Gli occhi di Satana - il monaco diabolico di Phoenix_619 (/viewuser.php?uid=126127)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Running Away ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Cap 1
Il giovane monaco bussò
timidamente alla porta del proprio maestro, attendendo pazientemente
una risposta. Pochi secondi dopo, una voce grave invitò il
novizio ad entrare. Il giovane entrò con un rispettoso
inchino,
prima di alzare il capo osservando l'uomo che aveva di
fronte. Un
uomo sulla cinquantina, con tonsura e saio sgualcito. Le rughe profonde
che solcavano il suo viso e gli occhi vispi e intelligenti lo rendevano
un uomo dall'aspetto rispettabile. Era soprattutto per questo motivo se
era riuscito a scalare velocemente la gerarchia del monastero,
divenendone uno dei pilastri. L'uomo si chiamava Hayate. Era seduto
dietro un'imponente scrivania che aveva creato lui stesso, sommerso dai
libri. Aveva gli occhiali inforcati e stava leggendo un manoscritto
alla luce delle molte candele che illuminavano la stanza.
- Lawliet, benvenuto, cosa ti porta qui? - Il novizio Lawliet si
passò una mano fra i folti capelli, che non avevano mai
conosciuto la tonsura, per poi far scivolare la mano destra sulla
spalla opposta, fino ad arrivare al gomito sinistro. Allora
piegò il braccio sinistro fino ad intrecciarlo con l'altro.
Amava fare questi movimenti scenici per incrociare le braccia, ma era
tutto preparato: ormai tutti i suoi confratelli sapevano che, quando
faceva quella specie di balletto, stava per cominciare una discussione
dalla quale non sarebbe certo uscito sconfitto.
- Maestro, sono qui per lamentarmi di certe voci che circolano nel
monastero sul mio conto.
- A cosa ti riferisci? Non è arrivato nulla alle mie
orecchie.
- Più che naturale, padre, dal momento che siete una delle
massime autorità. Ma anche voi sapete bene cosa si dice del
figlio del demonio... - Hayate sospirò, chiuse il libro e si
tolse gli occhiali.
- Figliolo, io non posso fare la predica a tutte e duecento le anime
presenti nel nostro convento, lo sai bene. - Non c'era
né
rabbia né disappunto sul volto di Lawliet. Solo un sorriso a
trentadue denti degno dello Stregatto. Hayate si sentì
fremere
sotto quello sguardo. Sentì il sudore bagnargli le tempie
quando
quegli occhi grigi chiarissimi si posarono sul suo viso divertiti.
- Forse però potrebbe fare un esame di coscienza, e
smetterla di
sparlare alle mie spalle, padre Hayate. La prego, non mi guardi in
quella maniera - disse evitando di mostrarsi divertito dalla faccia
stravolta del monaco - sapeva benissimo delle mie abilità.
Credeva che non sarei mai risalito a lei? Certo, è facile da
scoprire se a spargere voci come questa fosse stato un novizio, ma chi
sospetterebbe mai di lei, un rispettabile monaco che ha lavorato
duramente per raggiungere questa posizione? - Hayate fremette.
Capì che era inutile continuare a fare il finto tonto con
lui.
- Come... come l'hai capito? Pensavo... di essere inattaccabile...
- Si è posato sugli allori, padre, ha osato troppo convinto
del
suo alibi. é stato fin troppo semplice. Mi è
bastato
gironzolare un po' per il monastero. Si parlava di me come "Il figlio
del demonio che ha sputato sulla moneta per venire a tormentarci". La
maggior parte - anzi, oso dire la totalità - pensa che con
"moneta" intende dire la medaglietta con l'immagine della Sacra Vergine
che tutti noi ci portiamo dietro, ma se ci avessero ragionato, tutti
sarebbero arrivati alla mia stessa conclusione. Ciò su cui avrei
sputato è in realtà qualcosa che ho sputato.
La frase iniziale, secondo la mia teoria, era "il figlio del demonio
che ha sputato la moneta" bla bla bla, ma dal momento che sembrava
illogico rigettare un'icona la frase è stata rielaborata per
farla meglio comprendere. La moneta menzionata
nella frase non è affatto l'icona sacra, ma per l'appunto...
una
moneta. Solo lei poteva fare un collegamento così
sopraffino,
padre, dal momento che esclusivamente lei ha una preparazione classica.
Infatti,
nella tradizione latina, era usanza mettere una moneta nella bocca di
un morto prima dell'inumazione. Tale moneta doveva pagare
Caronte - e ora non starò certo a spiegare proprio a lei chi
è -, e lui in cambio avrebbe trasportato l'anima del defunto
nell'Ade. Questo collegamento voleva significare... - Lawliet non
riuscì proprio a nascondere un ghigno sarcastico.
Ridacchiò coprendosi la bocca con la larga manica del saio,
prima di riprendere.
- Voleva significare che io sono tornato dal mondo dei morti apposta
per tormentarvi. Giusto, padre Hayate? Mi fa pure passare per
bestemmiatore, anche se non era il suo intento iniziale.- Il monaco
cercò di
ricomporsi, asciugandosi il sudore che imperlava la fronte e
schiarendosi la voce.
- Figliolo, tu... cioè, non crederai mica che io abbia detto
queste mostruosità sul tuo conto? - Lawliet assunse
un'espressione grave e minacciosa. Il sorrisetto da buontempone era
sparito, lasciando il posto ai denti stretti e le labbra serrate.
L'arcata sopraccigliare completamente glabra si contrasse nervosamente,
e la sua voce, anche
se di una tonalità poco più bassa rispetto a
prima,
sembrava uscire da una caverna.
- Che fa, si rimangia la sua confessione di poco prima? Padre, se si
trattasse di semplici insulti alla mia persona non mi arrabbierei
così tanto... - i suoi occhi puri come un lago di montagna
sembravano improvvisamente rossi come il fuoco, tanto mettevano sotto
pressione padre Hayate, che si ritrovò a indietreggiare fino
alla scrivania, e nel farlo rovesciò alcuni libri - ... ma
non
accetto che ci vada di mezzo anche la mia povera madre. Non voglio
risentire altre storie simili, padre, o mi vedrò costretto a
reclamare nuovamente. - Il fuoco che brillava nei suoi occhi
si
spense con la stessa velocità con la quale si era acceso.
Lawliet sospirò, dipinse nuovamente il suo sorrisetto
stereotipato, fece un inchino e, in barba alle regole del conclave,
girò le spalle al proprio superiore, uscendo dalla porta
senza
curarsi di chiuderla. Hayate si rese conto di aver smesso di respirare,
ragion per cui sentiva i polmoni come atrofizzati. Lentamente si
avvicinò alla sedia, e ci si lasciò cadere sopra.
Chiuse
gli occhi e si massaggiò energicamente le tempie. Si
guardò attorno. Vide alcuni volumi a terra e molti fogli
sparpagliati sul pavimento, e ringraziò il Signore per aver
dato
forza alle sue gambe evitando di cadere clamorosamente come quei libri.
Decise di andare nella cucina e chiedere a fratello Harry, cuoco del
monastero, di preparargli un po' di acqua e zucchero, giustificandolo
con un malore. Dopotutto, il suo pallore era più che
eloquente.
Angolo autrice:
Eccomi qua! Finalmente,
dopo tanto
tempo passato su questa fiction, ho il coraggio di pubblicarla! Che
dire, questo era il prologo, naturalmente i capitoli saranno
più
lunghi e, spero, più interessanti. Spero proprio che questo
prologo vi abbia incuriosito, dopotutto è una storia a cui
tengo
molto. Non vi chiederò di essere clementi con le recensioni,
non
sono nuova del sito, anzi, se avete qualcosa da dire esprimetelo nella
recensione senza paura, non temo le recensionu negative :) l'importante
è che il commento non si basi esclusivamente sulla
grammatica o
roba simile; anche un minimo (tipo due parole) sulla trama eviteranno
che io scleri come una pazza. Ok. Aspetto solo le vostre recensioni,
non siate timidi!
