Rocket Queen

di Gaia Loire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Violetta ***
Capitolo 2: *** Hic Sunt Leones ***
Capitolo 3: *** Fire and Ice ***
Capitolo 4: *** Tumbling Dice ***
Capitolo 5: *** Hide and Seek ***



Capitolo 1
*** Prologo - Violetta ***


Prologo: Violetta


I never thought this could happen to me (non ho mai pensato che questo potesse succedere a me)
I been so strange,so why should it be (sono così strana, così perchè dovrebbe essere?)
I dont deserve...somebody this great (non mi merito...qualcuno di così grande)
Id better go , or itll be too late, yeah (farei meglio ad andare, o sarà troppo tardi)

New Rose, Damned


Elaborati inganni celavano piccole imperfezioni, impurità rotonde, rossastre o scure, coperte da veli di bianchissima cipria coprente. Non molti l’avrebbero detto vedendo la freschezza del suo viso, e ancora meno avrebbero intuito le lunghe opere dietro le quinte, silenziosi affanni per prepararsi ad essere sempre la più bella.
Ci riusciva egregiamente, a dire la verità, reggendo la rivalità di altre ninfette che tuttavia non avevano neanche un minimo del suo charme, di quella perfezione che in tempi migliori le era valsa l’epiteto di Viola dei Sotterranei.
Violetta.
Doveva scegliere l’ombretto e optò per quello nero dopo una frazione di secondo di indecisione, indecisione mostrata soltanto dal suo sguardo abbassato verso la trousse dei trucchi.
Era così che era solito chiamarla lui, in quei rari momenti di silenziosa quiete che veniva spezzata da una parola fuori luogo che era sempre l’unica che non avrebbe potuto rompere anche l’incanto.
– Pansy? Quanto hai intenzione di metterci ancora?
Pansy Parkinson non rispose, prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno. Stese un velo di ombretto scuro sulla palpebra destra e rimase a guardarsi allo specchio per qualche istante, dosando la quantità giusta di polvere che avrebbe dovuto mettere su quella sinistra. Daphne Greengrass, chiusa fuori dal bagno, sembrò non gradire la totale mancanza di risposta, e il suo sibilo seccato si sentì fin davanti lo specchio.
Tuttavia, Pansy non diede segno di aver capito, oltre che sentito, ed appoggiò l’ombretto sul piano del lavandino con delicatezza, stando attenta a non farlo scivolare sulla superficie cava di marmo bianco.
Strinse le labbra mentre applicava il mascara, tenendo gli occhi spalancati per non macchiarsi il contorno degli occhi già truccato con fatica.
– Parkinson!
Daphne stava iniziando a diventare davvero furiosa.
– Un attimo soltanto – disse Pansy. Ravviò i capelli con un gesto della mano, gettò un’occhiata all’orologio e sistemò con molta calma tutte le sue cose. Dietro la porta, nel dormitorio femminile sesto anno Slytherin, le Sorelle Stravagarie stavano dando prova della loro grandissima capacità canora grazie ad un aggeggio stregato che il padre di Daphne le aveva portato dopo uno dei suoi lunghi viaggi.
Wizard Wireless Network è lieta di annunciarvi che da oggi sono disponibili le prevendite per il Live Event di Hogsmeade. Celestina Warbeck, le Sorelle Stravagarie, Guns N’ Handcuffs, le Broomettes e altri artisti musicali…
– Era ora! – esclamò Daphne scaraventando Pansy di lato non appena la porta del bagno si fu aperta – Posso sapere che cosa diavolo avevi in mente di fare? Ti sei dimenticata che non sei da sola in dormitorio?
– Mi piacerebbe molto dimenticarlo – replicò Pansy lanciandole un’occhiataccia mentre si sedeva sul letto, aggrottando le sopracciglia allo sbattere della porta del bagno. – Salazar, Millicent, che cosa sta succedendo adesso?
Millicent Bulstrode, distesa a faccia giù sul suo letto, mosse le spalle con un cenno approssimativo. Pansy si sforzò di restare calma, ben consapevole che forti emozioni avrebbero potuto rovinarle il trucco e troppi segni di espressività farle comparire rughe ben poco gradite, si sforzò quindi di parlare con tono modulato, per non apparire eccessivamente seccata – Millicent?
Non le giunse nessuna risposta dalla ragazza presumibilmente in lacrime, e allora lasciò stare. Non aveva tutto quel tempo da perdere.
Si avvicinò alla radio stregata e cambiò stazione, sintonizzandosi su Strega Company.
– Onestamente, – disse Tracy Davies alzando gli occhi dal grosso libro di testo che teneva aperto sulle gambe incrociate – proprio non capisco perché tu non possa metterti a studiare invece di fare tutta questa confusione –
– Tracy, carissima – sibilò Pansy. Mantieni la calma, si disse. Pensa alle rughe. – Sto andando ad Hogsmeade a comprare la prevendita. Non mi sto preparando ad un meeting di studio.
Tracy fece roteare gli occhi – Davvero, Pansy – disse – Non hai fatto i compiti per lunedì, vero? Che cosa aspetti? Non starai mica pensando che si facciano da soli, se li lasci da parte –
Pansy strinse gli occhi, le pagliuzze dell’iride si assottigliarono insieme alla pupilla ed il loro colore verde si intensificò, come un gatto che sta considerando che cosa fare con il topo.
O il cane.
– Anche se, a questo punto, mi sa proprio che la tua convinzione fosse quella. Ripetimi un secondo che cos’hai preso in Trasfigurazione allo scorso compito…
Mordendosi le labbra, Pansy gettò un’occhiata sprezzante al “Libro Standard di Incantesimi sesto grado” e dopo alla sua proprietaria, che ricambiò il suo sguardo oltre le spalle tremolanti di Millicent.
– Allora, Davies, – ringhiò Pansy fra le labbra socchiuse – Che gusto si prova a vendersi ai Griffyndor?
Tracey aprì la bocca per dire qualcosa, il tono caustico che avrebbe usato si intuì dai suoi piccoli occhi neri, stretti in un’espressione di odio ferale – Parkinson, non pensi che ––
Si interruppe di botto non tanto perché qualcosa in Pansy la spaventò, semplicemente per Daphne Greengrass che proprio in quel momenti usciva dal bagno, spazzolandosi i lunghi capelli biondi e lanciando un’occhiata curiosa a Pansy e Tracey. – Ho interrotto qualcosa? –
– Non ti preoccupare, Daphne – replicò Pansy senza staccare gli occhi da Tracey, che abbassò i suoi sul libro avvampando – Soltanto una chiacchierata fra amiche. Non è vero, Tracey carissima?
Tracey annuì, e Daphne inarcò un sopracciglio curato prima di scuotere la testa accantonando per il momento la questione.
– Allora, siamo pronte per andare? –
Pansy annuì, alzandosi in piedi e lisciando le pieghe della gonna. – Prontissime. Millicent? Sei sicura di non voler venire? –
Un tremolio particolarmente forte della sua schiena, situato piu o meno vicino alla parte destra, le disse che sì, era sicura di non voler venire.
Daphne scrollò le spalle – Va bene, va bene. Ciao Tracey, ciao Milli.
– Ciao, Daphne – salutò Tracey senza alzare gli occhi dal libro, il suo sorriso si allargò un po’ e Pansy fece finta di non aver visto niente.
Da parte di Millicent non giunse che un tono strozzato che fu tuttavia sufficiente, per Pansy e Daphne, per sentirsi autorizzate ad andarsene.

***

Se c’era un appellativo che Ron Weasley si era meritato ancora più che il soprannome di King che tanto gli era caro, allora era Ridicolo.
A pensarlo era più o meno l’intero dormitorio di Gryffindor e qualche impietoso Ravenclaw, ma soltanto sua sorella, Ginny Weasley, era l’unica che glielo diceva chiaro e tondo.
– Ron, hai fatto? – chiese Harry.
– Davvero, Ron – aggiunse Ginny battendo il piede per terra con impazienza – Le prevendite potrebbero finire.
Ron si girò verso i due, soppesando in una mano un libro di Oscar Wilde e nell’altra la raccolta di poesie di Baudelaire. – Secondo voi che cos’è meglio? Che cosa potrebbe piacerle di più?
Ginny alzò gli occhi al cielo. – Ho bisogno di un’altra sigaretta, – disse – Cielo, Ron, mi farai diventare pazza. Io vi aspetto fuori.
Harry si morse la lingua. Guardò Ron senza trovare il coraggio di comportarsi esattamente come sua sorella, e con molto dolore indicò il libro che teneva nella mano destra.
– Baudelaire, dici? – chiese Ron – La vedi più come tipo passionale, non umoristica? Forse hai ragione, anche se devi ammettere che i suoi occhi sono sempre allegri, voglio dire, non esprimono tutta la tragicità di Isotta oppure…––
Più che altro, pensò Harry, Baudelaire costa meno.
Era una cosa che andava avanti ormai da qualche mese, circa l’inizio dell’Estate. Il casus belli era stata Ginny, accompagnata dalle sue insistenti insinuazioni su quanto Ron fosse triste, solo e senza ragazza.
Certamente Ginny non aveva intenzione di provocare qualcosa del genere, e con qualcosa del genere si parla di ore e ore spese sui libri, ad imparare frasi d’amore, interi trattati e ragionamenti superbi, tutto quanto per il cuore delLa Bella.
Amanda Brocklehurst, detta Mandy. Ravenclaw, loro compagna fin dal primo anno e improvvisamente sbocciata durante l’estate (anche se, secondo Ginny, avere un padre Magichirurgo Estetico di fama mondiale significava qualcosa).
– E Baudelaire sia – concluse Ron avvicinandosi alla cassa e tirando fuori il portafoglio. – Uhm, Harry, amico, non avresti per caso due falci…
– Sì, te li presto – lo interruppe Harry porgendo i due falci all’amico, che teneva preparati fin da quando aveva capito che Ron avrebbe scelto Baudelaire. Ecco perché non voleva Wilde, non aveva abbastanza soldi da poter prestare.
Quando furono usciti dalla libreria, Ron tirò fuori il libro dal sacchetto. – Allora, vediamo, fammi dare un’occhiata.
– Ron, qui?
Il rosso gli rivolse un’occhiata incredibilmente vacua. – La bellezza di Mandy non ha tempo, condizioni o limiti. Potrei incontrarla anche qui, e non avrei nulla da dirle. Che ne dici, Ginny, Delfina e Ippolita o la Morte degli Amanti?
Ginny buttò via il mozzicone acceso di sigaretta che teneva fra le labbra e se ne accese un’altra prima di parlare. Quindi guardò Harry con un’occhiata carica di significato – Credo che Harry sarà ben lieto di rispondere alla tua perplessità. Io vado a comprare la prevendita.
Ron la degnò di una misera occhiata, quindi iniziò a decantare.

***

Shed a tear 'cause I'm missin' you (nascondo una lacrima perchè mi manchi)
I'm still alright to smile (sto ancora abbastanza bene per sorridere)
Girl, I think about you every day now (ragazza penso a te tutti i giorni)

Patience, Guns ’N Roses


– Un biglietto Andata e Ritorno per il Live Event.
Il bigliettaio aggrottò le sopracciglia.
Lisa Turpin sospirò rumorosamente. – Mandy, tesoro, no – posò una mano sulla spalla dell’amica e rivolse un sorriso di scuse al bigliettaio. – Un biglietto semplice. Anzi, due biglietti.
– Lisa, e dopo come facciamo a tornare a Hogwarts? – chiese Mandy con i grandi occhioni verdi sgranati –Vuoi comprare il biglietto lì?
Lisa scosse la testa continuando a sorridere
Il bigliettaio, d’altra parte, le aveva già perdonate, anzi, era già tanto che avesse sentito le parole di Mandy impegnato com’era a guardarla sotto gli occhi seccati di Lisa.
Bella era bella, non c’era niente da dire, con una cascata di riccioli scuri e il piccolo nasino graziosamente ritoccato dal bisturi aiutato da una scarica convincente di magia. Gli occhi verdi, probabilmente l’unica rimanenza del suo patrimonio genetico ormai perso sotto la superficie della sua pelle, scintillavano di stupore palese per le parole dell’amica.
Aspettò di essere fuori dalla biglietteria affollata per chiederle spiegazioni.
– Perché non Andata e Ritorno? Com’è supposto che torneremo? – chise Mandy arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice e sbirciando il viso dell’altra ragazza con aria curiosa.
Un po’ meno bella, Lisa Turpin si difendeva egregiamente con l’arma che le aveva concesso la carica di Prefetto di Ravenclaw: la sua intelligenza.
Aveva un lungo viso ovale, spruzzato da alcune efelidi chiare sulle guance che si intonavano bene alla tonalità chiarissima della sua pelle. Ad addolcire i suoi lineamenti pensavano degli sfrangiati capelli mossi, di un biondo cenere molto scuro che qualunque occhio un po’ meno esperto del suo avrebbe chiamato semplicemente “castani”.
Lisa non aveva di sicuro il fascino di Mandy, il suo charme innegabile e le sue labbra, invece che carnose e di un adorabile rosa pieno, erano sottili e chiare, ma compensava egregiamente questa mancanza di attrattività con un cervello che non aveva niente da invidiare a quello di alcuni dei suoi professori.
Anche per questo, e perché dotata di una capacità diplomatica che aveva del formidabile, decise di ignorare le proteste di Mandy che non riusciva a capire che cosa ci fosse di sbagliato nella sua idea di acquistare i biglietti sia Andata che Ritorno.
Lisa si sistemò la coda di cavallo con una mano, cercando con l’altra il pacchetto di sigarette nella tasca della giacca; Mandy aveva la formidabile capacità di innervosirla con una manciata di parole.
– Tesoro, tieni il mio accendino – cinguettò Mandy, allungandole una mostruosità rosa che neanche un pazzo, naturalmente eccetto lei, avrebbe avuto il fegato di chiamare “accendino”. – Oh, guarda, c’è quel simpatico ragazzo!
Quel simpatico ragazzo, Lisa lo sapeva fin troppo bene, significava Ron Weasley seguito, nella stragrande maggioranza dei casi, da Hermione Granger ed Harry Potter.
Come volevasi dimostrare.
Ron aspettò a parlare fino a che non fu al cospetto di un’eccitatissima Mandy, e soltanto allora si schiarì la voce con un colpo di tosse pronto a decantarle tutto il suo amore. – Oggi lo spazio è splendido!
Come inizio, dovette ammettere Lisa, era un tantino…inadeguato.
Mandy però sembro non pensarla così, probabilmente perché qualcosa aveva suggerito alla sua adorabile testolina che lo spazio era soltanto una perifrasi per indicare la sua radiosa bellezza, e sorridette largamente anche ad Hermione ed Harry, dietro Ron con due medesime espressioni di compatimento dipinte sui volti rabbuiati.
– Senza morsi né speroni o briglie, via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e incantato!
Lisa si aspettava che da un momento all’altro Mandy avrebbe chiesto il significato della parola “speroni”, ma quell’istante non avvenne mai perché la mora sembrava incredibilmente rapita dalle parole di King Weasley.
– E’ ridicolo – borbottò Hermione Granger fra i denti, ed Harry Potter la guardò con quella caratteristica espressione da smidollato che adottava sempre ogni volta che non aveva la verve per aderire ad un concetto ben preciso.
Ron tuttavia sembrò non percepire il disappunto dei suoi amici, visto che continuò con la sua tirata con un’espressione di pura beatitudine che affiorava sul suo viso, mescolandosi anche alla voce che usciva, melodiosa quanto può esserla quella di un maschio sedicenne, dalle sue labbra socchiuse. – Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale –
– Cerebrale viene da cereali? – sussurrò Mandy nell’orecchio di Lisa, che represse un saltello sulla sedia, lievemente sconvolta dall’ignoranza profondamente abissale dell’amica.
– Bellissimo spettacolino, non c’è che dire.
Ron si girò furioso per vedere chi l’avesse interrotto, e la sua furia aumentò ulteriormente quando vide due ragazze guardarlo con le braccia incrociate e due identiti ghigni sarcastici sui loro visi. – Che cosa ci fate voi qui?
– Shopping.
– Camminiamo.
Pansy e Daphne risposero contemporamente e si guardarono, prima di spostare il loro sguardo su Ron e fulminarlo con l’ennesima occhiataccia.
Harry sospirò profondamente. – Che cosa siete, adesso, le bullette di Hogwarts?
– Qualcuno dovrà pur ripristinare l’ordine, ora che la vecchia guardia… – ringhiò Daphne fra i denti, guardando Potter dall’alto in basso prima di rivolgere uno sguardo impietosito al libro che The King teneva fra le mani. – Usato di quarta o quinta mano?
– Almeno settima – concluse Pansy per lei.
Hermione alzò gli occhi al cielo. – Harry, Ron, andiamo.
– La mia poesia! – protestò Mandy scuotendo la bella testolina – Deve ancora finire, è arrivato alla parte dei cerali che volano e mi interessa, okay?
– In realtà… – Lisa fece una pausa, guardando prima Mandy e poi il viso di Ron che faceva presagire tempesta – Parkinson, Greengrass, vengo con voi. Andiamo a prenderci qualcosa da bere e lasciamo Weasley decantare poesie d’amore alla sua bella.
Daphne fece un sorriso alla Ravenclaw, ma Pansy scosse la testa con una gentilezza ferma. – Mi dispiace, Turpin, ma abbiamo un altro impegno. Nessun rancore.
– Nessun rancore – ripetè Lisa. Che rancore dovrei portare loro?, si chiese perplessa.
Pansy prese Daphne per mano, dolcemente, salutò Lisa con un cenno del capo prima di allontanarsi con la Greengrass dal gruppetto di Gryffindor che continuavano a saettare nella loro direzione occhiate terribili.
Aspettarono di essere abbastanza lontane da non essere più viste prima di guardarsi.
Daphne non resse lo sguardo a lungo, e si odiò per la sua debolezza. – Scusami se ho accettato il suo aiuto – disse.

