I'd Just As Soon Kiss A Wookie di Sophie Hatter (/viewuser.php?uid=16304)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'd Just As Soon Kiss A Wookie ***
Capitolo 2: *** Sorry, sweetheart. I haven't got time for anything else ***
Capitolo 3: *** "Comunque presto ce ne andremo." "E anche tu te ne andrai..." ***
Capitolo 1 *** I'd Just As Soon Kiss A Wookie ***
1 - “I’d Just As Soon Kiss A Wookie”
I am nothing
more than
A
little boy inside
That
cries out for attention,
Yet
I always try to hide
cause
I talk to you like children,
Though
I don’t know how I feel
But
I know I’ll do the right thing
If
the right thing is revealed
(Staind,
“Epiphany”)
Buffo che quasi non
consideri affatto una fortuna l’essere sopravvissuto.
Dal momento in cui avevo
rimesso piede nella base, dopo aver affidato Luke alle cure dei
paramedici ed essermi scrostato il ghiaccio residuo di dosso, tutti gli
ufficiali di grado inferiore o superiore al mio mi hanno battuto almeno
una volta una vigorosa pacca sulla spalla, congratulandosi con me per
il mio coraggio e per lo scampato pericolo. In realtà, penso
volessero soltanto lavarsi la coscienza per avermi dato del pazzo
furioso nel momento in cui avevo deciso di saltare in groppa al mio
Tauntaun e avventurarmi in quella tempesta di neve crepuscolare per
andare a salvare un uomo che, secondo le normali probabilità
di sopravvivenza, avrebbe dovuto essere già spacciato.
Solo lei non ha osato
sfiorarmi con un dito.
Non una stretta di mano,
un colpetto sull’avambraccio, un lieve tocco sulla scapola,
soltanto uno sguardo muto e tagliente, le labbra strette, serrate in
una linea sottile, un muscolo lievemente contratto sulla guancia
destra. Mi è sembrato che avesse gli occhi lucidi, ma sono
quasi sicuro di essermi sbagliato. Figurarsi se sua altezza reale
potrebbe concedersi di apparire debole ed emozionata di fronte a me.
Tutto ciò che le è uscito di bocca è
stato un grazie
pronunciato con un filo di voce; successivamente, senza quasi lasciarmi
nemmeno il tempo di risponderle con un ironico “Non
c’è di che”, è corsa via
dietro la barella di Luke, camminandogli a fianco mentre gli
accarezzava i capelli e gli sussurrava parole di dolce conforto
all’orecchio. Io, disgustato da quella scena così
drammaticamente stucchevole, non ho fatto altro che ritrarmi
nell’ombra, salutare Chewbacca cercando di evitare lo
strangolamento e andare a chiudermi nella cabina di pilotaggio del
Falcon. Ho trascorso lì circa un’ora senza quasi
muovere un muscolo, fissando il vuoto con la fronte aggrottata e la
bocca semichiusa, mentre mi sentivo formicolare il cervello nel
tentativo di non pensare a niente. Dire che mi aspettavo un abbraccio
commosso è forse troppo, ma almeno un segno
d’affetto, una frase gentile, non le sarebbero costati poi
così tanto.
Ho cominciato a
spaventarmi, chiedendomi per quale motivo ho compiuto un simile gesto
di folle eroismo gratuito. Perché volevo davvero salvare
Luke da morte certa, o perché mi aspettavo di essere
idolatrato da lei per il mio atto di provvidenziale coraggio? Tutti qui
hanno preso a trattarmi da tempo come uno di loro, uno di quelli che
agisce per il bene universale in nome di un innato altruismo intriso di
generosità, ma la verità è che
probabilmente sono rimasto lo stesso Han Solo che contrabbandava per
Jabba de’ Hutt, quello che in vita sua non ha mai fatto
niente per niente.
Tuttavia di questa crisi
esistenziale, a dire la verità, in fin dei conti mi importa
ben poco; quello che davvero mi interessava era sentirmi per una volta
oggetto della sua ammirazione. Non perché io abbia bisogno
di ricevere la sua approvazione per ogni mio gesto, e nemmeno
perché il mio ego smisurato sente la necessità di
essere adulato da una persona che non ha mai riconosciuto i miei
meriti. No, è che semplicemente avrei voluto ricevere un
indizio del fatto che lei nutra un qualche tipo di squallido e patetico
sentimento nei miei confronti, dato che per me disgraziatamente
è così: provo qualcosa per lei, qualcosa che mi
vergogno perfino ad ammettere con me stesso e che sicuramente non ho
mai provato prima nel corso della mia vita di perfetto egoista. Ad ogni
modo, considerato che entro poco tempo mi toccherà partire
senza nemmeno la certezza di poter fare ritorno su questo stramaledetto
pianeta di ghiaccio, avrei gradito da parte sua un minimo di conforto,
di sollievo dalle mie ridicole pene.
E invece, niente di
niente.
È corsa da
Luke, dopo avermi a malapena degnato di uno sguardo e di una parola a
mezza voce. Nonostante ci fossi anch’io a rischiare di morire
assiderato là fuori. Evidentemente, però, il
sottoscritto è totalmente indegno di ricevere il suo affetto
prezioso.
Sono talmente irritato
che potrei rischiare di prendere a calci la mia stessa nave, motivo per
cui decido di allontanarmi e di andare a vedere come sta Luke. So bene
che probabilmente la troverò lì al suo capezzale
ad osservarlo con le lacrime agli occhi, ma ormai il mio autolesionismo
ha raggiunto limiti tali che questa è solo una bazzecola al
confronto. Magari potrò anche divertirmi a bersagliarla con
battutine sarcastiche per farle notare quanto sia stata impietosamente
ingrata nei miei riguardi, così poi la farò
irritare e finiremo per litigare di nuovo, insultandoci come
d’abitudine. Ma almeno la smetterà di stare col
fiato sul collo a Luke.
Chiamo Chewie e ci
avviamo tutti e due verso l’area medica, senza scambiare una
parola. So che mi sta tenendo d’occhio con aria preoccupata
perché percepisce la mia evidente frustrazione, ma non ho
voglia di parlarne e lui lo sa. Ha notato che ormai da un po’
di tempo sono strano, che da quando ho deciso che era il momento di
abbandonare questo branco di ingenui sognatori per andare a salvarmi la
pelle da Jabba sono diventato ancora più irritabile del
solito, che tutte le volte che Leia mi passa davanti io mi irrigidisco
e assumo un’espressione cupa. Ma non ha senso abbandonarsi a
confidenze sconsolate, non risolverebbe assolutamente niente: io
continuerei ad avere una pericolosa taglia sulla testa, e lei a non
ricambiare i miei sentimenti.
Mi faccio indicare
seccamente il luogo in cui hanno portato Luke, e pochi attimi dopo
faccio il mio ingresso trionfale in una stanza asettica in cui il mio
amico galleggia privo di coscienza in una vasca piena di
chissà quale liquido, un respiratore che lo tiene in vita e
un droide medico che assiste all’intera operazione producendo
occasionali brontolii meccanici. Lei è lì, come
previsto. Non emette un suono né muove un solo muscolo, fino
a quando non le rendo manifesta la mia presenza camminando verso di
lei, mentre tento inutilmente di ostentare una fredda indifferenza.
Getto prima un’occhiata fugace a Luke, rabbrividendo per lui:
non ho mai tollerato nessun genere di cure mediche, nemmeno nelle
condizioni di salute peggiori, e se fossi stato io quello che delirava
a faccia in giù nella neve con le membra congelate, credo
che avrei preferito rimanerci piuttosto che farmi manipolare da una
serie di assurdi macchinari. Meglio lui che me, insomma. Faccio un
altro paio di passi e mi affianco a Leia, tenendo le mani incrociate
dietro la schiena, domandandomi quale potrebbe essere
l’argomento più adatto con cui dare avvio alla
conversazione. Le condizioni di Luke? Scontato. La sua freddezza nei
miei confronti? Irriverente. I miei sentimenti per lei? No, non posso
davvero pensare di dirglielo, suonerei assurdo alle mie stesse orecchie.
