A Brave New World

di DarkLucifer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A True demon for the hell ***
Capitolo 2: *** A Beautiful Demon ***
Capitolo 3: *** Thoughts Of A Chief ***
Capitolo 4: *** Yankee Doodle ***
Capitolo 5: *** Leprechauns, Rainbows and Confession ***
Capitolo 6: *** A Singular Shepherd (Part. 1) ***
Capitolo 7: *** A Singular Shepherd (Part. 2) ***
Capitolo 8: *** Hope ***
Capitolo 9: *** A Vicious Girl ***
Capitolo 10: *** Reunion ***
Capitolo 11: *** Bushmills Dance ***
Capitolo 12: *** Point Break ***
Capitolo 13: *** About Love And Self Destruction ***
Capitolo 14: *** Waiting For The Storm ***



Capitolo 1
*** A True demon for the hell ***


Cap.1: A true demon for the hell.

Era vicina, ormai.
Poteva vedere la frastagliata costa della Thailandia avvicinarsi, vedeva quello che restava delle verdi foreste distrutte dall’avanzare di quelle città, quegli inferni in cemento,freddi ma con un caldo cuore pulsante di criminalità a sostenerli..ma ora quell’inferno stava per ricevere il demone che meritava.
“Hei cap! Ci stiamo avvicinando, sei pronto a spaccare il culo a tutti?? CAZZO Roanapur SIAMO QUI!!!” Una delle anime perdute che quel particolare demone si portava dietro era particolarmente ansiosa di sperimentare l’aria salubre della celebre malavita taiwanese.
“Cazzo Drive, vuoi chiudere il becco? Non riesco a godermi questo bel sole con te che sbraiti con quella voce da rotto inculo irlandese dei miei stivali!” La voce apparteneva ad una ragazza sdraiata sul ponte in bikini,che si godeva il sole pieno di quel pomeriggio; il suo aspetto creava un forte contrasto con il linguaggio che era abituata ad usare: si trattava infatti della tipica bellezza tedesca, alta, bionda e con curve mozzafiato. Prendeva il sole seduta su una sdraio in mezzo al ponte della nave, totalmente incurante degli sguardi dei marinai che le passavano a fianco; c’era anzi una nota di compiacimento negli occhi della bella ragazza quando notava quei languidi sguardi che scivolavano sul suo corpo.
Vicino a lei un’altra ragazza, con corti capelli scuri e un abbigliamento tipico dei punk londinesi, rincarò la dose: “Si,Drive, Knall ha pienamente ragione: anzi, se non la pianti di fare casino potrei ricordarmi che sei un fottuto irlandese e suonartele come ti meriteresti per questo grave crimine contro l’umanità!!” disse con aria di sfida la punk,alzandosi in piedi e scrocchiandosi le nocche.
“C’mon, Daya! Noi irish non ci tiriamo indietro come i tuoi fottuti degusta te’, effeminati compratrioti, nemmeno se si tratta di una ragazza! Ti farò vedere perché noi O’Driscoll siamo uno dei clan irlandesi più rispettati!” replicò il rosso infervorandosi ed ergendosi in tutta la sua statura: un gesto che comunque non faceva poi  molta impressione, in quanto superava di poco il metro e sessanta, anche se era robusto e con un fisico temprato.
Con uno scatto felino la bruna si lanciò dalla sua postazione verso l’irlandese, coprendo in pochi istanti lo spazio che li separava e caricando la mano aperta verso la sua gola e fermandola a mezzo centimetro di distanza dal bersaglio.
L’irlandese però non aveva volontariamente mosso un muscolo, e restava in piedi di fronte a lei con un mezzo sorriso tronfio dipinto in volto.
“Pensi di spaventarmi con così poco, Daya? So per certo che non attaccheresti mai così frontalmente un nemico che conosci bene quanto me … e tu, Knall, pensi davvero che non ti abbia vista mettere mano al tuo fido Rem? ”
La bionda tedesca sorrise con aria quasi carnivora, sfoderando ora per intero il fucile da cecchino che aveva fino a quel momento nascosto sotto la sua bassa sdraio,facendo trasalire i marinai che la guardavano, e lo puntò verso il rosso con aria divertita,esclamando: “Dai Drive, perché non ci fai un po’ divertire? In fondo viene così bene alla tua gente..fare i pagliacci”
“Adesso basta..”
La voce di quello che sembrava il capitano di quella combriccola di strani personaggi aveva per poco bloccato l’irlandese, già quasi intento ad una mossa diversiva sulla punk, che aveva prontamente ritirato la mano ancora tesa.
“Non siamo ancora arrivati, voglio usare tutta la discrezione possibile nell’ingresso che faremo in questa città. “ L’individuo fino ad allora era rimasto ad osservare il cielo con aria assorta, ma ora aveva rivolto il viso verso i subordinati, mostrando una vistosa cicatrice sull’occhio sinistro.
”Fin da quando ero sotto le armi ho sempre sentito parlare di questa Roanapur come la culla della malavita e degli affari illeciti; voglio dimostrarmi all’altezza della fama di questa città! Quindi statevene tranquilli e date inizio ai preparativi per l’approdo.“
“Quando il capo fa’ così il sentimentale come si fa a non obbedirgli??” Esclamò gioviale l’irlandese,soffiando poi a voce controllata “Quando ti pare sono qui, Daya, pronto per darti una sonora sculacciata all’irish way!!” e  facendole poi l’occhiolino.
La punk lo guardò con quei suoi occhi scuri e penetranti e sussurrò semplicemente “Sogna pure..”, per poi andarsi a sedere a fianco della bionda , confabulando con lei a voce impercettibile e facendola ridere sguaiatamente.
Il capo di questa compagnia di anime era tornato a rivolgere i suoi occhi profondi ed incavati verso quella città maledetta,sempre più vicina e reale, con un’ aria di grande soddisfazione dipinta sul volto.
“Вот твой ад, Люцифер *” , dichiarò a mezza voce, più a se’ stesso che a qualcuno in particolare.
E fu così che tutto ebbe inizio.




* (Ecco il tuo inferno,Lucifer  n.d.r)
 
 
L’angolo dell’autore
Salve a tutti! Questo è un progetto che avevo in mente da tanto tanto tempo … adoro anime e manga di Black Lagoon e trovo possieda una storia veramente dotata di grande espressività narrativa, per questo ho deciso di provare a sviluppare questa storia. Spero che qualcuno si prenda la briga di seguirla perché ci metterò veramente tutta la mia passione… Avverto anche quei personaggi che seguiranno la mia narrazione che probabilmente non sarà molto puntuale l’uscita dei capitoli,per impegni vari ed eventuali e per mia imperizia xD Detto questo spero che quello che vado a raccontarvi sia di vostro gradimento! =) Buon viaggio a vederci! =)
P.s. potrei mai dimenticarmi di ringraziarlo? Certo che no! Ringrazio il mio amico Lilius perché senza di lui non ce l’avrei fatta :)

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Capitolo 2
*** A Beautiful Demon ***


Rokuro Okajima, soprannominato “Rock”,si gustava il panorama di una Roanapur notturna,vista con gli occhi dei bassifondi.
Quelle che da fuori potevano sembrare sfavillanti luci e splendide insegne,da lì erano solo tristi fiaccole di quel mondo ormai in rovina,corroso fino al midollo dal crimine e dal vizio.
Incontrare per strada barboni drogati tanto da non poter distinguere più il reale dall’immaginario,prostitute di tutte le età,disposte a tutto anche solo per una bottiglia di scotch e malavitosi intenti nei propri affari era ormai una routine a cui aveva fatto il callo.
La vita di Rock era sempre stata la scontata e prevedibile routine di un tipico colletto bianco giapponese: inchini ai superiori,duro lavoro mal pagato ed orari al limite del legale.
Ma dopo l’incontro con quella scellerata ciurma di pazzi sanguinari tutto era una costante incognita,ogni giorno aveva il sapore dell’adrenalina e del fiele di tante ferite e sconfitte,ogni giorno poteva essere veramente l’ultimo: non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per quel regalo.
Tuttavia, negli ultimi tempi le cose erano state più dure: la missione in Giappone aveva pipiù di ogni altra compromesso il sistema di valori nella coscienza del giovane dai capelli corvini; il cruento scontro tra Revy e Ginji l’Affetta Uomini,che aveva visto Two Hands uscire vincitrice ed il conseguente suicidio della signorina Yukio,boss yacuza del clan Washimine, erano state le ciliegine rosso sangue su quella pazzesca quanto oscura missione.
Inoltre dal loro confronto nel parcheggio, Balalaika aveva iniziato a guardarlo con occhi diversi: era questa forse il risultato più evidente ed oscuro di tutti: la signora della guerra di Roanapur aveva iniziato a considerarlo alla stregua del resto della ciurma. La russa era rimasta l'interlocutore principale della “compagnia di spedizioni” capitanata da Dutch, a cui direttamente riferiva ogni traffico o incarico da eseguire; ma dal Giappone, Rock era diventato il punto d'informazione sullo stato dei lavori della russa,segno che ora faceva ufficialmente parte a pieno titolo di quella ciurma di dannati.
Mentre ripercorreva mentalmente questi passaggi,osservava il fumo della sigaretta, ormai arrivata al filtro, che aveva in bocca, che si andava diradando nell’afosa sera di giugno.
Improvvisamente,con la solita irruenza,Revy spalancò la porta ed andò a passi veloci verso il terrazzo su cui Rock si trovava,nella stanzetta del Motel che era ormai diventato la sua “tana”.
Indossava i soliti shorts con quel primo bottone perennemente aperto,le fedeli  Beretta 92 9mm Sword Cutlass, gli strumenti di morte e distruzione di quel bellissimo e conturbante demone,erano come sempre in bella vista e pronti a mietere nuove vittime.
“Hei Rock! Hai finito di stare qui come un vecchio coglione depresso ad osservare il cielo? La notte è giovane e stasera sento di poter arrivare alla terza bottiglia di rhum senza il minimo problema!”
“Non hai mai pensato che tutto questo alcool può nuocere alla tua mira o anche minimamente alla tua salute,Revy?” domando Rock sarcastico,sapeva quanto Revy odiasse che lui le desse consigli sulla salute e sul mantenimento della forma.
“Chiudi quella fogna,colletto bianco del cazzo! Sparo addirittura meglio di quando sono sobria,con un po’ di rhum e tequila nel sangue. Ora smettila di dire stronzate ed infilati quella bellissima camicia a fiori che ti ho regalato !!”
“Sai che non mi metterò mai quella camicia Revy,nessun essere umano con un minimo di senso dello stile lo farebbe!”
“Ma cosa ne vuoi sapere tu di stile,specie di impiegatucolo che non sei altro,chiudi quella fogna di merda e mettiti la mia camicia,cazzo!!”
Detto questo si girò verso il frigo imprecando e lo aprì in cerca di una birra.
Rock stette per un momento ad osservare quella contraddizione ambulante dalla mira perfetta e dalle curve mozzafiato.
Nonostante la finezza di Revy fosse paragonabile a quella di un nerboruto giocatore di football,bastava la sua presenza,le sue prese in giro,i suoi insulti e perché no,anche la sua violenta essenza,perché il mondo dell’ex colletto bianco rimanesse nei suoi binari.
Revy,Dutch  e Benny avevano rappresentato la distruzione della sua quotidianità e del suo sistema di valori,catapultandolo nella violenza,nell’eccitazione e nella continua incognita della sopravvivenza.
Appena tornati dalla missione in Giappone,Dutch gli aveva detto una cosa che non avrebbe mai dimenticato:
“I tuoi occhi sono diversi,Rock; è una cosa che si nota subito ed ha una sola spiegazione: ormai la tua non è più Sindrome di Stoccolma,ormai la tua anima ha cambiato bandiera e finalmente tu te ne sei reso conto. Ora sei parte di questa città in tutto e per tutto,benvenuto tra noi Dead Men Walking,fratello”.
Mentre si lasciava trascinare per le vie di quella città dimenticata da Dio, verso uno dei bar più malfamati della città per ubriacarsi insieme alla ciurma di sanguinari pirati mercenari di cui era l’interprete, pensò che era vero,dannatamente vero,ma quello che gli faceva veramente paura era che quell’idea … in fondo in fondo,  iniziava a piacergli.
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
Beh, direi che ora come ora sto rispettando una tempistica decente direi,spero di poter continuare così…ringrazio tutti quelli che hanno deciso di leggere e seguire con me il percorso di questi pazzi, soprattutto quella santa donna di Ely Natassia che si prende la briga di leggere tutto quello che scrivo! :) spero di non deludervi ;)  alla prossima!

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Capitolo 3
*** Thoughts Of A Chief ***


 
Dutch fumava nervosamente, quella mattina.
 
Aveva sempre avuto un sesto senso per quanto riguardava il suo lavoro: era a capo della Lagoon proprio per questo motivo.
 
Da giorni ormai, una sensazione di allerta turbava il sonno dell’ormai quasi cinquantenne afroamericano.  Dapprima era stata solo una fastidiosa ma incolore preoccupazione latente, che andava esaurendosi, ma la sera prima, al bar di Bao, erano circolate delle voci che a Dutch non erano per niente piaciute.
Si diceva che stavano per arrivare tempi duri per le società di consegne, e che una grande potenza era scesa in campo; nonostante avesse passato la serata a fare domande ed usare i suoi “metodi persuasivi”, l’afroamericano non aveva cavato un ragno dal buco.
 
Persino Bao, l’onnisciente barman dello Yellow Flag, il bar preferito dalla Lagoon Company, sembrava non sapere o non voler dire niente riguardo a quella faccenda.
 
Tormentato tutta la sera da quel pensiero, Dutch non aveva nemmeno partecipato alla gara di bevute che Revy aveva indetto, la quale si era conclusa con uno sfinito Rock che crollava sul bancone del bar con Benny che cercava di sorreggerlo, mentre la pistolera si strozzava dal ridere.
Mai durante tutta la serata, quei pensieri avevano smesso di tormentarlo, non trovando risposta nella sua mente: quei sussurri e quelle mezze parole captate gli toglievano il sonno.
 
Il giorno dopo, quasi a voler dare una conferma tangibile ai suoi sospetti, il capo della Lagoon si era personalmente recato da quasi tutti i suoi clienti abituali, e quello che ne era venuto fuori non gli era piaciuto per niente.
 
Dagli italiani di Dago, ai colombiani di Manisarela, persino Rowan, il pappone magnate del porno e dello snuff, e gestore del GoofFest, avevano dimezzato o addirittura cancellato i loro ordini presso la Lagoon Company.
 
A nulla erano valse le domande insistenti e la richiesta di motivazioni dell’ex Marine, nessuno sapeva o voleva dire nulla di più del nome della compagnia concorrente che stava minando gli affari della Lagoon Company: La Hell’s Souls Company.
 
Persino il corrotto capo della polizia di Roanapur, il “capo Whatsap”, non era riuscito a riferire molto sul conto della compagnia rivale, la quale sembrava essere davvero molto esperta nel far perdere le tracce di se’, non fornendo dati personali o ubicazioni precise e mantenendo anche una grande impressione di potere alla malavita di quella città.
 
Tre erano i clienti da cui non era ancora andato, i suoi principali acquirenti e fornitori: la Chiesa della Violenza, la Triade di Chang e l’Hotel Moscow.
 
Ora Dutch sul molo attendeva pazientemente l’arrivo del resto della ciurma.
 
Come sempre Benny fu il primo a presentarsi, con la sua camicia arancione a fiori perennemente indosso e quell’aria di tranquilla soddisfazione che Dutch gli vedeva ogni volta che la sua nuova fiamma si doveva presentare in città.
 
“Hey Benny boy, ho sentito che Calamity Jane farà ritorno alla grande Roanapur!” sogghignò il nero “ Speriamo che non sia come l’ultima volta, o ti troverai attaccati al culo i peggiori tagliagole della città!”
 
“Ah, capo, lasciami stare! Per una volta che in questo cesso succede qualcosa di bello anche a me, lasciamelo godere no? Tu piuttosto quant’è che aspetti per trovarti una signora Dutch con cui divertirti un po’?” Il tecnico sorrise sornione, ben sapendo che se c’era una cosa che il prudente Dutch non avrebbe mai fatto era andarsi ad infilare in un affare di cuore.
 
“Finchè avrò una torpediniera coi contro cazzi, tutti i soldi che un uomo d’affari come me può volere e una scorta di birra fresca in frigo, non sento il bisogno di nient’altro che necessiti più fatica di alzare un dito. Piuttosto dove sono i piccioncini? Perché devono sempre fare tardi?”
 
“Eh capo, che vuoi farci, ieri sera Rock ha perso clamorosamente la gara con Revy ed oggi ne vedrai delle belle!”
 
“Bah!” fece il nero, infastidito, “ quei due dovrebbero darsi una svegliata e smetterla di giocare al gatto col topo. TwoHands non è certo una principessa da salvare dal drago cattivo: se la carne di drago valesse abbastanza quella ucciderebbe il drago per venderne la carne e ruberebbe il cavallo del principe azzurro dopo averlo fatto fuori.
Mentre Rock … beh Rock è sempre stato difficile da comprendere. Al ritorno dal Giappone mi è sembrato di scorgere in lui una vena diversa, più simile a noi, ma si comporta ancora come se lottasse per restare a galla... “.
 
“E chi non lo farebbe, Dutch? “ disse Benny “ sai quanto tempo ci ho messo io per abituarmi a tutto...questo?” e fece un gesto circolare comprendendo tutta la città con quel movimento “beh, pensa ad uno come Rock, che la cosa più trasgressiva che può aver fatto prima è timbrare il cartellino in ritardo?”
 
“Non hai torto Benny.”
 
Mentre i due stavano così discutendo, da lontano si sentirono le risa sguaiate di Revy e le proteste accorate di Rock che si avvicinavano,crescendo sempre più d’intensità.
 
“Non è giusto Revy! Non posso andare in giro conciato così, perdo di credibilità!”
“Non me ne frega niente! Una scommessa è una scommessa e tu, mio caro, hai perso! E questa è la tua punizione! Ti ricordo che se avessi perso io,sarei dovuta venire qua in bikini, secondo quanto hai detto ieri sera!”
 
“Sì ma almeno con te non si sarebbe notata la differenza!”
 
“Cosa vorresti insinuare,brutto idiota? Vedi di pensare bene a quello che dici o ti darò un pugno così forte che Dutch ti dovrà imboccare col cucchiaino per mangiare!”
 
 
Revy come sempre procedeva spavalda a grandi passi, le Cutlass assicurate ai fianchi ed un ghigno divertito sul volto.
 
Rock invece aveva un’aria contrita ed imbarazzata, ma la cosa che più spiccava di lui era... la camicia hawaiana che indossava,blu e bianca con dei fiori in rilievo.
 
Benny si strozzava dalle risate e nemmeno Dutch, poté trattenere un singulto divertito: quell’aria da diplomatico colletto bianco giapponese che Rock ispirava sempre con quella sua camicia bianca e quella seriosa cravatta nera che indossava sempre contribuiva non poco ad aumentare il livello di serietà delle transazioni; con la camicia con cui Revy l’aveva costretto ad andare in giro, invece, sembrava più che altro un turista che ha perso la strada; con un gusto orribile nel vestire, per giunta.
 
“Hey Rock, vuoi che ti venda una cartina della città? O vuoi delle informazioni per arrivare all’hotel??” Scherzò Benny, che evidentemente aveva avuto la stessa impressione di Dutch.
 
“Oh vai al diavolo Benny, non ti ci mettere anche tu!” sbottò Rock accendendosi una sigaretta.
 
“Bene, ciurma, torniamo seri per favore!” il capo della Lagoon aveva ripreso il controllo della situazione in un secondo.
 
“La situazione sta degenerando in fretta, e se non ci diamo una mossa a capire chi o cosa ci sta rovinando ci ritroveremo col culo per terra prima di una palla di neve in un forno” disse Dutch con foga “Ho già girato i pesci piccoli ma sembra che questi con cui abbiamo a che fare sappiano il fatto loro: nessun recapito, nessun indizio sulla zona in cui lavorano, nessun biglietto da visita,solo un nome, Hell’s Souls Company.”
 
“Che nome da froci” fu il commento di TwoHands “Non capisco perché ti preoccupi tanto, grande capo, è già successo che tentassero di minare i nostri affari, e come sempre gli faremo capire chi comanda e vedrai che torneranno in riga” concluse la ragazza con leggerezza.
 
“Two Hands, lavori con me da più degli altri, e sai che per quello che riguarda i miei soldi sono più attento di un padre con la figlia sedicenne al primo appuntamento. Come il padre vorrebbe che il fidanzato non si fottesse la ragazza, io non voglio che ci fottano tutto quello per cui abbiamo lavorato, ed il sottovalutare persone così preparate come sembrano essere è il modo migliore per mandare tutto a puttane prima ancora di iniziare.” Concluse Dutch funereo.
 
“Ora faremo così: oggi ci divideremo e visiteremo i nostri pezzi da novanta. Anche se la situazione dovesse essere simile agli altri, non dovete scoraggiarvi, ma è di vitale importanza che facciate il possibile per scoprire quanto di più su questi bastardi. Rock, Revy, voi due andate da mr. Chang, che sembra averti preso in simpatia, Rock, quindi lisciatelo a dovere. Benny, tu va’ all’Hotel Moscow e chiedi a Balalaika informazioni; sei il più anonimo di noi verso di lei, quindi se ti sembra che ti tenga qualcosa nascosto chiedi un incontro con me ed avvisami subito. Io andrò alla chiesa della violenza per chiedere una “confessione privata” con la sorella Yolanda.
 
“Ricevuto capo”  rispose subito Benny e s’incamminò direttamente; a Benny piaceva molto camminare, ed il suo era l’obiettivo più vicino a piedi.
 
“Ok, Dutch, troveremo questi bastardi che ci mettono i bastoni tra le ruote e li rispediremo a calci in culo dal buco schifoso da cui sono venuti!” Disse Revy facendo ruotare le Cutlass sulle dita come se si trovasse in un western, davanti al cattivo di turno.
 
“Certo certo…anche se conciato così non so quanto Mr. Chang mi potrà prendere sul serio!” ribatté Rock piccato, rischiando di riaccendere la discussione, ma fu interrotto dal capo che aveva ripreso a parlare
 
“Piuttosto, prendete l’auto, io alla Chiesa ci vado a piedi perché voglio sentire meglio se ci sono voci per strada che possono essere importanti.” così detto, lanciò le chiavi a Rock e s’incamminò per le strade di Roanapur, tenendo come sempre la mente calma e le orecchie aperte per captare il minimo segno di discussione interessante.
 
