Rocket Queen di Gaia Loire (/viewuser.php?uid=3932)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Violetta ***
Capitolo 2: *** Hic Sunt Leones ***
Capitolo 3: *** Fire and Ice ***
Capitolo 4: *** Tumbling Dice ***
Capitolo 5: *** Hide and Seek ***
Capitolo 1 *** Prologo - Violetta ***
Prologo: Violetta
I never thought this could
happen to me (non ho mai pensato che questo potesse succedere a me)
I been so strange,so why should it be (sono così strana,
così perchè dovrebbe essere?)
I dont deserve...somebody this great (non mi merito...qualcuno di
così grande)
Id better go , or itll be too late, yeah (farei meglio ad andare, o
sarà troppo tardi)
New Rose, Damned
Elaborati
inganni celavano piccole imperfezioni, impurità rotonde,
rossastre o
scure, coperte da veli di bianchissima cipria coprente. Non molti
l’avrebbero detto vedendo la freschezza del suo viso, e ancora meno
avrebbero intuito le lunghe opere dietro le quinte, silenziosi affanni
per prepararsi ad essere sempre la più bella.
Ci riusciva
egregiamente, a dire la verità, reggendo la rivalità di
altre ninfette
che tuttavia non avevano neanche un minimo del suo charme, di quella
perfezione che in tempi migliori le era valsa l’epiteto di Viola dei
Sotterranei.
Violetta.
Doveva scegliere l’ombretto
e optò
per quello nero dopo una frazione di secondo di indecisione,
indecisione mostrata soltanto dal suo sguardo abbassato verso la
trousse dei trucchi.
Era così che era solito
chiamarla lui, in
quei rari momenti di silenziosa quiete che veniva spezzata da una
parola fuori luogo che era sempre l’unica che non avrebbe potuto
rompere anche l’incanto.
– Pansy? Quanto hai
intenzione di metterci ancora?
Pansy
Parkinson non rispose, prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Stese un velo di ombretto scuro sulla palpebra destra e rimase a
guardarsi allo specchio per qualche istante, dosando la quantità
giusta
di polvere che avrebbe dovuto mettere su quella sinistra. Daphne
Greengrass, chiusa fuori dal bagno, sembrò non gradire la totale
mancanza di risposta, e il suo sibilo seccato si sentì fin
davanti lo
specchio.
Tuttavia, Pansy non diede
segno di aver capito, oltre che
sentito, ed appoggiò l’ombretto sul piano del lavandino con
delicatezza, stando attenta a non farlo scivolare sulla superficie cava
di marmo bianco.
Strinse le labbra mentre
applicava il mascara,
tenendo gli occhi spalancati per non macchiarsi il contorno degli occhi
già truccato con fatica.
– Parkinson!
Daphne stava iniziando a
diventare davvero furiosa.
–
Un attimo soltanto – disse Pansy. Ravviò i capelli con un gesto
della
mano, gettò un’occhiata all’orologio e sistemò con molta
calma tutte le
sue cose. Dietro la porta, nel dormitorio femminile sesto anno
Slytherin, le Sorelle Stravagarie stavano dando prova della loro
grandissima capacità canora grazie ad un aggeggio stregato che
il padre
di Daphne le aveva portato dopo uno dei suoi lunghi viaggi.
– Wizard
Wireless Network è lieta di annunciarvi che da oggi sono
disponibili le
prevendite per il Live Event di Hogsmeade. Celestina Warbeck, le
Sorelle Stravagarie, Guns N’ Handcuffs, le Broomettes e altri artisti
musicali… –
– Era ora! – esclamò
Daphne scaraventando Pansy di
lato non appena la porta del bagno si fu aperta – Posso sapere che cosa
diavolo avevi in mente di fare? Ti sei dimenticata che non sei da sola
in dormitorio?
– Mi piacerebbe molto
dimenticarlo – replicò Pansy
lanciandole un’occhiataccia mentre si sedeva sul letto, aggrottando le
sopracciglia allo sbattere della porta del bagno. – Salazar, Millicent,
che cosa sta succedendo adesso?
Millicent Bulstrode,
distesa a
faccia giù sul suo letto, mosse le spalle con un cenno
approssimativo.
Pansy si sforzò di restare calma, ben consapevole che forti
emozioni
avrebbero potuto rovinarle il trucco e troppi segni di
espressività
farle comparire rughe ben poco gradite, si sforzò quindi di
parlare con
tono modulato, per non apparire eccessivamente seccata – Millicent?
Non
le giunse nessuna risposta dalla ragazza presumibilmente in lacrime, e
allora lasciò stare. Non aveva tutto quel tempo da perdere.
Si avvicinò alla
radio stregata e cambiò stazione, sintonizzandosi su Strega
Company.
–
Onestamente, – disse Tracy Davies alzando gli occhi dal grosso libro di
testo che teneva aperto sulle gambe incrociate – proprio non capisco
perché tu non possa metterti a studiare invece di fare tutta
questa
confusione –
– Tracy, carissima –
sibilò Pansy. Mantieni
la calma, si disse. Pensa alle rughe. – Sto andando ad Hogsmeade a
comprare la prevendita. Non mi sto preparando ad un meeting di studio.
Tracy
fece roteare gli occhi – Davvero, Pansy – disse – Non hai fatto i
compiti per lunedì, vero? Che cosa aspetti? Non starai mica
pensando
che si facciano da soli, se li lasci da parte –
Pansy strinse gli
occhi, le pagliuzze dell’iride si assottigliarono insieme alla pupilla
ed il loro colore verde si intensificò, come un gatto che sta
considerando che cosa fare con il topo.
O il cane.
– Anche se, a
questo punto, mi sa proprio che la tua convinzione fosse quella.
Ripetimi un secondo che cos’hai preso in Trasfigurazione allo scorso
compito…
Mordendosi le labbra, Pansy
gettò un’occhiata sprezzante al
“Libro Standard di Incantesimi sesto grado” e dopo alla sua
proprietaria, che ricambiò il suo sguardo oltre le spalle
tremolanti di
Millicent.
– Allora, Davies, –
ringhiò Pansy fra le labbra socchiuse – Che gusto si prova a
vendersi ai Griffyndor?
Tracey
aprì la bocca per dire qualcosa, il tono caustico che avrebbe
usato si
intuì dai suoi piccoli occhi neri, stretti in un’espressione di
odio
ferale – Parkinson, non pensi che ––
Si interruppe di botto non
tanto perché qualcosa in Pansy la spaventò, semplicemente
per Daphne
Greengrass che proprio in quel momenti usciva dal bagno, spazzolandosi
i lunghi capelli biondi e lanciando un’occhiata curiosa a Pansy e
Tracey. – Ho interrotto qualcosa? –
– Non ti preoccupare,
Daphne –
replicò Pansy senza staccare gli occhi da Tracey, che
abbassò i suoi
sul libro avvampando – Soltanto una chiacchierata fra amiche. Non
è
vero, Tracey carissima?
Tracey annuì, e
Daphne inarcò un sopracciglio curato prima di scuotere la testa
accantonando per il momento la questione.
– Allora, siamo pronte per
andare? –
Pansy annuì,
alzandosi in piedi e lisciando le pieghe della gonna. – Prontissime.
Millicent? Sei sicura di non voler venire? –
Un
tremolio particolarmente forte della sua schiena, situato piu o meno
vicino alla parte destra, le disse che sì, era sicura di non
voler
venire.
Daphne scrollò le
spalle – Va bene, va bene. Ciao Tracey, ciao Milli.
–
Ciao, Daphne – salutò Tracey senza alzare gli occhi dal libro,
il suo
sorriso si allargò un po’ e Pansy fece finta di non aver visto
niente.
Da
parte di Millicent non giunse che un tono strozzato che fu tuttavia
sufficiente, per Pansy e Daphne, per sentirsi autorizzate ad andarsene.
***
Se
c’era un appellativo che Ron Weasley si era meritato ancora più
che il
soprannome di King che tanto gli era caro, allora era Ridicolo.
A
pensarlo era più o meno l’intero dormitorio di Gryffindor e
qualche
impietoso Ravenclaw, ma soltanto sua sorella, Ginny Weasley, era
l’unica che glielo diceva chiaro e tondo.
– Ron, hai fatto? – chiese
Harry.
– Davvero, Ron – aggiunse
Ginny battendo il piede per terra con impazienza – Le prevendite
potrebbero finire.
Ron
si girò verso i due, soppesando in una mano un libro di Oscar
Wilde e
nell’altra la raccolta di poesie di Baudelaire. – Secondo voi che
cos’è
meglio? Che cosa potrebbe piacerle di più?
Ginny alzò gli occhi
al
cielo. – Ho bisogno di un’altra sigaretta, – disse – Cielo, Ron, mi
farai diventare pazza. Io vi aspetto fuori.
Harry si morse la
lingua. Guardò Ron senza trovare il coraggio di comportarsi
esattamente
come sua sorella, e con molto dolore indicò il libro che teneva
nella
mano destra.
– Baudelaire, dici? –
chiese Ron – La vedi più come
tipo passionale, non umoristica? Forse hai ragione, anche se devi
ammettere che i suoi occhi sono sempre allegri, voglio dire, non
esprimono tutta la tragicità di Isotta oppure…––
Più che altro,
pensò Harry, Baudelaire costa meno.
Era
una cosa che andava avanti ormai da qualche mese, circa l’inizio
dell’Estate. Il casus belli era stata Ginny, accompagnata dalle sue
insistenti insinuazioni su quanto Ron fosse triste, solo e senza
ragazza.
Certamente Ginny non aveva
intenzione di provocare qualcosa
del genere, e con qualcosa del genere si parla di ore e ore spese sui
libri, ad imparare frasi d’amore, interi trattati e ragionamenti
superbi, tutto quanto per il cuore delLa Bella.
Amanda Brocklehurst,
detta Mandy. Ravenclaw, loro compagna fin dal primo anno e
improvvisamente sbocciata durante l’estate (anche se, secondo Ginny,
avere un padre Magichirurgo Estetico di fama mondiale significava
qualcosa).
– E Baudelaire sia –
concluse Ron avvicinandosi alla
cassa e tirando fuori il portafoglio. – Uhm, Harry, amico, non avresti
per caso due falci…
– Sì, te li presto –
lo interruppe Harry
porgendo i due falci all’amico, che teneva preparati fin da quando
aveva capito che Ron avrebbe scelto Baudelaire. Ecco perché non
voleva
Wilde, non aveva abbastanza soldi da poter prestare.
Quando furono usciti dalla
libreria, Ron tirò fuori il libro dal sacchetto. – Allora,
vediamo, fammi dare un’occhiata.
– Ron, qui?
Il
rosso gli rivolse un’occhiata incredibilmente vacua. – La bellezza di
Mandy non ha tempo, condizioni o limiti. Potrei incontrarla anche qui,
e non avrei nulla da dirle. Che ne dici, Ginny, Delfina e Ippolita o la
Morte degli Amanti?
Ginny buttò via il
mozzicone acceso di sigaretta
che teneva fra le labbra e se ne accese un’altra prima di parlare.
Quindi guardò Harry con un’occhiata carica di significato –
Credo che
Harry sarà ben lieto di rispondere alla tua perplessità.
Io vado a
comprare la prevendita.
Ron la degnò di una
misera occhiata, quindi iniziò a decantare.
***
Shed a tear 'cause I'm missin'
you (nascondo una lacrima perchè mi manchi)
I'm still alright to smile (sto ancora abbastanza bene per sorridere)
Girl, I think about you every day now (ragazza penso a te tutti i
giorni)
Patience, Guns ’N Roses
– Un biglietto Andata e
Ritorno per il Live Event.
Il bigliettaio
aggrottò le sopracciglia.
Lisa
Turpin sospirò rumorosamente. – Mandy, tesoro, no – posò
una mano sulla
spalla dell’amica e rivolse un sorriso di scuse al bigliettaio. – Un
biglietto semplice. Anzi, due biglietti.
– Lisa, e dopo come
facciamo a tornare a Hogwarts? – chiese Mandy con i grandi occhioni
verdi sgranati –Vuoi comprare il biglietto lì?
Lisa scosse la testa
continuando a sorridere
Il
bigliettaio, d’altra parte, le aveva già perdonate, anzi, era
già tanto
che avesse sentito le parole di Mandy impegnato com’era a guardarla
sotto gli occhi seccati di Lisa.
Bella era bella, non c’era
niente
da dire, con una cascata di riccioli scuri e il piccolo nasino
graziosamente ritoccato dal bisturi aiutato da una scarica convincente
di magia. Gli occhi verdi, probabilmente l’unica rimanenza del suo
patrimonio genetico ormai perso sotto la superficie della sua pelle,
scintillavano di stupore palese per le parole dell’amica.
Aspettò di essere
fuori dalla biglietteria affollata per chiederle spiegazioni.
–
Perché non Andata e Ritorno? Com’è supposto che
torneremo? – chise
Mandy arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice e
sbirciando il viso dell’altra ragazza con aria curiosa.
Un po’ meno
bella, Lisa Turpin si difendeva egregiamente con l’arma che le aveva
concesso la carica di Prefetto di Ravenclaw: la sua intelligenza.
Aveva
un lungo viso ovale, spruzzato da alcune efelidi chiare sulle guance
che si intonavano bene alla tonalità chiarissima della sua
pelle. Ad
addolcire i suoi lineamenti pensavano degli sfrangiati capelli mossi,
di un biondo cenere molto scuro che qualunque occhio un po’ meno
esperto del suo avrebbe chiamato semplicemente “castani”.
Lisa non
aveva di sicuro il fascino di Mandy, il suo charme innegabile e le sue
labbra, invece che carnose e di un adorabile rosa pieno, erano sottili
e chiare, ma compensava egregiamente questa mancanza di
attrattività
con un cervello che non aveva niente da invidiare a quello di alcuni
dei suoi professori.
Anche per questo, e
perché dotata di una
capacità diplomatica che aveva del formidabile, decise di
ignorare le
proteste di Mandy che non riusciva a capire che cosa ci fosse di
sbagliato nella sua idea di acquistare i biglietti sia Andata che
Ritorno.
Lisa si sistemò la
coda di cavallo con una mano, cercando
con l’altra il pacchetto di sigarette nella tasca della giacca; Mandy
aveva la formidabile capacità di innervosirla con una manciata
di
parole.
– Tesoro, tieni il mio
accendino – cinguettò Mandy,
allungandole una mostruosità rosa che neanche un pazzo,
naturalmente
eccetto lei, avrebbe avuto il fegato di chiamare “accendino”. – Oh,
guarda, c’è quel simpatico ragazzo!
Quel simpatico ragazzo,
Lisa lo
sapeva fin troppo bene, significava Ron Weasley seguito, nella
stragrande maggioranza dei casi, da Hermione Granger ed Harry Potter.
Come volevasi dimostrare.
Ron
aspettò a parlare fino a che non fu al cospetto di
un’eccitatissima
Mandy, e soltanto allora si schiarì la voce con un colpo di
tosse
pronto a decantarle tutto il suo amore. – Oggi lo spazio è
splendido!
Come inizio, dovette
ammettere Lisa, era un tantino…inadeguato.
Mandy
però sembro non pensarla così, probabilmente
perché qualcosa aveva
suggerito alla sua adorabile testolina che lo spazio era soltanto una
perifrasi per indicare la sua radiosa bellezza, e sorridette largamente
anche ad Hermione ed Harry, dietro Ron con due medesime espressioni di
compatimento dipinte sui volti rabbuiati.
– Senza morsi né
speroni o briglie, via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e
incantato!
Lisa
si aspettava che da un momento all’altro Mandy avrebbe chiesto il
significato della parola “speroni”, ma quell’istante non avvenne mai
perché la mora sembrava incredibilmente rapita dalle parole di
King
Weasley.
– E’ ridicolo –
borbottò Hermione Granger fra i denti, ed
Harry Potter la guardò con quella caratteristica espressione da
smidollato che adottava sempre ogni volta che non aveva la verve per
aderire ad un concetto ben preciso.
Ron tuttavia sembrò
non
percepire il disappunto dei suoi amici, visto che continuò con
la sua
tirata con un’espressione di pura beatitudine che affiorava sul suo
viso, mescolandosi anche alla voce che usciva, melodiosa quanto
può
esserla quella di un maschio sedicenne, dalle sue labbra socchiuse. –
Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale –
– Cerebrale
viene da cereali? – sussurrò Mandy nell’orecchio di Lisa, che
represse
un saltello sulla sedia, lievemente sconvolta dall’ignoranza
profondamente abissale dell’amica.
– Bellissimo spettacolino,
non c’è che dire.
Ron
si girò furioso per vedere chi l’avesse interrotto, e la sua
furia
aumentò ulteriormente quando vide due ragazze guardarlo con le
braccia
incrociate e due identiti ghigni sarcastici sui loro visi. – Che cosa
ci fate voi qui?
– Shopping.
– Camminiamo.
Pansy e Daphne
risposero contemporamente e si guardarono, prima di spostare il loro
sguardo su Ron e fulminarlo con l’ennesima occhiataccia.
Harry sospirò
profondamente. – Che cosa siete, adesso, le bullette di Hogwarts?
–
Qualcuno dovrà pur ripristinare l’ordine, ora che la vecchia
guardia… –
ringhiò Daphne fra i denti, guardando Potter dall’alto in basso
prima
di rivolgere uno sguardo impietosito al libro che The King teneva fra
le mani. – Usato di quarta o quinta mano?
– Almeno settima – concluse
Pansy per lei.
Hermione alzò gli
occhi al cielo. – Harry, Ron, andiamo.
–
La mia poesia! – protestò Mandy scuotendo la bella testolina –
Deve
ancora finire, è arrivato alla parte dei cerali che volano e mi
interessa, okay?