Però forse la
sua espressione sbalordita mi procurerebbe un briciolo di sciocca
soddisfazione.
“Come
sta?” ho optato per l’ipotesi scontata, considerata
la potenziale pericolosità delle altre due: una mi avrebbe
portato a sgolarmi con grida di rabbia, l’altra a
polverizzare in un solo istante tutta la dignità che ancora
posso vantarmi di possedere.
“È
fuori pericolo, per fortuna,” mi risponde, con un insolito
calore. Evidentemente sentiva il bisogno di qualcuno su cui sfogare il
suo sollievo, non ha importanza se anche si tratta di una persona che
detesta.
“Magnifico.”
Un pizzico di sarcasmo mi sfugge. Non era proprio mia intenzione
– o forse sì. Al diavolo. Purtroppo non sono in
grado di correggere il tiro. Incrocio le braccia sul petto e appoggio
il peso sulla gamba sinistra, sforzandomi di non gettarle
più di un’occhiata di sbieco.
“Tu
stai… bene?”
Distolgo lo sguardo dal
corpo di Luke che galleggia inerte nella vasca, fissando Leia dritto
negli occhi con un’espressione apertamente stupita. Per un
attimo sono davvero pronto a illudermi che si stia sinceramente
preoccupando per me, ma poi, per grazia dei Sith, il mio onnipresente
scetticismo interviene a riportarmi con i piedi per terra.
“Mi reggo in
piedi senza problemi, non lo vedi?” rispondo, questa volta
calcando intenzionalmente il sarcasmo nel mio tono di voce. Lei storce
la bocca in un’espressione di disgusto, distogliendo lo
sguardo da me.
“Hai ragione,
non so proprio perché ho perso tempo a
domandartelo.”
Già,
è la stessa cosa che mi chiedo anch’io. Non vedo
perché senta ancora il bisogno di sbrigare simili
formalità tra di noi; non sono così stupido da
illudermi che le importi veramente qualcosa della mia salute, quando
fino ad ora non si è staccata un momento dal capezzale di
Luke.
“Ti ringrazio
comunque per il sincero interessamento,” borbotto a denti
stretti, anche se probabilmente avrei fatto meglio a trattenermi; mi
ero proposto di imboccare la strada delle frasi di circostanza, non
quella dello scontro aperto.
“Cosa
pretendevi, di essere riverito regalmente?”
Oh, è riuscita a cogliere l’ironia della mia
affermazione. Magnifico. Non la facevo così sagace. Ormai
sono nei guai fino al collo, tanto vale che prosegua su questa linea di
condotta.
“No,
Principessa, sono ben consapevole del fatto che questo genere di onori
è applicabile solo a te,” le rispondo, forzando i
toni e incrociando più strettamente le braccia, mentre sento
l’irritazione invadermi da capo a piedi.
“E allora per
quale motivo sei venuto qui ad attaccarmi?”
“Perché
ritenevo che per aver salvato la vita al tuo protetto meritassi
qualcosa di più dei tuoi freddi ringraziamenti.”
Devo riconoscerlo, non
sono mai stato particolarmente furbo nell’intuire quando
è il momento più opportuno per lasciar cadere una
discussione e ritirarmi in un dignitoso silenzio, reprimendo il mio
bisogno innato di avere sempre l’ultima parola, soprattutto
nei casi in cui il mio interlocutore è una principessa
altezzosa e saccente che risponde ad ogni mia provocazione con scoppi
di rabbia assolutamente entusiasmanti. L’unico effetto
collaterale di questa mia mancanza è che in certi casi le
sue reazioni risultano essere particolarmente dannose per il
sottoscritto, soprattutto nei momenti in cui intervengo a forzare la
mano mentre lei è evidentemente sotto pressione. Questa
è proprio una di quelle volte, perciò posso
soltanto sospirare in modo quasi impercettibile e osservarla stringere
le labbra e fissarmi con uno sguardo infuocato che mi provoca
un’ambigua eccitazione, nella mia sostanziale
impossibilità di mantenermi serio di fronte a lei.
“Non mi sembra
né il luogo né il momento adatto per le tue
discussioni infantili, Han,” mi dice, nel classico tono secco
e perentorio di chi non ammette repliche. Sarò anche un caso
senza speranze, ma adoro vederla arrabbiata. Forse perché
è l’unico tipo di occasione in cui giunge
pericolosamente vicina a perdere il controllo. Senza contare che mi
manda in visibilio quando pronuncia il mio nome in quel modo. Come ha
fatto ieri, quando mi ha rincorso fuori dalla sala comandi, per dirmi
che credeva che sarei rimasto…
“Per te non
esistono mai un luogo e un momento adatti,” rispondo, a denti
stretti. Non ho più voglia di discutere. Il ricordo della
discussione del giorno prima ha risvegliato in me una serie di
sensazioni spiacevoli che non desideravo rivivere proprio ora, in un
momento in cui mi sarebbe fondamentalmente necessario mantenere la mia
superiorità distaccata.
“Senti, ti
siamo tutti estremamente grati per quello che hai fatto, ma ogni tanto
mitigare le tue manie di protagonismo ti farebbe soltanto
bene…”
“E a te
farebbe bene smetterla di nasconderti dietro quel plurale di
convenienza. Se tu mi sei grata, perché non me lo dici
chiaramente?”
La sto provocando oltre
ogni limite, ma in questi giorni mi risulta impossibile trattenermi.
Potrei sparire completamente dalla circolazione non appena
lascerò questo blocco di ghiaccio, potrei rimetterci la
pelle nel tentativo di salvarmela, e morirei con il rimpianto di non
averle mai gridato in faccia quanto la odio per aver giocato
spietatamente con i miei sentimenti.
“L’ho
già fatto, ma evidentemente deve esserti
sfuggito,” replica lei, inarcando un sopracciglio. Io mi
pianto saldamente sulle gambe, affrontandola a viso aperto.
“Ed
è il massimo di cui sei capace?”
“Non riesco a
capire che pretese tu abbia!”
“Perché
evidentemente le tue capacità affettive si esauriscono del
tutto nei confronti del ragazzino.”
Questo non avrei dovuto
dirlo, nella maniera più assoluta. La mia pretesa di
ottenere la rivincita dopo la delusione di ieri è
decisamente legittima, ma non doveva tradursi in termini simili.
Magnifico, Han. Le hai espressamente detto che sei geloso marcio di
Luke, complimenti davvero. Ora puoi anche scordarti di condurre il
gioco.
“Ti comporti
come un bambino,” sentenzia lei, in tono tagliente. Io mi
stringo nelle spalle, sforzandomi di ostentare la massima noncuranza di
cui sono capace. Sono estremamente bravo a fingere, è una
delle mie scarse caratteristiche che mi sono utili quando mi devo
tirare fuori dai guai.
“Dovresti
provare ad ascoltarti, sei… un vero idiota.”
Si mette sempre
d’impegno quando si tratta di insultarmi, credo che dovrei
considerarlo un vero onore.
“Perfetto, la
prossima volta mi metterò da parte e lascerò che
sia qualcun altro ad addentrarsi in una bufera di neve con cinquanta
gradi sotto zero.”
In questo momento, la
parte più nera della mia coscienza mi sta sibilando
all’orecchio che forse davvero l’ho fatto soltanto
perché speravo nella sua calorosa riconoscenza.
“Nessuno ti ha
chiesto di farlo.”
Si sta infervorando sul
serio, e io non riesco a fare altro se non crogiolarmi in questo
ennesimo diverbio, dando sfogo a tutte le mie esigenze di
impulsività.
