Lady War

di Momoko The Butterfly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quell'uomo seduto accanto... ***
Capitolo 2: *** Rabbia e disperazione ***
Capitolo 3: *** Quell'abisso dal quale emergere... ***
Capitolo 4: *** 'Piccole' incomprensioni per inziare alla grande... ***
Capitolo 5: *** Occhi rossi nell'oscurità ***
Capitolo 6: *** Colpo di pistola ***
Capitolo 7: *** Sensazioni indescrivibili ***
Capitolo 8: *** Al termine del viaggio... ***
Capitolo 9: *** Troppe verità ***
Capitolo 10: *** Sussurri dal Paradiso ***
Capitolo 11: *** La Lady della Guerra ***
Capitolo 12: *** Luci nella foresta ***
Capitolo 13: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 14: *** Bruciante sensazione di sconfitta ***



Capitolo 1
*** Quell'uomo seduto accanto... ***


Lady War
In un futuro post apocalittico, l’umanità è stata rovesciata. La terra non è più la stessa. Mostri orribili in grado di divorare le anime degli esseri umani, chiamati Akuma, vagano portando morte e distruzione. Dietro a tutto ciò c’è uno strano figuro che indossa un fantomatico cappello e un cappotto color crema: il Conte del Millennio. Leda e Alan viaggiano verso l’Ordine Oscuro, sede dei ribelli combattenti alla ricerca dei segreti per riscattare le sorti della loro gente, accompagnati da misteriosi personaggi le cui sorti si intreccieranno a quelle dei due fratelli.





Capitolo 1: Quell'uomo seduto accanto...


Il nulla si protendeva per chilometri e chilometri, senza fine, lungo le aride piane del Nord America. O meglio, di quel che ne rimaneva.
Un solo colore predominava su tutto quell’ambiente, il cui vento portava con sé l’odore della morte: grigio.  Esso ricopriva, come una patina di cenere, ogni dettaglio: terra, sassi, perfino le vecchie piante rinsecchite.
L’orizzonte era indistinto, si dissolveva nella nebbia e si fondeva con il cielo bianco sporco, ricoperto di nuvole.
Ciò che però era impossibile non notare, non era la totale assenza di policromia, quanto l’inesistenza di alcun tipo di suono. Lo stridio di un rapace in volo, il movimento trascinato di una serpe sul terreno, il rumore del vento… Erano completamente assenti. L’intera pianura presentava la stessa identica situazione, monotona, silenziosa, sterile.
Attraversarla tutta valeva a dire un mese di viaggio. E saperla attraversare tutta denotava una costanza e una forza d’animo incrollabili.
 
Leda l’aveva attraversata già tre volte. Quel giorno sarebbero diventate quattro.
A prima vista uno sconosciuto direbbe che una bambina non potrebbe mai farlo.
Leda però aveva già diciannove anni e di fanciullesco conservava solo l’aspetto. Ciò che si trovava oltre quel viso liscio e un po’ imbronciato era un atteggiamento rude, riservato e diffidente. Il viso di una ragazza plasmato dalla guerra, dovuta crescere in fretta per proteggere l’unica cosa che ancora le restava della vita che aveva perduto: suo fratello Alan, un ragazzino di dodici anni sempre sorridente, nonostante tutte le disgrazie passate.
Ora Leda stava tornando da lui, al luogo nel quale lo aveva lasciato con mille raccomandazioni: l’Ordine Oscuro. Una comunità di sopravvissuti, di persone scampate alla crudeltà della guerra e rifugiate in una grande struttura di forma piramidale, immensa, protetta da un campo di forza impenetrabile studiato dai più abili scienziati. In quel luogo suo fratello sarebbe stato al sicuro. Forse. Non si era mai fidata pienamente delle persone che lo comandavano. Più e più volte le era capitato di bisticciare con gli addetti della sezione scientifica, nonché con il loro supervisore: Renny Epstain, una donna a suo dire piuttosto fredda e calcolatrice.
Alan però era sempre stato felice. E questo, in qualche modo, la ripagava di tutti i sacrifici che era costretta a fare vivendo lì. Il suo sorriso era un sole luminoso che rischiarava la sua anima attorniata dalle tenebre.
 
L’unica persona, a suo dire, degna di vero rispetto, era Theodore Prince, un anziano sulla sessantina, calvo, con un paio di folti baffoni candidi sul viso asciutto e rugoso, e con un corpo talmente esile da dare l’impressione di essere sempre sul punto di collassare. Era però un uomo forte ed essenziale, e aveva dimostrato, in più di un’occasione, una dolcezza quasi paterna per i due fratelli, che aveva accolto nella sua vecchia locanda offrendo un lavoro a Leda e prendendosi cura di Alan. I due fratelli gli dovevano molto, soprattutto Leda. I primi mesi, quando ancora piangeva e si dimenava nel sonno, cercando di fuggire le immagini dei suoi genitori, che ogni volta gridavano disperati invocando aiuto per poi tramutarsi in polvere, Theodore era sempre stato al suo fianco. Non corsero molte parole tra loro, ma questo bastò. La sola presenza dell’anziano fu determinante. Scosse infatti Leda nel profondo, aiutandola a superare la depressione e a farle capire che c’era qualcuno che doveva proteggere, ora: Alan. L’aiutò a trovare l’appiglio cui aggrapparsi per la sua salvezza. E non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza per questo.
 
Sul grigio orizzonte arido e secco si stagliò, avvolta da una leggera nebbiolina lattiginosa, la punta della gigantesca piramide.
Leda sollevò lo sguardo dal terreno facendo ombra sugli occhi per evitare di venire investita dal cielo bianco sporco, che con la sua ingannevole lucentezza sembrava volesse accecarla.
Quando la vide, mandò giù un groppo che le era venuto alla gola per l’emozione. Era ansiosa di rivedere Alan e, finalmente, dopo ben due mesi e mezzo di assenza, ciò sarebbe stato possibile.
Accelerò appena il passo. Era stanca e le piante dei piedi le dolevano molto, probabilmente a causa delle vesciche, ma nulla le avrebbe impedito di raggiungerlo.
Effettuò un rapido calcolo mentale: in un’ora, massimo due, avrebbe varcato l’immensa soglia della sede.
Non sapeva con precisione che ore fossero, perché il sole era mascherato dai fitti e spessi nuvoloni bianchi che ricoprivano il cielo, ma in base alla luce che filtrava da essi dedusse che era ancora mattina.
Entro il pomeriggio avrebbe raggiunto la sua meta…




 
Leda raggiunse l’entrata della sede: un pesante portone che, date le ciclopiche proporzioni, pareva essere fatto di un qualche tipo di materiale metallico spesso. Era serrato, e non lasciava intravedere nemmeno il più sottile spiraglio di vita che brulicasse all’interno. Leda si avvicinò e batté un paio di volte la propria mano sulla superficie fredda e dura con decisione, chiedendo di entrare. Non successe nulla e così provò una seconda volta. Ancora niente.
Tutto ciò le pareva molto strano.
Solitamente, c’era un uomo o una piccola squadra addetti all’apertura del portone, e avevano il compito di identificare i viaggiatori che venivano dall’esterno. Quella volta, però, sembrava non ci fosse nessuno. Leda s’innervosì a quella distrazione. O forse avrebbe dovuto chiamarla presunzione?
Batté ancora i pugni sul portone, e il risonante clamore metallico si propagò per tutta la pianura ripetendosi nel nulla fino a disperdersi completamente, facendo ripiombare poi il luogo in un imbarazzante silenzio. A quel punto Leda perse le staffe, come d’altronde le accadeva in quelle situazioni. Cominciò a tirare calci e a inveire contro la porta, certa che, se non si fossero accorti di lei, in quel modo lo avrebbero fatto di sicuro.
- Fatemi entrare, bastardi! – gridò infuriata, al limite della sopportazione.
E proprio mentre stava per pronunciare tutta un’altra serie d’insulti davvero poco misurati, udì un flebile calpestio dall’altra parte dell’immensa porta.
Cigolò, con un pesante e rimbombante rumore di metallo che sferraglia. Subito dopo iniziò a schiudersi, pian piano, aprendosi sufficientemente a creare un sottile passaggio all’interno del quale Leda riuscì a sgattaiolare con facilità, avanzando a passo di marcia e pestando con rabbia i piedi sul terreno arido.
Si ritrovò all’interno di un corridoio alto quanto la porta, attraversato da lunghi tubi di ferro arrugginiti che emettevano piccoli sbuffi di vapore bollente. Accanto a lei comparvero due uomini vestiti entrambi con dei camici bianchi e puliti e dall’aria intelligente. Leda rivolse loro in un’occhiata tutto il suo disprezzo, mentre si allontanava da loro con passi pesanti. Uno dei due uomini ricambiò lo sguardo. Evidentemente la conosceva, o meglio; conosceva le sue maniere. Entrambi, però, non osarono aprir bocca. Conoscevano anche la sua lingua biforcuta…
 
Leda sfrecciò lungo il corridoio, respirando a fondo per recuperare la calma. S’innervosiva facilmente, ed era molto difficile per lei poi tornare normale. Quando però arrivò in fondo e girò a destra, imboccando una strada più bassa ma comunque larga, venne investita improvvisamente dal vociare acuto e sommesso della gente, numerosa, che si spostava da una bancarella all’altra con grossi sacchi carichi di provviste in mano. Il Mercato.
L’ambiente era illuminato e ampio, e le voci delle persone si sovrapponevano fra loro, confuse, rimbombando fastidiosamente nelle orecchie. I rumori, gli odori della frutta, della verdura e dei cibi che le saettavano davanti in mano alle donne coi figli, in qualche modo la rilassarono. Fecero riemergere nella sua mente sensazioni famigliari. Strinse il suo zaino sulle spalle, calcandoselo ben bene in modo che non gli sfuggisse di mano e s’inoltrò tra la gente che si muoveva frenetica da un punto all’altro, senza badare a lei e urtandola in tutti i modi possibili.
Leda avanzava a tentoni, aguzzando la vista per scorgere ciò che oltre quel mare di persone non riusciva a vedere, cercando un viso amico, o che comunque conosceva. Nessuno.
Da quando erano arrivati, la popolazione della Sede era aumentata a dismisura. Leda si chiese come facessero per vivere, per dormire, per mangiare, poiché la maggior parte del cibo proveniva da fuori, e le gallerie sotterranee usate per sistemare gli alloggi non andavano oltre una certa profondità. Probabilmente alcuni erano viandanti, stranieri in viaggio… e altri vagabondi.
Il sovraffollamento era un bel problema. Lo sarebbe potuto diventare, se il Supervisore Epstein non avesse fatto qualcosa.
La zona del Mercato era molto lunga. Percorreva un intero corridoio principale per qualche chilometro, fino a giungere alle prime abitazioni, quelle fatte di legno e mattoni. Leda doveva attraversarlo tutto, perché la locanda di Theodore era una di quelle costruzioni antiche. Per lei, che aveva avuto l’abilità di camminare sulle vaste e aride pianure del nord già quattro volte, il Mercato sarebbe stato uno scherzo. In un quarto d’ora raggiunse il confine, segnato da quelle bancarelle che vendevano chincaglierie inutili e che solitamente guadagnavano ben poco.
 
Davanti a lei il corridoio il soffitto si estese, fino a trasformare il corridoio in un’immensa stanza ampia e piena di case, palazzi sbeccati e vecchie baracche di legno. Sembrava quasi una città, senza i viottoli ciottolati e la luce diretta del sole che veniva riflessa sui tetti. Il pavimento era di pietra, liscio e anche un po’ consumato dal tempo; l’illuminazione era artificiale, e non vi era alcun tipo di apertura che potesse lasciar penetrare uno spiraglio di luce naturale. Leda si era oramai abituata a quel genere di vita, e così anche tutto il resto della popolazione. Era una precauzione necessaria affinché gli Akuma non li attaccassero. All’esterno erano protetti da quattro pilastri antichi, che creavano una barriera di energia sufficiente a non far passare nemmeno la più piccola impurità.
Solo gli esseri umani potevano attraversarla, e gli intrusi venivano abbattuti dalle guardie.
Aveva sentito parlare di entità mistiche chiamate ‘Apostoli di Dio’, che in passato sconfiggevano gli Akuma e difendevano le persone ma, da quello che aveva letto nei testi antichi, si erano tutti estinti, o nascosti. Il loro numero si contava però sulle dita di una mano. Se non erano ancora spariti del tutto, lo avrebbero fatto presto. Leda li considerava dei vigliacchi. Avevano abbandonato la loro gente lasciandola morire nel dolore. Ovunque fossero stati sperava che ci restassero, perché dall’umanità non avrebbero ricevuto altro che odio, e un immenso senso di vergogna. Ormai la gente si era arrangiata a combattere gli Akuma con tutti i mezzi tecnologici in loro possesso, e ne andava fiera.
 
Si portò sul lato destro della strada. Subito dopo, un carro sfrecciò veloce accanto a lei, smuovendole i capelli castani e vaporosi con una forte ventata che li portò all’indietro. Leda se li ravviò con un gesto istintivo della mano. Gettò un’occhiata scocciata alla vettura e poi tornò a camminare con lo sguardo fisso davanti a sé. Proprio in quel momento svoltò a destra, seguendo ancora la strada e passando di fronte alla vetrina di un negozio di giocattoli, l’unico di tutta la sede. C’erano molti bambini, soprattutto piccoli, e i peluche e i trenini di legno andavano a ruba, tra la gente più ricca. Proprio mentre stava per passare oltre, si fermò. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione in quella vetrina spenta e impolverata.
Si appiattì contro il vetro e puntò i suoi grandi occhi di liquirizia su una scatoletta piccola e tonda, metallica, con incisioni e rifiniture scintillanti ed eleganti. Stette per qualche secondo ad osservarla, poi si staccò ed entrò timidamente nel negozio facendo suonare un campanello appeso al soffitto. Si bloccò, aspettando che tornasse il silenzio, guardando lo strumento quasi con timore. Non aveva mai amato quel suono tintinnante e fastidioso che si propagava per tutto il locale, annunciando festoso che qualcuno era entrato per spendere il proprio, sudato, denaro. Difatti, qualche attimo dopo, comparve un uomo anziano, che indossava un berretto verde spento e portava sul naso un paio di occhiali tondi e piccoli. Leda lo osservò avvicinarsi al bancone con circospezione, per poi fare lo stesso.
L’uomo si chinò lievemente su di lei, poi sorrise.
- Cosa posso fare per te, signorina? – domandò con una vocetta tremula, sfregandosi le mani.
- Vorrei… fare un acquisto – biascicò la ragazza voltando la testa verso la vetrina e cercando di fuggire lo sguardo compiaciuto dell’uomo.
Questo sussultò lievemente, interessandosi di più.
Fece il giro del bancone e le si affiancò, rivolgendole un falso sorriso.
- Cosa ti piacerebbe acquistare?
Leda alzò il braccio e indicò con decisione la scatoletta in vetrina.
- Quello – disse, con tono atono.
All’uomo brillarono gli occhiali. Veloce si spostò nella direzione indicata e prese delicatamente tra le mani ossute il piccolo oggetto. Tornò indietro e lo mostrò alla ragazza.
- Questo, signorina? – chiese, aprendo la mano davanti al suo naso.
- Sì – pronunciò Leda, senza aggiungere alcun sentimento.
Gli atteggiamenti di quell’uomo la innervosivano. Era una persona avida di denaro. Un giocattolaio dovrebbe però essere avido dei sorrisi dei bambini, non del tintinnare delle monete. A stento trattenne la stizza, mentre gli posava sul bancone i soldi per pagare. Lo vide afferrarli e stiparli dentro un sacchetto di iuta. A quel punto s’impadronì della scatoletta, la infilò nel suo zaino e velocemente si avviò all’uscita.
- Arrivederci – disse, mentre richiudeva la porta dietro di lei e usciva in fretta e furia, senza aspettarsi alcuna risposta.
 
Si ritrovò nuovamente all’esterno, immersa caos della gente che saettava da una strada all’altra in preda a una fretta quasi maniacale. Leda non se ne curò, e cercò di allontanarsi alla svelta dal campo visivo del vecchio negoziante avido. Continuò a camminare frettolosa lungo la strada, guardandosi circospetta attorno e squadrando ben bene i visi delle persone che le sfrecciavano accanto, noncuranti: tutte persone nuove, mai viste.
Arrivò fino a un incrocio. Attraversò svelta dalla parte opposta e andò dritta. In fondo alla via riuscì a scorgere un edificio di mattoni e legno ancora in buono stato, con un’insegna sbiadita dal tempo sulla grande porta di legno scuro. Accelerò il passo.
Urtò di striscio un passante che si voltò a lanciarle un’occhiata fulminante, ma Leda era già andata avanti e non badava più a nulla. Le sue gambe la facevano correre a perdifiato lungo la strada, senza che se ne accorgesse. La gioia di poter finalmente rivedere suo fratello faceva di lei l’essere più felice della terra.
Si catapultò letteralmente all’interno dell’edificio, spingendo con forza la pesante porta di legno. I presenti – un paio di anziani – si voltarono lentamente verso di lei rivolgendole sguardi confusi. Leda li guardò scoraggiata, per poi ricomporsi e iniziare a guardarsi attorno. Theodore non c’era, e nemmeno Alan. Una cameriera le sfrecciò davanti con due coperte bianche e pulite tra le mani ma, quando si accorse della sua presenza, si arrestò immediatamente.
- Oh, Leda cara! – esclamò, mentre un sorriso pieno di emozione si allargava sul suo volto incorniciato da lunghi capelli rossi.
- Anais – pronunciò Leda, senza emozione. Non si aspettava di vedere lei, ma qualcun altro.
- Quando sei tornata? – domandò la cameriera, avvicinandosi, curiosa. Le mise una manina delicata sulla spalla, chinandosi appena sul suo viso imbronciato.
Leda la guardò negli occhi: due ametiste brillanti e misteriose, ma calde e accoglienti al tempo stesso.
- Ora – disse, lasciandosi fare una carezza amorevole sulla guancia.
- Allora riposati e fa’ con calma – le disse così la donna, con un sorriso.
Poco prima di sparire nuovamente alzò un braccio e le indicò un corridoio alla sua sinistra.
- Ted è di là. Forse c’è anche Alan.
 
Leda si avviò nella direzione indicatale. Quel passaggio conduceva alla caffetteria della locanda, dove gli ospiti erano soliti bere, giocare a carte o consumare qualche pasto veloce prima di partire. Di solito Theodore non lavorava lì. Quello era compito suo. Probabilmente era stato costretto a fare qualche mansione in più, per compensare la sua assenza. Si sentì dispiaciuta. Le ragioni per le quali era partita, però, erano assai più forti. L’unica cosa che avrebbe potuto fare per sdebitarsi, sarebbe stato raccontare a lui e a Alan le scoperte incontrate durante il suo viaggio, se ne avesse mai trovato il coraggio…
Si avvicinò al bancone, dove un uomo anziano ed esile, girato di schiena, stava versando un liquido rossastro in un bicchiere di vetro. Si mise di fronte a lui e, ingrossando la voce, esclamò:
- Hey, tu, qui c’è qualcuno senza drink!
L’altro si voltò di scatto, già pronto a riprendere la maleducata, quando si accorse di chi fosse realmente. Mancò poco perché il bicchiere gli cadesse di mano. Lo porse invece al cliente, fece veloce il giro del bancone e corse letteralmente contro la ragazza. L’abbracciò con una forza tale da soffocarla, nonostante la sottile corporatura.
Leda diventò rossa in viso, sentendosi stritolare da quelle vecchie e forti braccia. Fece di tutto per dimenarsi e quando infine tornò a respirare restituì il gesto all’uomo con altrettanta forza, mostrandogli a sua volta quanto fosse felice di vederlo.
- Oh, Leda… - mormorò l’uomo ridendo di gioia, con le lacrime agli occhi per l’emozione – Finalmente sei tornata!
Leda sorrise, sentendo persino lei gli occhi pizzicare.
- Ciao Ted – disse, contenendo l’eccitazione e catalizzandola in uno sguardo gioioso.
Theodore tornò dietro al bancone afferrando un grosso boccale per pulirlo con un panno candido.
- Com’è andato il tuo viaggio, hai scoperto qualcosa? – domandò, con cuore che batteva a mille per la felicità e la curiosità.
La ragazza abbassò lo sguardo, facendosi improvvisamente seria. Ciò che voleva dire le comportava uno sforzo immane. Il silenzio l’avvolse, immerso nel caos della numerosa clientela del locale.
- L’ho trovata – disse infine, tombale.
L’anziano sussultò, perdendo in un colpo d’occhio tutta la contentezza. Volse i suoi piccoli occhietti bruni sulla superficie di ciliegio del bancone e tacque.
Non domandò altro.
Leda prese posto su uno sgabello, con aria cupa. Giocherellava distrattamente con un pezzetto di carta che si era ritrovata tra le mani senza accorgersene. Era così che reagiva alle situazioni difficili: mostrava il muso e si chiudeva in un atteggiamento rude e scontroso, da maschiaccio.
- Dov’è Alan? – domandò.
- L’ho mandato a prendermi un paio di verdure al mercato. Tra poco tornerà. Posso darti qualcosa, intanto? – domandò Theodore, chinandosi appena su di lei, affrancato.
- Una birra – rispose, atona. Era sollevata però che suo fratello stesse bene. Non vedeva l’ora che arrivasse.
L’anziano le diede le spalle per servirle quanto richiesto. Gli avrebbe raccontato tutto, ma non in quel momento. Non in mezzo a tutta quella gente. Udì infatti una lieve risatina derisoria provenire dalla sua sinistra. Voltò lentamente la testa in quella direzione, con un cipiglio spaventoso.
C’era un uomo accanto a lei, che non aveva mai visto in vita sua. Aveva il viso costantemente messo in ombra da un lungo e, all’apparenza pesante, mantello. Le uniche cose che fu in grado di vedere con chiarezza furono le mani, forti, che stringevano un boccale simile a quello che aveva ordinato anche lei. Nonostante l’aspetto per nulla rassicurante, Leda non si fece troppi problemi. Odiava chi la derideva, e chi si prendeva la sfacciataggine di origliare le sue conversazioni, e non provava timore alcuno nel rispondere alle provocazioni.
- Che c’è di così divertente? – gli ringhiò, bruscamente.
L’uomo mosse piano la testa verso di lei. La ragazza riuscì a vedere solo delle labbra suadenti, che veloci risposero:
- Una birra, per una bambina come te… non pensi che sia un tantino esagerato?
 
Leda si indispettì parecchio.
Strinse i pugni sul bancone trattenendo la rabbia, e la volontà di tirargli un sonoro pugno in faccia, rispondendo per le rime.
- L’età per bere ce l’ho. Si faccia gli affari suoi.
L’uomo non disse niente. Le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto beffardo, senza più emettere alcun suono. Allontanò da sé il bicchiere che stringeva in mano e si alzò, badando a non scoprirsi il volto. Dopodiché si allontanò, facendo ondeggiare il lungo mantello ad ogni passo, fino a sparire oltre il corridoio del locale.
 
Leda non staccò gli occhi da lui nemmeno un secondo, finché non sentì il rumore di un oggetto di vetro alle sue spalle. Si girò di scatto e vide Theodore. Aveva posato il suo boccale pieno sul bancone e ora la guardava, incuriosito.
- Sai chi era quello? – gli domandò Leda guardando seriosa verso il corridoio vuoto, come se potesse ancora vedere lo straniero dal lungo mantello, oltre di esso.
- Non so dirti molto. E’ arrivato qui mezz’ora fa, ha ordinato una birra ed è stato in silenzio per tutto il tempo – spiegò l’anziano, grattandosi la testa, confuso, senza sapere cosa dire esattamente – E mi ha anche pagato in anticipo.
Chiunque fosse, avrebbe fatto meglio a starle lontano. Apparteneva sicuramente a quella categoria di persone che non hanno meta, viaggiano per il mondo e perciò si credono in diritto di beffarsi del mondo e di chi ne fa parte. E Leda, quelli, non li sopportava proprio. Afferrò con forza il manico del boccale e trangugiò stizzita il contenuto. Non si sarebbe lasciata prendere in giro, lei. Mai.
- Non lasciarti impressionare, Leda – intervenne Theodore, frenando i suoi pensieri – Tu sai chi sei, e questo è sufficiente.
Aveva ragione, maledettamente ragione. Lui sì che sapeva parlarle. Aveva sempre qualcosa da dirle per ogni situazione. Di qualunque cosa si trattasse, era capace di rintracciare quella piccola parola nel suo vasto vocabolario e di incastonarla nella frase giusta, sollevando il suo morale quasi all’istante.
- Lo so – disse così Leda, finendo di bere con un ultimo sorso ciò che era rimasto del liquido dorato e spumoso nel boccale. Poi però pensò:
“Ma io non lo so chi sono…”
Tuttavia, tenne quel pensiero per sé, perché non voleva mancare di rispetto all’anziano. Si alzò con un po’ di sforzo dallo sgabello, guardandosi attorno soddisfatta e cercando la prossima cosa da fare. Theodore fu però più veloce e la anticipò.
- Va’ a disfare i bagagli, tranquilla. Per oggi sei esonerata dai lavori domestici.
 
Leda sorrise, grata. Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza...
Si inoltrò in direzione di una lunga rampa di scale scricchiolanti. Le salì, ritrovandosi così al primo piano: un lungo corridoio sul quale si affacciavano una serie di porte di legno tutte uguali, tranne che per una targa bianca e logora che riportava inciso un numero diverso per ciascuna. La ragazza avanzò lungo il corridoio scorrendole tutte. Si fermò di fronte alla numero centocinque. Afferrò la maniglia, la fece girare e spinse piano la porta, entrando in quella che era la loro stanza.
Non era tanto grande: comprendeva due letti singoli ai quali si alternavano due piccoli comodini e un enorme cassettone dalla parte opposta. A terra c’era un soffice tappeto peloso dai colori spenti e smorti. Le lenzuola sui letti erano bianche e profumavano di pulito. A Leda ricordava casa, accoglienza, amore, famiglia. Tutte cose che aveva riscoperto grazie a Theodore. L’odore della stanza era piacevole, sapeva di fresco e sapone.
Era immacolata. Sui mobili non scorreva un solo filo di polvere. Era stata pulita da poco, e ancora si poteva sentire, flebile, il profumo alla lavanda di Anais.
Leda la ringraziò per essersi occupata della pulizia della loro stanza, in silenzio, passando sbalordita un dito sul grande comò di legno scuro, lucidissimo. Perfettamente pulito.
L’essere tornata finalmente nella propria stanza, aver sentito i profumi e la nostalgia farsi vivi, tangibili, l’avevano acquietata. Si era persino dimenticata dell’impertinenza del viaggiatore sconosciuto.
Si sedette sul letto di destra, quello più vicino alla porta d’ingresso. Le molle scricchiolarono leggere sotto il suo peso. Poggiò lo zaino accanto a lei e frugò nella tasca principale facendo tintinnare gli oggetti al suo interno. Alla fine, afferrò con delicatezza la piccola scatoletta elegante, tirandola fuori e posandola sulle proprie gambe. La studiò con attenzione, senza toccarla, poi la capovolse e scoprì così una manovella dalle sfumature brillanti e con una piccolissima incisione floreale sopra. Lentamente, la girò in senso orario, ripetendo l’operazione un paio di volte. Poi la lasciò andare. Improvvisamente il coperchio si schiuse, aprendosi come una bellissima conchiglia. C’era una ballerina con un delicato tutù rosa confetto che piroettava sulla punta di un solo piede, dentro. E come prese a girare su se stessa, si diffuse nell’aria una soave melodia, la quale rivelò così il vero nome di quella piccola scatoletta: carillon.
Quello era un carillon. Il leggero tintinnare dei dentini sulla piastra metallica al suo interno sprigionava nella stanza suoni affettuosi e dolci, simili a quelli di una ninnananna. Ogni nota si librava in aria e rimaneva lì, sospesa, evocando i ricordi del passato di Leda. Felici e tristi, allegri e malinconici. Un turbinio di emozioni scomposte vorticava nel suo cuore, e le immagini nella sua mente scorrevano veloci, talmente tanto da non darle abbastanza tempo per rimembrarle tutte. La melodia aveva un piccolo ritornello molto carino, che Leda canticchiò a bocca chiusa con molta nostalgia nello sguardo perso, mentre osservava la leggiadra ballerina piroettare e piroettare ancora sulle sue note.
Non lo aveva comprato senza motivo, ma perché lo aveva riconosciuto. L’aveva costruito suo padre.
 
- Leda! Leda!
Una voce rimbombò nel corridoio della locanda, ansiosa.
Leda chiuse alla svelta il carillon, fermandone all’istante la melodia con uno scatto pauroso, sussultando per essere stata colta di sorpresa. Lo stipò in fretta e furia nella borsa e si precipitò giù per le scale, scendendole con rapidità.
Aveva riconosciuto quella voce. Un timbro né troppo acuto né troppo grave, con quella punta di emozione in più che solo un ragazzo poteva avere: Alan. Suo fratello. La persona più importante della sua vita.
Si catapultò nell’ingresso, schivando chi si trovava sul suo cammino. E quando lo vide lì, in piedi davanti a lei, con un ingombrante sacchetto di iuta in mano contenente la spesa, non seppe più resistere. Gli saltò al collo e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo. Alan lasciò cadere il sacchetto e l’abbracciò a sua volta, ridendo di gioia, strofinando la propria guancia nell’incavo della sua spalla, affettuoso.
- Quando sei tornata? – le domandò, mentre si discostava da lei e recuperava il proprio bagaglio.
Leda lo prese per le spalle e lo guardò negli occhi, pensando che mai avrebbe visto pietre preziose più brillanti e lucide. Avevano delle bellissime sfumature violette e blu, ed erano capaci di comunicare meglio di mille parole. Leda li adorava. Sembrava potesse persino scorgere la sua anima, nel loro profondo, senza segreti né bugie che la celassero.
- Sono tornata ora – rispose, scompigliandogli amorevolmente i capelli castani chiari.
- Quante cose ti devo raccontare! – esordì il bambino, eccitato – C’è stata la festa del paese, e Theodore ha lavorato come un matto. Dovevi vederlo, faceva così ridere!
Leda sorrise.
- Dopo mi dici tutto, ok? – gli chiese, frenando la sua contentezza.
Alan annuì energicamente, con un largo sorriso stampato in faccia. Strinse ancora di più il sacchetto di iuta e corse via, verso la caffetteria.
 
Leda rimase nuovamente da sola. L’unica differenza stava nel fatto che un piccolo sorriso felice le era comparso sul bel volto delicato e pallido. Quel bambino riusciva sempre, qualsiasi cosa succedesse, a farla sorridere. Era una colonna portante per la sua vita, l’Atlante che la sorreggeva.
Si allontanò dall’ingresso, dirigendosi verso il refettorio dove il personale della locanda era solito riunirsi per mangiare. A quell’ora i lunghi tavoli che percorrevano la sala erano sgombri, segno che la vecchia signora Richman, una donna dai crespi capelli argentati e con un’aria arcigna e severa, stava lavando le stoviglie.
Leda andò dritta verso la porta della cucina, subito accanto a quella dalla quale era entrata dal corridoio. La spinse ed entrò. Venne investita da un soffocante odore di vapore, cibo e una stucchevole fragranza al limone. Avanzò tra i fornelli e i piani cottura lucidi e puliti, e si fermò di fronte a un grande acquaio. Emily Richman era lì, vestita con un ingombrante grembiule bianco e una retina sulla testa. Aveva le maniche della giacca tirate su fino ai gomiti e le braccia immerse nell’acqua insaponata, mentre strofinava un piatto con una pezza.
Non era una persona amichevole. Spesso era dura, insensibile e sprezzante, specialmente con Leda. Da quando era arrivata non aveva fatto altro che educarla severamente su come cucinare, occuparsi dell’igiene del locale e migliorare i suoi atteggiamenti, a suo dire irrispettosi e per nulla femminili. Sembrava covare un odio profondo per lei, a causa del tono di voce che spesso usava per rivolgerglisi.
Leda aveva capito solo un anno dopo dal suo arrivo il motivo di tutto ciò: in passato Emily aveva avuto una figlia di nome Paula, che purtroppo era venuta a mancare a soli 6 anni per una malattia. In seguito era caduta in depressione, smettendo di mangiare e dormire, rischiando persino di morire a sua volta. Quando poi Theodore l’aveva assunta, o per meglio dire, accolta nella sua locanda, offrendole un tetto e una nuova famiglia, si era un po’ sollevata. E anche se con Leda era sempre stata rude, in realtà le voleva molto bene, e il motivo per il quale aveva scelto di fare la parte dell’antipatica nella sua vita era proprio perché voleva renderla forte, vigorosa, in grado di difendere Alan e fare in modo che le rimanesse accanto il più possibile. Leda aveva capito il lato nascosto del suo carattere, quello dolce e premuroso, e aveva imparato a giocarci, cercando di metterlo in luce in tutti i modi. Emily rimaneva però dura come una roccia, e non permetteva a nessuno di andare oltre quella sua fiera corazza da donna burbera e scontrosa.
 
Leda le si affiancò, osservando le sue braccia che si muovevano esperte nell’acqua producendo un gran sciabordio sui bordi dell’acquaio, contro cui le piccole onde di schiuma si andavano a schiantare, come una tempesta in miniatura.
- Salve – pronunciò con aria solenne ed educata.
La donna gettò un’occhiata verso di lei, ritirandola immediatamente.
- Sei tornata, eh? – disse senza alcuna enfasi, come se la sua presenza fosse seccante, per lei.
Leda si limitò ad annuire, con un sorriso.
- E non hai scoperto nulla? – domandò ancora Emily, con aria di rimprovero.
Leda annuì ancora.
- Bene – concluse la donna, continuando a strofinare il piatto – Lasciami finire di lavorare, ragazzina. Va’ a riposarti.
Non era un invito. Era un ordine.
- Va bene – fece per tutta risposta Leda, con un sorriso contento.
E fu tutto.
Si girò e tornò indietro, senza aggiungere nient’altro.
Richiuse la porta della cucina alle sue spalle, poggiandovisi contro con la schiena.
“Che ambiente opprimente…”pensò, mentre afferrava la maniglia del refettorio per tornare in corridoio e raggiungere Alan.
 
Proprio in quel momento però, comparve.
Un suono altisonante, fastidioso, ripetitivo, che si spanse per tutta la stanza e per tutta la sede.
Leda si bloccò, le mani tremolanti sulla maniglia, mentre ancora la sua mente stava realizzando l’entità di quel baccano. E quando finalmente capì, si precipitò fuori dalla porta, terrorizzata, accompagnata dal suono assordante e rimbombante dell’allarme d’emergenza.

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Capitolo 2
*** Rabbia e disperazione ***


Lady War


Capitolo 2: Rabbia e disperazione


Erano passati due, no, anzi, tre minuti da quando l’allarme aveva preso a stridere dagli altoparlanti posizionati lungo le strade.
La voce di Renny Epstain echeggiò sicura e precisa fin nei più stretti vicoli della sede, disponendo le misure di sicurezza, annunciando il grado di emergenza di quello che spiegò essere un attacco da parte di Akuma: 5.
Il quinto grado… quello più alto. Non era mai stato raggiunto, in centinaia di anni di battaglie e assalti. La faccenda era grave, molto grave.
La gente cominciò a riversarsi nelle strade come un fiume in piena, gridando e spingendo, in preda al panico. I bambini venivano strattonati per le maniche dai genitori, i quali cercavano in tutti i modi di farsi largo tra la folla per correre verso i canali di sicurezza. Si trattava di porte alte e larghe, dalle quali all’occorrenza potevano persino passare due carri armati alla volta. Solitamente erano sempre chiuse ermeticamente ed era vietato avvicinarvisi, ma in caso di emergenza estrema venivano spalancate per permettere ai cittadini di barricarvisi dentro. All’interno erano presenti posti letto, cibo e qualsiasi altra risorsa utile al sostentamento della popolazione, ma in quantità limitate. Si avevano dai sei ai dieci minuti per radunarvi quante più persone possibili. Dopodiché, si sarebbero chiuse, e più riaperte fino a che non si fosse dato il cessato pericolo.
 
Leda era balzata fuori dal refettorio e si era precipitata nella caffetteria, la quale si stava svuotando proprio in quel momento.
Mosse frenetica lo sguardo tra i clienti, alla ricerca di Alan, Theodore, o di chiunque avesse riconosciuto.
- ALAN! – chiamò a squarciagola, girando attorno ai tavoli, guardando dietro al bancone, sul retro, dove tenevano le provviste. Non c’era nessuno, e intanto la stanza si era svuotata. Lei era rimasta lì, da sola.
- ALAN!!! – gridò ancora più forte, tanto da sentire la gola pizzicarle di dolore.
Corse su per le scale con una rapidità mai vista, e aprì tempestivamente la porta della loro stanza facendola sbattere sonoramente contro il muro. Entrò e non vide nessuno. Tornò indietro. Attraversò la caffetteria e il corridoio, si precipitò nell’ingresso, vuoto.
- ALAN!!!! – urlò, e la sua voce disperata echeggiò nell’androne deserto, come se volesse farle capire malignamente che lei era l’unica anima rimasta in quell’edificio. Pensò subito ai canali di sicurezza. Alan doveva essere andato laggiù, sicuramente, con Ted e tutti gli altri. Sì, era certamente così. Cominciò a correre verso l’uscita, quando le sue gambe cedettero a una potente scossa di terremoto, che fece tremare violentemente i muri e dondolare i lampadari. Leda cadde e terra e si guardò attorno, sconcertata.
Che diavolo stava succedendo?!
Tentò di rialzarsi, ma non riusciva a reggersi in piedi. Le sue gambe non ne volevano sapere di stare dritte. Sentiva la testa spaccarsi dalla confusione, la gola bruciarle e il panico aumentare. Sembrava di essere su un’enorme tappeto elastico, sul quale non riuscivi a metterti in piedi per via dei sobbalzi provocati da tutti gli altri.
Si trascinò verso l’uscita, quando su questa crollò spaventosamente un grosso masso delle dimensioni di una casa. Il pavimento di legno si frantumò in milioni di schegge e la porta d’ingresso scomparve in mezzo a una nuvola di polvere bianca e spessa. Leda venne scagliata lontano di qualche metro a causa dell’impatto. Sbatté contro il muro sentendo un brivido di dolore correrle lungo la schiena. Tossì, cercando di allontanare i detriti che le volavano attorno per soffocarla, e tutta tremolante riuscì finalmente ad alzarsi. La scossa si era arrestata, fortunatamente, e questo non le impedì più di correre via, per dirigersi verso l’uscita secondaria della locanda. Quando si ritrovò in strada, ad accoglierla fu il caos. La gente correva disperata da un angolo all’altro della strada, i muri degli edifici erano crollati e altri stavano ancora crollando, sotto la pressione della forza di gravità. La cosa però che la sconcertò di più però, era la luce. C’era un alone luminoso e pieno attorno a lei, che formava una forma vagamente circolare. Alzò immediatamente lo sguardo. Poi la vide: una grossa apertura nell’impenetrabile muro spesso e grigio che avrebbe dovuto proteggerli. Il masso che era crollato sopra di lei poco prima era il pezzo mancante in quel buco enorme.
Qualcosa proiettò la propria ombra su di lei, stagliandosi al centro dell’apertura: una nera sagoma alta e magrolina, da cui spuntavano delle ali appuntite, che si muovevano ad ogni battito. Sopra quella che riconobbe come una testa, c’era un’aureola. O almeno, così sembrava…
L’essere volò sopra i tetti delle case. Non essendo più in controluce, Leda poté vederlo più chiaramente, constatando che non aveva mai visto una ‘roba’ simile. Completamente bianco, con strani tatuaggi attorno alle braccia e alle gambe, aveva un volto fanciullesco e dall’aria curiosa. Sembrava un bambino, no, un angelo. Un bambino angelico. Alcuni si fermarono e fissarono i loro occhi su di lui, convinti che fosse una specie di creatura divina. Forse lo era. O forse no. L’essere a quel punto tese una mano verso la folla, e il suo volto fanciullesco e innocente sparì, sostituito da un ghigno inquietante che solo un orribile mostro bramoso di sangue poteva avere.
Si accesero lampi viola lungo le strade. La gente cominciò a gridare; i bambini a piangere. Corsero al riparo dentro le case le cui porte erano ancora aperte, o nei cunicoli offerti dai detriti degli edifici come illusionistica promessa di salvezza. Sulla grande apertura comparvero altri angeli, i quali si gettarono indemoniati sulla folla sparando raggi violacei ovunque. Leda arresto la sua corsa verso la strada. Vide le creature volanti ghignare sadiche spostandosi da un tetto all’altro. Poi calpestò qualcosa. Guardò e terra e il respiro le rimase bloccato in gola, incapace di uscire. Ciò che vide la orripilò talmente tanto che sentì lo stomaco ingarbugliarsi e un conato di vomito salirle in gola. C’era un braccio, al quale era attaccato il cadavere di una donna. Era completamente nero, come carbonizzato. Puzzava di bruciato, di morte, di un odore pestilenziale che nemmeno Leda seppe riconoscere. Uno strano fumo bianco si sprigionava da quel corpo senza vita il cui volto era rimasto bloccato in un’espressione straziata, urlante. Leda guardò con attenzione quel viso, avvertendo su di sé le medesime sensazioni. Si sentì oppressa, incapace di muoversi. Più lo guardava, e più il peso del dolore degli ultimi attimi di quella giovane premeva su di lei. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, e la sua vista rimanere annebbiata da esse, farsi liquida. Rimase lì, alla mercé di quel cadavere nero e polveroso. Come spostò il piede dal braccio, lo mandò in frantumi. Si decompose all’istante, svanendo nell’aria come cenere. No, era proprio cenere. Il corpo di un essere umano era appena svanito sotto i suoi occhi.
 
Improvvisamente, il bisogno di rivedere Alan si fece più forte. Il terrore che potesse aver fatto la stessa fine della donna invase gradualmente le sue membra, terrorizzandola.
Cominciò a correre.
Accanto a lei sfilarono veloci altri corpi carbonizzati: uomini, donne, bambini… persino animali. Cercò di non guardarli, perché sapeva che se lo avesse fatto avrebbe sputato fuori ciò che le ribolliva nello stomaco. Dentro il suo cuore pregava Dio che suo fratello e Theodore ci fossero ancora. Desiderava rivederli con tutta sé stessa.
 
Davanti a lei si stagliò l’immensa folla composta dagli abitanti della sede. Gli esseri bianchi volavano sopra le loro teste con quel loro maledetto ghigno sempre stampato in volto, uccidendo chiunque volessero. In quelle condizioni, con la gente che si accalcava, spingeva e persino calpestava per arrivare alla propria salvezza, ci sarebbe stato poco da fare. Leda non aveva la minima intenzione di imbottigliarsi anche lei in quel traffico di persone urlanti, dentro al quale avrebbe fatto sicuramente una fine analoga a quella dei corpi carbonizzati lungo la strada. Così scattò di lato, imboccando un vicolo deserto che la portò abbastanza distante dal caos. Seguì una strada messa in ombra dai tetti che la sovrastavano, correndo a perdifiato. L’aria entrava e usciva ritmicamente dai suoi polmoni. La gola era secca, la faccia in fiamme per la stanchezza. La paura era tanta. E anche la rabbia lo era. Come diamine si erano permessi di abbandonare i posti di guardia?! Come avevano potuto permettere che succedesse quella strage?
Un complesso di persone presuntuose e disorganizzate, ecco cos’era la sede Nord America!
Inciampò, cadendo rovinosamente a terra. Ebbe solo il tempo di rialzarsi che uno dei mostri la vide, e si scagliò contrò di lei, ridendo maligno.


 
L’aria era satura di polvere, e morte.
Avanzò deciso e spavaldo in mezzo alla confusione, portando le dita della mano sinistra all’impugnatura della sua arma. Gli sembrò di sentirla vibrare, fremere eccitata, quasi lo stesse implorando di usarla.
 
In meno di un secondo, una pallottola andò a piantarsi in mezzo alla testa di un uomo. Questo morì all’istante, cadendo a terra. Una pozza di sangue sempre più vasta si spanse dal suo corpo, circondandolo in un caldo abbraccio di morte.
 
Ripose l’arma, fumante, nel fodero legato alla vita.
Sentì i rumori della gente spaventata correre in salvo. Trattenne una smorfia di disgusto. Gli esseri umani… non erano altro che formiche. Si facevano forti dentro la loro inespugnabile fortezza, ma una volta allagato loro il formicaio… ecco cosa rimaneva. Masse di morti ambulanti che correvano pensando che avrebbero potuto ancora salvarsi. Tutto ciò era patetico. Non si sarebbe salvato nessuno, lui lo sapeva bene.
- Niente sopravvissuti – sentenziò, tombale eppure divertito da quell’affermazione dalla valenza suprema, a un gruppo di Akuma che comparvero alle sue spalle, bramosi di vite umane quasi quanto lui.
- Agli ordini – risposero in coro questi, avanzando lugubri.
 
Estrasse le sue pistole, impugnandole come faceva sempre: con forza e destrezza; e un pizzico di arroganza.
Puntò, e sparò sulla folla, mentre un ghigno sadico e eccitato mal celato si faceva strada sul suo viso.


 
Leda vide il mostro scagliarsi minaccioso su di lei.
Si rialzò con un balzo e si gettò in strada, mandando a monte la sua idea di fare il giro largo passando per i vicoli. Si infilò tra la gente e cominciò a farsi più piccola che poté, scivolando tra una persona e l’altra il più velocemente possibile. Il mostro le stava dietro. In mezzo a tutta quella confusione, però, la confuse e non fu più in grado di vederla. Ciò che gli appariva davanti agli occhi era solo un mare di piccoli uomini tutti ammassati l’uno contro l’altro. Volò più basso, ma niente. L’aveva persa di vista.
Leda si nascose dietro a un uomo piuttosto robusto, che ne coprì l’esile sagoma. Scattò così verso i bordi della strada, dove individuò un vicoletto stretto e deserto, sgattaiolandoci dentro. Camminò frettolosa accanto a dei bidoni e si affacciò su un incrocio. Il fetore dell’immondizia accanto a lei era davvero nauseante, tanto che cominciò nuovamente a sentirsi male. Corse così dalla parte opposta alla strada, e appiattendosi sui muri scrostati e consumati dal tempo, avanzò a tentoni.
I capelli le si erano appiccicati alla fronte, e piccole goccioline di sudore dovute alla tensione le scendevano lentamente lungo le tempie, facendole il solletico. E mentre strisciava da un edificio all’altro, milioni di interrogativi si accavallarono dentro di lei, ansiosi di trovare per primi una risposta.
Che cosa diamine erano quei mostri?!
I suoi più logici ragionamenti la portavano a pensare che fossero Akuma.
“Ma è impossibile!” pensò, sopprimendo un grido che le forzava la gola per uscire. Certo, era impossibile. Gli Akuma non potevano oltrepassare la barriera loro imposta attorno alla sede. Era impossibile.
Impossibile, impossibile, impossibile, si ripeteva Leda come un disco rotto.
Ma nulla è impossibile.
Solo in quel momento si rese conto che la sede era stata davvero attaccata da degli Akuma, e che la barriera impenetrabile che avrebbe dovuto proteggerli si era spezzata. Il Conte del millennio aveva trovato il modo di superarla, eh? Che mossa magistrale, attaccare gli innocenti nel luogo dove questi sono più al sicuro; e meschina, vile, orribile. Non avrebbe perdonato nessuno, nemmeno il Supervisore, se fosse accaduto qualcosa a Alan. O a Ted. O a chiunque altro lei avesse a cuore. Dentro di sé sentiva che avrebbe potuto persino uccidere. Non sapeva però se ne sarebbe stata davvero in grado. In fondo, a parole sono bravi tutti, e mascherarsi dietro promesse false o che non abbiamo il coraggio di mantenere è del tutto inutile. No, non avrebbe sottratto la vita a nessuno. Lei stessa sapeva quanto fosse importante. Lei, che le vite altrui le aveva viste dissiparsi come gli sbuffi delle fiamme crepitanti del camino che salgono verso il cielo, per mano di persone malvagie e senza scrupoli. Non sarebbe stata mai in grado di uccidere, di privare una persona di un dono tanto grande come la vita. Di diventare come quegli orribili mostri che detestava tanto.
 
Si affacciò su un’altra strada, sbriciando con la coda dell’occhio attorno a lei per controllare che non ci fosse nessuno, e poi direttamente sul vicolo. I caos della popolazione che gridava e piangeva, diventando polvere, riempiva l’aria. Leda era circondata da quei rumori strazianti dai quali però doveva estraniarsi. Serviva concentrazione, scaltrezza, buon senso e anche un pizzico di fortuna, per non farsi scoprire. Era un po’ come giocare a nascondino. Solo che se avesse perso, Leda sarebbe morta. Una sottile differenza il cui esito dipendeva tutto dalle sue abilità. Lei era sempre stata brava a nascondersi. Era una cosa che le veniva naturale, da piccola. Le tornò a galla un vecchio ricordo, fatto di dolcezza, sorrisi, ma anche di quella prima angoscia che avrebbe presto imparato a sopportare; si contrappose quasi a forza con l’angosciante realtà del suo presente, mischiando insieme l’oro degli alberi e il rosso del sangue della guerra.
 
Era in giardino. Aveva appena tredici anni, mentre Alan quasi sette. Stavano giocando a nascondino in un pomeriggio assolato, in cui il sole riempiva ogni singolo spazio illuminandolo come fosse d’oro.
Leda stava contando. Detestava farlo, diceva che era una ‘palla’. Per questo, aveva preso l’abitudine di barare, saltando alcune cifre. Arrivava a cento con meno di cinquanta numeri. Alan non poteva sentirla, perché si nascondeva sempre in posti molto isolati e quindi, Leda ne era certa, non l’avrebbe mai accusata di giocare sporco. Quando disse il fatidico numero cento, allontanò la testa dal braccio con il quale si era coperta gli occhi e cominciò a guardarsi attorno, già pensando a dove suo fratello potesse essersi nascosto. Avanzò in una direzione a caso, pronunciando il nome del bambino con aria terrificante, come se fosse il lupo cattivo di una di quelle fiabe che erano soliti leggere insieme la sera, prima di dormine. O meglio, che Leda era solita leggere ad Alan. Per lei ormai quelle erano storielle da bambini.
Setacciò il cortile attorno alla casa, facendo il giro del grosso carretto che il loro padre usava per recarsi in città e fare compere. Passò per la stalla salutando allegra il cavallo Zucchero. Si chiamava così perché aveva una vera passione per gli zuccherini che gli davano dopo una giornata di viaggio, come ricompensa. La strada da fare era sempre stata tanta, ma Zucchero non aveva mai dato segni di stanchezza. Era un cavallo tanto fiero quanto forte. Rispose al saluto della ragazza, nitrendo energicamente, dondolando la folta coda bruna a destra e a sinistra. Poi tornò a farsi gli affari suoi – mangiare la paglia nella sua mangiatoia -.
Leda riapparve nel punto di partenza, senza aver trovato Alan. Guardò allora verso il boschetto a ridosso della loro casa, ed ebbe un’illuminazione. Si addentrò così al suo interno, sbirciando tra un albero e l’altro. Guardò dietro a ogni cespuglio sospetto, ficcò la faccia dentro alle tane degli animali, sporcandosi irrimediabilmente di terra, e osservò persino l’intera area dalla sommità di un albero.
Alan però non si trovava. Rimanevano pochi posti dove cercarlo, e Leda non si diede per vinta. Continuò imperterrita e decisa la sua ricerca.
Si fece il tramonto, e l’oro che ricopriva i tronchi degli alberi assunse tonalità più calde. Leda era seduta su una grossa roccia, sospirando affrancata. Odiava perdere ai giochi, soprattutto contro suo fratello. Doveva ammettere però che nel nascondersi, era decisamente più bravo di lei. Aveva passato un intero pomeriggio a cercarlo, senza riuscire a beccarlo. Ormai era stanca, e non aveva più voglia di giocare. Si alzò e cominciò a chiamare a gran voce Alan, con tono di resa.
- Basta giocare Alan, sono stanca! Torniamo a casa, mamma avrà sicuramente preparato la cena!
Le sue parole si persero tra gli alberi.
- Alan? – chiamò ancora Leda, senza mai ricevere risposta – Alan!
Ricominciò a cercarlo, questa volta più seriamente. Del fratellino, però, nessuna traccia. Per quanto Leda gridasse il suo nome, non riceveva alcuna risposta. Cominciò a preoccuparsi, e al posto dell’allegria comparve l’ansia, la preoccupazione. Dopo averlo cercato nuovamente nel bosco, corse verso casa. Spalancò la porta e si precipitò dalla madre, una donna bella come un miraggio: occhi color miele, capelli castani, e un sorriso dolce quanto solo può esserlo quello di una mamma. S’inginocchio pronta ad accogliere la figlia, che l’abbracciò d’istinto, disperata.
- Che succede, tesoro? – domandò con una voce melodica e affettuosa, stringendola tra le sue braccia.
- Io e Alan stavamo giocando a nascondino e all’improvviso è scomparso! – singhiozzò Leda affondando la faccia nell’incavo della sua spalla.
-Scomparso? – la madre rimase interdetta – Che intendi dire?
- Che ovunque cercassi lui non era da nessuna parte!
Sorrise, allontanandola da sé e asciugandole una lacrima che le colava dall’occhio. Si alzò e la prese per mano, conducendola in un accogliente salottino al cui centro svettava un divano rosso porpora, morbido e comodo. E proprio da quel divano, quasi per magia, emerse la piccola figura di Alan. Leda non riuscì a resistere dal corrergli incontro per abbracciarlo. Subito dopo, però, lo allontanò da sé e gli mollò un sonoro ceffone sulla guancia.
- Guai a te se mi fai preoccupare così di nuovo! – gli aveva gridato con le lacrime agli occhi.
Alan l’aveva guardata con occhi dispiaciuti, mentre si massaggiava la guancia arrossata con gli occhi lucidi dal male. La madre non disse niente. Stette a guardare i due fratelli abbracciarsi ancora, ridere sollevati, prendersi per mano e seguirla in cucina per apparecchiare la tavola. Quel giorno Leda si promise che non avrebbe mai più perso di vista Alan. Che lo avrebbe protetto, anche se ancora non sapeva nulla della guerra che, oltre quel gentile bosco dorato, la attendeva famelica.
 
Strinse i pugni avvolti in un paio di guanti cenciosi e consumati. Doveva proteggere Alan, questa era la sua missione. Scivolò su un muro dall’intonaco grigio e vecchio, che in alcuni punti si staccava. Si sporse oltre l’angolo della strada, e i suoi capelli castani dondolarono in avanti, seguendo le scaltre movenze della sua sottile corporatura. Mancavano solo un paio di isolati per raggiungere le porte. Non sapeva quanto tempo fosse passato. A pensarci bene, però, era piuttosto improbabile che fossero ancora aperte. Avrebbero potuto chiuderle prima a causa dell’attacco degli Akuma, lasciando però  quella povera gente che ancora doveva mettersi in salvo alla loro mercé. Doveva tentare, però. Almeno provarci. Dentro di lei sentiva che non tutto era perduto, che poteva ancora farcela.
Fece per correre verso il prossimo muro, quando si sentì tirare per la gamba. Scivolò e cadde all’indietro, sbattendo la testa sul cemento. Sentì un dolore lancinante propagarsi per tutto il corpo, arrivando fino alla punta delle dita e immobilizzandola a terra. Si strinse la spalla, che nella caduta era entrata in collisione diretta con il duro pavimento della sede, e perciò le bruciava. Con uno sforzo enorme, sollevò la testa e guardò dietro di sé. Un Akuma di livello tre, dall’armatura rossa come il sangue che sembrava stillare dai suoi occhi malvagi, ghignava in modo orribile, mentre una specie di filo nero e appiccicoso le cingeva strettamente la caviglia, stritolandola.
Leda grugnì di dolore, mentre sentiva quella massa oscura aumentare la presa. Cominciò a perdere sensibilità, e un formicolio fastidioso le invase il piede. Allungò prontamente una mano per liberarsi, ma rimase invischiata nella sostanza nera.
L’Akuma rise ancora più forte, cominciando a tirare verso di sé il filo.
- Grida, se vuoi, ragazzina! Tanto nessuno verrà a salvarti!
Leda strisciava sempre più verso di lui, mentre tentava ancora di liberarsi con tutta la forza che aveva. Voleva urlare aiuto, scalciare, scappare via, ma non poteva. E non voleva.
Non lo avrebbe mai fatto, perché l’Akuma aveva ragione: nessuno sarebbe arrivato. Doveva aiutarsi da sola, come sempre.
Solo che ormai era a non più di tre metri da quel mostro, aveva la testa e la spalla e la gamba doloranti, e nessuna via di fuga.




Angolo di Momoko

Salve gente! E' passato un po' di tempo, eh? xD Avevo detto che sarei tornata, e infatti eccomi qui ù_ù
Tyki: ci sono anch'io.
Ah, sì, c'è anche Tyki >.>
Tyki: hey, anch'io sono importante, per la trama! è_é
Non spoilerare!!
Tyki: nella lista dei personaggi hai messo anche me, ergo, sono uno dei personaggi principali. Ci sono arrivati tutti, mia cara.
Sì, ma non sanno perché sei importante per la trama! Zuccone!
Tyki: ò_ò' Porc... *se ne va a fumare*.
Allora, dopo questo semi-spoiler parliamo un po' del capitolo!
E' una storia strampalata, lo giuro, ho stravolto veramente ogni cosa. Questa volta il personaggio principale è Leda, una ragzza che ha molte cose da dire e da fare, e che nasconde molti misteri. Li svelerò tutti piano piano, a cominciare dal prossimo capitolo, dove spiegherò bene cos'è questa guerra che si menziona, la faccenda degli esorcisti e tutto il resto.
Spero che continuiate a seguire questa storia perché saprò sbalordirvi ù_ù *si vanta delle sue inesistenti capacità*.
Ringrazio di cuore la mia amica Lien, avendo dimenticato di farlo nella risposta alla sua recensione. Grazie! E ora dimmi, quand'è che aggiornerai Illusions??? è_é
Un grazie di cuore a tutti quelli che leggeranno o recensiranno la storia^^
A prestooo,

Momoko.

P.S. A tutte le autrici alle quali devo recensire un loro capitolo: scusatemi se non lo faccio, portate pazienza che prima o poi mi farò viva. Abbiate fede ù_ù

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Capitolo 3
*** Quell'abisso dal quale emergere... ***


Lady War


Capitolo 3: Quell'abisso dal quale emergere...


“C’era stato un tempo, ormai sepolto sotto le ceneri del disastro, in cui l’umanità non era costretta a nascondersi sotto terra per sopravvivere.
Il sole splendeva tutti i giorni e la gente rideva felice per le strade. L’odore dei fiori impregnava l’aria, fresca e calda al tempo stesso. E c’erano gli Esorcisti, misteriose e sacre figure in nero che difendevano gli innocenti, combattendo con una mitica arma chiamata Innocence”.