Phoenix
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1: The Background
Capitolo
1
Lawliet aveva gli occhi chiusi e un sorriso
pacato dipinto sul volto
mentre pregava. Era uno dei pochi momenti in cui si sentiva davvero in
pace. Era inginocchiato a terra, incurante del fango che gli
inzaccherava il saio. Il volto era rivolto verso il basso, un volto
così giovane, un volto così puro, un volto
rivolto verso
la fredda terra; nessuno riusciva a distogliere lo sguardo da quella
faccia dai tratti così delicati, ancora da ragazzino
nonostante
i diciassette anni. Sorrideva pacato, Lawliet, con le ciglia scure a
incorniciargli quegli occhi di ghiaccio. Ma Lawliet non era proprio in
pace con se stesso, non durante quella preghiera particolare
giornaliera. Nessuno a prima vista avrebbe capito che in
realtà
il ragazzo era
tormentato. Egli infatti sorrideva tristemente sulla tomba di sua
madre. Si era rifugiata in quel monastero
quando Lawliet era nato da poche ore, e lì aveva vissuto
fino
alla sua inaspettata quanto traumatica morte. Da quanto si raccontava,
era fuori dal monastero alla ricerca di un'erba speciale per la
farmacia in compagnia di padre Hayate. Egli la sentì
gridare, e
la vide cadere a terra come morta. Quando la raggiunse, non respirava e
il sangue sgorgava copioso dalla sua bocca. Perciò Hayate
corse
al monastero, per chiedere aiuto. Ma quando tornò con alcuni
compagni nel luogo dell'incidente, lei era sparita. Per evitare di
traumatizzare ancora di più suo figlio, allora un bimbo di
cinque anni, i frati decisero di seppellire in quel luogo una tomba
vuota, affinché il bambino avesse almeno qualcosa su cui
piangere. Ma
Lawliet già allora mostrava un'intelligenza vivace e
precocissima, e ciò gli permise di capire che sua madre non
riposava in quella bara di legno. Di nascosto mise nella tomba uno dei
due bracciali di cuoio che intendeva regalarle per il compleanno, che
sarebbe stato una settimana dopo. Almeno qualcosa della madre ci
sarebbe stato. Quando raggiunse i
dieci anni, e capì le regole del monastero, fece
il
diavolo a quattro perché ella non era stata sepolta in
terreno
sacro. Gli era stato risposto che una pagana doveva essere sepolta
fuori dal cimitero del monastero. Questione chiusa. Da allora Lawliet
aveva abbandonato ogni altra idea di ribellione, limitandosi a pregare
intensamente per lei ogni giorno, perché ogni notte sognava
il
cadavere della madre mangiato dagli animali, o decomposto in fondo al
fiume che scorreva lì vicino. Ogni notte si svegliava sudato
e
tremante, e si ritrovava a errare confuso per il cortile del chiostro
in ogni stagione, sia con la tempesta sia con l'afa più
soffocante. Ogni notte guardava il cielo e chiedeva al Signore di
preservare nella sua memoria solo i ricordi più belli della
madre, come il suo sorriso, o il petto morbido nel quale spesso si
rifugiava quando piangeva o si sentiva sconfortato, le braccia
lisce
che tante volte lo avevano cullato.
- Lawliet, è quasi ora di pranzo. Vieni, devi rientrare. Mi
dispiace interrompere questo momento... - il ragazzo non
aprì
gli occhi fino a quando non si fece il segno della croce per terminare
la preghiera. Solo allora, dopo essersi alzato e pulito le ginocchia
dal fango, si girò a guardare colui che l'aveva disturbato.
Si trattava di un uomo sulla trentina, con occhi chiari e capelli
biondi. Era molto insolita una tonsura bionda, e Lawliet la trovava
divertente.
- Arrivo. - infilò le braccia nelle maniche del saio come se
si
trattasse di un imperatore cinese, e con passo veloce
s'incamminò verso il monastero. Non che morisse dalla voglia
di
mangiare quella zuppetta insipida e molle che fratello Harry chiamava
"minestrone estivo con fregola", ma voleva evitare discussioni con i
superiori, cosa che rischiava sempre per quelle uscite non autorizzate.
Rientrò dalla porta della farmacia, che ne aveva una che
dava
sul bosco, e oltrepassò il chiostro. Andò sotto
al fresco
portico addobbato con magnifici affreschi e arrivò fino ad
una
porta dall'aspetto molto antico, tenuta aperta. Scese un paio di
scalini e girò a destra sotto un'arco. Lì si
trovava la
mensa, una sala spoglia su tre lati e decorata sul lato opposto alla
porta con un enorme dipinto che rappresentava l'Ultima Cena. Sui tre
lati non affrescat erano
disposti tre lunghissimi tavoli artigianali e sedie d'arte povera su
entrambi i lati dei tavoli. Molti monaci erano già seduti
alla
tavola, in rispettoso silenzio, altri stavano aspettando i confratelli
in piedi, e altri ancora stavano finendo di apparecchiare. Tutto nel
silenzio più assoluto. Lawliet assunse la sua espressione
più tranquilla e serena, per poi sedersi accanto a un
novizio di
nome Masami. Quello lo guardò spaventato, non riuscendo a
staccargli gli occhi di dosso. Lawliet aveva gli occhi socchiusi, un
sorriso appena abbozzato e le mani ancora infilate nelle maniche.
- Cosa c'è? Perché mi guardi in quella maniera?
Ho forse
qualcosa sulla faccia? - il giovane monaco non poteva certo rispondere
"Qui l'unico problema sei tu", perciò si limitò a
sgranare gli occhi tentando di guardare qualcos'altro. Tuttavia non
poté fare a meno di continuare a osservare il monaco che da
cinque anni attendeva la tonsura. Il monaco figlio del diavolo.
Improvvisamente Lawliet alzò la testa e spalancò
gli
occhi, fissandoli in quelli di Masami, che trattenne a stento un urlo.
Lawliet ridacchiò, nascondendo il viso con la mano.
- Fate tutti così. Eppure sono solo due occhi. -
Guardò
nuovamente Masami, sinceramente divertito. Dire che era sbiancato era
un eufemismo. Il ragazzo doveva ancora capire perché quelli
occhi
facessero quell'effetto a tutti coloro che li guardavano. Come diceva
sempre, quelli non erano che un paio di comunissimi bulbi oculari di
cui una consistente parte della popolazione mondiale disponeva fin
dalla nascita. Ben presto la mensa si riempì di monaci, e
l'abate si sporse dal pulpito per annunciare la preghiera. Dopo un
sonoro "Amen" padre Harry mise un pentolone sulla tavola, e con un
mestolo cominciò a servire la zuppa. Lawliet si
alzò e
cominciò a distribuire il pane fra i confratelli, come
richiestogli quella mattina da un monaco che non poteva svolgere quel
compito. Il pasto si consumò in silenzio, e alla fine tutti
aiutarono a rimettere a posto. Mentre stavano togliendo i piatti, si
sentì un sonoro "crash". Lawliet era in piedi, una ciotola
disintegrata a terra, mentre si teneva la testa fra le mani. Si
lasciò cadere sulla sedia, con gli occhi serrati dal dolore
e i
polpastrelli piantati fra i capelli. Dopo un attimo di sbigottimento
qualche frate corse a soccorrerlo, qualcun altro tolse i cocci.
- Fratello, stai bene? Cos'è successo??!
- Mmhh... no, niente... è stato solo un forte capogiro...
non
preoccupatevi, vado a sdraiarmi un po', forse passerà. -
Rifiutò con gentilezza l'aiuto che gli veniva offerto, e si
diresse lentamente al dormitorio. Si tolse la cappa e i sandali,
rimanendo con solo il saio. Si stese sul povero materasso di paglia,
guardando le travi del basso soffitto. Non riusciva a credere a quel
che aveva visto. Rifiutava quella visione incredibile, non riusciva a
convincersi di aver visto quella cosa sopra la testa degli altri
monaci. Si
stropicciò gli occhi. Si convinse che non era altro che
un'allucinazione, niente di più. Prese un bel respiro, e si
mise
a sedere. Alzò lo sguardo, guardando sopra la sua testa, ma
non
vide altro che il soffitto. Osservò il piccolo specchio
posato
sul lavatoio, e dopo un attimo di esitazione si precipitò a
guardare il suo riflesso. Guardava intensamente sopra la sua testa,
sforzando talmente tanto gli occhi che quasi gli facevano male. Solo
dopo dieci minuti buoni di scrutazione finalmente si
rilassò.
Allora quello che aveva visto era solo una visione. Prese la caraffa
piena d'acqua fredda posata sul mobile e versò un po' del
liquido nella bacinella. Si frizionò con forza la faccia,
godendo del brivido che gli regalava l'acqua fredda. Aveva voglia di
andare in giro bagnato come un cane, ma saggiamente decise di
tamponarsi il viso con l'asciugamano per evitare di essere rinchiuso in
infermeria per il resto della sua vita. Il saio non era particolarmente
fresco, dal momento che era un abito che doveva indossare anche
d'inverno. La tela grezza lo soffocava, oltre a irritargli la pelle
chiara con la sua ruvidità ed elasticità
inesistente.
Tornò alla mensa, ormai completamente ripresosi da quella
visione. E no, niente galleggiava sopra la testa degli altri monaci. Si
avvicinava l'ora della preghiera pomeridiana; ragione per cui invece di
andare alla mensa deviò verso la cappella. Appena in tempo.
Si
inginocchiò frettolosamente nell'ultimo banco ancora rimasto
libero, e
tirò fuori il rosario. Ma non appena chiuse gli occhi per
pregare, la stessa visione di prima s'impresse nelle sue palpebre come
marchiata a fuoco. E stavolta il dolore fu atroce. Sentì
solamente qualcosa cadere a terra. Forse chiese aiuto.
"E caddi come corpo
morto cade..."
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Running Away ***
Capitolo 2 Running away
Lawliet aprì gli occhi, ma non vedeva altro che nero. Era
morto?
Oppure stava sognando? Sentiva voci lontane chiamarlo... "Lawliet...
Lawliet..." Pensò che gli angeli avessero davvero una voce
bellissima. Però si accorse dopo qualche secondo che la voce
degli angeli gli suonava stranamente familiare. Perché mai
un
emissario di Dio aveva la voce del monaco ortolano??
- Lawliet!! Per santa Agnese, svegliati! - Ricevette un paio
di
ceffoni non indifferenti, seguiti a ruota da una secchiata d'acqua
gelida, pizzicotti sulle guance e una testata tremenda contro quello
che forse era il pavimento.
- Ma che fate? Così lo ammazzate, altro che salvarlo!!
- Ahhhhh, Dio ha già raccolto la sua anima.. presto prendete
i ceri funebri!
- Ma che ceri funebri?? Prima dobbiamo tagliargli i capelli e mettere
il suo teschio nella cripta... - Dopo quella minaccia spaventosa
Lawliet cominciò a comprendere cosa stava succedendo. Era
sdraiato sul pavimento della cappella, e sentiva un gran freddo. Pochi
secondi dopo, sentì anche il dolore procuratogli nel
tentativo
di "aiutarlo". Finalmente riprese conoscenza, e cercò di
tirarsi
su a sedere. Un paio di mani lo spinsero nuovamente a terra, e qualcuno
urlò qualcosa come "Giù, per l'amor di Dio!!"