“Hai ragione,
ma d’ora in poi mi chiamo fuori. La parte dell’eroe
non mi soddisfa nemmeno un po’,” sentenzio, fiero
di me stesso.
“Sicuramente
ti si addice molto meno rispetto a quella del mercenario
arrogante.”
“Ammettilo,
è proprio questo che ti piace di me.”
“Ora basta,
Han, sparisci!”
Con le guance
imporporate di un rossore violento, gesti bruschi poco consoni per una
persona del suo rango e il fuoco negli occhi tipico di quando riesco a
pungerla sul vivo, Leia mi spinge verso l’uscita in preda ad
una furia incontrollata. Io assecondo i suoi gesti, troppo sorpreso e
inebetito per opporre una qualche resistenza, e come reazione di
conseguenza mi sfugge dalla gola una risata incredula. In una
debolissima frazione di secondo riesco anche a concentrarmi sulla
pressione delle sue mani a contatto con la mia schiena, ma arriviamo
troppo presto alla porta perché la sensazione possa
risultare apprezzabile.
Mi volto di scatto,
aggrappandomi allo stipite della porta, fermo in piedi davanti a lei,
mentre mi sforzo di ergermi in tutta la mia altezza per sovrastarla e
intimidirla, in realtà riuscendo soltanto a sentirmi
avvampare per la pericolosa vicinanza che ho involontariamente
instaurato tra me e lei.
Per un attimo la
tensione trionfa, pesando su di noi come una cappa di nebbia e
facendoci rimanere immobili l’uno di fronte
all’altra, senza proferire una sola parola, gli sguardi che
faticano ad incrociarsi. Ed è in quell’attimo che
realizzo l’entità del mio impellente desiderio di
baciarla. Istintivamente terrorizzato dalla prospettiva di compiere un
gesto così fuori controllo, spingo la testa
all’indietro come per allontanarmi quel tanto che basta da
raggiungere una distanza di sicurezza dalle sue labbra,
dopodiché la fisso dritto negli occhi e mi concedo
un’espressione di sorridente e sfacciata malizia atta
soltanto a farla sentire in imbarazzo.
“Ti sarei
grato se prima di cacciarmi tu potessi restituirmi il
Wookie,” le dico, scandendo le parole su una
tonalità volutamente provocante. Lei mi restituisce uno
sguardo a metà fra il velenoso e l’imbarazzato.
“Certo, se tu
volessi attuare il tuo proposito di baciarne uno, posso sempre
lasciartelo a disposizione per il tempo che ti
serve…”
La porta mi si chiude in
faccia con uno scatto secco. Rimango a fissarla a labbra strette per
qualche secondo, nel disperato tentativo di scacciare dalla mia testa
tutte quelle fastidiose voci interiori che continuano a darmi dello
stupido. Trascorso questo breve lasso di tempo, Chewie mi compare
davanti cogliendomi nella mia perfetta immobilità, e solo
allora riesco a riscuotermi e a ridarmi un contegno.
“Ok, amico,
andiamocene via,” gli dico, senza attendere conferma. Mentre
mi incammino per i corridoi semivuoti, il rauco ruggito del mio fedele
compagno peloso mi risuona alle spalle con insistenza. Sospirando, mi
blocco su due piedi e mi volto a guardarlo.
“No, non ho
esagerato. È lei che non si può permettere di
trattarmi così.”
Lo sguardo che Chewie mi riserba non è proprio
così concorde e sostenitore come mi aspettavo. In risposta
ricevo un ruggito sommesso, indagatore, dubbioso.
Mi stringo nelle spalle,
sfoderando un sorriso obliquo di mera consolazione.
“Ad ogni modo,
non ti ha dato nessun bacio. Questo significa che preferisce me a un
Wookie, per quanto si affanni ad affermare il contrario.”
Chewie mi guarda senza
dire niente, reclinando la testa di lato.
“Senza offesa,
è chiaro,” aggiungo, prima di tornare ad
incamminarmi verso l’hangar principale. Riflettendoci in
silenzio, giungo alla conclusione che forse la mia osservazione non
è poi così campata in aria, dopotutto. Magari se
me lo ripeto un paio di volte di seguito finirà per
sembrarmi un’argomentazione convincente, e
riuscirò a riacquistare un briciolo di sicurezza in me
stesso.
Piccola nota su dove voglio
andare a parare: a parte il puro piacere di scrivere su
questa coppia che adoro follemente fin da quando avevo sì e
no 9 anni, il mio scopo è quello di mettere a nudo le
insicurezze di Han, le sue frustrazioni e il suo pessimismo riguardo al
suo rapporto con Leia. Anche se spesso e volentieri questo suo modo di
porsi lo conduce a fraintendere numerosi atteggiamenti di Leia nei suoi
confronti. Si deve tener conto che il punto di vista è
quello di Han, perciò non deve stupire se spesso Leia viene
vista e intesa come una persona che pare non nutrire alcun interesse
nei suoi confronti: Leia è contorta, non esprime mai i suoi
sentimenti in modo diretto, e quando si sente forzata reagisce con una
buona dose di cattiveria. Ergo, Han interpreta tutto nel modo peggiore
possibile, si sente amareggiato e frustrato, e si crogiola in questa
sua sorta di “ottusità”. Il mio progetto
è quello di inserire al massimo quattro episodi in questa
raccolta, tutti considerabili come dei missing moments di ESB o ROJ. Il
prossimo sarà ambientato nel momento in cui Han, Leia,
Chewie e 3BO sono sul Falcon nascosti nella cavità
dell’asteroide e stanno tentando di riparare alla meglio il
“pezzo di ferraglia”. Le altre due saranno
ambientate una su Bespin, prima che Lando riveli il suo tradimento e
loro finiscano nelle grinfie di Vader, l’altra subito dopo
che Han è stato liberato e Jabba distrutto, mentre se ne
stanno andando da Tatooine. Ultima cosa: ringrazio infinitamente
Beatrice, che mi ha fatto da beta reader in modo egregio.
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Capitolo 2 *** Sorry, sweetheart. I haven't got time for anything else ***
2 - "Sorry,
sweetheart. I haven't got time for anything else"
Come up to
meet you,
Tell
you I’m sorry,
You
don’t know how lovely you are.
I
have to find you,
Tell
you I need you,
Tell
you I’ll set you apart.
Nobody
said it was easy, it’s such a shame for us to part.
Nobody
said it was easy, no one ever said it would be this hard.
Oh,
take me back to the start.
(Coldplay, “The Scientist”)
Ero fiero di me per
averla fatta infuriare così. Davvero stupidamente fiero di
me.
Solo che poi mi
è passata. Mi sono avviato alle riparazioni tutto tronfio e
orgoglioso del mio puntualissimo sarcasmo, ma mi è stata
sufficiente una decina di minuti di lavoro lento e frustrante per
cominciare a darmi dell’idiota
fantademente. E ora, la situazione continua a peggiorare,
sprofondando verso un baratro di cui stento a vedere il fondo.
Chiariamoci, il mio
obiettivo è forse quello di negarmi ogni
possibilità di successo con lei rovinandomi con le mie
stesse mani? Perché è proprio questo che ho
appena fatto. Sono perfettamente conscio del fatto che, quando la
faccio infuriare così, le cose tra noi si riaggiustano
davvero solo dopo molto, molto tempo. Primo, perché lei
è una di quelle persone che sarebbe capace di portare
rancore verso qualcuno per anni. Secondo, perché io sono
troppo radicato sul mio piedistallo di superiorità virile
per poter pensare di piegarmi a chiederle scusa. Terzo,
perché passi la prima volta, passi anche la seconda, ma
questa non è né la prima né la seconda
volta. Sarà la millenovecentocinquantaseiesima, come minimo,
da quando abbiamo avuto il piacere di conoscerci. Dunque, non posso
nemmeno sperare in un moto di indulgenza eccezionale da parte sua. Leia
è ancorata al suo piedistallo di superiorità
almeno quanto lo sono io, se non di più. No, beh, non
esageriamo. Di più non è possibile. Sono io
l’uomo, in questa situazione.
