Quotidian

di Infinitefirefly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A bump in the night ***
Capitolo 2: *** Let's play a game! ***
Capitolo 3: *** Dancing on a thin line ***



Capitolo 1
*** A bump in the night ***


Un colpo nella notte

Come ho anticipato nell’introduzione, mi accingo a tradurre un po’ di fanfiction di Henna (alias infinitefirefly) dall’inglese, perché è un’autrice davvero di talento ed è in grado come pochi di tenere i personaggi tremendamente IC, rendendoli se possibile anche più interessanti. E gloriose sono le sue fic demenziali sull’Akatsuki, con le quali presto vi delizierò J

Comunque, ogni commento alla storia sarà rigirato all’autrice, che già ringrazia in anticipo tutti coloro che recensiranno.

Questa storia? È semplicemente geniale, secondo me, soprattutto per via del pairing. La fic è tuttora in corso, perciò io sto traducendo i capitolo già pubblicati da lei sul suo livejournal, che sono tre. Quindi per ora ho messo un rating medio, poi si vedrà.

In attesa che mi passi il blocco dello scrittore, così potrò continuare le mie storie, vi propongo queste, che sono davvero degne di nota. (in lingua originale, soprattutto).

Buona lettura a tutti!

 

Feda

 

 

 

Un colpo nella notte

 

Tra il calore delle torce, le dune di sabbia si estendevano per miglia e miglia nel panorama, come piccole candele sull’arido suolo e la scarsa vegetazione della periferia del paese dell’Acqua. Colline di sabbia, ingannevolmente lisce e immobili, ardevano di una fioca luminescenza blu sotto la luna, miliardi di frammenti di vetro e di pietre luccicanti come degli occhi nella fredda oscurità.

 

Un fresco venticello soffiava da nord e faceva sporadicamente tremolare le torce, le ombre che danzavano sulla circostante sabbia fiammeggiante. Una fiamma divampò verso il cielo con violenta intensità prima di estinguersi nel vento, la sua ombra scomparsa rivelò gli scorpioni che si mossero spaventati per la perdita di calore.

 

Temari li fissò, i suoi occhi di un blu liquido e accesso nel riflesso delle fiamme. Danzavano sulla sabbia, le code velenose vibravano e le chele facevano rumore quando cozzavano violentemente gli uni con gli altri, vagando a caso nella sabbia.

 

Un jounin della squadra si avvicinò con dell’olio e un accendino, e gli scorpioni balzarono quando la torcia si ravvivò di nuovo con un debole ruggito, bagnando d’olio la sabbia sottostante.

Temari annuì alla presenza del giovane, stringendosi di più nel suo cappotto prima di fare cambio di posto con lui. Camminava a fatica nella sabbia, sentendo freddo alle caviglie nonostante lo spesso rivestimento dei suoi sandali.

Stringendo i denti per fermare i brividi, Temari camminava vicino alle torce, zigzagando tra di esse in modo da avere entrambi i lati del corpo riscaldati dal calore del fuoco.

 

Dopo pochi minuti arrivò alla sua nuova postazione, guardandosi trucemente intorno fino all’oscuro orizzonte, con le dita intorpidite che afferravano la stoffa interna delle sue tasche.

 

Erano le 2:45 del mattino.

 

Questo dimostrava che il Kazekage non faceva favoritismi—assegnare a sua sorella il cambio di guardia al confine. Temari non era solita lamentarsi, ma erano passate tre settimane da quando aveva iniziato il turno (da mezzanotte alle cinque), e almeno un paio di volte aveva rischiato di rimanere assiderata.

 

Stringendo di nuovo i denti, pregò perché la costruzione delle barricate accelerasse, fissando con astio i disordinati pezzi di metallo e lamiera a qualche duna di distanza.

Rinforzare manualmente il confine di Suna era esaustivo e costoso, ma da dopo il rapimento di Gaara, il consiglio era stato irremovibile. I ninja responsabili del rapimento erano entrati proprio dal confine con il paese dell’Acqua, dopotutto.

 

E sfortunatamente, fino a quando gli ingegneri non fossero riusciti a progettare una barriera che non affondasse nella sabbia, era costretta a controllare la costruzione ogni notte.

Rabbrividì, trattenendo uno sbadiglio e facendo una smorfia quando i suoi occhi si inumidirono. Più che il freddo, era la natura tediosa di quel lavoro che la seccava.

Cammina, controlla, cammina, controlla, controlla ancora, cammina ancora un po’ ecc. parlare alle altre guardie era proibito, dato che l’avrebbe distratta dal suo compito.

 

Temari provava una forte avversione per i vecchi coglioni responsabili di quel suo ridicolo ruolo, dato che non c’era stata alcuna attività sospetta per tutte le tre settimane che lei era stata lì. Il suo unico conforto era la pausa di quindici minuti tra i turni, dato che le dava l’opportunità—nonostante fosse così breve—di riattivare un po’ la circolazione nelle sue membra intorpidite.

 

Il tempo passava con una lentezza angosciante, e le sue ossa dolevano sotto il soffio gelido del vento che strisciava sulle sue gambe. Tirò fuori le mani dalle tasche del cappotto abbastanza a lungo per sistemare lo scialle intorno alla testa e aggiustare la ricetrasmittente, e le sue dita si allentarono con sollievo quando il suo orologio suonò.

Dando le spalle alla torcia,  abbassò l’indumento che le copriva la bocca e fece un cenno ad un chuunin che arrivò correndo verso di lei.

Si fece immediatamente prudente, preoccupata dai suoi occhi strabuzzati e la mancanza di fiato.

- Che succede?- domandò Temari.

- Abbiamo trovato un sospetto poco più a sud di qui.- ansimò, il suo respiro formava nuvolette  nell’aria.- All’oasi.-

- Sta cercando di oltrepassare la barriera?-

- No, Temari-san. È semplicemente…seduto.-

Temari inarcò un sopracciglio.

- Siete sicuri che non sia un animale o dei detriti? È buio.-

Il chuunin scosse la testa, sembrando vagamente a disagio mentre guardava alle sue spalle verso il punto da cui era venuto.

- Siamo sicuri che sia un uomo. Ci ha…uh…ci ha parlato.- balbettò, grattandosi la testa.

- Cos’ha detto?-

- Beh, uh, Sugimura gli ha detto di andarsene e lui…uh…preferirei non ripeterlo, Temari-san.-

Temari alzò gli occhi al cielo, seccata, stringendosi di più nel suo cappotto e lanciando uno sguardo furioso al chuunin.

- Probabilmente è soltanto un vagabondo. Se il freddo non lo uccide, lo faremo noi. Nessuno può passare il confine senza documenti.-

Sembrando più tranquillo, il chuunin annuì e fece cambio di guardia con lei. Temari si portò lo scialle al viso mentre camminava verso la prossima postazione oltrepassando le fiamme delle torce in direzione del debole luccichio dell’acqua all’orizzonte. Da dove si trovava, l’oasi non era altro che una pozza luccicante sulla distesa opaca della sabbia sotto la fioca luce della luna.

 

Si fermò alla nuova postazione dopo pochi minuti. L’oasi continuava a brillare, catturando la sua attenzione. Quando distolse lo sguardo abbastanza a lungo per osservare più lontano la linea di guardia e la prossima postazione, Temari mise a fuoco la figura di un suo compagno di squadra, una piccola macchia nera all’ombra delle fiamme delle torce, che fissava attentamente l’oasi con la sua stessa fermezza.

 

Erano le 4:17 quando finalmente arrivò abbastanza vicino da scorgere i confini dell’oasi. Appena distinguibile contro il drappo blu del cielo si stagliava una forma nera come la pece, accovacciata al bordo dell’oasi a solo una quindicina di metri di distanza dalla torcia più vicina e dal suo rispettivo guardiano.

Temari lo fissò a lungo, domandandosi se fosse vivo o se fosse morto di broncopolmonite durante la notte.

Immobile, rimase in piedi in attesa di un suono nel silenzio dell’ambiente circostante. Ci fu solo un’estenuante silenzio per quindici minuti—niente vento, niente uccelli e niente voci. La sabbia giaceva docile ai suoi piedi, quieta per la mancanza di vento.

 

Il cielo si illuminò di un freddo blu metallico striato di rosso, un’atmosfera etera su quell’oscuro panorama, e appena la figura nera divenne riconoscibile come un uomo, si mosse. Temari fece lo stesso, procedendo in avanti appena la figura si alzò, stiracchiando le braccia verso quel cielo metallico.

Qualcosa di enorme e ricurvo era distinguibile con la silhouette dell’uomo; faceva capolino dalla sua spalla.

Temari si avvicinò ancora, le sue dita intorpidite scorrevano lungo il manico del ventaglio mentre la figura stava lì, immobile. Poi, quando il cielo rosseggiante si sciolse in un arancio luminoso, l’uomo si voltò in direzione del paese dell’Acqua e se ne andò.

Le guardie osservavano in silenzio la sua figura allontanarsi, scambiandosi sguardi confusi. Pochi minuti dopo, i loro orologi suonarono in contemporanea.

 

Le cinque.

 

Il loro turno era finito.

 

 

- Che cosa stava facendo?-

- Non lo so, era troppo buio per vedere.-

- Si stava facendo il bagno. Ho sentito il rumore dell’acqua.-

- Non essere ridicolo, la temperatura dell’acqua è gelida.-

- Hai sentito quello che ha detto a Sugimura? Ahah…-

Temari ascoltava passivamente i dialoghi dei suoi compagni, mentre si dirigevano al villaggio allentando la stretta degli scialle e dei cappotti mentre il sorgere del sole scaldava le loro schiene con i primi raggi.

 

Le guardie del turno di giorno li incrociarono, portandosi dietro damigiane d’acqua e avvolgendo bianchi turbanti intorno alle loro teste, mentre camminavano vestiti di freschi abiti di lino per combattere come potevano il terribile calore del sole del deserto. Temari li fissò cupamente.

 

Decisamente lei preferiva il caldo al freddo, e decise di parlare con Gaara per accordarsi su un cambio di turni.

 

Kankuro stava ancora dormendo, quando lei entrò in casa, il suo russare smorzato e calmo era stranamente confortevole nel fresco e quieto corridoio del secondo piano.

Calciando via le scarpe piene di sabbia e abbandonando scialle e cappotto sul pavimento, Temari si buttò sul letto e si addormentò nel preciso istante in cui la sua testa toccò il cuscino.

 

Non si sarebbe ricordata del suo vago sogno di una nera figura nella notte fino al suo prossimo turno di guardia.

 

 

 

La notte seguente era leggermente più calda di quella prima, e di questo Temari ne fu immensamente grata, allentando lo scialle mentre si guardava intorno dalla sua postazione. Un paio d’ore erano volate nel più totale silenzio, l’aria così fredda che il vento sembrava di ghiaccio, pietrificato nella sua durezza. L’unico cambiamento nell’atmosfera era il suo lento respiro che si condensava nell’aria.

 

Erano da poco passate le due, e i sussurri cominciarono ancora.

 

Lo stesso chuunin della notte prima corse verso di lei per cambiare posto, la sua nuova postazione molto più vicina all’oasi di quella precedente.

- È tornato?- chiese atona Temari, quando il chuunin con gli occhi sgranati gesticolò in direzione dell’oasi.

Lui annuì energicamente, sembrando palesemente nervoso mentre si cambiavano di posto e lei iniziò a camminare a grandi falcate verso l’oasi. Quando arrivò alla postazione, le fiamme del fuoco divamparono con il violento soffiare del vento, riempiendole le orecchie del ruggito del fuoco e del crepitio della sabbia.

 

Quando la raffica terminò, il circondario tornò mite e silenzioso e l’unica parte dell’oasi che poteva scorgere era la leggermente luccicante superficie dell’acqua. Il fuoco si rifletteva sulla nera superficie mentre come increspature macchiate di arancione, e non sentì il suono finché non realizzò che la superficie dell’acqua era disturbata da qualcosa.

 

Udì l’acqua schizzare.

 

I suoi occhi si spalancarono, le labbra si aprirono in un moto di incredulità. La temperatura dell’acqua doveva essere vicina alla glaciazione.

Continuò ad ascoltare, sentendo il distinto e gentile gocciolare dell’acqua sulla sabbia. La superficie dell’acqua si immobilizzò nuovamente, riassettandosi come un nero e liscio disco macchiato di arancio.

Quest’immagine si infranse all’improvviso con un udibile splash che distorse il riflesso delle fiamme in danzanti linee arancioni sulla sua superficie increspata.

Temari la fissò, ascoltando e respirando, le mani immobili lungo i fianchi. Lentamente, appena le ondeggianti fiammelle arancioni ripristinarono il loro riflesso sull’acqua, ricordi della sua infanzia e del sogno della notte prima le arrivarono frammentari alla mente.

 

Uno storno di corvi migranti, una spessa e caotica nuvola di piume e di oscurità gracchiante era scesa su Suna quando Temari aveva circa otto anni. Non aveva mai visto prima così tante creature nello stesso posto, nere come la pece e dal verso così acuto da indurla a nascondersi sotto il letto. Erano scesi sulla casa e si erano piazzati sul davanzale della finestra svolazzando intorno ad essa e picchiando sul vetro con i loro becchi neri.

Lo ricordava bene, sdraiata sul letto con Kankuro fissare ad occhi sbarrati l’enorme cadavere di un corvo sul davanzale. Girò la testa e lei vide il suo becco, lungo e nero e leggermente ricurvo. C’era qualcosa di rosso e scintillante che pendeva da lì.

Cos’è? ricordò di essersi chiesta. Dove l’ha preso?

Allora il corvo aveva inclinato la testa e l’aveva ingoiato. Temari ricordò di aver urlato fino allo svenimento, quando successe.

 

Nel suo sogno, la figura nera era un corvo. Il qualcosa lungo, nero e curvo che faceva capolino—nel suo sogno si trattava del becco.

Quando richiamò alla sua mente la surreale e distorta immagine, essa arrivò con un vago sentore di premonizione.

I corvi significano qualcosa. Qualcosa di estraneo. Qualcosa di particolare.

 

- Qualcosa di male.- aveva mormorato svegliandosi quel pomeriggio, incapace di spiegarsi perché l’avesse detto, fino ad ora.

Lei non credeva ai segni premonitori, ma aveva detto la stessa cosa quando Gaara era stato rapito.

Innervosita da quel ricordo, scosse la testa e si strofinò gli occhi, respirando profondamente prima di guardare ancora verso l’oasi. L’acqua era finalmente calma, e tutto era in silenzio.

 

Le successive due ore passarono in agonizzante lentezza senza alcun tipo di suono o rumore, e Temari continuava a strizzare gli occhi, avvicinandosi sempre di più con ogni cambiamento di turno.

Era arrivata vicino ai confini quando i primi cenni di pallida luce bluastra apparvero il cielo. Esili strisce di nuvole uscirono dai loro nascondigli, e lei continuò a tenere gli occhi fastidiosamente incollati alla superficie dell’acqua, aspettando l’emergere della figura, l’emergere del qualcosa ricurvo attaccato ad essa.

 

L’alba arrivò nuovamente, e i confini dell’oasi si fecero nettamente visibili.

Controllò l’orologio.

4:17.

Il suo respiro smise di condensarsi nell’aria, e fece cadere lo scialle dal viso alle spalle, mugugnando alla sensazione di freddo che il soffio del vento alitò sulle sue guance umide. Altri sette minuti passarono, e poi lo vide.

Era accovacciato al confine, come la notte precedente. Temari sgranò gli occhi.

La cosa ricurva era sparita.

Inconsciamente, rilasciò il respiro che aveva trattenuto.

 

La figura si alzò e lo stomaco di Temari ebbe una contrazione quando lui si inginocchiò e sollevò un  grande oggetto che giaceva accanto a lui. Nel breve momento che lo tenne ben visibile, lei fu in grado di capire cosa fosse.

 

Una falce. La sua silhouette nero pece si stagliava contro il blu elettrico del cielo, alta quasi più della figura che la teneva in mano, fornita di tre lame affilate e ricurve.

Il sollievo avrebbe dovuto essere l’ultima cosa che lei avrebbe dovuto provare, ma le sue spalle si rilassarono quando lui la attaccò alla schiena e si girò per andarsene di nuovo, giusto quando le prime tinte arancioni  iniziavano ad illuminare il cielo.

