Living in an octopus' garden

di __lovelyrita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1.

Ero nel letto, vicino a mio marito. 46 anni di matrimonio, erano tanti cavolo! Eppure, è come se fossero volati, come se fossero durati un respiro, un battito di cuore.

Lo guardavo, mio marito, il mio amico, il mio confidente, la mia anima gemella. Aveva sonno, perciò si addormentò presto. Io quella sera mi sentivo particolarmente innamorata, probabilmente perchè era il nostro anniversario di matrimonio. 22 giugno 1967, uno dei giorni più belli della mia vita. Mi sentivo una principessa, anche se il contesto e le persone ricordavano poco un castello reale, ma mio marito, lui era il principe azzurro perfetto. Tutte le ragazze mi avrebbero invidiata, se solo avessero saputo.

E adesso i miei lunghi capelli bianchi erano legati in una treccia, la pelle solcata dalle rughe era poggiata sul cuscino di lino, guardavo mio marito e sorridevo, ripensando a tutta la vita passata insieme, a tutta la strada percorsa, le stronzate fatte, le grandi decisioni prese, era stato tutto così terribilmente meraviglioso.



Liverpool, 6 luglio 1957



-Rio! Rio! Ti devo raccontare una cosa!- urlò Paul, correndo verso di me. Il vento gli scompigliava i capelli marroni e la fretta gli faceva sbattere la chitarra a destra e a sinistra.

-Dimmi dimmi!- dissi emozionata.

-Ivan mi ha presentato un suo amico, un certo John, il capo della sua band, i Quarrymen. Insomma Ivan mi ha procurato un'audizione, e..-

-E..-

-E l'ho passata! Sono nel gruppo!-
mi abbracciò, iniziando a saltare.

-Oh Paul, è fantastico! Complimenti!- lo strinsi forte e saltai con lui. -E George? L'hai detto a George?-

-Beh-
si bloccò -veramente ancora no, sai, John sembrava già turbato dalla mia presenza, presentargli subito anche George sarebbe una mossa azzardata, aspetterò un paio di mesi-

-Ma hai intenzione di dirglielo?-

-Si certo, non potrei mai mentirgli-
mi rispose, per poi sorridermi. Adoravo Paul, era il mio migliore amico da sempre. Siamo nati e cresciuti insieme. Gli ho sempre voluto bene e gliene vorrò per sempre.

Andammo nel cortile di casa mia, e iniziammo a suonare e cantare senza sosta. Giocavamo a "la rockstar", lui mi dedicava canzoni d'amore e io facevo finta di impazzire, anche se, nel profondo del mio cuore, sapevo benissimo che impazzivo davvero per lui.
Non avrei mai negato a me stessa che un pochino Paul mi piaceva più che come amico. Quando i miei occhi azzurri incrociavano i suoi occhi marroni tendenti al verde, sentivo una specie di brivido percorrermi la schiena, ma non lo dicevo a nessuno, neanche a George, che era il nostro migliore amico. Sapevo che George non avrebbe mai tradito la mia fiducia, ma era comunque anche il migliore amico di Paul, poteva scappargli in una conversazione nello scuola bus.
Era brutto non poter andare a scuola con loro, ma d'altronde loro andavano alla Liverpool Institute, un liceo completamente maschile, mentre io andavo ad un liceo femminile. Era frustrante. Perchè non capivano che i ragazzi e le ragazze stanno bene insieme?
Io non avevo molte amiche a scuola, avevo qualche problema di socializzazione, non perchè ero diversa, non perchè ero stupida, avevo solo paura di socializzare troppo, di non piacere, di essere oppressa dalla gente, insomma, avevo paura delle persone. Non del tipo "OMMIODDIO, sei una persona, stammi lontano!" però, troppe persone tutte insieme, mi davano l'idea di claustrofobia.


Il pomeriggio del 6 luglio 1957, per Paul e per me, iniziava una nuova avventura.



Nota dell'autrice

Ormai sono arrivata al 28esimo capitolo, e rileggendo questo mi sono venuti i conati. Quindi, per chiunque legga questo capitolo, so che è una schifezza, ma come ogni scrittore ho avuto una metamorfosi mano a mano che andavo avanti a scrivere, perciò NON VI SCORAGGIATE E ANDATE AVANTI CON LA STORIA. Spero perciò che continuiate a leggere ed ad apprezzare la storia :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Liverpool, 18 giugno 1960



Era il giorno del diciottesimo compleanno di Paul, e del mio. Già, eravamo nati insieme, proprio come gemelli.
Quel giorno Paul e George avevano le prove con il gruppo, così mi portarono con loro. Avevo già conosciuto John, era un bel tipetto, sempre sulle sue, con un atteggiamento molto da leadership: Paul e George sostenevano che avesse preso una sbandata per me, ma io ci credevo poco.
Arrivammo nel loro personale studio musicale: era una specie di garage abbandonato, mezzo infiltrato in uno di quelli che potevano sembrare un bosco. John, Ivan e Stu stavano già lì e appena ci videro, ci vennero incontro

-Finalmente! Dovevate stare qui 15 minuti fa- disse John, leggermente scocciato. Io mi nascondevo dietro a Paul, e, timidamente, mi affacciai da dietro l'alta schiena del mio amico. John mi vide e fece un'espressione di sorpresa. -Oh, Rio, ci sei anche tu! Che sorpresa, non mi aspettavo che venissi- disse, aggiustandosi i vestiti e il ciuffo dei capelli. George mi diede una piccola gomitata sul braccio e alzò velocemente le sopracciglia, io accennai un risolino.

-Scusa John, ma sai, le nostre madri ci hanno trattenuti dopo pranzo-

-E perchè mai?-

-Beh, è il loro compleanno-
disse George, prima che io o Paul aprissimo bocca.

-Di entrambi? Siete nati nello stesso giorno? Stesso mese? Stesso anno?- chiese Stu, leggermente scombussolato. Io e Paul ci guardammo e annuimmo, sorridendoci.

-Questo significa che ora sei maggiorenne Rio. Bene, questo significa che ora posso provarci con te senza sentirmi un molestatore di ragazzine- disse John, avvicinandosi a me, con un grande charme. Non sapevo se essere lusingata o offesa da ciò che aveva appena detto, perciò mi limitai a sorridere, ma la mia timidezza non mi permise di non arrossire e abbassare lo sguardo. Era un mio comportamento quasi spontaneo quando qualcuno accennava qualche interesse verso di me. Non ero mai stata più di un'amica per nessuno, tranne per qualche idiota che mi usò solamente come trofeo, perciò era sempre un'emozione sentire parole d'amore rivolte a me. La mia bianca pelle si colorava di un rosso peperino e la mia mano andava quasi meccanicamente a spostare i lunghi capelli neri che mi andavano davanti al viso, dietro l'orecchio.
Vedendo la mia reazione, John si sentì sollevato e anche leggermente esaltato, perciò rise e mi fece l'occhiolino. La mia pelle divenne ancora più rossa.

-Se voi due avete finito, abbiamo delle prove da fare- sbottò Paul, un po' innervosito. Mi sorpresi, era per caso geloso?

Ascoltai i ragazzi suonare, erano davvero bravi, rimanevo incantata dal suono della chitarra di Paul, del basso di George, della batteria di Stu e della voce di John, facevano davvero un bellissimo gruppo. A un certo punto, Paul fece finta di afferrare un microfono e disse

-E adesso, vorrei dedicare questo pezzo alla mia bellissima, dolcissima e meravigliosa migliore amica, non che amante- aggiunse, facendomi l'occhiolino e mettendo una mano accanto alla bocca, come se non volesse farlo sentire agli altri -Rio Bertrand!- e subito attaccarono a suonare e cantare "Only you" dei The Platters. Le voci di Paul e di John si armonizzavano alla perfezione. Guardavo Paul, e pensavo che senza di lui la mia vita sarebbe stata orribile [Only you can do make all this world seem right] era il miglior migliore amico di sempre, mi aiutava a sorpassare la mia paura delle persone, mi stava sempre accanto, ogni giorno mi faceva cambiare, mi faceva migliorare. [Only you can do make all this change in me] Venne da me, e con aria molto teatrale mi prese la mano, continuando a cantare. [When you hold my hand, I understand the magic that you do]

Quando finirono, Paul mi disse

-Ti è piaciuto il tuo regalo di compleanno?-

-Il miglior regalo di sempre-
dissi ridendo e applaudendo. Mi ero divertita tantissimo, e loro come me.

Si batterono i cinque e scherzarono tra di loro. Era palese, nacque una straordinaria amicizia tra quei ragazzi di Liverpool.

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Capitolo 3
*** Capitolo 4 ***


Liverpool, 20 settembre 1960







Non avevo ancora detto nulla a Paul e tutto mi sembrava strano. I sensi di colpa di stavano divorando la coscienza, prendendo anche lo stomaco, per poi salire ai polmoni e arrivare al cuore. Non era da me, non era da noi. Non eravamo più Paul e Rio, gli inseparabili migliori amici, sempre insieme. Non ci confidavamo più come facevamo poco più di un mese prima. La sera non bussavo più alla porta del 20 di Forthlin Road per giocare a carte. Ma mi mancava cazzo! Eccome se mi mancava! Ci stavo malissimo. Mi mancava passare le giornate intere all'aria aperta con lui. Mi mancavano le sue battute che mi facevano morire dal ridere. Mi mancavano i suoi occhi color marrone verdognolo. Mi mancava passare le mie dita fra i suoi capelli lisci. Mi mancava il mio Pauly.

E John? Beh, lui però si faceva sentire, cosa che mi faceva sorgere un mucchio di dubbi. Di solito, i ragazzi da una botta e via non si fanno più risentire, perchè lui si? Lo faceva con tutte o solo con me? E se lo faceva solo con me, significava che gli interessavo veramente? Quesiti impossibili.

Dovendo essere sincera, non posso negare che ciò che successe la sera del 15 aogsto 1960 non si ripetè, anzi...

Ed ogni volta che si ripeteva, i sensi di colpa aumentavano e aumentavano. Mi sentivo come una clandestina a fare tutto questo di nascosto da Paul. Anzi, a dire il vero, mi sentivo proprio una zoccola.



-Pauly- dissi sorpresa. Stavo tornando a casa da una passeggiata e vidi Paul seduto sulle scale del portico di casa mia. Sembrava aspettasse qualcuno -hey, che ci fai qui?-


-Cosa è successo?-


-Non ti seguo-


-Cosa è cambiato fra noi? Perchè ci stiamo allontanando?-
aveva un tono d'interrogazione


-Non saprei-


-Oh, avanti Rio! Lo sai benissimo. Tutto è partito da te-
era arrivato il momento, dovevo confessargli tutto


-Ok, forse hai ragione- mi sedetti vicino a lui -Beh, vedi, forse in questo periodo non sono stata molto sincera con te-


-Cioè?-


-Cioè...-
mi stavo arrampicando sugli specchi, non sapevo proprio come dirglielo, si era creata una vera e propria situazione imbarazzante, e alla fine scoppiai -Sono andata a letto con John nel giro di questo mese- in quel momento mi tolsi un enorme peso dallo stomaco, ma non mi sentii per niente leggera, anzi, mi sentivo ancora di più uno schifo.


-Cosa?! E perchè non me lo hai detto subito?-


-Non lo so, pensavo che...-


-Cosa? Cosa pensavi? Che ci sarei rimasto una merda?-
si alzò in piedi. Era un misto fra arrabbiato e terribilmente afflitto -Certo no? Perchè tutti stanno ai tuoi piedi, tutti ti vogliono, tutti ti amano, ma c'è una novità mia cara Rio, tu non sei il centro dell'universo di nessuno-


-Perchè? Perchè sei così cattivo?-
non potevo crederci, mi aveva fatta piangere. Il mio più caro amico mi aveva appena fatto versare delle lacrime amare, lacrime di odio, tristezza, vergogna.


-Si Rio, la devi smettere. Sei solo una pazza schizzofrenica che ha paura delle pers...- e si bloccò. Si mise una mano sulla bocca. Si era appena reso conto di aver detto probabilmente la cosa più tremenda che qualcuno avrebbe mai potuto dirmi. Perciò mi alzai, con tutta la rabbia che una ragazza di diciotto anni poteva avere in corpo


-Vaffanculo- e me ne andai correndo, con le lacrime che mi bagnavano il viso pallido.


-Rio ti prego, scusami, non volevo...- urlava. Stava piangendo.  


Ci eravamo fatti del male l'uno con l'altra e, in quel momento, mi sentii più persa del solito.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Liverpool, 15 agosto 1960



Era una calda estate di agosto, per quanto calda possa essere Liverpool. A quei tempi non era solito partire per le vacanze estive, a meno che non si disponeva di una grande somma di denaro, e, beh, non era il nostro caso, perciò passavamo tutti i nostri giorni insieme.

Quel giorno io, Paul, George e John andammo nel negozio di dischi "slash" bar di Matt, l'unico negozio dove trovavi buoni vinili e un buon caffè. Ci sedemmo ad un tavolo, io ordinai il mio solito caffè con una spruzzata di cannella, Paul un caffè doppio, George un caffè corretto e John prese il mio stesso caffè. Strano, la cannella non piaceva quasi a nessuno.

-Quindi,- disse George, con la tazza di caffè fra le mani -ancora non siamo venuti a capo del fatto del nome della band. Non saprei, Silver Beatles non mi convince molto..-

-Già, dovremmo trovare qualcosa di breve, conciso-
confermò Paul. Eravamo tutti concentrati nella scelta del nome, quando mi venne un idea

-Ho trovato! Chiamatevi semplicemente Beatles, è più pulito-

-Giusto! Cazzo, come abbiamo fatto a non pensarci! E' perfetto! Rio sei un genio-
esclamò John. Ero felice che la mia idea sia piaciuta a tutti.

Restammo tutto il pomeriggio lì, a parlare, ridere e scherzare. Conobbi meglio John, e capii che era un rubacuori, si portava a letto una ragazza diversa ogni sera, e forse, proprio per questo motivo, iniziai ad essere terribilmente attratta da lui.

Ci alzammo, pagammo i caffè e uscimmo

-Rio, torniamo a casa insieme?- mi chiese Paul

-Beh, ecco, se non ti dispiace, volevo portare fuori a cena Rio stasera- disse John, precedendomi. Stavo per rispondere a Paul di si e la risposta di John mi spiazzò. Mi girai verso di lui, guardandolo un po' storto -Cosa c'è? Non vuoi venire a cena fuori con me?- disse sorridendomi. Il suo ciuffo alla Elvis, i suoi jeans scoloriti e la sua giacca mi attiravano come mai. Perciò sorrisi

-Certo che vengo- poi mi girai verso Paul -Non ti dispiace vero? Tanto c'è George- dissi, dandogli un bacio sulla guancia

-Emh, no, certo che non mi dispiace- mi rispose. Si vedeva che era un po' deluso. -Vabbè, ma stasera vieni da me lo stesso, vero?-

-Beh, veramente stasera penso che passerò, probabilmente farò tardi. Ci vediamo domani comunque-

-Oh, emh, ok, allora, a domani-
disse tristemente. Si girò e si diresse verso Forthlin Road , con George al seguito

-Ciao Georgie!- dissi mentre se ne andava, lui si girò e mi salutò con la mano, mandandomi un bacio.


John mi portò a cena in un ristorante molto carino.

-Allora, Rio, nome interessante-

-Beh si, a mia madre piacciono le cose alternative. Lei è una pittrice, e sai, quelli che fanno lavori artistici hanno sempre una personalità molto particolare-

-E tuo padre?-

-Non lo so, non l'ho mai conosciuto-

-Oh, emh, mi dispiace, scusa-
era molto imbarazzato

-Tranquillo, non mi interessa, non ci sto male più di tanto. Sai, è come qualcuno che nasce cieco: non ha mai provato la sensazione di vedere, perciò non sa com'è, non ci ha fatto l'abitudine, non gli manca. Questo è esattamente il mio caso. E tu invece? Che mi dici della tua famiglia?-

-Beh, mia madre e mio padre sono divorziati, mia madre è morta un anno fa, ho due sorellastre, una sorella che però è stata data in adozione, mio padre, l'ultima volta che lo vidi, stava andando in Nuova Zelanda e mi ci voleva trascinare, e ora abito con mia zia Mimi, vedova da sei anni-

-Wow, vita frastagliata-

-Già-
rise. Quel sorriso, non potevo descriverlo, sapevo solo che mi faceva sentire a mio agio.

Finimmo di mangiare e facemmo una passeggiata, dirigendoci verso Penny Lane, dove abitava lui con la zia. Ci fermammo davanti alla porta di casa sua

-Vuoi entrare?- mi chiese. Io accettai. Era una casa piccola e confortevole. Mi portò in camera sua. Mimi non c'era. Ci sedemmo sul letto

-Ti hanno mai detto che sei bellissima?- oh no, ecco, stava per succedere. La pelle mi si tinse di rosso. -Come siamo timide eh- accennai un risolino. Lo guardai negli occhi e lui mi si fiondò sulle labbra. Ci baciammo. Ormai eravamo stesi sul letto. Si tolse la maglietta, e le ma tolse anche a me. Mimi non c'era. Si tolse i pantaloni e mi tolse la gonna. Mimi non c'era. Quella notte non andai a casa di Paul, non tornai neanche a casa mia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Liverpool 24 ottobre 1960



Stavo nella merda. Non parlavo più con Paul e evitavo John. Lo evitavo perchè ogni volta che lo vedevo, i sensi di colpa sbocciavano come fiori in primavera. Non sapevo neanche più quello che provavo. La sera guardavo fuori dalla finestra e mi si prospettava la vista di Paul che stava nella sua stanza: un momento prima mi sarei messa a piangere e urlare dalla finestra le mie scuse, il momento dopo avrei voluto prenderlo a parolacce, e tutto quello che facevo era chiudere con forza le tende e buttarmi sul letto. Conoscevo Paul a memoria. Sapevo che vedeva che io lo guardavo e rimaneva lì un po' per stuzzicarmi, un po' perchè mi voleva bene. Restava per farmi salire ancora più il nervoso e per trasmettermi quella sensazione di sicurezza, come per dire "Eccomi, sono qui, tranquilla". Restava perchè voleva farmi vedere che era sereno anche senza di me e perchè non poteva fare a meno di vedere la sua migliore amica almeno per due minuti al giorno, due miseri minuti in cui c'eravamo solo noi due, la nostra rabbia e il nostro amore, il nostro orgoglio e la nostra tristezza, la nostra complicità, la nostra amicizia, la nostra testardaggine, noi.
Eccolo, stava lì, con la sua chitarra, a strimpellare qualche canzone che stava abbozzando su un foglio. Quando suonava teneva sempre una foto di lui e di Mary vicino a se: gli mancava, me lo ripeteva tutti i giorni, e mancava anche a me. Mary fu una seconda madre per me. Ci portava sempre a giocare nel parco vicino a Penny Lane. Era la migliore amica di mia madre, pur'essendo il suo esatto contrario. Paul rimase letteralmente segnato dalla sua morte, non mangiò per più di una settimana, mi diceva che se non ci fossi stata io, avrebbe tentato il suicidio. Amavo quando me lo diceva, ero lusingata. Effettivamente io e Paul ci aiutavamo sempre. Quando avevo qualche crisi non andavo da mia madre, ma da lui. In Paul non avevo solo una figura amica, ma anche una figura paterna. Mi ha cresciuta ed è cresciuto con me. C'era un bene incondizionato fra di noi, un legame forte che ci permetteva di capirci all'istante, senza se e senza ma, io avrei fatto qualsiasi cosa per lui, e lui lo stesso per me.
Quando la sera vedevo dalla mia finestra la sua, pensavo a tutte queste cose, e per poco non mi scusavo tutte le volte, ma poi pensavo "Al diavolo! Mi ha chiamata pazza schizofrenica! E' lui che deve scusarsi " e in me tornava il rosso, la rabbia.

-Insomma, proprio non ci parli?-

-No George, te l'ho detto. Se vuole parlarmi, deve prima venire a scusarsi-

-Ma dai Rio, sai che Paul è troppo orgoglioso per fare una cosa del genere, non la farà mai!-

-Allora non mi parlerà mai più-

-Eh su, dai-

-Perchè? Perchè devo sempre essere io quella che deve farsi avanti? Perchè devo sempre essere io quella che chiede scusa, che ammette di aver sbagliato quando non è vero? Non voglio più passare per la debole della situazione, non voglio più farmi mettere i piedi in testa da tutti, che cazzo!-

-Rio, ti capisco, ma...-

-No George, tu non capisci-

-Fammi parlare. Tu vuoi bene a Paul, pensi davvero che resisterai ancora senza parlare con lui? Io non credo. E penso la stessa cosa di lui, solo che lui ha un carattere diverso, riesce a reprimere le emozioni, tu no. Tu entro la fine di questa settimana, scoppierai, mi ci gioco un braccio. Perciò, salva il braccio del tuo migliore amico e vai a fare pace con l'altro tuo migliore amico-

-Forse hai ragione, ma questo non cambia il fatto che mi ha chiamata pazza schizofrenica-

-L'ha detto solo per rabbia. Sappiamo tutti che tiene a te più del dovuto, tu gli hai confessato quella cosa e lui ha reagito male. Da una parte dovresti essere anche contenta-

-Beh...-

-Dai, su, fammi contento-

-Va bene, stasera vado a parlarci. Grazie Georgie-
dissi. Mi sorrise. Uno dei suoi meravigliosi sorrisi a bocca chiusa, che racchiudevano tutta la dolcezza di questo mondo.
George era forse la persona più saggia e profonda che conoscevo, anche se non lo dava a vedere. Ma io lo conoscevo bene, e sapevo che aveva sempre una soluzione a tutto. Se Paul non poteva aiutarmi, potevo contare sempre su George. Ma la cosa che mi piaceva di più di lui è che non si è mai sentito la seconda scelta, come invece molte persone credevano che fosse. Non lo era assolutamente. Volevo un bene dell'anima a George e lui ne voleva a me. Non avrei rinunciato alla sua amicizia per niente al mondo.

Quella sera andai a parlare con Paul, come mi aveva consigliato George. Bussai a casa sua.

-Rio-

-Ciao Paul. Posso entrare?-

-Certo, vieni pure-
mi fece cenno di entrare. Era stupito di vedermi. Era grato di vedere la mia bocca muoversi senza che qualche parolaccia ne uscisse.

-Senti, mi dispiace, ok? Però non credere che finisca tutto così. Pretendo delle scuse anche da parte tua-

-E hai ragione a volerle. Scusa, scusa se ho reagito in quel modo, scusa se ti ho detto quelle cose, scusa per averti fatto piangere, scusa per averti fatto stare male in questo mese, scusa per averti ignorata, scusa per non essermi scusato prima, scusa.-
ero sollevata. Finalmente si era scusato. Avevo pensato di tenergli il broncio ancora per un po', ma non riuscivo proprio. Lo abbracciai, mi venne quasi spontaneo. Poggiò le sue mani sulla mia schiena continuando a ripetere la parola "scusa". Ero felice, lo ero talmente tanto che mi misi quasi a piangere. Lui rise alla mia reazione e mi diede una piccola spintarella sulla spalla.
La conclusione? Finimmo a giocare a carte nel suo salone, come ogni fottuta sera del mese precedente.



SPAZIO AUTRICE
Caaaaari lettori, scusate per il ritardo. Lo so, lo so, ma, sapete com'è, il liceo. Cooomunque, mi sono rifatta ai vostri consigli, li ho apprezzati e seguiti, speriamo che questo capitolo vi piaccia :) ringrazio le persone che recensiscono i capitoli ma soprattutto vorrei ringraziare CheccaWeasley per aver inserito la storia fra le preferite e Hurt__ , Miss_Riddle Starkey e StreetsOfLove per averla inserita fra le seguite. Mi raccomando continuate a leggere e recensire, al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Capitolo 7 ***


Liverpool, 31 dicembre 1960



Era capodanno, un altro anno volava veloce come un battito di ciglia.

Quella sera ci sarebbe stata una festa, leggermente diversa dalle solite feste in cui il ragazzo invitava la ragazza, quella volta era il contrario, noi ragazze avremo dovuto interpretare il cavaliere e i ragazzi le principesse. E' comico da dire, ma era imbarazzante da vivere. Chi avrei dovuto invitare? John o Paul? L'idea di invitare John l'avevo presa in considerazione perchè altrimenti avrei dovuto invitare per forza Paul, e sapevo che non ce l'avrei fatta, quindi avevo pensato a John come un ripiego. Ma ovviamente non avrei mai potuto invitare John, era la strada più facile da prendere, ma sarebbe stata quella giusta?
Non avevo amiche con cui parlare di questa cosa e che mi avrebbero potuta aiutare, avevo solo tre persone che mi avrebbero potuto aiutare in quel momento: mia madre, probabilmente troppo schizzata per darmi un consiglio sensato, George, a cui però non avevo intenzione di rompere le scatole più di quello che facevo normalmente, e mio fratello. Optai per decidere da me.

Testa o cuore? Testa o cuore? Testa o cuore? Cosa avrei dovuto seguire? Uscii di casa e la risposta mi piombò addosso, letteralmente.
Aprii gli occhi e mi trovai il viso di John davanti

-Oddio Rio scusa, mi dispiace così tanto-

-Cosa è successo?-

-Beh ecco, accidentalmente, mentre attraversavi la strada, ti ho quasi investita. Però la colpa è anche tua! Non hai guardato se passavano macchine-
disse, cercando di pararsi il culo. Non me l'ero presa, anzi, in un certo senso ero sollevata, era una segno. John mi aiutò ad alzarmi

-Dai vieni, ti offro un thè-

Mi portò in un bar, ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo due thè.

-Oggi è capodanno- disse sfregando le mani tra di loro, era leggermente a disagio, lo notavo, non sapeva cosa dire

-Già- e io ero nella sua stessa situazione. Presi coraggio -A questo proposito, stasera c'è la festa di Liverpool, e, beh ecco, mi chiedevo se...se...se volessi venirci come me- dissi guardandomi le gambe

-Oh Rio, emh, sai, come dire, ho già accettato un altro invito- rispose. Nel suo tono c'era un misto di tristezza e compassione.

-Ah, bene. Sono contenta per te- dissi sorridendo. Non era vero, non stavo sorridendo, o almeno, fuori sorridevo, dentro morivo. Che stupida che ero! Era ovvio che qualcun'altra l'avesse già invitato! Che illusa, stupida ragazzina incosciente! Iniziai a sentire il mal di pancia da rifiuto, quello che avevo quando venivo snobbata dalle persone, quello che avevo perennemente tutti i giorni -Scusa devo scappare- dissi senza tante spiegazioni, e me ne andai, senza salutarlo, senza voltarmi neanche una volta.

Non ero triste, mi sentivo solo più sola del solito, più vuota. Questa era stata la conferma, dovevo chiedere a Paul di venire alla festa con me. Quindi andai a casa sua, bussai alla porta e lui mi aprì

-Rio, come stai? Entra che fuori si gela- mi fece cenno di entrare in casa. Dopo i vari saluti e le domande scontate, passai al nocciolo della situazione

-Paul, senti- cercai un modo per chiedergli di andare alla festa con me, ma non volevo chiederglielo direttamente, quindi optai per un giro di concetti -cosa ti metterai stasera alla festa?-

-Non penso che verrò stasera-

-Come mai? Niente invito-
"Ti prego dì di si, dì di si"

-No no, è che proprio non mi va- non mi sembrava molto convito, fingeva o stava male? -Tu?-

-Penso che non ci andrò neanche io-
non avevo nessuno con cui andare, non sarei andata da sola per nessun motivo al mondo, la gente mi avrebbe riso alle spalle più di quanto già non faceva -Beh, allora, perchè non ci vediamo noi due?-

-Scusa Rio, ma penso che stasera andrò a letto molto presto-

-Cos'hai? Non ti senti bene?-

-Emh, no-
disse. Non era convincente, ma lasciai perdere e me ne andai.

Tornai a casa, c'era solo Nick

-Riri, ci vai stasera alla festa?-

-Non ho un accompagnatore-
dissi tristemente. Vidi Nick alzarsi dal divano e venire verso di me. Si inginocchiò

-E allora, mi faresti l'onore di venire alla festa con me?- era il fratello migliore del mondo

-E tutti i bigliettini con i nomi delle ragazze che ti avevano chiesto di accompagnarle?-

-Che mi importa? La ragazza più bella ce l'ho qui davanti, e non lo dico solo perchè è la mia gemella e quindi la mia fotocopia-
scoppiammo a ridere e io lo abbracciai fortissimo, gli volevo un bene indescrivibile.

-Riooooo! Dai che siamo già in ritardoooooooo-

-Scusaaì! Mi stavo finendo di cotonare i capelli-
dissi correndo verso la porta e continuando a sistemarmi i capelli.

Arrivammo alla festa, c'era musica e gente che ballava ovunque, tutti erano felici. Io rimasi attaccata al braccio di Nick, c'era decisamente troppa gente, sentivo che nel giro di qualche minuto mi sarebbe scoppiato un attacco di panico. Vedevo le ragazze che avevano chiesto a Nick di accompagnarle squadrarmi malissimo. Tutti si buttavano tra le sue braccia e io restavo lì dietro, in disparte, al mio posto.
La musica si era fatta lenta, ora tutte le coppie si erano unite in stretti abbracci intimi e si muovevano al rallentatore. Io cercavo George e John con lo sguardo. Finalmente vidi una figura familiare, ma qualcosa mi diceva che non era nessuno dei due. Infatti sentii qualcuno urlare il mio nome verso destra, mi girai e vidi George e John con le loro accompagnatrici salutarmi con un sorriso a trentadue denti e veloci movimenti della mano. Ma se loro erano lì, allora..?

-Dieci, nove, otto...- era iniziato il conto alla rovescia.

Strizzai gli occhi, la mia miopia non mi dava la possibilità di mettere a fuoco velocemente le immagini. La coppia stava ballando. Ecco che si girava. Non potevo crederci. Alzò lo sguardo, mi vide e la sua espressione divenne di pura compassione e senso di colpa.

-Tre, due, uno...BUON ANNO!-

-Paul...-
mormorai. Ecco le lacrime, mani che tremano, gambe che cedono. Scappai nel buio della notte, illuminata solo dai pochi fuochi artificiali che coloravano il nero cielo di Liverpool in quella fine dell'anno.




SPAZIO AUTRICE

Ce ne ho messo di tempo eh? Ce ne so passati di preti sotto sta cappella eh? o.O ok, sorvolando, ecco il capitolooo! Ci ho messo un sacco di tempo per scuola e impegni vari, ma stavolta l'ho fatto più lungo del solito! Apprezzate vero? Spero di si. Al prossimo capitolo bbbbelli

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Liverpool 24 dicembre 1960



Era la vigilia di Natale e come sempre io, Paul e George la festeggiavamo con le nostre famiglie. Venivano tutti a casa mia. Mia madre faceva preparare a me ed al mio gemello (già, avevo anche un gemello!) l'albero di Natale: uno sbilenco albero mezzo spoglio, addobbato con vecchie decorazioni in legno, quasi più pesanti dell'albero stesso. Io e Nick, mio fratello, quando veniva Natale, ci mettevamo sempre lo stesso maglione che nostra nonna ci fece, io rosso, lui blu, con un grande fiocco di neve bianco nel mezzo. Ormai erano dieci anni che andava avanti questa piccola tradizione, e ormai sembravamo usciti dalla lavatrice. Eravamo felici. Non ci mancava niente, o meglio, nessuno. Dissi una bugia a John, non era vero che non conobbi mai mio padre, anzi, lo conobbi abbastanza per capire che razza di invertebrato era. Un rifiuto della società. Un bugiardo cronico.
Io e Nick avevamo circa tredici anni, stavamo giocando nel giardino di casa, mamma non c'era. Ad un certo punto arrivò nostro padre e con molta fretta entrò in casa. Poco dopo uscì con delle valige in mano. Noi gli chiedemmo cosa stesse succedendo e la sua risposta fu "Non ho tempo", non si girò neanche, non ebbe neanche il coraggio di guardarci in faccia. Vedemmo che si affrettò verso una giovane donna, una ragazza, più giovane di mamma, un'oca stronza, volgare, cafona, puttana. Se ne andarono insieme. Io e Nick ci guardammo sconvolti. Dovemmo raccontare la verità a mamma, ne rimase distrutta. Stette malissimo. Ed io e Nick che ogni tanto speravamo che qualcuno entrasse dall'ingresso, ma non entrò mai nessuno. Ci abbandonò. Ma il tempo passa, le persone cambiamo, crescono e ciò che non ti uccide ti rende più forte. Ed era vero. Eravamo forti, ci sostenevamo a vicenda, eravamo la famiglia unita che non eravamo mai stati.

Andai ad aprire alla porta. Harold e Louise. Li feci entrare, e dietro di loro ecco Harry, Louise, George e Peter. Salutai con un grande abbraccio Louise. Pur avendo undici anni in più di me, Louise era sempre gentile e cortese, non faceva la grande, non si atteggiava ad adulta, era la solita bambina con cui giocavo da piccola.

Un altro battito di porta, andai di nuovo ad aprire, con George e Nick al seguito. Jim, Paul e Michael si fecero avanti, vestiti da Babbo Natale e da renne. Scoppiammo tutti a ridere. I tre entrarono in casa con un balzo e iniziarono a cantare Silent Night. Erano meravigliosi. Penso di non aver mai riso tanto come quella sera. Paul e Michael avevano il naso rosso e due lunghe corna, Jim era vestito di rosso e aveva una folta barba bianca che gli arrivava fino alla cintura dei pantaloni.

Dopo tutti i saluti, ci sedemmo in tavola e iniziammo a mangiare. Uno quadretto perfetto. Era la definizione di famiglia felice. Eravamo una grande ed unita famiglia. Unita da un legame indistruttibile. Finchè ci saremmo voluti bene, saremmo stati invincibili.

-La mangi questa?- disse George, allungando la mano verso la mia coscia di pollo

-Toccala e ti trincio la mano- dissi, fulminandolo con gli occhi -Nick, cosa hai regalato a mamma per Natale?- gli chiesi

-Rio, Rio, Rio...-

-Una collana di perle-

-...Rio, Rio, Rio...-

-E come l'hai pagata?-

-...Rio, Rio, Rio...-

-Con i risparmi del lavoro-

-...Rio, Rio, Rio!-

-COSA VUOI?!-

-Mi passi il sale?-

-Paul, guarda se uno di questi giorni non ti prendo a padellate in faccia-
dissi, passandogli il sale. Lui mi sorrise, un sorriso da bambinone.

E la serata andava avanti così, passava come uno schiocco di dita, tra risate e scherzi, canzoni intorno al fuoco, regali da scartare, amore. Perchè effettivamente, la cosa che accomunava tutti noi, gente anche molto diversa fra loro, era la capacità di amarci l'un l'altro in modo spropositato, senza se e senza ma.





