What if I leave the Way.

di Bad A p p l e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Retrace I: Prelude. ***
Capitolo 2: *** Retrace 02: Over and Over. ***



Capitolo 1
*** Retrace I: Prelude. ***


 

 

 

Death Note: Buonasera, fandom! Solitamente le note le metto a fine capitolo, ma qui urge una premessa: questa storia alcuni di voi l’hanno già letta con il titolo “And If I Fell” ebbene, quella versione mi faceva schifo :D Quindi oggi ho cancellato i vecchi capitoli (dopo aver salvato tutte le recensioni ricevute, sappiate che vi adoro ç_ç) e vi ripropongo questa nuova versione scritta con un po’ più di cognizione di causa.

Spero vi piaccia :D Ci vediamo a fine capitolo <3.

 

 

 

 

 

Retrace I: Prelude.

 

Seiho odiava il “Primo Giorno di Scuola”, non faceva che ricordargli il fatto di trovarsi a quel anonimo e noioso –per quanto venisse descritto come “prestigioso”- liceo altrimenti noto come Watanabe, anziché essere a frequentare il Momogaoka, probabilmente il miglior conservatorio di tutto il Giappone; e, come se non bastasse…

«Ma guarda, c’è la checca isterica»

Per i corridoi del Watanabe si levò qualche risata, specialmente da parte dei degni compari dell’idiota che aveva osato rivolgergli la parola di prima mattina del primo giorno di scuola senza che lui avesse avuto ancora il tempo di bere un solo beneamato caffè.

Seiho Yagami si voltò a guardare l’aspirante suicida ed il suo corteo con aria di sufficienza e tanto di sopracciglio alzato, come se stesse osservando qualcosa di incredibilmente patetico.

«Non ci credo! Un’ameba parlante con al seguito un circo di scimmie urlanti; ora sì che le ho viste tutte» si limitò a commentare, mentre qualcuno si avvicinava, pre-odorando aria di rissa.

L’armadio di due metri per quattro, altrimenti noto come Taro Hodeka, ci mise svariati secondi per capire che ciò che  gli aveva rivolto Yagami era un insulto, per poi avvicinarsi a lui con lo sguardo di un killer psicopatico… o almeno, così l’avrebbe definito Seiho.

«Senti un po’, frocetto, ritira le unghie o te le faccio saltare a suon di pugni e non solo quelle».

Seiho sospirò teatralmente con aria di mero compatimento, «non dovresti fare quelle smorfie col naso, Taro-chan, lo sai che non fanno che rafforzare la tua somiglianza con un maiale da porcile… anche se a quello ci pensa già il puzzo. L’ultima doccia che hai fatto risale a qualcosa come l’anno scorso, vero?» domandò, per poi decidere che non gli interessava né ascoltare la risposta dell’armadio, né rimanere lì a farsi ridurre in un moncherino sanguinante… dopotutto, Hodeka era a tutti gli effetti lo spezza-ossa ufficiale della scuola, mentre lui, be’, lui era il piccolo pazzo sfigato.

Si voltò per andarsene e, come una provvidenziale apparizione divina, individuò la sua migliore amica, che lo stava guardando con un’espressione a metà tra la preoccupazione e l’esasperazione. Si avvicinò allegramente a lei, dimenticando di avere dietro di lui un allibito Taro Hodeka che probabilmente di lì ad un paio di minuti sarebbe stato preso dall’irrefrenabile voglia di prenderlo a calci.

«Ha un aspetto meraviglioso come sempre, mia Principessa. Mi permetta di scortarla in classe» disse, porgendole il braccio.

Lei lo squadrò malissimo, prima di rifilargli un candido: «va a morire ucciso dalla tua dabbenaggine, Yagami»

Seiho si finse profondamente addolorato, «ma, splendore, perché rifuggi la compagnia del magnifico me come Taro-chan rifugge un bagnoschiuma?» pigolò, mentre da dietro gli si avvicinava il suddetto Taro, ormai deciso a ridurlo in pratici cubetti da venti grammi l’uno.

La ragazza, Eirin, decise che dopotutto poteva anche salvare quell’idiota che aveva come amico, quindi lo afferrò per il braccio che poco prima lui le aveva offerto e schizzò via per i corridoi, portandosi appresso Seiho. Si fermarono solo quando Eirin fu sicura che il gradasso fosse stato seminato, mentre Yagami ridacchiava come un povero cretino. Od un ritardato, a scelta; in quel momento la ragazza pensava che la seconda ipotesi fosse più plausibile.