 

Mezz’ora più tardi, finì il suo turno.

 

 

- Voglio uccidere quel bastardo.-

- Che ti ha detto stavolta, Sugimura?-

- Non hai visto quell’arma? Forse dovremmo avvertire Kazekage-sama…-

- No.- rispose secca Temari, girandosi a guardare in viso il jounin allarmato, fermandosi nel mezzo del loro cammino verso il villaggio.

- Kazekage-sama ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, al momento. Se succede qualcosa, ce la sbrigheremo da soli. Capito?-

- Sissignora.-

Temari si rivolse al jounin conosciuto come Sugimura. Sembrava infuriato.

- Problemi?- chiese lei, alzando un sopracciglio.

- Lo straniero gli ha detto qualcosa.- rispose un amico del jounin, con un ampio ghigno.

- Cosa ti ha detto?-

Il viso di Sugimura si colorò di un rosso intenso.

- Preferirei non…-

- Insomma, non ho dodici anni.- disse Temari con impazienza.- Qualunque cosa sia, non morirò per averlo sentito. Sputa il rospo.-

- Gli ho detto di andarsene via…e…”- Sugimura si bloccò, il viso ulteriormente arrossato. Il suo amico allargò il sorriso e gli mise una mano sulla spalla.

- Lo straniero gli ha detto di andare da qualche parte a incularsi un cammello, Temari-san.-

L’intero gruppo di guardie scoppiò in una fragorosa risata.

Temari si limitò a fissarli incredula.

 

Il giorno passò velocemente. Temari si svegliò alle quattro del pomeriggio, e con tutto il tempo che ci mise a svolgere le sue faccende e a partecipare agli incontri si fecero le nove.

Aspetto la mezzanotte a casa, sfogliando le pagine di un libro mentre la sua cena si scaldava in forno. Kankuro sedeva al tavolo in cucina, collezionando sguardi omicidi ogni volta che la importunava innocentemente con le sue marionette.

 

Alle 11:30 si mise in cammino verso il confine, saltando di tetto in tetto. Appena le case terminarono e arrivò in periferia, Temari aprì il suo ventaglio e colse la più forte folata di vento, aggiustando il suo mezzo su di essa e cavalcandola fin dove doveva arrivare.

La raffica la portò a destinazione in mezz’ora, e seguì il percorso illuminato dalle torce finché esse si divisero in due linee divergenti, una a destra e una a sinistra. Atterrando sulla sabbia, scambiò uno sguardo con la guardia che era rimasta lì dalle sette del mattino.

Questo mormorò distrattamente un ringraziamento mentre lei gli dava il cambio, e iniziò a incamminarsi verso sud, calpestando la sabbia smossa dal vento verso la sua postazione.

 

Quando arrivò, notò con piacere che l’oasi era meglio illuminata degli altri giorni, la luna si rifletteva nitidamente nello specchio d’acqua.

Sbottonando il contenitore del ventaglio dietro la sua schiena, Temari estrasse la sua arma e con un movimento di polso estinse tutte le fiamme delle torce. Il fumo salì verso il cielo in pigre spirali d’argento; le ceneri ardenti brillavano d’arancio e tenue cremisi ad intervalli, riempiendo l’aria fredda del dolceamaro aroma di legno bruciato.

 

Le ceneri si erano fatte nere e fredde quando lei si sedette vicino alla torcia ad aspettare.

Pochi minuti dopo, udì un debole splash.

 

Colta di sorpresa, gettò uno sguardo in direzione dell’acqua, notando le increspature in superficie.

Aspettò altri tre splash, strisciando in direzione del rumore e alzandosi gradualmente in piedi. La velocità era cruciale nell’accertare l’identità della figura.

Infilò una mano nello zaino che aveva in spalla e ne estrasse un paio di piccole bombe luminose. Una volta strappata la sicura, le avrebbe lanciate in direzione dei confini dell’oasi: nessuna pausa. Velocità.  Il solo sibilo dell’accensione sarebbe bastato a farlo scappare allarmato.

 

Mordendosi il labbro, contò fino a dieci nella sua mente, infilando il dito nella sicura ancora attaccata alla bomba.

 

…9….10.

 

La bomba iniziò a sibilare nell’istante in cui tolse la sicura, e nel momento in cui vide una luce rossa, Temari la lanciò più forte che poteva. Si mosse a spirale nell’aria, e atterrò illuminando l’area sabbiosa dove ora si trovava: una grande porzione di oasi divenne improvvisamente visibile, l’acqua brillava di un color rosso sangue. Ci fu un gridolino sorpreso, seguito da un forte rumore di acqua.

Temari fece appena in tempo ad accorgersi della figura mezza nuda che era caduta per metà in acqua che quello subito si portò nel lato oscuro dell’oasi, fuori dal cerchio di luce.

Temari ghignò e lanciò la seconda bomba luminosa.

Questa atterrò accanto a lui, che bestemmiò mentre si allontanava dalla luce. Nell’accecante bagliore dei due cerchi di luce, Temari potè distinguere la falce e accanto ad essa il cappotto dell’uomo, di stoffa nera.

 

Temari inspirò e il suo ghignò sparì quando le forme sul cappotto divennero nettamente visibili.

Nuvole rosse.

 

Corvi. Oscuri presagi. Qualcosa di male.

 

Il suo dito si mosse sulla ricetrasmittente.

- Non muovetevi!- gridò, il suo ordine perentorio diretto ai suoi compagni di guardia.- Me ne occupo io.-

La sicurezza con cui li aveva avvertiti non fece trapelare nulla della paura che le attanagliava le viscere.

Conosceva quei cappotti. Ricordava che i proprietari di quei cappotti erano quasi stati responsabili della morte dei suoi fratelli.

Ci volle ogni singola goccia del suo autocontrollo per impedirle di aprire il ventaglio e lanciarsi furiosamente contro quell’uomo.

Si accorse si avere il respiro tremante, e si costrinse a restare calma, chiudendo le dita in stretti e dolorosi pugni.

La figura era appunto di un uomo, a torso nudo e fradicio dov’era caduto nell’acqua. Sedeva sulla sabbia e aveva una mano alla tempia, giusto sul sopracciglio; alzò lo sguardo nella sua direzione.

- E quello che cazzo era?- gridò, sembrando furioso.- State cercando di darmi fuoco, brutte teste di cazzo di Suna?-

- Zitto!- gridò Temari in risposta, scioccata dal modo in cui la sua voce sembrava sull’orlo del panico.- Tornatene da dove sei venuto!-

- Cara la mia stronza,- ribattè arrabbiato, alzandosi in piedi con le braccia lungo i fianchi.- sei cieca, per caso? Sono ancora nel paese dell’Acqua!-

- Vattene!- gridò violentemente Temari, la furia palese nella sua voce.- Fuori di qui!-.

- Provaci.-  rispose, zittendola.

 

L’impulso di sfoderare il suo ventaglio e trafiggere quell’uomo con migliaia di kunai era quasi irrefrenabile. Non credeva umanamente possibile raggiungere livelli di repulsione talmente alti, e nemmeno provare un tale desiderio di provocare quanto più dolore possibile a qualcuno.

Digrignando i denti, seppellì le caviglie nella sabbia e afferrò il bastone della torcia dalla fiamma ormai estinta. Il legno di scheggiò per l’intensità della sua stretta.

Si forzò a normalizzare il respiro, e quando parlò di nuovo la sua voce suonava più calma.

- Perché sei qui?- chiese,  rendendo la sua voce il più autorevole possibile.- Rispondi!-

- Questi non sono per un cazzo affari tuoi, o sbaglio?- replicò aspramente, togliendosi di dosso i residui di sabbia umida.

La sua stretta intorno alla torcia aumentò, le sue dita dolevano per lo sforzo. Mordendosi il labbro, Temari lo fissava intensamente con odio, mentre si accovacciava vicino al margine dell’oasi, sussurrando maledizioni e gettando acqua sul suo braccio sporco di sabbia.

 

Se Temari fosse stata di umore più calmo, magari si sarebbe meravigliata di come lui fosse in grado di sopportare il soffio gelido del vento e l’acqua gelata sulla pelle nuda. Ma ora ogni vestigia di coerenza era sparita dalla sua mente, rimpiazzata da odio e disgusto.

 

Lo voleva morto. Morto e sepolto nella sabbia sotto i suoi piedi.

Strinse nuovamente i pugni.

- Vattene ora.- gli ordinò, la sua voce chiara e forte nell’aria immobile.- Questo è l’ultimo avvertimento.-

- Ah sì?- la sfidò, alzandosi in piedi e guardando nella sua direzione, pur senza vederla.- Altrimenti? Mi piacerebbe proprio vederti varcare per prima il confine, stronza.-

- Se mi darai un’altra ragione per farlo, lo farò.- disse freddamente.-

- Un’altra ragione? Cazzo, sono seduto qua a farmi gli affari miei e tu cerchi di darmi fuoco!- gridò, sembrando parecchio indignato.- Merda, Deidara aveva ragione. Vuoi ninja di suna siete dei fottutissimi pazzi.-

- Conosco l’organizzazione di cui fai parte.- disse Temari, senza sapere se lui la stesse sentendo o meno.- So che tipo di gente siete.-

- Se è così allora saresti un’idiota se attraversassi per prima il confine.- disse lui, il ghigno palese nel suo tono di voce.

- Se continuerai a darmi ragioni per…-

- Non sto facendo niente!- ruggì, calciando un mucchietto di sabbia.- Porca puttana, sono ancora nel fottuto paese dell’Acqua!-

- Sei membro di un’organizzazione criminale. Vattene.-

- Come se prendessi ordini da te. Non vado proprio da nessuna parte.-

- Vattene.-

- Vieni qui e provaci.-

- Vattene.-

-Vaffanculo!-

 

Temari strinse i denti, guardando furiosamente l’uomo che stava ostinatamente nel mezzo dei cerchi di luce rosa, il suo corpo baciato dai riflessi cremisi.

Strinse la torcia con più forza per evitare di procedere verso di lui, ricordando a se stessa che era un ninja di livello S con abilità sconosciute, ricordando a se stessa che sarebbe stato un suicidio attaccare per prima.

Incapace di pensare a una risposta, rimase in silenzio. Lui era ancora lì che fissava nella sua direzione, ma non riusciva a vedere la sua silhouette nell’oscurità. Pochi minuti dopo, lui si girò e si diresse dove aveva lasciato il suo cappotto, sedendosi sulla sabbia accanto ad esso.

Non si fece problemi a spostarsi dall’area illuminata. Lei lo guardava, vagamente turbata dalla sua immobilità e dal suo silenzio. A un certo punto, si aspettava una qualche arma comparire all’improvviso dalla sabbia, o una sua qualsiasi mossa, qualsiasi, anche solo lontanamente provocatoria.

Ma lui si limitava a stare seduto lì, ancora a torso nudo nel freddo pungente.

Ora capiva perché le altre guardie avessero trovato la sua presenza così snervante.

 

- Cosa stai facendo?- domandò alla fine.

Lui non rispose.

La voce di Temari salì di un’ottava.

- Ehi, ti ho chiesto…-

- Vuoi stare zitta?- ribattè improvvisamente.- Cazzo, sto cercando di pregare!-

Temari era sicura di aver capito male.

- Tu cosa?-

- Ok, seriamente, mi stai rompendo i coglioni. Jashin-sama non riesce a sentirmi con te che spari cazzate, quindi stai zita.-

Di nuovo non riuscì a credere alle sue orecchie, ma era troppo infuriata dal suo fare sprezzante per chiederglielo di nuovo.

- Senti, testa di cazzo. Se le mie cazzate servono a farti sloggiare, allora non ho nessuna intenzione di smettere.-

- Se non la smetti, ti darò un valido motivo per oltrepassare il confine e ti zittirò personalmente.-

- Non aspetto altro, bastardo. Dammi solo un motivo.-

- No, seriamente, hai dei problemi? Lasciami in pace!!-

- I problemi li avrai tu, semmai! Perché non te ne vai e la facciamo finita?-

- Ma perché cazzo dovrei obbedirti?-

- Va bene, non ascoltare. Continuerò a dire cazzate, allora.-

- Quando avrò finito di pregare, ti giuro, Jashin-sama ti manderà una di quelle punizioni che nemmeno riesci a immaginare.-

 

Temari lo fissò senza replicare, finalmente accettando il fatto che le sue orecchie non la stavano ingannando.

Era lì per pregare? Un membro dell’Akatsuki era nel mezzo del deserto alle fotuttissime due del mattino per pregare?

- Tu sei pazzo.- constatò Temari.- o stai mentendo. O entrambe le cose.-

- Di cosa cazzo stai parlando, blasfema? Ti ho detto che non sto facendo un fottuto cazzo.-

Temari fissò criticamente la sua figura bordata di luce rossa che sedeva a gambe incrociate sulla sabbia.

Ad essere onesta,m doveva riconoscere che quell’uomo non aveva fatto nulla di neanche lontanamente sospetto, a parte  trovarsi lì. Non solo, insisteva anche di trovarsi lì per pregare, e sarebbe stato da stupidi provocarlo ad attaccare senza sapere quali fossero le sue abilità.

Sconfitta, Temari rimase in silenzio continuando a guardarlo. Aveva riabbassato la testa per ricominciare con le sue preghiere.

 

Quindici minuti dopo, quando il suo orologio squillò, Temari rimase seduta. Schiacciò un bottone sul display e informò gli altri di mantenere le proprie posizioni fino a quando non fossero giunti i loro sostituti. Il suo gelido tono perentorio li fece desistere dal porre una qualsiasi domanda.

Non c’era più la sensazione di freddo. Temari non sentiva nulla, mentre lo osservava da dove era seduta, dimenticandosi di rabbrividire o di sbattere le palpebre, catturata dalla sua figura. Tutto ciò che percepiva era una leggera consapevolezza del momento presente.

Probabilmente stava stringendo qualcosa tra le mani, ma da dove si trovava per lei era impossibile capire di cosa si trattasse. E in più una delle fiamme di luce rossa si era spenta, l’altra prossima a seguire la compagna. La sua debole luce cremisi brillava sporadicamente, allungando e distorcendo la sua ombra sulla sabbia rossa.

Temari si morse un labbro e lanciò un’altra bomba luminosa.

Non aveva nessuna intenzione di perderlo di vista, specialmente non ora che sapeva, all’incirca, chi fosse.

- Ehi tu.- lo chiamò, quindi accese una terza fiamma e la lanciò.

Lui alzò la testa solo quando questa atterrò…sul suo cappotto.

- Porca puttana!-

Temari sentì un vago senso di soddisfazione quando la sua manica prese fuoco e lui iniziò a raccogliere manciate di sabbia da buttare sull’indumento per estinguere le fiamme.

Dopo aver praticamente sepolto il cappotto nella sabbia e aver spento il fuoco, si alzò di nuovo in piedi e fece qualche passo avanti, fermandosi proprio sul confine sabbioso.

Lei sogghignò.

- Ok, ora stai davvero esagerando!- gridò furiosamente.- Provaci un’altra volta e io…-

- Zitto.- ordinò Temari, soddisfatta del tono di freddo distaccamento che aveva assunto la sua voce.- Finché sei qui, non posso permettermi di perderti di vista.-

 

Si aspettava che lui iniziasse a lanciare maledizioni e a gridare più forte. Quello che non si aspettava, era che lui raccogliesse la seconda fiamma che si stava spegnendo e la lanciasse con violenza verso di lei.

Trattenendo il respiro, si lanciò di lato nella sabbia, evitando di poco la fiamma che si infranse contro la torcia dove lei era appoggiata. La collisione del metallo della bomba luminosa con il legno rimbombò nel silenzio del deserto, e una doccia si lucenti scintille piovve su di lei, illuminando la zona.

La fiamma si spense quasi subito, ma il danno era stato fatto.

 

- Ha! Ti vedo, stronza!- gridò trionfante.- Avresti dovuto tenere chiusa la tua fottuta bocca!-

Momentaneamente stupita, Temari continuò a stare sdraiata nella sabbia, chiedendosi come diavolo avesse fatto a lanciare la bomba luminosa con tale precisione. non riusciva a vederla dalla sua posizione, quindi l’unica cosa su cui avrebbe potuto basarsi era il suono della sua voce.