SPAZIO AUTRICE
Quanto posso odiare la scuola? Quanto? LA ODIO! Odio il greco, odio il latino, odio la matematica, odio tutto, salvatemiiiii! Comunque, piaciuto il capitolo? Lo so che è corto, ma non sono brava a scrivere poemi, preferisco cose corte e coincise che poemi lunghi chilometri che valgono poco (sembra che mi vanto). Ooook, beh, ciao, ora vado perchè ho sonno e domani mi interroga greco, 4 assicurato ;) Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Liverpool, 31 gennaio 1961



Un mese in astinenza dal suo sorriso. Mi mancava ma ogni volta che pensavo a lui mi saliva la rabbia. Non sarei andata io a scusarmi, oh no, non questa volta. Scusarmi di cosa? Io non avevo fatto niente. Lui, lui aveva fatto lo stronzo. Poteva dirmelo, cosa gli sarebbe costato? Il mio cuore si sarebbe fatto male, forse una piccola ammaccatura, forse un piccolo livido, ma niente in confronto alla profonda spaccatura provocata dal triste accaduto di Capodanno. Proprio niente.
Devo ammettere che le giornate sembravano vuote, ma non potevo farci niente, non volevo farci niente.
Ogni tanto, mi affacciavo dalla finestra e guardavo la strada: anziane signore con cappotti color pastello, bambini che correvano uno dietro l'altro, polizia a cavallo. Ed ecco lui, di ritorno a scuola, faccia bassa, zaino in spalla, tirava prima con un piede e poi con l'altro un sasso che gli stava davanti. Automaticamente si fermava davanti casa mia e la contemplava. Io mi nascondevo dietro la polverosa tenda blu della mia stanza, stando attenta a non farmi vedere. Alzava lo sguardo verso la mia finestra e la guardava con rammarico. Potevo quasi sentire un lamento provenire da fuori, non dalla sua bocca, ma dal suo cuore, dai suoi occhi pieni di compassione e pentimento. Stringevo forte la tenda, morsicandomi il labbro inferiore, aspettando che si muovesse per andare a casa sua. Ed ecco che si arrese e scomparve nella casa accanto alla mia. Stavo impazzendo, mi serviva qualcuno con cui parlare.

-Ok, questa volta hai ragione tu-

-Miracolo!-

-Effettivamente tu non hai fatto niente di male-
mi disse John, mentre spulciava gli scaffali per cercare un LP di Elvis.

-Mi fa proprio rodere, soprattutto il fatto che non si sia ancora scusato. E' passato un mese! E poi, come se non ci stesse male. Pf, secondo me è quello che ci soffre di più-

-Probabilmente-
rispose George, facendo spallucce -ma sai che è troppo orgoglioso-

-Oh che palle con questa storia dell'essere orgoglioso, mi sono davvero rotta! L'altra volta mi sono scusata io perchè lui era troppo orgoglioso, ma questa volta non ci penso neanche morta. Anche perchè davvero non saprei per cosa scusarmi "Senti scusa, mi dispiace che tu sia così stronzo" direi che non suona bene-

-Lascia fare, molto presto verrà a chiederti scusa. A scuola è sempre giù di morale, triste, stanco, occhi gonfi, occhiaie, come una ragazzina a dieta durante il ciclo-

-Speriamo bene-



Mi ritrovai di colpo a scuola. A scuola? Sentivo dei rumori provenire dalla piscina. Acqua che scroscia, gemiti, urletti. Decisi di scendere le scale e andare in piscina a controllare. Scesi i primi dieci scalini della scala a chiocciola della scuola. Facendo passare delicatamente la mia mano sullo scorrimano di metallo nero e freddo, scendevo le scale, facendo qualche saltello di qua e di là, allentando la tensione. Più io scendevo, più gli scalini aumentavano. Strano. Iniziai a muovermi più velocemente. I gemiti si fecero urla, urla che non riuscivo a raggiungere. Di colpo riconobbi la voce, era Paul! Cominciai a correre, quando ad un tratto sentii dei passi dietro di me

-Paul! Paul! Non preoccuparti, sto arrivando!- vidi Reneè Wilberg sfrecciarmi accanto. Ma certo! Reneè! Ecco chi era la misteriosa zoccola di Capodanno! Non potevo arrivare dopo di lei, avrei dovuto salvare io Paul, ma Reneè mi stava nettamente avanti, e per qualche strano motivo io non riuscivo a raggiungerla. Feci un salto enorme, non avevo mai fatto un salto così grande, e mi trovai ai piedi della piscina. Davanti a me, dall'altro lato, c'era Reneè che stava sopra a Paul e gli faceva la respirazione bocca a bocca. Con due colpi di tosse, lui si svegliò

-Reneè, mi hai salvato la vita!- e poi, girando la testa dalla mia parte, disse -Ora ho capito chi è che ci tiene veramente a me- fulminandomi. Reneè mi guardò con uno di quegli sguardi da mignotta, uno di quelli che ogni ragazza nella sua vita ne ha ricevuto e fatto almeno uno. Giuro che l'avrei ammazzata, lì, su due piedi. Ma la frase di Paul mi aveva distrutta. Stavo crollando. Rimasi immobile. Paul e Reneè si baciarono.

Un sospiro affannato e nervoso. Mi svegliai di botto, tutta sudata. Stavo nel mio letto. Vidi l'orologio. Erano le due di notte. Mi affacciai alla finestrella che dava alla camera di Paul. Lui era lì, con la chitarra in mano, a scrivere chissà quale enorme successo.



SPAZIO AUTRICE



Volete fare il liceo classico? Scegliete qualcos'altro. Siete al liceo classico? Come vi compatisco! Oggi mi hanno dato le pagelle, ed è meglio sorvolare. Mio padre mi aveva appena comprato il dvd di Magical Mystery Tour e una raccolta di canzoni dei Beatles e io come ricompensa gli ho sbattuto in faccia la mia pagella che sembrava appena uscita dal posteriore di un cavallo.
Eh già, sono una capra a scuola. E per questo motivo, essendomi impegnata tanto nello studio (anche se con scarsi risultati), sono riuscita a concepire questa cagatina di piccione. Lo so, scusate, è cortissimo, ma non ho davvero tempo e non mi andava di lasciarvi a bocca asciutta. Meglio di niente, no?
Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Amburgo, 12 febbraio 1961



Finalmente Paul mi aveva chiesto scusa per avermi mentito, con un mazzo di rose rosse e una serenata alla finestra. Come potevo non accettare le sue scuse? Era pur sempre il mio migliore amico e mi mancava da impazzire. Ad ogni modo, i ragazzi dovevano andare ad Amburgo per un qualche contratto stipulato con un qualche produttore di poco calibro, o una cosa simile, non ero molto esperta, capivo poco e niente di tutti gli impicci che creavano. Mi chiesero di accompagnarli e mia madre mi diede il permesso. "Certo che puoi andare, sei maggiorenne ora, divertiti e fai le tue esperienze, ma ricordati sempre di proteggere l'ingranaggio, non so se mi spiego" furono le parole di mia madre, accompagnate da un occhiolino. La cosa mi scioccò parecchio e mi limitai a guardarla con occhi sgranati e pieni di quella innocenza che viene appena infranta.
Così feci i bagagli e partimmo. Con noi venne anche un certo Pete Best, che doveva fare da batterista. Era un bel tipetto, molto sveglio e se la cavava piuttosto bene con la batteria. Il viaggio in aereo fu tragico, stavo letteralmente morendo di paura. Non ero mai salita su un aereo prima d'ora: è un posto orribile, manca l'aria e c'è un mucchio di gente che cerca di attaccare bottone con te. Mi piazzai subito al posto vicino al finestrino e Paul vicino a me. Continuavamo a battibeccare perchè io non davo pace alle mie dite, martoriandole e strappando tutte le pellicine, e lui mi sgridava dicendo di smetterla perchè gli faceva impressione, ma io continuavo imperterrita e il battibecco si protendeva. Dietro di noi c'erano John e George intenti a vincere una partita di "chi ride per ultimo vince", e dietro ancora c'erano Stu e Pete che discutevano di una chitarra o cosa fosse.
L'aereo decollò e io rimasi immobile sul mio sedile, senza togliermi la cintura per un minuto. Non davo ascolto a ciò che mi diceva Paul, quindi tentò John.

-Rio, Rio, Rio, Rio, Rio, Rio, Rio...- e continuò a chiamarmi a distanza di un secondo, senza mai fermarsi. Sapeva quanto mi faceva imbestialire -Rio, Rio, Rio, Rio-

-COSA VUOI?!-
tuonai io

-Eh eh, finalmente sono riuscito a staccarti dalla tua situazione di trans. Ascolta, stacca gli occhi da quel finestrino, fa solo peggio. Guardami- mi prese il mento con due dita e mi girò la testa verso il suo viso. Ci guardammo negli occhi, un lungo sguardo in cui scaturirono un mucchio di pensieri e emozioni. Restammo pietrificati in quella posizione per un bel po' di tempo. Oh no, sentivo qualcosa, cos'era? Era un sentimento, e fin qui ci siamo, ma quale? Forse rabbia? No no, era un sentimento piacevole. Amicizia? Mmh, forse, ma amicizia non era abbastanza. Amore? No, non poteva essere amore, NON DOVEVA essere amore. I suoi occhi color nocciola sprigionavano una calda luminosità e fissavano i miei occhi azzurri, che erano rimasti abbagliati. Il suo sguardo si abbassò dagli occhi alle guance, poi al naso, e infine alla bocca: osservava le mie labbra, le scrutava, come se le stesse studiando. Io guardai i suoi capelli, quei capelli che mi piacevano tanto, avevo voglia di accarezzarli, di passare le mie mani tra quelle meravigliose ciocche. Poi ci scambiammo i ruoli: lui abbassò lo sguardo sulle punte dei miei capelli neri corvino e io guardai le sue labbra, così sottili ma così eccitanti, le avevo già assaggiate e volete sapere che sapore avevano? Avevano il sapore della passione, pura passione che ti attraversava come una tempesta in tutto il corpo. Questo momento sembrò durare secoli, come se il tempo si fosse fermato e c'eravamo solo noi due, ma in realtà durò circa sette secondi, finchè io non "ripresi i sensi" e dissi

-Ti sto guardando- mentre mi allontanavo dalla presa magnetica di John. Non era amore, non poteva essere amore, non doveva essere amore.


[Narra John]
I suoi occhi, erano due specchi, qualcosa di meraviglioso. Non riuscivo a staccarle lo sguardo di dosso. Era amore? Ci speravo con tutto il cuore!
I suoi occhi color azzurro acceso, come l'oceano, sprigionavano una fredda luminosità e fissavano i miei occhi color nocciola, che erano rimasti abbagliati. Il suo sguardo si alzò dagli occhi ai miei capelli: li osservava, li scrutava, come se li stesse studiando. Io guardai le sue labbra, quelle labbra che mi piacevano tanto, così carnose ed eccitanti, le avevo già assaggiate e volete sapere che sapore avevano? Avevano il sapore della passione, pura passione che ti attraversava come una tempesta in tutto il corpo. Poi ci scambiammo i ruoli: lei abbassò lo sguardo sulle mie labbra e io guardai le punte dei suoi capelli neri corvino, così lisci, avevo voglia di accarezzarli, di passare le mie mani tra quelle meravigliose ciocche. Questo momento sembrò durare secoli, come se il tempo si fosse fermato e c'eravamo solo noi due, ma in realtà durò circa sette secondi, finchè lei non "riprese i sensi" e ruppe quel magico momento.


[Narra Rio]
-Si, emh, ecco, dicevamo? Ah si- disse, aggrottando un po' le sopracciglia: pensava a quello che pensavo io

-Canta- mi disse guardandomi, quasi elettrizzato

-Cantare? Ma...-

-I've got a lovely bunch of coconuts...-
iniziò a canticchiare la canzoncina delle noci di cocco. Scoppiai a ridere. Cantavamo quella canzone ogni volta che eravamo felici, tristi, sotto pressione, insomma, cantavamo quella canzoncina in ogni momento.

-They they are all standing in a row- si unì anche Paul nel coretto, poggiando il suo mento sopra la mia testa

-Big ones, small ones, some as big as your head- ed ecco George spuntare dal sedile dietro di John

-Give them a twist a flick of the wrist that’s what the showman said: I'VE GOT A LOVELY BUNCH OF COCONUTS- partimmo in un sonoro coretto, disturbando tutti i passeggeri che ci rimproveravano dicendo di smetterla, ma noi non ce ne curavamo e continuavamo. Andammo avanti per quasi tutto il viaggio, tanto che quando l'aereo atterrò e tutti i passeggeri scesero, ci mandarono occhiatacce a non finire.

Ci sistemammo nel misero alloggio che avevamo: era piccolo e precario, ci stavamo a malapena e io mi sentivo quasi un impiccio dato che non facevo parte della band, quindi cedetti il mio letto a Stu, che altrimenti avrebbe dovuto dormire su una brandina tutta sgangherata. Nei giorni seguenti cercavo sempre di rendermi utile, magari andando a fare la spesa, pulendo casa, lavando i vestiti dei ragazzi. Loro lavoravano duramente tutta la notte, tenendo sempre alto il volume in un locale del quartiere a luci rosse di St. Pauli. Purtroppo la polizia tedesca scoprì che George era ancora minorenne e ci rispedirono a Liverpool, poichè lui non poteva frequentare ne tanto meno lavorare nel quartiere a luci rosse. Dopo un periodo passato a Liverpool, con il mio Georgie ormai maggiorenne, tornammo ad Amburgo dove ormai i Beatles (si chiamava così il gruppo) avevano spopolato. La gente cominciava a riconoscerli per strada e il loro nome era sulla bocca di una buona percentuale di persone.
La vita ad Amburgo non era facile, ma eravamo comunque dei ragazzini e ci divertivamo con quel poco che ci toccava. Stu trovò addirittura l'amore: Astrid Kirchherr, una tedesca tutta pepe fissata con l'arte. Divenni grande amica di Astrid, era simpaticissima ma sicuramente le mancava qualche rotella. Dette un grande contributo alla band, rivoluzionando il loro look, li fece diventare dei veri e proprio playboy: giacche di pelle, ciuffi sbarazzini e stivali. Ricordo che un giorno stavamo nell'appartamento insieme anche a lei, che aveva portato la sua fedele macchina fotografica. Iniziò a scattare delle splendide foto ai ragazzi, aveva davvero un buon gusto e venivano fuori sempre dei capolavori

-Rio, mettiti in posa- mi disse. Non feci neanche in tempo a dire "ma" che iniziò subito a scattarmi foto su foto, una dopo l'altra, senza neanche staccare la macchina fotografica dall'occhio. Mi sentivo un po' in imbarazzo, non sapevo come mettermi, in più con tutti gli sguardi dei ragazzi addosso, quindi mi limitai a sorridere o a fare qualche banale posa, mentre Astrid ripeteva quanto fossi meravigliosa e quanto la macchina fotografica mi amasse, finchè non si fermò e disse -Adesso però voglio una foto dei Beatles con la loro musa- e subito i ragazzi mi piombarono addosso, facendo facce e posizioni buffe: ora si che mi sentivo a mio agio! Mi unii al loro moto di goffaggine più totale. Adesso, dopo cinquant'anni, ho ancora una foto che ci scattò Astrid appesa al muro della stanza.

Ma le sorprese ad Amburgo non erano finite. Una mattina Stu tornò a casa e ci raccontò di un incontro che aveva fatto.

-E' un grande. Si chiama Richard, ma si fa chiamare Ringo. E' il batterista degli Hurricanes- ci disse che gli offrì la colazione e parlarono a lungo. Era un tipo in gamba, un po' stralunato ma divertente.

Passammo molti mesi ad Amburgo, circa fino a luglio, quando poi tornammo a Liverpool. Mi portai un enorme bagaglio di ricordi, ce l'eravamo spassata ma soprattutto fu un viaggio producente per la carriera dei ragazzi, che vennero accolti molto calorosamente a Liverpool. Qualcosa era cambiato, si stava finalmente accrescendo la popolarità dei Beatles e i ragazzi ne erano entusiasti. Eravamo giovani, per non dire addirittura piccoli, e io ero un tantino preoccupata che questa situazione potesse sfuggirgli di mano, ma poi li guardavo, come poteva sfuggirgli di mano? Erano più determinati che mai al successo e non si sarebbero persi questa occasione per nulla al mondo. Si aprì un portone per i ragazzi e loro stavano lì, sulla soglia, pronti a fare il passo decisivo ed entrare a fare parte della musica.



SPAZIO AUTRICE



Vi è mai capitata quella prof di italiano che odiate perchè dice che non sapete scrivere, che non avete immaginazione e che i contenuti dei vostri temi sono poveri? Ecco, io ce l'ho -.- la odio! Scrivo tanto male? Vi prego, ditemelo sinceramente, ci tengo tanto!
Comunque, piaciuto il capitolo? Racchiude un lungo periodo (tutto Amburgo) perchè se mi dilungavo troppo su questo pezzo della vita dei ragazzi, avrei finito tra ottant'anni!
Al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Liverpool, 10 aprile 1962



Eravamo tornati da poco dall'ultimo viaggio ad Amburgo e purtroppo dovetti dire addio ad Astrid. Mi sarebbe mancata molto, avevamo legato tanto ed era una delle poche amiche femmine che avevo. Inoltre dovemmo dire addio anche a Stu, che rimase a vivere in Germania sia perchè aveva ritrovato l'amore per l'arte insieme ad Astrid, e sia perchè anche solo il pensiero di dover ripartire e lasciarla lo faceva rabbrividire, e l'unica soluzione sarebbe stato o che rimanessero entrambi ad Amburgo o che tornassero entrambi a Liverpool. Astrid mi raccontò che, pur essendo ormai maggiorenne da un po' di anni, la sua era una famiglia rigida e soprattutto suo padre teneva molto all'unità familiare: figuriamoci se l'avrebbe lasciata andare in Inghilterra per un tempo indeterminato! Così Stu si offrì di restare lì con lei. Non è romantico?

Stavo appollaiata su uno sgabello sgangherato che avevo trovato in un angolo della Tana (così chiamavamo il vecchio garage abbandonato dove facevano le prove) e ascoltavo i ragazzi che provavano una canzone appena scritta. Avevo le gambe piegate, le braccia incrociate sulle ginocchia e in mento poggiato su di esse. La mia espressione somigliava a quella di un cucciolo abbandonato. Mi mancava Stu. Era nato un forte legame tra di noi, anche se ci pizzicavamo spesso tra di noi: lui faceva battutine cattive sulla mia risata, che, dovendolo ammettere, era parecchio rumorosa e sganasciata, e io rispondevo con battutine cattive sul suo modo di suonare il basso, che lasciava parecchio a desiderare. Ma ci volevamo bene. Sapevo che saremmo andati a trovarlo ad Amburgo e che lui sarebbe venuto a Liverpool spesso, ma mi mancava nella mia routine quotidiana.

-Now I'll never dance with another Oh, when I saw her standing there Oh, since I saw her standing there Yeah, well since I saw her standing there
Bene ragazzi, cinque minuti di pausa-
disse John, allontanandosi dal microfono. Posarono gli strumenti e Paul con maggior cura degli altri posò il suo basso, come se stesse posizionando le ultime due carte di un castello fatto tutto di quelle.

-Hey Macca, attento o il bambino di farà male- gli disse George mentre lo osservava a braccia incrociate. Scoppiò una fragorosa risata che rimbombò in tutta la Tana. Paul fece il verso a George e poi aggiunse

-Ridete quanto volete, ma per quanto mi dispiaccia che Stu abbia lasciato la band, sono felicissimo perchè finalmente posso suonare il mio amato basso-

-Beh, noi preferivamo Stu-
ribattette John, con un tono scherzoso e contemporaneamente di sfida

-Cosa stai insinuando Lennon? Che non so suonare il basso?- domandò Paul, prendendo in mano un'asta del microfono a mo' di spada

-Oh oh oh, percepisco una richiesta di sfida in questo gesto- disse John, afferrando un'altra asta del microfono -ANGAAAAAAARD!- urlò. George si mise una mano in fronte, scuotendo la testa in segno di disapprovo. Si sedette a terra e io lo imitai

-Pensi che dovremmo fermarli?- gli chiesi

-No, lasciali stancare ora, così dopo crollano sul divano-

-Giusta osservazione!-
dissi ridendo. Mi squillò il telefono e andai a rispondere. Quei due ragazzi mentalmente disturbati stavano facendo un casino tale che mi dovetti tappare l'orecchio libero per sentire il telefono. Era Astrid.

-Hey Astrid! Come stai?- dissi, sorridendo. Ma subito la mia espressione cambiò. Stava piangendo. Aggrottai le sopracciglia. George notò il mio cambiamento improvviso di umore e si alzò, raggiungendomi. Gli occhi mi pizzicavano e iniziarono a scendermi della calde e grosse lacrime, che mi appannavano la vista. George cominciò a preoccuparsi e fece cenno con il braccio a Paul e John di smetterla. Calò il silenzio più totale.

-Come è successo?- chiesi con un filo di voce. Mi tremava il labbro inferiore e gli occhi erano ormai diventati due palle infuocate per quanto bruciavano. Tirai su con il naso e mi asciugai le lacrime sulle guance.

-Oh Astrid...- e scoppiai nuovamente a piangere -Tranquilla... Si lo so... Dispiace anche a me... Lo so... Ti capisco... Vabbè, per qualsiasi cosa chiamami quando vuoi, ad ogni ora, ok? Ciao tesoro, tranquilla- e attaccai il telefono. Rimasi ferma immobile, con lo sguardo fisso davanti a me, ma che non guardava niente in particolare. I ragazzi stavano con gli occhi puntati su di me, con un espressione mista fra la curiosità e l'agitazione.

-Stu è morto, emorragia cerebrale- furono le uniche parole pronunciate con un filo di voce tremolante che mi uscirono dalla bocca, prima che un'altra valanga di lacrime bollenti mi scesero sul viso. Rimasero zitti, più di quanto lo erano prima. Nell'aria governava il silenzio, ma non il solito silenzio nel quale si potevano comunque sentire gli uccelli cinguettare, i respiri delle persone, i battiti del cuore, no, era un silenzio tombale, quasi angosciante. Nessuno aveva il coraggio di parlare. Lentamente le teste si abbassarono e le lacrime cominciarono a solcare i volti dei ragazzi.


Astrid ci invitò al funerale. Stetti tutta la cerimonia vicino a lei, consolandola, cercando di trattenere le lacrime per farmi vedere forte. Vicino a me c'era Paul, che teneva una mano poggiata sulla mia spalla, rassicurandomi. Ogni tanto mi giravo verso di lui per non far vedere ad Astrid qualche lacrima che scendeva, e lui mi passava la sua dolce mano sul viso per mandare via quelle gocce che me lo bagnavano. Subito dopo di lui c'era John, che ci guardava con uno sguardo di delusione, che non era dovuto solo dal contesto in cui ci trovavamo, e si notava benissimo. O almeno, io lo notavo, lo percepivo, sentivo il suo cuore lamentarsi ogni volta che Paul mi accarezzava, gli occhi che pizzicavano ogni volta che poggiavo la mia mano su quella di Paul, le farfalle nello stomaco ogni volta che il mio sguardo si posava sulla sua figura, sul suo bellissimo corpo, che era uno dei punti forti di John, e poi si incrociava con il suo sguardo.



SPAZIO AUTRICE



Beeeene, ho aggiornato prima possibile! Apprezzate vero? Hahahah
Comunque, sfornare questo capitolo diciamo che mi è venuto parecchio meccanicamente, non lo so, ma avevo quest'idea da un po' di tempo e finalmente sono riuscita a darle vita! :D Vi è piaciuto? Alla prossima! :)

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Liverpool, 27 agosto 1962



Sentivo qualcosa che mi pressava sullo stomaco. Aprii gli occhi e vedi Ringo che spingeva il suo gomito sopra al mio povero stomaco. Chi è Ringo? Solo la persona più fantastica del mondo. Era entrato da poco nella band e già lo adoravo, non avevo avuto nessun problema a socializzare con lui, e viceversa. Il suo vero nome era Richard Starkey, era un piccolo ragazzetto più basso di me di circa cinque centimetri o poco più, pur avendo un anno in più di me. Aveva dei bellissimi occhi azzurri e capelli marroni scuro, i lineamenti del suo viso erano molto pronunciati e il suo naso era spesso oggetto di battutine, ma lui non se la prendeva, anzi, ci rideva su, e questo era solo uno dei tanti pregi di Ringo.

-Rio Rio! Dai svegliati!-

-Cosa c'è?-
dissi stropicciandomi gli occhi con le mani e stirandomi la schiena. Ero spaparanzata sul divano di casa di John e avevo Ringo praticamente addosso che cercava di svegliarmi

-Ti sei appisolata e dobbiamo andare a comprare da mangiare-

-Perchè proprio noi?-

-Perchè siete due anime buone-
disse George -Sbrigatevi, sto morendo di fame-

-Ma perchè non ci vai tu, dato che sei quello più affamato?-

-Scherzi? Potrebbe prendermi un crampo mentre cammino, e, dimenandomi senza sosta, potrei finire in mezzo alla strada perdendo il controllo e venendo investito-

-Spero tu stia scherzando-
dissi, guardandolo fra lo stupito e il basito

-Assolutamente no, e lo sai benissimo! Cammina, forza! Andate-

-Sei un piccolo ragazzo malefico-

-9 mesi! Solo 9 mesi-

-Si si, certo-
gli risposi, mentre stavo ormai allo stipite della porta insieme a Ringo. Di colpo scese John dal piano di sopra, facendo un grande salto, oltrepassando gli ultimi quattro scalini e piombandomi praticamente ai piedi.

-Vi accompagno se volete- si offrì. Subito Ringo fece un passo avanti

-Ti cedo volentieri il mio posto-

-Beh grazie Dumbo-
lo ripresi. John si piazzò subito vicino a me, prendendomi a braccetto.

-Hey voi due, fate presto!- sbottò Paul dalla cucina. Io e John ci scambiammo uno sguardo complice. Non so il perchè di quello sguardo, ma ci fu. Uscimmo di casa e iniziammo a camminare verso il centro di Liverpool. Inizialmente stavamo in silenzio, staccati, io guardavo a terra con le braccia incrociate, lui teneva le sue in tasca e mi guardava.

-Perchè mi guardi?- gli chiesi, sorridendo leggermente e guardandolo con la coda dell'occhio

-Ammiravo la bellezza umana- rispose con un sorrisetto malizioso. Arrossii inevitabilmente. -Spiegami, come fai a non avere ancora un ragazzo?-

-In che senso?-

-Come in che senso, ma ti sei vista? Sei perfetta! Mezza Liverpool potrebbe starti sotto-
sembrava ubriaco, le parole gli uscivano come un fiume in piena, non si fermava, parlava senza pudore, diceva qualsiasi cosa gli passasse per la testa.

-Oook, emh, beh, penso che ancora non si arrivato il ragazzo giusto per me-

-E come deve essere il tuo ragazzo perfetto?-
Beh, "il mio ragazzo perfetto", era una questione interessante. Non mi ero mai davvero soffermata a pensarci. Ma d'altronde cosa gli avrei dovuto dire? Paul? O forse lui?

-Mmmh, fammici pensare...-

-Oh andiamo, non dirmi che non hai neanche un'idea-

-Beh, veramente...una piccola idea ce l'avrei...mi piacciono i ragazzi spontanei e simpatici, esuberanti e sempre allegri. Insomma, mi serve qualcuno che compensi la mia mancanza di socializzazione e che mi aiuti a superare la mia paura irrazionale-
appena ebbi finito di parlare, mi si piazzò davanti facendomi fermare e avvicinando il suo viso al mio disse

-Beh, non so se te ne sei accorta, ma mi hai praticamente descritto- mentre parlava, la sua faccia si faceva sempre più vicina. Gli feci sfiorare le mie labbra con le sue per poi prendergli il viso con una mano e dire

-Non ci sperare- e spostandolo di nuovo vicino a me, ripresi a camminare

-Oooh ma dai! C'ero quasi-

-Ripeto: non ci sperare-
dissi quasi urlando per farmi sentire, dato che lui era rimasto lì fermo imbambolato come un baccalà. In realtà dentro mi stavo sciogliendo. Mi stava per baciare, ancora! Ciò significava che non aveva perso le speranze. Ero felice, tanto anche, e avevo paura che la mia felicità si vedesse, perciò misi le mani sulle guance per sentire se erano calde, e, automaticamente, rosse. Lui mi raggiunse di corsa e mi stampo un bacio sulla guancia. Lo guardai con aria interrogativa

-Almeno questo me lo concedi?-

-Certo-
dissi leggermente imbarazzata, dandogli un pugnetto sulla spalla. Mi riprese a braccetto e continuammo il nostro tragitto.
Stava succedendo qualcosa? Lo speravo, anzi no, anzi si. Non sapevo neanche cosa volevo. Ero terrorizzata, ero felicemente terrorizzata.



SPAZIO AUTRICE



Blocco dello scrittore. Mai successo? Spero per voi di no. Questo capitolo fa abbastanza schifo, lo so, vi capisco, ma d'altronde non volevo lasciarvi a bocca asciutta fino a quando il mio blocco si fosse sbloccato (?). L'unica cosa positiva è che finalmente ha fatto la sua entrata niente popò di meno che *rullo di tamburi* mr Ringooooooo Staaaaaaaaaarr! *grazie, grazie a tutti! beh, vorrei ringraziare, prima di tutto, i miei genitori, poi zia Jessie...* ok Ringo, ora però non rubarmi la scena eh.
In ogni caso, vorrei ringraziare tutti quelli che hanno inserito la storia nei preferiti e nelle seguite, ma soprattutto tutto coloro che recensiscono puntualmente la mia storia. Vorrei ricordarvi inoltre che potete scrivermi qualsiasi cosa, anche cose del tipo "datti all'ippica" oppure "mangia la cacca del mio cane", probabilmente non seguirò tutti questi consigli, ma li accetterò. Siete liiiberi si scrivermi tuuutto quello che pensate, cose belle e cose brutte, sono una persona molto flessibile (?)
Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Liverpool, 7 settembre 1962



-Ma sei sicuro John?-

-Sicurissimo! Dai non fate i fifoni-
disse Lennon. Noi ci guardammo un po' perplessi ma poi lo seguimmo -Solo fate silenzio!-

Si, è vero, era settembre e stavamo a Liverpool, ma ciò non ci fermava dal farci un bel bagno in piscina. O meglio, questo non fermava John dal trascinarci clandestinamente nella piscina dei suoi vicini di casa.
Camminavamo in punta di piedi, anche se i proprietari erano fuori città, non si sa mai se qualcuno ci avesse potuto vedere. Eravamo tutti in costume e stavamo in fila per uno, tutti piegati, facendoci piccoli piccoli.
Era una piscina grande per gli standard di Liverpool degli anni '60, a forma di rettangolo con intorno qualche sdraio.
Mi tolsi l'accappatoio di dosso, molto timidamente, e lo poggiai sulla sdraio. Era un bikini, comprato da mamma. Odiavo i bikini, facevano vedere troppo secondo me, preferivo di gran lunga un bel costume intero, o, ancora meglio, preferivo non mettermici proprio in costume! Ma mamma non mi diede ascolto -Cosa sei? Una settantenne che si mette il costume intero? Non se ne parla!- mi disse, sbattendomi sulla spalla il costume.

[Narra John]
Quando si tolse l'asciugamano rimasi basito. I vestiti avevano sempre coperto troppo quel corpo che avevo già visto, ma forse troppo velocemente o troppo al buio, perchè quel giorno mi sconvolse ancora di più. La mia testa si svuotò completamente, il cuore si fermò per qualche secondo, le gambe sembravano cedere ma non lo fecero.
Rimasi abbagliato, come poteva l'umanità paragonarsi a così tanta bellezza? Le sue gambe, così lunghe e magre, erano come due rette parallele, perfettamente dritte, non si incontravano mai. Il suo ventre, piatto e costellato da cinque o sei piccoli nei. Le sue spalle, larghe ed spigolose, lasciavano vedere perfettamente le ossa sporgenti, che scendevano a formare due lunghe braccia terminanti in due piccoli polsi e due mani, quelle mani a cui non dava mai tregua, quelle povere mani che erano vittime del suo stress represso e delle sue ansie paranoiche. E poi il suo lungo collo, caldo, provocante, invitante, sul quale giaceva una piccola voglia che assomigliava in modo impressionante ad una corona: un rettangolo orizzontale con tre punte sulla parte alta. E infine il suo viso. Pur essendo in costume, il suo viso era ciò che mi colpiva di più, così fottutamente perfetto e angelico. Lei era una di quelle ragazze che quando la vedi per strada ti giri e dici "E' bellissima", è più forte di te, non puoi farci niente perchè ormai lei è entrata nel tuo campo visivo e non puoi far altro che fissarla imbambolato. A me successe questo.

[Narra Rio]
Erano entrati tutti in acqua

-E' fredda?-

-No no! Dai entra Rio-
mi rispose George

-Mmh, non so- non feci in tempo a parlare che Paul era già uscito dalla piscina e mi aveva preso in braccio -Lasciami Paul! Lasciami! Aaaaah! Aiuto!- e si buttò, con me tra le sue braccia. Un brivido freddo mi percorse tutta la schiena, l'acqua era a dir poco congelata! -Ma siete matti? Moriremo assiderati!-

-Sai qual'è il segreto?-
mi chiese Paul. Io scossi la testa in segno di negazione -Rimanere sott'acqua- e subito mi afferrò la testa e mi ficcò sotto l'acqua ghiacciata. Inizialmente mi agitai, poi gli afferrai una gamba e lo feci scivolare. Mollò la presa e io riemersi

-E' pazzo!- e subito venni risucchiata da una morsa che mi aveva preso la caviglia. Iniziammo a lottare, come fanno due cuccioli di leone per giocare. Ecco cosa eravamo, due cuccioli.
Dopo circa un paio di minuti di ira, ci fu una tregua. Io mi aggrappai alle sue spalle, avvinghiando le mie gambe al suo corpo, e posai il mento nell'incavo fra la spalla e il collo, lui mi teneva le cosce da sotto e ogni tanto lasciava andare la sua testa sulla mia. Intanto gli altri erano usciti dalla piscina.

-Fermi così! Voglio farvi una foto!- disse John, gettandosi a capofitto su una sdraio su cui era posata una Polaroid, una macchina fotografica istantanea che Astrid gli aveva regalato. Ci scattò una fotografia. Sorridevamo entrambi, le mie braccia erano intrecciate intorno al suo collo e la mia guancia combaciava con la sua. Il mio sorriso era a bocca chiusa, ma faceva comunque uscire una profonda fossetta su entrambe le guance, il sorriso di Paul invece era a trentadue denti, con la bocca leggermente aperta.

[Narra John]
Per quanto mi pesasse ammetterlo, erano davvero un bella coppia. Si piacevano, più di "solo amici", e si notava, e io ne ero tremendamente geloso. Volevo Rio tutta per me, solo mia, ma non riuscivo a capire cose lei provasse. Non era una semplice ragazza di Liverpool che avrebbe fatto di tutto per venire a letto con me, no, lei era diversa, la sua mente per me era come una cassaforte di cui non se conoscevo il codice. Guardando la foto, dentro bruciavo di rabbia e invidia, ma il suo sorriso mi fece sciogliere

-State bene-

[Narra Paul]

"E' la tua migliore amica cavolo!" mi ripetevo in mente. Volevo un bene dell'anima a Rio, ci conoscevamo dalla nascita e avevo sempre detto che era una bella ragazza, ma così, come si dice di un'amica, con noncuranza, eppure da un po' di tempo, circa due, tre anni, succedeva qualcosa di strano quando la guardavo, ma non ne avevo parlato con nessuno oltre che con George, semplicemente perchè mi sembrava assurdo che un ragazzo si potesse innamorare della sua migliore amica. Eppure, succedeva qualcosa nel mio cuore...e nei miei pantaloni.