***

Quella che tutti gli studenti di Hogwarts chiamavano come La Fuga era una cosa abbastanza recente, circa un mese. Ventisette giorni, per quelli che, come Pansy o Daphne, li avevano contati. Non era stato niente di rumoroso, non aveva creato tutto quanto lo scalpore che aveva promesso, era stata una cosa silenziosa e triste, improvvisa. Un giorno, di punto in bianco, gli ultimi anni maschili della casa di Slytherin erano inspiegabilmente scomparsi.
L’unica cosa rimasta era soltanto un biglietto, un fiume di parole per le ragazze, stralci di carta e inchiostro conservati gelosamente come se ne andasse della loro stessa vita.
Inutile dire che di quel foglio Silente non aveva visto neanche un’ombra.
In realtà sotto il cuscino di Pansy c’era qualcos’altro, ma non lo sapeva nessuno, neanche Daphne.
Allora c’erano stati i traditori, quei ragazzi che avevano cercato aiuto, e Tracey Davis ne era un evidentissimo esempio. Aveva solidarizzato con i Gryffindor, i detrattori naturali degli abitanti dei sotterranei, per comprarsi quella salvezza che la fuga dei suoi compagni aveva precluso.
Pansy aveva cercato di mantenere l’ordine. Aveva parlato ai suoi compagni, la sera piovosa del giorno dopo la Fuga, lacerata dal dolore che il suo silenzio le aveva provocato.
Come aveva potuto non dirle niente?
– Dobbiamo restare uniti – Pansy aveva sorriso coraggiosamente, perché il coraggio era tutto quello che le era rimasto – Chiunque avrà bisogno di aiuto potrà rivolgersi a me o alla nostra Caposcuola – così dicendo aveva indicato Miles Bletchey, seduta per terra con gli occhi distrutti dal pianto e la spillina sul mantello strappato.
– Che cosa ne sarà di noi?
Pansy non sapeva chi l’avesse chiesto, non ne aveva la più pallida idea, ma si era trovata a reprimere un singhiozzo dietro quelle labbra sottili ed aveva cercato nella folla il suo sguardo, l’unico sguardo che sarebbe riuscita a tranquillizzarla abbastanza per permetterle almeno di continuare a parlare.
Poi si era ricordata che era per lui che stava facendo quell’immane sforzo, in quel momento, e aveva dovuto inghiottire le lacrime da sola.
– Dobbiamo farci forza. Agiremo come possiamo, uniti, non importa quanti forti i nostri detrattori possano essere.
Già se li vedeva, i Gryffindor, a ridere di gusto, forti, bellissimi e splendenti nel loro ruolo di buoni che dovevano fronteggiare quest’improvvisa Fuga, la terribile eventualità che le schiere del Signore Oscuro si allargassero.
Eppure lei aveva provato a dirglielo.
Oh, sì, si era sgolata, aveva pianto, urlato, imprecato e bestemmiato, e pregato inginocchiandosi ai suoi piedi di non andare, di capire in tempo quale fosse il lato giusto di quella guerra.
– Vuoi ridurti come tuo padre? – gli aveva chiesto.
Lui non aveva risposto, se n’era andato.
Sotto il cuscino, però, aveva lasciato quella violetta.
Che fosse secca, a lei non importava.


****



Eccomi qui. Da sostenitrice accanitissima della coppia Harry/Draco mi sento per prima colpevole per una Draco/Pansy. L’idea mi è venuta di getto, ma la storia purtroppo non altrettanto. Per chi se lo stesse chiedendo, Miles e Mandy sono due personaggi creati e programmati dalla Rowling che non ha ancora messo in gioco (ho spulciato Lexicon tutto il pomeriggio per cercare date e luoghi che combinassero). So che Tracey di cognome fa Davis e non Davies, ma mi sono presa questa piccola licenza per un motivo ben preciso :)
La poesia l’ho presa in prestito a Charles Baudelaire, dal suo Fleurs du Mal, e si chiama Il Vino degli Amanti.
So bene che come prologo la storia non promette molto, e ne sono parecchio incerta, quindi ogni commento è chiaramente ben accetto!
Oh, dimenticavo, in realtà nello slang (com'è emerso dalle ricerche, temevo di scrivere qualche castronata) Pansy si usa anche per i ragazzi effeminati o per...ehm, donne dai facili costumi.

p.s. sì, Mandy è troppo stupida anche per i miei standard.

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Capitolo 2
*** Hic Sunt Leones ***



Capitolo 1: Hic Sunt Leones


And isn't this exactly where you'd like me
I'm exactly where you'd like me you know
Praying for love in a lap dance
And paying in naivety
But It’s Better If You Do, Panic! At The Disco,

Quella sera la pioggia batteva contro le finestre con una forza che sembrava schernire la sorte degli Slytherin, visto che il sotterraneo era l’unico luogo del castello che, per ovvietà di costruzione, non potè essere allieto dalla frescura che il temporale portò.
Naturalmente Pansy si arrangiò a modo suo, prese il pacchetto di sigarette di Daphne e sgattaiolò fuori dai sotterranei, lasciando che Wireless Wizarding Network coprisse la sua fuga. Per la strada incontrò Katie Bell e Miles Bletchey, che stavano facendo il giro di ronda insieme. Pansy era sicura che Katie non l’avesse vista, ma non potè dire lo stesso di Miles, che guardò esattamente dove lei si trovava, semi nascosta da una grossa armatura, con un’occhiata talmente vacua da far dubitare a chiunque che dietro gli occhi di quel castano ambrato molto particolare ci fosse qualcosa.
Che ci fossero reazioni del genere era tranquillamente prevedibile, qualche buontempone, probabilmente Gryffindor, aveva scommesso chi sarebbe stato il primo a schizzare, e qualcosa all’altezza del cuore di Pansy si era rotto quando aveva scoperto che, secondo gli scommettitori, lei era stata la più quotata.
Era successo a Miles, invece. Era diventata simile ad un fantasma, ma la cosa peggiore era che Miles era soltanto la prima.
Ci sarebbe voluto un cieco per non accorgersene, ed anche un cieco avrebbe sentito il profondo sentore di marcio, l’odore che emana un’ospedale pieno di pazienti affetti da un incurabile epidemina, la puzza di una cosa malata sporca e morta che gravava sul sotterraneo.
E non era un problema di fognature, né di poca igiene personale. Era il condensato dei sentimenti, e al diavolo chi dice che i sentimenti non possono puzzare, pensò Pansy, perché quella era Hogwarts e tutto era possibile.
E lei non avrebbe augurato una cosa del genere neppure al suo peggior nemico.
Si fece strada lungo i corridoi del terzo piano, seguendo le scale per l’unico posto dove sarebbe riuscita a godere della pioggia e avrebbe potuto fumare senza troppe ripercussioni, il loggione dietro la Torre Sud. In realtà di loggioni ce n’erano quattro, uno dietro ogni torre, ma voleva mettersi il più lontano dalla Torre Nord, la torre dei grifoni.
I mocassini regolamentari della divisa, che portava solamente a scuola per apparire inosservata da quando Draco se n’era andato, le consentirono di dirigersi verso il loggione senza fare nessun rumore ma, quando arrivò lì, si accorse che qualcun altro aveva già occupato il suo posto.
E quando vide chi fosse, aguzzando la vista per scorgere qualcosa più che una manciata di lineamenti sotto la pioggia battente, scelse di rimanere.
Che sciocca, avrebbe dovuto pensare che non erano i grifoni gli unici animali capaci di volare.
– Parkinson – la salutò cortesemente Anthony Goldstein, aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta al riparo della tettoia di pietra.
– Goldstein –
Erano entrambi prefetti ed era capitato di fare ronde insieme, così come era capitato anche di scambiare chiacchiere indolenti durante i loro giri. Goldstein era sempre stato così educato e schietto da far capire a Pansy che sapeva perfettamente quello che tutti quanti pensavano di lei ma a non rivolgerle mai gli stessi epiteti.
Pansy si sistemò non troppo lontano da Goldstein, la vicinanza dettata dalla cortesia che si sentiva in dovere di rispettare anche in un momento come questo. Tirò fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette e ne estrasse una alla rosa, una marca francese di cui Daphne aveva comprato diverse stecche quell’estate.
Sul pavimento del loggione ristagnavano polle d’acqua, piccole pozzanghere che si formavano nelle crepe delle mattonelle sbreccate. Lampi di luce illuminarono il viso di Goldstein mentre si girava verso Pansy, buttando per terra la sigaretta prima di calpestarla con il piede e di estrarne un’altra dal pacchetto, evidentemente quella sera era proprio nervoso.
Anche Pansy lo guardò, un’espressione impassibile sul volto.
– Roger Davies ha scritto a Lisa, ha un messaggio per sua sorella. Potresti recapitarglielo tu? –
Una saetta che attraversò il suo pensiero suggerì a Pansy di rispondere che lei non parlava con Tracey, ma si ricordò in tempo che non avrebbe mai potuto dire niente di simile ad un estraneo.
– Certamente – rispose, anche se qualcosa le diceva che quella di Goldstein era tutto fuorchè una domanda.
Anthony sorrise, lentamente, il viso illuminato dalla fiamma dell’accendino azzurro. Prima di parlare, fece un tiro dalla sigaretta – Attenta ai leoni.
Pansy sbattè le palpebre – Scusami?
– E’ il messaggio – disse Goldstein con un sorriso – Per Tracey.
Per un attimo Pansy aveva pensato che quel messaggio fosse per lei, e non sarebbe stato neanche troppo strano. Celò il suo stupore dietro la cortina di ferro racchiusa nel mezzo dei suoi occhi ed annuì con un unico gesto, secco.
– Novità del Prefetto Malfoy? –
– Nessuna –
– Anche se ci fosse, non me la diresti, sbaglio, Parkinson? –
– Non puoi incolparmi per questo, Goldstein –
– Naturalmente – rispose Anthony con un sorriso gentile che aveva allo stesso tempo qualcosa di vagamente canzonatorio.
Le parole che uscivano dalla bocca di Pansy erano lame taglienti, che prima di tutto dilaniavano la sua bocca, lasciandola impastata di sangue. Il proprio – Non hai freddo?
Anthony rise – E’ un invito ad andarmene molto cortese, ma è sempre un invito ad andarmene – buttò anche la seconda sigaretta, ormai ridotta ad un mozzicone, per terra, la pestò con la suola di gomma della scarpa e dopo aver gettato un’ultima occhiata alla pioggia oltre la tettoia si girò verso l’ingresso della scuola, il mantello drappeggiato sulle sue spalle come se ci fosse qualcuno da impressionare.
– Buona nottata, Parkinson – la salutò Goldstein prima di entrare – Ricordati di dirlo a Tracey, anche se non ho la minima idea di che cosa significa: attenta ai leoni.
Era naturale, considerò Pansy, che Anthony Goldstein non riuscisse a capire il significato di quell’avvertimento.
Le aquile volano sempre troppo in alto.

***

I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you
Since I don’t have you, Guns N’ Roses

