Dopo più di un anno, ebbene sì, ecco il
terzo capitolo di questa meravigliosa storia, che nel frattempo è giunta alla conclusione nel suo originale inglese.
Chiedo scusa a tutti coloro
che ho lasciato sulle spine, ma come ben sapete a volte le passioni svaniscono,
altre volte invece affievoliscono in attesa di tornare a galla più prepotenti
che mai.
Così è successo a me.
Ed ora ho
intenzione di finire di tradurre tutta la storia. Non so dirvi con precisione
ogni quanto posterò i capitolo, poiché sono in pieno
periodo esami e l’esame di- guarda un po’- lingua giapponese mi preme
parecchio. Ma sono riuscita a trovare comunque del
tempo per questo piccolo capolavoro della bravissima Henna.
Posso però anticipare che se il prossimo
capitolo non sarà postato entro sabato, giorno del mio rientro a Venezia per
gli esami, di sicuro la storia verrà aggiornata dopo
il 20 gennaio.
È tutto, non mi resta che augurarvi
buona lettura!
Feda
Sul filo del rasoio
Non era sorpresa, quando si ritrovò a
sognare ancora del corvo.
Stavolta il vassoio era pulito e
scintillava debolmente sul suo davanzale. Il corvo vi si era appollaiato vicino,
scrutava indagatore la sua stanza mentre lei lo osservava, incorporea, dal
letto.
Le gocce di sangue sulle tende si erano
asciugare si erano trasformate in macchie di un
marrone sporco, e nulla successe per un intervallo lunghissimo. Il corvo la
guardava e lei guardava il corvo. Poi, mentre Temari
si rendeva conto di starsi agitando, saltò già dal davanzale ed entrò nella
stanza in un vortice di piume nere, sistemandosi sul bracciolo della sedia
nell’angolo della stanza.
Inclinò la testa di lato e Temari chiuse
gli occhi.
Quando li riaprì, si trovò caduta dal
letto per metà, con le braccia incrociate sulla fronte.
Kankuro la osservò
senza nascondere una certa apprensione quando, dopo una colazione alle quattro
del pomeriggio, mise i piatti sporchi nel frigo e il cartone del latte nel
lavandino. Temari sembrò non accorgersi nemmeno della preoccupazione del
fratello e passò la giornata ad allenarsi intensamente sotto il cocente sole
del deserto.
Qualche miglio ad
ovest di dove lei si stava allenando, Gaara sedeva in
una stanza piena di ingegneri, correggendo le bozze dei piani per le barricate.
________________________________________________________________________________________
- Credevo avessi detto di aver finito.- disse Temari
impassibile, per nulla sorpresa di vederlo quella notte.
- Ho ancora bisogno di pregare, Bionda.- replicò facendo un gesto evasivo con la
mano, accovacciandosi vicino all’oasi.-
Niente riposo per gli uomini pii, davvero.-
Temari lo osservò in silenzio, trovando
l’intatta ed incorrotta superficie del lago alquanto
insolita. Aveva finito coi sacrifici. Non ci sarebbe
stato del sangue da pulire, stanotte.
La fiamma delle fiaccole, unica fonte di
luce dell’oasi e del deserto circostante, gettava uno spaventoso riflesso
scarlatto in direzione della luna piena. Temari lo guardò con fastidio,
memorizzando la sua corporatura, memorizzando ogni singola caratteristica fisica,
valutando le sue possibilità in un combattimento e visualizzando mentalmente
ogni possibile attacco e contrattacco a cui riusciva a
pensare.
Era leggermente sorpresa quando lui finì
le sue preghiere un po’ prima del solito, più
precisamente di un’ora e mezza. Quando
Temari lanciò uno sguardo rapido al suo orologio, questo segnava solo le 2:52.
Con prudenza, strinse la presa attorno
al ventaglio mentre lui si infilava il rosario intorno
al collo, sistemandolo finchè non fu soddisfatto.
- E ora?- chiese Temari, quando le mani di lui tornarono lungo i suoi fianchi.
- Che diavolo vuoi dire con “e ora”? Ho
finito.-
- Che cos’hai intenzione di fare
adesso?- chiese ancora lei, impaziente.- Sederti qui e
basta?-
- Beh, che cosa vorresti che facessi?
Che danzassi per te?-
- Potresti andartene e non tornare mai
più.- suggerì Temari innocentemente.- Sarebbe
fantastico.-
- Sei una stronza, lo sai?-
- E tu una testa di cazzo. Pari.-
Lui sogghignò, appoggiando il peso sulle
mani.
- Ammettilo,
Bionda. Ti annoieresti all’inverosimile se non venissi qui.
Sono io che rendo divertente il tuo lavoro.-
- Divertente?- ripetè
Temari, assente.- Pensi che questo sia…divertente?!-
- Stare seduti al freddo tutta la notte
mentre mi guardi fare il bagno? Terribilmente divertente.-
- Sei un membro dell’Akatsuki.- constatò gelida.- Sarebbe un comportamento davvero idiota
perderti di vista.-
- Ti ho detto che non ho intenzione di
fare nulla.- disse lui, sembrando divertito.- Davvero.-
- E tu ti aspetti che io ti creda?-
Temari rise cinicamente.- Nel momento in cui
abbassiamo la guardia siamo tutti dei sacrifici che camminano.-
- Senti.- disse
lui all’improvviso, suonando irritato mentre si sedeva e incrociava le gambe.-
Sono le cazzo di tre del mattino. Sono stanco.
Lavoro tutto il giorno e il mio lavoro fa schifo, quindi quando dico che non ho
intenzione di fare altro se non godermi un po’ di fottuto relax,
è proprio quello che intendo fottutamente fare.-
Temari aprì la bocca per parlare ma lui
la interruppe, infastidito.
- Quindi non
pensare che io sia così stupido da fare qualcosa. Non vale assolutamente la
pena sacrificarti e rischiare che tutto il tuo maledetto villaggio mi faccia il
culo.-
Temari lo fissò senza parole, in qualche
modo sorpresa dalla sua petulanza.
Da un membro dell’Akatsuki si era
aspettata stoicismo, arroganza, incapacità di provare emozioni, non malumore.
Ma con quelle parole, lui aveva immediatamente frantumato la sua percezione di
loro come creature inumane, creature incapaci di provare alcunché,
creature immuni a stanchezza e malattia.
Non avrebbero dovuto stancarsi. Non
avrebbero dovuto prendersi una pausa dall’essere cattivi.