Tuttavia
rimediò esclusivamente un'altra capocciata, stavolta sullo
spigolo della panca. Si morse la lingua per evitare di urlare,
portandosi le mani a massaggiare la nuca. Si tirò su a
sedere, e
riuscì a evitare altri bernoccoli per quella giornata.
- Lawliet... stai bene? - il ragazzo fulminò con lo sguardo
le
persone riunite attorno a lui, cercando di evitare di urlargli in
faccia tutto il suo disappunto.
- Se volevate farmi fuori potevate trovare metodi meno dolorosi!! -
Ululò dolorante. L'abate lo riprese duramente, accusandolo
di
aver mancato di rispetto ai suoi confratelli, ma il poveretto era
abbastanza rintronato da riuscire a ignorare cosa stava dicendo.
- Hayate, portalo in infermeria. E non farlo uscire fino a quando non
sta davvero bene. Per oggi sei esulato dai lavori e le preghiere.
Rimettiti in forze. - Hayate davanti all'abate non disse nulla, e
obbedì diligentemente aiutando Lawliet ad alzarsi e
portandolo
via sottobraccio. Appena però misero piede nel chiostro, il
monaco giapponese cominciò a lamentarsi.
- Devo proprio aiutare una bestia nociva come te...? Devo ricordarmi a
purificarmi con l'acqua santa non appena torno in cappella. - Lui non
rispose a quelle provocazioni. Ci era abituato. Ma ciò che
in
quel momento gli causò una stretta al cuore era il fatto che
Hayate non aveva mai detto quelle cose apertamente. Hayate, l'uomo
che...
- Perché allora hai raccolto l'eredità della
"moglie di
Satana"? - si lasciò sfuggire. Il monaco si fermò.
- Sai bene che non devi pronunciare il nome di Lucifero all'interno del
chiostro!! - Lawliet con una spinta si liberò dalla stretta
del
monaco. Barcollò come ubriaco fino ad una colonna del
portico, e
ci si appoggiò per evitare di rotolare sul pavimento. Chiuse
gli
occhi, e con la voce rotta dall'emozione sussurrò:
- Hayate, ti prego. Smettila. Lasciala dormire in pace. Non ha fatto
del male a nessuno. Non ho nemmeno il suo corpo su cui piangere... -
Lawliet aprì appena gli occhi per poter guardare come
reagiva il
confratello. Non aveva ancora finito per quella giornata con i lividi,
dal momento che Hayate lo colpì con un destro estremamente
preciso e potente. Il ragazzo cadde malamente a terra, graffiandosi i
palmi delle mani e lacerandosi la veste sulle ginocchia. Si mise a
sedere immediatamente, puntellandosi con i gomiti e guardando
spaventato Hayate, che lo
afferrò per la cappa sollevandolo da terra.
- Quella maledetta... per colpa sua stavo per finire in mezzo alla
strada! Lei... lei avrebbe fatto meglio a lasciarti morire di fame
quando eri nato!! - Urlò con gli occhi venati di rosso.
Lawliet
non riusciva a reagire. Hayate, colui che l'aveva cresciuto dopo la
morte di sua madre, che l'aveva amato come un figlio fino a pochi anni
prima... Il suo dolore era impotente di fronte alla rabbia di
quell'uomo. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi, e sapeva che le sue
labbra tremavano per lo sgomento. Si preparò a ricevere un
altro
pugno, che effettivamente arrivò. Un sinistro ben piantato,
che
lo inchiodò nuovamente al terreno. Hayate, ormai furioso, lo
raccolse nuovamente da terra e lo lanciò contro una colonna.
Lawliet si chiese se quel giorno sarebbe stato l'ultimo.
Morire
per mano di un uomo che poco tempo fa era come un padre per lui, morire
in
quel chiostro. Doveva solo accettarlo. Il Signore aveva deciso di
chiamarlo a sè. Non era successo in cappella, sarebbe
successo
nel chiostro. Era questione di pochi metri, o lì o
là...
No. Si disse fermamente di no. Non voleva morire. O almeno, non in quel
modo; doveva sapere il perché.
- Hayate... Hayate... - cominciò a chiamarlo con il poco
fiato
che gli era rimasto, sputando un grumo di sangue. Il monaco lo
afferrò nuovamente, per colpirlo una seconda volta. Tuttavia
si
fermò subito dopo aver alzato il pugno. Osservò
quel viso
dai tratti delicati, in parte deformati dai colpi tremendi che gli
aveva inferto, e quegli occhi... gli occhi di un angelo. Un'altro volto
si sovrappose a quello di Lawliet. Era quello di una donna bellissima,
con occhi grigi come le nubi temporalesche e luminosi come il sole di
giunio, le labbra come un bocciolo di rosa e i capelli scuri come la
corteccia degli alberi. Subito dopo quella visione le forze lo
abbandonarono. Lasciò il ragazzo, e si accorse che gli
bruciava
la gola per quanto aveva urlato. Lawliet si lasciò scivolare
lungo la colonna, privo di forze. Guardò Hayate con occhi
socchiusi, ansimando affannosamente. Il monaco deglutì e si
appoggiò al muro, ricambiando lo sguardo del ragazzo.
- Tua madre era molto bella - Cominciò Hayate. Il ragazzo
aprì di più gli occhi, guardandolo sorpreso. -
Era
bellissima. Aveva i tuoi stessi occhi. Gli occhi di un angelo. Niente
in lei poteva far pensare a un demonio. Era molto dolce... ma questo
dovresti ricordartelo, vero? - Il giovane era troppo incredulo per
rispondere, ma Hayate continuò la sua storia-
Arrivò al
monastero in una notte fredda. Nevicava. Io ero di guardia al portone
quella notte. Sentii bussarre disperatamente alla porta. Qualcuno
urlava. Era la voce di una donna. Chiedeva disperatamente che le
venissero aperte le porte. Ma questo è un monastero di
clausura;
non potevo aprirle. Lei continuava a urlare, a chiedere la
grazia. Chiedeva pietà almeno per il suo bambino... Non le
aprii. Ben presto la sua voce si spense. Pensai che se ne fosse andata,
d'altronde Tokyo dista soltanto sette ore di cammino da qui. Ci fu il
cambio della guardia, e me ne andai a letto. Ma come potevo dormire,
sapendo che una donna e un bambino innocente stavano forse morendo
congelati proprio di fronte alla porta di un monastero, dove si predica
la bontà d'animo? Corsi dunque al portone, e ignorando le
proteste del monaco che faceva la guardia aprii il cancello. Ai miei
piedi era sdraiata una donna, che teneva stretto al petto qualcosa. Era
svenuta ma continuava a stringere un fagotto a sè. Indossava
abiti decisamente troppo leggeri per il tempo. Aiutato dall'altro
monaco la portammo al caldo nell'infermeria, e solo allora, mentre la
sdraiavamo nel letto, ci rendemmo conto del contenuto del fagotto. -
Guardò intensamente Lawliet, sorridendo dolcemente.
- Ero... io?? - chiese debolmente il ragazzo, ansioso di sapere altro
sulla sua adorata madre. Hayate per tutta risposta annuì
guardando il cielo.
- Piangevi come un disperato, e non sapevamo come calmarti. Lei era
svenuta, e tu nato da poche ore. Alla fine ti avvolgemmo in alcune
coperte riscaldate e crollasti addormentato come un sasso. Curai te e
tua madre per tutta la notte. La mattina dopo lei si era svegliata, e
non credeva ai suoi occhi. Le spiegai tutto l'accaduto... Ma lei non
faceva che controllare che tu stessi bene. Mentre ti cullava, mi disse
che stava scappando. Prima che potessi chiederle altri particolari
scoppiò a piangere, chiedendomi di poter rimanere nel
monastero fino a quando tu non avessi raggiunto la tua maggiore
età. Mi fece troppa pena, e dopo un'accesa discussione
conl'allora abate riuscii a convincerlo ad accogliervi nella nostra
casa. Immediatamente tu diventasti la mascotte del monastero... tutti
amavano passare il tempo con te, eri un monello! Quante ne hai
combinate... - Lawliet improvvisamente si irrigidì. Non
sapeva
che Hayate era al monastero da prima che arrivasse lui. Se aveva
conosciuto bene sua madre, forse...
- E mio padre? - chiese impulsivamente. Voleva sapere chi era. Lei si
era sempre rifiutata di parlargliene, ma forse...
- Non ne so niente, figliolo. Lei evitava il discorso. Diceva solo che
era stato costretto ad abbandonarla poco prima che tu nascessi. Non so
altro, lo giuro. - Il ragazzo ancora non
capiva una cosa...
- Però... se volevi così bene a mia madre,
perchè
hai cominciato a parlarne male? - Hayate non rispose. Non subito. Si
guardava intensamente la punta dei piedi, cercando di non incrociare lo
sguardo del ragazzo. Dopo un profondo sospiro, decise di lasciarsi
andare.
- Io ne ero innamorato, Lawliet. Violando ogni regola del mio contratto
con Dio, volevo quella donna con tutto me stesso. Però lei..
-
strinse i pugni con rabbia. - lei mi ha rifiutato. Più di
una
volta. Non ha mai ceduto, e sosteneva fieramente di essere fedele
all'uomo che le aveva donato quel figlio, anche se lui vi aveva
abbandonati. Non so perchè... perchè.... - Non
finì
la frase.