La sua gola si strinse in un moto di rabbia e di ansia.

Non solo gli aveva rivelato la sua posizione, ma l’aveva anche sottovalutato.

Il suo lancio perfetto avrebbe anche potuto essere un colpo di fortuna, ma se lei fosse stata di un solo secondo più lenta nei movimenti, la bomba le avrebbe fracassato il cranio.

 

- Tch, mancata.- mormorò, prima di girarsi e tornare dove si trovava prima.

Temari si mise lentamente a sedere, lo shock che si trasformava nuovamente in rabbia.

- Per tua fortuna mi hai mancata.- disse in tono aspro.- Altrimenti avremmo un valido motivo per ucciderti.-

- Ehi, ora te lo do il motivo. Potete venire tutti qui…e io vi sacrificherò al mio dio.-

Di nuovo Temari si zittì, straniata per le parole. L’idea che un uomo religioso facesse parte di un’organizzazione criminale era semplicemente assurda, ma comunque non aveva idea di che religione lui fosse discepolo.

E non voleva saperlo, si disse mentalmente. Voleva che se ne andasse.

 

Ma lui rimase lì, ostinato, vicino all’acqua; la sua arma riposava a pochi centimetri dalle dita.

Anche la terza fiammata si estinse come le altre due. L’unica reazione di Temari fu quella di accendere la penultima bomba luminosa e lanciarla, stavolta ben lontano da qualsiasi proprietà dell’estraneo.

Lui alzò lo sguardo per un attimo, ma non disse nulla.

Mezz’ora dopo, Temari lanciò l’ultima fiammata.

Si spense alle 4:15, giusto quando il cielo stava iniziando a schiarirsi. La luce cremisi si dissolse in un freddo blu metallico, facendo apparire quell’uomo quasi statuario.

Non si era mosso per un’ora e mezza.

Ma non appena la prima tinta di azzurro si fece strada nel cielo lievemente rischiarato, si alzò.

 

Temari lo osservò prendere il cappotto e indossarlo, lo osservò anche afferrare la sua falce. Ci fu un momento di silenzio in cui si voltò verso di lei, e Temari ebbe una sensazione di freddo, la pelle d’oca sulle braccia e sulle gambe, nella consapevolezza che lui riusciva a scorgere il suo profilo stagliato contro il blu del cielo che si andava illuminando.

 

Fu lei a rompere il silenzio, con la voce calma.

- Non tornare.-

Lei non riusciva a vedere il suo volto, da dov’era seduta, ma era sicura che stesse sogghignando quando rispose:

- Solo perché mi hai detto questo, tornerò.-

Poi si girò e se ne andò.

Quaranta minuti dopo, il turno di Temari terminò.

 

 

Il cammino verso il villaggio fu silenzioso. Quando Temari tornò a casa e salì le scale per il secondo piano, si fermò nella stanza di Kankuro. Suo fratello dormiva rumorosamente, comodamente spaparanzato sul letto, la coperta un cumulo aggrovigliato sul pavimento.

 

Il suono dei suoi delicati e regolari respiri si infiltrò nel corridoio, in netto contrasto con la stridente cacofonia dei pensieri che le attraversavano la mente.

 

Temari guardò suo fratello, e di gettò il suo odio per l’Akatsuki proruppe con una tale intensità da farle quasi venire la nausea.

Le avevano quasi portato via Kankuro e Gaara, e uno di loro era adesso a un passo dalla linea di confine.

Soltanto guardando Kankuro dormire, le si affacciarono alla mente i vividi ricordi che lo vedevano giacere pallido e prossimo alla morta sul letto dell’ospedale, i suoi lineamenti contorti in un’atroce agonia. Si ricordò di come fosse così debole che non riscriva nemmeno a stringerle la mano e le si formò un nodo alla gola.

 

Chiudendo gentilmente la porta di Kankuro alle sue spalle, Temari fece un respiro profondo.

 

Quando pensava a lui, a quel recalcitrante soggetto scurrile vicino alla linea di confine, la sua mascella si serrava così tanto che le faceva male, lo sguardo si induriva e i pensieri diventavano velenosi.

Un motivo—era tutto ciò di cui aveva bisogno. Una legittima ragione, e lei avrebbe potuto staccargli la testa dal collo, e possibilmente spedirla in un pacco alla sua organizzazione.

Quando si risvegliò dalla fantasia e si sorprese a sogghignare, il pensiero di un eventuale scontro venne la riempì di timore e ilarità.

 

Alle sei del mattino, quando si gettò pigramente nel suo letto e affondò la testa nel cuscino, Temari non chiuse gli occhi, il rumore nella sua testa era insopportabile nel buio. Optò per fissare il soffitto, e le apparve una figura senza volto, ma con un grande ghigno.

Solo perché mi hai detto questo, tornerò.

Temari non chiuse occhio.

 

 

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Capitolo 2
*** Let's play a game! ***


Ed ecco la traduzione del secondo capitolo di questa meravigliosa fic

Ed ecco la traduzione del secondo capitolo di questa meravigliosa fic.

Grazie mille a chi ha commentato, sappiate che ho già girato i commenti a Henna e vi ringrazia con tutto il cuore…per lei è molto importante sapere cosa pensino i lettori delle sue storie J

Non vi faccio aspettare oltre, buona lettura!

 

Feda

 

 

Facciamo un gioco

 

Diciotto ore trascorsero in esasperante lentezza, dopo la sua nottata insonne, e Temari passò la giornata a svolgere incarichi e commissioni con una silenziosa e rassegnata dedizione, pensando a cosa sarebbe successo quella notte.

Quando finalmente fu l’ora del suo turno, tornò al confine piena di adrenalina e determinazione.

Il suo zaino era più pesante e più grande di quello della notte precedente, contenente un maggior numero di bombe luminose, petardi, fili e il maggior numero di kunai e di shuriken che riuscì a cacciarvi dentro. Lasciando accesa la torcia dietro di lei, rafforzò il nodo allo scialle, si sedette sulla sabbia e attese.

 

La prima ora passò pericolosamente veloce, il tempo scorreva in una frettolosa nuvole di energia, dopo essersi fatta un’iniezione di un potente stimolante. Studiato per avere un effetto immediato, l’eccitante agiva sugli shinobi stanchi, per permettergli di lavorare efficientemente—aveva gli stessi effetti della caffeina, solo che il liquido iniettato era leggermente più potente e duraturo.

 

Rinvigorita e tesa, Temari restava in attesa, ignorando gli scorpioni che combattevano sotto la torcia, lo sguardo fisso soltanto sulla luccicante pozza d’acqua dell’oasi.

All’1:45 lanciò la prima fiammata, mirando all’angolo dove lui aveva passato la maggior parte del tempo la sera prima.

Si era fatto vedere costantemente poco dopo le due di notte, nelle ultime tre sere, e lei voleva sorprenderlo nello stesso momento in cui sarebbe arrivato. Conoscendo l’odiosa tempra dell’uomo, qualcosa le diceva che avrebbe camminato dritto verso la fiamma, giusto per mostrarle il suo palese menefreghismo nei confronti dei suoi ordini.

Lei ci sperava davvero.

Avanti, stronzo, mormorò, il suo respiro che si condensava nel vento. Ti sto aspettando.

 Mezz’ora dopo, Temari decise di distogliere lo sguardo dalla cascata di luce cremisi giusto il tempo per aprire la sicura di un’altra bomba.

Nel momento in cui prese lo zaino e vi infilò la mano per estrarla, facendo passare il dito nella fessura della sicura, lanciò un’occhiata al cerchio di sabbia illuminato di rosso e gelò sul posto.

 

Lui era esattamente nel mezzo, la testa piegata da un lato e lo sguardo rivolto nella sua direzione.

C’era una nota di divertimento nella sua voce, quando parlò.

- Ehi, sei di nuovo tu, pazza furiosa con le bombe?-

Temari ebbe uno spasmo, e la risposta alla domanda fu un’altra fiammata che tracciò una spirale in aria ed atterrò vicino alla prima, che si spense un paio di secondi dopo.

- Heh, lo sapevo.- disse tra sé, sembrando compiaciuto.- Stai di nuovo cercando di darmi fuoco?-

- Solo se mi dai un motivo per farlo.- replicò lei in tono piatto.

- Mi pare giusto.- disse in tono quasi soddisfatto.- Seriamente, questa roba fa comodo. Non si vedeva un cazzo, prima.-

Sembrava di buonumore. La cosa la irritò notevolmente.

 

Quando lei non rispose, lui si voltò e si diresse al margine dell’oasi per appoggiare a terra la sua falce. Con una rapida mossa, si tolse il cappotto, gettandolo con malagrazia sulla sabbia.

Quando il suo torso nudo entrò nel suo campo visivo, il sangue nelle vene di Temari raggelò.

Nonostante la distanza che li separava, riuscì a mettere a fuoco qualcosa di nero che gli ricopriva il torace e il braccio sinistro, sembrando quasi un tentativo malriuscito di pittura corporea.

Senza degnarla di uno sguardo, l’uomo si inginocchiò sulla riva della pozza, e invece di immergersi in acqua, prese in mano una manciata di sabbia.

Esterrefatta, Temari lo guardò mentre allungava il braccio sinistro e spalmava la sabbia sulla sostanza oscura che lo ricopriva. Capì cosa fosse nel momento in cui lui iniziò a strofinare la sabbia.

 

Sangue asciutto e raggrumato, mischiato con i ruvidi granelli di sabbia; la sua pelle si liberava di quella sporcizia sottoforma di pezzetti di sabbia scura e umida che cadevano al suolo.

Temari osservò il suo braccio tornare di un bianco candore in circa cinque minuti, e sentì i corti capelli alla base del collo drizzarsi quando lui afferrò con accuratezza un’altra manciata di sabbia e le la spalmò sul petto, strofinando vigorosamente.

 

Il sangue scivolava via dal suo corpo come una pioggia corvina.

Lui era metodico e accorto, deliberatamente e volutamente lento nei movimenti, mostrandosi a lei, innervosendola, spaventandola.

 

Per quanto ne sapesse, a Temari non sembrava che avesse alcuna ferita che giustificasse l’ingente quantità di sangue che aveva addosso, e qualcosa si strinse nel suo stomaco nel momento in cui si chiese da chi provenisse quel sangue.

Domande, domande simili a quelle che le aerano venute in mente ad otto anni dopo aver visto il corvo con quella grande cosa rossa e penzolante nel becco, bussavano alla porta delle sue labbra.

Di chi è? si domandò. Dove l’ha preso?

 

Lui continuò a strofinarsi il torace per dieci minuti buoni, e una volta che fu completamente pulito si sporse in avanti bagnò con l’acqua della pozza prima il braccio e poi il collo, eliminando ogni residuo di polvere o sabbia che ancora indugiavano sulla sua pelle d’alabastro.

 

Il rumore dell’acqua sembrava surreale, ora che Temari poteva vederne la causa. Sembrava lontano, dome se provenisse da sottoterra. Riusciva a malapena a sentirlo, sovrapposto al rumore del sangue che scorreva nelle sue vene e che le rimbombava nelle orecchie.

Lui continuò a gettarsi addosso spruzzi di acqua gelida senza guardare in direzione della jounin, concentrandosi cu ciò che stava facendo.

Poi, dopo pochi minuti, fece riemergere le sue mani dall’acqua e le passò tra i capelli, prima di sedersi nella sabbia.

 

Consapevole che lei lo stava guardando, lo stava fissando, consapevole di irritarla, con indifferenza si tolse qualcosa che aveva intorno al collo, stringendolo tra le mani e abbassando la testa davanti ad esso.

 

Pregando.

 

Cosa stai facendo? pensò Temari imbambolata. Cerchi di mostrarmi la tua apatia? Cerchi di mostrarmi che hai appena ucciso qualcuno? Stai provando a farti odiare? Beh, sta funzionando, figlio di puttana. Sta funzionando alla grande.

 

Nel mentre che lui pregava, l’acqua tornò quieta, piatta come un lenzuolo di vetro nero. Da qualche parte nelle sue profondità, la nera e sabbiosa sporcizia tolta dal suo corpo stava inquinando la pozza, diffondendosi e avvelenandone le acque.

In futuro, quando avrebbe ottenuto il permesso di varcare la frontiera, Temari si disse che non avrebbe più bevuto o fatto il bagno nell’oasi.

 

Ovviamente lei aveva ucciso delle persone, e ovviamente c’erano state occasioni in cui si era trovata ricoperta di sangue. Ma non ne era mai stata felice. Non uccideva mai, a meno che non fosse necessario. Non sarebbe mai andata in giro mostrando gli schizzi cremisi come dei normali distintivi.

 

Ma lui—lui si era tolto di dosso i residui della vita di qualcuno come se fossero state macchie d’inchiostro, lavandosi metodicamente come se l’avesse fatto migliaia di altre volte. Quante volte era stato all’oasi prima che le guardie fossero posizionate lì? Quante occasioni aveva avuto per immergervisi, quest’uomo che uccideva qualcuno e sorrideva l’istante dopo?

 

Improvvisamente Temari non sentì più freddo. Sentiva qualcosa che era un po’ furia, un po’ disgusto e un po’ paura. Le dipingeva il viso di una tinta rossastra, amara come il veleno, e la faceva sentire così nauseata da chiedersi se non fosse stata pizzicata da uno degli scorpioni di prima.

La rabbia l’avrebbe presto sopraffatta, avrebbe forzato le sue labbra per costringerla ad urlare, ma questa cosa al contrario le serrò la gola, le incollò le labbra e soppresse la sua voce. Le fece aumentare i battiti del cuore e attenuare la presa sul ventaglio.

Non si era mai sentita così.

 

Temari rimase in silenzio fino a quando il cielo non iniziò a schiarirsi, un paio d’ore dopo.  Fino a quel momento, il suo unico movimento era stato lanciare una fiammata quando quella precedente dava cenno di spegnersi.

Lo aveva fissato intensamente per due ore, sentendosi leggermente stordita dalla bruciante emozione che aveva cancellato ogni suo pensiero coerente e l’aveva ammutolita.

Che diavolo è? si chiese. Sono forse malata?

 

I suoi pensieri cessarono quando, come la notte precedente, si spostò quando le morbide forme delle dune divennero visibili nel buio.

L’atmosfera era pacifica e silenziosa, eccezion fatta per il debole crepitio della sabbia mossa dal vento, i granelli vorticanti quasi avevano seppellito il suo cappotto e la sua falce. Con noncuranza estrasse entrambi dalla prigione di sabbia, sbattendo un po’ il cappotto nel vento prima di metterselo.

 

L’ultima fiammata sputò l’ultimo rigurgito di luce, prima di spegnersi. Lui, tranquillamente, guardò nella sua direzione.

Data la sua postazione, e data anche la lucentezza del cielo e la fiamma viva della torcia, probabilmente lui riusciva a vederla appoggiata contro il bastone quasi con chiarezza. Temari poteva solo fissarlo a sua volta, la sensazione dentro di lei peggiorava ad ogni istante.

Poi, prima che lui si voltasse per andarsene, Temari chiese:

- Di chi era?-

Lui si fermò, e si voltò, la testa leggermente inclinata di lato.

Temari non disse nient’altro, sapendo perfettamente che aveva capito ciò che lei voleva dire.

Ci fu un attimo di silenzio e, quando rispose, sembrò tranquillo.

- Non sapevo il suo nome.-

Quando Temari non disse nulla, si incamminò nel deserto e sparì tra le dune.

 

 

Il corvo è un uccello che banchetta sulle carogne. È uno spazzino.

 

Lui era diverso. La carne era ancora calda, pulita, e libera da insetti. Come un corvo, era intelligente, non lasciava tracce, non lasciava alle sue vittime nemmeno il tempo di urlare.

 

Il corvo è un ingannatore.

 

In quell’aspetto, erano uguali. Lui attraeva e parlava con finta dolcezza, intessendo una ragnatela di fiducia con le sue parole gentili. Amichevole e compiacente, ispirava una sensazione di agio nelle sue vittime, nascondendo una torbida natura dietro un bel viso. Anche se lei ancora non lo aveva visto bene.

 

Non era uno spazzino—il tipo che lasciava agli altri il lavoro sporco. Era un corvo a cui piaceva la caccia, era un predatore.