«Hai intenzione di essere pestato a morte da Hodeka?» gli domandò senza mezzi termini, infuriata nera.

Yagami si rigirò tra le dita una ciocca dei capelli, in particolare una ciocca di un grosso ciuffo tinto di un improbabile rosso acceso. «Ma no, mammina, cercavo solo di far notare a Taro-chan la sua innegabile indole a rotolarsi nel fango, ingozzarsi come se non ci fosse un domani e puzzare. Sul serio, il suo eau de merde  lo si riconosce a chilometri di distanza» piagnucolò lui, sventolandosi una mano davanti al naso, come a voler scacciare un odore molesto.

Eirin Namikawa si permise un sospiro, se non ci fosse stata lei a salvarlo, probabilmente avrebbe dovuto passare dal fioraio per prendere qualche crisantemo per il suo funerale. Causa della morte: idiozia fulminante… probabilmente avrebbero pure scagionato Hodeka per l’omicidio e, anzi, gli avrebbero dato una medaglia al valore per aver liberato il mondo da quello strampalato egocentrico del cavolo che di nome faceva Seiho Yagami.

«Piuttosto, ancora con ‘sta storia della “checca”?» domandò esasperata. Per una volta non solo nei suoi confronti.

L’altro si limitò a ridacchiare; «che vuoi che ti dica, Ecchan? Si sono legati al dito il fatto che l’anno scorso le vicissitudini del fato mi hanno portato, in maniera del tutto accidentale e assolutamente inconsapevole, a baciare per puro errore Koichi-senpai in corridoio».

Suo malgrado, pure Eirin ridacchiò, erano amici dai tempi dell’asilo, non riusciva a rimanere arrabbiata con lui per più di pochi minuti. Anche se l’idiota rischiava di farsi uccidere solo per fare il cretino.

«Ma naturalmente» lo assecondò con il più falso tono condiscendente del mondo, «scommetto che le tue reali intenzioni fossero insegnare a Koichi la respirazione bocca a bocca» disse, scambiando con l’amico un’occhiata ironica.

«Che tu ci creda o no, bellezza mia» esordì una voce dietro di loro, interrompendo Yagami che aveva appena aperto bocca per ribattere, «è andata proprio così… sfortunatamente io non sapevo che Seiho volesse insegnarmi alcunché» terminò Koichi, insinuandosi tra i due, poggiando un gomito sulla spalla di Seiho e l’altro sulla spalla di Eirin.

Yagami fece la linguaccia a l’altro ragazzo e, ancora una volta venne interrotto nel tentativo di dire qualcosa a sua discolpa, da un altro ragazzo che si aggiunse al terzetto.

«Dai, non è colpa di Seiho, era per una scommessa persa contro di me» spiegò l’ultimo arrivato, altrimenti noto come Masao ed ultimo componente di quel quartetto classificato come di “sfigati”, di cui forse quello meno considerato sfigato era Koichi, giusto perché riscuoteva discreti successi con le ragazze –che ora odiavano a morte Seiho-.

«Che dicano quello che vogliono» sbuffò Yagami, per poi sfilarsi da sotto il gomito dell’amico e girarsi verso il gruppetto. Ormai erano davanti alla classe sua e di Eirin; «Se essere checca significa avere un igiene personale, a differenza di Hodeka, allora sì, sono gay come un mazzo di viole» dichiarò allegramente, fregandosene di potenziali ascoltatori esterni.

«E, comunque… Koichi-senpai, baci veramente ma veramente da schifo. Buona giornata a voi» concluse, entrando in classe e trascinandosi dietro Eirin.

Seiho trotterellò spensieratamente a quello che era ormai da anni il suo banco, rigorosamente in ultima fila. Si sedette e si permise uno sbadigli, rimpiangendo il caffè che non era riuscito a bere perdendo tempo a “litigare” con Hodeka.

Si stiracchiò e poi consultò il foglio con gli orari che aveva preso in segreteria entrando a scuola.

Sorrise. «Due ore di matematica. Stupendo, due ore per dormire» declamò, contento, appena prima che la campanella risuonasse tra i corridoi.

Subito, puntuale come se fosse stato evocato dalla campanella, il professore di matematica entrò in classe, richiamando la classe all’ordine. immediatamente regnò il silenzio.

“Fantastico, sarebbe stato difficile dormire col baccano che c’era prima” pensò Seiho, per poi posare la testa sul banco senza possibilità di appello.