- Continua - disse freddamente il novizio. Hayate sorpreso
guardò quel ragazzo, ora in piedi e con il mento alto di
fronte
a lui. No, non era un ragazzo. Quello che aveva di fronte... era un
uomo.
- Quando morì decisi di prendermi cura di te.
Però il
tempo passava, e tu crescevi diventando sempre meno somigliante a
lei... Immagino tu sia uguale a tuo padre. Vedendo te, vedevo
l'uomo
che mi aveva per sempre rubato l'unica donna di cui mi fossi mai
innamorato. Per questo cominciai ad odiarti... e ben presto per osmosi
cominciai ad odiare anche lei. - Lawliet guardava Hayate farsi pian
piano sempre più piccolo al suo cospetto. Lentamente le
lacrime
bagnarono quelle guance solcate dalle rughe, mentre i singhiozzi gli
serravano il petto.
- Vedo dei numeri sopra la gente - disse Lawliet. Il monaco
sobbalzò, guardandolo confuso. Il giovane aveva
un'espressione
indecifrabile, e guardava dritto davanti a sè, troppo preso
dai
suoi pensieri per accorgersi che di fronte a lui non c'era che un muro
spoglio.
- Numeri...?
- Dei numeri in rosso, che sembrano galleggiare per aria. Non ho idea
di cosa significhino. Ci sono anche delle scritte sotto. Le ho viste
per la prima volta stamattina in mensa. Stavo guardando fratello
Masashi, quando all'improvviso gli occhi cominciarono a farmi male e
vidi comparire una serie di numeri e due parole sopra la sua testa.
C'era scritto 151021 e 1643.
- E... cosa significano quei numeri? - Lawliet scrollò le
spalle, allargando le braccia per far capire cosa aveva capito.
- Bho. Non ne ho idea. Magari potessi saperlo. Però sotto
c'era
scritto "morte naturale". - Hayate guardò sorpreso il
ragazzo.
Che fossero delle visioni? Masashi era molto vecchio, aveva almeno
ottant'anni, e nessuno si sarebbe sorpreso se Dio l'avesse chiamato a
sè.
- Queste... "visioni" dobbiamo stare molto attenti, figliolo. E se
fosse una Tentazione? Sai che il demonio ha molti modi per far passare
una maledizione per un segno divino.
- Cosa...? Dici che potrebbe essere un segno di Dio quanto di Satana? -
Hayate annuì debolmente.
- Dobbiamo parlarne con l'abate, e subito... - Ma la reazione
dell'abate fu decisamente meno cauta rispetto a quella dei due.
Entusiasta, annunciò la consacrazione e la tonsura di
Lawliet
per quel pomeriggio alle cinque. Inutili le precisazioni e i dubbi di
Hayate; per l'abate quello era sicuramente un segno divino. Appena
uscirono dallo studio del monsignore, entrambi continuarono a esprimere
dubbi riguardo a quelle visioni.
- Se si venisse a sapere... possibile che l'abate non sappia delle voci
che circolano sul tuo conto? - Disse il monaco come se fosse estraneo a
quei fatti. Lawliet ancora non l'aveva perdonato per ciò che
aveva fatto, ma ora si stava arrovellando il cervello su questi eventi
ed era troppo preso dai suoi intricati ragionamenti per notarlo.
Possibile che, di punto in bianco, cominciasse a vedere numeri e parole
sopra la testa delle altre persone? Vedeva un numero anche sopra la
testa di Hayate: 161021 0314, incendio. E se...
- ..fosse una data? - Disse lui. L'altro monaco lo guardò
sorpreso.
- Ad esempio, sulla testa di Masashi ho visto i numeri 151021 e 1643. E
se il primo numero stesse per 15/10/21?
- Quindici ottobre duemila e ventuno?
- Sì... forse vedo la data della morte delle persone. Si
spiegherebbe così anche la frase "morte naturale" che
figurava
sotto. - Il monaco si portò una mano dietro la nuca,
grattandosela distrattamente.
- Sì, in questo caso il ragionamento filerebbe... e 1643? -
Lawliet rimase in silenzio per qualche altro secondo, prima di parlare.
- Forse è un orario...
- intendi le sedici e quarantatrè? Cioè, fammi
capire -
Disse bloccando Lawliet che stava camminando accanto a lui. - Tu
vedresti data, orario e causa della morte di una persona.
- Credo di sì. Vedo qualcosa anche su di te. - lui si
irrigidì notevolmente.
- C'è scritto... - la mano di Hayate gli tappò la
bocca.
- Figliolo, quando arriverà il mio momento voglio farlo come
chiunque altro. Voglio essere ignaro del giorno della mia morte. Tutti
dobbiamo morire prima o poi, ma non posso vivere con l'angoscia per il
mio ultimo giorno. Ho visto molte persone a me care andarsene... - Non
finì la frase, e accarezzò paternamente la testa
capelluta di Lawliet.
- Vattene, Lawliet. Prendi le tue cose e vattene da qui. Ho un tremendo
presentimento.
- Ma oggi pomeriggio devo prendere i sacramenti... cosa stai dicendo? -
Hayate si guardò intorno angosciato.
- Forse il signore mi ha dato l'occasione per ottenere il tuo perdono,
ragazzo. Vattene entro stasera. Me lo ha detto Lui. - Il ragazzo rimase
interdetto. Il monaco si dileguò in fretta, senza dare altre
spiegazioni. Lawliet si diresse lentamente verso il dormitorio,
sentendo il bisogno di un bagno. Si sedette su una panchina, osservando
i monaci dirigersi diligentemente verso l'orto. Vicino a lui si sedette
Masashi, l'anziano monaco di cui credeva di aver visto la data della
morte.
- Lawliet stai meglio? - Il ragazzo annuì, sorridendo al
monaco.
- Ora sto molto meglio, grazie. E lei?
- Eh ce ci vuoi fare figliolo, sono vecchio e ho una prostata grossa
come un cucciolo di foca... - Lawliet deglutì cercando di
scansare l'immagine tremenda che si stava delinenando nella sua mente,
e cambiò argomento.
- Spero non si sia preoccupato per me, oggi in cappella...
- Be' un pochino mi sono preoccupato. Pensavo proprio che eri morto
stecchito, sai?
- Pensi in positivo, padre. Sempre in positivo. - Il vecchio rise di
gusto, dando una leggera pacca sulla spalla del ragazzo.
- Sei intelligente, sai... Sei anche più furbo di tua madre.
Ah,
quante me le hai fatte quando eri un discoletto pestifero... mi ricordo
che una volta mi hai messo del miele nel cappuccio del saio, e la
stoffa mi è rimasta attaccata alla testa per due giorni! Non
andava via nemmeno con l'acqua... - Lawliet arrossì
leggermente.
Il vecchio si appoggiò allo schienale della panchina,
osservando
il cielo.
- Però, padre... lei è sempre stato buono e
comprensivo
con me, e glielo devo dire... io... - Prese fiato, e nascose le mani
nelle maniche del saio come era solito fare.
- Credo di aver visto la data della sua morte. - Non riuscì
a
guardare Masashi, e si osservò la punta dei piedi a lungo.
Non
ricevendo però nessuna risposta alla fine, sospirando,
alzò deciso la testa verso l'uomo. Ma non riuscì
a
ruotare completamente la testa, che la mano dell'anziano si
posò
paternamente sulla sua testa.
- Signore Dio, perdona i miei peccati e donami la pace eterna. Proteggi
questo tuo figlio, Lawliet, dalla maledizione tramandatagli dall'angelo
della morte. - La mano di Masashi scivolò dai folti capelli
del
ragazzo, per poi pendere inerme, mentre la testa si abbandonava sulla
spalla. Lawliet rimase paralizzato per qualche secondo, prima di
riprendere il controllo del suo corpo.
- P-padre... - toccò una spalla del monaco, ma questo
scivolò dalla panchina finendo a terra inerme come un
manichino.
Erano le 16.43, e solo allora Lawliet si ricordò che quel
giorno era il
quindici ottobre, anno duemila e ventuno.
Guardò un'ultima volta il convento, illuminato dalla luce
della luna. Si sentiva così
triste al pensiero, al punto che le sue gambe si rifiutavano di
muoversi. Strinse a sè la sacca ricavata dal cappuccio del
suo
saio, sentendo sotto le sue dita il contorno di un piccolo libro.
Sospirò, e cominciò a camminare nel bosco,
inoltrandosi
in profondità. Sentiva il cuore urlargli di tornare
indietro, di
non lasciare che la paura e le parole di Hayate lo influenzassero.
Scosse la testa dolcemente, chiundendo gli occhi e cercando di calmare
i battiti del cuore. Tastò ancora il libricino che si era
portato dietro, insieme ad alcuni gioielli appartenuti alla madre.
Quella Bibbia, rilegata a mano dalla donna che l'aveva messo al mondo,
era una delle poche cose rimaste del suo passato. Ne era testimone la
luna.
"Tieni tesoro: quando diventerai monaco ti ricorderai di me, ogni volta
che aprirai questo libro per cercare delle risposte". Prese un profondo
respiro, e volse la testa verso la selva. Evitò di guardare
il
numero che troneggiava sopra il monastero: 161021 0314 Incendio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3 - Suspect... Who's he?
- Notizie dell'ultima ora: è stato distrutto nel corso di un
incendio il monastero di clausura cattolico "Santa Maria Addolorata".