 

Temari smise di pensarci quando si accorse che di nuovo non riusciva a dormire.

Quel sentimento bruciante non le dava tregua, gettando stille di veleno nella sua bocca finchè non si sentiva quasi sul punto di tossire.

Temari aveva diciotto anni e non era mai stata innamorata. Questo l’aveva portata a credere che l’amore fosse qualcosa di estremamente raro, qualcosa di incontrollabile e sopraffacente. Doveva essere un’emozione incredibile, uscire dalla piattezza della vita quando meno te l’aspetti. Doveva essere indescrivibile. Il vero amore doveva essere così raro.

 

Mentre si metteva a sedere sul letto e guardava la luce che filtrava dalle tende scure, toccandosi la gola secca, Temari riconobbe la bollente e oppressiva sensazione, nonostante non l’avesse mai sperimentata prima, capendo all’improvviso che era qualcosa di più raro, più forte e più feroce dell’amore.

Sono presa dall’odio. Totalmente in odio. Lo odio.

 

Prima di allora, lei non aveva mai odiato nulla per davvero.

Aveva sentito qualcosa di simile per quel maledetto ninja che aveva tradito il loro villaggio, e durante l’infanzia si era infantilmente detta di odiare Gaara per essere un mostro egoista.

Occasionalmente diceva “odio il freddo”, o “odio i leccaculo”. Ingenuamente, aveva pensato che l’odio fosse un sentimento che tornasse comodo a qualcuno con un lavoro come il suo, dove la durezza era un requisito fondamentale e l’assassinio la quotidianità.

 

Non sapeva che l’odio, quello vero, la potesse far sentire così male.

Non pensava che il vero odio non l’avrebbe fatta dormire, o che avrebbe svegliato dolorose torsioni dello stomaco ogni volta che lei richiamava alla memoria il suono della voce di lui.

Non sapeva che il vero odio l’avrebbe resa così debole, che la rabbia e la furia erano semplici componenti di un più grande disgusto che diventava irrilevante quando si parlava di odio vero.

Non pensava che con il vero odio le lacrime sarebbero rimasta imprigionate negli occhi e le urla che si facevano strada dalla gola si sarebbero ammutolite quando le accarezzavano le labbra.

 

Solo ora che lo provava, sapeva che quando e se avesse avuto l’occasione di ucciderlo, avrebbe riso.

Avrebbe riso, e sorriso, senza rimorsi, e l’improvvisa realizzazione la terrorizzò.

 

Era violentemente presa dall’odio, e la cosa che più la preoccupava era il manifestarsi dei sintomi fisici di solito associati all’amore.

Da quando tornava a casa, l’unica cosa a cui era in grado di pensare era ciò che lui le aveva detto nelle ultime ore, e come lui era rimasto seduto al bordo dell’oasi, così tranquillo e pacifico nonostante avesse appena ucciso qualcuno.

La doleva la testa, i battiti del cuore acceleravano, le guance si infiammavano.

Non riusciva a dormire.

Non riusciva a mangiare.

Non riusciva a cacciarlo fuori dalla sua testa.

 

La linea che divide l’odio dall’amore è davvero sottile, no?

 

Temari avrebbe voluto riempire di pugni il cretino che aveva affermato un’idiozia del genere. La prospettiva di questo terribile e abominevole sentimento di repulsione trasformarsi in qualcosa come affetto e amore era semplicemente ridicolo.

 

Solo un motivo—era tutto ciò di cui aveva bisogno. Doveva soltanto darle una buona motivazione per varcare il confine e l’avrebbe ucciso. Conoscendolo, era sicura che non sarebbe tardata ad arrivare.

 

Temari non si rendeva conto di stare perdendo il controllo delle proprie emozioni.

All’accademia le era stato insegnato che gli shinobi dovevano essere calcolatori e privi di emozioni, non dovevano mai lasciare che sentimenti come l’amore o l’odio influenzassero il loro giudizio.

Temari era un ninja esemplare, ma aveva oltrepassato di molto il confine dell’odio. Era una questione personale, che aveva ormai sepolto le idee e gli insegnamenti con cui aveva vissuto. L’Akatsuki l’aveva quasi privata degli ultimi membri della sua famiglia e si sentiva in diritto di odiarli. E adesso che uno di loro era a portata di mano, il sapore della vendetta e della soddisfazione era troppo invitante per resistervi.

 

Ogni notte pensò, divorata dall’impazienza. Ogni notte. Sarò pronta per lui. Solo una ragione, mi basta questo. Solo una valida ragione e sarà tutto finito.

 

A questo pensiero Temari si rilassò, i suoi battiti rallentarono e le spalle si distesero. Si sdraiò sui cuscini, chiuse gli occhi e si addormentò in pochi minuti.

Pochi minuti dopo, quando le sue mani si chiusero in due stretti pugni contro il lenzuolo, sognò di un corvo che mangiava pezzi di carne rossa e lucente su di un piatto d’argento.

 

 

Il resto del giorno passò come tutti gli altri, normale, a parte l’impazienza che di tanto in tanto traspariva da sotto la sua apparente tranquillità. A un certo punto, durante la cena, Kankuro le chiese perché sembrava così distante.

- Sono stanca.- rispose vagamente, prima di sparire nella sua stanza ad attendere la mezzanotte.

 

Quando si trovò finalmente alla sua postazione, la sua determinazione non fece che aumentare. I suoi occhi lacrimavano per via del vento, ma si rifiutava di sbattere le palpebre, per la paura che in quella breve frazione di secondo lui sarebbe arrivato all’improvviso. Si sentiva rassicurata dal peso del ventaglio e dello zaino pieno di armi sulle sue spalle.

Si sentiva come se potessero arrivarne cento come lui, e lei li avrebbe sconfitti tutti.

 

Con la ricetrasmittente avvisò i compagni di restare ai loro posti fino a nuovo ordine. Non si sarebbero più stati cambi di postazione.

 

Leccandosi le labbra, Temari si sedette sulla sabbia davanti alla solita torcia, fissando intensamente i due cerchi di luce rossa disegnati dalle due fiammate che aveva lanciato.

Mentre osservava il loro riflesso nell’acqua, si domandò quanto sangue lui avesse gettato nelle profondità della pozza, quanto sangue avesse diffuso in quella liquida oscurità.

Di chi era? Di quanti? Quante persone ci sono là sotto, figlio di puttana?

Temari si rese vagamente conto che le sue pulsazioni stavano accelerando, lo stomaco torcendosi in spasmi. Inspirò lentamente per rallentare la velocità del sangue.

 

Quando aprì gli occhi e vide il display dell’orologio lampeggiare le 2:00 del mattino, avvertì un senso di nausea.

L’impazienza era così insostenibile che si sentiva tentata di andarsene a fare un giro per ricomporsi, dato che non si riconosceva più, in quel turbinio di emozioni.

Vero odio? Sì, doveva essere vero odio, perchè regnava l’eccitazione, perchè il suo stomaco si contorceva e il suo cuore accelerava e le sue guance si arrossavano, perché non vedeva l’ora che arrivasse, perché non vedeva l’ora che lui facesse qualcosa così anche lei avrebbe potuto fare qualcosa.

Ucciderlo.

 

Odio a prima vista. pensò ironicamente, la vocina nella sua testa squittiva in falsetto. Così passionale. Così sopraffacente. Così intenso. Sento la tua voce prima di andare a dormire. Voglio toccarti, così posso farti soffrire. Non riesco a smettere di pensare a te perché continuo a fantasticare sul modo migliore per ucciderti. Oh, tesoro, ti prego, torna. Ti odio così tanto.

 

Il vento sembrò ululare una risata, spostando lo scialle dal suo viso. Temari rise con lui.

 

- Perché cazzo stai ridendo, pagana?-

Il sorriso sul suo volto svanì all’istante e i suoi occhi si spalancarono quando lo trovò in piedi nel bel mezzo della luce dei fuochi, la testa inclinata da un lato e le braccia incrociate al petto.

Bestemmiando sottovoce, Temari si schiaffeggiò mentalmente per essersi fatta cogliere di sorpresa per la seconda notte.

- Ah, ho capito!- esclamò, sembrando divertito quando lei non rispose.- Sei felice di vedermi!-

Per un attimo Temari non riuscì a rispondere, lo shock iniziale che si trasformava in incredulità di fronte alla sua sfacciataggine. Ma Temari della Sabbia non era certo famosa per la sua mansuetudine, e si ricompose un attimo dopo.

- Entusiasta.- sibilò.- Deliziata.-

Anche se non riusciva a vedere chiaramente il suo viso, Temari lo sentì sogghignare.

- Voi ninja di Suna avete qualcosa di speciale, davvero. Quei ninja della Foglia si sarebbero cagati addosso a quest’ora.-

- Le lusinghe non ti porteranno da nessuna parte.-

- Non riesci nemmeno ad accettare un complimento?-

- Non voglio niente da te.-

- Ma voi guardie non dovreste scambiarvi di turno o qualcosa del genere? Oppure continui a tornare solo per guardarmi mentre mi faccio il bagno?- chiese, poi sorrise.- Pervertita.-

- Continuo a tornare- disse freddamente Temari.- perché  aspetto che tu mi dia una ragione per ucciderti.-

- Dev’essere stressante avermi così a portata di mano e no poter fare assolutamente un cazzo.- disse strascicando le parole ed indicando la breve distanza tra loro.

- Me ne darai occasione.- disse fermamente convinta.- Presto.-

Lui rise.

- Non ho intenzione di fare niente.-

- Farai qualcosa.-

- Lo dici come se volessi che lo facessi.-

 

E lo voglio, eccome! pensò Temari. Non hai idea di quanto io lo voglia.

- Conosco la gente come te.- disse invece.

- Ok, va bene, puoi tranquillamente continuare a venire qui a gelarti il culo nell’attesa che io faccia qualcosa.- disse con indifferenza, rimuovendo la falce e lasciandola cadere sulla sabbia.- Ora, ho delle cose da fare.-

In qualche modo, Temari sentì freddo soltanto a guardarlo mentre si lavava, rannicchiandosi più vicino alla torcia mentre lo guardava cospargersi di sabbia e lavarla pi via con l’acqua gelata.

Un altro annegato pensò inespressiva mentre la superficie dell’acqua correva a incresparsi. Un altro—e il bastardo è felice.

Quando finì e si sedette a gambe incrociate nella sabbia Temari rabbrividì, domandandosi come riuscisse a sopportare il vento freddo sulla pelle bagnata.

 

Improvvisamente lui alzò lo sguardo e lei sbattè le palpebre quando si rivolse a lei.

- Le ho chiesto il nome, stavolta.- disse con indifferenza.- Si chiamava Mai. Qualcuno che conoscevi?-

Temari lo fissò, momentaneamente senza parole.

Oh dio ti odio figlio di puttana ti odio ti odio ti odio vaffanculo a questo confine voglio venire lì e farti soffrire—

La jounin chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, mettendo a tacere il caos nella sua testa, poi li aprì di nuovo e lo fissò.

- Sei uno psicopatico.- disse semplicemente.

- E tu una stronza. Siamo pari.-

Temari sussultò.

- Tu…-

- Dopo.- la interruppe, abbassando riverente la testa verso l’oggetto nelle sue mani.- Prima devo pregare.-

Temari si zittì.

Normalmente non avrebbe sostenuto un discorso fatto di insulti restando seduta, ma se lo faceva era a causa del cappotto.

Quell’uomo era un membro dell’Akatsuki, e a giudicare da ciò che le avevano detto gli alleati di Konoha, erano considerati gli shinobi più pericolosi del continente. Il cappotto ne era un simbolo.

 

Temari sentiva il disperato bisogno di ucciderlo, ma non era così stupida da provocarlo a caso. Nonostante avesse deliberatamente ignorato il protocollo e le ideologie che aveva seguito per tutta la vita fino ad ora, non avrebbe rinunciato al piacere di una morte lenta.

Quelli come lui erano più pericolosi quando erano arrabbiati.

Meglio concentrarsi su questo.

Rincuorata dai suoi ragionamenti, Temari si rilassò e si appoggiò al bastone della torcia.

 

Passarono in silenzio quasi due ore e ad un certo punto Temari fu costretta a pizzicarsi il braccio per non addormentarsi. Con il calore della fiamma e la morbidezza della sabbia sotto di lei era difficile mantenere la concentrazione.

E con sua somma rabbia, lui non aveva fatto nulla di lontanamente sospetto: si era limitato a rigirarsi l’oggetto tra le mani (un rosario) e nient’altro.

Non si prese nemmeno il disturbo di alzare lo sguardo quando lei lanciò un’altra bomba luminosa.

 

Quando finalmente si mosse, il cielo si era colorato del solito blu metallico, e le ultime fiammate si erano ormai spente. Due colonne di fumo identiche disegnavano draghi di fumo nell’aria fresca del mattino.

Quando il fumo divenne chiaramente visibile, Temari fu presa da un senso di delusione e arrendevolezza. Si sporse in avanti, stringendo un pugno si sabbia quando lui si alzò in piedi e inizi a raccogliere le sue cose.

Non ancora pensò. Non andartene, bastardo. Fa qualcosa. Ti prego, fa qualcosa.

Lentamente, portò le braccia sopra la testa, la punta delle dita distante solo qualche millimetro dal manico dell’enorme arma incollata alla sua schiena.

Fallo. voleva sussurrare. Sfoderala. Lanciala. Fa qualcosa!!

 

Purtroppo per lei, lui rimase fedele alla parola data.

Lasciò cadere le braccia pigramente lungo i fianchi e guardò il cielo, sembrando abbastanza contento nel vederlo schiarirsi mentre Temari seppelliva le sue caviglie nella sabbia, ringhiando.

Aveva reso evidente la sua impazienza e lui se n’era accorto.

E ora si stava facendo beffe di lei.

Ogni gesto era volutamente innocente, ogni parole deliberatamente serena e amabile—tutti segni dell’ingannevole natura del corvo.

Cercava di provocarla, di frustrarla, di irritarla fino al limite della razionalità…facendolo discretamente per farla diventare pazza.

La stava deridendo, e i suoi sforzi stavano funzionando.

 

L’odio ribolliva e le riempiva la bocca, le annuvolava gli occhi, le stringeva la gola fino a quando tutto ciò che riusciva a fare era respirare a malapena e fissare trucemente quell’uomo attraverso un velo di rabbia.

Se lui voleva trasformare questa storia in un gioco, non c’era verso che lei lo lasciasse vincere.

Due cose di cui andava orgogliosa erano il suo autocontrollo e la sua testardaggine. Si rifiutava di diventare vittima delle sue tattiche.

Mentre pensava a queste cose, un sorriso di sfida le curvò le labbra.

Pensi di potermi spezzare? Fai del tuo meglio, allora. Questo gioco è mio.

 

Il suo orologio segnava le 4:30 del mattino.

Il cielo continuava a rischiararsi e lui girò la testa per guardarla, sorridendo visibilmente.

Il corvo nasconde la sua natura torbida dietro ad un bel viso.

Una raffica di vento le strappò lo scialle dalla testa e lo lanciò nella sabbia dietro di lei; il blu metallico delle nuvole lasciò spazio ad un rosso scuro che diventava più luminoso col passare di ogni minuto. Nessuno dei due prestò attenzione allo spettro di colori fuggenti e cangianti sopra di loro, entrambi aspettavano più luce, più esposizione, più chiarezza.

Il corvo è uno spazzino. Ma questo è pericoloso. Questo è un predatore.

 

Lui sbattè le palpebre e il suo sorriso si allargò quando l’alone splendente del sole fece capolino dall’orizzonte abbastanza da illuminare le fattezze di Temari, rivelando degli occhi glaciali e un sorriso velenoso.

Sorpreso? pensò Temari, guardandolo. Potrei dire la stessa cosa.

Non si era certo aspettata un viso così giovane, dai capelli argentati e dall’espressione così innocente.

Un viso stupendo.

Temari ruppe il silenzio, la voce aspra.

- Che c’è? Ti aspettavi qualcosa di diverso?-

Il sorriso di lui aumentò ancora, mentre gesticolava nell’aria con indifferenza.