 
 
L’angolo dell’autore
Eccoci con il nuovo capitolo, quasi in tempo xD comunque come avrete notato ho dedicato un capitolo un po’ più calmo che mi serviva a dare indicazioni per il proseguo della storia, ma dalla prossima ritorneremo ai ritmi sostenuti ;) spero comunque che apprezziate lo sforzo! Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Yankee Doodle ***


Benny procedeva spedito per le vie di Roanapur, in direzione dell’Hotel Moscow, che si ergeva imponente sugli edifici circostanti, non diversamente da come Balalaika e la sua tentacolare organizzazione si erano imposti celermente nel panorama di Roanapur.
Il cervello dello yankee era saturo di pensieri, a partire dalla situazione contingente riguardante la Lagoon Company e per arrivare all’imminente ritorno in città di quella Jane che aveva prepotentemente sconvolto le priorità del tecnico della Lagoon.
Fin dall’adolescenza, Benny non era mai stato un ragazzo particolarmente romantico o donnaiolo, aveva, infatti, sempre preferito l’informatica ed i soldi: almeno quelle due cose, in fin dei conti, i problemi li risolvevano.
Ma Jane, con la forza di un vero e proprio uragano, aveva dapprima fatto breccia con la sua irruenza ed il suo carattere genuino, sorprendendo ed attirando a sé l’uomo, per poi andarsene ogni volta in fretta  e furia come se n’era arrivata, mantenendo però alto il tasso di attrazione dell’alto con degli indimenticabili messaggi ed e-mail erotici.
Era questo suo carattere estroso, diretto e senza remore, che aveva più di tutto attirato Benny verso quella strana ragazzina, iniziando forse persino a far breccia nel cuore dell’uomo, oltre che nei suoi lombi.
Ultimamente Benny però iniziava a chiedersi sempre più spesso se questa attrazione non avesse iniziato a farlo deconcentrare nei confronti del suo lavoro: questo, come tutti i “liberi professionisti” di quell’inferno sapevano meglio di ogni altra cosa, era il metodo più rapido e sicuro per non rivedere più sorgere il sole.
Tutti questi pensieri furono bruscamente interrotti da una voce di donna che si alzò imperiosa dal vicolo adiacente, condito da un accento che riportò l’uomo nei bassifondi della Grande Mela.
“Hey motherfucker, pensavi davvero che non mi sarei accorta che cercavi di fregarci?”
“Eh, e non è mica il primo!” replicò un’altra voce, sempre femminile, ma con una connotazione decisamente più violenta e aspra, carica di una violenza straordinaria “In questa città di merda cercano di mettertelo nel culo appena volti le spalle, ma ora darò a questo lurido stronzo un’ottima ragione per non tentare mai più di fregare nessuno!”
Proprio in quel momento Benny voltò l’angolo, trovandosi dinnanzi ad una scena singolare, non tanto per l’azione in quanto tale che si stava svolgendo (raggiri minacce e violenze erano il pane quotidiano di ogni vero cittadino di quel limbo infernale dimenticato dall’uomo), quanto per i personaggi che vi prendevano parte.
C’erano due donne in piedi innanzi alla bancarella di frutta di Pang, uno dei tanti piccoli venditori che si guadagnavano da vivere spillando soldi ad ignari passanti con della merce che definire scadente sarebbe stato più di un eufemismo.
Una delle due donne era una bellezza americana con tratti teutonici: non più di trent’anni, alta, bionda, con due piccoli e penetranti occhi azzurro chiaro, con forme prosperose accentuate dal corto vestitino a fiori bianco e blu, che sembrava quasi disegnato direttamente su quelle forme, che lasciava però intravedere una muscolatura non indifferente, che non andava però a contaminare quella perfetta conformazione.
Se ne stava alle spalle dell’altra donna e sembrava quasi tra il divertito ed il paterno, mentre guardava le azioni della ragazza con lei.
Costei Benny suppose immediatamente fosse la seconda ad aver parlato: ciò quantomeno lo desumeva dal suo aspetto, che di certo non passava inosservato.
Un po’ più bassa della bionda, la donna aveva corti capelli neri rasati da un lato, un piercing evidente a forma di teschio all’orecchio destro, lineamenti duri e squadrati, puramente britannici, ma tuttavia con un colore di pelle più scuro dell’inglese medio.
Vestiva jeans strappati, una t-shirt sbracciata bianca, lisa ed in certi punti stracciata, con una grande A di Anarchy rosso sangue al centro di essa, evidentemente disegnata a mano e scolorita.
La punk, anche lei sui trent’anni d’età, era protesa in avanti e con una mano teneva Pang per il bavero, rivelando una forza inaudita in quanto sembrava non le comportasse alcuno sforzo evidente.
Benny odiava di norma immischiarsi nelle dispute degli sconosciuti, e a Roanapur questa politica salvava più vite della polizia, ma decise che in questo caso avrebbe bypassato la prudenza, in quanto le due donne sembravano nuove della città, e Pang era uno dei contatti dei bassifondi di Dago, il capo della delegazione della mafia italiana a Roanapur, capo da poco tempo ed ancora con tanto da dimostrare.
 “Hey Pang, insomma, come ti sei ridotto? Hai bisogno di fregare due splendide strangers per racimolare qualcosa? I maccheroni non pagano bene, vedo…” disse Benny sorridendo ed avvicinandosi al terzetto.
“Q-questa puttana è pazza!” soffiò poco convinto il venditore, ancora stretto nella morsa ferrea della ragazza “mi ha aggredito perché ho venduto loro delle mele ad un prezzo più che r-ragionevole.”
“Squittisci più forte, schifoso ratto, non riesco a sentirti!” gli ringhiò di rimando la ragazza, scuotendolo un po’ per il bavero “devo aver sentito male, perché mi è parso di sentire la parola ragionevole riguardo a quella merda che spacci per frutta commestibile … forse dovrei infilartela giù per la trachea come ricompensa per i tuoi preziosi servigi!!” dicendo così lo tirò verso di se, in modo che i piedi del venditore si staccarono dal suolo.
All’improvviso la bionda posò una mano sulla spalla della punk, dicendo con calma: “Forza Daya, lascialo stare. Non vogliamo certo fare troppo casino a quest’ora e per questioni simili, non è vero?”.
“Sieg Heil!” esclamò divertita la punk, mollando all’improvviso il povero malcapitato, che incespicò e rischiò di cadere all’indietro ed indietreggiando leggermente.
“Forza Pang” si intromise Benny “ fa’ a queste due gentili signore un prezzo migliore con merce migliore … oppure potrei ricordarmi di riferire a miss Balalaika che sei tornato a vendere il tuo ciarpame nella sua zona e le tue informazioni agli italiani: torneresti in Corea in una scatola da sigari”.
“Vai a farti fottere, Benny … continua così e qualcuno ti chiuderà finalmente quella boccaccia una volta per tutte!” borbottò il venditore con astio, ma obbedendo controvoglia.
“E a te un giorno qualcuno indicherà uno shampoo migliore, ne avresti un gran bisogno … Signore.” aggiunse poi facendo un cenno alle due ed avviandosi.
“Ehi tu! Benny, vero? Aspetta!”
A parlare era stata la bionda, che si stava ora avvicinando a lui con passi veloci ma ben distesi.
Quando gli fu vicino, Benny poté osservare piccoli particolari che prima non gli erano saltati all’occhio; scorse, infatti, dei tratti raffinati, curati, segni indelebili di un’infanzia agiata, anche se temprata dal tempo, ma in quegli occhi color del ghiaccio, l’uomo scorse una luce strana ma conosciuta, che però non riusciva a ricollegare alla fonte.
“La tua voce non mente” disse la donna accennando un sorriso, aveva una voce calda e diplomatica, che però sembrava molto pre impostata “mi sembra quasi di tornare sotto il sole della Florida. Cosa ci fa un ebreo yankee in un posto simile? Perdona l’irruenza ma è raro trovare conterranei in città come questa … soprattutto uno con un’aria così pacifica come te.”.
Benny registrò con sorpresa quell’intelligente insieme di domande, mirate a tracciare un profilo veloce di chi aveva davanti ma confuse con una dosata quantità di gentilezza e naturalezza: la ragazza ci sapeva fare con le parole.
“Oh beh, immagina il mio stupore nel sentire l’impostazione della voce ed il gergo dei sobborghi alti di Manhattan in piena Thailandia, dove al massimo sento l’inglese scimmiottato dei nativi del luogo o le inflessioni di tutti i viaggiatori di questo porto di mondo.” rispose l’uomo omettendo consapevolmente la risposta a molte delle domande che ella poneva, ben conscio che l’insistere troppo nel fare domande sarebbe risultato sospetto.
La bionda però sembrava divertita dall’astuzia dell’uomo che aveva davanti, e rispose con un semplice “Beccata eh?”, esibendo una dentatura perfetta e bianchissima mentre sorrideva con energia.
“Allora, signore, posso invece chiedervi cosa porta due belle donne come voi in uno dei più luridi buchi dell’intero sud-est asiatico?” chiese Benny, speranzoso di carpire qualche informazione ma comunque animato in fondo da semplice gentilezza.
“No, Mr. Florida, non puoi!” ringhiò in quel mentre la punk, che era silenziosamente scivolata a fianco dell’uomo, ed ora lo guardava fisso, con indifferenza ed astio “anzi, tu e la tua ridicola camicia arancione fareste meglio a levarvi dai piedi e farvi un po’ più i cazzi vostri, se non volete guai!” detto questo, sputò per terra ai piedi di Benny e si avviò verso la strada principale.
Benny la osservò, più incuriosito che arrabbiato: lavorando con una come Revy non era certo suscettibile a quel tipo di insulti e minacce.
“Mi spiace molto, la mia amica è molto … diretta” disse la bionda in tutta calma, riservando uno sguardo glaciale alla punk.
“Oh non si preoccupi, sono abituato a ben di peggio!” disse Benny con un sorrisetto.
“Knall! Sbrigati, cazzo! Voglio essere a destinazione in mezz’ora al massimo, finiscila di cazzeggiare!” sbraitò l’altra donna, ormai quasi arrivata alla strada principale.
“E’ stato un piacere, signor Benny, spero proprio di rivederla…”.
I due si strinsero la mano con energia: quella della bionda era molto curata quanto robusta.
“Non si preoccupi, le strade qui a Roanapur sono poche, a meno che non vi nascondiate da nemici potenti, sono sicuro ci rivedremo” scherzò il tecnico della Lagoon con una risatina.
La bionda quindi lo osservò ancora per un attimo con distacco, come se stesse cercando di cogliere al volo tutto quello che finora le era sfuggito, poi accennò un sorriso di congedo e si affrettò con passo deciso a raggiungere l’amica.
Benny, invece, improvvisamente memore dei suoi impegni, si affrettò a riprendere la sua strada, continuando però a ripercorrere per intero quello strano incontro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’Angolo dell’autore
Questo capitolo ha richiesto più energia di quello che avevo preventivato ma sono abbastanza contento del risultato, spero vi piaccia! :) 

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Capitolo 5
*** Leprechauns, Rainbows and Confession ***


La mattina sembrava, fino a quel momento, apparentemente normale, con un sole che illuminava la cappella della Chiesa Della Violenza di quella sfumatura dorata che sorella Yolanda amava chiamare “il bacio di Dio”, in quella particolarmente sperduta succursale del Suo Regno.
Eda non amava quel modo di vedere Dio, ovunque e comunque, era troppo ossessiva e non lasciava all’uomo un vero e proprio spazio decisionale, ma per una donna come lei che si rifugiava dalla gente da cui doveva proteggersi, l’ultima cosa intelligente da fare era esprimere sofismi filosofico – teologici a chi la ospitava.
La donna non era certo un fulgido esempio di cristianità o dedizione, anzi a dirla tutta le erano sempre stati indigesti quasi tutti gli ordini religiosi, fin dalla tenera età; a Roanapur, del resto, tutto è relativo e tutto, in qualsiasi caso, può essere comprato o conquistato.
In quell’assolata mattina Eda doveva ricevere il solito carico destinato ai dormitori delle suore: armi, droga e qualche tunica nuova.
Era uno dei lavori più noiosi che ci fossero, ma Rico era indisposto da quando era tornato dall’ultima “missione evangelica” con qualche buco extra ed una forte dipendenza dal crack.
“Quel piccolo coglione” pensò Eda infastidita “ ora si gode bello bello tutta la riabilitazione a spese della Chiesa, e lascia a me tutto questo lavoro noioso! Quando si rimette lo rimetterò io in riga… spero almeno di non annoiarmi troppo”.
Non sospettava che il destino l’avrebbe proprio accontentata.
Sapeva che la sorella Yolanda era in riunione con qualcuno, aveva visto la porta chiusa, ma non aveva idea di chi fosse, e perché occupasse quell’orario così scomodo di ricevimento: Eda adorava parlare con sorella Yolanda per ingannare il tempo, era una persona acuta ed intelligente e su quella città sapeva quasi più di quasi chiunque altro, quindi poteva fornire tante ed interessanti informazioni a chi sapeva coglierle.
La cosa più strana era che sorella Yolanda, di solito, voleva sempre avere Eda a fianco nei ricevimenti pomeridiani, in quanto era una sicurezza in più nell’eventualità di scontri a fuoco in minoranza numerica.
All’inizio Eda era stata ingannata dall’apparenza fisica della sorella più anziana e si era spazientita, in quanto si sentiva obbligata a fare da balia ad un’inutile vecchia.
Questa conclusione era quanto di più lontana dalla realtà e Eda aveva potuto rendersene conto al primo piccolo “incidente”, avvenuto alla Chiesa: un piccolo trafficante di droga, imbaldanzito nel trovarsi davanti un “vecchio pinguino”, aveva pensato bene di portarsi quattro amici per “convincere” l’anziana donna a rifornirli gratuitamente della loro erba migliore.
Se n’erano venuti impettiti, armati di Glock e mazze da baseball, pieni di boria giovanile e pronti a sfogarla sulla casa di Dio.
L’attacco non era durato che dieci minuti, e ad occuparsene era stata unicamente sorella Yolanda; Eda non aveva nemmeno avuto il tempo materiale di intervenire, ma aveva potuto assistere incredula all’epilogo di quello scontro.
La scena che le si era presentata dinnanzi agli occhi era quasi irreale: quasi tutti quei piccoli bastardi giacevano a terra, coperti di sangue e fori di proiettili, tranne uno che aveva un foro sanguinante in entrambe le ginocchia, che si teneva appoggiato ad un muretto ed osservava la suora che si ergeva dinnanzi a lui con puro e concreto terrore.
Yolanda, con la Desert Eagle placcata d’oro in pugno ed un’espressione grave e profonda sul viso, era ben piantata dinnanzi al ragazzotto, e lo osservava tamponare le emorragie che l’arma gli aveva procurato.
Improvvisamente si era chinata su di lui ed aveva esclamato con voce grave:
“Ezechiele 25.17: "Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare ed infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.”. E pronunciate queste parole, la Eagle eruttò l’ultimo fuoco di quel pomeriggio, strappando velocemente e violentemente la vita dello spacciatore.
Tutti gli astanti che come Eda avevano assistito a quella scena in rispettoso silenzio erano trasaliti a quell’ultimo sparo, non tanto per lo sparo in sé, quanto per il fatto che avevano osservato le azioni della sorella Yolanda come una risposta alla domanda che molti che avevano a che fare con la Chiesa si domandavano, e cioè perché un’organizzazione criminale come la loro era retta da una così vecchia serva di Dio.
E Yolanda aveva provveduto a ricordare a tutti quella risposta che avevano dimenticato, per poi ritirarsi in convento e digiunare per una settimana: si potevano dire molte cose di quella donna, ma di certo era totalmente coerente e devota ai suoi principi.
Questa serie di reminiscenze nella mente di Eda furono improvvisamente interrotte dall’arrivo di un volto noto.
Dutch, l’afroamericano a capo della Black Lagoon, si avvicinava a passo sostenuto alla Chiesa, fumando come suo solito e tenendo lo sguardo basso, come se fosse immerso in chissà quali pensieri.
“Eeehi, chi non muore si rivede, eh Dutch??” disse Eda a voce alta, scostandosi un attimo dalla porta a cui era appoggiata, sorpresa da quell’arrivo inaspettato ma felice di poter scuotere il torpore in cui si trovava “Da quanto tempo non fai un salto qui eh! Se mandavi ancora quella cagna di Two Hands sarei stata costretta a rispedirla a casa con qualche foro extra! Anche se forse quel suo Romeo non sarebbe stato molto d’accordo!
Che racconti, vecchio mio?”
“Ciao, Eda.” Esordì il capo della Lagoon con quella voce profonda e penetrante, fermandosi a pochi passi da lei e piazzandole addosso il suo sguardo,come sempre celato dagli onnipresenti occhiali da sole “In effetti, è un po’ che non passo di qui, ma che vuoi farci, dirigo una società di consegne, non un Supermarket: il lavoro non manca mai e più mando in giro Revy, meno mi rompe le scatole in ufficio”.
Eda rise sguaiatamente alla battuta di Dutch, per poi aggiungere “Sì, ma ultimamente di lavoro non ce n’è più come prima, ho sentito!”
Lo sguardo di Dutch si fece di nuovo serio e concentrato “Hai ragione, ed il motivo principale per cui sono qui è scoprire qualcosa in più. Non è che per caso tu hai qualche informazione in più da darmi?”.
“Purtroppo no, Dutch, ho cercato anch’io di saperne di più, per capire se dovevo o meno guardarmi da loro per il bene della Chiesa, sai? Però sembra che siano più in gamba dei miei informatori, non sono riuscita a cavare un ragno dal buco finora”.
“Lo immaginavo” disse Dutch con un sospiro “ Purtroppo tutti i miei canali di riserva hanno detto più o meno la stessa cosa. Però vale la pena di sentire Yolanda, a tal proposito, la trovo in ufficio?”.
Dicendo questo, allungò una mano verso la porta dietro Eda, che conduceva all’anticamera dello studio della reggente della Chiesa.
“Frena le rotative, Dutch” esclamò la suora, poggiando la sua mano su quella di Dutch con energia “Sorella Yolanda è in riunione, e non vuole essere disturbata”.
“Ah si? Ed in riunione con chi, se posso saperlo?” disse l’ex marine con un sorrisetto ma non togliendo la mano dalla maniglia.
“Non l’ho visto entrare e anche se ne sapessi di più, non posso rivelare dettagli sugli incontri di sorella Yolanda, mi spiace: conosci la procedura” disse Eda con molta calma, facendo saltare con altrettanta calma il bottone che teneva nella custodia la pistola.
“Non sono qui per cercare guai, Eda, ma ho davvero bisogno di parlare con lei... “.
“Spiacente Dutch, sto solo facendo il mio dover... “.
Mentre pronunciava quelle parole, ed iniziava a trovare velocemente diversi modi per concludere quella difficile situazione, però, la maniglia della porta su cui Dutch teneva ancora la grande mano scura, si abbassò all’improvviso, e chi l’aveva aperta andò a sbattere in pieno contro l’afroamericano.
Era un uomo sulla trentina a malapena, alto non più di un metro e sessanta, folti capelli rossi ed occhi verde smeraldo, indossava pantaloni lisi ed una scolorita maglia verde con un grande trifoglio al centro; aveva uno sguardo sveglio ed attivo, una corporatura molto robusta, soprattutto se messa in proporzione alla basta statura ed emanava un vago odore di birra.
La prima cosa che disse, dopo l’impatto con quella montagna umana di Dutch fu: “Beh, cioccolatino, vuoi levarti dai coglioni?”.
La sua voce era aspra e venata di un’agitazione che non aveva niente a che fare con la paura: era un attaccabrighe di professione, e questo era evidente.
“Senti, sottospecie di folletto, vedi di girare i tacchi e chiudere quella fogna da irlandese mangia patate che ti ritrovi, o ti rispedisco a calci in culo sul tuo arcobaleno” replicò Dutch stizzito.
“Oooh right right, perché non mi fai un po’ vedere come muovi quei prosciutti bruciacchiati da scimmia che ti ritrovi?? Fammi divertire un po’, dai... ” provocò l’altro, tirando indietro le maniche ed alzando la guardia, con un’espressione combattiva e spavalda.
Proprio mentre Dutch si girava verso il rosso, dall’interno della struttura arrivò una voce che non udiva da un po’ di tempo.
“Ma guarda se non è il mio Dutch-boy quello che vedo qui! Quanto è, un paio d’anni che non ti fai vedere?” sorella Yolanda veniva avanti con passo sicuro, fermandosi esattamente tra i due contendenti “ Signor Drive, il nostro colloquio è terminato, mi auguro che voglia lasciare pacificamente la casa del Signore, senza metterci in difficoltà…”.
Il rosso fece una risatina e declamò ad alta voce “Is maith í comhairle an droch-chomhairligh.” (“È buono il consiglio di un cattivo consigliere”, vecchio detto irlandese ndr.) e aggiunse “Con te finirò un’altra volta, Lindor. Ladies... ” mettendo in questo congedo un fortissimo accento,quasi sicuramente di Belfast, ed incamminandosi quindi verso la città.
Dutch come sempre impassibile, non lo degnò di una risposta, si limitò ad esclamare a mezza voce “Coglione di un irlandese”, per poi rivolgere la sua attenzione verso la vecchia Yolanda.
“La vostra clientela è alquanto peggiorata da quando bazzicavo ancora questo posto, eh?” disse con un sorrisetto “Spero che non lo sia anche il vostro fantastico the”.
“Il tuo fattorino ne è testimone, il mio W&M è il migliore in questo schifo di città. Tra le altre cose volevo complimentarmi con te per il buon occhio con cui scegli il tuo personale, Dutch-boy, quel ragazzetto è un negoziatore nato.”.
“Ti riferisci a Rock, vero? Beh lui è stata una piacevole scoperta, quando l’abbiamo “arruolato” non pensavamo nascondesse tanto potenziale… ma mi piacerebbe continuare questa conversazione in un luogo più consono, gustandomi quel tuo buon the”.
“Ma certo, ma certo, ci mancherebbe. Eda?”
“Si, Madre?” rispose prontamente Eda, riscossa dal torpore meditabondo che aveva tenuto durante tutta la conversazione.
“Vorrei chiederti di continuare a star qui ad aspettare le consegne del mattino, io e Dutch abbiamo molto di cui parlare” disse con calma sorella Yolanda.
“Ma... ” iniziò a protestare Eda, contrariata.
“Non preoccuparti, conosco Dutch da quando è qui a Roanapur e so che non devo temere nulla. Inoltre se arrivano le consegne non voglio che disturbino la nostra … confessione.”.
Dutch a queste parole si lasciò andare ad una breve risata gioviale.
“Molto bene, Eda conto su di te! Andiamo Dutch, per di qua.”
“Dopo di lei, naturalmente”.
I due si avviarono così verso l’ufficio della madre superiora, lasciando un’Eda infastidita ad aspettare le consegne, e a chiedersi chi diavolo fosse quell’irlandese che non aveva mai visto prima in città o nei bar in cui andava la sera, finite le funzioni.
Improvvisamente a Eda balenò in mente un’idea, e prese il cellulare.
Si dice che le vie del Signore sono infinite, eppure anche quelle di quella particolare “serva” di Dio, non erano di certo da meno.
  