Ed ora il cielo era grigio piombo. La gente piangeva disperata invocando aiuto. L’odore che si sentiva era quello del sangue, della polvere e della paura, misti in un conglomerato di terrore puro che cresceva ogni secondo sempre più nei cuori degli esseri umani.
 
Come aveva potuto Dio lasciare che succedesse? Come aveva potuto lasciare che i suoi figli sguazzassero nel fango come vili bestie? Come aveva potuto abbandonarli?
 
Quel mondo immaginario, descritto nei testi antichi, ora era solo un lontano ricordo, un utopia, irraggiungibile persino dall’immaginazione; da quando il mondo era crollato, inginocchiandosi ai piedi di un nemico la cui caratteristica più buffa eppure più ingannevole era l’aspetto: figura tonda, cappotto color crema, tuba, un perenne sorriso sul muso grigio nascosto da un piccolo paio di lenti tonde, il Conte del Millennio, aveva piegato le più grandi potenze mondiali senza dare nell’occhio. A guardarlo bene, pareva proprio essere un personaggio di una qualche opera teatrale. Ai bambini sembrava più il buffo mostro delle fiabe, dalle fattezze grottesche ma con l’animo d’oro zecchino.
Ma non era così. E l’umanità si pentì solo più tardi di non averlo capito subito.
 
Iniziò tutto nel silenzio. Da quei paeselli fatti di contadini, di gente che si conosceva sin dalla più tenera età. Bastava solo che uno di loro, magari giovane, fidanzato, con una famiglia e dei figli, tirasse le cuoia. Al come, se non c’era, ci pensava lui: un bell’incidente in carrozza, una malattia, un silente omicidio compiuto nella notte… Ogni cosa era plausibile e realizzabile.
Oh, ma le morti non erano scelte a caso. Il Costruttore badava sempre a selezionare con cura le vittime dei suoi orribili piani. Dopo infatti ci voleva qualcun altro che, distrutto dall’atroce perdita subita, sentisse l’impellente necessità di riavere accanto a sé il defunto. Ed ecco che si creava la situazione perfetta affinché potesse nascere un nuovo Akuma, una macchina assassina al servizio del Conte, fatta con un guscio di pelle e un’anima richiamata dal mondo dei morti. Il demone ritornava in città sotto mentite spoglie, e lì cominciavano gli omicidi e le sparizioni. Bambini, donne, uomini… Cibo. Solo nutrimento per quella creatura che di umano aveva solo l’aspetto. Un fiore che profumava di sangue. Bello ma nauseante. Fasullo.
 
Ma non era sempre così. A volte c’era una luce, inaspettata, che rischiarava le tenebre delle quali si erano tinte le povere animelle disperate di quel paese in rovina. Esorcisti, ecco chi erano. Qualcuno li chiamava apostoli, qualcun altro salvatori.
Nella loro uniforme nera e spessa c’era tutto e niente. La croce santa appuntata sul petto rappresentava non solo una fazione, ma un ideale. Il desiderio di semplici uomini di salvare l’umanità, aiutati da un potere che solo Dio era in grado di conferire loro: l’Innocence, la materia di luce, l’innocenza che doveva combattere il peccato.
Umani scelti tra tanti altri miliardi di individui per portare la luce laddove avanzavano le tenebre.
Il Conte però aveva qualche asso nella manica.
Il primo era la famiglia Noah: esseri superiori dagli incredibili poteri, che obbedivano ciecamente a qualsiasi suo ordine e che condividevano, come lui, il sogno di distruzione del mondo.
Il secondo era l’Arca di Noè.
Fu quella maledetta invenzione la causa di tutte le disgrazie del mondo. Un enorme congegno diabolico ideato dal Conte stesso, che aveva una terribile capacità: far scoppiare un secondo diluvio universale che avrebbe spazzato via ogni traccia di vita del creato.
L’Arca rappresentava sia la fine che l’inizio del mondo. Grazie a essa quella misera specie animale chiamata uomo sarebbe scomparsa, sostituita da un’altra più perfetta: i Noah.
Questo era quello che i discendenti di Noè credevano, finché non scoprirono di essere rimasti anch’essi vittime del giogo del Conte.
 
Per funzionare l’Arca aveva bisogno di una fonte di energia. Ma non di una qualsiasi. Necessitava di vite umane. Le loro.
Tredici sacrifici, l’Apocalisse, un solo e unico vincitore. Tutte cose, queste, che non somigliavano neanche un po’ alle promesse che il Conte aveva fatto loro riguardo al dominio del nuovo mondo insieme.
Il primo a reagire fu il Quattordicesimo Noah. Grazie alle sue conoscenze, egli fu in grado di neutralizzare il Conte, aiutato dagli Esorcisti, e bloccare temporaneamente le memory, ritardando la loro reincarnazione di mille anni.
Ci fu una grandiosa battaglia che vide schierate le due potenti fazioni l’una di fronte all’altra. Ci furono gridi di vittoria, pianti di dolore, morti e speranze. Gli Esorcisti sentirono il sangue ribollir loro in volto e sulle ferite, provarono quel dolore e quell’amarezza che in guerra bruciano più di qualsiasi taglio o ustione, fino all’anima, corrodendola. E i Noah perirono tutti, uno dopo l’altro, sentendosi presi in giro e ingannati, ma con l’orgoglio di rimanere uniti anche nella morte come la grande famiglia che erano e sarebbero stati fino alla fine dei tempi.
La prima grande guerra si concluse con una vittoria da parte degli Esorcisti. Il Conte del Millennio scomparve.
Ma l’Arca era riuscita a compiere ugualmente grandi disastri. La popolazione mondiale fu decimata; le terre si spaccarono a metà; le acque si ritirarono…
 
Dopo un centinaio di anni, la figura tondeggiante del Conte ricomparve, gettando nuovamente ombra sul mondo con i suoi piani di vendetta. Per compierla al meglio pensò, come prima cosa, a eliminare i suoi avversari.
Le città furono invase dagli Akuma come mai prima d’ora. Gli Ordini sparsi per tutto il mondo furono rasi al suolo. Gli Esorcisti vennero cacciati e sterminati, uno dopo l’altro. Fu per cancellare quell’atroce senso di umiliazione che non si era mai estinto, ma solo nascosto. Nascosto dietro quell’agghiacciante ghigno dentato.
L’età buia del mondo si presentò così, e persistette per centinaia di anni. L’umanità tremava di paura, il Conte riprendeva il mano quel grande impero perduto anni prima, Dio era scomparso. E così anche ogni speranza di poter rivedere, un giorno, quel mondo soleggiato e felice che profumava di fiori che si era ormai perso tra la realtà e la leggenda delle pagine di un vecchio libro.



 
Non sentiva più il piede. Era lì, lo vedeva chiaramente, stretto da quel grosso filo nero e appiccicoso, ma la sua volontà di muoverlo non riusciva a raggiungerlo.
L’Akuma rideva di gusto davanti a lei, mente le sue lunghe dita ossute di allungavano sinistre e frementi verso di lei.
Leda era in trappola. Sarebbe morta all’ombra di un vicolo scrostato e puzzolente, senza avere avuto nemmeno la certezza che suo fratello fosse vivo. Proprio a lui andarono i suoi ultimi più intensi pensieri, sperando così di poterlo raggiungere, ovunque si trovasse, per avere una conferma della sua salvezza. Per potergli dire addio…
Rivide il bagliore del sole dorato accarezzare dolce come il miele la figura del bambino che correva felice nel piccolo bosco. Rivide il suo livido al ginocchio dopo essere caduto da una roccia. Si vide dargli un bacetto consolatore sulla ferita. Vecchi ricordi che scorsero veloci come un lampo davanti a lei. Le fecero capire nel peggiore dei modi che avrebbe detto addio a tutto quello. Alla vita che aveva faticosamente lottato per avere. Alle speranze e alle tristezze dell’animo. Ad Alan.
- Alan… !
Ma non finì di formulare quell’ultimo disperato richiamo, che l’Akuma si bloccò. La sua risata malefica si spezzò, rimanendo sospesa sulle sue fauci aperte e immobili.
Le sue dita cercavano ancora di raggiungere Leda, ma riuscivano solo a eseguire brevi movimenti meccanici che terminavano con scatti convulsi. E prima che potesse riuscire a sfiorarle la guancia, esplose in mille pezzi.
Scaglie metalliche e detriti volarono in ogni direzione, frantumando i vetri delle finestre che caddero come una pioggia tagliente su di lei.
Leda nascose in viso tra le braccia per proteggersi, e in men che non si dica si sollevò attorno a lei una nube bianca e polverosa, all’interno della quale i rumori della battaglia perdevano ogni senso, confondendosi con quelli dei mattoni che crollavano e delle finestre che si spaccavano sotto la potente spinta dell’esplosione. E in mezzo a tutto quel caos Leda non ci capì più niente. Si lasciò trascinare da quei forti rumori e spense per un attimo il cervello, osservando, senza ragionarci sopra, tutto ciò che le capitava attorno.
Così, quando vide due braccia emergere dalla nebbia e sollevarla di peso per trascinarla via, non oppose troppa resistenza. Solo quella che faceva la sua caviglia malandata.
Una figura scura avvolta da uno spesso mantello la afferrò stretta per un polso e cominciò a tirarla in una direzione, forse nord. Pian piano che la nebbia si diradava, Leda vedeva sempre più dettagli affiorare da quella sagoma che l’aveva salvata. Oltre al mantello, notò anche un paio di stivali neri e lucidi, e una cicatrice sul braccio destro. Tuttavia, non faticò molto a riconoscere lo straniero della locanda.
Come lo capì, ritrovò magicamente la forza di resistere alla sua forza e a scrollarsi di dosso la sua mano.
- Lasciami! – gridò, con una stizza che mai aveva sentito di possedere – Che vuoi da me?!
L’altro non rispose. Leda vide solo le sue labbra serrarsi ancora di più all’ombra del mantello, forse per trattenere la volontà di reagire. Evidentemente non avevano molto tempo per stare lì a parlare.
- Chi sei?! – gridò ancora la ragazza. Ma il silenzio del suo interlocutore non faceva altro che accrescere la sua rabbia.
Invece di risponderle infatti le afferrò nuovamente il polso, più saldamente questa volta; ricominciò così a correre, badando a non farsi scappare più via Leda, sfrecciando veloce da un vicolo all’altro e gettando solo una breve occhiata agli incroci prima di attraversarli. La ragazza non aveva la benché minima idea di cosa stava succedendo. Sapeva solo che lo straniero la conduceva lontano dalla battaglia, lontano dalle porte. Lontano da Alan. Si divincolò gridando.
- Mollami, bastardo! – inveì, tentando di mollargli un calcio tra le gambe, per ostacolarlo. Non ci riuscì, perché uno strattone più forte degli altri la costrinse a tirare fuori tutta la sua forza di volontà per stargli dietro senza inciampare.
- Ti ho detto di lasciarmi!! – gridò ancora, provando a minacciarlo. Niente.
Le sue urla di protesta venivano sommerse dai pesanti rumori della battaglia. Lo straniero però non la stava ascoltando volontariamente. Una fitta di dolore le invase il piede, tornato normale, ma rosso e gonfio. Leda si sforzò di non gridare e tentò di correre senza poggiarlo a terra troppo forte. Cosa impossibile, però. Aveva il fiatone, i capelli incollati alla faccia dal sudore e acciacchi su tutto il corpo, coperto di lividi e sporco di terra, polvere e sangue.
Lo straniero sembrava non farsi troppi problemi. Correva con un’agilità impressionante, e Leda non aveva notato su di lui alcun tipo di ferita.
Ma questo poco importava. La stava portando via, forse per salvarla o forse per farle del male lui stesso. Si stavano allontanando da Alan, da Theodore, da Anais, da tutti, e questo Leda non poteva sopportarlo. Non smise nemmeno per un secondo di agitarsi e opporre resistenza, cercò in tutti i modi di arrestare la corsa del suo apparente salvatore, insultandolo e gridando a squarciagola. Ogni sforzo risultava sempre, però, vano. L’altro aveva su di lei una presa spaventosa, per nulla paragonabile a quella di un essere umano. Non dava segni di cedimento, di stanchezza… Non sembrava persino riprendere fiato. E se Leda avesse guardato verso il basso invece che concentrarsi sul suo polso bloccato, avrebbe notato di non stare totalmente camminando. I suoi piedi di sollevavano ad intervalli irregolari dal terreno e la facevano fluttuare per qualche millisecondo. Poi, ritoccavano terra e la caviglia le doleva più di prima.
 
La corsa finì accanto a una delle mura della Sede, davanti a una porta nera e spessa, serrata da grossi cardini arrugginiti ma impossibili da sbloccare.
Lo straniero la fece sbattere contro un muro, lasciandola cadere a terra per l’impatto con poche forze nel corpo perché potesse risollevarsi. E quando Leda sollevò lo sguardo, notò che era sparito.
Colse al volo l’occasione, senza stare a riflettere troppo su dove e perché non fosse più nei paraggi. Sicuramente non si trovava dall’altra parte della porta. Probabilmente era scappato, rinunciando all’idea di... Non sapeva bene cosa lo avesse spinto a comportarsi in quel modo.
Si mise a quattro zampe sul terreno, pieno di calcinacci e detriti. Schiacciò qualche sassolino coi palmi delle mani, ritirandoli subito dopo per il dolore. Spolverò la strada con i dorsi e poi tentò di gattonare lontano, il più velocemente possibile.
Alan.
Doveva andare da Alan.
Non poteva lasciare che gli accadesse qualcosa, aveva fatto una solenne promessa. Mai e poi mai lo avrebbe perso di vista di nuovo, mai e poi mai avrebbe riprovato quel dolore all’anima, mai e poi mai…
 
Qualcosa la sbatté a terra. Si sentì schiacciare da un piede sulla zona lombare della schiena. Non riuscì a sollevare lo sguardo perché subito dopo lo straniero la issò quasi con rabbia e la trascinò nuovamente verso la porta. Le gettò un rapido sguardo: era aperta.
Qualcosa scattò dentro di lei, distogliendo la sua attenzione da Alan e concentrandola sull’uomo che, con poca eloquenza, la conduceva all’interno di un vecchio canale fognario bagnato e puzzolente.
Come era stato possibile? Quella porta, sigillata da tempo, non avrebbe dovuto aprirsi… Che cosa stava cercando di fare?!
- Fermo!! – strillò Leda, rendendosi conto in quel momento di ciò che le stava accadendo. La stava forse rapendo?
- Fermati!! – ripeté, divincolandosi con tutta la forza che riuscì a richiamare. Agitò gambe a braccia su e giù, scalciando e picchiando i pugni ovunque le capitasse.
Lo straniero alla fine la mollò, gettandola in avanti nell’acqua putrida sulle cui sponde alcuni topi grigi e pelosi bevevano.
Quando Leda si sollevò, pulendosi la faccia sputacchiando, vide che stava richiudendo la porta.
- Che diavolo stai facendo?! – gridò, allibita. Quella era l’unica via di fuga che conosceva. Senza quella non sarebbe mai potuta tornare indietro!
Voleva alzarsi, ma ad ogni tentativo il suo corpo menomato tremava, e poi la ributtava in acqua senza pietà.
Sentì la sua unica via di salvezza chiudersi con un pesante clangore. La fine di una speranza. L’inizio della sua rovina.
- Ti ho chiesto cosa diavolo stai facendo! – la forza d’animo non era scomparsa, però. Aveva ancora la volontà di reagire. Per questo non smise nemmeno per un attimo di combattere.
- Ti salvo – rispose per la prima volta lo straniero, all’ombra del cappuccio del mantello che indossava. La sua voce era grave e suadente, come la ricordava Leda la prima volta che l’aveva sentita. Tuttavia, la sua risposta improvvisa la spiazzò.
- Che significa?! – ruggì, facendo appello a tutte le sue forze per sollevarsi. I suoi vestiti gocciolarono sulla superficie metallica arrugginita del condotto, ripetendosi all’infinito fin nell’oscurità.
- Dobbiamo tornare indietro! Devo salvare… - tentò di gridare. Ma l’uomo la interruppe bruscamente.
- Ormai sono tutti morti.
 
Leda si bloccò. Si suoi occhi neri si fissarono vacui sulle labbra che avevano appena pronunciato quell’amara sentenza.
Morti. . . ?
- Non dire cavolate! – esplose improvvisamente, mentre sentiva il suo corpo prendere fuoco – Non è possibile! Non è assolutamente possibile!! Se torniamo indietro possiamo aiutarli!!
L’uomo strinse ancora le labbra.
- E’ troppo tardi – ripeté, con voce priva di sentimento.
Leda serrò i denti per la rabbia. Come si permetteva di dire certe cose?!
Non sapeva se fossero vivi o morti, non aveva alcun diritto di negarle la possibilità di salvarli! Non poteva e non voleva credergli. Si sforzò di contenere la furia a tal punto che le parve di avvertire il suo cervello esplodere. I muscoli tesi come corde di chitarra, le vene blu affioranti dai polsi e la faccia rossa e bollente. Ogni cosa di lei riconduceva a una bomba in procinto di detonarsi.
- NO! – strillò, con voce tremante – RIAPRI IMMEDIATAMENTE QUELLA PORTA!
Lo straniero non si mosse. Come la quercia che non si piega alla furia del vento.
- TI HO DETTO DI APRIRLA!!  - ripeté Leda, ancora più forte. Perché potesse sentirla bene – DEVO ANDARE A SALVARLI!!! APRILAAA!!
E, in men che non di dica, si ritrovò inchiodata al muro. Il collo stretto sotto la pesante forza dell’avanbraccio destro dello straniero. Con l’altra mano le aveva bloccato i polsi al muro, sopra la sua testa, e ora i suoi occhi a lei imperscrutabili la fissavano come luci sinistre nella notte.
- Cerca di capirlo in fretta, ragazzina – pronunciò, con una voce per nulla suadente. Leda l’avrebbe definita… agghiacciante. Poi sentenziò, sillabico. – E’ tardi. Non puoi più fare nulla. Sono tutti M O R T I.
- No… - tentò di mormorare Leda, che sotto a quella imposizione violenta aveva visto demolire l’ultimo briciolo di speranza rimastole.
La parola ‘morti’ si ripeteva quasi ossessivamente nel suo cervello, e le immagini delle persone che fino a qualche ora prima le avevano sorriso, l’avevano accolta festosi, l’avevano accarezzata… bruciavano. Bruciavano come vecchie foto gettate nel camino. E le sue mani non potevano più salvarle, perché si ustionavano ad ogni minimo contatto col fuoco di quella orribile realtà che le stava dando un orrendo schiaffo in faccia.
Theodore… Anais… Emily… Persino Alan… Tutti morti… cancellati per sempre… diventati polvere…
 
Cominciò a piangere, e la gola le fece male perché tentava di trattenersi e allo stesso tempo l’uomo gliela stringeva. Lacrime calde e umide cominciarono a scendere a fiotti dalle sue guance, amare, terribili, sofferte…
Non vedeva più niente. Solo una realtà distorta dalle lacrime. Come se fosse sott’acqua. Come se stesse affondando nel mare della disperazione.
La presa dell’uomo si azzerò, lasciandola scivolare a terra, senza forze. Si richiuse in sé stessa, mormorando i nomi dei suoi cari. I suoi cari, che ora non c’erano più. Scomparsi. La sua voce tremava, le sue unghie affondavano nelle sue spalle lasciandovi sopra graffi arrossati.
‘Perché?’, si chiedeva, ripetutamente. Perché erano morti?
Per colpa sua… ? Perché non era arrivata in tempo.
E se… ce l’avesse fatta… avrebbero avuto una possibilità? Sarebbero stati lì, accanto a lei?
L’uomo si chinò su di lei. Tentò di prenderle la mano con innaturale gentilezza, ma Leda fu più veloce. Gli mollò un violento schiaffo in faccia, tanto forte da scaraventarlo lontano da lei con un tonfo impressionante.
Nella caduta, il cappuccio scivolò via.
- Maledetto… - sibilò con rabbia e amarezza Leda, alzandosi a fatica. La voce le tremava, e per quanto si sforzasse non riusciva più a controllarla, per cui ogni parola si dimostrava essere una fatica immane.
Una rabbia senza precedenti era emersa in lei. I suoi occhi di liquirizia sembravano colti da brevi lampi vermigli simili a tuoni, che si accendevano e si spegnevano illuminandole lo sguardo d’ira. O forse, disperazione? Quell’attimo in cui l’essere umano lotta per scalare, a costo di graffiarsi a sangue le dita delle mani, la lunga parete di quello che pareva essere il dolore più vivo e puro mai esistito. Quell’attimo in cui qualsiasi appiglio sembra valido. Quell’attimo in cui la rabbia esplode incontrollata.
- Maledetto!! – gridò ancora Leda, avvicinandosi minacciosamente a lui stringendo forte i pugni. Se avesse stretto ancora di più, le sarebbero sanguinati. Il dolore fisico in quel momento era una sensazione secondaria, per non dire inutile. Che non lo provasse era fuori discussione. Ma che lo ignorasse, considerandolo un’estensione di quello che le stava divorando l’anima in quel momento era più che plausibile. I due dolori, entrambi allucinanti, si erano fusi in uno solo, spietato e implacabile.
E ora, l’unica destinazione del suo dolore era lo straniero, che senza più il cappuccio a coprirlo rivelava d’essere un giovane uomo dai capelli scuri, con due occhi felini e un neo proprio sotto a quello sinistro.
Leda lo strinse violentemente per il colletto del mantello e lo attirò a sé, senza il minimo sforzo.
Cercò di osservarlo bene, con quanta rabbia riusciva a incanalare nei due occhi furenti luccicanti di lampi che ora sembravano non appartenere più a Leda, ma a un mostro spaventoso.
L’uomo la fissò intensamente, con aria seria. Non sembrava volersi difendere, forse perché la reazione della ragazza non lo aveva intimorito neanche un po’. Non mosse un dito nemmeno quando la vide sollevare il braccio, teso, col pugno stretto e le nocche bianche.
Ma mentre stava per ricevere il colpo, una voce spezzò quel tombale silenzio.
- Leda!
Chiara, giovanile, il quel momento il più bel suono del mondo. Leda si voltò, con ancora negli occhi la furia che ribolliva in lei. Ma quando lo vide, la perse completamente. Rimasero solo un’espressione allibita, sconcertata, ma anche gioiosa, e un piccolo appiglio cui aggrapparsi per scalare quel buio dirupo dentro al quale era caduta la sua anima.
Lui era lì, immobile, la guardava contento e preoccupato al tempo stesso.
Leda non ci credette, all’inizio, ma la sua disperazione la portò a cedere presto alla diffidenza. Davanti a lei c’era la piccola e luminosa figura di Alan. 




Angolo di Momoko

Heylà! Sono tornata con un nuovo capitolo!
Spero di aver chiarito ben bene i dubbi sui retroscena della trama, sul perché e come si è arrivati a questo casino di situazione.
Allora, prima di dire qualsiasi cosa, devo fare un annuncio importante.
Tyki: ò_ò Spara.
Di recente la mia amica Myrae  ha postato una bellissima oneshot che ha dedicato anche a me, linkando la mia pagina e questa storia. Dato che il suo gesto è stato gentilissimo, la ringrazio tantissimo e le dedico l'intero capitolo (l'entrata in scena di Tyki per te <3). Inoltre vi linko la os in questione (viva lo spam :D) : Raison d'être.
Dato che dopo cose del genere mi sento un'ingrata patentata, spero che accetti questo mio gesto di riconoscenza *si inchina*. Arigatou gozaimasu, Myrae san!
Tyki: finalmente hai fatto qualcosa di utile! ù-ù.
E se riesco le organizzo il matrimonio con Tyki! *parte coi viaggi mentali*.
Tyki: hey, ferma, brutta lunatica, basta con la gratitudineee!!
Bene, ora andiamo al capitolo. Ci ho messo molto a postarlo, ma spero tuttavia di poter stabilizzare i tempi con un capitolo ogni due o tre settimane, se riesco. Se la scuola non dovesse impegnarmi troppo, e la voglia non dovesse mancarmi, in questo modo dovrei riuscire a scrivere e postare i capitoli con più regolarità (anche perché questa storia ne avrà un po'...).
Con meno 'robe amorose' e molto più angst penso che scrivere questa storia mi piacerà tantissimo! *ride malignamente*.
Sono contenta di dare una sferzata 'non yaoi' a questo fandom, che ultimamente vede molto di moda questo genere di storie. A me lo yaoi piace, per carità... ma non penso che debba diventare il tema dominante, qui. Perché, a dirla tutta, nelle coppie trattate, la solfa è sempre la stessa, e dopo un po' mi diventa monotona.
Penso che D. Gray-man non sia fatto solo di yaoi (sennò diventerebbe D. Gay-man), ma che al suo interno racchiuda molto di più! Spremete la vostra fantasia, e non abbiate paura di scrivere qualcosa solo per le recensioni che penserete di non ricevere! Se amate davvero scrivere, state tranquilli che non vi sarà difficile né trovare idee né trovare fidati lettori!
Ok, dopo questo piccolo sfogo, vi saluto, vado a vedere One Piece. Devo trovare il modo di rapire Sanji e aggiungerlo alla mia lista di adepti! Muhahahah!
Tyki: OAO'' Oddio...
Finalmente avrò un cuoco vero che mi cucini cose vere! Giusto, Tyki-pon?
Tyki: non è colpa mia se non so cucinare ''>.>

A prestoooo,

Momoko <3

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Capitolo 4
*** 'Piccole' incomprensioni per inziare alla grande... ***


Lady War


Capitolo 4: 'Piccole' incomprensioni per iniziare alla grande...


La sua mano, tesa all’inverosimile nello stringere con forza il colletto dell’uomo, tremò. Il suo pugno, carico di tutta la rabbia e il dolore, si rilassò riportandosi allineato al suo fianco. La celestiale visione che le era parsa dinnanzi aveva cancellato con la sua luce pura ogni ombra, ogni segno malvagio scaturito dal suo essere e l’aveva disperso nell’aria.
Leda fissava il piccolo Alan con sconcerto, incredulità, gioia. Un viso contratto in tante espressioni diverse, tutte rivolte a quella piccola sagoma che ai suoi occhi sembrava illuminata dalle luci del paradiso. In realtà, il bambino stava solo stringendo nella mano destra una torcia, che rischiarava l’ambiente abbastanza da lasciarne notare la sporcizia sparsa ovunque: acqua stagnante raccolta in larghe pozzanghere nere, pareti di metallo e pietra arrugginite e sporche, feci di animali e topi sui bordi del condotto. In altre parole, realtà. Una orribile realtà: Leda era fuggita dalla sede Nordamerica, ‘aiutata’ da un uomo misterioso che l’aveva portata lì, in mezzo a quello schifo. Ma la presenza salvifica di Alan rendeva quell’atroce situazione molto meno tragica. Per lo meno il fatto di essere sporca di sangue, terra, acqua e chissà che cos’altro passava in secondo piano.
La sua mano mollò lo straniero, che la guardò circospetto finché non si accorse che la sua attenzione non era rivolta più a lui, ma a Alan. Con calma si rialzò spolverandosi con una certa cura il lungo mantello sudicio ai bordi  e appesantito dall’acqua di quella fogna. Si andò poi a toccare la guancia sulla quale Leda lo aveva schiaffeggiato. La sentì calda, e gonfia.
Leda si alzò e, ancora incredula che suo fratello fosse davvero lì, di fronte a lei, gli corse incontro. Sotto ai suoi piedi l’acqua schizzava ovunque e le bagnava la caviglia dolorante, che ora importava ben poco però. Quando lo raggiunse lo strinse a sé con quanta forza il suo animo riuscì a sprigionare, assieme alla gioia di saperlo vivo e in salute. Sentiva la sua pelle chiara e vellutata sulla sua, il suo respiro calmo e regolare, i suoi capelli scuri tra le dita… tutte conferme, meravigliose conferme. Lui era lì, finalmente. Era lì, era lì davvero, dannazione, proprio lì!!
Leda non faceva altro che ripeterselo, dentro di sé, mentre abbracciava sempre più forte Alan. Le lacrime che avrebbe voluto versare dalla gioia però non scesero. Non voleva più piangere, soffrire, anche se positivamente. Sarebbe stata forte, per lui. Per non vederlo mai triste. Per proteggerlo. Ora avrebbe potuto.
Alan l’abbracciò di rimando, rischiando di bruciarle i capelli con la torcia, che tenne a debita distanza.
Quando si separarono sentì le dita della sorella stringergli la mano, come se avesse paura che potesse sparire di nuovo. Sorrise. Le voleva molto bene. E lui gliene voleva altrettanto.

- Come hai fatto a venire fin qui, Alan? – domandò Leda, rendendosi improvvisamente conto del fatto che la porta dalla quale era entrata era chiusa ermeticamente, e che quindi un bambino non avrebbe mai potuto aprirla.

Alan inclinò la testa, andando oltre il viso della ragazza e volgendo i suoi occhi smeraldini all’uomo.
Leda si girò e lo fissò. Capì che era stato lui a trarlo in salvo, e che poi era tornato indietro per lei. Si sentì una totale idiota, per avergli dato uno schiaffo e averlo insultato pesantemente mentre lui la stava aiutando.
Si bloccò, incerta su ciò che avrebbe dovuto dire. In realtà, lo sapeva benissimo, ma il suo orgoglio stava assemblando un discorso implicito e allusivo sufficientemente architettato  da dargli l’impressione che lei fosse dispiaciuta per quanto successo. Perché non avrebbe mai detto ‘scusa’ a nessuno.
Senza mai mollare la mano del fratello, lentamente si sollevò da terra con l’aiuto delle ginocchia. Si fermò a guardare l’uomo con gli occhi di chi rimprovera. Lei era fatta così, non si abbassava a chiedere scusa agli altri. Dentro di lei, però, gli era immensamente grata per essersi preso cura di suo fratello.
Aprì la bocca per iniziare il suo discorso di scuse sottintese, ma l’altro fu più veloce.

- Tranquilla – pronunciò, quasi scocciato, mentre una mano saliva lentamente alla  guancia arrossata, sfiorandola.

- Ti fa male? – domandò Leda con un tono premuroso nella voce.

- Non è niente di che – rispose apatico lo sconosciuto.

Leda s’innervosì. Il tono con cui le aveva risposto non le era piaciuto per niente. Sembrava quasi volerla incolpare e al tempo stesso prendersi chissà quali meriti per essere rimasto impassibile di fronte al suo gesto. A quel punto non c’era più posto per la diplomazia…

- Che vorresti dire?! – attaccò la ragazza avvicinandosi pericolosamente al viso dell’uomo.

- Assolutamente niente – fece questo, con un sorriso beffardo in volto – Dico solo che uno schiaffo del genere non è lontanamente paragonabile a uno schiaffo vero. Tutto qui.

- Allora adesso ti do qualcos’altro così vedi quanto male fa! – gridò infuriata Leda, al limite della sopportazione.

Lo afferrò nuovamente per il colletto e preparò un altro pugno. Stava per scagliarglielo dritto in faccia ma Alan s’intromise tra i due agitando allarmato le braccia.

- Fermi!! – gridò – Leda, per favore smettila! Lui ci ha aiutati!

- Per come si comporta, sembra quasi che il suo sia stato un atto di masochismo! – ribatté Leda mantenendo la minaccia del suo pugno a non più di qualche millimetro dal naso dell’uomo.

- Però ci ha aiutati lo stesso! E questa è una ragione sufficiente per non accanirsi contro di lui!

- Un debito è sempre un debito… - mormorò con aria di superiorità lo straniero, mentre le sue mani afferravano con forza quella di Leda e la staccavano dal colletto come se fossero la cosa più repellente del mondo.

La ragazza lo guardò con riluttanza, mentre si sistemava il mantello senza badare allo sguardo assassino che le stava rivolgendo.
Alan guardò i due con rassegnazione. Se cominciavano a litigare così presto, Dio solo sapeva come sarebbe andata a finire!

- L’unico motivo per cui non ti ho ancora fatto fuori – sentenziò Leda, in tono duro – è perché hai salvato Alan. Nulla di più. Quindi considera quel debito in parte cancellato.

L’uomo sorrise divertito.

- Come sarebbe a dire ‘in parte cancellato’? – domandò sarcastico – Pensi che abbia paura di te?

- Dovresti – pronunciò tombale Leda.

- Perché? – chiese con tono di sfida lo straniero.

La ragazza si sentì esplodere di rabbia.

- Ora lo vedrai… ! – ringhiò serrando nuovamente i pugni.

Alan però fu più veloce di lei ed esclamò:

- Ehm, grazie per averci salvati, signore! Se non ci fosse stato lei, a quest’ora non so cosa io e mia sorella avremmo fatto!

- Tranquillo, piccoletto – rispose con un sorriso l’uomo, scompigliandogli amichevolmente i capelli scuri.

- Io mi chiamo Alan – si presentò il bambino, posando una mano sul proprio petto per indicarsi – E lei è mia sorella Leda.

E per tutta risposta la ragazza emise una specie di grugnito scocciato, voltando stizzita la testa altrove.
L’uomo la guardò con divertimento, trattenendo una piccola risata.

- Io mi chiamo Tyki, molto piacere – disse, stringendo solidale la mano di Alan in segno di saluto.

Il bambino sorrise, vedendo la tensione nell’ambiente disperdersi, anche se di poco. Tutto sommato, se riusciva a mettersi tra di loro come aveva appena fatto, forse sarebbe riuscito a evitare la catastrofe.
Leda mosse incerta un passo verso la porta. Avvertiva ancora dentro di sé una voce che la implorava disperata di sfondarla e andare a cercare i suoi amici. Sentiva di essersi spaccata a metà: da una parte, la speranza che Ted, Anais, Emily e tutti gli altri fossero vivi e in salute; dall’altra, l’accettazione di una tremenda verità: erano tutti morti. Inconsciamente non riusciva a non credere alle parole di Tyki. Lui l’aveva salvata, aveva aperto una porta bloccata da anni che nessuno era mai riuscito a smuovere, era stato gentile con Alan…
Tutte queste cose lo rendevano quasi una figura onnisapiente, ai suoi occhi. Se la sua parte più intima si rifiutava ancora di accettare quella che probabilmente era la verità, l’altra invece lottava furiosa per far prevalere il suo flebile credo.
Inoltre, un altro grande dilemma l’attanagliava: chi era in realtà quell’uomo?
Il modo con cui, quasi magicamente, aveva aperto la porta, lasciava intendere che ci fosse qualcosa sotto quelle sembianze un po’ trasandate ma che celavano nel profondo una cura quasi insolita per la sua persona. Lo avrebbe tenuto d’occhio, e ad ogni occasione buona ne avrebbe approfittato per capire chi fosse! Perché, nonostante avesse salvato lei e Alan, e le sue parole l’avessero resa conscia della realtà, non riusciva ancora a fidarsi totalmente di lui. Era come se, attorno a lui, ci fosse stata una sorta di aura nera e tenebrosa, che le impediva di vedere chiaramente la sua vera identità. Una barriera, all’apparenza impenetrabile, che però si sarebbe impegnata a sfondare nei giorni a venire.
Ormai, infatti, era chiaro che lei e suo fratello avrebbero fatto gruppo con lui. Oltre all’aspetto misterioso, pareva anche avere le idee ben chiare e probabilmente conosceva la zona dei canyon nordamericani, essendo un viaggiatore. Lei e Alan non sarebbero resistiti a lungo in mezzo a sassi e polvere e al nulla assoluto, avevano bisogno di una guida. Quella guida.
Arretrò di un passo.
No, non doveva tornare. Se fosse stato lì, al suo fianco, Ted le avrebbe sicuramente detto di non farlo. Di andare avanti, sicura di lei. Di proteggere Alan e impedire che quanto fatto fino a quel preciso momento non diventasse improvvisamente vano.
Chiuse gli occhi, strizzandoli con quanta forza poteva.

“Perdonatemi, amici cari…” implorò dentro di sé, sperando che le sue scuse arrivassero a destinazione, nei cuori di quelle persone che erano state tutto per lei per ben due anni.

“Perdonatemi se vi abbandono… Ma prometto che tornerò!”

Si voltò, lo sguardo acceso di decisione come mai prima d’ora.

- Tyki – pronunciò, solenne, ottenendo il suo sguardo – Sapresti condurci il più lontano possibile da qui?

Tyki abbozzò un sorriso soddisfatto. Finalmente la vedeva decisa e coraggiosa, con gli stessi occhi che aveva scorto ore prima seduto davanti a quel boccale di birra.

- Sì, credo sia possibile – rispose, mettendo le mani sui fianchi.

Leda sorrise, soddisfatta. Finalmente riusciva a strappare qualche parola da quello straniero che non fosse un insulto e, cosa più importante, la sua totale collaborazione.

- Allora faremmo meglio ad allontanarci – sentenziò così, avviandosi lungo la conduttura con passo sicuro. Alan le andò dietro con un piccolo sorrisetto fiducioso stampato in volto, mentre Tyki stette qualche attimo a guardarli, come se il solo vederli l’avesse pietrificato. Alla fine anche lui li raggiunse, mettendosi direttamente in testa al gruppo e guidando i due fratelli verso l’uscita.


 
Strinse l’impugnatura della pistola fino a sentirla scricchiolare sotto la sua forza. La rabbia lo rodeva, lo pervadeva ogni secondo di più.
Davanti a lui, tante masse di cadaveri ammucchiati tra loro, come a formare macabre composizioni artistiche. Il sangue era ovunque, persino addosso a lui. Storse il naso. Il sangue umano lo disgustava terribilmente. Si levò la giacca imbrattata, quasi strappandosela di dosso con stizza, e la gettò a terra sollevando una timida nuvola di polvere.
Ripose la pistola nel fodero. Si ravviò i capelli con un gesto della mano. Avrebbe voluto tanto poter vedere lo spettacolo dinnanzi a lui… La meravigliosa opera che aveva compiuto.

- Signore! – una voce metallica, spenta, lo richiamò alla realtà. Un Akuma di livello 3, dall’armatura color rame, gli si affiancò aspettando una risposta.

- Parla – acconsentì, con tono di sufficienza, senza nemmeno voltarsi nella sua direzione.

Il demone esitò.

- Allora? – domandò scocciato il superiore.

- Ehm, ecco, Signore… Non siamo riusciti a trovarla…

L’altro emise un breve ringhio di dissenso. E in un attimo l’Akuma si ritrovò una pallottola fumante piantata in mezzo agli occhi. Cadde a terra con un tonfo, mentre una sempre più vasta pozza di sangue si apriva sotto di lui.
Gli Akuma vicini sussultarono lievemente, alla vista del loro compagno ucciso. Tornarono però a drizzare le schiene sull’attenti, quando il loro capo si girò e ruggì:

- Pezzi di metallo inutili… ecco cosa siete! Il Conte aveva detto che sareste stati all’avanguardia per questa missione. Eppure non siete stati neanche in grado di trovare una fottuta Esorcista!!

A quell’urlo furioso seguirono altri scoppi. Altri tonfi. Altro sangue che colava via da corpi senza vita.

- Livello tre, livello quattro… non sono altro che numeri! – sibilò, irato, quando una voce lo sorprese alle spalle.

- Perché ti lamenti, tu, che sei solo un livello due?

Si girò. Una donna, dalla pelle cinerea e i capelli neri come la disperazione era in piedi dietro di lui. Indossava abiti formali, scuri, e un paio di guanti candidi sulle mani delicate. La sua voce era come una nota grave di pianoforte: suadente, malinconica, eppure fredda.

- Chiedo perdono, mia Signora Noah – pronunciò, quasi a fatica, girandosi verso di lei.

- Come procede la missione? – tornò a domandare la nuova arrivata, senza badare alle sue parole.

- Abbiamo avuto delle difficoltà nel penetrare la barriera e occupare le porte stagne di emergenza; alcuni Akuma sono stati distrutti, Signora.

Menzogne. Dalla prima all’ultima parola. Non aveva incontrato alcun problema durante l’assalto, né per quanto riguardava l’uccisione dei civili. E di perdite, ne avevano avuta solo una, per mano del loro reale obbiettivo. Ma raccontare la verità sarebbe stato un vero e proprio suicidio.

- Che cosa ci state a fare ancora qui, allora? – sibilò aspra la Noah.

L’Akuma stava per rispondere, quando qualcosa lo afferrò e lo strinse violentemente attorno al collo, impedendogli di respirare. Cadde a terra, stringendo le spire violente che lo stavano soffocando per allontanarle, ma la presa era troppo forte.
La mano destra della donna era diventata lunga come una corda e veloce aveva immobilizzato il demone, il quale annaspava in cerca d’aria, rosso in viso.

- Stai al tuo posto, Jeremy, e ricordati che gli ordini del Maestro devono essere di assoluta priorità. Non perdere altro inutile tempo e trovala. Mi hai capito?

In risposta ricevette solo una serie di gemiti soffocati. Mollò la presa, e la lunga corda si ritirò rapida tornando a essere la sua mano.
L’Akuma respirò a pieni polmoni, massaggiandosi il collo leso su cui erano rimasti dei segni arrossati tutt’attorno. Poggiò i gomiti a terra e recuperò il fiato, rivolto verso il terreno.

- Raduna i livelli 3 e 4 e trovala. In caso contrario, sai già quale sarà la fine che ti attenderà.

Puntò lo sguardo impassibile e freddo sui corpi senza vita degli Akuma morti. Avrebbe tanto voluto ucciderlo subito, ma gli ordini del suo Maestro erano assai più importanti.

- Ai suoi ordini… mia Signora Noah… - ansimò il demone, mentre a fatica si rialzava dal pavimento sporco di sangue umano della sede Nordamerica.
 


 
Leda guardò dietro di sé. Il tunnel buio e metallico che lei, suo fratello Alan e Tyki stavano attraversando, era buio e umido, e l’oscurità divorava insaziabile i residui di luce più lontani prodotti dalla torcia che stringeva in mano.
A terra una sottile scia d’acqua salmastra percorreva tutto il canale come un serpente viscido e puzzolente. Le pareti erano scrostate e arrugginite, e i topi squittivano nell’ombra, con un leggero eco che ne amplificava le vocine.
Certo, ritrovarsi dall’avere quella che si poteva chiamare una vita allo sguazzare nelle fogne, non era proprio il genere di futuro che Leda si sarebbe immaginata per lei e Alan quella mattina. Anzi, non pensava affatto all’eventualità che potesse succedere un paradosso del genere. Aveva ancora molta confusione in testa, ma aveva deciso di fidarsi di Tyki, che comunque sembrava una persona affidabile. Almeno, secondo Alan. La sensazione di tenebra che attorniava quella misteriosa figura non se n’era andata, affatto, ma gli ultimi avvenimenti avevano fatto sì che la ragazza pensasse che lui fosse meglio di molte altre cose che le sarebbero potute capitare. In fin dei conti, se avesse dovuto scegliere tra l’essere uccisa da un Akuma o l’essere salvata da un tizio misterioso e antipatico, avrebbe certamente preferito la seconda opzione. Ma solo per poco.
I tre camminavano avvolti dal silenzio. Nemmeno Alan, il più gran chiacchierone mai visto, sembrava essere in vena di parlare. L’unico rumore esistente era quello dei loro passi, che calpestando l’acqua producevano un leggero scalpiccio e qualche schizzo.
Leda non sapeva dire con precisione da quanto tempo stessero camminando, ma a giudicare da come la torcia si era consumata, da quando l’aveva accesa, dovevano essere parecchie ore.
Gliela aveva data Tyki. L’aveva tirata fuori da una borsa che la ragazza non sospettava nemmeno che avesse indosso. Forse dentro c’era anche del cibo. Lei non aveva avuto occasione di tornare indietro a recuperare nulla, nemmeno il bellissimo carillon comprato poche ore prima dell’assalto da donare a Alan, quindi sperava vivamente che almeno lui conservasse un po’ di viveri. Non aveva alcuna intenzione di morire di fame.

- Hey – lo chiamò. Si era già dimenticata il suo nome.

Tyki si voltò verso di lei, intuendo che quel verso fosse rivolto a lui.

- Sì?

- Quanto manca per arrivare in superficie?

- Poco.

Sulla fronte di leda comparve una piccola vena di rabbia. Segno che la ‘spiegazione’ appena ricevuta non era affatto sufficiente.

- Quanto poco? – domandò, imboccando già la via dell’impazienza.

Tyki si fermò bruscamente. Alan cozzò contro la sua schiena, perso com’era a guardare la scia d’acqua putrida come fosse una traccia da seguire. Sollevò lo sguardo rassegnato e si preparò a una nuova imminente bufera.

- E’ un po’ che camminiamo, non trovi? Eppure avevi detto che tramite questo condotto saremo arrivati in superficie in poco tempo.

- Il motivo è che siete lenti, e con questo passo non raggiungeremo la nostra meta prima di domani.

Leda s’innervosì ancor di più.

- Secondo me è perché tu ti sei perso.

Tyki la fulminò con lo sguardo.

- Io non mi perdo mai – pronunciò, altezzoso – E non ho bisogno che tu mi faccia la paternale, ragazzina.

Alan, che si trovava tra i due e li guardava dal basso verso l’alto, vedeva chiaramente accendersi tra i loro sguardi piccole scintille gialle fulminee. Si spostò appena, quel tanto che bastava per tirarsi fuori dalla zona calda di quello che, con tutta probabilità, sarebbe potuto diventare un incontro di lotta assai acceso.

- Non possiamo vivere nelle fogne, lo sai questo? – domandò Leda, come se, dato il fatto che probabilmente lui ci viveva, non riusciva a capire che per loro era diverso.
In assenza di una buona risposta per controbatterle, Tyki tacque.

- Dammi la torcia – pronunciò duro, al termine di una piccola pausa. Leda gliela porse, un po’ sorpresa da quella reazione improvvisa.

- Ora seguitemi e camminate veloci. Riusciremo ad uscire da qui… fosse l’ultima cosa che faccio.


Angolo di Momoko

Prima di propinarvi le solite cavolate, volevo chiedere scusa a tutti. Chi mi conosce avrà sicuramente capito che la puntualità non è il mio forte, e che quindi dire 'posterò il capitolo entro due o tre settimane' è come dire 'non so quando aggiornerò, forse entro quindici anni...'.
Vi chiedo perciò di avere molta pazienza. Cercherò di non deludervi mai con i capitoli nuovi, e metterò sempre molta cura e dedizione nello scriverli. Non mi faccio assolutamente beffa di voi, credetemi. Spesso non c'è tempo, o manca l'ispirazione, o non è possibile proprio scrivere. Ma su una cosa voglio tranquillizzarvi: anche de dovessi farvi aspettare un po', il capitolo arriverà comunque. Non interromperò mai una storia, quindi se non vedete aggiornamenti freschi non demordete xDD
In questo capitolo non c'è molto di cui parlare. Compaiono dei personaggi nuovi, una Noah misteriosa e ci sono le prime zuffe tra Leda e Tyki. Nel prossimo le cose comincieranno a mettersi in moto, quindi preparatevi! xD
Tyki: per come vanno le cose, di tempo per prepararsi ce ne sarà parecchio ù_ù
Sei snervante, lo sai?
Sanji: *circondato di cuoricini* Momoko-san! Ti ho portato della cioccolata calda! ♥
Grazie, Sanji caro. Almeno tu mi dai un po' di soddisfazione!
E con questo, vi comunico che a breve comparirà anche il secondo capitolo di Tears, la sfida tra me e Myrae.
Ora mi dileguo!

A prestoooo,

Momoko ♥

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Capitolo 5
*** Occhi rossi nell'oscurità ***


Capitolo 5: Occhi rossi nell'oscurità 

E invece erano passate altre tre ore.
I tre procedevano con passo svelto all’interno della galleria senza dire una parola. Tuttavia, Leda era sicurissima che Tyki non sapesse minimamente dove li stesse portando.
Sollevò appena la torcia che stringeva in mano per esaminarla con attenzione: era molto consumata, non sapeva quanto ancora avrebbe illuminato il loro cammino. In ogni caso, era meglio non saperlo. Aveva visto Akuma capaci di nascondersi sotto terra, di volare, di infiltrarsi nell’ombra e prenderti alle spalle. Dio solo sapeva cosa avrebbero potuto incontrare una volta rimasti al buio, senza vie di fuga e completamente indifesi.
Leda sentiva dentro di sé uno strano stato di agitazione. Era come se i suoi sensi fossero all’erta per fronteggiare un qualche nemico nascosto. Ma più si guardava attorno e più si rendeva conto di essere in errore: quel posto non sarebbe potuto essere più isolato e decadente di così.
I muri metallici, scrostati e arrugginiti, erano la sola cosa che in quel momento li circondava. In più, la presenza dei topi di fogna, per quanto nauseabonda, la rassicurava. In presenza di un pericolo, sarebbero certamente scappati il più lontano possibile.
Proprio in quel momento rischiò di pestarne uno. La bestiola squittì offesa e zampettò dietro a un compagno fin dentro le tenebre, dietro di lei.
Il disgusto era alle stelle. Leda sperava vivamente che almeno Alan si sentisse meglio di lei.
- Hey, mostriciattolo – lo chiamò, con un sorriso amichevole in volto.
Il fratellino gonfiò le guance, evidentemente offeso dall’appellativo con il quale gli si era rivolta.
- Va tutto bene? – domandò ancora, camminando al suo fianco.
- Sì – rispose Alan, un po’ perplesso – Perché?
- Così…
Seguì qualche attimo di pausa.
- Leda – questa volta fu Alan a chiamare la sorella.
- Sì?
- Credi che Theodore starà bene?
A quella domanda alla ragazza venne un groppo alla gola, che rischiò quasi di soffocarla. Il suo cuore cominciò a tamburellarle nel petto, talmente forte che temette che potesse sentirlo.
Come rispondere… ?
Come spiegargli che la persona che li aveva accolti e amati per due anni come fosse il loro vero padre, ora era un resto carbonizzato fatto di polvere?
Avrebbe potuto mentirgli. Ma più guardava quel suo visino così innocente, così ingenuo, più le sembrava di essere un mostro schifoso che si prendeva gioco di lui.
“No, non starà bene. Ted è morto e non tornerà più”. Le parole più orribili, malsane e meschine che avrebbe mai potuto dire. Ma anche le più veritiere. Le più terribili, ma anche le più giuste. Le più difficili.
Se gli avesse detto una bugia, lo avrebbe scoperto prima o poi, il che gli avrebbe sicuramente procurato molto più dolore di quanto non ne avesse già.
Anche questo era dovere di una sorella maggiore: proteggere il proprio fratellino.
In quel momento però, rispetto all’affrontare Akuma, scappare da un condotto fognario e sopravvivere, sembrava la cosa più ardua.
Ogni singola ipotesi che il suo cervello ideava veniva smontata subito dopo. Era inutile accampare scuse. La verità era lì, davanti a lei, che premeva forte per uscire dalle sue labbra rosee. Ma non poteva farlo.
Così Leda optò per una risposta evasiva, che avrebbe lasciato la strada aperta a un forse…
Alan non era pronto per sapere la verità. Ed era troppo tardi ormai per cercare di imbrogliarlo.
- Non lo so – rispose, sollevando un poco la torcia per illuminare davanti a lei – Lo spero.
Il bambino accennò un sorrisino speranzoso.
Leda ricambiò, ma il suo sorriso era velato di tristezza.
“Che bugiarda, che sei" si disse, nei suoi pensieri.
Già. Una bugiarda che vuole troppo bene a suo fratello.
Se reprimere il dolore per la scomparsa di Ted e mostrare un chiaro sorriso fiducioso avrebbe protetto Alan, allora sarebbe stata pronta a reggere quella orribile farsa per l’eternità.
Proprio in quel momento le venne in mente che aveva già fatto una cosa del genere, molto tempo prima…
 
Avvolta da contorni opachi e soffusi, aveva l’immagine di una casa. La loro casa. Riusciva ancora a ricordarsela: mattoni bianchi, un tetto di legno scuro e resistente, un camino dal quale fuoriusciva costantemente un sottile filo di fumo grigio. Accanto, una piccola rimessa con ciocchi di legna tondi e grossi, secchi e pronti per essere bruciati. Ricordava che il tettuccio di paglia intrecciata lo aveva fatto lei, e sotto gli aveva posizionato un rinforzo in legno, perché l’acqua non penetrasse.
Il prato tutt’attorno era verde acceso, quasi volesse gridare festoso al mondo di essere vivo. Piccole margherite lo punteggiavano di bianco, come tante stelle luminose nel cielo notturno.
Una palla rotolò veloce, andando a sbattere contro un muro della casa. Subito dopo, risuonò in quel luogo calmo una voce squillante, che sapeva di gioventù.
- Ma che tiro era quello?
Subito dopo comparve una bambina. Superava appena il metro, e teneva i lunghi capelli castani raccolti in una folta coda di cavallo. Gli occhi erano neri e lucidi, come due ossidiane.
Corse fino alla palla, la schiacciò col piede e poi la calciò via, ridendo.
- Non so giocare, Leda! – uggiolò un’altra vocetta, spuntata da un cespuglio lì vicino.
Un bambino piccolo, dai capelli color nocciola e gli occhi tinti del mare più profondo. Aveva il viso arrossato, questo perché aveva rincorso come un dannato la palla senza mai essere riuscito a sfiorarla.
Leda era brava a giocare a pallone. Lui non l’aveva mai battuta, in tutti quei pomeriggi passati a ridere e giocare tra gli alberi del boschetto. Era frustrato per questo, ma alla fine la sorellona sapeva farsi perdonare a dovere.
La sera, infatti, quando la loro madre andava a dormire, lo aiutava a uscire di nascosto dalla finestra e ad arrampicarsi sul tetto di casa, per guardare le stelle. Da lì erano stupende. In quel momento Leda gli raccontava le storie più inverosimili: draghi volanti, principesse da salvare, streghe maligne e avventure immaginare ispirate ai nomi delle stelle. Ovviamente, anch’essi inventati.
Quello che a Leda piaceva di più però erano le storie sugli Esorcisti. Fieri guerrieri scelti dal destino che combattevano i demoni maligni venuti dall’inferno.
Le sembravano la cosa più bella del mondo, e le loro gesta brillavano nella sua immaginazione come fossero state il più prezioso dei tesori. E un giorno, sperava lei, ne avrebbe fatto parte…
- Leda – la chiamava ogni tanto Alan, mentre stavano stesi col naso all’insù verso il cielo stellato – Come si chiama quella stella?
E da lì la sorella maggiore inventava storie su storie ispirate all’Eroe legato al piccolo puntino luminoso.
Ma non sapeva che Alan credeva veramente a tutte quelle storie, e vedeva la ragazza come un’eroina ancora tutta da scoprire.
In realtà, era loro padre il vero eroe.
Non lo vedevano mai, ma grazie allo stipendio che mandava ogni mese dal suo luogo di lavoro, potevano vivere adeguatamente senza fastidi.
Leda sapeva solo che lavorava per loro, i miti viventi su cui amava perdersi in magnifiche fantasie: gli Esorcisti.
Era orgogliosa di lui. Il solo sapere che contribuiva alla lotta per il bene, le faceva gonfiare il petto. E il suo sogno era quello di diventare, un giorno, una fiera guerriera santa. Proprio come lui…
 
Lo scoppiettio della torcia la fece tornare alla realtà.
Un pezzetto di brace di staccò e cadde nell’acqua, sollevando una lieve striscia di vapore. Non sarebbe durata ancora per molto, dovevano trovare un altro pezzo di legno, o dare fuoco a qualcosa perché quell’unica fiamma che avevano non si estinguesse.
Leda cercò Tyki con lo sguardo. Lo vide camminare a pochi passi da lei, assieme a suo fratello. I due però non si rivolgevano la parola.
- Hey, tu! – lo chiamò, accelerando il passo per raggiungerlo e mostrargli la torcia – Si sta spegnendo. Non hai altre torce dentro quella tua magica borsa delle meraviglie?
Il sopracciglio di Tyki s’inarcò leggermente.
- Prima di tutto – cominciò sillabico – Ho un nome. E’ Tyki Mikk. Secondo: no, non ce l’ho.
Leda sbuffò scocciata, battendo un braccio sul fianco.
- Fantastico. Manca molto all’uscita?
Domanda scontata. Lo sapeva benissimo che la risposta sarebbe stata ‘sì’. Era davvero sicura che farsi guidare da un tizio che si atteggiava a giramondo e che poi non sapeva nemmeno uscire da una fogna fosse stata la più pessima delle idee che aveva preso in quegli ultimi tempi.
Tyki le diede le spalle, con uno scatto nervoso. Non aveva nemmeno intenzione di risponderle, così riprese a camminare.
Leda sbuffò forte, affinché l’uomo la potesse sentire; e infatti questo accelerò immediatamente il passo. La ragazza sorrise, soddisfatta del suo gesto.
Alan guardò la sorella con rassegnazione. Un’altra volta. Subito dopo la raggiunse, tirandole un lembo della giacca.
- Che cosa c’è? – chiese con tono dolce Leda, voltandosi verso di lui.
Ma non ebbe il tempo di sentire la risposta che un gorgoglio proveniente dal suo stomaco rimbombò lungo il condotto, arrivando benissimo alle orecchie di Tyki. Egli infatti si fermò, e fece dietrofront, raggiungendo i due fratelli.
Alan diventò rosso in viso per l’imbarazzo, mentre Leda sorrideva, ricordandosi improvvisamente che, da quando erano scappati, erano già passati alcuni giorni e loro non avevano messo nulla sotto i denti. La cosa strana, era che i due sembravano essersene completamente dimenticati. Almeno, fino a quel momento.
Improvvisamente si vide mettere qualcosa sotto il naso. Sollevò appena lo sguardo e vide un pezzo di pane, ancora fresco. Lo afferrò, un po’ incredula, e la voce di Tyki le arrivò tagliente eppure, in un certo senso, dolce:
- Vedi di fartelo bastare. Non ho altro.
Poi si chinò, e porse, con molta più gentilezza che a Leda, lo stesso pezzetto di pane a Alan.
- Grazie! – esclamò contento il bambino, addentando il suo pranzo con un morso delle dimensioni di quello di uno squalo bianco.
- Di nulla – fece l’uomo, accennando un piccolo sorriso.
Leda si sentì un po’ gelosa. Perché dava tutte quelle attenzioni a suo fratello, mentre con lei era più acido di un limone?
Lo guardò storto mentre si accucciava a terra e frugava nella sua borsa (che compariva sempre dal nulla).
- Riposatevi pure qualche minuto, se volete – pronunciò, indifferente, mentre tirava fuori un pezzo di legno.
Leda si sedette a terra, bagnandosi il retro dei pantaloni. Per non far fare la stessa fine anche ai suoi, Alan si sedette sulle gambe della sorella mentre, tutto tranquillo, continuava a consumare il suo pezzo di pane.
- Lasciane un po’ anche per dopo – gli consigliò Leda, con una certa nota di rimprovero nella voce. Intanto prese il suo, e lo infilò nella tasca della giacca.
Poi spostò il suo sguardo su Tyki. Si era strappato parte del mantello e l’aveva avvolto intorno a un’estremità del pezzo di legno.
La ragazza si sentì sollevata: almeno avrebbero avuto un’altra torcia da usare, quando quella che teneva in mano si sarebbe spenta.
A quel punto si sentì invadere dalla stanchezza. Si rese conto di tutto il tempo che era trascorso dal momento dell’assalto e che lei, sin da quando era tornata dal suo viaggio, non aveva nemmeno avuto un momento libero per riposarsi. E ora che finalmente aveva qualche attimo di tranquillità, avrebbe potuto recuperare un po’ di energie.
Cominciò a chiudere piano gli occhi. E in quella semi oscurità che la stava lentamente avvolgendo, ripensò ai suoi amici. Trattenne una lacrima. Sarebbe tornata da loro, ad ogni costo, a salutarli per l’ultima volta. E quando non vide altro che una nera parete davanti a sé, si lasciò scivolare delicatamente nel mondo dei sogni…

 

Buio totale.
Non vedo nulla, sono completamente immersa nell’oscurità.
Eppure, non mi dispiace. Per certi versi, si potrebbe dire mia amica. Si tratta di quel vuoto, quel nulla dal quale nulla nasce e nulla muore, che mi culla e mi fa sentire sicura. E’ una vecchia sensazione, quella che provo. Uno strano senso di sollievo. E’ talmente rilassante, dopo giorni di preoccupazioni e paure… che mi sembra quasi di dimenticare quel giorno. Quel giorno in cui la mia vita, così come la conoscevo e l’amavo, è sfumata per sempre.
Non oso muovermi. Preferisco bearmi di quell’assoluto senso di calma che mi sta lentamente pervadendo dal profondo dell’anima. Potrei lasciarmi cadere, ora, e rimanere lì, immobile, sul pavimento, a non fare niente.
Qualcosa però attira la mia attenzione. Percepisco l’accendersi di una luce, soffusa e opaca, alle mie spalle. Lo so perché improvvisamente riesco a vedermi le mani, i capelli ai lati del volto, i vestiti. Sono gli stessi che portavo anche prima di addormentarmi.
 