Comunque, l’ho
combinata grossa per l’ennesima volta. Il bello è
che sono perfettamente cosciente di quello a cui vado incontro nel
momento in cui le rispondo per le rime, ma sul momento non mi riesce
mai di trattenermi. Il classico esempio di stupido e inerte vizio, di
cui non si riesce a liberarsi con nessuno sforzo di volontà,
per quanto ammirevole.
Ma adesso, che ne sia
convinto o meno, mi risulterebbe più conveniente se
riuscissi a rappacificarmi con lei, considerato che, appena
avrò riparato questo trabiccolo e
l’avrò scortata sana e salva fino al punto di
rendez vous, dovrò dirigermi immediatamente verso Tatooine,
pregando che Jabba non abbia già fatto allestire una sala
delle torture unicamente riservata a me. È
l’ennesima volta che me lo ricordo, ma i fatti sono questi:
è possibile che ci lasci la pelle. E, diavolo d’un
Sith, non posso lasciarcela senza aver almeno tentato di farle sapere
quanto io… quanto io cosa? Andiamo, è ridicolo.
Io sono ridicolo. Mi ricorderà come l’uomo
più patetico che abbia mai tentato di corteggiarla. Ma
almeno dovrò farle sapere che cosa mi ha fatto passare, con
la sua ostinazione e la sua rabbia nei miei confronti. Dovrà
saperlo e sentirsi in colpa per questo. Così, se davvero ci
lascerò la pelle, almeno forse verserà qualche
lacrima per il rimorso, se non per altro.
Farò in modo
che mi abbia sulla coscienza, questa è una promessa a cui
non intendo sottrarmi.
Sta di fatto che ora
devo assolutamente escogitare qualcosa.
Prima di tutto, forse
sarebbe meglio se incominciassi a ristabilire un dialogo, anche se
forzato e imbarazzante. Perché se non ci provo nemmeno, a
ristabilire un dialogo, potrei anche aspettare mille anni nella
speranza che lo faccia lei, ma sarei davvero un povero illuso.
Bene, vediamo di mettere
in atto questo buon proposito.
“Servirebbe
una mano, di là,” esordisco, dopo essermi
timidamente permesso di fare il mio ingresso nella cabina di
pilotaggio, dove ci siamo lasciati giusto pochi minuti fa dopo quello
scambio di frasi imbarazzanti. Ma è meglio evitare di
pensarci, adesso. Anche perché ciò che sta
accogliendo le mie parole è un silenzio ancora
più imbarazzante di quello scambio di battute.
“Sempre se
pensi di poter fare qualcosa.”
Forse sto suonando un po’ troppo presuntuoso. Meglio
correggere il tiro. Non troppo, non voglio mica umiliarmi. Ma almeno un
pochino, è necessario.
“Non si tratta
di un lavoro difficile, c’è una valvola da saldare
che penso possa fare al caso tuo…”
“Benissimo.”
Leia scatta in piedi, rigida come un automa. Si dirige verso di me
senza nemmeno guardarmi in faccia. Alza gli occhi solo nel momento in
cui è costretta a fermarsi di fronte a me, perché
sto evidentemente bloccando la sua unica via d’uscita.
Tento di farle un
sorrisetto ironico, ma mi sembra che mi sia uscita soltanto una smorfia
tirata.
“Dov’è
questa valvola?” mi chiede lei bruscamente, corrugando la
fronte. Ma una punta di imbarazzo trapela dalla sua voce e le guance le
si colorano di rosso, forse per questa nostra piacevole vicinanza
momentanea, e io mi sento accelerare il battito cardiaco.
Potrei baciarla,
così, senza preavviso, in effetti.
Ma non credo sarebbe una
buona idea.
Dopo il modo in cui le
ho risposto, è fortemente probabile che finirebbe per
prendermi a schiaffi. Devo lavorarmela ancora un po’, prima
di passare alla mossa più compromettente.
“Di
là, vieni.”
Mi volto e le faccio
strada, sentendomi avvampare. Sono proprio un codardo, non
c’è che dire.
Mi fermo di colpo quando
in mezzo alla distrazione mi accorgo di essere giunto a destinazione, e
lei mi sbatte lievemente contro. Ci sto davvero facendo la figura dello
stupido.
“Scusa,”
le dico, voltandomi indietro e trovandomela ad una distanza
pericolosamente ravvicinata. Lei stringe le labbra, gettandomi uno
sfuggente sguardo di sottecchi.
“Beh…
ecco, ci siamo. Questi sono gli strumenti che puoi usare…
non sarà una cosa lunga, non preoccuparti.”
“Sta’
tranquillo, non mi lascio certo spaventare dal tuo pezzo di
ferraglia.”
Il tono è
lievemente secco, ma si è rivolta a me con la sua solita
ironia di repertorio. Forse, dopotutto, sono riuscito a
riguadagnare qualche punto.
Ma non ho il tempo di
soffermarmi a gongolare un secondo, che lei ha già messo
mano agli strumenti da lavoro e si accinge a dare inizio a
ciò che ho usato come scusa per rivolgerle nuovamente la
parola.
“Bene, allora,
se è tutto a posto, ti lascio lavorare in pace,”
le dico, frettolosamente, dopo aver notato che mi sta squadrando con
perplessità. Mi volto di scatto e faccio per allontanarmi,
quando sento risuonare la sua voce alle mie spalle.
“Per una volta
hai capito quand’è che la tua presenza diventa
inopportuna,” mi dice, sfoggiando il suo tipico sarcasmo
irridente. Il sangue mi sale alla testa, stringo i pugni per contenere
l’irritazione e ho già praticamente la risposta
pronta sulla punta della lingua nel momento in cui mi volto di nuovo
verso di lei, ma poi un lampo mi attraversa la mente e mi rendo conto
che non devo ricaderci.
“Lieto di
averti fatto un favore, Altezza,” rispondo, cercando di
sfogare tutta la mia reattività nel modo in cui scandisco
lentamente ogni sillaba. Dannazione. Era proprio necessario, dovermi
costringere a umiliarmi in questo modo?
Mi allontano, senza
darle il tempo di elaborare un’altra replica a cui so di non
poter rispondere come vorrei. L’impazienza comincia a
scorrermi dentro, pervadendomi da capo a piedi. Io non sono capace di
aspettare, di fare le cose con calma. Io quello che voglio
l’ottengo subito. Oppure, per meglio dire, cerco di ottenerlo
subito. Forse, se mi comportassi veramente da uomo e agissi senza
pensarci due volte, avrei più successo di quanto penso di
poterne avere muovendomi con tutta questa cautela. Non credo di esserle
poi così indifferente, da un punto di vista obiettivo. Ogni
tanto, in passato, sono stato più che capace di farla
surriscaldare come si deve. Forse mi sto semplicemente facendo
annebbiare il cervello da tutta quella foga rabbiosa con cui lei tenta
puntualmente di respingermi e che è in grado di ridurmi in
uno stato pietoso, in cui comincio a non essere più tanto
sicuro di quello che faccio. Prima di conoscerla non ero
così. Non avevo problemi come questi e stavo ben attento a
preoccuparmi di cose ben più serie e vantaggiose per me
stesso. Perdermi in questo marasma di elucubrazioni senza né
capo né coda non mi sta portando da nessuna parte,
perché, nonostante ci sia la possibilità che io
stia andando incontro alla morte, per ricordarmelo mi tocca fare uno
sforzo, mentre per pensare a lei non ho bisogno nemmeno di compiere
qualche associazione logica, in quanto ha conquistato
l’assoluta priorità all’interno delle
mie riflessioni.
Tuttavia, ci sono molti
elementi che concorrono ogni volta a fiaccare le mie più
nobili intenzioni nei suoi riguardi.
