#FLASHBACK
Un’altra giornata era andata.
Un’altra sigaretta pure. Però mi mancava quella cosa che mi faceva passare tutti i problemi.
Avevo portato 50 euro per due grammi, ma Willy mi aveva detto che non era riuscito a procurarsela.
E io mi ero arrabbiata, tanto che avevamo litigato per l’ennesima volta: la nostra relazione era la peggiore che si potesse mai immaginare.
Nessuno dei due era innamorato davvero, stavamo insieme solo per divertimento, solo per non restare soli e l’unica cosa che ci accomunava era il continuo bisogno di quella sostanza che ci faceva dimenticare il mondo intero per qualche minuto.
Stavo tornando a casa da mio fratello, io e lui abitavamo insieme, non con i nostri genitori. Loro si erano trasferiti a Londra per lavoro, mentre noi avevamo voluto a tutti i costi restare in Italia.
Mio fratello era più grande di me di 5 anni, lui ne aveva 21 mentre io ne avevo 16 e si chiamava Jonathan.
Stava frequentando l’Università per diventare psicologo: che brutta cosa!
A parte questo il nostro rapporto era ottimo, solo che lui non sapeva che io, al posto di andare a ripetizioni da Luca, mi vedevo con William. Ah, e un’altra cosa: non sapeva della mia “piccola” dipendenza.
Di solito era appunto lui che andava a parlare con i professori e loro gli dicevano che a scuola non c’ero quasi mai e che quelle poche volte in cui mi presentavo la mia postazione era o fuori dalla porta, o dal Preside.
Non sono stupida, semplicemente non ho voglia di studiare, tanto alla fine passano sempre e solo i figli di papà. E io non lo sono.
Dopo i colloqui le sentivo sempre da Jonnhy, e mi minacciava di spedirmi da mamma e papa, ma poi io facevo gli occhioni dolci e tutto si concludeva con un abbraccio.
Quella sera faceva più freddo del solito fuori e le nuvole contornavano il cielo di quella piccola città.
Stavo camminando tranquillamente e stavo pensando a quanto fossi arrabbiata con Willy per avermi tirato pacco, quando tre ombre mi si stagliarono davanti.
Mi fermai di colpo e alzai la testa: oh no! Pensai.
“Che volete?” chiesi a quei tre energumeni per farla breve.
“Cos’è, ora non si saluta neanche più?” mi chiese Enrico, il capo di quella piccola banda di quartiere.
“Io non saluto le teste di cazzo” risposi poi, passando in mezzo a loro, ma quattro mani mi afferrarono i polsi e mi costrinsero ad inginocchiarmi.
“Senti drogata, questa è la posizione in cui devi stare davanti a me e credo che oggi sia il mio giorno fortunato” sentenziò lui.
Enrico ci aveva sempre provato con me, ma con scarsi risultati. Per questo probabilmente in quel momento mi trovavo in quella scocciante situazione.
Poi si avvicinò e prendendomi per i capelli mi alzò la testa:
“Tiratela su” ordinò ai suoi scagnozzi da quattro soldi.
Improvvisamente mi ritrovai in piedi con Enrico davanti alla mia faccia.
Mi strinse il viso con una mano e lo avvicinò al suo fissandomi negli occhi: conoscevo bene le sue intenzioni, così gli sputai in faccia in segno disprezzo.
Umiliato mi tirò uno schiaffo, lasciando il segno della sua pesante mano sulle mia pallide guancie.
“Che vigliacco! Solo i reietti come te sono capaci di mettere le mani addosso ad una donna in quel modo”.
Alzai lo sguardo ed Enrico si girò trovando davanti a se la figura di un ragazzo: era alto, con gli occhi chiari, al buio non riuscivo a capire di che colore fossero in realtà. Ma la cosa che mi colpì di più, oltre alla matassa informe di capelli ricci che si trovava in testa, fu la sua lingua: parlava inglese.
“E tu chi saresti?” chiese Enrico con tono arrogante e con una pessima pronuncia.
“Non ti riguarda” rispose il ragazzo prontamente.
“Ricordati, damerino, che tutto ciò che succede qua riguarda me” disse Enrico di rimando.
Poi si avvicinò al ragazzo e lo prese per il colletto spingendolo verso il muro: “ E ora sloggia da qui, prima che ti rovini quel bel faccino da figlio di papà”.
Il ragazzo riccio, invece di andarsene, tirò un pugno sul naso ad Enrico facendolo sanguinare e questo rispose con un pugno nell’occhio.
Approfittai del momento di confusione per liberarmi dalla presa di Mattia e Nicola e poi mi avvicinai ad Enrico picchiettandogli su una spalla. Lui si girò verso di me e io gli tirai un calcio ben assestato nel linguine, tanto che si piegò in due dal dolore.
Il mio “salvatore” mi prese per un polso e cominciò a correre.
#PRESENTE
BUM.
LUCE.
BUIO.
LUCE.
BIP BIP BIP BIP
Suono regolare di qualcosa, luce che mi acceca e immagini confuse e sfocate.
Ho di nuovo un corpo, lo sento, sento che ora c’è un contenitore che vieta alla mia anima di volare e di tornare da lui, dal ragazzo che amo più di ogni altra cosa al mondo.
Apro definitivamente gli occhi e, dopo qualche secondo, riesco ad associare i suoni alle immagini.
“SAVANNAH! Dottore, dottore si è svegliata!” questa voce, una voce al quanto familiare.
Riesco finalmente a distinguere dei capelli biondi e degli occhi azzurri che esprimono gioia e sollievo.
“N-n-nial-l” sussurro.
“Savannah! Finalmente! Ora stai tranquilla che arriva il dottore” esclama con voce rassicurante.
Io non riesco a capire che succede, e nemmeno cos’è accaduto prima.
Cerco con la mente di ricordare, di trovare qualche immagine, qualche parola o qualche suono e poi:
BUM. “Ti Amo”. BUIO.
Sbarro gli occhi ricordando il perché mi trovo qui: un incidente.
La ruota che scivola sulla neve ghiacciata, quel dolce ragazzo riccio che sussurra quelle tenere parole, il buio, la luce e di nuovo lui che mi dice che quello non è il luogo per me e che devo tornare indietro.
“Harry!” esclamo con la poca forza che ho e cerco di alzarmi.
Ma Niall mi tiene ferma dicendomi di stare calma e che tutto va bene, ma nei suoi occhi vedo che non è così.
Nei suoi occhi vedo che c’è qualcosa che non va, qualcosa che non vuole dirmi.
Ma che diavolo sta succedendo?
Allora, comincio a unire i capitoli. Questi li posto su facebook solitamente per questo sono corti, quindi ora vado avanti di due in due come già accennato. <3
xx - S <3
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