[Narra John]
Pur essendo stata quella che aveva rotto di più per la temperatura dell'acqua, Rio rimase ammollo nella piscina quando eravamo usciti tutti da un bel pezzo. Nuotava avanti e indietro senza sosta, si immergeva, faceva capriole, verticali, poi si stancava e incrociava le braccia sul bordo, poggiandoci sopra il mento. Ci guardava un po', con quei suoi occhi color oceano, occhi di ghiaccio che emanavano un calore pari ad un camino, e poi riprendeva a giocare nell'acqua come una bambina di cinque anni. Io continuavo a scattarle foto di sorpresa, e quando se ne accorgeva si arrabbiava un po', ma poi sorrideva per farsi immortalare di nuovo. Gli scattai una foto mentre faceva il morto a galla, fu forse la foto più bella che io ebbi mai visto. La sua espressione era neutra, ma diceva tutto, gli occhi parlavano da se, le labbra semiaperte erano così rosee che facevano sembrare la sua solita carnagione pallida, ancora più bianca e il blu della piscina faceva risaltare ancora di più il colore meraviglioso dei suoi occhi. Appena la foto uscii dalla macchinetta la presi e, senza neanche fargliela vedere, la misi nella tasca del costume ormai asciutto.
Appena tornai a casa, staccai dalla parete una foto di Elvis, e attaccai quella di Rio. Stava vicino al letto, così mi stesi, incrociai le braccia dietro alla testa e mi misi a fissarla.
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SPAZIO AUTRICE


Boh, forse il blocco è andato via o forse no. Ma penso di no. Non sapevo che scrivere e mi sono cimentata in un "capitolo di passaggio", che sembra non dire niente, ma che invece qualche informazione la dà. Ho voluto, infatti, farvi conoscere l'identità fisica di Rio. Vi piace? *vorresti essere così bella eeh* Ringo, taci ti prego, ho già tanti problemi di autostima, non ti ci mettere pure tu.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Liverpool, 28 ottobre 1962



Era una normalissima giornata, monotona, ne felice ne triste, interrotta da qualche ragazzina che si precipitava fuori casa di Paul a chiedergli un autografo. Si, la fama dei Beatles cresceva sempre di più e ciò mi spaventava a morte, ma non volevo farlo notare ai ragazzi, sarei sembrata una rompipalle guastafeste, perciò mi limitavo a non andare alle loro serate, per paura di essere schiacciata dagli urli.
Nick era uscito, mamma non sapevo dove fosse, ma sicuro a casa, dato che non c'era nessun disco di Elvis in circolazione che mi rimbombasse nella testa, perciò ero sola. Non avevo calcolato nessun uscita, perciò me ne stavo tranquilla sul divano a leggere un libro con un tazza di thè in mano, capelli raccolti in un'alta coda di cavallo, felpa di Nick e pantaloni della tuta. Amavo stare così, era il mio momento di pace, nessuno mi disturbava, me ne stavo comoda comoda in quei larghi vestiti che creavano una barriera dal mondo esterno.
Ero in procinto di addormentarmi, quando qualcuno bussò fortemente alla mia porta

-Rio! Sbrigati!- era John, e sussurrava. Mi precipitai alla porta di ingresso, non badando la mio abbigliamento e ai miei capelli completamente non curati e aprii

-John, ma che diavo...- era incappucciato e con gli occhiali da sole

-Ssh! Non urlare il mio nome! Sono appena scappato da un mucchio di ragazzine arrapate che mi volevano saltare addosso- gli feci cenno di entrare, senza parlare, ma lui scosse il capo -No no, non voglio entrare. Hai un minuto? Voglio portarti in un posto- e prima che io potessi aprire bocca, mi aveva già afferrato con forza il polso e trascinata via. Iniziammo a camminare a passo svelto, lui teneva la testa bassa.

-John...-

-SSSH!-

-Scusa! Dove mi stai portando?-

-Ora vedrai-
disse voltando leggermente la testa verso di me e sorridendo a mezza bocca -Ah comunque, ti sta bene il look trasandato- aggiunse. Io arrossii leggermente e emisi una risatina, dando un piccolo pugnetto sulla spalla di John. Continuava a tenermi, ma era sceso dal polso fino alla mia mano e aveva intrecciato le sue dita con le mie. Glielo lasciai fare, non mi dispiaceva affatto, anzi, mi dava una sensazione di dolcezza assoluta, la sua grande mano sembrava quasi proteggere la mia delicata mano, devastata dalle ferite provocate dalle mie ansie.

Finalmente arrivammo, mi aveva portata allo Strawberry Fields.

-So che probabilmente non ti stupirà come posto, perchè ci sarai stata milioni di volte e...-

-No, mai-

-Come scusa?-

-Non ci sono mai stata, questa è la prima volta-

-Scherzi spero, abiti a Liverpool e non sei mai venuta allo Strawberry Fields?-

-Chiama il circo, hai trovato un nuovo fenomeno da baraccone!-
dissi con tono ironico, agitando la testa e le mani.

-Ma perchè ho a che fare con persone così stupide?-

-E te lo chiedi pure?-

-Cosa sta insinuando, signorina Bertrand?-

-Che sei stupido-
sbottai. Subito venni travolta da un spintone che mi fece quasi cadere a terra. Poi mi riprese la mano

-Dai andiamo, ti faccio fare un giro turistico- ed entrammo nel cancello rosso. Era un orfanotrofio e John mi raccontò che quando era piccolo, dato che stava sempre solo, veniva allo Strawberry Fields a giocare con gli orfani. Ci sedemmo sul prato, all'ombra di una grande quercia.

-Me la ricordo questa quercia- disse -e mi pare che da qualche parte avevo inciso il mio nome...eccolo!- mi indicò un punto sulla corteccia dove c'era inciso "John Lennon". Prese il suo coltellino e iniziò ad incidere qualcos'altro, mentre mi parlava. -Bertrand...è un cognome francese-

-Wow, sei perspicace!-
mi fulminò

-Dai, perchè hai un cognome francese?-

-Perchè ho origini italiane-
mi fulminò nuovamente -Ma che domande sono? Secondo te perchè ho un cognome francese?-

-E che ne so io? Tuo padre è francese-

-E chi lo sa?-
calò il silenzio. Lui era nell'imbarazzo più totale, e io, per quanto dovessi essere triste, non riuscii a trattenere una risata. Lui mi guardò incerto, non sapeva cosa fare e quella sua goffaggine mi faceva ancora più ridere -Dai tranquillo, ti ho detto che non mi interessa- mi alzai e lo raggiunsi. Mi sporsi un po' e vidi l'incisione che aveva appena finito. Sotto il suo nome aveva aggiunto "Rio Bertrand". Sorrisi. Lui mi stava osservando e sorrideva a sua volta. Poi mi girai verso di lui e ci guardammo negli occhi.

-E' proprio bello questo posto- dissi, staccandomi dalla morsa magnetica del suo sguardo. Lui sorrise leggermente passandosi la lingua sull'interno dei denti

-Si, si lo è-

-Ma perchè mi ci hai portata?-
si stese, incrociando le braccia dietro alla testa.

-Beh, ti ci ho portata perchè questo posto è bello quasi quanto te. E' un posto magico, dove niente è reale- [Let me take you down 'cause I'm going to Strawberry Fields, nothing is real] a quel "è bello quasi quanto te" arrossii inevitabilmente. Lui se ne accorse e sorrise leggermente, socchiudendo gli occhi. Io mi stesi vicino a lui, chiudendo anche io gli occhi.

-Ti capita mai di pensare che la vita è migliore se chiudi gli occhi, John?- [Living is easy with eyes closed]

-Si, hai ragione. Puoi vivere in modo migliore- [Misunderstanding all you see]

-Ma dai, tu ormai in che modo migliore vuoi vivere? Stai iniziando a diventare qualcuno! E dopo tutto quello che hai passato, te lo meriti davvero-

-Grazie, ma per te non sarà difficile se io e i ragazzi diventiamo il toppest of the poppest?-
accennò una risatina

-Intendi per il mio piccolo problema con le persone? Beh sai, vi voglio bene e significa che per voi mi dovrò adattare, alla fine mi ci abituerò, sarà come un giocoe non sarà poi tanto male- [That is you can't, you know, tune in but it's all right, that is I think it's not too bad]

-Faresti questo per noi?-

-Beh, per gli altri sicuro, per te non saprei-
dissi scherzosamente, mentre alzavo gli occhi

-Ah, non sapresti eh?- disse, alzandosi. Mi prese per i fianchi e mi caricò su una sua spalla -Oh mamma mia, ma quanto pesi? Mi sto sfondando la spalla!- e subito gli arrivò un pesante pugno sul petto, che fece rimbombare la sua cassa toracica -No seriamente, quando pesi? 3 kg? Devi mangiare un po' di più mia cara-

-Si certo, come se mangiassi poco!-
risposi. Ormai mi ero lasciata andare, avevo le braccia penzoloni, che scendevano lungo la sua schiena. Lui iniziò a girare su se stesso, fino a quando non perse l'equilibrio e non ci fece cadere ad entrambi. Mi ritrovai sopra di lui. Poggiavo i miei gomiti sul prato, ai lati della sua testa, i miei capelli neri racconti nella coda di cavallo ricadevano sulla sua guancia e il sole che ci batteva li faceva risplendere ancora di più di quei riflessi blu che avevano naturalmente. Lui mi accarezzava il viso, mentre piano piano me lo avvicinò al suo. Ero una ragazza di 22 anni, cavolo! Dovevo smetterla di fare la bambina e non tirarmi più indietro. In quel periodo avevo capito che sentivo qualcosa di più di un'amicizia verso John e dovevo ormai smetterla di mentire a me stessa, e di sperare che interessassi a Paul come più di una migliore amica, perciò mi lasciai guidare dalla mano di John fino ad arrivare alla sua bocca. Le mie labbra sfiorarono le sue, per poi unirsi in un bacio concreto.



SPAZIO AUTRICE


Salve gente! Il mio blocco non è andato proprio del tutto via, perchè prima di arrivare a questo punto volevo far accadere qualcos'altro, ma non mi è proprio venuto in mente niente *buona a nulla* taci Starkey. Insomma, vi è piaciuto questo capitolo? Sinceramente mi sento soddisfatta, non del tutto, ma devo dire che non mi dispiace affatto *a me non piace per niente* cosa vuoi? Un applauso *si* facciamo un applauso a Ringo, sennò questo non si scolla più...clap clap.
Rio e John li shippo parecchio, ma cosa ne penserà Paul di tutto ciò? *volete sapere cosa penso? Bene, penso che...* no Paul! Stai zitto! Niente spoiler!
Vorrei ringraziare tutte le persone che leggono la mia storia ma soprattutto le persone che spendono del tempo prezioso nel recensirla! In più, grazie a tutti quelli che hanno inserito la mia storia nelle preferite e tra le seguite. Un cuoricino per tutti voi ♥ *e un cuoricino anche per noi?* si Beatles, un cuoricino anche per voi ♥ contenti?
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Liverpool, 15 dicembre 1962



[Narra Paul]
Me ne stavo seduto sul letto di camera mia a perfezionare una canzone che avevo scritto per Rio. Finalmente mi ero deciso a confessarle ciò che provavo veramente per lei. Era la cosa giusta da fare, me lo sentivo, e in più io le piacevo, era palese, cosa poteva andare storto a questo punto? Lei mi avrebbe detto che ricambia il mio amore e ci saremmo messi insieme, niente di più giusto, filava come l'olio.
Avevo finito di perfezionare gli accordi e la voce, dovevo trovare un titolo. Era ispirata a Rio, la mia migliore amica dalla nascita, colei che mi è sempre stata accanto e che non mi ha mai abbandonato. Era incredibile la bontà di Rio, era una ragazza d'oro, e dopo vent'anni mi sono innamorato. Me lo dovevo aspettare, era quasi una certezza che prima o poi sarebbe andata così. Non avevo mai provato niente di simile prima d'ora, ogni suo sguardo, ogni sua risata, ogni suo piccolo gesto provocava una vera e propria rivoluzione dentro di me, mi faceva sentire davvero strano, ma in maniera positiva. Quasi come se avessi un migliaio di farfalle che si agitavano, sbattendo fortemente le ali, dentro il mio stomaco, ogni volta che mi prendeva la mano.
Avevo solo tre parole in mente giuste per racchiudere tutta la canzone, le parole che avrei voluto dirle da sempre. Quindi presi la penna e scrissi in cima al foglio: Thank You Girl"


[Narra Rio]
Era un noiosissimo sabato pomeriggio. Avendo terminato la scuola non sapevo più cosa fare nel pomeriggio, prima almeno dovevo studiare qualche materia, ma ora niente. Non che mi piacesse la scuola, avevo quasi come un rifiuto per quell'edificio, anzi no, per la scuola in generale, la concezione di stare chiusa in camera, seduta ad una scrivania e studiare qualcosa di cui non me ne frega assolutamente niente, è una crudeltà che viene imposta ai ragazzi.
Mi limitavo a stare stesa sul letto e lanciare una pallina fino a farla sbattere al soffitto per poi riafferrarla. Pur essendo le tre di pomeriggio, stavo letteralmente crollando dal sonno, dato che la notte prima l'avevo passata a casa di John e, facciamo i seri, quanto posso aver dormito? Improvvisamente sentii dei ticchettii alla mia finestra, mi alzai con gli occhi pesati e vidi Paul che mi salutava con un grande sorriso. Quindi aprii la finestra

-Hey Paul-

-Rio, vieni, devo dirti una cosa-
disse lui. Era euforico, ma nervoso, chissà. Scavalcai lo stipite della finestra e mi ritrovai con i piedi sul balcone. Afferrai il ramo dell'albero che si trovava in mezzo alle nostre finestre, e poggiai un piede su un ramo più basso. Mi spinsi un pochino con la mano libera e, ondeggiando, l'albero mi traghettò fino al balcone della finestra di Paul. Entrai e feci un salto, atterrando ai piedi del letto. La sua camera era sempre in perfetto ordine, mi dava così fastidio, odiavo l'ordine! Ogni volta che andavo da lui, coglievo l'occasione per incasinargli un po' i vestiti o i libri.

-Allora, dimmi- gli disse, sedendomi sul letto.

-Ho scritto una nuova canzone-

-Wow, davvero?-

-Si, è dedicata a te-

-Oh, quanto sei dolce-
dissi sorridendo e arrossendo un tantino -Avanti, fammi sentire questo nuovo successo-


[Narra Paul]
Era arrivato il momento. Mi stavo leggermente pentendo di quell'azione così azzardata e mi vergognavo parecchio. Non mi era mai successo. Insomma, io ero Paul McCartney, il latin lover liverpooliano, il playboy della città, eppure, davanti al dolce viso della mia migliore amica diventavo come una caramella gommosa a forma di orsetto. Presi la chitarra e mi sedetti sulla sedia davanti a lei. Iniziai a cantare.

Oh, oh,
You've been good to me
You made me glad when I was blue
And eternally
I'll always be in love with you
And all I gotta do
Is thank you girl, thank you girl

Mi batteva fortissimo il cuore. Ogni tanto alzavo lo sguardo dalla chitarra e la guardavo. Vedevo che era persa nelle note e nelle parole. Stava a gambe accavallate, con il gomito sul ginocchio e il mento poggiato sulla mano e guardava le corde della chitarra che si muovevano, con un sorrisetto sul viso.

I could tell the world
A thing or two about love
I know little girl
Only a fool would doubt our love
And all I gotta do
Is thank you girl, thank you girl

Alzò un attimo lo sguardo e mi guardò con un espressione un po' confusa, io la guardai con degli occhi che chiedevano comprensione. Subito la sua espressione mutò, prima divenne un attimo quasi sconvolta, poi commossa. Sorrisi. Le piaceva. Le piacevo.

Thank you girl for lovin' me the way that you do
That's the kind of love that is too good to be true
And all I gotta do
Is thank you girl, thank you girl

Batteva in tempo con il piede e muoveva la testa e il busto da sinistra a destra. Era completamente coinvolta. Non guardava più le corde della chitarra, ora guardava solo me.

Oh, oh,
You've been good to me
You made me glad when I was blue
And eternally
I'll always be in love with you
And all I gotta do
Is thank you girl, thank you girl
Oh, oh

-Allora, ti...ti è piaciuta?-

-Tantissimo, grazie Paul!-
mi abbracciò. Ero perplesso. Non aveva capito.

-Beh, allora...emh...non hai niente da dirmi?-

-Beh, intanto prego-
e scoppiò a ridere -Poi, volevo dirti grazie per essere stato il miglior amico di sempre, e spero che continuerai ad esserlo per il resto della nostra vita- non aveva capito.

-Certo Rio che lo saremo. Ma vedi, c'è una cosa che volevo farti capire con questa canzone- Cavolo! Mi mancavano le parole. Non avevo mai detto "ti amo" ad una ragazza, ma dovevo farlo, era il momento giusto -Rio, beh, io...ecco io...io ti amo.- calò il silezio.


[Narra Rio]
Oh Dio! Me lo dovevo immaginare. Mentre cantava avevo più o meno intuito questa sottigliezza nel significato delle parole e nell'uso dei vari "ti amo" della canzone, ma non pensavo! Sgranai gli occhi. Mi prese un dolorosissimo nodo alla bocca dello stomaco. Cosa avrei dovuto dire?

-Io...beh io...- Paul mi guardava con uno sguardo pieno di speranza, ma prima che potessi dire qualcosa, John entrò come un tornado nella stanza

-Riri, eccoti! Non ti trovavo più. Oh ciao Paulie- e senza fermarsi a salutare l'amico, si piombò su di me, stampandomi un bacio sulla bocca. Ricambiai il bacio, quasi dimenticandomi della presenza di Paul e di ciò che era appena successo, rimanendo inebriata dal profumo di John. Ma poi mi resi conto. Oh cavolo! Adesso Paul sapeva di me e John. Oh cavolo! E lo era venuto a sapere in questo brusco modo. Oh cavolo! Soprattutto dopo quello che mi aveva detto. Lo guardai, aveva sbiancato.


[Narra Paul]
Non potevo crederci, non era vero, non poteva essere vero! Mi stavo per sentire male. Il mio amore segreto si era appena fidanzato con il mio migliore amico. Mi sentivo morire, volevo sprofondare in quel momento. Rio non sapeva che dire. John ci guardava con un sorriso innocente. Mi sentivo un vero coglione. Cazzo cazzo cazzo! Stupido!
D'un tratto non vidi più niente, iniziai a sudare freddo e respiravo affannosamente. Sentivo le loro voci sempre più lontane e confuse. Svenni.



SPAZIO AUTRICE


Eeeeccomi qui! Nuovo capitolo. Perdonatemi se non è un gran che, ma non avevo molto tempo ne per pensarci ne per scriverlo. Domani partirò con gli amici per andare a sciare tutti insieme. E' stato un colpo al cuore (positivo) quando i miei mi hanno dato il consenso, non avrei mai creduto che a 15 anni (quasi 16 :D) mi mandassero a sciare da sola, ma tanto ormai sono una sciatrice provetta, scio da 13 anni e ho anche fatto un anno da insegnante di scuola scii ai bimbini piccini picciò :3 *non ce ne frega niente* Ringo, ritirati nelle tue tane, ti prego. Dicevo, dato che domani partirò, non avrò la possibilità di aggiornare prima di lunedì/martedì, ma prometto che passerò la vacanza a pensare ad un continuo degno di nota.
Ringrazio nuovamente tutti quelli che leggono la storia, coloro che la recensiscono e coloro che la inseriscono tra le preferite e le seguite :D
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Liverpool, 18 gennaio 1963



Ero felice con John, mi trattava davvero bene, si prendeva cura di me, mi assecondava in tutto, tanto che a volte pensavo che me ne stessi approfittando.
Passavamo quasi tutti i giorni insieme ed era bello, perchè ci capivamo, c'era un legame fra di noi che non era solo fisico, era anche mentale, piscologico. Avevamo moltissime cose in comune e ogni giorno ne scoprivamo di nuove. E inoltre, quando stavo con lui, più di altre situazioni, le mie paranoie e le mie ansie sparivano, e insieme a loro anche il mio disturbo bipolare si faceva meno acuto. Era difficile convivere con quel problema: le persone che non mi conoscevano avrebbero potuto trovarmi simpatica e un momento dopo avrei potuto mandarli via a suon di parolacce, se qualcosa mi andava bene, il minuto dopo avevo già trovato un lato negativo ed ero distrutta dalla depressione. Ma la cosa che più mi preoccupava e mi spaventava era che le persone che amavo, dopo un po', mi avrebbero potuto trovare fastidiosa, per non dire pazza, e si sarebbero allontanate, ma fino ad allora quella reazione era stata tipica di persone a cui tenevo ma le quali era meglio perderle che trovarle. Non mi era mai successo con George o con Paul, ci avevano fatto l'abitudine e ormai sembrava quasi che i miei stati d'animo contrastanti li incuriosivano: ogni tanto mi davano fastidio apposta per vedere la mia reazione, poi mi coccolavano per vedere cosa facevo. Non era una cosa bella o giusta da fare, mi facevano impazzire, mi incasinavano ancora di più i pensieri, ma dopo un po' di tempo iniziai a rendermi conto dei loro piccoli "esperimenti" e cercavo di contenere le emozioni.
Con John non c'erano problemi, lui mi faceva sentire viva, felice, come sotto effetto di droghe. Avevo sempre il sorriso stampato in faccia e lui come me.
La nostra stava diventando una relazione seria, ma non mancavano le battutine stronze o i giochetti dementi da bambini. Ormai era come se convivessimo nell'appartamento che John aveva preso per staccarsi da Mimi. Era una specie di grande stanza che fungeva da salone, cucina e sala da pranzo, poi una minuscola camera da letto e un bagnetto con una doccia mezza scassata. Lo pagava con i soldi che guadagnava, e io davo il mio contributo: lui facendo le serate, io facendo la dog-sitter. Dovevo sempre uscire dalla finestra con dei grandi occhiali da sole addosso, altrimenti mi avrebbero vista e, data la popolarità dei ragazzi, già potevo immaginarmi folle di ragazzine impazzite che mi saltavano al collo pronte ad uccidermi per avergli rubato il loro John. Ma, grazie a Dio, ero sempre stata una ragazza con un talento innato nel passare inosservata.
Passavo cinque notti alla settimana in quella specie di casa ed ero sempre stanchissima, perchè, diciamocelo, quanto avrei potuto dormire stando nello stesso letto con John? Quando poi riuscivo a chiudere gli occhi e sognare un pochino, mi svegliavo sempre con la colazione sul comodino e John seduto vicino a me, mentre mi guardava dormire.

-Buongiorno piccola Penny- diceva, stampandomi un dolce bacio sulla fronte. Penny, era il soprannome che mi aveva dato. Il mio nome completo era Rio Penelope Rita Grace Bertrand II. Corto, vero? Ad ogni modo, John era rimasto impressionato dal nome Penelope, gli piaceva da matti, perciò mi chiamava con il diminutivo, Penny.

-Mmh...buongiorno...- dissi con voce rauca, stropicciandomi gli occhi.

-Dormito bene?-

-Per quel poco che abbiamo dormito? Si, bene grazie-

-A proposito, volevo ringraziarti e farti i complimenti-
disse lui, inclinando la testa e alzando le sopracciglia -Sei sicura di non aver mai fatto pratica?-

-No, completa ignorante-
risposi con quel poco di lucentezza che mi ritrovavo di prima mattina.

-Beh, allora sono stato davvero un ottimo insegnante-

-Ma piantala-
dissi, sbattendogli il cuscino sulla faccia. Passammo la giornata a suonare. La musica era una mia grandissima passione, suonavo pianoforte, chitarra e batteria. Mi piaceva anche scrivere canzoni. Ovviamente non le leggeva mai nessuno, erano chiuse tutte dentro un quaderno nel mio armadio dei libri, che si nascondeva fra i vari quaderni di scuola che, malgrado fosse finita da più di due anni, mi ostinavo a tenere e non buttare a causa della mia estrema pigrizia. Parlavano di amicizia, amore, ma soprattutto parlavano del mio strano essere, del pensiero umano, tutti testi che potevano sembrare contorti, strani, quasi mistici, ma amavo quello stile un po' misterioso e malinconico, ma che in realtà celava un'allegria e un benessere mentale. Non mi descrivevo come una persona triste, sola o strana, mi vedevo come la pecora nera del gruppo, ma in senso positivo. Non ero strana, ero originale. Non ero sola, ero solitaria. Non era pazza o schizofrenica, ero allegra. Non mi dispiaceva essere la pecora nera, e volevo essere trattata come tale. Volevo starmene in pace con le altre quattro o cinque pecore nere che esistevano, senza scocciature, e finalmente ora avevo trovato il mio posto. John, Paul, George e Ringo, insieme a mia madre e a Nick, costituivano il mio nucleo di pecore nere, le persone con cui volevo stare. Certo, se poi subentrava qualche persona a loro cara, non potevo certo mandarla via a calci in culo, basta che non mi infastidiva.

Ormai era pomeriggio inoltrato e la noia si faceva sentire. Stavamo seduti sul divano malconcio del salone: lui con le ginocchia sul petto e io con le gambe nello spazio fra le sue cosce e il suo stomaco.

-Che palle John, che facciamo?- chiesi. Non mi rispose. Dopo qualche minuto si alzò di colpo, facendo scivolare le mie gambe a terra e facendomi cadere dal divano

-Ho trovato!-

-Ahia John! Ma sei scemo? Il mio povero sedere-
ma lui non dava ascolto ai miei lamenti, sembrava che avesse trovato l'idea del secolo.

-Dai alzati-disse, prendendomi per un braccio e tirandomi su -Ascoltami, vai a casa e mettiti qualcosa di carino: stasera ti porto a ballare-

-A ballare? Non ci penso neanche!-

-Perchè no?-
chiese lui, con aria triste.

-Dove hai intenzione di portarmi? Al Cavern? In quel buco che straborda di gente? Neanche morta! Mi verrebbe sicuro un attacco di panico. E poi non posso farmi vedere in giro con John Lennon. Sarebbe complicato anche per te, non pensi ai fan impazziti che ti verrebbero a rompere?- stavo perdendo il controllo. Avevo cominciato a parlare senza sosta e non me ne ero neanche resa conto. Gli occhi erano spalancati, gesticolavo come una matta e iniziai a sudare. John mi prese il viso fra le mani, poi mi abbracciò

-Stai tranquilla, ssshh. Tranquilla. Andrà tutto bene, te lo prometto- diceva, cullandomi. Io respirai profondamente, poi mi staccai dall’abbraccio.

-Va bene, andremo a ballare, ma dovremo travestirci per non farci riconoscere. Almeno questo me lo concedi?-

-Certo-
disse euforico e comprensivo.


Il Cavern era un posto buio, pieno di ragazzi che bevevano, fumavano e ballavano come pazzi.

-John, non mi sento a mio agio- dissi, stringendogli la manica del giubbotto di pelle. Lui non mi ascoltava.

-Dai vieni, andiamo a ballare- e mi trascinò in mezzo alla pista. Mi guardò negli occhi e si indicò i suoi. Voleva dirmi di guardare solo lui. Mi prese le mani e cominciò a ballare. Io, insicura più del solito, cominciai a muovermi, concentrandomi solo sul suo sguardo. Piano piano presi confidenza e poi mi ritrovai a ballare come una pazza. Andava tutto bene. C'eravamo solo io e lui, in resto non esisteva, fino a quando qualcuno mi venne addosso e persi completamente la concentrazione. In poco tempo venni risucchiata in un turbine di persone. Mi stava per venire un attacco di panico. Le gambe cominciavano a tramare, il sudore cominciava a scendere dalle tempie.

-John! John!- non lo vedevo più, ma lui era lì, proprio davanti a me. Cominciai a correre verso l’uscita, e, appena fuori, mi gettai su un albero. Avevo cominciato a piangere per la disperazione. Ma subito sentii John afferrarmi da dietro e abbracciarmi. Mi accarezzava i capelli. Probabilmente mi stava dicendo qualcosa, ma non sentivo niente, solo un fastidioso fischio prolungato. Improvvisamente, sentii che iniziò a cantare dolcemente.

It feels alright now
Hold me tight
Tell me I'm the only one
And then I might
Never be the lonely one
So hold me tight
Tonight, tonight
It's you,
You, you, you, oh-oh.


Solo in quel momento cominciai a connettere. Mi chiamavo Rio. Mi trovavo fuori dal Cavern. Era inizio 1963. E la persona che mi stava abbracciando e stava cantando non era John, era Paul.



SPAZIO AUTRICE


Eccoci quii! Sono tornata dalle vacanze e purtroppo la scuola è ricominciata.
Cosa posso dirvi? Boh, niente. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Siamo arrivati a 28 recensioni. Beh, non male! Pensavo che nessuno mi avrebbe mai recensita, eppure…! Vi amuuuxxx xDxDxD ok basta.
Oggi ho speso tutta la mia giornata a farmi delle unghie a tema Beatles. Bianche con una fragola su ogni dito, dalla quale cola il succo (riferimenti puramente Across the Universe – Strawberry Fields Forever casuali) *oddio ora ti facciamo un monumento guarda* Starkey ti accolli.
Un cuoricino a tutti voi ♥ al prossimo capitolo!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Liverpool, 18 gennaio 1963



-Come ti è saltato in testa di portarla al Cavern?-

-Ma io...ma lei...-
sentivo Paul che rimproverava John nella stanza accanto. Eravamo tornati a casa mia e io ora stavo seduta sul letto della mia camera. Ero furiosa con John. Ma mi dispiaceva, non era tutta colpa sua infondo. Però avevo voglia di ucciderlo all'istante. Povero. Ora si stava beccando un cazziatone da Paul per colpa mia. Era tutta colpa mia. Dovevo andare a dirlo a Paul, dovevo farlo smettere di urlare.
Mi alzai ancora un po' scombussolata, ma decisa, e mi diressi verso la stanza vicina.
Stavo per aprire la porta, quando la voce di John mi interruppe

-Senti, sapevo che Rio ha questo problema e che è mezza...pazza, ma non pensavo fino a questo punto!- persi dei battiti. Mi aveva appena chiamata pazza. Il cuore andò in frantumi. Sentii un bollore nel sangue, strinsi i pugni per la rabbia. Una vena mi spuntò sul collo e la gola mi bruciava a causa del urlo che soffocai.
Non feci in tempo a sentire come proseguì la discussione che già ero uscita di casa, sbattendo forte la porta per farmi sentire. Era circa mezzanotte.

Vagai nel freddo di Liverpool senza una meta. Ero tremendamente arrabbiata e triste. Come aveva potuto chiamarmi pazza? Allora significa che non gli piacevo così com'ero, pregi e difetti? Allora significa che non era pronto ad assumersi una responsabilità così grande? Allora mi avrebbe lasciata?
Era un fiume di pensieri che mi scorreva nella mente, ed era come se io fossi un piccolo pescatore in una barca sgangherata che non riesce più a tenere il controllo della barchetta, fino a cadere nel fiume. Cosa dovevo fare a questo punto? Un'insistente vocina dentro di me diceva "E' il momento buono, lascia John e dichiarati a Paul. Fallo! Fallo! FALLO!". Aveva ragione? Era la strada giusta da prendere? Speravo di si.

Solo dopo un buon quarto d'ora di cammino, alzai lo sguardo e mi resi contro che, senza accorgermene, arrivai a casa di Ringo. Non ci pensai due volte a bussare.

-Piccola Rita- ecco un altro amante dei miei secondi nomi -che ci fai qui?-

-Non c'è Maureen, vero?-

-No no-

-Rings, ti prego, fammi entrare-
lo implorai. Notò le lacrime sul mio volto

-Oh piccolina, vieni, ti starai congelando- mi accolse amorevolmente. Mi fece sedere in sul divano in salotto, mi coprì con una grossa e pesante coperta di lana e mi porse una tazza di thè.

-Com'è che sei sveglio a quest'ora?-

-Mah...insonnia. Ma piuttosto, vuoi dirmi cosa ti è successo?-

-E' una lunga storia-

-Io ho tempo-
mi disse con un sorrisone, uno dei suoi sorrisi da bambino che ti scaldavano il cuore.
Iniziai a raccontargli tutto ciò che era successo quella sera. L'uscita al Cavern, l'arrivo improvviso di Paul, il sermone di Paul a John e infine la fatidica frase.

-Davvero ha detto questo? John? Cioè, voglio dire, davvero?! Non è da lui! Soprattutto dirlo rivolto a te! Sai, tu gli piaci, e molto anche! Parla sempre e continuamente di te-

-Si, lo ha detto-
dissi, ignorando completamente la seconda parte -Sai Ringo, lui era una delle pochissime persone in questo mondo che ancora non mi aveva chiamata così, e non pensavo lo facesse, almeno non adesso. Che motivo c'era? Poteva pure risparmiarselo. Non è colpa mia se ho questo problema e pensavo che se ne fosse fatto una ragione, pensavo che non si sarebbe scosso o addirittura spaventato così tanto. Pensavo fosse diverso-

-E tu ora come stai?-

-Mi fa abbastanza male. Ma non è niente. Niente di che.-
dissi, poggiando la tazza di thè su una gamba. Guardavo il liquido bollente tremare ad ogni mi piccolo movimento. Qualche lacrima calda mi calò dagli occhi, che pizzicavano tremendamente, ma me le asciugai immediatamente sulla spalla. Poi mi stesi sul divano e Ringo fece lo stesso. Eravamo appiccicati, quasi uno sopra all'altro. Poggiai la mia testa sul suo petto e chiusi gli occhi.


[Narra Ringo]
Povera piccola Rita. Cosa le facevano passare. La conoscevo solo da quasi un anno, eppure mi sembrava di conoscerla da secoli. Eravamo entrati subito in sintonia e ci volevamo molto bene. Mi faceva male vederla in quello stato. Iniziai ad accarezzarle i capelli.
La ammiravo molto, era una ragazza forte. Riusciva a convivere con questo problema psicologico che non era da niente, insomma, andare nel panico a causa delle persone...era tosto! Come avrebbe fatto in futuro?
Menomale che c'era George che non l'avrebbe mai lasciata sola. Quell'amabile bamboccione la adorava, era colei che gli dava la forza. Ma anche Paul non l'avrebbe lasciata andare facilmente. Lui l'amava, si vedeva lontano un miglio, si sarebbe fatto tutto il deserto del Sahara a piedi se solo lei glielo avesse chiesto. Speravo davvero tanto che quei due finissero insieme, infondo, a pensarci bene, non stavano male come coppia.
Rio fece un sospiro, stava dormendo.
Povera piccola Rita. Aveva la strana abitudine di non raccontare nulla. Aveva la tempesta dentro e nessuno lo notava. Ma io si.
Povera piccola Rita. Non era evidentemente fatta per stare con qualcuno. Ma non era nemmeno fatta per stare con chiunque. Così se ne stava con se stessa.
Povera piccola Rita. Gli stampai un leggero bacio sulla fronte, stando attendo a non svegliarla.

-Buonanotte piccoletta- dissi, prima di lasciarmi andare nel sonno.



SPAZIO AUTRICE


Ave lectores! (?)
E insomma si, crisi esistenziale per Rio! Attenzione attenzione, si è rotto l'equilibrio! Cosa succederà ora? Eh boooh! No, sinceramente non lo so neanche io hahaha. Ho una vaghissima idea, ma non ne sono sicura. E' solo un'abbozzo, devo svilupparla meglio. Però non ve la dico PAPPAPERO!
Entrata fugace in prima persona di Starkey, che si rivela un'anima buona e dolce *ne avevi dubbi?* si Ringo, e parecchi anche!
E quindi che dire? AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHH giàà! Ho preso finalmente 7 in un compito di italiano e su cos'era? Rullo di tamburi *tutututututututu* grazie Rings *dovere!* sulla creatività! Comunque questa è pazza! Oggi quando mi ha ridato il compito mi ha detto "Si vede che quando scrivi hai una buona penna". Ma allora mi prendi per il culo? Cioè, due mesi fa, se non di meno, mi hai detto che non sapevo scrivere! Bah, prof, chi li capisce?
Continuate a recensire, mi fa davvero molto piacere, mi da una grande botta di autostima e mi mette anche la voglia di aggiornare!
Un bacio, al prossimo capitolo belli ♥

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Liverpool, 19 gennaio 1963



Era ancora arrabbiata, no, ma che dico arrabbiata, furiosa con John. E pensare che stavo quasi per parargli il culo. Quello stronzo.
Ma da una parte lo amavo, lo amavo con tutta me stessa. Volevo restare sempre con lui. Era dolce, gentile, simpatico, incredibilmente coglione e mi faceva sentire bene.
Ma mi aveva chiamata pazza! Come potevo solo pensare di perdonarlo? No, non se ne parlava!
Eppure...