Non si hanno notizie di sopravvissuti. Gli inquirenti dichiarano che
l'incendio si è sviluppato intorno alle tre di notte. Si
sospetta inoltre che si tratti di incendio doloso, dal momento che fra
le macerie sono stati rinvenuti i resti di un focolare e alcune bombole
del gas... - Un gruppo di persone era in piedi, di fronte a un negozio
di elettronica, a guardare il Tg dai televisori esposti in vetrina.
Alcuni commentavano l'accaduto, altri ancora attendevano svogliatamente
le notizie sportive. Solo una persona si staccò dal gruppo,
camminando curva come se portasse un grande peso. Indossava un saio
consumato e portava legata sulla schiena una sacca dello stesso
materiale dell'abito povero. Era molto giovane, con una gran massa di
capelli corvini e la pelle chiara come il latte. Aveva due profonde
occhiaie sotto gli occhi, nascosti dalla frangia ribelle, e camminava
con la schiena curvata dalla fatica. Si sedette su
una panchina, e si prese la testa fra le mani. Silenziosamente pianse
amare lacrime, tirando su col naso e nascondendo gli occhi nell'incavo
del gomito destro. Nessuno si fermò per premurarsi che
stesse
bene; la città era davvero troppo grande per preoccuparsi di
un
giovane monaco che piangeva per strada. Lawliet riuscì
finalmente a calmarsi, con gli occhi che bruciavano e le guancie
accaldate. Si portò le ginocchia al petto, stringendole con
le
braccia e abbandonando la testa sulle gambe. Si sentiva male. Gli
girava la testa, ovunque si girava era un turbinio di numeri e cause di
morte... Sentiva che presto avrebbe vomitato. Si stropicciò
varie volte gli occhi stanchi. Non era riuscito a dormire. Era
mezzogiorno, ma se avesse potuto, si sarebbe lasciato cadere a terra e
si sarebbe addormentato come un sasso. Aveva trascorso la notte fra
rimorsi e ripensamenti, camminando senza sosta nel bosco, e continuando
a ripetersi che era un codardo schifoso. Gli si erano
quasi rotti i sandali, e aveva vesciche su tutta la pianta del piede.
Gli faceva male la schiena ed era davvero sul punto di crollare. Forse
avrebbe potuto elemosinare in giro, anche se non nutriva grandi
speranze. Era in un paese dove si praticava lo Shintoismo, e i
cattolici come lui erano davvero una piccola minoranza. Dubitava che
qualcuno si sarebbe abbassato a donargli anche uno straccio...
però Tokyo era davvero grande, e forse qualcuno disposto a
regalargli un pezzo di pane l'avrebbe trovato. Abituato a digiuni
forzati e prolungati, la fame non lo metteva in agitazione. Era anche
vero che non era abituato a sforzi così prolungati e
intensi,
motivo per il quale sopportava a malapena lo stomaco vuoto. Forse
avrebbe trovato rifugio in qualche chiesa... E poi, dopo aver
recuperato le forze, avrebbe realizzato il suo sogno più
segreto
e intimo. Si sarebbe messo alla ricerca di suo padre.
Un giovane uomo stava fumando una sigaretta fuori dalla stazione di
polizia. La città era divenuta molto tranquilla in quegli
ultimi
mesi. Avevano abbassato la percentuale dei crimini totali dell'undici
per cento in due anni. Una buona percentuale... Non potè
fare a
meno di ridacchiare. Era divenuto un maniaco dei numeri da
lì a
pochi anni fa. A volte addirittura gli veniva una gran voglia di
dolci... ricordava quando sua moglie, nel periodo in cui era incinta,
si lamentava del fatto che ogni volta che lo mandava a comprare dei
pasticcini lui tornava sempre con il vassoio mezzo vuoto. Be', quando
si usa tanto il cervello è naturale dover mangiare molti
zuccheri per poter essere sempre al cento per cento, le rispondeva
spesso. Non riusciva a pensare se non si mangiava almeno un dolcetto al
giorno, peccato però che aveva dovuto cominciare a
frequentare
la palestra per smaltire. Prendendo un'altra boccata,
pensò che i fantasmi del passato faticavano ad andarsene. E
mentre sperava di poter finalmente archiviare il suo passato, questo
rivenne a galla con una veemenza impressionante. La sigaretta gli cadde
di mano, mentre la bocca si spalancava in un urlo muto. Come in moviola
davanti a lui stava camminando un ragazzo che lui conosceva bene.
Capelli neri e ribelli, schiena curva e due grossi occhi mezzi nascosti
dalla frangia...
- R-RYUZAKI!!! - Il ragazzo girò appena la testa dalla sua
parte, continuando a camminare e ignorando il richiamo dell'uomo.
Tuttavia quest'ultimo non era tipo da lasciarsi scoraggiare
così
facilmente. Scese di corsa le scale e riuscì ad afferrare il
ragazzo per una spalla, costringendolo brutalmente a girarsi. Non
appena però scorse il suo viso, il tempo tornò a
scorrere
normalmente. Si accorse di avere il fiatone. Colui che credeva essere
Ryuzaki lo guardava con
due grandi occhioni argentei spaventati, incapace di reagire. Era un
po' più giovane del detective che conosceva, aveva il volto
ancora come quello di un ragazzino ed era di ben dieci centimetri
più basso. Inoltre notò che la schiena del
ragazzo era
perfettamente dritta, dal momento che la drizzò senza
problemi
per lo spavento. Rimase a fissare
deluso quel volto per qualche altro attimo, prima di riprendersi e
capire che gli stava facendo del male.
- Ah..! I-io... scusa, non... non volevo!!! - Riprendendo colore, il
ragazzo sottrasse le proprie spalle dalla presa potente del poliziotto.
- N-non fa niente... - si sistemò il saio e
controllò che
una sacca assicurata alla sua schiena con un pezzo di spago fosse
ancora lì.
- Scusatemi ma ora devo andare. Arrivederci. - il monaco
salutò
educatamente l'uomo, continuando a camminare senza voltarsi nemmeno una
volta per guardarlo, il quale fra l'altro rimase immobile ad
osservarlo fino a quando non fu che un puntino all'orizzonte, che
sparì fra due palazzi pochi attimi dopo. Non si accorse
nemmeno
del suo collega che, uscito dalla centrale e scese le scale, lo
chiamava a gran voce.
- Matsuda! Ehi amico, tutto bene? Che brutta cera! Sembra che tu abbia
visto un fantasma... - Matsuda guardò ancora per qualche
secondo
la strada dove era sparito quel monaco che somigliava così
tanto
ad L, prima di mormorare:
- Non ci crederai mai Mogi, ma l'ho visto per davvero un fantasma. Il
fantasma di Ryuzaki!!
- Eeeeeehh? Tu sei fuori, Matsuda! Fumi ancora quelle pessime sigarette
artigianali... se proprio devi fumare, be', passa ai sigari come ho
fatto io! - Nel frattempo Lawliet era ancora scosso dall'irruenza
dell'uomo che gli era quasi saltato addosso. Non concepiva il fine di
quell'azione, e dubitava che l'uomo l'avesse fatta in maniera non
intenzionale, come aveva
invece balbettato pochi attimi dopo. Non sapeva dove andare, e le date
che turbinavano intorno a lui gli facevano girare la testa. Pian piano
però ci si stava abituando. In alcuni casi poi gli
si
stringeva il cuore, tipo quando vide l'orrenda morte per annegamento a
cui andavano incontro un padre e la sua bimba, o una trasfusione
sbagliata per una donna incinta di lì a pochi giorni. Ben
presto lo stomaco cominciò
a brontolare, reclamando a gran voce cibo. Cercando di ignorare la
debolezza che pian piano appesantiva i suoi arti, chiedeva ai passanti
se nelle vicinanze c'era una chiesa cattolica. Quasi nessuna delle
persone interogate non sapeva dove si trovasse, e rifiutavano di
elemosinargli, e l'unica persona che perlomeno sapeva che
esistiva gli rivelò che si trovava all'estrema periferia a
nord di Tokyo. Gli
suggerì di prendere la metro, e siccome era cattolico anche
l'uomo che gli aveva fornito l'informazione gli elemosinò
duecento yen. Una visione paradisiaca per Lawliet dopo sette ore in
quella città così inospitale per uno che aveva
vissuto
per diciassette anni fra le mura di un convento.
- Le consiglio vivamente di prendere la metro, fratello. Le ci vorranno
tre ore di cammino per arrivarci, e mi sembra stanco... ha bisogno di
aiuto?
- Mi accontenterò della sua gentilezza. Grazie ancora per
l'informazione e i soldi. - se ne andò dopo aver
ripettosamente
salutato l'uomo con un profondo inchino, per poi dirigersi verso la
fermata più vicina, a soli cinquecento metri da dove si
trovava.
Mentre camminava fra le centinaia di persone che affollavano i
marciapiedi si ritrovò spiaccicato contro il muro, dal
momento
che una donna cominciò improvvisamente a correre accanto a
lui. Un ragazzo alto e dall'aspetto muscoloso stava correndo
con
una borsa in mano, e dietro di lui la donna lo inseguiva
urlando.
Non ci mise molto a fare due più due. Ma cosa poteva fare un
monaco gracile e indebolito contro un ragazzone come quello scippatore?