Primo fra tutti, il modo
in cui si comporta con Luke.
Ogni volta che li vedo
insieme, la loro complicità e sintonia lampanti mi
colpiscono come una violenta sferzata in pieno volto. Fa male,
perché mi rendo conto che io e lei non potremo mai
condividere niente di simile, nemmeno con le migliori intenzioni.
Perché c’è una diversità di
fondo che è stata irrimediabilmente segnata fin dal momento
in cui ci siamo conosciuti: Luke è stato quello con cui lei
ha deciso di comportarsi gentilmente, quello che di colpe non ne aveva,
quello ingenuo e dolce, quello di cui ci si poteva fidare. Io, invece,
sono stato immediatamente marchiato come l’irresponsabile,
l’arrogante, il mercenario, quello che rende le cose
difficili, quello che osa mettere in discussione la sua
autorità e che pertanto necessita di essere rimesso al suo
posto. Ancora adesso, è così che stanno le cose.
È così che lei si pone nei miei riguardi, tutte
le volte che le capita di avere a che fare con me. Mai un momento in
cui abbassi la guardia, in cui metta da parte il desiderio di farmi
sentire inferiore a lei, di dimostrarmi chi è che comanda.
Mi è sempre piaciuto questo rapporto così
combattivo, perché nonostante tutto significa che ha trovato
pane per i suoi denti e che nessuno fra tutte le sue numerose
conoscenze aveva mai avuto la sfacciataggine necessaria a sfidarla
così apertamente. Eppure, mi rendo conto che tutto questo
rappresenta anche la nostra immane debolezza. Perché, se
continuiamo a litigare così furiosamente, non ci
sarà mai tempo
per fare qualcos’altro.
Mi sono chiesto spesso
che diavolo abbia Luke più di me, per essersi meritato il
suo trattamento privilegiato. In quanto a coraggio, direi che siamo
pari. Forse, addirittura, la mia innata avventatezza e la mia sfacciata
fortuna mi concedono il privilegio di superarlo, in quanto spesso mi va
talmente bene che ciò che ho fatto senza riflettere assume,
a posteriori, i connotati di un atto di coraggio. Va bene, la fortuna
forse non dipende da me, ma l’impulsività
sì e anche la capacità di intuire quando
è il momento giusto per metterla in pratica.
Forse è
perché si dà l’aria di saper
controllare quella mistica stupidaggine, la Forza. Dice di voler
diventare un cavaliere Jedi, cosa che probabilmente esercita il suo
fascino su una donna. Ma in termini di praticità
è ridicolo. I cavalieri Jedi si sono estinti da almeno una
ventina d’anni ed è inutile sognare di poterli
resuscitare. Un solo cavaliere Jedi non può fare niente
contro la flotta Imperiale.
O forse è
perché lui è quello che compie le azioni
più nobili. A ben pensarci, sono riuscito a guadagnarmi un
vero sorriso da Leia solo nelle occasioni in cui ho agito per salvare
stupidamente la pelle a qualcuno, come durante la battaglia di Yavin.
Lì sì che mi ha dimostrato veramente un briciolo
di affetto.
Ma forse l’ha
fatto soltanto perché con il mio intervento ho salvato la
vita proprio al suo Luke.
Ora è il
momento di smetterla, però. Sto superando ogni soglia di
patetismo mai intravista. Dopotutto, voglio bene al ragazzino. Non mi
ha fatto niente di male e non si merita di essere bersagliato
mentalmente con queste insinuazioni velenose. Il problema, alla fine,
non è lui. Il problema è Leia. E se preferisce
Luke a me, la responsabile è soltanto lei, anche se forse io
ho vivamente collaborato per rendermi insopportabile ai suoi occhi.
Ma ecco che, per grazia
dei Sith, qualcosa interviene ad interrompere le mie distrazioni.
Anche se non
è niente di piacevole, anzi.
Mi allarmo nel sentire
che un paio di colpi sembrano esplodere fin troppo vicino alla nostra
posizione, però poi li percepisco allontanarsi e capisco che
non c’è niente di cui preoccuparsi.
Nonostante tutto, il
droide idiota si è bloccato come in preda ad una crisi di
panico e Leia ha deposto la maschera protettiva per sporgersi
timidamente al di fuori dello scomparto in cui sta lavorando,
lanciandosi qualche occhiata nervosa intorno.
Io riemergo dagli abissi
delle mie stupide riflessioni, dipingendomi in faccia
un’espressione rassicurante.
“Va tutto
bene, stanno solo cercando di stanarci,” annuncio, ostentando
la mia calma più lucida. Forse dovrei sorridere, ma mi
accorgo di non riuscirci e, piuttosto che esibire una smorfia
ridicolmente forzata, è meglio che rinunci in partenza.
“Pensi che
ritorneranno?”
“No, siamo
troppo ben nascosti perché possano tirare a indovinare.
Tieni in conto che hanno un intero campo di asteroidi da perlustrare
alla nostra ricerca…”
Mi accorgo solo ora che
mi ha rivolto la parola, e che non c’era traccia di durezza
nella sua voce.
Quasi stento a crederci.
“Torna al
lavoro, ferraglia dorata,” ordino, nel tentativo di
riacquistare la padronanza di me. Incespicando, il droide protocollare
si rimette prontamente a fare il suo lavoro, mentre io torno a
concentrarmi su Leia. Subito dopo, mi rendo conto di non sapere affatto
che cosa dire.
“Immagino che
valga la stessa cosa anche per me,” mi dice lei, con aria
lievemente ironica. Io mi sento colto alla sprovvista e nel tentativo
di tergiversare sfoggio un sorriso obliquo che mi fa sentire
tutt’altro che tranquillo.
“Beh, se
preferisci puoi fare una pausa…” propongo, in tono
vago, sforzandomi di suonare sicuro di me.
La guardo, e il suo
volto è improvvisamente diventato una maschera di imbarazzo
che sembra stia tentando disperatamente di reprimere.
“Se non
ricordo male, avevi detto che non c’era tempo per fare
qualcos’altro.”
I suoi occhi magnifici
mi fissano con intensità per un solo, brevissimo attimo,
dopodiché mi dà le spalle e torna a lavorare.
Io rimango
lì, immobile, senza respirare.
Maledizione.
Senza nemmeno provare
l’impulso di replicare, mi volto anch’io e mi
allontano, a passi nervosi. Se continua così, io
diventerò matto. Non riesco a trovare una dannata strategia
che sia in grado di funzionare.
Forse dovrei gettare la
spugna, rinunciare e andare a morire con serenità.
Perché non ho
più pace da quando ho iniziato a pormi l’obiettivo
di compiere un gesto decisivo con lei. Sono perennemente nervoso, non
riesco a concentrarmi, dovrei riuscire a sistemare questo trabiccolo
per tempo se non preferisco consegnare me stesso e i miei compagni di
viaggio nelle mani dell’Impero…
Improvvisamente, il
droide protocollare attira la mia attenzione.
“Signore…
non so dove la sua nave ha imparato a comunicare, ma usa un linguaggio
molto insolito. Credo che dica che il giunto di potenza
sull’asse negativo è stato polarizzato. Temo che
dovrà cambiarlo.”
L’irritazione
mi sale al cervello seduta stante.
“Ma certo che
dovrò cambiarlo,” rispondo, nel tono
più arrogante e presuntuoso che sono in grado di sfoggiare.
Come se lo sapessi già da me, senza che quello stupido pezzo
di ferraglia dorata dovesse intervenire a farmelo presente.
Devo ammetterlo, ci
sguazzo proprio con piacere nel mio caratteraccio.
“Tieni.”
Passo a Chewie un fascio di cavi, poi mi guardo le spalle e richiamo la
sua attenzione.
“È
meglio cambiare il giunto di potenza negativo,” gli dico, a
mezza voce. Ci tengo ancora, a salvare il mio orgoglio.