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
 
 
Eccomi! In ritardo stavolta ma questa settimana sembrava che gli esami non finissero mai, ed il mio tempo libero ne ha parecchio risentito … però per fortuna non le mie idee per questa storia! =) spero che vi piaccia!
P.s. per i più attenti e dotti, ci ho infilato una citazione del mio regista preferito, vediamo se qualcuno la coglie ;)

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Capitolo 6
*** A Singular Shepherd (Part. 1) ***


Balalaika procedeva da sola per le vie di Roanapur; indossava la sua solita giacca, appesa alle larghe e forti spalle, con le maniche lasciate a sventolare sospinte dalla brezza di quel mattino.
Era da molto tempo che la signora della guerra russa, leader del rinomato Hotel Moscow, non passeggiava senza la sua scorta per le strade di quella città, ma quel periodo così positivo per gli affari della sua compagnia sembrava aver stimolato la sua già non indifferente tracotanza e sicurezza.
Balalaika, inoltre, aveva da sbrigare un affare in cui non dovevano essere coinvolti i commilitoni, ed aveva lasciato al Compagno Sergente il comando completo del Quartier Generale. Boris era l’unico uomo che aveva mai potuto veramente avvicinarsi a quello che era stato il “lato umano” di quell’essere apparentemente composto da avidità, fame di potere e crudeltà.
Ovviamente anche il Compagno Sergente era un uomo altrettanto freddo e crudele, totalmente impassibile ed estraneo a tutte quelle stronzate romantiche e sentimentali sull’amore e l’amicizia: era stato proprio questo che gli aveva permesso di seguire e servire nel miglior modo possibile uno delle più promettenti capitani dell’esercito sovietico, ed in seguito partecipare in primo piano con quella donna anche nella costruzione e nell’espansione di una delle più violente e tentacolari organizzazioni criminali che il mondo avesse mai visto.
Quel giorno, Balalaika doveva far visita ad uno dei pochi nemici che fosse mai riuscito a mettere in difficoltà la soldatessa bionda: il capo della Triade Cinese, mr. Chang.
Non c’era giorno in cui la russa non ripensasse a quella maledetta sera del Novembre ’93, in cui sulle note di “It’s A Blue World”, i due capi delle più influenti organizzazioni di Roanapur si erano dati battaglia a colpi di arma da fuoco, nel tentativo di stabilire un potere indiscusso sui traffici di Roanapur.
L’esperienza sul campo di battaglia di Balalaika le era fino a quel momento valsa molte vittorie, contro quei piccoli stupidi mafiosi, capaci solo di organizzare rachet contro altri poveracci squattrinati come loro, incapaci totalmente di un organizzato piano strategico e senza alcun senso dell’onore.
Mr. Chang, nei brevi colloqui ed incontri che avevano avuto fino a quel momento, si presentava esattamente come lo stereotipo del mafioso medio: chiassoso, sempre fin troppo ben vestito, eccentrico e con un insano gusto per la spettacolarità.
Da attenta osservatrice qual’era, Balalaika non aveva però impiegato molto tempo a notare che la gestualità e gli eccessi di quel damerino non erano che un’intelligente copertura per studiare meglio i nemici senza rivelare nulla d’importante di sé: quel modo di agire, l’attenzione e la precisione con cui lui e la sua organizzazione lavoravano, ricordavano molto di più il modo di agire dei servizi segreti.
Solo quando i suoi informatori erano riusciti a giungere alla vera identità di quel mr. Chang, Balalaika aveva avuto un brivido di un’emozione che credeva di aver perso, da quando si era convinta dell’imbattibilità della propria organizzazione: il senso di improvviso disorientamento di fronte a quello che si prospettava un avversario addirittura alla sua altezza.
Una settimana dopo quella scoperta, Balalaika vestì l’unica “uniforme” che non aveva più dovuto indossare dai tempi dei campi di battaglia afghani: un elegante vestito da sera blu notte.
Per la guerrigliera russa, infatti, un abito da sera era molto più carico di responsabilità intrinseche della divisa con cui conduceva i suoi uomini alla battaglia: essa era ormai diventata quasi una seconda pelle per lei, era la testimonianza diretta e la prova concreta del suo legame fraterno con i compagni dell’Hotel Moscow, i suoi commilitoni, e lei era fiera di portarla.
Balalaika era conscia del fatto che molte donne sanno sfruttare un bell’abito da sera meglio di un AK-47, ma disprezzava con tutto il cuore quel modo di utilizzare il corpo femminile; era ben lungi dall’essere femminista, preferiva, infatti, di gran lunga i modi rozzi e sbrigativi dei soldati maschi, così simili ai suoi e così privi di quella serie infinita di complicazioni e significati reconditi con cui la maggior parte delle donne li infarcisce.
Quando una granata le aveva completamente sfigurato la parte destra del corpo, imprimendo per sempre sulla sua pelle il fervore della guerra, Balalaika era rimasta quasi “soddisfatta” da quel cambiamento: nonostante avesse sempre considerato il suo corpo il proprio “tempio”, allenandolo sempre al massimo per riuscire a competere e superare gli uomini con cui doveva gareggiare, finalmente con quei segni non era più solo “un bel corpo”, la sua essenza di macchina da guerra era finalmente libera dai vincoli e dai confini e riscontri comportati da misogine e superficiali convenzioni sociali.
Non era mai stata una donna che si facesse ostacolare da questo genere di cose, ma odiava l’idea che qualcuno potesse aver pietà di lei o che non le portasse il rispetto che meritava a causa di qualche curva di troppo.
Da quando le cicatrici erano diventate il suo tratto distintivo, era diventata finalmente in tutto e per tutto il soldato che aveva saputo di voler diventare: inflessibile, crudele, temuto e rispettato.
Anche dopo il congedo dall’esercito, ritrovandosi a capo dell’Hotel Moscow, poi, il potere che si ritrovò tra le mani fu oltre ogni suo sogno più recondito, e la sua leadership e la sua forza sarebbero state scolpite nel cuore di tutti per l’eternità.
Eppure, nonostante tutte queste premesse, quel Chang l’aveva sorpresa di nuovo, perché in quella notte da resa dei conti, l’aveva trattata istintivamente come solo altri due uomini in tutta la vita di Balalaika avrebbero saputo fare: senza alcuna premura per il suo essere donna, ma con un grande e puro rispetto per il suo nome e le sue imprese.
Quel duello era stato molto più lungo e sofferto di quanto Balalaika avesse mai potuto immaginare, sebbene sapesse molto bene che tutta Roanapur temeva e rispettava quello stratega, capo della Triade; poche volte aveva potuto vedere un uomo senza particolare addestramento militare che si muovesse bene come lui e che avesse il suo sangue freddo.
Le premesse dello scontro erano state che entrambi avevano congedato ogni scorta o aiuto da parte dei sottoposti: era una cosa tra loro.
Il miglior cecchino dell’Hotel Moscow era già ovviamente piazzato a debita distanza, non tanto per scorrettezza, quanto per tutelare un eventuale “calo d’onore” di quei mafiosi.
Fu quando lo scontro volgeva ormai al termine, senza che si stagliasse un vincitore palese, che Balalaika ebbe una chiara e completa visione di che genere di persona fosse il suo avversario.
I due contendenti si scrutavano ansanti come due leoni pronti a sbranarsi per una carcassa, entrambi feriti e ansanti ma ancora pieni di spirito combattivo.
Di punto in bianco, però, Mr. Chang aveva iniziato a ridere di gusto, con genuinità, come se si fosse appena ricordato la più bella barzelletta del mondo.
Balalaika lo fissò sconcertata: quella era la risata di un bambino davanti al giocattolo che tanto aveva desiderato e che finalmente i genitori gli avevano portato,una risata intrisa di una gioia selvaggia, incontenibile: rideva così il capo della Triade, in mezzo al campo di battaglia che quei due titani avevano creato
“Sei pazzo, Chang?” sussurrò la russa tenendosi il costato, con voce rotta e preparandosi a riprendere lo scontro “Cosa ci trovi di così divertente nella tua ultima notte?”
Mr. Chang le rivolse un sorriso sincero, e aggiustandosi gli occhiali da sole, rispose:
“Se mi chiedessero dove volessi trovarmi, in questo preciso momento” la sua voce era roca per il tanto ridere ma esprimeva in tutto e per tutto quell’eccitazione e quella gioia brutale che traspariva da lui.
“Non potrei che rispondere qui ed ora! A ballare questa macabra danza di vita e di morte con una ballerina esperta come te!
Tu mi hai ricordato perché ho scelto questa vita: erano anni che qualcuno non riusciva più a colpirmi e stupirmi come tu hai fatto, iniziavo quasi ad annoiarmi, e come sai è la cosa più pericolosa che possa succederti, nel nostro lavoro.
Ma tu sei l’avversario che ho aspettato per così tanto tempo, così fredda, metodica e piena di cazzate militari sull’onore ma con una crudeltà che ti avvicina più alla mafia che all’esercito.
Ho contato i tuoi colpi, Faccia Scuoiata, e so per certo che non hai che due proiettili in canna, inoltre il tuo cecchino è ancora alle prese con gli uomini che lo seguono da quando si è mosso dall’Hotel Moscow.”.
“Tu sottovaluti il valore dei miei uomini, mafiosetto!” ringhiò Balalaika con veemenza “Inoltre due proiettili bastano e avanzano per un moccioso come te!”
Balalaika non aveva ancora terminato di dire queste parole che Chang si era lanciato come un fulmine verso di lei, raggiungendola in poche falcate.
In condizioni ottimali, la russa sarebbe senz’altro riuscita ad intercettarlo, ma le ferite iniziavano a farsi sentire ed i suoi riflessi non erano adeguatamente pronti, e mr. Chang era già in azione.
Con una violenta torsione del polso, l’avversario riuscì a disarmare Balalaika e anche se le sue ossa erano troppo resistenti per rompersi per così poco, Balalaika non poté ignorare la morsa di ferro di quell’uomo.
Facendo ricorso a tutte le energie rimastegli, il capo dell’Hotel Moscow colpì l’avversario con un calcio in pieno petto, spedendolo a vari metri di distanza ma senza riuscire a farlo cadere; ella sfruttò quell’attimo per lanciarsi sull’arma caduta e puntarla verso il rivale, ma quello che stava facendo le impedì di premere il grilletto.
L’uomo era fermo in piedi, ed aveva ripreso a ridere come un folle, agitando le pistole nel tremore della risata ma tenendole pronte per un eventuale attacco.
“Non deve finire qui Balalaika, non lo permetto!” disse ilare “Vuoi rinunciare al tuo onore e regnare incontrastata sul resto di questi bifolchi? Sono cadaveri che camminano, corpi morti animati da puro istinto di sopravvivenza, senza uno straccio di motivo per combattere o anche solo per continuare ad esistere.
Voglio proporti una sfida e voglio vedere chi la spunta!
Non siamo in un film western in cui un duello all’ultimo sangue decide il corso della storia: la guerra andrà avanti anche senza di noi, ed io non voglio per nulla al mondo perdermi il piacere di combatterla fino in fondo!
Ho scelto questa vita perché volevo che tutte le mie abilità venissero sfruttate per conquistarmi quanto più potere mi è possibile, fregando e sconfiggendo altri bastardi come me.
L’adrenalina che provo ora è quello per cui vivo, sapere che potrei morire tra un secondo o tra un anno non mi spaventa affatto, anzi da’ alla vita quel gusto aspro che cerco.
Nessuno di noi due è tanto impreparato e stupido da presentarsi qui senza aver imparato a memoria ogni dettaglio dell’altro: so tutto del tuo passato come tu saprai tutto del mio, hai gli occhi giusti per vivere in questa città e le tue imprese sono degne del tuo onore.
Parlare del passato è un lusso che può permettersi chi ha vissuto tanto a lungo da non doversi più preoccupare del presente o del futuro; fai in modo che questo ardore con cui ci stiamo battendo si possa protrarre in qualcosa di grandioso, di cui parleranno tutti e che farà risuonare per l’eternità i nostri nomi!!” Chang era dolorante ed ansimava per lo sforzo di continuare ad urlare così, ma la sua energia era palpabile, aumentava sempre più e si iniziava a percepirla, come una spinta di calore che pervadeva l’aria circostante; si erse in tutta la sua statura e lanciò forte e chiara la sua sfida:
“Allora, Faccia Scuoiata, hai le palle di accettare la guerra della tua vita???”
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
Si, lo so, è una gran bastardata interrompere così il filo narrativo, però credetemi, tutto ha una sua spiegazione!! Ho spezzato il capitolo in due perché ci sarebbe stata troppa carne al fuoco e così è più funzionale per me.. spero che la mia scelta non vi scazzi troppo xDD è un po’ intricato destreggiarsi tra i piani di narrazione, ma mi premeva mettere questo “focus on” di questi due stupendi personaggi ed il loro background e spero di essere stato almeno decente nel farlo.
Ringrazio in anticipo tutti quelli che mi seguono, in primis Saeko che si prende la briga di leggere subito i capitoli nuovi che metto e anche Ely natassia che, beh, è sempre qui ^^

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Capitolo 7
*** A Singular Shepherd (Part. 2) ***


“Allora, Faccia Scuoiata, hai le palle di accettare la guerra della tua vita???”.
La conclusione del discorso di Mr. Chang era stata il culmine dello stupore di Balalaika, ormai convinta fino in fondo che quell’uomo di fronte a lei doveva essere un pazzo.
Stava per concludere quella questione, impallinando una volta per tutte quel damerino, quando un pensiero, piccolo, semplice e allo stesso tempo così assurdo, si fece largo all’improvviso nella mente della donna:
“Perché no?”.
Analizzata razionalmente, con la mente di un soldato, quella situazione non aveva altre soluzioni possibili: Chang era un avversario troppo forte, preparato, scaltro ed imprevedibile, che se lasciato vivere, avrebbe portato soltanto problemi all’Hotel Moscow.
Balalaika si era sempre affidata a questo modo razionale di pensare, abbinandolo al suo innato istinto di sopravvivenza quasi animalesco, ed essi l’avevano sempre portata in salvo da situazioni ben peggiori.
Ma quel piccolo dubbio, quella curiosità, non la lasciava, anzi con il procedere dei secondi si insinuava sempre più in profondità nel suo animo, facendole perdere presa sull’arma che avrebbe potuto mettere la parola fine su quell’avversario tanto temibile.
Quella notte di piombo e sangue si era conclusa così, con i due contendenti per tacito accordo si allontanavano, zoppicanti e ben consci del difficile scontro a cui quella sfida li avrebbe presto posti di nuovo uno di fronte all’altro, ma con un’energia nuova dentro di loro, prima sopita ma che dopo quell’incontro era quasi incontenibile: il fato aveva voluto che in quel piccolo angolo di Thailandia, si risvegliassero gli animi impavidi di due dei più feroci criminali che il mondo avesse mai visto.
Quei pensieri e quel ricordo, accompagnavano Balalaika, e quando emergevano con forza, la rendevano sempre irritabile e laconica, perché ancora si chiedeva se quella curiosità non le sarebbe venuta a costare più di quello che aveva preventivato.
Ormai davanti alla sede della Triade, la guerrigliera fece pulizia di quei pensieri nocivi e sgombrò la mente, ben conscia che le sarebbe servita tutta la sua astuzia ed attenzione ora che varcava quella soglia.
Il gran palazzo era sempre più sfarzoso, con un pavimento in vero marmo italiano, preziosi candelabri lavorati erano disposti nei lampadari che pendevano dal soffitto, impreziositi con venature d’oro e cristalli incastonati, i muri erano adornati da preziosi quadri di ricercati artisti europei: quei quadri riempivano l’ambiente di una rara varietà di colori sfavillanti, rendendo il tutto ancora più luminoso ed accogliente.
Balalaika sbuffò disgustata.
Era quello uno dei motivi principali per cui la mafia non era degna di alcun rispetto per lei, e anzi la riempiva sempre più di ostilità: tutta quella vanagloria ed ipocrisia di cui era sempre stata intrisa, come se avesse la convinzione e quasi il dovere di assumere sempre una facciata artistica, filosofica e “rispettabile”.
Balalaika non si vergognava di quello che era, anzi ne andava fin troppo fiera, ed era sempre stata convinta che chi avesse bisogno di nascondere il proprio lato violento e la propria fame di potere era perché, essendo insicura dei suoi mezzi, preferiva nascondersi nella folla e colpire di nascosto, in modo da non doversi esporre in prima persona, e questa era la peggiore delle codardie per chi aveva fatto del proprio potere il proprio vanto, cercando sempre e comunque di imporsi e differenziarsi.
Salendo in ascensore, la donna iniziò ad essere impaziente: quel posto aveva sempre avuto il potere di innervosirla, ma quel giorno c’era qualcosa di più, come una sensazione di pericolo latente.
Alla fine della sua corsa, le porte dell’ascensore si spalancarono e Balalaika si diresse verso l’attico in cui si trovava l’ufficio di Mr. Chang.
Un tizio andava nella direzione opposta alla russa, e lei gli scoccò una fugace occhiata per poi concentrarsi sul suo obiettivo, quando lo avvertì.
Era un odore molto lieve, quasi impercettibile ad un normale olfatto, ma esso colpì come un pugno le narici di Balalaika.
Era l’odore delle montagne dell’Afghanistan, Balalaika non avrebbe mai potuto dimenticarlo; sapeva dell’acre fumo dei villaggi bruciati dalle bombe incendiarie, delle spezie delle tendopoli dei profughi e dei feriti all’ora di cena, di quel dolciastro ed altrettanto inconfondibile odore del sangue sparso per i campi di battaglia.
Balalaika riusciva quasi a vederle, quelle maledette montagne, nelle cui valle poche sparute capre vagavano, guidate da temerari pastori incuranti della guerra che sembrava non interessare i loro piccoli mondi.
Era un odore che nessuna doccia avrebbe potuto coprire, più dell’anima che del corpo.
Ora la signora della guerra di Roanapur, era ferma ad osservare il personaggio che si portava dietro una così forte traccia delle proprie origini, il quale stava ora fermo in piedi e la osservava, come se anche lui avesse avvertito lo sguardo della donna su di sé.
L’uomo era alto, portava un lungo cappotto nero lungo fino alle ginocchia ed aveva dei chiari tratti asiatici.
I suoi occhi erano color del ghiaccio, saturi di spirito combattivo ma con una maschera di controllo psicologico degno di un assassino professionista e sull’occhio sinistro si stagliava una grande cicatrice verticale, che gli conferiva un’aria ancora più feroce; era alto come la donna, con spalle ampie da atleta ed una corporatura forte e statuaria ma al contempo che sembrava snella e agile.
Più lo osservava, e più Balalaika sentiva crescere in sé una forte ostilità ed un ancora maggiore senso d’allarme: era una sensazione così contingente da farle rimpiangere di non avere almeno due dei suoi soldati con lei.
“Non sapevo che in questo sperduto inferno, servissero del botvin'ja (una zuppa molto diffusa in Russia) così scadente... ” disse all’improvviso l’uomo a voce bassa, annusando l’aria e socchiudendo gli occhi “Avete tutti lo stesso odore, voi Spetznas (unità militari russe operanti in Afghanistan ndr.). Odorate delle vuote promesse del vostro paese, del sudore dei vostri soldati e del sangue degli innocenti che trucidate come bravi cagnolini. Quest’odore mi fa venire il vomito.” Disse con voce molto controllata ma caricata di tutto il disprezzo di cui una voce umana è capace.
“Attento a te, обожатель (pastorello, in russo ndr). Qui non ci sono caverne in cui puoi nasconderti come piace fare alla tua gente, per evitare di dover combattere. Questo non è territorio per topi di fogna come te, qui i roditori li schiacciamo per bene come meritano, e soprattuttoin fretta... ” ringhiò di rimando Balalaika,ergendosi in tutta la sua statura.
Quell’uomo misterioso non si scompose, anzi sfoggiò un enigmatico sorriso e scivolò piano verso le scale, senza mai togliere quegli occhi di ghiaccio dalla russa finché non fu sparito.
Anche se il pericolo era ora lontano, Balalaika sostava ancora in tensione, perfettamente immobile, con tutti i muscoli ancora tesi e pronti all’azione.
Quell’uomo era nuovo di Roanapur, fino a quel momento, l’Hotel Moscow aveva occhi ed orecchie in tutta la città, ma questo personaggio era riuscito a passare inosservato per parecchi giorni, prima di iniziare a far parlare di sé: era questo il dettaglio che più di ogni altra cosa preoccupava Balalaika.
Si voltò quindi improvvisamente verso la porta dell’ufficio di Mr. Chang, riscuotendosi all’improvviso dallo stato di tensione in cui era caduta, e si avviò verso la lucida soglia e la varcò con decisione.
Quell’ufficio rispecchiava perfettamente lo stile dello stratega della Triade: sfarzoso, con una delle viste panoramiche più belle della città di Roanapur, i mobili preziosi ed antichi non facevano altro che incorniciare e dare lustro ad una stanza che sembrava quasi risplendere di luce propria, per la qualità dei materiali di cui era composta.
Il capo della Triade era affacciato alla finestra, dietro un’enorme scrivania, così immerso nelle sue elucubrazioni che non si voltò nemmeno quando Balalaika fece il suo ingresso nel suo ufficio.
“Cosa stai architettando, brutto pezzo di merda??” esclamò la russa infervorata, piazzandosi davanti alla scrivania e stringendo i pugni per la rabbia.
“Miss. Balalaika, è sempre una gioia averti qui!” rispose cordiale mr. Chang, voltandosi finalmente verso di lei e sistemandosi gli occhiali sul naso “Lascia che ti offra... ”
La mano di Balalaika calò con forza sulla preziosa scrivania, producendo un gran frastuono e facendo addirittura tremare le gambe della stessa per la forza del colpo.
“Non prendermi per il culo, Chang!” sbraitò lei con ferocia “Ero venuta per la questione della Lagoon, e ti trovo qui a confabulare con un reduce afghano che sembra non aspettare altro che staccarmi di netto la testa!! Se stai cercando di fottermi, mafiosetto del cazzo, ti infilerò personalmente tutta la tua fottuta scrivania su per il culo e raderò al suolo tutta questa patetica combriccola di froci in abiti da sera!”
“Ora basta, Faccia Scuoiata, dacci un taglio!” tuonò Chang con tutta l’autorità di cui disponeva “Ora non sei nel tuo territorio, circondata e protetta dai tuoi gorilla o da quel pallone gonfiato del tuo leccapiedi preferito. O ti dai una calmata e ti esprimi da persona civile o sarò costretto a cacciarti a pedate e con qualche buco extra da questo palazzo!”.
Balalaika, invece di prendersela per l’acceso scambio, sfoderò un ghigno divertito e si accese un sigaro.
“Mi piace, quando fai finta di avere le palle, mi ricordi perché quella notte non ti ho fatto secco..”
Chang non accettò la provocazione ma sfoderò anch’egli un’aria soddisfatta.
“Allora, sei qui per capire come questi signori ti siano sfuggiti da sotto il naso senza che tu te ne accorgessi, eh?” chiese con finto candore, sentendosi come un bambino allo zoo che stuzzica un orso infastidito con un bastone, e per buona misura si avvicinò al cassetto celato in cui custodiva le sue pistole, come misura preventiva.
“Non fare il furbo con me! Sai bene che se c’è qualcosa che l’Hotel Moscow non è venuto a sapere sulla città è perché un’organizzazione si è messa d’impegno per nasconderlo. Ora come ora, inoltre, la tua Triade è la sola che possieda anche lontanamente un’influenza tale per poterlo fare.”.
“Mi spiace, Faccia Scuoiata, stavolta hai preso un granchio.
Quell’uomo che hai visto, era il capo della Hell’s Souls Company, un’organizzazione di mercenari di recente formazione.
Dice di chiamarsi Lucifer, e di voler scavalcare la Black Lagoon come maggiore e più importante società di consegne a Roanapur.
In questo periodo di tempo relativamente breve, Lucifer ed i suoi sono riusciti a farsi conoscere da tutte le organizzazioni criminali della città... ”
“Oh davvero?” ridacchio Balalaika con finto stupore “Non mi è parso di aver mai visto questi sedicenti boy scout bussare alla porta dell’Hotel Moscow, eppure la maggior parte dei clan mafiosi qui presenti trema solo a sentire il nostro nome.”
“Non fare l’ingenua, Balalaika, questo Lucifer si taglierebbe un piede piuttosto di non aver a che fare con te e la tua compagnia di combattenti”.
“Vorrà dire che glielo taglierò io di persona, non appena ne avrò l’occasione” ringhiò piccata la russa “e comunque non mi hai ancora spiegato per quale cazzo di motivo quel sudicio verme ed i suoi amichetti sono passati così inosservati! Cosa c’è sotto, Chang?”
Mr. Chang si allontanò dalla sua posizione, per avvicinarsi all’interlocutrice.
Nei suoi occhi c’era una nota di biasimo, d’indignazione.
“Non c’è nulla da nascondere, Balalaika, nulla è cambiato in questa città, se non l’aumento spropositato delle proporzioni del tuo ego e la diminuzione progressiva della tua attenzione!”
“Tu lurido stronzo come ti permet..”
“MI PERMETTO!” esplose il capo della Triade afferrando Balalaika per il bavero con forza “MI PERMETTO ECCOME! Ti stai montando la testa, inizi a perdere colpi e non controlli più i dettagli! Questi sono mercenari addestrati, per non farsi notare sono arrivati nei barconi di profughi confondendosi tra la gente, e prima che ti credessi la regina del mondo, non avresti perso di vista nemmeno una di quelle barche!” la lasciò andare all’improvviso per non entrare in aperto conflitto ma tenendo lo sguardo pieno di disprezzo su di lei “Ti ricordi la sfida che ti lanciai allora? Beh se dai per scontato cose come quella, mi consegni una vittoria veramente ridicola e disonorevole, Balalaika!”.
Balalaika non si era scomposta alla reazione di Chang, ed ora stava immobile dinnanzi a lui, con il suo sguardo assente, indecisa sul da farsi.
Improvvisamente gettò a terra il sigaro schiacciandolo con i piedi.
“Mi sono stancata delle tue stronzate, Chang. Non mettermi mai più una mano addosso o non vivrai tanto per raccontarlo” detto questo si girò e fece per avvicinarsi alla porta.
“Ferma! Io e te non abbiamo ancora fini..”
Chang però venne interrotto dalla porta del suo studio che veniva spalancata con irruenza dall’esterno, e Rebecca “Two Hands” della Lagoon Company fece il suo ingresso in quella stanza, accompagnata da quello che sembrava un turista giapponese con un gran cattivo gusto nel vestire, esclamando allegramente e con un sorriso quasi “carnivoro”.
“Buongiorno, mr. Chang, chi sono i suoi fattorini preferiti?”
 
