Candy Pain

di Anle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet blood [An half-blood kiss] ***
Capitolo 2: *** Sweet Darkness [Fear of a fake Memory] ***



Capitolo 1
*** Sweet blood [An half-blood kiss] ***


DOLCE SANGUE

 

Dedico questa One-shot a Daidouji.

Fan di questa coppia e mia compagna di posto preferita.

 

 

 

 

 

An half-blood kiss

 

 

 

«Imbecille!».

La voce di Hermione esplose nell’aula avvolta dal silenzio.

Tutti gli sguardi dei compagni si volsero verso di lei, incuriositi. Compresi Harry e Ron, seduti dall’altra parte della stanza, osservarono l’amica sorpresi.

 La Professoressa McGranitt, d’altro canto, assunse un cipiglio irritato.

«Sta zitta, mezzosangue.» sbottò in risposta Malfoy, mentre un sorriso divertito comparve sul suo volto.

«Signorina Granger, c’è qualcosa che vuole condividere con il resto della classe?» disse l’insegnante, lo sguardo che andava dall’una all’altro studente .

«Maledetto.. » fece Hermione a denti stretti, prima di rivolgersi alla donna.

«Nulla, Professoressa.» rispose imbarazzata la Gryffindor.

«Continuate a lavorare, allora. In silenzio.» disse l’insegnante, infastidita dall’interruzione.

Hermione riprese a scrutare la pergamena bianca per metà, decisa ad ignorarlo.

Afferrò stizzosa la penna e la intinse nel calamaio. Lo fece così energicamente, che alcune gocce bluastre caddero sul candido foglio, impiastricciando la sua scrittura.

Imprecò a bassa voce.

Sentì lo Slytherin sogghignare. La ragazza emise un lungo sospiro. Stava per perdere la pazienza.

Calma, stai calma. Ancora un po’  e ti libererai di quest’idiota.

Prese ostinata un’altra pergamena. La piuma sfregava rapida la carta, con una punta di insistenza nel modo.

Avvertì il ragazzo muoversi, ma non vi fece caso. Improvvisamente, però, sentì il fiato di lui vicinissimo al suo collo. Lei sobbalzò. Che diavolo voleva?

«Prova a darmi un’altra volta dell’imbecille e ti farò pentire di essere nata.» sibilò poco dopo Malfoy al suo orecchio.

Già. Doveva aspettarselo. La solita minaccia di morte.

Lei gli rivolse un’occhiata in tralice, e tornò sul suo compito, tentando di concentrarsi.

Ma lui non si mosse dalla posizione di prima. Accidenti, ma perché non si girava?

Incominciò a tamburellare nervosamente le dita sul banco. Sentì il battito del suo cuore accelerare.

Perché era così agitata?

Sbuffò. Si volse verso di lui. «Insomma, che hai da guardare?» disse piano, cercando di non attirare l’attenzione dell’insegnante, che ora sembrava distratta dal  piagnucolare di Neville.

Hermione vide Malfoy rabbuiarsi.

Fu un attimo. Le strinse il  braccio, con veemenza. «Non scherzare con me, mezzosangue.» le sussurrò lui.

Le faceva male. «Lasciami.» disse ferma. Era intimorita ma non voleva darlo a vedere.

Un brivido le percorse la schiena, inaspettatamente.

Un sorriso canzonatorio comparve sul volto dello Slytherin, sentendola fremere.

«Che c’è, hai paura, sporca Gryffindor?» fece canzonatorio.

 Hermione poteva scorgere soddisfazione nel suo arrogante sguardo. Il sangue le ribollì nelle vene.

«Ti ho detto di lasciarmi.», ripeté, seccata.

In tutta risposta, lui strinse la presa. «Perché, sennò che fai? Mi reciti una poesia?» disse provocatorio.

I singulti di Neville si fecero più insistenti. La McGranitt gli si avvicinò, cercando di tranquillizzarlo.

Ora basta. Basta, con la brava bambina.

La penna cadde. La mano si mosse fulminea. Pochi istanti di silenzio. Lo sguardo di lui recepì solo allora. Troppo tardi.

Un rumore secco. Deciso. Pertanto, irrimediabile.

La classe si girò verso di loro in sincrono.

Malfoy si toccò lo zigomo, ora in fiamme.

L’inconfondibile ombra di cinque dita si propagava sulla sua guancia.

Il suo sguardo era indecifrabile. Qualcuno rise.