Passo di fronte allo
scomparto in cui sta lavorando il mio incubo regale, e non riesco a
fare a meno di fermarmi a guardarla.
Possibile che di me non
ne voglia davvero sapere?
Poi mi torna in mente
una cosa, una cosa che avevo del tutto rimosso.
“Ma
che ho fatto?!” esclamai, guardando Luke ad occhi spalancati.
Lui mi fissò con un’espressione a metà
fra l’apprensivo e l’incerto, dopodichè
si strinse nelle spalle.
“Cerca
soltanto… di essere carino. Non dico sempre, non saresti
più tu… ogni tanto, però, non ti
farebbe male.”
Mi
aveva battuto un’amichevole pacca sulla spalla e se
n’era andato, lasciandomi solo a riflettere su quello che era
appena successo.
Ma
ero fin troppo irritato con Leia per soffermarmi a riflettere sulle sue
parole.
Devo fare qualcosa, e
devo farlo subito. Non posso più permettermi altre
esitazioni. È ora o mai più, e non posso
concedermi il lusso di tirarmi indietro, pena la mia salute mentale.
Sospiro profondamente, e
sollevo gli occhi da terra. Vedo che è in
difficoltà nel reinserire la valvola e improvvisamente un
lampo di genio mi attraversa la mente.
Cerca
di essere carino.
Nessun problema. Ci
riuscirò. Richiamando tutta la mia ben nota fiducia in me
stesso, faccio un altro respiro profondo e mi avvicino discretamente,
con l’intenzione di darle una mano.
Nota di fine one shot:
ci tengo a ringraziare di nuovo Beatrice che mi ha ancora una volta
fatto da beta, e ringrazio tutti quelli che hanno recensito la scorsa
shot, non mi aspettavo che fosse così apprezzata: dato che
ho un attimo di tempo per respirare in mezzo alla preparazione degli
esami, vi rispondo individualmente qui sotto.
x Jenny76: ti
ringrazio per l'apprezzamento. Smaniavo dalla voglia di scrivere una
Han/Leia, dato che li shippo fin da quando ho visto Star Wars per la
prima volta (il che risale a quando avevo più o meno otto
anni, e non capivo la metà delle cose di cui parlava il
film), e in più non sono mai riuscita a trovare in giro una
fanfiction su di loro, a parte qualcuna in inglese di tanto tempo fa.
Contentissima poi che tu condivida il modo in cui vedo Han: la sua
insicurezza non emerge apertamente dal film, se non in rare occasioni,
ma proprio per questo mi sono divertita ad analizzarla.
x Irene Bitassi: ti
ringrazio, sentirmi dire che i personaggi risultano credibili mi fa
ovviamente piacere, perché ho cercato di fare il possibile
per costruire dei dialoghi coerenti con quelli del film, anche se certe
battute restano impareggiabili. Spero proprio ti sia piaciuta anche la
seconda shot.
x padmeskywalker: non
me lo dire, adoro Han da quando ho visto Star Wars per la prima volta,
è sempre rimasto il mio personaggio preferito. Grazie per i
complimenti!
x Ellie: hai
ragione, anch'io ho trovato veramente poche fanfiction su di loro.
Infatti quando mi sono messa a scrivere non ero così sicura
di trovare qualcun altro che li apprezzasse. Per fortuna invece
qualcuno c'è ^^
x Eowyn Skywalker:
ti ringrazio moltissimo, sono felice che ti abbia colpito. Ho sempre
ritenuto Han un personaggio decisamente complesso e degno di essere
analizzato, soprattutto per me che amo le fanfic introspettive. Era da
tanto che volevo scrivere qualcosa su lui e Leia, e sono felice che sia
stato apprezzato. E' vero che Han non lo dimostra, ma io sono davvero
convinta che abbia una solida insicurezza di fondo: anche solo il fatto
che ci abbia messo tre anni per dichiararsi lo dimostra. Insomma, se
questa mia interpretazione del personaggio ti ha convinto, la cosa non
può che farmi un immenso piacere.
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Capitolo 3 *** "Comunque presto ce ne andremo." "E anche tu te ne andrai..." ***
Nota
di doverosa premessa:
non credevo che
avrei mai ripreso in mano questa mini-fanfiction, considerata la
disastrosa mancanza
di tempo che ormai mi sta facendo abbandonare praticamente tutto il
mondo della
scrittura. Poi quest’estate ho rivisto la vecchia trilogia,
quasi per gioco
e... mi sono di nuovo innamorata di questa coppia. Non
c’è niente da fare,
hanno radici troppo profonde nel mio debole cuore. Avevo già
deciso anni fa che
avrei scritto di questo momento, perciò non ho fatto altro
che completare una
vecchia idea. Come per gli altri capitoli, non si tratta di niente di
più che
di una storia d’amore; ma ho ricevuto delle recensioni
talmente belle che, per
quanto il tema sia banale, ho avuto modo di scoprire che
c’è chi ama questi due
personaggi tanto quanto me.
Se
qualcuno
decidesse quindi di avventurarsi nella lettura di questo stralcio
arrugginito,
ha già i miei ringraziamenti.
S.
3. “Comunque
presto ce ne andremo.” “E anche tu
te ne andrai...”
Don't make me sad, don't make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets
tough
I don't know why
Keep making me laugh,
Let's go get high
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
(Lana Del Rey, “Born
To Die”)
Erano
ormai
trascorsi quasi un paio di giorni dal fattaccio, ma io ancora
perseveravo nel
sentirmi l’uomo più fortunato di tutti gli
universi conosciuti.
Ci
ripensavo in ogni momento, tutte le volte che per sbaglio posavo gli
occhi su
di lei – davanti a Chewie e agli altri cercavo di darmi un
certo contegno, ma
Sua Altezza sembrava comparirmi davanti ovunque, quasi lo facesse
apposta – e
perfino quando le ero lontano, nonostante le molte cose di cui avrei
dovuto
occuparmi in quegli attimi così densi di preoccupazioni.
Ripensarci mi faceva
sentire incredibilmente ottimista, quasi invincibile; fu un sollievo
scacciare
il pensiero fisso della taglia che pendeva sulla mia testa per
sostituirlo con
il ricordo della morbida sensazione che avevo provato
nell’incontrare le sue
labbra per la prima – e probabilmente unica – volta.
Avevo
volontariamente rimosso la reminescenza della successiva fuga
imbarazzata di
lei, perché semplicemente non volevo guastarmi la vittoria.
D’altronde,
quell’idiota spaziale di un droide ci aveva interrotti in
maniera molto poco
delicata, perciò il fatto che lei avesse scelto di tagliare
la corda era
comprensibile. Era compito mio infliggergli un’adeguata
punizione assegnandogli
il triplo del lavoro da fare, essendo stato io ad aver avuto la
malaugurata
idea di assegnargli un compito di qualche genere anziché
spegnerlo del tutto
come in seguito aveva fatto lei.
Non
era
esagerato definirla una vittoria, pensai mentre mi liberavo con
impazienza dei
vestiti che avevo indosso, una volta chiusa alle mie spalle la porta
del mio
temporaneo alloggio su Bespin. Mi ci era voluto un anno per arrivarci,
dodici
mesi di frustrazioni, sconfitte, sarcasmo, derisioni, frasi taglienti,
occhiate
gelide, sguardi rabbiosi, negazioni e rifiuti. A onor del vero, nei
minuti che
avevano preceduto il suggellarsi del mio trionfo un qualche segnale di
inversione di rotta mi era stato inviato: quando era caracollata fra le
mie
braccia in seguito a quello scossone, era evidentemente turbata. Rossa
in viso,
furente, sguardo altezzoso e camminata rigida, ma non era riuscita a
mentire
efficacemente come le altre volte. Inconsciamente dovevo essermene reso
conto,
considerando cosa mi ero spinto a fare dopo: qualcosa per cui, in un
anno
intero, mai avevo raccolto l’audacia necessaria.