 

[…]

 

La “ragazza” prese in mano lo specchietto che teneva sempre nella borsetta e si fissò ansiosamente, controllando che il trucco fosse impeccabile come sempre.

Lilith Owen doveva sempre essere perfetta in ogni minimo dettaglio, se non voleva che tutto il suo duro lavoro andasse in frantumi.

Lilith Owen doveva sempre essere perfetta, se non voleva rischiare che si scoprisse che non era una “lei” ma un “lui”.

“Il viso è troppo lucido. Cipria” pensò con un leggero sbuffo per poi dirigersi velocemente verso il bagno, pur non sapendo dove esso si trovasse.

La villa nella quale si trovava era immensa e immensamente affollata. Si era documentata –documentato- su tutto, ma ovviamente non gli era passato neanche per l’anticamera del cervello di trovare un modo per sapere in anticipo dove trovare la beneamata toilette.

Miracolosamente impiegò pochissimi minuti a trovare la dannatissima porta che nascondeva il tanto agognato bagno e, altrettanto miracolosamente, non c’era nessuno esclusa lei.

Chiuse a chiave la porta e si sfilò la parrucca che gli dava tremendamente fastidio, pur essendo vitale, era una precauzione in più per evitare di essere riconosciuto sul lavoro come Noah Bullock.

Eh, no, di lavoro non faceva l’Escort.

Noah Bullock era diventato, da un paio d’anni, uno dei più abili assassini in circolazione… certo, l’idea di travestirsi da donna per non far ricadere i sospetti su di lui all’inizio l’aveva notevolmente infastidito, ma con il tempo era diventato perfino divertente, senza contare che come espediente funzionava a meraviglia e agganciare le vittime era diventato molto ma molto più semplice.

Il bersaglio di quella sera, ad esempio, era un vecchio porco bavoso della peggior specie, tale Brian O’Malley, un giudice che oltre a decidere le sentenze in base a quanti soldi gli venivano offerti dal lato dell’accusa e quello della difesa, gestiva anche un grosso giro di prostituzione minorile e spaccio di droga.

Pensando a quello, spazzolò la parrucca rossiccia con tanta rabbia da rischiare quasi di staccare una ciocca –cosa che non accadde solo perché di ottima fattura-.

Si passò la cipria sul viso, opacizzando i punti che erano diventati lucidi, poi raccolse i capelli biondi per poter rimettere la parrucca; aveva scoperto con vari tentativi che gli uomini erano intrigati dalle rosse e lui purtroppo aveva dovuto adeguarsi, nonostante avrebbe preferito che fosse vero il fatto che agli uomini piacessero soprattutto le bionde.

«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci!» esclamò, infastidito, avendo cura che la frangia nascondesse bene la quasi impercettibile attaccatura della parrucca. Scosse la testa, dicendosi che doveva mantenere un tono di voce femminile pure nell’inveire, non poteva di punto in bianco parlare con la voce da ragazzo.

«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci» ripeté, quindi, avendo cura di utilizzare la voce di Lilith, per poi mettersi a ridacchiare davanti alla sua immagine riflessa. Era perfetta, poteva andare.

Il piano in sé era piuttosto semplice: mescolarsi tra tutte le prostitute lì presenti, adescare il giudice e convincerlo ad andare a casa di lui… e poi ucciderlo: istintivamente sfiorò la gamba destra, nel punto dove le autoreggenti nascondevano la sottile lama che avrebbe usato.

Lo vide ed ebbe una smorfia disgustata, ogni particolare del signor O’Malley gridava squallore, che per lei era di per sé un peccato meritevole di morte; nonostante ciò, si avvicinò all’uomo, stampandosi in viso il suo miglior sorriso civettuolo.

«Signor O’Malley, speravo tanto di incontrarla a questa festa, è così bello poterla conoscere di persona» disse, sfarfallando le ciglia; non da sembrare una cretina a cui è andato qualcosa nell’occhio, ma abbastanza da sembrare veramente infatuata della persona che le stava davanti.

Il giudice la soppesò con lo sguardo, con delle occhiate a raggi X che fecero venir voglia a Lilith di far scendere la mano fino al pugnale ed ammazzare subito quello schifoso.

“Mi sta spogliando con lo sguardo, il verme!” pensò infastidita, anche se effettivamente quello era un segno che il suo piano era già iniziato molto bene.