Era il pensiero di Draco che la teneva sveglia la notte, erano i suoi occhi che la facevano annaspare fra le coperte di cotone verde. E quando dormiva, in occasioni progressivamente più rare, i sogni di Pansy erano agitati e finivano sempre con un urlo o con del sangue
Si svegliava di scatto, il corpo sconvolto dai singhiozzi di Millicent disteso di fianco al suo e, dall’altra parte, Daphne, immobile come una statua con i grandi occhi spalancati.
Coltri come una prigione, di uno spessore soffocante l’avvolgevano nei suoi sogni, macchiandola del sangue che da essa filtrava, tatuandoglielo indelebile sulla pelle.
Dov’era Draco adesso?
Coperte che portavano il nome di rimorso, lo stesso rimorso che le stringeva il cuore come una mano impietosa.
Non era stata abbastanza brava per lui. Era questo il motivo per cui se n’era andato, non si era sentito amato, e di sicuro lei non aveva fatto del suo meglio per facilitargli il compito. Avrebbe dovuto fare di più, dare di più, dire di più, avrebbe dovuto fargli capire che tutto quello che provava per lui era così forte da non permetterle nemmeno di respirare, quando lui non c’era.
Ora Draco se n’era andato, e tutto quello che le restava in mano era…rimorso.
E la sfuggente sensazione di non poter condividere quel rimorso con nessuno.
Quando si svegliò, quella mattina, uscendo da una serie di sogni travagliati quasi come la prima notte dopo La Fuga, la pioggia non era ancora cessata.
Una volta che arrivò in Sala Grande, fortunatamente, le furono risparmiate le occhiate che fino ad appena qualche giorno prima qualunque Slytherin che entrasse in mezzo ad una folla si guadagnava.
– Guarda che roba – commentò Parvati Patil al tavolo di Gryffindor.
– Stai parlando della gonna, vero? – le diede manforte Lavender, versandosi nel bicchiere un’abbondante dose di succo di zucca – Mi chiedo se Pansy Parkinson sappia che è cresciuta da quando aveva dodici anni e che, purtroppo, si è allungata.
Parvati, per amor del vero, si sentì in dovere di dire a Lavender la stessa cosa, ma stette zitta preferendo riversare tutto il suo astio sul gruppetto di Slyhterin che, appena dietro la Parkinson, si stava silenziosamente riversando in Sala Grande.
– Anche se, – continuò Lavender – Se vogliamo parlare di gonne corte non c’è nemmeno bisogno di andare troppo in là, voglio dire, hai visto Mandy Brocklehurst stamattina? Quello è un francobollo, non è una gonna ––solo che su di lei non è nemmeno così volgare come sulla Parkinson.
Parvati sgranò gli occhi, colpita dalle parole dell’amica – Lavender, ma non è neanche la stessa cosa! Credi sul serio che una…una biscia – disse, trovando particolarmente appropriato quell’epiteto per Pansy Parkinson – possa avere la stessa classe di un usignolo?
Hermione alzò gli occhi al cielo senza dire nulla. Altro che usignolo, Mandy Brocklehurst era a dir poco un vero e proprio pavone.
– Hermione, mi passi il caffè? –
– Certo – porse una mano verso la brocca sollevandola, facendola passare davanti ad un Ron Weasley completamente assorto nella lettura di Baudelaire per recapitare il caffè davanti a Harry.
– Ron, sei davvero ossessivo – commentò Ginny scuotendo la testa – E’ una cosa malata –
Da parte di The King non ci fu altro che un grugnito strozzato che esprimeva tutta la sua disapprovazione per la frase pronunciata dalla sorella.
– Non mangi niente, Ron? – chiese Hermione dolcemente, porgendogli un vassiono di plumcake.
Soltanto allora Ron si decise ad alzare la testa, restituendo alla ragazza uno sguardo affranto che le passò attraverso – Mangiare? Come posso mangiare quando la donna della mia vita è due tavoli più in là?
Automaticamente, sia Harry che Hermione seguirono la direzione degli occhi di Ron, fino a trovarsi a fissare il visetto sorridendte di Mandy Brocklehurst.
– Ron, stai diventando davvero ridicolo – disse Hermione stizzita.
Ginny applaudì sopra il suo succo di zucca – Finalmente qualcuno che la pensa come me – concordò.
– Ridicolo, eh? – chiocciò Ron offeso – Siete voi che non sapete che tragedia sia l’amore non corrisposto! Insensibili, anche tu, Hermione, ed io che ti chiamavano amica! –
La smorfia sul viso di Hermione si accentuò, le sue labbra si assottigliarono ulteriormente ed Harry pensò che sarebbe forse stata una saggia idea mettersi ai ripari prima che la tempesta si scatenasse. Alzò la testa per osservare il panorama che la Sala Grande gli offriva, cercando un’eventuale via di fuga che sarebbe potuta pervenerigli tramite Dean Thomas o Seamus Finnegan, ma il suo sguardo si fermò su una figuretta vestita di verde che passò affianco a lui.
Daphne Greengrass.
Il disprezzo arricciò automaticamente le labbra di Harry in un movimento involontario, ma la ragazza, che si stava dirigendo al tavolo di Slytherin, non diede nessun segno di essersene accorta.
Quella mattina Daphne era da sola, priva della sua compagna o del suo cagnolino, rispettivamente Pansy Parkinson e Tracey Davies. Harry, del resto, non perse tempo a chiedersi come e perché, visto che dietro di lui la tempesta era scoppiata con fulmini e tuoni di rito.
– Perdi le tue giornate così, cercando poesie stupide per una ragazza stupida – Hermione prese un profondo respiro, fermandosi un secondo per raccogliere le idee prima di ripartire in una tirata che avrebbe fatto invidia a Molly Weasley – quando potresti studiare, Ron, non ti sei accorto che la tua media è scesa incredibilmente quest’ultimo anno? –
– Gesù Hermione, ti rendi conto che la mia vita non è soltanto studio? Qual è il tuo problema, dimmelo! –
Harry sospirò rumorosoamene desiderando con tutte le sue forze di poter affondare la testa nel piatto. – Ginny… –
– Ginny cosa? Se pensi che li fermerò, sei fuori strada – rispose la Weasley, guardandosi nello specchietto rosa che aveva tirato fuori dalla borsa. – Almeno così Ron reagisce –
Non aveva tutti i torti, ma Harry desiderava comunque che, perlomeno di domenica mattina, le sue orecchie non venissero violentate dalla confusione che i suoi due migliori amici stavano facendo per un motivo che, almeno a parer suo, aveva davvero del ridicolo.
– Aria di tempesta? – chiese Dean sedendosi affianco a lui. – Qual è il motivo della contesa? – indicò con un cenno del capo Hermione e Ron per far capire di cosa stesse parlando, nonostante fosse perfettamente inutile.
– Mandy Brocklehurst – rispose Harry cupamente.
Dean sollevò le sopracciglia con aria eloquente e dalla bocca di Seamus, che stava arrivando in quel momento, fuoriuscì un fischio sommesso.
Ginny alzò la testa dallo specchietto per rivolgere ai due ragazzi appena arrivati un tacito saluto, il suo sguardo si soffermò sul fratello e l’amica soltanto per un breve istante prima di saettare fuori dal tavolo di Gryffindor, verso le vetrate della Sala Grande.
La pioggia, che continuava a battere in quel momento, aveva qualcosa di irresistibilmente cupo: naturalmente, si disse Ginny, era pur sempre pioggia, ed in quanto tale qualcosa di completamente fuori da fenomeni misteriosi e oscuri presagi.
Nuvole di un grigio spento oscuravano il sole, lasciando la Sala Grande in una specie di penombra illuminata solamente dal soffitto stellato, scuro come il cielo di quella mattina di Ottobre fatta eccezione per i bagliori bianchi emanati dalle stelle. Un tuono più forte degli altri fece sobbalzare Ginny sulla sua sedia, e il suo sguardo si diresse verso il portone nell’Atrio, dal quale stavano entrando, ridendo, Lisa Turpin e Anthony Goldstein completamente fradici, con il pacchetto di sigarette che usciva dal taschino della divisa.
– Naturalmente oggi pomeriggio c’è allenamento – disse Harry per far zittire Ron, che continuava ad inveire contro Hermione, il libro di poesie di Baudelaire dimenticato sul piano del tavolo, fra i plumcake e le aringhe.
– Naturalmente – ripose Ron senza neanche aver sentito sul serio quello che l’amico aveva detto.
Ginny respirò profondamente, infastidita dalla piega che le cose stavano prendendo. Aveva programmato un pomeriggio di dolce far nulla, e adesso Harry, per coprire in qualche modo la sua totale mancanza di spina dorsale, aveva pensato bene di occuparglielo con una cosa così inutile come l’allenamento.
– Perché mi guardi così? –
Ginny sbattè le palpebre – Così come? – chiese, accorgendosi soltanto in quel momento che per tutto quel tempo aveva continuato a guardare fisso l’oggetto dei suoi pensieri.
– Come se volessi buttarmi giù dalla torre di Astronomia – rispose Harry scrollando le spalle, mentre Dean e Seamus sogghignavano alle sue spalle, mimando una scenetta che, secondo loro, spiegava con chiarezza cosa invece volesse fare lui sulla torre di Astronomia.
Ginny, tuttavia, non ci trovava nulla da ridere nel loro comico teatrino, si limitò a serrare i denti e a scuotere la testa, sforzandosi a spostare lo sguardo truce sulla tavolata di Slytherin – Non ti stavo guardando proprio in nessun modo –
Decise che l’atmosfera lì stava diventando troppo pesante, quindi si alzò in piedi per raggiungere il tavolo di Ravenclaw, circumnavigando quello di Hufflepuff dal quale Hannah le fece un saluto che lei ricambiò soprappensiero.
Si diresse verso Luna Lovegood e le battè su una spalla. Più o meno tutti tranne Luna si voltarono verso Ginny che sospirando già al colmo dell’esasperazione si mise davanti alla sua amica, con non poche difficoltà visto l’ostacolo rappresentato dalla lunga tavola.
– Ciao Ginny – salutò Luna come se nulla fosse – Hai sentito anche tu un Ricciocorno Schiattoso che ti batteva sulla spalla? Non mi sono girata per non mandarlo via, ma in realtà bisognerebbe catturarlo con una corda d’argento.
– Come no – rispose Ginny roteando gli occhi. Si sedette sulla sedia libera vicino a Luna, salutando Lisa Turpin seduta dall’altro lato.
– Che cosa sta succedendo al tuo tavolo? – chiese Lisa con curiosità, facendo dardeggiare gli occhi verso Ron ed Hermione, il primo paonazzo per la rabbia e la seconda addirittura in piedi. Per fortuna il trambusto tipico della domenica mattina in Sala Grande impediva ad alcunché che non si trovasse abbastanza vicino di ascoltare il discorso.
Ginny si strinse nelle spalle – Hanno un piccolo diverbio relativo alla vita sentimentale di mio fratello –
– Oh, capisco – dal tono nella voce di Lisa Turpin, Ginny comprese che aveva capito veramente, anche perché stando a stretto contatto con Mandy Brocklehurst nessuno potrebbe non capire – Puoi rassicurare la Granger, credo che l’oggetto della lite non sia minimamente interessato –
– Lo penso anche io – disse Ginny con una smorfia – Nessuno sano di mente potrebbe esserlo – si morse la lingua per non dire che in fin dei conti Mandy ricopriva pienamente quest’unico requisito, ma gli occhi di Lisa le assicurarono che avrebbe anche potuto dirlo.
– Guarda un po’ chi arriva, la Caposcuola Bletchey – commentò Lisa spostando gli occhi sulla ragazza in questione, che avanzava verso il tavolo di Slyhterin dalla parte opposta della Sala.
Ginny fermò gli occhi su di lei; Miles Bletchey, Prefetto e Caposcuola fin da quando era stato possibile darle tali onorificenze. La ragazza che aveva guidato gli Slyhterin, intelligente, con i voti migliori del suo anno, molto carina, gentile, onesta ed ambiziosa.
Miles Bletchey, un relitto.
– Sai che Michael Corner ha vinto dieci galeoni? – sussurrò Lisa rivolta a Ginny senza neanche staccare lo sguardo dalla Caposcuola – Terry Steeval invece ne ha perso un sacco, lui aveva puntato tutto quanto su Pansy Parkinson.
Qualcosa nello stomaco di Ginny si contrasse con forza.
– Lo sapevate che con la pioggia i Vermi Saltellanti escono a fare le tane? – informò Luna con aria molto giudiziosa. Lisa ebbe il buon gusto di stare zitta, Ginny invece non la sentì proprio; i suoi occhi erano calamitati dalle gocce d’acqua che battevano contro i vetri, creando disegni del tutto casuali che la nuova ondata di pioggia subito cancellava.
Lisa si battè un dito sul mento – Sono mai arrivati alle mani?
Questo però Ginny lo sentì benissimo, e si girò appena in tempo per vedere anche Ron alzarsi, Dean e Seamus che lo guardavano interessatissimi ed Harry, esattamente in mezzo ai due contendenti, che aveva la faccia di qualcuno che avrebbe dato il suo regno per una passaporta. – No, non mi pare -
– Certo che se ne stanno proprio dicendo, eh – Lisa impietosamente rigirò il coltello nella piaga – Per cosa hanno iniziato, se non sono indiscreta?
Ginny non ebbe problemi a risponderle – Baudelaire –
Lo sguardo comprensivo che Lisa le rivolse valse più di mille parole.

***


– Ehi, Parkinson, cosa ci fai qui sola soletta? – non era cattiveria, aveva soltanto voglia di rompere qualcosa, di…distruggere.
Dopo aver visto la ragazza di cui era innamorato essere gelosa di quel povero cretino di The King, sentiva il bisogno di sfogare la propria frustrazione. Fare del male, ecco.
Voleva fare del male a qualcosa di bello.
– Vattene – le sue parole erano acciaio tagliente, una lama secca che non prevedeva rifiuti né deviazioni – Se stai cercando rogne, allora sei venuto dalla ragazza giusta – Pansy alzò la testa dicendo queste parole, guardando senza paura né, a dir la verità, qualsiasi altra espressione percepibile sul suo viso Cormac McLaggen.
Lui fece un passo avanti, arrogante e forte della sua superiorità.
La Sala dei Trofei era immersa nell’oscurità, e Pansy tese la bacchetta davanti a sé – Lumos
Il viso di McLaggen, la fronte contratta dalla rabbia, furono subito visibili, Pansy aprì la bocca di nuovo ma lui fu più veloce. – Petrificus Totalus
Pansy, già seduta a terra, si immobilizzò. Fortunatamente non cadde perché dietro di lei c’era una teca di vetro, la stessa teca verso la quale McLaggen avanzò, sembrano perdere tutto l’interesse verso la ragazza pietrificata ai suoi piedi.
– Cercatore, Draco Malfoy, 1996 – lesse ad alta voce su uno degli scudi dorati che recavano incisi i nomi dei giocatori della squadra di Slyhterin anno dopo anno. La sua espressione si indurì ulteriormente e si inginocchiò a terra, davanti a Pansy che lo guardava immobile. – Cosa si prova ad essere maltrattati, Parkinson?
Le tirò un calcio con noncuranza – E’ questa la fine che vi meritate voi Slyhterin, soli, annegati nelle vostre colpe. Cosa fai ora che non ci sono più Malfoy e Zabini a difenderti?
Anche se non fosse stata immobilizzata, Pansy non avrebbe detto niente lo stesso. L’unica cosa che poteva fare in un momento come questo era guardare McLaggen, guardare un Gryffindor buono e leale, guardare l’eroe che si comportava come ci si aspettava da lui.
Anzi, forse avrebbe desiderato per parlare, per sputargli in faccia l’incoerenza di cui si faceva macchia e riversargli addosso il proprio veleno, quel fiele amaro che stagnava sotto il suo palato, pericolosamente simile al sangue.
– Te lo meriti, Parkinson. Merlino solo sa quanto te lo meriti – ringhiò rabbioso McLaggen – Quando vedi Malfoy, diglielo. Diglielo pure, non ho paura, digli che Cormac McLaggen lo sta aspettando per ripassare anche lui così –
Erano questi i preziosi Gryffindor, così leali ed onesti.
La perfezione che svettava sulle alte torri, giudicati e prima ancora di tutto giudici.
– Schifosi cani, figli di Mangiamorte, sono andati ad unirsi a lui per farci del male, vero? Bene, ecco come ci difendiamo noi –
Violetta.
– L’inferno, l’inferno vi meritate! – aveva smesso di colpirla, anche se aveva smesso di fare male molto tempo prima – Malfoy, Zabini, Nott…tutti quanti, se soltanto li avessi fra le mani… –
Cosa faresti?, chiese Pansy nei suoi pensieri guardandolo silenziosa. Non erano parole vane e lei lo sapeva bene, in quel momento Cormac McLaggen credeva in ognuna di quelle, dalla prima all’ultima, e per le sue parole avrebbe combattuto con la sua stessa vita.
Non lo considerava un pazzo, perché stava facendo esattamente la cosa che anche lei avrebbe fatto, era lei quella considerata la cattiva. Da non considerarlo un pazzo a non fargliela pagare, però, c’era una distanza infinita, sollevò gli occhi verso le finestre quando il rumore della pioggia si intensificò.
Anche Cormac McLaggen parve sentire quel suono, ma lo fraintese completamente interpretandolo come un rumore di passi. – Ecco cosa ti meritavi, Parkinson, per tutte le volte che Malfoy e Zabini mi hanno attaccato quando ero da solo. Se tornano assicurati di recapitargli il messaggio.
Pansy ricordò un altro messaggio che avrebbe dovuto recapitare, la guancia poggiata contro il marmo freddo del pavimento e la bocca semiaperta, il viso e le gambe tumefatte.
Attenta ai leoni.


Every battle has its glory
and its consequence
Glory and Consquence, Ben Harper



***



Ciao a tutti! Questo capitolo è più duro, forse anche troppo, e non mi piace granchè com'è venuto…non odio Cormac, come non odio i Gryffindor, anzi, ad essere sincera probabilmente li preferisco agli Slytherin, ma ho sempre avuto l’idea che in realtà i ruoli bullo–vittima non fossero proprio quelli che ci sembra di vedere dal punto di vista di Harry. Ron è stupido e Harry senza spina di dorsale, non fraintendetemi, amo entrambi ma non mi sono mai sembrati delle cime :P Fra Tracey e Daphne c’è una relazione un po’ particolare, sì, e i dettagli saranno svelati nei prossimi capitoli. Intanto ringrazio tutti coloro che hanno recensito e anche quelli che si sono semplicemente limitati a leggere senza dire niente.
P.S.: Rocket Queen è il titolo di una canzone dei Guns N’ Roses…le possibili interpretazioni sono due, Regina Razzo o Regina delle Stelle, anche se molti optano per la seconda ;) e sì, è Pansy!

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Capitolo 3
*** Fire and Ice ***


Capitolo 2: Fire and Ice


That you can't trust freedom
When it's not in your hands
When everybody's fightin'
For their promised land
Civil War, Guns N’ Roses


Il sogno in cui era caduta le ricordava l’Eden, per certi versi, profondo ed intoccabile quanto splendido alla vista e all’udito.
Nastri di luce rosata le penetrarono le palpebre, spingendo prepotentemente contro la sua pupilla. Pansy spalancò gli occhi senza riuscire ad aprirli, continuando a cadere di nuvola in nuvola prima di atterrare su una superficie che aveva la stessa morbida consistenza del velluto e l’identico filo di un rasoio.
Si girò di scatto con un movimento ripetuto mille e mille molte volte ancora, il sogno sotto di lei che spariva non appena cercava di guardarlo.
La sua gola stava andando a fuoco ma presto si accorse che quella sensazione non le dava fastidio come aveva immaginato: il calore smorzato si stava diffondendo in tutto il corpo, attraversandole le vene e lanciando brividi di anticipazione lungo la sua spina dorsale.
Provò a muoversi lentamente, ben consapevole di non poter guardare giù per non perdere la spigolosa sostanza del sogno su cui era adagiata, ma le gambe sembravano non voler rispondere ai suoi comandi, rimanendo immobili, parallele ed inspiegabilmente insensibili. Il calore che la percorreva era addirittura piacevole, partiva dalla punta del naso fino a propagarsi nel suo ventre, fermandosi lì, senza arrivare alle gambe, fredde e lisce come il marmo.
Sollevò prima una palpebra e poi l’altra, soltanto per un istante. L’aria nella Stanza dei Trofei era calma e pesante allo stesso tempo, così densa attraverso la porta chiusa che le parve di non avere, in realtà, aperto gli occhi affatto.
– Che cos’hai? –
Pansy cercò di girarsi ma le sue gambe non obbedirono agli stimoli. Inarcò la schiena per gettare la testa all’indietro ma nemmeno così vide nulla, accecata dal riverbero di luce che cadeva dalle fitte nuvole nel cielo ceruleo.
– Che cos’hai? –
La domanda non era neanche rivolta a lei o forse solamente voleva crederlo, ma riconosceva la voce meglio di quanto potesse pensare: una voce infantile, in falsetto, la voce di una bambina sgraziata e cattiva. Improvvisamente ringraziò che le sue gambe fossero congelate, paralizzate, perché così forse non avrebbe visto il viso affilato di Bellatrix Lestrange. Dietro di lei, il suono cristallizzato della quiete si interruppe, infranto dal rumore di qualcosa che cadeva e frusciava, come seta cruda contro pelle.
– Tu sei la fidanzata di Draco, non è vero? – chiese Bellatrix, la voce grottesca serena – Da quanto tempo non lo vedi? –
La paura che Pansy provava era irrazionale, quello era solamente un sogno e in quanto tale non avrebbe avuto affatto ripercussioni su di lei, in nessun modo. A dire la verità non conosceva neanche il motivo della sua paura per Bellatrix, un timore irrazionale e bruciante che le inzuppava di sudore la camicia. La lingua di Pansy sembrava aver completamente perso il suo utilizzo, al pari delle sue gambe, rimase incastrata nel palato senza muoversi, rossa come le labbra che la rinchiudevano nella bocca.
– Pansy?
Si sarebbe dovuta decidere a rispondere prima che potesse succedere qualcosa di sbagliato; cosa non lo sapeva neanche lei, ma qualunque cosa in un momento come quello non sarebbe stata auspicabile, imprigionata in una gabbia di terrore.
– Draco – si azzardò a dire con voce tremante, sentendosi più viva dopo aver pronunciato quelle parole, che rotolarono sulla sua lingua come se scottassero – Dov’è? Che cosa gli hanno fatto? –
Si era trattenuta dal dire quell’”avete” che le bruciava la gola, il calore che si era diffuso nel suo corpo stava progressivamente iniziando ad aumentare, il macigno che sembrava posato sulle gambe fredde invece non accennava proprio ad andarsene.
– Stai parlando di Draco? – Bellatrix scoppiò a ridere con una risata tagliente
Pansy annuì senza girarsi, decisa a scendere a patti con la visione mostrando un interesse per lei e per le parole che stava dicendo. Respirò profondamente sentendo la trachea colpita da una lama di ghiaccio che le tolse il fiato, cercò di articolare una frase più lunga ma fallì miseramente, non riuscendo a ripescare le parole in nessun lembo della sua mente.
Bellatrix sorrise – Vuoi vedere Draco?
– Dove sono? Tutti loro…dove sono? –
E’ soltanto un sogno, si disse Pansy sentendosi schiaffeggiare nonostante Bellatrix non accennasse a muoversi, solamente un sogno.
La voce di Bellatrix si addolcì, diventando quasi gradevole nella stucchevole imitazione di una bambina – Lascia che te lo mostri –

***

Non era così che sarebbe dovuto andare, Pansy ne aveva la certezza graffiante mentre assisteva imponente allo spettacolo che le si stagliava davanti.
– Fammi andare – strillò verso Bellatrix – fammi andare da lui –
– Tu mi hai solo chiesto come stava –
Se le lacrime che attraversavano il viso di Pansy erano veramente lacrime, quelle che invece solcavano il volto di Blaise erano stille di fuoco, era acqua incandescente che scorreva sul suo corpo martoriato.
– Digli che lo lascino andare – disse Pansy tremando.
Bellatrix la guardò mentre un sorriso infantile piegava le sue labbra rosse – Posso anche farlo, ma non cambierà nulla, Pansy. Quello che vedi è solo una cosa che è già successa –
Gli occhi di Pansy si tinsero di rosso, mentre la luce che si riversava in quel capanno arso dalle fiamme esplodeva in una cascata di luce, riverberi rossi e scintillanti che consumavano il corpo di Blaise.
– Non sta succedendo veramente –
Bellatrix non disse niente.
Le urla di Blaise bastarono a riempire quel silenzio.

