una corda invisibile. Io volevo solo sapere dov'era Liz. Volevo che mi dicesse che i miei fratelli stavano bene. Dovevamo parlare dei Volturi... Non avevano toccato lui, sicuramente. Altrimenti non avrebbe perso tempo a farsi i cazzi miei.

«N-Non sono morti. I Volturi. Che cosa vogliono, dove sono. E Liz... dimmi dov'è.»

«È sbagliato.» Fu come se mi sputasse addosso.

«Cosa è sbagliato?»

«Quello che hai fatto… Restare con Liz.»

Quasi risi, ma il dolore era troppo forte. Cosa poteva sapere, lui? Lui che aveva lasciato Leah subito dopo aver visto Emily, lui che aveva fatto credere a tutti di averla dimenticata, e poi non era riuscito a trattenere le seghe mentali in presenza di Brian.

«La amo.» E lo dissi senza vergogna. Perché se davvero dovevo vergognarmi di qualcosa, quella era la prima ad esserne esclusa. «Se sto con Liz, niente è sbagliato.»

«Tu devi stare con Renesmee, il lupo te lo ordina, non puoi disubbidire. Lo capisci? E per colpa tua è successo questo!»

Ora potevo vomitare davvero.

«Fottiti.»

E mi ero buttato contro di lui. 

Al diavolo il dolore, Al diavolo la benda. Al diavolo la debolezza. 

Ma che cazzo vuoi, da me? Come se non fosse abbastanza diffiicile. Fare l’amore con Liz e pensare di non scoparla soltanto perché è lei che voglio e mi viene in testa la faccia della mezzosangue ed io non capisco più niente. Guardare Liz, sentirla con me. Ascoltare la sua risata e voler tornare indietro nel tempo. Vederla piangere e sentirmi di merda. Perché è lei che voglio e la voglio per tutta la vita. 

Fottuto imprinting del cazzo, non riuscirà a portarmi via da lei.

«Re… Renesmee. Non. È. Niente. Per me.» ringhiai. Le parole che venivano fuori da ogni respiro forzato.

«E’ il tuo imprintig, Jacob.» Sam mi prese la mano con forza, allontanandosi.

«È la mia vita, e ne faccio quello che voglio.»

«E tu fai ancora parte del branco. Il capo sono io. Le decisioni del lupo sono sempre le più...»

«È tutta una balla, tu non capisci, non capisci un cazzo di niente! Non sai... non sai come ci si sente! Io sono innamorato, io amo Liz. Tu non lo sai… tu non sai che cosa c’è fra di noi. E nemmeno quella cazzata dell’imprinting è riuscita a cancellarlo. È forte, Sam, è più forte di me. »

«Non discutere.»

«Come potrei dirglielo? dimmelo tu, Sam… Tu... tu che sei bravo, eh. Come gliel’hai detto, tu?»

Sentii un tonfo sfracellarmi la faccia, in pieno viso, poi sul sul naso. Sentii il dolore solo pochi secondi dopo, come se mi fossi appena risvegliato da un sogno.

Lo senti l’odore del sangue? È uguale a quello sui lacci. Sarà sempre con te.

Sentivo le ossa fradice sotto il palmo delle mie mani. Toccai il mio naso. Spinsi con le dita, tremante, per metterlo a posto.

«Non volevo questo.» Sentii mormorare.

«Vuoi che io lasci Liz per l’imprinting. Questo significa... farmi morire, Sam. Avrei preferito che mi avessero ucciso.»

Poi ci fu un rumore sordo. La porta si era chiusa. 

Alzai il viso, ancora sporco del mio stesso sangue, le mani rosse.

In ginocchio, sul pavimento, non volevo far altro che scomparire. 

Embry, Paul, i ragazzini... 

Liz.

Renesmee.

No.

Renesmee.

No.

Mi alzai, barcollante.

E la luce mi accecò.

*

*

*

*

Ciao a tutti. 

Questo capitolo finalmente è arrivato. L'ho scritto nei momenti di buca, e su un diario di scuola con una grafia illeggibile, perché questa storia mi riempie tanto la testa. Voglio ringraziare tutte le persone che recensiscono e che continuano a leggere questa storia. Ringrazio tutte le mie amiche, perché sono davvero fantastiche. Un grazie speciale a Noemi, che ha letto questo capitolo prima di tutti ed è favolosa <3 a Virginia, che legge quando può e mi fa impazzire con le sue storie <3, a J, che mi ascolta sempre e mi fa credere in un sogno <3, a Stefania, che mi vuole bene come io ne voglio a lei, e anche a Dony, che mi manca <3, a Cristina che mi reputa sadica ed è tanto dolce :) e a Tere, Ellie, che vuole leggere questa storia e ancora non può XD, Steffy, Cate <3, Maria che è meravigliosa con le sue recensioni, Fufe che coglie la cosa più importante, e tante altre persone che sicuramente mi ricorderò. 

Grazie di tutto. Qui trovate un missing moment collocato poco tempo prima questo capitolo, su Seth <3

Spero che mi farete sapere cosa ne pensate. 

p.s Aggiorno a tradimento, gente! :D :D

Ania <3

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Capitolo 5
*** 61. Iridescente ***


jake 62

61. Iridescente

La luce che mi accecò proveniva dagli occhi di Cullen.

Mi portai una mano sugli occhi, mentre mi abituavo a quel bagliore, ancora incapace di credere a quello che mi aveva detto Sam. Troppe erano le domande e troppo il dolore. Se anche una sola parte di quello che avevo sentito era…

«È vero.»

Lo guardai, appoggiandomi alla porta.

«È vero, Jacob.»

Mi misi una mano dove c’era la benda che mi fasciava le costole, mi prendeva metà del torace.

Lo spinsi via ed uscii dalla stanza.

«Jacob.»

«Non mi toccare, succhiasangue.»

«Devi restare a letto.»

«Col cazzo, a letto ci resti tu.»

Scesi le scale, a passi veloci.

With the cataclysm raining down 
Insides crying, "save me now" 


Gradino dopo gradino, a strisciare la mano sul muro. 

Veloce, più veloce... il respiro che mi diventava sempre più affannato.

“Sono sempre più veloce di te, Jake.”

“No, Embry, non è vero.”

Mi aggrappai alla ringhiera, ci fu una fitta proprio lì dove c’era la benda a proteggermi. Potevo farcela, potevo correre. Si trattava solo di un ultimo sforzo.

“E così mi ha messo una F, ma le avevo detto tutti i cazzi possibili.”

“Sei proprio un idiota, Paul.”

Il salotto dei Cullen era deserto, e l’odore di vampiro sembrava che provenisse solo da Edward, dietro di me.

You were there and possibly alone 

Ma quando lo vidi riuscii a riconoscerlo. Era inginocchiato e mi dava le spalle. 

Seth.

Si mise in piedi e rimase lì, fermo, senza voltarsi. Feci qualche passo, la ferita bruciava ancora, anche sotto il cotone e la medicazione.

«Non sono ancora venuti a prenderli.» La sua voce era un sussurro.

Abbassai lo sguardo. Cercai di respindere l'immagine che mi venne davanti agli occhi.

«Seth.» 

Do you feel cold and lost in desperation ? 
You build up hope 


Si voltò, si mise a tremare. Le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi, lo sguardo alto a cercare qualcosa, ma cosa?

«Loro...» cominciai a dire. 

«Sono morti.» 

Chiuse gli occhi.

«No...»

«Sono morti.» Si passò una mano sugli occhi ed io lo presi per le spalle.

La mia testa martellava, era martellata, pulsava insieme al cuore.

But failure's all you've known 
Remember all the sadness and frustration 


«Em-Embry è stato attaccato da tre vampiri insieme, erano di più, Jake… Erano di più. E Paul ha provato ad aiutarlo… l’hanno attaccato in due, ma così Embry si è distratto e…» Forse voleva abbracciarmi ma non gli fu possibile. 

Strinsi le palpebre e lo spinsi indietro.

Mi misi a terra.

And let it go 
Let it go 

Le ginocchia a graffiare il pavimento e non quello a graffiare me.

«È tutta colpa mia.»

Forse entrambe le cose. C’era troppo dolore a infliggere ferite.

C'era il viso di Embry, il viso di Paul.

 And in a burst of light that 
blinded every angel 


Le mie carezze.

Svegliati, svegliati.

Nomi.

Vi sto chiamando, aprite gli occhi.

Minacce.

Se muori tu muoio io, amici per sempre, vi ricordate?

As if the sky had blown 
the heavens into stars 


Affondai la testa fra le gambe, il sangue nella bocca, i denti a graffiare, a far sanguinare… e le lacrime a fare l’effetto dell’alcol, a bruciare come il sale sulla carne.

Io potevo respirare, loro no.

Io potevo piangere, loro no.

Io potevo amare, loro no.

Io potevo camminare, loro no.

Io potevo dormire, loro non si sarebbero più svegliati.

Io potevo cadere e ferirmi, loro non avrebbero più sentito niente. 

You felt the gravity of tempered grace 
Falling into empty space 



«Jake...»

Pace. 

Oscurità.

Dove siete, ora?

Luce.

Cielo.

Dove siete, ora?

Dio. 

Il destino.

Dove siete, ora?

No one there to catch you in their arms 

«Jacob… »

Osservai i visi dei miei amici.

Li sfiorai ancora, erano gelidi. 

Tremavo, tremavo.

Smettila di tremare. 

Abbracciavo Embry. Gli sistemavo quel ciuffo sempre fuori posto, quei capelli più lunghi che non si voleva tagliare perché fa più figo così, Jake.

Do you feel cold and lost in desperation ? 
You build up hope 


Abbracciavo Paul. Paul con quel tatuaggio sulla pancia. Lui che doveva sempre farsi vedere. Che cretino con le scommesse, e le gare a chi mangiava più lasagna, e i discorsi sul sesso, a chi ce l'ha più grande. Le serate a guardare le partite, i compiti di matematica copiati dall'ex di Quil e i graffi sulla moto, che bastardo. 

But failure's all you've known 
Remember all the sadness and frustration 


«Jacob.»

"Non ho deciso io di avere l’imprinting con tua sorella, eh."

Me lo strinsi al petto, inginocchiato a terra. Un caduto in guerra, un amico, una vita che non c’era più.

"Chi se frega dell’imprinting, Paul." Avrei dovuto dirglielo. "Puoi anche innamorarti di lei e basta, scemo."

«Jacob, dobbiamo portarli via.»

«No.»

«Adesso.» 

«No.»

Mi avvicinai la mano alla bocca e morsi sulle nocche, per trattenere le urla. 

Non poteva essere un incubo? 

Uno spaventoso, fottutissimo incubo. Di quelli che ti svegli e dici “Cazzo, mi stavo facendo sotto, menomale che non è vero.”

 Tremi, tremi, tremi sempre di più. 

Mi stavano chiamando. "Jacob, dobbiamo portarli via."  Chi mi stava chiamando?

Tremi, tremi, tremi sempre di più.

And let it go 
Let it go  

Il fuoco, c‘era troppo fuoco… e poi il vento, il vento da dentro che batteva nella mia carne, sulle pareti del mio corpo. Tenni gli occhi chiusi, mentre un boato mi prendeva nella mia forma più forte. Così l'aria divenne mia, sentii un ramo che veniva spezzato, all'esterno, dallo stesso vento che invadeva me. 

Il lupo mi aveva preso. 

Tremi, tremi da dentro.

Con gli occhi chiusi, sempre, a cercarli. 

Mi ero trasformato. Avevo gli occhi chiusi ma riuscivo a vedere. C'erano onde, fili trasparenti che fluivano nel buio. 

Ed io fluivo con loro.

“Paul?”

Solo nero.

“Paul, svegliati!”

Cercai di affondare nella sua mente ma quello che vidi era sempre la stessa cosa.

“Paul, Rachel… Rachel, lei... cosa farà lei?”

Do you feel cold and lost in desperation ? 
You build up hope 


Non c’erano più il rosso, i ricordi vivi, le risate che vedevo ogni volta che leggevo i suoi pensieri.

Solo nero.

Freddo.

E dolore nel mio corpo.

Non sapevo spiegare come potesse accadere. Ero nella mente dei miei fratelli e, non sapevo come, il lupo riusciva a sfaldare i legami con il reale.

Ma c'era nero, ancora nero.

E poi… fuoco. Ferite, bruciature ancora incandescenti. 

Le sentivo dentro di me.

But failure's all you've known 
Remember all the sadness and frustration 


La sua pelle è bianca, di Forks, riflesso della piovosa penisola Olimpica. Capelli rossi, lunghi, lisci. Bowling, biliardo, cinema, libri…

“Embry?”

Abbiamo litigato di nuovo, credo che mi abbia lasciato. Ho combattuto. Ho seguito l’ordine di Sam, non potevo disubbidire senza morire. 

Non la rivedrò, sono morto… sono morto…

“Embry, ti sento ancora, non sei morto.”

Sono morto. Non la rivedrò mai più… mai più…

“La rivedrai, non sei morto, ci sei ancora.”

Non mi sento più il cuore. Il mio cuore non batte.

“Non la lascerai. Ritornerai. Puoi farcela, non lasciare che vinca.”

And let it go 
Let it go 

Era il lupo a tenerlo ancora attaccato alla vita, anche se solo nella sua mente? O quella cosa che si chiama anima? O quella ragazza, o entrambe?

Ancora altre immagini. Lei che sorrideva, mi sorrideva, sorrideva a me che ero Embry ed Embry che era me. Io ero lui e lo ascoltavo. Mi chiamavo Embry Call e quella ragazza mi baciava, mi prendeva la mano, profumava di fiori, lavanda, qualcosa di aspro… limone. Lavanda e limone.

Let it go 

Il cuore non batte.

Il cuore batterà.

Il cuore è fermo.

Il cuore pulserà.

Ti amo, te l’ho già detto?

―È bello sentirlo.

Let it go

Era lui. 

Com’era possibile che il suo cuore non battesse più? 

"Devi aggrapparti, Embry. Non cadere giù."

Ashley.

“Fai battere il tuo cuore… forza.”

Ashley.

Fallo battere. 

Silenzio. 

Fallo battere. 

Ashley.

Let it go 

Batte.

Lo sto ascoltando.

Debole, debolissimo. Un sussurro nel buio, una luce piccolissima, invisibile nel nero… no, ora si vede. Embry ha gli occhi chiusi, dal suo petto si vede il rosso. 

È  fuoco, brilla.

Do you feel cold and lost in desperation ? 
You build up hope 


Tuh, tuh, tuh.

Rimbombo ovattato, pulsazioni che fanno rumore.

«Jacob!»

Aprii gli occhi, mentre un altro bruciore mi prendeva il corpo.

«Jake, sei un pazzo! Non dovevi trasformarti, la ferita…»

«Embry è vivo.» sussurrai. Mi facevano male gli occhi, qualcosa mi scese sulle guance, forse lacrime. Per Paul non c’era stato niente da fare, il mio amico… il fidanzato di mia sorella. Lui aveva affrontato due vampiri insieme ed erano troppo forti… 

Ma con Embry era stato semplicissimo parlargli... Eravamo fratelli? Più fratelli di come potevo esserlo con gli altri? Era questo che mi aveva permesso di aiutarlo?

And let it go 

«Il suo cuore batte.» Richiusi di nuovo gli occhi, il dolore era troppo forte, insostenibile.

«Jacob…»

«Il suo cuore batte.»

Let it go

Cominciai a crederci. 

La mia benda era insanguinata sul pavimento, sporca di me. 

Io che ero marcio, adesso anche fuori.

Poi non vidi più niente.

***

 Il mare canta la mattina presto, con le onde che bagnano la sabbia. Nuoti, ti tuffi, l'acqua dà conforto alla tua pelle bollente. 

Jake?

Ti chiama, la voce che è cristallo nell’acqua. Ti avvolge, sorridi, ogni cosa brilla.

Vieni, Liz.

L’acqua è freddissima.

Chi se ne frega, vieni. Ti tengo con me.

Ti sorride, sbuffa, dice qualcos’altro. Appoggia il suo album da disegni sull’asciugamano, il tuo viso è per metà nell’acqua, come se la stessi osservando di nascosto mentre si spoglia. Il costume verde sulla sua pelle rosea, un po’ più scura per il sole. 

Togliti tutto. 

Ti piacerebbe. Si fa sfuggire una risata, ma arrossisce lo stesso. Socchiude gli occhi, sono nocciola alla luce chiara, coperta dalle nuvole. E ti raggiunge.

Le prendi la mano.

La abbracci.

Hai ancora freddo?

Manda indietro la testa, i capelli bagnati a caderle sul petto. Potrebbe anche non sembrare umana... Ma il suo cuore che batte all’impazzata è un rumore che si confonde con quello delle onde, e ti appartiene.

Sto davvero benissimo.

Ridi.

Ci siete solo voi due ma presto vi raggiungeranno anche gli altri. Il mare è calmo, trasparente… immagine di un futuro ancora lontano. Le sue labbra sono salate, ricordo di lacrime, ora solo sorrisi, scherzi. La tua bocca è sul suo collo, odore di spiaggia, giorni luminosi, cielo terso.

Senza dolore.

Ti amo. 

Senti Paul che fa un fischio dalla spiaggia. Con lui ci sono Embry, tua sorella, una ragazza con i capelli rossi, Jared, i ragazzini che si ricoprono di sabbia. 

E sei innamorato.

Lei ti guarda, ti bacia ancora, la ami, chiudi gli occhi, le vostre mani si stringono, tremate, non fa freddo. La accarezzi, si adagia sull'acqua, chiude gli occhi. La sua pelle è morbida contro la tua, si riscalda insieme a te. 

Il fuoco non brucia anche se arde nell'acqua.

Senza dolore.

Ma questo era solo un sogno.

Io ed Edward ci eravamo scambiati solo qualche parola, dopo che avevo riaperto gli occhi, anche se avrei anche potuto restare zitto per ore. La testa mi scoppiava.

 “Embry si risveglierà, non sappiamo quando. Come... Come hai fatto?”

“Nella sua mente c’erano ancora dei pensieri, il lupo non lo aveva lasciato. L'ho solo chiamato.” 

Edward aveva sussurrato qualcosa, ero riuscito solo a intuire le parole "stesso sangue".

Paul invece non ce l'aveva fatta, la sua mente era buia. Avevo perso lo stesso.

E Liz...

«Liz è al sicuro.»

La voce del succhiasangue mi bucò i pensieri. Quello che poteva fare somigliava all'effetto degli spari. Tanti proiettili nella mia testa, a far vedere tutto al mondo esterno.

«Smettila di leggermi in testa.»

«Non ringraziarmi.»

Sentii una strana sensazione, nelle mani e poi in tutto il corpo, dal petto, fino alla testa, cuore e cervello.

Liz è al sicuro.

«I… I Volturi…» tossii, gli occhi socchiusi che mi facevano vedere a metà invece di affinare la mia vista. Ero seduto sul letto della stanza in cui avevo dormito.

«La volevano. Aro quando ti ha toccato ha letto tutti i pensieri della tua vita, allora ha visto anche quello che è successo la scorsa estate. La volevano Jacob, morta o trasformata.»

Deglutii. 

«Dovevamo pagare.» disse ancora.

«Smettila di buttare parole a cavolo. Cos’è che bisogna pagare?» Un brivido mi attraverò il corpo, come se mi fosse stato buttato del ghiaccio sulla schiena, ghiaccio appuntito a pungere come spilli.

«Sono stato io a pagare.»

Lo guardai, senza controllare che tipo di occhiata gli stessi lanciando. 

Vestito bene, senza ombra di dubbio. Bella roba, Cullen, sempre impeccabile. Ma puzzi lo stesso.

Ma che diavolo diceva?

«Cosa…»

«Sette guardie morte, sette decenni.» Fissò lo sguardo su un punto indefinito nella stanza Non leggevo nel pensiero, cazzo. E dei miei amici erano morti e grazie al cielo Liz era salva. 

Ma cosa era successo veramente?

«Sette guardie morte, sette decenni. Settant’anni al servizio di Aro, non necessariamente alla sua dimora. Ovunque, quando lo vorrà, io dovrò raggiungerlo e mettere a sua disposizione il mio potere. Con lui è annullata la mia dieta vegetariana, può usarmi anche per uccidere esseri umani. Gli ho dato questo, Jacob, perché è tutto quello che ho e tutto quello che è davvero mio. Hai salvato mia figlia ed era giusto che mi sdebitassi.»

Rimasi immobile. Fermo come se fossi stato pietrificato, mentre tutti i pezzi che avevo raccolto si montavano insieme e formavano la verità. 

I tasselli si unirono.

«Sei stato tu.» 

Una verità che più mi entrava dentro, più mi uccideva.

«Grazie per averla salvata, Jacob. Hai tutta la mia gratitudine.»

La rabbia aveva il sapore del sangue. 

Sale, ferro, acqua gelida.

Freddo.

«Sei solo un bastardo. Come sempre, come ogni volta... come quando Bella era viva.» Cercai di trattenere il tremore del mio corpo, quello che presto mi avrebbe portato ad azzannarlo.

Come quando Bella era viva.

«Hai lasciato… che Aro usasse Renesmee.» Sentivo il ringhio del lupo riecheggiare nelle mie orecchie.

«Sapevo che l’avresti salvata. Ho letto nei tuoi pensieri dell’imprinting da quando cercavi di nasconderlo, da quando sei venuto qui insieme a Lizzy. »

«Hai usato Liz.» Mi avvicinai, veloce. «Hai usato Liz e me. »

«I Volturi non torneranno più, volevano qualcosa da noi e l’hanno avuta. »

«Non mi importa.» 

 Cos'altro vuoi da me, succhiasangue? Lei è tutto quello che ho.

«Lizzy è stata solo una pedina dei loro giochi, proprio come te.»

«Hai rovinato tutto…» Il calore aumentava, era come se una specie di vento bollente mi soffiasse in pieno viso, costringendomi a chiudere gli occhi. A fuggire, a far liberare la bestia, a farla urlare, a darle il permesso di uccidere.

«Ho dato me stesso per tutti voi.»

«No! Hai rovinato tutto!»

La bestia vuole uccidere.

«Non è vero. Jacob, ho salvato la ragazza che ami, hai salvato Renesmee. Mi dispiace, sono davvero desolato per quello che è successo, ma sapevi che prima o poi tutto questo sarebbe finito. Hai avuto l’imprinting con un’altra, questo non puoi cambiarlo.  Io… non credevo che ci sarebbe mai stata una sorta di opposizione al legame dell’imprinting, ma alla fine è stato quello a guidarti. Le cose più importanti nella mia vita sono Bella e mia figlia e stanno bene, non rimarranno sole, se stanno con te. Non importa quanto ho dovuto pagare per questo.» 

Fare male, ferire, tagliare, trafiggere, uccidere...

«Io non rimarrò. Perché pensi che nascondessi tutto? Per niente? Voglio che la mia vita sia con Liz, non qui con… con tua figlia e tua moglie!»ringhiai. Io, e non il lupo. Perché il lupo combatteva per altro. 

E pregai tutti, i miei amici, mia madre, i miei antenati, per tenermi ancorato ancora lì, alla terra, per rimanere in forma di uomo, la forma che era quella per cui ero stato amato, almeno una volta.

«Non rimarrò con Renesmee, non rimarrò con Bella. Questa non è la vita che voglio. Quello che voglio è al sicuro, adesso, e non lascerò che qualcun altro lo metta in pericolo.» 

Restò in silenzio per dei secondi che sembrarono non passare mai. 

Quanto era importante il tempo, adesso? Sembrava che non esistesse nemmeno più.

«Ma che… che dici? È uno sbaglio, Jacob.»

«Sono stanco.» fiatai.  

Sì, ero stremato. Ma non abbastanza. 

Ero ferito, ma nemmeno così ridotto male da non continuare a combattere. Perché c’era la guerra ma io avevo partecipato solo ad una battaglia. Il cerchio si stava stringendo e i miei amici non ne facevano più parte. E in quel cerchio c’ero io, c’era Liz, e dovevo fare di tutto per proteggerla, proteggerci, tenerci in vita nel vero senso della parola. 

Nonostante la morte dei miei fratelli, il sangue, il dolore, la colpa.

«Lo so.» fece un respiro profondo, anche se non gli serviva. «Carlisle sta arrivando, deve medicarti.» 

Ma non era ancora finita. 

Ero in trappola, e i lacci intorno alla mia gola pungevano e mi toglievano il fiato. Perché erano sempre attaccati lì. A quel pensiero, a quella bambina, a Renesmee. 

Come si fa a fuggire dalla forza di gravità? Ero sospeso nel vuoto, attaccato ad una speranza che aveva un solo nome. Tutti hanno una ragione per vivere ed io la vedevo ovunque. Prendeva la direzione opposta, chiara come le acque del mare che avevo sognato.

Adesso, Liz era la mia.

*

*

*

*

Ciao a tutti <3

Questo capitolo è dedicato a Noemi perché so quanto ama un certo personaggio <3 <3

E' da molto che non aggiorno e mi dispiace, ma spero che questo capitolo vi sia piaciuto :)

Vorrei dire una cosa. Forse alcuni di voi staranno storcendo il naso per quello che è successo nella prima parte del capitolo ed io lo accetto. Ma l'universo di Twilight è un universo del sovrannaturale, ed io ho pensato che, se esiste l'imprinting - una magia capace di legare due persone con un sguardo- ho pensato che potesse essere possibile anche questo. Io non studio medicina e non sono molto preparata nella materia di scienze, a parte chimica che ho studiato molto bene quest'anno. Nonostante questo, da delle ricerche so che, quando si muore e quindi il cuore cessa di battere, il cervello resta attivo per 3-4 minuti. Dopo questi 4 minuti, intercorre la morte biologica poiché i danni sono troppo gravi. Ma qui sono intervenuta. La mente di Embry funzionava ancora con ricordi e parole, e quando Jacob si è trasformato è entrato nella sua testa e, grazie al legame del lupo, ha salvato quello che era ancora salvabile. Purtroppo, la mente di Paul era già buia e Jacob non ha potuto fare nulla. Liberissimi di storcere ancora il naso, io mi giustifico con il fatto che, se i vampiri brillano e procreano, quando la mente è ancora attiva, se stimolata da questo elemento sovrannaturale - ovvero l'interazione del pensiero -, il sangue ricomicia a scorrere e il cuore a battere.

Vi ringrazio per aver letto :)

La canzone della prima parte del capitolo è "Iridescent" dei Linkin Park :)

Se volete potete passare da questa storia che diventerà una long, è su Embry e Ashley, la ragazza che lo teneva ancora in vita <3 

Grazie mille ancora. Vi ringrazio uno per uno, siete tanto importanti per me e spero che sentiate quanto la vostra presenza mi renda felice <3 <3 <3

A presto

Ania <3

 


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Capitolo 6
*** 62. Colpo ***


jake 62

62. Colpo


Is that alright? 
Give my gun away when it's loaded  

Is that alright?  

If you don't shoot it how am I supposed to hold it  

Is that alright?  

Give my gun away when it's loaded  

Is that alright  

Is that alright with you?  

9 crimes - Damien Rice

Allungai una mano fuori dal letto, a tastare il vuoto. Doveva essere notte, ormai. E quando aprii gli occhi, l’unico ricordo che avevo erano due mani calde che mi sfioravano leggermente. Mi portai le gambe al petto, come se in quel modo avessi potuto placare il tremolio improvviso che mi aveva preso.

“E chi se l’aspettava, eh, Jake?” Il suo amico gli dà una gomitata.

“Chiudi il becco.”  Jacob si scosta, mette il suo braccio intorno alle mie spalle, gli alberi del bosco dietro di noi.

“Lizzy, dimmi, ma ti ha pagata?” Jacob lo guarda male,  non riesco a trattenere una risata.

Embry Call.

Diciannove anni.

Abbassai lo sguardo. Non c’era più la mia maglietta sporca di sangue, ma una specie di vestito, sì, era mio. Di jeans, con i bottoni a toppe, facile da mettere. Mi ricordava giorni caldi con i colori a tempera e... i baci di Jacob.

Doveva avermi aiutato Leah a metterlo. L’unica persona che poteva essere andata a casa di Jacob per prendere le mie cose. 

“Ma che ci trovi di bello, in lui?” La fetta di torta quasi si sbriciola sotto le sue mani, quando la prende.

“Vi conoscete da tanto, vero?”

“Certo... è mio amico, ma è deficiente.”

“Ne terrò conto.”

Diciannove anni.

Paul.

«Sei sveglia.» Alzai lo sguardo verso la porta, Leah ci era appoggiata. La sua casa era tanto simile a quella di Jake, e forse per questo, subito dopo aver ripreso i sensi, mi ero sentita davvero parte di tutto questo. Il dispiacere per me era molto più simile all’incredulità, alla consapevolezza di trovarmi in un incubo da cui mi sarei svegliata e che non era il peggiore, perché Jacob era vivo.

La scorsa notte Leah aveva singhiozzato per alcuni minuti, per lei troppi. Vedeva la realtà per quella che era, come sempre, e quello che si riusciva a scorgere era così buio e allo stesso vivido da non dare esitazioni. Ci eravamo addormentate come due amiche dopo un pigiama party e un film.

Ma da noi non c’era stato nessun film. La verità feriva più dei denti di un vampiro, e ci era caduta addosso. Erano morti i suoi amici d’infanzia, quelli con cui era stata costretta a condividere delle cose che avrebbe voluto tenere per sé, Jake me lo aveva detto.

Non c’è mai fine al male. Soprattutto in questo mondo di vampiri che quasi nessuno conosce.

L’avevo studiato nei libri di Storia: nei complotti allo stato, nelle insurrezioni, nei fanatismi. E poi avevo conosciuto anche la parte più oscura. Il male... È una penna che può essere guidata solo da una mano. E quella mano scrive sulla tua pelle, fin quando non ti accorgi che l’inchiostro rosso è sangue tuo. Segni che non scompaiono mai.

«Leah.» La mia voce era bassa.

«È già pomeriggio, mi sono svegliata un’ora fa.» Leah si passò una ciocca dietro le orecchie. Non me n’ero accorta, ma i suoi capelli erano molto più corti. Doveva averli appena tagliati. «Se vuoi mangiare…»

Scossi la testa ancor prima che finisse di parlare. 

Avevo già perso qualcosa di caro in passato, e la mia reazione era stata sempre quella. Pensieri, silenzio, e niente appetito.

Raggiunsi il soggiorno.

«Stai meglio, Lizzy?» Brian abbracciava Leah, da dietro, appoggiato al muro, come se non esistesse nient’altro nel suo mondo. Chissà come aveva fatto ad accorgersi di me. 


«Tutto ok, non pensare a me.» Guardai la ferita sulla mia mano, il taglio di quindici centimetri e i punti. Ci passai sopra una carezza.

Kim mi abbracciò, i capelli dal profumo di gelsomino. Mi ricordava una serenità vicinissima a quella della mia casa a Seattle.

Kim. Poche parole, risata rumorosa, a volte interrotta da qualche suono di gola. Le bastava Jared e andava tutto bene. Ma se riusciva ad aiutare qualcun altro per lei era anche meglio.


«Ora resta quella Ashley, la ragazza di Embry.» sospirò Seth, seduto. Noela gli era accanto e si alzò all’improvviso, i capelli lunghi che le scendevano sulle spalle. Si voltò verso il lavello, a riempire un bicchiere d'acqua.

«Hai il suo numero?» chiese Jared.

«Non ce l’ha nessuno, Jed.» intervenne Leah.

Sciolse l’abbraccio da Brian e si mise a sfogliare la rubrica sul tavolo. «Come facciamo?»

«So dove abita.» disse Jared.

Leah annuì. Mi misi  fissare la tazza di caffè posata sul tavolo, ancora intatta. Sicuramente era sua. Accanto c’erano dei biscotti, anche quelli neanche minimamente toccati. 

«Qualcuno deve andare a dirglielo di persona.» sussurrò. Tutti rimanemmo in silenzio, ma io trattenni il fiato. Perché in un dicembre dell’anno prima, dopo un bacio sotto la neve, Jacob avrebbe anche potuto non tornare mai più. E se gli fosse successo qualcosa, mi sarebbe stato detto proprio quello che avevano intenzione di dire a quella ragazza. Perché lei non sapeva niente e non aveva nessun diritto di sapere.