– In realtà… – Lisa
fece una pausa, guardando prima
Mandy e poi il viso di Ron che faceva presagire tempesta – Parkinson,
Greengrass, vengo con voi. Andiamo a prenderci qualcosa da bere e
lasciamo Weasley decantare poesie d’amore alla sua bella.
Daphne
fece un sorriso alla Ravenclaw, ma Pansy scosse la testa con una
gentilezza ferma. – Mi dispiace, Turpin, ma abbiamo un altro impegno.
Nessun rancore.
– Nessun rancore –
ripetè Lisa. Che rancore dovrei portare loro?, si chiese
perplessa.
Pansy
prese Daphne per mano, dolcemente, salutò Lisa con un cenno del
capo
prima di allontanarsi con la Greengrass dal gruppetto di Gryffindor che
continuavano a saettare nella loro direzione occhiate terribili.
Aspettarono di essere
abbastanza lontane da non essere più viste prima di guardarsi.
Daphne non resse lo sguardo
a lungo, e si odiò per la sua debolezza. – Scusami se ho
accettato il suo aiuto – disse.
***
Quella
che tutti gli studenti di Hogwarts chiamavano come La Fuga era una cosa
abbastanza recente, circa un mese. Ventisette giorni, per quelli che,
come Pansy o Daphne, li avevano contati. Non era stato niente di
rumoroso, non aveva creato tutto quanto lo scalpore che aveva promesso,
era stata una cosa silenziosa e triste, improvvisa. Un giorno, di punto
in bianco, gli ultimi anni maschili della casa di Slytherin erano
inspiegabilmente scomparsi.
L’unica cosa rimasta era
soltanto un
biglietto, un fiume di parole per le ragazze, stralci di carta e
inchiostro conservati gelosamente come se ne andasse della loro stessa
vita.
Inutile dire che di quel
foglio Silente non aveva visto neanche un’ombra.
In realtà sotto il
cuscino di Pansy c’era qualcos’altro, ma non lo sapeva nessuno, neanche
Daphne.
Allora
c’erano stati i traditori, quei ragazzi che avevano cercato aiuto, e
Tracey Davis ne era un evidentissimo esempio. Aveva solidarizzato con i
Gryffindor, i detrattori naturali degli abitanti dei sotterranei, per
comprarsi quella salvezza che la fuga dei suoi compagni aveva precluso.
Pansy
aveva cercato di mantenere l’ordine. Aveva parlato ai suoi compagni, la
sera piovosa del giorno dopo la Fuga, lacerata dal dolore che il suo
silenzio le aveva provocato.
Come aveva potuto non dirle
niente?
–
Dobbiamo restare uniti – Pansy aveva sorriso coraggiosamente,
perché il
coraggio era tutto quello che le era rimasto – Chiunque avrà
bisogno di
aiuto potrà rivolgersi a me o alla nostra Caposcuola –
così dicendo
aveva indicato Miles Bletchey, seduta per terra con gli occhi distrutti
dal pianto e la spillina sul mantello strappato.
– Che cosa ne sarà
di noi?
Pansy
non sapeva chi l’avesse chiesto, non ne aveva la più pallida
idea, ma
si era trovata a reprimere un singhiozzo dietro quelle labbra sottili
ed aveva cercato nella folla il suo sguardo, l’unico sguardo che
sarebbe riuscita a tranquillizzarla abbastanza per permetterle almeno
di continuare a parlare.
Poi si era ricordata che
era per lui che
stava facendo quell’immane sforzo, in quel momento, e aveva dovuto
inghiottire le lacrime da sola.
– Dobbiamo farci forza.
Agiremo come possiamo, uniti, non importa quanti forti i nostri
detrattori possano essere.
Già
se li vedeva, i Gryffindor, a ridere di gusto, forti, bellissimi e
splendenti nel loro ruolo di buoni che dovevano fronteggiare
quest’improvvisa Fuga, la terribile eventualità che le schiere
del
Signore Oscuro si allargassero.
Eppure lei aveva provato a
dirglielo.
Oh,
sì, si era sgolata, aveva pianto, urlato, imprecato e
bestemmiato, e
pregato inginocchiandosi ai suoi piedi di non andare, di capire in
tempo quale fosse il lato giusto di quella guerra.
– Vuoi ridurti come tuo
padre? – gli aveva chiesto.
Lui non aveva risposto, se
n’era andato.
Sotto il cuscino, però,
aveva lasciato quella violetta.
Che fosse secca, a lei non
importava.
****
Eccomi
qui. Da sostenitrice accanitissima della coppia Harry/Draco mi sento
per prima colpevole per una Draco/Pansy. L’idea mi è venuta di
getto,
ma la storia purtroppo non altrettanto. Per chi se lo stesse chiedendo,
Miles e Mandy sono due personaggi creati e programmati dalla Rowling
che non ha ancora messo in gioco (ho spulciato Lexicon tutto il
pomeriggio per cercare date e luoghi che combinassero). So che Tracey
di cognome fa Davis e non Davies, ma mi sono presa questa piccola
licenza per un motivo ben preciso :)
La poesia l’ho presa in
prestito a Charles Baudelaire, dal suo Fleurs du Mal, e si chiama Il
Vino degli Amanti.
So
bene che come prologo la storia non promette molto, e ne sono parecchio
incerta, quindi ogni commento è chiaramente ben accetto!
Oh,
dimenticavo, in realtà nello slang (com'è emerso dalle
ricerche, temevo
di scrivere qualche castronata) Pansy si usa anche per i ragazzi
effeminati o per...ehm, donne dai facili costumi.
p.s. sì, Mandy
è troppo stupida anche per i miei standard. |
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Capitolo 2 *** Hic Sunt Leones ***
Capitolo 1: Hic Sunt Leones
And isn't this exactly where you'd
like me
I'm exactly where you'd like me you
know
Praying for love in a lap dance
And paying in naivety
But It’s Better If You Do, Panic! At The Disco,
Quella sera la pioggia batteva contro le finestre con una forza che
sembrava schernire la sorte degli Slytherin, visto che il sotterraneo
era l’unico luogo del castello che, per ovvietà di costruzione,
non potè essere allieto dalla frescura che il temporale
portò.
Naturalmente Pansy si arrangiò a modo suo, prese il
pacchetto di sigarette di Daphne e sgattaiolò fuori dai
sotterranei, lasciando che Wireless Wizarding Network coprisse la sua
fuga. Per la strada incontrò Katie Bell e Miles Bletchey, che
stavano facendo il giro di ronda insieme. Pansy era
sicura che Katie non l’avesse vista, ma non potè dire lo stesso
di Miles, che guardò esattamente dove lei si trovava, semi
nascosta da una grossa armatura, con un’occhiata talmente vacua da far
dubitare a chiunque che dietro gli occhi di quel castano ambrato molto
particolare ci fosse qualcosa.
Che ci fossero reazioni del genere era tranquillamente prevedibile,
qualche buontempone, probabilmente Gryffindor, aveva scommesso chi
sarebbe stato il primo a schizzare, e qualcosa all’altezza del cuore di
Pansy si era rotto quando aveva scoperto che, secondo gli
scommettitori, lei era stata la più quotata.
Era successo a Miles, invece. Era diventata simile ad un fantasma, ma
la cosa peggiore era che Miles era soltanto la prima.
Ci sarebbe voluto un cieco per non
accorgersene, ed anche un cieco avrebbe sentito il profondo sentore di
marcio, l’odore che emana un’ospedale pieno di pazienti affetti da un
incurabile epidemina, la puzza di una cosa malata sporca e morta che
gravava sul sotterraneo.
E non era un problema di fognature, né di poca igiene personale.
Era il condensato dei sentimenti, e al diavolo chi dice che i
sentimenti non possono puzzare, pensò Pansy, perché
quella era Hogwarts e tutto era possibile.
E lei non avrebbe augurato una cosa
del genere neppure al suo peggior nemico.
Si fece strada lungo i corridoi del terzo piano, seguendo le scale per
l’unico posto dove sarebbe riuscita a godere della pioggia e avrebbe
potuto fumare senza troppe ripercussioni, il loggione dietro la Torre
Sud. In realtà di loggioni ce n’erano quattro, uno dietro ogni
torre, ma voleva mettersi il più lontano dalla Torre Nord, la
torre dei grifoni.
I mocassini regolamentari della divisa, che portava solamente a scuola
per apparire inosservata da quando Draco se n’era andato, le
consentirono di dirigersi verso il loggione senza fare nessun rumore
ma, quando arrivò lì, si accorse che qualcun altro aveva
già occupato il suo posto.
E quando vide chi fosse, aguzzando la vista per scorgere qualcosa
più che una manciata di lineamenti sotto la pioggia battente,
scelse di rimanere.
Che sciocca, avrebbe dovuto pensare che non erano i grifoni gli unici
animali capaci di volare.
– Parkinson – la salutò cortesemente Anthony Goldstein,
aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta al riparo della tettoia
di pietra.
– Goldstein –
Erano entrambi prefetti ed era capitato di fare ronde insieme,
così come era capitato anche di scambiare chiacchiere indolenti
durante i loro giri. Goldstein era sempre stato così educato e
schietto da far capire a Pansy che sapeva perfettamente quello che
tutti quanti pensavano di lei ma a non rivolgerle mai gli stessi
epiteti.
Pansy si sistemò non troppo lontano da Goldstein, la vicinanza
dettata dalla cortesia che si sentiva in dovere di rispettare anche in
un momento come questo. Tirò fuori dalla tasca il pacchetto di
sigarette e ne estrasse una alla rosa, una marca francese di cui Daphne
aveva comprato diverse stecche quell’estate.
Sul pavimento del loggione ristagnavano polle d’acqua, piccole
pozzanghere che si formavano nelle crepe delle mattonelle sbreccate.
Lampi di luce illuminarono il viso di Goldstein mentre si girava verso
Pansy, buttando per terra la sigaretta prima di calpestarla con il
piede e di estrarne un’altra dal pacchetto, evidentemente quella sera
era proprio nervoso.
Anche Pansy lo guardò, un’espressione impassibile sul volto.
– Roger Davies ha scritto a Lisa, ha un messaggio per sua sorella.
Potresti recapitarglielo tu? –
Una saetta che attraversò il suo pensiero suggerì a Pansy
di rispondere che lei non parlava con Tracey, ma si ricordò in
tempo che non avrebbe mai potuto dire niente di simile ad un estraneo.
– Certamente – rispose, anche se qualcosa le diceva che quella di
Goldstein era tutto fuorchè una domanda.
Anthony sorrise, lentamente, il viso illuminato dalla fiamma
dell’accendino azzurro. Prima di parlare, fece un tiro dalla sigaretta
– Attenta ai leoni.
Pansy sbattè le palpebre – Scusami?
– E’ il messaggio – disse Goldstein con un sorriso – Per Tracey.
Per un attimo Pansy aveva pensato che quel messaggio fosse per lei, e
non sarebbe stato neanche troppo strano. Celò il suo stupore
dietro la cortina di ferro racchiusa nel mezzo dei suoi occhi ed
annuì con un unico gesto, secco.
– Novità del Prefetto Malfoy? –
– Nessuna –
– Anche se ci fosse, non me la diresti, sbaglio, Parkinson? –
– Non puoi incolparmi per questo, Goldstein –
– Naturalmente – rispose Anthony con un sorriso gentile che aveva allo
stesso tempo qualcosa di vagamente canzonatorio.
Le parole che uscivano dalla bocca di Pansy erano lame taglienti, che
prima di tutto dilaniavano la sua bocca, lasciandola impastata di
sangue. Il proprio – Non hai freddo?
Anthony rise – E’ un invito ad andarmene molto cortese, ma è
sempre un invito ad andarmene – buttò anche la seconda
sigaretta, ormai ridotta ad un mozzicone, per terra, la pestò
con la suola di gomma della scarpa e dopo aver gettato un’ultima
occhiata alla pioggia oltre la tettoia si girò verso l’ingresso
della scuola, il mantello drappeggiato sulle sue spalle come se ci
fosse qualcuno da impressionare.
– Buona nottata, Parkinson – la salutò Goldstein prima di
entrare – Ricordati di dirlo a Tracey, anche se non ho la minima idea
di che cosa significa: attenta ai leoni.
Era naturale, considerò Pansy, che Anthony Goldstein non
riuscisse a capire il significato di quell’avvertimento.
Le aquile volano sempre troppo in alto.
***
I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you
Since I don’t have you, Guns N’ Roses
Era il pensiero di Draco che la teneva sveglia la notte, erano i suoi
occhi che la facevano annaspare fra le coperte di cotone verde. E
quando dormiva, in occasioni progressivamente più rare, i sogni
di Pansy erano agitati e finivano sempre con un urlo o con del sangue
Si svegliava di scatto, il corpo sconvolto dai singhiozzi di Millicent
disteso di fianco al suo e, dall’altra parte, Daphne, immobile come una
statua con i grandi occhi spalancati.
Coltri come una prigione, di uno
spessore soffocante l’avvolgevano nei suoi sogni, macchiandola del
sangue che da essa filtrava, tatuandoglielo indelebile sulla pelle.
Dov’era Draco adesso?
Coperte che portavano il nome di
rimorso, lo stesso rimorso che le stringeva il cuore come una mano
impietosa.
Non era stata abbastanza brava per lui. Era questo il motivo per cui se
n’era andato, non si era sentito amato, e di sicuro lei non aveva fatto
del suo meglio per facilitargli il compito. Avrebbe dovuto fare di
più, dare di più, dire di più, avrebbe dovuto
fargli capire che tutto quello che provava per lui era così
forte da non permetterle nemmeno di respirare, quando lui non c’era.
Ora Draco se n’era andato, e tutto quello che le restava in mano
era…rimorso.
E la sfuggente sensazione di non poter condividere quel rimorso con
nessuno.
Quando si svegliò, quella mattina, uscendo da una serie di sogni
travagliati quasi come la prima notte dopo La Fuga, la pioggia non era
ancora cessata.
Una volta che arrivò in Sala Grande, fortunatamente, le furono
risparmiate le occhiate che fino ad appena qualche giorno prima
qualunque Slytherin che entrasse in mezzo ad una folla si guadagnava.
– Guarda che roba – commentò Parvati Patil al tavolo di
Gryffindor.
– Stai parlando della gonna, vero? – le diede manforte Lavender,
versandosi nel bicchiere un’abbondante dose di succo di zucca – Mi
chiedo se Pansy Parkinson sappia che è cresciuta da quando aveva
dodici anni e che, purtroppo, si è allungata.
Parvati, per amor del vero, si sentì in dovere di dire a
Lavender la stessa cosa, ma stette zitta preferendo riversare tutto il
suo astio sul gruppetto di Slyhterin che, appena dietro la Parkinson,
si stava silenziosamente riversando in Sala Grande.
– Anche se, – continuò Lavender – Se vogliamo parlare di gonne
corte non c’è nemmeno bisogno di andare troppo in là,
voglio dire, hai visto Mandy Brocklehurst stamattina? Quello è
un francobollo, non è una gonna ––solo che su di lei non
è nemmeno così volgare come sulla Parkinson.
Parvati sgranò gli occhi, colpita dalle parole dell’amica –
Lavender, ma non è neanche la stessa cosa! Credi sul serio che
una…una biscia – disse, trovando particolarmente appropriato
quell’epiteto per Pansy Parkinson – possa avere la stessa classe di un
usignolo?
Hermione alzò gli occhi al cielo senza dire nulla. Altro che
usignolo, Mandy Brocklehurst era a dir poco un vero e proprio pavone.
– Hermione, mi passi il caffè? –
– Certo – porse una mano verso la brocca sollevandola, facendola
passare davanti ad un Ron Weasley completamente assorto nella lettura
di Baudelaire per recapitare il caffè davanti a Harry.
– Ron, sei davvero ossessivo – commentò Ginny scuotendo la testa
– E’ una cosa malata –
Da parte di The King non ci fu altro che un grugnito strozzato che
esprimeva tutta la sua disapprovazione per la frase pronunciata dalla
sorella.
– Non mangi niente, Ron? – chiese Hermione dolcemente, porgendogli un
vassiono di plumcake.
Soltanto allora Ron si decise ad alzare la testa, restituendo alla
ragazza uno sguardo affranto che le passò attraverso – Mangiare?
Come posso mangiare quando la donna della mia vita è due tavoli
più in là?
Automaticamente, sia Harry che Hermione seguirono la direzione degli
occhi di Ron, fino a trovarsi a fissare il visetto sorridendte di Mandy
Brocklehurst.
– Ron, stai diventando davvero ridicolo – disse Hermione stizzita.
Ginny applaudì sopra il suo succo di zucca – Finalmente qualcuno
che la pensa come me – concordò.
– Ridicolo, eh? – chiocciò Ron offeso – Siete voi che non sapete
che tragedia sia l’amore non corrisposto! Insensibili, anche tu,
Hermione, ed io che ti chiamavano amica! –
La smorfia sul viso di Hermione si accentuò, le sue labbra si
assottigliarono ulteriormente ed Harry pensò che sarebbe forse
stata una saggia idea mettersi ai ripari prima che la tempesta si
scatenasse. Alzò la testa per osservare il panorama che la Sala
Grande gli offriva, cercando un’eventuale via di fuga che sarebbe
potuta pervenerigli tramite Dean Thomas o Seamus Finnegan, ma il suo
sguardo si fermò su una figuretta vestita di verde che
passò affianco a lui.
Daphne Greengrass.
Il disprezzo arricciò automaticamente le labbra di Harry in un
movimento involontario, ma la ragazza, che si stava dirigendo al tavolo
di Slytherin, non diede nessun segno di essersene accorta.
