Death Note: Buonasera, fandom!
Solitamente le note le metto a fine capitolo, ma qui urge una premessa: questa
storia alcuni di voi l’hanno già letta con il titolo “And If
I Fell” ebbene, quella versione mi faceva schifo :D
Quindi oggi ho cancellato i vecchi capitoli (dopo aver salvato tutte le
recensioni ricevute, sappiate che vi adoro ç_ç) e vi
ripropongo questa nuova versione scritta con un po’ più di cognizione di causa.
Spero vi piaccia :D Ci vediamo a fine capitolo <3.
Retrace I: Prelude.
Seiho odiava il “Primo Giorno di Scuola”, non faceva che
ricordargli il fatto di trovarsi a quel anonimo e noioso –per
quanto venisse descritto come “prestigioso”- liceo altrimenti noto come Watanabe, anziché essere a frequentare il Momogaoka, probabilmente
il miglior conservatorio di tutto il Giappone; e, come se non bastasse…
«Ma guarda, c’è la checca isterica»
Per i corridoi del Watanabe si levò qualche risata,
specialmente da parte dei degni compari dell’idiota che aveva osato rivolgergli
la parola di prima mattina del primo giorno di scuola senza che lui avesse
avuto ancora il tempo di bere un solo beneamato caffè.
Seiho Yagami si voltò a guardare
l’aspirante suicida ed il suo corteo con aria di sufficienza e tanto di
sopracciglio alzato, come se stesse osservando qualcosa di incredibilmente
patetico.
«Non ci credo! Un’ameba parlante con al seguito un circo di
scimmie urlanti; ora sì che le ho viste tutte» si limitò a commentare, mentre
qualcuno si avvicinava, pre-odorando aria di rissa.
L’armadio di due metri per quattro, altrimenti noto come
Taro Hodeka, ci mise svariati secondi per capire che
ciò che gli aveva rivolto Yagami era un insulto, per poi avvicinarsi a lui con lo
sguardo di un killer psicopatico… o almeno, così
l’avrebbe definito Seiho.
«Senti un po’, frocetto, ritira le
unghie o te le faccio saltare a suon di pugni e non solo quelle».
Seiho sospirò teatralmente con aria di mero compatimento,
«non dovresti fare quelle smorfie col naso, Taro-chan,
lo sai che non fanno che rafforzare la tua somiglianza con un maiale da porcile… anche se a quello ci pensa già il puzzo. L’ultima
doccia che hai fatto risale a qualcosa come l’anno scorso, vero?» domandò, per
poi decidere che non gli interessava né ascoltare la risposta dell’armadio, né
rimanere lì a farsi ridurre in un moncherino sanguinante…
dopotutto, Hodeka era a tutti gli effetti lo spezza-ossa ufficiale della scuola, mentre lui, be’, lui era il piccolo pazzo sfigato.
Si voltò per andarsene e, come una provvidenziale
apparizione divina, individuò la sua migliore amica, che lo stava guardando con
un’espressione a metà tra la preoccupazione e l’esasperazione. Si avvicinò
allegramente a lei, dimenticando di avere dietro di lui un allibito Taro Hodeka che probabilmente di lì ad un paio di minuti sarebbe
stato preso dall’irrefrenabile voglia di prenderlo a calci.
«Ha un aspetto meraviglioso come sempre, mia Principessa. Mi
permetta di scortarla in classe» disse, porgendole il braccio.
Lei lo squadrò malissimo, prima di rifilargli un candido: «va
a morire ucciso dalla tua dabbenaggine, Yagami»
Seiho si finse profondamente addolorato, «ma, splendore,
perché rifuggi la compagnia del magnifico me come Taro-chan
rifugge un bagnoschiuma?» pigolò, mentre da dietro gli si avvicinava il
suddetto Taro, ormai deciso a ridurlo in pratici cubetti da venti grammi l’uno.
La ragazza, Eirin, decise che dopotutto poteva anche salvare
quell’idiota che aveva come amico, quindi lo afferrò per il braccio che poco
prima lui le aveva offerto e schizzò via per i corridoi, portandosi appresso
Seiho. Si fermarono solo quando Eirin fu sicura che il gradasso fosse stato
seminato, mentre Yagami ridacchiava come un povero
cretino. Od un ritardato, a scelta; in quel momento la ragazza pensava che la
seconda ipotesi fosse più plausibile.
«Hai intenzione di essere pestato a morte da Hodeka?» gli domandò senza mezzi termini, infuriata nera.
Yagami si rigirò tra le dita una
ciocca dei capelli, in particolare una ciocca di un grosso ciuffo tinto di un
improbabile rosso acceso. «Ma no, mammina, cercavo solo di far notare a Taro-chan la sua innegabile indole a rotolarsi nel fango,
ingozzarsi come se non ci fosse un domani e puzzare. Sul serio, il suo eau de merde lo si riconosce a chilometri di distanza»
piagnucolò lui, sventolandosi una mano davanti al naso, come a voler scacciare
un odore molesto.
