Gli occhi di Satana - il monaco diabolico

di Phoenix_619
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Running Away ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Cap 1 Il giovane monaco bussò timidamente alla porta del proprio maestro, attendendo pazientemente una risposta. Pochi secondi dopo, una voce grave invitò il novizio ad entrare. Il giovane entrò con un rispettoso inchino, prima di alzare il  capo osservando l'uomo che aveva di fronte. Un uomo sulla cinquantina, con tonsura e saio sgualcito. Le rughe profonde che solcavano il suo viso e gli occhi vispi e intelligenti lo rendevano un uomo dall'aspetto rispettabile. Era soprattutto per questo motivo se era riuscito a scalare velocemente la gerarchia del monastero, divenendone uno dei pilastri. L'uomo si chiamava Hayate. Era seduto dietro un'imponente scrivania che aveva creato lui stesso, sommerso dai libri. Aveva gli occhiali inforcati e stava leggendo un manoscritto alla luce delle molte candele che illuminavano la stanza.
- Lawliet, benvenuto, cosa ti porta qui? - Il novizio Lawliet si passò una mano fra i folti capelli, che non avevano mai conosciuto la tonsura, per poi far scivolare la mano destra sulla spalla opposta, fino ad arrivare al gomito sinistro. Allora piegò il braccio sinistro fino ad intrecciarlo con l'altro. Amava fare questi movimenti scenici per incrociare le braccia, ma era tutto preparato: ormai tutti i suoi confratelli sapevano che, quando faceva quella specie di balletto, stava per cominciare una discussione dalla quale non sarebbe certo uscito sconfitto.
- Maestro, sono qui per lamentarmi di certe voci che circolano nel monastero sul mio conto.
- A cosa ti riferisci? Non è arrivato nulla alle mie orecchie.
- Più che naturale, padre, dal momento che siete una delle massime autorità. Ma anche voi sapete bene cosa si dice del figlio del demonio... - Hayate sospirò, chiuse il libro e si tolse gli occhiali.
- Figliolo, io non posso fare la predica a tutte e duecento le anime presenti nel nostro convento, lo sai bene.  - Non c'era né rabbia né disappunto sul volto di Lawliet. Solo un sorriso a trentadue denti degno dello Stregatto. Hayate si sentì fremere sotto quello sguardo. Sentì il sudore bagnargli le tempie quando quegli occhi grigi chiarissimi si posarono sul suo viso divertiti.
- Forse però potrebbe fare un esame di coscienza, e smetterla di sparlare alle mie spalle, padre Hayate. La prego, non mi guardi in quella maniera - disse evitando di mostrarsi divertito dalla faccia stravolta del monaco - sapeva benissimo delle mie abilità. Credeva che non sarei mai risalito a lei? Certo, è facile da scoprire se a spargere voci come questa fosse stato un novizio, ma chi sospetterebbe mai di lei, un rispettabile monaco che ha lavorato duramente per raggiungere questa posizione? - Hayate fremette. Capì che era inutile continuare a fare il finto tonto con lui.
- Come... come l'hai capito? Pensavo... di essere inattaccabile...
- Si è posato sugli allori, padre, ha osato troppo convinto del suo alibi. é stato fin troppo semplice. Mi è bastato gironzolare un po' per il monastero. Si parlava di me come "Il figlio del demonio che ha sputato sulla moneta per venire a tormentarci". La maggior parte - anzi, oso dire la totalità - pensa che con "moneta" intende dire la medaglietta con l'immagine della Sacra Vergine che tutti noi ci portiamo dietro, ma se ci avessero ragionato, tutti sarebbero arrivati alla mia stessa conclusione. Ciò su cui avrei sputato è in realtà qualcosa che ho sputato. La frase iniziale, secondo la mia teoria, era "il figlio del demonio che ha sputato la moneta" bla bla bla, ma dal momento che sembrava illogico rigettare un'icona la frase è stata rielaborata per farla meglio comprendere. La moneta menzionata nella frase non è affatto l'icona sacra, ma per l'appunto... una moneta. Solo lei poteva fare un collegamento così sopraffino, padre, dal momento che esclusivamente lei ha una preparazione classica. Infatti, nella tradizione latina, era usanza mettere una moneta nella bocca di un morto prima dell'inumazione. Tale moneta doveva pagare Caronte - e ora non starò certo a spiegare proprio a lei chi è -, e lui in cambio avrebbe trasportato l'anima del defunto nell'Ade. Questo collegamento voleva significare... - Lawliet non riuscì proprio a nascondere un ghigno sarcastico. Ridacchiò coprendosi la bocca con la larga manica del saio, prima di riprendere.
- Voleva significare che io sono tornato dal mondo dei morti apposta per tormentarvi. Giusto, padre Hayate? Mi fa pure passare per bestemmiatore, anche se non era il suo intento iniziale.- Il monaco cercò di ricomporsi, asciugandosi il sudore che imperlava la fronte e schiarendosi la voce.
- Figliolo, tu... cioè, non crederai mica che io abbia detto queste mostruosità sul tuo conto? - Lawliet assunse un'espressione grave e minacciosa. Il sorrisetto da buontempone era sparito, lasciando il posto ai denti stretti e le labbra serrate. L'arcata sopraccigliare completamente glabra si contrasse nervosamente, e la sua voce, anche se di una tonalità poco più bassa rispetto a prima, sembrava uscire da una caverna.
- Che fa, si rimangia la sua confessione di poco prima? Padre, se si trattasse di semplici insulti alla mia persona non mi arrabbierei così tanto... - i suoi occhi puri come un lago di montagna sembravano improvvisamente rossi come il fuoco, tanto mettevano sotto pressione padre Hayate, che si ritrovò a indietreggiare fino alla scrivania, e nel farlo rovesciò alcuni libri - ... ma non accetto che ci vada di mezzo anche la mia povera madre. Non voglio risentire altre storie simili, padre, o mi vedrò costretto a reclamare nuovamente. -  Il fuoco che brillava nei suoi occhi si spense con la stessa velocità con la quale si era acceso. Lawliet sospirò, dipinse nuovamente il suo sorrisetto stereotipato, fece un inchino e, in barba alle regole del conclave, girò le spalle al proprio superiore, uscendo dalla porta senza curarsi di chiuderla. Hayate si rese conto di aver smesso di respirare, ragion per cui sentiva i polmoni come atrofizzati. Lentamente si avvicinò alla sedia, e ci si lasciò cadere sopra. Chiuse gli occhi e si massaggiò energicamente le tempie. Si guardò attorno. Vide alcuni volumi a terra e molti fogli sparpagliati sul pavimento, e ringraziò il Signore per aver dato forza alle sue gambe evitando di cadere clamorosamente come quei libri. Decise di andare nella cucina e chiedere a fratello Harry, cuoco del monastero, di preparargli un po' di acqua e zucchero, giustificandolo con un malore. Dopotutto, il suo pallore era più che eloquente.





Angolo autrice:
Eccomi qua! Finalmente, dopo tanto tempo passato su questa fiction, ho il coraggio di pubblicarla! Che dire, questo era il prologo, naturalmente i capitoli saranno più lunghi e, spero, più interessanti. Spero proprio che questo prologo vi abbia incuriosito, dopotutto è una storia a cui tengo molto. Non vi chiederò di essere clementi con le recensioni, non sono nuova del sito, anzi, se avete qualcosa da dire esprimetelo nella recensione senza paura, non temo le recensionu negative :) l'importante è che il commento non si basi esclusivamente sulla grammatica o roba simile; anche un minimo (tipo due parole) sulla trama eviteranno che io scleri come una pazza. Ok. Aspetto solo le vostre recensioni, non siate timidi!
Phoenix