Quella mattina Daphne era da sola, priva della sua compagna o del suo
cagnolino, rispettivamente Pansy Parkinson e Tracey Davies. Harry, del
resto, non perse tempo a chiedersi come e perché, visto che
dietro di lui la tempesta era scoppiata con fulmini e tuoni di rito.
– Perdi le tue giornate così, cercando poesie stupide per una
ragazza stupida – Hermione prese un profondo respiro, fermandosi un
secondo per raccogliere le idee prima di ripartire in una tirata che
avrebbe fatto invidia a Molly Weasley – quando potresti studiare, Ron,
non ti sei accorto che la tua media è scesa incredibilmente
quest’ultimo anno? –
– Gesù Hermione, ti rendi conto che la mia vita non è
soltanto studio? Qual è il tuo problema, dimmelo! –
Harry sospirò rumorosoamene desiderando con tutte le sue forze
di poter affondare la testa nel piatto. – Ginny… –
– Ginny cosa? Se pensi che li fermerò, sei fuori strada –
rispose la Weasley, guardandosi nello specchietto rosa che aveva tirato
fuori dalla borsa. – Almeno così Ron reagisce –
Non aveva tutti i torti, ma Harry desiderava comunque che, perlomeno di
domenica mattina, le sue orecchie non venissero violentate dalla
confusione che i suoi due migliori amici stavano facendo per un motivo
che, almeno a parer suo, aveva davvero del ridicolo.
– Aria di tempesta? – chiese Dean sedendosi affianco a lui. – Qual
è il motivo della contesa? – indicò con un cenno del capo
Hermione e Ron per far capire di cosa stesse parlando, nonostante fosse
perfettamente inutile.
– Mandy Brocklehurst – rispose Harry cupamente.
Dean sollevò le sopracciglia con aria eloquente e dalla bocca di
Seamus, che stava arrivando in quel momento, fuoriuscì un
fischio sommesso.
Ginny alzò la testa dallo specchietto per rivolgere ai due
ragazzi appena arrivati un tacito saluto, il suo sguardo si
soffermò sul fratello e l’amica soltanto per un breve istante
prima di saettare fuori dal tavolo di Gryffindor, verso le vetrate
della Sala Grande.
La pioggia, che continuava a battere in quel momento, aveva qualcosa di
irresistibilmente cupo: naturalmente, si disse Ginny, era pur sempre
pioggia, ed in quanto tale qualcosa di completamente fuori da fenomeni
misteriosi e oscuri presagi.
Nuvole di un grigio spento oscuravano il sole, lasciando la Sala Grande
in una specie di penombra illuminata solamente dal soffitto stellato,
scuro come il cielo di quella mattina di Ottobre fatta eccezione per i
bagliori bianchi emanati dalle stelle. Un tuono più forte degli
altri fece sobbalzare Ginny sulla sua sedia, e il suo sguardo si
diresse verso il portone nell’Atrio, dal quale stavano entrando,
ridendo, Lisa Turpin e Anthony Goldstein completamente fradici, con il
pacchetto di sigarette che usciva dal taschino della divisa.
– Naturalmente oggi pomeriggio c’è allenamento – disse Harry per
far zittire Ron, che continuava ad inveire contro Hermione, il libro di
poesie di Baudelaire dimenticato sul piano del tavolo, fra i plumcake e
le aringhe.
– Naturalmente – ripose Ron senza neanche aver sentito sul serio quello
che l’amico aveva detto.
Ginny respirò profondamente, infastidita dalla piega che le cose
stavano prendendo. Aveva programmato un pomeriggio di dolce far nulla,
e adesso Harry, per coprire in qualche modo la sua totale mancanza di
spina dorsale, aveva pensato bene di occuparglielo con una cosa
così inutile come l’allenamento.
– Perché mi guardi così? –
Ginny sbattè le palpebre – Così come? – chiese,
accorgendosi soltanto in quel momento che per tutto quel tempo aveva
continuato a guardare fisso l’oggetto dei suoi pensieri.
– Come se volessi buttarmi giù dalla torre di Astronomia –
rispose Harry scrollando le spalle, mentre Dean e Seamus sogghignavano
alle sue spalle, mimando una scenetta che, secondo loro, spiegava con
chiarezza cosa invece volesse fare lui sulla torre di Astronomia.
Ginny, tuttavia, non ci trovava nulla da ridere nel loro comico
teatrino, si limitò a serrare i denti e a scuotere la testa,
sforzandosi a spostare lo sguardo truce sulla tavolata di Slytherin –
Non ti stavo guardando proprio in nessun modo –
Decise che l’atmosfera lì stava diventando troppo pesante,
quindi si alzò in piedi per raggiungere il tavolo di Ravenclaw,
circumnavigando quello di Hufflepuff dal quale Hannah le fece un saluto
che lei ricambiò soprappensiero.
Si diresse verso Luna Lovegood e le battè su una spalla.
Più o meno tutti tranne Luna si voltarono verso Ginny che
sospirando già al colmo dell’esasperazione si mise davanti alla
sua amica, con non poche difficoltà visto l’ostacolo
rappresentato dalla lunga tavola.
– Ciao Ginny – salutò Luna come se nulla fosse – Hai sentito
anche tu un Ricciocorno Schiattoso che ti batteva sulla spalla? Non mi
sono girata per non mandarlo via, ma in realtà bisognerebbe
catturarlo con una corda d’argento.
– Come no – rispose Ginny roteando gli occhi. Si sedette sulla sedia
libera vicino a Luna, salutando Lisa Turpin seduta dall’altro lato.
– Che cosa sta succedendo al tuo tavolo? – chiese Lisa con
curiosità, facendo dardeggiare gli occhi verso Ron ed Hermione,
il primo paonazzo per la rabbia e la seconda addirittura in piedi. Per
fortuna il trambusto tipico della domenica mattina in Sala Grande
impediva ad alcunché che non si trovasse abbastanza vicino di
ascoltare il discorso.
Ginny si strinse nelle spalle – Hanno un piccolo diverbio relativo alla
vita sentimentale di mio fratello –
– Oh, capisco – dal tono nella voce di Lisa Turpin, Ginny comprese che
aveva capito veramente, anche perché stando a stretto contatto
con Mandy Brocklehurst nessuno potrebbe non capire – Puoi rassicurare
la Granger, credo che l’oggetto della lite non sia minimamente
interessato –
– Lo penso anche io – disse Ginny con una smorfia – Nessuno sano di
mente potrebbe esserlo – si morse la lingua per non dire che in fin dei
conti Mandy ricopriva pienamente quest’unico requisito, ma gli occhi di
Lisa le assicurarono che avrebbe anche potuto dirlo.
– Guarda un po’ chi arriva, la Caposcuola Bletchey – commentò
Lisa spostando gli occhi sulla ragazza in questione, che avanzava verso
il tavolo di Slyhterin dalla parte opposta della Sala.
Ginny fermò gli occhi su di lei; Miles Bletchey, Prefetto e
Caposcuola fin da quando era stato possibile darle tali onorificenze.
La ragazza che aveva guidato gli Slyhterin, intelligente, con i voti
migliori del suo anno, molto carina, gentile, onesta ed ambiziosa.
Miles Bletchey, un relitto.
– Sai che Michael Corner ha vinto dieci galeoni? – sussurrò Lisa
rivolta a Ginny senza neanche staccare lo sguardo dalla Caposcuola –
Terry Steeval invece ne ha perso un sacco, lui aveva puntato tutto
quanto su Pansy Parkinson.
Qualcosa nello stomaco di Ginny si contrasse con forza.
– Lo sapevate che con la pioggia i Vermi Saltellanti escono a fare le
tane? – informò Luna con aria molto giudiziosa. Lisa ebbe il
buon gusto di stare zitta, Ginny invece non la sentì proprio; i
suoi occhi erano calamitati dalle gocce d’acqua che battevano contro i
vetri, creando disegni del tutto casuali che la nuova ondata di pioggia
subito cancellava.
Lisa si battè un dito sul mento – Sono mai arrivati alle mani?
Questo però Ginny lo sentì benissimo, e si girò
appena in tempo per vedere anche Ron alzarsi, Dean e Seamus che lo
guardavano interessatissimi ed Harry, esattamente in mezzo ai due
contendenti, che aveva la faccia di qualcuno che avrebbe dato il suo
regno per una passaporta. – No, non mi pare -
– Certo che se ne stanno proprio dicendo, eh – Lisa impietosamente
rigirò il coltello nella piaga – Per cosa hanno iniziato, se non
sono indiscreta?
Ginny non ebbe problemi a risponderle – Baudelaire –
Lo sguardo comprensivo che Lisa le rivolse valse più di mille
parole.
***
– Ehi, Parkinson, cosa ci fai qui sola soletta? – non era cattiveria,
aveva soltanto voglia di rompere qualcosa, di…distruggere.
Dopo aver visto la ragazza di cui era innamorato essere gelosa di quel
povero cretino di The King, sentiva il bisogno di sfogare la propria
frustrazione. Fare del male, ecco.
Voleva fare del male a qualcosa di
bello.
– Vattene – le sue parole erano acciaio tagliente, una lama secca che
non prevedeva rifiuti né deviazioni – Se stai cercando rogne,
allora sei venuto dalla ragazza giusta – Pansy alzò la testa
dicendo queste parole, guardando senza paura né, a dir la
verità, qualsiasi altra espressione percepibile sul suo viso
Cormac McLaggen.
Lui fece un passo avanti, arrogante e forte della sua
superiorità.
La Sala dei Trofei era immersa nell’oscurità, e Pansy tese la
bacchetta davanti a sé – Lumos
–
Il viso di McLaggen, la fronte contratta dalla rabbia, furono subito
visibili, Pansy aprì la bocca di nuovo ma lui fu più
veloce. – Petrificus Totalus –
Pansy, già seduta a terra, si immobilizzò. Fortunatamente
non cadde perché dietro di lei c’era una teca di vetro, la
stessa teca verso la quale McLaggen avanzò, sembrano perdere
tutto l’interesse verso la ragazza pietrificata ai suoi piedi.
– Cercatore, Draco Malfoy, 1996 – lesse ad alta voce su uno degli scudi
dorati che recavano incisi i nomi dei giocatori della squadra di
Slyhterin anno dopo anno. La sua espressione si indurì
ulteriormente e si inginocchiò a terra, davanti a Pansy che lo
guardava immobile. – Cosa si prova ad essere maltrattati, Parkinson?
Le tirò un calcio con noncuranza – E’ questa la fine che vi
meritate voi Slyhterin, soli, annegati nelle vostre colpe. Cosa fai ora
che non ci sono più Malfoy e Zabini a difenderti?
Anche se non fosse stata immobilizzata, Pansy non avrebbe detto niente
lo stesso. L’unica cosa che poteva fare in un momento come questo era
guardare McLaggen, guardare un Gryffindor buono e leale, guardare
l’eroe che si comportava come ci si aspettava da lui.
Anzi, forse avrebbe desiderato per
parlare, per sputargli in faccia l’incoerenza di cui si faceva macchia
e riversargli addosso il proprio veleno, quel fiele amaro che stagnava
sotto il suo palato, pericolosamente simile al sangue.
– Te lo meriti, Parkinson. Merlino solo sa quanto te lo meriti –
ringhiò rabbioso McLaggen – Quando vedi Malfoy, diglielo.
Diglielo pure, non ho paura, digli che Cormac McLaggen lo sta
aspettando per ripassare anche lui così –
Erano questi i preziosi Gryffindor,
così leali ed onesti.
La perfezione che svettava sulle alte
torri, giudicati e prima ancora di tutto giudici.
– Schifosi cani, figli di Mangiamorte, sono andati ad unirsi a lui per
farci del male, vero? Bene, ecco come ci difendiamo noi –
Violetta.
– L’inferno, l’inferno vi meritate! – aveva smesso di colpirla, anche
se aveva smesso di fare male molto tempo prima – Malfoy, Zabini,
Nott…tutti quanti, se soltanto li avessi fra le mani… –
Cosa faresti?, chiese Pansy nei suoi pensieri guardandolo silenziosa.
Non erano parole vane e lei lo sapeva bene, in quel momento Cormac
McLaggen credeva in ognuna di quelle, dalla prima all’ultima, e per le
sue parole avrebbe combattuto con la sua stessa vita.
Non lo considerava un pazzo, perché stava facendo esattamente la
cosa che anche lei avrebbe fatto, era lei quella considerata la
cattiva. Da non considerarlo un pazzo a non fargliela pagare,
però, c’era una distanza infinita, sollevò gli occhi
verso le finestre quando il rumore della pioggia si intensificò.
Anche Cormac McLaggen parve sentire quel suono, ma lo fraintese
completamente interpretandolo come un rumore di passi. – Ecco cosa ti
meritavi, Parkinson, per tutte le volte che Malfoy e Zabini mi hanno
attaccato quando ero da solo. Se tornano assicurati di recapitargli il
messaggio.
Pansy ricordò un altro messaggio che avrebbe dovuto recapitare,
la guancia poggiata contro il marmo freddo del pavimento e la bocca
semiaperta, il viso e le gambe tumefatte.
Attenta ai leoni.
Every battle has its glory
and its consequence
Glory and Consquence, Ben Harper
***
Ciao a tutti! Questo capitolo è più duro, forse anche
troppo, e non mi piace granchè com'è venuto…non odio
Cormac, come non odio i Gryffindor, anzi, ad essere sincera
probabilmente li preferisco agli Slytherin, ma ho sempre avuto l’idea
che in realtà i ruoli bullo–vittima non fossero proprio quelli
che ci sembra di vedere dal punto di vista di Harry. Ron è
stupido e Harry senza spina di dorsale, non fraintendetemi, amo
entrambi ma non mi sono mai sembrati delle cime :P Fra Tracey e Daphne
c’è una relazione un po’ particolare, sì, e i dettagli
saranno svelati nei prossimi capitoli. Intanto ringrazio tutti coloro
che hanno recensito e anche quelli che si sono semplicemente limitati a
leggere senza dire niente.
P.S.: Rocket Queen è il titolo di una canzone dei Guns N’
Roses…le possibili interpretazioni sono due, Regina Razzo o Regina
delle Stelle, anche se molti optano per la seconda ;) e sì,
è Pansy!
|
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Capitolo 3 *** Fire and Ice ***
Capitolo 2: Fire and Ice
That
you can't trust freedom
When
it's not in your hands
When
everybody's fightin'
For
their promised land
Civil War, Guns N’ Roses
Il
sogno in cui era caduta le ricordava l’Eden, per certi versi, profondo
ed intoccabile quanto splendido alla vista e all’udito.
Nastri
di luce rosata le penetrarono le palpebre, spingendo prepotentemente
contro la sua pupilla. Pansy spalancò gli occhi senza riuscire
ad aprirli, continuando a cadere di nuvola in nuvola prima di atterrare
su una superficie che aveva la stessa morbida consistenza del velluto e
l’identico filo di un rasoio.
Si
girò di scatto con un movimento ripetuto mille e mille molte
volte ancora, il sogno sotto di lei che spariva non appena cercava di
guardarlo.
La sua
gola stava andando a fuoco ma presto si accorse che quella sensazione
non le dava fastidio come aveva immaginato: il calore smorzato si stava
diffondendo in tutto il corpo, attraversandole le vene e lanciando
brividi di anticipazione lungo la sua spina dorsale.
Provò
a muoversi lentamente, ben consapevole di non poter guardare giù
per non perdere la spigolosa sostanza del sogno su cui era adagiata, ma
le gambe sembravano non voler rispondere ai suoi comandi, rimanendo
immobili, parallele ed inspiegabilmente insensibili. Il calore che la
percorreva era addirittura piacevole, partiva dalla punta del naso fino
a propagarsi nel suo ventre, fermandosi lì, senza arrivare alle
gambe, fredde e lisce come il marmo.
Sollevò prima una
palpebra e poi l’altra, soltanto per un istante. L’aria nella Stanza
dei Trofei era calma e pesante allo stesso tempo, così densa
attraverso la porta chiusa che le parve di non avere, in realtà,
aperto gli occhi affatto.
– Che
cos’hai? –
Pansy
cercò di girarsi ma le sue gambe non obbedirono agli stimoli.
Inarcò la schiena per gettare la testa all’indietro ma nemmeno
così vide nulla, accecata dal riverbero di luce che cadeva dalle
fitte nuvole nel cielo ceruleo.
– Che
cos’hai? –
La
domanda non era neanche rivolta a lei o forse solamente voleva
crederlo, ma riconosceva la voce meglio di quanto potesse pensare: una
voce infantile, in falsetto, la voce di una bambina sgraziata e
cattiva. Improvvisamente ringraziò che le sue gambe fossero
congelate, paralizzate, perché così forse non avrebbe
visto il viso affilato di Bellatrix Lestrange. Dietro di lei, il suono
cristallizzato della quiete si interruppe, infranto dal rumore di
qualcosa che cadeva e frusciava, come seta cruda contro pelle.
– Tu
sei la fidanzata di Draco, non è vero? – chiese Bellatrix, la
voce grottesca serena – Da quanto tempo non lo vedi? –
La
paura che Pansy provava era irrazionale, quello era solamente un sogno
e in quanto tale non avrebbe avuto affatto ripercussioni su di lei, in
nessun modo. A dire la verità non conosceva neanche il motivo
della sua paura per Bellatrix, un timore irrazionale e bruciante che le
inzuppava di sudore la camicia. La lingua di Pansy sembrava aver
completamente perso il suo utilizzo, al pari delle sue gambe, rimase
incastrata nel palato senza muoversi, rossa come le labbra che la
rinchiudevano nella bocca.
– Pansy?
Si
sarebbe dovuta decidere a rispondere prima che potesse succedere
qualcosa di sbagliato; cosa non lo sapeva neanche lei, ma qualunque
cosa in un momento come quello non sarebbe stata auspicabile,
imprigionata in una gabbia di terrore.