Il ladro correva verso di lui. Decise di mettersi da parte, e lasciar
fare a chi avrebbe potuto fermarlo. Lo sguardo gli cadde sulla data che
pendeva sulla testa del ragazzo. Rimase immobile. 171021 1134 Travolto
da un mezzo. Si voltò a guardare meglio la strada. C'era
effettivamente un incrocio venti metri più avanti, e il
semaforo
era verde per le macchine... anche se era un ladro non meritava certo
la morte! Calcolò che erano pressappoco le undici e mezza, e
confermò la sua tremenda deduzione. Se fosse riuscito a
fermarlo...! Il ragazzo lo superò pochi attimi dopo, e
Lawliet
preso alla sprovvista dovette partire a razzo cercando di racimolare
energia da ogni cellula del suo corpo. Si stupì della sua
velocità, raggiungendo in fretta lo scippatore. Lo
afferrò per un braccio, strattonandolo violenetemente.
Quello si
girò, cercando di divincolarsi.
- Fermati o morirai!! - il ragazzo spalancò gli occhi,
turbato.
- Che cazzo stai dicendo??!!! Vattene via idiota! Lasciami!- Ma Lawliet
era deciso a salvarlo.
- Se continuerai a correre morirai investito alle undici e
trentaquattro. Fermati e costituisciti, ti prego!! - Il ragazzo era
ormai spaventato. Si divincolò dalla presa del monaco,
retrocedendo senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Soffocò un urlo.
- M-ma... è uno scherzo...? Oddio sto impazzendo! Sono
diventato
pazzo! - Continuò a urlare cose simili, e una piccola folla
cominciava a crearsi attorno ai due. Lawliet, intimorito dallo strano
comportamento del ragazzo, si avvicinò per aiutarlo.
- Noooooooo!!! Vattene via! Sei un demone! UN DEMONE!! - Si
coprì gli occhi con le braccia e lanciando lamenti corse
verso
la strada. Il monaco si riprese a fatica dalle urla del ragazzo, e
facendo leva esclusivamente sulla sua forza di volontà
compì l'ultimo scatto. Riuscì a raggiungerlo una
seconda
volta, gli mancava poco più di un metro per raggiungerlo...
Sentì il suono di un clacson e delle ruote che frenavano
sull'asfalto. Vide una macchina arrivare a tutta velocità
verso
di lui. Allora sarebbe morto in quel momento? Si chiese
perchè
Dio allora non lo aveva fatto perire nell'incendio, invece che
procurargli tutto quel dolore. Sentì qualcosa colpirlo
forte, e
strinse i denti mentre il sapore del sangue invadeva la sua bocca.
Angolo autrice:
Spero
abbiate passato un buon Natale e un festoso capodanno! Yeeeeehhh!!!
*getta via copricapi Maya e fuochi d'artificio illegali*
Siccome
devo ancora riprendermi dalle feste mi limito a dire ancora grazie a
tutti coloro che seguono la mia storia e la commentano!
Buon 2013 a tutti
(Maya fottetevi yeah)!!!
Phoenix
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4 - The revelations
- Ehi... si sta svegliando!
- Calmo Matsuda... ora non montarti la testa....
- Ma lui è la prova del fatto che non vi ho detto una
bufala...!
- Ho capito ma rilassati, ok?! Ecco così, prendi un bel
respiro.
- Lawliet era immerso nel buio più assoluto, senza riuscire
a
percepire la massa del suo corpo. Era come se la sua anima galleggiasse
in un liquido molto denso, che ne impediva i movimenti. Pian piano il
buio divenne meno vischioso, e il ragazzo cominciò a
riprendere
conoscenza. Si sentiva libero di respirare, e anche la vista
virò a velocità vertiginosa verso il bianco.
Schiarendosi, i colori emersero da quel candore accecante, e i
lineamenti degli oggetti divennero mano a mano più definiti.
La
luce della stanza gli ferì gli occhi, e dovette strizzarli e
sbattere le palpebre un paio di volte prima di abituarsi. Sentiva un
vociare in sottofondo indefinito, ma non riusciva a riconoscere le
voci, come era invece successo nella cappella. La cappella... Aveva
ormai finito le lacrime, e sentiva solamente una grande tristezza
stringergli il cuore. Ci mise un po' per mettere a fuoco la situazione.
Tre persone erano ai piedi del letto dove era steso. Un uomo con
capelli neri e occhi nocciola, un grosso tizio con capelli di taglio
militare e pelle bronzea e l'ultima era una donna bionda e bassa; i tre
parlottavano fitto fitto fra loro, e non sembravano notarlo. Nonostante
non sentisse le gambe, provò comunque ad alzarsi dal letto.
Una
fitta al braccio sinistro però lo dissuase dal provarci.
Mugolò dal dolore, catturando l'attenzione delle tre
persone. Il
più giovane fra i due uomini, quello con gli occhi nocciola,
si
precipitò al suo capezzale.
- Ti sei svegliato? Stai bene? Come ti senti? Ti fa male il braccio?
Chi sei? Perché sei corso dietro a quel tipo?
Perché...
AHIA!! - ricevette un cazzottone sulla testa, a opera della donna
bionda.
- MATSUDA! Insomma, si è appena svegliato... lascialo stare!
- Ma Chiyoooo.. - Piagnucolò Matsuda.
- Ha ragione, amico mio: rilassati, ben presto avremo le risposte che
cerchiamo. Mi dispiace tanto per l'irruenza del mio collega - Disse
l'imponente omone. - Io sono Mogi, lui è Matsuda e lei
è
Chiyo Amane. Non aver paura, siamo poliziotti. Piacere di conoscerti.
Come va? - Il ragazzo, leggermente
infastidito da tutte quelle attenzioni, e incapace di capire
perchè dei poliziotti dovessero interessarsi a lui, disse:
- m-mi chiamo Lawliet, monaco di Santa Maria Addolorata....
- Nuuuoooooooo non ci credo!!! Vieni davvero da lì?!! -
Disse
Matsuda che aveva smesso i panni della povera vittima per tornare il
solito casinista.
- Ma allora non ti ammazza proprio nessuno, eh?
- MATSUDA! - stavolta fu Mogi che si lasciò andare alla
gioia
della crudeltà manuale, abbattendo quella palanca di mano
sulla
testa del già provato collega piedipiatti.
- Ahiahiahiahiahia!!! Mogiiiiiii!! Non vale, tu hai una forza
mostruosa... non sei una donna come Chiyo... - Lawliet sorrise a vedere
quella scena. Chiyo, intenerita dalle condizioni del ragazzo, gli
andò vicino sedendosi sulla sedia accanto al letto.
- Quindi ti chiami Lawliet, giusto?
- Sì.
- E vieni dal monastero distrutto due giorni fa... - Lawliet
spalancò i suoi grandi occhioni.
- Due giorni?
- Sei rimasto incosciente a lungo, mio caro. Hai preso una bella botta.
Ricordi l'incidente?
- Incidente...? Ah, sì...- Le immagini dell'incidente
rivennero a galla solo dopo un non indifferente sforzo memnonico.
- Cosa è successo a quel ragazzo? è ancora
vivo... vero?
- Gli sguardi affranti dei tre fecero crollare tutte le sue speranze.
Si prese la testa fra le mani, sconsolato.
- Allora è proprio vero... non si può cambiare il
proprio
destino... - L'allegro trio di piedipiatti cominciò a
pensare
seriamente che, contro tutte le diagnosi, quel ragazzo aveva ricevuto
danni anche al cervello. E anche seri.Chiyo, con fare materno, si
sedette sulla sponda del letto, circondando con un braccio le esili
spalle del ragazzo, cercando di cullarlo.
- Hai avuto una brutta giornata, tutto qui. Ora noi ti lasciamo, tu
riposati. - Lawliet non volle chiederle perchè una
poliziotta
veniva a trovare un monaco senzatetto all'ospedale; prima avrebbe
analizzato per bene la situazione, e solo in un secondo momento avrebbe
elaborato un piano per estorcere più informazioni possibili
ai
tre. Dubitava di potersi fidare subito di loro; era necessario prima di
tutto sondare le loro menti, capirne la personalità e
adottare
una strategia diversa per ognuno di loro. Aveva una vaga idea del ruolo
di ognuno di loro.
Matsuda il pagliaccio della situazione.
Mogi il "leader".
Chiyo il collante fra i due, quella con la testa sulle spalle.
Teoricamente.
Davvero divertente, pensò cinicamente. Sospirando
lasciò
cadere la testa sul cuscino. Avrebbe pensato a tutto dopo.
- Cioè, ora mi credete o no? è L! Credetemi! -
Disse Matsuda agitato. Chiyo e
Mogi sospirarono esasperati. Matsuda lo interpretò come una
rassegnazione alla sua indiscutibile superiorità cerebrale,
e
gonfiò il petto come un tacchino.
- è lui! Certo però che ha degli occhi strani...
- disse pensieroso Matsuda.
- Sono bellissimi - Lo corresse Chiyo. - Per te bello è
sinonimo di strano?
- Belli o meno - intervenne l'imponente Mogi - non cambia il fatto che
quel ragazzo è un monaco proveniente proprio da quel
monastero.
Sarebbe bene indirizzarlo a qualche chiesa e trovargli una sistemazione
lì.
- Ma come, vorresti lasciare che L se ne andasse? Vorresti perdere
un'occasione come questa? - Mogi lo fulminò con lo sguardo,
stringendo i pugni.
- Mastuda, lui non è L!!!Può assomigliargli
quanto ti
pare, ma non riavremo mai Ryuzaki!!! Lui è morto
diciassette anni fa, maledizione! - Sbottò irritato
Mogi. I suoi colleghi lo guardarono sorpresi. Lui era un uomo calmo e
pacifico a dispetto del fisico, e quella reazione non era normale.