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1: The Background

Capitolo 1


Lawliet aveva gli occhi chiusi e un sorriso pacato dipinto sul volto mentre pregava. Era uno dei pochi momenti in cui si sentiva davvero in pace. Era inginocchiato a terra, incurante del fango che gli inzaccherava il saio. Il volto era rivolto verso il basso, un volto così giovane, un volto così puro, un volto rivolto verso la fredda terra; nessuno riusciva a distogliere lo sguardo da quella faccia dai tratti così delicati, ancora da ragazzino nonostante i diciassette anni. Sorrideva pacato, Lawliet, con le ciglia scure a incorniciargli quegli occhi di ghiaccio. Ma Lawliet non era proprio in pace con se stesso, non durante quella preghiera particolare giornaliera. Nessuno a prima vista avrebbe capito che in realtà il ragazzo era tormentato. Egli infatti sorrideva tristemente sulla tomba di sua madre. Si era rifugiata in quel monastero quando Lawliet era nato da poche ore, e lì aveva vissuto fino alla sua inaspettata quanto traumatica morte. Da quanto si raccontava, era fuori dal monastero alla ricerca di un'erba speciale per la farmacia in compagnia di padre Hayate. Egli la sentì gridare, e la vide cadere a terra come morta. Quando la raggiunse, non respirava e il sangue sgorgava copioso dalla sua bocca. Perciò Hayate corse al monastero, per chiedere aiuto. Ma quando tornò con alcuni compagni nel luogo dell'incidente, lei era sparita. Per evitare di traumatizzare ancora di più suo figlio, allora un bimbo di cinque anni, i frati decisero di seppellire in quel luogo una tomba vuota, affinché il bambino avesse almeno qualcosa su cui piangere. Ma Lawliet già allora mostrava un'intelligenza vivace e precocissima, e ciò gli permise di capire che sua madre non riposava in quella bara di legno. Di nascosto mise nella tomba uno dei due bracciali di cuoio che intendeva regalarle per il compleanno, che sarebbe stato una settimana dopo. Almeno qualcosa della madre ci sarebbe stato. Quando raggiunse i dieci anni, e capì le regole del monastero,  fece il diavolo a quattro perché ella non era stata sepolta in terreno sacro. Gli era stato risposto che una pagana doveva essere sepolta fuori dal cimitero del monastero. Questione chiusa. Da allora Lawliet aveva abbandonato ogni altra idea di ribellione, limitandosi a pregare intensamente per lei ogni giorno, perché ogni notte sognava il cadavere della madre mangiato dagli animali, o decomposto in fondo al fiume che scorreva lì vicino. Ogni notte si svegliava sudato e tremante, e si ritrovava a errare confuso per il cortile del chiostro in ogni stagione, sia con la tempesta sia con l'afa più soffocante. Ogni notte guardava il cielo e chiedeva al Signore di preservare nella sua memoria solo i ricordi più belli della madre, come il suo sorriso, o il petto morbido nel quale spesso si rifugiava quando piangeva o si sentiva sconfortato, le braccia lisce che tante volte lo avevano cullato.
- Lawliet, è quasi ora di pranzo. Vieni, devi rientrare. Mi dispiace interrompere questo momento... - il ragazzo non aprì gli occhi fino a quando non si fece il segno della croce per terminare la preghiera. Solo allora, dopo essersi alzato e pulito le ginocchia dal fango, si girò a guardare colui che l'aveva disturbato. Si trattava di un uomo sulla trentina, con occhi chiari e capelli biondi. Era molto insolita una tonsura bionda, e Lawliet la trovava divertente.
- Arrivo. - infilò le braccia nelle maniche del saio come se si trattasse di un imperatore cinese, e con passo veloce s'incamminò verso il monastero. Non che morisse dalla voglia di mangiare quella zuppetta insipida e molle che fratello Harry chiamava "minestrone estivo con fregola", ma voleva evitare discussioni con i superiori, cosa che rischiava sempre per quelle uscite non autorizzate. Rientrò dalla porta della farmacia, che ne aveva una che dava sul bosco, e oltrepassò il chiostro. Andò sotto al fresco portico addobbato con magnifici affreschi e arrivò fino ad una porta dall'aspetto molto antico, tenuta aperta. Scese un paio di scalini e girò a destra sotto un'arco. Lì si trovava la mensa, una sala spoglia su tre lati e decorata sul lato opposto alla porta con un enorme dipinto che rappresentava l'Ultima Cena. Sui tre lati non affrescat erano disposti tre lunghissimi tavoli artigianali e sedie d'arte povera su entrambi i lati dei tavoli. Molti monaci erano già seduti alla tavola, in rispettoso silenzio, altri stavano aspettando i confratelli in piedi, e altri ancora stavano finendo di apparecchiare. Tutto nel silenzio più assoluto. Lawliet assunse la sua espressione più tranquilla e serena, per poi sedersi accanto a un novizio di nome Masami. Quello lo guardò spaventato, non riuscendo a staccargli gli occhi di dosso. Lawliet aveva gli occhi socchiusi, un sorriso appena abbozzato e le mani ancora infilate nelle maniche.
- Cosa c'è? Perché mi guardi in quella maniera? Ho forse qualcosa sulla faccia? - il giovane monaco non poteva certo rispondere "Qui l'unico problema sei tu", perciò si limitò a sgranare gli occhi tentando di guardare qualcos'altro. Tuttavia non poté fare a meno di continuare a osservare il monaco che da cinque anni attendeva la tonsura. Il monaco figlio del diavolo. Improvvisamente Lawliet alzò la testa e spalancò gli occhi, fissandoli in quelli di Masami, che trattenne a stento un urlo. Lawliet ridacchiò, nascondendo il viso con la mano.
- Fate tutti così. Eppure sono solo due occhi. - Guardò nuovamente Masami, sinceramente divertito. Dire che era sbiancato era un eufemismo. Il ragazzo doveva ancora capire perché quelli occhi facessero quell'effetto a tutti coloro che li guardavano. Come diceva sempre, quelli non erano che un paio di comunissimi bulbi oculari di cui una consistente parte della popolazione mondiale disponeva fin dalla nascita. Ben presto la mensa si riempì di monaci, e l'abate si sporse dal pulpito per annunciare la preghiera. Dopo un sonoro "Amen" padre Harry mise un pentolone sulla tavola, e con un mestolo cominciò a servire la zuppa. Lawliet si alzò e cominciò a distribuire il pane fra i confratelli, come richiestogli quella mattina da un monaco che non poteva svolgere quel compito. Il pasto si consumò in silenzio, e alla fine tutti aiutarono a rimettere a posto. Mentre stavano togliendo i piatti, si sentì un sonoro "crash". Lawliet era in piedi, una ciotola disintegrata a terra, mentre si teneva la testa fra le mani. Si lasciò cadere sulla sedia, con gli occhi serrati dal dolore e i polpastrelli piantati fra i capelli. Dopo un attimo di sbigottimento qualche frate corse a soccorrerlo, qualcun altro tolse i cocci.
- Fratello, stai bene? Cos'è successo??!
- Mmhh... no, niente... è stato solo un forte capogiro... non preoccupatevi, vado a sdraiarmi un po', forse passerà. - Rifiutò con gentilezza l'aiuto che gli veniva offerto, e si diresse lentamente al dormitorio. Si tolse la cappa e i sandali, rimanendo con solo il saio. Si stese sul povero materasso di paglia, guardando le travi del basso soffitto. Non riusciva a credere a quel che aveva visto. Rifiutava quella visione incredibile, non riusciva a convincersi di aver visto quella cosa sopra la testa degli altri monaci. Si stropicciò gli occhi. Si convinse che non era altro che un'allucinazione, niente di più. Prese un bel respiro, e si mise a sedere. Alzò lo sguardo, guardando sopra la sua testa, ma non vide altro che il soffitto. Osservò il piccolo specchio posato sul lavatoio, e dopo un attimo di esitazione si precipitò a guardare il suo riflesso. Guardava intensamente sopra la sua testa, sforzando talmente tanto gli occhi che quasi gli facevano male. Solo dopo dieci minuti buoni di scrutazione finalmente si rilassò. Allora quello che aveva visto era solo una visione. Prese la caraffa piena d'acqua fredda posata sul mobile e versò un po' del liquido nella bacinella. Si frizionò con forza la faccia, godendo del brivido che gli regalava l'acqua fredda. Aveva voglia di andare in giro bagnato come un cane, ma saggiamente decise di tamponarsi il viso con l'asciugamano per evitare di essere rinchiuso in infermeria per il resto della sua vita. Il saio non era particolarmente fresco, dal momento che era un abito che doveva indossare anche d'inverno. La tela grezza lo soffocava, oltre a irritargli la pelle chiara con la sua ruvidità ed elasticità inesistente. Tornò alla mensa, ormai completamente ripresosi da quella visione. E no, niente galleggiava sopra la testa degli altri monaci. Si avvicinava l'ora della preghiera pomeridiana; ragione per cui invece di andare alla mensa deviò verso la cappella. Appena in tempo. Si inginocchiò frettolosamente nell'ultimo banco ancora rimasto libero, e tirò fuori il rosario. Ma non appena chiuse gli occhi per pregare, la stessa visione di prima s'impresse nelle sue palpebre come marchiata a fuoco. E stavolta il dolore fu atroce. Sentì solamente qualcosa cadere a terra. Forse chiese aiuto.

"E caddi come corpo morto cade..."