[Narra John]
Mi svegliai quella mattina particolarmente triste. Allungai una mano vicino a me per accarezzare Rio, ma la mia mano fece un piccolo tonfo fino a poggiarsi sul cuscino. Lei non c'era. Ero solo in quella casa. La nostra casa. Il nostro piccolo nido d'amore. Mi alzai e mi feci una doccia fredda, gelata.
Mentre bevevo a piccoli sorsi il mio caffè, pensavo al modo per farmi perdonare. Ma non era facile. Rio non era una ragazza facile, e per questo l'amavo.


[Narra Rio]
Mi tolsi i vestiti e mi gettai nella vasca da bagno colma di acqua bollente. Portai le ginocchia al petto e circondai gli stinchi con le braccia. I neri e lunghi capelli volteggiavano leggeri nell'acqua. Ogni tanto mandavo giù la testa, ma l'unica cosa che inondava la mia mente erano pensieri confusi.
Mi piaceva stare nell'acqua, lì potevo piangere senza che qualcuno se ne accorgesse, potevo far finta di essere forte mentre invece stavo morendo. Le lacrime calde si confondevano con l'acqua nella vasca. Abbassai lo sguardo e vidi il mio riflesso

-Stupida ragazzina. Cosa credevi?- dissi, prima che una grande lacrima cadde nell'acqua, confondendo il riflesso del mio viso. Lasciai andare la testa sul bordo della vasca.


[Narra John]
Presi i vestiti, quelli che piacevano tanto a lei. La maglietta a maniche corte bianca, i jeans blu e la giacca di pelle nera. Mi vestii abbastanza velocemente.
Mi pettinai i capelli davanti allo specchio. Mi fermai un attimo per vedere il mio riflesso

-Stupido ragazzino. Cosa hai combinato?- dissi e, quasi senza accorgermene, una piccola e leggera lacrima mi solcò il volto come se fosse un aratro. In quella lacrima c'era tutta la tristezza, la rabbia e il dispiacere contenuto in me. Me la asciugai immediatamente.

-Non devono vedermi così- mi dissi sicuro. Ma chi poteva vedermi in quel momento? C'ero solo io. Non sopportavo che la gente mi vedesse piangere, pensare che io fossi una femminuccia, ma soprattutto non sopportavo che io mi vedessi piangere.


[Narra Rio]
Avrei voluto restare lì per ore, per giorni, per tutta la vita, ma purtroppo avevo qualcosa da fare.
Avevo finalmente deciso: Paul. Gli avevo scritto una canzone che esprimeva tutto il mio amore per lui. Fanculo John. Ci avrei sofferto come mai, ma non potevo sopportare l'idea che io fossi un peso per lui, che non sapesse gestirmi e che magari si potesse sentire a disagio. Ma con Paul potevo star certa del contrario.
Li amavo entrambi, ad ugual misura, ma dovevo pensare anche al loro bene e a ciò che loro fossero o non fossero in grado di fare.
Mi iniziai a vestire. Misi davvero le prime cose che mi trovai davanti agli occhi. Afferrai Polythene Pam, la mia chitarra, e scesi le scale, andando verso la porta d'ingresso.


[Narra John]
Comprai a Rio una scatola di cioccolatini fondenti e un mazzo di rose bianche, i suoi fiori preferiti. Quei fiori la rappresentavano al meglio: delicate ma forti, e soprattutto bellissime.
Feci una corsa per arrivare il prima possibile a casa sua, volevo scusarmi, volevo farlo adesso, dovevo farlo adesso, volevo abbracciarla e baciarla come prima.
Mi sistemai un po' i vestiti e i capelli, poi suonai il campanello.


[Narra Rio]
Stavo per aprire la porta, quando qualcuno mi anticipò suonando il campanello. Quando aprii la porta rimasi un attimo perplessa.

-Che ci fai qui?- lui non disse niente, semplicemente mi porse la scatola di cioccolatini e il mazzo di fiori. Rose bianche, le mie preferite. Se lo era ricordato. Stavo per cedere. Stavo per gettarmi alle sue braccia e dirgli di stendere un velo su quella situazione, che era stata tutta colpa mia e se invece la colpa fosse stata sua l'avrai perdonato. Ma feci un gran sospiro per poi alzare un sopracciglio con aria quasi schifata. Lui si rattristò nettamente. -E questi?- chiesi sfacciata.

-Beh...io...sono venuto per farmi perdonare- disse con una dolcissima faccia da cucciolo. "No, Rio no! Non cedere! Sii forte! Fatti onore!"

-Beh? Non hai paura che ti faccia qualche scatto da pazza?-

-Ma cosa dici?-
chiese aggrottando le sopracciglia e abbassando le braccia.

-Oh ti prego, non fare il finto tonto adesso, ho sentito che mi chiamavi pazza alle mie spalle ieri sera-

-Oddio...Rio, ti prego, ti scongiuro, perdonami. L'ho detto senza pensare, ero rimasto scioccato e...-
non potevo fare la stronza, si era appena messo in ginocchio chidendomi perdono, dovevo spiegargli la situazione così com'era

-Appunto per questo, eri rimasto scioccato. John, io non sono più che altro arrabbiata, anzi, ti amo e mi andrà in frantumi il cuore appena finirò questo discorso...-

-Ti prego Rio, no...-
sussurrò con voce tremante, mentre gli occhi cominciavano a diventare lucidi.

-John- dissi inginocchiandomi davanti a lui e prendendogli le mani, eravamo più o meno alla stessa altezza -credo che questa storia non possa più andare avanti- un espressione di dolore si dipinse sul viso di John, che cominciò a piangere. Non l'avevo mai visto così. Iniziai anche io e tra i singhiozzi continuai a parlare -Non vogli ficcarti in situazioni scomode. So che il mio è un problema fastidioso e non voglio che tu ne faccia parte, perchè è complicato e difficile conviverci. Capisci? Ti amo troppo per farti vivere un inferno del genere-


[Narra John]

Stavo piangendo, ma poco mi importava. Ci stavamo lasciando. Mi stava lasciando. Perchè? Mi amava, me lo stava ripetendo. Volevo dirle che io volevo vivere quell'inferno, volevo affrontarlo con lei, aiutarla, tirarla su, che quello fu solo un attimo di perdizione, che io l'amavo davvero, ma non ce la facevo. Mi aveva distrutto. La gola era chiusa, sigillata, non ci passava neanche uno spiraglio d'aria, gli occhi sembravano due chicchi di uva passa per quanto li strizzavo. Lacrime calde mi inondavano il viso pieno di rughe per l'espressione che avevo, un espressione di puro dolore e disperazione.
Finì di parlare, ma non aspettò una mia risposta. Aveva capito quanto stavo male in quel momento. Mi prese la nuca con la mano e avvicinò la mia fronte alle sue labbra. Mi stampò un bacio. Non era dolce, era amaro. Le labbra erano rigide, tirate in giù. Stava piangendo forse quasi quanto me. Ma in tutta l'amarezza e la tristezza di quel bacio, riuscivo comunque a coglierne l'amore che celava. Si alzò e se ne andò, lasciandomi lì, davanti alla porta di casa sua, in ginocchio sull'asfalto freddo. Le rose per terra avevano perso gran parte dei loro petali.


[Narra Rio]
Fu forse la cosa più difficile mai fatta, dire addio a una persona amata, ma avercela ogni giorno a pochi metri, centimetri di distanza.
Mi asciugai le lacrime e tirai violentemente su con il naso. Poi bussai alla porta di Paul.

-Rio, hai pianto?-

-No. Fammi entrare, è urgente-

-Hey, ma perchè hai Polythene Pam?-
mi chiese, ma io stavo già salendo le scale verso la sua camera, in attesa che mi seguisse. Mi sedetti sul letto e gli feci cenno di chiudere la porta e di sedersi. Non parlai, non aggiunsi parola, sarei riscoppiata a piangere. Perciò cominciai a cantare, una lenta canzone d'amore.

If I fell in love with you
Would you promise to be true
And help me understand
'Cause I've been in love before
And I've found that love is more
Than just holding hands

If I give my heart to you
I must be sure from the very start
That you would love me more than him

If I trust in you, oh please
Don't run and hide,
if I love you too, oh please
Don't hurt my pride like him

'Cause I couldn't stand the pain
And I would be sad
If our new love was in vain

So I hope you see that I
Would love to love you
And that he will cry
When he learns we are two

'Cause I couldn't stand the pain
And I would be sad
If our new love was in vain

So I hope you see that I
Would love to love you
And that he will cry
When he learns we are two
If I fell in love with you


-Ti amo Paul- dissi. Rimase a bocca aperta e nel giro di due secondi sentii una voce femminile fuori dalla finestra.

-Paul scendi!-

-Arrivo Jane!-
gridò lui, senza smettere di guardarmi negli occhi, con la bocca aperta e con uno sguardo pieno di compassione.
Tre, cinque, dodici, cinquanta, cento coltelli mi si ficcarono nel petto. Jane. Jane Asher. Paul usciva con Jane Asher.



SPAZIO AUTRICE


Eccoci qui.
Scusate il ritardo ma in questo periodo sto affogando nei compiti in classe.
Quanto odio i miei amici? Cioè, no, gli voglio bene, ma odio quando mi dicono "Basta con questi Beatles! Stai sempre a parlare di loro!" non è vero! Non sono poi così ossessionata! Parlo anche di altre cose sà! Però se qualche volta mi scappa qualcosa su di loro, e che cavolo, non vi scaldate tanto!
Vorrei tanto conoscervi lettori miei, parlare un po' con voi che mi capite!
Vi è piacuto il capitolo? A me personalmente tanto *modesta* oh ma che vuoi Ringo? Ogni tanto un po' di autostima ce l'ho anche io *si infatti Rings, lascia la mia piccoletta* grazie Georgie *-* Ok basta delirare.
Di questo capitolo mi piacciono i paralleli e i frequenti scambi di punti di vista, non so, danno più l'idea, rendono il tutto più realisto, no?
Ora vado che sennò mia madre di trucida.
Un bacio, alla prossima!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Liverpool, 25 gennaio 1963



Ogni tanto sentivo il clacson di Jane sotto casa che suonava, intento a chiamare Paul per farlo scendere dalla sua bella.
Ormai sapevamo la verità, ci amavamo, ma ci amavamo veramente. Ma era troppo tardi.
Ero consapevole di aver fatto un enorme cazzata. Ormai i ragazzi erano diventati famosi, e come potevo pensare che nessuna ragazza di fosse potuta avvicinare a loro? Come potevo pensare che Paul mi avrebbe aspettata?
Ero sola, non avevo nè Paul nè John. Oh John. Quando ripensavo a ciò che gli avevo detto, ciò che gli avevo fatto, il suo viso pieno di dolore, le lacrime riafforavano sul mio viso. Se solo Paul mi avesse avvertita. Adesso John non sarebbe mai tornato da me una seconda volta, ne ero sicura, era troppo orgoglioso per farlo. Ormai era diventato una rockstar di media popolarità, che se ne faceva della sua ex, una ragazzina, quando poteva avere qualsiasi donna?
Eppure, per quanto amassi Paul, un pezzo del mio cuore rimase per sempre di John, e speravo davvero che un giorno sarebbe tornato.
"Stupida ragazzina ingenua, non capisci che ormai li hai persi entrambi?" e se poi ci si metteva pure la mia coscienza...


[Narra Paul]
Eravamo bravissimi a non farci più sentire: riuscivamo a non scrivere, a non chiamare. Se solo però fossimo riusciti anche a non pensarci.
Mi piaceva stare con Jane, era carina, simpatica, ma non era Rio. Non era nulla in confronto a lei.
Rio era una forza della natura. Spontanea, bella, semplice. Ricordo che quando eravamo piccoli e io o George ci sentivamo un po' tristi, Rio veniva da noi con un biscotto, in qualsiasi luogo ci trovassimo, e, dandocelo, ci diceva che non c'era niente per cui essere tristi, e infine ci abbracciava. Da quando eravamo piccoli, per il resto della mia vita, quando ero triste mangiavo un biscotto.
Stavo in cucina, e stavo addentando un biscotto al cioccolato.


[Narra George]
Era una bella giornata. Un leggera brezza marina proveniente dal porto mi rinfrescava il viso. Stavo andando verso casa di Rio, era da tanto che non ci vedevamo e mi mancava la mia dose giornaliera di migliore amica.
Aspirai un'ultima boccata dalla sigaretta e poi la gettai a terra. Suonai il campanello.

-Riri, apri, sono George!-


[Narra Rio]

-Oh George, ciao-
dissi, appoggiando la faccia allo stipite della porta

-Hey, quanto entusiasmo nel vedere il tuo migliore amico eh-

-Dai scusa, entra pure-
dissi, spostandomi per far entrare George. -Qual buon vento?-

-E' da tanto che non ci vediamo, volevo stare un po' in tua compagnia-

-Ooh, quanto sei dolce-
risposi, buttandomi sulle sue spalle e mordendogli la guancia. Ci buttammo sul divano.

-Mmh, biscotti. Qualcosa non va?- mi chiese, storcendo un pochino la bocca da un lato.

-E' solo che...ho lasciato John per Paul, ma ora Paul esce con la Asher- George tacque -Lo sapevi?- non rispose-George, tu lo sapevi! Perchè non me lo hai detto?!-

-Ma che ne potevo sapere che io avresti mollato John, eravate così affiatati! Lo eravate talmente tanto che non mi hai detto niente, non mi hai calcolato. Lo hai detto a Ringo e non l'hai detto a me, al tuo migliore amico.-
finì il discorso e mise il broncio, incrociando le braccia. Ma quanto ero stata stupida!? Avevo trascurato addirittura il mio migliore amico, il mio piccolo Georgie! Stupida, stupida, STUPIDA!
D'istinto presi un biscotto e glielo porsi

-Dai George, scusa. Non c'è niente per cui essere tristi- e poi lo abbracciai

-Promettimi che non mi lascerai più in disparte- la sua voce soffocava alcune lacrime

-Te lo prometto- risposi. Lui prese un gran respiro e si staccò dall'abbraccio.

-Allora, stasera suoniamo al Cavern...-

-Non ci pensare neanche!-
ruggii io

-Ah già, scusa, dimenticavo il tuo piccolo incidente-

-Già, piccolo incidente-


Passarono le ore e George dovette tornare a casa per prepararsi per la serata.
Volevo sentirli suonare, volevo rivederli tutti insieme, volevo vedere John e volevo vedere Paul, volevo soffrire davanti ai baci che Paul avrebbe stampato sul viso di Jane, volevo esserci quella serata. Non mi importava delle persone, volevo andarci.
Mi alzai dal divano, era già buio e, da quello che mi aveva detto George, lo spettacolo sarebbe iniziato da lì a un'oretta circa.
Salii le scale e andai in camera mia a cercare qualcosa da mettermi. Optai per un vestito azzurro che mi arrivava poco sopra alle ginocchia spigolose. Mi truccai il meno possibile, volevo essere poco appariscente. Uscii immediatamente di casa, prima che cambiassi idea.
L'aria fredda che tirava mi faceva tremare le gambe. Quando arrivai fuori dal locale, già era pieno di gente che urlava i nomi dei ragazzi. Dovevano già essere dentro, nei camerini.
Io mi misi in fila, come una normalissima ragazza, quale ero. Temevo che qualcuno riconoscesse il mio volto, ma, fortunatamente, nessuno lo fece, o, almeno, nessuno se ne accorse. Nonostante la miriade di ragazzine impazzite, riuscii ad entrare senza troppi problemi e loro erano lì, sul palco, che stavano per iniziare a suonare.
Vidi Jane in prima fila. Volevo essere lì davanti anche io.

-Grazie a tutti per essere qui- la voce inconfondibilmente dolce di Paul iniziò a parlare -Volevamo iniziare con una canzone che ho scritto, con la collaborazione di John, ad una ragazza speciale di cui mi sono innamorato- un boato si alzò nella folla, ragazzine disperate che sparavano urli così acuti che solo i pipistrelli sarebbero riusciti a captare.
George attaccò con con un paio di accordi, per poi fermarsi e lasciare spazio alla meravigliosa voce di Paul


[Narra Paul]
La prima canzone della serata era "And I Love Her". Mi dispiaceva un po' per Jane che stava lì, in prima fila. Avrebbe frainteso, avrebbe pensato che quella canzone l'avessi scritta per lei. In realtà l'avevo scritta per Rio.

I give her all my love
That's all I do
And if you saw my love
You'd love her too
I love her

She gives me everything
And tenderly
The kiss my lover brings
She brings to me
And I love her

Vidi una figura familiare farsi largo tra la folla. Avevo già visto quel vestito azzurro. Piano piano riuscii a mettere a fuoco quella persona. Non ci credevo. Era Rio ed era venuta al Cavern a sentirci. Aveva attraversato quel mare di persone, quell'oceano di occhi, solo per sentirci suonare. Mi voltai verso John. Il terrore e la tristezza gli piombarono sul volto. La mia espressione sbigottita si rivolse verso il pubblico. Guardai Rio negli occhi e lei sfoderò uno sguardo di commozione e incoraggiamento. Sorrisi e continuai a cantare.

A love like ours
Could never die
As long as I
Have you near me

Bright are the stars that shine
Dark is the sky
I know this love of mine
Will never die
And I love her

Bright are the stars that shine
Dark is the sky
I know this love of mine
Will never die
And I love her



SPAZIO AUTRICE


Morta? Si, vi scrivo dall'inferno degli studenti dannati.
Lo so, questo capitolo fa veramente schifo, soprattutto letto dopo il diciassettesimo, che penso sia la perla di questa storia. Il problema è che non ho più idee per ora, soprattutto per colpa della scuola, che mi risucchia via tutta la concentrazione. Ma c'è una bella notizia. Mi è venuta un'idea bomba per il seguito, solo che sarà ambientato nel 1966, perciò non so quanto passerà prima di scriverlo c.c E non voglio neanche fare un salto spazio-temporale troppo lungo, sennò salterei troppi passaggi. Aiuuuutoo!
Spero che continuiate a leggere e recensire (tra le altre cose, il 17 è arrivato a 4 recensioni, sono commossa, lo giuro :') )
Un baciuozzo a tutti voi ♥

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Liverpool, 25 febbraio 1964



Era passato un anno. Anno duro, si, ma non fu il peggiore della mia vita. Il mio rapporto con George andò rafforzandosi ogni giorno di più, Ringo divenne la mia compagna di shopping, ebbi anche qualche storiella ma di poca importanza, e Paul e John, beh, diciamo che eravamo bravi a fingerci conoscenti quasi simpatizzanti.
Paul e Jane stavano ancora insieme. Maledetti. Malgrado tutte le maledizione e gli incantesimi di magia nera che gli avevo dedicato, la coppia non demordeva. Peccato per loro: tutti i miei sforzi si sarebbero concentrati in un unico momento e avrebbero distrutto talmente a fondo gli animi di quei due che neanche un dolce neonato che gioca con un cucciolo di cane vestito da elfo di Babbo Natale gli avrebbe fatto tenerezza.
Per quanto riguarda John, si era trovato un ragazza molto ma molto strana. Si chiamava Cynthia e mi faceva paura. Era una bionda tutta pepe, forse ne aveva un po' troppo di pepe. Sembrava una bambina a cui le avevano corretto il latte con la vodka e a cui le avevano comprato troppe ciambelle zuccherate. Non era antipatica, tolta la vocina acuta che ti stordiva il cervello e la decisamente troppa euforia per qualsiasi cosa detta o fatta. Non riuscivo proprio a capacitarmi di come John fosse riuscito a passare dalla mia tranquillità quasi triste e deprimente all'entusiasmo e la schizofrenia di Cynthia. Ammetto che inizialmente ero gelosa: quando la vidi per la prima volta nella Tana e me la presentarono, corsi in bagno di nascosto e piansi per tre ore buone, anzi, tre giorni buoni. Ma fu uno scoppio temporaneo, finì subito. Anzi, penso di averla presa piuttosto bene: avrei potuto prendere Cynthia a padellate mentre dormiva, e invece ci ero diventata amica. Ma ovviamente lei non sapeva di me e John.
Avevo trovato la mia migliore amica, finalmente! Si chiamava Patricia ed era bellissima. Bionda, alta, fisico perfetto, con due occhi che facevano invidia a Ringo, due fari azzurri splendenti, grossi quanto due noci. Una modella, direte voi. Si, era davvero una modella. Avevo notato qualche interessamento da parte di George, ma Pattie era una ragazza molto ingenua, non si rendeva conto di ciò che Madre Natura le aveva donato. Credeva che uno come George non si sarebbe mai potuto interessare ad una sempliciotta, quale era lei. Ma non capiva che qui il sempliciotto era George.

Era il ventunesimo compleanno di Georgie e stavamo tutti a casa di Brian. Eravamo seduti al tavolo. A capotavola George, da un lato Pattie e dall'altro io, mio malgrado vicino a me c'era Jane e vicino a lei Paul, poi Nick. Vicino a Pattie c'era Cynthia, poi John e poi Ringo. All'altro capo della tavola era seduto il sorridente Brian.

-Paul, mi passeresti una fetta di pane?- chiese Jane.

-Vienitela a prendere- rispose lui, mettendosi la fetta di pane fra i denti. Lei sorrise e afferrò il pane con i denti, baciandolo. Io li guardai disgustata, poi volsi lo sguardo verso Geo, Pattie e Cyn

-Vi prego uccidetemi- loro fecero delle espressioni miste fra l'impotenza e la consolazione.

-Rio, dimmi un po', nuove fiamme?- mi chiese la pel di carota.

-No, nessuna.- dissi un tantino fredda.

-Beh, non mi sorprende- disse, per poi girarsi verso Paul. L'avevano sentita tutti, tutti avevano sgranato gli occhi, ma nessuno fece niente, tranne Geo che mi afferrò il fretta le braccia, prima che potessero arrivare ai capelli di Jane.

-Come si chiamava l'ultimo?- chiese, girandosi nuovamente verso di me. Abbassai le braccia prima che potesse vedermi e sfoderai il sorriso più falso che avessi.

-Eric-

-Ah si, quel trasandato. Forse è per questo che ti vesti così male. Ah no, aspetta, eri così anche prima di Eric-
calò il silenzio. Tutti mi guardarono e le loro facce sembravano dire "Ti prego, non spaccare il tavolo di Brian, è antico"

-Ook, io vado un attimo in bagno. Pattie, Cyn, venite con me?- e subito le due bionde si alzarono e mi raggiunsero. -Io la ammazzo, vi giuro.- dissi, chiudendomi la porta alle spalle.

-Dai Riri, non prendertela- disse Pattie cercando aiuto nello sguardo di Cyn. Si vedeva che non sapevano cosa dire.

-Si dai. Paul le parlerà sicuramente, le dirà di regolarsi con le parole. Io ho parlato un paio di volte con Jane ma non mi pare che provi una particolare antipatia verso di te, è così di suo.-

-Bella merda! Beh, io non la reggo più. Stare anche solo un minuto con lei mi da sui nervi, la sua presenza mi irrita, mi da fastidio anche solo pensare che respiriamo la stessa aria, anzi no, mi da fastidio proprio il fatto che lei respiri. Potrei soffocarla con un cuscino mentre dorme, sarebbe una buona idea!-

-No! Rio ma che dici? Dai, non fare la sciocca. Se dirà qualcos'altro ti prometto che interverremo noi-
mi disse Pattie con la sua flebile voce.

-Va bene-

-Dai, adesso torniamo di là che Geo starà morendo di fame...emh...volevo dire...che tutti staranno morendo di fame-

-Si si, proprio tutti-
dissi ridendo e dando una leggera gomitata sulla pancia a Pattie.

-Che scema!-

-Voi andate, io vi raggiungo fra un momento-

-Tutto bene Cyn?-

-Si si, devo solamente aggiustarmi il rossetto-

-D'accordo. Però sbrigati-
dissi uscendo insieme a Pattie. Cyn annuì e chiuse la porta.

Io e Pattie tornammo in sala da pranzo.

-Ahia John, fai male!- disse Ringo, intento a scacciare le schicchere che John gli lanciava dietro la nuca. Quella mente malata di Lennon si staccò dalla sua preda e si girò verso di noi

-Hey dov'è Cynthia?-

-E' rimasta un attimo in bagno-
risposi velocemente io, indicando la direzione per il bagno con il pollice.

-Ah, ok. Grazie- rispose lui sorridendomi timidamente. C'era ancora un po' di imbarazzo tra di noi. Io risposi solo con un piccolo sorriso per poi passare a fissarmi le mani. Quando rialzai lo sguardo, John aveva il suo fisso su di me. Aggrottai le sopracciglia, ma poi mi sfuggì un sorriso. Lui sorrise a su volta, mordendosi il labbro. Mi mancava.

-Oh cavolo! Il tacchino!- disse Brian, alzandosi velocemente e catapultandosi in cucina.

-Hey, cosa intendi con "oh cavolo"?!- chiese preoccupato Geo.

-Sei affamato nano? Strano!- dissi io mentre gli accarezzavo la pancia. Scoppiammo tutti a ridere. Brian tornò con un enorme teglia, con dentro un altrettanto enorme tacchino.

-Grazie a Dio i brontolii della pancia di George mi hanno fatto ricordare che avevo ancora il tacchino il forno. Grazie Geo-

-Al tuo servizio-
disse lui, facendo l'occhiolino e indicando Brian.
Iniziammo a mangiare, non curandoci della mancanza di Cynthia. Improvvisamente squillò il telefono a Brian e lui, scusandosi, si alzò e si allontanò un po' per poter parlare in pace. Durante il pranzo, non fui minimamente calcolata da Jane, che mi dava continuamente le spalle e continuava a parlare sulla mia voce. Ma la ciliegina sulla torta arrivò dopo poco.

-Hey ragazzi, non trovate dolce che il mio Paulie mi abbia scritto "And I Love Her"?- ecco, appunto. Lasciai cadere sul piatto le mie posate e, poggiando violentemente i gomiti sul tavolo, mi misi le mani sul viso. "Non ci posso credere! Non ci posso credere! Calma Rio, calma, respira, respira". Poi la rossa si girò verso di me -Non è stato dolce?- io girai il volto verso di lei, posando il mento sulle mani

-Dolce come te- dissi con un sorriso che mi ridusse gli occhi in due fessure. Pattie soffocò una risata.
Da dietro la mia sedia sentii dei passi, mi girai e vidi Cynthia in lacrime. Tutti la guardammo interrogativi.

-S-sono incinta- si sentirono due o tre posate crollare sui piatti. Le bocche di tutti si spalancarono. John si portò le mani al viso, io alla bocca, Paul alle tempie. Dopo circa tre secondi di silenzio, spuntò dalla cucina Brian con un sorrisone che gli partiva da un orecchio e gli arrivava all'altro.

-Hey, cosa sono quei musi lunghi? Notizione! Si parte in tour per gli Stati Uniti!-



SPAZIO AUTRICE



Shock! Doppio shock! Pieno di cose questo capitolo eh!
Si, lo so che siamo nel '94 e che Julian dovrebbe essere già nato da un anno, e invece ora si deve fare nove mesi di gravidanza, ma, sapete, non volevo che Rio fosse la madre di Julian e volevo aspettare l'entrata in scena di Cynthia.
I-O A-M-O C-Y-N-T-H-I-A. Penso che sia stata la mia moglie dei Beatles preferita! Secondo me era una cuccipucci (?) *parla come mangi* so de Roma e parlo come me pare. Ringo non scassare le macarenas.
Duuunque tra due giorni sarà il mio compleanno e venerdì parto per Parigi. "Wooo che beeeello!" direte voi. Si, è bellissimo, magnifico, ma questa sarà la sedicesima volta che vado a Parigi, e per quanto io possa amarla, per me è scontato andarci. Ma non è per vantarmi che vi ho scritto questo, era per farvi capire che non so se riuscirò ad aggiornare prima di venerdì prossimo prossimo c.c Cercherò di farmi uscire qualche idea da questa testa bacata prima di venerdì per non lasciarvi quasi due settimane a bocca asciutta, ma non prometto niente.
Tanti baci a tutti voi, un dolce cuoricino dalla vostra scrittrice che ormai vi ama, anzi, vi venera ♥

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Liverpool - New York, 27 febbraio 1964



Erano passati solamente due giorni e già dovevamo partire per l'America. Sarebbe stata un'esperienza unica per tutti, ma quello era il periodo probabilmente meno adatto per tutto ciò che stava accadendo.
Ci trovavamo nell'aereo per andare a New York, e il viaggio fu un continuo lamento tra John, Cynthia, io, Jane e tutti gli altri, tutti con un particolare tono della voce triste e sconvolto, tranne quello di Jane, che pareva parecchio felice

-E' incinta- il lamento partiva da John

-Sono incinta- arrivava poi a Cynthia

-Sono venuta anche io!- Jane

-E' venuta anche lei- io

-Non ce la faccio più- Paul

-Ho fame- George

-Perchè desidera più il cibo che me?- Pattie

-Ti capisco cara- concludeva poi Ringo, dando qualche pacca leggera sulla spalla di Pattie.

Fu un viaggio molto silenzioso, non scherzavamo tra di noi come facevamo di solito. C'era qualcosa di strano nell'aria, sentivo che presto ci sarebbe stata una nuova svolta, positiva o negativa.
Notai inoltre uno strano comportamento in John: continuava a guardarmi con una faccia piena di malinconia, al che io gli rispondevo con un sorriso, ma in realtà non sapevo proprio a cosa pensare: cosa gli succedeva? Cos'era quello sguardo? Mi nascondeva qualcosa? Ma di una cosa ero davvero certa: ogni volta che lo guardavo, mi veniva un gran groppo al cuore a pensare che stesse per diventare padre.
Volevo bene a Cyn, ma non potevo far finta che non provassi più niente per John, d'altronde io non l'avevo lasciato perchè non l'amavo, l'avevo lasciato per quello stupido di Paul, se solo avessi saputo! Sarei rimasta sicuramente con John. Il fatto che mi avesse chiamata pazza non era stato poi così grave, fu solo una specie di pretesto che io aspettavo per poterlo lasciare e gettarmi fra le braccia di Paul, ma feci uno sbaglio. Sbagliai tutto, e adesso era troppo tardi, lui stava per avere un figlio. Non sarebbe più stato lo stesso.

Mi ero addormentata, quando sentii un leggero calcio sugli stinchi. Aprii lentamente gli occhi e vidi John che farfugliava qualcosa. Non capii quindi mi avvicinai e lui mi sussurrò in un orecchio

-Vieni un bagno, devo dirti una cosa- e si diresse velocemente verso il bagno dell'aereo. Per non dare nell'occhio, aspettai qualche minuto prima di raggiungere John in bagno, ma comunque nessuno si sarebbe accorto di me, tutti erano in un profondo stato di dormiveglia.

-Eccomi John- dissi, chiudendomi la porta del bagno dietro la schiena.

-E' incinta. Rio, è un disastro-

-Perchè?-
chiesi io. Domanda stupidissima, dato che era palese il perchè.

-Come faccio a fare il padre se non mi riesco a prendere cura neanche di me stesso? Sono un buono a nulla-

-Oh John, dai, non dire così, non è vero-
dissi, mettendogli una mano sulla spalla. Aveva le lacrime agli occhi

-Mi piace molto Cynthia, mi piace stare in sua compagnia, ma non è il momento giusto per un bambino, non la amo abbastanza- e qui il suo sguardo si fece serio. Io lo guardai interrogativa

-Ma come? Sembrate così affiatati fra di voi- gli dissi io, cercando anche in qualche modo di persuaderlo a cambiare quella sua stupida idea

-Rio, io amo te. E anche se sto cercando quasi di impormi di dimenticarti, niente e nessuno potrà cancellarti dalla mia mente. Sei l'amore della mia vita e sei tutto ciò che io voglio, tutto ciò a cui io penso. Questo bambino è un errore e mi dispiace che questo errore non sia capitato con te, perchè sarebbe stato molto più...gradito-

-Promettimi una cosa: non lasciare questo bambino da solo. Crescilo come solo un padre meraviglioso, come tu sarai, possa fare. Amalo come se fosse figlio mio. Fallo per me, non abbandonarlo-

-Non lo farò, te lo prometto-
disse lui, ormai quasi completamente in lacrime. Gli presi le mani per confortarlo. Gliele strinsi forte, trasmettendogli tutto il mio amore. Lentamente fece scivolare una sua mano dalla presa e mi prese il mento fra due dita. Avvicinò la mia fronte alla sua.

-Concedimi un ultimo bacio, il nostro definitivo bacio d'addio- e così dicendo, avvicinò le sue labbra alle mie, fino a farle toccare. Come mi mancava quel sapore idilliaco che emanavano le sue labbra. Era qualcosa di meraviglioso e indescrivibile, che niente poteva sostituire. Fu un bacio tanto lungo quanto dolce, sembrava come se nessuno dei due si volesse staccare dall'altro, come se fossimo stati congelati in quella posizione. Poi però, con tutta la forza che avevo in corpo, riuscii a staccarmi

-Ti amo John, e ti amerò per sempre-

-Rio...farò la proposta di matrimonio a Cynthia-



SPAZIO AUTRICE



I'm baaaack.
Finalmente sono tornata dalla mia "piccola" vacanza di Pasqua. Stranamente sono felice di essere tornata, non chiedetemi perchè, sono alquanto sconvolta da questo fatto o.o
Per quanto riguarda il capitolo, non so veramente come descriverlo, non so se mi piace, se l'ho scritto bene, o se è un enorme cacca, non so, ditemi voi. Mi dispiace per il fatto che sia corto, ma spero che in questo caso il detto "nella botte piccola c'è il vino buono" faccia al caso mio.
Ad ogni modo, per quanto mi duole, è arrivato il momento per Johnnino patatino di diventare padre e sposarsi: speravo che non arrivasse mai tutto questo ç.ç
Un bacione a tutti, mi raccomando recensite :)
Al prossimo capitolo ♥

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Liverpool, 29 maggio 1964



Il primo tour americano dei ragazzi era finito ed era andato bene.
Per quanto riguarda John e la sua decisione, anche quella stava andando a buon fine, almeno così sembrava. Cyn aveva accettato di sposarlo e sembravano felici. La pancia di Cynthia cresceva a vista d'occhio e il pensiero di avere un moccioso fra i piedi entusiasmava quasi tutti, tranne, ovviamente, quella vipera di Jane che diceva che sarebbe stato un impiccio in più, e, con mia grande sorpresa, anche John. Non so, mi sembrava così distaccato. Questo puzzava proprio di matrimonio combinato.
Ma le mie ipotesi si confermarono grazie ad una conversazione che ebbi con Cynthia.
Mancava una settimana al matrimonio. Io ero la testimone della sposa e quindi quei giorni avevo deciso di passarli per la maggior parte del tempo con lei. Decisi quindi di raggiungerla a casa sua. Quando bussai alla porta mi aprì. Mi aprì una Cynthia Powell distrutta, in lacrime, con un grosso livido che le occupava lo zigomo destro e parte dell'occhio.

-Oh mio Dio, Cyn, cosa è successo?- lei non mi rispose, si limitò ad alzare lo sguardo verso di me e mi guardò con due occhi da cucciolo impaurito che chiedono aiuto -Ti prego, non dirmi che... John- lei annuì e con un lamento a bocca chiusa, le ricominciarono a scendere le lacrime. Io entrai subito in casa.