– Draco
– si azzardò a dire con voce tremante, sentendosi più
viva dopo aver pronunciato quelle parole, che rotolarono sulla sua
lingua come se scottassero – Dov’è? Che cosa gli hanno fatto? –
Si era
trattenuta dal dire quell’”avete” che le bruciava la gola, il calore
che si era diffuso nel suo corpo stava progressivamente iniziando ad
aumentare, il macigno che sembrava posato sulle gambe fredde invece non
accennava proprio ad andarsene.
– Stai
parlando di Draco? – Bellatrix scoppiò a ridere con una risata
tagliente
Pansy
annuì senza girarsi, decisa a scendere a patti con la visione
mostrando un interesse per lei e per le parole che stava dicendo.
Respirò profondamente sentendo la trachea colpita da una lama di
ghiaccio che le tolse il fiato, cercò di articolare una frase
più lunga ma fallì miseramente, non riuscendo a ripescare
le parole in nessun lembo della sua mente.
Bellatrix
sorrise – Vuoi vedere Draco?
– Dove
sono? Tutti loro…dove sono? –
E’
soltanto un sogno, si disse Pansy sentendosi schiaffeggiare nonostante
Bellatrix non accennasse a muoversi, solamente un sogno.
La voce
di Bellatrix si addolcì, diventando quasi gradevole nella
stucchevole imitazione di una bambina – Lascia che te lo mostri –
***
Non era così che
sarebbe dovuto andare, Pansy ne aveva la certezza graffiante mentre
assisteva imponente allo spettacolo che le si stagliava davanti.
– Fammi andare –
strillò verso Bellatrix – fammi andare da lui –
– Tu mi hai solo chiesto
come stava –
Se le lacrime che
attraversavano il viso di Pansy erano veramente lacrime, quelle che
invece solcavano il volto di Blaise erano stille di fuoco, era acqua
incandescente che scorreva sul suo corpo martoriato.
– Digli che lo lascino
andare – disse Pansy tremando.
Bellatrix la guardò
mentre un sorriso infantile piegava le sue labbra rosse – Posso anche
farlo, ma non cambierà nulla, Pansy. Quello che vedi è
solo una cosa che è già successa –
Gli occhi di Pansy si
tinsero di rosso, mentre la luce che si riversava in quel capanno arso
dalle fiamme esplodeva in una cascata di luce, riverberi rossi e
scintillanti che consumavano il corpo di Blaise.
– Non sta succedendo
veramente –
Bellatrix non disse niente.
Le urla di Blaise bastarono
a riempire quel silenzio.
***
Un eco
di suoni si accavallarono nella mente di Pansy, grida, strilli ed
immagini confuse un istante prima che le unghie di Bellatrix si
conficcassero nella sua pelle. Lottò con tutte le tue forze per
non cadere e per continuare a respirare, soffocata dall’odore agre di
sangue che le pizzicava le narici e dalla vista del corpo di Blaise,
dilaniato sotto i suoi occhi.
– Vuoi
vedere qualcos’altro? –
La voce
di Bellatrix aveva perso tutta la sua dolcezza, pungente ed affilata
come le lame che si stavano conficcando nella gola di Pansy, simili a
spine da quanto erano appuntite che la inchiodavano al suolo sotto di
sé, formando un contrasto intollerabile con l’erba appena
tagliata del campo da Quidditch.
– Non
voglio sentirti! – urlò Pansy.
Doveva
ricordare, riuscire a capire l’incantesimo che Bellatrix aveva lanciato
per permetterle di vedere Blaise, doveva sapere e dopo doveva mostrarlo
a tutti.
– Legilimens! –
Bellatrix
non dovette neanche chiudere gli occhi per evitarla, rifuggendo
abilmente dallo sguardo di Pansy che fissava la sua mente con tutta la
forza di cui era capace – Non sarà abbastanza – disse con un
tono di voce rauco che denotava un certo sforzo – Di certo non è
leggermi la mente la chiave per uscire di qui –
Aveva
perso le sue gambe e ormai ne aveva la certezza più assoluta,
chiedendosi che cosa le stesse succedendo e che cosa Bellatrix fosse
venuta a fare nel suo sogno.
Se
soltanto fosse riuscita a scapparle o a scoprire quell’incantesimo…
Non le
servì una particolare concentrazione ma bastò soltanto la
piega che il vento prese in un determinato momento; il rumore che
faceva strusciando i suoi vestiti contro il terreno e il lampo che
passò negli occhi della donna accanto a lei.
Quando
capì, Pansy sentì il suo cuore sgravarsi da un peso che
si depositava più in basso, sul ginocchio offeso dai colpi di
McLaggen.
– E’
una bugia – disse con una scioltezza che le spezzava il cuore, ed a
riprova della propria tesi pronunciò la parola con cui era stata
ingannata, prima di aprire gli occhi di nuovo – Confundus –
***
Because
maybe
You're
gonna be the one who saves me ?
And
after all
You're
my wonderwall
Wonderwall, Oasis
La camera aveva un profumo
di rose moscate, la luce soffusa del pomeriggio di un giorno di Maggio
filtrava dalle finestre socchiuse davanti alle quali soffici tende di
un azzurro molto chiaro, quasi trasparenti, svolazzavano pigre,
sospinte da una brezza lieve.
Da dove Pansy era distesa
si riuscivano a scorgere ben tre letti a baldacchino, tutti quanti con
identici tendaggi blu scuro pesantemente drappeggiati da sbarre
d’acciaio malamente nascoste dalla stoffa.
I riverberi ramati di una
chioma rossa scendevano sopra di lei come una cascata, una testa china
in riflessione che si illuminò come se il sole avesse
improvvisamente battuto sul suo viso.
– Mi hai fatto prendere un
colpo – disse Lisa Turpin compostamente, sebbene la sua voce tremasse
di sollievo trattenuto.
Pansy trasse un profondo
respiro, sentendosi come se i suoi polmoni stessero per esplodere da un
momento all’altro – Allora siamo in due – si interruppe come se parlare
le costasse grande sforzo e socchiuse gli occhi, sentendo un formicolio
nelle gambe prima di tornare con lo sguardo su Lisa Turpin –
Cos’è successo? –
– Questo devi dirmelo tu –
nella voce di Lisa fremette una nota di impazienza trattenuta.
– Niente che non possa
sbrigare da sola – rispose Pansy, sorridendo appena per alleggerire la
frase pronunciata con una determinazione fredda e sicura.
Lisa aggrottò le
sopracciglia, apparentemente combattuta fra il contestare o meno la
decisione della ragazza – Come vuoi – disse infine sospirando
rumorosamente – anche se penso tu debba aspettare un po’ prima di
alzarti –
– Non abuserò della
tua ospitalità ulteriormente – disse Pansy con calma – Ti
ringrazio per avermi portata qui e non in infermeria, ma ora è
meglio che ritorni ai Sotterranei. Daphne si starà chiedendo che
fine abbia fatto –
– Non devi preoccuparti –
rispose Lisa – ho mandato Anthony ad avvertirla –
Pansy inarcò le
sopracciglia, nascondendo a stento la sua sorpresa – Anthony Goldstein?
Chi altro sa della mia piccola…
– Defaillance? – Lisa
scosse la testa con un sorriso grazioso – solamente io e lui. Sapevo
bene che non avresti avuto piacere che la notizia trapelasse, quindi mi
sono premurata di mandar fuori Mandy e il suo seguito.
Pansy sapeva che con
“seguito” Lisa si riferiva a Morag Mc Dougal e Padma Patil, quindi le
fu grata di questo: una fuga di notizia, come già la Ravenclaw
aveva puntualizzato, sarebbe stata una cosa estremamente sgradita –
Grazie – ripetè, appoggiando i palmi delle mani sul materasso
soffice – Ritorno in camera –
– Parkinson, non sei di
nessun disturbo – sbuffò Lisa con aria divertita, senza celare
però un’espressione preoccupata nel momento in cui, mentre si
puntellava per mettersi a sedere sul letto, Pansy si lasciava sfuggire
una smorfia di dolore. Lisa diventò improvvisamente seria,
scostandosi dal viso una ciocca di capelli ramati – Posso fare qualcosa
per te? Non esitare a chiedermelo?
– Hai già fatto
troppo – ribattè Pansy, sentendo una lama pungerle il petto
quando si rese conto che quella disavventura le era costato un aiuto
troppo caro – Non capiterà più –
– Di sicuro non è
stata colpa tua, non penso che ti sia divertita a colpirti le gambe
fino a renderle quasi inutilizzabili – rispose Lisa con una nota
pungente di fastidio nella voce che non riuscì a coprire
abbastanza in fretta.
Tuttavia Pansy
abbozzò un sorriso appena accennato, mettendosi in piedi con non
poche difficoltà, muovendo alcuni passi accennati verso la porta
che improvvisamente si aprì, lasciando entrare nella stanza
Anthony Goldstein.
Appena vide le due ragazze,
il suo volto si aprì in un sorriso – Sveglia, Parkinson? Non
conoscevo questa tua abitudine di riposini pomeridiani – nelle sue
parole non c’era traccia né di scherno né di asprezza,
cosa di cui Pansy gli fu riconoscente – Pensi che sia prudente muoverti
già? – proseguì Anthony, senza risparmiare le gambe della
Slyhterin da un’occhiata apprensiva.
– Ben più che
prudente che restare qui – rispose Pansy.
Lisa alzò le mani –
Non ti mangeremo –
– Non voi – disse Pansy con
un sorriso ironico, gettando ai tre letti vuoti un’occhiata che le
sembrava essere sufficientemente esplicativa.
Anthony si strinse nelle
spalle – Dunque Daphne Greengrass ha fatto un giro a vuoto.
– Cosa intendi dire?
Il ragazzo guardò
Pansy con aria divertita – Intendo dire che è in Sala Comune a
ingaggiare una battaglia di sguardi con i Ravenclaw del primo anno,
preoccupata a morte per te e attendendo soltanto un mio cenno per
irrompere nella stanza. Credo che se non fosse stato per le mie calde
raccomandazione avrebbe già sfondato la porta pronta a salvarti
portandoti via –
Pansy si morse la lingua –
Non ce n’era nessun bisogno –
– Non mi pare – rispose
Lisa – eri in condizioni terribili, chi è stato, Parkinson? Sono
un Prefetto, posso benissimo… –
– Lo sono anche io –
replicò Pansy raggiungendo la porta – Tuttavia penso che
agirò in modo più subdolo. Quando vedrete qualcuno
aggirarsi per Hogwarts mutilato capirete a chi dovrete togliere punti –
– A te – disse pronto
Anthony – Non fare sciocchezze –
Non le sembrava giusto che
due Ravenclaw, per quanto intelligenti, schietti e buoni potessero
essere, dovettero darle consigli sulle sue prossime azioni.
Evidentemente anche Lisa lo capì, visto che si limitò ad
abbassare la testa in direzione di Pansy a mo’ di saluto – Ci vediamo
in giro –
– Grazie ancora – disse
Pansy prima di uscire dalla porta e richiuderla dietro di sé.
Una volta sola nel
corridoio, mentre si dirigeva a passo spedito verso le scale, Pansy
serrò i pugni che il suo solo orgoglio le impediva di tirarsi in
testa. Come potevano, intelligenti come da tradizione, non capire che
la loro offerta di aiuto, per quanto provvidenziale, la metteva in una
spiacevolissima situazione? Non avrebbe potuto accettare e
probabilmente anche loro lo sapevano bene, limitandosi a dire quello
che avevano detto per una semplice questione di etichetta ma comunque
offendendola, pure involontariamente.
Era consapevole che sia
Lisa Turpin che Anthony Goldstein erano pieni di buone intenzioni,
talmente pieni che Pansy si stupiva che il loro cuore non fosse
scoppiato o, in alternativa, non fosse scoppiato il cappello di
pentimento per non averli cacciati ad Hufflepuff quando ne aveva
l’occasione. Nonostante questo era una vera e propria offesa e tutte le
buone maniere del mondo non avrebbero potuto lenire l’affronto che le
avevano recato offrendole in quel modo così schietto e pulito di
aiutarla.
Il suo sguardo corse al
corridoio che, intorcigliandosi attorno a lei, sembrava non volerla
portare da nessuna parte: un’altra stramberia di quegli strani
Ravenclaw, come confermarono i passi affrettati che sentì dietro
di sé.
– Te l’avrei detto, se me
ne avessi lasciato il tempo – disse Lisa Turpin raggiungendola in
fretta, ancora ansimante per aver camminato in fretta – La Torre
è incantata, non puoi uscire se non conosci la strada –
Guarda un po’, pensò
Pansy, a Slyhterin in quel caso non ti lasciano neanche entrare.
Lisa non si lasciò
scomporre affatto dalla totale mancanza di risposta di Pansy – Vieni –
disse semplicemente.
La guidò in silenzio
per quel corridoio il tempo di una manciata di secondi, prima di
arrivare a delle scale a chiocciola che scendevano in un buco
apparentemente nero.
– Ti faccio strada – disse
Lisa sbarrandole il passo prima di calarsi davanti a lei lungo le scale
– Il corridoio che hai percorso in realtà ha uno spazio che
è tranquillamente coperto in meno di un minuto – probabilmente
anche senza girarsi sentì l’occhiata perforante di Pansy sulla
sua schiena visto che aggiunse in fretta – Nel caso che tu ti chiedessi
se questa Torre è un labirinto senza fine –
Pansy si astenne dal
rispondere, concentrandosi sulla discesa che nelle sue condizioni
risultava quasi ardua. Non si era soffermata ad osservarsi il viso ad
uno specchio o a controllare le gambe, ma dal modo in cui le dolevano
era quasi sicura che non dovessero avere un bell’aspetto.
- Siamo quasi arrivate -
disse Lisa, e man mano che scendevano una fievole luce iniziava ad
intravedersi sotto di loro. Pansy si appoggiò al muro circolare
che circondava le scale e senza nessun preavviso sbucò nella
Sala Comune di Ravenclaw.
***
He was
turned to steel
In the
great magnetic field
Iron Man, Ozzy Osbourne
Daphne è una figura
della mitologia greca, ninfa della montagna, figlia del fiume Peneo e
amata sia dal mortale Leucippo che dal dio Apollo.
Il mito di Daphne ha come
prologo l'uccisione da parte del dio Apollo del serpente Pitone. Fiero
di sé il dio del Sole si vantò della sua impresa con il
dio dell'Amore Cupido, schernendolo per il fatto che le sue armi, arco
e frecce, non sembravano adatte a lui. Cupido, deciso a vendicarsi,
colpì il dio con una freccia d’oro, in grado di far innamorare
alla follia dei e mortali della prima persona su cui avesse posato gli
occhi dopo il colpo, e la ninfa Daphne, di cui Apollo si era invaghito,
con una freccia di piombo che faceva rifuggire l'amore.
La ninfa colpita dalla
freccia di piombo appena vide Apollo cominciò a fuggire. Apollo
iniziò allora ad inseguirla, finché non giunse presso il
fiume Peneo, pregando il padre di aiutarla (o secondo altre varianti la
ninfa si rivolse alla Terra). Daphne si trasformò così in
un albero d’alloro. Il dio, ormai impotente, decise di rendere questa
pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra.
Sembrava
così fuori luogo in mezzo a quell’opulenza cerulea, un serpente
in un nido di aquile che lo circondavano, lasciandogli come unica via
di scampo lo scivolare lungo quelle rocce scoscese sulle quali si era
arrampicato per amore.
- Te l’ho riportata - forse
quelle parole di Lisa erano fuori luogo, ma Daphne non le prese come
tali, si limitò ad annuire mentre un piccolo sorriso comparve
brevemente sul suo viso.
- Grazie - rispose,
passandosi una mano fra i lunghi capelli biondi. Sembrava voler
guardare dappertutto tranne il viso di Pansy, il suo sguardo che
sfuggiva verso le vetrate azzurre che precludevano l’accesso all’aria
sferzante - Scusa per il disturbo -
Lisa sorrise - Nessun
problema - si avvicinò al ritratto e sussurrò la parole
d’ordine, che sia Daphne sia Pansy ebbero la decenza di non ascoltare,
restando ferme al loro posto - Ci vediamo -
- Sì - ebbe la forza
di rispondere Pansy, evidentemente sconvolta da quello che era
successo. Uscì fuori dal piccolo cunicolo lasciato dal ritratto
spostato mollemente, quasi come se il corpo non le appartenesse
più.
Prima di parlare, Daphne
aspettò che fossero lontane dalla Torre, incastrate in un
pertugio fra due armature. Fu chiaro entrambe che se non sbattè
Pansy contro il muro era perché qualcuno l’aveva già
fatto soltanto poche ore prima.
- Cosa ti è
successo? - Era un vero e proprio attacco, forse non era nelle
intenzioni di Daphne Greengrass ma la voce era uscita dalla sua bocca
rauca e graffiante, come se si fosse sgolata fino ad inibire le sue
corde vocali - Pansy, chi ti ha fatto questo? -
- Lo risolvo io - erano le
stesse parole che aveva rivolto a Lisa, ma avevano perso molto della
loro sicurezza - Lascia stare, è tutto risolto? -
- Tutto risolto? - Daphne
dovette fare uno sforzo immane per non mettersi a gridare - Hai idea di
cosa ho pensato quando ho visto arrivare Anthony Goldstein con un’aria
da funerale dicendo che doveva dirmi una cosa? -
- Che fossi scappata -
Non avrebbe dovuto dirlo,
ma Pansy se ne rese conto un attimo dopo del tempo limite per salvarsi,
ed ormai le parole erano state pronunciate, calme e soavi ma tuttavia
roboanti nelle loro orecchie, come echi insistenti mai stati prodotti.