- Ti avevo immaginato mora, giuro.-

- Deluso?-

- Assolutamente.- replicò, con ancora addosso quel fastidioso sorriso.- Le bionde sono meglio.-

Era un luogo comune, abbastanza comune da farle solitamente ignorare la sua natura sottintesa. Ma detto da lui, la fece quasi sentire offesa.

- E tu?- disse lei con un ghigno.- Il tuo bel faccino è l’unica cosa di cui puoi vantarti?-

Lui alzò un sopracciglio e Temari si congratulò con stessa per averlo zittito, ma la sua fu una vittoria molto breve.

Lui fece un passo avanti e ammiccò sogghignando.

- Se sei così curiosa, vieni pure a scoprirlo da sola.-

Temari era lieta di essere abbastanza distante da lui perché notasse l’intenso rossore di cui si erano dipinte le sue guance. Ma nonostante il quasi doloroso infiammarsi del suo viso, non aveva intenzione di lasciargli la vittoria.

- Con un linguaggio del genere è difficile credere che tu sia un uomo di fede.-

- Con un linguaggio del genere è difficile credere che tu sia una ragazza.-

- Cosa posso dirti? Noi ninja di Suna abbiamo qualcosa di speciale.-

 

Il suo turno stava per finire. Una goccia di sudore si lasciò morire lungo una tempia.

Fai qualcosa, bastardo. Non farmi aspettare un altro giorno.

Lui sembrò intuire cosa lei stesse pensando, e Temari sgranò gli occhi quando lui le diede le spalle.

- Ho davvero bisogno di dormire, cazzo.- annunciò.- Ci vediamo domani, biondina. Spero di non mancarti troppo.-

Stavolta Temari non riuscì a pensare a una risposta, fissandolo senza parole mentre si allontanava salutandola con una mano, scomparendo nella sabbia.

 

Venti minuti dopo, il jounin che arrivò a prendere il suo posto trovò la torcia spezzata a metà.

 

 

Temari sognò di nuovo.

 

Stavolta il corvo e il piatto d’argento con la carne erano sul suo davanzale. Incorporea, lei osservava la scena dal suo letto, sgranando gli occhi ogni volta che l’uccello divorava un pezzo di carne.

Una volta che non si fu altro che una macchia sanguinolenta sulla superficie del piatto, il corvo si girò e si pulì il becco sulle sue tende bianche.

 

Quando Temari si svegliò, balzò in piedi e tirò un sospiro di sollievo nel vedere le sue tende, scure, svolazzare pulite nella brezza del mattino.

Incapace di rimettersi a dormire, iniziò a camminare per la stanza con gli occhi incollati al pavimento.

Non avrei mai dovuto farglielo capire, pensò furiosamente. Non avrei mai dovuto fargli capire che stavo aspettando qualcosa. Adesso il bastardo mi sta prendendo per il culo.

Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto aver a che fare con lui? Per quanto ancora avrebbe dovuto convivere con il sentimento bruciante che la stava schiacciando e che la riempiva di velenosi pensieri di odio e violenza?

Da qualche parte nella sua mente, una voce calma le disse che stava perdendo.

 

Nessuno l’aveva mai spossata così. Nessuno aveva mai invaso i suoi pensieri e i suoi sogni e le aveva fatto provare quei dolori allo stomaco. Non aveva mai sentito il bisogno di ignorare il suo ventaglio e i suoi kunai e di uccidere qualcuno con le sue stesse mani.

- Respira.- disse a stessa, massaggiandosi le tempie mentre camminava.- Stai solo facendo il suo gioco, così.  Calma, stai calma.-

C’era qualcosa di strano nel suo comportamento, negli ultimi giorni. La prima volta che si erano incontrati era stato una permalosa e violenta testa di cazzo.

Ma ora? Era semplicemente odioso. Qualcosa lo aveva messo di buonumore.

Temari si calmò leggermente.

Se davvero era di buonumore, era più difficile da provocare. Ma dato il suo carattere e la feccia a cui apparteneva, questi giorni felici non dovevano essere poi così frequenti.

Lentamente, sorrise.

Le cose belle durano poco, specialmente per certa gente. Alla fine si sarebbe arreso alla sua natura di assassino e avrebbe fatto qualcosa. Tutto ciò che serviva era la giusta provocazione.

Questo è il mio territorio, pensò mentre riprendeva a camminare. Sono avvantaggiata, e sembra il tipo di persona che combatte a distanza. Armi come quella, non importa quanto siano grandi, sono inutili contro il vento. Lo ucciderò. Lo ucciderò. Lo…

 

- Cavolo, hai intenzione di fare un buco nel pavimento?-

Temari alzò di scatto lo sguardo, trovandosi un barcollante ed assonnato Kankuro appoggiato allo stipite della porta.

- Oh.- disse lei, colta sul fatto.- Ehi.-

- Ehi.- rispose lui, grattandosi la testa.- tutto ok?-

Temari finse un sorriso e annuì, e questo dovette sembrare allarmante perché Kankuro sgranò gli occhi e fece una strana smorfia.

- Ti comporti in modo strano, Temari.- silenzio.- Per caso sei nel periodo sbagliato del mese?-

Il viso della ragazza avvampò.

- No, idiota! Semplicemente non riesco a dormire.-

Lui annuì.

- Va tutto bene al confine?-

Temari si limitò a fissarlo.

-Temari?- la chiamò, inarcando un sopracciglio.

- Sì.- rispose lei.- Sì, tutto bene.-

- Non sei capace di dire palle.- sbuffò, sollevando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.- Che c’è, gli altri ti importunano? Quei bastardi…-

- Sì.- mentì, con un tono di voce più calmo.- E il freddo inizia a darmi un po’ di fastidio, perciò…-

- Posso parlare con Gaara per farti cambiare di turno…-

- No!!- gridò, ed arrossì quasi immediatamente, imbarazzata davanti allo sguardo scioccato del fratello.- Cioè…lascia stare Gaara. È già abbastanza impegnato per conto suo. Mi ci abituerò, non preoccuparti.-

-………ok.- disse infine, sospettoso, lanciandole un’occhiata in tralice.- Non esagerare però.-

- D’accordo.- rispose debolmente, lasciandosi scappare un sorriso quando lui chiuse la porta alle sue spalle.

Sorriso che svanì un minuto dopo, quando si vestì e si dedicò al lavoro per far passare la giornata il più velocemente possibile.

 

Quella notte, un paio d’ore prima dell’inizio del turno, dopo cena Temari salì in camera e si lasciò cadere sul letto, leggendo un romanzo d’amore.

Verso la fine, quando un fraintendimento con la legge finì col riservare una freccia nel cuore dell’amante della protagonista, Temari non riuscì a trattenersi dal ridere.

 

 

- Dove sei, amore mio?- mormorò Temari, ricordando qualche patetico e smielato dialogo del romanzo.- Non è da te farmi aspettare.-

 

Seduta nella sabbia accanto alla torcia, Temari attendeva il suo arrivo, rifiutandosi di distogliere lo sguardo dalle fiamme rosse che aveva lanciato ai margini dell’oasi.

L’ironia della situazione dopo aver letto quel romanzo divenne così intensa che Temari scoppiò a ridere, comparando cinicamente la sua situazione a quella della protagonista del libro.

L’amante dell’eroina era di un altro villaggio, e dopo un incontro occasionale al confine (e qui Temari aveva iniziato a ridere) si erano perdutamente innamorati e avevano fatto cazzate come incontrarsi in pieno giorno, così i suoi parenti l’avevano scoperta. Questo aveva portato il protagonista a un atto disperato e alla fine lei aveva perso il suo unico grande amore.

Tragedia allo stato puro.

 

- Oh, sono stata ferita così tante volte.- aveva dichiarato l’eroina al loro terzo incontro.

Temari pensò ai suoi fratelli, uno rapito dall’Akatsuki e uno mortalmente avvelenato, e ricordò il dolore provato.

- Per favore, promettimi che tornerai!- aveva supplicato la protagonista.

Torna, così posso ucciderti.

- Non mi importa di quello che dicono i miei genitori…-

Non me ne frega un cazzo del protocollo.

- Non mi importa di ciò che mi succederà…-

Fammi male, bastardo, fammene, così che io possa farne a te.

- Perché ti amo.-

Ti odio.

 

Quando lui arrivò pochi minuti dopo, Temari ebbe la tentazione di sgridarlo per essere in ritardo.

- Ti sono mancato, biondina?-

Era di nuovo di buonumore.

- Come un mal di denti.- replicò seccamente.- cosa ti ha trattenuto?-

- La puttana alla quale appartiene questo.-  disse, indicando il sangue sulla sua pelle.- Ti giuro, questa qui mi ha davvero dato un fottutissimi daffare.-

Temari lo fissava senza capire, in qualche modo infastidita dalla sua tranquillità.

 

All’improvviso, tutta la questione del di chi perse importanza. Ora quello che contava era perché.

Lo chiese senza nemmeno rendersene conto.

- Sono sacrifici.- rispose lui, come se fosse ovvio.- Per il mio dio.-

- Questo è l’ultimo?- chiese atona.

- Per questo mese sì.- dichiarò orgogliosamente.- Come tributo per l’avvento di Jashin.-

Sbattendo le palpebre, Temari guardò il display dell’orologio.

Il 30 di giugno.

Il respiro le si mozzò in gola.

 

Era rimasta di guardia al confine per ben tre settimane, dall’inizio di giugno. Lui veniva lì fin da allora? Un brivido le attraversò la schiena pensando a quante opportunità aveva avuto di passare il confine.

E questo, realizzò fissando le tracce di sangue. Questo è l’ultimo. Non c’è da chiedersi perché sia felice.

Un senso di sollievo e delusione la assalirono insieme.

Non avrebbe più avuto bisogno di tornare e il confine sarebbe stato salvo.

Non avrebbe avuto più bisogno di tornare e lei avrebbe perso la sua opportunità di vendetta.

Serrando la mascella, Temari non disse nulla, formandosi a stare in silenzio.

 

Mentre lui si bagnava il collo e le spalle con la solita acqua ghiacciata, Temari parlò cercando di mantenere un tono di voce distaccato.

- Perché vieni qui?-

- Secondo te?-

- Rispondi e basta.-

- Per la sabbia, ovviamente.-

Quando lei non disse nulla, lui fece un esagerato sospiro prima di sedersi di nuovo nella sabbia, la sua pelle bagnata di un color cremisi lucido sotto la luce delle fiamme.

- Fa venire via il sangue.- spiegò.- L’acqua non fa un cazzo da sola.-

- E perché resti qui ogni volta dopo esserti lavato?-

- Perché è l’unico posto dove posso trovare un po’ di fottuta quiete.- disse borbottando.- Non c’è nessun luogo in questo paese di merda- e indicò il paese dell’Acqua.- dove un figlio di dio può venire a pregare, giuro.-

 

Temari aprì la bocca per parlare, ma si zittì immediatamente quando si accorse della lunga e sinuosa figura di un serpente nerocce strisciava silenziosamente verso di lui, attratto dal calore delle fiamme.

Un morso poteva uccidere in meno di dieci minuti.

- Mh.- si limitò a dire Temari, inspirando in tensione quando il serpente si fermò accanto a lui, sollevando la testa. Un solo movimento improvviso avrebbe fatto scattare l’attacco. E lui ne era completamente inconsapevole.

Un sorriso si allargò sul volto di Temari sotto la copertura dello scialle.

- Ma c’è un problema con questo posto…- sbuffò improvvisamente.

Silenzio.

- Ovvero tutti sti cazzo di serpenti.-

E, con grande shock della jounin, afferrò tranquillamente la coda del rettile, la cui reazione fu inevitabile. In una frazione di secondo, girò la testa e affondò le zanne della carne dell’avambraccio.

Temari quasi scoppiò a ridere trionfante.

- Ahia, porca puttana.- esclamò, tastando il terreno alla ricerca della sua falce.- Odio questi cazzo di cosi.-

Un attimo dopo tagliò la testa del serpente dal corpo, strappandola dal suo braccio ed esaminando i buchi.

- Dieci minuti.- disse Temari, appena capace di contenere un sorriso.- Il veleno ti scioglierà le interiora.-

- Ne sembri quasi felice.- replicò, sembrando stranamente calmo, mentre esaminava il morso.- Ne sono addolorato, davvero.-

 

Temari sbattè le palpebre, il suo sorriso si attenuò sotto la stoffa quando lui si limitò a immergere il braccio nello specchio d’acqua, completamente indifferente a ciò che gli aveva appena detto.

- Stai per morire.- ripetè in tono piatto, mentre lui si rimetteva a sedere.

- Vorrei davvero che fosse così semplice.- disse lui con una risata sardonica.- Questa è la seconda volta che vengo morso da uno di questi stronzi.-

A Temari si gelò il sangue nelle vene.

La seconda volta?

Solo i ninja di Suna erano immuni al veleno di quei serpenti. Anzi, avrebbe dovuto iniziare il suo effetto già da un po’.

Stupita e mortificata, rimase a fissarlo per un po’, aspettando e stringendo i pugni così forte che le facevano male le nocche.

- Sembri delusa.- constatò divertito.- mi dispiace che le mie viscere non si stiano squagliando.-

- Perché non muori?- chiese Temari, la voce atona per lo shock.- Il veleno…-

- Ecco brava, siediti lì e fatti qualche domanda.- disse con fare sbrigativo, mettendosi a gambe incrociate.- Ora devo pregare.-

 

Temari non disse nulla, fissandolo incredula mentre estraeva il rosario.

Passarono dieci minuti. Quindici. Venti.

E non successe nulla.

Dire che era delusa sarebbe stato un eufemismo. Era esterrefatta, confusa e innervosita, la sua mente una caotica pletora di pensieri.

Perché? Perché? Perché? Dovrebbe essere morto. Dovrebbe urlare e contorcersi e morire soffocato dal suo stesso sangue. Dovrebbe, ma non lo è. Perché?

 

Non aveva senso, pensò Temari mentre lo fissava ad occhi sbarrati.

I corvi non sono immortali.

 

Improvvisamente ebbe paura.

Tutti i pensieri di vendetta vennero sepolti da quell’improvvisa e fastidiosa ondata di panico. Tutto ciò che voleva ora era che se ne andasse e che non tornasse mai più.

Non c’erano pro e contro. Non avrebbe mai vinto contro di lui.

Una voce calma da qualche parte nella sua testa le sussurrò parole di conforto.

Rilassati. Ti ha solo innervosita. L’intimidazione funziona solo sui deboli.

Tu non sei debole.

Temari della Sabbia. Lei era Temari della Sabbia, sorella del Kazekage. Non era spaventata, specialmente da uno come lui.

Gradatamente, la paralizzante sensazione di paura venne sostituita dalla rabbia, i brividi svanivano a poco a poco lasciando il posto all’odio e alla furia di vendetta.

Bruciava peggio del solito, mozzandole il fiato e accelerandole i battiti, facendola rizzare i capelli sulla nuca.

 

Quando dopo due ore lui alzò lo sguardo e guardò il cielo lievemente illuminato con un ghigno, Temari capì che sarebbe tornato.

Aveva trovato un giocattolo divertente in lei, e non avrebbe smesso di giocarci finchè non l’avesse rotto.

Non c’è problema, pensò Temari, leccandosi le labbra mentre lui indossava il cappotto. Gioca il più duramente che puoi, pezzo di merda. Giocherò anch’io.

Non sentì nessun moto di paura quando si voltò verso di lei per guardarla prima di andarsene…sentì invece una fitta di adrenalina e impazienza.

- Giusto per avvisarti.- gli disse, la sua voce sicura non tradiva nulla della precedente paura.- Qui ci sono altre cose che mordono, oltre ai serpenti.-

Mentre lui restava lì immobile a fissarla, un ghigno di divertimento gli curvò le labbra.

Il cuore di Temari perse un battito e una goccia di sudore le attraversò le labbra che non si era accorta di avere lievemente dischiuso mentre lo guardava.

Leccando la goccia di acqua salina, Temari alzò un braccio e lo salutò con la mano.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Dancing on a thin line ***


dancing on a thin line

Dopo più di un anno, ebbene sì, ecco il terzo capitolo di questa meravigliosa storia, che nel frattempo è giunta alla conclusione nel suo originale inglese.