Non
si
era trattato di un bacio svogliato o forzato, di questo ne ero certo;
avevo
fatto attenzione ad essere molto delicato, di modo che lei non potesse
respingermi per via della mia irruenza, come accadeva di solito nei
nostri
scontri verbali. Con un inevitabile ghigno mi domandai se quel bacio
fosse
stato sufficiente a farla eccitare, dopodiché mi infilai
dentro la vasca di
acqua calda riempita in fretta per darmi una ripulita prima di andare a
dormire.
Ero
terribilmente stanco, ma finii per rimanere a mollo lì
dentro per almeno
un’ora. Con tutto quello che era successo dopo, non avevo
ancora avuto il tempo
necessario per metabolizzare completamente l’accaduto.
Tuttavia, il rapporto
con lei mi aveva talmente consumato i visceri da necessitare di una
simile
pausa di riflessione.
Avrei
dovuto farlo molto tempo prima, questa fu la conclusione a cui giunsi.
Tuttavia, a dispetto di ogni apparenza, ero sempre stato certo che mi
avrebbe
respinto. Per via di Luke, ma anche perché non ero il suo
tipo. Soprattutto per
questo, forse. All’inizio era solo un dubbio, poi era
diventata una solida
convinzione che aveva ridotto al minimo ogni gesto carino nei suoi
confronti e
accentuato a dismisura le risposte sarcastiche con cui mi divertivo a
prenderla
in giro. Non puntavo più a piacerle, semplicemente a
schermarmi contro il suo
disprezzo e a salvare la mia dignità; se qualcuno si fosse
accorto di quello
che in realtà provavo per lei – qualcuno in grado
di comunicare con altre
persone, quindi Chewie non contava – sarebbe stata la mia
fine. Altro che
leggendario contrabbandiere e formidabile pilota; tutti avrebbero
iniziato a
vedermi come un banale rammollito. E alle donne non piacciono i
rammolliti. Per
questo Jabba doveva incatenare le sue schiave per tenersele vicine
– ma questo
era un altro discorso.
Se
non
ci fossero stati tutti quei sistemi di emissione di vapore bollente,
l’acqua
sarebbe stata completamente fredda nel momento in cui mi decisi
finalmente ad
uscirne. Passai immediatamente attraverso i pannelli di asciugatura
istantanea,
altrimenti avrei corso il rischio di rimanere lì per
un’altra ora, fradicio e
tremante. Non riuscivo più a concentrarmi sulla
realtà, cosa che mi rendeva
estremamente patetico ai miei stessi occhi, ma da cui non sapevo come
riprendermi.
Mi
infilai gli abiti da camera, una semplice camicia pulita e un paio di
calzoni
neri, rivolgendo un pensiero di gratitudine a quella vecchia faina di
Lando
Calrissian per quell’ospitalità così
inaspettatamente calorosa. Dopo giorni e
giorni in fuga dalle navi imperiali a bordo del Falcon, un
po’ di comodità non
poteva che essere estremamente gradita – perfino a quello
stupido droide,
probabilmente. Quantomeno, avrebbe smesso per un po’ di
lamentarsi dei sistemi
operativi della mia nave.
Quando
bussarono alla porta, portai istintivamente una mano alla fondina.
L’attimo
dopo scossi la testa e andai ad aprire con calma; gli alloggi avevano
serrature
di sicurezza e microcamere rivolte all’esterno, segno che
Lando non era
esattamente uno sprovveduto.
Tuttavia,
pensavo fosse lui a trovarsi al di là della soglia, o
tutt’al più Chewie; non
ero preparato a ricevere una visita regale, e invece mi
toccò constatare che proprio
di quello si trattava.
Non
potevo mostrarmi insicuro, perciò le aprii immediatamente,
sfoggiando un
sorriso accogliente e cordiale.
“Ehi,
tutto bene?”
“A
dire
il vero non saprei...” – voleva un bacio di
buonanotte? – “...non ho visto
rientrare 3BO.”
Certo,
era ovvio che non potevo aspettarmi niente di meglio. Che stupido
povero
illuso.
“Neanche
io l’ho visto,” risposi. “Ma non ti
preoccupare, starà sicuramente ammorbando
qualche suo simile con le sue chiacchiere in sei milioni di lingue qua
intorno.
Se proprio si è perso, domani mattina andremo a cercarlo.
Non abbiamo fatto
molta strada per arrivare fin qui, la città è
piccola. Ma non farlo notare a
Lando, potrebbe offendersi.”
Cercai
di farla ridere, ma non ottenni granché. Ripensai ai
salamelecchi di Lando e mi
domandai con astio se Leia preferisse la sua compagnia, ma scacciai
quel
pensiero subito dopo; non era il momento adatto per simili riflessioni.
“Spero
solo stia bene. Domattina andrò a chiedere in
giro.”
Annuii
in segno di approvazione.
“Stai
tranquilla, non potrebbero mai prenderlo come ostaggio. È
talmente noioso e
fastidioso che lo lascerebbero subito libero.”
Questa
volta ottenni un sorriso un po’ più convincente.
Non potei fare a meno di
gongolare interiormente.
“La
tua... stanza è ok?”
“Sì,
ha
l’aria molto comoda.”
“Degna
di una principessa?”
“Han,
io non sono più la principessa di un bel niente. Il mio
pianeta è stato
distrutto, pertanto non vivo più in palazzi lussuosi e non
indosso più abiti
regali da un bel po’ di tempo, ormai.”
“Io
ti
preferisco così.”
Lanciai
quel complimento con una sorta di noncuranza sfacciata, appoggiandomi
blandamente allo stipite della porta. Mi sembrò vederla
arrossire lievemente,
ma avevo la testa talmente annebbiata da non poterne essere sicuro.
Decisi
tuttavia di fidarmi del mio istinto e di piantarla con le paranoie.
“Beh,
se vuoi entrare possiamo discutere dei nostri prossimi spostamenti, non
appena
gli uomini di Lando avranno riparato il Falcon saremo liberi di
andarcene... meglio
parlarne al riparo da orecchie indiscrete, però.”
Lei
si
gettò qualche furtiva occhiata intorno, poi
sembrò decidere che come scusa le
andava bene.
Entrò
in fretta, senza mostrare indecisione o tradire emozioni troppo forti,
evitando
semplicemente di guardarmi negli occhi per quegli attimi che le ci
vollero a
varcare la soglia. Improvvisamente, sentii defluire tutta la stanchezza
che mi
aveva assalito fino a un attimo prima: di colpo ero sveglio, i muscoli
in
tensione, il cervello in pieno funzionamento. Dovevo assolutamente
stare
attento a ciò che dicevo, non volevo più farla
irritare; il mio obiettivo ora
era colpire definitivamente nel segno, farle capire che ero davvero io
l’uomo
giusto.
In
fondo, se lei non ci avesse creduto almeno un po’, al posto
di un bacio mi
sarebbe arrivato un sonoro ceffone. Di sicuro, per quanto
all’apparenza Leia
fosse minuta, ne era perfettamente capace.
E
invece almeno in qualcosa l’avevo colpita, anche se non ero
un cavaliere Jedi
con la spada e l’armatura ma semplicemente un essere umano
qualsiasi che
cercava di non farsi portare via la testa dai cacciatori di taglie.
“Il
rendez-vous ormai è saltato da un pezzo. Dato che non
eravamo presenti, non
siamo stati messi al corrente di dove i nostri si siano attualmente
spostati.
Pensi di poterti mettere in contatto con qualcuno degli ammiragli della
flotta?
Se non sono tanto lontani, forse faremmo prima ad unirci a
loro...”