Daphne tuttavia
incassò il colpo con eleganza, accontendandosi di sbiancare -
Pansy - disse, incerta su cosa aggiungere dopo - Dimmi chi è
stato, non ti chiederò altro. Ti prometto che non farò
nulla -
- Non fare promesse che non
puoi mantenere - sussurrò Pansy con voce morbida - Sappiamo
entrambe che andresti lì e cercheresti di spaccargli il viso -
Una pallida furia brillava
negli occhi di Daphne mentre annuiva - Non mi limiterei a quello -
disse con risoluzione - potrebbe dirsi fortunato se riuscisse anche
soltanto a respirare, dopo -
Una strana tenerezza invase
il petto di Pansy, sciogliendo il blocco di ghiaccio che gravava sul
suo stomaco impedendole quasi di respirare. Aveva visto quell’aria
combattiva addosso a Daphne molte volte, ed ognuna di quelle era stato
per lei.
Un'
esile ninfa che nessuna freccia sarebbe stata in grado di trafiggere,
fosse di oro, di piombo o rovente, dritta nelle sue carni morbide che
tuttavia si indurivano quando si trattava di proteggere qualcuno, di
proteggere lei.
- No - disse semplicemente
Pansy.
Daphne la guardò per
un lungo istante, soppesando la sua negazione con quegli occhi
perforanti che la scuotevano da cima a fondo, rivoltandola e
scavandola, spogliandola di tutte le sue bugie prima di gettare da
parte ogni singolo impedimento alla sua felicità - Come vuoi -
concluse - Ma non prometterò -
L’insolita durezza che
aveva serrato i suoi lineamenti se ne andò piano piano,
lasciando che il suo viso tornasse ad essere disteso, sereno. Tese la
mano per cercare quella di Pansy e, quando l’afferrò, la sua
stretta era sicura.
E seppe
bene che, per lei, la sua anima era un prezzo che avrebbe pagato di
buon grado.
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Capitolo 4 *** Tumbling Dice ***
Attenzione,
nella parte iniziale del capitolo c’è sangue, e parecchio. Se
qualcuno pensa che potrebbe farsi impressionare allora salti in blocco;
del resto il rating R non è qui a caso.
Per le note ed i ringraziamenti individuali vi rimando a fine capitolo
^_^
Capitolo 3: Tumbling Dice
She's got eyes of the bluest skies
As if they thought of rain
I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
Sweet Child Of Mine, Guns N’ Roses
Lo specchio davanti a lui andò in mille pezzi quando lo
colpì con un mugolio di frustrazione. Schegge di vetro gli
volarono addosso, graffiandogli il viso, le braccia ed addirittura il
torace coperto dal mantello strappato. I tagli non erano profondi,
tuttavia il sangue iniziò a sgorgare da essi copioso,
mischiandosi ai pezzi dello specchio che erano rimasti conficcati nella
carne.
Dolore.
Si rese conto che era il dolore la chiave, l’unica cosa che sarebbe
riuscito a farlo sentire vivo. Cadde in ginocchio fra i cocci che gli
trafissero le gambe, lacerando i pantaloni neri e ferendo la pelle
già escoriata.
Tuttavia prima ancora del dolore la scossa che lo attraversò fu
una scossa di adrenalina, potente e sicura, quella sensazione di
onnipotenza che tanto gli era mancata.
Seppe subito cosa avrebbe dovuto fare.
Scelse con cura uno dei cocci di vetro più grossi, forse il
migliori fra quelli imbrattati di sangue per terra, ed arrotolò
la manica sinistra della giubba. Non ebbe nemmeno l’accenno di
un’esitazione.
Se non fosse riuscito a lavare con il
sangue il suo peccato allora non sapeva come avrebbe potuto, deciso a
scavare via dal suo braccio anche la vita se fosse stato necessario.
Gli si annebbiarono gli occhi dal dolore quando incise la pelle con il
vetro, la sua mano tremò un istante soltanto per diventare
più ferma e sicura, in un’eccesso di pazzia e di rabbia mentre
scavava la pelle marchiata, lacerando la lingua del serpente di
inchiostro. Che fosse inchiostro, però, non era sicuro; l’unica
cosa che ricordava di quel momento era una sensazione di dolore
infinito, il fuoco vivo che gli bruciava il sangue nelle vene e la
pelle del braccio, sostituendola a quel marchio di morte e di dolore.
Lo stesso dolore che si stava
infliggendo, non con la forza della disperazione ma con quella della
volontà: volontà di mutare quell’orrore a costo della sua
stessa vita.
Aveva già deciso in precedenza che la vita non sarebbe stato un
prezzo troppo alto da pagare in cambio della sua assunzione, prosciolto
da ogni accusa con solo quella misera cauzione, una vita che non
avrebbe avuto ragiione se già predestinata da un disegno privo
di alcun senso. Se c’era un senso naturalmente a lui sfuggiva,
congelato dalle sue parole e dall’orrore che portava nel cuore, chiuso
a doppia mandata e la chiave in fondo al pozzo dei suoi pensieri.
Un’altra scarica di dolore attraversò il corpo di Draco
quandò un brandello di carne sfigurata da un teschio bianco
cadde ai suoi piedi, grondante di sangue, infilzandosi nel vetro. Lui
la guardò con orrore come se fosse una persona vivente,
aspettando che si contorcesse davanti ai suoi occhi chiedendo
pietà.
La pietà che può avere
un assassino per il suo mentore, ben più grande di quella che
potrebbe provare contro qualunque morto.
Vittima e carnefice.
Quando completò la sua opera non urlò di dolore solo
perché non voleva farsi sentire, il suo braccio
irrimediabilmente sfigurato e tinto di un rosso cupo che continuava a
sgorgare a fiotti, la pelle mutilata dal vetro che gli lacerava la mano.
Finalmente era pulito.
Non pensò neanche per un istante di lasciarsi morire; se gli
dèi avessero voluto non avrebbe sofferto per nulla,
strappò con la mano sana un pezzo del mantello già
distrutto e dopo aver pronunciato a bassa voce una formula che almeno
in teoria avrebbe dovuto alleviargli il dolore e provocare sollievo
alla ferità lo legò intorno al braccio con una scioltezza
che aveva imparato in anni e anni di silenzioso spionaggio. Si
meravigliò di non essere svenuto subito.
Avrebbe dovuto andarsene prima che riuscissero a riprenderlo; non
sapeva bene se Theodore fosse riuscito o meno a coprire la loro fuga ma
la speranza era l’unica cosa che gli restava. Sentì la mente
annebbiarglisi progressivamente mentre le ultime scariche di adrenalina
si smorzarono, si appoggiò alla ringhiera di legno con le mani
insanguinate quando le gambe gli tremarono.
– Draco! –
Non era l’ideale che Blaise lo vedesse in quelle condizioni visto che
avrebbe potuto protestare per curarlo e questo li avrebbe
indicibilmente rallentati. Con uno sforzo immane nascose il braccio
sinistro sotto il mantello ed uscì in fretta dalla stanza,
sbattendosi alle spalle la porta che cigolò.
– Arrivo –
– Dobbiamo ripartire, non c’è tempo – disse Blaise
raggiungendolo – Non avremmo mai dovuto fermarci, saranno sicuramente
sulle nostre tracce –
– Hai sentito il marchio bruciare?
Soltanto in quel momento Blaise sembrò accorgersi dei graffi sul
viso di Blaise e sulle sue ginocchia, fortunatamente il mantello
copriva sia il torace che il braccio, altrimenti non ci sarebbe stato
nessun modo di ingannare il ragazzo – Cielo, Draco, cosa ti sei fatto?
Stai bene? –
Avanzò con la mano tesa verso di lui probabilmente per saggiare
i suoi graffi ma Draco si ritrasse indietro di scatto, mordendosi il
labbro inferiore per non urlare dal dolore che quel movimento
improvviso gli aveva causato.
– Sto bene, stai tranquillo, sono soltanto caduto, non è la fine
del mondo – disse in tono sbrigativo, sperando che questo sarebbe
bastato a chiudere la questione. Fece una pausa per raccogliere le idee
e per non imporre alla propria voce di non tremare – Adesso andiamo,
non c’è tempo. Hai sentito il marchio bruciare? –
– No – rispose Blaise guardandolo stupito – perché, tu
sì? –
– Nemmeno io –
Blaise guardò Draco senza capire il senso delle sue parole:
aveva l’aria significativamente sconvolta e il viso attraversato da
graffi che per fortuna sembravano essere estremamente e che avevano
smesso di sanguinare o forse non avevano mai sanguinato affatto – Sei
sicuro di poter ripartire? –
– Naturalmente – disse Draco con un moto di impazienza – Questo
discorso ci sta già costando troppo tempo, andiamo –
Blaise annuì a malincuore con un sospiro, ma gli bastò
vedere il passo spedito con cui Draco uscì dalla baracca per
essere rassicurato sulle sue condizioni: non doveva stare poi
così male se riusciva a camminare in quel modo.
Naturalmente la realtà dei fatti era ben diversa: che Draco
camminasse spedito era innegabile, ma lo erano altrettanto le smorfie
di dolore puro che gli piegavano la bocca.
Avanzarono nella foresta rapidamente per qualche ora, la bacchetta di
Blaise accesa per fare luce nel fitto intrico di rami che precludevano
al sole qualunque possibile accesso alla foresta.
Nell’aria stagnava un forte odore agre, pungente, l’odore di cose
secche che stanno andando in putrefazione. Draco intuì subito,
attraverso i fiotti di dolore che gli stringevano il cuore in una
morsa, che dovevano esserci ben più di un cadavere sparpagliati
per la foresta. Sperò di non incontrarne nessuno.
Blaise non gli aveva più chiesto se volesse fermarsi e Draco
questo l’aveva apprezzato: sapevano entrambi che Draco non avrebbe
potuto rispondere di no e anche la domanda era semplicemente troppo
umiliante: gli attribuiva una debolezza sottintesa che nelle sue
condizioni attuali era troppo.
Una zanzara volò davanti ai suoi occhi con un ronzio sommesso e
Draco sentì un conato di vomito scuotergli lo stomaco quando
sentì la puzza che emanava: era l’apice del marcio, lo stesso
odore che produce una cosa morta.
Calpestò foglie secche che si sbriciolarono sotto i suoi passi,
rivelando una voragine che lui non si fermò a controllare
voltandosi indietro e che Blaise, dal canto suo, preferì
aggirare senza nemmeno degnarla di un’occhiata.
La bacchetta di Draco, stregata dall’Incanto Quattro Punti, mostrava
loro la strada, indicando la direzione giusta con un fascio di luce che
fendeva gli alberi in un’immaginaria linea restta. Se fossero stati
privi di bacchetta avrebbero comunque potuto trovare la strada seguendo
i muschi aggrappati alle cortecce, stavano andando a nord.
Man mano che avanzavano però Draco sentiva la temperatura farsi
sempre più calda, quasi tropicale, fino a diventare di
un’intensità rovente tale da far presagire perlomeno una schiera
di fornaci ad aspettarli.
– Per Salazar, Draco, tu non hai freddo? –
Con gli occhi sbarrati se ne rese conto dopo le parole di Blaise, non
era la foresta a diventare rovente, era il suo braccio. Che fossero
finiti in una foresta stregata del resto era facilmente intuibile, ma
che questa facesse addirittura scaldare la temperatura a livelli
così eccessivi era a dir poco assurdo, e Draco si maledisse a
non averci pensato prima.
– Sì, forse sì – rispose a stento, serrando la mascella
con forza come se questo gli impedisse di cadere a pezzi – Credi che
manchi molto? –
– Oggi è il quinto giorno – rispose Blaise – Se andiamo avanti
così dovremmo arrivare questa notte –
Draco annuì, Blaise del resto era l’unico che avrebbe potuto
saperlo. Quando i Deatheater erano venuti a prenderli, aspettandoli ai
margini della Foresta Proibita, avevano scelto di non smaterializzarsi,
era troppo rischioso e un metodo facilmente rintracciabile: del resto i
giovani Slyhterin erano talmente entusiasti di viaggiare che avevano
percorso i primi tre giorni in fretta, per poi crollare dalla
stanchezza all’alba del quarto. Tutti tranne Blaise, che aveva tenuto
il conto di ogni cosa nel caso gli fosse potuto servire.
– Credi che gli altri stiano bene?
A quanto pareva Blaise era in vena di conversazione, una dote che in
quel preciso istante a Draco mancava di molto, tuttavia si sforzo di
rispondergli con la voce più ferma possibile – Credo di
sì, hanno scelto loro di restare laggiù –
– Avremmo potuto farlo anche noi –
Draco si girò verso Blaise guardandolo con gli occhi spalancati
– Te ne sei pentito? – chiese – Ti sei pentito di essertene andato? –
– Naturalmente no, pensavo che te ne fossi pentito tu – rispose Blaise
con genuino stupore – Avevi litigato così furiosamente con Pansy
che pensavo ti stessi già maledicendo per non essere rimasto
coerente alle tue idee –
– Blaise – ringhiò Draco – Non adesso –
Non era un segno di debolezza o di codardia, semplicemente non
desiderava pensarci, non desiderava pensare a lei.
– Come vuoi – rispose Blaise pacato. Era strano il modo in cui restava
a rimanere calmo, a parlare così tranquillamente quando le sue
lunghe gambe si muovevano così velocemente e lui era
probabilmente stanchissimo dopo sei giorni di marcia quasi
ininterrotta. Aprì la bocca per dire qualcos’altro ma poi la
richiuse di scatto, gli occhi spalancati.socchiusi mentre uno spasmo di
dolore gli attraversava il viso – Il marchio –
– Sta bruciando – non era una domanda quella di Draco, non poteva
permettersi che risultasse tale – Blaise, vieni, dobbiamo andarcene ed
in fretta, si sono accorti che manchiamo! –
Fece due passi avanti di corsa ed improvvisamente sentì il suo
braccio andare a fuoco, sentendo la pelle ferita infiammarsi di un
dolore troppo grande per sopportare, il suo piede mancò
l’appoggiò e lui cadde rovinosamente a terra inciampando su una
radice.
Tuttavia Blaise non fece caso alla sua caduta, troppo sconvolto dal
dolore lacerante che faceva pulsare il marchio sul suo braccio, la sua
prima chiamata di Mangiamorte e contemporaneamente la prima a cui non
avrebbe risposto, sebbene il dolore fosse tale da essere proprio ai
limiti della sopportazione. Si tirò su velocemente la manica
della camicia ed osservò il disegno, i cui contorni neri erano
diventati di un rosso acceso che brillava nella penombra della foresta.
Se il Marchio avesse dovuto tracciare una direzione, alla stregua
dell’Incanto Quattro Punti, avrebbe indicato il centro della terra.
Improvvisamente il dolore venne meno e i polmoni di Blaise
ricominciarono a funzionare, l’aria che scese lungo la sua gola era
così fredda da trafiggergli il petto e da serrare il suo cuore
in una morsa d’acciaio – Stai bene? – chiese a Draco mentre la sua voce
tremava.
Draco lo guardò, rimettendosi in piedi – Certo – disse. Poi
guardò per terra.
Non era una radice quella sui ci era inciampato, era una testa.
***
Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality
Bohemian Rapsody, Queen
Ti amo.
L’aveva pensato tante di quelle volte ma non l’aveva mai detto e adesso
ne scontava le pene, imprigionata nella gabbia di ipocrisia che lei
stessa si era costruita attorno. Aveva provato a sbatterne il lucchetto
contro il muro con tutte le sue forze, piangendo e gridando
perché qualcuno la tirasse fuori di lì, graffiando la
patina di acciaio che ricopriva le sbarre con le unghie distrutte ed
aveva rinunciato ad ogni speranza di libertà, condannata alla
massima delle pene: un’esistenza senza di lui.
Ti amo.
Sarebbe cambiato qualcosa se l’avesse detto?
Sarebbe riuscita a
(fermarlo)
prima che fosse troppo tardi e che lui se ne andasse, perdendosi in un
golfo di dolore così lontano da lei?
Il cuscino bagnato di lacrime silenziose era l’unica cosa che adesso
avesse valore nella sua vita; il ricordo costante dei suoi occhi grigi
il solo pensiero che la facesse dormire. Era catartico ed era terribile
pensarci, ma in fondo era la pura verità: lui non era più
affar suo.
Era uscito dalla sua vita e non
sarebbe mai più tornato.
La debolezza peggiore sarebbe stato mostrare il suo dolore, quella
l’umiliazione inderogabile, ed il cuscino che stringeva come se ne
andasse della sua stessa vita una scomoda prova che sarebbe svanita
alle prime luci dell’alba.
– Evanesco –
Decise di non aspettare tanto perché non valeva la pena di
rischiare e si ritrovò con le braccia vuote ed il cuore
pulsante, gli occhi sbarrati nella notte ed i singhiozzi di Millicent
l’unico rumore percepibile nella stanza.
Che cosa ne era del suo orgoglio?
Barattato per una notte di sonno e
per un rasoio affilato con cui procurarsela, l’unico dolore
autoinflitto che si concedeva: torturarsi il cuore fino a farlo
sanguinare.
Soltanto allora poteva permettersi di chiudere gli occhi.
– Sei sveglia – quella che uscì dalla bocca di Daphne era una
constatazione, non una domanda.
Pansy aprì gli occhi, puntandoli sull’ombre che la luce che
filtrava dalla porta socchiusa generava sul soffitto – Anche tu –
– Rimpianti o rimorsi? –
– Entrambi –
Daphne stette in silenzio per qualche secondo, rigirandosi le parole
sulla lingua fino ad essere sicura che sarebbero state esattamente
quelle che lei voleva che fossero – Non torneranno –
– So anche questo –
Pansy trattenne il singhiozzo dietro le labbra serrate fino a che non
fu sicura che non le sarebbe scappato, sfuggendo al suo controllo fino
ad umiliarla nel peggiore dei modi. A giudicare dal suo respiro
regolare Tracey stava dormendo, al contrario di Millicent che
continuava a piangere, ma Pansy non si fidava abbastanza per poter
parlare liberamente.