«Ti accompagno io.» Jared si alzò, senza mai lasciare la mano di Kim.

«Vengo con voi.» Brian si aggregò. Leah faceva dei respiri profondi, come se stesse per soffocare.

«Leah… ehi, stai calma.»le disse lui.

«Calma un cazzo.»  Prese il libricino con i numeri di telefono e lo infilò in un cassetto vicino alla cucina. «Come glielo dico?»

«Leah… puoi dire che… è stato…» cominciò Jared.

«Un incidente…» sussurrò Brian. 

Tutto quanto era un incidente. Lo ero io, che mi ero innamorata di Jacob. Lo era lui con i suoi fratelli, perché la natura li aveva resi forti e poi li aveva traditi. 

Lo era Leah. 

Lo era la mia presenza.

«Sì, un incidente.» ripeté Jared, con la voce spezzata. «Con Paul… Brady… » Si morse le labbra.

«No, Jared. Smettila di fare così. Se non ci riesci tu io come faccio?»

«È difficile, Leah.»

«Dio santo, perché… »

«Devo parlarle io.» Mi voltai.

Sam aveva aperto la porta, forse era socchiusa o forse aveva usato la chiave. Forse Sam riusciva sempre a entrare dove voleva.

«Sam.» Leah si asciugò le lacrime con le mani.

«Lei non deve sapere niente.» continuò Sam. Si sentivano solo i rumori dei nostri respiri. Non seppi come, ma tossii leggermente e dissi quello che mi era appena venuto in mente.

«Forse… è meglio che non ci vadano in molti. Credo.»Scrollai le spalle, mentre Seth annuiva.

«Tu credi in un sacco di cose, Lizzy.» La voce di Sam era roca.

Che cosa intendeva?

«Sì, vado con Brian.» disse Leah.

«C’è qualcosa in cui non dovrei credere, Sam? » lo richiamai. Non sopportavo le frasi a metà, ed io volevo sapere di più.

«Te lo dirà Jacob.» Sam si rivolse a me con uno sguardo che mi trapassò. Era una sensazione che somigliava all’ago ficcato nella pelle, come quando mi avevano cucito la ferita la sera prima.

Presi un respiro profondo, mentre una sensazione che non riuscivo mai a riconoscere a pelle mi invadeva il corpo e la testa.

«Sam, dovresti andartene.»Brian fece qualche passo verso di lui,  Sam si voltò, borbottò qualche parola e si chiuse la porta alle spalle, non lasciando nient’altro che un silenzio amaro.

In che cosa non devo credere?

Riguarda la battaglia?

Riguarda me?

Riguarda Jacob?

Riguarda noi due?

«Non ha mai smesso di pensare a te.» La voce di Brain strusciò per i muri e rimbalzò fino alle mie orecchie. Ma non stava parlando con me.

Stava parlando con Leah.

Riguarda i Volturi?

Il patto a cui accennava Edward?

Riguarda Bella?

«Non mi interessa.» Leah gli diede un bacio e lo abbracciò.

Poi entrambi si diressero verso la porta insieme a Jared.

Poi il telefono squillò, ma Leah non sembrava per niente intenta a rispondere. Brian mi fece un cenno, capii che dovevo rispondere io.

Lo afferrai.

«Pronto?»

«Lizzy… sei tu? »

Fu come se una carezza mi portasse ad aprire gli occhi.

«Sì… dottor Cullen. Sono io.» Leah rimase in bilico sulla porta.

«Stai bene?» chiese.

«Sì, meglio... Grazie.» Feci un respiro profondo. «Ci sono novità?»

«Ho delle buone notizie… Embry si è ripreso, non era morto, cercherò di darvi più dettagli. E Jacob si sta riprendendo.» 

Voltai la testa... avevo sentito bene. Leah aveva sentito. E non ne fui davvero sicura, perché la mia vista si era appannata, forse stavo piangendo, forse stava piangendo anche lei. La vidi fare qualche passo verso di me, mi prese il telefono, disse qualcosa. Embry ce l’aveva fatta. Sì… e Jacob si stava riprendendo. 

Leah chiuse la telefonata, la abbracciai. 

Lei rispose al mio abbraccio.

Si può ancora credere in qualcosa.

E Jacob avrebbe potuto dirmi tutto, l’importante era che stesse bene.

Era l’unica cosa che chiedevo.

***

Esme aprì la porta. 

Era sera, e Kim mi aveva convinta a rimanere con lei a casa di Leah, tutto il pomeriggio. Non che le cose potessero andare diversamente e cambiare in un posto diverso... 

Adesso ero di nuovo a casa Cullen.

«Non so se è sveglio.» mi disse Esme, ma solo dopo avermi preso le mani per vedere la mia ferita.

Sospirai. Poi continuai a salire le scale.

«Non importa, io… voglio solo vedere se sta bene.»

«Carlisle dice che…»

«Voglio vederlo con i miei occhi.» Mi guardò con i suoi, chiari e striati di miele. Quasi sorrise e mi aspettai che emanasse luce. Ma quella restò interna e mi sfiorò appena.

Mi feci avanti, vicino alla porta. Poggiai una mano sulla maniglia. Esme fece qualche passo indietro. Disse ancora qualcosa ma non riuscii a sentirla.

Sentire, morire, credere, respirare, guardare, camminare. La porta era aperta ed io vedevo, e credevo a quello che mi mostravano i miei occhi.

Lui era lì, appoggiato al muro, il profilo sfumato dalla luce al neon del lume vicino al letto. Il colore del bronzo, del nero e del rosso a creare la vita su quell’anonimo sfondo bianco.

Il suo sguardo mi fece tremare le ginocchia mentre correvo e lui veniva verso di me.

«Piccola.»

Mi aggrappai a lui, e strinsi più forte che potevo.

Ce l’aveva fatta, e non importava che cosa gli passasse per la testa adesso. Era vivo, andava tutto bene. 

«Jake.» Gli venne fuori un verso nel mezzo dei suoi sussurri rochi, fra i miei capelli. Tremava. Sciolsi la presa, per poco, la mia bocca posata sulla sua spalla bollente, gli occhi socchiusi, la sua pelle e le sue carezze.

Jake, lui.

Feci scorrere le mie mani dalle sue braccia fino al petto e la toccai, la benda che gli copriva la ferita. 

«Liz.» Fece una smorfia. 

Mi convinsi a non agitarmi. Quando si era fatto male, chi era stato a farlo male, quanto si era fatto male…

Perché tremava?

Mi prese la mano, poi me la lasciò. Era impossibile fare finta di niente, non riusciva a tenersi in piedi.

Gli appoggiai le mani sulle spalle e lo aiutai a sedersi sul letto; i suoi occhi erano diventati ancora più neri. 

«Io… dio santo, Jake… » Lo abbracciai di nuovo.

Un gemito. 

Un altro. 

Mi allontanai.

«No. No, Liz, abbracciami.» Mi costrinsi a tenere gli occhi aperti, mentre lui mi prendeva per il braccio e ricominciava a stringermi. Respirai il suo profumo. E l’immagine del suo viso con i denti serrati mi si disegnò in testa, matita sfumata con acquerelli. Mi spostai di qualche centimetro e lo guardai negli occhi. Neri, pozze scure, animale selvatico... lupo.

Il mio viso era vicinissimo al suo, quando socchiusi gli occhi. E poi le sue labbra furono sulle mie.

La tua bocca, Jake. Il tuo respiro. E' mio, è tuo. Baciami. Non smettere di cercarmi, trovami, sono qui. Sono qui anch’io.

Gli posai un altro bacio sulle labbra, uno di quelli che non servivano a niente e che ne facevano solo desiderare altri. 

Non lasciarmi andare, Jake. 

Continuò a guardarmi, a tenermi le mani.

«Niente mi porterà via da te.» Se le portò sulla bocca e quasi ebbi l’impulso di chiudere gli occhi per il tremore. Quanto eravamo cambiati? Eravamo sempre stati diversi dagli altri. Lo vedevo nei nostri riflessi, nelle vetrine dei negozi di Seattle. In una semplice foto scattata senza che ci avvisassero. 
«Niente mi porterà via da te.» disse ancora, come se volesse convincermi. Convincere me? 
Doveva stare bene, ma a me sembrava tutto tranne che fosse così. «Jake… che cos’hai?» Sentii freddo, anche se lui mi toccava ancora.«Non stai bene…»
«Sto bene con te.» Betté leggermente le palpebre e lo riconobbi.«Credimi.» La sua voce vibrava. 

Mi risuonò nelle orecchie come se provenisse dal profondo di me stessa. 

Tu credi in troppe cose, Lizzy.

Jacob si voltò, di poco, e si mise una mano sulla fasciatura. Gli posai una mano sulla spalla.

Mi respinse, e sentii gelo.

«Liz.» Appoggiò la testa sul cuscino, piano.

«Sono qui. Sono qui.» 

E lo rividi. Lo sguardo che aveva avuto quando gli avevo detto che avevo paura per la battaglia, io con un album da disegni in mano e lui lì, per me, sempre.

«Jacob. Tu non stai bene.»

«Sto bene, mi devi credere.»

Tu credi in troppe cose, Lizzy.

«Jake, per favore…» Sam doveva avermi accennato a quello, a casa di Leah. Come avrei fatto ad aiutarlo, se non sapevo nemmeno di cosa si trattasse? Avrei dovuto chiamare Carlisle. «Cosa ti fa stare così? Non è la ferita…?»

«Non chiederlo.» Il sangue mi si gelò nelle vene.

« Jacob.» Sospirai. «Voglio solo che tu stia bene... se posso...»

«Non puoi.»

«Chiamo Carlisle.»

«Carlisle non può fare niente... resta qui.»

Gli accarezzai la fronte, e Jacob fece una smorfia. Nonostante tutto era sempre la colonna portante della mia vita. Da bambina lo era la mia famiglia, dopo l'incidente c’era stata Ronnie, poi Lucy e Dina. E dopo era arrivato Jacob.

«Jacob… Voglio aiutarti.» Carlisle era un medico, l'unica persona a cui potessi rivolgermi. Aspettai qualche secondo. Lui respirava affannato, le sue mani nelle mie. 

Gli venne fuori un gemito. «Vorrei, ma...»  

Misi meno forza nella presa, lasciando scivolare le mie mani sulle sue spalle. 

«Non è dipeso da me.» continuò.

Jacob, di cosa hai paura? Perché tremi? Abbracciami, stringimi. Non lasciarmi mai.

«Jake. Perché stai così?» La mia voce si spezzò.

«Non l’ho deciso io.»

Mi staccai da lui completamente, le braccia stese lungo i fianchi. 

«Carlisle?» alzai la voce, sperando che venisse presto. 

Per cosa soffri, Jake? Dammi il tuo dolore, ti aiuterò. Dove pensi che io sia stata, mentre eri a combattere? Non sei mai andato in guerra da solo.

Nessun suono. Dov’era Carlisle, adesso? Esme non mi aveva sentito?

«Carlisle?»

«... Smettila di chiamarlo, non servono farmaci... non può fare niente. Mi odierai.»

Mi odierai.

L’odio era qualcosa di troppo lontano da quello che ero e avevo imparato. Non avevo odiato il vampiro che mi aveva ferita, mi aveva solo terrorizzato. Non avevo odiato Bella, solo non volevo perdere Jacob.

«Stringimi.» gli dissi.

Presi le sue mani e me le posai sulla schiena, pesanti. 

Tremava, tremavo forte. Non sapevo se ero io a farlo oppure lui, ormai non c’era più differenza.

«Dimmi cos'è.»

A trattenermi solo le sue labbra, la mia bocca sul suo petto.

Mi allontanai di poco. 

«Ti amo.» disse. Aprii la bocca, ma le sue mani finirono a sfiorare le mie labbra mentre io lo guardavo, senza capire.

«Non farlo, ti prego.» continuò.

Gli misi le braccia intorno al collo.

Tu credi in troppe cose, Lizzy.

«Voglio solo sapere perché stai così male. Perché... Perché mi dici che un dottore non può aiutarti?»

Con quell’espressione di pena che non avevo mai visto sul suo viso, disse solo: «Ho sbagliato.»

«Ma Jacob…»

«Perdonami.»

«Perché?» E poi che cosa gli stavo chiedendo? Cosa non mi aveva detto? Per che cosa dovevo perdonarlo? 

«Non voglio ferirti.» La sua voce era roca.

Deglutii, mentre inspiegabilmente le palpebre mi diventavano pesanti.

«Devi dirmi che ti prende… Altrimenti tutto è stato inutile. È stato inutile a Seattle, la scorsa estate, è stata inutile questa battaglia… Non voglio segreti e...»

«Non vuoi segreti.»

«No.»

«Non vuoi che ti dica bugie.»

«Io voglio sempre la verità.»

Quando distolse lo sguardo sembrò che la stanza si stringesse e diventasse sempre più piccola. I muri si incurvavano verso la mia direzione, il soffitto diventava una spirale...

«Mi dispiace.» disse.

La stanza diventava sempre più stretta. La stanza diventava sempre più piccola. Che cos’era? Perché mi sentivo così?

Cosa stava succedendo?

Il tuo corpo si prepara al colpo.

Quale colpo?

Jacob non mi avrebbe mai fatto del male. Mi amava, lo sapevo. Sarebbe rimasto con me, lo sapevo.

Non sai niente.

E lottai con tutte le mie forze per attutire il dolore improvviso con qualcosa, per reprimere la sensazione di soffocamento.

Jacob alzò lo sguardo verso di me.

Il bruciore ora era fiamme nella mia pancia e aumentava sempre di più, fino a salirmi in gola.

Jake, spegni il fuoco.

Gli presi le mani.

Jake è il fuoco.

«Jake.»

Ti brucerà.

Strinsi le sue mani, per trovare rifugio dalla paura che non riuscivo ancora a spiegare. Mi avrebbe aiutato a non sprofondare.

Devi essere sempre in piedi, prima di cadere.

Le nostre mani erano strette ed io tremavo, tremavo insieme a lui.

«Ho… Ho avuto l’imprinting.»
*
*
*
*
Non potete immaginare quanto sia difficile per me. Quanto lo sia stato scrivere questo capitolo senza cancellarlo tutto. Rileggerlo, sistemarlo e pubblicarlo per voi. Ma purtroppo... le cose vanno così. Liz ora sa, e nel prossimo vedremo che cosa succederà. Questo capitolo è dedicato a Virginia. Perché aspettava questo momento, e spero che questo sia stato un Momento con la M maiuscola, come tutti gli avvenimenti che si attendono in una storia, che siano tristi o felici per i protagonisti. Tesoro, questo è per te, perché li ami, perché ti emozioni con loro <3
Ma se sono arrivata fino a qui, devo ringraziare molte persone. I primi siete voi che mi leggete e mi sostenete. Mi lasciate recensioni, parlate con me, vivete questa storia con me. Ringrazio le bellissime amiche che ho conosciuto su efp,(J, Vi, Noemi, Tere, Cate... ) con cui ho imparato e riso tanto e a cui voglio tanto bene. Ringrazio le amiche che sanno di questa mia passione fuori da efp. Mi ascoltano mentre parlo con la voce bassa e ci sentiamo degli agenti segreti xD. Ma la storia non è finita, qui comincia una nuova parte. Sono molto avanti con la scrittura, per questo spero di pubblicare almeno ogni due settimane e se tutto va bene, anche una volta alla settimana :))
Voi che cosa ne pensate di questo capitolo? Come credete che reagirà Liz? Avete opinioni? <3 Spero tanto che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Grazie di tutto.
Un bacio
Ania <3

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Capitolo 7
*** 63. Spine ***


63. Spine

I'd give my all to have
Just one more night with you
I'd risk my life to feel
Your body next to mine
Cause I can't let go on
Living in the memory of our song
I'd give my all for your love tonight  
My All - Mariah Carey

«Ho… Ho avuto l’imprinting. »
 
Non riesco a capire cosa significa.
Non vuoi riuscirci.
Questa non è la voce di Jacob.
È stato lui a dirlo.
Provai ad allontanarmi da lui, barcollando. Anche se si era alzato dal letto, più debole di me, e ora mi stringeva per le spalle.
«Liz, guardami. » La voce roca, spezzata.
Ti sto guardando, Jake, e non ti vedo più. Che cos’è questo bruciore alla pancia? Le fiamme mi hanno raggiunta, non era la mia gola, quella che bruciavano. Che cosa resta, adesso?
«Liz! Liz, per favore, parlami.»
Il futuro sta crollando davanti ai miei occhi.
«Ho sentito.»
Io sto crollando.
Una crepa, una linea, una botta.
Polvere, cemento.
Macerie fra le tue mani.
«Per favore… per favore, così impazzisco… »
L’imprinting è essere quello di cui lei ha bisogno. E puoi essere un amico, un fratello, o un amante. Non importa quanto dovrai aspettare, non importa quanto sei importante, l’unica cosa importante per te è lei.
«Io so che cosa significa.»
L’imprinting è catene, amore, devozione, giustizia. Nessuno scappa dall’imprinting, perché è vita, la vita del lupo. E quello che vuole il lupo è sempre la cosa più giusta.
Le parole di quel libro insieme alla voce di Jake mi scorsero in testa. Le frasi in sovraimpressione sullo schermo che mostrava tutto il mio passato.
Io e Jacob insieme con quelle didascalie sotto.
«Non significa niente.»
«Quando è successo?»
Lui deglutì, gli sudava la fronte.
«Il giorno del funerale di Bella.» Un’altra trave, un altro mattone di tutte le nostre cose costruite. Oppure no, ero io quella che stava andando a pezzi. Un pezzo alla volta, piccoli piccoli, granelli e strati di vita passata.
Il giorno del funerale di Bella.
Mi venne addosso, entrando in ogni parte di me.
«Oh… dio…» Tutto quello che si era spezzato dentro di me venne fuori nel filo di voce che avevo. Come se lui avesse davvero potuto sentirmi.
Non era mai stato come quella volta, la sera in cui Jacob era tornato dal funerale.
Potevo ancora sentire le sua mani pesanti sul mio corpo, a possedermi senza scuse e permessi e dolcezza. La sua bocca sulla mia, il dolore alla testa mentre mi faceva sua, forte e senza controllo.
Era sbagliato. Tutto quanto.
Perché lui stava scappando.
«Dimmi chi è.» mormorai, ma mi odiai anche per quello. Perché nella mia voce non c’era né suono né sfumatura. Era solo dolore, ferite, e sangue invisibile. Un ammasso di graffi.
«La figlia di Bella… Re… Renesmee. »
Graffi sulla pelle dove veniva buttato solo acido, a creare uno strato di bruciato.
Renesmee.
La figlia di Bella.
Una… una bambina.
«Liz. »
Non sono più nessuno.
«Tu non me l'hai detto...»
«Ascoltami.»
«Non mi hai detto niente. Nemmeno una parola.»
«Avevo paura.»
«Anch'io, Jake! Adesso! Basta guardarti!Non riesci a tenerti in piedi...» 
«Lizzy, aspetta...»
«Ho bisogno di stare da sola.»
«No... »
«Devo... devo pensare... ho bisogno... io mi sento male, Jake. Non posso stare qui. » Presi un respiro profondo, avevo distolto lo sguardo. Tornai a guardarlo, e un valanga amara mi raggiunse la bocca. Erano tutti i miei sogni, frantumati in tante piccole schegge. 
«Ti prego... »
«Lasciami andare.»
«No.» Mi mossi nella sua presa, lui era troppo forte, come sempre. Ma non poteva vincere, non stavolta. Perché se per stare con me lui soffriva, sentiva dolore, e moriva… allora avevamo perso entrambi, soprattutto io.
«Lasciami andare. »
«Liz, ti amo.» Ancora l’espressione del dolore addosso.
Dammi il tuo dolore Jake, ma smettila, Smettila di farti del male.
«E l'imprinting... »
«Non c'entra...»
«Essere tutto quello di cui ha bisogno, essere felici… »
«Io sono felice con te. »
Mi misi una mano sugli occhi. Il mondo appariva a macchie, un dipinto venuto male, acqua ad inzuppare tutto.
«Sei quasi morto per questo. Tu non devi morire per me.» 
Mi scostai. Le mani di Jacob mi presero per le spalle, mentre io continuavo a dire sempre la stessa cosa. Lasciami andare.
Una volta, con il suo viso sul mio a guardarmi con gli occhi lucidi, gli avevo pregato di non farlo mai.
«No… no, Liz. » 
Dovevo andare via.
Vuoi rimanere. 
Non doveva più toccarmi.
Vuoi essere toccata.
Mi allontanai.
«Mi dispiace... non posso.» Avevo avuto la forza di sussurrarlo, perché era la verità. Lui continuò a chiamare il mio nome, mentre io mi acchiappavo le lacrime con la mano, il palmo completamente aperto. Non era riuscito a fermarmi e il motivo era solo uno.
Era stremato.
Raggiunsi l’uscita, veloce. Quando mi trovai fuori ispirai l’aria come se avessi passato tutta la mia vita in apnea.
La notte scendeva sugli alberi della foresta, mentre il ricordo infondeva le sue ferite su di me.
Avevo le vertigini, i brividi. Il caldo che mi prendeva dal collo fino alle gambe, forse era febbre. Raggiunsi casa di Billy, non era mai stata così fredda. Appoggiai la giacca all’appendiabiti di metallo, inciampai nel tappetino, andai a sbatterci troppo. Mi graffiai la ferita, la parte di pelle con i punti. Sgorgava di nuovo il sangue. Bagno, acqua, fazzoletti.
Letto, lacrime.
È finita, Lizzy.
Strinsi i palmi, un fazzolettino ad aiutarmi, per fermare il sangue.
Lo amo e devo salvarlo.
«Dio, Lizzy, ti ho cercato dappertutto. »
Avevo ancora gli occhi chiusi e singhiozzavo. Non volevo che mi vedesse, ma a quanto pareva c’era chi pensava a me.
«Leah… »
«Lizzy… che ti prende?»
La guardai, ma era sfuocata, come sfumata in modo esagerato.
«Lui sta male... voglio... aiutarlo.»
«Si riprenderà... che cosa dici? »
«Sono io che lo faccio stare male.»
Inarcò le sopraciglia e mi prese per le spalle, sembrava preoccupata.
«Che cosa dici? »
«Ha avuto l’imprinting con... la bambina di Bella e Edward. Due… due settimane fa. » E mi venne fuori un singhiozzo. Non sembrava più nemmeno la mia voce, quando l’avevo detto. Leah mi abbracciò, forte. Mentre io non smettevo di piangere.
«Jacob...»
«Si sta uccidendo... e sono io, sono io... »
«No, no. » Mi scosse, ogni cosa vibrava. «Sta combattendo per te.»
«Io ho paura per lui, Leah, io non so niente di questo mondo a parte quello che ho visto. E vedo che lui… lui sta male, sta malissimo… »
«No. No, Liz, tu lo ami. Devi restare con lui, devi provare, fare qualunque cosa per...»
Provare? Provare a far cosa? A dargli il permesso di uccidersi per stare con me? Dio, mi sembrava di sentire il sapore del sangue della bocca per tutte le volte in cui mi aveva detto ti amo in quelle settimane. Che cosa succedeva dentro di lui? Non lo sapevo. Ma ero abbastanza sveglia da intuire che fosse qualcosa di insopportabile e terribilmente doloroso.
Ma come facevo a lasciarlo? Si possono separare due persone che si amano?
Come fango e pioggia, insieme ci eravamo uniti, come incastrati. Adesso era caduto un meteorite su tutto il nostro mondo, ed ero rimasta accecata.
«Non devi mollare.» disse.
Devi resistere anche tu.
«Lui ti ama, ti ama da morire.» continuò.
Come si fa a lasciare la presa dalla propria vita? Lui era la mia.
E stavo cadendo nel vuoto.
Per smettere di amare ci vuole coraggio. Ed io non ero mai stata coraggiosa. 
Dovevo aiutare Jacob ad uscire da quella prigione a costo di ferirmi, ci avrei provato sul serio.
E avrei sofferto al suo posto.
***
Notte fonda. 
Carlisle mi aveva medicato e tolto la benda, la ferita era guarita in fretta. E quando uscii fuori nessuno osò dirmi nulla. 
Dovevo andare da lei.
La casa vuota, mio padre da Charlie a Porta Angeles.
Aprii la porta della sua camera, e il rumore flebile del suo respiro mi condusse da lei, supina sul letto,  una mano fra i capelli legati e l’altra sicuramente stesa sul fianco, anche se non potevo vederla. Aveva gli occhi chiusi, e qualcosa scintillava fra le sue ciglia, nel buio. Si girò ed io trattenni il respiro. Non stava dormendo.
«Liz. »
Mi avvicinai e lei si mise seduta, in modo velocissimo. Feci qualche altro passo, mentre lei si alzava.
Allungai una mano.
«A-Aspetta... resta lì, non toccarmi. Come hai fatto a venire...»
Lama nella ferita.
«Sono venuto per te.»
«Aspetta.» ripeté, e la voce le si frantumò. Perché erano l’emblema di tutto, le sue fondamenta al dolore, quelle che stavano cedendo.
«N-Non ce la facevo a stare lì.» Deglutii.
«Jacob, io ti amo. Quello... che ti è successo non lo cambia.» Fu lei a fare un passo verso di me e un sollievo simile all’acqua sulla lingua per una persona che non beve da giorni mi invase. Ma durò poco perché lei tornò subito indietro, come se avesse sbagliato.
«Tu…» sussurrò.
«Tu sei la mia forza.»
«Non dire bugie. L'ho letto in quel libro, Jake. E poi… l’ho visto su di te. Il lupo ha scelto e… la scelta non sono io. »
«Ascoltami. »
«Soffrivi anche mentre mi dicevi ti amo e... »
«Ma non conta, perché io ti...»
«Non dirlo.» Mi guardò, con il terrore negli occhi. Non erano più le mie mani a spaventarla, non era più il mio tocco, le mie labbra. Era la mia voce, le mie parole.
La attirai a me, e ne fui ancora più sicuro. Perché non si scostò.
«Non dirlo.»
Dolore.
Lacci.
Renesmee.
Le si riempirono gli occhi di lacrime e non mi lasciò, ma posò il capo sulla mia spalla in un pianto che non aveva voce, mi scosse dal profondo. Non dalla pelle su cui cadevano quelle gocce calde, ma dall’interno. 
Io piangevo con lei.
«Io…»
Dolore.
Ti amo.
Sangue.
Carne trafitta.
Sfracellata.
«Io voglio… voglio solo…» singhiozzò.
«Devo dirtelo, Liz. »
Tornò a guardarmi, le sue mani intorno al mio collo, come quando avevamo ballato al ballo di inverno, come quando mi aveva baciato sul suo letto, nella mia stanza, come tutte le volte in cui ci eravamo abbracciati, in un passato vicino ma che sembrava troppo lontano.
Ti amo.
Pugnalate.
Catene.
Renesmee.
Una lacrima le rigò il viso, l’ennesima. La afferrai con le dita, prima di posarci sopra le mie labbra, a leccarla via. La sua guancia e la mia bocca, ad accarezzarsi. Io che sentivo le sue lacrime scendere ancora. 
Ti amo.
Quello che mi venne fuori fu solo un rantolio.
 Ti amo.
Un sospiro.
E con lo strazio negli occhi nascose il buio dentro di lei e sfiorò le sue labbra con le mie.
Un brivido mi percosse la schiena, mentre Liz mi baciava.
Ci misi un secondo a capire. Sempre che in quel momento ne fossi capace, perché per me era diventato impossibile.
Con una mano scesi sul suo fianco, aprendo la bocca. Liz. Le strinsi i capelli, forte, la guidai dove potevo stringerla di più a me, facendo tremare quella che doveva essere una vecchia libreria.
Renesmee.
No.
Le alzai una gamba e me la posai sul fianco, senza mai staccare la mia bocca dalla sua. Mi leccai le labbra, inspirai il suo profumo, feci scorrere le mie mani sulle sue gambe.
La baciai ancora, mentre lei premeva le sue mani sul mio petto. Forte, troppo forte, voleva che smettessi? Io non volevo smettere.
E ormai non capivo, non capivo più niente. Pensava davvero che avrei rinunciato a lei? Avevo tenuto tutto per me solo per proteggerla, per proteggere noi. E lei era bellissima, anche con gli occhi rossi di pianto. Toccai la mia lingua con la sua e la scossa mi colse lì, sul posto, a vivere e a morire per quel momento, forse l’unico che ci sarebbe mai stato, ma anche quello che avrei ricordato per sempre.
Socchiusi gli occhi, per guardarla. Era buio, ma io vedevo tutto. La sua fossetta sulla guancia, le sopraciglia inarcate, le labbra rosate. Continuai a baciarla, e il gemito che le venne fuori risuonò nel silenzio. Poi sentii le sue mani stringermi la nuca, accarezzarmi, scendere sulla mia schiena. E la sua voce che diceva il mio nome, mentre io la facevo stendere sul letto e le sbottonavo il vestito di jeans. 
Non mi impedì di scioglierle i capelli, di toglierle ogni cosa, di stringere la bocca dove lei tremava. «Liz… io…»
«No. Non parlare. » Quel poco che avevo addosso era già ammassato insieme ai suoi vestiti. Cercò di nuovo la mia bocca, prepotente come non l’avevo mai conosciuta. Mi venne sopra, leggera.  E le sue labbra erano morbide e calde, come le sue mani. Dissi di nuovo il suo nome.
«Non parlare.» sussurrò. Piangeva ancora, lei. Dio, no, no, no. Non potevo sopportarlo. La spostai al lato del letto, quasi con violenza, mentre la ritrovavo. La guardo e mi fa dimenticare chi sono. La guardo e mi fa ricordare il mio nome. Le mie mani sulle sue ginocchia, è l’unica persona che può avere ancora tutto di me. Ferito per Bella, ferito per Renesmee, ferito, ferito… e rinato per lei.
“Ti amo ti amo ti amo.”
Spingo la lingua, lei si è arresa, io no. Spingo piano, a poco a poco. Scopro che cosa posso sentire. Ascolto che cosa può sentire lei e non capisco più niente. Si è arresa, a cosa non so. Io no. Io combatto. Le sue mani sono fra i miei capelli, le tengo ferme le gambe,  divento veloce, forte e non ho nessuno intenzione di fermarmi. Mi sta chiamando, mi sta pregando. Spingo la lingua e la sento nelle orecchie,  nel corpo, nelle sue mani, nella voce che non riesce a trattenere.
«Liz…» Ci riprovo. Non può essere lui a vincere, anche se c’è il dolore, anche se c’è Renesmee. Sono qui, e la sto amando, e lei ha tutto di me, anche questo. Deve avere anche questo.
Mi guida verso il suo viso, preme la sua bocca sulla mia, per poco. Metto le mani ai lati della sua testa, per non schiacciarla, per non farle male. Gliene ho già fatto abbastanza, anche ora che si morde le labbra. Anche ora che la bacio e sento il suo sangue e non riesco a controllarmi quando penso che alla fine sono riusciti a bere anche poco del suo.
Sono con lei.
Anche adesso che lei si aggrappa alle mie spalle e stringe le gambe intorno al mio bacino. Ma io non scappo, non scapperò. Sarò sempre dove sarà lei.
Mi implora, mi prega, e mentre la amo così anche la voce sembra qualcosa di lontano, se non è quella che mi viene fuori senza chiedere a me, prima.  “Ti amo, ti amo, ti amo.”
Anche adesso che le stringo le mani, le braccia stese sui lenzuoli, a cercare, a trovare, a restare stretti, qui, per sempre. I sospiri, l’amore, la sua voce, i nostri nomi. Io e lei, lei e me. Tanto tempo. I suoi sorrisi a scuola, i compiti andati male di biologia, i disegni bellissimi, i biscotti cucinati male, la grida schizzinose di sua sorella, le chiamate perse di mia zia, i giorni e i pomeriggi, i libri, i sogni, gli abbracci, i baci. Siamo qui, insieme.
Anche adesso che mi butto ancora sulla sua bocca e dio, non ho più fiato, l’ho perso tutto. Non posso dire una parola, non più. Mi ha tolto via tutto. Ora non è Renesmee, è Liz. È stata lei a prendermi, e lei non mi farà più tornare. Come posso seguire l’imprinting se la mia strada è questa?
Lei è con me, mi ama.
Manda indietro la testa ed io chiudo gli occhi, e il calore che mi tormenta ogni giorno della mia vita diventa lava bollente e scende, mi brucia. Lascia scottature, ferite che non si rimangeranno mai. Anche ora che lei mi abbraccia, e Renesmee e il dolore hanno lo stesso volto. E Liz nella mia testa splende, come ogni volta, e la sua pelle sotto le mie mani è morbida, apro gli occhi ed è chiara.
È la mia Liz. Le sue mani mi toccano ancora. Quanto amo i suoi occhi, mi dicono tutto. Adesso non piange, adesso non parla. Mi guarda solamente e mi perdo. I suoi occhi.
Marrone chiaro, nocciola, al sole ancora più chiari. Grandi, con le ciglia lunghe, a guardare me, sempre. Le sue mani. Chiudo gli occhi. Le sua mani. La stringo ancora, e la bacio. La bacio e non smetto. Sulle labbra, sulla fronte, sulla guancia, sul collo. "Ti amo, ti amo, ti amo." E sulla spalla, e sul petto, e sul braccio, dove c’è ancora quella cicatrice da ferro da stiro, e sul ventre, e poi risalgo e le sue mani mi accarezzano ancora.
Dolore...
Renesmee.
Dolore.
Liz.
Quasi gemo, serrando gli occhi, le mie labbra premute ancora sulla sua bocca, le nostre mani intrecciate.
Non sono più mani. 
La vita cresce, l'acqua scende, la terra gira.
Sono spine.
"Non smettere di toccarmi."
Sanguino.
La abbraccio.
Mi dice ancora ti amo, e nel suo sguardo c'è tutta la speranza e la forza del mondo.
Faccio un respiro profondo.
L'eco delle sue parole è lontanissima.
Mi sento cadere e il suo viso è l’ultima cosa che vedo. 
Acqua. Sete. Una carezza. 
Chiude gli occhi e la speranza è buio nella notte. 
Fin quando possono accarezzare le spine, senza far sanguinare?