Mi
resi
conto che Leia non mi stava ascoltando. Si era seduta sul letto, china
su se
stessa, lo sguardo perso in qualcuna delle sue riflessioni. Avevo
lasciato
acceso il minimo indispensabile dell’illuminazione presente
nella camera,
eppure anche così riuscivo a vederla con estrema chiarezza:
era bellissima, e
io non potevo fare niente per non pensarlo. Probabilmente se
l’era già sentito
dire un milione di volte, quindi io sarei stato solo
l’ennesimo cretino a cui
non dare credito; ma chissà quanti l’avevano vista
così, con una semplice veste
di seta color corallo e una cappa leggera, quasi impalpabile, posata
sulle
spalle. Chissà quanti l’avevano ammirata con le
lunghe trecce semidisfatte, il
volto stanco dopo giorni di inseguimenti e di fughe, senza mai un
attimo di
pace.
Finalmente,
dopo qualche secondo, mi parlò.
“Perché ti dai tanto da fare per me? Potrei
chiedere una nave al tuo amico
Lando e trovare da sola la flotta, se davvero ti fidi di lui. E tu
potresti
fare ciò che dovevi fare prima di perdere tempo ancora...
per colpa mia.”
Ma
che
razza di domanda era? Fui quasi tentato di spazientirmi, ma poi riuscii
a
controllare quell’impeto e le risposi con calma e un sorriso
ben piazzato.
“Tesoro,
se io me ne fossi andato quando dovevo farlo tu ora saresti sepolta
sotto le
rovine della base di Hoth o peggio, prigioniera di Vader. Il mio aiuto
ti è
servito e, per quanto ti piaccia non dipendere da nessuno, accettalo
ancora per
qualche giorno. Ti scorterò fino al contingente ribelle
più vicino, poi
sbrigherò le mie faccende. Ho aspettato fino ad ora, ormai
non cambia poi
molto.”
Già,
pensai dentro di me, ormai sei un uomo morto, Han Solo. Jabba ci si
pulirà i
denti con il denaro che gli porterai.
“Solo
perché sono una donna non significa che non possa cavarmela
da sola...”
“Non
voglio che ti accada nulla di male. Non voglio più
discuterne, e se davvero non
ti senti più una principessa non puoi darmi ordini,
Altezza.”
Lei
si
rabbuiò.
“Ti
ho
detto di non chiamarmi così.”
“Ti
accontenterò se accetti le mie condizioni. Altrimenti, a che
sarebbe servito
tutto quel mirabolante salvataggio sulla Morte Nera di un anno
fa?”
Sembrava
passato un secolo, da allora. Ricordai improvvisamente che avevo detto
a Luke
“non so se ucciderla o innamorarmi di lei”, senza
sapere che avevo già optato
per la seconda scelta. Fin da allora ce l’avevo avuta in
testa; non mi sembrava
vero di aver trovato una donna così bella e di carattere,
così irritante e
seducente allo stesso tempo.
Lei
mi
fissò a lungo, con una strana espressione, che non le avevo
mai visto rivolgere
a me. Sembrava... angosciata.
“Non
devi andare. Se resti con i Ribelli, i cacciatori di taglie non
potranno
avvicinarsi. Glielo impediremo noi.”
“Purtroppo
sono più furbi di quanto credi. Non avrò
certezze, fino a che non avrò pagato i
miei debiti.”
In
realtà, sapevo che stavo andando a morire. Ma non potevo
dirglielo, e neppure
volevo. Finalmente, a poco a poco, stavo riuscendo a farle ammettere il
vero
motivo per cui non voleva lasciarmi andare.
“Non
riesco ad essere così ottimista come lo sei tu,
Han,” mi disse, scuotendo la
testa.
Probabilmente
quelle erano le ultime ore che mi restavano da passare con lei. Dovevo
cercare
di rendermene conto, altrimenti sarei rimasto lì e non avrei
fatto niente, come
avevo fatto per un anno intero prima di trovare il coraggio necessario
per
avvicinarmi oltre i trenta centimetri di distanza di sicurezza.
Mi
sedetti accanto a lei e le posai una mano sulla spalla, cercando di
essere
amichevole.
“Non
ti
preoccupare, andrà tutto magnificamente.”
Sapevo
mentire benissimo all’occorrenza, ero sempre stato bravo; ma
aver dovuto
imparare a celare i sentimenti che provavo per lei non era servito ad
altro che
migliorarmi.
“Sono
tanto
stanca,” mormorò Leia, appoggiando la testa al mio
braccio. Le accarezzai
goffamente i capelli, cercando di scacciare tutti i pensieri che mi
affollavano
la mente. Quella frase poteva voler dire tutto e niente: che era stanca
di
lottare, di vivere, di essere in conflitto con me, di sopportarmi, di
detestarmi.
Ma
ormai
avevo preso confidenza, perciò mi lanciai.
Prima
le
sfiorai la testa con le labbra, poi le sollevai il viso con decisione e
non mi
feci molti scrupoli nel baciarla con più ardore di quanto
avessi osato la prima
volta. Tanto ormai mi ero scoperto, era inutile giocare ancora a far
finta che
lei mi fosse indifferente. Sapeva benissimo che non era successo tutto
quanto perché
l’ennesimo scossone dell’asteroide ci aveva fatti
scontrare casualmente proprio
in quella posizione. Potevo accusarla di tutto, ma non
d’ingenuità.
Non
mi
arrivò nessuno spintone, perciò lo interpretai
come un segnale favorevole. All’inizio
era incerta e potevo quasi giurare che avesse smesso di respirare, ma
poi,
lentamente, iniziò a sciogliersi.
Sapevo
come
riuscirci, del resto.
Per
tutto
il tempo trascorso dalla prima volta che ci eravamo incontrati, avevo
fatto di
tutto per non darle l’idea di essere un tipo romantico.
Sguardi sfacciati,
parole impudenti e gesti rudi erano sempre stati all’ordine
del giorno. Ma ora
intendevo stupirla in ogni senso: iniziai a carezzarle lievemente la
testa, poi
scesi lungo la schiena, infine decisi di azzardare e le passai
l’altra mano su
un fianco.
Lei
si
staccò, ma continuò a rimanere a pochissimi
centimetri di distanza. Ci avevo
visto giusto, non stava respirando. Ora riprendeva fiato, tremando
leggermente.
Mi
scostai
per non opprimerla, ma anche per guardarla meglio. Sembrava che
l’avessi
sorpresa davvero. Mi scrutava ad occhi spalancati, turbati.
“Ti
sei
sempre comportato come se non te ne importasse niente...”
sussurrò, confusa. Sulle
prime rimasi perplesso. Come diamine aveva potuto non cogliere tutti i
segnali
che mi ero inevitabilmente e stupidamente lasciato scappare, pur
maledicendomi
ogni volta, nel corso di tutti quei mesi trascorsi a contatto con lei?
Poi
le
sorrisi sfacciatamente.
“Allora
significa che so fingere bene”, replicai.
Mi
aspettavo,
a quel punto, che mi domandasse perché l’avevo
fatto. Sarebbe stato tutto molto
più semplice se mi fossi dichiarato fin
dall’inizio. Non ero esattamente sicuro
su quale fosse stato il motivo principale: il mio orgoglio, la
convinzione che
le piacesse Luke, il pensiero che teoricamente non avrei dovuto
fermarmi a
lungo con i Ribelli e che prima o poi avrei levato le tende, o forse il
fatto
che lei era una Principessa Senatrice della Repubblica che non aveva
nessuna
ragione al mondo per trovare interesse in un contrabbandiere dei
bassifondi.
Le
mie
congetture, però, si rivelarono errate. Dopo un attimo di
pausa, stavolta,
incredibilmente, fu Leia a baciarmi.
Mentre
mi
adagiavo delicatamente sul letto insieme a lei, scacciando finalmente
ogni
pensiero sul futuro angosciante che mi attendeva, mi ritrovai a
considerare che
quella di fermarsi a Bespin era stata davvero una grande idea.
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