Il giudice prima stava parlando con un altro uomo, probabilmente un collega, ma la sua attenzione venne completamente calamitata dalla ragazza, scordandosi completamente della conversazione che stava avendo luogo giusto pochi secondi prima «Felice che la mia presenza ti faccia così piacere, mia cara. Posso sapere chi è l’incantevole creatura con cui sto parlando?» disse lui, esibendosi in un baciamano che sarebbe stato impeccabile nella sua galanteria se non fosse stato per l’occhiata che lasciava ben pochi sottintesi che le lanciò subito dopo.

Ridacchiò, facendo intendere all’uomo di aver inteso il significato di quello sguardo; «Lilith Owen» si presentò, senza smettere un secondo di sorridere; “mi verrà una paresi, ne sono sicuro” pensò nel frattempo.

Non ci volle molto a convincerlo a ballare con lei –anzi, quasi fin troppo facile- e, nel raggiungere il centro della sala, Lilith si premuro di sfiorare quasi accidentalmente la mano del giudice con la propria, per poi stringerla.

Com’era ovvio, O’Malley non perse tempo a guardare i suoi occhi, per concentrarsi sulla scollatura un po’ più che accennata; “idiota, non si accorge nemmeno che è un seno finto” non riuscì ad evitarsi di pensare, benché sapesse quanto il suo travestimento fosse perfetto.

«Allora, Lilith cara, cosa fai nella vita?» le domandò il vecchio.

Dovette trattenersi dallo sbuffare, dopotutto sapeva benissimo che quella domanda che le era stata posta era solo un pretesto per trovare una scusa per portarsela a letto. «Studio giurisprudenza» mentì, ampliando il suo sorriso, per poi fingere un’espressione affranta «purtroppo sembra proprio che io non riesca a raggiungere i risultati sperati» aggiunse abbassando lo sguardo.

L’uomo le sorrise, di un sorriso che aveva dell’orrendo, quel genere di sorrisi che, se fosse stata davvero una ragazzina innocente, avrebbe dovuto farle scattare il cosiddetto campanello d’allarme.

“Ma io non sono una ragazzina e tantomeno innocente”.

«Penso che con la giusta guida potresti ottenere tutto ciò che desideri» disse O’Malley e, nuovamente, le sue reali intenzioni furono palesi.

Mentre danzavano, Lilith scivolare molto poco accidentalmente la coscia tra le gambe del giudice. «Lei dice, signor O’Malley? Ma dove potrei mai trovare la guida giusta?» domandò, con una punta di malizia totalmente simulata.

«Forse… forse possiamo p-parlarne…» boccheggiò l’uomo mentre lei continuava discretamente a strusciare la gamba.

«In privato?» propose Lilith, inclinando di lato la testa. Ormai era fatta.

O’Malley annuì e non aspettò nemmeno la fine della canzone per trascinare via dalla villa la ragazza.

Fece chiamare l’autista e in meno di una manciata di secondi si trovarono all’intero dell’abitacolo della macchina a percorrere la strada che, Lilith lo sapeva bene, conduceva alla casa di quel maiale.

Sinceramente, non prestò nemmeno attenzione a ciò di cui parlarono durante il breve tragitto, ansiosa di arrivare al costoso appartamento del maiale e mettere fine a quella vita spregevole.

Una volta arrivati, l’autista venne congedato velocemente, quasi sgarbatamente e Lilith fece appena in tempo a mettere piede oltre la porta della casa, prima di ritrovarsi un paio di disgustosi centimetri di lingua in bocca.

“Dio che schifo”, pensò. Sapeva di dolciastro e tabacco e la cosa gli diede la nausea.

La mano destra scivolò ad accarezzare il freddo metallo della lama e, con discrezione, la estrasse dalle autoreggenti, per poi vibrare un preciso e letale colpo alla schiena.

Subito il disgustoso sapore di O’Malley venne sostituito da quello ferroso del sangue, soffocando in quell’osceno bacio l’urlo di sorpresa e dolore che l’uomo non riuscì a produrre.

Quando ebbe la certezza che l’uomo fosse morto, lo scaricò incurantemente sul pavimento, per poi togliersi la parrucca e tornare ad essere finalmente Noah Bullock.

In quel momento squillò il telefono e il ragazzo ci mise diversi secondi a trovarlo tra le cianfrusaglie all’interno della borsetta. Imprecò mentalmente nel pigiare il tastino verde, aveva rischiato di perdere la telefonata perché aveva la borsa piena di robaccia da donne.