Chiedo scusa a tutti coloro che ho lasciato sulle spine, ma come ben sapete a volte le passioni svaniscono, altre volte invece affievoliscono in attesa di tornare a galla più prepotenti che mai.

Così è successo a me.

Ed ora ho intenzione di finire di tradurre tutta la storia. Non so dirvi con precisione ogni quanto posterò i capitolo, poiché sono in pieno periodo esami e l’esame di- guarda un po’- lingua giapponese mi preme parecchio. Ma sono riuscita a trovare comunque del tempo per questo piccolo capolavoro della bravissima Henna.

Posso però anticipare che se il prossimo capitolo non sarà postato entro sabato, giorno del mio rientro a Venezia per gli esami, di sicuro la storia verrà aggiornata dopo il 20 gennaio.

 

È tutto, non mi resta che augurarvi buona lettura!

 

Feda

 

 

Sul filo del rasoio

 

Non era sorpresa, quando si ritrovò a sognare ancora del corvo.

 

Stavolta il vassoio era pulito e scintillava debolmente sul suo davanzale. Il corvo vi si era appollaiato vicino, scrutava indagatore la sua stanza mentre lei lo osservava, incorporea, dal letto.

Le gocce di sangue sulle tende si erano asciugare si erano trasformate in macchie di un marrone sporco, e nulla successe per un intervallo lunghissimo. Il corvo la guardava e lei guardava il corvo. Poi, mentre Temari si rendeva conto di starsi agitando, saltò già dal davanzale ed entrò nella stanza in un vortice di piume nere, sistemandosi sul bracciolo della sedia nell’angolo della stanza.

Inclinò la testa di lato e Temari chiuse gli occhi.

 

Quando li riaprì, si trovò caduta dal letto per metà, con le braccia incrociate sulla fronte.

Kankuro la osservò senza nascondere una certa apprensione quando, dopo una colazione alle quattro del pomeriggio, mise i piatti sporchi nel frigo e il cartone del latte nel lavandino. Temari sembrò non accorgersi nemmeno della preoccupazione del fratello e passò la giornata ad allenarsi intensamente sotto il cocente sole del deserto.

 

Qualche miglio ad ovest di dove lei si stava allenando, Gaara sedeva in una stanza piena di ingegneri, correggendo le bozze dei piani per le barricate.

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- Credevo avessi detto di aver finito.-  disse Temari impassibile, per nulla sorpresa di vederlo quella notte.

- Ho ancora bisogno di pregare, Bionda.- replicò facendo un gesto evasivo con la mano, accovacciandosi vicino all’oasi.- Niente riposo per gli uomini pii, davvero.-

 

Temari lo osservò in silenzio, trovando l’intatta ed incorrotta superficie del lago alquanto insolita. Aveva finito coi sacrifici. Non ci sarebbe stato del sangue da pulire, stanotte.

 

La fiamma delle fiaccole, unica fonte di luce dell’oasi e del deserto circostante, gettava uno spaventoso riflesso scarlatto in direzione della luna piena. Temari lo guardò con fastidio, memorizzando la sua corporatura, memorizzando ogni singola caratteristica fisica, valutando le sue possibilità in un combattimento e visualizzando mentalmente ogni possibile attacco e contrattacco a cui riusciva a pensare.

 

Era leggermente sorpresa quando lui finì le sue preghiere un po’ prima del solito, più precisamente di  un’ora e mezza. Quando Temari lanciò uno sguardo rapido al suo orologio, questo segnava solo le 2:52.

Con prudenza, strinse la presa attorno al ventaglio mentre lui si infilava il rosario intorno al collo, sistemandolo finchè non fu soddisfatto.

 

- E ora?- chiese Temari, quando le mani di lui tornarono lungo i suoi fianchi.

- Che diavolo vuoi dire con “e ora”? Ho finito.-

- Che cos’hai intenzione di fare adesso?- chiese ancora lei, impaziente.- Sederti qui e basta?-

- Beh, che cosa vorresti che facessi? Che danzassi per te?-

- Potresti andartene e non tornare mai più.- suggerì Temari innocentemente.- Sarebbe fantastico.-

- Sei una stronza, lo sai?-

- E tu una testa di cazzo. Pari.-

Lui sogghignò, appoggiando il peso sulle mani.

- Ammettilo, Bionda. Ti annoieresti all’inverosimile se non venissi qui. Sono io che rendo divertente il tuo lavoro.-

- Divertente?- ripetè Temari, assente.- Pensi che questo sia…divertente?!-

- Stare seduti al freddo tutta la notte mentre mi guardi fare il bagno? Terribilmente divertente.-

- Sei un membro dell’Akatsuki.- constatò gelida.- Sarebbe un comportamento davvero idiota perderti di vista.-

- Ti ho detto che non ho intenzione di fare nulla.- disse lui, sembrando divertito.- Davvero.-

- E tu ti aspetti che io ti creda?- Temari rise cinicamente.- Nel momento in cui abbassiamo la guardia siamo tutti dei sacrifici che camminano.-

- Senti.- disse lui all’improvviso, suonando irritato mentre si sedeva e incrociava le gambe.- Sono le cazzo di tre del mattino. Sono stanco. Lavoro tutto il giorno e il mio lavoro fa schifo, quindi quando dico che non ho intenzione di fare altro se non godermi un po’ di fottuto relax, è proprio quello che intendo fottutamente fare.-

Temari aprì la bocca per parlare ma lui la interruppe, infastidito.

- Quindi non pensare che io sia così stupido da fare qualcosa. Non vale assolutamente la pena sacrificarti e rischiare che tutto il tuo maledetto villaggio mi faccia il culo.-

 

Temari lo fissò senza parole, in qualche modo sorpresa dalla sua petulanza.

 

Da un membro dell’Akatsuki si era aspettata stoicismo, arroganza, incapacità di provare emozioni, non malumore. Ma con quelle parole, lui aveva immediatamente frantumato la sua percezione di loro come creature inumane, creature incapaci di provare alcunché, creature immuni a stanchezza e malattia.

 

Non avrebbero dovuto stancarsi. Non avrebbero dovuto prendersi una pausa dall’essere cattivi. Essere cattivi non era un lavoro—era un modo di vivere. Era una scelta. Per tutto ciò che aveva fatto, lui non aveva diritto al riposo o al relax.

 

Improvvisamente Temari si sentiva male, la sua nausea che tornava a galla nell’esatto momento in cui ricordò come si era sentiva quando Kankuro era stato avvelenato, ricordandole la rabbia e la paura al pensiero di perderlo. Era stata soltanto la routine di una giornata di lavoro, per quelli come lui? E ora voleva prendersi una pausa da tutto ciò?

 

Con la mente vuota, abbassò lo sguardo sulle sue dita, che erano strette intorno al ventaglio così forte da farle male.

 

Non avrei mai pensato che potesse andare peggio, pensò guardandolo attraversò un velo di fulgida luce rossa. Ma questo…questo è…

 

Non riuscì a finire il pensiero, la coerenza che franava sotto lo sforzo di trattenere la furia crescente.

 

- Oh, e se la ragione per cui ti comporti da stronza è per tutto quel bordello dell’Akatsuki che rapisce il tuo Kazekage, non prendertela con me. Non ho niente a che fare con quella merdata.- disse casualmente lui, guardandosi intorno.

- Niente a che fare con te.- ripetè Temari, allarmata al suono monotono della sua voce.- Che importa? Siete tutti fatti della stessa pasta, quindi non vedo per quale motivo tu dovresti essere escluso dal gruppo.-

- Non mettermi nella stessa categoria di quei pagani.- ringhiò, sembrando improvvisamente alterato.- Non siamo affatto uguali.-

- Siete tutti dei bastardi assassini. C’è abbastanza da essere uguali, in questo.-

- Io ho le mie ragioni per quello che faccio.- replicò.- Posso anche lavorare per loro, ma ho il mio personale “ordine del giorno”.-

- E cosa sarebbe.- ghignò Temari.- La beatificazione?-

- Non proprio, ma anche quella non sarebbe una cattiva idea.- rispose, sembrando leggermente divertito.- Sant’Hidan. Mi piace come suona. E….merda! ti ho appena rivelato il mio nome, vero?-

- Già.-

- Vabbè. Lo puoi trovare comunque in tutti gli elenchi dei ricercati.- fece una pausa.- Tu non hai intenzione di dirmi il tuo invece, vero?-

- No.-

- E Bionda sia allora.- disse con una scrollata di spalle.

 

Temari si morse il labbro, stringendo gli occhi.

I suoi cambi di umore erano veloci e frequenti, notò mentre tamburellava sul manico del ventaglio con le dita. Sembrava anche abbastanza menefreghista, dato che aveva rivelato il suo nome in modo così imbelicce, ed era andato così vicino a darle informazioni nientemeno che sull’Akatsuki. Se stuzziaco, avrebbe anche potuto lasciarsi sfuggire qualcosa di importante.

 

Leccandosi le labbra, Temari si sistemò contro la base della torcia, guardandolo tranquillamente.

 

- Non ti piace lavorare per l’Akatsuki.- incominciò, facendola apparire più come una constatazione che come una domanda.

- Cazzo no.- disse con veemenza, facendo passare manciate di sabbia da una mano all’altra.- Il mio capo è la peggior faccia da culo che potrebbe capitarti di incontrare.-

Sogghignando, Temari decise di tentare un approccio più discreto.

- Com’è che i vostri obiettivi sono diversi?-

Lui fece una pausa prima di guardare verso di lei, con un tono vagamente seccato.

- Stai cercando di ottenere informazioni da me, non è vero?-

- Sì.- disse lei, chiaro e tondo.

- Sai, se davvero avessi mai saputo qualcosa avrei anche potuto dirtelo.- disse, soppesando la cosa.- Ma quel testa di merda non mi dice mai un cazzo.-

 

In qualche modo, a giudicare dal tono, Temari capì che stava dicendo la verità, perciò decise di non insistere. Ma la sua improvvisa malleabilità la mise in guardia.

 

- E perché mai lo faresti?- chiese.

- Solo per farlo incazzare.- rispose pigramente, lasciando che la sabbia con cui stava giocando fluisse rapidamente verso terra.

Temari lo fissò incredulo.

- Desideri morire, per caso?-

 

La domanda lasciò le sue labbra prima ancora che lei potesse soppesarla e per un secondo rimase sospesa lì, immobile, nell’aria fredda.

 

- Sì.- rispose finalmente.- Ma lui non può uccidermi.-

 

Temari si fece silenziosa, guardandolo confusa e sospettosa. Di nuovo, qualcosa nella sua voce non dava alcun segno di menzogna, le sua parole erano semplici, disinvolte, spontanee.

Ma questa sua affermazione non aveva senso, realizzò Temari. Lui aveva detto che non avrebbe attaccato perché era troppo stanco e non aveva voglia di combattere. Ed ora dichiarava che il leader dell’organizzazione criminale più famosa del continente non poteva ucciderlo.

Una goccia di sudore freddo corse veloce dalla base del collo lungo la schiena della ragazza.

 

- Perché, sei così forte?- chiese, sforzandosi di mantenere il tono di voce neutro.

Lui sogghignava, mentre replicò.

- No. Solo molto, molto resistente.-

- Cosa vuoi dire con questo?-

- Voglio dire che non posso morire.- finì, con una risata di scherno.

Temari lo guardò senza capire, convinta di aver sentito male.

- Non puoi morire.- ripeté, quasi aspettandosi che lui la correggesse.

- È quello che ho detto.- ribatté, sorridendo cinicamente.- La morte ha deciso di vendicarsi di me.-

 

Temari riusciva solo a fissarlo e improvvisamente la sua bocca si fece asciutta come il deserto intorno a lei, la gola pungente mentre inghiottiva aria. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, pulsando dolorosamente nel suo petto, la lingue un peso morto nella bocca.

Altro sudore prese a correre lungo il collo, appiattendo ciocche di capelli biondi alla pelle tesa.

Incapace di sopportare quella sensazione,  si alzò e si tolse lo scialle, appena capace di trattenere un sospiro di sorpresa quando il vento freddo le accarezzò la pelle umida.

 

Questo è panico? pensò tremando, ad occhi sbarrati. Incredulità? Entrambi?

 

I corvi non sono immortali.

 

- Non mi credi?- chiese lui, senza badarci, mentre si appoggiava nuovamente con le mani alla sabbia.- E come diavolo pensi che sia sopravvissuto ai morsi di quel serpente?-

- C’è un…vaccino.- gracchiò Temari, spaventandosi di quando la sua voce fosse debole.- Avresti potuto…-

- Ora stai facendo la stupida.- disse.- Pensaci un attimo.-

- Non ti credo.- sussurrò Temari, più a se stessa che altro.

 

Non è vero. Non può essere vero. Come posso vincere, allora? Come posso proteggere…? Non è possibile. Nessun dio è tanto crudele da mandarmi un nemico che non può morire. Deve stare mentendo. Deve—

 

Il ventaglio affondò nella sabbia, giacendo su un lato appena la sua stretta si ammorbidì, i suoi occhi sbarrati fissi sul metallo lucente del manico.

Non sono così, pensò. Non ho mai reagito così.

 

Ma lui lo odi, ricordi? Le ricordò una voce nel profondo della sua testa. Lo odi quando gli shinobi non dovrebbero odiare. Sei contorta Temari. Sei completamente fuori da ogni schema quando si tratta di lui.

 

- Bene.- disse lui ad alta voce, dopo dieci minuti di totale silenzio.- Visto come sono riuscito a farti cagare sotto, direi che per stanotte il mio lavoro qui è finito.

Temari lo fissò in silenzio, gli occhi ancora sgranati mentre lui si alzava e raccoglieva la sua falce.

- Pensavi che uno di questi giorni mi avresti ucciso, non è vero?- chiese, sembrando compiaciuto.- Ed ecco che all’improvviso ho lanciato una bomba sulle tue piccole fantasie.- rise.- Non vorrei essere nei tuoi panni!-

 

Stai zitto, zitto, zitto—

 

- Ora siediti qui e lascia che il concetto lavori nel tuo cervello.- le consigliò, sembrando divertito.- Lo assimilerai, giuro.-

 

Ti odio, voleva dirgli. Ti odio bastardo. Stai mentendo. Devi mentire, perché devo ucciderti e non posso ucciderti se stai dicendo la verità.

 

Fece un piccolo gesto con la mano e iniziò ad andarsene.

Temari voleva urlare, ma tutto ciò che riuscì a dire fu un arido – Aspetta.-

Lui si fermò e lanciò uno sguardo dietro oltre la spalla.

- Non tornare.- disse, trovando un debole filo di voce.- Non tornare mai più.-

- Mi hai fatto una domanda.- disse senza scomporsi, la sua ombra tremolante nella luce fioca delle torce.- Sul perché i miei obiettivi sono diversi da quelli dell’Akatsuki. Ti risponderò domani.-

Temari poté soltanto boccheggiare senza dire una parola, osservandolo mentre spariva nel buio, le fiamme che si spegnevano in silenzio dietro di lui.

 

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Non riuscì a dormire quella notte. La paura la schiacciava da tutti i lati, minacciando di soffocarla nell’istante in cui avrebbe appoggiato la testa sul cuscino.

Il corvo era lì sul bracciolo della poltrona, la guardava. Inclinò la testa di lato ed improvvisamente lei fu riempita da una sensazione di repulsione, incapace di sopportare quella presenza un minuto di più. Sentiva le sue mani incorporee afferrare oggetti, oggetti taglienti, e lanciarli nella sua direzione più forte che poteva.

Gli oggetti mancarono il bersaglio, strappando ciuffi di piume che fluttuavano leggere sul tappeto. L’uccello non si mosse, compiaciuto dell’assalto e per nulla turbato dalla violenza di lei.

Infine, quando finì gli oggetti da lanciare e le sue braccia invisibili divennero pesanti dalla stanchezza, il corvo aprì le ali e volò dalla poltrona alla ringhiera ai piedi del letto.

 

Quando Temari si svegliò, si trovò sul braccio lividi a forma di mezzaluna, dove aveva conficcato le unghie durante la notte.

 

- C’è qualcosa che non va.- affermò Kankuro quando lei entrò in cucina, guardando le occhiaie scure attorno ai suoi occhi.- Ho intenzione di dire a Gaara di cambiarti di turno.-

- No.- disse lei fissandolo come se fosse pazzo.- Non puoi.-

Kankuro aprì la bocca per protestare, ma lei afferrò la sua colazione e tornò in camera sua.