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Running Away ***


Capitolo 2 Running away Lawliet aprì gli occhi, ma non vedeva altro che nero. Era morto? Oppure stava sognando? Sentiva voci lontane chiamarlo... "Lawliet... Lawliet..." Pensò che gli angeli avessero davvero una voce bellissima. Però si accorse dopo qualche secondo che la voce degli angeli gli suonava stranamente familiare. Perché mai un emissario di Dio aveva la voce del monaco ortolano??
- Lawliet!! Per santa Agnese, svegliati!  - Ricevette un paio di ceffoni non indifferenti, seguiti a ruota da una secchiata d'acqua gelida, pizzicotti sulle guance e una testata tremenda contro quello che forse era il pavimento.
- Ma che fate? Così lo ammazzate, altro che salvarlo!!
- Ahhhhh, Dio ha già raccolto la sua anima.. presto prendete i ceri funebri!
- Ma che ceri funebri?? Prima dobbiamo tagliargli i capelli e mettere il suo teschio nella cripta... - Dopo quella minaccia spaventosa Lawliet cominciò a comprendere cosa stava succedendo. Era sdraiato sul pavimento della cappella, e sentiva un gran freddo. Pochi secondi dopo, sentì anche il dolore procuratogli nel tentativo di "aiutarlo". Finalmente riprese conoscenza, e cercò di tirarsi su a sedere. Un paio di mani lo spinsero nuovamente a terra, e qualcuno urlò qualcosa come "Giù, per l'amor di Dio!!" Tuttavia rimediò esclusivamente un'altra capocciata, stavolta sullo spigolo della panca. Si morse la lingua per evitare di urlare, portandosi le mani a massaggiare la nuca. Si tirò su a sedere, e riuscì a evitare altri bernoccoli per quella giornata.
- Lawliet... stai bene? - il ragazzo fulminò con lo sguardo le persone riunite attorno a lui, cercando di evitare di urlargli in faccia tutto il suo disappunto.
- Se volevate farmi fuori potevate trovare metodi meno dolorosi!! - Ululò dolorante. L'abate lo riprese duramente, accusandolo di aver mancato di rispetto ai suoi confratelli, ma il poveretto era abbastanza rintronato da riuscire a ignorare cosa stava dicendo.
- Hayate, portalo in infermeria. E non farlo uscire fino a quando non sta davvero bene. Per oggi sei esulato dai lavori e le preghiere. Rimettiti in forze. - Hayate davanti all'abate non disse nulla, e obbedì diligentemente aiutando Lawliet ad alzarsi e portandolo via sottobraccio. Appena però misero piede nel chiostro, il monaco giapponese cominciò a lamentarsi.
- Devo proprio aiutare una bestia nociva come te...? Devo ricordarmi a purificarmi con l'acqua santa non appena torno in cappella. - Lui non rispose a quelle provocazioni. Ci era abituato. Ma ciò che in quel momento gli causò una stretta al cuore era il fatto che Hayate non aveva mai detto quelle cose apertamente. Hayate, l'uomo che...
- Perché allora hai raccolto l'eredità della "moglie di Satana"? - si lasciò sfuggire. Il monaco si fermò.
- Sai bene che non devi pronunciare il nome di Lucifero all'interno del chiostro!! - Lawliet con una spinta si liberò dalla stretta del monaco. Barcollò come ubriaco fino ad una colonna del portico, e ci si appoggiò per evitare di rotolare sul pavimento. Chiuse gli occhi, e con la voce rotta dall'emozione sussurrò:
- Hayate, ti prego. Smettila. Lasciala dormire in pace. Non ha fatto del male a nessuno. Non ho nemmeno il suo corpo su cui piangere... - Lawliet aprì appena gli occhi per poter guardare come reagiva il confratello. Non aveva ancora finito per quella giornata con i lividi, dal momento che Hayate lo colpì con un destro estremamente preciso e potente. Il ragazzo cadde malamente a terra, graffiandosi i palmi delle mani e lacerandosi la veste sulle ginocchia. Si mise a sedere immediatamente, puntellandosi con i gomiti e guardando spaventato Hayate, che lo afferrò per la cappa sollevandolo da terra.
- Quella maledetta... per colpa sua stavo per finire in mezzo alla strada! Lei... lei avrebbe fatto meglio a lasciarti morire di fame quando eri nato!! - Urlò con gli occhi venati di rosso. Lawliet non riusciva a reagire. Hayate, colui che l'aveva cresciuto dopo la morte di sua madre, che l'aveva amato come un figlio fino a pochi anni prima... Il suo dolore era impotente di fronte alla rabbia di quell'uomo. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi, e sapeva che le sue labbra tremavano per lo sgomento. Si preparò a ricevere un altro pugno, che effettivamente arrivò. Un sinistro ben piantato, che lo inchiodò nuovamente al terreno. Hayate, ormai furioso, lo raccolse nuovamente da terra e lo lanciò contro una colonna.  Lawliet si chiese se quel giorno sarebbe stato l'ultimo. Morire per mano di un uomo che poco tempo fa era come un padre per lui, morire in quel chiostro. Doveva solo accettarlo. Il Signore aveva deciso di chiamarlo a sè. Non era successo in cappella, sarebbe successo nel chiostro. Era questione di pochi metri, o lì o là... No. Si disse fermamente di no. Non voleva morire. O almeno, non in quel modo; doveva sapere il perché.
- Hayate... Hayate... - cominciò a chiamarlo con il poco fiato che gli era rimasto, sputando un grumo di sangue. Il monaco lo afferrò nuovamente, per colpirlo una seconda volta. Tuttavia si fermò subito dopo aver alzato il pugno. Osservò quel viso dai tratti delicati, in parte deformati dai colpi tremendi che gli aveva inferto, e quegli occhi... gli occhi di un angelo. Un'altro volto si sovrappose a quello di Lawliet. Era quello di una donna bellissima, con occhi grigi come le nubi temporalesche e luminosi come il sole di giunio, le labbra come un bocciolo di rosa e i capelli scuri come la corteccia degli alberi. Subito dopo quella visione le forze lo abbandonarono. Lasciò il ragazzo, e si accorse che gli bruciava la gola per quanto aveva urlato. Lawliet si lasciò scivolare lungo la colonna, privo di forze. Guardò Hayate con occhi socchiusi, ansimando affannosamente. Il monaco deglutì e si appoggiò al muro, ricambiando lo sguardo del ragazzo.
- Tua madre era molto bella - Cominciò Hayate. Il ragazzo aprì di più gli occhi, guardandolo sorpreso. - Era bellissima. Aveva i tuoi stessi occhi. Gli occhi di un angelo. Niente in lei poteva far pensare a un demonio. Era molto dolce... ma questo dovresti ricordartelo, vero? - Il giovane era troppo incredulo per rispondere, ma Hayate continuò la sua storia- Arrivò al monastero in una notte fredda. Nevicava. Io ero di guardia al portone quella notte. Sentii bussarre disperatamente alla porta. Qualcuno urlava. Era la voce di una donna. Chiedeva disperatamente che le venissero aperte le porte. Ma questo è un monastero di clausura; non potevo aprirle. Lei continuava a urlare, a chiedere la grazia. Chiedeva pietà almeno per il suo bambino... Non le aprii. Ben presto la sua voce si spense. Pensai che se ne fosse andata, d'altronde Tokyo dista soltanto sette ore di cammino da qui. Ci fu il cambio della guardia, e me ne andai a letto. Ma come potevo dormire, sapendo che una donna e un bambino innocente stavano forse morendo congelati proprio di fronte alla porta di un monastero, dove si predica la bontà d'animo? Corsi dunque al portone, e ignorando le proteste del monaco che faceva la guardia aprii il cancello. Ai miei piedi era sdraiata una donna, che teneva stretto al petto qualcosa. Era svenuta ma continuava a stringere un fagotto a sè. Indossava abiti decisamente troppo leggeri per il tempo. Aiutato dall'altro monaco la portammo al caldo nell'infermeria, e solo allora, mentre la sdraiavamo nel letto, ci rendemmo conto del contenuto del fagotto. - Guardò intensamente Lawliet, sorridendo dolcemente.
- Ero... io?? - chiese debolmente il ragazzo, ansioso di sapere altro sulla sua adorata madre. Hayate per tutta risposta annuì guardando il cielo.
- Piangevi come un disperato, e non sapevamo come calmarti. Lei era svenuta, e tu nato da poche ore. Alla fine ti avvolgemmo in alcune coperte riscaldate e crollasti addormentato come un sasso. Curai te e tua madre per tutta la notte. La mattina dopo lei si era svegliata, e non credeva ai suoi occhi. Le spiegai tutto l'accaduto... Ma lei non faceva che controllare che tu stessi bene. Mentre ti cullava, mi disse che stava scappando. Prima che potessi chiederle altri particolari scoppiò a piangere, chiedendomi di poter rimanere nel monastero fino a quando tu non avessi raggiunto la tua maggiore età. Mi fece troppa pena, e dopo un'accesa discussione conl'allora abate riuscii a convincerlo ad accogliervi nella nostra casa. Immediatamente tu diventasti la mascotte del monastero... tutti amavano passare il tempo con te, eri un monello! Quante ne hai combinate... - Lawliet improvvisamente si irrigidì. Non sapeva che Hayate era al monastero da prima che arrivasse lui. Se aveva conosciuto bene sua madre, forse...
- E mio padre? - chiese impulsivamente. Voleva sapere chi era. Lei si era sempre rifiutata di parlargliene, ma forse...
- Non ne so niente, figliolo. Lei evitava il discorso. Diceva solo che era stato costretto ad abbandonarla poco prima che tu nascessi. Non so altro, lo giuro. - Il ragazzo ancora non capiva una cosa...
- Però... se volevi così bene a mia madre, perchè hai cominciato a parlarne male? - Hayate non rispose. Non subito. Si guardava intensamente la punta dei piedi, cercando di non incrociare lo sguardo del ragazzo. Dopo un profondo sospiro, decise di lasciarsi andare.
- Io ne ero innamorato, Lawliet. Violando ogni regola del mio contratto con Dio, volevo quella donna con tutto me stesso. Però lei.. - strinse i pugni con rabbia. - lei mi ha rifiutato. Più di una volta. Non ha mai ceduto, e sosteneva fieramente di essere fedele all'uomo che le aveva donato quel figlio, anche se lui vi aveva abbandonati. Non so perchè... perchè.... - Non finì la frase.
- Continua - disse freddamente il novizio. Hayate sorpreso guardò quel ragazzo, ora in piedi e con il mento alto di fronte a lui. No, non era un ragazzo. Quello che aveva di fronte... era un uomo.
- Quando morì decisi di prendermi cura di te. Però il tempo passava, e tu crescevi diventando sempre meno somigliante a lei... Immagino tu sia uguale a tuo padre. Vedendo te, vedevo l'uomo che mi aveva per sempre rubato l'unica donna di cui mi fossi mai innamorato. Per questo cominciai ad odiarti... e ben presto per osmosi cominciai ad odiare anche lei. - Lawliet guardava Hayate farsi pian piano sempre più piccolo al suo cospetto. Lentamente le lacrime bagnarono quelle guance solcate dalle rughe, mentre i singhiozzi gli serravano il petto.
- Vedo dei numeri sopra la gente - disse Lawliet. Il monaco sobbalzò, guardandolo confuso. Il giovane aveva un'espressione indecifrabile, e guardava dritto davanti a sè, troppo preso dai suoi pensieri per accorgersi che di fronte a lui non c'era che un muro spoglio.
- Numeri...?
- Dei numeri in rosso, che sembrano galleggiare per aria. Non ho idea di cosa significhino. Ci sono anche delle scritte sotto. Le ho viste per la prima volta stamattina in mensa. Stavo guardando fratello Masashi, quando all'improvviso gli occhi cominciarono a farmi male e vidi comparire una serie di numeri e due parole sopra la sua testa. C'era scritto 151021 e 1643.
- E... cosa significano quei numeri? - Lawliet scrollò le spalle, allargando le braccia per far capire cosa aveva capito.
- Bho. Non ne ho idea. Magari potessi saperlo. Però sotto c'era scritto "morte naturale". - Hayate guardò sorpreso il ragazzo. Che fossero delle visioni? Masashi era molto vecchio, aveva almeno ottant'anni, e nessuno si sarebbe sorpreso se Dio l'avesse chiamato a sè.
- Queste... "visioni" dobbiamo stare molto attenti, figliolo. E se fosse una Tentazione? Sai che il demonio ha molti modi per far passare una maledizione per un segno divino.
- Cosa...? Dici che potrebbe essere un segno di Dio quanto di Satana? - Hayate annuì debolmente.
- Dobbiamo parlarne con l'abate, e subito... - Ma la reazione dell'abate fu decisamente meno cauta rispetto a quella dei due. Entusiasta, annunciò la consacrazione e la tonsura di Lawliet per quel pomeriggio alle cinque. Inutili le precisazioni e i dubbi di Hayate; per l'abate quello era sicuramente un segno divino. Appena uscirono dallo studio del monsignore, entrambi continuarono a esprimere dubbi riguardo a quelle visioni.
- Se si venisse a sapere... possibile che l'abate non sappia delle voci che circolano sul tuo conto? - Disse il monaco come se fosse estraneo a quei fatti. Lawliet ancora non l'aveva perdonato per ciò che aveva fatto, ma ora si stava arrovellando il cervello su questi eventi ed era troppo preso dai suoi intricati ragionamenti per notarlo. Possibile che, di punto in bianco, cominciasse a vedere numeri e parole sopra la testa delle altre persone? Vedeva un numero anche sopra la testa di Hayate: 161021 0314, incendio. E se...
- ..fosse una data? - Disse lui. L'altro monaco lo guardò sorpreso.
- Ad esempio, sulla testa di Masashi ho visto i numeri 151021 e 1643. E se il primo numero stesse per 15/10/21?
- Quindici ottobre duemila e ventuno?
- Sì... forse vedo la data della morte delle persone. Si spiegherebbe così anche la frase "morte naturale" che figurava sotto. - Il monaco si portò una mano dietro la nuca, grattandosela distrattamente.
- Sì, in questo caso il ragionamento filerebbe... e 1643? - Lawliet rimase in silenzio per qualche altro secondo, prima di parlare.
- Forse è un orario...
- intendi le sedici e quarantatrè? Cioè, fammi capire - Disse bloccando Lawliet che stava camminando accanto a lui. - Tu vedresti data, orario e causa della morte di una persona.
- Credo di sì. Vedo qualcosa anche su di te. - lui si irrigidì notevolmente.
- C'è scritto... - la mano di Hayate gli tappò la bocca.
- Figliolo, quando arriverà il mio momento voglio farlo come chiunque altro. Voglio essere ignaro del giorno della mia morte. Tutti dobbiamo morire prima o poi, ma non posso vivere con l'angoscia per il mio ultimo giorno. Ho visto molte persone a me care andarsene... - Non finì la frase, e accarezzò paternamente la testa capelluta di Lawliet.
- Vattene, Lawliet. Prendi le tue cose e vattene da qui. Ho un tremendo presentimento.
- Ma oggi pomeriggio devo prendere i sacramenti... cosa stai dicendo? - Hayate si guardò intorno angosciato.
- Forse il signore mi ha dato l'occasione per ottenere il tuo perdono, ragazzo. Vattene entro stasera. Me lo ha detto Lui. - Il ragazzo rimase interdetto. Il monaco si dileguò in fretta, senza dare altre spiegazioni. Lawliet si diresse lentamente verso il dormitorio, sentendo il bisogno di un bagno. Si sedette su una panchina, osservando i monaci dirigersi diligentemente verso l'orto. Vicino a lui si sedette Masashi, l'anziano monaco di cui credeva di aver visto la data della morte.
- Lawliet stai meglio? - Il ragazzo annuì, sorridendo al monaco.
- Ora sto molto meglio, grazie. E lei?
- Eh ce ci vuoi fare figliolo, sono vecchio e ho una prostata grossa come un cucciolo di foca... - Lawliet deglutì cercando di scansare l'immagine tremenda che si stava delinenando nella sua mente, e cambiò argomento.
- Spero non si sia preoccupato per me, oggi in cappella...
- Be' un pochino mi sono preoccupato. Pensavo proprio che eri morto stecchito, sai?
- Pensi in positivo, padre. Sempre in positivo. - Il vecchio rise di gusto, dando una leggera pacca sulla spalla del ragazzo.
- Sei intelligente, sai... Sei anche più furbo di tua madre. Ah, quante me le hai fatte quando eri un discoletto pestifero... mi ricordo che una volta mi hai messo del miele nel cappuccio del saio, e la stoffa mi è rimasta attaccata alla testa per due giorni! Non andava via nemmeno con l'acqua... - Lawliet arrossì leggermente. Il vecchio si appoggiò allo schienale della panchina, osservando il cielo.
- Però, padre... lei è sempre stato buono e comprensivo con me, e glielo devo dire... io... - Prese fiato, e nascose le mani nelle maniche del saio come era solito fare.
- Credo di aver visto la data della sua morte. - Non riuscì a guardare Masashi, e si osservò la punta dei piedi a lungo. Non ricevendo però nessuna risposta alla fine, sospirando, alzò deciso la testa verso l'uomo. Ma non riuscì a ruotare completamente la testa, che la mano dell'anziano si posò paternamente sulla sua testa.
- Signore Dio, perdona i miei peccati e donami la pace eterna. Proteggi questo tuo figlio, Lawliet, dalla maledizione tramandatagli dall'angelo della morte. - La mano di Masashi scivolò dai folti capelli del ragazzo, per poi pendere inerme, mentre la testa si abbandonava sulla spalla. Lawliet rimase paralizzato per qualche secondo, prima di riprendere il controllo del suo corpo.
- P-padre... - toccò una spalla del monaco, ma questo scivolò dalla panchina finendo a terra inerme come un manichino. Erano le 16.43, e solo allora Lawliet si ricordò che quel giorno era il quindici ottobre, anno duemila e ventuno.