«Ciao mamma» salutò svogliatamente, ripulendosi un rivoletto di sangue dall’angolo della bocca, «come sempre hai un tempismo perfetto, ho appena terminato».

Dall’altra parte del telefono Halle Lidner si aprì in un sorriso radioso, tremendamente sbagliato nel contesto. «Bravissimo. N si mangerà le mani nello scoprire che il suo ennesimo sospettato è stato ucciso ad un passo dalla cattura».

 

 

Death Note (2): Non penso ci sia molto da dire, escluso che spero che questo capitolo sia di vostro gradimento <3.

Se qualcuno di voi fosse così gentile da lasciare un commentino piccolo piccolo, mi rendereste molto felice *^*

E *rullo di tamburi* abbiamo anche i presta volto per questa nuova edizione della long!

Cominciamo con i tre (quattro?) personaggi principali della storia, gli altri li metterò con l’andare avanti della storia.

Per Seiho, dopo tante peripezie ho optato per il favoloso Tadano Ryu (In arte “Tadanon”)

Per Eirin abbiamo 96Neko che, personalmente adoro (non sono sicura ma il vero nome dovrebbe essere Natsume Hibiki)

Poi abbiamo Noah/Lilith che sono rispettivamente Stav Strashko e Susan Coffey.

Su, su, che ne pensate? *^*

 

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Capitolo 2
*** Retrace 02: Over and Over. ***


 

Retrace 02: Over and Over.

 

Il Professor Hayashi era ritenuto un ottimo insegnante, in genere riusciva a far passare tutti nella sua materia senza bocciare; aveva anche un certo carisma –poteva ammetterlo senza passare per sbruffone, quello status se l’era sudato- e inoltre si riteneva anche un uomo dotato di molta pazienza.

Detto ciò, la suddetta pazienza andò cordialmente a farsi benedire nel giro della prima misera mezz’ora delle due ore in cui aveva lezione in quella classe.

Non che avesse alunni difficili, anzi, bastava intimare il silenzio entrando nell’aula e regnava una pace senza eguali.

Però c’era lui.

L’incarnazione della mancanza di rispetto –e Dio solo sapeva quanto lui odiasse infinitamente le mancanze di rispetto più di ogni altra cosa-.

Era dall’anno scorso che quell’irritante ragazzino non faceva altro che dormire durante le sue lezioni e lui l’aveva giustamente presa sul personale –molto personale-. Non c’erano giustificazioni, ancora non capiva per quale motivo il preside fosse così restio ad espellerlo una volta per tutte; c’entrava qualcosa con il fatto che il padre fosse stato lo studente migliore del Giappone quando studiava lì, ma ormai quell’idiota del preside si sarebbe dovuto rassegnare da tempo al fatto che Yagami non avesse assolutamente nulla del padre.

Ah, beate speranze, sempre le ultime a morire!

Si schiarì la voce. «Signorina Namikawa» chiamò pacatamente, nonostante una vena pulsasse pericolosamente sulla fronte dell’insegnante, sintomo del nervoso che montava ad una velocità preoccupante.

La ragazza alzò lo sguardo dalle sue equazioni prevedendo ciò che stava per succedere, il teatrino era sempre lo stesso. Non rispose, limitandosi a prestare attenzione all’uomo.

«Potrebbe cortesemente svegliare Yagami e comunicargli che per oggi può considerarsi sospeso?»

Eirin emise un sospiro sconsolato, non riuscendo a capacitarsi della dabbenaggine del suo amico, per farsi sospendere alla prima ora del primo giorno ci voleva proprio dell’immenso talento. O un’immensa stupidità e, non a caso, Eirin si disse propensa ad appoggiare la seconda ipotesi.

“Inutile, sono amica di un ritardato” pensò, per poi scuotere delicatamente Seiho, nel tentativo di strapparlo dalle braccia di Morfeo.

Il ragazzo mugugnò nel sonno, infastidito, qualcosa che sembrava terribilmente un: «ancora cinque minuti, zia».

Molti sembrarono trovare la cosa decisamente esilarante, tanto che le risate riempirono il silenzio che fino a poco prima regnava nell’aula; Il professore, tuttavia, non condivise l’ilarità generale ed ordinò subito il silenzio, per poi scoccare un’occhiataccia ad Eirin, come se fosse stata colpa sua.

Terribilmente offesa ed irritata, la ragazza tirò a Seiho un vero e proprio spintone che per poco non lo fece cadere dalla sedia.