Chiusi gli occhi.
E la forza di gravità mi trascinò nel sonno.
*
*
*
*
Ciao, carissimi. Non me la sento di dire molto di questo capitolo, credo che possa parlare da solo. Spero che vi sia piaciuto, o che almeno possa avervi trasmesso delle emozioni, anche se immagino che non siano delle più felici. La bellissima canzone che fa da introduzione al capitolo me l'ha suggerita Daniela, che mi segue su facebook <3 Grazie mille, Dany! <3 <3 <3
Per il resto, vi ringrazio tantissimo per leggere. Mi farebbe davvero piacere sapere che cosa ne pensate <3
Un ringraziamento speciale a Maria_Black, perché sei davvero una lettrice favolosa <3 Grazie a Noemi, J, Virgy, Fufe, Caterina, 4lb1c0cc4, Tere, Steffy e a Brigida che legge questa storia pur non avendo trovato i capitoli cancellati a causa del problema.  <3 <3 <3
La stesura di questa storia è stata terminata, ebbene sì, quindi Destiny Heart, nel mio pc, ha il suo finale. Spero di essere molto più frequente con gli aggiornamenti :D Ah, se vi va, ho ri-postato la storia su Leah, "Soul's Wind". Ci sarà un capitolo alla settimana, è uno spin-off di questa storia, anche se si può leggere pur non avendo letto DH. Vedrete come Leah ha conosciuto Brian ed è finita con lui :) La potete trovare qui <3
Grazie davvero a tutti voi.

Ania <3

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Capitolo 8
*** 64. Tramonto ***


jake 64

64. Tramonto

Mentirai ai miei occhi 
Sbaglierai se mi tocchi 

Non puoi dimenticarla 

Una bugia quando parla
E sbaglierà le parole 
ma ti dirà ciò che vuole 

La paura che - Tiziano ferro

Sei la sua condanna. Non vuoi liberarlo?

Aprii gli occhi quando me lo disse il cuore, fra le sue braccia calde. 

Ero rimasta immobile ad ascoltare il suo respiro profondo ed il mio leggero, silenzioso. Ad accarezzargli il petto e le braccia, come se lo stessi scoprendo per la prima volta. Come se non avessi mai davvero guardato Jacob. Jacob che, la notte appena passata, si era accasciato fra le mie braccia, tremante, con gli occhi chiusi.

Così lo guardavo e mi addentavo al suo respiro. Contavo quanto tempo passava fra uno e l’altro, la sua pancia che si alzava e si abbassava contro il mio corpo. Viveva, Jake viveva ancora. 

Sei la sua tortura, non vuoi che smetta di soffrire?

Che cosa avevo chiesto? Che sopravvivesse alla battaglia. E almeno questo l'avevo avuto.

La vita è anche dolore e morte. Ma dolore e morte trovano un luogo in cui svanire e hanno sempre un punto di incontro. Insieme, adesso, quel punto non sarebbe mai stato raggiunto.

Sei il motivo per cui muore, non vuoi che continui a vivere?

Così lo guardavo, lo guardavo ancora. E lo toccavo e non riuscivo a trattenere le lacrime, mentre il suo viso meraviglioso svaniva sotto i miei occhi. 

Sono io la sua condanna.

Dovevo tenerli aperti, dovevo ricordarlo per sempre anche se avrebbe fatto male. Le sue labbra erano morbide contro le mie dita, le rammentavo in tutti i modi possibili. I miei pensieri cucivano e formavano la sua bocca nella mia mente, lui che mi parlava, faceva un fischio a scuola, mi baciava per la prima volta e mi rendeva donna.

Sono io che gli faccio male. 

Avevo creduto che tutto questo durasse per sempre, ma il per sempre esisteva solo per lui. 

Voglio baciarlo. Non voglio lasciarlo, voglio stare con lui per tutto il tempo del mondo. Lo amo, lo amo, lo amo. Come faccio a lasciarlo? Lo amo. Come possiamo vivere separati? 

Le lacrime scendevano sul mio viso e adesso non vedevo davvero più niente. Jacob dormiva, sfinito di tutto.

Sono io che lo rendo debole. 

Sospirai.

Di nuovo la sua bocca dove non è mai stata e le sue urla e le sue mani a tirarmi i capelli, a ferirci, le mie unghie, le mie gambe… Era tutto così intenso che potrebbe essere appena accaduto.

E non accadrà mai più.

Sciolsi il suo abbraccio e posai le sue mani sulla coperta. Addormentato, dimentico di tutto.

Fallo per lui.

Mi alzai dal letto senza smettere di guardarlo.

Apro la porta e mi mordo le mani, e piango, e trattengo i singhiozzi. 

Non si sveglierà. 

Non mi vedrà piangere. 

Mi sciacquai la faccia. I capelli fradici sulla mia fronte. Mi infilai nella doccia. 

Una goccia bollente mi trafisse il viso. 

Jacob. 

Mi misi qualcosa addosso. Trascinai la valigia in cucina.

Il sole era sorto ed era la prima volta che lo vedevo a Forks. Forse era sorto per noi, forse era solo una presa in giro nei miei confronti. Forse voleva dirmi che la mia scelta era una nuova alba per Jacob, perché in tutti in quei giorni io ero stata solo la sua notte.

Dovevo trovare le parole giuste, maledizione. Mi appoggiai al lavello, mi misi una mano fra i capelli. La luce mi prendeva il viso e mi bruciava gli occhi. Le parole, che parole potevo dire?

Io… io… Dio, come si fa…

«Che significa quella valigia?»

Mi voltai di scatto e restai senza fiato. 

Indossava solo dei vecchi jeans, gli occhi un po' gonfi, ugualmente capace di togliermi il respiro.

«Io… Jacob… »

«Dimmi che significa.» 

Feci un respiro profondo. La luce che filtrava dai vetri a rimbalzare sulla sua pelle bronzea.

«Voglio andare a casa, Jake.»

Lui sospirò. 

Di sollievo, sembrava. 

Perché?

«Ah… ok, va bene… Devo… devo avvisare Billy… »

«Ci vado da sola.»

Il suo sguardo mi trafisse. Nero e lucido, mi scorreva nelle vene come il mio stesso sangue. 

«Che significa?» La sua voce si inclinò, mentre lui si appoggiava al tavolo.

«Quello che ho detto, Jake... Quello che ho detto.» Mi presi l’elastico dal polso e mi legai i capelli, di fronte allo specchio nel corridoio. Lo sguardo di Jacob mi era addosso, dallo specchio e da dentro, senza cambiare mai. Ma il fatto che i suoi occhi fossero lucidi non era perché ce li aveva proprio così. I suoi occhi erano acqua davvero, adesso.

«Vuoi lasciarmi.»

Mi morsi le labbra, faceva male.

Fa tutto male.

«Noi....» sussurrai. «Dobbiamo aspettare un po' di tempo... io non posso lasciare che tu... »

«Aspettare? Aspettare cosa? Che mi uccidano?»

«Jake... non voglio che tu stia male... » Respiravo sempre più a fatica. «Stare lontani almeno per un po'...»

«Stanotte non volevi starmi lontana.» 

Colpo al petto. 

Affonda. 

Affonda. 

Affonda.

«Stanotte eravamo sconvolti.»

«Ah, e non ti è piaciuto? » Chiusi gli occhi, come di riflesso.

Sentii le sue mani che mi prendevano i polsi, me li fermò dietro la schiena, e il suo viso era vicinissimo al mio. Il suo respiro bollente mi cadeva sulla bocca.

«Jacob, lascia che...»

«Tu mi ami. »

«E tu hai l’impriting con un’altra.»

«Non c’entra un cazzo. »

«Ti ferisci quando stai con me. »

«Non è ver… »

«Non ci provare. Non ci provare mai più. »

«Ma io… io... io ti… » Di fonte a me, di nuovo il dolore lo faceva tremare. Sta cercando di dirtelo ma qualcosa lo tira da un’altra parte.

«Ti vedo, Jacob.» La mia voce si spezzò. Schegge di sogni.

«Liz…» Continuò a stringermi. «Non lo puoi fare...»

«Io ti amo. » sussurrai, e mi faceva male la gola e gli occhi e ogni cosa, la mia pelle toccata da lui, così vicino a me. Lo sentii contrarsi, si stava sforzando, non riesciva a parlare.

Sospirai, mi tremavano le labbra. Non riusciva a dire nulla senza soffrire. «Devo lasciarti vivere.» E al diavolo tutto, piangevo di nuovo.

«Non ci riuscirai.» La sua voce era roca.

«Noi... noi ce la faremo.»

«Ho bisogno di te.» 

Gli accarezzai i capelli, scesi sulle sue spalle. 

Piano.

In punta di piedi. 

Allontanai la testa e cercai i suoi occhi. Fece una smorfia con la bocca, era sempre più teso. 

Avvicinai il suo viso al mio.

Ho fame del tuo dolore e ne prendo tutto quello che posso. Ti bacio e non respiri. Le tue mani sui miei fianchi, un gemito dalle tue labbra. Il dolore è marcio da troppo tempo, qualcosa che è solo veleno, ucciderà con il tempo. 

E il tempo sono io. 

Lasciai che poggiasse la sua fronte contro la mia, la sua pelle bollente a scaldarmi. Gli lasciai le mani, pianissimo. Mi voltai, ancora troppo lenta, le sue mani sui mie fianchi e la sua bocca a respirarmi il collo. Lo specchio.

Fissai i miei occhi: nocciola, marrone chiaro, gli occhi della mamma, grandi. Le ciglia, la mia bocca, tutto il mio viso, ogni cosa mentre lui scompariva come nebbia dal mio futuro.

La mia mano era ancora nella sua quando mi diressi in soggiorno e lui respirava, il suo respiro faceva rumore nel silenzio.

Presi in mano la valigia. Mi strinsi nelle braccia, lui di fronte a me.

«A...»

«Addio un cazzo.» Mi fece scivolare il manico dalle mani e mi afferrò il polso. Scottature. «Addio lo dici ai morti, Liz. »

Mi morsi la lingua. Non era quello che volevo dire. Forse un "aspetta" per non lasciarlo così presto.

«Tu... tu ti riprenderai. Starai bene.»

Lasciami andare.

Non sarei riuscita più a baciarlo, né ad abbracciarlo, anche se avrei potuto passare tutta la vita a pensare ai sui baci e ai suoi abbracci.

«Non voglio neanche pensare... alla mia vita senza di te...» 

«Devi vivere, stare bene e basta.» Cercai di mantenere la voce ferma, ripresi il manico, presi fiato, cercai di respirare. Inspirare e espirare non era più come una volta, mi sentivo un automa che era stato programmato per fare solo quello. «Tu... tu starai bene e...  Staremo bene. E... andrà tutto bene, e torneremo insieme.»

Ignorai il calore morbido che mi prese il petto al suo abbraccio.

«Ce la faremo, ce la farai.» La mia voce sembrava sicura. Ma non l’avevo guardato negli occhi. Se l’avessi fatto mi sarei sentita congelare e la mia voce avrebbe tremato come se mi fossi trovata in un terreno smosso da un sisma. Ma ci sono tipi diversi di catastrofi, naturali allo stesso modo. Quelle dei sentimenti.

E questa volta mi prese di nuovo per il mento. I suoi occhi erano scuri e sporchi di dolore. Li avrei ricordati per sempre. «Io so di non meritarti. E tu meriti di più. Un raga-ragazzo che ti faccia ridere e… stare bene davvero... Un umano… migliore di me. Perché te lo meriti, cazzo. Ma io continuerò a combattere, non mi arrendo. So che lo stai facendo per me ma non mi importa, io non mi fermerò.»

Non piangere, non piangere, non piangere.

«Jake… »

Non piangere, non piangere, non piangere.

Mi scostai da lui, corsi verso la porta. L’aria fredda mi arrivava in faccia, il cielo era grigio e ora non c'era traccia del sole. Lo stavo lasciando dietro di me, mentre mi seguiva lasciava scie sul terreno. Se di fuoco o di sangue, non volevo saperlo.

Aprii la portiera.

Misi la valigia del cofano. Mi avvicinai allo sportello, lo sfiorai.

Entrai in macchina, inserii la chiave. I finestrini si abbassarono da soli, era stato lui a mettere quell' impostazione. 

Odio. Lacrime. L'amore brucia.

«Aspetta. » Era la sua voce che si spezzava.

«Perché?» Quasi urlai. 

Ma non mi fermai.

Un tonfo, mi girai. Dio, Jacob era appoggiato alla mia macchina anche se mi stavo muovendo. Stavo per aprire lo sportello chissà per fare cosa, quando il suo viso era luce e tenebre su di me e i suoi occhi mi intrappolarono in un solo momento. Un momento che non avrei dimenticato mai.

Le lacrime graffiavano.

«Ti amo. » 

Lo aveva detto.

Sospirai, mi portai una mano agli occhi perché ero ridicola, una bambina. E quello non era il mio posto.

Un giorno tornerò a vedere come stai.

«Ciao, Jacob.»

E non guardo più indietro.

È mattina ma la luce cala.

Il sole non c’è più.

*

*

*

*

Ciao a tutti. La canzone a inizio capitolo me l'hanno consigliata Daniela e Noemi, grazie mille ragazze <3 <3 <3

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate capito Liz. Perché a volte amare qualcuno significa anche lasciarlo andare, e a lei questa sembrava la scelta più giusta per impedirgli di soffrire. Alla fine della storia mancano dieci capitoli, quindi ho un po' di cose in mente per voi :))

Un grazie speciale a Daniela, che in chat parlando delle sue teorie riguardo alla storia ci ha preso ampiamente con questo capitolo <3

Spero di essere riuscita a trasmettervi delle emozioni.

E spero anche di riuscire ad aggiornare una volta alla settimana :))

Un bacio e grazie a tutti voi, siete davvero speciali.

Ania <3

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Capitolo 9
*** 65. Convalescenza ***


jake 65



65. Convalescenza.


Notte fonda, sveglia ad un’ora assurda. Acqua che riempiva la mia bocca, schizzi sul mio viso, un ragazzo che somigliava a me nello specchio.

Mi avvicinai all’interruttore, per spegnere la luce della cucina.
Rimasi immobile davanti al calendario.
Un mese.
Immobile.
Un mese.
E lo stesso libro che aveva letto Liz mi era capitato fra le mani. Così, proprio adesso, mi vennero in mente delle parole che forse lei non era mai arrivata a leggere.

Solo un uomo lasciò il suo imprinting perché continuava a ferirsi e ad amare la donna a cui era promesso prima dell'imprinting. Lasciò le sue spoglie umane e la sua terra per vagare in forma di lupo. Perché se non poteva avere la sua donna, allora non avrebbe voluto avere niente.
Mi appoggiai al muro, mentre tutti i numeri mi entravano in testa in un vortice rumoroso. Mi morsi la lingua, trattenni un gemito.
Lei non tornerà.
Non sapevo nemmeno come mi era venuto in testa di ricominciare a fare i controlli insieme ai ragazzi, di entrare di nuovo nel branco. Era passato un mese preciso... Trenta giorni senza di lei. O trentuno, chi cazzo si era messo a fare i conti, era uguale.  
Lei non tornerà.
Uscii di casa e ogni cosa divenne buia, mentre il lupo colorava di rosso e calore il mio corpo.
“Jake, ci sei?”
“Sì.”
Embry si era ripreso. In realtà aveva aperto gli occhi dopo due settimane, e Sam non si era nemmeno preso la briga di farlo restare al riposo. No, c'era l'emergenza dei nomadi che passavano da quelle parti, come se Embry non fosse abbastanza incasinato per i conti suoi.
Bella coppia di amici, eravamo. Conoscevo Ashley come se l’avessi davvero incontrata, la consistenza del tomo universitario sbattuto contro il braccio e il sapore amaro di quando lo – mi – mandava via.
“Chi siamo?” gli chiesi.
“Solo noi due.”
“Perché?”
“I nuovi si confondono quando ti entrano in testa, lo sai.”
Sbuffai.
“Femminucce.”
Sentii la risata di Embry, lui non aveva dimenticato come si facesse, nonostante tutto.
Collin era ancora in coma.
Non sapevo se tutto questo fosse successo per la morte di alcuni componenti del branco come Paul, ma poche settimane dopo la battaglia dei ragazzi avevano cominciato ad avere la febbre alta e bum, sei un licantropo, bingo.
Vorrei dirti che hai vinto ma non è così.
“Come va con Rachel?”
Mia sorella si era fermata a Forks dopo il funerale di Paul, e non era ancora andata via. Se la cavava anche senza le lezioni del college di Santa Monica e studiava a casa, tutto questo senza dirmi di più di “Hai fame?” “Che vuoi?” “Non entrare in camera mia.”
Ma lei ha perso Paul.
Proprio come l'ho perso io.

“Ho capito.” Era sempre Embry. Ci leggevamo nel pensiero, era vero. Ma era come se ci fosse qualcos’altro, da quella volta in cui ero riuscito a entrare nella sua testa quando il suo cuore – inspiegabilemnte – aveva ricominciato a battere.
“E tu come stai?”
“Domanda di riserva?”
Risi.

Fa male anche respirare, adesso.
A volte correvo nella foresta, ringhiando verso tutti gli animali fino a scorticarmi gola e pelle e zampe, mentre i lacci del lupo mi portavano sempre da una parte.
Ma io svoltavo e tornavo indietro.
“Jacob, sai che non puoi continuare così…”
“Aspetto che Collin si rimetta, non voglio lasciare tutto senza che tutti quelli che sono stati coinvolti non mi abbiano sputato in faccia.”
“Collin non ti sputerebbe mai in faccia.”
Sospirai.
“Questo non è più il mio posto, il mio posto non è da nessuna parte.”
Vidi il suo muso dorato emergere dall’oscurità. “Sai che Sam non te lo lascerebbe fare.”
“Sam ha il suo branco.”
“Nelle leggende…”
“Meglio vivere da animale che vivere così.”
La notte faceva silenzio, ad ascoltare i pensieri di due lupi con il peso del mondo e della protezione degli umani addosso.
Alzai il muso e l’aria più fredda mi accarezzò il pelo. Cominciai a correre verso i confini, affinando l’olfatto e l’udito.
Ringhiai, mentre Embry mi seguiva. Vaghe immagini di una ragazza con i capelli rossi erano sullo sfondo dei miei pensieri. Venni immerso da dei lacci di metallo, come a creare una gabbia su di lei. La sua pelle non era più pallida, ma rosata, i capelli non più rossi, ma castani chiarissimi. Lei che mi guardava, lei che mi parlava, lei che mi diceva ti amo e poi andava via.
Liz.
Che cosa pensi che faccia, Liz? Pensi che stia abbracciando Renesmee nel suo letto, che stia pensando a quanto sarà bello quando crescerà?
Non la vedrò crescere.
Non la vedrò andare a scuola, truccarsi, diventare grande, assomigliare a Bella ogni giorno di più.
Se è lei e non tu...
Non posso vivere

***

«Allora, scegli. Rosso o blu?»
Lucy teneva in mano due vestiti, un sorriso che accecava mi sulla faccia e il suo solito tono di voce incalzante. Mi passai una mano fra i capelli.
«Blu.»
«Va bene, rosso. »
Sbuffai.
«È troppo appariscente.»
«Ma devi cambiare look.»
«Sai che non mi va.»
«È l’alternativa a cambiare pettinatura, l’hai scelta tu.»
Ignorai i vestiti che sarei andata a schiacciare e mi sedetti sul letto, a braccia conserte. Feci un respiro profondo.
Fa ancora male respirare.
«Non mi va.» Mi portai le ginocchia al petto.
«Ma no, tesoro… »
Lucy poggiò tutto quello che aveva in mano sulla sedia accanto al letto e venne a sedersi accanto a me.
«Tu sei una ragazza fantastica.» I suoi occhi marroni mi accaldarono in un abbraccio che non mi aveva ancora raggiunto. Quello di una delle mie più care amiche.
E avevo dovuto inventarmi una storiella. Dire che Jacob era rimasto a Forks perché dei suoi amici si erano fatti male era stato abbastanza semplice. Poche domande da parte loro e risposte vaghe da parte mia. La mia scarsa dote nell’essere credibile mentre dicevo: “Va tutto bene”.
Era già passato un mese da quando avevo visto Jacob per l’ultima volta.
«Lucy. Non parliamone.»
«No, invece ne parliamo. Tu sei bella e intelligente e una persona allegra che non si fa mettere sotto da nessuno. Non sarà un maschio a farti stare così, d’accordo? Sei bella, te l’ho già detto? E intelligente e spiritosa. È passato un mese e devi piantarla. »
«Ma sto bene. E poi noi... stiamo insieme. Cosa c'entra se...»
«Non dire cazzate, non sono cretina. L'unica volta in cui sembravi quella di prima avevi bevuto il caffè.»
«Quella di prima?»

«Non mi prendere in giro.» Sembrava arrabbiata... eppure mi abbracciò. Un abbraccio fatto di braccia strette e un po’ ossute.

―Che bello che sei venuta alla mia festa! ― Lucy indossa un vestitino bianco, è il suo decimo compleanno.

―Ti ho portato il regalo. Ho convinto mia nonna a portarmi al megastore…― Le porgo la scatola ma lei mi abbraccia prima che io possa dire qualcos’altro.

―Grazie, Lizzy. ― Mi prende la scatola dalle mani. I capelli castano scuro sono raccolti in delle trecce, le cadono sulle spalle. ―Stiamo giocando al gioco della bottiglia, ma Walter non è ancora arrivato. Menomale... bleah... Tanto io dico sempre “schiaffo” così non bacio nessuno.

«Stasera chiamiamo Dina e ci vediamo un bel film. Niente di romantico, ma con fighi in primo piano. » Mi sorrise.
«Vada per il film. Ma... aspetta, tu non dovevi… »
«Vedere Walter? Sì, certo. Quel cretino mi fa sempre incavolare. Ha posticipato l’appuntamento di due ore perché ha invitato i suoi amici delle elementari a giocare alla play a casa sua, si può? Ma se lo mangiasse, quel joystick. Voglio sbavare su Jonny Depp.» Si alzò dal letto e prese il suo cellulare. Era velocissima su quel touch.
I capelli le arrivavano fin poco sopra le spalle, li aveva tagliati da poco ed era ancora strano vederla così. A volte però bisognerebbe accettare le cose così come vengono, anche se sono cambiate. Dare un taglio netto e accettarlo, soprattutto se si sa di aver fatto la cosa giusta.

«Dina! Non ti ho interrota, vero? Mark è lì con te, no, vero? Ah, c’è? Allora solutamelo… Dina… ma hai il vivavoce? Toglilo subito! L’hai tolto? Ecco, stasera serata fra ragazze non dire che non puoi… no dai, guardiamo un film con Jonny Depp, lo faccio scegliere a te. “Neverland”? Senti... ma non ne conosci uno in cui fa sesso?»
Mi adagiai sui cuscini, i tessuti lisci e freschi sotto di me. Mi misi una mano sulla pancia, ad ascoltare il mio respiro. Forse era stata la mossa giusta. Dovevo solo lasciare che il tempo passasse. Io non mi ero arresa e nemmeno lui.
Il tempo guarisce le ferite ma il dolore resta lo stesso.
Al dolore ci si abitua, prima o poi. Perché l’amore non è per sempre. Ma per sempre è quello che rimane. I ricordi e i segni, che non vanno mai via.
*
*
*
*
Ciao a tutti :)
Un capitolo di passaggio per farvi capire come vanno le cose. Spero comunque che vi sia piaciuto :)
Spero di aggiornare presto con il prossimo. Vi ringrazio tutti, siete meravigliosi. E grazie per leggere questa storia che racconta i nostri Jacob e Liz, e ha visto crescere anche me, nella scrittura e nella vita.
Grazie davvero.
Un bacio
Vostra Ania <3

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Capitolo 10
*** 66. Pazienza ***


jake 66

66. Pazienza



Just have a little patience,
Still hurting from a love I lost,
I'm feeling your frustration,
but in any minute all the pain will stop,
just hold me close inside your arms tonight,
don't be to hard on my emotion.
Patience - Take That

Larry, quello nuovo, aveva avuto l’imprinting con una quattordicenne che una volta gli aveva scritto una cosa sporca su un bigliettino. Lui l’aveva mandata a fanculo, ora si diceva tremila parolacce per quel giorno.

Certo, quando lui le aveva chiesto scusa lei si era portata la mano alla bocca e aveva riso. Quel tipo di risata che fa hi hi hi.

Bellissima risata.

No, era orrenda.

Hi hi hi.

Ride come un’oca, in un ricordo lontano Larry sghignazzava.

Adesso sognava quella risata ed io la sentivo, hi hi hi, e la vedevo, lacci d’acciao, nella sua testa.

«Lei è un po’ frettolosa, ma forse è meglio aspettare. » Larry si mise la mano dietro la testa, mentre io divoravo una fetta di torta di Emily.

«Vuole già scopare? » Trevor somigliava a Paul. Uscite fuori luogo e risate rumorose, ma con quella sfumatura di idiota che Paul nascondeva molto meglio, e non l'avrei mai detto. Quanto mi manchi, amico mio.

Embry rideva, la faccia di chi la sa lunga. Io pensavo al sesso e al posto di eccitarmi mi saliva l’acido in gola e un bruciore al petto mi arrivava alla pancia e poi saliva di nuovo su, a farmi male. Perché pensavo a Liz, alla sera del ballo, a quelle volte in cui tutto era successo di fretta perché il giorno dopo c’era scuola e non c’era un dannato posto in cui stare davvero tranquilli e poi a Forks, con la casa libera e…

«Pianeta Terra chiama Jacob. » 

La pelle di Liz scomparve dalle mie mani.

«Mhm? »

«Trevor dice che dovrei sbatterla, Embry si è astenuto, Jared dice di aspettare che lo chieda esplicitamente… »

Ah, quindi dovevo dire anche io qualcosa. Perfetto, che meraviglia.

«Tu non lo vuoi fare.» gli dissi.

«No, nel senso… »

«Lei non ti piace. È cinque anni più piccola di te, ha le lentiggini su tutta la faccia, un culo enorme e ride come un’oca. Non ti sarebbe mai piaciuta. Non vedo come tu possa fare a scopartela. »

Fuoco.

Pulsa, pulsa, pulsa tutto.

Cercai di aprire gli occhi, e trattenere un urlo fu inutile. Larry mi aveva dato un pugno e mi aveva fatto cadere a terra.

Un momento, potevo alzarmi.

Fuoco.

Ora una morsa intorno alla mia gola.

Soffochi.

«Tu… non… devi… mai… più…» 

Soffochi.

La mano stringe, la mano è dura, la mano graffia.

Aria, aria, aria.

«Larry, così lo uccidi. » La voce di Jared.

«È… quello che… voglio… che… devo fare. »

«Larry! » La voce di Embry che lo chiamava. Una mano sulle mie spalle, sulla mia faccia.

Uno strattone.

Cominciai a tossire. Non riuscivo ad aprire gli occhi, ma potevo ancora respirare. Sì, c’era l’aria. Non l’avevo sognata.

«Hai sentito che ha detto? Sul… sul mio imprinting… »

«Larry, calmati. Jake scherzava. »

Aprii gli occhi ed incontrai i suoi, quelli di Larry, la rabbia scritta nelle sue iridi scure e vuote di umanità, scelta, pensieri. Perché il lupo stava difendendo il suo imprinting.

Avevo capito tutto benissimo, non mi sarebbe mai successa una cosa simile. Ma lui non doveva difendersi da niente, non doveva salvare nessuna storia, e allora l’imprinting non aveva portato dolori.

Ma Larry era tenuto con entrambe le braccia da Jared e da Embry. Mi squartava la pancia con gli occhi.

Sembrava che mi odiasse già come se avessi cercato di mettergli il veleno nel bicchiere.

Gli uomini si scrivono il proprio destino da soli, dicono. Larry mi guardava ed io capivo. 

Liz era ancora nella mia testa e mi baciava per l’ultima volta.

Forse ero così irresistibile da aver attirato quella sfiga-destino  senza una penna in mano per scrivere e decidere. 

Uscii da casa di Emily.
Il bosco di Forks era fitto e scuro, di pomeriggio. Avevo messo in moto una macchina che Quil mi aveva portato da riparare, quando squillò il telefono.
Per la prima volta, un respiro di sollievo dopo più di un mese mi gonfiò il petto, anche se era accompagnato dalla voce di un vampiro.
Collin si era svegliato dal coma.
***

Quel giorno il cielo era nuvoloso e mi ricordava terribilmente Forks.

Ma potevo anche pensare ad un paese del nord dell’Europa, l’Alaska, Londra. 

Non pensare a lui.

Seattle è bellissima, grande e dispersiva.

Fatta apposta per me.

Va bene qualunque posto, basta che ci sia tu.

«Signorina, siamo arrivati.»

Ricominciai a vedere di nuovo Seattle e non più Londra né Forks.

«Ok, grazie.» Uscii dal taxi e pagai l’autista. Avevo passato tutta la giornata a ritirare i moduli per l’Università, a comprare i colori a tempera per quel progetto di presentazione. Perché le cose erano cambiate e andava tutto bene, quanto suona falsa la tua voce quando parli nella tua mente, Liz. Ora avrei visto i miei amici e mi sarei divertita. Come tutte le volte.

Quanto fai ridere quando dici le bugie.

Mi diressi verso la panchina del parco – la nostra panchina storica – c’erano persino i nostri nomi sopra. Ci poggiai la borsa sopra e l'album da disegni.

Lizzy frizzy, Waltie Water, Lucy Star, Dina Dark, Ronnie dance…

Era meglio che mi sedessi. 

Io stavo bene, lui stava bene. 

Questa era la perla di saggezza del giorno?