 
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
Beh, ho dato fondo alla mia fantasia e al mio tempo per finire decentemente questo capitolo, ma devo dire che sono molto contento del risultato! Spero piaccia anche a voi =) Alla prossima!!
 
 

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Capitolo 8
*** Hope ***


Quella non era per niente una buona giornata, per mr. Chang.
La giornata del capo della Triade di Roanapur in ufficio era stata scandita da un lungo quanto estenuante colloquio con i rappresentanti della Mafia e del cartello di Manisarela, entrambi preoccupati come tutti della piega autoritaria adottata dall’Hotel Moscow da qualche tempo a quella parte.
Quel tedioso ed irritante colloquio, però, era stato improvvisamente interrotto dall’arrivo di un terzo interlocutore, improvvisamente materializzatosi nello studio di mr. Chang.
Nonostante il suo arrivo fosse stato annunciato dalle guardie del primo piano, il suo incedere nello studio aveva provocato negli emissari di Dago ed Abrego un improvviso senso di timore ed autoconservazione.
I due non avevano, infatti, tardato ad addurre improvvisi ed inderogabili impegni di natura ignota, e si erano fiondati fuori in fretta e furia da quello studio, ben attenti a non incrociare lo sguardo con il nuovo arrivato.
Improvvisamente ed inaspettatamente libero dai piagnistei che avevano riempito due ore del suo tempo, mr. Chang focalizzò tutta la sua attenzione e la sua proverbiale cura per il dettaglio sul’uomo che ora stava in piedi in mezzo alla stanza, con la schiena dritta e le mani dietro la schiena: una tipica posizione d’attesa militaresca.
L’uomo aveva chiari tratti asiatici, non più di trent’anni, con una vistosa cicatrice sull’occhio sinistro, che gli conferiva un’aria insieme feroce e grave.
Aveva una corporatura atletica ed imponente, tipica di un soldato, ma con uno sguardo e dei modi di muoversi che tradivano una grande astuzia, ben mascherata da un’algida coltre di gelo praticamente impenetrabile. 
“Buongiorno, mr. Chang” iniziò l’uomo a voce controllata, bassa e profonda. La voce non sembrava come quella della schiera di leccaculo che passavano davanti a Chang per loro convenienza, anzi era carica di vero rispetto per l’interlocutore, senza sconfinare nell’ammirazione o in qualsiasi altra forma di sottomissione. “Mi chiamo Lucifer, sono a capo dell’Hell’s Souls Company, una società di consegne da pochi giorni operativa in questa città e che ben presto diventerà il principale interlocutore delle organizzazioni mafiose in fatto di trasporti.”.
“E di grazia,” disse mr. Chang, cordiale “a cosa devo questa visita? Mi auguro non sia un agente pubblicitario,nel tempo libero” mr. Chang scoppiò in una fragorosa risata per la sua stessa battuta, cogliendo l’occasione per osservare bene l’interlocutore.
L’asiatico non rise ne’sorrise, si limitò a fissarlo con curiosità, come se stesse vedendo oltre quella facciata chiassosa del capo della Triade; l’unica che in tempi simili era riuscita a distinguere il vero dalla finzione, era poi stata l’unica persona capace di tenergli testa: Balalaika.
Questo era ciò che più di tutto il resto mise veramente sull’attenti mr. Chang, che diede voce al suo pensiero dicendo:
“Non hai gli occhi di un pubblicitario, ragazzo.
Parliamoci con sincerità: la tua presenza qui è da considerarsi un campanello d’allarme, una minaccia? So riconoscere un soldato quando lo vedo”.
Per la prima volta Lucifer sorrise, un sorriso gelido e senza gioia; aveva dei denti piccoli ma forti, un po’ aguzzi.
“Lei è astuto quanto la dipingono i racconti giù in città, mr. Chang” si complimentò “Però anch’io penso di averla capita: l’attenzione ai dettagli e quella diplomazia sono chiari segni indelebili della sua precedente attività. Non è forse così?”.
Chang non fece trasparire la sua sorpresa, e optò per un silenzio strategico, per riorganizzare i suoi pensieri.
“L’ha detto lei, mr. Chang” riprese Lucifer “Sono, sono stato e sarò sempre un soldato ed una delle cose più importanti che impari sul campo di battaglia è conoscere il più possibile il terreno su cui ti muovi…”.
“Ed il nemico con cui combatti …” completò per lui mr. Chang.
“A dire il vero, mi auguro che in futuro io e lei potremo arrivare a considerarci utili alleati”.
“E come?” aveva chiesto mr. Chang “Ho già una società di consegne affidabile, a cui rivolgermi”.
Lucifer aveva mosso impercettibilmente la testa, come per scacciare una mosca fastidiosa.
“Al mondo solo una cosa non cambia mai,signor Chang, ed è la natura umana.
Quella natura tenderà sempre verso il male, la violenza ed un’inevitabile autodistruzione.
Le stagioni, il dolore, la vita in sé cambia continuamente, ogni istante è diverso intrinsecamente dal precedente, ed io sono qui per capire se lei, mr. Chang, è quel tipo di persona che cerca inutilmente di opporsi ed arginare il cambiamento, o se invece vuole prendervi parte attivamente” concluse con semplicità.
Chang si stava arrovellando per essere sicuro di aver esaminato per bene ogni dettaglio di quell’uomo.
Il suo interlocutore era sicuramente un ottimo stratega, perché era stato attento a non compromettere assolutamente nulla della sua attività, coprendosi così le spalle nel caso di una risposta negativa; inoltre non aveva fatto alcun riferimento ad eventuali soci, anche se Chang aveva già saputo dai suoi informatori che la società era composta da quattro persone, di cui Lucifer era il capo.
Il quartetto non era passato inosservato agli occhi attenti di Roanapur, e mr. Chang aveva già sguinzagliato i suoi hacker, per scoprire quanto possibile sui novellini.
Non era stato per niente semplice, tra quelle persone c’era sicuramente un hacker molto capace, ma gli informatici di mr. Chang erano riusciti a reperire abbastanza da far rivalutare completamente quell’improvvisato gruppo di “fattorini”.
Il capo della Triade era ricorso a tutti i suoi contatti ed agganci per verificare tali informazioni, ma i chiarimenti sperati tardavano ancora ad arrivare.
Conscio di tutti questi presupposti, Chang riprese con tutta la diplomazia di cui disponeva:
“Quindi, Lucifer, in cosa consisterebbe, per la Triade, il vantaggio di “agevolare” tale cambiamento?”
“Se vuole dei dettagli sui nostri costi, si deve rivolgere ai miei subalterni; io posso solo dirle che se non si opporrà al cambiamento che opereremo su questa città, potrà, come la maggior parte degli interlocutori che finora ho incontrato, godere delle “agevolazioni” che comporterà questo cambio necessario ed inevitabile”.
Avendo ricordato la provenienza di quell’uomo, Chang si concesse un sorrisetto, e con aria di finta curiosità chiese:
“Che mi dice, allora, dei suoi piani relativi all’Hotel Moscow? Miss Balalaika che ruolo rivestirà in questa storia?”
Per la prima volta, Chang vide chiaramente un accenno del primo vero sentimento umano che andava dipingendosi sul volto di quell’uomo; un grande e profondo disprezzo, che andava ben oltre l’odio razionale o motivato: quello era un odio innato allo stato puro.
“Non faccio affari con quei cani schifosi” disse, glaciale.
Lasciò passare qualche secondo, apparentemente perso in una fulminea elucubrazione, poi fissò mr. Chang con un’intensità quasi disarmante ed aggiunse:
“Lei più di tutti gli altri, sono certo che capirà davvero che questo tipo di odio e risentimento trascende la ragione, non può avere tregua ne’confini … non è così, signor Saito Takahashi?”.
Mr. Chang si congelò dov’era; sembrava come se tutto intorno a lui sfumasse: i rumori erano ovattati, l’unico rumore era quello della sua pressione sanguigna che saliva prepotentemente, al solo udire quell’antico nome con cui più nessuno da così tanto tempo lo chiamava più. Il suo vero nome.
“Takahashi Saito” riprese Lucifer implacabile “matricola 102375, ex agente governativo al servizio del governo cinese. Dev’essere stato difficile per un meticcio farsi così largo in quella società, soprattutto se si è figli del grande Red Lotus, il famoso esponente della Triade di Shangai, che scappò ad Hong Kong, dopo la grande faida con la più potente famiglia mafiosa cinese.
Ho sentito che fosse un uomo duro ma pieno di valori: del resto le sue imprese parlano per lui”.
Lucifer ora passeggiava per la stanza, non perdendo mai di vista mr. Chang, anche se egli sembrava quasi catatonico, tanta era la fredda sorpresa di quella conversazione.
“Ma tutto cambiò il 15 Settembre del 1990,vero?
Quella bomba sulla sua auto non solo distrusse apparentemente Takahashi Saito, trasformandolo nel sanguinario boss mr.Chang, ma spense anche un’altra vita, se non sbaglio.
La piccola Xiwang (“Speranza” in cinese ndr.), vero? ”
“Ora basta!” lo interruppe con decisione mr. Chang, che sebbene avesse miracolosamente mantenuto il suo contegno, era stato gravemente sconvolto da quel secondo nome, che l’aveva tormentato ben più in profondità di Takahashi Saito.
Una lacrima solitaria, maledetta, scese da un occhio del grande stratega, che si maledisse subito con forza per quell’imperdonabile segno di debolezza, ricacciando dentro di sé i ricordi di quel particolare fantasma.
 
“Vedo che conosci cose che credevo di aver lasciato in un’altra era, in un altro luogo, ma evidentemente non si può sfuggire al proprio passato …” Chang ora restituiva lo sguardo all’interlocutore e disse con ardore “Però io non ho più maschere, invece tu ti nascondi ancora dietro al tuo pittoresco seppur banale nome d’arte.
Se devo fare affari con l’Hell’s Souls Company, pretendo di avere le stesse armi di cui disponi tu.
Quindi ti chiedo, soldato: chi sei veramente?”.
Lucifer prese qualche minuto per valutare quella richiesta, poi con voce chiara rispose:
“Definire chi sono non è cosa semplice, come non lo è cercare una definizione per un soldato che ha fatto della guerra la sua vita, che ha abbandonato la sua identità come essere umano.
Mi chiamo Adrien Afanasy Lyutsichov, figlio di Serj ed Irina, mio padre era pilota di elicotteri, morto in un incidente a Bagram.
Ero il braccio destro di Ahmad Shāh Massoūd“il leone del Panjshir”, gli spetznas contro cui combattevo mi chiamavano Lyutsifer, il demone del Panjshir, credo di essere nella top ten dei nemici del KGB.
Questo è quello che sono stato un tempo.”ora Lucifer lo stava di nuovo guardando in faccia “Quindi posso considerarlo come un accordo?” .
“Puoi considerare il fatto che hai qualcosa che nessun altro ha, e che questo ti mette in una posizione ambivalente.
Posso volerti morto come posso volerti dalla mia parte: il tempo mi dirà ciò che è giusto, e questo è tutto quello che puoi ottenere” concluse mr. Chang deciso.
“Mi basta, signor Chang. So che ci rivedremo, e spero che la scelta che farà non le costi più del previsto. Arrivederci” e sparì silenziosamente come era arrivato.
Mr. Chang si girò a guardare la sua Roanapur, e concentrò tutte le sue energie per riprendere il controllo di sé e ricacciare nel profondo tutti gli spettri che quell’incontro aveva risvegliato in lui.
No, quella giornata, benché ancora ben lungi dal terminare, aveva veramente poco di buono in serbo per lui.
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
 
Rieccoci qui =) scusate il capitolo corto, ma ho reputato ci fosse abbastanza carne al fuoco, e preferisco comunque non spendere troppe parole ora per la psiche di un personaggio tanto complesso e stratificato. Mi preme ringraziare il mio storico personale, che mi aiuta con quei dettagli che conferiscono realismo alla mia storia e che si fa un culo così per non impazzire con le mie nevrosi xD grazie Lilius, a buon rendere =) Spero vi piaccia il capitolo!

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Capitolo 9
*** A Vicious Girl ***


Rebecca Revy “Two Hands”, la pistolera della Black Lagoon Company era al suo massimo quella mattina, e perfettamente a suo agio.
La giornata non sarebbe potuta partire meglio: un caffè, una sigaretta e la riscossione del premio per la vittoria nella gara di bevute del giorno prima.
Rock era stato così stupido da mettere in discussione il talento di Revy nel tracannare intere bottiglie di tequila e rhum e restare semi lucida, quantomeno per camminare, sparare ed insultare … le azioni standard di una giornata-tipo, insomma.
C’era stato un attimo, prima che quel colletto bianco crollasse sul bancone di Bao, sancendo la vittoria della collega dal grilletto facile, in cui le era sembrato di scorgere uno strano sguardo in quegli occhi castano chiaro: uno sguardo sognante e con una nota di … dolce?
Oltre al fatto che, dopo la terza bottiglia di tequila, Revy non poteva più essere sicura di piccoli particolari come quello, la donna era sicura di essersi sbagliata comunque: anche se era vero che Rock arrivava da un altro mondo e fin troppe volte aveva quell’aria da Alice, disorientato in quell’immensa tana di violenza e crudeltà, ed era spesso ancora così ciecamente legato a valori che in quella città nessuno ricordava nemmeno più, ma non poteva aver iniziato a sottovalutare con chi aveva a che fare.
Revy aveva smesso da molto tempo di preoccuparsi dell’opinione degli altri nei suoi riguardi, lasciando libero sfogo alla sua natura violenta, avida e materialista, dividendo il mondo in “nemici di Revy” e “amici di Revy”, e tenendosi sempre pronta a piantare una pallottola in fronte ai primi come ai secondi.
L’unica cosa in cui credeva era sé stessa ed il potere che conferiva la paura, e l’unica certezza nel suo futuro erano le Cutlass o qualsiasi arma che riuscisse ad impugnare.
Quel giapponese dagli occhi castani, però, aveva incasinato tutto.
Anche quando Benny aveva fatto il suo ingresso nella società di consegne, Revy aveva avuto un attacco di quella che Dutch chiamava “La febbre di Whitman”, un periodo in cui il cinismo e la sete di sangue della donna crescevano in maniera spropositata, arrivando a rendere difficile persino per lo stesso Dutch tenerla sotto controllo.
Benny, però, si era adattato velocemente alla nuova realtà, ed altrettanto velocemente Revy si era calmata, una volta convintasi del fatto che quella specie di hippie pacifista della Florida non si sarebbe mai potuto, nemmeno volendo, mettere sulla strada della grande Rebecca.
La vita era corsa tranquilla, ovviamente con la concezione di “tranquillo” che può avere un corriere in una città come Roanapur, fino a che Rokuro Okajima facesse la sua comparsa.
Spontaneo, perennemente spaesato, con una faccia così da brava persona da farle venir voglia di prenderla a pugni, ma allo stesso tempo deciso ed intraprendente nelle situazioni di vera difficoltà.
Una grande inquietudine si era pian piano improvvisata di Revy, anche se la donna non riusciva a giustificarla.
Con l’andare dei giorni, l’umore della donna era andato peggiorando: il nuovo arrivato era completamente estraneo a quel mondo, e nonostante si fosse autonomamente proposto di far parte di quella ciurma, aveva sempre un modo di porsi che tradiva la sua voglia di “tenersi a distanza” da quella dilagante violenza.
Fu durante una missione di coppia in un sottomarino, quando Rock rimproverò Revy per un furto ad un cadavere, che lei focalizzò improvvisamente la ragione per cui quell’impiegatucolo da due soldi aveva un così grande potere sul suo umore.
Fin da mocciosa, quando viveva la sua complicata vita da ragazzina cinese nell’allora violenta China Town, Revy era stata immersa in quel tipo di vita criminale e piena di vizi in cui sarebbe poi vissuta da grande.
Nessuno si era mai veramente preso cura di lei, spiegandole l’importanza del rispetto della giustizia e degli altri, così quella ragazzina aveva attuato l’unica difesa psicologica che le fosse concessa e che potesse aiutarla veramente: lei iniziò ad identificare con “giusto” tutto quello che solo quello che le garantisse uno stile di vita soddisfacente, togliendo persino di mezzo all’occorrenza chiunque si mettesse sulla sua strada, diventando un sicario ed un mercenario.
Si era quindi aggregata ad un ex-marine di colore, reduce del Vietnam, che l’aveva portata in quello sperduto quanto malfamato angolo di mondo, dove la morale non esisteva più da tempo, e dove lei poteva finalmente applicare la “giustizia secondo Revy” senza più alcun tipo di rimorso o umanità di qualsiasi tipo.
Ma quel Rock, con il suo candore ed il suo senso civico, stava pian piano smuovendo la coscienza da tempo sopita di Two Hands, e questa poteva essere una delle cose più pericolose che si potessero fare.
Revy aveva quindi reagito a questa nuova consapevolezza rendendosi più impermeabile di quanto avesse mai fatto, arrivando ad avere un piccolo screzio con Dutch per la sua ultraviolenza, eccessiva e dannosa, cercando in tutti i modi di far capire a quel colletto bianco del cazzo che era meglio che strisciava da dove era tornato ora che le gambe ancora lo reggevano, e che i suoi piedi erano ancora sotto al suo corpo, e non davanti.
Fu allora che Rock la sorprese davvero.
Successe dopo un viaggio alla Chiesa della Violenza, in cui il giapponese aveva tirato fuori le sue inaspettate capacità di negoziatore, risolvendo una situazione potenzialmente disastrosa, ma facendo fare a Revy la figura della sprovveduta, alimentandone all’esasperazione l’insofferenza nei suoi confronti.
Mentre pranzavano al mercato, Revy lo aveva stuzzicato con più acidità del solito, e l’uomo aveva reagito con inaspettata veemenza, facendo degenerare la discussione.
Revy stava finalmente per risolvere il problema alla sua maniera, ma Rock era riuscito a disarmarla con abilità, e con poche frasi era riuscito a centrare e farle esplicare il problema per cui non riusciva a sopportarlo, mettendo anche in evidenza la poca stima che Revy aveva in realtà in sé stessa, così ben mascherata in spavalderia.
Proprio quando il capo Whatsap era stato costretto a portarli in centrale per evitare che facessero troppi danni, Revy aveva fatto la domanda che più le era girata per la mente:
“Rock, ma tu … da che parte stai?”
La risposta era arrivata con disarmante semplicità:
“Io? Io sto esattamente dove sono, e da nessun altra parte”.
Revy si era stupita inizialmente di questa risposta, ma poi aveva capito cosa veramente intendesse e quell’inquietudine si estinse velocemente con l’andare dei giorni, e lì successe una cosa che non succedeva da quelle che sembravano ere: pian piano e con sempre maggior convinzione, la cinica ed algida pistolera della Lagoon si era aperta a quell’uomo, iniziando a fidarsi di lui e, perché no, apprezzandone la compagnia.
Non si era però nemmeno mai chiesta che cosa veramente significasse quell’aprirsi, da parte di entrambi.
La verità era che Revy aveva sacrificato ogni sentimento umano, tranne la rabbia e l’allegria, e anche se avesse provato qualcosa non avrebbe comunque mai potuto riconoscere tale sentimento, e l’avrebbe represso o avrebbe dato sfogo ad esso, come già era successo, in un mero istinto sessuale, per poi troncare ogni tipo di rapporto con l’altro.
Eppure quel ragazzo dai capelli corvini era sempre così fastidiosamente presente, gentile, così attento nei confronti della collega, ma soprattutto non la guardava come quei pochi uomini che avevano avuto il coraggio di avvicinarsi a lei: la guardava, infatti, come se fosse perennemente preoccupato per lei, ed allo stesso tempo consapevole di poter sempre contare su di lei, fisicamente ed umanamente.
Sebbene fosse totalmente inesperta con i sentimenti, suoi o degli altri, Revy era brava a leggere tra le righe di una situazione, dote fondamentale per un mercenario, e quello che la sconcertava di più era che con quell’uomo non aveva più certezze; era un’incognita: un’incognita davvero pericolosa.
 