***

Un eco di suoni si accavallarono nella mente di Pansy, grida, strilli ed immagini confuse un istante prima che le unghie di Bellatrix si conficcassero nella sua pelle. Lottò con tutte le tue forze per non cadere e per continuare a respirare, soffocata dall’odore agre di sangue che le pizzicava le narici e dalla vista del corpo di Blaise, dilaniato sotto i suoi occhi.
– Vuoi vedere qualcos’altro? –
La voce di Bellatrix aveva perso tutta la sua dolcezza, pungente ed affilata come le lame che si stavano conficcando nella gola di Pansy, simili a spine da quanto erano appuntite che la inchiodavano al suolo sotto di sé, formando un contrasto intollerabile con l’erba appena tagliata del campo da Quidditch.
– Non voglio sentirti! – urlò Pansy.
Doveva ricordare, riuscire a capire l’incantesimo che Bellatrix aveva lanciato per permetterle di vedere Blaise, doveva sapere e dopo doveva mostrarlo a tutti.
Legilimens!
Bellatrix non dovette neanche chiudere gli occhi per evitarla, rifuggendo abilmente dallo sguardo di Pansy che fissava la sua mente con tutta la forza di cui era capace – Non sarà abbastanza – disse con un tono di voce rauco che denotava un certo sforzo – Di certo non è leggermi la mente la chiave per uscire di qui –
Aveva perso le sue gambe e ormai ne aveva la certezza più assoluta, chiedendosi che cosa le stesse succedendo e che cosa Bellatrix fosse venuta a fare nel suo sogno.
Se soltanto fosse riuscita a scapparle o a scoprire quell’incantesimo…
Non le servì una particolare concentrazione ma bastò soltanto la piega che il vento prese in un determinato momento; il rumore che faceva strusciando i suoi vestiti contro il terreno e il lampo che passò negli occhi della donna accanto a lei.
Quando capì, Pansy sentì il suo cuore sgravarsi da un peso che si depositava più in basso, sul ginocchio offeso dai colpi di McLaggen.
– E’ una bugia – disse con una scioltezza che le spezzava il cuore, ed a riprova della propria tesi pronunciò la parola con cui era stata ingannata, prima di aprire gli occhi di nuovo – Confundus –

***

Because maybe
You're gonna be the one who saves me ?
And after all
You're my wonderwall
Wonderwall, Oasis

La camera aveva un profumo di rose moscate, la luce soffusa del pomeriggio di un giorno di Maggio filtrava dalle finestre socchiuse davanti alle quali soffici tende di un azzurro molto chiaro, quasi trasparenti, svolazzavano pigre, sospinte da una brezza lieve.
Da dove Pansy era distesa si riuscivano a scorgere ben tre letti a baldacchino, tutti quanti con identici tendaggi blu scuro pesantemente drappeggiati da sbarre d’acciaio malamente nascoste dalla stoffa.
I riverberi ramati di una chioma rossa scendevano sopra di lei come una cascata, una testa china in riflessione che si illuminò come se il sole avesse improvvisamente battuto sul suo viso.
– Mi hai fatto prendere un colpo – disse Lisa Turpin compostamente, sebbene la sua voce tremasse di sollievo trattenuto.
Pansy trasse un profondo respiro, sentendosi come se i suoi polmoni stessero per esplodere da un momento all’altro – Allora siamo in due – si interruppe come se parlare le costasse grande sforzo e socchiuse gli occhi, sentendo un formicolio nelle gambe prima di tornare con lo sguardo su Lisa Turpin – Cos’è successo? –
– Questo devi dirmelo tu – nella voce di Lisa fremette una nota di impazienza trattenuta.
– Niente che non possa sbrigare da sola – rispose Pansy, sorridendo appena per alleggerire la frase pronunciata con una determinazione fredda e sicura.
Lisa aggrottò le sopracciglia, apparentemente combattuta fra il contestare o meno la decisione della ragazza – Come vuoi – disse infine sospirando rumorosamente – anche se penso tu debba aspettare un po’ prima di alzarti –
– Non abuserò della tua ospitalità ulteriormente – disse Pansy con calma – Ti ringrazio per avermi portata qui e non in infermeria, ma ora è meglio che ritorni ai Sotterranei. Daphne si starà chiedendo che fine abbia fatto –
– Non devi preoccuparti – rispose Lisa – ho mandato Anthony ad avvertirla –
Pansy inarcò le sopracciglia, nascondendo a stento la sua sorpresa – Anthony Goldstein? Chi altro sa della mia piccola…
– Defaillance? – Lisa scosse la testa con un sorriso grazioso – solamente io e lui. Sapevo bene che non avresti avuto piacere che la notizia trapelasse, quindi mi sono premurata di mandar fuori Mandy e il suo seguito.
Pansy sapeva che con “seguito” Lisa si riferiva a Morag Mc Dougal e Padma Patil, quindi le fu grata di questo: una fuga di notizia, come già la Ravenclaw aveva puntualizzato, sarebbe stata una cosa estremamente sgradita – Grazie – ripetè, appoggiando i palmi delle mani sul materasso soffice – Ritorno in camera –
– Parkinson, non sei di nessun disturbo – sbuffò Lisa con aria divertita, senza celare però un’espressione preoccupata nel momento in cui, mentre si puntellava per mettersi a sedere sul letto, Pansy si lasciava sfuggire una smorfia di dolore. Lisa diventò improvvisamente seria, scostandosi dal viso una ciocca di capelli ramati – Posso fare qualcosa per te? Non esitare a chiedermelo?
– Hai già fatto troppo – ribattè Pansy, sentendo una lama pungerle il petto quando si rese conto che quella disavventura le era costato un aiuto troppo caro – Non capiterà più –
– Di sicuro non è stata colpa tua, non penso che ti sia divertita a colpirti le gambe fino a renderle quasi inutilizzabili – rispose Lisa con una nota pungente di fastidio nella voce che non riuscì a coprire abbastanza in fretta.
Tuttavia Pansy abbozzò un sorriso appena accennato, mettendosi in piedi con non poche difficoltà, muovendo alcuni passi accennati verso la porta che improvvisamente si aprì, lasciando entrare nella stanza Anthony Goldstein.
Appena vide le due ragazze, il suo volto si aprì in un sorriso – Sveglia, Parkinson? Non conoscevo questa tua abitudine di riposini pomeridiani – nelle sue parole non c’era traccia né di scherno né di asprezza, cosa di cui Pansy gli fu riconoscente – Pensi che sia prudente muoverti già? – proseguì Anthony, senza risparmiare le gambe della Slyhterin da un’occhiata apprensiva.
– Ben più che prudente che restare qui – rispose Pansy.
Lisa alzò le mani – Non ti mangeremo –
– Non voi – disse Pansy con un sorriso ironico, gettando ai tre letti vuoti un’occhiata che le sembrava essere sufficientemente esplicativa.
Anthony si strinse nelle spalle – Dunque Daphne Greengrass ha fatto un giro a vuoto.
– Cosa intendi dire?
Il ragazzo guardò Pansy con aria divertita – Intendo dire che è in Sala Comune a ingaggiare una battaglia di sguardi con i Ravenclaw del primo anno, preoccupata a morte per te e attendendo soltanto un mio cenno per irrompere nella stanza. Credo che se non fosse stato per le mie calde raccomandazione avrebbe già sfondato la porta pronta a salvarti portandoti via –
Pansy si morse la lingua – Non ce n’era nessun bisogno –
– Non mi pare – rispose Lisa – eri in condizioni terribili, chi è stato, Parkinson? Sono un Prefetto, posso benissimo… –
– Lo sono anche io – replicò Pansy raggiungendo la porta – Tuttavia penso che agirò in modo più subdolo. Quando vedrete qualcuno aggirarsi per Hogwarts mutilato capirete a chi dovrete togliere punti –
– A te – disse pronto Anthony – Non fare sciocchezze –
Non le sembrava giusto che due Ravenclaw, per quanto intelligenti, schietti e buoni potessero essere, dovettero darle consigli sulle sue prossime azioni. Evidentemente anche Lisa lo capì, visto che si limitò ad abbassare la testa in direzione di Pansy a mo’ di saluto – Ci vediamo in giro –
– Grazie ancora – disse Pansy prima di uscire dalla porta e richiuderla dietro di sé.
Una volta sola nel corridoio, mentre si dirigeva a passo spedito verso le scale, Pansy serrò i pugni che il suo solo orgoglio le impediva di tirarsi in testa. Come potevano, intelligenti come da tradizione, non capire che la loro offerta di aiuto, per quanto provvidenziale, la metteva in una spiacevolissima situazione? Non avrebbe potuto accettare e probabilmente anche loro lo sapevano bene, limitandosi a dire quello che avevano detto per una semplice questione di etichetta ma comunque offendendola, pure involontariamente.
Era consapevole che sia Lisa Turpin che Anthony Goldstein erano pieni di buone intenzioni, talmente pieni che Pansy si stupiva che il loro cuore non fosse scoppiato o, in alternativa, non fosse scoppiato il cappello di pentimento per non averli cacciati ad Hufflepuff quando ne aveva l’occasione. Nonostante questo era una vera e propria offesa e tutte le buone maniere del mondo non avrebbero potuto lenire l’affronto che le avevano recato offrendole in quel modo così schietto e pulito di aiutarla.
Il suo sguardo corse al corridoio che, intorcigliandosi attorno a lei, sembrava non volerla portare da nessuna parte: un’altra stramberia di quegli strani Ravenclaw, come confermarono i passi affrettati che sentì dietro di sé.
– Te l’avrei detto, se me ne avessi lasciato il tempo – disse Lisa Turpin raggiungendola in fretta, ancora ansimante per aver camminato in fretta – La Torre è incantata, non puoi uscire se non conosci la strada –
Guarda un po’, pensò Pansy, a Slyhterin in quel caso non ti lasciano neanche entrare.
Lisa non si lasciò scomporre affatto dalla totale mancanza di risposta di Pansy – Vieni – disse semplicemente.
La guidò in silenzio per quel corridoio il tempo di una manciata di secondi, prima di arrivare a delle scale a chiocciola che scendevano in un buco apparentemente nero.
– Ti faccio strada – disse Lisa sbarrandole il passo prima di calarsi davanti a lei lungo le scale – Il corridoio che hai percorso in realtà ha uno spazio che è tranquillamente coperto in meno di un minuto – probabilmente anche senza girarsi sentì l’occhiata perforante di Pansy sulla sua schiena visto che aggiunse in fretta – Nel caso che tu ti chiedessi se questa Torre è un labirinto senza fine –
Pansy si astenne dal rispondere, concentrandosi sulla discesa che nelle sue condizioni risultava quasi ardua. Non si era soffermata ad osservarsi il viso ad uno specchio o a controllare le gambe, ma dal modo in cui le dolevano era quasi sicura che non dovessero avere un bell’aspetto.
- Siamo quasi arrivate - disse Lisa, e man mano che scendevano una fievole luce iniziava ad intravedersi sotto di loro. Pansy si appoggiò al muro circolare che circondava le scale e senza nessun preavviso sbucò nella Sala Comune di Ravenclaw.

***

He was turned to steel
In the great magnetic field
Iron Man, Ozzy Osbourne


Daphne è una figura della mitologia greca, ninfa della montagna, figlia del fiume Peneo e amata sia dal mortale Leucippo che dal dio Apollo.
Il mito di Daphne ha come prologo l'uccisione da parte del dio Apollo del serpente Pitone. Fiero di sé il dio del Sole si vantò della sua impresa con il dio dell'Amore Cupido, schernendolo per il fatto che le sue armi, arco e frecce, non sembravano adatte a lui. Cupido, deciso a vendicarsi, colpì il dio con una freccia d’oro, in grado di far innamorare alla follia dei e mortali della prima persona su cui avesse posato gli occhi dopo il colpo, e la ninfa Daphne, di cui Apollo si era invaghito, con una freccia di piombo che faceva rifuggire l'amore.
La ninfa colpita dalla freccia di piombo appena vide Apollo cominciò a fuggire. Apollo iniziò allora ad inseguirla, finché non giunse presso il fiume Peneo, pregando il padre di aiutarla (o secondo altre varianti la ninfa si rivolse alla Terra). Daphne si trasformò così in un albero d’alloro. Il dio, ormai impotente, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra.
Sembrava così fuori luogo in mezzo a quell’opulenza cerulea, un serpente in un nido di aquile che lo circondavano, lasciandogli come unica via di scampo lo scivolare lungo quelle rocce scoscese sulle quali si era arrampicato per amore.
- Te l’ho riportata - forse quelle parole di Lisa erano fuori luogo, ma Daphne non le prese come tali, si limitò ad annuire mentre un piccolo sorriso comparve brevemente sul suo viso.
- Grazie - rispose, passandosi una mano fra i lunghi capelli biondi. Sembrava voler guardare dappertutto tranne il viso di Pansy, il suo sguardo che sfuggiva verso le vetrate azzurre che precludevano l’accesso all’aria sferzante - Scusa per il disturbo -
Lisa sorrise - Nessun problema - si avvicinò al ritratto e sussurrò la parole d’ordine, che sia Daphne sia Pansy ebbero la decenza di non ascoltare, restando ferme al loro posto - Ci vediamo -
- Sì - ebbe la forza di rispondere Pansy, evidentemente sconvolta da quello che era successo. Uscì fuori dal piccolo cunicolo lasciato dal ritratto spostato mollemente, quasi come se il corpo non le appartenesse più.
Prima di parlare, Daphne aspettò che fossero lontane dalla Torre, incastrate in un pertugio fra due armature. Fu chiaro entrambe che se non sbattè Pansy contro il muro era perché qualcuno l’aveva già fatto soltanto poche ore prima.
- Cosa ti è successo? - Era un vero e proprio attacco, forse non era nelle intenzioni di Daphne Greengrass ma la voce era uscita dalla sua bocca rauca e graffiante, come se si fosse sgolata fino ad inibire le sue corde vocali - Pansy, chi ti ha fatto questo? -
- Lo risolvo io - erano le stesse parole che aveva rivolto a Lisa, ma avevano perso molto della loro sicurezza - Lascia stare, è tutto risolto? -
- Tutto risolto? - Daphne dovette fare uno sforzo immane per non mettersi a gridare - Hai idea di cosa ho pensato quando ho visto arrivare Anthony Goldstein con un’aria da funerale dicendo che doveva dirmi una cosa? -
- Che fossi scappata -
Non avrebbe dovuto dirlo, ma Pansy se ne rese conto un attimo dopo del tempo limite per salvarsi, ed ormai le parole erano state pronunciate, calme e soavi ma tuttavia roboanti nelle loro orecchie, come echi insistenti mai stati prodotti.
Daphne tuttavia incassò il colpo con eleganza, accontendandosi di sbiancare - Pansy - disse, incerta su cosa aggiungere dopo - Dimmi chi è stato, non ti chiederò altro. Ti prometto che non farò nulla -
- Non fare promesse che non puoi mantenere - sussurrò Pansy con voce morbida - Sappiamo entrambe che andresti lì e cercheresti di spaccargli il viso -
Una pallida furia brillava negli occhi di Daphne mentre annuiva - Non mi limiterei a quello - disse con risoluzione - potrebbe dirsi fortunato se riuscisse anche soltanto a respirare, dopo -
Una strana tenerezza invase il petto di Pansy, sciogliendo il blocco di ghiaccio che gravava sul suo stomaco impedendole quasi di respirare. Aveva visto quell’aria combattiva addosso a Daphne molte volte, ed ognuna di quelle era stato per lei.
Un' esile ninfa che nessuna freccia sarebbe stata in grado di trafiggere, fosse di oro, di piombo o rovente, dritta nelle sue carni morbide che tuttavia si indurivano quando si trattava di proteggere qualcuno, di proteggere lei.
- No - disse semplicemente Pansy.
Daphne la guardò per un lungo istante, soppesando la sua negazione con quegli occhi perforanti che la scuotevano da cima a fondo, rivoltandola e scavandola, spogliandola di tutte le sue bugie prima di gettare da parte ogni singolo impedimento alla sua felicità - Come vuoi - concluse - Ma non prometterò -
L’insolita durezza che aveva serrato i suoi lineamenti se ne andò piano piano, lasciando che il suo viso tornasse ad essere disteso, sereno. Tese la mano per cercare quella di Pansy e, quando l’afferrò, la sua stretta era sicura.
E seppe bene che, per lei, la sua anima era un prezzo che avrebbe pagato di buon grado.