Dina e Mark non arrivavano ancora, e nemmeno Lucy. Avevo anche fatto ritardo e ancora non si presentavano. Tutto normale.

Stavo bene, benissimo.

Lasciamo perdere.

Cominciai a digitare il numero di Lucy sul mio cellulare preistorico. Pigiai sul tasto verde tre volte prima di avviare la chiamata. Dovevo comprarmene uno nuovo e buttare la scheda.

Lucy non rispondeva.

Dovevo eliminare le nostre foto dal telefonino...

Cancellarlo da un’immagine non lo cancellerà dalla tua vita.

Stavo bene, certo che stavo bene.

La vita assorbe tutto ma l’inchiostro si asciuga presto. Non va mai via.

Stavo bene, certo che stavo bene.

Sto bene, Jake, non mi vedi? 

Stavo bene, certo che stavo bene.

«Lucy? »

«Lizzy, scusami tanto! »

«Dove sei? »

Gli alberi del parco – Jacob che ci si appoggia su – lo scivolo per i bambini – Jacob ti prende la mano e ti porta lì sotto, piove, ti mette al riparo – il chioschetto dei gelati – ti ruba un morso senza chiederti il permesso, baci che profumano di cioccolato – bambini che correvano.

«Non ce la faccio a venire, mi dispiace. »

«Ok, ma sai qualcosa di Dina, Mark? Walter è con te? »

«No, è proprio impossibile. »

«Ma che succede? »

«No… niente. »

«Ok, ora me ne vado a casa. »

«NO! NO! Ma credi davvero che ti lascerei lì da sola?»

«Ecco… non è quello che hai appena fatto?»

Presi la borsa e mi alzai dalla panchina. Pomeriggio inoltrato d’estate, senza sole e con il cielo coperto. Una di quelle giornate che possono diventare belle solo se si è insieme a qualcuno.

«Tu… dovresti vedere un ragazzo.»

Rimasi immobile. 

La borsa mi andò a sbattere contro la gamba, la maglietta che mi lasciava scoperta una spalla svolazzava per il vento. Sentivo il sangue nella bocca, mi ero morsa la guancia.

«No.» dissi.

«Aspetta un attimo! Dai, non fare così.»

«Non sopporto queste cose. »

«Lizzy…»

«Ciao, Lucy.»

Chiusi la telefonata.

No, non mi dava fastidio che le mie amiche mi avessero rimediato un appuntamento. No, non mi dava fastidio che non me l’avessero nemmeno chiesto. No, non mi dava fastidio che non avessero nemmeno pensato di parlarne con me. No.

Quello che provavo era talmente evidente che avevano pensato ad un espediente di quel genere.

«Scusa? »

No, no, no.

«Ehi? »

Non voglio voltarmi. Vai a casa, non uscire con me, non parlarmi.

Seguii la voce.

Il ragazzo aveva in mano dei fogli. Oddio, il mio album. Ero talmente fuori di testa da dimenticarlo sulla panchina. Sì, forse non era lui il mio appuntamento, ed io ero ancora vicino alla panchina, poteva essere solo di passaggio.

Mi precipitai da lui. Sorrisi, quasi senza accorgermene.

«È tuo? » mi chiese.

«Sì... grazie.» Glielo tolsi dalle mani e me lo strinsi al petto, come se avessi appena trovato un tesoro. Bel tesoro, visto che lo avevo lasciato lì.

Era evidente, avevo la testa ad un’altra parte.

Anche il cuore.

«Di niente, Lizzy. »

Che cosa?

Il ragazzo si passò una mano frai capelli ricciolini, castano scuro. Prese il suo telefonino e poi lo rimise in tasca, nel modo più veloce possibile. «È che io non sono tanto puntuale… e forse nemmeno mi hai riconosciuto. »

Mi misi l’album sotto un braccio e lo fissai senza vergogna. La carnagione chiara, più o meno come la mia, ma con un biancore più accentuato. E gli occhi… gli occhi marroni, come il cioccolato fondente, quello cremoso e caldo.

Un ricciolo gli cadde sul viso e lo stomaco mi si attorcigliò, mentre il suo viso si materializzava nei mie ricordi di due anni prima, quando rideva insieme a Ronnie.

«Peter.»

Si mise a ridere. Una risata pacata, come se fossi attutita da qualcosa. Ma dolce.

«Sì, io non ti avrei riconosciuta se non avessi letto il tuo nome sull’album e non ti avessi sentito parlare con Lucy al telefono. Siamo pari, non sentirti in colpa.»

I suoi capelli mi fecero il solletico sul naso, quando lo abbracciai. Profumo maschile e fisico magro ma... da quando aveva i muscoli? Mio dio, Peter. Non avevo più saputo niente di lui dopo la scomparsa di Ronnie.

L’ultimo ricordo che avevo di lui risaliva ad una brevissima intervista televisiva. La voce di un giornalista in sottofondo, i rumori della città e le urla della gente. “Eravate innamorati, vero?”

I suoi occhi lucidi avevano parlato al suo posto.

Mi staccai da lui.

«Sei… diventato più alto? » Sembrava che il sorriso se lo fosse dipinto da solo, non accennava a scomparire. Ed io mi sentivo il viso tirare. Non me n’ero accorta… sorridevo anch’io.

«Be’, forse.» Alzò il braccio per toccarsi la nuca, come faceva sempre prima di qualche concertino per la scuola. In realtà era Ronnie a costringermi ad osservarlo per ogni cosa, quando era nella fase cotta da paura – la mia migliore amica – e conoscevo molte cose di lui anche se non eravamo andati mai oltre qualche battuta e dei saluti amichevoli e un abbraccio il giorno del suo ultimo compleanno passato a Seattle.

«Forse? È tutto quello che mi dici? »

Rise ancora.

«Anche tu sei diventata più alta e… » Si mise dritto, gli si alzò la maglia, leggermente. «Non ti ricordavo così. »

«Così come?» Mi sistemai la borsa a tracolla, mi misi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, guardai quanto fossero interessanti le mie scarpre mentre lui faceva una specie di giro.

«Bella. »

Alzai lo sguardo.

«Non ti ricordavo così cascamorto.»

«Cascamorto? IO?»

«Già. »

E poi non eri così carino.

«Va bene, vuoi rimanere tutto il pomeriggio così o vuoi andare a prendere qualcosa da mangiare? »

«Mangi tanto come… »

«Sì, mangio tanto e non ingrasso, come nei bei tempi del liceo. » disse.

Aprii la borsa e ci feci entrare il mio album da disegno. Lo seguii con lo sguardo, si stava dirigendo verso il chioschetto dei gelati.

―Ho una fame da lupi. ― Jacob mi prende la mano e se la avvicina al viso. Siamo seduti sull’erba, gli zaini sotto le nostre gambe.

― E quindi? ― Gli sorrido.

―Se non mi riempio la pancia potrei mangiare te.

Sto per dirgli qualcosa, i fogli mi scivolano dalle gambe insieme alla matita. Le sue labbra sono sulle mie, le mie mani aggrappate alle sue spalle.

Apre la bocca, ancora sulle mie labbra.

Sento le sue mani fra i miei capelli.

―Ho fame anche io.

Sospiro.

―Ma di cosa?

Lo guardo, lui mi sorride in quel modo che fa scomparire tutto quello che mi sta intorno.

―Gelato.

Non smette di sorridere.

―Alla fragola, scemo.

Si mette in piedi, l’erba appiccicata ai suoi jeans.

Si volta un attimo.

―Vado e torno.

«Vado e torno. » Era la voce di Peter.

Dovevo smetterla.

«No… aspetta… ho voglia di pizza, tu non ne vuoi? » gli chiesi. Lui si avvicinò a me e mi sfilò la borsa dal braccio. Gli si formò una fossetta sulla guancia.

«Questa cosa ti spezza e dovresti mangiare di più. »

«È leggera.»

«Sì, sì, certo.» 

Cominciammo a camminare verso la strada, a due isolati da lì c’era una pizzeria. Peter aveva il passo veloce, come se avesse fretta. Era come se stessimo correndo, ma forse per lui era normale camminare così.

Peter aveva lasciato la città quando Ronnie era scomparsa. Adesso i suoi occhi sorridevano. Forse lasciare tutto era stata l’unica soluzione per ricominciare a vivere da un’altra parte.

«Come stai messa a situazioni sentimentali? » La sua voce sembrava quella di un bambino che sta per fare un dispetto, anche se poteva sembrare innocente.

«Salto.» Risi.

«Non puoi saltare, voglio che mi aggiorni. »

«E che devo dirti? »
«Ah, che ne so. Due anni fa tu avevi sedici anni e avevi dato solo qualche bacio al gioco della bottiglia. Oggi ne hai diciotto... insomma, ne devi fare diciannove. Aggiornamenti?»

Mi guardai intorno, come se non conoscessi l’ambiente in cui mi trovavo. Peter non mi stava aiutando per niente.

«Ho un ragazzo.»

«Mhm.»

«Mhm-mhm.»

«E dov'è? Sì, cioè... perché non ho visto nessuno che mi fulminasse con gli occhi e mi cacciasse via? E dopo quanto l’avete fatto?»

Gli diedi una gomitata. Wow, l’avevo preso alla sprovvista. Me lo ricordavo più sveglio.

«Chi ti dice che io abbia…? »

«Sì, e io sono Babbo Natale.» Sbuffò.

Mi stava facendo diventare rossa, eppure andava bene lo stesso. Non tratteneva più le lacrime, come davanti ai giornalisti, dove mi era sembrato una delle persone più fragili che avessi mai conosciuto.

«Be', se fossi il tuo ragazzo non ti lascerei da sola con me.» Ammiccò. 

Lo ignorai spudoratamente.

«Dei suoi amici hanno avuto un incidente. Lui è di Forks ed è rimasto lì...» 

«Da quando?»

«Più di un mese. Ma comunque ci sentiamo e...» La voce mi si bloccò nella gola. «Sì, p-praticamente ogni.... giorno, cioè...»

«Non sei tanto brava a dire le bugie.»

Rimasi in silenzio.

«Ahia. » Si lisciò la maglietta bianca. «Se ti ha fatto scappare via ha bisogno di un bel paio di occhiali.»

Sentii una cosa allo stomaco, il cuore mi salì in gola.

Jacob mi guarda, le braccia appoggiate al muro accanto alla mia testa. Si sta sforzando, vuole dirmelo, gli fa male.

―Non dirlo.

―Devo.

Mi appoggio a lui, alzo il viso, trovo le sue lbbra, un ringhio esce dalla sua gola.

Lo sto salvando.

«Insomma, posso capire qualche giorno. Una settimana…»

La sua furia assomiglia alla violenza, il rumore dei bottoni che si staccano è uno solo, mi raggiunge le orecchie tutte insieme con l’eco della sua voce.

―Ti amo.

Sono io a dirglielo, con la speranza che non parli e mi mostri quello che può fare solo con il corpo e non con la voce. Le sue mani sono bollenti, mi mordo le labbra. Stringo le gambe e il fuoco ustiona, lo sentirò anche quando si sarà spento.

«Lizzy, ci sei?»

Lo guardai. Peter aveva il viso più sfinito, le guance distese. Puntini sul mento a farmi vedere che era diventato grande.

«Sì, certo.»

Mi sorrise e sentii dolore. «Meglio perderli che trovarli, quelli così. »

Sospirai, mentre lui continuava a camminare.

«Tu in che categoria sei?» La mia voce era leggermente smorzata.

«Quella dei vecchi amici, no?» Allungò il passo, con il viso rivoltò verso di me. «Oppure quella degli ami… »

Andò a sbattere contro una signora con un bambino piccolo.

«Oh, mi scusi!»

Peter prese a sistemare la visiera al cappello del piccolo e la madre guardava Peter in modo strano. Poi lei si allontanò, veloce.

«Ma la finisci di ridere?»

Stavo ridendo?

Non risposi, ma sicuramente aveva capito cosa intendevo.

«Ma smettila! Quando sarò famoso quella donna dirà a tutti di essere andata a sbattere contro Peter Dolovan… »

«Oh sì, certo. »

«Ma da quando sei così acida? »

«Ma se non ti ho detto niente! Certo che diventerai famoso, e naturalmente mi farai entrare dietro le quinte. »

«Ah… per fare cosa? »

«Per farti i complimenti. »

«E per cosa? »
«Per la perfomance. »

«Ma quale? »
«Peter, finiscila.»

Rimase in silenzio, mentre si metteva le mani in tasca. Non l’avevo mai visto così, nemmeno con Ronnie. Mi ricordava dei tempi in cui i miei unici problemi erano i compiti di Fisica.

L’insegna della pizzeria era vicina e brillava, nonostante fosse pomeriggio e con un cielo simile al mio umore costante. Forse qualcosa poteva ancora andare bene, per me.

*
*
*
*
Ciao, belli! :D Allora, spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto :) Abbiamo incontrato Peter, stava con Ronnie prima che le ivenisse reclutata nell'esercito dei vampiri. Ne ho parlato per la prima volta nel missing moment In front of the Sky, dal punto divista di Liz.
Che ruolo avrà d'ora in poi? <3
Grazie davvero a tutti voi per esserci.
Un bacio
Ania

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Capitolo 11
*** 67. Vista appannata ***


jake 67

67. Vista appannata

I can't breathe 
Until you're resting here with me 
I won't leave 
I can't hide 
I cannot be 
Until you're resting here with me


Mancava poco meno di una settimana all’inizio dell’Università. Arte e Design. Ed era uno dei pochi motivi che mi facevano annebbiare la vista per gli occhi lucidi senza farmi pensare a un ragazzo.

Quasi.

«Lizzy, stai attenta ai biscotti! » La voce di Silvya mi arrivò alle orecchie dal salotto.

«Sì, Sil. Certo. »

Certo.

―Che ci hai messo sopra?

―Le gocce di cioccolato. Perché, non ti piacciono? ― Jacob mordicchia un biscotto, le briciole cadono sul libro di Inglese.

―No, no, sono buoni.

―Sicuro? ― Avvicino una mano al vassoio e ne prendo uno anch'io. Il sapore del cioccolato è l’unica cosa sopportabile, mi colora la lingua insieme al sapore di bruciato. Deglutisco.

E Jacob ne prende anche un altro.

―Che c’è?

Mi viene da ridere. È colpa sua, mi distrae. Perché se lui avesse studiato Inglese io avrei potuto stare davanti al forno e controllare. E invece non ha studiato inglese e ho la bocca screpolata, il ricordo del suo profumo nella mia gola.

―Niente. Tutto ok, Jake.

Con un sorriso illumina tutto.

Certo.

«Lizzy, cos’è questa puzza? »

«Niente! »

Mi avvicinai al forno, veloce. Oh ma cavolo... cavolo... Mi ero dimenticata di mettermi le presine. Ok, fortunatamente avevo solo sfiorato la teglia e non l’avevo stretta fra le mani. Bene, le presine.

«Lizzy, sei viva? »

«Certo! »

Presi la teglia e la posai sul lavandino. Questa volta erano con la crema. Mi misi a sistemarli in un piattino. Era un bel diversivo. Mia sorella era stesa sul divano a guardare la tv. Se mio padre avesse saputo che le lasciavo vedere Gossip Girl a dieci anni si sarebbe fatto idee strane, ma non avevo voglia di litigare con Silvya.

Giornata piena per sopprimere i pensieri. Il piccolo John, il mio cuginetto di un anno, mi guardava dal seggiolino. E un bambino è assolutamente capace di sopprimere ogni cosa che non riguarda lui stesso. Presi i biscotti e li posai sul tavolino. Quando tornai indietro, John emetteva piccoli risolini.

Lo posai sulle gambe di Silvya, che lo strinse con un sorriso. John chiaccherava  fra sé, il ciuffo di capelli neri che gli cadeva leggermente sugli occhi scuri. Gli accarezzai il viso, la pelle liscia e sottile contro le mie dita, e gli andai a sistemare i capelli.

Rimasi un po’ così, incantata a guardare il bambino. Sentii il mio cuore battere come se si trovasse in una gabbia per uscire a tutti i costi, percuotendo forte tutto quello che gli era intorno.

Il cuore che batte forte quando mi tocchi, Jake. E mio padre torna fra mezz’ora, lo sai, e se ci sfugge qualcosa saremo nei guai ma non importa lo stesso. ―Va tutto bene?

È strano che me lo chiedi sempre. Eppure mi fa sentire importante, come se ogni cosa dipendesse davvero da questo. Ti bacio, fai scorrere le tue mani sulla mia schiena, sopra di me. Trovi quello che serve per avvicinarti di più e sai che hai già tutto. Perché ti sei fermato? Dio, non ce la faccio. Se ci scoprono siamo morti ma potrei morire lo stesso.

―Baciami.

«Lizzy, ti squilla il telefono. »

E per l’ennesima volta i colori scomparvero e ritornai nel salotto di casa mia con un grandissimo impulso di insultarmi. «Sì, vado.» Attraversai la cucina, la suoneria di “Bad Romance” di Lady Gaga in sottofondo, mai stata più appropriata. Diedi uno sguardo al nome di chi mi stava chiamando e risposi.

***

Feci scivolare la matita fra le gambe, insieme al mio album.

Peter toccava con il plettro le corde della sua chitarra, una fender che lui aveva chiamato Marylin.

Così non riuscivo ad ascoltare le parole che cantava Josh, il cantante, senza trattenere una risata.

Anche se in effetti da ridere c’era poco.

Peter non sembrava Peter

Le mani andavano veloci sulla chitarra, e lui si contorceva poco quanto niente, i capelli gli cadevano un po’ sugli occhi e quando li alzava emanavano bagliori quasi rossi fino fondo del garage. C’era una luce, fioca, forse perché era sera, forse per creare atmosfera. Comunque non ero l’unica ad ascoltarli. Vicino a me c’era qualche ragazzino e due ragazze più o meno della mia età. 

Non pensai molto a loro.

Cosa stai guardando?

Niente.

Chi stai guardando?

Peter.

Lui alzò il viso verso di me e chiuse leggermente un occhio, quella cosa che si chiama occhiolino.

Che scemo.

«Va bene, ragazzi. Scaldatevi con la birra, per oggi basta. » disse quello che cantava.

Chi stai guardano?

Peter.

Diede qualche pacca sulla spalla al batterista. Era un sacco più basso, e ridevano insieme. Poi Peter si girò verso di me, un sorriso sulle labbra.

Chi stai guardando?

Peter.

Sentii il rumore dei nastri della cassette quando vengono tirati indietro. Quasi sussultai.

Chi stai guardando?

Certo che è carino.

Oddio… no. No. No. No.

Di che hai paura, adesso, Liz? Sapevi che sarebbe successo, in una vita senza di me.

«Ehi! » Peter quasi mi fece volare, stringendomi fra le braccia. Mi sentii la gola soffocare, appoggiata alla sua spalla. Profumo di menta.

«Ero sicuro che saresti venuta, anche se ti sei persa due canzoni degli U2.» Rise.

«Ne eri sicuro?» Sciolse l’abbraccio, senza smettere di sorridere, mentre io cercavo di aggiustarmi quella specie di cappello di cotone che avevo in testa.

Mi misi le mani sul capo, a sistemarlo.

«Mi sono liberata all'ultimo minuto, oggi ho fatto la babysitter.» gli dissi.

«Perché hai quel coso in testa? »
Sbuffai. «Me l’ha dato Dina per cambiare Look. »

«Cambiare Look o assomigliare a un folletto? »

«Forse entrambe le cose.» Me lo tolsi e lo piegai. Feci un sospiro e mi appoggiai al palco. Quasi mi morsi la lingua quando mi accorsi di cosa stava facendo e della sua velocità. Mi ritrovai seduta sullo stage, aiutata da lui.

«Sei sempre carina. »

Bene.

Chi stai guardando? 

Peter che si mordeva le labbra e faceva un sorrisino.

Ma la vuoi finire?

«Sei molto bravo a suonare. Non eri così bravo due anni fa.»

Era mio amico. 

Perché tutti quei ragionamenti strani?

«Be’, te l’avevo detto che era una cosa imperdibile. »

Dio, è proprio bello quando sorride. Il bagliore diventa un’ombra di luce e il buio del garage...

 «E tu sei decisamente un narcisista.» constatai.

Mi misi la borsa sulle gambe e me la strinsi al petto.

«È verissimo. Perché lo dici con quel tono schifato? »

Lo guardai accigliata. «Perché non è una buona cosa. »

«È una cosa da rock star. »

Sentii una risata arrivarmi alle orecchie, strozzata, come se fosse venuta fuori in un momento non opportuno.

«Josh, finiscila! » fece Peter, e gli si mossero i capelli ricci. Se li portò su con una mano. «Che fai, origli? »

«No!No, Pete! » disse quello. Mi voltai a guardarlo, era il cantante. «Certo che non origlio. »

«Ho capito che lei ti piace, ma non credi che dovresti presentarti, prima? »

Cercai di dare uno schiaffo a Peter, ridacchiava e faceva lo stesso rumore della corda più grave della sua chitarra.

«Ma che dici? » gli sussurrai.

«Ehi, ragazzi! Non volete conoscere la mia ragazza? » disse ad alta voce. Tutti stavano mettendo a posto i loro strumenti e Peter era l’unico che aveva ancora la chitarra appesa alle sue spalle.

Ma se ne dimenticarono completamente e vennero a stringermi la mano tutti quanti.

«Non sapevo che fossi fidanzato, Pete. » disse il batterista.

«Infatti non sono la sua fidanzata! » cercavo di sovrastare il chiasso. Mi zittii per un po’, mentre Peter e i ragazzi parlavano di cantanti e nomi di band e facevano battute che sfioravano l’eleganza della serie di "American Pie". Quasi si prendevano a pugni e si scambiavano insulti che li facevano ridere.

Paul prende a pugni Jacob, Embry si mette in mezzo, Seth ride da dietro, Quil scuote la testa, Jared tiene la mano di Kim, dice “Ragazzi, non è ora di smetterla?”

No.  E lo dice Jacob. Sono seduta sulla spiaggia insieme a tutti gli altri, Leah è abbracciata a Brian e Noela prova a fare le foto notturne con la sua macchina fotografica.

Affondo le mani nella sabbia, sento il calore del falò inondarmi la faccia. Jacob mi guarda, un sorriso in volto. 

Io non voglio che finisca.

Se n’erano andati tutti, e adesso Peter stava mettendo a posto la sua chitarra, piano, come se potesse essere graffiata da un momento all’altro.

«Si è fatto tardi.» dissi, stringendomi nelle spalle.

«Porto la chitarra a casa e poi facciamo un giro.»

Uno strano brusio mi invase la testa, come tante formiche che camminano insieme e nello stesso posto. Il male alla pancia non era dovuto allo stomaco vuoto, e nemmeno quella strana leggerezza nelle mani.

Peter voleva uscire con me.

«Io non sono la tua ragazza.» E cercai di dirlo con il sorriso, in modo che cogliesse la vena di scherzo. Non mi chiesi se ci fossi riuscita, quella brava a mentire non ero io.

L'ho fatto per te.

L’ho fatto per noi.

Presi un respiro profondo.

Jacob.

«Lo so, Lizzy frizzy. Era per farti arrabbiare.» Sorrisi, alla luce fioca. «Ci sono riuscito? » disse ancora.

«Mi hai fatto ridere. »

L’aria tiepida dell’estate mi accarezzava la pelle, abbandonata dal calore incandescente delle mani di Jacob Black.

Ma lui c’era ancora. Lo sentivo.

Peter prese la custodia con la chitarra e si avvicinò a me. Mi passò una ciocca dietro le orecchie. Spesso mi scottava, le mie labbra diventavano bollenti sul petto, ma non avrei mai potuto smettere.

Jacob avvicinò il suo viso al mio. Le sue mani mi accarezzarono il viso.

Delicate, a cercare.

Calore.

Abbassai lo sguardo.

Mani chiare, gentili.

Di Peter.

«Peter, scusa, ho scordato le pile della testiera.» La voce fu seguita dal suono degli interruttori. La luce si accese e Peter si allontanò da me, aveva le guance più colorate.

«Certo, Steve, noi andiamo.»

Avevo visto Jacob.

Mi morsi la lingua.

Vedevo sempre lui.

*

*

*

*

Ciao, ragazzi! Allora, qui la vita continua normalmente, per Lizzy. Il punto è, quanto può andare avanti quando il suo pensiero è fermo sempre da una parte? Vedremo. E vedremo anche che intenzioni ha Jacob.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, comunque :) E nel prossimo ci sarà una svolta decisiva <3

Grazie mille a tutti voi

Un bacio

Vostra Ania <3

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Capitolo 12
*** 68. Dolori dal passato ***


jake 69

68. Dolori dal passato

«Posso aspettare fuori, se vuoi. »

«No, ma che, scherzi… Molly? Molly, dai apri!» Bussò più volte alla porta del suo appartamento, verde opaco, il colore della crema amara agli asparagi.

«Penso che ti starà simpatica.» mi disse ancora.

Gli sorrisi.

La porta si aprì.

La signora si sistemò la giacca, su cui cadevano i capelli corti e rossi, sicuramente tinti. Due occhi grigi mi guardarono, sbiaditi dal tempo che cantava sui segni della sua pelle.

«Ciao, caro.»

«Ciao, Molly. » Poteva avere all’incirca settant’anni, come mia nonna. «Che facevi? »

La signora camminava per il corridoio a passi spediti.

«Oh nulla, Peter. Oggi è una giornata bellissima, hai visto come sono belli i colori nel cielo? Si vede anche se è sera. Magari fra un po' potrei scrivergli.» Peter aprì un’altra porta e mi accorsi che doveva essere quella della sua stanza. Emergeva un letto disfatto, dei poster enormi che non facevano vedere nemmeno la pittura bianca di tutta la casa. Tornò dopo qualche secondo ed io lo seguii in cucina.

Peter sospirò, come dispiaciuto.

«Molly, dovresti smetterla di… »

«E questa signorina, Peter? È la tua fidanzata?» 

Ma ce l'ho scritta in faccia questa parola?

La voce della signora era dolce, ma sembrava che si spezzasse, faceva lo stesso rumore dello foglie calpestate e veniva fuori quasi a sforzo, dalle sue labbra sottili.

Peter rimase immobile con la testa nel frigorifero, e sentii lo stomaco traballarmi. 

«No… no, signora. Sono un’amica. Mi chiamo Lizzy Audley.» Le strinsi la mano, la pelle morbida e incavata contro il mio palmo. Quasi mi incantai a guardarla, aveva degli occhi che sembravano guardare lontano. E quando si voltò leggermente i suoi lineamenti crearono un’ombra precisa contro il muro, dalle linee morbide.

«Lizzy come Elisabeth? »

«Sì.» assentii.

«Che nome meraviglioso. Proprio come la ragina di Inghilterra… Ti va una tazza di tè? »

Peter chiuse il frigorifero con in mano una bottiglia di coca cola. «Ma Molly, sono le nove.»

«Oh, ma il tè preso per colazione va benissimo. »

Rimasi così, in bilico. Mentre Peter si passava una mano fra i capelli e chiudeva gli occhi. Molly lo guardava e i suoi sbiadivano, cancellati.

«Ecco… Lizzy… » cominciò Peter.

«Non importa, ho già fatto colazione, Molly. » le dissi.

Vidi Peter sorridere, mentre si voltava e apriva la bottiglia.

La signora annuì, ed io capii che i puzzle non erano stati incastrati bene. Si vedeva dall’espressione di Peter.

Molly non stava bene.

***

«... Già, il marito è morto un sacco di tempo fa e Molly è sempre stata una forte, ha cresicuto sei figli da sola. Dopo la trombosi è cambiata completamente e ha cominciato a scrivergli lettere. E a volte si confonde con le cose e... Di solito le persone insistono.» disse Peter, mentre camminavamo dalle parti dello stadio.

«Sarebbe stato stupido.» risposi io. Mi misi le braccia al petto. Cominciava a fare freddo, e sembrava che tutti fossero chiusi in casa.

«Molly è la mia madrina. Quando ha saputo che tornavo a Seattle ha insistito che andassi a stare da lei, sai... la mia mancanza si sente. Da quel punto di vista ragiona benissimo.»

Sbuffai, con il sorriso sulle labbra.

«Come fa con tutte le cose di casa?»

 «C'è sua figlia, ma è fuori città adesso. Non è il mio tipo, però. Non ha l'età per stare con me, dovrebbe guardare quelli sui quaranta.» disse lui.

«Peter...»

«Preferisco le diciottenni che si mettono cappelli buffi per cambiare look.» Gli feci una linguaccia e poi risi. 

Per non pensare.


Seduta al tavolo, aspettavo che mi venissero portate le patatine. C’era un chiasso tremendo, in pizzeria. E per parlare quasi dovevamo usare dei linguaggi in codice.

Il cameriere portò due birre e andò via.

Mi misi diritta.

«E la mia coca cola? »

«Coca cola? La coca cola la bevi davanti ai vecchi, Lizzy, per fare capire che ti piace ancora la roba da ragazzini di scuole medie. Questa è per te.» E fece scivolare la birra verso di me.

«Io non bevo. »

«Ed io sono un principe. »

«Sei venuto con il cavallo? »

Aprì la sua birra e spostò i bicchieri di plastica con il gomito fin quasi alla punta del nostro tavolo. Cominciò a bere dalla bottiglia, i capelli all’indietro, e il viso chiaro contratto.

«Peter, che schifo.» Mi appoggiai al tavolo con i gomiti. Poggiai il mento sulle mani e aspettai che finisse i suoi sorsi.

Mise la birra sul tavolo, e quando mi ritrovai le patatine sotto il naso quasi non me ne accorsi.

«Tocca a te, ora. »

«No. »

«Devi bere. »

«No.» Afferrò la mia birra – la mia birra? Io non avrei bevuto! –, prese un bicchiere di plastica e ce la versò dentro.

«Prendi. » Mi diede il bicchiere. Plastica trasparente, si vedeva il liquido dorato che faceva le bollicine. Solo l’odore mi fece rivoltare lo stomaco. Era pieno fino all’orlo.

«No. »

Peter si mise come poco prima mi ero messa io. I gomiti sul tavolo e il mento appoggiato alle mani.

«Tu adesso bevi quella birra.»

«Ho fame, non ho sete. E sono astemia.» Presi una patatina e me la infilai in bocca. Il sapore del ketchup mi finì sul palato, forte.

«Ma se tu non bevi quella birra, io mi metto a cantare ad alta voce, a squarcia gola, ballando intorno al nostro tavolo. »

Si alzò dalla sedia e cominciai a masticare, piano. Deglutii.

«Peter… »

«Questa la conosci, è la canzone in cui al ballo di fine anno gli amici di Danny fanno vedere il culo.»

Quasi mi strozzai con la patatina. «Stai parlando di "Grease." »

«Oh, sì, che ragazza. Vuoi che cominci?»

«Per favore…»

«Avevo dodici anni quando l’ho suonata al saggio. »

« Ma tu ora fai un altro genere. »

«Bevi. »

«No. Peter, no. »

«Bene.»

Voltò la testa e i riccioli gli finirono un po’ più a lato, con un sorriso da chi ha bevuto ed è felice di averlo fatto.

«Blue Moon, you saw me standing alone, without a dream in my heart, without a love of my own.» Cominciò a girare intorno al nostro tavolo, cantando a voce sempre più alta. Dio, era stonatissimo e oh mio Dio, ci stavano guardando tutti.


«Peter, finiscila, dai. » mormorai a denti stretti, la gola secca. Sentivo le guance in fiamme.

«Blue Moon, you know just what I was there for, you heard me saying a prayer for, someone I really could care for.»

Non accennava a smettere. Anzi, adesso la sua voce era anche più alta della televisione a schermo piatto appesa al muro. Mi passai una mano fra i capelli e lo fissai.

Lui continuava a cantare, alle note alte la sua voce era stridula, e io mi sentivo le guance imporporare sempre di più.

Presi il bicchiere con la birra, la schiuma che ancora copriva la bevanda e la avvicinai alla bocca. Il gusto amarognolo mi attraversò la gola e mi venne quasi l’impulso di tapparmi il naso, come se stessi per fare un tuffo o solo per non far venir fuori quello che stavo ingurgitando.