Essere cattivi non era un lavoro—era
un modo di vivere. Era una scelta. Per tutto ciò che aveva fatto, lui non aveva
diritto al riposo o al relax.
Improvvisamente Temari si sentiva male,
la sua nausea che tornava a galla nell’esatto momento in cui ricordò come si
era sentiva quando Kankuro era stato avvelenato,
ricordandole la rabbia e la paura al pensiero di perderlo. Era stata soltanto la
routine di una giornata di lavoro, per quelli come lui? E ora voleva prendersi
una pausa da tutto ciò?
Con la mente vuota, abbassò lo sguardo
sulle sue dita, che erano strette intorno al ventaglio così forte da farle
male.
Non
avrei mai pensato che potesse andare peggio, pensò
guardandolo attraversò un velo di fulgida luce rossa. Ma questo…questo è…
Non riuscì a finire il pensiero, la
coerenza che franava sotto lo sforzo di trattenere la furia crescente.
- Oh, e se la ragione per cui ti
comporti da stronza è per tutto quel bordello dell’Akatsuki che rapisce il tuo Kazekage, non prendertela con me. Non ho niente a che fare
con quella merdata.- disse casualmente lui,
guardandosi intorno.
- Niente a che fare con te.- ripetè Temari, allarmata al suono monotono della sua voce.-
Che importa? Siete tutti fatti della stessa pasta, quindi non vedo per quale motivo tu dovresti essere escluso dal gruppo.-
- Non mettermi nella stessa categoria di
quei pagani.- ringhiò, sembrando improvvisamente
alterato.- Non siamo affatto uguali.-
- Siete tutti
dei bastardi assassini. C’è abbastanza da essere uguali, in questo.-
- Io ho le mie ragioni per quello che
faccio.- replicò.- Posso anche lavorare per loro, ma
ho il mio personale “ordine del giorno”.-
- E cosa sarebbe.-
ghignò Temari.- La beatificazione?-
- Non proprio, ma anche quella non
sarebbe una cattiva idea.-
rispose, sembrando leggermente divertito.- Sant’Hidan.
Mi piace come suona. E….merda! ti ho appena rivelato
il mio nome, vero?-
- Già.-
- Vabbè. Lo
puoi trovare comunque in tutti gli elenchi dei ricercati.-
fece una pausa.- Tu non hai intenzione di dirmi il tuo invece, vero?-
- No.-
- E Bionda sia allora.-
disse con una scrollata di spalle.
Temari si morse il labbro, stringendo
gli occhi.
I suoi cambi di umore erano veloci e
frequenti, notò mentre tamburellava sul manico del ventaglio con le dita.
Sembrava anche abbastanza menefreghista, dato che
aveva rivelato il suo nome in modo così imbelicce, ed
era andato così vicino a darle informazioni nientemeno che sull’Akatsuki. Se stuzziaco, avrebbe anche potuto lasciarsi sfuggire qualcosa
di importante.
Leccandosi le labbra, Temari si sistemò
contro la base della torcia, guardandolo tranquillamente.
- Non ti piace lavorare per l’Akatsuki.-
incominciò, facendola apparire più come una constatazione che come una domanda.
- Cazzo no.- disse con veemenza, facendo passare manciate di
sabbia da una mano all’altra.- Il mio capo è la peggior faccia da culo che potrebbe capitarti di incontrare.-
Sogghignando, Temari decise di tentare
un approccio più discreto.
- Com’è che i vostri obiettivi sono
diversi?-
Lui fece una pausa prima di guardare
verso di lei, con un tono vagamente seccato.
- Stai cercando di ottenere informazioni
da me, non è vero?-
- Sì.-
disse lei, chiaro e tondo.
- Sai, se davvero avessi mai saputo qualcosa avrei anche potuto dirtelo.- disse, soppesando la cosa.- Ma quel testa di merda non
mi dice mai un cazzo.-
In qualche modo, a giudicare dal tono,
Temari capì che stava dicendo la verità, perciò decise
di non insistere. Ma la sua improvvisa malleabilità la
mise in guardia.
- E perché mai lo faresti?- chiese.
- Solo per farlo incazzare.- rispose pigramente, lasciando che la sabbia con cui stava
giocando fluisse rapidamente verso terra.
Temari lo fissò incredulo.
- Desideri morire, per caso?-
La domanda lasciò le sue labbra prima
ancora che lei potesse soppesarla e per un secondo rimase sospesa lì, immobile,
nell’aria fredda.
- Sì.-
rispose finalmente.- Ma lui non può uccidermi.-
Temari si fece silenziosa, guardandolo
confusa e sospettosa. Di nuovo, qualcosa nella sua voce non dava alcun segno di
menzogna, le sua parole erano semplici, disinvolte,
spontanee.
Ma questa sua
affermazione non aveva senso, realizzò Temari. Lui aveva detto che non avrebbe
attaccato perché era troppo stanco e non aveva voglia di combattere. Ed ora dichiarava che il leader dell’organizzazione
criminale più famosa del continente non poteva ucciderlo.
Una goccia di sudore freddo corse veloce
dalla base del collo lungo la schiena della ragazza.
- Perché, sei così forte?- chiese,
sforzandosi di mantenere il tono di voce neutro.
Lui sogghignava, mentre replicò.
- No. Solo molto, molto resistente.-
- Cosa vuoi
dire con questo?-
- Voglio dire che non posso morire.-
finì, con una risata di scherno.
Temari lo guardò senza capire, convinta
di aver sentito male.
- Non puoi morire.- ripeté, quasi
aspettandosi che lui la correggesse.
- È quello che ho detto.- ribatté,
sorridendo cinicamente.- La morte ha deciso di
vendicarsi di me.-
Temari riusciva solo a fissarlo e
improvvisamente la sua bocca si fece asciutta come il deserto intorno a lei, la
gola pungente mentre inghiottiva aria. Il cuore le rimbombava nelle orecchie,
pulsando dolorosamente nel suo petto, la lingue un
peso morto nella bocca.
Altro sudore prese a correre lungo il
collo, appiattendo ciocche di capelli biondi alla pelle tesa.
Incapace di sopportare quella
sensazione, si
alzò e si tolse lo scialle, appena capace di trattenere un sospiro di sorpresa
quando il vento freddo le accarezzò la pelle umida.
Questo
è panico?
pensò tremando, ad occhi sbarrati. Incredulità?