-Sai Rio, non è la prima volta. Quando andavamo ancora a scuola, io ero amica di John e Stu. Tra me e John c'era già del tenero- e qui il mio cuore sobbalzò. Quindi vuol dire che...che quando John stava con me magari si sentiva anche con Cynthia -e una sera, durante una festa io ballai con Stu. Il giorno dopo, a scuola, io andai in bagno e quando uscii c'era John fuori alla porta che mi aspettava. Non feci in tempo ad aprire bocca che mi tirò un pugno in piena faccia e se ne andò, così, senza aggiungere parola, lasciandomi lì, stordita, impaurita e confusa. Ma sai Rio, io lo amo e lui ama me. Siamo innamorati e questo matrimonio è frutto dell'affetto che proviamo tra di noi- mentre parlava di accarezzava la pancia -So che tutti voi pensate che sia un matrimonio combinato solo per il bene del bambino, ma non è così. No, no, non è così. Noi ci amiamo. Lui mi ama. Ha solo un carattere esuberante e forte, ma non significa che non mi ami perchè mi maltratta. No, no.- sembrava impazzita. Cercava di autoconvincersi che quello che era appena successo e che probabilmente successe varie altre volte nel passato non valevano niente, che erano solo piccoli sfoghi di John e che a lei non facevano male, fisicamente e psicologicamente. Io l'abbracciai, era visibilmente scossa. Povera. Dovevo confessarle il fatto che io e John stavamo insieme.

-Cyn, devo dirti una cosa, ma promettimi di non interrompermi mai-

-Va bene, ma mi devo preoccupare?-

-No, spero solo che tu la prenda nel verso giusto. Sai, circa poco più di un anno fa...beh...io e John...come dire...stavamo insieme. Mi dispiace di avertelo detto soltanto ora, ma non trovavo mai il coraggio. Spero davvero che tu non ci stia male, perchè ci sono già stata male io abbastanza. Ma sappi che tra me e John non ci sarà mai più niente oltre all'amicizia, soprattutto grazie al matrimonio-
"Quanto sei bugiarda" mi diceva la mia coscienza. Effettivamente mentivo. Ci sarebbe stato per sempre qualcosa tra me e John, anche se non di fisico, ci sarebbe stato un legame psicologico che non si sarebbe mai più sciolto. Come un amore platonico. Appena smisi di parlare, mi alzai e me ne andai, lasciando Cynthia con uno sguardo di enorme stupore.

Con tutta la rabbia che mi trovai in corpo mi diressi verso casa di John. Quella casa. La nostra casa.
Come si era permesso di toccare Cynthia anche solo con un dito. Non avrei mai pensato. Che grandissimo stronzo! Giuro che avrei dato qualsiasi cosa per strozzarlo in quel momento.
Camminavo sempre più con passo svelto, non vedevo l'ora di arrivare e dargli una bella lezione.
E poi, tutto quello che mi aveva detto quando stavamo insieme, che ero l'unica, che mi amava. Cazzate, tutte cazzate! E io che ci avevo anche creduto! Aveva illuso me e aveva illuso Cynthia. Non potevo permettergli di farla franca.
Arrivai e bussai alla porta. Mi aprì John.

-Rio? Che ci fai qui?-

Fu la soddisfazione più grande della mia vita. Gli sferrai un pugno in faccia così forte da farlo indietreggiare di tre passi. Non pensavo di poter avere quella forza, eppure, in quel momento mi sentivo indistruttibile, la rabbia mi scorreva nelle vene così potente che avrei potuto distruggere una macchina. Il mio sguardo era freddo e cattivo, incuteva quasi terrore. Mi avvicinai a John, i nostri visi si sfioravano. Lui si teneva con la mano la parte colpita.

-Tocca un'altra volta Cynthia e ti giuro su Dio che ti uccido con questa stessa mano- pronunciai queste parole a denti stretti e così crudelmente che John si mise quasi paura. Mi guardava con sguardo attonito ed io, senza nessuna spiegazione, me ne andai a passo pensante, sbattendo i piedi a terra ad ogni passo.

*



Era arrivato il momento, dovevo firmare, rendere ufficiale quel matrimonio. Avevano tutti gli occhi puntati su di me. Ma io volevo veramente rendermi complice di quell'infamia? Cosa sarebbe successo poi? Mi veniva il voltastomaco solo a pensare che Cynthia sarebbe potuta di nuovo essere vittima delle ire di John. Tenevo la penna nella mano sinistra, pronta per firmare. Ma la mano mi tremeva tremendamente. Non potevo, non volevo. Guardai tutti i presenti che mi incitavano con gli sguardi ad avvicinare quella maledetta mano al foglio e scrivere il mio nome. Guardai poi Cynthia. Mi aveva capita e stava temendo il peggio, ovvero che avrei potuto rifiutarmi in quel preciso momento di essere la testimone di quel assurdo matrimonio. Si, era assurdo, e lei ne era consapevole, ma non le importava più di tanto. Nei suoi occhi c'era tutta l'agitazione del mondo, era come se mi chiedessero ”Ti prego, io amo John, non creare casini e lasciami vivere la mia vita con lui, ti prego, ti prego”.
Mi veniva quasi da piangere, ma chi ero io per impedire alla mia amica di vivere la sua vita come meglio voleva? Non potevo pretendere di decidere tutto io. Se voleva vivere una vita di tristezza, paura e depressione, che lo facesse, non potevo farci niente.
Dopo un lungo giro di pensieri, mi decisi a firmare. In quel momento tutti avrebbero preferito che il mio nome fosse più corto.

 

Rio Penelope Rita Grace Bertrand II




SPAZIO AUTRICE


Eccoci qui.
Non ho molto da aggiungere, solo che questo capitolo è uno dei passi più importanti della storia. Si vede, innanzitutto, il matrimonio dei due piccioncini dolci, e poi l'independenza e la sicurezza che Rio sta acquistando piano piano.
Tenetevi forte perchè il prossimo capitolo si preannuncia mooooooooooooolto interessante.
Ci si sente alla prossima♥

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


New York, 2 settembre 1964



Ci trovavamo nuovamente in America per il secondo tour americano dei Beatles. Andavano fortissimo. Erano la band del secolo, gli idoli di milioni di persone, le cotte di ragazze da tutto il mondo, ma, pur essendo tutto ciò, avendo tutto quello che avevano sempre voluto, erano rimasti i miei quattro migliori amici coglioni.
Per quanto riguarda il lato personale, andava tutto un po' meglio.
John, dopo il nostro "incontro" era cambiato, era più premuroso e attento nei confronti di Cynthia e lei ne era felicissima. Il pancione della bionda era lievitato come un panettone: ormai erano passati quasi sette mesi e il momento del parto era sempre più vicino.
Georgie e Patty si erano finalmente dichiarati e adesso formavano una bellissima coppia. Si completavano, come in una buona tazza di thè caldo al limone: Patty come il limone, uno spruzzo di forza e acidità, che si equipara perfettamente con il giusto quantitativo di zucchero, come George.
Ringo e Maureen, beh, loro erano sempre la solita coppia perfetta.
E infine, la Jaul stava attraversando un periodo di crisi, cosa che rendeva me la persona più felice della Terra, ma che faceva infuriare Jane, e tutto ciò mi rendeva ancora più felice. Eh già, l'attenzione del sexy scarafaggio verso la carota di Bugs Bunny stava via via scemando, lasciando testa di zucca alle sue convinzioni sul fatto che Paul fosse semplicemente molto preso dalla sua carriera. In realtà, non per vantarmi, ma in quel periodo sorpresi spesso Paul che mi guardava e questo mi faceva sprizzare felicità da tutti i pori. Era forse arrivato il nostro momento? Eravamo arrivati in quel punto dove le nostre strade si sarebbero unite in modo differente a come erano già legate fra di loro? Potevamo finalmente stare insieme?

Concerto, applausi, dietro le quinte, cambio costumi, corsa verso le macchine, casa. Era questa la nostra routine quotidiana. Faticosa, ma ci adattammo velocemente.
Era ora di cena e Brian aveva preparato qualche pietanza, come al suo solito.
Ci accomodammo tutti intorno alla tavola ed iniziammo a mangiare.

-Allora, come chiamerete il vostro bambino?- chiese Ringo a Cynthia

-Beh, veramente io e John non ci abbiamo ancora pensato- rispose lei, guardando John che a sua volta alzò sopracciglia e spalle -Voi avete qualche idea?-

-Beh io...-

-No Rio, tu no.-

-Cosa? E perchè no?-

-E me lo chiedi? Vuoi chiamare i tuoi figli con nomi osceni-

-Ricordati anche che mi chiamo Rio, e questo spiega molte cose-

-Perchè? Come li vuoi chiamare?-
mi chiese John, mentre masticava un boccone di pollo

-Se fosse un maschio Cesar, Hector, Ryder o Shannon, se fosse femmina Cleopatra, Athena, Zora o Tara- quando finii il mio elenco tutti mi guardarono un po' perplessi, tranne Paul

-A me piacciono molto, almeno non sono i soliti nomi- mi si aprì un universo negli occhi appena sentii quelle parole. Era una delle pochissime persone che apprezzassero quei nomi

-Beh, a me fanno schifo- sbottò Cyn

-Grazie, sempre gentile- dissi, socchiudendo leggermente gli occhi.
Durante tutta la serata vennero fuori milioni di nomi: Eugene, Austin, Marshall, Beverly, Violet, Zachary, Lola, Theo, Lisa, addirittura Jesus, ma quando un nome uscì dalla bocca di Patty, il volto di Cynthia si fece angelico

-Oh, Julian, che nome tenero- l'avevamo trovato.

Dopo cena ognuno si ritirò nelle proprio stanze: Cyn e John, Patty e Geo, Jane e Paul, Ringo e Maureen, Brian, Nick nella sua e io nella mia. Mi piaceva avere una stanza tutta mia, così non avevo orari, potevo leggere fino a quando volevo, lasciare la radio accesa anche fino alle due di notte.
Ormai era l'una e ventiquattro, io stavo sul letto con un libro in mano e gli occhiali poggiati sul naso. Ad un tratto sentii la porta fare un rumore strano e di colpo si aprì. Feci un salto per lo spavento ma subito il mio cuore si tranquillizzò vedendo Paul chiudersi la porta della mia stanza dietro le spalle.

-Paul ma che fai?- chiesi con il cuore il gola -Mi hai fatto prendere un coccolone!-

-Beh, mi hai dato la tua chiave di scorta per le emergenze, e questa è un'emergenza-

-Oddio, cosa è successo?-
chiesi sgranando gli occhi. Lui si catapultò vicino a me, si sedette e mi prese le mani

-Rio, basta. Io non ce la faccio più. Non ce la faccio più a fingere di essere solo tuo amico, perchè non è così. Non è così ormai da un po' di tempo, e tu lo sai. Siamo cambiati, siamo cresciuti e l'amicizia ormai non fa più per noi. Ma non lo vedi? Noi ci completiamo, due cuori che ne formano uno solo. Siamo più forti di tutte le cicatrici, più brillanti di qualsiasi stella...-

-Ok, dove l'hai presa questa?-

-Una canzone-
disse lui un po' mortificato. Davvero pensava che non mi fossi accorta che quelle parole non erano del tutto sue? -Ma il punto è...- non finì la frase. Mi trovai un paio di labbra poggiate sulle mie. Quelle labbra.
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare. Era forse la cosa più bella mai successa fino ad ora.
Fuochi d'artificio mi scoppiavano nel cuore, che batteva così forte che per un attimo temetti che Paul potesse sentirlo.
Incrociai le mie braccia intorno al suo collo. Lui poso le sue mani sulla mia schiena.
Fu un'esperienza che mi fece sentire viva, mi rigenerò, risvegliando tutti i miei sensi, mi mandò letteralmente in paradiso. Durò un secondo, un'ora, tutta la serata. Cazzo, non c'era niente di meglio! C'eravamo solo io e lui, il resto del mondo per me poteva finire anche in quell'istante, congelarsi e lasciare che noi vivessimo quel momento così magico.
Il giardino dove io e Nick giocavamo da piccoli, le carezze di mia madre, il primo regalo di Paul, la mia prima volta, lo Strwberry Fields, ma questo...questo superava nettamente tutto il resto.

-Paul...Paul...Jane?- dissi con un leggero fiatone, mentre Paul mi baciava il collo con foga

-Non me ne frega niente- disse tra i baci. Allora chiusi gli occhi e mi lasciai prendere dalla foga.
Afferrai i capelli a Paul, stringendoli leggermente. Mi iniziò a sfilare i vestiti, e io feci lo stesso con lui. E poi iniziammo.
Facemmo l'amore per tutta la notte e fu la cosa più straordinaria di tutta la mia vita.


*




-AAAAAAAHHH- ci svegliò un urlo assatanato. Aprii di botto gli occhi. Vidi Paul vicino a me, che teneva il suo braccio intorno alla mia schiena. Per un attimo mi dimenticai dell'urlo sentito -Che cosa - cazzo - è - successo - qui?- era Jane, e ci aveva beccati

-Mi dispiace Jane- le disse Paul, facendo spallucce

-Scusa pesce rosso, ma la vita è dura- dissi io con la mia solita voce roca da prima mattina. Testa di carota se ne andò infuriata, e da quel giorno...mai più rivista.



SPAZIO AUTRICE



Scusate il ritardo, ma ho dovuto accompagnare Gandalf in una delle sue scampagnate. Si...
Innanzitutto, scusate per la brevità del capitolo. FIIIINALMENTEEEEE è arrivato il momento che voi tutti vi stavate aspettando! Contenti? Bene, perchè non è finita qui. Voi penserete "Eh si, ora si sono messi insieme, ci sarà la solita storia d'amore e finirà con il matrimonio" eh no, belli miei! Non vi libererete così facilmente di me. Prima che la storia finisca eeeh campa cavallo proprio!
Insomma, le novità non saranno poche e cercherò di aggiornare più spesso.
Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Los Angeles, 9 novembre 1966



Erano passati più di due anni e molte cose erano cambiate. Il piccolo Julian era nato ma, purtroppo, suo padre non fu molto presente. Infatti John se ne infischiava del figlio e abbandonava lui e Cynthia per un po', per poi tornare, per poi riandare. Io e Paul eravamo felici, felicissimi. Certo, alti e bassi in continuazione, ma non demordevamo. Insieme, sempre. George e Pattie si erano da poco sposati; anche Ringo e Mo si erano sposati: era così strano, lei era ancora giovanissima, solo 18 anni! Ma d'altronde, se c'è l'amore...

Ci trovavamo tutti a Los Angeles, tutti tranne John, era rimasto a Londra per "vedere una mostra che lo interessava tanto". Nessuno seppe quale mostra andò a visitare.
George e Pattie avevano trovato alloggio in una magnifica villa su Blue Jay Way. Passavamo molto tempo lì, tutti insieme, ma per dormire stavamo chi in un albergo, chi in un altro. Mi piaceva essere viziata da Paul, che ormai con tutto ciò che guadagnava poteva permetterselo benissimo. Per carità, non fraintendetemi, non ero e non sono una persona attaccata al materiale, ma, dai, siamo onesti, chi è che non desidererebbe alloggiare in un meraviglioso hotel che si affaccia sul mare di Los Angeles, serviti e riveriti?

-Com'è bello- dissi dando dei piccoli calci all'acqua che mi arrivava alla caviglia. Io e Nick stavamo facendo una passeggiata sul bagnasciuga al tramonto. Paul era rimasto in hotel a prepararsi perchè la sera saremmo dovuti andare a cena da Geo.

-Bellissimo. Non smetterò mai di ringraziarvi per avermi portato qui con voi. E anche in tutti gli altri posti-

-Ma dai! Ti pare che non ti portavo con me? Tu sei la mia altra metà, come farei a vivere senza di te? E poi non ti avrei mai lasciato a casa da solo, dopo la morte della mamma...-
e mi uscì una lacrima innocente. Si, nostra madre era morta. Le diagnosticarono un cancro e dopo circa sei mesi, morì. Ci lasciò. Ancora mi manca. Se chiudo gli occhi, riesco a percepire la sua esuberante presenza vicino a me, e penso proprio che ci sarà per sempre. Quando il dottore glielo disse, si limitò a rispondere "Tutte le cose devono andare avanti, tutte le cose devono morire". Fu lei a stare vicino a me e a Nick, non c'era bisogno che lo facessimo noi a lei, era forte, sapeva badare a se stessa e la morte non la spaventava, la vedeva come un ostacolo, un limite da superare. Per quanto lei potesse essere tranquilla e serena, quello fu davvero un butto periodo per me e mio fratello. Più lei sorrideva, più i nostri volti si marcavano di lacrime. Più ci confortava e più di deprimevamo. Fino a quando morì, e con lei le nostre anime. Apparentemente ci riprendemmo dopo parecchi mesi, ma la ferita era ancora aperta e non si sarebbe mai più richiusa.

-Su su, non pensarci. Piuttosto, hai notizie di John?-

-Ti prego, non parlarmi di quell'essere! Ha abbandonato di nuovo Cyn e Juju! Hai visto come sono tristi? Davvero, spero che lei se ne renda conto e che faccia qualcosa-

-Intendi il divorzio? Addirittura?-

-ADDIRITTURA? Ma certo che intendo il divorzio! Se lui non sa comportarsi bene e lei deve continuare a soffrire, penso che sia davvero la cosa più adatta-

-Io sul serio non capisco. Eppure...non era così quando stava con te. Ti ricordi? Era l'opposto: sempre presente, sempre dolce e gentile.

-Già...-
risposi. Il mio sguardo era rivolto al sole ormai arancione che mi illuminava il viso e lo riscaldava appena. Mi scappò un piccolo sorriso, uno di quei sorrisi da ebete. Mi ricordavo eccome. John fu la mia prima volta, il mio primo tutto. La prima persona che mi fece sentire davvero amata e apprezzata. E adesso era cambiato completamente. La fama gli aveva dato alla testa? Questo non lo so, ma era probabile. Forse invece la colpa era della droga? Probabile anche questa opzione. Ah...non ve lo avevo detto? In quel periodo ci facevamo tutti del così temuto LSD.

-Cavolo Rio, è tardi! Dobbiamo andare!- disse Nick, e prima che potessi aprire bocca, mi afferrò per il polso e mi trascinò verso l'albergo.

Arrivata in camera mia e di Paul, mi fiondai sull'armadio.

-Ce l'avete fatta eh! Sbrigati che sennò facciamo tardi- mi disse Paul, mentre si allacciava l'orologio sul polso destro. Io non ebbi neanche il tempo di farmi una doccia veloce, così mi legai i capelli in uno chignon che lasciava cadere qualche ciocca davanti al viso.
Sicuramente Ringo e Maureen erano già arrivati, così salimmo in macchina in fretta e Paul mise in moto. Mi sedetti dietro, mentre Nick stava nel posto vicino al guidatore.
Partimmo spediti ma comunque non calcolammo il traffico californiano. Imboccammo quindi una stradina interna, un po' buia, costeggiata da alberi. Ad un tratto vedemmo qualcuno fare l'autostop. Paul euforico mise la freccia per accostare.

-Paul ma sei scemo? Siamo in ritardo! E poi chissà chi è! E se ti riconoscesse?-

-Oh suvvia Rio, anche noi facevamo l'autostop un tempo-
prima di accostarsi, si mise un paio di occhiali scuri e io non facevo altro che pensare "Non funzionerà". Così fermò la macchina e una ragazza si poggiò sul finestrino abbassato di Nick.


[Narra George]
La tavola era apparecchiata, il cibo quasi pronto, Ringo e Mo erano arrivati e la mia pancia brontolava. Era tutto pronto. Mancavano i soliti tre ritardatari. Mi annoiavo e così mi si accese una lampadina. Mi attaccai all'organo della casa di Blue Jay Way e iniziai a suonare qualcosa. Lo feci quasi per scherzo, ma mano a mano che andavo avanti, la canzone prendeva forma e mi piaceva sempre di più.


[Narra Rio]
C'era una nebbia assurda, si vedeva poco e niente. Dialogando un po' scoprimmo che la ragazza che ospitammo in macchina si chiamava Rita. Fortunatamente doveva andare in un posto vicino a Blue Jay Way. Aveva lunghi capelli arancioni ricci, occhi verdi, piena di lentiggini e con un sorriso perfetto. Aveva i lineamenti del viso duri, ma armoniosi. Aveva con se solo una chitarra, chiusa nella sua custodia, ornata da scritte e disegni colorati e psichedelici. Era molto loquace e Paul ne era felice. Lui, dal canto suo, cercava di camuffare la voce alla meno peggio.
Notai che il tragitto si faceva sempre più lungo. Perfetto, ci eravamo persi.


[Narra George]
There's a fog upon L.A.
And my friends have lost their way
We'll be over soon they said
Now they've lost themselves instead

Please don't be long
Please don't you be very long
Please don't be long
Or I may be asleep


Mi piaceva e piaceva anche a Ringo. Mi ci misi con più impegno, e le parole mi uscivano prima dalla mente e poi dalla bocca come un treno in corsa.


[Narra Rio]

-Chiedi ad un poliziotto, a qualcuno, ti prego!- imploravo Paul con tutta me stessa, la fame mi si stava divorando.

-Non ho bisogno di indicazioni, so perfettamente dove siamo-

-Ah si? E dove siamo?-

-Rio! Non lo sai che non bisogna disturbare la persona al volante? Vuoi forse ucciderci tutti?-
sbottò lui. Azzardava un accento americano che gli veniva pessimamente, ma per fortuna Rita non se ne accorse.


[Narra George]
Well it only goes to show
And I told them where to go
Ask a policeman on the street
There's so many there to meet

Please don't be long
Please don't you be very long
Please don't be long
Or I may be asleep



[Narra Rio]
Stavo seriamente per strangolare Paul, che si ostinava a fare di testa sua. Mi avvicinai al suo sedile ed iniziai a dire

-E' buio, c'è la nebbia, ho fame, dobbiamo portare Rita a casa sua, ti decidi a chiedere indicazioni?- ma lui non mi ascoltava e io continuavo. Lui non rispondeva così, presa da un'ira improvvisa, mi feci scappare la cosa che non dovevo assolutamente farmi scappare -Cazzo Paul, mi vuoi ascoltare?!- tutti si fermarono. Rita guardò lo specchietto retrovisore, intenta a fissare Paul, che continuava a guidare facendo finta di niente

-Paul...Paul...Paul? Oh Dio, ma tu sei Paul McCartney!- e così Rita iniziò ad urlare. Presa da una crisi isterica, Rita iniziò ad agitarsi. Fece un movimento brusco proprio durante una curva e andò a finire addosso a Paul. La macchina sbandò e poi...


[Narra George]
Now it's past my bed I know
And I'd really like to go
Soon will be the break of day
Sitting here in Blue Jay Way

Please don't be long
Please don't you be very long
Please don't be long
Or I may be asleep




SPAZIO AUTRICE


Eccoci quaaaa!
Bene, nulla da dire. Il capitolo parla da se.
Vi lascio con il fiato sospeso un po' perchè mi piace vedervi soffrire creando la suspance (MUUUUAHAHAHHA) e un po' per motivi di tempo, dato che in teoria adesso dovrei fare una relazione di scienze ahahahah.
UP NEXT cosa succederà? Uhuhuhuhuh
Penso di aggiornare domenica, lunedì? Boh, si, penso uno di quei giorni, studio permettendo, ma dato che lunedì a scuola c'è assemblea, forse domenica posso dedicarmi alla stesura del capitolo.
Detto questo, vi amo, continuate a leggere e recensire eeee niente, alla prossima.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Los Angeles, 9 novembre 1966



-State tutti bene?- Tenevo ancora gli occhi chiusi, ma ero sveglia e cosciente. Mi faceva molto male la spalla destra, ma ne badavo poco. Aprii gli occhi lentamente e vidi davanti a me la parete di un enorme burrone. La macchina di Paul era cappottata e completamente distrutta, i vetri rotti sparsi ovunque, una ruota staccata, fumo dappertutto. Mi guardai intorno: Rita non c'era.

-Si- mi rispose la flebile voce di Paul, che tentava di sedersi.

-Nick? Tu stai bene?- chiesi girandomi. Volete sapere se stava bene? -Oh mio Dio, Nick!- lo vidi steso a terra, con un lago di sangue che perdeva da una ferita alla testa. Superai tutti i miei dolori e mi precipitai vicino a lui. Gli misi una mano sul cuore. Non sentivo niente. Speravo davvero che fosse solo lo shock. Presi il polso. Niente. Non reagiva. Il suo petto non si muoveva, nessun segno di respirazione. -No Nick, no. Non lasciarmi. Ti prego, non tu, non anche tu. No ti prego. Nick, Nick apri gli occhi. Nick rispondi, rispondi!- lo scuotevo, lo accarezzavo, ma niente. Silenzio tombale.

-Rio...- sentivo Paul che mi chiamava. Cercava di farmi capire. Mi si avvicinò lentamente e posò una mano sulla mia spalla.

Non potevo crederci. Non avevo parole. Questa sarebbe stata la terza morte in quattro anni, il terzo funerale, la terza pugnalata.
Non potevo sopportarlo, no, non mio fratello, non il mio gemello, la mia metà.
Ero persa, sentivo un buco dentro, vuoto, sentivo che una parte di me moriva, era peggio di come fu per mia madre. La morte mi perseguitava, era per caso un segno? Mi stavano dicendo che la mia fine stava arrivando? Beh, se fosse stato così, perchè non prendermi subito? Perchè non me? Dovevo essere io quella che adesso stava stesa sul fango, ricoperta di sangue, morta. Mi sentivo impotente, non potevo fare niente mentre mio fratello guardava con occhi fissi il cielo. I suoi occhi, così simili ai miei, azzurri come il ghiaccio, profondi come l'oceano. La pelle chiara si faceva sempre più bianca, cadaverica. Fredda. I vetri rotti della macchina gli sfregiarono parte del viso, quel bellissimo viso angelico, così buono e dolce.
Non avrei mai più avuto quel fratello rompiscatole che mi ronzava sempre intorno, quel fratello geloso, protettivo, che ringhiava a tutti i ragazzi che ci provavano con me. E adesso, chi avrei preso a pugni quando mi sarei dovuta sfogare? Con chi avrei mangiato i biscotti alle due di notte? Chi mi avrebbe curato da un ginocchio sbucciato o da un cuore infranto? Lui non c'era più e non sarebbe mai più tornato. Chissà, magari adesso lui stava lì, a guardarmi, con le sue ali e la sua aureola, mi stava pregando di non piangere, che lui avrebbe per sempre vegliato su di me, magari mi stava addirittura accarezzando, ma io non lo sentivo, non lo vedevo, era invisibile, solo la sua anima.
Era semplicemente straziante. Avevo la bocca aperta, volevo dire qualcosa, qualsiasi cosa, perfino qualche insignificante verso o un urlo. Ma non usciva niente. Un urlo sordo che mi rimbombava in testa, rendeva tutto più difficile e insopportabile. Non poteva essere peggio di così. Non c'è cosa peggiore che vedere il proprio gemello, la propria fotocopia, steso a terra, in un apparente sonno, un sonno dal quale non si sarebbe mai più risvegliato, un sonno eterno. E tu te ne stai lì, senza poter fare niente, con le lacrime agli occhi, la mente che imbocca di cattiverie verso il fato, i pugni stretti, e ti chiedi perchè.

Tornammo a Liverpool. Dovevamo fare il funerale. Quanto odiavo quella parte. Piena di gente che non fa altro che dire -Ti capisco, mi dispiace- . No, voi non capite. Nessuno capisce, a meno che non l'abbia provato. Ma chi, oltre me, ha mai assistito a tre morti in quattro anni, delle quali due di parenti? Chi? Non penso che il destino possa essere stato così crudele con qualche altra persona, mi rifiutavo di pensarlo.

Era una giornata orribile, c'era la pioggia. Stavamo tutti fuori ad ascoltare il prete parlare. Un grande semicerchio di ombrelli neri circondava la fossa dove stavano per mettere la tomba di Nick, come una lunga fila di candele spente. Guardavo quel buco nel suolo: un metro e mezzo di larghezza, due e mezzo di lunghezza, tre di profondità. E mi fratello stava per giacere lì per l'eternità. Tre metri sotto terra, a far compagnia ai vermi.

Quando tutti andarono via, chiesi ai miei amici di lasciarmi da sola con mio fratello. Gli avevo scritto una lettera. In realtà era più una canzone che una lettera personale. Aveva veramente poco senso, probabilmente la mia capacità di elaborare concetti concretamente logici mi era stata sottratta dallo shock.

Immaginati in una barca su un fiume,
con degli alberi di mandarino e cieli di marmellata.
Qualcuno ti chiama, tu rispondi abbastanza lentamente,
un ragazzo con gli occhi di caleidoscopio.

Fiori di cellofan di giallo e verde
sovrastano la tua testa.
Cerca il ragazzo con il sole negli occhi
ed è andato.

Nick nel cielo con i diamanti.

Seguilo laggiù ad un ponte accanto ad una fontana,
dove persone come cavalli a dondolo mangiano torte di marshmallow.
Ognuno sorride mentre si apre un varco tra i fiori,
che crescono incredibilmente alti.
Un taxi fatto di giornali appare sulla spiaggia,
aspetta per portarti via.
Tu ci sali con la testa tra le nuvole.
E parti.

Nick nel cielo con i diamanti.

Immaginati su un treno in una stazione
con facchini di plastilina e cravatte che sembrano di vetro.
Improvvisamente ecco qualcuno al cancelletto girevole.
Il ragazzo con gli occhi di caleidoscopio.

Nick nel cielo con i diamanti.


Tirai fuori dalla borsa la lettera sigillata e la posai vicino ai fiori, sotto la lapide che recitava:

In memoria di
Nicholas Theodore Shannon Eugene Bertrand
1942 - 1966
R.I.P.
Con amore, da tutti.



Mi soffermai un attimo a guardare la foto sulla lapide. Era a colori. L'aveva scattata Astrid. Sorrisi con le lacrime agli occhi e accarezzai l'immagine.

-Addio, mio piccolo raggio di sole, che tu risplenda sempre, per sempre.-

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SPAZIO AUTRICE


So che non è ne domenica ne lunedì, ma è martedì, perciò facciamo progressi.
So anche che non è per niente lungo e praticamente privo di dialogo, ma calcolate che questo insieme al capitolo prima era un tutt'uno, li ho divisi solo per farvi salire l'attenzione e l'ansia.
Insomma si, ciao, cioè, ora muoio io. Pure il mio gemello se ne è andato. Penso proprio che questa storia diventerà una carneficina bella e buona!
Io non ho nulla da dirvi, tranne che non ho la minima idea del prossimo capitolo. Cioè, non so neanche di cosa parla, non so cosa scriverò, non ho neanche un piccolissimo abbozzo di idea in testa. Chissà che mi uscirà!
E perciò, aaaaaalla prossima belli! Mi raccomando, aspetto le vostre dolci dolci recensioni (scusate se non rispondo, ma non saprei cosa dirvi oltre a "grazie mille". Vi risponderò accuratamente ad ognuno, uno per uno, alla fine della storia).

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Liverpool, 27 gennaio 1967



[Narra Paul]

Ero così elettrizzato. Non potevo crederci, stava per succedere: avevo finalmente trovato il coraggio di chiedere a Rio di sposarmi. In realtà non lo avevo ancora fatto, ma stavo andando a comprare l'anello. Mi ero portato con me George, così, giusto per essere sicuro di non fare scelte sbagliate. Rio era l'amore della mia vita e sposarla sarebbe stata la ciliegina sulla torta che avrebbe confermato la mia immensa fortuna.

-Hai già in mente come e quando glielo chiederai?-

-Stasera, dopo la nostra performance di beneficenza, dietro le quinte, voi suonerete una sarenata e io le farò la proposta-

-Beh, non è certo il massimo del romanticismo, ma almeno così si capisce che è farina del tuo sacco-
ridacchiò Geo. Gli diedi una leggera spinta

-Cretino-

-Dai scherzavo. Tranquillo, accetterà. Lei ti ama-
”Lei ti ama” queste si che erano le parole che avevo bisogno di sentirmi dire.

Arrivammo nella gioielleria e io iniziai a sbirciare qualche anello. Ovviamente eravamo travestiti, nessuno doveva sapere niente. Mentre i miei occhi passavano da anello ad anello, la voce camuffata di George mi chiamò. Indicò un anello che attirò subito la mia attenzione. Oro bianco con tanti minuscoli diamantini che andavano a formare un piccolo cuore nel centro. Era bellissimo, perfetto, già me lo immaginavo infilato nel sottile e ossuto dito di Rio.

-Scusi signore- chiamai a voce alta il negoziante -quanto viene questo anello?-

-187 sterline, signore-

-Cavolo, è molto costoso, non so se posso permettermelo!-
esclamai io. George soffocò una risata, era proprio negato a recitare.

-Lei ha ragione, è costoso, ma cosa non si fa per amore?- rispose sorridente il panciuto venditore. Quella frase mi colpì a fondo

-Sa cosa le dico? Lei ha proprio ragione! Lo prendo immediatamente- dissi sicuro. L'avrei preso in ogni caso, ma il paffuto signore sorrise soddisfatto e fiero di se stesso.


[Narra Rio]

-Sei un fottutissimo stronzo! Idiota!- gridai. Iniziai a colpire la schiena di John con i pugni. Mi aveva appena detto che quando era andato a vedere quella famosa mostra, mentre noi stavamo a Los Angeles, conobbe Yoko Ono e che adesso pensava di essere attratto da lei. -Giuro sul mio nome che se lasci Cyn per quella sottospecie di scimmia senza peli, io e te abbiamo chiuso-

-Ma cosa vuoi? Lasciami in pace-

-Cosa voglio? COSA VOGLIO? Voglio che la mia amica non soffra più di quanto non abbia già fatto e voglio che suo figlio viva una vita serena-

-Non ho chiesto il tuo parere-

-Ah no? E dimmi, perchè allora sei venuto a dirmelo?-

-Non lo so, forse perchè...non lo so-

-Ti prego, vattene, prima che inizi a farti del male sul serio-
e portai John alla porta, trascinandolo dalla maglietta

-Non dirlo a Cynthia-

-VAFFANCULO!-
e gli sbattei la porta il faccia.
Stronzo! Era davvero cambiato. Assurdo, era diventato un'altra persona, completamente. Era così triste, non era più il solito John, quello che aveva sempre e comunque la battuta pronta, adesso era un John che faceva errori su errori e alle volte ne andava anche fiero. L'amarezza mi pervase la bocca, avevo voglia di inseguirlo e prenderlo a parolacce per il resto della giornata.


*




Attendevo con ansia la fine di quel concerto, ero stanca morta e l'unica cosa che volevo in quel momento era l'abbraccio del mio morbidissimo letto. Mancavano un paio di canzoni alla fine. Pensai al comportamento che Paul aveva in quei giorni. Non so, mi sembrava così strano, quasi distaccato. Rispondeva a monosillabi e andava sempre di fretta. Stavo addirittura iniziando a preoccuparmi, insomma, Paul era Paul, tutte le donne del mondo lo volevano tutto per loro e per di più nessuno sapeva della mia esistenza, per le persone Paul era single. Avevo esplicitamente fatto questa richiesta, non volevo che la gente mi conoscesse per via del mio problema, ma adesso me ne stavo quasi pentendo. Il fatto che il mondo vedeva Paul come una preda per le dive di Hollywood e per qualsiasi altra donna non mi rassicurava affatto. L'unica cosa che mi tranquillizzava era la mia convinzione che lui mi amasse. Lui mi amava, ne ero sicura, me lo ripeteva tutti i giorni, tutti i giorni tranne quegli ultimi due o tre.