Hermione non era pentita, non provava pietà per lui. La sua mano si trovava ancora nella  posizione di compimento del gesto, levata a pochi centimetri dal suo volto.

Le gote di lei scottavano per la rabbia. Il petto lentamente si placava. Inspirò.

Una sensazione nuova punse il suo stato d’animo. Soddisfazione. Appagamento.

Era il sapore della vittoria.

La McGranitt impallidì dall’indignazione. La bocca serrata in un muto rimprovero.

Lo Slytherin, intanto, guardava la Gryffindor. La odiava. La stava odiando.

Si vedeva dai suoi occhi: rispecchiavano tempesta.

Lui non fiatò, ma Hermione lesse i suoi pensieri nel suo sguardo furibondo.

“Me la pagherai”, diceva.

E lo sapeva bene. Questa era una promessa.

L’insegnante pronunciò una frase, una sola. Forse era rivolta a loro. Ma nessuno la stava ascoltando.

Driin. Vuoto.

 

 

.o.

 

 

 

Come sospettava, non si presentò alla punizione. Questo era il terzo giorno che non si faceva vedere.

Sospirò. Fece scivolare il panno sulle boccette impolverate.

In quei giorni, aveva riflettuto. No, non era pentita. Affatto.

Forse, aveva esagerato. In fondo, lo conosceva. Poco, male e sommariamente, ma sapeva com’era fatto.

Polvere. Sporco, poi ancora polvere. Accidenti, non se voleva proprio andare via.

Soffiò sul vetro. Macché, nulla.

Cos’era quella strana sensazione? Rimorso?

No, figuriamoci, lo detestava. Quella era stata una dolce vendetta.

E allora perché non aveva detto niente alla McGranitt? Perché continuava a coprirlo?

Fece spallucce. Peggio per lui. Se l’insegnante l’avesse scoperto, avrebbe pagato caro sulla sua stessa pelle.

Si diede per vinta. Lasciò cadere lo straccio sul bancone.

Uffa.

Non c’era verso di togliere quella dannata polvere.

Sembrava quasi…

E avvenne. Non se ne rese quasi conto. Un fracasso assordante. Frammenti di vetri rotti piroettarono maligni intorno a lei, come impazziti.

Lei si parò un braccio davanti agli occhi. Urlò.

Nessun rumore. Silenzio.

Ansimava spaventata. Che diamine era accaduto?

Alzò piano le palpebre, intorpidite dallo spavento. Tutto sembrava come prima.

Immobile e taciturno.

Un’ allucinazione forse?

Si abbracciò le spalle, con le mani ancora un po’ tremanti.

Sospirò. Pochi istanti di silenzio più tardi, si distese.

Stanchezza?

Già. Ieri non aveva dormito. Eppure le era sembrato così reale…

Soggezione?

Ma da cosa?

Forse sarebbe meglio dire da chi

Tutto ciò aveva un nome molto più subdolo e vigliacco.

Draco Malfoy.

 

 

.o.

 

 

Settimo giorno. L’ultimo. Era distrutta.

Le notti le passava insonni e le ore trascorse nell’aula di Piton erano snervanti.

Aveva passato tutto il tempo a catalogare gli ingredienti di ogni pozione.

Le allucinazioni, o qualunque cosa fossero, si ripetevano a tradimento.

Proprio l’altra sera, le era sembrato che i libri negli scaffali le cadessero addosso.

Finalmente, questo supplizio era finito.

Ma non si lamentava. Sapeva chi c’era dietro tutto questo e, nonostante ciò, taceva.

Stupida. Ecco cosa sei.

Scrollò le spalle, intorpidita dal freddo. Laggiù tirava un vento pungente.

Gli spifferi penetravano le fessure delle finestre e il clima era assai umido.

Ora, doveva controllare che ogni fialetta non fosse guasta o rovinata.

Addio letto. Sospirò. Lo faceva spesso ultimamente.

Chissà perché poi..

Buona. Buona. Passava in rassegna i delicati manufatti di vetro, con fare meticoloso.

Sicura di non saperlo?

Sbadigliò, sonoramente. Riprese. Buon…

«Ti diverti, mezzosangue?».

Quella voce...

Crash. Frammenti candidi sul pavimento.

Imprecò. Si chinò a raccogliere i vetri.

«A quanto pare.» rispose lei acida.

Non disse nulla. Il solito riso beffardo sul volto.

«Tu, piuttosto,», disse inaspettatamente Hermione, «hai finito con i tuoi scherzetti?».