Questo sogno è banale.
 
Devo subito ricredermi. Qualcosa appare dalla luce, come un miraggio. E immediatamente un sordo rumore di acqua che scroscia riempie il vuoto.
Mi volto: c’è una fontana, davanti a me. Bianca, di pietra. E sulla colonna al centro, fanno la loro bella figura due angioletti, anch’essi della stessa materia. In mano tengono due brocche, dalle quali zampilla fuori un sottile getto di linfa fresca e cristallina.
E’ talmente bella, splendente, pulita, che la tentazione mi vince, e avanzo così qualche passo verso il bordo della fontana per berne un sorso.
Ciò che penso mentre mi avvicino è che ovviamente tutto questo è solo un sogno. Probabilmente la mia sete reale viene esternata attraverso il subconscio, e quando mi sveglierò quello stimolo diventerà concreto. Poco male. Almeno qui, posso finalmente rilassarmi e soddisfare, anche se solo in maniera fittizia, i miei desideri.
Mi siedo sul bordo, e allungo con un po’ di esitazione le mani verso uno dei fiotti, per raccogliervi l’acqua cristallina.
 
Ed ecco che lo vedo, riflesso.
Uno degli angioletti sposta lo sguardo di pietra e lo getta su di me. Inizialmente ciò che provo è indistinto. Non so, in verità, cosa dovrei fare. Nel dubbio, mi blocco, e ricambio con una fugace occhiata, per vedere se sono ancora osservata.
La risposta è affermativa.
Comincio a sentirmi a disagio. So, per principio, che una statua non dovrebbe comportarsi così. Non dovrebbe affatto comportarsi, in realtà.
Anche se si tratta di un sogno, la mia mente non è in grado di accettarlo.
Azzardo un movimento, forse dettato dall’inquietudine, e ritirò la mano.
La statua rimane immobile. I suoi occhi spenti sono, tuttavia, sempre puntati su di me.
 
Qualcosa però all’improvviso cambia. La testa dell’angioletto s’inclina lentamente nella mia direzione. Subito dopo le sue labbra inanimate cominciano ad allargarsi, con mio sconcerto, in un sempre più strano sorriso. Barcollante, incerto, tremolante. Ma, tuttavia, inquietante.
Comincio ad alzarmi, leggermente intimorita. Non so perché, ma sento il bisogno di allontanarmi. Di correre.
E questo mio sentimento trova immediatamente conferma.
La statua cambia improvvisamente volto. I denti diventano lunghi e acuminati, e la bocca si spalanca in un’espressione famelica. La sua lingua s’insinua tra quelle zanne, carezzandole quasi come stesse aspettando che mordessero della carne prelibata.
La mia.
Ora ho paura.
Velocemente mi alzo, e comincio a correre. I mie piedi sono diventati pesanti come macigni, e ogni passo mi costa una fatica immane. Non so dove scappare, perché l’oscurità inghiotte ogni cosa e, allontanandomi dall’unica fonte di luce esistente, inizio a non vedere più nulla.
Mi sento stanca. Ho l’impulso di chiudere gli occhi.
Buffo.
Sono in un sogno, e starei già dormendo.
Ma questo non è più un sogno, bensì un incubo.
Sento un lontano sbattere d’ali dietro di me, sinistro e veloce. E’ lui. Volto la testa, e vedo due brillanti luci rosso sangue nell’oscurità. Mi fissano, affamate, bramose della mia anima.
La paura prende totalmente possesso del mio corpo.
Cerco di correre più forte, ma i piedi sembrano come affondare nel pavimento, rallentando i miei movimenti.
Il mostro è sempre più vicino. Sento il suo fiato, e l’inquietante calore di due mani dalle dita lunghe e ossute che si allungano verso di me.
Sono spacciata.
 
Quando però sembra che tutto stia per finire, una luce, abbagliante e pura, si apre dinnanzi a me. Sembra una porta.
Una via d’uscita.
Raccolgo le ultime energie che mi restano per darmi una spinta in più e raggiungerla. La vedo avvicinarsi sempre più, e accogliermi come un caldo abbraccio salvifico.
Allungo una mano per toccarla, per afferrarla, per mettermi finalmente in salvo e terminare così quest’orribile tormento…
 
E invece quella s’allontana.
 
“Impossibile” è ciò che penso, mentre vedo la mia unica via di salvezza ridursi a una microscopica particella di luce a chilometri da me.
 
E come mi rendo conto di essere stata presa in giro da un’occasione bugiarda, le mani del mostro si avventano su di me.
Mi sollevano da terra e le sue unghie affondano voraci nella mia carne. Sento la pelle che si strappa, il sangue che sgorga fuori, caldo e nauseabondo, ma soprattutto sento il dolore. Un dolore lancinante al petto, all’addome, che mi perfora come tanti spilli acuminati e trafigge come mille lame affilate.
E mentre lentamente chiudo gli occhi, ormai preda del falso spirito celeste, sento la sua risata sguaiata che mi accompagna fino al risveglio…
 
 


 

Leda riaprì gli occhi, di scatto. Alan era di fronte a lei, e la chiamava dolcemente scossandola per una spalla.
La ragazza rimase assai sollevata nello scoprire che aveva solo sognato. E che non era stata divorata da un orribile demone. La presenza di suo fratello, in quel momento, era la sola luce salvifica che potesse mai desiderare.
Sorrise, mentre lentamente si sollevava, ancora intorpidita dal sonno. Sentiva la testa un po’ in subbuglio, e i muscoli indolenziti. Guardò il punto in cui si era addormentata, e non si stupì affatto di sentir male alle ossa.
Si guardò attorno, riconoscendo, suo malgrado, il ben noto canale fognario dentro al quale vagavano ormai da giorni. Tuttavia, alla tetra oscurità del suo sogno, preferiva di gran lunga quell’orribile condotto che puzzava di acqua marcia.
Improvvisamente la voce di Tyki, del quale si era totalmente dimenticata, irruppe nei suoi pensieri con la solita ‘gentilezza’.
- Devo dirti una cosa.
Si voltò nella sua direzione, troppo impigrita per inveirgli contro. Cosa voleva ora?! Dire che si era dimenticato la strada per la superficie?
Chissà perché, Leda non ne era affatto stupita…
L’uomo invece distrusse ogni sua supposizione, tirando fuori qualcosa che fece imbestialire ancora di più la ragazza.
- Esiste un modo per arrivare in superficie senza dove necessariamente percorrere il condotto – disse, con aria saccente.
A Leda cascarono le spalle, mentre la sua bocca rimase lievemente socchiusa in un’espressione allibita.
La prima cosa che ebbe l’impulso di fare, fu di tirargli un sonoro pugno su quel bel faccino che ritrovava, per cambiargli i connotati. Non era però nelle condizioni di farlo, quindi si limitò a restare basita, pietrificata dall’amara sorpresa.
Ormai aveva perso le speranze di comprendere cosa gli passasse per la testa; se lo divertisse metterli in difficoltà o se semplicemente fosse impedito. La seconda ipotesi era quella che più gli riusciva facile appoggiare.
Doveva essere assai stupido per non capire che, dopo giorni di vagabondaggio in quello schifo, dire che esisteva una via alternativa in quel momento, a loro, a lei, equivaleva a un atto di suicidio.
La sola cosa che gli impedì di ricevere le cinque dita di Leda sulla faccia fu l’inquietudine di quest’ultima, ancora pensierosa per via dello strano sogno avuto.
La ragazza strinse i pugni, in preda alla rabbia che cercava di controllare con tutte le sue forze, mentre tutto il suo corpo tremava, immobile, per evitare di perdere le staffe ed esplodere.
Improvvisamente Alan s’intromise, tirandole piano una manica della giacca. Leda se la guardò velocemente: era ricoperta di buchi, e sporca di polvere. Decisamente non in un bello stato. Chissà se qualcuno gliel’avrebbe potuta rammendare.
- Leda – la chiamò il fratellino, saltellando su e giù con gli occhi brillanti per la felicità – Lui ha i superpoteri! Può portarci via da qui!
- Come? – domandò la sorella, certa di non aver capito niente di quanto gli avesse appena detto.
Certo che Alan era un ragazzino vispo, e spesso troppo energico, ma se c’era una cosa che proprio non gli riusciva era mantenere il contegno. Certamente la frase ‘ha i superpoteri’ andava tradotta con qualcosa di più sobrio e meno fantasioso. Era spesso capitato, da Ted, che corresse da lei urlando: ‘C’è un mostro nella mia stanza!’, per poi scoprire che si trattava di un banale ragnetto. Altre volte, catturando una lucertola tra i sassi della loro vecchia casa, aveva esclamato: ‘Che drago enorme!’.
Leda però a quello non si era mai abituata. E decidere come interpretare le parole del fratello era sempre più difficile.
- Mi ha fatto vedere una cosa fantastica, prima! – continuò a esclamare il bambino, con meno energia, strattonando la manica della sorella.
Questa se lo scrollò di dosso, esasperata, recuperando pian piano parte della propria coscienza. Se non altro, la voce squillante di Alan era riuscita a destarla completamente. Gli posò una mano sulla testa e la schiacciò, scherzosamente, costringendolo a fermarsi e a parlare con più calma.
- Che cosa? – domandò poi, rivolgendo un’occhiata sospettosa a Tyki. Anche se li aveva aiutati, ancora non si fidava pienamente a lasciare Alan in sua compagnia.
Inaspettatamente, fu proprio lui a rispondere al posto di suo fratello.
- Io posso portarvi in superficie, passando da lassù – spiegò, indicando il soffitto del canale.
Leda guardò in alto, vedendo solo un muro nero e arrugginito. Come avrebbe mai potuto passare da lì? Forse facendo un buco… ?
- Di grazia, come penseresti di fare? – domandò, per nulla convinta, ma tuttavia incuriosita.
Tyki le rivolse lo sguardo più strafottente del mondo. Si sistemò i capelli con una mano, portandoseli all’indietro, per poi lasciarli ricadere scomposti sul viso nuovamente. Si avvicinò a Alan, si chinò verso di lui e liberò un braccio dal mantello. Leda notò ancora una volta le strane cicatrici che lo circondavano, e rimase perplessa.
Lo vide sollevare la mano, e mostrandogliela come fa un prestigiatore prima di compiere una magia.
- Così – disse.
Poi trapassò la testa di Alan.

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♣ Angolo di Momoko 

Salve a tutti! Tranquilli, non sono morta ^^'
La scuola in questi giorni mi ha impegnata parecchio, con la fine del quadrimestre ho dovuto studiare per non abbassare le medie xDD Poi con 'sti treni maledetti, che vengono soppresso praticamente tutti giorni, tornare a casa è una specie di battaglia all'ultimo sangue!
In questo capitolo le cose cominciano a subire una leggera modifica solo verso la fine... Avrei potuto scrivere di più, ma volevo mantenere l'effetto suspence *W* Nel prossimo invece ci saranno delle belle sorprese!
Volevo spendere due paroline per la mia raccolta di drabbles, Tears. Chi la segue avrà certamente visto che nella pagina d'autore, accanto al nome, ho aggiunto 'sospesa'. Non si tratta di mancanza d'ispirazione, affatto. E' stato un gesto di cortesia nei confronti di Myrae, che ora non è più su EFP. Non so se la continuerò ma, aspettando un suo eventuale ritorno, per ora rimane bloccata.
Invece, nei coming soon, c'è un'altro progetto, abbastanza strampalato, che spero di potervi mostrare il prima possibile :) *Momoko ingrana la marcia*.
Bene, ora mi dileguo! *W*

A prestoooo,

Momoko.

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Capitolo 6
*** Colpo di pistola ***


Capitolo 6: Colpo di pistola 
 
 
Così ogni cosa perse il suo significato.
Il tempo parve congelarsi all’istante, intrappolando suoni, odori e sensazioni in un nulla invisibile; ponendo un muro tra loro e Leda, la quale, in quel momento, altro non vedeva che suo fratello Alan, con il braccio di Tyki che gli trapassava la testa. Eppure, al tempo stesso i suoi occhi neri, ora ridotti a due piccolissimi puntini scuri immersi nel bianco, rifiutavano di vedere una realtà troppo orribile e quindi si perdevano nel vuoto, assenti.
Il suo corpo era come paralizzato, così come il suo respiro, mozzato a metà per lo sconcerto. Ma non ci pensò. In verità, non pensò a niente.
Osservava ciò che le accadeva davanti, con impotenza, incredulità… Senza poter fare nulla per impedirlo.
Davvero… bastava così poco, per perderlo… ?
Una piccola distrazione, una fiducia mal riposta… potevano davvero significare la fine della vita di una persona? Di quella persona?
 
Leda si rifiutava di credere persino a quello.
Per un istante ebbe il presentimento che quello fosse ancora un sogno. Che in realtà fosse ancora in compagnia dell’inquietante demone che pochi attimi prima l’aveva azzannata, vorace, strappandole di dosso brandelli di carne sanguinante dal corpo. E che presto sarebbe ricomparso…
In cuor suo, però, sperava che fosse così. Almeno, si sarebbe svegliata, e Alan sarebbe stato ancora lì, davanti a lei, nel suo mondo di tenebra. E l’avrebbe illuminata, con la sua luce splendente.
 
Eppure, se ne rese conto in quello stesso momento: non era una finzione, ma la sola e unica verità.
E faceva male…
Un male terribile al petto, che cominciò a divorarla ogni secondo di più, partendo dal centro ed espandendosi fino alla gola, soffocandola.
Si sentì avvampare, mentre deglutiva a fatica. Gli occhi le pizzicarono… Storse il naso.
Stava piangendo?
Eppure non sentiva nessuna lacrima rigarle il volto.
Possibile che fosse così crudele, così insensibile, da non fare una piega nemmeno per la morte di suo fratello?
Eppure per Ted, Anais ed Emily aveva pianto, aveva gridato, e aveva quasi dato un pugno a Tyki…
 
Già, Tyki… l’uomo che aveva aiutato lei e Alan, e che ora si rivelava per quello che era. Un bugiardo.
Un’orribile, schifoso bugiardo, che li aveva salvati, aveva infuso loro false speranze e infine li aveva pugnalati alle spalle.
Ora che aveva ucciso Alan… sarebbe toccato a lei?
Poco importava. Senza suo fratello, il suo scopo di vita, non era altro che una triste ragazza vuota e sola, incapace persino di difendere le persone a lei care. Come sua madre…
Se l’avesse uccisa, sarebbe stato meglio. Almeno, non avrebbe più dovuto provare tutto quel dolore…
 
… Nonostante non stesse piangendo.
Perché voleva essere forte per Alan, fino alla fine. Non gli avrebbe mai dato motivo di essere triste, o di preoccuparsi per lei. Mai. Fino all’inesorabile fine. Ed ora quella era molto vicina…
 
‘Addio…’
 
Così, senza voler difendersi, senza poter reagire, lasciò cadere la testa all’indietro e sussurrò una sola e unica parola, piena di tutto il sentimento che riuscì a raccogliere, con voce impercettibile appena tremolante.
- Alan. . .
 
 
- Sì?
 
 
Leda si bloccò all’istante.
Spostò lo sguardo su Alan, e a quel punto poco mancò che cadesse a terra svenuta.
Lui era davanti a lei.
 
Vivo, e vegeto.
 
E la guardava come se fosse uscita di matto, con uno strano sorriso in volto. Eppure la mano di Tyki, il quale le aveva rivolto un’occhiata confusa, era ancora infilata attraverso il suo cranio.
Fu così in quel momento che la ritirò, accompagnato da un inquietante rumore che a Leda ricordò molto quello del sangue che si spandeva sul terreno una volta fuoriuscito dal corpo. Ciò la fece inorridire ancora di più. Una volta tornata completamente indietro, la testa di Alan era intatta, senza lesioni o ferite di alcuna entità. Anzi, pareva anche essere molto allegro.
E nello stesso istante in cui la punta del dito medio di Tyki si separò da lui, Leda arrivò rapida con un pugno ben assestato sulla faccia dell’uomo. Il colpo riuscì alla perfezione e questo cadde all’indietro, battendo violentemente la testa contro la parete metallica del condotto e producendo un rimbombante eco che si propagò fino all’oscurità più nera.
Alan strabuzzò gli occhi e rimase a bocca aperta, mentre osservava la sorella che, piegatasi appena nel stampargli le sue cinque dita sul grugno, ora si rialzava con uno sguardo a dir poco irato e al tempo stesso orripilato.
Lo raggiunse a grandi passi e lo sollevò per il colletto, portandolo a pochi centimetri dal suo viso e guardandolo negli occhi con fare di sfida.
- Chi diamine sei tu?! – esordì, con una potenza vocale senza precedenti – Rispondi!!
Tyki cercò di tenere aperti gli occhi, per ricambiare lo sguardo. Si accorse però di stare sanguinando dal naso, a causa dell’acre odore del liquido che gli impediva di respirare correttamente. Inoltre, gli girava la testa.
Certo che non si era proprio controllata quella mocciosa…
 
Il forte colpo dietro la nuca non gli consentiva di essere molto presente con la testa, ma sfortunatamente, la voce squillante della ragazza lo tenne sveglio, abbastanza da permettergli di risponderle.
Si sarebbe limitato a spiegarle la verità, mentre avrebbe però lasciato gli insulti per quando si fosse sentito meglio.
 
- Perché mai… ti scaldi tanto? – chiese, abbozzando un sorriso sfrontato.
Leda strinse ancora di più la presa, mentre si preparava a colpire nuovamente. Figurarsi se gli avrebbe risposto! La sua era la domanda più sciocca del mondo, ben sapendo quanto lei volesse bene ad Alan. Arrivare però al punto di giocare con questi suoi sentimenti, metterli in mostra e poi… ridicolizzarli…
Trattare il suo dolore come se fosse una cosa di poco conto…
E poi, ancora, fare quella dannata faccia da saccente buono a nulla e fingere che non fosse successo niente…
Esibì ancora il pugno chiuso, per dimostrargli che se non avesse dato spiegazioni al più presto le cose per lui si sarebbero messe molto male. E che se non si fosse sbrigato, avrebbe ricevuto da lei molta più sofferenza. La stessa che lei, pochi attimi prima, aveva sentito spaccarle violenta il cuore a metà.
 
Tyki non parve farci caso. Certo, era in una posizione svantaggiosa, ma le minacce di una ragazzina, per giunta confusa, erano la cosa che meno lo preoccupava in quel momento.
Sollevò a fatica un braccio, e afferrò il polso della ragazza stringendolo con poca forza.
Leda ritrasse con rapidità la mano, leggermente intimorita, ma non abbassò la guardia. Si avvicinò ad Alan, il quale era rimasto in silenzio tutto il tempo, e lo tenne dietro di sé come per difenderlo.
Ma gli sguardi preoccupati del fratello non sembravano essere per lei, bensì per Tyki. Rimase in silenzio, senza muovere un muscolo. Evidentemente la reazione della sorella l’aveva scosso. Non credeva che potesse arrivare a tanto in così pochi secondi, che potesse diventare così simile a una belva.
Lei, che in passato era stata una persona allegra e sorridente, sempre col sole in faccia, ora non riusciva nemmeno a mantenere la calma di fronte a un banale scherzo, o a una parola di troppo detta per errore.
Era così triste a pensarci; a pensare che forse la Leda che gli sorrideva e gli raccontava tutte quelle belle storie fosse morta. Che il sole dentro di lei si fosse spento.
Alan però era fiducioso. Sapeva che la sorella, nel suo profondo, rimaneva comunque la bambina spensierata di tanti anni prima, e che un giorno, quando quella orribile guerra fosse finita, sarebbe tornata ad esserlo.
E allora avrebbero finalmente vissuto come una famiglia. Una bella famiglia felice…
 
Tyki diede qualche colpo di tosse, mentre con una manica cercava di levarsi il sangue dalle labbra. Voltò la testa all’indietro per fermare l’emorragia, respirando profondamente.
Se avesse potuto, l’avrebbe insultata e persino picchiata, per quello che aveva osato fargli. In quel momento però non ne aveva le forze. Doveva contenersi e fare la parte dell’uomo ponderato e superiore…
 
- Tu… - sibilò Leda, stringendo a sé Alan e tastandogli sospettosa la fronte e la testa, per accertare che stesse bene – … Che razza di mostro sei?
Il modo con cui disse quella frase… Forse il tono, o forse la parola ‘mostro’… Era come se ne avesse paura ma che al tempo stesso fosse abituata. Certo, si sarebbe potuto dire dal fatto che era riuscita a sfuggire per un pelo a un livello 3, eppure qualcosa nel suo sguardo suggeriva che non era così. Che aveva visto molti altri ‘mostri’ ancora prima di quel giorno.
Forse anche lei…
 
Tyki si mise a ridacchiare sotto i baffi, ancora con la testa voltata all’indietro per impedire al sangue di colargli giù dal naso. Non se ne era reso conto, ma l’appellativo col quale gli si era rivolta aveva fatto scattare qualcosa dentro di lui. Una sorta di nodo allo stomaco, accompagnato da una vaga e indistinta sensazione nostalgica che s’impossessò di lui per qualche secondo, distaccandolo dal mondo terreno.
E quando riportò dritta la testa e si fermò a guardare la ragazza, accadde qualcosa di strano. Davanti a lui c’era un’altra persona.
Be’, ammesso che potesse definirsi tale, date le strane fattezze. Si trattava di una figura tutta nera come la pece, alta e snella. Ma c’era una cosa che risaltava, in modo quasi inquietante, in tutto quel mare di tenebra: un sorriso, che si allargava fino agli angoli della bocca, sinistro, tremolante, sulla sua faccia. priva di un qualsiasi altro elemento.
Pareva un’ombra spuntata da un incubo, o l’uomo nero che si nascondeva negli armadi dei bambini per rapirli e terrorizzarli.
Tyki rimase come paralizzato, a fissare l’orribile ghigno senza poter distogliere lo sguardo. Sembrava essere caduto in uno stato d’ipnosi; quei denti bianchi e affilati che sembravano appartenere a una belva imprigionavano il suo sguardo su di essi.
E per tutto il tempo ebbe il presentimento che qualcosa, dentro di lui, si stesse per rompere…
 
- Allora?!
 
La voce infuriata di Leda lo portò alla realtà. E Tyki vi tornò alquanto confuso, constatando che l’irritante ragazzina che poco prima l’aveva colpito in faccia fosse ancora davanti a lui. Quella figura scura era quindi stata un’allucinazione, forse dovuta alla forte botta in testa?
Non era questo comunque il tempo di chiederselo. In quel momento si stava scatenando un essere ancora più pericoloso, che meritava tutta la sua attenzione. Detestava ammetterlo, ma avrebbe preferito non ricevere più alcun pugno da lei. Erano piuttosto seccanti.
In compenso, ora il senso di confusione era diminuito, quindi poteva rispondergli senza problemi.
- Non sono un mostro, ragazzina – disse, tornando a esporre il più strafottente dei sorrisi, tutto per lei – Ma sono un essere umano.
 
- E allora come diamine sei riuscito a fare… - cominciò a gridare Leda, ma poi si bloccò. Ancora non aveva superato quel momento, e non voleva ricordarlo.
Tyki si appoggiò con la schiena al muro, sollevando un piede e portandolo contro la parete.
- Semplicemente, perché possiedo una capacità particolare, ovvero…
- Passare attraverso gli oggetti – terminò la ragazza al posto suo.
E in quell’istante venne colta da un lampo di luce improvviso. Ogni cosa, ogni tassello del puzzle, si incastrò al posto giusto e risolse tutti i suoi  interrogativi. Ecco perché, mentre la stava aiutando a scappare, le era sembrato di volare; ecco perché era riuscito ad attraversare una porta chiusa da centinaia di anni… Ecco perché Alan stava bene e sorrideva.
 
Osservò prima suo fratello e poi Tyki, con aria confusa e smarrita.
Poi, la bestia esplose.
- E CI AVRESTI FATTO PERDERE TEMPO IN MEZZO A QUESTO SCHIFO PER NULLA?!
 
E Alan si allontanò dai due, rassegnato ormai all’imminente catastrofe, pestando i piedi nell’acqua putrida e producendo fastidiosi scalpiccii.
A quel punto Tyki perse le staffe, e rispose alla ragazza con meno calma e compostezza del solito.
- Non volevo dirvelo perché altrimenti non ti saresti mai fidata a lasciare il marmocchio!
- Non mettere in mezzo mio fratello! – gridò Leda, agitando i pugni.
Litigi. Di nuovo. Alan ne aveva abbastanza. Il nervoso che gli provocavano quei due non era paragonabile a niente di concreto.
Decise così di farla finita.
Si mise in mezzo ai due, e a voce molto alta esclamò:
- Razza di stupidoni, possiamo uscire da qui!
I Litiganti tacquero all’istante. Leda diede le spalle a Tyki e bofonchiò qualcosa che Alan non fu in grado di decifrare. Probabilmente le seccava di essere stata rimproverata dal fratello minore.
Ogni tanto, comunque, anche a lei faceva bene ricevere qualche strigliata.
- E dimmi, tu vorresti farci uscire da qui passando attraverso questo muro di metallo? – domandò a quel punto la ragazza, portando le mani ai fianchi.
Tyki annuì.
- Sì. Ma…
- Ma?
Leda si voltò, perplessa. Ancora problemi?!
- Posso portare solo il piccoletto – pronunciò l’uomo, indicando Alan con lo sguardo.
- E perché io no? – chiese la ragazza, con una vena di rabbia sulla fronte.
- Non lo so. Su di te il mio potere non funziona.
- E da cosa lo avresti capito?
 
Ma si rispose da sola.
Lo schiaffo. E il pugno. Se avesse potuto, li avrebbe schivati. Invece non lo aveva fatto, perché probabilmente non ne era stato in grado.
Che significava?
 
- Comunque sia… - riuscì comunque a dire Leda, calmandosi un poco – Non lascerò Alan nelle mani di uno sconosciuto.
Tyki serrò ancora di più le labbra.
In quel momento qualcosa attirò la sua attenzione nell’oscurità, dietro ai due fratelli. Una strana sensazione di inquietudine lo pervase.
- Sappi che non ho cattive intenzioni. Anch’io, come te, ho delle persone a me care… - pronunciò, con voce più grave del solito – Ma fuori da qui, sarete al sicuro.
Leda guardò rassegnata Alan, che a sua volta fece lo stesso, solo con più determinazione. Poi guardò lo straniero che li aveva aiutati.
Aveva deciso di fidarsi di lui. Perché non aveva altra scelta. O forse perché, dopotutto, non le sembrava poi così sospetto.
Comunque, ora la sua priorità era portare in salvo suo fratello. E se lui diceva di esserne capace, allora non le restava altro da fare se non credergli. In fondo, in quel momento lui era la persona più affidabile che le potesse capitare.
 E Alan sembrava andarci d’accordo, motivo in più perché acconsentisse.
- Va bene… - sussurrò. Poi, ripeté, con più convinzione – Va bene. Te lo affido.
Prese Alan per le spalle e si chinò su di lui, determinata, scura.
- Alan – disse, seria – Vai con lui. Ti porterà in un posto sicuro.
L’espressione allegra del bambino s’incrinò.
- E tu? – chiese, con tono preoccupato.
- Vi raggiungerò il prima possibile. Sta’ tranquillo. Ah, e ricordati… - disse, sussurrando poi vicino al suo orecchio – Fai attenzione a quel damerino da strapazzo.
A quel punto Alan sorrise, trattenendo una risatina.
- A me sta simpatico! – esclamò, senza peli sulla lingua.
 
Leda cadde per terra, sconcertata. E in quel momento pensò che quella fosse una congiura, e che fossero tutti contro di lei. A chi poteva mai stare simpatico un ombroso buono a nulla come quello?
 
Senza che neanche l’avesse chiamato, Tyki le si affiancò, serio come non mai.
- Io come esco da qui? – gli domandò allora, leggermente seccata.
- Continuando ad andare dritta, dovresti arrivare alla fine della galleria e davanti a un bivio. Tu vai a sinistra, e nel giro di qualche ora sarai fuori. Noi ti aspetteremo all’uscita – spiegò l’uomo, frugando nella borsa e tirando fuori una torcia nuova. Gliela porse.
Leda l’afferrò e capì che avrebbe continuato a vagare nel buio ancora per un po’.
- Quella dovrebbe bastarti – fece Tyki, estraendo dalla borsa anche l’ultimo pezzo di pane. Lo diede alla ragazza, che ricambiò con un’occhiata perplessa.
- Da quando tanta premura? – chiese canzonatoria, con un sorrisetto malevolo.
- Zitta e prendi – rispose sillabico l’altro, con un tono che non ammetteva alcuna replica.
 
A quel punto Leda tacque, senza aggiungere più nulla.
Ancora non era riuscita a capire che tipo di persona fosse. Ma ormai non le sembrava più un tipo sospetto. Era come se, nonostante fossero passati solo un paio di giorni o poco più, lo conoscesse da una vita. Il che, da parte sua, era molto strano.
Alan raggiunse Tyki, il quale gli prese la mano e con un sorriso rassicurante fece:
- Ora rilassati e non spaventarti, ok?
Il bambino annuì energicamente.
- Sì!
Poi si voltò verso la sorella. Sollevò la manina e la salutò con foga.
- Ci vediamo dopo! – esclamò, con vocetta allegra e spavalda.
 
Sulle labbra di Leda si accese un piccolo sorriso, più simile a un fiore che sbocciava che a un semplice cambio d’espressione. Imitò il fratello, agitando la propria mano, con meno energia ma con altrettanto affetto.
Poi, come per magia, Tyki si sollevò da terra. Alan guardò i propri piedi staccarsi dal terreno, ed ebbe solo il tempo di gridare “Wow!” che era già sparito sopra al soffitto della galleria, passando attraverso la barriera metallica che li separava dalla salvezza.
Leda stette per tutto il tempo ad osservare i due scomparire sotto i suoi occhi, ancora sorpresa e incredula, ma fiduciosa. E quando fu rimasta in sola compagnia del perpetuo gocciolio che possedeva quel luogo orribile, si decise a stringere maggiormente la torcia nella propria mano e a proseguire senza timore nell’oscurità.
Eppure ora era diverso. Senza la compagnia di Alan, e di Tyki, sebbene da un certo lato di sentisse sollevata di non dover più litigare con lui, ora era come se fosse vuota, annoiata.
Si guardò attorno, spostando la sua unica fonte di illuminazione in più punti per vedere meglio.
Niente. Era proprio sola.
Sola. Che strana parola, detta in quel momento.
Fortunatamente Leda vi era abituata. Nei suoi viaggi lo era sempre stata, perché per suo fratello sarebbe stato uno sforzo troppo grande.
Chissà se stava bene?
 
A qualche ora dalla sua separazione da Alan e Tyki, Leda si trovava ancora a marciare all’interno del condotto.
L’odore stagnante era nauseabondo, e la vista non era da meno. Nella sua immaginazione, cercava di contrapporre a quelle schifose sensazioni altre che fossero più di suo gusto: il rumore della cascata nel boschetto vicino a casa, l’odore del pane appena sfornato, e la luce mielata del sole.
Eppure non ci riusciva, e i suoi bei cinque sensi le sbattevano in faccia l’orrida realtà.
Per distrarsi, ripensò alle parole di Tyki:
 
“Continuando ad andare dritta, dovresti arrivare alla fine della galleria e davanti a un bivio.”
 
Un bivio?
Voleva forse dire che c’era più di una strada?
E se una di queste portava in superficie, per giunta lontano dalla Sede e quindi al sicuro, perché non era stata sfruttata?
Perché la porta per accedere era chiusa ermeticamente?
 
Tante domande, troppe. E nessuna risposta.
Se mai avesse rivisto l’orribile volto di Renny Epstain, glielo avrebbe chiesto sicuramente; poi l’avrebbe fatta fuori con le proprie mani.
Perché se gli Akuma non avevano presidiato quella via d’uscita, significava che non ne erano a conoscenza. Forse, utilizzandola a loro insaputa, avrebbero potuto salvare delle vite umane…
E probabilmente Ted sarebbe ancora vivo. Così come tutti gli altri.
Si sentì improvvisamente rodere dalla rabbia, talmente tanto che senza volerlo stava insaldando sempre più la presa sulla torcia. Si calmò, poi la guardò. Stava già per spegnersi…
Tra breve l’avrebbe sostituita. Poteva ancora durare qualche minuto, però.
Avanzò ancora, con lo sguardo sempre puntato in avanti, dritta e fiera.
 
Improvvisamente, udì un rumore sospetto provenire da dietro di lei. Si voltò di scatto, puntando l’ormai flebile luce della sua fiaccola verso le tenebre. Non vide nulla. Uno strano tremore le percorse la schiena.
Ed ecco spuntare un paio di topolini grigi e sporchi, che la superarono a gran velocità e sparirono poi nell’oscurità.
Si riassettò, leggermente in imbarazzo per la reazione avuta. Davvero aveva avuto paura? Per dure miseri topi?
- Pff! – si lasciò sfuggire, per trattenere una risatina nervosa.
Non aveva nulla da preoccuparsi, perché tanto quella via era chiusa, e anche volendo nessuno sarebbe mai riuscito ad oltrepassarla. Tirò un grosso sospiro, continuando a camminare.
No, non c’era nessuno. Poteva stare tranquilla. Ma perché proprio ora che Tyki e Alan l’avevano lasciata, provava tanta inquietudine?
Forse si trattava della preoccupazione dovuta alla solitudine. Infatti, ora Leda era da sola, indifesa e persino in una posizione svantaggiata. Perché qualcun altro avrebbe potuto benissimo vederla, mentre lei, oltre il bagliore della sua torcia, non avrebbe scorto nulla.
Era vulnerabile.
 
“Ma la porta è chiusa” pensò, per rassicurarsi “Non c’è nulla da tem…”
 
Non ebbe neanche il tempo di formulare quel pensiero nella sua testa, che udì uno scoppio agghiacciante alle sue spalle. Poi, cadde. E la torcia finì nell’acqua, spegnendosi all’istante.
 
Uno sparo. Aveva forse sentito uno sparo?!
Veniva da dietro di lei, l’aveva sentito!
Tentò di alzarsi, ma qualcosa la costrinse a ricadere a terra, in mezzo all’acqua putrida: un dolore che, sempre più grande, cominciò a divorarle tutto il corpo. Si toccò il fianco, e sulle sue dita si depositò una sostanza vischiosa e nauseabonda.
Sangue.
Il suo sangue.
Qualcuno le aveva sparato dal buio.
 
Il respiro cominciò ad accelerare, e il battito cardiaco ad impazzire. Era come se il cuore potesse esploderle nel petto da un momento all’altro. Uno strano senso di vertigine l’assalì, confondendola.
Buttò una mano in acqua per cercare la torcia, tastando alla cieca. Udì lo scroscio dell’acqua al suo passaggio, sempre più rumoroso. Riuscì ad afferrare il pezzo di legno. Lo strinse tra le dita e lo attirò a sé, usandolo come appoggio per sollevarsi.
Ogni sforzo sembrava essersi moltiplicato all’inverosimile, e il dolore cresceva sempre più. Ora le era arrivato ai muscoli, che non ne volevano sapere di obbedirle e farla alzare.
Sentiva il sangue colarle sulla pelle, sempre più copioso, caldo e bagnato. Che orribile sensazione.
Un altro sparo la congelò all’istante, bloccandola. Avvertì attorno a lei un breve e fugace lampo nell’oscurità, che subito si estinse. Poi lo scoppio, e il rumore di metallo che si spacca.
C’era qualcuno dietro di lei. Qualcuno che stava cercando di ucciderla.
E fu allora che capì. Capì che era in pericolo, e che doveva scappare al più presto.
Ma… con la ferita che le impediva i movimenti e il buio attorno a lei, come diamine avrebbe mai fatto?!




♣ Angolo di Momoko 

Yep, eccomi qua con un nuovo capitolo!
Questa mattina le scuole erano chiuse per neve, così ne ho approfittato per 
finire di scrivere e correggere.
E ci ho messo meno del previsto! Non lo credevo possibile.
So che voi starete dicendo "Che palla ancora in 'sta galleria del cippio?!", e avete ragione. Ne ho le scatole piene pure io. Per questo dal prossimo capitolo i nostri eroi si troveranno in un ambiente del tutto nuovo, in compagnia di certi personaggi... No, niente spoiler u.u Lo scoprirete leggendo il prossimo capitolo.
Ringrazio come sempre voi tutti che leggete e in maniera speciale Kanda_90 per aver recensito l'ultimo capitolo! Spero che anche questo qui possa piacerti ;)

Ora mi dileguo, a prestooooo,

Momoko <3

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Capitolo 7
*** Sensazioni indescrivibili ***


Capitolo 7: Sensazioni indescrivibili
 
 
Alan strinse con forza la mano di Tyki nella sua, distogliendo lo sguardo dalla sconfinata distesa di terra e crepacci grigio polvere della grande pianura. Qualcosa, in quel momento, non sapeva dire cosa, gli aveva bloccato per un attimo il respiro, che subito dopo aveva ripreso ad essere regolare.
Si era fermato, all’improvviso, e il suo braccio si era sollevato appena, prima di ricadere lungo il suo fianco, come senza vita.
Tyki si chinò su di lui, con sguardo serio. In quella posizione, con i ginocchi lontani dal terreno e le piante dei piedi piegate a metà, era alto come lui.
Alan si prese le mani, pasticciando con le proprie dita. Cercava di spiegare la sensazione che aveva appena avuto; come un presentimento, un sentore. Una strana stretta allo stomaco in conseguenza di un pensiero funesto: Leda. Era preoccupato come non mai per sua sorella.
- Tutto bene?
Tyki pareva preoccupato per lui.
- Sì… - rispose il bambino, con una nota di lamento nella voce – E’ solo che…
Fece una pausa. Ciò che avrebbe detto alle sue orecchie potevano benissimo sembrare un mare di preoccupazioni inutili, di sciocchezze.
Eppure, per qualche motivo, nascosto in fondo al suo animo, sentiva di doverlo dire, seppur con quel timore.
Perché capita spesso che ai bambini si creda poco, che si pensi che le loro siano solo favolette inventate. Gli adulti spesso non capiscono i loro sentimenti, le loro angosce, finiscono per sminuirle senza darci troppo peso. E senza che se ne rendano conto, un disastro si compie alle loro spalle. Ma i bambini, che camminano a metà tra un mondo utopico e irraggiungibile, e uno che spesso è troppo concreto, hanno forse uno dei doni più belli di tutti: quello di scorgere entrambe le facce della moneta, di vedere ciò che ad altri è precluso. E gli adulti, che ormai non ne hanno più le capacità, non riescono a capirlo.
Alan temeva questo: che Leda, da sola in una grotta, sarebbe stata esposta a pericoli. Ma lui, da solo non avrebbe potuto nulla. Per questo voleva tentare di dirlo a Tyki, sperando che lui potesse accogliere le sue preoccupazioni. Perché se lui non avrebbe potuto aiutare Leda, Tyki invece sì. Lo aveva già fatto, per questo aveva fiducia.
L’uomo era ancora chino davanti a lui, aspettando che terminasse la frase. Certo, rallentare il viaggio gli dava fastidio, ma il piccoletto era l’unica barriera che evitava a lui e a Leda di prendersi a botte. Non doveva torcergli neanche un capello, altrimenti la sorella si sarebbe certamente infuriata. Ma seppur lo trattasse coi guanti di gomma, sentiva che quel bambino aveva vissuto tante disgrazie, che ogni volta aveva saputo superare con determinazione, e per questo lo stava prendendo in simpatia.
- Che… - Alan deglutì, rimandando giù il groppo alla gola che gli era venuto - … Sono preoccupato per Leda.
Il volto di Tyki si scurì.
- In che senso? – chiese, perplesso, mentre un allarme, dapprima debole, cominciò presto a martellargli in testa.
 
- Forse non avremmo dovuto lasciarla sola…

 

 
Gelo.
Leda si sentiva le ossa congelate, dopo essere rimasta a marinare in mezzo all’acqua putrida per tutto quel tempo. Stesa a terra, tentava di strisciare in avanti aiutandosi con il bastone di legno che fino a poco prima gli era servito come torcia, e che ora era ormai un tocco annerito di cenere e bagnato fradicio, inutilizzabile.
Un altro sparo, alle sue spalle, e un eco lontano perso nel buio.
Digrignò i denti per il dolore. La ferita al fianco le stava portando via ogni energia, se non avesse avuto un colpo di fortuna dubitava che sarebbe riuscita a sopravvivere, questa volta.
Serrò i pugni, tentò ancora di sollevarsi. L’acqua si mosse sotto il suo corpo che cercava di staccarvisi, con ogni sforzo possibile.
Sfortunatamente però ricadde, e gli schizzi volarono ovunque. In quello stesso istante percepì un movimento, dietro di lei, e qualche capello le ricadde in avanti, come mosso da una forza invisibile e seguito immediatamente dopo da un boato.
Il suo assalitore stava aggiustando la mira, sebbene fossero entrambi immersi nel buio. Doveva come minimo avere un’abilità sovrumana per arrivare a tanto.
Leda maledì lui, sé stessa, e tutto il resto.
Ogni volta, ogni santissima volta che, dopo aver sputato sangue, patito le pene dell’inferno, tentava di costruirsi una vita, ecco che qualcuno gliela distruggeva.
Prima sua madre, poi Ted… per quanto ancora avrebbe dovuto soffrire. Per quanto, ancora?!
Per quanto avrebbe dovuto rendere triste Alan, impedirgli di giocare, ridere, sentirsi in pace…
Per quanto ancora… ?
Di sé stessa non le importava nulla, in fondo. Lei viveva per suo fratello, l’unica ancora rimasta cui le era concesso aggrapparsi. Non importava che lei si spezzasse la schiena per lavorare, o che conducesse una vita ignobile. L’unica cosa che le stava a cuore era Alan, e nulla avrebbe dovuto rompere la sua felicità. Almeno la sua… !
Stava ansimando, sentiva il sangue caldo bagnarle la pelle, in contrasto con la gelida acqua del canale. Le braccia, su cui stava facendo leva per muoversi, iniziarono a tremarle. A esse si aggiunsero poi le gambe, e infine tutto il corpo. Era sotto sforzo, temeva che, da un momento all’altro, potesse svenire; e morire.
Le lacrime le riempivano gli occhi, minacciando di sgorgare fuori impetuosamente. Leda tentò di trattenerle con tutta sé stessa, non poteva permetterselo; non in quella situazione. Mettersi a piangere, benché fosse una reazione naturale, non le sarebbe servito a nulla. Sarebbero stati i capricci di una bambina, che non voleva rassegnarsi all’ormai inevitabile fine. Rassegnarsi alla morte, a pensare che tutto si sarebbe trasformato in polvere, in nulla. Eppure era quella la sua vita, se così poteva chiamarsi. In realtà lei non aveva mai vissuto per sé stessa. Da quando il luogo che l’aveva vista nascere, muovere i primi passi, giocare e ridere, era stato inghiottito dalle fiamme, tutto quello che era rimasto del suo animo dilaniato dal dolore aveva pensato a prendersi cura dell’ultimo frammento di vita rimastole.
Alan era solo un bambino, allora, quindi era stata lei a tornare indietro, correndo tra gli alberi, dopo averlo messo al sicuro. Era stata lei a scoprire quel mucchio di macerie che pochi attimi prima era stata la sua casa; e poi quei resti. Quelli di un corpo carbonizzato, rosso di sangue, che vi giaceva sotto.
E tutt’attorno, l’ambiente bianco di cenere… Persino gli alberi verdi e rigogliosi, sembrano mani nere e spaventose, con chiome di fuoco, pronte ad afferrarla. Per nulla somiglianti agli accoglienti giganti dalle chiome rigogliose sotto ai quali aveva sempre giocato.
Decise che Alan non avrebbe mai visto quell’orribile spettacolo. Decise che non avrebbe dovuto mai più soffrire, e che sarebbe stata lei a portare il peso del segreto.
Ma ora quel peso la stava uccidendo.
 
Con le sue ultime forze tentò invano di alzarsi.
Perché? Perché sebbene avesse accettato la morte, ancora il suo corpo, il suo inconscio, la portavano a resistere fino all’ultimo?
Forse, tutto sommato, non lo voleva davvero… Forse non era per suo fratello che lei voleva vivere. Morire per lui… lasciarlo da solo…
No, forse lei voleva solo continuare a stargli accanto, senza mai abbandonarlo a sé stesso. Proteggerlo, ma poter continuare a camminare al suo fianco.
Ecco quello che voleva! Se si fosse lasciata andare al destino, lui sarebbe stato triste, molto triste. Non poteva permetterlo. Lei stessa gli avrebbe fatto del male se si fosse comportata da pappamolle.
Doveva reagire. Lottare, con le unghie e coi denti, fino all’ultimo. Come aveva sempre fatto. Come avrebbe fatto la vera Leda.
Lasciarsi alle spalle il dolore. Fregarsene del mondo. Piantare i piedi a terra e gridare il proprio diritto alla vita.
Le sue gambe, seppur tremolanti, riuscirono a drizzarsi. Si poggiò contro la parete, ansimando. Lo sguardo luccicava di rabbia, determinazione e volontà, nel buio.
Strinse i pugni, serrò i denti, resistendo così al dolore, cercando di non pensarci. Alle sue spalle dei passi infrangevano l’acqua, facendosi sempre più  vicini. E gli spari divennero più frequenti. Un proiettile le sfiorò la spalla. Leda ringhiò di dolore, deglutendo a vuoto e mandando giù un grido che sicuramente l’avrebbe fatta scoprire.
Anche se non ne fosse uscita viva, da quello schifoso canale puzzolente, voleva provarci. Provarci, con tutta sé stessa, fino a che il suo cuore non avesse emesso l’ultimo cruciale battito.
Portò in avanti il piede, riuscì a fare un passo. Un solo e unico passo, che da solò significò molto più di quanto in realtà Leda avesse mai sperato. Un passo verso l’uscita; un passo verso la salvezza.
I suoi muscoli erano testi, in costante agitazione. Lo sguardo era appannato – non che servisse molto – e la fronte e le guance erano bollenti.
Ce la poteva fare. Un altro sforzo, e sarebbe stata salva. Sì, ci sarebbe riuscita… !
 
 
Poi tutto crollò.
Le sue gambe cedettero.
Il suo corpo si afflosciò a terra, privo di vita; il suo respiro, sempre più debole, sempre più difficoltoso.
E la consapevolezza della fine si fece strada in lei. Nel momento in cui i suoi vacui occhi di liquirizia, tenuti aperti da quel filo sottilissimo di forza di volontà,  cominciarono a chiudersi, lentamente.
 
Almeno ci aveva provato, pensò.
E Alan… Oh, se sarebbe stato triste. Già poteva immaginarselo, piangere per lei…
Sulle sue guance pallide si fecero strada le lacrime. Silenziose, come portatrici del rimpianto e di tutte quelle parole e quei pensieri che avrebbe voluto dire. Ma che ora, non avrebbe più potuto lasciare a nessuno.
Le sue pupille ora brillavano appena, ridotte a due sottili fessure. L’ultima stilla di vita che rimaneva in lei. Una stilla che, nel suo ultimo momento di luce, parve risplendere con l’intensità di mille soli.
Era il suo spirito, che gridava, fiero e coraggioso e che, anche nell’inevitabilità della morte, riusciva a trovare la forza per abbandonare il mondo con dignità e sprezzante temerarietà.
 
Un piccolo, leggero sorriso si fece strada sul suo volto sporco, bagnato dalle lacrime e dal sangue. C’era qualcosa, in quel ghigno, che mostrava sfacciato un senso dell’ironia incredibile.
 
Ora quel dannato damerino da strapazzo ne dirà di tutti i colori.. me lo…  sen…
 
E i suoi occhi si chiusero.
 
Un silenzio tombale avvolse la grotta. Leda era ormai diventata parte dell’oscurità.
Il suo breve respiro, appena udibile, era come il ticchettio di un orologio. Presto la sua ora sarebbe scoccata, con lo scadere del tempo. A breve il suo cuore si sarebbe fermato per sempre.
Bagnata, ferita, non le restava che aspettare che qualche angelica entità la prendesse gentilmente per mano e con delicatezza scostasse il suo spirito dal corpo, per condurlo verso un luogo di pace. La prima, vera pace, dopo tanto tempo. Gli dispiacque solo che Alan avrebbe dovuto convivere con il dolore della sua scomparsa per il resto della sua vita.
Ma ormai, di tempo per pensarci ce n’era rimasto poco…
Quel che era stato era stato.
Stop.
Fine dei giochi.
 
Ed ecco che dal nulla emerse un rumore.
Uno scroscio d’acqua, uno scalpiccio. Un passo.
Solo dopo qualche secondo se ne udì un altro. Come se la seconda persona in quel canale volesse avvicinarsi con cautela, per accertarsi di qualcosa.
Ma certo, per accertarsi che Leda fosse morta.
L’intensità con la quale i suoi piedi si mossero sull’acqua divenne sempre maggiore, fino a che non andarono a passo si marcia, fieri e soddisfatti di aver abbattuto la propria preda.
Un paio di gambe si affiancarono così alla figura della ragazza svenuta. Essendo al buio non si vedevano, ma la loro inquietante presenza era percepibile, come quella vaga di uno spirito che influisce sui viventi, raggelandoli nelle vene.
Persino la temperatura di quell’ambiente sembrava fosse calata vertiginosamente. Forse era proprio uno spettro quello che si era affiancato a Leda. Uno spettro che ora le avrebbe dato il colpo di grazia.
Un clangore metallico e la bocca di una pistola si poggiò sulla sua fronte pallida, madida di sudore.
Poi, una voce, celata dal buio. Quella dell’assalitore.
 
- Dormi pure…
 
Aveva un che si estasiato, di compiaciuto. Sembrava che quelle parole le avesse covate a lungo, come se avesse mediato a lungo su cosa dire e come dirlo. E il tono che usò fu.. raggelante. Una promessa di morte. Un inquietante invito a esalare l’ultimo respiro.
Il suo dito cominciò a fare presa sul grilletto.
Un sol colpo e…
 
… sarebbe morta.
Incredibile… cosa potesse fare un solo essere come lui, con in mano una pistola.
Era quindi quella la sensazione che provava Dio, quanto impunemente si appropriava delle vite degli innocenti?
 
La cosa lo eccitava come non mai…
 
Con quel potere, persino lui si sarebbe potuto definire un Dio. Un dio che concede la misericordia, ma che è il primo a calare la scure. Vendicatore, malvagio.
Il Demonio.
Be’, anche quello era un Dio, a modo suo!
 
- Buonanotte. . . Es… !
 
Dal fondo del condotto  accadde però qualcosa. Ci fu un lampo di luce, fugace, fulmineo, che in meno di un secondo si tramutò in una lunga scia rosso fuoco la quale, scostando l’aria al suo passaggio con incredibile velocità, si diresse verso l’assalitore.
Questo non ebbe il tempo di evitarla, né di chiedersi cosa fosse.
Venne travolto in pieno.
Il suo corpo venne lacerato da quel raggio che, con l’intensità di una potente fiammata, gli bruciò lentamente i vestiti e la pelle. Cominciò a gridare istericamente di dolore, mentre veniva trascinato violentemente indietro di metri e metri, fino a ridursi a un sottile puntino in un frangente non precisato dell’oscurità.
E quell’urlo echeggiò sinistro e rabbioso per tutto il canale, affievolendosi pian piano, come se il buio si fosse impossessato anche dei suoni.
 
In quello stesso istante un altro rumore di passi si fece udire dalla parte opposta. Lo stesso scalpiccio sull’acqua, solo con il doppio della foga. Il rumore era troppo grande per capire se fossero una o più persone. Quel che, a giudicare dall’assordante sciabordio era deducibile, era solo che chiunque avesse sparato quel raggio stava correndo verso Leda.
E proprio davanti a lei si fermò. Quel breve lampo di luce gli aveva dato la possibilità di intravederla, stesa nell’acqua putrida, ad aspettare placida e silenziosa la morte.
Due braccia forti sollevarono il suo corpo pallido e debole, staccandola dall’acqua che lottò fino all’ultimo per non lasciarla. Quasi vi fosse un’energia, in quel liquido oleoso e puzzolente, che volesse trascinarla verso l’abisso; e le mani del salvatore fossero un’essenza divina che le concedeva la salvezza.
 
Leda non vide nulla, indifferente a qualsiasi cosa succedesse attorno a lei. Il suo volto pallido segnato dalla fatica era un messaggio più che chiaro. Chiunque fosse stato a trarla in salvo, ora doveva sbrigarsi.
Ma sembrò che l’avesse capito, perché con un’altra corsa sfrenata sull’acqua tornò indietro, verso una fonte di luce poco distante.
E nel mentre ne veniva illuminato, scoprendo man mano la sua figura; e un mare di capelli rossi…
 

 
Leda rimase priva di sensi per il resto di quel giorno, e per i successivi due.
Gli orribili eventi subiti parvero ripercuotersi persino in sogno, per un’orribile volontà della sua mente agitata.
Le immagini erano sempre le stesse; le sensazioni pure.
C’era sempre lei, davanti a una fontana zampillante acqua fresca. Lei si avvicinava, perché?
Be’, sarebbe un po’ come chiedersi perché ci si guardi davanti allo specchio ogni volta che vi passiamo accanto, anche se solo per brevi attimi: non c’è una necessità particolare che ci spinga a farlo, semplicemente è il nostro istinto. Ciò che, dalla parte più profonda di noi, ci porta a compiere azioni che riteniamo inspiegabili, ma che in ogni singolo istante trovano la loro conferma. Invisibili e fondamentali.
Spesso però nei sogni la loro importanza è fatale. Può condurci tra le fauci di un mostro, o farci cadere da un burrone.
In quei casi non è la volontà che ci guida, bensì quello che noi chiamiamo subconscio. Ma se pure il subconscio è una parte di noi, allora qualsiasi azione noi compiamo deriva da una, comunque sempre presente, volontà. A volte è più radicata in noi, impossibile da individuare, altre ci appare chiara in ogni sua intenzione solo dopo, quando ce ne domandiamo il perché.
E forse ci si lascia guidare verso il pericolo perché la nostra volontà, nel modo più radicale e disperato possibile, vuole mandarci un messaggio, vuole comunicare con noi in qualche modo perché normalmente non le daremmo ascolto.
Per questo il susseguirsi della stessa scena per la seconda volta costrinse Leda a pensare più profondamente a quanto sognato. C’era forse qualcosa, in quel gesto, in quella decisione presa da lei a sua insaputa, che recava un qualche arcano?
Poteva significare molte cose. Troppe, forse. Ma l’averla rivissuta sottolineava ulteriormente la sua importanza.
E dopo essersi specchiata, aveva visto nuovamente lo stesso angioletto di pietra fissarla in modo ambiguo; e poi, trasformarsi in un orribile mostro e aggredirla.
Che messaggio poteva mai esserci in quella scena?
 
Pericolo.
Mistero.
L’incertezza che porta a non prender nulla per scontato.
La prima volta che aveva avuto quell’incubo era stato nel condotto fognario della sede Nord America. Era appena fuggita dalla sua nuova casa, aveva perso le persone più care a lei e… aveva incontrato Tyki.
E ancora adesso, nella sua mente lui rimaneva l’arcano più grande da sciogliere. Chi fosse veramente, quali fossero le sue reali intenzioni.. ogni cosa era ombra davanti a lei. Ed era frustrante non riuscire a vedere nessuna luce in mezzo.
Si era ripromessa di chiedergli informazioni, ma aveva l’impressione che lui non le avrebbe cedute tanto facilmente. Leda era però una ragazza forte, non si sarebbe lasciata certo abbattere da un rifiuto.
Era ancora tutto da vedere.
E forse, anche Tyki centrava qualcosa con ciò che stava cercando lei…
 
 
 
Verso il tramonto del terzo giorno, finalmente cominciò a riaprire gli occhi.
La prima cosa che la investì violenta fu… la luce.
Una fastidiosa luce prodotta da una lampadina che dondolava sul soffitto facendo ballare le ombre nella stanza, tenuta a mezz’aria da una sottile corda di cavi.
Sbatté le palpebre confusa, abituandosi a poco a poco a quel nuovo ambiente che, di certo, non era il paradiso. Perché il paradiso non sarebbe mai odorato di pesce. Né di mare.
Comunque, per lei era già un bel passo avanti. Almeno non si trovava più in quel condotto puzzolente…
 
Un momento!
 
Se non si trovava più nelle fogne, allora dove diamine era finita?
 
Gli occhi si spalancarono di colpo, mossi dalla sorpresa, e la ragazza si tirò su a sedere con incredibile velocità. E a quel punto la sua testa cozzò violentemente contro la base del letto sopra al suo. La botta fu tale che ricadde con altrettanta rapidità sul cuscino, massaggiandosi dolorante la fronte lievemente arrossata.
 
- Ahi ahi ahi… - mugugnò appena, strofinando come mai prima d’ora la parte lesa, sperando che il dolore passasse in fretta.
Ne aveva abbastanza di patire ogni volta. Sembrava fosse lei il bersaglio prediletto della sfortuna.
 