[Narra Paul]

Finalmente il concerto era finito. Era arrivato il momento e io stavo per avere un infarto. Volevo tirarmene indietro, ma poi la vidi lì, seduta vicino alle funi del sipario, che si guardava le mani, torturandosele, come al suo solito. La amavo e volevo che fosse l'unica donna della mia vita, ora ne ero sicuro.


[Narra Rio]

-Teroso- la voce di Paul richiamò la mia attenzione. Si era formato un semicerchio dietro di lui. Una piccola parte dell'orchestra e il resto degli scarafaggi iniziò a suonare un'armoniosa melodia. Vidi Paul che si stava inginocchiando. Le urla dei fans quasi copriva la musica.

-Rio Penelope Rita Grace Bertrand II...- aprì una scatolina che teneva tra le mani e scoprì un meraviglioso anello di fidanzamento. La testa mi scoppiava. Il caos del dietro le quinte mi stordiva. Non capivo più niente.

-...mi faresti l'onore di diventare mia moglie?- sgranai gli occhi e guardai quelli di Paul, così grandi, belli e pieni di speranza. Sentivo soltanto la folla e un isterico ”PAUL TI AMOOO” mi arrivò forte e chiaro alle orecchie. Avevo le lacrime agli occhi, non potevo crederci. Presi il viso di Paul tra le mani e con voce tremante dissi

-No-



SPAZIO AUTRICE



OMMIODDIO SACRILEGIOOOO RIO SEI MATTAAAAAA
Si, so che questa è stata più o meno la reazione di tutti voi.
Scusate se torno solo ora, ma ho avuto un periodo davvero pieno come un uovo (?) e in più ho iniziato una nuova fanfic su The Vampire Diaries, se siete fans della serie e la seguite (o anche no, ma in questo caso sarebbe più difficile capire il senso della storia), mi farebbe piacere che le andaste a dare un'occhiata.
Insomma, la nostra Rio è impazzita, ne abbiamo la conferma. Cosa succederà ora? Il povero Paul cosa farà a questo punto? Seguite la storia e lo saprete. Una buona notizia: ho già in mente cosa scrivere, ora basterà solo trovare il tempo per scrivere.
Un bacione, alla prossima.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Liverpool, 3 febbraio 1967



[Narra Paul]


No? Come sarebbe a dire no? Ero a dir poco distrutto. Non avevo calcolato quest'opzione perchè ero sicuro che avrebbe accettato. Non era colei che ogni giorno mi ripeteva l'amore che provava? Che avrebbe voluto che la nostra relazione non avesse avuto fine? E allora perchè? Stupido. Stupido! Dovevo immaginarlo! Rio aveva paura. Era l'unica spiegazione plausibile, e l'unica a cui volevo pensare, l'unica che non implicasse il fatto che non mi amava.
I ragazzi mi stavano vicino e mi sostenevano. Parlai con Geo, che però mi disse che non aveva sentito Rio da quel giorno. La stessa risposta venne da Ringo, Pattie, Mo e Cynthia. Ma non mi sorprendeva il fatto che Rio si fosse nascosta nel armadio del bagno di casa sua.
A questo spiacevole inconveniente se ne creò uno parallelo: John. Era letteralmente impazzito. Tralasciando tutti i problemi di droga, che in un certo senso avevamo un po' tutti quanti, conobbe Yoko Ono. Le uniche parole che mi venivano in mente quando pensavo a Yoko non erano certo positive: si vedeva che non gli piacevamo, era sempre pronta a giudicarci, puntando il dito sulle cazzate più cazzate che facevamo. Era un'adulta. Un brutta scimmia adulta, antipatica e crudele. Era ormai palese che il rapporto fra John e Cynthia era agli sgoccioli, e non potete neanche immaginare quanto la dolce bionda ci stette male. Veniva ogni giorno a sfogarsi da noi e il piccolo Julian era diventato come un figlio acquisito per me. Era il bimbo più dolce del mondo, come la madre, e, grazie a Dio, non prese il lato oscuro del padre, ma solo il suo naso e i suoi occhi.

Una mattina mi svegliai e decisi di andare a tirare fuori Rio dalla tana del Bianconiglio. Mi preparai al meglio che potessi, comprai un mazzo di tulipani gialli e una scatola di fragole intinte nel cioccolato, proprio come piaceva a lei. Mi fiondai sotto casa sua e bussai. Non mi meravigliai che non mi rispondesse nessuno, ma non demorsi: bussai un altro paio di volte. Salii quindi in camera mia e mi affacciai alla finestra che dava su camera sua. Strano, il letto era rifatto. Lanciai qualche sassolino. Ancora nessuna risposta. Non avevo molta voglia di entrare in casa sua, ma non avevo nessun'altra scelta. Mi arrampicai sull'albero che faceva da tramite tra le nostre finestre e arrivai al suo balconcino. Forzai leggermente la finestra, la aprii e caddi dentro la stanza. Mi massaggiai la testa con la mano e mi alzai, guardandomi intorno. Tutto era in perfetto ordine e alcune cose erano scomparse, come la foto di noi due che teneva sul comodino, gli occhiali da sole, quelli da vista che non portava mai in pubblico. Mi voltai verso il letto e vidi un foglio scritto a mano. Le presi velocemente e iniziai a leggerlo, aspettandomi il peggio.

Caro chiunque-tu-sia, ma probabilmente sarai Paul, l'unica persona in grado di entrare,
come vedi non sono in casa. Non sono in casa da un po' di giorni ormai.
Quando leggerai questa lettera, sarò già lontana da qui, probabilmente non sarò neanche in Inghilterra.
Mi dispiace così tanto, ma giuro che non è colpa tua, è solo colpa mia. Mia e di quel mio fottutissimo problema.
So che avresti voluto superarlo insieme a me, vincerlo insieme a me, ma io non ce l'ho fatta.
Ho sentito il bisogno di lasciare tutto perchè non sarei stata in grado di guardarti in faccia senza che mi si spezzasse il cuore. Ho sentito il bisogno di lasciare la mia casa, la mia città, i miei migliori ed unici amici, te.
Voglio ripeterti che non è colpa tua, ti prego, non fare pazzie. Sappi che ti amo e che ti amerò per sempre. Ti sarò sempre vicina con il cuore, ma a starti vicina fisicamente non ce la faccio davvero.
Forse un giorno tornerò, o forse no.
Salutami tutti e digli che mi mancheranno molto.
Continua ad essere felice. La felicità è un tuo pregio e non voglio essere di certo io a togliertelo.
Tua da sempre e per sempre, Rio.
P.s. tengo sempre con me la nostra foto




Avevo le lacrime agli occhi mentre leggevo. Era scappata. Era scappata e io dovevo ritrovarla.

-George! George!- bussai pesantemente alla porta di Geo, aspettando che mi aprisse

-Cosa c'è?- quando aprì aveva il fiatone. Non dissi niente, gli porsi solo la lettera. La lesse velocemente e rimase di stucco.

-Ascoltami. Fate i bagagli, l'andiamo a cercare- George annuì e corse in casa.
Mi feci quasi tutta Liverpool di corsa, avvertendo gli altri e cercandola in alcuni posti significativi per lei. Sapevo che era tutto inutile, che non sarebbe mai rimasta a Liverpool, ma valeva la pena tentare.



[Narra Rio]

Mi specchiavo sul vetro di un pullmann che stava attraversando il Colorado. Io stavo seduta su uno degli ultimi posti. Sapevo che se avessi voluto che non mi trovassero, avrei dovuto cambiare radicalmente il mio aspetto fisico. E per quanto volessi che mi trovassero, lo feci, alla meglio che potessi. Mi tinsi i capelli di un marrone molto più chiaro del mio solito che tendeva ad essere quasi nero, facendoli diventare quasi biondi. Usavo lenti a contatto marroni, che odiavo perchè mi irritavano gli occhi. Cambiai modo di truccarmi e pettinarmi, modo di vestire e di atteggiarmi e, mano a mano che andavo avanti con il tempo, quasi mi convincevo da sola di non essere più me stessa. L'unica cosa che mi fregava era la mia voglia a forma di corona sul collo, quella c'era sempre. Per quanto potessi cercare di coprirla, usciva sempre fuori. Forse era un segno. Forse era destino che avessi qualcosa che mi avesse fatta ritrovare. Dovevo essere ritrovata, mi ero persa. Fisicamente e mentalmente.



SPAZIO AUTRICE


Scusate il ritardo. La scuola sta finendo e le materie da recuperare sembrano moltiplicarsi o.o
Scusatemi nuovamente per il breve capitolo, ma ormai avrete capito che sono all'ordine del giorno.
Personalmente non ho niente da aggiungervi, tranne il fatto che stiamo piano piano avvicinandoci alla fine della storia, mancano infatti cinque o sei capitoli alla fine *wow, siamo davvero tristi* oh, ma guarda chi è tornato, il nostro caro vecchio Ringo, anche tu alle prese con la scuola? *hey, vecchio ci chiami tuo nonno* hai la sua età... *ah...*
Volete vedere la nostra Rio nei panni di clandestina?

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Personalmente amo questa ragazza quasi quanto quella che "recita" come la Rio solita.
Ciao a tutti, alla prossima♥

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Goa, 5 maggio 1967



No, l'America non mi piaceva, non mi ci trovavo bene, troppi Beatlemaniaci, mi ricordavano troppo il passato da cui stavo scappando.
Perciò partii e me ne andai in India, a Goa. Era un paradiso terrestre: magnifiche spiagge, sole splendente, hippies e rave. Lo odiavo. O almeno, la vecchia Rio avrebbe odiato quel caotico ambiente, ma la nuova Rio, beh, per quanto lo odiasse pure lei, cercava in tutti i modi di farselo piacere e di integrarsi in quel circolo vizioso di ozio e stupefacenti, anche se in quest'ultima materia era una esperta. Goa sarebbe stato sicuramente l'ultimo posto in cui avrebbero cercato.
Intanto mi ero perfino trovata un bel ragazzo indiano che mi facesse compagnia, per quanto riuscissi a staccare i pensieri dal passato travagliato che mi ero appena gettata alle spalle. Si chiamava Esh ed era proprio bello: era simpatico e intelligente, praticante induista e fiero hippie. Tenevo molto a lui, ma probabilmente mai quanto lui tenesse a me. Era molto dolce, gentile e disponibile, l'unica pecca è che mi ricordava troppo George, davvero troppo.
Per quanto mi riguarda, cercai di mutare il mio aspetto da bambina e decisi quindi di tatuarmi. La mia coscia destra venne occupata da un meraviglioso ritratto del dio Ganesh, sulla mano sinistra trovò casa una piuma, vari simboli sulle dita e un triangolo dietro la spalla destra. Fui molto tentata di tatuarmi qualche cosa di significativo sugli scarafaggi, ma mi contenni. In più, avevo più ferro che carne addosso, dato tutti i piercing che mi ero fatta per deturparmi ancora di più il look da eterna bimba: le orecchie erano costellate di buchi, sul sopracciglio portavo un piercing decorato con minuscole foglie di marijuana, sul labbro inferiore invece avevo un piccolo cerchietto d'argento.

Come ho già detto, cercai di farmi piacere la vita quotidiana "goadiana", partecipavo ai rave e andavo in spiaggia, tutto controvoglia. Inoltre non capivo perchè mi ostinavo ad andare al mare se il sole era come se mi evitasse: avevo il gene dell'essere cadaverici nel DNA.
Conobbi gli amici di Esh: gente strana, ma a posto. C'era Tej, un ricciolino di pelle parecchio scura, estroverso e sociale, era il migliore amico di Ravi; poi c'erano Ina e Mina, due gemelle bellissime, uguali fisicamente ma totalmente gli opposti caratterialmente: Ina era sempre molto pessimista e pensava sempre prima di agire, Mina non aveva altri scopi al di fuori del divertirsi e agiva sempre prima di pensare; Tilak era un ragazzo molto ricco, non avevo molto chiaro chi fosse suo padre, fatto sta che Tilak era un specie di principe o comunque nobile, e la sua famiglia faceva parte da generazioni di un alto ceto sociale. E infine c'era Nisha: Nisha aveva vent'anni e veniva da Singapore, scappò a diciotto anni dai genitori perchè troppo oppressivi e si trasferì a Goa, dove lavorava come ballerina e cantante burlesque in un night club per pagarsi la casa. Aveva un voce meravigliosa ed era un ballerina strepitosa, era infatti molto famosa tra i ragazzi di sesso maschile, e talvolta anche uomini, per le sue performance definite da tutti come "le più hot di tutta Goa, e, perchè no, di tutta l'India". Lei era quella che parlava meglio l'inglese, data la lingua madre singaporiana, ma non c'erano problemi di comunicazione fra me e i miei nuovi amici perchè ero riuscita ad imparare l'indiano, anche se il mio vocabolario era ancora ridotto all'osso.


[Narra George]

Oh, quanto mi mancava la mia occhi blu. Senza di lei le mie giornate erano vuote e tristi. E come se non bastasse la band iniziava a stringermi troppo, servì questo terribile accaduto per farci riunire pacificamente e bloccare tutti i litigi e le discussioni. Ma mi presi una pausa.
Da tempo il mio amico indiano Ravi Shankar insisteva perchè gli andassi a far visita insieme al mio sitar. Mi dispiacque un po' dover lasciare le indagini per la scomparsa di Rio, ma ero talmente sicuro che non l'avrebbero trovata che decisi di distaccarmi.
All'aeroporto mi accompagnò Paul. La sua faccia barbuta faceva trasparire una certa tristezza e preoccupazione.

-Mi raccomando, tieni gli occhi aperti-

-Ma figurati se Rio va a Goa! Piuttosto, se avete notizie non esitate a chiamarmi-
Paul annuì sospirando. Un brivido di dispiacere mi salì su per la schiena e gettai le braccia intorno al copro di Paul, stringendolo -Dai su, forza e coraggio- lo rassicurai. Lui posò la testa sulla mia spalla cercando di nascondere le lacrime che stava versando. Era veramente a pezzi, lo eravamo un po' tutti ma lui in particolare. E come biasimarlo? Rio lo aveva rifiutato come compagno di vita. Poi Paul tirò su con il naso e si staccò, strizzando leggermente gli occhi

-Avanti, non vorrai perderti l'aereo?-disse mentre si passava una mano sugli zigomi e sorridendomi -Buon viaggio Geo-

-Grazie Paulie, vi chiamo appena arrivo-
e scesi dalla macchina.

Il viaggio fu tremendamente lungo. Fuori dall'aeroporto di Goa mi aspettava Ravi.

-George!- mi salutò cordialmente. Dopo le solite domande del tipo "come stai?" e "come è andato il viaggio?" salimmo in macchina.
Goa era una bellissima città, calda, soleggiata, amichevole, tutto l'opposto dell'Inghilterra. E poi non era una novità che l'India mi affascinasse.
Vedevo ragazzi e ragazze di tutte le età camminare per le strade, con vestiti molto colorati, l'aria felice e qualche spinello in mano: cavolo se mi piaceva!

-George, io e mia moglie siamo così felici di averti qui con noi- mi disse Ravi con un sorriso stampato in faccia. Era un uomo magnifico, un modello da imitare e un dio del sitar. Lo stimavo moltissimo.

-E io sono altrettanto felice di essere vostro ospite-

-Allora, come va la carriera con i Beatles?-
mi faceva sempre ridere il modo in cui pronunciava "Beatles" con quel suo buffo accento indiano

-Beh, ultimamente non siamo molto in sintonia al livello umano, ma al livello lavorativo va bene, come sempre-

Arrivammo nella lussuosissima casa delle vacanze di Ravi: arredata con pezzi pregiati dell'artigianato indiano, statue di Ganesh ovunque, magnifici profumi inebriavano ogni angolo della casa. Mi fece largo nella stanza degli ospiti dove ordinai la mia povera valigia. Poi presi il mio sitar e raggiunsi Ravi nel salone, come mi aveva chiesto qualche minuto prima. Mi sedetti e lui cominciò ad incantarmi con una melodia che sembrava quasi psichedelica, allucinogena. La sua musica mi faceva viaggiare, mi faceva viaggiare in posti meravigliosi che non si potevano raggiungere facilmente, posti nascosti negli angoli della psiche umana, posti dei quali la maggior parte delle persone neanche immaginano l'esistenza. Posti da estasi.
Ma poi Ravi si interruppe e mi disse con il volto illuminato

-George, stasera dovrò partecipare ad un rave con la mia musica, ti andrebbe di suonare con me?- quella richiesta mi scioccò un tantino: suonare musica indiana ad un rave insieme a Ravi. Era un onore ed una follia allo stesso tempo

-Ravi, non penso di esserne all'altezza...-

-Ma ti prego, sei un ottimo musicista-
ero così contento che Ravi mi definisse "un ottimo musicista" anche se non lo ero nemmeno la metà di lui. Accettai e il piccolo uomo saltò in piedi e iniziò ad esclamare qualcosa in indiano: non capivo un'h di quello che diceva, ma dall'espressione mi pareva qualcosa di allegro.


[Narra Rio]

-No Esh, non mi va stasera-

-Dai Aria, ti prego, vieni-
Esh stava cercando di convincermi ad andare ad uno stupido rave quella sera e io stavo cercando di appioppargli le scuse più becere che trovavo. Aria era il mio nuovo nome per la permanenza in India.

-Ma mi sento la febbre- non feci in tempo a finire che mi trovai la mano di Esh spiaccicata sul viso

-Sei fredda come un ghiacciolo-

-Si, ma mi fa male la testa-
. Mi abbandonai indietro, cadendo a braccia aperte sul letto. Lui mi afferrò la mano e mi tirò su.

-Avanti, poltrona che non sei altra!- mi si mise davanti. Era poco più alto di me. I suoi occhi scuri come la pece si insidiarono nei miei -Ti prego. Se non vai tu non vado neanche io- ecco, stava giocando la carta della compassione. Aggiunse anche la faccia da cucciolo triste che trasformava il suo bellissimo viso in un adorabile viso. Sbuffai e gli dissi, senza staccare gli occhi dai suoi

-E va bene, piccolo manipolatore, verrò-

-Si! Ti amo-
esclamò lui, baciandomi. Poi mi guardò ancora negli occhi e la sua espressione divenne interrogativa -Rio, ma...ma hai le lenti a contatto?- io sgranai gli occhi e sbiancai. Distolsi immediatamente lo sguardo dal suo e dissi nervosa

-No. No, ma che dici? Boh, forse saranno le luci della stanza...boh...- Esh annuì poco convinto, aggiungendo

-Mh, d'accordo. Ora però sbrigati, vatti a preparare che manca poco-


Quel posto era pieno di gente completamente fumata.

-Dai, andiamo sotto il palco. Stasera si esibirà Ravi Shankar, il maestro del sitar. Adoro la sua musica- disse Tilak, con il suo solito tono composto. Ravi Shankar, era l'idolo di George.
Fece la sua entrata sul palco Ravi e tutti i ragazzi impazzirono. Io mi limitai ad applaudire.

-Grazie a tutti- iniziò a parlare indiano al microfono -Stasera vorrei presentarvi un mio allievo non che carissimo amico. Probabilmente già lo conoscerete. Un grandissimo applauso a George Harrison- stavo per avere un mancamento, me lo sentivo. Rimasi immobile, con lo sguardo fisso sulla figura di George che si avvicinava al microfono. Salutava tutti con la mano e con un sorriso, quel sorriso che mi mancava così tanto. Tutti i miei amici esplosero di felicità: ovviamente non sapevano niente della mia vita e del mio passato.

-Salve a tutti- disse George in un terribile indiano. Io scoppiai a ridere. Avevo le lacrime agli occhi. Lo guardavo, lo fissavo. Da una parte speravo che non mi vedesse, dall'altra speravo con tutto il cuore che mi guardasse dritto negli occhi e mi riconoscesse. Nel dubbio continuavo a tenere lo sguardo fisso nel suo. Stavo proprio sotto di lui e me ne restavo immobile, cercando di non attirare troppa attenzione, ma lui abbassò lo sguardo e mi vide. Mi fissò. Ero nel panico, non sapevo che fare, quindi lo guardavo anche io. Rimase imbambolato su di me, come se cercasse qualcosa sul mio viso che gli ricordasse la sua occhi blu, ma gli occhi blu non c'erano più. Iniziarono a suonare e non smisero per ore.
Mi allontanai dalla folla per prendere un po' d'aria e calmarmi. Tenevo le dita sulle tempie e spingevo, come per cercare di togliere tutto quel casino dalla mia mente, ma non ci riuscivo. Camminavo ad occhi chiusi avanti e indietro, senza però compiere un tragitto troppo esteso.
Avanti e indietro, avanti e indietro.

-Cazzo cazzo, basta, non ce la faccio più-

Avanti e indietro. Gli occhi serrati, le dita che spingevano sempre di più sulle tempie. Improvvisamente andai a sbattere contro qualcuno e caddi.

-Oh mio Dio, scusami tanto- esclamai in inglese, con gli occhi ancora chiusi. Ma quando li aprii, George era davanti a me, a tendermi la mano per farmi alzare. Mi bloccai e la mia bocca si aprì. Feci un grosso errore. Dovevo in tutti i modi cercare di essere naturale, ma non ci riuscivo, ero come pietrificata. Mi alzai senza l'aiuto di George e mi girai velocemente per andarmene. Lui mi afferrò il braccio e mi fece girare.

-Signorina, mi dispiace tanto. Le ho fatto prendere una brutta botta al collo- spostò i capelli che coprivano la voglia a forma di corona. Dopo qualche secondo, George si rese conto che quella non era una botta presa al momento della caduta. I suoi occhi si spalancarono, la sua bocca fece lo stesso ma ne uscì un fievolissimo sussurro.

-Rio...-



SPAZIO AUTRICE



Non mi uccidete. Sono tornataaaaaaaaaa.
Voi però mi sembrate un pochino assenti, forse me lo fate per ripicca? Eh? Brutti birboni.
Non so che dire, tutto quello che oggi mi gira per la testa è "you know you make me want to SHOUT lift my hands up and SHOUT throw my hands back and SHOUT come on now SHOUT take it easy" quindi non so quanto possa essere una persona comunicativa (?) oggi *tu sei matta* grazie Ringo, lo so
Ci sentiamo alla prossima che (spero) venga il più presto possibile.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Goa, 5 maggio 1967



Cavolo, mi aveva beccata! Dovevo trovare una soluzione, e subito anche.

-Come mi ha chiamata scusa?- dissi, aggrottando le sopracciglia

-Rio...Rio...- George sembrava spaesato -Rio, ma che dici?-

-Mi scusi ma...il mio nome non è Rio. Mi chiamo Aria-
risposi con voce calma, facendo un veloce passo all'indietro. Dovevo cercare di sembrare convincente e disinvolta, avevo anche imparato a camuffare la voce abbastanza bene.

-No no, tu sei Rio, tu sei la mia occhi blu. Hai la voglia a forma di corona sul collo...-

-Una voglia? Questa non è una voglia, è solamente una brutta ustione causata dal ferro per i capelli-

-No. E' una voglia, e tu sei Rio-

-Signore, lei mi sta spaventando-
mi riusciva bene però. Indietreggiai di qualche passo.

-Emh, mi scusi...- disse George, guardando per terra con sguardo confuso. Poi chiuse gli occhi, strizzandoli leggermente -L'avevo...l'avevo scambiata per un'altra persona-

-Ho notato-
dissi io, guardandolo un po' storto. Cavolo, quanto avrei voluto abbracciarlo in quel momento. Stringerlo forte a me e dirgli che mi mancava, che mi mancavano tutti, che sarei voluta tornare a casa subito e sposarmi con Paul, vivere per sempre felici, vivere tutti insieme come una grande famiglia. Ma, chissà per quale assurdo motivo, non lo feci. Semplicemente tacqui, facendomi divorare viva dal rimorso.

-Senta, che ne dice se per perdonarmi le offro la cena?- chiese Geo, con sguardo quasi implorante. Mi trovavo a un bivio: da una parte potevo rifiutare, scappare e non farmi più trovare, passando il resto della mia vita con persone di mediocre compagnia, senza sostanza, che non sarebbero mai state in grado di colmare il vuoto che mi portavo dentro. Dall'altra parte potevo accettare l'invito, andare a cena e rischiare di essere riconosciuta. Accettai.


[Narra George]

Presi una vera e propria tranvata, un palo dritto in faccia. Quella ragazza non era Rio, eppure c'era qualcosa che mi diceva che era lei, che dovevo fare più attenzione. Quando la vidi, sperai così tanto che fosse lei, e ne ero convintissimo: fu una delusione quando la ragazza mi smentì, tutte le mie speranze caddero nell'oblio. Ma l'invito a cena sarebbe stato un buon pretesto per capirci qualcosa, perchè mi stavo perdendo nelle mie convinzioni e nei miei dubbi. L'unica cosa certa era che questa Aria non mi convinceva affatto.


[NarraRio]

Iniziavo a pentirmi di aver accettato. Sarebbe andato tutto storto, me lo sentivo nelle budella.
Mi misi vestiti stravaganti, vestiti "anti-Rio", i lunghissimi capelli color miele quella sera avevano una piega che ricordava quella del dopo mare, con ancora la salsedine su di essi che gli regalava quelle onde così naturali e morbide, non mi scordai delle lenti a contatto che di sera facevano sembrare gli occhi ancora più scuri. Un punto a favore per me.

A cena cercai di tacere il più possibile, ma Geo mi faceva una domanda ogni due frasi.

-Allora Aria, raccontami la tua storia- mi chiese. Mi guardava intensamente, come se stessi cercando di leggermi nella mente, e io mi sentivo terribilmente a disagio. I suoi occhi accusatori e giudiziosi mi guardavano dritto nei miei, e io non potevo far altro che guardarlo, scansando ogni tanto lo sguardo e posandolo sul cesto del pane o sulla bottiglia d'acqua, ma questo non cambiava l'imbarazzante situazione in cui George mi ficcò. Iniziai a inventare una storia che avesse un senso logico e non assomigliasse alla mia vita passata

-Beh, sono americana e mi sono trasferita qui da qualche anno. Non c'è molto da dire, i miei sono morti, non ho fratelli o sorelle, sono sola e ora abito qui-

-Ah, sei americana. E come mai hai questo forte accento inglese?-
oh Dio, e ora?

-Inglese? No. Forse sarà il misto fra indiano e americano, non saprei- cercai di cambiare subito discorso -Dimmi, chi è questa Rio?-

-Beh, Rio è la mia migliore amica. Lo è sempre stata. E' quella persona che mi dava i baci sulla fronte e mi disfaceva la pettinatura, quella persona che mi grattava la schiena nei punti in cui non arrivavo da solo, quella persona che mi portava i biscotti quando ero giù di morale, quella persona con la quale condividevo un luogo segreto, tutto nostro, in cui ci nascondevamo dai problemi e dall'intero mondo esterno, stando tra di noi, come due bambini, a contare i petali dei fiori e guardare le nuvole. Non conosco persona più bella, dolce, sensibile, simpatica di Rio, lei è tutto per me, la ragione per la quale mi sveglio la mattina, la musa per le mie canzoni. Abbiamo un rapporto magnifico, che non si può descrivere a parole. Eravamo strani, pazzi, felici, affiatati, sempre insieme. Ma ora lei è scappata, non so dove sia, non so con chi sia, non so neanche se è ancora viva. Tutto ciò che desidero è avere altri cinque minuti con lei, anche solo un minuto, anche solo il tempo di un abbraccio. Mi manca e non vedo l'ora di ritrovarla e portarla a casa, perchè la solitudine mi sta divorando dall'interno-
brutta mossa quella domanda.
Non resistevo, non ci riuscivo.
Mi alzai il piedi e gettai le braccia intorno al suo corpo. La mia voce tornò quella di sempre, quella di Rio.

-Oh George-

-Oh Rio-



SPAZIO AUTRICE



Toooornata.
Scusate l'assenza, ma ero andata al mare e non avevo computer a disposizione.
Allora? Che mi dite? Piaciuto il capitolo? Cosa succederà? E chi lo sa? Ma perchè faccio tutte 'ste domande? Boh.
Vi state godendo l'estate miei cari lettori? Bene, io no. Sto studiando latino perchè mi hanno dato il debito...di nuovo. -.-
Spero di aggiornare presto.
Un bacio a toooodos.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Goa-Liverpool, 8 maggio 1967



Al giorno del mio incontro con George, seguirono pianti e discorsi strappalacrime. Mi raccontò che a Liverpool si sentiva la mia mancanza, che Ringo era impazzito e che Paul era caduto completamente in depressione, "non si rade più, sembra Babbo Natale in nero" furono le sue esatte parole. Notai che anche George aveva qualcosa che non andava: era molto invecchiato, i suoi folti capelli neri che ormai teneva ad una modesta lunghezza facevano risaltare ancora di più i profondi solchi sotto gli zigomi e delle leggere zampe di gallina agli angoli degli occhi. Non gli dissi niente ovviamente, conoscevo George e sapevo che si sarebbe offeso e volevo evitare che si facesse complessi inutili, anche perchè per me era sempre bello. Ma lui non aveva il mio stesso tatto...

-Dio Rio, hai un cera orribile. Guarda quanto ti sei dimagrita, guarda il tuo viso sciupato- mi disse, quando mi stesi sul terrazzo in costume, per prendere un po' di colorito. Non aveva tutti i torti: effettivamente l'appetito non aveva la meglio su di me in quel periodo ed essendo già mingherlina di costituzione, le mie ossa erano visibili più del solito.

-Sei un amico Geo- risposi, rialzandomi immediatamente e rivestendomi.

-Ecco brava, vestiti, il cadaverico ti si addice- disse ridendo. Mi voltai verso di lui con uno sguardo cagnesco e il mio dito medio si alzò quasi spontaneamente. Ma subito quei 30 chili di capelli mi si fiondarono addosso, abbracciandomi.

-Infame- dissi sorridendo, e pizzicandogli le guance magre.

-Torni con me a Liverpool, vero? Non lasciarmi prendere quell'aereo da solo- mi guardò profondamente negli occhi. Non risposi. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato. L'India mi piaceva, ma non come Liverpool. Ma non me la sentivo di tornare da Paul. Mi sarei sentita una merda. Come avrei potuto guardarlo di nuovo negli occhi? Io, che avevo fatto di tutto per farlo lasciare con Jane. -Sto andando a comprare i biglietti- mi strinse le braccia. I suoi occhi sembravano dire "vieni, vieni, VIENI!"

-Prendine uno anche per me, baby- dissi sorridendo. Mi abbracciò. Era al settimo cielo e il suo enorme sorrisone si illuminò. Non c'era niente che mi rendeva più felice.

*


Il volo numero AZY4937 in partenza per Liverpool sta decollando



Un piccolo aereo mezzo sgangherato ci diede il benvenuto. Era pieno di famiglie indiane, bambini di ogni età girovagavano per il corridoio dell'aereo.

-Adesso me lo dici?-

-Dirti cosa?-
chiesi disinteressata, distaccando con fatica gli occhi dal mio libro di meditazione e alzando gli occhiali sulla testa

-Perchè sei scappata e perchè hai rifiutato Paul- il suo sguardo e la sua voce erano molto seri.

-George- mi levai definitivamente gli occhiali -essere la moglie di Paul McCartney. Renditi conto: le attenzioni, le responsabilità, la pressione. Mi conosci, questi non sono esattamente i miei secondi nomi-

-Ti conosco, ti conosco eccome. Tesoro mio, tu ami Paul e lui ti ama. Pensi davvero che ti avrebbe fatto passare tutto ciò? Tiene a te e alla tua salute-

-Lo so, e mi dispiace di avervi fatto soffrire. Non ero psicologicamente e emotivamente pronta ad una proposta simile, è stata davvero una strana botta per me, ma adesso sto tornando e tutto cambierà-

-Che intenzione hai?-
mi chiese. Non risposi e tornai al mio libro. Dopo qualche minuto mormorai

-La cosa giusta-

*


-Oh Dio-

-Tranquilla-


Il taxi si era appena fermato davanti a casa di Paul. Avevo un po' paura di scendere, di rivederlo, di parlargli di nuovo, ma non aspettavo nient'altro. Purtroppo le mie gambe e il mio cuore non pensavano la stessa cosa: mi tremavano e non mi reggevano. Posai la mano sulla maniglia. Mi voltai verso Geo.

-Su, vai, io ti sto dietro- mi rassicurò.
Scesi dalla macchina. Passo dopo passo il battito aumentava. Arrivai al portico e bussai. Sentivo il rumore delle scarpe di Paul sbattere contro il pavimento. Mi guardavo intorno, vidi che l'albero tra le nostre finestre aveva dato i fiori: dei magnifici fiori grandi e gialli. La porta si aprì. Mi voltai velocemente verso la porta.
Paul. Era magnifico: aveva una folta barba nera e i capelli erano mediamente lunghi, pettinati all'indietro. Indossava vestiti sciatti e larghi: una camicia rosa leggermente sbottonata con le maniche tirate su e dei pantaloni cachi molto larghi. Mi guardava a bocca aperta e io facevo lo stesso. Inspirò profondamente, rimanendo quasi in apnea. Ci osservavamo, ci mangiavamo con gli occhi. Aveva uno sguardo insolito, stava per piangere? Stava per urlare? Per ridere? Sbraitare? Non lo sapevo proprio.
George se ne stava lì dietro, senza fare rumore. Ci guardava a braccia incrociate e massaggiandosi il mento.
Nessuno diceva una parola, perciò presi in mano le redini e dissi

-Si-

-Si cosa?-
mi chiese Paul, con un tono neutro

-Si...ti sposo- sorrisi. Gli si illuminò il volto. Scoppiammo entrambi a piangere e mi gettai su di lui. Mi strinse forte e mi baciò i capelli.



SPAZIO AUTRICE


L'estate è finita e la mia storia continua.
Scusate se sono mancata ma tra viaggi vari non ho mai avuto il computer con me *fattelo un altro viaggio eh* cos'hai? Sei geloso Rings? * *facepalm* *
Vi piace il capitolo? Spero proprio di si. Finalmente si spoooosanoooooo asksdhfgirtksnckas *o*
Spero di riuscire ad aggiornare presto, dato che il 3 avrò l'esame del debito di latino e poi penso che andrò al mare dalla mia migliore amica.
Recensite, mi raccomando.
Un cuoricino a tutti voi ♥

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Liverpool, 26 maggio 1967



[Narra Paul]
Mi svegliai quel giorno con una sensazione che mi invadeva tutto il corpo e la mente. La felicità nutriva il mio cuore che nei mesi scorsi era stato trascurato e triste, ma ora aveva detto di sì e in poco tempo Rio sarebbe diventata mia moglie. Strano a pensarci.
Mi alzai dal letto e, dopo essermi dato una rinfrescata, tornai in camera mia. Ero curioso di vedere cosa stesse facendo la mia futura moglie, così mi affacciai dalla finestra. Vidi Pattie e Cynthia camminare su e giù per la stanza emozionate ed euforiche, con le bocche che si muovevano come delle macchinette, e poi vidi Rio che se ne stava seduta buona buona e tranquilla sul bordo del letto, con le mani poggiate sulle gambe e la testa alta che seguiva i movimenti delle amiche, con gli occhi grandi sbarrati e senza fiatare.
Scossi leggermente l'albero per far notare la mia presenza e subito il volto di Rio si abbassò sulla finestra, seguito da quelli delle amiche. Pattie si fece avanti e spalancò la finestra.

-Hey abitante di Woodstock, cosa ti porta a svegliarti così presto?-chiese Pattie. Guardò poi l'orologio e aggiunse -Alle due e mezza di pomeriggio-

-Voi due. Il vostro blaterare senza sosta mi ha interrotto il sonno creativo. Come mai così eccitate? Avete ascoltato la mia nuova canzone?-
chiesi. I volti delle ragazze si fecero seri e privi di ogni senso dell'umorismo.