Capendo ciò che passava per la testa dei poliziotti, l'uomo
decise di spiegare il perchè di quella reazione, imbarazzato
da
quel suo scatto d'ira.
- Insomma, è che... cioè... Matsuda, tu mi
capisci, vero?
Da quel giorno, quando Light.... anzi no, Kira.... lo uccise... -
Matsuda, sorridendo, si avvicinò al compare e gli diede
un'amichevole pacca sulla spalla. Non c'era bisogno di parlare. Quando
Ryuzaki morì era come se se ne fosse andata una parte di
loro.
Matsuda da allora faceva continuamente percentuali ed amava in
maniera quasi
maniacale i dolci, mentre Mogi era molto ma molto più
riflessivo
di quanto non fosse mai stato e di
nascosto, quando non c'era nessuno a guardarlo, si
sedeva raccogliendo le braccia al petto e senza appoggiare il
didietro alla
sedia. Qualche volta aveva addirittura risolto qualche caso
intricatissimo semplicemente grazie a quella posizione, che sembrava
davvero aumentare del 40% le sue capacità celebrali. Senza
contare il fatto che erano gli unici due poliziotti della squadra anti
Kira ancora in servizio. Chiyo invece era un ex modella entrata a far
parte delle forze del'ordine dieci anni prima. Aveva legato subito con
i due, e da allora erano divenuti una specie di task force.
E,
anche se indirettamente, lei aveva avuto a che fare con L.
Un'infermiera si avvicinò ai tre, e gli chiese gentilmente
di
andarsene perchè l'orario delle visite era finito.
- Avanti, mangi qualcosa.... - Come un bambino capriccioso Lawliet
girò la testa da un'altra parte, rifiutando categoricamente
di
ingoiare il minestrone estivo servitogli dall'infermiera. Sapeva che se
avesse provato a mangiarlo inevitabilmente si sarebbe ricordato di
padre Harry, il simpatico e magrissimo cuoco del monastero,
scherzosamente soprannominato per questa sua magrezza "polpettone" dai
novizi più scapestrati. Il cuoco che preparava sempre e solo
minestre. Quel cuoco che, contro ogni regola del monastero,
gli
preparava la cioccolata calda nelle fredde serate invernali; solo per
lui metteva da parte mestoli e verdure per preparargliela. Fino
all'età di cinque anni se la gustava con la madre, che lo
prendeva in giro per i baffi di cioccolato che puntualmente si faceva;
anche dopo la sua morte Harry aveva continuato a comprare di nascosto
del cacao e rubacchiare del latte per mantenere vivo quel rituale.
- Insomma! è un ragazzo maturo, non faccia queste scene! -
Disperata l'infermiera prese il cucchiaino e tentò
di
imboccarlo a forza, ma le labbra serrate la fecero desistere.
- Se non mangia sarò costretta a farle una flebo... -
Lawliet
scansò il vassoio con il piatto, incrociando deciso le
braccia.
In quel momento entrò una seconda infermiera, un donnone di
cento chili per un metro e sessanta d'altezza.
- Che succede? Ti sentivo quasi urlare dal corridoio....
- Non vuole mangiare nulla, e guarda i suoi valori! Dovremo fargli una
flebo in questo caso... - L'infermiera grassa diede un'occhiata alla
cartella clinica, prima di sospirare e infilarsi un paio di guanti in
lattice.
- La flebo non basta. Qui c'è bisogno di un catete! Su, su
giri!
- Esclamò brandendo l'attrezzo come se si trattasse di
un'arma
impropria. Il ragazzo osservò terrorizzato il catete che si
avvicinava minaccioso alle sue intimità, e preso dal panico
afferrò il piatto e cominciò a trangugiare la
brodaglia
come se fosse una questione di vita o di morte. La prima infermiera
prese sorpresa il piatto e il cucchiaio lucidi come se
fossero
appena usciti dalla lavastoviglie, e uscì dalla stanza
accompagnata dall'altra donna.
- Incredibile, ha mangiato tutto...!
- Che ci vuoi fare amica mia, il catete ha un potere incredibile sui
pazienti - disse ridendo l'altra mentre si toglieva i guanti
in
lattice. Per intanto, il "paziente" si stava riprendendo dallo
spavento. Si ripromise di mettere da parte i suoi ricordi e mangiare
qualunque cosa gli avessero messo sotto il naso, si fosse pure trattato
di uno scoiattolo essiccato. Prese un bicchiere pieno d'acqua
appoggiato sul comodino, e bevve lentamente per freddarsi la lingua,
poichè per la fretta non aveva nemmeno aspettato che la
minestra
bollente si freddasse un pochino. Tranquillizzatosi, si
rilassò.
Era passato un giorno dalla visita dei poliziotti, e credeva non a
torto che sarebbero tornati. A quanto pare assomigliava molto a
qualcuno di loro conoscenza. In segreto sperava che parlassero di suo
padre... oppure si erano semplicemente sbagliati. Pensava, un po'
negativamente, che dopotutto le possibilità che si
trovasse davanti a delle persone che conoscessero suo padre erano
inferiori al 7%. Non aveva la minima idea di chi fosse, come fosse e
cosa facesse. Buio totale. Se quei tre sapevano qualcosa...
gliel'avrebbe esorto anche con la forza. Infatti, pochi minuti dopo,
quando entrò nella fascia oraria delle visite, quei tre
fecero
capolino dalla porta sorridenti.
- Ciao. Come stai?
- Bene grazie - rispose il ragazzo con voce monocorde. I tre attesero
sperando forse che lui gli chiedesse qualcosa o aggiungesse particolari
inediti, ma dovettero prendere l'iniziativa per interrompere quel
silenzio
imbarazzante.
- Ahem... ecco... siccome sei un monaco e non sei registrato
all'anagrafe dobbiamo portarti in centrale. Sai, spero che capirai, ma
indagare sul tuo passato è d'obbligo...
- Io non mi fido di voi. Da quanto ne so,potreste anche essere dei
membri della Yakuza. Mostratemi i distintivi. - Un po' perplessi e
riluttanti, estrassero i distintivi dalle tasche. Lawliet
scrutò
quei documenti come se nascondessero dei messaggi cifrati, ma dovette
arrendersi all'evidenza.
- Be', ora ti fidi di noi? - Scosse la testa, guardando fuori dalla
finestra adiacente il suo letto.
- Potrebbero benissimo essere contraffatti, e io non ho le
capacità necessarie per verificare se la mia teoria sia
valida o
meno. Se proprio volete che mi fidi, vorrei poter parlare a quattrocchi
con ognuno di
voi. - Il trio si guardò sorpreso, e decisero all'unanime
che lo
avrebbero accontentato. Mogi si sedette sulla sedia, facendo cenno agli
altri due di uscire dalla stanza. Quando la porta si chiuse, l'indagato
e l'indagatore si guardarono per qualche attimo in silenzio.
- Dunque... Nome e cognome, numero di matricola e grado.
- Mogi Choji, 006736826, tenente. Ma non vedo come queste
informazioni....
- Formazione scolastica.
- Liceo Takamana, Caserma Kota. E ora....
- Il suo obiettivo.
- Portarti in centrale per verificare la tua identità e
indirizzarti a qualche chiesa cattolica disposta ad accoglierti e
trovarti un lavoro. Spero di aver soddisfatto la tua
cusiosità.
- Lawliet annuì poco convinto, mentre si preparava a
strappare ogni segreto che - ne era sicuro - nascondeva l'uomo. Anche
Mogi sapeva che quel ragazzo era furbo, e che probabilmente avrebbe
usato dei trucchi per costringerlo a parlare....
- Perchè mai dei poliziotti si interessano tanto a me? -
Inutile
dire che tutti i piani del poliziotto per svicolare da possibili
inganni crollarono come un castello di carte. Non immaginava
che
sarebbe mai stato così diretto!
- Emh.... be', ecco....
- L'averla preso impreparato vuole dire che tende a sopravvalutare i
suoi avversari.- Mogi lo guardò estremamente sorpreso.
- Eeeh?!?? Avversario? - Lawliet cominciò a giocherellare
con il bordo delle lenzuola.
- In questo momento io e lei siamo avversari, signor Mogi - Disse
guardando pensieroso verso l'alto, senza smettere però di
torturare il lenzuolo. - La nostra è una sfida a chi
carpisce
per primo ciò che nasconde l'altro. Nel caso sia io a
uscirne
vincitore lei signore sarà costretto a soccombere al mio
volere,
poichè potrei essere sia l'innocente monaco Lawliet sia un
criminale ai livelli di Bin Laden. D'altronde, si sa così
poco
di me... - Mogi cominciò a sudare freddo. Stupido
Matsuda.... lui e le sue seghe mentali su un secondo L!
- E se lei cominciasse a pensare che il mio Q.I. sia talmente elevato
da rappresentare una minaccia, sospetterebbe della mia
sincerità, e indagare sul mio passato non basterebbe
più.
Comincerebbero gli spionaggi, cimici nei miei abiti, o addirittura
l'arresto. Se invece vincesse lei, Mogi - e si voltò a
guardare
il diretto interessato con i suoi grandi occhi argentati, che
sembravano uno specchio che rimandava ad una dimensione ultraterrena
-... se vincesse lei, beh, io avrei perso. Credo sia logico. - "Mi ha
fregato!" Pensò Mogi arrabbiato. Era riuscito a metterlo in
agitazione, e non riusciva a stare calmo. Era troppo simile a lui.
Era ormai impossibile pensare razionalmente a una qualche soluzione.