- Strana come sempre.. – pronunciò una voce che sentì molto vicina a lei.
Riaprì nuovamente gli occhi, che nel tentare di placare il dolore aveva chiuso fino quasi a strizzarli, e si guardò attorno con quel cipiglio impigrito nello sguardo.
La stanza nella quale si trovava era piccola, modesta. Lei non l’avrebbe certo definita tale, in circostanze normali, ma la guerra aveva portato via come un vento impetuoso gran parte delle ricchezze a molte persone. E esse erano state così costrette a vivere in povertà.
Nonostante tutto, quello pareva quasi essere una sottospecie di sgabuzzino, solo, appena più luminoso.
Le metalliche pareti grigio topo erano monotone, e prive di motivi o quadri che le abbellissero si ripetevano per tutti e quattro i lati della stanza. Finestrelle di forma circolare si trovavano su due dei muri: una sulla porta, e l’altra dalla parte opposta. Oltre questa non si vedevano altro che nuvole biancastre, portatrici di pioggia, opportunamente tinte di miele qui e là. Doveva essere per forza il tramonto a dare quella particolare colorazione ai cirri.
E per il resto, la stanza appariva normale in tutto e per tutto: vi erano presenti un piccolo scrittoio di legno scuro, forse noce, con un comodino accanto della medesima fattura. Leda era stesa su di un letto a castello semplice, scarno, fatto di uno scheletro di metallo vecchio e un cuscino e una coperta bianche.
Subito dopo il letto, vide una seggiola, e su di essa…
 
- Tyki – concluse a voce alta il suo veloce sopralluogo mentale.
 
Era seduto vicino a lei, lo sguardo penetrante che, nonostante la stesse fissando, sembrava come perso nel vuoto. Fu allora che la ragazza ebbe la possibilità di vederlo meglio. Con tutta la confusione della fuga, e la mancanza di luce nel condotto, non aveva mai visto il suo viso alla luce…
E pensò che il suo aspetto era infinitamente più misterioso dei suoi atteggiamenti. Pelle bronzea, occhi scuri, simili a pozze profonde di tenebra, nelle quali chiunque, anche il più temerario, si sarebbe perso. I capelli gli ricadevano scomposti sulla spalla, raccolti in una frettolosa coda cadente. E non indossava più alcun mantello, ma una camicia con il colletto ampio che lasciava intravedere il collo e il petto. Sembrava un uomo trasandato, eppure, in un certo senso, attento alla cura dei dettagli. Ma forse, non troppo infondo.
 
Ma Leda non si fece certo ammaliare da quei particolari, anzi, prese molto male l’aggettivo con il quale l’aveva definita, tant’è che, nonostante non sapesse dove si trovasse e fosse ferita, gli rispose a tono. Nulla poteva fermare una Leda arrabbiata.
 
- Taci, damerino da strapazzo! Proprio tu mi giudichi?
 
Quando c’era da adirarsi, non si faceva nessuno scrupolo. Era lei dopotutto che doveva parlare, farsi sentire, e restare in silenzio non le sarebbe servito a nulla.
Tuttavia non era quello il momento migliore per scatenarsi.
Anche se bastava la sola faccia di Tyki a mandarla in paranoia, le domane furono più veloci della rabbia e la sommersero come un mare d’acqua che le entrò nei polmoni, impedendole di respirare per qualche misero attimo.
Il cuore iniziò a battere più forte, temette che potesse persino schizzar via dal petto da un momento all’altro.
E il suo primo pensiero fu..
 
- Alan?
 
Si era calmata improvvisamente, ogni altro pensiero era stato cancellato.
Come sotto ipnosi, ora l’unica cosa che le interessava era suo fratello.
Il tono era grave, serio, preoccupato.
Aveva paura che gli fosse accaduto qualcosa. La sola eventualità di ciò bastò per metterla in agitazione.
 
Fortunatamente, Tyki stroncò sul nascere ogni tormento, con voce calma e ponderata; e per certi versi, anche priva di interesse alcuno.
 
- E’ a posto. E’ sul ponte che si rilassa.
 
Un sospiro di sollievo; poi silenzio.
Leda era infinitamente contenta di sapere che Alan stesse bene. E al contempo fu grata a Tyki per essersi preso cura di lui.
Ma… qualcosa in ciò che disse la insospettì.
 
- Ponte? – domandò, interdetta.
 
In effetti, le pareva strano. Sin da quando aveva aperto gli occhi, le era sembrato di provare uno strano senso di confusione. Come se stesse vivendo ancora uno dei suoi sogni, a metà tra realtà e fantasia. E il modo con cui le immagini durante il sonno si muovevano, in modo così caotico, le fece tornare in mente le onde del mare.
E le finestre. La loro curiosa forma non era certo consona a una stanza di una casa;  o di una locanda; o di un qualsiasi altro edificio sulla terra che avesse mai visto.
Ma anche solo pensare a dove potesse realmente trovarsi, il cuore le si fermò di botto.
 
No.
Impossibile..
Se le sue supposizioni erano esatte, loro…
 
- Sì, ponte. Ci troviamo su una nave.
 
Fu un attimo.
Leda scattò, issandosi sul letto, scoprendosi alla velocità della luce e fiondandosi sulla porta, aprendola e fuggendo fuori.
 
Tyki rimase bloccato, sorpreso, scioccato. Persino spaventato, in un certo senso, dalla reazione della ragazza.
La sua testa si voltò in modo lento e meccanico verso la porta spalancata, con qualche capello fuori posto per lo sconcerto. Tornò a fissare il letto; poi ancora la porta.
Realizzò così che Leda era davvero corsa fuori dalla cabina, nel modo con cui l’aveva vista. Non era un sogno. Era accaduto veramente.
E si chiese se quella ragazzina fosse anche solo un po’ normale.
Con cautela si alzò, temendo che potesse accadere qualcosa di simile da un momento all’altro, ma il silenzio tombale che improvvisamente era calato nella stanza lo convinse completamente.
Con calma uscì dalla stanza, guardandosi attorno nel caso in cui avesse scorto la pazza girovagare per i corridoi. Per fortuna – o purtroppo? – non c’era, così si decise a percorrere la via di sinistra, per dirigersi verso il ponte e sperare di trovarla.
Quella barchetta era piccola, in confronto a molte altre, quindi non fu un particolare problema trovare la strada giusta.
Sbucò così sul ponte di poppa, e squadrando la zona riuscì a trovare Leda.
Era appoggiata alla ringhiera sul bordo, sporta sul mare. Per fortuna che le fasciature le coprivano il seno, altrimenti avrebbe girato mezza nuda.
Tyki sospirò, portandosi accanto a lei.
Fu allora che la vide più pallida del solito e… quello agli angoli della bocca era vomito?
Non riuscì a non ridere si sottecchi, mentre da una tasca dei pantaloni tirava fuori una sigaretta, che si accese subito dopo.
Così, tra una boccata e l’altra, sogghignò maligno in direzione della ragazza.
 
- Ma dai, soffri il mal di mare… - la canzonò, con voce volutamente sorpresa. Ma era solo un modo in più per prenderla in giro.
 
Leda ansimò rabbiosa, voltandosi verso di lui con uno sguardo che avrebbe fatto cadere i capelli anche all’uomo più cazzuto.
 
- Chiudi il becco – gli sibilò, telegrafica e chiara. E questo bastò per far tacere l’uomo, che sperò di non ricevere qualche altro pugno in faccia. Aveva già parlato troppo.
 
Leda soffriva il mal di mare sin da quando era piccola, e ancora doveva trovare il modo per resistere al fastidioso moto delle onde, che a solo immaginarsele le veniva la nausea.
Un altro conato la costrinse a chinarsi nuovamente sulla ringhiera, e Tyki distolse lo sguardo, puntandolo sul mare calmo e blu luccicante di tramonto davanti a lui.
La sua sigaretta passò da una mano all’altra, e sul palmo di questa vi appoggiò il mento, stanco.
 
- Comunque – disse, dopo un interminabile attimo di silenzio, durante il quale Leda rimesse anima e chissà cos’altro – Sei stata fortunata, tu.
 
- Che? – biascicò la ragazza, col viso che rapidamente passava dal bianco cadaverico al verdognolo marcio.
 
- Quel marmocchio ha insistito perché tornassimo indietro. Aveva paura per te – rivelò Tyki, come se adesso si aspettasse un qualche tipo di ringraziamento da parte sua. In effetti, era stato lui a decidere di tornare indietro, ascoltando le parole del bambino. Per quel che gli riguardava, sarebbe anche potuto andare avanti senza problemi. Ma la determinazione di Alan era riuscita a convincerlo. E meno male. Senza Leda, lui…
 
- Mh – fu tutto ciò che seppe rispondere Leda. La sua mente stava già viaggiando altrove, immaginando Alan nel disperato tentativo di aiutarla. E lei che, nel frattempo, aspettava bella e buona la morte.
A ripensarci, si sentì parecchio stupida per non aver provato a reagire. La sua era stata una fuga, una dannatissima fuga da ogni sentimento che avesse potuto colpirla. Aveva liquidato i propri sentimenti, per evitare di pensarci. Per evitare di essere triste a sua volta…
Ma doveva prenderla come una lezione da imparare quella. Il fatto che fosse viva, nonostante non sapesse ancora come e perché, era una giustificazione assai valida affinché lei maturasse quella parte di sé che le impediva di darsi un qualsiasi tipo di valenza.
A metterci le apparenze e gli atteggiamenti da dura non ci voleva nulla, ma nel più estremo dei casi quel lato del suo carattere veniva annientato completamente. E l’unica cosa che poteva fare era.. niente.
Assolutamente nulla. Diventare come aria, invisibile, chiudere gli occhi, aspettare che il peggio passi.
Ma non sarebbe passato.
Il male avrebbe continuato ad aleggiarle attorno fino a quando lei non si fosse decisa a reagire sul serio.
Ecco su cosa doveva lavorare. Smettere di fregarsene letteralmente di ogni cosa, di sminuire la sua esistenza perché dedicata a quella di Alan.
Reagire, lottare.
Come avrebbe fatto la Leda non contaminata dal dolore e dalla tragedia…
 
- Su questa nave mercantile c’erano delle persone come te, e prima che salpassero abbiamo chiesto loro una mano – tornò a spiegare Tyki, disinteressato, soffiando via una nuvola di fumo biancastro dalle labbra.
 
Leda si risollevò dai suoi pensieri, voltandosi verso di lui con sguardo perplesso.
 
- Come me in che senso? – domandò, con voce nasale, sicuramente a causa del continuo ribollire nel suo stomaco, che la portò così ancora a chinarsi per vomitare.
 
Tyki si vide parecchio scocciato, mentre la guardava a metà tra il disgustato e il compassionevole. Una ragazza del genere, messa K.O da un banale problema di stomaco come quello!
Ma la sua attenzione venne fortunatamente sviata verso un rumore di passi, che rapidamente si fece sempre più cadenzato e forte.
Si voltò, abbassando immediatamente lo sguardo e rabbuiandosi.
 
- In quel senso – pronunciò con voce quasi tombale verso la ragazza, la quale si pulì la bocca in malo modo con un braccio e si guardò attorno.
 
Vide arrivare verso di loro due persone, la cui differenza di altezza fu la prima cosa che notò con curiosità. Difatti, uno era parecchio alto, decisamente giovane, mentre l’altro basso e minuto.
Eppure sembravano quasi… armonizzarsi tra loro.
I tratti di loro più distintivi erano molteplici, e Leda non stette a catalogarli uno per uno. Non poteva, impegnata com’era ad impedire che il suo stomaco le facesse rigettare lo spirito.
Il più alto era certamente il più bizzarro: pelle chiara, occhi, o meglio, occhio verde smeraldo e un mare di capelli rossi sparati in aria da una fascia per capelli. L’occhio destro era perennemente nascosto da una benda. Eppure il ragazzo camminava spavaldo, allegro ed espansivo.
Il più basso, invece, aveva tutta l’aria di essere molto vecchio. Grosse occhiaie – o forse trucco? – gli circondavano gli occhi, dandogli una gran dose di mistero in più. La testa era completamente pelata e lucida, eccezion fatta per un ciuffo di capelli bianchi che, dal centro, si sollevava sfidando qualsiasi forza di gravità. Il suo sguardo era severo e placido al tempo stesso.
Strani, senza dubbio. Leda pensò che con tutta probabilità dovevano essere stranieri – ma molto – perché facce come le loro non le aveva mai viste. Non fu difficile immaginare perché si trovassero su di un mercantile, benché non sapesse ancora dove fosse diretto. Ma non riuscì minimamente a indovinare il tipo di correlazione che ci fosse tra lei e loro. Che cosa potevano mai avere in comune?
 
- Vi siete ripresa, signorina? – chiese il tappetto anziano. La sua voce profonda e saggia si sposava perfettamente con l’aspetto misterioso. Era stato incredibilmente gentile, cosa che stupì molto la ragazza. Non le capitava spesso che le persone le si rivolgessero a quel modo.
Lentamente annuì, rapida dall’ipnotico movimento dei capelli del vecchio, che ondeggiavano col vento. Questo probabilmente lo notò, e si fece scuro in volto all’istante.
 
Fu allora che intervenne il rosso spilungone. Decisamente era meno serioso del compagno, perché prese la mano di Leda e la guardò come se fosse stata la cosa più bella del mondo. Escludendo l’odore di vomito e sporco, l’aria da zombie e il brutto carattere, ovviamente.
 
- Strike! – esclamò, tutto d’un tratto, e Leda divenne talmente rossa in viso che… le venne un altro conato.
E il ragazzo ci rimase parecchio male, vedendo la donna per la quale aveva una cotta da almeno cinque secondi vomitare non addosso a lui, ma oltre la ringhiera. Aveva almeno avuto la premura di non farlo sui suoi vestiti.
Lentamente le lasciò la mano, con l’aria di chi sa di aver sbagliato qualcosa, ma ricevette immediatamente un calcio sulla testa dal vecchio.
Cadde poi a terra e lì rimase, agonizzante, mentre il compagno di faceva avanti con evidente imbarazzo.
 
- Vi chiedo scusa per il mio discepolo, signorina. Purtroppo è ancora immaturo e sconsiderato.
 
Leda riuscì a reggersi in piedi senza barcollare. Sentiva che la nausea stava passando, ma sapeva anche che la cosa non sarebbe durata a lungo. Era la calma prima di una nuova, devastante tempesta.
 
- Si figuri – pronunciò con voce sforzata, in realtà non avrebbe voluto nemmeno aprire bocca, per ovvi motivi. Ma quei due sembrano in vena di conversazioni. Purtroppo.
Tanto valeva informarsi almeno sui loro nomi, così poi li avrebbe ringraziati e, se tutto fosse andato bene, avrebbe passato il viaggio a vomitare senza troppe scocciature. Quando stava male, Leda odiava qualsiasi tipo di contatto umano. Le faceva trovare la sua condizione ancora più repellente.
 
- Siete mercanti? – domandò, cercando con lo sguardo una cassa, una panca, o qualsiasi altro appoggio sul quale sedersi. Si era appena resa conto di non riuscire più a reggersi sulle sue gambe.
Il vecchio le sorrise, ma solo per un breve attimo. Poi tornò serio.
 
- Non siamo mercanti – spiegò, come se il solo pensare di essere scambiati per tali gli provocasse un certo fastidio – Siamo semplici viaggiatori.
 
- Io mi chiamo Lavi! – intervenne il rosso, rialzatosi da terra, mostrando tutti e trentadue i propri denti in un allegro sorriso.
Leda si sentì messa in soggezione, non aveva famigliarità con quel tipo di atteggiamento, tanto che non seppe come comportarsi.
Tutte quelle attenzioni, all’improvviso… erano così… strane, che..
 
- Signorina! Che vi prende?!
 
Ma ormai era tardi. Leda era di nuovo caduta in un sonno profondo.




♣ Angolo di Momoko 

Ed ecco che Lady War resuscita così dalla polvere! *°*
Scusate tanto per avervi fatto attendere più di un mese, ma davvero non ce la facevo più, tra una verifica e l'altra, non ho veramente avuto il tempo di scrivere! E la cosa mi ha abbattuta come non mai!
Ma ora sono tornata *ride maligna* e non me ne andrò più! (o almeno, fino a che non comincierà di nuovo la scuola çAç)
Sfrutterò l'estate per aggiornare con più velocità, e metterò anche più cura nei capitoli. Spero di non deludervi :3
Finalmente in questo capitolo Leda e combriccola sono riusciti a fuggire da quella fogna, e sono finiti in un luogo totalmente diverso. Sono comparsi Lavi e Bookman, ma qui la loro apparizione non viene messa troppo in risalto. Lo sarà nel prossimo, dove vedrete spiegate pian piano un paio di cosette^^
Nella speranza che anche questa schifezzuola vi sia piaciuta, mi dileguo *^*

A prestoooo,

Momoko <3

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Capitolo 8
*** Al termine del viaggio... ***


Capitolo 8: Al termine del viaggio...  
 
 

“Leda!!”
“Che c’è?"

"Oggi torna papà, non sei contenta?”
“Già..”
“Avrà da raccontarci tante di quelle cose… Chissà se ha conosciuto gli Esorcisti.”
“Be’, quando tornerà glielo chiederai.”
“Ahah, giusto!”

 
La minestra bolliva sul fuoco.
Gli uccellini canticchiavano ancora allegri, benché il sole fosse ormai spirato dietro gli alberi, oltre le colline. Le prime stelle luminose punteggiavano il cielo, come tanti lumini gentili e pazienti.
Un piacevole vento estivo scompigliò i capelli di una giovane Leda, intenta a girare con un piccolo mestolo di legno ciò che gorgogliava in una larga pentola di ferro.
Alan era accanto a lei, osservava l’intruglio muoversi e di tanto in tanto ci dava un colpo di naso.
 
- Mhm, che buono! – esclamò, estasiato dal profumo.
 
Leda gli sorrise di rimando, continuando a mescolare.
 
Quella era una serata speciale, molto speciale.
Il loro padre sarebbe tornato a casa dal lavoro. L’Ordine gli concedeva un breve periodo di riposo, in via eccezionale, e gli permetteva di tornare a casa per un paio di giorni.
Leda e Alan erano entusiasti della notizia. Ogni anno decidevano di cucinare fuori, in giardino, e mangiare a lume di lucciole, tutti insieme.
Come una famiglia normale, al di fuori della guerra.
 
Lei lo sapeva, aveva sentito i discorsi preoccupati dei suoi genitori. Ma sapeva anche che la loro casa, nascosta dalle fronde, li avrebbe protetti.
O almeno, così credeva.
 
Fu come l’inizio di un temporale. Brevi lampi ciechi e soffusi tinsero il cielo di luce per qualche istante. Le nuvole s’accesero, giusto il tempo di qualche secondo, per poi tornare nere come la notte.
 
Leda ne rimase come incantata. Osservò quei tuoni furenti spirare nel buio e si sentì come attratta, incuriosita. Era come se avesse osservato il rapido percorso di un fuoco d’artificio colorato nel cielo. Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto esserci, che era sbagliato; pericoloso. Ma l’altra, sembrava come assecondare quell’evento, ammirarlo, in un certo senso.
Era sempre stata attratta dai tuoni, dai fulmini, e dall’improvviso mutare della terra ad ogni loro venuta.
La rendeva partecipe della forza della natura, di quella potenza che mette in ginocchio l’essere umano, il quale non può fare a meno di sentirsi inferiore.
Provava grande rispetto per i temporali. Erano come il grido furente di qualcuno che, dal cielo, li osservava e non approvava ciò che stavano facendo.
Avrebbe voluto tanto poter possedere quella stessa forza, un giorno, per poter far cessare la guerra.
 
Ma quelli che vide non erano fulmini. Nessun rombo di tuono seguì a quel breve flash nell’oscurità, nessun rumore. Ed ecco che un’altra luce, più breve e fugace della prima, si accese tra le nuvole.
 
E fu allora che vide uno stormo di uccelli stridere e levarsi dalla boscaglia, volando lontano. Non seppe distinguerli, ma dovevano avere sì e no le dimensioni di un’anatra.
Trovò la cosa assai strana, ma continuò ugualmente a mescolare la zuppa nella pentola. Stavolta con aria leggermente più cauta.
Oltre il bosco, da quel che ricordava, c’era un piccolo villaggio, ma era distante e non sapeva dire con esattezza cosa stessero facendo. Che fosse una specie di festa? Doveva essere parecchio chiassosa, se gli animali scappavano così…
 
Alan osservava il movimento oltre gli alberi curioso.
 
- Che cosa staranno facendo? – domandò, senza distogliere lo sguardo.
 
Leda scosse il capo, continuando a girare la loro cena.
 
- Non ne ho idea – rispose. In effetti la cosa non le interessava minimamente. Non più.
 
Tornò a pensare a suo padre, tanto intensamente che gli sembrò di vedere la sua faccia in mezzo alla zuppa.
Era impaziente di rivederlo. Quelli che pensava fossero lampi erano ormai passati in secondo piano.
 
Oh, se solo lo avesse saputo prima…

 

Riaprire gli occhi si rivelò ben più faticoso del solito. Oltre alla sempre più insistente morsa del sonno che avanzava, si aggiungevano il dolore, la nausea e probabilmente anche qualche linea di febbre.
Leda maledisse sé stessa e chiunque nel raggio di cento chilometri, mentre ordinava mentalmente ad ogni muscolo del suo corpo di farla sollevare.
Era di nuovo nella sua cabina, di nuovo con le coperte bianche tirate su fino al mento, con un’unica differenza: Tyki non c’era.
Non era sicura di volersi alzare, ma il continuo ribollire del suo stomaco decise per lei, e la portò a barcollare incerta fin sul ponte della nave, dove sperava avrebbe potuto vomitare in santa pace senza la paura che qualche maniaco amante dei pirati tentasse di invitarla a cena con l’inganno.
Fortunatamente, trovò la zona deserta, e si apprestò ad appoggiarsi alla prima ringhiera di ferro che trovò. Successivamente, si sporse oltre e i capelli le coprirono il viso, come a volerla quasi mascherare. Ma i rumori che si sentirono furono perfettamente riconoscibili.
 
Fu in quell’istante, dopo aver rimesso solo bile, che udì una voce lontana.
Aveva un che di giovanile e giocoso.
La riconobbe immediatamente. Si sollevò e si passò il dorso della mano sulle labbra, in modo molto poco educato. Ma a lei cose come il bon ton non erano mai interessate. Era già tanto che sapesse cos’erano. Si voltò, il viso pallido più di un cadavere e le occhiaie più nere mai esistite appena sotto gli occhi di liquirizia. E lo scorse.
Fu come se non lo vedesse da mesi; come se stesse cercando un tesoro prezioso, con sguardo attento e vigile.
 
Alan stava ridendo a pochi passi da lei, assieme a… Lavi, se non ricordava male.
 
Leda ne fu molto sorpresa, ma non sapeva dire se in positivo o in negativo. La prima volta che aveva visto il rosso, lui le aveva fatto delle avance alquanto pietose, poi fortunatamente lei era svenuta.
Non aveva la benché minima voglia di parlarci di nuovo, il solo pensiero le fece salire in gola un altro conato. Odiava categoricamente qualsiasi contatto con persone che non fossero lei o Alan. Chiunque fosse escluso da questa riservata categoria andava tenuto a tre metri di distanza; come minimo.
 
Tuttavia, il destino aveva per Leda qualcos’altro in mente.
Come Alan si accorse finalmente di lei, anche Lavi volto il capo nella sua direzione e la salutò agitando la mano, seguendo il bambino per raggiungerla.
La ragazza non accennò a ricambiare per un solo istante. Doveva rimanere ferrea, nella decisione di non voler parlare con nessuno. Con nessuno a parte suo fratello.
 
- Alan! – lo accolse tra le sue braccia e lo strinse come se fosse stato la cosa più preziosa al mondo. Be’, in effetti lo era. Almeno per lei.
Gli scompigliò amorevolmente i capelli castani con una mano – non quella con la quale si era pulita la bocca – e gli chiese come stesse.
Il bambino mostrò un sorriso radioso e rispose:
 
- Io benissimo! E tu?
 
Leda sorrise, prendendogli le mani e guardandole. Piccole e sottili. Gracili, sotto certi punti di vista. Per nulla adatte alla guerra.
 
- Bene – pronunciò, quasi in un sussurro, mentre fissava le proprie: piene di tagli e calli sotto le dita. Sembrava le fosse esplosa una bomba in mano – Bene…
 
A quel punto Alan fece un salto allegro, mentre indicava Lavi con aria del tutto convinta.
 
- Sono stato io a dir loro di andarti a salvare, sai?
 
Leda fece finta di essere stupita. Non poteva che essere così, Alan non era tipo da raccontar bugie. Puntò poi i suoi occhi neri e profondi sul rosso, il quale stava fissando a sua volta il bambino come se si vergognasse di quello che aveva detto.
Modestia. Falsa, forse. Oppure no…
- Grazie – disse abbozzando un sorriso quanto più sincero possibile.
 
Lavi agitò le mani, mentre ridacchiava nervoso. Fu in quel momento che la ragazza vide sulla sua testa un bernoccolo gigantesco, ancora pulsante. Come avesse fatto a non notarlo prima non lo sapeva nemmeno lei.
 
- Ma di che! – lo sentì esclamare, mentre si passava una mano tra i capelli rossi sparati in aria – Piuttosto, scusa per il mio comportamento di prima; il vecchio si è arrabbiato molto con me dopo!
 
Leda spalancò gli occhi, basita.
 
“Ecco perché ha quel bozzo enorme in testa” dedusse, abbastanza sconcertata. Ma cercò di mascherare la sua espressione ebete con un sorriso forzato. E subito dopo si maledì ancora: si era ripromessa di non parlare con lui, eppure… Perché sembrava che avessero avviato una conversazione?!
 
- Figurati – disse, e in quell’istante le venne in mente l’anziano che aveva visto la prima volta in compagnia del ragazzo – Vecchio? Vuoi dire quello che era con te?
 
Decisamente aveva dimenticato i pensieri fatti precedentemente. Qualcosa dentro di lei si era mosso, al sol udire parlare di quell’uomo anziano.  Lavi s’incupì appena, sedendosi per terra a gambe incrociate con aria rassegnata. Leda doveva aver toccato un tasto dolente.
 
- Ecco… lui è il mio maestro – spiegò, ma molto a fatica – Come posso dire… deve istruirmi, eh eh eh.
 
Leda si sedette anch’ella, con Alan al suo fianco. Dal tono con cui aveva spiegato la situazione, non sembrava che ne fosse molto contento. Tuttavia ora la curiosità la stava divorando come mai prima d’ora. Aveva trovato molto strano il vecchietto con gli occhi cerchiati di nero, anche se in quel momento non aveva reputato molto importante fargli il quarto grado su chi fosse. Non pareva proprio il tipo che chiacchiera volentieri delle proprie faccende personali, al contrario di Lavi. Lui sembrava ben disposto a parlare, nonostante ad una prima occhiata paresse piuttosto ostico.
E in quell’istante a Leda tornarono in mente le parole di Tyki, poco dopo il suo risveglio:
 
- Su questa nave mercantile c’erano delle persone come te…
 
E lei gli aveva chiesto in quale modo le somigliassero, ma lui non le aveva risposto più. A ricordar bene, non sembrava molto contento di vederli. Che significasse qualcosa?
 
- Lavi – lo chiamo, interrompendo i suoi discorsi all’improvviso. Aveva molte, troppe domande per la testa. E le avrebbe poste tutte, a tutte le persone possibili. Prima però aveva bisogno di schiarirsi le idee. E la nausea non gliel’avrebbe impedito.
Il collegamento che univa lei a Lavi e al suo maestro era più importante. In base a cosa lo deduceva? Niente, semplicemente… Aveva visto il volto di Tyki rabbuiarsi. C’era qualcosa in quelle persone che la insospettiva, e se era capace di mettere in stallo persino quel damerino strambo… La incantava e inquietava al tempo stesso. Era come se quella verità che era lì a portata di mano bramasse di essere scoperta, ma al tempo stesso Leda provasse uno strano timore che le impediva di concretizzarla.
E per qualche strana ragione, non le riusciva di credere che la somiglianza fosse in un dato comportamento o nell’aspetto.
 
Il rosso fissò il suo occhio verde e malinconico sui suoi, perplesso.
 
Leda abbassò il capo, fissando assente per qualche attimo le assi di legno che componevano il ponte della nave. Non era più tanto sicura di volerglielo chiedere. Più ci ragionava e più pensava che quella verità che cercava fosse in qualche modo sbagliata, preoccupante. Ma ormai, non poteva più tirarsi indietro.
 
- Voi non siete dei normali viaggiatori, giusto?
 
Ecco.
L’aveva detto.
Il tono sicuro tradiva una certa inquietudine. Una certa preoccupazione. E ora poteva affermarlo con certezza: aveva avuto paura.
Paura di cosa, poi?
Di sapere.
Di venire a conoscenza di cose troppo complicate, spaventose. Il volto oscurato di Tyki; l’aria terribilmente seria del vecchio… erano segnali.
Segnali che forse portavano tutti a una scomoda verità, che Leda avrebbe voluto non scoprire, ma che al tempo stesso la chiamava, e anche forte. Il desiderio di renderla chiara davanti ai propri occhi aveva vinto per qualche istante l’incertezza. La curiosità, forse, l’avrebbe portata al fallimento. Per esperienza, aveva capito ormai che tutte le cose che in qualche modo la attiravano, portavano solo pericolo e morte, persino quelle all’apparenza innocue.
Ecco, cos’era lei. Una sconsiderata votata al pericolo e all’istinto primordiale e inconscio di andare incontro alla morte.
Lavi reagì in modo inaspettato. Non disse niente. Si limitò a osservare taciturno le onde del mare cozzare contro la chiglia della nave, rapito da pensieri ben più profondi e importanti.
Solo dopo una lunga pausa, iniziò a parlare, come se si fosse visto costretto.
 
- Siamo Esorcisti.
 
Per un attimo a Leda si fermò il respiro. Restò lì, sospeso per qualche attimo, per poi tornare normale. E il suo cuore iniziò a battere all’impazzata.
 
Esorcisti…
 
Aveva capito bene?
 
Sperava di no.
Sperava che Lavi non avesse detto Esorcisti. Sperava di aver frainteso. Di essere diventata sorda, persino.
E invece..
 
- Impossibile.
 
Fu l’unica cosa che riuscì a mormorare, con voce tremula, mentre arretrava appena, trascinandosi sul pavimento.
 
- Menti – pronunciò, quasi sibilando adesso. Nella sua voce balenò per un secondo qualcos’altro, oltre allo stupore: rabbia. Una profonda rabbia, un rancore che le fece tremare le parole – Tu menti!
 
Lavi si preoccupò, ma doveva ammettere di non essere mai stato così sincero. Aveva capito che Leda non era una persona da prendere alla leggera, ignorava però che la sua infanzia fosse stata segnata così profondamente e perciò non capì la gravità di ciò che aveva detto, finché Leda non iniziò a piangere. Lei stessa non si capacitò di come le lacrime avessero iniziato a bagnarle così velocemente il viso. Niente singhiozzi, niente grida. Solo calde lacrime salate che le rigavano le guance, silenziose. Era il suo corpo che piangeva per lei, al suo posto, come prova di tutto il dolore patito e soppresso, per anni, celato in fondo all’anima e che lei stessa ancora non voleva ammettere di provare.
- Impossibile – ripeté, come se quella parola, da sola, potesse rendersi vera e realizzarsi. Come se fosse pregna di una qualche influenza positiva, che scacciasse il male.
 
- Impossibile! – esclamò d’improvviso, alzando il tono di voce, modulandolo in modo che potesse sembrare più deciso. Tentativo che fallì miseramente. Non si era mai vista tanto scossa prima d’ora. La parola ‘Esorcisti’ evocava in lei orrori ben peggiori a quelli cui aveva assistito nei giorni precedenti, orrori che fino a quell’istante era stata tanto brava a nascondere, sigillare.
Lavi aveva abbattuto ogni sua difesa, benché ancora non lo avesse compreso. Tutto ciò che poté fare fu restare in silenzio. Osservare. Infondo, rappresentava il suo compito primario. Un compito che si era ben guardato dal rivelare a Leda, o a Tyki, o a chiunque altro sulla nave.
 
Leda si alzò, tremolante. Improvvisamente la nausea era tornata a farsi sentire, ancora più forte e fastidiosa che in precedenza. Ebbe l’impulso di chinarsi e vomitare, ma si trattenne, tappandosi la bocca. Subito dopo, iniziò ad arretrare, quasi timorosa nei confronti di qualcosa. O meglio, di qualcuno. Di Lavi.
 
- Voi… - mormorò, cercando di trattenere i singhiozzi – Siete… estinti…
 
Lavi cercò di rispondere, in qualche modo, ma la ragazza continuò.
 
- Molti anni fa… il Conte… vi aveva…
 
Un tremito le corse lungo la schiena. Si sedette su di una cassa di legno, portante la scritta “fragile”. Si guardò le mani. Le stesse che un tempo avevano scavato, inconsce e incuranti del dolore, dei graffi, tra le macerie. Le stesse che si erano macchiate di sangue. Sangue non suo; quello di sua madre. Lei era morta per farli fuggire. Per salvarli.. Lei, una persona normale, che non c’entrava nulla con la guerra. Una donna semplice, che come tale aveva cresciuto Leda e Alan con tutto l’amore che riusciva a dare, con la severità, il perdono, il sorriso, le lacrime…
 
- PERCHE’?!
 
Un ultimo, disperato grido.
 
- Se c’eravate, perché non siete venuti?!
 
Alan abbassò il capo, mordendosi il labbro per evitare di piangere. Persino lui, in quel momento, non poteva che trovarsi d’accordo con la sorella. Non dubitava certo di quelle figure tanto eroiche sulle quali aveva sentito incredibili miti e leggende, eppure quel giorno anche la sua fiducia e la sua speranza erano crollate, così come la sua casa. Il luogo nel quale era nato, cresciuto, mosso i primi passi.. ora non c’era più. E se davvero ci fossero stati gli Esorcisti, a difendere la loro città dagli Akuma, ora forse starebbero in giardino a preparare la zuppa, con mamma e papà, ansiosi di poter finalmente cenare tutti insieme.
 
Non doveva trarre però conclusioni affrettate. Leda poteva anche aver perso la speranza, ma lui no. Seppur vacillante, era ancora lì, viva dentro di lui, e batteva allo stesso ritmo del suo cuoricino. Se c’era una cosa che la vita gli aveva insegnato, era che la fortuna sorride sempre agli audaci, e che per quanto le disgrazie possano abbattersi, non bisogna mai perdere la fiducia e credere nei propri amici.
 
Eppure… Leda, ormai… questa concezione di vita l’aveva completamente persa.
Lui non sapeva cosa avesse visto, quel giorno. Non seppe per quale motivo la vide tornare con quello sguardo vacuo, vuoto, privo d’ogni emozione. E per ogni volta che l’aveva pregata di spiegargliene il motivo, lei l’aveva sempre scansato in malo modo, intimandogli di tacere e seguirla. Non aveva più obbiettato. Non voleva più farlo. Decise che sarebbe stato vicino a sua sorella, cercando di far rivivere quei sorrisi che ormai avevano perso. Senza mai più piangere, per darle un po’ del suo coraggio, sperando che potesse riceverlo nel suo cuore.
 
Tuttavia, così non avvenne.
E la Leda allegra, sorridente, che lui aveva imparato a conoscere ed apprezzare, sparì per sempre.
 
Lavi prese Leda per le spalle, cercando i suoi occhi di liquirizia nascosti dalle lacrime. Con un gesto calmo e rassicurante, le sollevò il viso affinché anche lei potesse fare lo stesso con il suo unico occhio verde smeraldo. E come i loro sguardi s’incrociarono, Lavi rimase come pietrificato dalla sorpresa. Leda lo guardava come se lui l’avesse appena picchiata. Il viso incerottato, solcato dalle lacrime, incorniciato dai capelli… gli diede l’immagine di un’altra persona. Inerme, debole, arrendevole…
Non sembrava affatto Leda, la persona conosciuta poco prima.
I suoi occhi persi nel vuoto parvero ipnotizzare il rosso, che per interminabili istanti vi si perse dentro, isolandosi da qualunque sensazione esterna. All’interno vi vide un’infinita tristezza, una solitudine agghiacciante che da anni l’accompagnava, silenziosa e tacita, come una maledizione. Una maledizione che si era auto inflitta, pur di caricarsi sulle spalle da sola un unico grande fardello.
 
Non ritenne di dover dire altro.
Qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Non avrebbe certo placato i suoi traumi parlandole. Ma forse da qualche parte poteva cominciare.
 
- Mi dispiace, Leda – sussurrò, sinceramente pentito, nonostante non portasse alcuna colpa. Ma guardando i suoi occhi colmi di disperazione, si era in qualche modo sentito in dovere di dirglielo. Per farle capire che lui non era come gli altri. Che ci sarebbe stato.
E detto questo, si alzò, rivolgendo un piccolo sorriso incoraggiante ad Alan il quale ricambiò con inaspettata energia. Dopodiché, si allontanò verso la porta che conduceva alle cabine dove, appostato nell’ombra, lo aspettava il vecchio maestro.
 
Leda lo vide sparire nel buio, in silenzio.
Si asciugò le lacrime, appallottolandosi sulla cassa come se d’improvviso sentisse il bisogno di isolarsi.
 
- Sorellona – Alan si mise di fronte a lei, sorridente – Andiamo a mangiare qualcosa, eh?
 
Dopo la tempesta che sconvolgeva il suo animo, ecco che arrivava il sole a rasserenarlo.
 
Leda lo fissò per qualche secondo. Abbozzò poi un sorriso, mentre lentamente si calmava. Annuì, seguendolo.
Ed insieme si avviarono alla porta, silenziosi.
 
E quando anche loro si furono dileguati, un’ombra saettò dietro la cassa di legno sulla quale la ragazza era seduta fino a poco fa. Nessuno se ne accorse, ma dal suo nascondiglio improvvisato, Tyki tirò un sospiro di sollievo, abbassando il capo, affranto.
 
“Ormai, non posso più tornare indietro”…

   †

 

Il gruppo trascorse altri due giorni sulla piccola nave e, stranamente, questi passarono in modo innaturalmente calmo. Leda si riprese dalla conversazione con lavi, ma esitò a rivolgergli la parola per tutto il giorno successivo. Quella frase, dettagli poco prima di allontanarsi, le frullava ancora in testa e non poteva fare a meno di ripetersela, senza sosta, come una fastidiosa filastrocca. Più volte aveva tentato di rifuggire la paura e raccontargli la verità, scusarsi: fallimento totale..
Proprio non ci riusciva. E non perché glielo impedisse quel suo carattere orgoglioso, no. Era il terrore che la bloccava, le serrava le labbra e la tratteneva dal muoversi, parlare, fare qualsiasi cosa. Ma cosa peggiore era la seconda prospettiva che, come l’altra faccia della moneta, la perseguitava: le parole di Tyki, presagio di qualcosa che non le piaceva per niente. Ed ogni volta che ci pensava, anche solo di sfuggita o per sbaglio, ecco che immediatamente scuoteva la testa, perché tutto avrebbe voluto all’infuori di quella che, purtroppo, le pareva la verità più ragionevole.
Ma non poteva tornare indietro. Non poteva ritirarsi ora, che era a metà del viaggio. Nemmeno sapeva dove quella dannatissima nave avrebbe attraccato. Lo scarso equipaggio di cui disponeva non aveva saputo riferirle nulla di significativo.
 
“Europa”.
 
Risposta vaga; inaccettabile, secondo Leda. Ma a quel punto era troppo impegnata a frenare i conati di vomito per replicare. Di chiederlo a Lavi o al vecchio neanche per sogno. Era già difficile sostenere i loro sguardi, o contenersi dal morire di disagio in loro presenza, figuriamoci se poteva davvero trovare coraggio e parole adatti a domandar spiegazioni! E Alan, ahimè, ne sapeva quanto lei. Eppure, alla ragazza sembrò che lui e Lavi andassero molto d’accordo. Che la destinazione fosse qualcosa di top secret, avente a che fare con la loro particolare condizione?
 
Leda si rifiutava di credere persino a questo. Il suo cervello rifiutava in partenza qualunque cosa fosse collegata agli Esorcisti. Sperava che non c’entrasse nulla, che la destinazione non vi fosse coinvolta.
 
Era confusa.
Non capiva più niente.
Si sentiva un’estranea, messa da parte, a cui nessuno voleva più dir nulla; un peso. Ma allora… perché erano venuti a salvarla? Se fosse stato per Alan, avrebbero potuto benissimo ignorarlo, abbandonarlo o..
No! Non doveva pensare a quelle cose orribili!
Perché gli Esorcisti non erano altro che codardi. Fino a poche ore prima, Leda pensava che fossero tutti morti. Estinti. Che il Conte l’avesse avuta vinta e che il mondo non avesse più chance di vedere la luce. Ma ecco che, all’improvviso, le sbucavano dal nulla quei due individui: Lavi e un vecchio con gli occhi cerchiati di nero. Poi dicevano di essere Esorcisti, e lei.. proprio non capiva.
Se non erano morti, allora… allora erano dei codardi.
Si erano nascosti, da bravi traditori. Avevano lasciato il mondo nei casini per evitare di perderci la vita. Ma la faccia, quella l’avevano già persa da un pezzo. Non avevano più autorità, erano dei relitti. Nel momento in cui erano scomparsi, quando l’umanità aveva più bisogno di loro, erano stati privati di quell’orgoglio e quel senso di onnipotenza che da sempre circondava le loro fulgide figure fautrici di leggende. E ora non erano nient’altro che un’ombra, un residuo di quel che erano stati in passato, quando ancora c’era chi aveva il coraggio di morire per proteggere il proprio popolo.
Era su quelle splendide persone che Leda aveva raccontato innumerevoli storie ad Alan, non certo su quelle che aveva visto quel giorno. Non erano lontanamente paragonabili a loro…
 
Tyki fece solo sporadiche apparizioni, per tutto il tempo del viaggio. Per qualche strana ragione, sembrava voler evitare i due Esorcisti. E così, ogni volta che si poteva avere l’”onore” della sua presenza, o si trovava dietro una qualche cassa – per passare inosservato – o nella propria cabina.
Leda non l’aveva mai visitata. Non voleva parlare nemmeno con lui, sebbene in quel momento fosse la persona che più si sentiva vicina, dopo Alan. Ma i motivi del suo silenzio erano ben altri: non riteneva giusto nei suoi confronti chiedergli nulla. Il disagio che l’uomo mostrava inconsciamente alla presenza dei loro speciali compagni era quasi palpabile, per non dire contagioso. La causa di ciò era totalmente sconosciuta alla ragazza, la quale si asteneva dal parlargli per evitare di accrescere quel suo nervosismo.
Era il minino che potesse e volesse fare, per ripagarlo – a modo suo – dell’aiuto che aveva dato a lei e ad Alan. E sperò che Tyki l’avesse capito.
 
Il giorno dopo, mentre il cielo lentamente si tingeva delle più belle sfumature di blu e violetto, Leda osservava dal parapetto di prua come quei delicati colori pastello si fondessero col cielo, creando e annullando al tempo stesso l’orizzonte e dando l’illusione che questo non esistesse.
 
- Che pace… - un mormorio le era fuoriuscito dalle labbra, quasi ansioso di sentirsi. La conferma che quello era stato un giorno tranquillo, senza problemi d’alcun tipo. Leda tirò un profondo sospiro, poggiando braccia e mento alla ringhiera di ferro e chiudendo gli occhi, completamente assuefatta dal silenzio come un bimbo dalla ninnananna. Persino il vomito le stava dando un po’ di tregua, segno che il suo corpo aveva deciso di concederle un po’ di tempo per sé stessa.
Un altro sospiro, più sentito del primo. E il vento tra i capelli le provocò una tale sensazione di piacere che…
 
- Hai smesso di vomitare?
 
Leda si risollevò all’improvviso, voltando la testa alla sua sinistra. E come riconobbe l’uomo che aveva appena parlato, poco ci mancò che gli fracassasse la testa con un pugno.
 
- Mi stavo rilassando, Tyki.
 
- Anch’io – si sentì rispondere. Il nervoso le salì alle stelle. E anche la più microscopica possibilità di passare una serata all’insegna della tranquillità sfumò completamente.
 
- Be’, allora vai a farlo da un’altra parte! – insorse così, visibilmente seccata. Tyki sorrise beffardo, accettando la sfida all’istante.
 
- Mi dispiace, ma sto bene qui. Vai via tu, piuttosto, se ti do così fastidio – era inutile sperare di averla vinta con lui. Non demordeva neanche se vedeva di essere in svantaggio. Finché non si fosse messo in ridicolo da solo, era certo di poter continuare a sostenere una conversazione accesa come quella.
 
- Neanche per sogno! – strillò Leda, serrando i pugni nella sua direzione – C’ero prima io! Vattene tu, damerino da strapazzo che non sei altro!
 
- Mhmpf – un sorrisetto mal celato si dipinse sul volto dell’uomo, che per la prima volta parve manifestare non può sprezzo, bensì irritazione – Come mi avresti chiamato, prego?
 
Leda ricambiò l’espressione con un evidente ghigno sbruffone, ridicolmente orgogliosa di essere riuscita a produrre una crepa in quella sua corazza di pungente sarcasmo. E per la gioia dell’altro, ripeté sillabando il suo nuovo soprannome.
 
- Damerino-da-strapazzo!
 
E Tyki fece altrettanto.
 
- E tu sei una bisbetica musona!
 
- Che hai detto?!
 
- Problemi d’udito, oltre che di stomaco?
 
- Inutile, inutile barbone!
 
E sarebbero anche arrivati alle mani se l’improvvisa apparizione del vecchio non li avesse interrotti bruscamente, a metà tra la sorpresa e lo sconcerto. Leda si ricompose, indietreggiando. Ancora non aveva accettato la presenza di quei codardi sulla nave.
Tyki invece si voltò e si concentrò come un pazzo sul panorama davanti a lui, come se preferisse morire che guardare in faccia l’anziano.
 
- Vi siete ripresa, signorina – pronunciò questo, con tono calmo e ponderato.
 
Leda serrò gli occhi. Annuì, diffidente. Il suo pensiero corse alla ferita da arma da fuoco riportata in seguito al suo salvataggio. L’aggressore non l’aveva visto, ma il buco che gli aveva lasciato era ancora ben visibile, tenuto a bada da una solida fasciatura che, giorno dopo giorno, richiedeva sempre controlli. E non le dava nemmeno più tanto fastidio.
Il vecchio parve voler accennare un sorriso, e invece si affacciò – per quanto potesse farlo, alto com’era – dal parapetto, osservando il mare con aria incredibilmente seria.
 
- Ci siamo – pronunciò, solenne.
 
Leda puntò i suoi occhi di liquirizia sull’orizzonte che si confondeva col cielo, e lì vide qualcosa che poco prima non c’era. Laddove il suo occhio non ne distingueva più il confine, vide sorgere una forma scura e solida, che diventava man mano sempre più grande. Inizialmente piccola e indistinta, quella macchia di nero che contrastava con l’oro del tramonto divenne qualcosa di più definito, assumendo una forma, sempre più chiara e concisa.
 
- Terra… - mormorò Leda, come rapita da quell’immagine. Per lei era una porta che si apriva. Avrebbe significato rispondere a molte delle sue domande, in compenso avrebbe favorito l’insorgere di nuovi misteriosi interrogativi. Per ora, comunque, non chiedeva di meglio.
 
Il vecchio rivolse un’occhiata scrutatrice verso di lei, senza l’accenno di un sorriso sul volto. Nulla pareva riuscire a provocare in lui la benché minima parvenza d’emozione. Totalmente apatico, fece lo stesso anche verso Tyki, stavolta aggravando l’espressione seriosa. Ma l’uomo non si accorse di nulla, impegnato com’era a osservare il mare davanti a lui. Ma Leda sospettò si fosse sentito addosso quegli occhi così severi che avesse preferito evitarli.
 
In breve tempo la ‘terra’ si arricchì di nuovi dettagli. Divenne una imponente scogliera fatta di dure rocce scure, sulle quali le onde del mare cozzavano impervie e burrascose. Sopra, un tetto di alberi e piante talmente fitto che Leda non fu in grado di determinare se oltre di esso vi fosse situato alcunché. Piuttosto, si accorse di qualcosa che la sbalordì non poco. In un punto poco precisato della roccia, questa parve improvvisamente rivelare un passaggio che vi penetrava all’interno. Un’ampia insenatura, la cui scarsa visibilità era favorita dall’avanzare della notte e dall’illusione creata dalla parete rocciosa stessa, che non dava affatto l’impressione di nascondere un passaggio. Si voltò verso il vecchio, ancora preso ad osservare la loro avanzata proprio verso quell’apertura. E si soprese, pensando che probabilmente lui lo sapeva. Onda dopo onda, la nave cominciò ad infilarsi, e le assi di legno del ponte gemettero sempre più all’avanzare dell’imbarcazione.
Leda si sentì avvolgere da un silenzio quasi glaciale. Osservò quelle alte pareti acuminate che la circondavano e si sentì trascinare da una sgradevole sensazione di chiuso. Non si era mai sentita così piccola e insignificante come in quel momento. Udì dei passi dietro di lei, si voltò e vide che anche il vecchio e Lavi osservavano il loro percorso con aria assorta. Istintivamente diede loro le spalle e aguzzò la vista per tentare di scorgere cosa vi fosse alla fine.
Ma la nave continuò a inoltrarsi tra le rocce sempre più, e il passaggio si restringeva metro per metro. Leda iniziò a preoccuparsi.
 
- Ma ci passerà mai? – domandò a Tyki, il quale osservava l’accorciarsi delle distanze fra le due pareti di roccia con la sua stessa apprensione in volto. Eppure dopo pochi secondi parve ritrovare la calma, come se avesse appena capito che quello non era affatto un problema.
 
- Ci passerà, fidati – disse infine, sbadigliando.
 
Leda si sporse oltre il parapetto, vide le onde infrangersi contro la chiglia e si chiese dove diamine avesse visto che ci sarebbe passata. Decise però di stare in silenzio ed aspettare. Non era così stupida da pensare che l’equipaggio si fosse infilato in un’apertura impossibile da praticare. Era un suicidio bello e buono. No, doveva esserci qualcosa, altrimenti non si sarebbero mai spinti tanto oltre.
Il quarto d’ora successivo trascorse nel silenzio più totale, tanto che Leda poté sentire i battiti del proprio cuore accelerare sempre più. Finalmente l’apertura iniziò ad allargarsi, fino a divenire abbastanza larga affinché la nave non cigolasse più così pericolosamente.  E infine, imboccando l’ultimo cruciale tratto di mare, Leda poté scorgere finalmente, illuminata nel buio, la loro destinazione.
Si ergeva su di un’altura, perfettamente visibile da quel punto nonostante fosse nascosta da una fitta foresta. Dalle ampie vetrate posizionate sulle grosse pareti di pietra filtrava una vivida luce giallastra. A Leda parve assomigliare molto alla famosa cattedrale parigina Notre Dame, che aveva visto sui libri di suo padre. Ma questo non poté che accrescere l’enorme, per non dire ingestibile senso di irrequietudine dentro di lei. Ebbe un brutto, orribile presentimento, e pregò con tutto il suo cuore che quell’edificio, che si innalzava con la grazia e l’austerità di un maniero medioevale, non fosse veramente ciò che lei pensava che fosse.
 
A fugar ogni dubbio vi pensò il vecchio che, avvicinatosi a loro, rese veri e palpabili i peggiori timori di Leda.
 
- Finalmente siamo arrivati. Benvenuti all’Ordine Oscuro...




♣ Angolo di Momoko 

Yess! Mi son dimenticata delle note d'autore! xD
Viva la vecchiaia :D
Comunque, strano ma vero, ho aggiornato. Ma non abituatevici, durerà poco questa puntualità >.>
In questo capitoletto pian piano le cose iniziano a muoversi (e perdonatemi per avervi fatto aspettare così tanto). Ormai avrete capito perché Leda odia gli Esorcisti, purtroppo sta andando direttamente nella tana del lupo e, poretta, non le sarà facile uscirne. In verità non pensavo che si potesse annullare così di fronte a loro, sono andata per ragionamenti e ho pensato che con un trauma del genere uno poteva solo sentirsi male come lei. Ma credetemi, non è finita qui! La aspettano molte altre difficoltà da superare, dal prossimo capitolo in poi la storia prenderà quella piega definitiva che ho deciso di darle giusto qualche settimana fa. Purtroppo le idee arrivano quando meno ce le si aspetta.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito, messo tra le seguite/preferite questa storia. E' una soddisfazione immane. Ed ora, sarò petulante/antipatica/bastarda, ma ho due parole da dire. No, più che altro è un appello. Nasce da una piccola discussione che ho avuto con altre scrittrici, e tutte la pensiamo un po' alla stessa maniera. Siamo un po' deluse, perché di recente il fandom viene sommerso unicamente di personaggi blandi e poco caratterizzati. Ciò denota una trascuratezza incredibile da parte delle autrici, e sinceramente a volte non ci capacitiamo di come questi loro scritti possano ottenere tanto consenso, nonostante errori e svarioni. Ora, io non mi reputo affatto superiore ad altri, né penso che la mia storia lo sia. Però scrivere mi piace e dato ciò, metto particolare cura e amore nei capitoli, voglio che chi legge possa provare quella stessa passione che ho anche io. E mi impegno in ugual misura anche nella caratterizzazione dei personaggi. So che scrivere dovrebbe essere un hobby o un divertimento, ma anche da cose così piccole si può capire quanto una persona metta molta poca cura in quello che fa, anche nella vita quotidiana. Per cui mi appello a voi: date una struttura di base alle storie, curatele di più, e se non trovate il tempo poco male. Non conta affatto aggiornare alla velocità della luce con capitoli di scarsa qualità, quanto più aggiornare con meno frequenza ma con capitoli ben scritti e qualitativamente superiori. 
Ora potete linciarmi, inslutarmi, darmi fuoco, a scelta. Ma ho detto la mia, era da un po' che covavo queste parole e aspettavo solo il momento migliore per dirle. Ora mi dileguo, a prestooo,

Momoko <3

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Capitolo 9
*** Troppe verità ***



Capitolo 9: Troppe verità 



Camminavano da più di due ore ormai, e il buio della notte non aiutava di certo a evitare gli spuntoni di roccia che emergevano disordinati dal terreno impervio sul quale marciavano. Leda si portò su di una roccia leggermente in pendenza rispetto a loro e ci si sedette sopra senza la minima grazia, come se non aspettasse altro.
Prese un respiro profondo, riempiendo completamente i polmoni di quell'aria fresca di mare e chiuse gli occhi. Era distrutta. Subito dopo essere sbarcati, avevano cominciato a salire lungo il pendio per raggiungere l'Ordine. E dire che lei si era pure rifiutata apertamente. Il solo pensiero di dover entrare nel luogo matrice di tutte le sue sofferenze la disgustava non poco, eppure il vecchietto dagli occhi seri era stato chiaro: niente rifiuti; niente rallentamenti di alcun genere. Solo marcia, marcia e ancora marcia, fino a che non sarebbero arrivati alla meta. Ma dopo due ore la stanchezza era talmente forte da inchiodarla a terra senza farle muovere un solo muscolo. Poteva solo riposare, riprendere fiato; stare ferma e non fare assolutamente nulla.
In Confronto a lei, Alan sembrava un alpinista. Aveva ben accolto l'idea di raggiungere il castello, e tutto allegro aveva seguito Lavi nella immane scalata. Oh, come avrebbe davvero voluto possedere un po' di quel suo incontenibile brio. Per lei quell'impresa era stata un suicidio in tutti i sensi, soprattutto perché non era ancora guarita del tutto, né dalla ferita né dalla nausea. Ancora sentiva lo stomaco gorgogliare, anche se temette fosse per la fame. E la colpa di tutto era di quei maledettissimi Esorcisti!
Doveva ancora accettare il fatto che non se ne fossero andati. La loro presenza era nuova, strana. La metteva a disagio e sono sapeva dire se fossero in buona o cattiva fede, tanto li detestava. E dire che in passato aveva inventato storie su storie su di loro. Aveva tessuto le loro lodi nelle stelle. Ognuna di essere era diventata un racconto, un insieme di azione, suspence, amore... Alan adorava sentire delle loro gesta, lo gratificava. Pensava a papà e non poteva fare a meno di sentirsi soddisfatto, orgoglioso, fiero. E forse questo era l'unico motivo per cui era stato capace di fare amicizia con Lavi.
Li guardò. Il rosso portava in bimbo sulle spalle, ed entrambi sembrava stessero scherzando su qualcosa. Leda s'intristì. No, in verità si sentì giusto un poco gelosa. Come se si sentisse in diritto lei sola di far ridere e divertire Alan. Quel Lavi non aveva alcuna autorità per permettersi di ingraziarselo. Lo odiava, o meglio, non lo sopportava. Mentre fino a poche ore prima si sentiva quasi riconoscente nei suoi confronti. Il mondo girava in maniera a ssurda, soprattutto per lei.
Prese un altro profondo respiro, asciugandosi la fronte sudata con la manica. E in quel momento un paio di calzature nere entrarono nella sua visuale. Sollevò lo sguardo, riconoscendo all'istante la figura di Tyki che pareva confondersi con la notte. Le tese una mano, con aria scocciata, ed aspetto che lei la prendesse.

- Sù, alzati - la intimò, con non molto garbo - Sennò quel vecchietto si metterà a ciarlare di nuovo.

Leda lo guardò con una punta di tenerezza. Aveva capito benissimo che sotto sotto era preoccupato per lei. Ma non gliela diede vinta così facilmente. Afferrandogli la mano ed issandosi, gli lanciò un'altra delle sue frecciatine.

- Puoi portarmi in braccio se ci tieni così tanto!

Tyki strinse i pugni e si contenne dal risponderle a tono, mentre si voltava e riprendeva la scarpinata.

- Taci - fu tutto quello che le disse, prima di andarsene.

Leda sorrise vittoriosa. Ultimamente ci aveva preso gusto, a sfotterlo. Le dava quell'immane senso di vittoria e soddisfazione che da qualche tempo a quella parte si era sentita mancare spesso.
In ogni caso, si stupì. Davvero quel damerino scemo si preoccupava per lei? La cosa era strana. O il mondo girava all'incontrario o lei era definitivamente morta in quella grotta, ed ora quel che vedeva era tutto frutto della sua immaginazione.
Con uno sforzo incredibile, riprese a salire, ansimando più che mai. Certo, era abituata a compiere fatiche simili, ma persino le sue capacità fisiche sbiancavano di fronte alla salita che stava percorrendo. Quel percorso stava mettendo alla prova ogni cellula del suo corpo. E di come sarebbe arrivata in cima, non ne era sicura nemmeno lei. Forse davvero si sarebbe fatta portare in braccio da Tyki.
Il vecchietto dagli occhi scuri le passò accanto, rivolgendoie un'indulgente occhiata. La ragazza si sentì sotto pressione, e aumentò considerevolmente il passo, per paura che quello si mettesse a farle la ramanzina. Chissà perché, la inquietava. Non era un normale anziano!