Entrambi?
I
corvi non sono immortali.
- Non mi credi?- chiese lui, senza
badarci, mentre si appoggiava nuovamente con le mani alla sabbia.- E come
diavolo pensi che sia sopravvissuto ai morsi di quel serpente?-
- C’è un…vaccino.-
gracchiò Temari, spaventandosi di quando la sua voce fosse debole.- Avresti potuto…-
- Ora stai facendo la stupida.- disse.- Pensaci un attimo.-
- Non ti credo.- sussurrò Temari, più a
se stessa che altro.
Non
è vero. Non può essere vero. Come posso vincere, allora? Come posso proteggere…? Non è possibile. Nessun dio è tanto crudele da
mandarmi un nemico che non può morire. Deve stare mentendo. Deve—
Il ventaglio affondò nella sabbia,
giacendo su un lato appena la sua stretta si ammorbidì, i suoi occhi sbarrati
fissi sul metallo lucente del manico.
Non sono così, pensò. Non ho mai reagito
così.
Ma lui lo odi,
ricordi? Le ricordò una voce nel profondo della sua testa. Lo odi quando gli shinobi non dovrebbero odiare. Sei
contorta Temari. Sei completamente fuori da ogni schema quando si tratta di
lui.
- Bene.- disse lui ad alta voce, dopo
dieci minuti di totale silenzio.- Visto come sono riuscito a farti cagare
sotto, direi che per stanotte il mio lavoro qui è finito.
Temari lo fissò in silenzio, gli occhi
ancora sgranati mentre lui si alzava e raccoglieva la sua falce.
- Pensavi che uno di questi giorni mi
avresti ucciso, non è vero?- chiese, sembrando compiaciuto.- Ed ecco che
all’improvviso ho lanciato una bomba sulle tue piccole fantasie.- rise.- Non
vorrei essere nei tuoi panni!-
Stai
zitto, zitto, zitto—
- Ora siediti qui e lascia che il
concetto lavori nel tuo cervello.- le consigliò, sembrando divertito.- Lo assimilerai, giuro.-
Ti odio, voleva dirgli. Ti odio
bastardo. Stai mentendo. Devi mentire, perché devo ucciderti e non posso
ucciderti se stai dicendo la verità.
Fece un piccolo gesto con la mano e
iniziò ad andarsene.
Temari voleva urlare, ma tutto ciò che
riuscì a dire fu un arido – Aspetta.-
Lui si fermò e lanciò uno sguardo dietro
oltre la spalla.
- Non tornare.- disse, trovando un
debole filo di voce.- Non
tornare mai più.-
- Mi hai fatto una domanda.- disse senza
scomporsi, la sua ombra tremolante nella luce fioca delle torce.- Sul perché i
miei obiettivi sono diversi da quelli dell’Akatsuki. Ti risponderò domani.-
Temari poté soltanto boccheggiare senza
dire una parola, osservandolo mentre spariva nel buio, le fiamme che si
spegnevano in silenzio dietro di lui.
_____________________________________________________________________________________________
Non riuscì a dormire quella notte. La
paura la schiacciava da tutti i lati, minacciando di soffocarla nell’istante in
cui avrebbe appoggiato la testa sul cuscino.
Il corvo era lì sul bracciolo della
poltrona, la guardava. Inclinò la testa di lato ed
improvvisamente lei fu riempita da una sensazione di repulsione, incapace di
sopportare quella presenza un minuto di più. Sentiva le sue mani incorporee
afferrare oggetti, oggetti taglienti, e lanciarli nella sua direzione più forte
che poteva.
Gli oggetti mancarono il bersaglio,
strappando ciuffi di piume che fluttuavano leggere sul tappeto. L’uccello non
si mosse, compiaciuto dell’assalto e per nulla turbato dalla violenza
di lei.
Infine, quando finì gli oggetti da
lanciare e le sue braccia invisibili divennero pesanti dalla stanchezza, il
corvo aprì le ali e volò dalla poltrona alla ringhiera ai piedi del letto.
Quando Temari si svegliò, si trovò sul braccio lividi a forma di mezzaluna, dove aveva
conficcato le unghie durante la notte.
- C’è qualcosa che non va.- affermò Kankuro
quando lei entrò in cucina, guardando le occhiaie scure attorno ai suoi occhi.-
Ho intenzione di dire a Gaara di cambiarti di turno.-
- No.-
disse lei fissandolo come se fosse pazzo.- Non puoi.-
Kankuro aprì la bocca
per protestare, ma lei afferrò la sua colazione e tornò in camera sua.
Tu
stai impazzendo,
si disse chiaramente una volta seduta, guardando la sua colazione quasi intatta
senza vederla davvero. Ti stai comportanto come si comportano loro….come le attrici di quegli stupidi film. Come se
fossi malata d’amore.
- Malata d’odio.- si corresse Temari ad alta voce, trovando
strano il gusto della parola nella sua bocca.- Sono malata d’odio.-
Non
è esatto,
continuò la calma voce dentro di lei mentre affettava il pane della colazione,
forzandosi a mangiare. Sei ossessionata.
Temari fece una smorfia, pensando ai
suoi sogni e a come non ne avesse mai avuti così tanti consecutivi prima,
pensando al corvo e a cosa rappresentasse. Il pensiero che fosse nei suoi sogni
ogni notte bastava a farle venire la nausea.
È per questo che gli shinobi dovrebbero essere in grado di non provare emozioni
durante le missioni? si domandò, masticando il cibo. È
perché altrimenti impazziresti?
Il suono di bambini che ridevano e
giocavano sulla strada di fuori penetrò attraverso le persiane, brandelli di
grida eccitate alla deriva fin dentro alla sua
finestra. Temari fissò cupa le imposte semiaperte, ascoltando le risate. La
loro felicità era invidiabile.
Mentre ridevano e giocavano, consci solo
del loro divertimento, nella sua stanza lei si domandava cosa avrebbe potuto
fare per sistemare la situazione impossibile in cui si trovava.
Kankuro era stato
battuto quasi senza batter ciglio da uno di loro.
Anche Gaara non era stato in grado di tenere a bada
il suo avversario, ed era il Kazekage. In entrambi i
casi, i suoi fratelli avevano affrontato un solo membro.