«Piaciuti?» chiese affabile.

Lo sguardo inviperito della ragazza fu la risposta.

La osservò smuovere le schegge. Sogghignò di nuovo.

Schivo, ma profondo. Un taglio le segnò il palmo della mano. Dannato vetro...

Mugolò. «Che vuoi, Malfoy?» chiese rabbiosa.

Provava quasi pietà per lei. Povera mudblood.

Alzò le sopracciglia. «Di certo non sono qui per te.»  precisò sprezzante.

Lei tacque. Dolore, un’altra volta.

«Semmai dovesse venire la McGranitt, e non mi trovasse qui, sarei nei guai.»

Ovvio. Ma perché se ne preoccupava sola ora, se, fino all’altro giorno, se ne sbatteva altamente?

«Dammi una mano, allora.» disse lei, indicando la fialetta in frantumi ai suoi piedi.

«Tsk. Non ci penso proprio.» fece in risposta lui. Per chi l’aveva preso?

«Bene, Malfoy.» parlò con uno strano tono nella voce, quasi arrendevole. Non gli piacque.

«Ma sappi che alla McGranitt non farà piacere quello che le dirò.».

L’aveva incastrato.

«Non lo faresti » disse a denti stretti. Suonava una minaccia.

«Dici?» ribadì, sorridendo maliziosa. Aggrondò un sopracciglio, in attesa.

Meglio non rischiare. Dannata Gryffindor.

Si avvicinò a lei. Ancora non ci credeva. Lui che si sottometteva al ricatto di una mocciosa qualunque. Ridicolo.

Qualunque, dici? Non credo.

Lo scrutava attenta. Uno pari, Principe. Lui ricambiava con sguardo freddo.

Forse, non più del solito.

Si piegò. A tradimento, una scheggia gli segnò il palmo, proprio mentre stava per coglierne uno.

Brontolò. Tutta colpa di quella stupida…

Lei lo osservò sbraitare contro quell’infimo frammento. Chissà, forse anche contro di lei.

Qualcosa di rossastro la catturò. Dalla mano di lui una scintilla color fuoco scaturì da sotto l’epidermide.

Poi, volse lo sguardo verso il suo taglio. Spalancò gli occhi, come se fosse stata la prima volta a vedere quel liquido cremisi in tutta la sua vita.

Lasciò perdere la ferita. Continuò a raccogliere gli altri pezzi, maledicendosi.

Sarebbe dovuto andarsene, non rimanere lì a farle da schiavetto.

«Guarda.» fece Hermione, come incantata. Una goccia vermiglia scivolò sul suo palmo, accarezzandole la pelle.

Sangue.

«Cosa?» disse lui, indifferente. Che diamine voleva?

Intanto, riponeva i vetri rotti da una parte. Umph. Detestava non poter usare la magia.

Gli prese la mano, rapace, ma delicata. Lui, stranamente mansueto, la lasciò fare.

Posizionò le loro mani vicine, come a confronto.

Tutte e due erano graffiate dallo stesso vetro. Da entrambe il sangue sgorgava placido.

Un sorriso soddisfatto comparve sul volto della Gryffondor, mentre osservava qualcosa che allo Slytherin sfuggiva.

«Cosa?» continuò a chiedere lui, non ottenendo risposta. Ti decidi?

Volse lo sguardo. Gli occhi erano luminosi. Stranamente complici di una verità profonda, ma allo stesso tempo così vicina.

«Non capisci? Siamo uguali.», disse Hermione, con semplicità.

Draco raggelò.

«Che vuoi dire?». Forse balbettò, ma non se ne rese conto.

Lei tornò a fissare i palmi. «Noi imponiamo così forzatamente una distinzione alle nostre origini, senza accorgersi che in fondo siamo simili.». La sua voce era un sussurro e lui dovette chinarsi di più,  per riuscire a sentire.

Malfoy continuava a non capire. Le rivolse uno sguardo perplesso.

Rise amara. «Tu mi disprezzi soltanto perché sono mezzosangue, elogiando la tua famiglia per il loro sangue puro. Ma guarda, Draco, guarda!» fece alzando la voce e portandogli all’altezza di naso le due mani.

Lui non disse nulla, ma scrutò in silenzio quelle perle di sangue sfuggire via dalla propria pelle.

«E’ rosso. Proprio come il tuo» continuò lei.

Le sfuggì un sorriso triste. «E’ solo stupido sangue. Nient’altro».

Draco ebbe un tremito. Si riscosse dal suo tocco, infastidito.