Quando misi il bicchiere giù, Peter si era fermato e mi stava guardando.

«Uao, ce l’hai fatta. »


La gente ricominciò a parlare fra sé e sé e si dimenticò di noi, la ragazza che diventava rossa e l’amico che cantava "blue moon" intorno al tavolo.

Mi venne fuori una risata che non sapevo nemmeno da dove provenisse, ma poi fu seguita da un singhiozzo, e Peter non si trattenne per niente dal ridermi in faccia e rubare dalla vaschetta delle mie patatine.

«Forza, non ti agitare, sei stata brava. »

«Brava?» Un altro singhiozzo. «N-Non vedi che c-cosa mi… » Un altro singhiozzo. Lui rideva con le mani sulla pancia, la dentatura bianca che quasi faceva fluorescenza alla luce del locale. «… mi sta succedendo. » continuai.

«Lo vedo benissimo, Lizzy.» Si versò dell’altra birra. «Dai non prendertela, adesso puoi chiedermi tutto quello che vuoi. »

«Non ti chiederò proprio niente. » dissi, trattenendo un altro singhiozzo. «Anzi, sì. »

«Dimmi. » E la sua voce era gentile.

Presi il borsellino dalla borsa e misi i soldi che mi servivano sul tavolino. «Vammi a prendere l’acqua. Così almeno mi può passare il singhiozzo. »

Gli angoli della sua bocca si abbassarono in un’espressione dispiaciuta. «Tutto qua? »

«Sì. » Mi passai una ciocca dietro l’orecchio, e quasi si impigliò nei fiori di stoffa che si trovavano sulla mia frontiera.

Peter bevve un altro po’ di birra, sempre dalla bottiglia.

Lui finì le mie patatine, la birra mi aveva chiuso lo stomaco. Ma poi ordinò un’altra pizza, sotto i miei occhi che chissà come lo guardavano. Quando la pizza arrivò, mi venne di nuovo fame.

«Mi dai un pezzo? »

«Ma proprio no, è mia. »

Mi spaparanzai sulla sedia. Alla tv stavano dando uno speciale su Madonna. Mia madre aveva conservato un sacco di dischi suoi, li aveva conservati tutti.

«Dai, prendi.» Alla fine Peter decise che era una cosa brutta negarmi un pezzo di pizza.

Guardai l’orologio. In pizzeria c’erano poche persone, ed io cercai di trattenere uno sbadiglio.

«È mezzanotte e passa, Pete. Dovremmo andare. »

Mi misi la giacca a maniche corte, anche quella prestata da Dina. Me la sistemai e tirai su la cerniera blu.

«Vado a scassinare la cassa. »

«Eh? »

«A pagare, volevo dire. »

Presi il telefono, in un gesto automatico. Sperai che mio padre non mi avesse pensato.

Quando apro gli occhi, è come in vacanza tanto tempo fa. Quando le pelle scottata del sole pizzica fra le lenzuola, e l’odore e il ricordo del giorno prima è così dolce da farmi sentire ancora il sapore di ogni cosa.

―Sveglia?

Jacob armeggia con la cinta dei suoi pantaloni, la camicia abbottonata a metà. Ricordo le sue mani e la sua bocca su di me. Il suo corpo che si unisce al mio, i nostri respiri, la sua voce.

―Sì.

Mi stringo nelle coperte e in quel poco che ho ancora addosso. Lui si avvicina e si siede accanto a me, squarcia l’aria fredda di dicembre con la sua bocca sulla mia, le sue braccia a stringermi. Ha passato tutta la notte fuori ma siamo ancora qui. Non voglio lasciarlo mai.

Mi risvegliai dal sogno come se mi avessero buttato addosso dell’acqua fredda. Mi mossi leggermente, come barcollante, mordendomi le labbra. Stavo bene. Mangiavo, ridevo, uscivo. 

Ma la mia vita si riprendeva a scatti, pezzi di vecchie diapositive che non sarebbero mai scomparse dalla mia mente.

Deglutii, avevo ancora un sapore amaro in bocca. Mi misi a cercare delle mentine nella borsa, mentre mi avvicinavo alla cassa. La ragazza dietro il bancone stava servendo altre ragazze e Peter era appoggiato ancora lì, al bancone, con lo sguardo fisso sullo schermo più piccolo appoggiato a un piccolo mobiletto.

Feci qualche passo verso di lui.

«I fenomeni sono diversi. Riscatti, fuggiaschi, serial Killer. Ricordo ancora quando a Seattle, un paio di anni fa, ci fu l’allarme. » Nello schermo, la giornalista anziana si rivolgeva ad un’altra donna. In sovraimpressione apparve: “Kendra Fain – Criminologa e madre di un ragazzo scomparso a Seattle nel 2006”.

«Peter. » lo chiamai. Ma lui era immobile.Tanto più alto di me, dal suo profilo riuscivo a scorgere la mascella serrata. Niente luce nei suoi occhi, solo un marrone scuro che contrastava con la sua pelle chiara. Il profilo dritto che quasi mi venne voglia di toccare per farmi guardare, per richiamarlo al mondo reale. 

Ma il mondo reale era quello.

E Ronnie, la mia migliore amica, la sua ragazza quando lui andava ancora alle superiori, non c’era più.

«Peter.» Gli misi una mano sul braccio ma lui si scostò, e lo fece come si farebbe con una mosca che dà solo fastidio.

«Una strage, più di cento vittime. Sono casi in cui è difficile avere speranze, e la polizia, con ogni sforzo e strumento necessario, non è riuscita ad arrivare a nulla. Tutti giovani e con la vita davanti. » La giornalista parlava e, dietro di lei, scorrevano le immagini. «L’ultima vittima risale proprio a due precisi anni fa, gli inizi di luglio.» Cercai di chiamare ancora il nome di Peter. Peter Dolovan, mio amico. Il ragazzo di Ronnie due anni prima. Quello che aveva lasciato la città subito dopo il diploma ed era tornato per l’estate solo dopo due anni, con un sorriso che mi aveva quasi fatto dimenticare il resto.

La voce mi morì in gola. Peter, Peter. Non lasciarmi da sola, Peter. Le gambe mi divennero pesanti, al punto che dovevo per forza appoggiarmi a qualcosa per non cadere. Perché sarei caduta.

Fra le foto, apparve quella di una ragazza con i capelli castani scuri, quasi come quelli di Peter ma liscissimi, perché io l’avevo aiutata a fare le trecce per l’acconciatura del saggio di danza. Le meshes arancioni e il sorriso, gli occhi allungati sulla carnagione dorata. La mia migliore amica.

Peter si avvicinò all’uscita, quasi senza guardarmi, ed io mi mossi per raggiungerlo. Peter, non lasciarmi da sola. Non correre, non ce la faccio. Mi fa male tutto, ogni cosa, ogni ricordo, ogni momento con Ronnie, ogni momento senza Ronnie, ogni momento con te. Dove sei, Jacob Black? Sii felice per me, perché io non ci riesco.

«Peter? » Uscii dalla pizzeria e lui era lontano da me almeno quindici metri. Si fermò e non andò più avanti. Si voltò solo un poco, e i capelli ricci mascheravano la sua ombra sulla strada. 

Era tardi e molte persone dormivano.

Io vivevo al buio da tanto, ormai.

«Tu credi che sia morta? » chiese.

Feci qualche altro passo verso di lui e adesso lo vedevo bene. Le sue immagini si sovrapposero, lui e la voce rotta con i giornalisti che gli facevano domande, e poi lui in quel momento, cresciuto, ventun anni, chiatarra, birra, risate e lui che adesso mi chiedeva con quella stessa voce se Ronnie era viva o no.

«Non posso saperlo. »

«Non ti ho chiesto se lo sai. Ti ho chiesto che cosa credi. »

Trattenni il respiro.

Ma io lo so, Peter. So ogni cosa. Se solo la terra fosse un luogo confortante, per i morti... Ronnie è morta nel fuoco.

«Perché non rispondi?» fece ancora. Ed io ero sempre più vicina a lui.

Improvvisamente vidi una nebbia che lo faceva scomparire nell’oscurità illuminata solo dalla luce dei lampioni. Erano delle lacrime che mi caddero sul viso.

«Io… come faccio a dirlo, Pete? Ronnie era la mia migliore amica. »

«Era, parli al passato, Liz? »

Liz.

Solo Jacob mi chiamava così. 

―Ti amo. ― La sua voce graffia nelle mie orecchie, mentre chiudo gli occhi. La sua bocca mi prende, le sue mani mi stringono, il suo respiro diventa mio, perché vivo insieme a lui.

Non voglio che tutto questo finisca.

―Anch’io ti amo.

Gli occhi bruciano, il cuore brucia di vuoto, mentre penso a Ronnie, alla verità che ora conosco bene. Io… voglio solo che lei stia bene, ovunque sia. Lei e mia madre…

―Liz… Liz, è la cosa più pericolosa che possa esistere.

―Non dirò niente a nessuno.

Ma Peter adesso mi prendeva per il braccio e non c’era dolcezza, gentilezza o amicizia. Solo voglia di sentire e ascoltare il dolore da una voce che non fosse la sua.

«Secondo me è morta, Pete. » Feci un respiro profondo, e adesso le lacrime scendevano. Avevo chiuso gli occhi e non vedevo più niente. Chi era che ora mi accarezzava la guancia? Chi era che ora toccava le mie lacrime? Jacob le aveva baciate, le aveva leccate e ingoiate, salate e amare, per avere il mio dolore. Tirai su col naso.

«Lizzy… » Era la sua voce.

Spezzata, calda.

Jacob.

Peter.

Jacob.

Peter.

Aprii gli occhi, per riconoscerlo.

Peter si leccò le labbra, sospirando. Mi lasciò andare dalla sua presa.

«Io… io non vedevo nessun’altra, quando stavo con lei. E Dio, ero innamorato veramente.... I visi di tutte le altre ragazze era come se non li vedessi. Me li ricordo tutti sbiaditi, come vedrebbe una persona miope che ha bisogno degli occhiali. E quando Ronnie è scomparsa non ho visto altro che facce sbiadite.» si interruppe per qualche secondo. Avevo il fiatone, non sapevo perché. «Sono passati due anni, e non ho riconosciuto mai nessuna faccia... è assurdo.»

«Peter, io… » cominciai.

«Non c’è stato momento in cui non l’ho vista. Ho visto Ronnie sempre. Ma poi sono tornato qui a Seattle. Ti ho vista, ti ho riconosciuta e non eri Ronnie, non eri un fantasma. Eri tu e basta.» Peter mi prese una mano e mi accarezzò la guancia con l’altra.

Rabbrividii.

«La dimenticherò? La sto dimenticando?»

Deglutii e cercai di parlare. «Continuare a vivere non significa dimenticare. Ronnie lo avrebbe voluto. »

Mi pentii del modo in cui avevo parlato. Forse in modo troppo sicuro, con troppa rassegnazione. Perché per Peter Ronnie era ancora sempre la stessa. La ragazza che amava ballare e sognava di andare alla Juliard. Una ragazza che, dopo gli allenamenti delle cheerleader, non era tornata più.

«Grazie.» disse.

Rimasi immobile. Volevo solo scostarmi, perché stavo capendo una cosa che non volevo capire.  Peter aveva le fiamme nei suoi occhi marrone come il cioccolato fondente, ed era bello.

Ed era troppo vicino.

«Tu sei mio amico, Pete.» dissi quelle parole come se stessi enunciando quelle decisive in un gioco finale. Quelle che avrebbero scatenato la guerra, o che avrebbero portato la pace. «Ehm... devo andare a casa. » 

«Sì... ti accompagno io. Prima però passiamo da me. » 

«Perché?» 

«Hai lasciato lì il tuo album, non ti ricordi?»

Mi prese la mano e ignorai il nervosismo. Entrammo in macchina.

Acceleratore. Curva. Clacson.

Peter.

Semaforo. Arancione. Rosso.

Peter.

Corsa. Passanti. Fermata.

Peter.

Di fronte alla porta di casa sua, aveva ancora il fiatone. 

La chiave tintinnò sul pavimento.

La infilò nella serratura ed aprì. La casa era buia, una luce leggera proveniva dal riflesso della finestra, dalla cucina. Mi arrivava all’altezza degli occhi.

Dimenticare a casa sua la cartellina con il nuovo progetto di Arte moderna era stata una mossa incredibile. Non ci credevo. Non sarebbe successo niente. 

Ed ero a casa sua, di notte.

«... Torno subito Mi sedetti sulla sedia, dei fogli di fronte a me. Ne presi qualcuno... erano delle lettere. Forse quelle che scriveva Molly.  E i miei occhi scorsero su quelle parole, il cuore in gola e una sensazione che mi faceva venire freddo. 

"Caro, James.

Forse non ricordi com’era la nostra città, quando l’hai lasciata. Oggi, di fronte alla nostra finestra, ci sono dei pezzi di carta enormi con pubblicità di cose che non avrai mai conosciuto, qui a Seattle. I manifesti con la donna bionda e la “Coca cola” vengono usati sulle borse, ed io non ne bevo una da tanto tempo, senza di te non mi sembra lo stesso.

Le strade sono cambiate, alcune non esistono più. Ne sono nate di nuove, e i giovani ci camminano veloci. Quando c’è Peter sono veloce anch’io, mi prende il braccio e mi lascia percorrere i percorsi con i miei piccoli passi. Ma non è vero, non sono più così veloci. Avevamo vent’anni quando te ne sei andato, i nostri figli erano piccolissimi e ti hanno visto solo nelle nostre foto. Ma chi non c’è spesso è andato solo da un’altra parte.

Come fai a tornare se non vai via? Sai che non sono mai stata brava con i numeri. Assomiglio a tua nonna, tu la ricordi? Quella signora anziana che viveva vicino al porto e vendeva le viole. Ho i suoi stessi solchi sul viso, come se fossi di creta e il tempo fosse un pennello. Accarezzeresti mai il mio viso, anche se è così? Ti sto immaginando. Forse anche tu sei simile a me, ora.  Ultimamente esco sempre meno. Peter ha scoperto delle nostre lettere e sembra spaventato. Non lo vedevo da due anni, si era trasferito per studiare fuori ed ora è qui da me, in vacanza. Sapeva già che ero finita all’ospedale per… oh, James, non ricordo il nome, sai come sono con queste cose. Ma sa delle nostre lettere e ora pensa che io sia una vecchia pazza, perché scrivo ad un uomo che non c’è più. Ma come fanno gli altri a sapere? Il cuore batte verso un’unica direzione, ed io non so dove sei davvero, ma so che sei vicino e il mio cuore ti chiama qui. Forse sei proprio accanto a me, dietro di me, seduto al mio fianco. Guidi tu la mia penna, perché la mia mano trema. Sono davvero malata? James… Non hai visto tuo figlio, il giorno del suo matrimonio. Hai mai visto occhi innamorati? No, risponderesti, e poi rideresti. Ricordati dei miei. Di che colore sono? Non ricordo… ma forse potrei ricordare anch’io, anche se le nostre foto sono in bianco e nero. Quando ci siamo sposati avevo dei fiori bianchi in testa, i miei capelli erano neri. E i miei occhi erano come il mare d’inverno, grigi di calma. Li hai visti accendersi solo tu.

I tuoi figli innamorati erano la cosa più bella del mondo, quando si sono sposati. Ricordi quando sono nati? Rossi e piccoli e con la manina chiusa. Che cosa si provava a guardarli? Restate sempre con me, pensavo. E poi li vedevi lì, in chiesa, con quell’abito che avevo scelto con loro. Quel fiore blu nella tasca che a me non piaceva per niente ma che loro hanno insistito nel mettere perché è il colore preferito della ragazza che amano. La musica suonava, io li accompagnavo. Poi li ho lasciati lì. Non erano più rossi, né piccoli, né con la manina chiusa a pugno. Erano con le guance accaldate dall’emozione, più alti di me, la loro mano stringeva la mia e poi quella della loro sposa, e lo stesso è successo con le ragazze. Oh, James… se solo tu li avessi visti. E avessi visto i loro figli e quanto… quanto ti somiglia il più piccolo. 

Ora, tu, mi guidi questa penna. Si sta scaricando… aspetta un attimo… Ecco, sono ritornata qua dopo mezz’ora, Peter non c’è ma è meglio che non veda. Mi sembra così triste, a volte. Anche lui è innamorato… lo era, una volta. Forse ora lo è di nuovo. Lei ha lo sguardo dolce, mi ispira tutto lo zucchero che ho nella dispensa, ma tu sai che a me non fa male. Non lo mettevo mai, nemmeno con il caffè.

Carola dice che, quando tornerà da Miami, per tre giorni potrò stare in un posto con persone che si prenderanno cura di me.  È vicino al parco, amore mio. Ci siamo incontrati lì, la prima volta, ricordi? Smettila di non farti vedere.

Lì, oggi, c’è una panchina verde vicino agli alberi. C’è sempre l’ombra, come piace a te quando andavamo a fare i pic-nik. 

Dovevi andartene per tornare.

So che sei qui con me.

Lasciami raccontare tutto questo ad alta voce. Se ti piace ancora come canto, potremo cantare insieme. Frank Sinatra, quanto mi piace ancora. Conservo ancora il vecchio cd che mi hai regalato, so tutte le parole a memoria.

Al parco. Di pomeriggio.

Abbi pazienza, cammino lentamente. Non sono più giovane come una volta. Insieme lo saremo, però. Ne sono certa.

Sono le undici e mezza... Peter starà per tornare,è meglio che smetta. Tanto so che mi sei vicino. Sempre verso una sola e unica direzione.

Mi manca stringerti quando la notte fa freddo.

Tua Molly."

Mi portai una mano agli occhi, vedevo sbiadito. 

Quella lettera mi aveva fatto saltare il cuore nella gola. O forse era solamente inciampato da qualche parte, non lo sapevo. 

«Hei.» Peter mi sfiorò il fianco e si sedette sul divano di fronte al tavolo.

Non riuscii a trattenere la mano che gli andò ad accarezzare i capelli scuri che si arricciavano sopra le orecchie e gli cadevano sulla guancia. Peter è innamorato, ora.

Peter.

Jacob.

Peter.

Jacob.

Jacob. Jacob. Jacob.

Peter mi prese la mano e se la avvicinò alla bocca. 

Mi strinse a sé e intrecciò la sua mano alla mia.

Lo abbracciai e sentii il suo corpo irrigidirsi, poi i suoi palmi sulla mia schiena, a stendere il tessuto della mia maglietta. Poi ci fu un rumore di plastica, un interruttore della luce che veniva spento.

Trattenni il fiato, e i suoi occhi si accesero nel buio. Marrone, crema, una dolcezza che avevo visto solo nel suo sguardo e sul suo viso.

Ma nella mia mente il vuoto, un burrone così nero da non lasciar vedere nemmeno la sua fine. E un viso familiare emergeva dall’ombra.

«Tu sei così dolce. » La sua voce era leggermente graffiata, inceppata come un vecchio disco. Ma riuscivo ancora a scorgere la morbidezza di sempre. «Sei così bella.»

Sentii il mio respiro farsi frettoloso, come se stessi correndo per prendere qualcosa. E il mio stomaco quasi mi mormorò qualcosa, che io comunque non riuscii a capire.

«Sto per fare una cosa.» sussurrò, fra i miei capelli.

Sentii un leggero tremore, mentre lui mi teneva le mani ed eravamo vicini in un modo che nessuno si sognerebbe di dire :“Tu sei mio, amico”. Tremava anche la sua mano sulla mia guancia, tremavano le sue labbra, mentre chiudeva gli occhi. Ed io non riuscivo a chiuderli senza perdermi.

Ti amo, Liz. Non mandarmi via. Che cosa stai facendo? Come pensi che stia, senza di te? Non riesco a vivere se tu non ci sei. 

Le labbra di Peter erano vicinissime alle mie. Gli occhi chiusi, le sue ciglia lunghe.

Le sue labbra, le mie labbra. Jacob non soffrirà per questo, non morirà per me. Amare significa rendere liberi, io lo amo, lo libererò. Non ci sarà più dolore.

Scambiai per dolce il sapore amaro dell’alcol sulla sua lingua, la sua mano sulla mia guancia, le sue labbra leggere come carezze sulla mia bocca.

Chiusi gli occhi, la luce della strada dai fori della tapparella mi faceva vedere piccole macchie fluorescenti sul nero.

Peter mi stava baciando.

«Pete.» Chiusi gli occhi. Mi ritrovai a sentire una strana pressione sui polsi, e quando aprii gli occhi le mie mani era sulle sue spalle e le sue dita intrecciate alle mie. Gli occhi scuri che mi cercavano, leggermente socchiusi. Sembrava che stesse per cadere addormentato, e quasi mi persi in quel dondolio che lo portava verso di me. Sempre più vicino, sempre più vicino, abbracciato a me. Scacciai via l’odore di birra, come se fosse solo una specie di nuvola, un disegnino da bambini fatto per sbaglio su un quadro del realismo. Così incontrai di nuovo il suo odore fresco, dentifricio e semplicemente profumo. Morbido e allo stesso tempo forte, buono, suo. E lo sentii davvero, perché le sue labbra erano sulle mie. Un verso venne fuori dalla sua gola e si confuse con il mio respiro, mentre mi stringeva a lui. Sentii la sua mano sul viso, i calli duri dei polpastrelli a toccarmi. Si fece più forte sulle labbra, che mi si aprirono, e la sua lingua mi arrivò al palato e mi prese, mentre lui mi sollevava. Sul letto il colpo mi fece quasi sussultare, senza il suo abbraccio. Rimasi immobile, mentre lui raccoglieva le coperte cadute a terra e si passava una mano fra i capelli. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò ancora.  Sentii l’eco del mio corpo che rabbrividiva, mentre lui mi toccava. La sua bocca sul mio collo, le sue mani su di me. Era già buio, nella stanza. 
Smisi di essere Liz e chiusi gli occhi.
*
*
*
*
Ciao a tutti :) Spero che non mi vogliate uccidere, questo capitolo è molto importante per il resto. Da qui comincia un scalata verso quella che potrà essere una vottoria o una perdita. Grazie davvero per esserci sempre, spero che abbiate passato delle belle vacanze e che le stiate passando bene, se così fosse. Grazie davvero :) Mi piacerebbe molto ricevere i vostri pareri, mi rendereste davvero felice. Oh, passate a leggere Il mio perché, una fantastica storia su Embry :)
Un bacio e al prossimo
Ania <3
p.s ho trovato un cantante che assomiglia molto a Peter come lo immagino, si chiama Steve Mokaen :) Eccolo qui
peter
Alla settimana  prossima <3

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Capitolo 13
*** 69. Epilogo ***


jake 69

69. Epilogo

The day between the soil and the sky
An emptiness, a void, a heaviness, a sigh,
But I know you will make through alive
Cause you never said goodbye

Between - Courrier

Jacob

Sette anni dopo.

Mi sveglio alle tre di notte, buio pesto.

E  il rumore di un cuore accelerato mi spinge ad aprire gli occhi.

I capelli le cadono sul petto, le labbra leggermente aperte, il tessuto bianco che sembra trasparente.

«Che ci fai qui?» le chiedo. La mia voce suona roca, mentre lei mi fa scivolare il lenzuolo dal petto e se lo avvolge sopra la testa, i riccioli che le finiscono sulle guance.

«Sono entrata dalla finestra.» La sua voce è dello stesso candore della sua pelle, anche se le guance le si infiammano.

Appoggia la testa sulla mia spalla, e sento una strana pressione all’interno della mia testa, come se pulsasse, perché lei è quasi della mia stessa temperatura e mi aspetto sempre di sentire qualcosa.

«Da quando sei qui?»

«Russavi già.» risponde e poi ride. Le prendo il naso fra due dita, come se fosse piccola. «Mi sentivo triste.»

«Tuo padre è partito di nuovo.» Non è una domanda.

Gli occhi color cioccolato che sono l’unica cosa più scura che ha si chiudono anche se restano aperti. Diventano opachi ed io non riesco più a riflettermi dentro. Poi mi guarda fisso e sembra che se li toccassi mi troverei il cioccolato sulle dita. Si morde le labbra e io la abbraccio perché - è così e basta -, cazzo, non ce la faccio.

«Non capisco.» sussurra.

«Non devi capire.»

«Non mi vogliono bene.»

«Non è vero, Ness, lo sai.»

«Mi lasciano sempre sola.»

«Non è vero, ci sono io.» 

Si stacca da me ed io le accarezzo la guancia.

Aspetto il tremore, il brivido, la svolta.

Ma non arriva niente.

Bells con il vestito bianco il giorno del suo matrimonio, le trecce, i capelli dai riflessi ramati, l’acqua del fango negli occhi.

Ha le labbra dischiuse, rosa e leggermente umide.

Come il giorno del suo matrimonio. 

Adesso le tolgo il lenzuolo dalla testa e i suoi riccioli sono disordinati, riflessi ramati. Gli occhi marrone brillano, – acqua fangosa  lei accenna un sorriso, inclina la testa, il naso a sfiorarmi il mento – viso a forma di cuore.

Ciao, Bells.

«Sì, tu ci sei sempre.» sospira, mentre comincia ad accarezzarmi il petto con le dita e non capisco.

Hai freddo, Bella? Stringiti a me. 

Questa volta non capisco anche se sento chiaro l’ordine che mi urla, dall’interno. 

Sento quello che vuole come se io stesso lo desiderassi, lei deve averlo.

Resto immobile e stringo gli occhi in uno sforzo inutile che non mi porterà da nessuna parte.

Sento la sua mano sulla mia spalla, le sue ginocchia ora ai lati delle mie gambe, mentre continua ad accarezzarmi.

«Domani hai scuola… Ness.» 

Non dovrebbe essere qui. 

Non dovrebbe farlo, è una bambina. 

Ha nove anni, non diciassette come sembra. Non sa nemmeno lei di che cosa sta vivendo, che cosa sta chiedendo. 

Anche se lo fa per l’ennesima volta.

Perché l’emorragia mi prende nel cervello, ed io non posso fare nient’altro che quello che vuole lei.

Eseguo.

Il mio corpo di uomo reagisce e, Cristo santo, non voglio che si fermi – fermati, Bella –, è il mio imprinting– Vattene, Bella – ma continua con foga, e chiudo ancora gli occhi e sento la sua mano sul mio volto. La tua mano è sul mio volto e mi guardi addolorata, occhi color nocciola, non cioccolato, quelli sono passati, quelli mi hanno abbandonato e adesso sono nel mio cuore. 

Tu invece sei ovunque. 

Mi baci, fa' che non finisca mai, ti prego. Toccami, toccami, non smettere di toccarmi.

«Non è importante.» dice lei.

La guardo e Renesmee – Bells – si porta le mani dove sono quei tre, quattro bottoni del vestito che indossa. Li sbottona tutti, poi se lo toglie da sopra la testa, e la pelle bianca è lattea sotto il mio sguardo.

Bella Swan ancora viva.

Adesso si avvicina e mi spoglia, le fermo i polsi e sono i suoi occhi intolleranti e inquisitori perché vuole questo, ed è il mio imprinting e non posso dire di no.

Bells.

Sono debole sotto la sua presa e mi lascio andare, la lascio fare.

 Toccami, non smettere di toccarmi. Un’ultima volta, per sempre. Questa volta, per sempre. Sei bellissima, amore mio. Non ti lascerò mai andare via, Liz.

Prende le mie mani e se le posa sul gancetto del reggiseno, gli occhi cioccolato a fissarmi.

Eseguo.

La guardo come vuole essere guardata. Così la spoglio e la sento tremare. Sfiora la mia pelle con la lingua e trattengo un ringhio. Lupo, uomo, istinto. E adesso l’incastro è perfetto e lei quasi si culla da sola, sul mio corpo. Le mie mani sono fra i suoi capelli, li tiro, c’è il suo collo ed io lecco. Perché è quello che vuole e chiede.

Bella Swan ancora viva.

Le sue mani sulle mie spalle, poi sulla ringhiera del letto a spingere più forte, io sono sempre più forte dentro di lei, sempre più forte.

Ti amo. Cosa pensi che importi il tempo che passa? Ho l’orologio rotto da quel  giorno, non è cambiato niente.

Si spinge, sispinge più forte. Adesso chiama il mio nome ed è più veloce. Le tiro i capelli e le sto facendo male.

Pensi che io sia felice, così?

«Jake.»

Le tiro i capelli, mordo.

Così, Liz?

Adesso si muove piano, e ha le braccia esili, le mani piccole. C’è una lacrima che scintilla sulla sua guancia ed io la faccio scendere, lascio che le cada giù, sulla linea del collo e poi sul seno, dove prendo e tocco con le mani, il lupo sta bene

«Jake.» E lo dice ancora.

Così? Cosa pensi che sia cambiato? Gli anni. I numeri si sono aggiunti, trecentosessantacinque giorni e anche di più, ogni volta, ogni notte. Sono diventato vecchio a furia di ricordare. Sporco e ancora marcio. Un frutto cattivo non può diventare buono, e il verme che sono tutti i giorni senza di te mi ha bucato il cuore. Forse mi odieresti o continueresti ad amarmi. Ci stiamo facendo del male insieme, la distanza la schiaccio sotto i piedi. 

E il verme divora. 

Il sangue scende.

Respira affannata, i capelli bagnati da lacrime e sudore. Mi atterra e non la riconosco. Mi mette le mani sul petto e continua, ed io non riesco a vederla. 

Ci sono solo gli occhi, cioccolato fuso, lacrime, un corpo bianco.

Così, Liz?

Bella.

Capelli ramati.

Bella sotto il sole.

La prendo per i gomiti e finisco. I suoi capelli colorano come di sangue il mio cuscino bianco, e sono sicuro che quello lo sia davvero, del sangue.

Eseguo.

Grida e mi fermo.

La guardo.

Così, Liz?

Il lupo mi urla contro, mi fa diventare sordo.

Devi dirlo.

Eseguo.

«Ti amo.»

Una bugia, una bugia, una bugia. Sembra la voce di un matto, quella che me la urla. 

Renesmee ha ancora gli occhi chiusi e fatica a respirare. Così non mi guarda e posso morire un’altra volta.

Pelle bianca, traslucida.

Bells.

Capelli color del rame, più chiari al sole.

Bells.

Labbra carnose, a forma di fragola.

Bells.

«Anche io ti amo.» sorride, mentre lo dice. Ed io apro la bocca in una sorta di imitazione, perché è quello che vuole vedere. Forse lei è felice. E un “forse” è tutto quello che posso darle.

Apre gli occhi, li tiene socchiusi.

«Dormi, ora.» mormoro. La bacio sulla fronte come quando era piccola e mi inventavo le storie per farla addormentare. Bella leggeva nell’altra stanza, Edward a volte suonava il piano. A volte non c’era proprio. E tutte le volte Bella si alzava in piedi, come se mi dovesse dire qualcosa di importante. Lo sguardo d’oro e perso nel vuoto.

Renesmee ha ancora la bocca socchiusa.

Ignoro.

La bocca umida.

Ignoro.

Il lupo ringhia.

Ignoro.

Il cuore mi sanguina.

«Jacob…»

Li sento. 

Ululati da lontano, nella foresta. Sono i miei fratelli, ed io non posso restare più qui. Apro la finestra e l’aria della notte mi accarezza la pelle, mi stringo nelle braccia un momento. Non accendo la luce, vedo ogni cosa anche se il nero copre tutto di scuro. La voce dei miei fratelli mi riscalda le orecchie, mi avvicino alla porta. Mi stanno chiamando.

Sposto lo sguardo sul calendario.

Anche questa notte se ne sta andando.

Sette anni che non sei con me.

La luna illumina il mio cammino.

A chi appartiene, questa luce?

Il lupo corre.

Ora è libero. 

Solo il bosco, il fuoco, la notte.

E l'oblio.

Sbagliato.

La felicità.


Sbagliato, Jake.

Ho ancora il sapore metallico del nomade che abbiamo sfracellato in bocca, ed è una favola. Non esiste più niente. Il lupo uccide e l’uomo guarda e basta.