“Buongiorno mr. Chang, chi sono i suoi fattorini preferiti?”.
Per Revy, mr. Chang era un modello di comportamento ed uno dei pochi uomini che veramente la mettevano in soggezione, fin dai primi incontri con la società di consegne.
Abile, coraggioso, spietato, devoto ai suoi affari e alla sua società, molto professionale e con un gran senso dello stile, il capo della Triade era il prototipo di uomo di potere che Revy stimava, perché era esattamente quello che lei avrebbe voluto diventare.
“Mi pare una domanda a trabocchetto, Two Hands. Sei forse qui per i nuovi arrivati?”
Revy, però, non rispose perché stava guardando Balalaika, in piedi davanti a lei e con una cupa espressione in volto.
“Hey sorellona” disse Revy con circospezione “perché quella faccia scura?”
Balalaika distolse lo sguardo, con dolore e rabbia:
“Fa’ meno domande, Two Hands, e vivrai più a lungo... “.
“Siamo di cattivo umore oggi eh?”
“Cosa ci sarebbe da essere felici?” il suo sguardo si posò sullo strano personaggio in piedi dietro Revy. “Japonski?? Come diavolo ti sei conciato?”
L’attenzione di tutti i presenti si spostò sull’uomo dall’eccentrica camicia hawaiana.
“Ehm.. buongiorno miss. Balalaika” bofonchiò lui, imbarazzato.
“Rock?” s’intromise mr. Chang “Non ti avevo nemmeno riconosciuto ragazzo”.
Il capo della Triade si fece avanti, osservando quello strano abbigliamento, così diverso dal solito inappuntabile completo da impiegato, e sembrò sul punto di fare qualche commento, ma improvvisamente sembrò ricordarsi di qualcosa, perché disse:
“Ora però vorrei finire di discutere una questione con miss. Balalaika..” disse, in tono di congedo
“Scordatelo, Chang” Balalaika si era voltata verso di lui, con uno sguardo di disprezzo negli occhi “ho sprecato fin troppe parole per questa storia”.
Balalaika raddrizzò le grandi spalle, assunse un’aria orgogliosamente battagliera e disse:
“L’Hotel Moscow non è amico di nessuno, al minimo segno di controversia non esiteremo a fare piazza pulita di chiunque si metta sulla nostra strada, persino se si tratta della tua merdosa organizzazione e di ogni altra sudicia forma di criminalità in questa città! Levati Two Hands!”.
Detto questo, la signora della guerra di Roanapur sparì dietro la porta che dava sulle scale.
Chang sbuffò rassegnato, e si rivolse agli altri due.
“Allora, Two Hands, non hai risposto alla mia domanda. Siete qui per la Hell’s Souls, vero?”
Revy stava per rispondere, ma Rock si fece avanti, precedendola.
“Mr. Chang, ormai è da molto tempo che i rapporti tra la Lagoon e la Triade sono solidi e vantaggiosi per entrambi” iniziò con voce sicura “E’ inverosimile che il capo di una delle maggiori organizzazioni della città non sia più che al corrente di ogni arrivo in città, soprattutto se si tratta di un uomo come lei.
Una società con tanta voglia di espandersi deve per forza aver attirato la sua attenzione per i dettagli, e conoscendola è facile supporre che non solo abbia già reperito informazioni sui membri di tale società, ma abbia forse addirittura già avuto occasione di incontrarli. Dico bene?”
“Ha imparato a spararla grossa …” pensò subito Revy, divertita.
Mr. Chang, però, mostrava un sorrisetto sornione ed osservava Rock al di sopra degli occhiali da sole.
“La camicia non fa il monaco, vero Rock?” sogghignò “ Vedo che ora ti dai anche alle previsioni azzardate, eh?”
“Sto solo analizzando la situazione, mr. Chang” rispose divertito il giapponese “ormai ho un’idea precisa di come lavora, e so per certo che non si farebbe mai sfuggire tutti i dettagli su un simile cambiamento in atto a Roanapur. Il fatto poi che miss. Balalaika non sembrasse molto contenta mi fa presumere o che non ne sapesse nulla, cosa che mi sento di escludere, conoscendo le risorse dell’Hotel Moscow ed il suo modo di operare, oppure che avesse qualche motivo per avercela con questa nuova società.
L’ultima cosa da appurare, quindi, resta la posizione che la Triade vuole prendere a riguardo”.
Rock ora osservava mr. Chang con attenzione: Revy sapeva che con quelle parole doveva averlo messo alle strette, in quanto Chang tendeva sempre a tenersi sull’anonimato, ma con queste premesse non poteva certo fingersi estraneo alla cosa.
Come sempre imprevedibile, Chang rise con gusto.
“Dutch non ti paga abbastanza, Rock” si complimentò “sei veramente perspicace. Sì, in effetti, qualche informazione sui nuovi arrivati la possiedo, e direi che posso condividerla con voi, alla luce della lunga e prospera collaborazione già citata”.
“Fantastico!” si intromise Revy con entusiasmo “ci dica tutto di questi figli di puttana, mr. Chang, e mi occuperò personalmente a rispedirli da dove sono venuti a calci in culo!”
“Calma, Two Hands. Stavolta non basteranno le tue Cutlass per risolvere la questione, temo.”, disse Chang, per la prima volta in tono serio “questa gente non fa parte della solita marmaglia con cui abbiamo a che fare quaggiù. Il capo dell’organizzazione è un reduce dei mujaidin afghani, con una vistosa cicatrice sull’occhio sinistro, e pieno di informazioni … decisamente difficili da reperire”.
Revy si accorse appena della piccola pausa nella parlata dell’uomo, ma con la coda dell’occhio vide Rock aggrottare le sopracciglia, nella tipica espressione di quando la sua cura dei dettagli umani gli suggerisce un dettaglio importante.
“I miei informatori” aveva ripreso Chang “ mi hanno riferito che i membri di questa società sono quattro: questo misterioso reduce, che si fa chiamare Lucifer, un irlandese, una bionda di probabile provenienza tedesca, ed una punk inglese, ma con tratti probabilmente indiani”.
“Sembrano usciti da una brutta battuta: manca solo un italiano che racconta barzellette e siamo a posto” rise Revy con disprezzo.
“Purtroppo invece c’è poco da scherzare, Rebecca” rispose mr. Chang, voltandosi ad osservare il paesaggio “ Sembrano piuttosto intenzionati a soppiantarvi come compagnia di consegne … ”.
 A quel punto Rock si fece avanti e disse:
“Mr. Chang, non posso non notare che lei sta omettendo dove tirerà il vento della Triade in questa situazione. Parlando di questo Lucifer, prima ha fatto una piccola pausa: questo vuol dire che quest’uomo è in possesso veramente di informazioni scomode per la sua organizzazione o addirittura per lei.
La domanda ora ovviamente è questa: sono informazioni tanto importanti da garantirsi l’aiuto della Triade?”.
Chang si voltò a guardarli, e Revy vide, per la prima volta in quegli occhi di solito così pieni di energia, una strana espressione, tra il triste ed il malinconico: era un segno che forse le cose erano davvero così preoccupanti come Chang le voleva far passare.
“Revy, Rock, con la Lagoon ho più di un debito morale, per come è riuscita a gestire certi affari molto delicati.
In virtù di ciò vi prometto l’unico aiuto che posso darvi: la promessa che non ridurrò i miei ordini verso la vostra società, e che non interverrò direttamente contro di voi.
Questo è tutto quello che posso fare”.
Revy avvertì subito il pericolo quando vide Rock che si irrigidiva e che si incupiva progressivamente.
“Come diavolo…”
Revy mise forte una mano sulla spalla di Rock, trasmettendogli forte e chiaro il suo messaggio: Ora sta’ zitto.
“Grazie, mr. Chang! Direi che ci può bastare così, se avesse altre informazioni importanti si senta libero di dividerle con noi!”.
Costrinse Rock ad incamminarsi con lei verso gli ascensori, quando mr. Chang parlò di nuovo con, voce calma.
“Rock, forse per te è meglio andartene per un po’.
C’è una tempesta in arrivo, ed andrà ben oltre quello che hai passato finora.
Non sei ancora così nero come credi, ed è meglio che te lo risparmi: ammesso e non concesso che tu sopravviva, potrebbe non piacerti quello che verrà dopo. Tu mi sei sempre piaciuto, per questo mi sento di consigliartelo: conserva quello che ancora rimane, prima che sia tardi”.
Revy si arrestò, sorpresa.
Guardò Chang e vide quello strano sguardo di prima, negli occhi del grande stratega mentre osservava l’uomo in piedi immobile di fianco a lei.
Rock, invece, si limitò a fermarsi un attimo stringendo i pugni, per poi improvvisamente ripartire spedito e sparire nella tromba delle scale.
Revy fece un cenno a mr. Chang e lo seguì.
“Siamo nei guai” pensò Revy  mentre scendeva le scale “ se inizio ad essere più riflessiva di Rock”.
In realtà sotto sotto, lo capiva: quella società per lui valeva più di qualsiasi altra cosa, perché in fondo l’aveva resa la sua casa, la sua vita, la sua realtà, ed in poco tempo stava per essere minacciata da qualcosa che faceva paura persino al più grande stratega della Triade.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
 
Ultimo capitolo del 2012! Devo ammettere che Revy è stata più ostica di quello che pensavo da tratteggiare, nonostante non sia certo una pensatrice di professione…e questo Rock così impulsivo? Chissà…
Come sempre grazie a tutti di tutto e buone feste! =)
p.s. non vi posso assicurare niente per gennaio, dati gli esami che devo dare, però cercherò di scrivere comunque.
 =)
 

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Capitolo 10
*** Reunion ***


Si dice che l’unione fa la forza, ma Revy, Rock e Benny non si sentivano molto più forti di prima, ora che erano di nuovo riuniti.
Si erano incontrati da poco, ognuno di ritorno dal cliente assegnato da Dutch durante la mattinata, e portavano notizie una più preoccupante dell’altra.
Benny era stato il primo ad arrivare dal cliente assegnatogli, ed era stato altrettanto veloce a realizzare che qualcosa non andava.
I soldati dell’Hotel Moscow sembravano in fermento, molto più della norma, e le usuali misure di sicurezza erano state moltiplicate.
Il sergente Boris, vice di Balalaika, aveva fermato il tecnico della Lagoon subito all’ingresso, sicuramente avvisato con solerzia dalle guardie appostate sul tetto e dalle telecamere che riempivano sistematicamente ogni angolo scoperto della struttura.
 “Il Capitano è assente, e quando è partita non ha lasciato nessun particolare messaggio da riferire alla Lagoon Company”, aveva asserito con un freddo tono di congedo.
Benny non si era lasciato scoraggiare da quest’accoglienza, e aveva tentato il tutto per tutto:
“Capisco. Sarebbe possibile aspettarla in qualche angolo di questo posto? La natura delle informazioni che cerco è vitale, sia per la Lagoon Company che per i suoi rapporti con l’Hotel Moscow!”
Il russo si era fatto avanti, con le mani sempre dietro la schiena, ma con un’aria più minacciosa.
“Non siamo una sala d’attesa. Forse non le è abbastanza chiaro, ma la sua stessa presenza è d’intralcio alle operazioni, e con l’alto numero di nemici che questa organizzazione ha non permette alcuna leggerezza o intralcio.
La Lagoon Company ha sempre trattato con il Capitano solo tramite la pistolera, il traduttore o il vostro capo, mentre lei non è mai stato visto aggirarsi qui.
Potrei farla eliminare qui seduta stante unicamente per mio scrupolo, senza che il capitano abbia nulla da recriminare sul mio operato in servizio! Ha compreso?”  mentre diceva queste parole, scioglieva le mani da dietro la schiena e le lasciava rivolte verso il basso, come pronte ad uno scontro.
Benny deglutì, nervoso.
Sapeva che non era vero che un’organizzazione come l’Hotel Moscow potesse commettere con tanta leggerezza uno sgarbo del genere alla Lagoon, ma era anche conscio del genere di persone con cui stava trattando: soldati perfettamente addestrati, scaltri, coraggiosi, spietati e totalmente devoti a Balalaika e alla causa dell’Hotel Moscow.
Si armò quindi di coraggio e del suo sorriso pacifico, alzò piano le mani in segno di arrendevolezza e disse:
“Ok, ok, ricevuto, non complichiamo inutilmente la situazione. Dutch risolverà la cosa con miss. Balalaika in un secondo momento”.
Boris sfoggiò uno sguardo compiaciuto e rimise le braccia dietro la schiena.
“Vedo che, a differenza di quel traduttore giapponese, lei sa quando ritirarsi.”
Benny annuì sorridendo e si voltò piano, tendendo l’orecchio mentre usciva e conscio di avere lo sguardo dell’uomo attaccato addosso.
***
 
“Cazzo, Benny, devi esserti raccomandato ad ogni divinità a esistente, eh?” rise Revy con un po’ di amarezza, mentre si accendeva l’ennesima sigaretta, ed osservava le volute di fumo alzarsi e disperdersi, portate dal vento.
Era sera, ormai: i lampioni iniziavano ad accendersi, e la gente di Roanapur si faceva più guardinga, come se la notte con la sua crescente oscurità risvegliasse l’anima violenta di quella città di dannati.
Benny e Revy discutevano appoggiati all’auto, entrambi ancora pieni dell’eccitazione della giornata, mentre Rock, isolato, scrutava l’orizzonte con la classica espressione di quando era immerso nei suoi pensieri e si estraniava dal mondo circostante.
Di Dutch ancora nessuna traccia.
“La visitina alla Triade” iniziò Revy dopo un tiro particolarmente intenso “è stata più proficua della tua, a quanto pare, anche se non molto più rassicurante.
Anzitutto c’era anche la sorellona, di pessimo umore e con l’aria di aver appena discusso con Chang. Era così incazzata che aveva l’espressione di chi taglierebbe volentieri le palle a chiunque incontri tanto per stare meglio.”
Benny aggrottò le sopracciglia e disse
“E’ legittimo quindi pensare che fosse lì per il nostro stesso motivo..”
“Proprio così” intervenne Rock all’improvviso, girandosi verso di loro “Il capo dell’altra società è un reduce afghano e da quel che mr. Chang ci ha detto non è per niente un amante dell’Hotel Moscow.” .
“Già” annuì Revy, cupa “persino Chang, di solito così impeccabile, sembrava molto preoccupato.
Se Riccioli D’Oro, qui, non avesse perso la sua proverbiale calma nel momento meno opportuno, avremmo potuto scoprire anche di più” aggiunse con asprezza.
“Quel bastardo traditore ci volta le spalle dopo tutte le collaborazioni e ti aspetti che rimanga lì a leccargli il culo? Quando hai perso le palle, Revy?”
“Forse quando tu hai perso il cervello, pivello!” sbottò Revy con violenza “E’ già tanto che non abbia fatto come tutti gli altri, facendo il comodo suo e pensando solamente agli affari suoi. Quaggiù gli affari sono tutto, le amicizie non contano un cazzo, fattene una ragione.”.
Rock strinse i pugni e si voltò con rabbia.
“Hey, hey, dai ragazzi, non litigate.” Intervenne Benny con calma “Rock, tu capisci bene le persone, soprattutto mr.Chang, di solito: ti è davvero sembrato così preoccupato come la nostra Revy vuole farmi credere?”.
Rock lo guardò ed annuì con gravità.
“Solo un cieco non lo avrebbe notato” sbuffò Revy “questo Lucifer sembra davvero tenere tutti per le palle”.
Benny stava per chiedere chi fosse ora questo Lucifer, ma venne interrotto.
“Per parafrasare Revy” disse una voce conosciuta proveniente dal vicolo “è il proprietario della mano che stringe i gioielli delle alte sfere di Roanapur”.
Dutch avanzava verso di loro con le mani in tasca, ed uno sguardo che non prometteva niente di buono.
Revy e Benny si limitarono ad un cenno con la testa in direzione del capo della Lagoon, mentre Rock, che evidentemente non aspettava altro, gettò via la sigaretta si avvicinò a Dutch e gli chiese:
“Dutch, sta andando tutto per il verso sbagliato! Cos’ha detto Yolanda? Com’è la posizione della Chiesa della Violenza riguardo a questa storia?”.
Dutch estrasse il suo pacchetto di American Spirit, ne sfilò una e l’accese con tutta calma e, tratto il primo tiro, rispose:
“Peggio di quanto pensassi, Rock … la situazione è davvero preoccupante”.
 
***
 
Lo studio della madre superiora della Chiesa della Violenza era uguale a come Dutch lo ricordava, così come il the che quella donna preparava fosse ancora uno dei migliori che l’uomo avesse mai assaggiato.
Dutch non era mai stato un amante delle associazioni religiose: già fin da quando era un Marine di stanza in Vietnam, preferiva evitare quegli ipocriti in toga, soprattutto quelli che venivano una volta ogni sei mesi a “recare conforto”, ma che poi, quando tutto era finito, li chiamavano “assassini” esattamente come tutti gli altri.
Ipocrisia, se c’era una cosa che riusciva a disgustare Dutch più di ogni altra era proprio quella.
Anche per questo motivo andava così tanto d’accordo con personaggi come Revy, Balalaika o Rock: persone magari agli antipodi come valori o stili di vita, ma che avevano fatto della coerenza con sé stessi la propria bandiera, in qualunque situazione si trovassero … o almeno, come Rock,ci provavano.
Yolanda gli era subito piaciuta, era una donna che aveva consacrato a dio la propria vita, che riusciva a gestire un’organizzazione di “recupero e scambio merci” rispettando il più possibile il codice di comportamento spirituale cristiano.
Come serva di dio, non aveva vizi, e sebbene non potesse impedire ai suoi sottoposti di “indugiare nel peccato”, era molto severa per quanto riguardava il tenere qualsiasi sostanza o azione proibita lontana dai luoghi addetti al culto.
Bevuto il the ed indugiato brevemente su argomenti circostanziali, Dutch puntò subito al punto focale di quel colloquio.
“Sorella Yolanda, cosa sta succedendo?
Non è la prima volta che organizzazioni di mercenari cercano di entrare in questo giro d’affari, ma questi in pochi giorni stanno riuscendo a smantellare tutto quello per cui io ed i miei soci abbiamo versato sudore e sangue.
Sono venuto qui invece di andare dagli altri “big”, perché so che le informazioni … consacrate, sono più affidabili e attendibili”.
Yolanda sorrise, tendendo la ragnatela di rughe che componeva il suo volto e che le donava un’espressione quasi materna.
“Non c’è niente da fare, ragazzaccio, questo tuo modo di fare diretto e professionale mi è sempre piaciuto: non riesco proprio a dirti di no …” fece una pausa, durante la quale riacquistò la sua espressione seria e concentrata “purtroppo quello che chiedi non è affatto semplice, Dutch-boy.
Che tu ci creda o no, ho già sondato le mie fonti d’informazioni convenzionali, e ho riscontrato con rammarico una deplorevole mancanza di … collaborazione”.
Dutch sospirò, sconsolato, e aggiunse, non senza una punta di ironia:
“Purtroppo temevo di sentire queste parole da te. Vuoi farmi credere che per la prima volta, la Chiesa non possiede le risposte?”.
Il sorriso di Yolanda si tese ancora di più:
“Frena i cavalli, ragazzo mio, ho detto convenzionali. Eda! Entra pure, ora.”.
Dopo un attimo di attesa, la porta si aprì e la suora emerse dal corridoio: sembrava stupita ma anche un po’ colpevole, come quando un bambino viene scoperto dalla madre a rubare le caramelle.
“Mi ha sentito? “ chiese Eda con circospezione.
“Ma certo! Pensi che sia una vecchia inutile? Eppure proprio tu dovresti saperlo, che le apparenze spesso ingannano …” Yolanda era palesemente soddisfatta “Ma torniamo alle cose serie, mia cara. Abbiamo già ottenuto informazioni più attendibili?”.
“Come?” aveva chiesto Dutch “Pensavo avessi detto di non avere notizie! Che fonte …”
“Dutch-boy” l’aveva interrotto Yolanda “non farci domande e non sentirai menzogne. Eda?”.
La suora bionda si schiarì la voce e riprese:
“In effetti, ci sono novità interessanti.
Sappiamo che la Hell’s Souls è una combriccola tanto pericolosa quanto particolare.
E’ composta da quattro persone, due uomini e due donne: le due ragazze sono entrambe mercenarie, molto conosciute in Inghilterra e USA come “esperte del settore”: sono un cecchino ed un incursore e mercenari affermati; l’irlandese che è stato qui prima è il loro tecnico, un hacker molto conosciuto nell’ambiente informatico,che non disdegna risse e litigi vari; il loro capo, però, è il pezzo da novanta.
I nostri … amici, dicono che ha un passato da guerrigliero afghano non trascurabile, è un ricercato dalle agenzie di mezzo mondo soprattutto dal KGB e il suo successore
Ha molti contatti nei servizi segreti, e possiede tante, troppe informazioni che non dovrebbe possedere.”.
“Grazie Eda, ora va’, per favore, io e te parleremo dopo …” disse Yolanda.
“Certo, madre. Dutch …” e si allontanò da loro con calma.
Una volta che fu sparita in corridoio, Yolanda riprese con solennità:
“Ora, Dutch, sono certa che sai che la Chiesa non è coinvolta nei giochi di potere di Roanapur direttamente solo per cavilli.
Come ho detto al ragazzino irlandese, farò affari con coloro che mi proporranno i migliori affari, senza distinzioni.”.
Dutch, per niente sorpreso, si alzò e disse: “Non mi aspettavo di meno da un’esperta in affari come lei, sorella.
So già che anche insistendo non potrò sapere più del dovuto, soprattutto riguardo a questi “amici” dispensatori di informazioni. Un gran peccato.” Si girò verso la porta e continuò “Grazie per il the e le preziose informazioni, mi saranno utili. A buon rendere”
Stava per incamminarsi quando Yolanda lo raggiunse, dicendo:
“Dutch-boy, permettimi di fornirti qualche consiglio extra, in amicizia.
Quella gente non è della stessa razza di quelli che girano per Roanapur.
L’irlandese nonostante fosse un gran provocatore, ha gli stessi occhi tuoi, di Revy e persino di Balalaika, ed è una cosa da tenere in gran conto”.
Yolanda gli posò una mano sulla spalla.
“La Chiesa fa gli affari della Chiesa, ragazzo, ma tu … tu sei l’unico mercenario di questa città che conosca davvero la parola onore, e ti ho sempre rispettato per questo.
Da’ il tuo meglio, pregherò per te”.
Detto questo, la vecchia serva di dio prese tra le sue mani uno dei grandi palmi scuri di Dutch, e vi depositò con discrezione un piccolo foglio di carta ripiegato.
Dutch non fece commenti e se lo infilò in tasca, sussurrando “Amen, Yolanda.” e congedandosi.
 