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Capitolo 4
*** Tumbling Dice ***


Attenzione, nella parte iniziale del capitolo c’è sangue, e parecchio. Se qualcuno pensa che potrebbe farsi impressionare allora salti in blocco; del resto il rating R non è qui a caso.
Per le note ed i ringraziamenti individuali vi rimando a fine capitolo ^_^



Capitolo 3: Tumbling Dice




She's got eyes of the bluest skies
As if they thought of rain
I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
Sweet Child Of Mine, Guns N’ Roses


Lo specchio davanti a lui andò in mille pezzi quando lo colpì con un mugolio di frustrazione. Schegge di vetro gli volarono addosso, graffiandogli il viso, le braccia ed addirittura il torace coperto dal mantello strappato. I tagli non erano profondi, tuttavia il sangue iniziò a sgorgare da essi copioso, mischiandosi ai pezzi dello specchio che erano rimasti conficcati nella carne.
Dolore.
Si rese conto che era il dolore la chiave, l’unica cosa che sarebbe riuscito a farlo sentire vivo. Cadde in ginocchio fra i cocci che gli trafissero le gambe, lacerando i pantaloni neri e ferendo la pelle già escoriata.
Tuttavia prima ancora del dolore la scossa che lo attraversò fu una scossa di adrenalina, potente e sicura, quella sensazione di onnipotenza che tanto gli era mancata.
Seppe subito cosa avrebbe dovuto fare.
Scelse con cura uno dei cocci di vetro più grossi, forse il migliori fra quelli imbrattati di sangue per terra, ed arrotolò la manica sinistra della giubba. Non ebbe nemmeno l’accenno di un’esitazione.
Se non fosse riuscito a lavare con il sangue il suo peccato allora non sapeva come avrebbe potuto, deciso a scavare via dal suo braccio anche la vita se fosse stato necessario.
Gli si annebbiarono gli occhi dal dolore quando incise la pelle con il vetro, la sua mano tremò un istante soltanto per diventare più ferma e sicura, in un’eccesso di pazzia e di rabbia mentre scavava la pelle marchiata, lacerando la lingua del serpente di inchiostro. Che fosse inchiostro, però, non era sicuro; l’unica cosa che ricordava di quel momento era una sensazione di dolore infinito, il fuoco vivo che gli bruciava il sangue nelle vene e la pelle del braccio, sostituendola a quel marchio di morte e di dolore.
Lo stesso dolore che si stava infliggendo, non con la forza della disperazione ma con quella della volontà: volontà di mutare quell’orrore a costo della sua stessa vita.
Aveva già deciso in precedenza che la vita non sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare in cambio della sua assunzione, prosciolto da ogni accusa con solo quella misera cauzione, una vita che non avrebbe avuto ragiione se già predestinata da un disegno privo di alcun senso. Se c’era un senso naturalmente a lui sfuggiva, congelato dalle sue parole e dall’orrore che portava nel cuore, chiuso a doppia mandata e la chiave in fondo al pozzo dei suoi pensieri.
Un’altra scarica di dolore attraversò il corpo di Draco quandò un brandello di carne sfigurata da un teschio bianco cadde ai suoi piedi, grondante di sangue, infilzandosi nel vetro. Lui la guardò con orrore come se fosse una persona vivente, aspettando che si contorcesse davanti ai suoi occhi chiedendo pietà.
La pietà che può avere un assassino per il suo mentore, ben più grande di quella che potrebbe provare contro qualunque morto.
Vittima e carnefice.
Quando completò la sua opera non urlò di dolore solo perché non voleva farsi sentire, il suo braccio irrimediabilmente sfigurato e tinto di un rosso cupo che continuava a sgorgare a fiotti, la pelle mutilata dal vetro che gli lacerava la mano.
Finalmente era pulito.
Non pensò neanche per un istante di lasciarsi morire; se gli dèi avessero voluto non avrebbe sofferto per nulla, strappò con la mano sana un pezzo del mantello già distrutto e dopo aver pronunciato a bassa voce una formula che almeno in teoria avrebbe dovuto alleviargli il dolore e provocare sollievo alla ferità lo legò intorno al braccio con una scioltezza che aveva imparato in anni e anni di silenzioso spionaggio. Si meravigliò di non essere svenuto subito.
Avrebbe dovuto andarsene prima che riuscissero a riprenderlo; non sapeva bene se Theodore fosse riuscito o meno a coprire la loro fuga ma la speranza era l’unica cosa che gli restava. Sentì la mente annebbiarglisi progressivamente mentre le ultime scariche di adrenalina si smorzarono, si appoggiò alla ringhiera di legno con le mani insanguinate quando le gambe gli tremarono.
– Draco! –
Non era l’ideale che Blaise lo vedesse in quelle condizioni visto che avrebbe potuto protestare per curarlo e questo li avrebbe indicibilmente rallentati. Con uno sforzo immane nascose il braccio sinistro sotto il mantello ed uscì in fretta dalla stanza, sbattendosi alle spalle la porta che cigolò.
– Arrivo –
– Dobbiamo ripartire, non c’è tempo – disse Blaise raggiungendolo – Non avremmo mai dovuto fermarci, saranno sicuramente sulle nostre tracce –
– Hai sentito il marchio bruciare?
Soltanto in quel momento Blaise sembrò accorgersi dei graffi sul viso di Blaise e sulle sue ginocchia, fortunatamente il mantello copriva sia il torace che il braccio, altrimenti non ci sarebbe stato nessun modo di ingannare il ragazzo – Cielo, Draco, cosa ti sei fatto? Stai bene? –
Avanzò con la mano tesa verso di lui probabilmente per saggiare i suoi graffi ma Draco si ritrasse indietro di scatto, mordendosi il labbro inferiore per non urlare dal dolore che quel movimento improvviso gli aveva causato.
– Sto bene, stai tranquillo, sono soltanto caduto, non è la fine del mondo – disse in tono sbrigativo, sperando che questo sarebbe bastato a chiudere la questione. Fece una pausa per raccogliere le idee e per non imporre alla propria voce di non tremare – Adesso andiamo, non c’è tempo. Hai sentito il marchio bruciare? –
– No – rispose Blaise guardandolo stupito – perché, tu sì? –
– Nemmeno io –
Blaise guardò Draco senza capire il senso delle sue parole: aveva l’aria significativamente sconvolta e il viso attraversato da graffi che per fortuna sembravano essere estremamente e che avevano smesso di sanguinare o forse non avevano mai sanguinato affatto – Sei sicuro di poter ripartire? –
– Naturalmente – disse Draco con un moto di impazienza – Questo discorso ci sta già costando troppo tempo, andiamo –
Blaise annuì a malincuore con un sospiro, ma gli bastò vedere il passo spedito con cui Draco uscì dalla baracca per essere rassicurato sulle sue condizioni: non doveva stare poi così male se riusciva a camminare in quel modo.
Naturalmente la realtà dei fatti era ben diversa: che Draco camminasse spedito era innegabile, ma lo erano altrettanto le smorfie di dolore puro che gli piegavano la bocca.
Avanzarono nella foresta rapidamente per qualche ora, la bacchetta di Blaise accesa per fare luce nel fitto intrico di rami che precludevano al sole qualunque possibile accesso alla foresta.
Nell’aria stagnava un forte odore agre, pungente, l’odore di cose secche che stanno andando in putrefazione. Draco intuì subito, attraverso i fiotti di dolore che gli stringevano il cuore in una morsa, che dovevano esserci ben più di un cadavere sparpagliati per la foresta. Sperò di non incontrarne nessuno.
Blaise non gli aveva più chiesto se volesse fermarsi e Draco questo l’aveva apprezzato: sapevano entrambi che Draco non avrebbe potuto rispondere di no e anche la domanda era semplicemente troppo umiliante: gli attribuiva una debolezza sottintesa che nelle sue condizioni attuali era troppo.
Una zanzara volò davanti ai suoi occhi con un ronzio sommesso e Draco sentì un conato di vomito scuotergli lo stomaco quando sentì la puzza che emanava: era l’apice del marcio, lo stesso odore che produce una cosa morta.
Calpestò foglie secche che si sbriciolarono sotto i suoi passi, rivelando una voragine che lui non si fermò a controllare voltandosi indietro e che Blaise, dal canto suo, preferì aggirare senza nemmeno degnarla di un’occhiata.
La bacchetta di Draco, stregata dall’Incanto Quattro Punti, mostrava loro la strada, indicando la direzione giusta con un fascio di luce che fendeva gli alberi in un’immaginaria linea restta. Se fossero stati privi di bacchetta avrebbero comunque potuto trovare la strada seguendo i muschi aggrappati alle cortecce, stavano andando a nord.
Man mano che avanzavano però Draco sentiva la temperatura farsi sempre più calda, quasi tropicale, fino a diventare di un’intensità rovente tale da far presagire perlomeno una schiera di fornaci ad aspettarli.
– Per Salazar, Draco, tu non hai freddo? –
Con gli occhi sbarrati se ne rese conto dopo le parole di Blaise, non era la foresta a diventare rovente, era il suo braccio. Che fossero finiti in una foresta stregata del resto era facilmente intuibile, ma che questa facesse addirittura scaldare la temperatura a livelli così eccessivi era a dir poco assurdo, e Draco si maledisse a non averci pensato prima.
– Sì, forse sì – rispose a stento, serrando la mascella con forza come se questo gli impedisse di cadere a pezzi – Credi che manchi molto? –
– Oggi è il quinto giorno – rispose Blaise – Se andiamo avanti così dovremmo arrivare questa notte –
Draco annuì, Blaise del resto era l’unico che avrebbe potuto saperlo. Quando i Deatheater erano venuti a prenderli, aspettandoli ai margini della Foresta Proibita, avevano scelto di non smaterializzarsi, era troppo rischioso e un metodo facilmente rintracciabile: del resto i giovani Slyhterin erano talmente entusiasti di viaggiare che avevano percorso i primi tre giorni in fretta, per poi crollare dalla stanchezza all’alba del quarto. Tutti tranne Blaise, che aveva tenuto il conto di ogni cosa nel caso gli fosse potuto servire.
– Credi che gli altri stiano bene?
A quanto pareva Blaise era in vena di conversazione, una dote che in quel preciso istante a Draco mancava di molto, tuttavia si sforzo di rispondergli con la voce più ferma possibile – Credo di sì, hanno scelto loro di restare laggiù –
– Avremmo potuto farlo anche noi –
Draco si girò verso Blaise guardandolo con gli occhi spalancati – Te ne sei pentito? – chiese – Ti sei pentito di essertene andato? –
– Naturalmente no, pensavo che te ne fossi pentito tu – rispose Blaise con genuino stupore – Avevi litigato così furiosamente con Pansy che pensavo ti stessi già maledicendo per non essere rimasto coerente alle tue idee –
– Blaise – ringhiò Draco – Non adesso –
Non era un segno di debolezza o di codardia, semplicemente non desiderava pensarci, non desiderava pensare a lei.
– Come vuoi – rispose Blaise pacato. Era strano il modo in cui restava a rimanere calmo, a parlare così tranquillamente quando le sue lunghe gambe si muovevano così velocemente e lui era probabilmente stanchissimo dopo sei giorni di marcia quasi ininterrotta. Aprì la bocca per dire qualcos’altro ma poi la richiuse di scatto, gli occhi spalancati.socchiusi mentre uno spasmo di dolore gli attraversava il viso – Il marchio –
– Sta bruciando – non era una domanda quella di Draco, non poteva permettersi che risultasse tale – Blaise, vieni, dobbiamo andarcene ed in fretta, si sono accorti che manchiamo! –
Fece due passi avanti di corsa ed improvvisamente sentì il suo braccio andare a fuoco, sentendo la pelle ferita infiammarsi di un dolore troppo grande per sopportare, il suo piede mancò l’appoggiò e lui cadde rovinosamente a terra inciampando su una radice.
Tuttavia Blaise non fece caso alla sua caduta, troppo sconvolto dal dolore lacerante che faceva pulsare il marchio sul suo braccio, la sua prima chiamata di Mangiamorte e contemporaneamente la prima a cui non avrebbe risposto, sebbene il dolore fosse tale da essere proprio ai limiti della sopportazione. Si tirò su velocemente la manica della camicia ed osservò il disegno, i cui contorni neri erano diventati di un rosso acceso che brillava nella penombra della foresta. Se il Marchio avesse dovuto tracciare una direzione, alla stregua dell’Incanto Quattro Punti, avrebbe indicato il centro della terra.
Improvvisamente il dolore venne meno e i polmoni di Blaise ricominciarono a funzionare, l’aria che scese lungo la sua gola era così fredda da trafiggergli il petto e da serrare il suo cuore in una morsa d’acciaio – Stai bene? – chiese a Draco mentre la sua voce tremava.
Draco lo guardò, rimettendosi in piedi – Certo – disse. Poi guardò per terra.
Non era una radice quella sui ci era inciampato, era una testa.

***

Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality
Bohemian Rapsody, Queen