Piccola traditrice.
Schifosa mezzosangue che aveva perso la sua unica opportunità di
riscatto, troppo stupida per capire che nel dolore avrebbe potuto
trovare un’occasione.
Ma la cosa che più di tutte infastidiva Pansy era il modo in cui
si relazionava con Daphne; ne sembrava perdutamente innamorata e magari
lo era davvero: ossqueiosa ed adorante, una giovane debosciata che
avrebbe venduto anche la propria anima per compiacerla.
– Non devi odiarla per forza – come al solito Daphne aveva captato
esattamente i suoi pensieri, con la scioltezza che derivava da anni ed
anni di una confidenza così profonda da essere scritta sotto la
loro pelle.
– Non devo nemmeno astenermi dal farlo –
– Perché fai sì che tutto sia così difficile? –
Se c’era una cosa che caratterizzava Daphne era la sua
cripticità, la stessa che Tracey idolatrava e che ogni volta
mandava Pansy fuori dai gangheri.
Tuttavia, vedendo che non le arrivava alcuna risposta, Daphne
pensò di rivolgere la sua attenzione a qualcuno che forse le
sarebbe stato più grato – Millicent, stai bene? –
Inutile, parlare al muro avrebbe avuto risultati migliori.
– Millicent, tesoro? –
Dei singhiozzi più accentuati dei precedenti le indicarono che
aveva finalmente catturato la sua attenzione, ma da qui ad ottenere una
risposta la strada sarebbe stata indubbiamente troppo lunga per essere
percorsa in una sola notte.
Pansy sospirò profondamente, tremando quando le lenzuola fredde
si abbassarono sul suo petto – Non ti risponderà, non risponde
mai a nessuno –
Era surreale, quasi comico, parlare in quel modo di una persona che era
nella loro stessa e stanza e le stava sentendo benissimo.
Il primo sospetto che il sonno di Tracey fosse soltanto una finzione
nacque in quel momento nella testa di Pansy; nessuno sarebbe riuscito a
dormire con tutti quei bisbiglii e quei singhiozzi, soprattutto nessuno
che vantava sempre di avere un sonno leggerissimo.
La Viola, il simbolo della passione e
dell’intelligenza, un delicato profumo che racchiudeva dolcezza. Si
dice che un tempo la viola fosse bianca ma che quando fu colpita dalla
freccia di Cupido, Dio dell’amore, per la ferita amorosa diventò
purpurea.
Emblema di amore e morte, il simbolo
del sacrificio supremo.
Pansy avrebbe aderito a quel sacrificio da un momento all’altro, anzi,
avrebbe scelto qualunque via pur di girare la sorte a favore di Draco,
qualunque cosa sarebbe stata meglio della decadenza in cui la sua
perdita la stava lentamente trascinando.
Il Decotto del Sonno che Daphne le metteva ogni sera sul comodino da
due settimane a questa parte spacciandolo per tisana ebbe effetto dopo
pochi minuti.
***
While my heart is a shield and I
won't let it down
While I am so afraid to fail so I
won't even try
Well how can I say I'm alive
Life for Rent, Dido
Aspirò un’altra boccata dalla sigaretta ormai al termine.
– Fumare così tanto ti farà male –
Ginny alzò gli occhi al cielo: aveva sentito quel ritornello
ormai tante di quelle volta che si era abituata a non rispondere
più, perfettamente consapevole della rovina verso cui stavano
correndo i suoi polmoni e felicissima di questo.
– Ginny, non sto scherzando –
Si voltò verso Harry con lo sguardo vacuo, le sopracciglia
inarcate in un’atteggiamento che denotava la totale mancanza di
espressione.
– Non sei tu che sta fumando, sono io –
– Fumi troppo –
– Cosa centri tu? –
Harry incassò quel colpo con eleganza, limitandosi a sollevare
le spalle ed alzare il mento, dandosi un tono per volgere quella
frecciata a suo favore – Assolutamente niente, ma sicuramente Ron
sarebbe molto triste se tu morissi –
Touchè.
Ginny seppe bene di essersi meritata quello ma non tutto il resto; un
conto era una frecciata ed un conto era quell’atteggiamento
esasperante, a metà fra l’interessamento e il totale
menefreghismo di cui Harry faceva sfoggiò sempre più
spesso.
Naturalmente era sempre lei a provocarlo, cercando una parte scoperta
nella sua corazza, cercando un punto da ferire per ripagare tutto
quello che aveva sofferto a causa sua.
Inconsapevole carnefice che si
trovava contemporaneamente a svolgere il ruolo della vittima, nella
parodia di un amore soffocato da mucchi di foglie secche ancora prima
di potersi accendere.
Ostentando una deliberata indifferenza Ginny tirò fuori dalla
tasca un altro pacchetto di sigarette all’ aroma di rosa e se la mise
fra le labbra, accendendola con un rapido incantesimo sottovoce,
aspirando con tutta la sua forza parodiando il gesto per renderlo
più evidente.
Harry sospirò esasperato, spostando il peso da un piede
all’altro e chiedendosi esattamente cosa ci facesse là a farsi
ferire da lei.
– Esci ancora con Anthony Goldstein? –
– Chiedo scusa? –
– Goldstein – sbuffò Harry – Lo vedi ancora? –
Ginny lo guardò da sotto le ciglia semi abbassate –
Perché? Ron sta cercando di ucciderlo? Digli che si risparmi la
fatica, non usciamo più insieme –
Le sue parole erano decise, esattamente le parole di una persona che sa
esattamente quello che vuole dalla sua vita e come prenderlo.
E allora perché la
realtà era così diversa?
Da qualunque angolazione Ginny guardasse Harry, gli sembrava sempre di
vederlo attraverso un velo, che offuscava il suo viso per renderle
più sopportabile la contemplazione dell’unica cosa che le era
negata e che ogni giorno si negava da sola.
Mascherò con un movimento secco e veloce il tremito della mano
mentre portava la sigaretta alla bocca senza vedere realmente Harry
davanti a lei, o perlomeno cercando con tutte le sue forze di
concentrarsi sul gargoyle di pietra che adornava il loggione della
Torre Nord.
– Non smetterai di fumare, non è vero? –
– E tu non smetterai di rompermi le scatole? –
Diceva sempre la cosa sbagliata ma farlo era una tentazione a cui non
sapeva resitere, in cinque anni aveva imparato bene che privarsi di
qualcosa da soli era il modo migliore per evitare di venirne privati.
Harry sorrise ed alzò la testa verso il cielo, preferendo alla
vista di Ginny e della sua faccia tosta quella delle stelle, che almeno
non lo avrebbero insultato per ogni parola che fosse uscita dalla sua
bocca. Sembrava quasi che, adesso che Malfoy non c’era più,
Ginny avesse accettato il posto vacante come se lo avesse sempre
sognato.
Ma a lui non importava, bastava soltanto che non decidesse di scappare
anche lei.
– Giove è ben visibile questa sera –
Harry non chiese quale fosse Giove perché troppo stupito dalle
parole appena pronunciate da Ginny in un tono basso e soffice, come se
fossero morbido velluto scivolato dalla sua bocca.
– Ma tu non sai neanche quale sia Giove, non è vero? –
Come volevasi dimostrare.
– Lo sai qual è la cosa pazzesca delle stelle? – sembrava che
Ginny avesse deciso di abbandonare la sua offensiva e di elevare Harry
dal rango di suo sottoposto a quello di suo pari, intavolando una
discussione civile in cui non erano contemplati insulti.
– Quale? – Harry si sforzò di essere il più naturale
possibile, passandosi con un movimento inconscio una mano fra i capelli
per scompigliarli.
– Che hanno delle ripercussioni su di noi –
Harry si voltò verso di lei senza capire quello che gli aveva
appena detto, trovandola con la testa alta e sulle labbra una smorfia
che di allegro aveva ben poco: le sue labbra sottili erano serrate
così strettamente da conferire una rigidezza ai suoi lineamenti
che la facevano sembrare più grande –
Tu mi fai paura.
– E’ strano se ci pensi, ma sono solo stelle – disse Ginny socchiudendo
gli occhi – Ma c’è chi fa oroscopi e chi ci crede anche, quando
è impossibile pensare che il fatto che una stella sia
maggiormente visibile un giorno piuttosto di un altro possa stabilire
una data di morte –
La sua voce fremette di frustrazione ed Harry smise di guardare le
stelle per guardare lei, bevendo le sue parole come un assetato nel
deserto che ha imparato a nutrirsi di sabbia cementandosi la gola.
Ora le labbra di Ginny furono piegate da un sorrisetto ironico e la sua
voce assunse un tono più dolce, smielato, il tono di una bambina
vezzosa – E tu dovresti saperlo meglio di tutti gli altri, no? –
– Tu pensi veramente che la sorte delle persone sia racchiusa nelle
stelle? –
Ginny lo guardò sbattendo le palpebre – Che io lo creda o no,
c’è gente che lo sostenga. Qualcuno, perlomeno, ci crede –
– Ma tu ci credi o no? –
Che un discorso di tale arguzia fosse intrapreso da il
Bambino-Che-Era-Sopravvissuto-Ma-Il-Suo-Cervello-No stupì Ginny
e rimase con la bocca socchiusa per qualche istante, indecisa su quale
sarebbe stata la sua prossima mossa – E tu? –
– No. Se fosse così dovrei accettare passivamente il mio futuro,
che sia esso la morte o la vita, e nel secondo caso sarebbe tutto a
posto, ma nel primo allora che senso ha che io continui a vivere? –
Harry fece una pausa – Se la nostra esistenza fosse già
pianificata soltanto perché questa sera Giove è visibile
faremmo meglio ad essere morti –
Una tale profondità di pensiero Ginny non se l’aspettava di
certo, e rimase in silenzio sentendo il freddo farsi più intenso
ed un lungo brivido gelato attraversarle la schiena.
– Pensi che mi stia sbagliando? – chiese Harry gentilmente.
– No – replicò Ginny, ingoiando l’orgoglio ed accendendosi la
terza sigaretta della serata, prendendosela con i propri polmoni per
non picchiare Harry. Gli aveva appena fatto scacco matto e lei reagiva
in quel modo?
Sbuffò una nuvoletta di fumo all’aroma di rosa che le
impregnò i capelli di quell’odore dolce, che si sposava con il
profumo di magnolia racchiuso in una boccetta ormai quasi vuota.
Sapendo che adesso dire qualunque cosa, arrabbiata com’era, avrebbe
potuto compromettere ulteriormente la propria dignità - il
sospetto che Harry non avesse preso quella conversazione come una sfida
non l’aveva sfiorata nemmeno lontamente - alzò di nuovo la testa
verso il cielo, continuando a fumare con la sigaretta stretta fra le
dita con una forza tale che rischiava di spezzarla da un momento
all’altra.
Una volta tanto Harry aveva ragione: era ridicolo pensare che un
pallino illuminato in mezzo al cielo avesse qualche influenza su di
lei. Naturalmente c’era anche gente che ci credeva, ma non si poteva
far altro che compatirli.
Ugualmente assurdo era basarsi sugli oroscopi o su avvenimento passati
che si ripetono ciclicamente per fare predizioni di qualsiasi tipo.
– Siamo noi gli artefici del nostro destino – disse quietamente Harry.
Sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi, Ginny pensò che in
qualunque caso si sarebbe sentita una perdente lo stesso.
Girò i tacchi e, buttando per terra la sigaretta ancora accesa,
rientrò nel castello.
***
Immagino che tutti quanti avrete notato quella parentesi nel
(fermarlo), cosa insolita per me. L’ispirazione la devo ad una moda di
fanfiction che girava un po’ di tempo fa, mi pare iniziata da
AlyssFleur (ma perdonatemi se sbaglio) in cui metà fanfiction
era scritta normalmente e metà fra parentesi.
Sieny: Grazie mille dei
complimenti, mi fai arrossire. Beh, il senso di colpa c’è
sempre, anche se credo che le due coppie non possano coesistere: o
l’una o l’altra.
Babi89: La perfezione, dici? Mi
piacerebbe molto ma sono ben consapevole di essere lontana da essa, ma
ricercarla è un modo come un altro per passare il tempo ;)
Jiujiu91: Hai ragione, Lisa
è buonissima, in modo eccessivo, ma stare così tanto
tempo insieme a Mandy deve provocare per forza qualche effetto
negativo, altrimenti sarebbero tutte quante le sue migliori amiche!
Grazie dei complimenti, smack.
Franceskina: Sì, Pansy
è talmente affezionata a Daphne e viceversa che a volte sembrano
più due fidanzatine che due amiche, ma i rapporti molto stretti
fra ragazze sono sempre così, c’è moltissimo contatto
fisico dietro ad una grande amicizia.
Carillon: Probabilmente non
meritavo questo onore, ma ti ringrazio e spero che anche questo
capitolo sia all’altezza.
Angel: Qui finalmente avrai
Draco: smagliante come sempre ma temo non altrettanto in forma…
Lilli: Addirittura? Caspita,
grazie!
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Capitolo 5 *** Hide and Seek ***
Capitolo 4: Hide and Seek
Her
face is a map of the world
Is a
map of the world
You can
see she's a beautiful girl
She’s A Beautiful Girl, KT
Turnstall
Il
diavolo è ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini.
Chiamarla diavolo non gli
pareva tanto eccessivo se pensava per più di un attimo
all’effetto che gli faceva: l’incapacità di parlare e la
sudorazione aumentata erano scherzi da bambini se paragonati
all’assoluto stordimento che la sua presenza gli provocava ogni volta.
– Che ne dici, Harry,
amico? – Ron fece una pausa tenendo il libro aperto davanti a sé
– Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera: come
una bella donna su guanciali profondi ––
Dean inarcò un
sopracciglio – Perché non provi con qualcosa di più
classico?
Seamus annuì –
Sì, tipo… “Il tuo vestito starebbe benissimo sullo schienale del
mio letto” –
– Oppure, se vuoi fare il
romantico, “Avrai le gambe stanche, visto che hai attraversato la mia
mente tutta la settimana” – aggiunse Dean compiaciuto del proprio
ingegno.
Neville scoppiò a
ridere, controllando tuttavia con la coda dell’occhio Ron per vedere
quale sarebbe stato il contegno più auspicabile che dovesse
tenere.
Vedendo che Ron non
reagiva, continuando a carezzare il libro di Baudelaire stretto al
petto, Seamus colse la palla al balzo – Ne vuoi una spinta? Senti qui
“Non ti ha mai detto nessuno che la mia bacchetta è lunga
diciotto pollici?” –
Improvvisamente un mugolio
seccato interruppe le loro pacche vicendevoli sulle spalle – Siete
veramente dei villani! – li aggredì Hermione.
– Andiamo, Mione –
sbuffò Seamus alzando gli occhi al cielo – Stiamo solo
scherzando –
– Ron si prende troppo sul
serio – disse Dean solidale.
Sarebbe stato difficile
essere seduti lì, fra Hermione e Ron, e riuscire a non ascoltare
nemmeno una parola di quello che dicevano, ma Harry aveva le orecchie
che ronzavano e sarebbe stato molto più arduo per lui sentire.
Lei, il
diavolo.
La carnagione diafana del
viso spruzzata da piccole efelidi che sembravano tracciare un disegno
sulle sue guance, circondate da lunghi capelli di un caldo colore
ramato che gli suggerivano quell’appellativo che mai quanto allora gli
era parso appropriato.
Ogni sua parola, a chiunque
fosse rivolta ed in qualunque tono pronunciata, era una stilettata al
cuore di Harry per un motivo che nemmeno lui riusciva a definire. Anche
vederla in quel momento, a ridere con Demelza per un qualche motivo
assolutamente stupido, era troppo più di quanto lui potesse
sopportare.
Ginny non gli aveva mai
mostrato quel sorriso. Era quello il punto focale: la sua totale
freddezza, la cortina di ghiaccio che scendeva sul suo sguardo ogni
volta che i suoi occhi si posavano su quelli di lui per errore,
perché era chiaro che i sentimenti che provava per lui non
l’avrebbero mai indotta a farlo volontariamente.
Era odio puro e di questo
Harry ne aveva un chiaro sentore, l’unica cosa che non riusciva a
capire era perché.
Che il diavolo avesse
potere di assumere una forma piacente lui lo sospettava ormai da un
pezzo e l’aveva ipotizzato la prima volta che si era accorto quanto
Ginny fosse bella. Non una bellezza volgare come quella di certe donne
patinate che trovava in cima né una quieta sensualità
celata sotto un visetto acqua e sapone: era qualcosa di più.
Un brillìo che si
nascondeva dietro un’incredibile durezza, una lama di acciaio
così infinitamente bella oltre lo scintillio che ne garantiva
l’assicuratezza.
Un’arma
a doppio taglio con cui lui sarebbe stato l’unico a ferirsi, e lei non
avrebbe contemplato nemmeno per sbaglio l’idea di rinfoderare il
coltello o perlomeno di smussare la lama che gli trafiggeva il petto
inchiodandolo al muro senza respiro.
Che in precedenza fosse
stata lei ad essere stata ferita era in realtà la cosa che
più gli faceva male, con quella stessa lama che era il suo
sorriso affilato l’aveva pugnalata noncurante prima di accorgersi che
stava uccidendo anche se stesso.
Adesso era il turno di
Ginny di colpirlo, sebbene a lui sembrasse che la sua morte stesse
durando da tutta un’eternità.
– E questa? “Amo ogni
muscolo nel tuo corpo, specialmente il mio” –
– Seamus Finnegan! –
urlò Hermione oltraggiata.