Guardò un'ultima volta il convento, illuminato dalla luce della luna. Si sentiva così triste al pensiero, al punto che le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Strinse a sè la sacca ricavata dal cappuccio del suo saio, sentendo sotto le sue dita il contorno di un piccolo libro. Sospirò, e cominciò a camminare nel bosco, inoltrandosi in profondità. Sentiva il cuore urlargli di tornare indietro, di non lasciare che la paura e le parole di Hayate lo influenzassero. Scosse la testa dolcemente, chiundendo gli occhi e cercando di calmare i battiti del cuore. Tastò ancora il libricino che si era portato dietro, insieme ad alcuni gioielli appartenuti alla madre. Quella Bibbia, rilegata a mano dalla donna che l'aveva messo al mondo, era una delle poche cose rimaste del suo passato. Ne era testimone la luna.
"Tieni tesoro: quando diventerai monaco ti ricorderai di me, ogni volta che aprirai questo libro per cercare delle risposte". Prese un profondo respiro, e volse la testa verso la selva. Evitò di guardare il numero che troneggiava sopra il monastero: 161021 0314 Incendio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 - Suspect... Who's he? - Notizie dell'ultima ora: è stato distrutto nel corso di un incendio il monastero di clausura cattolico "Santa Maria Addolorata". Non si hanno notizie di sopravvissuti. Gli inquirenti dichiarano che l'incendio si è sviluppato intorno alle tre di notte. Si sospetta inoltre che si tratti di incendio doloso, dal momento che fra le macerie sono stati rinvenuti i resti di un focolare e alcune bombole del gas... - Un gruppo di persone era in piedi, di fronte a un negozio di elettronica, a guardare il Tg dai televisori esposti in vetrina. Alcuni commentavano l'accaduto, altri ancora attendevano svogliatamente le notizie sportive. Solo una persona si staccò dal gruppo, camminando curva come se portasse un grande peso. Indossava un saio consumato e portava legata sulla schiena una sacca dello stesso materiale dell'abito povero. Era molto giovane, con una gran massa di capelli corvini e la pelle chiara come il latte. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi, nascosti dalla frangia ribelle, e camminava con la schiena curvata dalla fatica. Si sedette su una panchina, e si prese la testa fra le mani. Silenziosamente pianse amare lacrime, tirando su col naso e nascondendo gli occhi nell'incavo del gomito destro. Nessuno si fermò per premurarsi che stesse bene; la città era davvero troppo grande per preoccuparsi di un giovane monaco che piangeva per strada. Lawliet riuscì finalmente a calmarsi, con gli occhi che bruciavano e le guancie accaldate. Si portò le ginocchia al petto, stringendole con le braccia e abbandonando la testa sulle gambe. Si sentiva male. Gli girava la testa, ovunque si girava era un turbinio di numeri e cause di morte... Sentiva che presto avrebbe vomitato. Si stropicciò varie volte gli occhi stanchi. Non era riuscito a dormire. Era mezzogiorno, ma se avesse potuto, si sarebbe lasciato cadere a terra e si sarebbe addormentato come un sasso. Aveva trascorso la notte fra rimorsi e ripensamenti, camminando senza sosta nel bosco, e continuando a ripetersi che era un codardo schifoso. Gli si erano quasi rotti i sandali, e aveva vesciche su tutta la pianta del piede. Gli faceva male la schiena ed era davvero sul punto di crollare. Forse avrebbe potuto elemosinare in giro, anche se non nutriva grandi speranze. Era in un paese dove si praticava lo Shintoismo, e i cattolici come lui erano davvero una piccola minoranza. Dubitava che qualcuno si sarebbe abbassato a donargli anche uno straccio... però Tokyo era davvero grande, e forse qualcuno disposto a regalargli un pezzo di pane l'avrebbe trovato. Abituato a digiuni forzati e prolungati, la fame non lo metteva in agitazione. Era anche vero che non era abituato a sforzi così prolungati e intensi, motivo per il quale sopportava a malapena lo stomaco vuoto. Forse avrebbe trovato rifugio in qualche chiesa... E poi, dopo aver recuperato le forze, avrebbe realizzato il suo sogno più segreto e intimo. Si sarebbe messo alla ricerca di suo padre.