Ora lei si trovava nella stessa
situazione. Uno dell’Akatsuki, immortale
per giunta, aveva trovato la strada per l’ingrasso del suo villaggio. Aveva un
temperamento pericoloso ed era chiaramente pazzo—nonché
apparentemente invulnerabile a qualsiasi
attacco a cui lei avesse potuto pensare.
In silenzio, posò il piatto e andò alla
finestra. Aprendo totalmente le persiane, socchiuse gli occhi alla luce del
sole che si riversava nella sya
stanza, scrutando il quartiere prima di abbassare gli occhi sui bambini che
giovavano per strada.
La sconfitta era una pillola amara da
ingoiare. L’aveva imparato molto presto.
E ora, come un lieve accenno di amarezza
si presentò sulla sua lingue, Temari sentì una strana
e vuota delusione prendere il sopravvento. Contemporaneamente, tutti i pensieri
di vendetta e di protezione divennero ridicoli, resi assolutamente impossibili
dalle attuali circostanze.
Il massimo che posso fare, realizzò con
amarezza, è provare a tenerlo fuori dal paese.
I piani per le barricate erano stati
rifiniti la scorsa notte. Finchè la loro costruzione
non fosse stata completata, e ci sarebbero voluti uno o due mesi, i loro
“incontri” notturni avrebbero dovuto continuare.
Pensò a lui, al suo atteggiamento
odioso, al suo sarcasmo pungente e al suo abituale linguaggio volgare, e provò
a immaginare come sarebbe stato averci a che fare per i prossimi cinquanta e
qualcosa giorni.
Abbassò la testa in rassegnazione,
lasciando cadere la sua fronte contro il vetro della finestra con un piccolo “thud”.
Mi pensi? si
chiese cinicamente, muovendo le dita sui granelli di sabbia sul suo davanzale. Mi
pensi allo stesso modo in cui io penso a te?
Se lo immaginò alla
luce del giorno, circondato da un gruppo di figure tenebrose, se lo
immaginò mentre pensava a lei e incurvava le labbra in un privato e perverso
sorriso al pensiero del suo nuovo giocattolo biondo.
Hai parlato di me agli altri? si domandò, sbattendo piano le palpebre. O mi tieni segreta…come io tengo te?
Segreta, disse qualcosa nel fondo della
sua mente. A nessuno piace condividere i
propri giocattoli.
La pelle della nuca rabbrividì e 2quasi
inconsciamente si ritrovò a muovere la testa da una parte e dall’altra,
scrutando l’entrata.
Aperta. Vuota.
A occhi sgranati, si passò una mano sul
collo e guardò con apprensione il sudore sulle sue dita. I suoi vestiti erano
zuppi.
Deglutendo a fatica, attraversò la
stanza ed afferrò l’asciugamano che aveva lasciato ai
piedi del letto, prima di allontanarsi per la doccia. La colazione pesava come
piombo nel suo stomaco, tutto il corpo pervaso dalla pelle d’oca mentre si
spogliava per entrare nella cabina.
Lanciando uno sguardo alla sua immagine
nello specchio a figura intera, Temari fece una smorfia vedendo lo sguardo
straziato nei suoi occhi.
L’acqua sgorgò con un sibilo quando
entrò nella doccia, smaniosa di fuggire da quel riflesso pauroso e pregando che
il ritmico scorrere dall’acqua la portasse via quei pensieri inquietanti.
Rabbrividendo sotto il getto, afferrò il
sapone e si lavò meccanicamente, strizzando gli occhi per cancellare le immagini di lui che si presentavano provocatorie in tutti
gli angoli della sua mente. Appena lo fece, la voce
nella sua testa si intromise con una domanda apparentemente innocente.
Cosa pensi
stia facendo lui ora?
Rabbrividendo ancora, si mise le mani
nei capelli, stringendo forte e concentrandosi sul dolore che sembrò zittire
quell’eco rivoltante. Respirando a fatica, Temari aprì leggermente gli occhi,
guardando in basso l’acqua saponata scorrere via nello scarico.
Si immaginò alla
frontiera di guardia, rannicchiata sotto
il tepore della torcia, mentre lo guardava lavare via il sangue sacrificale dal
suo corpo con un misto di fascino e orrore.
Il suo viso bruciava al ricordo, le si stringeva lo stomaco e veleno riempiva ogni fessura
della sua mente, travolgendo tutti i pensieri in una furia cieca, rossa.
Lo
odio, lo odio, lo odio, lo odio, lo odio, voglio…voglio solo…
- Fargli male.-
sospirò debolmente, chiudendo gli occhi.- Voglio fargli male, voglio…-
Il desiderio di infliggere dolore fu
improvvisamente così forte che il suo cuore le faceva male in assenza di lui,
le faceva male dover aspettare prima di vederlo di nuovo e saziare la sua
rabbia.
Ucciderlo non era più un’opzione plausibile, e per questo la sua mente e il suo corpo
urlavano, pregavano smaniosi di potergli
procurare tutto il dolore possibile.
Negarsi la possibilità di farlo soffrire
era come infliggersi da sola una ferita nel fianco, straziante perché era fin
troppo consapevole di che cos’era quel mantello e del
suo significato. Con ogni probabilità sarebbe stata sopraffatta. Con ogni
probabilità lui l’avrebbe uccisa prima che potesse tentare qualcosa. Con ogni
probabilità si sarebbe rovinata la vita se avesse deciso di ascoltare
quell’istinto primordiale che fomentava rabbia dentro di lei.
Tenerlo alla larga, e sia, si disse
senza fiato, premendo la fronte contro le fredde piastrelle bagnate. Non fare
nulla di stupido, Temari. È ciò che vuole lui.
La rabbia diminuì gradualmente,
sbollendo e lasciandola vuota e arida. Il battito cardiaco le pulsava forte
nelle orecchie, il cuore che si contorceva nel bisogno di vederlo, struggendosi
per la possibilità di infliggergli dolore e bramando una soluzione che
estirpasse il veleno che aveva inondato tutto il suo essere.
Lentamente, afferrò le manopole della
doccia e chiuse l’acqua, rimanendo all’interno della cabina e ascoltando il
quieto gocciolare, respirando, guardando le porte scorrevoli annebbiate dal
vapore.
Inconsciamente si spose e lasciò che le
sue dita toccassero quei vetri annebbiati.
Avrebbe impegnato le ore che le
restavano, sarebbe andata alla frontiera e avrebbe
fatto il suo dovere, solo il suo dovere. L’avrebbe tenuto alla larga. Non ci
sarebbero state provocazioni o insinuazioni. Non si sarebbe
permessa di perdere la testa, metaforicamente o letteralmente. Calma, sarebbe rimasta impassibilmente calma.