Ti amo.
L’aveva pensato tante di quelle volte ma non l’aveva mai detto e adesso ne scontava le pene, imprigionata nella gabbia di ipocrisia che lei stessa si era costruita attorno. Aveva provato a sbatterne il lucchetto contro il muro con tutte le sue forze, piangendo e gridando perché qualcuno la tirasse fuori di lì, graffiando la patina di acciaio che ricopriva le sbarre con le unghie distrutte ed aveva rinunciato ad ogni speranza di libertà, condannata alla massima delle pene: un’esistenza senza di lui.
Ti amo.
Sarebbe cambiato qualcosa se l’avesse detto?
Sarebbe riuscita a
(fermarlo)
prima che fosse troppo tardi e che lui se ne andasse, perdendosi in un golfo di dolore così lontano da lei?
Il cuscino bagnato di lacrime silenziose era l’unica cosa che adesso avesse valore nella sua vita; il ricordo costante dei suoi occhi grigi il solo pensiero che la facesse dormire. Era catartico ed era terribile pensarci, ma in fondo era la pura verità: lui non era più affar suo.
Era uscito dalla sua vita e non sarebbe mai più tornato.
La debolezza peggiore sarebbe stato mostrare il suo dolore, quella l’umiliazione inderogabile, ed il cuscino che stringeva come se ne andasse della sua stessa vita una scomoda prova che sarebbe svanita alle prime luci dell’alba.
Evanesco
Decise di non aspettare tanto perché non valeva la pena di rischiare e si ritrovò con le braccia vuote ed il cuore pulsante, gli occhi sbarrati nella notte ed i singhiozzi di Millicent l’unico rumore percepibile nella stanza.
Che cosa ne era del suo orgoglio?
Barattato per una notte di sonno e per un rasoio affilato con cui procurarsela, l’unico dolore autoinflitto che si concedeva: torturarsi il cuore fino a farlo sanguinare.
Soltanto allora poteva permettersi di chiudere gli occhi.
– Sei sveglia – quella che uscì dalla bocca di Daphne era una constatazione, non una domanda.
Pansy aprì gli occhi, puntandoli sull’ombre che la luce che filtrava dalla porta socchiusa generava sul soffitto – Anche tu –
– Rimpianti o rimorsi? –
– Entrambi –
Daphne stette in silenzio per qualche secondo, rigirandosi le parole sulla lingua fino ad essere sicura che sarebbero state esattamente quelle che lei voleva che fossero – Non torneranno –
– So anche questo –
Pansy trattenne il singhiozzo dietro le labbra serrate fino a che non fu sicura che non le sarebbe scappato, sfuggendo al suo controllo fino ad umiliarla nel peggiore dei modi. A giudicare dal suo respiro regolare Tracey stava dormendo, al contrario di Millicent che continuava a piangere, ma Pansy non si fidava abbastanza per poter parlare liberamente.
Piccola traditrice.
Schifosa mezzosangue che aveva perso la sua unica opportunità di riscatto, troppo stupida per capire che nel dolore avrebbe potuto trovare un’occasione.
Ma la cosa che più di tutte infastidiva Pansy era il modo in cui si relazionava con Daphne; ne sembrava perdutamente innamorata e magari lo era davvero: ossqueiosa ed adorante, una giovane debosciata che avrebbe venduto anche la propria anima per compiacerla.
– Non devi odiarla per forza – come al solito Daphne aveva captato esattamente i suoi pensieri, con la scioltezza che derivava da anni ed anni di una confidenza così profonda da essere scritta sotto la loro pelle.
– Non devo nemmeno astenermi dal farlo –
– Perché fai sì che tutto sia così difficile? –
Se c’era una cosa che caratterizzava Daphne era la sua cripticità, la stessa che Tracey idolatrava e che ogni volta mandava Pansy fuori dai gangheri.
Tuttavia, vedendo che non le arrivava alcuna risposta, Daphne pensò di rivolgere la sua attenzione a qualcuno che forse le sarebbe stato più grato – Millicent, stai bene? –
Inutile, parlare al muro avrebbe avuto risultati migliori.
– Millicent, tesoro? –
Dei singhiozzi più accentuati dei precedenti le indicarono che aveva finalmente catturato la sua attenzione, ma da qui ad ottenere una risposta la strada sarebbe stata indubbiamente troppo lunga per essere percorsa in una sola notte.
Pansy sospirò profondamente, tremando quando le lenzuola fredde si abbassarono sul suo petto – Non ti risponderà, non risponde mai a nessuno –
Era surreale, quasi comico, parlare in quel modo di una persona che era nella loro stessa e stanza e le stava sentendo benissimo.
Il primo sospetto che il sonno di Tracey fosse soltanto una finzione nacque in quel momento nella testa di Pansy; nessuno sarebbe riuscito a dormire con tutti quei bisbiglii e quei singhiozzi, soprattutto nessuno che vantava sempre di avere un sonno leggerissimo.
La Viola, il simbolo della passione e dell’intelligenza, un delicato profumo che racchiudeva dolcezza. Si dice che un tempo la viola fosse bianca ma che quando fu colpita dalla freccia di Cupido, Dio dell’amore, per la ferita amorosa diventò purpurea.
Emblema di amore e morte, il simbolo del sacrificio supremo.
Pansy avrebbe aderito a quel sacrificio da un momento all’altro, anzi, avrebbe scelto qualunque via pur di girare la sorte a favore di Draco, qualunque cosa sarebbe stata meglio della decadenza in cui la sua perdita la stava lentamente trascinando.
Il Decotto del Sonno che Daphne le metteva ogni sera sul comodino da due settimane a questa parte spacciandolo per tisana ebbe effetto dopo pochi minuti.

***


While my heart is a shield and I won't let it down
While I am so afraid to fail so I won't even try
Well how can I say I'm alive
Life for Rent, Dido


Aspirò un’altra boccata dalla sigaretta ormai al termine.
– Fumare così tanto ti farà male –
Ginny alzò gli occhi al cielo: aveva sentito quel ritornello ormai tante di quelle volta che si era abituata a non rispondere più, perfettamente consapevole della rovina verso cui stavano correndo i suoi polmoni e felicissima di questo.
– Ginny, non sto scherzando –
Si voltò verso Harry con lo sguardo vacuo, le sopracciglia inarcate in un’atteggiamento che denotava la totale mancanza di espressione.
– Non sei tu che sta fumando, sono io –
– Fumi troppo –
– Cosa centri tu? –
Harry incassò quel colpo con eleganza, limitandosi a sollevare le spalle ed alzare il mento, dandosi un tono per volgere quella frecciata a suo favore – Assolutamente niente, ma sicuramente Ron sarebbe molto triste se tu morissi –
Touchè.
Ginny seppe bene di essersi meritata quello ma non tutto il resto; un conto era una frecciata ed un conto era quell’atteggiamento esasperante, a metà fra l’interessamento e il totale menefreghismo di cui Harry faceva sfoggiò sempre più spesso.
Naturalmente era sempre lei a provocarlo, cercando una parte scoperta nella sua corazza, cercando un punto da ferire per ripagare tutto quello che aveva sofferto a causa sua.
Inconsapevole carnefice che si trovava contemporaneamente a svolgere il ruolo della vittima, nella parodia di un amore soffocato da mucchi di foglie secche ancora prima di potersi accendere.
Ostentando una deliberata indifferenza Ginny tirò fuori dalla tasca un altro pacchetto di sigarette all’ aroma di rosa e se la mise fra le labbra, accendendola con un rapido incantesimo sottovoce, aspirando con tutta la sua forza parodiando il gesto per renderlo più evidente.
Harry sospirò esasperato, spostando il peso da un piede all’altro e chiedendosi esattamente cosa ci facesse là a farsi ferire da lei.
– Esci ancora con Anthony Goldstein? –
– Chiedo scusa? –
– Goldstein – sbuffò Harry – Lo vedi ancora? –
Ginny lo guardò da sotto le ciglia semi abbassate – Perché? Ron sta cercando di ucciderlo? Digli che si risparmi la fatica, non usciamo più insieme –
Le sue parole erano decise, esattamente le parole di una persona che sa esattamente quello che vuole dalla sua vita e come prenderlo.
E allora perché la realtà era così diversa?
Da qualunque angolazione Ginny guardasse Harry, gli sembrava sempre di vederlo attraverso un velo, che offuscava il suo viso per renderle più sopportabile la contemplazione dell’unica cosa che le era negata e che ogni giorno si negava da sola.
Mascherò con un movimento secco e veloce il tremito della mano mentre portava la sigaretta alla bocca senza vedere realmente Harry davanti a lei, o perlomeno cercando con tutte le sue forze di concentrarsi sul gargoyle di pietra che adornava il loggione della Torre Nord.
– Non smetterai di fumare, non è vero? –
– E tu non smetterai di rompermi le scatole? –
Diceva sempre la cosa sbagliata ma farlo era una tentazione a cui non sapeva resitere, in cinque anni aveva imparato bene che privarsi di qualcosa da soli era il modo migliore per evitare di venirne privati.
Harry sorrise ed alzò la testa verso il cielo, preferendo alla vista di Ginny e della sua faccia tosta quella delle stelle, che almeno non lo avrebbero insultato per ogni parola che fosse uscita dalla sua bocca. Sembrava quasi che, adesso che Malfoy non c’era più, Ginny avesse accettato il posto vacante come se lo avesse sempre sognato.
Ma a lui non importava, bastava soltanto che non decidesse di scappare anche lei.
– Giove è ben visibile questa sera –
Harry non chiese quale fosse Giove perché troppo stupito dalle parole appena pronunciate da Ginny in un tono basso e soffice, come se fossero morbido velluto scivolato dalla sua bocca.
– Ma tu non sai neanche quale sia Giove, non è vero? –
Come volevasi dimostrare.
– Lo sai qual è la cosa pazzesca delle stelle? – sembrava che Ginny avesse deciso di abbandonare la sua offensiva e di elevare Harry dal rango di suo sottoposto a quello di suo pari, intavolando una discussione civile in cui non erano contemplati insulti.
– Quale? – Harry si sforzò di essere il più naturale possibile, passandosi con un movimento inconscio una mano fra i capelli per scompigliarli.
– Che hanno delle ripercussioni su di noi –
Harry si voltò verso di lei senza capire quello che gli aveva appena detto, trovandola con la testa alta e sulle labbra una smorfia che di allegro aveva ben poco: le sue labbra sottili erano serrate così strettamente da conferire una rigidezza ai suoi lineamenti che la facevano sembrare più grande –
Tu mi fai paura.
– E’ strano se ci pensi, ma sono solo stelle – disse Ginny socchiudendo gli occhi – Ma c’è chi fa oroscopi e chi ci crede anche, quando è impossibile pensare che il fatto che una stella sia maggiormente visibile un giorno piuttosto di un altro possa stabilire una data di morte –
La sua voce fremette di frustrazione ed Harry smise di guardare le stelle per guardare lei, bevendo le sue parole come un assetato nel deserto che ha imparato a nutrirsi di sabbia cementandosi la gola.
Ora le labbra di Ginny furono piegate da un sorrisetto ironico e la sua voce assunse un tono più dolce, smielato, il tono di una bambina vezzosa – E tu dovresti saperlo meglio di tutti gli altri, no? –
– Tu pensi veramente che la sorte delle persone sia racchiusa nelle stelle? –
Ginny lo guardò sbattendo le palpebre – Che io lo creda o no, c’è gente che lo sostenga. Qualcuno, perlomeno, ci crede –
– Ma tu ci credi o no? –
Che un discorso di tale arguzia fosse intrapreso da il Bambino-Che-Era-Sopravvissuto-Ma-Il-Suo-Cervello-No stupì Ginny e rimase con la bocca socchiusa per qualche istante, indecisa su quale sarebbe stata la sua prossima mossa – E tu? –
– No. Se fosse così dovrei accettare passivamente il mio futuro, che sia esso la morte o la vita, e nel secondo caso sarebbe tutto a posto, ma nel primo allora che senso ha che io continui a vivere? – Harry fece una pausa – Se la nostra esistenza fosse già pianificata soltanto perché questa sera Giove è visibile faremmo meglio ad essere morti –
Una tale profondità di pensiero Ginny non se l’aspettava di certo, e rimase in silenzio sentendo il freddo farsi più intenso ed un lungo brivido gelato attraversarle la schiena.
– Pensi che mi stia sbagliando? – chiese Harry gentilmente.
– No – replicò Ginny, ingoiando l’orgoglio ed accendendosi la terza sigaretta della serata, prendendosela con i propri polmoni per non picchiare Harry. Gli aveva appena fatto scacco matto e lei reagiva in quel modo?
Sbuffò una nuvoletta di fumo all’aroma di rosa che le impregnò i capelli di quell’odore dolce, che si sposava con il profumo di magnolia racchiuso in una boccetta ormai quasi vuota.
Sapendo che adesso dire qualunque cosa, arrabbiata com’era, avrebbe potuto compromettere ulteriormente la propria dignità - il sospetto che Harry non avesse preso quella conversazione come una sfida non l’aveva sfiorata nemmeno lontamente - alzò di nuovo la testa verso il cielo, continuando a fumare con la sigaretta stretta fra le dita con una forza tale che rischiava di spezzarla da un momento all’altra.
Una volta tanto Harry aveva ragione: era ridicolo pensare che un pallino illuminato in mezzo al cielo avesse qualche influenza su di lei. Naturalmente c’era anche gente che ci credeva, ma non si poteva far altro che compatirli.
Ugualmente assurdo era basarsi sugli oroscopi o su avvenimento passati che si ripetono ciclicamente per fare predizioni di qualsiasi tipo.
– Siamo noi gli artefici del nostro destino – disse quietamente Harry.
Sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi, Ginny pensò che in qualunque caso si sarebbe sentita una perdente lo stesso.
Girò i tacchi e, buttando per terra la sigaretta ancora accesa, rientrò nel castello.





***





Immagino che tutti quanti avrete notato quella parentesi nel (fermarlo), cosa insolita per me. L’ispirazione la devo ad una moda di fanfiction che girava un po’ di tempo fa, mi pare iniziata da AlyssFleur (ma perdonatemi se sbaglio) in cui metà fanfiction era scritta normalmente e metà fra parentesi.


Sieny: Grazie mille dei complimenti, mi fai arrossire. Beh, il senso di colpa c’è sempre, anche se credo che le due coppie non possano coesistere: o l’una o l’altra.
Babi89: La perfezione, dici? Mi piacerebbe molto ma sono ben consapevole di essere lontana da essa, ma ricercarla è un modo come un altro per passare il tempo ;)
Jiujiu91: Hai ragione, Lisa è buonissima, in modo eccessivo, ma stare così tanto tempo insieme a Mandy deve provocare per forza qualche effetto negativo, altrimenti sarebbero tutte quante le sue migliori amiche! Grazie dei complimenti, smack.
Franceskina: Sì, Pansy è talmente affezionata a Daphne e viceversa che a volte sembrano più due fidanzatine che due amiche, ma i rapporti molto stretti fra ragazze sono sempre così, c’è moltissimo contatto fisico dietro ad una grande amicizia.
Carillon: Probabilmente non meritavo questo onore, ma ti ringrazio e spero che anche questo capitolo sia all’altezza.
Angel: Qui finalmente avrai Draco: smagliante come sempre ma temo non altrettanto in forma…
Lilli: Addirittura? Caspita, grazie!

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Capitolo 5
*** Hide and Seek ***



Capitolo 4: Hide and Seek


Her face is a map of the world
Is a map of the world
You can see she's a beautiful girl
She’s A Beautiful Girl, KT Turnstall