Un giovane uomo stava fumando una sigaretta fuori dalla stazione di polizia. La città era divenuta molto tranquilla in quegli ultimi mesi. Avevano abbassato la percentuale dei crimini totali dell'undici per cento in due anni. Una buona percentuale... Non potè fare a meno di ridacchiare. Era divenuto un maniaco dei numeri da lì a pochi anni fa. A volte addirittura gli veniva una gran voglia di dolci... ricordava quando sua moglie, nel periodo in cui era incinta, si lamentava del fatto che ogni volta che lo mandava a comprare dei pasticcini lui tornava sempre con il vassoio mezzo vuoto. Be', quando si usa tanto il cervello è naturale dover mangiare molti zuccheri per poter essere sempre al cento per cento, le rispondeva spesso. Non riusciva a pensare se non si mangiava almeno un dolcetto al giorno, peccato però che aveva dovuto cominciare a frequentare la palestra per smaltire.  Prendendo un'altra boccata, pensò che i fantasmi del passato faticavano ad andarsene. E mentre sperava di poter finalmente archiviare il suo passato, questo rivenne a galla con una veemenza impressionante. La sigaretta gli cadde di mano, mentre la bocca si spalancava in un urlo muto. Come in moviola davanti a lui stava camminando un ragazzo che lui conosceva bene. Capelli neri e ribelli, schiena curva e due grossi occhi mezzi nascosti dalla frangia...
- R-RYUZAKI!!! - Il ragazzo girò appena la testa dalla sua parte, continuando a camminare e ignorando il richiamo dell'uomo. Tuttavia quest'ultimo non era tipo da lasciarsi scoraggiare così facilmente. Scese di corsa le scale e riuscì ad afferrare il ragazzo per una spalla, costringendolo brutalmente a girarsi. Non appena però scorse il suo viso, il tempo tornò a scorrere normalmente. Si accorse di avere il fiatone. Colui che credeva essere Ryuzaki lo guardava con due grandi occhioni argentei spaventati, incapace di reagire. Era un po' più giovane del detective che conosceva, aveva il volto ancora come quello di un ragazzino ed era di ben dieci centimetri più basso. Inoltre notò che la schiena del ragazzo era perfettamente dritta, dal momento che la drizzò senza problemi per lo spavento. Rimase a fissare deluso quel volto per qualche altro attimo, prima di riprendersi e capire che gli stava facendo del male.
- Ah..! I-io... scusa, non... non volevo!!! - Riprendendo colore, il ragazzo sottrasse le proprie spalle dalla presa potente del poliziotto.
- N-non fa niente... - si sistemò il saio e controllò che una sacca assicurata alla sua schiena con un pezzo di spago fosse ancora lì.
- Scusatemi ma ora devo andare. Arrivederci. - il monaco salutò educatamente l'uomo, continuando a camminare senza voltarsi nemmeno una volta per guardarlo, il quale fra l'altro rimase immobile ad osservarlo fino a quando non fu che un puntino all'orizzonte, che sparì fra due palazzi pochi attimi dopo. Non si accorse nemmeno del suo collega che, uscito dalla centrale e scese le scale, lo chiamava a gran voce.
- Matsuda! Ehi amico, tutto bene? Che brutta cera! Sembra che tu abbia visto un fantasma... - Matsuda guardò ancora per qualche secondo la strada dove era sparito quel monaco che somigliava così tanto ad L, prima di mormorare:
- Non ci crederai mai Mogi, ma l'ho visto per davvero un fantasma. Il fantasma di Ryuzaki!!
- Eeeeeehh? Tu sei fuori, Matsuda! Fumi ancora quelle pessime sigarette artigianali... se proprio devi fumare, be', passa ai sigari come ho fatto io! - Nel frattempo Lawliet era ancora scosso dall'irruenza dell'uomo che gli era quasi saltato addosso. Non concepiva il fine di quell'azione, e dubitava che l'uomo l'avesse fatta in maniera non intenzionale, come aveva invece balbettato pochi attimi dopo. Non sapeva dove andare, e le date che turbinavano intorno a lui gli facevano girare la testa. Pian piano però ci si stava abituando. In alcuni casi poi gli si stringeva il cuore, tipo quando vide l'orrenda morte per annegamento a cui andavano incontro un padre e la sua bimba, o una trasfusione sbagliata per una donna incinta di lì a pochi giorni. Ben presto lo stomaco cominciò a brontolare, reclamando a gran voce cibo. Cercando di ignorare la debolezza che pian piano appesantiva i suoi arti, chiedeva ai passanti se nelle vicinanze c'era una chiesa cattolica. Quasi nessuna delle persone interogate non sapeva dove si trovasse, e rifiutavano di elemosinargli, e l'unica persona che  perlomeno sapeva che esistiva gli rivelò che si trovava all'estrema periferia a nord di Tokyo. Gli suggerì di prendere la metro, e siccome era cattolico anche l'uomo che gli aveva fornito l'informazione gli elemosinò duecento yen. Una visione paradisiaca per Lawliet dopo sette ore in quella città così inospitale per uno che aveva vissuto per diciassette anni fra le mura di un convento.
- Le consiglio vivamente di prendere la metro, fratello. Le ci vorranno tre ore di cammino per arrivarci, e mi sembra stanco... ha bisogno di aiuto?
- Mi accontenterò della sua gentilezza. Grazie ancora per l'informazione e i soldi. - se ne andò dopo aver ripettosamente salutato l'uomo con un profondo inchino, per poi dirigersi verso la fermata più vicina, a soli cinquecento metri da dove si trovava. Mentre camminava fra le centinaia di persone che affollavano i marciapiedi si ritrovò spiaccicato contro il muro, dal momento che una donna cominciò improvvisamente a correre accanto a lui.  Un ragazzo alto e dall'aspetto muscoloso stava correndo con una borsa in mano, e dietro di lui  la donna lo inseguiva urlando. Non ci mise molto a fare due più due. Ma cosa poteva fare un monaco gracile e indebolito contro un ragazzone come quello scippatore? Il ladro correva verso di lui. Decise di mettersi da parte, e lasciar fare a chi avrebbe potuto fermarlo. Lo sguardo gli cadde sulla data che pendeva sulla testa del ragazzo. Rimase immobile. 171021 1134 Travolto da un mezzo. Si voltò a guardare meglio la strada. C'era effettivamente un incrocio venti metri più avanti, e il semaforo era verde per le macchine... anche se era un ladro non meritava certo la morte! Calcolò che erano pressappoco le undici e mezza, e confermò la sua tremenda deduzione. Se fosse riuscito a fermarlo...! Il ragazzo lo superò pochi attimi dopo, e Lawliet preso alla sprovvista dovette partire a razzo cercando di racimolare energia da ogni cellula del suo corpo. Si stupì della sua velocità, raggiungendo in fretta lo scippatore. Lo afferrò per un braccio, strattonandolo violenetemente. Quello si girò, cercando di divincolarsi.
- Fermati o morirai!! - il ragazzo spalancò gli occhi, turbato.
- Che cazzo stai dicendo??!!! Vattene via idiota! Lasciami!- Ma Lawliet era deciso a salvarlo.
- Se continuerai a correre morirai investito alle undici e trentaquattro. Fermati e costituisciti, ti prego!! - Il ragazzo era ormai spaventato. Si divincolò dalla presa del monaco, retrocedendo senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Soffocò un urlo.
- M-ma... è uno scherzo...? Oddio sto impazzendo! Sono diventato pazzo! - Continuò a urlare cose simili, e una piccola folla cominciava a crearsi attorno ai due. Lawliet, intimorito dallo strano comportamento del ragazzo, si avvicinò per aiutarlo.
- Noooooooo!!! Vattene via! Sei un demone! UN DEMONE!! - Si coprì gli occhi con le braccia e lanciando lamenti corse verso la strada. Il monaco si riprese a fatica dalle urla del ragazzo, e facendo leva esclusivamente sulla sua forza di volontà compì l'ultimo scatto. Riuscì a raggiungerlo una seconda volta, gli mancava poco più di un metro per raggiungerlo... Sentì il suono di un clacson e delle ruote che frenavano sull'asfalto. Vide una macchina arrivare a tutta velocità verso di lui. Allora sarebbe morto in quel momento? Si chiese perchè Dio allora non lo aveva fatto perire nell'incendio, invece che procurargli tutto quel dolore. Sentì qualcosa colpirlo forte, e strinse i denti mentre il sapore del sangue invadeva la sua bocca.