____________________________________________________________________________________________
1:47
Un brivido di anticipazione le scosse il
corpo.
Il suo respiro si frammentò in nuvolette
e chiuse momentaneamente gli occhi, abbandonandosi contro la torcia, lasciando
che il calore e l’iniezione facessero effetto. I dolori alle articolazioni
erano diminuirono pian piano, insieme al peso sulle palpebre, i muscoli
contratti appena un fiotto di calore corse lungo la sua spina dorsale.
In pochi minuti la sua stanchezza era
sparita. Sentendosi più fresca che in tutto l’arco della giornata, guardò la
siringa che teneva in mano: troppe dosi avrebbero avuto un pessimo effetto sul
suo corpo e avrebbe rischiato di diventare dipendente da quell’energizzante. Ma
il solo pensiero di addormentarsi una volta a casa suscitò una sensazione di
presagio e si domandò quanto vicino sarebbe arrivato il corvo la prossima volta
che avesse chiudo gli occhi.
Temari strizzò gli occhi in autoaccusa.
Parte di lei odiava preoccuparsi così tanto per quei
sogni consecutivi ed inquietanti, ma non riusciva a non rabbrividire al ricordo
di quell’uccello e delle sue zampe prensili che si appoggiavano ovunque.
Qualcosa di simile all’eccitazione
saltellava alla bocca dello stomaco, e si trovò senza pensarci ad asciugare i
palmi sudati delle mani contro i pantaloni dell’uniforme.
Dovere, si ripeté. Fai il tuo dovere e tienilo fuori, nient’altro.
Quando dopo otto minuti lui arrivò,
Temari non disse assolutamente nulla, per un attimo ammutolita alla scossa
nervosa del suo stomaco. Inconsciamente, si strinse al suo ventaglio,
portandoselo sempre più vicino mentre lui si toglieva dalle spalle la sua
falce.
Senza dire una parola, la lasciò cadere
sulla sabbia prima di sedervisi accanto, senza guardare
in direzione di Temari.
Lei lo guardò,
un sorriso sardonico sulle labbra. Lui estrasse il rosario ed
iniziò a pregare senza degnarla di uno sguardo.
Voleva giocare, eh? Farla parlare per
prima. Era anche più infantile di quanto avesse pensato.
Incrociando le braccia, rimase
appoggiata alla torcia, aspettando.
Il deserto era silenzioso, solo il
crepitio delle fiamme accarezzava l’aria, come una fila di candele in un letto
di sabbia. Temari non mosse mai lo sguardo dalla sua figura immobile, né si girò
per controllare le altre sentinelle.
Circondata dalle tenebre, sotto la luce
calda della torcia e nella breve distanza che li separava, Temari si sentiva
come se loro due fossero le uniche cose vive nel deserto—entrambi
silenziosi e a cavallo di un limite invisibile sepolto sotto una tonnellata di
sabbia, entrambi che giocavano a “scommetto che
parlerai prima tu”, entrambi consapevoli di chi sarebbe stato in vantaggio se
uno di loro avesse osato varcare quel limite.
Fu lui a rompere il silenzio per primo,
le sue parole casuali che mascheravano un divertimento malcelato.
- Non credevo saresti tornata.-
Temari lo guardò, senza sapere se stesse sogghignando o
facendo una smorfia nel rispondere.
- Perché non avrei dovuto?-
Lui scrollò le spalle.
- Pensavo non l’avresti fatto, visto
come ti ho fatto cagare sotto ieri.-
Temari ridusse gli occhi a una fessura,
la voce tagliente e glaciale.
- Mi hai colto di sorpresa,
ecco tutto.- fece una pausa, il tono divenne sardonico.- Non capita tutti i
giorni di incontrare qualcuno che non può morire, dopotutto.-
- No, cazzo.- sbadigliò, prima di
stiracchiare le braccia e unire le mani dietro la testa, lasciandosi cadere di
schiena nella sabbia.- Qual è il tuo piano allora, visto che non puoi
uccidermi?-
- Sono qui solo per fare il mio lavoro.-
replicò lei.- E impedirti di attraversare il confine.-
- Ti ho già detto tre
cazzo di volte che non ho intenzione di fare niente.-
- E nulla di ciò che dici
mi porta a crederti.-
Lui non rispose per qualche secondo,
osservando in silenzio il cielo puntellato di stelle.
- E se stessi mentendo?- chiese
all’improvviso, quasi placidamente.- Facciamo che attraverso il confine. Cosa faresti?-
Temari lo fissò, ondate di paura fredde
come il ghiaccio si infrangevano sulla sua schiena.
Strinse la sua presa sudata intorno al ventaglio mentre si sporgeva in avanti.
Dovere,
prima di tutto. Non provocarlo. Non insinuare. Dovere prima di tutto.
- SE lo farai.- replicò con calma.-
Dovrò fermarti.-
- E pensi di farcela?-
- Se sono costretta.- disse brevemente,
complimentandosi con se stessa per riuscire a tenere la voce neutrale quando le
sue caviglie stavano affondando nella sabbia e le sue dita tremavano
incontrollabili sul manico del ventaglio.
- Cercherai di uccidermi non appena te
ne darò l’occasione.- continuò tranquillo, un’affermazione più che una domanda.
- Sì.-
affermò, ricordando la conversazione della notte precedente.- Ma a te piacerebbe, non è vero?-
Lui ridacchiò a quella domanda e aollevò leggermente la testa dal nido delle sue mani per
guardarla.
- Lo adorerei,
davvero.-
Non era sicura se le sue guance fossero
in fiamme per l’iniezione o per il fatto che si
sentisse in qualche modo violata. Qualcosa nella sua voce aveva la
straordinaria capacità di deriderla, anche mentre rispondeva a una domanda
qualsiasi. La irritava da morire.
- Ma ho una
fottuta fortuna dalla mia.- sbuffò, la testa che tornata ad appoggiarsi alle
mani sulla sabbia.- Nessuno può uccidermi.-
Temari ringhiò, la sua voce graffiante.
- Allora perché non fai un favore a tutti
e ti uccidi da solo?-
Lui non rispose e ogni eco nella sua
testa di quelle crudeli parole lasciate sospese nell’aria fredda aumentavano il suo ghigno. Un mese fa, forse si sarebbe
sentita in colpa per una frase così terribile. Ma ora,
invece di rimorso e vergogna, sentiva solo pura soddisfazione, mentre lo
osservava immobile.