Ginny posò il
bicchiere sul tavolo e poi si voltò verso Seamus per vedere cosa
stesse succedendo, ma nel mentre il suo sguardò si fermò
su quello di Harry.
Lui, in quel breve segmento
di tempo che separava l’impossibile dall’inevitabile, congelato in una
realtà che lo stava soffocando, si chiese cosa sarebbe successo.
Avrebbe distolto lo sguardo
o sarebbe stata restia a spostarlo, restando anche lei cristallizzata
in una frazione di tempo che non apparteneva a nessuno dei due e
contemporaneamente aveva lo stesso sapore di una pagina di storia
inevitabile su cui non aveva mai osato poggiare lo sguardo?
Si fece tutte quelle
domande e poi l’attimo era passato, rapido, duro come una condanna a
morte ed invitante come la speranza di una salvezza che non gli sarebbe
mai spettata di diritto.
Gli occhi di Ginny
l’avevano attraversato da parte a parte come se non lo avesse visto
realmente, infrangibile pietra nascosta nei morbidi lineamenti di una
giovane donna.
Tutto
quello che ho fatto
Harry si chiese cosa
avrebbe fatto se lo sguardo di Ginny si fosse fermato sopra il suo.
Avrebbe racimolato abbastanza coraggio per guardarla immobile,
sopportando le sue ciglia nere stendersi sulla pelle chiara in
quell’esempio di perfezione dettata dal filtro che offuscava i suoi
occhi mostrandogliela come la più bella creatura dell’universo?
O si sarebbe limitato ad
abbassare lo sguardo e nulla di poetico ci sarebbe stato nel suo gesto,
dimostrando solo come quello di un codardo che aveva avuto paura di
affrontare il dolore che aveva causato?
È
stato farti del male.
Si preannunciava un’altra
giornata di pioggia ma avrebbe dovuto sopportare lo stesso
l’allenamento, volando da una parte all’altra del campo di Quidditch
quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare con la sua scopa era
darsela in testa oppure usarla per impiccarsi all’albero più
alto del giardino. Sapeva bene che neanche una tempesta avrebbe
ostacolato l’inevitabile: un pomeriggio sotto la pioggia in cui, se
fosse stato fortunato, avrebbe potuto rimediare un’influenza che
l’avrebbe tenuto lontano dai compiti di pozioni per almeno una
settimana.
L’avrebbe tenuto lontano
anche da lei, ma nelle condizioni in cui era questo era un altro
risultato ampiamente opinabile.
– La morte degli amanti –
Harry sobbalzò e
guardò Ron cadendo dalle nuvole – Che cosa? –
– Certo che in questi
giorni non ci sei proprio con la testa – disse quello scuotendo la
testa – Parlo della poesia di Baudelaire. In una giornata piovosa come
questa il mio umore è fondamentalmente malinconico, ed anche la
mia Mandy è in sintonia con me: è vestita di blu!
Hermione alzò gli
occhi al cielo mentre Harry girava la testa verso la ragazza in
questione – Ronald, la divisa dei Ravenclaw è blu –
– Dettagli – la
liquidò Ron con un gesto della mano fissando sognante il cielo
oltre le vetrate della Sala Grande. Le nuvole, così tante da
coprire completamente il cielo e dunque anche il sole, imprigionato da
qualche parte oltre quella coltre fitta, stavano assumendo
tonalità che vertevano da un violetto cupo al nero.
– Ron, ti vorrei ricordare
che oggi pomeriggio abbiamo allenamento di Quidditch – disse Harry
masticando le parole con fastidio, come se fosse per lui un impegno
improcrastinabile e contemporaneamente sgradito come nulla al mondo.
The King sorrise – Bene,
così Mandy potrà ammirare i miei fasci di muscoli
guizzare nel cielo come nessuno ha mai fatto per lei –
– Fasci di muscoli? Quelli
che hai al posto del cervello e che ti servono per produrre quel
sorriso stupido, vero? – la voce di Ginny era tagliente come un rasoio,
priva di qualunque traccia di ironia che una persona più accorta
e meno incline ai litigi avrebbe saggiamente versato in quella frase.
– Che cosa vuoi? – chiese
Ron belligerante, chiudendo il libro di Baudelaire mentre il rombo di
un tuono faceva eco al suo scatto improvviso – Qualcuno per caso ti ha
chiesto qualcosa? –
– Sì, l’ultimo
neurone che ti rimane mi ha chiesto aiuto – Ginny alzò gli occhi
al cielo, stringendo le labbra nella stessa smorfia che Harry le aveva
visto fare la sera prima, sul loggione.
Era pazzesco. Ogni sua
singola mossa gli dava un motivo per essere felice e mille per andare
veramente ad impiccarsi con la scopa.
Ginny evitava di guardarlo
ma di questo soltanto un cieco non se ne sarebbe accorto: decidendo una
buona volta che cosa fare Harry scelse di prenderla in contropiede e
fare una cosa che lei non si sarebbe mai aspettata: rivolgerle la
parola – Dunque secondo te Ron non potrebbe dichiarare il suo amore ad
una ragazza con una poesia piuttosto che usare le frasette squallide,
senza offesa, ragazzi, che gli hanno suggerito Dean e Seamus? –
– Non è questo il
punto – ogni volta che si arrabbiava le guance di Ginny si tingevano di
una sfumatura di rosso che si sposava con i suoi capelli, e la punta
delle sue orecchie diventava di un colore non meglio definito che si
sarebbe potuto etichettare come magenta. Harry personalmente non ci
trovava niente di attraente nel fucsia, ma addosso a lei cambiava ogni
cosa.
Ron si voltò verso
Harry e gli rivolse uno sguardo di gratitudine mentre Hermione alzava
gli occhi al cielo con una forza tale che le sarebbero potuti rimanere
incastrati – Siete proprio dei bambini – mormorò frai denti.
– Se non è questo il
punto dimmi tu qual è – disse Harry guardando Ginny.
L’intonazione delle sue parole era dolce e parlava lentamente ma senza
l’aria di sufficienza che lei spesso gli riservava – A me sembra che
invece Ron si stia comportando in modo più maturo di…qualcun
altro – scoccò un’occhiata eloquente a Dean e Seamus che, invece
di prendersela, si godevano quello spettacolo come se fosse la premiere
di un successo dell’Operà.
– Maturo? Ti pare maturo
correre dietro ad una ragazza soltanto perché ci sta? – chiese
Ginny aggrottando le sopracciglia.
A differenza di Harry il
suo tono non era affatto tranquillo ma ribolliva di rabbia e nei suoi
occhi si poteva leggere una tacita accusa, ma pochi l’avrebbero
effettivamente letta. Harry la colse quasi per sbaglio, scovandola fra
le pagliuzze azzurre e l’iride nera quanto il cielo sopra Hogwarts.
Cho.
Naturalmente a parere di
Ginny lui per Cho si meritava l’ergastolo.
Ron socchiuse gli occhi
infastidito, il libro di Baudelaire abbandonato sul tavolo – Stiamo
parlando di ragazze che ci stanno? No, perché in quel caso
allora anche io avrei un appunto da fare –
– Che cosa stai insinuando,
Ron Weasley? –
Soltanto Harry si accorse
che il casus belli, Mandy Brocklehurst, stava abbandondando la Sala
Grande proprio in quel momento ben vicina a Terry Steeval, ma non disse
niente per puro spirito di sopravvivenza.
– Io non insinuo proprio
niente, – disse Ron guardando la sorella con un astio tipicamente
fraterno – Faccio soltanto affermazioni precise –
Ginny si alzò in
piedi di scatto mentre la sua rabbia esplodeva, conferendo al suo volto
una furia che la rendeva più bella, selvaggia. Sembrò
quasi che anche i suoi capelli avessero acquistato delle onde che si
scuotevano quando la sua testa faceva bruschi movimenti per accentuare
o condannare un concetto.
Era
così bella da spezzargli il fiato.
– Vedo che è inutile
ragionare con te – disse, parlando in fretta come tutte le volte in cui
era arrabbiata – Sei diventato così arrogante che mi meraviglio
che nessuno ti abbia ancora punto con un ago per vedere che rumore
farai quando ti sgonfierai –
Se non aggiunse nient’altro
prima di andarsene fu soltanto per orgoglio e per la paura di perdere
tutta la sua dignità con una frase infantile che le sarebbe di
certo scappata di bocca.
Non era ancora diventata
una statua.
Tutto
quello che ho fatto è stato farti del male.
Naturalmente
le migliori intenzioni portano sempre alle peggiori conseguenze.
***
And I
don't have fond desires
And I
don't have happy hours
I don't
have anything
Since I Don’t Have You,
Guns N’ Roses
Ad occhio e croce
Nymphadora Tonks era morta da quattro giorni.
Loro erano lontani da
cinque quindi quello che potevano immaginare era probabilmente anche
quello che era successo veramente.
La testa era stata
tranciata di netto ma rivoltandola dalla parte del collo si sarebbe
potuto vedere esattamente ciò che Draco e Blaise sapevano che ci
sarebbe stato: l’osso del collo spezzato barbaramente che aveva perso
il suo colore opalino per diventare completamente rosso, l’esofago
smembrato e macchie di pus e di muscoli (in realtà i muscoli non
producono macchie ma quello che vedevano era talmente schifoso da non
poter essere definito in nessun altro modo).
Era stata una morte rapida
ma incredibilmente dolorsa: quindici secondi prima dell’incoscienza ed
altri quarantacinque prima del trapasso, un minuto nella più
terribile delle agonie.
Dal viso, contorto in
un’orribile smorfia che si riusciva a scorgere solamente dopo aver
raschiato via il sangue rappreso che cristallizzava i suoi lineamenti
in una massa confusa, non si poteva capire se prima di essere uccisa
fosse stata torturata o meno: quello che era certo è che la
morte era stata causata da una lama ben affilata e che era bastato un
solo colpo.
Il motivo per cui
Nymphadora non fosse stata graziata, sempre che così si potesse
dire, da una maledizione senza perdono era stato probabilmente un atto
di crudeltà viscerale, unito a qualcosa che ai due ragazzi fece
ancora più paura: un monito.
Un monito per chiunque
altro avesse deciso irrazionalmente di venire a salvarli e forse anche
per loro, perché sapessero che cosa li aspettava se avessero
deciso che volevano essere salvati.
Traditrice
del suo sangue.
Draco se lo ripetè
mentre vomitava e Blaise con il suo stomaco di ferro gli teneva la
fronte e i capelli mentre lui rigettava anche l’anima appoggiato ad un
albero.
La testa era stata coperta
da un ammasso di foglie secche e puzzava di morte, di dolore e di
stantio, tutti odori perfettamente naturali che nei cinque giorni
precedenti anche loro avevano imparato a conoscere bene.
Se lo
meritava, se lo meritava, sporca traditrice – hai visto che cosa
succede a quelli come lei? Eh, hai visto? Non vuoi fare la stessa fine,
no?
Il suo braccio bruciava ed
ogni volta che pensava a sua cugina il dolore era ancora più
lancinante. (cugina di cosa se poi in realtà non l’aveva neanche
mai conosciuta ma soltanto vista in fotografia ed oggettivamente
assomigliava troppo a sua madre per non riconoscerla)
Blaise aveva azzardato
delle ipotesi mentre si erano fermati davanti a quella testa, a
vagliare che cosa poter fare di lei mentre Draco non aspettava altro
che il permesso, non sapeva bene di chi, per poterla ricoprire con le
foglie secche un’altra volta e far finta che non fosse successo niente
e che ogni volta che si girava non vedesse sangue e fasci di nervi
scorticati che sapeva benissimo essere i suoi.
Probabilmente Tonks era una
specie di avanscoperta, inviata dai suoi compagni per vedere che cosa
avrebbe potuto trovare oppure era andata nel bosco semplicemente alla
cieca, da sola, senza nessuno che le coprisse le spalle e potesse
trovare la sua testa abbandonata su un giaciglio di foglie morte.
Che cosa ne fosse stato del
suo corpo, quello Draco e Blaise preferivano non immaginarlo neanche,
così come scelsero di non immaginare né i pianti
né le urla disperate che la giovane donna doveva aver emesso
quando…
Non
pensarci, è solo una traditrice del suo sangue.
– Blaise, dobbiamo
andarcene in fretta – disse – Non possiamo stare qui un minuto di
più, sono sulle nostre tracce –
– Temo che non abbiano
bisogno di stare sulle nostre tracce per ucciderci quando preferiscono
– rispose Blaise, alzando gli occhi carichi di una luce di nuova
compresione. I capelli neri cadevano sulla sua fronte in ciocche
disordinate ed impastate di sporco, cadaveri di moscerini in quel
groviglio scuro che usava tenere liscio e pettinato.
Ma perlomeno lui la testa
ce l’aveva ancora sulle spalle nel senso più letterale del
termine.
Draco si alzò in
piedi senza guardare Nymphadora appoggiata su una pietra che li
guardava attraverso le palpebre socchiuse – Blaise, ti prego, andiamo –
– Naturalmente –
Il movimento con cui il
ragazzo si alzò dal masso dov’era seduto, di fronte alla testa
completamente immobile che sembrava fuori posto in uno scenario del
genere, così comodamente adagiata su una superificie come se la
pietra fosse la sua proprietaria, fu incredibilmente fluido – Cosa
facciamo di tua cugina? –
– La portiamo con noi –
Blaise lo guardò con
una muta domanda negli occhi.
– Scordatelo – Draco scosse
la testa – Non possiamo seppellirla, ci metteremmo troppo tempo, e se
la coprissimo con le foglie secche Dio solo sa cosa potrebbe succederle
–
– Draco, i vermi la
mangerebbero comunque, anche nelle più bella delle bare –
– Sì, ma non
potrebbero mai avere le sue ceneri –
Il broncio che Draco stava
tenendo aveva un qualcosa di adorabilmente infantile, fuori luogo e
inadeguato quando l’aria che entrava nei suoi polmoni era impregnata di
morte e di sangue. Blaise sentì la mano che gli stritolava il
cuore accentuare la sua presa ed il suo respiro si fece più
regolare, intenerito dal ragazzo che aveva di fronte a sé e dal
suo irrazionale rifiuto della morte.
Era così difficile a
volte ricordarsi che avevano solo sedici anni.
Quando parlò, Blaise
lo fece con una voce dolce e carezzevole, guardando la testa con una
tenerezza che mal si intonava al suo viso aggrottato – Gli uomini
muoiono e i vermi li mangiano, ma mai per amore –
– Che cosa? –
– L’ha detto un babbano –
rispose Blaise con scioltezza, alzandosi in piedi. Si sfilò il
mantello e ci avvolse la testa – Un poeta, sai, quella gentaglia –
– E cosa significa? –
Blaise scosse il capo – Se
lo sapessi non sarei ancora qui, andiamo –
Anche Draco si alzò
in piedi e quando lo fece il dolore che provava nel braccio si estese a
tutto il corpo, propagandosi con la stessa velocità di un
fulmine e con un’intensità dolorosa. Strinse le labbra per non
urlare, accecato da quel senso soffuso di malessere che l’aveva fatto
vomitare prima e gli impediva costantemente di respirare, come se una
mano gelida e contemporaneamente rovente gli stringesse il braccio e
non avesse la minima intenzione di lasciarlo andare.
Blaise aveva avuto la
decenza di coprire la testa di Nymphadora quando l’aveva avvolsa,
tuttavia questo non era bastato ad eliminare anche l’odore greve
di cui era impregata.
I sensi già alterati
di Draco risentirono anche di questo: oltre alle scariche di dolore al
braccio che si facevano sempre più frequenti, un vago torpore,
ora che la forza dell’adernalina era scemata, iniziava ad invadergli il
corpo.
Da quanto tempo non
dormiva? Avevano riposato nella baracca e si erano fermati quando lui
era inciampato, ma era sicuro che un vero sonno risalisse soltanto
a…dov’erano prima.
Un secondo conato di vomito
lo scosse a quel pensiero e si sentì bruciare la gola, non con
una fiammata intensa ma piuttosto un raschiare che gli grattavva le
corde vocali.
Dobbiamo uscire di qui,
pensò.
Se prima avevano avuto dei
sospetti che la foresta che stavano attraversando fosse stregata adesso
ne avevano la certezza, avevano girato in tondo tutta la notte senza
scorgere le familiari fiaccole che avrebbero dovuto indicar loro il
cancello di Hogwarts.
L’Incanto Quattro Punti
tuttavia era ancora attivo, dunque o Blaise si era sbagliato riguardo
il tempo di percorrenza oppure stavano andando alla cieca, e delle due
la prima era sicuramente la preferibile per Draco.
Che quel bosco dovesse dopo
sfociare nella Foresta Proibita l’avevano dato per scontato all’inizio,
ma se non fosse stato così non avrebbero saputo che pesci
pigliare e senza la più piccola speranza non avrebbero mai
intrapreso quella fuga, cosa che invece erano felici di aver fatto.
Quando nella lettera di
Bellatrix erano pervenute le coordinate per il loro incontro, tutti gli
Sltyherin del settimo e del sesto anno erano stati entusiasti: la loro
occasione di riscatto, l’opportunità per porre fine a quella
sequela di ingiustizie a cui erano stati sottoposti da quando la
rinascita di Voldemort era stata annunciata.
Piccoli
assassini, infami torturatori di famiglie e stupratori di babbani.
Così erano stati
dipiniti, ed addirittura i ragazzini del primo anno venivano sorpresi
in agguati poco politically correct che sicuramente avevano dietro la
mente dei buoni. Nessuno, neanche i brillanti Ravenclaw che si
vantavano della loro intelligenza o gli Hufflepuff, i caritatevoli per
antonomasia, avevano pensato alla realtà delle cose: erano ragazzi, non assassini.