Dopo un'altra ora di viaggio, finalmente il gruppo avvistò le luci dell'immenso portone del castello. I muri di pietra e l'ampia porta di legno scuro e pregiato, intagliata perché dalle decorazioni si potessero riconoscere piccoli cherubini alati formare un arco che ne decorava la parte superiore, davano uno strano senso di austerità e rigidità. Si trovava alla fine di un grande giardino rigoglioso, circondato su tre lati dalle mura dell'edificio a forma di ferro di cavallo. Era ben curato, l'erba era verde e tutta in pari, tanto da dare l'impressione di essere stata appena tagliata. Leda osservò la facciata principale, che si diramava nei due bracci secondari, e pensò che come 'covo' per dei religiosi fanatici era proprio l'ideale. Assomigliava ad una cattedrale, anziché ad un castello come invece da lontano sembrava. Le decorazioni gotiche, le vetrate scure e rigide...
No, quello non era decisamente il posto migliore in cui vivere. Riconsiderò nuovamente l'idea di prendere Alan e fuggire. Insomma, sarebbe stato semplice. Avrebbe potuto acchiapparlo al volo e poi... via! Verso la barca. Se la salita era stata un inferno, la discesa l'avrebbe portata dritta dritta in paradiso. Non le importava di dover soffrire ancora il mal di mare, purché Alan potesse essere al sicuro.
Poi ebbe un presentimento. E se avessero cercato di fermarla?
Non le erano chiare le loro intenzioni, ma poteva benissimo intuire di essere importante per loro. Se ancora non si erano sbarazzati di lei, doveva esserci qualcosa sotto. Che quello fosse... un sequestro?!
Molto probabilmente. Perché a dirla tutta lei era arrivata fin lì contro la sua volontà. Magari erano dei rapitori. Magari le avevano raccontato una bugia e non erano veramente Esorcisti. E quell'edificio non era l'Ordine Oscuro, ma la loro base. O forse erano mercanti di schiavi...
Stava andando fuori ragionamento. Quando tornò a prestare attenzione all'ambiente attorno a lei, notò che si erano fermati di fronte alla porta. Lavi e il vecchio la osservavano in silenzio, così come Tyki. Alan era l'unico che sembrava non comprendere appieno la situazione.

- Perché non bussate? - domandò al rosso, strattonandogli appena un lembo del vestito perché si accorgesse di lui.

- Prima c'è il controllo! - si sentì rispondere con energia.

Leda rimase perplessa. Controllo?
Si fece avanti e domandò, a nessuno in particolare per non dare l'impressione di essersi deliberatamente rivolta a uno degli Esorcisti.

- Che cosa sarebbe?

Il vecchio si voltò verso di lei. L'espressione seriosa la mise in soggezione, facendole rimangiare ogni parola all'istante. Pareva piuttosto suscettibile, nonostante la proverbiale calma.

- Ora lo vedrà - rispose solo dopo una piccola pausa, dandole le spalle e tornando a fissare la porta. Leda si sentì offesa. Perché nessuno le diceva mai niente?! E perchè ogni volta che tentava di dare una risposta alle proprie domande, qualcuno le faceva intendere di chiudere il becco?
Si lasciò sfuggire un grugnito scocciato, mentre fissava Tyki, pensando che probabilmente anche lui si stava facendo le stesse domande ma non lo dava a vedere. Dannato damerino. Così a fare le figuracce era sempre e solo lei!
Ma i suoi dubbi vennero presto fugati. Qualcosa che non aveva notato prima, accanto al portone, parve accennare un movimento. Così catturato nella sua visuale, Leda spostò lo sguardo in sua direzione e rimase sbalordita.
C'era una faccia! Una faccia sul muro!
Era grossa, imponente, con grandi occhi di pietra bianchi e vitrei, e un doppio mento decisamente ridicolo. La ragazza la fissò come ipnotizzata, mentre la vedeva contorcersi e scricchiolare, prendere forma davanti a lei. E quando parlò, poco mancò che cascasse a terra dallo sconcerto. Aveva una voce cavernosa, attenta, forse un po' troppo pignola per i suoi gusti. Cavoli, ma davvero una cosa del genere poteva avere un tono di voce e dare l'impressione di essere pignola?!

- Prima di entrare, il controllo a raggi x! - esclamò, con quel suo vocione grottesco. Improvvisamente i suoi occhi bianchi e pietrosi s'illuminarono, proiettando due coni di luce contro il gruppo e muovendoli su ogni suo componente. Leda venne investita da quei fari accecanti e si coprì gli occhi, indecisa se prenderli a pugni e ridurli in poltiglia per quell'affronto o aspettare che lo scandaglio finisse. E infatti, dopo qualche secondo la statua se ne uscì con un: "E' a posto!", per poi passare ad Alan, subito accanto a lei. Leda fece per spostare il fratellino dalla traiettoria, ma ricevette un'occhiataccia dal vecchio e tenne le mani a posto. Forse, infondo, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Alan si lasciò scappare una risata divertita mentre sentiva la luce calda muoversi su di lui, e quando questa se ne andò aveva il sorriso soddisfatto più grande del mondo.

- A posto anche questo qui! - sentenziò la statua spostando gli occhi su Lavi e il vecchio e analizzandoli insieme. I due non mossero un muscolo per tutto il tempo, come se sapessero dal principio che non vi era alcun motivo di preoccuparsi. E infatti, i fari luminosi li abbandonarono e la faccia pietrosa constatò che anche loro non presentavano alcuna anomalia.
Probabilmente era un sistema di sicurezza ideato per impedire che Akuma o spie nemiche s'infiltrassero nella base. Ottima strategia, peccato che in quanto a forza combattiva il faccione pareva non essere migliore di una mosca. Leda la vide spostare i coni di luce su Tyki, e si stupì di vederlo impassibile pur essendo la prima volta che si sottoponeva a un controllo del genere. O almeno, Leda era sicura che fosse la prima volta.
Tuttavia, accadde qualcosa di inaspettato. Il volto di pietra della statua s'increspò, scricchiolando, e questa cominciò a gridare come un'ossessa e a piangere disperata.
Leda indietreggiò all'istante, tenendo Alan con sé. Che diamine stava succedendo?!
Ma quando sentì il guardiano di roccia gridare, annunciando il problema, il sangue le si gelò nelle vene all'istante.

- NOAAAAAH!!! C'E' UN INTRUSOOOO!!! E' UN NOAAAAAAH!!!

Grossi lacrimoni uscirono fuori dagli occhi della statua, mentre ripeteva come un disco rotto "Noah! Noah!". Leda rivolse i suoi occhi di liquirizia verso Tyki. Che diamine stava succedendo?! Ma soprattutto, che c'entrava lui con i Noah?!
Non ebbe il tempo di chiederselo. Non ebbe il tempo di fare nulla. Tutto accadde troppo in fretta e lei se ne accorse tardi. Dal cielo piovettero delle figure, piccole e nere, che si mischiavano con le ombre della notte. Impiegando qualche frazione di secondo per raggiungere il terreno, accerchiarono lei e il resto del gruppo, rapidi, precisi. Fu allora che la ragazza notò i loro visi sconosciuti, debolmente illuminati dalle luci dei lampioni all'ingresso; e riconobbe le loro vesti. Quasi trasalì. Esorcisti. Li avevano circondati!
Strinse a sé Alan come se avessero voluto portarglielo via, mentre rivolgeva a quei falsi apostoli il suo più totale disprezzo in uno sguardo. Lavi e il vecchio non si scomposero, e Leda si chiese come diavolo facessero a non sentirsi in pericolo in una situazione come quella. Ma quando vide Tyki, fu ancora più sconcertata. Era immobile. Non aveva battuto ciglio e all'arrivo di quello squadrone non aveva osato muovere un muscolo. Era forse stupido?! Non si rendeva conto di essere lui il motivo di tutto quel casino?!
In quell'istante, Leda avrebbe voluto gridargli le peggio cose, ma si contenne, non appena vide un movimento tra i loro assalitori. Alcuni di loro si spostarono di lato, creando un varco nel cerchio, e una figura alta e sottile vi passò attraverso. Leda trattenne il respiro. Era una ragazza, che non sembrava nemmeno più vecchia dei suoi ocolleghi. I capelli biondi e corti le cadevano a caschetto sulla testa e in due ciuffi sinuosi davanti al volto. Lo sguardo era di ghiaccio, e dai suoi movimenti rigidi e calcolati tutto traspariva tranne la simpatia. Si fermò proprio di fronte a loro, sfoggiando un temerario sorriso di sfida. Leda non si fece troppi scrupoli a ricambiare, già consapevole di detestarla con tutta sé stessa.

- Credevo fosse chiaro - asserì con tono duro, arcigno; autoritario - Voi non sareste più entrati in questo posto, carogne!

Stava parlando di Tyki. Leda non ci capì un acca, di quello che stava succedendo. Che significavano le sue parole?!

- Finché ci sarò io... - conluse gelida, spaventosa - ... Voi questa maledettissima soglia non la varcherete!

Si avvicinò all'"intruso", mantenendosi però a debita distanza di sicurezza. E qualcosa in quel momento le apparve in mano: una frusta. Leda spalancò gli occhi, mentre aumentava involontariamente la presa su Alan, il quale tentò di divincolarsi inutilmente. E quando vide la ragazza prepararsi a colpire Tyki, decise di mandare al diavolo la paura e fregarsene delle frecciatine del vecchio. Si fece avanti e insorse con un grido di protesta.

- LASCIALO STARE!!

Tutto si fermò. La ragazza si voltò verso di lei, la frusta alzata e pronta a calare sull'uomo. Vide Leda, e subito mutò l'espressione sfrontata che aveva in un broncio rabbioso.

- Non ti intromettere, traditrice! Dopo ce ne sarà anche per te!

Sollevò ancora il braccio, pronta a colpire, ma si vide bloccare i movimenti all'ultimo momento da qualcun'altro di inaspettato.

- Fermatevi, signorina - era il vecchio. Con voce assolutamente calma spiegò la situazione alla ragazza, la quale abbassò l'arma. Ma Leda lo vide, non si fidava affatto. La fissò, come ipnotizzata, poi guardò Tyki e si sentì divorare dal nervoso. Come aveva potuto mantenersi impassibile per tutto il tempo?!
Sentì Alan strattonarle la camicia, quindi si voltò verso di lui e vide il suo sguardo preoccupato. Prese un profondo respiro, e si calmò, osservando la situazione in silenzio. Il vecchietto dagli occhi seri si mise a parlottare con la ragazza la quale, dapprima stizzita, divenne più sciolta. A quel punto ripose la frusta al fianco, e con un rapido cenno ordinò alla sua squadra di immobilizzare Tyki. Leda tentò di fermarli, ma Lavi le prese un braccio e scosse la testa, facendola capire che era meglio non immischiarsi. Leda si calmò, e pensò che senza l'intervento del suo maestro sarebbe potuto capitare anche di peggio. In compenso, il portone di legno scuro cominciò a cigolare, per poi aprirsi lentamente. Un raggio di luce li investì, mentre con calma varcavano la soglia, accompagnati dal vociare della truppa e dai lamenti della sentinella di pietra.


Qualsiasi cosa Leda avesse detto riguardo l'Ordine Oscuro, prima di addentrarvisi, non corrispose per nulla a quanto vide in seguito, una volta attraversata la porta d'ingresso. L'atrio era immenso, luminoso; pareva risplendere d'oro. Grandi volte di marmo decorato con intarsi di pregievole fattura si ergevano maestose attorno a loro, denotando enorme elegenza e cura. Imponenti lampadari di cristallo donavano luce alla stanza, infondendola generosamente in ogni anfratto, e da soli rendevano quel luogo pregno di regalità, calore, sicurezza. Non sembrava affatto di trovarsi in una cattedrale. Non sembrava affatto di trovarsi nel luogo madre di tutti gli apostoli di Dio. Pareva più un sontuoso palazzo, proprietà di qualche ricco nobile. Di edifici simili Leda non ne aveva mai visti. La maggior parte erano stati distrutti dopo l'inizio della guerra, assieme alle famiglie che vi vivevano. Avevano deciso di opporsi a quell'assurda lotta per il potere, rifiutando l'offerta del Conte. Ed ora tutto ciò che rimaneva di loro e delle loro bellissime dimore erano solo macerie, quadri bruciati, vetri infranti. Vite cancellate dal mondo, come punizione per non essersi piegate a un volere superiore, troppo sicure di sé, orgogliose. Questa era la fine che attendeva chiunque non si fosse alleato con il Costruttore. Lo sapeva tutto il mondo ormai, anche se si evitava di parlarne. Leda si sentì ribollire di rabbia, mentre osservava a dir poco disgustata quell'enorme spazio completamente vuoto. Lei non ragionava allo stesso modo di quei religiosi codardi. Pensava che quella hall, da sola, avrebbe potuto ospitare un sacco di profughi, dando loro un posto in cui dormire, rifocillarsi, essere al sicuro. E invece... quello spazio potenzialmente utile veniva utilizzato per sbalordire chi il lusso non sapeva nemmeno cos'era, facendosi beffe di quelli che, come lei, nella vita avevano dovuto lottare per qualsiasi cosa. Strinse i pugni, ben sapendo che se non avesse avuto uno squadrone di Esorcisti che le teneva gli occhi incollati addosso, avrebbe fatto un macello. Letteralmente.
Dannati codardi, era questo che pensava di loro, ed era quello che sempre avrebbe pensato. Guardò Alan. Si teneva stretto alla sua manica, e procedeva al suo stesso modo: insicuro, quasi timoroso. Ma nonostante tutto, pareva rilassato. Questo la sollevò, non mancando però di ricordarle quanto orribile fosse quel posto. Lavi e il vecchio procedevano disinvolti, freddi, distinti. Erano diversi da prima, sembrava che l'essere entrati in quel luogo li avesse cambiati. Avanzavano al fianco della ragazza bionda, che con passo altero procedeva. Tyki era scortato da un gruppo di tre Esorcisti, i polsi tenuti stretti da una corda. Leda pensò che se avesse voluto si sarebbe potuto liberare. Conosceva i suoi poteri, sapeva cosa fosse in grado di fare. Ma allora perché non agiva?
Ecco che un rumore di passi improvviso interruppe il suo ragionamento. Quando sollevò lo sguardo vide due uomini, piantanti di fronte a loro come ad aspettar spiegazioni. Uno aveva l'aria trasandata, la cravatta storta e capelli biondi sparati per aria. L'altro pareva più sobrio, serio per certi versi; aveva i capelli scuri, tenuti a bada da uno strano berretto morbido; inoltre portava gli occhiali. Entrambi indossavano delle strane divise candide, più riconducibili a dei camici da laboratorio che a semplici soprabiti. Forse erano dei ricercatori, o degli scienziati.

- Claire, fai rapporto - attaccò l'uomo con berretto, che in qualche modo pareva essere il più alto di grado, dati gli stemmi sulla divisa. La biondina si fece avanti, assieme a Tyki e alla squadra che lo teneva legato.

- Abbiamo catturato uno di quegli schifosi Noah, Komui. E anche i suoi scagnozzi.

Per poco Leda non le saltò addosso. Da quando era stata declassata a scagnozzo di quel damerino scemo?! Non era più una semplice traditrice?! Dannati Esorcisti..

- Vedo, vedo - constatò l'uomo chiamato Komui, grattandosi la tempia con una matita, perplesso. Scrisse poi un appunto su di un documento e continuò - Voi dovete essere Bookman, se non sbaglio.

Aveva ignorato completamente la ragazza, e si era rivolto al vecchio. Questo abbozzò un sorriso e annuì, serio come sempre. Lavi fece altrettanto.
Leda ci capiva sempre meno. Bookman? E che erano?

- Vi ringrazio per essere venuti così in fretta. Immagino vogliate al più presto un alloggio per compiere i vostri doveri - continuò il tipo col berretto con voce sincera - Seguite il mio collega, vi scorterà lui.

Il biondo alle sue spalle fece un cenno, così Lavi e il vecchio si avviarono al suo seguito. Leda rimase da sola con Alan, entrando, suo malgrado, nel panico. Senza di loro, si sentiva spaesata, incapace di dire o pensare qualsiasi cosa. Ma ecco che Komui si accorse di lei.

- Benvenuta e benvenuto! - esclamò caloroso, totalmente diverso da pochi attimi prima. Strinse la mano a Leda, la quale ricambiò riluttante, e scompigliò i capelli ad Alan, che gli sorrise - Serviranno delle stanze anche a voi! Sì sì!

A quel punto intervenne Claire. Sembrava irritata, e Leda non si capacitò affatto del perché.

- Komui!! C'è una faccenda molto più importante a cui pensare adesso!! - ed indicò Tyki, il quale rimase impassibile. Leda si bloccò, incontrando i suoi occhi di onice. E rimasero a fissarsi per alcuni attimi, mentre la ragazza cercava di capire cosa diamine gli passasse per la testa, tanto da renderlo così arrendevole. Ma non ebbe l'opportunità di chiedergli nulla, perché uno degli Esorcisti lo mise fuori gioco con un colpo secco al collo. Tyki perse i sensi e venne trasportato altrove. Leda fece per seguirlo, con la testa che le scoppiava dalla quantità assurda di informazioni che l'avevano inondata, ma Komui fu più veloce, parandosi di fronte a lei con un sorriso e liquidando la faccenda nel tempo di una frase.

- Sarete stanchi, lasciate che Linalee vi accompagni nelle vostre stanze!

Leda guardò Claire, chiedendosi se non fosse lei la persona interessata. Ripudiò quel pensiero all'istante, quando la vide imbronciarsi e seguire i propri compagni lungo un corridoio buio e imperscrutabile. Quando si girò accanto a Komui c'era un'altra ragazza. Aveva dei bellissimi capelli scuri, gli occhi grandi e brillanti e l'aria cordiale e gentile di una signorina.

- Piacere di conoscervi - disse, con voce cristallina - Mi chiamo Linalee Lee.

Offrì la mano a Leda, la quale la strinse con circospezione. Alan d'altro canto fu contentissimo. Dopo essersi presentato seguì di buon grado la ragazza, tenendo per mano la sorellona. Attraversarono l'atrio, inoltrandosi in un ampio corridoio con enormi vetrate alle pareti. La luce della luna penetrava all'interno proiettando su di loro strane figure geometriche tutte traballanti. Linalee camminava sicura, il passo cadenzato, vivace. Invece Leda sembrava quasi trascinarsi, scocciata. Si fermarono di fronte ad una porta di legno. La ragazza l'aprì e fece accomodare i due fratelli all'interno di una piccola stanza con due letti singoli, già belli che pronti. C'erano poi una scrivania, un comodino e un cassettone abbastanza ampio. L'unica finestra presente era chiusa.

- Eccoci qua - annunciò la ragazza pimpante, con un sorriso gentile. Leda tentò di ricambiare: non ci riuscì. Guardò Alan e vide che già cominciava a tastare la morbidezza di uno dei materassi, allegro come una pasqua.

- Grazie - si limitò a dire, apatica. Non aveva voglia di parlare con nessuno, tanto meno con un Esorcista quale la ragazza sembrava essere, data la divisa simile a quelle che aveva visto in precedenza: di stoffa nera, pesante a vedersi, bordata di rosso e... con bottoni d'oro. Quasi sbiancò. Bottoni d'oro. Quello era oro, oro vero. Si sentì uno straccio buttato via. Quei traditori indossavano costosissime divise con bottoni d'oro, mentre lei si era sempre arrangiata con vestiti di seconda o terza mano. E Alan non era stato da meno.
L'orrore crebbe ancora di più. Linalee parve accorgersi del disagio, così velocemente li salutò e uscendo richiuse la porta. Appena fu certo di essere solo con sua sorella, Alan smise di sorridere e si fiondò verso di lei.

- Leda! - la chiamò, vivamente preoccupato - Non sarà successo nulla di male a Tyki, vero?

Leda lo strinse a sé, chiudendo gli occhi per cercare di rilassarsi. Quindi, anche lui era in agitazione. I sorrisi di prima non erano stati altro che una maschera per nascondere i suoi reali sentimenti...

- Sono sicura di no - sospirò, abbracciandolo con tutta sé stessa - Sono sicura...

La situazione non le era chiara. Da quando era arrivata lì le erano passate davanti troppe brutte facce, senza che lei potesse fare nulla in merito. Aveva sopportato il brutale trattamento che quella bisbetica con la frusta aveva riservato a lei e a suo fratello. Si era vista privare dei propri compagni di viaggio, senza riuscire ad impedirlo. Era stata trattata alla stregua di un rifiuto. E tutti gli altri... piano piano l'avevano abbandonata. Senza accorgersene, aveva preso a stringere con forza un lembo della coperta bianca del letto. Doveva agire. Non le importava dove si trovasse, o cosa le avrebbero fatto. Era suo dovere prendere posizione, procacciarsi da sola quelle informazioni che nessuno voleva darle. Erano tutti troppo stupidi, troppo fieri di loro stessi per non accorgersi con chi avevano a che fare. Lei non era una sprovveduta. Era capacissima di badare a sé stessa e sapeva che non avrebbe fallito. Per questo prese una decisione.

- Alan - disse, in tono serio e deciso - Questa notte vado a cercare Tyki.

Era la soluzione migliore. Lui era stata l'unica persona che in qualche modo non le fosse parsa falsa, ingannatrice. Aveva visto della sincerità in lui, anche se non lo avrebbe ammesso mai. Nonostante rimanesse un damerino scemo, era stato l'unico ad averli aiutati sul serio. Meritava qualcosa in cambio, a quel punto. Lei doveva trovarlo, ovunque lo avessero portato, e chiarire le cose una volta per tutte. E poi... non avrebbe permesso ancora una volta ad Alan di sopportare tutto quel dolore.
A quella notizia, lo vide dilatare le labbra in un vero sorriso sincero. Era davvero preoccupato perché lui, a differenza sua, con Tyki era riuscito a farci amicizia. Ma non lo avrebbe coinvolto in quella decisione. Gli voleva troppo bene per tirarcelo dentro, e non avrebbe sopportato di vederlo rinchiuso in qualche luogo lontano da lei. Sapeva che quegli Esorcisti avrebbero potuto farlo, che non si sarebbero lasciati intimorire da nulla. Perché loro erano il marciò dell'umanità...


Aspettare che si facesse notte fonda si rivelò un'impresa più difficile del previsto. Leda prese a mordicchiarsi le unghie per il nervoso, mentre camminava su e giù per la stanza aspettando il momento buono. L'orologio appeso al muro segnava solo le due e quaranta. Alan si era già addormentato, e il suo respiro calmo e quieto in qualche modo la rasserenerò. Si avviò alla porta in punta di piedi, scostandola appena per spiare all'esterno. Ad accoglierla furono il buio e il silenzio più totali. Rassicurata da ciò, si decise ad uscire. Il corridoio era deserto. La luna splendeva in cielo. Fece la strada percorsa precedentemente a ritroso, ritrovandosi in un'atrio completamente vuoto ma comunque illuminato. Prima che si sentisse nuovamente invadere dall'orrore per quell'immane spreco, saettò veloce come un lampo verso il vicoletto buio che Claire aveva imboccato quando si era allontanata. Era là che dovevano aver portato Tyki. Si ritrovò ancora una volta immersa nell'oscurità, a guidarla solo la luna argentata. Avanzò in quel percorso di incertezze, ponderando ogni passo e facendo attenzione anche al più piccolo dei rumori. Un brusiò attirò la sua attenzione, e subito si accucciò in un angolo per non essere vista. Udì delle voci in lontananza estinguersi quasi subito. Fortunatamente non erano passate per la sua stessa direzione o sarebbero stati guai. Si rialzò e proseguì, arrivando fino a toccare con la punta del piede uno scalino. Lentamente, cominciò a scendere. La temperatura si abbassò. Il respiro divenne più pesante. Cominciò ad avere freddo. Arrivata in fondo, raccolse il coraggio e per poco non sussultò. C'era uno spiraglio di luce davanti a lei, probabilmente generato da una porta socchiusa. Si avvicinò, il cuore che batteva come un tamburello nel petto, e la paura di quello che ci avrebbe trovato oltre sempre più viva dentro di lei. Si accostò all'anta, senza toccarla, per non farsi scoprire. Guardò all'interno, e trasalì, tutta agitata. Aveva trovato Tyki. Dalla scarsa visuale di cui disponeva, riuscì a vedere solo parte della sua figura, la luce di una lampada e un tavolo. Era seduto ad una sedia, probabilmente ci era pure legato. Qualcuno gli era di fronte. Stando si spalle a Leda, non aveva la facoltà di accorgersi di lei, ma la ragazza lo riconobbe all'istante.

"Komui".

Che diamine ci faceva quello da solo con Tyki?!

- Ne sono morti altri sei, nell'ultimo mese - aveva detto, con tono duro - Forse ti sono famigliari i loro volti?

Lo svolazzare della carta attirò l'attenzione di Leda dall'altra parte della porta. Doveva avergli mostrato delle foto. La curiosità la rodeva. Era ansiosa di sapere cosa nascondeva realmente lo straniero che li aveva salvati. Purtroppo, non udì alcuna risposta da parte di Tyki, e quando si sporse di più per vedere meglio per un attimo i suoi occhi scuri saettarono nella sua direzione. A quel punto indietreggiò, quasi di scatto. L'aveva vista?

- Il non parlare renderà le cose più difficili - continuò Komui, sospirando. Tyki non fiatò, anzi, guardò negli occhi l'uomo e sorrise, beffardo.

- Tu.. ! - per poco non si vide arrivare il faccia il pugno di fogli che l'altro teneva in mano - Se non hai intenzione di collaborare dovremo usare le maniere forti, lo sai?

Nessuna risposta. Era come un gioco per il Noah. Vedere chi sarebbe stato il primo a perdere la pazienza. Uno svago piacevole per rifuggire la noia. Ma non sapeva che Komui era una persona a cui piaceva che i giochi durassero poco. Un rumore di passi attirò la sua attenzione. Leda vide avanzare Claire nella stanza, la frusta in mano. Trasalì, già capendo quello che avrebbe fatto. E non poteva nulla per impedirlo.
Uno schiocco, un grido soffocato. Leda chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime. Il solo pensare al dolore che doveva aver provato bastava a trasferirglielo addosso. Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa, in freddo di quel luogo sinistro che improvvisamente la soffocava. Nella mente, un'unica parola: "Basta".

"Basta, basta, basta, basta..."

Gli schiocchi proseguirono. Si tappò le orecchie, fino a sentire solo il rumore attutito del proprio cuore che batteva impazzito e il proprio respiro angosciato.

"Basta, basta..."

La frusta si arrestò. Un silenzio gelido permeava l'aria. Leda tornò a sbirciare, orrendamente sconcertata. C'era del sangue sui bordi del tavolo e sicuramente dell'altro sul pavimento. Si mise una mano davanti alla bocca per impedirsi di urlare, di spalancare la porta e gridare giustizia. Non poteva mandare a monte il suo piano. Alan era più importante.

- Ti sei schiarito le idee? - Komui aveva pronunciato quelle parole aggiustandosi gli occhiali. Pareva freddo, e invece nemmeno lui era potuto rimanere impassibile di fronte a quella tortura.
Tyki sentiva la schiena bruciargli di dolore, come se stesse ancora ricevendo colpi. Nonostante ciò non emise un fiato, fermo nell'idea di non voler parlare.
E a Leda si strinse il cuore. Perché diamine non reagiva?! Perché non gridava nemmeno?!

"Non fare lo stupido, damerino scemo!!"

La frusta schioccò ancora. E di nuovo si tappò le orecchie, distrutta. Non tanto per il fatto che stessero facendo del male a Tyki. Piuttosto, era la violenza nuda e cruda che risvegliava in lei orribili sentimenti e ricordi sopiti da tempo nella sua memoria, che ogni volta le provocavano un dolore immane, come se fosse stata lei stessa a ricevere quelle frustate al posto del Noah. Ma non poteva andarsene. Era lì per un motivo preciso, e la volontà di rimanere vinse sull'angoscia. Continuò a guardare, patendo. Per lei e per lui.

Ed ecco che il silenzio fu rotto.
Tyki parlò. Dopo aver ripreso fiato, sollevò lo sguardo verso Komui e con sprezzo affermò:

- Non conosco nessuna di queste persone. Se le avessi uccise io me le ricorderei.

Claire sbiancò, stringendo rabbiosa il manico della frusta. Quelle parole distrussero in lei ogni barriera. Sollevò ancora l'arma, con tutta l'intenzione di uccidere il Noah, ma il superiore la fermò. Da come poi parlò, pareva comprendere i sentimenti della ragazza e per questo aveva impedito che commettesse un terribile errore. Tornò poi a rivolgersi a Tyki.

- Perché sei venuto fin qui da solo? E oltretutto, accompagnato da due esseri umani.


Leda si strinse le maniche della camicia. Parlavano di lei e Alan.
Il Noah sorrise sfrontato, ben consapevole di una verità che a loro sfuggiva, e orgoglioso di conoscerla, anche solo per metterli in ridicolo. Non disse niente. Ma non ricevette alcuna frustata.

- Posso solo dirvi questo - disse ad un tratto, proprio quando Komui pareva intenzionato a passare a punizioni corporali più severe - Il Conte sta per rimettere in funzione quella cosa...

A quelle parole i presenti tacquero all'istante, come paralizzati. A Claire tremarono le mani. La frusta cadde a terra.

- Non è possibile... - mormorò, sconcertata. A quel punto in un impeto di rabbia diede un calcio alla sua arma e mandò al diavolo il Noah.
Leda s'insospettì. Di cosa stavano parlando?
Non ottenne più alcuna risposta. Claire si stava dirigendo alla porta e quando fu uscita, lei era già sparita su per le scale.




Angolo di Momoko ♞

Eccomi qua! Wow, ultimamente scrivo papiri xD.
Nemmeno io mi capacitò di ciò, spero solo che duri ç.ç
Allora, come avete potuto leggere (se avete letto, in questo caso sappiate che vi amoH) l'arrivo all'Ordine non è stato proprio tanto tranquillo. Ho sofferto come un cane per scrivere le scena finale (Tyki perdonamiiii çAç).
In questo capitolo la povera Leda si vede sbattere in faccia troppe verità e la cosa la confonde, ma grazie alla sua determinazione saprà dare una risposta a tutto! ;) Non c'è molto da dire, ringrazio infinitamente tutti quelli che hanno letto, chi ha messo la storia tra le preferite, seguite... e anche chi l'ha recensita!!! Grazie mille, non so cosa farei senza di voi!!! <3 Spero che anche questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, se avete critiche di qualsiasi genere vi prego di dirmele!^^
Allora... io mi dileguo! @^@
A prestooooo,

Momoko <3

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Capitolo 10
*** Sussurri dal Paradiso ***


Capitolo 10: Sussurri dal Paradiso 



 
La prima cosa che Leda fece quella stessa mattina fu partire furibonda alla ricerca di un ufficio cui esporre le proprie lamentele. Dopo aver domandato indicazioni due o tre volte a perfetti sconosciuti in camice bianco, aveva percorso a grandi falcate il corridoio indicatale, diretta senza indugi da quello che veniva chiamato da tutti Supervisore. Essendo la mente dietro ad ogni decisione che fosse stata presa lì dentro, pensò che se c'era qualcuno che potesse spiegarle anche solo metà di quella faccenda, si trattava proprio di lui.
Era più infuriata di un toro pronto alla carica. Infuriata e orripilata. Detestava già l'Ordine prima di entrarci, ma quello che aveva visto durante la notte, in quella stanzetta scarna e vuota, aveva contribuito notevolmente ad accrescere il suo ribrezzo. Il solo pensare che potessero trattare delle persone in quel modo abominevole la mandava in bestia. Ricordava gli schiocchi sordi della frusta dell'Esorcista bionda; ricordava il sangue; ricordava il dolore mentale patito, frutto di un'empatia non voluta ma che era stata costretta a sopportare. Aveva avuto paura. Quel luogo metteva in agitazione il suo cuore. Ad ogni angolo, temeva vi fosse qualcuno pronto ad aggredirla e, dovette ammetterlo, nemmeno quel giorno alla sede Nordamerica aveva provato così tanto terrore.
Una porta in legno finemente lavorata si stagliò di fronte a lei. La raggiunse trattenendo il respiro, le spalle larghe e le mani strette a pugno, animata da una buona dose di forza di volontà. Non si disturbò nemmeno a bussare. Afferrò la maniglia con impeto e spalancò la porta. I presenti all'interno saltarono sulle sedie, primo fra tutti Komui, che stava conversando al telefono. Quando vide Leda avvicinarsi alla sua scrivania, lentamente mise il ricevitore sulla cornetta e si parò dietro una cartellina rigida come se avesse potuto proteggerlo.
Non ci volle molto prima che l'impatto avvenisse; la stanza non era molto spaziosa, anche se ad ingannare l'occhio ci pensava l'ingombrante quantità di fogli e cartacce sparsi sul pavimento in modo del tutto disordinato. L'unica cosa pulita in quell'ufficio era il cestino della spazzatura, immacolato; ma soprattutto, vuoto.
Leda sbatté le mani sul tavolo, facendo sussultare il Supervisore dal suo 'nascondiglio'.

- Mi volete dire che diavolo pensate di fare?! - attaccò la ragazza, quasi gridando. Aveva intenzione di ottenere la verità tutta e subito.

Komui tremolò appena, intimorito dal suo approccio. Riuscì comunque a trovare il coraggio di replicare.

- Che... che cosa intendi?

Errore. Per poco Leda non esplose. Si fece tutta rossa in viso, stringendo i pugni talmente tanto che le nocche sbiancarono. Si sentì presa in giro, benché il Supervisore non avesse realmente afferrato la situazione. Capì che prima sarebbe stato meglio fargliela comprendere.

- Vi sembrava il modo di trattare un prigioniero?! Un Akuma sarebbe stato più delicato!

Improvvisamente Komui si rabbuiò, assumendo un atteggiamento serio e... Stranamente freddo. Abbassò la cartellina, posandola con cautela sulla scrivania. Congiunse le mani ed abbassò il capo, sospirando. Li aveva visti. Ecco perché Claire gli aveva riferito di essersi sentita osservata, durante l'interrogatorio. In ogni caso, quella faccenda era troppo importante. Ancora rimuginava sulle parole del Noah, non riuscendo a trovare pace. Ci mancava solo che una ragazzina sperduta venisse da lui dettando legge. Non poteva permetterlo, non con tutti i problemi che già affollavano la sua mente.

- Quel soggetto.. - cominciò, con aria seria eppure... Velatamente infastidita - Si tratta di un Noah, non lo sapevi?

A quel nome Leda si congelò sul posto. Ritrasse le mani, come mossa da una volontà non sua.
Noah.
Aveva già sentito parlare di esseri chiamati così. E ricordava fin troppo bene di aver letto di loro su qualche vecchio libro nella biblioteca della sede, circa due anni prima. Quel giorno, in cerca di nuove letture che potessero suscitare la sua curiosità, s'imbatté per caso in un vecchio tomo rigido, sovrastato dalla polvere e corroso dal tempo. Con un soffio ben poderoso aveva respito la patina di vecchiume che lo ricopriva, si era seduta ad un tavolo isolato e aveva cominciato a sfogliarlo. Rimase come raccapricciata, mentre leggeva di quella che riconobbe essere la guerra avvenuta cent'anni prima. La battaglia del Conte contro gli Esorcisti. Qualcosa poi la costrinse a richiudere con inaspettata forza il volume, troppo spaventata per proseguire oltre nella lettura: un breve passo pregno di orrori.

"E vennero i Cavalieri dell'Apocalisse. Il loro passo pesante e sicuro sul campo di battaglia fece tremare il cuore degli Apostoli di Dio. Erano tredici, dagli occhi d'oro e dalla pelle cinerea. La loro sola presenza bastò per smuovere gli animi dei nostri guerrieri, già martoriati dal dolore della perdita dei propri compagni, ricoperti di sangue nemico e amico. Avanzarono, imponenti, come un'onda incontenibile. Travolsero ogni cosa che si trovasse sul loro cammino con fredda brutalità. Chiunque tentò di contrastarli, venne a tal punto torturato da perdere anima e orgoglio. E quei tredici giustizieri del Demonio, i quali portavano il nome di Noah, rasero al suolo il campo di battaglia, estinguendo con disarmante facilità le vite di innocenti al servizio della pace. Nessuna pietà. Solo dolore. E le lacrime si condensarono al sangue, cosicché non fu difficile determinare chi fosse caduto in battaglia: quel giorno ognuno perse per sempre il proprio onore, tramutandosi in una fredda anima sperduta, non più riscaldata dall'affetto dei propri compagni. Corpi vuoti, morti che camminavano. Solo la flebile certezza di una vittoria bramata anche più del proprio desiderio di tornare a vivere. Tutto per ristabilire l'ordine del mondo. Tutto per adempiere alla Sua volontà..."

Orribile. Questa fu l'unica parola che Leda ebbe in mente per descrivere il tragico verso di quel libro, nei giorni successivi. Non lo cercò più. Non osò nemmeno spostare lo sguardo sullo scaffale dove era stato riposto - non da lei -; il disgusto era tale da voler recidere all'istante ogni contatto con quel volume polveroso -.
Era poi tornata da Alan, come se nulla fosse successo. Theodore attirò la sua attenzione per un lavoro urgente alla locanda. Non ci pensò più; e mentre lavava piatti e asciugava bicchieri, dimenticò completamente la cosa.
Ora però quella terribile esperienza le era tornata alla mente. A scatenare tutto ciò, quella parola: Noah.
I Noah, gli esseri demoniaci al servizio del Conte del Millennio. I mostri che avevano portato il mondo alla rovina. Le riusciva difficile credere che Tyki fosse uno di loro. Non voleva crederci. Sebbene fosse rimasta piuttosto sorpresa nello scoprire le sue innate capacità, non poteva in alcun modo visualizzarlo in un ottica tanto macabra e sanguinaria. Lui li aveva salvati. Aveva salvato lei; e Alan. Questo doveva pur valere qualcosa. E non ci sarebbero state prove che distruggessero quel suo credo. Tyki era una brava persona. Fine della storia.

- Non si riempia la bocca di parole tanto importanti! Lei non sa nulla di lui!! - tornò ad attaccare, la voglia di agire più forte che mai in lei. Il tono di voce era duro, desiderava essere autoritaria con quelle persone tanto ipocrite.
Komui non osò aprire bocca. Afferrò un fascicolo alla sua destra, il cui titolo per Leda era indecifrabile: la calligrafica era ridondante, a tratti confusa. Impossibile da comprendere per lei. Il supervisore aprì la cartellina ed estrasse una serie di foto, probabilmente le stesse che aveva mostrato a Tyki.
Le gettò con impazienza sulla scrivania, quasi non aspettasse altro che mettere a tacere quella ragazzina impertinente con la verità nuda e cruda che tanto desiderava.
Leda spostò lo sguardo sugli scatti, diffidente. Sentì poi il respiro mancarle all'improvviso, mentre il cuore prese a battere impazzito, veloce.

- Due Generali, una nuova recluta e tre veterani. In un mese - prounciò tombale Komui, fin troppo diretto - Per come sono stati trattati, non può essere opera di un Akuma.

Leda sentì di avere la nausea, non ebbe nemmeno il coraggio di sfiorare quelle immagini. C'era... C'era troppo, troppo sangue; e quei... Quei corpi... Erano...

- BASTA! - scansò in un ultimo disperato gesto le foto, rispedendole svolazzanti al padrone. Questo le raccolse, le mise in pari con un colpo secco e con calma le ripose dentro il fascicolo.

- Che diamine sta cercando di dirmi con quelle immagini?!

- Che il tuo amico potrebbe essere l'artefice. Per questo lo teniamo rinchiuso.

In effetti, sembrava un ragionamento più che giusto. Un Akuma non si sarebbe risparmiato di lasciare un cadavere; men che meno integro. E anche se... Quegli orrendi corpi mutilati erano stati ridotti in modo così raccapricciante, per lo meno potevano ancora definirsi un ammasso di carne e ossa. Un Akuma non avrebbe lasciato che polvere. Sangue, e polvere.
Nonostante tutto, di prove che Tyki fosse l'assassino, e addirittura un Noah, non ne avevano neanche l'ombra. E basarsi sui piagnistei ridicoli di una statua tutta mento e brufoli era la scemenza più colossale del mondo.
Leda non avrebbe ceduto la ragione a quel tizio. Non gliel'avrebbe ceduta anche a costo di finire lei stessa in carcere. E sebbene la priorità rimanesse Alan, avrebbe aiutato Tyki perché lo considerava una persona importante per lei; ma soprattutto, per suo fratello.

- Non dica cretinate! Non avete uno straccio di prova; non sapete nulla di lui!

Komui parve accigliarsi.

- Ah, sì? - attaccò all'improvviso, con tono di sfida - Perché, tu invece lo conosci?

Come?
Sì, che lo conosceva! Lei...
No.
Komui aveva ragione. Leda non sapeva nulla di Tyki. Prima di incontrarlo alla sede, prima di vederlo seduto a quel bancone... Non c'era niente. Qualsiasi cosa fosse successa prima, lei non la sapeva. Ma non solo. A parte il suo nome, quell'uomo aveva provveduto a tenersi stretta ogni altra informazione sul suo conto. L'età, la famiglia, il passato... Vuoto. C'era come un enorme vuoto che divideva lui e Leda, imperscrutabile, impossibile da riempire. E finché lei non avesse cercato di colmarlo, nulla sarebbe cambiato. Le mani si allontanarono dalla scrivania, calme. Il viso si rilassò. Prese un profondo respiro e... Rispose.

- No.

Per una volta nella vita doveva ammetterlo, sebbene gli costasse fatica. Doveva ammettere che di Tyki Mikk sapeva poco o niente. Si allontanò dalla postazione del Supervisore. Sembrava pensierosa. E lo era. Afllitta nell'orgoglio, per essersi incastrata da sola, non le restava che ritirarsi. Forse, prima di pretendere la verità da quegli ipocriti di Esorcisti, avrebbe dovuto iniziare dall'uomo che, senza un motivo apparente, si era messo in pericolo per salvare sia lei che Alan.
Uscì dalla stanza in silenzio, con gli sguardi attoniti di Komui e Reever, rimasto per tutto il tempo in disparte, posati su di lei con cautela. Una volta che la porta si fu richiusa e il silenzio tornò ad aleggiare nell'ufficio, il Caposezione si avvicinò al Supervisore.

- Hey, non sarete stato troppo duro con lei? Dopotutto, è appena arrivata...

- E' meglio che se ne renda conto adesso - si sentì rispondere, con un sospiro rassegnato - Prima che la reale realtà dei fatti l'annienti...

Le foto fecero nuovamente capolino dal fascicolo. E con l'inquietante alone di morte che si portavano appresso, mostrarono ancora una volta i volti sfigurati di quegli innocenti senza più orgoglio per sé stessi. I nomi, le date... erano riportate sotto ognuna delle foto. Ognuna corrispondeva a un'anima, un'anima che un tempo era appartenuta a quell'ammasso di sangue e carne che ora era immortalato in tutta la sua brutale oscenità in quel pezzo di carta lucido.
Komui sussurrò i loro nomi, come se avesse potuto riaverli accanto a sé, con quel gesto; come se le sue preghiere disperate bastassero a riportarli in vita...

"Mi dispiace, ragazzi..."

Represse le lacrime. Loro non avrebbero voluto che si piangesse, ricordandoli. E lui non poteva permetterserlo. Lui, che fino a quell'istante non aveva versato lacrime per nessuno, se avesse ceduto di fronte a loro...
Però erano stati come una famiglia. Tutti. Sia per lui, che per Linalee. Cancellare quindi la disperazione, trasformarla in ardente desiderio di vittoria, fu altrettanto doloroso. Ma era compito suo non lasciare che la tragedia sfiorasse mai il suo cuore; da bravo leader, era suo dovere portare avanti quei nomi, quelle esistenze sacrificate per il bene della guerra ed andare avanti, avanti, avanti... Fino a che non l'avessero vinta. E allora quelle povere anime straziate dal dolore, finalmente, avrebbero potuto riposare in pace.

"Mi sentite, da lassù?"

Sperò tanto di sì. Volse lo sguardo al cielo, stringendo appena le foto, impotente.

"Vinceremo, presto. Voi pazientate solo un altro po', amici..."
 
 
Leda scese le scale di pietra dei sotterranei. Le stesse che aveva percorso quella stessa notte, alla ricerca della stessa persona. Era certa che Tyki fosse ancora lì, che lo avessero rinchiuso da qualche parte. Miriadi di incertezze attorniavano il suo animo, rendendolo inquieto. Cosa avrebbe trovato al suo arrivo? Cosa avrebbe saputo?
Ma soprattutto: lo avrebbe saputo?
Con quell'uomo era sì difficile parlare. E in più di un'occasione non aveva mancato di prendersi gioco di lei. Eppure c'era qualcosa, qualcosa di profondo, nascosto, che rendeva Leda curiosa a tal punto da cedere a qualunque provocazione o raggiro. Pur di sapere la verità, quella vera, sarebbe stata disposta a fare ogni cosa. Anche a lasciarsi sfottere.
Davanti a lei si aprì il lungo corridoio di pietra, ora non più tanto tenebroso. La luce del sole filtrava ancora abbondante dal piano superiore, provocando una scia di sfumature tra le più bizzarre. E il bianco del mattino andava via via tingendosi del nero dell'oscurità di quell'antro buio e freddo.
Leda non si fece mettere in soggezione. Avanzò sicura e senza timore, già consapevole di quanto quel luogo fosse infimo. Non seppe dire come riuscì a trovare la strada giusta. Forse fu fortuna, o forse memoria. Si ritrovò di fronte alla porta, quella dalla quale aveva sbirciato durante la notte. Si guardò attorno, e nel mentre un rumore attirò la sua attenzione: come uno sferragliare continuo e fastidioso. L'eco la portò a voltarsi e a notare un secondo corridoio aprirsi giusto dietro di lei. Come avesse fatto a non notarlo prima... !
Dopo un attimo di esitazione, cominciò ad attraversarlo, col batticuore. Non che avesse paura. Poteva dire che fosse naturale per lei provare angoscia, inquietudine, di fronte a una prova tanto difficile. L'ansia, la sensazione di stare andando incontro all'ignoto... La tormentavano. Come era successo anni prima, dopo l'attacco degli Akuma, quando lei aveva percorso il bosco alla ricerca della madre.
Non sapeva cosa avrebbe trovato; non sapeva cosa sarebbe successo. Ma sentiva di doverlo fare. Per sapere la verità.
Anche ora, ben conscia di stare andando forse tra le braccia del lupo, era dominata da una insana curiosità. Quell'ngarbuglio allo stomaco che sì, faceva paura, ma che la corrompeva. La stuzzicava, ma al coltempo la faceva soffrire. E lei sentiva di dover procedere, per vedere cosa ci sarebbe stato alla fine del percorso. Qualunque cosa fosse.

Le celle erano anguste. Le sbarre di ferro si scrostavano, e in alcuni punti la ruggine aveva già cominciato a corroderle. Leda avanzò titubante tra loro, guardandosi attorno e cercando di individuare quella giusta. Niente.
Fu solo arrivando alla fine di quel corridoio senza uscita che finalmente lo vide. Legato mani e piedi al muro, in un modo che le parve inconcepibile. Si attaccò alla porta della cella con una tale forza da dare l'impressione di poterla tirare via.

- Tyki!

Le bastò pronunciare il suo nome una volta, perché lo vedesse accennare un movimento. Si sentì sollevata. Almeno non lo avevano ridotto in fin di vita.

- Hey, parla!

Tyki si sentiva la testa gonfia come un pallone. E non perché non fosse riuscito a prender sonno, tutt'altro. Il fatto era che quella mocciosa lo svegliava di soprassalto facendogli prendere chissà quanti accidenti e lui a quelle cose non ci era abituato. Non ebbe la forza di sollevare lo sguardo. Il dolore alla schiena era lancinante, e se avesse provato anche solo a spostarsi se avrebbe risentito. Non credeva di dover patire così tanto, pensava sarebbe andata in modo diverso. Ma quel ridicolo Supervisore l'aveva incolpato della morte di alcuni loro compagni e lui sapeva che se anche avesse detto la verità nessuno gli avrebbe creduto. Si sentì uno stupido, ad aver giocato con lui per ricevere in cambio solo una schiena sanguinante, eppure al tempo stesso ne fu come soddisfatto. Come se, nonostante tutto, si fosse liberato di un peso. Il messaggio era stato recapitato. Ora doveva solo cercare di non morire. Cosa che, se si calcolava la presenza di quella rompiscatole musona, risultava piuttosto semplice.

- Ma tu... - cominciò, il tono stanco misto a viva irritazione - ... Non hai proprio nient'altro da fare, se non scocciare la gente?

Strano. Eppure Leda era il suo unico salvagente; la sola che, grazie a sicurezza e determinazione, poteva impedirgli di schiattare. Ma provocarla era così divertente, così piacevole, da cedere alla tentazione.

Come previsto, la ragazza s'accigliò, visibilmente seccata. Fece per andarsene, ma ricordò il motivo per il quale era venuta fin lì. Quindi, si accostò alle sbarre della cella, ignorando le frecciatine del Noah.

- Devo chiederti una cosa.

Era arrivato il momento della verità. Il momento di sapere, in maniera definitiva, la reale entità delle cose. Ed avere finalmente l'opportunità di fare tutte le domande che voleva, lasciò scaturire in lei una sorta di timore. Una strana insicurezza che, comunque, non le impedì affatto di proseguire.

- Sei davvero un Noah?

Tyki rise. Il che, date le circostanze, forse non corrispondeva proprio al genere di risposta che Leda si sarebbe aspettata. E fu un bene che l'uomo fosse al di là delle sbarre, così lei non avrebbe potuto strangolarlo seduta stante come sicuramente avrebbe fatto se non avesse avuto ostacoli tra i piedi. Davvero quel cretino non comprendeva la situazione nella quale si era cacciato?! Ma soprattutto, il suo continuo beffarsi di lei era snervante. Così era impossibile determinare se dicesse o no la verità. E a Leda queste cose offuscavano solo la vista, impedendole di raggiungere i suoi obbiettivi.
L'odore di marcio delle celle era insopportabile, i muri erano secchi, vecchi e sporchi. Chiunque si fosse addentrato in quel luogo avrebbe detto immediatamente che si trattava di un sotterraneo, tanto era sudicio. Nessun Esorcista, ne era certa, avrebbe mai scelto di avere una camera lì. Oh, perché loro erano abituati al lusso! Invece lei nella sua vita era stata già fortunata a trovare luoghi tanto precari come quello. Quando non si aveva la certezza di poter superare la notte, o si doveva vincere contro il vento, la neve, il gelo, il dolore e la solitudine... ogni posto era buono. E lei.. in quanti casali abbandonati, vecchi ruderi in decomposizione, aveva dormito... Con Alan. Pur di sopravvivere. Pensò che ciò che lei nella vita aveva sempre desiderato loro ce lo avevano sempre avuto. Era inammissibile.
E questa era una ragione in più per pretendere con maggiore forza e convinzione la verità che no, non voleva più soltanto, ma esigeva, all'istante. Perché ne aveva tutto il diritto. Se Tyki non si fosse comportato seriamente, almeno per una volta, forse avrebbe trovato un modo per entrare in cella e costringerlo con la forza. Eppure, tutto d'un tratto, eccola. La risposta a quella prima domanda, posta con imbarazzante coraggio, che arrivò secca, chiara, forse fin troppo.

- Sì.

Leda sentì la presa sulle sbarre di ferro allentarsi, fino ad annullarsi completamente. Le sue braccia ricaddero scomposte, prive di grazia, ai fianchi. E per la prima volta sentì di rimpiangere l'ignoranza, perché con quella sola affermazione, il suo mondo di certezze, convinzioni... era stato infranto. Qualcosa aveva urtato il suo animo di vetro; qualcosa lo aveva rotto in mille pezzi.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, lo sguardo vacuo, perso a fissare un particolare invisibile. Si sentì ingannata; sfruttata; presa e scaraventata in mezzo ai pericoli... come un semplice, inutile oggetto. Uno strumento, nelle mani di un essere di cui non aveva mai saputo nulla fino a quel momento; uno sconosciuto che grazie ad un solo atto di misericordia nei loro confronti si era conquistato la sua fiducia. Che stupida che era stata. Aveva ceduto sé stessa ed Alan a un mostro. E ora poteva affermarlo con certezza, mentre in passato si sarebbe detta meschina, per aver pensato una cosa del genere. Ma l'essere un Noah cambiava tutto. Il verso di quel libro agghiacciante letto anni prima tornò nella sua mente, come un'odiosa, spaventosa filastrocca da fil horror.

"Travolsero ogni cosa che si trovasse sul loro cammino con fredda brutalità. Chiunque tentò di contrastarli, venne a tal punto torturato da perdere anima e orgoglio. E quei tredici giustizieri del Demonio, i quali portavano il nome di Noah, rasero al suolo il campo di battaglia, estinguendo con disarmante facilità le vite di innocenti al servizio della pace."

Guardò Tyki. Le stava sorridendo, beffardo. Che diamine stava pensando?!
Per lui era tutto un gioco? Un modo per divertirsi?!
Si alzò di scattò da terra, le mani strette a pugno, portatrici di una forza di volontà che aveva ripreso a bruciare più forte che mai. Quel sorriso aveva risvegliato in lei la voglia di combattere; di gridare, agitarsi, ottenere ciò che desiderava col pugno di ferro. Implacabile, fredda, scostante. La Leda combattiva stava tornando più viva che mai.
Ma le parole che rivolse a Tyki non furono d'odio, benché quelle frasi orribili la tormentassero e anzi, la invogliassero a girare i tacchi ed allontanarsi. Si sentiva arrabbiata, ma non per il fatto che Tyki fosse un Noah, un essere malvagio, al servizio del Conte; lo era per via del fatto che lui le avesse mentito tutto il tempo, senza mai dirle nulla. E per quanto quella scioccante scoperta l'avesse scossa, non poteva e non voleva ripugnare completamente quell'uomo perché, ne era certa e lo aveva pure intravisto nei suoi occhi scuri, aveva un animo buono, luminoso; per nulla tetro e oscuro, come descritto nel vecchio volume polveroso che tanto l'aveva terrorizzata. Per questo quando si riattaccò con forza alle sbarre facendole sferragliare tra loro, pronunciò le parole più spontanee della sua vita.

- MA SEI STUPIDO?!

Tyki la guardò come gli avesse fatto un complimento; ovvero, più sorpreso che mai. Si sentì tanto insultato al punto da rispondere animamente, nonostante il dolore alla schiena e la scomoda posizione che era costretto ad assumere.

- Non mi sembra affatto, mocciosa!

Da quella postazione gridarle contro lo rendeva davvero ridicolo, come se cercasse di salvarsi da una situazione precaria, irrecuperabile. Non aveva capito per niente il commentaccio della ragazza, e oltretutto gli era parso di non essere stato capito. Aveva detto di essere un Noah, diamine! Perché invece di spaventarsi quella testarda gli inveiva contro?

- A me pare proprio di sì, capellone!

Insulti su insulti. Non ne poteva più e se davvero avesse voluto avrebbe potuto attraversare le pareti della cella e rifilarle una bella punizione. Finché lei non avesse capito che con lui c'era poco da fare i duri. Ma nonostante tutto, qualcosa lo trattenne. E non si trattò della sua condizione, no. C'era qualcos'altro in quella ragazza, un che di inarrivabile, che in tutto quel tempo l'aveva frenato dal metterle le mani addosso. Tralasciando le crisi depressive, il vomito e quel suo carattere dannatamente fastidioso, si era rivelata una ragazzina niente male, animata da giusti valori e determinata più che mai a proteggere suo fratello. Un po' si rivide, in lei, in quella ferma convinzione di non voler abbandonare nulla di ciò che avesse. E rimpianse di non aver posseduto tale qualità anni prima. Quando, forse, poteva contare ancora qualcosa...

- Sei l'unica che non si è sentita inorridita dalla mia rivelazione - sospirò, sconfortato per aver perso la fonte di divertimento che credeva aver ritrovato dopo una giornata passata in carcere a morire di noia. Il dolore alla schiena parve diminuire, come influenzato dalla presenza della ragazza.

- Questo perché non sono inorridita - puntualizzò, con una nota spevantosamente rabbiosa nella voce - Ma furibonda.

- Ahhh - Tyki iniziò a prenderla sul ridere, fingendosi sorpreso.

Leda strinse ancora di più i pugni sulle sbarre arrugginite della cella, piantando ben bene i piedi sul pavimento di pietra come se avesse voluto sfondarlo. Ma dentro di lei una vocina ripeté insistentemente "Contieniti, Leda, contieniti...". Quindi si rilassò, prendendo un profondo respiro, e continuò a parlare, ignorando i tentativi del Noah di innervosirla. Sapeva che lo stava facendo apposta.

- Non hai detto nulla. Hai mentito a me, e ad Alan. Abbiamo riposto la nostra fiducia e... Sì, anche la nostra vita, nelle tue mani. E ora... Venire a sapere che tu sei uno degli scagnozzi del Conte...

- Preciso - si sentì interrompere all'improvviso. Tyki la guardò e affermò, sillabico - Io non ho nulla a che fare con quello lì.

 A Leda cascarono letteralmente le braccia. Ogni pensiero si azzerò all'istante, solo residui delle parole piene di risentimento appena pronunciate fluttuavano ancora, solitarie, in quel mare di nulla che era improvvisamente diventata la sua mente. Ecco però che improvvisamente, si appiccicò talmente tanto alle sbarre che se si fosse impegnata ci sarebbe potuta sgusciare attraverso.

- Che diavolo stai dicendo?! Non dire cavolate!

Il Noah la guardò con l'espressione più seria mai vista. E per uno che trovava divertente praticamente ogni cosa era una svolta piuttosto anomala dal suo punto di vista.. L'espressione che le rivolse annuendo le fece intendere più che chiaramente che non stava mentendo, anzi, che pure il solo sentire pronunciare il nome del Conte gli desse fastidio. Era sprezzo, quello che aveva avvertito nella sua risposta. Un rancore profondo che sicuramente aveva origini ben annidate nel suo cuore, nei suoi imperscrutabili ricordi. Si sentì un po' stupida per aver detto una cosa simile. Ma d'altronde, era risaputo: i Noah sono i seguaci del Costruttore, coloro che annientano qualunque cosa si trovi loro davanti, se solo può servire a portare a compimento i diabolici piani del loro capo. Leda aveva sempre ricevuto questo genere di informazioni su di loro, e pertanto era normale che se li figurasse in una maniera tanto spaventosa e orribile. Tyki però era diverso. Forse perché li aveva aiutati, forse perché nonostante tutto Leda non riusciva ad immaginarlo ammazzare sei Esorcisti ipocriti...

- Tsk - Tyki la scostò dal suo vortice di ragionamenti, con fare canzonatorio - Non la conosci proprio per niente la storia, tu?

Leda sollevò all'istante lo sguardo, incrociando i suoi occhi di onice, neri e brillanti in contrasto con la tenue luce che filtrava nella cella - Che cosa vuoi dire?