- Già provato. Non funziona.-
Temari sbattè
le palpebre, la voce piatta.
- Provato cosa?- chiese, prima di
riuscire a fermarsi.- A ucciderti?-
- In ogni modo a cui
puoi pensare. Niente funziona.-
- Come funziona? Non hai la libertà di
decidere della tua immortalità?-
- Diciamo così.-
Temari sogghignò. Il dovere prima di
tutto, certo. Questo implicava non parlare con lui se non fosse strettamente
necessario. Ma non potè
resistere all’opportunità di ricambiare le prese in giro che lui le aveva
tranquillamente offerto la scorsa settimana.
- Ne dubito.- disse con fare arrogante.- Probabilmente non lo fai nel modo giusto.-
Lui alzò la testa per gettarle
un’occhiata.
- Mi stai dando dei consigli?-
- Diciamo così.- lo imitò.- Perché no, la tua morte ci farebbe felici entrambi.-
Lui assunse un tono di voce ferito,
mettendosi una mano sul cuore.
- Questo è crudele, davvero. Penso che
potrei anche farlo…se me ne fregasse un cazzo di quello
che pensi.-
Temari alzò le spalle, per nulla turbata
dal suo sarcasmo.
- Pensavo avresti apprezzato qualche
suggerimento, dato che mi pare di capire che non sei
capace di ucciderti da solo.-
Lui rise. Un suono crudo e senza
emozione nell’aria fredda della notte.
- Pensi di poter fare meglio? Vieni
avanti, colpiscimi!-
- Impiccati.- suggerì,
la prima cosa che le venne in mente.- Veloce. Efficace. Non sporchi neanche in giro.-
- Provato.- sbuffò.- Mi sono pure rotto il fottuto
collo. Non ha funzionato.-
- Veleno.- continuò, senza esitare, la
sua voce tranquilla come se fossero in una sala da the.- Overdose di droga.-
- Potrei bere un litro di candeggina e
non mi farebbe un cazzo.- replicò secco.- Davvero, non serve a nien…-
- Annegamento.- lo interruppe, la mente
che correva a tutte le tecniche di suicidio che conosceva.- Asfissia.-
- Fatto e fatto.-
- Decapitazione.-
- Fa un male bastardo, te lo giuro.-
- Sei sopravvissuto a una
decapitazione?- domandò incredula.
- Sono qui, no?-
- Non ti credo.-
- Come se ne fregasse. Cosa vuoi? Una dimostrazione?-
Temari esitò un momento.
- Bombe.- disse infine.
Lui la guardò dalla sua postazione nella
sabbia, in silenzio. Fiorì in lei un’improvvisa fiducia, un sorriso maligno
lottava per attraversare il suo viso, la voce in possesso di un tono serio e
clinico mentre descriveva la sua idea, una morte istantanea senza possibilità
di salvezza. Non si preoccupò nemmeno di nascondere il suo entusiasmo.
- Non puoi dirmi che hai provato anche
questo. Non c’è scampo, se sono attaccate al tuo corpo. La vicinanza
dell’esplosione ti farebbe andare in mille pezzi…-
- Che è il motivo per cui non sono tanto
stupido da provarci.- la interruppe.
Temari lo fissò, il suo labbro superiore
che si incurvava in un sogghigno.
- Perché, hai paura?-
Lui si sedette di scatto e
istintivamente le mani di Temari corsero al suo ventaglio, le dita tese sul
metallo. Lui stava lì seduto, le braccia lungo i fianchi, e la guardava in
silenzio.
Non
provocarlo,
si ricordò, il cuore che correva all’impazzata. Occhio alla tua boccaccia, Temari.
Lui la guardò per qualche altro secondo,
poi girò la testa di lato, storcendo il naso.
- Solo i pagani avrebbero paura.-
Quando Temari non disse nulla, lui
continuò, giocherellando con la sabbia.
- Se non pensassi che mi lascerebbe
ancora vivo e inutile anche se in mille fottuti pezzi, l’avrei già fatto da un
pezzo.-
Temari inghiottì a vuoto.
Senza nemmeno volerlo, le aveva appena
ricordato quanto fossero inutili tutti i suoi miseri tentativi e le sue stupide
tecniche, distruggendo tutte le sue speranze di difendere il suo villaggio e la
sua famiglia.
Era come uno schiaffo in pieno viso.
Sconfitta, si lasciò cadere a peso morto
contro la torcia, fulminandolo con lo sguardo stanco.
Prima di incontralo, si era immaginata
l’Akatsuki come un gruppo di cretini senz’anima, senza emozioni, degli animali
estranei all’altruismo, alla paura o a desideri che non fossero politici o
materialistici. Era tutto ciò che volevano no? Potere? Influenza?
Lui aveva distrutto quell’immagine
nemmeno un’ora dopo il loro incontro.
Sono sacrifici per il mio dio.
Altruista. Serve uno scopo più alto.
Non mettermi nella stessa categoria di
quei pagani.
Dissociazione.
Posso anche lavorare per loro, ma ho il
mio personale “ordine del giorno”.
Obiettivi che vanno oltre politica e
materialismo.
La morte ha deciso di vendicarsi di me.
……perché?
La sua apparente immortalità e il suoi sconvolgente desiderio di morire erano le cose che
più di tutte avevano distrutto le sue percezioni. La visione del sociopatico
idealista affamato di potere era stata stravolta nella sua mente, le sue
opinioni sconvolte, i suoi pensieri confusi.
Che cosa cercava lui? Perché quel
desiderio di morte? Perché a lei importava?
Tieni vicini i tuoi amici, pensò
debolmente, richiamando l’antica regola non scritta che ogni ninja di Suna conosceva. Ma tieni ancora
più vicini i tuoi nemici.
Trenta giorni o poco più: l’ammontare di
tempo che avrebbe passato in sua compagnia.
Trenta giorni o poco più, e lei doveva
tenerlo fuori dal confine.
Trenta giorni o poco più, lei doveva
essere pronta e all’erta, preparata a combattere e a morie.
Lei aveva trenta giorni o poco più per
conoscerlo meglio, memorizzare i suoi umori e le sue abitudini, capire cosa lo
faceva arrabbiare, cosa lo interessava e cosa lo spingeva a fare quel che faceva.