«Sciocchezze.» disse lapidario. «Tu sei e resterai una schifosa mezzosangue, io un degno purosangue.». Aveva pronunciato quelle parole freddamente. Era tornato distaccato e sdegnoso.

Il solito bastardo di sempre, insomma.

No, non gli importava se le l’aveva ferita.

Era così, doveva farsene una ragione. Loro sarebbero rimasti nemici. Chiuso il discorso.

Fece per alzarsi. Ne aveva abbastanza di quella sciocca babbana. Lei lo trattenne per un braccio.

Gli occhi di Hermione erano diventate due fessure. «Lo sai che ho ragione.»

Lui non capitolò. Sta zitta.

«Non mi toccare.». Nei suoi occhi c’era disprezzo.

Fitta. Pungente e spietata. Lei ritrasse la mano.

Scosse la testa sconsolata, mentre lui si rimetteva in piedi.

Aveva perso. Lo sapeva.

Lui la guardò per qualche istante. Se Hermione avesse alzato gli occhi, ora, avrebbe scorto malinconia nello sguardo del Principe.

Perché continui ad illuderti? Cosa vuoi da me, Granger, Amicizia?

Lei strinse i pugni. Non osava alzare il volto. Temeva ciò che avrebbe visto.

Sentì il liquido rosso sfuggire alla presa della sua mano. Dischiuse le dita. 

Perché non se andava? Era rimasto lì, in piedi, immobile. Fissava il vuoto.

Oh, accidenti vuoi andartene?

Le baluginò un’idea. Folle. Disperata. L’ultima.

Si alzò in piedi di scatto. Si scrutarono. Non fiatarono. I loro occhi lo fecero per loro.

 Finiscila. Ti fai del male da sola.

No.

E’ finita, hai perso.

No...

Io non ti voglio.

Io sì.

La guardava incredulo. Non si arrendeva. Non l’avrebbe mai fatto.

Perché non cedi?

Basta. Sta un po’ zitto.

C’era determinazione nel suo sguardo.

Gli prese la mano ferita, con dolcezza. Era calda.

Voleva fermarla, ma la sua stretta era così decisa, rassicurante. Semplicemente, era tutta sua.

La mano destra della Gryffindor si congiunse con la sinistra dello Slytherin. Piano, teneramente.

Poi, lei strinse forte quella di lui. Sentì che il sangue le aveva macchiato la manica della divisa, ma non vi badò.

Il sangue dei due nemici si era unito assieme.

Draco rabbrividì. Perché l’aveva lasciata fare? Ora lui..

Era una strana sensazione. Non riusciva a descriverla nessuno dei due.

Con quel contatto si sentivano incredibilmente vicini, legati. Non era solo sangue. Erano due anime che si congiungevano.

Lei sorrise, emozionata. «Ora io sono un po’ di te e…e tu sei un po’ di me.» disse.

Sembrava una bambina.

Lui ricambiò un sorriso incerto. Era frastornato. Che diavolo stava facendo?

Era conscio di quello che era avvenuto. Ma non si sciolse dal contatto.

Si avvicinò un po’ di più a lei. Era davvero lui in quell’aula di pozioni?

Non importava.

Lei fremette. Lo stava davvero facendo?

Ancora un po’ di più. Ora distavano solo qualche centimetro.

Lei chiuse gli occhi istintivamente. Le mani ancora intrecciate, in uno stato inevitabilmente appiccicoso, ma più che unico. Attese.

Sentiva il suo respiro sul suo volto. Era piacevole. Strinse ancor di più la mano nella sua.

Sorrise. Non era un ghigno. Era un semplice sorriso. Sincero e chiaro. Forse il primo.

Di più. Sempre di più.

Le rimbombava il cuore nel petto. Sembrava assordante. Ma era poco più di un fruscio.

Lui si fermò. Lei lo sentì ridere. Aprì gli occhi.

Corrugò la fronte…Ma cosa..?

Si morse il labbro inferiore. Ci era cascata. Abbassò gli occhi.

Lui continuava a ridere.

«Infida serpe..», disse a denti stretti Hermione.

Lui smise di sogghignare.

«Grazie.», rispose lusingato.

Lei umiliata fece per sciogliersi dal contatto.

Lui la fermò immediatamente.

«No, aspetta.». Un sussurro. Ecco, l’aveva detto.

Lo scrutò, sospettosa. Non prenderti gioco di lei.