- Voglio dire che...

Non fece in tempo a terminare la frase.
I due sentirono un rumore provenire dal corridoio. L'eco di passi veloci, regolari, sempre più vicini. Ad un'analisi più attenta, probabilmente doveva trattarsi di tacchi. In pochi secondi, la figura di Claire apparve davanti a Leda in tutta la sua austerità. In mano stringeva la frusta, come se qualcuno avesse potuto provare a portargliela via. Lo sguardo era severo, per non dire irritato. Perché si trovava lì?

- E' vietato venire qui - asserì fredda, senza un minimo di ritegno.

Leda la fissò intensamente negli occhi, lo sguardo di una bestia spaventata; eppure, pronta ad attaccare con tutta la sua ferocia se minacciata.

- A giudicare dal numero di guardie, non direi proprio - rispose, sprezzante, sentendosi orgogliosa per averle saputo tenere testa per la prima volta in modo così egregio. Si complimentò con sé stessa per il traguardo raggiunto.

Claire le lanciò un'occhiata omicida con quei suoi gelidi cristalli di ghiaccio. Si compiacque di come la novellina fosse stata capace di risponderle a tono, tuttavia l'onore le impose di non concederle neanche il più microscopico spiraglio sulla vittoria di quel loro piccolo duello verbale.
Avanzò, e i tacchetti degli stivali produssero una serie di fastidiosi echi nel corridoio che si diffusero ampiamente fin nei più remoti angoli d'ombra. Scostò con pochi convenevoli Leda dalla cella e, dopo aver armeggiato un attimo con una borsa che portava legata alla vita, tirò fuori un mazzo di chiavi scegliendone una un po' arrugginita. La infilò nella serratura, aprendo la porta che cigolò pericolosamente; dopodiché, s'insinuò all'interno dell'angusto spazio stringendo la frusta in mano.
Leda capì fin troppo bene quello che avrebbe fatto, l'aveva già vista in azione e Dio solo sapeva questa volta quali altri barbari metodi avrebbe adottato per ottenere informazioni dal Noah. Eppure, con lei aveva parlato. Perché non si decideva a fare la stessa cosa con quella dannata Esorcista?!

- Ti decidi o no, carogna? - il tono di voce di Claire era pervaso dall'odio. Un'odio puro e smisurato, così soffocante da opprimere chiunque le fosse vicino in quel momento.

Tyki rise appena, abbassando lo sguardo, come a volerla ignorare. Non aprì bocca. Ma il messaggio che mandò alla biondina fu chiaro, forse troppo spavaldo e intriso di avventato coraggio perché le impedisse di accettarlo placidamente. Leda osservava la scena con stupore, incredulità. Si rese conto di essere bloccata sul posto, come se qualcuno la stesse tenendo immobile contro la sua volontà. Anche se avesse voluto, non sarebbe riuscita a muovere un muscolo perché quella scena l'aveva già vista e ora stava per ripetersi, proprio davanti a lei. Gli occhi pizzicarono, le labbra si dischiusero, per far uscire parole dettate dal sentimento, dall'angoscia. Nessun suono però raggiunse l'Esorcista nella cella; Leda non aveva fiatato. Il solo pensiero di dover rivivere quel dolore non suo, ma che si sentiva addosso in maniera identica, fece sparire in lei ogni luce. Si spense, piano piano, guardando inerme quell'incubo ripetersi. Avrebbe voluto gridare; avrebbe voluto muoversi. E invece, rimase dov'era, annullandosi completamente di fronte a quella frusta nera che si stava sollevando e che si scagliò rapida contro Tyki.

Ma ecco che qualcosa scattò in lei.
Qualcosa che le fece prendere coscienza della situazione. E si ricordò che non era più dall'altra parte della porta, a spiare in segreto quell'orrore, era lì, e la faccenda la riguardava pienamente. Questa volta avrebbe davvero potuto fare qualcosa, anche se poco, ma lo avrebbe comunque fatto. Nulla le avrebbe impedito di agire. Così, sforzando ogni muscolo del suo corpo affinché potesse farla muovere, si gettò all'interno della cella, parandosi di fronte a Tyki. Chiuse gli occhi, certa che il dolore che avrebbe provato sarebbe stato immane. Ma non se ne sarebbe andata. Doveva far capire a quei bastardi di chiesa cosa succedeva a mettersi contro di lei.
La frusta calò, colpendola in pieno volto. E in quel momento avvenne qualcosa. Accadde tutto troppo in fretta, e nel mentre Leda venne gettata a terra dalla forza del colpo, con una guancia arrossata e un rivolo di sangue che presto le bagnò le labbra. Non se n'era accorta, ma Claire sì. Nell'istante in cui l'aveva colpita, la frusta si era... Illuminata. Solo appena, però, e non abbastanza perché anche l'altra potesse notarlo. Si era accesa di una luce argentea, al minimo contatto con la sua pelle, la quale aveva avuto la medesima reazione. Qualcosa aveva interferito: non Leda, non Claire; e nemmeno Tyki.
E la biondina dagli occhi di ghiaccio, tanto fredda e impassibile, si vide sconcertata, osservando la propria arma tornata normale, rigirandola tra le mani come se avesse potuto trovare una spiegazione a quello strano fenomeno appena avvenuto. Guardò Leda e la vide rialzarsi, tremolante, il sangue sulla guancia che cadeva in minuscole goccioline a terra, ticchettando leggero. Si sentì tanto sopraffatta dalla sorpresa, che anche volendo non riuscì ad aprir bocca. Invece Tyki sorrise ampiamente, osservandola compiaciuto, soddisfatto di quella reazione. Tutto era andato secondo i suoi piani, per fortuna. Già, perché se Leda non fosse intervenuta, cosa che credeva impossibile date le sue poche e modeste conoscenze, lui sarebbe finito molto male. Ma si sentì pieno d'orgoglio - per sé stesso - per aver essere stato tanto perspicace su quella ragazzina. Lo aveva capito all'istante, nel momento stesso in cui era riuscita a colpirlo, e da allora le sue convinzioni non avevano fatto che confermarsi. Perché, lo sapeva, Leda era stata il motivo dell'attacco alla sede Nordamerica; l'obbiettivo madre di quella missione di sterminio, in cui però avevano perso la vita tutti tranne lei e quel piccoletto di suo fratello. Sorrise e Claire se ne accorse, guardandolo con disprezzo misto a sconcerto. Lui sapeva. Aveva sempre saputo, eppure aveva deliberatamente scelto di tacere. In condizioni normali lo avrebbe punito. Ma lo shock le aveva rubato ogni energia, congelandole i muscoli, frenandole le parole. Tentò nuovamente di dire qualcosa. Una cosa qualsiasi, non aveva importanza. Doveva far capire che no, quel Noah bastardo non era riuscito a coglierla impreparata, che lei avrebbe saputo fronteggiare anche una situazione simile. Ma non fece in tempo. Ticchettii scomposti animarono il corridoio, sempre più numerosi e rumorosi. E quando cessarono, due guardie in camici neri armate di picche dall'aria allarmata si stagliarono di fronte a lei. Vedendo Leda a terra, iniziarono a porre domande all'unisono.
Claire li guardò come se non riuscisse a capire nulla di quello che dicevano, come se le loro parole fossero unicamente un pugno di versi senza capo né coda. Ragionò in silenzio, e in una frazione di secondo tornò ad assumere l'atteggiamento freddo e austero di sempre, sopprimendo a forza lo stordimento causato dalla scioccante rivelazione. Con movimenti rigidi, calcolati, si portò di fronte ai subordinati ordinando loro con voce autoritaria e gelida:

- Portatela via.

I due picchieri non attesero ulteriori spiegazioni. Non ne avevano bisogno. S'introdussero nella cella, sollevando di peso Leda e trascinandola fuori. Vedendosi allontanata da quel luogo contro la sua volontà, senza neanche aver avuto la possibilità di ottenere uno straccio di informazione, cominciò a scalciare e a gridare. Gli echi delle sue urla si propagarono per tutto il corridoio, solitari, mentre lentamente e a fatica vedeva la distanza tra lei e Tyki diventare sempre maggiore. Allungò una mano verso di lui, come a voler afferrare quella verità da lei tanto agogniata, ma che da sempre le era negata. Si lasciò sfuggire un rantolo disperato, un'ultima supplica affinché quelle dannate guardie la lasciassero andare. Purtroppo, nessuno le diede ascolto, così dovette abbandonare prima del tempo i sotterranei della prigione.
La guancia era diventata rossa e gonfia, con una sola strisciolina di sangue a solcarla, silente. Leda però non vi badava, anzi, pareva non essersene neanche accorta. Venne scortata, o per meglio dire trascinata, fino alla sua stanza, all'interno della quale venne gettata con pochi riguardi per poi esservi richiusa dentro.
Quando tentò di rialzarsi, scoprì che a sostenerla c'era Alan. Indossava ancora la camicia da notte trovata nel cassettone la sera prima, aveva il viso pulito, i capelli in ordine, gli occhi più brillanti del solito. Non era mai stato meglio.

- Come stai? - le chiese, aiutandola a rialzarsi. Leda si accorse del taglio sul viso, e provvedette a pulirselo con la manica, macchiandola di rosso. Si guardò attorno e vide i letti in ordine, con i loro vecchi vestiti lavati e piegati sul cuscino. Li guardò e si sentì violata. Qualcuno era entrato, aveva frugato tra la sua roba, si era azzardato a lavarle la biancheria e a rifarle il letto. Nemmeno nella propria stanza era al sicuro; tenuta sott'occhio ventiquattr'ore al giorno, solo la sua mente coi suoi pensieri inviolabili si salvava.

- Tutto a posto - rispose al fratello, sedendosi sul letto con fare sconsolato. Non aveva voglia di dirgli cosa aveva visto, che Tyki era in una cella e che si era procurata quel taglio nel tentativo di difenderlo dall'enesima tortura. Non voleva farlo preoccupare. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché le lacrime non solcassero più il suo viso delicato. Il ricordi, le sensazioni e il dolore vennero spinti giù, in profondità, in quell'animo nero e afflitto che si ritrovava. Silenziosa, gli sorrise, carezzandogli amorevolmente la testa.

Alan lasciò che la sorella, ancora una volta, fingesse. Lasciò che le mostrasse il carattere si facciata che per anni era stata costretta ad esternare, con enorme sforzo, piangendo in silenzio quando nessuno più poteva vederla. Lui sapeva che quel gesto di premura nei suoi confronti serviva unicamente a sviare quello che sarebbe potuto diventare un discorso molto scomodo per lei. Ed ogni volta si sentiva il cuore più pesante, perché se Leda stava così male, se soffriva senza darlo a vedere, era solo colpa sua. Perché lui era tutto il suo mondo, la sua ragione di vita. Non aveva mai fatto nulla di pericoloso, vivendo come racchiuso in una bolla di sapone. E mentre lui avanzava leggiadro, allegro e spensierato, cercando di riportare il sorriso nella sorella, questa si affannava affinché lui potesse continuare a vivere felice. Il loro rapporto era una catena infinita, fatta di bugie, parole nascoste, segnali invisibili che nessuno dei due pareva riuscire a cogliere. Leda portava sulle proprie spalle il peso di una colpa, un rimorso che sapeva di marcio e sul quale aveva posto un coperchio. E se anche solo si fosse azzardata a sollevarlo un poco, ecco che qualcuno si sarebbe accorto del cattivo odore. Alan dal canto suo non poteva comprendere quanto il passato avesse inferto su di lei, e i suoi numerosi e vani tentativi di tirarle su il morale non facevano altro che darle maggiore pena, sottoporla a una tortura infinita, facendole chiedere in continuazione cosa avrebbe fatto senza quel sorriso che aveva la stessa radiosità del sole e delle stelle nella notte.
Quindi si trovarono ancora a mentirsi l'un l'altra, in silenzio: lui, sorridendo innocente; lei, mascherando il dolore dietro comportamenti forzati, innaturali. Una recita stupida che sostenevano senza rendersene contro, per evitare di finire in pezzi a vicenda.

Qualcuno bussò alla porta. I due fratelli tornarono in fretta alla realtà. Leda si sollevò dal letto di malavoglia. Non era pronta per vedere qualcuno, soprattutto se si trattava di quel manipolo di religiosi fanatici. Dapprima cercò di ignorare l'insistenza con la quale il pugno della persona dall'altra parte della stanza batteva veloce e con forza sul legno scuro, ma alla fine dovette arrendersi al fatto che quel rumore era molto più fastidioso del trovarsi faccia a faccia con uno di quegli ipocriti. Perciò scese dal letto con un balzo agile, lasciando Alan con una serie di interrogativi senza risposta. Si avviò alla porta, titubante. Afferrò la maniglia di ottima fattura e l'aprì. Dopodiché, fu come un fiume in piena l'avesse travolta. Qualcosa si fiondò nella stanza alla velocità della luce, incurante del fatto che lei fosse stata scaraventata all'indietro dalla sorpresa. Si ricompose, aggiustandosi gli occhiali, e dopo essersi stirato con cura il vestito, Leda lo riconobbe all'istante: cosa ci faceva lì Komui?!
L'uomo sondò con sguardo ridicolmente professionale l'ambiente spoglio, come se stesse cercando qualcosa di importante. Al sol vedere Alan, poco mancò che gli saltasse addosso, euforico.

- Alan caro! - esclamò allegro, forse fin troppo, tanto da risultare grottesco - La tua graziosa sorellina c'è??

Il bambino, spalancati gli occhi per lo sconcerto, senza aprire bocca - era molto spaventato - sollevò un dito ed indicò il corpo martoriato della ragazza finito nell'angolo della stanza a causa dell'impeto del Supervisore, al quale immediatamente luccicarono gli occhi. Si avventò si di lei come un'onda anomala e l'aiutò a sollevarsì in fretta e furia, tralasciando il fatto che fosse ancora stordita.

- Perché non me lo hai detto subito, Leda cara?! - domandò, prendendola per le spalle e scuotendola tra lacrimoni giganteschi e grida isteriche - Una cosa così importante!!

Leda sentì la testa girare impetuosa, lasciandosi strattonare a destra e a sinistra dalle sue maniere prive di garbo. Solo quando ebbe perso la sensazione che il mondo attorno a lei stesse girando vorticoso, si azzardò a domandare:

- Che cosa?!

Se Komui fosse stato uno specchio, si sarebbe frantumato in milioni di pezzi. Non aveva compreso la sincerità della ragazza nel porgli quella domanda, credendo che lo stesse prendendo in giro. Aumentò la presa sulle sue spalle, sfoderando un'occhiataccia spaventosa che avrebbe fatto accapponare la pelle ad un fantasma. Leda si sentì talmente sotto pressione che non osò reagire, per il timore di scatenare delle ire non volute. Fu a quel punto che l'altro la lasciò andare, finalmente conscio dell'entità della situazione. La sua espressione facciale cambiò radicalmente, trasformandosi in un conglomerato di orgoglio e stupore. Quell'uomo era davvero singolare.

- Mh mh - asserì, prendendosi il mento con aria perplessa, gli occhi che luccicavano di una strana luce maligna - Ora capisco! - Subito dopo sollevò l'indice sinistro con aria saccente, mentre il destro s'apprestava ad indicare senza ritegno la ragazza - Claire mi ha detto che anche tu sei una compatibile!

A quelle parole Leda si bloccò, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. No, no, no, no! Non poteva essere possibile!
Come faceva quello svitato ad uscirsene con una cosa del genere, per di più ostentando un'indifferenza quasi ridicola nel dirlo?! Si sentì oltraggiata. Indietreggiò, allontanandosi da lui con lo stesso ribrezzo che avrebbe provato stando in presenza di un Akuma.
Inquietudine; angoscia. Queste le sensazioni che avevano preso a vorticare nel suo animo, impetuose, irrotte con troppa forza e tempestività perché lei potesse abituarvisi. E maledì quell'uomo, quel maledetto che era venuto lì a darle una notizia come quella senza la minima premura; come se fosse una cosa da niente. Oh, certo. Era normale scoprire di essere un compatibile, un possessore dell'Innocence: un Esorcista.
E fu proprio la mancanza di preparazione a quella sconvolgente novità che forse privò Leda di qualunque reazione avesse potuto avere. Rabbia, paura... sparite. Le era rimasta solo quella faccia sbigottita, ebete, e quella ridicola posizione talmente rigida e ferma da ricordare un tronco.
Ma ecco che iniziò a reagire. Si portò le dita alla guancia, quella ferita. Sentì il sangue secco formatosi su di essa ed ebbe come un'illuminazione. Avvertì i tasselli del puzzle della sua memoria posizionarsi ognuno al proprio posto, veloci, rapidi, con movimenti essenziali. E capì. Non era uno scherzo. Komui aveva ragione. Lei... lei era un'Esorcista.
Tyki lo aveva sempre saputo. E anche lei avrebbe potuto capirlo, quando il Noah aveva respinto la sua richiesta di venir trasportata fuori dalla galleria per il semplice fatto che i suoi poteri non avevano effetto su di lei; il motivo stava nel fatto che anche volendo non sarebbe stato possibile. E.. quello schiaffo e quel pugno.. Lei non avrebbe dovuto colpirlo, invece gli aveva quasi rotto il naso. Avrebbe dovuto metterselo in testa giorni prima. Lei era diversa. E a farglielo capire era stato proprio Tyki.
Con l'indice tastò il piccolo solco dato dal graffio procurato dalla frusta di Claire. E si rese conto di quanto fosse superficiale, insignificante. Di certo con un colpo come quello, a quell'ora una persona normale sarebbe stata molto peggio. Era successo qualcosa, in quell'istante, quando la sua arma e la sua pelle erano entrate in contatto. Qualcosa aveva impedito che il danno che lei riportasse fosse molto più grave del normale. Si sentì male solo a pensarlo: Innocence. Tutta colpa sua.
Allontanò quasi con sdegno la mano dalla guancia. Guardò Komui: pareva stare aspettando una qualche risposta da parte sua.
La rabbia improvvisamente crebbe in lei. Ma a parole con quello non sarebbe contato nulla, era stanca e di dialogare con un individuo simile non ne aveva proprio voglia. Così reagì d'istinto. Si mise in equilibrio su un piede, levandosi lo stivale in tutta fretta. E prima che l'altro potesse fare qualsiasi cosa, glielo scaraventò in faccia, buttandolo a terra.

- Una compatibile, eh?! - pronunciò con voce roca e sguardo assassino, mentre lo vedeva incespicare sul pavimento alla ricerca degli occhiali. Quando se li fu ricacciati sul naso, si levò anche l'altro stivale, senza tirarglielo. Gli diede il tempo di accorgersene per fuggire, affinché lei non fosse costretta a stampargli in fronte anche la suola destra. Komui si vide in grave pericolo, e più veloce di un fulmine si catapultò fuori dalla stanza, sollevando nuvoloni di polvere e urlando come un pazzo dalla paura.
Quando se ne fu andato, Leda mollò lo stivale, che cadde a terra con un colpo secco, spargendo un flebile eco nella stanza. Guardò la porta spalancata; poi Alan. La ferita alla guancia si era definitivamente cicatrizzata.
E si rese conto che un senso quella situazione non ce l'aveva; non ce l'aveva mai avuto. Si chiese cosa diamine ci facesse lei lì, cosa potessero volere quei bastardi da Alan. Si chiese, si chiese... ma non ottenne risposta. Nessuno voleva dirle nulla. Però intanto i dubbi crescevano, fino a diventare troppo ingombranti per poterli ignorare. Leda sentì che la sua pazienza aveva raggiunto il limite. Voleva piangere; voleva dimenticare la conversazione appena avuta, continuare la giornata come se non fosse successo nulla. Alan era rimasto sbigottito, seduto sul letto, pietrificato dalla notizia. Fissò la sorella come se fosse stato ipnotizzato, gli occhi spalancati per la sorpresa. Era strano, da parte sua, reagire a quel modo. Da piccolo aveva sentito tante storie sugli Apostoli dell'Innocence, tante leggende che non credeva potessero tramutarsi in realtà. Dire che fosse sbalordito dalla scoperta di Leda era poco. E in cuor suo non sapeva che dire; per anni avevano detestato gli Esorcisti, ed ora scoprire che la propria sorella era in realtà una di loro...

- Led...

Non fece in tempo a terminare la frase. Leda si era già lanciata all'inseguimento del Supervisore fuori dalla stanza. Si prese le mani, pasticciando con le dita, incapace di trovare una soluzione. Era sempre stata sua sorella a proteggerlo. Ma quando sarebbe stata lei, si chiedeva spesso, ad aver bisogno di aiuto, lui cosa avrebbe mai fatto? Lui, che di combattimento non ne sapeva nulla; che di Akuma non ne aveva mai affrontato uno; che in vita sua non aveva mai dovuto sacrificare se stesso per nessuno.
Una breve corsetta fino all'uscio. Ci si affacciò quasi timoroso, sondando i corridoio deserti dell'Ordine. Trattenne il respiro, chiuse gli occhi. E decise.
Non poteva farsi salvare ogni volta. Ora che erano lì, ora che Leda soffriva più di chiunque altro, era compito suo proteggerla. Era questo che lui, in quanto fratello, aveva il dovere di fare. Un attimo di esitazione; poi si lanciò con rapidità nel corridoio.
Corse sul pavimento di pietra freddo, lasciando che i suoi passi svelti e maldestri ticchettassero sulla sua superficie dura. Svoltò a destra, salì le scale, le scese, andò a sinstra... Fino a quando, davanti a lui, non comparve la fatidica porta: "Ufficio Supervisore".Era proprio davanti a lui. Con una mano chiusa a pugno ben premuta sul petto, come se avesse potuto calmare il suo cuore agitato, ci si avvicinò. Sfiorò la maniglia d'oro, titubante. Un'improvviso lampo di decisione attraversò i suoi occhi scuri, delle stesse sfumature del cielo notturno. Con un movimento secco, attuato senza pensare, d'istinto, spinse la porta e si ritrovò dall'altra parte.
Subito Komui alzò lo sguardo dalla catasta di libri e documenti dietro la quale sembrava sparire, e con un breve cenno amichevole salutò il bambino. Alan si guardò attorno, senza ricambiare quel gesto, cercando la sorella con lo sguardo. E si accorse che non c'era. Che avesse sbagliato strada?

- Ehm... Buongiorno - pronunciò con voce flebile - Io, ecco... Cercavo...

- Tua sorella! - terminò il Supervisore per lui, con una nota di allegria nella voce. Si alzò dalla poltrona, raggiungendo il bambino con una calma quasi rasserenante. Si piegò sulle ginocchia, affinché potesse essere alto come lui. Un comportamento che stupì molto Alan. Nessuno si era mai preso la briga di abbassarsi, parlare con lui con quella gentilezza quasi paterna, per essere al suo pari. Si sentì... Rassicurato. E anche pronto a compiere il suo dovere di fratello.

- Volevo chiederle scusa per Leda - incespicò, appena un po' più sicuro di sé - Lei... Noi... Abbaimo perso la casa tre anni fa, per colpa degli Akuma. E...

Non riuscì a terminare il discorso. Komui gli posò un dito sulle labbra, sorridendo. Come se avesse già capito ogni cosa.

- Lo so - disse, con tono dolce, comprensivo - Sai, il tuo papà ci parlava spesso di voi; eravate il suo orgoglio.

Alan sorrise, rincuorato. Subito dopo però, parve insorgere con rinnovata energia.

- Papà?! Lei ha conosciuto nostro padre??

- Sì - annuì l'altro - Lavorava qui, prima che lo trasferissero. Non passava giorno che non menzionasse i suoi cari figlioli. Ora capisco perché - con fare amichevole, scompigliò i capelli del bambino - Siete speciali.

Alan sorrise, acquisendo al contempo qualche nota di colore sulle guance. Lui era sempre stato orgoglioso di suo padre. Non gli importava di non poterlo vedere, purché aiutasse a salvare il mondo.

- Sa per caso se sta bene?

Dal giorno dell'attacco, non avevano più avuto sue notizie. Leda era più volte tornata nel luogo in cui un tempo sorgeva la loro casa, senza trovarci mai la minima traccia del suo passaggio. Il un primo momento si era sentita in collera, abbandonata. Poi... Inaspettatamente... Aveva cominciato a credere che fosse rimasto anch'egli vittima della guerra. Alan invece no. Secondo lui papà era ancora da qualche parte, a fare ricerche, sviluppando nuove tecnologie a favore della loro vittoria. Non aveva mai smesso di credere in lui.
Komui si rabbuiò. Si sistemò meccanicamente gli occhiali sul naso, dopodiché guardò negli occhi il bambino con decisione.

- No - semplice, duro; eppure, in qualche modo vicino. Perché lui sapeva cosa voleva dire perdere la famiglia. Conoseva il dolore dato dalla solitudine, e la rinnovata speranza nel stare accanto a chi ancora c'era - Purtoppo, non abbiamo più sue notizie.

Alan s'irrigidì, abbassando appena il capo, sconfortato.

- Ma non è detto che non stia bene! - tornò però con un sorriso forzato il Supervisore, sollevando l'indice con aria ridicolmente sapiente - Forse in questo momento non può avere contatti esterni!

Per esperienza, aveva capito che i bambini hanno sempre bisogno di una figura forte, vigorosa, al loro fianco; qualcuno che possa sorridere loro anche quando tutti stanno piangendo; qualcuno che possa infondere coraggio, allegria, anche laddove questa pare non esistere.
Infatti, vide il piccolo risollevarsi appena e abozzare un timido sorriso, frutto di una meditazione profonda, di una vita passata ad affiancare un'ombra che la felicità non sapeva più cos'era. Sorrise caloroso, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Si alzò, tornando a sedersi sulla sua poltrona e prendendo in mano alcuni fogli. Con un gesto amichevole, indicò una sedia proprio accanto alla scrivania, ed Alan ci si sedette sopra come un lampo, con l'allegria negli occhi.

- Perché non mi racconti di te e di Leda?

 
Angolo di Momoko ¬

  E anche il decimo capitolo può finalmente venire alla luce xD Perdonatemi il ritardo, ma ve lo avevo detto: purtroppo la scuola mi invaliderà molto nei prossimi mesi, quindi ad aggiornare i capitoli ci mettero di più. Ma tranquilli, non smetto di scrivere^^ Ho deciso di dividere questo capitolo a metà (sennò era un mattone), anche perché già qui la situazione inizia a schiarirsi. Eh, sì, miei cari ragassuoli! Leda è un'Esorcista! Oh, ma non temete: niente potere immenso e nascosto all'orizzonte u.u E' solo una ragazza posseduta dall'Innocence (vedrete poi in che modo, dato che presto verrà beatamente sbattuta in missione^^). E Tyki... Sì, lo so, lo sto trattando da schifo ultimamente. Ma essendo un Noah, ed essendo nel covo degli Esorcisti, l'essere recluso credo sia proprio il minimo. Oh, be', non mi dilungo più di tanto. Per qualsiasi domanda, insulto, minaccia che vi venga in mente, io sono qua :)
Ringrazio di cuore La Strega di Ilse che mi recensisce tutti i capitoli <3 E anche tutti quelli che hanno segretamente messo la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate <3 Uh, graccie çwç
A prestooo,

Momoko <3

 

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Capitolo 11
*** La Lady della Guerra ***


Capitolo 11: La Lady della Guerra  
 
 
 

I corridoi dell'Ordine erano un vero labirinto. Chi non li avesse conosciuti alla perfezione, memorizzando ogni scorciatoia, ogni centimetro di pietra di cui erano formati, si sarebbe sicuramente perso senza possibilità di ritrovare la via giusta da percorrere. Essendo nuova del posto, quelle vie semi buie illuminate appena dalla luce rosata del sole erano per Leda ancora un mistero irrisolvibile. Difatti, non le fu difficile smarrirsi alla prima biforcazione, mentre tentava di recuperare il Supervisore, il quale sembrava essere fuggito troppo in fretta per poter essere raggiunto.
Si era bloccata, guardandosi attorno, maledicendosi perché non c'era nemmeno qualcuno cui chiedere indicazioni. E dire che quella mattina era partita con l'intenzione di chiarirsi ogni dubbio. Si chiese come mai, ogni volta che si trovasse ad un passo da un'importante verità, un imprevisto le impedisse di appropriarsene. Komui era riuscito a spiazzarla, accusando Tyki dell'omicidio di quei sei Esorcisti. Al sol ricordare quelle foto raccapriccianti le saliva la nausea. Però ne era convinta: nonostante avesse rivelato di essere un Noah, lei non credeva nella sua colpevolezza. A farglielo capire, in modo tanto diretto, era stata quella frase, detta poco prima che Claire comparisse per rovinare tutto. A sentir le sue parole, lui non faceva parte della cricca del Conte. A convincerla della veridicità di quell'affermazione era stato il suo sguardo: freddo, gelido; infastidito, per giunta. Era impossibile che fosse stato lui ad assassinare quelle persone. Non era in grado.
Svoltò a destra. Non che avesse improvvisamente ricordato la strada da fare, solo, decise di affidarsi al suo istinto. Percorse il corridoio silenzioso a passo di marcia, sicura di sé. Lei e il senso dell'orientamento non erano mai andati a braccetto, e qualche volta era pure successo che si perdesse in strade da lei considerate semplicissime da memorizzare. Bastava una distrazione, un pensiero mal riposto che la sua flebile memoria fotografica si distorcesse, a favore di un percorso totalmente sbagliato e che si accorgeva di aver percorso troppo tardi per poter tornare indietro. A quel punto, solo il destino avrebbe saputo guidarla verso la salvezza. In tutti i sensi. Ma lei, testarda, impavida e conscia del pericolo, si buttava in decisioni sconclusionate perché non riusciva ad ammettere di poter sbagliare. Anche l'orgoglio le giocava brutti scherzi.
Si fermò. Strada sbagliata.
Fece per tornare indietro, quando all'improvviso un eco soffuso attirò la sua attenzione qualche metro più avanti. Aguzzò la vista, e vide comparire il ciuffo di capelli rossi sparati in aria attaccati alla capoccia di Lavi. Chiacchierava e sorrideva con un signore anziano, giusto poco più basso di lui, dai capelli bianchi come la neve. In un primo momento Leda fu sollevata di rivederlo, quasi non si trattenne dal corrergli incontro. Dopotutto, era l'unica persona non incarcerata che potesse davvero dargli una mano e che era certa di conoscere. Ricordò però l'episodio avvenuto sulla nave, e indietreggiò di un passo, titubante. Non aveva voglia di parlarci, non dopo le cose che gli aveva detto.
Purtroppo, non fece in tempo a fuggire, perché il rosso la adocchiò sollevando il suo unico occhio verde, e provvedette a salutarla agitando il braccio come un ossesso. A quel punto era troppo tardi per tornare indietro. Leda ricambiò il gesto con meno esuberanza, giusto quanto bastava affinché lui, da quella distanza, potesse notarla. Senza volerlo, si vide camminare nella sua direzione, come mossa da una volontà invisibile. Lo raggiunse e... Strabuzzò gli occhi. Il vecchio... Non era un vecchio. Certo, i capelli bianchi da lontano potevano ingannare, ma... Dall'aspetto non doveva avere che qualche anno in meno di lei. Troppo stupita per reagire in qualche modo, non si accorse di essere stata salutata. Velocemente, biascicò un timido "Salve" davvero poco sentito.

- Mi chiamo Allen, molto piacere signorina - e subito l'albino le aveva rivolto un placido sorriso amichevole, accompagnato da un invito a stringersi la mano, il quale parve quasi strozzare il cuore della ragazza. Non era normale che qualcuno lì dentro le si rivolgesse con così tanta gentilezza, soprattutto un Esorcista. Perché anche lui lo era: la divisa scura e pesante che indossava era fin troppo palese. Leda sentì una stretta allo stomaco allucinante; una parte di coscienza stava già cominciando a marciare controcorrente, avvertendola di cambiare atteggiamento all'istante. Perché quel ragazzino la faceva sentire tanto in colpa?

- Leda - istinto, incoscienza. Aveva detto il suo nome come se fosse stata costretta, ma con il tono docile di una ragazza per bene. Che a stregarla fosse stato l'aspetto bizzarro del ragazzo?

- E' lei la ragazza di cui ti parlavo prima - s'intromise lavi indicandola come fosse stato un antico reperto che lui stesso aveva riportato alla luce. E a quel punto Allen spalancò gli occhi, incredulo. La fissò con aria stranita, per poi rapidamente assumere un atteggiamento assai dispiaciuto.

- Davvero? Mi dispiace molto per quello che è successo alla sede Nord America...

Leda fece un passo indietro, inorridita. Come aveva potuto quel beota sproloquiare su di lei?! E per giunta, ora pareva pure soddisfatto. Cos'era, lei, un trofeo? Un premio, che lui aveva ripescato dallo schifo della fogne per mostrarlo a tutti?!

- Perché glielo hai detto?! - insorse ignorando totalmente l'altro ragazzo, agitando i pugni collerica. Era inammissibile che qualcuno come lui avesse spettegolato su di lei e Alan, su fatti che erano ancora orribilmente impressi nella sua memoria, impossibili da cancellare. Si avvicinò pericolosamente al viso del Bookman, guardandolo con gli occhi di una bestia feroce: accesi di mille scintille furenti, non aspettavano altro che detronizzarlo.

Lavi però parve non farci minimamente caso, ignorando le occhiate omicide e annuendo alla domanda di Allen al posto suo.

- E' anche una compatibile, sai? - aggiunse con una punta di fierezza e... Superiorità.

A quella rivelazione, l'albino sorrise ampiamente, prendendo le mani della ragazza e stringendole tra le sue. Benché si sentisse assai affranto per tutte le pene che aveva dovuto passare - e delle quali aveva sentito parlare da Lavi - decise di evitare argomenti difficili e cercare di trasmette almeno un po' di calore e senso di benvenuto alla nuova collega.

Tuttavia, non conosceva Leda. Infatti, non appena sentì menzionare la parola 'compatibile', la vide sbiancare e ritirare le mani con uno scatto rabbioso. Troppi affronti stavano susseguendosi senza una ragione specifica perché lei potesse passarvi sopra ignorandoli. Troppi ingarbugliamenti per una trama sempre più complessa; una matassa di fili brigosa, difficile - e forse impossibile - da sciogliere . Di certo però non poteva lasciare che Lavi infangasse così il buon nome delle persone che l'avevano aiutata nel momento del bisogno, che liquidasse con un sorriso idiota ogni cosa. Era troppo aperto, troppo allegro perché potesse risultare simpatico. Le dava sui nervi.
E poi, come diamine faceva a sapere che lei era una compatibile dell'Innocence, quando nemmeno lei ne era sicura?!

- Come diamine hai fatto a venirne a conoscenza? - gli domandò in cagnesco, tenendosi a debita distanza per evitare contatti indesiderati anche da parte dell'altro ragazzo accanto a lui.

Il giovane Bookman smise di sorridere per qualche secondo, come accorgendosi di un qualcosa di particolare. Certamente, si trattava della perspicacia della ragazza. Persino nel suo recitare a volte capitava che sbagliasse le battute. E dire che lui a quelle cose prestava sempre molta attenzione. Ma che Leda era un'Esorcista lo aveva già saputo e non aveva avuto bisogno di nessuno per arrivarci. Be', nessuno a parte Tyki.
Sulla nave di cose da fare non ce n'erano state molte. A parte gironzolare sul ponte in preda a una terrificante apatia, o a giocare col piccolo Alan parlando del più e del meno, solo il suo vecchio aveva svolto davvero il proprio compito appieno. La ricerca di informazioni che da sempre contraddistingueva la loro stirpe fino ad allora non aveva trovato freno. E non sarebbero di certo bastati tre viaggiatori sperduti a imporle dei paletti affinché i segreti che si portavano appresso rimanessero tali. Loro avevano occhio. Si erano accorti dell'assurdità della situazione non appena avevano tratto in salvo Leda dal canale fognario, sottraendola dalle grinfie di un pericoloso nemico. Perché dopo aver estratto con cura il proiettile dal suo corpo, avevano fatto una terrificante scoperta. Il bossolo era fatto totalmente di Dark Matter, la materia dalla quale venivano originati gli Akuma e che per l'uomo era pressoché mortale. Non era perciò possibile che una ragazzina tanto esile fosse sopravvissuta. E di soluzione non ce ne era che una: Innocence. Leda era stata salvata dall'Innocence perché ne era una compatibile. Constatare ciò si rivelò l'impresa più semplice del mondo. Bastò mettere alle strette Tyki, l'unica persona già a conoscenza della verità, per avere una visione più chiara delle cose.

Lavi tornò così a sorridere, evidenziando quanto fosse contento che la ragazza di fosse accorta di quella discrepanza nel suo discorso. Lo invogliò ancora di più ad aumentare il livello di difficoltà con il quale misurava le parole, rendendole frasi altamente sofisticate, comprensibili nella loro interezza solo da chi ne era veramente capace. Ma non ne ebbe il tempo.
Leda ebbe un improvviso mancamento e fece per cadere a terra come un sacco di patate. Prontamente la sorresse chiamandola più e più volte, capendo all'istante che la cosa migliore da fare in quel momento era portarla in infermeria. Aiutato da un Allen sempre più allarmato, se la caricò in spalla portandola via il più in fretta possibile affinché ricevesse le dovute cure.
Percorsero rapidi il corridoio, seguendo senza esitare neanche un secondo una strada ben fissa nella loro mente. Il che, sebbene dal punto di vista di Allen potesse sembrare normale, per Lavi assumeva tutt'altro aspetto. Com'era possibile che avesse imparato già a memoria la mappa di quel luogo?

Arrivati a destinazione, ed oltrepassata la fatidica entrata riconoscibile grazie ad una elegante targhetta scolpita, li aveva accolti un opprimente odore di disinfettante.
Subito la Capo Infermiera si era parata di fronte a loro, squadrandoli dalla testa ai piedi con quel cipiglio diabolico che solo lei poteva avere. Volto magro e asciutto, sguardo severo e intransigente. Eppure dalla sua figura trasparivano anche una profonda dedizione e un affetto profondo per i propri pazienti. Infatti, non ci mise che poche frazioni di secondo ad afferrare Leda e buttarla sul primo letto libero che trovò, esaminando immediatamente battito cardiaco, pressione sanguigna e molte altre cose.

- Perché non l'avete portata subito da me?? - ringhiò collerica constatando una marea di problemi, tra i quali l'alimentazione insufficiente, l'affaticamento ma soprattutto la ferita al fianco, non ancora guarita del tutto. Probabilmente le doleva ancora. Ma contando tutti gli eventi di quegli ultimi giorni, non doveva averci neanche fatto caso.
Allen e Lavi rimasero ad osservarla lavorare in silenzio, sciogliendo con frettolosa precisione le bende e pulendole la ferita commentandone in modo acido il trattamento. Di certo non era una che ammetteva errori, o lavori svolti tanto per.
E quando ebbe terminato di medicarla nuovamente, la infilò sotto le coperte ancora priva di sensi, ormai nel mondo dei sogni senza possibilità di ritorno. Sembrava... Serena. Come se dormendo dimenticasse per un attimo tutte le angosce. Trasmetteva un tale senso di tranquillità, che persino Allen sentì la morsa del sonno avanzare. Di certo anche lui avrebbe avuto bisogno di una dormita.

- Lasciatela riposare, ha bisogno di riprendersi dopo l'inferno che ha passato - asserì la Capo Infermiera rivolgendo occhiate di fuoco super severe ai due Esorcisti, i quali si sentirono parecchio in soggezione e s'allontanarono dal letto per paura di commettere fatali errori.

- La conoscete? - domandò poi l'albino, notando come la donna avesse evitato di chiedere come si chiamasse o di fare domande in genere.

- No, ma ho conosciuto suo padre - si sentì rispondere, con tono appena più dolce. A quelle parole si sentì divorare di curiosità.

- Suo padre? Era un Esorcista anche lui?

Ovviamente, essendo nell'Ordine da molto meno tempo degli altri, lui non aveva avuto modo di conoscere tutti gli Apostoli. E contando le innumerevoli perdite subite, temeva di rivolgere domande troppo azzardate. La Capo Infermiera però reagì in maniera inaspettata. Si sedette sul bordo del letto e sospirò appena, prendendosi le mani come per rassegnarsi all'idea di dover raccontare.

- No. Faceva parte della Sezione Scientifica alle dipendenze del Supervisore Komui due anni fa, prima di essere trasferito altrove dal Quartier Generale Centrale. Era tra i favoriti per costruire aggeggi davvero strambi, ma la cosa che amava fare, più di tutte, erano i carillon.

- Carillon? Sono quegli strumenti dal suono metallico e dolce?

- Prima di entrare nell'Ordine faceva il giocattolaio, e finché la guerra glielo ha permesso ha posseduto una bottega. Successivamente, ha deciso di trasferirsi con moglie e figli in un luogo più isolato, lontano da tutti. Fu lì che divenne uno scienziato, e venne a lavorare qui.

Lavi s'intromise placido e serio nel discorso.

- E voi come sapete tutte queste cose?

La donna lo fissò con occhi di ghiaccio, prima si sospirare.

- Me le ha dette lui. Albert parlava spesso - troppo - della sua famiglia.

Allen guardò Leda sonnecchiare sotto le coperte, mostrando un'espressione davvero dispiaciuta. Quella ragazza... Aveva vissuto tanti orribili momenti, però riusciva ancora a trovare il coraggio per affrontare la vita a viso aperto. Provò molta stima nei suoi confronti. Perché lui, sebbene sorridesse sempre con convinzione, ancora faticava ad accettare il proprio passato, e a vivere il presente con quella sicurezza che avrebbe sempre desiderato possedere.

- Ora andatevene - biascicò stizzita la Capo Infermiera, con un improvviso cambio di maniere - I miei pazienti hanno bisogno di riposo. Sciò, sciò!

E con modi assai 'gentili' li spinse fuori dalla stanza.

Immersa nel proprio mondo, Leda fece un sogno diverso dai soliti. Non si trattò dell'orripilante visione dell'angelo che si rivelava un demone assassino, no. Sognò casa sua. E sua madre, assieme ad Alan e...

- Pa... pà... - sussurrò sofferta, agitandosi appena sotto le coperte. Una lacrima le bagnò la guancia ferita, fondendosi nel cerotto bianco appiccicato su di essa. E da lì, molte altre gocce salate solcarono il suo viso, rimpiangendo un passato ormai cancellato, impossibile da recuperare. Fu proprio questo a plasmare nella sua mente le immagini della sua casa, della sua famiglia, in una giornata qualunque. Una di quelle talmente vecchie da stupirsi ancora nel ricordarla. Ma come ben si sa, niente si dimentica davvero. Rimane tutto dentro di noi, ad arricchire la nostra flebile essenza.
L'ambiente era sfocato, ingiallito come in una vecchia foto. Frammenti di ricordi pregni di dolcezza e malinconia si susseguivano veloci, leggeri come l'aria; passeggeri, come a ricordare l'inevitabilità del fato, l'attimo in cui tutto finisce e si consuma.
Sentì il cigolio della porta che lentamente si schiudeva, quasi come lo scrigno di un tesoro. Lentamente, affinché si potesse apprezzare nel modo migliore la sorpresa che portava con sé. Sorrise, già sapendo di chi si trattava; chi cercava ogni volta di entrare senza far rumore, ben sapendo che i cardini erano rotti e da aggiustare. E che ogni volta se ne dimenticava.
Si vide correre incontro a suo padre. Ma non lei stessa; osservava la scena da un angolo del corridoio, in penombra, quasi fosse estranea ad ogni cosa. Ciò che scorse fu una Leda bambina, di quanti anni non lo sapeva nemmeno lei.
Quella situazione così ordinaria si era ripetuta talmente tante volte, durante la sua infanzia, che non riusciva più a dire a quale singolo giorno appartenesse.
Con voce piena di gioia la bimba saltò al collo di un uomo sulla quarantina: spalle larghe, capelli corti, scuri e brizzolati; un paio di occhiali sul viso, inesistente, come cancellato dall'innaturale nebbiolina dorata che sembrava avvolgere le loro figure evanescenti.
Leda sentì uno strano calore al petto, mentre osservava sé stessa abbracciare suo padre di ritorno da una giornata di lavoro come tante. Le lacrime di fecero ancora più copiose, bagnando il cuscino. Un peso: ecco quello che avvertì, assieme a una fastidiosa immobilità. Tentò di alzare un braccio, di chiamare quelle fugaci visioni che si susseguivano ignorandola. Voleva avvertirle, avere la loro attenzione. Perché non sopportava di dover unicamente guardare qualcosa che ormai non avrebbe più potuto avere; che la sua stessa mente la estraniasse da quei momenti perduti solo perché non ne faceva più parte. Pareva quasi un insulto, una presa in giro per lei, che ora simili emozioni non le avrebbe più provate.

- Papà... - mugugnò tra le lacrime, agitandosi appena di più nel letto; istintivamente, il braccio si mosse come cercando di afferrare qualcosa nell'aria - Sono... Qui...

Ma nessuno si accorse di lei.

- So... no... Qui... - ripeté, aumentando inconsapevolmente il tono di voce, incrinato dalla sempre più esosa quantità di lacrime che scendevano sul viso pallido - Guar... dami...

Il suo volto si piegò in un'espressione addolorata, mentre stringeva convulsamente le coperte. E fu lì che l'immagine che aveva di fronte iniziò a sparire, dissolvendosi lentamente nella nebbia; inghiottita dalla luce, tornò lentamente a far parte di quelle memorie che lei non avrebbe mai più riavuto, se non in sogno e per breve tempo.

- No... As... petta... - pregò con voce disperata, tendendo una mano di fronte a lei e allungando le dita il più possibile per poter riuscire a riportarle indietro. Ma suo padre scomparve, e la lei bambina con lui.

- No! - gridò all'improvviso, scalciando appena; le coperte bianche si sollevarono con uno sbuffo - Non andare!!

Ed a quel punto si svegliò, tirandosi a sedere sul letto come spinta da una forza invisibile. Non ricordava affatto di essere svenuta, solo di essersi addormentata e di aver fatto uno strano sogno. Si toccò la guancia umida. Aveva pianto?

- Ben svegliata - una voce accanto a lei, del cui proprietario non si era accorta minimamente, la sorprese invitandola d'istinto a voltarsi nella sua direzione. Per poco non scese dal letto per picchiarlo.

- Tu... ! - sibilò iraconda, destandosi completamente e dimenticando all'istante la tristezza e la malinconia che svegliandosi si era sentita addosso. Vaghe sensazioni, ora semplici brandelli di memorie consumate.
Komui saltò appena sulla sedia, ricordandosi però all'istante di avere il coltello dalla parte del manico e di non dover temere nulla dalla ragazza. Di fatti, accanto a lui sedeva Alan che, placido come sempre, ammonì in modo buffo la sorella costringendola a calmarsi.
Leda lo guardò a lungo, sentendosi tradita e presa in giro, per aver lasciato che il Supervisore sfruttasse il suo unico punto debole per piegarla alla sua volontà. Sapeva che questa volta suo fratello non le avrebbe permesso scenate, a giudicare dall'espressione vagamente contrariata e severa. Dovette prendere un profondo respiro e cercare di placare quanto più possibile gli istinti omicidi nei confronti dell'uomo.

- Che cosa vuole? - domandò, sebbene sapesse già quale fosse la sua proposta - Non diventerò mai un'Esorcista, se è questo che vuole.

Per un attimo Komui esibì una perfetta espressione crucciata e addolorata, facendo sporgere in maniera ridicola il labbro inferiore e fingendo di asciugarsi lacrime inesistenti. Sospirò, guardando il pavimento con aria sconsolata, per poi rivolgere un sorriso rasserenante nei confronti della ragazza, la quale si sentì a tal punto spiazzata dall'improvviso ribaltamento di facce che non poté evitare di sentirsi parecchio interdetta.

- Be'?! - esclamò all'improvviso, agitando i pugni minacciosa - Credete di potermi convincere così?! Ma lo sapete cosa abbiamo passato io e Alan per colpa vostra?!

Ancora una volta il Supervisore non proferì parola, ostentando una snervante convinzione. Sembrava infatti che sapesse alla perfezione ogni reazione che Leda avrebbe avuto; e che forse grazie a quei soli silenzi avrebbe potuto spingerla nella direzione da lui voluta...

- Abbiamo perso ogni cosa, vi rendete conto?! - continuò Leda, riuscendo a malapena a controllare il proprio tono di voce, tremante di rabbia - Per colpa di voi Esorcisti, che nel momento del bisogno siete scomparsi!

- Sorellona! - la ammonì Alan, dando un leggero colpetto al materasso, nel tentativo di richiamare la sua attenzione - Non sono spariti per codardia!

Qualsiasi cosa Leda stesse per dire, si fermò. Le parole rimasero mozzate a metà, senza uscire dalle sue labbra. Fissò il fratello come se ciò che aveva appena detto fosse qualcosa di inaspettato, insperato. Ed in effetti, lo era eccome.
Lo sfarzo di quel luogo e gli atteggiamenti che le erano stati riservati appena arrivata all'inizio non avevano fatto altro che avvalorare un immagine negativa, errata di quelle persone. Di quei difensori della pace, caduti nel dimenticatoio; dissolti nell'ombra, persi a metà tra leggenda e realtà.
Sentirsi fare all'improvviso simili rivelazioni non era normale, da programma. Non avrebbe dovuto dire così.
Perché era impossibile che esistessero altre motivazioni all'infuori della vigliaccheria per giustificare un atto di tradimento tanto grave da parte loro. Insomma: erano spariti nel bel mezzo della guerra, regalando l'umanità a un destino fatto di fame e violenza. Si erano arresi, senza combattere; appena vista la potenza del loro nemico i loro cuori vacillanti non avevano retto. Erano fuggiti, per salvarsi la pellaccia.
E Leda, che per quei quattro anni non aveva fatto altro che vivere di stenti, su di una terra ormai morta e desolata, trovò che sentirsi dire simili sciocchezze fosse davvero molto poco divertente.

- Che significa? - domandò con tono serio, eppure dolce. Si trattava pur sempre di Alan, e lei mai gli si sarebbe rivoltata contro. Eppure, nemmeno le sue parole potevano convincerla appieno. Dopotutto, la sua era una convinzione di ferro, mutata dalle aspre pianure ingrigite del Nord America e dai cuori attorniati di tenebre degli esseri umani, come lei. Non poteva dimenticare le tragedie passate delle persone che aveva amato, come quella della signora Richman, che aveva perso la figlia piccola a causa di una malattia causata dal gas velenoso prodotto dagli Akuma; Anais, che si era vista portare via i genitori a causa della guerra. E Ted, che prima di tirare su la propria locanda con fatica e sudore, aveva perso il figlio, il quale causa della morte della moglie aveva donato la propria anima al Costruttore.
Le loro disgrazie erano accadute tutte per un unica ragione. La stessa per la quale Leda e Alan ora non potevano più contare sull'abbraccio di una madre. Per questo non li avrebbe mai perdonati.

Mai.

- Il Signor Komui mi ha raccontato - asserì Alan, abbassando lo sguardo, come se in qualche modo trovasse difficoltà nel parlare - Dopo la loro apparente vittoria nella guerra avvenuta ormai mille anni fa, il Conte...

Si fermò, tremolando appena.
Leda si chinò su di lui, lanciando uno sguardo assassino al Supervisore. Che razza di cose gli aveva raccontato da agitarlo così?!

- ... Lui ha ucciso tutti gli Esorcisti - terminò in un soffio il bambino, lasciando che una lacrima gli bagnasse la guancia - Per questo... Non sono arrivati, Leda.

Cominciò a singhiozzare, cercando tuttavia di contenersi. Non era da lui lasciarsi andare a quel modo, ma al sol sentire la verità il suo cuore si era spezzato a metà. Loro avevano sempre dato ragione a una storia sbagliata, se ne rendeva conto solo adesso. E per questo, si sentiva un mostro. Un mostro egoista e vigliacco.
Leda abbracciò d'impeto il fratello, stringendolo a sé e resistendo in maniera assurda al pianto. Doveva essere forte per lui, certo, ma la notizia che gli aveva rivelato era stata sconvolgente. Il Conte aveva... Davvero sterminato tutti gli Esorcisti?
Uno strano calore le salì fino al petto, bruciando. La gola cominciò a dolerle, nel trattenere le lacrime; l'orgoglio iniziò a divorarla, pezzo per pezzo, dall'interno.

Vergogna.

Provava una profonda vergogna per tutta quella situazione senza senso. E sebbene non riuscisse a cancellare nemmeno dopo una simile verità l'odio, sentì di dover come minimo far sapere che sì, aveva compreso. Era stata... Davvero... Una stupida.

- Io... - balbettò, ancora impegnata nell'abbraccio, verso Komui - Non so... Cosa...

Ma l'uomo si alzò dalla sedia. Le sorrise. Aveva capito.
E fu allora che le lacrime le scesero senza controllo sulle guance pallide. Affondando il viso nell'incavo della spalla del fratello, nascondendolo mentre lo sentiva diventare bollente, pronunciò spontaneamente parole che mai, se non in una simile circostanza, avrebbe rivolto ad una persona del suo stampo.

- Mi... Dispiace...

Sentì qualcosa bloccarle la gola, mentre diventava sempre più rossa per l'imbarazzo. Ma per quanto il suo spirito bruciasse a causa dell'orgoglio ignorato, mai e poi mai si sarebbe perdonata quei quattro anni di rabbia ingiustificata.

- Mi dispiace... - ripeté, come per rendere ancora più palese il dispiacere dato dal proprio errore.

Komui non disse nulla. Si limitò a posare candido una mano sulla sua spalla, e chinandosi su di lei sussurrò:

- E' tutto a posto.

In un attimo Leda e Alan si aggrapparono a lui piangendo, come per implorare nuove scuse; come se quella semplice frase non potesse espiare i peccati da loro commessi, ma al contrario aggravasse la loro colpa. Era... Frustrante. E orribile. E gentile.

Una cosa però i due fratelli l'avevano capita eccome: che quelle parole, così pure, così leggere, avevano aperto le porte a nuovi orizzonti; e che con la loro spontaneità e premura, avevano trasformato il luogo più infernale del mondo in un piccolo paradiso fatto di nuove speranze.

 



-Allora?! Cosa dovrei fare ora?

Komui sbiancò appena sotto i toni minacciosi della neo Esorcista. Certamente, la sua immagine afflitta dai sensi di colpa avuta qualche ora prima adesso era solo un lontano ricordo. La figura che aveva davanti non le somigliava proprio per niente, così autoritaria, esigente.. Spaventosa.
I fogli che stringeva in mano tremolarono appena, mentre glieli porgeva titubante.

- Devi solo scrivere i tuoi dati qui - balbettò incerto con un sorrisetto ridicolo in volto. Se stava tentando di nascondere la paura, lo faceva in maniera davvero pessima.

Leda strappò di mano le carte dal Supervisore e le guardò come se fossero state una stele antica da decifrare. Afferrò dubbiosa una penna dalla scrivania completamente in disordine ed iniziò a compilare i vari spazi vuoti.

Nome: Leda.
Cognome: Fringe.
Età: 19.
Tipo di Innocence: ...


- Be'? - Komui cercò di sbirciare truffaldino le note della ragazza. Di rimando questa attirò a sé i fogli con stizza. Diede loro poi una veloce occhiata e, una volta preso un profondo respiro, ammise:

- Non so che tipo di Innocence abbia - e lo disse tutto d'un fiato, perché se c'era una cosa che proprio non sopportava, era di dover rendere conto a quell'uomo. Difatti arrossì, voltando lo sguardo altrove.

Al Supervisore brillarono gli occhi, di una luce sinistra e inquietante. Improvvisamente l'atmosfera si fece opprimente, come se una creatura maligna ora ne facesse parte. Un sogghigno mostruoso riempì l'aria, satura di silenzi e sguardi nei quali era possibile individuare quella punta d'imbarazzo e incapacità nel gestire semplici situazioni burocratiche da parte di Leda. E quando la neo Esorcista si fu voltata verso Komui, rabbrividì dal terrore nel vedere la sua figura talmente sporta verso di lei da apparire come circondata da una sorta di aura maligna. Fu un sorriso di circostanza quello che si allargò sulle sue labbra, mentre cercava di domandare balbettando cosa diamine fosse preso al suo cervello degenero. In men che non si dica però si sentì arrivare sulla nuca un potente colpo. Cascò a terra come un sacco di patate, ormai priva di sensi.

Tutto avvenne troppo in fretta e lei non fu capace di evitarlo. La situazione si era fatta tanto strampalata da impedirle qualunque ragionamento concreto e nel momento in cui aveva chiuso gli occhi ogni pensiero che avesse potuto formulare si dissolse completamente. Perché lei, abituata a dare una logica a qualunque avvenimento le capitasse con incrollabile razionalità, di certo non si sarebbe mai aspettata un'azione simile da parte del Supervisore. Uomo a tratti freddo, a tratti... Premuroso, a tratti ancora completamente pazzo. Doveva farci ancora l'abitudine, certo, ma nulla autorizzava quella gente a trattarla come una ragazzetta qualunque solo perché sorpresa in un momento di debolezza! Gliel'avrebbe fatta pagare, a quel maniaco col berretto, poco ma sicuro...

Quando riprese i sensi, scoprì con disappunto di trovarsi letteralmente avvinghiata ad una sedia, i polsi e le caviglie legate attorno alle gambe e ai braccioli. Inutili furono i tentativi di liberarsi, dato che oltre a trovarsi in una stanza chiusa e semi buia pareva essere stata assicurata abbastanza accuratamente onde evitare fughe. D'improvviso una luce sopra di lei si accese, rivelando un pavimento bianco a piastrelle insulso, e vari mobili e strumenti medici sparsi qui e là. Iniziò ad agitarsi ancora di più. Dove si trovava? Che posto era quello?!

- Lasciatemi andare, maledetti!! - ringhiò sforzando ogni muscolo del corpo per liberarsi, mentre i suoi occhi si adattavano lentamente all'illuminazione del nuovo ambiente. E quando ebbe messo completamente a fuoco, poco mancò che svenisse ancora. Komui era di fronte a lei. In mano stringeva un trapano esageratamente grosso, accompagnato da un ghigno sadico e maligno oltre misura.
Leda sbiancò, letteralmente. Il suo cuore si fermò all'istante, mentre con rinnovata energia tentava di slacciare i polsi. Ed a ogni secondo perduto a tentare di slegarli, il Supervisore si avvicinava sempre di più, sogghignando perfido.

- Fermo, fermo! - lo supplicò con voce tremula. Non voleva mica torturarla con quell'arnese assurdo?!

Per tutta risposta il trapano iniziò a vorticare, con un rumore lacerante e metallico.

- FERMOOOO!!!