Eirin Namikawa si permise un
sospiro, se non ci fosse stata lei a salvarlo, probabilmente avrebbe dovuto
passare dal fioraio per prendere qualche crisantemo per il suo funerale. Causa della
morte: idiozia fulminante… probabilmente avrebbero
pure scagionato Hodeka per l’omicidio e, anzi, gli
avrebbero dato una medaglia al valore per aver liberato il mondo da quello
strampalato egocentrico del cavolo che di nome faceva Seiho Yagami.
«Piuttosto, ancora con ‘sta storia della “checca”?» domandò
esasperata. Per una volta non solo nei suoi confronti.
L’altro si limitò a ridacchiare; «che vuoi che ti dica, Ecchan? Si sono legati al dito il fatto che l’anno scorso
le vicissitudini del fato mi hanno portato, in maniera del tutto accidentale e
assolutamente inconsapevole, a baciare per puro errore Koichi-senpai
in corridoio».
Suo malgrado, pure Eirin ridacchiò, erano amici dai tempi
dell’asilo, non riusciva a rimanere arrabbiata con lui per più di pochi minuti.
Anche se l’idiota rischiava di farsi uccidere solo per fare il cretino.
«Ma naturalmente» lo assecondò con il più falso tono
condiscendente del mondo, «scommetto che le tue reali intenzioni fossero
insegnare a Koichi la respirazione bocca a bocca»
disse, scambiando con l’amico un’occhiata ironica.
«Che tu ci creda o no, bellezza mia» esordì una voce dietro
di loro, interrompendo Yagami che aveva appena aperto
bocca per ribattere, «è andata proprio così…
sfortunatamente io non sapevo che Seiho volesse insegnarmi alcunché» terminò Koichi, insinuandosi tra i due, poggiando un gomito sulla
spalla di Seiho e l’altro sulla spalla di Eirin.
Yagami fece la linguaccia a
l’altro ragazzo e, ancora una volta venne interrotto nel tentativo di dire
qualcosa a sua discolpa, da un altro ragazzo che si aggiunse al terzetto.
«Dai, non è colpa di Seiho, era per una scommessa persa
contro di me» spiegò l’ultimo arrivato, altrimenti noto come Masao ed ultimo componente di quel quartetto classificato
come di “sfigati”, di cui forse quello meno considerato sfigato era Koichi, giusto perché riscuoteva discreti successi con le
ragazze –che ora odiavano a morte Seiho-.
«Che dicano quello che vogliono» sbuffò Yagami,
per poi sfilarsi da sotto il gomito dell’amico e girarsi verso il gruppetto.
Ormai erano davanti alla classe sua e di Eirin; «Se essere checca significa
avere un igiene personale, a differenza di Hodeka,
allora sì, sono gay come un mazzo di viole» dichiarò allegramente, fregandosene
di potenziali ascoltatori esterni.
«E, comunque… Koichi-senpai,
baci veramente ma veramente da schifo. Buona giornata a voi» concluse, entrando
in classe e trascinandosi dietro Eirin.
Seiho trotterellò spensieratamente a quello che era ormai da
anni il suo banco, rigorosamente in ultima fila. Si sedette e si permise uno
sbadigli, rimpiangendo il caffè che non era riuscito a bere perdendo tempo a
“litigare” con Hodeka.
Si stiracchiò e poi consultò il foglio con gli orari che
aveva preso in segreteria entrando a scuola.
Sorrise. «Due ore di matematica. Stupendo, due ore per
dormire» declamò, contento, appena prima che la campanella risuonasse tra i
corridoi.
Subito, puntuale come se fosse stato evocato dalla
campanella, il professore di matematica entrò in classe, richiamando la classe
all’ordine. immediatamente regnò il silenzio.
“Fantastico, sarebbe stato difficile dormire col baccano che
c’era prima” pensò Seiho, per poi posare la testa sul banco senza possibilità
di appello.
[…]
La “ragazza” prese in mano lo specchietto che teneva sempre
nella borsetta e si fissò ansiosamente, controllando che il trucco fosse
impeccabile come sempre.
Lilith Owen doveva sempre essere
perfetta in ogni minimo dettaglio, se non voleva che tutto il suo duro lavoro
andasse in frantumi.
Lilith Owen doveva sempre essere
perfetta, se non voleva rischiare che si scoprisse che non era una “lei” ma un “lui”.
“Il viso è troppo lucido. Cipria” pensò con un leggero
sbuffo per poi dirigersi velocemente verso il bagno, pur non sapendo dove esso si
trovasse.