***
 
L’atmosfera che serpeggiava ora tra i membri della Lagoon era carica di adrenalina.
Tutti avevano capito cosa voleva dire tutto questo: le più grandi organizzazioni della città stavano aspettando, più o meno in silenzio, di vedere come evolveva la situazione, ma sia il capo della Triade che quella della Chiesa della Violenza, avevano indirettamente espresso la loro idea su chi avrebbero scommesso.
“Soci!” proruppe Dutch all’improvviso “Le nubi di questa tempesta in arrivo si addensano, e noi esperti marinai dobbiamo essere grati di questa occasione in cui possiamo mostrare tutta la nostra bravura ed il nostro valore! Per questo oggi vi offrirò da bere, perché sono fiero di questa ciurma, e sono sicuro che distruggeremo questi piccoli stronzi come i cani che sono!” tutto il gruppo esultò per questa presa di posizione del loro capo: in fondo quella era la vita che avevano scelto, e non sarebbe bastato quello, per fermarli!
“Ah, Rock” aggiunse perfido Dutch “niente scommesse, oggi, non credo di voler vedere come ti concerebbe Two Hands se gli capitassi di nuovo a tiro!”.
Ridendo chi più chi meno fragorosamente, il gruppo si avviò verso uno Yellow Flag più affollato del solito, mentre il sole ormai quasi sparito all’orizzonte dava un degno inizio ad una notte che sarebbe davvero valsa la pena di ricordare.
 
 
 
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
 
Buon anno a tutti!! Nonostante io sia presissimo con gli esami, ho trovato il tempo di aggiornare =)
Voglio davvero ringraziare tutti, quelli che mi leggono soltanto e quelli che decidono anche di recensirmi con costanza.
Sono in una fase non facile della mia vita, e scrivere mi aiuta a tenere la mente libera e svagarmi ogni tanto, quindi è giusto ringraziare voi che rendete possibile tutto questo. G-R-A-Z-I-E!
Ok basta con le sviolinate, spero che il capitolo vi piaccia e che siate pronti per le sorprese, perché ce ne sono … oh, eccome se che ce ne sono =)

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Capitolo 11
*** Bushmills Dance ***


Il bravo barista, oltre a saper servire adeguatamente qualsiasi bevanda richiesta, si sa, deve soprattutto avere un orecchio comprensivo e paziente, per ascoltare gli avventori di ogni genere: quelli tristi, quelli arrabbiati oppure quelli che semplicemente vogliono che la loro storia sia udita da qualcuno più che loro stessi.
Bao, il barista di origine vietnamita dello Yellow Flag, sapeva che a Roanapur la cosa che il bravo barista doveva avere era un bancone a prova di bomba, letteralmente, ed un Winchester sempre carico a portata di mano.
Quel pub, uno dei più noti e frequentati, era stato fatto saltare in aria almeno 15 volte nella sua storia, a causa dell’animosità dei vari avventori che si erano avvicendati; a detta di Bao, la pistolera della Lagoon deteneva il record per il maggior numero di risse scoppiate lì dentro, che avevano portato alla distruzione del bar.
Bao era un uomo duro, chiuso e a volte rude, ma a conti fatti, se lo si paragonava alla marmaglia che frequentava quel posto o in generale al popolo di Roanapur, era quasi una brava persona.
Da buon mestierante, intratteneva buoni rapporti con tutti i suoi clienti fissi, senza mai esporsi in prima persona nelle varie questioni ma contrabbandando le informazioni che raccoglieva, tenendo sempre presente a chi le dava e chi esse potessero infastidire, ovviamente.
Un’altra abilità che la vita a Roanapur gli aveva dato, era quella di capire al volo quando una serata richiedeva un certo livello di attenzione, e quella era certamente una di esse.
Il bar era strapieno, ogni associazione malavitosa in città era in fermento, e lo Yellow Flag era un ottimo posto per discutere di ciò che succedeva in città, e tutti ciarlavano a voce alta su come si potesse evolvere la situazione.
In un tavolo parzialmente in ombra, ad un lato del bar, erano seduti gli stranieri: la causa principale di tutto quel vociare e discutere.
Era la prima volta che li si vedeva tutti insieme, ed avevano davvero quell’aria così pericolosa di cui tutti parlavano e che li aveva aiutati a raggiungere quel grado di timore reverenziale e rispetto in così poco tempo.
Erano in quattro: l’irlandese, con un basco verde e marrone calato sugli occhi verdi, la bionda, che al suo ingresso aveva fatto voltare mezzo bar, la punk, con una serie di borchie e punte sui vestiti lisi, con modi bruschi e violenti, ma soprattutto, il pezzo grosso, l’asiatico con la cicatrice sull’occhio, in tutta la sua imponenza fisica e psicologica.
Quando aveva fatto il suo ingresso nel bar, aveva ricordato a Bao i periodi in cui Balalaika ancora frequentava lo Yellow Flag: appena era entrato, tutte le urla e gli schiamazzi che c’erano, si erano abbassati d’intensità, fino a trasformarsi in un basso mormorio.
Quell’uomo, però, sembrava fregarsene dell’effetto che aveva sugli altri, e dopo aver detto qualcosa all’irlandese, si era seduto nel posto più in ombra del tavolo: ora di lui si scorgeva a malapena il profilo delle gambe sotto il tavolo, mentre tutto il resto spariva nell’ombra del bar.
Anche le due ragazze si erano sedute, dopo un veloce scambio di battute con l’irlandese e le due ragazze avevano iniziato a discutere, concitatamente ma sottovoce, mentre il loro compagno si dirigeva baldanzoso verso il bancone.
Bao registrò tutte quelle informazioni oculatamente, senza mai smettere di svolgere le sue mansioni, evitando di far insospettire e simulando indifferenza verso l’uomo che si dirigeva verso il bancone.
Arrivato, l’irlandese si tolse il cappello, rivelando i fluenti capelli rossi, e calò con forza la mano piatta sul bancone, producendo un gran frastuono che fece trasalire gli avventori distratti.
“Ehi, Charlie!” (Il nome con cui gli americani chiamavano i combattenti vietnamiti  durante la Guerra del Vietnam ndr.) strepitò con tagliente ironia “Chi bisogna uccidere qui, per essere serviti?”.
Bao lo fissò senza scomporsi.
“Cosa ti servo, straniero?” chiese.
“Voglio una bottiglia di Bushmills, amico, con tre bicchieri, un piccolo bicchiere di vodka liscia e due birre per le mie amiche. Pensi di riuscirci prima della fine dell’anno?”
Con un muto cenno d’assenso, Bao raccolse la vecchia bottiglia un po’ impolverata, che nessuno gli ordinava da un po’, e stava per prendere i tre bicchieri, quando l’avventore gliela strappò di mano, l’aprì in fretta e diede un gran sorso, con evidente soddisfazione.
Sbatté poi la bottiglia sul bancone, esclamando gioviale:
“Aah, il profumo di casa! Sai muso giallo, sei il primo stronzo di questa città che fa veramente il suo lavoro!”
“Ecco il resto che hai ordinato, simpaticone” rispose Bao, consegnandogli quanto richiesto.
“Grazie, bello” rispose l’irlandese, portando tutto verso il tavolo.
Bao tese l’orecchio per poter sentire fin lì.
“Finalmente cazzo!” esclamò la punk con impazienza “Sembrava che le stessi pisciando tu, da quanto ci mettevi!”
“Solo per te, zuccherino …” rispose lui, rimarcando l’ultima parola.
Per tutta risposta, la punk gli strappò con violenza la sua birra dalle mani, ridendo degli sforzi dell’uomo per non far cadere il resto.
“Daya, Drive, finitela, non fate i bambini … “ disse la bionda con fastidio, prendendo la sua birra e bevendone metà con un solo sorso.
Bao, mentre lavorava, analizzava più e più volte la situazione, sperando che non sopraggiungesse niente a peggiorarla, ma sapeva già che con un cliente come l’irlandese c’era da aspettarsi di tutto: bastava guardarlo negli occhi per capire che la cosa che cercava di più in quel momento era una rissa, o comunque un po’ di casino.
“Maledizione” pensava Bao “è la serata perfetta per arrivare alla sedicesima ricostruzione … spero che almeno non arrivi … “.
Il destino, incarnato nella conosciuta voce di Revy, che strillava di iniziare a versare rhum, seguita a ruota dal resto della comitiva, interruppe i pensieri del barista. Il tempismo del caso, a volte, è veramente ironico.
La Lagoon Company al completo si stava accomodando sugli sgabelli davanti al bancone di Bao, incuranti delle reazioni che il loro ingresso aveva suscitato negli altri clienti: alcuni, infatti, si erano sbrigati a scolarsi il contenuto del bicchiere, per alzare velocemente i tacchi, mentre altri si erano messi comodi ed avevano iniziato a mezza voce a scommettere sulla piega che quella serata sembrava voler prendere.
Benny, Rock e Revy si sedettero subito, discutendo tra loro, mentre Dutch si sporse sorridente verso Bao: portava la pistola, cosa che non faceva mai se non stava lavorando o se c’era qualche problema.
“Dutch …” lo avvertì subito Bao a mezza voce “ non so se ti sei già reso conto della situazione, ma … forse è meglio che non bevete qui, per stasera.”
Dutch, con somma calma, diede un’occhiata panoramica al locale, soffermandosi un paio di secondo in più sul tavolo della HSC, per poi tornare sul barista, sempre con la medesima calma.
“Invece, amico mio, sento che è la serata giusta per tirar fuori il tuo miglior rhum.
Anzi, offrine un bicchiere a tutti da parte mia,non si possa dire che la Lagoon Company non è ospitale”.
Bao era sconcertato.
Dutch non era ne’un pivello ne’ uno sconsiderato, ma sembrava trovarsi completamente a proprio agio, seduto com’era su quella polveriera: sembrava anzi intenzionato a fumarsi pure una sigaretta!
“Allora, Benny” diceva intanto Rock, ancora ignaro della situazione “quando arriva Jane in città?”.
“Domani” disse Benny con un sorriso sognante, bevendo un sorso poi per ritrovare un contegno.
Rock allora fece uno sguardo ammiccante e rincarò la dose:
“Immagino dovremo fare a meno di te per un giorno o due eh? Vedi di non tornare in tre però”
“Ma piantala!!” esclamò Benny un po’ imbarazzato “non amo parlare di queste cose … e poi proprio tu parli! Almeno io la donna ce l’ho lontana dal lavoro” aggiunse a voce più bassa.
Rock sputò quello che aveva appena bevuto, quasi strozzandosi.
“M-ma cosa vai dicendo???” replicò febbrilmente, visibilmente arrossito “Non sparare certe stronzate, non è assolutamente …”
“Ehi Benny-boy” li interruppe Revy “chi è la bionda che non fa altro che fissarti? Non ti toglie gli occhi di dosso da quando ci siamo seduti.”.
Non appena Benny e Rock si furono girati e capirono chi Revy gli indicasse, realizzarono immediatamente di chi si trattasse, ed in che situazione si erano cacciati andando a bere quella sera.
“Sono loro … non è vero?” chiese Rock, nervoso.
Benny rivolse un cenno di saluto con la testa alla bionda, che rispose con uno strano sorriso e alzando il bicchiere che teneva in mano.
“L’importante è mantenere la calma …” disse Benny, cercando di non cambiare espressione “Sono ancora tutti girati dall’altra parte. Dutch! Dobbiamo organizzarci, prima che …”.
“Ehi, troia! Vuoi una foto per caso??” la voce, aspra e dura, veniva proprio dal tavolo della HSC: la punk dai corti capelli neri, si era improvvisamente girata verso Revy, che stava ispezionando con lo sguardo i membri di quel tavolo.
Bao si inquietò velocemente, ed iniziò a prepararsi ai guai: insultare Two Hands in quel modo era un modo sicuro per creare discussione o una rissa, ma sapendo chi fossero i componenti dei rispettivi gruppi, c’era da preoccuparsi di ben altro che di parolacce o botte.
“Perché dovrei volere una tua foto, scherzo della natura?” rispose Revy ridendo.
“Forse perché non fai altro che fissarmi, muso giallo. Non mi va’ di bere con i tuoi occhi a mandorla del cazzo fissi addosso, quindi vedi di girarti e non rompere, se non vuoi guai”.
Revy iniziò a digrignare i denti e stringere il bicchiere che aveva in mano.
“Sono americana, brutta stronza. Forse hai delle borchie anche in quello schifo di cervello che ti ritrovi e non ti è chiara la situazione, straniera. Io fisso chi voglio, per quanto cazzo mi pare, e se la cosa non ti sta bene, vengo lì e finisco il lavoro che ha iniziato tua madre facendoti assomigliare del tutto ad un uomo!”.
La punk svuotò in un sorso quello che rimaneva nel bicchiere e si alzò in piedi di scatto, rovesciando fragorosamente la sedia.
“Forza, troietta, vieni qua, che ti faccio sputare le ovaie a forza di calci”.
Revy sorrise, svuotò anche lei il suo bicchiere e si alzò, flettendo il collo rumorosamente.
“Perché non ci provi, britannica figlia di puttana? Dovrebbero cambiare le parole di quella canzone in Codardia nel Regno Unito!”
A quel punto le due contendenti si avvicinarono e Benny, Rock, e la bionda dell’altro tavolo si alzarono per fermarle.
Rock si frappose tra le due, fissando Revy con le braccia spalancate, dicendo:
“Mantieni la calma, non essere avventata”
“Taci, coglione!” ringhiò Revy di rimando “Devo insegnare come girano le cose qui a Roanapur a questo rifiuto umano!”
La bionda aveva messo una mano sulla spalla dell’altra, ma sembrava più interessata ad osservare gli altri che bloccare l’amica.
Intanto l’irlandese aveva iniziato a ridere sguaiatamente, seguendo la scena in estasi: era palese che si trovasse a suo agio in una situazione del genere.
“Togliete quel finocchio da lì!” strepitava a gran voce “Fermare una rissa tra donne dovrebbe essere un reato punibile con la morte. Ehi, giapponesino! Levati un po’ dai coglioni e lascia combattere quel bocconcino! Voglio vedere se la nostra Daya riesce a farle abbassare la cresta!”
Intanto, anche Benny si era aggiunto a Rock nel tentare di calmare Revy.
“Dutch!” disse, poi “ fai ragionare Two Hands o qui è un casino!”
Bao si volse verso il capo della Lagoon, che stava per intervenire, ancora con il bicchiere mezzo pieno in mano.
Prima che potesse dire anche solo una parola, però, l’irlandese scoppiò di nuovo a ridere e lo osservò con tanto d’occhi.
“Guarda un po’ quanto è piccolo il mondo! Cioccolatino, ti sono mancato?? Sei il capo dei due froci in camicia e del peperino dagli occhi a mandorla? Perché non porti i due bimbi al parco giochi, mentre qui ci divertiamo?”.
Dutch sospirò, infastidito.
“Perché invece non prendi le tue amiche e lasciamo che questa sera finisca in pace? Non fraintendermi” aggiunse poi con un sorriso “nulla mi farebbe più piacere che dare una lezione a quella tua testa di cazzo, ma credimi, se ti dico che nei prossimi giorni non mancheranno certo queste occasioni!”
Bao credette di aver visto un movimento alle spalle dell’irlandese, ma tutto sembrava calmo, così ritornò sugli altri contendenti.
L’irlandese aveva appoggiato il cappello sul tavolo e allargato le braccia in gesto di sfida:
“Perché non qui e ora, eh? Mi hai stancato con le tue chiacchiere! Let’s go!!”
Senza preavviso, si era gettato a tutta velocità contro Dutch.
Dutch posò il bicchiere e si girò verso di lui.
Pochi secondi prima dell’impatto, il capo della Lagoon, con una rapidità notevole per un uomo della sua stazza, era saltato in piedi, aveva afferrato con la grande mano scura la testa rossa dell’irlandese e, praticamente sollevandolo di peso, l’aveva sbattuta sul bancone di Bao, mentre con l’altra mano estraeva la Smith and Wesson e la puntava alla testa dell’avversario, facendolo smettere di divincolarsi.
Revy, come sempre in grande sintonia con Dutch, aveva estratto le Cutlass e le aveva puntate ognuna su una delle due ragazze della compagnia rivale, mentre Benny e Rock si spostavano dalla traiettoria.
Inaspettatamente, però, la bionda si era lanciata di lato, estraendo dai pantaloni una Beretta nera, puntandola verso la pistolera della Lagoon prima che avesse il tempo di reagire.
Approfittando di quell’attimo di distrazione, la punk si era lanciata con uno scatto felino verso Revy, estraendo un coltello da caccia da un risvolto dei pantaloni militari che indossava.
 
Fu istintivo, viscerale.
Bao vedeva benissimo il viso di Rock, e non c’era traccia di altre emozioni al di fuori della determinazione di salvare Revy.
Si fece avanti, sbarrando la strada alla punk e cercando di intercettarle il polso con il coltello.
Il gesto era eroico, senza dubbio, e se fosse stato in un altro luogo avrebbe anche avuto buon fine, ma a Roanapur, eroismo senza talento equivale ad una sconfitta sicura.
Veloce come un fulmine, la punk agguantò il polso del ragazzo con la mano libera, torcendolo e tirando il malcapitato davanti a lei, come fosse uno scudo umano, puntandogli il coltello alla gola.
Erano tutti fermi in quella posizione di apparente stallo, quando il rumore di una m92 caricata e con il colpo in canna gelò tutti i componenti della Lagoon Company.
L’arma era nelle mani del capo della HSC, il quale la puntava dritta contro la testa di Dutch, troneggiando dietro di lui.
Nessuno l’aveva visto o sentito muoversi, sia per il trambusto dell’azione che per la rapidità dei suoi movimenti.
“Mi deludi, signor Dutch, capo della Black Lagoon Company” disse l’afghano con voce profonda e un’ombra di vera delusione negli occhi “Mi hanno detto così tante belle cose sul tuo conto, e commetti l’errore di voltarmi le spalle?”
“Posso sempre … improvvisare!” Dutch non aveva ancora finito di pronunciare l’ultima sillaba, che aveva letteralmente lanciato l’irlandese contro il nuovo avversario, prendendolo anche sotto tiro con la sua pistola.
Per nulla stupito, l’avversario si scansò con agilità, tenendo sempre la pistola puntata contro l’afroamericano, ma senza sparare, con un’espressione soddisfatta negli occhi.
“Ed ora?” chiese Dutch, una volta valutata la situazione.
“Ora? Ora facciamo due chiacchiere!” disse l’altro con semplicità, mentre i clienti uscivano dal pub per non essere coinvolti in eventuali scontri a fuoco.
Bao, che dal canto suo già sapeva che sarebbe andata così, pensò con amarezza:
“Beh, almeno il bar è ancora in piedi … per il momento”.
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
Ci siamo gente! Finalmente lo scontro non è più solo nell’aria, iniziamo a vedere i primi veri e propri lampi e tuoni =)
Spero vi piaccia e non sto a ringraziarvi sempre, sapete già quanto apprezzi il vostro disturbo ^^
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Point Break ***