Quel ragazzo aveva ragione. Se lui lo avesse battuto sul tempo, Lawliet
avrebbe dovuto assecondarlo a testa bassa. Se invece fosse stato
fregato - come d'altronde stava succedendo... non sapeva nemmeno lui
cosa sarebbe successo. Si ricompose schiarendosi la gola rumorosamente,
evitando di far notare il sudore che gli imperlava il retro del collo.
- Il dovere di un poliziotto è quello di servire i cittadini
e
proteggerli, Lawliet. E questo significa anche che dobbiamo scoprire
chi sei, perchè proprio come hai detto tu non sappiano
niente
del tuo passato. - Ormai Lawliet aveva la completa e dettagliata
visione della psicologia dell'uomo.
- Ha ragione, non posso certo contraddirla su questo. Prego, esca pure
e inviti dentro l'altro suo collega, quel tale Matsuda. - Senza nemmeno
salutarlo l'uomo uscì dalla stanza con il cuore a mille. Il
ragazzo sentì una breve e concitata discussione, e dopo
qualche
attimo di silenzio Matsuda si affacciò dalla porta.
- Prego, si accomodi. - Quel poliziotto aveva un atteggiamento
completamente diverso dall'altro. Se quest'ultimo era estremamente
cauto e sospettoso, Matsuda sembrava pronto a un'amichevole
chiacchierata fra amiconi. Si lasciò cadere sgraziatamente
sulla
sedia, incrociando le braccia e sorridendo ingenuamente al ragazzo.
- Allora tu sei Lawliet, eh? Non è un nome molto comune...
sei americano?
- Non ne ho idea. Sono stato abbandonato da piccolo, non so chi siano i
miei genitori. - Il poliziotto divenne molto dispiaciuto.
- Davvero? Che storia triste... Vabbè non preccuparti! -
Esclamò solare dando una sonora pacca sulla schiena del
monaco,
che mugolò per il dolore.
- Ah, che stupido! Lì avevi dei punti, no? - Se Mogi era un
uomo
pacato ma brillante, Matsuda era semplicemente un cretino. Come
d'altronde immaginava....
- Senta Matsuda, perchè mai dei poliziotti come voi si
interessano a un banale incidente come il mio? - Decise di interpretare
il ruolo del ragazzino ingenuo; con Mogi sapeva che era inutile
recitare, ma con questo credulone poteva fare ciò che
voleva. Un
po' si disprezzava per come trattava quell'uomo, ma d'altronde, se era
necessario....
- Ah, be', noi poliziotti dobbiamo sempre interessarci ai civili
coinvolti in incidenti come il tuo. Sai, i testimoni dicono che stavi
inseguendo uno scippatore, e noi abbiamo bisogno di altri dettagli per
completare il quadro della situazione. - Senza darlo a vedere, Lawliet
rimase molto sorpreso. Mogi non aveva menzionato nulla di simile.
Probabilmente cercava di nascondere qualcosa. Fingendosi sinceramente
convinto, continuò:
- Ah, giusto, non l'avevo consierato. Sapete bene o male cosa
è successo?
- Certo: una donna è stata scippata da un ragazzo con alcuni
precedenti penali. Tu hai provato a fermarlo, ma senza rendervene conto
siete finiti in mezzo alla strada e un'auto non ha fatto in tempo a
frenare.... il ragazzo è stato preso in pieno, tu
fortunatamente solo di striscio.
- Dunque... basta che mi interroghiate e poi mi lascerete libero, vero?
- Cercò di usare il suo tono di voce più debole e
tremolante, come se avesse paura di chissà che cosa. Matsuda
intenerito rispose:
- Massì non preoccuparti. L'unico problema è
accertarci
della tua identità. Se sei stato abbandonato da piccolo non
ci
sono documenti.... - Facendo finta di reprimere a stento un grande
dolore, Lawliet guardò Matsuda stancamente. Tentando di non
compiacersi per le proprie abilità di recitazione, con voce
roca
sussurrò:
- Giustamente bisogna sempre pensare al bene comune. Se è
così, sono pronto a collaborare ventiquattro ore su
ventiquattro. - Commosso, Matsuda si complimentò caldamente
per
il senso del dovere del ragazzo, prima di uscire dalla stanza
asciugandosi una lacrima sinceramente colpito dalle parole del ragazzo.
Alla fine entrò Chiyo, perplessa riguardo alla strana
reazione
del collega. Mogi era uscito sbiancato, Matsuda in lacrime.
- Chiyo Amane. Lei è l'ultima del team.
- Ma quale team e team! Siamo semplicemente amici, tutto qui.
- Certo, certo. Dunque, cosa crede che potrei mai dirle se sono
arrivato a chiedere colloqui privati con ognuno di voi tre? - presa di
contropiede la donna sussultò sorpresa. Pensierosa
cominciò a torturare una ciocca di capelli con le dita.
- Uffaaa, non mi viene in mente niente! Be', forse vuoi semplicemente
conoscerci meglio - disse sorridendo. Lawliet non potè fare
a
mno di pensare di aver appena trovato l'esempio pratico del termine
"oca giuliva".
- Ahem.... sì.... forse.
- Ti avverto però che io sono impegnata con un altro uomo e
tu
sei decisamente troppo giovane per me. - Disse facendo l'occhiolino al
ragazzo. Quest'ultimo trasalì.
- M-ma cosa va a pensare? Io sono un monaco, non posso certo pensare
cose simili!- Ignorando del tutto quest'ultima frase, Chiyo
cominciò a dire con fare sognante:
- Aaaahhh, i sogni proibiti della gioventù! Alla tua
età
anche io ne avevo molti... Ero perdutamente innamorata di un mio amico
giocatore di tennis, anche se già avevo un ragazzo. Era
tremendamente bello! E parecchie volte, quando mi trovavo con il mio
fidanzato, facevo finta che fosse il mio amico tennista a baciarmi e
spogliarmi... - Lawliet si tappò le orecchie e chiuse gli
occhi,
orripilato da ciò che sentiva. Solo dopo dieci interminabili
minuti di racconti estremamente dettagliati la donna si rese conto del
rossore che aveva trasformato il ragazzo in un pomodoro, e
capì
che non era esattamente ciò di cui un monaco amava sentire
parlare.
- Be' è un vero peccato che sei frate. Sei un
così bel
ragazzo! Avresti senz'altro avuto tutte le ragazze che volevi.
- N-non impo... importa - Balbettò Lawliet, dal momento che
alcuni frammenti del racconto erano riusciti ad eludere le sue mani e
giungere fino ai suoi poveri timpani. "E questa sarebbe una
poliziotta?!" pensò estremamente irritato il ragazzo.
"Sembrerebbe la solita oca che non perde occasione per raccontare le
sue avventure....
O santo cielo! Signore allontana questi pensieri dalla mia
mente!" Dovette prendere un bel respiro per calmarsi.
- Lei non sembra poi così professionale... -
Osservò cinicamente. Era
sicuro che la donna avrebbe senz'altro trovato una scusa per quel
comportamento inaccettabile. D'altronde, se aveva raccontato tutto
questo a un ragazzo che nemmeno conosceva...
- Oh mi dispiace tanto! Sai però, io ero una modella e sono
poliziotta da soli dieci anni... - "SOLI??!! Ma quanto è
vecchia?! " - Certo, quando sei una modella tutti pensano che sei
stupida e incapace di fare quattro più quattro. Per questo
sono
entrata nella polizia, per poter riscattare il mio nome! - Lawliet
apprezzava quel nobile movente, ma dovette constatare che se la gente
pensava che lei fosse stupida non è certo
perchè
era una modella, ma per puro concretismo.
- Dunque perchè si è interessata al mio incidente
se lei
non fa parte di una task force con quei due che invece sembra siano
stati mandati appositamente?
- Oh, ti assicuro che nessuno ci ha mandati. Siamo venuti di nostra
spontanea volontà!
- Ma non mi dica... - disse Lawliet sorridendo sinceramente
interessato. Lei stava per riaprire la bocca, quando qualcun altro
s'intromise nella discussione.
- Chiyo, è finito l'orario delle visite, dobbiamo andare....
-
Sorpresa la donna guardò l'orologio appeso alla parete.
- Mogi ma che dici? Mancano ancora due ore...
- E invece ti sbagli, l'orologio va male. Andiamo. A domani Lawliet. -
Con queste parole Mogi trascinò Chiyo di peso fuori dalla
stanza. Matsuda fece capolino dalla porta e fece in tempo a salutare
amichevolmente il ragazzo prima di eclissarsi con i suoi compagni lungo
il corridoio. Lawliet si lasciò andare a una bella risata.
- Certo che se è così facile fregare i
poliziotti... non
sarà molto divertente avere a che fare con loro. - Mogi
caricò in macchina la donna, che si lamentava del
trattamento
rude con veemenza, seguita a ruota da Matsuda. Una volta nel mezzo,
Mogi prese il volante raccogliendo ogni singola briciola di auto
controllo che gli rimaneva.
- Insomma Mogiiiiiiiii!!! Non tenermi il muso, eh! Daaaai, lo sai che a
me non piace avere a che fare con la gente musona <3 <3
- Chiyo, che vuoi che ti dica?! Hai quasi rivelato informazioni
riservate a un perfetto sconosciuto. é vero che mentre
aspettiamo il mandato possiamo agire di nostra volontà,
però c'è un limite a tutto!
- Però Matsuda ha detto che assomiglia tanto a quell' Elle
che... - Si morse un labbro. - Mi dispiace ragazzi.
é che
forse lui... potrebbe scoprire perchè mia sorella... - Il
rombo
del motore coprì le sue ultime parole.
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