Il diavolo è ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini.
Chiamarla diavolo non gli pareva tanto eccessivo se pensava per più di un attimo all’effetto che gli faceva: l’incapacità di parlare e la sudorazione aumentata erano scherzi da bambini se paragonati all’assoluto stordimento che la sua presenza gli provocava ogni volta.
– Che ne dici, Harry, amico? – Ron fece una pausa tenendo il libro aperto davanti a sé – Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera: come una bella donna su guanciali profondi ––
Dean inarcò un sopracciglio – Perché non provi con qualcosa di più classico?
Seamus annuì – Sì, tipo… “Il tuo vestito starebbe benissimo sullo schienale del mio letto” –
– Oppure, se vuoi fare il romantico, “Avrai le gambe stanche, visto che hai attraversato la mia mente tutta la settimana” – aggiunse Dean compiaciuto del proprio ingegno.
Neville scoppiò a ridere, controllando tuttavia con la coda dell’occhio Ron per vedere quale sarebbe stato il contegno più auspicabile che dovesse tenere.
Vedendo che Ron non reagiva, continuando a carezzare il libro di Baudelaire stretto al petto, Seamus colse la palla al balzo – Ne vuoi una spinta? Senti qui “Non ti ha mai detto nessuno che la mia bacchetta è lunga diciotto pollici?” –
Improvvisamente un mugolio seccato interruppe le loro pacche vicendevoli sulle spalle – Siete veramente dei villani! – li aggredì Hermione.
– Andiamo, Mione – sbuffò Seamus alzando gli occhi al cielo – Stiamo solo scherzando –
– Ron si prende troppo sul serio – disse Dean solidale.
Sarebbe stato difficile essere seduti lì, fra Hermione e Ron, e riuscire a non ascoltare nemmeno una parola di quello che dicevano, ma Harry aveva le orecchie che ronzavano e sarebbe stato molto più arduo per lui sentire.
Lei, il diavolo.
La carnagione diafana del viso spruzzata da piccole efelidi che sembravano tracciare un disegno sulle sue guance, circondate da lunghi capelli di un caldo colore ramato che gli suggerivano quell’appellativo che mai quanto allora gli era parso appropriato.
Ogni sua parola, a chiunque fosse rivolta ed in qualunque tono pronunciata, era una stilettata al cuore di Harry per un motivo che nemmeno lui riusciva a definire. Anche vederla in quel momento, a ridere con Demelza per un qualche motivo assolutamente stupido, era troppo più di quanto lui potesse sopportare.
Ginny non gli aveva mai mostrato quel sorriso. Era quello il punto focale: la sua totale freddezza, la cortina di ghiaccio che scendeva sul suo sguardo ogni volta che i suoi occhi si posavano su quelli di lui per errore, perché era chiaro che i sentimenti che provava per lui non l’avrebbero mai indotta a farlo volontariamente.
Era odio puro e di questo Harry ne aveva un chiaro sentore, l’unica cosa che non riusciva a capire era perché.
Che il diavolo avesse potere di assumere una forma piacente lui lo sospettava ormai da un pezzo e l’aveva ipotizzato la prima volta che si era accorto quanto Ginny fosse bella. Non una bellezza volgare come quella di certe donne patinate che trovava in cima né una quieta sensualità celata sotto un visetto acqua e sapone: era qualcosa di più.
Un brillìo che si nascondeva dietro un’incredibile durezza, una lama di acciaio così infinitamente bella oltre lo scintillio che ne garantiva l’assicuratezza.
Un’arma a doppio taglio con cui lui sarebbe stato l’unico a ferirsi, e lei non avrebbe contemplato nemmeno per sbaglio l’idea di rinfoderare il coltello o perlomeno di smussare la lama che gli trafiggeva il petto inchiodandolo al muro senza respiro.
Che in precedenza fosse stata lei ad essere stata ferita era in realtà la cosa che più gli faceva male, con quella stessa lama che era il suo sorriso affilato l’aveva pugnalata noncurante prima di accorgersi che stava uccidendo anche se stesso.
Adesso era il turno di Ginny di colpirlo, sebbene a lui sembrasse che la sua morte stesse durando da tutta un’eternità.
– E questa? “Amo ogni muscolo nel tuo corpo, specialmente il mio” –
– Seamus Finnegan! – urlò Hermione oltraggiata.
Ginny posò il bicchiere sul tavolo e poi si voltò verso Seamus per vedere cosa stesse succedendo, ma nel mentre il suo sguardò si fermò su quello di Harry.
Lui, in quel breve segmento di tempo che separava l’impossibile dall’inevitabile, congelato in una realtà che lo stava soffocando, si chiese cosa sarebbe successo.
Avrebbe distolto lo sguardo o sarebbe stata restia a spostarlo, restando anche lei cristallizzata in una frazione di tempo che non apparteneva a nessuno dei due e contemporaneamente aveva lo stesso sapore di una pagina di storia inevitabile su cui non aveva mai osato poggiare lo sguardo?
Si fece tutte quelle domande e poi l’attimo era passato, rapido, duro come una condanna a morte ed invitante come la speranza di una salvezza che non gli sarebbe mai spettata di diritto.
Gli occhi di Ginny l’avevano attraversato da parte a parte come se non lo avesse visto realmente, infrangibile pietra nascosta nei morbidi lineamenti di una giovane donna.
Tutto quello che ho fatto
Harry si chiese cosa avrebbe fatto se lo sguardo di Ginny si fosse fermato sopra il suo. Avrebbe racimolato abbastanza coraggio per guardarla immobile, sopportando le sue ciglia nere stendersi sulla pelle chiara in quell’esempio di perfezione dettata dal filtro che offuscava i suoi occhi mostrandogliela come la più bella creatura dell’universo?
O si sarebbe limitato ad abbassare lo sguardo e nulla di poetico ci sarebbe stato nel suo gesto, dimostrando solo come quello di un codardo che aveva avuto paura di affrontare il dolore che aveva causato?
È stato farti del male.
Si preannunciava un’altra giornata di pioggia ma avrebbe dovuto sopportare lo stesso l’allenamento, volando da una parte all’altra del campo di Quidditch quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare con la sua scopa era darsela in testa oppure usarla per impiccarsi all’albero più alto del giardino. Sapeva bene che neanche una tempesta avrebbe ostacolato l’inevitabile: un pomeriggio sotto la pioggia in cui, se fosse stato fortunato, avrebbe potuto rimediare un’influenza che l’avrebbe tenuto lontano dai compiti di pozioni per almeno una settimana.
L’avrebbe tenuto lontano anche da lei, ma nelle condizioni in cui era questo era un altro risultato ampiamente opinabile.
– La morte degli amanti –
Harry sobbalzò e guardò Ron cadendo dalle nuvole – Che cosa? –
– Certo che in questi giorni non ci sei proprio con la testa – disse quello scuotendo la testa – Parlo della poesia di Baudelaire. In una giornata piovosa come questa il mio umore è fondamentalmente malinconico, ed anche la mia Mandy è in sintonia con me: è vestita di blu!
Hermione alzò gli occhi al cielo mentre Harry girava la testa verso la ragazza in questione – Ronald, la divisa dei Ravenclaw è blu –
– Dettagli – la liquidò Ron con un gesto della mano fissando sognante il cielo oltre le vetrate della Sala Grande. Le nuvole, così tante da coprire completamente il cielo e dunque anche il sole, imprigionato da qualche parte oltre quella coltre fitta, stavano assumendo tonalità che vertevano da un violetto cupo al nero.
– Ron, ti vorrei ricordare che oggi pomeriggio abbiamo allenamento di Quidditch – disse Harry masticando le parole con fastidio, come se fosse per lui un impegno improcrastinabile e contemporaneamente sgradito come nulla al mondo.
The King sorrise – Bene, così Mandy potrà ammirare i miei fasci di muscoli guizzare nel cielo come nessuno ha mai fatto per lei –
– Fasci di muscoli? Quelli che hai al posto del cervello e che ti servono per produrre quel sorriso stupido, vero? – la voce di Ginny era tagliente come un rasoio, priva di qualunque traccia di ironia che una persona più accorta e meno incline ai litigi avrebbe saggiamente versato in quella frase.
– Che cosa vuoi? – chiese Ron belligerante, chiudendo il libro di Baudelaire mentre il rombo di un tuono faceva eco al suo scatto improvviso – Qualcuno per caso ti ha chiesto qualcosa? –
– Sì, l’ultimo neurone che ti rimane mi ha chiesto aiuto – Ginny alzò gli occhi al cielo, stringendo le labbra nella stessa smorfia che Harry le aveva visto fare la sera prima, sul loggione.
Era pazzesco. Ogni sua singola mossa gli dava un motivo per essere felice e mille per andare veramente ad impiccarsi con la scopa.
Ginny evitava di guardarlo ma di questo soltanto un cieco non se ne sarebbe accorto: decidendo una buona volta che cosa fare Harry scelse di prenderla in contropiede e fare una cosa che lei non si sarebbe mai aspettata: rivolgerle la parola – Dunque secondo te Ron non potrebbe dichiarare il suo amore ad una ragazza con una poesia piuttosto che usare le frasette squallide, senza offesa, ragazzi, che gli hanno suggerito Dean e Seamus? –
– Non è questo il punto – ogni volta che si arrabbiava le guance di Ginny si tingevano di una sfumatura di rosso che si sposava con i suoi capelli, e la punta delle sue orecchie diventava di un colore non meglio definito che si sarebbe potuto etichettare come magenta. Harry personalmente non ci trovava niente di attraente nel fucsia, ma addosso a lei cambiava ogni cosa.
Ron si voltò verso Harry e gli rivolse uno sguardo di gratitudine mentre Hermione alzava gli occhi al cielo con una forza tale che le sarebbero potuti rimanere incastrati – Siete proprio dei bambini – mormorò frai denti.
– Se non è questo il punto dimmi tu qual è – disse Harry guardando Ginny. L’intonazione delle sue parole era dolce e parlava lentamente ma senza l’aria di sufficienza che lei spesso gli riservava – A me sembra che invece Ron si stia comportando in modo più maturo di…qualcun altro – scoccò un’occhiata eloquente a Dean e Seamus che, invece di prendersela, si godevano quello spettacolo come se fosse la premiere di un successo dell’Operà.
– Maturo? Ti pare maturo correre dietro ad una ragazza soltanto perché ci sta? – chiese Ginny aggrottando le sopracciglia.
A differenza di Harry il suo tono non era affatto tranquillo ma ribolliva di rabbia e nei suoi occhi si poteva leggere una tacita accusa, ma pochi l’avrebbero effettivamente letta. Harry la colse quasi per sbaglio, scovandola fra le pagliuzze azzurre e l’iride nera quanto il cielo sopra Hogwarts.
Cho.
Naturalmente a parere di Ginny lui per Cho si meritava l’ergastolo.
Ron socchiuse gli occhi infastidito, il libro di Baudelaire abbandonato sul tavolo – Stiamo parlando di ragazze che ci stanno? No, perché in quel caso allora anche io avrei un appunto da fare –
– Che cosa stai insinuando, Ron Weasley? –
Soltanto Harry si accorse che il casus belli, Mandy Brocklehurst, stava abbandondando la Sala Grande proprio in quel momento ben vicina a Terry Steeval, ma non disse niente per puro spirito di sopravvivenza.
– Io non insinuo proprio niente, – disse Ron guardando la sorella con un astio tipicamente fraterno – Faccio soltanto affermazioni precise –
Ginny si alzò in piedi di scatto mentre la sua rabbia esplodeva, conferendo al suo volto una furia che la rendeva più bella, selvaggia. Sembrò quasi che anche i suoi capelli avessero acquistato delle onde che si scuotevano quando la sua testa faceva bruschi movimenti per accentuare o condannare un concetto.
Era così bella da spezzargli il fiato.
– Vedo che è inutile ragionare con te – disse, parlando in fretta come tutte le volte in cui era arrabbiata – Sei diventato così arrogante che mi meraviglio che nessuno ti abbia ancora punto con un ago per vedere che rumore farai quando ti sgonfierai –
Se non aggiunse nient’altro prima di andarsene fu soltanto per orgoglio e per la paura di perdere tutta la sua dignità con una frase infantile che le sarebbe di certo scappata di bocca.
Non era ancora diventata una statua.
Tutto quello che ho fatto è stato farti del male.
Naturalmente le migliori intenzioni portano sempre alle peggiori conseguenze.

***

And I don't have fond desires
And I don't have happy hours
I don't have anything
Since I Don’t Have You, Guns N’ Roses


Ad occhio e croce Nymphadora Tonks era morta da quattro giorni.
Loro erano lontani da cinque quindi quello che potevano immaginare era probabilmente anche quello che era successo veramente.
La testa era stata tranciata di netto ma rivoltandola dalla parte del collo si sarebbe potuto vedere esattamente ciò che Draco e Blaise sapevano che ci sarebbe stato: l’osso del collo spezzato barbaramente che aveva perso il suo colore opalino per diventare completamente rosso, l’esofago smembrato e macchie di pus e di muscoli (in realtà i muscoli non producono macchie ma quello che vedevano era talmente schifoso da non poter essere definito in nessun altro modo).
Era stata una morte rapida ma incredibilmente dolorsa: quindici secondi prima dell’incoscienza ed altri quarantacinque prima del trapasso, un minuto nella più terribile delle agonie.
Dal viso, contorto in un’orribile smorfia che si riusciva a scorgere solamente dopo aver raschiato via il sangue rappreso che cristallizzava i suoi lineamenti in una massa confusa, non si poteva capire se prima di essere uccisa fosse stata torturata o meno: quello che era certo è che la morte era stata causata da una lama ben affilata e che era bastato un solo colpo.
Il motivo per cui Nymphadora non fosse stata graziata, sempre che così si potesse dire, da una maledizione senza perdono era stato probabilmente un atto di crudeltà viscerale, unito a qualcosa che ai due ragazzi fece ancora più paura: un monito.
Un monito per chiunque altro avesse deciso irrazionalmente di venire a salvarli e forse anche per loro, perché sapessero che cosa li aspettava se avessero deciso che volevano essere salvati.
Traditrice del suo sangue.
Draco se lo ripetè mentre vomitava e Blaise con il suo stomaco di ferro gli teneva la fronte e i capelli mentre lui rigettava anche l’anima appoggiato ad un albero.
La testa era stata coperta da un ammasso di foglie secche e puzzava di morte, di dolore e di stantio, tutti odori perfettamente naturali che nei cinque giorni precedenti anche loro avevano imparato a conoscere bene.
Se lo meritava, se lo meritava, sporca traditrice – hai visto che cosa succede a quelli come lei? Eh, hai visto? Non vuoi fare la stessa fine, no?
Il suo braccio bruciava ed ogni volta che pensava a sua cugina il dolore era ancora più lancinante. (cugina di cosa se poi in realtà non l’aveva neanche mai conosciuta ma soltanto vista in fotografia ed oggettivamente assomigliava troppo a sua madre per non riconoscerla)
Blaise aveva azzardato delle ipotesi mentre si erano fermati davanti a quella testa, a vagliare che cosa poter fare di lei mentre Draco non aspettava altro che il permesso, non sapeva bene di chi, per poterla ricoprire con le foglie secche un’altra volta e far finta che non fosse successo niente e che ogni volta che si girava non vedesse sangue e fasci di nervi scorticati che sapeva benissimo essere i suoi.
Probabilmente Tonks era una specie di avanscoperta, inviata dai suoi compagni per vedere che cosa avrebbe potuto trovare oppure era andata nel bosco semplicemente alla cieca, da sola, senza nessuno che le coprisse le spalle e potesse trovare la sua testa abbandonata su un giaciglio di foglie morte.
Che cosa ne fosse stato del suo corpo, quello Draco e Blaise preferivano non immaginarlo neanche, così come scelsero di non immaginare né i pianti né le urla disperate che la giovane donna doveva aver emesso quando…
Non pensarci, è solo una traditrice del suo sangue.
– Blaise, dobbiamo andarcene in fretta – disse – Non possiamo stare qui un minuto di più, sono sulle nostre tracce –
– Temo che non abbiano bisogno di stare sulle nostre tracce per ucciderci quando preferiscono – rispose Blaise, alzando gli occhi carichi di una luce di nuova compresione. I capelli neri cadevano sulla sua fronte in ciocche disordinate ed impastate di sporco, cadaveri di moscerini in quel groviglio scuro che usava tenere liscio e pettinato.
Ma perlomeno lui la testa ce l’aveva ancora sulle spalle nel senso più letterale del termine.
Draco si alzò in piedi senza guardare Nymphadora appoggiata su una pietra che li guardava attraverso le palpebre socchiuse – Blaise, ti prego, andiamo –
– Naturalmente –
Il movimento con cui il ragazzo si alzò dal masso dov’era seduto, di fronte alla testa completamente immobile che sembrava fuori posto in uno scenario del genere, così comodamente adagiata su una superificie come se la pietra fosse la sua proprietaria, fu incredibilmente fluido – Cosa facciamo di tua cugina? –
– La portiamo con noi –
Blaise lo guardò con una muta domanda negli occhi.
– Scordatelo – Draco scosse la testa – Non possiamo seppellirla, ci metteremmo troppo tempo, e se la coprissimo con le foglie secche Dio solo sa cosa potrebbe succederle –
– Draco, i vermi la mangerebbero comunque, anche nelle più bella delle bare –
– Sì, ma non potrebbero mai avere le sue ceneri –
Il broncio che Draco stava tenendo aveva un qualcosa di adorabilmente infantile, fuori luogo e inadeguato quando l’aria che entrava nei suoi polmoni era impregnata di morte e di sangue. Blaise sentì la mano che gli stritolava il cuore accentuare la sua presa ed il suo respiro si fece più regolare, intenerito dal ragazzo che aveva di fronte a sé e dal suo irrazionale rifiuto della morte.
Era così difficile a volte ricordarsi che avevano solo sedici anni.
Quando parlò, Blaise lo fece con una voce dolce e carezzevole, guardando la testa con una tenerezza che mal si intonava al suo viso aggrottato – Gli uomini muoiono e i vermi li mangiano, ma mai per amore
– Che cosa? –
– L’ha detto un babbano – rispose Blaise con scioltezza, alzandosi in piedi. Si sfilò il mantello e ci avvolse la testa – Un poeta, sai, quella gentaglia –
– E cosa significa? –
Blaise scosse il capo – Se lo sapessi non sarei ancora qui, andiamo –
Anche Draco si alzò in piedi e quando lo fece il dolore che provava nel braccio si estese a tutto il corpo, propagandosi con la stessa velocità di un fulmine e con un’intensità dolorosa. Strinse le labbra per non urlare, accecato da quel senso soffuso di malessere che l’aveva fatto vomitare prima e gli impediva costantemente di respirare, come se una mano gelida e contemporaneamente rovente gli stringesse il braccio e non avesse la minima intenzione di lasciarlo andare.
Blaise aveva avuto la decenza di coprire la testa di Nymphadora quando l’aveva avvolsa, tuttavia questo non era bastato ad eliminare anche l’odore greve di cui era impregata.
I sensi già alterati di Draco risentirono anche di questo: oltre alle scariche di dolore al braccio che si facevano sempre più frequenti, un vago torpore, ora che la forza dell’adernalina era scemata, iniziava ad invadergli il corpo.
Da quanto tempo non dormiva? Avevano riposato nella baracca e si erano fermati quando lui era inciampato, ma era sicuro che un vero sonno risalisse soltanto a…dov’erano prima.
Un secondo conato di vomito lo scosse a quel pensiero e si sentì bruciare la gola, non con una fiammata intensa ma piuttosto un raschiare che gli grattavva le corde vocali.
Dobbiamo uscire di qui, pensò.
Se prima avevano avuto dei sospetti che la foresta che stavano attraversando fosse stregata adesso ne avevano la certezza, avevano girato in tondo tutta la notte senza scorgere le familiari fiaccole che avrebbero dovuto indicar loro il cancello di Hogwarts.
L’Incanto Quattro Punti tuttavia era ancora attivo, dunque o Blaise si era sbagliato riguardo il tempo di percorrenza oppure stavano andando alla cieca, e delle due la prima era sicuramente la preferibile per Draco.
Che quel bosco dovesse dopo sfociare nella Foresta Proibita l’avevano dato per scontato all’inizio, ma se non fosse stato così non avrebbero saputo che pesci pigliare e senza la più piccola speranza non avrebbero mai intrapreso quella fuga, cosa che invece erano felici di aver fatto.
Quando nella lettera di Bellatrix erano pervenute le coordinate per il loro incontro, tutti gli Sltyherin del settimo e del sesto anno erano stati entusiasti: la loro occasione di riscatto, l’opportunità per porre fine a quella sequela di ingiustizie a cui erano stati sottoposti da quando la rinascita di Voldemort era stata annunciata.
Piccoli assassini, infami torturatori di famiglie e stupratori di babbani.
Così erano stati dipiniti, ed addirittura i ragazzini del primo anno venivano sorpresi in agguati poco politically correct che sicuramente avevano dietro la mente dei buoni. Nessuno, neanche i brillanti Ravenclaw che si vantavano della loro intelligenza o gli Hufflepuff, i caritatevoli per antonomasia, avevano pensato alla realtà delle cose: erano ragazzi, non assassini.
Quando però Bellatrix aveva fornito quell’occasione su un piatto d’argento loro l’avevano colta al volo, sarebbe stato imperdonabile perdere l’opportunità di una ragione per cui essere condannati.
Draco non vedeva Bellatrix dall’estate precedente quando lei era fuggita da Azkaban e l’aveva trovata esattamente come la ricordava: una grottesca parodia di una bambina troppo cresciuta con un barlume di pazzia negli occhi che accendeva il suo sorriso di una luce cattiva.
Naturalmente lei era bellissima, ma di questo tutti se ne accorgevano dopo.
Gli era stata data la facoltà di scegliere a chi fosse dovuta la sua realtà o forse si erano divertiti a fargli credere di avere quella possibilità, ma l’animosità che l’aveva infiammato portandolo ad abbracciare gli ideali che sua zia gli offriva e che si sposavano con tutto quello che aveva sempre pensato era scaturita dal suo cuore e non da idee che gli erano state imposte da qualcun altro.
Soltanto una cosa avrebbe potuto frenarlo.
Lei.
Aveva fatto tutto il possibile per nasconderle l’esistenza di quella lettera e quando aveva fallito perlomeno ne aveva preservato il contenuto. Aveva visto srotolarsi davanti ai suoi occhi una biforcazione ed aveva scelto la strada più difficile, consapevole che lei non avrebbe potuto accompagnarlo.
Cerca di capire, lo faccio per difenderti.
Questo però non gliel’aveva detto perché l’avrebbe fatta soffrire: preferiva essere odiato che essere pianto. Il ruolo di eroe lo lasciava a gente come Potter.
– Credo di vedere le luci – disse Blaise.
Draco capì subito che con le luci intendeva le fiaccole di Hogwarts ed accellerò nonostante il dolore al braccio si facesse sempre più intollerabile. C’era qualcosa che non quadrava ma non aveva i sensi abbastanza pronti per riuscire ad identificare cosa fosse: i fuochi erano nella direzione indicata dal raggio di luce che sembrava squarciare tutti gli ostacoli che si ponevano fra loro e l’obbiettivo e si scorgeva soltanto un bagliore indefinito nel punto dove, a detta di Blaise, si sarebbero dovute trovare le fiaccole.
Quando si erano inoltrati nella Foresta Proibita?
Nel momento in cui sbucarono nella radura illuminata Draco capì subito di cosa si trattasse: non erano le fiaccole che segnalavano l’accesso ad Hogwarts bensì delle lingue di fiamme azzurre sospese per aria sopra quella che aveva tutta l’aria di essere una palude.
Fuochi fatui.
La migliore garanzia della presenza di cadaveri nelle vicinanze.
Blaise arretrò improvvisamente e la testa quasi sfuggì dalla sua presa, allora lui strinse con più foga il fagotto arrotolato nel mantello contro il suo fianco.
Naturalmente quei fuochi avevano una loro spiegazione che non aveva niente a che fare con la magia, di nessun tipo: tenui luminosità dovute ai gas prodotti dalla decomposizione di materiale biologico. Generati dal metano, uno dei gas prodotti dalla putrefazione, e da fosfina andata a fuoco, che a sua volta incendiava anche il metano.
Questo però non spiegava perché fossero freddi.
Draco invece sapeva che tutte quelle spiegazioni razionali erano soltanto favole per babbani, così come lo erano, d’altra parte, le stupide superstizioni alla stregua dei corni di corallo che le comari appendevano al collo per scongiurare il malocchio.
La bacchetta tuttavia segnalava che la strada proseguiva attraversando quella palude e né Draco né Blaise avrebbero potuto permettersi di cercare un’altra strada attraverso il folto: il Signore Oscuro aveva provato a chiamarli due volte attraverso il Marchio e sicuramente anche qualcun altro li stava cercando.
– Ti ricordi di essere passati per di qua? –
– Ricordo la palude ma non i fuochi fatui –
Draco non aggiunse altro muovendosi cautamente in avanti, tutto il suo corpo teso pronto a scattare via al minimo accenno di pericolo. Non era l’unica volta che vedeva fuochi fatui ma era sicuramente la prima che si azzardava ad avvicinarsi così tanto.
Più si avvicinava, seguito da Blaise, più i contorni dei fuochi sembravano perdere nitidezza: se da lontano li aveva chiaramente identificati con fiammelle azzurre adesso erano qualcosa di più indefinito: bagliori elettrici che sembravano espandersi mano a mano che Draco cercava di raggiungerli, fino ad essere un unico, gigantesco fuoco fatuo che inondava la palude della sua fredda luce abbagliante.
“Forse dovremo cercare un’altra strada”.
Improvvisamente un bagliore nero alla sua destra lo fece girare di scatto, ritrovandosi a fissare lo sguardo nel nucleo di un fuoco fatuo che non sapeva di avere così vicino. Stralci di riflessi che parevano illusioni ben congeniate fluttuavano attorno a lui, in quella bianca luminescenza
Bianco che respingeva tutti i colori mentre la notte nera che li circondava come un fantasma spaventato dalla luce li assorbiva come buchi neri nello spazio, fagocitando ogni cosa prima di rigettarla invischiata nelle pece della loro paura.
Draco vide il bagliore di nuovo ma questa volta era alla sua destra, girò la testa oltre l’illusione di un’oasi verdeggiante al centro del fuoco e vide l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato.
Non ebbe alcun problema a riconoscerla anche perché era esattamente come l’aveva vista l’ultima volta, forse anche più bella. I lunghi capelli neri scivolavano sulle sue spalle ed i suoi occhi lo guardavano con un’intensità quasi dolorosa mentre tendeva una mano verso di lui.
Perché mai era scappato da lei?
Vuoi ridurti come tuo padre?
Per salvarla, ecco perché l’aveva fatto, per serbarle una vita migliore della sua in cui nessuno l’avrebbe condannata per il cognome di suo padre.
Sai che cosa stai facendo?
Improvvisamente il suo viso era tutto intorno a lui, dimentico di Blaise. Ovunque si girasse poteva vederla sorridergli ed i suoi occhi verde scuro spalancarsi in una muta gioia. La gioia che gli avrebbe procurato il vederlo tornare.
Lo sai che stai andando verso il suicidio?
La sua risata argentina gli risuonò nelle orecchie da tutte le parti mentre un tiepido calore che si stava diffondendo nelle membra sostituiva l’ardere del braccio che aveva ormai macchiato la grezza fasciatura di sangue.
Draco avanzò di un passo ciecamente verso il rilfesso di Pansy prima di rendersi conto che lei lo stava circondando, avvicinandoglisi e sfuggendogli.
Vuoi lasciarmi indietro?
Sopportare il suo dolore era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto, un arduo tormento vederla soffrire per causa sua. Un giorno gli sarebbe stata grata per tutto questo ma quel giorno non era ancora arrivato e lui non era l’eroe che cercava di essere. Non veramente.
Avanzò tentoni fino a che la terra sotto i suoi piedi non mancò improvvisamente.
Il cuore gli saltò in gola e si preparò a qualcosa di terribile quando due mani forti lo tirarono indietro.
– Evidentemente non ti ho insegnato nulla – ringhiò la voce rabbiosa di Severus Snape.