La villa nella quale si trovava era immensa e immensamente
affollata. Si era documentata –documentato- su tutto,
ma ovviamente non gli era passato neanche per l’anticamera del cervello di
trovare un modo per sapere in anticipo dove trovare la beneamata toilette.
Miracolosamente impiegò pochissimi minuti a trovare la
dannatissima porta che nascondeva il tanto agognato bagno e, altrettanto
miracolosamente, non c’era nessuno esclusa lei.
Chiuse a chiave la porta e si sfilò la parrucca che gli dava
tremendamente fastidio, pur essendo vitale, era una precauzione in più per
evitare di essere riconosciuto sul lavoro come Noah Bullock.
Eh, no, di lavoro non faceva l’Escort.
Noah Bullock era diventato, da un paio d’anni, uno dei più
abili assassini in circolazione… certo, l’idea di
travestirsi da donna per non far ricadere i sospetti su di lui all’inizio l’aveva
notevolmente infastidito, ma con il tempo era diventato perfino divertente,
senza contare che come espediente funzionava a meraviglia e agganciare le
vittime era diventato molto ma molto più semplice.
Il bersaglio di quella sera, ad esempio, era un vecchio
porco bavoso della peggior specie, tale Brian O’Malley,
un giudice che oltre a decidere le sentenze in base a quanti soldi gli venivano
offerti dal lato dell’accusa e quello della difesa, gestiva anche un grosso
giro di prostituzione minorile e spaccio di droga.
Pensando a quello, spazzolò la parrucca rossiccia con tanta
rabbia da rischiare quasi di staccare una ciocca –cosa
che non accadde solo perché di ottima fattura-.
Si passò la cipria sul viso, opacizzando i punti che erano
diventati lucidi, poi raccolse i capelli biondi per poter rimettere la parrucca;
aveva scoperto con vari tentativi che gli uomini erano intrigati dalle rosse e
lui purtroppo aveva dovuto adeguarsi, nonostante avrebbe preferito che fosse
vero il fatto che agli uomini piacessero soprattutto le bionde.
«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci!» esclamò,
infastidito, avendo cura che la frangia nascondesse bene la quasi
impercettibile attaccatura della parrucca. Scosse la testa, dicendosi che
doveva mantenere un tono di voce femminile pure nell’inveire, non poteva di
punto in bianco parlare con la voce da ragazzo.
«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci» ripeté,
quindi, avendo cura di utilizzare la voce di Lilith,
per poi mettersi a ridacchiare davanti alla sua immagine riflessa. Era perfetta,
poteva andare.
Il piano in sé era piuttosto semplice: mescolarsi tra tutte
le prostitute lì presenti, adescare
il giudice e convincerlo ad andare a casa di lui… e
poi ucciderlo: istintivamente sfiorò la gamba destra, nel punto dove le
autoreggenti nascondevano la sottile lama che avrebbe usato.
Lo vide ed ebbe una smorfia disgustata, ogni particolare del
signor O’Malley gridava squallore, che per lei era di
per sé un peccato meritevole di morte; nonostante ciò, si avvicinò all’uomo,
stampandosi in viso il suo miglior sorriso civettuolo.
«Signor O’Malley, speravo tanto di
incontrarla a questa festa, è così bello poterla conoscere di persona» disse,
sfarfallando le ciglia; non da sembrare una cretina a cui è andato qualcosa
nell’occhio, ma abbastanza da sembrare veramente infatuata della persona che le
stava davanti.
Il giudice la soppesò con lo sguardo, con delle occhiate a
raggi X che fecero venir voglia a Lilith di far
scendere la mano fino al pugnale ed ammazzare subito quello schifoso.
“Mi sta spogliando con lo sguardo, il verme!” pensò
infastidita, anche se effettivamente quello era un segno che il suo piano era
già iniziato molto bene.
Il giudice prima stava parlando con un altro uomo,
probabilmente un collega, ma la sua attenzione venne completamente calamitata
dalla ragazza, scordandosi completamente della conversazione che stava avendo
luogo giusto pochi secondi prima «Felice che la mia presenza ti faccia così
piacere, mia cara. Posso sapere chi è l’incantevole creatura con cui sto
parlando?» disse lui, esibendosi in un baciamano che sarebbe stato impeccabile
nella sua galanteria se non fosse stato per l’occhiata che lasciava ben pochi
sottintesi che le lanciò subito dopo.
Ridacchiò, facendo intendere all’uomo di aver inteso il
significato di quello sguardo; «Lilith Owen» si
presentò, senza smettere un secondo di sorridere; “mi verrà una paresi, ne sono
sicuro” pensò nel frattempo.
Non ci volle molto a convincerlo a ballare con lei –anzi, quasi fin troppo facile- e, nel raggiungere il
centro della sala, Lilith si premuro di sfiorare
quasi accidentalmente la mano del giudice con la propria, per poi stringerla.