C’ è solo il fuoco che lo fa morire davvero.

«Jake, stai bene? » mi chiede Embry.

Il sole è ormai alto, ed io mi sto rimettendo i jeans che ho avuto il tempo di legarmi alla caviglia-zampa che mi ritrovo. 

«Tutto bene.» sospiro.

«Ti abbiamo chiamato nel momento meno opportuno?» Sorride, ed una dolcezza nausenante mi prende lo stomaco. Mi mordo la lingua.

«No.»quasi ringhio. Mi hanno chiamato nel momento migliore, invece. Renesmee voleva che la baciassi sulle labbra… ed io…

«Non sei per niente bravo a dirti bugie.» 

Lo guardo, si è seduto su una roccia, i capelli un po’ lunghi che gli cadono leggermente sugli occhi. 

«Lei mi ha lasciato a questo.»

«Jake…»

«Oh, basta, cazzo. Questa è la mia vita.»

«Sai che lei pensava che saresti stato felice. »

«Sì, lo so. »

«E invece… »

«E invece penso a lei ogni fottutissima volta.»

Finirà mai tutto questo?

Embry si passa una mano fra i capelli. Io sento il sangue che mi scorre fuori dalle vene. 

Non finirà mai.

***

Sono le quattro e busso alla porta di casa Cullen. Mi appoggio al muro con le mani in tasca, il viso verso il cielo nuvoloso di ottobre. Bella è un vampiro e sa benissimo quando sto per arrivare, eppure per venire ad aprire ci mette sempre tempo. Perché ormai ne ha tanto e non sa che farsene.

«Jake? »

Ed è sempre la stessa. Come se fosse sorpresa, felice, imbarazzata al tempo stesso.

«Ciao, Bella.» Mi lascia entrare nella sua casetta nel bosco. La guardo e brilla, quasi con discrezione, perché il sole non c’è. Accarezza il bordo di un libro, i capelli alzati e una camicia a quadri che mi illude di rividere i suoi occhi di una volta. 

Strano, eppure anche normale. 

Sapevamo tutti e due che sarebbe successo. Bella quando mi guarda lo fa sempre allo stesso modo. Abbiamo fatto l'amore mentre Renesmee dormiva, serena nel suo letto, con il volto di una bellissima bambina di dieci anni. Non è successo solo una volta. Facevo finta di non crederci, di solito. Pensavo che fossero solo allucinazioni, Bella che mi voleva e si faceva amare da me in un modo simile a come avrei sempre voluto fare. Con il peso dei suoi rimpianti addosso. Poi è stata lei a sentirsi in colpa, a dirmi che non poteva più lasciare che succedesse.

«Nessie non è tornata da scuola?» Sfoglio uno di quei libri che sono sul tavolo.

«Oggi pomeriggio voleva andare a Seattle a fare compere, non te l’ha detto?» Si siede.

Deglutisco, e gli occhi gialli e striati di Bella assomigliano a quelli di un gattino. Se non fosse che sono grandi come due perle e che potrebbero assomigliare alla lava del sole.

«No. Non me l’ha detto.»

«Pensavo che stanotte aveste avuto modo di parlare.» Tiene il segno con l’indice e chiude il libro. Si sposta una ciocca di capelli dal viso.

Arrossisce in un ricordo lontano, che prende il suo posto.

Mi siedo davanti a lei e mi graffio le labbra con i denti. 

Non mi vergogno per niente.

«Sei gelosa?»

«No.» Si alza in piedi. Si volta. Prende un altro libro dalla libreria come se le servisse veramente.

Il sangue brucia, quando scorre.

«Renesmee è brava, Bella.» Ma lo dico in un modo che la fa voltare e quasi la fa correre verso di me. Faccio davvero schifo, vero? Be’, io sono abbastanza in gamba a volermi male. Magari se comincia anche lei mi sembrerà di avere uno scopo nella vita.

«Jacob, per favore.» Ha gli occhi lucidi e sembra quella di prima. Piangi, Bella. Per favore, piangi. Mi passo una mano fra i capelli.

«Mamma?» È Renesmee.

Apre la porta.

«Oh, Jake. Sei qui.» Rimane sulla soglia, sempre con il sorriso. Le piace fingere di tenere tutto nascosto. Perché io sono l’amico di famiglia che si è innamorato di lei, e nascondere ogni cosa a Bella la fa sentire un’adolescente normale.

Ma Bella sa sempre tutto.

«Ciao, piccola.» Il lupo ripete le parole nella mia mente. «Tua madre dice che devi andare a fare compere a Seattle. Ci vai con le tue amiche di scuola? »

«Oh.» Si sistema i riccioli che le cadono sulle spalle. «Speravo che mi accompagnassi tu. A Seattle. »

Trattengo il respiro.

Bella resta immobile, ancor più di sempre.

Renesmee alza lo sguardo da terra.

«È… È un problema? »

«Ness… » comincio.

«Sicuramente no. Jacob conosce bene Seattle, tesoro.»

«Oh, davvero? Non me l’avevi mai detto! »

Seattle.

Liz.

«È vero, la conosco bene.»

Guardo verso il basso, e sento gli occhi di Bella che mi illuminano come farebbe la luce di un faro. Una goccia di sudore mi cade dalla fronte.

Sento i passi di Nessie, lei che cammina con quelle scarpe basse, i jeans chiari che quasi si confondono con la sua pelle.

«Mi sembri strano, Jake.» dice.

«Amore, Jacob lavora, lo sai…» Bella ha sempre la stessa voce. È la stessa di quando mi raccontava la storia di Dorian Grey, quando dovevo esporla alla scuola della riserva. Lui giovane e bellissimo per sempre, con macchie indelebili sulla coscienza.

«La accompagno.» Sorrido a Nessie. E dentro mi sento qualcosa che salta, va su e giù e mi graffia le pareti dello stomaco, mi ribolle nel cuore e mi oscura il cervello. 

Il suo viso appare, la sua voce, le ultime parole, le prime. 

Elizabeth Audley. 

Lizzy. 

Liz.

Lo sguardo di Bella sembra allarmato. Si tortura le mani e sarà umana per sempre, sempre qui, nel mio cuore che adesso quasi si congela e poi scoppia come un’enorme palla di vetro, perché Bella è un fantasma ed io la sento ancora e sempre. Sto con sua figlia e penso a lei. Penso a lei e arriva Liz, perché è stata la mia ultima occasione. 

L’ultima volta in cui ho detto “ti amo" con la mia vera voce.

«Grazie, Jacob.» Renesmee è davvero piccolina, la vedo. So che ha l’impulso di fare come quando era una bambina, darmi un bacio sulla guancia e dirmi grazie. Ma lei sta pensando a stanotte, alle nostre lingue e ai nostri corpi, a quello che ha chiesto lei. E così diventa ancora più bambina, perché il rosso delle sue guance è come quello di Biancaneve. E lei a Biancaneve ha rubato sangue, carne e occhi.

Renesmee entra in camera sua e mi lancia uno sguardo che dovrebbe essere malizioso, ma io lo vedo sempre nella sua innocenza, perché per me non cambierà mai.

Bella mi guarda, resta in silenzio ma urla.

Anche io resto in silenzio.

Non ho niente da dire.

***

Dietro di me ci sono delle sedicenni che cantano a squarcia gola la canzone di un gruppo che in tv hanno definito "I nuovi One direction". Non hanno per niente a cuore il mio udito super iper sviluppato. Parcheggio la macchina e loro escono velocemente, quasi avessero fretta.

Spengo la radio - chi me l'ha fatto fare a accenderla - e appoggio una mano al volante, gli occhiali da sole che mi fanno vedere più scuro, perché non ho bisogno di protezione per i miei occhi che sanno vedere nel buio.

Volto la testa e abbasso il finestrino.

I capelli di Renesmee sono lunghi e mossi, riflettono la luce come se fossero una lastra di bronzo. Si gira e il profilo diritto e gli occhi scuri me la fanno vedere attraverso. 

È Bella Swan in una giornata di sole, tanto tempo fa.

«Vado a fare un giro.» le dico. Lei annuisce e quasi socchiude gli occhi, non so bene perché.

«Ciao, Jake. A dopo.»

Le guardo andare via. Le ragazzine sfigurano con lei. Forse sono carine, o addirittura belle. Ma Renesmee splende di una luce quieta, come se fosse protetta da un muro invisibile. 

Mi sistemo gli occhiali da sole. Ho caldo da morire. Come può esserci questa temperatura a ottobre? Almeno sono a maniche corte.

Esco dall’auto e mi passo una mano fra i capelli.

Davanti a me, il parco di Seattle. 

Vedo la palla di fuoco nel cielo scoppiare e scendere in tante piccole scintille rosse. E il caldo del pomeriggio diventa normale. Perché è settembre e quella ragazza si guarda le scarpe mentre la fisso. Imprinting. Imprinting. Ora. Ora. Ma lei alza lo sguardo e i suoi occhi sono grandi, marrone chiaro, qualche pagliuzza dorata. E mi accorgo che no, non ha i capelli biondi. Sono castani chiarissimi e basta, con solo qualche riflesso. E mi sta sorridendo.

Ma ora sono in ottobre e si tratta di anni. 

Non vedo Liz da quella volta in cui si è infilata in macchina e se n’è andata. Mi ha guardato con le lacrime agli occhi e ha parlato per me. Se n’è andata per permettermi di essere felice.

Così, Liz? A scoparmi lei che è come la madre e a pensare a te. Così, Liz? Lei geme ed io mi graffio i denti perché sei l’unica cosa che vorrei e per cui voglio vivere. 

Non morire. 

Vivere. 

Sposto la macchina nel parcheggio all’ombra, come se mi servisse veramente. Mi spingo a camminare per le strade e non so nemmeno come ci riesco. Inalo l’aria della città. Scuola, panini, coca-cola. Walter cotto di Lucy. Lizzy che correva all’uscita da scuola. Dina che scuoteva la testa mentre ascoltava la musica dai suoi auricolari. La professoressa di spagnolo, quello di filosofia che baciava la prof di Arte nei corridoi. La neve, le labbra di Lizzy. I suoi disegni. I suoi discorsi sulla scuola, sulle feste, sua madre che era morta quando era piccola, suo padre che lavorava fuori. I sorrisi, i baci. I baci che non ci facevano più respirare, le mani. La paura. Il ballo…

Continuo a camminare. In questa strada, sette anni fa, c’era il negozio di Kyle dove lavoravo. Ora si è trasferito a New York con sua moglie, ha due bambini piccoli. 

Continuo a camminare. So benissimo che a un paio di isolati da qui c’è la casa di Liz. So benissimo che passerò a guardare da lontano. Non so perché non ci vado adesso. È che sento freddo e i brividi mi percorono tutto il corpo. Mi fanno alzare i peli e mi induriscono la pelle. 

Dio, sono nella sua stessa città. 

Mi sento bruciare gli occhi e menomale che ho gli occhiali a proteggermi. 

Vedo ancora il sole che scoppia e le scintille dello stesso colore del fuoco. 

 «Oggi è stato orribile. Ho ancora la matita nelle unghie.» Mi arrivano alle orecchie le chiacchere di alcune ragazze. 

Il viso di Liz sembra sbiadire dalla mia mente. 

«Sì, anch'io. Ma non pensiamoci, tanto domani è Venerdì. »

Gli occhi marrone cioccolato.

Sbagliato.

I capelli ramati.

Sbagliato.

La voce candida.

Sbagliato.

È chiara e morbida.

«Tu fai qualcosa domani? »

Sempre quella voce.

Ma non sento nient’altro, forse dopo c’è una risposta. 

I suoni intorno a me diventano tutti uguali. Clacson, frenate, risate, grida, sussurri, bambini che piangono, bambini che strillano, ragazze che parlano, ragazzi che giocano. Pugni amichevoli, schiaffi, carezze, baci, sospiri nascosti.

Liz, amore mio. 

La voce morbida e chiara è un unico granello di sabbia in un mondo in cui il mare non esiste, e le ultime onde del mondo sfracellano le rocce e il terreno e qualunque cosa, perché... è morbida e chiara. La sua voce.

Qualche passo.

Morbida e chiara.

«Dio, che bello.»

La sua voce.

Mi volto.

La Design Web Agency ha sede nel palazzo alto con la scalinata simile a quella di un liceo, quella che lei sta percorrendo. 

La sua gonna è corta, ma qualcosa la copre, sono calze. Gliene ho rotte due, così. Mi sono ritrovato il nylon fra le dita e ho biascicato uno “scusa” da niente.

«Adoro quel posto, ci sono stata un paio di anni fa.» dice l'altra.

Lei ha i capelli legati, il viso accarezzato da un leggero venticello. Qualche ciocca le cade sugli occhi, lei è veloce ad afferarne una e a portarsela dietro l’orecchio. E il profilo è uguale e sfumato. 

Ti ho cercata sempre. 

Una maglietta viola. Viola come al ballo. Le gambe, snelle, sfinite. Dio, le braccia, le mani che stringono una cartellina. 

La scollatura. 

È lei. 

Le labbra rosee. 

È lei. 

I capelli, gli occhi, le ciglia. 

È lei.

«Quel tipo ti fissa.» Questa non è la sua voce.

Ma lei mi guarda.

Perché si chiama forza di gravità? Ogni cosa trema e sono io e c'è lei, è la terra che ci separa. L’aria che respiriamo, i passi che percorriamo, gli sguardi che ci lanciamo.

Chi sono, io?

Chi è, lei?

Non ricordo nemmeno da quanto tempo, ma lo so. La stavo cercando.

L’ho trovata.

«T-Terry… io ho dimenticato una cosa, vado a prederla.»

L’altra riponde ma io non la vedo. Non c’è più il sole, il nostro pianeta, la vita con l’acqua. Il nero e una luce come un riflettore su di lei, e le sue iridi mandano bagliori, lo so, lo sento. La vedo. 

Questa è l’aria che respiriamo. Mi ci aggrappo tutte le volte ed è la stessa. 

Il cielo è lo stesso, le nuvole, le stelle, la luna. 

Il giorno, la notte. 

Le ore, gli attimi.

Le voci.

«Liz.»la chiamo.

E così capisco che è tutto vero.

Il cuore batte ed io mi sento morire, perché ogni cosa pulsa, dentro di me. Ossa e organi e cervello e suoni e ricordi di lei e di noi e giorni di adesso.

«Liz.» dico ancora.

Mi affanno, mentre salgo le scale e lei apre la porta e corre, corre veloce. E ce la faccio a mantenere la porta, mi ci appoggio come se stessi per chiudere gli occhi e dormire, stremato. Stremato da tutto. 

Anche la terra pulsa, fa tuh tuh, tuh tuh.

È Liz.

Non capisce che è stata lei a tenermi in vita per tutto questo tempo?

Non riesco a vedere le pareti bianche, la luce che proviene solo dalle vetrate. 

Liz si appoggia a qualcosa, si mette le mani sul viso, si infiamma completamente. L’incendio si dirapa e mi prende, lo sento sotto le piante dei piedi. Non si vede ma non potrebbe bruciare in modo diverso, non potrebbe fare più male. Eppure cammino sulla striscia di fuoco e non ci sono pareti bianche, non c’è la luce del pomeriggio. 

C’è la lava di un cuore che erutta, come un vulcano. Perché il mio è sempre stato sul punto di esplodere.

Mi avvicino.

«Che ci fai qui?» 

Ci separano pochi centrimetri e posso sentire il calore del suo fiato. Chiudo gli occhi e li riapro. Ho desiderato con tutto me stesso che fosse il suo, quello che ho sentito sul mio viso quasi ogni notte da qualche mese a questa parte. Il suo affanno.

I suoi occhi sono luce, fuoco, marrone chiaro, pagliuzze più chiare, oro.

Piange.

«Che ci fai qui?» chiede di nuovo. Non va in frantumi. Semplicemente la sua voce si scioglie, come la cera, o come il ghiaccio dimenticato fuori. 

Ma lei non ha dimenticato niente.

Non rispondo. Respiro solamente, mi ricordo che sono vivo. Respiro. E non riesco a parlare e lei piange, a pochi centrimetri da me.

Si tortura le mani al petto, un po’ scure sui polpastrelli, colore di mina – lame di coltello – morbidi sulla mia pelle un tempo, gentili sul mio viso – lame di coltello – a prendere, a sentire, a toccare, ad amare.

Può dare più sollievo, il fuoco che brucia?

La mia Liz.

«Mi manchi.» le dico.

Ma mi odio. Mi odio, mi odio, mi odio. 

Qualcuno mi uccida perché la sto abbracciando. 

Qualcuno mi uccida perché la sto stringendo e la sto toccando, e faccio scorrere le mie mani sulla sua schiena mentre lei trema e il suo corpo è schiacciato contro la scrivania. 

Il suo corpo è esile e piccolo, pelle rosata, tiepida con me, mi fa tremare. 

Il tremore, la differenza, la svolta. 

Arriva ora.

Mi sta abbracciando anche lei, adesso. E con la bocca le sfioro il collo, ha i brividi, li sento anch’io.

«Jake.» singhiozza. Ed io le tengo stretta la testa e incontro l’elastico dei suoi capelli e non so perché lo faccio. Glieli ho sciolti. 

Non so più un cazzo. Non so nemmeno come mi chiamo. 

Jake? È così che mi chiama lei. 

O forse sta chiamando qualcun altro. Non so un cazzo di niente. Solo che voglio morire così perché improvvisamente respiro. 

«Non dovevi venire.» parla ancora e alza la testa. I suoi occhi sono nei miei. La mia fronte è calda contro la sua, le mie mani scendono sulle sue braccia, il tessuto della maglia fino ad arrivare ai polsi. E lei chiude gli occhi e sospira, mentre le accarezzo con le dita quel poco di pelle liscia e chiara che posso vedere. Così respiro, e il mio fiato è rumoroso. Potremmo fare l’amore e allora sarei silenzioso per sentire lei, perché sette anni senza voci e parole sono buio pesto in pieno giorno, e vivo così da tanto.

«Stai bene?» Questa è una domanda e mi sembra di aver fatto uno sforzo enorme. 

Mi sento leggero e allo stesso tempo so che non riuscirò a muovere un passo indietro da lei. Anche se… anche se un formicolio mi prende dall’interno, la testa, ora le braccia, e le dita che la sfiorano.

Liz mi allontana con una mano, piano, e il miraggio di un sorriso mi viene davanti agli occhi; lo bevo come se fosse acqua. 

Lascio un po’ di spazio fra noi.

«Sì. Bene.» risponde. Annuisce, come se avesse risposto un altro al suo posto. Si tocca i capelli che le ho sciolto, a scatti. Prende una ciocca e la liscia, guarda per terra. Prende una ciocca e la liscia, ancora.

«Bene.» ripete. E quando appoggio una mano alla scrivania lei ha già fatto qualche passo per allontanarsi. Non stacco gli occhi da lei. Perché bellissima, così simile all’ultima volta. Persino la lucentezza negli occhi è la stessa dolorosa luce che ho visto quel giorno. 

Il viola me la ricorda il giorno del ballo e tutto il resto è suo.

«E tu?» Le sue labbra si muovono. 

Impiego un secondo a capire che cosa intende, che cosa potrei dirle, a cosa potrei pensare.

Sì, sto bene.

Sbagliato.

Sto. Bene.

Sbagliato.

Continuo a guardarla e il tempo scorre lento in tutti i suoi movimenti. L’aria diventa vapore che bagna. Inumidisce e tampona. 

Ed io mordo la lingua e sento il sangue.

Ha i capelli ramati che le scendono sul petto, gli occhi di Bella. 

Sei suo.

Sto bene. 

Non è quello che vuole sentire? 

Ma Liz vuole sempre la verità.

«No.» rispondo. 

Tortura una collanina che le ricade sul petto, si morde le labbra.

«C-Che vuoi dire? »

Un sapore amaro mi prende la gola e mi raggiunge la lingua, acido come il vomito. L’odore mi attraversa le narici come se ci fosse una nube di fetore davanti a me, ma io lo so bene. 

Viene da dentro.

«Sto con Renesmee.» Mi viene fuori senza che me ne accorga. 

Sospira, come di sollievo. Si passa una mano fra i capelli e le si increspano le labbra. Gli occhi sembrano più chiari, come oro, o solo stelle. O sono io che ho vissuto al buio finora e so solo che il modo in cui guarda assomiglia al modo in cui illumina il sole.

«Ne sono… ne sono felice. »

E scoppio. 

Acido, fuoco. 

Crollo, caldo afoso. 

Buio, nero, freddo. 

Renesmee nella mia testa. 

“Baciami, Jacob.” Obbedisco. 

“Toccami.” Obbedisco. 

“Continua.” Obbedisco.

Obbedire, eseguire gli ordini. Ascoltarli. 

«Io no.» dico.
 Mi avvicino. Una sensazione di distruzione cade su di me come pioggia. Potrei cadere e non rialzarmi più. 

Mi mordo le labbra e il dolore pulsa come ogni cosa, perché lei è qui davanti a me, qui il dolore ritorna e lo posso ascoltare con la sua voce scura. 

Qui sono vivo, e muoio.

«Come vuoi che sia felice, così?» le chiedo.

E muoio.

La prendo per il braccio.

Vivo e muoio.

«E così come, poi?» continuo, e solo dopo aver finito mi accorgo di aver urlato. 

Di avere ancora più caldo, di tremare.

«D-Dovevi farlo.»

«Impossibile.» Sospiro.

Dio, ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo. Non è cambiato niente, Liz. Cosa vuoi che cambi quando io resto uguale?

Lo farò, lo sento. 

La vedo fare quell’espressione di paura, perché ha capito. Lei capisce sempre ogni cosa. Vedo le sue labbra che si muovono, che si stirano, le ho sognate la notte. 

Mi bacerà, per impedirmi di parlare? Vuole dire, no, non farlo. Non dirlo.

Ma io lo farò, lo dirò.

Perché per me lei non è mai andata via.

«Ti amo.»

Non smetto di guardarla, quando quasi mi piego in due per lo sforzo. Ci sono ancora le spine. Quelle che si sono conficcate nella mia pelle e sempre più a fondo nella mia carne quando abbiamo fatto l’amore per l’ultima volta. E le spine sono rimaste ancora dentro di me, in bilico fra il cuore e il mondo esterno. La pelle sfregata con la sua le fa muovere ed io sento male, male, ancora male. 

La mia pelle sfrega con la sua e le spine affondano, tagliano, feriscono sempre di più.

Renesmee. Renesmee. Renesmee.

Ma io non voglio che finisca.

«J-Jake, non… »

Non voglio che finisca. 

Voglio ferirmi ancora, chi se ne frega. Non so più niente, non più un cazzo. Voglio quelle labbra. Perché è sempre stata troppo lontana. Ma la distanza non vince l’amore, è l’amore che è sempre più forte.

Renesmee. Renesmee. Renesmee.

Scaccio via l’immagine. Mi sento morire, ho sete. Ho sete di lei, acqua che avvelena, posso davvero chiudere gli occhi per sempre e restare così. Le stringo le mani, ho la bocca socchiusa, i muscoli tesi, ogni cosa è tesa ed io mi sento ancora più  forte. Più aumenta il dolore, più sento che posso farcela.

Voglio baciarla.

I suoi occhi quasi svaniscono, sotto lo strato di acqua che ora scende sulle sue guance ed io non capisco. Non capisco perché volta la testa e mi lascia una mano ed io sono a pochi centimetri dalla sua bocca e il dolore è così bello che potrei farlo durare in eterno, se solo fosse possibile. 

Perché le ho permesso di andarsene?

«Non farmi questo, Jake.» sussurra.

Quasi mi acceco. 

Si asciuga le lacrime con le dita, quelle che una volta ho baciato e ingioiato. 

E sul suo anulare la gemma manda leggeri bagliori, bianca.

È un anello.

Non farmi questo.

La guardo.

«Liz.»

«Vattene. Per favore, vattene.» 

Perché mi prega? 

Perché fa questo? 

Perché non riesco a lasciarla?

Faccio un respiro profondo. Mentre mi verrebbe da sputare per terra, perché...  

Perché lei sta con un altro

Un altro le ha infilato al dito quell'anello.

Un altro la tocca, la bacia, un altro la ascolta, la abbraccia. Ed io vorrei solo spaccargli la faccia. Anche se so benissimo che è sbagliato.

«Me ne vado.» fiato. 

Ma non lo faccio, in realtà. 

Un movimento, un passo, un altro, e chiudo gli occhi e posso vederlo, il sangue che sgorga, il fuoco che brucia, Liz che mi guarda, le linee di fuoco che esplodono come se fossero bombe. 

Linee grigie, polvere da sparo. Qualcuno ci butta un fiammifero. 

Le prendo il viso fra le mani.

Le mie labbra sono sulle sue e tutto esplode.

Gemo, con una mano le prendo le spalle. . 

Apre la bocca, la assaggio con la lingua. Sento che mi sta legando per sempre e non sarà mai più come prima. Perché non sono i lacci d’acciaio, di ferro, quelli a forma di catene. A tenermi intrappolato per sempre... è questo. 

Quello che sento, quello che voglio, quello che mi ha lasciato e che in realtà è sempre rimasto con me.

Il nostro respiro è affannato. Le nostre mani ora sono intrecciate, poi si lasciano e si ritrovano. 

Liz è sottile e leggera e fragile. Le accarezzo i capelli. 

La bacio ancora, ora le accarezzo la pelle scoperta dalla maglietta.

Sto morendo. Le spine affondano. Fammi morire, ora. 

Sì, si sta aggrappando ai miei capelli e tutto si annebbia. È un paesaggio scuro nella mia testa coperto da macchie grige e bianche. Poi il buio ritorna e copre tutto, appiccicoso e schifoso come il petrolio. 

Le fiamme si alzano. 

Non puoi.

Mi stacco da lei. 

Fuoco e acqua si scontrano.

Aspetto che si riprenda, perché l’ho fatta male. 

L’ho ferita, l’ho presa, l’ho baciata.

«Mi dispiace.» le dico.

Lei si mette la borsa in spalla. Mi sembra più magra, più esile.

«Anche a me.» sussurra. Fa qualche passo verso un’altra porta. La seguo. «Puoi uscire di qui.» mi dice. La sua voce è rotta.

«Tu non vuoi che torni.» le dico. Lei apre la porta di sicurezza.

«Non importa che cosa voglio. Sai che non cambierà niente.»

Faccio qualche passo e per uscire e la sfioro, con le labbra, con il naso, quel suo profilo da ragazzina.

Le spine quasi non le sento.

«Io… spero che tu sia…»

«Non dirlo.» Questa volta sono io a parlare così. Sappiamo entrambi che sarebbe una bugia. «Devi esserlo tu.» dico, e vorrei tanto che la mia voce sembri dura e sicura.

Lei annuisce ma non sembra convinta. È… è solo bellissima.

«Cerca di stare bene.»

«Posso provare.» Cerco di sorridere.

Poi chiude la porta ed io resto fuori. Faccio il giro del palazzo, so benissimo che lei prenderà l'altra uscita. Ci sono una sacco di persone. Donne con passeggini, bambini che corrono, ragazzi, ragazzini. C’è anche uno con la custodia di una chitarra.

Il telefono vibra nella mia tasca.

Ignoro.

Renesmee.

Renesmee.

Renesmee.

Lei scende le scale. 

Io sono abbastanza lontano da non farmi vedere. 

Allunga il passo, quasi corre. Dio, come fa ad essere così bella? Sarà sempre così, anche quando si vedrà davvero che il tempo è passato. Sento il mio viso che si rilassa, sto sorridendo.

Corre, continua a correre.

E quasi la sua cartellina cade a terra e il mio cuore ha un tonfo.

Sospira di sollievo, la sento.

Parla, la sento.

«Peter.»

Poi abbraccia un altro che non sono io.

La vista si annebbia, sento ogni cosa perché il mio udito non mi inganna.

«Ehi… ti vedo scossa.» Lui scuote la testa, i ricci gli cadono sugli occhi. Mette a terra la custodia della chitarra, per abbracciarla con entrambe le braccia.

«Io… voglio dimenticare questa giornata.»

«Va bene, è andata male.» Lui sospira, le bacia le labbra. «Andiamo a casa? »

«Sì, adesso.» Gli prende la mano. «Voglio solo scordarmi di tutto. »

Deglutisco. Li guardo camminare. Lei si appoggia a lui... che è una specie di certezza? Che cosa? Che cos’ha più di me?

Non è un mutaforma e niente lo porterà via da lei. 

Forse lo ama. Vorrei che fosse così. Vorrei riuscire a pensare davvero in questo modo.

Il telefono continua a vibrare, lo afferro.

È Renesmee.

Renesmee. Renesmee. Renesmee.

I lacci mi stringono, sospiro, lascio che la coscienza si appiattisca, il brusio ricomincia, scambio la luce artificiale per il sole che non splenderà mai più.

Rispondo a Renesmee,  guardo Liz andare via. Bellissima, piccola, con i capelli ora sciolti. La camminata agile, il suono della sua voce da lontano.

È vero, l’amore è più forte. Ma spesso noi siamo più deboli.

Così, nell'Epilogo della mia vita, torno da Renesmee, accompagno a casa le sue amiche, i finestrini dell’auto si appannano, perché lei mi vuole ed io sento la sua voce, eseguo gli ordini. La mia mano indugia ancora sulle sue cosce, la mia stessa temperatura e nessun brivido.

Sono felice, Liz. 

Nei sogni, forse lo sarò.

 

Quando aprii gli occhi, la mia fronte era bagnata di sudore. Non avevo mai fatto un sogno così da suicidio in tutta la vita. Mi portai una mano alla gola, mentre il respiro affannoso faceva rumore nella stanza buia. Guardai l’orologio sul comodino. Mezzanotte e mezza, buio pesto. 

Spalancai la porta di casa.

Ogni cosa balenò nella mia mente come se fosse sempre stata chiara. 

Non sarebbe mai cambiato niente, che passassero sette anni o qualche mese.

Avevo deciso.

Dovevo andare da Liz.

Ora.

Forse non era troppo tardi.

La amavo e aspettare non sarebbe servito a niente.

Per questo corsi, mi trasformai, ascoltai il vento e seguii quella che da molto avevo già riconosciuto come la mia strada.

*

*

*

*

Ciao a tutti! Vi ho fatto spaventare? A me ha shoccato scriverlo, sinceramente, e mi ha fatto davvero tanto male. Spero comunque che vi abbia emozionato :) Questo capitolo non è un epilogo, Jacob sta ancora combattendo e noi siamo vicini alla fine. Il sogno di Jacob ci ha mostrato come sarebbe il futuro se lui cercasse di vivere come gli dice l'imprinting. L'amore per le due donne che ha davvero amato non scomparirebbe.

Ringrazio voi fantastici lettori che mi leggete e recensite sempre <3 <3 <3 Maria ( <3), Noemi, fufe, Roberta, J, Vi ( so che mi leggi <3 <3 ) e anche Steffy e tutti voi altri! <3 

Questo capitolo è dedicato a Cristina <3 . Lei mi dice che sono sadica, ma voi ci credete? xD

Da qualche giorno, sono online anche gli altri cpaitoli di Destiny Heart, li trovate qui, ( ho chiesto a Erika, se può, di inserire le vostre recensioni )per questo ho diviso la storia in due parti :))

Grazie mille a tutti voi per esserci, davvero. Non immaginate quanto mi rendete felice.

Un bacio

    Vostra Ania <3

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Capitolo 14
*** 70. Vuoto ***


jake 70

70. Vuoto

A hundred days have made me older
Since the last time that I saw your pretty face
A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same
But all the miles that separate
Disappear now when I'm dreaming of your face

Here without you - 3 doors down




Sentii la stoffa della sua maglietta scorrere fra le mie dita, e poi i muscoli tesi della schiena, delle spalle sui miei polpastrelli. 

Una ragazza si lasciava baciare e chiudeva gli occhi, mentre lui le sbottonava la camicia. 

Era come se stessi osservando la scena dall'esterno, mentre la me stessa che dovevo essere continuava a vivere. E l'altra invece, era risucchiata via.

Poi sentii la morbidezza della sue labbra su di me.