«Ma che…?!» esclamò Yagami, svegliandosi di soprassalto e aggrappandosi al banco per non rovinare ingloriosamente sul pavimento dell’aula. Si guardò attorno, confuso; i suoi occhi vagarono dallo sguardo irritato di Eirin –sicuramente la colpevole che aveva attentato alla sua vita con quello spintone degno del peggior rissaiolo da bar- a quello irato –per non dire “incazzato nero”, che sarà meno delicato, ma rendeva bene l’idea- del professore.

«Mi dica, madame, per caso sono appena stato sospeso?» domandò alla ragazza, con un sorrisetto ironico.
Si ride o sorride per non piangere, vero?” pensò, conscio che sua zia probabilmente l’avrebbe ucciso nel modo più doloroso possibile.

«Incredibile come il tuo acume si risvegli quando ormai è completamente inutile» sibilò Eirin, trattenendosi a stento dal mollargli un secondo spintone; chissà, magari la botta poteva riuscire nella titanica impresa di ricollegare il signor cervellino al suo attualmente sprovvisto proprietario.
Decise di evitare, un po’ per sottrarsi dall’essere sospesa lei stessa e un po’ perché l’insegnante riportò su di sé l’attenzione, aveva appena finito di completare l’ordine di sospensione e stava lì seduto alla cattedra fissando con astio il suo amico.
«Devi aver stabilito un nuovo record, Yagami; sei orgoglioso di te stesso?»
Non lo era. Anche se sinceramente, escludendo la scenata che gli avrebbe fatto la zia, non gliene poteva importare meno, di quella sospensione. Decise che tanto ormai il danno era fatto, poteva permettersi di divertirsi un pochino.
«
Scherza, prof? Di questo passo mi metteranno ad insegnare una nuova materia: “metodi per farsi sospendere e le sue conseguenze”, non sarebbe una figata pazzesca?» domandò, angelico.
Il professore diede una risata secca simile ad un latrato, mentre gli occhi rimanevano di puro ghiaccio. Oh, no, non la trovava né una “figata pazzasca” né qualcosa di divertente.
«Vogliamo fare due giorni di sospensione o ti dai una mossa a liberarci dalla tua fastidiosa presenza?»
Yagami alzò le mani, in segno di resa e si mise in spalle lo zaino che non era neanche stato ancora aperto da quando era entrato in classe, «va bene, va bene, ho capito l’antifona» sbuffò, per poi voltarsi verso Eirin ed esibirsi in un perfetto baciamano «mi creda, Milady, è con immenso dolore che la abbandono in questo luogo di perdizione, ma credo che Satana mi abbia appena bandito dal regno. Verrò a salvarla all’uscita, I promise» sussurrò in modo da non farsi sentire dall’insegnante che, francamente, cominciava a perdere la pazienza.

Si avvicinò all’insegnante e prese dalla cattedra il foglietto da far firmare alla zia, pensando distrattamente che al posto di “sospensione” il professore avrebbe potuto fare prima e scrivere “condanna a morte”, ma questi erano futili dettagli.

Con un sospiro si voltò verso la classe, accompagnato da un espressione fortemente drammatica «Dame e Cavalieri di questo angusto reame, mi mancherete tutti così terribilmente che è impossibile esplicarlo a parole-»

«Ecco, allora stai zitto»

A parlare era stato un ragazzo in seconda fila, con una perenne aria di annoiata strafottenza sul volto. Il classico “bello e dannato” che c’è in ogni classe; il classico tipo che Seiho non sopportava a prescindere.

«Tu non mi mancherai perché mi hai rubato la maglietta di Barbra Streisand

Il ragazzo fece per ribattere, indignato da quell’accusa ridicola, quando il professor Hayashi decise di averne davvero abbastanza di quel teatrino.

«Vogliamo fare una settimana di sospensione, Yagami

«Va bene, me ne vado, ma così la classe perde il suo elemento più figo!» e senza dare all’insegnante il tempo di urlargli dietro o aumentare davvero i giorni della sua sospensione, sgattaiolò fuori, in corridoio.

Si appoggiò alla porta dell’aula e si permise un sospiro. Stava cominciando a pensare che la sua giornata non sarebbe potuta cominciare peggio di così, quando vide in corridoio niente meno che Hodeka, che probabilmente si stava dirigendo in bagno.

Imprecò appena, quando l’energumeno si accorse della sua presenza.

«Tu!» berciò l’armadio, mentre l’espressione ottusa che lo caratterizzava per la stragrande maggioranza del tempo divenne truce.