Ciò che Alan, seduto fuori dalla stanza, sentì in seguito, furono una moltitudine di grida indecenti e spaventosamente acute, accompagnate dal trivellare del diabolico strumento del Supervisore. E se sulle prime ne fu quasi impressionato, avvertendo su di sé lo stesso terrore che sicuramente la sorella stava provando in quel momento, poi chinò il capo e si lasciò scappare colpevole un risolino. Certo non era felice della condizione della ragazza, bensì si sentì, per la prima volta da quando la sede Nord America era stata distrutta, felice.
Qualcosa gli invase il petto, arrivando fino a fargli pizzicare gli occhi. Un calore buono, famigliare; sereno. Finalmente, pensò, avevano trovato una nuova casa, con persone altruiste e disponibili.
E ne era certo, anche Leda lo pensava nel suo profondo perché, se davvero quegli Esorcisti fossero state persone malvagie, li avrebbero già rinchiusi in una qualche cella e torturati; o peggio, uccisi. Invece avevano dato loro un letto, un pasto caldo, tanti sorrisi e abbracci. In più, comprendevano appieno la loro condizione in quanto la condividevano perciò il bambino non poté che sentirsi rincuorato.
Un pensiero volò anche a Ted e a tutti gli altri della locanda. Chissà se erano riusciti a mettersi in salvo?
Con questa piccola speranza ancora a pervadere il suo piccolo cuoricino, attese paziente che la visita medica della sorella terminasse.

Si fece sera, e dopo una serie di estenuanti esami, analisi, prelievi e momenti di terrore puro, Leda uscì finalmente dalla stanza, accompagnata da un Komui soddisfatto e sbarazzino. Il volto pallido era la raffigurazione della paura. Arrancando instabile fino ad Alan, si lasciò guidare come uno zombie privo di coscienza fino ad una stanza ampia e buia. Ad illuminarla - ed abitarla -, un essere che non aveva mai visto. Alto, etereo, completamente deforme e privo di occhi. Una scia sinuosa di capelli molto simili a tentacoli lo ricopriva da capo a piedi, avvolgendolo come un abito elegante. Senza un minimo di reazione - l'ispezione del Supervisore era stata abbastanza traumatica - si lasciò afferrare e sollevare in aria. Subito avvertì una strana sensazione di benessere, come se fosse stata immersa in una vasca d'acqua calda e rilassante. Le numerose braccia della creatura l'avvolsero riscaldandola, e nonostante sentisse i commenti preoccupati di Alan sotto di lei, capì immediatamente che di pericoloso quell'essere non aveva nulla. Chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel piccolo momento di tranquillità.

- Hevlaska, com'è? - Komui si fece avanti e con un sorriso chiese delucidazioni.

Dopo qualche attimo di silenzio, le calde braccia della custode dell'Innocence liberarono Leda e la riportarono a terra. Le labbra carnose si piegarono in un accenno di sorriso. La ragazza ricambiò placida, dovendo a malincuore separarsi da quel tiepido abbraccio.

- Ha un buon... Tasso di... Sincronizzazione... - vociò gentile la creatura, suadente e calma - Circa... Settantotto... Per cento...

- Cos'è il tasso di sincronizzazione? - domandò Leda andando incontro ad Alan, per fargli capire che non doveva aver paura di nulla.

komui annotò perplesso il dato su un documento che aveva tra le mani e si rivolse a lei con aria... Professionale.

- E' un valore che indica quanto in sintonia sei con la tua Innocence - spiegò con un piccolo sorriso e un occhiolino - E devo dire che la tua è parecchio particolare.

- In che senso? - si sentì domandare di rimando. Ma ritenne che la maniera migliore per risponderle fosse la buona e vecchia pratica.

Si avvicinò a lei e dopo averle preso una mano, la chiuse a pugno evidenziando maggiormente le nocche e le articolazioni del polso. Con una punta di orgoglio nella voce sentenziò:

- Si trova qui. E comprende l'interno sistema scheletrico.

Leda fissò l'ossatura sporgente delle dita e si sentì all'improvviso più strana del solito. Come se ad animarla avesse fatto la sua comparsa una nuova, forte convinzione. Eppure, nonostante in un primo momento la confusione fosse enorme, tanto da soffocare qualunque pensiero, successivamente si vide piegare le labbra in un flebile sorriso, mentre come assorta ripassava i contorni della mano, con delicatezza. E per un qualche strano motivo, non provò affatto rabbia, o paura o rigetto per quel potere antico e misterioso che dimorava in lei. Ne fu come... Attratta.
Non lo vide più come una maledizione, similmente a quella stessa mattina. Vi vide invece un mezzo, un tramite grazie al quale fare giustizia.
Era quello che aveva sempre desiderato, in fondo: ottenere un potere superiore, uno talmente potente da far cessare la guerra. Ed ora... Lo possedeva. Era suo, completamente suo. E lo aveva sempre avuto, senza tuttavia rendersene conto.
Ora poteva davvero dirlo. Poteva affermare di essere in possesso della stessa forza di quei temporali che tanto ammirava. Una forza in grado di piegare con grazia ed eleganza gli steli d'erba, ma capace di abbattere un albero con severo giudizio. Era così che si era sempre vista: una ballerina che, tra dolci note meccaniche, saettava fluente e impetuosa a cavallo della tempesta.
Strinse decisa il pugno, con un sorriso di sfida ad animare il suo animo. Non capiva proprio perché avesse pensato di essere maledetta. Con l'Innocence... Lei sarebbe diventata la lady agguerrita che avrebbe posto fine al travaglio dell'umanità.
Nulla avrebbe potuto fermarla, ora.

- Va bene - asserì, sollevando il braccio al cielo - Diventerò un Esorcista.

 
Angolo di Momoko ¬

  Salve ragassuoli!
Prima di dire qualsiasi cosa, sappiate che vi ho risparmiato un altro capitolo-mattone xD Ultimamente scrivo tanto - troppo - quindi devo dividere tutto a metà. E' che non pensavo venisse così lungo. Le informazioni si sono sommate e alla fine ho optato per la ghigliottina. Zak! Diviso a metà xD
Allora, che dire a questo punto? Le vicende si evolvono, Leda ha preso coscienza della propria condizione e anche se ancora non riesce a dimenticare l'odio per gli Esorcisti, diventerà una di loro. Dal prossimo capitolo, ve lo dico subito per anticiparvelo, andrà in missione, e non sarà sola. Già qui si comincia a parlare del suo paparino. E' un personaggio a cui darò molta importanza in futuro, per cui aspettate e vedrete!^^
Ah, avrete notato che da qualche giorno la storia ha subito un cambio di rating. Mi sono resa conto che è diventata un calderone di angst e dramma assurdo. Anche Into the Madness ha dovuto seguire lo stesso destino. Spero di non deludervi^^
Come sempre, ringrazio infinitamente tutti quelli che hanno letto, messo tra le seguite/preferite/ricordate questa storia; e ovviamente, anche chi l'ha recensita <3 A tal proposito, mi scuso profondamente con La Strega di Ilse. Arrriverò a commentarti il tuo capitolo di Maschere Infrante, cara çwç Quanto odio la scuola >3>
Desidero scusarmi anche con KH4, della quale devo ancora recensire la one shot. Pazientate, vi supplico çwç Ora mi dileguo, per domande, commenti, minacce e/o insulti sono qua :)
A prestooo,

Momoko <3

 

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Capitolo 12
*** Luci nella foresta ***


Capitolo 12: Luci nella foresta


Era ovvio che Komui avesse volutamente omesso qualcosa, nel spiegare cosa significasse essere Esorcisti. Ed era ancora più ovvio che avesse preferito nascondere le parti più truculente del discorso al fine di dipingere quel compito ingrato come una sana e meravigliosa lotta per la giustizia, dove tutti zampettavano allegri come micetti verso un fronte dal quale forse non avrebbero mai fatto ritorno, se non morti o ridotti in polvere.
E benché Leda avesse intuito qualcosa, non ne aveva fatto parola con nessuno per evitare di porgere domande sconvenienti al Supervisore o a qualche altro membro della sezione scientifica; cosa del tutto innaturale da parte sua, doveva ammetterlo, ma si trattava di una gentilezza che gli aveva concesso unicamente per ripagarlo del supporto morale che si era offerto più volte di prestargli, sia a lei che ad Alan.
Quindi senza esitare aveva obbedito docile e mansueta a tutte le indicazioni che le erano state date, annuendo convinta alle spiegazioni di Linalee e di tutto il personale che le spiegò come funzionava quel formicaio di falsi martiri, con il sorriso sulle labbra come a voler attutire l'impatto dell'essere stata d'improvviso catapultata in un mondo nuovo e mai visto prima.
Eppure, nonostante lo sfarzo nauseante nel quale era stato avvolto ogni singolo mattone di quel postaccio al fine di renderlo migliore ai suoi occhi inesperti, su un bel po' di cose si guardò dal commentare. Non voleva certo offenderli.
Prima fra tutti, i bagni, o come a Komui piaceva chiamarle, 'terme'. La sensazione di disgusto era tale che Leda non volle nemmeno guardarle. La peculiarità di quelle vasche di roccia circondate da paraventi orientali immersi nel vapore, stava nel fatto di essere unicamente un mezzo di rilassamento, al quale si sarebbe potuto accedere solo una volta ripuliti nelle docce. Come se in quel cruciale momento ci si potesse permettere il lusso di stare a mollo in schifosi sali dall'odore stucchevole, sprecando preziosa acqua potabile che nel mondo scarseggiava a causa della sua contaminazione con la Dark Matter.
Molte falde idriche erano state avvelenate dal veleno degli Akuma, compromettendo le principali reti di ricambio dell'acqua, e di conseguenza la salute della popolazione. Non era un caso se molti villaggi erano stati svuotati, benché mai intaccati dall'esercito del Conte. Quando un fiume veniva infettato, la piaga arrivava ovunque. Senza esclusioni.
Per questo i sopravvissuti alla catastrofe si erano radunati nei pochi rifugi sicuri rimasti. O almeno, era quello che Leda credeva che fossero, fino a che la sua nuova casa non era stata devastata e i suoi abitanti trucidati senza pietà.

A una richiesta del Supervisore di 'provare sulla propria pelle la sensazione di benessere', aveva energicamente scosso la testa declinando l'invito con un sorrisetto nervoso di circostanza. Alan aveva fatto lo stesso, solo con più naturalezza. Lui era abituato a dire ciò che pensava, e infatti domandò perché ci si dovesse lavare due volte. Ma si sentì rispondere solo: "Nel nostro paese è un'usanza fondamentale!".

Decisamente Leda non volle approfondire la cultura cinese. Girò i tacchi e si dileguò.

Tra i vari luoghi visitati in seguito, solo uno fu abbastanza piacevole da attirare la sua attenzione: si trattava di un'area immensa, aperta, attraversata da grosse colonne di pietra arricchite da eleganti decorazioni dei più svariati colori. Komui la chiamò la "Sala Allenamenti".
Per la neo Esorcista fu come scoprire la mitica città di Eldorado. Questa volta però, l'immenso spazio che le veniva offerto, parzialmente immerso in una nebbia nata dalla condensazione che raggelava l'ambiente, era vero. Vero e tangibile. E per lei, molto presto, avrebbe assunto un'importanza a dir poco vitale. La sua mente immaginò una serie di ricordi che forse a breve avrebbe vissuto, potendo così grazie ad essi riempire la sua memoria logorata solo da sofferenza e lacrime.
Perché per lei quello non era altro che un nuovo inizio, una rinascita dalle ceneri del disastro; un bocciolo verde e rigoglioso che spuntava nel caos di fiamme e sangue della sua mente, pronto a sommergere con le sue future e vigorose radici quel che il dolore aveva avvizzito, per ridonargli una fresca e nuova vita. L'allenamento sarebbe stato il principio. La battaglia, lo scopo. La vittoria, la sola ed unica meta concepibile.


Alan mostrò un particolare interesse per la cucina. A dirla tutta però, non superava neanche lontanamente l'interesse che il capo cuoco nutriva per lui: un insolito attaccamento che ad ogni secondo minacciava di sfociare in scompigliate di capelli e carinerie varie portate al limite del normale. Premure dalle quali Leda tenne ben lontano il fratellino, avendo intuito in partenza quale razza di mente bacata possedesse Jeryy. E benché avesse passato la maggior parte del tempo a rispondere ai suoi ammiccanti occhiolini con truci sguardi omicidi per fargli capire che non doveva neanche avvicinarsi a lui, alla fine Komui decise comunque di consegnare il bimbo nelle mani dell'indiano.

- Sarà un brillante apprendista, ne sono certo!

Inutili furono i tentativi di Leda di dissuadere il Supervisore. Alan divenne un garzone alle dipendenze di Jeryy, grazie a cui sarebbe potuto diventare un cuoco provetto ed esaudire così il suo piccolo desiderio.
Non corrispondeva neanche un po' alle idee che la neo Esorcista si era fatta sul loro futuro alla sede europea, ma se sopportare le carinerie del cuoco avrebbe contribuito a rendere ancora più radioso il sorriso di suo fratello, avrebbe accettato qualsiasi cosa. Perché lui più di tutti si meritava di essere felice; di vivere, contrariamente a quanto aveva fatto in quei tre anni per colpa sua.
Lei, che lo aveva costretto a patire la fame, il freddo e quella sensazione di gelo tremendo che attanaglia l'animo, lasciato a vagare solo nell'arido deserto che era diventato il loro avvenire. Una landa fredda, abbandonata a se stessa, priva di orizzonti. Per quante tragedie avrebbero potuto vivere, nulla sarebbe mai stato peggiore della solitudine e della desolazione, che da quel cruciale giorno in cui avevano perso ogni cosa, li accompagnava. Era come una maledizione, un malocchio potente, distorto da un mondo piegato a metà. Impossibile da sciogliere, si era attaccato a loro come un'opprimente cappa scura sulle spalle: tutti vedendoli avrebbero capito che erano diversi; che si portavano appresso dolori che non si potevano immaginare. E perciò, se ne sarebbero guardati. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore.
Perché la gente non aveva la voglia e il tempo di mettersi a pensare a figli che non fossero i loro. Ne aveva già abbastanza per se stessa, che aiutare due sconosciuti non rientrava nelle priorità; anche se condividevano la loro sorte e probabilmente le loro pene, perderci tempo non era nei programmi.
E forse fu questa disarmante anormalità che permise a Theodore di raccogliere di due fratelli e prendersene cura, in rappresentanza di quella minoranza che anche in periodi difficili sapeva mettere da parte la paura e l'egoismo sfrenato per dedicarsi agli altri.

E forse Leda non sbraitò come al solito perché in fondo Komui, Jeryy, la Capo Infermiera e tutti gli altri gli ricordavano un po' Ted. Anche loro andavano oltre l'apparenza e quelle stupide convenzioni dettate da un caos privo di regole, che mirava unicamente a distruggere l'animo umano per farne una bestia il cui unico desiderio era sopravvivere, scavalcando tutto il resto. Quelle persone, nonostante i giganteschi difetti, sapevano amare, come in tempi analoghi non sarebbe stato possibile da parte di gente comune. Vedevano, capivano, ascoltavano il tremolio impercettibile dei loro piccoli cuori e li riscaldavano. E allora loro smettevano di tremare per il freddo, ridevano. Comprendevano che quel che avevano sempre pensato della gente era sbagliato; per fortuna.
Già.
Per fortuna esistevano persone simili.
Per fortuna il mondo non era diventato tutto marcio, consumatosi nell'odio e ridotto a un buco nero che inghiottiva se stesso.
Per fortuna il buono persisteva, non se ne andava; qualcuno che credeva nel futuro senza immaginarselo come un campo di battaglia fatto di cadaveri ancora c'era.

Ma per quanto la Fortuna sarebbe stata ancora così cieca?




Nelle settimane che seguirono, Leda impegnò mente e corpo in un addestramento intenso, votato a temprare fin da subito un'anima debole e fin troppo malleabile. La sua Innocence venne denominata da lei stessa Bone Blade, un po' perché non possedeva una cultura adeguatamente grande, come Claire, un po' perché Komui, seguendo il proprio egoistico desiderio, la spinse a farlo. Ma per quanto il Supervisore si ostinasse a pensare che fosse come una sorta di battesimo necessario per lei, Leda continuò a riferirsi al proprio potere con 'Innocence'. Non era sua prerogativa perdersi in certe azioni inutili, e di certo quella piccolezza non le avrebbe cambiato la vita.

Tuttavia, Bone Blade divenne presto di uso comune tra i membri della scientifica, che catalogarono accuratamente i risultati di ogni allenamento effettuato per poi produrre calcoli assurdi, medie a volte imbarazzanti e persino schemi dettagliati sul rendimento generale. Leda non aveva mai visto tanto interesse nei suoi confronti, e la cosa la spaventò a dir poco. Ma trattamenti simili erano riservati ad ogni Esorcista che vivesse in quella struttura e di certo, quegli scienziati, per quanto completamente fuori di testa, ci tenevano che fosse tutto a posto e non ammettevano il minimo sgarro.

Per il tempo che fu sommersa di dati scientifici e novità assolute, il tempo per badare a Tyki si azzerò. Infatti, non ebbe occasione di vederlo neanche una volta, dopo l'episodio con Claire nelle celle e per il quale ancora rivolgeva alla bionda occhiate di fuoco ogni volta che la vedeva. Non aveva avuto una buona impressione su di lei e ogni volta non mancava di ricordarglielo.

Alan divenne un piccolo cuoco scattante e allegro. Sembrava aver ritrovato il sorriso, e persino quando si trovava immerso fino al collo nei piatti da lavare, riusciva comunque a dimostrarsi gentile e disponibile verso chiunque gli rivolgesse la parola. Leda era semplicemente orgogliosa di lui. Lo zelo con il quale il bimbo si offriva di dare una mano in cucina procedeva di pari passo con la sua volontà di eccellere nell'addestramento, condotto ai massimi livelli sin dal principio proprio per prepararla il prima possibile alle battaglie che sarebbero venute.

La loro partenza così fulminea tradiva una impaziente volontà di rimettere tutto al proprio posto. Gli affetti, la felicità, la pace... Emozioni perdute che avevano fretta di ricollocare convinti che, se fossero stati abbastanza svelti da interrare germogli di vita in quel nuovo piccolo vaso, questo non si sarebbe frantumato come i precedenti.


Ma avrebbero imparato presto, e Leda in maniera molto particolare, che non tutto era rose e fiori come credevano. Che ad opporsi alla rinnovata felicità per aver ritrovato una famiglia sarebbero comparsi presto orrori molto più grandi e terribili della guerra stessa, che altro non era se non una parola; un insieme di brutalità coperte da strati e strati di polvere, ricordi e sterpi. Un sentiero tortuoso nel quale ogni passo avrebbe rappresentato lo scoprimento di realtà sempre più agghiaccianti. Come muoversi in un campo minato di terrore? Come far fronte a situazioni mai vissute, nascoste e pronte ad esploderci sotto i piedi?
Un modo non c'è.
Semplicemente, si perde l'equilibrio; e si cade...



Un Martedì pomeriggio coperto di nuvole, Leda venne raggiunta da un giovanotto tutt'ossa che, ansimando per la fatica, la pregò molto gentilmente di recarsi nell'ufficio del Supervisore. Convinta che si trattasse di un altro allenamento, la neo Esorcista si addentrò calma nella stanza, immersa nelle cartacce al punto da non lasciar intravedere nemmeno il pavimento. Avanzò circospetta fino alla scrivania, dove Komui stava... compilando dei documenti?!

- Mi hai fatto chiamare? - domandò sporgendosi appena per far notare la propria presenza.

L'uomo dall'altra parte sorrise, mentre con un gesto plateale terminava di appuntare la propria firma su di un altro pezzetto di carta. Alzò poi lo sguardo in sua direzione, facendole cenno di sedersi sul comodo divanetto di velluto rosso.

- Ormai è un mese che ti alleni, Leda cara! Come va la tua Innocence?

- Molto bene. Riesco a controllarla - rispose Leda mostrando con una certa sicurezza i polsi, attraversati da una piccola cicatrice a forma di croce, data dalle numerose evocazioni.

Komui si lasciò andare a una risata piena d'orgoglio, ripensando ai precedenti risultati ottenuti negli allenamenti: dati in costante crescita, che mostravano un rendimento che andava migliorando giorno dopo giorno. Da quel piccolo settantotto per cento, si era infatti passato a un ottantatré pieno. Di certo, la ragazza era riuscita a trovare una via di comunicazione adeguata per entrare in confidenza con la propria Innocence. Con un passo del genere, avrebbe solo potuto migliorare.

- Sono contento, sai? - ammise il Supervisore, congiungendo le dita a piramide - Ed è per questo che, dati i magnifici progressi che hai fatto, ho deciso di assegnarti la tua prima missione.

Leda si tirò in piedi di colpo. Ci fu un attimo di esitazione, di incredulità. Poi si avvicinò in fretta e furia alla scrivania piantandoci sopra i palmi con forza. I documenti impilati nelle immediate vicinanze tremolarono appena, minacciando di crollare e trasformarsi in una valanga di fogli bianchi.

- Era ora! - esordì la ragazza, mentre un sorriso sempre più grande fioriva sulle sue labbra, liberando una miscela di emozioni pure, dall'aroma forte e acceso. Determinazione ma, soprattutto, sincerità. Era realmente felice, realmente eccitata per quella notizia perché era quello che aveva sempre voluto, quello per cui aveva lavorato tanto intensamente da indolenzirsi tutto il corpo. Finalmente anche lei avrebbe partecipato a una missione! Avrebbe consacrato una volta per tutte il suo futuro, la sua posizione. Un battesimo che attendeva con trepidazione sin da quando ne aveva memoria - Dove si va? Quando si parte??

- Quanta fretta! - la frenò Komui prendendole le mani per calmarla. Mai aveva visto qualcuno gioire tanto per una cosa simile. Un altro paio di ragazze come lei e l'Ordine non sarebbe annegato come sempre nell'ozio più totale - Non ho ancora finito!

- Che cosa significa? - l'entusiasmo si spense in un battibaleno.

- Che ti faccio accompagnare. Figurati se mando una ragazza alle prime armi tutta sola contro gli Akuma! - spiegò con calma il Supervisore, con aria ridicolmente saccente - Avrai una compagna.

Leda tornò a sedersi sul divanetto, un po' sconsolata a dirla tutta. Lei non ci sapeva fare con le persone. Non era fatta per il lavoro di gruppo e, per quanto le scocciasse al suo primo incarico, ipotizzava già che avrebbe fatto un pasticcio irrimediabile. Le conveniva sperare in una spalla comprensiva, gentile, che capisse il suo disagio. Qualcuno come...


- Mi hai chiamato, Komui? - Claire entrò nella stanza palesando un'aria di sufficienza che si spargeva a macchia d'olio dalla sua persona come se dovesse contagiare chiunque le fosse accanto. Gli eleganti tacchetti sottili delle scarpe pestarono con indifferenza la marea di carta che patinava il pavimento. Abitudine o... ?

Komui s'accese improvvisamente, accogliendo a braccia aperte la ragazza. Sembrava che le fosse capitata proprio al momento opportuno e nell'istante in cui Leda ebbe quest'impressione parve come sentire una sensazione di gelo su tutto il corpo.

- Sì, precisamente! Devi andare in missione con Leda!

E i presentimenti divennero realtà agghiaccianti. Entrambe le Esorciste esplosero di rabbia.

- COSA?!





Il treno sobbalzava leggermente, correndo rapido sulle rotaie per lasciare una scia di fumo grigiastro lungo il suo cammino. Il paesaggio fuori era indistinto, e in quei pochi secondi che aveva per ammirarlo, Leda non poté coglierne tutti i dettagli. Sapeva vedere solo montagne puntinate di neve, nebbia, foreste scure e immense. Sotto di lei si apriva uno strapiombo del quale non riusciva nemmeno a vedere la fine, tanto pareva infinito.
Tuttavia non si sentiva impaurita da quella vastità sulla quale posava gli occhi per la prima volta, anzi, ne era affascinata. Per tutta la vita non aveva fatto altro che percorrere aride pianure cui la morte aveva portato via ogni sfumatura di colore, distese di nulla, pavimenti rocciosi attraversati unicamente da spaccature che nella loro esagerata misura intendevano far capire quanto secco e sterile fosse quel posto. Non un ciuffo d'erba aveva osato crescervi dopo la guerra. E nessun'altra forma di vita probabilmente l'avrebbe mai sfiorata.

Dopo tre anni di niente, finalmente la neo Esorcista visitava luoghi nuovi, mai visti prima e che le avrebbero aperto gli occhi sul mondo e la sua situazione.
Nella sua stessa cabina presenziava anche Claire, che per tutto il viaggio non aveva fatto altro che spiare fuori dal finestrino, impugnando saldamente la propria frusta come se qualcuno a breve li avesse attaccati. Ma nessuna imminente rappresaglia la preoccupava. Era la presenza di Tyki, seduto di fronte a lei, a renderle inquieta. L'odio che nutriva per lui era sufficiente a impedirle di dormire e rilassarsi, costringendola a rimanere in posizione di guardia per tutto il viaggio.
Ancora non capiva perché diamine Komui avesse concesso a Leda di avere la sua compagnia in cambio di collaborazione. Lui non era mai stato un uomo incline ad accontentare le richieste dei dipendenti, se ciò ne avrebbe derivato uno svantaggio per la sua persona; non se ad essere in ballo erano l'Ordine e qualunque persona vi abitasse.
Lei non si era mai fidata; mai si sarebbe fidata e ne era certa: al minimo sgarro quel bastardo non l'avrebbe passata liscia.

Sin da quando era stato liberato, Tyki si era chiuso in un silenzio inviolabile che nemmeno Leda era stata capace di sciogliere. Senza render conto a Komui ed omettendo qualunque notizia sulla propria salute, logorata dalla prigionia, non aveva fatto altro che salire sul treno e posizionarsi dove ora continuava a rimanere imperterrito, bloccando con il solo sguardo qualunque tentativo da parte delle compagne di attaccar bottone per un discorso.
E di questo Leda si era sentita in colpa, salvo poi venire assalita dalla rabbia e maledire mentalmente il Noah per essere così enigmatico. Di certo non era stata lei a decidere per la sua incarcerazione, al contrario si era battuta con chiunque all'Ordine per impedire che accadesse. Ma nonostante fosse riuscita a farlo uscire incolume dalle segrete aveva il timore che volesse implicitamente punirla per quel mese in cui non si era degnata nemmeno di pensare a lui.

E questa volta, Leda dovette ammettere la propria colpa, cosa che tra l'altro stava cominciando a fare sempre più spesso. Ma se responsabilizzarsi significava soffrire in maniera così atroce, allora preferiva di gran lunga continuare a recitare la parte della sconsiderata, e offendersi permalosa per le dimenticanze che si stavano ritorcendo contro di lei.

- Siamo arrivati - decretò Claire osservando il paesaggio con una nota seriosa nella voce. Le punte di alcuni tetti rossi già cominciavano a scorgersi tra la boscaglia, che ne impediva la completa visione.

Leda si appiattì contro il vetro per osservare; Tyki rimase a dir poco impassibile. Nello stesso istante qualcuno bussò alla porta della cabina, destando l'attenzione dei tre compagni. La voce di un uomo li avvertì di prepararsi alla discesa.
Non appena il treno si fu arrestato, si mischiarono al fiume di passeggeri che scendevano con loro. Usciti dalla stazione Leda s'accorse di un dettaglio fondamentale al quale prima, stranamente, non aveva prestato attenzione. Poté così dare un volto e un nome alla voce che gentilmente li aveva avvertiti del loro arrivo in città.

- Piacere. Mi chiamo Toma - si presentò il Finder con un piccolo e silenzioso inchino. Sin da subito la neo Esorcista notò la vistosa fasciatura che copriva gran parte del volto del uomo, quasi come una maschera. Ricambiò il saluto in maniera indifferente, impossibilitata a trovare qualcosa da dire. Il suo aspetto la metteva a disagio e nonostante fosse abituata a dialogare con gente fuori dal comune, di fronte a lui perse completamente la voce.

- Benvenuti a Salisburgo - annunciò Toma, presentando modestamente la sfarzosa città che sarebbe stata teatro della prima missione della neo Esorcista - Vi porterò subito al campo. Seguitemi, per favore.


Chiamarlo campo era veramente riduttivo. Il mesto gruppo di Finder presenti aveva saputo montare in maniera a dir poco egregia tende e macchinari per difendersi da eventuali Akuma, ed allestito un piccolo centro di raccolta dal quale loro avrebbero potuto contattare l'Ordine in qualunque momento.
Leda era agitata. Sentiva i muscoli rigidi, il corpo tremolante per l'attesa. Le sue mani sottili e torturate erano strette in una morsa sempre più forte, complici l'ansia e la tensione che quel luogo tanto solenne le infondevano. E non sapeva dire se fosse una cosa bella o brutta, dato che invece di rilassarla e metterla a suo agio pareva smorzare il suo entusiasmo in muti respiri più pesanti del solito.
La sua postazione dava proprio sulla montagna, al confine con la foresta dove i rumori degli animali e della notte che avanzava si facevano sempre più concitati. Era entrata titubante, nascondendo l'imbarazzo dietro un'espressione inscalfibile che nessuno avrebbe saputo decifrare. In qualche modo era riuscita a contenersi, a dominare l'incertezza che quella situazione le portava, con una sicurezza di cui ormai poteva definirsi padrona, dopo anni di pratica per affinarla a dovere. Aveva posato distrattamente a terra i suoi effetti personali, racchiusi in una serie di tasche allacciate alla cintura che portava in vita, e si era letteralmente buttata sulla branda sospirando rumorosamente e sentendo la morbidezza del cuscino avvolgerle il viso consolatrice. Chiuse gli occhi, poi li riaprì. Ripeté più volte per poi infine rendersene conto: non era stata un'illusione. Era davvero lì, a Salisburgo, un posto che non aveva mai visto, per combattere gli Akuma come Esorcista.
Un sogno che si era avverato. Ma che sarebbe stato pronto a trasformarsi in un orribile incubo, se solo lei lo avrebbe permesso.
Ma non sarebbe accaduto, non quella volta. Ricucendo a quel modo gli strappi del suo passato, generati da errori sciocchi per i quali ogni giorno si pentiva, sentiva che avrebbe potuto ottenere il perdono di sua madre. Perché lei la stava osservando, dal cielo. Ne era sicura.
La osservava e sorrideva, come faceva sempre quando parlava di voler diventare un'Esorcista come suo padre. Le sue labbra sottili e chiare si piegavano appena, mostrando un'espressione che in quel momento avrebbe definito divertita. O forse incredula. Come se, nonostante i buoni propositi di appoggiare la figlia, non riuscisse completamente a crederle.

"Ti farò cambiare idea, mamma", pensò, rialzandosi piano e stringendo i pugni "Vedrai".

Così l'avrebbe perdonata per averla abbandonata; per averla lasciata morire nella casa della sua infanzia che crollava, divorata dal fuoco. E per non averla seppellita, lasciando che rimanesse là, sotto le macerie.
Tanti sbagli, uno dopo l'altro, recidevano la sua coscienza dal corpo, procurandole un male silenzioso e degeneratore, che non portava a una meta ma solo ad un lento e straziante percorso dove ogni cosa le veniva rinfacciata in forma di sguardi e parole taglienti più di lame di coltello. E lei si era rassegnata a proseguire da sola, in quella tempesta che le urtava i sentimenti nel profondo e la avviliva, senza però toglierle il coraggio di combattere. Perché nessun male viene per nuocere e Leda pensava che se solo non fosse stata in possesso di un dolore tanto grande, non avrebbe avuto il coraggio e la forza di opporsi al rimorso e alla desolazione d'animo che in tal caso l'avrebbero uccisa.

Osservò il piccolo orologio da comodino posto sul tavolino della sua tenda. Si meravigliò di essere stata così tanto tempo a pensare al passato, cosa che si solito odiava perché la costringeva a riaprire vecchie ferite. Ma riflettendoci attentamente s'accorse che, dal giorno in cui era arrivata all'Ordine fino a quell'istante, i ricordi riaffioravano sempre più spesso senza che lei potesse farci nulla. E non le provocavano più malinconia, bensì... Dolcezza.
I momenti di quando lei e Alan erano ancora bambini, loro padre che tornava dall'Ordine per vederli e... Tutto il resto. Anche le cose brutte. Leda non poteva fare a meno di sorridere lievemente, come rimpiangendo quei momenti. Forse, se solo fosse potuta tornare indietro, le cose non avrebbero preso la piega attuale. Papà non sarebbe scomparso nel nulla, mamma metterebbe ancora le erbe profumate nei cassetti. Alan giocherebbe ancora nella legnaia. E lei... Si godrebbe i ricordi che ora custodiva gelosamente nel cuore, come momenti eterni che mai avrebbero avuto una fine. Attimi di luce protratti verso l'infinito; una scia più luminosa della Via Lattea.

Uscì dalla tenda, trovando ad accoglierla uno stupendo tramonto. Il sole stava andando a nascondersi dietro ai tetti degli edifici di Salisburgo, così lontana dal punto in cui loro si trovavano ora da poter essere ammirata in tutta la sua bellezza. Di posti simili Leda aveva conosciuto solo la Sede Nord America, il cui confronto con la cittadina austriaca non si palesava nemmeno. Era bellissimo il contrasto che il cielo dorato aveva con le case di pietra bianca; un'infusione di luce naturale che nella sua vecchia casa era sempre mancata.

- Hey, hai intenzione di star lì ancora per molto?!

Voltò la testa. Claire batteva il piede a terra in segno di impazienza, il viso corrugato in un'espressione autoritaria e severa. Lentamente Leda si ricompose, ricambiando la gentilezza con una risposta altrettanto stizzita.

- Affatto!

Aggiustandosi la cintura alla vita, indossò la giacca della divisa sopra la tuta e seguì la compagna fino al punto di raccolta. In un primo momento aveva trovato i vestiti altamente scomodi ma ora, doveva ammetterlo, si sentiva proprio a suo agio. Quel tale con gli occhiali, Jhonny, ci sapeva fare dopotutto. In un mese era riuscito a prenderle le misure - cosa ardua per chiunque ci avesse provato - e a fabbricarle un abito su misura adatto ai combattimenti e per nulla impacciato: una tuta scura e aderente molto corta, ma elastica; stivali lunghi senza tacco; un cappotto con un ampio colletto bordato d'argento. Aveva dovuto farsi fare i buchi alle orecchie per infilarci l'orecchino per le comunicazioni, che forse era l'unica cosa che veramente trovava inutile. Quel pendolo dorato continuava ad oscillarle davanti al viso e lei non poteva fare a meno di osservarlo ogni volta, distraendosi. Che seccatura.

Arrivati fino al luogo di partenza, le due Esorciste si ricongiunsero a Tyki e a Toma, rimasti ad aspettarli. Come vide il Noah, Leda provò una strana stretta allo stomaco. In un primo momento ebbe l'impressione di essersi arrestata, salvo poi accorgersi di aver rallentato il proprio passo. Quell'uomo riusciva a metterla in soggezione anche in momenti come quello. Prendendo una buona dose di inaspettato coraggio, si fece avanti.

- Tyki - lo chiamò con un tono dolce, che mai avrebbe pensato di possedere. Il suo orgoglio aveva deciso di prendersi una pausa, in quel momento, per concentrarsi su cose più importanti per le quali sarebbe stato solo d'intralcio.

Il Noah si voltò verso di lei con aria indifferente, rivolgendole un'occhiata gelida. La neo Esorcista sentì lo stomaco contrarsi per l'ansia, mentre una serie di brividi fastidiosi le salirono lungo la schiena. Perché si sentiva così colpevole?
Claire non attese oltre per i commiati e con un invito per nulla educato esortò il gruppo a cominciare il cammino verso il luogo della missione. A quanto letto nei rapporti della Scientifica, lungo la foresta tra Salisburgo e Linz correva un sentiero usato dalle carovane per i commerci. Essendo abbastanza trafficato, non furono poche le testimonianze dei mercanti che, durante la notte, affermavano di vedere una strana luce in lontananza muoversi tra gli alberi, fluttuando nell'oscurità. Presi dalla paura, avevano pensato si trattasse di spiriti, o fuochi fatui, e si erano rifiutati di adoperare ancora quella via. Ma essendo l'unica percorribile, urgeva trovare una soluzione al problema e chi meglio dell'Ordine poteva occuparsene?

Durante il tragitto l'entusiasmo di Leda si spense gradualmente, procedendo di pari passo con il calare del sole sull'orizzonte montuoso. Quel suo tentativo fallito di rivolgere la parola a Tyki l'aveva demoralizzata a tal punto da toglierle ogni forza per affrontare la missione con zelo, come normalmente avrebbe fatto. Si trascinava nella foresta senza dare a vedere il suo disagio emotivo, sollevando i piedi quel tanto che bastava per non inciampare in radici sporgenti e sassi.
Claire e Toma si trovavano in testa al gruppo. Parlottavano tra loro, ma alle orecchie della neo Esorcista non giunsero neanche i rimasugli dei loro sussurri. Silenzio assoluto. Di qualunque cosa si fosse trattato, doveva essere parecchio importante. Decise perciò di approfittare di quel momento in cui la compagna pareva ignorarla, per portarsi al fianco di Tyki e camminargli accanto, cercando di tenere il suo passo. Aveva deciso che lo avrebbe fatto parlare, anche a costo di prenderlo a schiaffi; perché lei, a differenza di qualsiasi altra persona, avrebbe potuto.
Fece per aprir bocca, nella sua mente già immaginava il tono che avrebbe usato: spazientito e visibilmente alterato dalla rabbia.
Eppure, strano ma vero, Tyki l'anticipò e finalmente fece sentire la propria voce.

- Va bene, ti perdono, anche se mi hai trascinato in questo casino - e per Leda fu come un miscuglio di graffi su una lavagna. Sentì il viso prendere fuoco per la rabbia, ed il rimorso provato fino a qualche secondo prima incenerirsi all'stante; un foglio di carta spirato nel vento nel giro di pochi istanti. E i sensi di colpa si trasformarono in vergogna. Sì, vergogna per essersi lasciata trascinare dalle emozioni, per aver concesso a se stessa il dovere di preoccuparsi per gli altri, quando in realtà questi non facevano altro che beffarla, spregiudicati. Avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto capire che quel bastardo la stava solo prendendo in giro!

- Tu... Maledetto! - sbraitò furiosa, indirizzando un pugno al suo viso; colpo che il Noah schivò con facilità, spostando agilmente la testa con fare indifferente - Non mi parli per giorni e alla fine te ne esci così?!

- Avresti potuto farti viva un po' prima, ma non importa... - proseguì con nonchalance Tyki, ignorando platealmente gli insulti dell'altra.

- La prossima volta ti lascio marcire in quella fogna! - esclamò con stizza Leda, aumentando esponenzialmente il passo e posando i piedi a terra con forza per distanziarlo.
Ma quando fu certa di avergli dato le spalle, ecco arrivare un breve e fugace mormorio. Un piccolo raggio di sole che, contro ogni volontà, seppe acquietare l'uragano che imperversava dentro di lei, distruttivo.

- ... Grazie...

Si voltò di colpo. Tyki le sorrideva. E forse perché lei, dopo quella semplice parola, era avvampata improvvisamente. Sentiva l'imbarazzo divorarle lo stomaco e la voce, smorzata di netto per impedirle di replicare. Ma non servirono altre parole. Semplicemente, ricambiò il sorriso in maniera sobria, semplice; sincera. E il tempo parve fermarsi, catturando quell'istante in una scatola di specchi lucidi che lo avrebbero riflettuto per sempre, tale e quale a come era ora. Non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente, Leda. Non lo avrebbe fatto, ed anche quel breve attimo di intesa sarebbe finito nell'archivio di ricordi che era la sua memoria, catalogato secondo determinate sensazioni ed emozioni.
Quella piccola vittoria, concessa proprio dall'ultima persona che si sarebbe aspettata facesse una cosa simile, scavava più a fondo in un rapporto giovane che, a vedersi, aveva radicamenti ben più profondi dei semplici battibecchi che era solita avere con lui. L'uno stava imparando a sopportare l'altra. E benché ancora ci fossero cose non dette tra loro, Leda era conscia che non sarebbe stato necessario conoscerle. Perché non ne aveva bisogno. Le bastava guardare Tyki per fidarsi; per trovare, in quel sorriso gentile che solo raramente lo vedeva esporre, una stilla di luce pronta a fare chiarezza per lei su ogni cosa.

- Signore Esorciste!!! - Toma insorse dal silenzio indicando un punto imprecisato nella boscaglia, il viso contorto in un'espressione preoccupata.
Leda sollevò rapidamente lo sguardo, e così fecero anche Claire e Tyki: una luce fluttuava tra gli alberi, leggera e sfuggente. Era mediamente luminosa, ma decisamente non apparteneva a nessun tipo di torcia o lanterna. Svolazzava tra i tronchi con lentezza, e a vederla dava proprio l'aria di possedere un qualche tipo di coscienza, o volontà. Nessun movimento era casuale, si muoveva infatti con una calma quasi meditativa. Qualsiasi cosa fosse stata, era finalmente arrivato il momento di scoprirlo!

- Muovetevi, ci sfugge! - ordinò Claire partendo all'inseguimento del barlume, sguainando la frusta e tenendola pronta ad un eventuale uso. Toma la seguì a ruota, l'apparecchio per le comunicazioni ben saldato sulla schiena.

Leda si riprese dallo smarrimento nel quale sembrava essere precipitata. Lo stomaco le si contraeva dall'emozione. Deglutì a vuoto, sentendo la faccia andare in fiamme. Ma non ebbe paura. Le ci volle un secondo per tendere le braccia e gridare la frase che si teneva dentro da quando era approdata in quel luogo.

- Bone Blade, attivazione!

Una luce bianca e brillante le avvolse i polsi, tenue ma intensa. La pelle parve reagire a quel comando provocandole un piacevole formicolio ed arrossandosi come in risposta ad una forza che tentava di entrarvi in contatto. E poi, avvenne la manifestazione del suo reale potere, l'arma che per un mese l'aveva impegnata al fine di addomesticarla e farne una parte si lei stessa. L'altro lato della sua figura, quello onirico, che persisteva unicamente nella fantasia di una ragazzina, poté così finalmente sbocciare e diventare vero.
La pelle dei polsi si squarciò, aprendosi lungo il taglio orizzontale delle cicatrici. Ma non ne uscì nemmeno una goccia di sangue, bensì due lunghe lame bianche e opache, generate dallo scheletro stesso. Di aspetto grezzo e rude, avevano una punta a prima vista molto tagliente ed un incisione a forma di croce su tutta la loro superficie.
Leda le agitò in un paio di direzioni per abituarsi all'evocazione, dopodiché si lanciò senza un attimo di esitazione dietro la compagna, con Tyki al seguito.

La caccia poteva avere inizio.




Angolo di Momoko

Ditelo che pensavate che fossi morta, avanti! xD
Vi capisco, nemmeno io ho più potuto connettermi. Con la fine del quadrimestre i prof ci tengono sotto torchio con interrogazioni e verifiche varie... Non ce la faccio più TT^TT
Intanto vi offro il dodicesimo capitolo di Lady War, che non è stata per niente abbandonata, anzi! Ora la questione inizia veramente a farsi spinosa, e dopo questa mini missione ci saranno un sacco di stravolgimenti. Questo capitolo è molto fermo, ma ho voluto bloccare tutto apposta per permettere a Leda e Alan di ambientarsi all'Ordine. Dalla seconda parte in poi comincia la prima missione della nostra collerica Esorcista. Saprò stupirvi xD Già da qui comincio a disseminare indizi per il momento finale della storia, quindi spero vi piaccia ;P Ah, finalmente ho potuto descrivere l'Innocence di Leda, anche se solo alla fine; la vedrete in azione dal prossimo capitolo!^^
Prima di dileguarmi, vi lascio con una chicca: la colonna sonora della storia - che ha avuto un ruolo a dir poco fondamentale per la sua creazione -. Nel caso voleste sentirla, correte a digitare sul Tubo Shadows di Lindsey Stirling
A prestoooo,

Momoko <3

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Capitolo 13
*** Faccia a faccia ***


Lady War


Capitolo 13: Faccia a faccia


L'attesa era terminata.
E meno male: era stufo di aspettare, rintanato dietro quel cespuglio come un codardo, che qualche stupido essere umano cascasse nel tranello. Che cos'era poi quello, se non un modo subdolo e vigliacco per vincere?
Di tutte le modalità con cui aveva operato nella sua lunga esistenza, si era sempre trovato a detestare e denigrare gli appostamenti e le imboscate. Modi più passivi, che non entravano nel vivo dell'azione; non gli permettevano di sfogare la rabbia che si portava dentro, anzi: l'aumentavano. Tutto il suo corpo fremeva, in procinto di esplodere. Lui aveva bisogno di liberarsi, di sentire il rumore delle pallottole che perforavano la testa dei suoi obbiettivi. Ed aveva anche bsogno di avvertire su di sé il manto gelido della morte riscaldarlo di piacere, nel mentre il sangue scorreva e colorava la terra di rosso carminio. Lui non avrebbe mai potuto vedere un simile spettacolo. Forse era la cosa che più ripudiava del suo essere Demone, una creatura in bilico tra la vita e la morte, in grado di provare ira o ribrezzo ma incapace di respirare ed insiensibile al freddo: un Akuma.
Perlomeno la sua elevata posizione gli consentiva di divertirsi spesso. Tutto ciò che voleva, in fondo, era divorarsi carne fresca e impaurita. Carne umana, la più succulenta e deliziosa. Ma anche la più difficile da ottenere, soprattutto visti i tempi che correvano.

- Abbiamo avvistato gli Esorcisti - una grossa creatura alta e possente, molto simile ad una gigantesca lucertola squamosa parzialmente avvolta nell'ombra, raggiunse il comandante nel suo personale nascondiglio e con voce rauca e mostruosa gli diede la tanto attesa notizia - Procediamo col piano?

La sua coda oscillava nervosamente in tutte le direzioni. Il superiore se ne rese conto. Percepì lo spostamento d'aria e sorrise, compiaciuto. A breve si sarebbero divertiti come non mai.

- Perché, aspetti anche un mio ordine? - domandò retorico evidenziando la dentatura candida, che presto avrebbe assaporato vorace le membra degli Apostoli di Dio - Che tutto si svolga come programmato da Sua Eccellenza il Conte...

Un breve cenno di assenso, accompagnato da un ringhio famelico e disumano; e il rettile si dissolse nel buio, sparendo nella notte.





Il lume evanescente che Claire si era apprestata a seguire pareva volesse giocare con la sua già precaria pazienza, e spingerla oltre il limite dell'esasperazione. Andava dietro un tronco e scompariva, mentre una nuova luce s'accendeva a qualche metro di distanza, dal nulla.
L'Esorcista stava seriamente rischiando di rimetterci l'autocontrollo. In un momento di rabbia domandò dove diamine fosse finita Leda, ma questa comparve in quello stesso istante al suo fianco, pronta a sostenerla - sebbene contro voglia - nella caccia alla luce. Bone Blade attivata aveva assunto l'aspetto di due lame d'osso taglienti e veloci a colpire. Parevano proprio due spade, che sporgevano dalla manica del cappotto dando l'illusione che non fossero una parte del suo corpo; che non fuoriuscissero affatto dai polsi della ragazza, bensì che si trattasse di armi saldate appositamente alle braccia.

- Proviamo ad accerchiarla - propose la neo Esorcista schivando per miracolo una grossa radice. Cominciava ad avere il fiatone; non era abituata a tutta quell'azione.
Con espressione stupita Claire accennò un 'sì' con la testa. In pochi secondi le due ragazze si divisero e presero strade opposte; un azione fulminea che le portò a rincorrere il barlume da due diverse direzioni, con tutta l'intenzione di circondarlo ed infine acchiapparlo.
Eppure, sebbene Claire dimostrasse di possedere una tenacia e resistenza singolari, temprate da numerose altre situazioni come quella, Leda già sentiva il petto bruciarle per la fatica. Aveva la gola secca, ed arrancava tra gli alberi cercando in tutti i modi di non sbatterci contro. In quel momento, si rese conto di quanto quel duro allenamento sostenuto durante tutto il mese in realtà avesse contato poco o niente; e anche come l'esercizio vero fosse da ricercare in momenti come quello, dove il corpo era spinto oltre i limiti perché solo sorpassandoli era possibile vincere.
Ecco la difficoltà dell'essere Esorcisti: una volta cominciato a correre, non puoi più fermarti. Puoi solo andare sempre più lontano, sempre più veloce... Ma senza mai fermarti. Senza mai riposarti un secondo perché, nel caso in cui lo facessi, quello sarebbe l'istante in cui moriresti; il momento cruciale che determinerebbe la tua disfatta.
Leda aveva cominciato la sua corsa senza rendersene conto; ed ora, era costretta ad andare avanti.

Nello schivare per miracolo un grosso pino, finì per spostarsi di lato all'ultimo e barcollare, rischiando così di perdere l'equilibrio. Invece compì due goffi saltelli su di un piede e infine, si fermò a riprendere fiato piegandosi sulle ginocchia. Ansimava rumorosamente, come se avesse fino a quel momento trattenuto il fiato sott'acqua. Non era abituata a quel movimento, non era abituata a star dietro a qualcuno. Non era abituata a niente. Pensandoci bene, lei non possedeva abitudini. Non avendo mai avuto la possibilità di crearsele, difficilmente avrebbe potuto raggiungere le prestazioni di Claire, o di chiunque altro. La vita di strada non dava certezze, le abbatteva. Dovevi cavartela con le opportunità che ogni giorno ti venivano offerte, accettandole nel bene e nel male, senza poterti aspettare nulla di più. Ma Leda non si sarebbe arresa solo perché messa in ginocchio da una simile realtà.
Strinse i denti, chiuse i pugni e con uno sforzo immane riprese a correre. Non avrebbe accettato rimproveri dalla sua collega, anzi, le avrebbe dimstrato di non essere solo una mocciosa incapace, ma una giovane donna in grado di sostenere il peso delle responsabilità.
Perle di sudore bollente scorrevano lungo la sua pelle gelida per il freddo e il vento, che le sferzava violento il viso, come a volerla costringere ad arretrare. Ma la giovane mise più forza nei suoi passi, ignorando il dolore di pancia, dei muscoli in fiamme e dell'istinto che la implorava di fermarsi. Aumentò ancora di velocità.
Nulla le avrebbe impedito di essere alla pari di qualunque altro Esorcista!

Improvvisamente, davanti a lei brillò una forte luce dorata. Spalancò gli occhi per la sorpresa. Il loro obbiettivo, il famoso spirito della foresta, si trovava proprio di fronte a lei!
Facendo appello ad ogni grammo di forza rimasto a darle appoggio, scattò verso sinistra col l'intenzione di inchiodare lo spettro prima che potesse sparire ancora. Ma quello scomparve.
Leda frenò bruscamente sull'erba, scrutando veloce la selva che la circondava con l'intento di rintracciare la sua preda, misteriosamente sparita. Ed eccola ricomparire, alla sua destra! Subito le fu dietro, tranciando di netto un ramo sporgente che le bloccava la via con una delle lame di Innocence.

- Non mi scappi! - esclamò, la voce distrutta dalla stanchezza, ma la voglia di farcela ancora viva nel cuore.

Ma quando sembrava che fosse sul punto di acchiapare la bizzarra luce, la vide dissolversi ancora; come una fiamma estintasi nel nulla. Si bloccò. Ora sì che cominciava a farle saltare i nervi! Cosa diamine aveva intenzione di fare giocando ad acchiapparella?!
Sul terreno si allungò davanti a lei l'ombra dei suoi stivali. Con uno scatto furioso si voltò e la vide ancora. Ma non le andò dietro. Non avrebbe concluso nulla a quel modo, e se voleva prenderla, doveva giocare d'astuzia e prevedere le sue mosse. Claire sembrava essere sparita, così come Tyki e Toma. Quindi, avrebbe dovuto uscirne da sola.
Certo, anticipare le azioni di quell'idiota di spiritello non sarebbe stato facile, ma era sempre la sua missione; l'incarico che lei aveva il dovere di portare a termine. E non voleva rimanere lì a riflettere troppo su quell'affermazione, perché sapeva che poi l'avrebbe reputata stupida, inutile. Quasi ridicola, se accostata a quella particolare situazione nella quale erano i fatti a parlare, e non i suoi futili incitamenti. Senza quindi soffermarsi troppo sul clichè che le faceva da monito, studiò con sguardo truce i movimenti del bagliore fluttuante.
Ora spariva dietro ad un albero, ora riappariva dietro un cespuglio: le sue azioni parevano sconclusionate, senza logica alcuna. Ma Leda notò una cosa che probabilmente correndo come un'ossessa non avrebbe saputo vedere: non c'era nulla di caotico nei suoi movimenti, anzi. Erano assai accurati, forse fin troppo. Perché quando faceva perdere le tracce di sé, ricompariva in un punto appena vicino al precedente. E la cosa strana era che... Sembrava volesse tracciare uno schema, formare un disegno di qualche tipo.
Per quanto avesse potuto correrle dietro, nulla avrebbe modificato i punti dei quali si sarebbe servita per delineare il proprio percorso, e questa era proprio la falla che la neo Esorcista aspettava, il punto debole da colpire!
Mosse un passo in avanti, come a voler stuzzicare la luce. Quella non cambiò il suo percorso. Quindi, se non era in qualche modo costretta, non sentiva l'esigenza di spostarsi?

Leda stette perciò immobile, come un tronco, osservando per qualche secondo le sue mosse, cercando di coglierne l'ordine, la successione. In tutto erano cinque: uno si trovava molto vicino a lei, due erano ad una certa distanza l'uno dall'altro, paralleli, così come gli ultimi due, solo più ravvicinati. Unendoli con linee immaginarie, dopo un'attenza analisi, Leda fece una scoperta scioccante. Quei vertici uniti tra loro costituivano un disegno molto particolare, un simbolo maledetto che troppe volte aveva avuto l'orrore di osservare, avvolto dalle fiamme e circondato dalla polvere...

- Un... Un pentacolo... ! - esclamò titubante e sconcertata la giovane, sentendo irrigidirsi di colpo ogni muscolo. Che cosa diamine significava?!

- ESATTOOOO!!!

Una voce stridula, gracchiante, simile a cumuli di cingoli metallici sferraglianti; questo ciò che Leda udì, prima di ricevere un violentissimo colpo allo stomaco da qualcosa che era sbucato dai cespugli dietro di lei.
Il respiro tagliato bruscamente, la vista azzerata... Reagire, o almeno provarci, si rivelò del tutto inutile: la giovane Esorcista finì col sbattere furiosamente la schiena contro un grosso tronco, per poi ricadere a peso morto tra l'erba secca e le radici. Un rivolo rossastro, sgorgato silenziosamente da un taglio sulla fronte, cominciò a macchiare il terreno mentre boati sempre più forti e spaventosi facevano tremare gli steli verdastri. Tutta traballante, e con le braccia incapaci di sorreggerla stabilmente, tentò di alzarsi mentre le sue labbra a stento si trattenevano dal piegarsi in una smorfia rabbiosa.
Come diamine aveva potuto permettere una cosa simile?! Aveva lasciato che il nemico si beffasse di lei attraverso l'uso di stratagemmi idioti, per poi isolarla dal gruppo e attirarla in trappola. Lo aveva capito in quell'istante, in quel maledettissimo istante in cui era impossibile riflettere sulle proprie azioni o tornare indietro; era stata una stupida! Ed ora, che le sarebbe successo?

- Inno... Cence... - inutili furono i tentativi di attivare la sua Bone Blade. Nell'istante in cui aveva ricevuto il colpo le lame si erano ritirate, ed ora a causa del violento mal di testa che l'aveva assalita richiamarle sarebbe stato impossibile. Leda maledì se stessa per essersi lasciata abbindolare così facilmente dal nemico, alla sua prima missione per giunta... Una cosa a dir poco imperdonabile! Ed ora tutti quei discorsi sul non arrendersi mai, sul perseverare e mettercela tutta diventavano mucchi di polvere sparsi nel vento; favolette inutili, infantili, partorite d'impeto da una mente che avendo visto molteplici disgrazie, troppo facilmente cedeva di fronte a quei rari e ciechi momenti di fortuna che, avrebbe dovuto comprenderlo, non le appartenevano e non sarebbero mai rimasti per sempre con lei. Infine, aveva perso l'equilibrio ed era caduta... E anche in una maniera piuttosto miserabile.

- Dann... ! - sibilò a denti stretti, ripiombando a terra e sollevando tremante lo sguardo lucido e furente, per fissare negli occhi il suo assalitore. E il suo cuore perse un battito, quando si ritrovò di fronte ad una creatura mostruosa, che dalla sua possente mole la guardava come fosse stata un trofeo prezioso: pelle squamata e lucente, metallica; gli occhi dorati da predatore piccoli e brillanti facevano da cornice a un muso stretto e lungo, dal quale saettava vogliosa una lingua biforcuta. E non fu in grado di notarlo subito, ma... Dietro a quel possente corpo da rettile si muoveva fremente una grossa coda che ogni tanto, sbattendo sul terreno arido, lo faceva tremare. Era stato quel mostro a colpirla, quell'Akuma!
Doveva essere un livello due, senza dubbio. Komui le aveva spiegato che erano quelli che in quanto ad aspetto esteriore variavano maggiormente, assumendo di volta in volta forme che potevano avvicinarsi a quelle di altri esseri viventi e viceversa. Quello che troneggiava di fronte a lei, mostruoso, aveva tutta l'aria di essere una lucertola troppo cresciuta, solo increibilmente più schifoso.

- Ah Ah! - sibilò grottesca la creatura, sorridendo in maniera terribilmente sinistra; cosa del tutto innaturale, dato che non era nemmeno simile ad un essere umano - Proprio come aveva detto. Sei caduta nel tranello, piccola stupida Esorcista!

Leda guardò davanti a sé, dove dagli alberi stava spuntando qualcosa. Inizialmente non fu in grado di dire se si trattasse di Akuma o meno, ma qualunque cosa fosse stata avrebbe risolto il mistero dello strano spirito della foresta. Perché la luce che aveva così ardentemente seguito si stava avvicinando, e i movimenti di fronde che l'accompagnavano nel tragitto che la seprava da lei presagivano un incontro decisamente poco piacevole. La giovane Esorcista sentì dei passi pestare le foglie e i rami secchi; tremò appena pensando che se quella era una trappola e loro si erano ben raccomandati di estraniarla dal gruppo, le chance di cavarsela questa volta sarebbero state decisamente minime. Si accorse di provare paura. Paura come quella volta nel canale fognario della sede, dove era stata attaccata nella più completa oscurità senza aiuti nelle vicinanze. Certo, non era sola questa volta, ma... Qualcosa le diceva che non sarebbe stata la stessa cosa. Che nessun salvatore dell'ultimo minuto sarebbe accorso per sottrarla al doloroso destino cui ogni passo del misterioso spirito l'avvicinava.
Però... Questa volta anche la situazione era diversa. Era ferita, ma di certo ci vedeva forte e chiaro e non era in condizioni tanto disastrose da non potersi muovere. Se avesse trovato il modo di guadagnare tempo, prima che quegli esseri decidessero di ucciderla, forse sarebbe riuscita a calmare un po' il male alla testa e a regire. Doveva solo attendere... Solo attendere...