Angolo autrice:
Spero abbiate passato un buon Natale e un festoso capodanno! Yeeeeehhh!!! *getta via copricapi Maya e fuochi d'artificio illegali*
Siccome devo ancora riprendermi dalle feste mi limito a dire ancora grazie a tutti coloro che seguono la mia storia e la commentano!
Buon 2013 a tutti (Maya fottetevi yeah)!!!
Phoenix

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 - The revelations - Ehi... si sta svegliando!
- Calmo Matsuda... ora non montarti la testa....
- Ma lui è la prova del fatto che non vi ho detto una bufala...!
- Ho capito ma rilassati, ok?! Ecco così, prendi un bel respiro. - Lawliet era immerso nel buio più assoluto, senza riuscire a percepire la massa del suo corpo. Era come se la sua anima galleggiasse in un liquido molto denso, che ne impediva i movimenti. Pian piano il buio divenne meno vischioso, e il ragazzo cominciò a riprendere conoscenza. Si sentiva libero di respirare, e anche la vista virò a velocità vertiginosa verso il bianco. Schiarendosi, i colori emersero da quel candore accecante, e i lineamenti degli oggetti divennero mano a mano più definiti. La luce della stanza gli ferì gli occhi, e dovette strizzarli e sbattere le palpebre un paio di volte prima di abituarsi. Sentiva un vociare in sottofondo indefinito, ma non riusciva a riconoscere le voci, come era invece successo nella cappella. La cappella... Aveva ormai finito le lacrime, e sentiva solamente una grande tristezza stringergli il cuore. Ci mise un po' per mettere a fuoco la situazione. Tre persone erano ai piedi del letto dove era steso. Un uomo con capelli neri e occhi nocciola, un grosso tizio con capelli di taglio militare e pelle bronzea e l'ultima era una donna bionda e bassa; i tre parlottavano fitto fitto fra loro, e non sembravano notarlo. Nonostante non sentisse le gambe, provò comunque ad alzarsi dal letto. Una fitta al braccio sinistro però lo dissuase dal provarci. Mugolò dal dolore, catturando l'attenzione delle tre persone. Il più giovane fra i due uomini, quello con gli occhi nocciola, si precipitò al suo capezzale.
- Ti sei svegliato? Stai bene? Come ti senti? Ti fa male il braccio? Chi sei? Perché sei corso dietro a quel tipo? Perché... AHIA!! - ricevette un cazzottone sulla testa, a opera della donna bionda.
- MATSUDA! Insomma, si è appena svegliato... lascialo stare!
- Ma Chiyoooo.. - Piagnucolò Matsuda.
- Ha ragione, amico mio: rilassati, ben presto avremo le risposte che cerchiamo. Mi dispiace tanto per l'irruenza del mio collega - Disse l'imponente omone. - Io sono Mogi, lui è Matsuda e lei è Chiyo Amane. Non aver paura, siamo poliziotti. Piacere di conoscerti. Come va? - Il ragazzo, leggermente infastidito da tutte quelle attenzioni, e incapace di capire perchè dei poliziotti dovessero interessarsi a lui, disse:
- m-mi chiamo Lawliet, monaco di Santa Maria Addolorata....
- Nuuuoooooooo non ci credo!!! Vieni davvero da lì?!! - Disse Matsuda che aveva smesso i panni della povera vittima per tornare il solito casinista.
- Ma allora non ti ammazza proprio nessuno, eh?
- MATSUDA! - stavolta fu Mogi che si lasciò andare alla gioia della crudeltà manuale, abbattendo quella palanca di mano sulla testa del già provato collega piedipiatti.
- Ahiahiahiahiahia!!! Mogiiiiiii!! Non vale, tu hai una forza mostruosa... non sei una donna come Chiyo... - Lawliet sorrise a vedere quella scena. Chiyo, intenerita dalle condizioni del ragazzo, gli andò vicino sedendosi sulla sedia accanto al letto.
- Quindi ti chiami Lawliet, giusto?
- Sì.
- E vieni dal monastero distrutto due giorni fa... - Lawliet spalancò i suoi grandi occhioni.
- Due giorni?
- Sei rimasto incosciente a lungo, mio caro. Hai preso una bella botta. Ricordi l'incidente?
- Incidente...? Ah, sì...- Le immagini dell'incidente rivennero a galla solo dopo un non indifferente sforzo memnonico.
- Cosa è successo a quel ragazzo? è ancora vivo... vero? - Gli sguardi affranti dei tre fecero crollare tutte le sue speranze. Si prese la testa fra le mani, sconsolato.
- Allora è proprio vero... non si può cambiare il proprio destino... - L'allegro trio di piedipiatti cominciò a pensare seriamente che, contro tutte le diagnosi, quel ragazzo aveva ricevuto danni anche al cervello. E anche seri.Chiyo, con fare materno, si sedette sulla sponda del letto, circondando con un braccio le esili spalle del ragazzo, cercando di cullarlo.
- Hai avuto una brutta giornata, tutto qui. Ora noi ti lasciamo, tu riposati. - Lawliet non volle chiederle perchè una poliziotta veniva a trovare un monaco senzatetto all'ospedale; prima avrebbe analizzato per bene la situazione, e solo in un secondo momento avrebbe elaborato un piano per estorcere più informazioni possibili ai tre. Dubitava di potersi fidare subito di loro; era necessario prima di tutto sondare le loro menti, capirne la personalità e adottare una strategia diversa per ognuno di loro. Aveva una vaga idea del ruolo di ognuno di loro.
Matsuda il pagliaccio della situazione.
Mogi il "leader".
Chiyo il collante fra i due, quella con la testa sulle spalle. Teoricamente.
Davvero divertente, pensò cinicamente. Sospirando lasciò cadere la testa sul cuscino. Avrebbe pensato a tutto dopo.