«Ma bravo, Taro-chan, abbiamo imparato un pronome soggetto» disse Seiho, anche se il tono ironico era lievemente guastato dall’insicurezza e non poté fare a meno di fare un passo indietro quando l’altro fece scrocchiare minacciosamente le nocche.

Pensò che probabilmente sarebbe stato meglio farsi uccidere dalla zia piuttosto che da Hodeka, se proprio era suo destino morire quel giorno.

«Prima ti distruggo, poi mi insegnerai tutta la grammatica che vuoi» ringhiò Taro, avvicinandosi.

“Andiamo, non posso farmi uccidere da quell’idiota! È perfino più idiota di me, sarebbe umiliante!” pensò, per poi essere fulminato da un’idea che solitamente funzionava solo nei film di pessima fattura… ma si stava parlando di Taro mi-pompo-il-cervello-di-testosterone Hodeka, no?

Finse un’aria fortemente terrorizzata ed indicò qualcosa alle spalle di Hodeka, pigolando un “Oh mio Dio” che gli sarebbe valso un Oscar per quanto lo faceva sembrare davvero spaventato.

Inutile dire che Hodeka ci cascò in pieno, voltandosi verso il punto indicato e Seiho ne approfittò per correre il più velocemente possibile per il corridoio, cercando di guadagnare l’uscita prima di fare una pessima fine. Arrivò in portineria ancora tutto intero e mostro rapidamente il foglio della sospensione ad un annoiato portinaio, per poi azzardarsi a fermarsi e reggersi la milza dolorante solo una volta fuori dalla scuola.

Sorrise con aria vittoriosa, dopotutto Hodeka era davvero troppo tonto, quasi non c’era gusto nel batterlo in quel modo.

Poi si ricordò che si stava dirigendo al patibolo, quindi si lasciò sfuggire un sospiro e si incamminò verso casa.

Ci mise relativamente poco ad arrivare, benché si fosse sforzato di camminare il più lentamente possibile per rimandare la propria morte. Entrando in casa si rese conto che, stranamente, la zia era ancora a casa.

Sayu era in cucina, indaffarata in quello che doveva essere un tentativo di preparare una torta; già non era una brava cuoca, poi era terribilmente presa da un giallo che stavano trasmettendo alla televisione, quindi la sua concentrazione era tutta calamitata sullo schermo, con il risultato che stava per versare del sale al posto dello zucchero all’interno dell’impasto.

Seiho si affrettò a spostare il recipiente con l’impasto, prima che la zia potesse compiere quell’abominevole scempio.

«Zia, non pensi che una torta renda ben poco con tutto quel sale dentro?» domandò accennando un sorriso.

Col senno di poi avrebbe potuto fregarsene della torta e sgattaiolare in camera: la zia era talmente concentrata che non se ne sarebbe accorta… ma, al diavolo, sarebbe morto ma almeno a cena ci sarebbe stata la torta. Si stava immolando per il bene superiore, decise di provare a sviare i discorso, «che ci fai già a casa?».

Sayu si permise un sospiro e mise a posto il sale e aggiungendo finalmente lo zucchero al composto. «Lo studio legale si è completamente allagato, quindi per oggi niente lavoro… be’, relativamente, c’è il tavolo del salotto completamente rivestito dalle pratiche che devo visionare per domani» spiegò sconsolata, per poi rendersi conto di un particolare non affatto trascurabile. «ma la vera domanda è: cosa ci fai TU a casa, dato che dovresti essere a scuola!»

Sgamato.

Seiho si preparò psicologicamente ed guardò la zia. Se proprio doveva morire, sarebbe morto a testa alta.

 «Sono stato sospeso» disse, cercando di non pigolare.

La donna ruppe un uovo con così tanta forza che Seiho ringraziò tutti gli dei esistenti per il fatto che non ci fosse stata la sua testa tra le mani della zia, in quel momento. Sì, quando si arrabbiava faceva spavento, senza bisogno di mettersi ad urlare come un’isterica in perenne sindrome pre-mestruale.

«Seiho, ti rendi conto che è il primo giorno di scuola, sì?» domandò freddamente, «hai intenzione di fare come l’anno scorso, che collezionavi qualcosa come una sospensione al mese? E già che parliamo dell’anno scorso, credi che quest’anno riuscirai a prendere un voto che vada oltre alla sufficienza?»