Ero lontana miglia ma ero lì, fra le sue coperte. 

Presi un respiro profondo. 

E così, accadde.

"Quegli occhi, dio i suoi occhi. Nero di foresta, amore, giorni perduti, quelli che ci sono stati e che non ci saranno mai più. Perché sei qui, amore mio?Ho il cuore che corre verso di te, fallo tornare indietro, caccialo via. Non amarmi più."

«Liz.» La voce. Eccola lì, roca, graffiata, schizza via e fa male, ustiona come l’acqua bollente. Una voce che lascia le bruciature e che mi parlerà per sempre, un’eco lontana ma sempre troppo vicina. Credevo di esserci riuscita, anche solo per un momento. 

È tutta una bugia.

Mi appoggio al tronco dell’albero davanti a me, il marrone della corteccia sulle mie dita, ogni cosa ondeggia e sono costretta ad appoggiarmi con entrambe le mani, mentre chiudo gli occhi e li riapro e mi volto e  i suoi passi sono i miei, sincroni, due orologi fermi che ricominciano a funzionare male.

«Jake… » 

Sento le sue dita sotto il mio mento, e porta i miei occhi nei suoi, mare scuro di dolore che mi arriva addosso in un onda alta.

Alza lo sguardo, le ciglia folte a fargli ombra sul viso. Si lecca le labbra, piano, sospirando. 

Rimango quasi stordita, non so se per il suono della sua voce o per tutto quanto.

«Sono a pezzi. » Non smette mai di guardarmi, mentre quella a spezzarsi sono io. Trattengo in gola una specie di gemito, come se qualcuno mi avesse infilato la mano in gola.

«Tu vuoi sempre la verità, no? » fa ancora. Cerco di non scivolare lungo il tronco e scoppiare in lacrime,  mentre non voglio fare altro che abbracciarlo ed essere stretta fra le sue braccia, protetta da lui per proteggere lui, fare qualunque cose per tornare quelli di una volta.

«Sì… la verità. » sussurro.

«Lo so.» Trattengo il respiro e qualcosa mi percorre la schiena, lenta, forse un rivolo di sudore o del sangue, per essere così attaccata a questa corteccia che mi graffia la schiena.

Mi porto una mano sugli occhi, perché, di nuovo, non vedo più bene. Ma lui me la afferra e la porta sul mio viso. Sussulto nel toccare la sua pelle, calda e ricordata nei sogni bui.

«Vieni con me.» Mi prende l’altra mano e la intreccia alla mia. Un tremore leggero lo travolge e travolge me. «Con me, Liz. Se mi ami ancora.»

La paura comincia a congelarmi il sangue, vene rosse che diventeranno viola al più presto. «Jacob.» Non lo fare. Ti prego, non lo fare. Ti fa male, non puoi. Non toccarmi – toccami, non andare via – abbracciami – porta via le tua mani – prendimi – scappa, per sempre – baciami – dimenticami per sempre.

«Credevi davvero che lasciandomi sarebbe cambiato tutto?» La sua voce mi graffia i timpani e affonda, affonda sempre di più, nel mio petto e nel cuore in corsa con uno squarcio. Bordi neri e infuocati, incandescenti.

E anche la mia lingua comincia a bruciare. E anche tutto il resto, quando parlo.

«Io ti amo, non ti ho mai lasciato.» 

Jacob sembra contrarsi, accartocciari su se stesso, proprio come una carta buttata nel fuoco, mentre i suoi occhi si accendono e diventano più neri.


«Lizzy. » Liz. Perché continuavo ad immaginarlo? «Lizzy.» Liz. Ed era davvero immaginazione? Perché mi sembrava di averlo vissuto davvero?

La sua mano indugiava, trovava la cerniera dei mie jeans.
Aprii gli occhi.

«Non posso.» E la mia voce venne fuori dalle nostre labbra che ancora si toccavano. Peter sciolse la presa. Aveva le labbra arrossate.

Sospirò, era contro di me. Lo guardavo e mi guardava anche lui, le pupille leggermente dilatate, un cerchietto marrone a creare una specie di aureola.

Gli scostai i capelli dal viso. 

Trovai la forza di tornare a respirare. Affondare le mani nei cuoi capelli. Lo sentii sospirare. Guardarmi. Socchiudere gli occhi. Alzarsi. Avvicinare il viso.

«Lizzy, io...»

«Io... sono innamorata di un altro e tu non meriti questo.»

Ogni cosa era piatta e incolore. Sentii la sua mano tiepida toccarmi il collo ed io mi scostai, veloce. Incontrai la sua espressione ferita. Troppo tardi. Peter era lì, davanti a me. Mi strinsi nella braccia.

«No... ho sbagliato io.» La sua voce era allarmata.

«No... è che... mi dispiace. Non è colpa tua, dipende da me.»

«Non... non volevo che andasse a finire così. Pensavo... pensavo che magari...» Peter si alzò dal letto, lentamente. Chiusi gli occhi.
«Lo so... lo pensavo anch'io. Sono una stupida... me ne vado. »
«Lizzy, aspetta.» Mi alzai anch'io e un senso di vergogna mi fece tremare le gambe.
 
«Mi dispiace tanto, Pete.»

Niente nero. Niente bianco.

Solo grigio.

Peter mi attirò a lui e mi strinse in un goffo abbraccio.

Non sentii niente.

Gli occhi neri scomparvero nel millesimo di un secondo, e mi lasciarono senza respiro.
Il fuoco si era spento. Ed io avevo deciso.
Mi passai una mano fra i capelli e sospirai. Se avessi avuto più tempo avrei anche potuto innamorarmi di lui. Se non avessi rivisto Jacob.

Ma non ero riuscita ad evitarlo. Tempo, mesi, ditanze. Quando si ama qualcuno non conta nient’altro che non sia lui. E la distanza si annulla, il tempo smette di andare avanti, il dolore resta e l’amore anche. Come con me.

E Peter non meritava una ragazza  che pensava ad un altro mentre lo baciava. Che rivedeva degli occhi neri e liquidi invece dei suoi, lucidi e marroni. Che rivedeva un viso bronzeo invece del suo chiaro, dei capelli neri e corti, invece dei suoi castani.

Non lo meritava.

Ed io ero in trappola, ancora. Perché il cuore ha la stessa forma e misura della nostra mano chiusa a pugno, e mi colpiva costantemente. Ci era scolpito sopra un nome, e il suo battito accelerava tutte le volte che lo sentivo nella mia vita. E mentre Peter mi baciava, non mi aveva travolto un ricordo di Jacob ma... che cosa? Una specie di... messaggio, o segnale? 

Ma no... era da pazzi... 

Raggiunsi la mia macchina, vicino al garage dove Peter aveva suonato.

Misi in moto, subito, e non per andare a casa mia. 

Per andare a Forks. 

Sei pazza. Premetti il piede sull'acceleratore. A mezzanotte, da sola, verso Forks. Sei pazza. 

Sì, sono pazza e lo amo. 

Imboccai la tangenziale per lasciare la città. Insieme alla mia, altre macchine si dirigevano verso la parte opposta della penisola Olimpica. Una pazzia. 

Sì, lo era, volerlo vedere di nuovo, abbracciarlo, dirgli che ci avevo provato anch'io.

Arrivare da lui in piena notte, come un vagabondo che non sa dove andare, una scappata di casa, una ragazzina. Ma dovevo farlo. Il sangue mi scorreva nelle vene così come io scorrevo su quella strada, e potevo andare solo da lui. Scesi dall'auto, piena notte. Rabbrividii, il volto verso il cielo. La luna che tremolava, io insieme a lei, acqua di mare che ondeggia, un sospiro trattenuto. Un sussurro, il suo viso impresso nei miei pensieri. Di fronte a me, gli arbusti fitti e i tronchi scuri del bosco di Forks immersi nel buio.


Il mio telefono squillò. E i battiti del mio cuore rimbombavano nella mia testa, anticamera buia del mio cervello.

Lessi il nome sul display del cellulare e mi si gelò il sangue. Presi un respiro profondo.

«Jacob? Jacob, sono a Forks.»

Nessuna risposta.

Mi sentii soffocare, l'aria che diventava pesante.

«Lizzy?» 

«Seth?» Mi si attorcigliò lo stomaco. «Che... Che succede? Perché mi chiami con il telefono di...»

Silenzio.

Un silenzio troppo lungo.

Mi appoggiai all’auto, senza trattenere il tremore. Non sapevo perché, ma un ricordo amaro mi entrò nella mente, striscia di fumo in un cielo bianco. 

La paura di ascoltare qualcosa.

«Seth?» lo richiamai.

Lo sentii sospirare, mentre la striscia di fumo copriva ogni cosa, non lasciando spazio a niente. 

Né alla luce, né alla vita. 

Quando sentii le sue parole caddi nel vuoto. 

La forza di gravità mi trascinava nel buio.

*

*

*

*

Ciao, carissimi <3 Manca davvero poco alla fine. Questo capitolo è corto ma lascia un seme che germoglierà nel prossimo :D Che cosa sarà successo? Spero di riuscire ad aggiornare velocemente con i prossimi capitoli <3 <3 <3 

Grazie a tutti voi. Per tutto quanto. Le recensioni allo scorso capitolo mi hanno fatto un piacere immenso, ero consapevole di osare ma ho voluto farlo lo stesso :) A parte lo spavento iniziale xD sono contenta di avervi trasmesso quello che volevo <3 


A prestissimo 

Un bacio

Vostra Ania <3

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Capitolo 15
*** 71. Appiglio ***


jake 71

71. Appiglio

Don't tell me if I'm dying, cause I don't wanna know
If I can't see the sun, maybe I should go
Don't wake me cause I'm dreaming, of angels on the moon
Where everyone you know, never leaves too soon
Angels on the moon - Thriving Ivory

Quando si capisce che il nostro tempo è finito? Un punto, una linea, un segno. La pioggia che cade, la grandine. 

O solo il silenzio.

Alzai il viso al cielo.

Buio.

Mi inoltrai nella foresta. 

Strofinai il muso lungo la zampa, braccio umano, per far cadere via gli ultimi lembi della mia maglietta.

Dove ti ha toccato lei.

Scivolò e mi sfiorò il petto.

Dove ti ha toccato lei.

Chiusi e riaprii gli occhi nei secondi necessari per guardare i fili del tessuto volare nell’aria e cadere.

Sei un lupo, ora.

L’aria si affinava sulla mia pelliccia, mentre io correvo a tutta velocità per raggiungerla. Da lupo ero molto più veloce, e in questo caso non mi servivano mezzi umani, per andare da lei. Schivai un ramo spezzato sul mio percorso, saltai. Mi ritrovai davanti a un tronco e ci azzondai le unghie, ora artigli – le tue mani – quelle che mi rendevano un pericolo al mondo – le mani con cui l’hai toccata – ad affondare, a far zampillare il sangue. Ringhiai forte, il viso rivolto verso il cielo nero, come ogni cosa in quell’istante, da tanto tempo. Solo buio nella mia vita, anche nella vista nitida e perfetta del lupo.  Mi mossi verso i confini, mentre il mio ululato ancora cantava, rimanenza di voce che ancora volava nell’aria della notte. Corri, corri, Jacob Black.

E se Liz mi avesse ricacciato indietro sapevo bene cosa fare.

Ultima volta umano, ultima volta uomo. 

Il ricordo della sua pelle con la tua per sempre.

Sipari chiusi, niente applausi.

Fine della storia.

Le mie zampe avanzavano lente sul terreno, adesso. Ero già sui confini e la mia testa era silenziosa, senza nessun pensiero altrui. Strano, credevo di incontrare qualcuno, invece ogni cosa era tranquilla. Molto meglio, ero libero per la prima volta della mia vita di fare qualcosa.

“Non toccava a te, stasera.” La voce di Larry rimbombò nella mia testa. 

Strinsi le zanne.

“Vai via, Larry.”

“Ho capito che vuoi fare.” 

Voltai il muso, per incontrare i suoi occhi. Un manto dorato sotto la luna quasi brllava nell’oscurità. Ma i suoi occhi non potevano essere più neri. 

“Sai che non puoi.” continuò.

Mi venne fuori una risata, anche se avevo la mascella serrata. Ma risuonò  male, come se provenisse da molto lontano. Sentii il cuore vibrare, dentro di me. “Non puoi farlo tu.”

Ricominciai a correre.

Sentii i suoi passi pesanti anche oltre i confini, i suoi ringhi, i suoi richiami. Ma chi se ne fregava, avevo scelto. Se avessi trovato Liz insieme a un altro non avrei più potuto far nulla. Non avrei più pensato, ricordato, forse avrei sognato, sì. Che cosa sognano gli animali? Mangiano, uccidono, si accopiano, stop. Le persone… sono solo umane, nient'altro. Nascono, crescono, si innamorano, stanno male, male da morire, crescono ancora, se sono fortunate muoiono in un letto caldo. 

Molto probabilmente io sarei morto in una foresta lontana.

“Fermati. Non devi andare oltre i confini, se qualcuno ti vedesse...”

“Lasciami in pace, bamboccio. Se proprio ti va di stare dietro a qualcuno va' dalla tua ragazza. Tanto lei è propensa.”

Sentii il suo fiato sulla gola, la sua mascella contro la mia pelle, a graffiare. Le sue zanne. Gli ringhiai contro, trovando tutta la mia forza.

“Hai insultato Jen.” Sentii nella mia testa la sua voce tagliente. “Non te lo lascio fare... hai insultato Jen.”

“Tu non sai niente dell’amore.” Deglutii, mentre Larry rafforzava sempre di più la presa, senza smettere di tramare. “”Non sai niente.” 

Lui tremava, gli occhi spalancati.

”Lasciami andare.” Nella mia mente, anche tutto era un sussurro.

“No.” I suoi occhi fiammeggiavano, come il fuoco. I lapilli di quel vulcano mi colpirono all’improvviso, scoppiarono ed entrarono dentro di me, mentre lui mi soffocava. 

Lo stava facendo veramente. 

Mi soffocava. 

Teneva stretta la morsa, i denti.  E le mie palpebre si fecero sempre più pesanti, mentre i suoi occhi non erano più scuri ma troppo chiari, non più neri, rosso sangue. 

Ringhiò forte. 

E poi i suoi denti mi perforarono la gola e quel dolore si unì a tutti gli altri, mentre mi accasciavo a terra di schiena per non risvegliarmi più.

 

Perché non mi ero opposto? Che cosa potevo saperne. L’unica cosa che volevo era essere libero, e anche così, stava accadendo. 

Dio, Paul… anche tu hai provato questo. Come quando da piccoli giocavamo a tenerci a galla nel mare, poi arrivavano i tuoi schizzi.

La libertà. 

Da quanto tempo non la conoscevo, nella mia vita? Forse non mi era mai successo davvero, ed ora invece sì. 

Ora ero libero.

Che cosa si prova, quando si muore? 

Non i denti che ho sentito nella mia carne, non l’odio negli occhi neri, non la terra contro di me.

Sono solo umano.

Ciao, Bells. Ti sei fatta male alle ginocchia sulla spiaggia. 

Non piangere. Sei diventata bellissima... Mi stai baciando, la tua bocca è sulla mia, in cima alla montagna. La senti, la neve? Cade suoi tuoi capelli, nei miei. Un giorno vedremo il sole proprio da qui e ci baceremo ancora. Ora hai un vestito da sposa e il cuore mi salta in gola, mi corri incontro e piangi e mi abbracci, hai sposato un altro. Ora sei bianca e vecchia, anche se hai diciannove anni, stesa su quel divano che non sarà mai quello arancione e sempre pieno di briciole a casa di Charlie. Ti sta uccidendo. Ti sta uccidendo, Bells. Non voglio perderti, che cazzo ti è saltato in testa? Fai uscire quella cosa prima che sia troppo tardi, che cosa vuoi da me? Vuoi che muoia, dimmelo!  

C'è sangue, sangue dappertutto. I tuoi occhi che piangono insieme a me, cioccolato fuso d’inverno quando fa freddo. 

Ti tengo stretta la mano, Bells. Perché ti terrò al caldo e se ti abbraccio non sarai mai fredda ed è così che non morirai mai. Non ti lascerò morire.

Bella... Bella... non morire.

Il tuo cuore non batte più.

Deglutisco, ti guardo.

Non chiudi gli occhi e resti a guardarmi per sempre. 


“Jacob.” 

Sentii una voce, lontana. La conoscevo, e mi stava chiamando ma non capivo. Su quel manto di foglie di un autunno vicino, i miei occhi erano chiusi.

Il sole è alto, non ci sono più le nuvole. 

Ogni giorno, a settembre, mi vesto sempre a maniche corte, Bella amerebbe questa città. La coca che ho preso dallo zaino di Mark mi scende in gola, lei passa con in mano un libro sottile. 

Mi saluta, - Ciao.

È un’amica. La cocacola scende ed io sorrido. Rispondo: - come va?

- Bene e tu? 

- Bene. 

Vorrei che fosse così.

Vorrei.

La proiezione della prima guerra mondiale, i suoi capelli mi solleticano le spalle. 

Mordicchia un cracker. -Vuoi?- Sorride. 

Lo prendo, - Grazie.- Mi porge il thé al limone che ha nella bottiglia, bevo. 

C’è il suo sapore sopra.

Lei che ride.

Ride e ti prego, non smettere. 

Si appoggia a me, rido anch’io e rido davvero. Niente più sangue, e mostri, e puzza di sanguisughe. Burro cacao all’albicocca, biscotti venuti male, evidenziatore, colori. 

Liz.

"Jacob... Jacob non lasciarti risucchiare."Ancora quella voce. Alle mie orecchie arrivarono degli ululati, lunghi e sofferti. In quella lingua che avevo imparato a comprendere, i miei fratelli mi tenevano stretto alla vita.

Le mie mani sul suo viso, che freddo a dicembre, vigilia di Natale. 

Non ride più ma tremo lo stesso. Non ride e chiude gli occhi, mi avvicini. Cade la neve, nel parco di Seattle. 

La sto baciando.

“Jacob.” La voce era sempre più vicina, e ora non c'erano dubbi... era un amico, un amico che mi conosceva e che mi stava aiutando.

Dio, ti amo, ti amo, ti amo. Non te l’ho mai detto, vero? Ma non ti avrei mai detto nemmeno questo, se non fosse vero. E apri gli occhi e ho avuto una paura fottuta di perderti per sempre.

Ora sto morendo, vedi? 

Non posso vivere senza di te.

E scivola via quel vestito e sospiri. Sospiri mentre io ti tocco e ho paura di nuovo. Potrei pederti, svegliarmi all’improvviso, scoprire che non è vero niente. La tua bocca sulla mia, le tue mani intrecciate alle mie. 

Tu ed io, per la prima volta.

“Aggrappati, Jacob.”Mi diede quel comando come se fosse un Alpha. Solo, sapeva quello che io ancora non conoscevo.

Lei ha i capelli ramati, gli occhi marrone cioccolato, corteccia di bosco... no, più scuri, cioccolato. Ha la sua bocca, è piccola. Ha i suoi occhi, è piccola. 

Le catene mi portano a lei.

Le vidi, lunghissime e di metallo, che scintillavano ancora, sporche di sangue. Partivano dal mio stomaco.

“Aggrappati, Jacob.”

Vidi le mie mani che sfioravano le corde d’acciaio, fredde contro la mia pelle.

Aggrappati.

Non all’imprinting.

Il suo viso mi apparve e divenne sempre più vivido. 

Le labbra, gli angoli della bocca che si alzavano in su, i capelli castani chiarissimi al sole, gli occhi marroncino chiaro, grandi, le pagliuzze ancora più chiare nelle iridi. 

“Aggrappati per tornare in vita, Jacob.”

Scivolai sulle catene, in tutto il mio peso. Lotta, libertà, amore, battaglia, guerre, vincitori, vinti, catene, acciaio, Liz, Liz, Liz… Un rumore metallico mi fece tremare in quella condizione che non riuscivo ancora a capire. Agitai le braccia, spinsi coi gomiti, con le gambe. Presi fra i denti. Metallo che strideva, metallo che si scioglieva sotto il mio tocco bollente, lame avvelenate e infette a bruciare, a bruciare me senza risparmiare loro stesse.

Le catene fluttuavano nel nero. E un vento caldo mi prese da dentro, ovunque. 

Liz che si scotta con la teglia dei dolci, Liz che disegna il ritratto di sua sorella, Liz che ascolta al telefono le sue amiche, Liz che mi abbraccia, Liz che trema contro di me.

Liz.

Poi ogni cosa scomparve e il buio oscurò ogni parte di me. 

Liz che mi prende la mano e la poggia sul suo petto, il cuore le batte forte sulla mia pelle e so per certo che il mio batte ovunque e vibra dove lei accarezza, bacia. Mi sta sorridendo e non è un ricordo, ha dei contorni troppo nitidi... 

E' di una bellezza che mi sconvolge,  vera.

Non c'era freddo. 

Solo un calore che credevo di aver dimenticato, in fondo al cuore. Questa volta lo sapevo. 

Le catene cadevano, cadevano giù. 

E il gelo era finito per sempre.

*

*

*

*

Questo capitolo è per Noemi, J, Virginia, Cristina <3 <3 <3 

e per tutti coloro che, come me, pensano che l'amore sia più forte dell'imprinting.

Ciao, carissimi <3 Cosa posso dire? Sono emozionatissima. E lo sono per quello che succede in questo capitolo <3 Spero che tutto qui sia chiaro. Secondo il mio obbiettivo una cosa in particolare non lo è ancora, ma scoprirete tutto nel prossimo capitolo :)) Mancano esattamente tre capitoli. Altri due e poi l'epilogo <3

Grazie davvero, a tutti voi. Comunque sappiate che alla fine di tutto ci sarà una bella pagina di ringraziamenti <3 <3 <3

La canzone che vi ho linkato all'inizio mi piace non solo per la musica ma per il significato, si sposava benissimo con quello che succede in questo capitolo.

Grazie <3

A presto

Vostra Ania <3

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Capitolo 16
*** 72. Alba ***


jake 72

72. Alba.

When the end has come and buildings falling down fast
when we spoilt the land and dried up all the sea
when everyone has lost their heads around us
you will find him you'll find him next to me 

Next to me - Emile Sande 

«Jake sta morendo.»

Chi sei? Come ti chiami? Ogni cosa perde importanza. Ogni cosa si annulla, si cancella, tasto magico sulla tastiera della tua vita, disegni e gomma da cancellare. 

Solo tu e un ricordo. 

Solo tu che corri da lui, perché il destino è un disegnatore di strade, e tu stai prendendo quella pericolosa.

Mi ero infilata in macchina, con il respiro bloccato, soffocata dalle parole di Seth. Poi avevo reagito, Seth continuava a parlare, il telefono fra le mie gambe, e allora avevo avuto il coraggio di ascoltarlo. Così ora entravo a casa Cullen, senza prestare attenzione ai ricordi che mi passavano nella mente a ogni passo fra quelle mura bianche.
«Dov’è?»

Me ne sono andata per salvarti e ora muori?  Non toccare mai più la mia mano, so che senti dolore. Non dirmi mai più ti amo, so che ti avvicinavi alla morte ogni giorno di più. 

Che ti è successo, Jake? 

Il sole non si spegne, il sole è alto e forte e non muore.

Tu non puoi morire.

«Lizzy.» Qualcuno mi abbracciò, mi strinse forte. Chi era? Calda… sentivo la pelle calda contro di me… Leah? No. Alzai il viso e lo vidi fra le lacrime, alto, tanto alto, le sue mani sulle mie spalle… capelli n scuri, lisci. Occhi che piangono. Embry.

Dove sei, Jake? Che cosa hai fatto? Non volevo che mi amassi fino a morire… io non volevo…

Non capivo. C'erano tante persone, intorno a me. Statue di marmo e uomini di carne, lacrime e sospiri che rimbombavano nella pietra. Le persone parlavano. Non mi arrivavano la loro parole, perché nella mia testa c'era solo lui. Incontrai lo sguardo di Carlisle e la sopresa mi travolse. Che cosa era successo davvero? Mi condussero al suo letto e capii, lo vidi, aveva una benda sul collo, la coperta bianca che non era niente su di lui, lui con gli occhi chiusi. 

Sembri un bambino, amore mio. Se non c’è il sole ad illuminare il cielo sarà notte per sempre, lo so.

Gli presi una mano, mi portarono una sedia. Piansi, singhiozzai. Gli sussurrai delle cose che nemmeno io sapevo di poter dire. Erano minacce, le frasi più sdolcinate del mondo. Torna qui, Jake. 

Sei un incosciente e un idiota e un bambino. Ti amo tanto.

«Il suo cuore batte.» disse qualcuno. E in quel momento seppi che era una voce bellissima... apparteneva a quel dottore dalle sembianze di un angelo che ci aveva aiutato più di una volta.

E piangevo tanto come non avevo mai pianto. Sorridevo come non avevo mai fatto.

«Grazie a te, Lizzy. Se non ci fossi stata tu non sarebbe tornato. Sono entrato nella sua testa proprio come ha fatto lui con me quella volta... Gli ho parlato, l'ho chiamato, ho visto tutto.» Era la voce di Embry. Grazie a me?

Ora una mano sulla mia spalla era fredda, la carezza di una cara amica. Capellli neri, corti, piccola amica. Alice. E avrei voluto con tutto il cuore che mi perdonasse, perché non riuscii a sentirla. Ma poi mi scosse, e ripeté sempre le stesse parole. E allora riuscii a capire tutto.

«È tornato grazie a te.»

Sei così caldo anche addormentato. Il sangue ti scorre nelle vene, denso e vivo.

Il mio cuore sussulta. Perché è riuscito a trovarti e la direzione è quella giusta.

Ci siamo noi in una foresta ed io non ho più paura. 

Ci sei tu e sei un lupo ed io non ho paura. Accarezzo il tuo manto rosso e diventi uomo sotto le mie mani. E la tua pelle scotta ed io non la lascio, Jake. Non ti lascio. 

Ho capito che cosa vuoi, ho capito che cosa hai fatto. 

Resterò con te.


***

Mi risvegliai e Jacob era ancora lì, dormiva. Mi passai una mano fra i capelli e mi allontanai dal comodino dove avevo poggiato la testa per quelle poche ore e mi avvicinai al letto. Non riuscii a trattenere il desiderio di accarezzargli il viso.

Sentii qualcuno bussare alla porta. Mi misi seduta dritta, mentre qualcosa mi si attorcigliava nello stomaco. Non dissi niente, trattenni solo il respiro.

«Posso entrare?»

Voce chiara, come lontana, ma fin troppo vicina, cristallina.

«S-sì.» 

La sua ombra, alta e lunga, discese sulle coperte bianche ed anche su di me.

Sentii i suoi passi, poi la sua ombra si disfece, rivelandene un’altra. 

Alzai lo sguardo.

Bella mi guardava, la pelle che risplendeva nonostante il buio e una leggera luce fioca che entrava nella stanza attraverso i fori della tapparella. Incontrai i suoi occhi, dorati come “il bacio” di Klimt. Voltò la testa verso il basso, anche se ormai ero persa. Perché qualcosa di ardente mi era scoppiato nel petto, una fiammella -gelosia- che Jacob aveva spento con le sue mani; l'aveva spazzata via con acqua e sole. 

Il desiderio di essere come lei. 

I capelli neri le ricaddero sul viso, e i suoi occhi finirono sulla bambina accanto a lei.

Sua figlia.

Mi morsi le labbra fino a sentirne il sangue, e fu uno sbaglio, perché Bella si girò di scatto verso di me. Ingoiai il reflusso.

«Io… »

«Lui dorme ancora.» constatò Bella. E forse avrei dovuto riconoscere la dolcezza, nella sua voce, ma non ci riuscii. Perché guardava Jacob come se fosse ancora suo. 

Forse lo sarebbe stato per sempre, da qualche parte.

Eppure non avevo più paura.

«Sì.» le dissi. E guardai la sua bambina.

Che cosa provavo? Compassione? Piccolina, a crescere così in fretta, a vivere in questo mondo.

«Lizzy…» Bella tornò a guardarmi. «A me dispiace molto…»

«Va bene.» dissi. «Sentire questo non cambierà le cose e…»

«Lui ti ama davvero.»

«... Sì.» Mi sentii il fiato morire in gola, mentre una nota di chissà quale contentezza inesaudita volava nell’aria e cantava nel mio petto. Jacob mi amava, contro ogni cosa.

La mia lacrima si rifletté negli occhi di Bella, un biancore inaspettato nel buio della stanza. 

«Lui… ecco… » Bella sospirò, continuò ad incepparsi nelle parole. Così lontana dall’odio, il respiro di Jacob era la mia pace. «Tu sei fortunata.»

Annuii, e mi voltai verso Jacob. Solo così mi resi conto che Renesmee gli si era avvicinata. I suoi occhi marrone scuro mi sfiorarono, con una dolcezza che solo un bambino poteva avere, ma anche con una serietà che ha solo chi è cresciuto troppo in fretta.

Aveva posato le mani sul braccio di Jacob ma… sembrava che gli fosse ancora lontana. Perché uno strato di luce li separava.

«Rene… » Bella la richiamò.

Renesmee guardò sua madre, poi me.

«Starà bene.» Voce di bambina. Forse non sapeva nemmeno cosa fosse successo davvero. Forse vedeva Jacob semplicemente come uno dei tanti che l’avevano portata in salvo.

«Tesoro… » Bella allungò una mano verso di lei, ma Renesmee fece il giro del letto e mi raggiunse. La lacrima pendeva ancora dalle mie ciglia, e quando lei mi toccò, scese lenta e sola sulla mia guancia.

«Starà bene. E anche tu.» mi disse. I capelli lunghi e ramati a sfiorarmi. Le accarezzai il viso, mi ricordava mia sorella quando era più piccola.

«Certo.» Cercai di sorridere.

Poi Renesmee prese la mano di Bella. «Andiamo, mamma?»

«Sì, amore.» le disse lei. Bella mi guardò e non provai invidia per quanto fosse meravigliosa, perché lo era davvero ed io ne ero lontanissima. Mi sembrò solo più giovane di me, perché aveva sbagliato tanto. Renesmee scosse la mano di Bella, e lei si chiuse la porta alle spalle.

Mi accasciai sulla sedia, con gli occhi chiusi. Non sapevo perché, ma non mi ero mai sentita così bene con quello che ero. 

Ero pronta.

«Liz.»

La voce di Jacob era calda e roca e sempre più chiara, quando pronunciava il mio nome. «Liz.» 

Mi stava chiamando davvero.

Si muoveva.

Chiamare Carlisle. Chiamare qualcuno. Urlare qualcosa. 

Niente. 

Nessuno. 

Jake.

«Jacob.» Gli toccai il viso. A scatti, piano, troppo forte. Si stava svegliando. «Jacob.»

«Liz… »

«Sono qui.» La mia voce si inclinò. «Sono qui, Jake.»

Adesso piangevo e non riuscivo più a trattenermi, e la mia voce moriva e restava lì, nella mia gola, ma poi ne venne fuori il suo nome e poi, ancora: «Non me ne andrò, Jake.»

«Io ti amo. »

Trattenni il respiro, nel freddo.

«Io ti amo.» lo disse di nuovo.

E sorrise.

Sorrideva.

«Jake… »

«L’imprinting… Liz…»

«Sono qui, sono qui. »

Aprì gli occhi, scintillavano nel buio.

«Io... io ce l'ho fatta. Ce l'abbiamo fatta. Non c'è più... l'imprinting...»

Rimasi lì, ferma a guardare.

Non sforzarti. 

Non parlare.

Un bacio. 

Un bacio che non finiva mai. 

Quando aprii di nuovo gli occhi vidi anche i suoi.

E il sole sorse.

*

*

*

*

Ciao a tutti <3 Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Io ne sono abbastanza soddisfatta, anche se comunque cerco di migliorare sempre e spero di farlo ancora in futuro:) Un grazie speciale a tutti voi che mi seguite, siamo sempre più vicini alla fine, ci credete? E be', credo che ormai si sia capito dove volevo arrivare <3 <3 <3 Quindi grazie. Grazie a chi ha avuto fiducia in loro, ha continuato ad averne nonostante tutto e grazie a chi si è affezionato a Jacob e Liz insieme.