***

I have to turn my head until my darkness goes
I see a line of cars and they're all painted black
With flowers and my love both never to come back
Paint It Black, Rolling Stones


Fra i Ravenclaw Lisa Turpin se ne accorse per prima perché sapeva dove cercare.
Non sapeva cosa, ma il problema fu risolto quando, a metà pranzo, la testa di Cormac McLaggen si trasformò in quella di un leone provocando una serie di grida spaventate al tavolo di Gryffindor.
– Era soltanto questione di tempo – disse Anthony Goldstein.
– Che qualcuno attentasse alla vita di Cormac McLaggen? – chiese Michael Corner servendosi un’altra porzione di patate al rosmarino.
Su Li, una ragazza del loro anno con dei bellissimi occhi a mandorla alzò le spalle – Non è mai stato simpatico a chiunque. E’ naturale che sarebbe successo.
– Si dice nessuno, Su, non chiunque – la corresse Anthony con un sorriso.
– Che cosa? – chiese Mandy che stava accarezzando i capelli di Terry Steeval.
– McLaggen – disse Lisa indicando con un cenno del capo il ragazzo correre via dalla Sala Grande fra un coro di risa e ululati.
Mandy aggrottò le sopracciglia – Che cos’ha di strano?
Nell’esatto momento in cui Cormac era uscito Pansy Parkinson fece la sua comparsa nella sala con una Daphne Greengrass estramemente divertita al suo fianco – Chiunque sia stato – stava sussurrando alla sua compagnia – E’ un genio –
– Già – disse Pansy nascondendo a stento il compiacimento – Dovremmo fargli i complimenti –
Entrambe sfilarono per tutta la lunghezza del tavolo di Gryffindor catturando diverse occhiate sospettose.
– Ci scommetterei qualunque cosa che è stato uno di loro – disse Dean Thomas.
– Incivile – aggiunse Ron Weasley, che tuttavia era estremamente soddisfatto per l’umiliazione che era toccata al ragazzo.
Hermione Granger stava scuotendo la testa senza paura di mostrare il suo disappunto mentre Ginny Weasley non riusciva a smettere di ridere – era matematicamente più forte di lei non divertirsi per qualcosa del genere.
Lisa Turpin sospirò rumorosamente – Venti punti in meno a Gryffindor – fu un sussurro che soltanto Anthony Goldstein percepì, e soltanto lui notò i granelli di sabbia rossa risalire lungo la piccola clessidra segna punti.
– Ti sei limitata, vedo – apostrofò verso Lisa.
– Si sono già fatti giustizia da soli –
Entrambi non avevano dubbi sull’autrice del misfatto e Lisa dovette ammettere a se stessa che aveva avuto paura che la vendetta di Pansy fosse ben peggiore: Cormac se l’era cavata con poco, sebbene Madama Chips ci avrebbe messo probabilmente più tempo a rimuovere il sortilegio di quanto sarebbe bastato a McLaggen per uscirne con la reputazione intatta.
Padma Patil picchiettò il dito sul mento – Oggi non era proprio la giornata più adatta per Cormac –
– Perché? – chiese Su Li curiosa.
– Lui e Lavender festeggiano il mese –
Come se ce ne importasse qualcosa, pensò Lisa alzando gli occhi al cielo. Si aggiustò la cravatta blu e nera che si stava allentando e gettò un’occhiata al tavolo di Slyhterin, dove tutti i ragazzi si stavano guardando a vicenda cercando la persona a cui erigere una statua.
Dalle occhiate i sospetti parvero congelarsi su un assolutamente ignaro – e innocente – Stephen Rosier, quarto o quinto anno, e un coro di festose ovazioni gli rese un immeritato onore.
Il sorriso di Pansy si allargò in modo discreto mentre partecipava a quel coro.
– Sembra che abbiano già individuato il colpevole – commento Michael che aveva seguito la direzione dello sguardo di Lisa.
– I Gryffindor avranno qualcuno su cui rifarsi – disse Anthony.
Lisa si girò verso Padma ma lei si era già alzata e stava trotterellando dalla sorella che non aveva affatto bisogno del suo suggerimento: i Gryffindor più grandi stavano già guardando Stephen Rosier con un’occhiata che potendo l’avrebbe già fulminato.
– Ti aspettavi qualcosa di meglio anche tu?
Lisa guardò Anthony – Come, scusa? –
– Sì, mi è sembrato che mancasse un po’ di fantasia – rispose lui con scioltezza – Pensavo che avrebbe escogitato qualcosa di meglio –
– Sai, non penso che sia finita qui – disse Lisa – Michael, mi passi le patate?
– Certo –
Il vassoio fluttuò nell’aria davanti alla ragazza.
– Così avrei potuto farlo anche io – sbuffò Lisa mentre Michael sghignazzava divertito per la sua trovata.
Il rombo di un tuono particolarmente forte allertò la maggior parte degli studenti e una patata che Lisa stava trasportando con altre su un cucchiaio fino al suo piatto cadde sulla tovaglia, imbrattandola. Sembrava che gli agenti atmosferici si stessero dando guerra furiosamente riversando sulle pareti della scuola tutta la loro ira, ma Lisa non si scompose: lei era dentro la scuola, non fuori.
Naturalmente rimase un tantino perplessa quando vide della grandine – e la grandine a fine ottobre era qualcosa che non aveva mai visto in sei anni di permanenza ad Hogwarts – ma non si fece troppe domande.
Capì che avrebbe dovuto farsele soltanto quando Blaise Zabini entrò bagnato fradicio in Sala Grande.
Il cuore di Pansy Parkinson mancò un battito.




***


Vi sono infinitamente riconoscente per le fantastiche recensioni che mi avete scritto: mi avete stampato un bel sorriso sul volto con i vostri adorabili complimenti.
Grazie anche a tutte le persone che hanno letto e basta, spero di aver strappato un sorriso anche a loro. Non fraintendetemi, la povera Tonks è un bel personaggio e tutto il resto, ma dovevo farlo, ecco (e poi non le ho MAI perdonato la storia con Remus). E soprattutto grazie alla mia adorabile nuova beta, JiuJiu91 :)
La citazione in corsivo pronunciata da Blaise nella foresta è di William Shakespeare :)

Kathy: Guarda, io per prima mi credevo incapace di scrivere in vita mia una Harry/Ginny e sono rimasta sconvolta di esserci riuscita, sebbene sono ben lontana dai livelli di bravura che tu mi attribuisci ;) La testa, la testa…hai avuto la risposta in questo capitolo come puoi vedere, o almeno la presunta tale. Sono felice che anche se la coppia principale non ti piaccia tu legga comunque questa storia!
BellaTwy: Fidati quando ti dico che in realtà ti ha sconvolta come ha sconvolta me. Finalmente ho trovato un’introduzione che mi piace e non penso di cambiarla più, visto le innumerevoli che ho passato.
Sieny: In realtà penso anche io che siano scontate ma l’impressione che voglio dare è proprio questa: quella di una ragazza che si ribella al suo destino ma finisce per cadere sotto il suo giogo per amore. Il paragrafo che hai citato è uno di quelli che mi piace di più. E’ vero, Pansy è molto più forte di Ginny o almeno così sembra: l’orgoglio che la caratterizza non ha niente di infantile, non lo spirito di rivalsa che invece domina il sentimento della prima.
Ixina: Ricordo Simple and Clean anche io ma devo ammettere che non mi manca neanche un po’: preferisco affrontare coppie come Draco/Pansy che, almeno a mio parere, hanno molti più fondamenti, molte più possibilità di essere fattibili che Draco/Ginny, che sono forse più focosi e passioni ma meno credibili. Poi questa è solo una mia opinione, visto che ultimamente sono le seconde ad andare per la maggiore!
Babi89: Scriverò anche in fretta ma raramente il risultato mi soddisfa pienamente, per quante volte io possa riscrivere un capitolo e studiare ogni parola. La testa…devo ammettere che hai centrato il punto, la testa è di uno dei “buoni” (o meglio era, visto che la testa adesso non fa più parte del corpo). Grazie mille per i complimenti, non li merito per niente!
Angel: Se ci è riuscito o meno l’hai potuto vedere adesso, una valanga di ringraziamenti per gli elogi, mi hanno fatto arrossire come una scema davanti al computer ;) Dici davvero riguardo alla violenza? Ho avuto l’impressione di essere stata un po’ cruda, sebbene abbia fatto di peggio ._.
Lilli: Uau, addirittura senza parole? Beh, la prossima volta recensisci senza indugio anche se sei diventata proprio muta :P
TifaLockheart: Chi si rivede? Grazie per i complimenti riguardo la storia, sei gentilissima come al solito. Gli errori di battitura ci sono e ne sono ben consapevole, sebbene confido che in questo capitolo le cose siano cambiate! La scena del loggione a me invece non piace molto com’è venuta sebbene l’abbia scritta e riscritta diverse volte, facendo un taglio qua e un’aggiustatina là…Lisa mi pare sia comparsa soltanto nominalmente, io l’ho trovata su Lexicon.
Franceskina: Grazie, sono felice che la nuova parte ti sia piaciuta ;) Poveri Draco e Pansy sì, sto iniziando a chiedermi anche io (che ho la storia già in mente per la maggior parte) se saranno prima o poi felici insieme…bah, speriamo! La testa, la testa… :P
JiuJiu91: A provare l'odio sviscerato per Harry e Ginny allora siamo in due, e ti dirò di più, in realtà non li sopporto nemmeno come coppia (Harry per me è accettabile solo quando sta con Draco e si comporta bene, altrimetni non lo posso vedere neanche in fotografia, ma visto che Draco e Pansy per me hanno una sorta di predestinazione, quale altra coppia predestinata per eccellenza avrebbe potuto far loro compagnia meglio di Harry e Ginny? Purtroppo cerco di trattenermi moltissimo nelle parti violenze perchè sono sempre stata dell'opinione che la violenza ci sta bene (L) smack!
Geri87: Grazie dei complimenti, sono felice che Ginny ti abbia dato quell'impressione perchè il mio scopo era esattamente quello di renderla così, debole, forte e contraddittoria.


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