Quando però
Bellatrix aveva fornito quell’occasione su un piatto d’argento loro
l’avevano colta al volo, sarebbe stato imperdonabile perdere
l’opportunità di una ragione per cui essere condannati.
Draco non vedeva Bellatrix
dall’estate precedente quando lei era fuggita da Azkaban e l’aveva
trovata esattamente come la ricordava: una grottesca parodia di una
bambina troppo cresciuta con un barlume di pazzia negli occhi che
accendeva il suo sorriso di una luce cattiva.
Naturalmente lei era
bellissima, ma di questo tutti se ne accorgevano dopo.
Gli era stata data la
facoltà di scegliere a chi fosse dovuta la sua realtà o
forse si erano divertiti a fargli credere di avere quella
possibilità, ma l’animosità che l’aveva infiammato
portandolo ad abbracciare gli ideali che sua zia gli offriva e che si
sposavano con tutto quello che aveva sempre pensato era scaturita dal
suo cuore e non da idee che gli erano state imposte da qualcun altro.
Soltanto una cosa avrebbe
potuto frenarlo.
Lei.
Aveva fatto tutto il
possibile per nasconderle l’esistenza di quella lettera e quando aveva
fallito perlomeno ne aveva preservato il contenuto. Aveva visto
srotolarsi davanti ai suoi occhi una biforcazione ed aveva scelto la
strada più difficile, consapevole che lei non avrebbe potuto
accompagnarlo.
Cerca
di capire, lo faccio per difenderti.
Questo però non
gliel’aveva detto perché l’avrebbe fatta soffrire: preferiva
essere odiato che essere pianto. Il ruolo di eroe lo lasciava a gente
come Potter.
– Credo di vedere le luci –
disse Blaise.
Draco capì subito
che con le luci intendeva le fiaccole di Hogwarts ed accellerò
nonostante il dolore al braccio si facesse sempre più
intollerabile. C’era qualcosa che non quadrava ma non aveva i sensi
abbastanza pronti per riuscire ad identificare cosa fosse: i fuochi
erano nella direzione indicata dal raggio di luce che sembrava
squarciare tutti gli ostacoli che si ponevano fra loro e l’obbiettivo e
si scorgeva soltanto un bagliore indefinito nel punto dove, a detta di
Blaise, si sarebbero dovute trovare le fiaccole.
Quando si erano inoltrati
nella Foresta Proibita?
Nel momento in cui
sbucarono nella radura illuminata Draco capì subito di cosa si
trattasse: non erano le fiaccole che segnalavano l’accesso ad Hogwarts
bensì delle lingue di fiamme azzurre sospese per aria sopra
quella che aveva tutta l’aria di essere una palude.
Fuochi
fatui.
La migliore garanzia della
presenza di cadaveri nelle vicinanze.
Blaise arretrò
improvvisamente e la testa quasi sfuggì dalla sua presa, allora
lui strinse con più foga il fagotto arrotolato nel mantello
contro il suo fianco.
Naturalmente quei fuochi
avevano una loro spiegazione che non aveva niente a che fare con la
magia, di nessun tipo: tenui luminosità dovute ai gas prodotti
dalla decomposizione di materiale biologico. Generati dal metano, uno
dei gas prodotti dalla putrefazione, e da fosfina andata a fuoco, che a
sua volta incendiava anche il metano.
Questo però non
spiegava perché fossero freddi.
Draco invece sapeva che
tutte quelle spiegazioni razionali erano soltanto favole per babbani,
così come lo erano, d’altra parte, le stupide superstizioni alla
stregua dei corni di corallo che le comari appendevano al collo per
scongiurare il malocchio.
La bacchetta tuttavia
segnalava che la strada proseguiva attraversando quella palude e
né Draco né Blaise avrebbero potuto permettersi di
cercare un’altra strada attraverso il folto: il Signore Oscuro aveva
provato a chiamarli due volte attraverso il Marchio e sicuramente anche
qualcun altro li stava cercando.
– Ti ricordi di essere
passati per di qua? –
– Ricordo la palude ma non
i fuochi fatui –
Draco non aggiunse altro
muovendosi cautamente in avanti, tutto il suo corpo teso pronto a
scattare via al minimo accenno di pericolo. Non era l’unica volta che
vedeva fuochi fatui ma era sicuramente la prima che si azzardava ad
avvicinarsi così tanto.
Più si avvicinava,
seguito da Blaise, più i contorni dei fuochi sembravano perdere
nitidezza: se da lontano li aveva chiaramente identificati con
fiammelle azzurre adesso erano qualcosa di più indefinito:
bagliori elettrici che sembravano espandersi mano a mano che Draco
cercava di raggiungerli, fino ad essere un unico, gigantesco fuoco
fatuo che inondava la palude della sua fredda luce abbagliante.
“Forse dovremo cercare
un’altra strada”.
Improvvisamente un bagliore
nero alla sua destra lo fece girare di scatto, ritrovandosi a fissare
lo sguardo nel nucleo di un fuoco fatuo che non sapeva di avere
così vicino. Stralci di riflessi che parevano illusioni ben
congeniate fluttuavano attorno a lui, in quella bianca luminescenza
Bianco
che respingeva tutti i colori mentre la notte nera che li circondava
come un fantasma spaventato dalla luce li assorbiva come buchi neri
nello spazio, fagocitando ogni cosa prima di rigettarla invischiata
nelle pece della loro paura.
Draco vide il bagliore di
nuovo ma questa volta era alla sua destra, girò la testa oltre
l’illusione di un’oasi verdeggiante al centro del fuoco e vide l’ultima
cosa che si sarebbe mai aspettato.
Non ebbe alcun problema a
riconoscerla anche perché era esattamente come l’aveva vista
l’ultima volta, forse anche più bella. I lunghi capelli neri
scivolavano sulle sue spalle ed i suoi occhi lo guardavano con
un’intensità quasi dolorosa mentre tendeva una mano verso di lui.
Perché mai era
scappato da lei?
Vuoi
ridurti come tuo padre?
Per salvarla, ecco
perché l’aveva fatto, per serbarle una vita migliore della sua
in cui nessuno l’avrebbe condannata per il cognome di suo padre.
Sai che
cosa stai facendo?
Improvvisamente il suo viso
era tutto intorno a lui, dimentico di Blaise. Ovunque si girasse poteva
vederla sorridergli ed i suoi occhi verde scuro spalancarsi in una muta
gioia. La gioia che gli avrebbe procurato il vederlo tornare.
Lo sai
che stai andando verso il suicidio?
La sua risata argentina gli
risuonò nelle orecchie da tutte le parti mentre un tiepido
calore che si stava diffondendo nelle membra sostituiva l’ardere del
braccio che aveva ormai macchiato la grezza fasciatura di sangue.
Draco avanzò di un
passo ciecamente verso il rilfesso di Pansy prima di rendersi conto che
lei lo stava circondando, avvicinandoglisi e sfuggendogli.
Vuoi
lasciarmi indietro?
Sopportare il suo dolore
era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto, un arduo
tormento vederla soffrire per causa sua. Un giorno gli sarebbe stata
grata per tutto questo ma quel giorno non era ancora arrivato e lui non
era l’eroe che cercava di essere. Non veramente.
Avanzò tentoni fino
a che la terra sotto i suoi piedi non mancò improvvisamente.
Il cuore gli saltò
in gola e si preparò a qualcosa di terribile quando due mani
forti lo tirarono indietro.
– Evidentemente non ti ho
insegnato nulla – ringhiò la voce rabbiosa di Severus Snape.
***
I have
to turn my head until my darkness goes
I see a
line of cars and they're all painted black
With
flowers and my love both never to come back
Paint It Black, Rolling
Stones
Fra i Ravenclaw Lisa Turpin
se ne accorse per prima perché sapeva dove cercare.
Non sapeva cosa, ma il problema fu risolto
quando, a metà pranzo, la testa di Cormac McLaggen si
trasformò in quella di un leone provocando una serie di grida
spaventate al tavolo di Gryffindor.
– Era soltanto questione di
tempo – disse Anthony Goldstein.
– Che qualcuno attentasse
alla vita di Cormac McLaggen? – chiese Michael Corner servendosi
un’altra porzione di patate al rosmarino.
Su Li, una ragazza del loro
anno con dei bellissimi occhi a mandorla alzò le spalle – Non
è mai stato simpatico a chiunque. E’ naturale che sarebbe
successo.
– Si dice nessuno, Su, non
chiunque – la corresse Anthony con un sorriso.
– Che cosa? – chiese Mandy
che stava accarezzando i capelli di Terry Steeval.
– McLaggen – disse Lisa
indicando con un cenno del capo il ragazzo correre via dalla Sala
Grande fra un coro di risa e ululati.
Mandy aggrottò le
sopracciglia – Che cos’ha di strano?
Nell’esatto momento in cui
Cormac era uscito Pansy Parkinson fece la sua comparsa nella sala con
una Daphne Greengrass estramemente divertita al suo fianco – Chiunque
sia stato – stava sussurrando alla sua compagnia – E’ un genio –
– Già – disse Pansy
nascondendo a stento il compiacimento – Dovremmo fargli i complimenti –
Entrambe sfilarono per
tutta la lunghezza del tavolo di Gryffindor catturando diverse occhiate
sospettose.
– Ci scommetterei qualunque
cosa che è stato uno di loro – disse Dean Thomas.
– Incivile – aggiunse Ron
Weasley, che tuttavia era estremamente soddisfatto per l’umiliazione
che era toccata al ragazzo.
Hermione Granger stava
scuotendo la testa senza paura di mostrare il suo disappunto mentre
Ginny Weasley non riusciva a smettere di ridere – era matematicamente
più forte di lei non divertirsi per qualcosa del genere.
Lisa Turpin sospirò
rumorosamente – Venti punti in meno a Gryffindor – fu un sussurro che
soltanto Anthony Goldstein percepì, e soltanto lui notò i
granelli di sabbia rossa risalire lungo la piccola clessidra segna
punti.
– Ti sei limitata, vedo –
apostrofò verso Lisa.
– Si sono già fatti
giustizia da soli –
Entrambi non avevano dubbi
sull’autrice del misfatto e Lisa dovette ammettere a se stessa che
aveva avuto paura che la vendetta di Pansy fosse ben peggiore: Cormac
se l’era cavata con poco, sebbene Madama Chips ci avrebbe messo
probabilmente più tempo a rimuovere il sortilegio di quanto
sarebbe bastato a McLaggen per uscirne con la reputazione intatta.
Padma Patil
picchiettò il dito sul mento – Oggi non era proprio la giornata
più adatta per Cormac –
– Perché? – chiese
Su Li curiosa.
– Lui e Lavender
festeggiano il mese –
Come se ce ne importasse
qualcosa, pensò Lisa alzando gli occhi al cielo. Si
aggiustò la cravatta blu e nera che si stava allentando e
gettò un’occhiata al tavolo di Slyhterin, dove tutti i ragazzi
si stavano guardando a vicenda cercando la persona a cui erigere una
statua.
Dalle occhiate i sospetti
parvero congelarsi su un assolutamente ignaro – e innocente – Stephen
Rosier, quarto o quinto anno, e un coro di festose ovazioni gli rese un
immeritato onore.
Il sorriso di Pansy si
allargò in modo discreto mentre partecipava a quel coro.
– Sembra che abbiano
già individuato il colpevole – commento Michael che aveva
seguito la direzione dello sguardo di Lisa.
– I Gryffindor avranno
qualcuno su cui rifarsi – disse Anthony.
Lisa si girò verso
Padma ma lei si era già alzata e stava trotterellando dalla
sorella che non aveva affatto bisogno del suo suggerimento: i
Gryffindor più grandi stavano già guardando Stephen
Rosier con un’occhiata che potendo l’avrebbe già fulminato.
– Ti aspettavi qualcosa di
meglio anche tu?
Lisa guardò Anthony
– Come, scusa? –
– Sì, mi è
sembrato che mancasse un po’ di fantasia – rispose lui con scioltezza –
Pensavo che avrebbe escogitato qualcosa di meglio –
– Sai, non penso che sia
finita qui – disse Lisa – Michael, mi passi le patate?
– Certo –
Il vassoio fluttuò
nell’aria davanti alla ragazza.
– Così avrei potuto
farlo anche io – sbuffò Lisa mentre Michael sghignazzava
divertito per la sua trovata.
Il rombo di un tuono
particolarmente forte allertò la maggior parte degli studenti e
una patata che Lisa stava trasportando con altre su un cucchiaio fino
al suo piatto cadde sulla tovaglia, imbrattandola. Sembrava che gli
agenti atmosferici si stessero dando guerra furiosamente riversando
sulle pareti della scuola tutta la loro ira, ma Lisa non si scompose:
lei era dentro la scuola, non fuori.
Naturalmente rimase un
tantino perplessa quando vide della grandine – e la grandine a fine
ottobre era qualcosa che non aveva mai visto in sei anni di permanenza
ad Hogwarts – ma non si fece troppe domande.
Capì che avrebbe
dovuto farsele soltanto quando Blaise Zabini entrò bagnato
fradicio in Sala Grande.
Il cuore di Pansy Parkinson
mancò un battito.
***
Vi sono
infinitamente riconoscente per le fantastiche recensioni che mi avete
scritto: mi avete stampato un bel sorriso sul volto con i vostri
adorabili complimenti.
Grazie anche a tutte le persone che hanno letto e basta, spero di aver
strappato un sorriso anche a loro. Non fraintendetemi, la povera Tonks
è un bel personaggio e tutto il resto, ma dovevo farlo, ecco (e
poi non le ho MAI perdonato la storia con Remus). E soprattutto grazie
alla mia adorabile nuova beta, JiuJiu91
:)
La citazione in corsivo pronunciata da Blaise nella foresta è di
William Shakespeare :)
Kathy: Guarda, io per prima mi
credevo incapace di scrivere in vita mia una Harry/Ginny e sono rimasta
sconvolta di esserci riuscita, sebbene sono ben lontana dai livelli di
bravura che tu mi attribuisci ;) La testa, la testa…hai avuto la
risposta in questo capitolo come puoi vedere, o almeno la presunta
tale. Sono felice che anche se la coppia principale non ti piaccia tu
legga comunque questa storia!
BellaTwy: Fidati quando ti dico
che in realtà ti ha sconvolta come ha sconvolta me. Finalmente
ho trovato un’introduzione che mi piace e non penso di cambiarla
più, visto le innumerevoli che ho passato.
Sieny: In realtà penso
anche io che siano scontate ma l’impressione che voglio dare è
proprio questa: quella di una ragazza che si ribella al suo destino ma
finisce per cadere sotto il suo giogo per amore. Il paragrafo che hai
citato è uno di quelli che mi piace di più. E’ vero,
Pansy è molto più forte di Ginny o almeno così
sembra: l’orgoglio che la caratterizza non ha niente di infantile, non
lo spirito di rivalsa che invece domina il sentimento della prima.
Ixina: Ricordo Simple and Clean
anche io ma devo ammettere che non mi manca neanche un po’: preferisco
affrontare coppie come Draco/Pansy che, almeno a mio parere, hanno
molti più fondamenti, molte più possibilità di
essere fattibili che Draco/Ginny, che sono forse più focosi e
passioni ma meno credibili. Poi questa è solo una mia opinione,
visto che ultimamente sono le seconde ad andare per la maggiore!
Babi89: Scriverò anche
in fretta ma raramente il risultato mi soddisfa pienamente, per quante
volte io possa riscrivere un capitolo e studiare ogni parola. La
testa…devo ammettere che hai centrato il punto, la testa è di
uno dei “buoni” (o meglio era, visto che la testa adesso non fa
più parte del corpo). Grazie mille per i complimenti, non li
merito per niente!
Angel: Se ci è riuscito
o meno l’hai potuto vedere adesso, una valanga di ringraziamenti per
gli elogi, mi hanno fatto arrossire come una scema davanti al computer
;) Dici davvero riguardo alla violenza? Ho avuto l’impressione di
essere stata un po’ cruda, sebbene abbia fatto di peggio ._.
Lilli: Uau, addirittura senza
parole? Beh, la prossima volta recensisci senza indugio anche se sei
diventata proprio muta :P
TifaLockheart: Chi si rivede?
Grazie per i complimenti riguardo la storia, sei gentilissima come al
solito. Gli errori di battitura ci sono e ne sono ben consapevole,
sebbene confido che in questo capitolo le cose siano cambiate! La scena
del loggione a me invece non piace molto com’è venuta sebbene
l’abbia scritta e riscritta diverse volte, facendo un taglio qua e
un’aggiustatina là…Lisa mi pare sia comparsa soltanto
nominalmente, io l’ho trovata su Lexicon.
Franceskina: Grazie, sono
felice che la nuova parte ti sia piaciuta ;) Poveri Draco e Pansy
sì, sto iniziando a chiedermi anche io (che ho la storia
già in mente per la maggior parte) se saranno prima o poi felici
insieme…bah, speriamo! La testa, la testa… :P
JiuJiu91: A provare l'odio
sviscerato per Harry e Ginny allora siamo in due, e ti dirò di
più, in realtà non li sopporto nemmeno come coppia (Harry
per me è accettabile solo quando sta con Draco e si comporta
bene, altrimetni non lo posso vedere neanche in fotografia, ma visto
che Draco e Pansy per me hanno una sorta di predestinazione, quale
altra coppia predestinata per eccellenza avrebbe potuto far loro
compagnia meglio di Harry e Ginny? Purtroppo cerco di trattenermi
moltissimo nelle parti violenze perchè sono sempre stata
dell'opinione che la violenza ci sta bene (L) smack!
Geri87: Grazie dei complimenti,
sono felice che Ginny ti abbia dato quell'impressione perchè il
mio scopo era esattamente quello di renderla così, debole, forte
e contraddittoria.
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