 

Tu stai impazzendo, si disse chiaramente una volta seduta, guardando la sua colazione quasi intatta senza vederla davvero. Ti stai comportanto come si comportano loro….come le attrici di quegli stupidi film. Come se fossi malata d’amore.

- Malata d’odio.- si corresse Temari ad alta voce, trovando strano il gusto della parola nella sua bocca.- Sono malata d’odio.-

Non è esatto, continuò la calma voce dentro di lei mentre affettava il pane della colazione, forzandosi a mangiare. Sei ossessionata.

Temari fece una smorfia, pensando ai suoi sogni e a come non ne avesse mai avuti così tanti consecutivi prima, pensando al corvo e a cosa rappresentasse. Il pensiero che fosse nei suoi sogni ogni notte bastava a farle venire la nausea.

È per questo che gli shinobi dovrebbero essere in grado di non provare emozioni durante le missioni? si domandò, masticando il cibo. È perché altrimenti impazziresti?

 

Il suono di bambini che ridevano e giocavano sulla strada di fuori penetrò attraverso le persiane, brandelli di grida eccitate alla deriva fin dentro alla sua finestra. Temari fissò cupa le imposte semiaperte, ascoltando le risate. La loro felicità era invidiabile.

Mentre ridevano e giocavano, consci solo del loro divertimento, nella sua stanza lei si domandava cosa avrebbe potuto fare per sistemare la situazione impossibile in cui si trovava.

 

Kankuro era stato battuto quasi senza batter ciglio da uno di loro. Anche Gaara non era stato in grado di tenere a bada il suo avversario, ed era il Kazekage. In entrambi i casi, i suoi fratelli avevano affrontato un solo membro.

Ora lei si trovava nella stessa situazione. Uno dell’Akatsuki, immortale per giunta, aveva trovato la strada per l’ingrasso del suo villaggio. Aveva un temperamento pericoloso ed era chiaramente pazzononché apparentemente invulnerabile  a qualsiasi attacco a cui lei avesse potuto pensare.

 

In silenzio, posò il piatto e andò alla finestra. Aprendo totalmente le persiane, socchiuse gli occhi alla luce del sole che si riversava nella sya stanza, scrutando il quartiere prima di abbassare gli occhi sui bambini che giovavano per strada.

 

La sconfitta era una pillola amara da ingoiare. L’aveva imparato molto presto.

 

E ora, come un lieve accenno di amarezza si presentò sulla sua lingue, Temari sentì una strana e vuota delusione prendere il sopravvento. Contemporaneamente, tutti i pensieri di vendetta e di protezione divennero ridicoli, resi assolutamente impossibili dalle attuali circostanze.

Il massimo che posso fare, realizzò con amarezza, è provare a tenerlo fuori dal paese.

I piani per le barricate erano stati rifiniti la scorsa notte. Finchè la loro costruzione non fosse stata completata, e ci sarebbero voluti uno o due mesi, i loro “incontri” notturni avrebbero dovuto continuare.

 

Pensò a lui, al suo atteggiamento odioso, al suo sarcasmo pungente e al suo abituale linguaggio volgare, e provò a immaginare come sarebbe stato averci a che fare per i prossimi cinquanta e qualcosa giorni.

Abbassò la testa in rassegnazione, lasciando cadere la sua fronte contro il vetro della finestra con un piccolo “thud”.

Mi pensi? si chiese cinicamente, muovendo le dita sui granelli di sabbia sul suo davanzale. Mi pensi allo stesso modo in cui io penso a te?

Se lo immaginò alla luce del giorno, circondato da un gruppo di figure tenebrose, se lo immaginò mentre pensava a lei e incurvava le labbra in un privato e perverso sorriso al pensiero del suo nuovo giocattolo biondo.

Hai parlato di me agli altri? si domandò, sbattendo piano le palpebre. O mi tieni segreta…come io tengo te?

Segreta, disse qualcosa nel fondo della sua mente. A nessuno piace condividere i propri giocattoli.

 

La pelle della nuca rabbrividì e 2quasi inconsciamente si ritrovò a muovere la testa da una parte e dall’altra, scrutando l’entrata.

Aperta. Vuota.

A occhi sgranati, si passò una mano sul collo e guardò con apprensione il sudore sulle sue dita. I suoi vestiti erano zuppi.

Deglutendo a fatica, attraversò la stanza ed afferrò l’asciugamano che aveva lasciato ai piedi del letto, prima di allontanarsi per la doccia. La colazione pesava come piombo nel suo stomaco, tutto il corpo pervaso dalla pelle d’oca mentre si spogliava per entrare nella cabina.

Lanciando uno sguardo alla sua immagine nello specchio a figura intera, Temari fece una smorfia vedendo lo sguardo straziato nei suoi occhi.

 

L’acqua sgorgò con un sibilo quando entrò nella doccia, smaniosa di fuggire da quel riflesso pauroso e pregando che il ritmico scorrere dall’acqua la portasse via quei pensieri inquietanti.

Rabbrividendo sotto il getto, afferrò il sapone e si lavò meccanicamente, strizzando gli occhi per cancellare le immagini di lui che si presentavano provocatorie in tutti gli angoli della sua mente. Appena lo fece, la voce nella sua testa si intromise con una domanda apparentemente innocente.

 

Cosa pensi stia facendo lui ora?

 

Rabbrividendo ancora, si mise le mani nei capelli, stringendo forte e concentrandosi sul dolore che sembrò zittire quell’eco rivoltante. Respirando a fatica, Temari aprì leggermente gli occhi, guardando in basso l’acqua saponata scorrere via nello scarico.

Si immaginò alla frontiera di  guardia, rannicchiata sotto il tepore della torcia, mentre lo guardava lavare via il sangue sacrificale dal suo corpo con un misto di fascino e orrore.

Il suo viso bruciava al ricordo, le si stringeva lo stomaco e veleno riempiva ogni fessura della sua mente, travolgendo tutti i pensieri in una furia cieca, rossa.

 

Lo odio, lo odio, lo odio, lo odio, lo odio, voglio…voglio solo…

 

- Fargli male.- sospirò debolmente, chiudendo gli occhi.- Voglio fargli male, voglio…-

Il desiderio di infliggere dolore fu improvvisamente così forte che il suo cuore le faceva male in assenza di lui, le faceva male dover aspettare prima di vederlo di nuovo e saziare la sua rabbia.

 

Ucciderlo non era più un’opzione plausibile, e per questo la sua mente e il suo corpo urlavano, pregavano  smaniosi di potergli procurare tutto il dolore possibile.

Negarsi la possibilità di farlo soffrire era come infliggersi da sola una ferita nel fianco, straziante perché era fin troppo consapevole di che cos’era quel mantello e del suo significato. Con ogni probabilità sarebbe stata sopraffatta. Con ogni probabilità lui l’avrebbe uccisa prima che potesse tentare qualcosa. Con ogni probabilità si sarebbe rovinata la vita se avesse deciso di ascoltare quell’istinto primordiale che fomentava rabbia dentro di lei.

 

Tenerlo alla larga, e sia, si disse senza fiato, premendo la fronte contro le fredde piastrelle bagnate. Non fare nulla di stupido, Temari. È ciò che vuole lui.

 

La rabbia diminuì gradualmente, sbollendo e lasciandola vuota e arida. Il battito cardiaco le pulsava forte nelle orecchie, il cuore che si contorceva nel bisogno di vederlo, struggendosi per la possibilità di infliggergli dolore e bramando una soluzione che estirpasse il veleno che aveva inondato tutto il suo essere.

Lentamente, afferrò le manopole della doccia e chiuse l’acqua, rimanendo all’interno della cabina e ascoltando il quieto gocciolare, respirando, guardando le porte scorrevoli annebbiate dal vapore.

Inconsciamente si spose e lasciò che le sue dita toccassero quei vetri annebbiati.

 

Avrebbe impegnato le ore che le restavano, sarebbe andata alla frontiera e avrebbe fatto il suo dovere, solo il suo dovere. L’avrebbe tenuto alla larga. Non ci sarebbero state provocazioni o insinuazioni. Non si sarebbe permessa di perdere la testa, metaforicamente o letteralmente. Calma, sarebbe rimasta impassibilmente calma.

 

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1:47

 

Un brivido di anticipazione le scosse il corpo.

Il suo respiro si frammentò in nuvolette e chiuse momentaneamente gli occhi, abbandonandosi contro la torcia, lasciando che il calore e l’iniezione facessero effetto. I dolori alle articolazioni erano diminuirono pian piano, insieme al peso sulle palpebre, i muscoli contratti appena un fiotto di calore corse lungo la sua spina dorsale.

 

In pochi minuti la sua stanchezza era sparita. Sentendosi più fresca che in tutto l’arco della giornata, guardò la siringa che teneva in mano: troppe dosi avrebbero avuto un pessimo effetto sul suo corpo e avrebbe rischiato di diventare dipendente da quell’energizzante. Ma il solo pensiero di addormentarsi una volta a casa suscitò una sensazione di presagio e si domandò quanto vicino sarebbe arrivato il corvo la prossima volta che avesse chiudo gli occhi.

 

Temari strizzò gli occhi in autoaccusa. Parte di lei odiava preoccuparsi così tanto per quei sogni consecutivi ed inquietanti, ma non riusciva a non rabbrividire al ricordo di quell’uccello e delle sue zampe prensili che si appoggiavano ovunque.

 

Qualcosa di simile all’eccitazione saltellava alla bocca dello stomaco, e si trovò senza pensarci ad asciugare i palmi sudati delle mani contro i pantaloni dell’uniforme.

Dovere, si ripeté. Fai il tuo dovere e tienilo fuori, nient’altro.

Quando dopo otto minuti lui arrivò, Temari non disse assolutamente nulla, per un attimo ammutolita alla scossa nervosa del suo stomaco. Inconsciamente, si strinse al suo ventaglio, portandoselo sempre più vicino mentre lui si toglieva dalle spalle la sua falce.

Senza dire una parola, la lasciò cadere sulla sabbia prima di sedervisi accanto, senza guardare in direzione di Temari.

Lei lo guardò, un sorriso sardonico sulle labbra. Lui estrasse il rosario ed iniziò a pregare senza degnarla di uno sguardo.

Voleva giocare, eh? Farla parlare per prima. Era anche più infantile di quanto avesse pensato.

Incrociando le braccia, rimase appoggiata alla torcia, aspettando.

 

Il deserto era silenzioso, solo il crepitio delle fiamme accarezzava l’aria, come una fila di candele in un letto di sabbia. Temari non mosse mai lo sguardo dalla sua figura immobile, né si girò per controllare le altre sentinelle.

Circondata dalle tenebre, sotto la luce calda della torcia e nella breve distanza che li separava, Temari si sentiva come se loro due fossero le uniche cose vive nel desertoentrambi silenziosi e a cavallo di un limite invisibile sepolto sotto una tonnellata di sabbia, entrambi che giocavano a “scommetto che parlerai prima tu”, entrambi consapevoli di chi sarebbe stato in vantaggio se uno di loro avesse osato varcare quel limite.

 

Fu lui a rompere il silenzio per primo, le sue parole casuali che mascheravano un divertimento malcelato.

- Non credevo saresti tornata.-

Temari lo guardò,  senza sapere se stesse sogghignando o facendo una smorfia nel rispondere.

- Perché non avrei dovuto?-

Lui scrollò le spalle.

- Pensavo non l’avresti fatto, visto come ti ho fatto cagare sotto ieri.-

Temari ridusse gli occhi a una fessura, la voce tagliente e glaciale.

- Mi hai colto di sorpresa, ecco tutto.- fece una pausa, il tono divenne sardonico.- Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che non può morire, dopotutto.-

- No, cazzo.- sbadigliò, prima di stiracchiare le braccia e unire le mani dietro la testa, lasciandosi cadere di schiena nella sabbia.- Qual è il tuo piano allora, visto che non puoi uccidermi?-

- Sono qui solo per fare il mio lavoro.- replicò lei.- E impedirti di attraversare il confine.-

- Ti ho già detto tre cazzo di volte che non ho intenzione di fare niente.-

- E nulla di ciò che dici mi porta a crederti.-

Lui non rispose per qualche secondo, osservando in silenzio il cielo puntellato di stelle.

- E se stessi mentendo?- chiese all’improvviso, quasi placidamente.- Facciamo che attraverso il confine. Cosa faresti?-

 

Temari lo fissò, ondate di paura fredde come il ghiaccio si infrangevano sulla sua schiena. Strinse la sua presa sudata intorno al ventaglio mentre si sporgeva in avanti.

Dovere, prima di tutto. Non provocarlo. Non insinuare. Dovere prima di tutto.

- SE lo farai.- replicò con calma.- Dovrò fermarti.-

- E pensi di farcela?-

- Se sono costretta.- disse brevemente, complimentandosi con se stessa per riuscire a tenere la voce neutrale quando le sue caviglie stavano affondando nella sabbia e le sue dita tremavano incontrollabili sul manico del ventaglio.

- Cercherai di uccidermi non appena te ne darò l’occasione.- continuò tranquillo, un’affermazione più che una domanda.

- Sì.- affermò, ricordando la conversazione della notte precedente.- Ma a te piacerebbe, non è vero?-

Lui ridacchiò a quella domanda e aollevò leggermente la testa dal nido delle sue mani per guardarla.

- Lo adorerei, davvero.-

 

Non era sicura se le sue guance fossero in fiamme per l’iniezione o per il fatto che si sentisse in qualche modo violata. Qualcosa nella sua voce aveva la straordinaria capacità di deriderla, anche mentre rispondeva a una domanda qualsiasi. La irritava da morire.

- Ma ho una fottuta fortuna dalla mia.- sbuffò, la testa che tornata ad appoggiarsi alle mani sulla sabbia.- Nessuno può uccidermi.-

Temari ringhiò, la sua voce graffiante.

- Allora perché non fai un favore a tutti e ti uccidi da solo?-

Lui non rispose e ogni eco nella sua testa di quelle crudeli parole lasciate sospese nell’aria fredda aumentavano il suo ghigno. Un mese fa, forse si sarebbe sentita in colpa per una frase così terribile. Ma ora, invece di rimorso e vergogna, sentiva solo pura soddisfazione, mentre lo osservava immobile.

- Già provato. Non funziona.-

Temari sbattè le palpebre, la voce piatta.

- Provato cosa?- chiese, prima di riuscire a fermarsi.- A ucciderti?-

- In ogni modo a cui puoi pensare. Niente funziona.-

- Come funziona? Non hai la libertà di decidere della tua immortalità?-

- Diciamo così.-

 

Temari sogghignò. Il dovere prima di tutto, certo. Questo implicava non parlare con lui se non fosse strettamente necessario. Ma non potè resistere all’opportunità di ricambiare le prese in giro che lui le aveva tranquillamente offerto la scorsa settimana.

- Ne dubito.- disse con fare arrogante.- Probabilmente non lo fai nel modo giusto.-

Lui alzò la testa per gettarle un’occhiata.

- Mi stai dando dei consigli?-

- Diciamo così.- lo imitò.- Perché no, la tua morte ci farebbe felici entrambi.-

Lui assunse un tono di voce ferito, mettendosi una mano sul cuore.

- Questo è crudele, davvero. Penso che potrei anche farlo…se me ne fregasse un cazzo di quello che pensi.-

Temari alzò le spalle, per nulla turbata dal suo sarcasmo.

- Pensavo avresti apprezzato qualche suggerimento, dato che mi pare di capire che non sei capace di ucciderti da solo.-

Lui rise. Un suono crudo e senza emozione nell’aria fredda della notte.

- Pensi di poter fare meglio? Vieni avanti, colpiscimi!-

- Impiccati.- suggerì, la prima cosa che le venne in mente.- Veloce. Efficace. Non sporchi neanche in giro.-

- Provato.-  sbuffò.- Mi sono pure rotto il fottuto collo. Non ha funzionato.-

- Veleno.- continuò, senza esitare, la sua voce tranquilla come se fossero in una sala da the.- Overdose di droga.-

- Potrei bere un litro di candeggina e non mi farebbe un cazzo.- replicò secco.- Davvero, non serve a nien…-

- Annegamento.- lo interruppe, la mente che correva a tutte le tecniche di suicidio che conosceva.- Asfissia.-

- Fatto e fatto.-

- Decapitazione.-

- Fa un male bastardo, te lo giuro.-

- Sei sopravvissuto a una decapitazione?- domandò incredula.