Com’era ovvio, O’Malley non perse
tempo a guardare i suoi occhi, per concentrarsi sulla scollatura un po’ più che
accennata; “idiota, non si accorge nemmeno che è un seno finto” non riuscì ad
evitarsi di pensare, benché sapesse quanto il suo travestimento fosse perfetto.
«Allora, Lilith cara, cosa fai
nella vita?» le domandò il vecchio.
Dovette trattenersi dallo sbuffare, dopotutto sapeva
benissimo che quella domanda che le era stata posta era solo un pretesto per
trovare una scusa per portarsela a letto. «Studio giurisprudenza» mentì, ampliando
il suo sorriso, per poi fingere un’espressione affranta «purtroppo sembra
proprio che io non riesca a raggiungere i risultati sperati» aggiunse
abbassando lo sguardo.
L’uomo le sorrise, di un sorriso che aveva dell’orrendo,
quel genere di sorrisi che, se fosse stata davvero una ragazzina innocente,
avrebbe dovuto farle scattare il cosiddetto campanello d’allarme.
“Ma io non sono una ragazzina e tantomeno innocente”.
«Penso che con la giusta guida potresti ottenere tutto ciò
che desideri» disse O’Malley e, nuovamente, le sue
reali intenzioni furono palesi.
Mentre danzavano, Lilith scivolare
molto poco accidentalmente la coscia tra le gambe del giudice. «Lei dice,
signor O’Malley? Ma dove potrei mai trovare la guida
giusta?» domandò, con una punta di malizia totalmente simulata.
«Forse… forse possiamo p-parlarne…» boccheggiò l’uomo mentre lei continuava
discretamente a strusciare la gamba.
«In privato?» propose Lilith,
inclinando di lato la testa. Ormai era fatta.
O’Malley annuì e non aspettò
nemmeno la fine della canzone per trascinare via dalla villa la ragazza.
Fece chiamare l’autista e in meno di una manciata di secondi
si trovarono all’intero dell’abitacolo della macchina a percorrere la strada
che, Lilith lo sapeva bene, conduceva alla casa di
quel maiale.
Sinceramente, non prestò nemmeno attenzione a ciò di cui
parlarono durante il breve tragitto, ansiosa di arrivare al costoso
appartamento del maiale e mettere fine a quella vita spregevole.
Una volta arrivati, l’autista venne congedato velocemente,
quasi sgarbatamente e Lilith fece appena in tempo a
mettere piede oltre la porta della casa, prima di ritrovarsi un paio di
disgustosi centimetri di lingua in bocca.
“Dio che schifo”, pensò. Sapeva di dolciastro e tabacco e la
cosa gli diede la nausea.
La mano destra scivolò ad accarezzare il freddo metallo
della lama e, con discrezione, la estrasse dalle autoreggenti, per poi vibrare
un preciso e letale colpo alla schiena.
Subito il disgustoso sapore di O’Malley
venne sostituito da quello ferroso del sangue, soffocando in quell’osceno bacio
l’urlo di sorpresa e dolore che l’uomo non riuscì a produrre.
Quando ebbe la certezza che l’uomo fosse morto, lo scaricò
incurantemente sul pavimento, per poi togliersi la parrucca e tornare ad essere
finalmente Noah Bullock.
In quel momento squillò il telefono e il ragazzo ci mise
diversi secondi a trovarlo tra le cianfrusaglie all’interno della borsetta. Imprecò
mentalmente nel pigiare il tastino verde, aveva rischiato di perdere la
telefonata perché aveva la borsa piena di robaccia da donne.
«Ciao mamma» salutò svogliatamente, ripulendosi un rivoletto
di sangue dall’angolo della bocca, «come sempre hai un tempismo perfetto, ho
appena terminato».
Dall’altra parte del telefono Halle Lidner
si aprì in un sorriso radioso, tremendamente sbagliato nel contesto. «Bravissimo.
N si mangerà le mani nello scoprire che il suo ennesimo sospettato è stato
ucciso ad un passo dalla cattura».
Death Note (2): Non penso ci sia molto da
dire, escluso che spero che questo capitolo sia di vostro gradimento <3.
Se qualcuno di voi fosse così gentile da lasciare un
commentino piccolo piccolo, mi rendereste molto
felice *^*
E *rullo di tamburi* abbiamo anche i presta volto per questa nuova
edizione della long!
Cominciamo con i tre (quattro?) personaggi principali
della storia, gli altri li metterò con l’andare avanti della storia.
Per Seiho, dopo tante peripezie ho optato per il
favoloso Tadano Ryu (In
arte “Tadanon”)
Per Eirin abbiamo 96Neko che, personalmente adoro (non
sono sicura ma il vero nome dovrebbe essere Natsume Hibiki)
Poi abbiamo Noah/Lilith che
sono rispettivamente Stav Strashko
e Susan Coffey.
Su, su, che ne pensate? *^*