-No idiota, andiamo a comprare il vestito perfetto per la tua fidanzata-mi rispose Cyn. Guardai Rio, che a sua volta mi guardò e sfoderò un meraviglioso ed eccitato sorriso.


[Narra Rio]
-E io mi dovrei fidare del vostro gusto per il vestiario?-chiese Paul

-Deficiente-disse Pattie, allontanandosi dalla finestra e andando a specchiarsi

-Tesoro, non fare la diva, non sei l'unico con buon gusto- dissi rivolgendomi a Paul. Scoppiarono tutti a ridere.

-Ora, gallinelle, se mi scusate, vado ad incipriarmi il naso-disse Paul, facendo finta di spostarsi i capelli con la mano, e se ne andò.

-Tuo marito è proprio un imbecille- osservò Cyn ridendo.
"Tuo marito". Suonava così bene. Non ero più spaventata, ne avevamo parlato con Paul ed eravamo arrivati alla conclusione di una finta moglie: mi parlò di una certa Linda, una bionda che faceva la fotografa e che conobbe poco prima. Mi giurò che era una ragazza perbene, simpatica. Avrebbero detto alla stampa e al mondo intero di essersi sposati. Personalmente non mi dava alcun fastidio questa decisione, presa di comune accordo con me: sarebbe stata solo una liberazione per me. L'unica cosa veramente importante era che la bionda tenesse a posto le mani.

-Vogliamo andare?-si voltò Pattie verso di noi con un paio di enormi occhiali da sole sul viso.

Io, Pattie e Cyn ci avviammo verso il negozio di vestiti. Appena entrata mi sembrò come un enorme stanza di manicomio, o il paradiso.
Trovammo George seduto sul divanetto ad aspettarci, mentre parlava con la commessa del vestito perfetto.

-Ecco qui la sposa!- balzò in piedi, venendomi ad abbracciare. Mi fecero sedere sul divanetto, mentre confabulavano con la commessa. Quest'ultima poi si allontanò dal gruppetto e scomparve dietro una porta. Poi i miei amici si girarono verso di me con uno sguardo misto fra il compiaciuto e il crudele, e l'unica cosa che mi uscì dalla bocca fu "Cominciamo bene".
Detto ciò, la commessa ricomparve con un con porta abiti colmo di vestiti. Iniziò la prova.
Il primo era un vestito molto attillato.

-Meraviglioso-

-Ti sta da Dio-

-Vi prego, sembro una caramella incartata-

-No, sembri una caramella incantata-
disse Cyn, guardandomi con occhi splendenti

-Io questo non me lo metto- e me tornai nel camerino. Seguì un abito che mi faceva somigliare ad una bambola di porcellana, uno ad una bomboniera, uno ad una mongolfiera, uno che mi stava quattro volte sulla parte del seno, uno da cui si vedevano le ossa, e alla fine, lui.
Uscii dal camerino e tutti si zittirono. Aspettarono che arrivassi allo specchio e che vedessi da me. Era lui, era perfetto, doveva essere mio. Semplice, leggero, con dei dettagli in pizzo. Mi guardavo allo specchio e sentivo già la marcia nuziale suonare. Lo accarezzavo, seguivo con il dito i ghirigori del pizzo sul petto, mi giravo per vederlo da tutte le angolazioni. Poi guardai i miei amici attraverso lo specchio, tenendomi la pancia dall'emozione.

-Lo abbiamo trovato?- chiesi nervosa

-Decisamente- rispose George. Tirai un sospiro di sollievo e tutti, comprese le commesse, si misero ad applaudire

-Lo abbiamo trovato- mormorai fra me e me, sorridendo allo specchio.
 

*




-Sono perfetto-
Dopo aver preso definitivamente il mio vestito, andammo a cercare quello per Paul.

-Paul, per l'amor del cielo, sembri un silos di metallo- dissi, sgranando gli occhi e sgretolando il suo ego. Si era provato un tremendo vestito argentato, con tanto di papillon in tinta.

-Ti prego Macca, levatelo, mi sta venendo un attacco epilettico- disse George, senza staccare gli occhi dal vestito. Paul si rassegnò e si andò a cambiare. Dopo tanti rifiuti, lo trovammo. Era semplice, nero, molto elegante e di classe.

-Siamo pronti per sposarci- disse alla fine Paul, alzando le braccia al cielo e sorridendo.
 

*


Castello di Leeds, 22 giugno 1967



-Svegliati Rio, ti devi sposare!-



SPAZIO AUTRICE


Salve a todo el mundo.
Ah-ah, speravate già nel matrimonio, eh? Ma io vi tengo ancora sulle spine, perchè mi diverto MUAHAHAHA.
Ad ogni modo, nel prossimo capitolo farà la sua entrata Linda, che abbiamo nominato in questo capitolo, e chissà che ruolo svolgerà. Eeeh lo saprete solo leggendo, io non dico niente *si chiude la bocca con la zip*.
Alla prossima lettori venerati ♥
P.s. Volete vedere il vestito di Rio?
Image and video hosting by TinyPic
Personalmente amo il sopra in pizzo, e poi c'è la mia Barbara che rende il tutto più bello asdfghjkl *o*

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Castello di Leeds, 22 giugno 1967



La voce di George mi buttò giù dal letto.
Guardai l'orologio. Cazzo, erano le otto e mezza passate! Meno di un'ora e mezza dopo mi sarei dovuta sposare.
Mi rotolai giù dal letto, dando una craniata sul pavimento di marmo dell'alloggio del castello, e con gli occhi ancora chiusi aprii la porta a George. Questo mi prese quasi di peso e mi portò sotto la doccia, levandomi il pigiama.

-Hey cosa fai? Così mi vedrai nuda- dissi con la poca voce che mi ritrovavo appena sveglia

-Capirai, ti ho già vista nuda quando avevi sette anni, quanto puoi essere cambiata? E poi non hai le capacità fisiche e mentali per prepararti tutta da sola adesso- disse, mente mi sfilava la maglietta. Quindi mi arresi e mi feci buttare in doccia.
Dopo una bella doccia fresca per svegliarmi, mi asciugai e mi misi il completo intimo.
Fecero poi capolino in camera Cyn, Pattie e Mo, seguite da Ringo.
Mi infilai il vestito e sospirai.

-E' proprio bello- disse Ringo sorridendo

-Si Rio, ti calza a pennello, sembra cucito su di te- confermò Mo.

Erano le nove e un quarto.
Pattie cominciò a pettinarmi, mente Cyn mi truccava e Mo mi metteva lo smalto, e mentre Ringo e George giocavano come due bambini con delle spade immaginarie.
I capelli li tenni sciolti, con qualche onda naturale che mi spuntò con l'umidità del castello. Mi accarezzavano la schiena fin sotto al gancetto del reggiseno. La gonna andava giù leggera e morbida e mi copriva anche i tacchi. Il trucco era naturale, come al solito, non volevo essere troppo esagerata ed appariscente.

Bussò qualcuno alla porta. Mi alzai personalmente per andare ad aprire. Spalancai la porta creando molto vento. Era John.
Entrò senza dire una parola. Appena Cyn lo vide, si alzò e se ne andò, così fecero anche Mo e Pattie per seguirla. John lanciò poi un'occhiata a George e Ringo che a loro volta se ne andarono.
Rimanemmo solo noi due.

-Cosa c'è John? Ho fretta, mi devo sposare- dissi indaffarata, toccando ogni cosa che vedevo. Inizialmente John non rispose, rimase fermo a guardarmi, a braccia conserte.

-Devi sposarti. Mi fa così strano-

-Perchè?-

-Perchè ho sempre pensato che sarei dovuto essere io a sposarti-
e in quel momento il mio cuore balzò. Sgranai gli occhi, ma John non poté vedermi perchè gli davo le spalle, ma comunque fermai i miei frenetici movimenti e rimasi ferma, con una mano sopra al velo -Dai, ora non dirmi che questa cosa ti ha scioccata. Tu lo sapevi, lo hai sempre saputo, il mio cuore è sempre appartenuto a te. Ma probabilmente tu mi mentisti. Ricordi? "Ti amo John, e ti amerò per sempre", ti ricordi?- continuavo a dargli le spalle, sbarrando sempre di più gli occhi e stringendo tra le mani il velo -Certo che te lo ricordi. Ma adesso, chissà perchè hai scelto Paul. Forse l'hai fatto perchè mi sono sposato con Cynthia, quasi sicuramente per questo. Perciò ti sei accontentata di Paul. Non sono ostinato o pieno di me, sto solo dicendo ciò che potrebbe anche chiamarsi verità- detto questo, sentii dei passi pesanti venire verso di me. Due forti e fredde mani mi strinsero le braccia e mi fecero voltare. -Lo ami? Ami Paul? Nei tuoi occhi si legge un convinto "si", ma nel tuo cuore, sappiamo tutti e due che c'è spazio anche per me, uno spazio grande come quello per lui-
Io rimasi a fissarlo, mi faceva quasi paura. La sua voce era così profonda e cupa. Sembrava impazzito. Non aggiunsi parola perchè non avrei saputo dire niente, avevo un nodo in gola che mi impediva quasi di respirare.
-Ormai non posso farci niente, e mi mangio le mani per questo. Dal primo momento che ti ho vista ho desiderato passare la mia vita con te, ma sono stato stupido e mi sono giocato non una, ma ben due possibilità. Probabilmente è destino, il fato ha deciso che non siamo compatibili, e questo mi sta lacerando l'anima e il cuore- mi accarezzava il viso in modo frenetico, come se volesse afferrare il profumo della mia pelle -Sei così bella, ma non sei mia.- e mi stampò un bacio sulle labbra.
Rimasi pietrificata per qualche momento, poi mi resi conto e mi staccai subito.

-Ma che diavolo fai?-

-Scusami, scusami ti prego-
e si sedette sul letto. Sembrava sotto effetto di qualche droga pesante, come se avesse una specie di doppia personalità, uno schizofrenico. Lasciai scemare la mia rabbia, camminando avanti e indietro per la stanza, finchè non arrivai ad un livello di frustrazione abbastanza basso da poter cominciare a parlare.

-Tu sei pazzo- dissi quasi sussurrando e sedendomi vicino a lui -Vuoi farmi un favore?-

-Ciò che vuoi-

-Mi accompagneresti all'altare?-

-Cosa?-

-Ti prego, sei l'unico che può farlo. Mamma e Nick non ci sono più, Geo, Ringo, Cyn e Pattie sono i testimoni, Mo porta le fedi. Ci sei solo tu-

*




Le porte si aprirono e una grande lama di luce tagliò in due l'aria fitta della cappella del castello.
Feci un passo avanti.
La marcia nuziale cominciò a suonare.



SPAZIO AUTRICE


Hey bella gente.
E io vi tengo sulle spine MUAHAHAHAH ancora non si spoooosanoooo gnegnegne non ve la do così facilmente questa soddisfazione, sono crudele io eh.
Come avete passato le vacanze? Bene? Mi fa piacere! Male? Mai tanto quanto il povero John.
Ve lo aspettavate? Spero di no, almeno vi avrò fatto prendere un bel colpo.
Questa storia sta mancando di recensioni ultimamente però eh :( cosa vi succede? ç.ç
Un baciuozzo a tutti ♥

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


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Castello di Leeds, 22 giugno 1967



Ogni passo che facevo il cuore aumentava di un battito. Fissavo l'altare ma qualche volta buttavo un occhio sugli invitati: erano pochi e solo amici intimi e parenti. Il mio sguardo si soffermò poi su Linda. Mi guardava con sguardo serioso, freddo. Era una donna bionda e di una certa femminilità, nonostante i suoi lineamenti duri e poco fini. Certo che era proprio strana come cosa, quella del falso matrimonio fra Paul e Linda intendo. Potevano esserci mille lati positivi, ma i lati negativi non mancavano: prima di tutto, la vita privata segreta, che non allarmava me personalmente, ma avrebbe potuto far impazzire Paul. Le bugie, i segreti, erano tutte cose che non facevano bene al nostro rapporto, se pur detti per una giusta causa. Poi io questa Linda non la conoscevo, chi era? Cosa faceva? Ci si poteva fidare? Paul mi assicurò che fosse una brava persona, molto disponibile e simpatica, avrebbe sicuramente distolto lo sguardo da qualsiasi dubbio del pubblico mondiale. Ma restavano comunque molti dubbi. Cyn, Pattie e Mo erano molto contrarie a questa storia e dicevano che secondo loro non sarebbe finita bene, Ringo e Geo non si esprimevano e John, beh, John non aspettava altro che la rovina del matrimonio.
Mi voltai per guardarlo.


[Narra John]
Ero caduto davvero in basso.
John Lennon, la leggenda, che accompagna all'altare la donna che ama invece di sposarla.
Ero caduto veramente in basso.
C'era un clima di felicità, armonia e serenità dentro quella piccola cappella, eppure nel mio cuore c'erano solo buio, tristezza e lacrime.
Ricordo perfettamente il primo giorno in cui ci incontrammo, alla Tana: lei aveva appena compiuto 18 anni, era ancora una ragazzina. Ricordo che indossava un vestito lungo fino al ginocchio, rosso, con una gonna molto larga, delle scarpe nere laccate e i capelli raccolti in una lunga e perfetta coda di cavallo. Ricordo che arrossì al mio tentativo di fare colpo. Ricordo la sua bianca pelle, le labbra rosse e lo sguardo color dell'oceano, ancora innocente e puro. Ricordo la sensazione di calore che provavo. Ricordo la nostra prima notte insieme, ricordo ogni singolo angolo della nostra casa, quella specie di appartamento insulso, ma nostro. Ricordo la giornata in piscina e ricordo la sua foto, quella che avevo ancora, che portavo sempre con me. Ce l'avevo anche in quel momento, nella tasca dello smoking. Ricordo tutto, ogni singolo momento nostro. E ora eccola qui, a braccetto con me, verso il suo destino, verso il suo futuro senza di me. La guardai. Ormai era una donna, una bellissima donna.
Ci guardammo negli occhi, ignorando il velo che le copriva il volto. Il suo viso si fece malinconico e qualcosa le brillò in quelle sfere di ghiaccio. Deglutì, poi il suo sguardo si abbassò, quasi arreso, e tornò rivolto all'altare. Osservai per l'ultima volta il suo profilo, così vicino ma così lontano, prima che scivolasse dalle mie mani, prima che quel minimo possesso che avevo su di lei scomparisse, azzerato da due anelli e una promessa.


[Narra Paul]
Rio si avvicinava sempre più all'altare e io ero sempre più agitato e felice.
Finalmente stavo per sposarmi con la ragazza che amavo. Era tutto come avevo sempre sognato e niente poteva rovinare il giorno più bello della mia vita.
Neanche il fatto che John accompagnava Rio all'altare. Perchè, andiamo, tutti sapevano che a John piaceva ancora Rio. Ma era comunque un sentimento quasi nullo, niente di che, non poi così forte. John era molto preso da Yoko, nostro malgrado, poichè tutti noi odiavamo quell'antipatica scimmia nana capocciona.
Tra Rio e John non c'era niente, proprio niente.


[Narra George]
Ragazzi, non potete nemmeno immaginare la fame che avevo. Già mi immaginavo tutti i gamberi che mi sarei mangiato al ricevimento.

*

Con il potere conferitomi, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.

*

[Narra Rio]
Dopo il ricevimento si fecero quasi le sei di pomeriggio. Quando tutti gli invitati se ne andarono, mi ritirai in una grossa stanza del castello. Era spoglia di tutto il superfluo, tutto ciò che c'era era un pianoforte e uno sgabello. Un magnifico pianoforte antico, a coda.
Mi sedetti svogliatamente sullo sgabello, sorridendo e posando le dita sulla tastiera. Dopo qualche nota suonata a caso, una voce rimbombante mi fece sobbalzare. Era John.

-Hai sempre avuto un innato talento musicale- disse, avvicinandosi.

-Come va John?-

-Intendi il mio stato emotivo dopo che ti sei sposata? Sono stato meglio-
mi rispose, guardando la tastiera del pianoforte.

-Passerà- dissi, con tono rassicurante.

-Lo spero- rispose. Mi fece cenno di fargli spazio sullo sgabello. Iniziò a suonare qualche accordo. -Certo, sto sicuramente meglio di quando sei partita. Quando Paul venne da me e mi fece vedere la lettera, caddi letteralmente a pezzi: non so bene se fu peggio leggere la tua dichiarazione di amore eterno a Paul o sapere che eri scappata. Non ho mangiato, dormito, parlato, pensato, ho soltanto pianto. Ho pianto così tanto che gli occhi erano diventate due palle di fuoco incapaci di restare aperti. Non mi sono dato pace, ho speso migliaia di sterline per tentare di ritrovarti, fatto fare indagini, ricerche, ma tu non tornavi. Ad un certo punto, quando persi le speranze e non avevo nient'altro da fare, mi misi al pianoforte- mi guardò profondamente negli occhi -Quando te ne sei andata ti ho scritto una canzone- concluse. Io mi alzai per lasciargli lo sgabello ma lui mi cinse i fianchi con un braccio per farmi rimanere lì vicino a lui. Schioccò le dita e entrò nella stanza un violinista. Iniziarono a suonare una melodia meravigliosa ma malinconica. Poi attaccò a cantare.

Wednesday morning at five o'clock
As the day begins
Silently closing her bedroom door
Leaving the note that she hoped would say more
She goes downstairs to the kitchen
Clutching her handkerchief
Quietly turning the back door key
Stepping outside she is free

She (we gave her most of our lives)
Is leaving (sacrificed most of our lives)
Home (we gave her everything money could buy)
She's leaving home
After living alone
For so many years (bye bye)

Father snores as his wife gets into her dressing gown
Picks up the letter that's lying there
Standing alone at the top of the stairs
She breaks down and cries to her husband
Daddy our baby's gone
Why would she treat us so thoughtlessly
How could she do this to me

She (We never thought of ourselves)
Is leaving (never a thought for ourselves)
Home (we struggled hard all our lives to get by)
She's leaving home
After living alone
For so many years (bye bye)

Friday morning at nine o'clock she is far away
Waiting to keep the appointment she made
Meeting a man from the motor trade

She (what did we do that was wrong)
Is having (we didn't know it was wrong)
Fun (fun is the one thing that money can't buy)
Something inside
That was always denied
For so many years (bye bye)
She's leaving home (bye bye)


Avevo gli occhi stracolmi di lacrime e la bocca serrata. Pesanti e calde gocce salate uscirono dai miei occhi. John mi guardava triste e l'unica cosa che mi venne in mente, anzi, che mi venne spontaneamente da fare fu buttargli le braccia al collo ed abbracciarlo forte.


SPAZIO AUTRICE

Hola gente.
E' iniziata la scuola, vaffancuore. VOGLIO MORIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE. Ogni volta che entro in classe, mi rivolgo ai miei compagni e dico "baby, we were born to die" ç.ç
In ogni caso, finalmente sti due se so sposati, nun je la facevamo più ao (?) *parla come mangi* infatti Ringo, è quello che sto facendo.
Cosa ne pensaaaate? A me piace un sacco personalmente *vanity* ao vuoi sparire?
Spero di aggiornare presto e spero di ricevere taaaante recensioni positive perchè, anche se non vi rispondo, mi fanno sempre sorridere e il mio amore per voi cresce sempre di più ♥

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Liverpool, 22 novembre 1967



Un forte odore di caffè e uova bruciacchiate mi svegliò. Aprii leggermente gli occhi, quel poco che bastava a farmi prendere un minimo di conoscenza. Era già la seconda metà di novembre e il tempo sembrava letteralmente volato: erano ormai passati cinque mesi dal matrimonio, ma ogni volta che i miei occhi incontravano quelli di Paul era come la prima volta.
Scesi dal letto e mi diressi verso la cucina. Avevamo comprato una grande villa dove vivere come marito e moglie e, magari un giorno, dove mettere su famiglia. Lasciammo le nostre case d'origine con nostro grande dispiacere, perchè quelle furono le case dove nascemmo e crescemmo, dove successero tutte le cose belle e le cose brutte; quelle pareti hanno patito il nostro dolore, ascoltato i nostri discorsi, assorbito le nostre risate. Decidemmo infatti di non venderle ma di tenerle, per motivi affettivi o per qualsiasi altra evenienza.
Arrivai in cucina dove Paul stava cucinando. Ci limitammo a darci il buongiorno, poi mi sedetti vicino al lavandino, sul freddo marmo grigio scuro. Fuori dalla finestra stava nevicando e leggeri fiocchi di neve cadevano sulle strade. Il freddo era pungente e i bambini, esageratamente imbacuccati, giocavano a palle di neve sui vialetti.
Restammo in silenzio per qualche minuto, poi tornai con i piedi per terra e mi avvicinai a Paul, lo abbracciai da dietro e gli diedi un bacio sulla nuca. Posai la guancia sul maglione rosso scuro che indossava e dissi

-Paul passione cucina?-

-La mia intenzione era di portarti la colazione a letto, ma ormai tu sei qui-

-Devo preoccuparmi?-

-Intendi preoccuparti del fatto che tuo marito ti ama?-
mi chiese, poi si voltò e mi prese delicatamente il volto fra le sue mani -Se è così, allora si, devi preoccuparti- e mi stampò un bacio sulle labbra.
Mentre ci scambiavamo dolci effusioni da bravi neo-sposi, una voce ci interruppe.

-C'è per caso la colazione?-
Linda piombò indifferente in cucina. Un altro motivo per il quale comprammo una villa così grande: Linda abitava nel piano inferiore.
Ci staccammo velocemente e Paul rispose

-In realtà avevo preparato la colazione solo per me e Rio, credevo che ti preparassi la colazione per conto tua nella cucina di sotto-

-Si lo so, ma non ne avevo voglia. Pazienza, farò a metà con Rio. Non ti dispiace vero? Mangiare meno è il primo passo per dimagrire-
disse, rivolgendosi a me. Aprii leggermente la bocca e mi guardai la pancia.
Io e Linda non andavamo d'accordo, non so il perchè, io mi sforzavo ad essere carina e simpatica, ma lei proprio non mi digeriva. Pattie, Cyn e Mo dicevano che faceva la gallina con Paul, ma io non me ne accorgevo, o forse non volevo accorgermene...


-Cavolo Rio! Ma come fai a negarlo!?- mi chiese Cyn con la sua voce squillante. Dopo la colazione infatti andai a casa di George dove sapevo che avrei trovato anche Cynthia.

-Non è che lo nego Cyn, è che non è vero-

-Certo che a volte vuoi proprio sembrare sciocca eh?- si intromise Pattie con la sua voce profonda, mentre metteva sul fuoco la macchinetta del caffè. -Quella donna è cattiva-

-Non lo è-

-Te ne accorgerai-

-Che vuoi dire?-

-Pattie ha ragione, Rio. Sono sicura che prima o poi metterà il bastone fra le ruote all'armonia-

-A proposito di armonia Cyn, come va con John? Ti tradisce ancora?-
chiese Pattie. Non era mai stata una persona molto sensibile e con un minimo di tatto.

-Grazie Pattie. Comunque penso proprio di si, sai com'è, è andato via di casa. O meglio, l'ho cacciato di casa, non faceva niente di buono neanche per Julian, a questo punto era meglio che se ne andasse- poi sospirò -Chissà che cos'ha lei in più di me-

-Oh tesoro, assolutamente niente! E' John che è partito con il cervello-

-Si Cyn, John è fuori come un balcone, ormai le droghe l'hanno assorbito in uno stato confusionale e di rincoglionimento totale. Quella è solo una brutta, vecchia scimmia antipatica-
disse Pattie, mentre si picchiettava le tempie per far capire meglio il concetto.

-Oh, lo spero tanto, lo spero davvero tanto. Solo pensare al fatto che si sia stancato di me o che non mi ami più, mi distrugge- Cynthia diventava davvero triste quando parlava di John, così mi avvicinai e le accarezzai la schiena, dandole conforto. Lei mi guardò con un sorriso sforzato.
Certo, era brutto pensare a ciò che John mi disse il giorno del mio matrimonio mentre cercavo di consolare Cynthia, mi sentivo un po' colpevole del suo stato d'animo, ma davvero non me la sentivo di dirglielo. Se poi le avessi cominciato a raccontare, sarebbero venute a galla tutte le cose che dissi io a John, e a quel punto mi sarei sentita davvero una merda.
Perchè forse nessuno sa che...magari...un altro paio di "ti amo"...ce li siamo ridetti.


Quando nel pomeriggio tardo tornai a casa, non c'era nessuno. Paul e Linda erano andati a fare un giro e a mostrare il loro "amore" ai paparazzi.
Andai il bagno e mi sciacquai il viso, mi levai i vestiti e mi misi una tuta, quando tornai in salone, trovai un foglio dentro il mio libro. Lo aprii.

 

Potresti spiegarmi una cosa? Perchè sai, ancora non ho ben capito. Ma tu, ami John o ami Paul?
No perchè, ogni giorno ripeti a Paul quanto tu lo ami, ma io potrei essere a conoscenza anche di un segreto amore per John. Mi sbaglio?
Cynthia lo sa? E Paul? Natale è vicino: pensa che shock sarebbe per loro venirlo a sapere, che so, magari da una lettera sotto l'albero di Natale.
Dalla tua cara amica.



Non ci vidi più dalla rabbia. Presi a correre verso casa di John e Yoko.

-E' stato lui, per forza. Quel deficiente, ora lo ammazzo- sussurravo a denti stretti mentre camminavo a passo veloce.
Presi le chiavi di riserva sotto lo zerbino e spalancai con forza la porta.
In quel momento assistetti a una delle scene più brutte che io abbia mai visto.
Avete presente l'irrazionale paura degli aghi di John? Tutto falso.
Appena la porta si aprii, un lungo ago di una siringa piena di liquido si conficcò nel braccio di John. Lui si girò verso di me, mi riconobbe, il liquido entrò tutto nelle vene, non mi riconobbe più.



SPAZIO AUTRICE


Non mi defenestrate, sono tornata, anche se con un po' di ritardo.
Il fatto è che la scuola mi sta letteralmente uccidendo. Anche se i risultati si vedono, finalmente!
Vi piace il capitolo? Quello prima vi è piaciuto? Perchè ha ricevuto una sola recensione? D: Così mi demoralizzate però!
Alla prossima!

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Liverpool, 27 novembre 1967

Il solo pensarci mi struggeva. Era una cosa disgustosa. Finchè erano acidi, marijuana o cazzate simili l’accettavo, anche perché ci stavo sotto anche io, ma l’eroina no, cazzo. Quello schifo ti fondeva il cervello.
Il suo sguardo. Mi spaventò quasi. Le pupille divennero della dimensione dell’iride, faceva davvero impressione. Rimasi a bocca aperta, senza fiato. Il suo viso diventò arido come il deserto. Fu come se una gelida mano mi si posasse sulla schiena, mentre la faccia bolliva come un braciere ardente. Rimasi ferma sulla soglia per qualche minuto, incapace di muovermi, con lo sguardo fisso su John e Yoko. Yoko. Era tutta colpa sua. Da quando era piombata nelle nostre vite non aveva fatto altro che portare guai su guai.
Ero caduta in uno stato di tristezza e preoccupazione. E insieme alla storia di John, c’era quella di Linda e della lettera. Non sapevo davvero cosa fare, mi stava crollando poco a poco il mondo addosso. Neanche i miei amici riuscivano a tirarmi su di morale, ma d'altronde non potevo aspettarmi altro: loro non sapevano niente, e dovevano continuare a non sapere niente.
Non sapevano neanche che fossi incinta da quasi un mese.

Era un pomeriggio, di quelli che guardi fuori e dici che nel giro di un minuto scoppierà un temporale, uno di quelli che viene accompagnato da un cielo terso e nerissimo, ma, malgrado ciò, c’è un luce gialla che illumina tutto alla perfezione, e rende tutto più bello, come un quadro di qualche pittore ambulante che raffigura Montmartre: quei quadri che ti fermi a guardare, ma che alla fine non compri mai, e nessuno sa il perché.
Me ne stavo sul divano a fissare la televisione spenta. Forse ero a casa da sola, non lo sapevo, e non mi importava. Tenevo il labbro inferiore con la mano destra mentre lo mordevo, e con l’altra reggevo le gambe al petto. Ad un certo punto qualcunò bussò alla porta. Andai svogliatamente ad aprire.


[Narra John]
Avevo ferito Rio, di nuovo. Non era una novità, eppure faceva male come la prima volta.
Faceva fottutamente male. Come quando sbatti un piede al comodino, o quando sbatti il fianco all’angolo del tavolo. È proprio così che ci si sente, quando sbatti il cuore contro un muro. Yoko era il mio nascondiglio, la mia roccia, eppure c’era una roccia più grande, qualcuno che mi dava la forza, quella poca forza che avevo. Era proprio lei. Rio.

Decisi di andarla a trovare a chiederle scusa, senza Yoko. Sapevo che non le stava particolarmente a cuore.
Arrivato a casa sua bussai e rimasi a fissare lo zerbino. Ecco, mi sentivo proprio come lui.


[Narra Rio]
Spalancai la porta e vidi John. Gli occhi mi iniziavano a pizzicare e sentivo che si stavano riempiendo di lacrime. Tenni chiusa la bocca con difficoltà, poiché il mento mi iniziò a tremare leggermente. Non gli dissi neanche “ciao”, neanche “come stai?”; la prima cosa che mi uscì dalla bocca fu

-Fammi vedere le braccia-
Naturalmente John non lo fece. Si limitò a guardarmi con uno sguardo che chiedeva compassione. Poi attaccò a parlare

-Quando ti sei sposata, mi ero ripromesso di non fare più cazzate con te, perché anche solo l’averti lasciato sposare Paul fu un enorme sbaglio per il quale ancora mi mangio le mani. Non ti dirò mai quanto ho pianto quel giorno. No, non lo saprai mai. E non puoi neanche immaginare quanto sia difficile e doloroso camminare con un coltello piantato nello stomaco, fingendo che sia solo mal di pancia. E forse neanche ti importa. Mi sento inutile adesso, perché tu non hai più bisogno di me, ma io si, io ho bisogno di te. Mi dispiace, mi dispiace per tutto, per averti rovinato gli anni più belli della tua giovinezza- mentre parlava, dai miei occhi scendevano grosse lacrime calde, ma la mia espressione non cambiava: arida, fredda, ma triste e commossa -Ogni tanto mi guardo intorno e, si, c’è così tanta bellezza nel mondo. Poi guardo me e so che ormai il peso del male mi logorerà. E poi guardo te e, beh, tu non hai idea di cosa mi crei dentro ogni volta che fisso i tuoi occhi. E…-

-Basta-
lo fermai -Ho capito tutto, ora scusa, ma vado a riempire il mio cuscino di lacrime- così dicendo chiusi la porta e mi sedetti per terra.

-So che sei ancora qui- disse John da fuori la porta.

-Vattene- risposi. La mia voce era completamente tappata dal pianto, colma di dolore. E non me lo meritavo.


Un paio di giorni dopo andai a casa di John per parlare di quanto successo. Bussai e dopo qualche secondo mi venne ad aprire John. Era felicemente sorpreso della visita.

-Senti John, volevo parlar…-

-Tesoro vieni, è tutto pronto-
la voce di Yoko mi interruppe dall’altra stanza. Spalancai gli occhi, furiosa. John borbottò qualcosa, ma non ci vedevo più dalla rabbia. Gli diedi uno spintone facendolo togliere da davanti la porta. Mi precipitai nella camera dove stava Yoko e la vidi seduta per terra davanti ad un tavolino. C’erano siringhe, cucchiaini, elastici e altri oggetti che servivano per preparare una dose di quella merda.
Non sapevo cosa fare. Rimanemmo in silenzio per poco, poi d’istinto presi una siringa. Me la puntai al braccio.

-Me l’avevi promesso John, me l’avevi promesso. Adesso scegli: me o l’eroinomane con la sua roba?- non feci neanche caso alle parole che Yoko mi rivolse dopo che la chiamai “eroinomane”. Rimasi immobile, fissando negli occhi John. Lui mi guardava e i suoi occhi gridavano. Il suo sguardo passava da me a Yoko che sbraitava qualche cazzata. Poi mi riguardò, accennando un “no” con la testa. Volevo cadere a pezzi, sprofondare in una botola, diventare cenere, e cosa meglio dell’eroina mi avrebbe portato a ciò?

-Bene John, scelta tua. Vaffanculo- e mi infilai la siringa nel braccio. Mi sentivo malissimo. Anzi, benissimo.



SPAZIO AUTRICE

Vabbè, ormai neanche chiedo scusa.
Quanto è passato? Quattro mesi? Beh, meglio tardi che mai, no? Buona lettura, alla prossima!

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Liverpool, 4 dicembre 1967

[Narra George]
Ero tornato da poco a Liverpool dopo una serie di viaggi con Pattie.
Avevo trascurato un po' il lavoro con i ragazzi, ma soprattutto la mia migliore amica. Non la vedevo dal suo matrimonio, ed erano passati più di cinque mesi. Mi mancava da pazzi.
L'avevo chiamata e le avevo detto di venirmi a trovare a casa quando voleva.
Un giorno, mentre ero intento a strimpellare il sitar, sentii la porta bussare. Mi alzai, facendo cadere a terra tutti i fogli di appunti che avevo sulle gambe ed andai ad aprire. Trovai Rio a braccia aperte con un sorriso sulle labbra. L'abbracciai forte, tirandola leggermente su.

-Cavolo, mi sei mancato tantissimo-

-Anche tu! Non vedevo l'ora di rivederti. Entra pure-
.
Feci entrare Rio a casa, scusandomi ogni cinque passi per il disordine.

-Allora, raccontami un po' questi viaggi. Ti vedo abbronzato, com'era Haight Ashbury?-

-Beh, quando sono andato, pensavo di trovare un luogo dedito alla meditazione, con eccentriche persone pseudo-zingare che vendessero lavori fatti a mano e dipinti, invece ho trovato solo un mucchio di ragazzini brufolosi riuniti in questa specie di Mecca dell'LSD. Ho chiuso con quella roba, mi ha davvero aperto gli occhi su come riduce i giovani. Tu invece, cosa mi racconti? Come è andata la vita qui a Liverpool durante la mia assenza?-
. Vedevo Rio un po' nervosa e preoccupata. Si guardava le mani, tirandosi via le pellicine. Brutto segno. -Rio, che succede?-

-Se ti dico una cosa, mi prometti di non dirla a nessuno?-

-Cavolo, certo che si! Dimmi tutto-

-Beh, ecco-
era titubante e cercava di svagare molto -...io...sono rimasta incinta- il volto mi si illuminò, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, lei riprese a parlare -ma ho fatto una grandissima cazzata. Ho beccato John farsi di eroina. Lui qualche giorno dopo è venuto a casa mia per chiedermi scusa e io gli avevo quasi creduto, ci stava quasi riuscendo a farsi perdonare, finchè non sono andata da lui per dirgli che avevo accettato le sue scuse, ma l'ho trovato in procinto di farsi un'altra dose con Yoko. George, non ci ho più visto, sai quanto tengo a John. Gli ho chiesto di scegliere. Lui ha scelto la via sbagliata. Oh George- Rio scoppiò a piangere e mi si buttò tra le braccia -Mi sono iniettata la dose di John- continuava a piangere e il respiro le si faceva più affannato -L'ho perso George, l'ho perso-

-Ma no che non l'hai perso, sai che John fa sempr...-

-Non John, George. Il bambino, ho perso il bambino-
mi disse, con il volto poggiato sulla mia spalla destra. Sentii una sensazione di vuoto interiore, come se una parte di me se ne fosse andata. Rimasi impassibile, incapace di fare qualsiasi cosa. Non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare; Rio continuava a piangermi addosso ed a singhiozzare, e io non spiccicavo una parola. Mi limitai a posarle le braccia sulla schiena, accarezzandola, e ripetendole “andrà tutto bene”.