Il suo sguardo era stranamente serio. Le toccò le labbra con un movimento della destra.

Lei rimase immobile, rapita dal quel gesto.

Ma gli distolse la mano, subito dopo.

Lui la guardò confuso. Non mi vuoi più?

Fu lei ad avvicinarsi, ora. Si alzò sulle punte. Fu un attimo.

Infine, le labbra si unirono.

Un momento. Un ricordo. Uno solo.

Poi, tutto tornò la realtà sfocata di prima.

Fu unico. Ma fu il bacio mezzosangue.

 

 

 

___________________________________________________________________________

 

 

 

 

Note dell’autrice:

 

Vorrei ringraziare coloro che hanno commentato la mia piccola one-shot, felice che gli sia piaciuta

Grazie di cuore!

 

Bè, chissà, forse un giorno tornerò a scrivere su questa coppia. Le probabilità non sono molte alte, però.

Sapete, odio questa coppia. Sembra un controsenso, ma non lo è.

Loro sono così diversi e troppo distanti l'uno dall'altra. Semplicemente, non hanno nulla in comune.

E’ vero anche, però, che divisi sono così incompleti, mentre assieme sono unici. 

 

 

 

Anle

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Capitolo 2
*** Sweet Darkness [Fear of a fake Memory] ***


Sweet darknees

Fear of a fake Memory

 

 

 

Era buio. Solo alcune candele rischiaravano l’ambiente, dando una breve illusione di penombra.

Dei passi risuonavano tiepidi per il castello. La loro eco che si perdeva dolce nei meandri della notte.

Stanchi, i piedi si trascinavano pigri lungo il corridoio di marmo.

Era tardi. Un orologio, da qualche parte, segnava la mezzanotte passata.

 

Non importa.

 

Si stropicciò gli occhi assonnati, distogliendo per un po’ la stanchezza.

Da qualche parte, le stelle stavano a guardare la terra, senza troppo interesse.

 

Fa niente.

 

Scrutò un ultimo appunto, scarabocchiato malamente su d’una pergamena nella sua mano.

Il finto riflesso di luce delle candele si burlava dei suoi occhi, indifferente.

 

Dannate ombre.

 

Da qualche parte, i fiori socchiudevano la propria corolla, attendendo di nuovo la luce.

 

Magari il sole sorgerà più tardi, domani.

 

Una lunga pila di libri se ne stava accoccolata sul suo petto, opprimendole il respiro dolorosamente.

Sbadigliò. No, non ci sarebbe stata nessuna mano a coprire la sua bocca.

Da qualche parte, la gente sognava nei caldi letti.

 

Che dormano.

 

Le ultime nozioni apprese ancora vorticavano nella sua testa.

Alcuni, invece, ti scrutano proprio ora, mentre cammini, leggi o, semplicemente, hai un gran sonno che vorresti appagare.

 

Fastidio.

 

Un improvviso prurito le punse il palmo della mano.

Di nuovo. Ancora una volta. Un’altra stupida volta.

Le sue unghie graffiarono l’epidermide arrossata, dove una piccola cicatrice spiccava insolita. Si fermò in mezzo al corridoio, come colta da sgomento.

 

Fingi di non vedere. Lascia perdere.

 

Il suo sguardo si rabbuiò.

Già. I ricordi sono dolorosi. Eppure è così dolce lasciarsi cullare da essi.

 

Distogli lo sguardo. Ora.

 

Forse, è per questo che non smettiamo di rivivere quegli attimi?

 

No, non lo fare. Sai che te ne pentirai.

 

Accarezzò con le labbra il piccolo segno.

Dolcemente ne delineò la forma, piano ne percepì il calore. Impresse la sua immagine sulla propria bocca, lentamente.

Quasi avesse paura che scomparisse d’un tratto.

 

Che sciocchezza.

 

Ma come poter anche solo pensare una cosa del genere?

No. Sono segni indelebili quelli. Racchiudono cose che pensiamo di aver già dimenticato, di aver solo immaginato. Sperato.

 

Basta, ti prego.

 

Per un attimo, per uno solo, quelle piccole memorie vengono a sussurrarci ricordi agrodolci.

Per un momento, anche se unico, la notte non sembra poi così nera.

 

E’ solo un’ illusione.

 

Ma l’attimo s’ infrange. La limpida superficie s’ increspa, spargendo, qua e là, venature di dolore.

Riprese a camminare. Ora la sua mano ciondolava lungo il fianco, abbandonata dolcemente nelle braccia dell’oblio, destinata ad essere dimenticata.