Trenta giorni o poco più per soddisfare
il fascino che esercitava su di lei quell’uomo che l’aveva invasa tutta, in
ogni pensiero, in ogni respiro.
Temari prese un respiro profondo.
- Perché morire?- chiese all’improvviso.-
Perché non vivere per sempre?-
Non si preoccupò di guardarla, stavolta,
tenne gli occhi incollati al cielo nero.
- Perché farlo.- replicò amaramente.- In questo mondo di
merda?-
Temari lo fissò,
sorpresa dal suo rancore.
- Che cos’ha di così male?- continuò
dopo un momento, più calma di prima. Lo guardava in silenzio, allentando la
presa sul ventaglio.
- Perfino un coglione potrebbe
rispondere a questa domanda.- mormorò dopo un momento.- Il mondo è pieno di
pagani senza dio.-
Lei ci pensò un momento, ricordando
quanto più potesse delle pratiche e degli ideali delle religioni comuni.
Diffondere la Parola, convertire i pagani…non erano
quelli i concetti chiave di una religione?
- Allora perché non fai la tua parte e
li converti?- chiese, il suo tono più amaro del voluto.- Non è il tuo lavoro fare…-
- Ho fatto abbastanza.- sbottò
all’improvviso, mettendosi a sedere bruscamente.- Ho fatto anche fottutamente
più di quanto avrei dovuto. Ma ancora…-
Silenzio.
- Ma ancora
cosa?- chiese un momento, i nervi che si tenero di nuovo quando lui si voltò a
guardarla.
- Perché tutte queste domande,
all’improvviso?-
Temari fece un grosso sforzo per
mantenere la voce atona e piatta.
- Sei tu quello che ha detto che mi
avrebbe spiegato la differenza tra i tuoi obiettivi e quelli dell’Akatsuki.-
- Non c’è tanto da dire.- si tolse della
sabbia dal mantello.- Loro vogliono il potere, io voglio
finire la mia missione andarmene dalle palle.-
Quando non proseguì, Temari sentì la sua
pazienza diminuire e scossò un’occhiata all’orologio.
3:22
-Hai ancora un’ora e mezza…-
disse lei impaziente, sporgendosi.-…spiegati meglio.-
Lui sogghignò e guardò nuovamente il
cielo.
- Credo in un dio?-
Inconsciamente,
Temari si trovò a seguire il suo sguardo, alzando gli occhi all’imponente
tenebra sopra di sè, punteggiata con una miriade luminosa
di stelle. Per un momento, si prese il tempo di guardarle, incapace di
ricordare l'ultima volta che aveva avuto il tempo di apprezzare le costellazioni
I
suoi occhi andarono immediatamente a quella disposizione di stelle che aveva
osservato fin dall'infanzia, riconoscendo la forma e sorrise un po’ al ricordo del
nome che lei e Kankuro gli avevano dato. Le luci
formavano un oggetto riconoscibile all'istante.
Un martello
d'argento.
Argento,
riflette lei, perché quella era l'unica cosa a cui
poteva paragonare il brillante delle stelle quando era piccola.
Sembrava
esattamente uguale a quando aveva sette anni.
Abbassò
gli occhi, sbattendo le palpebre alla vista di lui che
la fissava in attesa.
-
Sì.- rispose infine.
Lui
la considerò in silenzio per un momento, prima di sdraiarsi nuovamente, con un
tono compiaciuto mentre parlava.
-
Lo sa anche lui.- disse facendo un gesto vago.- Sa che il mondo è pieno di
merda. È un test per vedere chi ce la fa e chi no, per vedere chi se ne esce
sporco e chi pulito.-
Temari
ascoltava attentamente, mordendosi inconsciamente un labbro.
-
Ma il fatto è, nessuno se ne infischia più. Nessuno se
ne frega un cazzo di niente, a parte denaro e scopate. Andranno tutti all’inferno.-
pausa.- Siamo tutti sporchi.-
-
Non tutti.- disse Temari, ricordando i monaci che aveva
incontrato una volta andando a Konoha.- Qualcuno ancora…-
Fece
un suono di scherno con la gola, scuotendo una mano in un gesto assente.
-
Cause perse. Non vanno da nessuna parte con la loro convinzione di redimere i
pagani. Come ho detto, andremo tutti in merda. Non c’è scampo.-
-
E quindi…intendi lasciare tutto così?-
-
Cazzo no. Sto dicendo che è troppo tardi per pentirsi. Sto dicendo che se le
cose cambiano, andranno ancora più di merda, quindi potremmo anche porre fine a
tutto adesso.- disse, una nota di eccitazione nella
voce.
Temari
lo fissò senza capire.
-
Mettere fine a tutto?-
-
Siamo tutti in ritardo per il giudizio.- dichiarò facendosi avanti, le braccia
appoggiate alle ginocchia.- La proposta di Jashin è
di finirla il prima possibile.-
Sudore
freddo danzava in perle sulla sua fronte, la domanda forzava il nodo che le si era formato in gola.
-
Come?-
Lui
sogghignò.
-
Secondo te?-
Lo
rivide un paio di notti fa, mentre si puliva con calma dal sangue delle ragazze
di cui non conosceva i nomi, ragazze che probabilmente non meritavano il
destino a cui inevitabilmente erano andate incontro.
Lo rivide pregare, sereno, con il peso gravoso dell’omicidio, tolto dalle
spalle e annegato nel lago dell'oasi, abbellito con il nome di sacrificio.
Temari
non riusciva a parlare, improvvisamente più spaventata che mai dalla sua
vicinanza.
-
Li uccidiamo.- la voce in un crescendo di eccitazione.- Continueremo a
ucciderli finchè non ne rimarrà nessuno. Far sì che
tutti ricevano il giudizio è il mio lavoro, è la mia missione. Vivrò finchè il potente Jashinnon sarà soddisfatto dei miei servigi. E allora…-
Pausa.
-
Allora potrò morire.-
Temari
lo guardò, paura e disgusto su e giù per la gola, soffocando le parole che
tentavano di farsi strada.
-
Non hai fatto abbastanza?- riuscì a gracidare.
Quanti
ce ne sono lì dentro? pensò, gli occhi rivolti
all’oasi. Quanti ne hai…
-
Se così fosse, non sarei qui ora.- replicò seccato.
Temari
lo fissava, nauseata e sconvolta, la mente correva in tutte le direzioni..