 

Seiho si permise uno sbuffo, «Ci terrei a ricordarti che anche se non sono propriamente uno studente modello, non ho neanche mai preso un’insufficienza, quindi non c’è bisogno di fare tragedie… e per le sospensioni, be’, a quanto pare il preside ha deciso di sbattersene delle mie sospensioni, quindi il problema non si pone, no?»

La zia smise di impastare e gli rivolse un sorriso angelico maledettamente inquietante, «Decidilo tu se il problema non si pone: se ti farai sospendere ancora una volta e se non alzerai la tua media, ti spedisco in un’accademia militare» disse, sapendo perfettamente quanto quell’ipotesi terrorizzasse il nipote.

Seiho, infatti, non riuscì ad evitare un’espressione orripilata. Accademia militare significava fatica e farsi fare il lavaggio del cervello per diventare una persona mortalmente noiosa, cose inaccettabili per lui.

«Non potresti semplicemente iscrivermi al conservatorio? Lì sarei sicuramente il primo della classe» tentò, pur sapendo quanto la zia fosse irremovibile su quel punto.

«Scordatelo, prima finisci il liceo e poi potrai fare quello che vuoi» disse infatti, tornando a prestare attenzione alla televisione.

Il ragazzo sbuffò, profondamente frustrato, «ma dai! E’ una perdita di tempo! E poi sai di chi sono figlio no? Mamma era un Idol! Partirei molto avvantaggiato!» tentò ancora, ma ormai Sayu aveva optato per la strategia del fingere di non ascoltarlo.

Sbuffò ancora e salì le scale, per poi andare in camera sua e buttarsi sul letto, trovandosi di conseguenza la schiena trafitta da qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Si mise a sedere con aria interrogativa, per poi scoprire che l’elemento intruso nel suo letto era un quaderno dalla copertina nera, con una scritta illeggibile in grossi caratteri bianchi.

Pe l’ennesima volta sbuffò, lanciando con malagrazia il quaderno sulla scrivania. Cosa pensava Sayu? Che mettendogli dei quaderni sul letto gli sarebbe magicamente venuta voglia di studiare? Suonava parecchio infantile, a dire il vero…

Si sdraiò nuovamente, ma non appena rivolse lo sguardo al soffitto emise un breve strillo acuto.

Sul soffitto della sua stanza stava tranquillamente fluttuando un mostro orribile, simile ad uno scheletro e quasi completamente incastonato di pietre preziose, gioielli e frammenti di specchio. Si disse di mantenere la calma, che una creatura del genere non poteva esistere e che forse era solo un’allucinazione dovuta alla stanchezza.

Cercò, quindi, di ignorare la creatura, accoccolandosi sotto le coperte, anche se avrebbe dovuto scendere dalla zia a dirle ciò che vedeva, opzione che scartò perché non gli andava di sentirsi dare del pazzo.

“Se dopo un riposino continuerò a vedere quel mostro, parlerò con la zia” si disse.

«Ma come? Tutta qui la tua reazione?»

La creatura parlò, ma Seiho non si prese nemmeno la briga di alzare lo sguardo verso di essa «tanto sei solo un’allucinazione» rispose, per poi sbadigliare profondamente.

«Il mio nome è Armònia Justin Beyondllemason» esordì l’essere con evidente disappunto, volando sopra di lui fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso, «sono lo Shinigami a cui appartiene il quaderno che hai sconsideratamente lanciato sulla scrivania come se fosse solo un rifiuto».

Seiho si permise un secondo sbadiglio, «certo, tutto ciò è davvero molto interessante ma, bello mio, se non volevi che “gettassi sconsideratamente il tuo quaderno sulla scrivania” avevi da non lasciarlo sul mio letto» rispose svogliatamente, per poi rendersi conto di quanto fosse infinitamente stupido mettersi a parlare con un’allucinazione.

«Non assomigli affatto a quell’umano» disse il sedicente Shinigami, scrutandolo attentamente.

«Quale umano?»

Il muso della creatura si deformò in un ghigno. «Tuo padre»

 

 

Death Note: Okay, so che teoricamente non si dovrebbe scrivere con lo scopo di ricevere recensioni ed effettivamente sono d’accordo… detto ciò, farebbe comunque piacere ricevere qualche recensione, avere un feedback con chi legge, sapere se la storia interessa.

Insomma, se scrivessi solo per me stessa non pubblicherei ciò che scrivo, quindi se nessuno la reputa abbastanza interessante da lasciare un piccolo commento, non la continuerò.

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