-E' tutta colpa di quell'idiota di John-

-Quella roba gli ha fritto il cervello, gli avevo detto di non esagerare-

-Aspetta un secondo-
Rio si staccò dalla mia spalla -tu sapevi che si faceva di eroina?-

-Sapevo che si faceva una dose ogni tanto-

-Ogni tanto? OGNI TANTO? Non hai pensato che l'eroina è una droga che crea dipendenza? Non hai pensato che potrebbe morire di overdose da un momento all'altro se continua così?-
Rio alzò la voce

-Tutti i santi giorni!- e così l'alzai anche io. Non alzavo mai la voce, salvo poche volte, e questa era una di quelle. Volevo farmi ascoltare, volevo essere serio, e questo era l'unico modo. Divenni freddo e distaccato -Ma purtroppo non sono sua madre e di certo non avrebbe ascoltato ciò che avessi detto-

-Avresti potuto provarci, avresti dovuto provarci-

-Mi credi davvero così stupido da non averci provato? L'ho fatto, eccome, più e più volte. Ma se addirittura ha rinunciato a te, non so davvero se John sia un caso recuperabile ormai. Teniamo tutti a lui, ma John è un adulto, e da adulto ha fatto le sue scelte e se ne è preso la responsabilità-

-Ma...-
il volto di Rio divenne deluso e triste, come la sua bassa e profonda voce -...lui è John. Lui è stato il mio primo tutto, la mia prima vera cotta, la mia prima volta a letto, la mia prima presa di posizione rispetto al mondo, il mio primo trasloco, la mia prima tragica rottura, il mio amico, il mio amante, il mio primo amore...il mio John-




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[Narra Rio]
Me ne andai da casa di George e camminavo lentamente verso casa mia. Tenevo le mani nelle tasche della giacca, faceva molto freddo.
Camminavo guardandomi le punte dalle scarpe e giocherellando con la fede all'interno della tasca.
Ero stata troppo brusca con George. Era ovvio che avesse provato a fermarlo e io non ero davvero arrabbiata con lui. Io ero arrabbiata...beh...non lo sapevo neanche io. Con John? Con Yoko? Con me stessa? Ormai tutta la mia esistenza si stava tramutando in un gigantesco punto interrogativo e tutto quello che riuscivo a fare era alzare le spalle e andare avanti, senza risposte, senza sospiri di sollievo, quelli che fai quando ti senti soddisfatto di qualcosa, quando sai che ciò che hai fatto farà bene a qualcuno.
Alzai lo sguardo, sgrullai la testa per levarmi i capelli dal viso e il fresco vento che tirava mi asciugò in pochi secondi le lacrime sulle guance.

Arrivai a casa, entrai e trovai Paul e John seduti sul divano che discutevano di qualche canzone. Salutai velocemente Paul e me ne andai al bagno di sopra, senza neanche guardare John.
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle. Posai le mani sul bordo del lavandino, aprendo l'acqua. Me ne gettai un po' sul viso, che lasciai bagnato. Guardavo fissa il mio riflesso, senza pensare a niente. Osservavo l'ingrandirsi e il rimpicciolirsi minimo delle mie pupille, analizzai ogni mia singola lentiggine, disegnai con lo sguardo il contorno delle mie labbra.
Ad un tratto, qualcuno bussò alla porta, facendomi sobbalzare. Sapevo già chi fosse.

-Cosa vuoi?-

-Volevo solo sapere se stavi bene, sai, dopo...-

-Di merda, grazie per l'interessamento. Ora, se non ti dispiace...-
dissi, chiudendogli la porta in faccia. Lui la fermò con un piede.

-Io...-

-Allora, ascoltami bene, apri quelle cazzo di orecchie. Io ho chiuso con te, per sempre, non ti voglio più vedere. Ti vedrò solo quando sarò costretta, ovvero quando ritroverò te e il tuo culo seduti sul mio divano a parlare con mio marito e con i miei migliori amici. Mi sono fatta un buco nel braccio per te e mi sono fatta scorrere tra le vene chissà quale porcheria.-
Gli occhi si inumidirono mentre parlavo, senza che me ne accorgessi, e la voce divenne tappata e nasale -Mi sono fatta un buco nel braccio. Mi sono fatta un buco nel cuore. Voglio cercare di cancellare la tua faccia di merda dalla mia testa e vivere finalmente felice. Ho perso tutto per te, ho perso il mio onore, ho perso la mia dignità, ho perso mio figlio per te- dissi, e scappai in camera, lasciando John, immobile in mezzo al bagno, con un peso grosso quanto una casa sullo stomaco e con la parola “figlio” tatuata nella mente.



SPAZIO AUTRICE


Ve lo sareste mai aspettato che avrei aggiornato così presto? Io di sicuro no!
Vi è piaciuto questo capitolo? Ho aggiunto un po' di George in questa storia, perchè ne era un po' povera.
Secondo voi ha fatto bene a reagire così Rio? Recensite, recensite, recensiiiiiteeeeeee!
Chissàààà cosa succederààààà in futuuuuroooo.
Un cuore grande a tutti voi♥
P.s. Mi sono innamorata di questa foto del Macca. Questo è decisamente il momento in cui è più bello, secondo me. La barba gli sta asdfghjkl *-*
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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Liverpool, 24 dicembre 1967

Vigilia di Natale. Vigilia di Natale più brutta di sempre.
Tutto era cupo e triste, ma giuro che non era per John. Mi rifiutavo di farmi rovinare il Natale, o anche solo pensare a John. Già, perchè ormai John Lennon era un capitolo chiuso della mia vita, non conoscevo più nessun John, a parte il mio postino.
Erano circa le otto del mattino e Paul stava sotto la doccia. Mi misi un cappotto pesante e uscii in veranda per fumarmi una sigaretta. La neve era altissima, il cielo grigio, il freddo pungente. Liverpool non era una bella città, non era neanche una città carina, anzi, faceva proprio schifo, ma era la mia città natale, e per questo la amavo.

-Salve signora Calazzi- salutai la nostra vicina di casa. Era una dolce signora anziana anglo-italiana.

-Buongiorno piccola Rio! Come sta tuo cugino Paul?- disse facendomi l'occhiolino. La signora Calazzi era l'unica persona esterna al nostro gruppo ristretto di conoscenti a sapere che io e Paul eravamo sposati. Fu molto leale e non spifferò mai a nessuno la verità. Era davvero una donna gentile, ogni tanto ci portava qualche piatto fatto in casa o qualche biscotto appena sfornato.

Accennai una risata -Tutto bene, grazie-. La signora sorrise e rientrò in casa. Aspirai l'ultimo tiro della mia sigaretta e la buttai per strada, poi rientrai in casa.

-Ti va di andare a fare gli ultimi regali con me oggi?-
Paul era uscito dalla doccia ed era andato in cucina a prendere un caffè.

-Con te? In città?-

-Dai, prima o poi dovrà capitare-

-Ecco, meglio poi-

-Ti prego, fin'ora sono dovuto andare in giro con Linda che mandava a quel paese ogni paparazzo e una volta ha praticamente traviato l'infanzia ad un bambino-
e implorandomi, fece la faccia da cucciolo.

Sbuffai -Eh va bene-

Ci preparammo ed uscimmo. Ero abbastanza tesa, se i paparazzi mi avessero fatto troppe domande non sapevo se sarei riuscita a mantenere la calma.
Camminavamo a braccetto, ma in modo molto amichevole, non facendo trasparire nessun affetto eccessivo. Io ero Rio, la cugina di Paul. Tutto qui, non dovevamo dare nessun'informazione in più per non destare troppi sospetti.
Inizia lo show. Un gruppo di ragazzine impazzite, una dozzina di paparazzi, un altro gruppo di ragazzine, madri di famiglia imbarazzate che chiedevano autografi, altri paparazzi.

-E tu chi sei?-

-La cugina di Paul-

-Come ti chiami?-

-Rio-

Questo era quello che mi limitavo a dire, sempre con un sorriso innocente stampato sul viso. Al resto pensava Paul.
Entravamo nei negozi e le commesse ci facevano saltare la fila e ci facevano lo sconto sugli acquisti. Alla fine non era niente male, tranne per la pressione e il nervosismo che tutta quella gente ti metteva.
Tornati a casa, mi misi a preparare la cena per gli invitati. Detto ai ragazzi e alle mogli di venire, a tutti...

-Senti Paul, ti dispiacerebbe dare buca a John e Yoko?- gli chiesi, parlando ad alta voce, facendomi sentire da Paul che stava nel salotto a sistemare l'albero.

-Cosa? Perchè? Non...non posso Rio, come faccio?-

-Sei intelligente, un'idea ti verrà in mente-

-Scusa ma...perchè?-

-Sai che Yoko non mi è mai piaciuta, e poi ho litigato con John-

-Davvero? Perchè non me lo hai detto? Cosa è successo?-

-Beh, è un folle, ecco cosa è successo. E non ho la minima voglia di vederlo-
. Paul non mi rispose.

Suonarono al campanello. Puntualissimi come sempre arrivarono George e Pattie. Li salutai calorosamente, stando attenta a non sporcarli con le mani unte di olio. Poi Pattie venne in cucina a darmi una mano, mentre George e Paul si accomodarono sul divano a bere.
Pochi minuti dopo arrivarono anche Ringo e Mo, con Zak, una piccola peste di due anni, e il piccolo Jason.
Andava tutto bene, finchè la porta non bussò nuovamente. Io fulminai con lo sguardo Paul, che, preoccupato, si guardò le scarpe. Andai ad aprire, furiosa, e mi ritrovai i due pazzi di turno sullo zerbino. E, come se non bastasse, spuntò Linda in salotto.

-Non ci credo- bisbigliai tra me e me. -Non ci credo, non ci credo...- il mio tono di voce di alzò piano piano e le mani mi finirono nei capelli. John e Yoko rimasero sulla soglia, un po' imbarazzati. -Ti avevo chiesto una cosa sola Paul, perchè non l'hai fatto?- Paul rimase immobile e muto -Mi hai rotto, ora scegli: me o loro-

-Rio...-

-Scegli-

-Ti prego...-

-Nessuno sa fare una cazzo di scelta giusta a quanto pare-
afferrai bruscamente le sigarette e il cappotto e uscii di casa, sbattendomi bruscamente la porta alle spalle, sentendo i richiami imploranti degli invitati. Mi sedetti sulle scale del portico, mi sedetti a terra e mi accessi una canna che tenevo nel pacchetto delle mie Marlboro Rosse.
Dopo poco più di un minuto vidi Paul e John nel balconcino chiuso a vetrate che parlavano. John aveva un'aria tremendamente mortificata mentre Paul lo ascoltava a braccia conserte. Iniziarono a discutere. Io non sentivo nemmeno una parola. Improvvisamente John mi indicò e si girò verso di me, Paul fece lo stesso, deluso. Il tempo che buttai fuori il fumo dalla bocca che Paul lanciò un pugno in faccia a John. Mi alzai preoccupata e rientrai velocemente in casa. Paul si fiondò nell'atrio, seguito dagli invitati e da John che si teneva il naso, colante di sangue.

-Perchè non me lo hai detto?- mi chiese furioso

-Di cosa?-

-Di nostro figlio-
rispose freddo. Io non dissi una parola.

-Allora sono io che me ne devo andare-. Prese la giacca e se ne andò.


SPAZIO AUTRICE

Eeeeeeccoci quaaaaa.
Dopo una quarantena di quasi una settimana causa febbre a 40, sono tornata con un nuovo capitolo.
Stavo rileggendo i capitoli vecchi, e mi sono accorta che al capitolo 26 avevo detto che sarebbero mancati pochi capitoli alla fine AHAHAHAHAHAHAH che illusa! Il fatto è che mi sono troppo affezionata a questa storia *noi no* oooh ben tornato Ringoo! Dolce come sempre!
Non vi vedo molto attivi cari, cosa vi è successo? Recensiiiiteeee ç.ç
Un bacione a tutti, alla prossima.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Liverpool, 31 dicembre 1967

-Si può sapere quando smetterai ti tenermi il broncio?-. Era Capodanno e Paul mi aveva rivolto si e no tre frasi in sette giorni.
Era mattina e ci trovavamo entrambi in cucina. Presi la caffettiera e vidi che era vuota. La porsi a Paul, alzando un sopracciglio

-Sul serio?- gli chiesi. Lui non mi guardò neanche negli occhi. Prese il giornale, bevve un sorso di caffè dalla tazza e si diresse verso il bagno -Davvero molto maturo da parte tua!- gli gridai alle spalle. Qualche secondo dopo sentii la porta del bagno sbattere.
Non mi piaceva litigare con Paul, diventavo triste e aggressiva.

-Problemi tra i piccioncini?- e poi c’era Linda che spuntava sempre nei momenti meno opportuni: penso avesse una specie di sesto senso.

-Buongiorno Linda- dissi, cercando di essere gentile.

-C’è il caffè?-

-Il signorino se l’è preparato solo per sé. Lo sto facendo, ne vuoi?-

-Si, per favore-
rispose, accendendosi una sigaretta. Tutto tacque, nessun commento negativo o sarcastico. Strano. -Mi sembri nervosa, vuoi?- disse, porgendomi il pacchetto. Sorrisi e sfilai una sigaretta dal pacchetto. “Che diavolo succede?” pensai. Lei mi sorrise a sua volta. -Senti, so che magari non ne vuoi parlare e che non sono affari miei, ma perché l’altra sera e successo quello che è successo?-

-Lo sai-
risposi un po’ imbarazzata, guardandomi le mani.

-In realtà mi sono persa la parte in cui Paul tira un pugno a John, e anche la causa- disse.
Esitai un momento. Linda stava davvero facendo la carina con me o tentava di incastrarmi? Beh, in quel momento chiunque fosse stato nella mia situazione, pur di non sentirsi solo, si sarebbe aggrappato a qualsiasi appiglio. Quindi mi fidai dell’istinto.

-Devi sapere che c’è stato qualche scontro tra me e John…- e le raccontai la storia della droga e del bambino. Linda si limitò a dire “Capisco, mi dispiace”.
Ci fu qualche momento di silenzio.
Ma si” pensai.

-Quel biglietto che mi scrissi circa un mese fa mi fece davvero incazzare, ma vuoi sapere la verità?-
-Certo-

-Avevi ragione, in realtà tra me e John non è mai finita. Non fraintendere, non fisicamente, ma mentalmente-
e le dissi del matrimonio e di tutta la dolcezza e l’amore che si infondeva nell’aria ogni volta che io e John stavamo nella stessa stanza, quella dolcezza e quell’amore di cui nessuno di accorgeva.
Dovevo essere completamente impazzita, eppure la mia bocca non si fermava e confessava tutti quegli scheletri che tenevo nell’armadio. Alla mia peggior nemica.
Mentre raccontavo, vedevo la faccia di Linda affamata di segreti.
Quando poi finii, le dissi

-Ma quindi, tra noi è tutto a posto?-

-In fin dei conti mi sei sempre piaciuta-
rispose. Poi si alzò dalla sedia e mi abbracciò.
Davvero strano.-Stasera vieni alla festa di Capodanno?-

-Si-
risposi

-Bene, allora a stasera- disse, facendomi l’occhiolino. Poi si voltò, andando verso la porta del corridoio che collegava le due case. -Sarà pieno di sorprese- quasi sussurrò, senza neanche voltarsi a guardarmi.

----




-Pattiee!- gridò George da dentro la casa -La portaaaaaaa!-
Dopo pochi istanti, un bellissimo esemplare di Pattie Boyd mi aprì la porta, mentre si infilava un orecchino.

-Ciao R-

-Cavolo P, stai benissimo!-
le dissi. Lei girò su se stessa e fece un piccolo inchino, sorridendo.

-Ha ragione, sei bellissima- affermò George che, spuntando dalla porta del soggiorno, diede prima un bacio a me e poi a Pattie.

-Sbrigatevi, la festa è iniziata da un secolo!-

-Bisogna farsi desiderare-
mi rispose George, facendomi l’occhiolino.

Mentre ci dirigevamo verso il party, gli raccontai dello stano episodio della mattina, tralasciando ovviamente la parte della lettera di Linda e tutte le confessioni.

-Solo questo: stai attenta- si raccomandò Pattie.

-Non saprei, sembrava così carina e sincera-

-E tu sei una credulona-

-Smettila-
dissi.

Arrivati alla festa, erano ormai le 23:30. Non vedevo Paul da nessuna parte. E neanche Linda. Però vidi John. Pattie e George andarono da Ringo, Mo, John e Yoko, e io, non avendo nessuna voglia di vedere e sentire quell’essere spregevole, andai a prendere qualcosa da bere.
Al bancone mi trovai fianco a fianco con Eric Clapton. Ci conoscevamo ormai da qualche anno ed ero una delle poche persone a sapere del suo amore infinito per Pattie.

-Guarda guarda chi si vede, Rio Bertrand-

Mi voltai verso di lui -Eric Clapton, quanto tempo!- ci abbracciammo. -Che piacere rivederti!-

-Anche per me. Wow, sei uno schianto-
disse, guardandomi da capo a piedi.

-Anche tu, ti trovo davvero bene-

-Che ne dici di dirlo anche a Pattie?-
mi diede delle leggere gomitate sul braccio, facendomi l’occhiolino.

-Eric, sei bello e sei simpatico, ma ti ricordo che sono la migliore amica di George- dissi ridendo, anche lui rise. Era questo che mi piaceva di lui: era molto autoironico. Volevo davvero bene ad Eric, era una persona deliziosa e stare con lui era sempre un piacere.
Ordinammo da bere e parlammo del più e del meno, tanto che passò quasi mezz’ora. La mezzanotte era vicina.
Ci muovemmo verso il gruppo, alla quale ancora non si erano uniti Paul e Linda.
Poco dopo, mancava quasi un minuto a mezzanotte, vedemmo i due uscire dal bagno, con i vestiti sfatti e i capelli arruffati.
Avrei voluto sprofondare in una botolo in quel preciso istante. Il drink mi cadde dalla mano, tutti rimasero a bocca aperta e un silenzio gelido si fece prepotente tra di noi. Non riuscivo a parlare. Ci passarono accanto. Paul si fermò davanti a me, con Linda sottobraccio.

-D’altronde tu ami John, no?- sentirono tutti. Volevo morire in quel momento. -Andiamocene a casa Linda- disse, senza smettere di guardarmi negli occhi. Linda accennò un malefico risolino e, quasi trascinata da Paul, si fermò con fatica davanti a me

-Piaciuta la sorpresa?- disse, scoppiando a ridere, e andandosene sottobraccio con mio marito.

-3, 2, 1…BUON ANNO!- un déjà vu. Un Capodanno di merda, come sette anni prima.



SPAZIO AUTRICE

Tornata, eccomi, tranquilli *nessuno sentiva la tua mancanza, tranquilla*
Piaciuto? C’è anche Eric *-*
Sta diventando peggio di Beautiful questa storia, madò!
Ora vado a dormire che sennò i miei genitori mi lanciano il computer dalla finestra, altrochè!
Un bacio belli♥

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Liverpool, 1 gennaio 1968

Mi svegliai con la tristezza e lo sconforto che si erano annidati nel mio petto.
Non sapevo cosa pensare o come sentirmi. Ero triste, sì, arrabbiata, sì, ma sentivo come una sorta di libertà che mi scorreva nelle vene. Ma, ogni volta che la percepivo, la solitudine mi prendeva, e tornava tutto peggio di prima: era un circolo vizioso.
Ovviamente nè Paul nè Linda erano tornati a casa, e io quella notte rimasi da sola in quella casa enorme, dispersiva.
La mattina mi preparai il caffè e mi sedetti al tavolo, guardando fuori dalla finestra. Era una brutta giornata, grigia e fredda, una di quelle giornate che solo l'Inghilterra ti riesce a donare quasi 365 giorni all'anno.
Soffiai sul caffè, ne bevvi un sorso e poi posai nuovamente la tazza sul tavolo.
Eccomi qua. Ventisei anni, sposata da poco più di sei mesi, già stata tradita ed avere tradito, quasi-madre. Uno schifo insomma. Adesso che ne sarebbe stato di me? Cosa avrei fatto della mia vita? Ero ancora giovane e senza un briciolo di idee su ciò che avrei potuto fare.
Me ne stavo seduta al tavolo, con la fronte poggiata sul palmo della mano, a giocherellare con delle briciole di pane secco rimaste sulla tavola dopo la mia ultima cena con Paul.

Quel pomeriggio la depressione era diventata la mia migliore amica: girovagavo per la casa senza una meta, senza darmi pace; mi sedevo sul divano per alzarmi dieci secondi dopo, andavo in bagno, mi pettinavo i capelli, andavo in cucina, bevevo un goccio d'acqua. E poi suonò il campanello.
Non mi aspettavo nessuno, ma chi poteva essere se non i miei soliti e soli amici?
Andai ad aprire

-E' inutile che venite a consolarmi e cercare di farmi uscire-dissi, prima di guardare in faccia il mio ospite.

-Allora direi proprio che devo andarmene- rispose. Era una voce familiare, ma non solita. Alzai lo sguardo. Era Eric.

-Oh Dio, Eric scusami tanto!- -Figurati, hai del tutto ragione. Vuoi che me ne vada?-

-Assolutamente no! E' sempre un piacere stare con te, entra pure- mi feci più felice. Come ho già detto, Eric era una persona squisita, era impossibile non voler stare con lui. -Scusa per il disordine, ma, sai, sono stati tempi duri e la cura della casa è l'ultima cosa a cui ho pensato-

-Tranquilla. Emh...ti ho portato...-
e tirò fuori da dietro la schiena un mazzo di tulipani gialli.

-Oh Eric, non dovevi! Sono stupendi-

-Questo è il minimo per essermi imbucato a casa tua in una giornata così difficile-

-Mi farà solo che bene parlare con te-
poi rivolsi un altro sguardo ai fiori -Diamine, sono davvero bellissimi. Sono i...-

-Tuo preferiti. Lo so-

Lo guardai sbalordita -Te lo sei ricordato?-

-Certo che si-

-Cavolo, probabilmente Paul neanche lo ha mai saputo-
dissi, quasi sussurrando tra me e me.
Ci mettemmo sul divano, io preparai il caffè e azionai un bel vinile, uno di quelli perfetti per dei pomeriggi da passare con un caro amico che non vedi da anni. Parlammo, ridemmo, bevemmo, ballammo. Incredibile a dirsi, ma passai le tre ore più spensierate di tutto quel periodo. Eric aveva questo potere con me, riusciva a farmi sciogliere, tranquillizzare e rallegrare con poche semplici mosse, cosa che nessuno riusciva a fare, neanche George.
Mentre ballavamo come due pazzi a ritmo di Elvis, lui mi prese per i fianchi e disse

-Rio, sei mia amica e ti voglio bene, per questo ti dico di non arrenderti-
A quelle parole mi bloccai istantaneamente

-Sai che c'è? Hai proprio ragione. Paul è il mio fottuto marito e merito di tenermelo. Ora vado da lui e glielo dico- Come una tornado spensi la musica e mi andai a cambiare. Uscimmo di casa e chiusi la porta.

-Vieni con me?-

-Non rischio di incontrare Pattie-

-Come vuoi. Allora ci vediamo-

-Non saprei, io parto in questi giorni. Sarai disponibile a passare un altro pomeriggio in mia compagnia?-

-Assolutamente-

-Allora forse ci rivedremo presto-
e se ne andò, stampandomi un bacio sulla fronte e dandomi l'in bocca al lupo. Non lo vidi più per un altro paio d'anni.
Mi diressi verso la sede della Apple, la casa discografica che stavano per aprire, più determinata che mai. La tristezza si era tramutata in fermezza.
Quando arrivai erano circa le 19:30. Appena suonai il citofono, uscirono tutti e quattro dal portone, parlando di una qualche canzone che stavano incidendo. Si muovevano in gruppo, quasi a testuggine, e Paul stava di spalle. Quando gli altri mi videro, si zittirono e si fermarono, allora Paul si girò, dicendo "Cosa c'è?". Si zittì anche lui. Tutto il coraggio che avevo crollo d'un tratto. Ci fu un silenzio imbarazzante e, dopo qualche secondo, parlai, in contemporanea con Paul

-Ti devo parlare- dicemmo insieme, all'unisono. Paul face un passo in avanti, facendomi fare un passo indietro anche a me, per non farsi sentire dagli altri

-Vediamoci tra mezz'ora davanti al Cavern, andiamo a cena fuori-.
Il mondo tornò a brillare. Doveva dirmi che aveva fatto un grande errore e che voleva che tornasse tutto come prima. Io gli avrei detto cosa pensavo e tutto si sarebbe risolto al meglio.
Ero strafelice. Mentre mi dirigevo verso il Cavern, con una sigaretta in bocca, sorridevo ad ogni cosa che mi passava davanti. Il fumo del tabacco di confondeva con il fumo prodotto dalla temperatura esageratamente fredda, ma non mi importava, nulla poteva avere un effetto negativo su di me in quel momento. Tutto mi sorrideva.

Arrivò Paul. Il tragitto al ristorante fu breve ma abbastanza imbarazzante.
Entrammo, ci sedemmo, ordinammo da bere.

-Immagino tu ti stia chiedendo perchè io ti abbia portata a cena fuori- mi chiese. Io annuì. -Beh, è una cosa difficile da dire, quindi prima parla tu. Cosa dovevi dirmi?-

Il sangue prese a ribollirmi nelle vene, le guance divennero calde e rosse. Era il momento -Sta mattina pensavo al mio futuro. Provavo ad immaginarlo: triste, insoddisfacente. E sai perchè? Perchè tu non eri al mio fianco. Abbiamo fatto una grandissima cazzata; io sono pronta a prendermi le mie colpe, come spero tu sia pronto a prenderti le tue. So che potrebbe suonare come una pretesa egoista, e so che sono stata io a far iniziare tutto questo casino, ma devi ammettere che anche tu hai sbagliato. Io ti amo Paul, da sempre e per sempre, e voglio che questo matrimonio continui- parlai con il cuore in gola. Anzi, con il cuore in mano, tesa verso Paul. Aspettai una sua reazione, una risposta, un cenno.

-Rio, voglio il divorzio-



SPAZIO AUTRICE


Ariecchime.
E' maggio, gli uccelli cantano, il sole riscalda, i fiori sbocciano, e io sto a casa a studiare come un mulo (?).
Vi è piaciuto il capitolo?
AIUUUUTO E ORA CHE SUCCEDERAAAA'? Muahahahah!
Tanti baci lettori miei, continuate a recensire che mi riempite il cuore con i vostri commenti♥

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Londra, 2 gennaio 1968

Quella mattina presi un pullmann e mi diressi a Londra, dove sapevo che Mick e gli altri stavano lì per un po', prima di partire per il tour americano.
Arrivata a Londra, mi incamminai verso casa di Mick. Arrivata lì davanti lessi su un citofono "MJ". Suonai il campanello e mi aprirono. Entrai nel portone e bussai alla porta di ingresso. Mick Jagger spalancò la porta.

-Che piacere rivederti mia cara-

-Caro Mick, ti fai sempre più bello-

-Beh, perchè ancora non hai visto il tuo Keith-

Keith Richards. Mi presi una mega sbandata per lui la prima volta che lo vidi. Era così sexy, il vero e proprio cattivo ragazzo, altro che John Lennon. Non era assolutamente niente in confronto. Era l'incarnazione della trasgressione, esattamente il mio opposto. Era il ragazzo con la motocicletta con cui i tuoi genitori non volevano che ti ci vedessi, il ragazzo che si faceva tutte e poi le cacciava come mosche. E io me ne presi una cotta fin dall'inizio, quando ancora non era così popolare.

-Perchè, c'è anche lui?- chiesi impaziente a Mick, sporgendomi dentro la casa per cercare di vederlo o sentire la sua voce.

-Si piccoletta, c'è pure lui-

Sbuffai in segno di disapprovo -Piccoletta a chi, nanerottolo?- dissi, mettendomi in punta di piedi per arrivare più o meno all'altezza di Mick. Pur'essendo un anno più grande di lui, rimanevo comunque più bassa. Lui sorrise scuotendo un po' la testa. Mi piaceva tantissimo quando Mick sorrideva, amavo le sue labbra, così grandi e carnose, ne ero tremendamente gelosa, ed era una cosa che gli facevo sempre presente, e lui mi prendeva in giro ogni volta, cercando di farmi rosicare.
Entrammo in casa e ci dirigemmo verso il salotto, io qualche metro dietro di lui. Arrivati alla soglia del salone, Mick si fermò e disse

-Hey ragazzi, guardate un po' chi è venuta a bussare alla nostra porta?- e subito spuntai io, un po' a disagio, salutando timidamente con la mano e con un tremendo "ciao". Si alzarono tutti, venendomi a salutare. Tutti tranne Keith, che se ne stava spaparanzato sul divano, con una mano in fronte e un'altra sulla pancia, con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia.
Salutai amorevolmente Ronnie, Charlie e Brian. Ero andata lì da loro per svagarmi e non pensare a tutto ciò che mi stava succedendo in quel periodo. Ero andata lì per divertirmi, ed è ciò che avrei fatto. Cambiai il mio atteggiamento da "ragazzina timida ed impacciata" a "ragazza forte e sfacciata". Mi avvicinai leggermente a Keith, che era rimasto lì seduto a guardarmi e a sorridere.

-Hey tu, che è? Non si salutano più le vecchie amiche?- gli chiesi, replicando il suo stesso sorrisetto.

-Ciao vecchia amica- disse lui con fare distratto e con una voce leggermente rauca, facendomi un occhiolino e abbassando poi lo sguardo sulla sua maglietta. Keith sapeva benissimo della cotta che avevo per lui e sfruttava ciò a suo vantaggio, facendomi sciogliere con semplici occhiatine o sorrisi.

-Non sei cambiato affatto-

-Questo significa che ti piaccio ancora-
disse senza alzare lo sguardo. Non capivo se era un'affermazione o una domanda, ma conoscendo la sua sfacciataggine penso proprio che fosse un'affermazione.

-E' un bene o un male?-

-Questo dimmelo tu-
rispose, squadrandomi per poi arrivare ad incrociare il mio sguardo, sempre sorridendo maliziosamente.

Era ormai ora di pranzo e tutti eravamo affamati. Mi portarono a pranzo fuori, in un ristorante italiano che conoscevano bene e nel qualche non avremmo avuto disturbi eccessivi.
Ci sedemmo ad un tavolo, vicino a me c'erano Mick e Ronnie. Keith, guardando in cagnesco Ronnie, lo fece alzare e si sedette al suo posto.

-Scusami, ma io volevo Ronnie vicino a me, non te-

-Ma per favore-
disse, quasi sbuffando, mentre afferrava un menù. Mi sporsi sul tavolo, guardando Ronnie e alzando le spalle in segno di scusa. Lui rispose con un sorriso appena accennato e un segno della mano.
Mentre mangiavamo, Ronnie mi chiese

-Allora Rio, come mai sei venuta da noi?-

-Già, dove hai lasciato il tuo maritino e gli altri tre sgangherati?-
ribattè Keith, senza girarsi a guardarmi.

-Beh, ecco, in realtà in questo periodo abbiamo un po' di problemi e dovevo staccare la spina-

-Che tipo di problemi?-
chiese Mick, leggermente preoccupato.

-E' complicato e non mi va molto di parlarne. Diciamo problemi matrimoniali, si vede che non era destino-. Percepii un leggero sussulto di Keith, che si pulì la bocca e si girò verso di me

-Ma davvero? Che peccato!- mi disse, sbarrando gli occhi, ma senza nascondere una certa felicità. Sentii che Ronnie bisbigliò a Keith "non ci provare neanche" e aggrottai leggermente la fronte. Prima che potessi dire o chiedere qualcosa, Charlie mi interruppe.

-E quindi sei venuta da noi per...?-

-Non ti sembra evidente, Charlie?-
mi precedette Keith. Si voltò poi verso di me -Alla nostra piccoletta serve un po' di divertimento stile Rolling Stones-

*




Sniffai un'altra striscia di cocaina. Gli occhi bruciavano, grossi come due rocce; un fischio rimbombava nella testa, come la sirena di un'ambulanza e i pensieri erano spariti. In casa c'era musica a palla, bottiglie di alcohol vuote ovunque, un'enorme cappa di fumo sopra le nostre feste e droga, tanta droga. La percezione del tempo e dello spazio era completamente andata a farsi benedire. Ballavo senza sosta, ridevo per ogni minima cosa, urlavo, cantavo.
Non capivo assolutamente nulla, tranne il fatto che avrei voluto Keith appiccicato sulle mie labbra. E invece lui se stava sul divano con una sgualdrina che gli si strusciava addosso. Lui aveva la sua solita espressione mista tra il soddisfatto e il disinteressato che mi dava così sui nervi, con quelle labbra che sporgeva leggermente verso l'esterno. Aspirai un altro tiro dalla sigaretta e mi diressi verso di lui. Detti un forte spintone alla tizia che gli stava addosso e la levai da mezzo, poi mi sedetti sopra di lui, buttandogli il fumo in faccia.

-Guarda un po' chi è uscita dalla tana del Bianconiglio- disse lui ridendo, con gli occhi quasi chiusi

-Ma cosa diamine significa?- gli chiesi, scoppiando a ridere. Penso fosse davvero uno spettacolo comico per chiunque ci avesse visto: sembravamo due pazzi che parlavano del più e del meno.

-Cosa vuoi fare piccoletta? Sei sposata e...- non lo feci finire di parlare che fiondai la mia bocca sulla sua. Sentii gli altri ridere ed applaudire alle nostre spalle, ma non ne tenni per niente conto. Ero partita con il cervello e facevo tutto ciò che la mia mente diceva di fare, senza ascoltare la mia coscienza. D'altronde uno dei miei desideri si stava esaudendo. Insomma, Keith Richards a quei tempi era uno degli uomini più richiesti e io ero completamente vittima del suo fascino.
Ci alzammo e andammo verso la camera da letto. Facemmo l'amore per tutta la notte, e fu il sesso più trasgressivo e spinto che avessi mai fatto. Quel ragazzo mi faceva impazzire, e la droga amplificava tutte le emozioni.
Pensare che i Beatles pensavano stessi facendo visita ad alcuni miei lontani cugini...


SPAZIO AUTRICE

Eccomi tornata.
Scusate l'assenza ma tra la fine di scuola e gli esami di mia sorella, il computer è stavo praticamente off limits. Ma sono uscita senza debiti, cosa che mi rincuora tantissimo!
Eh insomma, Rio ha fatto un po' la puttanella, eh? Ehehe.
Erano secoli che volevo fare un capitolo con i miei dolci Rolling e finalmente ce l'ho fatta!
L'altro giorno sono andata al loro concerto e vedendo tutto lo swag di Keith Richards ho detto "perchè non creare l'inciucio con Rio?". Et voilà!
Eeeeh si, sono andata al concerto ed è stata una cosa pazzesca asdfghjkl pensate che la madre e lo zio di una mia amica (ossia Giuseppe Tornatore) sono andati a cena con i Rolling Stones e quando lei me lo ha detto la stavo per uccidere perchè ha subito aggiunto "a me fanno schifo! Non ho pensato a dirtelo a te, così ci andavi al posto mio" MA LI MORTAAAAAAAAAACCI TUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA! Ho sbroccato, si.
Vabbè, oggi sto blaterando veramente troppo.
Alla prossima miei belli e dolci lettori.

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