- Sono qui, no?-

- Non ti credo.-

- Come se ne fregasse. Cosa vuoi? Una dimostrazione?-

Temari esitò un momento.

- Bombe.- disse infine.

 

Lui la guardò dalla sua postazione nella sabbia, in silenzio. Fiorì in lei un’improvvisa fiducia, un sorriso maligno lottava per attraversare il suo viso, la voce in possesso di un tono serio e clinico mentre descriveva la sua idea, una morte istantanea senza possibilità di salvezza. Non si preoccupò nemmeno di nascondere il suo entusiasmo.

- Non puoi dirmi che hai provato anche questo. Non c’è scampo, se sono attaccate al tuo corpo. La vicinanza dell’esplosione ti farebbe andare in mille pezzi…-

- Che è il motivo per cui non sono tanto stupido da provarci.- la interruppe.

Temari lo fissò, il suo labbro superiore che si incurvava in un sogghigno.

- Perché, hai paura?-

Lui si sedette di scatto e istintivamente le mani di Temari corsero al suo ventaglio, le dita tese sul metallo. Lui stava lì seduto, le braccia  lungo i fianchi, e la guardava in silenzio.

Non provocarlo, si ricordò, il cuore che correva all’impazzata. Occhio alla tua boccaccia, Temari.

Lui la guardò per qualche altro secondo, poi girò la testa di lato, storcendo il naso.

- Solo i pagani avrebbero paura.-

Quando Temari non disse nulla, lui continuò, giocherellando con la sabbia.

- Se non pensassi che mi lascerebbe ancora vivo e inutile anche se in mille fottuti pezzi, l’avrei già fatto da un pezzo.-

 

Temari inghiottì a vuoto.

Senza nemmeno volerlo, le aveva appena ricordato quanto fossero inutili tutti i suoi miseri tentativi e le sue stupide tecniche, distruggendo tutte le sue speranze di difendere il suo villaggio e la sua famiglia.

Era come uno schiaffo in pieno viso.

Sconfitta, si lasciò cadere a peso morto contro la torcia, fulminandolo con lo sguardo stanco.

Prima di incontralo, si era immaginata l’Akatsuki come un gruppo di cretini senz’anima, senza emozioni,  degli animali estranei all’altruismo, alla paura o a desideri che non fossero politici o materialistici. Era tutto ciò che volevano no? Potere? Influenza?

 

Lui aveva distrutto quell’immagine nemmeno un’ora dopo il loro incontro.

 

Sono sacrifici per il mio dio.

Altruista. Serve uno scopo più alto.

Non mettermi nella stessa categoria di quei pagani.

Dissociazione.

Posso anche lavorare per loro, ma ho il mio personale “ordine del giorno”.

Obiettivi che vanno oltre politica e materialismo.

La morte ha deciso di vendicarsi di me.

……perché?

 

La sua apparente immortalità e il suoi sconvolgente desiderio di morire erano le cose che più di tutte avevano distrutto le sue percezioni. La visione del sociopatico idealista affamato di potere era stata stravolta nella sua mente, le sue opinioni sconvolte, i suoi pensieri confusi.

Che cosa cercava lui? Perché quel desiderio di morte? Perché a lei importava?

Tieni vicini i tuoi amici, pensò debolmente, richiamando l’antica regola non scritta che ogni ninja di Suna conosceva. Ma tieni ancora più vicini i tuoi nemici.

Trenta giorni o poco più: l’ammontare di tempo che avrebbe passato in sua compagnia.

Trenta giorni o poco più, e lei doveva tenerlo fuori dal confine.

Trenta giorni o poco più, lei doveva essere pronta e all’erta, preparata a combattere e a morie.

Lei aveva trenta giorni o poco più per conoscerlo meglio, memorizzare i suoi umori e le sue abitudini, capire cosa lo faceva arrabbiare, cosa lo interessava e cosa lo spingeva a fare quel che faceva.

 

Trenta giorni o poco più per soddisfare il fascino che esercitava su di lei quell’uomo che l’aveva invasa tutta, in ogni pensiero, in ogni respiro.

 

Temari prese un respiro profondo.

- Perché morire?- chiese all’improvviso.- Perché non vivere per sempre?-

Non si preoccupò di guardarla, stavolta, tenne gli occhi incollati al cielo nero.

- Perché farlo.- replicò amaramente.- In  questo mondo di merda?-

Temari lo fissò, sorpresa dal suo rancore.

- Che cos’ha di così male?- continuò dopo un momento, più calma di prima. Lo guardava in silenzio, allentando la presa sul ventaglio.

- Perfino un coglione potrebbe rispondere a questa domanda.- mormorò dopo un momento.- Il mondo è pieno di pagani senza dio.-

Lei ci pensò un momento, ricordando quanto più potesse delle pratiche e degli ideali delle religioni comuni. Diffondere la Parola, convertire i pagani…non erano quelli i concetti chiave di una religione?

- Allora perché non fai la tua parte e li converti?- chiese, il suo tono più amaro del voluto.- Non è il tuo lavoro fare…-

- Ho fatto abbastanza.- sbottò all’improvviso, mettendosi a sedere bruscamente.- Ho fatto anche fottutamente più di quanto avrei dovuto. Ma ancora…-

Silenzio.

- Ma ancora cosa?- chiese un momento, i nervi che si tenero di nuovo quando lui si voltò a guardarla.

- Perché tutte queste domande, all’improvviso?-

Temari fece un grosso sforzo per mantenere la voce atona e piatta.

- Sei tu quello che ha detto che mi avrebbe spiegato la differenza tra i tuoi obiettivi e quelli dell’Akatsuki.-

- Non c’è tanto da dire.- si tolse della sabbia dal mantello.- Loro vogliono il potere, io voglio finire la mia missione andarmene dalle palle.-

Quando non proseguì, Temari sentì la sua pazienza diminuire e scossò un’occhiata all’orologio.

 

3:22

 

-Hai ancora un’ora e mezza…- disse lei impaziente, sporgendosi.-…spiegati meglio.-

Lui sogghignò e guardò nuovamente il cielo.

- Credo in un dio?-

Inconsciamente, Temari si trovò a seguire il suo sguardo, alzando gli occhi all’imponente tenebra sopra di , punteggiata con una miriade luminosa di stelle. Per un momento, si prese il tempo di guardarle, incapace di ricordare l'ultima volta che aveva avuto il tempo di apprezzare le costellazioni

I suoi occhi andarono immediatamente a quella disposizione di stelle che aveva osservato fin dall'infanzia, riconoscendo la forma e sorrise un po’ al ricordo del nome che lei e Kankuro gli avevano dato. Le luci formavano un oggetto riconoscibile all'istante.

Un martello d'argento.

Argento, riflette lei, perché quella era l'unica cosa a cui poteva paragonare il brillante delle stelle quando era piccola.

Sembrava esattamente uguale a quando aveva sette anni.

 

Abbassò gli occhi, sbattendo le palpebre alla vista di lui che la fissava in attesa.

- Sì.- rispose infine.

Lui la considerò in silenzio per un momento, prima di sdraiarsi nuovamente, con un tono compiaciuto mentre parlava.

- Lo sa anche lui.- disse facendo un gesto vago.- Sa che il mondo è pieno di merda. È un test per vedere chi ce la fa e chi no, per vedere chi se ne esce sporco e chi pulito.-

Temari ascoltava attentamente, mordendosi inconsciamente un labbro.

- Ma il fatto è, nessuno se ne infischia più. Nessuno se ne frega un cazzo di niente, a parte denaro e scopate. Andranno tutti all’inferno.- pausa.- Siamo tutti sporchi.-

- Non tutti.- disse Temari, ricordando i monaci che aveva incontrato una volta andando a Konoha.- Qualcuno ancora…-

Fece un suono di scherno con la gola, scuotendo una mano in un gesto assente.

- Cause perse. Non vanno da nessuna parte con la loro convinzione di redimere i pagani. Come ho detto, andremo tutti in merda. Non c’è scampo.-

- E quindi…intendi lasciare tutto così?-

- Cazzo no. Sto dicendo che è troppo tardi per pentirsi. Sto dicendo che se le cose cambiano, andranno ancora più di merda, quindi potremmo anche porre fine a tutto adesso.- disse, una nota di eccitazione nella voce.

Temari lo fissò senza capire.

- Mettere fine a tutto?-

- Siamo tutti in ritardo per il giudizio.- dichiarò facendosi avanti, le braccia appoggiate alle ginocchia.- La proposta di Jashin è di finirla il prima possibile.-

Sudore freddo danzava in perle sulla sua fronte, la domanda forzava il nodo che le si era formato in gola.

- Come?-

Lui sogghignò.

- Secondo te?-

 

Lo rivide un paio di notti fa, mentre si puliva con calma dal sangue delle ragazze di cui non conosceva i nomi, ragazze che probabilmente non meritavano il destino a cui inevitabilmente erano andate incontro. Lo rivide pregare, sereno, con il peso gravoso dell’omicidio, tolto dalle spalle e annegato nel lago dell'oasi, abbellito con il nome di sacrificio.

Temari non riusciva a parlare, improvvisamente più spaventata che mai dalla sua vicinanza.

- Li uccidiamo.- la voce in un crescendo di eccitazione.- Continueremo a ucciderli finchè non ne rimarrà nessuno. Far sì che tutti ricevano il giudizio è il mio lavoro, è la mia missione. Vivrò finchè il potente Jashinnon sarà soddisfatto dei miei servigi. E allora…-

 

Pausa.

 

- Allora potrò morire.-

Temari lo guardò, paura e disgusto su e giù per la gola, soffocando le parole che tentavano di farsi strada.

- Non hai fatto abbastanza?- riuscì a gracidare.

Quanti ce ne sono lì dentro? pensò, gli occhi rivolti all’oasi. Quanti ne hai

- Se così fosse, non sarei qui ora.- replicò seccato.

Temari lo fissava, nauseata e sconvolta, la mente correva in tutte le direzioni..

 

È pazzo. Non posso lasciare che uno così attraversi il confine. Mai. Si sbaglia. È pazzo. Non posso vincerlo. Si sbaglia.

 

- Quindi se per caso ti viene in mente un modo interessante per suicidarmi, fammelo sapere. Perché davvero, le ho provate tutte.- fece una pausa e una piccola curva gli disegnò un sorrisetto sulle labbra.- E se pensi di potermi uccidere…provaci. Hai delle buone potenzialità.-

Temari si trovò nuovamente senza parole, per la seconda notte di fila, incapace di mettere insieme le lettere mentre la sua mente urlava, ribolliva, esplodeva.

 

Oh ti prego, fagli del male. Solo una volta. Prova. Solo una. Fagli del male, per favore. Almeno una volta.

 

Ma poi i suoi occhi caddero sul suo mantello, iniettando senso nelle vene della sua mente accecata dalla furia, ricordandole cos’era, chi era, e dicendole ripetutamente e disperatamente che non avrebbe mai avuto una possibilità.

 

Ti odio ti odio ti odio TI ODIO!

 

Con calma, si alzò e prese con sé la sua falce, la sistemò sulla schiena e si voltò a guardarla, lì, in piedi nella sabbia.

Così vicino...qualcuno in grado di giustificare i propri motivi per uccidere senza sensi di colpa, senza rimorsi, con passione. Uno come lui era così vicino, fisicamente e mentalmente, la cadenza della sua voce che continuava a rimbalzare in un eco senza fine nel profondo della sua mente, che affliggeva i suoi pensieri in ogni momento della giornata

Senza nemmeno accorgersene si ritrovò in piedi, stringendo forte il ventagli oal suo fianco in posizione d’attacco.

 

Pochi passi. Tutto ciò che occorreva.

 

Fagli male per favore. Solo una volta. Almeno una volta.

 

Una sensazione di potere era ciò che si aspettava dall’orribile e maligna sensazione che si era impossessata di lei. Sentirsi inarrestabile era quello che si era immaginata avrebbe provato in questo momento, ogni volta che dipingeva questo scenario nella sua testa.

 

L’ultima cosa che si sarebbe aspettata era di sentirsi male dalla rabbia.

Un attimo dopo il ventaglio le scivolava dalle dita, cadendo con un tonfo sordo sulla sabbia.

Lui sorrise, prima di voltarsi e andarsene.

 

- Sogni d’oro, Bionda.-

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Ora dopo, quando il suo turno era finito e si era ritrovata davanti all’ingresso di casa, era con aria afflitta e gesti meccanici che aprì la porta. Si fece lentamente strada attraverso il corridoio buio fino in cucina. La casa era silenziosa, eccetto il ronzio degli elettrodomestici, e la luce lattea della luna penetrava dalle finestre.

 

Fermandosi alla piccola cabina vicino alla dispensa, la aprì e ne estrasse un contenitore di sonniferi.

Erano di Gaara. Gli era stata prescritta una dose minima, specifica per l’insonnia.

Sapendo che ne sarebbe bastata mezza, prese due pillole, sperando nell’effetto blak-out.

Niente sogni.

Niente corvi.

Si rannicchiò sul divano, accese la TV e si concentrò su quanto stavano trasmettendo.

Qualcosa di simile a un singhiozzo e una risata si trovarono catturati in gola, quando riconobbe le immagini come lo stesso film romantico che aveva visto l'altra sera.

In pochi minuti i sonniferi iniziarono a fare effetto e Temari continuava a guardare lo schermo.

L'eroina si struggeva e aspettava il suo amato. L'eroe non riusciva a smettere di fantasticare su di lei.

Un bacio appassionato e un abbraccio ogni tanto. Il culmine della loro passione nel fare l'amore.

Formula: tensione, crescendo, orgasmo, post-orgasmo.

Temari deglutì a fatica, comparando inevitabilmente quello che provava al ciclo dell’amore, sperimentando una vaga sensazione di compiacimento nel disegnarne i parallelismi.

Non si sarebbe ricordata la sconcertante e travolgente urgenza di ridere e piangere insieme, quando il giorno dopo si sarebbe svegliata.

 

Amore.
Sudore, sperma, saliva.

 

Odio.
Sangue, vomito, lacrime.

 

 

Non riesco a togliermi dalla mente pensieri di te. Voglio toccarti, piacerti, darti piacere. Ti voglio nel mio letto. Voglio noi due insieme, io su di te, tu su di me. Voglio sentirti dire il mio nome. Voglio sentirti implorare di più. Sento il sangue correre. Riesco a sentire il calore in aumento. Voglio le tue unghie nella mia schiena e voglio che veniamo insieme. , dì ancora, non smettere mai di implorarmi.

 

Non riesco a togliermi dalla mente pensieri di te. Voglio tagliarti, bruciarti, darti dolore. Ti voglio nel fango. Voglio noi due insieme, io su di te, tu bloccato sotto di me. Voglio sentirti gridare il mio nome. Voglio sentirti implorare pietà. Sento il sangue correre. Riesco a sentire il calore in aumento. Voglio le mie unghie sulla tua faccia e voglio che gridiamo insieme. no, basta, non smettere mai di implorarmi.  

 

Dimmi quando ti piace. Dimmi quando stai per venire. Voglio vedere lo sguardo sul tuo viso quando succede, quando l'estasi diventa più forte e ti dimentichi di respirare.

 

Dimmi quando fa più male. Dimmi quando diventa troppo. Voglio vedere lo sguardo sul tuo viso quando succede, quando l'angoscia diventa più forte e smetti di respirare.

 

Voglio giacere accanto a te, dopo. Voglio baciarti e dirti, mio amato, che sono contenta che siamo insieme. Tra il sudore e il calore e le lenzuola, voglio che ci crogioliamo in questo sentimento.

 

Voglio giacere accanto a te, dopo. Voglio sputarti in faccia e dirti, mio odiato, che sono contenta che siamo insieme. Tra il sangue e il freddo e la stoffa a brandelli, io voglio che ci crogioliamo in questo sentimento.


E anche se lo sai già, caro, voglio dirti che ti amo.


E anche se lo sai già, caro, voglio dirti che ti odio.

 

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