Lo Yellow Flag era saturo di un gran silenzio, riempito però da una di quelle tensioni, che non ti limiti a percepire, arrivi quasi a toccarle con mano, gustarne l’intenso sapore, vederne i risvolti rispecchiati nei volti e nelle espressioni degli astanti.
I membri della Black Lagoon e della Hell’s Souls erano al centro della scena, oltre che della stanza, e quattro di essi erano ancora con le armi spianate, puntate ognuno sul proprio obiettivo.
Revy teneva ancora sotto tiro le due donne della Hell’s Souls, ricambiata dalla bionda in piedi alla sua sinistra; la punk, invece, teneva ancora Rock saldamente per i capelli neri, tirandoli in modo tale che il giapponese fosse costretto a tenere la gola scoperta, mentre lei ci appoggiava il grosso coltello da caccia, che ormai andava tracciando una piccola linea rossa sulla pelle di Rock.
Benny stava da parte, così teso da non potersi muovere, voltando lo sguardo come se assistesse ad una partita di tennis.
Dutch e Lucifer, i due pezzi grossi delle due compagnie, si puntavano le rispettive pistole dritte in faccia, in una posa plastica degna di un film d’azione, mentre alle spalle di Lucifer, l’irlandese si rialzava a fatica, tenendosi il naso sanguinante, ma per il resto in gran forma, per uno che è appena stato fatto volare per circa tre metri da un enorme afroamericano incazzato.
Dutch si prese tutto il tempo per parlare, valutando attentamente la situazione e osservando bene il “campo di gioco”: in ballo c’erano le vite dei suoi sottoposti ed il futuro della Lagoon, ed avrebbe usato ogni risorsa in suo possesso per distruggere quella nuova minaccia, a qualsiasi costo.
“E di cosa vorresti parlarmi, straniero?” chiese Dutch “Sai, non sono molto in vena di chiacchiere quando minacciano la vita di uno dei miei collaboratori … “.
“Se scegli degli incapaci come collaboratori, bestione, cosa ci possiamo fare?” ringhiò di risposta la punk, torcendo i capelli, e quindi la testa, del giapponese, che si lasciò sfuggire un verso di dolore “Squittisci, topolino, squittisci!” aggiunse lei con ironia e divertimento nella voce.
“Se non la pianti rivernicio la parete con le tue cervella, lurida troia!” ringhiò Revy togliendo con il pollice la sicura dalla pistola.
“Non credo, a meno che tu non voglia essere la prima donna a fumare con la fronte” rispose la bionda, spavalda.
Lucifer non intervenne durante queste battute, anzi il suo sguardo di ghiaccio non si mosse mai da Dutch, come se stesse cercando di cogliere ogni minimo particolare per studiare al meglio il nemico.
“Ebbene” disse Dutch, visibilmente spazientito “cosa vorresti risolvere? Qual è il motivo di tutta questa messa in scena? Se non mi hai ancora sparato vuol dire che non hai intenzione di farlo, quindi perché non mi dici quello che vuoi ed evitiamo il massacro di San Valentino proprio qui?”.
Lucifer abbozzò un sorrisetto soddisfatto, come se tutte le parole dette da Dutch rispecchiassero perfettamente le sue aspettative e rispose: “Devo farvi i complimenti, signori, a tutti quanti. Meritate la fama che vi precede” disse con orgoglio “Ma … ” ed in quel momento la sua espressione cambiò, e scese un gelo sui suoi occhi, una decisione che il capo della Lagoon aveva visto poche volte nella sua vita: quello era un uomo che non conosceva la parola ripensamento o paura, e che avrebbe fatto di tutto per assecondare i suoi scopi.
“Il motivo della nostra chiacchierata improvvisata è lo stesso che mi ha spinto a raggiungere questa terra con queste anime nere che vedi qui. Signor Dutch, questa è casa mia,ora. Sono spiacente, ma se ci ostacolerete, verrete distrutti senza rimorsi.” Fece una pausa dopo quelle parole, come se pensasse attentamente a scegliere con cura le parole successive “Volevo conoscerti di persona, perché non c’è onore nel distruggere un nemico con la tua fama senza misurarsi in campo aperto. Non ho mai nemmeno preso in considerazione l’idea di chiederti di arrenderti, sottometterti o scappare come gli altri cani, so che non lo faresti mai ... in fondo, io e te siamo molto simili”.
Dutch sorrise sornione, ed alzò il capo in un impeto d’orgoglio:
“Uguali dici? Non penso proprio. Tu sei un soldato, pieno fino al midollo delle tue cazzate sulla sportività e l’onore. Io sono un mercenario. Ho mandato a fanculo l’esercito e tutti i suoi sissignore e nossignore: vivo questa vita perché è la cosa che so fare meglio e voglio farlo come capo di me stesso.
Ora tu vieni qui, nella mia terra, e pretendi, facendo cagare sotto due clienti e facendo queste scenate da film western di seconda categoria di impressionarmi? Beh, bello mio, hai sbagliato persona con cui scherzare. Se vuoi farmi andare via da qui dovrai armarti di ben altro che di frasi ad effetto ed una striminzita m92 per fermare il grande Dutch e la Black Lagoon Society!” La voce dell’uomo risuonava forte e decisa nel locale silenzioso “Credi d’impressionarmi, Lucifer? Con quel nome da checca e i tuoi degni compari? Ti sbagli di grosso! Vuoi ucciderci qui in questo bar? Sono pronto a portarvi tutti con me. Ti farò volare via come ho fatto con la checca dietro di te!”
L’irlandese digrignò i denti e mosse qualche passo verso Dutch, accecato dal furore, ma Lucifer allargò il braccio verso di lui, imponendogli di fermarsi.
Gli occhi del capo della HSC brillavano di una luce di sfida: si vedeva che le parole di Dutch avevano stimolato la sua voglia di competizione.
“Daya, Knall, ritiratevi. Con calma. Sono sicuro che il signor Dutch voglia come me uno scontro in piena regola, e non certo una volgare rissa da bar a questa maniera. Daya, non fare del male a quel ragazzo, sono certo che la signorina tatuata vi creerebbe non pochi problemi, se decidessi di … agevolargli il respiro”.
Revy e Daya emisero al contempo lo stesso verso di stizza, entrambe scontente di non potersi scannare seduta stante, come due leoni voraci.
La punk ritirò il coltello e spinse malamente Rock verso Revy, portandosi velocemente di fianco alla bionda, che teneva ancora Revy sotto tiro.
Rock si fermò a pochi centimetri da Revy e la guardò massaggiandosi il collo e tamponandosi il rivoletto di sangue che usciva dalla piccola piaga che il coltello aveva aperto poco sotto il pomo d’Adamo.
Il ragazzo guardava la collega di sempre con un sorriso mesto, colpevole, felice però di aver evitato che quella Daya la ferisse; quando però alzò gli occhi, Revy scambiò uno sguardo con lui, e gli occhi della donna erano lucidi e pieni di agitazione: Rock si spaventò perché era lo sguardo più emotivo che Revy avesse mai avuto.
Improvvisamente, Revy sembrò riprendersi da quel momento di debolezza, e una fredda rabbia scavò i lineamenti della ragazza, sconvolta per quella carica emotiva, e sbraitò, rivolgendosi a Dutch:
“Vuoi davvero lasciarli andare così, capo? Con tutti i problemi che potrebbero causarci, dovremmo approfittarne!” detto questo puntò con decisione le Cutlass verso le due donne, stranamente calme e apparentemente padrone della situazione.
“Ferma, socia!” disse Dutch con calma “Non sottovalutarli. Ci saranno altre occasioni per far piovere sangue e piombo su questi novellini di Roanapur. Lasciali andare, ora”.
“Ben detto signor Dutch” annuì soddisfatto Lucifer, abbassando l’arma con cautela ed avviandosi piano verso la porta, seguito dall’irlandese che, stranamente zitto e con la testa bassa, seguiva il capo senza commentare, ma guardando Dutch con uno sguardo omicida.
Quando però Lucifer passò di fianco a Dutch, i due si guardarono negli occhi e Lucifer aggiunse:
“Non ci sarà più spazio per la pietà, d’ora in poi: se non vuoi perdere uomini, mandali via. Approfitterò di ogni debolezza che troverò per distruggere te e quella ragazzina che ti porti dietro. So che farai altrettanto.”
“Non chiedo di meglio” disse Dutch risoluto, abbassando l’arma ma mai gli occhi, non spostando il suo sguardo da quegli occhi di ghiaccio.
La HSC si era dileguata nel buio della sera tarda di Roanapur in pochi secondi, e Dutch rilasso i muscoli fino a quel momento tesi e pronti all’azione.
Benny, invece, preso da chissà che pensiero, velocemente s’incamminò verso il punto in cui l’irlandese era atterrato e, dopo qualche momento di ricerca, riemerse con quello che sembrava un dispositivo nero USB in mano.
“Guarda, Dutch! L’ho notato quando quel bulletto è caduto. Non è da escludere che lo abbia fatto cadere volutamente, ma c’è sempre la possibilità che sia qualcosa d’importante, non credi?”.
Dutch rinfoderò la pistola ed osservò la chiavetta con aria critica.
“Non è gente che fa cose con leggerezza, Benny. Controlliamo cos’è questa cosa, ma facciamolo su uno dei tuo PC di riserva.”
“Era esattamente quello che pensavo io. Rientriamo subito, conviene giocare d’anticipo!”.
“Non potrei essere più d’accordo con te, visti gli avversari che abbiamo da affrontare!” ne convenne Dutch “Forza squadra, andiamo. Revy, Rock. ”
Rock si incamminò, ma si fermò in fretta, perché Revy restava ferma, con lo sguardo sul terreno e le mani, ora libere dalle Cutlass riposte, erano strette con forza, tanto che le nocche che spuntavano dai guanti senza dita erano bianche.
“Dutch” disse con voce sepolcrale “va’ con Benny, io e Rock non ci intendiamo molto di quel genere di cose, ed io devo scambiare due parole con lui.”
Dutch la guardò negli occhi, e vide che lo sguardo che aveva era molto simile ai suoi momenti di “febbre di Whitman”, quindi optò per assecondarla.
“Ok, socia, ma vedi di non essere … avventata. E’ il periodo sbagliato per colpi di testa, e mi serve la mia pistolera, al 100%. Andiamo, Benny”.
I due si avviarono verso l’uscita, ben consci che quella sarebbe stata una lunga notte, per studiare a fondo una strategia vincente, mentre Revy e Rock restavano nel bar che piano piano riacquistava la consueta e relativa calma, anche se tutti gli avventori rimasti parlavano degli avvenimenti e Bao ringraziava il cielo che il bar fosse ancora in piedi.
 
 
***
 
Balalaika era seduta alla sua scrivania e spulciava vecchi comunicati del comando centrale di Mosca alla ricerca di informazioni utili sulla situazione contingente, quando un lieve bussare interruppe il turbinio dei suoi pensieri.
“Avanti” disse lei
Boris entrò nello studio con dei voluminosi dossier in mano: “Ecco Capitano, questi sono arrivati poco fa da Mosca, e sono già riuscito a farmi un’idea ben precisa degli stranieri. E’ tutto qui dentro”.
“Forza allora, dimmi chi abbiamo davanti”.
“Molto bene” Boris aprì il primo dossier “Il primo componente della Hell’s Souls Company è Mike Driller, alias Neil O’Driscoll.
Nasce il 19 marzo 1972 a Belfast, terzo figlio di una famiglia cattolica. E’ ricercato dalla polizia nord irlandese per l’omicidio di un orangista in una rissa.
Fugge grazie al padre e al fratello maggiore, entrambi legati all’IRA; l’associazione gli fornisce la nuova identità di Neil O'Driscoll e lo spedisce negli USA, dove si laurea con lode in informatica ed inizia a lavorare per la NeXT computer nel ’95.
Ma l’FBI lo rintraccia e cercano di reclutarlo, vista la notevole attività di hacker che conduce.
Lui però riesce a sfuggire all’Intelligence e scappa a Cuba, per poi darsi alla macchia in diversi stati, lavorando saltuariamente in vari paesi come Libia ed Iraq, sempre distinguendosi per le sue doti informatiche.
Ha un profilo caratteriale di aggressività e propensione per i disordini e le risse; mi permetto di aggiungere che lo considero l’elemento meno problematico del gruppo”.
“Il secondo componente del gruppo è Sarah Mayer, nata il 26 febbraio 1977 a New York, in una famiglia di origine tedesca. Entra a far parte dell’esercito dopo la dipartita del fratello maggiore, pilota dell’aviazione americana, morto in Somalia durante la battaglia di Mogadiscio.
E’ un ex sergente della Special Force, cecchino di discreta fama con trentaquattro bersagli confermati in servizio. Potrebbe tranquillamente competere con i nostri uomini.
Inoltre, a giudicare dai suoi brillanti risultati accademici, sembra anche avere una mente notevole.
Dopo aver servito in Afghanistan ed in Iraq, lascia l’esercito ed entra in società con l’altro membro Maria Wellington. E’ senza dubbio un elemento da tenere d’occhio.”.
“L’altra ragazza nasce il 18 marzo 1976 a Londra, figlia di un ufficiale inglese, sposato con una donna appartenente ad una facoltosa famiglia di origine indiana.
Prima del suo corso, diventa caporale delle S.A.S., specializzata nel corpo a corpo e famosa per la sua abilità di incursore.
Partecipa alle operazioni per la presa di Kabul e nell’Operazione Enduring Freedom, ricevendo una nomina per la Victoria Cross, non ottenuta a causa delle sue dimissioni dall’esercito.
Come già detto, lei e la Mayer fondano una piccola società di mercenari.
Anche lei come l’irlandese è una testa calda, ma anche un’esperta nel suo campo assolutamente da non sottovalutare.”.
Dopo una piccola pausa, Boris prese il dossier più corposo di tutti, e riprese:
“Per quello che riguarda il capo dell’organizzazione, ho avuto molte difficoltà a reperire informazioni attendibili, ma grazie agli sforzi dei nostri informatori a mosca, siamo riusciti a risalire al suo fascicolo nel cuore degli archivi della Lubjanka.
Il nostro uomo è Adrian Afanasy Lyutsichov, cittadino sovietico nato ad Asgabat l’8 gennaio 1969”.
Balalaika serrò i pugni e strinse gli occhi, visibilmente irritata da quell’ultima informazione, ma non intervenne, così Boris riprese:
“Suo padre era un pilota dell’esercito sovietico, mentre la madre una studentessa di origini Turkmeno-Afghane. Dopo la morte del padre in Afghanistan e della madre per una polmonite, entra in un collegio militare e viene spedito volontario in Afghanistan nell’87.
Sei mesi dopo la sua unità cade in un’imboscata e di lui si perdono le tracce, finché il KGB, nel 1988, scopre che combatte al fianco Ahmad Shāh Massoūd“il leone del Panjshir”, con il suo famigerato nome di battaglia: Lyutsifer.
Con la fine dell’occupazione sovietica e la guerra civile aiuta la famiglia materna ad attraversare il confine e da qui si perdono le tracce. Da qui l’FSB registra i suoi movimenti scovandolo in Armenia nel'92, Cecenia nel '94-96 e Nagorno Karabakhnel 1998. Fino al settembre 2001 addestra unità paramilitari indiane in Kashmir, e da qui passa di nuovo in Afghanistan dove, dopo la morte di Massoūd, guida le forze dell’Alleanza del Nord collaborando con gli americani durante l’invasione, dopodiché fa di nuovo perdere le sue tracce.
Ci sono voci influenti che dicono che sia legato a molte organizzazioni segrete, tra cui la CIA, da cui trae le sue molte informazioni.
Abbiamo già sentito parlare di lui, Capitano: è noto per non avere pietà per gli Spetznas ed i russi in generale, in sintesi anche da solo rappresenta un problema che va’ distrutto alla radice, o non ci procurerà altro che guai, signore”.
Balalaika si alzò, prendendo la foto di Lucifer dal dossier ed osservandolo con attenzione.
All’improvviso, disse:
“Compagno Sergente, non intendo radere al suolo subito la città per questo motivo, ma ti devo confessare che sono terribilmente urtata da questo personaggio” mentre diceva queste parole, piano piano stringeva la foto nel palmo, con furia “Questo piccolo ratto traditore del suo stesso paese è ancora peggio dei politici, per me, e sai quanto io li detesti.
Non merita alcuna considerazione o rispetto da parte nostra, e per questo vorrei che dicessi ai nostri soldati che lui dovrà essere chiamato “L’afghano” da tutti noi, senza esclusione, e tutte le sue imprese non devono essere un motivo di rispetto per lui!”.
“Certo, capitano!”
“Ora, Boris, avvisa i capi delle varie organizzazioni che voglio un incontro con tutti loro per fare fronte a tutta questa vicenda, e che ogni aperto favoreggiamento per la HSC verrà valutato come
una dichiarazione di guerra contro l’Hotel Moscow stesso! Voglio che i soldati si preparino, perché se la Black Lagoon non riuscirà a far fronte al problema, entreremo in guerra, contro la nuova organizzazione e contro chiunque la spalleggi. Sono stata chiara?”
“Cristallina, Capitano! Eseguo!” detto questo uscì, lasciando Balalaika ad osservare il cielo di Roanapur.
Nubi nere lambivano le coste, le stesse nubi che la russa vedeva nel futuro della città.
“Non mi farò spaventare dal primo pezzente sbucato dal nulla” penso con rabbia la signora della guerra “Metterò a ferro e fuoco la città se dovrò, per ricordare a tutti che l’Hotel Moscow non teme nessuno, primi fra tutti i traditori del mio paese!”
"Dutch" pensò poi, dopo una piccola pausa "ho piena fiducia in te, non deludermi ..."
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L'angolo dell'autore:
Ehi gente! =)
Un capitolo molto tecnico, non c'è che dire. Qui devo fare un gran ringraziamento al mio storico Lilius, che ha personalmente stilato tutti i dossier dei personaggi curando splendidamente i dettagli!
Metto qui di seguito le note sui termini militari o i fatti storici citati per coloro a cui potessero interessare!
 
-          Strage di San Valentino: massacro compiuto a Chicago il 14 febbraio 1929, mediante il quale gli uomini di Al Capone presero il controllo della tratta di alcoolici nella città di Chicago.
 
-          Ira (Irish Republican Army): era un'organizzazione militare nata dai Volontari Irlandesi (Irish Volunteers), che nel 1919 il Dáil Éireann riconobbe come esercito della Repubblica Irlandese
 
-          NeXT Computer: società fondata nel 1985 da Steve Jobs. L'obiettivo della società era di avviare una nuova rivoluzione del campo dell'informatica.
 
-          S.A.S.: Special Air Service, Forze Speciali paracadutisti britannici.
 
-          Victoria Cross: la più alta onorificenza militare assegnata per il valore "di fronte al nemico" ai membri delle forze armate di alcune nazioni del Commonwealth e di alcuni territori dell'ex Impero britannico.
 
-          FSB (Federal'naja služba bezopasnosti): è il servizio segreto dellaRussia, erede del KGB sovietico.
 
-          Lubjanka: è il nome con cui è noto un palazzo di Mosca, celebre per essere sede dei servizi segreti sovietici prima e russi poi.
 
Alla prossima!!
 
 

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Capitolo 13
*** About Love And Self Destruction ***


Le emozioni di Revy, in quel momento trascendevano addirittura l’ira, ed ogni sentimento di rancore che lei avesse mai provato in vita sua: era livida.
Lei e Rock erano usciti dallo Yellow Flag circa da mezz’ora, e camminavano ora senza meta per le vie di Roanapur.
La notte era scesa come un mantello sulla città, i lampioni accesi, quei pochi che si erano salvati dalle occasionali sparatorie che si consumavano per quelle vie, almeno, davano alle strade un aspetto sporco e malinconico, a causa della luce incerta che proiettavano, illuminando solo parzialmente i dintorni.
Nonostante i poco convinti tentativi del ragazzo di avviare una conversazione, lei restava zitta, con gli occhi velati dal turbinio di pensieri che la assediava, per niente interessata a scambiare opinioni con lui sull’altra compagnia, gli eventi di poco prima o addirittura condividere i pensieri che la tormentavano.
Revy non riusciva ancora a capacitarsi di quello che il ragazzo aveva fatto durante la concitazione della lotta: quel pazzo, non solo si era frapposto tra lei ed il suo bersaglio, ma si era anche maldestramente fatto immobilizzare e trattare come un fottuto scudo umano dall’altra donna, che ovviamente ,da professionista, non si era lasciata sfuggire una così ghiotta occasione.
Sì, certo, la donna stava effettivamente per prendere Revy alla sprovvista, dato che non si aspettava un nemico tanto feroce e preparato, ma il vero problema, ben più grave di quella situazione, da cui comunque Revy era riuscita a uscire innumerevoli volte nel corso della sua “carriera”, era che lei, Rebecca “Two Hands”, pistolera di professione e perfetta macchina assassina, aveva commesso un errore che non aveva mai commesso prima: aveva esitato.
Lei, famosa in tutta Roanapur e in tutta Chinatown per essere un impulsivo, avido e cinico sicario e killer professionista, aveva esitato a distruggere i suoi avversari: e la colpa era tutta di quel giapponesino dai capelli corvini e gli occhioni da cerbiatto sperduto.
Revy aveva sempre ignorato quei segnali così evidenti, che la parte più professionale e attenta di lei aveva ovviamente captato subito, creandole quella che Dutch chiamava “la febbre di Whitman”, ma con il passare del tempo, si era lasciata cullare da quella piccola convinzione (o speranza?) che tutto potesse sistemarsi da solo, forse, e che dopo un po’ quel ragazzo sprovveduto avrebbe imparato a sopravvivere a Roanapur, entrando finalmente a farne parte.
Anche quando Balalaika, la dimostrazione pratica di come ci si dovrebbe comportare da professionisti in quella città, le aveva sbattuto davanti agli occhi la realtà, lei non l’aveva mai veramente ascoltata.
“Two Hands …  lascia che ti dica una cosa” le aveva detto la russa, con quel suo sguardo di ghiaccio “Non ho idea di cosa ti stia passando per la testa ultimamente, ma non dovresti cercare di vivere come lui!”
Eppure Revy aveva continuato a non voler vedere, a stare vicino a quella che vedeva come una delle poche luci che potessero anche se in minima parte ricordarle che forse sbagliava, che forse non tutto il mondo era poi così cattivo come lo era stato con lei.
Quei pensieri, però, erano i pensieri di una piccola ed insignificante donnicciola qualsiasi, con una piccola quanto innocente cotta per un collega di lavoro: ecco in quale abisso stava sprofondando, ed era così arrabbiata proprio perché finalmente l’aveva capito.
Con la rissa al bar e tutta la nuova situazione relativa all’HSC, Roanapur non ci aveva messo molto a ricordarle che non si torna indietro, una volta contagiati dalle spore di quel mondo tanto violento e che, nonostante Rock facesse di tutto per integrarvisi, non sarebbe mai stato veramente in grado di diventare come loro e di sentire quello che loro sentivano.
Si fermarono in un vialetto, improvvisamente, e la donna ruppe gli indugi alzando gli occhi gelidi su Rock e parlando con una voce che sembrava aver poco di suo, ma soprattutto poco di umano.
“E’ ora che torni a casa, ragazzino. Il tempo dei giochi è finito.” disse.
Rock, sorpreso, abbozzò un sorriso, con la stessa espressione colpevole sul volto, la quale non faceva altro che acuire il livore di Revy.
“Senti, Revy, mi dispiace, ok?” disse titubante “Ho fatto una cazzata, ma volevo solo impedire che ti facesse del male! Non volevo …”
“Zitto” lo interruppe lei, gelida “non voglio sentire le tue patetiche scuse. Non sono arrabbiata per quello che è successo là dentro” fece una piccola pausa, mentre tirava fuori una sigaretta e l’accendeva con mani ferme.
“Semplicemente, mi sono stufata di questo stupido gioco: io non sono come te, e non lo sarò mai, tu qui sei solo d’intralcio, perché non puoi e non potrai mai essere veramente come noi. Te ne devi andare” .
Rock rimase immobile, gelato da quelle parole.
“Non puoi dire sul serio, Revy,  non dopo tutto quello che abbiamo passato!” Rock era incredulo “H-ho aiutato la Black Lagoon come potevo, ho risolto situazioni che altrimenti non sarebbero mai finite bene! Sono un bravo traduttore, un autista decente e soprattutto un bravo diplomatico, e ho anche salvato il culo a Jane, se te ne fossi dimenticata! Io e te siamo amici, Revy, perché …”
“AMICI???” Revy era sbottata con violenza “Io non ho amici!! Non ho bisogno di amici!! Io sono la grande Two Hands della Black Lagoon Society, e tu pensi che mi freghi qualcosa di avere degli amici??? Sei piombato qui, tra capo e collo, e da quando sei con noi ho sempre dovuto farti da balia, o saresti morto almeno cinque volte! Sei una palla al piede, noioso, inutile, inconcludente e soprattutto non hai mai capito un cazzo di come si debba essere per vivere qui!”
Rock ribatté, infervorato: “Ma questo non mi ha impedito di salvare la Lagoon da molte situazioni di pericolo! E sei stata tu, Revy, ad avvicinarti a me e a rendermi partecipe dei tuoi pensieri! In Giappone eravamo così vicini, ed ora mi fai questo? La verità è che hai paura di ammettere che forse non sei tanto disumana come credi e come ti servirebbe, che alla fine dei conti sei umana come tutti gli altri! Come quando giocavi con quei bambin”
“Smettila, smettila, SMETTILA!!!”
Revy, ormai isterica, lo guardava negli occhi, con tutto l’odio di cui era capace e che provava verso sé stessa, per essersi sentita tanto debole e vulnerabile: e tutto per colpa sua!
“Sai, stronzetto, non credo che senza me che ti proteggevo il culo saresti durato più di un mese!” aggiunse, e con cattiveria reiterò la dose ” E poi, solo per aver fatto la smorfiosa un paio di volte ed averti detto qualche banalità da filmetto rosa su di me, pensavi che fossimo amici? Sei stato poco meno di un passatempo per me, un modo come un altro per riempirmi i momenti liberi. I tuoi superiori hanno fatto bene a liberarsi di te come un inutile sacco di merda, sei solo un inutile perd”
Il rumore dello schiaffo risuonò nell’aria della sera, breve ma molto intenso e sonoro.
La mano di Rock aveva lasciato un grosso segno rosso sulla guancia di Revy, e l’aveva lasciata completamente immobile e sbigottita.
Le guance di Rock erano rigate di lacrime, le sue narici dilatate e nei suoi occhi si leggeva solo una rabbia fredda che faceva quasi paura.
“Non ti permettere mai più” disse a mezza voce, mentre Revy ancora si teneva una mano sulla guancia, completamente spaesata “Non ti azzardare a trattarmi come hai già fatto una volta, Rebecca!!” il ragazzo strinse i pugni e si erse in tutta la sua statura “Non sono più lo stesso uomo che avete arruolato! Non sarò un amante delle carneficine o un avido bastardo come i personaggi che circolano in questo schifoso inferno, ma un paio di cose le ho imparate … Two Hands!” disse con disprezzo “Che tu lo voglia ammettere o meno, ormai faccio parte della Black Lagoon come e anche più di te! Quindi non hai il diritto di trattarmi così!”.
Revy, ora meno confusa e molto più decisa sul da farsi, estrasse una delle Cutlass e la puntò contro Rock con freddezza, e disse.
“Hai appena perso ogni diritto in questa società, Rock, e se ora non sparirai con la coda tra le gambe come sei strisciato nelle nostre vite, perderai molto di più.” Detto questo caricò l’arma e stette ad aspettare.
Rock si scurì ulteriormente in volto e rispose “Aggiorna la lapide, allora. Oltre a scriverci "non c’è cura per i pazzi violenti", aggiungici "soprattutto per quelli che non vogliono essere curati!" Tu…”
Ma si dovette interrompere, scansandosi velocemente, perché Revy fece fuoco dove un secondo prima si trovava lui, mancandolo per un soffio.
Rotolò a terra e si rialzò di scatto, interdetto ed assolutamente attonito per quello che era successo: aveva sparato per ucciderlo.
“Vattene …” Revy aveva la voce rotta, come se si stesse per mettere a piangere, gli occhi lucidi. Tremava.
 “Vattene, stupido idiota! Non fai che rendermi debole, sei solo un peso per tutti!!”
Rock restava immobile, sconvolto per la situazione, per quelle parole: per tutto.
 “VATTENE, HO DETTO!!!” Revy scattò in avanti e gli assestò un gran destro sullo zigomo sinistro, mettendoci tutta la sua forza e facendolo cadere a terra, sanguinante.
Rock, però, non perse il contegno: si rialzò, si asciugò il sangue e le lacrime che gli scendevano dagli occhi, e la guardò dritta in volto: la ragazza era scossa dai tremiti, serrava i denti per contenere le emozioni che la stavano schiacciando, e lottava palesemente per non mettersi a piangere.
Allora lui parlò, sincero come avrebbe spesso voluto essere con lei in momenti simili: “Sei stato il mio sbaglio più grande. E la mia peggior delusione.”.
Detto questo si voltò, e s’incamminò verso il nulla, perchè non riusciva a vedere niente avanti a sé, ora che il suo mondo gli era stato negato.
Quanto a Revy, rimise nel fodero la pistola, mentre la sua mente era ancora sconvolta.
Nel suo cervello tutto le diceva che aveva fatto la scelta giusta, che sarebbe stato solo un problema per lei e per il suo lavoro e che presto anche quegli strani sentimenti sarebbero spariti.
Ma tutta la sua forza di volontà non potè fermare quella fottuta lacrima che le scese dall’occhio destro e le inumidì la guancia, ancora rossa per lo schiaffo.
Sentì che con quell’uomo se ne stava andando quanto di umano restava ancora della piccola marmocchietta che credeva nella bontà delle persone.
Era questo, più di tutto, che la terrorizzava.
 