Grazie a tutti voi :) Qui sotto c'è un'immmagine che ho fatto un po' di tempo fa per loro due <3 vi piace? <3

Al prossimo capitolo, che è l'ultimo. Poi ci sarà l'epilogo. <3

Vostra Ania

jacob e liz

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Capitolo 17
*** 73. Adesso ***


jake 73

Beautiful dawn - melt with the stars again.
Do you remember the day when my journey began?
Will you remember the end (of time)?
Beautiful dawn - You're just blowing my mind again.
Thought I was born to endless night, until you shine.
High; running wild among all the stars above.
Sometimes it's hard to believe you remember me.

High - James blunt

73. Adesso

La mia matita batteva sul banco con la gomma rosa, l’altra mano sotto il mio mento, ad aspettare che la lezione finisse. Approfondimento della texture.

Inutile.

Già studiato al liceo.

Avevo accompagnato Peter alla stazione, quella mattina. Non era stato un addio. Solo un abbraccio teso, un respiro trattenuto, e poi lui aveva sorriso prima di me.

Non l'avrei dimenticato, Peter. E speravo che trovasse il suo modo per stare bene per davvero.

Mi passai una mano fra i capelli, mentre il professore salutava tutti per la fine della lezione. Corsi di pomeriggio, ma si poteva?

Loro dicevano di sì.

Uscii dall’aula, accanto a me c’era Terry, ci eravamo trovate in stanza insieme.

«Stasera parto per il week-end, vado a stare dai miei. Sì, per modo di dire. Il fatto è che Carlos mi manca moltissimo e...»

Dovevo chiamare Embry, o Carlisle, chiunque stesse vicino a Jacob. Non lo vedevo da una settimana, e in quel poco tempo passato da lui si era svegliato pochissime volte e cosciente per pochi attimi...

«Lizzy… mi stai ascoltando? »

«Cosa?» Ero riuscita a prendere il mio cellulare.

«Ti ho appena detto che stasera parto per il week-end.» ripeté. «Sta-se-ra par-to per… »

«Ho capito, ho capito!» le dissi. Il campus era un’area enorme, e al sole che rischiarava il cielo di arancione, ancora non avevano messo via palloni per giocare a calcio.

Digitai il numero di Carlisle.

«Lizzy.»

«Un attimo, Terry, è importante. »

«Anche questo è importante. »

«Non riesco a immaginare una cosa più importante.» dissi, e mi portai il telefono all’orecchio. Qualcosa mi tirò all’indietro, Terry che mi aveva preso per il braccio e mi voltava verso la direzione opposta.

«Quel ragazzo…»

Quel ragazzo.

Non senti più le gambe.

Cuore, cuore, cuore.

Gambe?

Cervello.

Alzò lo sguardo.

È lui.

«Ehi… stai bene? »

«Sì.» Lo vidi sorridere, il suo sguardo su di me. «Benissimo… scusa, io… »

«Lo conosci? Ti sta facendo segno da un po', credevo...»

«Scusa, è che…»

È che non riesco a capire più niente. Lui è lì e mi sta sorridendo. E non piange più, non si accascia più, non muore più. Sta bene e mi guarda e ha quegli occhi che sono più del sole, perché la sua luce non tramonterà mai. E sta correndo anche lui verso di me e la cartella mi cade dalle mani e i disegni si sporcheranno di terra ed io piangerò. Piangerò perché ho perso e non ho mai ritrovato quello che avevo perduto. Ma noi non ci siamo mai persi, perché ci sono dei fili che non si spezzano, anche se non sono d’acciaio, anche se non sono catene, e si tessono da soli, senza la magia, senza sogni già scritti e predestinati. Sono solo mani che si intrecciano e si staccano e si ritrovano. 

E apprendono il modo di trovarsi.

Mi tuffai fra le sue braccia.

«Che ci fai qui? »

«Niente… niente… è tutto ok.»

«Ti senti… »

«Benissimo.» Rideva. «Benissimo.»

Non potevo credere che tutto questo fosse vero. Era come sentire la spiaggia, la sabbia che volava, odore di bosco e terra bagnata. Jacob, sei tu. Pineta e pioggia, foglie che cadevano, lenzuola fresche. Calore. Estate per sempre. Sole.

E poi sentii le sue mani risalirmi sulle braccia, e sul collo, fra i capelli, sulle mie guance.

Non fare finire questo sogno.

Avevo gli occhi chiusi.

«Non potrei stare meglio.» aggiunse.

Era la sua voce.

E non sapevo se aveva parlato ad alta voce o no, ma sapevo che era stato lui. Il filo era attaccato al cuore e volava nella testa. I suoi occhi furono l’ultima cosa che vidi.

Poi li chiusi.

E le sue labbra si chiusero sulle mie.

***

«Quindi mi sono buttata sui libri.»

«Per farlo hai pensato a me, vero?» Gli sbattei la mia cartellina sul braccio. Sdraiati sull’erba del parco dove ci eravamo incontrati la prima volta, si stava facendo buio.

Jacob rise. «E questo che significa? »

«Che la devi smettere!» E risi anch’io, sempre con la mia cartellina a colpirlo.

«Ma smettila tu.» Me la prese dalle mani, mentre io cercavo di riprendermela. Se la mise dietro la schiena. I capelli mi caddero danti agli occhi. Sbuffai, per farli sollevare.

«Wow, sei bellissima.»

«Mhm...»

«Molto meglio dal vivo... che... be', sì, lo sai...»

«Mhm.» Jacob era steso, adesso. E le mie braccia erano ai lati della sua testa.

«Mhm...»

«Discorsi profondi.» Mi prese le mani, e non pensai minimamente alla cartellina che schiacciava con la sua schiena. Si mise seduto, le mie mani strette alle sue.

Mi accarezzò la nuca e rabbrividii. Mi aggrappai al suo collo, come se stessi per cadere. Ma noi eravamo già a terra, e per l’ennesima volta, ci saremmo rialzati insieme.

«Il cazzone mi ha chiesto scusa. Larry. Ha detto che gli dispiaceva un casino, che non aveva capito niente per la rabbia.» La sua voce era roca e bassa. «Ma... in realtà mi ha fatto un favore. Dovevo combattere contro qualcosa di veramente grande per non tornare più da te... la morte, vedi un po'. E allora sconfiggere l'imprinting è stato una specie di... causa naturale, credo.»

Gli accarezzai il viso. «Non è stato un favore. Mi sono spaventata troppo.» 

«Pensavi davvero che mi sarei fatto fare fuori da uno nuovo?»

«Penso che quando ti impegni riesci bene a fare tutto quello che vuoi, anche ad essere idiota.»

«Oh...» 

«Ma quello è un talento naturale, non è vero?» 

«Tanto tu li conosci bene, i miei talenti. Ma proprio, proprio tutti.» Scese con la bocca sul collo e ci sentii i suoi denti, mi morsi le labbra.

Tornò a guardarmi.«O hai dimenticato qualcosa?»

Chiusi gli occhi e mi avvicinai alle sue labbra.

«Io non dimentico niente.»

«Mhm, devo verificare però.»  

«Scemo.»

«Secchiona.»

«Imbecille.»

«Dio, Liz...» Mi abbracciò, mi strinse fortissimo. «Ma sai che certe cose me le sognavo la notte?»

«Che cosa pensi che abbia fatto, anch’io? »

«Sì, ma tu eri convinta… »

«Ero convinta di fare la cosa giusta. E invece l’hai fatta tu, la cosa giusta. Tu hai lottato per noi, Jake. Ed io non ho mai smesso di pensare a te.»

Gli sfiorai le labbra con le mie.

«Quindi tuo padre tornerà a guardarmi male? E ci nasconderemo in garage...»

«Ma Jacob! »

«Ma non mi dirai più di studiare Inglese perché la scuola è finita, dio… sì. »

«Vuoi smetterla? »

Il suo sguardo si illuminò di una luce bassa, come quella delle candele. La sua bocca si alzò ad un angolo, in un sorriso che conoscevo troppo bene. 

E la voce mi strisciò nelle orecchie, lenta.

«Forse.»

***

Un appuntamento normale, come se non fosse mai successo niente. Ricordando ogni cosa che ci aveva condotti lì, al punto di partenza nello stesso posto della meta. Jacob mi stringeva la mano e quando me la lasciò fu per spostare il braccio intorno alle mie spalle. Respiravo il suo profumo, camminavo piano. Come se non volessi arrivare mai da nessuna parte.

«È questa la tua stanza? »

«Eh?»

«La tua stanza.»

«Ah, sì. 14, questa. » Lui annuì, e si allontanò, leggermente, troppo piano. Sentivo i suoi occhi su di me, some se fossero mani a toccarmi. Presi le chiavi dalla borsa e le infilai nella serrutura. Le mani mi scivolavano.

«Ti aiuto? »

Ma che cavolo, no!

«Ehm… »

Sentii la sue dita calde che mi sfioravano e mi incantai a guardarle. La porta si aprì.

«Cosa faresti senza di me?»

Gli sorrisi, quasi senza accorgermene. Entrai nella stanza e mi voltai a guardarlo. Trattenni il respiro, di nuovo. Perché era appoggiato allo stipite e i capelli neri gli ricadevano leggeri sulla fronte. Di profilo, la sua bocca a disegnare un’ombra come argentata, riflesso di nero e occhi lucidi.

Sospirai, una mano a passarmi una ciocca dietro l’orecchio. Il mio cervello spento a qualunque cosa che non fosse lui, lì di fronte a me.

«Domani ti vengo a predere alla fine delle lezioni.» disse, e spostò lo sguardo verso di me.

«Sì, ok.»

Mi si avvicinò.

«Preparati a vedermi ogni giorno.» La sua voce si assotigliò fino a invadere ogni parte del mio corpo.

Non andartene.

«Farò questo sacrificio.»

Non voglio perderti mai più.



Dopo quel bacio lungo quasi come tutta la notte, aprii gli occhi. I suoi erano liquidi, acqua nera.
La superfice fu attraversata da un guizzo, una luce fioca che divenne sempre più forte.
E mi accecò.
Sospirai, gli sbottonai la camicia con gli occhi chiusi, gli scappò un suono di gola, come un ringhio, lupo di foresta che cerca, ama, lascia libero l’uomo.
Sentii la sua bocca sul mio seno.

Non aprire gli occhi.

Sentii il cuscino contro la mia testa.

Non aprire gli occhi.

Era dentro di me.
Le scintille formano un cuore, qui, fra la polvere. Fra la cenere. Ma questa non è terra arida, è qualcosa su cui la vita può esistere ancora.

Strinsi di più le gambe e mi aggrappai alle sue spalle, ai suoi capelli, alla sua voce, mentre lui spingeva, e il vuoto si riempiva. 
«Liz. » Il vuoto non esisteva più. Sentii le sue mani sulla bocca, a cercare di coprire quel poco di suono che dalla mia bocca eccheggiava nella notte, campane di una chiesa che non era una chiesa, un’armonia di cristallo e carne destinata ad esistere a lungo. Sogni spezzati e mai più rimessi insieme. Solo un nuovo sogno, qualcosa da veder crescere, diventare ancora più grande, farsi ancora più bello.

Jacob si accasciò su di me ed io ci credetti. Credetti alle sue mani che mi scostarono i capelli dal viso, credetti alle sue carezze sul mio corpo che ancora vibrava. Alla bocca che mi sfiorava il collo, e ora al suo viso che dipingeva il mio profilo nelle nostre ombre. Credetti a me stessa quando mi appoggiai al suo petto e aprii gli occhi e i suoi splendevano. Acqua di mare, chiara di nero che era il suo colore, vivo e ricordato. Credetti a me stessa quando mi sporsi per cercare ancora le sue labbra e non eravamo stanchi di niente.

Era tutto vero.

Un lacrima mi bagnò il viso e Jacob la portò via con le sue labbra, come l’ultima volta.

Lo guardai per farlo restare per sempre. 

Per sempre. 

Adesso. 

*

*

*

*

Salve, carissimi lettori. Siamo sempre più vicini alla fine, ed io vorrei che non fosse così. Nel capitolo "da infarto" come l'hanno definito in molti, se in modo positivo o negativo dipende dai momenti XD appare Terry, la ragazza che scende la sclainata con Liz. E' la stessa all'inizio di questo capitolo :)

*Orgoglio da collegamenti*

Be', ma la cosa importante è che questi due sono tornati insieme. Wow, sono insieme *.* cioè, era ora! Sì, è vero che io sono una specie di mamma di questi due personaggi che sono cresciuti in questa storia e sulla mia tastiera... e forse sono di parte <3 ma mi commuovo sapendo che siete arrivati fino a qui, anche solo per vedere come sarebbero finiti Jake e Liz <3

La canzone è una delle mie preferite e secondo me sta benissimo con loro due <3

Grazie. Grazie davvero. Non immaginate l'emozione, per me, nel pubblicare questi ultimi capitoli, ancora di più di altri anche sempre importanti dal punto di vista emotivo. Se questa storia esiste, è anche merito vostro.

Quindi grazie, a tutti voi. Sarei felicissima di sapere che cosa ne pensate <3

Al prossimo capitolo, l'epilogo.

Con tanto affetto

Vostra Ania





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Capitolo 18
*** 74. Epilogo: the way that gravity turns on you and me ***


jake 74
74. Epilogo:
The way that gravity turns on you and me

Ciao, mamma.

La mia compagna di stanza dorme dopo l'ennesima nottata passata a vedere quel "Grey's Anatomy", se non ne approfitto ora non avrò più tempo per scriverti.

Per bere il sangue devo sempre correre fuori dal davanzale della finestra si vede un bosco, fitto e scuro, verdastro e luminoso di giorno.

Come quello della nostra casa a Forks.

Papà è lì con te? Digli che mi manca, come sempre. E  mi manchi anche tu.

A volte mi aspetto di sentire degli ululati, come le ultime volte in cui siamo stati a casa, tipo sette anni fa, ricordi? A volte li sogno.

Sogno anche te. Sogno un ragazzo umano che mi salva e ho scoperto che frequenta il mio stesso corso di scienze biotecnologiche…
Qui nessuno mi proibisce di andare sulla spiaggia. Immergo i piedi nell’acqua ed è fantastico, mamma. C’è un ragazzo, è quello del sogno. Anche tu facevi sogni un po' strani sul futuro quando potevi ancora dormire. Vorrà dire qualcosa di bello?

Lui mi ci accompagna sempre, posso sentire il battito del suo cuore da lontano ma so trattenermi. Quando ci sfioriamo sento che posso essere come lui.

Vengo a trovarti a Natale.

Un bacio grande.

Renesmee.

 

La tua bambina è andata via per l'Università qualche mese fa. La senti molto meno, anche se non vi siete mai dette di più oltre a com'è bella la pioggia che cade, mamma e poi Renesmee, non mettere i vestiti buoni quando vai a caccia e anche come fa Catherine a spezzare il cuore a Heathcliff, mamma? Non la sopporto.

Ha smesso di nevicare, e il bosco bianco incontra i tuoi occhi, due piccole luci opache sul mondo. 

La neve continua a cadere.

Non hai freddo, Bella?

Non più.

Non puoi sentirlo, Bella?

Non più.

Ma cammini nella neve e il ghiaccio sei tu.

Sai poco di Jacob, ormai: ne senti parlare, visite a chilometri di distanza, solo sussurri lontani. Ma troppo vicini, perché quell’eco è un battito congelato. Ancora sospeso.

L'ultima volta che l'hai avuto accanto a te avete visto il sole sorgere dalla montagna in cui vi siete baciati in un tempo che ti sembra più che altro solo immaginazione. Stava per tornare da lei. E poi... poi lui ti ha preso la mano, ha sorriso, e non credevi che sarebbe stato triste anche così, col sorriso sulle labbra. 

"Ti ho tenuto la mano mentre morivi, Bells." ti ha detto. E tu sei rimasta ferma nel tempo, mentre il suo passava. 

A volte non lo vedi, a volte è lui che decide di mostrarsi, fra le foglie che cadono, inverno o estate, tempo che non passa mai.

Ha il suo stesso manto color bronzo, scuro. E gli occhi di acqua nera che scendono su di te.

Bella Swan salvata per sempre nel cuore di un altro.

Il lupo rosso si fa accarezzare da te. Non è nessun uomo, nessun mutaforma. Solo un animale che ti raggiunge nei boschi, sempre con te. 

Perché ci sono errori che non chiedono pegno, e malattie da cui non si può guarire, mille soli che splenderanno nel cielo mentre tu non cambi mai.

Il lupo ti guarda. È quello che hai perso. Un pezzo di lui che non potrai mai avere davvero. Cosa c’entrava la tua bambina in tutto questo? 

L'imprinting era per tua figlia ma in realtà sei sempre stata solo tu.

Edward sta arrivando, Bella. E sospiri, mentre pensi a lui, perché ha un amore tenace che può ancora tenerti in piedi su quelle gambe che tremano per qualcosa che non è più emozione. Devi imparare a non sentire freddo, fra le sue braccia. E forse poi imparerai ad amarlo, un poco per volta.

Alzi gli occhi al cielo, arancio scuro di giorni che muoiono. 

Ti posi una mano sul petto, in equilibrio sulla neve.
Ancora sospesa.

Come una bambina che gioca su un trave, con i capelli al vento. 

Senza mai cadere. 

Senza mai volare.

I tuoi ricordi sono tutti i battiti del tuo cuore di marmo. 

Se chiudi gli occhi, puoi ancora sentirli.


***

And then I looked up at the sun
and I could see 
Oh, the way that gravity turns on you and me
and then I looked up at the sun
and saw the sky
and the way that gravity pulls on you and I
on you and I
Coldpaly - Gravity

«Liz? » Sono fuori la porta di casa, appoggiato allo stipite. Mi tolgo gli occhiali da sole e mi passo una mano fra i capelli. Fuori fa un caldo tremendo, andrei in giro nudo. E così potremmo anche risparmiare tempo più spesso.«Vieni ad aprire?»

«Sono in bagno, usa le chiavi.» Parla a bassa voce, ormai: sa che ho un udito che può afferrare suoni lontani di chilometri. Sa anche che con lei riesco sempre a sentire tutto. Sbuffo e cerco la chiave tra le tremila che sono appese al vecchio ciondolo che mi ha regalato. Scalcio via una vecchia scatola di celofan, casa nuova, il gatto mi soffia contro, quel bastardo... si chiama Chad e Liz non mi ha voluto dire perché. Ci sono disegni ovunque che lei andrà a dipingere e che metterà anni a finire grazie a me. 

Perché mi piace sfilarle quel grembiule bianco che si mette sempre per fare quel tipo di cose, e il suo sospiro contro il freddo del pavimento sotto la mia pelle calda d’estate.

«Te ne sei andato senza avvisare.» La sento dalla cucina. Due grandi passi e sono da lei, appoggio gli occhiali sul tavolo e mi tolgo la maglia. Alzo lo sguardo e mi si secca la lingua, il cuore si ferma, il cuore riprende a pulsare, tutto nello stesso istante.

«Ciambelle?»

Sorride con quelle labbra rosse, sono bellissime come tutto il resto. Si asciuga i capelli con un asciugamano, goccioline le cadono ancora sulla maglietta e sulla bocca, umida.

«Solo se le hai prese senza crema. »

Questa mi fa ridere.

«Ancora con quella storia della dieta? »

«Non è una storia. È la realtà.»

«Ma che cazzo…»

«Zitto. Come le vuoi le uova?»

«Sbattute.» 

Mi guarda di traverso, quegli occhi grandi e nocciolati, come se potessero davvero sciogliersi davanti a me. Faccio il giro del tavolo e la prendo fra le braccia, come se fosse scivolata. Ma lei ride e le stringo i capelli. La bacio lento, rabbrividisco quando mi tocca con le mani lì, vicino all’orecchio.

Ho ancora gli occhi chiusi, le mani appoggiate al tavolo, accanto ai suoi fianchi, quando lei si stacca da me. Le trovo la mano, e le carezzo il palmo. I capelli bagnati le finiscono sulle spalle, mentre io le solletico il collo con il naso e le mie dita la incontrano, di nuovo, dopo infinite volte in poco meno di un mese. Ci ho speso un sacco di soldi, mai fatto nemmeno un regalo del genere perché a lei queste cose non piacciono ma… è fresca e i brividi non finiscono mai. 

La sua fede al dito.

«Jake?» Il mio sguardo incontra il suo lungo la linea della sua voce, filo sottile ed indistruttibile.

«Dimmi, piccola.»

«Devo dirtelo ora?»

«Mhh? »

«Io… devo dirtelo ora.» Si volta e si avvicina al lavello. La maglietta lunga le arriva a metà cosce, rossa e bagnata sulle spalle, perché le ho fatto dimenticare che doveva asciugarsi i capelli. Che cosa deve dirmi? Non è una cosa di lavoro, l’hanno presa un anno fa in quell’azienda incredibile, poco dopo la laurea. Io… non riesco a capire.

Mi guarda, sorseggia un po’ del succo di frutta che ha nel bicchiere. Le labbra le tremano, gli occhi sono due riflessi di scintille ancora accese, e brillano. Ho un cervello di uomo del cazzo e di' qualcosa, non farmi penare.

«Amore, che c’è?» Le prendo il viso fra le mani e le guance sono bagnate e lisce, sento un fremito.

«Ecco...»

«Liz… che… »

Intreccia la sua mano alla mia, se la porta alle labbra. Ora i suoi occhi non brillano, non risplendono, altro che i diamanti che lei non ha mai voluto.

Mi accecano soltanto.

Anche ora che li chiude, e le sue labbra sono sulle mie dita. E vorrei fermarle e guidarle io, ma non capisco. Non capisco perché è lei che deve guidarmi verso la meta, in questa strada che è ancora intricata.

Ferma la mia mano sulla sua pancia e il mio cuore resta in silenzio. E vorrei anche provare a crederci ma già lo faccio, dio, ci credo, le scintille ora sono le sue lacrime e lei che sorride. 

Ho capito tutto.

«Sei... s-sei sicura?» E forse è la prima volta che balbetto in tutta la vita. Ma lei mi guarda e mi vede sorridere.

«Sì.» Mi stringe a sé, mentre lo dice. E le tocco la pancia e lo cerco, quel nuovo battito di cuore che siamo noi due insieme e che sarà uno. 

«Ma come è successo?» 

«Jake... ma che vuoi un disegno?» 

«Qualcosa di artistico.»

Quanto siamo cambiati? So solo che le bacio le lacrime, come quella volta in cui dei lacci meccanici volevano portarmi via da lei. 

Perché il destino prende le strade e le intreccia, ma è il cuore a decidere che direzione prendere.

La prendo in braccio e lei si aggrappa al mio collo, e ride e piange, e dio quelle lacrime sono dolci, non amare. La amo, l’avevo già detto? La amo. Sono morto per dirlo con le catene che stringevano e graffiavano, morirei altre mille volte. Ciambelle, torte al cioccolato, fragole, le darò tutto quello che vuole. Non voglio immaginarlo… sono solo i sogni quelli che si immaginano, ma questa volta non è così.

No.

È vera la sua pancia che cresce, il dottore che la visita. Le sue amiche che la abbracciano, la sua scrivania vuota in ufficio. Le mie mani sporche di grasso in officina quando Walt mi stringe la mano, e Embry arriva con quella rossa carina con tante cose da dire... è bianca come un mio vecchio ricordo. C'è Leah che prende a dare consigli, Brian che si limita ad osservarle il sorriso, zia Josie che ha finito di ricamare una copertina di lana bianca, Seth che sembra ancora un ragazzino nonostante tutti i casini, quando sta con quella ragazza. Sorrido.

Forse anch' io gli somiglio.

Nello stesso parco in cui io e Liz ci siamo incontrati, nostra figlia è quella bambina che ho visto scomparire un giorno lontano negli occhi cioccolato che erano stati di Bella.

Il sole è alto, Liz viene verso di noi, torna da quel negozio di colori per una modifica alla stanzetta di Iris. L'ha scelto lei, questo nome. Perché mhm, non so come spiegare, Jake. Ma pensa... dopo un'acquazzone di quelli che non vedi mai, guardi fuori dalla finestra e non c'è più il buio. Torna l'azzurro e, dalle nuvole, nascono strisce di rosso, viola... l'arcobaleno. Sì, magari dopo un po' esci in giardino e guardi per terra, ci sarà qualche germoglio che un giorno diventerà un fiore. 

Iris significa entrambe le cose.

Gattona intorno all'albero del parco. La guardo e vorrei smettere di pensarci, ma so solo che non ci riuscirò mai.

Io, Jacob Black, non avevo speranze. 

Oggi ho molto di più di una speranza. Ma se non ne avessi mai avute, non avrei tutto questo. Se non ne avessi mai avute, non sarei quello che sono ora. Un uomo che lotta, anche se gli dicono che ha già perso. 

«Ha il tuo stesso sorriso.» dice Liz. Si appoggia alla mia spalla, è mia moglie. Eppure per me rimarrà sempre la liceale di cui mi sono innamorato sette anni fa.

«È una furbetta.» 

Prendo in braccio la mia bambina, un anno soltanto. «Pà.» le viene fuori, con la voce sottile.

Se si azzardano a portarmela via prima dei trenta spaccherò dei culi. O riprenderò a trasformarmi, nessuno può mai sapere. 

«E quella faccia?» Liz ride. Iris mi mette le mani fra i capelli. Riesco a prenderla anche con una sola mano, le faccio posare la testolina sulla mia spalla. Dio, potrà pure sorridere come me ma questo viso d'angelo di sicuro non viene dal sottoscritto.

«Quale faccia?» 

«La stessa che ha fatto mio padre quando ti ha visto la prima volta.» Quindi Frank avrebbe voluto spaccarmi il culo. Bene. «A chi vuoi fare male?»

Ma il viso di Liz è espressione di gioia, amore, la mia casa in mezzo al nulla. Fra quei cartoni che non abbiamo ancora sistemato bene. Nelle lenzuola fresche che profumano di lei. Nei miei sogni la notte, quando apro gli occhi e mi accorgo che non sto sognando. È lei che dorme fra le mie braccia, leggera ed esile, o con la pancia tonda, come quando era incinta.  Anche se abbiamo litigato da morire per quella bolletta di Internet... e per quelle bomboniere rotte, non ci credeva che non lo avevo fatto apposta a farle cadere ma Liz, che palle, quel gufo è inquietante.

Liz solleva Iris, a farla volare. Forse sto sorridendo, forse guardando soltanto. Forse mi aspetto ancora che tutto questo scompaia, ma non è vero. Perché insieme è il nostro posto. Insieme è più eterno del per sempre. Perché l’ho capito, la forza di gravità mi tiene ancorato alla terra, ma lei è una forza ancora più potente, che mi fa aprire gli occhi e vivere ogni giorno. 

La mia piccola ride, la manina chiusa intorno al mio pollice. Si tiene seduta, mi guarda con quei suoi occhi marrone chiaro e acquosi che scintillano all’ombra.  Ci vedo me stesso e la strada si fa più lunga, uno sprazzo di luce, un’onda che si schianta nel cielo, un tuono nel bianco della tempesta. Nessun destino a creare tutto questo. 

Solo un cuore che batte. Semplice come inspirare ed espirare. Vivere, credere, amare. 

Senza magie e sguardi eterei.

E così ho vinto.

*

*

*

Dedicato a chi crede nei propri sogni e non si arrende.

Dedicato a chi mi vuole bene, lontano o vicino che sia. 

E a chi ha creduto in questa storia<3 

DH

"Può essere banale sia un finale triste, che un finale felice. E' il modo in cui si arriva che lo rende speciale" Ho scritto questo pensiero su facebook, a Marzo. Pensavo a questa storia, il finale non era ancora stato scritto ma ce l'avevo nella testa... e speravo che fosse così. Speravo che questo lieto fine fosse speciale <3 Spero che per voi lo sia <3

Siamo arrivati all'ultimo capitolo. Mi mancherà tantissimo, mi mancherete voi. Mi mancherà tornare ogni giorno da scuola e trovare il tempo per Jacob Black e la mia versione alternativa per la sua felicità. Mi mancheranno le vostre recensioni, i vostri consigli, le vostre emozioni. 

Mi ricordo il giorno in cui ho cominciato a scrivere. Ero in una casa diversa, con due anni in meno, con tanta voglia di cambiare le cose. Questi due anni sono davvero passati e adesso sono qui, mi tremano le mani e ancora non ci credo. Ogni capitolo è stato un salto, anche piccolissimo. Oltre che per i personaggi, anche per me. Credo di essere diventata grande, un po' di più di quello che ora prima, ma so benissimo che ho ancora tanta strada da fare per crescere. Oh, eccome se c'è. Non si finisce mai di crescere, non importa quanti anni si hanno. Forse è proprio con questa consapevolezza che non si invecchia dentro, e non c'è bisogno dell'immortalità o di un vampiro centenario per questo, anzi :) 

Grazie. Grazie perché ci siete, dall'altra parte, e questo per me è davvero importante. 

Grazie a tutti quelli che mi hanno recensito all'inizio, quando questa storia era solo una piccola briciola di quella che è adesso.

Grazie a chi ha recensito ogni tanto.

Grazie a chi ha recensito sempre. 

Grazie a chi mi ha mandato messaggi privati per farmi sapere cose ne pensava della storia.

Grazie ha chi l'ha seguita, ricordata, e preferita. 

Grazie a Caterina, (mia prima lettrice <3) Virginia, (mogliA mia <3) J(amica mia <3), Noemi(la mia fantastica Embry's Angel <3), amiche mie bellissime <3 <3 <3, Maria (Sei semplicemente meravigliosa <3) fufe, (i tuoi pensieri sono sempre stati tanto importanti per me e mi hanno resa tanto felice <3) Roberta, che mi ha letta nonostante una parte della storia fosse angst, Daniela, per seguirmi sempre su facebook <3, Roberta87, le volte in cui mi ha recensita mi ha fatto camminare due metri da terra,  MaryAliceBrandon Cullen, BRIGIDA, Many8, Sara71, Soky, Lea__91, Ramoso90, Teresa, Steffy,grazie per leggermi e per avermi fatto sapere i vostri pareri <3.

Grazie a tutti quelli che mi hanno chiesto notizie della storia quando si è cancellata per quel problema <3 

Grazie a Cristina, che è la mia consulente e c'è sempre <3 grazie, tesoro <3

Grazie a Stefania, che mi è sempre vicina <3 grazie, amica mia <3

Grazie a Deborah che è la mia salvezza, lei sa perché <3

Grazie a Dony, che vede se stessa nelle cose che ho scritto <3

Grazie alla mia famiglia: papà, che ha riparato il pc tutte le volte in cui questo aveva degli acciacchi strani xD; mamma, che si è commossa su qualche mio tema (niente di che, davvero XD); e i miei due fratelli... no, loro no, casinisti! Ma gli voglio bene lo stesso.

Sono davvero senza parole. Non vi nascondo che sono commossa, triste per aver finito questa storia. Ma allo stesso tempo felice, perché credo di aver fatto del mio meglio. Sto comunque continuando e continuerò a scrivere <3 Se vi va di leggermi ancora, ecco qui un esperimento AU con Bella e Jacob, ambientata a Parigi nel 1894. Si chiama Lucciole.

Poi sto continuando la storia su Embry, Same Mistake. E ho cominciato a scrivere il seguito di Soul's Wind.

Se vi va di parlare con me, ecco qui il mio profilo facebook. Se mi chiedete l'amicizia, mandatemi un messaggio in cui mi dite chi siete qui su efp :)) E qui invece c'è la pagina di Destiny Heart :) Penso che preparerò il pdf, quando avrò finito di rivederla <3
Sarei davvero felicissima di sapere che cosa ne pensate. Mi fareste un incredibile regalo, tanto grande. Se questa storia vi ha dato emozioni, per me sarebbe davvero fantastico vederlo scritto da voi... per chi scrive è davvero importante <3 <3 <3
Quindi grazie, a tutti voi.
Con affetto.
Vostra Ania <3


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