È pazzo. Non posso lasciare che uno
così attraversi il confine. Mai. Si sbaglia. È pazzo. Non posso vincerlo. Si
sbaglia.
-
Quindi se per caso ti viene in mente un modo interessante
per suicidarmi, fammelo sapere. Perché davvero, le ho provate tutte.- fece una
pausa e una piccola curva gli disegnò un sorrisetto sulle labbra.- E se pensi
di potermi uccidere…provaci. Hai delle buone
potenzialità.-
Temari
si trovò nuovamente senza parole, per la seconda notte di fila, incapace di
mettere insieme le lettere mentre la sua mente urlava, ribolliva, esplodeva.
Oh ti prego, fagli
del male. Solo una volta. Prova. Solo una. Fagli del
male, per favore. Almeno una volta.
Ma
poi i suoi occhi caddero sul suo mantello, iniettando senso nelle vene della
sua mente accecata dalla furia, ricordandole cos’era, chi era, e dicendole
ripetutamente e disperatamente che non avrebbe mai avuto una possibilità.
Ti odio ti odio
ti odio TI ODIO!
Con
calma, si alzò e prese con sé la sua falce, la sistemò sulla schiena e si voltò
a guardarla, lì, in piedi nella sabbia.
Così
vicino...qualcuno in grado di giustificare i propri
motivi per uccidere senza sensi di colpa, senza rimorsi, con passione. Uno come
lui era così vicino, fisicamente e mentalmente, la cadenza della sua voce che
continuava a rimbalzare in un eco senza fine nel profondo della sua mente, che
affliggeva i suoi pensieri in ogni momento della giornata
Senza
nemmeno accorgersene si ritrovò in piedi, stringendo forte il
ventagli oal suo fianco in posizione d’attacco.
Pochi
passi. Tutto ciò che occorreva.
Fagli male per
favore. Solo una volta. Almeno una volta.
Una
sensazione di potere era ciò che si aspettava dall’orribile e maligna
sensazione che si era impossessata di lei. Sentirsi inarrestabile era quello
che si era immaginata avrebbe provato in questo momento, ogni volta che
dipingeva questo scenario nella sua testa.
L’ultima
cosa che si sarebbe aspettata era di sentirsi male dalla rabbia.
Un
attimo dopo il ventaglio le scivolava dalle dita, cadendo con un tonfo sordo
sulla sabbia.
Lui
sorrise, prima di voltarsi e andarsene.
-
Sogni d’oro, Bionda.-
_____________________________________________________________________________________________
Ora dopo, quando il suo
turno era finito e si era ritrovata davanti all’ingresso di casa, era con aria
afflitta e gesti meccanici che aprì la porta. Si fece
lentamente strada attraverso il corridoio buio fino in cucina. La casa era
silenziosa, eccetto il ronzio degli elettrodomestici, e la luce lattea della
luna penetrava dalle finestre.
Fermandosi alla piccola
cabina vicino alla dispensa, la aprì e ne estrasse un contenitore di sonniferi.
Erano di Gaara. Gli era stata prescritta
una dose minima, specifica per l’insonnia.
Sapendo che ne sarebbe
bastata mezza, prese due pillole, sperando nell’effetto blak-out.
Niente sogni.
Niente corvi.
Si rannicchiò sul
divano, accese la TV e si concentrò su quanto stavano trasmettendo.
Qualcosa
di simile a un singhiozzo e una risata si trovarono catturati in gola, quando
riconobbe le immagini come lo stesso film romantico che aveva visto l'altra
sera.
In
pochi minuti i sonniferi iniziarono a fare effetto e Temari continuava a
guardare lo schermo.
L'eroina
si struggeva e aspettava il suo amato. L'eroe non riusciva a smettere di
fantasticare su di lei.
Un
bacio appassionato e un abbraccio ogni tanto. Il culmine della loro passione nel
fare l'amore.
Formula: tensione,
crescendo, orgasmo, post-orgasmo.
Temari deglutì a
fatica, comparando inevitabilmente quello che provava al ciclo dell’amore,
sperimentando una vaga sensazione di compiacimento nel disegnarne i
parallelismi.
Non si sarebbe
ricordata la sconcertante e travolgente urgenza
di ridere e piangere insieme, quando il giorno dopo si sarebbe svegliata.
Amore.
Sudore, sperma, saliva.
Odio.
Sangue, vomito, lacrime.
Non
riesco a togliermi dalla mente pensieri di te. Voglio toccarti, piacerti, darti
piacere. Ti voglio nel mio letto. Voglio noi due
insieme, io su di te, tu su di me. Voglio sentirti dire il mio
nome. Voglio sentirti implorare di
più. Sento il sangue correre. Riesco a sentire il calore in
aumento. Voglio le tue unghie nella mia
schiena e voglio che veniamo insieme. Dì sì, dì ancora, non
smettere mai di implorarmi.
Non
riesco a togliermi dalla mente pensieri di te. Voglio tagliarti, bruciarti, darti
dolore. Ti voglio nel fango. Voglio noi due
insieme, io su di te, tu bloccato sotto di me. Voglio sentirti gridare il mio
nome. Voglio sentirti implorare pietà.
Sento il sangue correre. Riesco a sentire il calore in
aumento. Voglio le mie unghie sulla tua
faccia e voglio che gridiamo insieme. Dì no, dì basta,
non smettere mai di implorarmi.
Dimmi
quando ti piace. Dimmi quando stai per venire. Voglio vedere lo sguardo sul tuo
viso quando succede, quando l'estasi diventa più forte e ti dimentichi di
respirare.
Dimmi
quando fa più male. Dimmi quando
diventa troppo. Voglio vedere lo sguardo sul tuo
viso quando succede, quando l'angoscia diventa più forte e smetti di respirare.
Voglio
giacere accanto a te, dopo. Voglio baciarti e dirti, mio amato,
che sono contenta che siamo insieme. Tra il sudore e
il calore e le lenzuola, voglio che ci crogioliamo in questo sentimento.
Voglio giacere
accanto a te, dopo. Voglio sputarti in faccia e dirti,
mio odiato, che sono contenta che siamo insieme. Tra il sangue e il freddo e la
stoffa a brandelli, io voglio che ci crogioliamo in questo sentimento.
E anche se lo sai già, caro,
voglio dirti che ti amo.
E anche se lo sai già, caro,
voglio dirti che ti odio.
_____________________________________________________________________________________________
Next: Harmony in Discord