 
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore
 
Non voglio rovinare questo capitolo con commenti stupidi.
Ci ho messo tutto il mio impegno e spero di aver reso la situazione … e che possiate apprezzarlo,ovviamente!
Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Waiting For The Storm ***


“Tally-ho!! Chi è il miglior hacker del mondo??? Yeaah baby!!” la voce di Benny risuonò nella stanza, rimbombando con forza.
“Ehi ehi, calma, cowboy … ce l’hai fatta?”
Benny si voltò verso la porta del bagno, dove ora si stagliava la bionda figura di una ragazza di giovane età, circondata dalla nuvola di condensa di calore che ancora usciva dalla porta, testimone della doccia appena terminata.
I lunghi capelli biondi e umidi erano raggruppati in una coda dietro la testa, ed il corpo, giovanile e tonico, era coperto unicamente da un asciugamano.
“Sì, baby!” esclamò Benny, estatico anche se con delle grandi occhiaie, che ben evidenziavano le lunghe ore appena spese a reperire i dati contenuti nella chiavetta Usb.
 
Sei ore prima, usciti dallo Yellow Flag, Benny e Dutch erano andati direttamente alla base della Black Lagoon, troppo presi dall’eccitazione del momento per ricordarsi dell’arrivo, previsto un’ora prima, della giovane fiamma di Benny a Roanapur.
Arrivati alla nave ed in procinto di entrarci, Benny fu colpito da una gran manata sulla nuca che lo fece sobbalzare e lo costrinse ad indietreggiare.
Prima che l’aggressore potesse continuare il suo assalto, Dutch fece valere la sua agilità e la sua mole per bloccare velocemente quella sagoma minuta al suolo, puntandogli anche addosso l’arma.
“Ehi Ehi, Dutch! Fermati, è Jane!”
Dutch, circospetto, confermò le parole del tecnico, e, più tranquillo, si affrettò a spostarsi da quella posizione.
Stizzita, la ragazza parlò, alzandosi e togliendosi la polvere della strada di dosso:
“Ecco quello che succede a venire a trovare il proprio fidanzato in questa città di pazzi scatenati! Non solo devo aspettare ore e ore ad un porto pieno di schifosi bruti che mi chiedono quanto sia il mio tariffario, ma ora vengo anche malmenata da chi dovrebbe difendermi: è il colmo!”
Benny si avvicinò a lei, cercando di accertarsi che stesse bene, ma venendo prontamente respinto.
“E tu non ti permettere di fare il carino con me! Sei responsabile di tutti i guai che la tua città di merda mi ha procurato e ti permetti anche di fare il ruffiano? Oh ma stavolta non te la caverai così a buon mercato,mi hai capit”
Dovette interrompersi, in quanto il tecnico della Lagoon la zittì, baciandola appassionatamente e con trasporto: un bacio a cui, suo malgrado, si era dovuta arrendere.
“Mi farete cariare i denti, se continuate così” commentò Dutch, sarcastico “Benny, ti devo proprio ricordare che non è il momento di queste frivolezze? Abbiamo ben altro tra le mani!”
“Il solito tatto, eh?” gli rispose Jane con acidità, fulminandolo con lo sguardo, prima che Benny avesse il tempo di rispondere. “Perché non ti levi”
“No, Jane, ha ragione …” si intromise Benny, interrompendola “le cose stanno peggiorando rapidamente: perché non entri con noi, che ti aggiorno?”
Lei lo guardò con uno sguardo ammiccante, già libero della frustrazione precedente, e sussurrò:
“Non si corre il rischio di annoiarsi, con te, vero? Va’ bene, ma ricordati che me la pagherai, signor Benny”.
Così, entrati, i due avevano raccontato a Jane i punti essenziali della vicenda di quei giorni, lasciando volutamente da parte i dettagli che avrebbero potuto metterla in pericolo se fossero trapelati, come i dettagli sui personaggi dell’altra compagnia.
Si trovavano ora nella stanza di Benny, e stavano cercando di visionare il contenuto della preziosa chiavetta USB, il quale, a quanto pareva, non conteneva alcun pericolo per i preziosissimi pc, ma una lunga lista di file criptati che avevano immediatamente acceso l’interesse dell’hacker californiano.
Nonostante le sue ampie conoscenze, Benny aveva dovuto in fretta ammettere che chiunque aveva criptato quei file, doveva essere un grande esperto d’informatica, così bravo da mettere in difficoltà persino lui.
Aveva iniziato allora a mettere in campo tutte le sue armi pesanti, come i programmi speciali di decrittazione, scritti pochi anni prima quando ancora lavorava contro il servizio informatico statunitense, ma nonostante questo, la sfida lo aveva tenuto impegnato per sei ore di fila, facendogli escludere tutto ciò che lo circondava.
Nonostante il suo grado di concentrazione, non potè non notare che durate tutte quelle ore, di Revy e Rock ancora nessuna traccia. Nonostante non fosse la prima volta che i due si concedevano qualche passeggiata per le strade della città, Benny non potè non sentirsi in ansia per loro, visto il nuovo e pericoloso nemico che avrebbero dovuto affrontare a breve.
 
“Si Baby” aveva risposto Benny orgoglioso a Jane “Alla fine il migliore in quello che faccio sono sempre io!” disse spavaldo, socchiudendo gli occhi con soddisfazione.
“Beh allora mi sembra giusto che tu … ti goda il tuo premio” disse, seducente, sfilandosi l’asciugamano e lasciandolo cadere a terra.
Benny arrossì un po’, ma si alzò in piedi con un sorriso, rimirandola, e dicendo a voce bassa:
“Perché no, potrei anche abituarmici”.
Purtroppo Dutch scelse proprio quel momento per entrare nella stanza, dicendo:
“Ti ho sentito urlare, Benny-boy, sei forse riuscit”
Ma il resto della frase fu interrotto dall’urlo imbarazzato di Jane, che con uno scatto fulmineo si chinò a raccogliere l’asciugamano per terra e fiondarsi in bagno, chiudendosi la porta alle spalle con uno schianto ed urlando: ”Nella caverna dove sei nato non si bussava???”.
Dutch accennò un mezzo sorriso, ma decide di lasciar perdere ed andare invece al punto focale della questione.
“Benny-boy, sei riuscito?”
Il tecnico, con un gran sorriso ed ancora un po’ di rossore sulle guance, alzò il pollice in segno di vittoria.
“Ottimo, amico mio!” disse Dutch gioviale, con una gran pacca sulla spalla del suo tecnico “Sapevo di fare un ottimo acquisto per la Lagoon Society! Hai già per caso dato un’occhiata?” chiese.
“In realtà non ancora, volevo che ci fossimo tutti … e quei due ancora non si vedono”.
Dutch strinse gli occhi, pensieroso.
“Sono convinto che saranno presto di ritorno. Inoltre “aggiunse poi con un sorriso “sono sicuro che, se fossero stati attaccati in strada, Revy sarebbe stata sufficiente per procurare il casino necessario per scappare, o per lo meno per allertare tutta Roanapur. Fammi vedere cosa nascondevano quei tipi, Rock e Revy possiamo aggiornarli noi”.
“Il capo sei tu” disse Benny e si rimise al computer, estraendo le varie informazioni, ormai libere dalle numerose armature e sovrastrutture che il tecnico della HSC aveva sapientemente piazzato.
“Sembrano tutti database che raccolgono gli ordini e le spedizioni” disse Benny sfogliando i dati.
Entrambi i membri della Lagoon strinsero i pugni quando videro che la stragrande maggioranza delle ordinazioni proveniva da quelli che solo poco tempo prima erano i clienti della Lagoon.
“Ci dev’essere un modo di risalire alla loro base, da qui” disse Dutch “non possono organizzare tutti i traffici nei magazzini della città, dovranno pure tenere un’armeria ed un deposito speciale!”
“Ma certo Dutch!” esclamò Benny all’improvviso “Guarda qui, conosciamo la maggior parte dei magazzini e dei rifugi delle organizzazioni della città, perché non possono averli cambiati tanto in fretta. Basterà fare un controllo incrociato, escludendo quelli che sappiamo per certo di poter escludere e scommetto una cena che ne rimarrà fuori solo uno!”.
“Geniale Benny! Allora …”.
I minuti passavano in fretta, e in non più di dieci minuti, e mentre Jane li aveva raggiunti, finalmente vestita, i due uomini avevano ormai escluso tutte le destinazioni: tutte tranne una.
“Bingo!” esclamò Benny.
“Conosco il posto” si affrettò a dire Dutch “molto bene, ora non ci resta che”.
“Fare saltare quei maiali per aria?” la voce roca e atona di Revy li fece gelare dov’erano: nessuno dei due l’aveva sentita arrivare.
Si voltarono tutti a guardarla.
Revy era in condizioni terribili.
I capelli, di solito raccolti in una coda, erano in disordine e liberi, gli occhi tanto rossi da sembrare insanguinati e un’espressione quasi assente, in cui l’oscurità lambiva anche i begli occhi una volta castani. Di Rock nessuna traccia.
“Ehi socia” cominciò Dutch, circospetto e cauto “non ti abbiamo sentita arrivare. Siamo riusciti a capire dove sono quei bastardi, ed ora ci serve un piano … dov’è Rock?”.
Revy fece una smorfia a quel nome, e rispose subito, atona e con un che di definitivo:
“Dimenticatelo”.
I morsi della tensione iniziarono a farsi sentire, e Benny iniziò a sudare freddo, pensando alle possibili implicazioni di quella frase.
“Che vuol dire: dimenticatelo?” chiese Dutch, sempre cauto ma ora anche con una certa impazienza “Cos’hai fatto, Two Hands?”
“Quello che andava fatto, capo” disse Revy sempre senza espressione ne’ emozioni rilevabili “Lavoreremo meglio, senza di lui”.
Dutch si avvicinò a lei, togliendo le mani di tasca e tendendole verso il basso, tendendo i muscoli.
“Revy, cosa cazzo hai combinato?” chiese ora senza più cautela “Ti avevo avvertito di non fare di testa tua. Se scopro che l’hai ammazzato ti butto fuori di qui a calci in culo! Ho assunto una professionista, non Charles Whitman, maledizione!”
Revy non aveva proferito parola, ma aveva allargato le dita, come faceva sempre prima di impugnare le Cutlass, mentre sulla fronte di Dutch pulsava la vena che era sempre stata la spia dell’inizio della sua rabbia.
Prima che la situazione degenerasse, Benny si alzò e si frappose tra i due compagni, allargando le braccia.
“Fermi! Che diavolo combinate?” chiese con foga “Vi sembra il momento di metterci a fare stronzate simili?? Dutch calmati, dai, c’è sicuramente una spiegazione”.
Si voltò poi a guardare Revy, che lo fissava sempre con lo stesso sguardo inespressivo, ma che nonostante questo non poteva ingannarlo: era sconvolta, e lui lo sapeva.
Poi lo notò, quel particolare che era sotto gli occhi di tutti dall’inizio ma che nella concitazione del momento nessuno pareva aver notato, e cioè che il filo di trucco sotto gli occhi di Revy, uno dei pochi vezzi femminili che ogni tanto la pistolera si concedeva, era leggermente sbavato: aveva pianto.
Benny era sconvolto, non solo perché non aveva mai visto Revy piangere, ma perché era ormai arrivato addirittura a credere che nemmeno sapesse come si facesse.
“Se n’è andato, vero Revy?” chiese Benny a voce bassa, esprimendo con gli occhi la tristezza che portava dentro “E’ vivo ma se n’è andato via, ho ragione?”
Revy aspetto qualche minuto prima di rispondere, presa da un attacco d’ira e di senso di inadeguatezza alla situazione, poi rilassò i muscoli e fece un cenno affermativo con la testa.
L’atmosfera si rilassò improvvisamente, e tutti e tre tirarono un sospiro: anche se l’assenza di Rock li rendeva nervosi, era di gran lunga meglio del pensiero che Revy avesse perduto la ragione.
“Cazzo, è successo nel momento peggiore” disse Dutch, grattandosi la testa pelata “proprio ora che abbiamo bisogno di un piano per agire”.
“… da quando abbiamo bisogno di un piano, Dutch?” chiese Revy all’improvviso, con rinnovata energia “Io dico di fare alla vecchia maniera, io li distraggo e li riempio di piombo, e tu becchi quel finocchio del capo e lo spedisci tra le fiamme con tanti saluti da parte della Lagoon Society!”
Prima che Dutch potesse replicare, Benny s’intromise:
“Stavolta devo dar ragione a lei, capo. Non sono un bravo stratega come te e Rock, ma visto che si tratta di personaggi assolutamente pronti a tutti ed esperti nel loro settore, non credi che più tempo gli lasciamo per organizzarsi, meno possibilità avremo di uscirne? Non vorrai dover chiedere aiuto a Balalaika, vero?”.
Dutch odiava ammetterlo, ma quei due avevano ragione. Non avrebbe mai sopportato dover chiedere supporto a Balalaika per quel problema, ed, in effetti, smaniava dal misurarsi con quel Lucifer, anche se questo significava la fine per lui.
Scossa la testa, disse, solenne:
“Beh gente, mi avete convinto. Stasera daremo un taglio a tutta questa storia. Vada come vada, non ci faremo certo stanare come topi impauriti. Preparati socia, stasera faremo piovere piombo come se fosse Natale!”.
Revy sfoggiò il suo miglior sorriso “carnivoro”: sembrava un mastino che digrigna i denti prima di avventarsi su una preda.
“Non potrei chiedere di meglio, capo!” affermò, risoluta e sgranchendosi le nocche “Affoghiamo quei bastardi nel loro stesso sangue!!”.
Benny si mosse verso la scrivania per prendere le chiavi dell’auto, ma una manona di Dutch gli si posò sulla spalla, bloccandolo.
“Mi dispiace, Benny-boy” esordì l’uomo “ma questa non è più la tua battaglia. Sei stato fondamentale, senza di te saremmo completamente indifesi, ma là in mezzo saresti solo d’intralcio”.
“Come puoi pretendere che stia a guardare?? Che uomo sarei se vi lasciassi andare in un posto dove potreste anche morire, in inferiorità numerica e senza un piano? Assolutamente, non se ne”
“Benny” disse Dutch, stringendo la mano sulla spalla del giovane per bloccarlo “Nessuno mette in discussione il tuo valore, ma l’azione non è mai stata il tuo forte. Trova Rock, riportalo qui se riesci, e nel caso … non andasse bene, andate da Balalika e sono sicuro che lei saprà darvi una mano.” Fece una pausa, concedendosi un sorrisetto : “Lui si crede il diavolo? Beh, io sono la fottuta acqua santa! E laverò via lui, ed il suo peccato più grande: venire qui. Amen!” detto questo, s’incamminò verso la porta prendendo le chiavi e dando una pacca sulla spalla a Jane come saluto.
Sebbene nemmeno Benny fosse un sentimentale, sentì gli occhi arrossarsi per l’emozione, ma si trattenne dal piangere e si voltò a guardare Revy.
La ragazza aveva messo da parte l’aria distrutta per quello che era successo con Rock e Benny sapeva che stava cercando una delle sue frasi d’effetto di pessimo gusto che le avrebbero permesso di scivolare via anche da quella situazione, ma non gliene diede il tempo, e l’abbracciò.
Quel gesto voleva esprimere tutto l’insieme di emozioni che Benny provava in quel momento e tutte quelle che non le aveva mai detto: c’erano i primi mesi di tensione, dove aveva avuto paura che quella donna l’avrebbe fatto secco alla prima occasione, c’erano le lunghe serate passate tra bicchieri e risate, c’erano anche i momenti di fatica e dolore delle battaglie affrontate, e nonostante non avessero mai particolarmente legato, c’era anche tutto l’affetto che quella strana famiglia gli aveva dato e che non era mai riuscito a restituire loro.
Revy restava immobile, ma per un momento, tutta la sua maschera di impassibile cinismo cedette e le spuntò un vero sorriso in volto, testimone che il messaggio di Benny era arrivato forte e chiaro, e che era ricambiato: tutto quello, insomma, che il suo orgoglio le impediva di dire.
Quando la lasciò andare, lei gli diede una semplice pacca sulla spalla e mormorò un vago: “Abbi cura di te”, per poi incamminarsi velocemente verso la porta già varcata da Dutch poco prima e sparire.
Benny guardò fuori dalla finestra, dove la luna piena illuminava quello sperduto angolo di mondo, dove presto si sarebbe consumata una grande battaglia, non per la salvezza del Bene o del Giusto, ma per quella vita che quelle persone avevano scelto e che per difenderla erano disposti all’estremo sacrificio.
Sarebbe stato necessario?
 
***
 
Lo scantinato in cui si riunivano sempre i capi delle organizzazioni criminali era sempre più lurido e sporco, eppure nessuno dei presenti sembrava essere interessato alle condizioni di quel posto, in quanto il motivo per cui erano stati strappati ai loro affari, alle loro prostitute e alla loro droga, era quanto di più serio si potesse auspicare.
L’esercito di Balalika si stava muovendo sulle strade di Roanapur, e la russa voleva tutti lì per discutere del motivo per cui aveva mobilitato i Visotoniki (l’esercito di Balalaika ndr) così improvvisamente.
La signora della guerra era in divisa militare, e sembrava quanto mai decisa a concludere il più in fretta possibile quel colloquio.
Dago e Abrego erano agitati: non sopportavano che Balalaika li convocasse come semplici sottoposti, ma entrambi sapevano che non si scherza con lei, quando i Visotoniki sono schierati.
Chang invece sembrava tranquillo come al solito, a suo agio anche su quella che sembrava una pentola a pressione pronta ad esplodere.
“Sarò breve, signori” esordì Balalaika, con freddezza “Voglio che ogni organizzazione cessi immediatamente qualsiasi transazione in atto con l’Hell’s Souls Company, oppure verrà considerato un nemico dichiarato dell’Hotel Moscow, e come tale eliminato”.
L’italiano ed il colombiano stavano per dare fiato alla loro indignazione, quando Chang sorprese tutti, dicendo:
“Prima di risponderti, voglio sapere solo una cosa, e ti pregherei di essere sincera. I tuoi uomini, hanno l’ordine di fare contenimento ad uno scontro tra la Lagoon e la HSC, vero?”.
Balalaika annuì, e disse:
“Vedo che hai capito, Chang. Se conosco bene Dutch non ci metterà molto ad organizzarsi ed affrontare di petto la questione, e voglio godermi da vicino lo spettacolo, quando tutto sarà finito”.
Chang allargò le braccia, e rise gioviale, dicendo:
“Ci sto! Hai l’appoggio della Triade. Mi sa che vi conviene acconsentire, ragazzi” disse poi, rivolto agli altri due convenuti “non credo che nemmeno insieme voi due possiate far fronte a noi due uniti. Senza contare che non ne ricavereste nulla di buono”.
Sebbene entrambi fossero evidentemente furiosi di essere trattati come subalterni, con rabbia accettarono la proposta e se ne andarono stizziti.
“Bene, Balalaika, vado a dare ordini ai miei uomini perché aiutino dove possibile i tuoi. Non fare imprudenze, ricordati che devo avere io il privilegio di toglierti di mezzo.”. Disse con un sorriso divertito.
Balalaika sorrise e rispose “Non vedo l’ora, Babe”.
Chang sospirò, e prima di andarsene disse “Devo proprio farti fuori, un giorno di questi”.
Balalaika stava dirigendosi verso Boris, che l’aspettava vicino all’automezzo blindato, ma il suo sguardo fu attirato da qualcos’altro, qualcosa che non si aspettava di vedere e che non riuscì ad ignorare.
“Compagno sergente!” disse ad alta voce, autoritaria “Vai a coordinare gli uomini, io arrivo subito a piedi”.
“Sissignore! Vuole qualche uomo di scorta?” chiese Boris.
“No, grazie, avrò già compagnia, e poi so cavarmela. Ora va’, soldato!”.
Quando l’automezzo fu sparito, si avviò piano verso ciò che aveva attratto la sua attenzione: quella serata già di per sé degna di nota sembrava dover diventare decisamente molto interessante.
 
 
 
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autore.
 
Ciao a tutti! Chiedo perdono ma non ho fisicamente potuto pubblicare prima, sembra che l’universo voglia impedirmi di scrivere in questo periodo … beh ma io il tempo per farlo lo trovo sempre e comunque ^^
Spero vi piaccia, stiamo per entrare nel vivo: tenetevi pronti!
Buona lettura e alla prossima =) 

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