La vista divenne d’improvviso ancora più annebbiata.

 

Che fai, piangi?

 

Barcollò un poco. Ora, le gambe le tremavano. Si morse un labbro per rimanere lucida.

 

E’ inutile.

 

Si costrinse a proseguire. Mise il piede destro avanti, poi l’altro.

Frammenti di cristallo giacevano sul pavimento scompostamente. Li calpestò.

Chissà, forse per puro caso.

 

Non credo.

 

Si fermò, di nuovo. Tentò di dissuadere le lacrime a fuoriuscire, invano.

Stringeva convulsamente i libri, cercando in essi un appiglio. Le nocche le si fecero bianche per lo sforzo.

Era troppo poco.

 

Perché insisti?

 

La stanchezza vinse, un’altra volta.

I libri scivolarono via dalle sue mani, con una cadenza esasperante.

Non fecero quasi rumore. Forse, non caddero neanche.

 

E’ così facile perdere l’equilibrio.

 

Si lasciò cadere a terra. Le mani rivolte in avanti per arrestare la caduta.

Il marmo sembrava di plastica. Non pareva reale. Forse, non lo era per davvero.

 

Povera Mezzosangue.

 

Dilatò le pupille.

Questo non era reale. Questa era la cosa più falsa tra tutte.

 

Sì, tu. Mudblood.

 

«Zitto.». Un sussurro scaturì dalle sue labbra secche.

Le dita chiuse nei pugni umidi di lacrime ripresero colore.

 

Stupida. Mezzosangue.

 

La voce, quella voce, sembrò scemare.

Sorrise appena.

«Tu menti.». La sua parola assunse una sfumatura di sicurezza. «Ora siamo uguali.»

Scrutò il palmo della sua mano. C’era un taglio fresco sopra. La cicatrice era svanita.

 

T-ti sbagli.

 

Tentennò. Il tono era flebile.

«Che fai, balbetti?», domandò beffarda. Si rialzò, anche se a fatica.

 

 

Si voltò. Una figura pallida e frammentata, ora, si trovava di fronte a lei.

La debole luce giocava con quella pallida proiezione: la sua paura.

«Tu non esisti.», affermò convinta.

 

Come fai ad esserne così sicura?

 

Il tono era appena udibile.

Scosse la testa. «Lui non mi avrebbe mai chiamata così. Non più almeno.»

La falsa immagine di Draco si affievolì ancor di più. La sua consistenza divenne aria.

 

Ti stai illudendo.

 

Riuscì a dire la voce, mentre le parole si confondevano confuse.

I suoi occhi si ridussero a due fessure.

«Vattene!». Hermione gridò con tutta la voce che aveva in corpo.

Ne uscì davvero qualche suono? Così sembra.

 

Nooo….

 

Un ultimo grido soffocato e la figura si dissolse. Silenzio.

Il cuore le palpitava rapido, ma non riusciva a sentirlo.

Tutto intorno a lei si oscurò. Buio. Freddo.

Una risata beffarda giunse come eco della sua debole coscienza.

E se quello che aveva detto fosse vero? Si stava soltanto illudendo?

Cercò conforto nella piccola cicatrice bianca, invano.

“No, no…”. Nulla. Le tenebre erano indissolubili.

Riprese a singhiozzare. Lacrime senza consistenza le rigarono il volto.

Persa. Persa dentro di sé, dentro la sua sciocca realtà sfocata.

Stava per abbandonarvicisi. Sarebbe stato straordinariamente dolce e semplice.

 

Svegliati.

 

Un suono così dissonante dal resto che la circondava le riempì la testa.

Era calmo e melodioso. Sembrava così reale…

 

Svegliati.

 

Un tocco le sfiorò le labbra. Era umido ed incredibilmente caldo.

Sobbalzò.

Una luce incominciò ad avvolgere le ombre intorno a sé.

 

Hermione, è tardi.

 

«Draco…», disse piano, «sei tu…?». Ora la sua voce non era più afona.

 

Sì.

 

No, non si era sbagliata. Quella risposta l’aveva udita veramente.

Ormai c’era un chiarore assoluto, quasi insopportabile.

Sorrise. «Grazie.».

 

 

Tutto intorno a lei scomparve e la realtà ebbe il sopravvento.

Per fortuna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

 

Sì, alla fine ho ceduto. Ecco un altro esperimento.

Spero vi piaccia. Fatemi sapere. ^^

 

 

Anle

 

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