- Cioè, ora mi credete o no? è L! Credetemi! - Disse Matsuda agitato. Chiyo e Mogi sospirarono esasperati. Matsuda lo interpretò come una rassegnazione alla sua indiscutibile superiorità cerebrale, e gonfiò il petto come un tacchino.
- è lui! Certo però che ha degli occhi strani... - disse pensieroso Matsuda.
- Sono bellissimi - Lo corresse Chiyo. - Per te bello è sinonimo di strano?
- Belli o meno - intervenne l'imponente Mogi - non cambia il fatto che quel ragazzo è un monaco proveniente proprio da quel monastero. Sarebbe bene indirizzarlo a qualche chiesa e trovargli una sistemazione lì.
- Ma come, vorresti lasciare che L se ne andasse? Vorresti perdere un'occasione come questa? - Mogi lo fulminò con lo sguardo, stringendo i pugni.
- Mastuda, lui non è L!!!Può assomigliargli quanto ti pare, ma non riavremo mai Ryuzaki!!! Lui è morto diciassette anni fa, maledizione! - Sbottò irritato Mogi. I suoi colleghi lo guardarono sorpresi. Lui era un uomo calmo e pacifico a dispetto del fisico, e quella reazione non era normale. Capendo ciò che passava per la testa dei poliziotti, l'uomo decise di spiegare il perchè di quella reazione, imbarazzato da quel suo scatto d'ira.
- Insomma, è che... cioè... Matsuda, tu mi capisci, vero? Da quel giorno, quando Light.... anzi no, Kira.... lo uccise... - Matsuda, sorridendo, si avvicinò al compare e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. Non c'era bisogno di parlare. Quando Ryuzaki morì era come se se ne fosse andata una parte di loro. Matsuda da allora faceva continuamente percentuali ed amava in maniera quasi maniacale i dolci, mentre Mogi era molto ma molto più riflessivo di quanto non fosse mai stato e di nascosto, quando non c'era nessuno a guardarlo, si sedeva raccogliendo le braccia al petto e senza appoggiare il didietro alla sedia. Qualche volta aveva addirittura risolto qualche caso intricatissimo semplicemente grazie a quella posizione, che sembrava davvero aumentare del 40% le sue capacità celebrali. Senza contare il fatto che erano gli unici due poliziotti della squadra anti Kira ancora in servizio. Chiyo invece era un ex modella entrata a far parte delle forze del'ordine dieci anni prima. Aveva legato subito con i due, e da allora erano divenuti una specie di task force.  E, anche se indirettamente,  lei aveva avuto a che fare con L. Un'infermiera si avvicinò ai tre, e gli chiese gentilmente di andarsene perchè l'orario delle visite era finito.