- Che strano. Provo una piacevole sensazione di deja-vù... - ed ecco sbucare dalla selva la risposta a tutti gli interrogativi di quel surrogato di missione della cui reale entità Leda si rendeva conto solo ora. E spalancò allibita gli occhi nel trovarsi davanti un... Ragazzo. Non era troppo alto, né troppo imponente; anzi, a dirla tutta pareva piuttosto gracile e anonimo. Vestiva abiti normali, gli stessi che avrebbe indossato un suo coetaneo: giacca scura, piena di toppe, e scarpe impolverate. E fin lì la giovane non pensò ci fosse nulla di bizzarro in lui. Ma quando gli guardò il viso, un groppo formatolesi in gola quali le impedì di respirare. L'avrebbe chiamata visiera, se solo le fosse somigliata un po'. Ma quella che aveva era una placca metallica saldata all'altezza degli occhi, che gli arrivava fino a dietro le orecchie, terminando come se la stesse semplicemente indossando. Ma non era così: era parte integrante del suo volto, e non vi si poteva scorgere nulla sopra che fosse riconducibile a un'apertura, o a un buco. Quel ragazzo... Era forse... ?

- Forse perché tutto questo è già successo, più o meno un mese e mezzo fa, direi...

Si avvicinò, con passo calmo, lento, misurato. Poi, si chinò su di lei esibendo un sorriso poco raccomandabile; smalto bianco e lucente a formare una dentatura non certo perfetta, ma comunque inquietante. Pochi istanti dopo, qualcosa comparve nella sua mano, lucida e fredda: una pistola di piccole dimensioni. Leda sgranò gli occhi, avvertendo una strana sensazione di pericolo che le ingarbugliò lo stomaco. E sussultò, perdendo uno o due battiti, quando la sentì posarsi delicatamente sulla propria fronte pallida e sudata. In quel momento, ebbe uno strano presentimento... Come se avesse già vissuto quel momento.

- C'eravamo io, te e la mia pistola... Esattamente così.

La sua mano, che stringeva l'impugnatura saldamente eppure con ostentata delicatezza, sembrava quasi carezzare dolcemente l'arma, muovendo il pollice sulla leva dell'otturatore smanioso di poter sparare un colpo. E Leda ne fu terrorizzata perché dentro di sé sentiva che lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto e pure a sangue freddo. Non poteva guardarlo negli occhi, ma percepiva sprigionarsi da quel ragazzo un'aura nera come la pece, densa e soffocante.
Il suo respiro si fece frammentato, irregolare; cominciò ad avere paura.
Il ragazzo se ne accorse. La sua lingua passò rapida sulle labbra, inumidendole. Poi sorrise, e la giovane Esorcista si perse nel guardare quei denti bianchi, opachi, che più di tutto le facevano paura. Come se da un momento all'altro potessero azzannarla per strapparle di dosso la carne...

Il mal di testa non era ancora passato, anche se i contorni cominciavano a divenire sempre più nitidi. Tuttavia, qualche giramento lo aveva ancora e non riusciva a drizzarsi nemmeno a sedere. Poteva solo rimanere a terra come una miserabile ed osservare, finché non avesse avuto forze sufficienti a contrastare i suoi assalitori.

- Chi sei... ? Cosa diamine stai dicendo? - sussurrò traballante con voce roca e stanca. Cercò di ricordare, ma mai aveva visto un viso come quello in vita sua. Eppure, perché le sembrava di conoscerlo?

- Oh, giusto. Probabilmente non ti ricordi di me... Ma io sì, che mi ricordo di te, tesorino. Sono arrivato vicino ad ammazzarti tanto così, l'ultima volta...

Leda non capì, fino a quando l'altro non terminò con tono spaventosamente sinistro la frase.

- ... In quella fogna...

Ricordi.
Invasero la sua mente come un fiume in piena. Un corridoio di metallo arrugginito, il silenzio... Poi quel boato, lo sparo, il dolore, l'oscurità che rapidamente l'aveva divorata e infine, quella distorta sensazione di essere a un passo dalla morte, con la canna di una pistola puntata alla testa. Non le venne da piangere, e nemmeno si sentì atterrita per trovarsi di fronte a colui che aveva tentato di ucciderla e ci era quasi riuscito. No, non era più una ragazzina, era cresciuta. Ed ora, ciò che la pervadeva era la rabbia. Stringendo con forza i pugni a terra, a stento si trattenne dal colpirlo con un pugno. L'unico dettaglio che seppe bloccarla fu quello che se lei ci avesse realmente provato, lui avrebbe reagito uccidendola. Quindi represse l'odio e calmò il proprio animo, che come un vulcano agitato rischiava di esplodere e sfogare tutta la sua furia.
Doveva avere pazienza; doveva attendere...

- Per caso... - fece emergere cauta la sua voce, senza tuttavia provare paura. Se quel bastardo aveva voglia di chiacchierare, lo avrebbe accontentato. Ma poi sarebbe stata la sua fine - ... Centri qualcosa con l'assedio della Sede Nordamerica?

Il silenzio calò improvvisamente. Leda alzò lo sguardo per incontrare il viso del suo assalitore, completamente apatico. Ma fu questione di secondi, prima che esplodesse in una risata sguaiata e irriverente, volta non solo a beffarsi della sua ingenuità ma anche a confermare quando chiesto. E se ne rese conto: non c'era nulla di normale in quel ragazzo cieco, anzi. Avrebbe potuto affermare con certezza che non era nemmeno umano.

- Un'altra domanda - pronunciò tombale, facendo appello ad ogni grammo di buona volontà rimastole per non farlo a fette lì sul posto. Era lui quindi il responsabile dello sterminio del tutto gratuito di una popolazione innocente, e del barbaro assassinio dei suoi cari. O se non lo era direttamente, il solo fatto di aver confermato a quel modo le sue preoccupazioni lo rendeva complice dei reali carnefici. Oh, come avrebbe voluto vederlo morto, fatto a pezzi, sepolto talmente in profondità che nemmeno l'Inferno avrebbe potuto accoglierlo. Con gli occhi lucidi per il dolore e la rabbia, mentre sentiva il mondo attorno a sé stabilizzarsi e il mal di testa diminuire, concluse - Sei un Akuma anche tu?

- Sei una ragazza curiosa - rispose il ragazzo, senza attendere un secondo, mentre ancora teneva la sua pistola sulla giovane Esorcista, imperterrito - Però sì, sono un Akuma, un "giocattolo" di Sua Eccellenza il Conte, come dite voi. Non ricordo come si chiamasse il proprietario di questo corpo, ma la mia anima porta il nome di Jeremy. Tanto piacere, Esorcista.





- E' passata di qua, me lo confermi?

- Così mi è sembrato, Nobile Claire. Suggerisco di aspettare finché quella luce non ricomparirà; anche la Nobile Leda è sparita, dovremmo cercarla...

Claire e Toma avevano perso ogni speranza. Circondati unicamente da alberi, cespugli e ogni sorta di impedimento naturale, avevano perso di vista lo spirito errante della foresta nel momento in cui avevano deciso di dividersi  per acchiapparlo. Improvvisamente, ad un punto imprecisato della caccia, era sparito nel nulla e non lo avevano visto risbucare da nessuna parte. Che fosse stato tutto uno scherzo?!
Per giunta, la notte calava rapidamente lì al nord e il trovarsi in una foresta non migliorava di certo le cose: ogni cosa era già divenuta preda della notte, e del suo velo invisibile che rende cieco anche chi della notte è confidente. Tra le proprie mani, Claire stringeva intensamente la propria frusta, unica arma in suo possesso e unica difesa in caso di attacco nemico. La situazione non le piaceva proprio per niente, e sentiva uno strano presentimento roderle i pensieri, come un tarlo fastidioso nel cervello. C'era qualcosa di molto strano in quella situazione, di decisamente troppo bizzarro perché la giovane, abituata ormai da anni a compiere ogni genere di missione, trovasse nelle sue dinamiche qualcosa di anche solo lontanamente abituale. Non c'era nulla di regolare in quel nascondino snervante, nulla che volesse andare secondo la prassi cui ormai si era abituata.
Se anche fosse stato un agguato di Akuma, ormai era passato troppo tempo e fu costretta suo malgrado a scartare l'ipotesi; se fosse stata davvero Innocence allora doveva trattarsi di una tipologia veramente fuori dal comune. La bionda era perplessa, si guardava attorno girando cautamente su se stessa e badando a scrutare ogni dettaglio del luogo prima di cambiare visuale. Non doveva perdersi neanche la più piccola incongruenza...

- Qui non c'è niente - confermò con una nota irritata nella voce, infine - torniamo indietro.

Toma sistemò ulteriormente l'attrezzatura anti Akuma che si portava sulla schiena, come a voler controllare che ci fosse ancora, e si apprestò a seguire la collega, che a passo di marcia si faceva strada tra i rami bassi degli alberi scansandoli senza pietà, con movimenti bruschi e che tradivano il nervosismo che stava crescendo dentro di lei. Ecco cosa succedeva a mandare in missione una bimbetta capricciosa come quella! Quando sarebbe tornata - perché sarebbe tornata, con o senza Leda - avrebbe dato una bella lezione a quel dispotico di Komui. E a chiunque  altro avesse avuto la disgraziata idea di farle ripetere l'esperienza.

- Dannazione a quella novellina! Dove se n'è andata?! Ed è sparita pure la carogna!

- Se desidera potrei inoltrarmi alla loro ricerca - si propose Toma affiancandola, senza mostrare espressione alcuna sotto le bende che gli coprivano parte del volto.

A quelle parole Claire rispose immediatamente, con tono duro e deciso, da vero leader.

- No, non voglio sprecare neanche un minuto per quei buoni a nulla. Tu mi servi qui, ora, per immobilizzare l'Innocence con il Talisman nel caso si faccia viva - e nessuna replica sarebbe stata accolta, non da lei.

Il Finder abbassò lo sguardo, continuando poi a seguirla in silenzio.





Ormai le forze erano quasi del tutto tornate. Leda sentiva che l'intorpidimento causatole dalla brutta botta presa alla testa si stava attenuando: i contorni degli alberi più alti rischiarati dalla luce della luna apparivano sempre più chiari e definiti. E al contempo le cicatrici alla base delle mani iniziavano a pruderle, quasi la forza che vi risiedeva bramasse d'esser sfoderata. E lo sarebbe stata, la giovane Esorcista non aveva alcun dubbio che sarebbe riuscita a sbaragliare i suoi nemici una volta ritornata in forma. Il grosso Akuma somigliante a un rettile era ancora lì, a pochi passi da lei con quel perenne ghigno stampato sul muso squadrato, e la fissava intensamente, mostrando la propria impazienza con il movimento irrequieto della coda; l'unica cosa davvero pericolosa, secondo Leda. Se infatti quella l'avesse colpita ancora, difficilmente avrebbe potuto cavarsela, perciò doveva fare attenzione. Quell'affare sembrava abbastanza possente per frantumarle qualche costola, e il fatto che col primo colpo subito non avesse riportato gravi danni era stata una fortuna incredibile. Oppure, qualcos'altro?

- Pensierosa? - Jeremy era ancora chino su di lei, con la pistola puntata. E dire che se non si fossero trovati in una situazione del genere, Leda avrebbe continuato a pensare e a sostenere che quel ragazzo fosse del tutto un essere umano. E la cosa la turbava, perché era il primo Akuma che vedeva comportarsi a quel modo. Il primo che riuscisse a... Parlare come una persona normale; il primo che, in qualche modo, le pareva ragionasse in maniera differente dai suoi simili. Non sembrava affatto una macchina assassina programmata per uccidere, tutto il contrario. Eppure... Non poteva fare a meno di provare un indescrivibile terrore guardandolo in faccia, guardando quei canini bianchi pronti a divorarla.
Ma presto sarebbe tutto finito. Nella sua testa scorrevano veloci miliardi di ragionamenti, uno più assurdo dell'altro, volti a trovare una via di fuga da quel paradosso che l'avrebbe portata alla morte, se non avesse fatto qualcosa per impedirlo. I suoi occhi saettavano da un punto all'altro della foresta, cercando di scorgere quante più scappatoie possibili. E ce n'erano. Solo... Doveva aspettare il momento adatto prima di colpire.

- No... - rispose perciò calma, dopo aver tirato un lungo respiro per placare l'agitazione; c'era un terribile dubbio che l'attanagliava, e prima di attivare l'Innocence era sua premura dissiparlo - Per quale motivo non mi hai ancora ucciso?

Aveva posto quella domanda con una punta di timore mal celato, senza sapere quale sarebbe stata la reazione dell'Akuma. Per come lo aveva visto giocherellare con la propria arma impaziente di usarla, poteva dire con certezza che volesse qualcosa da lei. Non che le importasse scoprirlo, solo voleva guadagnare ancora un po' di tempo.

- Ah, bene bene - Jeremy parve sollevato da quella domanda, quasi aspettasse che gli venisse posta - Così velocizziamo i tempi.

Ah, quindi un motivo c'era...

- Allora, stiamo cercando una cosa particolare, che il mio Maestro desidera ardentemente - disse con voce annoiata; i dettagli non gli erano mai piaciuti. Aveva sempre preferito agire e colpire, solo per uccidere. Missioni complicate come quella, nelle quali entravano in gioco il recupero di strani manufatti o qualsivogllia altro oggetto lo avevano sempre scocciato - E' una cosa molto importante, e mi è stato detto di chiedere a te. Mi sembra... Che avesse parlato di qualcosa tipo scrigno, o roba del genere...

- Scrigno? - Leda lo ripeté allibita. Che scemenza era mai quella? E quando parlava di "Maestro" intendeva lui, il Conte?

- Sì, più o meno la forma è quella - rispose l'Akuma, mimando un cubo con le mani; quella fu la prima volta che tolse la pistola dalla fronte della giovane - Ne ho bisogno, capito? Dov'è?

Ecco. Ora sì che la situazione si faceva rischiosa. Quale risposta avrebbe dovuto dare? Cosa avrebbe dovuto dire? Se avesse detto di non possedere nulla del genere, lui l'avrebbe uccisa, ma se avesse detto di sì... Ah! Che confusione! Cosa doveva fare?!
Mentre nei suoi pensieri aveva inziato a infuriare una tempesta, il tempo passava tra silenzi preziosi e snervanti. I due Akuma fissavano l'Esorcista con aria interrogativa e spaventosamente ansiosa. Doveva pensare in fretta a una soluzione, o sarebbero stati dolori...

- Ehm... - incespicò inizialmente, volgendo lo sguardo al terreno, in cerca di una risposta convincente. In fondo, non doveva intrattenerli per molto. Le bastava solo aspettare di essere di nuovo funzionante al cento per cento, e poi...

- A cosa dovrebbe servirvi una cosa del genere? - domandò d'impeto, senza riuscire a trovare qualcosa di meglio con cui ribattere.

A quelle parole Jeremy parve reagire in maniera discordante: strinse l'impugnatura della pistola, nervoso, poi tornò a sorridere in maniera ambigua.

- Questa è una cosa che non posso dirti, piccoletta - disse scuotendo appena la testa.

- Ma come fate a sapere che ce l'ho io? - domandò ancora Leda, iniziando a prenderci gusto. Se comunque non potevano farle del male, tanto valeva sfruttare la situazione: avrebbe acquisito informazioni e al tempo stesso avrebbe avuto la certezza di sbaragliarli quando il momento sarebbe giunto.

- Be', tu sei figlia di Albert Fringe, no? - fece Jeremy indicandola con la canna della pistola - Se è una cosa che ha costruito lui, tu devi sapere senz'altro dove si trova.

E ora... Cosa c'entrava suo padre?
Troppa confusione. Improvvisamente sentì la propria curiosità crescere. Voleva sapere cosa stessero cercando quei dannati Akuma e perché servisse loro qualcosa costruito da suo padre. Che lei sapesse, aveva lavorato come membro della sezione scientifica all'Ordine Oscuro un po' di tempo prima, ma non aveva modo di sapere quali diavolerie avesse progettato nel frattempo. Lei aveva davvero pochi ricordi che lo riguardavano, e spesso li confondeva con fantasie della propria mente; con l'immaginazione di una bambina privata di una figura di riferimento, la cui mancanza si sentiva a volte in maniera incredibile. Ma lei non lo aveva mai odiato per aver abbandonato la famiglia, no. Cosa strana a dirsi, però era così. Ne aveva sempre parlato con orgoglio, ed era contenta di vedere Alan felice pensando che suo padre contribuiva a proteggere il mondo dal Conte. Le rare volte in cui era tornato a casa, prima che la guerra si facesse più aspra in Europa, non lo aveva mai sentito parlottare di strani scrigni o congegni particolari con sua madre. Per cui... Davvero, non sapeva cosa rispondere. Certo, prima di mettersi al servizio del Vaticano, aveva fatto il giocattolaio: un mestiere che aveva sempre amato. Ma come poteva questo in qualche modo avere collegamenti con il Costruttore?

- Mio padre... Costruiva giocattoli da giovane. Nemmeno io so di preciso dove possa essere la cosa che cercate...

Ecco. Ora aveva definitivamente terminato gli argomenti. Con quella semplice frase aveva ammesso di non sapere nulla. Il tempo per tergiversare era finito. Doveva agire ora, altrimenti non ne avrebbe più avuto la possibilità.

- Un bel dilemma... -affermò Jeremy, massaggiandosi il collo con aria sconsolata - Quindi abbiamo messo su questo spettacolino idiota solo per niente?

Si rialzò. I suoi movimenti di fecero più repentini, trascinati; meno calcolati che in precedenza.

- Procediamo col piano! - lo incalzò il lucertolone avvicinandosi e facendo tremare il terreno con la sua mole. Aveva la bava alla bocca. Era stanco di aspettare, così come il suo compagno - Uccidiliamoli!

- Va bene. Farò poi rapporto personalmente al Con...

Ma Jeremy non fece in tempo a voltarsi che si bloccò lì, sul posto; le labbra, dischiuse appena in un gesto di sorpresa che né Leda né l'altro Akuma furono in grado di comprendere, parvero voler mormorare qualcosa. Ma nessuna parola fece in tempo a scivolare fuori che il ragazzo prese a guardarsi attorno, forse dimentico del fatto che non potesse vedere. Sembrava aver perso il senno; come se ci fosse stato qualcosa al di là degli alberi che lo terrorizzasse. Come se una mostruosità ancora peggiore si annidasse nel buio, e lo spiasse...

- Che ti prende?! - ringhiò spazientito il lucertolone, avvicinandosi al compagno.

Stava succedendo qualcosa di strano e Leda, rannicchiata ancora a terra, a stento credette a ciò che vide. Perché quel ragazzo aveva iniziato a comportarsi in quella maniera? Chi o cosa ne era responsabile?
Poco male. Ora che i suoi nemici parevano più che distratti, poteva finalmente contrattaccare e restituire loro il favore con anche un bel po' di interessi! Non le importava la disparità di numero, l'unica certezza di cui aveva bisogno era di trovarsi a una distanza sufficientemente sicura per non essere alla portata della coda del lucertolone, e per il resto, la sua agilità l'avrebbe sicuramente aiutata a sopraffarli.
Fu un gesto fulmineo, accuratamente calcolato quello che la spinse a buttarsi di lato per allontanarsi con un balzo un po' maldestro dalla traiettoria del gigantesco Akuma e portarsi debitamente lontano da lui. Ripreso l'equilibrio dopo aver compiuto una sottospecie di capriola sull'erba secca, finalmente poté gridare a pieni polmoni e chiamare la propria Innocence.

- BONE BLADE: ATTIVAZIONE!!!

Le lame ossee squarciarono la pelle delle cicatrici sui polsi e fuoriuscirono completamente, avvolte da un bagliore biancastro che rischiarò per un breve attimo le tenebre della foresta estendendosi per molti metri in profondità. Due spade di luce, le sue, che avrebbero rispedito quelle disgustose creature da dove erano venute!

La giovane Esorcista sorrise così spavalda, la consapevolezza di averli ingannati a dovere viva nel petto che batteva al ritmo del suo cuore agitato. Era ora di regolare i conti, e punirli per ciò che avevano fatto a lei, ad Alan, e a tutti i suoi cari!

- Fatevi sotto, dannati Akuma! - gridò, lo sguardo furente che brillava d'odio.

Ripresosi dallo strano comportamento tenuto qualche istante prima, Jeremy strinse l'impugnatura della pistola, sorridendo soddisfatto; come se finalmente le cose avessero preso ad andare nella giusta maniera: quella più diverente. Sorrise, mostrando quei denti bianchi che presto si sarebbero immersi nelle carni della ragazza e puntandole l'arma contro non poté fare a meno di passare la lingua sulle labbra, affamato.

- Con piacere...



Angolo di Momoko


Allora, salve a tutti... Poi... Ah, sì! Il prossimo capitolo sarà l'ultimo -3- *Para con la tastiera i coltelli che le volano addosso*.
No, tranquilli, non è la fine di tutto! xD Vi spiego: ho deciso di dividere la storia in più parti, o fasi, ciascuna collegata a uno o più momenti salienti della trama. Col prossimo capitolo si conclude la prima parte. E non preoccupatevi (?), non lascerò la storia incompiuta. Lo faccio, oltre che per aiutarmi a lavorare sui miei altri progetti, anche per dare un ordine alla storia, senza ficcarle dentro troppi capitoli - cosa che non mi è mai piaciuta -.
Quindi... Spero che questa mia scelta non vi crei troppi problemi, in ogni caso fatemi sapere, perché se mi dite che è un'idea stupida faccio dietrofront immediatamente. Me è ancora novellina e deve imparare ;^;
Beeeene... Io avrei concluso. Nel caso voleste il mio indirizzo per mandarmi pacchi bomba e/o minacce, ditemelo çAç'' Inoltre, ringrazio tantissimo tutti quelli che ogni volta spendono parte del loro tempo per commentare, e anche chi legge e basta. Siete fantastici, mi riempite d'orgoglio come nessun'altro ;)
Come sempre, se ci sono cose che non vanno bene o errori di qualsivoglia genere, vi prego di farmelo notare!!
Ora mi dileguo, un bacione a tutti!!
A prestooo,

Momoko <3

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Capitolo 14
*** Bruciante sensazione di sconfitta ***


Lady War


Capitolo 14: Bruciante sensazione di sconfitta


Una luce, limpida e abbagliante: Claire la vide levarsi d'improvviso nel cielo buio, rischiarando la scura foresta nella quale era immersa e al cui interno aveva continuano a vagare senza meta assieme a Toma fino a quel momento, isolata dal resto del gruppo e indecisa su come proseguire.
Non appena ne sentì il boato squarciare il silenzio e le tenebre, un'espressione preoccupata le irrigidì il viso. Strinse con involontaria forza la propria frusta, mentre fissava il Finder negli occhi e vi leggeva forse la sua stessa identica conclusione.
Non ci fu bisogno di parole. I due, dopo essersi scambiati uno sguardo più che complice, si diedero a una disperata corsa tra gli alberi, per andare in soccorso dell'Esorcista che aveva evocato la propria Innocence.
E poi, forse, avrebbero ottenuto quello per cui stavano letteralmente impazzento: risposte ai seccanti quesiti che quel posto lugubre e tenebroso aveva indotto loro a creare nella propria mente.
L'Esorcista aveva estratto la propria arma dal fodero, gli occhi di ghiaccio puntati verso l'orizzonte scuro. Ovunque un bagliore come quello s'accendesse, c'era il cento per cento di probabilità di incappare in Akuma. E a giudicare dalla portata della luce, di considerevole grandezza, la situazione per Leda non doveva essere delle più rosee.
Ma non ci fu preoccupazione nei pensieri di Claire, no; c'era irritazione. Perché quella novellina si era dislocata dal gruppo? Perché aveva deciso di fare di testa sua?!
Una volta salvata, l'avrebbe uccisa lei stessa per l'arroganza con cui aveva deciso di prendere le redini della situazione senza neanche chiederglielo. Era lei il leader del gruppo, in fondo!
Non poteva permettere che di punto in bianco una novellina insicura e incapace arrivasse e le portasse via la posizione che lei aveva faticato a raggiungere in anni e anni di servizio, devota solo ed unicamente alla causa della guerra, per la quale aveva combattuto con ardore ogni battaglia contro il Conte. Era inaccettabile!

- Toma, aumenta il passo! - ordinò tutto d'un fiato, mentre con un agile balzo schivava una radice invisibile tra l'erba secca e i cespugli.

Il Finder, abituato anch'egli ad un ritmo veloce e sostenuto come quello, non se lo fece ripetere e obbedì. Nessun segnale di fatica pareva volesse carpirli, tanto erano forti e sicuri delle loro capacità.
Ma quella novellina... avrebbe fatto altrettanto?








Il mal di testa aveva deciso di concederle un po' di tregua, per cui aveva potuto approfittare dell'attimo di distrazione dei sui nemici per portarsi con un agile scatto lontano dal raggio d'azione della coda squamata del grosso lucertolone. La divisa si era leggermente sgualcita su più punti, inoltre era tutta impolverata. Nonostante questo, però, Leda ebbe ugualmente la forza e la tenacia per rimettersi in piedi in maniera un po' maldestra, ed evocare la propria Innocence affinché l'aiutasse nella battaglia che si sarebbe di lì a poco scatenata.
Questa volta le cose sarebbero andate diversamente. Lei non era più una ragazzina semplicemente scontrosa e remissiva. Nel poco tempo che aveva trascorso all'Ordine, aveva potuto comprendere, anche se solo superficialmente, i veri sentimenti di quei guerrieri che per lungo tempo aveva odiato. Aveva capito quali valori muovessero veramente le loro azioni, e quali fossero le ragioni della loro scomparsa. E non aveva potuto fare a meno di provare vergogna. Vergogna e compassione al tempo stesso. Non erano dei cordardi, come aveva sempre penstato, no: erano eroi. Esattamente come nei suoi racconti d'infanzia. Eroi che proteggevano il mondo e la sua gente. Miti che acquisivano sembianze concrete, reali.
Avevano dei difetti, e alcuni di questi offuscavano la luce pura e divina della quale erano portatori, ma certamente non l'avrebbero fermata.
E lei avrebbe fatto lo stesso, lasciando che pian piano l'odio e la rabbia fluissero e divenissero forza da scatenare senza riserve contro i veri nemici dell'umanità. I cari che aveva perduto, quelli che ancora poteva salvare... sarebbero stati il mondo che avrebbe protetto anche a costo della vita, da quel giorno in avanti!

Jeremy aveva ripreso il controllo delle proprie azioni. La pistola, stretta saldamente nel pugno, era puntata contro l'Esorcista, pronta a sparare in qualsiasi momento. Che cosa fosse successo, lo sapeva solo lui. Ad un tratto, qualcosa... era entrato nella sua testa. Un sibilo freddo, lineare e fastidioso che per un attimo lo aveva reso sordo a qualsiasi cosa succedesse attorno a lui, strappandolo con forza dal mondo in cui si trovava. Un acuto stridente, vagamente simile ad una voce di essere umano. O forse...

Noah?, pensò mentre caricava lentamente il colpo, il suo obbiettivo finalmente a portata di tiro. Qualcuno che aveva volutamente interferito con i suoi pensieri per distrarlo, ecco chi era stato ad agitarlo tanto. L'ira lo assalì, per essers lasciato cogliere impreparato. Avrebbe riferito presto l'accaduto al Conte: se c'era un traditore tra le sue fila, sarebbe stato meglio per il suo Maestro saperlo. Ma prima...

- Non credere di aver guadagnato un vantaggio, mia cara - sentenziò, tombale e sinistro - Ti colpirò comunque.

Leda non poteva immaginarsi come avrebbe fatto, dato che nemmeno ci vedeva. Ma ripensando all'episodio nelle fogne non le riuscì difficile crederlo. In quel momento, un sorrisetto sfrontato le colorò il viso, vivace. Lei più di tutti sapeva quanto male potessero fare delle parole, e quelle non l'avevano minimamente sfiorata.

- Non ho mai pensato di sfruttarlo - ammise, la voce guidata dall'orgoglio e le lame di Innocence piazzate davanti al viso, in atteggiamento difensivo - Non ne ho bisogno, credimi.

Jeremy sfoggiò un ghigno spaventosamente contorto, sentendosi preso in giro, e per giunta in un modo così gretto.

- Davvero?

Lo sparo partì, preciso e letale. Un piccolo lampo di luce illuminò la canna della pistola, arrivando a toccare gli alberi più vicini. Il boato che ne conseguì si estinse ancor prima di realizzarsi, come risucchiato dal silenzio di quell'inquietante foresta.
Ma leda era preparata al colpo. Non si sarebbe più lasciata sopraffare come una bimbetta!
Fece scivolare rapidamente il piede il avanti piegando appena il ginocchio, determinata, e sollevò il braccio destro ponendo la lama tra la pallottola e la sua fronte. Scintille di attrito, poi una nuvoletta sottile di fumo grigiastro si sollevò dall'arma. E questa volta fu lei a esporre un ghigno che già pregustava la vittoria. Il bossolo non aveva neanche scalfito la superficie bianca e opaca dell'osso. Era anzi caduto a terra con un sordo tintinnio metallico e lì era rimasto silente, tra l'erba e la polvere.

Ma Jeremy non sembrò curarsene, probabilmente perché si aspettava già una reazione del genere. Sapeva che gli Esorcisti non erano semplici esseri umani, non era la prima volta che li affrontava quindi era già consapevole del fatto che in quanto ad abilità combattive erano superiori alle normali prede; non erano sprovveduti, andavano trattati con cautela, senza esporsi troppo ma soprattutto senza lasciarsi trascinare dagli eventi. Per quanto potente fosse la sua Innocence, quella mocciosa non era impeccabile. E a lui sarebbe bastato il minimo errore da parte sua per eliminarla. Un solo unico errore. Doveva solo studiare le sue mosse, giocarci, capire il suo stile, le sue convinzioni... e poi, distruggerla. Demolire le mura del suo cuore, sbaragliandola sotto tutti i fronti, renderla impotente, ammansire il suo animo guerriero fino ad sopprimerlo nel silenzio. Come se avesse dovuto schiacciare una banale mosca, un insetto schifoso e inutile. E non gli sarebbe servito che un attimo.

Altri due colpi seguirono velocemente il primo, sparati con la stessa mano ferma e convinta. Un sorriso tetro e malsano colorò sinistramente il suo viso di nera malvagità.
Leda ripeté lo stesso movimento per le altre due pallottole, che rimbalzarono come palline di gomma verso il nulla, perdendosi tra l'erba e i cespugli in lontananza. Ma non si era accorta che per farlo si era spostata, portandosi più a destra dalla sua presecente posizione. Nel momento in cui se ne accorse, un altro sparo illuminò il campo di battaglia e questa volta fu un miracolo per lei schivarlo. Ad uscirne tragicamente strappata, fu la spallina della divisa, ma a parte quello la giovane non aveva riportato ferite gravi.
Tuttavia, il suo avversario non volle darle tregua, spedendole contro nuovi proiettili, veloci e impossibili da deviare. Parò anche questi, sfruttando entrambe le proprie lame per unirle e formare così un impenetrabile scudo a forma di croce, che poi divise bruscamente tragliando l'aria con un colpo secco e deciso. Doveva tornare nel punto da cui si era mossa, alla svelta. Aveva capito le sue intenzioni: constringerla a correre e spostarsi per tornare alla portata dell'Akuma rettile. Ma lei non ci sarebbe cascata. Quei bastardi avevano finito con le prese in giro.
Ma se anche si fosse tenuta a debita distanza, come si sarebbe evoluto il combattimento? Lei non poteva attaccare da lontano, non possedeva attacchi come il Crown Edge di Allen o gli Insetti della Prima Illusione di Kanda. Da quel punto di vista era svantaggiata. Come sarebbe riuscita a portare lo scontro vicino a lei senza tuttavia lasciarsi colpire dal lucertolone?
Impossibile dirlo. Per ora, non poteva far altro che bloccare i colpi di Jeremy e difendersi. Finché avesse avuto due avversari contro cui confrontarsi, non sarebbe andata molto lontano.

Altri spari rimbombarono tra gli alberi. Altri tintinnii metallici scalfirono il suolo. La battaglia procedeva monotona e serrata, senza dare accenni al voler passare a una fase successiva. Ma poi, fu il momento per la fazione nemica di schierare in campo ogni risorsa. L'Akuma rettile perse la pazienza, sbatté violentemente la coda a terra facendola tremare e dopo qualche istante prese a correre incontro all'Esorcista ringhiando mostruosamente, con una furia implacabile. Pareva un treno pronto a schiantarsi e distruggere ogni cosa. Il suo muso squamato era spalancato, a mostrare le lunghe file di denti aguzzi e la bava che scendeva copiosa.
E ora?!, pensò Leda parando l'ultima pallottola. Il bestione veniva verso di lei troppo in fretta. Il terreno collassava sotto il suoi piedi, cosicché le appariva difficoltoso trovare un appiglio per non scivolare. Non poteva parare quella carica inarrestabile, poteva solo... scappare!
Senza pensarci due volte gli diede energicamente le spalle e mettendo tutta la forza nei propri passi si diede a una disperata fuga tra gli alberi. Evitando con dei prodigiosi balzi le radici sporgenti, e tagliando di netto i rami sul suo cammino con le lame di Innocence, continuò a scendere lungo la montagna senza mai voltarsi. Senza ripensamenti, solo con i muscoli indolenziti e il fiatone a perseguitarla.

Poi, accadde qualcosa. Davanti a lei, improvvisamente, brillò un colpo: fece appena in tempo a piegarsi all'indietro e scivolare con le ginocchia sul terreno, che un'altra pallottola spuntata da chissà dove le passò fulminea a pochi centimetri dal naso. Finita a terra, con la faccia nella polvere, alzò la testa e...

- L'avevo detto che ti avrei colpita - Jeremy era a pochi centimetri a lei, sogghignante. La pistola era puntata sulla sua fronte.

Leda smorzò il proprio respiro affaticato, stringendo i denti per la rabbia. Era solo un bugiardo. Un brutto bastardo che non aveva fatto altro che prenderla in giro, dall'inizio alla fine. Lo avrebbe distrutto, Akuma o umano che fosse!

- Non ora!! - gridò a pieni polmoni scagliando la lama sinistra contro i suoi piedi. Il ragazzo schivò il colpo con un salto all'indietro, ma l'Esorcista si era già rialzata e si stava allontanando. Puntò la pistola e sparò, freddo, impassibile.

Leda sentì un dolore atroce alla spalla. La pallottola l'aveva colpita, anche se di striscio, lacerandole la divisa. Sangue caldo colò silenziosamente macchiandone il pesante tessuto.

- Visto? - sussurrò Jeremy con un sorriso inquietante. Alla fine, aveva mantenuto la parola. Ma non era ancora abbastanza. Il suo cuore doveva fermarsi definitivamente, e non sussultare spaventato. Doveva fermarsi...

L'inseguimento riprese.
La giovane sentì le pesanti falcate del lucertolone dietro di lei, e una risata tretra e spaventosa accompagnarle. Il sangue le si gelò nelle vene. Come avrebbe fatto?! Doveva ragionare, ragionare!

Ragiona Leda, forza!!, si impose mentalmente, mentre troncava di netto un lungo ramo pieno di foglie che le sbarrava la strada.
Era ovvio che quel ragazzo, per quanto fosse completamente cieco, possedeva delle capacità fuori dal comune. Komui glielo aveva detto: ogni Akuma evoluto possedeva una personalità distinta, e un potere particolare che lo caratterizzava. A rigor di logica, per estraniarla dal gruppo come aveva fatto sotto le sembianze di spettro, aveva usato una tecnica simile al teletrasporto. Qualcosa che gli aveva permesso di spostarsi istantaneamente da un luogo all'altro. Probabilmente si era comportato allo stesso modo anche nella sede Nordamerica, per entrare nel tunnel bloccato da Tyki. Era scaltro, quel bastardo, e lei doveva batterlo in astuzia. Probabilmente il trucco che aveva usato per disegnare il pentacolo non avrebbe funzionato, però forse...

- Sì, posso anticipare la sue mosse! - disse tutto d'un fiato, mentre ancora correva come una pazza nella foresta - E se il suo obbiettivo è fermarmi... !

Un altra scintilla di luce brillò di fronte a lei. E questa volta sapeva come sarebbero andate le cose. Roteò su se stessa e tagliò di netto la pallottola che stava per colpirla con un movimento preciso e letale del braccio. Ma non si fermò. Continuò a correre, gridando furiosa, e con il medesimo colpo riuscì a beccare l'Akuma con un rapido fendente. Jeremy non fu capace di evitarlo in tempo, e lasciò che la lama di Innocence lo ferisse al petto. Un lungo taglio si aprì, pulito e perfetto, all'altezza dello stomaco. Una scia di sangue nero e tossico sgorgò come inchiostro sul terreno e sui suoi vestiti.

Leda lo vide crollare a terra, totalmente impreparato, e un folle vittorioso sorriso le illuminò il volto, raggiante. Si avvicinò, puntandogli la lama alla gola ed esercitando appena una lieve pressione su di essa. La situazione si era ribaltata, a ben vedere...

- Che effetto fa quando sei tu a strisciare a terra? - domandò, il tono di voce paurosamente incrinato dalla rabbia. Ecco, il momento era finalmente giunto. Lo avrebbe ucciso lì, in quel momento. Non voleva altro. La sua vendetta si sarebbe compiuta!

Jeremy tossicchiò un po' di sangue nero e oleoso, mentre la ferita provocata dall'Innocence divorava, erodendola, la sua pelle; la sua maschera da essere umano, unico ponte che ancora impediva a Leda di riferirsi a lui con il termine "mostro", nonostante il profondo odio che nutriva nei suoi confronti.

- Devo dire... - ansimò, sfoggiando irriverente un ghigno diabolico - ... che voi umani siete decisamente nati per questo!

E poi, di nuovo, il dolore. Leda sentì ancora il proprio respiro spezzarsi, mentre veniva scaraventata con violenza a terra da un altro colpo di coda del lucertolone, rotolando nella polvere e perdendo il controllo della propria Innocence, che si disattivò senza che lei potesse farci nulla. Cadde senza ritegno sul terreno duro e rigido sulla spalla ferita, che le provocò un dolore allucinante. Quando fece per rialzarsi, tremolante e scossa ma tuttavia non intontita come la volta precedente, sentì il braccio scricchiolare paurosamente, e subito dopo dolerle tanto forte da darle l'impressione che potesse staccarsi da un momento all'altro. Imprecò a denti stretti, stringendosi la divisa insaguinata: si era rotto. Una lama era fuori uso.
Alzò lo sguardo. L'Akuma rettile era corso in aiuto del compagno, aiutandolo ad alzarsi in una maniera sorprendentemente gentile e premurosa.
La giovane li osservò esterrefatta, mentre cercava di sopprimere a forza il dolore.

- Jeremy! - esclamò preoccupato il rettile, mentre aiutava il superiore ad alzarsi. Questo parve non sentirlo nemmeno, nonostante la voce grave e cavernosa fosse spaventosamente imponente nel suo penetrare nei cuori di chi l'ascoltava, facendoli tremare. Ripiombò anzi a terra tastando nervosamente il terreno in cerca della propria pistola, che nella caduta era finita poco lontano da lui. La ferita continuava a buttare fuori liquido nero e viscido, assieme a viti e ingranaggi che si dissipavano come carta bruciata appena tintinnavano sinistramente sull'erba. Eppure, a Jeremy sembrava non importare. L'unica cosa cui sapeva pensare era la sua arma. Quella che, sebbene fosse proprio di fronte a lui, non riusciva a prendere. Le mani sporche di sangue battevano la terra con forza e impazienza, in cerca dell'oggetto perduto, quasi fosse stato il prezioso bastone su cui si reggesse per non cadere.
Leda non capiva il motivo di tanta follia. Perché si comportava così?!

- La... la mia pistola... - la voce incrinata dalla preoccupazione, le dita che non riuscivano a raggiungere nulla. L'Akuma era cambiato radicalmente rispetto ai minuti precedenti, nei quali era sembrato pervaso unicamente da antichi e inquietanti instinti da animale assassino. Perché... ?

Fu il lucertolone che, con un gesto fin troppo generoso, afferrò per lui l'arma e la pose infine tra le sue mani. Il suo squamoso indice era grande almeno quanto una di esse. Il ragazzo ferito la strinse più forte che poté, assicurandosi che fosse ancora intatta. Poi, fece per alzarsi, e quando il compagno tentò di aiutarlo, lo respinse malamente. Anche se a malapena riusciva a reggersi in piedi da solo...
Leda lo vide di nuovo prendere la mira su di lei. Ma era serio? Stava rischiando di morire... e pensava ancora ad eliminarla?!

- Lascia stare Jeremy! Ci penso io ad uccidere quella mocciosa! - gli ringhiò contro il lucertolone, cercando di bloccarlo. Tentativo inutile. Non riuscì a fargli abbassare il braccio, seppur questo tremolasse e desse l'impressione di poter cadere da solo da un momento all'altro.

- No! Devo... ucciderla... io... - mormorò, con voce spezzata e sofferente, la mano libera penzolante al fianco. Sudava freddo e ansimava. Leda non poteva credere che avesse davvero intenzione di spararle. Eppure... non se la sentì di darsi retta. Se avesse voluto, avrebbe potuto riuscirci davvero. Era questo ciò di cui aveva più paura.

Però... lei non era ancora fuori combattimento!
Decise di alzarsi, senza scappare. I suoi occhi rassegnati si fissarono su Jeremy. E provò solo pena. In fondo, non era che un giocattolo rotto, un'esistenza vitrea e spenta. Impossibile sarebbe stato per lei dire come si sarebbe comportato: se avesse sparato o meno. Ma in ogni caso, ormai aveva perso il grado di pericolosità attribuitogli in precedenza. Sarebbe stato un gioco distruggerlo.

La lama di Innocence rimasta brillò lievemente squarciando la pelle del polso e comparendo in tutta la propria lunghezza. La giovane la mise davanti a sè, intenzionata ad attaccare i due Akuma. Non si sarebbe lasciata intimorire da una minaccia. Non più. Avrebbe combattuto fino all'ultimo, e li avrebbe cancellati per sempre.

- Vi pentirete di tutte le atrocità che avete commesso! - gridò furiosa, mentre si lanciava a gran velocità verso i due avversari. Teso il braccio in avanti, era più che pronta a colpire.
Tuttavia, il destino decise per lei in maniera diversa. Prima che potesse anche solo avvicinarsi, un lampo di luce incandescente esplose tra lei e i suoi obbiettivi, come un fuoco d'artificio partito da chissà dove. Non riuscì a scansarlo, e tornò a rotolare per terra, inerme di fronte a quel colpo improvviso. Terra, sassi e foglie... una nube di detriti si sollevò nel buio, nascondendo abilmente l'esecutore di quel gesto.

- Rialzati, incapace! Non abbiamo ancora finito! - Claire apparve tra la nebbia confusa di polvere ed erba che le volteggiava attorno impazzita come una ballerina nella tempesta, elegante e tagliente. E Leda vide arrivare con lei una lanterna, stretta da Toma, e un cipiglio a dir poco rabbioso che le corrucciava orribilmente il viso lungo e raffinato. E poteva benissimo intuire per quale motivo lo stesse rivolgendo unicamente a lei, piuttosto che ai due Akuma.
Nella mano libera stringeva la propria frusta, la quale brillava stranamente di un rosso vivo e intenso, come se potesse prendere fuoco da un momento all'altro. Vene di magma bollente scorrevano sull'impugnatura e sulla corda, pulsando di vita. Senza ribattere fece quanto le era stato sgarbatamente richiesto, e sfoderando di nuovo Bone Blade si pose assieme a lei di fronte ai propri nemici, di nuovo. Ora sì che quei bastardi potevano dirsi in svantaggio!
A luci accese per loro che erano ancora incolumi sarebbe stato più semplice combattere. Inoltre, il ragazzo cieco era ferito piuttosto gravemente e aspettarsi da lui grandi manovre non avrebbe più impedito il combattimento. Avrebbero vinto, sicuramente. La vendetta non doveva più aspettare di essere portata a termine.

Ma prima che potessero anche solo muoversi, udirono chiara e spaventosa la risata di Jeremy. Leda gli rivolse con uno sguardo tutta la pena e la rabbia che provava per lui. Era proprio patetico.

- Siete venuti tutti... ma che bella cosa! - sghignazzò, pallido come un cencio, mentre faticava persino a reggersi in piedi - Credete davvero... che noi "giocattoli"... siamo degli stupidi?!

Cosa stava dicendo?
Leda serrò le labbra, facendosi improvvisamente curiosa nei confronti della sua ambigua affermazione. Facendo un passo in avanti con la lama puntata verso di lui; brillava come diamante sotto la flebile luce della lanterna di Toma.

- Ormai è finita per voi, risparmiatevi gli indovinelli! - sentenziò fin troppo brutale, stringendo i pugni dalla rabbia. Doveva ucciderlo, ora; terminare il lavoro, una volta per tutte. Ma quando accennò un passo nella sua direzione, sentì Claire rivolgerle un'occhiata glaciale che lasciò intendere benissimo quanto il suo comportamento la irritasse. Si fermò. E ricambiò iraconda lo sguardo con altrettanta ferocia.

- Perché fai così?! Lo sai cos'ha fatto quel bastardo? Ha raso al suolo la sede Nordamerica! - le gridò, la voce appena incrinata dal dolore.

La bionda spalancò appena gli occhi, sorpresa, fissandosi poi su i due Akuma: davvero quel mingherlino aveva... ? Eppure nemmeno ci vedeva!

- Lui mi ha portato via la mia famiglia. Ha tolto la vita a persone innocenti, che non avevano fatto nulla di male! - continuò Leda, ora con gli occhi lucidi.

Perché ancora parlare di quei terribili eventi le faceva male. Sentiva il fuoco che quel giorno funesto aveva divorato gli edifici, donne, uomini e bambini bruciarle dentro, nel petto: una rabbia inestinguibile, una maledizione che sempre l'avrebbe accompagnata come uno stendardo squarciato, unico ricordo del suo passato e dei giorni felici che le erano stati portati via impunemente, senza motivo. Chiuse gli occhi, mentre cercava di trattenere le lacrime, mentre cercava di darsi un contegno. Non doveva lasciarsi andare, non doveva dare la soddisfazione a quel mostro, che ora era ad un passo dalla morte eppure trovava il coraggio, o forse si sarebbe dovuto dire la sfacciataggine, di beffarsi di lei e delle persone che le avevano voluto bene.
Bone Blade risplendette di un'insolita luce biancastra. Claire se ne accorse, senza riuscire a nascondere il proprio stupore.

- Deve morire! Deve marcire all'Inferno per questo!! - terminò la giovane Esorcista, la voce graffiata dall'ira e gli occhi che brillavano come percorsi lampi e tuoni.

Poi, di nuovo, le sue parole vennero troncate da un'altra improvvisa risata, roca e mostruosa. Questa volta si trattava dell'Akuma rettile, che si stava avvicinando al compagno per sostenerlo.

- Non hai sentito, stupida Esorcista?! Noi non siamo che giocattoli, nelle mani del nostro costruttore. Non è noi che devi odiare, ma coloro che hanno ordinato l'attacco, mocciosa!

- Già... - gli fece eco Jeremy, indicandola con la pistola, barcollante - Io al tuo posto... mi guarderei le spalle... da quelli che credi... stiano al tuo fianco...

- Cosa? - domandò Leda, spalancando gli occhi. Che cosa significava quella frase?

- Eh eh... e soprattutto... - continuò il ragazzo, ormai allo stremo delle forze - Prima di ucciderci... dovreste pensare a voi stessi!


Grida.
Dal fondo della montagna, invasero il silenzio come fastidiosi ronzii di vespe nelle orecchie, insistenti e spaventosi. Claire si voltò, e vide le fiamme generare rossi bagliori di morte che illuminavano sinistramente il sottobosco. E strabuzzò sconcertata gli occhi quando realizzò con orrore che provenivano dal campo. Quello in cui si trovavano tutti i Finder. Quello che era rimasto indifeso.

D'impulso impugnò saldamente la propria frusta e senza pensarci due volte si diresse a passo svelto verso i due Akuma.

- BASTARDOOO!! - il grido fu talmente forte e carico d'ira che Leda sentì la terra tremare sotto i suoi piedi. La corda pulsante di magma bollente schioccò vivacemente sul terreno, mentre la luce che l'avvolgeva aumentava rapidamente d'intensità.
Ancora un altro colpo, eseguito con precisione e freddezza, ed ecco che robuste fiamme avvolsero l'arma come un vortice d'incandescente splendore tramutandola in una gigantesca corda infuocata, che Claire fece roteare sulla propria testa senza timore. Un repentino colpo di braccio, e la frusta fu scagliata con una forza impressionante su i due Akuma, mentre da essa si espandevano onde di calda energia.

- Prendete questooooo!! - gridò l'Esorcista generando così mura di fuoco che si lanciarono come furie contro i loro obbiettivi, distruggendo qualunque cosa trovassero sul loro cammino.

Fu il rettile a reagire per primo: con un movimento animato da incredibile agilità, si pose fra le fiamme e il proprio compagno ferito, venendo travolto in pieno. Un'esplosione devastante scosse energicamente le fronde degli alberi, e una pioggia di foglie bruciate piovette nella foresta, fortunatamente senza provocare incendi. Per qualche motivo, l'Innocence non arrecava danni all'ambiente. Non più di quanti ne avrebbe potuti sopportare.
Quando il fumo si diradò, Leda spalancò gli occhi inorridita. L'enorme lucertola aveva fatto da scudo al compagno, e ora la sua schiena squamosa si era... tramutata in pietra! Pietra chiara, friabile, che si disgregò come sabbia portandosi via gran parte di quel corpo possente e all'apparenza incalfibile. Dove le fiamme avevano toccato la pelle verde metallico, l'avevano lentamente indurita come pietra, per poi sgretolarla senza pietrà.
Era questa l'Innocence di Claire. Un'arma pericolosa e potente che lei stessa aveva denominato Medusa's Whip, la frusta di Medusa. Ed ora, l'imponente mostro faticava a muoversi, temendo di finire in polvere ancor prima di accorgersene. Ma nessuno poté credere al suo gesto: aveva davvero protetto quel ragazzo?!
E, ancor più sconcertante, sembrava non badare minimamente alla propria critica condizione. L'unica cosa che fu in grado di dire, era solo un nome:

- Jeremy! Jeremy! - chiamò invano il compagno, che ora, tra le sue braccia, non rispondeva più, né dava cenni di movimento.

Dopo essersene reso conto, il suo sguardo da bestia infuriato andò a Leda, che si sentì come trafitta da mille lame ghiacciate, in tutto il corpo. Deglutì a vuoto, avvertendo su di sé una spaventosa aura omicida nei propri confronti.

- Ti uccideremo, dannata mocciosa!! - le ringhiò contro, mentre la sua pelle si disfaceva tramutandosi in polvere che si perdeva nel vento della notte - Ti ammazzeremo!! Ti taglieremo a pezzi!!

Una strana brezza prese a soffiare, sinistra. Sotto ai due Akuma il terreno iniziò improvvisamente a cedere, a sciogliersi... fino a che non si fu tramutato in un'enorme specchio nero e liquido, come uno stagno d'inchiostro. I loro corpi cominciarono ad essere risucchiati da quella superficie fluida e oleosa. Ma prima che potessero scomparire del tutto, gli occhi dorati dell'Akuma intravidero un movimento tra gli alberi: un fruscio sospetto, rapido e sommesso, e poi... un bagliore, come di qualcuno che si era appena velocemente spostato per non essere individuato. Ma lui ci riuscì, e poco prima che il suo muso fosse inghiottino dalle tenebre, a denti stretti ringhiò:

- Tu... !

E poi, il silenzio. Tutto scomparve, tutto tornò alla normalità; una parola che purtroppo il gruppo non fu in grado di assaporare a dovere.

- Andiamo! - gridò Claire riponendo la frusta al fianco e facendo segno a Toma e Leda di raggiungere con lei il campo.

Corsero, corsero come pazzi per la foresta, con la lanterna del Finder ad illuminare il loro cammino. Però, più si avvicinavano, più il silenzio si faceva pericolosamente preoccupante. Quando furono infine giunti al limitare del bosco, Claire scostò con sgarbo l'ultimo ramo sporgente e... ciò che vide fu solo cenere.

Non c'era una singola tenda che fosse stata risparmiata. Ogni cosa era stata data alle fiamme, divorata, cancellata per sempre. Un orribile odore di fumo ristagnava sgradole nell'aria, intasando i polmoni delle due Esorciste che, senza esitare, si addentrarono nel campo più approfonditamente alla ricerca di una qualche anima che ancora respirava.
Niente. Dei numerosi Finder che avrebbero dovuto vedere, non ne ritrovarono che i vestiti impolverati. Le apparecchiature erano danneggiate. I golem erano stati fatti a pezzi. Non c'erano parole per descrivere il massacro che quella notte era stato compiuto. Non c'era rabbia che avrebbe potuto punire a dovere i responsabili di quel drammatico e brutale omicidio di massa.
Leda camminava tra i cadaveri ridotti in cumuli di sabbia nera con il cuore che le batteva all'impazzata, la mano poggiata sul naso per impedire che l'acre odore di morte le offuscasse la mente con ricordi che non aveva voglia di rivivere.
Poi, ad un tratto, alcune macerie di una tenda dietro di lei crollarono, e subito si mise in posizione di guardia, pronta a fronteggiare con ardore qualunque minaccia. Ma non si trattava di un'Akuma.

- Tyki! - esclamò sorpresa di rivedere il Noah dopo tanto tempo. Gli andò incontro con passo affrettato, per accertarsi che stesse bene - Dove diavolo eri finito?!

L'uomo si grattò perplesso la nuca, scompigliandosi tutti i capelli alla ricerca di una risposta sensata.

- Mi sono perso nella foresta... poi ho notato delle luci e le ho seguite - disse con sguardo basso. Temeva una qualsiasi reazione da parte della ragazza e infatti poco dopo gli arrivò un colossale pugno in testa.

- Perso?! - Leda ripeté quella parola con disgusto e irritazione - Sei solo un cretino! Non hai pensato di rimanere col gruppo, e di dare una mano? Damerino scemo!

- Modera i toni, mocciosetta! - le rispose a tono il Noah, afferrandole il braccio e scanzandolo malamente - Non è stata colpa mia se all'improvviso vi siete tutti divisi!

- E invece sì! Avresti potuto seguirmi! - lo attaccò senza mollare la giovane, con rinnovata energia - Mi hanno quasi ammazzata!

- E io cosa dovrei centrare? - fece Tyki con sguardo assente, mentre si sturava un orecchio con aria da menefreghista.

Ma Claire apparve dal nulla interrompendo il loro litigio, la compostezza di un vero generale a renderla l'equivalente di un blocco di ghiaccio, rigido e irremovibile.

- State zitti, incapaci! - tuonò furiosa, colpendo entrambi con un pugno da vero maestro - Guardatevi attorno! Vi sembra questo il momento di fare gli idioti?! Abbiamo fatto il gioco di quei bastardi e ora il campo è devastato!

Aveva ragione, dannatamente ragione. Avevano perso, dopotutto. Non avevano raccolto alcuna Innocence, si erano lasciati manovrare dal nemico e, peggio di tutto, vite innocenti e volenterose si erano dissolte nel nulla senza che loro potessero muovere un muscolo. Quella missione poteva considerarsi più che fallita.
E Leda lo comprendeva appieno. Ora che attorno a sé non vedeva che cadaveri e distruzione, lo comprendeva. Quella era la guerra, il conflitto che da millenni si stata portando avanti senza pause, senza tregue, nel mondo grigio che l'accoglieva triste e funesto. E finalmente capiva anche quanto importante fosse il loro compito di Esorcisti; quanto difficoltoso fosse compierlo, accettarlo, e viverlo in ogni suo attimo, sia buono che cattivo. Per quante vite avrebbero potuto salvare, molte altre sarebbero diventate ingredienti di quel calderone d'odio e vendetta che il Conte rimestava sadico e maligno, in attesa di poter scatenare la propria arma finale sul mondo ancora una volta.
Mille sfide l'avrebbero attesa da quel momento in poi, ma questa volta non sarebbe rimasta in piedi a guardare. Non avrebbe più lasciato che altri decidessero per lei, che le imponessero la loro volontà. Avrebbe combattuto da vera guerriera, dimostrando tutto il proprio valore. Avrebbe protetto Alan con le unghie e coi denti. Nessuno l'avrebbe più fermata.



Leda fece una promessa, quella notte: che avrebbe lottato anche a costo della vita per porre fine a tutto quello, a tutte le lacrime, a tutto il sangue che scorreva copioso, a tutto il male che divorava la terra; che si sarebbe dedicata anima e corpo a quella nobile causa, come aveva sempre voluto, cedendo i vecchi malsani rancori al passato, e accogliendo nuove speranze per un futuro più luminoso e sereno.

Sì, sarebbe diventata la vera lady della guerra.


Angolo di Momoko

Eeeeeed eccomi qui :D
Ok, mi rendo conto che il capitolo è piuttosto lungo, ma ho voluto metterci dentro l'intera lotta, senza dividerla a metà. Quindi, spero che riusciate a leggere tutto! xDD
Non ho molto da dire, se non che questa non è la fine della storia. Tra qualche mese potrete leggerne il sequel, con un mucchio di cambiamenti, che sono anche il motivo di questa mia scelta. Ebbene sì, dalla prossima volta le cose cambieranno radicalmente! Si entrerà in una nuova fase della storia, che spero di trattare meglio di questa in ogni caso! Andiamo, lo so che lo state pensando: i vecchi capitoli sono da mettersi le mani tra i capelli xDD
Ok, ora mi dileguo, non voglio stare qui a cianciare e dire roba inutile con voi che vi leggete non so quante pagine di capitolo, quindi, voglio passare ai ringraziamenti!! Ovviamente, mando un bacione stra mega schioccoso a tutti quelli che hanno letto, messo tra le seguite/preferite/ricordate la storia, ma soprattutto volevo ringraziare di cuore Myrae, Kanda_90, Asami chan, chicy, La Strega di Ilse, Xablerot, Fauna96, kassy382 e Snow_White_Queen per aver recensito, oltretutto dandomi tanti consigli per migliorare e spronandomi sempre di più! Vi voglio tanto bene *W* E ora Leda, dillo anche tu! :3
Leda: ma io non dico proprio niente! Mi hai fatto patire per quattordici capitoli, e vuoi pure che ringrazi?!
Momoko: Leda cara, obbediscimi o sarà peggio per te ♥ *Possessione Conte del Millennio version mode=on*
Leda: Ugh... va bene! Grazie per avermi perseguitata come stalker nel mio infernale viaggio che non vorrei ripetere per nulla al mondo!!!
Momoko: ... Leeeeeeeeda? ♥
Leda: *facendo uno sforzo apocalittico* ......... G-grazie per aver letto la mia storia, carissimi lettori!

Spero di potervi rivedere anche la prossima volta, e ovviamente spero anche di fare un lavoro ancora migliore che possa piacervi come questo!^^
A prestooooo,

Momoko <3

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