- Avanti, mangi qualcosa.... - Come un bambino capriccioso Lawliet girò la testa da un'altra parte, rifiutando categoricamente di ingoiare il minestrone estivo servitogli dall'infermiera. Sapeva che se avesse provato a mangiarlo inevitabilmente si sarebbe ricordato di padre Harry, il simpatico e magrissimo cuoco del monastero, scherzosamente soprannominato per questa sua magrezza "polpettone" dai novizi più scapestrati. Il cuoco che preparava sempre e solo minestre. Quel cuoco che,  contro ogni regola del monastero, gli preparava la cioccolata calda nelle fredde serate invernali; solo per lui metteva da parte mestoli e verdure per preparargliela. Fino all'età di cinque anni se la gustava con la madre, che lo prendeva in giro per i baffi di cioccolato che puntualmente si faceva; anche dopo la sua morte Harry aveva continuato a comprare di nascosto del cacao e rubacchiare del latte per mantenere vivo quel rituale.
- Insomma! è un ragazzo maturo, non faccia queste scene! - Disperata l'infermiera  prese il cucchiaino e tentò di imboccarlo a forza, ma le labbra serrate la fecero desistere.
- Se non mangia sarò costretta a farle una flebo... - Lawliet scansò il vassoio con il piatto, incrociando deciso le braccia. In quel momento entrò una seconda infermiera, un donnone di cento chili per un metro e sessanta d'altezza.
- Che succede? Ti sentivo quasi urlare dal corridoio....
- Non vuole mangiare nulla, e guarda i suoi valori! Dovremo fargli una flebo in questo caso... - L'infermiera grassa diede un'occhiata alla cartella clinica, prima di sospirare e infilarsi un paio di guanti in lattice.
- La flebo non basta. Qui c'è bisogno di un catete! Su, su giri! - Esclamò brandendo l'attrezzo come se si trattasse di un'arma impropria. Il ragazzo osservò terrorizzato il catete che si avvicinava minaccioso alle sue intimità, e preso dal panico afferrò il piatto e cominciò a trangugiare la brodaglia come se fosse una questione di vita o di morte. La prima infermiera prese sorpresa il piatto  e il cucchiaio lucidi come se fossero appena usciti dalla lavastoviglie, e uscì dalla stanza accompagnata dall'altra donna.
- Incredibile, ha mangiato tutto...!
- Che ci vuoi fare amica mia, il catete ha un potere incredibile sui pazienti  - disse ridendo l'altra mentre si toglieva i guanti in lattice. Per intanto, il "paziente" si stava riprendendo dallo spavento. Si ripromise di mettere da parte i suoi ricordi e mangiare qualunque cosa gli avessero messo sotto il naso, si fosse pure trattato di uno scoiattolo essiccato. Prese un bicchiere pieno d'acqua appoggiato sul comodino, e bevve lentamente per freddarsi la lingua, poichè per la fretta non aveva nemmeno aspettato che la minestra bollente si freddasse un pochino. Tranquillizzatosi, si rilassò. Era passato un giorno dalla visita dei poliziotti, e credeva non a torto che sarebbero tornati. A quanto pare assomigliava molto a qualcuno di loro conoscenza. In segreto sperava che parlassero di suo padre... oppure si erano semplicemente sbagliati. Pensava, un po' negativamente, che dopotutto le possibilità che si  trovasse davanti a delle persone che conoscessero suo padre erano inferiori al 7%. Non aveva la minima idea di chi fosse, come fosse e cosa facesse. Buio totale. Se quei tre sapevano qualcosa... gliel'avrebbe esorto anche con la forza. Infatti, pochi minuti dopo, quando entrò nella fascia oraria delle visite, quei tre fecero capolino dalla porta sorridenti.
- Ciao. Come stai?
- Bene grazie - rispose il ragazzo con voce monocorde. I tre attesero sperando forse che lui gli chiedesse qualcosa o aggiungesse particolari inediti, ma dovettero prendere l'iniziativa per interrompere quel silenzio imbarazzante.
- Ahem... ecco... siccome sei un monaco e non sei registrato all'anagrafe dobbiamo portarti in centrale. Sai, spero che capirai, ma indagare sul tuo passato è d'obbligo...
- Io non mi fido di voi. Da quanto ne so,potreste anche essere dei membri della Yakuza. Mostratemi i distintivi. - Un po' perplessi e riluttanti, estrassero i distintivi dalle tasche. Lawliet scrutò quei documenti come se nascondessero dei messaggi cifrati, ma dovette arrendersi all'evidenza.
- Be', ora ti fidi di noi? - Scosse la testa, guardando fuori dalla finestra adiacente il suo letto.
- Potrebbero benissimo essere contraffatti, e io non ho le capacità necessarie per verificare se la mia teoria sia valida o meno. Se proprio volete che mi fidi, vorrei poter parlare a quattrocchi con ognuno di voi. - Il trio si guardò sorpreso, e decisero all'unanime che lo avrebbero accontentato. Mogi si sedette sulla sedia, facendo cenno agli altri due di uscire dalla stanza. Quando la porta si chiuse, l'indagato e l'indagatore si guardarono per qualche attimo in silenzio.
- Dunque... Nome e cognome, numero di matricola e grado.
- Mogi Choji, 006736826, tenente. Ma non vedo come queste informazioni....
- Formazione scolastica.
- Liceo Takamana, Caserma Kota. E ora....
- Il suo obiettivo.
- Portarti in centrale per verificare la tua identità e indirizzarti a qualche chiesa cattolica disposta ad accoglierti e trovarti un lavoro. Spero di aver soddisfatto la tua cusiosità. - Lawliet annuì poco convinto, mentre si preparava a strappare ogni segreto che - ne era sicuro - nascondeva l'uomo. Anche Mogi sapeva che quel ragazzo era furbo, e che probabilmente avrebbe usato dei trucchi per costringerlo a parlare....
- Perchè mai dei poliziotti si interessano tanto a me? - Inutile dire che tutti i piani del poliziotto per svicolare da possibili  inganni crollarono come un castello di carte. Non immaginava che sarebbe mai stato così diretto!
- Emh.... be', ecco....
- L'averla preso impreparato vuole dire che tende a sopravvalutare i suoi avversari.- Mogi lo guardò estremamente sorpreso.
- Eeeh?!?? Avversario? - Lawliet cominciò a giocherellare con il bordo delle lenzuola.
- In questo momento io e lei siamo avversari, signor Mogi - Disse guardando pensieroso verso l'alto, senza smettere però di torturare il lenzuolo. - La nostra è una sfida a chi carpisce per primo ciò che nasconde l'altro. Nel caso sia io a uscirne vincitore lei signore sarà costretto a soccombere al mio volere, poichè potrei essere sia l'innocente monaco Lawliet sia un criminale ai livelli di Bin Laden. D'altronde, si sa così poco di me... - Mogi cominciò a sudare freddo. Stupido Matsuda.... lui e le sue seghe mentali su un secondo L!
- E se lei cominciasse a pensare che il mio Q.I. sia talmente elevato da rappresentare una minaccia, sospetterebbe della mia sincerità, e indagare sul mio passato non basterebbe più. Comincerebbero gli spionaggi, cimici nei miei abiti, o addirittura l'arresto. Se invece vincesse lei, Mogi - e si voltò a guardare il diretto interessato con i suoi grandi occhi argentati, che sembravano uno specchio che rimandava ad una dimensione ultraterrena -... se vincesse lei, beh, io avrei perso. Credo sia logico. - "Mi ha fregato!" Pensò Mogi arrabbiato. Era riuscito a metterlo in agitazione, e non riusciva a stare calmo. Era troppo simile a lui. Era ormai impossibile pensare razionalmente a una qualche soluzione. Quel ragazzo aveva ragione. Se lui lo avesse battuto sul tempo, Lawliet avrebbe dovuto assecondarlo a testa bassa. Se invece fosse stato fregato - come d'altronde stava succedendo... non sapeva nemmeno lui cosa sarebbe successo. Si ricompose schiarendosi la gola rumorosamente, evitando di far notare il sudore che gli imperlava il retro del collo.
- Il dovere di un poliziotto è quello di servire i cittadini e proteggerli, Lawliet. E questo significa anche che dobbiamo scoprire chi sei, perchè proprio come hai detto tu non sappiano niente del tuo passato. - Ormai Lawliet aveva la completa e dettagliata visione della psicologia dell'uomo.
- Ha ragione, non posso certo contraddirla su questo. Prego, esca pure e inviti dentro l'altro suo collega, quel tale Matsuda. - Senza nemmeno salutarlo l'uomo uscì dalla stanza con il cuore a mille. Il ragazzo sentì una breve e concitata discussione, e dopo qualche attimo di silenzio Matsuda si affacciò dalla porta.
- Prego, si accomodi. - Quel poliziotto aveva un atteggiamento completamente diverso dall'altro. Se quest'ultimo era estremamente cauto e sospettoso, Matsuda sembrava pronto a un'amichevole chiacchierata fra amiconi. Si lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia, incrociando le braccia e sorridendo ingenuamente al ragazzo.
- Allora tu sei Lawliet, eh? Non è un nome molto comune... sei americano?
- Non ne ho idea. Sono stato abbandonato da piccolo, non so chi siano i miei genitori. - Il poliziotto divenne molto dispiaciuto.
- Davvero? Che storia triste... Vabbè non preccuparti! - Esclamò solare dando una sonora pacca sulla schiena del monaco, che mugolò per il dolore.
- Ah, che stupido! Lì avevi dei punti, no? - Se Mogi era un uomo pacato ma brillante, Matsuda era semplicemente un cretino. Come d'altronde immaginava....
- Senta Matsuda, perchè mai dei poliziotti come voi si interessano a un banale incidente come il mio? - Decise di interpretare il ruolo del ragazzino ingenuo; con Mogi sapeva che era inutile recitare, ma con questo credulone poteva fare ciò che voleva. Un po' si disprezzava per come trattava quell'uomo, ma d'altronde, se era necessario....
- Ah, be', noi poliziotti dobbiamo sempre interessarci ai civili coinvolti in incidenti come il tuo. Sai, i testimoni dicono che stavi inseguendo uno scippatore, e noi abbiamo bisogno di altri dettagli per completare il quadro della situazione. - Senza darlo a vedere, Lawliet rimase molto sorpreso. Mogi non aveva menzionato nulla di simile. Probabilmente cercava di nascondere qualcosa. Fingendosi sinceramente convinto, continuò:
- Ah, giusto, non l'avevo consierato. Sapete bene o male cosa è successo?
- Certo: una donna è stata scippata da un ragazzo con alcuni precedenti penali. Tu hai provato a fermarlo, ma senza rendervene conto siete finiti in mezzo alla strada e un'auto non ha fatto in tempo a frenare.... il ragazzo è stato preso in pieno, tu fortunatamente solo di striscio.
- Dunque... basta che mi interroghiate e poi mi lascerete libero, vero? - Cercò di usare il suo tono di voce più debole e tremolante, come se avesse paura di chissà che cosa. Matsuda intenerito rispose:
- Massì non preoccuparti. L'unico problema è accertarci della tua identità. Se sei stato abbandonato da piccolo non ci sono documenti.... - Facendo finta di reprimere a stento un grande dolore, Lawliet guardò Matsuda stancamente. Tentando di non compiacersi per le proprie abilità di recitazione, con voce roca sussurrò:
- Giustamente bisogna sempre pensare al bene comune. Se è così, sono pronto a collaborare ventiquattro ore su ventiquattro. - Commosso, Matsuda si complimentò caldamente per il senso del dovere del ragazzo, prima di uscire dalla stanza asciugandosi una lacrima sinceramente colpito dalle parole del ragazzo. Alla fine entrò Chiyo, perplessa riguardo alla strana reazione del collega. Mogi era uscito sbiancato, Matsuda in lacrime.
- Chiyo Amane. Lei è l'ultima del team.
- Ma quale team e team! Siamo semplicemente amici, tutto qui.
- Certo, certo. Dunque, cosa crede che potrei mai dirle se sono arrivato a chiedere colloqui privati con ognuno di voi tre? - presa di contropiede la donna sussultò sorpresa. Pensierosa cominciò a torturare una ciocca di capelli con le dita.
- Uffaaa, non mi viene in mente niente! Be', forse vuoi semplicemente conoscerci meglio - disse sorridendo. Lawliet non potè fare a mno di pensare di aver appena trovato l'esempio pratico del termine "oca giuliva".
- Ahem.... sì.... forse.
- Ti avverto però che io sono impegnata con un altro uomo e tu sei decisamente troppo giovane per me. - Disse facendo l'occhiolino al ragazzo. Quest'ultimo trasalì.
- M-ma cosa va a pensare? Io sono un monaco, non posso certo pensare cose simili!- Ignorando del tutto quest'ultima frase, Chiyo cominciò a dire con fare sognante:
- Aaaahhh, i sogni proibiti della gioventù! Alla tua età anche io ne avevo molti... Ero perdutamente innamorata di un mio amico giocatore di tennis, anche se già avevo un ragazzo. Era tremendamente bello! E parecchie volte, quando mi trovavo con il mio fidanzato, facevo finta che fosse il mio amico tennista a baciarmi e spogliarmi... - Lawliet si tappò le orecchie e chiuse gli occhi, orripilato da ciò che sentiva. Solo dopo dieci interminabili minuti di racconti estremamente dettagliati la donna si rese conto del rossore che aveva trasformato il ragazzo in un pomodoro, e capì che non era esattamente ciò di cui un monaco amava sentire parlare.
- Be' è un vero peccato che sei frate. Sei un così bel ragazzo! Avresti senz'altro avuto tutte le ragazze che volevi.
- N-non impo... importa - Balbettò Lawliet, dal momento che alcuni frammenti del racconto erano riusciti ad eludere le sue mani e giungere fino ai suoi poveri timpani. "E questa sarebbe una poliziotta?!" pensò estremamente irritato il ragazzo. "Sembrerebbe la solita oca che non perde occasione per raccontare le sue avventure.... O santo cielo! Signore allontana questi pensieri dalla mia mente!"  Dovette prendere un bel respiro per calmarsi.
- Lei non sembra poi così professionale... - Osservò cinicamente. Era sicuro che la donna avrebbe senz'altro trovato una scusa per quel comportamento inaccettabile. D'altronde, se aveva raccontato tutto questo a un ragazzo che nemmeno conosceva...
- Oh mi dispiace tanto! Sai però, io ero una modella e sono poliziotta da soli dieci anni... - "SOLI??!! Ma quanto è vecchia?! " - Certo, quando sei una modella tutti pensano che sei stupida e incapace di fare quattro più quattro. Per questo sono entrata nella polizia, per poter riscattare il mio nome! - Lawliet apprezzava quel nobile movente, ma dovette constatare che se la gente pensava che lei fosse stupida non è certo perchè era una modella, ma per puro concretismo.
- Dunque perchè si è interessata al mio incidente se lei non fa parte di una task force con quei due che invece sembra siano stati mandati appositamente?
- Oh, ti assicuro che nessuno ci ha mandati. Siamo venuti di nostra spontanea volontà!
- Ma non mi dica... - disse Lawliet sorridendo sinceramente interessato. Lei stava per riaprire la bocca, quando qualcun altro s'intromise nella discussione.
- Chiyo, è finito l'orario delle visite, dobbiamo andare.... - Sorpresa la donna guardò l'orologio appeso alla parete.
- Mogi ma che dici? Mancano ancora due ore...
- E invece ti sbagli, l'orologio va male. Andiamo. A domani Lawliet. - Con queste parole Mogi trascinò Chiyo di peso fuori dalla stanza. Matsuda fece capolino dalla porta e fece in tempo a salutare amichevolmente il ragazzo prima di eclissarsi con i suoi compagni lungo il corridoio. Lawliet si lasciò andare a una bella risata.
- Certo che se è così facile fregare i poliziotti... non sarà molto divertente avere a che fare con loro. - Mogi caricò in macchina la donna, che si lamentava del trattamento rude con veemenza, seguita a ruota da Matsuda. Una volta nel mezzo, Mogi prese il volante raccogliendo ogni singola briciola di auto controllo che gli rimaneva.
- Insomma Mogiiiiiiiii!!! Non tenermi il muso, eh! Daaaai, lo sai che a me non piace avere a che fare con la gente musona <3 <3
- Chiyo, che vuoi che ti dica?! Hai quasi rivelato informazioni riservate a un perfetto sconosciuto. é vero che mentre aspettiamo il mandato possiamo agire di nostra volontà, però c'è un limite a tutto!
- Però Matsuda ha detto che assomiglia tanto a quell' Elle che... - Si morse un labbro.  - Mi dispiace ragazzi. é che forse lui... potrebbe scoprire perchè mia sorella... - Il rombo del motore coprì le sue ultime parole.

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